Vita da donne, vita da soldato

di Arydubhe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Reclute ***
Capitolo 2: *** Ferite ***
Capitolo 3: *** Veterani ***
Capitolo 4: *** Un'inaspettata compagnia ***
Capitolo 5: *** Cure ***



Capitolo 1
*** Reclute ***


RECLUTE

« Schesta? Schesta sbrigati! Ci farai fare tardi…»
«Ehm…andate ragazze! Io vi raggiungo dopo in refettorio!»
La voce di Schesta emerse, esitante, da dietro la porta delle docce dentro cui era rintanata da quasi un’ora oramai. Alcune sue compagne di divisione, reclute come lei, già rivestite di tutto punto, erano pronte a dirigersi verso la tanto agognata cena.
Leela, la ragazza che l’aveva chiamata, gettò un’occhiata preoccupata alle altre prima di risponderle. Tara, al suo fianco, si limitò a scuotere la testa, alzando le spalle.
«Io ho fatto anche in tempo ad asciugarmi i capelli e sono entrata venti minuti fa…» osservò Tessa sventolando le sue lunghe ciocche corvine.
Il comportamento di Schesta era diventato improvvisamente strano durante la sessione di allenamento del pomeriggio. A un tratto si era fatta taciturna, assente, poco partecipativa e aveva preso a evitare di parlare con tutti i compagni. Si era persino guadagnata qualche insulto da parte dell’istruttore Shadis per aver ripetutamente sbagliato l’esercizio di calcolo metrico dinamico sul quale si stavano allenando da ore, ma che la ragazza aveva di punto in bianco inspiegabilmente cominciato ad eseguire malissimo. Alle ripetute richieste di spiegazione dell’istruttore, aveva però preferito chiedere semplicemente scusa piuttosto che avanzare giustificazioni di qualunque tipo, lasciando insoluto il quesito su quale fosse il problema; quando poco dopo Shadis aveva ordinato di rompere le righe e, dopo il saluto finale,  li aveva congedati, Schesta senza dire nulla si era diretta di gran carriera verso i quartieri femminili, precedendo le altre ragazze senza aspettarle, senza indugiare a intrattenersi con nessuno, un’espressione indecifrabile sul viso. Incerte su cosa stesse succedendo, loro avevano cercato di dirimere da distante il mistero dietro a tutta quella fretta.
Tessa aveva trovato il suo armadietto appena accostato, il 3DMG accatastato alla bell’e meglio anziché riposto nella sua apposita valigetta, la pila di vestiti di ricambio scomposta e la chiave ancora appesa alla toppa, alla mercé di tutti. Strano, per una ragazza metodica e scrupolosa come lei.
Quando erano entrate nel capanno che assolveva la funzione di locale docce, le ragazze avevano sentito l’acqua già sciabordare dentro uno dei cubicoli in cui avevano dedotto che Schesta si fosse immediatamente fiondata. La porta in legno troppo alta impediva di vederla in viso, ma il ciondolare del secchio fino a poco prima ricolmo d’acqua era indicativo; da essa pendeva un asciugamano con una “S” ricamata a confermare, assieme agli stivali abbandonati a lato, la presenza di un occupante e la sua identità. Della divisa sporca che Schesta doveva essersi levata prima di andarsi a lavare, invece, neanche l’ombra.
Per quanto stranite e irritate dal suo comportamento -anche perché non era carino appropriarsi di una doccia e farsi gli affaracci propri-, le compagne avevano deciso di non disturbarla quando a Leela era sembrato di udire un singhiozzo seguito da una nuova secchiellata d’acqua. Ma, in tutto quel tempo in cui Schesta era rimasta rintanata, appena una volta o due avevano visto e sentito rovesciarsi il contenitore, sempre seguito da qualche gemito e suono soffocato.
Non sembrava, la ragazza, per il resto affatto intenzionata ad uscire da lì dentro.
«Schesta, tutto bene?» le avevano chiesto a un certo punto, in pensiero.
«Sì, tutto a posto.» si era però affrettata a rispondere quella, fin troppo alla spicciolata per i loro gusti, un tono così neutro da sembrare forzato, finto, e con una nota appena più alta del normale.
Non ci aveva creduto nessuna, fondamentalmente, ma a nessuna di loro era parso il caso di stare a sindacare la questione. Si erano quindi arrangiate a lavarsi facendo a turno come al solito, solo una doccia in meno a loro disposizione e l’enorme quesito di cosa diavolo stesse combinando Schesta a far loro tendere le orecchie a ogni minimo rumore proveniente dal suo angolino.
Non ci voleva un genio per capire che Schesta voleva essere lasciata in pace; che di aiuti non ne voleva. Le compagne avevano pensato che un’oretta passata sola con sé stessa le sarebbe bastata per ritornare l’allegra ragazza di tutti i giorni. Succede, del resto. Si erano quindi comportate come se nulla fosse, chiacchierando, ridendo tra loro; anche se un orecchio era sempre stato pronto a cogliere qualche segnale di Schesta, i gesti di tutte più lenti del normale, in attesa che la loro compagna aprisse la porta della doccia.
Adesso però arrivava questo laconico rifiuto ad uscire da lì dentro anche per la cena…
«Che facciamo?» sussurrò Vivian a Leela, indicando la porta.
«Non mi sembra giusto fare finta di niente a questo punto…» s’intromise Tara in tono accorato.
Maia annuì «È sospetto e non può rimanere chiusa lì dentro per sempre…»
«Adesso la tiro fuori io…»
«Tessa, no! – la fermò Leela, Tessa era già pronta a sfondare la porta in legno della doccia - Avviatevi, voi…io vedo di scoprire cosa sta succedendo…»
«Ragazze, vi sento. Non sta succedendo niente- Andate, davvero.» Le interruppe Schesta dall’interno del cubicolo-doccia.
«Ma noi…»
«Andate! Non c’è mica nulla di grave…Io arrivo. Ho solo bisogno di qualche minuto ancora. »
«Però… io…»
«Anche tu, Leela.»
Il tono perentorio della ragazza zittì Leela bruscamente.
Qualcosa decisamente non andava se Schesta si rifiutava di parlare anche con lei.
«…»
«Ok. Ci vediamo dopo. E farai bene ad avere una buona giustificazione. Vieni, Leela.» rispose per tutte Tessa, trascinando Leela con sé.
«A dopo!» rincarò Leela, come a chiedere a Schesta nuovamente conferma che l’avrebbero davvero vista spuntare a cena. Non era proprio un’affermazione, non era una domanda, il tono di preoccupazione però risuonava chiaramente.
«A dopo» confermò Schesta con tranquillità.
Leela gettò un’ultima occhiata alla porta della doccia, prima di uscire dal bagno, per ultima.

La voce di Tessa sembrò risuonare più forte del normale, marcata di finta noncuranza, mentre il gruppetto si avviava al refettorio: «Affari suoi se arriva e il primo è già finito. Oggi c’è la pasta al forno»
«Pasta al forno, mmmh» gli occhi quasi brillarono a Babe a quella improvvisa rivelazione.
«Potremmo tenergliene da parte un pezzo…» propose Vivian.
«Col cavolo, ho fame!» escluse Tessa.
«Tessa che si priva del cibo? Tzk, impossibile» ironizzò Nadir, sino ad allora rimasta in silenzio, suscitando una sequela di insulti da parte di Tessa.
«A te piace la pasta al forno, Leela?» chiese Vivian, cercando di attirare l’attenzione della ragazza, che fu però colta improvvisamente alla sprovvista.
“Eh?”
Non aveva sentito nulla dello sproloquiare fintamente allegro delle compagne.
La mano di Vivian si strinse attorno al suo braccio, premendo con forza, infondendole calore. Leela era palesemente ferita dal comportamento di Schesta; c’era stato, sin dal primo giorno, un rapporto speciale di amicizia e affiatamento tra loro due. Si erano sempre dette tutto. Sia di faccende serie come stupide. Per qualche ragione, invece, ora, Leela si sentiva come se il filo che le legava fosse stato spezzato…Era normale che la cosa la impensierisse...e seccasse.
«Poteva dirlo almeno a me che ha. A questo punto non staremmo tutte in ansia…»
«Vedrai che non è nulla, non crucciarti; è solo un momento un po’ così, magari vuole solo rimanere un po’ sola. Non è poi così strano...»
«Già… - tentò di spiegare Leela - ma non capisco: perché tutto questo mistero se si tratta di una stupidata?».
«Per me si vergogna per la tirata di orecchie che le ha dato oggi Shadis» provò ad avanzare come ipotesi Babe.
«Avrebbe senso…» annuì Maia.
Ma Leela non era convinta. «Mmm non credo, o forse in parte sì, ma aveva cominciato a comportarsi stranamente da prima…E poi non è il tipo da prendersela per così poco. È che proprio non capisco il perché tutti questi misteri.» mormorò lasciando trasparire un pelo di delusione.
«Per me si sta facendo chissà che pensieri per una cazzata e lo sa. Sicuramente non vuole che tu ti preoccupi inutilmente o te ne avrebbe parlato» confermò bonaria Tessa, lasciando da parte i discorsi su pasta al forno, pasta pasticciata e pastasciutta e mollando una sonora pacca sulla spalla di Leela «magari dopo cena si sarà schiarita le idee e verrà a illuminarti su qualche grande realizzazione esistenziale...ce la vedo».
Maia e Nadir ridacchiarono alla scena: se Leela non fosse stata di costituzione robusta, la delicatezza di Tessa sarebbe stata sufficiente a farla finire a terra, a quel punto. Era quasi tenero come la spilungona dai capelli bioni non fosse capace di esprimere il proprio affetto se non malmenando la gente.
Massaggiandosì là dove Tessa l’aveva colpita, Leela riflettè un attimo sulle parole della compagna «Spero sia così», poi sospirò un mogio «Può essere» e a questo pensiero, come a riacquistare fiducia e un po’ di ottimismo, annuì con convinzione entrando nel refettorio. In effetti, nessuno faticava a immaginare Schesta saltar su con qualche diavoleria in mente...
«Sicuro! Vedrai che sarà così!» confermò Tessa, spingendola per le spalle con un gran sorriso e un occhiolino alle altre, che scambiarono un'occhiata in silenzio.
«È così strano vedere Leela abbattuta…» disse Maia, esitando un secondo fuori dalla porta.
«Spero che Schesta ritorni presto normale… » annuì Nadir «mi fa strano non averla qua tra noi mentre spara cavolate…».
«Chissà però davvero che le è preso…» mugugnò Tara, le braccia incrociate dietro la testa, lasciando che le sue parole si perdessero nel vento, prima di seguirla, richiudendo infine la porta. 

--------------------------------------Autor's corner--------------------------------
Salve a tutti, lettori! Spero che questo inizio vi abbia incuriosito almeno un po' :) 
In questa ff sto esplorando generi e argomenti per me nuovi nel versante scrittura...e spero di non deludervi.
Anzitutto l'inserzione di questo pg nuovo, Schesta, in genere non invento MAI pg nuovi, ma a questo giro ho voluto provare; e anzi, ne ho inserita una pletora...In secondo luogo sto cercando di evitare il più possibile il guilty pleasure dell'intospezione psicologica, che ci sarà, ma giuro la sto tenendo a bada ahahaha Per terzo si parlerà di ingiustizie sociali, malattie, cose brutte della vita. Non sarà per niente allegra a tratti. E, quarta cosa, non ci saranno relazioni sentimentali, argomento sul quale sono invece ben rodata.
Diciamo che questa ff nasce dal mio desiderio di mettere per iscritto alcune riflessioni e seghe mentali che mi son fatta leggendo Snk. E niente, si sa, io le seghe mentali le trasformo in ff.
Quindi niente, GRAZIE per aver letto...e ci vediamo nel prossimo capitolo!

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Capitolo 2
*** Ferite ***


Ferite
 
Schesta allungò l’orecchio per ascoltare i passi delle compagne che si allontanavano, nonostante lo sciabordare dell’acqua.
Quando fu sicura che tutte se ne fossero andate e che fossero ormai già abbastanza distanti da non poterla udire, si lasciò andare a quelle lacrime liberatorie che da metà del pomeriggio aveva trattenuto.
«Cazzo! Fa malissimo!»
La ragazza gettò l’ennesima occhiata ai propri fianchi. Enormi lividi la fasciavano completamente nella zona delle anche. Grossi e viola, pulsavano per via dei capillari e dei vasi rotti. Attorno, macchie blu e gialle di ematomi già in via di guarigione e una ragnatela fitta fitta di sottili lineette rosse che andava a perdersi nel candore della pelle.
Anche senza il bisogno di vedere, Schesta sapeva che la situazione sulla schiena era ancora più grave. Il dolore si estendeva per tutta la zona lombare, acutissimo a livello della spina dorsale, che bruciava come fuoco tanto era ammaccata. Aveva visto sangue colare sul pavimento della doccia e un intensissimo dolore le aveva mozzato il fiato quando aveva cominciato a lavarsi la ferita con l’acqua. Aveva ringraziato Iddio che la porta della doccia non lasicasse intravedere i piedi di chi era dentro. Non dovevano esserci solo contusioni e abrasioni in quel punto, ma anche veri e propri tagli e lacerazioni. Se ne era accorta spogliandosi, quando aveva visto la camicia e i pantaloni intrisi di sangue. Per questo non aveva riposto gli indumenti nella apposita cesta fuori dalla doccia, ma li aveva portati nel cubicolo con sé.
La situazione non era troppo migliore all’altezza del torso. Vistosi segni di pressione e sfregamento erano come impressi nelle carni attorno le spalle; vere e proprie piaghe giravano attorno al seno dove premevano le cinghie del 3DMG e segni, ora solo arrossati, ora quasi scavati nella pelle disegnavano triangoli netti lungo i fianchi e le cosce.
L’imbracatura e l’attrezzatura combattimento la stavano distruggendo, letteralmente.
Controllando che non ci fosse davvero più nessuno, Schesta scivolò fuori dalla doccia per dirigersi verso lo specchio in fondo alla stanza, dai lavabi. I muscoli le dolevano anche solo a muovere qualche passo, le croste ammorbidite dall'acqua o già in via di formazione a contatto con l’aria si scheggiavano e rompevano cominciando a sanguinare.
«Cavolo…»
Visti nella loro interezza quei lividi facevano davvero paura.
Come diamine avrebbe fatto a rivestirsi?
L’asciugamano in cui si era avvolta per non essere proprio del tutto nuda mentre usciva dalla doccia  e si aggirava nell'edificio sembrava raschiarle via la pelle. Non c’era verso che avrebbe potuto indossare un paio di pantaloni per quella sera, era proprio fuori discussione.
Si piazzò davanti all'enorme specchio del bagno,un lusso per quella struttura minimalista quasi alla fatiscenza. Dio se era conciata male...
Con un sospiro dolorante si costrinse a gettare un’occhiata alla schiena.
«Merda…»
In alto, tra le scapole, il bruciore era dovuto a un profondo livido a forma di “x” che si faceva particolarmente inciso vicino all’osso, una spelatura tutta ammaccata e lucida contro le vertebre. Ma in basso, dove provava il dolore più acuto, quello più d’ogni cosa la stava massacrando da due ore oramai, portandola alle lacrime - che solo il cielo sapeva come era riuscita, bene o male, a mascherare-, l’arcobaleno di pelle tumefatta e muscoli pesti era improvvisamente interrotto da due profondi tagli da cui il sangue usciva lento, ma sufficientemente abbondante da aver già macchiato vistosamente anche l’asciugamano.
Schesta impallidì nel vederli, un brivido le corse lungo la schiena.
Fischia, quei cosi non erano mai stati così profondi. Andavano disinfettati e alla svelta.
Andò a prendere di corsa la cassettina medica in un angolo del capanno. Una mano per raggiungere i punti più difficili le sarebbe servita, ma si sarebbe fatta ammazzare prima di andare in infermeria o rivelare a chiunque in quale stato versava il suo corpo.
Era una vergogna.
In genere dopo qualche settimana di addestramento i lividi dovuti ai primi utilizzi del 3DMG cicatrizzavano e smettevano di far male una volta per sempre - salvo qualche mossa particolarmente acrobatica che poteva causare nuove ferite. Era la ragione per cui sin dai primi tempi le reclute venivano fornite di un dispositivo prima ancora di esserne perfettamente istruiti sul funzionamento: abituare il corpo ad esso, al suo peso e al suo ingombro, capire quali sarebbero stati i punti di pressione maggiori e abituarli allo sfregamento, facendo venire calli, inspessendo e indurendo la pelle, adattandola al cuoio e viceversa, comprendendo dove e come muovendosi il 3DMG si sarebbe spostato, avrebbe urtato e fatto pressione. C’era una ragione se i dispositivi erano personali, e non era solo una questione di sicurezza, di registrazione nominativa del possessore: anche l’adattamento all’attrezzo giocava la sua parte nell’essere un soldato, una parte che in combattimento poteva rivelarsi determinante. Il 3DMG lasciava segni indelebili su un corpo, marchiando letteralmente l'identità di soldato sul corpo delle reclute. Fino alla morte.
Dopo tre mesi, tuttavia, il suo corpo non sembrava volerne sapere di collaborare. Subiva ferite e lacerazioni ogni volta che indossava il marchingegno; e in tutto quel tempo il dolore dell’utilizzo tipico dei primi tempi non era mai diminuito, aveva finito anzi per aumentare ogni volta che le ammaccature si accumulavano ad altre ammaccature, piaghe e ferite continuavano ad aprirsi, nell’attesa che finalmente, invece, guarissero e lasciassero il posto alle tanto agognate cicatrici e calli.
Invece no. Quel giorno non arrivava mai e Schesta alla fine si era ritrovata costretta a fare il callo, piuttosto, al dolore lancinante che a ogni movimento rischiava di mozzarle il fiato.
Il suo corpo era martoriato, ma si sforzava di non darlo a vedere, mai, a nessuno.
Perché tra le reclute era l’unica ridotta così, ancora, dopo tutti quei giorni. I più ci avevano messo qualche settimana ad abituarsi, ma in genere entro il primo mese anche i più lenti ce l’avevano fatta. Non lei. L’unica recluta sfigata che non riusciva proprio dopo tutto quel tempo ad adattarsi al 3DMG era solo e ed esclusivamente lei.
Perciò non se l’era sentita di parlarne con nessuno. Nemmeno alla sua amica Leela. Non voleva deluderla, non voleva sembrarle meno all’altezza del ruolo di soldato. Conoscendola, sarebbe inorridita alla vista di quelle ferite e avrebbe insistito affinché ne parlasse con qualcuno. Cosa che assolutamente si rifiutava di fare. Non si era mai sentito di una recluta così delicata e non voleva passare alla storia come lo zimbello del suo anno, il 100° Corpo di Addestramento, e della sua intera categoria, quella delle matricole. Non avrebbe esposto il suo caso al pubblico ludibrio. Se la storia si fosse diffusa, sarebbero piovute le battute di scherno, le prese in giro; peggio, se si fosse saputo ai piani alti avrebbe rischiato il congedo per mancata idoneità- e il solo pensiero bastava a confermarla nel suo proposito di tacere.
Essere sbattuti a casa per provata inadeguatezza al ruolo di soldato non era cosa così frequente, vista la penuria di personale in quei tempi così duri; ma accadeva, specie nei primi tempi, e certo non faceva onore. Soprattutto in genere avveniva per ragioni più sostanziali di qualche piaghetta lunga a guarire. Il suo caso…avrebbe rasentato il ridicolo.
Si era detta perciò che le sarebbe bastato semplicemente aspettare. Stringere i denti -forte- e portare pazienza. Ringraziava solo di avere una soglia del dolore davvero molto alta.
E fino a quel giorno se l’era cavata egregiamente. Aveva imparato alla svelta quali mosse non fare per rendere il dolore almeno tollerabile, tirae avanti con una specie di costante sofferenza di fondo che poteva quasi ignorare.
Poi però quel pomeriggio ad un tratto aveva sbagliato mossa. Aveva eseguito un giro della morte in aria troppo velocemente e con poca coordinazione: l’inerzia non era bastata a far rimanere la cintura ben aderente al corpo e i montanti di ferro del portalame avevano sballottato sulle sue anche, il peso del 3DMG non era stato più controbilanciato dai fermi e l'oggetto, in balia della gravità, aveva finito per cozzare contro la sua schiena con la forza centripeta frammista all’accelerazione dovuta alla rotazione, causando quelle profonde ferite sulla parte bassa della schiena. Neanche il gonnellino di pelle era servito ad attutire il colpo, al massimo le era stato utile dopo per nascondere la pozza di sangue che si stava allargando in quel punto.
Si era morsa la lingua per non urlare e aveva fatto del suo meglio per atterrare alla svelta, ringraziando Iddio di aver commesso quell’errore perlomeno ad allenamento quasi terminato.
Aveva inventato una scusa credibile per giustificare l’interruzione momentanea dell’esercitazione e senza farsi vedere aveva controllato un secondo l’entità del danno infilandosi una mano dietro alla schiena.
Temendo che qualcuno potesse notare il sangue che stava macchiano la camicia aveva tirato un po’ su il gonnellino sperando di coprire il danno agli occhi degli altri. Aveva ripreso l’allenamento con maggiore cautela ma la botta era stata micidiale. Le tremavano le gambe dal dolore e ogni neurone del suo cervello era impegnato a impedirle di piangere. 
Così era tenuta un po’ in disparte dagli altri per evitare di mostrare questi sintomi, l’incapacità di parlare divenuta quasi totale visto che per non urlare aveva preso a mordersi pure guance e labbra. Sapeva che facendo così il suo atteggiamento diveniva sospetto, ma preferiva farsi insultare da qualche coetaneo per l’atteggiamento scorbutico ed eventualmente dall’addestratore per il suo improvviso rimbambimento piuttosto che far scoprire a chiunque in quale stato versasse il suo fisico. Da quel momento, però, aveva fatto veramente schifo a eseguire gli esercizi dell’addestramento, anche se non gliene era importato nulla: finchè poteva cavarsela con gli insulti e le sgridate di Shadis senza essere intrattenuta oltre, andava tutto bene.
E per evitare l'eventualità di un richiamo, al "rompete le righe" si era dileguata in un battibaleno. 
Quando aveva finalmente potuto spogliarsi in pratica si era dovuta scollare di dosso la camicia che aveva cominciato a fare da tappo alla ferita, sradicando dalla schiena un grumo di sangue rappreso. Quando quella cosa si fosse decisa a cicatrizzare avrebbe di sicuro lasciato un segno vistoso.
«Sembrerà che mi abbiano frustato a sangue…» aveva pensato.
Ma a fronte del bruciore che stava provando adesso, mentre si disinfettava, Shesta non aveva mai desiderato così tanto avere delle cicatrici. Chiuse. Indolori. Solo inestetiche.

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Buona sera lettori!
Eccoci qui col nuovo capitolo! Cominciamo a scoprire che cosa è successo a Schesta...e non è roba bella.
Mi sono impegnata a cercare di rappresentare la sofferenza fisica della ragazza...spero di esserci abbastanza riuscita. 
Ora, questo capitolo nasce da alcune osservazioni che mi sono sorte naturali guardando le cinghie del 3DMG. Non solo il Sistema non deve esser leggero, ma il tutto deve essere oltremodo scomodo e legato strettamente al corpo. Qualche livido è quantomeno prevedibile, d'obbligo. Mi piaceva l'idea del fatto che il 3DMG sia destinato a lasciare dei segni indelebili sui corpi di tutti i soldati...segni che si porteranno dietro per tutta la vita...Una suggestione sulla quale mi pareva valesse la pena riflettere e porre qualche what if.
Da qui il caso di Schesta, che risulta un po' particolare...perchè lo scopriremo. 
Comunque questa è la riflessione che vorrei cominciare a suggerire anche a voi con questo capitolo.
Spero che non vi sia passata del tutto la voglia di andare avanti X°D Nel prossimo compariranno invece personaggi a noi ben noti - che faranno cose un po' più sostanzione di quel po' che ui ho fatto fare a Shadis. Che dire...alla prossima :D
 

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Capitolo 3
*** Veterani ***


Veterani

 
«Giuro che non ti faccio entrare in refettorio se prima non ti dai una lavata»
«Ma io ho del lavoro da sbrigare, è urgente…!»
«La cosa più urgente che hai da fare è una doccia…»
Levi e Hanji stavano litigando nella piazzola d’armi. Levi, piantato a terra a sbarrare la strada alla donna, puntava uno sguardo rabbioso su una Hanji palesemente spazientita e per nulla intenzionata a dargli retta. Levi le aveva sottratto alcune cartellette colorate, parecchio importanti a giudicare dalla sua reazione; si rifiutava di restituirgliele a meno che non si fosse piegata a fare ciò che da troppo tempo a suo avviso la collega mancava di fare: prestare un minimo di attenzione alla propria igiene personale.
«Più stai qui più perdi tempo: vai a lavarti e subito dopo riavrai le cartelle»
«E se io ti prometto che mi farò un doccia appena avrò finito di lavorare?»
«Tu non finisci mai di lavorare!» replicò Levi in tono quasi offeso, lo seccava che Hanji lo trattasse da sempliciotto e credulone «Come se non ti conoscessi…»
I tentativi di Hanji di recuperare le cartelle con la forza furono vani: per quanto più basso e appesantito dal 3DMG - a differenza sua, che non lo stava indossando- , il Caporale non era persona facile da sopraffare con la sola altezza né del resto bastavano trucchetti da strapazzo e destrezza. Tanto più che Levi sembrava godere parecchio di quella posizione di supremazia. Arrendendosi all’evidenza che non sarebbe mai riuscita a recuperare i plichi a quella maniera, con uno sbuffo, Hanji aveva infine ceduto alle pretese di Levi.
«E va bene, nano malefico! E doccia sia! Lasciami la roba nei miei alloggi e..»
«No. Tu prima ti fai una doccia, poi vieni in refettorio e mangi. A quel punto, se avrai fatto la brava, forse, riavrai le tue cose. Considerale sotto sequestro» puntualizzò quello, irremovibile.
«Non erano questi i patti!» piagnucolò Hanji, esasperata.
«Sai che me ne frega, quattrocchi. In questo momento comando io» la punzecchiò lui sventolandole le cartelline sotto il naso, pronto a ritirarle verso di sé qualora Hanji avesse provato nuovamente ad acciuffargliele.
«Uffff. Sei un despota!» esclamò in tono lamentoso la donna.
«Severo ma giusto – la corresse Levi, un indice alzato a puntualizzare la situazione - fai schifo conciata così.»
« ..E questo sarebbe ricatto!»
«Hanji Zoe, devo rammentarti l'ultima volta in cui ho dovuto tramortirti per avere il piacere di gettarti dentro una doccia*(cfr. nota a piè di pagina)? Erwin si era complimentato per la…com’era? Ah, sì la “manovra risolutiva”...»
A quel ricordo, Hanji ammutolì, un rossore appena accennato a imporporarle le gote, la bocca incurvata dallo sdegno. Aveva un’espressione sconsolata almeno quanto quella di Levi era soddisfatta.
«...Devo proprio
«L'acqua non morde e a quanto mi risulta non ne sei allergica.»
«Mmmh...»
Incastrata a quella maniera, ad Hanji si presentavano due opzioni: in quanto ufficiale, il suo alloggio era fornito di alcuni comfort, tra cui una vasca ampia in un bagno privato. Ma avrebbe dovuto fare sin troppa strada per raggiungere gli alloggiamenti, specie considerando che Levi l'avrebbe obbligata a tornare indietro per mangiare; oppure poteva osare e infiltrarsi nei locali docce delle reclute che erano a pochi passi di distanza – teoricamente non avrebbe potuto, ma le sembrava la soluzione più spicciola.
E Hanji non aveva nessunissima voglia di perdere altro tempo facendo avanti e indietro dalla sua stanzetta nei quartieri femminili, dalla parte della caserma esattamente opposta a quella in cui si trovavano ora, quando aveva una soluzione così pratica a portata di mano.
La decisione era già praticamente presa prima di soppesare davvero le ipotesi e Hanji cominciò a dirigersi al capanno senza pensarci due volte.
«Ohi, quattrocchi, dove diavolo stai andando?»
«A lavarmi, no?»
«Nella baracca delle reclute?»
«No, nelle stalle! Mi pare ovvio, no? Dovrebbe essere vuota, peraltro, a quest’ora…non mi vedrà nessuno...Non mi farai la paternale perchè è uno spazio riservato a loro...?»
«Ti pare!? Basta che ti lavi, per me potresti decidere di fare un bagno in un catino in mezzo alla piazza…Piuttosto: il cambio? Non avrai intenzione di rimetterti addosso quella roba lurida, voglio sperare?!»
Lo sguardo stizzito di Hanji esprimeva chiaramente che l’intento della donna era stato esattamente quello.
«Oh, Levi, posso lavarmi e rimettere questi vestiti...mi cambierò dopocena»
«MAI. Che schifo!» Lo sguardo che Levi le lanciò esprimeva profondo disgusto «E come hai intenzione di asciugarti, scusa? Non puoi mica infilarti addosso gli abiti così…»
«Mi inventerò qualcosa…»
Ci fu un silenzio interdetto prima che il Caporale esplodesse in una sequela di improperi.
«Per la miseria, Hanji! Chiamiamo qualcuno e facciamoci portare un cambio...dov'è il tuo Moblit quando serve?»
«Moblit è il mio assistente, non il mio schiavetto personale. Se proprio ci tieni, non puoi andare tu a recuperare i panni puliti? Cos'è, hai intenzione di stare a guardare per controllare che mi lavi sul serio?»
Per un attimo Levi pensò seriamente che avrebbe potuto farlo , poi il pudore gli ricordò che, per quanto nobili fossero le sue ragioni, non era il caso.
«Potrei accusarti di essere un pervertito...» minacciò Hanji.
«Oh sì, racconta la cosa alle truppe; vedrai che si offriranno di darmi una mano... – ma Levi sapeva di non avere scelta- Non sai quanto vorrei poter controllare che tu sappia per certo usare una spugna, ma mi limiterò ad accertare la tua entrata in un bagno. Non mi farai fesso con la scusa della roba, comunque, bada.»
«Sì sì, certo…» fece quella con una scollata della mano, come ad allontanare una mosca fastidiosa, la voce annoiata.
«E non mi convincerai con quel tono! No, a ben pensarci mi rifiuto di lasciarti qui da sola... »
«Ahhhh, Levi, qua facciamo notte! Ascolta. In ufficio dovrei avere degli abiti di riserva e un asciugamano o una pezzuola almeno. Meglio che andare fin negli acquartieramenti. Valli a prendere e portarmeli, intanto io comincio a lavarmi...»
«Non mi fido.»
«Oh, cielo! Tu sei malato, Levi, lo sai, sì?»
«Della pulizia, certo; e me ne compiaccio.»
«No, tu hai seriamente qualche problema…» rincarò Hanji quasi sconcertata.
«Almeno io non puzzo ogni singolo giorno della mia vita finché non mi obbligano a rendermene conto. Ma…e sia…ti darò credito: vado a prenderti la roba. Tornerò a controllare che tu non abba fatto finta...non che tu abbia speranza di ingannare il mio naso, comunque.»
«Dopo tutto questo tempo sprecato? Non è mia intenzione, guarda» assicurò la donna sbuffando e lanciandogli in faccia il giubbotto della Legione, che Levi però fu svelto ad afferrare, anche se non senza un’espressione di ribrezzo.
«Voglio che tu usi quella spugna per almeno mezz'ora. E sfrega.»
Sbuffando, senza replica alcuna, Hanji girò sui tacchi, dando le spalle a Levi e alle sue inutili raccomandazioni, entrando così nel recinto delle reclute. Il Caporale non le tolse un secondo gli occhi di dosso, controllando che Hanji non avesse la tentazione di fuggire o cosa.
«E ricordati di usare il sapone!»
Per tutta risposta Hanji gli sbatté la porta della capannina in faccia, facendo una linguaccia.


NOTA*: Che Levi obblighi Hanji a fare il bagno tramortendola viene da un'"intervista" fittizia rilasciata da Isayama a Hanji, Erwin e Levi. Per maggiori info:http://yusenki.tumblr.com/post/141485724499/au-smartpass-erwin-levi-close-up

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So che li stavate aspettando. Oramai stavate cominciando a chiedervi dove fossero finiti i pg principali, lo so X°D Ebbene Levi ed Hanji entrano in scena. E Hanji da questo momento in poi sarà fondamentale in quello che racconterò.
E' un quadretto breve quello raccontato in questo capitolo, ma dovreste aver già capito oramai cosa sta per succedere :D 
Grazie per aver letto e, se potete, lasciatemi un commentino :3
Ci vediamo presto col nuovo aggiornamento.
 

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Capitolo 4
*** Un'inaspettata compagnia ***


Un'inaspettata compagnia
 

Hanji chiuse la porta imprecando, tra borbottii e maledizioni rivolte al nano malefico che aveva lasciato oltre la porta.

Se un minimo lo conosceva, Levi avrebbe atteso un po'prima di andarsene, accertandosi di sentire almeno rumori inequivocabili delle docce delle reclute. Non dubitava che, se fosse dipeso solo da lui, avrebbe seriamente voluto entrare a controllare che si stesse lavando davvero, come Dio - o, meglio ancora, Lui stesso -  comandava. Probabilmente Levi avrebbe usato il 3DMG per raggiungere gli uffici in men che non si dica, e altrettanto velocemente avrebbe fatto ritorno a farle la posta, pronto a coglierla sul fatto se avesse tentato di imbrogliare...Anche se di fatto abusare a quella maniera dell'attrezzatura era vietato.
Non che qualcuno avrebbe mai osato riprenderlo, nel caso...

Mannaggia, non aveva scampo - si trovò ad ammettere la donna, piccata. Quanto le rodeva di non essere riuscita perlomeno a scaraventargli in faccia la giacca…

Con uno scatto, Hanji si sciolse la coda con cui era solita legare i capelli in alto sopra la nuca, facendo ricadere sulle spalle una cascata di capelli arruffati, abbastanza lunghi da scenderle oltre le spalle. Lo sapeva benissimo che andavano lavati…

«Ma dimmi te, alla mia età, essere trattata come una mocciosetta!» grugnì, giochicchiando col chiavistello.

Ma non aveva fatto in tempo a dare le spalle alla porta che un urlo la fece sobbalzare, strappando un gridolino anche a lei.

«AHHHHHHHHHHHHHHHHHHH!»

Colta di sorpresa, 
Hanji si era appiattita contro la porta. Non si era aspettata di trovare ancora qualcuno in bagno; e neanche l’altra persona a giudicare dalla reazione. 

Una ragazzina. Una recluta.

Guardava stranita in direzione della donna, un asciugamano stretto alla bell’e meglio attorno al corpo, per il resto completamente nuda e semi-bagnata, i capelli corti a caschetto arruffati e gocciolanti. Stava a bocca spalancata.

Dallo sguardo sembrava avesse visto un fantasma.

Che ci faceva ancora lì, quella ragazza, a più di un'ora dalla fine degli allenamenti?

«Hanji, tutto bene?» la voce di Levi giunse, apprensiva, da dietro la porta, interrompendo quell'imbarazzante gioco di occhiate straniate. Doveva esserci fiondato udendo le urla.

«Sì sì, ho solo un’inaspettata compagnia. Sono stata presa alla sprovvista. Tutto a posto.»

«Compagnia…?» chiese la roca voce del Caporale, dubbioso.

«C’è una ragazza, nano. Onesto, nei bagni delle femmine. Ora, vuoi andare a fare quello che devi fare o no?»

Levi sembrò quasi compiacersi della notizia.

«Va bene, me ne vado! Chiunque tu sia, ragazza, controlla che la quattrocchi si faccia una doccia! Una VERA doccia!»

«Sciò! Vai via!» sbraitò la donna, il volto sfigurato in una maschera di disappunto che, purtroppo, Levi, dall’altro lato dei muri, non poteva vedere.  Avrebbe potuto incenerirlo con il solo sguardo. Ma con tutta probabilità Levi si stava già immaginando perfettamente la sua espressione facciale.

L’allontanarsi della risatina dell’uomo fece però capire ad Hanji che questa volta, finalmente, le sue parole sarebbero state ascoltate. Evidentemente lo gnomo si stava semplicemente divertendo a esasperarla.

Uno schiocco e un frustare metallico le suggerirono poi che Levi aveva in effetti messo in funzione il 3DMG per allontanarsi. Come previsto. Levi era così scontato alle volte...

...adesso non restava che chiarire la faccenda con la recluta.

Quando fu certa che il Caporale se ne fosse andato, Hanji si voltò nuovamente a guardare la fanciulla che, dopo, quel loro siparietto, appariva ancora più turbata.

«Incredibile! È una persona encomiabile -fece per scusarsi Hanji, indicando il punto della parete da cui era giunta la voce maschile, un enorme sorriso stampato in viso- ma alle volte veramente esagera…e poi dice a me…comunque, l'ho cacciato!» concluse con un occhiolino e un ghigno rivolri alla ragazzina.

Sperava bastasse per rimetterla a suo agioDel resto era lei che l'aveva spaventata; e doveva anzi esserle grata visto che quel piccolo qui pro quo aveva convinto Levi ad allentare la presa e allontanarsi.

«No, io ecco...chiedo scusa- squittì quella, mortificata- è che le mie compagne se ne sono già tutte andate e non mi aspettavo che entrasse qualcuno e...» Armeggiando, impacciata dall'imbarazzo, la ragazza si era affrettata ad accennare il saluto militare che troppo tardi aveva capito di dover eseguire; così facendo, però, aveva finito per farsi sfuggire un lembo dell'asciugamano che, cadendo a panneggio, si era svolto per terra prima che quella potesse riacciuffarlo, lasciandola ancora più nuda di prima.

«Tranquilla, tranquilla, tranquilla. Non c'è bisogno di queste formalità! Voglio dire, siamo in un bagno...e in effetti, io non dovrei affatto essere qui, per cui...EHI, MA TU STAI SANGUINANDO TANTISSIMO!»

La voce di Hanji aveva avuto un picco verso l'alto nel vedere l’enorme macchia di sangue che imbrattava la stoffa. Quasi senza accorgersene, aveva mosso velocemente alcuni passi in avanti in direzione della ragazza, arrivandole abbastanza vicina da vedere come il suo corpo fosse completamente ricoperto di tagli e tumefazioni. Sotto la panca a cui era appoggiata, solo ora riconosceva la cassetta del pronto soccorso aperta e, in un angolo, una divisa macchiata di rosso in più punti. Il volto della ragazza era rigato di lacrime, gli occhi rossi.

Come aveva fatto a non accorgersene prima?

«Cosa ti è successo?» chiese Hanji con un filo di voce.

«Non è nulla, è stato un incidente...e...ah!» arretrando, la ragazza si era chinata a recuperare l'asciugamano traditore, senza riflettere, nella fretta, a quanto poco saggio fosse quel movimento; si era ritrovata col fiato mozzato, un dolore lancinante l'aveva percorsa ogni dove, facendola barcollare.

Solo la presa di Hanji, salda ma gentile, aveva evitato che rovinasse a terra, acciuffandola per il polso.

«Be', nulla non direi proprio...» constatò Hanji di fronte alla scena.

Vista la vicino la pelle di quella ragazza metteva davvero i brividi. Liberando la presa, aiutandola a mettersi seduta, Hanji la squadrò con occhio clinico.

«Come ti chiami?»

Per tutta risposta la ragazza abbassò gli occhi, mordendosi le labbra.

Con un sospiro, Hanji le si fece ancora più vicina.

«Ascolta, lascia che ti aiuti. Come ti ho detto, non dovrei essere nemmeno qui, io. Quando sarò uscita da quella porta, potremo tranquillamente fingere che tu non abbia detto niente a nessuno. Ma adesso fatti vedere: per tua fortuna sono la cosa più simile a un medico che potresti desiderare in questo momento…e decisamente ne hai bisogno…»

C'era sconforto nel viso della ragazzina. Una specie di espressione sconfitta che rendeva il suo viso ancora più terribile a vedersi. Si tormentava le mani tanto da far sbiancare le nocche. Sembrava un bambino colto sul fatto mentre compie una marachella, che con vergogna si trova costretto ad ammettere la propria colpa.

Hanji era seriamente turbata: non le piaceva per nulla quello che aveva davanti.

«Schesta…il mio nome è Schesta Lehmann, vengo dal Recinto di Trost. Sono una matricola del 100° Corpo Reclute…»

Quel nome ad Hanji non diceva niente, ma del resto non c’era da stupirsi: era Shadis a occuparsi dei novellini e i veterani come lei non avevano a che fare con loro se non per qualche lezione specifica su precisi argomenti; e il turno di conoscere il capo della Sezione Ricerca, per loro, non era ancora arrivato.  Senza contare che tra tutti i membri dell’élite, lei era quella che le matricole le vedeva di meno, sempre chiusa com’era, in orario lavorativo e non, nel suo ufficio.

Con un sorriso, Hanji tornò a rivolgerle uno sguardo accorato.

«Bene, Schesta, il mio nome è Hanji Zoe e adesso vorrei che mi spiegassi perché sei conciata in questa maniera, anche se una precisa idea me la sono già fatta…»

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Be', insomma, doveva capitare. Era questione di attimi prima che le due si incontrassero. E che Hanji la cogliesse in flagrante.
Ora io ve lo devo dire che Schesta si sta per trasformare in un tipico esempio di Mary Sue e monopolizzerà la scena per qualche capitolo. Lettore avvisato, mezzo salvato. Ma del resto, come vi ho già detto, questa ff è un enorme pretesto per permettermi di descrivere alcune realtà del mondo di Snk che sono sottaciute o non adeguatamente sviluppate o per dirvi come io me le immagino. E Schesta fondamentalmente è il mio pretesto incarnato.
Poi però la parola passerà per un po' ad Hanji...e lì ne vedremo delle belle - pure lei è un pretesto in parte, ma parte dei pretesti servirà a indagare lei da quel punto in poi.
Ok basta o sembro più criptca di Nostradamus.
Spero non vi stiate annoiando troppo; giuro che è tutto funzionale ad arrivare da parecchie parti. Fra un po': anche il prossimo capitolo sarà di passaggio, ma poi odierete il mondo di Snk e la gente che lo abita; per cui godetevi questo momento dove ancora ve la potete ridere.
Ci vediamo al prossimo capitolo.
Grazie a chi ha commentato/letto/seguito/apprezzato la ff!

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Capitolo 5
*** Cure ***


Cure

 
«SONO SPACCIATA.»
La consapevolezza che fosse oramai troppo tardi per fare alcunché si era fatta strada in Schesta non appena aveva sentito il rumore della porta che sbatteva violentemente contro gli stipiti.
Lì per lì non aveva dato peso al vociare che aveva sentito fuori dalla capannina, troppo distante, a suo avviso, per costituire un pericolo o avere davvero un senso – poco si capiva oltre all’identità dei possessori, un uomo e una donna; nessuno che conoscesse, comunque.
Per Schesta era giunto il momento di mettere mano ai due enormi tagli sulla schiena, la parte più dolorante di tutte. Quando il cotone aveva sfiorato la ferita i suoi sensi avevano semplicemente smesso di funzionare, lasciandola a boccheggiare nel nulla più totale. Nessun suono, nessuna immagine se non un flash bianco. Aveva sentito solo dolore.
Così, troppo intenta a non urlare nuovamente mentre si tamponava dolorosamente le ferite con abbondante disinfettante, non si era accorta che le voci, in particolare una, si erano fatte sempre più vicine.
Poi quella porta si era aperta e lì Schesta aveva capito che era troppo tardi per scappare, nascondere alcunché, inventare qualunque scusa.
L’urlo le era scappato involontariamente nel tornare alla realtà troppo bruscamente.
Aveva avuto appena la prontezza di afferrare un asciugamano e avvolgerselo intorno alla bell’e meglio, nient’altro.
Era stata scoperta. E in una maniera piuttosto imbarazzante. Nuda, al centro dell’edificio, robe sparse tutto attorno, medicamenti, vesti insanguinate. Non aveva alcuna speranza di far sparire tutto in una manciata di secondi.
Quel secondo in cui la donna davanti a lei l’aveva squadrata da capo a piedi palesemente sorpresa di trovare qualcuno lì, in quelle docce, le era sembrato lungo un’eternità.
Chi diavolo era?
Non lo sapeva, non si era presentata con altro se non un nome e un cognome, che però non le dicevano niente; eppure adesso, seduta cavalcioni sulla panca davanti a lei, nella sua stessa posizione, Schesta non poteva che benedirne l’esistenza mentre procedeva a medicarla.
Nonostante l’atteggiamento sgraziato e i modi un po’ bruschi, il suo tocco era delicatissimo. Certo, quella che le stava facendo era tutto meno che una medicazione indolore, ma non per sua colpa.
Procedeva veloce, ma non sbrigativa.
Aveva disinfettato i bordi delle ferite con precisione chirurgica, pescando di volta in volta ora un unguento, ora una garza, ora una bomboletta, ora un botticino di liquido giudicati più adatti alla situazione. Ci sapeva davvero fare. Era evidente che non stesse per nulla andando a caso nelle sue scelte.
Da quando aveva cominciato, il suo volto si era fatto serio, il suo sguardo penetrante, il suo tono pacato. Professionale.
Era quasi impossibile credere che stesse sbraitando e snocciolando battute caustiche fino a qualche secondo prima.
«Rilassati.»
«Trattieni il respiro»
«Questo farà male…»
Forse era davvero un’infermiera o qualcosa di simile – anche se a giudicare dalla presenza delle cinghie del 3DMG Schesta si sentiva di escluderlo. Sicuramente era un militare regolarmente inquadrato. Più ci rimuginava su, più cresceva seriamente in lei la paura di scoprire a quale ufficiale e di che grado aveva mancato di rispondere immediatamente con un saluto, poco prima…anche se la donna sembrava non curarsi affatto della cosa.
Hanji – che poi qual era il nome, Hanji o Zoe?- le restava un mistero, ma il fatto stesso di riuscire a formulare ipotesi sulla sua identità anziché essere ancora in un angolo a piangere la rassicurava sul fatto che quelle medicazioni stavano già funzionando. Almeno, tra una fitta e l’altra, le rimaneva la lucidità di pensare a qualcosa di diverso dal dolore.
La domanda fatidica era arrivata a bruciapelo, asettica, puramente a scopo informativo: «È il 3DMG ad averti conciato così?»
«…Sì, signora…Io…»
«Come pensavo.»
Sembrava non avesse bisogno che aggiungesse altro.
Hanji continuava a muoversi con gentilezza sulla sua pelle e sulle sue ferite. Quella stessa gentilezza che aveva nella voce.  Schesta l’aveva capita subito: non le avrebbe estorto nulla a forza se non il necessario per aiutarla al meglio.
Rimase un secondo ancora in silenzio, meditativa.
Forse avrebbe fatto meglio a raccontare tutto a quella donna. Forse avrebbe potuto fornirle quell’aiuto di cui aveva bisogno e che non aveva avuto…modo, forza, coraggio, tempo, voglia, possibilità di chiedere. Quella Hanji Zoe era semplicemente capitata in quel bagno in maniera provvidenziale.  E per qualche ragione…sentiva di potersi fidare.
Incominciò a parlare quasi senza rendersene conto e le frasi vennero fuori da sole, raccontando una storia forse più lunga del necessario. Non sapeva neppure bene quando né perché aveva spontaneamente deciso di raccontarle tutto.
«Sono nel 100° corpo reclute da 98 giorni ormai. Mi sono arruolata per mia volontà, dopo averci pensato abbastanza a lungo… anche se non credo di essere stata troppo originale nelle mie motivazioni. Ero a Shiganshina quattro anni fa. E credo non dimenticherò mai più quel giorno. Avevo 11 anni.»
Schesta sentì la mano di Hanji esitare un secondo appena a quella rivelazione, prima di riprendere con lo stesso ritmo di prima. Shiganshina. Un nome troppo infausto per non rievocare ataviche paure in chiunque.
Hanji non poteva che darle ragione. Era vero, era un classico. Non si contavano i giovani e giovanissimi che, in quei quattro anni, si erano arruolati a seguito degli avvenimenti di quel maledetto giorno in cui, dopo secoli, le mura dell’umanità per la prima avevano volta ceduto. Il desiderio di vendetta era sorto spontaneo nella maggior parte di loro, assieme al bisogno di una rivincita su quegli esseri che così impunemente avevano calpestato la vita di tanti uomini, donne e bambini…Sempre che non li avessero sbranati davanti ai loro occhi. Genitori, parenti, amici; conoscenti come sconosciuti. Un trauma impossibile da superare, che aveva condotto i sopravvissuti a due scelte di vita: allontanarsi per sempre il più possibile dalle aree perimetrali, in barba al titolo onorario di “guerriero impavido”*, oppure dedicare la vita alla difesa degli altri e di quelle mura, nella lotta contro i giganti.
Del resto, molti - in pratica tutti- coloro che erano al di fuori dei ranghi militari, all’epoca dell’attacco avevano ormai scordato quanto reale fosse la minaccia di quei mostri che assediavano gli esseri umani. Quell’infausto giorno aveva risvegliato in loro un istinto di sopravvivenza da tempo dimenticato, come individui e come esemplari di una specie. I vari Corpi Militari avrebbero quasi dovuto ringraziare il Gigante Corazzato e quello Colossale per aver contribuito spontaneamente a rimpinguare i ranghi di un esercito i cui numeri, anno dopo anno, erano scesi drasticamente a fronte di una minaccia avvertita come sempre meno reale ma non per questo tale davvero. E difatti: il destino aveva provveduto a risolvere provvidenzialmente quel problema con una tragedia forse ancora più grande, così che la perdita di un intero recinto di mura, in una specie di circolo vizioso, aveva finito per divenire carburante, se non di speranza, almeno di rinnovata ostinazione a voler sopravvivere.
Anche Schesta, scopriva ora Hanji, era una sopravvissuta. Era anche lei il prodotto di uno di questi due miracoli.
«Hai perso qualcuno a te caro, immagino…?» chiese la donna, riprendendo a tamponare una ferita. Era quasi una cosa scontata, una domanda retorica.
Perdevi qualcuno, giuravi vendetta, ti arruolavi. Un classico.
«No.- la voce di Schesta suonò strana, stonata nel pronunciare quella semplice sillaba e sorprese Hanji quanto la risposta; sembrava…rammaricata? – no, signora, e pure per certi versi sì. Per la verità quel giorno la mia famiglia si salvò tutta: i miei genitori, i miei fratelli, le mie sorelle. Salimmo sui primi traghetti di soccorso appena il Titano colossale comparve oltre le mura. Non avevo mai visto un gigante in vita mia, prima. Ricordo che rimasi immobile, attonita, per parecchio tempo, finché mia madre non prese a trascinarmi via a strattoni. Avevamo la fortuna di alloggiare poco distante dai portoni d’accesso alle cerchie interne: mio padre, un mercante, aveva deciso di coniugare un viaggio di lavoro con la visita ad alcuni parenti di Shiganshina e così si era portato dietro da Throst tutti noi. Ecco perché eravamo a Shiganshina quando nelle mura fu aperta la breccia. Sentii il boato, le urla, l’allarme suonato dalle campane. Ma mi trovai dall’altro lato di Wall Maria, in fuga verso Wall Rose, prima ancora di aver capito davvero cosa stava succedendo. Eravamo persino riusciti a radunare parecchie cose e fare le valigie. Eravamo sani e salvi quando per gli altri nel distretto l’incubo era appena cominciato. E fondamentalmente è stata questa la ragione a spingermi ad entrare nell’esercito. Non ho mai capito perché noi ci siamo salvati…e altri no. O meglio, l’ho sempre saputo benissimo e fino al giorno dell’arruolamento questa consapevolezza mi ha sempre impedito di essere in pace con la mia coscienza. Non passa giorno che non me lo chieda: «Perché tra tanti altri abbiamo meritato di sopravvivere noi
Faceva quasi male intuire quanta amarezza si celava dietro le sue parole. Soprattutto considerando che quella domanda, Hanji, decine e centinaia di compagni caduti sulle spalle, sapeva fin troppo bene cosa si provava a porsela. E purtroppo sapeva anche che era destinata a non avere mai risposta.
Solo che in genere ci volevano anni, una volta entrati nell’esercito, per cominciare a convivere con quel dubbio - eccetto chi si arruolava nella Legione, a loro bastava qualche mese: all’inizio pensavi che la sopravvivenza fosse merito del fatto di essere bravo. Col tempo capivi invece l’estremo capriccio del caso…
«Be’ quel giorno avesti semplicemente fortuna. Non credo ci sia nulla di male…»
Ma Schesta replicò con una scrollata di testa. «Non fu una buona stella a salvarmi…ma la ricchezza.»
Come rapita da un ricordo troppo doloroso, Schesta tornò a esitare un attimo. Stringeva i pugni, lo sguardo perso nel vuoto, a rivivere alcuni momenti che dovevano essere statti tutto meno che pieni di gioia. Momenti che la tormentavano ancora, a distanza di anni e a cui era bastato far cenno per riportarne a galla il dolore, forse non fisico, forse non paragonabile a quello, lancinante, che le perforava ora la schiena, ma che anno dopo anno aveva continuato a martoriarle la mente e il cuore, scavando dentro di lei come un tarlo..
Era vero senso di colpa quello Hanji che leggeva negli occhi della ragazza.
«Quel giorno vidi…cose e fui partecipe di azioni che…non potrò mai dimenticare…figurarsi perdonare…a me stessa in prima di tutto. Non persi “qualcuno”, quel giorno, bensì “qualcosa”: il diritto a starmene con le mani in mano, lasciando agli altri il compito di preoccuparsi di tutto questo. Non potevo più vivere come se i giganti, le mura, i pericoli dell’umanità non fossero affar mio…come se potessi vivere la mia vita a dispetto di tutto. mi sarei sentita troppo ipocrita. Arruolarmi è stato il mio modo di fare ammenda e cercare di migliorare qualcosa...e forse il mio apporto alla lotta contro i giganti non sarà che una briciola insignificante...assolutamente incapace di raggiungere un vero risultato... ma di sicuro è l'unica cura che conosco ai mali del mio spirito.»
Hanji la squadrò un secondo mentre la voce le si spezzava in gola. Quei generi di discorsi erano tutt’altro che comuni nel mondo in cui vivevano. C’era molto più in quella ragazzina di ciò che l’apparenza lasciava trasparire. Era stata frettolosa nel giudicarla. Meritava tutta la sua stima.
«Be’ Schesta – le disse Hanji, accennando un sorriso bonario, posandole una mano sulla spalla nell’unico punto dove sapeva non le avrebbe fatto male - per quanto può valere, posso dirti che per una matricola, da quello che ho sentito, le tue motivazioni sono più originali di tante altre…»

Nota:
* IMPORTANTE! (tenete presente questa informazione perché si rivelerà utile). L'intera muraglia è troppo lunga per poter essere protetta lungo tutta la sua estensione, quindi per ogni muro ci sono quattro distretti posizionati nelle periferie Nord, Est, Sud ed Ovest, protetti anch'essi dalle Mura. Poiché i Giganti sono istintivamente attratti da grossi raggruppamenti di persone, questi distretti fungono da esche in modo che i militari possano limitarsi a proteggere solamente quelle zone specifiche del muro, riducendo quindi i costi per il pattugliamento della cinta muraria. Questa posizione rende però i distretti a rischio di un'invasione dei Giganti, e sono quindi considerati i posti peggiori e meno desiderabili per vivere. Per questo motivo, il Governo Reale ha pensato di donare a coloro che decidono di abitare queste città il titolo di "Guerriero Impavido", sperando così di indurre più gente possibile a scegliere di vivere nei distretti esterni. Insomma…un contentino per compensare il maggior mischio di rimetterci le piume. Se per disgrazia le mura dovessero cadere queste sarebbero le aree che riceverebbero l’attacco…e difatti così fu con Shiganshina. Di tutti i distretti, ovviamente, i peggiori sono quelli di Wall Maria…e Shiganshina è uno di questi.

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...Sì, ci ho messo una vita e quello che leggete è poco; mea culpa. Sono impelagata nel capitoli successivi che continuo a rileggere non convinta. Ma, a questo punto, questo capitolo ve lo ho fatto attendere fin troppo....quindi ecco a voi.
La presenza di Hanji smuove qualcosa in Schesta che non ha avuto il coraggio di parlare con le compagne...eppure decide di spiattellare tutto all'ufficiale, pur non avendo la più pallida idea di chi essa sia. E come vedrete nei prossimi capitoli si tratterà veramente di spiattellare tutto. Per ora abbiamo scoperto che c'è un perchè preciso se Schesta ci tiene ad essere nell'esercito...è la sua "cura" al senso di colpa che prova nei confronti del passato. Riprenderò questo discorso. Comunque ecco spiegato perchè il titolo del capito, "Cure" al plurale: cure sono quelle che Hanji presta a Schesta a livello fisico, ma una "cura" è ciò che Schesta stessa ha cercato entrando nell'esercito. Ah, e tenete a mente la nota. 
Grazie per la pazienza che portate, o voi che leggete X°D 

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