I will stay...

di Elizabeth_Carre
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** ogni giorno della mia vita - extra 8 ***
Capitolo 10: *** capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** capitolo 16 ***



Capitolo 1
*** capitolo 1 ***


CAPITOLO 1
Quando mi sveglio non mi rendo subito conto di dove mi trovi. Respiro a fatica e il terrore provato per l'incubo da cui mi sono risvegliato non mi abbandona. Sicuro che non sarei riuscito a dormire, il giorno prima mi ero messo a letto agitato come non mai al pensiero della giornata di oggi. Non mi aspettavo però che la mente mi avrebbe giocato un tiro del genere. Non credevo che avrebbe scherzato con la mia paura più nascosta.
Ero immerso in un mondo diverso da quello che conosco e in cui vivo, non diverso strano, ma un diverso buono, migliore. Nuovo. Il verde intenso degli alberi e l'azzurro del cielo mi avvolgevano con le loro tonalità a volte più chiare a volte più scure. Il bianco delle nuvole e il giallo del sole mi riempivano gli occhi e le orecchie mi si beavano al suono di quella voce soave, chiara e decisa che mi sapeva incantare come nessun'altra. Ogni cosa si fermava quando lei cantava. Persino il vento restava ad ascoltare nella speranza di catturare quella melodia e portarla via con sé nel suo lungo viaggio attraverso i Distretti, dal Dodici all'Uno e così via fino a Capitol City. All'inizio tutto mi era sembrato così giusto che sono semplicemente rimasto sdraiato sull'erba ad ascoltare, fino a quando non ho pensato fosse un presagio di sventura all'alba di questo triste giorno. Allora il vento ha ripreso a soffiare e la voce ha cessato di cantare, ed io ero solo. Il pensiero di non poterla più sentire mi aveva svegliato lasciando in me un senso di abbandono che ancora fatico a scacciare.
Il desiderio di starmene ad oziare è allettante. Almeno oggi mi dovrebbe essere concesso credo, ma il dovere mi chiama e convinco le mie gambe a fare il loro lavoro così che io possa cominciare a svolgere il mio.
In cucina trovo tutta la mia famiglia già seduta al tavolo per la colazione e così mi siedo anche io, prendo il mio tozzo di pane bruciacchiato e duro e inizio a spalmarvi sopra quel poco di marmellata che ci è concessa. Mi sembra tutto così meccanico questa mattina. Ci muoviamo tutti un po' rigidamente con la tensione sulle spalle di chi ha il peso del mondo addosso. Mordo un po' ma il boccone fatica a scendere giù per la mia gola asciutta, così mi alzo e comincio il mio da fare. Il rituale di ogni giorno. Apro la panetteria, prendo l'impasto che c'è nella pentolaccia, lo sbatto con forza sul tavolo da lavoro e comincio a ripassarlo. Sento che la tensione mi sta lasciando e i muscoli cominciano a rilassarsi. Mio fratello Knead inizia a scaricare i sacchi di farina. Brad invece aiuta mio padre a riscaldare il forno portandogli il carbone necessario. Mia madre da la forma più carina possibile alle pagnottelle impastate il giorno prima.
Tutto è così uguale ad ogni giorno, ma se tutte le volte mi distrugge l'idea di sprecare così le mie giornate, oggi non è così. Oggi questo rituale così uguale e monotono, come ogni anno in questo periodo, mi tranquillizza e rassicura. Sento che potrei cullarmi in questo tran tran così noioso ogni giorno della mia vita se questo bastasse a tenermi lontano dalla mietitura. Meglio questo che l'arena.
Tutti i giorni qui sono cupi e grigi. La fame imperversa per le strade. La gente muore ogni giorno per le cose più banali. Un semplice raffreddore nel dodici può essere fatale. Ma in questo giorno più triste di altri, la certezza che due di noi potrebbero morire nelle prossime settimane ci fa sentire già tutti morti, e forse un po' lo siamo già.
Sono le sei quando arriva il nostro cacciatore. Porta con sé uno scoiattolo. Chissà quest'anno per cosa lo vuole barattare. L'anno scorso è stato per un po' di marmellata di arance. Molto rara anche per noi, ricordo di essermi stupito del gesto di mio padre quando gliene ha data più del dovuto. L'anno prima ancora da Sae La Zozza si era fatto dare un foulard un po' rovinato ma pur sempre qualcosa di unico. Da queste parti non vediamo molte stoffe pregiate. I nostri vestiti sono fatti di materiale grezzo, un po' di juta o cotone. E il foulard se non sbaglio era di seta.
Mi pulisco le mani e mi avvicino alla porta incuriosito dalla conversazione tra mio padre e Gale. Un bracconiere che ci rifornisce non solo di scoiattoli ma anche di erbe e frutti che qui non si troverebbero neanche a pagarli a peso d'oro. E' un ragazzo che abita nel Giacimento, uno di coloro che hanno imparato a sopravvivere come tutti gli altri in quel posto. Dovrei ritenermi fortunato a stare qui, nella zona commerciale, noi stiamo un po' meglio in questa parte del distretto, ma non ci riesco. Non oggi.
-Signor Mellark non accetterò niente di meno di una pagnotta calda. Potrebbero scarseggiare da oggi in poi gli scoiattoli da queste parti.
Mai parole furono più vere. Se alla mietitura dovessero essere sorteggiati lui o Katniss, qui nel Dodici molte famiglie dovranno fare a meno di uno dei cibi alla base dell'alimentazione dei propri figli. Prima che quei due iniziassero ad andare oltre la recinzione, oltre il nostro distretto, molti bambini morivano di fame o congelati, troppo magri perché i genitori non potevano permettersi più di quello che si guadagnavano con il loro lavoro, che era pochissimo. A malapena bastava a sfamare due persone, figuriamoci famiglie con tre o quattro bambini a carico. Ma da quando c'erano loro si poteva barattare uno scoiattolo con qualsiasi altra cosa. Se dovessero mandarli a morire negli Hunger Games non riesco a pensare a quello che potrebbe accadere alla gente di qui. Piano piano sono diventati essenziali per la sopravvivenza di tutti e non solo per quella della loro famiglia.
Con lo sguardo addolorato mio padre acconsente. Sappiamo entrambi con chi Gale dividerà quella pagnotta calda. Stanno per andare a caccia forse per l'ultima volta e oggi forse ci sentiamo tutti un po' più vicini, tanto che mio padre di solito schivo e taciturno, mormora addirittura un "buona fortuna" richiudendo la porta alle sue spalle. Siamo tutti al correnti del numero di volte che il nome di Gale o di Katniss è ripetuto nella boccia di vetro da cui ogni anno si estraggono i nomi dei tributi.
Iniziano ad inserire il tuo nome da quando compi dodici anni. A tredici inseriscono altri due biglietti che vanno ad unirsi a quello dell'anno prima, così che il tuo nome è già ripetuto tre volte in soli due anni, e così via. Ve ne aggiungono tre per i tuoi quattordici anni per un totale di sei e le probabilità che il tuo nome sia estratto aumentano. Fino a diciotto anni, l'ultimo anno in cui sei sorteggiabile. Ma il nome di Gale, anche se ha solo due anni più di me è ripetuto quarantadue volte a causa delle tessere. Se sei povero puoi decidere di farti nominare più volte in cambio di tessere. Ogni tessera vale una piccola fornitura annuale di cereali e olio per una persona e possono essere richieste anche a nome della propria famiglia, e lui ha dovuto sfamare da solo una famiglia di cinque persone per sette anni da quando è morto il padre per il crollo di una miniera. Katniss, che ha la mia età, invece ha venti nomine. Nella stessa situazione di Gale ha dovuto richiedere tessere anche per sua madre e sua sorella Prim. Per fortuna noi non ne abbiamo avuto mai bisogno.
A mezzogiorno esatto finisco il mio lavoro e vado a prepararmi per andare in piazza. E' lì che si terrà la mietitura. Davanti tutta Panem. Ci saranno telecamere da tutte le parti. I cittadini di Capitol City non vogliono perdersi neanche un secondo di vita del tributo da quando il suo nome verrà pronunciato, così possono trastullarsi di fronte alle espressioni di terrore o panico o disperazione che si dipingono sul suo volto. Diventi una loro proprietà da subito. Cercano di convincerci che questa sia la nostra tradizione, che questi Hunger Games abbiano origine da un periodo molto doloroso della nostra storia che ci ha permesso di guarire, che ci ha uniti. Ma che unione può nascere da un evento che genere altrettanto dolore?
I miei fratelli mi raggiungono e iniziano a prepararsi. Hanno entrambi la faccia da funerale ma immagino che anche la mia non sia delle migliori. Guardo Brad, di tre anni più grande di me, il suo fisico prestante e non posso fare a meno di pensare a come io sia diverso da loro. Di due anni più grandi di me, per Knead questo sarà l'ultimo anno. Somigliano molto a mia madre. Occhi verdi, naso aquilino e capelli neri, che Knead porta lunghi fino in vita anche se la maggior parte del tempo li lega a coda di cavallo e Brad con un taglio molto più sobrio. Un caschetto semplice e comodo. Alti e muscolosi entrambi quando camminano per strada tutti si girano a guardarli. Io sono un po' più basso e somiglio a mio padre. Occhi azzurri e capelli biondi tagliati corti. Niente di che. Accanto a loro scompaio.
Quando finiamo di prepararci, in silenzio ci incamminiamo per raggiungere la piazza e il Palazzo di Giustizia. Sono contento che la mietitura avvenga lì. E' uno dei miei luoghi preferiti e così posso pensare a tutti i momenti belli che ho vissuto con i miei amici dopo la scuola senza prestare attenzione alla storia di Panem che ci viene raccontata puntualmente dal sindaco Undersee. Ed è così infatti che non appena l'orologio batte le due il sindaco comincia il suo discorso di apertura. E nonostante le mie intenzioni di non ascoltare, mi ritrovo immerso negli eventi che hanno reso il nostro paese quello che è.
Panem. Una nazione sorta in un luogo che un tempo si chiamava Nord America. Nata in seguito ai disastri, le siccità, gli uragani, gli incendi, l'avanzare dei mari relativo allo scioglimento dei ghiacciai che inghiottirono la gran parte della terraferma, e la conseguente lotta per le ultime risorse rimaste. Attorniata da tredici distretti, la città di Capitol City portò pace e prosperità ai suoi cittadini. Poi vennero i Giorni Bui e i tredici si ribellarono alla capitale e dodici furono sconfitti e il tredicesimo distrutto. Il Trattato del Tradimento ci assicurò la pace, ma il prezzo da pagare per la rivolta furono gli Hunger Games. I giochi della fame.
Le regole sono semplici. Come punizione ognuno dei distretti deve fornire due tributi, un ragazzo e una ragazza, che verranno rinchiusi in un'arena pubblica che può contenere qualsiasi cosa, da deserti a ghiacciai. I concorrenti dovranno combattere ed uccidersi fra loro fino alla morte. L'ultimo tributo ancora in piedi vince. Così la nostra capitale ci ricorda che siamo alla sua mercé. Portandoci dai distretti verso morte certa e costringendo chi rimane, a guardare lo spettacolo.
-E' il momento del pentimento ed è il momento del ringraziamento.- Così termina il soliloquio del nostro sindaco. Soliloquio perché nessuno lo sta ascoltando a parte me. La pena per la sorte dei propri figli aleggia sui volti dei genitori costretti a guardare da lontano lo svolgersi della cerimonia. E la maggior parte di noi con la paura nel cuore sta qui ferma a pensare a tutto quello che lascerà morendo nell'arena.
Siamo divisi in due file: uomini e donne, in ordine di età. I più grandi avanti date le loro probabilità di essere sorteggiati.
Sento il sindaco elencare i nomi dei vincitori del nostro distretto. In settantaquattro anni di giochi ne abbiamo avuti solo due di cui uno solo ancora vivente. Haymitch Abernathy. Un uomo alto e panciuto di mezza età. Un ubriacone che proprio adesso arriva sul palco e biascica qualcosa di incomprensibile ad alta voce prima di sedersi su una sedia sul palco. Lo zimbello del distretto e in questo momento, ripreso dalle telecamere, anche di tutta Panem. Non c'è da chiedersi neanche il perché del fatto che dopo di lui nessuno del Dodici abbia mai vinto gli Hunger Games. Con un mentore così nessuno potrebbe vincere. Perché una volta usciti vivi dall'arena si diventa guida per i prossimi tributi. E lui non è per niente una guida. Potrebbe aiutare qualcuno soltanto ad attaccarsi ad una bottiglia. Non ricordo un momento in cui l'abbia visto sobrio. Ma infondo lo comprendo. Chiuso in un luogo sconosciuto a quattordici anni dopo una vita passata nel Giacimento e vedere ad uno ad uno tutti i partecipanti ai giochi cadere e a volte doverli uccidere con le proprie mani per la propria sopravvivenza. E' a questo che ci costringe Capitol. Uccidere per non essere uccisi. Non oso immaginare l'orrore che ha visto e mi auguro di non doverlo vivere mai.
Ritorno al presente al suono del trillo della voce di Effie Trinket. L'accompagnatrice ufficiale del nostro distretto. Sorriso smagliante, rossetto rosso fuoco e capelli rosa cipria, si avvia verso il microfono traballando sui tacchi vertiginosi. E' un'esponente della capitale. L'hanno assegnata al nostro distretto ma si vede lontano un miglio che vorrebbe essere altrove. Ad occuparsi magari di un altro distretto più importante di questo in cui siamo per la maggior parte minatori.
-Felici Hunger Games!- annuncia -e possa la buona sorte essere sempre a vostro favore!- pronuncia queste parole convinta che la fortuna possa davvero essere dalla nostra parte anche se siamo qui, in attesa che il nostro o il nome di amici e parenti venga estratto dalle bocce in cui sono racchiusi. Poi penso che la colpa non è sua ma dell'ambiente in cui è cresciuta a farle credere che tutto questo sia giusto e smetto subito di avercela con lei.
La tensione aumenta mentre lei si dice onorata di essere l'accompagnatrice del Dodici e si avvicina al primo vaso di vetro contenente i bigliettini. -Prima le signore!- Il pubblico trattiene il fiato, io lo trattengo, mentre lei raggiunge la boccia e vi tuffa dentro la mano, rimesta un po' ed estrae il nome. Si avvicina al microfono e apre la strisciolina meticolosamente e troppo lentamente. Spero con tutto me stesso di non sentir pronunciare il suo nome.
La cerco con lo sguardo. So esattamente dove. Ha i Capelli neri intrecciati sulla testa e un vestito azzurro della stessa tonalità dei suoi occhi che deve essere stato di sua madre prima di arrivare a lei. Le sta un po ' largo ma non l'avevo mai vista cosi bella e con indosso un abito da ragazza. Generalmente va in giro con la giacca a vento del padre deceduto, pantaloni troppo larghi di chissà chi e con degli scarponi da trekking. Portamento fiero, sguardo duro. Guarda decisa davanti a sé e come tutti le si legge in faccia la preghiera silenziosa di non essere lei il tributo donna.
Tutto succede in un secondo e per la prima volta la vedo cedere dopo tanti anni. Non sento pronunciare il suo nome.
-Primrose Everdeen!- No. Non è lei.
Sua sorella.

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Capitolo 2
*** capitolo 2 ***


 
Buongiorno.
Ci tenevo a precisare che la storia ha molto in comune con il libro originale. Ho cercato di rendere la vita dei protagonisti il più simile possibile per non allontanarmi dal carattere assegnato dalla Collins ai due personaggi principali. Spero di esserci riuscita.
Piccola curiosità: ogni capitolo che scriverò inizierà con la stessa identica parola del capitolo di Hunger Games dal quale è tratto. Mi sembrava una cosa carina.
Grazie.
 
 
Capitolo 2
 
 
 
 
Una volta, poco dopo la morte del loro padre, ricordo di avere visto Prim vagare per il distretto con in braccio un gatto randagio e ferito ad un orecchio. Era magra e scompigliata, inciampava ad ogni passo che faceva, ma continuava imperterrita a camminare. A chiunque la fermasse per chiederle se volesse ripararsi sotto una tettoia o volesse in prestito un ombrello rispondeva che doveva tornare di corsa a casa perché il gattino aveva bisogno di cure.
Sul suo  viso, se pur tristissimo, si vedeva chiaramente la speranza di riuscire a fare qualcosa per la povera bestiolina che miagolava disperata tra le sue braccia. E' sempre stata così lei. Davanti ad un animale o un amico o persino un estraneo in difficoltà non si è mai tirata indietro se poteva dare una mano.
La madre proviene da una delle famiglie più antiche di farmacisti di qui, e anche se si è trasferita nel Giacimento dopo il matrimonio, ha continuato a prendersi cura degli abitanti del distretto. E' il nostro medico di fiducia e così sarà la figlia un giorno.
Poco tempo dopo questo episodio la vidi saltellare nel tragitto che porta a scuola con un gattone peloso appresso. Era riuscita nel suo intento di salvarlo e si era conquistata la sua devozione e da quel giorno non la vidi mai  più triste. Mai prima di oggi.
Il pubblico mormora il suo dissenso, io vorrei urlare il mio. Prim era alla sua prima nomina. Una sola strisciolina conteneva il suo nome.  Mi si rivolta lo stomaco nel vederla staccarsi titubante dalla propria fila, pallida con le mani strette a pugno lungo i fianchi e incamminarsi incerta verso il palco. Le due trecce lunghe e bionde si agitano ad ogni suo passo. Uno dopo l'altro. Lentamente.
Vedo in Katniss il suo stesso terrore, e se fino a poco fa ho sperato che non fosse estratto il suo nome, mi rendo conto che per lei il fatto che sia stato sorteggiato quello della sorellina adorata è anche peggio che se fosse stata scelta lei stessa.
-Prim!- il suo urlo soffocato mi risveglia dal trance in cui ero caduto e rilascio il respiro che non sapevo di trattenere. Mi esce affannoso dal petto, un peso mi opprime. Perché io so già cosa stia per fare. -Prim!- La folla si apre per lasciarla passare e di corsa raggiunge la sorella, la spinge dietro di sé. -Mi offro volontaria!- Ansimo. Le parole che temevo di sentirle pronunciare.- Mi offro volontaria come tributo!
Il mio peggiore incubo si sta avverando. Me l'aspettavo. Da sempre l'amore per la sua sorellina minore le ha dato la forza di andare avanti quando altre ragioni non c'erano. Il padre era morto in miniera, la madre non era riuscita ad elaborare il lutto ed era caduta in una fase di depressione acuta. Non si alzava né muoveva se non a comando. Non badava a loro in nessun modo. La fame stava distruggendo la loro vita. Lo vedevo. Lo capivo ogni giorno quando le osservavo. Katniss sempre più magra e pallida si trascinava per la città in cerca di lavoretti o di cibo per la sua sorellina.
Morire di fame non è insolito da noi. Anziani che non possono più lavorare, famiglie con troppe bocche da sfamare, mutilati nelle miniere che perdono il lavoro. Ufficialmente la causa del decesso non è mai la fame, è sempre l'influenza o il congelamento. I Pacificatori che ritirano i corpi dei morti che trovano nel Prato o contro i muri tra le case, non potrebbero mai ammettere che Capitol non si prenda cura di noi come si deve.
Ricordo che mi distruggeva il non poter fare nulla per aiutarla. Fino a quando una sera, tre mesi dopo la morte del signor Everdeen, sentii la voce di mia madre inveire contro qualcuno fuori dalla panetteria. Posai le pagnotte che stavo per infornare, mi avvicinai alle sue spalle e lei era lì. Appoggiata ad un albero sotto una pioggia insistente. Vidi i cestini dell'immondizia aperti e capii subito cosa stesse facendo prima che mia madre la sentisse e le urlasse di andare via minacciandola di farla venire a prendere dai Pacificatori.
Non ci pensai due volte. L'occasione mi si era presentata alla porta di casa. Misi più in fondo nel forno le pagnotte che si stavano cuocendo, in modo tale che si bruciassero e non fosse più possibile venderle. Non mi importava se per questo gesto avrei ricevuto una strigliata, forse non ci pensai neanche. Non m'importava che dopo mia madre me le avrebbe date di santa ragione e mi avrebbe detto che ero un incapace. Ci ero abituato. Non ero il suo figlio prediletto così come non ero il fratello più amato. Lo feci e basta. Per lei.
Dopo essermi preso le botte da mia madre uscii di corsa sul portico ma non diedi il pane ai porci come mi intimò di fare subito. Mi assicurai di non essere visto dalla mia famiglia e dopo avere spezzettato qualche pezzetto di pane e gettato nel trogolo, lo lanciai nella sua direzione.
I capelli sciolti sulle spalle, le braccia intorno al corpo alla ricerca di calore. Fradicia dalla testa ai piedi. Mi guardò un solo secondo, la guardai un solo secondo e sospirando rientrai in casa. Non avrei potuto fare altro per lei quella sera.
C'è un po' di trambusto sul palco per questo evento inatteso. -Splendido!- trilla Effie Trinket. - Però credo che prima si debba presentare il vincitore della mietitura e poi chiedere se ci sono volontari, e se qualcuno si offre, allora noi...- La sua voce si spegne indecisa sul come andare avanti con lo spettacolo.
Il Distretto Dodici non ha mai avuto un volontario e la regola vuole che un altro ragazzo o un'altra ragazza che rispondono ai requisiti richiesti possono farsi avanti come tributo e prendere il posto di colui o colei di cui è stato estratto il nome, e che importa se ciò avviene prima o dopo?
- A che serve?- ribatte il sindaco - a che serve? Lasciate che venga - e il suo sguardo addolorato passa da Katniss a Prim che dietro di lei adesso sta gridando isterica. - No, Katniss! No! Non puoi!
-Prim, lasciami andare- le intima Katniss sconvolta ma con un tono fermo e duro. Dentro di sé sta morendo di dolore, le emozioni si sono susseguite velocemente. Deve ancora realizzare la portata del suo gesto. Chi si prenderà cura di loro adesso? Se dovesse morire nell'arena come potranno andare avanti senza di lei?
Tutto questo le si legge in viso ma non cede. Non crolla. Non molla. - Lasciami andare!- ripete freneticamente. Gale si avvicina e gliela stacca gentilmente da dietro la schiena e Prim comincia a dibattersi tra le sue braccia mentre lui l'allontana.
-Brava, brava!- la incita Effie Trinket mentre Katniss sale i gradini che portano sul palco.- Questo è lo spirito del programma!- continua esaltata.
Katniss a quel punto la raggiunge e quando le viene chiesto quale sia il suo nome la voce che risponde non sembra neanche la sua. -Katniss Everdeen.- Il suo tono è spento e stanco. E' come se già si fosse rassegnata a morire.
-Mi sarei giocata la testa che quella era tua sorella. Non vogliamo che ci rubi tutta la gloria, vero? Coraggio, allora! Facciamo tutti un bell'applauso al nostro nuovo tributo- continua ostinata Effie Trinket, ma nessuno si muove. Stiamo tutti lì, a guardare Katniss, in silenzio. Le braccia molli lungo il corpo, il viso inespressivo e pallido, gli occhi vacui.
Piano piano però qualcuno reagisce. Non come ci si aspetta. Non battono le mani ma fanno qualcosa di più significativo. Prima uno, e poi a mano a mano tutti gli abitanti, portano le tre dita di mezzo della mano sinistra alle labbra e le tendono verso di lei.
E' un antico gesto del nostro distretto. Un gesto che significa ammirazione, comprensione. Un modo tutto nostro per dire "noi siamo con te, ti siamo vicini". Un addio.
L'ho visto fare una volta ad un funerale da uno dei pochi anziani rimasti. Credo che Katniss per un atto del genere potrebbe addirittura scoppiare in un pianto frenetico. Lo vedo nei suoi occhi e nel tremolio del suo corpo.
Per fortuna Haymitch sceglie proprio quel momento per avvicinarsi barcollante a congratularsi con lei e distende un po' la tensione del momento. -Guardatela. Guardate questa qui!- urla mettendole un braccio sulle spalle quasi come fossero vecchi amici. - Mi piace!- riprende fiato - Ha un gran bel...fegato!- asserisce. Si allontana da lei e si porta davanti al palco. Adesso è agitato più che gongolante. - Più di voi!- traballa sul bordo - Più di voi!- non si capisce bene con chi ce l'abbia. Grida rivolto direttamente ad una telecamera. Un avvertimento per gli altri tributi? Un ammonimento per Capitol City? Non lo sapremo  mai, perché proprio quando sembra stia per portare avanti il suo discorso, barcolla e  rovina fragorosamente al suolo perdendo i sensi.
Grazie all'intervento di Haymitch, Katniss riesce a ricomporsi, deglutisce e porta le mani dietro la schiena riprendendo a guardare dritto davanti a sé. Il suo sguardo si è schiarito finalmente.
-Che giornata eccitante!- esclama Effie mentre Haymitch viene portato via in barella e cercando di riprendere in mano la situazione. - Ma altre emozioni ci aspettano! E' giunto il momento di scegliere il nostro tributo maschile!- Tutta affettata si avvicina alla boccia che contiene i nomi dei tributi uomini. Una mano alla parrucca rosa e l'altra che avanza verso i bigliettini.
Non so come succede. Per un momento sono rimasto rapito dal movimento della mano di Effie mentre speravo ardentemente che non fosse estratto il mio nome, e il momento dopo mi ritrovo a boccheggiare. -Peeta Mellark!- annuncia Effie, ma io sto boccheggiando. Il cuore mi batte velocissimo nel petto ed il mio istinto è quello di fuggire, urlare, piangere. Si, piangere. Adesso so che è questo che hanno provato tutti quelli prima di me. La sensazione di non poter respirare, perché lo sai, dall'arena non si ritorna. Propria stamattina lo diceva mia madre ma io facevo finta di non sentirla. Non volevo sentirle dire tutte quelle cose sui tributi degli scorsi anni. Tutti i tributi che non ce l'hanno fatta. Gente che conoscevamo. Anche io sarei potuto essere estratto. O Knead. Che madre insensibile è quella che non rivolge nemmeno una parola rassicurante ai propri figli che si preparano per il patibolo?
La folla si apre per farmi passare. Leggo sollievo nei loro occhi che mi guardano e mi intimano silenziosamente a raggiungere il palco quasi come avessero paura che sia tutto uno sbaglio. Ma non è un errore. No.
Mi ricompongo come meglio posso. Respiro per quanto mi sia possibile. La camicia ad un tratto è diventata troppo stretta. Mi strozza. Non so come, ma mi incammino. Lo sguardo basso. Mi  guardo i piedi. Non voglio vedano la paura che sicuramente mi si legge in volto.
In prossimità delle scale alzo gli occhi coraggiosamente. Non guardo lei perché altrimenti sono sicuro che scoppierei in lacrime, salgo i gradini deciso e prendo posto.
Effie Trinket chiede se ci siano volontari ma so che nessuno alzerà la mano per me, nessuno urlerà il mio nome. E' normale. Nel giorno della mietitura l'attaccamento alla vita supera di gran lunga quello per la famiglia. E comunque io non ho questo gran rapporto con i miei fratelli, gli unici che potrebbero offrirsi per me. Gli voglio bene e loro a me, questo sì, ma sono convinto che l'amore fraterno sia qualcosa di più del semplice salutarsi al mattino o chiedere se sia tutto ok. No. L'amore tra fratelli va oltre. E questo me lo ha insegnato Katniss.
Per tutta la vita che ho passato osservandola l'unico punto suo fermo è sempre stata Prim. Ha fatto sempre di tutto per lei. Tutti noi del distretto lo vedevamo. Se aveva un qualsiasi problema, anche piccolo, lei era sempre lì. Per una sbucciatura al ginocchio, quando i ragazzi la prendevano in giro perché povera. In ogni momento ha sempre avuto una parola gentile, le ha sempre fatto una carezza. Ha fatto in modo che anche noi ci affezionassimo e preoccupassimo per Prim.
Mai nessuno mi ha rivolto queste attenzioni. Mi sono sempre sentito un po' solo. Per questo mi sono rifugiato nei libri, quei pochi che potevamo permetterci. In tutto sei o sette, ma li ho divorati più e più volte. Mi sono creato delle amicizie per sopperire alle mancanze della mia famiglia. Ho imparato a vivere a modo mio per soffrire di meno. E ci sono riuscito, ecco perché non mi aspetto che qualcuno si offra per me.
Purtroppo la fortuna non è dalla mia parte oggi. Tributo maschile per i settantaquattresimi Hunger Games. Tributo maschile con Katniss.
La guardo di sottecchi chiedendomi perché debba essere in coppia proprio con lei e mi chiedo se si ricordi di quel mio gesto di tanto tempo fa. Se ha mai notato i miei sguardi frequenti. Se mi ha mai notato tutte le volte che ho provato a parlarle. Era inavvicinabile.  Un macigno sulle spalle. Un peso che ha sempre portato da sola.
Vedo sua madre e sua sorella tra la folla piangere l'una tra le braccia dell'altra mentre Gale stringe entrambe. Si prenderà cura di loro, questo dicono i suoi occhi. Allontano lo sguardo verso la mia famiglia. Non vedo espressioni disperate o lacrime. Non vedo niente nei loro volti incolori.
Mia madre guarda nella mia direzione senza vedermi. I miei fratelli sono ancora in fila ma sono più sereni. Adesso hanno entrambi la certezza di avere superato il rischio di combattere per la sopravvivenza nell'arena. Mio padre è un po' più distante, lo sguardo afflitto Non avevo dubbi che nessuno avrebbe pianto per me.
A questo punto il sindaco parte con la lettura obbligatoria del Trattato del Tradimento, ma io penso solo a tutto quello che sta succedendo. Penso a Katniss. So che io non avrò un minimo di possibilità di vincere i giochi, ma lei potrebbe farcela. Sa cacciare, è agile, furba e intelligente. Potrebbe vincere.
Rimugino su tutte le volte che avrei voluto avvicinarla senza mai riuscirci. La sua aura forte mi ha sempre intimorito. Ma forse, forse durante tutto questo viaggio avrò l'opportunità di farmi conoscere almeno un pochino. Se dovessi morire non avrei rimpianti ripensando a tutte le volte che avrei voluto parlarle. Sarò il suo punto di riferimento per tutto quello che posso. Non posso accettare l’idea di dover lottare tra di noi per vincere. Non voglio. Non devo. Io infondo non ho nessuno da cui ritornare. Lei ha tutto un mondo a cui pensare.
Non riesco a credere alla mia lucidità. Non riesco a credere di avere già deciso di non lottare. Anche se so di non avere alcuna possibilità di vincere, potrei almeno sforzarmi. Cercare di farcela. Ma non ci riesco. Non con lei.
Il sindaco finisce di leggere il lungo e noioso Trattato e invita me e Katniss a stringerci la mano. La sua è gelida tra le mie, segno che ha paura, così cerco di infonderle un po' di coraggio dandole una stretta che vorrei la rassicurasse almeno un pochino.
Ci giriamo verso il pubblico mentre risuona l'inno di Panem. La cerimonia finalmente si è conclusa.

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Capitolo 3
*** capitolo 3 ***


CAPITOLO 3
 


 
Finito l'inno, i Pacificatori ci accompagnano all'interno del Palazzo di Giustizia, o meglio ci scortano. Ci prendono ognuno per un braccio e portano di tutta fretta me in una stanza e Katniss in un'altra, sbattendoci la porta in faccia.
E' una stanza grande, con divani in pelle e tende di seta. Un divano, una poltrona, una scrivania di legno pregiato.
Tutto questo lusso mi da la nausea. Sento che sto per vomitare, ma non posso permettermi di farlo. Questa è l'ora in cui è concesso a parenti ed amici dei tributi di dire loro addio, e non voglio mi vedano debole.
Mi siedo prendendomi la testa tra le mani. Non posso credere a quello che è successo. Non posso credere di essere qui. E non posso credere che Katniss si sia offerta volontaria.
Nel dodici nessuno lo aveva mai fatto. Gli unici distretti che vantano un numero elevato di volontari sono il Distretto Uno e il Distretto Due. I ragazzi, lì, vengono addestrati per affrontare gli Hunger Games fin dalla più tenera età.
I Favoriti. Così vengono chiamati. Viene insegnato loro a combattere, usare lance e coltelli. A cacciare. Nella storia dei giochi sono sempre stati i più sanguinari.
Io non ho speranze contro di loro. Ma Katniss potrebbe, deve farcela. Nel momento stesso in cui sono salito sul palco ho capito. L'ho capito che dovrò lottare, ma solo per lei.
I miei pensieri vengono interrotti dal rumore della porta che si apre, ma non faccio in tempo neanche ad alzarmi che subito mi ritrovo avvolto dalle  braccia dei miei fratelli.
Non me l'aspettavo. Li avevo visti così sereni tra la folla, che non so cosa dire mentre loro continuano a stringermi e piangere e mormorare frasi senza senso. Posso solo ricambiare gli abbracci.
Con loro in particolare non ho mai avuto un  legame molto fraterno. Eccetto che con mio padre non sono mai andato d’accordo con nessuno della mia famiglia. Ma forse ci si accorge di tenere veramente a qualcuno solamente quando lo si perde.
-Puoi farcela, Peeta- mormora Knead con la voce tremante. Ma sappiamo tutti e due che non è così, cercano soltanto di tirarmi su. Lo apprezzo, ma la realtà è questa. Non li rivedrò più.
Stringo la presa sulle sue spalle.
-Sono... sono contento non sia stato  estratto il tuo nome - dico, e lo penso davvero. Sono davvero contento di non dover assistere alla sua lotta per la sopravvivenza. Perché so, che guardarlo morire senza poter fare nulla per aiutarlo sarebbe molto più straziante. Ho visto la speranza di genitori spegnersi soltanto nel  momento in cui i loro figli esalavano il loro ultimo respiro, mentre per i tributi, la morte veniva accolta addirittura come una benedizione.
Un anno fu particolarmente duro. L'arena era composta prevalentemente da rocce e arbusti. Non vi erano alberi, non vi era cibo né acqua. L'unica cosa che non scarseggiava erano i serpenti velenosi. Fu doloroso per tutti noi vedere morire quasi tutti i partecipanti di sete o di fame, ma fu ancora più dura vederli delirare a causa del veleno. Alcuni chiamavano la propria madre, altri urlavano di dolore o si auguravano la morte.
Andò avanti per giorni e giorni quello strazio, fino a quando gli strateghi non decisero di farla finita creando un terremoto che uccise tutti i concorrenti tranne uno.
Ma non fu pietà a far muovere le loro mani. Fu la mancanza di azione a fargli prendere quella decisione. Più sangue viene versato, più i giochi sono apprezzati dai cittadini di Capitol.
Con un brivido mi stacco dai loro abbracci proprio nel momento in cui i Pacificatori aprono la porta invitandoli ad uscire lasciando entrare mio padre.
Le lacrime iniziano a scendere copiose sulle mie guance e non riesco a fermarle alla vista del suo sguardo distrutto, e arrivederci alle mie intenzioni di farmi vedere forte.
Più che a mia madre, è a lui che sarà difficile dire addio. L'uomo che mi ha insegnato ad essere ciò che sono. Il mio complice. Il mio amico. Un pezzo di me.
Quegli occhi azzurri stanchi e buoni mi mancheranno più di tutto. I nomignoli affettuosi che mi ha sempre affibbiato. Il suo modo di insegnarmi la vita.
Quelle rare carezze che ho ricevuto durante il corso della mia esistenza sono partite da lui. Ha sempre capito il mio bisogno di essere diverso, di essere più di un semplice fornaio. Ma siamo nel Dodici, diceva. Siamo questo.
Per quello che ha potuto mi ha sempre lasciato fare da me. Quando mia madre urlava perché stavo sempre dietro ai miei libri, lui era pronto a difendermi e a dirle che le nostre gioie erano così poche, che se leggere un libro mi faceva felice allora che lo leggessi.
Non so se riuscirò a dirgli quanto io gli sia grato, quanto gli voglia bene. Lo stomaco e la bocca mi si sono chiusi in una morsa che non mi permette di fare nulla se non gemere come un bambino quando lui mi abbraccia e mi stringe a sé con tutta la forza che possiede.
I momenti passati con lui mi passano davanti agli occhi uno per uno. D'istinto vorrei aggrapparmici con tutto me stesso, portare con me ogni singolo ricordo per sentirmi un po' meno solo, ma so che mi farebbe soltanto più male.
Perciò  sarà l'ultima volta che ci penserò. Non voglio portarmi nulla nell'arena.
- Papà – il suono che mi esce dalla bocca non sembra neanche una parola, ma lui capisce. Mi stacca da sé e mi accarezza il viso.
- Peeta, mi dispiace. - non dice altro. Mi stringe di nuovo ed entrambi sappiamo che questo sarà il nostro ultimo abbraccio.
- Buona fortuna - mi dice quando i Pacificatori aprono la porta per farlo uscire. Mi asciugo il viso sulla maglietta. C'è una cosa che voglio dirgli prima che esca dalla mia vita, e so che lui capirà.
- Non lasciarle morire di fame -.
Annuisce e se ne va. Non c'è stato bisogno di aggiungere altro. Le parole  sono sempre state superflue tra noi. Lo abbiamo  dimostrato con i gesti quanto teniamo l'uno all'altro. Lui preoccupandosi per me in tutti questi anni e io prendendo il suo posto in tutto e per tutto in panetteria quando  non ce l'ha fatta più a svolgere tutto il lavoro, lasciandomi l'infanzia alle spalle.
Passano alcuni minuti e penso che le visite per me siano finite. Ma la porta si apre ed entra mia madre.
Ho avuto il tempo di riprendermi, ma so che lei capirà che ho pianto. E mi disprezzerà per questo.
Non ho mai compreso il motivo del suo disdegno nei miei confronti. Da bambino ho sofferto per questo suo distacco. Piangevo per ogni carezza che avrei voluto mi facesse, per ogni abbraccio di cui avevo bisogno, per ogni sorriso che non mi ha mai rivolto. Da adolescente me ne sono fatto una ragione.
Vedere adesso il suo viso arcigno e senza espressione però mi fa venire un conato che fatico a trattenere.
Si siede sul divano composta e mi invita a sedere al suo fianco. Non so cosa aspettarmi. Conforto? Biasimo? L'ansia mi fa ancora di più rivoltare lo stomaco. Apro e chiudo le mani a pugno convulsamente. Vorrei che questa tortura finisse presto.
Mio malgrado mi ritrovo a pensare che vorrei tornare vittorioso a casa per vedere almeno una volta nei suoi occhi l'orgoglio di essere mia madre. Ma non succederà.
- Quest'anno il nostro distretto potrebbe avere un vincitore - dice, e sappiamo entrambi che non si riferisce a me. Non ho alcuna risposta da darle. Probabilmente ha ragione, spero che ce l'abbia, ma le sue parole mi feriscono. E così sto in silenzio. La mia angoscia aumenta col passare dei minuti ma per fortuna, quando credo di non farcela più, i Pacificatori aprono la porta per avvertirci che il tempo a nostra disposizione è scaduto.
- Una tosta, quella! -
Quando la porta si chiude alle sue spalle, su queste sue ultime parole, il mio stomaco si ribella e vomito sul pavimento.
Durante il viaggio in automobile verso la stazione vorrei cercare di riprendermi ma non succede, al contrario, sentir parlare Effie di tutte le "meraviglie" che ci attendono mi scombussola di nuovo lo stomaco e quando i giornalisti ci assalgono smetto di preoccuparmi di come vorrei mi vedessero e mi preoccupo di più per come vedono lei.
Sempre quello sguardo duro, come se sfidasse il mondo intero, o quello che ne rimane. Non credo che questo le farà guadagnare molti ammiratori.
 Ricordo un ragazzo del Distretto Nove. Circa tre anni fa, non fece altro che guardare tutti dall'alto in basso, sia durante la mietitura che durante tutte le altre apparizioni prima degli Hunger Games.
Non so se la sua fosse una maschera  o se davvero si sentisse più forte, fatto sta che i Favoriti per primi gli diedero la caccia, e mentre lo uccidevano, piano piano, gli ricordavano quanto fosse debole a loro confronto, quanto quello sguardo diabolico sia stato inutile.
Non voglio questo succeda a Katniss. Devo fare in modo che la gente veda il buono che c'è in lei.
Una volta salito sul treno che ci porterà a Capitol City la velocità mi toglie il fiato, non ero mai salito su di un treno, nessuno del Dodici penso ci sia mai salito perché viaggiare tra i distretti è vietato salvo per incarichi speciali.
Viaggiare alla velocità di 400 chilometri orari mi esalta. Tutto qui dentro è esaltante. Ognuno di noi ha un suo appartamento con una camera da letto, uno spogliatoio e un bagno con una doccia che manda sia acqua calda, sia acqua fredda e non vedo l'ora di raggiungere il mio per riordinare la mia mente.
Una volta solo mi tolgo subito gli abiti di dosso e faccio una doccia bollente per aiutarmi a sciogliere i muscoli. Mi lavo  con un sapone che profuma di lavanda che mi inebria.
Nel nostro distretto non abbiamo né acqua calda né saponi così profumati. Se vuoi l'acqua calda devi riscaldarla prima e versarla in una tinozza dove poi ci si lava a turno.
Essendo io il più piccolo in casa, usare la tinozza per ultimo è sempre spettato a me anche se l'ho fatto poche volte. Non mi andava di lavarmi nella sporcizia dei miei familiari e così ho sempre preferito una doccia fredda.
Per quanto riguarda i saponi, se anche li avessimo profumati come questo, l'odore di carbone del nostro distretto coprirebbe tutti gli altri. Siamo un popolo fatto prevalentemente di minatori. Pur essendo il più piccolo dei distretti rivestiamo un ruolo importantissimo per tutta Panem.
Ogni distretto a modo suo contribuisce al mantenimento di una sola città mentre il resto di noi muore di fame.
Esco dalla doccia e mi vesto con gli abiti puliti che trovo nei cassetti e mi avvio verso la sala da pranzo. L'ora di attesa per la cena è trascorsa senza che me ne rendessi conto, così quando entro in sala da pranzo mi stupisco di trovarla vuota.
Le pareti sono rivestite con pannelli di legno lucido, i lampadari sono di cristallo. La tovaglia sul tavolo apparecchiato per quattro è fatta della stoffa più liscia e morbida che io abbia mai toccato. Il tappeto su cui poggio i piedi sembra fatto di peli di animali, ma è l'argenteria che mi colpisce più di tutti.
Mi siedo su una sedia e guardando le posate ripasso mentalmente le lezioni imparate da mia madre.
Si inizia dall'esterno. Una forchetta per il primo, una per il secondo, una per il dolce. Non abbiamo mai potuto assaporare tutte queste pietanze ma a mia madre è sempre piaciuto impartirci lezioni di quello che lei chiama galateo, e per una volta le sono grato, penso con un sorriso.
-Dov'è Haymitch?- trasalgo al suono della voce di Effie Trinket. Non mi ero accorto che lei e Katniss fossero entrate preso com'ero dai miei pensieri nostalgici.
-L'ultima volta che l'ho visto- rispondo - ha detto che aveva intenzione di andare a farsi un sonnellino- . Me lo aveva detto prima di abbandonarmi sulla porta del mio appartamento.
- Be', è stata una giornata faticosa - risponde. Ma la sua aria soddisfatta mentre lo dice mi fa capire che è contenta della sua assenza.
La cena comprende diverse portate.
Minestra di carote, insalata verde, costolette d'agnello, patate, formaggio, frutta e un dolce al cioccolato per finire.
Non ho mai mangiato niente di più buono e saporito in vita mia e mangio più che posso nonostante Effie continui a ripetere di lasciare spazio per il resto. Ma quando questo resto arriva ha un'aria così invitante e un profumo così delizioso che anche se credo non ci sia più spazio nel mio stomaco continuo a mangiare.
 
Per un attimo penso che dovrei controllarmi, ma poi guardo Katniss e vedo che anche lei si sta ingozzando come se non dovesse più mangiare e smetto di farmi paranoie inutili. Se non altro, penso, mangiare così le farà bene e nelle due settimane che ci separano dall'arena metterà su un po' di peso.
-Almeno voi avete delle maniere decenti - Dice Effie mentre stiamo per finire la portata principale. - I due dell'anno scorso mangiavano tutto con le mani, come selvaggi. Mi hanno completamente guastato la digestione.
 
I due a cui si riferisce me li ricordo benissimo. Erano dei ragazzi del Giacimento. Probabilmente non avevano mai visto così tanto cibo in vita loro poverini.
Il ragazzo era mio compagno di classe a scuola. Era gentile e sempre sorridente nonostante tutto. Rabbrividisco al ricordo della sua testa spaccata in due da un'ascia da uno dei Favoriti.
Il tono di Effie mi ha disgustato e vorrei vomitare tutto quello che ho mangiato, ma so che non si rende conto di quello che dice, e vomitarle i piedi in questo momento non farebbe altro che irritarla.
Mi riprendo giusto in tempo per vedere Katniss indispettire Effie cominciando a mangiare con le dita.
E' magnifica. E quando si pulisce le dita sulla tovaglia, dopo avere finito di mangiare, vorrei mettermi ad applaudire.
Finita la cena ci spostiamo in un altro scompartimento del treno per vedere la sintesi delle mietiture di tutti i distretti.
Ad uno ad uno vediamo i volti dei nostri rivali, i più mostruosi si sono offerti volontari dai distretti Uno e Due. Marvel e Lux dal primo, Cato e Clover dal secondo. I Favoriti.
La folla li applaude ovunque vadano e loro appaiono contenti di fronte alle telecamere. E' un onore per loro rappresentare il proprio distretto.
Il resto dei tributi sembra spaurito come noi quando sente il proprio nome. Tra tutti, colei che mi colpisce di più è una ragazzina dell'Undici. Mi colpisce perchè so che colpirà lei. Nei suoi occhi leggo la paura al pensiero che quella sarebbe potuta essere anche la sorte di sua sorella Prim.
Si chiede perché nessuno si sia offerto anche per questa povera bambina.
Per ultima fanno vedere la nostra mietitura.
Il nome di Prim che viene estratto, la voce disperata di Katiniss quando si offre volontaria e il suo viso sconvolto sul palco. 
La Katniss seduta accanto a me distoglie lo sguardo alla vista di se stessa vulnerabile. I commentatori non sanno che dire del rifiuto del pubblico di applaudire, ci definiscono arretrati.
Il loro silenzio viene sostituito istantaneamente dalle grasse risate che si fanno alla faccia di Haymitch che precipita dal palco.
Quando estraggono il mio nome sono contento di notare che appaio tranquillo mentre prendo posto sul palco nonostante la tempesta che mi infuriava dentro. E' stato in tutto un minuto ma mi è sembrato molto di più e il programma si conclude.
- Il vostro mentore ha molto da imparare su come deve essere una presentazione. E sul comportamento da tenere in TV.
Sorprendendo anche me stesso scoppio a ridere. Adesso credo proprio di aver capito chi è Effie Trinket.
Una donna che bada solo alla forma delle cose, al futile. Una donna bambina, che comunque sia agisce per il nostro bene. - Era ubriaco - dico tentando di difenderlo - è ubriaco tutti gli anni -.
- Tutti i giorni - aggiunge Katniss aprendo la bocca forse per la prima volta da quando siamo saliti sul treno. Fa addirittura un sorrisetto mentre lo dice, apparendo almeno un po' rilassata.
-Si - sibilla Effie riportandoci alla realtà - Strano che voi lo troviate divertente... Saprete di certo che, in questo programma, il vostro mentore è la vostra ancora di salvezza.- un macigno mi crolla nello stomaco. - Il vostro consigliere, che si assicura il sostegno degli sponsor e decide per la consegna di ogni dono. - Effie continua imperterrita e un po' vendicativa. - Per voi, Haymitch Può fare la differenza tra la vita e la morte!
Proprio in questo momento il nostro presunto mentore entra barcollando nella stanza, si chiede se si è perso la cena, vomita sul tappeto costoso e ci cade sopra.
- Continuate pure a ridere! - prosegue Effie gongolante. Aggira la pozza di vomito ed esce dalla stanza.
In tutto questo io però, non so perché, vorrei continuare a ridere.

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Capitolo 4
*** capitolo 4 ***


CAPITOLO 4




Per qualche secondo rimango a guardare un po' divertito un po' inorridito il nostro mentore che cerca invano di tirarsi su dal proprio vomito. Ma ogni volta che sembra ci sia finalmente riuscito ecco che ci ricade ancora sopra. 
Il tappeto ai suoi piedi ormai è irriconoscibile e l'odore acre misto ad alcool che c'è nell'aria mi provoca dei conati che cerco di tenere sotto controllo con tutte le mie forze. Sono deciso a tenermi nello stomaco tutto quello che ho mangiato.
Effie ha ragione, la nostra guida non è un granché, ma è tutto quello che ho per cercare di far uscire Katniss viva dall'arena.
Scambiandoci un muto accordo con lo sguardo io e Katniss prendiamo ciascuno un braccio di Haymitch e lo alziamo.
- Ho inciampato? - chiede lui. - C'è puzza. - Si passa la mano lurida di vomito sul viso sporcandosi anche l'unica parte di sé ancora pulita.
- Ti riportiamo in camera tua - dico. - Datti una ripulita.
Faticosamente riusciamo ad arrivare nel suo appartamento e optiamo per metterlo direttamente sotto la doccia con tutti i vestiti. Lui se ne accorge appena essendo in uno stato di semi-incoscienza.
Non credo sia il caso che Katniss rimanga mentre io lo svesto e lo lavo perciò le dico che da qui in poi ci penserò da solo. 
Con un misto di gratitudine e sospetto negli occhi sta ferma per un minuto a guardarci.
- Bene - dice dopo un po' - Posso mandare qualcuno di Capitol City ad aiutarti. Ce n'è un sacco sul treno. Gente che cucina per noi. Che ci serve. Che ci sorveglia. Il loro lavoro è prendersi cura di noi.
- No. Non li voglio intorno - replico forse con un po' troppa durezza. Ma meno vedo la gente della capitale e meglio sto. 
Non riesco a credere che proprio lei mi proponga di farli venire qui. Infondo tutto questo è colpa di Capitol. Siamo qui per colpa di Capitol. Abbiamo abbandonato le nostre case e le nostre famiglie per colpa di Capitol. Ventitré ragazzi ogni anno muoiono per colpa di Capitol.
Non avrei voluto esprimermi con tanta veemenza ma la rabbia ha avuto il sopravvento. So già che la testolina di Katniss sta pensando alle peggiori manovre da parte mia per ottenere la benevolenza del nostro mentore ma non ce la faccio a lottare anche con lei, sono troppo stanco. 
Per un attimo penso voglia fermarsi ad aiutarmi e so già come finirebbe. Dovrei pulire lui e stare attento a non offendere il pudore di lei, e non ne ho voglia. A questo punto vorrei soltanto che questa giornata finisse.
Un po' titubante lei esce comunque dalla stanza senza voltarsi. Deve aver letto la disperazione nei miei occhi.
Non muoio dalla voglia di lavare lo sporco di dosso ad Haymitch ma da qualche parte dovrò pur cominciare con lui. Devo fargli prendere sul serio il suo ruolo di mentore. Deve capire che è la nostra unica speranza. Deve aiutarci. E se per ottenere qualcosa devo   occuparmi di questo compito rivoltante, lo farò.
Faccio del mio meglio, lo lavo e lo metto nudo sul copriletto ricamato dopo averlo asciugato sotto il getto d'aria calda. Una conversazione sarebbe inutile in questo momento, biascica parole incomprensibili tra le quali comunque mi sembra di riconoscere un grazie.
- Ti aspettiamo domani per la colazione! - cerco di dare a questa frase il tono più autoritario possibile, sperando di smuovere un po' la sua coscienza. Haymitch borbotta ancora qualcosa e si gira dall'altro lato mentre io lascio la sua stanza.
Una volta in camera mia mi butto subito sul letto. La doccia la farò domani. Adesso ho un'orribile emicrania che mi fa sentire spossato oltre misura.
Il treno continua a viaggiare veloce, chissà quanto ci metterà ad arrivare a Capitol City. E chissà come verrà accolta Katniss dalla folla alla stazione.
Non riesco a togliermi dalla testa che questa è la mia occasione per aiutarla come avrei voluto  fare quando ne ha avuto più bisogno.
Ricordo che il giorno dopo l'episodio del pane,  raccolsi tutto il coraggio di cui disponevo  e l'aspettai davanti i cancelli di scuola. Avrei voluto parlarle, chiederle se le fosse piaciuto il pane, dirle che a me poteva chiedere qualsiasi cosa. L'avrei aiutata nonostante le conseguenze. Ma come avvicinare l'inavvicinabile?
Non la vidi arrivare, sentii il suo sguardo su di me. Mi stava osservando attentamente. Il suo cipiglio ombroso era visibile ad un chilometro di distanza. Anche lei a quanto sembrava voleva parlarmi, ma non volevo si sentisse in obbligo di un ringraziamento e mi voltai dall'altro lato cominciando a parlare con dei miei amici del più e del meno.   
La guancia ancora mi faceva male per i colpi ricevuti da mia madre e tutti mi chiedevano cosa mi fosse accaduto ma io inventavo una caduta maldestra in cucina provocando ilarità in tutti quelli che mi stavano ascoltando. 
E' sempre stato facile per me far ridere la gente con una battuta, o incantarli mentre parlavo. Lì nel dodici nessuno ha mai letto in vita sua tutti i libri che io avevo già letto a tredici anni, perciò per me parlare era molto semplice. 
Quando mi preparai ad entrare in classe però mi voltai nella sua direzione. Non mi stava più guardando. Teneva la testa bassa.  Vidi un sorriso spuntarle sulle labbra mentre si abbassava a raccogliere qualcosa da terra.
Quel giorno non entrò in aula con noi. Corse a perdifiato lontano da me. Il mio primo istinto fu di seguirla, e l'avrei anche fatto se la maestra non fosse uscita proprio in quel momento per intimarci di entrare in classe.
Appena uscito da scuola però non tornai subito a casa. Volevo assicurarmi che tutto andasse bene. La cercai dovunque, mi inoltrai persino nel Giacimento, ma non la trovai. Alla fine, mentre tornavo sconsolato verso il villaggio, sentii le risate di una ragazza provenire dal Prato. 
Mi avvicinai furtivo perché avevo riconosciuto la voce. Mi nascosi dietro un masso e vidi lei e sua sorella correre con dei cestini pieni di qualcosa di giallo tra le mani. 
Ricoprirono tutto il perimetro fino alla recinzione e le osservai a lungo mentre strappavano fiori. Ero felice di vederla serena ma non capivo a cosa fosse dovuta tutta quella gioia. Solo quando se ne furono andate ebbi il coraggio di addentrarmi dove fino a poco fa girovagavano, per cercare di capire cosa avessero raccolto per tutto quel tempo. E li vidi. 
Denti di Leone ormai appassiti, raccolti e poi calpestati per essere sostituiti con fiori freschi. Non capii subito a cosa potessero servirle, ma poi ebbi un'illuminazione. Mi ricordai di una lezione che avevamo tenuto a scuola un po' di tempo prima che suo padre morisse. 
Generalmente le nostre lezioni vertevano su argomenti riguardanti il carbone o il funzionamento delle miniere  essendo noi il distretto che se ne occupa, ma quel giorno la maestra ci fece uscire in giardino e ci parlò delle piante e dei fiori. Una cosa inusuale. Ma mi ricordo che Katniss era preparata su tutto. 
Sapeva quale fosse il metodo esatto per staccare i fiori, quali erano velenosi e quali commestibili, con quali preparare infusi o medicine. Stupì chiunque. Pensavano però che fosse tutto merito della madre farmacista, io solo avevo capito che per tutta quella conoscenza doveva ringraziare soprattutto il padre. 
L'uomo che le aveva insegnato a vivere e a sopravvivere. Che le aveva insegnato a cacciare e immaginai anche a conoscere il resto su fiori e  piante. Non fu difficile per me collegare tutto sapendo delle loro domeniche trascorse nei boschi in cerca di cibo.
Tornai a casa contento anche io quella sera, e non m'importò di prenderle per l'ennesima volta da mia madre perché avevo fatto tardi. Pensai soltanto che forse a farle riavere la gioia di vivere potevo essere stato io dandole quel pane. Mi presi il merito della sua rinascita.
Col senno di poi capisco che ero soltanto un ragazzino ingenuo. Pensarla cosi mi aiutò unicamente a lenire il senso di colpa per averle lanciato il pane piuttosto che porgerglielo. Ma non importa. Il passato è passato e non può essere cambiato si può solamente imparare da esso, e migliorarsi errore dopo errore.
Domani parlerò con Haymitch. Gli dirò chiaramente quali siano le mie intenzioni. Dovrà aiutarmi a far uscire Katniss viva da tutto questo. 
Per la sua salvezza non penso di poter fare qualcosa. Dovrà occuparsene da sola, perché io non ci sarò per darle una mano. Sarò morto nei giochi, non potrò aiutarla a difendersi e salvarsi dai danni mentali ed emotivi che l'arena le procurerà.
Il pensiero della mia morte mi disturba, ma lo scaccio rigirandomi nel letto. Le luci dei distretti scorrono velocissime davanti ai miei occhi. Dovremmo essere nel Distretto Otto, legname.
A quest'ora nel dodici avranno già staccato l'elettricità. Si avvia all'imbrunire e si scollega quando è ora di dormire. 
Mi stupisce vedere che negli altri distretti invece la fornitura continui anche di notte, sono sempre stato convinto che nonostante qualcuno fosse più favorito di altri, le regole fossero uguali per tutti.
Solo adesso invece mi rendo conto che siamo stati e saremo sempre trattati come l'ultima ruota del carro. Un distretto di poco conto nonostante da esso derivi uno dei combustibili più importanti di tutta la nazione.
Piano, piano il movimento ondulatorio del treno mi culla e mi aiuta a scivolare in un sonno senza sogni.
Mi risveglio di soprassalto e mi ci vuole un po' per riuscire a focalizzare la stanza. L'assenza di sogni mi ha aiutato a dormire ininterrottamente e in modo pieno. Mi sento riposato come non mai. In panetteria ho imparato a svegliarmi da prima che si alzi il sole oggi tuttavia la sua luce filtra già attraverso il finestrino.
Mi alzo di fretta e vado a guardare fuori. Voglio cercare di capire in che distretto ci troviamo. Potrebbe indicarmi quanto tempo ho per parlare con Haymitch e fargli capire la situazione.
Vedo distese di mare infinite e capisco di essere nel Distretto Quattro, pesca,  quindi non credo di averne molto. A questa velocità forse ho solo un paio d'ore prima che il treno arrivi alla stazione di Capitol City.
Faccio una doccia veloce e inizio a vestirmi. Non so dove sia il nostro mentore ma decido comunque di iniziare a cercarlo nella carrozza ristorante e rimango stupito di trovarlo lì. Seduto a tavola che imburra una fetta di pane.
- Buongiorno – mormoro in tono deciso e fermo. Voglio che capisca che non deve trattarmi alla stregua di un ragazzino.
- Buongiorno – risponde troppo allegramente. Penso subito che sia già alticcio ma quando mi siedo accanto a lui noto che il bicchiere che ha davanti è colmo di succo d'arancia. Forse non ci sarà bisogno di fare il discorso della responsabilità che ha nei nostri confronti.
Rilasciando la tensione me ne verso un bicchiere anche io. 
Ricordo il suo sapore nonostante abbia bevuto una spremuta di arance solo una volta in tutta la mia vita. Quelle poche che riuscivamo a racimolare facendo affari  con il Forno le abbiamo sempre usate per preparare le conserve che poi rivendevamo ai nostri clienti. Ci permetteva di guadagnare qualcosa in più.  
Un giorno pero' mio padre riuscì a convincere mia madre ad usarle come bevanda. Avrebbe voluto diventasse una nostra tradizione di famiglia anche se non fu mai possibile. Le nostre condizioni economiche erano migliori rispetto ad altre ma non tanto migliori da poterci permettere di comprare arance per una cosa così futile come le tradizioni per il Giorno del Raccolto. 
Lo disse mia madre. Avevo otto anni e quando vidi quella brocca traboccante di liquido arancione ne rimasi affascinato e quando l'assaggiai, conquistato. Ma questo succo qui, non ha nulla di paragonabile a quello della mia infanzia. Pur non essendo un esperto so riconoscere la qualità di arance superiore.
La tavola è imbandita delle leccornie più varie. E un piatto pieno di roba da mangiare mi è stato servito sotto il naso senza che me accorgessi. Uova, bacon, prosciutto e patatine fritte. Al centro della tavola c'è un cestino colmo di panini, ma il pezzo forte è la tazza che mi viene servita adesso.  
Densa , marrone e calda. Il suo odore dolciastro è un invito a nozze e nonostante il ben di Dio che mi ritrovo davanti, l'assaggio. 
Mai bevanda sarà più apprezzata di questa in tutta Panem penso. Il suo sapore è qualcosa di fantastico. Mano a mano che il liquido  scende in gola, lo sento. Sento il calore, la dolcezza. Lo sento fino nello stomaco e oltre. Fino ai piedi. Una sensazione di benessere mi pervade e chiudo gli occhi per assaporarla meglio.
- Cioccolata calda. - Haymitch mi informa sul nome di questa bevanda portentosa e io riapro gli occhi. Avevo quasi dimenticato dove mi trovo.
- Peeta, giusto? - mi chiede mordicchiano la fetta di pane. A questo punto prende qualcosa che fino ad ora ha tenuto nascosta sotto il tavolo. Una bottiglia di un liquido bianco che usa per allungare ciò che è rimasto del succo d'arancia nel suo bicchiere. Il nervosismo torna a fare capolino nel mio stomaco.
- Si. Haymitch, sbaglio? - non lo dico in tono simpatico, ma nel modo più indisponente di cui sono capace.
- Simpatico il ragazzo – dice più a sé stesso che a qualcuno in particolare – Ma la simpatia non ti basterà per uscire vivo dall'arena – Prende un olivo da un piatto e sputacchia il nocciolo sulla tovaglia accanto a me a mo' di sfida guardandomi.
Cosa sta cercando di fare? E' il suo modo di mettermi alla prova? Vuole sondare le mie reazioni?
- Ma io non uscirò vivo dall'arena – dico con disinvoltura. Vedo stupore nei suoi occhi mentre casualmente, ma non tanto, inizio ad imburrare una fetta di pane. Lo vedo mentre mi osserva pensieroso. 
Non avrei voluto fargli sapere delle mie intenzioni in questo modo, ma ormai l'ho sparata.
-  Hm. Sono contento della tua assennatezza figliolo. Meno aspettative avrai su di me e i miei obblighi nei tuoi confronti e meglio sarà per tutti e due – ammicca e continua a bere.
- L'unica persona che dovrai far uscire viva dall'arena è Katniss- glielo dico così. Non c'è altro modo. 
Il bicchiere che stava portandosi alle labbra si arresta a metà strada mentre lui mi scruta attentamente. Sembra quasi che voglia leggere i miei pensieri. Carpirli per capirmi. Credo che mai nessuno in tutta la storia degli Hunger Games abbia dichiarato una cosa del genere. 
Un calore prepotente mi risale dalla pancia al viso e so per certo che non è colpa della cioccolata calda. Forse ho sbagliato ad esordire con questa frase. Non voglio che capisca la natura dei miei sentimenti per Katniss.
La porta dello scompartimento che si apre mi salva dalle domande che gli ho visto balenare negli occhi. Se c'è una cosa che ho capito negli ultimi secondi sul nostro mentore è che pur essendo un alcolizzato non è stupido. I suoi pensieri e le sue conclusioni erano ben visibili nella sua espressione. Tuttavia distoglie lo sguardo da me e si rivolge a Katniss. 
Effie si allontana impettita all'interno dello scompartimento con una tazza di caffè tra le mani.
- Siediti! Siediti! - le dice continuando a ridacchiare e facendole più volte cenno con la mano.  Sembra ritornato l'Haymitch di sempre e così mi rilasso.
Katniss indossa il vestito verde del giorno prima e porta ancora l'acconciatura fattale dalla madre per la mietitura. La cameriera le porta subito il suo piatto e la sua tazza.
- La chiamano cioccolata calda – le dico sorridendo – E' buona.
Sono felice di notare che la bevanda riscuota con lei lo stesso successo che ha riscosso con me, infatti si attacca alla tazza e finisce tutto il liquido in pochissimo tempo. Il resto della colazione si svolge silenziosamente. 
Ognuno di noi mangia tutto ciò che ha nel piatto e quando io finisco col mio, mi dedico alla cioccolata calda. L'ho lasciata per ultima. Voglio che il suo sapore mi accompagni anche a Capitol City.
Ci intingo dentro un pezzetto di pane e lo mando giù. Così è anche meglio.
- E così tu dovresti consigliarci – dice Katniss rivolta ad Haymitch.
- Ve lo do subito, un consiglio. Restate vivi – le risponde lui scoppiando a ridere.
Non posso credere che stia ridendo davvero. Non ha il minimo tatto. Il minimo riguardo. Siamo qui. Siamo soli. L'unico in teoria di cui dovremo fidarci e a cui dovremmo affidarci è lui, e lui l'unica cosa che sa dirci è di restare vivi. Come se dipendesse da noi. 
Mi scambio un'occhiata con Katniss e noto il suo sguardo preoccupato.
-  Molto divertente – vorrei alleggerire la tensione ma la rabbia mi acceca e tutta la frustrazione accumulata in questi giorni si riversa nelle mie azioni. Colpisco forte la mano di Haymitch e il bicchiere che stava portandosi alle labbra si rompe in mille pezzi cadendo a terra.
Odio il suo essere leggero. Odio il fatto che non gli importi più di tanto della nostra sorte. Che razza di uomo è?
Il suo pugno mi colpisce inaspettatamente buttandomi giù dalla sedia. Mi sento stordito. Mi aspettavo una qualsiasi reazione ma non questa. Ma almeno mi ha fatto capire che un minimo di carattere ce l'ha.
- E questo che vorrebbe dire? - lo sento chiedere mentre mi rialzo dal pavimento – Mi hanno dato una vera coppia di combattenti quest'anno?
Quando finalmente riesco a tornare in me vedo un coltello tra le mani di Katniss ben piantato tra la mano di Haymitch e la bottiglia di liquore che c'è sul tavolo. Ha trovato il coraggio di reagire alle provocazioni di Haymitch dopo che l'ho fatto io. Buon segno.
Prendo il ghiaccio dalla terrina della frutta e faccio per portarmelo alla guancia.
- No – mi blocca Haymitch che adesso guarda me e non più in modo cagnesco Katniss. - Lascia che si veda il livido. Gli spettatori penseranno che hai fatto a pugni con un altro tributo prima ancora di arrivare nell'arena.
- E' contro le regole – ribatto.
- Solo se ti beccano. Quel livido dirà che hai combattuto e che non sei stato beccato, ancora meglio – sostiene Haymitch. Si gira verso Katniss. - riesci a colpire qualcosa con quel coltello, a parte il tavolo?
Inaspettatamente Katniss estrae il coltello dal tavolo e lo lancia verso la parete opposta e questo si conficca esattamente nella giuntura tra due pannelli di legno. Sapevo fosse brava ma non così tanto. Credevo che la sua specialità fossero l'arco e le frecce.
- Mettetevi lì. Tutti e due – dice Haymitch, con un cenno verso il centro della stanza. Lui inizia a girarci intorno, punzecchiandoci con le mani, controllando i nostri muscoli, studiando le nostre facce.  - Be', non siete un totale disastro. Sembrate in forma. E una volta che gli stilisti avranno messo le mani su di voi, sarete abbastanza attraenti.
Gli stilisti ci aiuteranno a presentarci meglio ai possibili sponsor. E più belli appariamo più ne attiriamo. 
Pur non essendo gli Hunger Games un concorso di bellezza, questo è un passaggio fondamentale. Gli sponsor inviano dei regali nell'arena per i propri beniamini e a volte riescono a salvare la vita dei tributi. 
- Bene, farò un patto con voi. Voi non ficcate il naso in quello che bevo e io resterò abbastanza sobrio per aiutarvi – dichiara Haymitch. - Però dovrete fare esattamente quello che dico io.
- Ottimo – approvo immediatamente. Credo sia quanto di meglio si possa avere da lui.
- Allora aiutaci – dice Katniss. - Quando saremo nell'arena, qual è la strategia migliore da adottare alla cornucopia per qualcuno….?
- Una cosa alla volta – la interrompe Haymitch – tra qualche minuto entreremo in stazione. Sarete consegnati ai vostri stilisti. Quello che vi faranno non vi piacerà. Ma qualunque cosa sia, non opponete resistenza.
- Ma… - comincia Katniss.
- Niente ma. Non opponete resistenza – replica Haymitch prendendo la bottiglia di liquore e lasciando il vagone.
Rimasti da soli io e Katniss stiamo fermi in silenzio. 
Il vagone si è fatto buio segno che siamo in prossimità di Capitol City. 
Questa deve essere la galleria che risale attraverso le montagne che fungono da barriera naturale tra la capitale e i distretti. Nonostante lo stridio delle rotaie sento il respiro affannoso di Katniss. Non deve essere piacevole per lei restare chiusa in uno spazio buio.
Finalmente il treno esce dalla galleria e la luce invade lo scompartimento. Io e Katniss non riusciamo ad evitarlo e corriamo a guardare fuori dal finestrino, curiosi di vedere dal vivo ciò che fino ad ora avevamo solo visto in TV.
La prima cosa che mi colpisce è la moltitudine di colori di cui Capitol si compone. 
Gli edifici mi appaiono scintillanti e le auto che scorrono per le strade sfrecciano veloci e lucide. Alberi multicolore. Fontane da cui zampilla acqua che ora è verde, e adesso blu, e poi giallo e rosa e così via. Pur essendo tutto troppo luminoso ed artefatto questo tripudio di vita e di colori mi travolge positivamente.
Gli abitanti di Capitol indossano abiti troppo pacchiani ed elaborati. Hanno dei capelli bizzarri e la pelle di diverso colore, ma ci salutano sorridenti e prima che me ne renda conto mi ritrovo a ricambiare i saluti anche se Katniss si allontana alla loro vista. 
Tutta questa loro euforia deve averla disturbata. La guardo e vedo che mi sta fissando disgustata. Faccio spallucce. - Chissà, magari uno di loro è ricco - le dico. E magari qualcuno di loro mi aiuterà a salvarti la vita. Ma questo non lo dico. Sto già lottando con tutte le mie forze per aiutarla il più possibile e spero che lei faccia ciò che faccio io per ingraziarsi il pubblico. 
Ma sento il suo sguardo omicida addosso e capisco che sta pensando già a mille modi per uccidermi.

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Capitolo 5
*** capitolo 5 ***


CAPITOLO 5

 

 

 

 

 

Riiiip! Stringo i denti non appena l'acqua fredda entra in contatto con la mia pelle.

Il mio staff di preparatori mi ha detto che tutto questo è necessario per ripulirmi dai parassiti che eventualmente potrei avere in testa, nei peli delle gambe e persino in quelli pubici.

Mi stanno guardando con lo sguardo nauseato eppure non pensavo di essere messo così male. Devo apparirgli come un animale uscito da chissà dove.

Per le tre ore successive al Centro Immagine, mi sento come una bambola nelle loro mani. Mi fanno un bagno profumato perché a loro dire emano un odore nauseabondo, dopo di ché, mi applicano una maschera di bellezza per il viso e per i capelli.

Cerco di fare tutto quello che mi dicono senza opporre resistenza ma quella che loro chiamano ceretta mi fa desiderare di tornare alla tortura precedente del getto di acqua freddo.

Sto comunque fermo e cerco di non lamentarmi mentre loro mi tirano i peli e si profondono in mille scuse per ogni strappo.

- Ci dispiace ma è necessario – mi dice uno di loro – qui noi siamo tutti così. Vogliamo che vi sentiate a casa.-

Il suo tono di voce è così fastidioso. Uno squittio stridulo che mi fa venire i brividi ogni qualvolta lo sento.

Non credo che lo scopo di tutto questo sia il farci sentire meno diversi e accettati ma piuttosto quello di disinfettarci da tutte le malattie che secondo Capitol ci portiamo dietro, malattie delle quali comunque dovrebbe sentirsi colpevole viste le condizioni in cui ci costringe a vivere, ma mi mordo la lingua e mi concentro su altro. - Tranquilli – dico sorridendo. - fate con me ciò che dovete, non preoccupatevi.

Non ho ancora incontrato la mia stilista, Portia. Immagino non possa entrare in contatto con il tributo prima di quella che i miei preparatori hanno chiamato “purificazione”.

Finita la ceretta tre di loro cominciano a girarmi intorno per ungere tutto il mio corpo con un olio che quantomeno da sollievo alla pelle che hanno appena depilato.

- Sei stato bravissimo – mi dicono briosi passandomi un accappatoio blu.

Tutta questa loro euforia per me è estenuante. - Adesso sembri proprio come noi – batte le mani tutto eccitato quello dei tre che sembra il più giovane. Spero davvero, però, di non apparire come loro.

Non sembrano neanche umani ma bestioline. Si muovono veloci e a scatti, sono magrissimi e indossano tutine variopinte aderentissime. Sono truccati esageratamente e in testa hanno parrucche con acconciature assurde. Uno di loro porta persino dei campanellini in testa, che ad ogni movimento del capo che fa, trillano.

 

- Grazie – dico sorridendo. Sento di dovere gratificare il loro lavoro perché, anche se in modo diverso, anche loro sono vittime di Capitol.

I loro sorrisi in risposta sono la più grande delle ricompense che potessi ricevere.

- Adesso ti portiamo da Portia - mi dice l'uomo con i campanelli – chissà come sarà contenta di poter lavorare con un così bel ragazzo -.

Dovrei sentirmi a disagio a camminare con nient'altro che un accappatoio in mezzo a gente che non conosco, ma non ci riesco.

Credo che il mio staff sia completamente asessuato.

Vivono per il lavoro. Amano fare quello che fanno più di ogni altra cosa. Perciò quando mi dicono di togliermi di dosso l'unica copertura che ho, non esito a gettarlo a terra.

- Seguici – dice l'uomo campanello.

Il freddo dell'acciaio del pavimento mi fa gelare i piedi ma continuo a camminare tranquillo.

La luce forte della stanza in cui mi conducono mi acceca. Non vedo nulla e provo a schermarmi gli occhi con la mano.

- Gallicus – dice una voce autoritaria. - Spegni i fanali, lo stiamo accecando. Povero caro.

Finalmente le luci si abbassano e posso vedere la mia stilista in faccia.

E' una donna minuta e di colore. Si distingue dal resto del mio staff per la sua semplicità. Non un filo di trucco le colora il viso. Né abiti sfarzosi ornano il suo corpo, un vestito lungo e nero la fascia dalla testa ai piedi.

L'unico lusso di cui si compone la sua mìse è una collana verde e luccicante, arrotolata più volte attorno al collo.

Inizia a girarmi intorno con nonchalance esaminandomi.

- Come avrai capito, io sono Portia. La tua stilista. - Si ferma finalmente di fronte a me e sorride. Il suo volto si addolcisce in contrasto con la sua voce autoritaria.

- Io sono Peeta – dico incerto. So che lei lo sa, ma mi sono sentito in obbligo di una presentazione.

Il suo sguardo insistente e indagatore mi fa sentire un po' a disagio.

Ride e dice al mio staff di passarmi l'accappatoio, poi mi porta con sé in una stanza con due divani rossi in mezzo ai quali vi è un tavolino colmo di cibo. Dalle vetrate filtra la luce del sole.

- Questo è il mio primo anno agli Hunger Games – mi dice sbocconcellando un po' di pane.

- E' per questo che ti hanno assegnata al dodici? - le parole escono prima che io possa rendermene conto.

 

Il mio disagio iniziale sta scemando. Lo sguardo fermo e la voce dura di Portia sono spariti del tutto e sono molto più tranquillo adesso.

Mi aspettavo una persona diversa. Una persona piena di sé, che mi avrebbe fatto sentire inferiore.

Portia però sembra voglia diventarmi amica e quindi mi rilasso del tutto e mi accomodo nel divano difronte al suo.

 

- Io e il mio socio, Cinna, abbiamo richiesto spontaneamente il dodici. - mi guarda tranquilla. - lui si sta occupando della tua compagna, Katniss, al momento.

- Dovete per forza amare le sfide per cimentarvi nel così arduo compito di renderci carini - replico sorridendo.

- Potremmo anche dire così se ti va - sorride misteriosa. - mangiamo. -

Distrattamente mando giù qualcosa.

Sentir pronunciare il suo nome mi ha riportato alla realtà e il mio sguardo si annebbia. Nelle tre ore passate al Centro Immagine non ho pensato per niente a Katniss. Non mi sono chiesto se stesse bene o cosa le stessero facendo, tanto meno come le stesse prendendo lei tutte queste torture.

Da quando sono salito sul treno non mi sono neanche fermato a riflettere sulle mie stesse intenzioni riguardo al morire nell'arena per lei.

- Abbiamo pensato di farvi indossare degli abiti complementari -

Alzo gli occhi e guardo Portia. La guardo e cerco di capire se posso fidarmi di lei. Se posso renderla partecipe delle mie intenzioni di aiutare Katniss il più possibile. I suoi occhi neri mi ispirano fiducia e mi guardano in attesa.

- Vestirci da minatori non credo che servirà a farci avere degli sponsor – dico duro.

La tradizione vuole che ogni distretto indossi abiti che descrivano il carattere del proprio distretto.

I vestiti fatti indossare ai tributi del dodici sono sempre stati i peggiori.

Tute da minatore con forcone annesso, nudi e coperti soltanto da una patina oleosa o ancora coperti dalla testa ai piedi da elmetti che emettono luce e con soltanto degli scarponi addosso.

- Abbiamo pensato a qualcosa di diverso per quest'anno. -

Il suo essere misteriosa mi sta snervando ma cerco di non darlo a vedere.

- Diverso come? - le chiedo

- Vogliamo mettere in evidenza la focalizzazione del carbone piuttosto che il processo di estrazione -.

All'inizio non riesco a capire cosa questo significhi ma alla fine ci arrivo e non mi sembra affatto una cattiva idea.

- Si va a fuoco? - le dico sorridendo.

Certo non mi aspettavo questo quando le ho detto sorridendo se si andava a fuoco qualche ora fa.

Credevo avrebbero dato fuoco al nostro carro o roba simile. Non pensavo di certo che avrei dovuto indossarle io le fiamme.

Porto una calzamaglia nera che mi copre dal collo alle caviglie e un paio di anfibi neri di pelle lucida. Ad essere incendiati però saranno il mantello e il copricapo arancione e rosso coordinati. Li accenderanno un attimo prima che il nostro carro si metta in movimento.

- Peeta, ricorda che è solo un piccolo fuoco sintetico, non agitarti – mi dice Portia tranquilla.

Mi ha spiegato che l'hanno inventato lei e Cinna, ma non posso smettere di pensare che qualcosa potrebbe andare storto.

Sono nervoso più che mai quando rivedo Katniss. Indossa un abito come il mio e sta parlando con il suo stilista.

Le hanno tirato i capelli indietro e fatto una treccia che le pende sulla schiena. E' magnifica. Non bellissima. Sarebbe troppo riduttivo. Magnifica è la parola che meglio descrive la ragazza davanti ai miei occhi.

Il suo staff le ronza intorno emozionato pensando allo scalpore che susciteremo. All'invidia degli altri tributi, degli altri distretti.

Ci fanno scendere in fretta al pianoterra del Centro Immagine perché la cerimonia di apertura sta per iniziare.

Le coppie di tributi vengono issati sui carri trainati da quattro cavalli. I nostri sono nero carbone.

- Cosa ne pensi? - mi sussurra Katniss.

- Del fuoco? - le chiedo ma senza darmi una risposta lei mi dice che strapperà via il mio mantello se io strapperò via il suo.

- Affare fatto – le dico. Forse riusciremo ad evitare troppi danni qualora le cose dovessero mettersi male col fuoco, se siamo abbastanza veloci.

- Abbiamo promesso a Haymitch di fare tutto ciò che ci dicono, ma non credo abbia valutato questa ipotesi- mi dice lei.

La sua voce è tesa, la sua postura è rigida.

- In ogni caso Haymitch dov’è? Non dovrebbe proteggerci da questo genere di cose?- o quantomeno rassicurarci penso. Non lo abbiamo visto da quando siamo scesi dal treno. Né lui né la nostra accompagnatrice.

- Con tutto l’alcol che ha in corpo, forse non è consigliabile averlo vicino alle fiamme – mi dice Katniss.

Inaspettatamente scoppiamo a ridere tutti e due. Non pensavo che fosse anche spiritosa. Audace, sì. Coraggiosa, adesso lo sanno tutti. Altruista, anche. Ma spiritosa non l’avrei mai detto.

Non capisco dove abbia trovato il tempo per sviluppare anche il senso dell’umorismo tra la morte del padre e il dover mantenere da sola una famiglia. O forse è la tensione a renderci così stupidi.

La musica di apertura della sfilata dei tributi spara a tutto volume per l’intera Capitol City e le porte massicce del Centro Immagine si spalancano davanti al primo carro.

 

Questo giro durerà almeno venti minuti e terminerà una volta arrivati davanti all’Anfiteatro cittadino. Dopo il discorso del presidente, ci porteranno al Centro di Addestramento, il luogo in cui vivremo fino all’inizio degli Hunger Games.

Il primo carro trainato da cavalli bianchissimi esce dalle grandi porte e comincia la sua traversata per tutta la città.

I tributi del Distretto Uno sono sfavillanti nei loro abiti coperti di vernice spray color argento e pietre preziose. Rispecchiano perfettamente il carattere del loro distretto. Sembrano così regali mentre salutano sorridendo la folla che ruggisce non appena li vede.

Il Distretto Due li segue a ruota e tutta Capitol continua con il proprio fermento mentre tutti i distretti escono piano piano attraverso le porte.

In men che non si dica ci ritroviamo vicinissimi all’uscita. La mia ansia aumenta. Il Distretto Undici comincia la sua parata.

-Eccoci, allora – dice Cinna avvicinandosi al nostro carro con una torcia accesa in mano e prima che abbiamo il tempo di reagire appicca il fuoco ai nostri mantelli.

Sento da subito un lieve calore che però non mi brucia come avevo paura che avrebbe fatto.

Cinna si issa davanti a noi sul carro e incendia anche i nostri copricapi. – Funziona – mormora prima di mettere una mano sotto il mento di Katniss – Ricordate – dice rivolto ad entrambi – testa alta. Sorrisi. Vi ameranno!

Il nostro carro inizia a muoversi e lui balza giù. Sento che ci sta gridando qualcosa che non riesco a capire.

Mi sembra però di intuire qualcosa dai gesti che fa. – Cosa sta dicendo? – mi chiede Katniss.

Senza esitare afferro la sua mano e cerco conferma guardando Cinna che adesso annuisce compiaciuto mostrandoci il pollice alzato. A questo punto ci voltiamo entrambi prima di fare il nostro ingresso in città.

Lo scetticismo della folla al nostro ingresso viene subito sostituito da urla ed esclamazioni di sorpresa.

Non abbiamo mai offerto un grande spettacolo noi del dodici, e all’inizio neanche ci guardavano, ma questi abiti innovativi gli tolgono il fiato.

-Distretto Dodici! – urlano come fosse un mantra. Gli occhi di tutti sono puntai su di noi.

Il mio timore si sostituisce all’eccitazione per tutte queste attenzioni. E poco importa se Katniss mi sta stritolando una mano. Mi va bene così.

Vorrei stringerla a me per dare ancora più spettacolo. Sono sicuro che li manderebbe in estasi, parlerebbero  maggiormente di noi, ma sto fermo.

Si ritrarrebbe istantaneamente se lo facessi. Già la vista delle nostre mani unite deve averli stregati. Cinna ha avuto davvero un' ottima idea.

Vedo i nostri volti su di un grande schermo televisivo e rimango sbalordito davanti a tanta meraviglia.  Sguardi fieri, sorpresi, freschi.

La scia di fuoco che ci lasciamo dietro sembra come una magia che ci segue e ammalia tutti quelli che ci guardano.

I nostri stilisti hanno fatto centro, nessuno si dimenticherà di noi tanto facilmente. Sono letteralmente ipnotizzati e quando Katniss inizia a mandare baci alla folla, li sento andare letteralmente in visibilio.

Non possiamo non esserci guadagnati degli sponsor dopo una presentazione del genere.

Cento mani si tendono verso di noi e qualcuno getta delle rose nella nostra direzione.

-Katniss! Katniss!- sento chiamare il suo nome da ogni direzione. Tutti cercano i suoi baci e li ricambiano.

La mano di lei inizia ad allentare la presa sulla mia così stringo più forte per trattenerla.

Non la lascerò proprio adesso che la folla sembra ci stia adorando. – No, non lasciarmi andare – le dico la prima cosa che mi viene in mente per non farle capire che se fosse per me le terrei la mano per sempre. Si sta così bene nel suo calore. – Ti prego. Potrei ruzzolare giù da questo coso. – Il ché non è propriamente falso. L’ondeggiare del carro potrebbe davvero farmi cadere o far cadere lei e non mi sembra il caso di dare questo tipo di spettacolo dopo una presentazione mozzafiato come la nostra.

-Va bene – accetta lei docilmente.

Occupiamo l’anello dell’Anfiteatro cittadino circondato dalle abitazioni dei personaggi più illustri di Capitol che si gode lo spettacolo dalle proprie finestre e ci fermiamo una volta arrivati davanti alla residenza del Presidente Snow che in questo momento si alza dalla sua postazione nel balcone sovrastante per darci il benvenuto.

La musica si conclude con un virtuosismo incredibile e le mani di tutti iniziano un applauso che io a malapena sento perché guardo il nostro presidente.

Un uomo di mezza età con i capelli di un bianco candido pettinati all’indietro. Un uomo che avrebbe il potere di fermare tutto questo. Di fermare la morte di ventitré ragazzi innocenti. Ragazzi che non hanno colpe per quella rivolta di moltissimi anni fa.

Settantaquattro per la precisione. Come il numero degli Hunger Games ai quali purtroppo parteciperò.

Durante il discorso del presidente le telecamere riprendono i volti di tutti i tributi. Sui nostri il cameraman si sofferma più che su tutti gli altri. Le fiamme che ci sfrigolano addosso li attraggono come falene.

Quando parte l’inno nazionale i cavalli iniziano una piccola sfilata all’interno dell’Anfiteatro prima di scomparire oltre i cancelli del Centro di Addestramento. Le telecamere non hanno mai abbandonato il nostro carro.

Appena le porte si richiudono alle nostre spalle veniamo travolti dal nostro Staff di preparatori che urlano frasi sconnesse e squittiscono quelli che sembrano dei complimenti.

Sono gli unici ad essere così entusiasti ovviamente.

Quasi tutti i tributi degli altri distretti ci guardano storto. I Favoriti più di tutti.

Invidia. Odio. I loro occhi sono carichi di emozioni troppo forti perché il mio sguardo possa reggerli, perciò mi volto verso Katniss che in questo momento sta scendendo dal carro con l’aiuto di Cinna.

Portia mi porge la mano affinché anche io possa scendere dalla mia postazione.

I nostri mantelli e i nostri copricapi fiammeggianti vengono rimossi con cautela e Portia spegne le fiamme con una bomboletta spray.

Le dita di Katiniss si sciolgono dalla presa sulle mie ed entrambi ci massaggiamo per far sì che il sangue torni a circolare normalmente.

- Grazie per avermi tenuto stretto – le dico gentilmente e con un sorriso – stavo cominciando a sentirmi un po’ malfermo, là sopra.

- Non si direbbe – ribatte lei. – Sono sicura che nessuno l’ha notato. -

Cerca di essere gentile e di rassicurarmi. – Io sono sicuro che non hanno notato niente all’infuori di te. Dovresti indossare fiamme più spesso. – Da dove mi escono certe scemenze non lo capisco. Una volta detta questa frase vorrei sprofondare. Con lei la lingua e il cervello mi vanno in tilt.

Avrei voluto dirle che è bellissima. Stupenda. Che starle accanto, se pur in una circostanza come questa, è stato uno dei momenti più belli della mia vita. E stringerle la mano mi ha fatto sentire sicuro non solo per quanto riguarda il non cadere dal carro. – Ti donano – aggiungo come se non bastasse.

Cerco di nascondere l’imbarazzo dietro un sorriso a trentadue denti.  Mi sta facendo morire prima del tempo.

Lei mi guarda intensamente facendo aumentare il mio disagio.

Inaspettatamente però, si alza in punta di piedi e mi dà un bacio sulla guancia, proprio dove Haymitch mi ha tirato il pugno stamattina. Si volta dall’altra parte ed io mi tocco il punto in cui si sono poggiate le sue labbra alzando lo sguardo.

Mi accorgo di essere nei guai quando vedo tre paia di occhi guardarmi come se mi vedessero per la prima volta.

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Capitolo 6
*** capitolo 6 ***


Questo capitolo non è un granché, ne sono consapevole ma meglio di così credo che non avrei potuto fare. Spero comunque che vi piaccia e che il prossimo abbia più tempo per scriverlo in modo tale da soddisfare le mie e le vostre aspettative.

Spero di poter aggiornare sabato, se non dovesse accadere non demordete, prima o poi pubblicherò.

Ci tenevo a dire grazie a tutti quelli che leggono e recensiscono e ci tenevo a chiedere scusa se posso sembrare un po' fredda o poco socievole ma già faccio fatica a mantenere rapporti umani con la gente che mi circonda figuriamoci con persone via chat.

Vorrei davvero che mi scusaste per questa mia poca espansività ma è una questione di carattere.

Ma grazie, grazie davvero per quei cinque minuti che mi dedicate  leggendo ogni capitolo.

Ps: vi prego di scrivermi comunque qualora aveste consigli da darmi o anche per farmi critiche. Giuro che non mi scompongo. :)

 

CAPITOLO 6

 

 

 

 

Al Centro di Addestramento, Effie, Cinna, Portia e il resto del nostro staff, ci scortano su un ascensore che ci porterà nel nostro appartamento.

A noi, essendo del Dodici, e quindi l'ultimo dei distretti, è stato assegnato l'attico.

Ad ogni tributo e ad i suoi accompagnatori spetta un alloggio su un intero piano in base al distretto di provenienza.

Non ero mai salito su di un ascensore prima d'ora, anche se so per certo che ce ne sia uno al Palazzo di Giustizia del dodici.

Ma questo ha le pareti di cristallo e mentre sale velocissimo offre  una visuale dell'intera città.

La trovo ai miei piedi, luminosa e caotica. Vedo gente passeggiare in ogni dove. Non un angolo di Capitol City è privo di vita. E' sgargiante nella sua moltitudine di colori.

Mio malgrado penso sia bella. Ma non posso non sentire, misto all'ammirazione, anche un po' di disgusto al pensiero che tutta questa ricchezza sia superflua. Che sia frutto del sudore della fronte e del duro lavoro di dodici distretti, della gente che li abita e che si da da fare affinché Snow possa vivere nel lusso più assoluto a discapito di tutti gli altri.

Penso alla mia famiglia, al pane stantio che il più delle volte ci siamo ritrovati a dover mangiare. A tutte le cose che ci sono state precluse a favore di una sola città. Una città che ha tutto in abbondanza.

Se pur affascinato da tutte quelle luci, distolgo lo sguardo.

Katniss al contrario mio, non riesce a staccare gli occhi dallo splendore che sovrasta.

Ha una mano appoggiata al vetro e i suoi occhi brillano di una luce che non le avevo mai visto in tutti questi anni passati ad osservarla. Risplendono per la bellezza di cui si riempiono, per la poesia che solo un disarmonico caos come quello può offrire. 

Un sorriso mi nasce spontaneo sulle labbra prima che io possa fermarlo.

Effie Trinket continua a ciarlare sulla cerimonia. Si dice orgogliosa di noi. Continua a farci i complimenti per gli abiti, anche se noi ne abbiamo alcun merito, e anche per come ci siamo comportati durante la parata. E' esaltata dal nostro successo più di quanto non lo siamo noi.

Siamo la prima squadra scortata da lei ad avere fatto una buona impressione sul pubblico di Capitol.

Sostiene di conoscere tutti quelli che contano e di averci fatto una buona pubblicità per cercare di procurarci degli sponsor.

Ma io non le do ascolto e continuo a saziarmi delle immagini di lei. A vivere con lei le sue emozioni.

- Però sono stata molto vaga – continua Effie riducendo gli occhi a due fessure – perché naturalmente Haymitch non si è disturbato a comunicarmi le vostre strategie – sospira esasperata dal comportamento del nostro mentore il quale, tra l 'altro, si è dileguato nel momento stesso in cui abbiamo messo piede fuori dal treno e ancora non si fa vedere. - Comunque ho fatto del mio meglio. Ho parlato di come Katniss si sia sacrificata per sua sorella e di come entrambi vi siate sforzati di andare oltre le barbarie del vostro distretto.

Durante tutto lo sproloquio di Effie io non ho staccato un attimo gli occhi da Katniss che al suono della parola “barbarie” si irrigidisce istantaneamente staccando la mano dal vetro e voltandosi a fronteggiarla. La bellezza sparita dai suoi occhi.

- Ognuno ha le sue riserve, ovviamente – continua Effie che non si è accorta di nulla – dato che venite dal distretto del carbone. Ma io ho detto, ed è stato molto astuto da parte mia, ho detto, be', che se c'è abbastanza pressione, i pezzi di carbone si trasformano in perle.

Effie ci elargisce un sorriso così radioso che il cipiglio di Katniss sparisce e  si mostra entusiasta per la sua trovata, anche se è del tutto sbagliata.

Il carbone non si trasforma in perle. Quelle crescono solo nei molluschi.

Spero che le persone con le quali ci ha fatto pubblicità per tutto il giorno siano abbastanza intelligenti da saperlo o spero quanto meno che non diano tanta importanza alle parole di Effie quanta ne hanno data a noi grazie alla sfilata e agli abiti di Cinna e Portia.

- Purtroppo non posso chiudere contratti di sponsorizzazione per voi. Solo Haymitch può farlo – conclude avvilita. - Ma non datevi pensiero, lo costringerò ad occuparsene, anche a costo di puntargli una pistola alla tempia.

La sua determinazione nel farsi ascoltare dal nostro mentore è ben visibile nella linea dura e sottile delle sue labbra e nelle contrazioni della mascella.

Non posso fare a meno di ammirarla almeno un pochino. E non posso fare a meno di desiderare lei come nostro mentore, nonostante tutte le sciocchezze che le escono di bocca.

Di sicuro, nel suo piccolo ci sta aiutando di più di quell'ubriacone di Haymitch.

Con l'avvertimento che la cena sarà servita tra non meno di due ore, Effie ci lascia ognuno nella propria stanza.

L'arredamento della mia camera è lussuoso proprio come il vagone del treno.

Un letto a due piazze e mezzo con una trapunta bordeaux domina tutto l'ambiente. Accanto ad esso vi è un pannello con dei tasti che rivelano dei gadget automatici quasi per ogni cosa. Riscaldano il letto o lo raffreddano. Accendono e spengono le luci o ne diminuiscono l'intensità. Azionano un tremolio del materasso sul quale sono seduto come fosse un massaggio.

Le pareti sono di un colore giallo ocra che stona un po' con tutto il resto. Sa di antico, mentre qui tutto è più che moderno.

Di fronte al letto invece c'è una vetrata che dà sulla città. Scopro tuttavia che mi basta premere un pulsante perché la finestra ne inquadri altre zone alla distanza prescelta.

In bagno trovo pulsanti che regolano la temperatura dell'acqua, la pressione del getto, i saponi, gli oli, i profumi o le spugne per i massaggi.

Rimango un po' sotto l'acqua bollente e penso alle domande inespresse negli occhi di Portia dopo la parata.

Persino Cinna deve avere capito qualcosa. Dovrò parlargli presto delle mie intenzioni perché senza il loro aiuto non potrò fare molto per salvare Katniss. Perché ormai sono più che deciso.

Lo farò presente alla prima occasione a tutto il nostro staff compreso Haymitch.

Quando esco dalla doccia salgo su di un tappetino che aziona dei condotti di aria calda che mi asciuga dalla testa ai piedi e per pettinarmi basta che metta la mano su di una scatola che manda corrente al cuoio capelluto e li districa dai nodi.

Per vestirmi programmo l'armadio su qualcosa di semplice e comodo. Pantalone grigio scuro e camicia bianca con una giacca leggera.

Guardo l'ologramma dell'orologio sul soffitto e vedo che è passata a malapena un'ora da ché sono entrato in camera mia ma decido comunque di andare in sala da pranzo nella speranza che gli altri mi raggiungano prima di Katniss.

Il tavolo per la cena è già apparecchiato con gli antipasti.

In ogni angolo della stanza ci sono degli uomini e delle donne con delle tuniche rosse dall'atteggiamento sottomesso.

Stonano anche loro con tutto il resto perché non indossano abiti sfarzosi né parrucche strane e il sul loro viso non vi è ombra di trucco.

- Buona sera – dico pacatamente, ma questi non alzano neanche la testa per rispondere al mio saluto.

- Sono dei Senza Voce, Peeta.-

La voce roca di Cinna mi raggiunge alle spalle. Mi volto di scatto e vedo Portia accanto a lui.

-Non possono risponderti – mi dice tranquilla lei posandomi una mano  sulla spalla e guidandomi su un divano.

- Cosa sono i Senza Voce?-

Non sono sicuro di volerlo sapere.

Gli occhi di Portia mentre mi accompagna sul divano mi dicono più di quello che voglio sapere. Sono carichi di intensità e di ammonimenti. Ma la domanda mi è venuta spontanea ed è uscita prima che potessi fermarla.

- Sono persone che hanno commesso un crimine e a cui è stata tagliata la lingua.

Non posso crederci. La situazione a Capitol è peggiore di quello che credessi.  Pensavo che le uniche vittime di questa città fossero mietute tra gli abitanti dei distretti. Ma questa non è gente dei distretti.

Sono abitanti di Capitol, lo si vede chiaramente dal colore della loro pelle così diafana a da quel certo non so che, che caratterizza tutti gli abitanti della capitale.

Di che crimine possono essersi macchiati per ricevere una punizione del genere?

- Usciamo a prendere un po' d'aria. Ti va? - mi chiede Cinna aiutandomi ad uscire dallo stordimento ricevuto nello scoprire ancora un po' della cattiveria di Snow.

Come un automa li seguo mentre loro mi guidano fuori in balcone e poi su per una rampa di scale che porta sul tetto. 

C'è una piccola stanza a cupola e una porta che dà all'esterno. L'aria gelida mi toglie il respiro per un momento.

- Qui il vento è più forte – mi dice Cinna. Portia è rimasta in balcone a fare la guardia evidentemente.

- Come mai ci lasciano salire quassù? Non hanno paura che qualche tributo decida di scavalcare e buttarsi?

- Non si può – mi dice – c' è un campo di forza che li ributterebbe istantaneamente sul tetto.

Camminiamo rasenti un parapetto lungo il bordo del tetto. La città scintilla ai nostri piedi. Si possono sentire le macchine e i loro motori e le grida della gente per strada occupata a far festa.

Uno strano tintinnio in contrasto con tutto il resto mi giunge all'orecchio e ne seguo la provenienza arrivando così in un giardino pieno di alberi in vaso e aiuole. Il tintinnio che ho seguito è dato dalle campane a vento appese ai rami degli alberi.

Il loro rumore basta per permetterci di parlare senza la paura di essere ascoltati. Era qui che voleva portarmi.

- Gli Hunger Games sono solo una parte del male che affligge il nostro paese - comincia mesto – sono uno strumento per Snow per controllarvi. Per incutervi timore. Ma vedi, Peeta, la paura dilaga anche tra chi si è sentito al sicuro una volta esentato dalla mietitura – si affaccia dal parapetto e faccio fatica a sentire ciò che mi dice. - Molti tra noi sono contrari ai giochi. Tanti si sono azzardati a mostrare il proprio dissenso col solo risultato di vedersi torturati o schiavizzati. E' tutto molto più grande di voi, di noi. E non c' è modo di controllarlo. Perché Snow – si interrompe in preda a tremori che non sono dovuti solo al freddo per l'aria che ci accarezza la pelle - non conosce pietà. -

La sua storia, adesso che conosco il male dietro il male, so che deve essere molto dolorosa per fare tremare un uomo della sua stazza

- Ma allora perché fate questo? - gli chiedo. - Perchè partecipate a questo show che sono gli Hunger Games? Perchè ci agghindate per il suo spasso? Perchè se anche voi siete contrari? Come potete rendervi complici di questo crimine?

Troppe domande si affollano nella mia mente. Troppa incertezza. E non so come gestirle tutte queste informazioni.

Come farò ad aiutare Katniss se a quanto ho capito siamo seguiti in tutto quello che facciamo? Se scoprissero le mie intenzioni, cosa mi farebbero? Mi ritroverei anche io con la lingua mozzata?

- Lo facciamo col desiderio di salvarvi – mi dice guardandomi negli occhi – sappiamo di non potervi aiutare tutti, ma ci proviamo. Vogliamo che i nostri...tributi, abbiano il meglio delle possibilità per farcela. -

E so che non posso più tenermi dentro il mio desiderio. So che loro faranno di tutto per salvarla così come farò anche io.

- Io e Portia abbiamo richiesto il Dodici esplicitamente come nostro primo incarico, perché in voi abbiamo visto qualcosa.

- Cinna io non voglio uscire vivo dall'arena .

I suoi occhi marroni mi guardano inespressivi. So per certo che quel qualcosa che ha visto non riguarda me, ma mi va bene così.

- Io voglio che facciate di tutto per salvare lei. Io farò ciò che devo per aiutarvi a farla uscire viva dall'arena. Ma dovete salvare lei.

- Perchè, Peeta? - mi chiede tranquillo. So già che ha capito, ma vuole che glielo dica io. E così faccio.

-Perchè l'amo. L'amo da sempre – sussurro abbassando gli occhi.

Non avevo mai espresso a nessuno i miei sentimenti. Dentro di me esiste da che ricordo, ma mai ho pronunciato ad alta voce ciò che provo per lei. Dirlo liberamente mi fa tremare di emozione. Lo rende così reale. Così possibile che io possa amarla, proteggerla.

Lo sento sospirare nonostante il tintinnio delle campanelle.

- Ne sei sicuro? -

Penso sia d'obbligo chiedere a chi ha appena dichiarato di voler morire se ne sia sicuro o meno e perciò annuisco guardandolo di nuovo negli occhi.

- Allora faremmo meglio a mettere al corrente Portia.

Il nostro colloquio è finito.

Scende rapido le scale fino al balcone dove ancora Portia ci attende con un bicchiere di vino in mano.

- Ho fatto vedere a Peeta il giardino e se n'è innamorato. Vuole farlo vedere anche a Katniss - le dice quando la raggiungiamo parlando in codice e guardandola intensamente per farle capire che i loro sospetti erano fondati.

Evidentemente qui potrebbero esserci orecchie indiscrete ad ascoltare i nostri discorsi.

Portia mi guarda per qualche secondo ed io sostengo il suo sguardo per farle capire che sono sicuro. Sorseggia un altro po' di vino e annuisce prima di farci segno di rientrare in sala da pranzo.

Katniss e Effie ci stanno aspettando e ci accomodiamo subito a tavola  mentre un uomo in tunica bianca riempie i nostri calici con del vino.

Non assaggio neanche un sorso di quel liquido ambrato che so ottenebri i sensi, voglio rimanere sobrio per non perdermi neanche una parola sulle strategie che si pianificheranno stasera.

Haymitch entra in scena proprio quando viene servita la cena. Sbarbato, ripulito, pettinato e tirato a lucido per benino, sembra quasi un'altra persona. Sembra persino un uomo.

Per la prima volta lo vedo mangiare e parlare in modo civile persino con Effie.

Vengono serviti zuppa ai funghi e verdure varie amarognole con pomodorini, roast-beef al sangue, tagliatelle in salsa verde e un formaggio che si scioglie come neve a contatto con la saliva servito con uva nera.

E' tutto delizioso ma non riesco a godermelo pur continuando a mangiare.

Sono teso come un arco.

Tutti i commensali a parte Katniss, che sorseggia vino, non fanno che scambiarsi convenevoli senza decidersi a parlare di pianificazione e strategia per i giochi.

Chiacchierano sul vestito mozzafiato che indosserà Katniss per l'intervista che ci faranno tra qualche giorno ma non dicono nulla sul modo di procurarsi acqua e cibo nell'arena.

Tutto ciò è snervante. Sembra che l'unico a cui importi qualcosa sia io.

A fine serata, quando io ormai penso che sto per scoppiare, una ragazza porta in tavola una torta dall'aspetto gustoso e le dà fuoco sotto i nostri occhi. Quando le fiamme si spengono vorrei applaudire per la meraviglia dello spettacolo che ci ha offerto ma mi trattengo.

Effie, Haymitch, Cinna e Portia devono avere assistito ad una cosa del genere miliardi di volte e mi vergognerei a dare sfogo al mio entusiasmo da ragazzino davanti ai loro sguardi per niente stupefatti.

L'unica emozionata come me è Katniss ovviamente. Ha la bocca spalancata a formare un “ooooh” per lo stupore. - Cos'è che la fa bruciare? E' alcol? - chiede prima di alzare gli occhi verso la ragazza con i capelli rossi. - E' l'ultima cosa che… Oh! Ma io ti conosco! - afferma.

A queste parole il brusio a tavola finisce e tutti e quattro gli adulti guardano Katniss con durezza.

La corda del mio arco invece si è spezzata e mi pietrifico sulla sedia incapace a dire e a fare alcunché.

La Senza Voce è pallida in viso per la paura che tutto ciò comporti una punizione maggiore per lei. Scuote la testa energicamente in senso di diniego e va via frettolosamente.

Sento i toni di rimprovero che Haymitch ed Effie rivolgono a Katniss ma non capisco cosa le dicono.

Devo riprendermi in fretta per evitare ripercussioni sia su Katniss che sulla ragazza. Hanno già sofferto abbastanza entrambe, così mi sforzo per dare un senso a quello che dicono.

- E anche se fosse, non devi rivolgere la parola a nessuno di loro, a meno che non sia per dare un ordine – dice Effie con la sua solita calma – E' ovvio che non la conosci davvero.

- No, immagino di no, solo… - dice Katniss balbettando e abbassando gli occhi sulla tovaglia.

Schiocco le dita come se avessi avuto un'intuizione - Delly Cartwright – dico d'impulso andando in suo soccorso adesso che la paura ha smesso di annebbiare il mio cervello. - Ecco a chi somiglia. Anche io continuavo a dirmi che aveva una faccia nota. Poi ho capito: è identica a Delly!

Appoggio la mano sul mento guardandola con intenzione.

So che lei capirà. Delly non ha niente in comune con la Senza Voce. E' bionda, non rossa.

Un guizzo di comprensione passa nel suo sguardo e si riprende.

- Certo, ecco a chi pensavo! - dice guardando solo me – Deve essere per via dei capelli.

- Un po' anche gli occhi – aggiungo per rafforzare la nostra storiella e finalmente la tensione si allenta.

- Oh, be',  se è tutto qui – dice Cinna – E si, nella torta c'è dell'alcol, ma adesso è bruciato. L'ho ordinato apposta, in onore del vostro fiammeggiante debutto.

Dopo la torta ci spostiamo in salotto a guardare la replica della cerimonia di apertura.

Presentarci come amici e non come avversari facendoci tenere per mano, ci ha dato quel qualcosa in più rispetto agli altri tributi che se ne stavano distanti tra loro.

Io e Katniss restiamo in silenzio mentre gli adulti gioiscono per le critiche positive ricevute.

- Domattina c'è la prima sessione di addestramento. Vediamoci a colazione e vi spiegherò nel dettaglio come voglio che ve la giochiate – ci dice Haymitch. – E adesso andatevene a dormire un po', mentre i grandi discutono.

Mestamente io e lei eseguiamo l'ordine e ci incamminiamo l'uno accanto all'altra verso le nostre stanze.

Katniss è diventata taciturna dopo l'episodio della Senza Voce.

E' turbata e non voglio che vada a dormire col pensiero di tutto quello che è successo.

Infondo anche io avrei voluto parlarne con qualcuno che potesse capirmi quando ho avuto queste rivelazioni, perciò, quando arriviamo davanti alla porta della sua stanza mi appoggio allo stipite per avere la sua attenzione.

- Allora era Delly Cartwright. Ma pensa, trovare qui una sua sosia…- le dico lasciando la frase in sospeso per farle capire che se vuole parlarne io sono disposto ad ascoltare.

La vedo combattuta nella sua indecisione. Parlarne con me oppure no? Considerarmi amico o nemico?

Il suo sguardo frenetico si sposta da me alla porta e dal pavimento di nuovo al mio viso.

Capisco che c' è qualcosa di più dietro la storia della sua conoscenza con la ragazza rossa e forse non è il caso di parlarne qui, perciò le chiedo se ha già visto il tetto. Le dico che il rumore del vento però è un po' troppo forte per farle capire che lì potrà parlare liberamente.

- Possiamo salire? - mi chiede tremante.

- Ma certo, vieni -.

Arrivati sul tetto le mostro il campo elettrico attorno al palazzo per informarla che non si può scappare perché so che  ne sarebbe capace.

Tendo la mano e a 30 centimetri di distanza dal parapetto un lampo si sprigiona quando le mie dita toccano il campo di forza facendomi ritirare subito il braccio.

Ignoro il tremolio che va dalla punta delle dita alla spalla, e porto Katniss in giardino.

Qui si sente libera di parlarmi, di rendermi partecipe dei suoi pensieri. Ed è la prima volta che mi fa entrare nel suo mondo. Un mondo che ho osservato da lontano per tantissimo tempo.

- Un giorno eravamo a caccia nei boschi. Nascosti in attesa della selvaggina – bisbiglia.

- Tu e tuo padre? - le chiedo per sapere in che linea temporale collocare questo suo ricordo.

- No, io e il mio amico Gale – sussurra ancora.

Chi altri se non Gale?

Lascio correre il mio fastidio a saperla con lui nei boschi da sola e mi inizio ad ascoltare.

Mi racconta di quel giorno in cui era a caccia con il suo amico Gale quindi. Gli uccelli ad un certo punto avevano smesso di cantare tranne uno che continuava a cinguettare come fosse la sirena di un allarme.

Videro, la ragazza dai capelli rossi e un ragazzo, scappare con i vestiti a brandelli nel folto del bosco come se qualcosa di orribile li stesse rincorrendo.

L'hovercraft era sbucato dal nulla e aveva ucciso il ragazzo tirandogli una lancia in pieno petto e lo videro issare poi a bordo insieme alla ragazza che era stata intrappolata in una rete.

- Loro vi hanno visti? - le chiedo dopo averle fatto riprendere fiato.

- Non lo so – risponde. – Eravamo sotto una sporgenza di roccia.

La vedo tremare e so per certo non sia solo per il freddo.

La storia ha scosso persino me, non oso immaginare a come debba essersi sentita lei alla vista del ragazzo ucciso e al suono delle urla della ragazza.

- Stai tremando – affermo.

Mi tolgo la giacca e lei dopo un momento di diffidenza mi permettete di appoggiargliela sulle spalle. La vorrei abbracciare per tranquillizzarla ma so che non me lo consentirebbe mai.

Il mio bisogno di sentirla al sicuro e di farla sentire protetta però ha il sopravvento e per farle percepire il mio calore la stringo nell'indumento che sa ancora di me, allacciandole il bottone sul collo.

- Erano di qui? - le chiedo e quando annuisce le chiedo dove crede stessero andando.

- Non lo so proprio. E non so nemmeno perché volessero andarsene da qui – mi dice stringendosi nelle spalle.

- Io me ne andrei da qui – le rispondo ridendo e guardandola negli immensi occhi grigi che oggi, col chiarore della luna ad illuminarli e stretta nella mia giacca, la fanno apparire ancora più piccola di quanto non sia.

- Tornerei a casa adesso, se solo me lo permettessero. Però devi ammetterlo: il cibo è ottimo – concludo cercando di smorzare la tensione.

Katniss però mi guarda ancora spaurita perciò le propongo di rientrare perché sta cominciando a far freddo.

Mentre camminiamo per tornare in casa ripenso alla sua storia e non riesco proprio ad immaginare come possa essere stato tragico assistere alla scena. A come sia stato per lei ritrovarsi oggi davanti proprio alla ragazza dai capelli rossi  e scoprire che adesso è una Senza Voce, scoprirlo dopo anni che sicuramente ha trascorso ripensando alle urla di quella giovane capitolina in fuga.

- Il tuo amico Gale. - le dico.

Mi ritorna in mente ciò che ha detto. L'ha definito amico.

Queste parole mi sono penetrate nella mente e non posso fare a meno di chiedere.

- E' quello che ha portato via tua sorella alla  mietitura?

Anche se so chi è non posso farle una domanda diretta, posso solo cercare si saperne di più con domande che non la mettano in allarme.

- Si. Lo conosci?-

- Non proprio. So che le ragazze parlano parecchio di lui. Credevo fosse tuo cugino o qualcosa di simile. Vi somigliate.

Quando hanno iniziato a farsi vedere in giro insieme nel distretto, davvero ho pensato fossero cugini. Stessi capelli neri, stessi occhi grigi.

Per caso un giorno però avevo sentito Delly e le altre parlare tutte eccitate di quanto fosse carino il ragazzo del Giacimento e che Katniss fosse fortunata ad essere la sua ragazza.

Stupidamente intervenni dicendo loro che erano cugini, ma Delly era più che sicura che non lo fossero. Ma che se la spassassero insieme.

Prestai più attenzione da quel giorno, e ogni volta che li vedevo insieme li studiavo più del solito, cercando di vedere se ci fossero atteggiamenti che facessero pensare ad un rapporto più che amichevole tra di loro.

Per giorni e giorni non feci altro che stargli dietro come un avvoltoio senza che se ne accorgessero.

Lei parlava solo con lui e Madge Undersee, la figlia del sindaco, altrimenti preferiva isolarsi.

Lui parlava con tutti, ma guardava solo lei. La guardava come fosse di sua proprietà.

Presto mi accorsi che di queste sue attenzioni Katniss non ne era per nulla consapevole.

Io guardavo entrambi e dentro morivo sempre un po' di più.

Non li vidi mai in atteggiamenti intimi e questo mi fece sperare che non tutto fosse perduto perché contro Gale non avrei avuto un minimo di possibilità.

Non che abbia fatto mai qualcosa per farle sapere della mia esistenza a parte gettarle del pane in una pozzanghera, però vedere che il loro sembrava un rapporto di amicizia mi rincuorò parecchio anche se continuai a restare nell'ombra.

- No, non siamo parenti – mi risponde.

- E' venuto a trovarti? - forse non abbiamo raggiunto una confidenza tale da farmi dire se tra loro c'è qualcosa adesso oppure no, ma devo sapere.

- Sì – mi sussurra guardandomi intensamente.

Quello sguardo indagatore ma allo stesso tempo così diretto mi fa capire che non devo nascondere i miei sentimenti. Anche fosse la ragazza di Gale non l'amerei di meno.

L'unica cosa che voglio infondo è proteggerla. Non voglio essere amato da lei. Non posso permettermi di farmi amare se poi dovrò lasciarla.

- E' venuto anche tuo padre – mi dice. - Mi ha portato dei biscotti.

- Davvero? Be', tu e tua sorella gli piacete - le dico – penso che avrebbe desiderato una figlia invece di una casa piena di maschi . -

Gli ho chiesto esplicitamente di prendersi cura di sua madre e sua sorella e ho sempre saputo che era a conoscenza dei miei sentimenti per Katniss pur non avendogli mai detto nulla, quindi non mi stupisco del fatto che sia andato ad augurarle buona fortuna.

Mio padre.

Era innamorato di sua madre da ragazzo, me lo disse il primo giorno di scuola.

- Lui e tua madre si conoscevano da piccoli – non le dico la verità perché non servirebbe. Non ha motivo di sapere che sua madre ha spezzato il cuore a mio padre quando si è sposata. E' irrilevante.

Mi mormora qualcosa che non sento perso come sono nei ricordi del mio amato padre.

E ormai siamo arrivati davanti alla porta della sua stanza e io vorrei non lasciarla in preda ai suoi incubi e ai tremori che ancora non l'abbandonano.

- Ci vediamo domattina – mi dice restituendomi la giacca.

Mi ha congedato.

- Ci vediamo – le rispondo avviandomi a malincuore verso la mia camera.

Tutte le rivelazioni di stasera mi hanno stremato oltremisura perciò quando arrivo nella stanza mi butto sul letto con tutti i vestiti.

Domattina dovrò parlare con Haymitch. Prima della sessione di addestramento.

Ma adesso cerco di svuotare la mente.

Via mio padre. Via la Senza Voce dai capelli rossi. Via il dolore per una situazione che non posso cambiare.

Sono qui. A Capitol City. Combatterò nell'arena degli Hunger Games per cercare di salvare la ragazza di cui sono innamorato. E forse è un bene che mi trovi al suo fianco per sostenerla e accompagnarla alla vittoria con tutte le mie forze.

Dal distretto non avrei potuto fare alcunché. Mi sarei limitato a vederla morire. Il destino mi ha voluto qui.

Non voglio pensare a nient'altro.

Non voglio pensare a nulla che non siano due occhi grigi come il mare in tempesta che mi guardano ridenti e una bocca dolce che mi sorride e la sua voce che dice: “amico”.

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


CAPITOLO 7

 

 

 

Sogni inquietanti popolano il mio sonno.

Sento le sue urla di dolore e la sua voce invocare il mio nome ma non riesco a vederla.

E corro, corro a perdifiato per tutto il distretto.

Continuo a chiamarla, a dirle che sto arrivando da lei, ma non la vedo.

Mi faccio coraggio e oltrepasso la recinzione che delimita il nostro distretto, sicuro di trovarla nei boschi.

Incespico in un ramo e il fango e le foglie mi si infiltrano in bocca impedendomi di  gridare.

Gli occhi iniziano a bruciarmi e li serro per tenere lontani i ragni che cercano di mangiarmeli.

Costringo le gambe a muoversi e mi rialzo cominciando a correre. Quando riacquisto la vista la vedo.

Vedo Katniss correre disperata nel tentativo di seminare l'hovercraft che la sta inseguendo. Cado di nuovo e la scena cambia.

La vedo legata ad una sedia col sangue che  fuoriesce dalla bocca dopo che le hanno tagliato la lingua.

Una freccia mi colpisce la gamba sinistra in alto e rovino a terra incapace di raggiungerla.

Mi sveglio di soprassalto, col fiatone e madido di sudore.

La luce del sole comincia ad indorare il cielo di Capitol.

L'orologio segna le cinque e mezza del mattino.

Gli episodi di ieri sera devono avermi sconvolto più di quanto pensassi avessero fatto. Il pensiero di Katniss mutilata, mi fa scorrere dei brividi di freddo lungo la schiena.

Incapace di recuperare il sonno perduto mi sfilo i vestiti e vado a fare una doccia.

Il getto profumato alle rose come sempre ha un effetto rilassante su di me e perdo una buona mezz'ora a far sciogliere i muscoli tesi con il calore dell'acqua accogliendo con gioia i suoi benefici.

Non ho la forza di andare in cerca di Haymitch e discutere con lui delle mie intenzioni, tanto comunque non servirebbe a nulla metterlo al corrente. Non saprebbe come aiutarmi. E ci saranno di certo altre occasioni in cui potrò parlargliene.

Avrò tre giorni a disposizione. Tre giorni durante i quali, nelle sessioni di addestramento dovrò cercare di capire i punti di forza e i punti deboli di ogni tributo. Tre giorni per imparare tutto ciò che mi potrà essere utile per tentare di salvare Katniss. Al terzo giorno la sessione privata con gli Strateghi deciderà tutto.

Quando rientro in camera noto subito i vestiti appesi all'armadio e un paio di scarpe su una sedia, che prima non c'erano e i vestiti che avevo lasciato alla rinfusa per tutta la stanza sono spariti. Il letto è stato rifatto e il paesaggio della finestra impostato sulla città all'uscita del Centro di Addestramento.

I Senza voce devono avere rassettato in mia assenza.

Con tutta calma indosso i pantaloni neri aderenti e la tunica bordeaux a maniche lunghe, che di sicuro Portia ha disegnato per me, ed esco dalla camera.

Un'altra porta si apre dalla stanza dirimpetto alla mia e vi esce Haymitch.

Mormora un “ buongiorno “ sottovoce prima di incamminarsi accanto a me verso la sala da pranzo.

- Buongiorno – dico anche io pur non essendo sicuro che questo sia davvero un giorno buono.

Il nostro mentore sembra quasi allegro stamattina e non sembra neanche tanto alticcio. Il suo umore è migliorato parecchio da ché siamo arrivati qui.

Al tavolo della colazione troviamo Katniss già seduta. Indossa i miei stessi abiti e mi chiedo se così facendo non rischiamo di apparire deboli agli occhi degli altri tributi.

Presentarci come una squadra non potrebbe dare l'effetto contrario alla forza che in genere un team possiede?

Io ed Haymitch la salutiamo in coro e prendiamo ognuno un piatto per servirci dal buffet.

Uno stupido sorriso sghembo mi sfiora le labbra alla vista di Katniss che intinge una fetta di pane nella cioccolata calda.

Prendo un po' di cereali affogati nello stufato di manzo e riempio un altro piatto con  pane, uova e frittelle di marmellata. Infine mi servo una tazza di cioccolata prendendo posto accanto a lei.

- Allora, mettiamoci al lavoro – dice Haymitch dopo parecchie porzioni di stufato e dopo aver bevuto un sorso dalla fiaschetta che ha tirato fuori dalla tasca interna della sua giacca. - Addestramento. Prima di tutto: se volete posso allenarvi separatamente. Decidetelo adesso.

- Perchè dovresti allenarci separatamente? - chiede Katniss prima che possa farlo io.

Non avrebbe senso farlo proprio adesso. Dopo le presentazioni di coppia di cui ci hanno fatto oggetto.

- Nel caso in cui tu abbia un qualche talento segreto che non vuoi far conoscere all'altro – spiega Haymitch.

Io e Katniss ci scambiamo un'occhiata. -  Io non ho nessun talento segreto -  dico. - E so già qual è il tuo, no? - sorrido guardandola. - Voglio dire, ho mangiato un bel po' dei tuoi scoiattoli.

La sorpresa che si dipinge sul volto di Katniss un po' mi infastidisce.

E' vero che mia madre ha sempre provato una certa avversione per quelli del Giacimento, ed è anche vero che più di una volta quando lei e Gale hanno bussato alla nostra porta per proporci un baratto, mia madre gli ha sbattuto l'uscio in faccia senza fargli proferire parola, ma è anche vero che è con mio padre che entrambi hanno fatto gli affari migliori. Cosa credeva che ci facesse mio padre con gli scoiattoli che scambiava?

Mia madre non ne ha mai assaggiato un pezzetto, ma io aspettavo con ansia di vedere servita a cena la selvaggina barattata con lei, così avrei avuto la certezza che stesse bene.

- Ci puoi allenare insieme – risponde infine.

- Benissimo. Allora, datemi un'idea di quel che sapete fare – ci esorta Haymitch.

- Non so fare niente – dico con naturalezza perché è la verità. - A meno che cuocere il pane non valga qualcosa – faccio spallucce.

- No, spiacente – mi liquida lui. - Katniss, so che sei abile con il coltello – ribatte rivolgendosi a lei.

- Non proprio. Però so cacciare – dice. - Con arco e frecce.-

- E sei brava? -

Quel lampo di interesse negli occhi di Haymitch mi fa scattare prima che me ne renda conto.

- E' bravissima. Mio padre compra i suoi scoiattoli. Si meraviglia sempre che le frecce non lacerino i corpi. Lei li colpisce sempre nell'occhio. E fa lo stesso con i conigli che vende al macellaio. E' capace di abbattere persino un cervo. -

- Che intenzioni hai? - mi chiede Katniss con la voce stridula e sospettosa.

- Che intenzioni ho, dici? - le dico con una punta di nervosismo. - Se Haymitch ti vuole aiutare deve pur sapere di cosa sei capace. Non sottovalutarti. -

- E tu, allora? - mi dice in tono duro. - Ti ho visto al mercato. Riesci a sollevare sacchi di farina da cinquanta chili. Digli questo. Questo non è “ niente”. -

- Sì. E di certo nell'arena troverò chissà quanti sacchi di farina da tirare in testa agli altri – sbuffo guardandola. - Non è come saper maneggiare un'arma. E tu lo sai.  -

- Sa fare la lotta – spara lei fissando Haymitch che ci guarda intensamente. - L'anno scorso è arrivato secondo nella gara scolastica, dietro suo fratello. -

- E questo a che serve? Quante volta hai visto qualcuno fare la lotta fino alla morte? – le dico disgustato.

- Il combattimento corpo a corpo c'è sempre – dice alzando la voce arrabbiata. - A te basta trovare un coltello e qualche possibilità ce l' hai. Per me, se mi attaccano, è la fine! -

E' tutto inutile. Non vuole capire che per me non c'è speranza.

- Non sarà così! Tu te la spasserai sugli alberi, mangiando scoiattoli selvatici ed eliminando la gente con arco e frecce – le dico e al ricordo di quello che sto per dire il dolore già mi assale. Ma lei deve capire. - Sai cosa mi ha detto mia madre quando è venuta a salutarmi, tanto per tirarmi su? Che forse il Distretto Dodici avrà finalmente un vincitore. Poi ho capito che non parlava di me, parlava di te! - esclamo.

- Figurati, certo che parlava di te – mi dice liquidando il discorso con un gesto della mano.

- Ha detto «E' una tosta, quella». Quella – ribatto io.

La vedo bloccarsi di colpo e rattristarsi. Non si aspettava una crudeltà del genere da parte di una madre. L'unico male che un genitore può procurare ad un figlio, secondo lei, è morire o cadere in depressione non curandosi de suo benessere. Non si aspettava questo altro tipo di cattiveria.

- Ma solo perché qualcuno mi ha aiutato – mi dice guardando il panino che ancora si rigira tra le mani.

Si riferisce all'episodio in cui le ho gettato il pane. Grande aiuto!

- Ti aiuteranno, nell'arena. Faranno a botte per sponsorizzarti – le dico mesto. Ogni traccia di furore sparita dalla mia voce.

- Lo stesso vale per te – mi dice.

- Non ne ha proprio idea. Dell'effetto che può fare – dico guardando Haymitch e passando le unghie sulle venature del tavolo.

Dopo avere fatto passare lo sguardo più volte da me a Katniss ponderando le informazioni che ha ricevuto, Haymitch dice: - Bene, allora. Bene, bene, bene. Katniss non è certo che ci saranno arco e frecce nell'arena, ma durante la tua sessione privata con gli Strateghi mostra loro quello che sai fare. Fino a quel momento, sta' lontana dal tiro con l'arco. Te la cavi con le trappole? - le chiede.

- Ne conosco qualcuna, di quelle semplici – borbotta in risposta.

- Può essere importante per il cibo – le dice. E poi rivolto a me: - Peeta, lei ha ragione, non sottovalutare mai la forza, nell'arena. Molto spesso l'energia fisica fa pendere il piatto della bilancia a favore di un contendente. Nel Centro di Addestramento ci saranno dei pesi, ma non rivelare quanto riesci a sollevare davanti agli altri tributi. Il programma è lo stesso per entrambi. Andate a fare addestramento di gruppo. Impiegate il vostro tempo a imparare a fare qualcosa che non sapete fare. Tirare una lancia. Roteare una mazza. Fare un nodo decente. Riservate ciò che sapete fare meglio per le sessioni private. Tutto chiaro? - ci chiede.

Katniss e io facciamo segno di si con la testa colpiti dalla sua determinazione.

- Un'ultima cosa. In pubblico, vi voglio fianco a fianco in ogni istante. -

Noi iniziamo a protestare vivacemente ma Haymitch picchia con violenza la mano sul tavolo, zittendoci. - In ogni istante! - sbraita – Non si discute! Avete accettato di fare come dicevo! Starete insieme e vi dimostrerete amichevoli l'uno con l'altra. E adesso andatevene. Alle dieci avete appuntamento con Effie all'ascensore per l'addestramento. -

Katniss si alza di scatto facendo stridere la sedia sul pavimento e torna infuriata in camera sua sbattendosi la porta alle spalle.

Io la guardo fino a quando non scompare alla mia vista e poi sposto lo sguardo su Haymitch che si preme il pollice e l'indice della mano destra sugli occhi.

Faccio per alzarmi anche io ma lui mi blocca. - Fermo, tu! - stappa la fiaschetta e dà una lunga sorsata.

- Cos'era quel teatrino? - mi chiede.

- Non era un teat… -

- Hai capito cosa intendo. Cos'era quell'elogiare le capacità l'uno dell'altra? Cosa mi nascondete -

Capisco che ciò che ho detto a Katniss vale anche per me. Se voglio che lui mi aiuti devo dirgli tutto. Tutto ciò che ci riguarda.

E così gli parlo dell'episodio del pane. Gli dico della mia vita e di quella di Katniss, cercando di fargli capire le ragioni per le quali voglio che aiuti lei e non me durante i giochi.

Gli racconto della lotta per la sopravvivenza a cui è stata sottoposta Katniss, senza tralasciare nulla di quello che so.

Alla fine del mio resoconto lui sospira e  dà un'altra sorsata al liquore.

- Fidati di me, ragazzo. Ti passeranno queste fantasie poetiche una volta entrato nell'arena. L'istinto di sopravvivenza avrà la meglio e non ci penserai più. -

Mi alzo infuriato come non mai e lo affronto. - Non sarà così – gli dico guardandolo negli occhi.

Mi guarda di rimando fissandomi intensamente.

- Dimostramelo – mi dice. - Dimostrami che è sincero il tuo sentimento per lei e io l'aiuterò come potrò. Ma solo dopo che mi avrai fatto vedere quanto di te sei disposto a perdere per lei.-

Le sue parole non sono del tutto chiare ma annuisco. - Promessa? - chiedo.

Annuisce. - Adesso preparati per l 'addestramento - mi dice stancamente.

Mestamente mi avvio verso la mia camera ripensando alle sue parole.

Quanto di me sono disposto a perdere pur di salvare lei?

La porta di fronte alla mia sia apre e una capigliatura rosa acceso ne fa capolino.

- Oh, caro. - mi dice la voce squillante di Effie.

Ci metto un po' a rendermi conto che sia uscita dalla stessa stanza da cui è uscito Haymitch stamattina. Guardo al suo interno e vedo un letto in disordine. Lo shock mi lascia interdetto per qualche secondo. Sento a malapena Effie chiedermi quale sia il mio cruccio. E mi riprendo giusto in tempo per risponderle che  sono solo un po' teso per la sessione di addestramento di oggi.

- Caro, non devi preoccuparti. Io e Haymitch faremo il possibile per aiutarvi – mi dice stringendomi un braccio affettuosamente.

- Si – le dico ancora scosso.

Effie si avvia traballante sui tacchi verso la sala da pranzo ed io mi chiudo la porta alle spalle.

La chiudo su segreti rivelati e segreti scoperti. Su parole dette e non dette.

Su tutto ciò che avrei preferito non sapere.

 

 

……………………………………………………………………………………………..

Sono passate le dieci da un po' quando Katniss finalmente ci raggiunge davanti all'ascensore mangiucchiandosi le unghie.

Senza perdere tempo scendiamo nelle sale sotterranee dell'edificio adibite a palestre con percorsi ad ostacoli vari e una grande quantità di armi.

I tributi degli altri distretti sono già tutti presenti e noto che nessuna coppia di tributi indossa abiti identici. Tutti però, hanno sulla schiena il numero del distretto di provenienza attaccato alla maglia.

Il nostro ingresso non viene notato da tutti, ma quattro tributi invece si mostrano più che interessati a noi.

Ci guardano con occhi sadici e indagatori, sguardi che in genere penso si rivolgano ad una preda.

Pur non avendo visto i numeri sulle loro schiene capisco che si tratta del gruppo dei Favoriti.

La nostra fiammeggiante entrata in scena di ieri sera sembra svanita nel nulla. Il vantaggio che credevo avessimo acquisito, sparito.

Qui, chiusi in questa sala senza finestre, siamo tutti uguali. O quasi.

Raggiungiamo in fretta il cerchio di tributi, qualcuno ci attacca il numero dodici sulla schiena e il capoistruttore, una donna alta e atletica di nome Atala, ci mostra il piano di addestramento.

Possiamo disporre di un esperto per ogni specialità di cui vogliamo apprendere qualcosa, in base alle istruzioni del nostro mentore.

Ogni esperto avrà una postazione propria atta all'insegnamento, che va dalle tecniche di sopravvivenza a quelle di lotta. L'uso di un'arma o nodi particolari per ogni tipo di trappola.

E' proibito qualsiasi esercizio di lotta con un altro tributo. Se vogliamo allenarci potremo chiedere ad un'assistente.

Mi guardo intorno cercando di valutare la prestanza fisica di ogni tributo.

Circa la metà di loro non ha nulla di più rispetto a noi, gli unici di cui dovremo preoccuparci, come immaginavo, saranno i tributi dell'Uno e del Due, che oltre ad avere una notevole preparazione fisica, non fanno altro che guardarci sogghignando.

Dobbiamo metterci all'opera subito.

- Da dove vuoi cominciare? - chiedo a Katniss dandole un colpetto sul braccio.

Le istruzioni di Haymitch sono state chiare. “In ogni istante!”. Mi sembra di sentire la sua voce nella mia testa.

Dopo essersi guardata intorno lei mi suggerisce di cominciare imparando a fare dei nodi.

Storco il naso notando che questa postazione è l'unica vuota.

I Favoriti si mettono in mostra cercando di intimorire tutti e gli altri tributi prendono titubanti le prime lezioni su come si maneggi un'arma.

Ma devo starle accanto. Anche se non credo serva a qualcosa, Haymitch ha parlato chiaro. Sicuramente ne sa più di me quindi devo fidarmi.

Dopo un'ora in cui abbiamo imparato una lunga serie di lacci da usare come trappole per gli animali o per gli umani, passiamo alle tecniche di mimetizzazione.

Qualcosa in cui sono sempre stato bravo. A scuola i miei disegni lasciavano la maestra sempre senza fiato. Adorava i miei oli su tela pure se rappresentavano un semplice prato. Un talento come il mio, diceva, era un dono che andava coltivato. Lo disse anche a mio padre un giorno in cui venne a parlare durante uno dei colloqui trimestrali che riguardano il rendimento di tutti gli allievi.

Ricordo il petto di mio padre gonfiarsi per l'orgoglio di avere come figlio un ragazzo che la maestra definì un artista.

Mi mise subito a decorare i dolci per coltivare la mia passione, lasciando sempre dare libero sfogo alla mia fantasia.

Adesso ho disegnato sul mio braccio, intrecciando tra loro fango, argilla e succo di bacche, uno scampolo di sole che filtra tra gli alberi. L' ho fatto per impressionare lei. Gli alberi sono la sua casa.

Ottengo però l'effetto contrario e riesco ad infastidirla soltanto.

Passa così il primo giorno di addestramento. Con me e Katniss che rimbalziamo da una postazione ad un'altra, io cercando di imparare il più possibile e lei migliorando le sue capacità.

Gli Strateghi fanno il loro ingresso di buon'ora, uomini e donne con vesti viola scuro che prendono posto in tribune posizionate tutto intorno alla palestra.

Non ci perdono mai di vista. Tutte le volte che alzo lo sguardo verso di loro, noto qualcuno guardarci. Ma non sono i soli a farlo.

Per tutto il giorno gli occhi dei Favoriti ci seguono ovunque e questo non fa che aumentare la mia frustrazione.

La colazione e la cena vengono serviti al nostro piano, mentre per il pranzo ci raggruppiamo tutti in una saletta attigua per mangiare tutti insieme.

I Favoriti ovviamente tengono banco sedendosi in un tavolo da soli, lasciando capire chiaramente che si sentono superiori.

La maggior parte di noi invece si tiene in disparte non rivolgendosi parola.

Io e Katniss siamo gli unici a sedere uniti come ci ha raccomandato Haymitch, ci sforziamo addirittura di mantenere conversazioni piacevoli.

Il secondo giorno di addestramento, per cercare di rabbonirla e di instaurare un rapporto amichevole con lei, incomincio a parlarle di tutti i tipi di pane dopo averglieli serviti su di un piatto.

- Sai un sacco di cose – dice lei.

- Solo sul pane – dico. - Bene. Adesso ridi come se avessi detto qualcosa di buffo.-

I Favoriti continuano ad osservarci e gli Strateghi non ci perdono mai di vista.

Ho cercato, ieri sera dopo la prima sessione di addestramento, di far capire  ad Haymitch che la storia di noi due amici non va a genio agli altri tributi e che non fa altro che inasprirli di più nei nostri confronti, ma lui non ha voluto sentire ragione e ha continuato a dirmi di fare ciò che ci ha ordinato.

Così io e Katniss scoppiamo contemporaneamente in una risata che sembra del tutto naturale, e  come vorrei che lo fosse davvero.

Dopo pranzo, noto, mentre stiamo provando a tirare lance, la bambina del Distretto Undici che ci osserva da dietro un pilastro.

- Credo che qualcuno ci segua – dico a Katniss per costringerla a notarla. Più che me, sembra seguire lei infatti.

- Penso si chiami Rue – continuo.

- E cosa possiamo farci? - mi chiede rabbiosamente.

- Niente. Era solo per fare conversazione – le dico.

E' inutile cercare di avvicinarla. Non ci siamo rivolti nemmeno un saluto amichevole e sincero dopo la discussione avuta a colazione con Haymitch.

Si è chiusa sempre più in se stessa e non riesco a raggiungerla. Ma forse è meglio così.

Il giorno in cui scenderemo nell'arena si appresta ed è meglio se non ci avviciniamo troppo. Sarà ancora più difficile per me lasciarla andare, scendere in campo e non sapere se sopravvivrà, se continuo a starle accanto.

Stando a stretto contatto con lei i miei sentimenti si sono acuiti invece che affievoliti.

Sono cresciuti per ogni suo sorriso se pur finto, e per ogni sua espressione buffa mentre cerca di imparare qualcosa di nuovo.

Amo la sua tenacia e la sua determinazione. Amo anche quando fa la scontrosa.

A cena cerco di dare ad Haymitch ed Effie tutti i ragguagli dettagliati sulle nostre capacità e quelle degli altri tributi. Katniss risponde per monosillabi.

La testa mi scoppia per le troppe informazione che sto raccogliendo su tutto quello che mi circonda. E se c'è una cosa di cui sono certo è che l'obbiettivo principale dei Favoriti sarà Katniss.

Quello di nome Cato non fa altro che guardarla sadicamente e si vede dalla sua espressione che già pregusta il momento in cui affonderà la lama del suo pugnale nella sua carne.

Anche lui deve essersi accorto delle attenzioni che gli Strateghi le riservano e non ha mandato giù lo smacco che una semplice ragazzina del Dodici possa avere per loro più interesse.

Pazientemente rispondo a tutte le domande che ci pongono ma quando ci lasciano andare in camera finalmente, borbotto: - Qualcuno dovrebbe dare qualcosa da bere ad Haymitch. -

Oggi avrei voluto non essere messo sotto torchio. Domani ci aspetta la sessione privata e non ho più tempo per distogliere l'attenzione di Cato e gli altri da Katniss.

- Per favore, non fingiamo di essere amici quando non c'è nessuno – mi dice lei.

- Va bene – le dico stancamente. Non ho la forza di lottare per cercare di starle accanto, così rientro nella mia stanza e mi butto sul letto cadendo istantaneamente in un sonno profondo.

Il mattino dopo arriva in un lampo e siamo già all'ora di pranzo quando iniziano a chiamarci per le sessioni private.

E' difficile parlare scherzosamente con Katniss con la tensione che sento crescere in me ogni volta che chiamano un tributo.

Fanno entrare prima gli uomini e poi le donne rimandando ognuno nelle proprie stanze dopo ogni esibizione.

Dopo la piccola Rue, finalmente chiamano il mio nome.

Mi avvio a grandi passi verso la sala di addestramento come un automa.

- Ricorda quello che ha detto Haymitch: lancia i pesi – mi avverte Katniss mostrandomi il primo gesto naturale di amicizia.

Siamo solo. Non era obbligata a darmi consigli. Non c'è nessuno con cui fingere un'amicizia che non esiste.

- Grazie. Lo farò – le dico sottovoce bloccandomi prima di uscire. - Tu...scocca dritto le tue frecce.-

esco senza attendere una risposta.

Gli strateghi sono sdraiati sulle poltrone e sono poco attenti quando faccio la mia entrata. Non mi guardano neanche, ma conversano tranquillamente tra loro.

Mi avvio alla postazione dei pesi senza distogliere lo sguardo da loro.

Ce ne sono di tutte le misure. Dai dieci ai cento chili.

Comincio sollevando una palla di metallo che avrà all'incirca venti chili e la scaglio con forza a circa dieci metri da me.

Gli strateghi ancora non mi guardano.

Sollevo la palla di cinquanta chili facendo leva su tutta la forza che ho nelle braccia. Prima di scagliarla stavolta mi assicuro che almeno qualcuno mi stia osservando e poi la tiro a cinque metri di distanza.

Volto subito lo sguardo sulle tribune e vedo qualcuno degli osservatori annuire ma ancora non mi basta.

Mi avvicino ancora alla postazione dei pesi e accarezzo quella da cento chili. So che sarebbe troppo per me ma come vorrei poterli impressionare lanciandola.

Stacco la palla di settanta chili che scivola a terra perché ho la mano sudata.

Sento gli occhi di tutti gli strateghi puntati su di me e adesso so per certo di godere della loro attenzione.

Mi posiziono e divarico le gambe. Faccio una, due, tre giravolte e ala fine scaglio la palla a circa sei metri da me. Speravo di farla arrivare accanto a quella da venti chili ma mi basta così. Non li impressionerò mai abbastanza con le mie scarse qualità.

Nessuno mi sta guardando e sto fermo in attesa che mi congedino mettendo le braccia dietro la schiena.

Dopo pochi minuti mi guardano e mi dicono che posso andare.

Il mio corpo trema per lo sforzo e perché finalmente sto rilasciando tutta la tensione accumulata in questi giorni.

Salgo come in trance sull'ascensore fin nella mia camera e stancamente mi incammino nella mia stanza.

Effie ed Haymitch sono seduti sul divano e appena mi vedono arrivare mi chiedono come sia andata.

- E' andata – rispondo. Non c'è un come è andata per me. L'importante è che sia passata.

Senza aggiungere altro ci sediamo tutti e tre sul divano ad aspettare l'arrivo di Katniss.

Quanto di me sono disposto a perdere per lei?

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Capitolo 8
*** capitolo 8 ***


CAPITOLO 8

 

 

 

Mentre mi dirigo a grandi passi in balcone per cercare di allentare la tensione dovuta all'attesa, non riesco a togliermi dalla testa la domanda di Haymitch.

Sono passati dieci minuti da quando ho finito la mia sessione privata e l'aria che si respira nel salone mi ha oppresso così tanto da farmi sentire un peso sul petto.

Effie ed Haymitch sono entrati in mutismo selettivo.

Mi hanno dato una pacca di consolazione sulla spalla e si sono seduti di nuovo in ansia con Haymitch che non ha fatto altro che guardare l'orologio, poi me e poi di nuovo l'orologio, per tutto il tempo che ho passato seduto con loro sul divano.

Cosa avrà voluto dirmi chiedendomi quanto di me sia disposto a perdere per Katniss?

Le parole del nostro mentore implicavano di più che sacrificarmi per lei.

Perché io non ho nulla da offrirle oltre la mia morte e di conseguenza nulla da perdere se non la mia vita.

Non mi lascerò nulla alle spalle.

Ho sempre saputo che avrei fatto di tutto pur di renderla felice. Misi il mio cuore ai suoi piedi molto tempo fa.

Non avrei avuto comunque alcuna speranza di uscire vivo dall'arena e la mia famiglia se ne farà una ragione. Gli amici vivranno col dolore nel cuore mitigato dalla fortuna di non essere stati estratti alla mietitura.

La panetteria andrà avanti anche senza di me. Le torte le glasserà papà come ha sempre fatto prima che decidesse di aiutarmi a coltivare il mio dono.

Lui però capirà il perché di questo mio gesto. Ha sempre saputo tutto di me. E mi ha sempre capito. Lo so.

Sa la natura dei miei sentimenti per Katniss.

Avevo sette anni quando lui e mia madre scoprirono che mi ero preso una cotta per la mia compagna di classe.

Era una mattinata piovosa, tipica del nostro distretto.

Nuvole dense a cariche di pioggia viaggiavano veloci sul nostro cielo.

Ero sdraiato sul divano di casa mia intento a disegnare, quando bussarono alla porta.

Ad aprire l'uscio fu mio padre. Io sentii soltanto la sua voce e quella baritonale di un uomo che parlava con lui.

Non mi chiesi chi potesse essere ma continuai a giocare per fatti miei finché la voce dolce che ossessionava i miei pensieri non si fece sentire.

- Mi chiamo Katniss Everdeen – disse la bambina dei miei sogni.

Mio padre rise e disse: - Oooh!! Piacere piccola Katniss -.

Mi bloccai con la matita sul foglio e corsi alla finestra a guardare.

Era lì. Con un vestitino grigio come i suoi occhi e i suoi stivaletti rossi lucidi, mano nella mano con il padre. Un omone alto e dinoccolato con la barba folta.

Non avevo mai visto il signor Everdeen e mi sorpresi nello scoprire quanto si somigliassero padre e figlia. Non persi neanche un particolare.

Stessi capelli neri, stessi occhi grandi, stessa espressione imbronciata.

Teneva degli scoiattoli in mano che consegnò a mio padre in cambio di monete.

- Arrivederci, signore – disse la piccola Katiniss.

La pioggia smise di cadere e loro due ancora uniti dalle loro mani, si avviarono per le strade del distretto.

Fu come una magia quella che vidi con i miei occhi subito dopo.

L'inizio di un arcobaleno prese vita nel punto in cui padre e figlia stavano passeggiando.

La meraviglia sul viso di Katniss fu indescrivibile. Le illuminò tutto lo sguardo e un sorriso sincero le nacque sulle labbra mentre guardava il padre.

- Una bella bambina, vero? -

La voce di mio padre mi fece sobbalzare e diventare paonazzo.

- Sì – sussurrai.

Corsi a prendere il mio disegno e glielo mostrai.

Sul prato fiorito avevo disegnato quello che per me ero io, biondo e con gli occhi azzurri, mano nella mano con una bambina dai capelli neri raccolti in due trecce e con gli stivali rossi.

- Un giorno la sposerò – dichiarai.

Mi sorrise mio padre abbassandosi alla mia altezza. Mi accarezzò i capelli e mi disse che mi augurava di riuscire a realizzare il mio desiderio.

Il dolore mi assale al ricordo, perché poco dopo, spettatrice silenziosa del nostro scambio di battute, mia madre, si avvicinò come una furia strappandomi il disegno dalle mani e facendolo in mille pezzi.

Mi diede uno schiaffo e mi disse che ero proprio come mio padre.

- Sei attratto esattamente dallo stesso tipo di feccia da cui è attratto lui  - mi disse.

Non mi misi neanche a piangere per lo stordimento di ricevere l'ennesima punizione non meritata.

Lei continuava ad inveire contro mio padre che se ne stava in silenzio a subire quella sfuriata.

- Non lo sopporto  - urlava. - Io non lo volevo. Mi hai costretta tu. Non ti perdonerò mai per avermelo fatto partorire.-

Piangeva adesso la mia mamma ma io non capivo le sue parole. Mi tenevo la guancia che aveva preso a pulsare.

Quel giorno ebbi la conferma del suo odio nei miei confronti.

Non versai una lacrima. Osservai la scena come in trance.

Noi capii il significato di ciò che disse. Non avevano senso per me parole come “costringere” e “non volere”.

Mi ersi in difesa del mio giovane amore e dissi con quanto fiato avessi in gola: - Basta! Io l' amo. L'amo, brutta strega! - ero stanco dei suoi continui maltrattamenti e corsi via in preda al pianto. Uscii di casa senza voltarmi indietro. Mi odiava senza che io ne sapessi il perché.

Avevo subito troppo.

Nessuna carezza ho mai ricevuto da quelle mani che sapevano solo sculacciarmi se osavo disubbidire.

I miei meriti scolastici non hanno mai ricevuto elogi come lo hanno fatto quelli dei miei fratelli.

Le urlai anche per questo. Per gettarle addosso tutta la frustrazione accumulata negli anni.

Fu l'unica volta in cui alzai la voce contro di lei.

Il bruciore all'altezza del cuore per il suo rifiuto me lo porterò sempre dietro, per tutta la vita. L'incapacità di capirla mi seguirà pur senza volerlo.

L'odio che provavo però l'ho abbandonato proprio nel giorno della mia mietitura, lo so.

L'ho lasciato andare via nel momento stesso in cui mi ha detto che probabilmente il nostro distretto avrebbe avuto un vincitore.

Sentirla parlare in quel modo di Katniss mi ha disturbato notevolmente e il fatto che non abbia creduto in me per l'ennesima volta mi ha ferito come sempre. Neanche il giorno in cui per lei sono morto è riuscita a farmi da madre.

Mi ha sbattuto praticamente in faccia che il mio sentimento per Katniss mi ha portato verso morte certa e che è esattamente quello che mi merito per essere attratto da feccia del genere.

Ha goduto per la mia morte imminente.

Ma mi sento sereno nonostante tutto.

So cosa voglio. So cosa devo fare.

Non ho una cosa in particolare da perdere per Katniss, ma tutto ciò che di me andrà via e che servirà per farla sopravvivere, io la lascerò andare senza rimpianti. Lotterò, mentirò, camminerò sul filo per lei. Perché lo merita.

Lo dimostrerò.

Qui. Nell'arena. Persino nell'aldilà, il mio amore per lei sarà sempre imperituro.

Non avrò limiti.

Ho sentito questo sentimento crescere in me, anno dopo anno.

Ho amato la sua forza e la sua fragilità. La sua dolcezza e la sua tenacia.

Il mio amore è cresciuto nella mia ammirazione per quella ragazza che ha combattuto tutta la vita per la sopravvivenza delle persone a lei care e che adesso si troverà a lottare per la propria.

Stringo i pugni e rientro in salotto, più deciso che mai.

Haymitch mi guarda mentre mi accomodo sul divano e annuisce.

Ha capito.

A noi si aggiungono anche Cinna e Portia, che prende posto accanto a me.

Un fulmine di ragazza esce dall'ascensore e cammina decisa verso camera sua.

Cerchiamo tutti di fermarla inutilmente. La porta sbatte sulle nostre voci che invocano il suo nome.

Effie ed Haymitch le corrono dietro ma le urla isteriche che gli intimano di andare via si sentono fin nel salotto.

Deve essere andata molto male per avere una reazione di questo tipo.

- Povera ragazza – dice Effie affranta ritornando.

- Ma sta zitta, oca capitolina! - la rimbecca Haymitch. - La ragazza si accende facilmente. Non sarà andata benissimo ma neanche malissimo. E' tutta colpa degli ormoni – sbuffa anche lui poco convinto delle sue stesse parole.

- Io non ti permetto… - comincia a difendersi la capitolina in questione, ma Haymitch le fa il verso e si allontana per andare a versarsi da bere dalla vetrina dei liquori.

E a chi non servirebbe un goccetto adesso?

Cosa significano per noi punteggi bassi?

Cosa sarà successo per indurre Katniss a rintanarsi in camera sua in preda alle lacrime?

Ha bisogno di me?

In un attimo mi alzo e sono già in corridoio, quando la voce di Cinna mi blocca: - Lasciala stare, Peeta. Questo suo pianto, è un pianto di sfogo per tutto quello che le è successo fino ad ora. -

Ritorno sui miei passi e lo lascio parlare.

- Se fossimo lei, tutti saremmo crollati molto prima. La tensione per la mietitura, l'estrazione del nome di sua sorella, il suo offrirsi volontaria, la possibile morte in un arena in cui sarà sia preda che predatrice – sospira lo stilista passandosi una mano sugli occhi – tutte queste emozioni sarebbero troppe per chiunque, e se non sbaglio lei non ha versato neanche una lacrima fino ad ora. Lasciamola in pace. -

E' l'ora di cena quando Effie va a bussare nuovamente alla sua porta per cercare di convincerla a mangiare qualcosa.

Stranamente non deve lottare affatto per farla uscire dalla sua camera e quando ci raggiunge noi siamo già seduti a tavola, e i segni del pianto sono ben visibili sul suo viso rosso e chiazzato.

Non guarda nessuno. Tiene la testa bassa ed io la osservo mentre mangia la sua zuppa di pesce, per cercare di capire cosa possa averla indotta a versare tutte quelle lacrime.

Inarco le sopracciglia quando finalmente i suoi occhi incrociano i miei, chiedendole silenziosamente cosa sia accaduto ma lei si limita a scuotere la testa e riabbassare gli occhi sul piatto.

- Bene, basta chiacchiere. Diteci solo come siete andati oggi. - Chiede Haymitch mentre viene servita la portata principale.

- Non so se è servito a qualcosa – dico io per dar tempo a Katniss. - Quando sono arrivato, nessuno si è degnato di guardarmi. Stavano cantando una specie di brindisi, credo. Allora ho lanciato un po' di cose pesanti finché non mi hanno detto che potevo andare – faccio spallucce.

- E tu, dolcezza? - chiede adesso il nostro mentore rivolgendosi a Katniss.

- Ho tirato una freccia contro gli Strateghi – esordisce lei quasi con rabbia.

Tutti smettiamo di mangiare all'unisono ed io rischio di strozzarmi con un boccone.

Ha fatto cosa?

- Cosa?! - la voce di Effie risuona per tutta la stanza, piena di orrore per le azioni di Katniss.

- Ho tirato una freccia contro di loro. Non proprio contro di loro – riprende lei. - Nella loro direzione. E' come ha detto Peeta, io tiravo e loro mi ignoravano, e io ho… ho perso la testa, e così ho fatto volare via la mela dalla bocca del loro stupido maiale arrosto! - dice con sfida.

Sono troppo scioccato per parlare e se anche potessi farlo non credo che la rimprovererei.

Ho più che altro voglia di applaudirle, e lo farei anche, se non fossi preoccupato per le ripercussioni che questo gesto di “ribellione”, se così lo si può chiamare, avrà sulla vita di Katniss nell'arena.

- Che cos'hanno detto? - chiede Cinna cautamente.

- Niente. O meglio, non lo so. Dopo sono uscita. -

- Senza che ti congedassero? - boccheggia Effie.

- Mi sono congedata da sola – risponde Katniss stizzita.

Le due si affrontano con gli sguardi e nessuna sembra intenzionata ad abbassare gli occhi per prima.

-Be', mi pare inutile starci a pensare – interviene Haymitch imburrandosi una fetta di pane.

- Pensi che mi arresteranno? - chiede Katniss titubante.

Non ci avevo pensato. Potrebbero farlo?

- Ne dubito. Sostituirti sarebbe un problema, a questo punto – ci tranquillizza il nostro mentore.

- E la mia famiglia? - chiede ancora Katniss. - Puniranno loro? -

- Non credo. Non avrebbe senso. Dovrebbero rivelare quello che è successo nel Centro di Addestramento, ma non possono dirlo, perché è segreto, quindi sarebbe fatica sprecata – la consola Haymitch. - E' più probabile che ti rendano la vita un inferno, nell'arena. -

Proprio come pensavo. E' lì che dovrò starle vicino.

Proteggerla dagli strateghi e dagli altri tributi.

- Be', ce l'hanno già promesso comunque – intervengo io.

- Verissimo – conferma il nostro mentore staccando una braciola di maiale con le mani e inzuppandola nel vino prima di addentarla voracemente per indispettire Effie.

- Che faccia hanno fatto – chiede ridacchiando col boccone ancora in bocca.

- Sconvolta. Terrorizzata – sorride Katniss mentre risponde alla domanda. - Anche ridicola, qualcuno. Un uomo è inciampato all'indietro ed è caduto in una coppa di punch. -

Scoppiamo a ridere tutti immaginandoci la scena, tutti tranne Effie che tenta di nascondere il sorriso che le è nato sulle labbra.

- Be', gli sta bene. Prestarvi attenzione è il loro lavoro. E il fatto che siete del Distretto Dodici non è una buona ragione per ignorarvi. - Dice impettita per poi guardarsi attorno con fare remissivo come se avesse detto qualcosa di molto ingiurioso. - Scusate, ma io la penso così – borbotta non rivolgendosi a qualcuno in particolare.

- Avrò un pessimo punteggio – afferma Katniss.

- I punteggi contano solo se molto buoni, nessuno fa molta attenzioni a quelli brutti o mediocri – spiega Portia. - Per quanto ne sanno, potresti aver nascosto le tue qualità di proposito, per ottenere un punteggio basso. C'è chi usa questa strategia. -

- Spero che la gente interpreti così il quattro che probabilmente otterrò io – dico per smorzare la tensione che si sta creando nuovamente. - Se sarà un quattro. Non c'è niente di meno eccitante che guardare una persona che raccoglie una palla pesante e la lancia a un paio di metri di distanza. Una mi è quasi caduta su un piede – dico sbuffando.

E alla fine mi ritrovo a pensare che sarebbe meglio per lei prendere un punteggio basso, in modo tale da deviare l'attenzione di tutti sugli altri tributi.

Dopo cena ci spostiamo in salotto per vedere i punteggi assegnati ad ognuno di noi  comunicati in TV.

Prima appare la foto del tributo e poi in sovrimpressione compare il punteggio che ha ottenuto.

I Favoriti ottengono  da otto a dieci punti come era prevedibile.

L' immagine di Cato e del suo dieci mi mandano brividi per tutto il corpo.

La maggior parte degli altri tributi riceve una media di cinque, mentre la piccola Rue, prende addirittura un sette. Il tributo maschio del suo distretto un otto.

Quando appare la mia foto non so cosa aspettarmi.

L' otto che volteggia intorno alla mia foto mi lascia interdetto per qualche secondo.

Non devo aver fatto tanto male allora. Qualcuno deve avermi guardato.

Tutti si congratulano e Portia mi stringe in un abbraccio.

Una nuova speranza nasce dentro di me. Forse questo semplice numero pari mi aiuterà con gli sponsor nell'arena.

Quando compare la foto di Katniss spero ardentemente che le abbiano attribuito un punteggio basso ma il numero undici che compare accanto a lei, fa crollare un macigno sul mio stomaco.

E so per certo che il tributo del Due non avrà pace. Che il suo obbiettivo sarà lei.

Neanche uno sguardo malevolo che le ha rivolto è sfuggito al mio occhio vigile.

L'entrata magnifica che abbiamo fatto sui carri e il fatto che tutti le abbiano prestato più attenzione che a lui, lo avevano già indispettito parecchio.

L'essere superato anche in punteggio, adesso lo farà imbestialire ancor di più.

L'ho capito da subito che per lui essere il migliore conta più di qualsiasi altra cosa. E per dimostrare la sua superiorità dovrà uccidere quella che per gli Strateghi è stata la migliore.

E forse le hanno assegnato questo punteggio proprio per punirla.

Perché sapevano come sarebbe andata a finire.

- Dev'esserci stato un errore. Come… come è potuto accadere? - chiede confusa Katniss ad Haymitch.

- Immagino che gli sia piaciuto il tuo carattere – risponde lui. - Hanno uno spettacolo da organizzare. Hanno bisogno di giocatori dal forte temperamento. -

Spero anche io che sia come dice Haymitch ma non posso allontanare il terrore che mi danno due occhi marroni e sadici che sono sempre stati puntati su Katniss.

- Katniss, la ragazza in fiamme – dice Cinna abbracciandola. - Oh, aspetta di vedere il tuo vestito per l'intervista. -

- Altro fuoco? - chiede lei adesso più serena.

- In un certo senso – risponde lo stilista in tono malizioso.

Restiamo tutti un po' alzati dopo la chiusura del programma per festeggiare ma quando andiamo a letto, i pensieri mi assalgono e so che durante l'intervista dovrò fare meglio di Katniss, meglio di chiunque altro per sviare tutte le attenzioni da lei.

So che domani mattina dovrò fare l'impensabile.


 

 

 

 

 

Nota dell'autrice:

salve gente, come va?

Come sempre ci tengo a ringraziare tutti coloro che leggono e recensiscono.

E poi volevo farvi saper che prima della pubblicazione del capitolo nove, ci sarà un extra che vi aiuterà a capire meglio quel “ - Non lo sopporto  - urlava. - Io non lo volevo. Mi hai costretta tu. Non ti perdonerò mai per avermelo fatto partorire.-”, e che ovviamente riguarderà le dinamiche della nascita di Peeta e che spero metta luce sull'odio che la madre (strega) nutre da sempre nei confronti del mio ragazzo del pane.

Questa idea è nata grazie alla mia recensitrice numero uno che mi ha chiesto se potevo approfondire il rapporto tra Peeta e la madre (spero di esserci riuscita comunque nel mio piccolo, pur non dilungandomi).

Scusate per gli errori ortografici. Ma il lavoro mi distrugge e non ho il tempo né la forza per riguardare più volte ciò che scrivo e per correggere tutto. Scusate tanto.

Grazie ancora. Baci.

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Capitolo 9
*** ogni giorno della mia vita - extra 8 ***


Esiste  l'amore a prima vista?

Crumb Mellark si rifece la domanda per l'ennesima volta nella sua vita.

In questo momento, seduto su una sedia malandata sul porticato di casa propria, tutta la sua vita, e i passi che l'hanno condotto lì, su quella sedia, gli scorrono davanti agli occhi come il film che Capitol City manda in onda ogni anno con la storia di Panem, un film che senza volerlo ormai conosce a memoria. Un film che non può fare a meno di odiare.

L'essere intrappolato in un matrimonio senza amore, il ricordo degli errori che ha commesso che lo visita costantemente, l'artrosi alle dita che non gli permette di lavorare più come una volta, l'avanzare dell'età e del tempo che si fa sentire in ogni muscolo e osso del suo corpo da cinquantenne.

Non sono molti anni, lo sa. Ma lì nel Dodici, il tasso di mortalità oltre ad essere molto elevato è anche ridotto. L'età media di mortalità è cinquanta, cinquantacinque anni al massimo.

Lo sa bene Crumb, che dal giorno della mietitura che ha visto andare verso morte certa il suo figlio minore, sta seduto su quella sedia a guardare apparentemente l'orizzonte ma che invece non fa altro che maledire ogni passo, ogni errore, ogni decisione che ha portato a tutto questo.

Sarebbero andate diversamente le cose se non si fosse sposato?

Sarebbero andate diversamente le cose se avesse avuto più tempo per se stesso invece di accollarsi il peso della panetteria dopo la morte del padre?

Sarebbero andate diversamente le cose se invece di sposare la donna che da vent'anni ormai gli sta accanto nel male, e sì, anche nel bene, avesse sposato la donna dei suoi sogni?

E questo lo riporta alla domanda che da tutta la vita lo perseguita, alla domanda intorno alla quale ruota la vita del suo piccolo Peeta.

Esiste l'amore a prima vista? O esistono soltanto sentimenti che nascono dal nulla e che mettono radici nelle persone estremamente sensibili per tutta la vita e che non si possono estirpare?

Sospira, Crumb e si passa le mani stanche e callose sul viso rugoso mentre i ricordi affiorano senza che possa fermarli.

Una bambina. Bionda e dagli occhi azzurri come i propri, ma ancora più belli se su un viso che con un sorriso riesce a far battere forte il suo cuore, che gli spalancano tutto un mondo.

L'aveva vista per la prima volta il giorno che è passato alla storia come il Giorno Nero.

Il giorno della tempesta che aveva distrutto quasi tutto il distretto e che aveva ucciso molte persone, anche la sua mamma.

Erano a scuola. Non frequentavano la stessa classe, in quanto lei era di qualche anno più piccola.

Le maestre avevano interrotto le lezioni senza dare una spiegazione. Le sirene di allerta suonavano ininterrottamente da ormai mezz'ora.

Lui aveva capito cosa stesse succedendo. Aveva sentito le maestre in preda al panico dire che dovevano evacuare la scuola e mandare tutti i bambini a casa, dove sarebbero stati più al sicuro.

Aveva dodici anni.

Gli dissero di aspettare pazientemente che i suoi genitori venissero a prenderlo, ma lui sapeva che non l'avrebbero fatto. Non perché non lo amassero, ma perché suo padre doveva badare alla mamma. Non poteva lasciarla sola.

Qualche anno prima era rimasta paralizzata dalla vita in giù. Aveva riscontrato un'infezione che le aveva toccato il midollo spinale lasciandola per sempre su una sedia a rotelle.

I medici gli dissero che erano stati fortunati perché sarebbe potuta andare molto peggio.

E lui era felice che le cose fossero andate nel miglior modo possibile. Non avrebbe potuto vivere senza sua madre, così dolce e gentile.

La voce paziente era quella che lo cullava ogni sera prima di andare a dormire, e le mani erano quelle che gli accarezzavano la testa e lo elogiavano per ogni suo successo scolastico e sportivo.

Suo padre invece era cambiato. Era più nervoso, più triste. Erano lontani i giorni in cui uscivano insieme in giardino a giocare.

Adesso si prendeva cura solo della mamma. Ma lui non soffriva,perchè la mamma nonostante tutto era la stessa di sempre. Ed era con lui.

Per questo non sarebbero venuti a prenderlo. Aveva cercato di dirlo alla maestra ma lei non lo aveva lasciato parlare.

Alla fine era rimasto solo. Ad uno ad uno i suoi compagni avevano abbandonato l'istituto mano nella mano con i propri genitori.

- Crumb – aveva esordito la maestra. - Io devo andare – disse nervosamente toccandosi i capelli. - Tu resta qui e aspetta che vengano la tua mamma e il tuo papà. Va bene? -

Senza risposta si era dileguata.

Un tuono squarciò il cielo proprio in quel momento e parte dell'immobile crollò sotto la forza della grandine e della terra che aveva iniziato a vibrare.

Senza attendere oltre, Crumb si alzò e andò correndo verso l'uscita che trovò bloccata. Un muro era crollato.

Decise allora di fare il giro e trovare un altro modo per uscire.

Aveva appena scavalcato da una finestra al piano terra quando sentì delle voci provenire dal retro dell'edificio.

Non riuscì a far finta di nulla. Ci provò, ma non poteva non prestare soccorso se qualcuno aveva bisogno di aiuto.

La scena che si trovò davanti lo perseguita ancora oggi nei suoi sogni peggiori.

L'edificio era crollato per metà, un incendio aveva preso vita aldilà delle macerie.

C'era gente intrappolata nelle aule, e c'era gente che cercava di spostare più mattoni possibili per cercare di farli evadere da quell'inferno.

Per un attimo restò immobile. Ebbe paura. Il primo istinto fu quello di scappare.

C'era già chi cercava di aiutarli, cosa avrebbe potuto fare lui?

A fargli cambiare idea fu una bambina, che con quanta forza aveva nelle braccia spostava mattoni su mattoni e con la sua voce cercava di tranquillizzare i poveri disperati intrappolati.

Senza pensarci oltre le si affiancò e iniziò a spostare le pietre.

Gli anni passati a sollevare sacchi di farina per la panetteria Mellark finalmente gli tornarono utili.

Riusciva a spostare il doppio dei mattoni rispetto a chiunque altro, e nel giro di poco crearono una piccola uscita.

La ragazzina finalmente si girò e gli sorrise.

E il sole per lui iniziò a splendere nel cielo nonostante le nubi oscure che gettavano ombra su tutto il distretto.

Quel sorriso. Quella forza. Quegli occhi così determinati lo conquistarono.

Rimase accanto a lei per tutto il tempo. La aiutò a spostare i feriti su uno spiazzale in cui sarebbero stati al sicuro da eventuali frane e la aiutò con le medicazioni e con i morti.

Scoprì in seguito che era la figlia dei farmacisti, Daisy,  i quali avevano lavorato tutto il giorno anche loro per cercare di aiutare il più possibile.

Quel giorno la sua vita assunse un nuovo significato.

Quel giorno però anche la sua infanzia finì.

La tempesta ancora imperversava ma non c'era più nessuno da salvare.

Fu un suono. Un flebile alito portato dal vento oltre il frastuono dei tuoni a farlo tornare al presente.

- Crumb!!! -

La voce di suo padre lo fece destare dai suoi pensieri d'amore su quella ragazzina e non appena lo ebbe individuato gli corse tra le braccia.

Piangeva il suo papà. E lo strinse così forte a sé che gli fece capire che qualcosa non andava.

La mamma non c'era più.

Stavano uscendo entrambi dopo l'insistenza della moglie, per andare in cerca del loro unico figlio.

L'aveva lasciata da sola per un solo secondo per andare a prenderle una coperta ed era accaduto l'impensabile.

Un fulmine aveva spezzato un albero che era crollato per metà sulla panetteria distruggendo la stanza in cui lei era rimasta da sola.

Era morta sul colpo. Almeno non aveva sofferto.

Piano piano la vita aveva ripreso il suo corso naturale.

Tutti gli abitanti si diedero da fare per riparare ai danni causati dalla tempesta e in ben che non si dica tutto tornò alla normalità.

Tutto tranne la vita di chi aveva subito delle perdite.

Crumb e suo padre si fecero forza l'un l'altro e divennero ancora più uniti.

Come si suol dire, non tutti i mali vengono per nuocere.

E nonostante il dolore per la perdita della madre e la panetteria mezza distrutta, si rimisero in carreggiata.

A scuola divenne amico di Deasy e col tempo se ne innamorò.

Non le confessò mai i suoi sentimenti. Era un essere irraggiungibile per lui.

Così fiera e determinata. Così bella.

Lei purtroppo lo vedeva soltanto come un amico prezioso e fu così che infatti, all'età di vent'anni andò in sposa ad un ragazzo del Giacimento contro il volere dei genitori.

Il destino volle che suo padre si ammalasse e che gli presentasse la figlia dei suoi migliori amici.

Jane.

Era carina. E prima che se ne rendesse conto divenne sua moglie.

Nacquero Brad e Knead che quantomeno portarono un po' di gioia in quella vita che ormai gli aveva preso tutto.

Il padre era morto qualche tempo dopo le nozze e la cara Jane aveva mostrato il suo vero carattere.

Era una vipera acida che non faceva altro che parlare male di tutti e guardare dall'alto in basso quelli che per lei erano di rango inferiore al suo. Sopratutto la gente del Giacimento.

Iniziò il suo declino.

Ne aveva commessi tanti errori nella sua vita, come il non confessare mai alla sua amica i propri sentimenti, magari sarebbero cambiate le cose se l'avesse fatto.

Sarebbe dovuto tornare a casa la sera che sua madre morì, e forse lei sarebbe stata ancora viva.

Ma l'errore peggiore lo commise un giorno di ritorno a casa dopo essere andato a fare rifornimento per la panetteria.

Brad camminava in giro per casa e Knead gattonava allegro in salone.

Come sempre Jane gli sbattè in faccia il suo essere un pezzente dicendogli che lei avrebbe potuto sposare il figlio del sindaco e che a quest'ora sarebbe coperta d'oro dalla testa ai piedi e non confinata in casa a prendersi cura di due marmocchi mentre lui se ne andava a zonzo per tutto il distretto a farsi tutte le donne nubili.

Non aveva retto più alle accuse ingiuste.

Da quando era nato Knead lei non gli aveva più concesso il suo corpo, ma non l'aveva mai tradita e per questo aveva cominciato a bere.

Le disse la verità.

Che lui avrebbe voluto sposare Daisy, che lei era stata una seconda scelta. Che non l'avrebbe mai nemmeno guardata se suo padre non avesse fatto in modo che si conoscessero e che l'aveva sposata soltanto perché il suo vero amore aveva sposato un altro. Che era una strega.

Lo schiaffo che gli diede risuona ancora oggi nelle orecchie del vecchio Crumb che non può fare a meno di portarsi la mano alla guancia che Jane colpì con quanta forza aveva in corpo, mentre i ricordi sfrecciano davanti ai suoi occhi.

Fuggì da quella casa. Vagò per il distretto senza sapere bene dove andare.

Si sedette in piazza e poco dopo vide Daisy passeggiare mano nella mano con il marito. Era domenica. Oggi non lavorava in miniera.

Era l'unico giorno in cui potevano stare insieme.

Lei non lo vide. Ma lui vide tutta la scena.

I loro baci, le loro carezze.

Era troppo.

Fuggì anche dalla piazza e andò nell'unico luogo in cui si sentiva bene.

Il Forno. Sae la Zozza gli passava sempre i pezzi migliori.

Si diede così all'alcol.

Solo così i fantasmi del suo passato venivano esorcizzati.

Sua madre, suo padre, Daisy e il suo bel marito dalla voce tenorile. Sua moglie Jane.

Tutto spariva e lui era solo Crumb.

Non era un alcolizzato. No. Ma l'alcol gli ottenebrava il cervello quando i pensieri non lo lasciavano in pace. E adesso ne aveva bisogno.

Era cominciato tutto così.

La mattina si alzava e lavorava in panetteria. E la sera andava a bere dietro il Palazzo di Giustizia. Tutti i giorni.

Per un anno la sua routine quotidiana fu questa.

L'unica cosa buona di tutto quello che successe fu che Jane aveva iniziato a prendersi cura dei suoi figli.

Una sera però tornò a casa a notte inoltrata.

Aveva esagerato. La testa gli girava e faceva fatica a mettere un piede dietro l'altro.

Jane lo aspettava pronta a fargli una ramanzina.

Effettivamente quando aprì la porta la vide in salotto seduta sul divano, si alzò e gli si parò davanti con le mani sui fianchi, ma di quello che disse sentì soltanto che i bambini erano di sopra a dormire dopo una giornata in cui erano stati male.

E mentre lei continuava a dire parole che lui non riusciva a recepire, commise l'ultimo dei suoi grandi errori.

Le tappò la bocca con la propria e la spinse con forza sul divano.

Era troppo tempo che non stava con una donna, e quella era sua moglie. Quel corpo era suo.

Da troppo tempo teneva i suoi istinti sotto controllo e quella sera, sotto l'influsso dei fumi dell'alcol la prese con forza su quel divano malandato.

Dopo alcuni minuti di resistenza alla fine Jane smise di opporsi ma subì passivamente quella violenza.

Alla fine si sentì un mostro vedendo il sangue che macchiava il divano. Le chiese persino scusa.

Ma quando pochi mesi dopo lei scoprì di essere incinta si maledì per quello che le aveva fatto.

Jane non provò a sbarazzarsi del piccolo semplicemente perché farlo avrebbe voluto dire rivolgersi alla famiglia della donna che le avevo confessato di amare ancora.

Così nacque il piccolo Peeta. Il suo piccolo Peeta.

Quell'esserino che aveva preso tutto da lui.

L'unico.

Gli occhi, i capelli e col tempo anche la corporatura e il carattere divennero come quelli del padre, cambiandone la vita.

La madre non voleva neanche vedere in giro per casa il frutto della violenza che aveva subito.

Non voleva vedere quel bambino così simile all'uomo che le aveva fatto tutto quel male.

Il piccolo ovviamente ricercava il suo amore ma lei lo allontanava con modi e parole brusche.

Mai una carezza fece sul viso di quel dolce bambino paffutello.

Mai un sorriso gli rivolse.

La goccia che fece traboccare il vaso cadde il giorno in cui scoprirono che si era preso una cotta per la figlia di Daisy.

Forse la colpa fu di Crumb perché il primo giorno di scuola del piccolo, indicandogliela, gli disse che avrebbe voluto sposarne la madre. Forse questo lo indusse ad innamorarsi della piccola Katniss e a fare quel disegno che aveva segnato per sempre il suo rapporto con la madre.

Peeta era appena scappato di casa dopo che lei lo aveva schiaffeggiato per avere disegnato se stesso e Katniss mano nella mano e aver asserito che un giorno l'avrebbe sposata, e Crumb era rimasto a fronteggiare la moglie che continuava a sbraitare.

Non aveva potuto far altro che stare in silenzio a subire.

I sensi di colpa per quello che le aveva fatto lo perseguitavano ogni notte e anche se avesse voluto dimenticare, il piccolo Peeta gli avrebbe sempre ricordato quel giorno.

Ma il dolore che provava dalla sua nascita, il vederlo soffrire a causa del comportamento della madre, lui che non aveva colpa, lo fece scattare.

Le diede uno schiaffo.

Non l'aveva più toccata da quella sera ma la rivalsa per il suo comportamento odioso ebbe la meglio.

Vide le lacrime nascere negli occhi marroni di lei ma non gli importò. L'unica cosa che disse, prima di uscire sotto la pioggia per andare in cerca del figlio fu: - Non far pagare a lui le mie colpe.-

Si era chiuso la porta alle spalle e da quel giorno le cose erano cambiate.

Non in meglio. Jane comunque non degnava di molte attenzioni Peeta, ma perlomeno non lo seviziava più come prima.

Crumb si era chiuso in se stesso e aveva iniziato a prendersi cura di quel bambino poco amato.

Quel bambino che divenne un piccolo uomo innamorato come lo era stato lui un tempo.

Quell'uomo che adesso si trovava a Capitol City con il suo grande amore.

Quell'amore per cui si farebbe di tutto.

Quell'amore che lui ancora oggi prova per Daisy,  e che lo fa sentire in ansia per la salute e per il futuro suo e della figlia minore, qualora Katniss dovesse morire nell'arena.

Quell'amore, che pur essendo nato da un sorriso in un giorno di pioggia, aveva messo radici così profonde da non abbandonarlo mai. Ogni giorno della sua vita.

Sa che il suo ragazzo farà qualsiasi cosa sia in suo potere per salvare l'amore della sua vita.

Se fosse stato la metà dell'uomo che è il suo piccolo Peeta, non avrebbe commesso tutti gli errori che lo avevano portato a stare seduto su quella sedia.

Sa che non lo rivedrà più. E sa anche che la risposta che cerca da tutta la vita è “sì”.

Esiste qualunque cose per due sognatori come lui e Peeta.

Esiste l'amore a prima vista.

 

 

 

 

 

Nota dell'autrice.

Che dire, non è che mi soddisfi molto come primo capitolo extra.

Spero però di avervi fatto capire il perché, secondo me, la strega ha sempre odiato il mio ragazzo del pane.

Spero inoltre di non aver fatto soffrire molto i vostri occhi  e la vostra testa a causa dei vari errori di grammatica che sicuramente sono sparsi per tutto il capitolo, ma come sempre, non ho il tempo per correggere tutto adeguatamente.

Fatemi sapere cosa ne pensate. Ho messo buona parte della mia inventiva per scriverlo e mi farebbe davvero piacere saperlo.

Buona giornata. E come sempre, grazie dei cinque minuti che dedicate alla lettura di ciò che scrivo.

Baci.

 

 

 

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Capitolo 10
*** capitolo 9 ***


CAPITOLO 9

 

 

 

Tradimento. È la prima cosa che leggo scritta negli occhi di Katniss quando Haymitch le comunica le mie intenzioni di essere preparato separatamente da questo punto in poi.

Ci ho rimuginato sopra tutta la notte e sono arrivato alla conclusione che questa sia la decisione migliore, non solo perchè il contenuto dell'intervista che ci faranno vorrei le rimanesse segreto fino al momento in cui la vedrà in diretta ma anche perché non voglio mi veda mentre la tradisco davvero.

Il mio piano è nato alle prime ore dell'alba, dopo aver passato una notte insonne.

Quando l'ho comunicato ad Haymitch ha storto subito il naso e ha cominciato a dirmi che sto sbagliando tutto. Che il miglior modo per tenere in vita Katniss il più a lungo possibile è starle accanto ma io sono stato irremovibile.

Ho visto gli sguardi omicida che le rivolgono la maggior parte degli altri tributi e so anche di cosa sono capaci.

La soluzione è una sola.

Guardo Katniss. La vedo delusa, ferita. Arrabbiata, e non posso fare a meno di sentirmi uno straccio. Vorrei abbracciarla e farle sapere quali siano le mie reali intenzioni. Dirle che la amo e che non la farei mai soffrire e che se fosse per me scapperei con lei adesso. Anche con il rischio di essere riacciuffati. Perché sì. Stanotte ho pensato anche alla fuga. Nella disperazione più profonda ho valutato l'ipotesi più assurda. Ma non c'è modo di scappare adesso.

Da qui non se ne va nessuno. Ed io e lei non avremo mai un futuro insieme.

Mi giocherò il tutto per tutto però. Per lei.

- Ottimo – dice. - Allora qual è il programma?

- Farete quattro ore ciascuno con Effie per la presentazione e quattro con me per i contenuti – dice Haymitch. - Tu cominci con Effie, Katniss.

Poco dopo, quando la porta della mia stanza si richiude alle mie spalle, vengo subito attaccato da un Haymitch furioso.

- Non voglio sentirti parlare di niente che non sia l'intervista con Cesar, non voglio che parli di strane alleanze e accordi ambigui – sputa tutto d'un fiato premendosi le dita sulle tempie. - Non dire una sola parola.-

Girovaga in preda all'ira per la stanza e alla fine si siede sul mio letto.

- Haymitch, sent… - inizio a dire ma lui mi blocca con un'occhiataccia truce.

- Facciamo così, ragazzo. Facciamo prima a modo mio. E poi, se le cose dovessero andare male, faremo quello che vuoi tu – mi guarda attentamente sondando le mie reazioni alle sue parole. Io sono più che deciso a procedere con i miei piani, tuttavia acconsento.

- Cosa vorresti che facessi per la precisione? - gli chiedo.

- Ma niente, niente – mi dice seccato. - Vorrei solo che ti impegnassi per piacere alla gente durante l'intervista. -

- Haymitch, non voglio piacere io, voglio che piaccia lei. -

- Allora mostra il lato carino del nostro distretto. Dovrai essere allegro, solare e carismatico. Tutto quello che lei non sarà. Fagli acquisire la bellezza interiore di cui sembra priva – mi dice spazientito.

- Ti assicuro che non è come la descrivi, fa solo fatica a farsi guardare – rispondo sospirando.

- Le parole di un ragazzo innamorato non contano. Conta ciò che la gente vedrà – mi dice.

Sentirgli dire ad alta voce quali siano i miei sentimenti per Katniss mi fa sussultare.

Non ho mai detto chiaramente di esserne innamorato e so che il fatto che io abbia deciso di morire per lei l'ha reso evidente ma suona strano detto da un'altra persona.

- Ragazzo, anche la capitolina se n'è accorta, l'unica col salame sugli occhi è la diretta interessata. Portia e Cinna hanno quell'aria addolorata quando posano gli occhi su di voi che è impossibile non subire l'influsso di tutti questi buoni sentimenti – mi dice Haymitch quasi scocciato.

Se all'inizio queste parole mi disturbano un po' perché non mi va di essere fatto oggetto di pietà, dopo poco che mi risuonano in testa, un'idea si fa strada nella mia testa.

E se il mio amore facesse in modo di rendere Katniss amata? Se farla oggetto del desiderio altrui la aiutasse a piacere agli sponsor? Se la pietà che Portia e Cinna provano al solo guardarci, si estendesse anche alla popolazione di Panem?

- Haymitch – dico alzando lo sguardo per guardarlo negli occhi.

Vedo le mie stesse macchinazioni riflesse nei suoi occhi e so che farlo sarà semplicissimo.

- Allora. Stammi bene a sentire, Peeta – mi dice stavolta serio, alzandosi dal letto e mettendomi le mani sulle spalle. - Ti dicevo che dovrai essere simpatico e affascinante – mi dice sorridendo.

Per le tre ore successive mettiamo in scena l'intervista con tutte le possibili domande che potrebbero essermi rivolte.

Rispondo a tutto con fluidità e sarcasmo. Non mi nascondo neanche quando mi fa domande un po' più personali. Dice che più cose la gente saprà di me  e più si affezionerà.

Prima che me ne accorga mi ritrovo con Effie, che mi fa indossare una camicia e mi insegna i modi di camminare della gente bene, come la chiama lei.

Non sono quattro ore faticose e anzi mi diverto a vedere le facce buffe di Effie mentre mi racconta delle quattro ore passate con Katniss.

- Peccato – dice afflitta prima di lasciarmi. - Ho fatto del mio meglio con lei. Ma è così piena di rabbia, di risentimento. Non credo che sia l'atteggiamento adeguato per una ragazza così carina. Potrebbe fare grandi cose – sospira. - Va be', ci vediamo a cena, caro.

A cena però Katniss non ci raggiunge e non so se il motivo sia il fatto che ce l 'abbia ancora con me per avere preferito una preparazione separata o se perché gli allenamenti con Effie ed Haymitch non sono andati per il meglio.

Sono contento tuttavia che non sia con noi. Non sarei riuscito a sostenere i suoi sguardi indagatori.

Alla fine della cena esco in balcone a prendere un po' d'aria.

Il vento fresco mi rinfranca.

Due giorni. Due giorni mi separano dall'arena.

Due giorni che preferirei passare con la ragazza che ho sentito urlare di frustrazione dalla sala da pranzo poco prima che la cena venisse servita, la ragazza che ha fatto volare piatti e bicchieri per tutta la sua camera. Il rumore di stoviglie infrante era inconfondibile.

- Sarai pronto per domani? - la voce di Haymitch alle mie spalle mi fa sussultare, e non so che dire. Non so se sarò pronto.

- Non lo so – dico sinceramente. - Se non dovesse funzionare il nostro piano, se lei decidesse di non fidarsi di me, dovrai proseguire con il mio. L'unica soluzione è questa. -

- Dopo avere visto la sua incapacità, credo che tu abbia ragione – sospira. - Quindi sei deciso? - mi chiede.

- Non sono solo deciso, Haymitch. Forse far nascere pietà nella gente di Capitol indispettirà ancor di più gli altri tributi. Una soluzione non esclude l'altra, purtroppo. -

L'indomani vengo svegliato dallo staff dei miei preparatori che con entusiasmo mi volteggiano intorno e fanno di me meraviglie.

Mi lavano e mi lucidano da capo a piedi.

Mi mettono un gel nei capelli per tirarmeli indietro e mi fanno indossare uno smoking nero lucido con motivi di fiamme in contrasto. Quando mi guardo allo specchio non sembro neanche io.

Incontriamo gli altri in ascensore e la vista di Katniss mi fa mancare un battito.

E' sfolgorante.

La pelle le splende come il sole e gli occhi le brillano, illuminati da tutte le pietre preziose di cui si compone il suo abito. Rosse gialle e bianche con qualche tocco di azzurro che accentuano la punta delle fiamme, che è il motivo del suo abito. Il fuoco.

Rimango deluso nel notare che non siamo vestiti più uguali ma non posso fare a meno di ammirare il talento di Cinna.

Ogni movimento del corpo di Katniss dà l'impressione che sia avvolta da fiamme. La mia ragazza di fuoco.

La gola mi si secca e rimango interdetto per qualche secondo, perché è Haymitch a darmi una spinta per far muovere i miei piedi.

Quando le porte dell'ascensore si aprono troviamo gli altri tributi vestiti in modo tale da attirare l'attenzione.

Durante le varie interviste tutti e ventiquattro verremo disposti a sedere in un ampio semicerchio per tutta la durata dello show.

Io sarò l'ultimo ad essere intervistato e la cosa mi sta più che bene perché mi consentirà di avere più tempo per pensare a come approcciarmi al pubblico.

Cesar Flickerman balza sul palco identico alla prima volta che esordì in questo stesso show quarant'anni fa.

Viso cosparso da un trucco bianco purissimo, capelli che ogni anno tinge di un colore diverso, quest'anno azzurro polvere, ma che tiene legati sempre allo stesso modo. Lo stesso abito da cerimonia blu scuro, punteggiato di minuscole lucine elettriche che brillano come stelle.

Nel Dodici iniziare ad avere le rughe è già una conquista.

Ricorrere alla chirurgia estetica per eliminare le imperfezioni a Capitol va di moda invece perché i segni del tempo non sono ben visti.

Qui i difetti di espressione li coprono con strati di trucco come Cesar che in questo momento ha le palpebre e le labbra intonate ai capelli.

Lo storico conduttore racconta qualche barzelletta per scaldare il pubblico e poi comincia con le interviste.

Ogni tributo ha a disposizione tre minuti poi scatta un segnale acustico e tocca al tributo successivo.

Dopo la ragazza del Distretto Uno, tocca al ragazzo dello stesso distretto.

E' Cato, il ragazzo del Distretto Due a farmi venire la pelle d'oca. E' una macchina assetata di sangue e me lo conferma adesso descrivendo a Cesar i modi in cui si è immaginato di far fuori più tributi possibili.

I suoi occhi sono sadici e il mio sguardo va automaticamente ad Haymitch che ricambia la mia occhiata e annuisce.

Le interviste si susseguono e Cesar si rivela essere davvero bravo nel suo lavoro.

Mette a suo agio tutti mostrandosi amichevole anche con quelli più nervosi. Ride alle battute più incerte e riesce a rendere memorabile anche la risposta più banale.

Prima che me ne renda conto vedo Katniss avviarsi verso il palcoscenico e raggiungere Cesar.

- Allora, Katniss, Capitol City deve essere un bel cambiamento rispetto al Distretto Dodici. Cos'è che ti ha colpito di più da quando sei arrivata qui? -

Dopo un primo momento di smarrimento lei risponde: - Lo stufato di agnello. -

Tutti ridono del suo timore nel rispondere alla domanda e io sorrido perché ho notato come lo mangia tutte le volte che lo servono per cena e so per certo che non avrebbe potuto rispondere più sinceramente di così.

Non ha notato le luci sfolgoranti. I palazzi. Gli arazzi, gli arredamenti. No. Il cibo.

- Quello con le prugne secche? - le chiede Cesar per metterla a suo agio. Lei annuisce. - Oh. Io ne mangio a secchiate – afferma Cesar, poi si gira di profilo rispetto al pubblico e inorridito si mette una mano sulla pancia e chiede: - Non si nota, vero? -

La gente grida e applaude per la battuta di Cesar fatta esclusivamente per far tranquillizzare  Katniss.

- Ma passiamo ad altro, Katniss – continua facendosi serio. - Quando sei apparsa alla cerimonia di apertura, mi si è fermato il cuore. Cos'hai pensato di quel costume? -

- Vuoi dire dopo che mi è passata la paura di bruciare viva? - risponde lei prontamente. La gente ride e lei scruta la folla quasi incredula di essere riuscita a scatenare ilarità.

- Sì, dopo -

- Ho pensato che Cinna era fantastico e che quello fosse il vestito più spettacolare che avessi mai visto e che non potevo credere di essere io ad indossarlo. Non riesco nemmeno a credere di essere io ad indossare questo – solleva la gonna allargandola. - Insomma, guardatelo! - dice. Poi fa una piroetta e delle piccole fiamme prendono vita alla base della sua gonna.

- Oh, fallo ancora! - chiede Cesar con la sorpresa dipinta sul volto.

E lei gira. Gira tenendo la gonna con una mano e mille fiammelle prendono vita attorno a lei.

- Non fermarti! - le chiede Cesar.

- Devo fermarmi, mi gira la testa! – afferma lei ridacchiando.

Cesar le mette un braccio attorno al fianco per fermarla. -  Non preoccuparti. Ti tengo. Non posso permettere che tu segua le orme del tuo mentore. -

Guardo Haymitch e noto il suo sguardo perplesso che scaccia le telecamere che si sono puntate su di lui, gentilmente con la mano, facendo segno di tornare su di lei.

- Va tutto bene – assicura Cesar al pubblico. -

l'intervista va avanti parlando del punteggio dell'addestramento. E quando le risposte non arrivano il cambio di argomento è obbligatorio.

Le chiede di Prim e del suo essersi offerta volontaria.

- Puoi parlarci di lei? - le chiede Cesar.

Il pubblico smette di mormorare incuriosito dalla storia della sorellina.

Katniss è incerta, ma alla fine è a loro che si rivolge quando parla.

- Si chiama Prim. Ha dodici anni. E io le voglio bene più che a ogni altra cosa al mondo -  sussurra ritornando con lo sguardo su Cesar.

- Cosa ti ha detto? Dopo la mietitura, intendo – chiede ancora.

La vedo deglutire e so per certo che le costa una fatica immane esternare i suoi pensieri e i suoi sentimenti. Ma non se la sta cavando male. La gente pende dalle sue labbra. Qualcuno versa anche una lacrimuccia.

- Mi ha chiesto di fare di tutto per vincere – risponde con la voce incrinata.

- E tu cosa le hai risposto? - insiste il presentatore.

- Ho giurato che l'avrei fatto – dichiara in tono deciso stavolta e raddrizzando la schiena.

- Ci scommetto – dice Cesar stringendola a sé. Scatta il segnale acustico e tra gli applausi di commiato per Katniss, mi alzo e mi dirigo tranquillamente accanto a Cesar.

- Allora. Tu sei Peeta, non è vero? - chiede Cesar sorridendo.

- Credo proprio di sì – rispondo sorridendo.

Cesar accompagna il mio sorriso con una risata sguaiata.

- Mi piace. E' arguto – dichiara rivolgendosi al pubblico che ride con noi.

- Grazie, Cesar. Anche tu – dico suscitando un'altra sua risata.

- Parlaci di te. Di cosa ti occupi nel tuo Distretto? - mi chiede.

- Sono il figlio del fornaio – rispondo senza neanche pensarci.

- E tu, quindi sai fare il pane, deduco. -

- Si. Ho imparato sin da bambino come utilizzare e impastare ogni tipo di farina per rendere il pane più dolce o salato, morbido o croccante. -

- Interessante – mi dice Cesar. - Sapresti descriverne i procedimenti? -

- Certamente, Cesar. Vedi. Il pane del nostro Distretto, è molto semplice da preparare. Potrebbe farlo chiunque. Anche tu. -

- Dici? - mi chiede.

- Si. Bastano acqua e farina e un po' di lievito. Però dovrai rimboccarti le maniche di questo bell'abito se vorrai impastare come si deve – dico sarcasticamente facendo ridere tutti. - Però sai, ho notato, venendo qui, che il pane degli altri distretti e molto diverso dal nostro. Voglio dire. Il pane del Distretto Quattro, ha un colore strano. Richiama il verde del mare. È fatto con le alghe, e ne rispecchia perfettamente il carattere. Quello del Distretto Otto invece è scuro, tipica caratteristica della pelle dei suoi abitanti e ha un retrogusto fruttato. E così via. Ad ogni Distretto il suo pane, quindi. -

- E che cos'è che ti ha colpito di più, di Capitol City? -

Senza pensarci un attimo rispondo: - Le docce. -

- Perchè che cos'hanno le nostre docce di particolare?-

- Vieni qui, Cesar – gli dico indicandogli con la mano il mio collo. - Dimmi, profumo ancora di rosa? - gli chiedo.

Il pubblico comincia a sghignazzare per questa gag di annusamenti.

- Sì – mi risponde Cesar dopo una bella annusatina.

- E adesso tocca a me – dico, e mi avvicino per annusarlo.

- Mmmh. Tu sei più profumato di me. Capisci? - gli dico.

Lui ride come un matto. - Abito qui da più tempo di te. Immagino sia per questo – ribatte ridendo ancora.

- Ma dimmi, caro Peeta. A casa non c'è una bella ragazza che ti aspetta? -.

Ed eccola qui. La domanda che aspettavo. Che speravo di ricevere. La mia occasione.

- No – rispondo poco convinto e abbassando lo sguardo per fare intendere che non mi va di parlarne.

- Un ragazzo bello come te! Ci deve essere una ragazza speciale. Coraggio, su, come si chiama? - mi chiede ancora come speravo.

- Be', una ragazza c'è – dico sospirando. - Ho una cotta per lei da che mi ricordo – dico, e pur essendo convinto e sicuro di quello che sto facendo, vorrei che le parole mi si fermassero in gola. Non voglio che la gente sappia di me. Che mi veda. E per la prima volta capisco il desiderio di Katniss di nascondersi. Ma devo andare avanti. Devo farlo. - Ma sono praticamente certo che lei non sapeva nemmeno che io esistessi, prima della mietitura. -

Un brusio di solidarietà si leva dal pubblico e so che ce li ho in pugno.

- Ha un altro compagno? - mi chiede Cesar compassionevole.

- Non lo so, ma piace a molti ragazzi – rispondo. Guardo casualmente in direzione di Haymitch e lo vedo annuire.

- Non c'è problema, ti suggerisco io cosa puoi fare. Vincere e tornare a casa. A quel punto non potrà respingerti, ti pare? - mi dice ridendo alla fine. Il pubblico applaude per questo suo consiglio e fischia in approvazione.

Io continuo con la mia parte.

- Non credo che funzionerà. Vincere… non servirebbe nel mio caso – dico afflitto. E non devo fingere per mostrarmi giù. Perché se fossi stato estratto soltanto io alla mietitura, forse avrei fatto di tutto per tornare da lei e per conquistarla. Forse avrei trovato il coraggio per dichiararle il mio amore.

Adesso non serve.

- E perché mai? - mi chiede Cesar perplesso.

E la sgancio. La bomba. Senza pensarci.

- Perchè… perché…. lei è venuta qui insieme me -.

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


CAPITOLO 10


Per un attimo, provo l'irrefrenabile desiderio di fuggire.
Tenermi dentro per tutti questi anni i sentimenti per Katniss e sbandierarli a tutta Panem in diretta nazionale non era nei miei piani quando, salendo sul palco allestito per la mietitura nel Distretto Dodici, ho deciso che avrei sacrificato me stesso pur di salvarla.
Ma l'abbiamo pianificato. Io ed Haymitch abbiamo capito che l'unico modo per aiutarla nell'arena era renderla desiderabile agli occhi dei possibili sponsor.
Perciò rialzo gli occhi riprendendomi dalla mia momentanea timidezza e rivolgo un mezzo sorriso ad un Cesar che mi guarda con lo sguardo più triste che gli abbia mai visto.
I mormorii e le urla strozzate del pubblico mi raggiungono solo adesso e so per certo di aver centrato il bersaglio. Adesso tocca al nostro mentore  completare l'opera.
- Oh, questa sì che è sfortuna – commenta Cesar addolorato.
- Non è bello – concordo io. Vorrei vederla. Vorrei vedere nei suoi occhi un segno che mi faccia capire che provi lo stesso anche lei per me. Vedere la sua reazione a questa specie di dichiarazione.
- Be', non credo che nessuno di noi te ne farà una colpa. È difficile non innamorarsi di quella giovane signora – dice Cesar. - Lei non ne sapeva nulla? -
- Non fino a questo momento – rispondo scuotendo la testa.
Un'immagine di Katniss sullo schermo dietro le spalle di Cesar attira subito la mia attenzione.
Ha le labbra leggermente dischiuse e un leggero rossore le imporpora le guance. Nei suoi occhi grigi infuria la tempesta.
- non vi piacerebbe farla tornare qui e avere una risposta? - chiede Cesar agli spettatori che gridano il loro assenso. - Eh, sì, ma purtroppo le regole sono le regole, e il tempo di Katniss Everdeen è scaduto. Be', in bocca al lupo, Peeta Mellark, e credo di parlare a nome di tutto Panem quando dico che i nostri cuori sono con voi. -
Il clamore del pubblico mi rende sordo per un minuto. Quando tutto si placa mormoro un “Grazie” appena udibile e riprendo posto esibendo lo sguardo più mesto di cui sono capace.
Nel giro di poco ci alziamo in piedi per l'inno e sono felice di vedere che tutti gli schermi rimando un'immagine di me e Katniss a pochi centimetri l'uno dall'altra. Io, sguardo bastonato, lei, spaventato.
Terminato l'inno stilisti e tributi ci avviamo verso gli ascensori. Ne prendo uno a caso sperando che nessuno mi rivolga domande.
Sembra interminabile l'ascesa fino al dodicesimo piano, tutti mi guardano con disgusto. Quasi tutti.
La piccola Rue, mi rivolge un mezzo sorriso triste. Per quel che posso ricambio mentre alla fine mi lascia solo.
Le porte si aprono e finalmente posso andare a chiudermi in camera.
Sbam!!!
Non faccio in tempo a mettere un piede fuori dall'ascensore che una furia di fuoco e capelli neri mi sbatte i palmi delle mani con forza sul petto.
Io mi sbilancio e vado a finire su un'urna piena di fiori finti rompendola in mille pezzi. Un bruciore alle mani mi invade subito. Devo essermi tagliato ma non abbasso lo sguardo. Fronteggio la tempesta negli occhi grigi di Katniss.
- E questo per cos'era? - chiedo, atterrito.
- Non avevi nessun diritto! Nessun diritto di andare a dire quelle cose su di me! - mi urla contro.
Prima che abbia il tempo di dire alcunché gli altri arrivano scendendo  dall'ascensore e restano basiti di fronte allo spettacolo che gli si para davanti.
- Che succede? - chiede Effie con voce stridula. - Sei caduto? -
- No, è lei che mi ha buttato per terra – rispondo mentre lei e Cinna mi aiutano ad alzarmi. La frustrazione che provo in questo momento è l'unica cosa della quale m'importi davvero.
- Gli hai dato uno spintone? - le chiede Haymitch rabbioso.
- È stata una tua idea, vero? Farmi passare per una specie di stupida davanti a tutto il paese? - urla Katniss.
- È stata un'idea mia – dico togliendomi le schegge di ceramica dalle mani. - Haymitch mi ha solo aiutato -
- Già, Haymitch è di grande aiuto. A te! - dice sempre più infuriata.
- Tu sei una stupida – dice Haymitch disgustato. - Pensi che ti abbia danneggiato? Quel ragazzo ti ha dato qualcosa che non saresti mai riuscita a realizzare da sola. -
- Mi ha fatto apparire insicura! - è la replica di Katniss.
Io rimango fermo in silenzio ad ascoltare questo scambio di battute. Il pensiero di avere sbagliato tutto mi sfiora per un attimo ma lo scaccio subito.
Tutto sta andando per il verso giusto. Tutto secondo il piano. Lei è la priorità. Anche se mi odia, non fa niente. Tutto per lei.
- Ti ha fatto apparire desiderabile! E guardiamo in faccia  la realtà: ti serve tutto l'aiuto che puoi ottenere, in quel campo. Eri romantica come una cacca finché lui non ha detto che ti voleva. Adesso ti vogliono tutti. Parlano solo di voi. Gli innamorati sventurati del Distretto Dodici! - esclama Haymitch.
- Ma noi non siamo innamorati sventurati! - ribatte lei.
Haymitch la afferra per le spalle e la inchioda al muro. Faccio un passo per andare a difenderla ma Cinna mi trattiene per una spalla. Lo guardo e lui annuisce in direzione di Katniss ed Haymitch.
- E chi se ne frega! Sta tutto nello spettacolo. Sta tutto nel modo in cui ti percepiscono. Dopo la tua intervista tutt'al più avrei potuto dire che eri carina, e già questo era un piccolo miracolo. Ora posso dire che sei una seduttrice - dice con affanno Haymitch. - Oh, oh, con che ardore i ragazzi a casa stanno cadendo ai tuoi piedi -  continua in falsetto. - Quale di queste cose ti farà ottenere più sponsor, secondo te?-
Stanca della conversazione, e forse in preda all'assennatezza, finalmente Katniss spinge via le mani di Haymitch dalle sue spalle e si allontana con sguardo pensieroso.
Cinna la raggiunge e le dice che Haymitch ha ragione.
- Dovevano dirmelo, così non sarei sembrata tanto stupida. -
- No, la tua reazione è stata perfetta. Se tu l'avessi saputo, la cosa non sarebbe stata credibile – dice Portia.
- È solo preoccupata per il suo ragazzo – dico io senza riuscire a frenare le parole aspre. Questa sua reazione esagerata mi ha fatto pensare.
Sono solo amici. L 'ha detto lei. Ma se volesse qualcosa di più e non riuscisse ad esprimere i suoi sentimenti a Gale proprio come io non sono riuscito mai ad esternare i miei fino ad oggi?
Se non riuscisse a capire che tutto questo può solo aiutarla più che danneggiarla, soltanto perché il suo pensiero va a lui?
- Io non ho un ragazzo – ribatte lei. Ma le sue guance imporporate mi fanno capire che ho colto nel segno.
- Come vuoi – replico. - In ogni caso, immagino sia abbastanza sveglio da riconoscere un bluff quando lo vede - la frustrazione fa di nuovo capolino in me. - E poi tu non hai detto di amare me.  Perciò che importanza ha? -
La consapevolezza si fa strada in lei. Per un attimo vedo le rotelle del suo cervello roteare nei suoi occhi. La rabbia sta scemando.
Come fa a non capire che a Capitol vivono di queste cose?
- Dopo che ha detto di amarmi, avete pensato che lo amassi anch'io? - chiede.
- Io sì - dice Portia. - Dal modo in cui evitavi di guardare le telecamere, dal rossore. -
Gli altri intervengono dichiarandosi d'accordo. Persino Cinna.
- Vali tanto oro quanto pesi, dolcezza. Gli sponsor faranno la fila per te intorno all'isolato – dice Haymitch.
Il rossore imporpora di nuovo il viso di Katniss. - Mi dispiace di averti spinto – mi dice.
- Non importa – dico io scrollando le spalle. E non importa davvero. - Anche se è illegale, tecnicamente. -
- Stanno bene le tue mani? - mi chiede sollecita.
- Stanno benissimo – rispondo per tranquillizzarla anche se non è vero.
- Be', andiamo a mangiare – dice Haymitch.
Tutti lo seguiamo ma sanguino troppo e Portia è costretta a portarmi in camera per medicarmi.
- Mi dispiace – mi dice quando siamo da soli iniziando a disinfettarmi.
- Non ti preoccupare. Non brucia per niente – le dico per rassicurarla. Sento davvero solo un pizzicore.
- Non per le tue mani. Per tutto il resto. Per Katniss. Ho davvero sperato che potesse amarti anche lei. L'ho creduto possibile – mi dice triste e dispiaciuta perché il mio sogno d'amore non si è realizzato.
- Non fa niente – le dico – preferisco sia così. Se mi avesse amato anche lei, non so come avrei fatto a lasciarla andare. Così invece… - non concludo la frase perché vedo la mia stilista in procinto di piangere mentre mi benda le mani maldestramente.
- Davvero, Portia. Sono sereno. Lei ha scelto di sacrificare sé stessa per la sua sorellina, io scelgo di sacrificare me per lei. -
- Si – mormora. - Lo posso capire, ma avrei voluto che fossi felice almeno per un po' -.
- Lo sarò se riusciremo a farla tornare a casa. Io e Haymitch abbiamo un piano. -
Mi guarda curiosa ma non posso svelarle nulla. Non qui. Lo capirà da sola quando sarà il momento.
Ci alziamo entrambi e raggiungiamo gli altri.
Finita la cena vediamo la replica delle interviste in salotto.
Katniss è davvero splendida. Ma guardando la sua intervista sono sempre più felice della scelta che ho fatto.
Appare vacua e frivola. Passabile ad un occhio non attento.
Grazie alla mia dichiarazione, durante la quale non riesco a non arrossire, il suo rossore fa davvero credere che anche per lei sia amore.
Quando l'inno si conclude e lo schermo diventa nero, nella stanza cade il silenzio.
Io mi sento nudo. Per tanti anni mi sono coperto dietro ad una maschera. Confessando i miei sentimenti soltanto alla mia amica Delly, e adesso tutta Panem sa cosa nascondo nel cuore.
Domani mattina partiremo presto per l'arena.
Cinna e Portia ci accompagneranno a destinazione mentre Effie ed Haymitch resteranno al Quartier Generale con la speranza di riuscire a procurarci più sponsor possibili, perciò li salutiamo qui.
- Vi ringrazio – ci dice Effie. - Siete i migliori tributi che abbia mai avuto il privilegio di presentare – dice prendendoci le mani e con le lacrime agli occhi. Fa un bel respiro e aggiunge: - Non sarei per niente sorpresa se alla fine mi promuovessero a un distretto decente, l'anno prossimo -.
Poi bacia entrambi e scappa dalla stanza in preda alle lacrime. Se per la separazione o per il possibile miglioramento delle sue condizioni lavorative, non lo so dire.
Haymitch incrocia le braccia e ci osserva attentamente.
- Ultimi consigli? – chiedo.
- Quando suona il gong, toglietevi da lì alla svelta. Non siete in grado di affrontare il bagno di sangue alla Cornucopia. Limitatevi a filarvela, mettete tutta la distanza che potete tra voi e gli altri, e trovate una fonte d'acqua – dice. - Capito? -
- E dopo – chiede Katiniss.
- Restate vivi – risponde Haymitch.
Facciamo cenno di sì con la testa e vedo Katniss allontanarsi per andare in camera sua, io mi attardo con Portia.
- Grazie davvero per tutto quello che hai fatto per me – le dico.
Mi abbraccia forte e mi sussurra all'orecchio: - Qualunque cosa sia che hai progettato con Haymitch, spero che funzioni.-
- Lo spero anche io. Ma tu promettimi che crederai sempre in me qualunque cosa mi vedrai fare in quell'arena -.
Si stacca da me e guardandomi negli occhi annuisce.
Per ultimo stringo la mano a Cinna. - E' stato un piacere – mormora.
Annuisco e vado in camera mia.
Faccio  subito una doccia e mi metto un pigiama comodo infilandomi nel letto con la speranza di riuscire a dormire almeno un po'.
Ho bisogno di riposo per avere tutta la lucidità mentale che serve a fare ciò che devo fare.
Non ci metto molto a capire però che non riuscirò mai nel mio intento, perciò decido di andare in salotto e uscire in balcone a prendere un po' d'aria per schiarirmi le idee. E magari la brezza riuscirà anche a calmarmi.
A piedi scalzi apro la finestra e subito la bellezza di Capitol mi affascina.
Un tripudio di luci e colori che nel buio della notte si confondono. Uno dei quadri più belli che abbia mai visto si estende ai miei piedi.
Le urla e le canzoni di festa per l'inizio degli Hunger Games mi arrivano nitide anche a questa distanza.
Il disgusto per questa gente si fa vivo in me. Come possono gioire della morte di ragazzi innocenti?
Come potrò gioire anche io se uccidendo qualcuno nell'arena sarò vicino al mio obiettivo di proteggere Katniss? Potrò mai farlo sapendo quello che perderò? Con la consapevolezza di avere perso una parte di me?
- Dovresti dormire un po' – sobbalzo nel sentire la voce di Katniss alle mie spalle. Non l'ho sentita avvicinarsi e mi ha colto di sorpresa.
- Non volevo perdermi la festa – dico scuotendo la testa senza voltarmi a guardarla. - È in nostro onore, dopotutto. -
Il sarcasmo mi aiuta a trattenere ciò che vorrei dire in realtà. Riuscirebbe a capire?
Si avvicina sporgendosi dal bordo del parapetto. - Sono in costume? - mi chiede.
- Chi può dirlo? - rispondo. - Con tutti i vestiti stravaganti che portano qui. Nemmeno tu riesci a dormire? - le chiedo cambiando discorso.
- Non riesco a spegnere il cervello – mi dice.
- Pensavi alla tua famiglia? -
- No – ammette con aria colpevole. - Riesco solo a pensare a domani. Il ché è inutile, ovviamente. - Mi guarda le mani che non ricordavo di avere ancora fasciate e mi dice: - Mi dispiace davvero tanto per le tue mani -.
- Non importa, Katniss. E comunque non sono mai stato in gara per la vittoria -.
- Non è così che bisogna pensare – mi dice in tono di ammonimento.
- Perchè no? Spero solo di non comportarmi in modo vergognoso e… - non riesco a finire la frase. Ripenso a tutti i tributi scesi nelle arene prima di me. Ci sono stati quelli spaventati. Quelli che hanno provato a difendersi. Ma quelli brutali sono quelli che ho odiato di più. Non concepisco l'idea di divertirsi uccidendo una persona. Come si può godere delle urla di dolore di un altro essere vivente?
Ne ho visti di tributi sadici e letali. Non voglio trasformarmi in uno di loro.
- E cosa? - mi chiede.
Faccio fatica a riprendere il filo del discorso. Ma continuo comunque a parlare. Non so se potrà mai capire ciò che intendo ma ormai non ha importanza. - Non so bene come dirlo. Solo non voglio… perdere me stesso – dico in un sussurro. - Ha un senso? - le chiede guardandola negli occhi. Lei scuote la testa, ma adesso che ho cominciato a parlare non riesco più a fermarmi. - Non voglio che mi cambino, là dentro. Che mi trasformino in una specie di mostro che non sono. - Che la paura di morire abbia il sopravvento. Ma questo non lo dico.
- Vuoi dire che non ucciderai nessuno? - mi chiede.
- No. Quando arriverà il momento sono sicuro che ucciderò come chiunque altro. Non posso darmi per vinto senza combattere. Solo continuo ad augurarmi di trovare un modo per… per dimostrare a quelli di Capitol City che non sono una loro proprietà. Che sono più di una semplice pedina. -
- Ma non lo sei – obietta Katniss. - Nessuno di noi lo è. È così che funziona il programma.-
- Bene, ma all'interno di quella struttura, tu sei ancora tu, io sono ancora io? - insisto per farle capire cosa intendo dire.
- Più o meno. Solo che… senza offesa, ma chi se ne frega, Peeta? - mi chiede.
- Frega a me. Voglio dire, di cos'altro mi è permesso di preoccuparmi, a questo punto? - le dico con rabbia. Come fa a non capire? Il suo unico pensiero è di tornare dalla sua famiglia e lo farà a qualsiasi costo. Possibile che non si renda conto a cosa sta andando incontro?
La guardo esigente negli occhi. Voglio che mi risponda. Voglio che mi faccia capire di avere compreso la portata dei gesti che andrà a compiere nell'arena.
Fa un passo indietro spaventata. - Preoccupati di quello che ha detto Haymitch. Di rimanere vivo – mi dice.
- Bene. Grazie per la dritta, dolcezza – le dico in tono beffardo riprendendo a guardare l'orizzonte.
- Guarda, se vuoi passare le ultime ore della tua vita a progettare qualche genere di nobile morte nell'arena, accomodati. Io, la mia vita, la voglio passare nel Distretto Dodici. -
La veemenza con la quale mi risponde, mi fa capire che sono stato ingiusto con lei. Non può permettersi di pensarla come me. Ha una famiglia a cui badare. Senza di lei sarebbero persi.
- Non sarei sorpreso se ci riuscissi – le dico. - Porta i miei migliori saluti a mia madre, quando tornerai.-
- Contaci – ribatte girandosi e lasciandomi solo.
Crollo seduto su una sedia non appena sento la porta della sua stanza chiudersi.
Tornerà davvero a casa?
Tornerà come la ragazza che conosco? La ragazza cupa ma mai cattiva né piena di sé?
A cosa ci porterà tutto questo?


 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Salve, ragazzi. Non vedevo l'ora di pubblicare.
La mia vena creativa si era assopita e ancora oggi non credo sia tornata del tutto. Un po' di problemi mi hanno destabilizzata per un bel periodo di tempo.
Spero mi facciate sapere cosa ne pensate, critiche comprese. Vi prego.
Ho assoluto bisogno di riprendermi del tutto e credo che le vostre opinioni potrebbero aiutarmi moltissimo.
Ho già delle idee carine per il prossimo capitolo che spero di pubblicare il più presto possibile.
Grazie a tutti.





CAPITOLO 11




Sessanta secondi. E' il tempo che siamo obbligati a trascorrere sui nostri cerchi metallici prima che il suono di un gong ci dia il via.
- Se esci dal cerchio prima che sia passato il minuto, le mine terrestri ti faranno saltare le gambe. Hai capito, Peeta? - mi dice Portia.
È venuta a svegliarmi all'alba. Siamo saliti sul tetto dove un hovercraft era in attesa, e adesso siamo qui. Nelle catacombe sotto l'arena o meglio, nella Camera di Lancio o Recinto del Bestiame, come lo definiamo noi nel distretto.
Noto che il braccio mi fa ancora male, mentre Portia mi aiuta ad indossare la casacca verde chiaro in dotazione di tutti i tributi, a causa del localizzatore che mi è stato impiantato sul nostro mezzo di trasporto poco fa.
Completano il vestiario un paio di pantaloni fulvi, una cintura marrone, una giacca nera e un paio di scarponi da indossare sopra a delle calze aderenti.
- Farà freddo nell'arena. La casacca che indossi è progettata per trattenere il calore. – mi dice Portia. - Gli scarponi ti aiuteranno a correre in fretta. Osservare. È questo il trucco. – sospira. - Mi raccomando. Segui il consiglio del tuo mentore. Togliti alla svelta da lì. Non cercare di raggiungere Katniss. Lei penserà che vuoi ucciderla e potrebbe colpirti per prima. -
Le sorrido e le stringo le mani. Sono pronto.
La nottata passata in balcone mi ha schiarito davvero le idee. Mi sono fissato un obiettivo proprio come Katniss ha il suo. E farò di tutto per arrivare al risultato sperato. Tutto senza perdere me stesso.
- Grazie di tutto, Portia. -
Mi avvicino alla piastra metallica circolare e subito un cilindro di vetro cala su di me e inizia a salire verso l'arena.
Sta per cominciare.
Il sole accecante per un po' mi abbaglia e non riesco subito ad individuarla ma quando la trovo nei suoi occhi leggo paura.
È a circa cinque cerchi di distanza da me e ha lo sguardo spaventato. Si guarda intorno frenetica studiando il paesaggio.
Siamo su una pianura di terra battuta. Proprio davanti a me e alla mia sinistra, alle spalle dei tributi, vi è un bosco di pini e so che è lì che dovrò rifugiarmi. Alla mia destra non vedo nulla e quindi suppongo vi sia un dirupo, dietro di me un lago che sono certo sarà la prima cosa di cui prenderanno possesso i Favoriti una volta che avranno finito di assaltare la Cornucopia, un gigantesco corno dorato dalla cui bocca, alta almeno sei metri, fuoriesce tutto ciò di cui un individuo che si appresta a lottare per la propria sopravvivenza ha bisogno.
Cibo, contenitori d'acqua, armi, indumenti, farmaci. A poca distanza da essa tuttavia sono posizionati strategicamente anche degli zaini la cui utilità diminuisce con l'aumentare della distanza dalla Cornucopia.
Volto lo sguardo ancora verso Katniss. Si mette i capelli dietro le orecchie e guarda determinata davanti a sé.
Vedo un arco sul fianco destro e non posso credere che stia pensando davvero di buttarsi nel bagno di sangue iniziale.
La guardo con insistenza sperando che si volti verso di me e quando lo fa, faccio appena in tempo a farle un cenno di diniego con la testa per convincerla a desistere dalla sua decisione, che suona il gong.
Corro più veloce che posso verso il bosco afferrando a caso lo zaino che trovo sulla mia strada e sperando che Katniss si tolga di mezzo al più presto.
Appena raggiungo il limitare del bosco mi volto a guardare.
Una decina di tributi si stanno facendo a pezzi davanti al corno.  Molti altri sono già a terra, morti.
Lei non so dove sia, ma mi basta vedere che non è né tra gli uni né tra gli altri per decidere di infiltrarmi nella boscaglia definitivamente.
Haymitch mi ha confermato di avere seguito il mio piano e per ora non mi resta che attendere e restare vivo fino a che non potrò uscire allo scoperto.
Mi addentro tra i pini cercando un riparo. Non devo allontanarmi troppo altrimenti corro il rischio di non riuscire a trovare più la strada per il centro dell'arena e non posso permettermi di ritardare oltre le mie azioni. Rischio di perdere delle occasioni preziose.
Il rombo dei cannoni ha smesso di farsi sentire e so per certo che il bagno di sangue deve essere terminato.
Venti minuti nei quali ogni tributo ha lottato con le unghie e con i denti per la propria vita.
Venti minuti in cui ragazzi innocenti hanno ucciso o sono stati uccisi per il divertimento di tutti i capitolini.
Un senso di nausea mi destabilizza un attimo e la vista mi si offusca per qualche secondo.
Non riesco a trattenermi e vomito appoggiato ad un albero.
Cerco una nicchia nella quale ripararmi mentre gli spasmi mi squassano da capo a piedi.
Apro il mio zaino e sono sorpreso di trovare al suo interno una borraccia piena d'acqua. Ne bevo un lungo sorso e finalmente riesco a calmarmi.
Purtroppo oltre l'acqua, il mio bottino è davvero povero.
Un pezzetto di pane. Una giacca di ricambio, un coltello e una corda. Davvero non saprei come utilizzarli.
Devo aspettare che cali la sera prima di fare la mia mossa, Haymitch è stato chiaro.
Sopravvivere fino ad allora.
Mi appoggio ad un albero e mi guardo intorno in cerca di un posto sicuro in cui rifugiarmi senza allontanarmi dalla cornucopia.
Secondo i miei calcoli i Favoriti ne avranno già preso possesso mentre tutti gli altri tributi avranno sicuramente messo maggiore distanza possibile tra loro e il centro dell'arena. Dovrei essere relativamente protetto qui. Niente si muoverà fino a domani.
Dopo un attento esame capisco che l'unico posto sicuro in cui rifugiasi è sugli alberi e mentalmente ringrazio Dio che Katniss sappia arrampicarvisi.
Impresa che per me sarà più che ardua.
Pur eccellendo nella lotta, la mia coordinazione braccia gambe lascia un po' a desiderare.
Poggio le braccia su due rami bassi e faccio forza sulla gamba sinistra.
Sento il sibillo prima ancora di vederla conficcarsi ad un centimetro dal mio naso.
Una freccia ferma la mia salita.
- Bene, bene – dice una voce squillante alle mie spalle. - Chi abbiamo qui? -
Mi volto lentamente con le mani alzate. Il cuore mi batte furioso nel petto.
 La ragazza del Distretto Uno mi punta contro una freccia e mi guarda con un ghigno. - Ti consiglio di non fare mosse azzardate o la prossima freccia sarà dritta al cuore! -
Speravo di avere più tempo prima di dovermi confrontare con i Favoriti, credevo che dopo il bagno di sangue se la sarebbero presa comoda prima di andare in cerca di altre vittime.
- Fosse per me ti ucciderei all'istante – continua la ragazza avvicinandosi lentamente. - Ma Cato ha detto che chiunque di noi ti avesse trovato avrebbe dovuto portarti da lui -.
Sospiro al pensiero di avere ancora tempo, al pensiero che tutto stia andando come deve andare.
- Allora perché mi punti contro una freccia? Se ti ha detto di portarmi da lui di certo ha bisogno di me per qualcosa – le dico ritrovando le parole.
La freccia parte prima che io me ne renda conto e mi colpisce il braccio trapassando la mia carne.
Non ho il coraggio di muovermi per tamponarmi la ferita.  Resto immobile occhi negli occhi con questa sadica ragazza.
- Avrà anche bisogno di te ma io non credo che serva a qualcosa. Quella stupida ragazzina potrei scovarla in un giorno se solo volessi – dice sprezzante e sicura di sé.
- Quale stupida ragazzina? - chiedo pur sapendo a chi si riferisce.
- Lascerò che sia Cato a prendersi cura di te – mi dice senza rispondere alla mia domanda.
- Mani dietro la testa e cammina verso di me – mi ordina.
Lentamente alzo le braccia e un dolore lancinante mi trapassa lì dove la freccia di ammonimento mi ha colpito. Senza guardare so già che sto perdendo molto sangue ma cammino nella direzione da lei indicata.
Mi muovo con cautela consapevole che la sua arma è puntata alle mie spalle.
 Quando raggiungiamo la radura, il sole accecante per un lungo momento  mi costringe a stringere gli occhi e la prima cosa che riesco a vedere una volta riacquistata la sensibilità oculare è l'enorme catasta di armi e viveri posta al centro del manto erboso.
Vedo tutti affaccendarsi attorno alla cornucopia. In tutto cinque persone.
Cato e Clove, i tributi del Distretto Due, il ragazzo dell'Uno, un ragazzino del Tre e un ragazzo del Dieci che è impegnato a scavare delle buche intorno al bottino.
Gli altri invece, seguendo le istruzioni del ragazzo del Tre stanno dissotterrando le mine poste ai piedi delle piastre metalliche  su cui prima si trovava ognuno di noi.
In pochi secondi credo di avere capito quali siano le loro intenzioni.
Proteggere il loro tesoro disseminando il territorio intorno ad esso con gli esplosivi così che qualora gli altri tributi fossero tentati di rubare qualcosa verranno fatti saltare in aria.
Ovviamente il ragazzino del Tre è un valido aiuto. È il Distretto che si occupa della tecnologia che ha creato le bombe.
Chissà se si rende conto che una volta finito il suo compito faranno esplodere anche lui.
- Cato, guarda cosa ti ho portato! - dice la mia aguzzina in tono beffardo. - È stato facilissimo. -
Il ragazzo biondo al centro del gruppo si volta nella nostra direzione e un sorriso sadico gli appare sulle labbra.
Prima che me ne renda conto mi è addosso. Il suo pugno mi coglie di sorpresa. Non ho neanche il tempo di reagire che subito svengo.
Quando rinvengo sono legato ad una roccia. Riesco ad aprire un occhio soltanto. Sull'altro devo avere un enorme ematoma che mi impedisce di alzare le palpebre.
Sento il sapore di sangue in bocca e sputo per liberarmene.
- La principessa si è svegliata – dice una voce alla mia sinistra. Non riesco a voltarmi per vedere chi sia ma credo di riconoscere la ragazza che mi ha trovato e portato qui dalla sua voce.
È buio e ciò che riesco a distinguere con la vista annebbiata sono solo ombre e le lingue di fuoco che salgono da un braciere a pochi passi da me.
- Allora – dice  Cato alzandomi la testa prendendomi per i capelli. - Un uccellino, mi ha detto che saresti disposto a farci uccidere la tua ragazza -
- Non è la mia ragazza – dico di getto.
Capisco che questa è l'unica possibilità che ho per riuscire ad entrare nel loro gruppo. Per fare ciò che ho deciso di fare. Devo giocarmi il tutto per tutto.
- Sì, l'uccellino mi ha detto anche questo – riprende Cato – ma non so se crederci o meno – mi sbatte la testa contro la roccia e finalmente si allontana da me dandomi la possibilità di ragionare.
La storia l'ho ripassata un milione di volte stanotte ma le parole faticano ad uscire dalla mia bocca. Sono bloccato. Ho quest'unica opportunità e la paura di non essere creduto e di morire prima di riuscire a fare qualcosa mi paralizza.
Inconsapevolmente inizio a tremare e respirare affannosamente. Stringo forte gli occhi e provo a liberarmi. Mi dimeno senza sosta e sento le loro risate intorno a me.
Mi mordo le labbra consapevole che i miei sforzi siano inutili.
- Guardatelo, ha paura – dicono le voci intorno a me. - Mi fa solo venire voglia di farlo fuori adesso – continuano a ridere di me che non ho il coraggio di parlare.
Ad un tratto mi fermo e alzo il viso per guardare il cielo. È ancora tutto ofuscato ma ho sempre amato il colore del cielo all'imbrunire.
Una cornacchia vola sopra la mia testa e mi riporta alla mente un ricordo.
Qualcosa che aveva lasciato andare. Qualcosa che torna prepotente dentro di me. Nello stomaco.
Era il tramonto, come adesso. Io e Katniss avevamo circa sette anni.
La vidi seduta sulla finestra della nostra classe. Dondolava un piede e guardava il sole calarsi sulle montagne.
Io stavo andando via ma non potei non fermarmi quando la sentii fischiettare il motivo più triste del mondo.
Non conoscevo la canzone ma come sempre mi incantò. Neanche cinque minuti che la stavo osservando che lei si voltò nella mia direzione e sorrise. Il colore arancione, quell'ultimo bagliore tenue del sole calante la attorniava.
Un calore potente mi si diffuse nel petto e per un momento smisi di respirare.
Poco dopo mi accorsi che non era a me che la ragazza stava sorridendo ma al padre che era venuto a prenderla.
Quel sorriso lo sogno ancora. Lo desidero ancora. Lo bramo.
Richiudo gli occhi tornando al presente e smetto di tremare.
- Io posso aiutarvi – dico con un filo di voce ma nessuno mi sta ascoltando. - Posso aiutarvi – dico deciso e alzando il tono.
Tutti si zittiscono e mi prestano attenzione finalmente. - Vi aiuterò a trovarla – continuo.
- E cosa ci dice che possiamo fidarci di te? - mi chiede Cato.
- Io la odio – dico cercando di essere convincente.
La risata di Lux, la ragazza del Distretto Uno, mi rimbomba nelle orecchie.
- E noi dovremmo crederti? - dice continuando a ridere.
- Sì – dico deciso.
- Dacci una motivazione valida – mi chiede Cato.
- Oh, ma andiamo. - Interviene ancora Lux. - Ci vuole far credere quello che non è. Io dico di farlo fuori. -
- Io invece dico che voglio ascoltarlo – dice ancora Cato guardando Lux negli occhi con aria minacciosa. - Parla! - Mi chiede.
- Io voglio vendicarmi. Mi ha deriso. Porto ancora i segni del suo rifiuto su di me – dico cercando di mostrare i palmi delle mani non ancora del tutto guariti. - Non ho voluto che mi fossero curati come si deve perché volevo qualcosa che mi ricordasse quanto la odio. Quanto il suo prendermi in giro mi abbia solo fatto decidere che voglio vederla morta. – finisco il mio discorso con enfasi. Cercando di trasmettere tutto il mio odio nell'ultima parola. - Posso aiutarvi a trovarla. Io la conosco. Conosco il suo modo di pensare e conosco le sue trappole per i conigli – faccio un lungo respiro – sono sicuro che sarà grazie a questo particolare che la troveremo. -
Tutti si guardano valutando la mia dichiarazione.
- Cato – dice la ragazza del Due.
- Non qui, Clove – le risponde lui. - Allontaniamoci. -
Si allontanano e iniziano a discutere animatamente per qualche minuto poi si dirigono di nuovo verso di me.
- Abbiamo deciso di portarti con noi. - dichiara Cato. - Ma prima voglio assicurarmi che tu non possa scappare una volta che ti avremo liberato. -
senza darmi il tempo di domandare alcunché mi pesta la caviglia con tutta la forza che possiede. Un dolore acuto mi attraversa tutto il corpo ma non urlo. Guardo Cato fisso negli occhi.
- Liberatelo – dice dopo. - Dobbiamo andare a caccia! -
Ci stiamo preparando a partire quando inizia l'inno di Capitol che precede il riepilogo dei morti.
I volti dei tributi morti nel bagno di sangue iniziano a scorrere nel cielo su di uno schermo trasportato da un hovercraft.
La ragazza del Tre, il ragazzo del Quattro, il ragazzo del Distretto Cinque. Entrambi i ragazzi del Distretto Sei e del Sette, il ragazzo dell'Otto. Tutti e due quelli del Nove e la ragazza del Distretto Dieci.
Il sigillo di Capitol riappare con uno gingle conclusivo.
- Andiamo, ragazzo innamorato! - mi apostrofa  Lux. Senza dire una parole le vado dietro raggiungendo gli altri.
Mi hanno lasciato il mio zaino per fortuna. Al suo interno dovrebbe esserci ancora il mio coltello. Non so esattamente cosa farmene ma potrebbe tornarmi utile.
Mezz'ora dopo vedo una delle sue trappole in bella vista. Non riesco a credere che sia stata così stupida da lasciarla così. Dove chiunque potrebbe vederla e capire che nei paraggi c'è qualcuno.
Sicuramente è su uno di questi alberi enormi e se la trappola è messa a sinistra lei sicuramente deve essere andata a destra.
Sto quasi per dire al gruppo di avere visto il segno del suo passaggio e di essere sicuro che lei sia andata da quella parte quando un rumore di rami spezzati fa eccitare i ragazzi che credono di avere raggiunto la loro preda.
Io sono sicuro che non sia lei. Non avrebbe mai fatto tanto rumore né acceso un fuoco come invece ha fatto questo sciocco tributo.
Corriamo tutti in quella direzione. Ho il cuore in gola, ma quando ho la certezza che non si tratta di lei mi cade un peso dal petto.
La ragazza del Distretto Otto ci guarda impaurita.
- Posso farlo io – chiede Clove – ti prego, Cato. -
- Per me va bene – dice lui non curante. E da come lo dice, capisco che il suo unico obbiettivo è Katniss. Un brivido mi serpeggia lungo la schiena.
- Siiii – urla la ragazza. La sua sete di sangue mi disgusta.
I ragazzi dell'Uno, gli unici venuti con noi, battono le mani e si congratulano.
- No, vi prego – implora la ragazzo singhiozzando, ma Clove con un coltello la pugnala allo stomaco.
Il suo urlo straziante mi fa venire voglia di fuggire ma resto immobile guardando i suoi occhi diventare bui.
- Dodici fatti, e undici da fare! - dice Marvel. Urla e fischi accolgono la sua battuta.
Iniziano a frugare tra le sue cose ma non trovano nulla di utile e decidiamo di metterci in cammino.
- È meglio che ce la filiamo, così potranno raccogliere il corpo prima che cominci a puzzare – dice Cato.
Ci fermiamo in una radura e apriamo le torce elettriche e le fiaccole.
- Non dovremmo sentire un colpo di cannone, adesso?
- Direi di sì. Non c'è niente che gli impedisca di intervenire subito. - dice Clove ferita nell'orgoglio.
- Qualcuno dovrebbe tornare indietro. Accertarsi che il lavoro sia finito.
-  Già, non vogliamo dover andare a scovarla due volte – commenta Lux acida.
- Ho detto che è morta! - si infervora ancora di più Clove.
Scoppia un litigio tra le due e al solo pensiero delle sevizie alle quali entrambe potrebbero sottoporre la povera ragazza mi viene la nausea. Così prendo la decisione più difficile della mia vita.
- Stiamo sprecando tempo! Vado io a finirla e poi ce ne andiamo! - dico sperando di riuscire ad andare fino in fondo.
Sperando così di poter dare a Katniss un'opportunità qualora ci avesse sentito.

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Capitolo 13
*** capitolo 12 ***


 

12

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Grazie al cielo non mi fermano quando mi incammino zoppicando sul sentiero.

- Va bene ragazzo innamorato. Guarda con i tuoi occhi - mi dice Cato.
E credevo di essere pronto, credevo di potercela fare, ma niente di tutto quello che ho visto e fatto fino ad ora mi ha preparato alla vista della ragazza del Distretto 8, agonizzante e insanguinata accanto ai rimasugli del piccolo fuocherello che aveva acceso per riscaldarsi.
Ancora una volta maledico Snow, maledico Capitol City e tutti i capitolini.

Maledico la mia cattiva sorte mentre mi accovaccio al suo fianco.

- Co...come posso aiutarti? - le chiedo prendendole la testa e poggiandogliela sulle mie gambe.

Lo sguardo spaesato dei suoi occhi azzurri mi spiazza. Per un momento mi vien voglia di scappare. Da Cato e tutti i Favoriti. Ma ancor di più vorrei poter fuggire da quella visione e dal pensiero che al suo posto potrebbe esserci Katniss.

Soltanto riportando il suo nome nella mia mente mi ricarico di nuova determinazione.

Siamo vicini, lo so. Devo escogitare un piano per arrivare a lei prima degli altri.

Il respiro mozzo della ragazza che tengo tra le braccia, le ferite dalle quali esce ancora sangue, (quanto ne può contenere il corpo umano? Quanto prima di lasciarsi andare?) le sue mani che stringono così forte le mie, quasi a voler strappare la mia vita, mi trasmettono tutta una serie di emozioni che non riesco ad arginare.

Paura, rabbia, dolore, tristezza, compassione, sono solo alcune delle cose che sento mentre inizio a tremare con lei.

- Aiutami – sussurra.

Le scosto i capelli dal viso e le do da bere un po' d'acqua dalla mia borraccia.

Beve con una tale avidità che d'un tratto penso che non posso finire quello che ero venuto a fare.

Non posso ucciderla. Prendo una giacca di riserva che aveva abbandonato accanto al fuoco e comincio a tamponarle le ferite.

L'avevo promesso a me stesso. Avevo promesso che non avrei lasciato che tutto questo mi cambiasse, che non sarei stato una marionetta che sta al gioco.

Ho promesso che non avrei permesso a tutte le cose brutte che avrei visto fare e che avrei subito, di modificare la mia natura.

- Acqua – ripete la ragazza, e smetto subito di fare quello che stavo facendo per darle ancora da bere.

Potrebbe essere il suo ultimo desiderio.

Comincia a tremare tra le mie braccia e i suoi occhi mi guardano fissi.

- Perchè? - mi chiede supplicandomi.

E io avrei tante riposte da dare.

Perchè la cattiveria dell'uomo non avrà mai fine. Perchè c'è chi si diverte a vedere soffrire la gente e non ha cura delle cose belle. Della vita.

- Per lei – è l'unica cosa che dico però. Un po' tornando in me e al mio ruolo in questi Hunger Games, un po' perché con quella ragazza tra le braccia mi viene da pensare alla vita che non potrà più vedere. A ciò che non potrà più fare.

Ha mai amato? E' stata mai amata? Qualcuno a casa starà soffrendo nel vederla morire?

Ed è proprio per loro che mi faccio forza.

Le accarezzo la fronte e le bacio la mano. Piano piano sento che si rilassa e alla fine esala il suo ultimo respiro.

Una lacrima scende sul mio volto. L'asciugo con fare nervoso e mi rialzo lasciandola lì.

Quanto tempo è passato da quando sono arrivato non saprei dirlo.

Zoppicando mi incammino verso i Favoriti provando a fare il più piano possibile per cercare di beccare qualche sprazzo di conversazione.

So che prima o poi uccideranno anche me. Spero solo di avere ancora un po' di tempo.

Arrivato nei pressi mi accovaccio e aguzzo l'udito.

- E poi con lui abbiamo molte più possibiltà di trovare lei – sento Cato dire.

- Perchè credi che si sia bevuta quelle fesserie sentimentali? - risponde la ragazza del Due .

Con la coda dell'occhio vedo un movimento sugli alberi.

È stato tutto talmente fugace che per un attimo credo di averlo immaginato. Ma quando sto per distgliere lo sguardo lo vedo di nuovo.

Un pezzo di stozza marroncino che sembra svolazzi tra un ramo e un altro.

La ragazzina del Distretto 11, incurante delle voci agitate salta con agilità e silenziosamente il più vicino possibile ai ragazzi del Due.

Alzo un braccio per farle segno di nascondersi ma lo ritraggo subito.

Non guarda loro. Il suo sguardo sta puntando aldilà della mia comitiva.

Volgo i miei occhi anch'io nella sua direzione e quasi mi sento male.

Katniss è sdraiata sul ramo di un albero a circa 10 metri dai favoriti che presi dalla loro dscussione non prestano attenzione all'ambiente circostante.

Potrebbero trovarla da un memonto all'altro e tutto sarebbe perduto.

- Katniss – sussuro.

L'unica cosa da fare è tornare dagli altri e distogliere la loro attenzione per evitare che trovino lei.

Faccio quanto più rumore possibile affinchè si concentrino su di me.

- Era morta? - mi chiede Cato.

Le immagini del corpo esanime e insanguinato della ragazza mi tornano veloce in mente.

Katniss pallida con la sciena appoggiata ad un tronco.

Ritorno in me. - No. Ma adesso lo è – dico duramente. - Pronti a muoverci? -.

Di scatto prendo a camminare nella direzione opposta a quella in cui si trova Katniss.

Non li aspetto neanche ma continuo a camminare a testa bassa pestando i piedi un po' per rabbia un po' perchè voglio che lei senta che finalmente ci stiamo allontanando e scappi.

Dopo cinque minuti rallento e sento i passi dei Favoriti dietro di me.

Un fruscìo improvviso cattura la nostra attenzione.

Eccitati i ragazzi si dirigono, brandendo le armi, in direzione del rumore.

Sento il cuore battere a mille.

E se Katniss avesse deciso di seguirci nella speranza di riuscire a sopraffare i ragazzi del Due e dell'Uno?

E se la ragazzina fosse caduta da un albero nel tentativo di segurci?

Le risate degli altri mi gelano il sangue nelle vene ma decido comunque di avvicinarmi a vedere il motivo di tanta ilarità, pronto a combattere qualora ce ne fosse bisogno.

- Questa povera lepre è rimasta intrappolata – dice la ragazza del Distretto Uno, sadica.

E la vedo. Si dimena e scalcia per potersi liberare e fuggire dal cappio che ha intorno alle zampette.

Tutti ridono e il suono di quelle risate mi fa venire la nausea. Lì, presa in trappola io non vedo una semplice lepre. Io vedo lei. E vedo loro che la deridono e pregustano il suo sapore.

Butto fuori quel poco che ho nello stomaco portando le loro beffe su di me.

- Cos'è che ti provoca il voltastomaco di preciso? - mi dice Cato avvicinandosi e puntandomi il coltello alla gola. - È solo la nostra cena che cerca di fuggire – continua ridendo.

Per un attimo nei suoi occhi vedo passare un ombra e so che nella sua mente sta pensando di uccidermi. So che assaporerà questo e il momento in cui affonderà la sua lama nel petto di Katniss. Lo sa lui come lo so io che quella è una trappola fatta da lei.

Respiro affannosamente e cerco di riportare il battito del cuore ad una frequenza normale.

Carico il peso del corpo sulle gambe pronto a difendermi.

- Dobbiamo tornare all'accampamento – dice Clove.

- Cosa? - dice Cato.

- Sì – ribadisce incurante del suo sguardo assassino. - Se quella è una trappola della principessina a quest'ora sarà lontana anni luce con tutto il baccano che abbiamo fatto. Inoltre sta per albeggiare e io voglio andare a riposare - .

Questo aiuto inaspettato mi fa riprendere fiato. Se di aiuto si può parlare.

Non ho parlato molto con lei ma migiunge strano il fatto che non voglia insistere nel cercare la sua preda ora che sanno che è vicina.

Anche se ha un bel viso e sembra una bambolina l'ho vista uccidere con un tale sadismo che farebbe impallidire il diavolo in persona. So che sta macchinando qualcosa.

Cato si solleva lentamente e le si avvicina. La scruta in volto intensamente e da vicino.

- Che problemi hai? - urla – Lei è vicina, è qui. Se annuso l'aria – fa il gesto di farlo davvero – posso sentire il suo odore - conclude annaspando dalle narici,

La ragazza non batte ciglio: - Lo vedi? - dice – è proprio per questo che dovremmo tornare indietro. Noi siamo qui a litigare e urlare facendoci sentire dal mondo intero e abbiamo lasciato due imbecilli a guardia del nostro assortimento. E lei era qui – gira su se stessa – a un palmo da noi. Ad ascoltare tutto quello che noi abbiamo detto. E sa che siamo ancora qui. Lontani da ciò ch lei vuole. Di cui ha bisogno. Non credi, caro Cato che a quest'ora possa essere arrivata già dove dovremmo essere noi ad aspettarla?

Vedo la faccia di Cato devastata dalla perfidia mentre io... io mi sento morire.

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


13

 

 

 

 

 

Il mio primo impulso è quello di affrettarmi verso la cornucopia per portarli lontano da qui, lontano da Katniss. Dalla possibilità che la trovino. Ma la paura di agire con troppa veemenza mi blocca, ed è un bene.

Non voglio destare sospetti. Non a questo punto dei giochi.

Delle alleanze si sono formate e chissà quanto dureranno. Io stesso sono entrato a far parte della cerchia dei Favoriti. Ci sono riuscito per il rotto della cuffia e solo grazie ad Haymitch.

L'ho convinto, anzi l'ho letteralmente pregato di parlare con i loro mentori e di spiegare quanto io fossi arrabbiato con Katniss per avermi respinto, di come lei sia una ragazza indisponente antipatica a tal punto da resentare l'impossibile.

L'ho convinto anche a dire come conosca bene la ragazza in fiamme dopo sedici anni passati ad osservarla e di come sia a conoscenza di ogni sua tecnica e strategia di caccia e che sarei potuto diventare il più valido alleato nella sua ricerca.

Se loro avessero dubitato della mia e della sua buona fede avrebbe dovuto dire loro che era stufo di me e del mio lamentarmi per questo amore non ricambiato e che dopo avermi usato avrebbero potuto farmi fuori senza scrupoli perché a lui non importava nulla di me.

Gli avrebbero creduto a quel punto. Alla fine Haymitch era soltanto un ubriacone. Lo è stato per 20 anni. E continuava ad esserlo.

Non si era mai preoccupato della sorte dei propri tributi, per anni. Perché avrebbe dovuto preoccuparsene adesso?

Io non so quanto di tutto questo abbia raccontato. Non so di quale versione i mentori abbiano messo a parte i loro beniamini. Di conseguenza non so fino a che punto spingermi per portarli a credere che io ne sappia più di loro su di lei.

Sospiro pensando che vorrei tanto che la ragazza in questione non fosse un enigma. Non sono neanche tanto sicuro che davvero non si sia diretta alla cornucopia appena ci siamo allontanati per prendere ciò che potrebbe servirle.

Mancano ancora 12 tributi e i miei alleati sono più che decisi a ucciderne il più possibile e in poco tempo per dedicarsi poi completamente alla caccia della loro preda preferita.

Per quanto mi riguarda, ho trascorso un solo giorno ancora nell'arena e sono già stanco.

Questo doppio gioco che sto mettendo in piedi mi prosciuga di tutte le energie, sono in uno stato di tensione perenne da quando tutto è cominciato.

Inoltre le ferite che mi ha procurato Cato, se pur in via di guarigione, mi fanno un male tremendo. Il mio corpo è talmente tanto pieno di lividi e mi sento così indolenzito che vorrei soltanto che tutto finisse al più presto anche se so che significherebbe soltanto una cosa. Morire. Almeno per me.

Pensare in fretta per creare un diversivo per Katniss è quello che faccio però e quando l'idea arriva senza che me ne renda conto, nell'attimo stesso in cui nasce nella mia mente so già che funzionerà.

  • Dobbiamo avvicinarci all'acqua – dico sorridendo sardonicamente.

  • Non abbiamo bisogno di bere, ragazzo innamorato – mi canzona Marvel.

Tra tutti i Favoriti è quello che odio di più.

Vive alla luce di Cato sperando che qualcosa o meglio qualcuno, venga ad oscurarlo. È troppo codardo per farlo lui stesso.

Come vorrei che si uccidessero tra di loro. Sarebbe tutto più semplice.

Forse potrei agire in tal senso. Far dubitare l'uno della fedeltà dell'altro.

È una cosa che succederà ugualmente ad un certo punto. Ma non sarebbe male anticipare i tempi.

  • Noi no. Hai ragione – rispondo – Ma lei sì -.

la consapevolezza si fa strada nei loro volti e nelle loro teste.

Trattengo un verso di giubilo. Ci sono riuscito.

  • E comunque dovremmo cercare di restare il più vicino possibile alla cornucopia visto che è lì che abbiamo le nostre provviste – continuo – Quanto disterà? Un'ora dal lago? - chiedo.

Mi guardano non ancora del tutto convinti.

  • Insomma. Se continuiamo così ci allontaneremo sempre di più dalla nostra unica fonte di sostentamento – inspiro – Guardate l'arena. Non credo che sarebbe facile per noi trovare altra acqua. Sì. Abbiamo le nostre borracce ma non basteranno a lungo visto il caldo che fa. Se abbiamo sete noi. Avrà sete anche lei – concluso.

So per certo che Katniss non si arrischierebbe mai ad avvicinarsi al lago.

È stato uno dei primi consigli di Haymitch.

  • State lontano dall'acqua – ci ha detto quando gli abbiamo chiesto come si trova un rifugio.

  • Cercatela negli anfratti più nascosti, ma evitate le fonti accessibili a tutti – si era passato una mano tra i capelli esasperato. - Nella maggior parte dei casi nelle vicinanze delle fonti di acqua si combatte in un secondo bagno si sangue. -

Aveva poi preso a spiegare come trovare queste fonti meno visibili. Katniss ovviamente era più preparata ma io non avrei saputo da dove comonciare. Sarei morto di sete in poco tempo senza le sue dritte e per quanto possa essere testarda Katniss e per quanto possa essersi dimostrata bastian contrario, so che seguirà alla lettera ciò che ci ha consigliato il nostro mentore.

Anche se può sembrare distante e freddo, credo che Haymitch si sia davvero affezionato a me e Katniss. Forse più a lei. Ma va bene così.

Ha visto la scintilla di cui tutti parlano, dentro di lei. La sua fiamma. E ne è attratto come può esserne attratto un fratello maggiore credo. La stima.

Mai nessun tributo del Distretto 12 ha avuto tutta questa voglia di combattere come l'abbiamo io e Katniss.

La maggior parte vengono estratti dal Giacimento e arrivano nell'arena in condizioni pietose. La vita di stenti li ha provati più che agli altri tributi e quasi gli manca la voglia di vivere. L'istinto di sopravvivenza è presente. Ma non hanno quella spinta in più. La mia è Katniss. La sua è Prim.

Forse anche io sono soltanto attratto da quel bagliore, quel calore che può sprigionare soltanto una forte determinazione. Sono attratto da lei come lo è una falena lo è dalla luce. Mi brucerò. Lo so.

Ma non importa. Se solo riuscissi a toccarla anche solo per un istante, mi andrebbe bene lo stesso.

Ad Hunger games finiti, quando sarà incoronata vincitrice e vedrà le repliche dei giochi, vedendo quello che sto facendo per lei, allora la toccherò e sarò felice.

  • E ci saranno anche gli altri Tributi, ovviamente – dice sadica Lux pregustando già il sapore di quelle anime.

Io sbianco al solo pensiero. Non avevo minimamente pensato a questa possibilità. Quasi mi si rivolta lo stomaco per la portata di quello che ho fatto e vorrei potermi rimangiare tutto. Il peso di quelle vite mi si poggia sullo stomaco in una morsa che mi paralizza.

  • Yeah! - esulta Clove brandendo le armi. - Andiamo, Cato. A noi piace cacciare di notte, ricordi? -

Lo sprona prendendolo a braccetto incamminandosi verso il lago con un sorriso segreto sul viso.

Cato la segue in silenzio pensoso senza profferire parola. Il sorriso che ha sulle labbra mi spinge a muovermi aggrappandomi sempre di più a me stesso.

Arriviamo a destinazione che è già sera inoltrata e l'inno di Panem risuona come per accoglierci, sparando in cielo le immagini dei caduti.

Oggi solo la ragazza del Distretto 8. Quella a cui io ho fatto compagnia per quei pochi minuti di agonia. Non ho avuto neanche la pietà di concederle una morte veloce.

Gemo nella mia mano al solo pensiero di quello che ho fatto e sto per sdraiarmi per riprendere fiato ma il brusio concitato che fanno i miei compagni che non hanno intenzione di riposare.

Sono sovreccitati e frugano in uno zaino alla ricerca febbrile di qualcosa.

Tutta questa frenesia mi è incomprensibile finchè non trovano quello che stavano cercando.

Due paia di occhiali che ho già visto. In una vecchia edizione dei giochi. Gli permetteranno di vedere al buio. Io sarò svantaggiato.

Mi avvicino curioso ma le parole che temevo di sentir dire mi gelano sul posto.

Non fanno in tempo ad indossarli che esclamano: - Eccola! -

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Buongiorno a tutti voi che seguite la mia storia nonostante ci stia mettendo una vita a finirla. Di questo vi chiedo scusa.

Come detto precedentemente, la mia vena creativa si era assopita e non ne voleva sapere di svegliarsi. Ho lavorato e lavorato a questo capitolo per giorni e mesi ma non mi soddisfaceva mai. Finché tutta la nebbia nella mia mente non si è diradata del tutto, almeno spero.

Ho già scritto il prossimo capitolo sfruttando l'artista rinata ma non lo pubblicherò prima di aver terminato di scrivere l'altro ancora, il quale è il lavorazione.

Sembra che io stia proseguendo spedita nonostante il lavoro e gli impedimenti vari.

Spero di essere più costante e di non deludervi.

 

Detto ciò, spero che il capitolo vi piaccia anche se molto discorsivo e se vi va recensite. Anche negativamente. Purché mi facciate sapere cosa ne pensate.

 

 

Grazie.

A presto. Baci.

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


 

Buonasera a tutti.

I capitoli 15 e 16 sono in revisione e vorrei poterli pubblicare al più presto,

purtroppo però, quando ho ripreso in mano la penna, perché sì, io scrivo tutto a penna altrimenti non mi viene l'ispirazione, mi sono ripromessa di essere sempre due capitoli sopra prima di pubblicarne uno. E al lavoro devo fare dei corsi di aggiornamento che mi toglieranno moltissimo tempo libero fino ad inizio marzo.

Le stesure dei capitoli credo che procederanno a rilento ma ormai che sto cavalcando l'onda, approfitterò di ogni momento libero per andare avanti anche se dovrò farlo a spezzoni.

Spero che mi perdoniate qualora le pubblicazioni tardassero ad arrivare.

Tuttavia non demordete. Io sono qui e sono più che decisa a finire questa avventura. Perciò...

 

A presto, Elizabeth.

 

 

 

 

 

 

14

 

 

 

 

 

 

Con gli occhi seguo la direzione del suo dito. Un movimento cattura la mia attenzione. Una cosa fugace e talmente istantanea che per un attimo penso di averlo solo immaginato.

Iniziamo a correre per cercare di raggiungerla. Io corro come un pazzo per arrivare prima di tutti.

Non può essere stata così stupida. Non posso crederci.

Non è lei. Lo ripeto come un mantra nella mia testa come se il solo pensarlo potesse renderlo vero. Il cuore mi batte all'impazzata. Mi sento la pelle fremere. Le orecchie otturate. La pressione alle stelle.

Cerco di convincermi ma la paura mi attanaglia come una morsa nello stomaco.

Sono ancora distante da Cato e Clove. Sono troppo veloci e le mie gambe ferite non mi permettono di fare più in fretta.

-È Tresh! - dice Marvel.

Faccio un sospiro di sollievo e rallento.

-Sì. Lo vedo chiaramente- dice Cato continuando a correre.

Il mio istinto mi suggerisce di fermarmi per salvaguardare le mie ferite ma se lo facessi potrebbero intuire qualcosa, quindi prendo tra le mani il mio coltello e corro con rinnovato vigore.

-Accerchiamolo, Cato – dice Clove.

E così facciamo. Iniziamo a dividerci per intrappolarlo ma Tresh è troppo veloce e fende l'erba alta con una sciabola ricurva che maneggia come se fosse abituato ad usarla. Inoltre non io vedo nulla e Tresh ci sfugge di nuovo.

-Avanti, ragazzi. Dobbiamo prenderlo! - dice Cato.

Guardo nella sua direzione seguendo il suono della sua voce. Quello che vedo mi spaventa.

Ha sul volto il sorriso più diabolico che abbia mai visto. Si passa la lingua appuntita sulle labbra e fa volteggiare la spada correndo proprio dietro il tributo del Distretto 11, utilizzando come passaggio i fasci d'erba tranciati da Tresh.

Per il resto di noi movimenti sono difficoltosi. Con il mio coltello non riesco a recidere abbastanza in fretta i fili delle piante che mi ritrovo sul cammino.

Lux ha solo l'arco con sé e presa dalla frustrazione per la sua impossibilità comincia a tirare frecce alla cieca.

Marvel è l'unico che riesca ad aprirsi un varco tra le fronde. Clove invece si è fermata per riprendere fiato.

È una piacevole sorpresa scoprire che per quanto sia letale, la sua resistenza è inferiore alla mia.

Così decido di rallentare anche io senza fermarmi.

Dopo circa mezz'ora arriviamo in uno spiazzo simile a quello in cui si trova la cornucopia.

L'erba alta davanti a me, i boschi a destra, il lago alle mie spalle e il dirupo alla mia sinistra.

Mi fermo mentre Marvel e Cato continuano a correre in preda alla frenesia.

Li vedo sparire oltre le siepi giganti che all'inizio dei giochi ho scartato a priori come rifugio.

Evidentemente Tresh sa come muoversi al loro interno ma i miei alleati hanno più difficoltà. Oltre le loro urla di derisione sento anche quelle della loro frustrazione.

-Non ti resta molto da vivere, Distretto 11 – dicono. E ancora: -Ti troveremo -, -Corri -, -Ti spezzeremo le gambe quando ti avremo preso -.

Aspetto per circa venti minuti che tornino indietro ma le loro urla si affievoliscono sempre di più man mano che si allontanano.

Spero con tutto me stesso di sentire riecheggiare il suono del cannone per tutta l'arena e che possibilmente decreti la morte di uno dei Favoriti se non di entrambi. Sarebbe un bel colpo se Tresh riuscisse a farne fuori qualcuno.

Lux sbuca dietro di me con il respiro affannato e si ferma con le mani sulle ginocchia gettando l'arco a terra.

Non mi ero accorto che stesse per arrivare qualcuno perso com'ero nelle mie inutili speranze.

Adesso però io ho una possibilità. Almeno uno dei Favoriti potrebbe morire davvero stanotte. Per mano mia.

Sarebbe così facile per me adesso ucciderla. Ho più prestanza fisica di lei nonostante sia leggermente malandato. Accarezzo l'idea per un solo secondo prima di rendermi conto che non potrei mai farlo.

Per prima cosa, mi ero ripromesso di non diventare una pedina nelle mani di Snow. Non voglio versare sangue inutile. So che probabilmente loro proveranno ad uccidermi quanto prima e so che mi difenderò nella speranza di sopravvivere. So che ucciderò ad un certo punto. Ma voglio farlo per difesa e non per primo.

Inoltre non posso permettermelo. Dovrei fuggire subito dopo averla uccisa e servirebbe soltanto ad aumentare la rabbia dei Favoriti. Perciò non lo faccio.

-Dove sono andati – mi chiede dopo aver ripreso abbastanza fiato.

-Si sono inoltrati tra nell'erba alta sperando di raggiungere Tresh -.

-E tu perché non sei con loro? - mi chiede sospettosa raccogliendo l'arco ed incoccando una delle poche frecce che le sono rimaste nella faretra.

Non me lo punta contro ma è una minaccia abbastanza palese. Se le mie risposte non la soddisfaranno mi ucciderà.

Lux.

Se Cato uccide consapevolmente e comprendendo a pieno la portata del gesto, lei agisce per pura stupidità. È folle e so che potrebbe davvero uccidermi semplicemente perché le va anche andando contro il volere degli altri. Sembra una bambina capricciosa.

Questo suo modo di sentirsi superiore mi indispettisce e anche se potrei avere la meglio su di lei, decido di rispondere tranquillamente.

-Io non vengo da uno dei distretti favoriti – le ricordo. -Non sono allenato come voi. Non ho molta resistenza pur essendo un uomo. Se hai avuto difficoltà tu ad arrivare fin qui, agile come sei, pensa a come possa sentirmi io – le dico facendo due moine che so che la rabboniranno. Poi mi lascio cadere sull'erba per enfatizzare il concetto.

Mi guarda con sospetto ma so che le mie parole hanno colto nel segno e inoltre ho scelto questa posizione sottomessa che mi rende inerme ai suoi occhi. Non voglio che si senta minacciata. Una mossa azzardata, ma spero che funzioni.

Dopo un lungo momento in cui ci osserviamo a vicenda io a terra e lei alzata, finalmente si accascia accanto a me.

Aspettiamo un paio d'ore che gli altri tornino indietro ma poi il freddo ha la meglio su noi e decidiamo di tornare da Clove in riva al lago. Sappiamo esattamente dove dirigerci.

Una voluta di fumo si alza da un punto ben preciso davanti a noi e sappiamo entrambi che nessun tributo avrebbe acceso un fuoco per scaldarsi. Deve per forza essere Clove.

Quando la raggiungiamo la prima cosa che facciamo è esporci al calore della fiamma e dopo altre due ore circa sentiamo Cato e Marvel tornare dalla loro caccia spasmodica.

Nessun cannone ha sparato per avvertirci e anche se un po' deluso che quei due non siano morti, sorrido felice che neanche Tresh lo sia.

È una follia, lo so. Ma mi sarebbe dispiaciuto.

Alle prime luci dell'alba torniamo alla cornucopia, ci rifocilliamo e riposiamo un po'. La notte che verrà sarà più dura di quella appena trascorsa ma prima di addormentarmi mormoro il suo nome alle poche stelle rimaste nel cielo, come sempre.

Sonnecchio un po' per riprendere le forze e a mattinata inoltrata mi risveglio e mi informano che Cato ha deciso di allestire una piccola base anche in riva al lago. È sicuro che Tresh tornerà visto che quella del lago deve essere la sua unica fonte d'acqua. Vuole essere pronto quando accadrà.

Così costruiamo un piccolo campo e nel primo pomeriggio ci mettiamo in cammino per cercare altri tributi. Questa volta si unisce a noi anche la ragazza del Distretto 4.

Prima di partire Cato mi consegna una lancia.

-Così la prossima volta che ci avventuriamo in un campo con l'erba alta non potrai chiamarti fuori – mi dice.

Mi sta facendo capire che se dovessi di nuovo disertare me la farà sicuramente pagare.

La prendo e iniziamo a muoverci.

Dopo ore e ore di ricerca nei boschi non abbiamo ancora scovato nessuno dei tributi.

-Dovremmo dividerci – esordisce Clove.

Rabbia, frustrazione e stanchezza ci hanno resi taciturni e sobbalzo al suono della sua voce graffiante.

Ci voltiamo tutti a guardarla.

-Io, Cato e il Ragazzo Innamorato continuiamo per questa via. Lux, Marvel e Distretto 4, verso le siepi – continua.

-Hai ragione – afferma Cato.

Io sono sempre più allarmato. Non posso controllare e proteggere Katniss da entrambi i gruppi se ci dividiamo.

Non ho il dono dell'ubiquità.

Tuttavia avrei più possibilità di sopraffarli prendendoli separatamente anche se non so quante ne avrei con Cato e Clove.

Potrei provarci per lo meno ma se morissi nel tentativo, addio all'idillio d'amore che sto mettendo in scena. Non è conveniente per me fare una mossa azzardata come questa.

-Siamo più esposti se ci dividiamo – obietta Lux. -Non riusciremmo a difenderci da Tresh se dovesse attaccarci – sbuffa. -Vai tu con Marvel alla sua ricerca e io vado con Cato – continua.

-Non lo farai – risponde Clove acida.

-Cosa? - chiede Lux con finta ingenuità.

-Non ti metterai tra me e Cato. -

-Cara mia, comunque da qui uscirà uno solo di noi, io non voglio rubare un bel niente. Cerco solo di sopravvivere il più possibile. Come tutti. E so che se andassi alla ricerca di Tresh armata solo del mio arco e con Marvel come cane da guardia, morirei prima di poter urlare - dice Lux.

-Ehi! - si difende Marvel.

Comincia tutta una serie di liti che io sfrutto a mio vantaggio per cercare di metterli contro. Dico a Clove che forse è vero che Lux sta provando a fare la furba e a Marvel che non si doveva permettere a chiamarlo cane da guardia.

Non posso credere che stiano battibeccando come delle oche per un pezzetto di pane per una cosa così sciocca.

Che ce ne facciamo di legami affettivi qui dentro? A meno che non sia una tattica anche la loro non li capisco proprio.

Non ce ne accorgiamo neanche. Non sentiamo il rumore di legna che arde, né l'odore di fumo. Ma ad un certo punto guardiamo tutti alla nostra sinistra.

Un'onda di fuoco ci sta venendo addosso ad una velocità impressionante.

Cervi, cani, conigli e scoiattoli sbucano da dietro le siepi correndo all'impazzata cercando di fuggire. Così iniziamo a correre anche noi.

Veniamo avvolti in una nuvola di fumo che non ci lascia respirare. Tossiamo e corriamo con le lacrime agli occhi e i polmoni che bruciano per aver respirato aria compromessa.

Rami di alberi ci cadono addosso. Li schivo come posso.

Scintille infuocate mi zampillano sul petto bruciando la mia camicia e arrivando alla carne.

Mi affretto a spegnerle con le mani ustionandomi anche i palmi e le dita, ma non importa, continuo a correre per cercare di salvarmi la vita.

Ci dirigiamo a destra e all'improvviso una lingua di fuoco ci costringe a cambiare direzione.

Questo non è un fuocherello sfuggito al controllo di un tributo maldestro.

No. Gli strateghi cercano di spingerci in un punto ben preciso. Devono essersi stancati di questi Hunger Games privi di morti e hanno deciso di affrettare le cose.

Ci uccideranno tutti. Penso preso dal panico. Ma capisco subito che non potrebbero mai farlo. A loro interessa vederci uccidere l'un l'altro. I Capitolini non si divertirebbero a vederci morire così.

Stanno cercando di avvicinarci.

Riesco a scavalcare un tronco che brucia, per miracolo. Il sudore mi cola sulla fronte e di nuovo le fiamme cambiano direzione e noi con loro.

Il naso e la gola mi bruciano da morire e a furia di tossire per liberare le vie respiratorie mi viene da vomitare. Lo faccio senza riguardo per nessuno, e quando rialzo la testa dopo aver finito, vedo che non sono stato l'unico ad essere stato colto dai conati.

-Acqua – urla Cato. -Bevete acqua – dice tra un rantolo e l'altro.

Io non sono sicuro che bere acqua non mi farà di nuovo vomitare ma allungo lo stesso il braccio verso la tasca laterale del mio zaino cercando di prendere la borraccia. Quando ci riesco, mi fermo per un secondo a bere un sorso d'acqua e riprendo a correre.

Il liquido che scende fresco nella gola, sana un po' la situazione. La frescura che mi procura mi fa sentire un po' meglio. Mi libera parzialmente. Per qualche secondo. Vado per berne un altro po' e la borraccia mi cade di mano. Sono tentato di andarla a riprendere ma quando vedo un'altra scia di fuoco venire nella mia direzione, riprendo a correre più veloce di prima. La gamba mi pulsa e sento il sangue colare dalla ferita che deve essersi riaperta a contatto con qualche ramo o qualche cespuglio in cui mi sono imbattuto.

Perdo un attimo a controllare e vedo che il rivolo di sangue è appena accennato e il resto è solo sudore, le fiamme quasi mi avvolgono.

Scatto in avanti e mi strappo un po' un muscolo.

Dopo quello che per me è un tempo interminabile, le fiamme iniziano a scemare e noi rallentiamo finché il fuoco non si quieta del tutto e allora continuiamo a camminare tossicchiando per uscire da quest'area intrisa di fumo.

Ci ritroviamo in una radura con un piccolo stagno al limitare di essa.

Un po' di sollievo. Penso pregustando il momento in cui mi ci potrò immergere. Dopo l'inferno a cui siamo sfuggiti sarà un paradiso potersi bagnare in quelle acque fresche. E poi, il petto e le mani mi bruciano per le scottature.

Alziamo gli occhi tutti allo stesso momento. Un movimento all'interno dello stagno ha attirato la nostra attenzione.

Spalanco gli occhi e per la seconda volta in poche ore provo paura. Vorrei morire.

È lei.

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


15

 

 

 

 

 

Sprofondo nella disperazione. Mi muovo come un automa.

Lei è lì e annaspa per attraversare lo stagno. Ha lo sguardo spaventato e allarmato e cerca con tutte le sue forze di venire fuori dall'acqua. Quando ci riesce si getta nel sottobosco correndo e zoppicando. Registro il fatto che potrebbe essere ferita e cerco di svegliarmi dall'intorpidimento.

Inizio a mettere un piede dietro l'altro e in fine corro.

Corro più veloce che posso continuando a tossire per le esalazioni. Per fortuna siamo tutti abbastanza malconci e neanche i favoriti riescono a fare meglio di me per raggiungerla.

Di tutti i momenti in cui avremmo potuto imbatterci in lei questo è il peggiore. Se dovessi essere obbligato a ingaggiare un corpo a corpo per proteggerla, non so se riuscirei a farcela. Già in circostanze normali le probabilità sarebbero minime, ma così conciato, praticamente si azzerano.

Col cuore gonfio di preoccupazione ci inoltriamo nel bosco al suo inseguimento e scatto in avanti per superare tutti, sopratutto Cato, il più vicino di noi ma loro mi sono alle calcagna.

Spero che riesca a fuggire. Se mi metto in prima fila per bloccare gli altri e faccio finta di inciampare nei miei stessi piedi ancora in preda degli effetti del fumo, potrei farcela.

Forse.

Il cuore mi batte fortissimo e non solo per la corsa. Ormai sembra in trappola. Lo sembriamo entrambi ed io devo agire.

Sto per voltarmi per affrontarli quando vedo che lei inizia ad arrampicarsi su un albero. È brava in questo, lo so, ma come farà a fuggire da noi?

Quando raggiungiamo la base del tronco lei si è già arrampicata per circa sei metri. Si volta a guardarci e vedo nei suoi occhi la consapevolezza di essere braccata. Di aver preso la decisione sbagliata.

I miei alleati, di contro, sogghignano e ringhiano con la testa alzata verso il cielo per guardarla. Li vedo oltre la confusione che alberga nella mia testa.

-Come va, ragazzi? - grida lei da lassù sorridendo allegramente. Sorridendo!

-Abbastanza bene – dice Cato. -E tu? - le chiede.

Questo scambio di battute mi urta i nervi e non poco. La ragazza in trappola si permette anche il lusso di scherzare mentre io qui rischio un infarto. Stringo i pugni e inizio a lucidare il coltello con l'orlo della camicia. Non voglio vedere. Non voglio vedere. Non voglio vedere quello che succederà. Voglio solo riprendermi ed essere pronto ad agire.

-Fa un po' caldo per i miei gusti – risponde Katniss -l' aria è più fresca quassù. Perché non mi raggiungete – dice spavalda.

Quasi mi strozzo con la mia stessa saliva. Se non avessi così tanta voglia di salvarla, giuro che l'ammazzerei io stesso.

Forse però ha intenzione di spingerlo giù una volta che Cato l'avrà raggiunta. Non lo so. Forse vuole semplicemente farla finita o è semplicemente impazzita.

-Penso che lo farò – dice Cato.

-Ecco, prendi questo, Cato – gli dice Lux porgendogli arco e frecce.

Un bagliore di cupidigia passa fugace negli occhi di Katniss.

Quello è l'arco che avrebbe voluto correre a prendere dalla Cornucopia all'inizio dei giochi, quando ancora era ferma sulla piastra metallica. L'arco che io ho dissuaso dal prendere.

-No. Farò meglio con la spada – dichiara cominciando ad issarsi sull'albero.

Alzo gli occhi per cercare di capire come muovermi e pregando che Cato ruzzoli giù con tutto me stesso e vedo Katniss risalire ancora più su lungo l'arbusto.

Guardando con quanta destrezza lei si muove tra i rami, la paura che fino ad ora non mi ha quasi permesso di respirare mi abbandona del tutto e sorrido di nascosto pensando a quanto sia agile la mia ragazza.

Cato invece ha più difficoltà ad arrampicarsi. Il suo peso è tre volte quello di Katniss e la sua corporatura non gli permette di fare dei movimenti fluidi e veloci. I rami non reggeranno a lungo il suo peso visto che via via che si sale si assottigliano sempre di più.

Poco dopo infatti cade giù con un tonfo sordo.

Peccato che si rimetta in piedi quasi subito.

-Peso troppo perché i rami degli alberi possano reggermi – sibilla spolverandosi.

-Provaci tu, Lux – propone allora Marvel. - Puoi farcela – la incita.

Lei si mette l'arco a tracolla velocemente e comincia ad issarsi ma quando sente i rami scricchiolare sotto i suoi piedi, ha il buonsenso di fermarsi.

Appoggiata in bilico tra i rami cigolanti prova a raggiungerla tirando qualche freccia ma per fortuna ha una pessima mira. Forse per la posizione precaria. Continua a tirare frecce e ad armare l'arco senza sosta cercando di mettersi nella posizione più stabile possibile.

Cato ringhia di frustrazione accanto a me e la tentazione di provare a decapitarlo si fa strada dentro di me non solo per soddisfazione personale ma anche per riportare l'attenzione di tutti a terra e non lassù ma da morto non potrei esserle di alcun aiuto e quindi mi calmo.

Aspetto l'evolversi della situazione sperando che Katniss si dimostri abbastanza abile anche a schivare i colpi e che sia abbastanza resistente.

Con un ultimo urlo di frustrazione, Lux scaglia una freccia che si conficca proprio nel ramo in cui si trova Katniss che la prende e con fare canzonatorio si rigira tra le mani.

Se non fossi così arrabbiato mi godrei lo spettacolo secondo per secondo. È fantastica.

Lux scende seccata dall'albero.

-Grrr...- ringhia Cato – è in trappola, maledizione – impreca ancora.

-Dobbiamo raggiungerla. Voglio ucciderla – dichiara Lux.

-Lasciamola là – dico io con voce aspra sperando che questo dimostri un disprezzo che non provo. -Dove volete che vada? Ce la vedremo con lei domani mattina – dico.

È l'unica cosa che mi sia venuta in mente per farle guadagnare del tempo.

-Si – dice Clove – domattina dovrà scendere. È sceso il crepuscolo ormai e morirà di freddo lassù – continua compiaciuta. -Mentre noi cene staremo qui al calore del fuoco e se saremo fortunati, perirà per assideramento durante la notte. -

-No! - urla Cato. -Devo ucciderla io – urla quasi perentorio.

-Sì, sì. Era tanto per dire – si difende Clove.

Non perdiamo tempo e ci prepariamo per la notte.

Io mi sistemo un po' discosto dagli altri. Abbastanza vicino al fuoco per sentirne il calore ma non troppo vicino ai favoriti per sentire le loro chiacchiere piene di boria. In una posizione che mi permette di studiare di più quello che succede a Katniss.

Voglio farlo e devo farlo.

Oggi dovrò dare prova del mio amore per lei più del solito se voglio che gli sponsor le mandino qualcosa per farla uscire dal guaio in cui si è cacciata. O magari per far arrivare a me qualcosa che possa servirmi per aiutarla a fuggire o uccidere tutti i favoriti.

Mi accovaccio ai piedi di un albero e guardo verso di lei. La vedo infilarsi la giacca per ripararsi dal freddo pungente che si avvicina e stendere qualcosa sul ramo preparandosi per la notte. Si lega all'albero con una cintura e poi si ferma a guardare un attimo giù.

Lo faccio anche io e vedo gli altri in procinto già di addormentarsi mentre Lux a quanto pare ha montato la guardia.

Rivolgo lo sguardo di nuovo a lei e la vedo sconsolata mentre appoggia la testa contro il busto dell'albero.

-Kat – sussurro con voce tremolante.

La vedo versarsi quella che dovrebbe essere acqua su di un polpaccio e capisco ora il motivo del suo zoppicare. La osservo mentre lotta contro il dolore della ferita mordendosi una manica per soffocare i gemiti.

Così non faccio io. Rimango così. La osservo e gemo mentre sussurro ancora il suo nome.

Solo adesso mi dedico a me facendo il resoconto della situazione fisica in cui verso. Il petto mi brucia a causa della ferita che mi sono procurato durante la fuga dall'ondata di fuoco. È un dolore fastidioso ma sono cresciuto al calore di un forno a legna e ci sono abituato. A volte mi è capitato di scottarmi con qualche scintilla che scoppiettava mentre il pane cuoceva.

Da bambino ero solito avvicinarmi durante la cottura per vedere le varie trasformazioni del pane.

Allungo una mano per toccarmi attraverso il tessuto della giacca che mi sono messo addosso per stanotte e sento un lungo solco che mi attraversa l'addome. Stringo i denti e continuo la mia esplorazione. Con i palmi delle mani trovo parecchi graffi per tutto il mio corpo, sopratutto su braccia e gambe ma nulla di grave. Alla fine i sdraio meglio nel mio piccolo angolo e osservo quello che mi circonda.

Come tutte le volte che mi guardo attorno e che mi vedo accerchiato da ragazzi che non avrei mai incontrato se non fossi stato estratto alla mietitura, mi sento perso. Mi sento come se fossi nel corpo di un'altra persona. Non mi riconosco. Mi sembra di vivere la vita di qualcun'altro.

Mi guardo e mi manca il respiro.

Se fossi stato soltanto io il tributo del Distretto 12, di certo non avrei chiesto come alleati i favoriti. Non mi sarei mai abbassato alla stregua di sadici assassini. Probabilmente mi sarei mimetizzato con il selciato , possibilmente in un luogo a portata d'acqua e avrei aspettato la morte.

Perché sarebbe giunta prima o poi. Per la fame, per il freddo o la puntura di qualche insetto o il morso di qualche animale. Di sicuro non sarei diventato un vincitore.

Ma ho qualcuno da proteggere qui. Così tutte le volte che mi sembra di soffocare per la portata delle mie azioni, mi aggrappo all'unica cosa certa. Il mio amore per Katniss.

Amore.

Chissà se posso definirlo tale poi.

La ammiro. La stimo. Vorrei poterle camminare sempre accanto anche non necessariamente mano nella mano. Vorrei proteggerla e consolarla, prendermi cura di lei. In ogni momento della giornata.

Ma sì. Forse è amore. Ma posso davvero crederlo se non è ricambiato?

Forse allora sarebbe meglio se mi aggrappassi a me stesso. A tutto ciò che mi rende ciò che sono.

Il fatto che voglia dare tutto me stesso per un'altra persona la ice lunga su di me.

No. Non vincerò in questa arena. Ma ne uscirò vittorioso lo stesso. Brandendo nella mia anima ciò che sono e che sono stato.

Mi piace pensarmi come un baluardo di integrità e forse pecco un po' di presunzione nel farlo, ma io sono io. Non cambierò nonostante gli orrori che commetterò o che vedrò commettere. Le atrocità di cui sarò testimone non mi faranno cedere dal mio proposito di sacrificarmi per lei.

Ha sofferto troppo nella vita. Così come ha sofferto la sua famiglia. Non permetterò che succeda ancora. Finché potrò la proteggerò. O veglierò. Come adesso.

Devo trovare il modo di aiutarla. Di farla scendere da quel dannato ramo. Non avrei mai pensato che i suoi amati boschi si sarebbero trasformati anche in una gabbia. Ma di fatto è così. Una gabbia con sei persone ai piedi ad aspettare che ceda o cada. Cinque persone.

Se dovesse succedere so già che combatterò per lei e con lei. Se non mi farà fuori prima che possa schierarmi dalla sua parte. Che riesca a spiegarle.

Non posso fare a meno di sorridere al pensiero che potrebbe davvero succedere. Potrei davvero essere la sua prima vittima tra i favoriti.

-Oh, Katniss – sussurro a fior i labbra. E non mi nascondo più.

Quante volte nel cuore della notte ho mormorato il suo nome.

Oggi aveva quella pettinatura. Pensavo. Oggi ha fatto quell'espressione buffa col naso di quando non capisce qualcosa.

Solo nell'intimità della mia stanza mi sono permesso di sognare. E anche se questo non è da definirsi propriamente un sogno, anzi direi che è più un incubo, almeno mi rende libero di vivere ciò che sento.

Perso nelle mie riflessioni non mi accorgo subito che Katniss si è mossa per risalire ancora un po' lungo l'albero. Guarda un punto fisso davanti a sé.

Sorride. E poi la vedo anche io.

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Capitolo 17
*** capitolo 16 ***


16

 

 

 

 

 

Rue ha probabilmente seguito Katniss in tutto il suo percorso fin qui, come ha fatto durante tutta la fase di preparazione. O forse ha deciso di suicidarsi o di far uccidere Katniss o di uccidere Katniss. Non ho ben capito.

Mi guardo intorno per vedere se qualcuno oltre me si sia accorto di lei ma tra sghignazzi e battutine i Favoriti si stanno preparando per la notte e non prestano molta attenzione a cosa succede sopra le loro teste.

Più tranquillo, rivolgo di nuovo lo sguardo alle fronde degli alberi e cerco di capire cosa stia succedendo preparandomi ad agire se ce ne fosse bisogno.

Le due ragazze si guardano semplicemente negli occhi instaurando una conversazione fatta di sguardi che io non riesco a percepire da qui.

Forse Rue vuole indicarle una via tra i rami che Katniss potrebbe seguire per scappare. Per portarla lontano da noi. Non la vedo proprio capace di ucciderla, mi dispiace anche solo averlo pensato.

Un'occhiata più minuziosa agli alberi però mi fa scartare l'ipotesi di una fuga tra i rami.

Katniss ha tre volte il peso di Rue e non la reggerebbero. Tuttavia la vedo indicarle il fogliame al di sopra della sua testa.

Tra le foglie fatichiamo a capire entrambi cosa cerchi di farle vedere, ma quando lo vede lei lo vedo anche io. Un nido di quelli che sembrano essere Aghi inseguitori.

Subito i suoi occhi scendono a guardare se qualcuno di noi l'abbia vista e io chiudo i miei per non farle sapere che la sto osservando.

Più grandi delle vespe comuni, gli Aghi Inseguitori hanno un pungiglione estremamente velenoso. Furono create in laboratorio durante la guerra e piazzate strategicamente, come mine terrestri, intorno ai distretti.

Una loro puntura oltre che ad essere alquanto dolorosa, induce delle potenti allucinazioni, e in casi estremi, la morte. Ne esistono ancora attorno ai Distretti. Come monito probabilmente.

Katniss dovrebbe scendere da lì se non vuole incorrere nelle conseguenze di una puntura. Forse è questo che cerca di farle capire Rue. Un avvertimento.

Riapro gli occhi e lei è ancora lì ad osservare Rue con aria corrucciata. Dalla mia posizione non capisco bene cosa le stia mimando con le mani la ragazzina ma dopo un primo momento di smarrimento capisco che per Katniss sarebbe l'unica via d'uscita.

Rue sta cercando di farle capire che dovrebbe provare a segare il ramo su cui si trova l'alveare e farlo cadere dritto su di noi provocando la nostra morte o la nostra fuga e darle, così, modo di scappare.

Il piano di Rue tuttavia comporta dei rischi anche per Katniss.

Oltre ad una puntura che di per sé sarebbe già grave, potrebbe comunque morire provandoci. O potrei morire io se ci riuscisse.

Sorrido nonostante questa prospettiva spaventosa. Se morissi io, morirebbero anche i Favoriti e mi starebbe bene andarmene così.

Oppure potrei andarmene adesso, con il favore della notte e approfittare del fatto che i miei alleati si siano addormentati. Ma non vedrei l'esito di questa mossa e potrebbe succedere di tutto.

Devo elaborare un piano che mi permetta di salvaguardare Katniss e cercare di scampare al pericolo di una possibile puntura qualora Katniss riuscisse a portare a termine il suo piano.

Forse potrei correre allo stagno poco prima che il nido cada sulle nostre teste. Potrei seminare gli Aghi inseguitori e riuscire a salvarmi.

Devo solo riuscire ad orientarmi.

Katniss è salita sull'albero parallelamente allo stagno e si è seduta su un ramo alla sua destra. E io adesso la sto guardando di profilo destro quindi lo stagno dovrebbe essere proprio alle mie spalle.

Almeno in questo sono stato fortunato. Se ne uscirò mai vivo.

L'inno di Capitol si dirama per tutta l'arena e le sue note mi riempiono le orecchie. L'ho odiato. L'ho odiato per anni. Lo odio ancora. È il suono della mia marcia funebre, non potrei non detestarlo. Eppure c'è qualcosa stasera nell'aria che me lo fa trovare quasi calmante. Stasera non ho l'istinto di tapparmi le orecchie per impedire di fare un incubo la notte. Alla fine lo sto già vivendo il mio incubo. Il peggiore. Stasera lascio che le sue note mi cullino e i rilasso.

Se tutto va come deve andare, questo sarà il suono della rivalsa di Katniss che approfitta del momento per iniziare a segare il ramo.

Oggi non ci sono state morti e quindi l'inno dura soltanto un paio di minuti.

Raramente è successo nelle passate edizioni che per così tanto tempo non si mietessero vittime o ci fosse del sangue. I giochi rischiano di essere alquanto noiosi. Se non fosse per noi e Katniss li avrebbero fatti finire da un pezzo in un modo o nell'altro.

Lei continua a segare e vedere la sua faccia così sofferente mi fa stringere il cuore.

-Katniss- sussurro mandandole un bacio a fior di labbra. Un po' per me un po' per lo show.

Istantaneamente vedo un oggetto brillare nel cielo e lo seguo con lo sguardo si posa nel ramo sul suo sacco a pelo, un paracadute degli sponsor sicuramente. Spero che serva a curarle le ferite.

L'inno si conclude e Katniss smette di segare tornando lentamente al suo posto. Probabilmente ha paura che il rumore del coltello contro il ramo ci svegli.

Appena vede il dono, i suoi occhi si rianimano e apre febbrilmente la confezione. Alza gli occhi al cielo in segno di ringraziamento e si passa quello che le è stato inviato sulla ferita traendone subito beneficio.

Poi ne spalma un po' anche sulle mani avvolge il vasetto di nuovo nel paracadute e lo ficca dentro lo zaino.

Deve esser una crema per le bruciature, forse ha una scottatura come la mia, forse più profonda.

Quindi si trovava in quello stagno perché deve essere stata investita da un mare di fuoco come noi. La conferma che è stato tutto architettato dagli strateghi.

Si allaccia nuovamente la cintura e appoggia la testa al tronco.

Rimango a fissarla per tutta la notte mentre lei dorme. Mentre tutti dormono.

Clove rannicchiata al fianco di Cato con il capo sul suo addome. Cato steso sulla schiena attaccato alla sua lancia. Distretto 4 gli da le spalle e Lux, che probabilmente è stata l'ultima a montare la guardia, seduta scomposta con la testa di lato e la schiena addossata ad un albero. Marvel è ai piedi di Cato e Clove. Evidentemente si sentiva più sicuro così.

Katniss si sveglia alle prime luci dell'alba, controlla ancora le sue ferite e vi spalma un altro strato di crema. Mangia e beve in tutta fretta e si prepara a finire l'arduo compito di segare il ramo e uccidersi.

Avverte Rue delle sue intenzioni e la bambina si allontana velocemente.

Dentro di me imperversa una dura lotta.

L'istinto di sopravvivenza mi urla di muovermi alla svelta e togliermi di lì prima che succeda l'inevitabile.

La voglia di proteggerla dall'altro mi fa vibrare le membra come una corda tesa. Mi intima di stare in allerta. Di fare attenzione che non si svegli nessuno dei Favoriti e di rimanere vigile aspettando il momento esatto in cui il nido si staccherà per poter fuggire in fretta.

Un rivolo di sudore mi cola lungo le guance ed è strano rendermi conto anche di questa. L'adrenalina mi imperversa nelle vene e riesco a sentire come fosse il peggior frastuono al mondo,che possa far svegliare tutti, persino il fruscio delle foglie mosse dal vento. La paura mi attanaglia lo stomaco in una morsa strettissima.

Alzo lo sguardo verso Katniss e mi concentro soltanto sul movimento ritmico del suo coltello contro il ramo.

Avanti e indietro. Avanti e indietro. Sempre più a fondo.

Le mie orecchie tese a percepire un minimo movimento da parte degli altri.

Se qualcuno di loro dovesse riuscire a fuggire in tempo dovrò riuscire a portarli via da qui alla svelta.

Questo potrebbe essere il momento decisivo. Il momento della mia morte. Della morte dei Favoriti e della salvezza per Katniss.

Il mio cuore perde un colpo quando Katniss sposta il ramo lontano da sé e cedo me stesso muoversi al rallentatore. Una sola immagine nella testa. Katniss bambina il primo giorno di scuola.

E il nido si stacca.

Faccio in tempo ad alzarmi prima che il nido tocchi terra con quello che alle mie orecchie giunge come un boato.. non ho il tempo di portare nulla con me. È il caos assoluto. Lo sciame degli Aghi inseguitori parte all'attacco contro la minaccia. Mollo tutto e corro verso lo stagno a più non posso. Il ronzio di quei pericolosi insetti nelle orecchie.

Dietro di me vedo solo Clove, Cato e Marvel. Lux e Distretto 4 urlano in lontananza.

-Al lago! Al lago!- urla Marvel e capisco che per me non sarà finita una volta che mi sarò immersa nell'acqua dello stagno.

Se ce la faccio io, ce la faranno anche loro.

Sento il brusio degli Aghi inseguitori dietro di me e un dolore lancinante dietro l'orecchi mi toglie il fiato prima di cadere scompostamente dentro il lago.

L'acqua mi travolge e i sento tirare giù. Sempre più giù. Non ricordavo che il lago fosse così profondo. Muovendomi al rallentatore guardo i miei piedi. Forse Clove o Cato mi hanno afferrato per una caviglia e mi stanno trascinando sul fondo con loro. Ma non vedo nessuno. Non vedo neanche le mie gambe. Un urlo mi irrompe dal petto e non riesco ad arginarlo. Il panico mi travolge e nonostante sia certo che non riuscirò mai a risalire visto che mi hanno tagliato le gambe, rivolgo il viso verso la luce che proviene dall'alto. L'uscita. Le mie braccia però non collaborano. Mi sembra di avere due sassi al loro posto. Le guardo e le vedo sfocate. Cerco di muoverle facendo leva sul tutto il mio autocontrollo e divengo consapevole che tutto potrebbe essere il frutto delle punture velenose degli Aghi inseguitori.

Finalmente il mio corpo sembra collaborare e a fatica riesco a togliere il pungiglione dalla ferita dietro il mio orecchio. Una volta riuscitoci mi sento decisamente meglio. Ho soltanto un bubbone grande come un uovo e l'acqua deve aver arginato il suo effetto.

Mi guardo intorno.

Clove barcolla vomitando nello stagno e Marvel a riva è in preda alle convulsioni mentre Cato, nonostante abbia i movimenti più rallentati dei miei,si sbraccia per uscire dallo stagno sempre con la lancia in mano per cercare di uscire dall'acqua.

A tentoni vi esco prima io, lui è dietro di me.

Quando mi raggiunge, senza pensarci, afferro la sua lancia per rubargliela e destabilizzarlo, quindi lo spingo indietro facendolo cadere di nuovo in acqua. Mi alzo e comincio a correre verso Katniss.

Arranco. Scosso da brividi in tutto il corpo. Un fischio persistente mi rimbomba nelle orecchie. Sento Cato urlare ma non capisco cosa dice la sua voce ovattata.

Continuo a muovermi più veloce che posso nonostante la confusione che mi regna nella testa e le vertigini. Un colpo di cannone mi intontisce ridondando dentro di me e la paura mi acceca per un attimo.

-Non è lei. Non è lei – mi ripeto febbrilmente.

Attorno a me tutto si fa frammentato e capisco che un altro degli Aghi inseguitori deve avermi punto ma non riesco a percepire dove. Sono tutto un dolore.

-Peeta -sento Cato urlare più chiaramente alle mie spalle.

Non ho tempo da perdere. Né il tempo di gioire per il mio udito ritrovato o il tempo di cercare il pungiglione in un punto imprecisato del mio corpo. Di togliermelo e impedire tutto quello che so che avverrà per colpa della puntura.

Mi muovo a tratti o così mi sembra e quando raggiungo l'albero lei è ancora lì. Abbracciata all'arco che suppongo abbia ancora rubato a Lux, morta ai suoi piedi.

Rimango sbalordito dalla sua stupidità anche se mi rallegro che non sia lei quella stesa a terra.

Sarebbe dovuta fuggire. Lontano.

Lascio cadere il braccio lungo il fianco sfinito.

-Cosa fai ancora qui? - le dico sibilando. Spero che Cato non mi senta. -Sei pazza? - continuo iniziando a pungolarla con l'asta della lancia. Mi guarda inebetita e non si muove.

-Alzati! Alzati! - le intimo. Sento muoversi qualcuno tra gli alberi. Sono vicinissimi.

Mi volto per controllare ma continuo a spronarla. Ha una guancia e il collo gonfi per le punture e ha ancora i pungiglioni all'interno dei bubboni creati dalle punture.

Vorrei davvero aiutarla, prendermi cura di lei, ma più di questo non riesco a fare perché Cato sbuca dai cespugli, la spada sguainata.

-Corri! Corri! - le urlo ancora. E finalmente lo fa. Barcollante inizia a correre attraverso il folto degli alberi. Io fronteggio Cato.

Cerca di superarmi ma io gli do una botta con l'asta della lancia facendolo cadere a terra, la presa sempre stretta all'elsa della sua arma.

Meno un fendente dritto al suo stomaco ma lui lo schiva rotolando di lato. Riprendo la lancia e lo strattono facendolo finire contro un albero. La spada gli cade di mano. Evidentemente anche lui è ancora intontito dal veleno delle punture.

Sento il ronzio degli Aghi inseguitori tutt'attorno a me e so che mi stanno pungendo ancora. Il nido loro nido è a pochi passi da me ma faccio leva sulla mia rabbia e conficco la rabbia in quella che vorrei fosse la testa di Cato ma è solo il tronco dell'albero alle sue spalle. Lo vedo triplicato e so che anche per lui è lo stesso.

-Cosa vuoi fare, 12? - mi dice. -Vuoi uccidermi? - mi canzona.

Con un urlo sovrumano e che sembra non appartenermi, mi getto su di lui e lo prendo alla sprovvista. Gli cingo il petto e lo allontano dalla spada. Un'altra puntura mi lascia stordito e mollo la presa.

Cato cade in ginocchio e gattona fino alla sua arma. Mi muovo verso di lui ed è l'errore più grosso che potessi commettere. La sua spada mi trafigge la gamba sinistra. Arretro per farla uscire dalla mia carne bollente e e guardo ipnotizzato il sangue che zampilla dalla ferita.

Cato rimane carponi a terra stringendosi la testa con le mani.

È la mia ultima possibilità di fuga. Non avrebbe senso ingaggiare adesso un corpo a corpo con lui..sento le forze abbandonarmi sempre di più. Devo provare a trovare un rifugio prima che Cato si riprenda. Mi incammino nella stessa direzione di Katniss sperando di trovarla.

Gli echi degli uccelli appollaiati sui rami mi feriscono le orecchie ma non mi fermo.

Continuo nonostante il caldo afoso. Continuo nonostante la voglia che ho di stendermi a riposare. Continuo perché devo raggiungerla. Sapere come sta. Assicurarmi che sia viva e che lo rimanga.

Decido di dirigermi a valle. L'ottundimento dei sensi per fortuna non compromette le mie capacità intellettive per ora e mi accorgo che non il sangue che fuoriesce dalla ferita alla gamba sto lasciando delle tracce. Potrebbero trovarmi come se niente fosse.. ma arrivando a valle, al torrente, l'acqua laverebbe via il sangue e risalendolo potrei arrivare abbastanza in alto.

Il terreno fangoso mi fa capire che il torrente è vicino e continuo barcollando anche se mi sento rinvigorito alla prospettiva di immergermi nell'acqua fresca. Sono tutto un fuoco.

Cammino ancora per qualche minuto e quando finalmente il fruscio dell'acqua annuncia il torrente, senza attendere, mi immergo. Il sollievo è istantaneo ma non posso fermarmi.

Avanzo a fatica e quando i massi lungo l'argine diventano più grossi mi arrampico come posso.

Risalire il torrente adesso è più difficile. La corrente è più forte ma facendo leva con tutto il corpo sui massi, riesco a proseguire.

La testa mi gira e il cuore mi batte in petto con un ritmo che è tutto fuorché normale.

Cancello le tracce come posso.

Sono sfinito.

Scivolo ormai allo stremo. Mi lascio cadere sperando di non sentire più nulla e cedere all'oblio.

Dolce. Dolce oblio.

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