Fil Rouge- Destin Maudit

di Jeo 95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Chapter 9 ***
Capitolo 11: *** Chapter 10 ***
Capitolo 12: *** Chapter 11 ***
Capitolo 13: *** Chapter 12 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


N.d.AOk, alla fine ci sono cascata pure io.
Ecco qui la mia personalissima saga di Miracoulus! Devo ringraziare due persone in particolare per questo... una soprattutto che mi ha promesso biscotti per passare al lato oscuro e invece se li è mangiati! T.T 
Si è fatta perdonare con la drocah buona comunque, quindi tutto a posto u.u
Dedico a queste due persone il capitolo/prologo, perchè è solo colpa loro se adesso è qui xD
E siccome sempre grazie all'esempio di queste persone ho stilato un calendario lungo fino a settembre sulle storie che aggiornerò e scriverò, vi avviso subito che questa verrà aggiornata ogni mercoledi u.u 
Bacioni a tutti e grazie a chiunque vorrà supportarmi!

Jeo 95 =3 (o ArhiShay)

 

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Fil Rouge


Livre 1

~ Destin Maudit~




 

L'agghiacciante risata del nemico si fece più forte, acuta, e rimbombava nelle loro teste come la più spaventosa delle melodie. Non c'era sentimento in quella voce rimbombante, solo pura e semplice malvagità.

Guardandosi tra loro, il dubbio di non poter fare più nulla gravitò sui loro cuori come la peggiore delle consapevolezze, mentre l'impotenza li schiacciava come un macigno. Ormai era tutto finito.

«Non ancora...» solo una non aveva ancora perso la speranza.

Nella sua tuta rossa a pois neri Ladybug si alzò in piedi a fronteggiare il nemico, gli occhi ardenti di una fiamme che nessun altro possedeva. Soltanto lei.

«C-Che vuoi fare?» Volpina sgranò gli occhi sulla figura della Leader, che con passo calmo e sicuro si avvicinava sempre di più al loro nemico. Troppo vicino.

Ladybug si girò a sorriderle. Era dolce, tranquillo, come quelli che di solito le illuminavano il viso quando la battaglia stava per concludersi e tutto finiva bene. Solo che in quel frangente nulla sembrava potersi risolvere in un lieto fine.

«Andrà tutto bene, me lo sento.»

Queen Bee non era mai stata una grande fan di Ladybug, si scontravano spesso, discutevano, la maggior parte delle volte smettevano addirittura di parlarsi per settimane. Eppure in quel momento, perfino una regina come lei ebbe paura delle intenzioni dell'amica e alleata. Perché nonostante tutto si volevano bene, erano amiche.

Chat Noir stringeva tra le braccia il corpo di Papillon, ormai freddo come il marmo, mentre calde lacrime le rigavano il viso pallido, scavato. Non sentiva più nulla, tutto il suo mondo era congelato, concentrato solo sul respiro appena accennato del compagno. Non gli restava molto, e se Ladybug aveva un piano per salvare il loro compagno... be l'avrebbe assecondata a qualunque costo.

Peacock tra loro era il più sconvolto. Con un rivolo di sangue a sporcargli la fronte ferita, guardava la schiena della Leader con ammirata preoccupazione. Perché anche in quel drastico frangente lei era bellissima, e si ergeva tra di loro come la Dea più bella che avesse mai calcato il suolo.

Se qualcuno poteva salvarli dalla tragica fine che li attendeva, quella era senz'altro la loro amata Ladybug. Ma allora perché, si chiese Peacock, aveva il brutto presentimento che in ogni caso, quel giorno, loro avrebbero perso?

L'eroina in rosso si voltò ad osservare uno per uno i suoi compagni. Feriti, distrutti, spaventati. Ed il suo cuore si riempì di tristezza e rabbia, verso il mostro che stava cercando di distruggere la sua città, di portarle via tutto ciò che di caro aveva nella vita.

Non lo avrebbe permesso, per loro e soprattutto per lui. Li avrebbe protetti tutti, perché lei era la coccinella capace di miracoli che avrebbe sconfitto ogni male. Il prezzo da pagare per questo, qualunque fosse stato, lo avrebbe pagato senza esitare.

«Più il miracolo è grande, più il prezzo è alto...» le aveva sussurrato con timore la sua Kwami un giorno, quando le aveva fatto promettere di non superare mai la soglia sicura che le permetteva di trasformarsi senza dover pagare prezzo alcuno.

Perdonami Tikki, non posso mantenere la promessa...”

«Ricordatevi sempre...» iniziò con un sorriso, spiegando le sue ali d'argento e lasciandosi trasportare dal vento «Che qualunque cosa accadrà... Ladybug sarà sempre con voi!»

E a nulla servirono le urla sei suoi compagni, a nulla servì il tuffo di Peacock, che invano tentò di afferrarle una mano, ormai la loro amata lady aveva già spiccato il volo.

Ciò che accadde poi fu tutto incerto, sbiadito, e soltanto una cosa fu chiara a tutti quelli che ricordavano almeno in parte ciò che era appena successo:

Ladybug aveva compiuto un vero Miracolo.


 


 

Tikki si svegliò spossata quella mattina. Strofinò i grandi occhioni azzurri per diversi minuti prima di aprirli sul nuovo giorno, riscoprendosi più stanca di quanto non lo fosse la sera prima.

Che strano. Eppure, dopo la pattuglia notturna di Ladybug, era certa di aver mangiato abbastanza dolci da aver ripreso pienamente le forze. Forse, dopotutto, si era sbagliata.

«Buongiorno Tikki» la voce dolce di Marinette la salutò cordiale, mentre la piccola Kwamii cercava la sua portatrice all'interno della camera.

La trovò seduta alla scrivania, vestita e pronta per un'altra giornata di scuola, intenta a ricontrollare per l'ultima volta i compiti da consegnare a Miss Bustier.

Finito l'accurato resoconto, Marinette infilò tutto nello zaino e si alzò per andare dalla sua partner, alla quale non mancò di scoccare un lieve bacio sulla fronte.

«Buongiorno Marinette.» le rispose poi Tikki, con una voce talmente flebile che Marinette si chiese se l'avesse salutata sul serio.

«Piuttosto insolito vederti in piedi dopo di me... va tutto bene?»

La Kwamii annuì stancamente, aggiungendo che con una buona scorpacciata di biscotti, tutto sarebbe andato a posto. Marinette le promise che prima di uscire ne avrebbe recuperati un po' apposta per lei.

«Coraggio Tikki, andiamo. Per una volta che non sono in ritardo, preferirei arrivare a scuola senza che un Akuma decidesse di rovinarmi la giornata.» Tikki ridacchiò e con un atletico balzo fu già dentro la borsetta rosa che Marinette portava sempre a tracolla.

La sentì salutare Tom e Sabine con allegria, forse ancora euforica per essere in perfetto orario per la scuola.

«Cielo Tom! Dobbiamo correre ai ripari, la fine del mondo potrebbe essere dietro l'angolo!» scherzò Sabine, afferrando con garbo il braccio del marito che si lasciò andare ad una sonora risata.

Marinette gonfiò le guance offesa, salvo poi scoppiare a ridere assieme ai genitori. A Tikki piaceva l'atmosfera che aleggiava in casa Dupain-Cheng. Erano una famiglia unita, si volevano bene, e tutto l'amore che circondava Ladybug non faceva che darle più forza senza che nemmeno se ne rendesse conto.

«Non penso sia soltanto fortuna» Tikki sussultò, mentre una frase detta molto tempo prima riemergeva alla memoria all'improvviso.«Credo che anche l'amore sia fondamentale per dare potere al Miracoulus della coccinella.»

Ma chi l'aveva detta? Questo non riusciva a ricordarlo. Le parve di aver sognato qualcosa, qualcosa s'importante, ma più si sforzava di ricordare, meno la sua memoria sembrava volerle dare una mano.

Rimase immersa nei suoi pensieri fino a che la voce gentile di Marinette non la richiamò, allungandole un sacchettino di biscotti appena sfornati che suo padre le aveva dato per festeggiare la sua inaspettata puntualità.

«Sai Marinette...» iniziò la Kwamii, addentando con lentezza un pezzetto del biscotto al cioccolato «Credo di aver fatto un sogno stanotte...»

La giovane arricciò il naso incerta. Era la prima volta che sentiva Tikki parlare di sogni, tanto che si era convinta i Kwamii non potessero farlo. Evidentemente si era sbagliata.«Che genere di sogno?»

«Non lo ricordo...» tutto ciò che Tikki sapeva è che faceva male. Moltissimo.

Più ci pensava, più il piccolo cuoricino che le batteva nel petto sembrava sgretolarsi più e più volte, senza che potesse far nulla per fermarlo.

Una lacrima solitaria le solcò il viso, me la ripulì più in fretta che potè: non aveva senso far preoccupare Marinette per qualcosa come uno stupido sogno.

«Se non lo ricordi, forse non era nulla d'importante.» provò ad ipotizzare Marinette, al che la Kwamii annui.

In lontananza, la figura di Alya si sbracciava per salutare la sua migliore amica, che raggiante non vedeva l'ora di raggiungerla per poter camminare fino alla scuola.

«Probabilmente ai ragione...» sussurrò ancora Tikki, continuando indisturbata a gustarsi il suo biscotto e allontanando infine tutti i brutti pensieri che le affollavano la mente.«Non era nulla d'importante.»

Eppure, dentro di se, sentiva di star commettendo un grave errore.


 


 

 


 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


N.d.A- Come preannunciato, la storia verrà aggiornata ogni mercoledì, e se Dio vuole riuscirò a mantenere questa scaletta in maniera costante.
Abbiamo il secondo capitolo, e vi consiglierei si tenere d'occhio sia la prima che l'ultima parte (non che quella di mezzo lo sia di meno, ma le altre due lo sono di più) sarebbe presto per teorizzare, ma spero che anche questo secondo capitolo vi intrighi come il primo xD
Se vedere errori di sorta vi prego di farmelo sapere, in quanto non ho avuto tempo di ricontrollarlo più di una volta >-< chiedo venia.
Un bacione a tutti e alla prossima!


Jeo 95 =3 (o ArhiShay)

 

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Fil Rouge


Livre 1

~ Destin Maudit~

 

 

C'era silenzio nella villa degli Agreste.

Entrò senza troppe difficoltà all'interno della villa, furtiva e silenziosa come un'ombra, cauta a non lasciare alcuna traccia della sua visita all'abitazione di quella notte. Ghignò.

Gabriel Agreste non doveva avere chissà quali buoni sistemi d'allarme impiantati nell'enorme maniero. Aveva creduto che sarebbe stato più difficile, evidentemente si sbagliava.

Poi ci ripensò. Non erano gli allarmi ad avere dei difetti, semplicemente era lei ad essere troppo abile. Dopotutto era un'ombra, e quello che le ombre fanno meglio e scivolare silenziose nell'oscurità.

Non fu difficile raggiungere l'enorme sala da pranzo. Dopo la hall d'ingresso, sulla sinistra, agile ed invisibile. Il quadro di Julie Agreste dominava l'intera stanza, col suo color oro brillante rischiarato dal candore della luna, nel perfetto stile delle opere che Gustav Climbt dipingeva alla sua epoca.

Attraversò la stanza con agili balzi, evitando quei fastidiosi raggi di sicurezza che al solo sfiorarli avrebbero dato il via ad una moltitudine di suoni d'allarme che in poco avrebbero svegliato gli abitanti della casa. E l'ombra non voleva questo.

A lei non servivano altro che i suoi occhi per vedere nel buio, oltre l'invisibile fascio di raggi, perché il suo signore le aveva conferito la capacità di vedere. E per il suo signore avrebbe preso l'oggetto che tanto desiderava.

Si fermò a pochi passi dal quadro, mirandolo nella sua integrale bellezza. Julie Agreste era stata una donna bellissima. I capelli biondi come l'oro, gli occhi azzurri più limpidi dell'acqua, il sorriso gentile, di chi ha avuto un cuore grande da donare al mondo. Ora di lei non restava altro che l'ombra evanescente di un fantasma scomparso da tempo, perfino nei ricordi dei suoi cari di lei ormai restava poco.

Patetica, si ritrovò a pensare l'ombra. Quella donna che aveva avuto tutto, che ancora potrebbe avere qualunque cosa desiderasse, si era lasciata strappare alla vita ancor prima di poterla vivere davvero.

A lei non era stato concesso quell'onore. Nata dalle tenebre, destinata a vivere nell'oscurità per sempre. Se il suo padrone non l'avesse salvata, probabilmente ancora starebbe annegando in quel mare oscuro che più volte l'aveva trascinata a fondo.

Spostò il quadro con attenzione, sempre attenta a non far rumore, a non attivare il sistema di sicurezza mentre spostava il grosso dipinto, quel che bastava per raggiungere la cassaforte che vi era nascosta sotto. Fu semplice perfino scassinarla.

Sbuffò. Gabriel Agreste doveva essere uno sbruffone, oppure uno a cui non importa poi così tanto dei propri averi. Era stato fin troppo facile violare la sicurezza della sua dimora.

All'interno della cassaforte non vi erano molte cose: un libro descrittivo sul Tibet, un biglietto per il suddetto stato, una foto di Julie Agreste ed una spilla blu, simile alle piume di un pavone. Fu quest'ultimo che fece luccicare lo sguardo dell'ombra.

Finalmente l'aveva trovato. Senza troppe esitazioni lo prese e lo nascose, gioiosa di poter rallegrare il padrone con una buona notizia. Non se ne andò.

Rimase ad osservare il libro ed il biglietto per momenti interminabili. Tibet. Perché proprio per il Tibet? E perché chiudere in cassaforte quegli oggetti?

Per un attimo, temette che Gabriel Agreste sapesse. Ma non era certo possibile che avesse scoperto qualcosa, dopotutto lui era un semplice umano, nulla di quella faccenda avrebbe dovuto interessarlo più del dovuto. Probabilmente era soltanto una coincidenza.

Eppure, mentre si girava per imboccare l'uscita e tornare dal suo padrone, qualcosa le diceva che non fosse una mera casualità, che quell'uomo nascondeva qualcosa di più grande, che anche lui sapesse.

Forse Ladybug e Chat Noir non erano gli unici ostacoli di cui doversi preoccupare.



 

Plagg si era svegliato stanco quel giorno. Nulla di nuovo dal punto di vista di Adrien, che considerava il Kwamii nero la creatura più pigra dell'universo.

Eppure, per quanto incredibile potesse apparire agli occhi di chiunque, perfino il giovane modello si era accorto dell'insolita stanchezza che aleggiava sul partner.

«Sei sicuro di star bene?» era preoccupato.

«Ho sonno. Lasciami a casa.» ovviamente non poteva esaudire questa sua richiesta. E se un Akuma avesse attaccato mentre era a scuola? Doveva essere pronto a supportare la sua Lady in qualsiasi momento.

Adrien conosceva un unico modo per smuovere il suo Kwamii, ed anche se quella soluzione avrebbe portato la sua camera a puzzare più di una cantina, avrebbe fatto questo ed altro pur di non mancare ad un incontro con Ladybug.

«Che ne dici se ti faccio portare un'intera forma di camembert.»

Plagg si paralizzò. Non aveva voglia di alzarsi, accompagnare Adrien a scuola ed eventualmente affrontare qualche Akuma che sicuramente avrebbe minacciato la sicurezza di Parigi. Era stanco, durante la notte era successo qualcosa che non capitava da molti anni ormai, che lo aveva spossato quasi come fosse stato lui il protagonista della vicenda: aveva sognato. E per un Kwamii, sognare non era mai un segno positivo.

L'ultima volta era stato con il precedente Chat Noir, il giorno prima della battaglia che aveva posto fine ad un'altra generazione di eroi. Plagg dopotutto era il Kwamii della sfortuna, perfino i suoi sogni erano presagi nefasti, il più della volte.

Per questo avrebbe preferito ignorare i continui richiami di Adrien, voltarsi dalla parte opposta e continuare il suo pisolino ristoratore in santa pace. Però una forma intera di camembert... si poteva davvero resistere ad un richiamo così dolce ed invitante? Plagg ci provo.

«Te ne offro due, intere

«Cosa stai aspettando? Muoviti pigrone!» in un attimo, il Kwamii era dentro la borsa, che spronava il proprio portatore a muovere le regali chiappette quanto più veloce potesse.

No, al richiamo di ben due forme di camembert non si poteva resistere.

Provò a non pensare al sogno, ad ignorare il fastidioso pizzicore alla bocca dello stomaco che continuava ad infastidirlo senza tregua. Si disse, alla fine, che era stato soltanto uno stupidissimo sogno senza alcun significato.

Mentre uscivano però, la sgradevole sensazione di pericolo non volle sapere di abbandonarlo, nemmeno pensando al delizioso formaggio che lo aspettava una volta rientrato.



 

Marinette era felice quel giorno.

Camminare fianco a fianco con Alya verso la scuola, chiacchierando e ridendo assieme, erano il genere di cose che adorava. Rendevano l'inizio della giornata luminoso e splendente, fortunato quasi.

Non capitava spesso purtroppo. Colpa della sveglia, del suo sonno fin troppo profondo, di qualche Akuma che nemmeno la mattina le dava tregua, riuscire ad essere puntuale per andare a scuola con la sua migliore amica era l'impresa più difficile che Marinette si fosse mai trovata ad affrontare. E detto da colei che vestiva i panni di Ladybug, rendeva il tutto alquanto ridicolo.

Cancellò l'aggettivo fortunata dalla propria mente, perché nonostante fosse la portatrice del Miraculous della fortuna, Marinette si considerava la ragazza più goffa e sfortunata di Parigi, forse della Terra intera. Se avesse pensato un secondo di più alla fortuna che aleggiava su di lei quel giorno, probabilmente un meteorite l'avrebbe colpita dritta in testa, spedendola in coma per cinquant'anni per poi svegliarsi e trovare il suo amato Adrien sposato con quella strega di Chloè.

Non poteva pensarci.

«Sai hanno aperto un nuovo locale non troppo lontano da scuola, ti va se...» Alya non concluse la frase.

Non fu un meteorite ad investire Marinette, ma fu doloroso comunque. Come al solito non aveva prestato attenzione alla strada, persa nelle sue fantasticherie apocalittiche e nei discorsi di Alya, per questo non aveva visto la ragazza venirle addosso.

Aveva tre cartelle tra le braccia che le impedivano la visuale, per cui nemmeno lei aveva visto Marinette arrivare. L'impatto era stato inevitabile, e sfortunatamente per Marinette, gli zaini caddero tutti su di lei.

«Oh cielo! Va tutto bene Marinette?!» Alya le fu subito accanto, per sincerarsi delle sue condizioni fisiche. La sua amica cadeva spesso, ma non era altrettanto frequente che una pila di zaini le cadesse addosso.

«Un po' acciaccata ma sto bene.» Alya sospirò sollevata.

«M-Mi... d-dispiace... p-perdonami...» solo dal tono, si capiva che anche la ragazza causa dell'incidente era mortificata per quanto accaduto.

«Ah, non preoccuparti, anche io non guardavo...» Marinette si paralizzò nell'istante in cui i suoi occhi andarono a posarsi sulla ragazza che l'aveva urtata.

«I-Io... s-sono veramente... d-dispiaciuta...» balbettò ancora, raccogliendo con velocità gli zaini e rimettendosi in piedi. Guardò l'orologio, mentre due lunghe ciocche bionde le ricadevano ai lati, e sbiancò.

Si inchinò di nuovo, raccattò tutto ciò che aveva perso nello scontro e si scusò ancora.«S-Scusatemi ancora... s-sono in ritardo... a-addio!» e corse via, in direzione della loro scuola.

Marinette continuò a fissarla con la bocca spalancata, finché la lunga coda di capelli biondi e mossi non fu troppo lontana per vederla ancora ondeggiare ad ogni passo traballante ed insicuro compiuto dalla ragazza. Rimase immobile, ed Alya temette di averla persa per sempre.

«Terra chiama Marinette, Marinette sei tra noi??»

Passò più volte la mano sul viso dell'amica, che a bocca spalancata non dava segno di volersi riprendere. Finalmente il cervello di Marinette sembrò riattivarsi, e con fatica riuscì ad articolare qualche parola.

«Ma... Quella era...» Alya annuì.

«Si, in effetti ha stupito anche me.»

Marinette scattò in piedi e afferrò l'amica per le spalle, percuotendola avanti e indietro come se non capisse abbastanza la gravità della cosa.

«Alya ma non capisci?! Chloè Bourgeois si è appena scusata con me, capisci?! SCU-SA-TA!»

Alya si massaggiò un orecchio, assordata dall'urlo isterico dell'amica sconvolta.«L'ho vista Marinette, c'ero anch'io due secondi fa.»

«E allora perché sei così calma?! Non capisci cosa può significare questo?!»

La guardò con confusione, aspettando una risposta che sicuramente sarebbe sfociata in una delle deliranti teorie catastrofiche che erano solite popolare la mente dell'amica.

«Che sta preparando il più diabolico dei piani per farmi fuori! È la fine Alya! Se mi succede qualcosa, denuncia quella strega alla polizia, di sicuro è stata lei ad uccidermi per poi liberarsi del cadavere!»

Alya si mise a ridere, cercando di calmare l'amica e le sue folli fantasie mentali sui complotti terroristici che Chloè ordiva contro di lei. E per quanto potesse essere un'acida vipera senza cuore, dubitava che la viziata figlia del sindaco avrebbe avuto il coraggio di ucciderla sul serio con le proprie mani. Sporcarsi i vestiti di sangue e rischiare di rompersi un'unghia? Mai.

Marinette però non sembrava della stessa idea. Come poteva Alya non capire la gravità della situazione?! In quattordici, lunghissimi, anni che la conosceva, Chloè non si era mai scusata una sola volta. Specialmente non con lei.

Sospirando sconsolata, Marinette raccolse la cartella e continuò la sua camminata verso la scuola con il morale ormai distrutto, mentre la sua migliore amica provava in ogni modo a rincuorarla. Ma nulla sembrava funzionare.

E dire che si era svegliata bene quella mattina, tutto sembrava andarle bene, tanto che aveva quasi sperato fosse cominciato un giorno da poter definire fortunato. Evidentemente, aveva parlato troppo presto.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


N.d.A- Un po' in ritardo, ma ecco a voi il capitolo :)
Qui verrà rivelato il mistero della "Chloè Buona", spero vi stupisca ed incuriosisca u.u
Anche se credo che la parte più interessante giungerà nel fondo xD
Ancora un capitolo corto perchè purtroppo con la fine della scuola si avvicina la consegna del book e ho poco tempo... (e perchè ho appena comprato Fire Emblem Awakening e mi sta prendendo un sacco... forse troppo...) dal 20 Giugno però sarò più attiva ed i capitoli saranno più lunghi e dettagliati!
Se vedete errori ditemelo vi prego, purtroppo una mia brutta caratteristica è non notarli >-<
Un bacione a tutti e alla prossima!


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Fil Rouge


Livre 1

~ Destin Maudit~

  

Erano almeno cinque minuti che la bocca di Marinette si rifiutava di chiudersi, troppo sconvolta da quello che stava vedendo per mostrare una qualche forma di ripresa.

Alya sospirò, rinunciando a tentare di svegliare la sua amica dalla specie di stato catatonico in cui versava. Il suo povero cervello era completamente andato nel momento in cui la nuova compagna di classe aveva fatto il suo ingesso.

«P-Piacere di conoscervi... i-io sono Ameliè Bourgeois...» si torturava convulsamente le dita della mani, stropicciando addirittura l'orlo della camicetta nera che indossava sotto la giacca in pelle gialla.

Aveva i capelli ai lati del viso più lunghi e arricciolati, i lunghi capelli biondi più mossi e setosi, lo sguardo più timido e riservato, per il resto era la copia sputata di Chloè.

Marinette passò lo sguardo dall'una all'altra ragazza, dalla timida Bourgeois in piedi accanto alla professoressa, a quella che si stava limando le unghie seduta al suo solito posto, diverse ma uguali al tempo stesso. Due Chloè nella sua classe.

Ok, doveva sicuramente star facendo un incubo. Guardò un attimo più in basso, nel posto in cui Adrien sedeva solitamente. Nessuna traccia dell'amato. Decisamente l'incubo peggiore che avesse mai fatto.

«Ameliè ha vissuto all'estero per parecchio tempo, quindi siate carini con lei e comportatevi a modo.»

Qualcuno dai banchi dietro, forse Kim, Marinette non riuscì a distinguere la voce, sussurrò un “bastava una Chloè, non ne serviva una seconda”, e si ritrovò a concordare con chiunque l'avesse detto.

Una Bourgeois a tormentarla bastava e avanzava per quanto la riguardava.

Eppure non potè che dispiacersi nel momento in cui vide Ameliè abbassare mortificata lo sguardo, con gli occhi gonfi, prossima ad un pianto isterico, ma fu solo per un istante. Non doveva dimenticarlo: era la gemella di Chloè, non poteva che tramare qualcosa di losco sotto tutte quelle lacrime.

La mandò a sedere di fianco alla sorella, che con sorpresa di Marinette non sembrò gradire la cosa. Perfino Sabrina sembrava scocciata dalla presenza della nuova venuta, lanciandole occhiatacce di sbieco che proprio non riuscì a capire. C'era qualcosa sotto, probabilmente una finta per farsi integrare meglio nella classe ed essere la spia di Chloè, poco ma sicuro.

La lezione iniziò che Adrien ancora non era arrivato, e per tutta la prima ora Marinette non perse di vista la nuova arrivata. Non un singolo movimento sfuggì ai suoi occhi, e più la guardava, più le sarebbe piaciuto tirare il primo oggetto contundente sulla testa di Chloè e Sabrina.

Ora capiva perché quella mattina Ameliè portava tre zaini. Eppure, per quanto le dispiacesse vederla trattare come una schiava, c'era sempre quel dubbio a frenarla dal fare qualunque cosa, quella vocina nella sua mente che le sussurrava di stare attenta alla nuova compagna.

Perchè nonostante tutto lei era la sorella di Chloè, e dopo tanti anni di tormenti, aveva imparato a dubitare sempre di chiunque avesse legami con quell'arpia.




 

Adrien correva forsennato per il cortile della scuola, ormai in ritardo per le prime ora, ma voglioso di poter essere in classe almeno per quelle dopo la pausa.

Tutta colpa di quel maledetto servizio fotografico!

Si ritrovò a maledire il fotografo tedesco con cui aveva avuto appuntamento, che per via di luci, polveri, e altre stupide sottigliezze si rifiutava di fare scatti ad ore diverse da quelle da lui stabilite. E sfortunatamente per lui, quel giorno coincidevano con l'orario scolastico.

Eppure l'aveva sempre detto a Natalie di non prendere appuntamenti durante i giorni di scuola!

«Maledizione!» imprecò ancora, saltando un paio di gradini e accelerando il passo.

«Non capisco dove sia il problema.» brontolò Plagg, sporgendosi dalla borsa per prendere aria. Sembrava di stare su di una nave nel bel mezzo di una tempesta, e rischiava di rimettere dell'ottimo camambert se quel pazzo del suo portatore non la smetteva immediatamente di correre.

«Il problema è che sono in ritardo, se non mi sbrigo perderò tutte le lezioni!»

«E con questo?!» continuò il Kwamii. «Hai idea di quanti ragazzi pagherebbero per saltare qualche lezione? Tu hai avuto questa fortuna e te ne lamenti pure! Certo che sei strano...»

Adrien sbuffò, non dando risposta a Plagg perché già sapeva dove tutta questa discussione avrebbe portato. Lui che lo minacciava di non dargli più formaggio, l'altro che lo pregava di ripensarci ed infine la scesa a patti che non sarebbe durata una sola settimana.

Perchè Plagg proprio non riusciva a tenere la bocca chiusa nemmeno quando si trattava di camambert.

«Forse il problema è nella tua testa?» ecco appunto.

«Plagg...» ringhiò.

«Era un'ipotesi!» detto questo si richiuse nella borsa, per la fortuna di Adiren, che intanto era giunto davanti alla porta della propria aula. Sorrise.

DRIIIIIIIN!

Il sorriso gli morì in gola nel momento in cui la campanella suonò, annunciando l'inizio della ricreazione e quindi la fine di mezza giornata scolastica. Abbassò il capo affranto, sospirando pesantemente. Be, almeno poteva farsi mezza giornata con gli amici, non era poi così male.

Nino lo accolse con un euforico sorriso, un classico abbraccio ed uno dei loro soliti pugni. Alya lo salutò con un sorriso, mentre Marinette biascicò qualcosa d'incomprensibile che lo fece sorridere. Era sempre uno spasso parlare con lei.

Molti dei loro compagni erano fuori aula, e ringraziò che anche la professoressa non fosse lì in quel momento, a fargli perdere tempo con la giustificazione piuttosto che passare gli ultimi minuti di pausa con i suoi amici.

Nino sorrise ferino mentre con un braccio gli circondava il collo, indicando poi un punto al suo fianco che normalmente Adrien tendeva ad ignorare. Perché incrociare lo sguardo di Chloè era come dare il via ad una battaglia in cui lei vinceva sempre il suo braccio. E per una volta, specialmente quel giorno, desiderava avere entrambi gli arti superiori liberi dalle sue grinfie.

«Non indovinerai mai bro, la nuova arrivata è una specie di Chloè 2.0!»

Adrien arricciò un sopracciglio, tremando alla sola idea di avere un'altra seccatura sempre appiccicata al braccio.

«Ma di cosa stai...» si bloccò quando vide chi sedeva nello stesso banco in cui di solito sedevano Sabrina e Chloè. E di tutte le reazioni che poteva avere, agli occhi dei suoi amici Adrien ebbe quella più strana ed inaspettata.

Sorrise.

«Ameliè?!» non poteva crederci.

La ragazza si girò sobbalzando verso di lui, sistemandosi una ciocca ribelle dietro l'orecchio e ricambiando poi il sorriso, stupita anche lei per quell'inaspettato incontro.

«A-Adrien?» domandò incerta.

Lui sorrise, avvicinandosi al banco della ragazza per scambiare due chiacchiere, incurante degli occhi sbarrati che, alle sue spalle, sembravano trapassarli da parte a parte.





 

Wayzz si svegliò di soprassalto con il corpicino verde scosso da profondi brividi di freddo. Pessima notizia.

L'altra volta che una sensazione del genere aveva disturbato il suo sonno, era stata la prima volta Nooroo si era fuso con il suo attuale possessore, dando così vita a Papillon. Una seconda scarica di brividi lo attraversò, e capì che qualcuno di ancora peggio aveva preso il controllo di un altro Miracoulus.

Senza nemmeno controllare se il negozio fosse vuoto o meno, il Kwamii della tartaruga schizzò fuori dal suo nascondiglio e letteralmente si schiantò in faccia al maestro Fu, intento a meditare. Per fortuna non vi era alcun cliente nella stanza.

«Maestro!»

Fu si schiantò al suolo tanta fu la forza con cui il Kwamii gli si gettò addosso, facendo scricchiolare tutta la sua povera schiena. Si rialzò dolorante, massaggiandosi la parte lesa e fulminando con uno sguardo il partner.

«Wayzz, per gli Dei! Vuoi forse mandarmi nell'aldilà prima del tempo?!»

«Chiedo perdono Maestro» si scusò, ma dalla voce traspariva l'agitazione che lo corrodeva dall'interno.«Ma abbiamo un problema!»

Fu drizzò le orecchie ed ascoltò tutto ciò che il Kwamii aveva da dirgli. Quando ebbe finito la sua lunga spiegazione, il vecchio maestro dovette sedersi per lo shock.

«Quindi... anche Duusuu...» amaramente, Wayzz annuì.

«Cosa facciamo adesso, Maestro?»

Fu non sapeva cosa rispondergli. Papillon non era una minaccia poi così grande, Ladybug e Chat Noir potevano occuparsi di lui tranquillamente, ma questo... ciò che stava per arrivare era troppo perfino per loro.

Wayzz non sapeva dire chi o cosa avesse indossato i panni del Pavone, ma chiunque fosse non era certamente un amico. Ed ormai, due supereroi non bastavano più per difendere Parigi e, probabilmente, il mondo intero.

Sospirando, il maestro si diresse verso lo scrigno dei Miraculous, ove ancora due di quei tesori erano nascosti al suo interno. Si era ripromesso che mai avrebbe permesso la nascita di nuovi portatori, Ladybug e Chat Noir erano necessari al mondo certo, ma pensava di lasciare loro i Miraculous solo fino a che Papillon fosse stato sconfitto ed i talismani mancanti non fossero stati ritrovati.

Si era detto che non poteva succedere nulla di male, fintanto che poteva riprendere gli orecchini e l'anello in qualunque momento. Forse era stato troppo superficiale, incurante del destino che legava Kwamii e portatori.

Forse, piuttosto che prendere la giusta decisione per Parigi, aveva scatenato qualcosa che lui stesso aveva detto di voler spezzare per sempre.

«Temo non ci sia scelta, Wayzz...»

Il Kwamii si rattristò.«Lo direte a Marinette?»

Fu sospirò. Caricare sulle spalle di quella povera ragazza il peso di un destino che non si era scelta? No, certo che no, come avrebbe potuto?

Lui e Wayzz erano i soli a sapere, e così avrebbe dovuto essere.

«No, non ancora.» 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


N.d.A- Salve a tutti! 
Chiedo venia se mercoledì scorso non ho aggiornato, ma ho avuto un esame e dovevo preparare la consegna >-<
Ora che ho ufficialmente finito la scuola, si ricomincia meglio di prima!
Non ci sarà più un solo aggiornamento a settimana, bensì due! Il Mercoledì (come sempre), e la Domenica!
Spero gradirete questo capitolo, un po' povero ma ehi, io vado con calma u.u
Un bacione a tutti e alla prossima!


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Fil Rouge


Livre 1

~ Destin Maudit~

  

Quando le era stato detto che avrebbe frequentato regolarmente la scuola Françoise Dupon, un misto di felicità e paura le aveva avvolto il cuore come una coperta in piena estate.

Calda e morbida certo, ma soffocante quanto un serpente. Ameliè non era mai stata brava a gestire la pressione, non era come Chloè, che affrontava sempre tutto a testa alta e senza mai abbassarsi alle difficoltà. Le sarebbe piaciuto avere la metà del coraggio che la sorella dimostrava, ma purtroppo per lei quel gene non le era stato trasmesso.

Ameliè era timida, insicura, incapace di relazionarsi a qualunque essere umano incrociasse per la sua strada. Per questo non aveva amici, giù a Londra, perché nemmeno una volta era stata capace di parlare con qualcuno dei suoi compagni. Perché era una codarda.

Tornare a Parigi era stata una ventata d'aria fresca, soprattutto rivedere suo padre dopo così tanto tempo. Anche rivedere Chloè era stato bello... forse. Certo se non si contava il fatto che dal momento in cui aveva messo piede nell'Hotel, la gemella non avesse fatto altro che tormentarla, il rientro poteva addirittura definirsi perfetto.

Aveva pianto quando aveva potuto riabbracciare finalmente suo padre dopo tutti quegli anni. Forse anche Chloè aveva pianto abbracciando la mamma, ma non ne era sicura. Erano entrambe assorte nello smanettare il cellulare quando le aveva guardate.

Si era caricata di coraggio la notte prima dell'inizio. Con un voto fatto mentre si lasciava Londra alle spalle, Ameliè si era ripromessa che una volta iniziata la nuova scuola, tutto sarebbe diverso, lei sarebbe stata diversa.

Avrebbe tirato fuori il coraggio, mostrato i denti e gli artigli se necessario, e finalmente si sarebbe fatta qualche amico. Poteva riuscirci... doveva riuscirci.

«Anche Adrien Agreste è nella tua stessa classe, ti ricordi di lui vero?»

Adrien. Certo che se lo ricordava. Un bambino carino, dall'aria spensierata, l'unico ad averle rivolto la parola in quei pochi anni che avevano passato assieme. E assoluta proprietà di Chloè.

Aveva chiarito quel punto l'esatto istante in cui i loro genitori avevano lasciato la stanza, minacciandola di rasarla a zero nel sonno se avesse osato avvicinarsi troppo al suo adorato Adrien.

Deglutendo aveva assicurato che non era interessata ad intrattenere alcuna relazione con lui.

Ed era vero. Ad Ameliè piaceva Adrien certo, ma vedeva a lui solo ed esclusivamente come un caro amico da riabbracciare dopo un lungo periodo di separazione. Non c'era ancora stato un ragazzo che la interessasse davvero, e forse, per il carattere schivo e maldestro che si ritrovava, un ragazzo in grado di sopportarla non sarebbe mai esistito.

Con questi pensieri, e le cartelli di Chloè e Sabrina caricate tra le mani, era andata a scuola. C'era un'altra persona nei ricordi di Ameliè che le sarebbe tanto piaciuto rivedere.

Erano piccole all'epoca, i ricordi erano infatti confusi e sbiaditi, eppure ricordava distintamente di aver avuto un'amica a Parigi, l'unica probabilmente, poco prima di trasferirsi. Se l'avesse vista non l'avrebbe riconosciuta, ma sperava che il destino, in qualche modo, le avrebbe concesso l'opportunità di rincontrarla.

Senza contare lo scontro con quelle due ragazze, che figura imbarazzante, bella mossa Ameliè, era riuscita ad arrivare a scuola in tempo.

La presentazione, come sempre a dire il vero, era stata la peggiore delle torture a cui i professori avessero mai potuto sottoporla. Balbettante e nervosa però, era riuscita per lo meno a presentarsi senza incespicare nelle proprie parole... o nei propri piedi. Il terrore di ripetere l'esperienza delle medie la tormentava.

Ameliè individuò subito le due ragazze con cui aveva avuto l'incidente quella stessa mattina. Rossa come un peperone si era voltata dall'altra parte rifiutandosi di guardarle, troppo mortificata ed imbarazzata anche soltanto per accennare ad un saluto con il capo. Proprio con le sue compagne di classe, quindi possibili amiche, aveva dovuto fare la figura della stupida? Sperò solo che non interpretassero quel gesto come un'offesa.

Non guardò mai verso Chloè. Il rapporto tra lei e la sorella era distante, quasi freddo, e sembrava sempre che Chloè non potesse sopportare di averla in giro. Ad Ameliè dispiaceva questo distacco, questa frattura creatasi nel tempo in cui avevano vissuto separate, perché in fondo voleva bene a sua sorella.

Anche se i pochi ricordi che aveva di lei pullulavano di scherzi e dispetti ai suoi danni.

«Bastava una Chloè, non ne serviva una seconda.» aveva sempre avuto un buon udito, e difatti captò immediatamente il commento seccato di uno dei suoi compagni. Terza fila probabilmente, ma non avrebbe saputo dire esattamente chi. Ed era gelata sul posto.

Ci era voluto ben poco per capire che lì, in quella classe, dove tutti conoscevano Chloè in un determinato modo, lei non avrebbe avuto alcuna speranza. Involontariamente, inconsciamente anche, tutti l'avrebbero sempre e solo associata alla gemella.

Bastò la pausa per provare questa sua teoria.

Mentre Chloè e Sabrina erano corse fuori verso il bagno, ordinandole di non muoversi e fare buona guardia alle borse, Ameliè aveva sperimentato l'orribile sensazione di essere fissata con sospetto e diffidenza da chiunque l'affiancasse.

Erano sguardi ostili, per nulla amichevoli, freddi come il ghiaccio e affilati come lame. Senza rendersene conto aveva iniziato a tremare.

Scosse il capo un paio di volte e si rimproverò da sola.

“Coraggio Ameliè, non ti arrendere alle prime difficoltà!” ma era più facile a dirsi che a farsi.

Probabilmente quel giorno non avrebbe parlato a nessuno. Ma che razza di problemi aveva?! Sarebbe bastato poco e nulla per alzarsi, andare da uno qualunque dei suoi compagni ed intrattenere una conversazione, anche per scrollarsi di dosso l'ombra onnipresente di Chloè.

Era una cosa normalissima, tutti sapevano farlo! Be, tutti... tranne lei.

Sospirò ancora, abbassando lo sguardo e torturandosi convulsamente le piccole mani, curate in ogni dettaglio.

“Bell'inizio Ameliè... sei proprio una frana.”

Ci sarebbe voluto un miracolo perché qualcuno decidesse di rivolgerle la parola. Lei, evidentemente, non era in grado di crearselo da sola. Eppure sarebbe bastato così poco...

«Ameliè?!» aveva sobbalzato sentendosi chiamare per nome, non se lo aspettava.

Si girò a guardare il ragazzo che l'aveva chiamata, e perdendosi nel verde intenso dei suoi occhi aveva visto nascere il proprio miracolo.

Non ci credeva. Non poteva essere lui.

«A-Adrien?» eppure il sorriso che le lanciò fu inconfondibile.

Ameliè si lasciò andare ad un pianto liberatorio quando l'amico di infanzia si avvicinò per parlarle, e accettò con piacere le carezze che le diede sul capo. Si calmò poco dopo.

Lo sentì ridacchiare sospirando, mentre le offriva un fazzoletto come un vero galantuomo.

«Non sei affatto cambiata, dopo tutti questi anni piangi sempre per tutto.»

Amara verità che la portò ad una nuova crisi di pianto.

«N-Non è colpa m-mia... a-anzi forse s-sì...» era assolutamente colpa sua.

Perchè per quanto volesse cambiare non aveva la forza per farlo.

Adrien sembrava aver intuito quel che passava per la mente della ragazza. Conosceva le sorelle Bourgeois da tutta una vita, e se Chloè era la gemella dal carattere forte e viziato, Ameliè al contrario era la timida e remissiva tra le due. Aveva un cuore d'oro, lo sapeva bene lui, ma non abbastanza coraggio per mostrarlo anche agli altri, portandola quindi ad isolarsi dal resto del mondo.

Per questo, da che ricordava, Ameliè era sempre stata molto sola. Forse a causa di ciò sentiva uno strano senso di protezione nei suoi confronti, come quello che un fratello maggiore prova nei confronti della sua sorellina. Si erano sempre visti così dopotutto, come fratelli mancati.

«Senti Ameliè... ti va di venire a conoscere i miei amici?»

Sapeva che ai suoi tre amici dietro di loro, per quanto adesso lo fissassero sconvolti per le sue azioni, Ameliè poteva risultare simpatica e gradevole una volta conosciuta, aveva solo bisogno di un'occasione per presentarsi.

Lui le avrebbe fornito quell'occasione.

Ameliè guardò stupita verso di lui, poi verso i tre ragazzi alle spalle di Adrien, che li fissavano ad occhi sgranati, bocche spalancate, come se assistessero alla più anormale delle scene. Una delle due ragazze, quella dai capelli neri dagli strani riflessi blu, sembrava la più sconvolta e contrariata.

Abbassò immediatamente lo sguardo e arrossì, prossima ad una nuova crisi di pianto. Erano le due ragazze di quella stessa mattina.

Poteva farcela. Poteva farcela. Poteva farcela.

«Yo bro! Allora vieni?» si paralizzò nel sentire la voce del ragazzo col cappello chiamare Adrien a gran voce, per andarsi a prendere una merenda se non aveva capito male.

Ma Adrien non si mosse. Aspettava una sua risposta.

«N-Non preoccuparti... v-va pure, f-faremo un'a-altra volta.»

«Ne sei sicura?»

«S-Sì! N-Non preoccuparti!»

Adien non sembrò convinto, ma forzarla non avrebbe risolto nulla. Con un sospiro acconsentì e si allontanò.

«Se hai bisogno di qualcosa non esitare a chiedere.» fu l'ultima cosa che le disse prima di andarsene con l'amico.

«S-Si, g-grazie.» ma probabilmente nemmeno l'aveva sentita.

“Bella mossa Ameliè... davvero grande...”

Il peggio però non era ancora arrivato.


 


 

Nella sua oscura soffitta, Papillon osservava il mondo di sotto con occhi criptici, carichi di quell'ambizione che muovevano ogni sua azione.

Cercava tra le miriadi di persone che popolavano Parigi, la più fragile e debole tra loro, corrotta da sentimenti oscuri che gli avrebbero permesso di manipolarla a dovere. Stavolta ci sarebbe riuscito, avrebbe creato l'Akuma perfetto e avrebbe finalmente messo le mani suoi Miraculous di Ladybug e Chat Noir.

«Non è la cosa giusta.»

C'era sempre una vocina nella sua testa che gli sussurrava dolci consigli ogni qual volta cercava una nuova vittima per le sue Akuma, ma puntualmente Papillon la ignorava, relegandola in un angolo nascosto della sua mente.

Non era la cosa giusta forse, ma era l'unica che potesse fare.

«Tutta sola stasera, farfallina?»

Con uno scatto, Papillon si voltò nel buio. C'era qualcuno nascosto nelle ombre del suo antro, e non aveva idea di chi fosse o di come avesse fatto ad entrare.

«Chi diavolo sei tu? Come hai fatto ad arrivare qui?» non perse la calma però, l'ira avrebbe soltanto avvantaggiato l'avversario durante un possibile scontro.

La figura ghignò, senza però allontanarsi dalle tenebre che ne nascondevano la figura.

«Io sono colei che ti aiuterà a raggiungere i tuoi scopi.» era una voce di donna, una voce familiare che Papillon aveva già sentito. Ma dove?«Molto piacere Mr. Papillon, io sono Le Paon, incantata.»

Finalmente si rivelò a lui una donna dai capelli blu, legati perfetti in uni chignon. Aveva un abito blu dai decori neri, ed un ventaglio, simile alla coda colorata di un pavone che le nascondeva in parte il viso.

Appeso all'abito, in linea con la clavicola destra, Papillon vide qualcosa che non avrebbe mai pensato di vedere. Una spilla, blu dai decori di altri colori, anch'essa con la stessa forma della bellissima coda di un pavone. Strinse un pugno lungo i fianchi, digrignando i denti.

«Come l'hai avuto quello?»

Le Paon sogghignò, abbassando il ventaglio e avvicinandosi con una camminata sensuale a Papillon.

«Beh, è stato facile, Gabriel Agreste va fin troppo fiero della sua sicurezza... e questo è stato il suo errore più grande.» girò attorno all'uomo squadrandolo da capo a piedi.«Ma non è per parlare del Miraculous del Pavone che sono qui.»

Papillon riprese la sua calma e compostezza, senza però staccare gli occhi dalla donna. Aveva due bellissimi occhi cristallini, concesse, nascosti da una lieve maschera blu adornata di gemme scure.

«E per cosa allora?»

Le Paon sorrise. Aveva attirato la sua attenzione, ed era proprio quello che il maestro le aveva ordinato.«Ciò che voglio è qualcosa che porterà gioia e successi ad entrambi.»

Si posizionò davanti a Papillon, sfiorandogli con delicatezza il petto, poi più in su, fino a sfiorare la spilla del Miraculous che dava potere al più grande nemico di Parigi. La fissò incantata, quasi desiderosa di sfilargliela e portarla via con se, come aveva fatto a villa Agreste con il Miraculous del pavone. Si chiedeva ancora come fosse riuscito Gabriel, all'apparenza un comune umano ignaro dell'altro mondo, a possedere un oggetto tanto potente come il Miraculous. Ma non era tempo di pensare, la sua missione era un'altra.

«Sono qui per proporti un'alleanza.»


 


 

«No, no, no e poi no!»

Fu sospirò ancora, mentre prendeva con cura i Miraculous della volpe e dell'ape per riporli in un paio di scatoline nere. Era il momento che anche loro trovassero il proprio partner.

«Wayzz ti prego...»

«Perchè anche io?! Sono il suo assistente! Non voglio un nuovo partner!»

Il vecchio maestro capiva i sentimenti del Kwamii, anche lui non avrebbe voluto separarsi dall'amico che per oltre un secolo aveva accompagnato la sua vita, dal fido consigliere che nei momenti belli e brutti aveva saputo sostenerlo e stargli accanto come nessun altro avrebbe fatto.

Era uno dei pochi portatori ad aver combattuto come Tartuga per ben due generazioni. L'unico testimone di ciò che gli orrori del destino potevano comportare. Né i Kwamii né nessun altro sapevano. Soltanto lui.

E sospettava che anche qualcun altro fosse a conoscenza dei segreti oscuri nascosti nello scrigno del Miraculous, ma non osava metterci la mano sul fuoco.

Da quel giorno lontano, in cui la precedente generazione aveva visto cadere il loro pilastro di forza e coraggio, sembrava che tutti avessero dimenticato quanto accaduto dieci anni prima. Neanche Wayzz sapeva, e Fu non aveva fatto nulla per cercare di fargli ricordare.

Lo feriva, nascondere la verità al suo fidato partner, ma nel profondo sentiva di aver fatto la scelta giusta. Tacere la verità, almeno per quella volta, era stato l'unico modo per assicurarsi una via di fuga dal ripetersi di quella tragedia.

«Ora che anche Duusu è stato preso, non possiamo lasciare che Ladybug e Chat Noir combattano da soli. Hanno bisogno di tutto l'aiuto possibile, incluso il tuo.»

Lo sapeva. Sapeva che il maestro aveva ragione, che era ormai giunto il momento di cercare un nuovo portatore del suo Miraculous, e per quanto fosse sempre stato un tipo razionale e serio, stavolta Wayzz faticava ad accettare la realtà.

Perché dopo tutti quegli anni passati accanto a Fu, non avrebbe più voluto cambiare partner. La vita umana era breve, troppo perché potesse essersi mai affezionato davvero a qualcuno, nonostante chiunque entrasse in possesso del Miraculous della tartaruga vedesse la propria vita allungata oltre i cento anni.

Nonostante questo però, Fu era stato l'unico a raggiungerli. Tutti gli altri erano stati spezzati ancor prima di potersi accorgere del dono.

«Non essere triste Wayzz.» Fu gli carezzò con dolcezza il capo.«Ci incontreremo ancora, questo non è un addio.»

Mettendo da parte la razionalità e la calma che lo contraddistinguevano, Wayzz si lanciò tra le braccia del maestro e lo abbracciò.«Ti voglio bene, maestro.»

Fu ricambiò l'abbraccio.«Anche io Wayzz.» ed infine, staccò per sempre il bracciale da proprio polso.

Wayzz era sparito l'istante in cui il laccio era stato sciolto, ritornato come ogni altro Kwamii all'interno del proprio talismano.

Una sola lacrima solcò il viso di Fu, che con un rapido gesto l'asciugò, quasi non fosse mai caduta davvero. Doveva essere forte, aveva una missione da compiere.

Prese le tre scatole nere e le infilò in una borsa, assicurandosi di chiuderla per bene in modo che nessuna delle tre cadesse e si perdesse per strada.

Lasciò un biglietto attaccato alla porta per Marinette, rimandando il loro incontro ad un prossimo futuro, una volta che avesse finito il viaggio in cerca di nuovi portatori.

“Avrei preferito non vedere una nuova generazione...”

Invece si sarebbe macchiato le mani di quella colpa un'altra volta, consegnando nelle mani di tre nuovi ragazzi il potere di proteggere il mondo.

«Spero solo che questi ragazzi siano più fortunati di noi..»

Fu solo una speranza sussurrata nel vento, ma pregò affinché gli Dei l'accogliessero e la esaudissero.

 


 

 


 


 


 


 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


N.d.A- Si lo so, mercoledì è già passato da mezz'ora, sono pessima lo so, ma per stavolta pls, abbonatemelo xD
Eccoci dunque al quarto capitolo!
Ed ecco che entra in scena un nuovo personaggio!
Come vedrete la modalità di scelta dei portatori l'ho un po' riadattata, spero che vi piacerà comunque!
Un bacione a tutti e grazie!


Jeo 95 =3 (o ArhiShay)

 

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Fil Rouge


Livre 1

~ Destin Maudit~

  

«Tu piccola adescatrice, sta lontana dal mio Adrien!»

Marinette e Alya si bloccarono di colpo nel sentire la voce petulante di Chloè farsi sempre più vicina e minacciosa, ormai pronte alla solita lite che ogni giorno intercorreva tra loro e la figlia del sindaco.

E tutto perché Adrien preferiva la loro compagnia a quella dell'amica d'infanzia.

Marinette già si vedeva legata ad un razzo, pronta per essere spedita dalla viziata ereditiera sul primo volo per il lontano Giove, dal quale avrebbe fatto ritorno solo per assistere alle nozze di Chloè e del suo amato. Si stupì quindi quando la figlia del sindaco non solo la sorpassò senza nemmeno lanciarle una delle sue solite occhiatacce, ma si scagliò immediatamente contro la gemella.

Sbattendo un po' le palpebre per la sorpresa, Alya e Marinette si scambiarono sguardi confusi. A che gioco stavano giocando quelle due.

Ameliè nel frattempo si era paralizzata, come se la sola voce della sorella fosse capace di paralizzarla. Quando Chloè urlava era impossibile, per lei, avere alcun tipo di reazione.

«M-Ma Chloè...»

«“Ma Chloè” un corno! Ti avviso subito: Adrien è mio chiaro?! Non pensare di fare l'innocentina con lui per accalappiartelo, non ti devi neppure avvicinare a lui! Se lo farai, verrò nella tua stanza di notte e ti raserò a zero!»

Da lontano intano, Marinette e Alya assistevano al tutto sconcertate. Stavano forse tramando qualcosa insieme? Se così era, l'Oscar come migliori attrici drammatiche sarebbe stato poco.

«Che facciamo Mari? Ho paura che non stiano recitando.»

Che volevano fare? Niente, sembrava ovvio! Era pur sempre della gemelle di quella strega che stavano parlando, e benché sembrasse succube della sorella e di Sabrina tanto da lasciarsi addirittura tirare i capelli, non potevano essere certe che non stesse fingendo.

«Mi hai sentito stupida?!»

Non potevano essere sicure che quelle lacrime fossero reali.

«T-Ti prego Chloè... B-Basta...»

Ameliè non era mai stata tanto spaventata da sua sorella come in quel momento. Cosa era successo alla sua dolce Chloè, che oltre ai dispetti si prendeva cura di lei? Era cambiata così tanto in quegli anni? La risposta era davanti a lei, ma Ameliè si rifiutava di crederlo.

«Adesso smettila Chloè, stai esagerando!»

Non credeva davvero che qualcuno sarebbe corso in suo aiuto, sia per paura di una reazione negativa da parte di Chloè, sia perché nella sua classe nessuno sembrava averla presa in simpatia, per questo le sembrò quasi di vedere un angelo in Marinette Doupain-Cheng, quando si era frapposta tra le e la gemella per cercare di salvarla.

«Tu vedi di non immischiarti!» si ritrasse dalla stretta di Marinette, fulminandola con lo sguardo.«E questo avvertimento vale anche per te! State lontande dal mio Adiren!» e seguita dalla fedele Sabrina, se ne era andata con indignazione.

Marinette sospirò. Quando ci si metteva, Chloè dava davvero il peggio di sé stessa.

«Wow, oggi la principessina era davvero fuori di se.» fu il sarcastico commento di Alya, con cui Marinette non poté fare a meno di concordare.

Ameliè crollò a terra, le gambe prive della forza necessaria per sostenerla ancora. Marinette la guardò asciugarsi gli occhi azzurri, tentando di bloccare i tremiti spaventati del corpo.

Lottò con il proprio conflitto interiore per diversi secondi, tra l'aiutare quella povera ragazza spaventata, o andarsene via prima che si rivelasse un'arpia anche peggiore della sorella. Perché nonostante tutto, il dubbio che facesse l'innocentina solo per potersi far coccolare da Adrien dopo era un dubbio che Marinette non riusciva a scrollarsi.

Alla fine, la Ladybug che era in lei prevalse, e scelse di fare la cosa giusta. Già una volta aveva commesso un errore, scaricando la propria gelosia contro una ragazza che non meritava una pubblica umiliazione, stavolta avrebbe fatto le cose per bene.

«Tutto ok?»

Amelè fissò stupita per qualche secondo la mano protesa verso di lei. Risalì lungo il braccio, su fino al viso della ragazza che fino a pochi secondi prima fronteggiava spavalda Chloè per salvarla dalla sua ira.

«S-Si... g-grazie...» accettò volentieri l'aiuto e si issò in piedi.

Asciugò velocemente gli occhi e sorrise meglio che potè alle sue salvatrici, mentre sentiva le guance che lentamente prendevano fuoco. Aveva la gola secca, e temeva che se avesse provato a parlare l'unico suono che avrebbe emesso sarebbe stato quello di un rantolo incomprensibile. Odiava questa sé stessa timida e introversa, la odiava davvero.

«Wow, chi l'avrebbe mai detto che Chloè potesse comportarsi da strega anche con la sua stessa gemella.»

Benchè anche lei fosse riuscita a scorgere il buono oltre il nome, Alya non poteva fare a meno di essere sospettosa nei riguardi della nuova arrivata. Il suo lato da reporter le diceva di indagare a fondo, e solo alla fine decidere se fidarsi completamente di Ameliè o meno.

La vide abbassare lo sguardo, sorridendo amaramente verso terra. Perdendosi in vecchi ricordi, talmente lontani da essere ormai null'altro che immagini sfocate, Ameliè non riusciva a dare una locazione esatta al cambiamento di Chloè nei suoi confronti. Semplicemente l'aveva bruscamente allontanata, rifiutandosi di riaccoglierla nella propria vita quelle rare volte in cui riuscivano ad incontrarsi. E negli anni, il loro rapporto non aveva fatto che peggiorare.

«F-Forse non s-sono abbastanza C-Chloè per lei...»

Era seria, ma inaspettatamente Marinette e Alya risero delle sue parole. Non era una risata maligna, di quelle che da sempre deridevano il suo carattere eccessivamente timido, ma una genuina, felice, sinceramente divertita da quello che le aveva detto. Alla fine anche a lei venne da ridere.

«Direi che è una fortuna! Una Chloè è fin troppa da sopportare, due sarebbe stato tremendo!» commentò Marinette, più serena.

Qualcosa le diceva che, dopotutto, Ameliè poteva essere qualcuno con cui andare d'accordo. Alya sembrava concordare con lei.

«Non ci siamo ancora presentate comunque, io sono Marinette Dupain-Cheng, molto piacere.»

«Io invece sono Alya Césaire, mia madre lavora come cuoca nel tuo hotel.»

Ameliè rimase sorpresa. La sera prima aveva potuto gustare i fantastici manicaretti preparati dalla madre di Alya in persona, e ne era rimasta talmente colpita da volerla conoscere a tutti i costi. Perché se c'era qualcosa che Ameliè amava davvero era la cucina.

«S-Sul serio? Adoro i piatti del nostro hotel! Sono rimasta sorpresa specialmente dai sapori delicate ma intensi della Soupe gratinée à l’oignon! Si sentiva il dolce sapore del caramello sulle cipolle, credi che potrebbe insegnarmi qualche trucco???» le si erano illuminati gli occhi, e mentre parlava dei piatti gustosi che le erano stati preparati, il suo problema di balbuzia sembrava scomparso.

Marinette e Alya erano sorprese.

«Wow, non sapevo ti interessasse cucinare.»

Ci vollero tre secondi netti affinché Ameliè si rendesse conto della figura appena fatta davanti alle due nuove compagne. Si zittì, stringendosi le guance rosse come due pomodori tra le mani, mentre teneva lo sguardo ben puntato a terra. Che imbarazzo!

Sempre nei momenti peggiori il suo lato culinario prendeva il sopravvento, dotandola di quella parlantina che avrebbe desiderato sfoderare per farsi degli amici.

«A-Ah... no è che... i-io mi scuso ma... q-quando si parla d-di cucina, n-non capisco più n-nulla.»

Tremò appena. Temette di aver spaventato le due ragazze con il suo carattere, che ora, spaventate e a disagio davanti a una strana come lei, se ne andassero e la lasciassero solo un'altra volta. E Ameliè avrebbe dovuto convivere con la solitudine una volta ancora.

Peccato però, sembrava che finalmente fosse riuscita a farsi due amiche. Come al solito, rovinava sempre tutto.

Inaspettatamente invece, Marinette e Alya non scapparono affatto, né le rivolsero alcuno sguardo di disgusto. Rimasero davanti a lei, sorridendole comprensive.

«Ti capisco invece, non devi scusarti. La mia passione è la moda, vorrei diventare una grande stilista un giorno! Potrei passare ore a parlarti dei marchi più in voga del momento! Le collezioni Agreste poi, lo stile e la fattura sono sempre impeccabili!»

Alya rise sotto i baffi.«Oh certo, i vestiti. Quelli che Adrien indossa coooosì bene da sbavare sulle copertine delle riviste e fantasticare sul possibile futuro della boutique “Agreste-Cheng e famiglia”.»

Stavolta fu Marinette ad arrossire, al commento sarcastico ma veritiero della sua migliore amica.

«A-Alya! Ma che dici?!»

«La pura e semplice verità.» confermò lei, sistemandosi gli occhiali sul naso.«Hai una vera e propria ossessione per quel ragazzo!»

Ameliè sorrise nel vedere le due ragazze stuzzicarsi a quel modo, e le sarebbe piaciuto un giorno creare con loro un rapporto che le permettesse di avvicinarsi un po' di più a quel mondo colorato che erano l'amicizia e l'amore. Adrien gliene aveva dato un assaggio, ma non poteva darle quello che invece potevano farle provare delle vere amiche, tanto meno qualcosa come un fidanzato.

Il solo pensarlo come possibile ragazzo la metteva in estremo disagio.

«E comunque, anche tu sei ossessionata da Ladybug e Chat Noir! È la stessa cosa!»

«No affatto. Io non ho una cotta per loro che mi impedisce di ragionare e parlare lucidamente quando sono a meno di due metri da me.»

Avrebbero continuato all'infinito, di sicuro fino al suono della campanella, se un'improvvisa domanda di Ameliè non le avesse interrotte.

«S-Scusate...» chiese debolmente.«C-Chi sarebbero... L-Ladybug e C-Chat Noir?»

E l'urlo d'orrore di Alya, riecheggiò per tutta Parigi.


 


 


 

Lila si rigirava da ormai svariati minuti la scatolina nera tra le dita, perplessa, confusa, combattuta con se stessa.

«Perchè proprio io?»

Fu l'aveva cercata dovunque. Non era stato difficile scoprire dove abitasse Lila Rossi, l'impresa era stata riuscire a combinare un incontro con lei, poiché sembrava non voler vedere nessuno da un mese a quella parte.

Sua madre era disperata, dall'incidente con Ladybug la ragazza si era chiusa in se stessa, rifiutando chiunque tentasse di avvicinarla e portando i genitori ad uno stato di preoccupazione tale da chiamare addirittura uno specialista in ipnosi.

Fu si era spacciato per suddetto specialista, e con la scusa di una terapeutica passeggiata era riuscito a portare Lila in un posto più sicuro, lontano dagli sguardi curiosi di chi non avrebbe dovuto sapere.

All'ombra di un grosso albero, in un giardino non troppo lontano da casa della ragazza, Fu aveva infine rivelato la sua identità e il vero scopo della sua visita.

Non per ipnotizzarla, bensì per fare di lei ciò che era destinata ad essere. Un altro al posto suo non avrebbe scommesso un centesimo su di Lila, ma l'anziano era convinto che avesse del potenziale nascosto, che nonostante la negatività a cui era stata sottoposta, nascondesse il cuore giusto per essere la volpe.

Volpina non era mai stata né buona né cattiva. Agiva sempre usando l'astuzia, preservando la salute dei compagni a costo di giocare sporco. Volpina mirava alla vittoria nel minor tempo possibile e con il migliori risultato possibile, sfruttando ogni trucchetto a sua disposizione per raggiungere l'obiettivo.

Manipolare la verità e renderla propria, portare a proprio vantaggio con l'ingegno anche la più disparata delle situazioni. Era questo il compito che spettava al portatore della volpe.

Inconsciamente, era stata la stessa Marinette a suggerirgli Lila, perché nelle sue descrizioni accurate su come le era apparsa, la prima qualità che aveva evidenziato era stata l'intelligenza e la furbizia.

Certo, il suo essere una bugiarda cronica aveva portato Ladybug ad esplodere in pubblico ed umiliare una ragazza che era stata quindi akumatizzata, ma l'eroina stessa aveva confessato di aver esagerato in quel frangente, presa da sentimenti impossibili da contenere.

Fu aveva letto pentimento dietro quelle parole, e si era convinto che anche Lila, a modo suo, volesse rimediare a quello che aveva fatto.

«Perché hai già dimostrato di poter essere un'eccellente Volpina.»

La ragazza sogghignò amaramente, restituendo con un brusco lancio la scatoletta nera al vecchio.

«Certo come no, chiedi a Ladybug quanto brava sono stata.»

Dopo un mese passato a nascondersi nella sua camera, senza trovare la forza di affrontare i suoi compagni di classe in seguito all'incidente, Lila non aveva fatto altro che rimuginare su quanto accaduto. E più ci pensava, più l'astio per Ladybug cresceva, assieme alla paura costante che Papillon prendesse di nuovo il controllo su di lei.

Era stufa. Stufa di essere manipolata, trattata come un burattino da un uomo che faceva leva sulla sua rabbia per ottenere i propri scopi. Stufa di quell'eroina perfetta che l'aveva screditata davanti ad un compagno, senza neanche conoscerla e sapere davvero chi era. Stufa di nascondersi dietro una montagna di bugie che erano il suo scudo contro un mondo che l'aveva sempre rifiutata.

Adesso, tutto ciò che Lila voleva era essere lasciata in pace.

Si alzò dalla panchina e sospirò, il vento le smosse piacevolmente i capelli e per un attimo la ragazza sembrò in pace con la natura e con sé stessa.

«E se ti dicessi che è stata proprio Ladybug a sceglierti?»

Lila si girò con uno scatto, furiosa.«Risponderei che non è divertente. Sono brava a smascherare le bugie sai?»

Fu rise sotto i baffi. Era la reazione che si aspettava da lei.

«Non consapevolmente forse, ma ho parlato con lei e sembrava pentita di quello che ha fatto. Ti ha descritto come una persona intelligente e capace, qualità che alla vera Volpina si addicono molto non ti sembra?»

Per un attimo, negli occhi di Lila, splendette una scintilla di esitazione.«E con questo? Ne esistono a milioni là fuori come me, forse anche migliori. Perchè proprio io?»

«Proprio perché sei tu, non c'è nessun altro degno di portare questo Miraculous. Non ne esistono altre come tè Lila, solo tu puoi essere Volpina.»

Ora che l'aveva conosciuta, che aveva visto in lei quella scintilla presente in ogni portatore, Fu non aveva più dubbi a riguardo. Normalmente, per guadagnarsi il Miraculous, il vecchio maestro sottoponeva i candidati ad una prova, per scoprire se il cuore del prescelto fosse abbastanza puro da poter sopportare il peso del potere.

Con Lila aveva usato un approccio diverso. Perché Volpina portava in sé sia la luce che il buio, molto più di quando non facesse Chat Noir, un'entità in lotta costante con ciò che è giusto e ciò che conviene. Gli era bastato uno sguardo per capire che da quel giorno, tutti i giorni, Lila lottava contro il richiamo di Papillon per non tornare ad essere la sua marionetta, per non soccombere a quel buio che infido si annidava dentro di lei.

Per generazioni, ogni Volpina aveva affrontato il proprio lato oscuro, e purtroppo non tutte erano riuscite a vincere quella battaglia. Se non l'aiutava in qualche modo, anche Lila presto o tardi avrebbe ceduto.»

«Io...» sembrava incerta, insicura, non trovava alcun valido motivo per cui accettare un peso tanto grande.«Non posso...» sembrò risoluta, ma i dubbi che si annidavano nella sua mente furono subito chiari al maestro.

Fu sospirò.«Non posso certo costringerti.» si issò in piedi, rigirò ancora la scatolina nera tra le mani e sorrise alla giovane, posandogliela con delicatezza tra i palmi e allontanandosi di fretta.«Questo però sarà più al sicuro con te. Se cambi idea, sentiti libera di usarlo quando ti sentirai pronta.»

E prima che potesse anche solo opporsi, l'anziano si era già dissolto nel nulla.

Guardò ancora la scatolina nera con frustrazione, mille dubbi che le affollavano la mente, nessuno che fosse disposto a darle una risposta chiara e concisa su ciò che doveva fare.

Non c'era niente per cui valesse la pena combattere, non un solo amico da proteggere, non una sola cosa che le fosse cara in quella città nuova e sconosciuta. Mise la scatola in tasca e tornò a casa, mentre il peso del potere che le stava venendo affidato si faceva sempre più pesante e gravoso.

Ma Lila non avrebbe combattuto, né ora né mai.

«Non combatterò mai al fianco di Ladybug.» e dicendosi queste parole si richiuse la porta alle spalle.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


N.d.A- Si lo so, sono in ritardo pazzesco e non potete perdonarmi, ma vi prego mettete giù i fucili!
Giuro che non è (solo) colpa mia T.T faccio del mio meglio, ma purtroppo gestire tutto si sta rivelando difficile T.T
Spero comunque che gradiate il capitolo, e vi avviso che ho in progetto una AU, ma è ancora tutto una sospresa u.u
Un bacio a tutti e alla prossima!

Jeo 95 =3 (o ArhiShay)

 

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Fil Rouge


Livre 1

~ Destin Maudit~

  

Pierre Laverre era felice quel giorno.

Sembrava che dopo anni di sfortuna, finalmente la Dea bendata avesse deciso di sorridergli. Promozione al lavoro, aumento di stipendio,e presto sarebbe inoltre convolato a nozze con la sua fidanzata. Tutto sembrava andargli bene.

Strinse con forza il ciondolo che la sua amata gli aveva regalato, un portafortuna che non toglieva mai, e imboccando la via a destra verso il municipio, si preparava ad andare a casa, per dare alla sua dolce Beatrice la bella notizia.

“Mr. Laverre...”

Qualcosa risuonò nella sua mente. Era una voce calda e soave, melodiosa, che per un attimo gli inebriò i sensi.

Si guardò attorno, soltanto per confermare che non vi fosse nessun altro in quella via all'infuori di lui.

“Laverre...”

Ancora quella voce. Ok, ora era certo di non star sognando, eppure attorno a lui non vi era nessuno a cui potesse ricondurre quel dolce suono.

Una piuma blu cadde dal cielo. Pierre si chinò a raccoglierla e la studiò con attenzione, rigirandosi tra le dita quell'insolita piuma.

Era bella, bellissima. Verso il fondo era di un color blu notte scuro, intenso, che andava via via schiarendosi man mano che saliva, raggiungendo una tonalità blu meno scura, ma comunque intensa.

Pierre sgranò gli occhi. Stava forse... luccicando? Scosse la testa e sorrise. No, impossibile. Eppure...

Il cellulare squillò, Pierre tornò in se giusto il tempo per rispondere alla chiamata, sorridendo quando la sua fidanzata trillò un “buongiorno” eccitato.

Finì tutto in quel momento. Laverre mise distrattamente la piuma in tasca, improvvisamente dimentico di quel che stava accadendo, e continuò per la sua strada, cantilenando belle notizie al cellulare. Tutto sembrò dimenticato.

Dall'alto del tetto, Le Paon sorrise maligna.


 

Con un acrobatico salto all'indietro, Ladybug schivò il colpo del nemico di fronte a lei. Atterrò di fianco a Chat Noir, che estraendo il bastone da combattimento si mise a ruotarlo minacciosamente, nel vano tentativo di spaventare l'Akuma, o per lo meno farlo desistere dall'attacco. Tentativo vano, lo sapeva anche lui, ma provare non costava nulla.

L'akumatizzato era un ragazzo giovane, forse della loro stessa età, disperato dopo che Chloè, ovviamente, si era messa in mezzo tra lui e Sabrina. Grazie a lei, la dichiarazione era stata un fallimento, e Sabrina l'aveva rifiutato senza troppe cerimonie. La tristezza e la rabbia l'avevano quindi reso una facile preda di Papillon e delle sue Akuma.

«Inutile opporre resistenza! Lo SpaccaCuori farà si che ogni relazione finisca in lacrime, col cuore di entrambi spezzato!»

Si guardò attorno, furibondo, in cerca di quella che era stata la sua preda e che ora, grazie a quei due eroi ficcanaso, gli era sfuggita da sotto il naso. Poi la vide, ed allora ghignò.

«Ehi SpaccaCuori!» Chat gli fu addosso con un balzo.«Sarò io a spaccarti qualcosa, e temo lo troverai estruuumamente doloroso!» sfoderò il bastone, e cercò di colpirlo al capo, ma l'akumatizzato schivò con maestria il colpo. Afferrò Chat Noir per la coda e lo fece roteare su se stesso, per poi scagliarlo con violenza contro dei bidoni.

Per un attimo, Chat Noir vide bianco. Cosa insolita per lui,che vista la sua natura sfortunata normalmente non vedeva altro che nero attorno a se. Eccetto quando guardava la sua Lady, solo allora il mondo diventava rosso e rosa.

«Chat Noir!» l'urlo di Ladybug fu abbastanza per risvegliarlo.

Vide lo SpaccaCuori planare in picchiata verso un punto preciso della scuola, mentre la sua Lady tentava di fermarlo dal colpire il punto prefissato. Chat spostò lo sguardo su quello stesso punto, ed improvvisamente fu lui a diventare un gatto bianco.

Quel pazzo stava puntando ad una persona in particolare, una ragazza paralizzata dalla paura proprio sulle scalinate della scuola, dai capelli biondi e gli occhi azzurri.

Chloè? Per gli altri forse poteva anche essere, ma Chat era sicuro che quella non fosse la viziata figlia del sindaco, o meglio non la figlia che tutti credevano lei fosse.

«AMELIÈ!» e l'urlo disperato di Alya non fu che la conferma definitiva.

«Per te è la fine, dannata Chloè! Spezzerò il tuo cuore per sempre, affinché tu non possa mai più innamorarti!» tese un braccio in avanti, pronto a toccare e a ferire la Bourgeois sbagliata.

Vide la sua Lady lanciare lo yoyo magico, che si avvolse con incredibile maestria attorno alla vita del nemico, ma che, Chat Noir ne era sicuro, non avrebbe fatto in tempo a fermarlo prima che colpisse Ameliè. Doveva intervenire, e doveva farlo alla svelta.

Scattò in avanti, usò il bastone per arrivare ancora più in fretta. Poco prima che l'Akuma riuscisse a toccarla, Ameliè era in salvo tra le braccia di Chat Noir, ora all'interno della struttura scolastica e al sicuro dal pericolo.

«Tutto bene?» le chiese premuroso l'eroe.

Ameliè era terrorizzata. Tremava, le lacrime ormai le avevano invaso il viso, e gli occhi erano talmente rossi e gonfi che probabilmente le facevano male soltanto a stare aperti. Eppure, appena si scontrò con lo sguardo smeraldino di Chat Noir, tutto sembrò passarle. Si sentì al sicuro, rassicurata dalla presenza dell'eroe.

Non riuscì a parlare, ma semplicemente annuì, lasciandosi cullare dall'abbraccio di Alya, che l'aveva raggiunta poco dopo. Non aveva smesso però di fissare Chat Noir neanche un secondo.

L'eroe le sorrise con calore, e le guance di Ameliè presero fuoco all'istante.

«Non preoccuparti dolce signorina, ora ci pensa l'intrepido Chat Noir a sistemare le cose!» e con un balzo tornò verso il nemico per aiutare la sua Lady, lasciando alle cure di Alya una sconvolta Ameliè. Un “grazie” ancora sospeso tra le labbra.


 

Fu una lotta dura, che mise i due eroi con le spalle al muro più di una volta, ma alla fine fu un'altra vittoria per loro. Eppure Ladybug sembrava pensierosa.

«Qualcosa non va, my lady?» chiese Chat con premura.

«Non lo so Chat Noir... ho una brutta sensazione. Questo Akuma era diverso, quasi più forte degli altri che abbiamo combattuto, ma non saprei spiegarti perché.»

Chat Noir capiva quello che cercava di dirgli, anche lui l'aveva percepito e, come lei, non riusciva a capire la natura di quel cambiamento.

«I nostri poteri stanno crescendo... forse anche quelli di Papillon possono aumentare.»

Forse Chat Noir aveva ragione. Doveva parlare al più presto con il maestro Fu, chiedergli consiglio e qualche delucidazione in più su come Papillon avesse ottenuto il proprio Miraculous. La scorsa volta era stato vago, schivo, dandole solo briciole di quella che sembrava invece una storia più grande e complicata. Ladybug voleva sapere, capire come fermare il nemico una volta per tutte.

Il suono inconfondibile degli orecchini segnava che ormai il suo tempo era scaduto. Fu il momento per i due di separarsi ancora.

«Farò qualche ricerca, ti terrò informato. A presto Mon Minou!» e lanciando lo yoyo magico, l'eroina sparì tra i tetti di Parigi.

Chat Noir sospirò in, conflitto con se stesso per impedirsi di seguirla e finalmente scoprire chi si celasse dietro la maschera del suo grande amore. Ma non avrebbe mai potuto tradire la sua fiducia in quel modo, non lei.

Con un sospiro si girò dalla parte opposta, saltando da un tetto all'altro in una direzione non precisata. Un giro di perlustrazione l'avrebbe aiutato a schiarirsi le idee.


 

Marinette atterrò sul retro della scuola, dove era sicura non vi fosse nessuno in quel momento, e lasciò che la trasformazione si sciogliesse da sola. Tikki comparve poco dopo accanto a lei, stremata come lo era stata poche volte negli ultimi mesi. Anche questo, pensò Marinette, era il segnale che vi fosse qualcosa di strano nell'Akuma di quel giorno.

«Tu che ne pensi Tikki?»

«Gli Akuma fanno leva sul dolore delle persone, più una persona soffre, più forte sarà il potere che riceveranno. Forse quel ragazzo era stato ferito talmente profondamente da scatenare un tale potere.»

Marinette non ci aveva mai pensato, ma probabilmente Tikki aveva ragione. Eppure qualcosa non quadrava, e decise che quel pomeriggio, se ne avesse avuto l'occasione, avrebbe fatto visita al maestro Fu per saperne di più.

«Grazie Tikki, riposa pure.» le allungò un biscotto, e richiuse la borsetta.

Per prima cosa doveva tornare dalle amiche, e scoprire come stava Ameliè.

Alya la rimproverò per la sua imprudenza, e soprattutto per non averle detto dov'era finita mentre quel mostro stava attaccando la scuola. Si era spaventata a morte nel non trovarla, soprattutto dopo che Ameliè era stata presa d'assalto dall'Akuma.

Non era da Alya spaventarsi, e Marinette si sentì tremendamente in colpa nel non poterle dire la verità sul dove fosse stata. Ma era per il suo stesso bene, e preferiva vederla preoccupata che non in pericolo.

«Come ti senti, Ameliè?» ma la ragazza sembrava in trance.

Continuava a fissare un punto imprecisato del cielo, con gli occhi trasognanti e la bocca dischiusa, le guance leggermente imporporate di un timido rosso pallido.

«N-Non sono r-riuscita a... r-ringraziarlo...» sussurrò affranta poi.

Marinette e Alya ebbero quasi paura. Ma di che stava parlando?

Poi Alya ebbe un'illuminazione. Le veniva da ridere, perché aveva paura della risposta di Ameliè, ma era piuttosto sicura di non sbagliare a riconoscere i sintomi della “malattia” che aveva appena colpito la sua nuova amica. E da un lato, non poteva certo biasimarla.

«Ameliè.» le si avvicinò gentile, posandole addirittura una mano sulla spalla e sorridendole dolcemente. Poi, quando fu sicura di avere tutta la sua attenzione, sganciò la bomba.

«Non è che per caso, ti sei innamorata di Chat Noir?»

Ci impiegò un po' la giovane Bourgeois ad elaborare la domanda che Alya le pose, ma quando prese piena consapevolezza di quelle parole, inevitabilmente prese fuoco.

Alya rise. Era fumo quello che le usciva dalle orecchie? Si stava lentamente trasformando in una pentola a pressione, una nuova versione di Marinette, anche lei innamorata di un biondo mozzafiato che ogni volta era capace di mandarle in pappa il cervello.

Forse per via del suo lato sadico, Alya trovava tutto questo estremamente divertente.

Ameliè si prese le guance tra le mani e tentò di analizzare con razionalità ciò che le era appena stato detto. Lei innamorata? Di Chat Noir? Ma fino a qualche giorno prima non sapeva nemmeno chi fosse! Possibile innamorarsi a prima vista?

Certo Chat Noir era un bel ragazzo, le aveva appena salvato la vita, trasformandosi nel suo eroe in tempo zero. A pensarci, Chloè aveva poster di Ladybug sparsi per tutta la camera. Esisteva qualche poster di Chat Noir magari? Action Figure? Ne avrebbe comprate volentieri...Ah! Ma solo perché le aveva salvato la vita! Non certo perché ne era i-innamorata!

Anche se... di un lato b così sexy avrebbe anche potuto...

S'infiammò di nuovo. “Ma cosa cavolo vado a pensare?!”

Non erano comportamenti, e pensieri, da lei. Guardò il cielo, persa nei suoi ragionamenti più profondi. Che si fosse davvero innamorata dell'eroe gatto di Parigi?

Marinette dal canto suo era sconvolta. Innamorata di Chat Noir? QUEL Chat Noir? Com'era potuto accadere?!

Certo Chat Noir era un bel ragazzo, stando a contatto con lui aveva potuto osservarlo da vicino in quanto Ladybug, ed era anche vero che se non ci fosse stato Adrien, avrebbe potuto tranquillamente prendersi una cotta per lui, però...

Però cosa? Effettivamente aveva senso che Ameliè si fosse innamorata di lui, non c'era una sola ragione per cui non avrebbe dovuto farlo. Eppure c'era qualcosa che la turbava, un fastidioso pizzicore alla bocca dello stomaco ogni qual volta immaginava Chat Noir fare moine con un'altra ragazza. S'imbronciò. Probabilmente un latin lover come lui avrebbe apprezzato le attenzioni di Ameliè.

Sospirò infine, dicendo a sé stessa di darsi un contegno e concentrarsi sulla proprio amica, anche aiutandola e sostenendola in questa sua strana e nuova cotta.

Dopotutto finché non era Adrien andava tutto bene... no? Si disse di si, eppure il fastidio non scomparve.


 

 

Lila era uscita a prendere una boccata d'aria, la scatolina del Miraculous stretta fra le dita sottili, ancora sigillata. Aveva paura ad aprirla, a vedere cosa si celasse all'interno di quel piccolo scrigno nero.

Il vento le soffiò lieve tra i capelli, e con quelle gelide carezza, Lila si sentì rinascere dal piacere. La situazione a casa era strana. Da un mese sua madre tentava di farla uscire, di convincerla a tornare a scuola, eppure non una singola volta Lila aveva voluto ascoltarla.

Quel giorno invece aveva voluto farlo. Non si era allontanata, era sempre nello stesso parco davanti casa, seduta su una panchina all'ombra di un grosso albero, eppure aveva sempre più voglia di tornare al mondo esterno, fuori dalla stanza che per un mese era stata tutto il suo universo.

Ed era tutta colpa di Fu. Dalla sua visita, dalle sue parole, Lila si era sentita diversa, e non sapeva spiegarsi in cosa.

Stringendo la scatola del Miraculous tra le mani la voce di Papillon si era fatta meno pressante, più tenue, e Lila aveva ritrovato la voglia di vivere che Ladybug le aveva tolto un mese prima. Ora sembrava che perfino la rabbia verso l'eroina fosse scemata, ma non abbastanza da convincerla a combattere con loro.

Lila non voleva combattere, voleva soltanto tornare ad una vita normale, senza più bugie stavolta.

«Volpina ha davvero il potere di creare illusioni.» le aveva raccontato Fu, e forse anche per quello era spaventata dall'indossarlo. Le illusioni erano come bugie, e lei non voleva più averci a che fare.

Non voleva più essere guadata in quel modo da nessuno.

«Ehilà dolcezza.»

Lila aprì gli occhi, solo per trovarsi davanti il brutto muso di un ragazzo sconosciuto, che le sorrideva maliziosamente. La ragazza arricciò il naso. Puzzava di alcol da far schifo, probabilmente aveva esagerato con il bere.

«Ti andrebbe di bere qualcosa insieme?»

Non hai bevuto abbastanza?” fu quello che avrebbe voluto dirgli, ma si limitò ad ignorarlo.

Il ragazzo si avvicinò, troppo vicino per i suoi gusti, ed invadendo tutti i suoi spazi personali le toccò lascivamente il mento, alzandole il volto in modo da guardarla dritta negli occhi.

«Non ignorarmi così dolcezza, mi ferisci sai?»

Con un colpo secco Lila scostò la mano del ragazzo, fulminandolo con lo sguardo.«Non toccarmi. E poi sto aspettando una persona, quindi vattene.»

Eccola, ci era ricaduta. Aveva detto una bugia, ma in che altro modo poteva salvarsi da quella scomoda situazione se non mentendo? Dopotutto Fu si sbagliava, non sarebbe mai cambiata.

Mise la scatola del Miraculous nella tasca della giacca e si alzò per andarsene, ma la mano dell'energumeno la trattenne, talmente forte da farle quasi male al polso. Ma non disse nulla, non avrebbe mostrato nulla a quell'idiota.

«Ah si? E chi staresti aspettando? Il tuo ragazzo?»

Lo fulminò, e per un attimo fu tentata di rispondere affermativamente. Ma se non se ne fosse andato? Come si sarebbe tolta poi da quella scomoda situazione nel momento in cui nessuno sarebbe venuto a salvarla?

Tante persone passavano di lì, ma nessuna aveva accennato a fermarsi per aiutarla. Era sola, nessuno sarebbe venuto ad aiutarla, a supportarla, come sempre, soltanto mentire poteva aiutarla a sopravvivere.

«Io...»

«E-Eccomi!»

Fu sorpresa quando si sentì afferrare l'altra mano, oltretutto accompagnate da parole che non avrebbe mai creduto di sentire.

Si girò a guardarla, e quasi le venne un colpo nel ritrovarsi davanti una sua vecchia compagna di classe, la più imprevedibile, quella che mai avrebbe mai creduto arrivasse in suo aiuto. Quella che non pensava avrebbe mai mentito per lei.

Poi la guardò meglio negli occhi, e fu sicura di non conoscere affatto quella persona. La ragazza che aveva davanti era diversa, timida e paurosa, non poteva in alcun modo trattarsi di Chloè Bourgeois.

«C-Ci scusi, n-noi dobbiamo a-andare! A-Addio!»

Forse colto alla sprovvista come lei, non aspettandosi che qualcuno comparisse davvero, il ragazzone nerboruto lasciò la presa sul polso di Lila, che fu trascinata lontano da quel posto e da quel tipo. Per la prima volta dopo tanto, il suo cuore batté di nuovo.

La ragazza che somigliava a Chloè la portò poco distante da casa sua, probabilmente fu un caso, ma lo trovò comunque incredibile, senza lasciarle il polso nemmeno quando annaspava per prendere fiato.

Poi si girò a guardarla, gli occhi così pieni di lacrime che per un attimo le parvero più grandi.

«Ho avuto c-così tanta p-pauraaaaaa.» piagnucolò, ma ancora teneva la sua mano stretta tra le dita. Quando se ne accorse la lasciò andare, scusandosi per la rudezza con cui l'aveva trascinata fino a quel momento.

Ma Lila continuava a fissarla con in testa una sola domanda.«Perchè l'hai fatto?»

Non la conosceva. Non sapeva chi fosse né quale fosse stata la situazione. Perché rischiare tanto per una persona sconosciuta?

La ragazza ci pensò, e sfoderando un timido sorriso le rispose nel modo più spontaneo che le venne.

«Perchè avevi lo sguardo di qualcuno che aveva bisogno di aiuto.» Lila non seppe come rispondere.

La salvatrice tese in avanti una mano, sorridendole timidamente.«M-Molto piacere, s-sono Ameliè B-Bourgeois.»

«Lila Rossi.» esitò, ma alla fine ricambiò la stretta e sorrise.

Forse, nonostante tutto ciò che aveva passato, qualcuno per cui valesse la pena combattere esisteva ancora a Parigi.


 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


N.d.A- E stavolta sono in orario (più o meno)! Incredibile vero? Non ci credo nemmeno io xD quindi preparatevi ad un mese e mezzo di ritardi u.u
Un bacio a tutti e alla prossima!

Jeo 95 =3 (o ArhiShay)

 

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Fil Rouge


Livre 1

~ Destin Maudit~

  


Non riusciva davvero a crederci. Con che incredibile capacità riusciva ogni volta a mettersi nei guai senza nemmeno accorgersene?

A Londra nella sua piccola stanza di collegio, gli unici guai a cui Ameliè andava incontro erano noia e solitudine, misti anche agli scherzi delle compagne di stanza che in lei altro non vedevano che una facile preda per dispetti di pessimo gusto.

Da quando si era trasferita a Parigi, quasi un mese ormai, la sua vita era cambiata decisamente in meglio. Se non fosse stato per i mostri che ogni tanto si divertivano a scorrazzare per le strade della città, avrebbe quasi detto che la sua vita era finalmente perfetta.

Certo era grazie a quei mostri che aveva conosciuto Chat Noir, forse avrebbe dovuto ringraziarli piuttosto che piagnucolare, ma era più forte di lei. Gli Akuma le facevano paura, la terrorizzavano più di qualsiasi altra cosa si fosse mai ritrovata ad affrontare in vita sua.

Pioveva quel pomeriggio, e mentre tornava a casa Ameliè si era fermata ad ammirare alcune vetrine di dolci. La strada che dalla struttura scolastica portava all'enorme Hotel Bourgeois era piena di ristoranti, pasticcerie e qualsiasi tipo di edificio offrisse altrettante varietà di cibarie.

Ad Ameliè piaceva fermarsi ad osservare le magnifiche torte nuziali esposte in bella mostra, assaporare gli odori che riempivano l'aria attorno ai negozi, a volte addirittura fermarsi ad assaporare qualche nuova specialità a lei sconosciuta. Quel giorno invece si era limitata ad osservare le vetrine appena allestite, con l'ombrellino giallo che le copriva la testa dalla caduta battente della pioggia.

Poi era accaduto di nuovo, si era trovata davanti ad una scena cui non aveva saputo cosa fare, e come il giorno in cui aveva conosciuto Lila, si era semplicemente lasciata guidare dalla follia.

Un anziano vecchietto era stato messo all'angolo in un vicolo, accerchiato da due bestioni alti il triplo e larghi quanto uno degli armadi di Chloè. Indossavano dei passamontagna oltre i quali Ameliè non riuscì a scorgere, e soltanto il vedere le figure nere dei malviventi la fece tremare.

Presto le lacrime salirono svelte agli angoli degli occhi, e forti tremiti le scossero il corpo. Cosa fare? Cosa poteva fare?

Si guardò attorno un paio di volte, ma sfortunatamente sembrava che la pioggia avesse bloccato tutti quanti nelle proprie case, ignari di quanto stava accadendo ora in quella strada.

C'erano soltanto lei, il vecchio e quei due brutti ceffi. Tremava di paura, avrebbe potuto scoppiare a piangere da un momento all'altro, o peggio avrebbe assistito ad un orribile aggressione senza poter fare nulla per impedirlo.

Si sentì una codarda. Pensò a Chat Noir, a come avrebbe tanto voluto essere coraggiosa come lo erano lui e Ladybug, e si disse che il primo passo per cambiare, per diventare qualcuno di migliore che avrebbe potuto amare, era quello di affrontare le proprie paure in favore degli altri.

Ingoiò rumorosamente il nervosismo, e con un coraggio che non era il suo mosse i primi passi verso gli aggressori. Poi fu tutto improvvisamente chiaro.


 

«Dunque ricapitoliamo.» Marinette si massaggiò le tempie con insistenza, cercando le parole giuste per riassumere quanto il maestro Fu le aveva detto.«Lei è sparito per più di un mese senza dirmi nulla, nessun biglietto, nessuna spiegazione. Tutto per consegnare gli ultimi tre Miraculous ad altrettanti portatori?»

E Fu aveva semplicemente annuito, lasciando basita sia la ragazza che la piccola Kwamii.

«Quindi anche Wayzz...?» ed il silenzio di Fu si rivelò una risposta più che sufficente.

Tikki abbassò il capo malinconica, ricordando che erano ormai due generazioni di portatori che il vecchio maestro ed il Kwamii della tartaruga erano partner inseparabile, nella vita ed in battaglia. Doveva essere stato difficile per loro dividersi, benchè lo sapessero entrambi che prima o poi il giorno degli addii sarebbe arrivato.

Ne aveva salutate tante lei di Ladybug, e ancora si chiedeva cosa l'avesse strappata a quelle giovani ragazze che erano state le sue portatrici. Tikki le ricordava tutte, dalla prima all'ultima, eppure quando pensava agli addii non vi era altro che buio nella sua mente. Non era mai riuscita a ricordare l'ultimo giorno insieme a quelle che erano le sue amiche.

«Ma... perché? Voglio dire perché adesso? Cioè, io e Chat Noir ce la caviamo bene, non abbiamo ancora sconfitto Papillon è vero, ma i suoi Akuma non ci hanno mai dato grossi problemi.»

Eccetto gli ultimi, avrebbe voluto aggiungere, ma aspettò. Fu le stava nascondendo qualcosa, se lo sentiva nelle ossa che fosse così, e prima di raccontare all'anziano i suoi dubbi e le sue paure, Marinette voleva ascoltare cosa aveva da dirle.

Prendendo un profondo respiro, Fu decise che quello era il momento giusto per raccontarle parte della verità che stava tenendo nascosta.«Vedi, prima di separarci, Wayzz ha percepito Duusu, il Kwamii del pavone. Anche lui era andato perduto.»

Marinette e Tikki ascoltarono con attenzione, non perdendosi una sola parola uscita dalle vecchie labbra screpolate di Fu.

«Temo che chiunque abbia in possesso il Miraculous di Duusu non ne farà buon uso... già una volta, molti anni fa, qualcuno provò ad usare i Miraculous per scopi malvagi, e non è finita bene.»

Era successo anni prima, quando Fu e Wayzz erano alle loro prime missioni, un tempo sfocato che Tikki era riuscita a ricordare appena. Gli ultimi legami erano sempre i più confusi e sfocati, come se una sottile nebbiolina le impedisse di vedere oltre un certo punto.

Eppure sentiva di aver vissuto ogni parola che Fu stava pronunciando. C'era stato un tempo in cui qualcuno aveva provato ad utilizzare il potere dei Kwamii per scopi oscuri, malvagi, ed il risultato era stato una catastrofica guerra che aveva quasi distrutto il mondo.

«Sta arrivando una tempesta Marinette, tu e Chat Noir avete bisogno di aiuto.» guardò fuori dalla finestra. Pioveva ancora, e sembrava non voler smettere presto.

«Dobbiamo recuperare i Miraculous mancanti... prima che lui torni.»

Marinette deglutì, ed improvvisamente gli si chiuse lo stomaco. Non sapeva perché, ma improvvisamente ebbe paura.

«Lui... chi?»

Fu le sorrise, poggiandole con dolcezza una mano sul capo e cercando di tranquillizzarla. Non era ancora il momento, troppo presto ancora per gettarle sulle spalle il destino maledetto che accompagnava la fortuna di Ladybug.

«Spero di sbagliarmi Marinette, ma se così non fosse, ci aspettano tempi duri. Temo che il Perduto stia per tornare.»

Tikki sobbalzò. Era vero, ora ricordava frammenti di qualcosa che poteva essere il passato, e tra tutti i fotogrammi rovinati che la sua mente riportava a galla, un paio di occhi rossi come il sangue la scossero profondamente. Si strinse vicino a Marinette, scossa da violenti brividi.

«Il Perduto?» Marinette non aveva mai sentito prima questo nome, eppure sia il maestro che la sua partner sembravano spaventati da questa figura misteriosa.

Improvvisamente fu curiosa di saperne di più.

«È una storia lunga, ti va una tazza di tè?»

Accettò con piacere. Probabilmente non avrebbe lasciato la dimora del vecchio maestro tanto presto.


 

Papillon continuava ad osservare dal suo covo i movimenti dell'uomo che era stato approcciato da Le Paon qualche mese prima. Sembrava felice, nel suo piccolo mondo di luce che si era creato. Un buon posto di lavoro, una bella famiglia, ed ora anche in attesa del primo figlio.

E più lo guardava, più non capiva dove Le Paon volesse andare a parere. Lui aveva la capacità di creare eroi, di donare abilità speciali a chi più riteneva degno di tale potere.

Per i suoi Akuma sceglieva vittime fragili, a cui la vita non aveva fatto altro che torti. Persone sole, ferite, sconvolte, quelli che a detta sua erano facilmente manipolabili. Quel tipo tuttavia, non aveva nessuna delle caratteristiche adatte a diventare un Akuma, e soprattutto se anche fosse riuscito a trasformarlo, non avrebbe potuto manipolarlo a piacimento.

Più ci pensava, più non capiva.

«Sembri pensieroso Papillon, qualcosa ti turba?»

Si girò a guardare l'alleata con un misto di rabbia e confusione, ed espose i suoi giusti dubbi a colei che tirava le fila di ogni cosa.

Le Paon sorrise.«La tua tecnica è molto intrigante, ti permette di creare servitori potenti, che però vengono puntualmente sconfitti da Ladybug e Chat Noir.»

Papillon digrignò i denti, ma non potè controbattere.

«Il problema è che tu scegli le tue vittime in base alla sofferenza dell'attimo, un fugace attimo negativo in una vita di gioia. Quanto potere negativo credi che abbia una persona così?»

Non ci aveva mai riflettuto prima, sempre concentrato sull'obbiettivo finale di mettere finalmente le mani sui Miraculous dei suoi nemici e procedere così con il piano principale. Fino a quel momento non aveva mai analizzato davvero cosa il potere di Nooro fosse in grado di fare.

«Il signor Laverre sembra avere una vita perfetta vero? La fortuna sembra sorridergli ad ogni passo, ma cosa credi succederebbe se all'improvviso perdesse tutto?» Le Paon sorrise.«Il lavoro... gli amici... l'amore... un figlio! Riesci ad immaginare il potenziale distruttivo di un cuore sconvolto fin nel profondo?»

Papillon tentennò. Aveva capito dove volesse andare a parare, ma non era più sicuro di voler proseguire sulla stessa linea di quella che ormai gli sembrava una pazza.

Poi pensò alla causa che l'aveva portato a quel punto, che fino a quel giorno l'aveva spinto a compiere atti folli ed efferati. D'improvviso non ebbe più dubbi.

Ghignò malignamente verso l'immagine sfocata di Laverre, sentendosi più carico e motivato che mai.«Presto volerai da lui mia piccola Akuma, e finalmente i Miraculous saranno nostri.» stavolta era certo che non avrebbe fallito.


 

«Sono a casa!»

Seguito dal fedele Gorilla dietro di lui, Adrien varcò l'enorme porta di casa con stanchezza, intenzionato soltanto a rifugiarsi nella sua stanza e farsi una bella dormita. Tutto questo non senza aver reperito dalla cucina una discreta scorta di formaggio, così che Plagg non lo disturbasse per almeno qualche ora.

«Il formaggio, ricorda il formaggio!» ecco appunto.

Non aveva alcun impegno fotografico quel giorno, nessuna lezione e nessun incontro di lavoro, e ringraziò mentalmente Nathalie per aver accolto la sua preghiera di avere una giornata libera.

«Avrei gradito saperlo in anticipo.»

La voce di suo padre lo colse di sorpresa. Era a casa? Era convinto fosse da qualche parte a progettare gli abiti della nuova collezione, per quale ragione invece era rimasto?

«Papà...?» chiamò piano, aprendo la porta della sala da pranzo con cautela, mentre il suo richiamo fu coperto dalla squillante voce di una donna che Adrien conosceva bene, ma che non vedeva da anni.

«Suvvia Gabriel, non essere così rigido! Siamo una famiglia no?»

Il sorriso nacque spontaneo sulle labbra di Adrien, che allora spalancò la porta e si fiondò con energia nella stanza.

«Zia Zoe?»

Zoe Roux in Ramos era la sorella gemella più piccola di Julie Roux in Agreste, la madre di Adrien.

Aveva lineamenti dolci e morbidi, i capelli biondi erano corti, sparati in ogni direzione anche grazie al gel che Zoe metteva per acconciarli. Assomigliava tantissimo a sua madre, e se non fosse stato per il taglio di capelli e per gli occhi nocciola, probabilmente non le si sarebbero distinte.

Zoe Ramos sorrise alla vista del nipote prediletto, e corse ad abbracciarlo nell'esatto istante in cui si era accorta di lui.

«Il mio piccolo Adri! Ma guarda quanto sei cresciuto, sei diventato un bellissimo chico!»

Zoe viveva in Spagna assieme al marito ed al figlio da ormai diversi anni, da quando sua madre era scomparsa prematuramente. Da quel giorno aveva visto poco gli zii ed il cugino, ma ogni qual volta si presentava l'occasione di poter passare del tempo con loro, Adrien ne era ben felice.

«È sempre un piacere rivederti zia! Manuèl è con te?»

Zoe annuì, riferendo che il cugino lo stava aspettando con ansia nella sua stanza, e che gli avrebbe di sicuro fatto piacere fare una visita della città quando ne avesse avuto il tempo.

Adrien accettò con piacere, e senza farselo ripetere due volte corse nella sua stanza, la stanchezza con cui era tornato si era dissolta nel nulla.

Guardando il nipote correre via e richiudersi la porta alle spalle, Zoe non poteva fare a meno di sorridere nostalgica, pensando quanto quel ragazzo le ricordasse la sua amata sorella.

«Ha il suo stesso sorriso.»

Gabriel l'affiancò, e si ritrovò ad annuire con le parole della cognata.

«Sai qual è la cosa buffa? Che di quel giorno... non ricordo assolutamente nulla.» le veniva da ridere, pensando a come il giorno in cui la sua vita e quella i Gabriel erano andate a rotoli non fosse che un'accozzaglia di immagine offuscate e confuse.

C'era stato un grave incidente dicevano, eppure lei non ricordava assolutamente che tipo di incidente fosse. Sapeva soltanto che le aveva portato via tutto ciò che amava...

«Come sta Beltran?»

Zoe sussultò. Si voltò con lentezza verso Gabriel, sorridendo malinconica, quasi come se ci fosse davvero bisogno di parlare di quello benchè già sapesse.

«Nessun cambiamento, niente da quasi tredici anni Gabirel. Che razza d'incidente può averlo ridotto così?» prese un profondo respiro e si calmò.«Ce l'hanno fatto trasferire qui a Parigi, dicono che qui ci sono alcuni dottori interessati al suo caso.»

Gabriel le cinse una spalla con affetto, assicurandole che di qualunque cosa avesse bisogno non avrebbe dovuto esitare a chiedere aiuto. Ci si doveva sempre aiutare, in famiglia. Zoe gli sorrise.
«Ti ringrazio Gabriel. L'unica cosa che ti chiedo è di badare a Manuèl, è un ragazzo gentile, ma ne ha passate talmente tante che ho paura un giorno possa cedere.»

Suo figlio, il suo preziosissimo unico figlio era tutto ciò che le rimaneva ormai. Per anni l'aveva caricato di responsabilità cui un bambino non avrebbe mai dovuto trovarsi davanti, e benché avesse cercato di dargli una vita quantomeno normale, sentiva di aver fallito su tutti i fronti come madre.

D'improvviso, con la spalla di Gabriel su cui piangere, tutta l'energia caratteristica di Zoe sembrò crollare. Lui la capiva almeno un po', perché le loro situazioni non erano poi così diverse.

«Lo farò, non preoccuparti.» e per la prima volta dopo anni, Zoe Ramos pianse.


 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


N.d.A- ... io onestamente non ho neanche più le forze di trovare scuse xD ormai dovreste essere abituati, purtroppo nonostante tutte le mie belle parole faccio fatichissima a star dietro a tutto xD 
Anyway capitolo ricco stavolta, spero vi possa piacere u.u
Bacione a tutti e alla prossima!

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Fil Rouge


Livre 1

~ Destin Maudit~

  

Volando tra un tetto e l'altro dell'illuminata capitale francese, Ladybug continuava a ripensare ai racconti del maestro Fu, sulle cose che aveva visto, le azioni che aveva compiuto, dei compagni che aveva perduto.

Fu aveva vissuto due, forse tre, generazioni di portatori, e lui era l'unico che ancora conservasse la memoria delle avventure che avevano vissuto. In molti casi, specialmente quello della prima generazione a cui era appartenuto, dei portatori non restava null'altro che un ricordo.

«Il Miraculous della tartaruga è vita e conoscenza.» le aveva spiegato.«Ma è anche solitudine e sofferenza. Non tutti sono in grado di sopportarla.»

Il Kwami della tartaruga poteva allungare la vita, donare conoscenza e saggezza a chi ne fosse il portatore, con la triste conseguenza che, presto o tardi, i propri cari avrebbero lasciato solo il possessore del gioiello, costretto a vagare tra le epoche senza le persone a lui care.

E se anche qualcuno fosse rimasto, una volta lasciato il Miraculous, ogni ricordo ad esso legato si sarebbe distorto, pian piano cancellato dalle menti di coloro che un tempo ne erano stati i portatori. E toccava proprio a Fu e Wayzz l'ingrato compito.

Un triste destino, pensò Ladybug, raggiungendo la Tour Eiffel e fermandosi ad osservare la sua bella città con un peso soffocante sullo stomaco, un fato che nessun altro al posto loro sarebbe stato in grado di sostenere. Lei no di certo.

Era bellissima Parigi di notte, illuminata dalle luci dei negozi e delle strade, che quella sera avrebbero animato la città fino a tarda notte. Una serata tranquilla come lo erano state le ultime tre, e sperò che quel periodo di pace durasse quanto più possibile.

«Bonsoir my Lady.» s'irrigidì appena quando la voce di Chat Noir le arrivò come un soffio alle orecchie, ma cercò di mantenere la sua apparente professionalità.

“Ricorda, per te esiste solo Adrien! Adrien!” fu il mantra che si promise di non dimenticare.

«Cosa fai qui Chat Noir? Non è il mio turno stasera?» gli sorrise, perché dopotutto i dubbi che l'assillavano non erano colpa sua. Non volontariamente certo, ma anche quel gattaccio nero si stava rivelando un pericolo alla sua sanità mentale.

Come se già la situazione non fosse complicata abbastanza, doveva proprio diventare così attraente ogni giorno di più?! Perchè non poteva restare il solito micio pasticcione con un problema di egocentrismo?!

Chat Noir scosse le spalle, sedendosi al suo fianco e ciondolando le gambe sul vuoto. Probabilmente senza addosso il costume avrebbe avuto paura, ma nelle vesti di eroe non c'era nulla di meglio che ammirare Parigi dall'alto della sua torre più famosa.

«Ah, nulla di che my lady, sai come sono i gatti no? Sempre in giro a combinare gattastrofi.» rise, ma c'era qualcosa nella sua risata che non convinse per nulla Ladybug. Preferì però non indagare.

Chat Noir le si sedette accanto, ammirando più che la vista spettacolare sulla città il profilo della sua Lady, l'unica cosa davvero in grado di mozzargli il fiato. Era davvero bellissima, ed in quel momento avrebbe donato una qualsiasi delle sue nove vite per sapere chi si nascondeva dietro quella maschera.

Ladybug non lo guardava, non diceva nulla, semplicemente se ne stava ferma a fissare Parigi, persa in pensieri di cui Chat Noir non sapeva nulla. Avrebbe voluto confortarla, esserle d'aiuto, ma non sapeva davvero come fare.

Quando una leggera pressione alla spalla lo colpì, l'eroe si pietrificò sul posto, gelato, emozionato, mentre il capo della sua dolce Lady poggiava comodo su di lui. Se esisteva davvero una qualche divinità nell'universo, Chat Noir la stava silenziosamente ringraziando decine e decine di volte.

Era tutto così tremendamente... romantico e suggestivo! Loro due soli, seduti al terzo piano della torre, con le luci della città a rischiarare loro la via. Istintivamente e, forse, per speranza, Chat poggiò a sua volta il capo su quello della sua lady e non si mosse, forse terrorizzato dall'idea che anche il minimo movimento potesse spingerla ad alzarsi ed interrompere così quel magico momento.

«Tra poco non saremo più solo noi due... è un po' triste devo dire.»

La guardò storto, confuso, poi le guance gli si infiammarono. Non voleva dire... no, era impossibile. Aveva soltanto 14, quasi 15, anni! Lui non poteva... però le parole di Ladybug... ma non si erano mai nemmeno baciati!

«M-My Lady... n-non vorrai dire...»

Un biglietto gli sventolò sotto al naso, nel momento in cui lo prese tra le dita Ladybug si alzò, armandosi del suo fidato yo-yo, pronta a lanciarsi di nuovo tra i cieli di Parigi.

Chat Noir guardò il foglio di carta che stringeva tra le mani. In corsivo, con una calligrafia elegante e pulita che gli sembrava vagamente famigliare, c'era scritto un indirizzo che non conosceva.

«Vai da quella persona. Avrai tutte le risposte che cerchi.» lanciò lo yo-yo, che con precisione si arrotolò ad una sporgenza decorativa non troppo sotto di loro.«Buonanotte mon minou.» e con uno slancio, l'eroina sparì nelle tenebre.

Chat Noir la seguì con lo sguardo fin quando la figura della sua lady non sparì tra tenebre talmente profonde che nemmeno il suo sguardo felino potevano esplorare. Guardò ancora il biglietto, poi di nuovo il nulla in cui Ladybug era sparita, ancora nella mente le parole di lei.

“Tra poco non saremo più solo noi due.”

Parole strane, quasi tristi e che per lui non avevano alcun chiaro significato, un mistero che da solo non avrebbe mai saputo risolvere.

L'unico modo per avere delle risposte, era recarsi dove la sua lady l'aveva mandato, fiducioso ed ora anche un po' curioso.

 

***

 

«E poi, Chat Noir mi ha presa al volo come una principessa!»

Quando Ameliè parlava di cucina, della sua passione di mettersi ai fornelli e del suo sogno di diventare una chef stellata, gli occhi le si illuminavano come diamanti. La timidezza sembrava sparire, sostituita dalla voglia impellente di condividere con qualcuno le sue emozioni.

Da due settimane a quella parte, Lila aveva notato che la cucina non era più l'unico argomento in grado di scacciare la timidezza di Ameliè. Quando descriveva l'esatto momento in cui Chat Noir l'aveva salvata, un leggero rossore le imporporava le guance, ed inconsciamente iniziava a straparlare di lui, di quanto fosse bello, di quanto fosse coraggioso e leale. Tutto questo, a Lila, faceva venire soltanto il voltastomaco.

Non era tipo da smancerie, era più propensa alla passione lei, ancor di meno se i protagonisti di tale argomento erano Ladybug e Chat Noir. Nonostante tutto, ancora non era riuscita a perdonarli per ciò che era accaduto mesi addietro... o forse non riusciva a perdonare sé stesso per quanto aveva fatto.

«Certo che quando parla del micione, la ragazza ha la lingua lunga, neh?»

Lila s'irrigidì, prestando la minima attenzione ai discorsi trasognati di Ameliè e lanciando un'occhiataccia all'interno della propria borsa, dove una piccola volpe dai furbi occhioni color miele osservava divertita la sua nuova portatrice.

«Fa silenzio, potrebbe sentirti!» sussurrò Lila, vagamente alterata.

Veeke ghignò, agitando la folta codina con movimenti che alla sua partner umana risultavano provocatori e stizziti.

«Come se potesse, è troppo impegnata a fantasticare sul suo bell'eroe in calzamaglia nera. Oh be, per lo meno ha un bel primo piano del suo fondo schiena.»

Lila sospirò, richiudendo la borsa ed ignorando il Kwami al suo interno. Perché non l'aveva lasciato a casa, ancora non lo capiva.

Sorseggiò con nervosismo il suo adorato frappuccino al caramello, mentre il profumo del Thai Siam affianco le inondava le narici, ricordandole che non mancava poi molto all'ora di pranzo. Ponderò di chiedere ad Ameliè di pranzare assieme, magari proprio nel ristorante affianco, o magari in qualche locale italiano nel quale avrebbero potuto parlare di cucina assieme. Non era un asso, ma almeno quella del proprio paese la conosceva abbastanza.

Mentre beveva, lo sguardo le cadde d'istinto sulla collana, così simile al falso che aveva trovato in casa per caso, e se lo rigirò tra le dita per qualche secondo, ripensando al momento in cui aveva deciso di indossarlo.


 

Non c'era un solo muscolo del suo corpo convinto di star facendo la scelta giusta. Un'insistente vocina nella testa gridava di fermarsi, che se avesse aperto la scatola, tutto sarebbe finito per sempre, addio riposo, addio giorni di pace, addio tutto.

Eppure Lila non si lasciò fermare da niente di tutto questo. Dopo che Ameliè le aveva raccontato dell'Akuma che l'aveva attaccata, la giovane aveva preso una decisione difficile e sofferta, ma che valeva la pena affrontare per tenere la sua amica al sicuro.

Essere la gemella di Chloè Bourgeois non doveva essere facile, ancor meno se la presunta sorella era la causa della maggior parte di akumatizzati girovaghi per Parigi. E se hai la stessa faccia della persona più insopportabile della città, i guai sono sempre dietro l'angolo.

Non lo stava facendo per Fu, né per Ladybug o per chiunque altro. Lo stava facendo per Ameliè, lei soltanto, per l'unica ragione che poteva spingerla a combattere.

«Coraggio Lila, è solo una scatola!» e dandosi coraggio finalmente l'aveva aperta.

C'era una collana molto simile alla copia da lei trovata per impressionare Adrien, soltanto che questa, ragionò Lila, doveva essere l'originale, l'oggetto dotato di poteri che aveva visto in quel maledetto libro.

Indossandolo, si era poi guardata allo specchio e... niente. Nulla di nulla, era rimasto tutto perfettamente e noiosamente uguale.

«Prova un po' a guardarti attorno tesoro, neh?»

Per poco, Lila non urlò. Svolazzando ad un metro da terra, agitando una lunga coda pelosa, davanti a lei la stava fissando un... un... che diavolo era quello? Senza dargli tempo di prepararsi, Lila lo afferrò per la calotta, scrutandolo da vicino con attenzione.

«E tu saresti...?»

«Un Kwami ovviamente.»

Lila inarcò un sopracciglio.« Ma ovviamente! Come ho fatto a non capirlo subito? Sai, incrocio piccoli esseri volanti di dubbia provenienza tutti i giorni mentre vado a comprare il mio frappuccino dallo Starbucks giù nella via! Scusami, come ho potuto dimenticare cosa cavolo sia un kwami?»

Vide l'esserino osservarla curioso, per poi aprirsi in un ghigno compiaciuto. «Tu ed io andremo molto d'accordo.»

Per qualche ragione lo credeva anche lei. Liberò il piccolo Kwami dalla presa, che sistemandosi il pelo rossiccio finalmente si presentò.

«Io sono Veeke, Kwami Volpe della Musica! Piacere di conoscerti... ehm...?»

«Lila, Lila Rossi. Piacere mio.»

E quello era stato il loro primo incontro.

 

 

Lila non avrebbe mai voluto ammettere la sintonia che lei e Veeke condividevano, eppure, per qualche inspiegabile ragione, lei ed il Kwami sembravano partner perfetti. Benché a volte si rivelasse piuttosto fastidioso, in quei pochi giorni insieme aveva avuto modo di scoprire che avevano in comune più cose di quanto non sembrasse.

Eccetto l'assurdo amore di Veeke per le carote.

«Lila, mi stai ascoltando?»

Sobbalzò, ritrovando il viso incerto di Ameliè a pochi centimetri dal suo, che la guardava preoccupata. Istintivamente, Lila era arretrata di un passo.

«E-Eh?» si era quasi dimenticata di non essere in camera, sola, e di star invece facendo shopping con la sua amica.

Nemmeno il tempo di sbattere le palpebre, che gli occhi di Ameliè erano già umidi e prossimi alle lacrime.

«L-Lo sapevo... t-ti sto annoiando!» Lila sospirò. Eccola che ricominciava.«S-Stavo straparlando vero?! T-Ti ho dato fastidio vero?! Weeeeee non odiarmi Lila per favore!»

Le veniva quasi da sorridere ogni qual volta ricominciava con una delle sue scenate. La trovava tenere in qualche modo, e a dispetto di tutto non le dava affatto fastidio.

Si allungò sul tavolino abbastanza per poterle accarezzare il capo, così come avrebbe fatto con una bambina, sorridendole come soltanto lei era capace di fare.

«Calmati Ameliè, non ti odio affatto.» allungandole un tovagliolo, tornò a sedersi composta, abbassando lo sguardo ed esitando per alcuni secondi.«Stavo soltanto... pensando.»

Ameliè si asciugò il viso, soffiò il naso, e con ancora i singulti del pianto, guardò preoccupata la sua amica.

«A-A cosa stavi pensando?»

Ci pensò se dirglielo o meno, ma alla fine cedette. Con un sospiro, la guardò dritta negli occhi e la rese partecipe dei suoi pensieri.

«Sto pensando di tornare a scuola.»

Ci vollero diversi secondi, prima che Ameliè realizzasse quello che le era appena stato detto.

Quando finalmente capì, si coprì la bocca con entrambe le mani, gli occhi di nuovo luccicanti e prossimi alle lacrime.

«D-Davvero?! S-Sono coshi felisheeee!» e di nuovo pianse.

Lila sorrise, tenendosi il mento con una mano, l'altra stretta alla borsetta in cui Veeke continuava a borbottare.

«Ma possibile che questa ragazzina pianga per tutto? Per tutte le carote, mi romperà i timpani, neh!»

Un grido le costrinse a voltarsi, appena in tempo per vedere l'arco di trionfo crollare a causa di un gigante. La folla correva disperata in ogni direzione, cercando di salvarsi dal gigante che con un solo passo poteva schiacciarli tutti quanti.

«Presto fuggite tutti!»

Lila s'irrigidì. Quella voce... avrebbe riconosciuto quella voce dovunque, e non era sicura di poterla affrontare, non ancora.

Ladybug e Chat Noir atterrarono di fronte al locale La Flamme, un incrocio più avanti di loro, ma comunque troppo vicini perché Lila potesse essere tranquilla. Alla fine aveva ragione, non era ancora pronta per potersi avvicinare a loro, figurarsi combattere assieme.

«L-Lila, dobbiamo andare!»

La voce di Ameliè la riscosse. Guardò l'amica negli occhi, la stava implorando di fuggire assieme, mettersi al riparo, e forse avrebbe dovuto darle retta.

Sbirciò nella borsa, trovando lo sguardo dorato di Veeke che la osservava, chiedendole implicitamente cosa volesse fare. “Non hai nessun obbligo, fai ciò che vuoi”, fu grata di leggervi anche questo messaggio, perché sembrava che lui comprendesse i suoi timori, le paure e le incertezze.

Corse via con la mano di Ameliè stretta tra le dita, cercando il luogo più sicuro in cui mettersi al riparo da quel gigante impazzito.

«Nessuno mi chiamerà più nano! Ladybug, Chat Noir, consegnatemi i vostri Miraculous! Diventerò l'uomo più grande e alto di sempre!» lo sentì urlare, ma non si voltò a guardarlo.

«N-Non ce la faccio più!» ansimò Ameliè, ormai allo stremo delle forze.

Non potevano fermarsi, non in quel momento, al centro della ressa, dove sarebbero state travolte dagli altri cittadini in fuga.

«Resisti Ameliè!» doveva trovare un punto sicuro in cui portarla, lontano dalla folla e da quel mostro, almeno fino a quando Ladybug e Chat Noir non avessero trovato il modo di calmarlo e de-akumatizzarlo.

Le era bastata un'occhiata per capire che quel gigante doveva essere in realtà un bambino, probabilmente punto nel vivo a causa dei suoi complessi per l'altezza. L'akuma, d'altra parte, doveva trovarsi all'interno del bracciale dal quale sparava raggi luminosi che trasformavano tutti in bambini.

Come potevano quei due non esserci ancora arrivati? E soprattutto, se anche avessero già capito, perché non riuscivano a sconfiggerlo?!

Con la coda dell'occhio, mentre anche lei sentiva il fiato mancarle ed i polmoni bruciare, adocchiò l'entrata di un palazzo, proprio accanto al negozio di Antony Garçon, sembrava il posto perfetto in cui nascondersi per riprendere fiato.

«Per di qua!»

Strattonando Ameliè, forzando un po' contro la marea in fuga, Lila fu in grado di raggiungere il luogo sicuro, dove l'amica si accasciò al suolo, esausta e spaventata. Stringendo i pugni, si diede della vigliacca da sola, perché se avesse agito fin dal principio, la vita di Ameliè non sarebbe stata in pericolo.

Con uno sguardo più determinato che mai, Lila prese finalmente la sua decisione.

Sbirciò oltre il muro, il gigante non troppo lontano tentava di colpire i due eroi, che però sembravano troppo agili e veloci per lui. Nonostante questo però, l'akumatizzato si muoveva troppo, frenetico, rendendo impossibile anche solo pensare di avvicinarglisi. Stando a quello che gli aveva raccontato Veeke, forse lei poteva fare al caso loro.

Si avvicinò ad Ameliè e la prese per le spalle, guardandola seria come non aveva mai fatto prima.«Vado a cercare un posto sicuro in cui nasconderci, qui siamo troppo scoperte. Tu aspettami qui, tornerò presto.»

«C-Cosa?! M-Ma è pericoloso!»

L'afferrò per le braccia, in un disperato tentativo di fermarla, impedirle di fare una pazzia del genere. Ma il sorriso di Lila le fece capire che ormai era già deciso.

«Non preoccuparti, tornerò presto.» detto questo si rigettò nella mischia, con la voce di Ameliè nelle orecchie che gridava il suo nome.

S'infilò non troppo lontano, nell'ingresso di un altro complesso di appartamenti, lasciando che Veeke uscisse finalmente dalla borsa.

«Allora hai finalmente deciso, neh?»

«Devo proteggere Ameliè... farò tutto ciò che è necessario per tenera al sicuro!»

Veeke la guardò con attenzione. Tremava, evidentemente spaventata, eppure non leggeva alcuna ombra d'incertezza nel suo sguardo. Sorrise, quella ragazza diventava sempre più interessante.

«Veeke, trasformami!»

Ed avvolta dalla calda luce della trasformazione, Lila finalmente abbracciò il suo destino.

 

***

 

Appena approdato dal Tibet, dopo aver fatto una capatina ad Hong Kong per rassicurare i genitori, Wen era finalmente pronto per iniziare la sua nuova vita nella capitale francese. Davanti alla porta di quello che era sempre stato il suo modello di vita, ora Wen esitava per la prima volta in giorni di euforia.

«Non è da te esitare, di solito sei molto più diretto.» Wayzz gli parlò all'orecchio, nascosto sotto il cappuccio della felpa che Wen non aveva mai tolto sin a quando era approdato in città.

«Non sto esitando... sono solo emozionato.» a dispetto delle origini, Wen parlava fluentemente quattro lingue, poiché si era preparato tutta la vita per poter partire ed arrivare lì dove si trovava ora.

Aveva soltanto sedici anni e stava per realizzare il sogno della sua vita... era normale fosse emozionato!

Prendendo un profondo respiro, armandosi di quel sorriso che era la sua arma contro il mondo, infine Wen bussò. Quando la porta si aprì, ogni incertezza svanì nel nulla, l'emozione e l'euforia s'impadronirono di lui, ed in uno slancio sollevò da terra il vecchietto, intrappolandolo in un abbraccio.

«Che bello rivederti nonno Fu!»

Colto alla sprovvista, per poco al vecchio maestro non si spezzò la schiena per la violenza con cui era stato abbracciato.

«Anche io sono contento di rivederti Wen... ma per l'amor degli Dei, mettimi giù!»

Mollando la presa e rimettendo il nonno a terra, Wen si scusò più e più volte, abbassandosi il cappuccio e lasciando libera visuale sui suoi capelli, rasati ai lati, con il ciuffo completamente verde. Benchè nella famiglia l'avessero tutti rimproverato per quella scelta, Fu pensò gli donasse quel taglio particolare, era molto da lui.

«Prima o poi farai male a qualcuno con quei tuoi abbracci ragazzo... cerca di controllarti.»

Wen si grattò la testa, ridendo imbarazzato, mentre Wayzz era volato fuori dal suo nascondiglio, scuotendo il capo esasperato dal comportamento infantile e spregiudicato del suo nuovo partner.

Fu incrociò lo sguardo del piccolo Kwami e gli sorrise.«Come va con il nuovo portatore, Wayzz?»

«È chiassoso, fa sempre come gli pare e non riflette abbastanza. Sembra di star dietro ad un bambino troppo cresciuto.»

L'anziano maestro sorrise di nuovo.«Mi fa piacere che andiate molto d'accordo.»

Wayzz stava per ribattere, ma Wen non glielo permise.«Assolutamente si! Adoro Wayzz, mi ha insegnato un sacco di cose da quando l'hai mandato da me! Insieme siamo una squadra perfetta!»

Era felice di sentirlo, sapeva che affidare il Miraculous della tartaruga a suo nipote era stata la scelta giusta, poiché Wen aveva il cuore e la mente puri ed incontaminati. Era genuino, autentico, a volte ingenuo ma mai stupido, e a dispetto di ciò che la vita gli aveva riservato, sapeva guardare al futuro con gioia ed ottimismo. Nessuno era più adatto di lui a tenere tra le mani il Miraculous della vita e conoscenza.

«Sarete stanchi dopo il lungo viaggio, forza entrate, stavo giusto preparando il pranzo.»

Mentre richiudeva la porta alle spalle del nipote, Fu scorse qualcosa in lontananza, dall'altra parte della città, e bastò uno sguardo a Wayzz per capire che anche Volpina era finalmente entrata in azione. Non disse nulla, ma un sorriso compiaciuto gli addolcì il volto.

 


 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


N.d.A- E si va con la prima battaglia di Volpina! Spero che il capitolo vi aggradi, personalmente sono soddisfatta di come stanno venendo, anche se la forma può sempre miglirare u.u
Enjoy the reading e a presto!

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Livre 1

~ Destin Maudit~

  

Era incredibilmente forte quel gigante, benchè sotto di esso non vi fosse altro che l'animo ferito di un bambino. Papillon ormai non si faceva più scrupoli ad akumaizzare chiunque, facendo leva su debolezze e dolori delle persone.

Ladybug si trovava per la prima volta in seria difficoltà, mentre l'evidente aumento di forza dei nemici portava sempre più alla luce i timori di Fu: qualcosa stava cambiando, e loro due non potevano più affrontarla da soli.

«Fa attenzione Chat!» gridò l'eroina, mentre schivava con eleganza l'ennesimo tentativo di Gyganthik di calpestarla. Chat, poo lontano da lei fece lo stesso quando l'enorme bambino gli scagliò contro il suo raggio restringente.

«Volete stare fermi?! Non riesco a colpirvi altrimenti!»

Chat atterrò su di un tetto, abbastanza vicino per poter rispondere a tono al bambino.«Certo, perché è sempre stato il mio sogno tornare ad essere un moccioso che puzza di latte e pannolini, chissà come mai non mi sono ancora fermato per farmi rimpicciolire?»

Anche se la prospettiva di tornare bambino farsi accudire dalla sua Lady lo allettava davvero. Conoscendola però, probabilmente avrebbe solo finito per essere nuovamente sgridato per l'imprudenza, e farla preoccupare era certo l'ultima cosa che voleva.

«Dobbiamo togliergli il bracciale, sono sicura che l'Akuma sia lì!» più facile a dirsi che a farsi però, quel gigante si muoveva troppo anche solo per pensare di avvicinarsi, e lo faceva senza una logica decifrabile, come qualsiasi bambino che arrabbiato faceva i capricci per ottenere quel che voleva.

Se soltanto fossero riusciti a calmarlo per pochi istanti...

D'improvviso il bambino si bloccò. Fissava con insistenza gli alberi del viale, con un rivolo di bava che gli calava dalla bocca, quasi fossero stati appetitosi dolcetti pronti da gustare.

«C-Caramelle... buone...»

Chat Noir alzò un cipiglio confuso. Ma cosa...?

«Si può sapere che diavolo state combinando?»

Ladybug gelò. Il tempo sembrò fermarsi, i suoni assopirsi in un pesante silenzio nel quale riusciva a sentire soltanto il frenetico battito del suo cuore. Tutto sembrò concentrarsi in quel momento, mentre alzava lo sguardo sul lampione accanto a lei e scorgeva l'ombra di qualcuno che non credeva avrebbe rivisto.

Era diversa in un qualche modo. I capelli castani, quasi rossi, dalle punte bianche erano racchiusi in una coda alta, con due ciocche a circondarle il viso spigoloso ma delicato. La tuta del costume era legermente diversa da come la ricordava, senza però farsi mancare le orecchie rosse e la vaporosa coda dalla punta bianca. Il bastone magico, capace di trasformarsi in un pratico flauto, sembrava in qualche modo diverso, più buono avrebbe osato dire, coperto di uno strato dorato che lo faceva scintillare al sole. Nel complesso, benchè sembrasse in qualche modo diversa da come la ricordava, Ladybug potè certamente confermare che quella che si trovava davanti era senza alcun dubbio Volpina.

Chat affiancò la sua sconvolta Lady con altrettanta preoccupazione nel viso, come se già un dannato akuma gigante non fosse abbastanza, avere a che fare anche con la maestra delle illusioni poteva rivelarsi una bella gatta da pelare. E lui non ci teneva a perdere il proprio pelo.

«V-Volpina...?» con la voce tremante, fu tutto ciò che riuscì ad uscire dalle labbra di Ladybug, sconvolta, sconcertata, preoccupata. E forse anche colpevole.

Con un balzo felino, la nuova eroina affiancò i due probabili compagni, ondeggiando lentamente la coda con fare quasi elegante e sensuale. «Non esattamente. Quello è il nome della precedente me, che poi è stato rubato da un'akumatizzata. Per ora però, credo che possiate continuare a chiamarmi così.»

Volpina li sorpassò, decisa ad affrontare l'akuma che era ancora preda della sua illusione, ma che sapeva sarebbe svanita piuttosto in fretta, innervosendo ancora di più il pargolo gigante.

«Avete un piano per batterlo?»

Ladybug si riscosse, insicura su come trattare con questa nuova eroina di cui non sapeva nulla, preoccupata che potesse trattarsi di nuovo di un inganno. Poteva fidarsi? Nemmeno il suo istinto sapeva come rispondere a quella domanda.

«Ti aspetti davvero che ti crediamo? Ci siamo già cascati una volta, non ricapiterà di nuovo! Chi ci dice che quel bambinone non sia opera tua e che non sia tu il vero akuma?» fu Chat Noir a dar voce a tutti i dubbi che frullavano nella mente di Ladybug, fronteggiando la nuova Volpina ad una distanza che le parve sin troppo ravvicinata.

Volpina sorrise maliziosa, passandosi con fare seducente la lingua sulle labbra colorate da un rossetto scuro.«Micione, come ho già spiegato “Volpina” era il nome della precedente portatrice, rubato poi da una ragazzina che deve averlo letto da qualche parte. Io non sono lei, altrimenti come potrei sapere dei Kwami?»

Ladybug sobbalzò. Nel libro non vi era parola che potesse riportare ai Kwami, da quel che Fu aveva tradotto, tutto ciò a cui si faceva menzione era la possibilità di potenziare i Miraculous utilizzando formule segrete. Quindi forse questa Volpina non stava poi mentendo.

Anche Chat sembrò tentennare, senza però distogliere lo sguardo di sfida da quello della volpe.

«Ok ti credo.» fu Ladybug a parlare per prima.«Non sono ancora sicura di potermi fidare di te, ma abbiamo bisogno di una mano, quindi collaboreremo per stavolta.»

Volpina sorrise.«Ottimo. Quindi il piano?»

Chat non sembrava convinto, ma dovette concordare con la sua Lady sul bisogno di aiuto. Sconfiggere quell'akuma da soli non sembrava un'opzione fattibile.

«Dobbiamo cercare di tenerlo buono il tempo sufficente perché Chat Noir possa usare il suo Cataclysma sul bracciale, così da liberare l'akuma e purificarlo.»

Ladybug mostò alla nuova alleata i due paia di tappi per le orecchie che le aveva fornito il Lucky Charm evocato poco prima, di cui però non riusciva ad intuirne l'utilità. Come al solito, il suo potere era un mistero perfino per lei.

In quel momento l'illusione sembrò svanire, rendendo cosciente Gyganthik di non avere tra i denti un dolcetto allo zucchero, bensì una più sana chioma d'albero. Urlò infuriato, rotolandosi a terra e fulminando con odio i tre eroi.

«Me la pagherete per questo scherzetto!» tornò alla carica, dimenandosi anche più di prima.

«Non è che avresti una qualche illusione per farlo tornare buono? Mi sono rimaste poche vite a disposizione!» esclamò Chat impanicato.

Volpina sorrise, battendo a terra il bastone che si restrinse, fino ad assumere le sembianze di un flauto traverso.«Ho qualcosa di meglio, ma vi consiglio di tapparvi le orecchie.» saltò di nuovo sul lampione, mentre a lunghi passi Gyganthik stava per raggiungerla.

Mentre questo allungava una mano per afferrarla, Volpina si portò il flauto alla bocca, iniziando a suonare una dolce melodia che bloccò l'avanzata del gigante.

«Doux Sommeil: Lullaby» una dolce melodia si diffuse per tutta l'area circostante, calmando perfino il panico dei passanti che ancora erano nei paraggi, accalcandosi gli uni a ridosso degli altri in cerca di una via d'uscita sicura e lontana dall'akuma.

Tutto il caos si placò al dolce suono della musica di Volpina, che cullava al dolce sonno come la più serafica delle ninnananne. Gyganthik sembrava sul punto di addormentarsi, così come chiunque riuscisse ad acoltare la musica prodotta dal flauto.

Ladybug ne rimase impressionata. I tappi per le orecchie stavano funzionando, ed era stato come se il potere del Lucky Charm avesse saputo sin da subito che questa nuova eroina sarebbe comparsa ad aiutarli.

Finalmente, fermare l'akuma fu semplice. Chat Noir riuscì ad usare il suo Cataclysma sul bracciale, liberando l'akuma che fu poi purificato dal magico yoyo di Ladybug. Lanciando per aria i tappi per le orecchie, la magia del Miraculous riportò alla normalità i danni causati dal gigante, dando così la possibilità a Ladybug e Chat Noir di concludere il lavoro con il loro solito scambio di pugni.

Volpina, sopra il lampione ebbe una vertigine. Perse l'equilibrio e cadde, maledicendosi per essere stata così imprudente da usare una melodia tanto potente dopo soltanto la prima trasformazione, nonostante le avvertenze che il suo Kwami le aveva dato. Se Ladybug e Chat Noir non l'avesse presa al volo, probabilmente sarebbe schiantata al suolo.

«Chi l'avrebbe detto che una melodia potesse rivelarsi così potente.» commentò sorridendo Chat Noir, incredibilmente più fiducioso e positivo nei confronti della nuova arrivata.

«Ha ragione. Senza di te non avremmo vinto stavolta, ti siamo davvero grati.»

Quando fu di nuovo stabile sulle proprie gambe, Volpina si staccò dai due eroi con freddezza, dando loro le spalle e allontanandosi prima che la trasformazione giungesse al termine.«Non fraintendetemi, non l'ho fatto per voi. Ad essere onesta, non volevo nemmeno accettarlo il Miraculous.»

Ripensò alle insistenze di Fu, alle resistenze che aveva fatto, alle promesse che si era fatta ma che erano tutte crollate nel momento in cui una persona a lei cara era stata messa in pericolo. Non lottava per Parigi, non era così nobile come potevano invece esserlo Ladybug e Chat Noir, tutto ciò che faceva era per il semplice egoismo di salvaguardare l'unica persona per lei davvero importante.

«L'unico motivo per cui sono venuta in vostro aiuto era per proteggere una persona a me cara, nulla di più. Non m'interessa la sopravvivenza di Parigi o la sconfitta di Papillon, tutto ciò che voglio è proteggere quella persona.» si girò a guardarli, sorridendo maliziosa.«Le volpi non sono certo note per la loro bontà d'animo, cercate di non abituarvi troppo alla mia presenza.»

Si preparò alle urla isteriche di Ladybug, alle pesanti critiche che le avrebbe rivolto per il suo egoismo, ad una ramanzina comprendente tutti i punti di responsabilità che comprendevano la vita ed i doveri di un eroe. Invece ciò che trovò fu un sorriso sincero e puro, di quelli capaci di scaldarti il cuore e l'animo, un sorriso di cui Volpina aveva estremamente bisogno.

«Capisco, rispetto questa tua scelta. Sai, non ero certa di potermi fidare di te, forse ero anche spaventata di poterti ferire, di commettere gli stessi errori che ho commesso con la ragazza akumatizzata l'ultima volta che ho sentito parlare di “Volpina”.» le sembrò di leggere tristezza e rammarico nel suo tono, ma non disse nulla.«Però sento che in fondo sei una brava persona. Se mai vorrai unirti al team, ne sarei felice.»

Il cuore di Volpina perse un battito. Forse, a dispetto di quel credeva, non era stata l'unica a soffrire tutti quei mesi per quello che era successo nei suoi primi giorni in Francia.

«E se ti dicessi che è stata proprio Ladybug a sceglierti?»

All'improvviso, le parole di Fu le parvero avere un senso.

«Chi lo sa, ci vediamo.» e in pochi balzi, sparì tra i tetti di Parigi.


***
 

Quando fu sicura di essere abbastanza lontana, Volpina si detrasformò.

«Veeke, detrasformami.»

Il piccolo Kwami crollò tra le mani della sua portatrice, che a sua volta crollò sulle proprie ginocchia, stanca, sfinita, preda dei dolori post-euforia che l'avevano tenuta in piedi fino a quel momento.

«Vedo la luce... dea delle carote sei tu? Sto per arrivare nel tuo paradiso di radici arancioni e gustose...neh...»

Lila alzò un sopracciglio, non sapendo se ridere o se semplicemente prendere il suo Kwami per un semplice malato di carote. Optò per la seconda opzione.

«Cerca di restare tra i vivi ancora per un po', tieni.»

Prima di incontrarsi con Ameliè aveva compato alcune carote sneck, di quelle piccole, rinchiuse in un sacchetto di plastica. Alla sola vista, Veeke tornò alla vita.

«Dolcezza, sei appena diventata la mia Dea carota! Ti adoro neh!»

Non ci teneva particolarmente, ma era troppo stanca per iniziare un dibattito col suo Kwami sul non nominarla Dea carota senza il suo permesso. L'aveva avvertita che la prima trasformazione l'avrebbe drenata di parecchia energia, ma non credeva fino a questo punto.

Ripensò alla battaglia appena trascorsa, all'incrinatura nella voce di Ladybug mentre parlava dell'incidente con l'akumatizzata che era stata, dell'imrpovvisa sicurezza che l'aveva avvolta quando aveva sentito fiducia trapelare dall'eroina. All'improvviso non le sembrò più così imrpobabile perdonarla in futuro, quando fosse stata sicura della sincerità nelle sue parole.

«Uff, erano anni che non entravo in azione. Mi ci vorrebbe qualche drink e una bella pollastrella per rimettermi del tutto neh.»

Lila alzò un sorpacciglio. Il suo Kwami beveva? Ma cosa più importante, per pollastrelle intendeva delle donne o delle vere galline? Dopotutto era risaputo che le volpi amassero particolarmente bazzicare nei pollai. Decise di non indagare oltre, non avrebbe avuto la forza necessaria ad affrontare una conversazione tanto assurda con una creaturina dalle sembianze di volpe che si divertiva a chiacchierare con le chiocce.

«Niente drink e niente pollastre.» calcò maggiormente sul secondo punto.«Accontentati delle carote.»

Veeke scosse le spalle. “Sempre meglio di nulla”, fu quello che farfugliò con la bocca piena.

«Coraggio torniamo da Ameliè, starà sicuramente piangendo rannicchiata da qualche parte, preoccupata e spaventata.»

«Oppure si sarà nascosta dietro qualche albero per avere una vista migliore del fondoschiena del micione.»

«Possibile. Certo però che ti sei davvero fissato con le natiche di Chat Noir.»

«Vuoi forse biasimarmi? Quel ragazzo ha davvero un bel paio di glutei sotto quella tutina! Secondo me c'è un modello in quel costume.»

Lila rise e storse il naso, nascondendo Veeke nella borsa e incamminandosi verso il luogo in cui aveva lasciato Ameliè.

Inconsciamente, le labbra erano tirate in un sorriso felice, quasi come se i mesi bui che l'avevano tormantata fossero finalmente giunti alla fine.
 

***
 

Papillon sbattà furioso il bastone a terra, frustrato, contrariato, seccato dall'intera situazione che sembrava sempre rivolgersi a suo sfavore.

Come se due eroi non bastassero guastargli i piani, ora era comparsa anche la nuova portatrice della volpe. Non andava bene, non conoscendo le abilità e l'astuzia che quel Miraculous era capace di sprigionare nelle mani del giusto prescelto. Pregò che la nuova ragazza non ne scoprisse mai i veri poteri e le potenzialità, o nessuno dei suoi piani avrebbe più avuto possibilità di successo.

«Abbiamo sottovalutato troppo il Guardiano... ha dato i Miraculous rimanenti a nuovi eroi, questo potrebbe essere un problema.»

Non c'era bisogno che Le Paon rigirasse il dito nella piaga, lo vedeva da solo il gran casino in cui si stavano cacciando.

«Maledetto vecchio! Prima riesce ad impadronirsi del libro, ora questo! Se anche Ape e Tartaruga dovessero comparire... allora sarebbe tutto perduto!»

Le Paon sorrise, sventolando il ventaglio proprio sotto la bocca e sorridendo ferina, poggiando con delicatezza una mano sulla spalla di Papillon.

«Non ti preoccupare farfallina, lascia pure che il Guardiano richiami tutti gli eroi che vuole. Senza tutti i Miraculous, nemmeno lui potrà fermare quello che gli lanceremo contro.»

All'improvviso, Papillon si sentì meglio. Perché sapeva che Le Paon aveva ragione, che senza il potere ultimo dei sette Miraculous, nemmeno Creazione e Distruzione avrebbero mai potuto fermare ciò che insieme stavano creando. Ed un ghigno maliglio gli defermò il volto mascherato, mentre alle sua spalle Le Paon sorrideva, ammirando con soddisfazione, l'annerirsi del cuore migliore che avesse mai corrotto.

O no, nemmeno il Guardiano avrebbe mai potuto fermare ciò che lei stava preparando, la sua vittoria era ormai solo questione di tempo.


 


 

 

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Capitolo 10
*** Chapter 9 ***


N.d.A- Ed eccomi dopo settimane di attesa! Un capitolo ricco, spero sia valsa la pena aspettare così tanto!
Enjoy the reading e a presto!

Jeo 95 =3 (o ArhiShay)

 

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Fil Rouge


Livre 1

~ Destin Maudit~

  

«Non è ancora pronta la tua arma segreta?» ogni giorno, per una settimana intera, Papillon continuava ad insistere affinché Le Paon accelerasse i preparativi per il loro piano.

La comparsa della portatrice della volpe l'aveva turbato più di quanto non volesse dare a vedere, come se tutti i suoi piani fossero all'improvviso falliti ancor prima di iniziare. E nonostante le possibilità avute, ancora non aveva akumatizzato nessuno da quando Volpina aveva fatto la sua apparizione.

Stava diventando impaziente, e Le Paon sapeva che questo non avrebbe giocato a suo favore. Doveva essere paziente, e nel frattempo stancare i portatori abbastanza che al momento dell'attacco finale, non avrebbero saputo come reagire.

«Cerca di stare calma farfallina, la fretta è cattiva consigliera.»

Papillon ringhiò. Quella donna era comparsa dal nulla, disposta ad aiutarlo nei suoi piani senza apparentemente nulla in cambio se non la possibilità di distruggere i portatori. Non si fidava, c'era troppo in gioco affinché mirasse soltanto a distruggere alcuni ragazzini, ma finché poteva sfruttarla, a lui andava bene così.

«Perché non pensi ad akumatizzare qualcuno? Se ci sono altri portatori in giro è meglio scoprirlo subito no? E quale modo migliore se non mettere in pericolo Parigi?»

Anche quello era vero. Dubitava che il Guardiano si fosse limitato ad affidare il Miraculous della volpe, quindi doveva per forza aver scelto altri due ragazzi a cui affidare il compito. Era tipico di lui dopotutto, prendere dei ragazzini a cui affidare il destino dei mondi e lanciarli in pasto al pericolo e alla crudeltà di un mondo che non erano pronti ad affrontare. L'aveva sempre fatto dopotutto.

«Non basteranno gli akuma per scoprire le abilità dei nuovi portatori, servirà qualcosa di più...» Paon gli sorrise, un ghigno che non prometteva nulla di buono.

«Smettila di preoccuparti mio caro. Pensiamo prima a stanarli, a metterli alla prova ci penserò io.»

E sogghignando misteriosa, lasciò Papillon da solo nel covo.

 

***


Wen si stava decisamente annoiando.

Una settimana in Francia e ancora non aveva avuto modo di incontrare i suoi “colleghi”, né di cominciare il suo primo anno al Lycée, la sua nuova scuola. Non tanto per la difficoltà dell'esame di ammissione, quello l'aveva passato facilmente, quanto perché il nonno aveva deciso di farlo ricominciare subito dopo le due consuete settimane di pausa.

Il che significava che, a meno di attacchi improvvisi di Akuma, non aveva nulla da fare. Wayzz gli aveva anche vietato di uscire, accusandolo di avere il senso dell'orientamento pari a quello di Zoro, famoso pirata del manga One Piece. Beh, non aveva detto proprio così, dopotutto Wayzz non era tipo da fumetti e cartoni, ma era più o meno quel che intendeva.

«Ahhhhh non ce la faccio più! Mi sto davvero annoiando!»

«Be, non possiamo farci nulla se sei uno zuccone senza senso dell'orientamento.» fu il commento del kwami verde, mentre sorseggiava del delizioso tè verde assieme al suo maestro.

«Se resto qui ancora cinque minuti giuro che impazzisco!»

«Perché? Prima non lo eri?»

«Ti prego Wayzz, andiamo a fare un giro! Ti prometto che farò il bravo!» lo supplicò allora il giovane, sfoderando il suo miglior sguardo da cucciolo supplicante.

«Non se ne parla! Mi rifiuto di fare da balia ad un ragazzino.»

«Ti preeeegooooo!»

Fu intanto ridacchiava, memore di quelle stesse litigate che, nei primi tempi, animavano anche le sue discussioni con Wayzz. In effetti davvero non sapeva se vi fosse mai stato un portatore che fosse andato d'accordo con lui sin da subito. Per uno come Wayzz serviva tempo per accettare i cambiamenti, per adattarsi al nuovo carattere di ogni portatore, ma Fu era convinto che con Wen sarebbe stato diverso, in un certo senso quasi più facile.

Litigarono ancora per qualche minuto, ma alla fine Wayzz cedette, anche convinto dall'ex maestro che credeva fosse saggio far sì che Wen si abituasse a Parigi prima possibile, in modo che durante i combattimenti non fosse svantaggiato.

«Evvai!»

Mentre Wen saltellava euforico da una parte all'altra della stanza, Wayzz sospirò ancora una volta, preparandosi a passare un sacco di guai per colpa di quello scalmanato ragazzo.

Per uscire, Wen aveva mantenuto uno stile semplice, ma comunque estremamente appariscente. Jeans chiari, scarpe da ginnastica nere, t-shirt del medesimo colore, camicia a quadri lasciata aperta e con le maniche arrotolate fino ai gomiti, colorata di svariate tonalità di verde, in perfetta sintonia con i particolari capelli del ragazzo.

Wayzz se ne stava nascosto nella borsa a tracolla del ragazzo, osservandolo mentre scattava foto a destra e a sinistra, con gli occhi che brillavano per ogni cosa che vedeva. Era tutto nuovo per lui, e la curiosità che dimostrava aveva un che di interessante, qualcosa a cui nemmeno il piccolo Kwami poteva resistere.

Faceva foto a tutto: alle strade, ai lampioni, perfino ai cespugli che circondavano il piazzale attorno alla torre, ogni cosa per Wen era degna di essere immortalata per sempre su pellicola.

«Accidenti, la Francia è davvero meravigliosa!»

Arrivare alla Tour Eiffel era stato semplice, dopotutto lo studio di Fu non era troppo lontano da Champ de Mars, ora la paura di Weyzz era che il suo neo portatore si perdesse nell'ammirare i monumenti di Francia senza poi ricordarsi da che parte era venuto, costringendolo quindi ad intervenire per impedirgli di cacciarsi ulteriormente nei guai.

«Voglio vederla tutta! Il Louvre, Notre-Dame, gli Champs-Élysées, l'Arc du Triomphe!»

«Ehi ehi, vacci piano Dora l'esploratrice! Stai dando troppo nell'occhio! Ti sei già spalmato su tre vetrine, hai abbracciato due mimi e non volevi più staccarti dalle gambe di ferro della Tour Eiffel!»

«Non è colpa mia! Erano davvero un bel paio di gambe ferrose!»

Wayzz sospirò, ancora chiedendosi perché il suo maestro avesse affidato il Miraculous della conoscenza ad un tipo tanto sconsiderato ed iperattivo. C'era stato solo un altro portatore così, gli altri si erano sempre dimostrati più pacati, tranquilli e controllati.

Wen girò attorno alla torre almeno cinque volte prima di riuscire a staccarsi, ed il kwami della tartaruga poteva già immaginarselo a spalmarsi contro ogni singola vetrina e/o monumento che avrebbe incrociato nella sua passeggiata esplorativa.

SI diresse correndo verso il ponte che attraversava la Senna, ammirando il panorama da lontano, alternandolo ai molteplici banchetti di ricordini e souvenir estremamente popolari tra i turisti.

«Muoviti Sabrina! Voglio andarmene da questo posto alla svelta!»

«A-Arrivo Chloè!»

Due ragazze catturarono l'attenzione di Wen, e non solo perché una delle due gli era quasi finita addosso, ma anche per l'incredibile ammontare di pacchi e borsine che quella dai corti capelli rossicci stava portando.

Un'accoppiata inusuale, si ritrovò a pensare, chiedendosi come funzionasse l'amicizia tra ragazze a Parigi, se fosse normale gli ricordasse tanto il rapporto tra schiavi e padroni di cui aveva letto in un libro una volta.

Quando notò che la ragazza facchino stava per cadere, finendo sommersa dai pacchi che stava trasportando, si mosse più veloce di quanto il suo stesso pensiero potesse fare, ed in un secondo fu dietro la giovane a sorreggerla, afferrando con la mano libera un paio di borse in caduta libera.

«Presa al volo!» sorrise, facendo arrossire la ragazza.

Ora che la guardava bene era piuttosto magrolina, poteva quasi sentire le ossa mentre le stringeva con delicatezza la vita, bassa e con gli occhiali rossi che le coprivano gran parte del viso.

Gli sembrava piuttosto piccola, ma forse quello era colpa sua, era un mezzo asiatico di un metro e novanta, tutti a confronto sembravano piuttosto piccoli.

«Tutto bene signorina?»

La ragazza esitò un attimo. «E-Emh si... g-grazie...»

L'aiutò a rimettersi per bene sulle due gambe, alleggerendole il peso di qualche pacco e presentandosi a dovere.

«Sono Wen Nguyen e sono appena arrivato a Parigi!»

«I-Io sono Sabrina Raincomprix, piacere!»

«Molto piacere!» sembrava una timida ragazza di città, ma non gli dava l'idea di una persona cattiva.

«Grazie mille per l'aiuto, signor Wen, se le scatole fossero cadute, Chloè di certo si sarebbe arrabbiata.» aiutata dal ragazzo riprese tutte le borse ed i pacchi tra le mani, cercando con fatica di incamminarsi nuovamente per raggiungere l'amica. «Arrivederci.»

Era evidente che non ce l'avrebbe fatta, poteva capirlo solo guardandola, mentre faticosamente muoveva un passo dietro l'altro, cercando di non far crollare la torre pendente di pacchi che trasportava. Sospirando le corse incontro, liberandola di alcuni pesi ingombranti.

«C-Cosa sta facendo?!»

«Primo: non darmi dei lei. Andiamo ho al massimo due anni più di te, mi fai sentire vecchio!» rise, fingendosi profondamente offeso e stizzito da quel rispetto che non sentiva di meritarsi. «Secondo: non posso certo lasciare una ragazza in difficoltà! Ti do una mano a portare tutta questa roba, così non rischierai di cadere e questa “Chloè” non avrà nulla da ridire.»

Abbassò appena lo sguardo verso la borsa, dove Wayzz gesticolava segni a lui incomprensibili, accompagnati da strane smorfie che sembravano di pura disperazione.

Che gli prendeva ora? Aveva forse mal di pancia?

«Io non posso accettare, davvero. Non saprei come ripagare la sua... la tua gentilezza!»

Wen ci pensò su qualche istante, chiedendosi cosa avesse potuto chiedere alla ragazza per non farla sentire in obbligo nei suoi confronti, ed ecco ce l'illuminazione lo colpì come un fulmine a ciel sereno.

«Allora per sdebitarti, che ne dici di farmi da guida? Non conosco bene Parigi, e mi dicono spesso che non ho un gran senso dell'orientamento, anche se personalmente non lo trovo affatto vero.»

Nel mentre, Wayzz ringraziò di non avere nemmeno un capello in testa, perché altrimenti se li sarebbe strappati tutti uno ad uno, tanta era la frustrazione per la stupidità di quel ragazzo. Come poteva chiedere ad una perfetta estranea di accompagnarlo? Era forse pazzo?! Dei, quanto imprudente poteva essere?!

La prossima volta che avrebbe fatto? Avrebbe raccontato ad un mimo dei Miraculous e dei kwami? Già poteva sentire la sua scusa: “ma tanto i mimi non parlano”. Seriamente, doveva insegnare un paio di cosine a quel ragazzo, prima che commettesse un qualche errore che poteva costargli le penne.

«O-Ok, volentieri.»

«Fantastico!»

Sabrina era stregata dall'aitante giovane dai capelli verdi che l'aveva appena salvata, talmente tanto da essersi quasi scordata di aver accompagnato Chloè ad una lunga sessione di shopping, non ancora conclusa oltretutto. Quasi.

«Sabrina! Insomma, che diavolo stai... oh! Un esotico figone dai capelli verdi! Mio!»

In meno di due secondi Chloè fu appiccicata al braccio di un perplesso Wen, che la guardava come se avesse davanti un alieno dai capelli biondi.

«Sono Chloè Bourgeois, la figlia del sindaco, e tu saresti splendore?»

Wen rise. Che strane le ragazze di Parigi, ma sembravano simpatiche a modo loro. Non era sua abitudine giudicare un libro dalla copertina dopotutto.

«Sono Wen Nguyen, è un piacere Chloè, sei un'amica di Sabrina? Sai lei è stata molto gentile, si è perfino offerta di accompagnarmi a fare un giro per Parigi.»

«Chi Sabrina? Tzè, senza di me non troverebbe neanche la porta del bagno! Che ne dici se ti accompagno io? E magari intanto ci prendiamo anche un caffè magari. Io con poco zucchero, sai sono a dieta.»

Wen non ebbe tempo di ribattere, che Chloè già lo stava trascinando lontano da una povera Sabrina sconsolata, che con la violenza di una doccia gelata tornava alla realtà in cui era perennemente all'ombra di Chloè, nascosta dalla sua ombra di perenne regina di Parigi.

Ed una nuova ombra, più oscura e colma di invidia e frustrazione si fece largo dentro di lei.

 

***

 

Da lontano, una donna sedeva sulla panchine di pietra posizionate tutte attorno alla Tour Eiffel, sorseggiando una tazza di caffè d'asporto e leggendo un libro, “La vie en Rose”, perché in fondo anche lei aveva un cuore romantico.

E mentre leggeva interessata, osservava con sguardo indagatore ciò che le capitava attorno, indugiando ogni volta sui volti delle centinaia di persone che passavano da quelle parti ogni giorno, ad ogni ora. E spesso, come in quell'occasione, capitava di assistere ad una qualche scena particolarmente interessante, che poteva rivelarsi in qualche modo utile alla causa.

«Mmm un cuore spezzato ed invidioso. Una ragazza così giovane con un così carico odio nel cuore non l'avevo mai vista... promette bene.»

Stava seguendo un'altra preda, una più grassa e succosa, ma forse per provare quel potere, una ragazzina così carica di oscurità sarebbe stata più che sufficiente. Dopotutto, perché non mettere alla prova i giovani eroi in quel momento?

Aprì la borsetta che teneva accanto, estraendone un piccolo cofanetto nero lucido, con rigature argentate che gli conferivano un'aria maestosamente inquietante.

«Ti prego... fermati, non sai quel che stai facendo.» la pregò una vocina tenue dalla borsa, ma la donna non sembrò nemmeno sentirla.

Aprì il cofanetto, dove su di un panno rosso ed imbottito stavano cinque gemme a forma di goccia, luminescenti e non molto grandi, al cui interno sembrava circolare un liquido oleoso e sconosciuto, in cui sembravano riflettersi tutti i colori dell'arcobaleno.

Ogni gemma aveva però un colore dominante che splendeva più luminoso degli altri. Prese tra le dita quello in cui il rosso dominava sugli altri e sorrise.

«Vediamo di cosa sei capace, sarà interessante sperimentare questo potere.»

 

***

 

Correva all'impazzata, più veloce di quanto avrebbe mai immaginato i poter fare.

Continuava a guardare il cellulare ogni secondo che poteva, ascoltando la diretta di Alya sul suo Ladyblog da Champ de Mars, dove sembrava che un akuma avesse attaccato sua sorella mentre era fuori per fare shopping. Che novità.

Sul posto erano già accorsi Ladybug, Chat Noir e la nuova eroina volpe dal nome sconosciuto, ma che tutti chiamavano Volpina, memori di un nemico con lo stesso nome che era già stato affrontato in passato.

L'area era stata fatta evacuare immediatamente, nessuno aveva più il permesso di accedervi fino quando Ladybug non avesse detto il contrario. Quindi perché si stava trafelando tanto per andarci a cacciare nei guai?

«Ehi vedi di non correre così forte! Mi sono appena sistemata le antenne!»

Sobbalzò nel sentire la vocina dell'esserino simile ad un ape che era uscito dal fermaglio che ora indossava tra i capelli. Dio che situazione!

«M-Ma sei tu che mi hai detto di correre Reein!»

Reein si era seduta comodamente tra i suoi capelli, che aveva definito splendidamente soffici, dandole ordini a destra e sinistra come se fosse una regina e lei la sua servetta. Le ricordava Chloè in certi momenti, fin troppo a dire la verità.

«Be cerca di farlo con più eleganza. Sei una bella ragazza, ma cielo, non hai la benchè minima classe e femminilità!»

Reein era sempre stata fortunata, perché tra i suoi portatori poteva contare dei pilasti di bellezza che qualunque altra persona si sarebbe soltanto immaginata. Ed ora eccola qui, con una remissiva ragazzina dal potenziale sprecato, in un nuovo millennio che non conosceva, con criteri di moda discutibili, visti gli orrori a cui stava assistendo nella folle corsa verso la Tour Eiffel. Incredibile che quel pezzo di ferro fosse ancora in piedi, non gli avrebbe dato una lira un secolo fa, nemmeno se avesse potuto prevedere il futuro.

Arrivarono a Champ du Mars, e ciò che trovarono non fu altro che desolazione e carbone, come se qualcosa avesse dato fuoco all'intero parco. Perfino la torre sembrava sul punto di collassare su sé stessa per il troppo caldo.

«M-Ma che...?»

«Chi ha acceso la stufa?! Non sapete che troppo caldo sgretola la pelle?»

«Ah, la mia pelle! Con questo caldo finirà per rovinarsi!»

Reein indicò la direzione del commento appena udito, come a voler sottolineare che finalmente qualcuno capiva la sua posizione e le sue ansie, rendendosi conto che chi aveva commentato era una ragazza estremamente simile ad Ameliè, ma con molto più stile e senso estetico.

Ad un secondo sguardo, poté dire che fossero completamente diverse.

«Q-Quella è Chloè!»

Sua sorella era insieme ad un ragazzo sconosciuto, un aitante asiatico dai capelli verdi estremamente alto, che sembrava nascondersi tra ciò che restava degli alberi rinsecchiti e bruciati.

Ma da cosa si nascondeva? Poi la vide, ed Ameliè cadde sulle sue stesse ginocchia in preda ai singulti, nel trovarsi davanti una creatura con sembianze umane, ma completamente avvolta dalle fiamme, compresi i capelli ed i vestiti. Non urlò soltanto perché Reein le si piazzò davanti, studiando la creatura con occhi sgranati e spaventati.

«Non va bene, non va bene nono. Credevo avremmo combattuto i cattivi generati da Nooroo, non questo!»

Si voltò verso la propria portatrice, guardandola dritta negli occhi e cercando di infonderle un po' di coraggio. «Ameliè, ora devi ascoltarmi! So che hai paura e fai bene, ma questa cosa va fermata, e tu hai il potere di farlo!»

Intanto, Ladybug e Chat Noir passarono sopra di loro, evitando di farsi bruciare dalla creatura, mentre il suono della melodia di Volpina risuonava nell'aria, senza però sortire alcun tipo di effetto.

«Se non li aiuterai, moriranno tutti quanti! Quella creatura è troppo forte, ma con il tuo potere puoi aiutarli a fermarla! Devi solo trovare il coraggio di farlo!»

Il coraggio? Quale coraggio? Lei era una codarda, lo era sempre stata, sin da quando era bambina non aveva fatto altro che piangere e scappare, fuggendo da ogni problema che le si presentava davanti.

E proprio lei, che non riusciva a risolvere i problemi più comuni e banali, doveva aiutare degli eroi a combattere quel mostro? Non poteva farce, lei non poteva, non...

«Sai, secondo me sbagli.» le parole di Lila le rimbalzarono nelle orecchie, come un eco della coscienza. «Forse prima era così, ma la ragazza che mi ha aiutata quel giorno, lei non è certo una codarda.»

«Io non...»

«Ehi, tu sei più coraggiosa di quanto pensi. Arriverà il momento in cui anche tu lo vedrai, devi soltanto avere fiducia in te.»

Aveva sorriso, perché le parole di Lila erano quello in cui avrebbe sempre voluto credere, nella forza che aveva dentro e che semplicemente non aveva ancora potuto mostrare. Come quando aveva aiutato Lila, o come quando quel vecchio signore sembrava in pericolo e aveva bisogno di lei.

«E se ne avrai bisogno, io sarò qui a ricordartelo ogni volta che ti servirà. Siamo amiche giusto?»

Avrebbe voluto che Lila fosse lì adesso a ricordarle che anche dentro di lei c'erano la forza ed il coraggio necessari a compiere qualsiasi impresa, ma sfortunatamente non era così. Pensò a Lila e ad Adrien, che credevano in lei più di chiunque altro, pensò a Marinette e ad Alya, che erano diventate sue amiche nonostante la codardia che aveva dimostrato, a cosa ne sarebbe stato di tutti loro se non avesse aiutato gli eroi a sconfiggere quella creatura.

Non poteva più opporsi, perché anche una codarda come lei voleva proteggere ciò che di più caro aveva al mondo.

«I-Io... ho p-paura.» ammise, tremando come una foglia, stringendo i pugni per calmare almeno in parte l'ansia e la paura. «M-Ma voglio aiutarli! V-Voglio proteggere gli amici e la mia casa!»

Una luce nuova le brillò nello sguardo, e Reein iniziò a pensare che dopotutto dentro Ameliè vi fosse un cuore da vera regina.

«R-Reein... t-trasformami!»

 

***

 

«Non va bene, proprio per nulla.» non serviva che Wayzz si agitasse tanto nella borsa, perché Wen aveva già capito che la situazione era grave, peggiore di qualunque akuma fosse mai apparso fino a quel momento.

D'altro canto non poteva certo trasformarsi davanti a quella Chloè, mandando all'aria la storia dell'identità segreta subito dopo la prima missione.

“Accidenti” imprecò mentalmente, chiedendosi perché il suo primo cattivo a Parigi doveva manifestarsi proprio quando lui non poteva combattere. E dire che non vedeva l'ora di poter finalmente combattere al fianco di Ladybug!

Dame du Feu, così aveva detto di chiamarsi la creatura infuocata, sembrava avercela proprio con la ragazza bionda che ora stringeva in una morsa ferrea il braccio di Wen, per nulla intenzionata a lasciarlo andare. Nella testa del giovane si era formata l'ipotesi che l'akumatizzata potesse essere Sabrina, sparita alla loro vista poco prima, ma non avendo visto alcuna farfalla nera in giro, qualche dubbio ancora lo assillava.

Osservò la situazione, stringendo i denti e abbracciando leggermente Chloè, conscio di non poterla lasciare da sola in quel momento, troppo esposta al pericolo che quel mostro la trovasse e la riducesse ad un mucchietto di cenere.

Ladybug cercava di avvicinarsi con un estintore preso probabilmente dal suo potere speciale, mentre l'acqua che l'idrante distrutto da Chat Noir sembrava aver smesso di fluire, iniziando invece ad evaporare per il caldo della Signora di Fuoco. Volpina suonava con insistenza il flauto, generando quante più illusioni possibile, ma ormai sembrava al limite delle sue possibilità. Nemmeno la sua Lullaby sembrava aver sortito alcun tipo di effetto, eccetto confondere qualche secondo il nemico.

Erano stanchi, accaldati, probabilmente bruciacchiati da qualche parte, incapaci di difendersi ulteriormente dagli attacchi del mostro. Non poteva chiamarlo akuma, perché più la guardava, più sentiva dentro che non stavano affatto affrontando uno dei soliti nemici a cui erano abituati Ladybug e Chat Noir in quel momento. Ma cosa fosse, nemmeno Wen l'aveva ancora capito.

Concentrato nei propri pensieri, si rese conto tardi che Dame du Feu li aveva individuati, e che si preparava ad attaccarli con tutta la sua potenza di fuoco.

«Chloè...» c'era odio nella sua voce, che fu capace ironicamente di gelarli sul posto. «MUORI!»

Una palla di fuoco si diresse a tutta velocità verso Chloè e Wen, che se ne rese conto solo quando era ormai impossibile scansarsi. Erano spacciati.

«Merda...» imprecò, e d'istinto chiuse gli occhi.

.

.

.

.

Ok, non aveva mai sperimentato davvero la sensazione di ardere vivo, ma era piuttosto certo che implicasse dolorose sofferenze, molteplice dolore e quantomeno del calore che corrode la pelle. Invece, tutto ciò che aveva sentito lui era stato un sibilo fastidioso, ed il piacevole caldo di un falò estivo sulla spiaggia.

Qualcosa non quadrava sicuramente. Aprì piano gli occhi, trovandosi davanti un tornado di fiamme che si stavano pian piano estinguendo, private dell'ossigeno necessario affinché divampassero.

«Tutto bene?» alzò lo sguardo appena in tempo per scontrarsi con due limpidi occhi azzurri, una coda di riccioli biondi, ed un fisico snello avvolto da una calzamaglia gialla e nera, sulla cui schiena erano cucite due lunghe code simili ad ali.

Una nuova eroina. La portatrice dell'ape si era unita a loro prima di quanto non avesse fatto lui.

Lo guardava preoccupata, come intimorita di non aver fatto in tempo, e Wen si sentì in dovere di sorriderle, come a rassicurarla di essere arrivata giusta per evitare che diventassero carboni ardenti. Guardò infine Chloè, svenuta per lo spavento, ma incolume.

«Sta bene, è svenuta ma si riprenderà.» il sollievo che lesse negli occhi dell'eroina lo fece ridere di nuovo.

Il grido furioso della creatura li riportò alla realtà. L'eroina ape si fece seria, quasi arrabbiata, e dandogli le spalle si preparò a combattere. Prese tra le mani quella che Wen identificò come una trottola, riallacciandola al filo trasparente che stringeva nel palmo sinistro.

«Ora andate, mettetevi al sicuro.» gli disse, e prima che si gettasse nella mischia il ragazzo volle sapere un ultima cosa.

«Grazie, ti devo la vita, Miss...?»

La ragazza si voltò, sorridendogli gentile. Un sorriso che per la prima volta gli smosse il cuore. «Queen Bee. Il mio nome è Queen Bee.» dopodiché la vide sparire tra la confusione della battaglia.

 

***

 

Lasciò Chloè svenuta poco lontana dalla Tour Eiffel, affidandola ad alcuni poliziotti che sorvegliavano l'area e che avrebbero provveduto a prestarle quanto prima cure mediche se ne avesse avuto bisogno. Poi con una scusa se ne era andato, tornando sui suoi passi e fermandosi poco prima di arrivare dai suoi nuovi compagni.

Il sorriso di Queen Bee ancora stampato nella mente.

Confuso, si batté alcuni pugni sul petto, chiedendosi cosa ci fosse che non andava nel suo stupido cuore che, all'improvviso, sembrava battere più forte del solito. Non era certo il momento adatto per problemi cardiaci, sperò non fosse nulla di grave.

«Coraggio Romeo, non è tempo di innamorarsi! Se non ci muoviamo, i tuoi compagni finiranno tutti arrosto!» gridò Wayzz nel panico, incredulo a ciò che aveva appena assistito.

Dame du Feu. Una degli Erémytos. Tutto ciò non aveva alcun senso.

«Innamorarmi? Ma di che stai parlando? Che vuol dire che finiranno tutti alla brace?»

«Zitto ora non ho tempo di spiegarti! Trasformati e vai ad aiutarli! Servirà tutto l'aiuto possibile contro quella cosa...»

«Ma... e come facciamo a sconfiggerla? Se non mi spieghi come pensi possiamo aiutarli?»

Wayzz si strofinò gli occhi, come se avesse a che fare con un vero idiota. «Santa pazienza, non ci sei arrivato? La gemma sulla mano!»

«Gemma? Io non ho visto nessuna gemma! E che dobbiamo fare? Distruggerla?»

«Cos- distruggerla? Quella cosa non di può distruggere, dovete estrarla! Smettila di cincischiare con domande inutili e trasformati!»

«Ma io...»

«Ho detto trasformati. ORA.»

Wen sospirò e alzò le mani. Non far arrabbiare il saggio kwami tartaruga con il potere di incenerirti con lo sguardo.

Mentre pronunciava le parole di trasformazione, una strana scarica eccitata gli percorse il corpo, ed un sorrisetto istintivo gli si dipinse sul volto.

«Wayzz, trasformami!»

 

***

 

«My Lady attenta!» Chat si gettò su Ladybug appena in tempo per schivare una folata di fuoco che l'avrebbe sicuramente colpita.

Si bruciacchiò un po' il costume, ma visto come ormai era ridotto, non ci fece nemmeno più caso. L'importante era che la sua Lady fosse salva.

«Grazie Chat.» era esausta, tutti lo erano, fatta eccezione per la nuova eroina appena comparsa. L'intervento di Queen Bee era stato tempestivo, lei ed i suoi tornado riuscivano a deviare e sopprimere le fiamme, salvandoli in diverse occasioni dai colpi infuocati di Dame du Feu.

«Chloè... Chloè... Chloè... distruggere... eroi...» non sembrava avere vere e proprie priorità, se non quella di distruggere loro e Chloè. Chissà perché, che quest'ultima fosse coinvolta non stupì gli eroi più di tanto.

Il tintinnio dei Miraculous riportò Chat Noir, Ladybug e Volpina alla realtà. Avevano solo un minuto prima di de trasformarsi, non avevano più tempo, e Queen Bee da sola non aveva la forza necessaria per permettere loro di nascondersi e ricaricarsi. Inoltre, nessuno di loro aveva il cibo adatto a ricaricare il proprio kwami in breve tempo.

«Fortunella, ci serve un piano. E alla svelta.» ansimò Volpina, affiancando i compagni mentre la nuova arrivata distraeva con la sua rotola il nemico. Se solo avesse potuto imprigionarla completamente dentro il vortice... forse avrebbe potuto spegnere le fiamme quel tanto che bastava per trovare l'oggetto in cui si nascondeva l'akuma e porre fine a quello scempio.

«Fate attenzione!» l'urlo di Bee arrivò pochi secondi in ritardo, e quando sembrava ormai per loro giunta la fine, un fascio di luce verde si frappose tra loro e le fiamme, salvandoli a pelo.

Volpina sospirò, irritata. «Sul serio?»

«Ormai gli eroi crescono come funghi a Parigi.» fu il sarcastico commento di Chat, mentre Ladybug tirò un sospiro di sollievo. Ora erano finalmente tutti, forse avevano una possibilità di farcela.

«Scusate il ritardo, mi sono perso un paio di volte prima di arrivare qui.» un paio di occhialoni verdi coprivano il viso del ragazzo, avvolto in una tuta verde col cappuccio calato sul capo. Attaccato al polso aveva uno scudo a forma di carapace di tartaruga, che il giovane si riallacciò prontamente dietro la schiena, sfidando con scherno la creatura di fuoco.

«Sarebbe bello potersi presentare, ma temo non abbiamo tempo.» si inginocchiò accanto a Ladybug, baciandole la mano sotto lo sguardo contrariato di Chat, che sibilò minaccioso.

«Ti spiace se prendo il comando per un po', signora della fortuna?»

Ladybug arrossì, ma annuì senza problemi. «Se hai un piano, è ben accetto.»

Il nuovo eroe porse ai tre compagni ciò che serviva ai loro kwami per ricaricarsi, sorprendendoli, dopodiché si alzò e, riprendendo lo scudo, si fece più vicino al mostro e a Queen Bee.

«Avrò bisogno di voi e dei vostri poteri, andate e sbrigatevi. Non so quanto potremmo trattenerlo.»

Batté un paio di colpi sullo sudo, sogghignando mestamente.

«Coraggio, è ora di far vedere a tutti di cosa è capace Seeshell!»


 

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Capitolo 11
*** Chapter 10 ***


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Fil Rouge


Livre 1

~ Destin Maudit~

  

Marinette doveva ammettere che il tempismo scelto dal Maestro Fu per assegnare i Miraculous restanti era stato paradossalmente perfetto. Se Queen Bee e Seashell non fossero comparsi ad aiutarli, probabilmente ora sarebbero un arrosto di coccinella, cenere di gatto e stufato di volpe.

«Forza Tikki, sbrigati!» la piccola kwami stava facendo del suo meglio per ricaricarsi alla svelta, senza strozzarsi con il biscotto gentilmente offertole dal portatore della tartaruga.

«Faccio del mio meglio, Marinette.» si giustificò, mortificata di non riuscire ad inghiottire tutto in un morso come un certo gatto di sua conoscenza.

Mentre Tikki mangiava, la ragazza intanto rifletteva sul mostro che dovevano combattere, sul modo in cui avrebbero potuto fermarlo quando il suo corpo intero era ricoperto da fiamme inestinguibili. Dove poteva essere l'akuma, nascosto tra tutto quel fuoco? Non era mai stato così difficile, così... mortale.

«Qualcosa non va?» Tikki si accorse dell'espressione pensierosa dell'amica, accigliata e probabilmente persa negli stessi ragionamenti che avevano corrucciato il viso di Marinette.

La ragazza scosse il capo, regalando un sorriso alla kwami ma volendo condividere con lei i suoi dubbi e le sue preoccupazioni. Sapeva sempre guidarla nel modo giusto, ed ogni suo consiglio era una preziosa lezione che non sempre Marinette sapeva apprezzare nel modo giusto.

«Non lo so Tikki... questo Akuma mi sembra diverso dal solito, come se non lo fosse davvero...»

Ma a parole non era semplice spiegare le sensazioni che stava provando, cosa le facesse supporre che il nemico davanti a loro fosse diverso dagli avversari di sempre.

«Sei molto perspicace Marinette, una vera Ladybug.»

Saltando sul posto, una gamba sollevata verso il petto e le braccia a mascherarsi il viso, in una buffissima posa di autodifesa improvvisata, la giovane maledì il vecchio maestro per le improvvise apparizioni che si ostinava a fare senza avvisare. Prima o poi sarebbe morta di crepacuore.

«Maestro Fu!»

L'anziano portatore sorrise alla giovane, ma fu solo per pochi secondi. Il viso si contrasse in una smorfia, le rughe della fronte si corrugarono sopra gli occhi, nell'espressione più preoccupata che Marinette gli aveva visto fare da quando lo conosceva.

«Che intendevate, maestro?»

Fu sospirò, lisciandosi il pizzetto e chiudendo gli occhi.

«Temo che siamo davanti ad un'antica quanto pericolosa reliquia persa da secoli, che speravo restasse solo una leggenda.»

Tikki sobbalzò.

«N-Non vorrete dire...!»

«Temo di si Tikki, la gemma sulla sua mano non lascia dubbi: quella è l'Erémytos che domina tutto ciò che è fuoco: Dame du Feu.»

Marinette inclinò il capo, stringendosi il mento tra due dita e passando lo sguardo tra la kwami ed il maestro, studiando le loro espressioni preoccupate e chiedendosi quanto terribile potesse essere questo nuovo nemico.

«E-Erémytos?»

Fu annuì.«Una forza primordiale, creata da... alcuni Dei che si sono fidati troppo degli umani.» Tikki guardava fisso il terreno, perdendosi in ricordi che avrebbe preferito dimenticare, sommersi da errori che nemmeno dopo millenni potevano essere perdonati.

«Purtroppo il tempo ci è nemico, un giorno ti dirò ogni cosa, ma per ora...» Fu estrasse dalla tasca dei pantaloni una piccola scatolina rossa, sul cui dorso vi erano incisi simboli a Marinette sconosciuti.«Dovete indebolire Dame du Feu ed usare l'energia dei Miraculous per estrarre la pietra, dopodiché mettila all'interno di questa scatola, sigillerà il suo potere.»

Prendendo la scatolina tra le mani la studiò con curiosità, annuendo energicamente e lanciando uno sguardo alla propria kwami: era pronta per tornare a combattere.

«Fai presto, Marinette. La forza della pietra non è adatta a chiunque, se la ragazza non viene salvata in tempo, verrà consumata dalle fiamme di Pyros e sparirà per sempre.»

Marinette rabbrividì. Non era mai andata particolarmente d'accordo con Sabrina, ma da qui a volere che morisse tra le fiamme come una strega durante le inquisizioni... bè, non era una fine che le augurava.

Non perse altro tempo e si trasformò.«Tikki, trasformami!»
 

***
 

Seashell aveva un potere davvero singolare, ma che in quella determinata situazione si stava rivelando incredibilmente utile. Queen Bee ne era rimasta impressionata.

Usava lo scudo per parare ogni attacco infuocato, dandole occasioni di attaccare il nemico di soppiatto con la sua trottola, passando da pose difensive ad attacchi ben calibrati, surfando sul suo scudo a tartaruga con un equilibrio a dir poco magistrale. Il tutto senza mai attivare il suo potere speciale.

Nonostante riuscissero a gestire quella creatura abbastanza bene anche solo in due, Queen Bee sperò che gli altri eroi si sbrigassero a tornare, così da poter far tornare alla normalità quella ragazza prima che fosse troppo tardi. Aveva una brutta sensazione, come se qualcosa non andasse.

Era il suo primo scontro con un Akuma quello, eppure le pareva diverso da quelli a cui aveva assistito in passato, come se dietro questo nuovo nemico si nascondesse qualcosa di più che una semplice farfalla maligna.

«Questo Akuma non è normale, mi ci gioco tutte le mie nove vite.» Sobbalzò nel sentire la voce di Chat Noir alle sue spalle, affiancato da Volpina che semplicemente annuiva pensierosa.

Queen Bee sentì le mani sudate e scivolose, mentre il viso si accendeva di un rosso vivo per l'emozione di essere accanto all'eroe per cui credeva di avere una cotta stratosferica, ma cercò comunque di darsi un contegno: non era il luogo né il momento per fermarsi a fantasticare su quanto la tutina nera di Chat fosse fin troppo attillata e provocante, per quello c'era tempo anche dopo aver salvato la città dalle fiamme di Dame Du Feu.

Inspirò profondamente ed espirò, azzardandosi a parlare solo nel momento in cui fu sicura di riuscire a farlo senza balbettare e mordersi la lingua.

«Avete qualche idea su come fermare quella... cosa? Temo che Seashell non riuscirà a tenerla buona ancora per molto.»

«Non preoccupatevi per me! Sto benissimo! Mi sto solo rifacendo l'abbronzatura quassù!» fu l'eco dell'eroe tartaruga, alle prese con l'ennesima vampata di calore scagliata dal nemico.

Le due eroine sospirarono, forse seccate o affrante dal pessimo tempismo scelto da Seashell per esporre le proprie lamentele, mentre in Chat Noir si accese uno sguardo colmo di gioia e aspettativa: che avesse finalmente trovato un compagno di battute? Non ne era certo, ma ci sperava davvero.

«Purtroppo non è soltanto l'abbronzatura di Seashell il problema.» Ladybug comparve finalmente alle spalle di tutti, scura in volto come nemmeno Chat Noir l'aveva mai vista, mentre teneva gli occhi azzurri puntati sul terreno, incerta e pensierosa.

Bastò quello per confermare a Chat quanto fosse grave la situazione.

«My Lady?»

«Se non la salviamo, quella ragazza morirà.»

I quattro compagni trasalirono. Morire?

«C-Che vuoi dire?»

Ciò che Queen Bee sapeva, era che Papillon possedeva le persone, sfruttava i loro sentimenti negativi, la rabbia così come la paura e la frustrazione, per spingerli a lavorare per lui, illudendoli di poter risolvere ogni loro problema in cambio di un anello ed un paio di orecchini. Questa però, era la prima volta che sentiva parlare di una possibilità così estrema e terrificante come la morte.

Ladybug sospirò. Si strinse un braccio così forte da affondarci le unghie, probabilmente avrebbe lasciato il segno anche sotto il costume, mentre con i denti si mordeva il labbro inferiore, evitando di incrociare lo sguardo con ognuno dei suoi compagni.

«Non è un'Akuma normale, è qualcosa... qualcos'altro. Nemmeno io ho ancora chiara la situazione, non a pieno almeno, tutto quello che so è che chiunque ci sia sotto quelle fiamme è in pericolo.» sospirò, lasciando che la mente tornasse a pensare con lucidità.«Tutto quello che so è che dobbiamo agire insieme, e che il suo punto debole è la sfera che brilla sulla sua mano.»

Volpina osservò con attenzione il punto indicato, e alla fine la vide. La pietra stava lì, incastonata nella mano di Dame Du Feu, splendente come se fosse fatta di lava incandescente.

«Quindi abbiamo solo un tentativo, giusto?»

Ladybug annuì.«È una situazione da tutto o niente.»

Volpina ghignò.«Divertente. Sono tutta orecchie, Boss. Qual è il piano?»


***
 

Dame Du Feu fu dura da immobilizzare. Non avevano mai affrontato un nemico così forte, ed erano piuttosto sicuri che chiunque ci fosse dietro quello strano attacco, non fosse Papillon.

Se il creatore delle Akuma avesse posseduto un simile potere, probabilmente avrebbe messo le mani sui Miraculous molto tempo prima, o comunque non avrebbe atteso così tanto per scatenare un tale potere.

Volpina era rimasta impressionata dall'astuzia di Ladybug, dalla freddezza calcolatrice con cui in pochi minuti aveva elaborato un piano degno di tutto rispetto, che forse poteva salvare sia loro, che la città, che la ragazza intrappolata sotto quel mare di fiamme.

«Siete tutti pronti?» al richiamo della coccinella, gli altri portatori annuirono, caricando verso Dame du Feu e Seashell, che ancora l'affrontava da solo.

Roteando tra le mani il flauto di cui andava fiera, Volpina lanciò il suo attacco speciale, quello che Fu le aveva spiegato in una delle sue ultime visite.

Il Miraculous della Volpe può effettivamente creare illusioni.” Le aveva detto, e forse per questo non aveva mai voluto usare prima quella particolare canzone che le dava il potere di dar vita a ciò che lei non considerava altro che bugie: ne era terrorizzata.

In quella situazione però, circondata da compagni dei quali sentiva di potersi fidare, Lila non aveva più paura. Prese un profondo respirò ed intonò la canzone: «Doux Sommeil: Mirage!»

Subito cinque copie dei portatori si manifestarono al suo fianco, quasi come se i suoi veri compagni fossero al suo fianco. Sorrise: niente male davvero.

«Andate!» ordinò, e le cinque copie si mossero seguendo il suo volere.

Circondando Dame du Feu, le copie iniziarono a combattere l'enorme mostro di fuoco come se fossero gli eroi reali, dando finalmente la possibilità a Seashell di ritirarsi e riprendere fiato, mentre veniva messo al corrente del piano di Ladybug dall'eroina stessa.

«Grazie volpetta! Mi hai davvero salvato da una brutta scottatura!»

Lila storse il naso a quel nomignolo, ma non si scompose e semplicemente annuì con la testa, concentrandosi nel mantenere le illusioni abbastanza a lungo per ultimare i preparativi e sconfiggere così una volta per tutte quel mostro.

«Queen Bee, tocca a te!»

Stringendo i pugni con determinazione, l'eroina ape si lanciò verso i piedi della creatura, lanciando la sua trottola e facendo si che questa generasse un potente vortice d'aria attorno a Dame du Feu, così che questa non potesse più muoversi e spostarsi.

“Non è questo l'utilizzo migliore per la mia arma, ma si può sempre improvvisare!”

«Sei pronto Chat?» sentì domandare in lontananza da Ladybug, mentre il mostro di fuoco era rimasto bloccato, le copie di Volpina ormai svanite.

«Come sempre My Lady!»

Si lanciarono insieme sul nemico, stringendo tra le mani la lunga corda che il Lucky Charm di Ladybug aveva donato loro, nello stesso momento in cui il vortice di Queen Bee si dissolveva, mostrando una Dame du Feu senza più fiamme, estinte dal vuoto d'aria creato all'interno del piccolo tornado.

Legarono la creatura più velocemente possibile, spingendola a terra ed impedendole qualsiasi movimento per una manciata di secondi, fin quando l'ossigeno nell'aria non avesse ricominciato a dar vita alle fiamme della dama.

«Svelti! Non abbiamo molto tempo!»

Si radunarono tutti verso la mano della creatura, quella in cui la gemma rossa risplendeva di un colore accesso, brillante, quasi come se potesse bruciare con la sua sola presenza. Era spaventoso.

«Quindi? Come facciamo ad estrarla?» chiese incerto Seashell.

«Io... io non lo so! Il maestro non è stato molto chiaro, ha detto solo che...»

Ladybug fu interrotta da un improvviso calore proveniente dagli orecchini, che brillarono di una luce rossa intensa, quasi la stessa della pietra. Nello stesso momento, gli altri Miraculous fecero lo stesso, entrando in sintonia tra loro stessi e la gemma, che levitò naturalmente fuori dalla mano della povera Sabrina, fino a depositarsi nella scatolina che Ladybug aveva prontamente estratto.

Quando la gemma fu all'interno la richiuse, e per alcuni minuti, nessuno parlò.

«Abbiamo... abbiamo vinto?» fu la domanda incredula di Queen Bee.

Chat Noir le sorrise.«Pare proprio di si.»

Parigi poteva dormire sonni tranquilli.

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Capitolo 12
*** Chapter 11 ***


... I'm back?



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Livre 1

~ Destin Maudit~

  

Quando aveva deciso di andare dal Maestro Fu per affidargli la custodia della strana pietra che aveva trasformato Sabrina in Dame du Feu, Marinette aveva preparato una lista di domande che potessero essere utili per chiarire quella strana e spaventosa situazione in cui si era ritrovata solo poche ore prima: ripensandoci, tenerle a mente senza nemmeno farsi un appunto era stata una pessima idea.

Sabrina era stata portata d'urgenza in ospedale, priva di sensi, con una bruciatura non indifferente dove fino a pochi momenti prima vi era incastonata la pietra rossa che ora era tra le sue mani, rinchiusa in una scatolina simile alle box dei Miraculous: anche attraverso il materiale della custodia nera in cui quella pietra infernale era stata sigillata, Marinette poteva giurare di sentire il calore emanato da essa.

Era la prima volta che si trovava a dover affrontare qualcosa del genere, un akumatizato -sempre che di akuma si stesse ancora parlando- che anche dopo l'intervento del suo Miraculous Ladybug portava con se i segni della trasformazione era una novità spiacevole e terrificante, che le causava un misto di ansia e paura nella stomaco che non era stata capace di calmare: se c'erano cose che nemmeno il suo potere poteva sistemare, Marinette non aveva più certezze su quali rischi era necessario correre pur di sconfiggere i nemici.

Per questo aveva deciso di andare da Fu il più presto possibile, in cerca di qualche spiegazione che potesse metterle in pace l'animo, farle sperare che questo fosse un caso isolato, che non avrebbero -né lei né i suoi compagni- rischiato la vita più di quanto già non facessero ogni giorno contro Papillon e le sue akuma.

Tikki non aveva aperto bocca dal momento in cui si era ritrasformata -era ovvio che sapesse cosa fosse quella cosa, l'aveva capito dalla sua reazione appena il Maestro aveva nominato quella creatura- e Marinette non aveva avuto cuore di forzare la piccola kwami a darle una spiegazione: il benessere della sua piccola amica sarebbe sempre venuto prima di ogni cosa, e se parlare di quel mostro le crava disagio, allora avrebbe cercato le sue risposte altrove.

Tuttavia, ogni domanda che si era preparata con cura svanì dalla sua mente non appena varcata la porta della casa del Maestro -era entrata nella porta giusta? Eppure la voce che l'aveva invitata ad accomodarsi era proprio quella di Fu- dove ad attenderla vi era una delle scene più bizzarre a cui avesse mai avuto il piacere di assistere: sul pavimento, contorto in una posizione zen a lei sconosciuta ma che non doveva essere per nulla comoda, vi era un giovane dai capelli verdi, probabilmente poco più grande di lei, tenuto sotto stretta sorveglianza da Wayzz, che non perdonava al ragazzo il minimo movimento.

«Avanti ragazzo, è tutto qui quello che sai fare?! Fammi vedere più concentrazione!»

«C-Ci sto provando W-Wayzz... non è facile concentrarsi q-quando stai per... romperti il c-collo...» aveva ridacchiato il ragazzo, mentre cercava di aggiustarsi nella sua posizione a gambe incrociate... con la testa verso il basso... e le braccia... no ok, come era fisicamente possibile riuscisse a resistere in quella posizione?!

Wayzz -realizzò Marinette con stupore- era un kwami serio e assolutamente senza pietà: teneva strette tra le piccole mani verdi una lunga asta, con cui raddrizzava i movimenti del ragazzo ogni qual volta lo vedeva vacillare, mentre quando sbagliava un qualche movimento lo colpiva leggermente con il guscio che aveva sulla schiena, lasciandogli segni rossi sulle parti lese, principalmente collocate sul viso: il ragazzo non sembrava però prendersela per il duro allenamento -era un allenamento quello?- a cui stava venendo sottoposto, ridacchiando e divertendosi quasi intenzionalmente a provocare l'ira del piccolo kwami tartaruga.

Forse era un sadico, forse era un'idiota: Marinette non aveva abbastanza informazioni sul ragazzo per poterne essere certa.

Rimase a fissare la scena per diversi secondi, impietrita, così come sembrava esserlo Tikki, appollaiata sulla sua spalla a godersi lo spettacolo inaspettato in cui erano incappate: era talmente concentrata sulla scena davanti ai propri occhi che non si era nemmeno posta il problema della sua kwami in bella vista davanti ad un perfetto sconosciuto.

«Oh Marinette, benvenuta.»

A distrarla dalla dell'intera situazione surreale a cui stava assistendo fu la voce del Maestro Fu, seduto poco distante a sorseggiare una tazza di tè fumante -era sempre stato lì?!- come se nulla fosse, come se Wayzz che torturava un ragazzo fosse qualcosa di quotidiano.

«M-Master?! C-Che succede?! E-E chi è lui?!»

Le sue urla improvvise resero nota la sua presenza anche a Wayzz e al ragazzo, interrompendo così qualunque cosa stessero facendo in quel momento: il piccolo kwami verde la salutò con un piccolo inchino, rivolgendo poi a Tikki un cenno con la zampetta che quest'ultima ricambiò allegramente, rendendo finalmente noto a Marinette che la sua amica era lì con lei, in bella vista, con un perfetto sconosciuto a testimoniarne la presenza.

Si paralizzò di colpo, mentre il ragazzo riacquistava con spaventose capacità atletiche una posizione quantomeno umana e si avvicinava a lei sorridendo: questo era male, molto male, ma come poteva sapere che il Maestro aveva ospiti?!

Mentre nella sua mente già si formavano le più catastrofiche possibilità a cui quell'errore poteva portare -tutte che si concludevano con una nuova Ladybug a sostituirla, mentre l'intero team prendeva a calci la sua triste versione akumatizzata per la disperazione di aver perso il proprio Miraculous- il ragazzo aveva continuato ad avvicinarsi, rendendo sempre più evidente la differenza in altezza che lo divideva da Marinette.

Forse -se invece di lasciarsi andare ad improbabili fantasie- si fosse fermata a riflettere con calma, Marinette avrebbe notato che il Maestro Fu non sembrava arrabbiato, che il ragazzo parlava tranquillamente con Wayzz come se fosse una cosa normale: forse, se si fosse fermata ad osservare bene, avrebbe notato il braccialetto che sfavillava sul braccio destro del misterioso intruso, e avrebbe capito che non c'era nulla di cui preoccuparsi.

Ma Marinette non era certo famosa per la sua calma e la sua pacatezza, quanto più per le sue reazioni eccessive e poco realistiche, per cui lasciò a dormire la parte razionale del proprio cervello e fece semplicemente ciò che le riusciva meglio in quelle situazioni: paralizzarsi, preoccuparsi e uscire di testa mentre cercava una soluzione a come spiegare perché uno spirito coccinella fosse appollaiato sulla propria spalla anche se lei non era assolutamente Ladybug.

Prima che il suo cervello potesse escogitare una qualche scusa brillante, lo spilungone era chino su di lei, gli occhi scuri puntati sulla piccola kwami, un enorme sorriso stampato in faccia.

«Wow, che carina! Così è lei il kwami di Ladybug eh?» a quel punto, gli occhi del ragazzo si posarono su di lei, studiandola da capo a piedi, aprendosi in un nuovo sorriso mentre con una mano le scompigliava i capelli.«Questa quindi è Ladybug? Ahahah anche lei è parecchio carina!»

Marinette fu colta alla sprovvista: arrossendo leggermente si ritirò il più alla svelta possibile, nascondendosi dietro il maestro che intanto continuava a sorseggiare la propria bevanda calda, osservando con divertimento le interazioni tra il nipote e la sua protetta.

«M-M-Maestro chi è lui?! E-E-E le giuro che non è colpa mia! Non so come faccia a sapere dei kwami, ma io non so nulla!! La prego non mi porti via Tikki!»

Il vecchietto dilatò gli occhi, chiedendosi come potesse essere arrivata ad una conclusione così drastica: era vero però che era stato lui a dirle che le identità di Ladybug e Chat Noir dovevano restare un segreto, quindi non era poi così inverosimili che Marinette avesse creduto di aver commesso un terribile errore.«Sta tranquilla mia cara, non ho intenzione di portarti via il Miraculous.»

Marinette sgranò gli occhi, guardandolo ora con stupore, ora con sollievo.«Ah no?»

Sorridendo, Fu scosse il capo e cercò di tranquillizzarla, offrendole del tè e invitando entrambi i ragazzi a sedersi con lui per parlare: era tempo di qualche presentazione.

«Marinette voglio presentati Wen Nguyen, mio nipote e nuovo portatore del Miraculous della tartaruga.»

Il ragazzo -Wen, si appuntò di ricordare- la salutò con un sorriso ed un cenno del capo, indicando il proprio bracciare come a voler confermare la versione appena espressa dal nonno: al suo fianco Wayzz annuiva, chiarendo una volta per tutte almeno uno dei dubbi che si stavano formando nella mente di Marinette.

«Yo! È un piacere fare la tua conoscenza Boss!» rise Wen, e cavolo, dovette ammettere a sé stessa che quello era proprio un signor sorriso.

Nulla in confronto a quello abbagliante e dolce di Adrien, ma comunque era sicura che questo giovane asiatico dai capelli verdi avrebbe fatto strage di cuori ovunque sarebbe passato.

Inaspettatamente ricevette subito un ennesimo rimprovero da parte di Wayzz, accompagnato da un leggero colpetto di guscio sul capo di Wen. «Non è così che ci si presenta! E non è così che ci si rivolge ad una ragazza, così la spaventi!»

No, Marinette era sicura che non avrebbe spaventato nessuno, piuttosto rischiava di lasciarsi dietro una strada di cuori non indifferente, ma preferì tacere e lasciare che il kwami continuasse la sua ramanzina.

«Ehm... Maestro, ma va davvero bene presentarci in questo modo? Insomma credevo che le nostre identità segrete dovessero rimanere... beh, segrete.»

Fu annuì, posando la tazza e fissando intensamente la ragazza: ora anche Wen e Wayzz stavano prestando attenzione, curiosi quanto Marinette sui motivi per cui il maestro avesse fatto una tale scelta. O meglio, Wen era curioso di sentire le ragioni del nonno, mentre Wayzz già sapeva cosa passava per la testa del suo ex-portatore, poiché dopo quasi duecento anni passati assieme era diventato per loro estremamente facile capirsi anche senza bisogno di parlare.

«Hai ragione, inizialmente avrei voluto che le vostre identità restassero un segreto, tuttavia Wen vivrà con me da oggi in poi.» spiegò, passando lo sguardo ora su uno ora sull'altro.«Non credo sarei riuscito ad impedire che voi due vi incrociaste per sempre, quindi l'unica soluzione era lasciare che vi incontraste subito.»

Marinette capiva il ragionamento del Maestro, probabilmente al suo posto avrebbe preso la stessa decisione: con tutte le volte che lei andava a trovarlo senza preavviso ed il fatto che Wen avrebbe vissuto con lui da quel momento in avanti sarebbe stato impossibile per loro non incontrarsi, e viste le circostanze non ci sarebbe voluto molto prima che scoprissero l'uno la vera identità dell'altro.

Si, era senz'altro la scelta migliore... se non che in quella perfetta equazione, Marinette non poteva evitare di pensare a Chat Noir, a quanto fosse ingiusto nei confronti del suo partner che qualcuno all'infuori di lui conoscesse la sua identità.

Non era leale, quasi come se stesse tradendo la fiducia del suo più caro amico.

Il Maestro sembrò leggerle nel pensiero, poiché le posò una mano sul braccio in segno di conforto, sorridendole come soltanto un nonno poteva fare.

«So che ti può sembrare ingiusto, ma c'è un motivo per cui ho bisogno che la tua identità resti segreta a tutti gli altri. Ti prometto che al momento giusto tutto ti sarà chiaro, e nel caso Chat Noir avesse qualcosa da dire, mi assumerò la responsabilità delle mie decisioni.»

Annuendo, Marinette sorrise leggermente al vecchietto, mentre pensava dentro di sé che quando il momento della verità sarebbe arrivato, non avrebbe lasciato che Fu si caricasse da solo della responsabilità di aver tenuto nascosta la verità agli altri: lui non l'aveva costretta a fare nulla, era una sua colpa tanto quanto lo era del maestro.

«Inoltre c'è anche un altro motivo per cui ho deciso di lasciare che tu e Wen vi incontraste prima di tutti gli altri.» sorrise, rivolto ad entrambi.«Mio nipote sta studiando per diventare il prossimo Guardiano dei Miraculous, affidargli la tua identità segreta era una buona scusa per mettere alla prova la sua capacità di tenere un segreto e proteggere coloro che sono stati scelti dai gioielli.»

C'era anche un altra ragione, ma per il momento Fu decise di conservarla per il futuro, quando anche gli altri fossero stati pronti a caricarsi quel peso sulle spalle.

«Sarà fantastico vedrai! Saremo una grande squadra e faremo faville insieme!» gridò eccitato Wen, calmandosi l'istante in cui vide lo sguardo indifferente -probabilmente contrariato- che la ragazza lanciava in giro per la stanza, evitando accuratamente di soffermarsi su di lui.

Non sembrava per nulla felice, e nonostante capisse i sentimenti di lei, non poté negare di esserci rimasto male: voleva fare qualcosa, qualunque cosa pur di farsi accettare almeno un minimo dalla ragazza che era la leader del suo nuovo team.

Wen per una volta era incerto su come procedere, su quali fossero le parole giuste da dire a quella ragazza che non sembrava contenta di affidargli il segreto che aveva custodito gelosamente per tanto tempo: fece un profondo respiro, raccogliendo tutto il coraggio che sapeva -sperava- di avere e le sorrise dolcemente. «Ehi, so che sono nuovo e che preferiresti avere Chat Noir al tuo fianco. Lo capisco, davvero! Però ecco... sono molto felice di poter lavorare con te! Spero potremmo diventare amici un giorno.»

Marinette si intenerì vedendo come Wen -un ragazzo più grande di lei- si stesse impegnando per metterla a suo agio, cercando di capirla e concedendole un po' di spazio per accettarlo e considerarlo come un amico. Con un sospiro allungò una mano verso di lui, consapevole di essere stata tutt'altro che amichevole: aveva lasciato che i suoi sentimenti personali offuscassero ciò che aveva davanti -ancora una volta, doveva davvero iniziare a controllarsi- ovvero un ragazzo dal cuore d'oro e gentile, solo in un paese straniero lontano milioni di chilometri dalla sua famiglia, con un disperato bisogno di amici su cui contare.

«Ti chiedo scusa, non sono stata molto amichevole. Ricominciamo a capo ti va? Molto piacere, io sono Marinette Dupain-Cheng.»

Wen sorrise di cuore, stringendo forte la mano di Marinette -forse un po' troppo forte- e ricambiando il saluto.«Wen Nguyen! Spero diventeremo buoni amici Mari!»

Arrossì all'improvviso soprannome che le aveva affibbiato con confidenza, ma capì che quello era semplicemente il carattere di Wen e si lasciò andare ad un sorriso, massaggiandosi la mano stretta con troppa forza e dichiarandoli ufficialmente amici.

«Wen frequenterà la tua scuola, il secondo anno di Lycée al Collège Françoise Dupont, vorresti accompagnarlo il primo giorno? Sai, mio nipote non è molto pratico con... l'orientamento.»

Wayzz si mise in mezzo al discorso, mettendosi davanti a Marinette quasi in ginocchio:«Oh ti prego Marinette! Non credo di farcela un altro giorno ad impedire che quella testa dura rischi di perdersi ad ogni passo che fa!»

«Ehi! Non sono così pessimo!» protestò Wen ridacchiando.

Il kwami lo guardò con dubbio e malafede:«Sì... sì, sei così pessimo.»

Marinetti coprì le labbra per nascondere la leggera risata che i due le avevano causato, facendo l'occhiolino a Tikki affinché stesse al gioco.

«Che ne dici Tikki? Dovremmo dare una mano a questi due maschietti?»

Tikki rise, facendo finta di ponderarci,«Mmmm non lo so, forse dovremmo abbandonarli al loro destino.»

Wayzz era praticamente in lacrime, mentre Wen continuava ad insistere di non essere poi così pessimo con le indicazioni stradali, il tutto condito dalle risate genuine di Tikki e Marinette, che si stavano divertendo un mondo a prendere in giro i nuovi amici.

Fu li guardava e sorrideva, chiedendosi perché non potessero essere semplicemente dei ragazzini normali, che ridono e si divertono come ogni giovane della loro età dovrebbe fare: poi si ricordò di essere lui la causa di tutto quel disastro, lui e l'errore che l'avevano portato a perdere due Miraculous, ma non poteva lasciare che il senso di colpa lo divorasse, non ancora, non in quel momento.

Avevano ancora bisogno di lui, ed intendeva dare loro tutto il supporto ed il sostegno di cui avevano bisogno: a tal punto, Marinette era andata da lui con un compito preciso quel giorno, il prossimo punto sulla sua lista di cui voleva parlare con il nipote e la ragazza.

Lasciò che ridessero ancora un po', erano soltanto ragazzini dopotutto, ed era sicuro che qualche minuto di svago in più non avrebbe messo a rischio Parigi più di quanto già non fosse.
 

***
 

Sbattendo violentemente un pugno contro il muro, Papillon aveva bloccato Le Paon al muro nel momento stesso in cui quest'ultima aveva avuto il coraggio di ripresentarsi davanti a lui con quel suo ghigno compiaciuto, ridendo sguaiatamente del caos che aveva portato a Champ du Mars poche ore prima, vantandosi di aver stanato ognuno dei portatori a cui il Guardiano aveva affidato un Miraculous.

Mentre la sentiva avvicinarsi -il ticchettio fastidioso dei tacchi rimbombava in tutto il covo- Papillon non riusciva a smettere di fremere per la rabbia: se c'era una cosa che non tollerava, quella era l'essere preso in giro, deriso ed umiliato da qualcuno che lui considerava inferiore, ma che sembrava rivelarsi sempre un passo avanti a lui.

Era una macchia al suo orgoglio, e a quello di Gabriel Agreste.

«Credi forse che io stia giocando?!» sapeva che doveva restare calmo, che i suoi sentimenti non dovevano prendere il controllo sulla ragione -respira Gabriel, concentrati- ma con il ghigno di Le Paon davanti era impossibile persino per lui mantenersi lucido e razionale.

Anche bloccata al muro con la mano di Papillion stretta alla gola Le Paon non smetteva però di sogghignare arrogantemente, per nulla intimorita dallo scatto d'ira che il suo cosiddetto alleato stava avendo: ci voleva ben altro per spaventarla, non dopo tutti gli anni passati al servizio del suo padrone, più temibile di quanto Papillon potesse mai sperare di diventare.

Usando il ventaglio riuscì a scacciare la mano dell'uomo che le bloccava la gola, senza mai smettere di guardarlo con sufficienza.«Cerca di stare calma, farfallina. Dimmi, cosa ti turba?»

Digrignando i denti furioso, Papillon rafforzò la presa sul collo della donna -avrebbe voluto vedere le lacrime solcare quel suo viso beffardo, ma sembrava che niente potesse farle perdere quel ghigno canzonatorio- sempre più irato dall'indifferenza che Le Paon sembrava mostrare.

«Quel potere... voglio che tu mi dica tutto!»

La donna sorrise, liberandosi con maestria dalla stretta di Papillon, costringendolo ad indietreggiare e ad alzare il bastone per difendersi dall'ennesimo calcio che Le Paon gli aveva rivolto contro.

Una volta assicurata la distanza tra loro, la donna si rilassò di nuovo, nascondendosi dietro il ventaglio e guardando l'uomo davanti a lei con sufficienza e pietà, uno sguardo che fece ribollire il sangue a Papillon più di quanto avrebbe voluto.

«Ogni donna ha i suoi segreti, non credi?» aveva sussurrato, sventolandosi con grazia.«Ti basti sapere che sono dalla tua parte, e che questo potere serve a far si che il tuo sogno di realizzi.»

Stringendo i pugni fino a quasi farsi sanguinare, Papillon fulminò Le Paon con lo sguardo, chiedendosi ancora cosa l'avesse convinto ad allearsi con una persona a lui estranea, che non sembrava condividere nulla con lui se non il desiderio di possedere i Miraculous della Coccinella e del Gatto Nero. Forse quell'alleanza era stata un errore, forse era stato accecato dalle possibilità di avere un altro eroe al suo fianco per contrastare quei mocciosi fastidiosi che non aveva riflettuto abbastanza alle conseguenze.

«Oh su, non essere triste farfallina, ora sai che tutti i Miraculous sono a Parigi no? Dovresti essere allegro.» rise Le Paon, lasciandosi alle spalle l'uomo e sparendo nel buio dal quale era arrivata.

Una volta rimasto solo, Papillon sciolse la trasformazione, ritornando ad essere il solito, indecifrabile e pacato Gabriel Agreste.

«T-Tutto bene, padrone?» domandò incerto Nooroo, vedendo il volto corrucciato del proprio portatore, stanco e provato da quegli ultimi giorni insonni nel vano tentativo di sconfiggere Ladybug e Chat Noir, uniti al lavoro che compiva nelle sue vesti civili, al quale non voleva assolutamente rinunciare.

«Sto bene, non preoccuparti.» ma sapevano entrambi che era una mera bugia.

Le Paon aveva ragione, avrebbe dovuto essere felice di sapere che tutti i Miraculous erano lì, a Parigi, alla sua portata e pronti per essere presi: tuttavia non riuscì a trovare nel suo cuore ormai di ghiaccio la forza per essere compiaciuto di quella scoperta.


 


 

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Capitolo 13
*** Chapter 12 ***


... Yes, maybe I'm back...



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Livre 1

~ Destin Maudit~

  

Tutto sommato -enorme pericolo in fiamme a parte- Adrien non poteva lamentarsi di come le sue giornate fossero migliorate nelle ultime settimane, da quando sua zia e Manuèl avevano deciso di sorprenderli con il loro arrivo: spendeva gran parte delle serate in compagnia di suo cugino, ridendo e scherzando come quando erano piccoli, finendo per addormentarsi con ancora i controller della console tra le mani dopo un'intensa sfida a Ultimate Mecha Strike III, conclusasi con un pareggio e la promessa di regolare i conti in una prossima sfida.

Anche il lavoro era diventato meno stressante, anzi si era rivelato quasi divertente partecipare a servizi fotografici e spot pubblicitari con la consapevolezza che nello stesso studio -e occasionalmente insieme- suo cugino stava lavorando esattamente come lui: Spagna o Francia, Manuèl era comunque uno dei volti principali della linea Agreste quanto lo era lui, ragion per cui né sua zia né suo padre avrebbero mai permesso che restasse indietro con il lavoro.

Era fantastico avere sua zia e Manuèl sotto lo stesso tetto, nonostante le circostanze non fossero le migliori -pensare alle condizioni che li avevano portati a Parigi era sempre una pugnalata al cuore per ognuno dei suoi famigliari, perfino suo padre- Adrien non poteva che gioire della loro compagnia, sentendosi un po' meno solo in una casa altrimenti troppo grande e vuota per lui.

Ancora non gli sembrava vero di poter passare i pasti in compagnia, di riuscire a chiacchierare con la zia sulle giornate trascorse tra impegni lavorativi ed uscite con gli amici, di avere la compagnia di Manuèl quando era obbligato a restare in casa senza nulla da fare: nonostante la presenza di Plagg e la sua immancabile compagnia, il calore e l'affetto famigliare erano qualcosa di cui aveva sentito terribilmente la mancanza.

L'unica situazione di cui si dispiaceva era che suo cugino fosse stato iscritto all'istituto privato Charlemagne -«Perdonami mi querido, credevo che Gabriel ti facesse ancora studiare a casa, altrimenti lo avrei iscritto alla tua scuola.»- non potendo così presentargli direttamente tutti i fantastici amici che si era finalmente fatto, situazione a cui avrebbe però posto rimedio non appena ne avrebbero avuto l'occasione: con la settimana della moda in avvicinamento e l'esposizione della nuova collezione del padre in avvicinamento avrebbero dovuto lavorare molto, ma Adrien era positivo che sarebbero riusciti a ritagliarsi del tempo per uscire e divertirsi come ragazzi normali.

Al picco della felicità, non avrebbe potuto chiedere nulla di più dalla vita: qualcosa c'era veramente, ma l'amore della sua Lady non poteva certo essere conquistato con facilità in un solo giorno, ma non aveva certo fretta, ed era sicuro che presto anche Ladybug si sarebbe accorta di quanto perfetti fossero insieme. Era solo questione di pazienza.

«Yo bro!» una volta sceso dall'auto salutò allegramente Nino, scambiandosi il classico pugno e avviandosi con lui verso l'ingresso della scuola, pronto a godersi una nuova e pacifica giornata all'insegna dell'amicizia e del divertimento -e dello studio, ma quello poteva passare in secondo piano.

S'incamminarono fino a raggiungere il cortile, dove le loro amiche si erano già riunite a parlare mentre aspettavano l'inizio delle lezioni. Adrien fu piacevolmente sorpreso di vedere Marinette già tra loro, puntuale e addirittura in anticipo rispetto a quanto non fosse solitamente: non che lui potesse farle alcuna predica, tra gli akuma e le ronde notturne con la sua Lady, gli unici motivi per cui riusciva ad arrivare in orario erano Nathalie, la sua rigida scheda d'impegni ed il fatto che venisse accompagnato dal Gorilla. Era l'ultima persona a poter far prediche da quel punto di vista.

Mentre le guardava non poté trattenere un sorriso di gioia nel vedere quanto bene Ameliè si fosse ambientata nella nuova scuola, dell'incredibile rapporto che stava costruendo -passo dopo passo, con calma e senza fretta- con Marinette e Alya, rallegrandosi che finalmente anche la più timida ed impacciata delle sorelle Bourgeois avesse trovato delle buone amiche su cui contare: credeva sinceramente che la grinta di Alya e la dolcezza di Marinette potessero farle senz'altro bene per sciogliere quel guscio di tensione e paura che la circondava, rendendola incapace di conversare pacificamente con chiunque e rendendo così vani i suoi tentativi di fare amicizia.

«Ehi ragazze!» le salutarono lui e Nino, scatenando nelle tre reazioni completamente diverse l'una dall'altra.

Alya ricambiò il saluto sorridendo, senza scomporsi minimamente, andando verso il proprio ragazzo in cerca di un abbraccio e di un bacio fugace che durò pochi secondi, ma che costrinse comunque Adrien a distogliere lo sguardo, imbarazzato.

Al contrario, Ameliè aveva compiuto un salto non indifferente, colta alla sprovvista e spaventata dalla loro improvvisa comparsa, balbettando un saluto e nascondendosi appena dietro la coda di capelli biondi che le ricadeva sul lato, in un vano tentativo di nascondere l'imbarazzo per l'ennesima figura da gattino spaventato che aveva fatto.

Marinette invece sorrideva, di quel sogghigno particolare che gli rivolgeva ogni volta che riuscivano a scambiare qualche parola di senso compiuto, prima che la ragazza iniziasse a balbettare frasi senza senso, strappandogli sempre un sorriso: nonostante le sue stranezze, Adrien considerava Marinette una cara amica, ed il modo in cui riusciva sempre a tirargli su l'umore aveva un che d'incredibile, non riusciva a darsi una spiegazione concreta, ma era una sensazione che non gli dispiaceva.

«Allora signor modello, sarà finalmente dei nostri o anche oggi i suoi impegni la terranno occupato tutto il giorno?» scherzò Alya, ricevendo in cambio solo uno sguardo confuso e spaesato da parte del suddetto modello.

«Mi sono perso qualcosa?» a giudicare dagli sguardi degli amici, probabilmente si.

«Ma come bro? Non ricordi? Oggi andiamo a mangiare un gelato dopo la scuola!» gli ricordò Nino, riaccendendo nella mente di Adrien il ricordo di quando gli stava venendo riferito.

Come aveva potuto scordarsi di un appuntamento così importate con i suoi amici? Beh, certo gli eventi degli ultimi giorni non aiutavano la sua povera mente a tenere conto di ogni cosa, ma comunque non era certo una cosa carina da fare ai suoi amici.

Si prese qualche secondo per pensarci, e se i suoi calcoli non erano errati, lui e Manuèl avevano un solo servizio fotogramma in programma quel giorno -schedato immediatamente dopo le lezioni-e nient'altro, quindi forse potevano riuscire a raggiungere gli amici una volta finito il lavoro: e nel caso suo padre si fosse dimostrato contrario, chiedere un piccolo aiuto a sua zia poteva risultare in una mossa vincente.

Era tutto troppo perfetto per essere vero.

Senza pensarci ulteriormente Adrien annuì sorridendo.«Dopo la scuola ho un servizio fotografico, ma dovrei riuscire a raggiungervi appena finisco! Va bene se porto con me anche mio cugino?»

«Certo! Più siamo, meglio è.» sorrise Nino. «Finalmente avremo l'occasione di conoscere il famoso cugino di cui parli tanto negli ultimi giorni! Sono davvero curioso.»

«Vedrai che ti piacerà, Manuèl è davvero un tipo in gamba.» Adrien stesso era euforico all'idea di presentare il cugino agli amici, poiché sperava di poter passare più tempo assieme a tutte le persone per lui importanti.

«Grande! Sentito Marinette? Non è fantastico che anche Adrien possa essere dei nostri?»

Annuendo all'affermazione di Alya, Marinette gli sorrise ampiamente, quasi tra i due fosse lei la più contenta che -nonostante gli impegni- avesse trovato il modo di poter uscire anche con loro.

«Sei fantastico... cioè! È fantastico che tu possa venire! Non che tu non sia fantastico, anzi... cioè sei molto più che fantastico, CIOÈ CHE BELLO!»

Ancora, quel piacevole calore si diffuse nel petto di Adrien mentre sogghignava alla vista della faccia frustrata di Marinette -cavolo, era diventata davvero rossa stavolta, sembrava quasi un'adorabile fragola matura!- mentre alle sue risate si univano anche quelle leggere ma divertite dei loro amici.

Era di questo che parlava: ovunque ella andasse portava gioia e sorrisi, senza fare niente di particolare per riuscirci, e non poteva che trovare questa -così come tante altre- sua qualità davvero fantastica.

Alya -probabilmente provando pietà per l'amica e volendo concederle una pausa dall'imbarazzo- decise di spostare la sua attenzione su Ameliè, un'altra persona che sembrava avere problemi ad uscire con l'approvazione dei genitori -beh, un genitore a dire il vero, e Adrien non comprendeva quale problema avesse Audrey Bourgeois nel concedere a sua figlia la possibilità di farsi degli amici, Chloè non aveva tutti questi problemi.

«E lei Cinderella? La sorellastra cattiva la lascerà venire al ballo o chiamerà la matrigna per confinarla in casa ancora una volta?» non avrebbe saputo descrivere la situazione meglio del paragone fatto da Alya.

«N-Nostra m-madre è volata a New York, u-un impegno improvviso c-con alcune modelle. N-non tornerà prima del m-mese prossimo.»

Il che per Ameliè significava poter respirare aria fresca, lontano dalle grinfie della madre che sembrava avere verso di lei una sorta di ossessione, un bisogno ingiustificato ed irrazionale di creare una mini versione di sé: la domanda -conoscendo la sua situazione famigliare almeno in parte- gli nacque spontanea.

«E ti ha lasciato qui? Da sola? CON TUO PADRE?»

Ameliè sorrise amaramente mostrando a tutti una schermata del cellulare in cui comparivano così tanti punti di un'enorme lista di compiti che superava senza ombra di dubbio tutti gli impegni di Adrien fino alla fine del mese.

«Mi ha lasciato dei c-compiti da fare, d-dice che a P-Parigi forse potrò i-imparare qualcosa.» rimise il cellulare nella tasca dello zaino da cui l'aveva tirato fuori, sorridendo verso gli amici.«L'i-importante è finire la l-lista, giusto? E s-se mentre la c-completo dovessi per c-caso incrociarvi e f-fermarmi per un gelato...» provò a fare l'occhiolino, ma era evidente che non era un'azione solita fare, risultando soltanto in una serie di facce buffe che strapparono una sonora risata a tutti i suoi amici. Ameliè era arrossita più di Marinette, torturandosi la punta dei capelli per cercare di nascondere l'imbarazzo e la frustrazione di aver fatto qualcosa di male.

«Ahahahahah sei grande Ameliè!» disse Marinette, mentre la circondava in un abbraccio comprensivo e solidale.«Non preoccuparti, siamo compagne d'imbarazzo! Ti proteggerò io da quelle risa malefiche!»

Continuarono a ridere e a parlare per diversi minuti, fino a quando il suono della prima campanella non li avvisò che era il momento di entrare in classe, prossimi ormai all'inizio delle lezioni: decisero di avviarsi, poiché anche se di buon cuore ed estremamente paziente, Mrs. Bustier non apprezzava i ritardatari.

«Allora, per quel gelato di cui parlavamo...»

«Maaaaaaariiiiiiiiiiii!»

Un tifone verde interruppe Adrien, costringendolo a voltarsi verso l'amica alle sue spalle per capire cosa fosse appena accaduto: sgranò gli occhi quando vide un ragazzo incredibilmente alto -ci mancavano solo i giganti ad invadere Parigi!- gettarsi quasi a peso morto sulle spalle di Marinette, abbracciandola di sorpresa.

Evidentemente lo sconcerto della scena fu soltanto suo, poiché gli altri amici stavano ridacchiando tranquillamente, e la stessa interessata non sembrava minimamente scossa dal peso improvviso sulle spalle, concedendosi anche una risatina e scompigliando affettuosamente i capelli verdi del misterioso assalitore.

Il cuore di Adrien saltò un battito, ma cercò di non darci peso.

«Hai scoperto in quale aula sei?» le sentì chiedere, mentre l'attenzione di tutti passava dal gelato alla nuova presenza apparsa alle spalle di Marinette, che ancora non sembrava intenzionato a lasciarla andare.

«Yup! Mr. Damocles mi ha appena fornito l'orario completo, e ho già intravisto alcuni compagni di classe, sarà una passeggiata!» Marinette guardò scettica il ragazzo, voltando appena il capo affinché anche lui potesse vedere il cipiglio dubbioso che le corrucciava la fronte.«Sul serio! Ti prometto che se dovessi faticare chiederò subito indicazioni!»

«Va bene, ma fammi sapere quando arrivi in classe... o se mentre ci vai inizi a vedere la Tour Eiffel...» fu il sarcastico commento della ragazza, che strappò una risata a tutti, escluso lui.

Ora, Adrien non era una persona irritabile e difficilmente concedeva agli altri la possibilità di vederlo irritato -salvo quando riceveva proibizioni assurde da parte del padre- ma doveva ammettere che qualcosa di tutta quella situazione gli stava procurando un certo fastidio alla bocca dello stomaco incredibilmente difficile da digerire: probabilmente era dovuto dal fatto che in quel determinato frangente si sentiva isolato, quasi tagliato fuori dalla conversazione -e no, non era assolutamente dovuto alla troppa vicinanza di quel tipo a Marinette, non c'era motivo per cui fosse quella la ragione.

Nino sembrò ricordarsi di avere un confuso migliore amico alle spalle, sbrigandosi quindi a chiarire finalmente la situazione.«Ah giusto! Ieri non sei venuto e non hai potuto conoscerlo! Adrien, ti presento un ragazzo del secondo anno di Lycée, Wen Nyug... Gyun... ehm, una mano amico?»

Il ragazzo rise, staccandosi -finalmente- da Marinette e avvicinandosi a lui con la mano tesa ed un grande sorriso stampato in faccia: sembrava simpatico, ma per qualche ragione la sola vista di quel tipo gli procurava un fastidio indescrivibile allo stomaco che gli impediva di accoglierlo come dovuto.

«Wen Nguyen, piacere!»

Adrien ricambiò la stretta, sfoderando il miglior sorriso di circostanza che riuscì a fare.«Adrien Agreste, piacere.»

Il viso di Wen si illuminò.«Ah, il famoso Adrien! I tuoi amici mi hanno parlato molto di te, non vedevo l'ora di conoscerti! Specialmente Mari, sai lei...»

Prima che potesse continuare, “Mari” cominciò a spingere Wen, il viso rosso quanto un peperone, insistendo nel volerlo accompagnare in classe per evitare che si perdesse -a quanto pare il ragazzo aveva un pessimo orientamento.

«Ma Mari...»

«N-Niente ma! Muoviti!» si voltò verso di loro, ancora rossa in volto, sorridendo nervosamente.«A-Andate pure, dite a M-Mrs. Bustier che la amo... CIOÈ CHE ARRIVO!» e sparirono così, lungo le scale del secondo piano, sotto gli sguardi divertiti -e irritati- dei loro amici.
 

***
 

«Chi era quello esattamente?»

Nino sussultò nel sentire il tono brusco con cui il suo migliore amico aveva posto la domanda, percependo tutta l'ostilità che sembrava provare nei confronti del nuovo arrivato: probabilmente non se ne era nemmeno reso conto, ma per loro che ormai lo conoscevano bene era stato immediato riconoscere il cambiamento nel tono di voce solitamente docile e amichevole.

Si girò a guardarlo, scorgendo negli occhi del migliore amico qualcosa che raramente gli aveva visto in volto, un'espressione corrucciata ed infastidita che di solito era rivolta tutta verso suo padre e le sue innumerevoli restrizioni.

Lanciò poi un'occhiata veloce alla propria ragazza, ritrovandosi a sudare copiosamente, in pena per l'ignaro amico: Adrien non riuscì a scorgere il ghigno saccente e calcolatore di Alya, troppo concentrato a seguire con lo sguardo Marinette e Wen.

«Il nipote di un conoscente, da quello che ho capito è arrivato in città da poco, ed il nonno di Wen ha chiesto a Marinette di prendersi cura di lui.» Alya non tolse lo sguardo da Adrien per tutto il tempo.

«Capisco...»

Nino lo conosceva talmente bene da sapere che, in quel preciso momento, Adrien stava combattendo una lotta interiore che non sapeva come placare, diviso tra il voler conoscere e fare amicizia con Wen e la nuova strana sensazione che probabilmente lo logorava da dentro, intimandogli di prendere a pugni il nuovo studente.

Se non fosse stato per il fatto che Adrien fosse completamente inconsapevole delle ragioni di questo suo conflitto, probabilmente Nino gli avrebbe riso in faccia, scuotendo il capo a quanto -nonostante l'incredibile cervello che si nascondeva sotto quella zucca bionda- il suo migliore amico risultasse ingenuo su certe questioni.

«S-Sembra simpatico, e M-Marinette dice c-che è un bravo r-ragazzo.» aggiunse Ameliè, completamente inconsapevole di aver alimentato ancor maggiormente l'irritazione inspiegata di Adrien.

Al contrario dei due invece, così come la sua ragazza, anche Nino aveva capito che c'era qualcosa di strano nelle reazioni di Adrien, e che se avesse lasciato correre, Alya avrebbe probabilmente ficcato il naso così da “aiutare” -«In buona fede! Non c'è alcun secondo fine!»- Adrien a capire cosa succedesse e perché fosse rimasto così turbato dall'incontro con Wen.

Decise di intervenire prima che Alya dicesse o facesse qualcosa che mettesse in crisi il suo migliore amico: amava Alya con tutto il cuore, pregi e difetti annessi, ma sapeva anche che spingere troppo sull'acceleratore e forzare Adrien in qualcosa che lui stesso non aveva ancora realizzato rischiava di rivelarsi una mossa controproducente. Non poteva semplicemente spingerlo tra le braccia di una ragazza che non amava per vedere quest'ultima felice.

Non c'era dubbio che volesse aiutare Marinette a realizzare il suo sogno d'amore, cavolo era sua amica da così tanto tempo che potevano definirsi fratelli, non esagerando nel dire che forse la conosceva quasi meglio lui di Alya, ma per quanto volesse vederla felice, non era disposto a barattare la felicità della ragazza con quella di Adrien: anche lui era suo amico e meritava di stare con qualcuno che lui stesso desiderava.

Per quanto gli dolesse dirlo, al momento Marinette non era la ragazza adatta a lui: lei vedeva soltanto la parte del ragazzo perfetto, incapace di andare oltre ed ignorando quasi inconsciamente i difetti e i sentimenti di quest'ultimo. Senza contare che -anche se dopo quel che aveva visto non era era poi così sicuro- Adrien non vedeva in lei che una buona amica e nulla più.

Nonostante la situazione sembrasse disperata, comunque Nino era fiducioso che, al momento giusto, entrambi avrebbero trovato la felicità l'uno tra le braccia dell'altra, ma solo quando fossero stati pronti ad accogliersi completamente, pregi e difetti annessi, senza obblighi e restrizioni.

Le reazioni di Adrien a Wen, per il momento, erano un inizio più che sufficiente.

«Coraggio, è meglio avviarsi o rischiamo di tardare.» per quel giorno era meglio non mettere troppa carne al fuoco e forzare la mano, quindi prese per mano Alya e la trascinò verso la classe prima che potesse dire altro, ricevendo un'occhiataccia a cui rispose con un ghigno ed un occhiolino.

La pazienza era la virtù dei forti.
 

***

 

Sdraiandosi con un tonfo sul proprio letto, assicurandosi di aver chiuso a chiave la porta della stanza, Ameliè abbracciò il cuscino, perdendosi a guardare il soffitto color crema, con il cuore che ancora le martellava in petto come un rumoroso tamburo dal ritmo scandito, costante e veloce, il sangue scorrerle veloce come un fiume in piena, inondandole le gote di un rossore pallido ma visibile.

Aveva il fiatone, l'adrenalina che le faceva scuotere il corpo di brividi incontrollabili, annebbiandole vista e mente che ancora non riusciva a realizzare quanto fosse accaduto solo pochi minuti prima.

«Sei stata molto coraggiosa signorina.»

Affondò la testa nel cuscino, imbarazzata, mentre la frase detta da quel gentile vecchietto ancora riecheggiava nelle sue orecchie, incapace di dimenticarla e lasciarsela alle spalle assieme agli spaventosi eventi cui si era ritrovata partecipe.

Coraggiosa.

Era stata coraggiosa per qualcuno.

La codarda, timida e fragile Ameliè era riuscita ad agire con coraggio, aiutando un povero signore anziano che era stato aggredito da alcuni brutti ceffi in cerca di soldi facili, accerchiandolo in un vicolo isolato che soltanto lei sembrava aver notato appena in tempo.

«H-Ho... aiutato q-qualcuno...»

Forse era ancora a causa dello spavento -le gambe le erano cedute un secondo dopo che i criminali erano fuggiti, spaventati dalla sua bugia sull'arrivo della polizia- ma il cuore sembrava non voler rallentare i propri battiti, unito però a una qualche sorta di felicità che Ameliè non aveva mai provato prima.

Non c'era solo paura in lei, ma una sorta di sollievo e felicità che non riusciva a spiegarsi, una sensazione strana ma per nulla sgradevole, nonostante il nodo allo stomaco che non sembrava volersi sciogliere -sicuramente a causa del nervosismo, di quello era certa.

Mentre un vortice di emozione le esplodeva nel corpo, il pensiero di Ameliè volò istintivamente a Chat Noir, al ricordo di come l'aveva salvata, e si chiese se magari -in una remota occasione che si ricordasse di lei- il giovane eroe non sarebbe stato orgoglioso di lei.

Arrossì, coprendosi nuovamente nel cuscino e dandosi da sola della sciocca, poiché un eroe impegnato e famoso come lui non aveva certo tempo di pensare ad una persona qualunque come lei: considerato poi che salvava centinaia di persone ogni giorno, non c'era certamente possibilità che potesse ricordarsi proprio di lei.

Eppure...

Eppure la speranza era l'ultima a morire.

Lasciando che il cuscino scivolasse nuovamente al lato del letto, Ameliè si mise a sedere, stringendo i pugni e sorridendo a sé stessa, per una volta fiera delle proprie azioni: anche una come lei poteva farcela se ci provava davvero.

Si ricordò all'improvviso di non aver ancora contattato Lila quel giorno, improvvisamente emozionata nel raccontare alla propria amica dell'avventura vissuta quel giorno: era anche merito delle sue parole che era stata capace di trovare il proprio coraggio, doveva ringraziarla a dovere.

Si alzò per recuperare il cellulare lasciato sulla scrivania, accorgendosi in un secondo momento che qualcosa d'insolito era poggiato proprio lì accanto, qualcosa di cui prima non aveva affatto notato la presenza: una scatolina nera, posata non troppo lontana da dove aveva lasciato il cellulare appena entrata in camera.

Corrugando la fronte, Ameliè tentò di ricordare se fosse qualcosa di appartenente a lei, ma più di pensava, più era sicura di non aver mai visto quella scatola prima d'ora.

Possibile fosse di Chloè?

Impallidì alla sola idea, terrorizzata anche solo nell'immaginare la reazione della sorella se mai avesse scoperto che qualcosa di suo era finito tra le sue mani: non importava che lei non fosse la responsabile di quell'errore, Chloè l'avrebbe accusata di furto e non avrebbe potuto dormire sonni tranquilli per paura della vendetta che, presto o tardi, sarebbe certamente arrivata.

Erano molto unite una volta, tempo prima, quando erano bambine innocenti a cui piaceva giocare con le bambole sognando l'arrivo del principe azzurro, quando la loro madre sembrava ancora innamorata del padre: ma quei tempi erano finiti, ed ora ad Ameliè non restava che il terrore nei confronti di quella sorella capace di ogni cosa pur di renderle la vita difficile.

Scuotendo il capo e ricacciando ogni possibile disastroso futuro nei meandri della propria immaginazione, Ameliè prese la scatolina tra le dita, decisa a riportarla a Chloè prima ancora che quest'ultima potesse accorgersi della scomparsa.

Mentre se la rigirava tra le dita si chiese come avesse fatto quella strana scatolina ad arrivare nella sua stanza, e cosa vi fosse nascosto all'interno: sembrava antica e preziosa, e la curiosità di sapere cosa vi fosse all'interno si fece sempre più forte, fino al punto che non riuscì a resistere, decidendo che si, l'avrebbe riportata il prima possibile al proprio posto, dando però prima una sbirciatina all'interno per scoprirne il contenuto.

Lentamente, con le mani che le tremavano visibilmente, Ameliè aprì il cofanetto, ma prima che potesse vederne il contenuto, una luce intensa la costrinse a distogliere lo sguardo mentre la paura di aver fatto qualcosa di sbagliato tornava a morderle la bocca dello stomaco.

Non riuscì a riaprire gli occhi fino a quando una vocetta impaziente non rimproverò le sue maniere poco cortesi e rispettose.

«Ti sembra forse questo il modo di accogliere un ospite?! Serrando gli occhi e voltando il capo?! Uff, grandi Dei, ma cosa insegnano al giorno d'oggi, “Mille e uno modi per essere cafoni”?!»

Incerta -e anche spaventata- Ameliè aprì prima uno poi l'altro occhio, ritrovandosi davanti ad una strana creaturina gialla parlante, tanto somigliante ad un'ape un po' fuori misura.

Rimase a fissarla per diversi secondi, incredula, scioccata, incapace di registrare ciò che si stava palesando davanti ai propri occhi.

Non era reale, non poteva esserlo.

«Ehi, ci sei?»

Non era reale.

«Ehi.»

Doveva aver per forza battuto la testa.

«Ehi!»

Non poteva...

L'esserino le si avvicinò, dandole un piccolo buffetto sul naso e soffiando irritato.

«Non lo sai che è maleducazione fissare una signora?!»

Era reale.

Era molto reale.

Ameliè rimbalzò all'indietro, cadendo sul letto e afferrando un uscino da usare come scudo, le lacrime che già copiosamente le si formarono alla base degli occhi, mentre cercava le parole da dire in un momento come quello.

Infine urlò.

 

 

 

 

«Ci sei Ameliè? Non è educato far aspettare gli altri!»

Annuendo alla piccola Kwami, Ameliè si diede un'ultima controllata allo specchio, aggiustando il Miraculous che faceva bella figura tra i suoi capelli, un fermaglio argentato all'apparenza normale che però poteva garantirle incredibili poteri che non avrebbe mai pensato di poter usare.

Si guardò un'ultima volta, attenta che nulla fosse fuori posto, lasciandosi poi andare ad un sospiro rassegnato: non importava quanto impegno ci mettesse, i risultati sembravano non essere mai quelli sperati.

Sentiva lo sguardo indagatore di Reein su di lei, intenta a studiarla per capire quale fosse il problema.

«Cosa, esattamente, non ti convince?» chiese la Kwami giocherellando con una delle antenne prima di risistemarla all'indietro, perfetta come se non l'avesse nemmeno toccata: alle volte Ameliè davvero la invidiava per quella sua perfezione naturale.

Non importa cosa facesse, Reein era sempre impeccabile e perfetta, l'esempio perfetto di quello che sua madre avrebbe voluto da lei, ma che Ameliè sapeva di non poter essere: non era una strada fatta di moda che voleva, ma sfortunatamente non era nata con la possibilità di scegliere e mai l'avrebbe avuta.

«È-È solo che... T-Tu sei sempre p-perfetta Reein, non importa c-cosa e come, e-e anche Chloè è così... mentre io... io...»

Lei era solo capace di rendersi ridicola ogni volta che tentava di combinare qualcosa di buono, quanto provava ad imitare anche solo in parte i movimenti aggraziati e fieri della madre, quando goffamente cercava di vestirsi con la stessa cura e stile della sorella, quando con incredibile fatica imitava i make-up che tante volte aveva visto sui visi luminosi delle modelle che sfilavano per Audrey Bourgeois sulle passerelle più famose del mondo.

Ad Ameliè piaceva il mondo lucente e accattivante della moda, semplicemente non era tagliata per farne parte come sua madre avrebbe voluto.

«Oh sciocchezze! Cosa mi tocca sentire, e proprio da una mia portatrice!» Reein le arrivò ad un soffio dal naso, puntando gli occhietti azzurri dritti nei suoi, ardenti di una fiamma che Ameliè le aveva visto diverse volte, quando parlava di qualcosa in cui credeva fermamente: non poteva credere che avesse quello sguardo mentre parlava di lei.

«Nessuna, e ripeto, nessuna delle mie portatrici è mai stata un disastro, e se lo è stata, dopo aver avuto a che fare con me ognuna di loro ha scoperto la bellezza che risiedeva dentro di lei, e tu mia cara non fai eccezione.» si allontanò appena, sistemandosi l'antenna che nuovamente era ricaduta in avanti, spinta dalla troppa foga con cui si era lanciata in difesa delle sua portatrice da essa stessa.«Sei lontana dall'essere perfetta? Ovviamente si. Commetti errori e sei impacciata? Dei, assolutamente sì. Non sai la differenza tra pumps e mules? A questo punto mi stupirei se la conoscessi.»

Ameliè avrebbe voluto dirle che sapeva trattarsi di nomi di scarpe, ma non lo fece, accorgendosi che in fondo Reein aveva ragione, che anche se ci avesse provato non avrebbe saputo dire cosa differenziasse un paio di scarpe dall'altro, né in quali occasioni era meglio utilizzare o l'una o l'altra: rimase quindi in silenzio ad ascoltare.

«Ma va bene così.» questo la colse impreparata.«Nessuno si aspetta che tu conosca tutto e subito, sei ancora giovane, sei intelligente e puoi imparare tutto senza fretta, con il tempo che più ti serve. Inoltre hai già delle ottime basi, sei di sicuro fra le cinque portatrici più carine che io abbia avuto, quindi del make-up non mi preoccuperei troppo. Per quanto riguarda lo stile invece... gnh, ragazza, dobbiamo lavorare su quel tuo bisogno di maglioni larghi il doppio, perché seriamente, capisco quando sei a casa da sola, ma in certe occasioni...»

Ameliè non la lasciò finire, stringendo la Kwami tra le proprie mani e coccolandola, sull'orlo di un pianto che però non si sarebbe lasciata scappare, non questa volta: le parole di Reein erano quello di cui aveva bisogno, un'ulteriore rassicurazione tra le mille aspettative che ogni volta sembravano volerla soffocare.

«Grazie R-Reein... sei la migliore.» la sentì sbuffare, ma Ameliè potè giurare che ad un certo punto anche la Kwami si fosse lasciata andare ad un piccolo sorriso.

Passarono diversi secondi, prima che Reein si liberasse dall'abbraccio, risistemandosi per bene e tornando nuovamente a concentrarsi su di lei.

«Ora basta incertezze, abbi un po' più di confidenza e ricorda: se scelgo io il tuo outfit, niente può andare storto!»

«C-Ci proverò!» rispose con quanta più convinzione possibile, ricevendo da Reein un occhiata incerta ed un cenno col capo.

«Ottimo, ora andiamo, a nessuno piacciono i ritardatari.»
 

***
 

Marinette era nervosa.

Molto nervosa.

Incredibilmente nervosa.

Era talmente nervosa che il suo stomaco si era contorto e ritorto in una spirale indefinita, quasi come la più complicata delle montagne russe con giri della morte costanti, una salita ed una discesa continua di ansia, paura ed emozione: ancora non riusciva a capacitarsi che un solo ragazzo riuscisse a scatenarle una così forte serie di emozioni da ridurla ogni volta ad uno scherzo di sé stessa.

«Marinette, ricordati di respirare ogni tanto.» scherzò Alya, ma Marinette non trovò in sé la forza di risponderle.

Era come paralizzata, un blocco di ghiaccio teso quanto una corda di violino, pronta a spezzarsi l'istante in cui fosse stata forzata a suonare una nota fin troppo lunga e stonata -e vista la rigidità con cui stringeva le spalle, non mancava molto affinché accadesse.

La sola idea di incontrare Adrien riusciva a renderla talmente felice che avrebbe potuto toccare il cielo con un dito anche senza l'aiuto del costume di Ladybug a garantirle i poteri, ma allo stesso tempo la innervosiva più di quanto lei stessa avrebbe mai potuto prevedere, facendola agire ogni volta come una completa stupida agli occhi dell'unica persona che davvero avrebbe voluto impressionare.

E oggi quella persona avrebbe portato con sé il proprio cugino: ottimo, non solo si sarebbe resa ridicola davanti ad Adrien, ma anche davanti ad un membro della sua famiglia. Perfetto.

Già poteva vedersi, presentarsi al fantomatico cugino con aria spavalda e sicura, prima di inciampare rovinosamente a terra, trascinando con sé lo sventurato rovinandogli i preziosi vestiti della collezione Agreste e magari ferendolo pure. E magari, mentre cercava in ogni modo di scusarsi e rimediare agli errori compiuti per non perdere la simpatia di Adrien, finire col rovesciargli addosso l'intero carretto dei gelati, finendo così permanentemente sulla lista nera della famiglia Agreste.

Il solo pensiero la fece tremare.

Niente futuro nella moda, ogni possibilità di lavorare per il Mr. Agreste rovinata per sempre, e la cosa peggiore era che non avrebbe mai potuto stare insieme ad Adrien, che l'avrebbe odiata per l'onta subita dalla famiglia Agreste a causa della sua inescusabile goffaggine.

Avrebbe rovinato tutto, rinunciando per sempre alla convivenza che progettava di proporgli una volta finito il college, niente matrimonio da sogno, con l'abito bianco disegnato da lei stessa e la torta preparata con amore dai suoi genitori, i suoi tre figli immaginari sarebbero rimasti tali, così come il criceto che voleva tanto adottare.

Quel piccolo, adorabile criceto...

Due mani le si posarono sulle spalle, muovendo le dita in cerchi concentrici atti a rilassare almeno in parte le spalle che erano ormai diventate cemento armato irremovibile, ma che collassarono come burro sotto il tocco apparentemente esperto e piacevole di Wen, spezzando il flusso di catastrofici pensieri che l'avevano quasi portata ad un collasso.

Si girò appena, guardando con occhi grati Wen, che sorridendo continuava a massaggiarle le spalle: fortunatamente era seduta su una panchina, altrimenti sarebbe probabilmente caduta a terra con un tonfo nel momento in cui era tornata a respirare normalmente.

«Rilassati Mari, vedrai che andrà tutto bene!»

Nonostante la convinzione e l'energia con cui Wen sembrava positivo riguardo alla buon andamento dell'uscita, Marinette non poteva che essere nervosa, sicura che qualcosa avrebbe rovinato quella piacevole esperienza.

E se non lo farà la mia goffaggine, di sicuro un'akuma verrà a rovinarmi la giornata...

Non avrebbe mai ringraziato Papillon abbastanza per tutti i fantastici pomeriggi in cui aveva dovuto mentire ai suoi amici -o ai suoi genitori, ai poliziotti e ai professori... wow, stava diventando davvero una bugiarda professionista, l'ironia- rovinando una o più occasioni in cui avrebbe potuto godersi la vita semplicemente come Marinette: adorava essere Ladybug, ma se ogni tanto il crimine si fosse preso una vacanza o due, di sicuro non si sarebbe lamentata.

Nonostante tutto però, non avrebbe rinunciato al suo ruolo da supereroina e a Tikki per nulla al mondo, troppo legata alla kwami della creazione per poter immaginare la sua vita senza di lei, e poi c'era Chat Noir...

Scosse il capo, attenta a non lasciare che nessuno vedesse il vivido rossore che le aveva imporporato le guance.

No si disse, il suo amare essere un'eroe non centrava nulla con la rassicurante presenza di Chat Noir accanto a lei, la sua personalità frizzante e spiritosa, i suoi giochi di parole non sempre divertenti, il suo fisico che -Marinette non avrebbe mai potuto negarlo- era incredibilmente mozzaf... COS- EH?!

Il rossore si intensificò notevolmente, costringendo Marinette a raggomitolarsi su sé stessa per nasconderlo, lasciando un confuso Wen a guardarla compiere una o più torsioni solo per nascondere il volto.

Calma Marinette, respira... non stavi assolutamente pensando che Chat Noir ha un bel fisico, non stavi ASSOLUTAMENTE pensando a lui con quasi la stessa aria con cui pensi ad Adrien. Devono essere gli ormoni, per forza...

Non c'era altra spiegazione per cui avrebbe dovuto vedere qualcosa nel suo partner se non un picco ormonale che, alla sua età era completamente normale -dopotutto Chat Noir era un bel ragazzo, non c'erano dubbi a riguardo- non stava sicuramente prendendo una cotta per il suo partner, non c'era possibilità.

Lanciò uno sguardo di sottecchi ad Ameliè, intenta a scambiare qualche goffa parola con Nino e Alya: anche se per qualche strano caso avesse iniziato a sentirsi attratta da Chat Noir -e non era questo il caso, soltanto per ipotesi- la sua nuova amica sembrava essere rimasta colpita dal giovane eroe vestito in pelle nera, e se c'era qualcosa che Marinette non avrebbe mai potuto fare era tradire un'amica.

Per quanto imparentata con quella strega di Chloè -nessuna offesa verso le streghe, tutte docili agnellini a confronto- Ameliè era diventata una persona importante nella sua vita, che anche senza conoscerla bene si era dimostrata dolce e l'aveva supportata nella sua cotta per Adrien dal primo momento: lei avrebbe fatto lo stesso, mettendo da parte ogni strano istinto che la spingeva verso Chat Noir e facendo quanto più possibile per avvicinare il ragazzo dietro la maschera alla sua nuova amica.

Non sapeva come ancora, ma avrebbe di sicuro trovato un modo.
 

***
 

«Allora Manuèl, come ti trovi nella nuova scuola?»

Il gelato di André Glacier era senza ombra di dubbio il più buono di tutta Parigi, forse anche il più difficile da gustare senza l'aiuto del gps che era diventato il nuovo modo in cui il gelataio itinerante faceva sapere ai suoi clienti dove fosse in ogni momento: ai tempi del bisnonno -una storia che lo stesso André si divertiva a raccontare di tanto in tanto- chi voleva gustare il suo gelato degli innamorati doveva seguire le tracce di gelato che venivano lasciate in giro per la città di proposito, e non era sempre scontato che riuscissero a trovarlo prima che attraversasse la città due, tre volte al giorno.

Era una specie di caccia al tesoro il cui premio era il più fresco, dolce e miracoloso gelato che la città avesse da offrire: forse anche per la corsa fatta per trovarlo, il sapore era più buono che mai.

Non era occorso molto per trovarlo quel giorno per trovarlo, una volta che Adrien e Manuèl si erano presentati di tutta fretta all'appuntamento, e dopo una buona mezz'ora passata per le strade in un divertente tour della città -con Wen praticamente al guinzaglio, per evitare che si distraesse e finisse per perdersi- si erano potuti gustare il premio della loro fatica.

Alya aveva osservato Manuèl per tutto il tempo -da brava giornalista quale sognava di diventare, scovare i dettagli nelle persone nuove che incontrava era ormai diventato un hobby quasi inconscio- e più ispezionava, più notava le somiglianze fisiche che lo rendevano parte dell'albero genealogico “Agreste”.

Assomigliava un po' ad Adrien nei tratti del viso, come fisico ed altezza, e per gli occhi verdi che erano brillanti quanto quelli del cugino, forse di una sfumatura più scura, ma non per questo meno belli e magnetici. I capelli erano più corti e neri come la notte, in perfetto contrasto con la pelle olivastra che era l'opposto di quella chiara di Adrien -«Un lascito dei miei geni spagnoli, credo! Mi padre ha lo stesso colore.»

Le era sembrato adombrarsi alla nomina di suo padre, tuttavia Alya sapeva di non avere abbastanza confidenza per potergli chiedere alcunché: voleva essere una giornalista ed indagare nei segreti degli altri era il suo mestiere, ma capiva quando era meglio non toccare certi tasti dolenti che potevano riaprire ferite non completamente rimarginate. Non era ancora così spietata, non del tutto almeno.

Aveva quindi optato per l'argomento scolastico, dando così la possibilità al nuovo ragazzo di potersi ambientare, parlando di sé e della sua quotidianità -e dando a lei la possibilità di studiarne il carattere e farsi un'idea su chi avesse di fronte.

«Non c'è male, Parigi è piena di gente strana ma amichevole, e le ragazze della Charlemagne sono davvero carine con l'uniforme.» lo vide lanciare occhiatine veloci ad Ameliè, intenta a gustarsi con gioia il suo gelato -More selvatiche per rappresentare i suoi capelli, yogurt al cioccolato come i suoi occhi!»- e verso Marinette, che cercava di difendere la sua coppetta -«Pesca rosa come le sue labbra, menta come i suoi occhi, una combinazione esplosiva che ti donerà il sorriso!» dagli assalti di un insaziabile Wen, che dopo aver divorato il suo cono -«Cioccolato al latte per rappresentare i suoi capelli, menta piperita, come il freddo dei suoi occhi!»- cercava di rubarne un cucchiaio alla sua migliore amica.

Ovviamente lo sguardo contrariato di Adrien non era sfuggito ai suoi occhi, ma aveva promesso a Nino di non affrettare le cose, e di lasciare a lui il compito di schiarire le idee al giovane modello: sapeva che il suo amore avrebbe fatto le cose nel modo giusto, dunque non vide il motivo per il quale non lasciare il destino della coppia predestinata nelle sue abili mani da DJ.

«Ma devo ammettere che anche le ragazze della Dupont non sono affatto male.» concluse, ammiccando verso di lei con malizia, lasciandola interdetta per qualche secondo, salvo poi ricambiare con un sorrisetto furbo e ferino.

Fisicamente forse poteva anche assomigliare vagamente ad Adrien, ma caratterialmente erano quasi diametralmente opposti: perché là dove le ragazze si innamoravano di Adrien senza che lui ne fosse consapevole o facesse nulla per attirarne l'attenzione, Manuèl era un rubacuori consapevole dell'effetto che faceva su molte esponenti del gentil sesso.

Alya poteva scommettere che i cuori spezzati da questo giovane una volta che fosse cresciuto -se non si fosse innamorato prima- non si sarebbero potuti contare sulle dita delle mani.

«Adulatore.» scherzò lei allora, ignorando il grugnito infastidito di Nino che le si fece più vicino, come a voler difendere il proprio territorio da un possibile alpha nemico che aveva superato troppo il limite. Era quasi carino quando faceva il geloso possessivo, ma era bastato un gesto di Alya per riportarlo in controllo, come se l'avesse rassicurato che non c'era alcun pericolo e che non era necessario rizzare il pelo per niente.«E dimmi, c'è qualche ragazza alla Charlemagne che ha catturato il tuo interesse?»

Lo vide scuotere le spalle, finendo quel che restava del gelato di cui non era riuscita a sentire la descrizione, quasi come se l'argomento non lo sfiorasse minimamente.«Sono tutte carine, ma nessuna particolarmente interessante.» sembrò però ricordarsi qualcosa, voltandosi verso Adrien e attirandone l'attenzione.«Ehi primo1 ho una tua conoscenza nella mia classe, una ragazza piuttosto seria, pare che venga a praticare scherma alla Dupont. Com'è che si chiamava? Tsumugi... Tsuyumi...»

Adrien sembrò capire a chi si stesse riferendo, sorridendo allegramente.«Ti riferisci a Kagami per caso? Tsurugi Kagami?»

«Esatto! Proprio lei!»

Oh-ho. La conversazione stava prendendo una piega inaspettata, ma Alya non sapeva dire se questa fosse una buona cosa o no.

Alya sapeva di chi stavano parlando, aveva fatto una ricerca su di lei per un compito in classe, ma rimase comunque sorpresa nello scoprire che Adrien fosse conoscente di quella ragazza: certo non avrebbe dovuto stupirsi più del dovuto, in molti articoli era stata evidenziata la rivalità che in gioventù aveva visto Gabriel Agreste competere con Tomoe Tsurugi -madre della ragazza in questione, schermitrice di incredibile talento e discendente di un'antica famiglia giapponese- non aveva mai però considerato la possibilità che lei e la figlia potessero trovarsi proprio a Parigi -non c'era nessuna specifica sulla loro posizione negli articoli che aveva spulciato!

Lanciò uno sguardo a Marinette, che sembrava ascoltare con interesse e palese preoccupazione -poteva leggerle le catastrofiche teorie che si stavano formando nella sua mente a velocità supersonica semplicemente guardandola negli occhi- mentre cercava di capire chi fosse il soggetto della loro conversazione.

«E-Ehm... p-per caso parlate d-della figlia di T-Tomoe Tsurugi?» ed ecco un'altra ricca pupilla dell'aristocrazia che Alya non aveva contato nei propri calcoli, dimenticandosi quasi che la timida e tranquilla Ameliè faceva anch'ella parte dell'aristocrazia parigina -e mondiale, da parte della madre.

«La conosci anche tu, Ameliè?» domandò stupito Adrien, sporgendosi verso la timida amica che aveva iniziato a torturarsi i capelli nervosamente, cercando di scaricare il nervosismo di avere tutta l'attenzione puntata su di lei.

«N-Non proprio. M-Mia madre ha l-lavorato ad una c-collezione in G-Giappone con la f-famiglia Tsurugi, n-non ci siamo m-mai viste prima.»

Al di là del contenuto della frase, Alya si sentì quasi fiera della sua nuova amica, che era riuscita a pronunciare una frase di senso compiuto senza fermarsi nemmeno un secondo, nonostante la balbuzia sempre presente, ma era già un grande passo avanti per una timida cronica come Ameliè.

«Anche io conosco la famiglia Tsurugi!» intervenne allora Wen, aggiustandosi meglio sulla panchina accanto a Marinette, non più interessato a ciò che rimaneva del gelato.«Il padre della signora Tomoe è molto amico di mio nonno, mi ha insegnato le basi del kendo prima di spedirmi in tibet per diventare un G... argh!»

«UN GRAN SACERDOTE TIBETANO!» intervenne urlando Marinette, ridendo nervosamente dopo aver tirato una gomitata non indifferente sul fianco di Wen, che ridendo acconsentì alla versione data dalla ragazza che l'aveva appena attaccato.

Alya li trovava alquanto buffi, quasi come due fratelli separati alla nascita che però non avevano mai perso quel legame speciale che soltanto i fratelli potevano condividere: Adrien non la vedeva allo stesso modo, e questo la divertiva ed esasperava al tempo stesso, perché andiamo! Non era possibile essere così ciechi!

Lo squillare di un cellulare attirò nuovamente l'attenzione su Ameliè, lasciando cadere da parte il discorso sulla famiglia Tsurugi, ma che Alya sapeva avrebbe dovuto riprendere in tempi brevi, appena fosse rimasta sola con Marinette: già poteva sentire le domande incessanti che la sua migliore amica le avrebbe rivolto, in un disperato tentativo di studiare quanto più possibile questo nuovo nemico di cui non aveva mai sentito parlare prima d'ora.

«Ah!» squittì di gioia Ameliè, tenendo gli occhi incollati al cellulare mentre un largo sorriso le cresceva sulle labbra: chiunque fosse, doveva averle scritto un messaggio veramente bello per renderla così felice.

Rispose velocemente, diteggiando sullo schermo senza mai rendere partecipe nessuno della conversazione che stava avendo, riponendo poi il cellulare nella borsetta e continuando a sorridere come se nulla fosse successo: se nessuno le avesse chiesto nulla nei prossimi tre secondi, Alya sarebbe stata la prima.

«Tutto bene Ameliè? Buone notizie?» Nino era un ragazzo d'oro, che sapeva sempre cosa fare per compiacerla perfino quando non esprimeva a parole le sue intenzioni: anche per questo lo amava alla follia.

Lei annuì ma non aggiunse altro, semplicemente dicendo che l'indomani tutto sarebbe stato chiaro, e che avrebbe spiegato tutto per bene, ma che non voleva rovinare a nessuno la sorpresa.

La giornata si concluse poco dopo, ma Alya poteva ritenersi soddisfatta delle osservazioni fatte quel giorno -l'unica cosa a disturbarla era il segreto di Ameliè, ma poteva aspettare una giornata per scoprire cosa nascondesse- tutte atte al compimento del suo più grande piano: tutti i pezzi erano quasi al loro posto, era ormai soltanto questione di tempo.
 

***
 

Nonostante il coraggio e la spavalderia con cui aveva preso quella decisione, ora che si trovava danti all'imponente edificio della scuola Françoise Dupont tutto il coraggio che aveva raccolto in quegli ultimi giorni sembrava come essersi dissolto in una nuvola di fumo che non sarebbe più riuscita ad afferrare.

Deglutì rumorosamente, indietreggiando di un paio di passi e guardando l'edificio dal basso verso l'alto, mentre uno sconfortante senso di vertigini le dava la nausea, pronta a farle rigettare quel poco cibo con cui aveva fatto colazione: avrebbe voluto che sua madre fosse lì in quel momento -«Oh cara! Sono così felice che tu abbia deciso di tornare a scuola! Cosa? Accompagnarti? Oh cielo, purtroppo ho una riunione all'ambasciata e non posso mancare, ma sono sicura che te la caverai!»- ma come al solito il lavoro era sempre un gradino sopra di lei, sempre più importante di una figlia con un trauma ancora fresco sulla pelle che doveva affrontare il ritorno in una scuola nella quale non era la benvenuta tutto da sola.

Non si stupiva nemmeno più ormai.

Fece un altro paio di passi indietro, sempre più incerta ed insicura, ed anche se le gambe le sembravano gelatina molle e viscosa, capaci di cedere da un momento all'altro se fosse rimasta ferma lì, era sicura che se si fosse messa a correre per tornare a casa queste ce l'avrebbero portata senza vacillare un solo istante.

Sono ancora in tempo per andarmene... non posso farlo, non sono ancora pronta... non posso... non possononpossononpossononpossononpossononposso...

Sembrava quasi che una mano le si fosse stretta al collo -sempre più forte, più costringente- impedendole di respirare come avrebbe voluto, privandola dell'aria necessaria e lasciandole bruciare i polmoni in cerca di sollievo. Il battito del cuore accelerava, il respiro si affannava, e tutto ciò che chiedeva era soltanto un po' di sollievo e di aria.

Portò le mani al collo, cercando istintivamente di rimuovere quel blocco invisibile, quelle mani maligne che le avevano mozzato il respiro, lottando, combattendo per liberarsi e poter così respirare nuovamente, ma più ci provava più difficile diventava: l'aria non sembrava arrivare, il corpo iniziava a dolerle e la mente svuotarsi, tutto attorno a lei prese a vorticare freneticamente, ed in un attimo il caos esplose.

Il ritmo dei respiri si fece più rapido, più intenso, annaspava, ma l'aria ancora non arrivava e lei ne aveva così bisogno: si chiese se non fosse questa la fine, con i polmoni in fiamme ed il cuore che martellava incessante, pronto ad uscirle dal petto per cercare quell'aria che le stava mancando.

La mente era vuota, sterile, l'unico pensiero fisso era trovare un modo per togliere quelle mani che le impedivano di respirare e ricominciare a farlo. Boccheggiava, sempre più spesso, sempre più forte, e anche se la bocca era aperta e funzionava l'aria semplicemente non arrivava e tutto si faceva confuso e caotico, mentre lei voleva soltanto la calma e un po' d'aria per poter finalmente respirare e respirare e...

«Ehi dolcezza, respira.»

Le piccole mani di Veeke le si posarono sulla guancia e fu come se un macigno avesse smesso di opprimerle il petto: le mani che le stringevano la gola con forza persero all'improvviso la presa, concedendole quel sollievo che aveva tanto bramato in quei pochi minuti di panico, quasi il kwami le avesse cacciate per darle la possibilità di respirare nuovamente.

Aveva gli occhi lucidi, la voglia di piangere che ancora le annodava la gola, ma che avrebbe trattenuto per non mostrarsi debole e spaventata davanti a quelli che erano i suoi compagni di classe -no erano nemici, tutti pronti ad abbandonarla qualora le sue parole non avessero compiaciuto coloro a cui le rivolgeva.

«Veeke...»

«Dolcezza, non dobbiamo per forza andare, lo sai vero? Se il pensiero di entrare qui ti fa stare così male da crearti un attacco di panico possiamo sempre tornare a casa. Possiamo guardare qualche film, dormire, farci una bella torta di carote...»

Le parole di Veeke in qualche modo la rincuorarono. Certo, aveva ragione lui, nessuno la obbligava a fare nulla: poteva tornare a casa, nascondersi di nuovo agli occhi del mondo, chiudersi nella sua stanza e lasciare che il mondo si distruggesse da solo. Sarebbe bastato poco, solo un paio di bugie e tutto si sarebbe risolto, non doveva far altro che mentire, manipolare e raggirare le persone, così che tutti facessero ciò che voleva lei: era sempre stata brava a farlo, la perfetta cattiva della storia no? Una bugia in più non avrebbe fatto la differenza, sarebbe comunque rimasta la stessa.

Si, va bene così. Mentire è l'unica cosa che so fare bene, se mentissi potrei finalmente...

«Tuttavia, non credo che tu sia una codarda.» il discorso di Veeke interruppe il flusso dei suoi pensieri, riportando l'attenzione sul kwami e sul significato delle sue parole.«Ti conosco da quanto Lila? Un mese o poco più? E so per certo che non sei una codarda.»

Un'espressione stizzita le deformò il viso, mentre ghiacciava con lo sguardo la figura del suo partner come se l'avesse appena insultata: cosa poteva saperne lui di lei? La conosceva appena! Lei era una codarda, lo era sempre stata! Una spietata manipolatrice bugiarda che senza la sua maschera di falsità non era nessuno!

Fece per urlarglielo, ma Veeke non le diede la possibilità di ribattere.

«Una codarda non avrebbe mai aperto la scatola del mio Miraculous, né si sarebbe trasformata per il bene di qualcun altro. Una codarda non l'avrebbe rifatto una seconda volta, per aiutare quella che è sempre stata considerata un nemico, né per salvare una città di cui non le importa nulla.»

Veeke le si sedette su di una spalla, accarezzandole con dolcezza il collo ed infondendole nel corpo un piacevole calore, ricordandole costantemente che non era sola, che anche se varcare quella porta la terrorizzava, lui era lì con lei, pronto ad aiutarla a superare ognuna delle paure che la bloccavano.

«Se non sei pronta non devi farlo oggi, qualunque cosa tu decida, io sarò dalla tua parte.»

Le parole del kwami la rasserenarono, e sebbene i dubbi e la nebbia che le avvolgeva il cuore non fossero spariti del tutto, ora Lila si sentiva più serena e sicura.

«Chi l'avrebbe mai detto, rimessa in riga da un folletto ossessionato dalle carote, sono davvero caduta così in basso?»

Fu il turno di Veeke di grugnire indignato.«Folletto?! Bella io sono un Dio! D-I-O! Non ti meriti la mia consulenza, tze!»

E Lila rise, lasciando che lo stress, l'ansia e la paura si dissolvessero al suono delle sue risate, tutto merito del piccolo esserino che sedeva offeso sulla sua spalla, braccia conserte e guance leggermente gonfie.

Forse quell'anziano vecchietto aveva ragione, lei e Veeke erano davvero fatti per essere compagni, forse dopotutto non era poi così indegna di riceverne i poteri: aveva ancora una lunga strada da fare per ritenersi completamente meritevole del Miraculous, ma si sentiva più fiduciosa della prima volta in cui aveva indossato la collana. Era già un buon inizio.

«Grazie Veeke, sto molto meglio ora.» sorrise, promettendo una leccornia alle carote come ricompensa per il suo sostegno.«Coraggio, facciamo vedere a tutti che la volpe non si lascia mettere nel sacco facilmente.»

Aveva paura, ma la presenza di Veeke accanto a lei fu abbastanza per darle il coraggio che le serviva a compiere il primo passo verso il suo nuovo inizio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

N.D.A

1- Primo_ In spagnolo vuol dire "cugino", semplicemente Manuèl chiama Adrein cugino nella sua lingua natia.

 

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