Vicini così.

di badheadache
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1
 
Eren si svegliò di soprassalto. Era totalmente sudato, e si accorse subito di avere sete. Doveva aver gridato, ma per fortuna nessuno era così vicino a lui da sentirlo: era l’unico cadetto a dormire nei sotterranei. Certo, si disse, non sono un normale cadetto. La verità lo colpiva in gola ogni volta: lui poteva anche trasformarsi in un gigante anomalo. Grazie, o a causa, di questo potere, si era direttamente caricato sulle spalle la responsabilità di essere l’unica salvezza per l’umanità.
Non ricordava cosa aveva sognato, ma ormai era consapevole del fatto che la differenza tra realtà e incubo era davvero sottile, quasi inesistente. Perso completamente il sonno, decise di alzarsi per dirigersi nel refettorio. Quasi ogni notte andava lì, solitamente senza grandi motivi. Semplicemente adorava, quando non riusciva ad addormentarsi, osservare dalle grandi vetrate la luna, che quasi gli sorrideva come una madre. Si sentiva meno solo, anche se attorno non aveva nessuno, e questo fatto era amplificato dall’enorme stanza vuota. Quella notte, però, era diversa. Era certamente sicuro che quasi nessuno, nella sede d’addestramento del corpo di ricerca, quella notte era riuscito a chiudere occhio. Infatti, erano appena ritornati dall’ultima, disastrosa, 57esima spedizione esterna.
Eren non riusciva a non ripensare a tutte le persone che avevano dato la loro vita in nome di una causa a cui lui dava la più grande speranza. Bella speranza, pensava, è stata una delle spedizioni più disastrose della storia della regione esplorativa. Sapeva che tutto ciò che era accaduto non poteva essere previsto, ma comunque non riusciva a non incolparsi per tutte le scelte sbagliate che aveva fatto. Così si autocommiserava da circa una settimana.
Entrò nel refettorio, e si accorse subito di non essere l’unico presente: una figura minuta e completamente scura si era seduta esattamente in mezzo alla stanza, ma non sembrava averlo notato. Da come si muoveva lentamente e dal lieve vapore che fuoriusciva da sopra la sua testa, probabilmente stava bevendo qualcosa.
Eren decise di ignorare. Ognuno aveva i propri pensieri pesanti, e la cosa più rispettosa da fare era non conoscere anche quelli degli altri. Quindi, si diresse verso il suo posto preferito, esattamente al centro del refettorio ma proprio davanti alla finestra principale, lasciandosi l’individuo alle spalle. Si abbandonò ai propri pensieri appoggiandosi al cornicione, osservando sulla luna tutti gli spiriti che ormai esistevano solo nel suo cuore.
“Quindi è per questo che la mattina fai così schifo durante gli allenamenti, moccioso?” Eren sobbalzò e si congelò sul posto.
Il capitano Levi era l’ultima persona che voleva incontrare, e per giunta in un’occasione del genere. Non aveva pensato a cosa dirgli, sapeva solo che doveva, prima o poi, dirgli qualcosa. Voleva scusarsi per aver preso la decisione sbagliata, e ringraziarlo per averlo salvato dal titano femmina, ma tutto quello che gli uscì dalla bocca fa un rantolo sommesso, mentre impiegava eoni a girarsi verso il diretto interessato. Del capitano notò che, oltre ad aver messo i piedi sul tavolo, non era in camicia e foulard come al solito, ma indossava una maglietta simile alla sua: non sarebbe mai riuscito ad immaginarselo in pigiama se non l’avesse visto dal vivo.
“La notte ti blocchi come i titani, Jaeger? Scommetto che Hanji pagherebbe oro per avere un’informazione del genere.” Disse tagliente. Tutto ciò che uscì dalla confusione di Eren fu una flebile domanda: “Che ci fa lei qui?”. Si pentì subito, ma il danno era ormai fatto. Si preparò psicologicamente a una settimana di pulizie intensive di cassetti inutili.
Vide lo sguardo di Levi attraversato da una luce triste, per poi abbassarsi. “Credo che entrambi sappiamo il motivo per cui siamo qui”. Eren provò autentico dolore: “Mi dispiace tanto, capitano Levi. Non è giusto che non siano più con noi”.
Levi si rabbuiò ancora di più. Posò il the e se ne andò lentamente dal refettorio borbottando qualcosa che Eren non riuscì a sentire.

 
*
 
Quella mattina riuscì ad alzarsi a fatica, ma non si lamentò. Vide che tutta la squadra era più o meno nelle stesse condizioni: durante la colazione nessuno riuscì ad aprire la bocca se non per sbadigliare. Eren controllava il capitano con la coda dell’occhio ogni cinque minuti; faceva parte della sua indole, preoccuparsi degli altri. Ovviamente non notò grandi differenze dal suo comportamento normale, ma c’erano piccoli dettagli che non riuscì a non notare: i suoi occhi non si alzavano oltre un certo limite di altezza, ma comunque cercava di fare conversazione con il suo tavolo abituale, sebbene ora fosse praticamente vuoto. Eren si accorse che c’era una nota malinconica in tutta la scena.
Anche durante l’allenamento mattutino, che fu meno intensivo per ovvi motivi, Eren osservò il comportamento del capitano. Come prima, occhi bassi ma atteggiamento stranamente loquace. Spiegò addirittura ad Armin e Connie per una terza o quarta volta come si svolgesse un complicato movimento con la manovra tridimensionale. Una pazienza inaudita da parte sua, ma anche gli altri suoi compagni furono altrettanto diversi. Mikasa –finalmente – non cercava più di guadagnare la sua attenzione, ma al contrario aiutava i membri più inesperti. Sin dal mattino, Jean non aveva ancora sparato una battuta tagliente, mentre Sasha non si era ancora lamentata di avere fame. Eren non sapeva se considerarlo come un aspetto positivo, ma dopo pochi minuti di riflessione, che gli costarono due pugni ben assestati sul costato da parte di Jean, arrivò alla conclusione che non lo era. Per nulla.
Era chiaro di una cosa in particolare: sebbene tutti fossero strani, nessuno lo preoccupava di più del capitano Levi. Dalla notte prima, si accorse di essere improvvisamente diventato curioso sul rapporto che aveva avuto con la sua squadra personale, e più in generale, della sua storia. Sapeva infatti, che giravano molte voci sul soldato più forte dell’umanità, ma, anche se all’inizio veniva abbindolato facilmente, poi capiva che erano semplicemente delle grandi cagate.
Armin, durante la pausa, lo avvicinò. Gli spiegò che aveva dei dubbi e delle idee sulla vera identità del titano femmina, e per questo gli chiese di accompagnarlo a chiede udienza al capitano, nel pomeriggio. Eren era davvero curioso di sentire le idee dell’acuto amico.

 
*
 
L’ufficio di Levi era incredibilmente pulito. I mobili quasi riflettevano la luce fioca che proveniva dalle due finestre dietro la scrivania, anch’essa linda. Quell’ambiente, seppur tenuto così bene, dava però lo stesso senso di inquietudine che provava Eren quando guardava il capitano negli occhi. Quando entrarono, Eren notò che il capitano stava chiudendo frettolosamente un cassetto della scrivania.
“Capitano, signore, volevamo chiedere un’udienza assieme agli altri due capitani per esporre alcune nostre idee sull’identità del titano dalle fattezze femminili.” Come al solito, Armin sviava l’attenzione su di sé, attribuendo l’origine dell’idea anche ad Eren. Lo sguardo del capitano si tradì per pochi secondi, ed Eren giurò di aver visto una scintilla carica di odio nei suoi occhi. “Perfetto, Arelet, cercherò di farla avvenire il prima possibile. Manderò ad avvertirvi.” In due frasi, il soldato congedò i due cadetti. Eren sapeva che era il momento giusto per scusarsi per la brillante uscitadella sera prima, ma non aveva il coraggio di fermarsi. Sapeva attaccare il gigante colossale senza esitazione, ma ora non riusciva a muovere un muscolo.
“Arelert, puoi andare. Jaeger, fermati ancora per poco.”


Eren sapeva di non avere speranze, ed era terribilmente spaventato. Aveva la lingua completamente asciutta, e ciò non aiutava. Levi si alzò dalla scrivania, per poggiarsi a lato. “Hanji ti aspetta fra poco in giardino per fare degli esperimenti. Verrò anche io, anche se andrei volentieri a dormire in questo momento.” La sola cosa che riuscì a fare Eren fu abbassare gli occhi e annuire lievemente. “Ieri sera ho fatto un giretto per vedere se qualche moccioso infrangeva le regole, e ho fatto centro.” Aggiunse, guardando Eren di sottecchi, quasi divertito.
Eren sbiancò. “I-io non riuscivo a dormire, capitano.”
“Comprensibile. Ma domenica nessuno ti toglierà almeno due ore di pulizie extra supervisionate direttamente da me.” Sembrava quasi felice. Eren credeva che niente poteva tirarlo su più delle pulizie domenicali. Sinceramente, si aspettava di più, quindi ne rimase sollevato. Riuscì pure a rilassarsi e a mettere assieme una frase decente: “Volevo vedere la luna. Mi rilassa, e ne avevo veramente bisogno. Ogni volta che cerco di non pensare a niente per addormentarmi, mi torna in mente quello… Mi dispiace capitano. Non ho fatto la scelta giusta, e non riuscirò mai a perdonarmelo.”


Calò un grande silenzio. Eren non osò muoversi. Non aveva pensato alla reazione del capitano, si era solo sfogato. Gli aveva finalmente detto ciò che pensava da più di una settimana, e che non era ancora riuscito a dirselo ad alta voce. In quel momento, realizzò che le parole erano più rivolte a sé stesso che al capitano Levi, e si sentì dannatamente egoista.
“Eren.” Il capitano si voltò verso di lui, carpendolo con gli occhi. “Stai sbagliando completamente. Ti confido che se fossi stato al tuo posto avrei preso la stessa decisione. Hai imparato a fidarti dei tuoi compagni di squadra ciecamente, e loro, come al solito, hanno ricambiato appieno il favore. Augurati di trovare altre persone del genere.”
“Inoltre, non sono morti per te, moccioso.” Recuperò il suo tono sprezzante: “Le vedi queste? Sono le ali della libertà. E’ questo il vero motivo per cui combattiamo, Jeager. Tu sei una pedina come noi, e anche tu combatti per conoscere. Moriresti pur di arrivare a questa conoscenza, come lo farei io, come lo farebbero tutte le persone chiuse in questo fortino.” Levi aveva tutta l’attenzione di Eren. “Il desiderio di conoscere è uno dei più nobili e legittimi esistenti. Abbiamo il diritto di conoscere ciò che ci circonda, e cazzo, lo rivendicheremo!” Sbattè il pugno sul tavolo, frustrato. Era evidente che anche lui era turbato per le ingenti perdite dell’ultima spedizione, ma non per questo meno determinato. “Ognuno muore per una causa qui, e non per te. Ficcatelo nella testa.” Eren capì che era un congedo.


“Grazie capitano.” Se ne andò turbato, senza neanche fare il saluto. Era troppo occupato a rielaborare tutto ciò che Levi gli aveva detto –urlato- contro.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice:
Ciao a tutti! Grazie per aver aperto la mia storia. E’ la mia prima long, e spero di riuscire a completarla in modo da soddisfare tutte le anime Erieri, ma soprattutto me.  Mi è venuta l’idea di scrivere una long su questi due favolosi personaggi perché non ne ho ancora trovata una che mi piaccia davvero (non offendetevi, ho dei gusti molto particolari) e ho voluto rimediare.
La storia, come avrete capito, è ambientata dopo la 57esima spedizione all’esterno, in cui si imbattono nel gigante femmina. Essa seguirà il corso degli eventi (e andrà anche oltre l’anime! Quando arriverà il momento fatidico ve lo segnalerò) cercando di approfondire le interazioni umane, che nella storia, giustamente, non sono troppo presenti. Sarà lenta all’inizio, ma questo perché voglio definire al meglio possibile il carattere dei personaggi principali, per poi rendere più coerente la svolta amorosa che dovrà accadere.
Per ultima cosa, vi chiederei di non essere silenziosi. Insultatemi, ditemi pure che sono una cretina perché indugerò troppo su Eren e Levi, ma scrivetemi qualsiasi cosa. Questo mi servirà, oltre a migliorarmi, anche a motivarmi. Esatto, sono una che, oltre a dilungarsi troppo –come in questo “angolo” che sta diventando la Sala Grande di Hogwarts – lascia sempre le cose a metà. Aiutatemi a correggere questo difetto!
Al prossimo capitolo, pace.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2
 
“Ehi, moccioso.”
Levi era infastidito. “Guarda che devo venire anche io a vedere l’esperimento. Spero che non sia sulla memoria, altrimenti sarebbe un totale fallimento”.
Vide Eren cercare di farfugliare qualcosa, ma lo zittì immediatamente con un gesto annoiato della mano: aveva già parlato fin troppo, e doveva concentrarsi per camminare. Anche se era passata una settimana, Levi non si era ancora ristabilito del tutto, e la caviglia continuava a dolergli; era costretto a zoppicare lievemente, cercando di non appoggiarla. Questo lo rallentava, ma era sicuro che, se si fosse presentata un’occasione di battaglia di lì a breve, il dolore sarebbe magicamente svanito, lasciando spazio a quella sensazione di adrenalina a cui lui era malsanamente abituato.
Eren lo seguiva come un cane segue un padrone: anche se il capitano era consapevole di andare più lento del solito, lui rimaneva comunque dietro di lui. Questo gli aumentò il nervoso. “Che c’è?” Gli disse, girandosi di scatto. “Anche il soldato più forte dell’umanità a volte poggia male il piede”.
Lapidario, come sempre:  gli veniva naturale, era abituato a trattare male le persone. Si diceva, quasi per discolparsi, che almeno era consapevole di farlo.
“Mi stavo chiedendo quando riuscirà a tornare in forze, capitano”.
“Ora ti preoccupi pure per me, Jaeger?”
“Sì”.
Non si aspettava una risposta così risoluta e quasi dimenticò di appoggiare solo metà piede, rischiando una caduta. Nei suoi confronti, non sentiva una frase così esplicita da praticamente tutta la vita. Si era sempre limitato, dopo la morte dei suoi due più cari amici, a badare unicamente a sé stesso, e in secondo luogo a seguire gli ordini. Tutto questo con lo scopo di sopravvivere, sia fisicamente che psicologicamente. In quel momento ripensò per la seconda volta – aveva cercato di soffermarvisi il meno possibile – ai pochi che si erano veramente affezionati e fidati di lui dopo quell’incidente. Lo avevano davvero aiutato a superare il lutto, ma non credeva se ne fossero mai resi conto.
Ora erano morti anche loro. E Levi si era promesso di non ripetere lo stesso errore per una terza volta.

 
*
 
Levi camminava cercando di essere il più possibile veloce verso il punto prestabilito. Hanji aveva deciso di ripetere l’esperimento fallito prima della 57esima spedizione, e ora Eren, teoricamente (Levi non era molto convinto), doveva cercare di trasformarsi dentro il pozzo, in modo da poi essere studiato in forma di gigante da Hanji. La sottoscritta era talmente eccitata che, seppur in quel momento fossero a una certa distanza l’uno dall’altra in attesa della trasformazione, Levi poteva giurare di sentire ogni tre secondi un gridolino acuto provenire dalla sua sinistra.
Passò un tempo troppo lungo, e Levi ormai era completamente convinto che Eren non ce l’avrebbe fatta. Proprio mentre realizzava questo pensiero, sentì un boato e vide una luce accecante. Si mise in posizione, pronto a fermarlo in modo che non potesse fare nulla che non fosse sotto il loro controllo. Si accorse subito che qualcosa non andava: Eren urlava inferocito, probabilmente perché non riusciva ad uscire dal pozzo. Chiamarlo pozzo era ormai un eufemismo: il titano aveva praticamente creato una nuova collinetta. Levi schizzò subito in aria, osservando la situazione dall’alto: Eren sembrava inferocito, così decise subito di intervenire. Con pochi rapidi movimenti, tagliò i muscoli delle braccia, in modo da non fargli causare danni. Per precauzione, tagliò anche quello della mascella, per poi arpionarsi alla sua fronte e posizionarsi sopra il suo naso, esattamente davanti agli occhi. Gli piantò una lama nella guancia e lo guardò con occhi torvi: era decisamente incazzato.
“La vuoi piantare di diventare una ragazzina mestruata quando ti trasformi in un titano, eh Jaeger?! Ricordati perché stai facendo tutto questo” urlando, gli mostrò il simbolo del corpo di ricerca, le ali della libertà: “e non costringermi ad ammazzarti, idiota!”
Gli occhi del gigante quasi cambiarono. Levi capì che era riuscito nel suo intento, ma era ancora incazzato. Quel cazzo di ragazzo non riusciva a contenersi, qualsiasi situazione gli capitasse davanti. Era proprio un bamboccio con la voglia di morire. E proprio per questo non voleva avvicinarsi a lui più di così.
 
A parte quel piccolo difetto iniziale, l’esperimento andò egregiamente. Hanji analizzò il materiale direttamente, in modo da non farlo svanire se staccato da Eren. Era entusiasta, ma Levi non capì molto di quello che diceva, perché emetteva versi acuti e, in più, era distratto dal rumore dei suoi pensieri.
Si sentiva più solo che mai, dopo quella disastrosa spedizione, solo e terribilmente in colpa. Ricordò che aveva concordato il piano per proteggere Eren ed imprigionare il titano dalle fattezze femminili con i suoi più fidati esattamente due ore prima della loro morte: seppur consapevole che anche lui, come loro, avrebbe dato volentieri la vita per la Causa, non riusciva a non piangerli, non riusciva ad accettare l’ennesima scomparsa delle persone a lui più vicine. Volente o nolente, Levi, come ogni essere umano dotato di natura altrettanto umana, si affezionava velocemente alle persone. E in quel momento ammise a sé stesso di sentirsi terribilmente umano.
Levi considerò questo tipo di emozioni un difetto. Un grande difetto da sradicare il più velocemente possibile per diventare ciò che gli altri si aspettavano fosse, ciò che doveva essere: il soldato più forte dell’umanità. Non aveva tempo ed energie da spendere in pensieri così irrazionali, ma si sentiva sopraffatto dai sentimenti. Tutto ciò, ovviamente, non l’avrebbe mai rivelato a nessuno.
Venne distratto da uno sguardo. Eren, ormai diventato completamente cosciente di sé, lo guardava senza ritegno con i suoi enormi occhi verdi. Levi, seppur vantasse di uno sguardo davvero severo e addirittura angosciante, non riusciva a reggerlo. Erano occhi che quasi lo accecavano: limpidi, pieni di curiosità, ma soprattutto preoccupati. Probabilmente, se Eren non gliel’avesse detto direttamente, Levi non si sarebbe mai accorto del vero significato di quello sguardo.

 
*
 
Restarono fino al tramonto, fino a quando il titano svenne, e Levi tirò fuori Eren dalla nuca, esausto. Dopo averlo portato in camera e aiutato a riprendersi a dovere, Levi andò in refettorio assieme ad Hanji, che nel mentre gli spiegava qualche importante scoperta: “Sulla pelle ho trovato un sacco di cellule che assomigliano a quelle umane! Sono diverse, molto più grandi e attive, ma si assemblano in modo casuale: pensa che ho trovato una cellula con caratteristiche simili a quelle del fegato umano attaccata a una cellula che assomigliava a una della cute! Incredibile, è una scoperta pazzesca! Magari i titani sono così enormi perché le loro cellule sono più grandi e si assemblano solo all’esterno!” Era come impazzita, ma Levi era abituato. Inoltre, le scoperte sembravano davvero importanti, ma lui, ancora turbato, non riusciva ad assimilare.
Durante la cena parlò con Erwin per decidere quando concedere l’udienza ad Armin. Smith concordò con lui di tenerla il prima possibile, in quanto ormai avevano avuto prova del fatto che le supposizioni del biondo si rivelassero praticamente sempre esatte. Mentre Erwin gli parlava, Levi si accorse che Mikasa Ackerman gli aveva riservato uno sguardo che faceva concorrenza al suo. Dopotutto, avevano lo stesso cognome, quindi probabilmente erano stretti parenti: ma lei probabilmente non lo sapeva, e a lui non importava nulla. Il suo concetto di famiglia era morto da tempo.
Probabilmente Ackerman guardava in cagnesco lui e Hanji per aver stremato Eren, e Levi pensò a quanto fosse stupido quel moccioso a non aver ancora capito che Mikasa era paurosamente innamorata di lui. A Levi sembrava quasi una stalker, e se non fosse stato il soldato più forte dell’umanità probabilmente sarebbe stato inquietato da quell’atteggiamento, anche se non rivolto direttamente a lui.
Il suo sguardo tornò al piatto e l’attenzione verso Erwin Smith, che proponeva di svolgere la riunione la sera stessa. Levi annuì con fare annoiato, realizzando di avere un nodo allo stomaco che non gli aveva fatto toccare cibo.


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice:
Che dire, ho amato scrivere tutto ciò che passava nella testa del nostro amato Levi. In quanto indecifrabile, ho fatto un po’ fatica a farlo risultare coerente al personaggio che è realmente, ma nell’insieme mi reputo abbastanza soddisfatta. Ditemi che ne pensate voi.
Inoltre, non ho avuto il coraggio anche solo di pensare che Levi chiami Eren anche nella sua testa per cognome. Lo troverei inaccettabile, quindi dentro di sé lo chiamerà Eren: è già innamorato, lo sappiamo tutti.
Un piccolo chiarimento: la teoria di Hanji sulle cellule dei giganti è di mia fantasia. Confesso che mi è venuta in mente mentre leggevo il manga, e mi sembra tutt’ora un pensiero abbastanza coerente sul comportamento fisico dei titani. Chissà, magari un giorno lo chiariranno e io avrò azzeccato. In quel caso mi sa che diventerà uno spoiler, ma per ora, non c’è pericolo.
Al prossimo capitolo.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3
 
Eren si svegliò in modo lento e pacifico dopo anni di risvegli soffocanti. Per la prima volta si sentì veramente riposato, fresco e attivo: peccato fosse ancora notte. Lo capì dal fatto che si era svegliato da solo e che non sentiva schiamazzi provenire dalla superficie. Lentamente prese coscienza di sé, per poi alzarsi adagio. Aveva una grande fame, e si ricordò di aver saltato la cena della sera prima. Di colpo, gli venne in mente il perché: aveva dormito un sonno senza sogni in quanto svenuto dalla fatica. Se per riposarmi degnamente devo prima svenire siamo messi bene, pensò ironico.
Si diresse verso la cucina, mentre il suo stomaco invocava pietà. Pensava poi di andare nel refettorio a mangiare, come suo solito. Non vedeva l’ora di salutare l’amata luna, e soprattutto di farlo mentre mangiava un bel piatto di qualcosa che si sarebbe riscaldato. Suo malgrado, si dovette arrangiare con verdura varia, ma aveva imparato a non lamentarsi. Pensò a Sasha, la ragazza-patata, che al posto suo avrebbe letteralmente svuotato le cucine.
Si diresse lentamente al refettorio. Per strada si trovò a sperare che ci fosse già lì qualcuno, e il suo pensiero andò direttamente al capitano Levi. Non desiderava veramente di incontrarlo perché trovava i momenti in cui era solo col capitano ansiosi e vagamente imbarazzanti, ma aveva uno strano desiderio di rivederlo, lì nel refettorio, a bere la sua tazza fumante di the.
Quando si era trasformato in gigante lo provò come impulso naturale: fu così che passò tutto l’esperimento a guardarlo senza ritegno e vergogna. Da titano l’aveva ritenuto un gesto normale, perché probabilmente Eren, in stretto contatto col corpo da gigante, realizzava e formulava i pensieri in maniera più primitiva. Inoltre, doveva ammettere che guardare con gli occhi di un gigante il capitano Levi incuteva molto meno timore che guardarlo da umano, seppur in entrambi i casi visibilmente più basso.
Perché voleva così tanto osservarlo? In forma da titano, Eren l’aveva quasi considerata un’azione di sopravvivenza, come se senza il capitano non riuscisse a mantenere il controllo. In effetti era stato proprio lui a riuscire a svegliarlo dalla sua rabbia: si era trasformato dopo essersi maciullato le mani, e alla fine ci era riuscito perché aveva pensato al ricordo più doloroso che aveva, quello di sua madre morta, mangiata da quel fottuto titano sorridente. Aveva quindi focalizzato l’obiettivo di uccidere il gigante, ma se ne era talmente convinto che quando si trasformò non riuscì più a ritrovare la ragione.
In pochi secondi, però, sentì una formica sulla sua faccia che aveva riconosciuto in un battito di cuore. Levi si era posizionato sopra il suo naso, davanti e vicino a lui, e, seppur l’avesse minacciato, a Eren quell’immagine era entrata violentemente nella testa. Ecco perché, dopo aver riacquistato lucidità, gli sembrò di vitale importanza continuare a guardare l’uomo che, ne era sicuro, sarebbe sempre riuscito a riportarlo alla ragione.  
Entrò nel refettorio quasi col cuore in gola, ma non ci trovò nessuno. Intristito per una ragione che non riuscì o che non volle capire, si accinse a finire la cena, cercando conforto nella luna.
 
*
 
La mattina arrivò lentamente. Eren tornò nella sua camera a cambiarsi e sgusciò dai sotterranei per andare a fare colazione. Per la prima volta godette dei benefici di essere mattinieri: primo tra tutti, la doppia porzione di pane e gallette. Si posizionò nel suo solito tavolo, in attesa degli altri, che, a parte Mikasa, non si svegliavano facilmente. La stessa Mikasa vedendolo già lì si stupì piacevolmente, ed iniziò a chiaccherare con lui per verificare che stesse bene dall’esperimento del giorno precedente. “Buongiorno Eren, come mai già sveglio?” Eren si accorse dal suo tono di voce che in quella giornata si sentiva decisamente bene: “Buongiorno Mikasa! Questa notte ho riposato come non mai, e mi sono svegliato molto presto. Ho già fatto una piccola colazione prima, da solo, ma sapessi che fame ho ancora!” Le sorrise smagliante. Mikasa arrossì leggermente: ormai erano anni che non vedeva più il più largo sorriso di Eren. “Meno male, pensavo non ti sentissi ancora bene: ieri non sei venuto a cena e mi sono preoccupata, ma non ho avuto il tempo di venire a trovarti.”
“Cfome mai? Che è suffesso?” Eren si era letteralmente ingozzato con il secondo pezzo di pane. “Io e Armin siamo andati alla riunione che avete richiesto”. Mikasa non era una ragazza di tante parole, ma la frase bastò a far andare di traverso il pane ad Eren. Dopo cinque minuti di pacche pesanti sulla schiena, finalmente riuscì a parlare: “Cazzo, la riunione! Che è successo? Di cosa avete parlato? Ci dovevo essere anche io Mikasa, cazzo!” Solo il pensiero del titano dalle fattezze femminili gli metteva una grande ira addosso. La sua amica, però, tacque, abbassando lo sguardo. Eren cercò di essere paziente, anche se la rabbia gli faceva vedere rosso: si fidava delle ipotesi di Armin, che solitamente si rivelavano essere l’esatta realtà, ed era ansioso di carpire l’informazione.
Proprio in quel momento, però, arrivarono Jean, Connie e Sasha. Jean si sedette – ovviamente – di fianco a Mikasa, cercando pateticamente di sedurla in qualche modo, mentre Sasha si avventò sul cibo, producendo versi strani. Nessuno la guardò male perché ormai erano abituati. Connie salutò senza molto entusiasmo, cercando di intavolare un discorso sull’allenamento mattutino, ma l’attenzione di Eren era totalmente rivolta a Mikasa, la quale non aveva ancora alzato gli occhi dal tavolo. “Non posso dirtelo Eren… Credo lo farà uno dei capitan-“ sbatté il pugno sul tavolo, forte. La sua giornata era stata parzialmente rovinata, e in più aveva attirato l’attenzione. Fregandosene, si avvicinò a Mikasa per sussurrarle la sua domanda più impellente: “E quando dovrebbero dirmelo?”
Lo sguardo di Mikasa si abbassò, ed Eren capì la risposta. Tentò di calmarsi in tutti i modi, ma stava per esplodere. Si girò per alzarsi dalla panca ed andarsene, ma qualcosa  lo bloccò. Il capitano Levi era proprio dietro di lui, e lo guardava dall’alto al basso con occhi severi. “Jaeger, dopo l’allenamento nel mio ufficio e saprai tutto. Vuoi placarti o morire nel tuo amato refettorio?”
Girò i tacchi, ed Eren rimase a fissare la sua schiena con la mente vuota. Sì, si era decisamente calmato.
 
*
 
Eren sfogò la sua rabbia repressa durante l’allenamento, ma non ebbe grandiosi effetti, se non quello di aumentarla: infatti si scagliava contro ogni cosa che doveva abbattere, con il risultato di farsi male da solo. Sembrava un ariete inferocito, ed a un certo punto si accorse che tutti a parte Mikasa si rifiutavano categoricamente anche solo di provare a lottare con lui. Mikasa era di gran lunga superiore nelle arti marziali degli altri, e in poche mosse lo metteva sempre a terra. Questo non faceva altro che esasperare Eren, il quale neanche si accorse di aver iniziato ad urlare ad ogni suo attacco.
Dopo il millesimo atterraggio di Mikasa decise di prendersi una pausa. Dopo ore, aveva finalmente capito da solo che la sua rabbia lo motivava, sì, ma in più lo accecava. Come al solito.
Si congedò a Mikasa senza dirle una parola, ed andò a bere dell’acqua. Osservò gli altri allenarsi: notò che in qualche modo la sua determinazione rabbiosa, seppur li spaventasse, mosse anche loro. Si stavano allenando concentrati, e molti combattimenti a corpo a corpo stavano durando più del previsto. Forse, pensò Eren, era quello il modo migliore di sfogare la tensione. Un po’ come bagnarsi con l’acqua fredda dopo aver sudato.


Vide i capitani apprezzare quel comportamento, in quanto se ne stavano in disparte, senza intervenire a correggere i suoi compagni. Osservò il caposquadra Hanji farneticare qualcosa ad un impassibile e distante Levi. Probabilmente gli stava spiegando qualche importante scoperta dall’esperimento del giorno scorso, senza riscontrare lo stesso entusiasmo. Come ieri pomeriggio, il capitano sembrava alla ricerca di qualcosa nel nulla davanti a lui. Eren aveva avuto il tempo di osservare ed assimilare il comportamento di Levi per tutto l’esperimento, fino a svenire con lui come suo ultimo ricordo. Levi aveva smesso di cercare di intavolare conversazione, e molto spesso Eren aveva notato che si perdeva a guardare il nulla, sempre con lo stesso sguardo corrucciato.
Era impaziente di sentire ciò che aveva da dirgli in ufficio. Eren sperava di rimettersi in azione il più presto possibile, anche da solo: aveva un bisogno fisico di vendicare le persone che, pur non conoscendolo dall’infanzia come Armin e Mikasa, gli avevano affidato la loro massima fiducia. Era sicuro che anche il capitano provasse questo tipo di sentimento.
La testa di Levi si girò verso di lui. Il suo sguardo ancora più scuro dall’ombra dell’albero incontrò quello di Eren, cocente di rabbia ed inondato dal sole del campo di allenamento. Non vide nessuna scintilla, ma occhi spenti, addirittura meno inquietanti del solito. Eren gli rivolse uno sguardo interrogativo, e lui gli fece segno di tornare ad allenarsi.
 
*
 
Eren entrò nell’ufficio di Levi direttamente dopo gli allenamenti, senza aver fatto la doccia. Non era un suo problema, non ora. Si dimenticò perfino di bussare, e vide il capitano seduto, rivolto verso la finestra, con qualcosa in mano: Eren lo spaventò, facendolo sobbalzare e girare con occhi inferociti.
Eren pensò che era quello sguardo di Levi che conosceva davvero; stranamente non provò paura, ma qualcosa di simile al sollievo. “Moccioso, cazzo se sei invadente. E puzzi un sacco. Dovresti rivedere le tue priorità, che merda”. L’aveva fatto arrabbiare: sapeva che il tono del capitano, seppur sommesso, nascondeva un’ira crescente, ma nella sua foga se ne fregò anche di quello. “Capitano, sono qui per sentire ciò che Armin vi ha detto durante la riunione. Voglio sentirlo ora.”
Levi la prese come una grande provocazione, poiché Eren non era stato per nulla educato. Si alzò ponderando le sue mosse lentamente, sia per incutere terrore che per non esplodere, e in due passi felini fu davanti alla sedia di Eren. Lo prese per la maglia e lo tenne alzato saldamente col pugno, mantenendolo comunque più in basso rispetto alla sua faccia.
“Come, prego?” Sibilò. Era la rabbia fredda di Levi, quella silenziosa e letale, simile all’attacco di un serpente. Eren aveva paura di quell’espressione, ma ne era allo stesso tempo terribilmente affascinato. Lo osservò per un secondo che durò tutta la loro vita: non lo aveva mai visto così da vicino. In quel momento si calmò: davanti a lui la sua rabbia svaniva completamente, in qualsiasi situazione si trovassero. Non capiva il perché, sapeva solo che succedeva sempre. Sospirò, scandendo lentamente le parole senza abbassare lo sguardo, ma anzi sostenendolo: gli piaceva comunque esporsi al pericolo, e Levi lo sapeva fin troppo bene. “Vorrei avere un rapporto sulla riunione svoltasi ieri sera, signore. Per favore.”
 
Il capitano lo lasciò andare, scaraventandolo indietro. “A volte davvero ti ammazzerei, Jaeger. Te la farò pagare, moccioso”.
L’elettricità che si era creata restò nell’aria, ma fu sostituita dalla tensione che Eren provava. Non proferì parola, in attesa del capitano. “Ieri sera, durante quella riunione a cui ti sei fissato fottutamente tanto, Alert ci ha riferito l’ipotesi che il titano dalle fattezze femminili sia una cadetta della tua ex-squadra di addestramento, una certa Annie Leonhart.” In seguito gli elencò tutte le prove che Armin aveva notato, a partire dai capelli del gigante fino al suo comportamento.   
Eren, però, si era fermato alla prima frase. Il suo sguardo si annebbiò, lasciando spazio alle lacrime, che uscirono senza ritegno. Erano lacrime silenziose e prepotenti, derivate da quello che lui considerò immediatamente un tradimento. Perché…?
Indietreggiò, e andò a sbattere sulla porta che poco fa aveva chiuso. Solo in quel momento il capitano smise di parlare, accorgendosi dello stato d’animo di Eren: capì immediatamente che la conosceva abbastanza per considerarla sua amica. Ebbe un momento di esitazione: quando qualcuno si metteva a piangere – il che accadeva abbastanza raramente, in quanto da lui arrivavano i soldati già formati da cinque anni di addestramento – o continuava a sgridare, o se ne fregava completamente. Ma questa era una situazione diversa: non stava sgridando, non stava allenando, stava solo parlando.
“Eren.”


Non lo sentiva. Si stava chiudendo a riccio, sia fisicamente, accasciandosi sul pavimento, che mentalmente. Non riusciva ad avere la facoltà di rispondere, nemmeno di formulare un pensiero. Vedeva davanti a sé tutti i pochi momenti passati con Annie, a cercare di diventare assieme a lei e gli altri suoi compagni una vera squadra. Perché avrebbe dovuto fare una cosa così crudele? Non voleva combattere contro di lei un’altra volta sapendo la sua identità, non voleva vendetta. Voleva solo sapere perché. Perché uccidere così tanta gente buona ed innocente? Perché? Perché?
“Eren, cazzo!” Si sentì la guancia cuocere: Levi gli aveva tirato uno schiaffone, e, alzato lo sguardo, vide che si era abbassato al suo livello. Gli porse la mano: “Alzati, Eren. Dimostra che puoi combattere per una causa, lasciando da parte i sentimenti”.
Eren gli prese la mano calda, e si alzò.
 
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice:
Ho scritto il capitolo tutto di un fiato, e direi che parla da solo. Fatemi sapere che ne pensate, perché anche solo concepirlo mi ha davvero estasiata.
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4
 
Camminando verso l’ufficio di Erwin, Levi ripensò all’episodio del giorno precedente. Quel moccioso sporco che era Eren Jaeger sapeva sempre come metterlo in difficoltà: prima pensava fosse l’unico ad avere l’abitudine di farsi scampagnate notturne, poi eccolo lì, ad invadere i suoi spazi anche di notte. Non era la prima volta che Levi lo vedeva in giro per il fortino, ma lui, a differenza di Eren, era abituato a nascondersi nell’oscurità, non facendosi mai scoprire. In qualità di suo comandante e caposquadra, Levi avrebbe dovuto punirlo severamente più volte per il suo comportamento, ma capiva perché entrambi avevano il sonno tormentato. Infatti, era consapevole che il soldato più forte dell’umanità e il ragazzo-titano condividevano, grazie alle loro capacità uniche, la stessa mole di responsabilità verso l’intero genere umano.
Levi sapeva quindi di essere davvero l’unico che poteva capire lo stato d’animo notturno di quel ragazzo.
Questa particolarità lo spiazzava.
Non poteva considerarlo come un normale cadetto, ma di fatto lo era. Eppure perché si sentiva così in colpa per averlo picchiato ieri? Si era subito accorto che era stato un gesto avventato. Lui era un uomo a cui bastavano le parole per ferire, ma in quel caso voleva fare il contrario: pensò che fosse un controsenso, picchiare qualcuno per consolarlo. Inoltre aveva già pestato Eren e l’aveva fatto senza esitazione, come suo solito. C’era però qualcosa di differente da quell’episodio: picchiarlo fu una specie di compromesso, tutto il corpo di ricerca aveva le necessità di ottenere la custodia di Eren a qualsiasi costo. Ma ieri? Ieri non c’erano compromessi, non c’erano dietro responsabilità, c’erano solo loro due.
Levi si rese conto di non saper gestire le relazioni umane. Sospirando, entrò nell’ufficio di Erwin.
All’interno trovò anche Alert che dialogava col capitano, entrambi concentrati. “Eccoti Levi. Accomodati, prego. Io e Armin stavano mettendo a punto un piano segreto per cercare di catturare il titano dalle fattezze femminili in forma umana”.
Levi si sedette, accavallando le gambe fini e girandosi leggermente verso Armin, facendogli un cenno annoiato. Il biondo illustrò accuratamente il piano: “Se il titano dalle fattezze femminili fosse davvero Annie, dobbiamo sfruttare la convocazione nei territori interni come un’occasione. Lì, infatti, è dove si trova Annie Leonarht, cadetta del corpo di Guarnigione. Saremo io, Mikasa ed Eren ad attirarla, fingendo di fidarci ciecamente di lei, in nome dei vecchi tempi, e chiedendole di aiutarci a far fuggire Eren per salvarlo dal governo. Se lei non accetterà di aiutarci, tutti i dubbi crolleranno. Se al contrario, accetterà disobbedendo agli ordini, significherà che è davvero interessata ad Eren stesso, come aveva fatto il titano dalle fattezze femminili, aumentando le possibilità che lei possa esserlo davvero. Se il piano riuscirà ad andare avanti, la convinceremo ad entrare dentro a un tunnel, in modo che non possa trasformarsi. Fuori dalle imboccature ci saranno tutte le nostre forze per intrappolarla e fare in modo che non si trasformi. Lei che ne pensa, capitano?”
Levi dovette ammettere che era un buon piano, ma aveva una piccola pecca: “E io cosa dovrei fare?” chiese, leggermente frustrato. Non lo ammetteva mai a sé stesso, ma odiava essere dimenticato, soprattutto quando vi erano da svolgere compiti così delicati. Fu Erwin a rispondergli: “tu, assieme a me, starai vicino alla carrozza in cui verrà trasportato un sostituto di Eren. E’ fondamentale che gli altri corpi non sospettino di nulla, poiché il piano funzioni correttamente: se vedranno me, il capo della legione esplorativa e te, a cui hanno affidato Eren stesso, si convinceranno che dentro ci sarà proprio lui”.
Levi non trovava grandi pecche nel piano, eppure sentiva già di non riuscire ad accettare gli ordini, diversamente dal solito. Il suo rifiuto innato gli provò un blocco nello stomaco. Che gli stava succedendo? Lasciava sempre i suoi superiori elaborare piani del genere, e di solito lui eseguiva senza fiatare, senza essere né d’accordo né disaccordo. Si limitava ad agire.
 Sentiva un cambiamento, da qualche parte dentro sé.
“E’ tutto?” Le sue capacità di rimanere passivo erano comunque rimaste invariate. Tirò un immaginario sospiro di sollievo.
“Ovviamente deve restare segreto. Ne saremo informati noi tre e il caposquadra Hanji, mentre gli altri verranno a saperlo prima di partire, per non far trapelare informazioni. Conto su di te.”
“Bene”. Si alzò, congedandosi silenziosamente con il saluto da soldato. Chiuse la porta alle sue spalle e se  ne andò silenziosamente. Si sentiva frustrato. Forse perché nella missione non aveva un ruolo determinante? No, sentiva che non era questo il reale motivo, ma sicuramente era una fattore che aveva contribuito: il suo egocentrismo non aiutava. Decise di uscire dal fortino per fare un giro a cavallo, sperando che il vento gli schiarisse le idee. Disse a un cadetto casuale di non aspettare il suo ritorno al fortino e, mentre si addentrava nel bosco con il fidato animale, pensò alla differenza di questa missione dalle precedenti, in modo da trovare il perché alla sua immotivata inquietudine. In prima posizione sicuramente c’era il pericolo: non ci sarebbero stati titani nelle vicinanze, quindi non poteva provare ansia verso quel frangente. Sarebbe stato con Erwin, suo fidato compagno di avventure, e questo sicuramente non lo turbava. Non sarebbe passato all’azione con la sua squadra per le operazioni speciali, ma scacciò quel triste pensiero. Aveva altre persone a cui badare. Gli venne un lampo: non sarebbe stato con Eren.
Ormai era abituato alla sua presenza durante le missioni, poiché era stato affidato a Levi stesso per la sicurezza dell’umanità. Era davvero questa la ragione per cui non riusciva ad accettare le direttive della missione? Era davvero questa? Levi si rifiutava di crederci, ma più ci pensava e meno idee alternative gli venivano.
Era arrivato a un piccolo fiumiciattolo, così scese dal cavallo e si sedette alle radici di un albero. Spiazzato dalla verità che non riusciva ad accettare, Levi si abbandonò ai ricordi del giorno prima.

Levi gli porse la mano, ed Eren accettò il contatto: la trovò sorprendentemente calda, e toccarlo non gli fece ribrezzo come si aspettava. Lo tirò su gentilmente e senza sforzo, quasi volesse scusarsi a gesti per lo schiaffo di pochi secondi prima. Lo riposizionò sulla sedia, mentre lui ne prese un’altra per sederglisi accanto. “Eren.” Gli mise una mano sul ginocchio. Levi si accorse subito che il giovane era rimasto sorpreso dal suo gesto così cortese e intimo, anche se cercò di non farlo vedere. Quegli occhi però, pensò Levi, erano il suo specchio: un libro aperto e facilmente leggibile. Non si chiese da quando riusciva a capire il giovane solo guardandolo, non esitò nemmeno sul gesto; continuò solamente a parlare. “So come ti senti. Lo so davvero: siamo in due qui, ad avere grandi responsabilità. Anche io ho avuto momenti in cui scegliere tra la salvezza di tanti o di uno”.
“E cosa fece lei, come si sentì, signore?” Eren lo guardava insistentemente, come se i suoi occhi, per trovare una risposta, avessero bisogno di scavare all’interno di Levi. Sostenne lo sguardo, ma si accorse che a farlo l’attenzione gli calava leggermente, come se il mondo tutto attorno diventasse più sfocato, distraendolo dai pensieri originari. “E’ qualcosa che si supera solo col tempo. Bisogna anteporre il bene comune a ciò che è te il tuo bene, ed essere pronto ad accettare qualcosa di negativo per te, ma positivo per l’umanità.”
Parlava con la bocca della verità: nessuna ironia, nessuna frecciatina o tono tagliente nella voce. Era il Levi reduce dal lutto, non importa quale. Entrambi erano vivi nel suo cuore allo stesso modo: le lacrime aveva imparato a trattenerle da tempo.
“A lei è mai capitata una cosa del genere, capitano?”
Aveva colpito nel segno. Da troppo tempo Levi non si sentiva così. Si alzò forse con troppa irruenza, non corrispondendo lo sguardo di Eren ma guardando un punto indefinito sulla porta: “Più di una volta. L’ultima è stata circa una settimana fa”.

Girò i tacchi e se ne andò dal suo stesso ufficio, senza voltarsi. Era la cosa più stupida che potesse fare, poiché aveva in programma di rimanerci tutto il fine mattinata, ma sapeva che in quel momento non sarebbe riuscito a reggere una parola in più.  

Pensò di essere stato un gran vigliacco ad andarsene in quel modo. Dopo aver partorito l’idea di provare a riaffrontare quel discorso con Eren, in modo da dimostrare a lui ma soprattutto a sé stesso di riuscire a non tirarsi indietro alle difficoltà, si addormentò in un sonno profondo.
 
*
 
Era sera inoltrata: Levi se ne accorse subito, perché si svegliò intorpidito dal freddo. Svelto, si rimise a cavallo per tornare nel fortino, chiedendosi come e perché si era addormentato in quella maniera. Non gli era mai successo: iniziava a preoccuparsi.
Al fortino c’era più vita del previsto: luci di camere e uffici erano ancora in funzione. Levi si accorse subito che qualcosa non andava, in quanto non era normale che le luci delle camere fossero ancora accese, così decise di andare a controllare. Salito fino al corridoio incriminato, si bloccò di colpo. La risata che aveva sentito era inconfondibile: che cazzo ci faceva Eren fuori dai sotterranei a quell’ora?
Assieme alla sua risata vi erano altre voci ugualmente vivaci. Riconobbe quella di Armin, unica sobria, che supplicava gli amici di andare a dormire: era l’unico intelligente, a quanto pare. Si preparò alla soglia in modo da far ricordare alla gente dentro il panico che avrebbero provato tra pochi secondi. Levi ghignò nella penombra: provava un certo piacere sadico a cogliere i cadetti in piena infrazione delle regole. E che regole: fare un festino poco prima di una spedizione superava anche la sua immaginazione. Si chiese con che coraggio gli fosse venuta un’idea del genere, dato l’umore generale del corpo dopo la 57esima spedizione all’esterno.
Entrò nella camera aprendo la porta lentamente, ma in modo solenne. Venne inondato dalla luce e dallo stupore generale. La scena che si ritrovò davanti era patetica e ridicola: vide Reiner, Berthold, Sasha, Connie, Jean, Eren, Christa ed Ymir giocare a quello che pensò fosse il gioco della bottiglia. Notò che l’attenzione era rivolta alle ultime due, che probabilmente erano state scelte per un bacio. Spostò lo sguardo, andando oltre: Armin era sbiancato, e in un attimo si mise nella posizione di saluto. Mikasa era rannicchiata sul letto, in un angolo, con una bottiglia di vino e la testa rivolta verso la finestra, a guardare il nulla. Probabilmente neanche si era accorta che era entrato. Odiava essere ignorato: gliel’avrebbe sicuramente fatta pagare. Notò che tutti gli altri, a differenza di Armin, avevano riflessi lentissimi. Gli ci volle un po’ a realizzare chi avevano davanti, e altrettanto ad alzarsi a salutarlo. Levi lasciò che tutto questo avvenisse nel silenzio più assoluto: adorava l’ansia che sentiva arrivare dalle persone davanti a lui.
Erano paurosamente ubriachi, l’aveva capito in un attimo.
“Vi rendete conto di quanto siete schifosamente stupidi ad aver fatto una cosa del genere?” aveva un tono irato, ma al contempo calmo. Dalle loro espressioni, sapeva di star facendo bene il suo dovere. “Ovviamente riceverete una punizione esemplare, ma ora è troppo tardi per parlarne. Lens, Freckles, Blouse e Ackerman, filate nelle vostre camere. Jaeger, tu vieni con me nei sotterranei. Non vorrei trovarti ancora a vagare come un deficiente nel refettorio. Muovetevi! Dopo aver accompagnato lui ripasserò da qui. Voglio sentire un silenzio di tomba”.

Girò i tacchi pretendendo che tutti eseguissero gli ordini precisamente, anche se non aveva molte speranze verso loro. Fece due passi, aspettò che Eren si ponesse dietro di lui, e ricominciò a camminare.
Il rumore dei suoi passi gli dava fastidio. Erano sconnessi, molte volte Eren inciampava su sé stesso, sfiorando la caduta. Almeno questa volta Levi sapeva che il ragazzo stava dietro lui non perché era il suo caporale, ma perché non era fisicamente in grado di andare al suo passo. “C-capitano…” Eren non si reggeva in piedi; Levi, pur zoppicando, si vide costretto a rallentare.
“Capitano…”
“Cosa c’è ora moccioso?!” Sbraitò. Era arrabbiato per quello che avevano fatto. Un festino in quella situazione rasentava l’insulto, l’offesa. Levi si sentiva preso in giro da quella felicità passeggera, mentre lui doveva lottare ogni ora di ogni giorno per essere ed apparire forte, mentre dentro, pian piano, il suo cuore si sgretolava, lasciando spazio alla fredda razionalità.
Vide Eren abbassare lo sguardo: “M-mi dispiace per quello che è successo… Noi, noi volevamo ecco, dimenticarci di tutto questo” fece un gesto indeciso, indicando le pareti del corridoio “e siamo finiti così. Mi dispiace, mi dispiace capitano, io, io non sono all’altez-“
“Non autocommiserarti ora, moccioso”. Si girò per continuare a zoppicare, ma sentì un singhiozzo sommesso. Si irrigidì all’istante: Eren stava ancora piangendo? Di nuovo? Che cazzo doveva fare? Sentì un panico crescente, ma i suoi nervi di soldato lo aiutarono a pensare lucidamente: capì che sicuramente non doveva picchiarlo.
Non era un grande pensiero, ma un buon inizio.
Eren si era fermato, e dovette fermarsi anche lui. Sentiva che non poteva assolutamente lasciarlo da solo, chissà cosa avrebbe combinato: sapeva che Eren si arrabbiava subito, e se non ci fosse stato qualcuno che riuscisse a fermarlo, avrebbe potuto anche trasformarsi in titano. Il ragazzo aveva bisogno di qualcuno a cui affidarsi e calmarsi. Si accorse che era lui, quel qualcuno.  
Improvvisamente il ragazzo alzò il volto, colpendolo in faccia con i suoi luminosi occhi verdi. “Io voglio essere più sicuro di me stesso, non ce la faccio più ad essere un peso per gli altri, non voglio che le persone diano la vita per me e perché proprio a me cazzo, perché proprio io devo essere un cristo di gigante che non capisce un cazzo quando si tr-“
“Eren”. L’aveva interrotto  una seconda volta, ma di questo non gli importava. “Ti ho già detto che non muoiono solo per te”. Eren fece per ribattere, ma Levi lo bloccò all’istante: “tu sei importante Eren, sei più importante di tutti noi, persino di me. E’ una grande responsabilità che non ti sei scelto, ma perché, invece di utilizzarla come mezzo per realizzare le tue grandi ambizioni, stai qui a piangerti addosso?”
Si avvicinò di un passo. “Senti,” disse, guardandolo dall’alto della sua sicurezza “se ti chiedessi cosa ti rende più forte, cosa risponderesti?” Prima che Eren avesse il tempo di capire il senso della domanda –era ancora visibilmente ubriaco – Levi continuò a parlare: “E’ il tuo potere a renderti forte? Fisicamente si, ma per il resto, io penso proprio di no. Devi difenderti da te stesso, Eren, e devi farlo assieme ai tuoi amici. Il cuore della tua forza risiede in loro, e devi sfruttarli al massimo finché sono assieme a te”. Stava davvero dicendo questo? Che ne era di tutti i suoi pensieri sul fatto che lui, Levi, bastava a sé stesso e non aveva bisogno di altre persone al suo fianco?
Il ragazzo ebbe bisogno di qualche attimo per realizzare e comprendere ciò che gli aveva detto. Levi attese pazientemente: non era un tipo che amava infrangere i silenzi, ma spezzare discorsi.
“Lei capitano, anche lei mi rende forte”.
Lo fissò, corrucciando lo sguardo. Non ci credeva, non capiva perché Eren potesse aver detto una cosa così stupida. Al suo sguardo, il ragazzo continuò a parlare, come se avesse intuito i suoi pensieri: “Lei mi scuote capitano. Ogni volta che penso a qualcosa lei, lei se ne esce fuori con qualcosa di contrario, incasinandomi tutti i pensieri. Poi capisco che le cose che mi dice sono molto più sensate di quello che penso io, quindi mi sento un cretino, un semplice cadetto che ha bisogno del suo capitano. Lei è il mio capitano, Levi”.
“Credo che ogni capitano con un minimo di cervello possa dirti le stesse cose che ti dico io, Jaeger”. Era scettico, molto scettico. “Si ma lei a differenza degli altri capitano, lei mi lascia decidere. Mi lascia capire da solo la scelta giusta da quella sbagliata. Lei è l’unico che mi fa aprire gli occhi e pensare lucidamente, anche adesso, vede, sono ubriaco perso ma riesco a pensare e a darle del lei! E’ paurosamente difficile lo sa?”
Levi sentì un calore dentro sé. L’aveva represso dal primo istante in cui Eren aveva risposto alla sua domanda, ma ora poteva percepirlo forte e chiaro. Era qualcosa di simile alla felicità. Si dimenticò completamente del discorso che voleva affrontare con lui riguardo il giorno prima. Ora esistevano soltanto Levi ed Eren, slegati dai vincoli dello spazio e del tempo.
Preso da un senso di responsabilità e quasi tenerezza, si avvicinò a lui e gli avvolse la spalla col braccio. Eren era evidentemente sconvolto dal suo atteggiamento, ma Levi non ci badò. Si avviarono in silenzio nei sotterranei, vicini, sostenendosi a vicenda. Erano vicini, vicini così.
 
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice:
Vi chiedo perdono in ginocchio. Ho avuto un fine settimana disastroso, tra lavoro, cresime e chi più ne ha più ne metta. Nel mentre cercavo di trovare buchi  per andare avanti col capitolo, e avendolo scritto passo dopo passo e non tutto di getto mi è risultato più difficile finirlo. Chiedo pietà.
Avevo l’intenzione di farlo più lungo, ma amavo l’idea di chiuderlo con le figure unite dei nostri Levi ed Eren, che pian piano ma inevitabilmente si stanno avvicinando sempre più.
Vi regalo un piccolo spoiler sul prossimo capitolo: ricordatevi che Eren deve ancora scontare delle doppie pulizie con Levi!
Infine, alcune precisazioni. Prima di tutto, il cognome di Ymir: non è stato rivelato né dall’anime né dal manga, ma cercando in siti oscuri su internet ho trovato che “nell'anime, poiché nella prima stagione non viene detto il suo nome, ella viene indicata nei titoli con "Freckles" (そばかす Sobakasu?), che vuol dire "Lentiggini"”. Avrà quindi questo cognome nella mia storia.


Inoltre, dove avranno preso l’alcol i nostri eroi? Direi di lasciarlo come “segreto” letterario: la serata è ambientata in un sabato sera, quindi ho ritenuto che fosse più semplice trovare dell’alcol in quel preciso giorno. Inoltre, anche nell’anime si vede che alcuni membri del corpo di Gendarmeria e di Guarnigione si ubriacano anche in giornata, quindi ho pensato che fosse abbastanza facile reperire alcol in generale. Perché avrebbero dovuto fare una cosa del genere? Ho pensato che, come noi, sono dei ragazzi che hanno bisogno di divertissement, termine coniato da quel simpaticone di Pascal. Per chi non lo sapesse, il divertissement (che significa deviazione, allontanamento) è la ricerca, da parte dell’uomo, di ogni forma di divertimento, distrazione o diversivo che lo riesca a sottrarsi a ciò che genera infelicità nella sua vita. Dato che questi ragazzi hanno anche troppa infelicità, ho pensato sia logico che anche loro abbiano bisogno di una distrazione che li allontani dalle sofferenze. In questo caso, l’alcol.
Per il resto, non ho molto da aggiungere. Siamo ancora entrati nella testa di Levi, in modo da farvi capire i ragionamenti e il modo di comportarsi, molto più difficili da capire rispetto a quelli di Eren, ma tranquilli, anche lui verrà messo a nudo! Abbiamo molto da farci spiegare da quella testolina bacata, a partire da ciò che pensa veramente del nostro amato capitano sotto effetto dell’alcol. In vino veritas!


Scusate per essermi dilungata e alla prossima! (Che arriverà presto, giuro).

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5
 
Il mattino seguente arrivò presto. Troppo presto, pensava Eren. Sapeva che il mal di testa non sarebbe passato a breve, quindi si rassegnò a sopportarlo e ad affrontare una faticosa giornata. Sentiva il corpo protestare mentre si alzava, ma sapeva che se fosse arrivato troppo tardi non avrebbe fatto colazione, e sarebbe stato molto peggio. Sperò che i suoi poteri da titano facessero guarire presto anche un post sbornia, ma non ci credeva molto.

Mentre mangiava, notò che anche i suoi amici non erano messi meglio di lui: Connie aveva praticamente la testa dentro la scodella, Christa si stava addormentando sulla spalla di Ymir, la quale sembrava molto felice. Reiner e Berthold avevano due occhiaie che arrivavano fino al mento e si sforzavano di mangiare qualcosa, come faceva anche Eren stesso. Le uniche che sembravano invariate erano Sasha, la quale si abbuffava come al solito –beata lei -  e Mikasa, che non parlava guardando il nulla. Probabilmente, pensò, anche lei stava male, ma il suo comportamento restava invariato. Eren credette che se le avesse tirato la scodella piena in testa lei non si sarebbe spostata.
“Ciao Eren, prima il capitano Levi è passato a dirci di venire nel suo ufficio dopo la colazione… Sono terribilmente spaventato…” Connie aveva decisamente una brutta cera.
Jean, che Eren non aveva notato, sbucò dietro Ymir: “Stai tranquillo pelatone, quello ci farà pulire e basta!” sprezzante come al solito, ma anche lui distrutto. Davanti a Jean vide Armin: “Siete delle teste vuote, ve l’avevo detto che era una pessima idea! Era palese che ci scoprissero, e per di più Mikasa è rimasta sul mio letto per tutta la notte senza farmi chiudere occhio!” L’attenzione si rivolse alla diretta interessata, concentrata a spalmare la marmellata sul panino.
“Avevo sonno, Armin. Scusa.” Sussurrò. Eren si chiese se Mikasa fosse davvero un organismo con un organo sessuale riproduttivo. Sapeva che lei aveva occhi solo per lui, ed Eren si sforzava di ignorare tutto ciò, anche se doveva ammettere che senza lei ora lui si sarebbe trovato mangiato dai titani, o peggio, rapito da Annie. Sentiva però che Mikasa era troppo ossessionata da lui; era quasi inquietato dal suo atteggiamento, seppur abituato ad esso da tutta la vita.
Jean scoppiò in una fragorosa risata, e anche gli altri se la risero sotto i baffi. Armin era evidentemente frustrato, ma anche lui trovava la situazione divertente.
Eren sapeva che Armin non sarebbe mai riuscito ad arrabbiarsi veramente verso i suoi amici, da ragazzo dolce qual era. Mikasa ritornò a dare tutte le attenzioni al suo panino.


“Eren, ma il capitano ti ha veramente accompagnato fino ai sotterranei? Ha detto qualcosa per la punizione di oggi?” Connie era davvero agitato; la domanda risvegliò i ricordi della sera prima, offuscati ma più lucidi rispetto agli altri della stessa serata. Ricordò come il capitano capisse perfettamente il perché delle sue azioni sconsiderate, e come in poche frasi riusciva a farlo stare meglio.
Eren si era reso conto, nella sua ubriachezza, che senza il capitano sarebbe stato molto più vicino al crollo nervoso. Aveva capito di aver bisogno del capitano più di quanto pensava, e soprattutto aveva compreso quanto riusciva a sentirsi in pace con sé stesso quando era vicino a Levi. Si ricordò di come l’aveva accompagnato alla sua stanza facendo in modo che Eren si appoggiasse a lui, e non poté fare a meno di arrossire. Era stato un gesto che non si sarebbe mai aspettato dal capitano, ma che si era accorto di desiderare. Stare vicino a lui aveva risvegliato l’antico calore che provava per la sua famiglia ormai non più in vita, ma era contemporaneamente qualcosa di totalmente diverso.
Aveva sentito il cuore scoppiare, ma provò anche una felicità genuina, seppur avesse avuto l’ansia o la paura di rovinare quei momenti che considerava perfetti facendo un movimento sbagliato. Si chiese se stava esagerando, ma per la prima volta dopo tanto tempo aveva concluso la giornata con felicità, seppur le prerogative avrebbero previsto una fine tutt’altro che piacevole.
“Eren?”

Si rese conto di aver piantato gli occhi nel nulla. Sorrise lievemente ricordandosi della domanda di Connie, lieto di poter ricordare e parlare di quei momenti: “Sì, mi ha accompagnato nel sotterraneo, ma non mi ha parlato della punizione. Io non mi reggevo in piedi e mi ha sostenuto, è stato veramente gentile, non me lo sarei mai aspettato!”
A Reiner andò di traverso il the: “Ti ha portato in braccio fino ai sotterranei come una principessa?” Tutto il tavolo scoppiò in una fragorosa risata. Eren arrossì e si immaginò l’imbarazzante scena per un nanosecondo, obbligandosi a cancellarla, ridendo poi con gli altri.
“Parliamo invece di te che da ubriaco hai baciato Berthold ieri sera!” Dalla tavolata risuonò una risata ancor più fragorosa, mentre Berthold diventava rosso come un peperone. Reiner face finta di arrabbiarsi: “Solo così potevo baciare Christa, ma quando ci ho provato Ymir mi ha quasi messo le mani addosso!” Puntò il dito contro la diretta interessata, che strinse la testa di Christa nel suo petto, quasi soffocandola. “Non ti azzardare a toccarla, maniaco!” Tutto il tavolo stava ridendo, perfino Mikasa accennò un sorriso divertito. Erano riusciti a calmare Connie, che, dopo altrettante battute sulla sera prima, propose di andare nell’ufficio del capitano.
 
Eren capì subito che Levi voleva stessero il minor tempo possibile nel suo ufficio. Erano in una decina, assieme al capitano, e nel suo ufficio stavano davvero stretti. Probabilmente Levi, pensò Eren, si preoccupava anche della sporcizia che avrebbero portato tutti assieme. Gli venne da sorridere, pensando a quanto il capitano stesse attento a ciò.
“Credo che avrete già indovinato la punizione, mocciosi cretini che non siete altro. Tutti i vostri compagni oggi faranno una scampagnata a cavallo a provare nuove formazioni, mentre voi approfitterete della loro assenza per pulire tutto il castello”. Gli comparve un ghigno sadico, quasi felice.
“Solo noi? Ma capitano, credo che neanche stasera finiremo di pulire, il fortino è enorme!” Protestò Jean. Il ghigno del capitano si allargò: “Per questo dovreste sbrigarvi. Muovetevi! Jeager, tu hai altre due ore in più di pulizia con me. Mi aspetto che tu finisca le tue mansioni per tardo pomeriggio, in modo da raggiungermi nei sotterranei e mettere a posto l’archivio”.
Eren se ne era completamente dimenticato. Si sentì quasi svenire pensando a tutto il lavoro che poteva potenzialmente esserci nell’archivio, ma non tentò di opporsi, lasciando che il capitano li congedi.
 
*
 
Dopo una mattinata estenuante ed un pranzo veloce, i soldati dell’ex 104esimo corpo di addestramento reclute si resero conto di essere davvero disperati. Soprattutto Eren, che doveva finire tutto almeno cinque ore prima degli altri. Si erano divisi le parti del castello, e a lui era toccata la stalla, impossibile da rendere linda poiché sempre sporca da vari escrementi delle bestie. Pulì velocemente e senza badare ai particolari, in quanto confidava nel fatto che, essendo delle stalle, nessuno si aspetterebbe di vederle pulite. Nessuno tranne Levi, pensò Eren, ma scacciò il pensiero di essere obbligato dal capitano a ripulire le stalle. Avrebbe seriamente potuto suicidarsi.

Alle cinque in punto si presentò all’archivio dei sotterranei. Conosceva perfettamente la sua collocazione, in quanto era nel corridoio parallelo alla sua stanza. Entrando, la porta cigolò e un odore di muffa e polvere gli invase le narici. Soffiò infastidito: ovviamente il capitano era già dentro; sfogliava annoiato un libro su una poltrona abbastanza vecchia, le gambe fini accavallate in una posizione che Eren trovò quasi regale.
“Eccoti, moccioso”. Chiuse il libro con una mano. “Beh, direi che puoi cominciare. Qua dentro c’è la più grande mole di polvere che io abbia mai visto. Fai in modo che sparisca”. Eren fu preso da sconforto.
Sebbene l’archivio fosse decisamente piccolo aveva un’immane quantità di lavoro da svolgere, e per di più con Levi che lo osservava. Sì sentì quasi in imbarazzo, accentuato dal fatto che il capitano, avendo ripreso la lettura, non accennava parola. Eren, mentre toglieva vecchi libri dagli scaffali pulendo entrambi, pensò a un argomento per rompere il ghiaccio. Aveva ancora impressa a fuoco la scena della sera prima, con un discorso che era finito quasi a metà – Eren avrebbe continuato per ore a far capire l’importanza che il capitano aveva nella sua vita – per lasciar spazio alla fisicità, ai gesti che Eren non capiva come interpretare. Sapeva di non poter iniziare il discorso con una domanda diretta, si sentì stupido solo al averlo pensato. Arrossendo poco, diede tutta la sua concentrazione ai libri che stava spolverando, tutti sul dispositivo di movimento tridimensionale o sui rapporti delle vecchie spedizioni all’esterno delle mura, in cerca di ispirazione.
Eren si chiese che cosa c’era stato cento anni prima di tutto questo, di tutta la civiltà che avevano costruito e perfezionato fino ad ora. Pensò al nonno di Armin, che sapeva dell’esistenza del mare, un’infinita quantità di acqua salata. Come aveva vissuto l’umanità senza i giganti ed il terrore verso essi? Eren immaginò un mondo estremamente felice.

“Che ti eri infilato nel cervello ieri sera per dirmi quelle cose, Jeager?”
Eren sobbalzò. Ci mise trenta secondi buoni a comprendere il significato della domanda, e altrettanti a capire come rispondere. Nel mentre, non si era ancora girato: in quel momento sapeva di non poter riuscire ad affrontare lo sguardo diretto e tagliente del capitano, seppur solo la sua vista riuscisse a infondere pace in lui.
“Ehm, io le ho solo detto quello che penso di lei, capitano”.
Guardò Levi di striscio, che alzò un sopracciglio, accavallando le gambe nell’altro senso. Eren distolse subito lo sguardo, impotente davanti a tanta eleganza. Si chiese da quando considerava il capitano elegante.
“Quindi tu pensi di avere bisogno di me?”
A differenza sua, Levi andava dritto al punto, come al solito. Si chiese perché lui si sentisse stupido solo a pensarci, mentre il capitano lo faceva continuamente. “Sì, capitano”. Non riusciva e non voleva mentigli: aveva bisogno che Levi sapesse quanto riuscisse a calmarlo solo con lo sguardo, in un modo che gli infondeva anche sicurezza. Aveva bisogno di lui per continuare la sua battaglia.
“E di chi ho bisogno io, Jeager?”


Eren si bloccò dal pulire il libro, fissando con stupore gli occhi del capitano. Lui sostenne lo sguardo, come suo solito senza far trasparire emozioni, ma Eren capì che all’interno vi erano malinconia, tristezza, rabbia, solitudine. Probabilmente in quel momento lo considerò troppo emotivo, ma non ci badò: aveva iniziato a guardarlo con occhi diversi, sondando ogni gesto significativo che trasparisse dal suo corpo. Chi era veramente Levi? Cos’era stato prima di diventare soldato più forte dell’umanità? Eren si rese conto per la prima volta di averlo idealizzato dal momento in cui l’aveva conosciuto di persona.


“Capitano, io non posso sapere di chi ha bisogno lei ora. La conosco troppo poco per saperlo”. La tristezza riempì il suo cuore. C’era stato qualcuno ad aver amato Levi come, ad esempio, Armin e Mikasa amavano lui? Si rese conto di essere anche troppo fortunato, capendo che il capitano, per molto tempo, se l’era cavata il più delle volte da solo. “Però capitano, ora ha Erwin, Hanji, Mike e tutti noi. So che non siamo molto per lei, ma comunque è meglio di niente”.
Levi non rispondeva. Si limitava a fissarlo atono, con la testa appoggiata alla mano. Eren si costrinse a continuare il discorso: a riprenderlo non avrebbe mai avuto il coraggio. “Piuttosto, perché lei ieri è stato così gentile? Conoscendola, mi avrebbe preso a calci, e invece mi ha aiutato a camminare. Anche lei ieri era strano, comandante”. Non si preoccupò di essere stato troppo invadente, perché quella non era una conversazione normale che capitano e cadetto potevano avere. No, era qualcosa di molto più importante.
“Non volevo rimanessi in giro, moccioso. Giri già troppe volte per i miei gusti”.
Eren provò delusione. Era una risposta sensata, ma non quella che voleva sentire. Guardò ancora una volta il capitano, che aveva posato lo sguardo su qualcosa di indefinito alla sua sinistra.
“Lei mente, capitano”.
Levi tornò a guardarlo, ed Eren fu percorso da un brivido. “Pensala come vuoi, Jaeger. Ma ora dovresti finire di pulire”.
Eren tornò al suo lavoro e calò il silenzio, ma non nella sua testa.
 
Finito il faticoso lavoro, Eren aveva intenzione di andare direttamente a letto, distante da quella stanza circa venti metri, ma il capitano glielo impedì. “Domani dobbiamo andare nei territori interni, moccioso. Devi mangiare qualcosa, altrimenti mi accuseranno anche di denutrirti, oltre che di lasciare libero un potenziale gigante”.
Si avviarono al refettorio con passo veloce. Evidentemente il capitano aveva avvertito di lasciare il pasto per loro due, perché lo trovarono tiepido al suo tavolo abituale. Eren non aveva mai mangiato con Levi, per di più da soli. Deglutì mentre cercava di sedersi il più silenziosamente possibile. Davanti a lui, il capitano sembrava perfettamente a suo agio. Eren si ricordò della notte in cui l’aveva trovato nello stesso posto: era davvero andato a fare una ronda notturna, come aveva detto? Eppure Eren non aveva mai sentito parlare di turni notturni svolti dai capitani. Si era reso conto che, come lui, anche Levi vagava la notte per insonnia. Con coraggio, iniziò il discorso facendogli notare proprio ciò: “Capitano, secondo me anche lei, l’altra sera, non riusciva ad addormentarsi; così si è fatto un the ed è venuto qui, al refettorio, per rilassarsi. Mi ha dato la punizione per giustificare il fatto di essere stato lì in quel momento, in modo che non mettessi in giro altre voci”.
Levi alzò gli occhi, poi accavallò le gambe, ancora. Eren le poteva vedere anche se in mezzo c’era il tavolo. “Pensavo non ci saresti mai arrivato, moccioso”. Lo vide quasi sorridere e il suo cuore mancò un battito. Che gli stava succedendo?


“Voleva lo capissi, capitano?” Levi non rispose subito. Fece scorrere lo sguardo su tutto il suo corpo, come se la risposta l’avesse già detta. Eren intese e aspettò paziente. “Siamo molto simili, Jeager, per fortuna non in tutto. Però sappiamo entrambi di essere nella stessa situazione con lo stesso peso sulle spalle, giusto?” Cercò il suo sguardo, ed Eren annuì. Levi spostò il peso dall’altra parte del corpo: “E allora come fai a non aspettarti di trovarmi in giro la notte come fai tu? Dio, sapessi quante volte io ti ho visto farlo, Jeager. E poi non sono un essere sovrannaturale, io, ma un umano come tutti voi, cazzo.  Smettetela, tu primo tra tutti, di idealizzarmi”.
Spostò lo sguardo, ed Eren realizzò quanto fosse fragile quella persona che all’esterno era considerata la più forte di tutti. Notò le sue occhiaie, le imperfezioni dei capelli che puntualmente si tagliava da solo, qualche graffio sulle mani dalle dita affusolate e infine l’attenzione che lo stesso prestava alla gamba infortunata.
“Mi dispiace, ha ragione. Per qualsiasi cosa capitano Levi, sono qui”. Si sentì stupido: cos’era lui per Levi? Poteva anche non fregargliene nulla di ciò che gli stava offrendo.
“Cioè, se ha bisogno di sfogarsi per qualcosa, oppure non riesce a dormire, conti su di me per un giretto notturno”. Fece un mezzo sorriso imbarazzato, non riuscendo a immaginare la reazione dell’altro, aspettandola con impazienza.
Levi fece uno strano suono divertito, che Eren assimilò come una risata. Si tirò i capelli indietro con la mano: “Grazie Eren. Conto su di te allora?”
“Certo capitano!”
“Allora andiamo in cucina a farci un the. Poi filati a letto, che domani dobbiamo partire presto. Niente passeggiatine notturne, Jaeger. Hai già avuto questa”.
Eren si sentì bene mentre rideva alle ultime parole del suo capitano. Sollevato, lo seguì nelle cucine, aspettandolo paziente mentre scendeva le scale. Quando si offrì di aiutarlo, venne mandato istantaneamente a quel paese, e rise di gusto. Vide che anche il capitano aveva accennato un sorriso, e lo guardò incantato. Era decisamente stata la passeggiata notturna più piacevole degli ultimi cinque anni.
 
*
 
Si svegliò a causa di un tonfo proveniente dalla porta. Socchiuse gli occhi, e vide che era stata sfondata, mentre una figura avanzava sbraitando verso lui: “Jaeger, cazzo! E’ dieci minuti che busso a questa cristo di porta, ho dovuto sfondarla per entrare, ti rendi conto?!” Eren realizzò che il capitano Levi era entrato nella sua stanza mentre lui stava ancora dormendo. Perché? Si tirò su le coperte e continuò a cercare di dormire.
“Eren cazzo svegliati e sii attivo, non ho tempo!” Gli strappò le coperte di mano, ed Eren fu attraversato da un brivido di freddo. Mugugnò e si rinchiuse in posizione fetale. “Jaeger, che cazzo dormi in mutande?!”


Eren spalancò gli occhi. Quello era il capitano Levi. Nella sua stanza.
Lui stava praticamente ancora dormendo e non aveva la coperta. Scattò in alto e si coprì, per poco non prese la testa del capitano. “S-signore che ci fa lei qua? E dormo in mutande perché nei sotterranei non c’è aria”. Disse l’ultima frase con un tono tagliente: era stato Levi a posizionare la sua stanza lì.
“Sì sì, va bene Jaeger. Ora ascoltami. Fra due ore partiremo per i territori interni e Arlert ha ideato un piano per catturare Annie Leonhardt in forma umana. Eren, ascoltami cazzo!” Il ragazzo si era risdraiato; Levi lo prese per un braccio e lo rialzò.
“Tu, Arlert e Ackerman andrete a ingannarla. Non sarai con me Jaeger, e non ti potrò controllare. Dovrai gestire tu la situazione assieme ai tuoi amici. Stai attento”. Eren non aveva ancora acquisito la facoltà di ragionare, ma più o meno aveva capito cosa gli stava dicendo il capitano: non sarebbe stato con lui durante una nuova missione, che, da ciò che aveva recepito, era potenzialmente pericolosa.
“S-sì, capitano. Starò attento”.
“Jaeger tu non hai capito un cazzo di quello che ti sto dicendo!” Lo scosse. Eren si era svegliato del tutto; Levi si calmò e si sedette sul letto di fianco a lui. “Allora, ricominciamo tutto da capo. Oggi andrai nei territori interni e metterai in azione un piano con i tuoi due amichetti. Il piano ti verrà svelato completamente questa mattina, quando partiremo. Dovrete cercare di catturare Annie Leonhardt in forma umana. Sono qui per dirti che oggi non sarai con me durante la missione, e io non potrò direttamente controllarti”.
Prese una pausa. Eren assimilò ciò che aveva detto il capitano: seppur aveva mille domande da fargli, lo lasciò continuare. “Quindi stai attento. Oggi non ci sarò io a farti ragionare, dovrai prendere tu le tue decisioni, e non pentirtene. Cerca di capire ciò che è giusto per tutti noi anche se potrebbe essere sbagliato per te. Hai capito, moccioso? Sii sempre lucido. Conto su di te. Hai compreso?”
Lo guardò perforante. Eren annuì, e capì che ci sarebbe stato un altro momento per le domande. Levi fece per alzarsi dal letto, ma il braccio di Eren lo bloccò. “Faccia attenzione anche lei, capitano”.
Era preoccupato senza vera motivazione.
Levi sbuffò: “Come al solito ragazzo. Io faccio sempre attenzione”. Si alzò e se ne andò, lasciando Eren nei suoi pensieri.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice:
Yes! Capitolo interamente basato su Eren e Levi, ma visto che adesso dovranno separarsi ho deciso di esagerare un po’. Pian piano si stanno capendo, e questo li porta ad essere sempre più vicini.
Ditemi che ne pensate! Al prossimo capitolo.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6
 
Fissava il letto senza osservarlo.
La caviglia gli pulsava, ma lui ignorava facilmente il dolore. Tutto ciò che era accaduto durante la giornata continuava a sfrecciagli davanti senza lasciarlo in pace.
La sua inquietudine infondata era diventata straziante realtà, lasciando lui, Levi Ackerman, il soldato più forte dell’umanità, a vegliare sul corpo immobile di Eren, il ragazzo titano. Non aveva visto nulla di ciò che era successo prima, ma riusciva a palpare le emozioni del giovane solo a fissare il suo viso martoriato dalle numerose ferite in cicatrizzazione e dalla recente trasformazione in titano.

Eren che scopre di essere stato tradito da una sua ex compagna.
Eren e la sua tristezza trasformata in rabbia.
Eren che riesce a prendere la decisione, seppur dolorosa, giusta.
Finalmente.
Un piccolo sorriso increspò le sue labbra: era orgoglioso.

Seppur il coraggio di Eren, non andò tutto bene. Lui aveva visto solo l’ultima parte dello scontro ravvicinato tra i due titani, e si era rivelato fondamentale per la salvezza stessa del ragazzo: non sapeva cosa l’aveva spinto ad agire prima degli altri, mentre operava con l’angoscia in cuore, cercando di staccare Eren dal corpo del gigante in modo da non amputarlo, o, peggio ancora, prendergli qualche organo fondamentale. Levi rabbrividì al pensiero: probabilmente non se lo sarebbe mai perdonato.
Decise però di concentrarsi sul presente. Eren era steso di fianco a lui, il petto che si alzava debolmente. Fissò intensamente il suo viso: era rilassato, senza la solita espressione rabbiosa che assumeva. Levi poté così notare i capelli sbarazzini, neri come la pece, le arcate perfette delle sopracciglia, che coronavano i grandi occhi acquamarina chiusi. Il naso leggermente all’insù spiccava, disegnando una vasta ombra sul volto addormentato. Infine c’erano quelle labbra, rosate e piene, sulle quali Levi non si era mai soffermato. Assomigliavano alle labbra di una sua vecchia cara amica, ma si affrettò ad allontanare il pensiero.
La faccia del ragazzo era più inespressiva e rilassata nel sonno che nella veglia. Come faceva Eren ad esprimere così bene i suoi sentimenti? Era ciò che Levi si chiedeva da sempre. Lui si sforzava di mantenere un certo controllo, e lo faceva da talmente tanto tempo da farla ormai diventare un’azione naturale: in un certo senso lo invidiava, mentre dall’altro gli sarebbe piaciuto avere un Eren più pacato, solo per essere certo di rivedere quell’espressione anche in futuro, con lui vigile.
Era stanco, ma in quel momento sapeva che non si sarebbe mai stancato di osservare il ragazzino addormentato. In qualche modo quella visione, quel momento, gli trasmettevano una pace che non provava da anni: considerava ciò un’anomalia, in quanto il cadetto davanti a lui era il personaggio che ultimamente gli dava più grattacapi, eppure sentiva che senza Eren la sua vita sarebbe rimasta cristallizzata nella perdita continua dell’umanità.
Davanti a sé aveva la speranza dell’umanità, la sua speranza.
Si appoggiò al letto, creandosi un cuscino con la pancia di Eren. Continuò a guardarlo, mentre il sole tramontava sul Wall Sina.

 
*
 
Si risvegliò lentamente. Sentì prima ciò che lo circondava: aveva delle lenzuola fresche sopra, e percepiva un peso leggero sullo stomaco, a cui diede poca importanza. Sentì uno strano silenzio attorno a sé, quasi il tempo si fosse fermato. Aveva un leggero male alla testa, e pian piano fece mente locale su ciò che era accaduto prima. Tristezza e rabbia invasero il suo corpo, risvegliandolo del tutto. Tremò, e fece per distendersi su un lato, con l’intenzione di mettersi in posizione fetale, ma venne bloccato da un suono di disappunto soffocato, perciò decise di aprire poco gli occhi. Vide con enorme sorpresa il comandante Levi che lo scrutava contrariato.

Eren lo fissò intensamente con gli occhi smeraldo: era quasi spaventato dalla scena che aveva di fronte. Il capitano stava sdraiato su di lui, un po’ spettinato e con lo sguardo annoiato, probabilmente appena svegliatosi da un breve riposo.
Il capitano Levi spettinato sdraiato sulla sua pancia a riposare.
Il capitano Levi spettinato sul suo letto a riposare.

Dovette riformulare più volte il pensiero per realizzarlo, e sapeva che i suoi occhi esprimevano tutto lo stupore che, in qualche modo, accigliò il capitano. Stranamente non se la prese, ma anzi, continuava a fissarlo dal basso con le sopracciglia aggrottate. Sembrava che nemmeno lui sapesse cosa stesse accadendo e perché si fosse ritrovato .
“Come stai?”
Finalmente, il silenzio venne interrotto. Eren ringraziò mentalmente la schiettezza del capitano.
“Bene, credo. Sono spossato”.
“Ti capisco”.
“E lei, capitano? Come sta?”
Levi alzò lentamente la caviglia, guardandola con un’espressione arrabbiata, infastidita e schifata. Poi la rimise accanto all’altra.
“Per il resto bene. A parte quando mi fai perdere dieci anni di vita per tirarti fuori dal tuo corpo di titano, bene”.
In tutto questo non aveva ancora spostato la testa dal suo stomaco. Cosa voleva? Sarebbe stato un gesto carino, se non fosse stato fatto dal capitano Levi. Fossero stati Mikasa, o Armin, avrebbe apprezzato il gesto di stare a vegliare su lui da svenuto. Ma Levi? Cosa voleva da lui? Perché si era messo a vegliare su Eren? Non aveva altre cose da fare, come indire riunioni sulla tragedia appena accaduta nel muro più interno? Perché stava semplicemente lì a fissarlo?

Eppure l’ultima sua frase illuminò i pensieri di Eren: era preoccupato. Seppur fosse un pensiero strano da attribuire proprio a Levi, Eren credette di aver fatto centro. Si ammorbidì e la sua tensione svanì velocemente come era arrivata.
“Grazie per avermi salvato. Se avessi esitato ancora di più, ora sarei con Annie, invece che con lei, capitano Levi”.
“Dovere”.
Rimasero a fissarsi, in silenzio. Ormai era quasi notte.
Eren sobbalzò quando Armin entrò nella sua stanza, spalancando la porta, col respiro affannoso. Levi, d’altro canto, rimase impassibile: come se quella posizione fosse assolutamente normale. A Eren venne quasi da ridere, se Armin non gli avesse gridato che i titani avevano sfondato anche il Wall Rose.

 
*
 
Eren salì dietro al carro assieme ai suoi due compagni di infanzia, Hanji, il cultore delle mura – che apprese poi si chiamasse Nick – e il capitano Levi. Scoprì così che le mura erano state costruite dagli stessi giganti, e si trovò a tremare di rabbia. Sentì Levi avvicinarsi e prendergli il polso lentamente, quasi come se volesse dirgli di stare calmo.

Eren si calmò.

Hanji continuò a spiegare nel buio della notte che, se Eren riuscisse ad imitare quella particolare capacità, forse potevano ricostruire la falla nel distretto di Shingashina. Levi vide il ragazzo tremare. Poteva davvero fare una cosa del genere?
. Levi affidava tutte le sue speranze a quel ragazzo.

Allentò la presa al polso, quasi accarezzandolo. Gli era sembrato qualcosa di naturale, stringerlo. Pensava lo fosse ancora, ma non poteva notare il leggero rossore sulle guance di Eren, data la scarsa quantità di luce. Eren avrebbe dato tutte le sue attenzioni al polso stretto da Levi, se solo Hanji non gli avesse buttato addosso una miriade di informazioni a cui pensare e preoccuparsi. Ancora una volta le più grandi responsabilità venivano affidate a lui, deciso ad aiutare in qualsiasi caso. Non riuscì neanche a prendersela con Nick, che sicuramente sapeva molto di più su quella faccenda; il cultore, il prete, qualsiasi cosa sia, era riuscito a sostenere lo sguardo di Levi e addirittura a non cedere alle sue minacce pur di mantenere il segreto. Sapeva di non avere un potere di persuasione più efficiente di Levi, quindi abbandonò tutte le speranze di conoscere qualcosa in più da quell’uomo.

Si stavano dirigendo verso il castello di Utgard, punto di ritrovo concordato da tutto il corpo di ricerca nel giro di dodici ore. Il viaggio fu lungo, più lungo del solito: tutti erano terrorizzati da un possibile attacco notturno da parte dei giganti, seppur sapessero bene che di notte non si potevano muovere. Se sono riusciti a sfondare con facilità il Wall Rose potrebbero anche muoversi di notte, pensava Eren. Lo frustrava tanto non sapere quasi nulla sui titani.

Con la coda dell’occhio osservò uno stanco Levi, con la sua solita espressione indecifrabile. Gli occhi grigi osservavano il cielo come se fosse qualcosa di veramente interessante: Eren vide i suoi occhi muoversi con lentezza quasi studiata per osservare tutte le costellazioni, seppur il flebile fuoco che Armin teneva in mano. Aveva le gambe accavallate come faceva di solito, del tutto incurante ai sobbalzi del carretto, schiena quasi sdraiata sulla piccola panchetta. Un braccio era disteso sulla superfice della panca, l’altro si perdeva nelle tenebre, per incontrare il polso di Eren.

Finalmente, il moro realizzò l’intimità del contatto. Si girò verso il capitano, che non esitò a incatenare le iridi grigie ai suoi smeraldi. Si fissarono, senza muovere un muscolo o emettere un suono: dopo un tempo che a Eren sembrò interminabile, Levi tolse la mano dal suo polso, e la mise dietro le spalle del moro.
“Sai dirmi il nome di qualche costellazione?”
Eren non si sarebbe mai aspettato una domanda del genere, ma decise di rispondere, felice di eliminare i pensieri negativi. “Vedi quelle quattro stelle che si seguono, con la quarta che è un vertice del rettangolo?” Le indicò con l’indice, sposandosi vicino a lui in modo da indicargliele ancora meglio.
“Mh”.
“Quella è l’Orsa Maggiore, la costellazione più facile da individuare. Tra quelle stelle la più luminosa indica il nord. Sinceramente, non ricordo quale”.
“Non mi piace molto. Non assomiglia a un’orsa”.
“Non so nemmeno io perché si chiami così. Forse ci sarà una storia dietro. Comunque, te ne faccio vedere un’altra, anche se non ne conosco molte”.
“Okay”.
“Più in basso dovrebbe esserci una specie di W. Riesci a trovarla?”
Levi scrutò il cielo. Eren si distrasse un secondo a guardarlo.
“Dovrebbe essere quella?” Questa volta toccò al suo indice alzarsi per indicare il cielo.
“Sì, credo di sì! Quella è Cassiopea”.
“Questa è più carina, ma anche lei ha un nome di merda”. Eren si accigliò: merda era praticamente la parola preferita di Levi. La metteva in ogni frase. Il pensiero però lo fece sorridere: si ricordava di ogni insulto rivolto a lui o ai suoi compagni. Se fosse stato a fianco a lui, e non una recluta da addestrare, si sarebbe fatto due risate.

“Dicono che il cielo sia infinito, sai? E noi siamo qui, circondati da delle mura. Di merda”. Calcò sulla sua parola, con un piccolo sorriso stampato in faccia. “Inoltre, Armin mi aveva detto che ci sono tantissime costellazioni in cielo, e le più importanti formano l’oroscopo”.
“Il che?” Levi rivolse l’attenzione al moro, mentre si passava una mano tra i capelli, la mano sempre dietro alla sua schiena.
“L’oroscopo, Levi. Non sai qual è il tuo segno zodiacale?”
L’espressione fu impagabile: “Eren, ma di che cazzo stai parlando?” Sussurrò, attento a non svegliare gli altri sul carretto. Si erano addormentati tutti, seppur la tensione, a causa dell’incontro ravvicinato con Annie del giorno prima. Eren in primis avrebbe dovuto dormire.
“Ma dove hai vissuto fino ad ora, Levi?” Gli venne da ridere, ma la risposta fu lapidaria. “Non c’era il cielo, dove ho vissuto”. Abbassò lo sguardo, accigliato.


Nella città sotterranea.
Levi aveva vissuto nella città sotterranea.


La testa di Eren si riempì di interrogativi pesanti, a cui solo Levi poteva dare risposta. Sapeva però che non era il momento adatto. Continuò il discorso.
“I segni zodiacali sono costellazioni a cui viene dato un nome di animale o di oggetto: Toro, Ariete, Capricorno, Bilancia, e così via. Sono in tutto dodici, e ognuno ha un suo periodo dell’anno, che coincide con l’apparizione stessa della costellazione in cielo”.
La faccia di Levi era stupita, interessata ed infastidita. Quello stupido moccioso aveva continuato il discorso come niente fosse, mentre lui aveva fatto una fatica immensa a dirglielo. Ad aprirsi un po’ più verso lui.

Si rese conto che, se Eren avesse fatto altre domande, lui si sarebbe categoricamente rifiutato di rispondere. Forse era questo il suo modo di ringraziarlo per avergli fornito un’informazione sul suo passato di cui pochissimi erano a conoscenza.
“Io sono nato a marzo, esattamente il 30. Sono un Ariete: a ogni segno zodiacale sono attribuite delle caratteristiche. Ad esempio, gli Arieti sono determinati e decisi sui loro obiettivi”.

Levi quasi rise. Chissà quante volte aveva sentito Eren urlare che avrebbe distrutto i titani: in quel senso, era proprio un Ariete.
“A loro sono anche attribuiti gli elementi della natura, il mio è il fuoco. Tu quando sei nato?”
Levi aspettò due secondi prima di dare una risposta al moro, valutando se offrirgli un’altra informazione su di lui.
“Il 25 dicembre”. In realtà era solo curioso di sentire il suo segno. Non ne capiva il perché, era una cosa così stupida.
“Mh… Armin è nato a novembre, ed è uno Scorpione. Dopo dovrebbe esserci un altro segno, e poi il tuo. Non vorrei sbagliarmi, ma dovrebbe essere Capricorno”.
Una piccola pausa.

“...Che merda di segno, moccioso”.
Eren scoppiò a ridere, cercando di essere il più silenzioso possibile. Levi gli tirò una ginocchiata, ma quello continuava.
“Cosa c’è adesso?”
Merda. E’ sempre sulla tua bocca!” Soffocò una risatina.

“Lo guardò con occhi divertiti: "Lasciatelo dire, Eren. Hai un umorismo di merda”.

Si misero a ridere entrambi. Solo in quel momento Eren si accorse di non aver dato del “lei” a Levi. Non che gliene fosse importato qualcosa.
Appoggiò la schiena sulla panca –sul suo braccio- e si preparò per addormentarsi. Il capitano fece lo stesso, e, in modo del tutto naturale, si appoggiò alla testa di Eren, ormai praticamente sulla sua spalla.

Andava tutto bene. Per la prima volta dopo anni, Eren non andò a dormire pensando ai giganti.
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo dell’autrice:
Ciao! E’ passato un po’ di tempo, ma esisto ancora. Spero vi sia piaciuto il capitolo, che, seppur corto, credo esprima tanti sentimenti.
Ci vediamo nelle recensioni! Al prossimo capitolo.
K

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7
 

Un sasso preso dentro al carretto lo fece sobbalzare. Con il collo dolorante, si tirò su per carpire le informazioni che si era perso durante il breve riposo. Si erano fermati davanti a un fortino poco illuminato, che probabilmente sarebbe diventato un punto di guardia della legione esplorativa all’interno del Wall Maria.
Vide Eren appoggiato alla sua spalla sinistra. Lo guardò più del necessario, indeciso se svegliarlo o andarsene cercando di non infastidirlo. Scelse la prima opzione: si spostò un poco e pose delicatamente la mano sul suo orecchio. La mosse un po’, finché il ragazzo non riprese coscienza.
Si sentiva una specie di balia.

Eren mugugnò.
Mikasa contribuì a svegliarlo del tutto, scuotendolo per una spalla: “Eren, siamo arrivati”.
Levi le scoccò la peggiore occhiataccia della sua vita: lui aveva cercato di svegliarlo nel modo più delicato possibile – ed era stato molto, molto faticoso per le sue abitudini in questo frangente – e quella ragazzina si permetteva di mandare all’aria tutto il suo piccolo lavoro.

Quella mocciosa sapeva dire qualcosa di diverso da “Eren”?
Levi se ne andò sbruffando, lasciando Eren svegliarsi con una sonora testata sulla panchetta.
 

Raggiunse Hanji, la quale stava organizzando i turni di guardia e le camerate per la notte ormai già avanzata. La aiutò, distraendosi: non aveva però calcolato che la studiosa lo conosceva abbastanza bene da capire i suoi sentimenti, sebbene lui li velasse con una maschera impenetrabile. Per lei non lo era mai stata: Hanji aveva un modo di collegare i pensieri totalmente diverso dal resto delle persone normali.
Levi si rifiutava di ammetterlo apertamente, ma sapeva che lei era l’unica persona davvero sua amica; questo per la sua capacità di capire cosa gli passasse per la mente in qualunque situazione.
“Secondo me dovresti essere più onesto con te stesso, Levi”.
“Cosa vorresti dire?” Scattò. Perché non poteva semplicemente pensare alle camerate?
“Che ultimamente hai molti sbalzi d’umore. Prima sei inaspettatamente loquace, poi ti chiudi in un mondo tutto tuo. Poi scompari, ritorni più arrabbiato del solito per poi calmarti un giorno dopo. E, infine, ti addormenti nel bel mezzo di un territorio popolato da giganti, seppur di notte. Non è da te: ti stai stressando. Hai bisogno di riposo”.
“Il soldato più forte dell’umanità non può riposarsi, Hanji”. Soffiò lui.

L’amica però aveva fatto centro: aveva ancora bisogno di elaborare il lutto, era stanco – la caviglia non aveva ancora smesso di dolergli – ma non poteva riposarsi, non ora che anche il Wall Maria era stato sfondato. Hanji non aveva colto un’altra parte fondamentale complice dei suoi sbalzi d’umore: Eren. Levi si accorse che nessuno era mai stato capace di tirargli così tanti sentimenti fuori dal suo corpo minuto, e senza neanche farlo apposta.
“E se invece si riposasse?”
“Non dire sciocchezze”.
“E invece si riposa. La tua stanza è al secondo piano, dovrebbe essere singola. A domani!”

Lo lasciò lì, senza farlo ribattere. Sorrise fra sé, ringraziando di avere qualcuno che si prenda veramente cura di lui. Andò nella sua stanza, e, dopo essersi tolto con difficoltà gli stivali, crollò in un sonno senza sogni.
 
*
 
Eren ascoltava Nick cercando di trattenere la rabbia.
Il religioso aveva visto con i suoi occhi il terrore genuino della popolazione, che cercava disperata riparo in quel piccolo fortino. Cosa lo tratteneva dal dire quel che sapeva? Eren stava per urlargli in faccia quando improvvisamente la situazione si modificò.
Entrò Sasha, la quale doveva dare una lettera estremamente importante ad Hanji, che invece ascoltava il credente pendendo da ogni sua parola.

Stava parlando di una persona che poteva rivelare qualcosa, in quanto figlia illegittima della vera famiglia reale. Eren non si soffermò neanche sul fatto che chi era al trono in quel momento era fasullo, in quanto la ragazza era Christa, sua ex compagna di addestramento.  
Hanji fissò lui, Armin e Mikasa con un’espressione di puro terrore: Christa in quel momento si trovava in prima linea, a combattere i giganti. Per niente al mondo avrebbero dovuto perdere quell’occasione e lasciarla morire. Dovevano recuperarla, ovunque fosse.
Tutto questo fu colto in uno sguardo.

“Prendo la mia squadra. Sellate i cavalli, partiamo per il castello di Utgard”.

Prima di continuare il suo viaggio, Eren si guardò dietro, cercando di cogliere l’elegante e malinconica figura del capitano Levi.
 
*
 
Levi si svegliò quando il sole era già alto. Scattò a sedersi sul materasso: quanto cazzo aveva dormito? Troppo, decisamente troppo.
Si infilò gli stivali come se cercasse di ottenere un nuovo record mondiale e corse fuori, ignorando bellamente la sua caviglia. Non sarebbe mai guarita, lo sapeva.

Cercò Erwin, e anche Eren. Non che Eren gli servisse a qualcosa, in quel momento.
Voleva solo sapere dov’era.

Erwin gli spiegò che la squadra di Hanji era partita per recuperare Christa, la quale era in possesso di importanti informazioni. Levi represse un brivido: erano partiti senza di lui.
Ancora una volta non poteva tenere sotto controllo e proteggere Eren, e in questo caso neanche l’aveva avvertito di essere responsabile.
Ancora una volta aveva una strana sensazione che gli dava i brividi.
“Cosa dovremmo fare noi qua, Erwin?”
“Semplice: vorrei, oltre mettere al sicuro la popolazione nel distretto di Elmiha, reclutare anche i soldati del Corpo di Gendarmeria e di Guarnigione. Li voglio tutti. Non possiamo permetterci che venga sfondato un altro muro, l’ultimo”.
Erwin aveva ragione, e Levi aveva già capito che nessuno sarebbe riuscito ad andargli contro, non in una situazione del genere.
“Bene, conta su di me. I giganti?”
“Non si sono fatti vedere: è come se non ce ne fossero, ma noi resteremo sempre pronti ad intervenire”.
“Hai notizie della squadra di Hanji?” Non si trattenne. Ormai era mattina inoltrata, e sperava che Erwin avesse ricevuto qualsiasi cosa: un messaggero, anche solo delle voci. Aveva bisogno di sapere.
“No, non ancora. Appena saprò qualcosa ti verrò a chiamare”.

Levi annuì flebilmente ed uscì a testa bassa, concentrandosi sul suo obiettivo: aveva nuove teste calde da portare nel corpo di ricerca e da addestrare. Si scoprì impaziente di maltrattare il primo malcapitato che gli avrebbe risposto male.
Alzò gli occhi. Si prospettava una giornata di merda.
 

Accavallò le gambe su un carretto simile a cui aveva riposato la sera prima. Sbuffò, prima di fulminare con lo sguardo due reclute del corpo di gendarmeria che fantasticavano sul loro futuro primo incontro con un gigante.
“Fossi in voi io rimanderei quel momento in modo che avvenga il più tardi possibile”. Replicò con voce gelata.
Godette ad osservare le facce dei due principianti. Spostò lo guardo annoiato verso un punto indefinito del distretto, gremito di gente allarmata.
Si trovava nel distretto di Trost. Aveva seguito il capitano Erwin fin lì, poiché doveva avere un colloquio importante con Pixis, capitano principale del corpo di gendarmeria. Nella folla individuò un mantello verde bruciacchiato che si muoveva freneticamente sul cavallo, cercando di non pestare la gente attorno. Quando lo vide, iniziò a chiamarlo.

Levi si alzò col cuore che martellava nel petto: era un componente della squadra di Mike, che Hanji aveva cercato di raggiungere la notte scorsa.
Erano le notizie che tanto aspettava.

Capitano Levi! Capitano Levi!”
Levi fece per raggiungerlo. Superò con un balzo felino le due reclute, desiderando sputarci sopra. Incontrò il soldato di fianco alle stalle. Aveva il fiatone, sembrava aver corso dall’estremità opposta del Wall Maria fino al distretto di Trost. Ed era esattamente ciò che aveva fatto.
“Capitano! Due traditori… Due traditori si sono rivelati i gigante corazzato e colossale!”
Levi non parve aver capito bene. Non chiese neanche di ripetere, poiché il soldato lo fece di spontanea volontà.

“Reiner Brown e Berthold Hoover si sono rivelati essere il gigante corazzato e colossale!”
Sbiancò.
“… si sono trasformati e hanno rapito Eren e Yimr! Servono rinforzi, dobbiamo seguirli a tutti i costi!”

Hanno rapito Eren e Yimr.
Hanno rapito Eren e Yimr.

Hanno rapito Eren.
 
*
 
Cavalcava con la foga che il messaggero aveva messo per arrivare a Trost. Non manteneva neanche la formazione, era già tanto che aveva aspettato il resto del corpo di ricerca, con annessi i soldati del Corpo di Gendarmeria e Guarnigione che avevano accettato di entrare nel corpo di Ricerca.

Continuava a pensare a Eren.
Sapeva che era perfettamente in grado di difendersi, ma era comunque preoccupato, come se senza lui Eren non riuscisse a dare il meglio di sé. Sperò fosse solo una sua supposizione.

E poi, c’era quel nome: Yimr. Continuava a pensarci. Chi era? Come faceva a chiamarsi così? L’unica volta che aveva letto quel nome, fu su un quaderno di appunti di una ex soldato del corpo di ricerca, il cui corpo era stato sorvegliato da un gigante anomalo, anche dopo la sua morte. Era proprio dalla bocca di quel gigante che era uscito il nome Yimr, e che Ilse Langnar – così si chiamava la cadetta – aveva scritto sul taccuino.
Troppi misteri e preoccupazioni. Levi aveva i nervi a fior di pelle: forse era per quello che nessuno gli diceva nulla, seppur stesse notevolmente distanziando il gruppo.

L’aveva capito da subito, che quella sarebbe stata una giornata di merda.
 
 
 
 
 




Angolo dell’autrice:
Ciao! Sono riuscita ad aggiornare senza farvi aspettare una vita, quindi sono fiera di me stessa. Life goals.
Comunque, ci stiamo addentrando nella storia, quella nuova, della seconda stagione. E la supereremo: ho già scritto che vi avvertirò quando.
Questo è un capitolo di mezzo, in cui non succede molto ma contemporaneamente accade di tutto. Mi sono permessa di modificare qualche minimo particolare dalla storia, come Levi che cade addormentato nelle braccia di Morfeo. Ciò mi serve per separare i nostri due eroi, ma tranquilli, si riuniranno, e nel mentre entrambi capiranno quanto si mancano a vicenda.
Ma ora basta! Per qualsiasi domanda, critica, informazione, mi trovate nelle risposte alle vostre recensioni, che aspetto impaziente!

Al prossimo capitolo,
K

P.s.: pensavo di nominare i capitoli. Voi che ne dite?
P.p.s.: ringrazio tutte le persone che hanno messo la storia tra le preferite, le ricordate e le seguite. Anche se molti di voi sono silenziosi, in questo modo si fanno sentire comunque! Grazie.

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