Drought

di acchiappanuvole
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fall ***
Capitolo 2: *** Winter ***



Capitolo 1
*** Fall ***


~~

Fall


E' sdraiata sull'erba del cortile di casa e guarda in alto. Il cielo sopra Resembool è di un blu artificiale, un blu svuotato di qualsiasi emozione, anche solo di una traccia di semplice conforto. Benché sia da poco passato il mezzogiorno di una calda giornata d'ottobre, a Winry non sembra impossibile che quel cielo possa cominciare a produrre piccole e gelide stelle. Sheska, seduta su di un maglione consunto per non sporcarsi i pantaloni di tela chiara, elenca i suoi impegni pomeridiani con insolito distacco professionale. Il sole e i movimenti della natura lampeggiano nelle sue piccole lenti rotonde.
“ Potrei tenermi libera per domani” dice d'un tratto “dopotutto è una giornata speciale.”
“ Lo è!?” Winry raccoglie una foglia caduta e la strappa a metà.
“E' un traguardo importante. Non vorrai dirmi che cominci a temere il trascorrere del tempo?”
“Sì lo temo, ma non nel senso che credi” una cascata di capelli biondi ha intrappolato qualche filo d'erba ed alcune formiche, confuse nel tentativo di trovare una via d'uscita. Sheska allunga una mano verso l'amica ma la ritira un istante dopo come in una placida sconfitta. L''infinità di libri letti durante tutta la sua vita la lasciano comunque muta di parole adeguate. Ci deve essere qualcosa che è giusto dire o fare, ma il tentativo risulta sempre mediocre e poco efficace. In verità Winry l'apprezza proprio per la sua totale incapacità di rendersi una consolante consolatrice.
“Apprezzo che tu voglia festeggiarmi Sheska, ma sono oberata di lavoro. Sto mettendo appunto un nuovo tipo di automail, una fibra d'acciaio incredibilmente leggera quanto resistente. Voglio presentarlo alla prossima fiera di Rush Valley . Per ora è un prototipo ma ho buone speranze in proposito.”
“Tua zia sarebbe di certo orgogliosa.”
Winry piega la bocca in una smorfia, “troverebbe sicuramente qualcosa sulla quale mettere mano. Ma la sua pignoleria è sempre stata il maggiore stimolo per migliorarmi. Da quando non c'è più forse sto peccando di inerzia.”
“A me pare esattamente il contrario. Non starai lavorando troppo invece?”
“Certo che sentirsi porre una domanda del genere proprio da te è piuttosto strano.”
Sheska sospira quasi fosse riuscita a rilassarsi solo in quel momento, “ lo sai che strano è il mio sinonimo.”
Winry sorride, il cortile fluttua intorno a lei, le foglie scintillano nell'aria. “Forse dovrei tagliarli” mormora attorcigliando una ciocca bionda intorno all'indice in un'improvvisata fede nuziale.
“Forse no” si fa seria Sheska “ insomma a me spiacerebbe molto se tu li tagliassi. Non è necessario. Non ancora, no?”
Già, forse non è ancora il momento.
 
Dopo aver salutato Sheska, Winry ritorna ai suoi riti quotidiani. La casa, l'officina, il cimitero. Quello è il periodo delle rose; si è riscoperta in grado di poter far crescere qualcosa dietro il muro di casa, e così i risultati finiscono adagiati sotto i nomi di Sara e Unry Rockbell. Per Trisha invece ci sono anemoni bianchi. Li dispone sulla terra nuda, corolle piccole e delicate. Non ricorda se la signora Elric amasse i fiori. O quantomeno quel genere di fiori. Forse avrebbe preferito altro. Qualcosa che solo i suoi figli avrebbero potuto portare a quella tomba privata di ogni legame.
“Immagino anche lei si senta abbandonata” dice Winry, predisponendo in modo meccanico i fiori “ sembra un destino tutto femminile. Certo prima il marito e poi i figli. Avrebbe dovuto essere più severa. O più attenta.” E scopre che l'ironia della propria voce è un rimprovero reale fatto ad una donna per la quale non aveva mai realmente nutrito simpatia. Si vergogna di quel non sentimento. Giudicare le scelte altrui è semplice in fin dei conti. Trovarsi nei loro panni tutto un altro paio di maniche. Ma quel senso di irritazione non accenna a smorzarsi.
La tomba di Pinako è l'ultima, vicino ad un ippocastano dalle foglie ingiallite. Per lei non ci sono fiori, le davano l'allergia. Così Winry poggia sul marmo bianco una chiave inglese, quella con la quale ha lavorato in quest'ultimo mese al suo progetto.
“Al diavolo! Dovresti davvero essere fiera!” sbotta asciugandosi velocemente gli occhi. E' quasi tutta radunata lì la sua piccola corte di fantasmi. Una volta, in un'altra vita, Edward le aveva detto che crescendo si collezionano un buon numero di conoscenze. Winry è invece giunta alla conclusione che crescendo si colleziona un discreto numero di morti e pesanti assenze.

 

Quando il whisky scende lungo la gola Winry reprime a stento la necessità di tossire. E' una donna ormai. Una donna sola seduta accanto ad un uomo solo. Vorrebbe dare una pacca di consolazione sulla spalla dell'assassino dei suoi genitori e dirgli che infondo ad essere patetici non c'è niente di male. Invece sta zitta. Zitta a fissare il bicchiere, a lasciare che la gola le bruci e le tempie martellino sotto il peso di contrasti interiori. Passati e presenti.
“Io e Hughes venivamo qui spesso”  Mustag lascia che l'occhio buono proietti fotogrammi passati sul muro opaco del locale. La consapevolezza di non poterne modificare nemmeno uno. E Winry vorrebbe chiedere che cosa vede. Hughes, il più grande dei suoi fantasmi, certo. Ma forse anche i suoi genitori. Due buone anime con il difetto di non volersi schierare. E poi forse anche gli Elric. Soprattutto Edward. Winry su questo non ha dubbi. A Mustang di Alphonse non deve essere mai fregato molto. Ma di Edward...
“Mi odi ancora vero?”
Suona quasi ridicolo sentirselo chiedere. Perché sì, Winry lo odia e si trova nella scomoda posizione di non poterselo permettere.
“Sono diventata troppo cinica anche per l'odio, colonnello Mustang.”
“Non sei cinica. Solo ferita.”
“Lei se ne intende.”
“Sì” e l'occhio la fissa, senza schermi “non vorrei tu diventassi come me.”
“Un assassino!?”
E Roy Mustang accetta il colpo, lo aspettava da anni, lo ha sentito arrivare con meno forza di quanto si era prefigurato.
“Un involucro vuoto” butta giù altro whisky tutto d'un fiato per marinare meglio la malinconia nell'alcol.
“Negli involucri vuoti si può buttar dentro tanta roba”  ribatte Winry “ma poi alla fine nessuno di noi ha la fortuna di poter essere davvero un involucro vuoto. La verità è che nascondiamo tutto sotto il tappeto fin quando, in un momento di distrazione, salterà fuori a sporcare tutto di nuovo.”
Mustang le versa dell'altro whisky “se ti sentissero parlare così a stento riuscirebbero a riconoscerti” e non serve specificare a chi allude perché Winry possa capire. Scrolla le spalle e accenna un sorriso “non si dovrebbe badare molto a quel che dico, credo sia dovuto ad un eccesso di acidità femminile ed al fatto che tra qualche ora sarò più vecchia di un anno.”
“ Potrei elogiare la tua bellezza e dirti che pari sempre una ragazzina.”
“Grazie, ma i complimenti da seduttore consumato non hanno grande effetto su di me.”
“Era una constatazione più che un complimento.” Mustang ha un sorriso sincero e questo a Winry può bastare. Rigira il bicchiere tra le mani prima di bere un altro sorso di liquido ambrato. Vagamente gli ricorda il colore degli occhi di Edward.
“Come sta il tenente Hawkaye? E' parecchio tempo che non la vedo” beve e un rivolo di liquido le sporca le labbra.
“Ti interessa davvero?” Mustang osserva quella goccia ferma sulle labbra di Winry, si ritrova indeciso sul da farsi prima che la sua testa gli gridi che è un idiota.
“Non domanderei qualcosa che non mi interessa.”
“Sta bene a quanto ne so.”
Winry passa un dito sulle labbra, cattura la piccola goccia di whisky in un gesto privo d'ogni malizia.
“Lavorate ancora insieme, no?”
Mustang annuisce, “sì, più o meno. Diciamo che siamo entrambi molto impegnati.”
“Capisco,”  Winry non aggiunge altro. Le piacerebbe chiedergli se ha mai pensato di sposare il tenente Hawkaye, se tra loro si è mai concretizzato qualcosa o se Mustang è rimasto un donnaiolo di nomea e di fatto. Poi d'un tratto si rende conto che in realtà la cosa non la interessa. Le era sembrato. Ma ora la curiosità ha perso ogni attrattiva.
“Dovresti lasciare Resemboll, vivere a Central City ti darebbe maggiori opportunità di lavoro. Un meccanico d'automail del tuo livello sarebbe una vera manna per l'esercito.”
Gli occhi di Winry si posano sul suo interlocutore. A Mustang pare che le iridi azzurre della ragazza si siano scurite, la sua contrarietà è evidente e lui è ben conscio di aver proposto qualcosa di poco delicato ed è certo di averlo fatto apposta.
“Non lavorerei mai per l'esercito. Io costruisco automail perché le persone possano avere una vita il più vicina possibile alla normalità. E poi non potrei andarmene da Resemboll. E' la mia casa.”
“Ci speri ancora?”
“Forse ci spera più lei di me colonnello!” così dicendo Winry lascia i soldi al bancone. La testa le gira, non è abituata all'alcol, ma questo non le impedisce di infilarsi con disinvoltura la giacca, congedarsi cortesemente e uscire.
Fuori il cielo le rovescia addosso la pioggia, l'aria è più fredda. Per la strada tutti corrono in cerca di un riparo dall'acqua battente; per Winry la pioggia e la desolazione sono una manna e un nascondiglio, impediscono al resto del mondo di cogliere il suo stato d'animo e la possibilità di poterlo invadere. Alcune auto non rallentano, sollevando spruzzi di fango che le sporcano le gambe e contribuiscono a rendere ancora più fradice le scarpe. Un tempo avrebbe sbraitato dietro la maleducazione umana, ma ora la coglie solo il pensiero di dover avere un aspetto davvero misero.
Prima di svoltare l'angolo in direzione della stazione, una mano forte l'afferra prontamente per un braccio. Winry barcolla in un malo equilibrio costretta a voltarsi verso quell'irruenza. Mustang ha il fiato corto, deve averla rincorsa, forse anche chiamata senza che lei potesse sentire nulla, il mondo ovattato dalla pioggia.
L'uomo la guarda dall'alto in basso, il viso di Winry è troppo bagnato per comprendere se quelle che scorrono lungo le sue guance siano lacrime o semplice acqua piovana. I suoi occhi però sono arrossati e Mustang non vi legge angoscia ma rabbia.
“Mi dispiace” dice lui
E lei annuisce e si concede un risolino, “non fanno che dire tutti la stessa cosa. Mi dispiace Winry. Povera stupida Winry.”
Mustang la sente tremare, il corpo scosso dal freddo e da qualcos’altro.
“ Ti ammalerai se resti così. A che ora passa il treno?”
“Non lo so”borbotta infastidita “forse è già passato.”
“Allora dobbiamo trovarti un albergo. Ce né uno qui vicino.”
“A casa sua” la voce di Winry è un suono tagliente che sferza la pioggia.
“Come?”
E forse non ha mai visto il viso di quell'uomo tanto sorpreso.
“A casa sua. Ce l'avrà una casa colonnello Mustang.”
E Mustang torna serio mentre Winry trema più forte “ credo sia meglio che ti accompagni in un albergo.”
“E' poco ospitale. A me non piacciono gli alberghi. Sono impersonali, con le stanze tutte uguali.”
Winry vorrebbe bere ancora. Lo stomaco è caldo e quello che sale verso la testa è terribile ma la fa sentire stranamente forte, fuori da ogni contesto di coscienza. Perché quell'uomo si rifiuta d'ospitarla?
-“Se fosse Edward a chiederglielo sono sicura che non insisterebbe tanto con la storia dell'albergo.”
“Winry hai bevuto troppo.”
“Ad essere onesta non me ne frega niente. Se vuole può lasciarmi qui. Aspetterò quel treno a qualunque ora esso sia.”

 

 


 
 

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Capitolo 2
*** Winter ***


Winter

C'è odore di alcol. Forse proviene da lei o forse è impregnato nelle pareti spoglie della stanza. Si era aspettata tutto un altro luogo, un luogo misurato sull'ego dell'uomo che lo abita. Ma forse è più adatto così. Con i fogli di giornali sparsi in giro e reliquie di mozziconi di sigaretta un tempo poggiate su labbra oneste. Mustang si muove dietro di lei, le offre una sedia, una tazza di caffè o un bicchiere d'acqua per allentare la presa del liquore. Winry non sa se è realmente sbronza. Vorrebbe esserlo. Tanto da non capire, tanto da mandare ogni cosa al diavolo e ridere e piangere dietro i paravanti da ubriaca. Non accetta la sedia né il caffè. Vaga per la stanza come alla ricerca di indizi, tracce, e di cosa non è tanto sicura.
“Winry il cappotto, toglilo è fradicio.”
Lei sorride ma non obbedisce, “lo sono anche i vestiti” replica e capisce che l'uomo è disorientato, che non sa come comportarsi, e questo, in qualche maniera, la diverte. Una porta semi aperta rivela la camera da letto, spoglia come tutto il resto. Si siede tra le lenzuola sfatte, reclina indietro la testa e prende il respiro, come se dovesse tuffarsi da un enorme altezza.
“Ti ammalerai” è ferma la voce di Roy Mustang. Potrebbe essere un padre al bivio tra la premura e il rimprovero.
“Ha così fretta di spogliarmi?” Winry ride, di sé e della figura che sta facendo in quel momento.
“Posso prestarti una maglia e puoi metterti a letto. Nonostante l'apparenza le lenzuola sono pulite. Io dormirò di là. Hai bisogno di riposare.”
“Lei è davvero certo di sapere quello di cui ho bisogno?!” lascia scivolare il cappotto sulle spalle, la pelle reagisce al freddo in un tremito appena percettibile, “lo sa forse vorrei davvero mettermi qui e poter dormire. Svegliarmi domattina un po' imbarazzata, chinare il capo e chiedere scusa. E tuttavia...” ascolta la propria voce, le parole così aliene che escono dalle labbra in un'improvvisazione che sa di audacia e disperazione, “tuttavia non sono voluta venire qui per scroccarle un letto.”
Mustang la fissa, come un uomo può fissare qualcosa di distante nel cielo, qualcosa che si intravede ma non è chiaro identificare.
“E' sbagliato e lo sai .”
“No, non lo so” lo sguardo azzurro non tentenna, “un uomo, una donna, una stanza. Succede in continuazione e non ci sono particolari implicazioni.”
“Non siamo due estranei. Direi che le implicazioni ci sarebbero.”
“Vorrei che non le importasse.”
“ Ma mi importa.”
“Beh, non dovrebbe”  abbandona il letto, le ginocchia la tradiscono per un istante, “un estraneo non capirebbe.”
“Che cosa non capirebbe?” Mustang la guarda avvicinarsi, improvvisamente piccola nei vestiti umidi, le ciocche bionde appiccicate al pallore del viso.
Winry non risponde, non vuole controllo, non vuole domande. Le domande la costringerebbero a pensare, la distoglierebbero da quell'atto di punizione e liberazione. Ha bisogno del vuoto. Ha bisogno dello schianto. Delle ossa rotte e dell'anima condensata. Ha bisogno di poter morire e illudersi possa essere vero.
Quando il corpo tocca quello di Mustang lui l'allontana. E dovrebbe bastare questo. Ma c'è l'immagine di Edward, l'idea che in qualche modo possa vederla, che possa soffrirne... è sufficiente perché le labbra cerchino, premano con insistenza in un bacio impacciato. Il primo della sua vita. E' sufficiente per non sentirsi patetica. E Mustang cede a quella disperata insistenza. Potranno dare la colpa al bere, potrà dare la colpa a se stessa o a lui, potrà incolparlo di aver approfittato della situazione. Potrà schiacciarlo sotto questo nuovo peccato insieme alla privazione che lui le ha inflitto.
Franano su quelle lenzuola sfatte, due corpi avvinghiati e gettati in un abisso di leviatani, se la stanza vortica di domande e di ombre Winry chiude gli occhi, preme il viso contro il collo di Mustang, pelle calda e compatta, ruvida di cicatrici mal guarite; poggia le mani su quelle spalle sfondate dal passato, ne sente la forza stanca affiorare dal tessuto ruvido della giacca, lui la stringe ma non si muove, la ingabbia in quel calore malinconico, non la guarda, ne ha paura. Paura che anche lei possa sentire quell’odore, quell’odore dolciastro e tremendo della carne bruciata, quell’odore di morte che lui porta con sé e non può lavare via completamente.
“Mi dispiace” dice accostato al suo orecchio, un suono che deve provenire dalle viscere di caverne profonde, come un animale che respira la libertà dopo una cattività troppo lunga, una libertà che lo sgomenta e lo respingerebbe nuovamente all’ombra di un passato monolitico.
Winry non sa quello che prova, non riesce a cogliere a pieno il sapore di quel pentimento, che è sincero certo, ma è un balsamo ormai privo di proprietà benefiche, un sentimento che non salva quella bambina seduta al tavolo di una cucina spoglia, il viso nascosto tra le braccia, i singhiozzi impossibili da trattenere mentre fuori il mondo gira ancora, gli uccelli cantano, il sole brilla incurante della sua tragedia personale. Quanto dolore e quanta rabbia aveva ingoiato, un liquido amaro depositato nel suo essere, acquietato solo dal buon senso e dalla vita che Edward le aveva mostrato tendendo semplicemente la mano. Ed ora lei è stretta alla causa di quel dolore, ascolta le sue confessioni riscoprendosi il solo confessore in grado di assolvere la deriva di quell’uomo. Sa di non poterlo fare, non completamente. Dire “ perdono” sarebbe una menzogna, perché Winry non può perdonare, ha accettato quel sussurro, lo tiene stretto nella mano sudata e annuisce “lo so” mormora e gli occhi si sporcano di lacrime, ma va bene, va bene così. Mustang si solleva appena, ora la fissa da quell’unico occhio buono, catrame liquido senza speranza. Lei gli carezza il viso, ne segue i contorni maturi, le dita si soffermano sulla benda scura, la sollevano liberando il biancore cieco contornato da pelle violacea e grinzosa. Vuoto a fissare il vuoto. Solleva la testa e ne raggiunge le labbra, un bacio diverso, non ne conosce il significato e non è nemmeno certa che un significato ci sia, la dolcezza dell’amore è un’altra cosa, si trova su un altro volto, negli occhi di qualcun altro. Qualcuno che Winry ha smesso di aspettare. Quell’amore non era per per lei. Mustang ricambia il bacio, asseconda, comprende quella strana reciproca punizione. Nel’intimo Winry vorrebbe ridere, vorrebbe gridare “abbiamo amato entrambi la stessa persona e ci consoliamo del nostro male comune. La vita è tutta da ridere!” ma no, ricaccia l’ironia crudele, preme il corpo di donna, supplica per l’oblio dei sensi, per quelle mani esperte che hanno varcato la soglia dell’intimo pudore e le percorrono le cosce sotto la lana umida della gonna. A breve gli indumenti saranno cadaveri di dignità lasciati a vergognare in un angolo e loro saranno liberi, liberi in quella nudità ferita, in quei baci bagnati, in quella disperazione solo e soltanto loro.
“Sei…” Mustang si ferma, coglie il rossore di ragazzina sulle guance in contrasto con la convinzione dello sguardo. La domanda rimane sospesa un istante , Winry gli prende una mano e se la poggia sul petto, il cuore le batte, le batte così forte da sembrare vicino allo spasmo finale. “Sai bene che lo sono” risponde “la verginità è forse più un fattore mentale che fisico” e la verginità del suo amore rimarrà intatta, poco a che fare con qualche goccia rossa su di un lenzuolo. Lei lo ha cercato, lei lo ha voluto. E se era la brama dell’atto fisico, l’irruenza di soddisfare primordiali voglie, Roy Mustang non l’accontenta. La gentilezza del suo tocco, la premura delle sue attenzioni sono quasi dolorose. Fuori dalla finestra la notte d’inverno è una lugubre seta marezzata dalla luna, la carne di Mustang viola l’ultima resistenza, la costringe a serrare gli occhi e le lascia sfuggire un lamento doloroso fra le labbra; lui si ferma, rimane così, invasore richiesto di un’innocenza lasciata al tempo, respira pesantemente issandosela contro e Winry pensa che un tempo sono stati entrambi due visi da cartolina non toccati dalla realtà, un tempo così remoto che pare un sogno nel sogno,  quando una bambina salutava entusiasta ferma davanti all’uscio di casa la missione compassionevole dei suoi genitori e, nello stesso istante, un ragazzo di sedici anni indossava la sua prima uniforme ornata di belle speranze e idee di giustizia.
Inarca il corpo sotto quelle spinte, le accompagna, smette di trattenere la natura, la rincorre attraverso le mani sulla pelle, su,dietro la nuca a stringere incolte ciocche scure. E in quel momento smette di martoriarsi l’anima con le anfetamine di quello che non è stato: un bacio alla stazione di Resembool, una promessa mai pronunciata, un amore mai corrisposto… smette di chiedersi che sensazioni il corpo di Edward avrebbe potuto darle, la gioia assurda di una completezza a metà. Bacia Roy e piange, svuota il fardello dei rimpianti, accompagna i sensi nel piacere bruciante di quello che sta facendo, lì tra quelle mura anonime a fare da fortezza a quel dolore condiviso.

“Winry…”
Apre gli occhi, appena, l’impasto del sonno la tiene a sé, intorpidisce i movimenti, confonde la percezione. Winry mugugna, desidera un bicchiere d’acqua ma non vuole chiedere. Si era aspettata che una marea rinnegatrice l’avrebbe colta, derisa di quella nudità ancora addossata al corpo di quell’uomo. Ma c’è una strana quiete di membra spossate dal sesso e dal respiro caldo di colui che, forse più di lei, aveva conosciuto il mondo perduto dei fratelli Elric. I suoi fratelli. E mentre assaggia il suono della parola “miei” sulla lingua, Winry se ne sente d’improvviso estranea, come succhiare una caramella che ormai ha esaurito il piacere dello zucchero.
“Winry stai bene?” la voce profonda e gli occhi spaiati la raggiungono, Winry annuisce, si gira appena verso la finestra, il cielo è trafitto dalla prima luce, qualche stella sopravvive all’imminenza del sole, e tutto sembra così distante e alieno. Allunga una mano in direzione del vetro, l’urgere del pianto le strozza la gola, va con la mente a pascolare fantasmi tra quello che non si vede, lì attraverso le pieghe più scure del cielo, ma che deve pur esserci lì fuori. Chissà dove? Tutta la vita ad annaspare, a cercare nel buio e mai una volta che ci basti quello che c’è intorno.
“Vuoi che ti accompagni alla stazione?” Mustang sta calando la scialuppa di salvataggio per entrambi, la stazione come un piccolo porto dove lasciare la tragicità della navigazione appena superata. Ma lì, nel calore di quel letto, Winry si sente protetta e si sente donna come mai lo era stata prima, finalmente i fardelli sono lasciati a terra come valigie cariche di oggetti che non hanno più alcuna utilità.
Siede sul letto fissando quell’uomo che è da sempre lo spartiacque tra passato e presente e in qualche modo sente in sé di poterlo ringraziare.
“Una doccia prima colonnello Mustang ed un caffè” indica la stanza adiacente, il tavolino pervaso dalle bottiglie di alcolici già scolati da tempo. “sono più vecchia di un anno e questo è un giorno nuovo. Me lo concede un caffè insieme?” e Roy Mustang comprende e annuisce.

 

Note: nelle mie intenzioni questa fanfiction è collocabile dopo la fine di Conqueror of Shambala e fa quindi riferimento all’anime del 2003. Anime che la sottoscritta ama profondamente.  Il duo è abbastanza atipico, non sono mai stata una fan di Winry ma la reputo comunque un personaggio forte che mi incuriosiva approfondire. Nella serie del 2003 non c’è un lieto fine romantico per lei ma l’accettare che il ragazzo di cui è sempre stata innamorata non farà più ritorno. Decidere di farla rapportare proprio con l’uomo che è stato la causa della morte dei suoi genitori può essere azzardato però l’ho reputato un salto nel vuoto risolutivo. La storia è stata totalmente ispirata dalla canzone “Drought” dei Vienna Teng.

 

 

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