Out after dusk

di Heihei
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non ho mai ***
Capitolo 2: *** Contadinella ***
Capitolo 3: *** KJA / Scuse ***
Capitolo 4: *** She looks good in Greene ***
Capitolo 5: *** Usignolo ***
Capitolo 6: *** Completi / Armi ***
Capitolo 7: *** Addio contadinella / Brutte compagnie ***
Capitolo 8: *** Lupi e vagabondi / Sangue irlandese ***
Capitolo 9: *** Persa nei boschi / Mangiata dai leopardi ***
Capitolo 10: *** Trovata ***
Capitolo 11: *** Senzatetto ***
Capitolo 12: *** Coinquilini / Iperprotettiva ***
Capitolo 13: *** Fortuna / Di nuovo a casa ***
Capitolo 14: *** Brava ragazza / Cattivo ragazzo ***
Capitolo 15: *** Ricatto / Come piace a Gesù ***



Capitolo 1
*** Non ho mai ***


PREMESSA:
Questa storia NON mi appartiene, è una traduzione.
Link autrice: https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&cad=rja&uact=8&ved=0ahUKEwiF8e-O2bfSAhVFkSwKHcEfCsoQFggdMAA&url=https%3A%2F%2Fwww.fanfiction.net%2Fu%2F63323%2FAlfsigesey&usg=AFQjCNEr_YqeSfpl2oLTbyhSPCO5rS6GQA&sig2=lUzzqBk5yQj_ceiQhvr4ZQ&bvm=bv.148441817,d.bGg
Link storia originale: https://www.fanfiction.net/s/10489549/1/Out-After-Dusk

 

 

 

 

 

 

I. Non ho mai

 

 

 

Hai pensato a qualcosa per stasera? Dovresti goderti le tue ultime ore da adolescente.”
Beth rilesse il messaggio di Maggie una dozzina di volte prima di risponderle. Non le sembrava una domanda a trabocchetto, ma allo stesso tempo…
“Sì?”
Cancellò quello che aveva appena scritto senza mandarlo. Sospirando, decise di chiamarla.
“Hey, scusa, non posso rispondere. Non lasciarmi un messaggio perché non lo ascolterò, quindi stacca e scrivimi. Ci vediamo.”
Maggie non doveva stare nel migliore dei modi quando aveva registrato quella segreteria.
Lasciò cadere il telefono sul letto, fermandosi a guardarlo nel tentativo di capire se avesse dovuto attendere un altro messaggio o no. Avvicinatasi alla finestra, riusciva a sentire Otis suonare la chitarra fuori al portico sottostante, finché non venne interrotto da due voci, sua madre e Patricia.
“Hey, Maggie, non sono sicura...”
Cancellò ancora il testo.
“Chiamami quando...”
Eliminò anche questo e si arrese.
“Stupida”, si disse. “Stai diventando proprio stupida.”
Non aveva niente di cui lamentarsi, la sua vita era perfetta così.
Una nuvola coprì il sole, avvolgendo la sua stanza in un’atmosfera cupa che quasi stonava sulle pareti floreali. Dalla finestra aperta, scorse l’Accord nera mezza distrutta di Leon frenare bruscamente fuori la fattoria e li vide scendere tutti. Leon e Luke dalle portiere anteriori e Karen e Minnie da quelle posteriori. Anche da quella distanza, riuscì a notare che entrambe le ragazze ci erano andate giù pesante col trucco e, guardandosi allo specchio, realizzò di non averne messo neanche un filo. Ne aveva davvero bisogno, così come aveva bisogno di cambiarsi. Indossava ancora i jeans e la camicetta rosa smanicata con cui aveva cavalcato nel pomeriggio. Molto probabilmente, puzzava di cavallo.
Quanto si sarebbero offesi se fosse scesa a dirgli che non si sentiva bene?
Sua madre e suo padre si sarebbero accorti subito di quanto fosse finta la sua febbre, ma forse non avrebbero detto nulla. Dopo poche ore sarebbe stato il suo compleanno, il suo e di Minnie. Avevano deciso di festeggiarlo insieme mesi prima, ma aveva comunque il diritto di fare quel che voleva del suo compleanno. E lei non aveva voglia di fare niente, pur dovendo ammettere a se stessa che era una cosa abbastanza triste e preoccupante. I suoi amici le avevano promesso che l’avrebbero fatta uscire dal guscio e che le avrebbero mostrato “come si vive”. Giustamente, non erano ancora riusciti a portarla sulla cattiva strada.
Controvoglia, si alzò in piedi, s’infilò i suoi soliti stivali e si guardò un’ultima volta allo specchio. Non sembrava che stesse andando a un concerto. Piuttosto, sembrava una che aveva appena finito di lavorare in una fattoria e che aveva dimenticato di pettinarsi i capelli, ma, del resto, sarebbe uscita dal concerto sudata e disordinata in ogni caso.
Mentre scendeva le scale, il telefono le vibrò in tasca.
“Hey, Beth, mi hai chiamata?”
Maggie si era trasferita ad Atlanta da un anno. La distanza non era troppa, ma era abbastanza da rendere Beth impaziente di rivedere sua sorella più di chiunque altro, soprattutto negli ultimi giorni.
“Torni domenica prossima?”
Dopo averci pensato un po’, era quasi sicura di non voler ammorbare Maggie con i suoi problemi immaginari, a maggior ragione se sua sorella proprio in quel periodo stava facendo i conti con una nuova vita, lì ad Atlanta.
Salutò velocemente i suoi genitori e Otis e Patricia. Tutti le raccomandarono di stare attenta. Non incrociò volutamente lo sguardo di suo padre perché, anche se l’aveva vista solo di sfuggita, c’era qualcosa nella sua espressione che chiariva perfettamente quanto fosse pronto a esprimere il suo disappunto per qualsiasi cosa avessero pianificato i suoi amici quella sera.
“Hey Beth, ti ricordi di mio cugino Leon, vero?”
Minnie era appoggiata alla portiera dell’auto, visibilmente euforica.
“Hey!”
Beth gli sorrise, ma Leon la strinse in un abbraccio che la colse di sorpresa. Aveva gli stessi occhi di Minnie e il suo stesso sorriso malizioso, ma era più grande di lei. Ricambiò l’abbraccio, imbarazzata.
Con quello stesso sorriso, le indicò la macchina. “Signora, la sua carrozza.”
“Lui è il suo fratellino, Luke”, le disse Karen con un sorrisetto strano stampato in faccia.
Il modo in cui l’aveva detto le fece pensare che stavano tutti alludendo a qualcosa di cui lei non era a conoscenza.
Luke indossava una maglietta della Georgia Tech e ci stava, dato che era grosso come un giocatore di football. Non l’avrebbe mai chiamato fratellino.
“Andiamo.”
I cinque montarono in auto e lasciarono la fattoria, che dal finestrino posteriore diventava sempre di più un puntino lontano.
“Dev’essere proprio un bel posto in cui vivere”, commentò Leon. “Fate anche il vino alla pesca?”
“Uh, no”, ammise lei. “Le raccogliamo e basta.”
“Suo padre non tollera l’alcool”, spiegò Karen, ispezionando i jeans di Beth con un cipiglio di disapprovazione. Del resto, sia lei che Minnie indossavano vestiti stretti e scollati, perfetti per un concerto.
“Lo rispetto”, disse Leon, rivolgendo uno sguardo al fratello che sembrava esprimere l’esatto opposto.
Beth lasciò che parlassero, restando a fissare lo schermo del telefono in attesa di una risposta di Maggie. Le ci vollero cinque minuti per riceverla.
“Sì, vengo domenica.”
Tirò un sospiro di sollievo. Si era preoccupata per tutta la settimana di non vederla il giorno del suo compleanno. Non poteva mancare al pranzo di famiglia.
“Porti qualcuno?”, le scrisse, curiosa di sapere come andavano le cose col suo nuovo ragazzo, Zach. E poi, voleva protrarre quello scambio di messaggi il più a lungo possibile, ma Maggie non rispose mai più a quel messaggio. Magari non sapeva neanche lei se il suo ragazzo fosse pronto a conoscere la sua famiglia.
L’auto era rumorosa e malmessa. Beth cercò di seguire le loro conversazioni, ma aveva la testa altrove. Riprese a prestare attenzione giusto in tempo per sentire Leon dire: “Facciamo un gioco: se io indovino a quale età avete fatto i vostro primo tiro da una canna, ognuno di voi dovrà ammettere che sono un autentico genio, nonché la persona migliore che abbiate mai conosciuto.”
Lo trovò infantile, specialmente perché su per giù doveva avere circa venticinque anni, ma Beth sorrise tra sé e sé e disse: “Bene, comincia da me.”
Leon la scrutò dallo specchietto retrovisore con le sopracciglia aggrottate, come se si tesse concentrando.
“Sedici anni.”
“Sbagliato, ancora vergine!”, gridò Minnie prima che Beth potesse dare una qualsiasi risposta.
“Impossibile! Minnie, hai trovato davvero un’amica che non fuma?” Luke si girò dal sedile del passeggero a guardarle entrambe.
“In realtà, lei non fa niente. E intendo davvero niente.”
“Già, sono abbastanza noiosa”, disse Beth, improvvisamente infastidita.
“Ricordate di quando avevamo quindici anni e cominciammo a giocare a Non Ho Mai con i liquori di mia madre? Noi ci sbronzammo, lei restò a guardare.”
Karen si chinò a lasciarle un bacio sulla guancia. Aveva il dorso della mano completamente ricoperto di lucidalabbra dopo essersi pulita.
“Dopo tre anni, è ancora la stessa storia… ma almeno ci riporta a casa”, disse Minnie con orgoglio. “E’ una tipa responsabile.”
“Nonché la nostra autista-Barbie sempre sobria”, aggiunse Karen.
“Minnie, immagino che i tuoi quindici anni siano stati abbastanza movimentati...”, disse Leon.
Minnie aggrottò la fronte, ma poi sorrise e annuì. “Sì, puoi dirlo forte. E va bene, lo dirò: sei un autentico genio e sei la persona migliore che io abbia mai conosciuto, soprattutto quando sei così dolce da comprare a me e alle mie amiche i biglietti per un concerto il giorno del mio compleanno.”
“Già, sono un ragazzo molto generoso.”
L’auto si fermò e un cartello stradale catturò l’attenzione di Beth.
“Non ci siamo fermati un po’ troppo presto?”
Nessuno si mostrò particolarmente sorpreso di ciò che aveva detto, non la guardarono neanche.
“In realtà, faremo una breve sosta qui. Devo far conoscere a Minnie alcune persone.”
Leon si schiarì la gola e diventò rosso non appena si girò a guardarla dallo specchietto retrovisore.
Beth decise di dare un’occhiata alla strada dal finestrino posteriore e scorse due motociclette avvicinarsi all’Accord. I motori rombavano furiosi. Era una zona isolata, circondata dalla boscaglia.
“Chi?”, chiese.
Prima di risponderle, Leon accostò di fronte a una casa. “Beh… il mio rivenditore di fiducia. Si chiama Nick.”
“Stai scherzando?!” La voce di Beth non era mai suonata così atona, ma riuscì a malapena a sentirsi, visto il rumore delle motociclette che nel frattempo si erano fermate di fronte a loro.
Spensero i motori, lasciando che fosse solo il vento a spezzare il silenzio.
Incontrò gli occhi di Leon dallo specchietto e strinse i denti quando lo vide sorridere divertito dal suo shock.
Di che mi stupisco?
“Saremo veloci”, le assicurò Minnie con lo sguardo colpevole. Aveva le guance arrossate e si mordeva un labbro. “Te lo giuro. Prendiamo solo una cosa dall’amico di Luke e Leon e andiamo via.”
“Questo posto è da film horror.”
Scese dalla macchina e sbatté la porta con unico, fluido movimento. I due ragazzi avevano parcheggiato dall’altro lato della strada. Non li aveva ancora guardati bene, ma solo con la coda dell’occhio. In ogni caso, già formulò l’ipotesi che fossero di quelle parti.
Non aveva mai visto un quartiere così brutto in tutta la sua vita. Le case erano tutte malandate, quasi abbandonate a loro stesse. Chi abitava in quel posto, evidentemente, non ne era poi così fiero. I tetti sembravano pronti a cedere, i rivestimenti esterni erano praticamente andati e alcune finestre erano rotte. Qualcuno le aveva riparate con oggetti a caso, come lamiere, reti metalliche, pezzi di cartone.
Leon e Luke non scesero dall’auto, mentre Minnie e Karen cominciarono ad attraversare la strada.
“Non venite? E’ il vostro rivenditore di fiducia, non dovreste accompagnarci?”
Beth si chinò, poggiando le mani sulle ginocchia, per poterli guardare attraverso il finestrino. Si sarebbe sentita molto meglio se a entrare con loro ci fossero stati due ragazzi.
Leon non la guardò negli occhi, ma continuò a sorridere e abbassò il finestrino per poterle parlare meglio.
“No, è tutto ok. Anche se non mi sembra che a Minnie importi più di tanto, se volete delle presentazioni formali… i fratelli Dixon faranno gli onori di casa.”
Dopo queste parole, portò la sua mano fuori dall’auto per stringerne un’altra più grande e callosa. Beth non aveva realizzato che i due motociclisti si erano avvicinati così tanto e che erano anche loro diretti in quella casa. Si raddrizzò.
“Hey, Merle”, disse Leon, irrigidendosi.
“Cerchi qualcosa per stanotte, ragazzo?”
Nonostante si rivolgesse a Leon, lo sguardo di Merle era fisso su Beth, con un sorrisetto così viscido che le venne improvvisamente voglia di farsi quattro docce. La sua prima impressione di lui, tralasciando la sensazione sgradevole che le scendeva giù per la gola, fu che era piuttosto grande. Aveva le spalle larghe, le nocche spesse e i capelli cortissimi. Pensò che doveva avere su per giù una cinquantina d’anni. Indossava abiti in pelle e portava un bracciale borchiato al polso.
“Non stasera”, Leon scosse la testa. “Siamo a corto di soldi… Hey, Daryl, tutto ok?”
Si sporse con la testa per superare Merle con lo sguardo e affrontare l’altro Dixon.
Daryl andava avanti e indietro sul marciapiede, osservando la spazzatura. Alzò lo sguardo solo per fare un cenno a Leon. Non era alto come suo fratello, ma aveva le spalle larghe e le mani callose, proprio come lui. Era chiaramente più giovane, ma Beth non riuscì ad attribuirgli un’età precisa, forse era tra i trenta e i quaranta. Come il fratello, indossava vestiti in pelle e, quando le voltò le spalle, riuscì a vedere un paio d’ali d’angelo cucite dietro al suo gilet.
“Siamo qui per le ragazze”, continuò Leon, indicando la casa di Nick.
Minnie e Karen se ne stavano lì impalate davanti alla porta, probabilmente stavano discutendo su chi delle due avrebbe dovuto bussare.
“Oh, quindi sei tu che vuoi divertirti stasera?” Merle si voltò verso Beth per guardarla meglio.
Tutto il suo interesse nell’ascoltarli calò vorticosamente. Non era abituata a stare al centro dell’attenzione, lo odiava.
“No, lei no. Ma la notte è ancora giovane, può ancora cambiare idea.” Leon le fece l’occhiolino.
Beth riportò lo sguardo su di lui. “Possiamo andarcene, per favore?”
“Raggiungi le tue amiche, aspetteremo qui.” Luke era quasi arrossito mentre le parlava.
Lanciò un’altra occhiata ai fratelli Dixon e fu seriamente tentata di aspettare in macchina con Luke e Leon, ma l’idea delle sue amiche da sole in quel covo di drogati non la faceva sentire nel migliore dei modi. A parte ciò, se doveva essere completamente sincera con se stessa, era anche abbastanza curiosa di entrare in quel posto, per vedere com’era all’interno. Non si sentiva in pericolo, più che altro era sicura che si sarebbe sentita a disagio e una parte di lei desiderò che i due ragazzi scendessero dall’auto per accompagnarla.
“Dopo andremo davvero al concerto?”, chiese. “Ditemi la verità.”
Accanto a lei, Merle ghignò e si fece sfuggire una risatina gutturale. “Non mentite alla ragazzina, ve la farà pagare.”
Leon annuì con fermezza. “Ovvio, ho pagato i biglietti.”
“Siete due idioti”, rispose lei nel tono più falsamente dolce possibile.
Gli voltò le spalle e cominciò ad attraversare il vialetto. Merle, appoggiato alla macchina, rideva, mentre Daryl cominciò a seguirla.
“Dai, Beth!” Leon tentò di richiamare la sua attenzione, ma lei lo ignorò.
Karen e Minnie erano sparite, nonostante non avesse visto nessuno aprir loro la porta. Beth era pronta a bussare, quando Daryl le si piazzò davanti, così vicino che fu investita dal suo odore di tabacco e olio motore. Sembrava si stesse sforzando di guardarla negli occhi. Schiarendosi la gola, girò la maniglia e aprì la porta, per poi indietreggiare e farle cenno di entrare per prima.
Beth si morse un labbro e alzò lo sguardo, alla ricerca dei suoi occhi, ma la sua attenzione si focalizzò sulla bocca. Le sue labbra, che si ostinava a mordicchiare nervosamente, costituivano una linea sottile contornata dalla barbetta incolta. Non seppe esattamente il perché, ma le diede subito l’impressione di uno che non sorrideva spesso.
Per evitare di palesare ulteriormente quanto lo stesse fissando, finalmente incontrò i suoi occhi.
“Entriamo così?”
Dopo aver sbuffato, incurante di ogni forma di civiltà, Daryl la superò, facendo scontrare bruscamente il braccio contro la sua spalla.
Beth si guardò indietro: Merle stava ancora parlando con Leon e Luke, passeggiando avanti e indietro per il vialetto.
Dopo un respiro profondo, entrò in casa, notando che Daryl era completamente scomparso dalla sua visuale. Uno stretto corridoio sembrava dividere lo spazio in due e affacciava su un paio di stanze. Una era il soggiorno e si sorprese di quanto sembrasse normale. Sì, era piuttosto scarno, ma superava le aspettative. Non era di certo ciò che aveva sempre immaginato pensando alla tana di un tossicodipendente. C’era un piccolo camino, una tv a schermo piatto con tanto di lettore Blu-ray, un divano e un paio di sedie diverse tra loro. Le tende erano molto spesse, in modo da non far filtrare troppa luce, il tappeto decisamente vecchio e probabilmente non pulito a dovere. Era senz’altro un posto vissuto.
Sentì delle voci provenire dalla cucina, ma nessuna di esse sembrava appartenere a Karen o a Minnie.
Una mano pesante le gravò sulla spalla. Merle l’aveva raggiunta. Sbattendola, chiuse la porta d’ingresso e scrutò il fondo del corridoio.
“Di là, ragazzina. Le tue amiche saranno in camera da letto con Nick.”
Le fece l’occhiolino e proseguì verso la cucina, da dove quelle voci lo chiamavano euforiche. Stava per seguire le indicazioni che le aveva dato, quando vide entrambe le sue amiche uscire da quella stanza in fondo al corridoio, ridacchiando.
“Tornate ogni volta che avete voglia di divertirvi”, disse Nick.
Era un uomo tarchiato dalle sopracciglia scure e dalla voce profonda e stranamente rassicurante.
“Voi ragazze siete state fortunate, lasciatevelo dire. Dato che state uscendo con Luke e Leon, vi ho trattate molto bene.” Il suo sguardo cadde su Beth, ma continuò a mantenere lo stesso sorriso. “Hey”
“Piacere di conoscerti”, mormorò Beth. “Abbiamo finito qui?”
“Sembra che la vostra amica vada di fretta”, Nick rise. “Ci vediamo in giro.”
D’un tratto, si fermò nel bel mezzo del corridoio e impallidì. Il suono delle sirene non era vicinissimo, ma neanche troppo lontano. Quando notò che le tre ragazze lo stavano fissando, finse una risata e si strinse nelle spalle.
“Non preoccupatevi, ragazze. E’ un quartiere di merda, gli sbirri vengono a farsi un giro ogni tanto, ma non verranno qui.”
Il suono delle sirene sembrava sempre più vicino, ma Nick proseguì sicuro verso la porta d’ingresso, spalancandola. Ma allo stesso tempo, Beth sentì l’Accord accendersi e sfrecciare via. Leon e Luke erano terrorizzati, manco avessero visto il diavolo in persona.
Minnie sgranò gli occhi e spalancò la bocca.
Karen, invece scoppiò a ridere. “Merda!”
“Bene, bene. La cavalleria è morta.” Nick ghignò, osservando l’angolo della strada in cui l’Accord era sparita.
Non riuscì a sentire le sue ultime parole, il suono delle sirene era diventato assordante per quanto vicino. Quando finalmente cessò, Beth vide le luci rosse e blu lampeggiare dal lato opposto della strada. Nick aveva ragione: la polizia non era lì per loro. Stavano inseguendo una vecchia El Camino che si era fermata sul marciapiede, il conducente era saltato giù dall’auto e, di corsa, si era fiondato in casa. Erano arrivati troppo tardi per fermarlo, si era già chiuso dentro.
Cinque ufficiali impugnarono le loro pistole e si avvicinarono con cautela all’abitazione, mentre tutti osservavano quello spettacolo affascinati, in attesa che succedesse qualcosa. Ma non c’era molto da vedere. Dopo qualche minuto, i poliziotti fecero ritorno alle loro auto. Uno di loro gridava alla ricetrasmittente.
“Che coppia di cagasotto!”
Minnie finalmente parlò, fissando con insistenza il punto in cui era parcheggiata l’auto di Leon. Furiosa, estrasse il telefono dalla tasca della minigonna e cominciò a scrivere. Beth riuscì a leggere ‘CHE CAZZO STATE FACENDO?! RIPORTATE I VOSTRI CULI SFONDATI SUBITO QUI!’
Non riuscì a non ridere. Era quasi divertente.
Nick era appoggiato allo stipite della porta, continuava a sorridere. Ma tutti i loro sorrisi vennero meno quando sentirono nuove sirene suonare. Altre volanti raggiunsero quelle già presenti e Beth cominciò a chiedersi se tutti i poliziotti della Georgia avessero da fare in quella piccola strada proprio in quel momento.
Non si era fatta prendere dal panico né quando Luke e Leon se n’erano andati e né quando aveva sentito la polizia arrivare. Ma adesso cominciava ad agitarsi, perché anche Nick sembrava nervoso.
“Entrate dentro e restateci finché i ragazzi non tornano.”
Il telefono di Minnie vibrò e Beth osservò ancora lo schermo.
Se ne sono andati?”
“Che cazzo significa ‘se ne sono andati?’?! Che razza di idiota!”, sbottò Minnie. “Ci hanno lasciate qui neanche due minuti fa!”
Cominciò a scrivere ‘DOVE SIETE?’, ma poi cancellò il messaggio.
“Ora lo chiamo.”
Nick le fece entrare in casa senza staccare gli occhi da quel nuovo gruppo di poliziotti che aveva invaso la strada.
“State tranquille”, disse, cercando ancora di fingersi calmo, nonostante avesse cominciato a sudare.
Un ragazzo esile dall’acconciatura moicana uscì dalla cucina. “Nick, ci sono problemi?”
“No, Andy. Non credo.” Nick fece le spallucce. “Le ragazze sono solo un po’ nervose perché i loro ragazzi se la sono data a gambe appena hanno visto gli sbirri.”
Il ragazzo si lasciò sfuggire una risata.
“Eh?! Che è successo?”, gridò Merle dalla cucina.
“Luke e Leon hanno lasciato le loro amiche qui”, spiegò Andy.
“Che cazzo avete che non va, eh?!”, nel frattempo Minnie urlava a telefono. “Siete miei cugini, sangue del mio sangue, e mi lasciate qui così?!”
Dopo essersi scambiata un’occhiata con Karen, lei e Beth seguirono Nick in cucina, lasciandola nel corridoio a discutere con Leon.
Andy si sedette di nuovo accanto a Merle e a due ragazzi, probabilmente parenti di Nick. Daryl era appoggiato al bancone, distante da tutti gli altri. Appena le ragazze entrarono, alzò lo sguardo.
“Vi hanno lasciate qui?”
Beth realizzò che era la prima volta che lo sentiva parlare. Come il fratello, aveva l’accento del sud e la voce consumata dalle troppe sigarette. Tutti si voltarono a guardarlo con estrema attenzione.
Lei annuì con un sorriso di plastica.
Lui, in risposta, grugnì.
“Il mio fratellino non approva”, Merle cominciò a ridere. “Chiediglielo con gentilezza e gli farà il culo al posto tuo.”
“Credo che Missy se la stia cavando bene anche da sola”, rispose Daryl, indicando infastidito il corridoio in cui Minnie stava ancora inveendo sonoramente contro suo cugino.
“CHE SIGNIFICA CHE LA POLIZIA HA MESSO SU UNA BARRICATA?!”
A queste parole, tutti s’irrigidirono.
“Che diavolo sta succedendo, Nick? Non sai gestire i tuoi vicini?”, chiese Andy, passandosi nervosamente le dita nel moicano.
“Ci sono una ventina di case su questa strada, ho parlato solo con la signora qui a fianco e con sua figlia, non so che cazzo fa questa gente. Però… credo sia la 708, di fronte. Avete mai visto l’El Camino parcheggiare lì?”
“Oh sì”, rispose Merle, mentre tutti gli altri ragazzi annuirono. “Quel tipo mi ha prestato un accendino una volta, sembrava a posto.”
“Ha gli sbirri dietro stasera, per qualche ragione”, continuò Nick.
Merle sospirò profondamente e scosse la testa. “La gente ha parlato, eh?”
Quando i suoi occhi incontrarono lo sguardo di Merle, Beth cominciò a sentire davvero la paura. Stava succedendo qualcosa di serio. Quante chance aveva di riuscire a uscire senza parlare con la polizia? E se avessero capito quello che lei e le sue amiche stavano facendo lì? Lei e Minnie, tecnicamente, erano ancora minorenni, non si erano ancora diplomate. Il suo stomaco si contorse al ricordo di alcuni ragazzi della sua scuola che erano stati espulsi all’ultimo anno proprio perché erano stati trovati in una zona come quella con della droga addosso.
Quanto erano vicine a una situazione del genere, a quel punto?
A giudicare dall’espressione sul volto di Karen, anche lei stava pensando alla stessa cosa. Quegli uomini continuavano a ridere e a parlare come se niente fosse, ma Beth riuscì a percepire che erano comunque in ansia. Non li conosceva abbastanza bene da esserne sicura, ma Nick non sembrava più rilassato come aveva mostrato prima. Si grattava la testa e gettava uno sguardo alla porta d’ingresso in continuazione. Daryl sembrava non sapere cosa fare con le sue mani, picchiettava le dita sul bancone mentre guardava nell’unica direzione che gli garantiva il mancato contatto visivo con gli altri, dunque fuori dalla finestra.
La conversazione a telefono di Minnie divenne più tranquilla. Per qualche secondo, tutti i presenti sembravano aver ripreso a respirare regolarmente. Ma in poco tempo la voce di Minnie ritornò, strozzata all’inizio, per poi risalire a dismisura.
“Non vi lascerebbero entrare? Beh, probabilmente faranno uscire noi, non possono tenerci dentro la barricata… Perché no?”, sbuffò, “Che diavolo vuol dire?”
Tutti in cucina erano diventati di pietra, intenti ad ascoltarla con attenzione, senza neanche fingere di non stare origliando.
VUOI SAPERE SE MI INCAZZERO’ SE ANDRETE AL CONCERTO?! Testa di cazzo, sono già incazzata, ma se andrete senza di noi, sarò ancora più incazzata e tu sarai morto, mi hai sentita?!”
Con un grugnito di frustrazione e un’imprecazione, Minnie staccò e comparve sulla soglia. Era rossa incandescente per la rabbia.
“Che succede?”
“Hanno provato a tornare indietro, ma la polizia ha costruito una barricata e non lasciano entrare e uscire nessuno. Ha detto che uno dei tuoi vicini ha preso qualcuno in ostaggio.”
Alzò gli occhi al cielo, per niente sorpresa. Forse non ci credeva nemmeno lei.
“Un ostaggio?!” Nick aggrottò le sopracciglia e, dopo qualche secondo di silenzio, scrollò le spalle. “Va bene, non far entrare nessuno ci sta, ma perché non potete andarvene? Che senso ha bloccare delle belle bamboline come voi nella stessa strada di un folle che prende in ostaggio la gente?”
“E’ piuttosto ironico”, disse Andy con una risata.
“E’ una situazione di merda, ecco cos’è”, sbottò Minnie. “Perderemo il concerto e Leon ha detto di aver parlato con un poliziotto, nessuno può entrare o uscire finché la situazione non sarà risolta.”
“Magari, visto che sono in zona, stanno pensando di controllare anche altre case”, suggerì Merle, lanciando un’occhiata cupa a Nick che, incapace di nascondere una smorfia, provò a scrollarsi di dosso anche quest’ultima possibilità, pur non essendo convincente.
“Va tutto bene, non hanno nessun motivo per darci fastidio. Aspetteremo qui.”

“Luke e Leon stanno andando via senza di noi!”, disse Minnie con indignazione. “Hanno detto che non possono farci nulla, che potrebbero volerci ore e che non vogliono perdersi il concerto.”
“Ovvio che no.” Beth sospirò profondamente.
Dispiaciuta, Minnie circondò con un braccio le spalle dell’amica e l’abbracciò. Automaticamente, Beth le strinse la vita e le poggiò il mento sulla spalla.
“Beth… mi dispiace. Tu non volevi neanche venire.”
“Tranquilla.” Si tirò indietro e le rivolse un sorriso stanco. “Se è per questo, non volevo neanche venire al concerto, quindi...”
Lasciò la frase in sospeso quando notò l’espressione quasi offesa di Minnie.
“Che vuoi dire?”
“Andiamo, Minnie. Mi conosci, sono piuttosto monotona. Se fosse stato per me, mi sarei fatta una cavalcata e avrei passato la serata a letto a mangiare gelato, per poi addormentarmi tipo… alle otto.”
Beth provò a sorridere, guardando il pavimento.
“Per fortuna non è andata così”, s’intromise Merle. “Saremo felici di occuparci noi della tua festa stasera. Che dobbiamo fare per passare il tempo?”
Rise per l’ennesima volta, lanciandole un’occhiata maliziosa che fu quasi più nauseante di quella di prima. Sentì le sue guance bruciare per l’imbarazzo.
Nick, Andy e gli altri ghignarono, persino Minnie e Karen risero. L’unico che non trovò la cosa divertente fu Daryl.
“Zitto, coglione. Lei non ti conosce”, calciò la sedia del fratello, “… non sa che stai scherzando”, aggiunse arcigno.
“Le mie scuse, bambolina”, disse l’altro con un gesto irriverente della mano, “poteva andarti peggio, lo sai? Potevi ritrovarti in un posto di merda circondata da maniaci o qualcosa di simile.”

 

 

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTRICE:
Sì, lo so, avevo detto che questa storia sarebbe stata breve… tutte bugie, scusatemi. Sarà un’altra long e sarà molto più fluff, specialmente se messa a confronto con Killer & Mother. Farò del mio meglio.
Non pensavo che questo capitolo introduttivo sarebbe stato così lungo, è successo e basta, gli altri forse saranno un po’ più corti. In ogni caso, spero che vi sia piaciuto :)
Fatemi sapere cosa ne pensate, sono sempre curiosa di conoscere i vostri pensieri e le vostre reazioni.

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Capitolo 2
*** Contadinella ***


PREMESSA DELL’AUTRICE:

Prima di andare avanti con la storia, ho riscritto il primo capitolo sotto il punto di vista di Daryl… spero non vi dispiaccia, ho pensato che poteva essere un buon modo per iniziare. In ogni caso, nei prossimi capitoli alternerò i due punti di vista seguendo la linea temporale.

 

 

 

 

II. Contadinella


 

 

Daryl rimase in silenzio tutto il giorno. Fece tutto quello che di norma faceva quando se ne stava per conto suo: dopo aver bevuto whiskey e fumato mezzo pacchetto di sigarette nella veranda sul retro, quando si sentì abbastanza su di giri, fece qualche chin-up alla sbarra in garage. Quando poi diventò davvero irrequieto, afferrò la sua balestra e s’inoltrò nel bosco in cerca di qualcosa da uccidere.
Il bottino di quella nottata fu un misero coniglio. Merle probabilmente avrebbe avuto da ridire, dato che erano al verde, di nuovo.
Verso le quattro del mattino, tornò in garage a fare benzina e, quando fuori dalla loro baracca non c’era più anima viva, uscì a rifornire anche la moto di Merle. Nessuno dei due ne aveva un disperato bisogno, in effetti ne avevano già abbastanza per percorrere qualche altro centinaio di miglia, ma non aveva nient’altro di meglio da fare.
“Hey… Daryl, giusto?”
Alzò lo sguardo dalla tanica di benzina da cui stava scorrendo il liquido e trovò l’amica di Merle appoggiata alla porta del garage. Era scalza, manteneva con una mano il suo stupido paio di tacchi a spillo. A Merle piacevano le bionde. Questa era riccia e dannatamente sfacciata, la sua voce era roca, consumata dal fumo.
“Merle sta ancora dormendo, mi daresti uno strappo in città?”
Il trucco le era colato sulle zampe di gallina da entrambi i lati degli occhi. Sembrava sfinita, e forse ancora un po’ fatta. Il fatto che si ricordasse il suo nome lo sorprese, l’aveva vista solo per pochi secondi, al buio, mentre inciampava con Merle nel vialetto. Infatti, lui non riusciva a ricordarsi il suo. Forse si chiamava Starla, qualcosa del genere.
Scrollò le spalle, pulendosi le punte delle dita dall’olio. “Dammi un minuto”, borbottò.
Entrò in casa, ammesso che si potesse definire tale. Vivevano lì da poco più di un mese. Quel posto era completamente fuori mano e abbandonato a se stesso. Non era sicuro di come Merle l’avesse trovato, non aveva mai fatto domande.
Era arredata in modo disarmonico, con i soliti mobili vecchi e usurati e oggetti ambigui che probabilmente non avevano alcuna funzione. Non importava quante volte lui li avesse buttati per aria, quella maledetta pila di giornali scandalistici era sempre lì, davanti alla porta. Diede loro l’ennesimo calcio e non batté ciglio quando la torre di carta crollò.
Sentì Merle imprecare dall’altra stanza. Inizialmente, pensò di averlo svegliato, ma poi lo sentì gridare: “Per quei soldi farò il lavoro vestito da Marilyn Monroe e per un altro cazzo di dollaro in più te lo lascerò filmare!
Stava parlando a telefono e, da come sembrava contento, forse aveva trovato qualcosa da fare per loro, il che era più che buono: a Daryl erano rimasti otto miseri dollari in tasca, mentre a Merle solo qualche pelucco.
Dei passi pesanti provenienti dalla camera da letto furono il preludio dell’arrivo di suo fratello nella stanza principale, ancora mezzo nudo e mezzo addormentato.
“Saremo lì tra un minuto.” Staccò e s’infilò il telefono in tasca. “Wanda è ancora qui?”
“E’ qui fuori, stavo per accompagnarla a McCoy’s.”
Finalmente trovò la sua camicia e il suo gilet, li aveva gettati chissà quando dietro ai resti scheggiati di un vecchio tavolino da caffè, abbandonato in un angolo dopo aver perso fin troppe gambe per essere ancora utile.
“Lasciamola lì strada facendo”, rispose Merle mentre tornava in camera da letto a rivestirsi. “Sai, Darleena, se vuoi portarti un paio di tette qui ogni tanto, fai pure. Mi toglierò dai piedi.”
“No, non lo faresti”, ringhiò Daryl. “Quindi sta’ zitto.”
Merle ridacchiò. “Era Nick, vuole che andiamo da lui. Non li hai mai visti i suoi nipoti, vero? Sono giovani, ma hanno qualcosa che potrebbe interessarci.”
“Del tipo?”
“Armi. Hanno bisogno di un paio di braccia in più per il viaggio e io gli ho detto che possiamo farlo.”
Daryl annuì. Non era proprio quello che si aspettava e Merle lo sapeva, se n’era accorto solo osservandolo, ma quegli otto dollari che aveva in tasca cominciavano a sentirsi soli.
“Va bene”, mormorò.
Ma no, non andava bene. Sembrava una vera rottura di palle.

 

● ● ●

 

 

“Non è che disprezzo il lavoro legale...”
Merle abbassò il cavalletto della sua moto. Aveva ricominciato a parlare quando il rumore dei motori si era placato, come se stesse riprendendo una conversazione lasciata in sospeso che però era esistita solo nella sua testa. Forse stava cercando di leggere nella mente di suo fratello, oppure, aveva semplicemente ripensato alla faccia che aveva fatto quando gli aveva detto del lavoro. Daryl non avrebbe fatto un buon lavoro se non fosse stato concentrato.
Si stavano fermando di fronte casa di Nick, quando videro un’Accord nera malandata parcheggiare lì vicino. Gli era familiare, ma non riusciva a ricordare a chi appartenesse, pur non essendo la prima volta che la vedeva da Nick.
Una delle portiere posteriori si aprì e una ragazza bionda dal corpo minuto spuntò fuori dall’auto.
La squadrò per bene, ma non gli sembrò di averla mai vista. Gli bastò incontrare il suo sguardo per un secondo per capire che non apparteneva a quell’ambiente, e anche lei sembrava saperlo bene. Aveva le mani in tasca e sembrava agitata, lunghe onde disordinate di capelli biondi incorniciavano il suo bel viso preoccupato.
“Che?” Daryl si voltò di nuovo verso il fratello.
“Mi stai ascoltando?!” Merle incrociò le braccia al petto, aggrottando le sopracciglia. Il suo sguardo raggiunse la biondina e poi si riposò sul fratello, accusandolo in silenzio.
“Che hai detto?”
“Ho detto che non ho problemi col lavoro legale… lo rispetto. Il fatto è che con un lavoro onesto non guadagni gli stessi soldi che guadagni così, neanche lontanamente.”
Merle fece per allontanarsi, ma indugiò, come se volesse finire il suo pensiero prima che potesse giungere alle orecchie altrui.
“Sì, lo so”, disse Daryl, abbassando il cavalletto.
“Possono dire quello che vogliono, ma più soldi significa meno problemi per me e per te, fratellino.”
Sembrava che stesse cercando di convincere in primis se stesso e Daryl capì che non era così sicuro della cosa come voleva apparire.
Il contrabbando di armi era pericoloso, era molto probabile che li gettasse in situazioni in cui avrebbero dovuto occuparsi di lavori di uguale o maggiore pericolo e Merle non voleva finire di nuovo in prigione. Daryl, invece, non si era mai cacciato nei guai con la legge e non voleva cambiare la sua condizione.
“Già, dobbiamo farlo.” Merle annuì alle sue stesse parole, guardando l’asfalto.
Erano davvero così disperati?
“Come dici tu, fratello”, mormorò Daryl.
Osservando di nuovo l’Accord non molto lontana da oro, ricordò a chi apparteneva.
Era di Luke e Leon, due idioti del college che venivano spesso d’estate o nel periodo tra due semestri. Altre due ragazze, brune e formose, scesero dall’auto e raggiunsero la porta di Nick, mentre la biondina era rimasta accanto alla macchina a parlare con Leon, l’idiota numero uno.
Merle si avvicinò a lei dopo aver salutato i ragazzi, facendo completamente svanire quella parvenza di disagio che solo pochi secondi prima corrugava il suo viso. Daryl, invece, restò indietro e li lasciò chiacchierare, raccogliendo il necessario per confermare i suoi sospetti sulla biondina: non era di lì e non voleva neanche starci. Si mordicchiava il labbro inferiore e giocava con le punte dei suoi capelli, scrutando ognuno di loro con i suoi grandi occhi blu, come se riuscisse a capire di più con uno sguardo che con le parole.
Quando i suoi occhi raggiunsero anche Daryl, quasi si vergognò ad aver sentito un lieve tremore. Era una giovane donna, così giovane che forse non era neanche una donna. Si sentì quasi sollevato quando notò che lo stava guardando con apprensione. Naturalmente, l’avrebbe potuto vedere solo come un cafone, niente di più.
“Siete due idioti”, disse ai suoi amici in tono smielato.
Daryl rimase sorpreso quando la vide dirigersi verso casa di Nick. Non riusciva a capire perché ci stesse andando da sola, quando era chiaro che fosse nervosa. Quasi inconsciamente, la seguì e non gli sfuggì l’espressione stranita di suo fratello quando l’aveva notato. Per qualche strana ragione, il fatto che quei due cazzoni non avevano voluto accompagnarla gli aveva dato fastidio. Nick non era un folle, anche se quei due gli dovevano dei soldi non li avrebbe tormentati più di tanto.
Luke le stava guardando il culo da quando si era voltata. Che gli costava andare con lei come un amico decente? A camminarle dietro la visuale era anche migliore.
Si fermò di fronte alla porta e lui cercò di affiancarla con un movimento che sperò non fosse troppo imbarazzante. Fu investito dal suo odore di bosco e di cavallo. Era una contadinella, avrebbe dovuto capirlo dagli stivali da cowboy sporchi di fango e di erba.
Alzò lo sguardo sui suoi occhi da bambola e sulle sue guance, che erano arrossite quando l’aveva visto allungare il braccio per aprirle la porta.
“Entriamo così?”, mormorò dopo alcuni secondi di silenzio.
Senza degnarla di una risposta, Daryl la superò. Non era un suo problema. Se non voleva entrare, non doveva farlo. Nessuno la stava obbligando.
In cucina trovò Andy, che era quello che gli stava più sul cazzo tra quei pezzenti, e due ragazzi che non aveva mai visto. Dovevano essere i nipoti di Nick.
“Hey amico!” Andy gli strinse la mano. “Questo è Daryl Dixon, il fratellino di Merle. Daryl, lui è Jeremiah.”
Gli indicò il più grande. La barba non era abbastanza folta da coprirgli la vistosa cicatrice su un bordo della bocca che, quando quel lato della faccia si mosse, sembrò accentuare un sorriso. Ma alla fine non era che un semplice ghigno. Gli fece un cenno con la testa e cominciò a studiarlo, portandosi un po’ più avanti con la sedia.
“E lui è Evan.”
L’altro doveva avere più o meno la stessa età degli amici della contadinella. Gli rivolse un sorriso amichevole, leggermente asimmetrico a causa di un paio di piercing sulle labbra. La pelle era gonfia, dovevano essere recenti.
“Dov’è Merle?” Andy guardò la porta, speranzoso di vedere arrivare il maggiore dei Dixon.
“E’ qui fuori con Luke e Leon.” Daryl si appoggiò al bancone, il più lontano possibile da loro.
“Che ci fanno qui? Non devono andare a scuola ancora per qualche mese?” Andy tirò fuori un mazzo di carte dalla tasca e tolse l’elastico, cominciando a mischiarle sotto il tavolo.
“Non per forza.” Evan alzò gli occhi al cielo.
“Spezzeresti il cuore a zia se non finissi, non puoi permettertelo”, gli disse Jeremiah a mo’ di avvertimento.
“Allora, che abbiamo qui?” Merle arrivò in cucina poco dopo. Entrambi i nipoti di Nick e Andy lo salutarono con fin troppo entusiasmo e fecero scivolare l’ultima sedia del tavolo verso di lui, invitandolo a mettersi comodo. “Arriviamo al sodo. Ci stiamo, diteci dove e quando.”
Daryl lanciò un’occhiata torva al fratello. Si era quasi aspettato che ne parlasse un po’, che si prendesse del tempo per valutare i rischi prima di vendersi anche le mutande.
“Mi fa piacere sentirlo”, disse Jeremiah. “Domani sera. Lo so, è stata una decisione presa all’ultimo, ma i nostri ragazzi hanno… mollato.”
“Sono stati arrestati?”, borbottò Evan.
“Sono dei coglioni. Partiremo da Winters’, non so se hai presente.”
“Sicuro.” Merle nascose ogni segno d’ansia con una scrollata di spalle.
Jeremiah lanciò a Daryl un ultimo sguardo indagatore. “Ora, ovviamente, ti ho fatto venire qui perché non lavoro mai con gente che non conosco e, dato che ho deciso di fare un’eccezione per tuo fratello, volevo farmi una bevuta con voi.”
“Non posso darti torto, amico”, disse Merle, guardando suo fratello. “Sei pronto per il tuo primo vero colloquio di lavoro?”
Daryl sbuffò e alzò gli occhi al cielo. Jeremiah sembrò apprezzare quella sua reazione, perché il lato non mutilato della sua bocca si curvò in un ghigno soddisfatto, scoprendo parte dei suoi denti ingialliti.
Fuori dalla finestra, le sirene cominciarono a suonare.
Nonostante fosse sempre riuscito a evitare contatti con la polizia, Daryl si sentiva sotto pressione ogni volta che li vedeva arrivare. Merle, invece, forse per abitudine, era più tranquillo. Infatti, cercò di mandare avanti la conversazione con Jeremiah coprendo il suono delle sirene con la sua voce.
“Magari possiamo convincere tuo zio Nicky a sacrificare un po’ di roba per la nostra serata, che ne dici?”
All’inizio, Andy, Evan e Jeremiah gli diedero corda, ma quando fu chiaro che le sirene erano dirette nella loro direzione, si ammutolirono.
Lo sguardo di Daryl corse subito alla porta sul retro. Oltre il recinto di quel piccolo cortile, c’era un boschetto e, se avesse dovuto, sarebbe scappato tra gli alberi. Non voleva abbandonare suo fratello, ma Merle sapeva essere abbastanza stupido con gli sbirri. Molto spesso arrivavano alle mani e Daryl non poteva controllarlo, poteva aiutarlo fino a un certo punto. E poi, gli sarebbe stato più utile senza un paio di manette ai polsi.
Jeremiah si alzò, tentato dall’andare a vedere di persona cosa stesse succedendo, ma Andy lo fermò. Nick era lì, Daryl l’aveva sentito parlare nel corridoio con le ragazze. Tra l’altro, Luke e Leon se l’erano data a gambe appena avevano visto la polizia.
Siete miei cugini, sangue del mio sangue, e mi lasciate qui così?!”, sentì una delle ragazze urlare, probabilmente a telefono.
Infatti, Nick entrò in cucina con le altre due. La contadinella si appoggiò al muro più distante da loro e osservava la stanza con un’espressione esasperata.
“Vi hanno lasciate qui?”
Daryl non aveva intenzione di parlare, ma alla fine lo fece comunque. Erano ancora più stupidi di quanto pensasse.
La contadinella incontrò il suo sguardo e annuì con un piccolo verso simile al tubare di una colomba. Non sembrava per niente sorpresa dal loro comportamento.
“Il mio fratellino non approva. Chiediglielo con gentilezza e gli farà il culo al posto tuo”, le disse Merle.
Riusciva ancora a sentire l’altra ragazza urlare in corridoio.
“Credo che Missy se la stia cavando bene anche da sola.”
“CHE SIGNIFICA CHE LA POLIZIA HA MESSO SU UNA BARRICATA?!”
Daryl si preparò al possibile panico che quelle parole avrebbero potuto creare, ma alla fine nessuno si diede a una folle fuga tra le colline. Semplicemente, si limitarono a balbettare qualcosa di incomprensibile, il che era incoraggiante. Dopotutto, nessuno di loro sarebbe stato credibile, eccetto lui e probabilmente la contadinella. Andiamo, che razza di sbirro avrebbe potuto arrabbiarsi con lei? Era chiaro come il sole che era lì perché era stata costretta e probabilmente sapeva anche piangere al momento giusto.
I loro pensieri preoccupati furono di nuovo interrotti dalle urla della ragazza a telefono, che dopo un po’ staccò ed entrò in cucina a riportare quello che Luke e Leon le avevano detto della situazione mentre stavano cercando di tornare.
Daryl aveva già sentito parlare di situazioni del genere e duravano sempre più del previsto. Gli sbirri avevano troppe regole e spesso prendevano iniziative che non portavano a nulla. Sarebbero rimasti lì per un po’.
Guardò fuori dalla finestra, lasciando che gli altri continuassero a parlare. Era davvero una situazione del cazzo. Nick era stato un idiota ad accettare di vendere della roba a dei ragazzini e avrebbe dovuto convincere le ragazze a stare mute nel caso fosse sorto un problema. D’altronde, avevano deciso loro di entrare.
Sembravano nervose e, anche se da un lato pensava che se l’erano cercata, non poteva biasimarle. Lui non era stato esattamente un bravo ragazzo alla loro età. Era normale che fossero preoccupate, così com’era normale che pensassero che qualche sbirro o anche lo stesso Nick avrebbero potuto metterle nei casini, oppure che qualcuno di loro in quella casa avrebbe potuto fare il pervertito. Pensò che sia lui che Merle non dovevano lasciare che accadesse. Erano state stupide, ma dovevano sentirsi e stare al sicuro per tutto il tempo in cui sarebbero rimaste bloccate lì.
Quando gli sbirri smisero di cazzeggiare nei paraggi e si fermarono tutti fuori alla 708, Daryl si tranquillizzò e tornò a focalizzare l’attenzione su quello che stavano dicendo giusto in tempo per sentire suo fratello fare una battuta sulla contadinella. Le sue guance diventarono rosse e cominciò a muovere nervosamente le mani nelle tasche dei jeans.
“Zitto, coglione. Lei non ti conosce”, calciò leggermente la sedia del fratello, “...non sa che stai scherzando.”
“Le mie scuse, bambolina.”
Merle era un po’ lento di comprendonio, ma prima o poi ci sarebbe arrivato. Era facile che si presentasse come un cattivo ragazzo, ma Daryl sapeva che suo fratello era molto meglio di così.
Ricominciarono tutti a parlare di quel casino e le due brunette si accomodarono sul tavolo, una a fianco all’altra con le mani giunte. Aveva senso che fossero amiche. La contadinella, però, non sembrava c’entrare molto con loro. Sì, indossava dei semplici jeans, una camicetta e degli stivali da cowboy di contro all’abbigliamento appariscente delle amiche, ma non era solo il modo in cui era vestita a distinguerla. Aveva un atteggiamento completamente diverso. Il modo in cui parlava, il modo in cui si guardava intorno, interessata ma distante, la dicevano lunga. Le sue amiche, invece, sembravano le classiche tipe che amavano sentirsi al centro dell’attenzione, anche più di Merle.
Lei non sembrava avere nessun problema a restare a guardare, ma comunque Daryl non riusciva a spiegarsi cosa ci facesse con quelle ragazze o con Luke e Leon.
Stava quasi per abbandonare quel pensiero, l’inspiegabile enigma della contadinella, prendendo una birra dal frigo di Nick, quando la sua attenzione e quella di tutti i presenti venne catturata da una voce amplificata da un megafono che stava annunciando a gran voce di essere l’Agente Walsh, pronto a fare la parte dell’eroe.

 

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Capitolo 3
*** KJA / Scuse ***


PREMESSA
Dato che questi due capitoli, il terzo in particolare, erano davvero brevi e collegatissimi tra loro, mi sono permessa di pubblicarli insieme. Spero non vi dispiaccia.





III. KJA / IV. Scuse

 

 

La voce al megafono annunciò quello che Minnie aveva già riferito dopo la sua conversazione con Leon: “Va bene, ascoltate, residenti di Kelly Jo Ave. Per il momento, ho bisogno che tutti voi restiate chiusi in casa. C’è un problema col vostro vicino della 708 e, finché non sarà risolto, la vostra sicurezza potrebbe essere compromessa. La cosa migliore è lasciarci fare il nostro lavoro, quindi tenete duro fin quando non vi dirò che sarà finita.
Ripeté il messaggio più volte, in diversi punti della strada.
“Lo conosco”, brontolò Andy. “Agente Walsh. E’ un gran pezzo di merda.”
“Non hanno detto per quanto tempo?”, chiese Beth con un’imbarazzante nota di disperazione nella voce.
Nick si grattò la nuca e si lasciò sfuggire una breve risata. “Dannazione, bambolina, non lo sanno neanche loro. Potrebbero metterci cinque ore come cinque giorni.”
Giorni?!”
Il suo cuore saltò un battito, non poteva restare chiusa lì dentro così a lungo.
“No”, disse Merle con un cipiglio. “Ci terranno bloccati qui massimo per una notte e poi ci scorteranno fuori dalla barricata, tutti noi. Ma potrebbero impedirvi di tornare a casa finché l’idiota della 708 con la bella macchina non si arrende o viene sparato.”
Il pensiero di dover restare anche solo per una notte non la rassicurò. Osservò i suoi compagni di sventura e si chiese se anche Minnie e Karen fossero preoccupate quanto lei, ma non sembrava.
“Se andrà così… tu dirai agli sbirri che sei sua figlia, Lola.”
Nick indicò Minnie e scelse Merle come suo finto padre.
“Mmh… vieni da papà.”
Merle si guadagnò un paio di risate da parte dei parenti di Nick.
Daryl, al contrario, sembrava infastidito. “Lola?!”
“...E loro sono le tue amiche. Siete qui perché tuo padre doveva portarvi a cena fuori, non per comprare qualcosa, capito?”, continuò Nick.
Minnie annuì immediatamente. “Buona idea.”
“Se dovrò affrontare delle accuse… con questa storia possiamo convincerli”, disse, di nuovo con la fronte sudata. “E possiamo tenervi fuori”, aggiunse in tono forzato, come se volesse convincerle che avrebbero dovuto mentire per il loro bene.
“Amico, non parlare così”, Merle si appoggiò allo schienale della sedia e incrociò le braccia al petto. “L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è che un fatalista figlio di puttana ci rovini il divertimento. Gli sbirri sono qui per la 708, non hanno alcun motivo per romperci le palle.”
“A maggior ragione, non fate nulla che possa attirare l’attenzione”, li pregò Nick. “Non rendete la situazione più precaria di quanto non sia già.”
Il suo sguardo si fermò a lungo su uno dei suoi parenti, che sembrò offendersi per essere stato indicato.
“Nessun problema, amico”, disse Merle, osservando a sua volta il parente di Nick. “Dobbiamo semplicemente ammazzare il tempo. Avete qualche DVD? Netflix?”
Mentre i ragazzi proponevano idee su come trascorrere il tempo in modo legale, Beth si avvicinò a Minnie.
“Come fai a essere così calma?”, le sussurrò.
Non solo sembrava tranquilla, addirittura sorrideva.
“Oh, sono furiosa, ma sto immaginando possibili scenari di vendetta”, rispose. “Almeno… siamo in questo casino con una buona-brutta compagnia. Possiamo ancora passare una bella serata.”
I suoi occhi guizzarono verso il ragazzo seduto più lontano da loro, uno dei parenti di Nick. Era quello più vicino alla loro età, doveva avere poco più di vent’anni. Aveva due piercing al labbro inferiore, uno per lato, e le dita tatuate.
“Minnie, sul serio?” Beth le lanciò uno sguardo di profonda disapprovazione.
“Oh, sì.”
Senza capire se faceva sul serio o no, sospirò, incrociando le braccia al petto e guardando altrove. Notando la sua reazione, Minnie le diede una spintarella e cominciò a ridere. “Sto solo cercando di alleggerire un po’ l’atmosfera. Questa nottata non deve per forza essere un disastro totale come sembra, e poi… lui è carino.”
Era la situazione peggiore in assoluto in cui poter conoscere un ragazzo. Minnie era pazza.
“Avete delle obiezioni?”, chiese Nick ad alta voce.
“Deve per forza essere quel film?”, Karen tirò fuori la lingua in segno di disgusto. “Mi sento male alla vista del sangue.”
Il ragazzo su cui Minnie stava sbavando guardò Karen dalla testa ai piedi, sorridendo.
“Io sono Evan, comunque. E lui è mio cugino Jeremiah. Come vi chiamate?”
“Oh”, Karen arrossì. “Io sono Karen, lei è Minnie e lei Beth.”
“Allora, Karen”, si avvicinò a lei con lo stesso sorrisetto di prima. “Non è sangue vero”, le sussurrò come se fosse un segreto, “è semplicemente sciroppo, amido di mais, cioccolato e colorante alimentare. Probabilmente ha lo stesso sapore di una caramella, ma potrai stringermi il braccio se hai paura.”
Il sorriso di Karen lasciò intendere quanto quella idea le piacesse. Minnie le lanciò un’occhiataccia, a cui lei ripose con un dito medio mentre raggiungeva il soggiorno con Evan.
Uno dopo l’altro, raggiunsero a loro volta la stanza, dove Nick stava montando il lettore Blu-ray. Beth e Daryl furono gli ultimi. Daryl le fece cenno di andare avanti per prima, mentre prendeva un’altra birra dal frigo.
“Prenotata!”, disse Andy lasciandosi cadere sulla sedia più grande. “Ma mi piacerebbe dividerla con una delle ragazze. Potrebbero sedersi sul mio...”
Nick lo zittì, cercandole con lo sguardo. “Tieni la bocca chiusa, per il momento. E’ già abbastanza una merda che siano ancora qui.”
Karen e Minnie risero come se fosse divertente e si sedettero sul divano, con Evan a dividerle. Merle e Jeremiah le fecero cenno che si sarebbero alzati se avesse voluto una sedia, ma Beth li ignorò e si sedette a terra a gambe incrociate vicino al corridoio, prendendo il telefono dalla tasca.
Nel frattempo, Daryl era ancora sulla soglia della cucina, combattuto tra la visione del film e la solitudine, con l’unica compagnia della sua birra.
Il film era cominciato da pochi minuti e nessuno prestava abbastanza attenzione a lei, così Beth pensò di alzarsi e di approfittare di un momento di particolare distrazione per chiudersi in bagno.
Lo specchio era rotto, una linea scura le attraversava il volto distorcendo le sue caratteristiche. Sembrava che avesse gli occhi non allineati.
Si sedette sul bordo della vasca da bagno e compose il numero di Maggie.
“Per favore, rispondi”, mormorò.
“Hey, festeggiata!” Maggie rispose dopo appena due squilli.
“Maggie...”
“Qualcosa non va?”
“Non lo so… forse no. Ti ricordi di quando mi hai detto che se mi fossi trovata da qualche parte dove non mi sento al sicuro e non posso dirlo a papà o a Shawn, avrei dovuto chiamarti e mi saresti venuta a prendere senza dirgli niente?”
Beth giocherellava nervosamente con le punte dei suoi capelli, conscia del tremolio della sua voce. Non si era resa conto di quanto fosse realmente agitata fin quando non sentì la voce familiare e confortante di sua sorella.
“Dove sei?”
“Non so il nome del posto, è un piccolo quartiere. Sono in una casa in una strada che si chiama Kelly Jo Ave. E’ successo un casino in una casa qui vicino, hanno preso qualcuno in ostaggio. La polizia è ovunque ma posso riuscire a scappare. Ho visto un alimentari poco prima di arrivare qui, sull’insegna c’era scritto Pig in a Poke, incontriamoci lì.”
“… Sei stata trattenuta dalla polizia?”
“No! Cercano solo un uomo… ma ho paura, voglio andarmene.”
Beth si asciugò le lacrime, mentre Maggie cambiò completamente tono.
“Ascolta, non aver paura. Troverò il posto e ci incontreremo, ok? Se non riesci a uscire parlerò io con gli agenti. Non preoccuparti, sto arrivando.”
“Ok.”
Beth tirò un sospiro di solievo.
“Ti voglio bene.”
Maggie riattaccò.
“Ti voglio bene anch’io.”
Cercò di ricomporsi e cominciò a scrivere un messaggio a Minnie, che tra le due era quella che probabilmente l’avrebbe degnata di una risposta, dato che Evan sembrava più interessato a Karen.
“Usciamo dal retro, Maggie sta arrivando.”
Minnie rispose subito. “Questo film non è poi così male.”
Beth osservò quel messaggio incredula per qualche secondo, finché non gliene arrivò un altro.
“Sul serio, perché stai provando ad andartene?”
“Perché questa gente non mi piace e non voglio stare qui. Andiamo!”
“Io non me ne vado e neanche Karen. Hai visto le nostre scarpe?! Gli agenti ci fermerebbero e ci chiederebbero cosa ci facciamo qui e poi saremo tutti morti. Compresa tu,
stronzetta. Io non me ne andrò e sono sicura che neanche tu arriverai lontano.”
Stringendo i denti, Beth rilesse quelle parole una decina di volte, sentendo una rabbia crescente ribollire dentro di lei. Se loro volevano restare lì, non poteva farci niente, ma lei se ne sarebbe andata comunque. Aveva già avvisato Maggie.
Aprì la porta del bagno nel modo più silenzioso possibile e la richiuse, lasciando la luce accesa. Poi, andò dritta verso la porta sul retro.

 

● ● ●

 

Fantastico, la serata si preannunciava più noiosa del previsto ed era esattamente quello che a Daryl sembrava più appropriato. Si erano sistemati tutti nel soggiorno per essere disturbati da un film splatter e per spegnere il cervello per un paio d’ore. Quest’ultimo punto poteva essere un vantaggio anche per lui, che era ancora appoggiato allo stipite della porta della cucina.
Aveva visto Beth uscire dalla stanza, ma nessun altro sembrava averci fatto caso.
Uscì dalla cucina per controllare che non stesse facendo niente di stupido e vide la porta del bagno chiusa e la luce accesa. La sentì parlare, ma non origliò. Se stava chiamando la polizia, non aveva alcun senso. Era lì fuori e aveva altri problemi di cui occuparsi. In ogni caso, decise di affrontarla una volta uscita per assicurarsi che non facesse nulla che avrebbe potuto portare le chiappe di suo fratello di nuovo in prigione.
Ci stava mettendo tempo, così tornò in cucina. Fece un ultimo lungo sorso di birra e si voltò a guardare in direzione della porta sul retro. Il suo sguardo cadde sulla staccionata giusto in tempo per vedere una mano e uno stivale da cowboy sparire oltre la staccionata.
“Merda.”
Mise giù la lattina di birra e uscì fuori. Gli alberi erano abbastanza spessi da impedirgli di vedere la strada da dove cominciava la barricata della polizia che circondava Kelly Jo Ave. Tutto ciò che riusciva a vedere erano gli alberi e, a una cinquantina di metri, una biondina che li attraversava.
“RIPORTA IL CULO QUI, RAGAZZINA!”, gridò.

Beth doveva averlo sentito, perché si fermò e si voltò a guardarlo, illudendolo per un secondo che stesse per obbedirgli. Poi scappò.
Imprecando, Daryl la seguì.
 “Sto solo cercando di aiutarti!”
Era difficile pensare a delle parole che potessero calmarla, ogni passo che faceva per allontanarsi da lui lo rendeva sempre più più furioso.
Era troppo arrabbiato per riuscire a parlare. Quindi, prima l’avrebbe fermata e poi ci avrebbe parlato o, all’occorrenza, urlato contro, se gli sbirri non erano abbastanza vicini da sentirli.
Era veloce, forse troppo per lui. Infatti, la raggiunse a circa cinquecento metri dalla barricata. Un fossato e altri alberi li dividevano dagli sbirri, ma erano comunque più vicini a loro di quanto avesse voluto. C’erano quattro volanti parcheggiate non molto lontano da lì e, in più, ce n’erano due a piedi.
L’afferrò per la spalla, coprendole la bocca con l’altra mano per impedirle di urlare. Cercò di divincolarsi, di urlare lo stesso, ma lui strinse la presa e l’urlo morì soffocato nella sua mano.
Beth inciampò sotto il suo peso e caddero entrambi sul terreno. Oltre al tonfo generato dalla caduta, Daryl sentì anche un rumore simile a uno strappo e gemette quando si rese conto di averle strappato la camicetta.
Si stava ancora dimenando sotto di lui, i suoi capelli biondi gli finivano in faccia ogni volta che cercava di guardarla negli occhi.
“Calmati, Barbie”, le sussurrò, respirando a fatica per la corsa. “Non ho intenzione di farti del male e questo non è un rapimento. Se ti senti così forte da scappare, fallo, ma prima dobbiamo mettere in chiaro delle cose.”
Con la sua mano ancora a coprirle la bocca, non riuscì a capire nulla di quello che stava dicendo. Più che altro, sembrava stesse piagnucolando e questo lo fece sentire viscido come mai nella vita.
“Non vorrai mica mettere le tue amiche in pericolo?”, ringhiò, frustrato da quello che stava facendo.
Quando sembrò essersi calmata, le scoprì la bocca.
“Se lo meritano!”, ringhiò di rimando, a voce bassa.
Mantenne la presa su di lei quando la sentì provare a scivolare via da lui.
“E tu? Vuoi metterti nei guai con la polizia? No che non vuoi, tu sei una brava ragazza, giusto? Puoi andartene, ti aiuterò anche a farlo, però così è stupido.”
Tutti gli sforzi che stava facendo per liberarsi rendevano solo la loro posizione ancora più compromettente. Daryl riuscì a sentire le sue curve strusciarsi contro di lui a ogni movimento.
“Devi smetterla”, le disse, avvolgendole le spalle con un braccio e i fianchi con l’altro, nel tentativo di spostarla.
Il tessuto della camicetta e quello dei jeans sfuggirono alla sua presa e le dita affondarono accidentalmente nella pelle nuda del bacino.
“Smettila di muoverti così”, ripeté.
Beth si pietrificò. Doveva aver capito, finalmente, cosa stava accadendo.
“Se solo mi lasciassi andare!”
“Se ti vedono e gli dici la cosa sbagliata...”
Si era concentrato troppo su di lei, a impedirle di correre dritta verso la barricata e metterli tutti nella merda. Stava pensando troppo a come stavano andando le cose, a quanto si fosse spaventata e a quanto facilmente fosse entrato nei panni del cattivo della situazione. La teneva bloccata a terra esattamente come il tipo di uomo che mai avrebbe voluto diventare. Era sempre stato un ragazzo attento, ma stava pensando a tutte quelle cose senza considerare ciò che stava accadendo attorno a loro. In quel momento era troppo difficile non pensare a quanto sembrasse brutto quello che le stava facendo. Infatti, non notò il poliziotto che aveva alle spalle fin quando quest’ultimo non lo spinse via da Beth con un calcio, gettandolo nel fango.
Era riuscito ad evitare le manette per tutta la vita e ora rischiava di essere portato via con l’accusa di tentativo di stupro. Cercò di trattenersi dal pensiero di reagire, ricordando che fine avevano fatto tutti quelli che avevano tentato di fare a pugni con uno sbirro. Odiava farsi pestare, con tutto se stesso, ma non aveva alternativa e sapeva come incassare i colpi.
Vide a malapena il volto del poliziotto prima di essere colpito in piena faccia. Quel pugno gli annebbiò la vista.
“Basta! Basta!”, gridò Beth, “Non ha fatto niente!”
Il poliziotto cominciò ad ascoltarla solo dopo altri tre pugni.
“Non ha fatto niente, lo giuro! Non mi ha toccata, stava solo cercando di impedirmi di uscire di nascosto!”
Li stava osservando con gli occhi sbarrati e inumiditi da delle lacrime che avrebbero scosso anche il più duro dei cuori.
“Mi dispiace... è colpa mia.”
Lo sbirro si alzò lentamente, tenendo comunque il ginocchio premuto contro il petto di Daryl, bloccandolo a terra. Era più grosso e muscoloso di lui, ma se fosse stata una lotta ad armi pari l’avrebbe steso. In ogni caso, visto che una zuffa con un poliziotto non poteva mai essere ad armi pari, non avrebbe mai potuto appurarlo. Si limitò a restare fermo dov’era, non proprio convinto che l’agente avesse creduto alle parole di Beth.
“Vivi qui?”, le chiese.
“No, signore”, rispose lei velocemente. “Dovevamo fermarci qui per poco. Una mia amica doveva incontrare suo padre che ci avrebbe portato a cena fuori, ma poi voi avete messo su la barricata e… voglio solo tornare a casa.”
“Beh, mi dispiace rovinare i tuoi piani, signorina, ma questa zona è chiusa fino a nuovo ordine. Potremmo avere bisogno di fare alcune domande ai residenti per avere più chiaro il quadro della situazione, capisci?”
Come poteva capire? Era stato fin troppo vago, ma lei annuì comunque, rivolgendo i suoi occhi lucidi a Daryl.
“Lui non ha fatto nulla di sbagliato, è venuto solo a dirmi che dovevo tornare a casa dalle mie amiche, che mi sarei cacciata nei guai se fossi stata vista da qualcuno di voi.”
“Su questo non posso dargli torto.”
“Per favore, potrebbe lasciarlo andare? Sul serio, mi dispiace. Torneremo indietro e ci comporteremo bene”, lo pregò.
“Spero che abbiate imparato la lezione.”
Il poliziotto finalmente alzò la gamba dal petto di Daryl e fece per andarsene.
Cominciò a respirare profondamente, i polmoni gli bruciavano e sicuramente gli sarebbe uscito qualche livido. Rialzandosi a fatica, si toccò il viso. Il naso sanguinava, ma non troppo, e molto probabilmente a breve avrebbe avuto un occhio nero.
Prima di andare via, lo sbirro rivolse a entrambi un ultimo sguardo intimidatorio.
“In quale casa state? Giusto per curiosità.”
“E’ qui dietro.” Beth indicò la direzione da cui stavano venendo. “Credo sia la 701, non so. Ci abita l’amico del padre della mia amica.”
“701? Beh, perché non ci tornate e non uscite fin quando non ve lo diciamo noi?”
“Sì, signore.”
“Tu stai bene?” Rivolse a Daryl uno sguardo di sfida.
“E’ tutto ok.”
“Se vuoi querelarmi, sono l’Agente Shane Walsh. Chiama la stazione di polizia, credo che la ragazza che si occupa di queste cose si chiami Joanna”, lo provocò.
“No”, rispose Daryl, strofinandosi la mano sporca di sangue. “Va tutto bene.”
“Restate chiusi dentro fin quando la situazione non si risolve, capito?”
“Sì”, rispose ancora Beth.
Daryl annuì e cominciò a camminare verso casa, ancora incazzato nero.
Beth rivolse all’Agente Walsh un ultimo sguardo e aspettò che fosse abbastanza lontano per stringere il braccio di Daryl.
“Mi dispiace, stai davvero bene?”
Lui si divincolò subito. “Che diavolo hai che non va? Sì, sto bene. E cazzo, ragazzina, se devi mentire a uno sbirro almeno fallo bene.”
Non riusciva a credere che avesse davvero seguito lo stupido piano di Nick, di convincere gli sbirri che una delle ragazze fosse la figlia di Merle. Ora avevano una bella gatta da pelare e le probabilità che quella storia gli facesse più male che bene erano diventate pericolosamente alte.
“E’ quello che Nick voleva che dicessimo.”
“Nick non capisce un cazzo.” Daryl scosse la testa. “E’ una bugia stupida e non è neanche l’unica che hai detto: ti ho toccata e non avrei dovuto farlo.”
Abbassò lo sguardo sulla camicetta, il lato strappato era coperto dai suoi capelli. Forse l’aveva fatto di proposito o semplicemente erano lì per caso, ma ad ogni modo avevano nascosto almeno in parte all’Agente Walsh quello che aveva combinato. Poi, una folata di vento le scoprì completamente il collo e riuscì a intravedere la coppa di un semplice reggiseno bianco con i bordi di pizzo rosa.
Beth incrociò le braccia al petto, cercando di mantenere la camicetta chiusa.
“Non avrei dovuto”, ripeté tra i denti. “Avrei dovuto lasciarti scappare.”
Giunti alla staccionata, anche se la prima volta aveva fatto tutto da sola, Beth sembrò in difficoltà di fronte a quella superficie liscia. A differenza di prima, ora non aveva dei buchi dove mettere i piedi.
Daryl osservò i suoi vani tentativi per un po’, notando che stava evitando il suo sguardo di proposito. Evidentemente, non voleva chiedergli aiuto dopo quello che aveva fatto, ma, visto che si sentiva una merda per averla spaventata a tal punto, si avvicinò senza che lei lo chiedesse e le creò un punto d’appoggio con le mani.
Ci volle un po’ per convincerla a farsi aiutare, ma alla fine si decise a guardarlo negli occhi.
“Grazie.”
Provò a sorridere, ma non le riuscì poi così bene. Teneva ancora chiusa la camicetta con una mano, ma fu costretta a lasciarla. Poggiò un piede sulle mani di Daryl e, quando le diede la spinta necessaria per poggiare l’altra gamba in cima, scavalcò atterrando goffamente dall’altro lato con un tonfo sordo.
Daryl dovette prendere la rincorsa e sforzarsi un po’ per salire senza alcun aiuto, ma non fu poi così difficile. Quando arrivò dall’altra parte, scoprì che Beth era lì ad aspettarlo, con la mano a coprirsi il seno e la stessa espressione dispiaciuta che stava indossando da quando l’Agente Shane Walsh aveva cominciato a dargliele di santa ragione.
“Daryl, mi dispiace tanto.”
Come poteva dispiacerle davvero per lui? Non le credeva, ma non poté fare a meno di annuire.
“E’ tutto a posto.”
Ma no, non era tutto a posto, non ancora. Non riusciva a smettere di pensare a come l’aveva trattata e probabilmente avrebbe continuato a rimuginarci su ancora per un po’.
Entrarono in silenzio dalla porta sul retro e tornarono in cucina. Dal soggiorno, Merle si sporse per poterli guardare meglio.
“Che diavolo vi è successo?”
Qualcuno ebbe il buon senso di mettere in pausa il film, prima di focalizzare l’attenzione collettiva su di loro. Beth si sedette a tavola, coprendosi ancora una volta la camicia strappata con i capelli.
“Niente, avevamo bisogno di un po’ d’aria”, brontolò Daryl.
Nonostante tutto, stava quasi per ridere della sua stessa bugia per quanto fosse palese.
“E la tua faccia, fratellino?” Merle scosse la testa, confuso.
“Anche l’Agente Walsh ne aveva bisogno.” Scrollò le spalle. “La mia faccia sta bene, il mio naso non è rotto, ci vedo ancora e agli sbirri non importa di noi.”
Afferrò la lattina di birra che aveva abbandonato poco prima e la finì in pochi sorsi, sedendosi e poggiando i piedi sul tavolo.
“Stai andando alla grande con questo colloquio di lavoro”, gli disse Jeremiah.
“E’ serio, sappilo”, aggiunse Evan.
“Puoi scommetterci che sono serio.”
Perfetto, si era anche dimenticato di quel maledetto lavoro. Gemette in silenzio e poggiò la lattina vuota sul tavolo, forse con troppa forza.
Gli altri, apparentemente soddisfatti di quella mezza verità, ripresero a guardare il film. Beth stava scrivendo un messaggio e lui dovette resistere al bisogno di leggere cosa stava scrivendo. Poteva dubitare della sincerità delle sue scuse, ma non pensava che si sarebbe cacciata di nuovo nei guai, almeno per il momento.
Dopo alcuni minuti, Nick entrò in cucina a prendersi una birra.
“Hey Nick, posso andare a stendermi? Non mi sento bene”, gli chiese Beth.
“Fai pure. Sai dov’è la camera da letto, vero?”
“Sì, grazie.”
Parlò mentre si alzava dalla sedia, chiaramente impaziente di andarsene il più lontano possibile da loro. La vide scomparire nel buio del corridoio a testa bassa. Il tessuto strappato della camicetta gli diede un altro piccolo assaggio del biancore della sua pelle.
Scosse la testa, non era un suo problema. Non doveva preoccuparsi della felicità di quella stupida ragazzina, stava solo cercando di salvare suo fratello e gli altri da eventuali problemi con gli sbirri e lei lo sapeva. Ma allora perché si sentiva un pezzo di merda? Frustrato, fermò Nick in corridoio.
“Hey amico, quella donna che abita qui vicino… quella che conosci...”
“Cosa?”
“E’ grassa?”
Nick aggrottò la fronte. “No, è magra. Sai, a dirla tutta, è anche carina.”
“Dove sta?”
“A due porte da qui”, rispose, accentuando il cipiglio e indicandogli il lato della strada da seguire.
“Torno subito.”
“Che diavolo vuoi fare, amico?” Nick cominciò a ridere. “Sei così disperato?”
“No, coglione.”
Uscì dalla porta del retro e riscavalcò la staccionata. Non era un suo problema, era vero, ma poteva fare qualcosa per aiutare, anche se in minima parte. E a Beth serviva una maglietta nuova.

 

 

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Capitolo 4
*** She looks good in Greene ***


V. She looks good in Greene (*)

 

 

Nella stanza di Nick erano presenti molte tracce del passaggio di una donna. Le lenzuola erano macchiate di mascara e, abbandonati in un angolo, c’erano dei calzini di piccola taglia, ma Beth non aveva sentito parlare di nessuna moglie o fidanzata fino a quel momento. Forse era via.
Si sedette ai piedi del letto, avvolta da un fastidioso tanfo di muffa. Almeno era comodo e abbastanza lontano dalle grida provenienti dalla televisione. E poi, inutile dire che poteva starsene da sola.
Richiamò Maggie, che rispose dopo un solo squillo. Dai rumori di sottofondo, intuì che stava guidando.
“Va tutto bene?”, le chiese sua sorella freneticamente.
“Più o meno. Non sono riuscita a superare gli agenti.”
“Ti hanno presa?”
“Non proprio… è stato...”
Cercò di pensare a una parola adatta a descrivere quello che era successo con Daryl nel bosco, oltre a imbarazzante o mortificante. L’Agente Shane aveva frainteso tutto. Non le aveva chiesto il nome, ma il numero civico della casa. Questo significava che forse più tardi sarebbe venuto a fargli visita, ma era abbastanza sicura di avergli dato il numero sbagliato.
“...Mi hanno fatta tornare indietro.”
Maggie sospirò. “Non avrei mai dovuto permetterti di farlo, avrei dovuto dirti di stare lì finché non sarei arrivata e avrei parlato con la polizia”, disse con una nota di rabbia.
“Non sono sicura che ti ascolteranno.”
“Ma non hanno alcun motivo di tenerti lì! E’ violazione della… beh, non lo so, dovrei chiamare Andrea, lei dovrebbe saperlo.”
Il cuore di Beth saltò un battito. Non voleva che la cosa arrivasse ad altre persone.
“Chi?”
“Andrea, il nuovo avvocato dello studio. Se c’è qualcosa di losco, chiamerà la polizia e lo scoprirà. Le piacciono questo genere di cose.”
“Per favore, Maggie, non chiamare nessuno. Voglio solo tornare a casa. E poi se coinvolgi un avvocato come facciamo a nascondere tutto a mamma e papà?”
Per qualche interminabile secondo, Maggie rimase in silenzio e a tenere compagnia a Beth ci fu solo il rumore del vento.
“Beth, non voglio metterti in pericolo”, disse finalmente, “ma la cosa è seria e il fatto che mamma e papà lo possano scoprire dovrebbe essere l’ultima delle tue preoccupazioni.”
“Possiamo non pensarci, per ora?”
“… Va bene. Proverò a parlare con la polizia, ma non posso garantirti quello che farò se non mi daranno ascolto.”
Beth si sentì male solo al pensiero di quello che sarebbe potuto succedere.
“Maggie, per favore...”
“Non mi hai neanche detto in che situazione ti trovi!”
“Minnie e Karen… volevano prendere qualcosa prima del concerto”, mormorò.
Maggie scoppiò in una risata nervosa. “Sei bloccata e circondata dalla polizia… a casa di uno spacciatore?!”
“In realtà lui è a posto”, tentò di difendere Nick, ma si rese conto di quanto fosse poco credibile. “Beh, voglio dire… non lo so, probabilmente non lo è.”
“Probabilmente?!”
“Voglio dire… non è il peggiore. Minnie e Karen si stanno comportando da stupide, come se tutto questo fosse solo un gioco e come se non ci fosse nulla di cui preoccuparsi.”
“E chi è il peggiore?”
“Non lo so… sono tutti un po’ ambigui. Uno di loro mi ha inseguita quando ho tentato di scappare.”
“Cosa?! Non avevi detto che era stata la polizia a farti tornare indietro?”
“Stava solo cercando di assicurarsi che non attirassi la polizia in casa. Non voleva farmi del male, ma l’Agente Shane ci ha visti e...”
Beth esitò, indecisa se omettere o no quella parte. Si sentiva così in colpa per essere scappata da Daryl. Avrebbe dovuto fermarsi la prima volta che l’aveva chiamata e parlare con lui come due persone civili. Le aveva detto che se voleva andare via l’avrebbe aiutata, ma dopo quello che aveva subito dall’Agente Shane ne dubitava. L’aveva giudicato dall’apparenza, non gli aveva dato modo di parlare e, come risultato, era stato preso a pugni. Ed era tutta colpa sua.
“E’ stato un po’ burbero, ma io non gli ho dato scelta.”
“Chi?”
“Daryl, quello che mi ha seguita.”
“Ok, Nick e D-A-R-R-E-L? Conosci il cognome?”, le chiese Maggie.
Dixon. Ma non voleva dirglielo.
“Non ne ho idea… aspetta, stai guidando, scrivendo e parlando a telefono contemporaneamente?”
“Sì, lo so, è un talento.”
“Perché stai scrivendo i loro nomi?”
Beth si morse il labbro. Forse avrebbe dovuto chiamare Shawn. Era più lontano e sicuramente avrebbe detto tutto ai suoi, ma almeno non conosceva nessun avvocato.
“Hai detto Agente Shane?”
“Sì, Agente Shane Walsh, ma perché stai scrivendo i loro nomi?”
“Potrebbero essermi utili.”
“Maggie, io non voglio denunciare nessuno, voglio solo tornare a casa!”
Maggie sospirò ancora. “Non denunceremo nessuno, voglio solo spaventarli un po’ se sarà necessario. Hai qualche altro nome?”
“Merle, che è il fratello di Daryl. Poi c’è una coppia di cugini, Evan e Jeremiah, e un altro ragazzo, Andy.”
“Ok. Sono ancora lontana, c’è traffico, ma cercherò di essere lì il prima possibile.”
Appena staccarono, Beth si stese sul letto, continuando a pensare agli avvenimenti dell’ultima ora o giù di lì. Avrebbe dovuto restare in macchina con Luke e Leon, o fermarsi quando Daryl l’aveva chiamata.
Non riusciva a capire perché le dispiacesse così tanto per lui, del resto aveva avuto quel che si meritava per averle messo le mani addosso. Forse era per quello che le aveva detto nel bosco, mentre stavano tornando.
“Non avrei dovuto toccarti, avrei dovuto lasciarti scappare.”
Dalla sua voce trapelava un tale disprezzo per se stesso che le scosse il cuore. Lui pensava di essere una cattiva persona e lei aveva contribuito al raggiungimento di quella convinzione.
Beh, forse lo è davvero, pensò, ma c’era qualcosa dentro di lei che le faceva pensare anche l’esatto contrario.
Il suo telefono cinguettò. Senza spostare la guancia dal cuscino, lesse il messaggio. Era di un numero sconosciuto.
“Hey Beth, Minnie è ancora arrabbiata?”
“Chi sei?”
“Luke. Karen ha lasciato il telefono in macchina e quindi ho visto il tuo numero. Ora anche tu hai il mio, nel caso ne avessi bisogno ;)”

Beth aggrottò la fronte. Stava davvero cercando di flirtare con lei? Era davvero così stupido?
“Minnie vi ucciderà.”
Luke le rispose in una frazione di secondo.
“Mh… non sono mai stato ucciso, prima d’ora.”
A dispetto di se stessa, le scappò un sorriso.
“...E tu, sei arrabbiata?”, aggiunse poi.
A essere sincera, sì, era arrabbiata con loro. Se solo non si fossero spaventati così facilmente e le avessero aspettate solo per altri sessanta secondi, probabilmente sarebbero rientrate in macchina e se ne sarebbero andati prima che la polizia mettesse su la barricata.
“Per cosa dovrei essere arrabbiata? Perché tu e tuo fratello ci avete lasciate qui con un gruppo di criminali al primo segno di pericolo?”
Stavolta, ci mise un bel po’ di tempo a rispondere.
“Beh, se la metti in questo modo… Non mi aspetto che tu mi creda, ma io non volevo lasciarvi lì. Era Leon a guidare.”
Beth non riuscì a pensare a una risposta adatta, ma voleva trovarla il prima possibile. Aveva imparato tempo prima che i ragazzi in questi casi si fanno un’infinità di film mentali. Ma lui fu più veloce di lei.
“Ancora amici?”
Si erano conosciuti solo poche ore prima, non potevano considerarsi amici. Ma non voleva essere cattiva.
“Certo.”
Rilesse la sua risposta verificando che fosse abbastanza gentile e la inviò, poi mise via il telefono e si stese su un fianco, portandosi le gambe al petto.

 

● ● ●

 

Il sole stava cominciando a tramontare alle sue spalle mentre si avvicinava alla porta sul retro della casa numero 639 di Kelly Jo Ave. Sbirciò gli interni da un paio di finestre e si rese conto che, quella volta, poteva essere fortunato: sembrava che nessuno fosse in casa e, se c’erano, dovevano essere nelle camere da letto.
Controllò la porta che, fortunatamente, non era chiusa a chiave. L’aprì lentamente, cercando di non fare rumore e, prima di entrare, si guardò nuovamente intorno.
La casa era silenziosa e impeccabilmente pulita e ordinata. Il fatto che abitassero a Kelly Jo Ave lasciava intendere che non stessero poi così bene economicamente, ma non lo davano a vedere. Il delicato ticchettio dell’orologio sul camino era l’unico segno di movimento presente. C’erano un paio di foto appese al muro: mostravano un uomo alto e robusto dall’espressione seria accanto a una bella donna dai capelli corti e grigi che rivolgeva all’obiettivo un sorriso un po’ forzato. Avevano una bambina, sembrava la più felice dello scatto. Nelle foto più recenti, invece, era diventata un’adolescente magrissima con l’inequivocabile tendenza a nascondersi dietro i suoi capelli. Forse nessuno dei tre era in casa ed erano rimasti chiusi fuori dalla barricata, ma si mosse comunque con cautela, nel caso fossero semplicemente nelle loro camere da letto. Voleva sentirli prima che loro potessero sentire lui.
Uscendo dalla cucina, in corridoio, trovò una piccola lavanderia. Aprì la lavatrice ma, per sua sfortuna, la vicina di Nick aveva già sbrigato le faccende di casa. Avrebbe dovuto cercare nelle camere da letto. Strisciò sulle scale, dosando il peso ad ogni passo per evitare che scricchiolassero, ma, a differenza di quella di Nick, quella casa era più o meno in buone condizioni.
Una musichetta proveniente da una delle stanze lo bloccò in cima alle scale. Era la suoneria di un cellulare.
“Pronto?… Ed, ma non dovevi essere già a casa a quest’ora?”
Riuscì a sentire anche qualche imprecazione della persona dall’altra parte della cornetta, tanto che stava gridando.
“Non ne so niente!”, si difese la donna, chiaramente in ansia. “No! Io non… stavo solo aiutando Sophia con i compiti… sì, le ho sentite le sirene, si sono fermati qui.”
Daryl identificò la stanza da cui provenivano le voci e s’intrufolò in un’altra che sembrava essere la più grande. Volendo uscire da lì il prima possibile, si fiondò sul primo mobile che vide e prese una maglia dalla torre di vestiti appena piegati. Era un semplice top grigio, ma sembrava della sua taglia.
Si mise la mano in tasca, alla ricerca di quegli otto dollari che gli erano rimasti, evitando volutamente la voce di Merle che nella sua testa continuava a ripetergli quanto fosse stupido pagare per qualcosa che stava rubando. Li poggiò sulla pila di vestiti e richiuse delicatamente il mobile.
“Hai completamente ragione, Ed. Mi dispiace.”
La voce della donna si avvicinava e, visto che quasi sicuramente era diretta proprio in quella stanza, Daryl corse in bagno.
La donna entrò subito dopo che chiuse la porta. La sentì sospirare mentre si sedeva sul letto.
“Che hai detto?”
“Ho semplicemente sospirato, Ed”, rispose lei. Sembrava stanca.
“Ora so che non mi prenderai più per il culo”, disse la voce a telefono.
Daryl strinse i denti e controllò la finestra, ma era troppo alta e non aveva alcuna intenzione di spezzarsi le ossa.
“Scusa”, disse la donna.
La voce di quell’Ed si era abbassata e quindi non riuscì più a sentirla, ma dopo qualche secondo lei disse: “Sto andando a letto. Sophia sta già dormendo.”
Attese qualche secondo, valutando le varie opzioni. Tra farsi beccare nel suo bagno e uscire per provare a spiegarle la situazione, gli sembrò più opportuno uscire allo scoperto. Se poi lei avesse dato di matto, sarebbe scappato. Non sarebbe stata la prima volta.
Rassegnandosi al suo destino, si chiese se l'avrebbero arrestato per violazione di domicilio. Era sicuramente meglio di un tentativo di molestia sessuale, almeno sarebbe stato davvero colpevole.
Lentamente, aprì la porta del bagno senza fare rumore e uscì. La donna, magra e dai capelli grigi, era stesa su un fianco, dandogli le spalle, ma, appena si mosse, la vide irrigidirsi. Un secondo dopo, si voltò con un’espressione impaurita e lo vide. Daryl alzò le mani, nel tentativo di non sembrare minaccioso e approfittò del suo momentaneo silenzio per parlare.
“Ti sto solo derubando.”
Un secondo dopo aver pronunciato queste parole, si rese conto di quanto non fossero rassicuranti.
“Ho bisogno solo di questa, ok?”
Le mostrò la maglietta, ma la donna non disse nulla. Se ne stava lì, con la bocca spalancata, a far oscillare il suo sguardo tra lui e il top che aveva in mano.
“E’ un… c’è una ragazza qui vicino bloccata qui per colpa della barricata. Le si è strappata la maglietta e ha bisogno di qualcosa da mettersi addosso, quindi ho preso questa e ti ho lasciato qualche dollaro.”
“Non potevi chiedere?”, disse la donna, con un’espressione colma di sospetto.
Improvvisamente imbarazzato, Daryl annuì. In realtà, non aveva proprio considerato quella possibilità. Aveva dato per scontato che gli dicesse di no.
La donna si alzò dal letto e riaprì il mobile, prese le banconote, le piegò e gliele rimise in mano.
“Dammi un minuto”, mormorò mentre apriva un armadio più grande.
Tirò fuori una camicetta verde e, con un solo rapido movimento, gli strappò di mano il top grigio.
“Prendi questa, a mio marito non piace.”
Daryl ispezionò il materiale morbido con le sue mani ruvide e annuì.
“Grazie.”
“Andiamo.”
Con un gesto aggressivo, gli fece cenno di uscire dalla stanza.
Ritornati al piano di sotto, lei lo guidò automaticamente verso la porta principale, ma Daryl le indicò la porta sul retro. Questo gli fece guadagnare un’altra occhiataccia.
“Sei troppo a tuo agio a entrare nelle case altrui”, mormorò. “... Ma è quel che mi merito per aver lasciato la porta aperta.”
Si fermò sull'uscio prima di andarsene.
“Grazie ancora...”
“Carol.”
“Grazie, Carol. Solo...”
Non erano affari suoi e neanche cose da lui, ma sentì il bisogno di dirle qualcosa.
“...Prenditi cura della vostra bambina.” Si guardò i piedi. “Portala via di qua, se serve. Quelli come lei hanno bisogno di qualcuno che si prenda cura di loro.”
Carol impallidì.
“Esci da casa mia.”
Daryl annuì e si allontanò senza aggiungere altro. Aveva ragione. Non sapeva cosa l’avesse spinto ad aprire la bocca, non era un tipo loquace. Era già abbastanza essere entrato in casa sua e aver invaso la sua privacy, non doveva immischiarsi. Tra l’altro, non aveva mai visto sua figlia, non poteva sapere come reagiva alla cosa, anche se poteva averne una vaga idea.
Tornato fuori casa di Nick, attraverso una delle finestre, vide Beth stesa sul letto con gli occhi chiusi, anche se non pensava che stesse dormendo davvero. Non mostrava alcun segno di rilassamento: aveva la mascella serrata e le braccia strette con forza attorno alle ginocchia.
Il suo sguardo cadde sulla camicia che stringeva tra le mani, per poi tornare su di lei. Già sapeva che le sarebbe piaciuta.

 

● ● ●

 

Beth non avrebbe mai potuto sentirsi al sicuro ad addormentarsi nel letto di uno spacciatore, ma decise di fingere di poterci riuscire ancora per un po’. Anche se avesse voluto rilassarsi, ogni volta che sentiva un urlo, una risata sguaiata o la televisione, oppure ogni volta che qualcuno passava fuori la porta, s’irrigidiva immediatamente.
Sentiva Nick parlare, probabilmente a telefono. Dato che si era fermato fuori la sua porta da un po’, riuscì a catturare dalla sua telefonata alcune frasi compromettenti. In sostanza, stava informando qualcuno che forse avrebbe potuto fare un mucchio di soldi in breve tempo.
A un certo punto, al piano di sotto, gli altri cominciarono ad alzare i toni e a fare casino. Quando il loro vociare si trasformò in grida, Beth decise che era giunto il momento di uscire e assicurarsi che non fosse successo niente e che le sue amiche stessero bene.
“Vi lascio da soli per venti minuti e cominciate a fare i cazzoni!”, sentì Daryl gridare dalla cucina.
“Oh, andiamo, ci stiamo solo divertendo un po’”, disse Evan, ridendo.
“Perché gliel’hai lasciato fare?”
“Ti sembro un dannato babysitter?!”, si difese Merle.
“Mi sembri uno stronzo che sta per farsi ammanettare, di nuovo!”
Quando si decise a entrare in cucina, Beth trovò Merle e Jeremiah seduti a tavola con delle carte in mano. Evan e Andy erano appoggiati allo stipite della porta del soggiorno e li stavano guardando increduli. Daryl, invece, era dall’altro lato del tavolo, con un gruzzolo di tessuto verde in mano.
“Daryl ha ragione”, disse Jeremiah lanciando ai due ragazzi un’occhiata cupa, “è come se non sapeste che siamo circondati da circa quaranta volanti. Nick s’incazzerà parecchio.”
Passò una carta a Merle.
“Perché piuttosto non vi unite a noi?”
“Ma le ragazze...”, Evan provò a giustificarsi.
“Staranno bene da sole per qualche minuto. Voglio parlare, siediti.”
Jeremiah fu così autoritario che ogni traccia di divertimento sparì dal volto del cugino, che a malincuore prese posto accanto a lui, seguito a ruota da Andy.
“Spera che gli sbirri non vengano a trovarci”, mormorò Daryl.
Stava parlando con lei, senza però incrociare il suo sguardo. Le lanciò quello che aveva in mano e le finì sulla spalla. Beth l’afferrò e cominciò a osservarlo.
“Buon compleanno”, borbottò, sempre senza guardarla.
Era una camicetta verde ed era anche carina. Dove l’aveva trovata?
“Grazie”, gli disse, confusa.
Merle guardò prima lui e poi lei con un piccolo ghigno.
Non vedendo Minnie e Karen, Beth si precipitò nel soggiorno. Quello che i ragazzi avevano detto finora non prometteva nulla di buono.
Infatti, le ragazze erano sedute a terra, con la schiena contro il divano, a ridere come due imbecilli. Riconobbe il rossore dei loro occhi e sospirò profondamente. Erano fatte.
“Sai, Evan, non voglio che tu esca con mia figlia, sembra che tu abbia una brutta influenza su di lei”, sentì Merle sghignazzare dalla cucina.
Esasperata, tornò in camera da letto per cambiarsi e mettersi la camicia che Daryl le aveva preso chissà dove. Era piuttosto sospetto, ma cercò di non pensarci. Era stato molto dolce da parte sua e doveva prenderla semplicemente così. Si fermò davanti allo specchio a sistemarsi le maniche e doveva dire che le stava anche bene.
Quando tornò in corridoio, lo vide appoggiato alla ringhiera delle scale, da solo. Beth esitò un attimo prima di fermarsi di fronte a lui. Aveva un taglio sul sopracciglio sinistro, che forse era il segno più piccolo e meno grave che gli aveva lasciato l’Agente Shane. Non si mosse per guardarla, sembrava assorto nei suoi pensieri.
“Grazie”, gli disse, in un sussurro appena udibile.
Daryl alzò lo sguardo, in parte coperto dai capelli, su di lei e scrollò le spalle.
“Dovevo, sono stato un bastardo.”
Beth scosse la testa. “No, non lo sei stato”, ribatté, “avrei dovuto fermarmi quando mi avevi detto di...”
“No”, la interruppe. La sua voce sembrò quasi un grugnito. Esitò, nel vano tentativo di ammorbidire il tono. “Hai semplicemente fatto quello che dovevi.”
Non era d’accordo con lui, ma rimase in silenzio. Aveva capito quello che stava cercando di dirle.
“Tu… l’Agente Shane… avete fatto bene. L’unico ad aver sbagliato sono io.”
Beth si strinse nelle spalle. “Stavi solo cercando di proteggere gli altri.”
“Non importa quello che stavo cercando di fare”, mormorò, “bisogna prendersi le proprie responsabilità.” La sua voce divenne di nuovo roca. “Dovresti sempre scappare dai figli di puttana, potrebbero farti del male, non vedo perché ti saresti dovuta fidare di me.”
C’era del senso di colpa nel suo sguardo, ma il suo intento era quello di farle capire che era serio.
Beth pensò che era troppo duro con se stesso, ma non riusciva a trovare le parole giuste per rassicurarlo. Il suo sguardo così intenso e fermo sul suo viso la fece arrossire in un nanosecondo. Non riusciva a sostenerlo, così tornò a guardare con insistenza quel taglio che aveva sul sopracciglio.
“Non riesco a credere a quello che ti ha fatto”, gli disse.
Contro ogni aspettativa, Daryl quasi sorrise. “Era la cosa giusta da fare. Dovresti sentirti più al sicuro al pensiero che esistono dei poliziotti come l’Agente Shane, che sanno cosa fare con gli stupratori.”
“Ma tu non lo sei”, sussurrò.
Suonò quasi come una domanda, ma non lo fece di proposito. Le sue guance s’infiammarono per l’imbarazzo. Sapeva benissimo cosa sembrava che le stesse facendo dal punto di vista dell’Agente Shane e non voleva neanche dirlo ad alta voce. Ripensò a quello che era successo, a quando era schiacciata sotto di lui e aveva sentito il suo battito contro la sua schiena. Era lento, quasi calmo. Il suo, al contrario, sembrava impazzito. La prima immagine che le venne in mente fu quella di un uccellino intrappolato in una grande mano, con le ali bloccate.
“Chi pensi che io sia?”, le chiese.
Beth fece le spallucce. “Uno sconosciuto.”
Il suo sguardo la fece sentire di nuovo in trappola, anche se questa volta non l’aveva neanche sfiorata.
“Hai un cognome, Beth?”, borbottò.
“Greene. Mi chiamo Beth Greene.”
“Beth Greene, sappi che non voglio farti del male. Nessuno in questa casa lo vuole. Ti sto solo tenendo d’occhio per impedirti di crearci dei problemi.”
Lei annuì quasi automaticamente.
“E sì, sono uno sconosciuto. E non hai alcun motivo di fidarti di un estraneo, Greene.”
Beth distolse lo sguardo dal suo.
“Credo di non avere altra scelta.”
Daryl non rispose. Continuò a guardarla mentre si allontanava, finché non sparì nel soggiorno.



 

 

(*) Non ho tradotto il titolo perché l’autrice gioca sul fatto che la camicia che Daryl ha preso a Beth sia di colore verde, quindi “green”, e che il cognome di Beth sia “Greene”. Quindi niente, mi sembrava opportuno lasciarlo così.

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Capitolo 5
*** Usignolo ***


VI. Usignolo

 

 

Le sue amiche erano ancora lì, nel soggiorno, sedute a terra a guardare il film con dei sorrisi ebeti stampati in faccia.
“Sei così carina!”
Karen allungò una mano verso di lei e la premette con forza contro il suo seno.
“Hai delle belle tette. Sono soffici e il fatto che siano più piccole delle mie mi rende molto felice.”
Beth le afferrò la mano con delicatezza e la incoraggiò a mollare la presa.
“Ma che vi prende?”
Poggiò il pollice sul suo polso. Aveva il battito accelerato e la fronte sudata.
Entrambe cominciarono a ridere.
“Niente, siamo brave ragazze!”, le rispose con falsa innocenza.
“Proprio come te, Beth! Tu sei la mia salvatrice, la mia eroina!”, gridò Minnie.
Beth sospirò e fece per alzarsi, ma Merle la raggiunse con una bottiglia piena d’acqua, che era esattamente quello che stava per andare a prendere.
“Grazie”, mormorò, poi si voltò a guardare le ragazze. “Bevete.”
“Dobbiamo bere dalla stessa bottiglia?!”, chiese Minnie con un’espressione disgustata.
Karen si sporse a leccarle la guancia e scoppiarono a ridere di nuovo.
Minnie la strinse tra le sue braccia. “Ti voglio bene.”
La risposta di Karen fu un gridolino incomprensibile.
“Non è proprio la droga che preferisco, ma sembra allettante”, disse Merle, mentre si stendeva sul divano dietro alle ragazze, occupando lo spazio sufficiente per circa tre persone.
“Karen, bevi”, insistette Beth, ignorandolo.
Karen non riusciva a smettere di sorridere. L’acqua le gocciolava sulle labbra e giù per il mento, bagnandole i vestiti.
“Allora, come hai convinto mio fratello ad andare a fare shopping per te?”
Merle guardò il corridoio dove lei aveva lasciato Daryl poco fa. Non c’era più.
“Non l’ho fatto.”
“Uhm.”
Merle la osservò in silenzio mentre cercava di convincere Minnie a fare un sorso dalla bottiglia che Karen aveva contaminato.
“E’ come con i neonati”, le disse, sghignazzando.
Beth incrociò il suo sguardo. “Infatti, io sono qui a fare la babysitter.”
“Bambolina, non succederà niente alle tue amiche.”
“E’ già successo.”
Merle sbuffò, alzando gli occhi al cielo. “Non posso farci niente”, disse, indicandole, “vogliono divertirsi, è nei loro diritti di cittadine americane. Mi riferivo alle brutte situazioni che stai immaginando nella tua piccola testolina. Non succederà niente del genere stanotte. Sono strafatte, non le toccheremo come bravi gentiluomini finché non avremo il permesso di metterle in una macchina e farle arrivare a casa sane e salve.”
“Puoi parlare per te, ma non puoi garantire per loro.”
Beth fece guizzare il suo sguardo in direzione della cucina, dove i ragazzi stavano dando inizio a una partita di poker.
“E’ vero, bambolina”, Merle fece le spallucce, “ma non accadrà nulla di grave sotto la mia supervisione e con mio fratello nei paraggi. Persino Nick sa comportarsi da bastardo onesto in questi casi.”
“E’ uno spacciatore. Vende della roba che può renderti vulnerabile”, ribatté Beth, guardandosi intorno.
Un cipiglio dubbioso cambiò l’espressione di Merle per qualche secondo. Evidentemente, quel pensiero non doveva averlo mai neanche sfiorato.
“Comunque, le tue amiche non sono in pericolo. E poi, non te n’è fregato poi così tanto quando hai scavalcato la staccionata. Ti ho vista. Mio fratello ti è corso dietro come un cazzo di demone ed è stato sicuramente meglio che guardare il film. Vederlo in azione è uno spettacolo, lasciatelo dire.”
Beth s’irrigidì e lo guardò con un’espressione colpevole. Lui e Daryl erano completamente diversi, ma aveva notato che nel giro di poche ore entrambi le avevano fatto rivalutare le sue azioni, facendola sentire schifosamente in colpa.
“No”, Karen intervenne improvvisamente.
Beth sobbalzò. Si era completamente dimenticata che stavano ascoltando.
“Beth è ancora qui, Luke e Leon se ne sono andati.”
“Sono ridicoli”, disse Minnie.
“Non verranno”, aggiunse Beth.
“Immaginavo, ma in ogni caso non fa differenza”, rispose Merle. “Le tue amiche sono al sicuro.”
“Avrei fatto un grosso errore a lasciarle qui in queste condizioni.”
“Nah, non se sono in buone mani. E lo sono.”
Beth lo guardò di nuovo. Ogni nota di scherno era completamente sparita dalla sua voce. Notò che quando non sorrideva, il suo volto, al naturale, sembrava quasi triste.
“So cosa significa essere strafatti e...”, spazzò via tutta quella momentanea serietà con una risatina gutturale, “...ho una sorta di empatia per queste cose, bambolina, è tutto quello che posso dirti.”
“L’empatia per i drogati?”
“Le tue amiche non sono delle drogate, ma diciamo di sì”, rispose annuendo.
“Beth, dovresti guardare questo film, è forte.” Minnie poggiò la testa sulla gamba di Merle, che mosse il piede quel tanto che bastava per attirare la sua attenzione.
“Ciao”, gli disse Minnie con uno sguardo sognante.
Lui le rivolse un sorriso. “Hey dolcezza.”
“Ma tu non sei il mio vero padre”, aggiunse, pensierosa.
“Certo che lo sono.”
Beth alzò gli occhi al cielo, mentre Karen scoppiò a ridere per l’ennesima volta.
“Resto io con le ragazze a guardare il film.” Il maggiore dei Dixon aggrottò la fronte davanti allo schermo. “Mi occuperò io di loro, tu prendi questo.”
Si alzò dal divano per poter frugare nella sua tasca e le porse un tampone di alcool avvolto in della carta oleata.
“Vai a dire a mio fratello di smetterla di fare lo stronzo e di prendersi cura di quell’occhio. Mi ha quasi tagliato le dita mentre provavo a giocare all’infermiera, ma credo che da te se lo farà fare.”

 

 

● ● ●

 

 

Per raggiungere Daryl, Beth doveva attraversare necessariamente la cucina, dove Jeremiah, Evan e Andy stavano giocando a carte. Né Andy né Evan sembravano particolarmente divertiti. Jeremiah, invece, stava sfoggiando un sorriso piuttosto inquietante.
La osservò con attenzione mentre si affacciava a guardare in direzione della porta sul retro per controllare se Daryl fosse lì fuori. Visto che non l’aveva sentito salire le scale, le sembrava l’opzione più probabile. Infatti, era seduto a terra con la schiena contro il muro, le braccia poggiate sulle ginocchia e una sigaretta accesa che gli penzolava dalla bocca.
I suoi occhi la intercettarono subito e lei gli mostrò il tampone che Merle le aveva dato, alzandolo in modo tale che lo vedesse anche Jeremiah, il quale non le aveva tolto gli occhi di dosso neanche per un secondo.
Daryl sbuffò e diede una boccata alla sigaretta.
Beth uscì e si sedette a gambe incrociate davanti a lui, abbastanza vicina da poter raggiungere il suo occhio. Restò immobile per qualche secondo, indecisa se aspettare il suo consenso, dire qualcosa o cominciare direttamente a medicarlo senza alcun permesso.
Lui, nel frattempo, espirò un sottile serpente di fumo, spostandosi leggermente per non gettarglielo in faccia. Inclinò la testa dal lato sbagliato, nascondendole l’occhio ferito, ma Beth liberò il tampone dalla carta e lo invitò a girarsi verso di lei, poggiandogli due dita sul mento.
Si sarebbe aspettata una reazione negativa a quel contatto, una qualche forma di protesta, ma invece obbedì a quella leggera pressione guardando in lontananza mentre cominciò a tamponargli il sopracciglio.
“Non è così male come sembra”, disse lei a bassa voce.
“Se dovessi scrivere una canzone su stanotte, dovresti chiamarla proprio così”, mormorò Daryl, “Non è così male come sembra”.
Beth sorrise, mordendosi il labbro. Si sforzò con tutta se stessa di alzarsi e tornare in soggiorno, ma non ci riuscì.
“Dove hai trovato la camicia?”
“Da una donna che abita qui vicino.”
“...L’hai rubata?”, gli chiese, preparandosi psicologicamente a una possibile reazione offesa da parte sua. Ma anche se si fosse offeso davanti a quella sorta di accusa, non lo diede a vedere.
“Quasi. Alla fine me l’ha data lei.”
Fece un ultimo tiro di sigaretta per poi spegnerla sul terreno.
“Bene”, mormorò Beth.
“Se l’avessi rubata, che avresti detto?”
Onestamente, non lo sapeva, al massimo l’avrebbe riportata alla legittima proprietaria.
Si strinse nelle spalle. “Non so. In ogni caso, è stato gentile da parte tua.”
“Non me lo dicono spesso.”
Gli accarezzò la ferita con le dita nel modo più cauto possibile. “Non dovrebbe cicatrizzarsi.”
Si appoggiò contro il muro, lasciando che le sue spalle si rilassassero. Avrebbe potuto alzarsi e tornare dentro, ma qualcosa la teneva inchiodata lì. Voleva finire quella conversazione, se così poteva definirla, ma alla fine non riuscì a dirgli nient’altro perché i suoi pensieri furono interrotti da un cinguettio proveniente dalla tasca dei pantaloni. Con un cipiglio, tirò fuori il telefono e lesse il messaggio di Luke.
“Visto che sono un bravo ragazzo, ho convinto mio fratello a tornare indietro. State tranquille, i vostri eroi stanno arrivando.”
Con un sospiro scocciato, Beth si lasciò cadere il telefono sul ventre, mentre Daryl la osservava con un’espressione interrogativa. Dato che sapeva che non le avrebbe mai chiesto nulla esplicitamente, pensò di risparmiargli il disturbo.
“Apparentemente, Luke e Leon stanno arrivando.”
Sbuffando, Daryl spostò il suo sguardo sulla cicca che aveva spento poco prima a terra come se fosse pentito di averla gettata via così in fretta.
“Hai tutta questa fiducia in quei due idioti?”
“No, e in ogni caso non riusciranno a passare”, rispose Beth, mentre il suo telefono emise un secondo cinguettio.
“Dovresti uscire con me qualche volta, devo farmi perdonare.”
“Ma che modo di farsi perdonare è?!”, disse ad alta voce. “Riesci a crederci?”
Girò il telefono in modo che anche Daryl potesse leggere il messaggio di Luke. Era quel genere di cose che di norma avrebbe fatto con Minnie e Karen a scuola, per poi riderne insieme. Era come se si fosse dimenticata per qualche secondo che Daryl era un uomo adulto e che non si sarebbe mai potuto interessare alla vita privata di una ragazzina del liceo.
Ma, interessato o no, Daryl guardò comunque il telefono.
Imbarazzata, Beth ripose in tasca il telefono non appena si rese conto di ciò che aveva fatto. Lui arricciò il labbro, come se stesse ringhiando.
“Porca puttana, non vorrai mica accettare.”
“Umh, no...”, mormorò lei, frastornata dalla sua risposta più o meno interessata.
“Bene.”
Lo disse così velocemente che Beth non ebbe il tempo di spiegargli i vari fattori che avrebbero motivato quel ‘no’ e caddero in un imbarazzante in silenzio. Il sole si era quasi completamente nascosto dietro l’orizzonte, riflettendo il suo bagliore dorato sullo schermo del telefono. Guardandolo, si ricordò di quello che avrebbe voluto dirgli in principio.
“Ho chiamato mia sorella… avrei dovuto incontrarla strada facendo. Sta venendo qui, vuole parlare con la polizia.”
Il volto di Daryl si contorse in una smorfia di dolore.
“Non posso fare niente per fermarla, ci ho già provato”, si difese. La voce le tremava.
La verità era che voleva vedere Maggie il prima possibile. L’aveva chiamata con il pretesto di venirla a prendere soprattutto perché così sarebbe arrivata prima del previsto e avrebbero passato più tempo insieme.
Daryl, fortunatamente, non si preoccupò di farle la predica. Molto probabilmente aveva percepito il suo senso di colpa, ma non glielo fece notare.
“Vuole parlare con loro?”
“Lavora con gli avvocati… è sempre stata brava a convincere la gente, ma da quando fa questo lavoro è peggiorata.” Beth si lasciò scappare una risata.
“Buon per lei… però non so se ci riuscirà.” Daryl guardò attentamente la staccionata. “Ci sono almeno tre case in questa strada dove i poliziotti hanno motivo di arrestare qualcuno. Forse il casino con la 708 è un’occasione per loro per dare un’occhiata in giro.”
“Tre? Qual è l’altra?”
“Quella della donna che mi ha dato questa”, ripose, indicando la camicetta verde. “Il marito è un pezzo di merda. Da quel poco che ho sentito, sembrava che stesse discutendo con gli sbirri. Forse è da un po’ che lo tengono d’occhio.”
Beth rabbrividì. Non ci aveva pensato, ma quello che stava dicendo aveva senso. Forse i poliziotti sapevano già molto su Kelly Jo Ave e forse, mentre risolvevano il problema della 708, gironzolavano lì intorno in attesa di trovare qualcun altro da incastrare.
“Faresti meglio a seguire il tuo piano originale.” Daryl si alzò in piedi. “Andiamo, è passato abbastanza tempo e ora è più difficile che ti vedano.”
Cominciò a camminare verso la staccionata, ma si fermò quando si accorse che lei non lo stava seguendo. Si voltò leggermente nella sua direzione, senza guardarla.
“Datti una mossa, Greene. Volevi andartene, no?”
Beth sgranò gli occhi. “Vuoi ancora aiutarmi?”
“Beh, sì. Non potevamo riprovarci subito, l’Agente Shane era incazzato, avrà sicuramente controllato la zona per un po’. Dovevamo dargli il tempo di calmarsi e di trovare qualcun altro a cui rompere le palle. E poi, è più semplice al buio.”
Voleva davvero aiutarla a scappare.
Restò a bocca aperta, cercando di pensare a qualcosa da dire, ma tutto ciò che le uscì fu una specie di rantolo.
Daryl scrollò le spalle. “Non preoccuparti per le tue amiche, le terremo d’occhio.”
Non l’avrebbe fatto. Dopo quell’inaspettata conversazione con Merle, si era convinta che qualcuno avrebbe controllato Minnie e Karen.
Guardò l’interno della casa, cercando di ricordarsi se doveva prendere qualcosa. Ma aveva tutto, fatta eccezione per la camicetta strappata che aveva lasciato a terra in camera di Nick. Allora cominciò a raggiungere Daryl, per poi fermarsi di fronte a lui che, finalmente, incontrò il suo sguardo. Aveva già notato che aveva gli occhi azzurri, ma si rese conto solo in quel momento di quanto quel colore fosse perfetto per lui. La luce del tramonto riflessa nelle sue iridi accentuava ancor di più la loro intensità. Per la prima volta, lo stava guardando senza alcun senso di apprensione. Era un estraneo, ma non uno dei tanti. Era una brava persona, solo che ancora non lo sapeva.
Così, gli strinse le braccia intorno alla vita. Lo sentì irrigidirsi subito sotto la sua stretta e per un attimo pensò che si sarebbe divincolato, ma non lo fece.
“Grazie”, mormorò Beth, affondando la guancia nel suo petto.
Con un movimento incerto, ma per nulla forzato, le mani di Daryl le sfiorarono le braccia nude, fermandosi all’altezza dei gomiti in una stretta delicata. Sembrava che non gli importasse del tempo che passava, non l’avrebbe spinta via. Sembrava che stesse aspettando che fosse lei a ritrarsi.
Col suo battito nella testa, Beth prese nota dell’accelerare del proprio, forse per il ricordo della volta precedente. Respirò profondamente per recuperare la calma. Daryl sapeva di bosco e di fumo.
Ricordandosi che lei, invece, molto probabilmente puzzava di cavallo e di detersivo della lavatrice di una sconosciuta, indietreggiò. Il volto di Daryl era scolpito nella pietra, così immobile che sembrava che avesse smesso di respirare. O era diventato improvvisamente muto, oppure, semplicemente, non aveva niente da dire. Il blu delle sue iridi fu in gran parte spazzato via dal nero delle pupille dilatate. L’aveva trasformato in una statua.
Non era sua intenzione, ma quando si rese conto di quello che aveva fatto non poté fare a meno di esserne orgogliosa, almeno un po’. Si scostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e lo superò, pronta a scavalcare la recinzione, con le guance in fiamme.

 

 

● ● ●

 

 

Dopo quell’abbraccio, Daryl dovette prendersi un minuto per riprendersi.
Più che altro, era confuso. La sua testa era completamente annebbiata, teneva i pugni stretti con le unghie che gli affondavano nei palmi. Sapeva che quell’abbraccio non significava nulla, non poteva essere nient’altro che un gesto di ringraziamento. Evidentemente, lei era una di quelle persone… abituate a dare dimostrazioni d’affetto. Daryl sapeva della loro esistenza, ma non ne vedeva una da troppo tempo. Non era strano che fosse una persona da abbracci, ma il fatto che avesse abbracciato proprio lui l’aveva destabilizzato, oltre al fatto che lui stesso l’aveva anche ricambiata.
In un primo momento, tentò di giustificare il suo comportamento dicendo a se stesso che aveva ricambiato quell’abbraccio solo per non ferire i suoi sentimenti. Ma se fosse stato solo uno sforzo per far passare velocemente quel momento imbarazzante, avrebbe provato una sensazione di fastidio.
Era molto più di quello. Un lieve tepore al centro del petto e il nodo che gli aveva bloccato la gola gli ricordarono di quanto tempo era passato dall’ultima volta che qualcuno gli aveva rivolto un gesto simile. La dolcezza della sua voce l’aveva colpito in bocca con la stessa forza di un pugno, rendendolo muto, e il suo piccolo corpo caldo contro il suo l’aveva fatto letteralmente sciogliere.
Come al solito, la voce invadente di suo fratello gli risuonò in testa, spazzando via tutte quelle belle sensazioni non appena la vide sparire oltre la staccionata.
“Hai bisogno di scopare, fratello. Tutta questa solitudine non è salutare. Se continui a vivere come un cazzo di monaco, finirai con l’impazzire.”
Non dovette fare alcuno sforzo per riprodurre la voce di Merle nella sua mente, la conosceva troppo bene e aveva passato troppo tempo a doverla ascoltare. La vera difficoltà, dunque, consisteva nel farla sparire. Con calma, si riprese dal suo stupore e realizzò di stare ancora lì impalato dove lei lo aveva lasciato. Così, si schiarì la voce, prese la rincorsa e scavalcò a sua volta la staccionata.
Quando la raggiunse dall’altra parte, Beth stava scrivendo un messaggio. Di nuovo. Con una nota di fastidio, si chiese se stesse ancora rispondendo a quel ragazzino imbecille.
Come se gli avesse letto nel pensiero, posò lo sguardo su di lui e disse: “Sto facendo sapere a mia sorella che stiamo riprovando a uscire. Non le piacerà, però...”
Beth scrollò le spalle e ripose il telefono nella tasca posteriore dei suoi jeans.
“Andiamo verso est finché il sole non finisce di tramontare. Quando sarà buio abbastanza, faremo un piano.”
Daryl cominciò a scansionare con lo sguardo il terreno che li circondava. Prima era stato troppo occupato a raggiungere Beth e a riportarla a casa per concentrarsi sul bosco. Osservandolo, riconobbe il punto in cui lui e Beth erano caduti ed era sul sentiero più largo, quello che conduceva alla strada. Stando alla moltitudine di orme sovrapposte sul terreno, i residenti di Kelly Jo Ave dovevano passarci spesso. Non c’era da stupirsi che l’Agente Shane li avesse trovati subito.
“E’ piuttosto fitto”, osservò Beth mentre lo seguiva a est del sentiero battuto. “Aspetta, mi sono impigliata in qualcosa.”
Daryl si voltò e la vide liberarsi da un cespuglio spinoso. I suoi jeans aderenti avevano qualche sfilacciatura e si stava succhiando il pollice dove si era punta con una spina, ma non sembrava infastidita. Del resto, perché avrebbe dovuto esserlo? Spesso si dimenticava che era una contadinella, probabilmente era abituata a stare a contatto con la natura.
Stavano facendo un giro lungo per evitare di essere visti, procedendo a passo moderato per evitare di lasciare tracce troppo evidenti su quel terreno irregolare.
“Perché hai detto che il marito di quella donna è un pezzo di merda? Che ha fatto?”
“Mmh.”
Improvvisamente a disagio, Daryl decise di ignorarla. Pensò di dirle che dovevano stare in silenzio perché poteva esserci qualcuno nei paraggi, ma, prima che potesse farlo, uno scoiattolo attraversò il loro stesso sentiero e si arrampicò su un albero, fermandosi su un ramo. Come una sorta di gesto inconscio, cercò la balestra dietro la sua schiena, nonostante sapesse benissimo che era a miglia di distanza da loro, nel garage della sua baracca, dove l’aveva lasciata.
“Sei un cacciatore?”, gli chiese Beth.
Lo scoiattolo drizzò le orecchie e scappò via.
“Sì, dimentica quello che hai visto.”
“Cacci per svago o…?”
“Non faccio nulla per svago”, borbottò.
“Oh.”
Per qualche minuto, sembrò che fosse riuscito a evitare di rispondere a quelle domande su Carol e su quello stronzo del marito senza doverle dire di stare zitta. Proseguirono in silenzio per un po’, la luce del tramonto stava per svanire del tutto e, in poco tempo, Beth decise che doveva riprendere quell’interrogatorio.
“Allora, che hai visto in quella casa?”
Daryl deglutì. Si prese qualche secondo di silenzio, ma non riuscì a pensare a delle parole non troppo brusche per dirle che non voleva parlarne.
“Non lo so, forse niente, ma c’erano alcune cose che mi hanno fatto pensare che lui non sia poi così gentile con la moglie e la figlia.”
Determinato a non dire più nulla sull’argomento, riportò l’attenzione in direzione della strada. Si fermò per ascoltare qualcosa, allungando un braccio verso di lei per fermarla. Ma, alla fine, erano soli e la strada non era poi così vicina.
“Oh.”
Ancora una volta, lei sembrava capire quello che lui non diceva.
“Voglio dire… immagino che un cacciatore sappia vedere quello che gli altri non vedono.”
Con un cipiglio, si voltò verso di lei. Beth lo stava guardando con un paio di occhioni innocenti che allo stesso tempo trasudavano di un’inequivocabile comprensione. Le sue guance si colorarono di rosso e prese a guardare il terreno.
“Mio nonno era tremendo con mio padre quando era giovane. Se n’è andato appena ne ha avuto l’opportunità, e lui… beh, lui è diventato il miglior padre del mondo”, aggiunse con una risatina.
“Che stai cercando di dire?”
Daryl si accorse di quanto roca fosse diventata la sua voce, come se uno strato di ghiaia avesse raschiato quelle parole. Non riuscì a trattenere la rabbia. Per quanto innocente poteva sembrare, non poteva smettere di pensare a quanto si stesse avvicinando pericolosamente al suo cuore.
Molto probabilmente, Beth si era resa conto del suo errore, perché restò immobile davanti a lui. Le sue labbra, che Daryl stava fissando, cominciarono a tremare.
“Solo che… quella ragazzina potrebbe stare bene, un giorno. Mio padre ci è riuscito.”
Non stavano parlando solo della ragazzina, ma Daryl capì che si era sforzata per rimediare e per tagliarlo fuori da quel discorso. Cercò di rilassarsi, non voleva arrabbiarsi e spaventarla di nuovo, non aveva intenzione di raddoppiare il suo senso di colpa nei suoi confronti.
Tuttavia, lei non cercò di intrattenere un’altra conversazione con lui finché non videro la strada.









 

Nota traduttrice
So che probabilmente dovrei stabilire un giorno fisso per pubblicare, ma è un periodo un po' frenetico e appena ho un po' di tempo libero, in genere, pubblico un capitolo. Di fatto non ho un giorno fisso e sicuro durante la settimana in cui pubblicare, è tutto un punto interrogativo, quindi scusatemi. 
A parte ciò, ho notato che gli ultimi due capitoli non hanno avuto lo stesso seguito dei primi due. Lo so che alla fine la storia non è mia, ma mi piacerebbe comunque sapere i vostri pareri sulla traduzione, se è fluida e non disturba o se devo rivedere qualcosa. Ma anche solo se la storia vi piace, l'autrice sarà contenta di saperlo. E poi le recensioni mi spronerebbero un po' di più a continuare a pubblicare, semplicemente. Ma, in ogni caso, silenziosi e non, ringrazio tuti quelli che hanno messo la storia tra le seguite/preferite/ricordate, mi fa molto piacere! :)

Al prossimo aggiornamento e buona Pasqua a tutti! :)
-Heihei xx

 

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Capitolo 6
*** Completi / Armi ***


VII. Completi / VIII. Armi

 



Non era più un estraneo.
Non riusciva a capire cosa fosse successo esattamente dopo quello che gli aveva detto, ma, per evitare altri equivoci, non provò più a rompere il silenzio tra loro.
In ogni caso, Beth doveva ammettere che non poteva sentirsi più al sicuro di così. Sì, tecnicamente, era alla mercé di un redneck, un criminale, uno che aveva incontrato per caso e che non aveva alcuna ragione per preoccuparsi per lei o per quello che le stava capitando. Se fosse finita dietro le sbarre, se si fosse rovinata la vita per una stupidaggine da ragazzini, non sarebbe stato affar suo, ma, per qualche assurda ragione, Daryl aveva deciso di caricarsi quella responsabilità sulle spalle.
Le venne spontaneo pensare che non si sarebbe mai sentita così al sicuro con un tipo del genere se fosse stato semplicemente un estraneo.
Effettivamente, non aveva mai incontrato nessuno come Daryl. Era più quel tipo di persona che si era limitata a immaginare. Era quasi sicura che anche lui fumasse, anche se fino a quel momento non l’aveva mai visto farlo, che avesse almeno un tatuaggio e tante storie affascinanti alle spalle che difficilmente avrebbe raccontato, soprattutto a una come lei. Farlo parlare era già abbastanza difficile di per sé.
Era chiaro che avesse toccato un tasto dolente con la storia delle violenze che suo padre subiva da suo nonno quando era piccolo, e non si era resa conto di quello che stava dicendo finché non fu troppo tardi per rimangiarselo. Avrebbe dovuto tenere la bocca chiusa.
Perlomeno, ci provò per tutto il tratto successivo, mordendosi nervosamente il labbro e seguendo le sue orme. Daryl sembrava più a suo agio in quei boschi che a casa di Nick.
Improvvisamente, si fermò e si voltò verso di lei che, con un piccolo sussulto, stava quasi per cadergli addosso. Ignorando quel piccolo dettaglio, si portò lentamente l’indice alle labbra, invitandola a fare silenzio.
Beth non credeva di aver fatto rumore, ma quando glielo fece notare si rese conto di quanto affannoso fosse diventato il suo respiro e di quanto i suoi movimenti fossero goffi. Per la seconda volta, quando incrociò il suo sguardo, si soffermò sui suoi occhi. Lo seguì oltre gli alberi e, nonostante il crepuscolo, riuscì a vedere la strada. Non aveva realizzato che fossero già così vicini.
Annuì e si fermò ancora a guardarlo, provando un improvviso senso di repulsione verso quel percorso. Se fossero andati avanti, non avrebbero più avuto un motivo per rivedersi. Lei se ne sarebbe andata, doveva farlo il prima possibile, ma fu travolta dall’irrazionale desiderio di poter avere un po’ più di tempo da passare con lui, per concludere quella loro conversazione in modo diverso. Solo per quello.
Daryl riprese la sua marcia silenziosa tra gli alberi facendole cenno di seguirlo, probabilmente voleva cercare un punto con una visuale migliore. Quasi inconsciamente, Beth restò a fissare ancora per qualche secondo i suoi lineamenti marcati e decisi, per poi scendere sui primi bottoni della camicia, che doveva aver perso molto tempo prima. Infatti, lasciavano scoperto l’incavo del suo petto.
Si schiaffeggiò mentalmente, tornando in sé. Non avrebbe dovuto guardarlo in quel modo, non era… appropriato. Era sicuramente molto più grande di lei. Sarebbe stato ridicolo, al pari di quella stupida cotta di Karen per il loro professore di storia.
Non doveva essere difficile scacciare via quei pensieri, bastava concentrarsi su una parte di lui che non fosse attraente.
Sicuramente, quindi, doveva escludere il suo viso. All’inizio non l’aveva neanche trovato così bello, ma poi, quando aveva visto sparire quel cipiglio, quello sguardo cupo che pensava fosse un carattere peculiare del suo volto, si fece sorprendere dai suoi tratti. E, una volta notati, fu impossibile ignorarli, anche dopo che aveva riassunto la sua solita espressione corrucciata.
Forse le sue mani… no, neanche quelle andavano bene. Erano callose, forti, abili. Non riusciva a guardarle senza mettersi nei guai. Lo stesso valeva per il petto e le braccia.
Però, fumava. E lei era sempre stata disgustata dal fumo. Però doveva ammettere che non era stato poi così fastidioso quando l’aveva fatto accanto a lei.
“Forza!”
Daryl la prese per un braccio e la tirò a terra insieme a lui, dietro l’ultima fila di alberi.
“Che stiamo facendo?”, chiese con una punta di nervosismo mentre si sistemava accanto a lui, cercando di impedire alla sua mente di viaggiare oltre.
“Forse dobbiamo aspettare che si faccia davvero buio.”
Beth guardò il cielo, la cui tinta bluastra si stava facendo sempre più scura. In pochi minuti, il crepuscolo sarebbe giunto al termine.
“Come mai… uhm, perché hai detto quelle cose di Luke?”
Si pentì amaramente di quello che aveva detto. Farsi i film mentali era proprio l’ultima cosa che doveva fare, ma non riuscì a trattenersi dalla voglia di sapere come mai aveva risposto in quel modo quando gli aveva fatto leggere il messaggio in cui Luke le chiedeva di uscire.
Voleva che fosse geloso? Beh, forse anche solo in minima parte.
“Cosa?!”, rispose lui con un cipiglio.
“E’ solo che...”, balbettò, sentendosi infinitamente stupida.
Aveva per caso imparato a leggerle nella mente?
Imbarazzata a livelli estremi, si strinse nelle spalle, cercando di uscirne nel modo più disinvolto possibile.
“Non so, ho pensato che tu mi abbia detto che non dovrei uscirci perché… magari sai qualcosa su di lui che io non so.”
La sua voce si ridusse a un bisbiglio mentre le sue dita, nervosamente, disegnavano piccoli serpenti sul terreno.
“Nah, è solo un coglione.” Daryl, quasi più imbarazzato di lei, fece le spallucce e si stese a terra con le braccia dietro la testa. “Tu sei meglio di così, meriti di meglio.”
Anche se si era mostrato abbastanza tranquillo nel rispondere a quella domanda, era sicura che in realtà non gli importava nulla di lei e Luke. Doveva smetterla di parlare. Chissà se era al limite della sopportazione, chissà se l’aveva trovata immatura, o addirittura infantile...
Con un altro schiaffo mentale, ricordò a se stessa che non doveva importarle comunque. Presto se ne sarebbe andata a miglia di distanza da lì e non l’avrebbe più rivisto.

 

● ● ●

 


Stava andando tutto secondo i piani. Quando Daryl si stese sul terreno, cercando di rimanere fuori dalla vista degli sbirri, Beth rimase seduta accanto a lui. Si sporgeva in continuazione per ottenere una visuale migliore e, ogni volta, le sue ciocche bionde gli finivano in faccia, invadendogli le narici con il loro odore di shampoo. Tossendo leggermente e liberandosi il viso dai suoi capelli, l’afferrò per un braccio, invitandola ad abbassarsi e a non farsi vedere dai poliziotti.
“Scusa”, sussurrò, sgranando gli occhi. “E’ eccitante, non trovi?”
Gli sorrise e continuò a guardare tra le foglie, poggiandosi sui gomiti come se volesse strisciare a terra come un militare.
Per lui, sfuggire alla polizia non era per niente eccitante. Forse poteva esserlo per la prima volta, senza contare che, per una come lei, la posta in gioco era molto diversa. Anche se l’avessero beccata di nuovo, non sarebbero mai stati così duri con lei come invece lo sarebbero stati con lui.
Tra il punto in cui erano nascosti e la strada c’era una lunga fila di auto e un profondo fossato. L’Agente Shane Walsh stava parlando con altri due sbirri, mentre un quarto passeggiava per la strada, in posizione perfetta per tenere gran parte dello spazio sotto controllo.
“Cazzo, speravo che fosse dall’altro lato”, ringhiò Daryl.
“L’Agente Shane? Pensavo ti piacesse”, mormorò Beth.
“E’ uno stronzo. Il fatto che prima gli abbia dato ragione non significa che mi piaccia.”
E’ difficile farsi piacere un uomo dopo che quest’ultimo ti ha pestato a sangue, pensò.
“Giusto”, disse lei.
“Fammi pensare un attimo...”
Chiuse gli occhi. Se quella ragazzina avesse continuato a parlargli, avrebbe fatto più fatica a concentrarsi su una strategia. Ce n’erano di più rispetto all’ultima volta.
Sospirò profondamente quando realizzò quello che avrebbe dovuto fare.
“Bene, questo è quello che faremo: scivoleremo nel fossato velocemente e senza fare rumore. Poi, io andrò a sinistra e tu a destra. Nasconditi dietro un albero finché la mia piccola recita non sarà finita.”
“Vuoi fare il diversivo?”, chiese lei con un cipiglio.
“Sì, fingerò di essere ubriaco. Con un po’ di fortuna li terrò occupati per un po’ e non ti vedranno.”
“Ma… se ti arrestano?”
“Non sono mai stato arrestato prima”, ammise, “e posso evitarlo ancora. Non farò nulla per farli davvero incazzare, gli darò solo un po’ fastidio per distrarli qualche minuto.”
“Sei sicuro?” Beth era impallidita, sembrava preoccupata. “Non voglio che finisci nei guai con la polizia per colpa mia.”
“Ti ho detto che non farò niente di esagerato.”
“Ma...”
“Quando non stanno guardando nella tua direzione, attraversa la strada. Ci dovrebbe essere un altro fosso. Dopo averlo superato, non dovresti avere nessun problema, non ti vedranno. E’ profondo, attenta alle caviglie.”
Voleva muoversi prima che lei gli impedisse di farlo. Cominciò a strisciare verso il fosso, ma altri due fanali di una macchina lo bloccarono. Beth doveva averli visti, perché senti le sue mani stringergli le braccia da dietro, esortandolo a indietreggiare e a continuare a nascondersi. Si abbassò di nuovo, ma rimase dov’era per osservare quel che stava accadendo, con lei aggrappata alla sua schiena. Riusciva a sentire il suo battito contro la spalla.
Un enorme SUV nero dai vetri oscurati fece capolino sulla strada con una frenata brusca. Dietro di esso, parcheggiarono delle berline più piccole e, a chiudere quella sorta di processione, c’era una Saturn dorata che sembrava non appartenere a quel bel quadretto.
La portiera del conducente del SUV si aprì. Un uomo alto e magro, con indosso un completo nero e una cravatta così stretta che Daryl si chiese se la sua testa fosse rimasta al suo posto se gliela avessero tolta, scese dall’auto. Daryl osservò con attenzione l’Agente Shane e gli altri sbirri. Shane in particolare, quando riconobbe l’uomo vestito di nero, si raddrizzò e cominciò a marciare verso di lui, mentre altri uomini in completo scendevano dal SUV e dalle berline.
“L’FBI?!”, esclamò Beth ad alta voce nel suo orecchio. Molto probabilmente, aveva ragione.
L’Agente Shane e quell’uomo stavano parlando, entrambi con le mani sui fianchi e lo sguardo fisso negli occhi dell’altro. Non doveva scorrere buon sangue tra loro, ma erano dalla stessa parte.
“Non possiamo farlo”, Beth sospirò. “Ce ne sono troppi e… sembra che sia una cosa seria. Non ne vale la pena.”
Aveva ragione, di nuovo. Avrebbero dovuto aspettare di più prima di dare inizio a un piano.
Un’altra figura scese dalla Saturn dorata, avanzando in direzione degli agenti. Era una bella donna dai capelli corti e castani, indossava un elegante blazer nero con tanto di gonna abbinata. Già dal modo in cui camminava, Daryl capì che non era una di loro. Con lo sguardo acceso dalla rabbia, gridava per attirare la loro attenzione. Non sembrava che stesse svolgendo il suo lavoro, anzi: per com’era infuriata, sembrava ce l’avesse con gli agenti proprio perché stavano svolgendo il proprio.
Doveva essere una dei residenti di Kelly Jo Ave rimasta fuori, oppure…
“Dannazione, è tua sorella?”
“Maggie...”, mormorò Beth con un’evidente nota di angoscia ma per nulla sorpresa, “non ha letto il mio messaggio.”
“Se li convince a farti uscire con una scorta e non ti trovano da Nick, allora saranno cazzi amari.”
Daryl l’avvolse con un braccio, costringendola a tornare in piedi. Lei si aggrappò al suo fianco, le sue dita gli strinsero la camicia con forza fin quando i suoi piedi non toccarono di nuovo terra.
“Forza, dobbiamo muoverci a tornare.”
Correre a tutta velocità per il bosco andava benissimo lungo il sentiero battuto, ma attraverso il sottobosco era abbastanza complicato. Beth era particolarmente in difficoltà, erano più i momenti in cui restava impigliata in qualche cespuglio o inciampava su qualche radice rispetto a quelli in cui correva in modo normale. Daryl la fece andare avanti, per aiutarla a rimanere in posizione verticale ogni volta che incontrava un ostacolo. Sembrava stesse comoda con i suoi stivali da cowboy, ma evidentemente non era abituata a correrci, soprattutto su un terreno che minacciava di farla cadere a ogni passo. Almeno non piagnucolava, questo doveva riconoscerglielo, più che altro sembrava preoccupata quanto lui di non riuscire ad arrivare da Nick in tempo per aprire la porta a Maggie, all’Agente Shane e a un agente federale.
Appena raggiunsero la staccionata, senza discutere, Daryl fece scivolare entrambe le mani sotto le sue braccia per spingerla verso l’alto. Beth si fece scappare un piccolo gridolino sorpreso, ma non esitò a raggiungere la cima e ad aggrapparcisi. Una volta che ottenne una salda presa con entrambe le mani e una gamba, lui indietreggiò, lasciando che facesse il resto del lavoro da sola.
Quando raggiunse anche lui l’altro lato della staccionata, lei era piegata sulle ginocchia a tirare respiri profondi. Solo in quel momento cominciò ad accusare la tachicardia e l’affanno, senza dire una parola.
Sembrava che non ci fosse ancora nessun problema. Nessuno stava bussando alla porta.
Incontrò gli occhi di Beth. La sua bocca si curvò in un sorriso soddisfatto che stava incredibilmente bene accostato al rossore delle sue guance. Si lasciò sfuggire una lieve risata, c’era dell’apparente sollievo nel suo sguardo.
Daryl sentì le sue spalle rilassarsi e sospirò. Anche se non c’era niente di divertente nel suo cuore che batteva all’impazzata, non riuscì a trattenere una specie di sorriso, soprattutto se lei lo stava guardando il quel modo.
Merle, Karen, Minnie e Evan erano fuori ad aspettare il loro ritorno.
Le due ragazze erano stese sul prato. Karen, appoggiata alla pancia di Minnie, smise di strappare le foglie dal terreno per rivolgere uno sguardo sognante all’amica. Merle era seduto accanto a loro con la fronte aggrottata e una mano tra i capelli della ragazza, massaggiandole la testa. Evan, invece, era in disparte, con le braccia incrociate e lo sguardo confuso.
“Dove diavolo eravate voi due?”
Daryl avrebbe dovuto elaborare una risposta che fosse composta da più di due sillabe, ma né la sua mente né la sua bocca volevano sottoporsi a un tale sforzo.
“C’è l’FBI”, lo salvò Beth.
La confusione sul volto di Evan svanì appena sentì quella parola, assumendo uno sguardo freddo degno di un uomo d’affari.
“Jer!”, gridò mentre tornava in cucina.
Merle, invece, non sembrava affatto interessato. Sollevò una ciocca di capelli dalla testa di Minnie e la fece ricadere sui suoi occhi. Lei rise e scosse la testa nel tentativo di riportare i suoi capelli in ordine.
Suo fratello stava fissando lui e Beth con un’espressione pensierosa di cui Daryl non si preoccupò, almeno finché non gridò: “Hey, bambolina! Vieni qui, siediti con le tue amiche. Stanno cercando di decidere chi ha gli occhi più belli, magari puoi aiutarle.”
Scattò in piedi e raggiunse con aria fiera il minore in poche falcate.
Beth lanciò un’occhiata confusa a Daryl, ma non esitò a raggiungere le sue amiche dopo un ultimo respiro affannato.
Merle lo portò lontano dalle ragazze e gli diede una pacca rumorosa sulla schiena che spazzò via una scia di polvere dal suo gilet di pelle.
“FBI, eh?”, disse, e per un momento Daryl si sentì sollevato dal pensiero che suo fratello forse voleva solo chiedergli della situazione con la polizia.
“Così sembra”, mormorò.
“Tu e la bambolina siete andati a fare una passeggiata romantica nei boschi… per indagare sugli sbirri?!”, Merle sgranò gli occhi e il senso di sollievo che Daryl stava provando mutò progressivamente in rabbia.
“Sai che non è così”, borbottò.
“Non c’è bisogno di mettersi sulla difensiva”, suo fratello alzò le mani, ghignando. “Lascia che ti insegni qualcosa sulle donne.”
“Zitto.”
Daryl odiava quando tentava di insegnargli qualcosa sulle donne.
“No, devi ascoltarmi, fratellino. Se tu le piaci, perché no?”
Quindi, dall’esterno, sembrava che le piacesse?
Attese in silenzio che Merle continuasse a parlare dandogli uno dei suoi soliti consigli volgari. Ma non lo fece.
“Hai finito?”
“No, non ho finito. Vuoi dirmi che non hai pensato neanche solo a un fottuto assaggio di quelle labbra, fratello?”
“Non fare il coglione!” Daryl tentò di abbassare la voce, anche se le ragazze erano abbastanza lontane e assorte nella loro conversazione. “E’ una ragazzina, e così anche le altre...”
“E’ solo una scusa, ma non ha senso, capisci?” Merle si voltò a guardare il punto in cui le ragazze erano stese sul prato. “Lola, per esempio, è intelligente come un’adulta. Le sue esperienze sono paragonabili a quelle di una donna matura, l’età non conta. E io lo so perché, dal momento che è fottutamente strafatta, mi ha parlato un po’ di sé. Sai, diventa loquace quando è sballata. Però non le piaccio perché sono un vecchio, sporco figlio di puttana ed è giusto così, le starò alla larga.”
“Quello lo chiami stare alla larga?!”
“Di sicuro le sarei stato molto più vicino se l’avesse voluto”, ammise. “Ma io sono io e tu sei tu.”
“Quello che dici non ha alcun senso, Merle.” Controllò gli occhi del fratello, ma sembrava lucido.
Accortosi di quello che stava facendo, il cipiglio di Merle divenne ancora più marcato. “Tu le piaci. Con un po’ di moine puoi entrare nelle loro grazie.”
Daryl imprecò e si strofinò la fronte. “Almeno noi dovremmo tenerle al sicuro, non approfittarci di loro.”
Spostò volutamente lo sguardo verso la cucina, dove Andy, Evan e Jeremiah erano seduti a tavola.
“Non è approfittarsi se tu le piaci.” Merle ghignò quando lo vide stringere i pugni. Amava metterlo in imbarazzo. “L’età del consenso è sedici anni in Georgia, fratellino. Finché lei lo vuole, e penso sia così, non c’è niente di sbagliato a baciarla e a metterla in ginocchio per qualche minuto. Magari potrebbe farti bene.”
Era impossibile parlare con lui. Daryl, maledicendosi per non esserne uscito prima che arrivasse a quel punto della conversazione, fece per andarsene, ma Merle si spostò davanti alla porta di casa, impedendogli di entrare.
“Pensavo che vi foste allontanati per starvene un po’ da soli, altrimenti che motivo avevate di scappare via nei boschi?”
“Lo sai meglio di me, c’era un motivo.”
“…Quale?”
“Voleva andarsene e io la stavo aiutando.”
“Molto coraggioso da parte tua.”
“Sta’ zitto.”
“Ti sto solo prendendo un po’ per il culo, fratellino, alla fine so che posso dirti qualsiasi cosa, farai comunque di testa tua.” Merle inclinò il collo verso le ragazze. Il suo umorismo andò a scemare, come se si stesse incazzando sul serio. “Continua a negare che le guardi il culo e a farti mille seghe quando lei non c’è.”
Entrò in casa, lasciandolo fuori. Daryl voltò le spalle alle ragazze e si andò a stendere con la schiena appoggiata alla staccionata, cercando di scrollarsi di dosso tutto quello che Merle gli aveva detto.
Fin quando stava parlando con lui, non riusciva a provare nient’altro che rabbia e disgusto per quello che gli stava dicendo, ma ora che l’aveva lasciato da solo non riusciva a togliersi dalla testa le sue parole. Fino a quel momento era stato abbastanza bravo a reprimere ogni pensiero illecito che riguardasse la piccola, bella e assolutamente vulnerabile Beth Greene, ma evidentemente suo fratello Merle non era l’unico che sapeva come entrare dentro la gente.
Lei ci stava riuscendo.


 

● ● ●

 


“Sai a cosa penso quando guardo i tuoi capelli?”, Karen parlò come se avesse scoperto chissà quale verità filosofica.
“No, non lo so.”
Beth era stesa di pancia, ancora sudata e col cuore che le batteva all’impazzata contro l’erba. Minnie e Karen non sembravano stare peggio di come le aveva lasciate.
“E’ come se un ragno si fosse mangiato un anello d’oro e avesse filato una ragnatela bionda.”
“Ewww, quindi sono come la cacca di ragno?” Minnie fece una smorfia.
“No!”, gridò Karen, “Stavo cercando di dire qualcosa di carino, Minnie.”
Beth si coprì il viso con entrambe le mani, ridendo silenziosamente sui suoi palmi.
“Aspetta, quindi le ragnatele non sono fatte di cacca di ragno?”
“Non lo so. Forse. Il professor Blake dovrebbe saperlo, è così intelligente. E sexy.”
Professor Blake? Vuoi dire Mr. Blake?” Beth smise di ridere e, per quanto fosse stupido, s’intromise in quel discorso. “Non è un professore, è un insegnante di storia al liceo.”(*)
“Lo so”, ammise Karen, “è solo che nella mia testa lo immagino professore, soprattutto quando penso a lui… in quel modo.”
“Karen, ti prego...”, Beth sospirò.
“Cosa? E’ attraente!”
Lontano da loro, dall’altra parte del prato, Daryl era rimasto esattamente dove Merle l’aveva lasciato poco prima. Beth pensava che si stesse fumando un’altra sigaretta, ma, quando si voltò, notò che non aveva niente tra le dita. Sembrava preoccupato, forse per l’FBI. Aspettò che i suoi sguardi s’incrociassero, ma lui si alzò ed entrò in casa, senza guardarla.
Nel frattempo, gli occhi rossi e gonfi delle sue amiche la stavano osservando divertiti.
“Stavate dicendo?”
“Gli uomini adulti...”, disse Minnie ammiccando.
Karen si leccò le labbra.
“Stai scherzando?” Beth cercò di lanciarle un’occhiataccia colma di disappunto, ma tutto fu rovinato dal rossore che aveva dipinto le sue guance.
“Io non scherzo, osservo. Sì, è un redneck, ma è bello a suo modo.”
“Lui è...”
Scontroso. Intenso. Attento. Enigmatico.
Stava per dire carino, ma non le sembrava il caso.
“...interessante.”
“Quindi ti interessa?”, le chiese Minnie col suo solito sorrisetto malizioso.
Dannazione.
“Vado a prendervi altra acqua.”
Fece per alzarsi, ma le ragazze cominciarono a protestare all’unisono.
“Scusaci!”
“Non lasciarci di nuovo!”
“Torno subito”, promise Beth.
“Non ti chiederemo più niente, promesso!”, le disse Karen.
“Sai che stai incrociando le dita davanti a me, vero?”
Karen si guardò la mano sbattendo ripetutamente le palpebre, confusa. “Ops.”
Beth alzò gli occhi al cielo e si allontanò da loro, dirigendosi in cucina. Passò davanti alla finestra della camera di Nick, dove Merle era steso sul letto a fumare e a fissare il soffitto. 
Arrivata davanti alla porta del retro, si fermò quando sentì la voce di Jeremiah.
“...Per tutti quei soldi, penso che valga la pena lavorare con i Messicani. Magari potreste avere qualche problema al confine, ma Merle mi ha detto che hai una buona mira, nel caso dovesse servire.”
“Non sono mai stato fuori dalla Georgia”, borbottò Daryl.
Beth, ancora immobile fuori alla porta, col cuore in gola, si stava torturando il labbro inferiore. Non ne sapeva molto di attività criminali, ma non era molto difficile capire di cosa stessero parlando.
“Mai? Beh, amico, penso sia giunto il momento.”
“Può essere di sì.”
“Probabilmente, sarà un gioco da ragazzi.”
“Non serve provare a convincermi, Merle già ti ha detto che lo faremo.”
“Fai tutto quello che ti dice, non è vero?”
Daryl non rispose. Le voci di Andy e Evan che, seduti a tavola, stavano discutendo della stessa cosa, riempirono il silenzio per qualche secondo.
“Che bravo ragazzo”, disse allora Jeremiah.
Beth sentì un rumore simile a uno schiaffo. Forse gli aveva dato una pacca sulla spalla prima di tornare a sedersi con gli altri e continuare la partita di poker.
Timidamente, si spostò da lì e si avvicinò a una finestra, in modo da poter sbirciare Daryl appoggiato al bancone. L’uomo tenne gli occhi bassi fin quando non si accorse di lei. Il suo viso divenne incredibilmente pallido e i suoi occhi blu tristi come non mai quando incontrarono i suoi.
Sapeva che aveva ascoltato.
Con un groppo in gola, Beth si affrettò a tornare indietro, ma dopo qualche passo Daryl la raggiunse fuori. Pensò a quali parole usare per difendersi, ma poi si convinse che non era lei quella tra i due che aveva qualcosa di cui vergognarsi. Si sforzò di guardarlo negli occhi, senza battere ciglio.
Il suo sguardo era colpevole. Le sue labbra, fino a poco prima serrate, si schiusero leggermente per mugugnare qualcosa.
“Dimentica quello che hai sentito, Greene.”
Questo cambiava qualcosa? Era passato dall’essere uno sconosciuto all’essere una sorta di protettore, fino ad arrivare a essere qualcosa di molto simile a un amico troppo velocemente. Beth si sentiva come se fosse davvero preoccupata per lui e, tra l’altro, si sentiva ancora al sicuro in sua presenza, nonostante quello che aveva sentito. Aveva senso?
“Di cosa dovrete occuparvi?”, gli chiese sottovoce. Sapeva che avrebbe potuto arrabbiarsi, ma non le importava. “Droga?”
Daryl strinse i denti e si guardò intorno per assicurarsi che nessuno li stesse ascoltando. Si strofinò il viso con una mano e, appena si rese conto che Beth stava per avanzare un’altra ipotesi, anche più sgradevole, tentò di zittirla.
“Non… non vi occupate mica di… ragazze?”
Beth si sentì male solo al pensiero, ma, con suo grande sollievo, Daryl sembrò disgustato da quello che gli aveva appena detto.
“No, cazzo, no!”, scosse la testa. “Come hai fatto a pensarlo? Sì, ok, forse siamo la feccia, ma non a quei livelli. Si tratta di armi.”
“Armi?”, ripeté lei, solo minimamente sollevata. “Non è pericoloso?”
Lui cominciò a rilassarsi, forse per l’espressione forzatamente calma di Beth. Non avrebbe dovuto sorprendersi, ma lo fece.
“E’ lavoro.”
Questa volta, fu lei a scuotere la testa, incredula. “Fate spesso questo genere di cose, tu e Merle?”
“Più o meno”, ammise, nascondendo ogni forma di vergogna.
“Sai perché non sei mai stato arrestato, Daryl?”, gli chiese a bruciapelo.
Spiazzato da quella domanda, rimase immobile per qualche secondo. Poi, scrollò le spalle e si guardò i piedi.
“Sono un figlio di puttana molto fortunato, suppongo.”
Beth attese di poter incrociare di nuovo il suo sguardo.
“E’ perché sei intelligente.”
Daryl sbuffò, ma prima che potesse ribattere, lei continuò a parlare.
“Lo sei. Sei intelligente, sai nasconderti dalla polizia, prenderti cura di te, ma non sei abbastanza intelligente da rendere la tua vita più semplice lavorando onestamente.”
Abbassò la voce, ispezionando tutto l’ambiente circostante, ma dai rumori provenienti dalla cucina e dai volti lontani delle sue amiche intuì che nessuno aveva fatto caso a loro.
“Dimentica le armi, non farlo. Si vede che non vuoi”, aggiunse.
Lo sguardo di Daryl la inchiodò sul posto, impedendole di muoversi. Era sempre stato intenso, ma per la prima volta si sentì come se le stesse entrando dentro, scoprendo tutti i suoi segreti. Forse si era sbilanciata troppo, di nuovo, facendolo sentire così esposto.
Infatti, la sua prima reazione istintiva fu quella di ricambiarla con la stessa moneta.
“Tu sei una contadinella”, le disse, seccato.
Non gli chiese come aveva fatto a capirlo, avrebbero divagato troppo.
“S-sì.”
“Sei stata protetta per tutta la vita, hai un padre e una madre che ti danno tutto ciò di cui hai bisogno. Sei una ricca contadinella.” Arricciò il labbro quando pronunciò la parola ricca. “Non hai mai dovuto preoccuparti di nulla. Dannazione, ragazzina, mi è bastato guardarti una volta sola per capire che non solo hai qualcuno che ti protegge, ma hai qualcuno che ti ama.”
Sollevò un braccio e, istintivamente, Beth indietreggiò, anche se non le si era neanche avvicinato.
“Che cazzo puoi saperne tu della vita?!”, continuò.
Non era stato per niente carino. Aveva fatto bene a scartare subito quell’aggettivo mentre cercava di descriverlo alle sue amiche. Daryl era aggressivo, rude, intrattabile, cinico e, forse, nonostante tutto, aveva anche ragione, ma lei non era disposta ad ammetterlo in alcun modo.
“Fanculo.” Dopo aver brevemente esitato sulle sue labbra, allacciò lo sguardo al suo. “Non stiamo parlando di me.”
Tirò un respiro profondo, combattendo l’impulso di fare dietro front e lasciarlo lì, ma non poteva prima di avergli detto ciò che pensava. Qualcuno doveva dirglielo, anche se lui non voleva sentirlo.
Tu sei meglio di così, meriti di meglio.
Dal modo in cui era cambiata la sua espressione, Beth capì che aveva realizzato che aveva usato le sue stesse parole contro di lui e dovevano averlo colpito più di uno schiaffo in piena faccia.
“Non puoi arrabbiarti con me solo perché ti sto dicendo la verità”, aggiunse, prima che potesse risponderle. Per paura che potesse scappare via da quella conversazione, seppur incerta, si avvicinò ancora di più, aggrappandosi al suo gilet. “Non fingere di non avere altra scelta.”
Lo sentì irrigidirsi sotto la sua stretta, mentre la fissava con intenso disagio. Fu proprio in quell’istante che Beth si accorse che sembrava che stesse per baciarlo, aggrappata a lui in quel modo e con la testa all’indietro per poterlo guardare negli occhi. Ma che le era saltato in mente?
Non aveva più baciato nessuno da quando aveva rotto con Jimmy più di un anno prima. Non era il momento giusto e Daryl non era il ragazzo- o l’uomo?- giusto.
Deglutì e lo lasciò andare, nascondendosi le mani dietro la schiena.
Le sue spalle larghe erano ricurve verso l’interno e aveva di nuovo distolto lo sguardo dal suo. Non sapeva se aveva respirato mentre lei lo stava toccando, ma in ogni caso vide il suo torace alzarsi ed abbassarsi notevolmente quando lo lasciò.
“Non ne ho”, balbettò in poco più di un sussurro.
Non c’era bisogno di avere una laurea in deduzione per capire che a Daryl non piaceva essere toccato. Non poteva tenere quelle dannate mani a posto?
“Ne ho una per te”, disse, rimproverandosi ancora mentalmente per averlo fatto sentire così in imbarazzo. “Ogni tanto a mio padre serve una mano alla fattoria. Tu sei un cacciatore… a loro piacerà. Gli animali a volte si allontanano e vagano nei boschi, avere qualcuno che sappia come andarli a riprendere farebbe comodo. In genere se ne occupa Otis, ma non è un granché.”
Lui impallidì. Qualsiasi sensazione avesse provato, che fosse stato fastidio o gratitudine, si stava sforzando di non darla a vedere. Si limitò a guardarla dalla testa ai piedi, come se fosse pazza.
“Vuoi che lavori nella fattoria di tuo padre?”, chiese atono.
“Perché no? E’ sicuramente meglio che andare a farti ammazzare in Messico per un paio di armi!”
Daryl finse un’espressione quasi divertita.
“Sia tu che Merle. La paga è decente ed è un lavoro onesto.”
Avrebbe voluto leggergli nella mente, sapere cosa ci fosse dietro quello sguardo apparentemente arrabbiato. Non voleva accontentarsi di immaginarlo, lei voleva sapere cosa stava provando.
“Puoi fare quello che ti pare, non dirò nulla alla polizia, né a nessun altro, ma non fingere che andare lì sia quello che vuoi.” Beth spostò lo sguardo in direzione della cucina, dove la partita di poker stava diventando di nuovo animata. “Era evidente che detestassi questi ragazzi e che non avessi alcun rispetto per loro, ora almeno capisco il perché.”
Daryl aveva continuato a fissarla con lo stesso cipiglio di pietra da quando aveva avanzato quella proposta, senza alcuna intenzione di permetterle di capire cosa ne pensasse di quello che gli aveva appena detto.
“Vado a pisciare”, disse solamente, prima di superarla e rientrare in cucina.
Stringendo i pugni mentre lo osservava andar via, Beth cominciò a chiedersi se avesse potuto gestire meglio quella situazione.
Non puoi gestirla e basta, pensò.
La voce dei suoi pensieri somigliava molto a quella di Maggie e, come atto di sfida verso di essa, decise di seguirlo in cucina, realizzando poi dopo pochi passi che non poteva di certo seguirlo in bagno, né tantomeno aspettarlo fuori come una stalker. Così, ripensò al motivo per cui si era allontanata dalle sue amiche: doveva prendere altra acqua.
Al suo ingresso, la partita di poker divenne improvvisamente silenziosa, ma lei non rivolse la parola a nessuno di loro, fiondandosi direttamente sul frigo.
Era una notte calda e la corsa che aveva fatto con Daryl nei boschi non aveva decisamente aiutato. Si scolò mezza bottiglia d’acqua con un solo sorso e la riempì al rubinetto, con l’intenzione di portarla piena a Minnie e Karen.
“Hey, biondina!” Evan schioccò le dita.
Quasi automaticamente, Beth distolse lo sguardo dal lavandino, maledicendosi per non essere riuscita ad ignorarlo.
“Mi passeresti un bicchiere? Andy ha spaccato il mio poco fa”, indicò un accumulo di vetro rotto abbandonato sul pavimento. “Stanno nel mobile proprio sopra la tua testa, sulla sinistra.”
Prese il primo bicchiere che trovò. Era di un ristorante a New Orleans la cui specialità, stando ai disegni, dovevano essere le ostriche. C’era scritto: Sgusciami, Succhiami, Mangiami Cruda.
“Secondo me dovremmo giocare a qualcos’altro”, disse Andy.
Quando Beth poggiò il bicchiere sul tavolo, Evan le bloccò il polso. “Pensi che le tue amiche ci starebbero per un po’ di strip poker?”
Jeremiah diede una schicchera sull’orecchio del cugino, così forte che si sentì lo schiocco. Evan imprecò e lasciò il polso di Beth per coprirsi l’orecchio dolorante con la mano.
“Se non la smettete di molestare le ragazze, Merle e Daryl vi spaccheranno il culo e io mi divertirò a guardare”, ringhiò Jeremiah.
“Sarebbe più divertente giocare a strip poker”, si lamentò Andy.
“Sono abbastanza sicura che non staranno mai così fatte”, intervenne Beth, gelida.
Onestamente, non ne era neanche poi così sicura. Minnie e Karen sapevano diventare abbastanza volgari, soprattutto quando erano fatte o ubriache.
Un rumore di passi pesanti provenienti dal corridoio catturò la sua attenzione. Invece di tornare dalle sue amiche, si fermò ad aspettare. Voleva vedere se fossero di Daryl.
Invece, sulla soglia della porta, riapparve finalmente Nick, con il cellulare ancora in mano. Lo stava fissando con uno strano ghigno.
“Mi sono perso qualcosa di importante?”, chiese.
“Solo le solite stronzate”, rispose Jeremiah, lanciando al cugino un’occhiata intimidatoria.
“Dove sei stato per tutto questo tempo?”, chiese Andy.
“A telefono.” Nick sollevò il cellulare con un’espressione soddisfatta. Il suo sorriso si allargò, sfidandoli a fare domande.
Fu Evan ad abboccare. “Con chi?”
“708.”
Per dieci secondi buoni, nessuno disse nulla.
“Ah, cazzo!”, Jeremiah ruppe il silenzio. “Il ragazzo dell’El Camino ti ha dato una spiegazione per tutto questo casino?”
“Come faceva ad avere il tuo numero? Pensavo non lo conoscessi”, chiese Andy con un cipiglio.
“L’ostaggio è una dei miei compratori. Si era fermata lì a chiacchierare con Mrs. 708 proprio mentre lui arrivava di corsa con quaranta volanti alle calcagna. Mi ha chiamato dal suo telefono per trovare una soluzione.” Con un sospiro profondo, Nick indicò la strada. “Sta per uscire con le mani in alto, tipo adesso.”
Di colpo, tutti si alzarono da tavola per correre in salotto, ma Beth li batté tutti in velocità. Raggiunse le finestre del soggiorno, scrutando la strada attraverso le tende pesanti. Gli altri erano tutti attorno a lei, mentre Nick continuava a dare spiegazioni.
“Sapeva che non poteva uscirne. Voleva solo assicurarsi che qualcuno si prenda cura di alcune… faccende domestiche, mentre è via.”
Ovviamente, Beth sapeva che dietro a quella storia c’era molto di più, ma non fece domande. Nick non sembrava disposto a dire altro.
Guardò la scena attraverso la finestra: quattro agenti accompagnavano un uomo in manette in una delle volanti, mentre una piccola squadra restava a guardare. Quando finalmente si accomodò sui sedili posteriori, la strada sembrò tirare un respiro di sollievo.
Era finita.
Poteva tornare a casa.


 



(*) In America chiamano professor solo l'insegnante universitario. Il professore del liceo, per loro, si chiama semplicemente teacher. Il bello è che prima di tradurre questa storia non lo sapevo neanch'io.



 



Nota d’autrice
SPOILER: non è finita.
Lo so, la parte con Minnie e Karen è veramente ai limiti della stupidità. Scusate.
10 punti saranno assegnati a Grifondoro se indovinate chi è l’insegnante di storia :)
A proposito, nel corso della storia saranno presenti altri personaggi di TWD, ma la maggior parte di loro non avrà un ruolo fondamentale.

Dopo la parentesi stupida, Beth e Daryl hanno ricominciato a scontrarsi. Temo che ci saranno ancora molti momenti del genere, man mano che il loro rapporto si evolve.
Aggiornerò presto!

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Capitolo 7
*** Addio contadinella / Brutte compagnie ***


IX. Addio contadinella / X. Brutte compagnie

 

 

 

Non era esattamente la doccia fredda di cui aveva bisogno, ma l’acqua del lavandino era tutto quello che aveva a disposizione. Il peggio era che non poteva fingere che tutto il caldo che sentiva fosse solo causato dalla temperatura, anche perché, tra l’altro, l’aria fuori si stava facendo abbastanza umida.
Quella conversazione gli aveva dato sui nervi, si era incazzato e l’aveva aggredita un’altra volta. Stava bruciando dal senso di colpa.
Lei era così ingenua e tutto, dal suo punto di vista, poteva essere così semplice... ma non era stupida. Sapeva guardare a fondo nelle cose. Aveva indovinato su suo padre, dannazione. Aveva capito cosa pensava di Nick, dei suoi nipoti… e di quella rottura di palle del traffico d’armi. Probabilmente, avrebbe potuto scoprire anche altre cose su cui lui non voleva neanche riflettere.
Ingenua o no, una ragazza del genere doveva essere abituata ad aver a che fare con gli stronzi. Si soffermava sui dettagli.
Forse, in un’altra vita, è stata un bravo segugio.
Dopo aver perso alla gara di sguardi con lo specchio, tornò in corridoio e vide suo fratello sulla soglia della camera da letto. La stanza puzzava terribilmente di fumo.
Merle tossì lievemente prima di sorridergli, come se la conversazione di prima non ci fosse mai stata.
“Hai qualche dollaro in tasca, fratellino? Stavo pensando di prendere qualcosa strada facendo, sto diventando matto.”
Strada facendo?”, Daryl aggrottò le sopracciglia.
“Sembra che tutto si sia risolto.” Merle scrollò le spalle e si appoggiò allo stipite della porta, che scricchiolò sotto il suo peso. “Doveva succedere, prima o poi.”
Sentì le voci degli altri provenire dal soggiorno e si voltò in quella direzione.
Ovviamente, suo fratello non ci pensò due volte prima di interromperlo.
“Dovresti salutare la tua amica. E, cazzo, vedi di combinare qualcosa quando ne hai l’occasione.”
Nel vano tentativo di fingere di non averlo sentito, Daryl cominciò a camminare, senza voltarsi a guardarlo.
Arrivò in soggiorno giusto in tempo per vedere di sfuggita la chioma bionda di Beth svanire in cucina. Sentì la porta del retro aprirsi: stava andando a prendere le sue amiche.
“Il tizio della 708 si è arreso. Quel povero bastardo è uscito e l’hanno portato via”, lo informò Andy.
“Non lo definirei proprio povero.” Evan lanciò uno sguardo d’intesa a Nick, che lo ricambiò con un ghigno.
“Non cantate vittoria troppo presto, gli sbirri sono ancora nei paraggi”, li avvertì Jeremiah. “Come sai che quel tizio manterrà la parola?”
“Rilassati, si comporterà bene...”
Nick si zittì non appena vide Minnie e Karen entrare nella stanza. Avevano dell’erba tra i capelli e lo stesso sorrisetto euforico stampato in faccia. Si fiondarono sulla finestra, ansiose di poter uscire.
Beth doveva essere rimasta in cucina. Daryl si sporse quanto bastava per poterla osservare mentre frugava nei mobili e nei cassetti. Tirò fuori una penna e si assicurò che scrivesse facendosi un segno rapido sul polso, poi prese qualcosa su cui scrivere dal tavolo. Aveva appena cominciato a scarabocchiare qualcosa quando Merle fece il suo ingresso in soggiorno, costringendolo a staccare gli occhi dalla ragazza.
“Gli sbirri se ne sono andati?”, gridò.
“Ancora no. Sono lenti”, rispose Nick, sforzandosi di sembrare tranquillo.
“In realtà sembra che ce ne siano di più rispetto a prima”, aggiunse Evan.
“Luke e Leon sono a una ventina di minuti da qui”, disse Minnie a Karen, guardando lo schermo del cellulare.
“Non vi sembra che quei tre... stiano venendo qui?”, chiese Nick, cambiando completamente espressione.
“No, sei solo paranoico...”, Jeremiah lo raggiunse accanto alla finestra, ma dovette ricredersi. “Ah, cazzo, hai ragione.”
Il ragazzo indietreggiò, respirando profondamente. Chiuse gli occhi e scosse la testa, come se fosse tutto quello di cui avesse bisogno per tornare in sé.
“Nick, perché non ti siedi e cerchi di calmarti?”, disse poi.
Ora lo sguardo colpevole di suo zio era più che evidente. Stava sudando e Daryl pensò che stesse sul punto di dare di matto.
“Dategli qualcosa da bere”, s’intromise Merle.
Fu Beth ad obbedire, prendendo una birra dal frigo ed entrando finalmente in soggiorno. Qualsiasi cosa fosse stata così determinata a scrivere, non aveva cambiato la sua espressione. Porse la birra a Nick.
“Grazie.”
L’uomo cominciò a muovere compulsivamente la gamba, battendo ripetutamente il piede contro il pavimento. Nello stesso istante in cui Evan gli diede un colpetto per fermarlo, il campanello suonò.
Merle si schiarì la gola, si avvicinò alla porta e girò la maniglia.
“Agente, Agente Speciale, signora”, disse a mo’ di saluto, con una voce così ingannevolmente gentile e smielata che a Daryl venne voglia di scoppiargli a ridere in faccia.
“Vi dispiace se entriamo?”, chiese l’agente federale.
“Prego”, Merle fece un passo indietro.
L’Agente Shane e l’agente federale entrarono in casa a passo lento, cosa che sembrava disturbare molto la donna che li seguiva. Era Maggie Greene, la sorella maggiore di Beth.
Quando entrambi furono abbastanza lontani, Maggie si fiondò in casa, con gli occhi che bruciarono di rabbia non appena entrarono in contatto con quelli della sorella. Per qualche secondo, sembrava che non sapesse che dire, che non sapesse se mostrarsi contenta o arrabbiata. Sibilò qualcosa a denti stretti e scosse la testa.
“Hey Maggie”, sussurrò Beth, imbarazzata. “Sei mancata anche a me.”
Senza degnarla di una risposta, sua sorella si voltò e incrociò le braccia, squadrando l’agente federale dalla testa ai piedi.
“Tutto quello che posso dire è che siete stati dannatamente fortunati che si sia arreso. Non sono ancora convinta che potevate fare una cosa del genere, avrei dovuto controllare.”
“Sarebbe stata solo una perdita di tempo”, la informò l’Agente, quasi totalmente disinteressato a quell’affronto. “Ma, hey, ognuno fa quel che deve.”
L’uomo si voltò verso Beth. “Beth Greene?”
“Sì?”
“Sono l’Agente Speciale Rick Grimes e volevo solo assicurarmi che stessi bene, ho saputo di quel piccolo incidente nei boschi.”
Senza pensarci come avrebbe dovuto, Daryl si mise subito sulla difensiva.
“Non credo che l’FBI si occupi di queste cose.”
Nella stanza calò il silenzio.
Qualcuno si aspettava che almeno le ragazze, ancora strafatte, ridessero per allentare un po’ la tensione, ma persino loro s’immobilizzarono sul posto. Tutti stavano guardando l’Agente Grimes senza battere ciglio in attesa di qualche reazione, fatta eccezione per Maggie e Daryl, che si scrutavano a vicenda. Era evidente che lei stava fremendo dalla voglia di prenderlo a pugni. Forse era la presenza della polizia a trattenerla, o i lividi che gli aveva già procurato l’Agente Shane. In ogni caso, Daryl era abbastanza sicuro che la sorella di Beth lo odiasse.
“Tu devi essere il gentiluomo coinvolto.” L’Agente Grimes studiò volutamente il volto di Daryl, soffermandosi sulla medicazione che aveva sul sopracciglio.
“Non è successo niente”, disse Beth con convinzione.
“Beh, conoscete le regole.” L’Agente annuì, ma si avvicinò pericolosamente a Daryl. Probabilmente, si aspettava che indietreggiasse, ma lui non si mosse di un centimetro. “Io mi occupo di quello che voglio, è così che funziona.”
Rick Grimes era bravo a intimidire la gente. Non staccava gli occhi da quelli di Daryl.
“Davvero, sono stata stupida e lui mi ha solo impedito di disturbare i tuoi agenti… avete frainteso.”
Beth si era messa tra loro. In qualche modo, era riuscita ad attraversare l’intero soggiorno senza che nessuno se ne accorgesse. Non voleva averla troppo vicina, soprattutto sotto lo sguardo di tutta quella gente e con sua sorella maggiore che lo stava scuoiando con lo sguardo.
“Come immaginavo”, disse l’Agente Grimes, senza abbassare lo sguardo su di lei.
Dopo qualche secondo, si decise a staccare gli occhi dal volto di Daryl per rivolgersi al resto dei presenti. “Ci dispiace se questa situazione vi ha creato dei problemi, abbiamo cercato di risolverla il prima possibile.”
“Ci siete riusciti. Buon lavoro, Agenti”, rispose Evan.
L’Agente Grimes annuì e cominciò a dirigersi verso la porta, seguito dall’Agente Walsh. Si fermarono più del previsto a perdere tempo sul vano della porta, probabilmente solo per farli cagare sotto.
L’Agente Shane non aveva detto nulla per tutto il tempo, ma Daryl aveva notato la postura rigida e la vena sul collo che era sul punto di esplodere. Infatti, una volta fuori, sembrava aver ritrovato la lingua, perché cominciò ad inveire sonoramente contro il suo collega.
Maggie chiuse silenziosamente la porta e si voltò a guardare sua sorella con le braccia conserte. “Mi hai spaventata a morte.”
Dopo aver tirato un respiro profondo, Daryl liberò i bottoni della sua camicia dai capelli biondi della ragazzina, cercando di recuperare i suoi spazi.
Senza parole, Beth raggiunse sua sorella e l’avvolse in un abbraccio. Anche se Maggie era chiaramente furiosa, ricambiò la stretta, continuando a fissare Daryl oltre la sua spalla.
“Hey, non c’è bisogno di essere così melodrammatici”, Merle disturbò la loro riunione con una risata. “Abbiamo avuto tutti un po’ di seccature stasera, dolcezza, ma tua figlia è stata al sicuro."
Sorella!”, lo corressero all’unisono le due, insieme a Minnie e a Karen.
“Come vi pare.”
“Merle, ha ventiquattro anni...”, gli disse Beth, indignandosi al posto di sua sorella.
Maggie fece un cenno con la testa a Minnie e a Karen, cercando di nascondere la sua espressione disgustata. “Vi serve uno strappo?”
“No, i miei cugini saranno qui tra poco, ce lo devono”, rispose Minnie.
“Okay”, Maggie annuì, chiaramente sollevata per il loro rifiuto, poi si rivolse a Beth. “E meglio andare, la mia Saturn è a un mezzo miglio da qui.”
“Possiamo darvi un passaggio”, s’intromise Daryl.
La maggiore delle Greene indossava un paio di belle scarpe nere dal tacco non troppo alto. Non sembravano scomode come quelle di Minnie e Karen, ma sicuramente non erano il massimo per fare tutta quella strada a piedi. Dal modo in cui le sue labbra si erano curvate, Daryl pensò che stesse per mandarlo al diavolo una volta per tutte, ma, con sua grande sorpresa, annuì.
“Bene, andiamo.”
Beth rivolse un saluto generale a tutti. Nel tragitto verso la porta, sentì Minnie bofonchiare un buon compleanno e le altre voci le fecero eco.
Quando i fratelli Dixon e le sorelle Greene uscirono da quella casa, era chiaro che le cose a Kelly Jo Ave stavano tornando alla normalità. C’era ancora qualche volante in giro, ma bene o male la strada era aperta e le persone potevano finalmente tornare nelle loro case o uscire a seconda delle proprie necessità.
L’Agente Speciale Rick Grimes e L’Agente Shane Walsh erano rimasti esattamente come l’ultima volta che Daryl li aveva visti attraverso la finestra del soggiorno. Anche da una certa distanza, era evidente che si stavano impegnando in una discussione molto accesa.
Daryl si chiese di che matrice fosse il crimine commesso dal tizio della 708 per arrivare a coinvolgere l’FBI e quale affare avesse fatto con Nick prima di costituirsi. Se lui e Merle avessero portato a termine il lavoro, avrebbe potuto strappare qualche informazione a Evan e a Jeremiah per saperne di più, ma, solo al pensiero di quella faccenda, lo stomaco gli si contorse. Non gli era mai successo.
Perché Beth doveva andarsene dopo avergli detto quelle cose?
Non aveva una bella sensazione a proposito già prima di incontrarla, ma tutta quella preoccupazione da parte sua gli stava per far venire un infarto. L’aveva guardato con quei suoi occhioni innocenti come se avesse già immaginato la situazione andare nel peggiore dei modi. Questo fattore in particolare, misto all’insolita insistenza di Merle, non aveva migliorato le cose.
Sei intelligente. Sai nasconderti dalla polizia, prenderti cura di te, ma non sei abbastanza intelligente da rendere la tua vita più semplice lavorando onestamente.”
A dispetto di se stesso, ripensando alla sua espressione incazzata mentre pronunciava quelle parole, si fece scappare un sorriso. E così pensava che anche lui avesse il diritto di farsi una vita? E quindi? Perché il parere di una ragazzina avrebbe dovuto fargli cambiare idea?
Quando raggiunsero il marciapiede dirimpetto, dove lui e Merle avevano parcheggiato la moto nel pomeriggio, si voltò per vederla arrivare. Visibilmente entusiasta all’idea di salire sulla sua moto, quasi saltellava al posto di camminare, con un piccolo sorriso ad illuminarle il volto.
Era troppo tardi. Il parere di quella ragazzina gli aveva già fatto cambiare idea.
Questo, però, non cambiava la sua decisione. Merle era determinato a farlo ed era già stato tutto deciso, non si sarebbe tirato indietro. Tuttavia, avrebbe potuto pensare di ricominciare daccapo dopo il lavoro.
“Maggie, è tutto ok?” Beth rivolse a sua sorella uno sguardo implorante.
Evidentemente, non era l’unico a preoccuparsi di suo fratello.
Maggie, che non smetteva di guardare apprensivamente la vecchia moto di Merle, sembrava sul punto di dire di no, ma poi annuì e cominciò a salirci.
“Ho sempre pensato che tra noi due, sarei stata io quella con gli amici motociclisti”, disse a bassa voce, nel vano tentativo di farsi sentire solo da sua sorella.
In tutta risposta, il sorriso di Beth si allargò e le sue guance si colorarono di rosso.
“Non prenderla a male, dolcezza, ma credo che dovresti alzare un po’ quella gonna”, disse Merle, facendole l’occhiolino.
Facendo del suo meglio per ignorarlo, Maggie si sfilò le scarpe e, tenendole con una mano, salì sulla moto, aggiustandosi la gonna il più velocemente possibile. Lanciò un’occhiataccia a Beth, che nel frattempo stava tentando di soffocare una risata.
Quando Daryl alzò il cavalletto e accese il motore, Beth si posizionò dietro di lui, avvolgendogli le braccia intorno alla vita. Osservò le sue piccole mani aggrapparsi alla sua camicia e, ancora una volta, il suo petto fu invaso da uno strano calore. Non era necessario che gli stesse così vicina. Teneva la guancia premuta contro la sua spalla e lo stringeva con forza. Forse era per prudenza, forse per paura, ma gli ricordò inevitabilmente il primo abbraccio che gli aveva dato.
Superarono più in fretta che potevano l’Agente Walsh e la sua squadra, allontanandosi dalle case che si trovavano in prossimità dell’inizio del bosco. Raggiunsero il punto in cui la Saturn dorata era parcheggiata prima del previsto e, anche se non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce, Daryl avrebbe voluto che quel giro in moto potesse essere durato un po’ di più.
Maggie scese frettolosamente dalla moto di Merle e raggiunse a piedi nudi la sua auto con un rapido e pungente grazie. Beth, invece, appena toccata terra, si voltò verso il maggiore dei Dixon e gli rivolse un sorriso.
“Grazie per aver tenuto d’occhio le mie amiche.”
“Non c’è di che, bambolina”, le rispose ad alta voce, cercando di sovrastare il rombare del motore. Accarezzò il terreno con i piedi e si diede lo slancio per allontanarsi di qualche metro.
Se non fosse stato Merle, Daryl avrebbe interpretato quel suo allontanamento come un semplice gesto di cortesia per dar loro un po’ di privacy per salutarsi, ma, dal momento che era sicuramente Merle, il suo fratello maggiore rozzo e sfacciato, capì che si era allontanato di tutti quei metri perché era impaziente di andarsene. E, tra l’altro, non sembrava essere l’unico: Maggie era già salita in macchina, aveva già acceso i fanali e il motore e probabilmente dopo non molto tempo avrebbe anche cominciato a suonare il clacson, ma Beth era rimasta in piedi accanto alla sua moto. S’infilò la mano nella tasca posteriore dei jeans e gli mostrò il jolly del mazzo di carte di Andy. Senza dare spiegazioni, glielo porse. Daryl riuscì solo a notare con una rapida occhiata che c’era scritto l’indirizzo della fattoria.
“Grazie… per avermi aiutata.”
“Mhmh”, riuscì solo a dire, conservando la carta in una delle sue tasche.
“Per favore, vieni.”
Beth poggiò una mano sul manubrio della moto, si alzò leggermente sulle punte e gli stampò un bacio sulla guancia.
Era stata così veloce che se avesse sbattuto le palpebre non l’avrebbe neanche vista.
Incapace di reagire, riprese a respirare solo quando la vide sparire nell’auto di sua sorella, che schizzò via nell’oscurità di fronte a loro.
Se si fosse permesso anche solo di immaginare come sarebbe stato farsi sfiorare da quelle labbra così morbide, non si sarebbe mai aspettato una sensazione simile. Era come se il sole fosse risorto a schiacciare il buio della notte solo per quella frazione di secondo.
Il fatto che se ne fosse andata in fretta da lì poteva essere solo un bene. Se fosse rimasta un secondo di più, non sapeva che cosa avrebbe fatto.
Nel frattempo, Merle tornò indietro per raggiungerlo, gettandogli qualcosa in piena faccia.
“Un souvenir per te.”
Quando si liberò da quel tessuto aggrovigliato, non ebbe bisogno di osservarlo per capire che si trattava della camicetta strappata di Beth.

 

● ● ●

 

Se non ci fossero stati Merle e Maggie, se fossero stati da soli, di certo non l’avrebbe baciato sulla guancia. Avrebbe usato tutta la sicurezza che aveva in corpo per gettargli le braccia al collo e per invogliarlo a baciarla proprio come lei avrebbe voluto. Per un istante, quando erano lì, fermi sul ciglio della strada, aveva quasi superato il timore che lui pensasse che era solo una stupida ragazzina con una stupida cotta.
Sarebbe mai venuto alla fattoria? Non poteva saperlo, ma ci sperava.
Il viaggio di ritorno non fu per niente come Beth si aspettava. Aveva pensato che lei e Maggie si sarebbero urlate addosso per i primi dieci minuti e poi avrebbero risolto con il solito è tutto ok. Dopodiché, sua sorella avrebbe preteso un resoconto dettagliato della serata e ne avrebbero riso insieme fino all’arrivo a casa.
Invece, Maggie non mise insieme due parole in croce. Non l’aveva mai vista così, non si era mai comportata in quel modo con lei prima d’ora. Che fosse davvero arrabbiata o solo distratta dai suoi pensieri, in ogni caso, non la degnò di uno sguardo. Beth le raccontò tutto ciò che era successo quella sera senza ottenere nessuna reazione. Maggie si limitò semplicemente ad annuire, a controllare lo specchietto retrovisore e a tenere gli occhi sulla strada.
“Sei avvero così arrabbiata?”, le chiese, mentre parcheggiava la Saturn di fronte alla fattoria.
“No.”
Sembrava sincera, ma non aveva nessun altro motivo per trattarla in quel modo. Era scesa dalla macchina mentre Beth ancora armeggiava con la cintura ed era corsa direttamente a salutare i suoi genitori, Otis e Patricia.
Aveva valutato la possibilità che avrebbe potuto raccontargli tutto, trasformando quella serata in un inferno. Ma, quando entrò in casa, trovò tutto come l’aveva lasciato. Sua madre la strinse in un abbraccio, confessandole che le piaceva la sua nuova camicetta, e, quando le disse che sembrava davvero stanca, Beth colse la palla al balzo per salire in camera sua e mettersi a letto.
Otis disse qualcosa sul perché la serata fosse finita così presto, ma fece finta di non aver sentito, sperando nell’aiuto di Maggie la mattina seguente. Era proprio curiosa di sapere che scusa si sarebbe inventata per spiegare il suo arrivo anticipato.
Finalmente a letto, sentì il vociare del piano di sotto dissolversi lentamente. Prima che la luce del corridoio si spegnesse, vide un’ombra fermarsi fuori la porta. Sapeva che era Maggie. Restò lì immobile per qualche secondo, per poi spegnere la luce. Sentì i suoi passi farsi sempre più lontani.
Il suo sguardo si posò sulla sveglia, le cui lancette stavano per segnare l’inizio del suo compleanno.
Pensò a Daryl. Sembrava che tutto quello che gli aveva detto sul lavoro non l’avesse toccato minimamente. Non voleva neanche ascoltarla, e come poteva biasimarlo? Si erano appena incontrati e già gli aveva chiesto di cambiare. Più ci pensava, più se ne vergognava.
Ciò non toglieva che avrebbe fatto bene a lasciar perdere quello stile di vita. Forse un giorno avrebbe ripensato alle sue parole, avrebbe piantato in asso quegli idioti dei suoi amici e… e poi? Avrebbe rigato dritto? Si sarebbe stabilito?
Lei ci credeva davvero, ma se doveva completamente essere onesta con se stessa, non era quello il motivo principale per cui gli aveva scritto l’indirizzo della fattoria di suo padre.
Sapeva che sarebbe scomparso. Sapeva che si sarebbe fatto uccidere lì in Messico o che magari sarebbe caduto dalla moto, o che semplicemente avrebbe vagato per la Georgia per tutta la vita e non l’avrebbe mai più rivisto. Lei, d’altra parte, non aveva intenzione di restare alla fattoria per sempre. Probabilmente si sarebbe trasferita ad Atlanta, come Maggie.
Vivevano su due pianeti completamente diversi, ma in qualche modo voleva che si incrociassero ancora. L’unico problema era che anche lui avrebbe dovuto volerlo.
Potrebbe volere me.
Scacciò quel pensiero affondando la testa nel cuscino, anche se non c’era nessuno a guardarla. Non si era mai sentita così immatura come in quel momento, stava lasciando che la sua mente viaggiasse troppo lontano, distorcendo la realtà. E la realtà era che lui non aveva mostrato in alcun modo di voler avere qualcosa a che fare con lei, se non per impedirle di fare stupidaggini. Aveva tollerato i suoi abbracci e i suoi interrogatori, ma quando l’aveva baciato era diventato di nuovo una statua. Aveva volutamente evitato di guardarlo negli occhi per paura di vederci del fastidio.
Probabilmente, in quel momento era da qualche parte a penare a quanto fosse contento di essersi liberato di lei, ammesso che addirittura ci pensasse.
Beth si addormentò prima che l’orologio segnasse la mezzanotte. Aveva ancora diciassette anni.

 

● ● ●

 

Se avesse detto a Merle del lavoro che Beth gli stava offrendo, non avrebbe voluto neanche ascoltarlo. Le probabilità di un eventuale rifiuto da parte sua erano altissime, ma, d’altro canto, quella poteva essere la sua unica occasione per rivederla.
Non doveva importargli così tanto, vederla gli avrebbe creato solo altri problemi, ma era come se non riuscisse a pensare a nient’altro di così bello. Tra l’altro, non era mai stato quel tipo di uomo.
Perché diavolo l’aveva baciato?!
In realtà, l’aveva a malapena sfiorato, ma riusciva a sentire ancora le sue labbra premute contro la sua guancia. Avrebbe preferito che non si fosse fermata lì. A tratti, cominciò a desiderare di essere quel tipo di uomo.
Quella notte e la mattina seguente non aveva parlato molto con suo fratello, ma lui non sembrava preoccuparsene più di tanto. Merle, infatti, parlava abbastanza per entrambi e Daryl lo lasciava fare. Almeno c’era qualcosa a riempire l’aria oltre al fumo delle sigarette e all’odore di whiskey.
Sembrava in fibrillazione. Camminava avanti e indietro per la loro baracca, straparlava e, in quei pochi minuti di silenzio, tossiva.
Daryl, invece, se ne stava steso sul loro vecchio divano ad ascoltarlo, con una mano a proteggergli gli occhi dalla luce del sole.
“Fumi troppo quando sei stressato, fratellino.”
Merle gli sfilò la sigaretta che gli pendeva dalle labbra per rubargli qualche tiro. Si sedette sul bracciolo del divano, accanto alla testa del fratello, e si appoggiò allo schienale.
“Sei pronto per stasera o no?!”, gli chiese bruscamente, con una nota di preoccupazione nella voce.
“Non dobbiamo farlo per forza”, mormorò Daryl, “è una stronzata. E poi, quelli ti stanno sul cazzo quasi quanto stanno sul cazzo a me.”
“I loro soldi sono a posto.” Merle gli rivolse un sorriso che si trasformò in un colpo di tosse non appena espulse una nuova nuvola di fumo.
“Ma potremmo fare qualcos’altro.”
“Ah sì? E cosa?”
Daryl esitò per qualche secondo, ma poi tirò fuori la carta di Beth dalla tasca. Era stropicciata, ma l’indirizzo che aveva scritto intorno alla sagoma del jolly era ancora perfettamente leggibile. Suo fratello, con la fronte aggrottata e la bocca semiaperta, gliela strappò da mano e cominciò a studiarla.
“...Che cazzo è?”
“Il padre della ragazzina cerca qualcuno che gli dia una mano alla fattoria… quanto tempo è passato dall’ultima volta che abbiamo fatto una cosa del genere? E poi, una paga regolare non sarebbe per niente male.”
Merle si raddrizzò per poterlo guardare meglio.
“Cazzo, fratellino, non pensavo che il tuo dannato culo le piacesse così tanto.”
Ridendo sguaiatamente, scivolò via dal bracciolo del divano e, dopo un’ultima boccata, lanciò il mozzicone ancora acceso verso un angolo qualsiasi della casa.
“Sai, non è proprio una cattiva idea”, sghignazzò, passandosi la carta tra le mani. “Potrebbe anche andare bene… peccato che il vecchio fattore a un certo punto ti caccerà a calci in culo dalla sua proprietà per esserti scopato sua figlia. Era da anni che non sentivo una storia del genere… è un classico. Sì, perché no? Magari dopo il lavoro con Jer e i suoi uomini.”
Gli rilanciò la carta, che atterrò sul pavimento polveroso.
Daryl, ignorando tutte quelle divagazioni, preferì soffermarsi sulle sue ultime parole.
“Perché dopo?”, chiese con un sussulto, mettendosi a sedere. “Perché non ci dimentichiamo questa storia delle armi?”
Merle si voltò con un’espressione di evidente disagio. “Dobbiamo farlo. Ci servono quei soldi.”
Finalmente, aveva fatto centro. Ci sarebbe potuto arrivare anche prima se non fosse stato troppo distratto da Beth Greene e da tutto quel casino con gli sbirri.
“Sei in debito con qualcuno?”
Continuò a fissarlo, in attesa di una reazione.
Dopo un respiro profondo, Merle tornò rigido e sicuro come sempre, e cominciò a parlare di quella faccenda come se fosse successa a un’altra persona un sacco di anni prima.
“Più o meno. Ti ricordi quando un paio di mesi fa, dopo il lavoro, non ci siamo visti per circa due settimane? Beh, potrei essere andato a farmi un giro ad Atlantic City.”
“Atlantic City?”, ripeté Daryl, confuso. “Ma tu non giochi d’azzardo.”
“Beh, a quanto pare, l’ho fatto”, rispose con una smorfia. “E avevo davvero bisogno di farmi… molto più di quanto immagini. Ad ogni modo, mi hanno prestato dei soldi e devo restituirli il prima possibile.”
Daryl si prese la testa fra le mani, strofinandosi gli occhi con i palmi.
“Avrei potuto dirtelo, lo so.”
Per assurdo, sembrava quasi che Merle gli stesse chiedendo scusa. E ancora di più per assurdo, Daryl quasi accettò le sue giustificazioni.
“Già, magari.”
Dopo aver tirato un respiro profondo, si liberò il viso dalle mani. La prima cosa che vide, abbandonato sul pavimento tra i suoi piedi, fu il jolly su cui Beth gli aveva scritto l’indirizzo della fattoria. Alzò rapidamente la testa per affrontare suo fratello.
“Non provare a guardarmi in quel modo”, ringhiò Merle, “anche tu hai preso della roba, fratellino, e non puoi guardarmi così solo perché hai gusti diversi dai miei. Quindi, anche se non hai mai toccato la meth o la coca, devi levarti quella fottuta espressione dalla faccia. Non ho mai perso il controllo, ho solo avuto una nottata del cazzo!”
Daryl annuì, ma non gli staccò gli occhi di dosso. Se si sentiva in colpa per averlo trascinato in quel dannato casino, era un problema suo e non aveva alcuna intenzione di rassicurarlo. Si chinò per recuperare il jolly e se lo rimise in tasca.
“Allora lo faremo. Hai un’altra sigaretta?”

 

● ● ●

 

Ebbe la sensazione di aver fatto un bel sogno, ma non lo ricordava. Cercò di aggrapparsi a quella piacevole sensazione ormai lontana ad occhi chiusi, mentre ascoltava il resto della casa smuoversi dal sonno e gli uccelli che avevano già cominciato a cantare. La luce del sole le batteva sulle palpebre, ma non aveva intenzione di aprirle. Restò in quello stato di trance finché non sentì qualcuno bussare alla porta, venuto a ricordarle che era il suo compleanno.
Maggie era già vestita, le rivolse un sorriso assonnato mentre richiudeva la porta alle sue spalle.
“Buon compleanno!”
Si sedette accanto a lei, avvolgendole la vita con un braccio.
Beth ricambiò il sorriso, ma non disse nulla. Si sentiva ancora un po’ a disagio per il silenzio gelido che le era stato rivolto la sera prima, e anche lo sguardo di sua sorella sembrava dire lo stesso. Magari, alla fine, si sentiva in colpa. Quindi decise di rompere il ghiaccio.
“Vieni in chiesa?”
Maggie fece una smorfia. “Non lo so.”
“Faresti felice papà, e poi… è il mio compleanno, ed è meglio che papà sia di buon umore!”, rispose, sbattendo le ciglia.
Lo sguardo di Maggie si allacciò al suo per qualche secondo e fallì miseramente nel suo tentativo di mantenersi seria, accennando una risata.
“Hai vinto, verrò. Però non ho un vestito adatto.”
“Il completo da avvocato di ieri andrà bene”, disse Beth dolcemente.
“Non sono un avvocato”, rispose sua sorella con un sospiro di sollievo, “grazie a Dio… anche se l’ho fatto credere alla polizia e all’FBI”, ammise in un sussurro, per poi ridere di nuovo.
“Che cosa?!”
Beth aveva alzato la voce più del previsto, ma Maggie continuò a sorridere. “Ssh!”
“Hai mentito?!”
“Non proprio. Ho solo detto che stavo tornando dall’ufficio, il che era vero. Poi ho fatto il nome di Andrea e loro evidentemente hanno pensato che fossi lì a rappresentarla o che lavorassi con lei, ma non ho mai detto esplicitamente di essere un avvocato”, fece le spallucce.
“Questo è comunque mentire”, ribatté Beth.
“Tecnicamente… è raggirare”, ammise, mordendosi il labbro. “Ma ero in ansia per te. Volevo tirarti fuori da lì il prima possibile e, se non avessi fatto così, non mi avrebbero mai presa sul serio.”
Per qualche interminabile minuto non dissero niente. Maggie tracciava con le dita il motivo floreale della coperta, mentre Beth era concentrata ad ascoltare i rumori provenienti dalla cucina e a vedere qualche vago movimento dalla finestra, segno che già avevano cominciato a lavorare.
Quando posò di nuovo lo sguardo su sua sorella, notò che il suo sorriso stava iniziando a svanire lentamente e scorse nei suoi occhi la stessa apprensione che li aveva tormentati la scorsa notte.
“Mi dispiace di averti fatta spaventare così tanto”, disse Beth.
E, forse per la prima volta, le dispiaceva davvero. Non avrebbe dovuto coinvolgerla, sarebbe andato tutto bene senza chiamarla.
“Beth, posso dirti una cosa?”, Maggie la guardò intensamente, “Prometti che non ti arrabbierai?”
“Uh...sì”, rispose, senza neanche prendersi del tempo per pensare se avrebbe dovuto preoccuparsi di quello che doveva dirle o no.
“Le tue amiche sono veramente stupide. Non le sopporto.”
Lo disse con una tale serietà che Beth scoppiò di nuovo a ridere, contagiando in pochi secondi anche lei.
“Dico sul serio, sono delle complete idiote”, continuò, cercando di trattenere le risate, “non ho mai capito perché te la fai con loro.”
“Ti ricordi dei tuoi amici del liceo?”
Maggie arrossì lievemente e, tentennando, annuì. “Già, erano degli imbecilli anche loro, lo ammetto.”
Beth si strinse nelle spalle. “Non ti so dire, sai com’è. Viviamo in una piccola cittadina, c’è poca gente, ci conosciamo praticamente da sempre...”
“Ma tu stai crescendo… e loro no.”
Contraendo le labbra, annuì lentamente, mentre Maggie prese a guardarsi le mani, ancora strette sulla sua vita.
“Scusami per ieri sera. Ho avuto un sacco di pensieri per la testa ultimamente e il fatto che tu fossi bloccata in quel covo di drogati era già strano e difficile da metabolizzare di per sé… e poi quando hai baciato quel tizio, Daryl, credo di aver perso leggermente il controllo.”
“Sulla guancia.”
Il suo viso si colorò di un rosso sempre più intenso, tradendola.
In tutta risposta, Maggie le lanciò un’occhiata colma di disappunto, accentuata da quel sorrisetto che faceva ogni volta che la capiva al volo. E Beth, nelle gare di sguardo con i suoi fratelli, perdeva sempre.
“Lui ti piace, non è vero?”
Non era una vera domanda, ma un’osservazione, e Beth non riuscì a raccogliere un po’ del suo buonsenso per mentirle subito, così si limitò a fare una sorta di scrollata di spalle.
“E’ molto più grande di te.”
“Già, me ne sono accorta”, ammise atona, cominciando a torturarsi il labbro inferiore quando un piccolo dettaglio che non aveva riferito a sua sorella sulla via del ritorno in macchina le riaffiorò in mente.
Come se fosse stata in grado di percepirlo, Maggie aggrottò le sopracciglia. “Che c’è?”
“Gli ho detto di venire alla fattoria.”
Non aveva specificato cosa ci facessero lui e Merle in quella casa, le aveva solo confessato che erano coinvolti in qualche affare illegale. Aveva promesso a Daryl che non avrebbe parlato a nessuno del traffico d’armi, e così aveva fatto, ma si era sentita in dovere di accennare almeno a quel particolare.
“Gli ho chiesto di lavorare qui.”
Sua sorella scosse la testa, implorandola con lo sguardo. “Ti prego, Beth… dimmi che non è vero.”
“Perché? Se non dovesse riuscire a trovare un lavoro legale, finirà col fare qualcosa di… pericoloso con Merle.”
Maggie non aveva alcuna voglia di litigare. La sua risposta fu ferma e autoritaria, ma anche tranquilla e venata di una certa compassione.
“Non puoi salvarlo.”

 

● ● ●

 

Le sirene ormai erano lontane. Il rumore della pioggia battente risuonava nelle sue orecchie più forte di ogni altra cosa, fatta eccezione per il suo battito impazzito.
Era il pieno della stagione delle piogge, l’acqua proveniva da ogni direzione, gli colpiva il viso, inzuppava ogni centimetro dei suoi vestiti e infangava il terreno sotto i suoi piedi. Ma era riuscito a seminarle.
Per fortuna, gli sbirri non avevano i cani e la pioggia avrebbe cancellato presto le sue tracce. Per l’ennesima volta, poteva riuscire a essere un fantasma.
I suoi piedi continuarono ad affogare nel fango fino alla fine del bosco, dove si fermò davanti a un fosso. Era zuppo d’acqua, ma non vedeva altra via d’uscita. Così, dopo essersi preparato psicologicamente per il tempo di un mezzo battito cardiaco, si stese sul terreno e cominciò a strisciare. L’unica cosa positiva era che, ricoperto da tutta quella melma di erba e fango, nessuno l’avrebbe notato. Infatti, le volanti stavano andando nella direzione opposta, dritte verso il luogo del delitto da cui lui stava fuggendo.
Anche se ne aveva bisogno, non si fermò a riprendere fiato. Aveva i polmoni in fiamme. Era uno di quei momenti in cui realizzava di fumare troppo. Avrebbe dovuto prendere seriamente in considerazione l’idea di smettere. Si toccò la cintura per controllare se avesse ancora la pistola, sperando che non gli fosse caduta durante la sua folle corsa.
La sua moto e quella di Merle erano a mezzo miglio da lui, nel punto in cui avevano incontrato Evan e Jeremiah poche ore prima, ma, quando arrivò, il suo cuore saltò un battito non appena notò che erano ancora gli unici due veicoli parcheggiati là fuori. La tavola calda era deserta, doveva aver chiuso da parecchio e non sembrava che ci fosse qualcuno ad aspettarlo.
Anche se era del tutto inutile, non poté fare a meno di gridare il nome di suo fratello. Lo fece per altre due volte, ma sapeva di essere più solo che mai sotto quella tempesta. Era scappato subito quando le cose avevano cominciato a mettersi male, ma, a quanto pareva, era stato l’unico.
Merle non era veloce come lui, ma era più fottutamente forte, furbo e violento. Magari Daryl si sbagliava, magari suo fratello non sarebbe finito di nuovo dentro.
Anche se voleva andarsene il più lontano possibile da lì, si sedette sul portico della tavola calda. Pensava di essere abbastanza a riparo, finché un getto d’acqua proveniente dal tetto non gli schiaffeggiò la faccia. La tempesta si era placata e l’aria era tornata a essere fresca e umida. Lo aspettò fino all’alba.
Fu l’inizio del primo turno alla tavola calda a spingerlo ad andarsene, anche se nessuno gliel’aveva chiesto esplicitamente. Sembrava un criminale senzatetto come non mai. Giunse alla conclusione che forse Merle era davvero stato arrestato di nuovo e quella volta non sarebbe durata poco. Oppure, era ancora per strada e per qualche ragione non era riuscito a tornare lì. C’era anche la possibilità che fosse rimasto ferito, oppure che…
Non volle pensarci per più di una frazione di secondo, che già era bastata a farlo crepare di paura. Decise di tornare con la moto di suo fratello e di lasciare la sua lì. Era messa meglio e poi, se le fosse successo qualcosa, Merle l’avrebbe ammazzato. Accese il motore e se ne andò, sperando che il giorno appena cominciato gli riservasse un destino migliore.

 

 

 

 

Nota d’autrice:
Lo so, non ho specificato cos’è successo a Daryl e Merle, ma lo farò venire a galla nei capitoli successivi. Per adesso, pensate solamente che Daryl è solo con l’indirizzo della fattoria in tasca. Fatemi sapere cosa ne pensate!

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Capitolo 8
*** Lupi e vagabondi / Sangue irlandese ***


XI. Lupi e vagabondi / XII. Sangue irlandese

 

 

Era mezzanotte passata quando Beth apportò le ultime modifiche al suo compito di storia. Non aveva alcuna intenzione di farlo la mattina seguente, aveva sempre pensato che la storia fosse una delle materie più difficili su cui fare un compito. Tra l’altro, la mattina era il momento più luminoso e felice della giornata, il suo preferito. Era quello che precedeva tutti gli errori quotidiani da cui non imparava mai niente, come del resto tutti gli esseri umani.
Rimase per ore da sola in cucina a leggere e a correggere il suo lavoro e, quando finalmente, facendo attenzione a non disturbare il silenzio che regnava in casa, era pronta a risalire nella sua stanza, la porta d’ingresso si aprì e Otis fece capolino in cucina. Aveva il respiro affannoso e il passo pesante.
“Stai ancora studiando?”, le chiese, aggrottando le sopracciglia. “Tuo padre ne sarà felice. E’ preoccupato per i tuoi voti, all’ultimo anno non hai un granché di tempo libero.”
“Già, lo sono anch’io”, rispose. Aveva sperato fino a quel momento che l’ultimo anno fosse proprio quello giusto per prendersi una pausa, ma forse Otis aveva ragione. “Tu che ci fai ancora in piedi?”
Indicò con un cenno del capo la finestra e poi, con uno sbadiglio, si fiondò nel frigo.
“Ci sono dei lupi nei paraggi. Io e tuo padre saremo di guardia fino a che non se ne andranno.”
Sembrava davvero esausto. Si strofinò gli occhi con entrambe le mani.
“Perché non vai a letto? Posso controllare che papà non si addormenti mentre continuo a rileggere il mio compito.”
In effetti non aveva fretta di finirlo, era lì solo perché avrebbe avuto una cosa da fare in meno. E poi, non aveva sonno.
Era il periodo del parto dei bovini e Otis era stato in piedi già tutta la notte precedente, ma, nonostante avesse gli occhi iniettati di sangue, scosse la testa.
“Non lo so.”
“E’ tutto ok. Dovrò pur ricominciare a fare qualcosa, prima o poi.”
Beth gli rivolse un sorriso colpevole. Era l’unica in quella fattoria a non avere particolari mansioni da svolgere. Tra la scuola e le ore trascorse a studiare per alzare tutti i suoi voti, non aveva neanche più il tempo di dare da mangiare alle galline. Eppure, quando aveva tempo, aveva sempre fatto quel che poteva.
“E va bene”, Otis annuì e le diede una pacca sulla spalla prima di andarsene, lasciando trasparire per la prima volta tutta la sua stanchezza. “E’ da quel lato del recinzione. Portagli qualcosa da bere e da mangiare.”
Raccolse quello che Otis aveva già preso dal frigo e si guardò intorno alla ricerca di qualcosa anche per lei. Un paio di mele e un po’ di granola fatta in casa da sua madre sarebbero andate più che bene.
Raggiunse suo padre alla fine della recinzione e cominciò ad osservarlo. Vederlo lì, imperturbabile, con quello che le sembrava il suo fucile da caccia in mano, le fece provare una malinconia che ormai le stava diventando familiare. Quando era stanco sembrava ancora più anziano e quella consapevolezza diventava giorno dopo giorno sempre più destabilizzante. Era ancora abbastanza forte da vivere per altri due secoli, ma le rughe sul suo volto le facevano sempre più paura.
Era in piedi tra due sedie a sdraio. Beth inizialmente non notò cosa ci fosse che non andava nella recinzione, del resto era da un po’ che non partecipava al lavoro della fattoria. Ma, con un po’ di attenzione, riuscì a calarsi di nuovo in quei panni.
Quando la sentì vicina, suo padre si voltò, inarcando un sopracciglio. Doveva essere sorpreso di vedere lei al posto del suo responsabile.
“Hai mandato Otis a letto?”
“Non gli ho dato scelta”, poggiò il suo zaino a terra e tirò fuori il cibo e l’acqua che aveva preso dalla cucina.
“Beh, forse è meglio così”, disse Hershel con un sospiro. “Era esausto… ma tu devi andare a scuola domani. Posso farlo anche da solo.”
In tutta risposta, Beth si sedette su una delle sedie a sdraio e gli sorrise. Suo padre aveva raggiunto la settantina e, col passare delle stagioni, aveva bisogno sempre di più ore di sonno, anche quando non poteva concedersele. Quella volta, per esempio, era sicura che l’aveva trovato in piedi perché non voleva addormentarsi e lasciare la sua postazione scoperta.
“Andrò a letto quando mi verrà sonno, promesso, ma per il momento non sono stanca. E poi, ho portato i libri.”
Si chinò di nuovo sullo zaino e afferrò il suo libro di storia. Era solo una recita, ma suo padre sembrò non farci caso. Fece finta di studiare il più a lungo possibile, ma finì presto per osservare suo padre combattere contro il sonno, anche quando quest’ultimo era sul punto di prendere il sopravvento. Non le aveva mai permesso di restare di guardia da sola, soprattutto perché non sapeva un bel niente di armi.
Hershel chiuse lentamente le palpebre, inclinando lievemente la testa, e lei fu costretta a svegliarlo.
“Lupi?”, chiese, nella speranza di tenerlo sveglio.
Beth non voleva far loro del male, si chiese addirittura come sarebbe stato vederne uno da vicino.
Suo padre aprì gli occhi di scatto, mettendosi subito sull’attenti.
“Un branco. Credo che vogliano vagare qui intorno per un po’, ma non lo faranno. Non posso permetterlo. Li abbiamo sentiti già qualche giorno fa, io e Otis. Stavano ululando non molto lontano da qui.”
Manco a farlo apposta, qualcosa si mosse dall’altro lato della recinzione, in lontananza. Un lieve fruscio attirò entrambi i loro sguardi nella stessa direzione.
“E’ sicuramente qualcosa di più piccolo e meno interessante”, la rassicurò suo padre, tenendo la presa salda sul fucile per ogni evenienza.
“Non sparerai ai lupi, vero?”
“No, a meno che non provino ad attaccare uno di noi o uno degli animali”, Hershel indicò l’arma con lo sguardo. “E’ solo il fucile antisommossa di Otis. Anche se colpissi una di quelle povere bestie, non farebbe molti danni. Serve solo a spaventarli, a fargli capire che i nostri animali non sono delle potenziali prede. Se faranno lo stesso anche nelle altre fattorie, il branco si sposterà altrove.”
Beth continuò a ispezionare l’oscurità circostante per qualche altro minuto prima di arrendersi all’idea che non avrebbe visto nessun lupo quella notte. Qualsiasi cosa si fosse mossa, ormai era lontana.
“La recinzione è completamente da rifare e, con questi nuovi turni di guardia notturni, credo che avremo bisogno di una mano.”
“Già”, rispose così a bassa voce che fece fatica a sentirsi lei stessa.
“Non è proprio il periodo giusto per cercare qualcuno che lavori per noi, ma io e Otis abbiamo intenzione di cominciare il prima possibile”, continuò suo padre, addentando una delle mele.
Aveva pensato più volte che Daryl avrebbe potuto presentarsi sul serio, ma, col passare dei giorni, si convinceva sempre di più che era molto più probabile che se ne fosse completamente dimenticato. Con un tuffo al cuore, pensò che a Maggie avrebbe fatto piacere. Le aveva scritto sia lunedì che martedì per chiederle di lui, e lei le aveva detto che, nel caso, si sarebbe premurata di farglielo sapere, a patto che giurasse di non dire nulla ai suoi genitori. Ma, a quanto pareva, quel messaggio non le sarebbe mai arrivato. Era passata quasi una settimana, doveva aver trovato qualcos’altro… sperò solo che non fosse il traffico d’armi in cui Jeremiah voleva coinvolgerlo.
“Va tutto bene, Bethy?”
“Sì, certo”, ripose, senza alzare lo sguardo dal suo libro di testo.
“E’ solo che… ho notato che non vedi i tuoi amici da una settimana. Non ti sento parlare di loro dal tuo compleanno, torni direttamente a casa tutti i giorni. Non ti fermi neanche più a chiacchierare con loro dopo la scuola, come hai sempre fatto. Parli poco, stai sempre chiusa nella tua stanza a leggere e a studiare.”
Beth sospirò profondamente. “Voglio solo far salire la mia media prima di diplomarmi.”
“Non ci hai litigato, vero?”, suo padre la guardò preoccupato, alzando le sopracciglia.
Lei ripose con una scrollata di spalle. Non avevano litigato, ma non li cercava più di tanto. Dopo tutto quello che era successo quella notte, era chiaro come il sole che lei e i suoi amici in realtà si stavano allontanando da mesi e non era necessariamente una cosa negativa. Non voleva offenderli, ma mantenere le distanze era sano e inevitabile.
“Beh, non posso di certo considerarli una grande perdita”, Hershel sorrise. “Ti sono grato per non esserti mai fatta influenzare dalla loro eccessiva indulgenza, come invece temevamo.”
Per qualche secondo, Beth restò in silenzio, bloccata, con lo sguardo fisso su suo padre.
“Tu sapevi quello che…?”
“Da chi pensi di aver ereditato la tua perspicacia, Bethy?”
Lei si voltò a guardare la casa, soffocando un sorriso.
“Hai ragione, da tua madre. Ma anche io non scherzo. E poi, con i tuoi amici è stato facile, molti dei loro vizi mi sono familiari”, si schiarì la gola, spostando il peso da una gamba all’altra. “Tutte le volte che sei tornata a casa dopo essere uscita con loro, ti puzzavano i vestiti, Bethy. Anche se so che tu non hai mai fatto nulla del genere, è sbagliato. Avere dell’alcol intorno è già abbastanza grave.”
“Papà, voglio solo che tu sappia che io non ho mai...”
“Lo so”, la interruppe annuendo. “E sono fiero di te per aver ascoltato le mie parole fino a questo punto, ma sono consapevole che non posso più decidere per i miei figli.” Dopo un secondo di silenzio, aggiunse: “Per quanto allettante possa essere l’idea.”
“Vorrei poter lasciartelo fare, ma non è così che funziona”, Beth ridacchiò, per poi ricostruire lo stesso silenzio imbarazzante di prima.
“Ascolta, so che potresti sentirti più a tuo agio nel parlare di queste cose con tua madre… ma sappi che noi ti vediamo. Ci siamo accorti che questo è stato un anno difficile per te.”
“Non è così...”, non riuscì a guardarlo negli occhi, “...non c’è nulla che non va.”
“Invece sì”, ribatté lui con gentilezza. “Stai per finire il liceo, pochi mesi e sarai fuori, eppure non mi sembri tanto entusiasta.”
Finalmente, alzò lo sguardo sul suo sorriso dolce e lo ricambiò.
“E’ stupido, lo so”, fece le spallucce. “Ero convinta di avere le idee chiare su quello che volevo… su quello che dovevo fare.”
“Mi sarebbe parso strano se non ti fossi proprio preoccupata di questo genere di cose. Sei una brava ragazza, sei brillante, con un po’ di fede e qualche preghiera, ne verrai a capo.”
Quelle parole non la fecero sentire chissà quanto meglio. Gliele aveva ripetute centinaia di volte, forse anche più spesso di quanto ricordasse, ma allo stesso tempo l’aiutarono a tirare un sospiro di sollievo almeno per quell’istante. In fondo, sapeva che aveva ragione. Ne sarebbe venuta a capo, prima o poi.
Quella conversazione giunse al termine quando qualcosa si mosse nell’oscurità. Beth s’irrigidì e si guardò intorno con gli occhi sgranati. Hershel teneva il fucile antisommossa a portata di mano, ma non si avvicinò nulla.

 

● ● ●

 

Quando vide la fattoria, Daryl fu estremamente tentato di fare un’inversione a U e andare via.
Era troppo perfetta. La fattoria della famiglia Greene era surreale. Baciata dal sole, sembrava un particolare di qualche dipinto, la rappresentazione artistica della casa dei sogni di ogni bambina di sei anni del sud. Non riusciva a credere che delle persone abitassero per davvero in quella dannatissima casa delle bambole.
E invece, Beth viveva proprio lì. Era stata gentile, era stata lei a chiedergli di andare. Alla fine era stato quello a impedirgli di scappare via lungo la strada, un barlume di speranza di poter essere ancora il benvenuto lì, almeno per lei, a meno che non ci avesse ripensato. In tal caso, non avrebbe potuto biasimarla.
Parcheggiò il furgone all’ombra lungo la strada, non troppo vicino alla casa. Sentiva il bisogno di farsi una camminata e, già che c’era, non voleva attirare troppo l’attenzione sul suo arrivo.
Troppo tardi. Non ebbe neanche il tempo di allontanarsi di un passo dal furgone che scorse una figura avanzare verso di lui. Era un uomo piuttosto grasso con un mazzo di chiavi legato alla cintura e un vistoso cipiglio a deformargli lo sguardo.
“Sei uno dei responsabili?”, gridò Daryl quando era ancora a una decina di metri da lui.
Si mise le mani in tasca e lo raggiunse a testa alta, cercando di fingere un minimo di sicurezza.
“Sì, cosa le serve?”
“Ho sentito che vi serve una mano per del lavoro extra.”
L’uomo cambiò rapidamente espressione, serrando la bocca e assumendo uno sguardo comprensivo.
“Beh, sei stato veloce. Abbiamo cominciato a dare un’occhiata in giro proprio stamattina.”
Dopo un rapido istante di confusione, Daryl scrollò le spalle. Forse era meglio non fare il nome di Beth, dubitava che la famiglia non avrebbe avuto nulla da ridire sulle circostanze in cui si erano conosciuti. Se aveva parlato di lui, doveva aver mentito, anche se era abbastanza sicuro che non avesse detto proprio nulla.
“Io sono Otis”, allungò la mano verso di lui per stringergliela. “Lavoro per Hershel Greene da circa vent’anni.”
“Daryl Dixon.”
“Dixon? Sei di qua?” Dopo aver ritratto la mano, Otis si voltò in direzione dei campi e cominciò a camminare, facendogli cenno di seguirlo. “Conosco qualche Dixon.”
“Siamo pochi”, mormorò, “e no, non sono della zona”, aggiunse un po’ più ad alta voce.
“Come hai saputo che eravamo in cerca di qualcuno?”, continuò l’uomo, voltandosi leggermente per guardarlo oltre la sua spalla.
Stavano cercando di percorrere più strada possibile all’ombra, ma non ce n’era molta a disposizione. Era prima vera giornata calda dell’anno, anche se l’umidità crescente non stava facendo altro che avvisarli dell’arrivo di una tempesta.
“In città. Le voci girano.”
Otis annuì senza fare ulteriori commenti, non fu così ingenuo da insistere. Daryl era quasi sicuro che in una fattoria come quella la maggior parte dei lavoratori che avessero assunto fossero migranti, che c’erano e non c’erano. E lui non era poi così diverso.
“Il motivo principale per cui ci serve una mano è questa recinzione”, Otis la colpì, dimostrandogli quanto poco resistesse già sotto il peso della sua grande mano. “Non possiamo aspettare che passi un altro inverno, Hershel vuole ricostruirla prima che possa cedere del tutto. E poi, dobbiamo stabilire dei turni di guardia notturni, c’è un branco di lupi in zona.”
Daryl annuì. “Bene.”
“Hai già lavorato in una fattoria?”
In genere era Merle che si occupava del “colloquio”. Pensò a cosa suo fratello avrebbe potuto dire, ma, al solo pensiero di lui, sentì una morsa in petto.
“Tutto quello che c’è da fare qui, probabilmente l’ho già fatto”, fece le spallucce. “Cavalli, bovini, qualsiasi cosa. Finché mi pagherete, ci sto.”
Si stava guardando i piedi da troppo tempo, ma Otis non sembrò curarsene.
“Bene, allora ti chiameremo ogni volta che ne avremo bisogno. Puoi iniziare anche subito?”
“Non ho altri impegni.”
“Eccoci”, Otis gli indicò la casa delle bambole. “Devo solo presentarti a Hershel e poi possiamo cominciare.”
Entrò a cercare il fattore, e lui rimase ad attenderlo sulle scale del portico. Rimasto da solo davanti a quel paesaggio luminoso e caldo, non poté fare a meno di chiedersi come fosse stato per Beth crescere in un posto del genere. Stava a sentire suo padre e si teneva il più possibile vicino casa, uscendo solo in compagnia? Oppure faceva preoccupare la sua famiglia, allontanandosi di notte nel bosco?
Rimase assorto nei suoi pensieri finché non vide Hershel uscire dalla porta. Era più vecchio di quanto avesse potuto immaginare, se solo avesse avuto un secondo per farlo. Doveva avere almeno settant’anni. I suoi capelli, ben ordinati, erano di un bianco luminoso e aveva gli stessi occhi chiari di sua figlia. La sua bocca si curvò verso il basso in una smorfia naturale, ma finse una certa cordialità nell’avvicinarsi a lui.
“Hershel Greene.”
Daryl gli strinse la mano. “Daryl Dixon.”
“Otis mi ha detto che ti unirai a noi per un po’ di lavoro extra.”
“Sì, grazie per l’opportunità”, mormorò.
“Da queste parti siamo un po’ vecchio stile. Io e la mia famiglia partecipiamo attivamente al lavoro, quindi risponderai direttamente a me e ad Otis”, si voltò verso la porta. Otis aveva lo sguardo rivolto verso i campi, anche se era evidente che stesse ascoltando tutto. “Potrebbe essere più semplice di altri lavori che hai fatto in passato, ma voglio mettere in chiaro alcune cose. Assumiamo spesso altre persone per lavorare, spesso anche migranti, che vanno e vengono. Ma loro vivono la loro vita e noi la nostra. Seguiamo delle regole molto rigide. Nessuno della mia famiglia resterà mai da solo in tua compagnia.”
Non era la prima volta che gli veniva fatto un discorso del genere, e non gli erano mai dispiaciuti in passato. Era una politica intelligente, in grado di proteggere tutti. Nessuno doveva preoccuparsi di essere ferito o derubato da un estraneo e nessuno doveva preoccuparsi di essere accusato ingiustamente. Ci sarebbero stati sempre dei testimoni. Era la prassi che ogni buon fattore doveva seguire, ma, quella volta, quel tipo di discorso lo infastidì più del dovuto. Si morse l’interno della guancia.
“Nessuno della mia famiglia sarà di guardia o lavorerà con te, se non in presenza mia o di Otis. Se si dovesse verificare una cosa del genere, sarà per una nostra disattenzione e mi aspetto che tu ti comporti in modo corretto”, aggiunse Hershel con fermezza.
Con due belle figlie, quell’uomo sarebbe stato un pazzo a non prendere le dovute precauzioni e Daryl doveva riconoscere che sarebbe stato difficile rispettarlo se non fosse stato il tipo di uomo che si prendeva cura delle sue ragazze. Aveva subito apprezzato la sua caparbia e il suo pudore, ma, d’altra parte, tutto ciò significava che non avrebbe mai potuto vedere Beth se non in presenza di qualcun altro.
Forse era meglio così.
“Non è tanto una questione di fiducia, ma di sicurezza. Spesso non so assolutamente niente degli uomini che vengono a lavorare qui, e di conseguenza loro non devono sapere niente di noi. E’ giusto che sia così.”
Daryl si ritrovò ad annuire, più per il nervosismo che per altro. “Ha senso.”
“Sono contento che la pensi così. Otis, andresti a prendere le carte per Daryl, così chiudiamo l’accordo?”
L’uomo annuì e sparì oltre la porta d’ingresso.
“E’ stato un piacere conoscerti, Daryl, e ti ringrazio per averci offerto il tuo aiuto. Ci vediamo presto.”
Hershel lo salutò con un cenno del capo e seguì Otis in casa, lasciandolo di nuovo da solo sul portico ad aspettare.
Pochi minuti dopo, il rumore di un’auto, che stava venendo proprio in direzione della proprietà, catturò la sua attenzione. La polvere smise di alzarsi quando la piccola coupé si fermò a pochi metri dalla sua moto. Non aveva bisogno di vederlo con i suoi occhi, sapeva che era lei. Sentì i battiti del cuore accelerare il loro ritmo. Fece un respiro profondo, imprecando.
Indossava una donna corta, come se per lei l’estate fosse già arrivata. Le osservò le gambe, per poi scendere sugli stivali da cowboy. Doveva amarli. Aveva provato a raccogliere i suoi biondi capelli, ricci e disordinati, in una coda di cavallo, ma molte ciocche le ricadevano sul viso.
Beth chiuse goffamente la portiera dell’auto, cercando di impedire al suo zaino di scivolarle via dalla spalla. Era venuto abbastanza presto, convinto che dovesse rimanere a scuola per qualche ora in più, ma evidentemente si era sbagliato. Il suo sguardo si concentrò sulla moto di Merle, legata al retro del furgone parcheggiato a pochi metri da lei. Poi si voltò e, quando lo vide sulle scale, si congelò sul posto.
Aveva cominciato il suo nuovo lavoro da circa trenta secondi e già stava infrangendo le regole.

 

● ● ●
 

Durante gli ultimi cento metri del suo viaggio di ritorno a casa, con un tuffo al cuore, Beth riconobbe la moto sul retro del furgone parcheggiato sulla strada. Non riuscì però a trovarlo fino a pochi attimi prima di scendere dall’auto. Aveva pensato a lui così tanto nell’ultima settimana che si ricordava ogni singolo dettaglio alla perfezione. I suoi occhi così timidi e innocenti erano in netto contrasto con quella sua solita aria aggressiva, che manifestava costantemente nel modo in cui si muoveva e nel modo in cui irrigidiva la mascella.
Lo osservò, con le mani in tasca in piedi sul portico, e per un attimo le sembrò surreale, perché sembrava che appartenesse a quel posto. Non ci avrebbe mai pensato prima di rivederlo.
“Daryl!”
Non trattenne il suo sorriso, non aveva intenzione di mascherare niente. Mordendosi il labbro inferiore, si affrettò a raggiungere le scale.
“Sei venuto! Iniziavo a preoccuparmi”, ammise, fermandosi di fronte a lui.
Doveva aver avvertito la nota di preoccupazione presente nella sua voce, perché annuì con uno sguardo comprensivo.
“Sì, siamo andati a fare quel lavoro con Jer e i suoi”, le disse a bassa voce.
Era delusa, ma cercò di capire. Del resto, era così che aveva sempre vissuto fino a quel momento. Ma sentì comunque una fitta al cuore, come se le fossero ritornate in mente le parole dure che le aveva rivolto quando avevano provato a discuterne. Si aspettava che si mettesse di nuovo sulla difensiva, ma forse la considerava davvero solo un’ingenua ragazzina viziata che non avrebbe mai potuto capire niente di tutto quello che aveva passato.
In ogni caso, non voleva arrabbiarsi perché alla fine era andato lì, almeno non in quel momento. Si era presentato e questo già la fece sentire sollevata.
“Stai bene?”
Io sì, sto bene”, Daryl si grattò nervosamente il collo, guardandosi intorno col timore che qualcuno potesse sentirli.
Beth realizzò solo in quel momento che c’era una sola moto e nessun segno di suo fratello.
“Merle non è...”, si bloccò quando lo vide scuotere la testa.
“E’ andata male, Beth. Molto male.”
“...E’ vivo?”, chiese, scossa da un brivido.
Era riuscita ad avere una sola conversazione civile con Merle, ma cominciava a piacerle, nonostante i suoi commenti volgari e il suo sguardo sfrontato.
“Credo di sì”, rispose, con una sicurezza sicuramente maggiore di quanta in realtà, secondo lei, ne aveva. “Quel bastardo è forte, ma non sono riuscito a trovarlo, l’ho cercato per giorni. O si è nascosto, o...”
Daryl non finì quel pensiero. Evidentemente, sapeva benissimo che esisteva quella possibilità, ma non riusciva a dirlo così come aveva fatto lei. Beth si pentì di essere saltata subito a quella conclusione, quel suo dubbio sembrava averlo scosso.
“Sono sicura che sta bene”, gli strinse il braccio con una mano, allacciando lo sguardo al suo. “Lui sa dove trovarti?”
Daryl annuì. “Gli ho detto che sarei venuto qui. Non gli piaceva l’idea, ma sa che vi chiamate Greene e conosce la zona. Si farà vivo appena potrà.”
Beth sentì il rumore del motore di un’altra auto, ma decise di ignorarla, anche se lui invece si stava concentrando ad osservarla oltre la sua spalla, nervoso.
“Mi dici cosa è successo? Voglio solo sapere se...”, s’interruppe appena sentì l’auto avvicinarsi alle sue spalle a una velocità impressionante. Ci mise poco a capire chi era. “...Magari non adesso.”
Girò i tacchi giusto in tempo per salutare suo fratello con un rapido “Hey, Shawn, che ci fai qui?”
Mentre si stava voltando, le era parso di sentire Daryl sussurrare un’imprecazione, ma non ne era sicura.
Shawn chiuse la portiera della sua piccola Mazda e le rivolse un sorriso radioso, in netto contrasto col cipiglio sospettoso che invece riservò all’uomo che era rimasto in piedi proprio dietro di lei.
“Hey, sorellina, vieni qui!”
Soprattutto dopo lunghi periodi di lontananza, Shawn era solito abbracciarla in un modo che metteva seriamente a rischio la sua incolumità fisica. Maggie li chiamava abbracci spezza-costole. Infatti, riuscì solamente ad abbandonare il suo zaino su uno dei gradini prima che lui l’afferrasse dal basso e la sollevasse da terra, stringendola così forte che non riusciva quasi più a ridere o respirare.
“Scusa se mi sono perso il tuo compleanno, Bethy.”
“Tranquillo”, riuscì a dire non appena ritoccò terra. “Sul serio, che succede?”
Era il suo secondo semestre alla facoltà di medicina e, da come aveva scritto nell’ultima email, era così sommerso di lavoro da fare che non aveva neanche il tempo di mettere il naso fuori di casa.
“Beh...”, le rivolse uno sguardo colpevole, completato dal rossore delle sue guance e dalla smorfia che il suo volto aveva assunto, “...sto per mollare.”
Molto probabilmente si aspettava di essere colpito, ma Beth era troppo scioccata da quella nuova notizia per dare una reazione istantanea.
“Lo dirai a mamma e a Hershel?”, chiese in evidente tensione. “Ti darò tutto ciò che ho nel portafoglio… anche se penso di non avere più di sessanta centesimi.”
Shawn...”, Beth scosse la testa con la bocca semiaperta. I suoi genitori non l’avrebbero presa per niente bene.
“Allora… lui chi è?”, le chiese, ignorando le sue occhiatacce, per cambiare discorso. “Scusami, è stato un po’ scortese da parte mia… tu sei?”, si rivolse direttamente a Daryl con un sorriso decisamente nervoso.
“Daryl.”
“Papà l’ha appena assunto”, spiegò Beth, in parte ancora concentrata su quello che le aveva appena detto, “c’è molto lavoro da fare e potremmo avere bisogno di altre persone.”
Lo guardo di Shawn s’illuminò. “Oh, davvero? Sai, credo che avrò un bel po’ di tempo libero, d’ora in poi.” Cominciò a battere nervosamente le mani, guardando la porta d’ingresso. “Ok… credo che entrerò.”
“Io resterò qui fuori ancora per un po’”, rispose cautamente.
Non aveva alcuna voglia di assistere. Suo padre non si sarebbe arrabbiato sul serio, ma temeva che quella decisione di Shawn lo potesse deludere più del dovuto. Da triste, Hershel sembrava ancora più attempato. Sarebbe rientrata dopo a confortarlo.
“Cosa dirà?”, chiese Daryl, appena Shawn sparì in casa.
Beth fece le spallucce. “Penso dipenda dalle ragioni di Shawn. Se ha avuto buoni motivi per fare questa scelta, papà capirà… ma se lo fa solo perché è difficile ed è uno che si arrende così facilmente, avranno qualcosa da ridire. Scommetto che lo convinceranno a ripensarci in ogni caso.”
“Cosa può essere una buona ragione?”
Daryl fece due passi verso la veranda per appoggiarsi al parapetto. Si accorse solo in quel momento, da quando l’aveva visto sulle scale, di quanto fosse teso, ma finalmente sembrava che stesse cercando di sentirsi un po’ più a suo agio in quell’ambiente.
Beth si strinse di nuovo nelle spalle, scacciando via la tentazione di avvicinarsi. Aveva inevitabilmente pensato a quanto potesse essere bello abbracciarlo di nuovo.
“Beh… magari si è resto conto che questa strada non è quella che fa per lui. Sennò, ha scelto di mollare solo perché è stressato, impaurito o sfaticato. E non saranno ragioni abbastanza buone per mio padre.”
Nel frattempo, cercava di ascoltare anche le voci provenienti dall’interno della casa. Era raro che suo padre gridasse, e sicuramente non era quello il caso, ma si sentì comunque meglio all’idea di restarne fuori. Alzò il suo zaino dal gradino e lo spolverò con un paio di pacche, per poi poggiarlo su una delle sedie del portico e ritornare sulle scale.
Era stata così tanto in pensiero per Daryl prima del suo arrivo, ma anche ora che era lì si sentiva preoccupata, e non riusciva a spiegarsi il perché. Che voleva dire? L’aveva fatto davvero venire alla fattoria anche per altre ragioni? In fondo, sentiva che era così, ma non riusciva ancora a fare chiarezza nella sua mente. Sapeva solo che, appena l’aveva visto sul portico, aveva sentito di nuovo il bisogno spontaneo di gettargli le braccia al collo. Si stava trattenendo dal farlo solo perché non sembrava avesse apprezzato molto l’ultima volta, senza contare la stretta vicinanza di tutta la sua famiglia.
Cominciò a passeggiare per il portico, avvicinandosi comunque a lui quanto bastava per vederlo irrigidirsi. Lo osservò cauta, cercando il suo sguardo. Ma, all’ultimo momento, decise di voltarsi e di sedersi sulla ringhiera accanto a lui.
“Allora, cos’è successo?”, gli chiese a bassa voce. “Non sei tenuto a dirmi niente, ma se vuoi...”
“E’ stato brutto e basta”, borbottò. “Non ho neanche capito bene quello che è successo, ma posso immaginare. Jer e i suoi uomini non erano gli unici a sapere della spedizione. Hanno incrociato i nostri stessi percorsi. Merle era su una strada sicura, ma è proprio lì che sono iniziati i casini e, quando sono arrivato lì, non c’era più niente da vedere.”
C’era qualcosa nella sua voce che le fece pensare che non fosse stato del tutto sincero. Magari non c’era più niente da vedere di cui volesse parlare, ma aveva visto qualcosa.
“...Poi ho levato le tende. Avevamo già attirato troppo l’attenzione, gli sbirri stavano arrivando e Merle se n’era già andato”, si grattò la barbetta sulle guance e lanciò l’ennesima occhiata alla porta d’ingresso.
Beth abbassò lo sguardo sulla sua mano appoggiata alla ringhiera. Dopo un attimo di esitazione, con rinnovata fermezza, fece scivolare le dita sulle sue nocche pallide.
“Presto sarà qui… sono contenta che tu stia bene.”
Guardandolo di lato, non riuscì a leggere la sua espressione. Ma già il fatto che non fosse scappato da lei era un buon segno. Sentì la sua mano spostarsi sotto il suo tocco. Per un momento, pensò che stesse per ritrarla, ma invece sollevò il palmo e intrecciò le dita tra le sue.
Le diede i brividi, ma, stando al suo sguardo, non doveva averne la minima idea. La sua mano grande e callosa pulsava contro la sua. Poi, quando sembrava che stesse quasi per stringergliela, la lasciò andare.
La porta d’ingresso si spalancò e Otis li raggiunse sul portico. Daryl si portò di scatto la mano sulla tasca dei pantaloni, raddrizzandosi.
“Scusami, ci ho messo un po’ a trovare le scartoffie giuste.”
Otis stringeva un plico di documenti. S’infilò una mano nella tasca anteriore dei jeans, in cerca di una penna, e gli fece cenno di seguirlo.
Dall’aria indifferente con cui li aveva superati e aveva cominciato a scendere le scale, era chiaro che non aveva visto niente.
Daryl si voltò per seguirlo, facendole un ultimo cenno del capo mentre cominciava a scendere i gradini con riluttanza. Lei gli sorrise, cercando di non pensare al fatto che non avrebbero parlato per un po’. Li osservò allontanarsi, ignara di non essere da sola sul portico finché non sentì sua madre schiarirsi la gola.
“Oh, ciao! Mi hai spaventata.” Il cuore le balzò con forza contro le costole. “...Com’è la situazione dentro?”, le chiese spostando lo sguardo sulla casa, alludendo chiaramente alla discussione tra Shawn e suo padre.
Annette stava sulla soglia con le braccia incrociate e osservava Otis e Daryl con uno sguardo apprensivo.
“Non sta andando male”, disse con un sospiro sconsolato, “è solo un po’ intensa. Ho deciso di lasciarli parlare, tanto ho già in testa cosa diranno, sia l’uno che l’altro. Hanno solo bisogno di dire la loro.”
Si avvicinò a Beth, posandole una mano sulla spalla e facendola voltare, per apprezzare insieme la visuale della loro terra.
Otis stava facendo spostare a Daryl il suo furgone dall’altro lato della strada, segno che sarebbe rimasto lì ancora per un bel po’.
“E’ il nuovo aiutante? Sembra carino...”, il suo sorriso si allargò, forse perché aveva notato il rossore delle guance di sua figlia. “Deve essere così abituato a stare fuori al freddo che ormai non ci fa neanche più caso.”
Sua madre era gli occhi attenti di cui aveva bisogno. Chiunque altro sarebbe rimasto nel suo, senza pensare che ci potesse essere qualcos’altro dietro l’arrivo di Daryl alla fattoria, ma con sua madre era un altra storia. La sua perspicacia così affilata era stata veleno e vantaggio per ogni membro della famiglia.
“Già, mi ha dato la stessa impressione”, disse Beth.
Si raddrizzò velocemente, chiedendosi se avesse fatto qualsiasi cosa che avesse potuto far trasparire il suo nervosismo, tipo giocherellare con le ciocche dei suoi capelli.
“Non eri qui fuori da sola con lui, vero?”
“Solo per un minuto.” Si accorse di aver alzato un po’ troppo la voce e tentò di rimediare con un colpo di tosse, che temeva che sua madre fosse capace d’intendere. “Non volevo entrare subito per Shawn.”
“Conosci le regole.” La strinse con fare protettivo e le rivolse un cipiglio di sbieco. “Non puoi, a meno che tuo padre o Otis non siano in giro.”
“Scusa, non ci ho pensato”, mentì. “Ma che avrei dovuto fare? Restare in macchina ad aspettare?”
Sua madre si fece scappare una sorta di risata. “Seguiamo queste regole per un motivo, tesoro, e so che a volte possono risultare scomode. Non posso lasciare che la mia piccola si avvicini troppo al nuovo bell’aiutante.”
Le schioccò un bacio sulla fronte. Beth arrossì notevolmente e cercò di nascondere la sua faccia dall’altra parte, fingendosi improvvisamente interessata a qualche componente del paesaggio.
“Si chiama Daryl”, disse tra i denti, “e sembra un bravo ragazzo.”
“Mi sa che hai ragione”, sua madre ridacchiò di nuovo. “Se è questo quello che hai percepito, bene… ma sai, non si tratta tanto di questo, è tutta una questione di confini. Questa non è solo la nostra casa, è la nostra attività.”
In genere era suo padre a fare quel genere di discorsi, ma Annette sembrava averli assorbiti.
“Si avvicinano giorno dopo giorno sempre più estranei e noi dobbiamo assicurarci che certi confini non vengano valicati. Invitarli alla fattoria non significa invitarli a casa. E’ meglio così ed è giusto per tutti.”
“Già, hai ragione.”
Non era il momento giusto per provare a convincere sua madre che Daryl Dixon poteva essere l’eccezione a quella regola. La sua famiglia non lo conosceva ancora. Doveva essere paziente e… riservata. Era stata lei a volerlo lì ed era arrivato. Avrebbe sicuramente violato le regole.
“So che hai ragione, ma l’hai detto anche tu, queste regole sono scomode”, continuò.
“Mmh.” Annette scostò una ciocca di capelli dal viso della figlia, portandogliela dietro l’orecchio.
Beth si morse il labbro nel tentativo di frenarsi dal dire ancora qualcos’altro, ma dopo una breve lotta interiore, alla fine disse: “Anche Jimmy ha lavorato qui per un po’, e io l’ho frequentato per otto mesi.”
“Era diverso”, rispose sua madre con fermezza. “E lo sai. Siete stati in classe insieme per due anni e conosciamo la sua famiglia da una vita. Per quanto riguarda i ragazzi del paese che vengono a lavorare qui per la mietitura, puoi restare da sola con loro. Alla luce del giorno. Qui fuori, e non nella tua stanza.” Si lasciò sfuggire una lieve risata davanti alla crescente indignazione di Beth. “Dai, lascia che ti prenda un po’ in giro. E’ il mio lavoro.”
“Non era quello di Shawn?”
“Lui è il mio apprendista.”
Roteando gli occhi, Beth decise di arrendersi, rafforzando la convinzione che per conoscere meglio Daryl avrebbe dovuto muoversi in segreto.
Sembrava che lui e Otis stessero per mettersi a lavoro. Si era spogliato del suo gilet e l’aveva posato sulla moto sul retro del furgone. Aveva tagliato le maniche della camicia e Beth riuscì a notare delle tracce di inchiostro sul suo braccio. Aveva avuto ragione sul fatto che doveva avere almeno un tatuaggio.
Nonostante sua madre la stesse ancora guardando, non riuscì a trattenere un sorriso.
“E poi”, il tono di Annette mutò da giocoso a severo così velocemente che ebbe lo stesso effetto di un colpo di frusta, “è troppo grande per te.”
“Giusto”, disse con una nota di sarcasmo che si faceva strada sempre più prepotentemente nella sua voce, “come potrei uscire con un ragazzo che ha qualche anno in più a me? Sarebbe vergognoso!”
Dovette combattere un sorriso quando notò il colorito roseo che aveva assunto sua madre.
Annette incontrò il suo sguardo. “Insolente!”, disse ridendo. “E va bene, quando avrai compiuto i tuoi trent’anni, hai il mio permesso per sposare un fattore vedovo di cinquant’anni.”
Era in arrivo una tempesta. La luce del sole si oscurò in pochi secondi. Beth alzò gli occhi al cielo, seguita a ruota da sua madre, e insieme entrarono in casa per limitare i danni. Non appena Annette distolse lo sguardo da lei, Beth tirò fuori il cellulare per avvisare Maggie.
“E’ qui.”

 

● ● ●

 

 

Il sole batteva sulle loro spalle. Dave si era già spogliato della sua maglietta e l’aveva appallottolata per infilarsela alla bell’e meglio nella tasca posteriore dei pantaloni. Strappò volutamente un pezzo di tessuto per asciugarsi la fronte dalle gocce di sudore.
“E’ in momenti come questo che mi manca Philadelphia”, confessò.
Daryl era più o meno abituato alle persone che parlavano troppo. Dave era solo l’ennesima voce che riempiva l’aria; raramente quello che diceva poteva sembrargli interessante, ma almeno non si aspettava di ricevere una risposta. Quindi, si sentì libero di continuare a lavorare, estraendo i pali della recinzione che poi avrebbero dovuto ricostruire.
“Beh, in realtà non è che sia poi così diversa, più che altro mi manca l’aria condizionata. Avevo cominciato a lavorare in un garage a Philadelphia, prima che il mio capo e la mia ragazza mi sbattessero fuori quella stessa settimana. Mica potevano avvisare, no?”, si fece scappare una risata amara.
Dalla strada, Daryl vide un piccolo scuolabus avvicinarsi alla fattoria. Sicuramente non era della zona. Stando al suo aspetto, dovevano aver lasciato ai bambini il compito di decorarlo, ma, sopra a quell’accozzaglia di colori e a tutte quelle impronte di mani, c’era scritto Little Learner’s Weekend Club. Otis aveva accennato al fatto che ogni tanto dei gruppi di bambini venivano a vedere la fattoria per imparare qualcosa in più sugli animali e su come funzionava.
“Lavorare nel garage”, Dave continuò a parlare e, alzando gli occhi al cielo, si fermò un momento a riprendere fiato, “era sporco, ma almeno non faceva tutto questo caldo… tu dove sei diretto?”
Fermandosi un attimo, Daryl finalmente alzò lo sguardo sul suo collega. “Per il momento, da nessuna parte.”
“Capisco.” L’uomo alzò da terra la sua bottiglia d’acqua quasi vuota per fare un sorso. “Vale anche per me. Mi frullava da un po’ nella testa l’idea di andare in Messico, ma non lo so.”
Dopo essersi versato sulla lingua un altro paio di gocce, si gettò il resto dell’acqua sul collo, probabilmente bollente, senza troppe cerimonie.
“Forza, andiamo a riempirle”, continuò, indicandogli la sua bottiglia, anch’essa ormai vuota.
Dave si rinfilò la camicia fradicia durante il loro breve percorso verso il pozzo più vicino. Nel frattempo, lo scuolabus aveva parcheggiato ed era scesa circa una dozzina di bambini. Daryl riuscì a vedere Hershel, Shawn e Beth avvicinarsi per presentarsi. Beth li salutò con particolare entusiasmo: anche da lontano, era evidente che indossasse un enorme sorriso e, vederla così, lo tirò un po’ su.
Era strano, per lui, spiegare che cosa stesse provando, o anche solo che cosa stesse facendo. Voleva capirlo, ma era come imparare una nuova lingua. Il giorno prima, quando le aveva preso la mano, era stato come se qualcun altro avesse preso possesso del suo corpo.
Aveva trascorso l’ultima settimana consumato dalla paura e dall’incertezza, si era dimenticato spesso di mangiare e a stento aveva dormito, ma aveva continuato ad andare avanti mettendo da parte le emozioni, coprendo le sue tracce e cercando contemporaneamente quelle di Merle. Alla fine, si era ritrovato ad andare in direzione della fattoria, avvilito e a pezzi. Era stato tutto molto spontaneo, un gesto quasi inconscio.
Non se la passava bene da solo. Era ancora scosso quando aveva provato a raccontare a Beth, col minor numero di parole possibili, cosa fosse successo quella notte. E soprattutto non era preparato a quella sua reazione, così compassionevole.
Quando l’aveva toccato, tutto aveva cominciato a rallentare e si era ritrovato a voler ricambiare quel suo semplice gesto. Per una frazione di secondo, aveva pensato di non riuscire a riconoscersi in certi comportamenti che aveva con lei, ma effettivamente non ne aveva avuto bisogno, perché la sua mano aveva agito per conto suo, senza paura.
Adesso, invece, era completamente terrorizzato. Pensò che forse non sarebbe mai dovuto andare.
Eppure quel dubbio non durò poi così a lungo sotto la luce di quel sole, con l’immagine di Beth che accompagnava un gruppo di bambini verso i pollai.
Dove sarebbe potuto andare, se non lì? Il lavoro era legale, suo fratello sapeva dove trovarlo ed era un posto sicuro e isolato. Tutto ciò contribuiva inevitabilmente a consolidare la sua scelta di rimanere e, se voleva essere completamente onesto con se stesso, sarebbe rimasto comunque. Lui voleva stare lì.
Voleva essere vicino a lei.
Abbiamo dei pulcini che sono grandi abbastanza per essere toccati, ma dovete fare molta attenzione!
Anche a quella distanza, riusciva a sentirla parlare con i bambini, finché la sua voce non fu soffocata da una valanga di gridolini eccitati e chiacchiere.
Una donna più attempata, che si manteneva alle spalle del gruppo, li esortò a fare silenzio: “Bambini, di cosa stavamo parlando sul bus? Siate rispettosi e state a sentire Beth, altrimenti non potrete toccare i pulcini!
Dave agitò le braccia per attirare la sua attenzione sul pozzo. Il ghigno sul suo volto gli fece chiaramente notare che la stava guardando più del dovuto, ma evitò di fare commenti a riguardo.
“Mantieni la bottiglia, la riempio io”, mormorò.
Riempirono a turno le proprie bottiglie e tornarono a lavoro. Sembrava che fosse passato un intero giorno dalla loro pausa pranzo, ma dalla posizione del sole Daryl intuì che dovevano essere passate solo due ore. Troppo poche per cominciare a lamentarsi, ma, d’altra parte, faceva caldo.
Dave cominciò a chiamare un altro aiutante che non aveva ancora mai visto, un grassone bagnato fradicio di sudore.
“Hey Tony, così stai più fresco?”
“Fottiti, Dave.”
Volendo evitare l’ennesimo gioco di presentazioni, Daryl prese la sua bottiglia d’acqua e la portò con nonchalance in direzione del pollaio, mettendola all’ombra appena fuori dal recinto. Ascoltò parte della lezione di Beth alle spalle di quella piccola folla ansiosa di marmocchi.
Dovevano aver preso sul serio il consiglio della loro accompagnatrice: se ne stavano tutti in piedi in silenzio, fatta eccezione per una coppia di bambini che, nonostante fossero stati divisi da un altro adulto che si era messo tra di loro e teneva entrambe le mani sulle loro spalle, continuavano a colpirsi a vicenda dietro la sua schiena.
Beth si chinò davanti alla prima fila di bambini con un piccolo pulcino tra le mani, in modo da farlo vedere a tutti.
“...No, le uova che mangiate a colazione non diventeranno pulcini se le mettete sotto una lampada, ma è una domanda legittima. Solo alcune uova si schiudono, e non sono quelle che potete comprare nei supermercati. Effettivamente, però, questa è una lampada molto speciale… qualcuno sa dirmi come si chiama?”
Una delle bambine che erano davanti alzò la mano, agitandola con foga.
“Incubatrice!”, disse, prima che Beth avesse il tempo di girarsi a guardarla.
“Esatto! Qual è il tuo nome?”
“Penny.”
“Bene Penny, sarai la prima a toccare il pulcino! Però stai molto attenta. Sii delicata, così...”
Penny si fece avanti e Beth alzò lo sguardo, curvando la bocca in un sottile sorriso non appena incontrò gli occhi di Daryl. Di nuovo, il tempo si fermò, ma fu un po’ più semplice godersi quel momento.
In quell’istante, si era quasi dimenticato che lei era un’adolescente e lui un vecchio sporco redneck. Aveva quasi dimenticato tutti i momenti imbarazzanti che avevano subito, tutte le discussioni e tutto quello che Merle gli aveva detto su di lei solo per farlo incazzare, aveva quasi dimenticato le sue colpe e si lasciò cullare dal pensiero che lei stava sorridendo per lui. Non doveva per forza esserci qualcosa dietro a quel sorriso, ma fu come essere di nuovo tra le sue braccia.
Quel momento così inebriante fu interrotto bruscamente dall’arrivo di un’auto. I suoi occhi guizzarono automaticamente verso la Saturn dorata che aveva appena parcheggiato all’ombra, accanto alla casa. Era Maggie Greene.
Aveva conosciuto un mucchio di gente piuttosto spaventosa nel corso della vita, ma non credeva di aver mai sentito una tale scossa di panico alla sola vista di qualcuno.
Avrebbe raccontato tutto ciò che sapeva di lui al resto della famiglia?
Sapeva che era una possibilità, ma non pensava di doverla affrontare così presto. Doveva essere lì per Shawn, forse il fatto che aveva abbandonato gli studi ed era tornato a casa l’aveva spinta a venirlo a trovare.
Invece di entrare in casa, però, si avvicinò al pollaio. Suo padre era in piedi, appoggiato a un albero all’ombra, a supervisionare tutto da lontano. Appena Maggie fu abbastanza vicina, si voltò per salutarla e, dalla sua espressione, non si aspettava di vederla. Lei lo abbracciò e gli sembrò che, mentre parlava con Hershel, tenesse lo sguardo fisso nella sua direzione.
Nel vano tentativo di nascondersi dalle sue occhiate, si allontanò, in cerca di Dave. A prescindere da quella situazione, era passato comunque troppo poco tempo dalla loro pausa pranzo per fermarsi di nuovo.
Quando raggiunse il punto in cui l’aveva lasciato, non trovò niente, se non il frusciare lieve del vento. Era scomparso insieme all’altro aiutante, quel Tony. Dopo aver esaminato la zona, si decise a tornare a lavorare alla recinzione da solo, non vedendoli da nessuna parte. Avrebbe preferito decisamente continuare ad assistere alla lezione di Beth sui polli, ma con suo padre e sua sorella entrambi di guardia, senza contare che era solo il suo secondo giorno di lavoro, non voleva portare la cosa avanti troppo a lungo.
Era quasi a metà strada quando una voce lo chiamò.
“Hey, Daryl!”
Vide Maggie venirgli incontro voltandosi leggermente. Indossava anche quella volta una gonna elegante e una camicetta, e portava le scarpe in mano, in modo tale da poter attraversare più velocemente il campo a piedi nudi. Doveva aver corso con l’intenzione di fermarlo.
Daryl si guardò intorno, ma non c’era nessuno nei paraggi, solo figure in lontananza che uscivano da uno dei pollai. Ancora una volta, si ritrovava da solo in presenza di una delle sorelle Greene, il che era severamente vietato.
Quasi vergognandosene, sapeva che avrebbe preferito senz’altro che fosse stata l’altra.
Come se gli avessero letto nella mente, quegli affilati occhi verdi incontrarono i suoi.
“Credo che abbiamo bisogno di farci una chiacchierata”, disse incrociando le braccia al petto, lasciando che le sue scarpe col tacco le penzolassero da un gomito.
“Davvero?”, brontolò lui, continuando a controllare che Hershel non potesse vedere quello che stava succedendo. Era troppo lontano, circondato da una folla di bambini.
“Beth non è più una bambina, ma non ha la mia esperienza”, rispose, alzando le sopracciglia. “Volevo solo assicurarmi che tu fossi qui esclusivamente per lavorare. Lei è una brava ragazza, e io sarò così clemente da astenermi dal dire a mio padre che sei un tossico vagabondo che le ha già messo le mani addosso una volta. Sempre se continuerai a ricordarti che lei è una brava ragazza.
Che inizio di merda.
“Continua a dirmi quello che devi dire”, disse burbero.
Il viso di Maggie si contorse dalla rabbia, riusciva quasi a vedere le fiamme divampare sul fondo dei suoi occhi chiari, ma, in qualche modo, sibilò qualcosa tra i denti e riuscì a domarle, tanto che quando ricominciò a parlare, sembrava quasi intenzionata a farlo in modo civile.
“Potrei anche fidarmi del suo giudizio, perché è molto intuitiva in questi casi e pensa che tu sia a posto.”
Daryl non poteva far altro che spostare scoordinatamente il peso da un piede all’altro, in attesa che Dave arrivasse il prima possibile a interrompere quella loro chiacchierata.
“Questo è l’unico motivo per cui non ti ho ancora investito con la mia auto. Sai, conosco molti avvocati… probabilmente la farei anche franca.”
Avendo ricevuto le minacce più disparate nel corso della vita, aveva imparato a riconoscere quando una persona faceva sul serio e quando, invece, si stava solo dando delle arie. Quelle di Maggie, però, erano strane. Non riusciva a capire se stesse cercando di avvertirlo, se volesse solo spaventarlo, o se addirittura stesse scherzando.
“Dovrei ringraziarti?”, inarcò un sopracciglio.
“Io vorrei davvero che tu mi piacessi, ma per il momento non può non essere così.” Si voltò a guardare il gruppo di bambini che si stava spostando in direzione delle stalle. “Qualcuno deve pur stare attento e mi sembra che Beth spesso non lo sia abbastanza.”
Daryl, guardandola finalmente negli occhi, scosse la testa. “Non sono quel tipo di persona.”
Un lieve cipiglio apparve sul viso di Maggie. “E allora che tipo sei?”
La sua testa si svuotò completamente. Non poteva darle una risposta così, su due piedi. Non ci aveva pensato abbastanza.
“Io sono semplicemente… qui, adesso.”
Rabbrividì, consapevole che quella risposta le sarebbe suonata troppo ignorante e nervosa, ma stranamente Maggie non la interpretò in quel modo. Cercò i suoi occhi, mentre la bocca si era ridotta a una linea sottile, e poi sospirò.
“Ok, bene”, disse, “sappi solo che se io posso vederlo, se ne accorgeranno anche gli altri, prima o poi. Il modo in cui guardi mia sorella non è lo stesso con cui guardi gli altri, e tu guardi tutti allo stesso modo.”

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Capitolo 9
*** Persa nei boschi / Mangiata dai leopardi ***


XIII. Persa nei boschi / XIV. Mangiata dai leopardi

 

 

“Non posso credere che tu abbia fatto una cosa del genere!”
Dopo queste parole, la voce di Beth si dissolse nel silenzio. Scosse la testa ed evitò lo sguardo di Maggie.
Erano entrambe sedute sul portico. Nel frattempo, uno degli accompagnatori dei Little Learner stava prendendo dallo scuolabus delle merendine che poi avrebbe distribuito ai bambini, ma non era abbastanza vicino da sentirle.
“Qualcuno doveva andare a parlargli. Capisco che vuoi tenere tutto nascosto a mamma e papà, ma mi metti in difficoltà. Non posso starmene qui seduta ad aspettare che...”
“Ma aspettare cosa?! Cosa credi che succederà?!”, disse Beth con una risatina isterica. “Lui mi piace e credo che anche io potrei piacergli, quindi nulla di tutto ciò ti deve riguardare, così come non deve riguardare nessun altro. Non sono più una bambina, quindi smettila di trattarmi come tale!”
“Hai conosciuto questo ragazzo una settimana fa a casa del suo spacciatore”, le ricordò Maggie, “non puoi negarmi di essere un po’ preoccupata. Non importa quanti anni hai, se fossi stata al posto mio avresti fatto lo stesso.”
“No, perché io mi fido di te.”
Non aveva neanche avuto bisogno di pensarci, aveva risposto automaticamente, guardandola negli occhi.
Per un istante, sua sorella mantenne la mascella serrata e la fulminò con lo sguardo.
“Sono solo preoccupata, Beth.”
“E io sono mortificata, Maggie! Non riesco a credere a tutto quello che gli hai detto!”
Scosse di nuovo la testa, ripensando alla crescente sensazione di nausea che aveva provato mentre le raccontava tutto. Si sentiva incandescente e non poteva dare la colpa solo al caldo. Era già stato abbastanza difficile riuscire a farlo parlare, per quanto era chiuso. Adesso, dopo quella doccia fredda da parte di sua sorella, quanto avrebbe dovuto aspettare affinché le parlasse di nuovo?
“L’hai giudicato prima ancora di avergli mai parlato.”
“Io ho parlato con...”
“No, hai parlato a lui. Anzi, da quanto ho capito, gli hai urlato contro. E’ così, non lo conosci.”
“E tu sì?”, Maggie inarcò un sopracciglio, dubbiosa.
“Sì!”
Incapace di trasmetterle la sua frustrazione attraverso altre parole, cominciò a concentrarsi sui campi circostanti. Aveva perso di vista i bambini, ma dovevano essere con Shawn. Aveva lui il compito di mostrargli il resto del bestiame prima della merenda, dopodiché avrebbero giocato un po’ e se ne sarebbero andati. Era inusuale che un gruppo come quello venisse prima del tempo del raccolto, ma suo padre le aveva detto che era un’organizzazione più recente, ancora in cerca di idee.
Dal lato della recinzione che andava rifatto, riuscì a vedere Daryl e Otis in procinto di avvicinarsi. Erano ancora abbastanza lontani da permetterle di parlare un altro po’ con Maggie di quella faccenda senza che venissero ascoltate, ma non riuscì a pensare a nient’altro da dire, continuando a fremere di rabbia.
Eppure, sua sorella non si curò della sua ira, mostrandosi sempre più preoccupata.
“Sono stata carina.”
In tutta risposta, Beth la fulminò con lo sguardo.
“Carina come solo tu sai essere”, continuò, abbassando e rialzando le spalle con aria colpevole. “Sei una ragazza del liceo, perché non può piacerti un ragazzo della tua scuola?”
Otis e Daryl erano più vicini, forse non ancora da riuscire ad ascoltare, ma abbastanza da far sputare a Beth le sue ultime parole sull’argomento con una certa urgenza.
“Non dirmi che sei venuta qui per questo.”
Non volle neanche sfiorare l’argomento dei ragazzi della sua età, Maggie sapeva meglio di lei che non erano tutti dei santi. Sua sorella maggiore si era semplicemente aggrappata alla prima cosa che le era venuta in mente.
“Voglio dire, sei qui per parlare con Shawn, vero?”
“Ovvio. Lo farò appena i bambini se ne andranno. Che poi che ci fa una scolaresca qui di sabato?”, aggrottò la fronte mentre osservava lo scuolabus.
“Non sono una scuola. E’ più una sorta di club che nei weekend, al posto di farli giocare a calcio, li porta in vari posti per imparare delle cose...”
“Somiglia più a una scuola.”
“Le scuole non sono così male”, mentì.
I due uomini erano ormai vicinissimi, così continuarono a portare avanti quella discussione innocua. Daryl evitava di guardarla, ma non se ne preoccupò. Sperò solo che il discorso di Maggie non l’avesse scosso più di tanto.
Si era sentita come se finalmente stessero riuscendo ad arrivare a un qualcosa. Al solo pensiero di quando le aveva preso la mano il giorno prima, veniva investita da quella stessa scossa di emozioni.
“Stai facendo progressi, non c’è bisogno di consumare altra fatica per oggi”, sentì Otis dire a Daryl. “Dave e Tony sono andati ad aiutare Hershel con i cavalli, spero che tu non sia rimasto troppo a lungo a lavorare da solo.”
“Nah”, mormorò lui, continuando a ignorarla.
Quando poi si voltò per dare completamente le spalle alla casa, Beth capì che quello che gli aveva detto Maggie doveva averlo influenzato davvero. Teneva la schiena leggermente più ricurva, forse perché esausto a causa del lavoro. La sua camicia senza maniche era umida di sudore e, guardandolo di lato, riuscì a notare dell’altro inchiostro sulla sua pelle che doveva appartenere a un tatuaggio più grande sulla schiena. I muscoli delle braccia e delle spalle erano particolarmente evidenti dopo lo sforzo fisico.
Beth cominciò a fissare il suo corpo, dimenticandosi di respirare. Fu un’occhiataccia colma di disappunto lanciatole da Maggie a risvegliarla da quel piccolo sogno.
“Perché non vai a vedere se a Shawn serve...”, Otis smise di parlare all’improvviso, concentrandosi su un lato della casa.
Shawn li raggiunse di corsa, pallido in volto e sudato, probabilmente non solo per il caldo.
“Hey! Avete visto una bambina vagare intorno alla casa? Per favore, ditemi che l’avete vista...”, li pregò.
Nessuno dei presenti gli diede una risposta immediata, ma il cuore di Beth saltò un battito.
“Hai perso una bambina?!”
“Tecnicamente, l’hanno persa i suoi accompagnatori...”, Shawn trasalì di fronte a quell’accusa. “Erano troppo occupati a badare a due casinisti e non si sono accorti che lei si stava allontanando.”
“Qui non c’è.” Maggie si alzò in piedi, seguita a ruota da Beth. “Hai controllato nel fienile?”
Sua sorella stava per incamminarsi, ma Shawn la fermò, annuendo freneticamente.
“Ho già cercato ovunque, anche in casa.”
“Le avete detto di non andare nei boschi?”, Daryl inclinò la testa verso la prima fila di alberi.
L’unica risposta che Shawn riuscì a dare fu una sorta di giuramento, soffocato dal suo stesso respiro affannoso.
“Vado a chiamare il fattore”, mormorò Daryl, allontanandosi rapidamente.
“Forza, continuiamo a cercarla.” Maggie afferrò il bracciò di Beth e cominciò a condurla giù dalle scale. “Otis, puoi avvisare tu Annette e Patricia?”
“Certo.”
Otis annuì e le due ragazze cominciarono a correre. A piedi ci avrebbero messo solo qualche minuto in più, ma Maggie si diresse comunque verso la sua auto. Non volevano perdere tempo.
Proseguirono in silenzio fuori dal campo, accanto al recinto del bestiame. Appena cominciarono ad avvicinarsi, Beth vide uno degli accompagnatori impegnato a far giocare i bambini, tenendoli tutti vicini tra di loro. Gli altri erano spariti, probabilmente erano in cerca della bambina.
“Avete formato le coppie?”, chiese l’accompagnatore, agitando la mano per attirare la loro attenzione. “E va bene, Jace, tu farai coppia con me...”
Si fermò quando si accorse di loro.
“Chi manca? E da quanto?”, gridò Beth.
“Penny, ma non so dirvi precisamente da quanto. Alex ha detto che un quarto d’ora fa gli stava raccontando di una cosa che aveva visto nei boschi. Pare che sia stata l’ultima volta che qualcuno l’ha vista.”
“Pensi sia andata nei boschi?” Si ricordò del branco di lupi, ma cercò di non far trasparire alcun segno di panico dal suo viso, anche se già riusciva a sentirsi il sangue gelarsi nelle vene.
“Sapeva bene di non poter andare”, disse lui scuotendo una mano, senza smettere di sembrare preoccupato. “Le piacciono i cani, forse è andata nella stalla dove stava dormendo quello più vecchio.”
“Sì, forse”, rispose Beth, sentendosi ancora più in ansia di prima. “Dove la stanno cercando gli altri?”
“Sono andati nel fienile e nel pollaio quando non hanno più visto tornare vostro fratello.”
Sospirando pesantemente, Maggie passò le chiavi a Beth e cominciò a scendere dalla macchina.
“Resterò qui ad aiutarlo con gli altri bambini, tu va’ a casa e cercala insieme agli altri. Ho il telefono con me, chiamatemi se la trovate”, sussurrò.
Quando Beth cominciò ad allontanarsi, Maggie stava chiedendo all’accompagnatore se aveva i numeri per contattare la famiglia della bambina.
Quando tornò davanti al portico, suo padre stava dividendo tutti in dei gruppi di ricerca.
“Dobbiamo controllare almeno due volte ogni centimetro della proprietà, ma qualcuno deve andare nei boschi, adesso, nel caso ci fosse andata e si fosse persa.”
Daryl si offrì volontario senza dire una parola, facendo un cenno col capo a Hershel. Quando la superò, era così vicina che gli avrebbe potuto tranquillamente stringere il braccio se avesse voluto, ma, con la sua intera famiglia riunita lì, non le sembrò il caso.
“Aspetta, vengo con te!”, si voltò per cominciare a seguirlo.
Daryl si fermò e la guardò oltre la sua spalla, stringendo i pugni.
“No Bethy, ci servi qui”, le disse sua madre.
Incerta su quanto fosse vero, pensò comunque che non era il momento di discuterne.
“Beh, allora lasciate che gli dia almeno un passaggio.” Alzò una mano, mostrando a tutti le chiavi dell’auto di Maggie che ancora le penzolavano dal pollice. “Forza, stiamo solo perdendo tempo.”
“Otis, va’ con loro”, disse suo padre, che sembrò essere d’accordo con lei.
Hershel continuò a dividere il resto della famiglia e gli aiutanti in piccoli gruppi, assegnando a ciascuno una determinata area della proprietà.
Prima di raggiungere l’auto di Maggie, Daryl corse verso il suo vecchio furgone e tornò con quella che sembrava una balestra e qualche freccia.
“Per cosa pensi che ti servirà?”, gli chiese Otis, anche se già conosceva la risposta. Lo capì dal modo nervoso in cui si grattava la barba.
“Spero per niente”, rispose lui burbero, mettendosi l’arma in spalla.
Otis salì col fucile dal lato del passeggero, mentre Daryl si sedette sui sedili posteriori e si sporse in avanti tra quelli anteriori per vedere la strada. Beth li portò rapidamente al campo più lontano.
“...Hai anche un coltello? E un telefono?”, chiese Otis, mentre controllava anche cos’aveva lui stesso.
“Ho il coltello, ma non il telefono.” Daryl aprì la portiera e scese dall’auto senza aspettare che si fermasse completamente. Otis e Beth lo seguirono.
A poche centinaia di metri di distanza, i bambini erano stranamente tranquilli mentre il loro accompagnatore era a telefono con qualcuno, probabilmente i genitori della bambina. Maggie era nelle loro vicinanze a fare la sentinella.
Beth percorse insieme ai due uomini tutto il confine col bosco. A un certo punto, Daryl sembrava sul punto di addentrarsi nella boscaglia per cominciare la ricerca, ma Otis lo fermò per un braccio.
“So che dovremmo dividerci, coprire aree diverse, ma se non hai un telefono...”
“Tieni, prendi il mio.” Beth estrasse il suo cellulare dalla tasca e lo porse a Daryl. “I numeri di Otis e di tutti gli altri sono già registrati.”
Lui, per un istante, esitò. Non l’aveva guardata in faccia neanche una volta da quando aveva parlato con Maggie, ma ora che era lì di fronte a lei, doveva. Afferrò il telefono e le sue dita le sfiorarono leggermente la pelle, causandole ancora quei piccoli brividi.
“Grazie.”
Finalmente i suoi occhi incontrarono quelli di lei, ma con cautela, molta di più di quanta ne avessero all’inizio. Quell’istante così effimero non le bastava, ma deglutì e smise di insistere. Avrebbe avuto tutto il tempo per preoccuparsene dopo che si fossero accertati che Penny fosse sana e salva.
“Devo andare, mio padre sicuramente vorrà che io controlli in tutti i miei nascondigli. Voi due fate attenzione, e chiamate spesso.”
Appena entrambi la salutarono con un cenno, se ne andò. I due si addentrarono nel bosco uno dietro l’altro e poi, dopo pochi metri, seguirono direzioni diverse.
Quando Beth risalì in macchina, non poté fare a meno di notare quanto si fosse alzata l’umidità. Dovevano trovarla il prima possibile. Se si fosse persa nei boschi, era molto probabile che sarebbe rimasta bloccata lì, sotto un’alluvione.

 

● ● ●

 

Pochi minuti dopo aver dato inizio alla ricerca, Daryl fu attratto da delle tracce fresche che non sembravano descrivere la forma delle scarpe firmate della bambina, ma due paia di zoccoli piuttosto fini. I primi erano decisamente più piccoli dei secondi e dovevano aver camminato insieme. Erano di una madre e del suo cerbiatto.
Quella ragazzina, anche se sapeva di non dover entrare nel bosco, doveva essere stata tentata dal guardarli un po’ più da vicino.
Gli scappò un sorriso. Era stato anche lui quel tipo di bambino.
Seguì per un po’ le tracce a ritroso, per vedere se i cervi erano stati abbastanza vicini da poter essere visti dal campo. Avevano fatto un percorso un po’ strano, quindi ci mise più tempo del previsto, ma avvicinandosi al campo trovò quelle che erano inequivocabilmente le orme di delle scarpe, forse da tennis, abbastanza piccole da appartenere a una bambina.
Sfogliò la rubrica di Beth finché non trovò il numero di Otis.
“Hey Otis.”
“Daryl, l’hai trovata?”, disse l’uomo.
“Ho trovato le sue tracce, sembra che sia andata a est.”
“Sei sicuro?”, aveva già il fiato corto,“Va bene, non aspettarmi”, aggiunse, senza neanche aspettare la sua risposta.
“Non può essere andata lontano, le sue gambe non sono così lunghe.”
Sapeva che quello che aveva appena detto non era propriamente vero, ma qualcuno doveva pur infondere un po’ di tranquillità. Dall’aria che si respirava alla fattoria, Shawn e il resto sembravano sul punto di chiamare la polizia, e non ce n’era bisogno.
Le sue tracce seguivano quelle dei cervi, doveva aver provato a tenere le distanze per non spaventarli.
Mentre seguiva le sue orme, Daryl si guardava anche intorno alla ricerca di altri animali. Era più preoccupato di non riuscire a trovare qualcosa per cena che di imbattersi in qualche lupo, il che sarebbe stato più che legittimo. Se ne sarebbe occupato più tardi. Non l’avevano ancora pagato e non aveva alcuna intenzione di spendere i pochi soldi che aveva.
La prima cosa che Otis gli aveva chiesto, dopo aver firmato il contratto, era se avesse un posto dove stare. Avevano degli spazi molto ampi e qualche roulotte dall’altro lato del campo in cui spesso permettevano agli aiutanti di fermarsi, ma lui aveva subito detto di no, senza neanche considerare l’idea. Gli aveva rifilato qualche piccola bugia, tipo che aveva un posto in cui stare in città. Un po’ di distanza dalla fattoria gli avrebbe giovato se le cose con la figlia minore di Hershel gli fossero sfuggite di mano. Anche se, dopo aver ascoltato Maggie, aveva cominciato a pensare che tutta quella cautela non era così necessaria. Beth aveva già un piccolo esercito pronto a proteggerla, guidato dal generale Sorella Maggiore.
Si sarebbe stabilito nel bosco dopo aver trovato un posto decente in cui lasciare il furgone. Aveva già vissuto così, prima. A Merle non piaceva molto, ma a lui non importava dell’isolamento o della mancanza di comfort. Così si sentiva più tranquillo, più a suo agio. O almeno, così diceva a se stesso.
E poi, volendo essere completamente sincero, doveva ammettere che gli atteggiamenti della famiglia Greene lo infastidivano un po’. Erano sempre così felici, anche quando si rompevano le palle a vicenda. Tuttavia, sapeva che non aveva alcun senso avercela con qualcuno solo perché è solidale e gentile col prossimo, quindi tentò di scacciare via quella sensazione. Erano semplicemente dinamiche con cui non poteva relazionarsi, non era mai riuscito a immaginarle e tuttora faticava a capirle, anche dopo averle osservate dall’esterno.
E, al centro di tutto, c’era Beth Greene con i suoi grandi occhi blu che avevano capito di più di quanto lui stesso volesse che facessero, la sua voce così dolce e le sue labbra così morbide.
Non aveva mai avuto a che fare con una così.
Inconsciamente, si era mosso più velocemente del solito nel seguire il percorso. A un certo punto, i cervi avevano preso una direzione e Penny un’altra. Probabilmente li aveva persi di vista e aveva provato a tornare alla fattoria, ma tutti quegli alberi dovevano aver confuso il suo senso dell’orientamento. All’inizio non stava neanche andando male, ma poi aveva seguito la direzione sbagliata e aveva imboccato un sentiero che l’aveva portata abbastanza lontano dal campo in cui i suoi amici l’avevano vista l’ultima volta.
Aveva già notato l’umidità, ma aveva cercato di non pensare troppo a quello che stava anticipando. Il cielo crepitava sopra la sua testa e imprecò in silenzio quando la forza del vento cominciò ad aumentare. Il tempo era cambiato nel giro di soli dieci minuti o giù di lì, minacciando costantemente le tracce. Appena le prime gocce di pioggia cominciarono a cadere, sapeva che erano definitivamente in pericolo.
Una settimana prima, un temporale era stato la sua salvezza, perché aveva cancellato la sua folle corsa nei boschi. Adesso, però, stava solo dannatamente peggiorando la situazione.
In pochi minuti, sul terreno non c’era più niente da vedere. La pioggia aveva lavato via il percorso che avrebbe dovuto seguire, qualsiasi esso fosse stato.
Senza avere più nulla di funzionale a farlo proseguire, decise di continuare la sua marcia.

 

● ● ●

 

“Fa’ parlare me.”
Beth cercò di afferrare il telefono di sua sorella, ma Maggie indietreggiò di scatto, avvicinandosi pericolosamente al bordo del tavolino da caffè.
“Maggie… finiscila”, sibilò tra i denti.
Lei scosse la testa e fece un altro lungo passo indietro nel soggiorno, portandola nell’ala più pericolosa della stanza. Da lì erano tutte e due visibili sia da Hershel che da Annette, che sedevano entrambi in cucina con il signor Blake.
“Sii gentile!”, bisbigliò Beth.
Maggie, col telefono sull’orecchio, si limitò a roteare gli occhi mentre attendeva una risposta. Beth sbuffò e incrociò le braccia al petto, scuotendo la testa verso sua sorella, incredula.
“Daryl?”, Maggie assunse un’espressione sofferente. “Riesci a sentirmi?”
La tempesta era peggiorata e forse aveva disturbato la linea. Beth non riuscì a sentire la risposta di Daryl dall’altro lato della cornetta.
“Sì… in realtà, abbiamo chiamato la polizia”, continuò sua sorella, scandendo bene le parole.
Odiava che continuasse a comportarsi in quel modo nei loro confronti. Non voleva parlare a telefono con lui per i suoi interessi, più che altro credeva che non fosse il caso che parlasse con Maggie, dati i loro ultimi trascorsi. E poi, se avesse parlato lei, c’erano molte più possibilità che non riagganciasse.
“E’ arrivata circa un quarto d’ora fa e sembra che voglia farti tornare. Volevo solo avvisarti...”, si fermò un attimo. “Che diavolo significa?!”, cambiò bruscamente tono, “Perché non è sicuro… è la stagione delle alluvioni!”
La sua espressione mutò radicalmente. Non seppe dire se fosse stato lo shock combinato alla rabbia o alla confusione a distorcerle il volto.
“Guarda, sto solo cercando di dirti quello che la polizia ha intenzione di...”, Maggie tagliò corto non appena uno dei poliziotti entrò in salotto, fermandosi accanto a loro.
“E’ il segugio?”, chiese in un sussurro, indicando il telefono.
“Sì… Daryl, adesso lo sentirai direttamente da loro.”
Maggie passò il telefono all’agente. Era un bel ragazzo, alto e forse un po’ troppo giovane per la carica che indicava il suo distintivo.
“Salve, lei è il signor Dixon? Sono lo sceriffo Pete Dolgen. Abbiamo apprezzato davvero molto lo sforzo che sta facendo per ritrovare Penny, ma adesso dobbiamo occuparcene noi. Tra l’altro, con questa tempesta...”
Di colpo, l’Agente Pete smise di parlare. Con un cipiglio e le guance arrossate, allontanò il telefono dall’orecchio e lo osservò incredulo.
Beth si morse il labbro, impaurita da quello che Daryl avesse potuto dire per scatenare una reazione del genere, ma un secondo dopo l’Agente Pete restituì il telefono a Maggie e disse: “Mi ha attaccato il telefono in faccia?”
“Forse è caduta la linea”, Beth provò a difenderlo debolmente, sforzandosi di non ridere.
Sapeva benissimo che non era così. Daryl non sarebbe tornato senza Penny.
Maggie le lanciò un’occhiata che le fece capire che era fin troppo chiaro che stava mentendo. L’Agente Pete, però, le diede il beneficio del dubbio, annuendo.
“Richiamiamolo allora.”
Con un sospiro, Maggie ricompose il numero e attese per circa dieci secondi, fin quando il telefono non cinguettò. Avevano la stessa suoneria per i messaggi.
Sua sorella guardò il telefono con le sopracciglia sempre più alzate e con le guance sempre più rosee. Si schiarì la gola e lesse il messaggio anche a loro.
“Daryl ha scritto: ‘Non si sente niente. Piove. La batteria è quasi morta, credo che lo spegnerò.’
L’Agente Pete sospirò. Anche se non gli aveva creduto, non lo diede a vedere mentre usciva dalla stanza. Beth lo guardò andare via, senza smettere di pensare a quanto fosse sicura che il suo telefono fosse completamente carico quando l’aveva dato a Daryl.
“Mmh.” Maggie continuava ad osservare il telefono con un’espressione strana.
Beth non riuscì a interpretarla, il che era raro. “Che c’è?”
“Niente”, si strinse nelle spalle, ammorbidendo improvvisamente il tono. “E’ solo… che sono abbastanza colpita da come Daryl stia gestendo la cosa.”
Lei, invece, non era per niente sorpresa dal fatto che lui fosse rimasto nei boschi a cercare Penny. Si aspettava molto, ma allo stesso tempo più la pioggia batteva contro le finestre, più non riusciva a non essere preoccupata per entrambi.
“Spero che la trovi”, mormorò, allontanandosi da Maggie.

 

● ● ●

 

Nel vano tentativo di renderlo meno inzuppato di quanto fosse già, Daryl avvolse il telefono di Beth nel suo fazzoletto e se lo rimise in tasca. Il cielo fu scosso da un tuono e un insieme di torrenti d’acqua refrigerata si riversò irregolarmente sulle foglie sopra la sua testa. Il terreno era diventato fangoso e scivoloso nei punti più alti, mentre in quelli più bassi si erano formati dei piccoli fiumiciattoli d’acqua.
La pioggia gli aveva completamente invaso le scarpe, gli annebbiava gli occhi e, a partire dai capelli, gli scorreva su tutto il viso. Mancavano ancora poche ore al tramonto, ma il cielo si era già oscurato gradualmente. Avrebbe continuato a cercarla anche di notte, nel bel mezzo di un uragano. Una parte di lui sapeva che avrebbe fatto bene ad ascoltare la polizia e tornare indietro. Le possibilità che aveva di ritrovarla quella stessa notte non erano poi così alte… ma, se fosse tornato, si sarebbero completamente azzerate.
Incise dei segni su un albero, in modo tale da poter guidare gli sbirri dal punto in cui i percorsi diventavano più confusi; avrebbe potuto mostrare quello giusto e lasciare che gestissero loro la faccenda, ma non sapeva quanto tempo sarebbe passato prima che mettessero le cose in ordine e cominciassero a muoversi.
“Maledetta stupida ragazzina”, mormorò, asciugandosi gli occhi dai rivoli d’acqua.
Non c’era nessuna traccia da seguire, nessun segno. Solo acqua, fango e alberi.
Anche se non aveva niente su cui lavorare, provò comunque ad esaminare il terreno. Era uno dei sentieri che provenivano dalla fattoria. Arrivata a quel punto, avrebbe potuto cambiare direzione, ma non avrebbe avuto senso perché era in salita. Era abbastanza ripida da poterla stancare subito, quindi pensò che avesse proseguito in discesa.
Quando cominciò a seguire quella pista, Daryl notò che il livello dell’acqua era in costante risalita: tra gli alberi, correva un torrente stretto ma impetuoso, che trascinava via con sé tutte le piante più basse. Era in piena, e presto avrebbe sommerso tutto lo spazio circostante. Pensò che probabilmente lei non aveva voluto avvicinarsi a una cosa del genere, quindi prese le distanze.
Tra il rumore ripetitivo e tagliente della pioggia che cadeva sul terreno, si lamentò ad alta voce.
“PENNY!”
Il boato di un altro tuono sfumò il suo richiamo, ma, appena quest’ultimo svanì, riuscì a riconoscere le sue grida. Le seguì finché qualcosa di strano non attirò la sua attenzione: a cinquanta passi in discesa da lui, Penny era aggrappata a un ramo più o meno all’altezza del suo occhio.
Le tremavano i denti e, appena riuscì a ritrovare l’equilibrio, si voltò a guardarlo, impaurita. Tirò su con il naso e, dal suo respiro irregolare, Daryl capì che buona parte dell’acqua che le scorreva sul volto era costituita da lacrime.
“Andiamo piccola, ti aiuto a scendere”, le disse raggiungendola.
La bambina scosse la testa, aggrappandosi ancora più saldamente al suo ramo.
“Le scarpe… mi entra nelle scarpe”, rabbrividì.
“Ti porto io, così i piedi non si bagneranno. Forza, dobbiamo andare.”
Si convinse ancor prima di lasciargli finire la frase. Allungò la manina verso la sua spalla e lui l’aiutò a scendere tra le sue braccia. Quando affondò il viso nella sua spalla, cominciò a singhiozzare sul serio.

 

● ● ●


In cucina, Hershel e Annette stavano facendo del loro meglio per confortare il signor Blake, che era visibilmente sconvolto.
Era strano, per Beth, vedere il suo insegnante di storia al di fuori della classe, soprattutto se così preoccupato e divorato dal senso di colpa. Era arrivato pochi secondi dopo la polizia e probabilmente, se non l’avessero fermato, sarebbe corso nei boschi a cercare sua figlia.
Era un uomo alto, ben piazzato, con qualche tono di grigio a spezzare la tonalità scura dei suoi capelli perfettamente sistemati. Il suo viso sembrava piegato in un cipiglio naturale quando non era troppo impegnato a costruire un sorriso cordiale. Obiettivamente, riusciva a capire perché Karen lo trovasse così attraente, ma personalmente l’aveva sempre reputato un tipo abbastanza minaccioso, ma in un modo molto non-sessuale. Le venne spontaneo pensare a quando tenne quella lezione sulla Spedizione Doner: ne parlò con così tanto entusiasmo che le fece accapponare la pelle per una settimana intera.
L’uomo alzò lo sguardo su di lei quando la vide entrare in cucina, senza preoccuparsi di fingere il suo solito sorriso gentile. Si limitò a ricambiare il suo con un cenno.
“Beth.”
“Starà bene, signor Blake.”
Non l’aveva mai visto così prima. Le sembrò do scorgere un lieve tremolio nei suoi occhi, ma non come se stesse per piangere; era più come se stesse tentando di trattenere uno scatto di rabbia.
“Qualcuno è andato là fuori a cercarla? Ci sono così tanti uomini in divisa e nessuno di loro ha ancora fatto qualcosa.”
“La polizia sta organizzando una squadra di ricerca, ci ho parlato io”, intervenne Hershel, guardando il corridoio dove l’Agente Pete stava parlando a bassa voce con pochi altri agenti. Fuori, la pioggia tagliava in diagonale le luci dei fanali delle loro volanti.
“La troveranno”, disse Annette con dolcezza.
“E perché non sono già la fuori?”, l’uomo si asciugò la fronte sudata. La mano gli tremava.
“Se vuole, andrò a chiederglielo”, propose suo padre.
Hershel aveva uno sguardo duro che Beth aveva avuto modo di conoscere solo in rare occasioni. Il suo carattere era una forza da non sottovalutare, soprattutto se la sua rabbia rientrava, come spesso accadeva, nella categoria dell’ira legittima.
“Vengo con lei...”, il signor Blake cominciò ad alzarsi, ma Annette lo fermò per un braccio, agitando l’altra mano.
“Io non lo farei”, gli disse, con quel genere di dolcezza che in genere si usa solo con i bambini, o con i gatti e i cani randagi. “Potrebbe mettersi nei guai.”
La mano candida di sua madre posata sul pugno chiuso del suo professore fece a Beth uno strano effetto, tanto da farle sentire l’improvviso bisogno di allontanarli. Sua madre doveva averlo intuito, perché si alzò dalla sedia insieme ad Hershel, lanciandole uno sguardo che diceva chiaramente: “Prenditi cura di lui.
Così, prese posto di fronte a lui.
“In realtà, fuori c’è qualcuno che la sta cercando.”
“Un solo uomo”, il signor Blake scosse la testa, per nulla impressionato.
“E’ un segugio. Ha trovato le sue tracce prima che cominciasse a piovere; almeno è sul sentiero giusto.”
“Questo...”
“...è già qualcosa”, lo interruppe lei, costringendolo a finire la frase in modo più positivo di quanto si aspettasse. “Non si è allontanata molto tempo fa.”
“Possono accadere molte cose anche in un singolo istante”, ribatté lui.
“E spesso non succede proprio niente”, puntualizzò Beth. “Penny conta su di lei, deve avere fede. La riporterà a casa e la metterà a letto, dovrà essere esausta dopo la giornata di oggi.”
Questo lo zittì solo per pochi minuti. Del resto, lei non poteva capire la sofferenza che stava provando, con la sua unica figlia dispersa nei boschi con un branco di lupi nei paraggi e la minaccia di un’alluvione.
“Mi ricordo che il mio insegnante di psicologia al College...”, mormorò, “una volta mi parlò della timidezza.”
“Della timidezza?”, ripeté Beth, non troppo sicura di aver sentito bene.
Il signor Blake annuì lentamente, spostando lo sguardo su di lei.
“Mi disse che in alcune culture la maggioranza della popolazione tende a essere timida perché tutti i bambini espansivi che si erano addentrati nella giungla erano stati mangiati dai leopardi. In questo caso, la timidezza è stata tutto ciò che li ha salvati.”
Non sapeva cosa rispondergli, quindi cominciò a fissarlo, sforzandosi di capire che cosa stesse accadendo nella sua mente. Il fatto che il signor Blake fosse intelligente, e anche colto, non era mai sfuggito alla sua attenzione, ma spesso, per lei, il suo era un punto di vista davvero difficile in cui immedesimarsi.
“Penny è timida.”
L’uomo, all’improvviso, cominciò a ridere, ma senza alcuna forma di sonorità o umorismo. Poi, il tempo di guardarsi i piedi con un ultimo sorriso da Stregatto e di un sospiro, e tornò serio, guardandola come se fosse in attesa di spiegazioni da parte sua.
“Beh, con tutto il rispetto per il suo professore di psicologia… ma non ha molto senso come teoria. Ha mai pensato che una bambina timida possa addentrarsi nel bosco non perché è alla ricerca dell’avventura, ma perché sente solo il bisogno di starsene un po’ da sola?”
Non era sicura che fosse il modo migliore per farlo sentire meglio, ma allontanare la sua mente dal pensiero della figlia sbranata da un branco di leopardi- o di lupi, all’occorrenza- era il suo obiettivo primario.
“Non è da lei andarsene via così”, il signor Blake scosse la testa. Non la stava ascoltando e sembrava che avesse lo sguardo perso nel vuoto, ma, quando Beth lo seguì, la condusse a suo fratello, seduto sul divano del soggiorno.
Shawn non si era mai sentito così in colpa. Continuava a pensare al fatto che non era stato abbastanza attento nel controllare i bambini mentre attraversava i campi con loro, ma non era l’unico a dover fare i conti con quei pensieri: anche gli accompagnatori dei Little Learner erano sicuramente da qualche parte a tormentarsi per l’accaduto e il signor Blake, d’altra parte, forse non avrebbe mai più lasciato sua figlia fuori dalla sua vista.
“Lei è così timida... non mi sorprenderei se dovessi sapere che si è nascosta anche dal segugio di tuo padre, sempre se è riuscito a raggiungerla.
“La raggiungerà”, disse Beth.
Il suo insegnante riprese a osservarla, sorpreso da tutta quella decisione. La guardò dalla punta degli stivali fino a risalire agli occhi. “Sembri così diversa quando noi sei accompagnata dalle tue due galoppine.”
“Galoppine?!”, ripeté lei con una risata. “Io non do mica gli ordini, è che Minnie e Karen...”
Alla fine scrollò le spalle e non continuò la frase, rinunciando all’arduo compito di descriverle.
“Uh.” Il signor Blake sembrò capire, nonostante la sua mente fosse altrove, quello che stava pensando. “Non sembra così.”
“L’apparenza inganna.”
“Giusto.”
Annette tornò nella stanza e Beth colse la palla al balzo per scappare via dalla cucina e raggiungere suo fratello in soggiorno, ormai rimasto completamente solo. Si mordicchiava l’unghia del pollice mentre osservava le gocce di pioggia illuminate dalle luci blu e rosse lampeggianti fuori dalla finestra.
“Cazzo”, disse Shawn in un sospiro. “Cazzo!”
“Non farti sentire da mamma e papà”, gli consigliò.
“Sarò il padre peggiore del mondo.”
Suo fratello gemette con la testa tra le mani; lei gli diede una pacca sulla spalla più forte del solito.
“Oppure, questa cosa ti ha migliorato”, rispose, “perché d’ora in poi non perderai mai più d’occhio nessun bambino.”
“Era una mia responsabilità”, ammise. “Gli stavo insegnando delle cose, quindi si presuppone che loro avrebbero dovuto tenere tutti i loro sguardi su di me e io avrei dovuto controllarli. Non mi sono neanche accorto che si era allontanata, non so nemmeno dirti quando è successo. Zero attenzione.” Scosse la testa, pallido come un cadavere.
“Non eri il solo adulto presente ed eri l’unico che non li conosceva già. Comunque, non importa. Non serve a nulla addossare la colpa a qualcuno, dobbiamo solo trovarla.”
Shawn era irrimediabilmente concentrato sulla pioggia battente, come se lui stesso si trovasse fuori dalla finestra. Rimase seduta accanto a lui in silenzio per un po’, ma non ne volle sapere di ritoccare l’argomento. Beth sapeva che non era ancora riuscita a fargli cambiare idea. La sua pelle era ancora di un colorito giallastro, malaticcio, e sbatteva di rado le palpebre. Aveva gli occhi iniettati di sangue per lo stress.
Una parte di lei si chiese se un po’ di senso di colpa avesse potuto fargli bene. Amava suo fratello, ma ogni lezione da cui poteva imparare qualcosa sulla responsabilità era necessaria per il suo futuro e per i suoi eventuali futuri figli.
La tempesta sembrava aver permesso alla notte di anticiparsi. Quell’illusione investì tutta la fattoria, anche se i fanali lampeggianti rendevano il tutto più luminoso. La polizia aveva appena finito di organizzare la squadra di ricerca e proprio mentre l’Agente Pete stava chiedendo ad Hershel di far loro strada nei campi, un grido proveniente dall’esterno li fece scattare tutti in piedi. Tutti tranne Beth, che aveva già un buon presentimento.
Nel grigiore di quel falso tramonto che la pioggia aveva abbattuto sul podere, a stento riuscì a distinguere una figura muoversi nella loro direzione dai campi più lontani. Nessuno provò a fermare il signor Blake che, superando tutti gli agenti, uscì di corsa per andarle incontro.
Daryl aveva un corpicino minuto ed esausto stretto in petto, che gli teneva le braccia appese al collo. Erano entrambi pallidi e zuppi d’acqua. Beth era a poche decine di metri dal signor Blake ed ebbe modo di assistere al momento in cui Daryl lasciò che Penny tornasse sui suoi piedi per correre tra le braccia di suo padre che, inginocchiato sul prato, era già bagnato fino alle ossa dopo quei pochi secondi di corsa.

 

● ● ●

 

Penny rivolse a Daryl un saluto timido, a cui lui rispose con un cenno. Suo padre la guidò verso la loro auto, dicendo che doveva portarla a letto il prima possibile.
Beth era sotto la pioggia, già abbastanza fradicia. La osservò mentre li accompagnava, portando con sé un paio di coperte che aveva preso da una delle volanti che qualche agente distratto doveva aver lasciato aperta. Daryl dedusse che non doveva aver neanche chiesto e non riuscì a trattenere un ghigno.
Nel frattempo, gli sbirri parlavano con Hershel in cucina. Non sapeva perché, ma quella visione lo rendeva nervoso.
Beth corse verso la porta d’ingresso. I capelli biondi attaccati sul suo viso formavano dei vortici irregolari e i suoi vestiti erano completamente bagnati. Quando lo superò, si aggrappò al suo braccio abbastanza a lungo per rivolgergli un sorriso a trentadue denti, poi corse su per le scale, probabilmente per cambiarsi.
La guardò allontanarsi con il cuore ancora bloccato in gola.
Sul tappeto fuori la loro porta, zuppo e tremante come un cane randagio, si prese qualche altro minuto per stare a riparo prima di rimettersi sotto la tempesta. Ma inaspettatamente qualcosa si precipitò verso di lui, stringendogli dolorosamente la cassa toracica.
Era Shawn Greene.
“Mi hai letteralmente salvato il culo!”, disse con una risata. “Sul serio, grazie amico.”
Un attimo dopo fece marcia indietro, apparentemente incurante di tutte le chiazze d’acqua che il corpo di Daryl gli aveva lasciato sulla felpa.
“Se ti fa sentire meglio, Penny mi ha detto che ha aspettato che tu la perdessi di vesta. Credeva che l’avresti fermata.”
“Voleva scappare?”, Shawn aggrottò le sopracciglia.
“No, era solo curiosa”, Daryl provò a fare le spallucce, ma sentiva fin troppo freddo.
Hershel chiamò Shawn dalla cucina e il ragazzo impallidì di nuovo, per poi andare a verificare che cosa volessero da lui.
Fu Maggie a fermarlo di nuovo, con le braccia incrociate al petto. “Hey, io… beh… non mi piace ammettere quando ho torto, quindi non lo farò.”
Per un momento aveva pensato che era tutto quello che aveva intenzione di dirgli, ma continuò a guardarlo ostinatamente, per poi aggiungere: “Però, posso dirti che Beth aveva ragione su di te.”
“...Ok.”
Da un lato, era tentato di chiederle che cosa le avesse detto esattamente su di lui, ma la paura di saperlo fu più forte. Così, Maggie gli sorrise e raggiunse suo padre, suo fratello e la polizia in cucina.
Era pronto a filarsela in silenzio prima che Beth potesse riscendere, ma Annette non glielo permise.
“Sei un disastro! Forza, lascia che metta i tuoi vestiti nell’asciugatrice.”
Non ne colse il senso, visto che poi si sarebbero bagnati di nuovo quando sarebbe uscito, ma, mentre lo trascinava nel corridoio, la presa della donna sembrava ferma e decisa. Prese una coperta di lana da una delle camere da letto e gliela porse, poi indicò un’altra stanza.
“Lascia i vestiti sul pavimento, tornerò a prenderli tra un minuto.”
Detto ciò, sparì come un fantasma, lasciandolo lì a chiedersi se obbedirle fosse davvero necessario.
Stava tremando e aveva le mani e i piedi intorpiditi dal freddo. Magari, mentre i vestiti si asciugavano, la tempesta sarebbe finita.
Sentendosi ancora più vulnerabile di quanto lui stesso accettasse, seguì gli ordini della donna e si chiuse in quella che sembrava una camera degli ospiti inutilizzata. Una volta al sicuro dietro la porta, si spogliò dei suoi vestiti e si coprì con la coperta di lana, facendo del suo meglio per tenerla alta e ben chiusa intorno a sé mentre metteva la testa fuori la porta. Il corridoio era libero, quindi lasciò cadere i suoi vestiti sul pavimento e la richiuse lentamente, dirigendosi verso il letto.
Proprio quando si era ormai seduto e stava cominciando a rilassarsi un po’, si ricordò del cellulare di Beth.
Riaprì la porta con l’intenzione di strappare via il telefono dalla tasca del suo pantalone prima che Annette tornasse a prendere le sue cose, ma una seconda porta si aprì e si ritrovò davanti ai piedi nudi di Beth Greene.
Anche le sue gambe erano nude.
Doveva essersi tolta i vestiti bagnati di dosso in tempo record, perché indossava solo una maglietta lunga con il collo sbottonato. I suoi capelli erano ancora umidi, il trucco leggermente sbavato. Era semplicemente troppo bella per essere descritta.
Daryl cercò di ignorarla, continuando a cercare il telefono tra le pieghe dei suoi vestiti stropicciati sul pavimento. Si alzò in piedi, avendo cura di tenere la coperta stretta intorno a sé, e glielo porse.
“Tieni. Grazie.”
Pensava che magari l’avrebbe preso e se ne sarebbe andata.
Ma niente da fare. Chiuse la mano sul cellulare e lo guidò all’interno della stanza con la minima quantità di pressione.
Una volta varcata la soglia, chiuse la porta dietro di loro.

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Capitolo 10
*** Trovata ***


XV. Trovata

 

 

Gli occhi di Beth erano fin troppo luminosi mentre guardavano i suoi. Aveva fatto tutto così in fretta.
Quando rimasero da soli nella stanza, lasciò che un respiro di sollievo sfuggisse alle sue labbra sigillate.
“Non credo che...” Incredibilmente consapevole del fatto che fosse completamente nudo sotto quella coperta, cercò di lottare contro i suoi impulsi per tenerli sotto controllo. Perché diavolo l’aveva lasciata entrare? “Non dovresti essere qui, Beth”, disse tra i denti, “non puoi stare con me.”
“Non m’importa delle regole.” Il fatto che stesse parlando a bassa voce, lasciò intendere che, nonostante quello che aveva appena detto, non voleva assolutamente che qualcuno scoprisse che si trovava lì. “Voglio stare qui. Con te.”
Lo superò e si andò a sedere ai piedi del letto, tirandosi consapevolmente giù la maglietta finché non incontrò il suo sguardo e smise di agitarsi.
Per un momento restò impalato lì dov’era ad osservare la sua espressione, la quale man mano che i rumore dei passi proveniente dal corridoio aumentava diventava sempre più tesa, quando d’un tratto cessò. Per un secondo, la luce visibile da sotto la porta fu oscurata da un’ombra che se ne andò così com’era venuta, probabilmente portando via con sé i suoi vestiti.
Quando tornò a guardare Beth, stava trattenendo il respiro gonfiando il petto, per poi lasciarlo andare. Riposò lo sguardo su di lui e sorrise, rilassando le spalle.
“Vieni”, suonò più a suo agio di quanto non sembrasse. “Se non mi trovano sarò io quella a finire nei guai, e poi nessuno si aspetta di vederti lasciare questa stanza prima che sarai vestito. Nel caso, dirò che ti ho messo alle strette per farmi raccontare come e dove avessi trovato Penny… che alla fine è la verità.” Le sue guance si colorarono di rosso.
“Non voglio che tu finisca nei guai a causa mia”, brontolò Daryl.
Lei non rispose, ma gli rivolse un sorriso smielato e lo guardò in un modo a cui non era per niente preparato.
“Non c’è molto da dire, comunque.”
Sapeva quella risposta non le sarebbe bastata e sentì già la sua convinzione cominciare a sgretolarsi davanti a quel suo sguardo limpido e innocente.
“Ha solo… visto una cerva e un cerbiatto. Voleva dar loro un’occhiata più da vicino e pensava di ricordarsi la strada del ritorno, ma poi le sue prede sono scappate e...”
“Prede?”, Beth lo interruppe confusa, scuotendo la testa. “Voleva solo guardarli.”
Daryl sollevò e abbassò una spalla sforzandosi di non far cadere la coperta, stringendola di più quando stava per sfuggire alla sua presa. “E’ l’abitudine, credo. Se mi parli di inseguire un animale, penso a una battuta di caccia.”
“Oh”, lei annuì, continuando a fissarlo in attesa che continuasse.
“E quindi… si è persa. Ha cercato di tornare alla fattoria convinta di star seguendo la pista giusta, ma poi è iniziato a piovere. Il torrente lì vicino ha alzato il livello dell’acqua e così si è arrampicata su un albero per non bagnarsi i piedi. L’ho trovata aggrappata al suo ramo come una piccola scimmia.”
Il sorriso di Beth si allargò.
“E’ una brava bambina. Non è neanche stupida, solo che magari io al posto suo avrei gridato aiuto quando la pioggia cominciava a peggiorare.”
“Siediti”, gli disse, “o stenditi… devi essere stanco.” Non riuscì a dirlo senza arrossire di nuovo, sempre che non fossero solo le rimanenze di quella corsa sotto la pioggia.
Daryl era rimasto in piedi davanti alla porta, pensando che vi ci sarebbe gettato contro se qualcuno avesse provato ad entrare, ma era un piano completamente impulsivo e insensato. Sapeva che così facendo avrebbe solo reso quella situazione ancora più equivoca.
Beth non se ne sarebbe andata e, in tutta onestà, non voleva che lo facesse.
A passi pesanti, la raggiunse, prendendo posto accanto a lei.
“Va bene, mi siedo”, mormorò.
Cercò di fissare una buona distanza tra i loro corpi, ma Beth non sembrò curarsene, perché quando il suo peso affondò nel materasso, approfittò di quel movimento per spostarsi più vicino a lui.
“Scusa per Maggie, è un po’… difficile”, rise nervosamente.
“Fa bene.” A guardarla con la coda dell’occhio, era solo una macchia bianca e dorata. “Si sta solo prendendo cura di te.”
“Non so neanche cosa pensa che siamo.”
Anche senza girarsi completamente, la vide muoversi. La sua mano si allungò lentamente verso il suo viso per togliergli un filo d’erba che doveva essere rimasto attaccato lì.
“Cosa siamo?”, chiese timidamente.
E che cazzo ne so.
Daryl non riuscì a muovere la mascella per darle una risposta e pensò che probabilmente era meglio così. Dubitava di poter riuscire a dire qualcosa di sensato, dato che in quel momento nella sua mente regnava il caos.
“Scusa”, Beth cominciò a indietreggiare, e solo in quel momento si rese conto di quanto il suo silenzio avesse solo peggiorato la situazione.
Non riusciva a capire che cosa volesse da lui.
“Non voglio restare in un posto di cui non posso far parte.”
“Ma non è così”, disse lei con fermezza. “Nessuno vuole che tu te ne vada… neanche Maggie. Io vorrei che restassi, e sono sicura che anche il signor Blake e Penny siano stati molto contenti della tua presenza qui.” Gli rivolse un altro timido sorriso.
Lui deglutì, col cuore che gli batteva un po’ più forte del solito. “Era normale… e giusto che io andassi a cercarla.”
Adesso era Beth a stare in silenzio. Aveva un’espressione pensierosa e preoccupata, i suoi occhi blu lo osservavano pungenti come chiodi. Era uno sguardo privo di ogni tipo di giudizio, che lo spinse a continuare a parlare.
“Quando ero piccolo, nessuno è venuto a cercarmi. Forse non si erano neanche accorti che non c’ero.”
Si ricordò della paura di non essere mai ritrovato, così costante e profonda soprattutto quando pensava che forse nessuno voleva ritrovarlo. Si era addentrato nei boschi per stare da solo e così l’avevano lasciato.
“..Merle era in riformatorio e mio padre… anche se non se ne fosse andato a casa di non so chi in quel periodo, magari non si sarebbe neanche accorto che mancavo.”
Smise di parlare quando riposò gli occhi sul volto di Beth, ancora aperto e interessato, ma contorto in una smorfia di dolore.
“E’ terribile”, disse, accarezzandogli il viso con lo sguardo.
Daryl si strinse nelle spalle e distolse lo sguardo dal suo, con lo scopo di ristabilire almeno per un attimo il suo equilibrio. “Stavo bene.”
Era stato bene nel bosco. Era addirittura arrivato a pensare di appartenere più a quel posto che al calore di una casa.
“Ho ritrovato la strada dopo alcuni giorni.”
Giorni?!” Lei allungò di nuovo la mano verso di lui, ma questa volta la posò sulla sua spalla, cominciando a massaggiargli il muscolo in tensione con più forza di quanta se ne aspettasse da lei.
“Non sapevo ancora muovermi nei boschi come so fare adesso.” La coperta continuava a scivolargli di dosso e cercò di rimetterla a posto, ma la tirò con troppa forza e scoprì una parte della spalla che lei stava accarezzando. “...Non sapevo ancora che tracce seguire per tornare in mezzo alla gente. Da quel momento, sono diventato un cacciatore.”
Beth aveva la fronte corrucciata e lo sguardo fisso su un punto preciso della sua schiena. La mano aveva smesso di muoversi.
S’irrigidì in un istante appena capì che cosa significasse, appena capì che cosa stava guardando. In ansia, tirò la coperta più in alto. Pochissime persone avevano visto la sua schiena nuda ed era successo solo quando era troppo fatto per curarsene. L’unica eccezione era stato un tatuatore, che l’aveva guardata impassibile. Dalla paura improvvisa e dal disgusto che si erano fatti prepotentemente strada nel suo sguardo, Daryl capì che non erano i due demoni che aveva sulla spalla ad aver catturato la sua attenzione.
“Daryl...”
Sentì una forte sensazione di nausea alla bocca dello stomaco. Si ripiegò le labbra in bocca e prese a guardare il pavimento, cercando di ignorare il modo in cui lei lo stava osservando. Sembrava che stesse guardando qualcosa sul punto di rompersi.
“Ma come ha…?”, la sua mano delicata raggiunse la parte posteriore del suo collo.
“Smettila.” Parlò più duramente di quanto avesse voluto fare e si ritrasse dal suo tocco. “E’...”, cercò di ammorbidire il tono per evitare che pensasse che fosse arrabbiato con lei. “E’ solo una cosa brutta. Tutto qui.”
“No”, sussurrò, provando a sorridere. Ma sembrava troppo triste per farlo funzionare. “Scusa, non ho alcun diritto di...” Per un momento si zittì e tirò un respiro profondo. D’un tratto, una scintilla determinata si accese nei suoi occhi. “...Per favore, posso vederle?”
Daryl non riuscì neanche a figurarle nella sua mente. Le aveva intraviste solo per caso, una volta, nello specchio appannato di un albergo mentre usciva dalla doccia. Sapeva solo dov’erano le peggiori e ricordava ancora con quanto disgusto si costrinse a guardarle. Non riusciva a rivivere quel dolore, ma poteva ancora avvertire vagamente la sensazione della pelle della cintura sulla sua schiena. Ed ogni volta era peggio di quanto ricordasse.
Allentò la presa sulla coperta, lasciandola scivolare fino ai gomiti. Quel gesto parlò da sé.
Il materasso si piegò sotto di lui quando Beth si alzò sulle ginocchia e si spostò dietro la sua schiena. Le sue dita erano così leggere che a momenti non sapeva dire se lo stessero toccando per davvero o se fosse solo la sua immaginazione a fargli formicolare la pelle. I suoi capelli umidi e freschi lo solleticarono finché non sentì prima il suo respiro e poi le sue labbra posarsi sulla spina dorsale, proprio su una delle cicatrici peggiori. Gli ultimi rimasugli di freddo svanirono, lasciando spazio a un calore sempre più intenso. Lei non si ritrasse, al contrario, sentì il suo peso abbandonarsi contro la sua schiena, per poi girare la testa e far scivolare le mani sul suo corpo, fino a farle incrociare sul petto.
“Mi dispiace per quello che ti è successo.”
Lentamente, Daryl poggiò il mento sulle sue mani giunte e lasciò che il suo corpo, a poco a poco, cominciasse a rilassarsi. Non gli importava del cielo che fuori continuava a infuriare, o del fatto che fossero ancora circondati dalla sua famiglia. Riuscì a dimenticare tutto per quell’istante, godendosi a pieno la magnifica sensazione del corpo di Beth stretto al suo.
Ma poi, qualcuno bussò alla porta.
“Daryl?”
Era la voce di Hershel, la cui ombra comparve sotto la porta.
Così veloce che avrebbe potuto lasciare la sua scia nell’aria, Beth balzò giù dal letto e si nascose sotto di esso.
Quando i suoi piedi sparirono, Daryl rispose a voce un po’ troppo alta: “Sì?”
“Stai bene, figliolo?”
“Abbastanza.”
Non voleva che Hershel entrasse nella stanza. Il suo cuore era completamente impazzito, attentando alle sue costole a ogni pesante battito. Non riusciva a pensare a un modo efficace per fermarlo. Non riusciva a pensare a nulla se non a quanto fossero state dolci le labbra di Beth premute contro la sua pelle e a quanto dannatamente avrebbe voluto assaggiarle.
La porta si aprì ed Hershel entrò. Quando si fermò di fronte a lui, notò che aveva portato con sé un piatto con un sandwich. Daryl scese dal letto per prenderlo e per lasciare che il materasso si alzasse un po’, dando a Beth un po’ più di spazio per respirare: se lui stava avendo problemi di respirazione, non voleva immaginare come si stesse sentendo lei a stare schiacciata lì sotto.
“Hai fatto un gran lavoro oggi per questa fattoria, Daryl. Per non parlare di quello che hai fatto per la piccola.”
Se solo avesse saputo, non avrebbe mai usato quel tono gentile con lui.
Senza lasciar trasparire il suo senso di colpa, si strinse nelle spalle. “Grazie.”
Prese il piatto col sandwich. Delle vistose fette di tacchino fuoriuscivano da due pezzi di pane; fino a quel momento non si era neanche reso conto di essere così affamato.
“Non potevo lasciarla lì fuori da sola”, aggiunse quando notò che Hershel non se n’era ancora andato.
“No”, rispose lentamente il fattore, allungando quella sillaba all’inverosimile, tanto da creare uno strano clima di tensione. “Non potevi.”
Daryl si limitò a fare di nuovo le spallucce, fuggendo dal suo sguardo penetrante.
“La polizia, a malincuore, mi ha chiesto di ringraziarti da parte loro.”
“Beh, non c’è di che”, rispose, con la bocca piena di tacchino.
Hershel accennò una risata. “Hanno una bella faccia tosta, ma credo che sia uno dei requisiti fondamentali per fare un lavoro del genere. Se ne sono andati solo adesso, e mi hanno avvertito che avrei potuto ricevere delle telefonate dai giornali locali, che evidentemente avrebbero voluto sapere qualcosa in più sull’incidente. L’hanno saputo troppi civili, basti pensare anche solo ai bambini e ai loro genitori. Alla fine, ho ricevuto la telefonata ancora prima che tu la trovassi.”
“Giornali?”, si riempì la bocca con l’ultimo pezzo di sandwich.
“E’ una storia interessante”, disse pensieroso. “Le persone che leggono gli articoli locali esistono ancora, e io sono una di quelle.”
Daryl si leccò le dita, pensandoci un momento. “Non ne ho mai letto uno… ma credo che al padre di Penny non piacerà.”
“E’ un uomo difficile da capire”, ammise Hershel. “Si è trasferito da poco in città, dall’inizio dell’anno scolastico. Insegna storia al liceo, alla classe di Beth. Stasera ho capito che non è da molto che fa il professore, lo è diventato a causa della sua ossessione per la storia. In particolare, è appassionato di storia militare. Ha detto di averlo fatto anche per far fronte alla perdita di sua moglie. Penny è tutto ciò che gli resta.” Si fermò per prendere il piatto vuoto dalle mani di Daryl e sospirò accigliato. “Tu non hai figli, vero Daryl?”
“No.”
“Sono sicuro che, quando un giorno ne avrai, riuscirai a capire quello che sto per dirti. Non si può esprimere il modo in cui si sente un padre a sapere che i suoi figli sono in pericolo. Il male che si prova è impensabile. Tu stanotte hai risparmiato al signor Blake una tale follia, trovandola subito e riportandola qui.”
Ogni parola era stata come un pugno nello stomaco. Non riusciva a sentirsi gratificato per quello che aveva fatto quella notte. Non significava niente, chiunque avrebbe potuto farlo, anche se lui- ma anche Otis- sapevano come farlo nel minor tempo possibile. Il fatto che si fosse trovato a fare il suo stesso percorso era stato un semplice colpo di fortuna. E poi, mentre Hershel parlava di quanto ci tenesse ai suoi figli, la minore era nascosta proprio sotto al suo letto. Non poteva accettare nessun ringraziamento. Si sentiva un verme.
“Come fattore, ti sono grato per averti salvato da eventuali situazioni imbarazzanti e per esseri preso la responsabilità della nostra negligenza quando non eri tenuto a farlo...”, Hershel lo guardò dritto negli occhi, con una sincerità tale che avrebbe potuto ucciderlo da un momento all’altro. “Ma come padre, devo dirti che sei stato una manna dal cielo.”
In quel momento, non sarebbe riuscito a dirgli nulla che non sfociasse in una confessione, quindi gli rivolse un unico, nervoso cenno del capo e cercò di evitare il suo sguardo.
“Riposati pure”, disse poi, con la mano sulla maniglia della porta, in procinto di uscire. “Devi essere esausto.”
In realtà, non lo era. Si sentiva solo un po’ nervoso, ma borbottò comunque un mentre il fattore lasciava la stanza.
Voltandosi, vide Beth strisciare fuori da sotto il letto con un po’ di polvere rimasta attaccata alla maglietta. La spazzò via, poi lo guardò e nei suoi occhi non c’era alcuna traccia di vergogna. Era semplicemente innocente, com’era sempre stata.
“Beh”, mormorò a voce ancora più bassa e con più accortezza rispetto a prima che arrivasse suo padre, “lui te l’ha detto meglio di come avrei potuto fare io.”
Daryl riuscì solo a scuotere la testa.
Lei lo raggiunse e si aggrappò a entrambi i lembi della coperta come se stesse stringendo un bavero. “Hey, tutto quello che ha detto su di te è la verità, e non solo. In nome di tutte le bambine che si perdono nel mondo… grazie.”
Stava per baciarlo di nuovo, poteva vederlo nei suoi occhi. Magari sarebbe stato un altro semplice bacio sulla guancia, ma non sapeva se quella volta sarebbe riuscito a trattenersi.
“Sei un eroe a tutti gli effetti.”
La voleva così tanto.
“...Credo che tu debba andare.”
Beth esitò per un secondo, ma poi lo lasciò andare e indietreggio, nascondendo le mani dietro la schiena. “Sì, hai ragione. Si staranno chiedendo che fine io abbia fatto.”
Le sue guance erano colorate del più lieve rossore, ma al di là di quello non sembrava che si fosse sentita respinta.
“Fammi controllare”, Daryl la superò e raggiunse la porta, sporgendosi con la testa per assicurarsi che in corridoio non ci fosse nessuno. “Libero”, disse, facendole spazio per passare.
Senza aggiungere altro, Beth corse via. Lui la chiuse fuori non appena varcò la soglia e restò con la schiena incollata contro la porta per un tempo interminabile.
Hershel si fidava di lui e dovette riconoscere, con sua immensa sorpresa, che significava molto per lui e non voleva tradire la sua fiducia. Ma allo stesso tempo, una vocina spaventosamente simile a quella di Merle- anche se forse era pure più inquietante- continuava a ricordargli che anche se agli occhi di suo padre continuava a essere una bambina, Beth era una donna. Lei poteva e voleva prendersi le responsabilità delle sue scelte. Suo padre non poteva più farle al posto suo, e neanche lui.
A quel punto, non restava che decidere quale invece sarebbe stata la sua di scelta.








Angolo traduttrice
Sì, lo so. Sto pubblicando sempre due capitoli alla volta perché sono molto brevi, ma questa volta ho deciso di fare un'eccezione, sia per lasciare un po' di suspence, e sia perché i prossimi due capitoli saranno più densi di avvenimenti e non volevo che scopriste tutto in una botta. Perdonatemi.
Colgo l'occasione per ringraziare chi ha messo la storia tra le seguite/preferite/ricordate e anche solo chi l'ha letta. Fatemi sapere cosa ne pensate! :D
Aggiornerò presto, un bacio!


PS: Se state leggendo questa nota e non avete ancora mai letto
"Da Capo al Coda" (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3592593&i=1) di vannagio (http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=79904) fatelo ORA. Sul serio, non ve ne pentirete. E' una bellissima storia e merita di essere letta.

 

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Capitolo 11
*** Senzatetto ***


XVI. Senzatetto

 

 


Allora vieni?”
Il messaggio le arrivò mentre stava parcheggiando. Era una calda giornata di sole e non vide niente e nessuno nei paraggi, se non la fattoria avvolta da quella solita luce dorata.
Mentre leggeva il messaggio di Minnie, fece una smorfia. “Non posso, scusami”, rispose, ma non era proprio del tutto vero. Avrebbe potuto tranquillamente correre in camera, lanciare lo zaino sul letto e rimettersi in macchina per andarsi a fare un giro con le sue amiche. Una parte di lei alla fine un po’ lo voleva. Non le aveva viste molto nelle ultime settimane e stava pensando che stessero cominciando a sentirsi messe da parte.
Almeno lei continuava a parlarci. Daryl per esempio, dalla notte dell’alluvione, la stava volutamente evitando. Per un paio di giorni aveva provato a convincersi che fosse stata solo una sua impressione, ma riuscì a farlo davvero per poco. Ogni tanto l’aveva visto per qualche secondo mentre lavorava e, ogni volta che provava ad avvicinarsi, lui trovava sempre una scusa per allontanarsi. Qualche volta le diede l’impressione che stesse letteralmente scappando via da lei senza neanche guardarla.
Non riusciva a capire se quello fosse solo il suo modo di rifiutarla o se semplicemente si fosse sentito particolarmente in imbarazzo dopo quella notte in cui era riuscito a ritrovare Penny. Se doveva essere completamente onesta con se stessa, doveva ammettere che c’era stato un momento, mentre era nascosta sotto quel letto, in cui aveva messo seriamente in discussione la propria sanità mentale.
O forse era proprio lui che stava mettendo in discussione la sua.
Beth non era il tipo che riesce a fare le cose di nascosto, sia perché lo trovava rischioso e sia perché non si sentiva a suo agio nel farlo, ma quella volta aveva pensato che forse ne sarebbe valsa la pena. Evidentemente, lui non la pensava alla stessa maniera.
In realtà, il motivo principale per cui non voleva uscire con le sue amiche era il fatto che, quel giorno, la maggior parte della famiglia non era in casa: Otis, Patricia, sua madre e, sotto costrizione, Shawn erano andati in città a fare volontariato. Quindi c’era solo suo padre nei paraggi e probabilmente era impegnato a controllare le imposte di quell’anno. Era l’opportunità perfetta per uscire a cercare Daryl e per provare a parlare con lui.
Magari le avrebbe detto che si era immaginata tutto e che non la vedeva in quel modo; di stargli alla larga, raggiungere le sue amiche e continuare a scherzare con loro. Sperava in qualcosa di diverso, ma cercò comunque di prepararsi alla possibilità di rimanere schiacciata da una risposta del genere. Tra l’altro, tutte quelle incertezze avevano delle conseguenze. Era stata distrutta tutta la settimana, aveva fatto spesso avanti e indietro nei campi nella speranza di elaborare un piano per incrociarlo, preoccupandosi costantemente che lui si stesse tenendo lontano da lei semplicemente per non arrivare a dirle in faccia di lasciarlo in pace.
Era giovedì e tutte le classi uscivano un’ora prima, preparandosi a un lungo weekend di tre giorni. Raccolse le sue cose e scese dall’auto mentre una nuvola di polvere cominciò a innalzarsi da dietro l’angolo della strada. Si voltò e vide un enorme SUV nero.
L’auto parcheggiò proprio dietro la sua e vi uscì l’Agente Speciale Rick Grimes, con il suo completo, la sua cravatta strettissima e il suo irrinunciabile fascino. Era l’ultima persona che si aspettava di rivedere, ma lui non sembrava altrettanto sorpreso di averla incontrata.
“Agente Speciale, come mai da queste parti?”
“Buon pomeriggio”, disse lentamente, controllando il suo orologio per accertarsi che fosse davvero pomeriggio. “Sono qui per Daryl Dixon.”
Tirò fuori qualcosa dalla giacca. Era un piccolo giornale e Beth non ebbe bisogno di guardarlo da vicino per riconoscerlo: il settimanale di cronaca locale che usciva ogni lunedì. Avevano scritto un articolo su Penny, l’aveva letto dal cellulare di Shawn e ne aveva una copia conservata nella sua stanza, ma di Daryl avevano menzionato solo il nome.
“Sto cercando lui”, disse con quello che doveva sembrare un tono disinteressato. “Ho letto l’articolo su quella bambina che era scappata dalla vostra fattoria e sono contento che sia sana e salva, ma sono qui per fargli delle domande su suo fratello Merle.”
Il cuore le si bloccò in gola. “Merle sta bene?”
Un angolo della bocca dell’Agente Grimes si contrasse e si prese un momento prima di risponderle con un po’ più di fermezza. “Devo fargli delle domande proprio sulla sua attuale posizione”, chiarì.
Beth scosse la testa. “Lui non ne ha idea, era molto preoccupato.”
Quella risposta non sembrò soddisfarlo più di tanto. “Ad ogni modo...”, si fermò un secondo ad osservare lo spazio circostante e a riporre nuovamente il giornale nella giacca. “...Tuo padre, Hershel Greene, è in casa?”
“Non lo so”, confessò lei. “Vado a cercare Daryl e… uh, Agente Speciale, se per lei non è un problema farmi un favore piuttosto personale...”, indietreggiò di un paio di passi, dando l’impressione che stesse già sul punto di andarsene, e con voce implorante continuò: “I miei non sanno di quella notte. Non sanno che conosco Daryl da prima che venisse a lavorare qui e… credo che sia meglio che non lo sappiano. Le dispiacerebbe… non menzionarla proprio?”
Non lo conosceva così bene da riuscire a capire ciò che stava pensando. Fino a quel momento, l’unica impressione che aveva avuto dell’Agente Grimes era stata quella di un uomo che faceva di tutto pur di mantenere il suo volto coperto da una maschera e che cercava di parlare solo quando era necessario. E quella maschera rigida era difficile da interpretare, ma dopo pochi secondi annuì.
“A meno che non diventi rilevante… sei fuori pericolo.”
Era la risposta migliore che poteva riuscire a ottenere da lui. Quando afferrò la sua borsa e si allontanò per cominciare a cercare Daryl, l’Agente Grimes continuò il suo percorso verso la casa. Non riusciva a immaginare nessun motivo per cui quella nottata sarebbe potuta diventare rilevante, e quel pensiero la tranquillizzò.
Vide Tony e Dave, due altri aiutanti, che stavano lavorando da soli alla recinzione.
“Ragazzi, avete visto Daryl?”, chiese, col fiato corto per la corsa.
Dave si prese un momento prima di rispondere, aggrottando la fronte e scansionando la zona con gli occhi, forse un po’ allarmato dal fatto che fosse venuta da loro da sola, senza un accompagnatore.
“Sì, è andato di là.” Si asciugò la fronte dal sudore e indicò il bosco. “Credo che abbia visto un coniglio, o qualcosa del genere.”
“E’ andato a cercarsi la cena”, aggiunse Tony.
“Grazie!”
Corse subito nella direzione che le avevano indicato, ma giunta davanti agli alberi dovette fermarsi: anche se, essendo praticamente cresciuta lì, conosceva bene quei boschi e non c’era rischio che si perdesse, lei non era un segugio.
“Daryl?”, lo chiamò ad alta voce.
Non avendo ricevuto alcuna risposta, decise di avanzare più in profondità. Che cosa avrebbe potuto seguire Daryl, essendo un cacciatore? Diede un occhiata al terreno, ma non volle dar retta alle prime impressioni. Per quanto ne sapeva lei, quelle che le sembravano orme umane abbastanza fresche potevano essere lì anche da qualche giorno. Non c’era neanche stato troppo vento, né aveva piovuto di nuovo dopo l’alluvione.
Alla fine, però, riuscì a trovare delle impronte che sembravano essere della misura del piede di Daryl. Nonostante diventassero un po’ più confuse in alcuni punti, era abbastanza sicura che appartenessero a lui. Le seguì per circa duecento metri prima di arrivare a qualcosa di concreto, seppur non fosse quello che si aspettava: legata tra due alberi, c’era una collezione di cadaveri di animaletti appesi a cuocere su un focolare.
“Beth?!”
Daryl era in piedi accanto ad esso e sembrava una preda che si era appena resa conto di essere stata inseguita. Infatti, si girò di scatto a guardarla con le spalle ricurve. Il suo sguardo era selvaggio, ma s’incupì presto, surclassando lo stupore.
“Ho seguito le tue tracce!”, la bocca di Beth si piegò nel sorriso più largo di tutta quella settimana. “Ci sono riuscita!”
Non riuscì a fare a meno di ridere vittoriosa, ma quell’ilarità momentanea le morì sulle labbra quando si accorse di quanto ostile fosse il suo sguardo e del modo in cui i suoi occhi fuggirono verso un punto preciso del bosco. Seguì il suo sguardo fino a notare una piccola tenda nascosta all’ombra di un grande albero. Inoltre, al di là di questa, c’era anche la moto di Merle.
Per un lungo momento di disagio nessuno dei due si azzardò a parlare, e Beth cercò di realizzare a pieno quello che aveva appena visto.
“Ti sei fermato qui?”, gli chiese, ridando uno sguardo prima a lui e poi agli animali, alla tenda e al focolare. “Otis aveva detto che avevi un posto dove stare… stai vivendo qui?”
Daryl fece una rigida scrollata di spalle e cominciò a girarle attorno. “Che ci fai qui fuori, Greene?”
Beth non riuscì a trattenere un cipiglio davanti a quell’atteggiamento aggressivo. Non lo vedeva così sulla difensiva dalla notte a casa di Nick. “Sono venuta a cercarti, Daryl. Sii chiaro, hai un posto dove stare sì o no?”
“Non dovrebbe importare né a te né a nessun altro”, borbottò.
“Ma sei senza casa!”, disse lei affranta.
Lui la guardò per un secondo, poi sbuffò, alzò gli occhi al cielo e si voltò.
“Non devi per forza vivere così...”
“Io vivo come mi pare. Te lo chiedo ancora, che cazzo ci fai qui fuori?”
Si avvicinò pericolosamente a lei e, se avesse avuto ancora paura di lui, sarebbe subito tornata indietro. Ma stava solo fingendo, snervandola più di quanto lei stessa volesse ammettere.
“Sono venuta a cercarti!”, ripeté senza abbassare lo sguardo. “C’è l’Agente Grimes, è qui per chiederti di Merle.”
Daryl si congelò sul posto. “Come diavolo faceva a sapere che ero qui?”, ringhiò, stringendo gli occhi.
“Per la storia di Penny… ha detto che è sulle sue tracce da un po’.”
Lui girò i tacchi prima che finisse di parlare e cominciò a incamminarsi verso la fattoria. Beth lo seguì di corsa, cercando di tenere il suo passo. Camminava così velocemente che ci mise un po’ a raggiungerlo ma, giunti all’ultima fila di alberi, furono entrambi costretti a fermarsi.
“Se trovassero Merle… sarebbe una buona cosa?”, gli chiese.
“Non lo so”, rispose con diffidenza.
“Daryl, ascolta… dobbiamo parlare.”
“Non abbiamo niente di cui parlare!”, sbottò.
Beth cominciò a sentirsi incandescente dalla rabbia, ma si morse la lingua e lo seguì fuori dal bosco. Dave e Tony avevano smesso di lavorare apposta per osservarli.
“Perché ti comporti così?”, sibilò quando furono abbastanza lontani. “M’importa di te. Non voglio che tu dorma in una tenda nei boschi quando potresti tranquillamente stare...”
“Sì, sì, certo, lo so. Siete tutti così accoglienti!”, mormorò.
A quel punto, Beth si fermò. Daryl la guardò oltre la sua spalla, come se si volesse assicurare che non fosse inciampata. Infatti, quando notò che era ancora in piedi sana e salva, continuò a camminare.
“E’ per Maggie? A lei non importa più! Prima che se ne andasse, sabato, ne abbiamo parlato e ha detto che...”
“Non è per Maggie, è per tutti voi! Tu in particolare”, si guardò intorno, dandole un colpetto sul petto. “Io so benissimo che tipo di persona sono e anche il resto di voi sembra saperlo. Ho solo fatto un favore a tuo padre standoti alla larga, perché sono fottutamente sicuro che non vorrà mai vedere uno come me avvicinarsi a te!”
Che diavolo significava? Era quello il motivo per cui non la guardava, per cui non le rivolgeva la parola?
Appena era arrivato alla fattoria era stato così tranquillo, specialmente in confronto a quel momento. Riuscì a vedere la paura nei suoi occhi. Probabilmente pensava di aver fatto un casino, di aver oltrepassato il limite e quindi voleva fare un passo indietro, ma lei non poteva permetterglielo. Incapace di pensare a qualcosa da dire, si limitò a scuotere la testa.
“Se avesse saputo quello a cui stavo pensando, ora sarei morto!”, aggiunse lui, stringendo i denti.
Per qualche secondo, nessuno dei due fiatò. Era suonata quasi come una confessione e Daryl si aspettava di averla lasciata di sasso, ma Beth trovò il coraggio per chiedergli, con voce tremante: “A cosa stavi pensando?”
Scuotendo la testa, Daryl si strofinò il collo con una mano. “Cazzo, ragazzina, chiunque riuscirebbe a vedere che qualcosa di sbagliato in questo, ma sembra proprio che tu non riesca a capirlo!”, gridò.
“Non è giusto.” Ebbe serie difficoltà a dargli una risposta che non fosse quella, non era preparata a una cosa del genere. Le pizzicavano gli occhi, ma con un ansito riuscì a evitare di scoppiare.
“No, non lo è”, continuò a gridare lui, ma dopo qualche respiro affannato, ammorbidì il tono. “E non è neanche colpa tua, ma mia… non sarei dovuto venire.”
Quando raggiunsero la stalla, pur senza toccarlo, Beth lo catturò. Doveva dirle la sua prima che tornasse a casa dall’Agente Grimes. Cominciò ad attraversare il perimetro dell’edificio e lui la seguì, superando l’aiutante che vi stava lavorando così velocemente che forse non li aveva neanche notati.
Quando si fermarono, Daryl cominciò a camminare avanti e indietro di fronte a lei, cercando di evitare il suo sguardo.
“Era già sbagliato e io… non avrei dovuto. Sono un figlio di puttana come tutti loro. Quelli come me dovrebbero starti lontano.”
“Ma non è vero, Daryl.” Doveva dimostrargli che si sbagliava. Non aveva mai pensato una cosa del genere e odiava che lui ci credesse davvero. “Io so che tu non lo sei.”
“Oh! E quindi credi di conoscermi?”, scattò verso di lei, avvicinandosi di un passo.
Beth non indietreggiò o inciampò di un solo centimetro. “Esatto”, annuì guardandolo negli occhi. “E’ così.”
Combattendo contro la sua stesa lingua, Daryl le rivolse uno sguardo torvo, cercando di scegliere con cautela le sue prossime parole. Si allontanò da lei, aprendo e chiudendo i pugni. Ma prima che riuscisse a ritrovare la voce, Beth decise che non voleva ascoltarla: avrebbe continuato a buttarsi giù negando a se stesso quello che in realtà entrambi volevano. Così, prima che ricominciasse ad urlare, si aggrappò al tessuto della sua camicia e si avvicinò di nuovo a lui. Il suo scopo era baciarlo proprio in quell’istante, ma si fermò a un centimetro dalla sua bocca, poggiando delicatamente la fronte sulla sua. Sentì il suo respiro caldo e pesante sfiorarle le labbra. Gli occhi le si chiusero automaticamente, ma esitò per un momento e li riaprì per catturare un primo piano del suo sguardo, ormai diventato più nero che blu. Fu scossa da un brivido. Era da un po’ che non provava una cosa simile e già stava tremando dalla paura che potesse arrabbiarsi ancora di più.
Ma almeno bastò a farlo tacere. Sotto il suo tocco, così com’era accaduto qualche tempo prima, Daryl diventava stranamente immobile e tranquillo. La rabbia che prima l’aveva animato cessò in un istante. Quella volta, però, non si congelò: le sue mani raggiunsero lentamente la sua schiena, sorreggendola. Le sue dita le bruciavano sulla carne, e ogni polpastrello trovò il suo posto. Le sue mani, nonostante di solito fossero così forti, l’accompagnarono verso di lui mentre cercava un po’ di coraggio tra i tonfi dei suoi battiti cardiaci per avvicinarsi a sua volta. Se Daryl avesse anche solo pensato di poterla fermare, non ci sarebbe mai riuscito. Avrebbe vinto lei. E non aveva nessuna intenzione di assecondarlo, si era trattenuta anche abbastanza a lungo.
Le labbra di Beth incontrarono le sue, incerte e tremanti. Fece scivolare le mani dal petto alla barbetta che aveva sul collo, incoraggiandolo. La tensione che l’aveva bloccato cominciò a vacillare, finché le sue braccia non la strinsero a sé e anche le sue labbra accarezzarono quelle di lei. In un impeto di audacia, prese a baciarlo con più foga, intrecciando le dita tra i suoi capelli.
Avrebbe potuto anche sbraitare, scacciarla e gridarle contro come un cane rabbioso, nonché fingere di odiarla, ma nel momento in cui l’aveva baciata Beth seppe che tutti quei silenzi freddi e tutti quegli insulti erano costruiti. Non aveva immaginato niente. Era tutto vero.
La sua lingua le pizzicò le labbra, per poi approfondire il bacio. Fu travolta da una scarica di emozioni e si staccò da lui solo per riprendere a respirare, ancora inebriata dal suo tocco. Daryl si fermò a guardarla con occhi improvvisamente preoccupati. Erano più scuri, stravolti.
“Scusa”, gli disse in un sussurro, sorridendo contro la sua bocca.
“E’ tutto a posto”, mormorò lui.
“Daryl, lo so che non è proprio il momento più adatto per parlarne, ma io...”
Stava per dirgli che non voleva fermarsi, che voleva baciarlo in quel modo dalla notte in cui si erano conosciuti, da quando gli aveva chiesto di venire alla fattoria. Ma non riuscì a dire nulla di tutto ciò, perché una voce non troppo lontana da loro si schiarì la gola e Beth interruppe subito la frase, voltandosi per scoprire chi li aveva interrotti. Era accaduto tutto così velocemente che non ebbe neanche il tempo di farsi prendere dal panico per la possibilità che potesse essere suo padre.
Ma era Rick Grimes, giunto dall’altro lato della stalla, ad osservarli con un’espressione piuttosto stupita, le mani sui fianchi e i denti stretti. Sicuramente, aveva visto abbastanza.
“Agente Speciale”, Beth sussultò.
Fu quando Daryl si allontanò da lei così velocemente da farla inciampare che si rese conto che buona parte del suo corpo, mentre si stavano baciando, era stata sorretta da lui.
Chiaramente mortificato, prese ulteriormente le distanze di qualche passo, dando loro le spalle e portandosi nervosamente una mano tra i capelli, mentre imprecava sottovoce.
“Daryl Dixon?”
“Sì, sono io”, mormorò, senza ancora voltarsi del tutto. Da quello che Beth riuscì a vedere, il suo volto era diventato pallido come quello di un fantasma.
“Sono qui per chiederti di tuo fratello, Merle Dixon. Non sappiamo dove sia.”
Beth, con una mano davanti alla bocca e le guance in fiamme, osservò Daryl tornare in sé: si scrollò letteralmente l’imbarazzo di dosso e si voltò per affrontare l’Agente Grimes.
“Non ne so niente”, ringhiò.
“Che ne diresti di venire con me?”, suggerì l’Agente con fermezza, per niente intimorito o sorpreso dalla sua evidente ostilità. “Ti offro una birra in cambio di un paio di risposte.”
“Una birra?”, Daryl lo squadrò con sospetto.
“In realtà, le domande saranno più di un paio. Facciamo una ventina”, si corresse, lanciando un’occhiata a Beth, che tentò di ricambiare con un sorriso nervoso.
Dopo essersi torturato le labbra per un po’, Daryl accettò la proposta, seguendo l’uomo verso la sua auto con lo sguardo puntato sul terreno. Mentre l’Agente Grimes salutò Beth con un cenno, lui non la guardò per più di due secondi.
Lei, al contrario, rimase a fissare lo spazio da cui entrambi gli uomini erano spariti per una quantità di tempo sicuramente maggiore rispetto a quella che lei aveva percepito. Sembrava che finalmente stessero per arrivare a qualcosa, anche se il tempismo non sembrava essere dalla loro parte. Cercò di non preoccuparsi troppo del fatto che fossero stati interrotti, ribadendo a se stessa che Daryl, essendo un caso disperato per quanto riguardasse socialità e aggressività, probabilmente non doveva essersi reso conto di quanto l’aveva infastidita vederlo andare via in quel modo dopo che si erano appena baciati per la prima volta. Sapeva che con lui sarebbe stata dura, aveva solo bisogno di prepararsi psicologicamente a questo genere di comportamenti.
Doveva lasciargli del tempo per pensarci.
Lei aveva bisogno di pensarci. E di parlare con Maggie.

 

• • •


Dopo quello che Beth gli aveva fatto, che gli aveva provocato qualcosa di molto simile a uno shock, sentì di aver perso l’abilità di parlare. Non era mai stato un tipo di molte parole, ma una cosa del genere gli era successa solo nelle situazioni di particolare pressione.
E quella lo era eccome.
Il percorso in macchina che ne seguì fu carico di tensione e privo di parole. Cercò di concentrarsi sul rumore che le ruote, rotolando, facevano sulla strada e si sforzò di tenere gli occhi ben aperti e attenti, perché ogni volta che li chiudeva sembrava che lei fosse ancora lì con lui, a metterlo sotto pressione.
Rick Grimes era un uomo difficile da decifrare. Tentò di entrare nella sua mente, osservandolo con attenzione dal sedile del passeggero di quell’enorme SUV ovviamente associato al governo. Rick parlava, camminava e lo controllava con la coda dell’occhio come un qualsiasi sbirro, ma aveva una sorta di disinvoltura in tutto quello che faceva che l’aveva reso in qualche modo incline ad ascoltarlo.
Fino al loro arrivo al bar non parlarono molto. Daryl diventava paranoico ogni volta che l’Agente faceva qualche allusione a Beth o a quello che li aveva trovati a fare mentre passava davanti alle stalle, ma l’aria che si tirava in quell’auto si mantenne quasi costantemente imbarazzante e silenziosa.
Il bar era quasi vuoto. Le masse, di norma, sarebbero uscite da lavoro dopo alcune ore. Si sedettero al bancone uno a fianco all’altro e svuotarono i colli delle loro bottiglie prima che Rick andasse dritto al dunque.
“Immagino che sia strano per te vederci di nuovo”, disse, indicandogli il volto. “Sembra che il tuo occhio stia guarendo.”
Daryl evitò di rispondere facendo un altro sorso.
“La verità è che la maggior parte delle persone che interrogo rientrano in due categorie: ci sono quelli che non c’entrano assolutamente niente con il caso e che quindi non rivedo mai più se non al momento della dichiarazione, e quelli che in qualche modo sono coinvolti. In questo caso scopro sempre di cosa sono colpevoli, li accuso e poi semplicemente… spariscono. Sai cosa non mi succede mai? Avere a che fare due volte con un due persone completamente innocenti.”
A dispetto di se stesso, Daryl ghignò. “Stai dicendo che Beth è un genio del crimine?”
L’Agente Grimes combatté contro un sorriso per qualche secondo, per poi arrendersi. “No, signor Dixon. Non è questo che sto cercando di dire.” Ritornò subito serio.
“Il fatto è che, Agente”, scelse con cura le parole senza rischiare di tradirsi nell’apparire troppo sfacciato, “incontrarci due volte a distanza di poche settimane non deve essere stato divertente per nessuno dei due, ma non credo che le statistiche personali valgano come prova, no? Siamo qui per parlare di mio fratello o cosa?”
Con un sospiro, Rick si raddrizzò e si sistemò la cravatta, si tolse la giacca nera e cominciò a rimboccare le maniche della camicia, sottintendendo che la questione sarebbe andata avanti per un bel po’.
“Infatti voglio parlare di tuo fratello”, annuì guardando con insistenza il bancone di fronte a sé. Era evidente che avesse già delle prove da usare contro Merle. “E’ coinvolto in un crimine insieme a due uomini che abbiamo in custodia, Nick e Jeremiah Waters… conosci?”
Non era una vera e propria domanda, quindi Daryl non rispose.
“La prima volta che ti ho visto eri a casa di Nick, e anche Jeremiah e suo cugino Evan erano lì.”
“Sì, siamo amici”, fece un altro sorso.
Se Grimes avesse avuto qualcosa anche su di lui oltre al fatto che li conoscesse, non ne avrebbero mai parlato , ma a allo stessi tempo era difficile rilassarsi, soprattutto se Nick e Jeremiah erano stati catturati. Loro lo conoscevano e sapevano che era coinvolto. Non doveva preoccuparsene più di tento, ma fu costretto comunque a vedere le cose sotto una luce diversa.
“Evan è morto.”
Daryl fece ancora un altro sorso.
“…Per aver appena saputo che due tuoi amici sono stati arrestati e che uno è morto, non mi sembri poi così scosso, signor Dixon.”
“Non erano buoni amici”, sussurrò.
“Tuo fratello è stato avvistato mentre fuggiva dalla scena del crimine. Il corpo di Evan era lì vicino.”
“Merle non ha ucciso Evan”, disse tutto d’un fiato, afferrando l’opportunità di poterlo guardare come se non avesse idea di quello che fosse successo quella notte. “Non è quel tipo di persona”, scosse la testa con decisione.
Rick impallidì. Non seppe dire se avesse creduto alle sue parole, ma non sembrava essersi accorto che stava bluffando, il che era un buon segno. “Tuo fratello non è indagato per omicidio.”
“E allora per cosa?”
“Su questo non posso rivelare alcun dettaglio”, disse l’Agente.
Daryl annuì, capendo che quell’uomo non aspettava altro che qualche rivelazione da lui, che sul quel caso, in realtà, ne sapeva sicuramente più dell’FBI.
“Quindi non per omicidio.”
“No.”
“Bene, avreste solo perso tempo. Mio fratello è un degenerato, ma di certo non è un assassino.”
L’Agente Grimes aggrottò la fronte. “Avete qualche altro familiare?”
Il suo sguardo pensieroso e inquisitorio lo infastidiva, ma stava cominciando ad abituarsi ad avere a che fare con gente che dimostrasse interesse nei suoi riguardi. Dopo l’esperienza con Beth e Hershel, stava decisamente migliorando nel comportarsi da uomo in situazioni simili.
“Nessuno di importante. Mio padre è morto in un incidente di caccia l’anno scorso”, rispose, veloce e coinciso, ma non sulla difensiva. Stava imparando. “Siamo solo io e Merle da un po’ ormai.”
“Ma adesso non stai con lui.”
“No. Quella notte a casa di Nick, la ragazza ha offerto a me e a Merle un lavoro alla fattoria Greene. Lui aveva detto che mi avrebbe raggiunto in pochi giorni, ma non si è mai fatto vivo. Immaginavo che fosse successo qualcosa, ma è difficile rintracciarlo. Non è la prima volta che sparisce così.”
“Quindi dopo quella notte sei venuto direttamente da queste parti?”
Grimes si stava muovendo abilmente nel tentativo di dimostrare che la sua alibi non tenesse, ma Daryl aveva già una storia pronta. Ed era anche buona, perché parzialmente vera.
“No. Ho preso le mie cose e sono andato in un garage, si chiama Shambles. Ho venduto la mia moto e ho passato un paio di giorni per conto mio a caccia nei boschi qui intorno.”
“Hai venduto la tua moto?”, ripeté Grimes.
“Tempi difficili”, Daryl fece le spallucce. “Mi è già successo.”
“Ma non avevi già accettato il lavoro alla fattoria?”, l’Agente lo scrutò con quello stesso sguardo indagatore di prima.
In quel caso, non ebbe bisogno di nessuna abilità recitativa. Fissò per un secondo il bancone e, in preda al disagio più sincero, mormorò: “Non ero sicuro che andare alla fattoria fosse una buona idea. Avevo bisogno di un po’ di tempo per pensarci.”
“E perché pensavi che non fosse una buona idea?”
Perché un’adolescente mi è appena saltata addosso, sei cieco?
“Per la ragazza.” Non era necessario dirlo ad alta voce, ma non riuscì a frenarsi. “Non dovrei starle intorno”, aggiunse, strofinandosi gli occhi.
“Beth Greene? Effettivamente, è una ragazza del liceo”, Grimes sbattè ripetutamente le palpebre e si strinse nelle spalle, “ma l’età del consenso è sedici anni in Georgia, signor Dixon.”
Fece un sorso dalla sua birra e deglutendo aggiunse: “Comunque, so riconoscere un primo bacio quando ne vedo uno.”

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Capitolo 12
*** Coinquilini / Iperprotettiva ***


XVII. Coinquilini / XVIII. Iperprotettiva

 

“Pensavo di dover insistere ancora un po’”, confessò Rick, osservando la serie di bottiglie di birra ormai vuote che era davanti a loro, “ma sto cominciando a credere davvero che tu non abbia idea di dove sia tuo fratello. Forse questo è il primo segno di ebbrezza.”
“Beh, come credi che mi senta io?”, Daryl strofinò gli occhi. “Non lo so, ti ho detto tutto quello che so.”
In realtà, gli aveva detto tutto quello che sicuramente Merle non avrebbe fatto e che non sapeva dove si fosse rintanato. Quindi, niente che potesse essere utile all’Agente Grimes, che tra l’altro gli aveva detto, dopo solo un’ora di conversazione, di chiamarlo semplicemente Rick.
Neanche lui era riuscito a trovarlo, ed era stato molto attendo a non farsi scappare nulla sul Walters, su quel lavoro in generale e su tutto ciò che dimostrasse il suo coinvolgimento.
“Credo di essere ubriaco… l’hai fatto apposta?! Non credevo che l’FBI facesse sbronzare la gente per ottenere informazioni.”
Rick ghignò. “Se fosse così, magari le cose potrebbero essere più semplici.”
“Non importa, tutto quello che ho detto è vero. In genere Merle gira per la Georgia, ma non è raro che lasci lo Stato. E’ tipico di me non seguirlo, per qualsiasi ragione… magari per una donna”, tossì.
“Davvero?”, Rick spinse via la sua bottiglia mezza piena, salvaguardandosi da altre tentazioni.
“Sì, ma non importa”, ripeté, “perché se è con la merda fino al collo, tipo se per esempio è ricercato dall’FBI”, lanciò all’uomo al suo fianco un’occhiata pungente, “non importa quello che ha fatto, potrebbe anche essere innocente, lui odia gli sbirri. Se ha la sensazione che uno di loro lo stia cercando per un qualsiasi motivo, lui se ne va. Non si fida abbastanza dei suoi amici per farsi aiutare da loro. E poi voleva disintossicarsi, quindi anche suoi spacciatori hanno perso le sue tracce da un pezzo. Non sono riuscito a trovarlo, non c’è una pista da seguire e, se non ci sono riuscito io, non lo farete neanche voi.”
Rick lo scrutava con occhi duri. La sua bocca si contorse in una smorfia, ripiegandosi verso l’interno.
“E’ la verità”, continuò Daryl, svuotando quella che sarebbe stata l’ultima birra della giornata. “Ho provato a chiamarlo per dirgli di incontrarci...”
Dallo sguardo scettico onnipresente sul volto di Rick a ogni cosa che diceva, dedusse che si sarebbe mostrato sempre così schivo. Questa cosa lo rendeva abbastanza nervoso, ma non era ancora sul punto di crollare. E poi, quello che stava dicendo non smentiva quello che aveva detto in precedenza, anzi… lo completava. Dal momento che continuava a comprare altre birre, non poteva fare nient’altro.
“...Non mi ha risposto. L’ho cercato in altri modi, ma niente. Se n’è andato.”
“Pensavo fossi andato a caccia”, biascicò Rick, ricordandogli la sua versione precedente.
Daryl fece le spallucce. “A caccia di mio fratello e di animali. Dovevo pur mangiare.”
“Esiste qualcun altro che potrebbe riuscire a trovare tuo fratello?”
“Ne dubito.”
Indossando una strana espressione pensierosa che Daryl non riuscì a interpretare, Rick lo osservò in silenzio per un attimo e, quando riaprì la bocca per parlare, fu interrotto da degli squilli provenienti dalla sua tasca.
“Scusami”, mormorò, tirando fuori il cellulare.
Nonostante l’alcool, Daryl poteva ancora fare delle deduzioni efficaci. Il suo viso si era illuminato non appena aveva visto il messaggio e si era oscurato nuovamente pochi secondi dopo. Quel tipo di orgoglio e gioia, seguiti dalla preoccupazione, significavano che l’Agente Speciale aveva un bambino.
“Perdonami, è mio figlio”, spiegò poi, e Daryl annuì.
Invece di rispondere al messaggio, lo chiamò. “Carl, che ti dice sempre la mamma?”
Gli venne quasi da ridere, perché c’era qualcosa di perfettamente tipico nella voce di Rick. Gli ricordò una di quelle scene di uno di quei programmi sulle famiglie felici che doveva aver visto in televisione, con le risate di sottofondo ogni volta che volevano farti sapere che avevano detto qualcosa di divertente. Ma quello che disse dopo gli fece completamente cambiare idea.
“Beh, se per te badare a tua sorella è così faticoso, allora credo che Shane abbia ragione.” Per come l’aveva detto, non sembrava che lo pensasse davvero; la mascella si strinse e una vena gli spuntò fuori dal collo, si strofinò le palpebre e si pizzicò il dorso del naso come se dire quelle cose gli provocasse dolore fisico. “Lo so, anch’io. Penso che ci vorrà ancora un po’… parlerò con tua madre domani e risolverò la situazione”, aggiunse poi atono.
In un breve attimo di quiete della radio del bar, riuscì a sentire una voce più giovane brontolare dall’altro lato della linea.
“Va bene”, Rick riagganciò, conservando in viso un po’ di rossore. “Mi dispiace”, sospirò profondamente.
Daryl era uno che si faceva gli affari suoi, ma restò a fissare il bancone per qualche secondo, a lottare in silenzio contro se stesso. Forse era proprio colpa di tutte quelle nuove persone che lo circondavano, che lo riempivano di domande e che volevano conoscerlo. Non era sicuro che Rick ne volesse parlare, ma era chiaro come il sole che non se la passava bene. Solo poche settimane prima, si sarebbe tenuto per sé i suoi pensieri a riguardo, ma improvvisamente era come se volessero uscire fuori. Lei glieli stava tirando fuori.
“...Shane Walsh? Cioè quell’altro sbirro?”
All’inzio, Rick continuò a starsene lì seduto come se fosse parte integrante dello sgabello, con la mascella sigillata e gli occhi persi nel vuoto di fronte a sé. Poi, lentamente, annuì.
“Cazzo.” Daryl si sporse per afferrare la birra che aveva appena scartato e per piazzarla di fronte all’Agente.
Lui, in risposta, osservò il collo ambrato della bottiglia, per poi alzarla e scolarsela. “Era il mio compagno quando ero vicesceriffo.”
Cazzo!”
“Sai, non credo che sia colpa loro”, continuò, scuotendo la testa e curvando leggermente le labbra in una smorfia disgustata. Daryl non riuscì a capire se era stato sarcastico o meno, ma forse neanche lui stesso lo sapeva. “Per me e mia moglie non era un bel periodo, poi mi hanno sparato e sono finito in ospedale, in coma per sette settimane.”
Il suo dolore era evidente, così come il fatto che non voleva parlarne e che si stava sforzando di farlo. Magari l’alcool aveva aiutato.
“Mi hanno detto tutti che è stata forte, più forte di chiunque altro, suppongo, visto che tutti le sussurravano all’orecchio: Potrebbe non svegliarsi mai più, lo sai, devi essere pronta per questo”, contenne un ringhio. “Stavano solo cercando di aiutare”, scosse la testa. “Non credo che abbia mai dato retta a quello che le dicevano gli altri… o almeno finché non è stato Shane a dire qualcosa del genere. Lui era il mio migliore amico, voleva che mi svegliassi più di chiunque altro, ma poi le avrà detto: Lori, è finita. Non puoi continuare a torturarti, devi stare vicino a Carl… Carl ha appena perso suo padre. Lui se n’è andato.
Daryl si morse il labbro, guardandolo di traverso. “Che merda.”
Rick scosse nuovamente la testa e smorzò la tensione con una risata rumorosa, ma priva di ogni tipo di umorismo.
“...Mi sono svegliato in un mondo completamente diverso.”

● ● ●
 

Una volta varcato l’ingresso, non c’era nessuno che le chiedesse che cosa ci facesse lì, né qualcuno che le potesse dare indicazioni per trovare Maggie. Aveva visto la sua Saturn dorata nel parcheggio, segno che non era ancora tornata a casa.
Beth vagò a passo svelto per i corridoi dello studio, sbirciando in ogni stanza fino a che non individuò quella di sua sorella.
“Maggie! Lui mi ha baciata!”
Era completamente fuori luogo, ma anche se avesse dovuto prima farsi vedere e poi spiegare cosa l’aveva spinta a venire in città, aveva ancora la mente in subbuglio e il corpo arrossato e tremante.
Maggie si voltò di scatto, facendo cadere sul pavimento una pila di fogli che probabilmente era intenta ad ordinare e archiviare.
“Beth?!”, i suoi occhi si spalancarono quando si fermarono su sua sorella. “Che diavolo ci fai qui?” Fece un giro intorno alla scrivania per incontrarla sulla soglia.
“Mi ha baciata!”, disse lei di nuovo. “Voglio dire… in realtà, sono stata io a baciare lui… tecnicamente, gli sono saltata addosso, ma non mi ha respinta e mi ha baciata anche lui! Molto bene, tra l’altro.”
Maggie la fissò aprendo lentamente la bocca, con gli occhi che assunsero le dimensioni di dei dischi volanti non appena si spostarono oltre la sua spalla.
“A meno che tu non stia parlando di una violenza sessuale, non credo che sia questo il posto che fa al caso tuo”, disse una voce alle sue spalle.
Voltandosi così velocemente da andare a sbattere contro il gomito dell’estranea, Beth si ritrovò davanti a una bella donna con i capelli biondi e ricci raccolti in una treccia elegante che le ricadeva sulla base del collo. Era in pieni con e braccia incrociate a guardare entrambe le sorelle con uno sguardo diviso tra l’irritato e il divertito.
“Andrea, lei è mia sorella...”
“Beth?”, chiese la donna. Evidentemente, dovevano aver parlato di lei qualche volta.
“Sì”, Maggie arrossì.
“Beh, sembra che abbia bisogno di te… quindi perché non farla diventare il tuo più uno per stasera?”, le propose Andrea con un sorriso brillante. I suoi occhi la scannerizzarono dagli stivali da cowboy ormai lerci alla coda di cavallo spettinata.
“Perché, non hai già un più uno?”, Beth rivolse un cipiglio a sua sorella. Non le aveva detto che lei e il suo ragazzo avevano rotto.
Arrossendo ancora di più, Maggie annuì al suo capo. “Certo, perché no?”
“Fantastico.”
“Ti serve altro?”, sua sorella continuò a fissarla nervosamente.
“Che tu venga nel mio ufficio”, rispose Andrea quasi in un sussurro.
“Oh, mi dispiace tanto!”, Beth si affrettò a uscire dalla stanza, e Maggie seguì il suo esempio a testa bassa.
“Ho fatto un casino”, disse poi, indicando i fogli sparsi sul pavimento.
Andrea agitò una mano con leggerezza. “Ce ne preoccuperemo domani mattina, sono già andati tutti a casa a cambiarsi. Ah, non dimenticarti di andare a prendere i documenti della CDC entro le cinque.”
“Dannazione”, sussurrò Maggie tra sé e sé, confermando il fatto che le sue prossime parole sarebbero state sicuramente false. “Lo ricordo, non preoccuparti.”
“Tu e Zach avete...”, mentre uscivano dalla stanza, Beth cominciò a chiederle del suo ragazzo, ma la sua espressione già diceva tutto.
Lei scrollò le spalle. “In realtà non lo so… ma se non ci siamo già lasciati, accadrà presto.”
“Mi dispiace.”
Le prese la mano e la strinse, finché sua sorella non dovette lasciargliela per tirare fuori dalla tasca le chiavi dell’auto. “Va tutto bene”, si fermò davanti alla portiera. Una folata di vento le fece andare una ciocca dei suoi corti capelli castani sugli occhi, ma la scostò con un sorriso. “Stavo solo pensando a quanto è bello… essere single. E’ da un pezzo che non sto un po’ da sola.”
Anche se stava dicendo la verità, non doveva essere comunque una bella situazione. Così, prima di passare dal lato del passeggero, Beth l’abbracciò forte.
Quando anche Maggie entrò in macchina, scacciò via ogni traccia di tristezza dal suo viso e la guardò in attesa. “Beh, chi se ne frega. Daryl ti ha baciata”, disse piatta.
“Ci siamo baciati.” Beth ebbe a malapena il tempo di allacciarsi la cintura che Maggie era già uscita dal parcheggio. “E’ stato...”, balbettò nel vano tentativo di dire qualcosa di sensato.
Come poteva spiegarle per bene come si era sentita? Era già capitato che si fosse sentita desiderata, aveva anche già sperimentato qualcosa di più passionale, ma con Daryl tutto era diverso. Il modo in cui l’aveva baciata era come un linguaggio completamente. Prima, l’approccio fisico per lei era stato solo divertimento, qualcosa che doveva provare. Con lui, invece, si era sentita come se gli fosse stata davvero vicina, in tutti i sensi; come se anche lui avesse voluto che restasse lì, aggrappata al suo petto. Solo a pensarci, cresceva in lei una sorta di desiderio che non aveva ancora ben interpretato. Ma ci stava provando.
E poi, ovviamente, se n’era andato. L’aveva lasciata così. Scossa, accaldata, confusa.
“Hai mai desiderato qualcuno che ha provato a respingerti?”
“Non avevi detto che non si è tirato indietro?”
“Non intendo fisicamente.”
Maggie cominciò a scuotere ripetutamente la testa, finché non si fermò ad osservare con la fronte corrucciata la strada oltre il parabrezza. Sospirando, accese i fanali. “Forse sì”, disse piano, “ma… sai, Beth, a essere onesta non credo di essere mai uscita con uno che avesse gli stessi complessi di Daryl.”
“Lui pensa che sia sbagliato, o almeno così ha detto”, incrociò le braccia sul cruscotto e vi poggiò sopra la testa, “e ho capito quello a cui allude, ma vorrei tanto che potesse dimenticarlo.”
“Ah, l’hai capito? Bene”, rispose Maggie, roteando gli occhi e sopprimendo una risata. Beth immaginò quanto potesse essere fastidioso per lei sentirla ammettere che la sua relazione con Daryl avrebbe potuto far storcere il naso a qualcuno.
“E’ perché sono molto più giovane di lui… e perché sta succedendo tutto troppo in fretta. E poi ci sono le regole… e anche il fatto che tecnicamente, a detta sua, è un criminale senzatetto”, gemette sulle proprie braccia. “Ma a me non importa.”
Si raddrizzò di nuovo e scoppiò a ridere, anche se non lo trovava neanche minimamente divertente. “Non mi importa”, ripeté più a bassa voce. “Tutto quello che ha detto è vero, ma non totalmente. Cioè, è così, ma dietro c’è molto di più.”
Un sorrisino affettuoso si fece lentamente strada sul volto di Maggie. Beth ebbe l’impressione che fosse tentata di distogliere lo sguardo dalla strada per girarsi a guardarla. “...Del tipo?”, chiese.
La minore prese una lunga boccata d’aria e la rilasciò con un lento sospiro. “E’ un brav’uomo.”
Il silenzio che ne seguì non sarebbe potuto essere più lungo. Avevano ancora molto da dirsi e Beth, da quando Daryl l’aveva toccata, non era ancora riuscita a domare il suo cuore impazzito. Era stato quell’impeto a spingerla ad Atlanta, cosa che Maggie fino a quel momento non aveva preso ancora in considerazione. Di lì a poco, giunsero a poco più di un isolato dalla sede della CDC.
“Quindi… chiamarmi non ti andava bene?”
“No”, rispose Beth con fermezza. “Non mi andava bene”, rise, “sto diventando stupida.” Si nascose il viso tra le mani. “Maggie, secondo te sto diventando stupida?”, chiese poi, con la voce ovattata dai palmi delle mani.
“Mmh.”
Sentì il suono della freccia come Maggie cominciò ad entrare nella CDC.
“Caspita, grazie.”
“Vuoi la verità?”, Maggie parcheggiò e si slacciò la cintura di sicurezza, ma non scese subito dall’auto.
“Non deve per forza piacermi”, rispose Beth sopprimendo un sorriso che, più che per lo sguardo torvo di sua sorella, doveva essere dovuto all’eccessiva quantità di endorfina in circolo nel suo corpo.
“Non sei stupida. E’ solo una situazione diversa da quelle a cui sei abituata”, il suo tono si ammorbidì notevolmente. “Non sai che cosa fare e non ci hai neanche pensato a mente lucida, cosa che in genere sei abbastanza brava a fare.”
Beth si guardò le mani. “Forse hai ragione.”
Maggie aprì la portiera. “Aspettami qui… e cerca di pensare al perché sei qua a parlare con me piuttosto che a casa a discuterne con Daryl.”
Lei cominciò a sbattere ripetutamente le palpebre, ricordandosi che aveva tralasciato un paio di informazioni importanti. “Oh, perché un agente federale l’ha portato via.”
Se non avesse saputo che Maggie era seriamente inorridita dal sentire una notizia del genere, la sua espressione sarebbe stata comica.
“Solo per chiedergli dove sia Merle… ma, comunque, è impegnato”, Beth fece le spallucce, mordendosi il labbro per evitare di sfoggiare un sorriso troppo malizioso.
“Dio, questa era pessima.” Maggie tirò un sospiro di sollievo misto a una risata trattenuta.
“Scusami, hai ragione. Non ci ho ancora pensato a mente lucida”, le ricordò, battendo le palpebre.
“Torno subito.”

E così fece. Ovviamente, Maggie non era autorizzata a superare anche di un solo passo la portineria della CDC e fuori ogni singola entrata di quell’edificio misterioso c’erano delle guardie armate a mo’ di sentinelle. Avevano una scatola di cartone che aspettava solo di essere presa da lei, e sembrava anche più pesante di quello che avrebbe potuto sollevare senza sforzi. Così, Beth scese dall’auto e le diede il cambio. La parte superiore era completamente ricoperta di carta. Con una certa difficoltà, la posò sui sedili posteriori e ripartirono.
“E quindi stanno interrogando Daryl? Sei sicura che sia solo per suo fratello?”, il volto di Maggie era rosso quanto il semaforo davanti al quale si erano fermate. Beth ebbe la fugace impressione che stesse nascondendo qualcosa, anche se non aveva idea di cosa potesse essere. “Non è che pensano che sia stato coinvolto?”
“Non lo so”, ammise. Aveva cercato di non pensarci, ma sentirselo dire aveva fatto uscire allo scoperto quella paura portandola allo stadio successivo. “Spero di no. Lui non ha precedenti e spero che non questa situazione non cambi. Sarebbe ancora più difficile...”, evitò di continuare, troppo nervosa per dar voce alle sue preoccupazioni.
Voleva che fosse capace di costruirsi una vita più adatta a lui, che lavorasse nella loro fattoria e che si gettasse alle spalle tutte le attività illecite in cui era stato coinvolto… ma se fosse stato già troppo tardi? E se avesse fatto troppi danni per tornare indietro?
“Non preoccuparti. Sì, magari non sono brava come te a… vedere le cose, ma prima o poi le vedo anch’io. Sto cominciando a pensare che Daryl sia un tipo intelligente, non dirà nulla di sospetto.”
La sicurezza con cui Maggie la stava rassicurando l’aiutò a respirare meglio. “Sì, hai ragione. E poi… ho intenzione di parlare con lui. Stasera. Ho detto a papà che avrei passato la notte da te perché tanto domani non devo andare a scuola, ma tornerò in serata.”
“Ti hanno chiesto perché volevi vedermi?”
Beth scrollò le spalle. “Semplicemente, ho detto che volevo vedere la tua nuova casa.”
“E’ molto glamour, lasciatelo dire”, disse roteando gli occhi. “Eccola”, aggiunse, mentre rallentava davanti a un palazzo decisamente fatiscente.
“E così vivi nel quartiere più losco della città?”, Beth studiò l’ambiente, aspettandosi di trovare almeno un segno di qualche attività criminale in entrambi i vicoli che affiancavano i due lati del palazzo.
“Esattamente”, Maggie sembrava quasi orgogliosa mentre scendeva dall’auto, finché non osservò a sua volta l’edificio con una smorfia. “Forse dovrei comprare una pistola.”
“Non ti ci vedrei”, disse lei, cercando di costruire un’immagine come quella nella sua mente.
“Beh, non dirlo a papà, perché sono quasi seria.”
“Dobbiamo portare anche la scatola?”, Beth indicò i sedili posteriori.
“A stento riusciamo ad alzarla. La porterò in ufficio direttamente domani, serve per uno dei casi di Andrea”, chiuse l’auto con un click. “E sembra anche abbastanza interessante.”
Giunte di fronte alla porta, Maggie afferrò le chiavi di casa e si poggiò alla maniglia, ma prima di sbloccarla ed entrare, si fermò. “Ascolta… mi prima che entriamo devo dirti una cosa a cui potrei non aver accennato prima d’ora. Dovevo dirtelo prima, e non quando sei venuta in ufficio. Avrei dovuto chiamarti due giorni fa e non so perché non l’ho fatto… forse per proteggerti, o qualcosa del genere.” Era visibilmente agitata.
La confusione di Beth crebbe man mano che la osservava. Era abbastanza brava a capire le persone, ed era molto stressante quando non riusciva a capire che cosa stesse combinando un membro della sua famiglia. “Maggie, mi stai spaventando.”
Con un sospiro, Maggie gettò la testa all’indietro. “E’ che non c’è un modo giusto per dirlo”, mugugnò. “Merle...”, infilò la chiave nella serratura e la girò. “Lui è...”
Aprì la porta, indicando l’interno dell’appartamento con uno sguardo esasperato.
“Qui.”

La mascella di Beth si spalancò appena ebbe modo di costatare che non aveva frainteso quella confessione: il maggiore dei fratelli Dixon era effettivamente nel suo appartamento. Stava oziando su una poltrona scucita e logora accanto alla finestra, con una sigaretta fumante in bilico tra la sua mano robusta e bendata e il posacenere poggiato sul davanzale.
Le rivolse un sorriso smagliante. “Hey, bambolina!”
In assenza di parole adeguate per definire quanto fosse surreale per lei quella situazione, entrò in casa. Sentì il bisogno di avvicinarsi a lui e pizzicarlo per assicurarsi che fosse reale, ma riusciva già a vederlo, essendo a pochi metri di distanza.
Merle provò a salutarla agitando la sua mano ferita e per poco non lasciò cadere la sigaretta. Era poggiato su entrambi i braccioli della poltrona; indossava dei pantaloni strappati, una canotta nera e uno sfrontato sorriso di autocompiacimento.
Sentì Maggie chiudere la porta dietro di loro. “Ti avevo detto di non fumare in casa mia!”, disse tra i denti. Superò Beth e gli sfilò la sigaretta da mano prima che potesse rendersene conto.
“Ehi! Ho aperto la finestra”, Merle la guardò ferito, indicando il davanzale.
In tutta risposta, sua sorella vi posò la cicca e la spinse via.
“Ma che…?” Beth, finalmente, ritrovò la voce. “Com’è successo?”, chiese flebilmente indicando l’appartamento, incapace di pensare a una sola spiegazione che fosse plausibile a giustificare tutta quella storia.
Sua sorella sospirò, incrociando le braccia al petto. “E’ stato un vero scherzo del destino, non trovi? Due giorni fa, durante la mia pausa pranzo, ho visto questo squilibrato...”
“Stavo per rapinare una farmacia”, s’intromise lui, “...ma non per farmi”, aggiunse appena notò lo sguardo sospettoso di Beth. “Mi serviva una pomata, delle garze e tutto il resto”, alzò lentamente la mano interessata.
“Gli ho comprato quello che gli serviva e gli ho detto che poteva fermarsi da me per un paio di giorni”, continuò Maggie, rivolgendogli un’occhiataccia.
“E’ stato molto gentile da parte sua, no?”
“Tuo fratello, la settimana scorsa, ci ha salvato il culo”, gli rispose con un tono ancora estremamente calmo, cosa che probabilmente stava imparando dagli avvocati. “C’erano in ballo la reputazione della nostra fattoria e l’incolumità di una bambina, e lui ha sistemato tutto. Semplice e veloce. Lo devi a lui.” Fece un respiro profondo e prese a guardare il soffitto. “E poi… ti sei già cacciato in troppi guai.
Merle si limitò a ghignare davanti a tutto quell’autocontrollo.
“La sua mano era infetta e l’ho aiutato con la roba veterinaria di papà.”
“Perché sono un animale.”
“Decisamente.”
“Okay!”, Beth stroncò sul nascere quella che stava per diventare una discussione vera e propria. Li supplicò in silenzio allungando le braccia verso entrambi e facendo un respiro profondo. “Innanzitutto...”, si voltò per rivolgersi a Maggie, “sì, avresti dovuto chiamarmi… ma è stato meglio che tu non l’abbia fatto”, aggiunse velocemente. “Sarei stata pessima a mentire all’Agente Grimes!”
Poi si rivolse a Merle. “Tuo fratello è preoccupato da morire!”
“L’Agente Grimes?!”, lui aggrottò la fronte, ignorando completamente quello che gli aveva detto su Daryl. “Quel figlio di puttana che si è imbucato alla nostra festicciola nella 708?!”
“E’ venuto a cercare Daryl, per chiedergli di te.”
Merle si strofinò rudemente il volto; un’imprecazione sfuggì alla stretta delle sue dita.
“E’ in pensiero per te”, ripeté con fermezza.
Lui le rivolse uno sguardo compassionevole e sbuffò. “Pfft, io sto bene. E anche mio fratello sta bene.” Poi, però, si voltò nuovamente ad osservarla(*). Il suo sguardo premeva su di lei con insistenza e il suo volto assunse un’espressione imperturbabile. Con quel cipiglio naturale che compariva ogni volta che non parlava o che non forzava un ghigno, la squadrò dalla testa ai piedi. “Porca puttana. Sei così dolce nei confronti di mio fratello.”
“Già”, rispose Beth automaticamente. Strinse i pugni, tenendo il suo sguardo senza battere ciglio.
Dopo pochi secondi, Merle si morse le labbra, annuendo con approvazione. “Bene.”
“Andiamo”, mormorò Maggie. “Dobbiamo prepararci… sicura che vuoi venire con me?”
“Perché no?”
Aveva cambiato idea. Non aveva intenzione di tornare subito alla fattoria. C’erano buone probabilità che Daryl non fosse ancora pronto per parlarne, sembrava che non fosse bravo a gestire quel genere di cose. D’altro canto canto, lei non era ancora sicura di quello che avrebbe voluto dirgli.
“Non fumare!”
Dopo aver detto addio a Merle in quel modo, sua sorella la portò in camera da letto. Lui le rispose con un borbottio e non la guardò neanche mentre sparivano da quello scarno soggiorno.
Maggie chiuse la porta della stanza con più forza di quanta ne fosse necessaria. “Urgh”, grungnì, per poi fiondarsi nel suo armadio, “è fortunato che Daryl sia suo fratello, altrimenti...”, lasciò la frase in sospeso, apparentemente incapace di pensare a una punizione degna. Frugò tra una serie di vestiti appesi alle stampelle e gliene passò uno. “Questo dovrebbe starti bene, magari con quei tacchi neri. In ogni caso, sono troppo piccoli per me.”
Beth non riuscì a capirne la forma, dato che per il momento era solo un groviglio di tessuto morbido poggiato sulle sue braccia, ma al tatto sembrava comodo ed era di un intenso nero opaco.
“Sembrerò un fantasma”, disse. In genere, optava per colori un po’ più chiari, dato che quelli scuri accentuavano parecchio il pallore della sua pelle.
“Provalo”, ribatté Maggie, a metà tra un consiglio e un ordine. Era divisa tra due vestiti, uno rosso e l’altro nero come il suo.
“Comunque… dirò a Daryl che Merle è qui.” Si sfilò i jeans e la maglietta e cominciò a entrare nel vestito nero.
Maggie alla fine aveva scelto quello rosso, gettandolo sul letto senza troppe cerimonie, per poi passare alla scelta delle scarpe. “Immaginavo.”
“Se fossi stata tu, io avrei voluto saperlo.”
“Se fossi stata io, non sarei stata io, perché non sarei mai stata così idiota.”
Beth si infilò il vestito, per poi rispondere: “Sai cosa intendo.” Si guardò allo specchio, tirando i capelli indietro e liberando le ciocche rimaste incastrate sotto le spalline. Tutto quel nero la rendeva fin troppo cerea, ma non era poi così brutto da spingerla a chiederne un altro.
Una volta vestite, le due sorelle si trasferirono in bagno a truccarsi. Stettero in silenzio fin quando Maggie non si fermo a guardarla, con il viso ancora punteggiato di fondotinta.
“Sono mai stata… arrogante come lui?”
Anche sotto quegli strati di trucco, Beth riuscì a vederla arrossire. “Uuuh...”, cominciò a ridacchiare. Ma le sembrò seria, quindi quei mezzi sorrisi le morirono presto sulle labbra. “A volte sei stata autoritaria, protettiva… ma non credo sia una brutta cosa.”
“Anche Merle è protettivo. Con Daryl, intendo. O almeno, così sembra dalle storie che racconta.”
“Ti ha raccontato delle cose su Daryl?”, dovette ammettere a se stessa di esserne abbastanza gelosa, soprattutto quando la vide roteare gli occhi, segno che non l’avevano interessata così come avrebbero eventualmente interessato lei.
“Non ho potuto evitarlo, gli uomini non stanno mai zitti.”
Beth finì di truccarsi e di sistemarsi i capelli prima di Maggie. Più che altro, perché non poteva farci molto, se non lasciarli sciolti nella loro lunghezza. Almeno aveva provato a lisciarli per evitare che sembrasse una appena venuta da una fattoria.
Maggie, d’altra parte, si prese il suo tempo per arricciarsi i capelli con la piastra.
Si aspettò di trovare Merle esattamente dove l’avevano lasciato, ma invece lo trovò a curiosare nel frigorifero, e non sembrava particolarmente sorpreso del suo contenuto. Appena entrò in cucina, lo sentì sospirare. “La mia dannata pizza non arriverà mai.”
“Perché non provi a chiamarlo?”, gli propose, incrociando le braccia al petto e appoggiandosi alla porta.
Lui chiuse il frigo e, quando la vide, sgranò gli occhi in segno di approvazione. “Accidenti, ragazza, ti sei messa in tiro.”
“Grazie, Merle”, rispose lei un po’ riluttante. “Hai sentito quello che ho detto?”
“Huh?”, il suo sguardo si fece più insistente, indispettendola. “Hai detto qualcosa?”
“Perché non hai chiamato tuo fratello per fargli sapere che non sei morto?”
“Perché il ragazzo non ha un telefono, ricordi?”, puntualizzò, alzando gli occhi al cielo. “Ho perso il telefono quella notte, così che nessuno possa chiamarmi.”
“Sapevi che sarebbe venuto alla fattoria?”, gli chiese.
“Lo immaginavo”, fece le spallucce.
“Quindi avresti potuto contattare noi, per sentire lui.”
“Non capisco perché stai insistendo così tanto con questa storia, bambolina”, brontolò.
“Se Daryl fosse stato nei guai, avresti voluto saperlo.”
“Lui non finisce mai nei guai. Io lo tengo fuori dai guai.” Per la prima volta, Merle si mise davvero sulla difensiva, con lo sguardo fisso nei suoi occhi. Un po’ di rossore, però, tradì la sicurezza con cui aveva pronunciato quella risposta. Sapeva che era una bugia, ma magari voleva che fosse vero.
Per quello che Beth aveva visto, per Daryl era meglio tenersi fuori dai casini e basta, senza contare sull’aiuto che Merle si sforzava di dare a entrambi.
Alla fine non la scrutò poi così a lungo. Dopo un po’, la superò con un cipiglio e tornò a sedersi sulla poltrona. “Allora, dimmi...”, disse con un tono più irriverente, “non ti ha ancora scopata, vero? Nah, non si innamorerebbe di te così presto...”
Beth era sicura che lo stava dicendo solo per ripicca. L’aveva messo a disagio e lui aveva sentito l’esigenza di fare lo stesso con lei. Fece del suo meglio per non replicare, continuando a guardarlo con indifferenza.
“Che finocchio”, continuò lui dopo averle rivolto un’altra occhiata veloce, ridendo da solo.
Con l’intenzione di cambiare argomento prima di cominciare ad arrossire, Beth prese a guardare la porta chiusa della camera da letto. “Che hai fatto alla mano?”, disse.
Merle sollevò il braccio, mostrandole la benda che gli aveva applicato sua sorella. “Era solo un taglietto. Me lo sono fatto mentre scavalcavo un recinto. Non era uscito molto sangue e quindi non me ne sono preoccupato, ma poi è diventato leggermente infetto. Allora ho dovuto.”
“Hai davvero incontrato Maggie per caso?”
“Beh, sì”, cambiò colorito, “tecnicamente.”
“Tecnicamente?”
“Magari quando ce ne stavamo andando da casa di Nick potrei aver sentito uno di quegli sbirri nominare lo studio in cui lavora e… niente, mi trovavo nei paraggi, questo è quanto.”
“Davvero inquietante.”
“Ora chi è quella iperprotettiva, uh?”
“E’ normale che io lo sia. Hai inseguito mia sorella e sei andato a vivere con lei dopo averci parlato solo per cinque minuti!”, Beth inarcò un sopracciglio ma, con sua grande sorpresa, dovette soffocare un sorriso che minacciava di sbaragliare la sua espressione scettica.
Forse era la sua immaginazione, ma Merle sembrava un po’ più pallido. Aveva sempre invidiato l’innata capacità di sua sorella di saper intimidire le persone con quattro parole ben piazzate e uno sguardo incrollabile, ma fino a poco tempo prima non aveva mai pensato di poterci riuscire.
Il suo volto s’irrigidì, poi con voce atona disse: “Devi capire, bambolina, che non volevo fare niente di male. L’ho fatto capitare proprio perché non volevo costringere nessuno, ero a corto di soldi e di alibi e non avevo molte altre opzioni, capisci? Mi sono trovato in zona e mi serviva un posto per dormire. Ho molti amici qui, ma nessuno disposto a darmi una mano. Avrei dovuto spaccarmi in due per cercare un motivo valido per convincerli a rischiare per me, ma sono sicuro che mi avrebbero comunque consegnato al primo sbirro che sarebbe passato per risparmiare il disturbo a loro stessi e alla loro gente.”
“C’è tuo fratello, potevi contare su di lui”, gli ricordò. “Ti avrebbe protetto.”
Merle sbuffò, ma sapeva che era vero. Ne era perfettamente consapevole.
“Lui ti vuole bene”, disse semplicemente.
Ma evidentemente era più di quanto Merle fosse disposto a sopportare. Roteò gli occhi e si alzò immediatamente, come se non l’avesse neanche sentita. Raggiunse la sua giacca e cominciò a frugare nelle tasche, forse alla ricerca di un’altra sigaretta. Non appena si arrese, qualcuno bussò alla porta.
“Cazzo, era ora!”, borbottò. Ma prima che potesse aprirla, un forte rumore di tacchi sul pavimento e una folata di vento furono le uniche cose che Beth riuscì a percepire prima di vedere Maggie piazzarsi fra lui e la porta. Era fasciata nel suo vestito rosso aderente, con il trucco impeccabile e una ferocia che le induriva i lineamenti del viso.
“E’ casa mia. Apro io la porta”, gli disse bruscamente. Si scostò alcune ciocche di capelli dagli occhi e cercò la maniglia con la mano.”
“E’ solo la mia pizza...”
Prima di lasciarlo finire, Maggie spalancò la porta e vide un ragazzo asiatico nel corridoio, effettivamente con una pizza in mano. Ma dalla sua espressione perplessa e dal fatto che indossasse un completo scuro con tanto di giacca abbinata, era chiaro che qualcosa non quadrasse. Infatti, i quattro cominciarono a guardarsi a vicenda, senza dirsi nulla.
“Uh, ciao”, disse allora il ragazzo.
Maggie si girò di scatto verso Merle. “Con quali soldi avresti intenzione di pagarlo?!”
“Sai, quando mi sono messo a cercare un po’ d’erba per la casa, potrei aver accidentalmente trovato quel paio di banconote da venti che tenevi nascoste dietro al tuo cassetto segreto.”
In risposta, lei gli lanciò un’occhiata assassina.
“Ma ci ha messo più di un’ora, quindi non servono più!”, Merle la superò con una spallata e strappò via il cartone dalle mani del ragazzo. “Pizza gratis! Ti è andata male, Kato.”
“Oh, io...”, il ragazzo cominciò a replicare ma, in meno di un istante, gli sbatté la porta in faccia.
Beth vide sua sorella tremare letteralmente dalla rabbia. Si aggiustò il vestito, tirò un respiro profondo e si voltò nuovamente versi Merle per gridargli contro. “Tu non puoi...”, ma venne interrotta da un brusco colpo dato alla porta proveniente dall’esterno.
“Che c’è?”, la riaprì e si rivolse al ragazzo asiatico, di nuovo.
“Non sono il ragazzo delle consegne. Voglio dire, lo sono stato, ma non è per questo che sono qui.” Sembrava piuttosto seccato per essere uno che si era presentato fuori la loro porta con una pizza. Si portò una mano su un fianco e, quando la fece sbattere contro la tasca dei pantaloni, si sentì il rumore di delle chiavi.
“E per cosa?”, Maggie inarcò un sopracciglio.
“Io e il ragazzo delle pizze siamo arrivati insieme, ma visto che aveva fretta e stavamo andando dalla stessa parte, ha dato la pizza a me e se n’è andato”, probabilmente consapevole di doverli tagliare, si passò una mano tra i capelli neri, pettinandoli. “Sono Glenn Rhee. Sto facendo un tirocinio alla CDC con il dottor Jenner. Tu sei Maggie Greene?”
“Oh. Sì, sono io.” Maggie si ricompose, anche se, stando alla sua espressione, non sembrava che fosse meno confusa di prima.

Lui si schiarì la gola. “Bene… il fatto è che il dottor Jenner, che magari è solo semplicemente impazzito, ha perso dei documenti e adesso è sicuro che io in qualche modo li abbia mischiati con altre carte, cosa che non ha alcun senso perché non sono mai stato vicino a...”
“Questa storia ha un punto?”, sua sorella sospirò, facendo trasparire di nuovo il nervosismo causatole da Merle.
Beth si sentì morire per Glenn che, davanti a tutta quella suscettibilità, deglutì. “Sì, ci stavo arrivando.”
Rendendosi conto di essere stata un po’ troppo dura, Maggie chiuse gli occhi e fece una smorfia. “Scusami”, disse, con più gentilezza.
“Ma che… come hai fatto a fartelo dire?”, s’intromise Merle, con la bocca piena di pizza.
Ignorandolo, continuò: “Immagino che tu voglia controllare nella scatola che mi hanno dato alla CDC.”
“Esatto”, rispose lui con un cenno nervoso.
“Questa cosa è un po’ fuori regola, non trovi? Tecnicamente, ce l’avete già data.” Maggie fece battere le unghie ripetutamente sul suo fianco e intrappolò il labbro inferiore tra i denti per un secondo, ma Beth sapeva già che gliela avrebbe fatta controllare comunque.
“Sono sicuro che non staranno neanche lì”, si giustificò Glenn, “ma devo dare un’occhiata.”
“...E va bene, andiamo.” Uscendo fuori al corridoio del palazzo, lo accompagnò posandogli la mano su un braccio e lasciando Beth e Merle da soli.
Cogliendo la palla al balzo, Beth si preparò ad affrontarlo di nuovo, incrociando le braccia al petto. Aveva poggiato la pizza sulla poltrona e si era appoggiato alla parete accanto alla finestra. Era già alla seconda fetta.
“Che c’è? Ne vuoi un po’?”, indicò il cartone. “Serviti.”
“Ancora non mi hai detto perché.”
“Perché cosa?”, disse cupo, sfidandola a riaprire l’argomento. Ma Beth non aveva paura di lui.
“Perché non hai provato ad avvisare tuo fratello.”
“Te l’ho già detto, stiamo bene così”, rispose scocciato.
“Sì, stiamo tutti bene”, continuò lei, “ma non è una motivazione. Inizia con un perché.”
Perché...”, gettò il cornicione nel cartone con la mano ferita, sussultando. “Perché sarebbe stato solo un altro problema.”
“Per chi?” Conosceva già la risposta, ma voleva che lui lo dicesse.
“Un problema per lui, contenta?!”, rispose alzando la voce, “Già il fatto che io abbia avuto a che fare con tutto questo è un casino, magari posso fare la mia parte per tenere lui fuori. Te l’ho detto, lo voglio tenere lontano dai guai.”
“Perché anche tu gli vuoi bene.”
Senza guardarla, Merle fece una specie di cenno, ma fu solo un attimo, perché i suoi occhi erano ancora duri e il suo cipiglio ancora presente.
Abbastanza soddisfatta, Beth andò in cucina a prendersi un bicchiere d’acqua e per lasciarlo riflettere un po’ sulla cosa. Si era resa conto che Maggie, avendo passato del tempo con lui, aveva pensato che, a volte, poteva averla trattata come lui trattava Daryl, ma non poteva far altro che assicurarle il contrario. Il loro rapporto non aveva niente a che fare con quello di Merle e Daryl. Potevano anche litigare spesso, ma si erano sempre aperte l’una con l’altra. Invece, far ammettere a Merle di essere preoccupato per suo fratello era stato come torturarlo, ma allo stesso tempo poteva dire di non sentirsi per niente in colpa.
In poco tempo, Maggie e Glenn tornarono con la scatola della CDC.
“Scusami ancora”, Glenn gettò senza un minimo di cura la scatola sul pavimento, colpendolo con un forte tonfo. S’inginocchiò accanto ad essa e, dopo essersi aggiustato il nodo della cravatta, l’aprì. Esasperato, cominciò poi a sfogliarne il contenuto.
“Sembra una seccatura più per te che per me”, gli fece notare Maggie, sorpassandolo per andare a sedersi sul bracciolo della poltrona, già in parte occupato dal cartone della pizza.
“Non dovevate andare a quella festa per damerini, voi due?”, Merle era tornato al suo stato di scontrosità abituale. “Posso mandare io via Short Round quando ha finito.”
“Ne hai per molto?”, Maggie non sembrava apprezzare l’idea di lasciare Merle e Glenn da soli nel suo appartamento. Allungò la mano verso la pizza e addentò un pezzo di salsiccia.
“Forse”, ammise Glenn. Aveva alzato lo sguardo su di lei solo per un secondo, ma Beth aveva potuto notare che era quasi arrossito nell’indugiare sulle gambe di sua sorella, accavallate sul bracciolo della poltrona.
“Non ti fidi a farmi fare il babysitter, dolcezza? Me la cavo bene, chiedi a tua sorella.” Merle rivolse un sorriso a Beth. Sembrava deciso a spazzar via tutto l’imbarazzo di prima.
“Sì, è a posto”, rispose, pensando di essere stata anche troppo generosa in quella valutazione. Dal cipiglio di Maggie, poteva dedurre che comunque non li avrebbe mai lasciati lì da soli.
“Voi due...”, lo sguardo di Glenn oscillò tra Merle e Maggie, provando a fingere un interesse del tutto casuale. “Voi… state insieme?” Le sue guance si fecero di un rosso più intenso. “Voglio dire, anche tu vivi qui?”
Maggie esitò per un secondo e Beth si coprì la bocca per trattenere un risolino.
“Diavolo, no!”, disse sua sorella con un’espressione puramente inorridita.
“Beh, non ancora...”, Merle trattene un ghigno. “Però… potremmo darci dentro.”
Chiaramente infastidita dalla domanda di Glenn, Maggie si voltò per rispondergli. “Se tu fossi l’ultimo uomo sulla terra, ti sopprimerei e rapinerei una banca del seme per ripopolare il mondo da sola.”
“Questa è la cosa più fredda che una donna mi abbia mai detto”, Merle sembrò in qualche modo fiero di lei. “E’ nella top twenty, perlomeno.”
“Scusate”, Glenn trasalì non appena rincontrò lo sguardo di Maggie, per poi rigettarsi tra le carte.
“E’ meglio andare”, sua sorella si alzò in piedi. Lasciarli nel suo appartamento era sicuramente l’ultima cosa che avrebbe voluto fare, ma da come guardava continuamente l’orologio del forno a microonde, sembrava determinata a non essere ulteriormente in ritardo.
“Già. I bambini staranno bene”, Beth non riusciva a smettere di ridacchiare. “Glenn, è stato un piacere… Ciao Merle! Oh, comunque dirò a Daryl che sei qui”, li salutò agitando una mano e uscì fuori al corridoio.
Glenn ricambiò velocemente il saluto, continuando a sembrare imbarazzato e pieno di lavoro da fare. La camicia gli era uscita fuori dai pantaloni e il colletto della giacca andava decisamente tirato giù, ma sembrava comunque molto più elegante di Merle, che nel frattempo aveva gettato a terra il cartone della pizza per sedersi di nuovo e si era chissà come macchiato la camicia di sugo.
“Dì a mio fratello di trattarti bene… digli che qualsiasi uomo al posto suo ti avrebbe già...”, indugiò nel continuare a dirle quello che Daryl avrebbe dovuto farle non appena notò le occhiatacce che Maggie gli stava mandando.
Infatti, si era fermata sulla soglia ad osservarlo con i suoi occhi verdi che sembravano più affilati di dei coltelli.
“...Ti avrebbe fatto fare tante cose belle”, concluse frettolosamente.
“Ti ho capito, Merle”, lo informò sua sorella, sbattendo la porta.

 

(*) Il testo originale è “But he did a double-take”. In pratica, il “double-take” sta a indicare quella situazione in cui guardi di sfuggita una persona ma poi ti rivolti a guardarla perché l’hai riconosciuta o perché ti sei accorto di qualcosa. Non so se mi spiego xD. Comunque, non so se esista un termine preciso in italiano per rendere il concetto e quindi l’ho tradotto così, pardon.

 

Note d’autrice:
Per quanto riguarda Daryl e Rick, voglio chiedervi scusa se vi è sembrato che Rick si sia aperto troppo presto. Era una cosa che mi preoccupava molto, ma per mia esperienza posso dire che l’alcool rende le persone socievoli, comprese- o soprattutto- quelle che non lo sono affatto.
Ho usato la confessione del dottor Jenner nella prima stagione come modello per la scena dell’ingresso nell’appartamento, spero di non essere sfociata nell’OCC.
E poi, già che ci siamo, non ci sarà Merggie. No, perché amo i Glaggie. In realtà, è da un po’ che pensavo di creare una specie di folle drubble sci-fi con qualche sfumatura di Merggie… però ora sono concentrata su questa storia, quindi no.
Baci in stile Bugs Bunny a chiunque abbia messo tra le preferite, le seguite e a chiunque abbia recensito!

 

Note traduttrice:
Ok, comincio a scusarmi per il mio ritardo immenso. E’ passato quasi un mese dall’ultimo capitolo e anche se so di non essermi mai data una scadenza mi dispiace avervi fatto aspettare.
Spero che vi soddisfi (dato che ho fatto veramente tardi, almeno volevo tornare con due capitoli ahah) e niente, spero che mi perdoniate e che continuiate a seguire la storia.
Baci! xx

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Capitolo 13
*** Fortuna / Di nuovo a casa ***


XIX. Fortuna / XX. Di nuovo a casa

 

“Hai mai pensato di entrare in polizia?”, gli chiese Rick, che sì, aveva smesso di bere, ma solo dopo esserci andato giù pesante.
A quanto pareva, avrebbe trascorso la notte in città, o almeno così suggeriva la chiave che continuava a strisciare sul bancone da quando avevano cominciato a parlare, chiaramente di una stanza di qualche motel.
“Non ho mai pensato di entrare in niente”, Daryl fu sorpreso da se stesso per quanto ormai la sua lingua farfugliante si fosse sciolta.
Comunque, non era del tutto vero, ma tutte le volte che aveva anche solo pensato di mantenersi con qualcosa di stabile, non erano stati altro che pensieri fugaci. Per non parlare del fatto che aveva passato così tanto tempo a evitare gli sbirri che sarebbe stato contro la sua stessa natura entrare a far parte della loro combriccola, a prescindere dal ruolo che gli avrebbero offerto.
“E’ per… il modo in cui hai cercato tuo fratello. Riesci a pensare come lui e come quegli altri uomini che mi hai detto di conoscere da tempo. Tu capisci le loro dinamiche come ogni bravo poliziotto dovrebbe fare”, spiegò Rick. Lo sguardo pensieroso e vitreo che i suoi occhi iniettati di sangue avevano mantenuto con rigore nelle ultime ore cominciò a svanire, riflettendo invece i suoi pensieri. “Non ho potuto fare a meno di dirtelo. Dovresti prendere questa cosa in considerazione.”
“Non è una di quelle cose a cui si pensa prima di arrivare alla mia età?”
Rick, semplicemente, fece le spallucce.
“Nah, scordatelo.” Daryl si diede uno schiaffetto sulla guancia e si raddrizzò. “Sei ubriaco, amico.”
“Sì”, confermò lui, “ma sto ancora bene. Secondo me è una cosa che potresti fare, se solo lo volessi.”
“Non lo voglio”, brontolò.
“E’ giusto, ma hai tutte le carte in regola.”
“Non ho trovato mio fratello”, gli ricordò.
“…A proposito, devi farmi un favore, e tienilo bene a mente”, Rick cominciò ad alzarsi lentamente dallo sgabello, come se si aspettasse di perdere l’equilibrio. “Mi farò sentire. Ti dirò tutto quello che scopro su tuo fratello, ma tu dovrai fare lo stesso con me.” Posò il suo biglietto da visita sul bancone, passandoglielo. “Non sono in condizioni di darti un passaggio, ti chiamo un taxi.”
Daryl afferrò il biglietto e se lo mise in tasca, sbuffando. “Hai visto dove siamo? Andrò a piedi.”
“Beh, sarà una lunga passeggiata”, disse Rick dubbioso.
“Andrò direttamente a casa, non alla fattoria. E’ più vicino.” Più o meno. “E poi, ho voglia di farmi una camminata, ho troppe cose nella testa.”
“Mmh”, l’Agente lasciò una mancia al barista e si rimise la giacca. “La figlia del fattore”, disse poi di punto in bianco, e non sembrava sul punto di fare una domanda. Sembrava aver capito che Daryl non aveva alcuna intenzione di parlarne. “Scusami se ti ho portato via da lei… sembrava una di quelle cose da non gettare nel dimenticatoio. Affrontala, vai fino in fondo.” Si fermò e, con un cipiglio, rifletté sulla scelta ambigua delle sue ultime parole.
“Dannazione!”, Daryl si portò i palmi a coprirsi gli occhi già chiusi, strofinandoli. Era troppo sbronzo per combattere qualsiasi tipo di pensiero proibito.
“Sai cosa intendo.”
“Non ne sono sicuro”, mugugnò mentre scendevano insieme dal marciapiede, pronti ad attraversare la strada deserta.
Il sole era tramontato e tutta la vita sembrava essersi spostata alle loro spalle, in quel bar. In strada non c’era nessuno, fatta eccezione per le cicale e le zanzare.
“Mi hai ascoltato per tutto il tempo mentre mi lagnavo per Lori...”, si fermò a guardarlo. La luce a neon lampeggiante dell’insegna di un motel di merda gli illuminava le spalle. “Ha sempre cercato di dirmi che io… che io non parlavo abbastanza. Che non condividevo. Mi piace pensare di aver imparato qualcosa da tutta questa storia, e credo che in fondo sia questo: devi parlare. E’ più importante ascoltare, certo, ma parlare significa farle capire che l’hai fatto quindi… è comunque importante. Parlale.”
Daryl si limitò a grugnire, come riflesso di una resistenza che dentro di lui stava prendendo il sopravvento. Il sorrisetto sul volto di Rick gli suggerì che aveva capito benissimo a cosa stava pensando.
“Ci vediamo”, disse.
Al posto di ricambiare il saluto, gli fece un cenno e i due, come era naturale che fosse, presero due strade diverse: Rick sparì nell’oscuro parcheggio del motel e Daryl s’incamminò in direzione della fattoria.
Parlare?
Per quelle due ore aveva cercato di capire cosa avesse spinto Rick a parlare della sua vita a un criminale. Anche se non poteva avere la certezza che Daryl lo fosse, quell’uomo era abbastanza intelligente da capirlo. Inizialmente aveva evitato di chiederglielo perché sembrava davvero a pezzi, ma dopo aveva cominciato a realizzare che avrebbe potuto anche essere una specie di tattica. Alcune persone sono più inclini a raccontare i propri segreti a persone che hanno fatto lo stesso con loro e, se quello era lo scopo di Rick, Daryl era orgoglioso di affermare che non l’aveva raggiunto. Ma mentre camminava, tagliando per i sentieri che più gli erano comodi, si convinse che in realtà Rick non aveva nessuno scopo. Proprio perché era un uomo intelligente, sapeva che quel genere di cose non funzionavano con Daryl; si era aperto sinceramente, e sinceramente stava cercando di aiutarlo.
...Parlare?
Forse avrebbe dovuto semplicemente andare, lasciare la fattoria e dimenticare la ragazzina, ma quell’opzione gli provocava dolore. Voleva starle vicino quel tanto che gli bastava, nonostante sapesse già che quel tanto non gli sarebbe bastato a lungo. Negli ultimi giorni, quando aveva provato a starle alla larga, anche solo limitandosi a guardarla, una vocina gli aveva costantemente ricordato che non era soddisfatto, che aveva bisogno di avvicinarsi di più, un po’ per volta.
Sapeva che Rick aveva ragione. C’erano un’infinità di parole in mezzo a tutti quegli sguardi e a tutte quelle volte che non era riuscito a non toccarla.
Parlare.
I pensieri che gli giravano per la testa lo rendevano nervoso in un modo che non gli piaceva affatto. Lei voleva farlo parlare, ci stava provando; lo riempiva di domande e pian piano si apriva la strada per entrare dentro di lui.
Ma cosa voleva che le dicesse? Qualsiasi cosa volesse da lui, era destinato a fare la cosa sbagliata.
Aveva provato a fare niente, ma non aveva funzionato.
Aveva provato a essere cattivo, ma lei aveva capito comunque.
Ora Rick gli diceva di parlare, ma non gli era sfuggito il fatto che si stesse riferendo a un modo specifico di farlo. Gli aveva consigliato di dirle la verità e cazzate varie sui sentimenti che solo a pensarci gli si contorcevano le budella.
Digrignò i denti. Era sicuro che, se non avesse smesso di giocarci, si sarebbe staccato via la lingua a morsi. Una parte di lui era incline a continuare a percorrere quella strada a vuoto, evitando di andare alla fattoria e affrontarla.
Andiamo, Dixon. Fai l’uomo, porca puttana!
Non era assolutamente pronto per una cosa del genere.

● ● ●


Per pensare così tanto a Daryl e a Merle, Beth si era dimenticata di fare quel genere di domande che in genere avrebbe fatto. Domande del tipo: “Maggie, dove stiamo andando?” oppure “Maggie, perché siamo vestite così?”.

Aveva dato per scontato che fosse una sorta di festa a cui la ditta era stata invitata per intero e non era stata per niente curiosa, almeno finché non si era ritrovata in un’enorme hall illuminata dalla luce del tramonto con circa un centinaio di persone in più di quante se ne aspettava.
“Dove siamo?”
Si lisciò i capelli che le ricadevano sulle spalle con le dita, desiderando di essere stata anche solo due minuti in più a cercare di rendersi presentabile.
Maggie, ovviamente, era incredibile. Soprattutto se si prendeva in considerazione il fatto che tecnicamente aveva preparato entrambe e che, grazie a Merle, l’aveva fatto in una situazione estremamente stressante. Si sistemò la gonna del vestito e, leggermente nervosa, cominciò a guardarsi intorno. Cosa che, al contrario, fece rilassare Beth.
“All’inaugurazione di una galleria d’arte. C’entra sicuramente qualche vecchio cliente e credo che sia un amico del capo, perché ci teneva particolarmente alla presenza di tutto lo studio, compresi i comuni paralegali.”
Il nervosismo le scivolò addosso e sorrise non appena vide un uomo in elegante completo grigio venire nella loro direzione.
“Maggie, sei desiderata al tavolo della roulette russa.” L’uomo indicò l’angolo più lontano della sala, dove un gruppo di persone sedeva intorno a un tavolo, ognuno con il proprio bicchiere.
Beth arricciò la fronte non appena notò l’allestimento di tutta la sala, popolata da una massa di corpi esuberanti e chiassosi: c’erano diversi tavoli da poker e black jack e, in fondo, un’enorme ruota della fortuna.
“Ok… che cos’è in realtà?”, Maggie inarcò un sopracciglio.
“Ognuno ha un bicchiere e tutti, tranne uno, contengono dei normalissimi cocktail. L’unico diverso infatti ha...”, non ebbe bisogno di continuare, poiché gli bastò indicare distrattamente il tavolo alle sue spalle.
Le ragazze seguirono il suo sguardo giusto in tempo per vedere una donna in lungo abito blu avvampare. Aveva il volto piegato in una smorfia e gli occhi in lacrime.
“Beh… le stanno già facendo il video”, continuò l’uomo.
Infatti, gli altri invitati avevano tirato fuori i telefoni e si erano avvicinati per riprendere quella donna che, quando le piccole convulsioni cessarono, scoppiò a ridere.
“Sì, ma non c’è proprio modo che io faccia una cosa del genere. La salsa piccante è fin troppo hardcore per me. Signor Samuels, lei è Beth, mia sorella e, stasera, mia accompagnatrice.”
“Ciao, piacere di conoscerti. Hai ventun anni?”
“Diciotto”, ammise Beth.
“Bene, allora devi cercare...”, si guardò intorno. “Ma dov’è andata?! Aspetta qui, dobbiamo farti il timbro.”
“Il tema è la fortuna”, spiegò Maggie quando l’uomo sparì dalla loro vista. “Perciò ci sono tutti i giochi d’azzardo. Andrea ha detto che ci sarà anche qualcuno a leggere i tarocchi. Divertente, no?”
Aspettarono fino al punto di arrivare a pensare che si fossero completamente dimenticati di loro, ma poi una ragazza le raggiunse e timbrò il palmo della mano di Beth con un’enorme X nera, in modo tale da segnalare che il bar non avrebbe potuto servirla.
Per i primi venti minuti o giù di lì, rimase attaccata a Maggie mentre si faceva strada tra gli ospiti. Ogni tanto si fermava a chiacchierare con avvocati e amici e Beth sorrideva cordialmente a tutti, continuando a chiedersi dove avessero nascosto il cibo. Avrebbe dovuto accettare la proposta di Merle e prendere un po’ della sua pizza, ma in quel momento non aveva pensato al suo stomaco.
Cominciò a sentirsi pian piano sempre più a suo agio e, gradualmente, si staccò da Maggie per avvicinarsi alle pareti. Quella galleria era un curioso mix di arte moderna, surrealista e tradizionale. Non riuscì a capire con quale criterio venissero associati tra loro i dipinti e non credeva di poterlo fare se continuava a restare in quella stanza. Forse le cose avrebbero acquistato più senso nella galleria vera e propria.
Maggie era immersa in una conversazione con due suoi colleghi e sembrava che avesse intenzione di fermarsi lì per un po’. Le toccò la spalla e le indicò l’altra stanza per farle capire in quale direzione sarebbe andata e, appena entrò nella stanza principale, poté finalmente riprendere a respirare. Era piena zeppa di opere d’arte e vi erano solo un paio di ospiti che sussurravano tra di loro accanto a un enorme quadro raffigurante innumerevoli spade da samurai dalle guaine decorate. Erano poste una sopra l’altra, dal pavimento fino a raggiungere il soffitto. Al centro della stanza, invece, c’era una piccola tenda fatta di un materiale che, alla vista, sembrava piuttosto pesante. Accanto ad essa c’era un cartello che indicava che era lì che venivano letto i tarocchi.
La tenda si aprì e ne uscì una donna con un sorriso imbarazzato sul volto. Beth esitò un momento prima di decidere che quello era il suo turno.
All’interno, inspirò un’aria densa e calda che sapeva d’incenso bruciato. Vi erano dei cuscini adagiati sul pavimento e, su uno di essi, sedeva una ragazza che doveva avere pochi anni in più a lei. Aveva i capelli biondi e lisci e due grandi occhi azzurri. Le sorrise e, con un cenno, le indicò un cuscino.
“Hai qualche preferenza?”, le chiese. Aveva un’aria rilassata e disinvolta che Beth non si aspettava.
“No… in realtà, non capisco niente di tarocchi”, rispose, ma dopo una scrollata di spalle, si ricordò di conoscere un mazzo. “Croce celtica?”
La ragazza annuì. “Tradizionale, mi piace. Avanti, mettiti comoda.”
Beth s’inginocchiò.
“Come ti chiami?”
“Beth Greene.”
“Io sono Amy.”
Le strinse la mano e cominciò a mischiare e a rimischiare il mazzo di carte sul tappeto. Dal collo penzolava una catenina con un ciondolo a forma di sirena.
Quando si assicurò che il mazzo era stato ben mischiato, Amy scoprì una carta dal centro. Era al contrario.
“Asso di coppe rovesciato.” Con un cipiglio, tracciò una linea immaginaria con il dito sulla coppa dorata disegnata sulla carta. “Sei stata più riservata del solito, ultimamente? Hai cercato di reprimere i tuoi sentimenti, i tuoi pensieri?”
“Credo di sì, ma le cose stanno cambiando.” Beth si agitò sul posto, improvvisamente a disagio. Non aveva mai creduto a quel genere di cose, era solo per divertimento, eppure non si sentiva a suo agio e aveva cominciato a chiedersi se quelle coincidenze avessero potuto aiutarla ad ammettere determinate cose su se stessa.
Amy scoprì altre carte.
“Cavaliere di spade incrociato. Le cose stanno cambiando grazie a qualcuno o a qualcosa.”
“Qualcuno”, ammise lei, sporgendosi per guardare meglio l’immagine del cavaliere.
“Una persona testarda, impulsiva, che preferisce agire. Ma ciò non significa che non sappia comunicare.”
Beth roteò gli occhi, incapace di trattenere un sorriso.
Amy, nel frattempo, passò alla carta successiva. “Otto di spade. Lui non è il motivo per cui ti sei trattenuta. Ti sei sentita sola, e ora ti senti in trappola.” Un’altra carta venne scoperta ancor prima che realizzasse quello che le era appena stato detto. “Il matto. Ti sei accorta che la tua infanzia è finita, hai già avuto i tuoi momenti di innocenza e libertà.”
Beth si ricordò del perché aveva sempre evitato quel genere di cose: quando sbagliavano erano del tutto inutili, ma quando avevano ragione erano davvero inquietanti.
Amy sembrava più preoccupata. Le sue sopracciglia si aggrottarono formando una piega sulla sua fronte. Poi, però, la sua espressione s’illuminò quando scoprì un’altra carta e tirò un profondo respiro di sollievo.
“Sacerdotessa. Hai fatto bene a gettarti il passato alle spalle, ora hai nuove abilità e puoi contare sul tuo intuito.”
La carta seguente, invece, mostrava un essere angelico che fronteggiava un uomo e una donna mano nella mano.
“Giudizio. Può significare un nuovo inizio, ma anche un’assoluzione.”
Beth si lasciò andare a una risata nervosa. “Stavi cominciando a spaventarmi.”
L’altra inarcò un sopracciglio. “Beh, non siamo ancora fuori dal bosco.”
La prossima carta raffigurava un uomo che sottometteva un leone.
“Sei forte e ostinata. A prescindere da cosa tu stia pensando di questa situazione che stai vivendo, tu hai il controllo.”
Di quello non era proprio chissà quanto convinta. Ritornando in sé, pensò che erano solo delle immagini stampate su dei pezzi di carta. Non potevano riflettere la realtà.
“Cinque di bastoni”, continuò. “Al di là della conflittualità, ci saranno molti ostacoli davanti a te.”
Amy indicò le ultime due carte da scoprire. “Una rappresenterà la tua speranza e l’altra la tua paura. Starà a te decidere quale rappresenterà cosa.”
Scoprì la prima carta. “Gli amanti.”
Confusa, Beth sbatté le palpebre più volte quando vide la coppia che si abbracciava sulla carta.
“Allora? Speranza o paura?”, chiese, anche se non sembrava aspettarsi di ricevere una risposta. Forse l’espressione sul volto di Beth le era bastata. “Adesso, il risultato di tutto questo è...”
Scoprì l’ultima carta ma, quella volta, non disse il nome. Non ce n’era bisogno, poteva capirlo anche da sola.
Era la morte.
“Non aver paura.” Amy scrollò una spalla con freddezza e ripose a ritroso tutte le carte, in modo che la prima a vedersi fosse l’immagine della figura con un teschio sulla faccia. “Significa solo cambiamento. Da qui in avanti, qualcosa di diverso sconvolgerà il tuo mondo.” Poi aggiunse, piuttosto inutilmente: “Ovviamente, può indicare anche la morte in senso letterale.”
“Significa che le cose non potranno mai tornare come prima, giusto?”, indovinò Beth.
“Esatto. Ma del resto è sempre così, no?”
Annuendo, si sentì un po’ più tranquilla. La prima cosa che aveva pensato quando aveva visto le carte era che avessero ragione, ma non doveva prenderle troppo sul serio.
“Allora… su cosa ho avuto ragione? Amo avere ragione”, Amy si morse il labbro impaziente, sembrando ancora più giovane.
“Ci sono state diverse… corrispondenze”, ammise Beth.
“Fantastico. C’è qualcun altro qui fuori?”, indicò l’apertura della tenda alle sue spalle.
Dopo aver dato una rapida occhiata, Beth scosse la testa.
“Bene. Andrò a prendere qualcosa da mangiare.” Amy richiuse le carte nel loro contenitore e lo ripose nella parte posteriore della tenda, accanto a una borsa ricoperta di perline e a una stampa di un’altra sirena.
Beth uscì per prima, seguita subito da lei.
“Non sei un avvocato, vero?”, le rivolse un’occhiata rapida.
“No”, disse, “sono venuta per mia sorella. Lavora allo studio legale.”
“Oh, forte. Anche la mia. Studio alla Georgia State, le carte sono solo un hobby, ma mi ha chiesto di leggerle agli ospiti di stasera. Sembra una bella festa.”
Il suo atteggiamento rilassato, allora, aveva acquistato un senso.
“Sai dove nascondono il cibo?”
“Non ne ho idea.”
“La seconda stanza da quella parte”, furono interrotte da una voce.
Si voltarono entrambe. Non avevano notato che ci fosse qualcun altro.
Era una donna slanciata ed elegante, indossava un lungo abito bianco e dava loro le spalle mentre osservava con attenzione il dipinto delle spalle. Con un braccio stava indicando la loro destra. La pelle era scura e luminosa, dello stesso colore profondo dei suoi dreads perfettamente curati e intrecciati sulla sua testa con un nodo.
“Grazie!”, disse Amy prima di scappare via.
La donna davanti al dipinto delle spade si voltò appena, ma a Beth fu sufficiente per intravedere un viso assolutamente impeccabile. Aveva un’aria sofisticata.
I suoi occhi guizzarono su di lei e le sorrise. “Sei qui per l’arte, per il cibo o per entrambi?”
A essere onesta, non sapeva perché Maggie l’aveva portata lì. Probabilmente, era per tenerla occupata.
“Sono semplicemente qui.”
Il sorriso della donna si allargò, mostrando dei denti bianchi e perfetti. Beth notò il suo sguardo spostarsi sulla sua mano sinistra, dove le avevano timbrato la X nera, e aprì la bocca per dire qualcosa, ma si bloccò quando un rigido rumore di tacchi le avvisò dell’entrata di una terza donna.
“Michonne, che piacere vederti qui.”
Andrea fece il suo ingresso con un vestito da cocktail, simile per colore e stile a quello di Maggie. Il rosso acceso rendeva i suoi capelli ancora più dorati.
“Pensavo di non riuscire a venire”, ammise la donna arricciando il naso. “La mia babysitter ha l’influenza, ma le figlie del tuo amico Samuels si sono offerte per darmi una mano. Sembrano brave ragazze.”

 

● ● ●
 

La festa sarebbe stata molto divertente se Beth non fosse stata così in ansia. Vista l’interruzione di Andrea, era tornata in sala e aveva cercato di chiacchierare con alcuni amici e colleghi di Maggie, incoraggiandoli a farsi leggere i tarocchi. Così, giusto per divertimento. Alla fine, era anche riuscita a trovare il cibo ed era stata a parlare con Amy per un bel po’. Quando le aveva letto il palmo della mano le aveva detto che le sue pieghe indicavano che era una ragazza profondamente sentimentale e destinata al successo. Era stato bello sentirselo dire, anche se non era vero.
Si tranquillizzò solo al calar del sole. Aveva capito che poteva parlare con Maggie, pregare, aspettare un segno divino e pensarci su quanto voleva, ma non poteva aspettarsi che questo cambiasse le cose, che la privasse di ciò che aveva bisogno di fare. Era contenta di esserci andata, di aver scoperto dove si trovava Merle e di aver preso coscienza di determinati sentimenti, ma il problema era sempre lo stesso: come Amy aveva intuito, doveva cambiare.
“Devo chiamare mamma e papà”, disse.
Erano di nuovo nell’auto di Maggie, dirette nel punto in cui aveva parcheggiato la sua Coupé. Sua sorella cominciò a voltarsi per guardarla mentre rallentava per fermarsi a un incrocio.
Beth aveva tenuto per tutto il tempo il finestrino abbassato per sentire il vento tra i capelli, che si fluttuavano formando spirali dorate sul suo viso. In quel momento, però, sospirò e lo rialzò.
“E’ così che deve andare. Se non glielo dico, non sarà mai reale.”
Osservò Maggie alla ricerca di un minimo di comprensione nel suo sguardo.
“Non credo sia una buona idea”, fece una smorfia. “Voglio dire, pensi che siano pronti per una cosa del genere?”
“Ho solo paura che lo caccino. E’ per questo. Non m’importa se si arrabbieranno. Avranno torto e credo che comunque presto o tardi se ne accorgeranno da soli”, sbuffò. “Non voglio che perda il lavoro. Pensavo di poter convincere mamma a parlare con Louise Bush o qualcun altro; magari potrebbe lavorare in qualche fattoria vicina.”
Quando pronunciò ad alta voce quelle parole, non le piacquero. Se già negli ultimi giorni aveva cercato di allontanarla, per lui sarebbe stato ancora più facile riuscirci se fosse stato mandato da un’altra parte, gettandosi alle spalle la disapprovazione della sua famiglia.
Come se le avesse letto nella mente, Maggie scosse la testa.
“Non puoi forzarlo e lo sai. Personalmente credo che lui sia pazzo di te, ma che abbia ancora dei dubbi a riguardo… e si vede. Non so, è una situazione abbastanza delicata e non devi correre troppo. Non hai bisogno di farlo. Rallenta e procedi a passo d’uomo, dagli un paio di settimane. Del resto, vi siete solo baciati. Pensa prima a vedere come si evolve la cosa.”
Aveva ragione. Beth lo sapeva, ma il pensiero di nascondersi e di mentire ancora ai suoi genitori la faceva stare male. Certe volte l’aveva fatta sentire peggio di quanto si aspettasse, più di come invece si sarebbe sentita se glielo avesse detto.
Quando notò che Maggie la stava ancora guardando preoccupata, si decise ad annuire.
“Ok, va bene. Aspetterò.”
Si fermarono accanto alla Coupé di Beth. L’unica auto rimasta nel parcheggio dello studio.
“Sicura che posso tenerlo?”, tirò l’orlo del vestito nero.
“Sta meglio a te che a me”, Maggie le sorrise.
“Va bene. Spero di rivederti presto. Non lasciare che Merle ti faccia impazzire troppo!”
Sua sorella grugnì in risposta, ma riuscì a vedere che nascondeva ancora il sorriso di prima.
Il ritorno a casa le permise di riflettere su tutti i motivi per cui Maggie aveva ragione e cercò di pensare a cosa fare. Nessuno si aspettava un suo ritorno, quindi non sarebbe tornata. Non a casa sua.
Era appena passata la mezzanotte quando parcheggiò su uno dei sentieri dal lato opposto della fattoria e chiuse la portiera. Arrivare al campo di Daryl con i tacchi che Maggie le aveva prestato sarebbe stato fin troppo difficile, così li lasciò in macchina e indossò nuovamente i suoi stivali da cowboy.
In poco tempo, trovò il punto in cui aveva nascosto il furgone, appena visibile dalla strada. Aveva avuto tutto il pomeriggio e la sera per pensarci, e sperò che gli fossero bastati.

 

● ● ●
 

Per le ultime miglia che lo distanziavano dalla fattoria, Daryl decise di procedere attraverso i sentieri accidentati del bosco dove, in teoria, la strada era più breve. Le gambe gli dolevano da quando aveva imboccato la strada per tornare al campo. Non sapeva di preciso quanto avesse camminato e, in fondo, non gli importava neanche più di tanto. Gestiva le sue ore di sonno settimanali scegliendo i turni notturni a inizio settimana e, anche quando non aveva quella scusa, non riusciva a dormire. La mattina seguente però avrebbe dovuto finire di costruire la recinzione e non poteva permettersi di avere i postumi della sbornia, che ormai sembravano inevitabili.
Una volta arrivato, s’inginocchiò davanti alla sua tenda, l’aprì e cominciò a strisciarci dentro, finché la sua mano non si posò inaspettatamente su una morbida gamba minuta.
Evidentemente, non era solo.
“Beth?!”
Era stata sdraiata nella sua tenda, rannicchiata e addormentata, o almeno quasi sul punto di farlo, fino a che lui inavvertitamente non l’aveva toccata. Si mise a sedere e, anche se nel buio era quasi impossibile riconoscere i suoi lineamenti graziosi, Daryl riuscì a percepire un sorriso nervoso.
“Hey Daryl. Sai, è più comoda di quanto avessi immaginato.”
“Che ci fai...”
Stava quasi per chiederle cosa ci facesse lì, quando si ricordò della sua mano ancora appoggiata alla sua pelle nuda e si fece scuotere da un’ondata di brividi. Voleva lasciarla andare, ma invece scivolò sul suo ginocchio, fino a toccare il soffice tessuto del vestito.
“Che ti sei messa?”
Cercò di sforzarsi per guardarla meglio, ma lei stessa si allontanò abbastanza da farsi vedere. Una spallina del vestito le era caduta sulla spalla, ma sembrava che non se ne fosse neanche accorta.
“Come mai sei tornato così tardi?”, gli afferrò i polsi e cominciò a tirarlo dentro la tenda.
Lui obbedì senza particolari pressioni o convincimenti. In quel momento cadere nelle sue mani sembrava più facile di qualsiasi altra cosa. Non c’era molto spazio nella tenda, il suo braccio si avvolse facilmente intorno alle sue spalle. Le dita indugiarono sul suo braccio e trattenne il fiato quando fu tentato di rimettere quella spallina al suo posto, perché allo stesso tempo avrebbe voluto lasciarla lì.
Alla fine, chiuse la mano a pugno e disse: “...Sono stato al bar con Rick per un po’.”
“Rick?”, si voltò verso di lui, la sua voce sembrava lievemente sollevata. “Lo chiami Rick adesso? Quindi è andata bene?”
“E’ tutto a posto”, deglutì. “Poi sono tornato a piedi.”
Beth afferrò la borse che aveva lasciato in un angolo della tenda e tirò fuori il cellulare, con la gonna del vestito un po’ troppo in alto sulle sue cosce. La luce fredda dello schermo illuminò la sua pelle morbida e invitante.
“Ma sono le due di notte!”
“E’ stata una lunga camminata.” Anche al buio, non riusciva a smettere di guardarla.
“…Io sono stata ad Atlanta.” Ripose il telefono nella borsa e si rimise a sedere raddrizzando la schiena, scivolando ancora più vicino a lui.
“Pfft, hai vinto.”
Beth ridacchiò, ma per una frazione di secondo.
Era in ansia.
Inizialmente non ci aveva fatto caso, forse perché era troppo impegnato a pensare alla sua vicinanza e al contempo a schiaffeggiarsi mentalmente. Era troppo bella, e gli sembrava incredibile.
La sentì armeggiare con qualcosa. Udì un click e un fiume di luce dorata dilagò nella tenda dalla sua piccola lanterna elettrica. Ora entrambi potevano guardarsi meglio.
Era visibilmente stanca, fatta eccezione per gli occhi, le cui pupille si erano dilatate così tanto da renderli quasi interamente neri, con l’azzurro chiaro che faceva loro solo da cornice. La sua pelle arrossì sotto il suo sguardo.
“Senti, Beth, io voglio parlare di… tutto questo”, si era sforzato di trovare un termine migliore per descrivere ciò di cui voleva parlare, ma quello fu tutto ciò che riuscì a dire. Gli venne la brillante idea di spiegarlo con un gesto, ma senza neanche volerlo o averlo pensato portò la mano ruvida sul suo viso, posando il pollice sulle sue labbra. La sentì irrigidirsi, il suo respiro farsi corto.
“...Ma sono veramente ubriaco in questo momento”, disse lentamente, a mo’ di spiegazione. Le punte delle dita scivolarono sulle sue guance.
“Quindi forse dovrei andare”, rispose lei, e una vampata di aria calda lo spinse a farsi più vicino, ma poi strinse gli occhi e fece cadere la mano. Perché, anche al buio, era così facile guardarla?
“Sì, dovresti andare”, disse con convinzione. “Ti accompagno, ci sono i lupi là fuori. Ci sono Dave e Tony di guardia, ma non credo di fidarmi di loro.”
“Capisco.”
Sembrava tranquilla, ma c’era un velo di pesantezza nella sua voce che gli fece pensare che forse l’idea di andarsene non le stava del tutto bene. Neanche lui lo voleva, ma non sapeva di potersi controllare in quello stato.
“Ma prima voglio che tu sappia che… Merle è con Maggie.”
“Hm?”
L’aveva sentita, ma non aveva del tutto compreso le sue parole. Forse era stato per i versi delle cicale.
“Aspetta, cosa?”
“E’ tutto a posto, si è nascosto. E’ stato alla larga da tutta la gente che conosce e ha incontrato Maggie… beh, in realtà l’ha seguita...”
“Mio fratello è con tua sorella?”, ripeté di nuovo quello che aveva capito, sentendosi, almeno in parte, sollevato.
Nelle ultime settimane il fatto che non avesse ancora saputo che fine avesse fatto suo fratello lo stava uccidendo. Aveva potuto solo ripetersi ogni giorno che Merle non era morto, finché non aveva cominciato a percepirla come un’enorme bugia.
“Sta bene?”
“Benissimo. L’ho visto oggi, quando sono andata ad Atlanta per incontrare Maggie. E’ a casa sua”, disse lei vivacemente.
Scosse la testa e, di colpo, si sentì instabile. Si stese, coprendosi gli occhi con le mani.
“Daryl, stai bene?”
Beth si stese su di lui, le punte dei suoi capelli biondi gli pizzicarono il dorso delle mani per poi ricadere tra i suoi polsi, raggiungendo il collo.
“Dammi il tempo per realizzare”, disse, facendosi scappare una risata ovattata dai suoi palmi. “Mio fratello è a casa di Maggie. Porca troia, ora sì che ci odierà a morte.”
“Nah.”
Con gli occhi ancora coperti non riusciva a vedere che cosa stesse facendo, ma la sentì cambiare posizione, stendendosi accanto a lui. Gli circondò il petto con un braccio e gli si rannicchiò contro il fianco, premendo la guancia sul suo braccio. Grazie a quel movimento, si ritrovò una manciata di ciocche bionde tra le dita, che lasciò scivolare via tra le sue nocche.
“Lo sta facendo per aiutare te.” Si voltò per sfiorargli la pelle con le labbra. “E penso lo stia facendo anche un po’ per Merle. Credo che in fondo, molto in fondo, le piaccia anche lui, ma mi ha detto che te lo doveva. Era seria.”
Lei non gli doveva niente e stava quasi per dirlo, ma tenuto in ostaggio dal suo corpo aggrappato al fianco e dai suoi capelli tra le dita, gli si era attaccata la lingua al palato.
“Voleva dirtelo.”
Esitando, Beth alzò una mano e, con le dita, gli disegnò una linea immaginaria sulla clavicola, fuggendo poi sul suo collo. Quelle dita chiare non fecero altro che alimentare la sua voglia di averla vicina, e che lo fosse sempre di più.
“Ma non voleva che finissi nei guai per colpa sua.”
“E’ un po’ tardi per questo, no?”, brontolò, pur dovendo ammettere di sentirsi molto più leggero. Eppure non voleva sperare troppo. Non erano ancora al sicuro, neanche lontanamente.
“Sai, sono un po’ gelosa”, la sentì sorridere contro la sua spalla. “Merle ha raccontato a Maggie delle storie su di te.”
Cazzo, questo è umiliante, pensò, ma era piuttosto difficile indisporsi per qualsiasi motivo quando aveva appena saputo che Merle stava bene, mentre aveva una bellissima ragazza proprio sopra di lui.
“Quell’idiota sta già approfittando della sua ospitalità.”
Beth rise di nuovo, alzando la testa quel tanto che bastava per sbirciarlo timidamente, con le dita aggrappate al collo della sua maglietta.
“E io, invece? Sto approfittando della tua ospitalità?”
Non era lei a volersene andare? Oh, bene, pensò, e una vocina traditrice gli ringhiò nella testa, spingendolo ad afferrare quel groviglio biondo per portare la sua bocca aperta sulla sua.
Le sue labbra all’inizio ci andarono piano, accarezzando lentamente quelle di lei, ma un sussulto sorpreso le sfuggì dalla gola quando aumentò la pressione. Si preoccupò di essere stato subito troppo vorace, quindi lasciò che fosse lei ad approfondire il bacio. Le mani di Beth gli scivolarono sul collo, fino a raggiungere la nuca. Avevano appena cominciato a toccarsi e già si stava intimando di darsi una calmata, di mantenere il suo corpo sotto controllo. Una reazione a catena di reazioni diverse lo colpì in ogni punto in cui erano posate le punte delle sue dita e le sue labbra, raggiungendo poi tutto il corpo man mano che sentiva il suo calore sempre più vicino.
Si staccò da lui per lasciargli una scia di baci sulla mascella, mentre con le unghie gli accarezzava il petto. Schiacciò i suoi fianchi contro i suoi e fece scivolare la gamba sul suo ginocchio.
Anche fuori dalla sua percezione normale, Daryl riuscì a contenersi: cercò entrambe le mani, allacciando le dita alle sue e tenendole strette. Beth era così piccola. Quelle dita bianche e delicate rendevano le sue ancora più grandi e malconce. Ne accarezzò i dorsi con i pollici, con leggerezza crescente man mano che prendeva coscienza del fatto che, con tutti quei calli, il suo tocco non sarebbe mai stato piacevole.
Riguardandola in viso, notò che aveva ancora il fiato corto e una domanda stampata negli occhi. Il suo petto si espanse notevolmente sotto le mani intrecciate.
“Stai bene?”, mormorò.
“Mai stato meglio.”
Lei si sporse nuovamente, ritrovandosi di nuovo con la bocca sulla sua, e applicò quel tanto di pressione che bastava per accendere in lui un’altra scintilla.
“Pensavo che fossi ancora arrabbiato con me.”
Daryl gemette. Non aveva dimenticato di quanto si fosse comportato da stronzo, ma il suo senso di colpa raddoppiò non appena si ricordò con precisione certe parole che le aveva detto, il tono che aveva usato quando lei controbatteva a tutte le sue scuse.
“Non avrei dovuto gridarti contro in quel modo. Sono un coglione.”
“Mi prometti una cosa?”
“Cosa?”
Prematuramente sospettoso, era già determinato a non accontentarla. Il suo piede giaceva ancora sulla sua caviglia, nonostante gli fosse scesa di dosso per rimettersi accanto a lui.
“Che smetterai di evitarmi. So che dobbiamo stare attenti a non farci scoprire dalla mia famiglia, ma non fare finta che io non esista. Promettimi che non proverai più a spaventarmi o a cacciarmi via.”
I suoi tentativi, in ogni caso, non avevano funzionato. Forse perché non era mai andato fino in fondo, ma del resto a quel punto non riusciva neanche più a provarci.
“Senti, se questa non è una resa, non so che altro potrebbe essere. Hai già vinto, Greene.”
“Quindi non cambierai idea?”, si morse il labbro inferiore ancora luccicante d’umidità.
La stava ascoltando. Un po’ per quello che gli aveva detto Rick, un po’ perché lo voleva. Non aveva più intenzione di allontanarla. La stava ascoltando sul serio e gli ci vollero solo pochi secondi per capire che intendeva dirgli che aveva paura di restare ancora in bilico. In effetti non era stato mai del tutto sincero con lei fino a quel momento, anzi, aveva cercato di respingerla più e più volte. E se invece si fosse lasciato andare, così come avrebbe voluto fare dal primo giorno?
Lei aveva bisogno di una certezza e lui non riusciva a spiegarsi, non riusciva a dirle che gli dispiaceva per averla trattata male e che non l’avrebbe fatto di nuovo. Non riusciva a dirle che ci teneva a lei. Le parole si erano rintanate nella sua gola e, per una serie di secondi alla disperata ricerca di una chiave, sfregò solo le mani contro le sue.
Aveva cercato di negarlo a se stesso, di convincersi che lei non avrebbe mai potuto provare qualcosa per lui, che non avrebbe mai saputo tenere a bada uno come lui. Aveva pensato che tutto fosse dipeso da una cotta causata da chissà che cosa, ma certamente non da lui. Eppure, lei era troppo intelligente per quel genere di cose, troppo sicura di sé. Si vergognava di averlo anche solo messo in dubbio, di aver lasciato che la paura lo convincesse che lei era troppo giovane, troppo ingenua; di aver pensato che c’era qualcosa di sbagliato in quello che provava mentre se c’era qualcuno lì ad essere sbagliato, quello era proprio lui. La sua dolcezza non la rendeva meno forte o capace. Si era approcciata a lui senza pregiudizi. Era giovane, ma probabilmente lui doveva crescere più di lei. L’aveva giudicata basandosi sulle bugie che si era detto, ma la realtà era che poteva fidarsi di lei. Perché lei sapeva ciò che provava.
“Fin quando mi vorrai qui, ci sarò.”
Sapeva che forse avrebbe dovuto dire qualcosa in più, ma le parole erano diventate definitivamente inafferrabili. Quelle che gli si erano bloccate in gola le aveva ringoiate, credendole fin troppo inadeguate per quello che lei meritava e voleva.
“Ti voglio qui.”
Beth slegò le dita dalle sue e avvolse le braccia intorno al suo busto, stringendolo forte, sentendo il suo battito cardiaco batterle contro la guancia.
“Dovresti ricordarmelo, ogni tanto. Dovresti farmi ragionare.”
“E come?”
Le accarezzò i capelli dalla nuca fino alle spalle e, indugiando per qualche secondo sulla spallina del vestito, sentì la pelle riscaldarsi sotto il suo tocco.
“Dicendomi quando sbaglio. Non voglio oltrepassare il limite, né tantomeno farti del male.”
“Non lo farai. Non me ne preoccupo minimamente e neanche tu dovresti.”
“Invece dovrei”, ribatté lui, senza specificare il motivo.
“Perché?”
Era il momento in cui doveva spiegarsi. Deglutì di nuovo, alzando lo sguardo sulla cerniera della tenda e sulla luce della sua piccola lanterna.
“Perché… guardati, ragazzina! Sei venuta qui, nei boschi, dove io vivo in mezzo ai lupi, nel bel mezzo della notte e con questo addosso… mentre tra l’altro sono ubriaco marcio. Tu… ti fidi di me.”
“Beh, sì”, rispose lei con vivacità.
“E allora devo fare in modo che valga la pena fidarsi di me.”
Per un attimo si limitò a guardarlo, con le pupille ancora dilatate e il più piccolo dei sorrisi nascosto dalle labbra umide. Si sollevò in modo da trovarsi a pochi centimetri dal suo viso e posò entrambe le mani sulle sue spalle. Si avvicinò lentamente, dandogli tutto il tempo per giochicchiare con le sue ciocche di capelli e per accarezzarle una guancia, finché non premette quelle labbra morbide e dolci contro le sue.
“Devo andare”, disse piano.
Lui non poté far altro che annuire, accondiscendendo con riluttanza.
“Non vorrei approfittare della tua ubriachezza”, aggiunse, prendendo la borsa e il telefono dall’angolo della tenda in cui li aveva lasciati e muovendosi verso l’uscita. Portò con sé la piccola lanterna per non inciampare nel buio una volta fuori.
Un secondo dopo, però, la sentì trasalire e gridare.
Daryl scattò in piedi immediatamente. Col cuore a mille, uscì dalla tenda e le strinse un braccio. La luce tremolante della lanterna illuminava a tratti l’arredo frastagliato e naturale della radura. Il sollievo lavò presto via la paura, anche se la mano stretta al suo braccio continuava a tremare. Non sapeva dire esattamente a cosa avesse pensato, ma inconsciamente si era preparato ad ogni tipo di pericolo.
“Pensavo fosse un lupo… ma invece era solo un cane. Ha attraversato il campo all’improvviso”, disse lei, col respiro ancora corto nonostante stesse ridendo di se stessa. Si avvicinò a lui e illuminò l’altro lato della radura per controllare in che direzione fosse andato l’animale.
Ancora frastornato, Daryl scosse la testa.
“Tutto ok?”, gli chiese.
“Sì, dammela.”
Prese la lanterna, la spense e la posò nella tenda, porgendole in cambio una piccola torcia. Si mise la balestra in spalla. Dubitava che l’avrebbe usata, ma se la portò lo stesso, giusto per sentirsi al sicuro.
“...Rick ha detto qualcosa?”, disse Beth non appena s’incamminarono verso la fattoria. “Intendo, su quello che ci ha visto fare nel fienile.”
La luce della torcia non illuminava abbastanza il suo viso, impedendogli di constatare se le sue guance fossero diventate di quel colore che cominciava a piacergli sempre di più.
“Per essere uno sbirro, sembra abbastanza bravo a farsi i cazzi suoi.” Si strinse nelle spalle. “Non ha fatto finta di non aver visto nulla, ma non ha fatto domande.”
A un certo punto, Beth inciampò nel buio facendo cadere la torcia, e gli afferrò la mano per tenersi in equilibrio. Istintivamente la sorresse avvolgendo un braccio intorno ai suoi fianchi.
Era abbastanza chiaro che fosse stato un incidente, ma poi, con una piccola risata, gli disse: “Possiamo fare finta che l’abbia fatto apposta?”
Sembrava imbarazzata e Daryl lasciò che l’oscurità della notte nascondesse il suo ghigno compiaciuto. La lasciò andare e si chinò a recuperare la torcia, per poi passargliela semplicemente ruotando il polso.
“Se volevi prendermi la mano, bastava dirlo.”
Lei non ci pensò due volte ad agguantare il suo avambraccio, accarezzandolo col pollice.
“Ok, allora voglio prenderti la mano.”
Fece scivolare il palmo sulla sua mano, per poi stringergliela e rivolgergli un sorriso giocoso prima di voltarsi di nuovo verso la boscaglia e di alzare nuovamente la torcia, illuminando il loro percorso.
Ora era lui a perdere l’equilibrio. Tra l’alcool che gli nuotava nello stomaco e il calore della sua mano esile stretta alla sua, non riusciva più a rigare dritto. Se era ancora vigile e, soprattutto, in posizione verticale, lo doveva solo alla sua buona volontà e alle sue vecchie abitudini di caccia.
In un primo momento non riuscì a capire perché quel semplice contatto lo sciogliesse quasi quanto il suo corpo disteso a metà sul suo, strofinando le loro pelli. Eppure le stava solo tenendo la mano. La sua piccola e perfetta mano tremante, tutta fatta di piccole ossa ma abbastanza forte da fargli sentire il più piccolo pizzichìo di dolore quando stringeva la presa. Non l’aveva mai fatto, e quel pensiero lo scosse più del dovuto. Aveva già toccato, naturalmente, altre mani, ma solo attraverso rigorose strette di mano, o magari per aiutare qualcuno a stare in piedi, per esempio. Lei era la prima persona che aveva voluto farlo senza chiedere niente, semplicemente per stargli vicina e per sentirlo accanto a sé mentre cercavano insieme il sentiero giusto per uscire dal bosco.
Quando raggiunsero la strada e l’auto parcheggiata, Beth vi si poggiò sopra e gli restituì la torcia.
“Continuo a pensare che non esista nessuna ragione valida per cui tu debba vivere nei boschi”, gli disse con un sorriso leggermente malizioso, “Ma mi sono resa conto che vivere in un posto più appartato può avere i suoi vantaggi.”
“Non era mia intenzione.”
Daryl si guardò i piedi. Aveva scelto quel posto quando aveva deciso di doverle stare lontano, il pensiero che invece potesse facilitare i loro incontri non l’aveva neanche mai sfiorato. Non aveva considerato la possibilità che lei avesse potuto volerlo intorno.
Nel frattempo, Beth tornò sui suoi tacchi e mise gli stivali in macchina.
“Ad ogni modo, potrò vederti domani?”
“Non posso evitarlo”, la bocca si curvò in un piccolo ghigno.
Lei ricambiò con un sorriso che gli fece scoppiare il cuore in petto. “Intendevo dire che dovremmo organizzarci”, chiarì poi, sbattendo lentamente le ciglia.
Lo stavano facendo sul serio e, per di più, in quel momento la cosa non gli pesava minimamente. Per il modo in cui lo guardava, avrebbe accettato qualsiasi cosa; sarebbe stato persino felice di attraversare il dannato inferno se solo lei glielo avesse chiesto.
“Appena ho finito con la recinzione, verrò a cercarti.”

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Capitolo 14
*** Brava ragazza / Cattivo ragazzo ***


Ebbene, signori e signore, sono tornata dal regno dei morti. Vi chiedo immensamente perdono per il mio imperdonabile ritardo ma l'arrivo dell'autunno ha abbastanza scioccato anche me. Spero che abbiate ancora voglia di leggere la storia.
Almeno sono tornata con due capitoli, spero vi piacciano.
Baci :*



XXI. Brava Ragazza / XXII. Cattivo Ragazzo

 

Sulla via di casa, Beth non riusciva a smettere di sorridere.
Non era andata per niente come si aspettava, anzi: era andata molto meglio. Non aveva provato né a farla desistere, né a respingerla. Avevano parlato e si erano toccati come due persone normali e il modo in cui l’aveva baciata le aveva lasciato un sorriso permanente e una leggera instabilità dovunque mettesse i piedi. Realizzò solo in quel momento quanto fosse stata nervosa. Riusciva, in retrospettiva, a ricordare perfettamente tutte le preoccupazioni che avevano scosso il suo sistema nervoso, ma quando poi si era stesa nella tenda accanto a lui che, visibilmente brillo, era inciampato sulle sue stesse parole, l’ansia era completamente svanita.
Era stata contenta di stare con lui, rivedendolo finalmente sincero.
Erano davvero passate solo due settimane?
Ripensò alla sera in cui si erano conosciuti e a quanto le cose fossero cambiate da allora. Si era preoccupata così tanto per dove si trovavano, per quanti anni aveva, per quello che sarebbe potuto sembrare dall’esterno. Quando l’aveva preso in disparte per dirgli di prendere sul serio i suoi consigli si era aspettata di essere cacciata in malo modo; era una mossa avventata da fare e inizialmente non ci aveva neanche pensato su, non si era neanche chiesta perché si fosse sentita così sicura di sé. Si erano appena conosciuti, ma l’idea che avesse potuto fare qualcosa di pericoloso, che avessero potuto ferirlo o ucciderlo, le sembrava inconcepibile e, più di tutto, odiava che si sarebbe sottoposto con tanta facilità a quel tipo di rischio proprio perché pensava che non avrebbe fatto la differenza per nessuno.
Per esempio, a Merle importava. In fondo Daryl lo sapeva, ma del resto suo fratello non era poi così bravo ad esprimere ciò che pensasse a proposito. Alla fine, quando si trattava di prendersi cura di sé, Daryl era solo. Perché allora non avrebbe dovuto buttare via la sua vita? Che cosa aveva da perdere se non aveva mai posseduto niente?
Questi pensiero poteva leggerglieli in faccia, chiaramente scritti nei suoi occhi intensi e attenti. Lui credeva che a nessuno importasse, ma a lei importava. A lei importava di lui e per un po’ aveva anche pensato che fosse dovuto ad altro, aveva provato a convincersi di non voler stare con lui.
Non è il posto, né il momento, né l’uomo giusto, si era detta, e se l’era ripetuto un milione di volte. Ma poi la polizia aveva tolto la barricata, era libera di andare, ma aveva avuto paura di non rivederlo mai più.
Solo due settimane più tardi, erano arrivati ben oltre a quello che lei stessa avrebbe potuto immaginare. L’aveva tenuta stretta a sé con le sue mani livide, ispirando un desiderio di lei che ancora le faceva girare la testa mentre tentava di camminare su una linea retta verso casa. L’aveva lasciata andare e adesso aveva le vertigini e canticchiava mentre riviveva quei momenti nella mente e rievocava quelle sensazioni.
Ogni volta che provava a creare un paragone con le esperienze che aveva vissuto in precedenza doveva lasciar perdere. Stavolta è diverso, si diceva, ma non sapeva ancora cosa esattamente lo rendesse così diverso. Forse lui non immaginava neanche lontanamente quanto profondi e forti fossero i sentimenti che stava provando.
Ancora goffa per la stanchezza e per la sua mente che viaggiava altrove, Beth scivolò in cima alle scale, facendo cadere la borsa. La riagguantò con la mano non occupata dalle scarpe di Maggie e si rimise in piedi, trovando davanti a sé una porta aperta e sua madre in pigiama.
“Hey, sei tornata”, disse Annette sussurrando divertita. “Pensavo che volessi passare la notte da Maggie.”
“Volevo dormire nel mio letto. E poi domani mattina vorrei farmi una cavalcata prima che arrivi il caldo.”
Stava ancora sorridendo come un’idiota e poté vedere la bocca di sua madre curvarsi a sua volta, imitandola. Alzò lentamente le sopracciglia. “Ti sei divertita?”
“Mhmh”, Beth scrollò le spalle e l’abbracciò, circondandole la vita.
Annette ridacchiò tra i suoi capelli. “Lo prenderò come un sì.”
“Sono contenta di averlo fatto”, mormorò.

 


Mentre si dirigevano verso il pozzo più vicino, Daryl si liberò dei suoi guanti da lavoro- del resto le sue mani erano riuscite a sporcarsi comunque- ed estrasse una scheggia che era rimasta conficcata nella cucitura tra il pollice e l’indice. Dave e Tony, nel frattempo, chiacchieravano fragorosamente con le solite pale in spalla.
Avevano finalmente finito con la recinzione. Daryl aveva cominciato a lavorare all’alba, mentre loro, avendo fatto il turno di guardia notturno, avevano approfittato della mattina per dormire per qualche ora, anche se entrambi erano ancora intontiti e nervosi per la perdita di ore di sonno. Lui invece, tralasciando il mal di testa infernale e il fatto che avesse dormito davvero poco, non si sentiva così bene da un pezzo. Si era svegliato con il suo odore sui vestiti e, quando chiudeva gli occhi, poteva ancora percepire il suo tocco sulla pelle. Certo, si era sentito in colpa- soprattutto quando Hershel gli aveva dato il buongiorno ed era stato davvero difficile sciogliere la lingua per dargli una risposta- ma ciò non cambiava più di tanto il suo umore.
Anche per Beth era lo stesso? Pensò di sì, anche se magari non lo dava a vedere.
“Vorrei poter avere qualche ora in più per riposarmi dato che stasera dovrò sbattermi la donna di Hatlin”, disse Tony sbadigliando.
Dave si liberò la spalla dalla pala e cominciò a farla battere ripetutamente contro il terreno, alzando piccole ondate di polvere. “Sì, come no. Continuerai a farti le seghe fino a che non trascinerò il tuo culo grasso fuori di casa per farti conoscere qualche donna vera.”
Fu allora che il rumore degli zoccoli sul terreno distolse la sua attenzione dagli altri due braccianti: dall’altra parte del campo, Beth stava tornando dalla sua cavalcata. Il cavallo seguiva attentamente le sue istruzioni, conducendola sì nella loro direzione, ma ad una distanza accettabile. Fasci di luce del sole di mezzogiorno fuoriuscivano dai suoi capelli dorati, spezzandosi; i movimenti dell’animale e il modo in cui si teneva perfettamente in equilibrio sulla sella evidenziavano le sue curve sottili ma al contempo allettanti. Daryl si scoprì a fissare la curva della sua schiena, per poi scendere sempre più in basso, fino a raggiungere quel luogo perfetto in cui i suoi fianchi si allargavano.
“Sai, Daryl, dovresti venire con noi.” Tony agitò un braccio per attirare la sua attenzione. “Diventi un tantino aggressivo a volte, saresti utilissimo in una rissa”, aggiunse. Dave, di contro, sbuffò.
“No, grazie”, borbottò Daryl, voltandosi mentre Beth rallentava, facendo trottare il cavallo. Le stalle erano a una certa distanza da loro, ma erano abbastanza vicine da permettergli di intercettare uno sguardo dolce e contenuto mentre smontava con grazia dall’animale.
Tony cominciò a ridere. “Ormai è inutile provare a parlare con quest’uomo. È perso.”
In quel momento realizzò di essere letteralmente fottuto. Non avrebbe dovuto fissarla in quel modo, ma allo stesso tempo pensò che non avrebbe fatto nessuna differenza: né Dave né Tony ci stavano pensando più di tanto, erano troppo impegnati a fissarla a loro volta da quando era comparsa nella loro visuale.
Dave sghignazzò. “Hai mai voluto… infrangere le regole?”
“O la legge?” Anche la risata gutturale di Tony venne fuori non appena Dave gli rivolse un ghigno compiaciuto, con la lingua tra i denti.
Daryl serrò la mascella e le tempie cominciarono a martellargli il cervello con più violenza. Sapeva di non dover ribattere. Non poteva cambiare quello che pensavano di lei e rispondere avrebbe confermato le loro supposizioni. Erano già stati abbastanza incuriositi dalle sue risposte monosillabiche riguardanti il giorno prima, quando l’avevano vista seguirlo nei boschi per portarlo da Rick. In effetti, non doveva dire nulla. Non avrebbe aperto bocca.
“Hey!”, sbottò invece. “Attenti a come parlate.”
Merda.
Aveva parlato.
Tony indicò il bestiame. “Il fattore è lontano.”
Avevano capito male. Pensavano che gli avesse detto di chiudere le loro bocche larghe perché aveva a cuore l’idea che i loro culi luridi restassero al sicuro. Quello sì che era un grande errore.
Tornò a guardare Beth mentre stava entrando nelle stalle: la sua esile figura era tutta tesa per la cavalcata e le sue lunghe gambe erano fasciate da dei jeans aderenti.
“Nah, scordatelo.” Tony sembrò cambiare idea per un istante. “Troppo carina.”
Dave tossì. “Troppo carina?!”
“Sì. Quelle carine non hanno entusiasmo”, rispose l’altro roteando gli occhi.
“Potresti sempre farglielo venire...”
“Certo che potrei.”
Daryl doveva andarsene. Non poteva fare nient’altro. Non poteva farli finire col culo nel fango, né tantomeno poteva dirgli qualcosa senza tradire se stesso. Così si limitò ad allontanarsi, col sangue che gli ribolliva nelle vene. Mentre una mano strangolava il manico della pala che stava trascinando, l’altra era chiusa a pugno, con le unghie che gli affondavano nel palmo. Aveva bisogno di mettere due campi di distanza tra lui e loro, o anche solo sei metri. Quel tanto che bastava per non ascoltare le loro porcate. Purtroppo, però, non era ancora abbastanza lontano.
“...Ma di certo non mi aspetto una scopata eccezionale. Sarebbe solo l’ennesimo buco in cui scaricare lo stress, capisci?”
“Senti, anch’io apprezzo a pieno l’entusiasmo, ma per un viso come quello… non me ne fregherebbe un cazzo di quanto è esperta, compenserei io qualsiasi...”
L’istinto gli diceva di tornare indietro a minacciarli con la pala, ma la riportò al suo posto con uno scricchiolio del collo. Fece allora qualcosa di tecnicamente meno stupido, ma comunque abbastanza rischioso: girò i tacchi e si piazzò tra loro con irruenza, stringendo la pala con un braccio e portando l’altra mano sul petto gonfio di Dave.
“Dateci un taglio.”
I due uomini, davanti alla sua sollecitazione, smisero di camminare e s’irrigidirono sul posto, indossando entrambi la stessa espressione incredula. Dopo una breve pausa, Dave cercò di smorzare la tensione emettendo un accenno di risata, ma non funzionò. L’espressione di Tony, dapprima sorpresa, culminò lentamente in uno sguardo serio, che rivolse prima a Daryl e poi alla pala.
“Fai sul serio?”, chiese poi Dave con un’altra risatina.
“Non parlate di lei in quel modo.”
“Hey, amico, rilassati”, Dave alzò le mani in segno di sottomissione e cominciò a indietreggiare dal suo tocco. “Lasciaci respirare. Sai com’è, non è che ci sia molto da vedere qui intorno… che cosa c’è di male?”
“Che lei è una brava ragazza”, rispose con fermezza.
“È proprio quello che io stavo cercando di dire”, esordì Tony. “In un altro modo.”
“Sì, in un altro modo”, gli fece eco Dave, cercando lo sguardo di Daryl con un’espressione ambigua.
“Fareste meglio ad usare modi diversi allora”, ringhiò, prima di voltarsi e andare via da lì. Accelerò il passo per superarli il prima possibile, con il cuore ancora a mille.
Non avrebbe dovuto dire niente, ma era stato più forte di lui. Ascoltare Dave e Tony parlare di Beth in quel modo era decisamente oltre il limite e per di più non aveva in sé la capacità di fingersi calmo. Era passato molto tempo dall’ultima volta che era stato così sopraffatto dal desiderio di spaccare la faccia a qualcuno. Il fatto che avesse desistito dal prenderli a pugni, infatti, lo sorprese più di tutto il resto. Gli tremavano le mani, perché avrebbe voluto far loro del male. Prese una profonda boccata d’aria quando raggiunse il capanno e rimise la pala al suo posto. Mai come in quel momento avrebbe potuto desiderare che tutte quelle belle sensazioni ritornassero indietro. L’avevano fatto incazzare a tal punto che la cosa stava cominciando a sfuggirgli di mano. Era preoccupato, perché le uniche cose che stavano tornando indietro erano le vecchie voci della sua testa, venute a ricordargli che era esattamente come loro: era sporco; era un pezzo di merda e non poteva avere niente a che fare con lei. Si riscosse da quei pensieri con degli schiaffetti sulle guance. Aveva bisogno di rivederla, avrebbe messo a tacere quelle voci e si sarebbe sentito meglio.
L’avrebbe incontrata anche in quel momento, ma doveva darsi una ripulita. Grazie al completamento del lavoro alla recinzione, era tutto sporco di fango; per non parlare poi delle chiazze di sudore che il calore aveva disegnato su ogni regione del suo corpo.
“Hey, Dixon!”
Quando si girò, Daryl trovò Otis sulla soglia del capanno con un cipiglio preoccupato e una domanda negli occhi.
“Sì?”
“Va tutto bene?” L’uomo si tolse il cappello, spazzò via alcune perle di sudore sparse sulla sua fronte con una mano e si mise all’ombra. “Sembrava che stessi sul punto di fare a pugni Dave e Tony.”
Daryl non l’aveva visto da nessuna parte che fosse vicina a loro, cosa che significava che doveva aver assistito alla scena da lontano e che, di conseguenza, non aveva sentito niente.
“Hanno la bocca larga, questo è tutto”, mugugnò.
Otis, accontentandosi di quella risposta, annuì. “Ascolta, so che stamattina avevo detto che oggi avevamo bisogno di te solo per la recinzione, ma il fatto è che… è la stagione dei parti e non riusciamo sempre a prevedere queste cose. Ti dispiacerebbe continuare a darci una mano?”
Sì, ho da fare.
Provò a dirlo, ma finì col mordersi la lingua. Era una bugia fin troppo evidente, soprattutto se poi nel peggiore dei casi l’avesse beccato a vagare intorno alla fattoria apparentemente senza meta alcuna. Aveva detto a Beth che l’avrebbe cercata, ma avrebbero dovuto prevedere imprevisti del genere. Certe volte sarebbe stato più semplice vederla, ma altre avrebbero dovuto rimandare, anche solo per un paio d’ore.
“No, nessun problema.”

 

 

Prima di sistemarsi e farsi trovare, Beth aveva decisamente bisogno di una doccia. Pensandoci, valutò l’idea di portare con sé qualcosa da mangiare, magari un paio di sandwich. Si era preoccupata che la sua cavalcata potesse essere durata un po’ troppo a lungo, ma era tornata giusto in tempo per vedere Daryl e gli altri aiutanti finire il lavoro.
Sulla via di casa, incontrò sua madre. Stringeva qualcosa tra le mani. Lo alzò per farglielo vedere e le fece un cenno: era il suo cellulare. Istintivamente, lo cercò nelle tasche dei pantaloni e realizzò che, uscendo, doveva averlo dimenticato a casa.
“Che stai facendo?”, disse, inarcando un sopracciglio.
“Questa cosa mi sta facendo impazzire! Squillava e cinguettava in continuazione. Magari ora si sono arresi.” Annette, con le guance leggermente rosee, porse il telefono alla figlia e si fermò, con le mani sui fianchi e lo sguardo sospeso tra curiosità e apprensione.
C’erano due chiamate perse da Minnie e un messaggio da Karen: Minnie sta cercando di chiamarti per proporti una cosa. Dovresti accettare.
“È un ragazzo?”, chiese sua madre con una certa impazienza.
Scuotendo la testa, Beth trattenne una risata. “Sono solo le ragazze.”
La donna rilassò leggermente le spalle, ma le rivolse un sorriso furbo non appena incrociò il suo sguardo.
Non era da Minnie chiamare; tuttalpiù mandava messaggi. O stava succedendo qualcosa di importante, o stava solo cercando di attirare la sua attenzione. La richiamò passeggiando intorno alla casa, lanciando delle occhiate colme di sospetto ad Annette, che di fatto la stava seguendo nel palese tentativo di origliare.
“Hey Minnie.”
“Per favore, Beth, non essere noiosa”, le rispose atona. Qualsiasi cosa volesse chiederle, si aspettava un no come risposta. “Non ci vediamo da secoli e questo weekend hai l’occasione per rimediare.”
“Cioè?”
“Andiamo in campeggio al capanno di mio zio. Ha detto che è nostro per l’intero weekend.”
Anche evitando di pensare a Daryl, non le sembrava a prescindere un’idea chissà quanto entusiasmante. Sapeva già cosa aspettarsi. Non ci sarebbero state solo loro tre, ma anche altra gente; ragazzi e ragazze. Qualcuno di loro avrebbe portato da bere e probabilmente si sarebbero ubriacati tutti la prima notte, finendo tutto l’alcool e rimanendo senza un soldo e senza un minimo di voglia di andare a comprarne ancora. Qualcun altro avrebbe mentito ai suoi per essere lì e sarebbe stata un’ansia continua. Ancora, ci sarebbero state di certo due ragazze a contendersi lo stesso ragazzo e i ragazzi, invece, ci avrebbero provato con tutte. Per i suoi amici sarebbe stato sicuramente tutto molto divertente; a lei, al contrario, sembrava infinitamente sfiancante. Tra l’altro, aveva già permesso a Minnie di “farla diventare socievole” due settimane prima, ed erano finite nei guai. Aveva quindi un’altra buona ragione per rifiutare.
“Non posso mancare per tutto il weekend.”
“Sì che puoi.”
“No, non posso. C’è troppo lavoro da fare e serve che dia una mano qui. Magari posso raggiungervi domenica e fermarmi per un po’, forse.”
Non aveva alcuna intenzione di farlo, ma sperava che potesse bastare a non farla insistere.
“Beth, questa storia sta diventando ridicola.”
Il tono grave con cui Minnie aveva pronunciato quelle ultime parole la costrinse a trattenere un sospiro. Era già abbastanza nervosa per la presenza di sua madre che, in piedi proprio dietro di lei, stava ascoltando senza nessun tipo di scrupolo.
“Vuoi lasciarmi, allora? Parla chiaro.” Stava ridendo, ma era una risata strana, che se non fosse stata ben interpretata sarebbe potuta sembrare tranquillamente un urlo.
“Ascolta, non posso venire, ma sai bene che se anche avessi potuto non sarebbe stata una situazione adatta a me.”
“E che situazioni sono adatte a te? Che fai di solito?”
“Minnie, ti prometto che faremo presto qualcosa insieme, non arrabbiarti.”
“Io non sono arrabbiata”, rispose imitando lo stesso tono di Beth e sospirando, “è solo che Karen ha detto una cosa che mi stava facendo andare un po’ in panico per quanto è vera.”
“Cioè?”
“Ha detto che non si sorprenderebbe se non dovessimo vederti neanche al ballo.”
Dannazione. Se n’era completamente dimenticata.
“No, ci sarò.”
“Sul serio?! Quindi non sei davvero svanita nel nulla?”
“Verrò.”
“Hai un accompagnatore e tutto il resto?”
“Non lo so”, borbottò Beth. “Ma verrò comunque. Riservatemi un ballo.”
“Ma tu devi trovare un ragazzo. Io e Karen verremo accompagnate e sarà patetico se tu sarai da sola.”
“Mi farò un giro per la pista e ballerò con chi capita, che c’è di male?”
“È triste. Che ti succede, piccola spezzacuori? Prima rifiuti con crudeltà il mio povero cugino...”
“Sopravviverà”, roteò gli occhi.
“...e adesso vuoi dirmi che non c’è neanche un ragazzo single che ha il piacere di accompagnarti al tuo ballo di fine anno?”
Era ovvio che il ballo di fine anno sarebbe stato fin troppo per Daryl. Non potevano neanche ancora farsi vedere in pubblico, in realtà.
“Già, nessuno.”
“Regina di ghiaccio.”
“Ma pur sempre una regina”, rispose ridacchiando.
“Vieni al capanno. Ci sarà anche Luke e credo che dovresti dargli una seconda possibilità, o che dovresti dare almeno una speranza a quegli altri poveri fessi.”
Alla fine aveva voluto provarci per un’ultima volta. Sembrava disperata.
“No.”
Minnie sospirò pesantemente. “Ti presterò uno dei miei vestiti per il ballo.”
Quella sì che era una grande concessione, soprattutto se considerava il fatto che lei e Minnie avevano due atteggiamenti molto diversi in fatto di moda.
Dopo un paio di secondi di silenzio, Beth riuscì a malapena a sentirla sussurrare dall’altra parte della cornetta: “Barbie.”
“E va bene”, disse lei, combattendo un sorriso.
“Ok, sono soddisfatta.”
“Divertitevi, Minnie. Ora devo aiutare mia madre.”
Dopo aver riagganciato, rivolse ad Annette uno sguardo colpevole. “Non dovrei mentire, lo so… cercavo solo di evitare che ci restasse troppo male.”
Il braccio di sua madre le circondò le spalle, avvicinandola a sé. “Non hai mentito”, le disse con un ghigno. “Mi hai semplicemente letto nel pensiero. Mi serve davvero il tuo aiuto.”
“Oh, beh, io...”
“Io e Patricia stiamo indirizzando e riempendo tutte le buste per l’asta di beneficenza del mese prossimo. In tre saremo molto più veloci.”
Guardandosi indietro, Beth cercò di capire dove si fosse cacciato Daryl. Di ritorno dalla sua cavalcata l’aveva visto a malapena e lui aveva detto che sarebbe venuto a cercarla, ma sarebbe stato difficile se fosse rimasta in casa. Nonostante ciò, non riusciva a trovare una buona scusa faccia a faccia con sua madre e di Daryl non ce n’era ancora traccia. Magari non ci avrebbe messo tanto.
“Va bene.”
“Brava ragazza!”

 

 

Stringendo con più veemenza il maglione che le copriva le spalle, Beth approfittò del buio della sera per raggiungere il bosco. Era quasi mezzanotte. Per tutta la giornata aveva cercato di guadagnarsi un po’ di tempo libero e privacy per poter andare a cercare Daryl, ma la fattoria non ne aveva voluto sapere. Dopo aver aiutato sua madre e Patricia con le buste dell’asta di beneficenza era letteralmente scappata. Aveva visto Daryl aspettarla fuori alla finestra e sarebbe quasi riuscita a raggiungerlo, se non fosse stato per l’arrivo di Shawn. Daryl era scattato subito sull’attenti e l’ultima cosa che era riuscita a vedere dopo fu l’arrivo di un temporale; e con esso era arrivato anche suo padre a chiedere a Daryl di dargli di nuovo una mano con il bestiame.
Nonostante il temporale fosse finito da un pezzo, l’erba era ancora fradicia; mentre raggiungeva il campo più lontano, i suoi stivali venivano bagnati dalle pozzanghere e dai minuscoli ruscelli d’acqua rimasti sul terreno. Dal momento che erano stati impegnati e non erano riusciti a incontrarsi, aveva deciso di andare direttamente al suo campo.
“Hey!”, gridò una voce alla sua sinistra.
Beth, sobbalzando, si voltò e vide Shawn venirle incontro con in spalla il fucile antisommossa di Otis. Le indicò la direzione in cui stava andando, dritta verso il bosco. “Che pensavi di fare?”
Aveva completamente trascurato il fatto che ci fosse il turno di guardia notturno e, come se non bastasse, al posto degli altri aiutanti c’era Shawn.
“Io… io stavo… venendo a farti compagnia!” Il suo cuore sussultò quando realizzò che, dato che suo fratello l’aveva vista lì fuori, non avrebbe potuto raggiungere Daryl.
Suo fratello guardò di nuovo con sospetto la distesa alberata, inarcando un sopracciglio.
“…Mi sono quasi persa”, si coprì la bocca per soffocare una risatina nervosa. “Non riuscivo a trovarti.”
Dal modo in cui i suoi occhi la studiavano nell’oscurità, poteva dire di non essere del tutto sicura che se la fosse bevuta. In ogni caso, se avesse avuto il sospetto che quello fosse stato un tentativo per sgattaiolare fuori di casa di nascosto, non l’avrebbe chiamata.
“Come mai ancora sveglia?”, si strofinò gli occhi arrossati e represse uno sbadiglio.
“Non riesco a dormire”, sospirò lei. “Ti stanno facendo fare il turno di guardia da solo?!”
Shawn fece le spallucce. “Più che altro sono tutti stanchissimi. Dave e Tony l’hanno fatto la scorsa notte e oggi erano di nuovo qui per lavorare alla recinzione, mentre non voglio neanche immaginare quanto abbia lavorato Daryl. L’ultima volta che l’ho visto si stava ancora ripulendo i capelli dalla placenta di mucca. Poi Otis e Patricia devono andare in città domani mattina...”
“Avrebbero potuto chiedere a me”, rispose Beth mordendosi un labbro.
Effettivamente, era abbastanza strano che non glielo avessero chiesto. In genere non volevano che qualcuno facesse il turno di notte da solo.
Shawn si limitò a scrollare di nuovo le spalle. “Credo che mamma sperasse che tu cambiassi idea sulla proposta delle tue amiche.”
Beth sospirò pesantemente. I suoi genitori non erano stati molto invadenti, ma era chiaro che fossero preoccupati per il comportamento introverso che aveva assunto negli ultimi giorni e, se stavano riducendo addirittura le sue mansioni domestiche nella speranza che andasse a divertirsi, allora erano davvero in pensiero. Molto più di quanto lei stessa avesse voluto.
“Ammettilo, sorellina, prima ero io ad allontanare i ragazzi da te…”
Stava esagerando, ma era comunque vero che Shawn aveva esternato più volte- spesso solo per il piacere di farla arrabbiare- le sue tendenze iperprotettive, soprattutto nel periodo in cui aveva frequentato Jimmy.
“…Ma ultimamente sei diventata così brava a respingere le persone che sto seriamente pensando di non dovermi scomodare più.”
“Io non sto respingendo le persone”, Beth si appoggiò alla nuova recinzione. “Ci siamo solo allontanate; siamo diventate troppo diverse.”
Per un attimo Shawn aggrottò la fronte, ma poi annuì lentamente.
“Non è che non mi piacciano più le mie amiche, è solo che… i miei interessi sono cambiati.”
Suo fratello le sorrise. “E quali sono i tuoi nuovi interessi?”
I cavalli. La musica.
Un uomo più grande...

“Forse sono sempre stati diversi dai loro”, rispose alla fine con un sorriso a denti stretti.
“Odio vederti crescere”, si lamentò Shawn, battendo il fucile antisommossa contro il suo fianco mentre si appoggiava a sua volta alla recinzione.
“Scusa”, disse lei ridendo.
Lui scosse la testa. Il suo volto al chiaro di luna era ancora più pallido. “Mi fa pensare che dovrei andarmene e diventare adulto anche io.”
Aveva parlato come se le avesse confessato chissà quale tragico segreto.
“A proposito, ci sono novità?” Beth stava ancora cercando di elaborare mentalmente un piano per sfuggirgli e andare da Daryl, ma allo stesso tempo era da tempo che sperava di poter aprire l’argomento con suo fratello. “Non ti sto rimproverando”, disse poi. Aveva ammorbidito il tono, riducendolo a poco più di un sussurro. “So che fa schifo non sapere cosa vuoi fare, però sappi che in fondo non c’importa cosa sceglierai; ci basta che tu sia felice.”
Shawn respirò profondamente; lo sguardo ancora lontano da lei. “Sì, ma ora credo di saperlo”, disse atono. Non era suonata come una rivelazione, né tantomeno come una vittoria. Sembrava sconfitto. “Ho già mandato una serie di mail ai grandi capi e sembra che io possa tornare, anche se dovrò farlo strisciando e con il doppio del lavoro da fare”, cercò di forzare un sorriso.
“Non mi sembri molto felice”, ribadì lei aggrottando le sopracciglia.
Shawn aprì la bocca per risponderle, ma si fermò all’improvviso, alzando la canna del fucile in direzione degli alberi.
Con molta nonchalance, Beth osservò quella fitta linea buia: qualcosa si stava muovendo nell’oscurità. Qualcosa di grande. Poteva essere un lupo, o magari…
“Shawn, forse è solo un procione”, si alzò di scatto per abbassare la canna dell’arma.
Suo fratello scosse la testa, levando il fucile dalla sua portata e ritrovando il suo obiettivo. “È troppo grande.” Grattò i denti mentre fece scivolare il dito sul grilletto.
Nel frattempo, l’ombra tra gli alberi si fece più vicina. Visibilmente teso, Shawn tirò un respiro profondo.
“Aspetta!”, gridò Beth mentre premeva il grilletto.
Con un forte tonfo, in un batter d’occhio la pallottola di gomma aveva colpito il suo bersaglio, che cadde con un grido selvaggio.
“DARYL!” Beth urlò ancora e cominciò a correre verso il bosco.
“Daryl?!”, Shawn, incredulo, le fece eco.
Quando lei lo raggiunse, stava cercando di rimettersi in piedi; in una mano stringeva la pallottola di plastica che doveva aver trovato a terra dopo essere stato colpito. Gli afferrò un braccio.
“Stai bene?”
“Sì, sono a posto”, mugugnò lui mentre si alzava, aiutandosi con la stessa mano in cui stringeva la pallottola.
Shawn li raggiunse dopo poco. Sinceramente dispiaciuto, aveva le braccia incrociate in petto. Il fucile era rimasto alla recinzione.
“Daryl! Ma che ci facevi qui fuori?! Mi dispiace così tanto, non riesco a crederci...”
“Dove ti ha colpito?”, Beth non riuscì a vedere alcun segno di rossore; doveva aver colpito qualche parte meno visibile.
“In petto, ma sto bene”, mormorò.
“Shawn, dammi la tua torcia”, sollevò la mano verso suo fratello che, ancora dispiaciuto e mortificato, le obbedì. “Lascia che dia un’occhiata”, disse poi a Daryl quando cominciò a protestare.
Restò a fissarlo finché non le diede il permesso e illuminò con la torcia lo spazio tra di loro. A un certo punto si arrese e cominciò, senza guardarla, a sbottonare i primi bottoni della camicia, in modo che la luce illuminasse il suo pettorale destro. Grazie a quel bagliore Beth poté notare un alone gonfio e livido.
“Le costole?”
“Stanno bene”, disse lui allontanandosi sia da lei che dal fascio di luce.
Non era molto sicura di credergli. “Andiamo”, rispose, invitandolo a seguirla e restituendo la torcia a Shawn.
“Dove stiamo andando?”, Daryl osservò nervosamente sia lei che il fratello.
Beth gli indicò le stalle. “Abbiamo dei linimenti super-efficaci per i lividi.”
“I linimenti equini?!”, Shawn fece una smorfia. “Non è un cavallo, Beth.”
Lei roteò gli occhi e strinse il polso di Daryl, guidandolo. “E non è neanche un lupo, Shawn.”
“Aspetta, ferma! Le regole!”, ribatté lui alzando la voce. “Devo venire anch’io!”
“Da quando sei papà o Otis?”, Beth si voltò di nuovo. “Rilassati, è solo Daryl”, aggiunse, con il cuore che le galoppava in petto.
La sua famiglia lo adorava, ma non sapeva fino a che punto Shawn avrebbe lasciato correre.
“Beh, sì”, disse infatti scioccamente, ma aveva conservato quel rossore in viso che lasciava intendere benissimo che stesse cercando un altro motivo per cui lei non potesse andare da sola con Daryl alle stalle.
“E poi tu devi restare qui”, continuò lei indicandogli il fucile antisommossa. “Qualcuno deve pur stare di guardia e io non ho mai sparato in vita mia. Se mai un lupo si dovesse avvicinare e io fossi lì in piedi con quella cosa in mano, riuscirei solo ad urlare e a spararmi sui piedi.”
“E va bene”, mormorò. “Daryl, non puoi capire quanto mi dispiace.”
“Andiamo”, disse ancora Beth, che nel frattempo aveva ripreso a respirare con più calma.
Si erano dalla postazione di guardia e avanzavano verso le stalle. Era abbastanza buio che non riusciva a vederlo, ma quando Shawn fu sufficientemente lontano la mano di Daryl scivolò sulla sua e la strinse forte, quasi facendole male. Lei la strinse a sua volta.
“Credi che si dimenticherà di chiedermi cosa ci facessi là fuori?”, si voltò a guardarla.
“Speriamo.”
Beth smise di camminare. Erano abbastanza lontani da essere fuori dal raggio visivo e uditivo di chiunque, così si sentì al sicuro quel tanto che bastava per alzarsi sulle punte e baciarlo velocemente sull’angolo della bocca. Sentì un soffio al cuore quando lui ricambiò in silenzio e avvertì il distendersi sulla sua pelle di una patina di tensione non appena la sfiorò.
“Mi sei mancato oggi”, sussurrò.
“Forse avremmo dovuto capire che non sarebbe stato così semplice”, rispose lui grattandosi il collo e guardandosi i piedi. “Scusami, non me ne sono andato.”
“Tranquillo, hanno preso in ostaggio anche me.” Beth sapeva che, per la situazione in cui si trovavano, non potevano farci niente. “Ma a proposito… che ci facevi qui fuori?”
Si era già fatta una mezza idea, una mezza idea che al solo pensiero le faceva venire i brividi e la costringeva a torturarsi il labbro inferiore.
“Stavo… venendo fuori casa tua. Ti avrei lanciato una pietra sulla finestra o qualcosa del genere. Alzò gli occhi al cielo e poi li posò sulle sue labbra.
“Io stavo venendo a cercarti”, ammise lei combattendo un ghigno.
Si rialzò sulle punte, ma stavolta fu lui a baciarla per primo, cogliendola di sorpresa, con più foga di quanta se ne aspettasse. Chiuse gli occhi e divenne subito consapevole di quanto i loro corpi fossero vicini; teneva i fianchi stretti ai suoi e una mano fermamente posata sulla sua guancia; l’altro braccio le saldava la vita, spingendola ancora più vicina sé, facendole perdere il fiato. In qualsiasi punto in cui le loro pelli nude fossero a contatto, si beò della serenità e della sicurezza del suo calore. Le sue labbra la massaggiarono poi con più delicatezza, come se si stesse ancora trattenendo, come se stesse ancora prestando attenzione a come la toccava. C’era di nuovo controllo nei suoi movimenti, mentre quello di Beth si sgretolava gradualmente ad ogni tocco. Aveva le mani intrappolate tra i loro corpi, così girò i polsi e poggiò i palmi alla sua camicia, stringendola, e facendo combaciare ancora di più i loro corpi.

 

 

Qualche volta, da bambini, era capitato che i fratelli Dixon si ritrovassero in una chiesa insieme ai loro nonni prima che andassero tutti, ad uno ad uno, in Paradiso. O almeno così diceva la chiesa.
Daryl non aveva mai avuto molto tempo per fermarsi a contemplare Dio; era Merle quello più interessato a quel genere di cose, e allo stesso tempo quello più lontano da quei principi, quindi il più bravo a nascondere quelle inclinazioni. Nelle ultime settimane, però, Daryl aveva ricominciato ad andarci.
I Greene erano molto osservanti e praticanti del culto, e quindi la domenica era per forza il giorno del Signore: i lavori erano ridotti alla cura e al nutrimento degli animali, quelli più impegnativi, a scanso di emergenze, avrebbero dovuto aspettare il lunedì. Ogni settimana il fattore e la sua famiglia occupavano il loro solito posto, un po’ troppo lontano dall’uscita per i gusti di Daryl. Annette ed Hershel erano rigorosamente sempre l’uno accanto all’altra, e approfittavano della vicinanza per tenersi la mano. Beth era quasi sempre dietro di loro, con suo fratello accanto (quando c’era). Grazie alle pressioni dei suoi, alla fine il ragazzo era tornato a studiare medicina.
Daryl prendeva posto nel lato posteriore della cappella, dove poteva arrivare abbastanza tardi perché nessuno lo notasse e andarsene abbastanza presto affinché nessuno commettesse il terribile errore di mettersi a parlare con lui. Non che dovesse preoccuparsene più di tanto. Ormai aveva assunto un’aria che teneva perennemente la gente a distanza; i più, quando si accorgevano di lui, si limitavano a storcere il naso con tutto lo sdegno possibile davanti al suo aspetto trasandato e ai suoi sporchi, logori abiti da lavoro.
La prima volta che aveva messo piede in quel posto era stato il giorno dopo il ritrovamento di Penny. Aveva pensato che fosse uno di quei luoghi in cui in genere si va quando succedono le cose belle; come una bambina che sfugge alla tempesta e ritorna a casa con suo padre; come Hershel che l’aveva chiamato “manna dal cielo”. Fondamentalmente, però, continuava ad andarci ogni settimana per ascoltare la voce di Beth.
Ebbene, la piccola Greene aveva una bella voce. Dolce e pulita, ma molto più forte di quanto ci si potesse aspettare da una piccola donna. La distingueva con estrema facilità dalle altre cantanti della piccola comunità, perché era riuscita, dalla prima volta che l’aveva sentita, a spazzare tutto via. Fermava il tempo con un paio di note e tutto diveniva improvvisamente così calmo. Amava sentirla cantare.
Comunque, dopo la chiesa aveva aiutato Otis a spostare una scorta di medicinali dal fienile a un capanno dove sarebbe rimasta a riparo dal caldo. Era un lavoro semplice, che mai avrebbe concepito come un’emergenza, ma quel finesettimana era stato particolarmente afoso. Finito il lavoro, al posto di ripararsi all’ombra, si sedette a terra per un po’, pur non essendo così tanto sicuro di stare comodo. Sentiva le gocce di sudore percorrergli tutta la spina dorsale, quando il vecchio cane che girava sempre intorno al fienile venne a fargli visita. Lavorava alla fattoria Greene da quasi un mese e non aveva ancora mai avuto l’occasione di averci a che fare.
“Hey bello, vieni qui”, mormorò, allungando due dita ruvide verso l’animale spelacchiato nella speranza di farlo avvicinare.
Gli venne incontro con la lingua che gli penzolava fuori dalla bocca e, quando fu abbastanza vicino, cominciò ad accarezzarlo. Era piuttosto avanti con l’età; le grandi zampe e le unghie spesse avevano lasciato le loro impronte nel sentiero polveroso. Aveva una targhetta dove erano indicate tutte le informazioni utili, tra cui il nome e l’indirizzo della fattoria. Stando a quello che c’era scritto, si chiamava Mark Greene.
Mark?!”, borbottò.
“È il diminutivo di On-Your-Mark”, spiegò la voce di Hershel.
Fino a quel momento Daryl non si era neanche accorto della sua presenza, ma a quanto pareva il fattore aveva appena girato l’angolo, spuntando da dietro al fienile. Con i suoi abiti da chiesa sembrava meno rigido rispetto a quando lavorava. Considerando che l’aveva quasi sempre visto ricoperto di sporcizia animale- era sempre molto partecipativo quando si trattava delle esigenze mediche dei suoi animali- , era proprio un altro Hershel.
Dopo averlo studiato, si voltò nuovamente verso il cane, lisciando il suo pelo ispido e arricciato. Istintivamente scivolò sulla sua bocca sporca di fango e prese ad accarezzargli la testa.
“Non sembra poi così tanto un cane da corsa(*)”, osservò.
“Beh, forse un tempo lo era. Ora di certo non più.” Hershel si avvicinò ai due e il cane si allontanò da Daryl per accucciarsi con più allegria accanto al suo vero padrone. “È stata la mia Bethy a chiamarlo così, ma non le ho mai chiesto come le sia venuta in mente una cosa del genere. Era un randagio; lei e sua sorella lo trovarono anni fa durante una cavalcata. Le seguì fino a casa e sembrava che non avesse avuto una vita facile prima di incontrare noi”, disse grattandogli il collo. Il cane tirò ancor più fuori la lingua in segno di apprezzamento per poi alzarsi andare via, probabilmente in cerca di un po’ d’ombra.
“Questa storia vale anche per gli altri cani?” , chiese Daryl a quel punto. In effetti, non c’erano così tanti cani intorno alla fattoria dei Greene, o almeno non quanti ce n’erano nelle altre fattorie in cui aveva lavorato, che avevano invece una sorta di branco completo e ben assortito. La cosa più strana era che non avessero i tipici cani da fattoria; erano di razze insolite ed erano perlopiù quasi tutti anziani e passivi, poco utili in caso di necessità di difendere la proprietà.
“Sì”, Hershel annuì, “ma Mark è l’unico randagio che abbiamo. Gli altri vengono dai canili...” Si mise le mani in tasca e cominciò ad osservare lo spazio circostante con un sorriso pensieroso, ma velato di dolore. “Essendo cresciuto qui, tutto quello che volevo fare all’inizio era scappare via. Alla fine, però, questo posto si è rivelato essere esattamente quello giusto per me. Forse negli angoli più reconditi della mia mente ho sempre voluto trasformarlo in un luogo in cui guarire.”
Anche se avesse saputo come rispondere a quello che gli aveva appena detto, Daryl non sarebbe comunque riuscito a sciogliere il nodo che gli impigliava la lingua. Una parte di lui voleva continuare a fingere che stessero solo parlando di cani, almeno finché Hershel non avesse smesso di starsene lì ad osservarlo. Non aveva mai amato che le persone cercassero di capirlo e forse non gli era neanche mai capitato, eppure nelle ultime settimane si era frequentato quasi tutti i giorni con gli occhi di Beth, così grandi, azzurri e privi di ogni giudizio, e con la sua voce delicata pronta a fargli ogni tipo di domanda sulla sua vita, su dove fosse stato, su cosa avesse fatto e come si fosse sentito. Tutte cose a cui nessuno si era mai interessato. Quasi sempre era stato restio a soddisfare le sue curiosità e lei quasi sempre lasciava perdere, ma sapeva che la sua era solo una strategia temporanea: se avesse continuato così, non ci avrebbe messo molto a denudarlo e a scoprirlo per l’anima a pezzi qual era.
Hershel almeno era meno diretto. Non gli servivano così tante risposte. Probabilmente era anche conscio del fatto che il soggetto che aveva innanzi avesse una serie di difficoltà a intavolare una conversazione, ma anche se si limitava ad osservarlo, sotto quello sguardo Daryl vacillava un po’. Il fattore si fidava di lui, certe volte pareva addirittura che gli piacesse, ma sapeva perfettamente che non sarebbe stato dello stesso avviso se solo avesse saputo che stava combinando con sua figlia.
“Il fatto è che, Daryl, a breve staccheremo per riposarci un po’… però, grazie a quegli sconsiderati dei nostri vicini, il branco è ancora nei paraggi”, disse con un sospiro.
Negli ultimi giorni altre due fattorie avevano perso degli animali. Una aveva lasciato che un paio di polli vagassero per il bosco - così, pronti ad essere sbranati - e l’altra aveva perso una pecora. Quasi sicuramente l’uomo che era di guardia doveva essersi addormentato.
“...Abbiamo ancora bisogno della sorveglianza notturna e ci sono sempre le mansioni ordinarie da svolgere, ma non ci sarà molto altro lavoro extra da fare per il momento. Che ne diresti di restare ancora, a tempo indeterminato?”
Non ci avrebbe neanche mai sperato in una richiesta del genere.
Guardando al futuro, aveva pensato che una volta finito il lavoro sarebbe rimasto nelle vicinanze per stare con Beth, sempre se Hershel non l’avesse prima ucciso. Se avesse scoperto quello che stava combinando, l’avrebbe sicuramente sparato con qualcosa di molto più dannoso di un fucile antisommossa. Comunque, non avrebbe mai immaginato che gli avesse potuto chiedere di restare.
Nessuno restava. Tra gli altri aiutanti, Otis era l’unico che poteva dire di lavorare lì da più di qualche mese ed era il solo a poter contare di farlo. Dave e Tony stavano già pensando di andarsene, forse anche prima di quanto avevano detto ad Hershel. I turni di guardia notturni, a detta loro, influivano negativamente sul loro divertimento. Anche gli altri due aiutanti che non conosceva granché, Len e Lou, sembrava non vedessero l’ora di andarsene.
Terribilmente in colpa e a disagio, Daryl si rese conto che da quando gli aveva fatto quella proposta non aveva fatto altro che fissare il terreno tra di loro, con le spalle ricurve e le mani inchiodate nelle tasche.
“Umh… sì”, annuì con un colpo di tosse.
Merle, anche se privo di ogni tipo di sincerità, avrebbe detto qualcosa di più convincente, del tipo: “Sì, grazie, mi piacerebbe molto”, ma in quel momento non riusciva a partorire neanche una parola decente, figuriamoci una frase o anche solo qualcosa che vi somigliasse. Deglutì e annuì più vigorosamente quando notò che il fattore stava continuando a fissarlo, stavolta con un piccolo sorriso sulle labbra.
“Fantastico”, disse. “Allora continueremo a vederci.”

 

 

Pensava a lei in continuazione e, pur se all’inizio la cosa era stata abbastanza controllata, col passare dei giorni la cosa era peggiorata.
Quel giorno aveva trascorso un bel po’ di minuti a fissarla senza dire niente, immerso nel pensiero che non le importava davvero un cazzo se il suo bel vestitino della domenica si fosse sporcato tutto di fango. Era stesa esattamente come il primo dei loro soliti spuntini nel bosco, con le gambe nude e la gonna dell’abito blu poggiati sul terreno e la testa e le spalle a riposo sulla sua pancia. Ricoperto da una cascata di ciocche dorate, cercò la sua mano, stringendola e lasciando che l’altra rimanesse lì sul suo ventre, a disegnarle una linea immaginaria che non proseguì oltre le costole.
“Oggi ti ho visto”, disse Beth.
“In chiesa?”
Non le aveva mai detto di esserci andato, né le aveva mai chiesto se l’avesse notato. La sua speranza era proprio quella di non essere visto, era una prospettiva molto vantaggiosa.
“Sì. Avresti potuto sederti con noi.”
“Mh, non credo”, borbottò osservando le loro mani intrecciate.
Non c’era esempio migliore per dimostrare quanto fossero diversi. In quel groviglio di dita, le sue- così angeliche- erano strette a quelle di un disastro umano. Ogni cosa di lei era morbida, snella; il suo tocco lento e sensuale. Lui, al contrario, non riusciva a contare tutte le volte che era stato rude, pesante, avido. Aveva le mani enormi e ricoperte di cicatrici, le nocche e i palmi perennemente gonfi per tutto il lavoro a cui erano stati sottoposti, callosi così come le dita. Beth li cercò con i suoi piccoli polpastrelli, accarezzandoli dolcemente e disegnando linee trasparenti sulla sua pelle ruvida che, ovviamente, si era rovinato da solo. Era troppo testardo e scocciato per mettere mano ogni volta al carichino e a tutta la roba che serviva a caricare la balestra; quindi ogni volta la ricaricava manualmente, e la corda lasciava i suoi segni.
“Perché no?”, gli chiese tranquillamente, con il suo solito tono pacato e paziente.
Già sapeva quale sarebbe stata la sua risposta, ne era sicuro. Voleva solo sentirsela dire. Più tempo passavano insieme, più imparava a capirla.
“Lo sai.”
“…Qui tutti ti adorano, Daryl.”
Non gliel’aveva mai detto, ma sapeva che lei era fin troppo intelligente da averlo capito. Si sforzava parecchio a nasconderlo, ma era la stessa cosa che preoccupava anche lei. Lui lo vedeva: anche lei si sentiva in colpa.
D’un tratto, sull’albero di fronte a loro, comparve uno scoiattolo. Agitando quella coda lunga e soffice, aveva attraversato metà del suo percorso, per poi fermarsi. Se avesse proseguito probabilmente sarebbe sopravvissuto, ma la sua esitazione gli diede il tempo necessario per sfoderare il suo coltello da caccia, prendere la mira e lanciarlo.
Quando sentì il suo corpo contrarsi, Beth sobbalzò. Daryl le stringeva ancora la mano, ma l’abbandonò per rimettersi seduta e osservare il cadavere dell’animale, con il coltello conficcato nel collo.
“Hai davvero appena ucciso quello scoiattolo?!”
“Ho davvero appena ottenuto il mio pranzo della domenica”, Daryl si alzò da terra e andò a recuperare la sua preda, estraendo il coltello dal tronco.
Quando si voltò, Beth era in piedi di fronte a lui, più vicina del previsto, appena sopra la sua spalla. Lo scrutava con la testa leggermente inclinata, senza dire niente.
“Hey, anch’io devo mangiare”, disse allora a sua discolpa.
“È stato… incredibile! Mi fai vedere come si fa?”
Allungò lentamente la mano sul suo coltello, così piano che avrebbe avuto praticamente tutto il tempo per allontanarla se solo avesse voluto, ma lasciò che quella mano arrivasse a chiudersi sulla sua, che ancora stringeva il manico, e che si scambiassero i ruoli: Beth strinse l’impugnatura, mentre la mano di Daryl scivolò sul suo polso e sentì, sotto le sue dita fantasma, il suo battito accelerato. Conservò lo scoiattolo e si mise alle sue spalle, invitandola a fare qualche passo indietro posandole una mano sull’anca.
“Ok. Tieni lo sguardo sul segno che ho lasciato nel tronco”, le disse controllando più volte che la distanza da cui la stava facendo tirare non fosse troppo difficoltosa.
“Lo sto tenendo bene?”
Aveva un buon istinto di base. Dovette a malapena sistemarle le dita sul manico del coltello, ma fece con calma. Gli piaceva stringerla in quel modo. I suoi capelli profumati gli finirono in faccia, impigliandosi nella sua barbetta. Strinse il suo fianco con più forza, avvicinandola. Vide la sua schiena arcuarsi mentre si voltava, con un piccolo sorriso a stento visibile da dietro la sua spalla. Sospirò lentamente, pronto a mandare completamente al diavolo quella lezione improvvisata.
“Fai ruotare il polso e mettici un po’ più di forza quando alzi il pollice. A questa vicinanza non avrai bisogno di un grande slancio. Così...”, guidò il suo braccio nel movimento che per lui era più comodo, per darle un’idea. Poi cercò di farle capire quale fosse il momento in cui doveva lanciare il coltello.
“Così?”
“Esatto. Adesso provaci”, la esortò, osservandola con un occhio solo, essendo ancora coperto dai suoi capelli. Quando trovò il suo orecchio, lo sfiorò volutamente, lasciandovi una scia umida con le labbra.
Beth ridacchiò. “Così non riesco a concentrarmi.”
“Hum”, si tirò indietro di pochi centimetri.
La vide inspirare profondamente, gonfiando visibilmente il petto. Quando espirò, alzò il braccio e lanciò il coltello. Centrò in pieno il segno che aveva lasciato quando aveva ucciso lo scoiattolo, ma non sapeva ancora come sfruttare il peso: la lama non colpì bene il tronco e cadde ai piedi dell’albero.
“La mira è più che decente”, le disse, superandola per andare a recuperare l’arma.
“Posso riuscirci!”, lo seguì frettolosamente per farsi restituire il coltello. Determinazione e sicurezza infuocavano i suoi occhi chiari, illuminandole il volto.
Prese la mira e lanciò di nuovo l’arma, che stavolta si conficcò perfettamente nel tronco ma mancò il bersaglio per pochi centimetri.
Daryl si appoggiò a un altro albero a supervisionare gli altri tentativi. Quando Beth era così spensierata e sorridente era facile dimenticare tutto ciò che c’era di sbagliato tra di loro; ciò che c’era di sbagliato in lui. Era chiaro che non le piacesse mentire alla sua famiglia, ma sapeva meglio di lui che avrebbero dovuto farlo chissà per quanto tempo ancora. Aveva sperato di riuscire a farne a meno, di assumersi le sue responsabilità quando la situazione stava cominciando a precipitare. Lei non meritava di star male a causa sua e tutte le volte che ci pensava non riusciva a fare altro che riflettere su come evitarlo, su cosa fare per proteggerla. Era come se lei stessa avesse dato un senso a tutta quella situazione, come se avesse trovato un modo tutto suo per spazzare via tutti quei brutti pensieri. Bastava che lei gli dicesse che era felice quando stava con lui e già pensava di rivederla ancora, ogni giorno. Eppure una parte di lui continuava a dirgli che volerla vicino quando sapeva che non era la cosa giusta da fare era da perfetti egoisti.
La verità era che non si era mai sentito così prima. Era già successo che si fosse sentito forte, in pace o in tanti altri modi a cui non era abituato, ma non era mai stato felice. Tutta la merda che aveva avuto sempre intorno nella vita era ancora lì e si faceva sentire, ma era come se non contasse più quanto contava un tempo. Non gli importava, o almeno non gli importava in confronto a quanto gli importasse di lei.
C’erano stati molti momenti di silenzio in cui aveva provato a pensare alle parole giuste da dirle, o a costruire pensieri coerenti su ciò che sentiva, ma puntualmente, quando lei faceva la sua parte e cercava di scalfire la sua anima tormentata, gli veniva automatico non rispondere. Perlopiù si sforzava di resistere a qualsiasi cosa lei facesse, perché lo tentava.
Poggiato al suo collo, con le mani sporche ed egoiste spalmate sul suo corpo, le aveva scostato i capelli e aveva inalato il suo odore, facendo tutto il necessario perché gli restasse addosso. Voleva che quel profumo diventasse parte di lui, voleva sentirlo anche quando sarebbero tornati ai loro mondi distinti e separati.
Se fosse stato il tipo di uomo che faceva domande, se non avesse avuto problemi a ficcare il naso negli affari degli altri almeno quanto lei, avrebbe avuto il fegato per chiederle cosa diavolo ci trovasse in lui e, più se lo chiedeva, più si affermava la consapevolezza di quanto una parte di lui avesse bisogno di lei, o almeno così sembrava. Stava addomesticando l’animale che era in lui. Senza di lei sarebbe stato comunque in piedi, avrebbe proseguito per la sua strada, ma sapeva che quella parte di lui sarebbe morta di fame. E voleva tenerla in vita.
Era davvero difficile, invece, credere che Beth potesse avere bisogno di uno come lui. C’erano mille buone ragioni per cui sarebbe stata meglio da sola, ma non voleva. Per chissà quale motivo quello che desiderava era stare con lui. Quella almeno era la prova schiacciante che in fondo anche lei era umana, che non era solo un angelo o un bel sogno da cui si sarebbe svegliato. Beth non era perfetta. Come ogni essere umano, viveva compiendo sbagli di cui si sarebbe pentita. Daryl, al contrario, non si faceva illusioni: sapeva che era un errore.
D’un tratto, Beth esultò alzando entrambe le braccia, trionfante come una ginnasta nel suo momento di gloria: “Ci sono andata vicinissimo!”
Combattendo una risata, Daryl andò a recuperare il suo coltello. “Hai del potenziale, Greene.”

 

 

Stavano cadendo in una certa routine e Beth non poteva che esserne felice, anche se avrebbe di gran lunga preferito evitare di mentire in continuazione e che la sua famiglia approvasse.
Stavano tornando alla fattoria e, mentre camminava dietro di lei, gli strinse forte la mano, accarezzandogli il polso con il pollice mentre si muovevano insieme tra gli alberi. Amava sentirlo vicino a sé, osservarlo mentre avanzava acanto a lei con i muscoli tesi e lo sguardo lontano, così com’era sempre ogni volta che erano nei boschi; anche quando erano solo loro due- a mangiare, a giocare a carte o a fare qualsiasi cosa per stare insieme- una parte di lui era sempre a caccia. Se le cose fossero state diverse, sarebbe potuto andare a casa con lei per cena, ma lo scoiattolo che aveva attaccato alla cintura era tutto ciò che aveva da cucinare, mentre sua madre aveva preparato il pasticcio di pollo per tutta la famiglia.
“Domani il fienile dovrebbe essere libero… che dici, lo porto quel libro?”, suggerì.
Avevano parlato di romanzi gialli per un po’ e chissà come il discorso era terminato con Beth che decideva che gliene avrebbe letto uno ad alta voce.
“Ci sarò”, rispose lui, “sempre se… lo sai”, aggiunse scrollando le spalle.
“Già, giusto.”
C’era quasi sempre qualcosa a trattenerli dall’arrivare puntuali ai loro incontri. Ormai sapeva cosa aspettarsi; così come sapeva che doveva essere quasi sempre lei a baciarlo per prima. Eppure, sapeva anche che una volta che le sue labbra avrebbero incontrato le sue, avrebbe risposto con un’energia che inevitabilmente finiva per sorprenderla; un’energia che la distraeva dagli impegni della vita di tutti i giorni anche quando erano distanti l’uno dall’altra.
Era piuttosto evidente che lui non avesse intenzione di parlare ancora, o almeno così sembrava.
Fino a quel momento, si erano sempre solo baciati e non avevano neanche mai discusso sull’andare oltre. Nelle sue precedenti relazioni con altri ragazzi non aveva mai voluto niente di più, ma- come del resto in tremila altri aspetti- Daryl era un’altra storia. Tuttavia, non voleva forzare l’argomento e lui, anche se si lasciava andare ogni giorno di più, era sempre pronto a fermarsi, a fermarla e a volte persino ad allontanarla. E Beth lo lasciava fare. Si fidava e lasciava che fosse lui a stabilire quando avrebbero superato un certo limite, anche se non era sicura di essere altrettanto disciplinata. Lei non si fermava, affondava le unghie nella sua carne, emetteva piccoli ansiti che non riusciva a trattenere.
Effettivamente, l’autocontrollo di Daryl era davvero sorprendente.
Giunti alla fine del bosco, Daryl spazzò via il terreno che era rimasto sulla sua gonna, indugiando per qualche secondo sulla sua gamba. Il giorno precedente, a forza di massaggiarle con il pollice sempre lo stesso punto, le aveva lasciato un piccolo livido. Era pronto a fare dietro front per lasciare che facesse il resto della strada da sola, ma lei non voleva, non era ancora pronta. Si alzò sulle punte e gli stampò un bacio sulle labbra e un altro sulla mascella.
“Ciao.”
Poteva sentire quello sciocco, stupidissimo sorriso che quasi sicuramente aveva stampato sulla sua stessa faccia, mentre si mordeva le labbra e lo osservava sparire tra gli alberi. Non aspettò più di qualche battito cardiaco per sospirare profondamente e voltarsi, riprendendo la strada verso la fattoria e facendo tutto il possibile per far sparire i rametti e le foglie che aveva incastrati tra i capelli. Attraversò il campo, ignorando per chissà quanti secondi che c’era qualcosa che non andava. Quella giornata che era stata così dannatamente calda stava cominciando a raffreddarsi con l’arrivo della sera, ma lo spostamento d’aria che sentì apparteneva al movimento di una persona. Anche l’erba del terreno si mosse. Anche prima di poter effettivamente vedere o sentire qualcosa, sapeva di non essere sola, ma ne ebbe la certezza quando Dave si affiancò a lei. Doveva aver corso per raggiungerla.
“Beh, eccoti qua, figlia del fattore”, disse con entusiasmo.
Beth, per la sorpresa di trovarselo improvvisamente così vicino, stava per inciampare. Le bastò guardare solo per un secondo il suo ghigno saccente e compiaciuto per rendersi conto che doveva averli visti avvinghiati sul ciglio del bosco.
“Dave...”, cercò di pensare a qualcosa di valido da dire per migliorare la situazione, ma la sua mente era completamente svuotata: sapeva che li aveva visti.
L’espressione dell’uomo s’incupì di un falso disappunto; si schiarì la gola e disse: “Senti, so che tu sai che non puoi uscirtene ancora con quella storia che non dovremmo stare così vicini”, anche se aveva cercato di imitare la sua voce, il suo tono non si addolcì neanche per un secondo, “Non c’è più bisogno di essere così fottutamente ipocriti, sbaglio?”
“Che cosa vuoi, Dave?” Non c’era niente di meglio da fare che arrivare dritta al punto, perché sapeva come sarebbe finita. Piuttosto che negare l’evidenza, tanto valeva affrontarlo. “Lo dirai a mio padre o cosa?”
O cosa, ragazzina, o cosa.” Dave abbassò lo sguardo sulle sue gambe bianche ancora sporche di terreno, per poi risalire su tutto il resto del suo corpo. Non si era mai sentita così a disagio con una sola occhiata, neanche quando Merle l’aveva squadrata dalla testa ai piedi solo per il palese piacere di farla sentire in imbarazzo.
Quando i suoi occhi tornarono sul suo viso, Beth li fissò senza battere ciglio.
“Non ho nulla di cui vergognarmi.”
Dave inarcò un sopracciglio e incrociò le braccia al petto. “E allora perché hai paura che il tuo paparino possa scoprirlo?”
L’aveva praticamente messa alle strette, almeno in minima parte. Ma non distolse lo sguardo. “Se hai intenzione di non dirgli nulla, benissimo. Grazie.”
“Figurati, per me è un piacere”, disse lui velocemente.
“Ora vado, ci vediamo.”
Appena si mosse per andarsene, Dave la trattenne per un braccio.
“Whoa, whoa, whoa”, rise, stringendo le dita più forte del dovuto, tanto che il suo primo tentativo di liberarsi non la portò da nessuna parte.
Almeno riuscì a voltarsi. “Che c’è?”
“Tranquilla, sto andando via anch’io. Non temere, non dirò nulla… sempre se, ovviamente, non dovessi cambiare idea.”
La rabbia stava cominciando a ribollirle nelle vene, ma cercò di trattenerla. Più che altro, aveva paura. Aveva paura che avrebbe detto ai suoi quello che aveva visto; aveva paura che Daryl sarebbe stato costretto ad andarsene, e purtroppo- il cuore le affondava al solo pensiero- non era del tutto sicura che non sarebbe sparito per sempre, senza opporre resistenza per rivederla ancora. Ma in quel momento, con lo sguardo cupo e viscido di Dave addosso, aveva ancora più paura delle sue reali intenzioni, di quello a cui voleva arrivare con il suo perverso gioco di potere. Riusciva già a farsene un’idea.
“Sai, di solito non sono così volubile, almeno non con i miei amici. Ma c’è solo una cosa, ragazzina, che puoi fare per assicurarti che io tenga la bocca chiusa.”
Non voleva fare domande e aveva seri dubbi che sarebbe anche solo riuscita ad aprire la bocca. Era come se avesse un enorme groppo in gola.
Di contro, Dave, riuscendo a cogliere tutto il disprezzo nel suo sguardo, scoppiò a ridere: “Andiamo, se quel lurido bifolco è abbastanza buono per te, perché non dovrebbe esserlo uno zoticone come me?

 

(*) “On your mark[, get set!]” ha come corrispettivo in italiano “Pronti, partenza, via!” o comunque qualcosa che rende quel tipo di idea. Non l’ho tradotto perché in italiano è orrendo e d’altronde si sarebbe andato a perdere il gioco di parole, quindi perdonatemela xD

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Capitolo 15
*** Ricatto / Come piace a Gesù ***


XXIII. Ricatto / XXIV. Come piace a Gesù

 

Ho parlato con abbastanza ragazze del posto da farmi un’idea.”
Non era riuscito a farla piangere.
“...Sarai annoiata a morte, dolcezza, lo immagino, ma io potrei insegnarti qualcosa… potremmo divertirci un po’ insieme, io e te, che ne dici?”
Era rimasta lì ad ascoltarlo perché i suoi piedi erano praticamente impiantati nel terreno. Aveva provato a scappare un paio di volte, ma le ginocchia avevano minacciato di cederle.
“Tutti noi abbiamo bisogno di divertirci un po’ dopo il lavoro...”
Aveva allungato la mano per stringerle un fianco ed era stato in quel momento, quando l’aveva toccata per davvero, che aveva immaginato cosa sarebbe potuto succedere da lì a poco, ed era scappata via.
Quella sgradevole proposta l’aveva tormentata per tutta la notte e il mattino seguente. Non era neanche riuscita a fargli capire che si era sentita oltraggiata, né a rispondergli come avrebbe voluto. Non aveva saputo come reagire. Varie volte, nella sua mente, aveva costruito un’immagine di se stessa che girava i tacchi e se ne andava a testa alta, ma era sicura che, di norma, sarebbe scappata a gambe levate e con le lacrime agli occhi verso casa sua.
In ogni caso, sembrava che Dave non temesse minimamente la possibilità che lei potesse dire a qualcuno quello che le aveva proposto. Era certo di averla in pugno.
Una ragazza carina come te non dovrebbe essere così trattenuta verso il divertimento… Dovresti decisamente condividere quello che hai...”
Non aveva idea di cosa sarebbe successo se l’avesse raccontato a Daryl. Probabilmente avrebbe fatto qualcosa di brutto, ma non riusciva a contemplare l’idea di non dirglielo. Si erano avvicinati molto nelle ultime settimane e gli sarebbe bastata un’occhiata per capire che qualcosa non andava. Gliel’avrebbe detto non appena l’avesse visto, lontano da casa sua. Daryl, almeno, avrebbe mantenuto il segreto. Se l’avesse detto a qualcun altro nel tentativo di mettere Dave nei guai, non avrebbe solo scosso la barca, ma l’avrebbe portata direttamente alla deriva. Era quel genere di situazioni che creavano più scompiglio di quanto ognuno di loro avesse voluto. Tutto sarebbe ruotato intorno a quello che lui e lei avevano detto, spiegarlo sarebbe stato troppo complicato e imbarazzante, e i suoi genitori avrebbero scoperto inevitabilmente la sua storia con Daryl. Dave lo sapeva, così come era a conoscenza che lei sapeva che lui sapeva. Aveva tutte le ragioni per tenere la bocca chiusa.
Entrambi avevano qualcosa dalla loro parte per mettere l’altro nei casini, se avessero detto qualcosa.
Fu durante la lezione del signor Blake che rifletté a mente lucida e si rese conto che Dave contava proprio su quella situazione di stallo, per trarne tutti i vantaggi. Sentì il suo stomaco capovolgersi, anche se era vuoto.
“Stai bene?”, le sussurrò Minnie, approfittando della distrazione del signor Blake per una domanda lunga e sconclusionata proveniente da qualcuno alle prime file.
“Sì, perché?”, mentì Beth sottovoce.
“Sei scandalosamente pallida.” Le sopracciglia di Minnie scomparvero sotto la sua nuova frangetta; la sua bocca rosea e brillante di lucidalabbra si curvò in una smorfia. “Ai livelli che se dovessi alzarti dalla sedia e buttarti a terra penserei che fossi morta.”
Nonostante tutto, sì lasciò scappare una risata cristallina, ignorando il tono serio dell’amica. Il signor Blake inarcò un sopracciglio nella loro direzione e tutta la classe tacque.
“Ci scusi”, dissero all’unisono per giustificare i loro mormorii.
Minnie non parlò per il resto della lezione, ma quando uscirono in corridoio la mise letteralmente alle strette.
“Ok, c’è sicuramente qualcosa che non va, e suppongo che c’entri un ragazzo. Oh, ma certo che c’entra un ragazzo. Chi è?”
Dal momento che aveva praticamente neutralizzato le sue difese ed era stanca di continuare a negare, Beth si limitò a roteare gli occhi per l’esasperazione, cosa che comunque non sembrò provarla minimamente. Quando la guardò nuovamente, infatti, la trovò con gli occhi spalancati e la mascella così spalancata che quasi le raggiungeva il petto.
“Cristo santo! È davvero un ragazzo?”
“Non è lui il problema”, cedette Beth, parlando tra i denti. Il sollievo che stava provando la prese alla sprovvista. Non era certamente una vera e propria ventata di aria fresca, ma anche solo accennare qualcosa a qualcuno la fece sentire meglio. Non si era ancora resa conto di quanto tutta quella storia le pesasse. Forse si era fatta trascinare così tanto da non pensarci più.
Chi è?”, insistette Minnie.
“Non serve parlarne… Te l’ho detto, non è lui il problema.”
“Va bene, ma chi è?!”, Minnie scrutò il corridoio, come si aspettasse che un riflettore illuminasse da un momento all’altro la risposta corretta. “Lui lo sa?”
Beth avvertì un po’ di tensione nell’osservare quegli occhi spalancati. Le venne spontaneo pensare a tutti i loro momenti più intimi. “Sì, sono abbastanza sicura che lui lo sappia.”
Minnie fece un verso a malapena udibile, simile a un gridolino strozzato.
“Comunque, non posso parlarne ora. Non mi sento molto bene, penso che salterò la prossima lezione e andrò a stendermi da qualche parte. Ci vediamo dopo?”
“Non è giusto!” Minnie, con occhi imploranti, scosse la testa. “Devo fare una verifica di inglese e non posso saltarla. Non puoi farlo l’unica volta che non posso!”, le disse sbattendo i piedi a terra.
“E allora parleremo dopo.”
“Già, puoi giurarci che parleremo!”, le gridò mentre se ne stava andando, ma quella momentanea leggerezza che Minnie le aveva trasmesso sembrò sfumare passo dopo passo, finché non si trovò di nuovo immersa nelle sue preoccupazioni, ormai raddoppiate e ancora più esigenti di prima. Trascorse l’ora successiva in biblioteca, nascosta in un angolino e con un braccio sollevato sugli occhi per ripararli dalla luce, ma non riuscì ad addormentarsi. Per di più, sapeva che non avrebbe potuto saltare tutte le altre lezioni senza poi doverne pagare il prezzo. Così, con lo stomaco ancora in subbuglio, riprese la sua routine, pur continuando a mordicchiarsi l’interno della guancia mentre pensava a quello che avrebbe dovuto fare per risolvere tutta quella situazione.
Terminate le lezioni, schizzò fuori per evitare di incontrare di nuovo Minnie o anche qualsiasi altro conoscente che avrebbe potuto trattenerla. Aveva preso una decisione e, sebbene non fosse sicura che fosse la scelta più saggia da fare, le sembrava l’unica vera opzione plausibile.

Quando arrivò a casa, la fattoria era distratta e indaffarata. Infatti, riuscì a posare la borsa a tracolla in camera sua e dirigersi di soppiatto nel fienile senza che nessuno la fermasse, se non per un breve saluto.
Quando salì sul soppalco, era praticamente vuoto. C’erano già una coperta e un mazzo di carte, reduci dei suoi altri incontri con Daryl. Ne approfittò per avvolgersi nella coperta e sdraiarsi, abituata all’idea di doverlo aspettare. La notte insonne che aveva trascorso cominciò a far sentire i suoi effetti, trascinandola in un sonno comunque troppo rigido e forzato. Infatti, restò anche fin troppo cosciente di ciò che la circondava, ma evidentemente non abbastanza da accorgersi che qualcun altro era entrato nel fienile. Fu solo quando sentì il pesante rumore di un paio di stivali contro il pavimento fermarsi proprio accanto alla sua testa, accompagnato da un fischiettio stridente, che si svegliò di soprassalto.
Per qualche strano motivo, anche prima di aprire gli occhi, seppe subito che non si trattava di Daryl.
“Beh, forse la mia è un’ipotesi azzardata...”, cominciò Dave, gironzolandole intorno mentre cominciava ad alzarsi. Mentre camminava, calciava i ciuffi di fieno via dalla sua strada. “Credo che dovrei essere premiato se indovinassi. Che ne dici, dolcezza?”, continuò con un ghigno. “Ma uhm… credo proprio che Daryl avrebbe dovuto incontrarti quassù, non è vero?”
Ancora intontita come se avesse dormito indisturbata in quel fienile per un paio di giorni, Beth lo osservò per qualche secondo, con le nocche bianche che stringevano con forza la coperta che le era caduta di dosso quando si era messa a sedere.
“Hershel aveva bisogno di una mano con una vacca, quindi il tuo uomo non arriverà. Ma, come puoi vedere, c’è un sostituto”, disse, allungando le braccia per indicare se stesso.
“Già, è bello che tu sia qui”, gli rispose alzandosi in piedi. “Volevo parlarti.”
Dave doveva aver capito dal suo tono che non aveva certo intenzione di dirgli cose carine, perché la sua risposta fu sarcastica: “Beh, non mi sono mai sentito così speciale.”
“Dirò a mio padre di me e Daryl. E poi gli riporterò anche quello che mi hai detto.” Mentre parlava, cominciò a dirigersi verso la scala.
“Che?”, Dave scoppiò a ridere. “Aspetta un secondo, dolcezza, se pensi davvero che io me la beva...”
“Vuoi davvero scoprire se sto scherzando?” Beth si accese come una miccia e si voltò a guardarlo dalle scale. Aveva le braccia incrociate e le sopracciglia aggrottate, le punte degli stivali da lavoro spuntavano dal bordo del soppalco. “Diventerebbe uno scherzo solo se tu sparissi dalla fattoria in questo istante. In quel caso, non direi niente.” Lasciò le sue parole sospese a un filo, mentre finiva di percorrere la rampa di scale per raggiungere il piano inferiore e uscire finalmente dal fienile.
“Credi davvero che io accetti questa stronzata del prendere o lasciare, ragazzina? Mi sembra una reazione piuttosto eccessiva, la tua, non trovi?” Ancora perfettamente abile a nascondere il suo nervosismo, Dave rise di nuovo. Non era ancora riuscita a spaventarlo.
“No, non è una reazione eccessiva. È solo quello che succederà.” Si fermò e si voltò per affrontarlo di nuovo, picchiettando le mani contro le cosce delle mani mentre scendeva. “Questa storia finirà comunque con qualcosa che non voglio che succeda, ma tra le cose che non voglio, preferisco di gran lunga dire tutto a mio padre io stessa al posto di aspettare che te lo faccia uscire tu… E, beh, farmi toccare da te… questo è decisamente qualcosa che non succederà mai.”
Davanti alla sua rabbia, il viso di Dave si spaccò nell’ennesimo ghigno. Cercò di soffocarlo, ma non ci riuscì. “E va bene, ho capito, ti ho fatta incazzare. Servirebbe a qualcosa chiedere scusa?”
“Non ho ancora sentito niente.”
“Scusami, ok?” Alzò ancora le braccia, ma stavolta in segno di sottomissione. “Considera che sono un po’ arrugginito con questo genere di cose.”
“Arrugginito?!”, balbettò Beth, “Con cosa? Con i ricatti?!”
Lui roteò gli occhi. “Sul serio, non ti piaccio neanche un po’? Tu a me piacevi e ho cercato di fare qualcosa per avvicinarti. Una donna dovrebbe apprezzare questo genere di… attenzioni. E non è neanche lontanamente un ricatto, dolcezza. Stai esagerando, ancora.”
“Beh, io sono una principiante nel ricattare la gente, quindi, visto che non sembra che tu mi abbia capito la prima volta, te lo dirò di nuovo: lascia la fattoria ora, oppure dirò a mio padre tutto quello che mi hai detto. Accettalo, perché tanto sarai sbattuto fuori in ogni caso.”
Gli occhi scuri di Dave cominciarono ad abbandonare ogni sfumatura di umorismo. Si avvicinò di qualche passo, con le braccia ancora rigidamente incrociate ad altezza petto. Il collo scattò impercettibilmente quando cominciò a parlare: “Bene. È tutto qui? Dovrai scusarmi, perché non mi ero accorto che fossi solo una puttanella arrogante.” Sbuffò, e per un momento le sembrò che dopo quelle parole si sarebbe definitivamente congedato.
Beth era più che disposta a lasciargli l’ultima parola. Il cuore le stava letteralmente scoppiando in petto mentre lo osservava andare via. Probabilmente sarebbe andato da suo padre prima di lei e gli avrebbe parlato di Daryl, ma tanto avrebbero comunque dovuto affrontarlo, prima o poi. Sarebbe successo in ogni caso, anche se sperava ancora che potessero farlo alle loro condizioni. Aveva davvero pensato che avrebbero potuto creare un’atmosfera in cui tutti avrebbero potuto accettare la loro relazione, ma non era ancora possibile… sarebbe stato troppo complicato.
Prima di uscire dal fienile, Dave si voltò per l’ultima volta. “Un’ultima cosa, prima che io mene vada: non guardarmi come se fossi sporco, perché sono esattamente come lui. I ragazzi come Daryl, i ragazzi come me… siamo fatti tutti della stessa pasta, e se non lo vedi ti stai solo prendendo per il culo da sola. Per un tipo come quello, tu sei solo una gran bella scopata. Stai sprecando la tua lealtà.”
Accecata dalla rabbia, si dimenticò di volergli lasciare l’ultima parola. Non poteva parlare così di Daryl. “Tu non lo conosci affatto.”
“Certo che lo conosco”, continuò a mettere il dito nella piaga. “Conosco lui e conosco anche te. Ci saremmo divertiti per qualche minuto e sarebbe finita là, e ti garantisco che lo stesso vale per lui.”
Alla fine, uscì dal fienile.
Beth restò in piedi per qualche secondo, perché voleva che fosse il più lontano possibile da lei quando sarebbe uscita a sua volta. Stava tremando e aveva le vertigini. Quando aprì la bocca per respirare profondamente, quello che ne uscì fu più simile a una sorta di ghigno gutturale. Deglutì e sbatté le palpebre, che nel frattempo erano diventate leggermente più umide.
Non sarebbe riuscito a farla piangere, soprattutto non con le sue menzogne, ma anche se le negava a se stessa, quelle parole continuavano a riecheggiarle nella testa.
Daryl non è quel tipo di persona.
Non lo è.

Quando aprì le porte del fienile, Otis era a una ventina di metri di distanza. Lo vide sollevare le sopracciglia in un’espressione piuttosto sorpresa. Aveva dimenticato di controllare che non ci fosse nessuno, cosa a cui aveva sempre cercato di abituarsi in quelle ultime settimane. Si voltò a guardarla un paio di volte, per poi spostare lo sguardo in lontananza, al campo dove Dave era in procinto di unirsi a un altro gruppo di aiutanti.
“Beth, che ci facevi là dentro?”
Con un aiutante, non aggiunse.
Tanto non era quello giusto.
“Leggevo e mi sono addormentata.” Cercò di mantenere un tono di voce lineare, ma si sentiva come se stesse ancora tremando; un chiaro segno che non aveva ancora superato del tutto l’impulso di piangere.
“Stai bene?” Otis le sembrò più preoccupato che mai.
“Dov’è mio padre?”, riuscì a stento a chiedere, sforzandosi di sorridere.
“Sta concludendo la stagione dei parti con una mucca”, le indicò, con la fronte ancora solcata dal dubbio. “Beth… sei sicura di non dover andare a casa?”
“No, devo parlare con mio padre.”
Cercò di simulare quella leggerezza che di solito aveva nella voce per nascondere le sue emozioni, ma alla fine fu più efficace voltarsi e avanzare rapidamente verso il granaio dove la mucca stava partorendo.
La prima persona che vide, mentre si avvicinava, fu proprio Daryl. Vederlo per la prima volta da quando Dave aveva deciso di fare a pezzi la sua calma fu molto più intenso di quanto immaginasse. E se l’avessero costretto a lasciarla? E se lui l’avesse permesso?
Si stava lavando le mani nel pozzo; chiaro segno che il lavoro con la vacca era finito. Quando alzò la testa e la vide arrivare, si guardò intorno nervosamente, asciugandosi le mani sui pantaloni.
“Hey.” La incontrò a metà strada, senza mai smettere di scansionare l’area circostante. “Ho appena finito. Tuo padre se n’è appena andato a casa… stavo giusto per venire a cercarti. Immaginavo che non fossi più nel fienile...”
Più si avvicinava, più le studiava il volto con attenzione. Il suo si fece serio. Restò in silenzio per qualche secondo; gli occhi blu si oscurarono per la preoccupazione.
“Stai bene?” Assicuratosi che non ci fosse più nessuno nei paraggi, allungò un braccio e chiuse la mano grande e ruvida sul suo viso.
A guardarlo negli occhi, Beth si sentì travolta da un’ondata di sicurezza. Sarebbero andati avanti. Non avrebbe lasciato che sparisse, anche se sarebbe stato costretto a lasciare la fattoria. Gli afferrò la mano e la portò di fronte a sé, baciandogli il palmo. Poi scosse la testa.
“Devo dirlo a mio padre.”
Daryl non aveva bisogno di chiedere cosa voleva dirgli nello specifico e, anche se avesse voluto protestare, si limitò a guardarla e ad annuire lentamente. “Allora mi preparo a scappare per salvarmi la pelle”, mormorò, ma senza mai spostare la mano dalla sua guancia. Rimase esattamente lì dov’era, calda e sicura contro la sua pelle. Le dita si fecero strada lungo una ciocca di capelli, fino ad arrivare ad accarezzarle la fronte.
“No”, scosse ancora la testa. “Non lo faccio perché penso sia il momento, ma perché Dave ieri ci ha visti.” Si morse con forza il labbro inferiore. Avrebbe voluto dirglielo subito, ma le sue buone intenzioni non servirono a farla stare in pace con il pensiero che lui stava ascoltando una decisione che era già stata presa.
Quando sentì quelle parole, la sua espressione si congelò. “Beh, adesso quei commenti da coglione di stamattina hanno un senso”, brontolò.
“Ha detto che non avrebbe detto nulla a mio padre, ma in cambio avrei dovuto… fare qualcosa con lui”, continuò lei a bassa voce, incapace di guardarlo in faccia. Da sopra alla sua spalla, però, vide Otis venire nella loro direzione. Cercò di non concentrarsi sul fatto che avrebbe potuto vederli insieme, perché tanto l’avrebbe saputo comunque. Si lasciò andare contro di lui. Sentì il suo braccio irrigidirsi a quel contatto, per poi sciogliersi subito dopo e stringerla in un abbraccio. I loro battiti rimbombarono all’unisono per qualche secondo, ma poi realizzò che mentre lei aveva i polmoni pieni d’aria e il petto stretto contro il suo corpo, lui stava trattenendo il respiro. Le sue labbra le lasciarono un bacio deciso sulla fronte, per poi lasciarla andare.
“Hey, Beth!” Otis si stava precipitando nella loro direzione, affaticato per la sua piccola corsetta. “Subito dopo aver parlato con te, ho visto tuo padre entrare in casa!”, gridò.
“Assicurati che lo raggiunga!”, gli rispose Daryl.
Quando lo guardò di nuovo, si ritrovò i suoi acuti occhi celesti puntati nella sua direzione; il volto già contorto in un ringhio mentre si allontanava e cominciava a respirare di nuovo.
“Devo andare.”
Cominciò a piccoli passi, per poi scattare.
“Daryl, aspetta! Che vuoi fare?”, gridò nel tentativo di seguirlo, ma lo sguardo che le rivolse la bloccò sul posto. Era abbastanza sicura di conoscere già la risposta.
“Non puoi fermarmi.”

 

●●●

 

Lo trovò nelle stalle, circondato da altri aiutanti, tra cui Tony, che a stento si mosse per dire qualcosa. Se ci fosse stato qualcos’altro nella sua mente, al di là di quel canto feroce che inneggiava al sangue e di quel battito così forte da superare qualsiasi sbornia che si sia mai preso, magari avrebbe considerato che quelle circostanze potevano non essere le più favorevoli per lui.
Dave l’aveva visto arrivare e non sembrava per nulla sorpreso. La sua espressione spavalda si piegò solo leggermente, attraverso un ghigno contrariato. Era consapevole del motivo per cui Daryl si stava schiantando contro di lui come un treno merci, ma con un singolo gesto intimò agli altri di stare indietro.
E fu un grave errore.
“Sei qui perché la tua piccola...” Dave riuscì solo a fare un accenno di quello che aveva pianificato di dire, prima di rendersi conto che lui non aveva nessuna intenzione di lasciarlo parlare.
Sferrò il primo gancio e lui non riuscì a reagire in tempo, se non per indietreggiare leggermente e attutire il colpo, ma le sue nocche gli avevano già solcato la pelle. La testa scattò di lato, mentre un piccolo taglio si aprì proprio sopra allo zigomo. Ma ancora una volta, Dave esitò. Forse era stordito, o forse si stava solo aggrappando alla stupida convinzione che potesse esistere una qualche sorta di regolamento in quello “scontro”. Forse pensava che gli avrebbe dato qualche secondo per respirare e per prepararsi a rispondergli con un altro pugno, ma Daryl non voleva combattere.
Quella non era una rissa. Era un pestaggio.
Sferrò un altro pugno in direzione dello stomaco e lo fece cadere a terra con un calcio sul ginocchio. Dopo il terzo o il quarto calcio alle costole, gli altri aiutanti sembrarono risvegliarsi dal loro torpore.
“Hey! HEY!”
Con un altro colpo, più carico, lo fece rotolare in avanti per qualche centimetro. Aveva smesso di provare a rimettersi in piedi.
Lou gli gridò nell’orecchio e in un secondo tre paia di braccia erano avvolte intorno a lui nel tentativo di allontanarlo da Dave. Mentre lo spingevano via, con tutto quel peso contro il suo corpo, non poté far altro che permetterglielo.
Un irritante colpo di tosse li mise a conoscenza del fatto che Dave era cosciente. Continuava a rotolarsi a terra, nel vano tentativo di mettersi a quattro zampe. Nel frattempo, Tony lo aveva lasciato andare per correre verso il suo amico e aiutarlo a rimettersi in piedi, confidando che Len e Lou riuscissero a tenerlo fermo.
“Lo devi portare via da qui, hai capito?!”, tuonò Daryl. “Se ti vedo di nuovo da queste parti...”
Dave alzò la testa. Dopo il primo pugno, Daryl non ricordava di averlo colpito in faccia, ma a giudicare dal suo labbro spaccato, doveva averlo fatto eccome. Il sangue, mischiato alla saliva, gli scorreva sul mento.
“...Ti ammazzo.”
Si allontanò da Len e Lou e si girò di scatto, attento a non dare le spalle a nessuno di loro nel caso decidessero di ricambiarlo, anche se lo dubitava fortemente, eccezion fatta per Dave che, dal modo in cui ansimava, doveva avere qualche costola rotta, forse al punto da avergli forato un polmone. Aveva già sperimentato quella ferita, una volta. Bruciava come l’inferno e rendeva decisamente improbabile l’idea di controbattere.
Mentre se ne andava, non riusciva a calmarsi. Mettere Dave fuori combattimento non lo aveva aiutato a scaricare del tutto la tensione. Certo, era stata una soddisfazione e doveva accadere, ma la tensione non si era neanche attenuata, anzi: era terrorizzato.
L’aveva fatta grossa. Avrebbero fatto due più due, avrebbero capito senza mezzi termini che genere di uomo era davvero. L’avrebbero costretto ad andarsene, l’avrebbero cacciato per aver prima messo le mani addosso a Beth e poi per aver preso a pugni Dave.
L’avrebbero condannato e ne avevano tutto il diritto.
L’unica pace che poteva trovare in quel momento risiedeva in un unico, stridente pensiero.
Per la contadinella ne vale la pena.

 

●●●

 

Nessuno lo sapeva ancora, quello che stava davvero succedendo. Beth poteva leggere la confusione sui loro volti, poteva praticamente sentire i loro pensieri, mentre cominciavano ad esporre le loro teorie. Doveva mettere fine ai loro dubbi e alle loro preoccupazioni, e doveva farlo in quel momento.
Dovrei solo vuotare il sacco e raccontare tutto, pensava, ma poi continuava a stare zitta.
Dopo averla lasciata sul portico insieme a sua madre e a Patricia, Otis aveva insistito per parlare prima con suo padre, da solo.
Le due donne sedevano accanto a lei, e i loro volti erano visibilmente turbati e cupi. Evidentemente, stavano prendendo il suo silenzio come un cattivo auspicio. Non era da lei starsene zitta quando sapeva qualcosa di cui anche loro avrebbero voluto essere messe al corrente. Se non stava dicendo nulla, doveva esserci una ragione. Non si risparmiarono di farle qualche domanda, ma non riusciva ancora ad aprire la bocca.
La sua mente era altrove, mentre cercava di immaginare che cosa stessero combinando con Daryl in quel preciso istante.
Sputa il rospo, ragazza, si ripeteva, ma il suo nervosismo ebbe la meglio. La sua famiglia non era ancora pronta. Anche se si stavano muovendo nella direzione giusta, non avevano ancora centrato il punto.
Non sapeva neanche se lei e Daryl, fossero pronti.
Magari sarebbero riusciti a guadagnare un altro po’ di tempo. Magari Dave non sarebbe riuscito neanche a parlare, perché Daryl gli avrebbe spaccato la mascella o qualcosa del genere.
Nello stesso istante in cui Otis e suo padre ricomparvero sul portico, tutti gli aiutanti, meno che Daryl, uscirono dalle stalle. Erano tutti intorno a Dave, il cui volto- e probabilmente no solo quello- era rovinato. Camminava in modo instabile, stringendosi un fianco.
Annette si portò una mano alla bocca. “Che cosa gli è successo?”
“Oh!” Anche Patricia lo vide. “Sta bene?”, gridò, facendo qualche passo verso i gradini.
“È solo ciò che merita”, disse Otis alzando la voce, in modo che tutti gli aiutanti potessero sentirlo. Posò una mano sulla spalla di sua moglie mentre la superava sugli scalini, facendosi largo tra tutti loro. “Dov’è Daryl?”
“È andato dritto verso la postazione di guardia”, disse uno dei nuovi. A Beth pareva che si chiamasse Len, ma non ci aveva mai parlato. Tutti gli altri stavano aiutando Dave a raggiungere la sua buik bianca.
Otis s’incamminò in direzione del punto dove erano soliti svolgere i turni di guardia notturna, senza voltarsi indietro.
“È stato Daryl a ridurlo in quello stato?!”, gridò Annette, facendo oscillare lo sguardo tra le ferite di Dave e il viso della figlia.
Nessuno le diede una risposta, ma sentirono Lou dire a Tony: “Portalo al pronto soccorso. Il suo polmone non è messo bene.”
Annuendo, l’uomo caricò Dave in auto e partirono.
“Vorrei solo chiarire che quello che è appena successo non riguarda nessuno di noi.” Len si tosse il cappello e se lo passò tra le mani. Si era avvicinato al portico insieme a Lou, ma non avevano superato i tre metri di distanza. “Non ne sapevamo niente di niente. Nessuno di noi, neanche Tony.” Fece un cenno a Beth, ma sembrava piuttosto spaventato nel guardarla in faccia più del dovuto.
Sia Annette che Patricia presero a fissarla, mentre Lou e Len cominciavano ad allontanarsi dalla casa. Non riusciva a sopportare il peso di quegli sguardi. Se prima non avevano la più pallida idea di quello che stava succedendo, adesso non sarebbe passato molto tempo prima che lo intuissero.
E se Daryl fosse andato al suo accampamento per raccattare la sua roba e andarsene?
Al solo pensiero, Beth scattò in avanti, ma suo padre la fermò.
“Beth, vieni qui”, disse, facendole cenno di seguirlo in soggiorno.
Affrontare le conseguenze delle sue azioni per quelle che erano, quella volta, non fu tanto semplice. Non era mai stata una bambina violenta e, una volta cresciuta, non aveva mia dovuto utilizzare quei muscoli. Avrebbe solo voluto che le circostanze fossero state diverse, e che ci fosse Daryl accanto a lei a tenerle la mano. Alzò lo sguardo sul viso gentile e comprensivo di suo padre, diventato improvvisamente duro e severo come il ghiaccio.
“Penso di esserci arrivato da solo, Bethy, ma se sbaglio mi correggerai, va bene?” Aveva la voce bassa, gentile, anche se il suo volto trasudava un mare di rabbia repressa.
Continuando a lottare con il nodo che le stringeva la gola, Beth poté solo annuire.
“Ho parlato con Otis e mi ha detto che ha visto Dave uscire dal fienile, e che poco dopo sei uscita anche tu e sembravi arrabbiata. Non ti sto chiedendo di dirmi cosa ti ha fatto o ti ha detto, ma se te la senti, ti ascolto.”
Si fermò per qualche secondo, dandole il tempo per rispondere. Era chiaro come il sole che volesse sentire qualcosa da lei, ma continuò ad osservare il pavimento tra di loro, in attesa che riprendesse a parlare.
“Hai detto ad Otis che avevi bisogno di parlare con me e lui ti ha indicato il granaio dove stavamo aiutando quella mucca con il parto, ma io me n’ero già andato. C’era solo Daryl. Così, sei crollata e gli hai raccontato quello che è successo, qualsiasi cosa sia. Quando Otis ti ha raggiunta, l’ha visto mentre ti consolava.” Suo padre usò le punte delle dita per sollevarle il mento e riuscire a guardarla negli occhi. “Poi Daryl se n’è andato, lasciandoti con Otis e, stando a quello che hanno detto gli altri aiutanti e quello che sono riuscito a vedere con i miei stessi occhi, ha pestato Dave in un modo piuttosto impressionante.”
“Stava solo cercando di proteggermi”, riuscì a dire, con la gola ancora bloccata. Con un respiro profondo, sentì parte della tensione scivolare via dal suo petto. La rabbia di suo padre era chiaramente riservata a Dave, anche se non conosceva ancora tutti i dettagli della faccenda.
Sospirando, Hershel le diede una pacca sulla spalla e si voltò a guardare fuori dalla finestra, mettendosi le mani in tasca. “Tutto questo potrebbe mettermi in seria difficoltà, Bethy. Pensi che Dave andrà dalla polizia?”
Beth scosse prontamente la testa. Una risata senza umorismo sfuggì alle sue corde vocali. “No.”
Dave sapeva fin troppo bene che un eventuale colloquio tra Beth e la polizia l’avrebbe messo nei casini anche di più di quanto aveva già fatto Daryl.
“E noi? Dobbiamo andare dalla polizia?” Hershel la osservò attentamente mentre continuava a scuotere la testa.
“Non è un problema così grande”, disse con fermezza.
Suo padre mantenne uno sguardo severo. “Ne sei sicura?”
“Dave è solo uno sbruffone, non c’è bisogno che venga rinchiuso. Magari, in futuro ci penserà due volte prima di agire.”
Tirando un respiro di sollievo, Hershel si rilassò leggermente. “La situazione è ancora difficile, ma penso che dopo una piccola chiacchierata con Daryl, riusciremo a chiuderla qui.”
“Una… chiacchierata?” Beth sbatté ripetutamente le palpebre. Non aveva lo stesso intuito di sua madre, ma era ugualmente acuto, anche se fino ad allora non aveva mai manifestato nessun sospetto che potesse esserci qualcosa tra lei e Daryl. Forse avrebbero avuto più tempo, forse sarebbero riusciti ad andare oltre i termini prestabiliti.
“Sono combattuto, perché come qualsiasi uomo d’affari non dovrei tollerare che i miei dipendenti usino la violenza, ma in questo caso...”, rise brevemente, “...non so se punirlo o dargli un aumento, Bethy. Otis dice che lui avrebbe fatto esattamente lo stesso, se ti fossi rivolta a lui.”
Con un sospiro cauto, Beth si sentì come se avesse riacquistato la capacità di pensare lucidamente. Se suo padre credeva davvero che ci fosse qualcosa in più dietro le azioni di Daryl, oltre alla semplice fedeltà alla fattoria dei Greene e al testosterone, le stava dando il beneficio del dubbio… oppure, l’opportunità di dirgli la verità senza che fosse lui a chiedergliela.
Aveva solo pochi secondi per decidere che cosa fare, altrimenti il suo silenzio sarebbe cominciato a sembrare sospetto.
Non era il momento giusto. Non erano ancora pronti.
“Ha sicuramente un carattere difficile… ma è leale, verso la fattoria e verso di noi. Proprio come Otis.”
Hershel annuì, continuando ad esaminarla con lo sguardo.
“Ero così preoccupata che l’avresti cacciato, se non avessi tenuto la bocca chiusa...”, ansimò, ma stava andando decisamente in un’altra direzione. Ora che aveva la consapevolezza che stava andando tutto bene, le lacrime erano ormai lontane.
L’espressione di suo padre si addolcì, illuminata da una nuova consapevolezza: credeva che la ragione per cui era stata così silenziosa e impaurita fosse il fatto che si sentisse responsabile. Lui non lo sapeva, non aveva idea del reale senso di colpa che le stringeva il petto come una morsa. E non aveva nessuna intenzione di mandarlo via.
Daryl, d’altra parte, doveva già essersi allontanato e, quando se ne ricordò, ebbe un piccolo tuffo al cuore.
“Devo...”, cominciò a dire, girandosi di scatto. Era pronta a correre per andare a cercarlo e impedirgli di rimettere dei paletti tra loro, ma quando giunse alla porta d’ingresso e guardò fuori, lo vide insieme ad Otis. Stavano camminando in direzione del portico.
Patricia e sua madre li avevano già notati e stavano correndo verso di loro. Erano ancora abbastanza distanti, quando Beth cominciò ad osservare l’atteggiamento guardingo di Daryl. La sua solita camminata era più esitante, le spalle rigide e la testa china. Quasi sicuramente, si stava mangiucchiando le labbra. Otis teneva una mano sulla sua spalla, forse nel tentativo di rassicurarlo, ma sembrava ancora che si aspettasse che qualcuno potesse colpirlo da un momento all’altro.
Avvicinatasi abbastanza, Annette rallentò, come se si stesse presentando a un animale selvaggio pronto a fuggire. Quando fu neanche a un braccio di distanza, lo strinse in un abbraccio rapido e vincolante. La rigidità che gli opprimeva le spalle e la schiena si allentò visibilmente. Quando sua madre lo lasciò andare, Beth notò che stava cominciando a rilassarsi, muscolo dopo muscolo. Doveva aver capito che nessuno sembrava avere ancora l’intenzione di lapidarlo.
Quando lei e suo padre li raggiunsero, Otis stava raccontando più nel dettaglio a sua madre e a Patricia quello che era successo, mentre Daryl se ne stava a qualche metro di distanza senza incontrare gli occhi di nessuno, inclusi i suoi.
Appena si accorsero dell’arrivo di Hershel, smisero di parlare. Beth riuscì a catturare solo le ultime parole del loro discorso: “Onestamente, so che le cose non funzionano più così, ma certe volte scontrarsi faccia a faccia come i vecchi tempi non è poi così male...”, aveva detto Otis. Patricia rise nervosamente; il volto di sua madre era ancora dispiaciuto, ma si sforzò di fare un sorriso.
Uno ad uno, si voltarono a guardare il padrone di casa. Tutti tranne Daryl, che invece stava finalmente guardando Beth con un’insicurezza nuda e cruda.
“Daryl, vieni. Andiamo a farci un giro.”
Nonostante quello che avesse detto a Beth poco prima sull’aumento, suo padre aveva utilizzato un tono piuttosto autoritario. Di certo, la sua non era stata una domanda. In quel momento stava interpretando due ruoli diversi, e Beth non lo invidiava per la scelta che avrebbe dovuto compiere. Era come se si sentisse grato e indignato nello stesso tempo.
Cominciarono ad allontanarsi insieme, ma lei non voleva lasciarlo andare via così, non dopo quello che aveva fatto e quello che aveva dovuto passare. Tra l’altro, se mai la sua famiglia li avesse scoperti e avesse accettato il fatto che stessero insieme, era giunto il momento di dar loro una vaga idea.
“Daryl, aspetta!”
Corse verso di lui e gli circondò il petto con le braccia, attenta a non far sembrare quel gesto troppo intimo, provando a dimenticare che l’aveva fatto almeno un’altra dozzina di volte. Cercò di renderlo un abbraccio abbastanza goffo, per il bene dei presenti, e Daryl era un esperto di abbracci goffi. Non ebbe neanche bisogno di fingersi imbarazzato mentre lei lo abbracciava davanti ai suoi genitori, a Otis e a Patricia. All’inizio fu come avvolgere una roccia, tranne per il fatto che quella roccia aveva un battito cardiaco che cominciò a spezzare il silenzio non appena ci posò l’orecchio sopra. Lentamente, lasciò scivolare le mani sulla sua schiena. Subito dopo, lo lasciò andare e gli rivolse un sorriso smagliante, senza dire una parola. Era stato egregiamente bravo nel recitare la sua parte, continuando a mangiucchiarsi nervosamente il labbro inferiore e ad annuire, prima di tornare da suo padre.
Con una difficoltà senza precedenti, Beth si sforzò di non rivolgere lo sguardo ai suoi genitori per scoprire le loro reazioni. L’avrebbe reso solo ancora più sospetto. Allora si limitò a fare un passo indietro per rimettersi tra Patricia e Annette e a fare del suo meglio per fingere che abbracciare Daryl dopo che aveva letteralmente fatto il culo a un idiota fosse la cosa più naturale del mondo.
Quando cominciarono a rientrare a casa, si arrese e spostò lo sguardo sul viso di sua madre. L’espressione di Annette non era cambiata molto rispetto a prima; indossava ancora quella stessa maschera preoccupata e riflessiva. Ricambiò lo sguardo della figlia e incontrò i suoi occhi. Beth era decisamente in ansia per la miriade di domande che galleggiavano al loro interno, ma sua madre aspettò che fossero sole in cucina per cominciare a chiederle qualcosa.
“Che ti ha detto Dave?” Annette piazzò un bicchiere d’acqua davanti a lei, che stava seduta di fronte alla tavola con le gambe strette al petto e le braccia avvolte intorno alle ginocchia.
“Non ho nessuna voglia di ripeterlo”, fece una smorfia.
“Ma l’hai ripetuto a Daryl.” Sua madre inarcò un sopracciglio.
Beth si strinse nelle spalle e fece un sorso. “Ero arrabbiata.”
“Ora stai bene?” Il suo tono materno era dolce e naturalmente preoccupato, ma riuscì comunque a cogliere quella vena indagatrice alla Sherlock con cui la stava fissando. Era un gioco pericoloso, provare a convincerla di qualcosa che non corrispondeva al vero.
“Beh”, Beth arrossì e non si sforzò più di tanto per combattere un sorriso. “Devo ammettere che è stato soddisfacente vedere Dave conciato così. So che è sbagliato, ma mi ha fatto sentire meglio”, ridacchiò nervosamente.
Sua madre sembrava ancora dubbiosa, ma allo stesso tempo era chiaro che non volesse pressarla più di tanto per estrapolare la verità. Per un momento, Beth pensò a quello che avrebbe dovuto dirle se avesse deciso di essere completamente onesta: “La verità è che avevo paura che voi scopriste che io e Daryl ci siamo visti di nascosto per tutto questo tempo e che l’avreste cacciato dalla fattoria. Ora sto meglio, perché non è successo. In ogni caso, Daryl è fantastico e questa storia mi sta trascinando come una valanga.”
Se sua madre avesse potuto leggerle nella mende, le sopracciglia le sarebbero sparite sotto la frangia, i suoi occhi si sarebbero spalancati e la sua lingua ben praticata avrebbe cominciato a sparare ipotesi a raffica finché non sarebbe crollata.
“Beh, adesso non dovremmo gioire delle sofferenze di Dave”, disse solo, limitandosi a far trasparire un lieve disappunto.
“Già, a Gesù non piacerebbe.” Beth dovette combattere una risata.
Annette le fece l’occhiolino. “No, decisamente no.”

 

●●●

 

Cosa diavolo ha questa gente che non va?
Da quando aveva cominciato a lavorare alla fattoria dei Greene, quelle parole gli erano frullate nella mente più di una volta.
Erano così felici, dannazione.
Non erano perfetti, né si preoccupavano di fingere di esserlo, come molte altre famiglie invece facevano. Sapeva perfettamente che anche loro avevano i loro problemi, e le loro liti, così come riusciva ad accorgersi quando Hershel era stressato per qualcosa di personale. Aveva sentito quella nota atona persino nella voce di Otis, quando magari avrebbe voluto passare più tempo con sua moglie. Anche Beth aveva i suoi momenti di irascibilità quando le cose non andavano come avrebbe voluto, ma nonostante ciò non si permettevano mai di uscire fuori pista. Non avevano mai lasciato che i loro problemi li rendessero cattivi. Erano pur sempre una famiglia e, anche nei loro momenti più egoistici, non lo dimenticavano mai, neanche per un secondo. Daryl era ancora molto distante da tutto quello, quindi si limitava ad osservarli con un pizzico di invidia.
Erano passate due settimane dall’incidente di Dave e, sfortunatamente, per tutto quel tempo non era riuscito a vedere Beth più di tanto. Durante la settimana, era sempre più difficile riuscire a ritagliarsi degli spazi per stare insieme, ma allo stesso tempo, per Daryl, era giunto il momento di prestare il doppio dell’attenzione. Non voleva abbandonarla, ma sarebbero stati due folli se avessero ignorato i rischi che correvano ogni volta che sgattaiolavano via insieme. Erano sotto gli sguardi degli altri aiutanti; erano sotto gli sguardi della sua famiglia. L’intera faccenda di Dave non sarebbe mai successa se lui non avesse lasciato che le cose diventassero così ovvie.
L’unico momento significativo che erano riusciti ad avere insieme, in quelle due settimane, fu la domenica precedente, dopo un’altra ora di messa trascorsa ad ascoltare il parroco blaterare qualcosa su Adamo ed Eva nell’Eden, ad osservare i capelli di Beth che brillavano come se fosse avvolta in una sorta di cerchio di luce, e ad aspettare che cantasse. Dopo, si erano finalmente incontrati nel fienile, ma nessuno dei due aveva avuto una gran voglia di parlare. L’aveva semplicemente stretta a sé, e Beth non aveva detto nulla su Dave o su quello che era successo. Daryl aveva detto solo tre parole: “Che gran coglione.”
Era stata una brutta storia ed era finita.
Quando anche la settimana seguente giunse al termine, però, aveva cominciato ad aver bisogno di trascorrere del tempo con lei nel senso proprio del termine, e l’opportunità di farlo gli era stata piazzata davanti sottoforma di un piccolo problema organizzativo: era venuto fuori che la grande asta di beneficenza sarebbe capitata lo stesso finesettimana del matrimonio di un amico di Hershel. Daryl non si sarebbe mai sognato di considerare nessuno dei due eventi come qualcosa di realmente problematico, così come non riusciva a capire perché per loro fosse così difficile scegliere tra una delle due noiosissime alternative. Alla fine, avevano deciso che Hershel e Annette sarebbero andati al matrimonio, mentre Otis e Patricia avrebbero rappresentato la fattoria all’asta, per poi raggiungerli con una piccola evasione. La diretta conseguenza di quella decisione fu l’affidamento delle redini della fattoria a Beth per l’intero finesettimana, cosa a cui Daryl non aveva mai assistito fino a quel momento.
“Forse potrei chiedere a Shawn di venire qui… solo per questo finesettimana.”
Hershel teneva la voce bassa e si guardava intorno, come se sospettasse che Beth fosse abbastanza vicina da poterlo sentire e scoprire che aveva seri dubbi a lasciarle il comando tutta da sola, anche solo per due giorni. Stava discutendo con Otis alla ricerca della soluzione perfetta, a pochi metri dal suo stesso furgone, sotto il quale Daryl stava armeggiando per risolvere un problema con l’olio motore.
“Io e Patricia potremmo restare in città...”, iniziò Otis.
“Lei non vede l’ora di farlo. Non vorrai mica affrontare la sua ira al posto mio...”, disse Hershel lentamente.
“È solo che sarà una grande responsabilità, per Beth, dirigere la fattoria, anche se solo per un paio di giorni. È ancora… una ragazzina, giusto?” Otis ebbe il buonsenso di non esserne poi così tanto sicuro. “Anche se facessi venire Shawn… sai meglio di me che lui è anche peggio quando si tratta di queste cose”, aggiunse ridacchiando.
Ancora sotto il veicolo, Daryl cercò di origliare il più possibile, il che significava impegnarsi nel vano tentativo di svitare il tappo in silenzio, o almeno fermarsi ogni tanto per cogliere le parti più significative del discorso. Tuttavia, dopo alcuni secondi di buio e suoni ovattati, si arrese e decise di andare avanti con il suo compito. Distogliendo l’attenzione da loto, cercò con la massima cura di rimettere quel tappo al suo posto per non peggiorare lo sgocciolamento di benzina che si stava riversando sul terreno, e uscì da sotto la vettura, cercando di battere via dai suoi pantaloni e dalle mani gran parte della polvere.
“Perché non ci dai il tuo parere, Dixon? Tu sei l’unico che rimarrà qui, in un modo o nell’altro”, gli suggerì Otis, indicandolo ad Hershel con una mano esausta, dalla cui presa stava per sfuggire anche lo stesso guanto da lavoro.
Preso alla sprovvista, Daryl scrollò le spalle e si schiarì la voce. Voleva solo ascoltare, mica intervenire con la sua opinione.
“Chi c’è di guardia questo finesettimana?” Hershel gli pose una domanda migliore, avendo percepito il suo imbarazzo.
“Staserca ci sono Len e Javier, domani io e Lou”, esitò un momento, perfettamente cosciente del fatto che la sua opinione riguardo l’affidamento della fattoria a Beth fosse decisamente prevenuta. Ad ogni modo, sapeva solo che lei voleva che se ne andassero e che la lasciassero da sola, ma lei non era lì e quindi non poteva parlare per sé. Così, cercò di pensare a quello che avrebbe potuto dirgli per convincerli a non preoccuparsene.
“Questo finesettimana è… il solito. La tempesta potrebbe dare fastidio, ma niente che lei non possa gestire. La cosa in più è la guardia notturna, ma il branco ancora non si è fatto vivo. Se avete mai voluto metterla alla prova per un paio di giorni e lasciarla da sola, questo potrebbe essere un buon momento per farlo.” Terminò il suo piccolo discorso con un’altra scrollata di spalle disinteressata, senza incontrare i loro sguardi.
Non aveva detto quelle cose per passare un po’ di tempo da solo con lei.
No, non l’aveva fatto per quello.
Ok, forse solo un po’.
Già, sono proprio una cattiva persona.
“È una brava ragazza e forse è in grado di gestire la fattoria da sola...”, disse Otis con diplomazia, ma i suoi occhi erano ancora socchiusi, e si lasciò sfuggire un sospiro che lasciava solo intendere che ci fosse un grande ma in arrivo. “...Ma lo è anche senza protezione? Non ho nessun problema col fatto che ci sia lei al comando, ma col fatto che debba starci da sola, soprattutto se non l’ha mai fatto prima d’ora.”
“Beh, non sarà completamente da sola”, disse Hershel indicando Daryl.
“Se tutti i nostri aiutanti si chiamassero Daryl potremmo stare tranquilli”, rispose Otis con una smorfia, “ma dopo quello che è successo con Dave...”, tagliò corto, lasciando la frase in sospeso, tanto erano perfettamente in grado di completarla da soli.
Nessuno aveva più menzionato la storia di Dave in quelle due settimane, da quando era finita. Daryl non riusciva ancora a ricordare tutte le parole severe che Hershel gli aveva rivolto dopo che l’aveva picchiato, quando aveva pensato di licenziarlo, ma ne aveva colto il senso: non aveva voluto farlo perché aveva apprezzato la sua rabbia e il suo slancio per difendere la figlia, ma non era così che si risolvevano le cose alla fattoria Greene. E se Daryl voleva restare lì ancora a lungo, doveva rendersene conto. Si sentiva ancora colpevole, iper-teso e pronto a difendersi da qualsiasi attacco, ma si aspettava anche che, prima o poi, il fattore si sarebbe accorto del legame che c’era tra il suo aiutante e sua figlia. Avrebbe notato il suo atteggiamento protettivo e il fatto che, come aveva fatto anche Maggie, la guardava in modo diverso. Se se ne fosse accorto, Hershel non si sarebbe scomposto più di tanto, ma se avesse scoperto il modo in cui Beth si faceva toccare, stringere e baciare da lui, le cose sarebbero state diverse. Lei lo desiderava allo stesso modo in cui lui la desiderava, e se Hershel l’avesse scoperto, questo avrebbe cambiato tutto.
“Già, l’incidente di Dave.” Hershel sospirò, l’angolo della bocca si curvò in una linea sbilenca e gli occhi blu si assottigliarono. “Non riesco a pensare a una dimostrazione migliore della mia incapacità nel proteggere i miei figli”, disse con tono grave, ma allo stesso tempo con una superficialità tale che lo aiutò subito a scacciare via quel brutto pensiero. “Se anche gli altri avessero anche solo pensato di provarci- e voglio dar loro il beneficio del dubbio-, quello che è successo è ancora impresso nella memoria della fattoria. Non credo che avremo ancora problemi.”
Piuttosto convinto, almeno su quell’argomento, Otis rise di nuovo e diede una pacca sul braccio di Daryl, mentre lo superava per tornarsene a casa. “Sono sicuro che farai la scelta giusta, Hershel. Lo hai sempre fatto.”
Il fattore sembrava pensare di non meritare quell’elogio. Infatti, si accigliò e riprese a guardare Daryl, gettando gli occhi al cielo.
Daryl non l’aveva mai visto compiere un gesto così irriverente, e sentì gli angoli della sua bocca sussultare spontaneamente.
Tuttavia, il suo viso si fece di nuovo serio, il cipiglio più profondo mentre emetteva un lento sospiro.
“So che tu e Beth avete infranto le regole della casa.”
Daryl si stava pulendo le dita dal grasso con uno straccio, nel momento in cui Hershel sganciò quella bomba. Sapeva che non si stava riferendo a quei pochi secondi in cui gli aveva parlato di Dave, prima che arrivasse Otis. Si bloccò, lasciando cadere entrambe le braccia e controllando istintivamente se il vecchio non avesse con sé qualche arma a portata di mano.
“Prima di andarsene, Shawn mi ha parlato di quella sera in cui era di guardia e ti ha sparato per sbaglio.”
Rilassandosi leggermente, Daryl si toccò il petto. Il livido era sparito già da qualche settimana.
“Ha detto che Beth ha insistito per darti dei linimenti equini”, ridacchiò e Daryl capì che non sospettava nulla. Ma allora dove voleva arrivare?
“Quando lui ha provato a ricordarle delle regole della casa, Beth gli ha detto «È solo Daryl!», come se questo cambiasse tutto. Più passano i giorni, più è difficile mettere in dubbio il suo giudizio.”
Cominciò ad andarsene, lasciando che quella conversazione finisse là, ma dopo un paio di passi, sospirò e si voltò ancora. “Il fatto è che, Daryl, lei è mia figlia. Potrei anche lasciarla con Otis, Patricia, sua madre, suo fratello, Maggie, te e tutto l’esercito di Gengis Khan a proteggerla, ma io continuerei a preoccuparmi finché non ci sia io a controllare che vada effettivamente tutto bene. Al di là di questo, è sempre più difficile capire cosa le stia succedendo ultimamente. Più crescono e vanno avanti da soli, più è difficile lasciarli andare. Mi preoccupo ogni giorno per Shawn e Maggie, e non so se sono pronto a iniziare a farlo anche con la mia ultima figlia.”
Osservandolo mentre tornava a casa, Daryl si chiese di nuovo…
Cosa diavolo ha questa gente che non va?
Non sapeva in quale altro modo sarebbe potuto crescere se non così com’era, affinato dalla negligenza voluta e dalle innumerevoli percosse. Come era possibile che un ragazzo come lui sia diventato Hershel Greene? Non aveva mai dimenticato quello che Beth gli aveva raccontato su suo padre, la notte in cui si erano conosciuti. Aveva messo insieme altri pezzi della sua storia semplicemente osservandolo nei suoi gesti quotidiani, o attraverso le sue chiacchierate. Quando aveva l’età di Daryl, la sua vita non era poi così diversa dalla sua, ma era un tipo completamente diverso di uomo. Un uomo migliore, sotto molti punti di vista. Non sapeva neanche come avrebbe potuto emularlo, né se volesse farlo davvero.
L’unica cosa che sapeva era che voleva cambiare, e non si era mai sentito così prima d’ora. Tutto il tempo che aveva trascorso con Beth, l’aveva fatto sentire diverso, come se fosse un altro. Prima di incontrarla, non aveva neanche realizzato quanto si fosse davvero stufato di tutta quella merda, di essere Daryl Dixon, nient’altro che un fallito, un signor nessuno allo sbando. Un redneck bastardo con un fratello ancora più bastardo di lui.
Più di ogni altra cosa, aveva paura che quando avrebbe lasciato la fattoria- perché sapeva che prima o poi avrebbe dovuto farlo- si sarebbe ritrovato ad essere di nuovo quel tipo di uomo, e che lo sarebbe stato per sempre.
Finì il lavoro con il furgone e pulì l’olio che era rimasto attaccato. Mentre chiudeva il cofano, guardò il taxi in cui Hershel e Annette avevano già depositato le loro valigie. Con Beth alla direzione della fattoria e quell’ordine implicito di proteggerla, non c’era più modo di tenerli lontani. Non voleva appesantire quell’occasione con le sue paranoie. Voleva solo godersi quel tempo con lei, finché avrebbe potuto farlo.

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