Il Killer di Prostitute

di RoryJackson
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sospetti ***
Capitolo 2: *** Il macellaio ***
Capitolo 3: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Sospetti ***


Londra, 15 Ottobre, 1888.



L'ispettore George Lusk stava rileggendo vecchie copie del giornale con aria assorta e imbronciata. Aveva un diavolo per capello. Seduto goffamente su una poltrona di pelle scura del proprio ufficio, la gamba sinistra accavallata in modo volgare sul ginocchio destro, si massaggiava una tempia. Il dolore alla testa era lancinante.
Aveva detto all'amata moglie che sarebbe uscito per andare a prendere un po' d'aria, come era solito fare da un po' di tempo a questa parte. In realtà la sua destinazione era una sola: l'ufficio di polizia dove lavorava. E, in quel momento, si ritrovava lì a fumare e a sfogliare le vecchie edizioni dei giornali.
Fece un tiro dal suo sigaro e per poco non macchiò di cenere il panciotto di batista a quadroni beige.
E che cazzo, pensò frastornato.
Quella situazione incominciò a farsi pressoché pesante. Erano ormai mesi che lavorava su quel caso e ancora non era riuscito a venirne a capo.
«Merda.» Imprecò. Certo; parole del genere non erano adatte ad un gentiluomo del suo calibro, ma quando si era da soli ogni tanto ci poteva anche stare. Con un colpo secco, quindi, tolse la cenere dal sigaro che andò a cadere proprio al centro di un posacenere lì vicino, dopodiché si grattò la barba fulva ormai infoltita da giorni.
Si sentiva sempre più stanco. Non era più giovane e arzillo come una volta, purtroppo, e gli anni incominciavano a farsi sentire. I folti mustacchi fulvi ne erano una lampante prova.

“Mary Ann Nichols, donna di 43 anni. Uccisa a Buck's Row il 31 Agosto. I medici dicono che il decesso possa essere avvenuto intorno alle 3:45 del mattino...”
“Annie Chapman, donna di 46 anni, è la seconda vittima ufficiale del tanto ricercato assassino. Uccisa proprio stamani, 8 Settembre 1888. Il suo corpo giaceva steso tra la porta e la palizzata, in uno spazio di circa ottanta centimetri. La gola era squarciata e la testa era quasi del tutto recisa dal busto. Il ventre era ap-”
“Il Killer colpisce ancora: Elizabeth Stride, trovata uccisa da un cocchiere!”


Gli assassinii firmati con il nomignolo di quel sadico erano incominciati a fine estate, ma diverse piste e altre indagini dicevano che, forse, il killer seriale era all'opera da un bel po'. Tuttavia, la maggior parte di quelle notizie erano incerte, e quindi potevano servire un bel niente. Con un altro colpo secco tolse la cenere andata formatosi alla punta del sigaro. Ormai, si rese conto, il suo ufficio era appestato dal fetore del tabacco, tanto che neanche più la puzza nauseabonda delle strade, sormontate dal sentore dell'immondizia, polvere e pioggia potevano competere.
Era pieno pomeriggio, ma le nubi così fitte, scure e prossime ad un'acquazzone, degno di un secondo diluvio universale, facevano sembrare che fosse già sera tardi.
Rilesse di nuovo le ultime notizie sui defunti (come se non l'avesse già fatto chissà quante volte), con il solito motivo che si era imposto, ovvero: se avesse letto con attenzione forse gli sarebbe uscito il lampo di genio e avrebbe scovato il colpevole dei misfatti. Ma, oramai, erano solo promesse a vuoto.

Un modus operandi davvero insolito.
Le vittime sono sempre le solite persone.
Soliti posti.


Si alzò dalla poltrona di pelle, e si avvicinò alla propria scrivania in legno massello di qualità, posandovici sopra i ritagli di giornale e le notizie di cronaca nera che tanto gli logoravano il cervello. Non era ancora emerso uno schema verificabile...
Ma no, si disse, non l'avrebbe passata liscia. Quel bastardo.
Rilesse per l'ennesima volta quelle maledette lettere.
Solo una mente traviata poteva avere il coraggio di mandare alla polizia certe informazioni tanto sfrontate. Una era stata mandata al distretto il 25 Settembre di quell'anno; la prima lettera dell'assassino. “Dear Boss”, s'intitolava. E poi la seconda, dove avrebbe annunciato la morte di due donne: Elizabeth Stride e Catherine Eddowes.
Fuori la bistina di ognuna di quelle lettere vi erano questi "M, Sp, 26", a complicare tutta la faccenda.
Doveva proprio divertirsi a prendere in giro la polizia, quel figlio di un diavolo.
Mise le foto in tasca delle vittime accertate deciso a fare - nuovamente - un giro d'ispezione. Indossò il lungo giaccone marrone e mise il cappello a bombetta, prese il grande ombrello per la pioggia e uscì.

***

Destinazione: primo luogo del delitto, Buck's Row.
George mise le mani in tasca. Faceva un freddo cane in confronto al caldo accogliente che c'era nel suo ufficio. Le strade erano quasi deserte, se non per quelle poche carrozze che passavano, e per quelle donne vestite di abiti da pochi danari. Whitechapel era già considerata il luogo dei bordelli governato da uomini e donne di malaffare, ma a causa degli ultimi avvenimenti era ormai considerato un luogo da evitare assolutamente. Erano successi lì gli omicidi, o almeno, erano stati rinvenuti lì i corpi delle donne uccise.
Tutte prostitute.
L'ispettore stava appunto attraversando l'isolato per poi arrivare al luogo dell'accaduto, dove quella poveretta della Nichols era stata ritrovata morta il 31 Agosto.
Erano già passati quasi due mesi, si rese conto George con una certa malinconia e rabbia. Ogni giorno che passava era un fallimento. Ogni giorno trascorso era una sconfitta in più.
Poco importava rimuginarci in quel momento. Doveva fare visita ad una persona, e doveva farlo allora.
In un vicoletto lì vicino c'era una piccola porta. L'aprì e vi s'intrufolò dentro. Sembrava fosse tutto tranquillo, come se non stesse accadendo nulla, o, almeno, nulla di straordinario.
Vi erano delle scale che portavano in basso, quindi le scese.
Quello era il bordello di Buck's Row.
Sembrava un localuccio normale, vi erano tavolini e sedie dal legno non troppo scadente, il palco dove facevano esibire le spogliarelliste in costume, e quelle poche sguattere che pulivano il pavimento in ginocchio. Al bancone vi era il proprietario del locale, il quale, a quanto pare, era rimasto turbato alla vista di George Lusk, ispettore del distretto di polizia di Scotland Yard.
George gli fece un saluto alzandosi e abbassandosi il cappello sulla testa.
«Qual buon vento la porta qui, di grazia?» Chiese il proprietario del locale. «Genoveffa, prepara qualcosa per il nostro ospite.» Urlò poi alla signora che distava a qualche metro da loro. Ma mentre lei stava per andare, George la fermò.
«No, non si scomodi signora.» Disse lui, con l'espressione benevola ed educata che era solito dedicare alle signore. «Ho bisogno di scambiare qualche parola con lei, se non è un problema, signor De Quincey.»
L'espressione del locandiere s'indurì impercettibilmente, poi con gesto noncurante e con un largo - benché falso - sorriso, lo accompagnò ad un angolo del bordello, e si sedettero ad un tavolino traballante. Le sedie scricchiolarono al peso di George, ma lui non ci fece troppo caso.
«Allora, mi dica.» Esordì De Quincey con uno sguardo penetrante. George lo scrutò dapprima, quasi come per studiarlo.
«Conosce questa ragazza?» Chiese, e mise sul tavolino la foto di Mary Ann Nichols, spingendola al lato del suo interlocutore, che rimase pressoché allibito. De Quincey deglutì.
«Chi non conosce questa donna?» Disse lui con un ghigno isterico, senza neanche rendersi conto che stava trattenendo il respiro.
«Non faccia il finto con me, di grazia.» Lo ammonì l'ispettore, «molti mi dicono che lavorava per lei...»
«E questo che cosa significa?»
«Che se non risponderà alle mie domande la metterò nella mia lista dei sospettati.» Esclamò con sicurezza. Quando doveva incutere timore a qualcuno ci riusciva tranquillamente, nonostante i folti mustacchi e l'aria da personaggio benevolo. De Quincey fece una vaga smorfia di disprezzo.
«Non la conosco quella donna.» Mentì.
In realtà la Nichols era una prostituta alle sue dipendenze, ed era ben conosciuta all'interno del bordello come Polly. Era una bella donna, la poveretta, sebbene le mancassero dei denti e fosse un'accanita alcolista. Un vero peccato che fosse stata uccisa in modo così brutale...
«Capisco...» Disse George, cogliendo invece la menzogna del locandiere. «Quindi se le chiedessi di farmi fare un giro d'ispezione all'interno del suo locale, per lei non ci sarebbero problemi, credo.» Continuò in tono di sfida. Adorava mettere a disagio le persone che disprezzava, dovette ammetterlo. De Quincey lo fissò a fondo e indurì la mascella.
«Se crede che sto nascondendo qualcosa, signore, allora si accomodi.» E con un cenno del capo lo invitò ad alzarsi dalla sedia e a seguirlo all'interno delle stanze, dove le donne facevano... quello per cui erano pagate.
Le camere erano lugubri sgabuzzini fetenti e maleodoranti. Erano stanzucce arredate da tavolini, letti e tende da quattro soldi, e si sentiva l'odore dei rapporti che si tenevano da lì a metri di distanza. George arricciò il naso e studiò a fondo l'area, con attenzione e dedizione.
Queste stanze sono vere topaie, non c'è che dire, pensò.
Che cosa avrebbe voluto trovarci? Si chiese, in verità. Tracce di sangue? Organi putrefatti conservati sotto sale? Al pensiero gli vennero i conati di vomito, ma si trattenne dal mostrare il disgusto. Comunque sia, avrebbe voluto trovare qualche indizio per scovare la natura del colpevole per poi arrestarlo e farlo marcire in prigione. Intanto De Quincey lo guardava sempre più ansioso che se ne andasse.
Non c'era niente. Neanche uno straccio di prova. Nulla che possa essere utile.
George si maledì in silenzio mentre il locandiere non poté trattenere un sospiro di sollievo. Non restava che andarsene.
«Mi dica, signor De Quincey.» Esordì l'ispettore, «Da quanto tempo la Nichols lavorava per lei?»
«Le ho detto che non la conosco quella donna. Non ci ho mai avuto niente a che fare.» Esclamò adirato. Fin troppo adirato, per essersi rivolto ad un ufficiale di polizia. Si morse la lingua.
«Quindi lei afferma di non aver avuto Mary Ann Nichols alle sue dipendenze.» Disse lui, alquanto divertito dalla faccia paonazza del suo interlocutore.
«Volevo chiederlo per esserne sicuro. Perché ci possono essere parecchi motivi per fare fuori una persona... Capisce? Può darsi che fosse venuta a conoscenza di fatti segreti che non doveva conoscere. Oppure, può darsi che avesse voluto spifferare gli affari vostri alla Scotland Yard...» Oppure, potrebbe essere che l'assassino abbia voluto toglierla di mezzo perché è semplicemente un pazzo sadico, ma si trattenne dal dire quest'ultima frase, troppo sdegnosa per essere pronunciata ad alta voce. E poi voleva vedere la reazione di De Quincey.
«Mi creda signor Lusk, non so con quali propositi sia venuto qui, e sotto quali accuse, ma io e mia moglie siamo rispettabili signori proprietari di un semplicissimo locale. Quindi, se vuole scusarmi, di grazia...» Disse trattenendo la rabbia. Quasi gli uscivano sbuffi di fumo talmente fosse paonazzo in viso. Fece un vistoso cenno reverenziale con il capo e lo invitò ad uscire.
George Lusk se ne andò via dal locale, e con un'aria pressoché divertita, nonostante gli avvenimenti, prese un sigaro dal suo astuccio di latta e incominciò a fumare indisturbato.

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Capitolo 2
*** Il macellaio ***


Londra, 16 Ottobre, 1888



L'ispettore George Lusk era nella sua camera da letto, sdraiato accanto alla moglie. Avevano fatto l'amore la sera prima e quindi erano nudi sotto i pesanti piumini. Lei dormiva beatamente, distesa su di un fianco, i lunghi capelli che andavano ad estendersi per tutto il cuscino. Lui, invece, era disteso come una corda di violino, il cuscino rialzato, in modo da permettergli di leggere qualcosa. Sentiva una strana sensazione, come se da lì a momenti sarebbe successo qualcosa, anche se non avesse saputo dire cosa. Ormai si aspettava di tutto.
Da tempo non riusciva a dormire bene. I corpi squarciati di quelle donne continuavano a balzargli nella testa, e pensare che quel pazzoide sadico fosse ancora a piede libero era una fonte di grande disperazione. Si chiedeva quando avrebbe colpito ancora, e se sarebbe stato più brutale dell'ultimo assassinio.
La città era tutta in subbuglio per le recenti uccisioni. Non vi era più pace nelle strade; il terrore era semitato tra la gente.
Quel giorno si sarebbe dovuto recare alla Scotland Yard di pomeriggio, quindi decise di stare a casa a riposare un po' il cevello, come non faceva da tempo.
Il caso volle, però, che una delle sue cameriere bussasse alla porta con una certa insistenza, e Lusk dovette trattenersi per non imprecare ordinandole di stare zitta. Si limitò ad esclamare un secco ma sonoro: «Un momento, e esco!»
Si vestì in fretta e furia, mettendosi un pigiama qualsiasi e una vestaglia qualsiasi, dopodiché uscì.
Vide la cameriera ad aspettarlo fuori la porta con un'espressione a dir poco sconvolta, e si chiese cosa mai fosse successo. La donna aveva le mani sporche e i capelli, fuori dalla cuffietta, erano così scompigliati da sembrare un groviglio di paglia scura.
«Cosa succede Bettie?» Chiese lui adirato. La cameriera s'affrettò a porgergli una lettera, tutta tremante, il viso sbiancato quasi come se avesse visto un fantasma. Lui la vide, poi posò gli occhi sulla lettera e l'esaminò. Dietro vi erano scritti semplicemente delle lettere e un numero: "M, Sp, 26".
Strappò l'involucro di carta che la copriva e ne lesse il contenuto.
Oh, mio dio... Pensò l'ispettore.
Quando lesse il tutto sbiancò di colpo anche lui, e ringraziò il cielo per essersi svegliato da solo. Se l'avesse visto sua moglie sarebbe svenuta di colpo. Guardò la giovane Bettie con muto orrore, e lei recepì subito il messaggio.
«Sta giù, in salotto, signore.»
Solo questo. Lui corse per la lunga rampa di scale ed arrivò a pian terreno, dove vi era tutta la servitù accerchiata ad un tavolino del salotto. Una di loro era persino svenuta.
George Lusk sentì una puzza terribile di alcol e carne putrida e si avvicinò al barattolo di vetro, coprendosi il naso e la bocca con un fazzoletto pofumato di acqua di colonia, prestatogli dal suo maggiordomo, e con uno sforzo enorme trattenne i conati di vomito che incominciarono ad assalirlo.
«Devo portarlo subito alla Scotland Yard.» Disse lui, con il fazzoletto premuto sul naso. «Devo farlo analizzare da qualche medico.»

***

«Signor Lusk.» Il dottore si avvicinò al baffuto ispettore con sguardo mesto e torvo. «Abbiamo analizzato e constatato che il rene, o almeno... quello che ne rimane, propabilmente apparteneva a Elisabeth Stride, vittima dell'assassino...»
George Lusk fece un lungo sospiro, pullulante di emozioni. Rabbia, paura, sconcerto, orrore. Aveva proprio voglia di fumarsi un bel sigaro.
La stazione di polizia era un guazzabuglio di persone, parole e discorsi di sconcerto e tormento. Il terrore era come se echeggiasse all'interno delle mura della Scotland Yard, e gli agenti erano rimasti pressoché allibiti e disgustati alla vista del rene.

“Dall'inferno.
Mr Lusk,
Signore, vi mando metà del rene che ho preso da una donna. L'ho conservato per voi. L'altro pezzo l'ho fritto e l'ho mangiato, era molto buono. Potrei mandarvi il coltello insanguinato, con cui l'ho tolto, firmato, se solo aspettate ancora un po'.
Prendetemi se ci riuscite, Signor Lusk.”


Così diceva la lettera.
Si era preso persino gioco di lui, quel maledetto bastardo
«Grazie, dottor Smith.» Disse, mentre il suo viso si contorceva in una strana smorfia di disgusto. Si sentiva sconfitto come non mai. Mai gli era capitato di fallire un caso.
Mai.
Doveva trovarlo. Se l'era promesso.

***
Londra, 21 Ottobre, 1888


Erano ormai passati cinque giorni dalla lettera, e l'assassino ancora non si era fatto né vedere, né sentire e né la polizia aveva avuto notizie riguardanti altri assassinii. Che il killer seriale se ne fosse andato indisturbato? Aveva ormai finito le sue opere di persecuzione riguardanti le prostitute? Oppure stava soltanto aspettando buono buono in silenzio, finché le acque non si fossero quietate, per poi colpire più selvaggio che mai?
L'ispettore Lusk se ne stava nel suo ufficio di polizia a fumare uno dei suoi amati sigari, spaparanzato sulla poltrona di pelle, l'espressione neutra. Anzi, più che neutra, si potrebbe dire vuota, senza il benché minimo alito di vita.
La Scotland Yard stava seguendo diverse piste.
C'erano diversi sospettati, che sarebbero potuti risalire all'identità del killer. L'altro giorno, avevano portato alla stazione di polizia un certo Jacob Levy, con la dichiarazione di aver acciuffato il famoso terrorista. Jacob Levy era un omaccione di quarant'anni che aveva contratto la sifilide a causa di un rapporto con una prostituta. Quindi si poteva anche pensare che potesse avere qualche risentimento contro questo genere di donne. Lavorava come macellaio, e il tipo di modus operandi dell'assassino faceva proprio per questo genere di mestiere.
L'avevano messo in prigione sotto l'accusa di tutta la corte, rinchiuso in una cella in isolamento. Molto probabilmente sarebbe morto di lì a pochi giorni, siccome la sifilide progrediva come la peste del trecento sul suo corpo.
In realtà, per quanto le cose potessero combaciare, George Lusk non si sentiva affatto convito di tutto ciò. C'erano tantissimi indiziati, eppure nessuno lo convinceva del tutto.
Sulle pagine del giornale, in prima pagina, vi era scritto: “Catturato il pericoloso assassino. Jacob Levy, quarant'anni...” 
Ma in realtà, l'ispettore, sapeva benissimo che quella era solo una manovra per far scemare la paura e il terrore di uscire di casa.
L'assassino poteva essere un uomo tra i suoi sospettati, questo sì. Ma potrebbe essere stata anche una donna, sebbene fosse difficile pensarlo. Non dopo aver letto quella lettera... Oppure era possibile?
Altro che diavolo per capello, George Lusk stava realmente impazzendo!
Troppi enigmi, troppi sospetti...
Fece un lungo tiro dal sigaro e, con un colpo secco, tolse la cenere andata formatosi.
Il macellaio, davanti alla corte, aveva difeso se stesso, urlando contro tutti e in modo pressoché mostruoso, dicendo di non essere lui l'assassino di quelle donne, sebbene fosse risaputo l'odio che provava per loro. La corte non aveva voluto sentire ragioni. L'avevano condannato all'impiccagione, così come decretava la legge dello stato. Ma, probabilmente, sarebbe morto prima che la sentenza fosse iniziata.
“Allora signor Levy.” Esclamò Lusk, in quella cella umida e desolata, quasi come se avesse voluto annunciarsi. “Lei è stato accusato di aver ucciso quattro donne, i cui nomi sono: Mary Ann Nichols, Annie Chapman, Elizabeth Stride, Catherine Eddowes. Ed è accusato di essersi preso gioco di me e di tutta la Scotland Yard avendo mandato queste.”
Disse mostrando, poi, le lettere.
Jacob Levy quasi pareva non l'avesse ascoltato. Se ne stava seduto su quella brandina sudicia, attaccata al muro da due sostegni in ferro, a fissare il vuoto. La sifilide lo stava proprio riducendo male. Le mani erano brulicanti di bollicine, segno che la malattia stava progredendo a vista d'occhio, e il viso era un cumulo di ulcere. L'ispettore Lusk non osava immaginare cosa vi fosse sotto i vestiti di Jacob Levy. Era uno spettacolo a dir poco orribile.
“Vuole rispondermi, di grazia?” Il suo tono dal parzialmente cordiale e fermo, era passato ad adirato e teso.
Dopo qualche minuto di silenzio decise di parlare.
“Non capisco di cosa state parlando, signore. Io non ho mai mandato né quelle lettere e né ho mai ucciso quelle donne.”
Cos'ha in mente, quest'uomo? Pensò Lusk, mentre il suo sigaro finiva da solo d'incenerirsi. L'ispettore spense la cicca nel posacenere e si avviò alla scrivania dove vi erano poste centinaia di carte, appunti e ritagli.
Le lettere stavano ancora ad esaminare alla stazione di polizia.
"M, Sp, 26", ogni volta che vedeva quei caratteri, Lusk vedeva la soluzione del dilemma.
Avrebbe dovuto scoprire solo "come" interpretare ciò...

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Capitolo 3
*** Epilogo ***


Londra, 8 novembre 1888



Mary se ne stava chiusa in casa sua. La paura si era ormai scolpita nella sua vita.
Era ormai una settimana che non usciva più e la notizia dell'impiccagione dell'assassino non aveva di certo aiutato a debellare i suoi timori. Anzi, sapeva che, prima o poi, lui avrebbe colpito ancora.
Si era chiusa in casa, nella speranza che l'avrebbe lasciata vivere, o, almeno, che non l'avrebbe trovata. Anche se sentiva che lui avrebbe scovato il suo nascondiglio. L'avrebbe presa e...
Mary scese da quel divano da due soldi e si tolse lo scialle di seconda mano. Stava dormendo, o almeno, stava cercando di chiudere un po' gli occhi ormai arrossati dalla stanchezza. S'avvio in cucina e bevve un po' di caffè ormai rancido.
Era notte, probabilmente verso le quattro di mattina, non seppe dirlo con chiarezza. Da giorni, aveva ormai perso il senso del tempo.
Le finestre erano ormai perennemente chiuse, e le tende erano sempre poste davanti, facendo penetrare da fuori poco e niente. La candela era diventata così piccola che si sarebbe spenta da un momento all'altro, e la cenere era colata tutta sul pavimento di pietra, freddo e rotto.
Un fruscio di abiti.
Possibile che...? Pensò la donna, girandosi all'istante, in preda alla disperazione.
Silenzio.
No, non c'era nessuno lì dentro. Probabilmente se l'era immaginato...
Si addentrò nell'oscurità della sua casa e s'avviò in camera sua per poi poggiarsi sul letto. La candela si era spenta. Probabilmente perché si era consumata del tutto, quindi la donna non ci fece troppo caso.
«Mary Jane...» Aveva un tono canzonatorio. La donna scattò in un batter d'occhio mettendosi seduta sul letto, ma l'oscurita rendeva impossibile distinguere tutto. Optò per la domanda più ovvia.
«C-chi sei tu?» Esclamò a voce molto alta, nella speranza che qualcuno la sentisse. L'uomo si avvicinò a passo inesorabile.
«Shhh... È tutto inutile, piccola insulsa. Nessuno può sentirti e nessuno, di certo, verrà a darti una mano.» Disse lui in tono beffardo e maligno.
Le odiava quelle creature. Le odiava a morte.
Lui era ormai a pochi centimetri di distanza da lei, tanto che la donna avrebbe potuto allungare una mano e toccargli il lungo mantello. Ma era troppo impaurita per farlo. Era rimasta paralizzata, impietrita.
Lui avvicinò il viso sulla sua vittima, in modo da vederla meglio.
«Sono il tuo peggiore incubo.»
La donna sgranò gli occhi e l'uomo si avventò inesorabile su di lei. Era finita, lei lo sapeva. Ma, nonostante tutto, cercava di lottare contro il suo aggressore. Tirava calci, pugni, schiaffi. Ma lui era troppo forte e le tenne bloccate le braccia incrociate al petto, mentre l'altra manteneva un qualcosa... Mary Jane capì che era ormai giunta la sua ora. Provò solo un'ultima volta. L'ultimo tentativo di salvare la sua vita.
«ASSASSINO!» Gridò con tutte le forze che aveva.
Dopodiché, lui incominciò a colpirla con l'oggetto appuntito che aveva, più volte, ridendo e ghignando come un ossesso. La squarciava, le dilaniava le carni, la violava quanto più poté.
Poi, il buio.

***

Erano poco dopo le undici di mattina e George Lusk era in piedi, su quel letto, dove giaceva una donna... o, almeno, quello che ne rimaneva. L'aria era intrisa del fetore del sangue ormai secco.

Vittima: Mary Jane Kelly.
Età: 25 anni.
Professione: Prostituta.


L'ispettore appena la vide dovette trattenere diverse volte i conati di vomito, e teneva pressato su naso e bocca il suo fazzoletto di lino profumato. Il corpo era steso supino sul letto, la gola era squarciata, il viso severamente mutilato e irriconoscibile, il petto e l'addome aperti, molti organi interni erano stati rimossi, tra cui polmone e stomaco, i quali erano stati posti sul comodino lì vicino, mentre il cuore era sparito. Il fegato giaceva tra le gambe e l'intestino arrotolato presso le mani. Inoltre era stata asportata la carne che ricopriva gli arti. La vagina le fu asportata con violenza e buttata ai piedi del letto.
Senz'ombra di dubbio, quello fu l'assassinio più terrificante che abbia mai compiuto quel bastardo senza valore.
L'abitazione l'aveva lasciata intatta.
La vittima era stata ritrovata da Thomas Bowyer, l'assistente del padrone di casa dove vi abitava la Kelly, alle 10:45 del mattino.
Gli agenti di polizia fecero la perlustrazione del vicinato e chiesero alcune informazioni ai vicini della Kelly. A quanto pare, negli ultimi istanti di vita della donna, due signore l'avevano sentita urlare "Assassino", ma non fecero nulla per aiutare la povera sventurata, perché, dissero, nell'East End era ormai abitudine sentire quelle grida di notte. Una signora disse di aver sentito rumori per tutta la notte, tipo come qualcuno che entrava ed usciva da quell'edificio ripetutamente, perché non riusciva a dormire. Dopodiché, sentì qualcuno lasciare l'appartamento di Mary Jane Kelly verso le 5:45.
Il fotografo, con grande forza di volontà, dovette trarne uno scatto da portare alla Scotland Yard per poi analizzare la foto. Il corpo sarebbe, poi, stato portato ad esaminare da qualche dottore in modo da trovare segni evidenti di mani o tracce del possibile assassino.
«Ispettore Lusk, signore.» Chiamò sottovoce un suo collega, il signor Collins. George, che si era ritrovato a fissare il volto della vittima ma, allo stesso tempo, era come se non lo stesse affatto vedendo perché perso nei propri pensieri, si voltò verso di lui, e annuì.
La vista era senz'altro orribile, ma un pensiero ancora più oscuro gli era balzato nel cervello. Ovvero: la polizia aveva giustiziato un uomo veramente innocente e poi... il killer seriale era ancora a piede libero e chissà dove si trovava in quel momento.
«Dica signor Collins.» Mormorò distrattamente lui. Il signor Collins si trattenne dal parlare, ma titubante chiese. Una semplice ma devastante frase.
«È andato tutto storto, vero?»

***

Ormai era calata la sera, Joseph Bernett uscì dal suo appartamento e aveva l'aria di essere tutto pimpante e pieno di energia. Il cielo era stranamente limpido e macchiato di stelle.
Vestito con un completo classico di prima mano, acquistato dopo aver trovato lavoro come onesto banchiere, nascosto da un lungo cappotto scuro, si avviava tranquillo e spensierato lontano da Miller’s Court (abitava nella 26 Dorset Street) in Spitalfields, per andare ad una serata di gala, organizzata da un suo amico.
Si accese un sigaro e incominciò a fumare indisturbato, senza neanche un minimo di rimorso.
Ma, prima di tutto, sarebbe dovuto passare da una persona, per consegnarle una cosa.
Il sorrisetto stampato sul viso, e lo sguardo vagamente psicotico, Joseph - l'ex pescivendolo di Spitalfields - camminava a passo disinvolto, e la testa alta con il bastone da passeggio in legno d'acero, il cilindro su capo, e il viso fresco e senza barba sembrava un giovane imprenditore.
In giro vi erano solo gruppi di persone, che camminavano a passo svelto. Per il resto, la gente usava la carrozza per trasportarsi da un posto all'altro. L'incubo dell'assassino era ancora in circolazione, appurò Bernett, e lo sarebbe stato ancora per un bel po' di tempo. Evidentemente gli assassinii rimarranno nella storia, e costui non sarebbe mai stato trovato.
Joseph Bernett fece una smorfia.
Si ritrovò di fronte ad una modesta villetta a tre piani. L'insegna diceva "Lusk", e capì che era arrivato a destinazione.
Mise la mano nel giaccone, ed estrasse una lettera.
La mise in un contenitore lì vicino, il raccoglitore della posta dei signori Lusk.

“M, Sp, 26.
Game over Mr Lusk,
By Jack The Ripper.”

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Angolo dell'autrice:
Allora, vorrei prima di tutto voglio dire che le persone di questo racconto sono tutte realmente esistite e i fatti sono realmente accaduti, ma ci sono piccole precisazioni che devo fare. Prima di tutto George Lusk non era un semplice ispettore ma il capo della Commissione di Vigilanza di Whitechapel. Non è mai esistito un Bordello a Buck's Row, né il "signor De Quincey". Questa è tutta fantasia dell'autrice. I dialoghi e i fatti sono un misto tra realtà e immaginazione.
Grazie Wiki che esisti :'D

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