Your words

di Love_My_Spotless_Mind
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


L'immagine può contenere: 2 persone, persone in piediCapitolo I:


Choa tornava in dormitorio dopo una giornata trascorsa tra photoshoot e palestra. La casa discografica possedeva un agglomerato di appartamenti appena poco distante dalla sede principale. Lei e le altre ragazze del gruppo alloggiavano tutte insieme in modo che per i manager fosse ben più semplice gestire i loro impegni. Nelle palazzine tutt’attorno alla loro alloggiavano gli attori meno conosciuti, che quindi non potevano ancora permettersi un lussoso appartamento in centro, o i componenti degli altri gruppi quando erano in fase di promozione. Si era rivelato estremamente comodo per tutti loro alloggiare così vicino al lavoro. Soprattutto, ormai si era abituata ad abitare con le sue compagne, condividendo ogni momento della giornata e trovando conforto quando ne aveva bisogno.
Era di fronte all’ascensore quando incontrò Jonghoon, il chitarrista degli Ft Island, mentre usciva per una passeggiata.
Jonghoon, un tipo piuttosto taciturno, con quell’aria da artista schivo e poco espansivo. Lui e Choa erano sempre stati piuttosto complici, probabilmente anche a causa della loro età: erano circondati da colleghi più giovani di loro. Si erano presi in giro a vicenda chiamandosi “vecchietti” e si erano dati consigli spesso perché capitava che scoprissero di vivere situazioni molto simili. Tuttavia, non capitava spesso d’incontrarsi con tutti gli impegni che avevano.
-Ti tieni in allenamento? – domandò lei richiamando la sua attenzione, con uno di quei sorrisi solari che erano tutti suoi. Jonghoon alzò lo sguardo e la vide, si accorse solo allora di essere nuovamente con la testa fra le nuvole, non riuscendo a scorgere chi aveva attorno. – Eh l’età avanza… - scherzò lui com’era suo solito fare. Choa diede uno sguardo oltre la vetrata del piano terra. Il cielo sembrava uggioso, con delle grandi nuvole colme di pioggia all’orizzonte. – Mi raccomando non prendere freddo. – l’ascensore era arrivato, lo salutò con la mano mentre le porte si chiudevano.
I loro rari incontri erano per lo più di questo tipo. Si vedevano, scambiavano poche parole, dei sorrisi e niente di più. Questo era dovuto principalmente agli impegni del gruppo di Choa, le AoA, che erano sempre in giro a filmare programmi, scattare fotografie, fare le prove, preparare i numerosi comeback. Jonghoon, invece, era spesso in Giappone per i concerti degli FT Island, oppure trascorreva molto del suo tempo a suonare o lavorare nella sala di registrazione. Erano poche le occasioni per vedersi.
A seguito di quegli incontri fugaci, però, Choa si accorgeva di averlo impresso nella mente. Non era una presenza pressante ma piuttosto un barlume che restava lì, a riempire di luce gli avvenimenti della giornata. Quella volta non fu certo diversa. Entrò nel dormitorio, dove le ragazze gironzolavano per l’appartamento, alcune avevano già cenato mentre altre guardavano la tv. Choa le salutò sorridente, si sfilò il cappotto e si chiuse in bagno dove riuscì finalmente a fare una doccia. Sotto il getto d’acqua calda Choa ricordò di averlo visto con in dosso la tuta; non capiva dove potesse trovare la voglia di correre sul fare della sera, lei non ci sarebbe mai riuscita. Mentre si asciugava fuori dalla finestra batteva la pioggia ed in cuor suo sperava che fosse rientrato a casa, che stesse al caldo.

Infilatasi un pigiama caldo e voluminoso si concedesse del relax. Alla radio stavano mandando una playlist di canzoni romantiche, alcune erano di qualche anno prima, le ricordavano i tempi della scuola, il primo bacio impacciato, le prime sensazioni. Molto tempo era passato da allora. D’un soffio. Da ragazzina aveva immaginato che l’adolescenza sarebbe stata ricca di novità e di batticuore. Non era stato così. S’era accorta d’essere grande all’improvviso. Poi era arrivato il lavoro, giornate intense senza più tempo per fantasticare. Da un giorno all’altro il futuro tanto atteso era arrivato e nemmeno se n’era resa conto. Quanto trovava un momento di relax riaffioravano sempre pensieri di questo tipo. Alla radio davano “Hero” di Enrique Iglesias, quanti anni erano trascorsi. E lei che aveva fatto in tutto quel tempo? Un agglomerato di aneddoti riaffiorò confuso nel ricordo. Attorcigliandosi le coperte attorno scoprì di star canticchiando. Si strinse al cuscino pensando di essere a dir poco ridicola a riscoprirsi tanto romantica, così, d’improvviso.  Jonghoon riapparve nella sua mente quando lei chiuse gli occhi; fuori pioveva a dirotto, chissà se stava riposando.


Arrivò l’inverno, erano in gran fermento i preparativi per la Fnc Kingdom in Giappone, il grande concerto annuale che racchiudeva tutti i componenti della casa discografica. Le prove erano estenuanti. Ogni giorno c’erano aspetti da perfezionare, particolari a cui far caso. Bisognava badare agli sguardi, all’espressione del viso. Ogni passo doveva essere perfetto. Inoltre Choa doveva tenere ben allenata la voce, anche con il freddo. Alcune di loro imparavano la coreografia particolarmente in fretta, tra queste c’erano Chanmi e Hyejong, sempre perfette. Choa si sentiva decisamente affaticata. Sapeva che i fan avrebbero fatto caso ad ogni particolare, bisognava dare il meglio di sé.
A sera, quando ormai le altre avevano deciso di andare in palestra o di riposare a casa, lei aveva finalmente il tempo per curare l’esibizione. Si diresse nel bar vicino alla sala di registrazione, si sedette ad un tavolino con del thè caldo davanti, prendendo appunti sullo spartito. Non aveva nemmeno potuto mangiare qualcosa per cena, lo stomaco le brontolava.
-Studi a quest’ora? – qualcuno le si era fatto vicino e sbirciava i suoi appunti.
Lei alzò lo sguardo ed appena vide Jonghoon si sentì rincuorata, almeno poteva chiedergli qualche consiglio sull’esibizione. – Eh certo! Il concerto si avvicina e devo duettare con Hongki. Ho così poco tempo per preparare tutto. –
Il ragazzo scostò la sedia al suo fianco, mettendosi a sedere. Ragionò per un po’ sugli appunti di lei, scuotendo la testa di tanto in tanto. – Vieni in sala registrazione, meglio approfittare ora che possiamo fare con calma. –
Quella stanza era diventato quasi uno studio personale di Jonghoon. Sapeva stare chiuso lì dentro a lavorare anche per ore intere. Sperimentava con la chitarra o con il pianoforte, ultimamente componeva molte canzoni, la maggior parte delle quali restavano nel cassetto. Choa osservò i numerosi fogli sparsi sul tavolo. – Lavori tanto, non è vero? – gli domandò mentre lui si accomodava, prendendo la chitarra in mano.
-Stare qui a comporre mi rilassa. – spiegò lui dopo aver cercato per qualche istante la risposta giusta. – Mi ritrovo. –
Choa annuì, sentendo di aver ben compreso il significato di quelle parole. Anche se spesso era dura resistere ai ritmi stressanti, anche se spesso sentiva di non farcela o di non essere all’altezza, il desiderio di continuare a cantare la spingeva a continuare. Persino nei momenti in cui sapeva di non essere la più desiderata dei fan, quando si sentiva imbarazzata nei servizi fotografici o quando di fronte alla telecamera le mancavano le parole per apparire brillante. Non era semplice ma finora era sempre riuscita a trovare la forza per continuare a dare il meglio di sé.
-A guardarti non sembri uno che si perde. – si lasciò sfuggire, riprendendo i fogli con i propri appunti.
Jonghoon la analizzò con lo sguardo. Conosceva Choa da quando aveva i capelli neri e lunghi, da quando era una ragazzina con il sogno di diventare una cantante. L’aveva vista piangere dopo le prime prove, quando le AoA non avevano ancora debuttato e nessuno la conosceva. L’aveva anche vista continuare a perfezionarsi finché non crollava dalla stanchezza. Ricordava ci fossero notti in cui erano gli ultimi a lasciare l’edificio e lui, stanco e spossato com’era, si sentiva rigenerato a vederla ballare con tanta energia fino a notte fonda. Segretamente non aveva mai smesso di osservarla. – Tutti finiscono per perdersi, prima o poi. A me capita piuttosto spesso. Non sono molto bravo a stare al mondo. –
Per un po’ Choa provò esclusivamente la sua parte mentre lui suonava la chitarra. Le dita del ragazzo si muovevano delicatissime sulle corde, sapeva creare una melodia incredibilmente emozionante. E la voce di Choa era a dir poco meravigliosa. Gli occhi di lui erano sul suo viso, sulle espressioni generate dalle parole della canzone. Iniziò a catare a sua volta, con una voce bassa e timida. Cantavano insieme, lei gli sorrideva. Non sapeva fosse così intonato e che la sua voce avesse delle sfumature tanto dolci. Per quante canzoni componesse e per quanto amasse cantare, Jonghoon non l’aveva fatto in pubblico troppe volte. La sua non era una voce potente, era piuttosto un sussurro, una docile carezza per le orecchie. Anche Choa finì per osservarlo, notando quanto la sua espressione cambiasse quando cantava. Nei suoi occhi brillava una luce diversa. Non sembrava più il ragazzo taciturno e solitario di sempre.
 La canzone parlava di un amore contrastato dalla lontananza e dalle parole non dette. A Choa era sempre piaciuta, fin dal primo momento in cui le avevano proposto di cantare la versione femminile. Il titolo era “ Words I Couldn't Say Yet”. Era tra le preferite del suo repertorio.
Quando la canzone fu terminata lei posò una mano su quella di lui, dissimulando l’atmosfera impacciata che continuava a dominare quando la musica finiva. – Mi tenevi nascoste le tue doti canore? – tentò di scherzare, guardandolo negli occhi. – Perché ci conosciamo tanto poco, Choa? – le dita della ragazza furono attraversate da un leggero tremore, l’espressione del viso era decisamente cambiata, aveva abbassato lo sguardo. Perché si conoscevano poco? C’era sempre troppo da fare per conoscere qualcuno.
In quel momento entrò nello studio Seunghyun che stava cercando il suo compagno di gruppo. Entrò e li vide insieme. – Ah siete qui, tutt’e due. – disse sorpreso fermandosi sull’uscio. Non capitava di frequente che le ragazze stessero in sala di registrazione o che scambiassero qualche parola tra loro. Continuava a regnare un’impacciata distanza tra i due gruppi. – Dai, hyung, basta lavorare per oggi. Gli altri volevano andare a bere insieme. – cercò di giustificare la propria intrusione.
Choa si alzò di scatto, raccogliendo le sue cose. – Si, ci siamo trattenuti un po’ troppo, effettivamente. – salutò entrambi, un ultimo sguardo andò a Jonghoon e a quel suo viso ancora pensieroso, poi uscì di fretta per tornarsene in dormitorio.

Love_My_Spotless_Mind
Benvenuti nella mia nuova fanfiction! Come molti di voi sapranno, in queste settimane le AoA sono state coinvolte dalla misteriosa scomparsa di Choa, o meglio dal suo volontario allontanamento dal gruppo. Questa vicenda ha scaturito la fanfiction. Spero la seguiranno in tanti. Era parecchio che non mi dedicavo alla sezione FT Island e spero di farlo sempre più spesso per il decimo anniversario.
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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Capitolo II


Quella sera Jonghoon uscì con gli altri per andare a bere qualcosa in un locale. I suoi compagni adoravano ritrovarsi per alzare un po’ il gomito. Non erano mancate le volte in cui avevano finito per addormentarsi tutti e cinque con la faccia sul bancone. Non si sarebbe certo trattenuto, aveva un gran bisogno di qualcosa di forte. Cantare insieme a quella ragazza l’aveva lasciato sconvolto. Restava impressa nella sua mente il modo in cui l’aveva guardato, la sua bella voce e poi la mano che l’aveva sfiorato.
Jonghoon aveva avuto parecchie fidanzate, seppure quei rapporti non avessero lo scopo di costruire nulla di concreto. Non riusciva a comprendere se fosse lui a non riuscire ad impegnarsi o se, semplicemente, avesse preso il sopravvento il timore di incontrare la persona giusta e di vedere la vita cambiare.
Hongki, il cantante, si era appena lasciato con la fidanzata. L’umore del gruppo, in generale, non era dei migliori. Jonghoon non l’aveva mai visto tanto immerso in un rapporto di coppia, tanto invaghito d’una ragazza. Ora il suo amico era distrutto e lui, a sua volta, aveva timore di finire un giorno così. non avevano mai affrontato direttamente il discorso. Tutti e cinque avevano preferito affrontare la faccenda stando più tempo insieme, ritrovandosi più spesso a bere qualcosa o a mangiare fuori. In un certo senso quello era il loro modo per dimostrarsi affetto e apprensione. Sebbene fingesse di non aver compreso l’umore del suo amico, appena lo sguardo cadeva su di lui si rendeva conto che la sua mente fosse altrove. Sulla sua mente scivolava sempre più spesso un velo di malinconia. In quei momenti era contento di essere il solo ad essere a conoscenza di certi particolari.
 
 
Choa ripescò tra i numeri della rubrica telefonica quello di Jonghoon. Erano trascorsi due giorni dal loro duetto, non aveva avuto l’opportunità di cercarlo prima poiché molti erano stati gli impegni. Ma ora era decisa a telefonargli. Appena lui le aveva risposto, si era affrettata a chiedergli se fosse indaffarato perché aveva voglia di gelato, senza preamboli. Come spesso capitava, Jonghoon non aveva alcun impegno.
I due s’incontrarono in una gelateria in centro, il berretto calcato in testa e vestiti anonimi in dosso per non farsi riconoscere dai fan. Jonghoon era rimasto molto sorpreso da quella telefonata, lei l’aveva chiamato proprio mentre stava per uscire di casa. S’era, allora, affrettato a farsi la barba, sistemare i capelli, riempirsi del profumo migliore che avesse. Ma appena l’aveva vista, con i leggins ed una felpa lunga che avrebbe potuto essere maschile per quanto le stava grande, si era immediatamente sentito a suo agio, tranquillo. Lui prese un cono al pistacchio mentre lei scelse una coppetta allo yogurt e fragola. Camminarono per un po’ fianco a fianco, ognuno assorto nel suo gelato. Solo allora Choa si rese conto che quella non fosse stata proprio un’idea brillante, con il freddo che faceva.
-Sono nata un giorno prima di te. – iniziò lei, fornendo una delle prime informazioni necessarie per poter dire di conoscere qualcuno. – E dall’alto della mia maggiore esperienza sullo stare al mondo posso consigliarti di non essere così silenzioso. – non aveva indossato nemmeno il rossetto, era bella così, al naturale.
Jonghoon diede un morso al cono di biscotto. – Non lo faccio apposta. Mi piace ascoltare. – si giustificò. La città non era particolarmente affollata visto il brutto tempo. La maggior parte delle persone a quell’ora erano a lavoro o a scuola e per di più non era il periodo preferito dai turisti. Così poterono godersi le strade ampie e piacevolmente vuote. L’odore di pioggia era forte, piacevolissimo. – L’ultima volta che mi sono perso è stato qualche mese fa. Ero a casa, gli altri erano tutti in giro. All’improvviso hanno suonato alla porta e mi sono trovato davanti Bo Reum, la ragazza di Hongki. Era tutta agitata, le ho detto di sedersi. Dopo aver bevuto un po’ di thè mi ha detto che c’era qualcosa che non riusciva più a tenersi dentro. Era andata a letto con un altro, aveva tradito il mio amico. Ci pensi? È venuta a dirlo a me. Proprio a me che con Hongki ci sono cresciuto, che gli voglio bene quasi più di un fratello. – s’interruppe un attimo. Choa lo guardava, lo sguardo era interrogativo. – Ha detto: “tu hai avuto tante ragazze, puoi capirmi”. E non era vero, non la capivo. Mi ha chiesto di mantenere il segreto, aveva bisogno di me come confidente. Mi ha raccontato di quel ragazzo in tutti i particolari, mi ha messo sulle spalle il peso del suo segreto in modo da alleggerirsene un poco. Le ho consigliato di essere sincera, non lo è stata. Li vedevo stare insieme a casa e non potevo dire niente. Vedevo il mio amico comprarle dei fiori o stare sempre incollato al telefono pur di sentirla. Ho iniziato a stare sempre meno a casa, non ce la facevo, te l’assicuro.
 Poi lei ed Hongki si sono lasciati mesi dopo per un litigio. E tutte le volte che lo vedo disperarsi non posso dirgli la verità. Non posso dirgli non sia stata colpa sua. Per questo ho ricominciato a scrivere canzoni, per calmare questo sentimento...non so nemmeno come definirlo, se fastidio o dolore. –
Choa gli posò una mano sulla spalla. I suoi occhi grandi e dolci si erano fatti lucidi. Non riusciva a trovare le parole giuste per dirgli quello che pensava su di lui ma sapeva avesse bisogno che lei dicesse qualcosa– Sei un grande amico, Jonghoon, lo sai? Pur di non farlo soffrire ti stai tenendo per te il peso di quella confessione. – Jonghoon le prese la mano e Choa non ce la faceva a smettere di guardarlo. Sentiva fosse arrivato il momento per la propria di confessione – Quattro anni fa, al tempo del debutto, ho iniziato a star male. – iniziò a dire – Non ce la facevo a mangiare poco come le altre, a fare così tanto esercizio fisico. Il mio corpo reagiva in modo diverso. Alcune volte avevo dolore ovunque ma non lo dicevo. Andavo avanti. Poi ho scoperto la verità: ho il lupus. Mi hanno sempre rassicurata, dicendomi che la mia vita sarebbe stata la stessa di un tempo. Ma sai la verità? Non è vero. Il ragazzo con cui ero fidanzata in quel periodo appena l’ha saputo mi ha lasciata. Ed io non mi sono più innamorata, nessuno si è più innamorato di me. È andata così. – la stretta si fece appena più forte. Fu quasi istintivo, appena Jonghoon le lasciò la mano l’abbracciò. Fu delicato ma soprattutto sincero. Choa posò la guancia contro la sua spalla, rincuorata da quella reazione. – Avevi ragione, dovevamo dircele queste cose. –
Continuarono a passeggiare e a raccontarsi finché scese la sera. Parlarono del modo in cui erano arrivati alla Fnc, Jonghoon le parlò di come fosse restare dieci anni in un gruppo e non lasciarsi sopraffare dalle difficoltà o dalla paura. Ad un certo punto le parole iniziarono a venir fuori liberamente. Riuscirono a dirsi tutto quello di cui sentissero il bisogno.
 
Arrivò l’Fnc Kingdom, le prove prima dell’esibizione erano state numerose, Choa e Jonghoon avevano finito per vedersi ogni giorno, soprattutto per motivi di lavoro. Prima del duetto lei stava al di fuori del camerino, nervosissima, con indosso un tubino bianco corto. Jonghoon faceva le ultime prove assieme agli altri, finivano di accordare gli strumenti. Mancava poco al momento di salire sul palco, lui le si fece vicino e le passò un plettro. – Tieni – bisbigliò vicino al suo orecchio – questo lo usavo sempre nelle prime esibizioni, mi ha portato fortuna. – Choa lo strinse tra le mani, sentendo l’adrenalina farle tremare le gambe. – Vai, hai provato tanto. – la rassicurò lui. E proprio mentre lei saliva le scale che l’avrebbero condotta sul palcoscenico lui ammise a se stesso di trovarla bellissima.

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Capitolo III

Per Natale la maggior parte dei ragazzi sarebbe tornato a casa, almeno per poter rivedere i loro famigliari. Choa avrebbe fatto lo stesso, solamente Seolhyun sarebbe rimasta in dormitorio poiché aveva degli eventi molto importanti a cui partecipare. Il suo era un ruolo che richiedeva notevoli sacrifici. Alcune volte Choa si chiedeva come facesse a resistere a tutta quella pressione, a riuscire ad apparire sempre rilassata e a non mostrare nemmeno un difetto. Era ammirevole il suo autocontrollo. Non si concedeva sfizi, non esistevano giorni senza allenamento. Persino quando aveva la febbre o era nel primo giorno di mestruazioni, risultava attiva e bellissima. Choa bussò alla porta, entrando nella sua stanza. Erano rimaste solo loro in casa mentre le altre erano già partite. – Ti disturbo? – le chiese con un sorriso. L’altra le disse di entrare.
Era appena uscita dalla doccia, si stava infilando il pigiama per potersi finalmente mettere a letto. – Non vai? rischi di arrivare tardi a casa dei tuoi. -  le domandò raccogliendo i lunghi capelli umidi nell’asciugamano. – Si, si, ora vado. In realtà non credo abbiano molta fretta di vedermi. Un mio cugino ha ben deciso di mostrargli qualche fancam dove era insistentemente ripreso il mio sedere e mio padre non si è mostrato troppo contento. –
Seohlyon l’osservò qualche istante, dispiaciuta per quanto la sua amica aveva fatto. -Non ancora lo mandano giù questo lavoro, eh? –
-Non credo lo faranno mai. – si sedette sul letto della ragazza facendo un sospiro. – Ma non sono venuta per parlarti di questo. Ho un regalo per te. – e le mostrò un bel pacchetto che fino ad allora aveva tenuto dietro la schiena per non farglielo vedere.
-WoW onnie, grazie! – gridò lei aprendo la scatola e trovando delle bellissime scarpe da ginnastica, con il fiocco sul retro. – Sei la migliore. Ma io… mi dispiace… non ho avuto tempo per un regalo. –
-Scherzi? Non preoccuparti, lavori così tanto. Volevo essere sicura che non ti sentissi sola in questi giorni. – le due si abbracciarono strette. Com’era sottile Seoulhyun e com’era profumata la sua pelle. A guardarla ora le veniva in mente i primi incontri, quando aveva ancora la divisa della scuola ed il viso da bambina. Ora Seolhyun era una ragazza carismatica e sicura, sperava nessuno sarebbe mai riuscito ad ostacolarla. Choa stava per andarsene quando l’amica la richiamò.
-Onnie, c’è qualcuno che ti piace, non è vero? – le domandò dopo un po’ di titubanza, ricercando il suo sguardo.
-Perché me lo chiedi, eh? – ridacchiò Choa sorpresa da quella domanda.
-Perché penso tu debba assolutamente salutarlo prima di partire. Se c’è, questo qualcuno. –
Choa annuì, non riuscendo a smettere di sorridere – Seoulhyun, un giorno mi spiegherai come fai a capire le cose prima di me. – e le due si salutarono.
La ragazza portò fuori dal palazzo le valige, sistemandole sul retro della sua automobile. Non aveva portato con sé molti vestiti, l’idea era quella di non trattenersi a lungo. In famiglia non avevano mai accettato la sua professione, esattamente come erano sempre stati mal visti alcuni tratti del suo carattere. Alle volte lei sapeva rivelarsi combattiva e decisa, cosa che il padre non aveva sempre gradito. Chissà, magari avrebbe terminato le vacanze trasferendosi in qualche albergo della zona. Si sedette in macchina ma proprio mentre stava per mettere in moto capì che Seoulhyun aveva ragione. Doveva salutare qualcuno prima di partire. Uscì dalla macchina, rientrando nel palazzo e mettendosi a correre su per le scale. Corse fino all’appartamento dei ragazzi, due piani più sopra del suo. Si sistemò frettolosamente i capelli, domandandosi se il viso fosse a posto, se i vestiti fossero in ordine. Improvvisamente le venne la tachicardia. Suonò il campanello. Era nervosa.
Le aprì Jaejin, in pantaloncini. – Ehi, nuna, che ci fai qui? – le domandò sorpreso da quella visita poiché non erano frequenti le incursioni delle ragazze nel loro appartamento. – Ciao. – lo salutò lei imbarazzata, non sapendo come giustificarsi. – Volevo… augurarvi buon natale prima di partire. – Il ragazzo la fece entrare, gli altri erano seduti sul divano e giocavano alla playstation. Furono sorpresi anche loro di vederla. Proprio mentre Choa se ne stava impacciata all’ingresso apparve Jonghoon. La sorpresa di vederla fu molto grande. Non credeva si sarebbero rivisti prima del nuovo anno.
-Hyung, Choa nuna è venuta a salutarci. – lo informò Minhwan, seduto sul divano. Jonghoon non riusciva a parlare. Non voleva mostrare ai suoi compagni quanto fosse piacevolmente contento di vederla. Eppure, quel modo in cui continuavano a guardarsi, stando in silenzio, sollevava sufficienti sospetti. – Stai partendo? – le chiese, restando sempre sul fondo della stanza. – Si… almeno una volta l’anno mi tocca farmi vedere a casa. – spiegò lei frettolosamente – Voi non partite? –
-No, abbiamo spesso vacanza. Almeno a Natale ne approfittiamo per fare le prove. – rispose Jaejin.
-Ah, capisco. Fortunati. – scherzò lei, con un velo d’imbarazzo. – Allora… io vado. I miei mi aspettano. Buone vacanze. –
Si voltò di scatto verso la porta, sentendo le guance in fiamme. La aprì, con l’intenzione di lanciarsi sulle scale e sparire il prima possibile. – Aspetta. – disse solo in quel momento Jonghoon – Ti accompagno. –
Scesero le scale in silenzio e solo quando furono di fronte alla macchina di lei riuscì a dire qualcosa. – Scusa… non siamo abituati a ricevere visite femminili. – cercò di giustificare gli sguardi dei compagni che in verità erano dovuti al fatto che FT Island e Aoa erano sempre stati tenuti piuttosto lontani dalla stessa casa discografica. Tra di loro era rimasta sempre un’atmosfera impacciata. – Non importa, credevo di trovarti solo, tutto qui. – si giustificò lei, aprendo la portiera.
Jonghoon le prese il braccio – Aspetta, volevi salutare me? – . Choa si voltò fissandolo irritata da tutta quella sorpresa. – Ti stupisce tanto questa cosa? Non siamo amici, Jonghoon? Scusami… forse ho frainteso io. Non dovevo venire. – si apprestò a dire, credendo di aver frainteso la loro complicità, di essersi spinta un po’ troppo oltre.
-Non volevo si facessero strane idee su noi due. –
A quelle parole Choa rabbrividì, sentendosi sprofondare nello sconforto di essere stata l’unica a pensare fosse normale parlargli ogni qual volta volesse. Entrò in macchina, chiudendo lo sportello e mettendosi la cintura. Abbassò il finestrino solo per salutarlo, senza posare lo sguardo su di lui: - Ciao, Jonghoon, buone vacanze. –
Mai il periodo di Natale era parso tanto lungo ad entrambi. Choa a casa dei suoi si sentiva una carcerata, ogni occasione era buona per suscitare nei parenti battutine sul suo lavoro o sul concept sexy delle canzoni del suo gruppo. Con i genitori non c’era mai stato dialogo. L’unica nota positiva era potersi rifugiare nella sua cameretta da adolescente, dove erano ancora appesi i poster degli attori e dei cantanti di cui era invaghita alle superiori. Nell’armadio restavano i vestiti ridicoli del tempo della scuola. Nei cassetti stavano le canzoni che aveva scritto, nascoste qui e là i vecchi diari pieni di sogni.
Ogni qual volta le capitava di ripensare all’ultima giornata passata  a Seoul si sentiva una stupida. Certo, Jonghoon non voleva gli altri potessero fraintendere. Giusto. Erano solo due conoscenti. Due che si erano aiutati per un po’ e poi basta. Allora perché era così infuriata con lui? Perché credeva che se fosse stato lì sarebbe stato diverso? Le era capitato di piangere silenziosamente di notte, standosene con lo sguardo diretto verso il soffitto ed il cuore proteso nella ricerca di ricordi che riguardavano lui.
Aveva superato il provino dopo averne provati e falliti tantissimi. La pressione di quei giorni era stata grandissima. Le sembrava di non saper fare nulla, di non essere la persona adatta. In uno di quei momenti di sconforto era apparso lui, Jonghoon. Le aveva offerto una barretta di cioccolato e le aveva spettinato i capelli, credendo fosse una ragazzina come tutte le altre. Non aveva potuto fare a meno di trovarlo bello e gentile. Lui si era accorto delle sue fatiche, aveva rotto la barriera che li divideva, aveva creato un contatto. Lei aveva rovinato tutto.
Jonghoon appariva triste, era evidente. Per lo più restava nella sua stanza oppure diceva di uscire per una passeggiata, alla fine spariva per ore. Stava a fissare il cellulare indeciso se scriverle o meno, alla fine non lo faceva. Si sentiva uno stronzo per le parole che aveva detto. E il modo in cui lei se n’era andata, senza nemmeno guardarlo, l’aveva a dir poco ferito.
Durante le prove era distratto, quando gli altri scherzavano si dimostrava sofferente. In una di quelle sere di profondo sconforto Hongki gli si fece vicino. – Ti va di parlare? – gli chiese passandogli una bottiglia di birra prima di stapparne una per sé. Jonghoon si voltò verso di lui, lo osservò sorseggiando un po’ dalla bottiglia. – Dici che dovrei? – Hongki era suo amico da prima che diventassero un gruppo. Tra i due era sempre stato il più allegro, il più spavaldo, quello che si lanciava a capofitto nelle cose. E Jonghoon non si era mai pentito di assecondare quell’esuberanza. A lui aveva parlato di molte ragazze, era stato rimproverato per quel dare poco peso alle relazioni. Ma alla fine l’aveva sempre avuto vicino quando ne aveva avuto bisogno.
-Stai uno schifo, amico, guarda che l’ho capito. – sospirò Hongki, bevendo un po’ della propria. – Ti piace lei, Choa, non è vero? Si è visto l’altro giorno. L’abbiamo capito tutti. –
 -No, non è vero. – rispose improvvisamente lui, quasi esplodendo. – Cos’è che avete capito? Non mi piace, per nulla. Vi siete sbagliati. – continuò a bere standosene in silenzio per un po’. Gli restava difficile ammetterlo, soprattutto perché non l’aveva ancora compreso. – Siamo colleghi, si sa come finirebbero queste cose. Se ci fosse qualcosa l’atmosfera diventerebbe insopportabile a lavoro. –
-Seriamente pensi a questo? Al lavoro? Okay, non ti piace. Ma se ti piacesse non avrebbe senso pensare a questo, dovresti vivertelo quel sentimenti, mi capisci? O finiresti per pentirtene. –
-Non voglio farmi male. –
-Potresti non farti male. Potrebbe andarti benissimo, potresti essere felice, pensaci. –
E ci pensò per tutto il resto delle vacanze, persino quando scese la neve o quando scoccò la mezzanotte e giunse sottovoce un nuovo anno.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Capitolo IV

Era gennaio, Choa doveva partecipare come presentatrice ad una premiazione cinematografica. Per l’occasione le avevano cucito un lungo vestito rosa che lasciava piacevolmente intravedere la scollatura prosperosa e che accarezzava le sue forme. Non si era mai vista tanto elegante. Era rimasta di fronte allo specchio per minuti interi, sentendosi sicura come non mai. Le ragazze non facevano che riempirla di complimenti. Era semplicemente stupenda. I capelli corti, d’un biondo caldo, mettevano ancora più in evidenza la sensuale morbidezza del suo corpo.
Sarebbe passata una limousine a prenderla direttamente di fronte all’ingresso della casa discografica dove non mancavano i fan già appostati. Choa li osservava dalla finestra e rideva. Sperava che anche gli altri la trovassero bella come si sentiva lei in quel momento. Entrò il manager per dire alle altre del gruppo di lasciarla sola a ripassare la scaletta della serata poiché tra un quarto d’ora sarebbe arrivata la limousine. Choa, così, rimase in quella stanza, ripassando alcune delle frasi che le avevano suggerito. Le vacanze erano trascorse piuttosto tristemente, ora voleva scrollarsele di dosso e poter dare il meglio nella sua professione, come sempre aveva desiderato di fare.
La porta si aprì ancora. La ragazza si voltò per vedere che cosa desiderasse il suo manager ma scoprì che ad essere entrato era Jonghoon. Tra le mani teneva un mazzo di fiori.
Nel vederlo gli occhi di Choa si fecero appena lucidi, si voltò verso la finestra dandogli le spalle per non fargli notare quanto fosse emozionata. Lui arrivò alle sue spalle sfiorandole i capelli. – Sei stupenda, Choa, non riesco quasi a parlare. – sussurrò con voce incerta. La ragazza si voltò incontrando il suo volto vicinissimo al proprio. – Ti piace la lavanda? È uno dei miei fiori preferiti. – lei prese tra le mani il mazzolino di fiori. Profumavano di primavera, una primavera lontana ed irraggiungibile.  
-È così stupido dire ora che non volevo ferirti. – provò a spiegare lui. – Ma davvero non volevo farlo. Ne parleremo. Ora è il tuo momento. – sfilò uno dei fiori dalla confezione per sistemarlo dietro l’orecchio di lei. –Andrai benissimo. – a quel punto Choa gli mostrò il polso dove aveva una catenina con il plettro che lui le aveva donato mesi prima. Un dettaglio che lasciò il ragazzo di stucco, incapace di pronunciare altre parole ma soltanto consapevole di quanto gli fosse mancata.
Choa uscì dalla casa discografica, attraversando il breve percorso verso la limousine in un bagno di flash. I fan erano in visibilio di fronte al suo fascino. C’era chi gridava il suo nome e chi sventolava cartelli e lettere da porle. La ragazza rivolgeva qualche sguardo ad ognuno, salutava con la mano, rompeva la distanza tra sé e i fan con sorrisi calorosi. Jonghoon la guardava dalla finestra, sentendo fortissimo il bisogno di piangere.
La prima esperienza da presentatrice era andata estremamente bene. Lei si era dimostrata curiosa, brillante. Il pubblico l’aveva particolarmente apprezzata. Soprattutto per quella vena di dolcezza che aveva nello sguardo e che l’aveva illuminata per tutta la serata.
A notte fonda, tornata nella limousine, si era persa per minuti interi ad odorare i ciuffetti di lavanda. Non poteva credere che fosse stato lui a chiederle scusa. Qualcosa nel suo cuore si era nuovamente sistemato. Fu così che il giorno dopo, con quelle occhiaie profondissime dovute al poco sonno, s’infilò una maglia e dei jeans a caso, andando verso la sala di registrazione. Come aveva supposto, Jonghoon era lì a suonare. Choa entrò e si chiuse la porta alle spalle.
-Già sveglia? – domandò lui, appena ebbe terminato il pezzo che stava suonando.
-Non sono riuscita a dormire molto, credo si veda. – spiegò lei, alludendo all’aria stanca del suo viso.
Jonghoon la osservò attentamente. – No, non si direbbe per nulla. –
Lei rise, scostando la sedia di fronte a lui e mettendosi a sedere. – Sei un bugiardo, Choi Jonghoon. –
Rise anche lui. – E tu mi sei mancata, Park Choa. –
Lei abbassò lo sguardo, sfregandosi le mani in cerca di un modo per rispondere che non evidenziasse troppo le emozioni suscitate da quella frase.
-Non avevo intenzione di restare tanto. Volevo solo ringraziarti per i fiori. – si alzò in piedi – Se ci vedesse qualcuno potrebbe farsi strane idee… -
-Ma che dici? –
-Avevi ragione. Sono stata invadente, prima di Natale. Avrei fatto meglio a mandarti un messaggio. Se in casa ci fosse stata la tua ragazza avrei fatto una figuraccia. –
Lei si stava avvicinando alla porta quando si alzò anche lui. Era vicinissimo a lei. Sentiva il corpo fremere per il desiderio di baciarla. Perché sì, aveva detto un mucchio di stupidaggini e lei gli piaceva da impazzire. Aveva passato la sera precedente a guardarla in televisione e a sentirsi rodere di nostalgia. – Choa… ti prego. – riuscì a sussurrare prima di baciarla. Lei non poté resistere, posò la mano sulla sua guancia per accarezzarla, sciogliendosi in quel bacio.
Si erano appena divisi e ridevano, accarezzandosi il viso. In quel momento suonò il telefono di lei, era il manager che la cercava. – Devo scappare. – cercò di giustificarsi con rammarico. – Tranquilla, vai. – rispose lui guardandola andar via. Correva via con quella evanescente risolutezza dei sogni che vanno via al mattino, appena ci si sveglia. 

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Capitolo V

Di sera, dopo una giornata intensa di lavoro, si parlarono a lungo al telefono. Lei rideva come una ragazzina al primo amore. Scherzavano e si prendevano in giro. Era tornato il sereno dopo il bacio della mattina. Naturalmente, le altre ragazze avevano fatto finta di non sentire niente ma avevano capito che ci fosse qualche sostanziale cambiamento nell’aria. Ed era una piacevole notizia. Peccato che nessuna di loro sospettasse almeno minimamente di conoscere il fortunato.
Anche nell’appartamento degli Ft Island era visibile il fermento del loro leader. Jonghoon sembrava più allegro, più propositivo. Di primo mattino era già in cucina a preparare la colazione ascoltando musica allegra. Era molto più attento al fatto che fuori ci fosse il sole o la pioggia. Sembrava, insomma, si fosse risvegliato da un deprimente torpore.
Tuttavia, questa vicinanza di anime non diminuì gli impegni. I ragazzi dovettero partire per il Giappone dove li attendeva un tour di oltre un mese. Le ragazze, invece, registravano programmi in Corea, partecipavano ad iniziative di vario tipo. Choa e Jonghoon non avevano avuto che un paio di opportunità di rivedersi fugacemente, sempre mentre erano circondati dai manager oppure dai loro compagni di gruppo. Le effusioni dei giorni prima non si erano ripetute.
Si trattò di una lontananza estremamente difficile. L’unico modo per restare in contatto era telefonarsi o scrivere qualche messaggio ma questo non era sempre possibile. Choa faceva di tutto per non pensare alla lontananza, si teneva occupata con le sue compagne, continuava a fare le prove ogni giorno. Quando si sentiva particolarmente spossata si rinchiudeva in sala di registrazione suonando un po’ la chitarra o semplicemente guardandosi attorno interrogandosi su dove l’avrebbe portata quel sentimento.
Jonghoon era sempre impegnatissimo. Il tempo per provare gli strumenti era poco, per la maggior parte della giornata erano in viaggio da una città all’altra del Giappone, sostenendo ritmi piuttosto accelerati. Il Giappone era la vera patria del loro successo. Lì erano più fluide le leggi del mercato musicale ed i gusti del pubblico erano molto più vicini ai loro. Gli stadi erano straripanti di persone ad ogni data. Ormai il giapponese era diventato come una seconda lingua, lo stesso Jonghoon aveva scritto qualche testo prediligendola per la sua musicalità. Nei pochi momenti di riposo pensava a quel bacio in sala di registrazione. Era stato un gesto d’impulso, non ne era affatto pentito. Quando le sue labbra avevano incontrato quelle della ragazza aveva sentito una specie di scintilla scattargli dentro. Non gli capitava da tempo. Ciò l’aveva notevolmente sorpreso. Era attratto e conquistato da lei, lo sapeva. Potevano stare a parlare per ore intendendosi alla perfezione. Se non fossero stati colleghi forse non avrebbe avuto tutto quel timore a cogliere l’occasione e vivere il loro rapporto alla luce del sole. Il fatto che, però, condividessero lo stesso luogo di lavoro, fossero due persone pubbliche, lei in particolare, lo frenava. Perché se qualcosa fosse andato storto non si sarebbe più trattato solamente di loro due. Chiunque altro se ne sarebbe sentito coinvolto. Se i fan fossero venuti a conoscenza di quella loro complicità avrebbero iniziato a premere per delle apparizioni insieme, tutti avrebbero creduto fosse vicino un matrimonio o chissà che altro. Tra coppie famose andava sempre in questo modo. E lui non voleva correre il rischio di snaturare la piacevolezza dei loro incontri. Non voleva che stare insieme divenisse l’ennesima incombenza lavorativa. Per quanto la voglia di vederla fosse tanta, per quanto desiderasse non dover agire per sotterfugi, si sentì costretto a farlo. Almeno per il bene di quello che stava nascendo tra di loro.
In quello stesso mese le AoA dovettero raggiungere il Giappone per un’esibizione di beneficenza. Sarebbe stato un soggiorno breve in cui avrebbero fatto anche qualche fotografia di prova per il prossimo singolo con la warner music japan. In aereo l’atmosfera fu allegra. Seolhyun ripassava ad alta voce le battute per una pubblicità e le altre si divertivano a prenderla in giro per la sua “espressione da pubblicità”. In poche parole, sostenevano che la loro compagna cambiasse volto quando si trattava di riprese. Ed un po’ avevano ragione.
Arrivate a Tokyo i fan si dimostrarono numerosi. Scattarono foto mentre le ragazze attraversavano il gate dell’aeroporto. Passarono loro dei piccoli regali.
L’esibizione si sarebbe tenuta quel pomeriggio in piazza.  Erano frequenti eventi di questo tipo. Erano abituate alla calca ma soprattutto al dover essere pronte ad ogni avvenimento: più volte si erano ritrovate nel bel mezzo di un temporale ma imperterrite avevano dovuto continuare a ballare. Per fortuna questa volta sembrava che il tempo avrebbe retto.
I loro collaboratori avevano sistemato gli abiti di scena e le valige in un hotel in centro. Le scarpe con il tacco stavano allineate all’ingresso ed i vestiti erano sistemati sulla rella con le targhette con i nomi delle ragazze. Choa, Mina e Jimin avevano le scarpe più alte e le gonne più corte poiché erano quelle di statura più minuta, un particolare che tentavano sempre di camuffare. Indossati i vestiti ognuna di loro si sistemava nella stanza doveva le truccatrici e le parrucchiere si erano disposte. Era una preparazione piuttosto lunga e curata in ogni dettaglio.
Per quell’esibizione avrebbero indossato un vestitino rosa a quadretti bianchi, con le maniche a sbuffo e i bottoncini sul corpetto. I tacchi erano di vernice lucida e neri, assicurati al piede con una molletta trasparente per evitare ogni incidente. A Choa venne appena arricciato il ciuffo di capelli biondi, se li era lasciati crescere più del solito ultimamente. Il trucco era luminoso, il rossetto assicurato con la cipria. Si voltò verso le altre, sempre bellissime, con quei visi da modelle. Choa era la più tonda di tutte, un po’ perché la malattia le aveva fatto comprendere di non dover stressare esageratamente il suo corpo, un po’ perché non sapeva privarsi di tutti i piaceri della vita pur di apparire perfetta. In fondo si sentiva bene nei suoi panni; quando ai tempi del debutto era costretta ad essere magrissima l’umore era molto più nero. Non poteva ascoltare i bisogni del suo fisico, era costretta a fingere di non aver bisogno di cibo o di riposo. Non avrebbe mai ripetuto un periodo così triste e spossante della sua esistenza. Per quanto alcune delle sue compagne continuassero imperterrite in quello stile di vita lei sapeva di non potere ma, soprattutto, di non volerlo.
A Jonghoon aveva detto di essere tranquilla, ormai aveva fatto l’abitudine a quei ritmi. Lui si trovava a Yokohama dove quella sera avrebbero tenuto un concerto. Si erano mandati delle foto su kakao talk, lui l’aveva presa in giro dicendo che con quei capelli arricciati sembrava una nonnina e Choa aveva finto di offendersi riempiendolo di emoticon infuriate.
La scaletta prevedeva Miniskirt, Like a cat, Good Luck, Bing Bing ed Excuse me. L’esibizione non sarebbe durata più di un’ora. Le ragazze salirono sul palco e dai primi momenti dovettero acquisire una certa concentrazione. Ormai era come se il corpo si muovesse da solo, seguendo le coreografie. Le avevano insegnato il modo in cui bisognava far sentire i fan partecipi del momento, moderando gli sguardi, gestendo l’espressività del viso. Erano i piccoli trucchi del mestiere. Tutto ciò che sembrava spontaneo e casuale in realtà non lo era.
I fan gridavano, si sbracciavano per attirare l’attenzione. Lei talvolta ne sfiorava qualcuno con lo sguardo, cercava di apparire al meglio nelle riprese che le facevano con i telefonini. Quando anche Excuse me fu terminata non restò loro che fare un inchino, congedandosi in un timido giapponese. Ad attenderle al di sotto del palco c’era il manager, bisognava immediatamente raggiungere il luogo dei photoshoot, ricominciando trucco e parrucco d’accapo.
Al termine della giornata Choa e Jimin si recarono nel ristorante dell’albergo assieme a qualcuno dei loro collaboratori. Servirono della tempura e varie piccole portate di pesce. Improvvisamente sul telefono della ragazza arrivò un messaggio, era da parte di Jonghoon: “Ehi, non avevi freddo con quella mini-gonna?”. Aveva allegato delle foto dell’esibizione. A Choa venne un colpo. Jonghoon aveva fatto 40 minuti di treno soltanto per vederla ballare, sapendo di non avere l’occasione di parlarle. Si alzò in piedi. – Scusate, devo andare in bagno. – disse agli altri mentre si allontanava per potergli telefonare.
Appena Jonghoon le rispose le venne da gridare. – Sei pazzo? – disse, non riuscendo a trattenere la felicità che provava. Come si pentiva di non averlo visto tra il pubblico, di non averlo nemmeno potuto guardare da lontano.
-Ma come fai? Eri così… non ti rendi conto dell’atmosfera che c’era lì in mezzo. Sembrava che tutti volessero saltarti addosso. –
Choa rise, mettendosi a sedere in un angolo del bagno per starsene un po’ tranquilla. – Sei pazzo… -
-Avevo voglia di vederti. Venite a rubarci i fan in Giappone e non dovrei far niente? –
Senza accorgersene Choa si stava mordendo le labbra. – Dove sei? Avrei voglia di correre da te. –
Jonghoon fece un sospiro, si era allontanato dagli altri che stavano provando gli strumenti. – Dove vuoi che sia? Fra mezz’ora ho il concerto. –
-Andrà benissimo. –
-Eri bellissima. –
-Devo andare. Ci sentiamo presto. –
-A presto. –
 
Il primo incontro in Corea dopo molto tempo fu a marzo, quando le strade iniziavano a colorarsi di fiori e la primavera faceva un lento ingresso nelle vite degli abitanti del mondo. I due si erano incontrati per vedersi di mattina presto, in un parco abbastanza isolato dove di solito andavano a giocare i bambini appena usciti da scuola. Il sole non era ancora caldo come sarebbe stato poi, il respiro formava nuvolette di vapore. Choa giunse nel parco, tenendosi stretta nel suo cappotto, con il cappellino ben calcato sulla testa. A quell’ora la maggior parte delle persone ancora dormiva oppure si stava concedendo una doccia prima di andare a lavoro. Jonghoon era seduto sull’altalena, le mani infilate nelle tasche. Rivedersi fu così piacevole, improvvisamente fu come se non fossero stati divisi nemmeno per un giorno. Non smettevano di guardarsi.
-Ho sentito che il tour è andato molto bene. Il CEO sarà contento. – sentenziò lei con uno dei suoi sorrisi caldi che dicevano molto più di tante parole.
-È andato molto bene. Ma il CEO non dispensa troppi complimenti.  –
Lei si mise a sedere sull’altalena di fianco a quella di lui, dondolandosi un po’. – Avevo un’altalena così a casa, quando ero bambina. Mi ci rifugiavo quando non volevo ascoltare mio padre. – disse quasi in un sussurro, tenendo la punta del piede salda al terreno per poter solo oscillare, lentamente. Sollevò lo sguardo verso Jonghoon e lo guardò stando per un po’ in silenzio. Di lui le era sempre piaciuto il naso, anche anni prima. Aveva un naso dritto, sottile ma al tempo stesso estremamente mascolino. La punta era quasi spigolosa, terminava sul principio della bocca. I suoi occhi erano grandi, così scuri e sempre piuttosto lucidi. Sembrava una persona capace di commuoversi per le cose più insulse. Che begli occhi che aveva. E le braccia muscolose, le mani affusolate da pianista con le dita lunghe e le unghie rotonde.
-Te l’ha mai detto tuo padre che sei brava? – si sentiva esplorato da quello sguardo, sembrava che lei potesse leggergli l’interno, sembrava che avesse capito tutto.
Choa ci pensò un po’ poi scosse il capo – Mi ha detto che con quei vestiti sembro una gran puttana. – e rise, amaramente.
-Hai una voce meravigliosa, invece. –
Lei posò la tempia contro la catena dell’altalena, spostando lo sguardo verso i palazzi al di fuori del parco. Nella sua mente si sovrapponevano stralci di ricordi. – Sai, Jonghoon. Al tempo della mia audizione l’idea era quella di creare una band femminile che oltre a suonare sapesse anche ballare, dovevamo essere carine, simpatiche, forse un po’ infantili ma niente di più. Poi si è capito che non vendevamo un bel niente. È arrivata Confused e poi Miniskirt, è stato tutto diverso, capisci? Abbiamo dovuto imparare ad essere sexy, ammiccanti. Ho cercato di rendere la mia voce più calda. Ho trovato una consapevolezza del mio corpo che non possedevo. Se l’idea fosse stata questa dal principio mio padre non mi avrebbe mai permesso di diventare una cantante. Le cose sono iniziate a cambiare quando non poteva più farci niente. – iniziarono a scendere piccole gocce di pioggia, estremamente sottili. – Sono felice che sia andata così. Ho capito di poter essere sensuale, di potermi sentire sensuale, ma di poter anche cantare bene. È stato necessario, per me.  Nessuna delle due cose esclude necessariamente l’altra. Posso essere una cantante di tutto rispetto ed essere anche una donna che vuole apparire bella, che vuole sentirsi bella. Prima non lo capivo. Ho potuto affrontare in maniera diversa anche i miei problemi di salute, quando il mio corpo si trasformava e mi cresceva il seno e mi rendevo conto che non ci sarei mai riuscita ad avere la taglia delle altre. Mi è andata bene. Ho imparato a piacermi così. Perché continuavo a ripetermi “non sei solo un corpo, sei la tua voce”. –
Jonghoon le sfiorò con le dita i capelli, sistemandole una ciocca dietro l’orecchio. Era vero, in quegli anni era molto cambiata. Ma per lui da ragazzina si era semplicemente fatta donna. Era affascinante, con un aspetto sano e proporzionato. Era intelligente, una bravissima cantante, incredibilmente affascinante quando ballava. A Tokyo, quando aveva assistito alla sua esibizione, si era reso conto di guardarla per la prima volta in modo diverso. Non era più una semplice collega. Era circondata da un’aurea di fascino indescrivibile. Era stato rapito dal suo viso, dal modo in cui ballava. Sul treno per tornare alla sede del suo concerto non aveva potuto smettere di pensarci.
-Mio padre mi vede solo come una che sta nelle fantasie degli uomini. Non ha rispetto per il mio lavoro, dice che sono la prima a non averne. Cantare in tuta con il cappuccio calcato in testa mi renderebbe forse più credibile? Sono sempre io, anche con un bel vestito, anche con i pantaloncini o una gonna corta. –
-L’ho visto come sei sul palco. È il tuo posto, Choa. Sei perfettamente a tuo agio lì sopra. –
I loro occhi s’incontrarono. La pioggerellina gli scivolava sulle guance ma non gli davano peso. Le accarezzò la guancia, così, d’istinto. Aveva la pelle calda e morbida, Choa profumava sempre di buono, di casa.
-Devi smetterla di paragonarti alle altre. Vai bene così, credimi. Erano tutti incredibilmente in visibilio per te in quel giorno. Sai conquistare le persone in un momento. –
Choa avrebbe voluto baciarlo. Si mordeva l’interno della guancia, ricordando il sapore della sua bocca. Si trattenne ricordando di essere all’aperto dove chiunque avrebbe potuto vederli. Si maledisse per aver accettato l’incontro in quel posto.
-Non mi hai raccontato abbastanza di te. –
Jonghoon captò quel desiderio dal cambiamento nel viso di lei. Non poteva dire di non ricambiarlo. – Non c’è molto da dire. Nato in un piccolo paese del sud, cresciuto in riva al mare con la passione di scrivere canzoni e suonare. Sono entrato negli FT Island quando avevo sedici anni. Ero il più grande. Sì, eravamo dei marmocchi, puoi pensarlo. Mi ero innamorato della mia professoressa delle superiori, una cotta idiota di quelle tipiche di quell’età. Quando suonavo pensavo alla rabbia che provavo per essere così giovane. Pian piano l’ho dimenticata. Ogni esperienza l’ho fatta quand’ero nel gruppo. È stato come crescere con un gruppo di amici sempre affianco. Quando il vecchio chitarrista ha deciso di lasciare il gruppo credevo sarebbe finito tutto. Temevo di dover ricominciare la mia vita d’accapo. Poi è arrivato Seunghyun e tutto il gruppo ha conosciuto una seconda vita. Sono stati anni belli, davvero. Ho avuto un paio di ragazze, ho conosciuto tanti amici, ho viaggiato. Ma in certi momenti mi sento ancora il ragazzino di sedici anni. Come se non fosse cambiato niente. Ho sempre paura del futuro e delle novità, mi perseguita l’idea di perdere tutto e di perdere me stesso.–
Iniziò a piovere più forte, i due presero a correre al di sotto di una tettoia. Quando la raggiunsero ridevano. Si baciarono, con i vestiti zuppi, stringendosi con tutta quella risolutezza che era mancata nel loro primo bacio. Jonghoon prese il suo viso tra le mani, le accarezzava i capelli bagnati. Le loro lingue presero a ricercarsi, assaporarsi. Furono effusioni cariche di sentimento ma soprattutto di trasporto emotivo. Fu uno di quei momenti che si spera non possano mai finire. Ed un certo senso avrebbe continuato a riverberare nel loro ricordo per sempre.

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Capitolo VI

Dopo quell’incontro sotto la pioggia a Jonghoon venne la febbre. Mentre gli altri erano spesso fuori casa a provare o semplicemente a far qualcosa in giro, lui se ne restava a letto o sul divano, a guardare la tv o semplicemente a stare un po’ tranquillo. Choa si sentiva molto in colpa poiché lui si era ammalato proprio a causa di una mattina trascorsa insieme. Decise allora di uscire presto per fare le prove così da poter tornare in appartamento prima delle altre. Una volta a casa le era venuta un’idea, così di fretta e furia era uscita per andare a comprare un po’ di verdure, bustine di ginseng e del riso. Non le capitava da tanto di mettersi ai fornelli sebbene fosse un’occupazione che la divertiva particolarmente. Questa volta riuscì a prendersi un po’ di tempo per mettere a cuocere le verdure nell’acqua, creando un buonissimo brodo, e poi bollire il riso con il ginseng. Sistemò tutto in delle ciotoline ermetiche e le richiuse dentro lo zaino in modo da non destare sospetti. Si cambiò togliendosi la tuta per indossare i jeans ed una camicetta, per poi salire le scale accertandosi per messaggio che nell’appartamento del ragazzo non vi fosse nessun altro. Quando bussò Jonghoon era indeciso se aprire o meno poiché non attendeva visite e tutti gli altri avevano le chiavi per poter rientrare. Ritrovarsi di fronte Choa fu estremamente piacevole. Non credeva sarebbero riusciti a rivedersi tanto presto.
-Mettiti a sedere, ho una sorpresa. – disse lei costringendolo ad accomodarsi sul divano. Nel frattempo lei tirò fuori dallo zaino quanto aveva preparato, mettendosi a rovistare nelle credenze alla ricerca di due ciotole capienti e poi di un cucchiaio.
-Che genere di sorpresa? – domandò lui curioso, cercando di sbirciare.
Appena fu tutto sistemato Choa posizionò le ciotole su un vassoio e si avvicinò a lui, mettendosi a sedere, spiegando di sentirsi parecchio in colpa per averlo fatto ammalare. Jonghoon sorrise, ispezionando le portate che aveva preparato. – Ah cerchi di farti perdonare facendomi fuori con questo? –
Gli tirò un pizzicotto sul braccio, accorgendosi soltanto allora che fosse ancora in pigiama. Non l’aveva mai visto così, ne era a dir poco affascinata. Soprattutto scoprì che i capelli di lui fossero liscissimi anche senza passare la piastra. Gli passò una mano sulla fronte, misurandogli la temperatura. – Che difese immunitarie del cavolo. – lo prese in giro. Jonghoon strinse la sua mano, avvicinandola alle proprie labbra.
-Potrebbe tornare qualcuno, devo andare. – e così dicendo sgattaiolò via prima che lui potesse controbattere.
 
Trascorsero settimane. Le AoA dovevano filmare alcuni programmi, Choa era diventata presentatrice di uno di essi, inoltre tante erano le foto da fare per i diversi stilisti che le sponsorizzavano. Insomma, c’era sempre un gran da fare. Questi impegni erano intervallati da piccoli eventi, fansing e quant’altro. Non restava molto tempo per riposare. Gli FT Island, invece, erano in vacanza. Hongki era partito per Hong Kong mentre gli altri erano tornati dai genitori almeno per qualche giorno. Anche Jonghoon aveva deciso di far ritorno nel paese in cui era nato poiché era imminente il matrimonio della sorella. Questo impedì ai due di vedersi.
La sorella di Jonghoon aveva qualche anno in più di lui, si sposava con quello che era il suo fidanzato storico, conosciuto al liceo. Il giorno del suo matrimonio era semplicemente splendente. Seppure fossero molti anni che conosceva quel ragazzo si sentiva fremere d’amore nei suoi confronti come se fosse il primo giorno. Per il grande evento aveva scelto un vestito bianco, voluminoso, con il corpetto di perline. Jonghoon entrò nella camera dove si stava preparando assieme alle damigelle. La ragazza chiese alle altre di lasciarli soli per un istante. Non l’aveva mai vista così raggiante.
La loro storia era stata dominata da alti e bassi, si ricordava quando lui era appena un ragazzino e vedeva sua sorella struggersi per gli effetti del primo amore. Lei e quel ragazzo si erano lasciati tante e tante volte. Avevano provato a frequentare altre persone, alla fine si erano sempre ritrovati, in un modo o nell’altro. Qualcosa li aveva tenuti legati attraverso gli anni, nonostante tentassero di diversi. Jonghoon non aveva mai creduto rapporti del genere esistessero. Si era messo a sedere sul letto della sorella, guardandosi attorno e ricordando che quella fosse la camera di quando era una ragazza. Gli sovvennero immagini di lei che girava per casa in calzini, con le cuffiette nelle orecchie mentre ascoltava la musica, camminando a tempo come se ballasse. In quegli anni aveva i capelli tagliati cortissimi, sembrava una bambina nonostante si mettesse il trucco pesante. Ora davanti a lui c’era una donna in tutto e per tutto. Il trucco era leggero, luminoso. Aveva raccolto i lunghi capelli castani in un’acconciatura complessa ma raffinata. Ai lobi non aveva più i pendenti vistosi d’un tempo ma dei delicatissimi orecchini di perle. Quanto tempo era passato.
-Come ti sembro? – chiese con quel sorriso sereno che hanno le spose il giorno del loro matrimonio, come se per una volta potessero starsene sospese su una nuvola bianca a centinaia di metri da terra.
-Non ho parole, nuna. – rispose lui, sentendosi stringere il cuore nel pensare a come la vita sapesse cambiare.
Lei annuì, asciugandosi una lacrima all’angolo degli occhi. – Devi essere felice, Jonghoon. È bellissimo amare qualcuno, non devi avere paura. – prese le mani del fratello per stringerle alle sue. Entrambi ammiravano l’anulare spoglio che presto avrebbe ospitato una fede nuziale. – Ho avuto tante volte paura, ho creduto che non ne valesse la pena di tentare tanto di stare con qualcuno. Ma, credimi, ne vale sempre la pena se è la persona giusta. –
-Com’è hai fatto a capirlo che era quella giusta? –
La sorella posò le dita sul suo petto, coperto dalla camicia bianca, acquistata per l’occasione. – Lo senti proprio qui, inequivocabilmente. –
 

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


Capitolo VII

Era arrivato aprile quando anche le AoA poterono allentare un po’ i ritmi. Choa e Jonghoon non si erano sentiti per giorni poiché lui non era ancora tornato a Seoul. Il nervosismo iniziava a farsi sentire da parte della ragazza che non sopportava di sentirlo così poco per tanto a lungo. I messaggi erano sempre di meno e lei iniziava a sentire più presenti le insicurezze sul loro rapporto. All’ennesimo messaggio senza risposta decise di uscire con le altre che avevano intenzione di trascorrere il sabato sera in locale alla moda della città. Per l’occasione aveva scelto con cura i vestiti, aveva badato al trucco e a sistemare i capelli. In cuor suo si sentiva profondamente arrabbiata per essere stata messa da parte a quel modo. Se un periodo di vacanza bastava ad allontanarli a tal punto era convinta non avesse senso continuare.
Il locale non era altro che una discoteca dall’aspetto industriale, con una grande piscina al chiuso e banconi infiniti che si susseguivano uno dopo l’altro. Il primo bicchiere della serata fu un Margarita, il secondo qualcosa dal colore scuro di cui non ricordava il nome  e poi bastò poco per perdere il conto. Mentre tutti ballavano e si divertivano lei si   sentiva impermeabile ad ogni sorta di emozione. Guardava gli altri, provando solo il senso d’inadeguatezza per non riuscire a divertirsi allo stesso modo, con la stessa sguaiata leggerezza.
Se Jonghoon era stato impegnato poteva quantomeno trovare un attimo per sentirla, almeno per chiederle come stesse. Comportandosi a quel modo aveva prodotto l’effetto di farla sembrare trasparente. Se iniziava a darla per scontata già da ora non sapeva cosa sarebbe potuto accadere in futuro. Insomma, i pensieri che le passavano per la mente erano di questo tipo ma nel corso della serata iniziarono a farsi sempre più annacquati e confusi. Le venne vicino un ragazzo che le offrì un bicchierino al sapore di frutta. – Sei una bellezza. – aveva detto come primo approccio. Lei si era persa ad ammirare i cubetti di ghiaccio che si scioglievano all’interno del bicchiere. – Mi chiedevo come mai fossi tutta sola. – continuò lui imperterrito. –Qualcuno ha detto che dovrei essere in compagnia? – rispose lei con assoluta non curanza. – Se aspetti qualcuno, vista l’ora, direi non verrà. Potresti accontentarti di me. –
Lei alzò lo sguardo, il viso del suo interlocutore appariva piuttosto sfocato ma nel complesso non dava l’idea di essere spiacevole. Non si fidava di chi si approcciava a quel modo nei locali, era un suo principio. Tuttavia quella sera il bisogno di parlare aveva incrinato i parametri di giudizio. In un modo che non ricordava esattamente finirono con il parlare, le schiene posate contro il bancone, i bicchieri a farsi più numerosi. In verità, non avrebbe giurato di essere molto interessante o di saper fare discorsi particolarmente articolati, visto quello che aveva bevuto. Però lui rideva se lei tentava di scherzare, era un buon segno. Il locale prese a svuotarsi e loro restavano lì a parlare, lui non aveva tentato strani approcci.
-Tu sorridi ma so di star dicendo un mucchio di sciocchezze. – assicurò lei quando la musica iniziò a farsi più rilassante, non costringendo più a gridare per comprendersi.
-In verità credo tu abbia sbagliato il mio nome almeno una decina di volte. – rispose lui, divertito.
Si mordicchiò l’interno della guancia, torturandoselo a dir poco. – E quale avrei usato? Perdonami. –
-Beh… diciamo che ho capito che volessi interagire con un certo Jonghoon e non con me. –
Choa scosse il capo imbarazzata, le difese adoperate contro la propria coscienza erano state nulle. – Scusami, scusami. Tu sei stato così piacevole e carino solo che… -
-Solo che non ci sono riuscito a sostituire la persona che stavi aspettando. – il ragazzo rise, questa volta concedendosi un bicchiere d’acqua. Choa si domandava come potesse avere tanta pazienza, magari era ubriaco marcio e non si rendeva conto di essere stato sostituito in maniera ignobile. Comunque fosse Choa comprese fosse il momento di smetterla di far finta di saper reggere l’alcol e di tornarsene a casa.
Tornò in appartamento che le altre dormivano. Lanciò in aria le scarpe con il tacco, infilandosi i calzini ridicoli che adorava portare in casa e rinchiudendosi nel pigiama senza neanche struccarsi. L’ubriacatura l’avrebbe portata ad abbandonare le inibizione, concedendosi un’enorme stupidaggine. Prese il telefono e senza rifletterci oltre, su di giri com’era, compose il numero di Jonghoon nonostante fosse notte fonda. Lui stava dormendo nella cameretta di quando era bambino, con un letto troppo piccolo che lo costringeva a starsene con i piedi a penzoloni nel nulla. Vedendo il numero della ragazza iniziò a preoccuparsi, temendo che fosse accaduto qualcosa di serio. Ma appena rispose i dubbi furono chiariti da una raffica d’insulti.
-Cosa credi che io sia, eh? Parti e sparisci per sempre? Che diavolo di gioco è mai questo? – la voce della ragazza appariva piuttosto alterata, concitatamente continuava a rimproverarlo per il suo comportamento e naturalmente non gli lasciava tempo per controbattere. – Sei un bastardo! Io qui a lavorare e tu chissà dove. Non ti puoi comportare così. Non si gioca con le persone, cavolo. Come hai potuto? – ed a quella frase si interruppe, accorgendosi di star piangendo , ma soprattutto rendendosi conto che chiunque avesse avuto l’idea di divertirsi solamente avrebbe trovato quella sfuriata semplicemente eccessiva ed insensata visto che non erano nemmeno fidanzati.
Jonghoon si mise a sedere sul letto. – Choa… - la sua voce risultava roca  a causa dell’improvviso risveglio – Non lo so che mi è preso. –
Lei si calmò d’improvviso, facendo respiri profondi al telefono. – Non posso non sentirti per giorni. – ammise alla fine, decisamente spossata.
-Non posso nemmeno io. – ammise a sua volta lui.
-Allora perché l’hai fatto? –
-Perché sono uno stronzo. – e lei mise giù.
 

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


Capitolo VIII

Passarono tre giorni, tra le solite bollette, inviti a party e pubblicità, la posta consegnò loro anche una lettera scritta a mano, indirizzata a Choa. Di solito era Yuna a smistare le buste nella cassetta, di prima mattina, poiché era una delle prime a svegliarsi. Tra le solite buste bianche ed anonime la colpì quella di carta ruvida, con dei fiori azzurri ad acquerello sul retro. Stupefatta stava quasi per aprirla, credendo si trattasse di qualche trovata da parte di qualche locale o magari l’invito ad una cerimonia. Quando ne aveva aperto la sommità per metà, però, si accorse fosse indirizzata esclusivamente alla sua amica. La curiosità si fece ben più pungente. Solo allora ricollegò le strane telefonate serali e la sfuriata notturna che credeva d’aver sognato. La loro compagna nascondeva un segreto, evidentemente. Forse era meglio consegnarle la lettere prima che qualcun'altra venisse a conoscenza della sua esistenza. Se Choa aveva deciso di non dir loro niente magari aveva i suoi buoni motivi.
Infilò la lettera nella tasca dei pantaloni del pigiama, attraversando il corridoio per raggiungere la porta di Choa. Bussò lievemente, non udendo alcuna risposta decise di entrare. Le serrande erano abbassate, la sua amica era addormentata, con le gambe nelle lenzuola attorcigliate. Si mise a sedere al suo fianco, posandole una mano sulla spalla, scuotendola appena per tentare di svegliarla. Choa aprì gli occhi lentamente, d’un primo momento non riusciva a capire come mai Yuna fosse nella sua stanza, credette d’aver fatto tardi. Poi si tranquillizzò nel vederla in pigiama. L’amica le passò la lettera senza dir niente, le posò un bacio sulla fronte per poi sgattaiolare fuori dalla stanza, lasciandola sola.
Una lettera per lei. Choa non comprendeva. Accese la lampada sul comodino stropicciandosi gli occhi. Solo dopo le prime parole si accorse chi fosse ad averla scritta.

Cara biondina,
L’inizio di una lettera è sempre il più stridente. Soffro di panico da pagina bianca, devi saperlo. Con le canzoni non mi succede, so che se non ne fossi soddisfatto mi basterebbe tenerle rinchiuse in un cassetto o soffiarmici il naso. Questa volta è diverso perché io scrivo con l’intento di farti arrivare qualcosa di preciso. È complicato. Prova ad immaginarmi: sono nella stanza di quando ero bambino, le pareti sono di un blu a dir poco accecante (dovevo avere un gusto orrendo a quei tempi) ed il letto troppo piccolo. Fuori dalla finestra si vede il mare. Sono cresciuto così, con la vista puntata sulle onde e la testa da tutt’altra parte. Credo non ti sia difficile immaginarlo.
 Ci conosciamo da tanto noi due, non è vero? Non posso ricordare con esattezza la data della prima volta che ti ho vista, però questa semplice consapevolezza basta, mi fa comprendere che c’è una storia dietro a tutto questo. Il nostro rapporto si sta evolvendo a poco a poco, mi ritrovo a leggere queste parole giorni dopo e mi sembra già che non bastino più. Perché è una scoperta continua conoscerti, desiderarti e tenerci, è una scoperta che mi fa sentire migliore ma che mi ha trasmesso anche tanta paura.
Sono tornato qui per il matrimonio di mia sorella. Perché non te l’ho detto? Perché non volevo crederci neppure io. L’ho vista adolescente tornare a casa con la testa altrove, l’ho vista scrivere all’infinito un’iniziale sui quaderni di scuola, l’ho vista commuoversi per quelle canzoni ritenute sempre da entrambi troppo “mielose”. Ma soprattutto, l’ho sentita mentre saliva le scale di corsa di ritorno da scuola per poter chiamare la sua migliore amica, gridando di aver dato il primo bacio. Quante volte si è tagliata i capelli, ha cambiato stile, ha gettato i regali di lui, quante volte è tornata al cassonetto per riprenderseli. Quante volte ha pianto per lui ed io le ho detto di lasciarlo. Quante altre è uscita con ragazzi che non fossero lui per poi tornare sempre sui suoi passi. La ricordo dirmi che l’aveva tradita, ricordo le sue notti insonni, le perdite di peso improvvise e le notti trascorse insieme a prepararci spaghetti. Ho nella mente i suoi occhi stropicciati dal pianto e la bocca torturata dai rimorsi. Persino quella volta in cui mio padre ha detto a quel ragazzo di non tornare mai più. Ed ora si sono sposati. Non ci potevo credere. Mi restava il paradigma della sua sofferenza nella memoria, non potevo credere a quel giorno reputato da tutti il più felice.
Sono così, contento per lei ma con l’amaro in bocca. L’amore mi mette paura, non posso farci niente. Per questa non ti ho chiamata. Per questo sono stato stupido ma prima di tutto infantile. Hai fatto bene ad insultarmi. Mi hai dato l’ennesima scossa. Cavolo, ci riesci sempre. Ma come fai?
C’è una canzone che ho scritto tanti anni fa, quando trascorrevo l’estate in questa casa. L’ho tenuta per tutti questi anni nel cassetto della scrivania. Questa mattina, rileggendola, mi sono accorto ti calzi a pennello:
“Il tuo volto è impresso nelle frasi con più significato, il tuo sorriso è nelle canzoni più emozionanti, anche in quelle più malinconiche. Ci sono le tue parole che ripeto all’infinito nella mente, il modo in cui ragioni, i tuoi pensieri, il tuo modo di essere, quello in cui scherzi. Ci sono le notti trascorse a parlare di noi, a sognarci, desiderarci, immaginare. Dentro di me ti ho già baciata mille e mille volte, ti ho tenuta stretta, ho accarezzato il tuo viso, osservandolo a lungo perché non si cancelli.”
Ho cercato di spiegarti quanto accaduto con tutta la sincerità mi riuscisse d’usare. Non posso assicurarti di esserci riuscito del tutto.
Choa, ho ancora qualche giorno di vacanza; ho deciso di trascorrerlo in una villetta sulla spiaggia. Spero tu possa essere qui con me. Devo mostrarti quanto sia azzurro il mare quaggiù e che volto hanno le persone felici.
Un ragazzo misterioso,
tranne che per te.

 

L’aereo l’aveva lasciata in una cittadina dalle case a schiera con le mura azzurre. Choa aveva con sé soltanto uno zaino, lo stomaco era in subbuglio quasi più della testa. Sulla spiaggia terminante in una scogliera se ne stava una casetta dalle assi di legno spesso e le grosse vetrate tutt’attorno alle pareti. Il tetto era spiovente, con un nido di gabbiano sulla cima. Tutt’attorno all’abitazione al posto del giardino c’era una coltre di sabbia bianca, sottilissima. Sembrava la casa d’un sogno modesto. Era uno di quei luoghi che si concepiscono quando ci si è stancati del mondo.
Raggiunse il portico dove batté i piedi a terra per scrollarsi gli stivaletti. Improvvisamente la porta si aprì. Da quel momento era sicura di non ricordare più come fosse andata perché era stato come un vento imprescindibile a spingerli l’uno contro l’altro,  a trascinarli in un bacio. Si divorarono le labbra, si abbracciavano impazienti, tremanti. E non servì alcuna parola perché entrambi iniziarono a spogliarsi, poi lei a spogliare lui e lui a spogliare lei. Si sparpagliarono indumenti primaverili lungo il corridoio. Cadde a terra la camicia a quadri, scivolò altrettanto in fretta la maglietta bianca, i jeans. Lei si ritrovò con la schiena contro la parete, le mani affusolate da pianista la sfioravano quasi con devozione. I palmi si aggrappavano al seno generoso, le labbra scorrevano sul collo profumato, raggiungevano le spalle.
Si avvertiva il rumore delle onde, bastava tenere le palpebre socchiuse per immaginare la schiuma ritirarsi sulle onde della scogliera. Era come se l’abitazione intera fosse trascinata dall’incedere oscillante del mare. Loro due annaspavano in un sentimento avvolgente. D’improvviso erano nella camera da letto, le gambe s’erano guidate da sole. Jonghoon si mise a sedere sul divanetto di fronte alla finestra per sfilarsi le scarpe, Choa era in piedi di fronte a lui. Mai la vista aveva avuto il piacere di accarezzare un corpo così candido, armonioso. Scorrevano gli occhi sulla rotondità docile dei fianchi, scorrevano sulle gambe allenate, si perdevano quando lei lasciò scivolare a terra l’ultimo indumento intimo rimastole in dosso. Lui riusciva solo a pronunciare quel nome, nettare delle immaginazioni proibite. Scorreva con le dita sulla sua schiena nuda quando lei si sistemò a cavalcioni sulle sue gambe, inglobando il suo sesso nel calore del proprio corpo. Si muoveva ad agio, spettinando i capelli del ragazzo, posando baci sulle sue guance. – Sei bellissima. – riuscì a dire soltanto.
Scese il sole all’orizzonte, la stanza si fece più buia, soltanto la tremolante luce di una candela brillava al di sopra del comodino. I loro corpi erano ancora incastrati, i gemiti addensavano l’aria. La mente possedeva pensieri annacquati in cui la coscienza evaporava pian piano.
 Si erano sdraiati sul letto sufficientemente spazioso. Seguivano baci, le carezze. Le spinte s’erano fatte più profonde, la ragazza si contorceva dal piacere. In quel momento si dissipavano le domande e i dispiaceri. Sapevano soltanto di essere lontani da tutto e da tutti, quella sembrava la fine del mondo e un po’ lo era davvero. Nessuno dei due desiderò che durasse in eterno, era già eterno così, lo sarebbe stato per sempre. Jonghoon baciava le sue labbra, mordicchiava quello inferiore, sorpreso di trovarla realmente lì. Aveva scritto quella lettera rivolta a lei in piena notte, giorni dopo aver ricevuto i suoi insulti per telefono. Ancor prima di realizzare quanto provasse a proposito della situazione lo aveva scritto. Le parole erano venute fuori da sole. Era stato un fluire spontaneo e sincero. Le aveva parlato della sorella e delle sue paure, cose che non era mai riuscito a dire ad alta voce. Era bastato scriverle a lei perché si facessero un po’ più leggere. Aveva raggiunto a piedi la cassetta della posta, ai piedi aveva indossato solamente le infradito per il mare e ad un certo punto si era messo a correre. Consegnando quella lettera aveva creduto di non rivederla mai più. Perché succede così quando ci si confessa a qualcuno: svanisce. C’è chi lo fa per timore o chi perché crede che certe spiegazioni siano solamente una scusa come tante e che sia semplice pronunciarle. Per lui non era stato affatto semplice. Aveva lasciato i suoi sentimenti a condensare per troppo tempo dentro se stesso senza dar loro una forma, ritrovandosi ora fra le mani un groviglio intricato. Ma Choa era lì, stava sciogliendo ogni filo aiutandolo a ritrovarne il capo.
Si strinsero abbracciandosi saldamente, un orgasmo caldo e denso pose termine a quel volteggiare. La terra riprese ad essere salda, non era più come stare in mare aperto, il mondo intero aveva smesso di oscillare.
Choa posò la guancia contro il petto di lui, riprendendo fiato. – Allora è vero che hai la tartaruga. Pensavo fosse tutto photoshop. – lui rise, giocando con le sue ciocche di capelli umide di sudore.
 

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