Skinny Love

di BrownRabbit
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Starks&Rogers ***
Capitolo 2: *** Dinner Time. ***
Capitolo 3: *** I saw your smile. ***
Capitolo 4: *** It was supposed to be a Clintasha moment. ***
Capitolo 5: *** A new beginning. ***
Capitolo 6: *** Clint's idea. ***
Capitolo 7: *** "You don't have a crush on Rogers." ***
Capitolo 8: *** Drunky boy. ***
Capitolo 9: *** Artistic Boy. ***
Capitolo 10: *** "Break a leg, Tony" ***
Capitolo 11: *** Silly little girl. ***
Capitolo 12: *** Let's save the millionaire. ***
Capitolo 13: *** Not so important. ***
Capitolo 14: *** Drunky boy II. ***
Capitolo 15: *** What about dad? ***



Capitolo 1
*** Starks&Rogers ***


Anthony Edward Stark era il classico stereotipo di ragazzino diciassettenne con un quoziente intellettivo superiore alla media ed un padre fondatore di una multinazionale. Se si fosse chiesto a qualcuno cosa pensavano di lui non sarebbero sicuramente uscite belle parole, anche perché allontanava coloro che provavano ad avvicinarsi con tutte le intenzioni del mondo tranne quella di conoscerlo per come lo conoscevano i suoi tre amici, quindi tutti. Vaneggiava di non aver punti deboli, tranne il non resistere a presentarsi in qualche bar, festa o discoteca di Venerdì e Sabato sera; ecco perché si stava premendo il cuscino sulle orecchie in modo da non sentire la sveglia -o almeno cercare di non sentirla.
Sapeva che promettere al padre di partecipare al pranzo con l’amica d’infanzia ritrovata non era stata una buona idea, l’aveva capito appena il Signor Stark disse l’orario al figlio. Alle undici di Domenica mattina, ma perché mai? Il suo cercare di essere il figlio che suo padre sognava da tempo si ritorceva sempre contro di lui.
Come se gli avesse letto nel pensiero, Howard aveva inviato Edwin Jarvis a svegliare il giovane. Il maggiordomo si diresse verso le finestre senza dire una parola e spalancò le tende che impedivano ai raggi del Sole di irrompere nella stanza.
-Jarvis!- Tony protestò, immergendo il volto nel cuscino per il fastidio causato dalla luce.
-Coraggio, signorino Stark, ha meno di un’ora per prepararsi.- Edwin fece qualche passo fino al letto e con tutta calma spostò le coperte dal corpo del moro, il quale rabbrividì per il freddo improvviso sulle gambe e lanciò il cuscino verso il malfattore subito dopo. L’attacco del giovane ragazzo venne sventato da una presa magistrale dell’anziano signore, che sorrise soddisfatto nel vedere il moro alzarsi dal letto e dirigersi verso il bagno. -A più tardi, signorino.-
Come risposta ebbe una porta sbattuta con forze, cosa che lo fece ridere. Succedeva spesso anche nei primi periodi con Howard Stark, suo figlio aveva preso più da lui che da Maria, probabilmente era anche per questo che si comportava così duramente con quel povero ragazzo. Aveva commesso tanti errori da giovane, non voleva vedere suo figlio fare lo stesso percorso.
Tony era rispuntato in camera dopo dieci minuti, con le punte dei capelli ancora gocciolanti, e si fermò a guardare il completo giacca e cravatta che Jarvis aveva sistemato sul letto rifatto. Roteò gli occhi e sbuffo.
Non che odiasse vestirsi così, anzi non vedeva l’ora di partecipare alla vita lavorativa del padre solo per indossare quotidianamente quei vestiti, ma quella era un semplice pranzo e non vi era nessuno il quale mettersi in tiro, a quanto ne sapeva. “Ha un figlio della tua stessa età, mi sembra”; queste erano state le parole di Stark Senior e lui non era per niente rimasto entusiasta della notizia.
Aveva passato abbastanza tempo con i suoi coetanei per capire che i ragazzi erano soliti credersi più intelligenti di quanto realmente fossero, mettendosi in ridicolo attraverso sforzi inutili per arrivare alla sua portata.
Una giornata così non avrebbe potuto sopportarla, per questo aveva avvertito i suoi tre amici il giorno prima, chiedendo di tenere il telefono sotto controllo per un possibile S.O.S.
Al suono del campanello si sistemò la cravatta blu notte e fece un lungo sospiro prima di scendere le scale.

 
 
Dall’altra parte di New York, in uno di quei quartieri evitati più che volentieri, vi era la famiglia Rogers composta da un giovane ragazzo di diciassette anni e sua madre.
Si erano trasferiti lì da circa due anni, dopo che il padre era scomparso. Nessuno dei due si era preoccupato di chiamare la polizia per denunciarne la sparizione, al ragazzino stava bene così, suo padre non gli era mai piaciuto. Aveva ancora delle cicatrici lungo la schiena provocate da quel uomo tornato a casa a notte fonda.
Fino a quel 12 Luglio teneva lo sguardo fisso sull’orologio appeso nella sua vecchia camera da letto, aspettando e sperando di sentire la porta di casa aprirsi e chiudersi prima di mezzanotte. Quando questo non accadeva, scendeva in salotto da sua madre e si sistemava sul divano per farle compagnia.
-Perché non ce ne andiamo?- Disse una di quelle sere. Come risposta ottenne quel sorriso dolce che solo una madre sa fare ed una carezza sui capelli biondi.
A solo dieci non riuscì a capire perché veniva così difficile alla madre preparare un paio di bagagli e partire con suo figlio; a tredici capì che era per quello stesso figlio: suo padre non l’aveva mai colpito veramente, l’aveva solo spintonato e spedito in camera sua, ed era il Signor Rogers che portava a casa abbastanza stipendio per dare al piccolo un bel posto dove stare e dei regali per il compleanno e Natale.
Tutto crollò quando il padre scoprì che il suo unico figlio era attratto più dai ragazzi che dalle ragazze. Quella fu una notte che Steve rinchiuse in un cassetto della sua mente e non tirò mai più fuori. I segni sulla schiena se li era procurati in palestra, diceva, e poi cambiava discorso.
All’inizio non era stato facile, ma dopo un paio di mesi sua madre aveva trovato lavoro in un grande magazzino e riusciva a pagare la retta scolastica di Steve senza grandi problemi.
A distanza di due anni Steven e sua madre si stavano preparando per andare ad un pranzo da un vecchio amico di lei. Il biondo aveva dovuto rimandare i piani di quella giornata, ma per la felicità della donna avrebbe fatto qualsiasi cosa.
Dopo una doccia veloce, si infilò un paio di jeans, una camicia ed un maglioncino. Non aveva giacche o farfallini nel suo guardaroba, e quel maglioncino beige era ciò che riservava per le grandi occasioni, sapeva che si sarebbe sentito totalmente fuori posto, ma era solo un pomeriggio, doveva resistere solo un pomeriggio.
-Mamma, ci sei?- Per tutta risposta, la donna giunse dal corridoio con indosso un abito rosso a tubino, l’ultimo regalo della nonna, e un cappotto nero. Ora si sentiva fuori posto pure nel suo stesso salotto, perfetto.
Inutile dire che davanti alla villa Stark il disagio aumentò. Era sicuro di non aver mai visto niente di più grande e poteva scommettere che quel giardino immenso continuasse dietro la struttura.
-Sei proprio sicura che devo venire anche io? Posso…posso tranquillamente tornare a casa con il pullman.-
-Tesoro, stai calmo, non sono cannibali.- Steve storse leggermente le labbra, seguendo poi la madre fuori dall’auto e verso l’entrata della casa.
Fece un respiro profondo e pregò che Bucky o Natasha fossero disponibili per una possibile fuga dell’amico. 








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Nota dell'autrice:  Buonsalve a te, mio caro lettore.
Per ora non ho molto da dire, se non la richiesta di esprimere il vostro pensiero -anche critico- e la speranza che questo primo capitolo abbia lasciato un po' di curiosità e la voglia di leggere il seguente.
Ho fatto questa nota principalmente per ringraziare una persona con una pazienza incredibile, che m'è stata vicina in questo periodi ed ha sopportato tutte le mie pare mentali: la mia PUPPY! Diavolo, non so come abbia fatto a non uccidermi. LOL Grazie, ciccina bella. <3

Ps: Mi scuso per eventuali errori di battitura.

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Capitolo 2
*** Dinner Time. ***


Si erano già sistemati nella sala da pranzo, accanto ad un tavolino di cristallo con appoggiati quattro bicchieri pieni di vino bianco, quando Tony raggiunse le tre figure.
Ancora prima di essere notato aveva fatto una radiografia veloce ai due estranei; la signora le ricordava molto una donna di classe, il vestito a tubino fasciava perfettamente il suo corpo senza renderla volgare ed aveva il buon gusto di non truccarsi troppo gli occhi quando metteva il rossetto rosso. Non era il tipo di donna che vedeva spesso accanto a suo padre, eppure aveva qualcosa di stranamente familiare.
Il ragazzo biondo alla sua sinistra la sorpassava di qualche centimetro, nonostante i tacchi, ed aveva tutta l’aria di passare più tempo in palestra che da qualsiasi altra parte. Ma se l’era immaginato l’incontro con un energumeno tutto muscoli e niente cervello.  Pregò di non rimanere mai solo con lui, perché di sostenere discorsi su football o altre attività sportive non ne aveva voglia.
Comunque, fu proprio il ragazzo in maglioncino a notare l’arrivo del figlio prodigo, il quale rimase spiazzato per un secondo dal cenno di saluto ed il sorriso con il quale si presentò; si aspettava qualcosa di meno contenuto, tipo delle sbracciate in aria o una frase pronunciata con un livello di voce tanto alta da farsi sentire fino in centro città. Forse non era il tipico omaccione muscoloso a capo della squadra di football della sua scuola che era abituato a conoscere, ma Tony decise che era meglio non illudersi.
«Oh, ecco il dormiglione di casa.» La voce del padre fece girare anche la donna verso di lui, così da avere l’attenzione di tutti. Amava avere l’attenzione di tutti. «Questi sono Peggy Rogers e suo figlio Steven, ricordi?» La brunetta –Peggy, a quanto pareva- appoggiò delicatamente una mano sull’avambraccio del Signor Stark.
«Howard, aveva due anni quando ce ne siamo andati, non penso ricordi qualcosa. Però posso dire che è venuto su bene, ricorda te alla sua età.» Il sorriso di Peggy era dolce e caldo, il classico sorriso che poteva rassicurare chiunque e ti faceva credere di poter spaccare il Mondo con un paio di dita. Doveva essere il tipico sorriso delle mamme, di cui Tony aveva sentito parlare tanto ma non aveva mai saputo dare verità a quelle fonti.
Al solo pensiero sentiva un nodo allo stomaco, si costrinse a distogliere lo sguardo dalla donna ed avvicinarsi al tavolo, così da prendere in mano la coppa rimasta intatta.
«Mi sono perso qualcosa?» Disse con un sopracciglio inarcato, rivolto verso il padre.
Ma non fu l’uomo a proferire parola, bensì il ragazzo palestrato. «A quanto pare eravamo inseparabili, prima che ci trasferissimo in Ohio.» La voce non era rude o troppo alta per attirare l’attenzione, ne’ aveva parlato sopra Howard per farsi notare; aveva usato un tono tranquillo –quasi soffice- e chiunque avrebbe potuto sovrastarlo, in quella stanza. Persino il rumore dei piatti che stavano sistemando le cameriere rischiava di eclissarlo.
Quei due gli infondevano troppa tranquillità e fiducia, e lui non si fidava poi così tanto di gente che faceva quell’effetto a primo impatto. Effetto collaterale di avere un cognome che richiamava ricchezza e fama.
Fece un leggero movimento con il polso della mano che reggeva il bicchiere, così da mescolare il vino, e lo bevve subito dopo aver pronunciato la frase: «Hm, e come mai non ho mai sentito parlare della famiglia Rogers?»
«Tony, non iniziare» Howard Stark sapeva benissimo dove voleva andare a parare; era già successo che un paio di persone s’erano ritenute offese e se n’erano andate, tra quelli uno dei compratori più fidati delle Stark Industries da anni.
Lui e suo figlio non parlavano poi così tanto e se lo facevano era per lavoro o per scuola, era ovvio che quella donna non era mai uscita nei loro brevi discorsi, ma non poteva dirlo così apertamente: per qualche secondo, voleva provare a fingere di essere un bravo padre, almeno agli occhi di Peggy.
«Cosa? Era solo una domanda. Se davvero ero così intimo con il fustacchione qui, perché hai preferito portarmi in giro per le capitali Europee invece di andare in Ohio a trovare lui e la signora Rogers? Insomma, a quanto ho capito lei è stata una tua cara amica, o mi sbaglio?» Improvvisamente suo padre indossò una maschera illeggibile, come se avesse toccato un tasto dolente, e Tony interpretò quel gesto come conferma delle sue supposizioni sui due estranei. Insomma, non sarebbero stati i primi a presentarsi in casa Stark con la storia dell’amico di vecchia data per chiedere prestiti al padre. C’era anche da dire che Howard aveva detto “no” un sacco di volte –effettivamente tutte-, ma erano dettagli insignificanti, no?
Steve, dal canto suo, non riusciva a capire come da un uomo così ben educato come il Signor Stark fosse uscito un così sfrontato ragazzino.
L’uomo aveva fatto subito una buona impressione al biondo; probabilmente era perché non vedeva sua madre così raggiante da qualche mese e chiunque rendeva così euforica Peggy aveva dei punti bonus. Avevano parlato e scherzato fino all’arrivo del figlio, poi la tensione era cresciuta parola dopo parola. Il ragazzone era sicuro di aver visto l’ansia comparire nei movimenti di Howard Stark appena il moro aveva fatto la sua comparsa.
Inarcò un sopracciglio all’aggettivo che Tony gli aveva dato con tanta nonchalance, cercando di capire se fosse in modo dispregiativo o solo perché non riusciva a ricordare il nome. Probabilmente s’era impegnato a tenerlo a mente tanto quanto un bradipo si impegna a vincere la maratona di New York.
Lasciò scivolare quel punto interrogativo abbastanza in fretta, perché quel ragazzino sembrava avere la lingua lunga e tagliente, pronto a toccare i punti dolenti senza nemmeno saperlo -o forse di proposito, ancora non lo sapeva. Con quelle parole aveva immobilizzato il padre ed aveva fatto abbassare il volto di Peggy, che si concentrò totalmente sul vino.
Odiava vedere sua madre con quello sguardo spento, soprattutto se fino ad un minuto prima sprizzava allegria da quegli stessi occhi. Poggiò una mano sulla schiena della donna, muovendola su e giù di qualche millimetro in segno di conforto, perché più di così non poteva fare.
Spostò lo sguardo su Stark junior e quel sorrisetto beffardo, che cercava di nascondersi dietro i sorsi di vino, fece prudere le mani a Steve. Aveva dato dell’opportunista a Peggy, sua madre; aveva palesemente toccato tasti dolenti di entrambe le vite dei due genitori e se ne stava lì a gioire in silenzio del suo risultato. Come poteva essere così meschino?
Dovette far appello a tutte le sue forze per tenere un tono di voce calmo e tranquillo, senza sbottargli addosso. «Vedi, Anthony, non tutto è così semplice. A volte ci sono degli ostacoli difficili da superare, che necessitano di tempo e di coraggio. Capita siano tanto forti anche da riuscire a separare due persone che si vogliono bene e si conoscono da una vita.» Per tutto il tempo riservò lo sguardo alla madre, assicurandosi di aver usato le parole giuste attraverso i gesti della donna, la quale lo guardò con gli occhi pieni di orgoglio quasi incredula che fosse davvero suo figlio. A quel punto Steve spostò lo sguardo verso Tony, che lo stava guardando con la bocca serrata. «Alcune le chiamano “sfide della vita”, hai presente?»
«Certo, ogni mattina devo decidere tra donuts o cupcake.» Tony sostenne lo sguardo del biondo, il quale scosse leggermente la testa con un sorriso nervoso stampato in volto. Sapeva gestire la rabbia ed il nervosismo, aveva fatto mesi ad esercitarsi, ricorrendo anche alla box, non sarebbe stato sicuramente un ragazzino milionario e viziato a fargli perdere la sua buona condotta.
Peggy riusciva a leggere suo figlio come una madre sapeva fare, per questo ringraziò silenziosamente la puntualità del cuoco e sperò che il cibo aiutasse a far scomparire la brutta aria creata intorno al tavolino. «Guardate, è pronta! Andiamo?»
Howard prese al balzo l’occasione, annuendo e poggiando il suo bicchiere e quello di Tony –strappato letteralmente dalla mano- sul piano di cristallo.
Quel pomeriggio fu tutto il contrario di come Peggy e Howard se l’erano immaginato. Se parlavano troppo di vecchi ricordi, Tony trovava un modo per inserirsi con qualche commento sarcastico, scatenando le risposte di Steve e riportando la situazione creata intorno al tavolo con il vino. Dovevano passare almeno cinque minuti, od arrivare una nuova portata, prima che la situazione tornasse stabile. 
Quando la cosa divenne insostenibile fu Howard ad alzare la voce per sovrastare il botta e risposta dei due ragazzi, i quali non sembravano aver intenzione di smettere.
«Tony, non dovevi vedere i ragazzi, oggi?» Il ragazzo si voltò verso di lui ed inarcò un sopracciglio. Quello era uno dei suoi tanti modi per chiedergli di togliersi di torno e, per una volta tanto, non gli dispiacque.
Si alzò dal tavolo con il cellulare già tra le mani e si ricordò di salutare i Rogers solo perché il padre lo richiamò quando era quasi sulla soglia. Come risposta ricevette prima quella di Peggy e qualche secondo dopo quello di Steve, convinto dalla gomitata della madre arrivata dritta sull’avambraccio. 













 

«Lo odio.» Sbottò Steve, buttandosi sul divano e passandosi le mani sul volto.
«Howard? Non mi sembrava.» Peggy si stava togliendo le scarpe, reggendosi al muro con una mano per non cadere.
Aveva un sorriso smagliante e le andava di scherzare. Dopo che Tony li aveva abbandonati era andato tutti per il meglio, era anche convinta che Steve avesse fatto buona impressione su Howard, nonostante i battibecchi con il figlio. Eppure da piccoli li ricordavano così uniti, forse lo sarebbero stati ancora se solo non si fosse in messo in mezzo il padre del biondo.
Biondo che si tirò su, facendo sbucare la faccia da dietro il divano, pronto a lanciare un’occhiataccia alla madre. «Sai di chi sto parlando, ma’.» Poi si lasciò andare nuovamente con la schiena contro i cuscini. «Come fa una persona ad essere così incredibilmente irritante. Dico, ma l’hai visto? Sono Tony Stark, ho a disposizione una fortuna e tanta genialità grazie a mio padre, per questo mi diverto a rendergli la vita un inferno.» Cambiò il tono di voce, cercando di imitare il modo in cui aveva parlato il ragazzo per la durata della cena. 
La donna cercò di non ridere mentre raggiungeva il retro del divano, dove si allungò per dare un leggero frontino al figlio. «Steven, non lamentarti così tanto, poteva andare molto peggio.»
«Sì, poteva rimanere.» Lanciò un’altra occhiataccia alla madre per lo scappellotto appena ricevuto, decidendo di rotolare giù dal divano per evitare il seguente. Fece forza sulle braccia per impedire lo scontro con il pavimento e si alzò, pulendosi le mani sulle braghe. «Ricordati di dire ad Howard che a tuo figlio non passa per l’anticamera del cervello di passare più di cinque minuti con il suo. Quindi grazie per l’offerta, ma la risposta è no.»
Peggy incrociò le braccia al petto, volgendo lo sguardo al cielo e sbuffando. «Tesoro, ti servono quelle ripetizioni. Lui ha il massimo di voti in fisica e chimica, ed io non ho intenzione di vederti ripetere l’ultimo anno per due materie che poi non vedrai più per il resto dei tuoi giorni.»
Erano capitati sull’argomento per puro caso: Howard aveva chiesto come andava a scuola ed i suoi piani per il futuro e Peggy aveva subito sottolineato l’animo artistico del figlio, ma anche la sua impossibilità di portare a casa una sufficienza in quelle due materie. Ovviamente il signor Stark non aveva pensato molto a quello che era successo precedentemente a tavola, proponendo l’aiuto del figlio. Steve era prontissimo a rispondere negativamente, ma la Signora Rogers lo precedette con un “Ci penseremo, grazie” con il solito sorriso di una che aveva già deciso cosa fare.
Quello era uno dei momenti dove Steven avrebbe tanto voluto riuscire ad arrabbiarsi con la madre, cosa che non gli riusciva da quando aveva quattro anni. Si sentiva in debito con lei per tutti gli anni che l’aveva protetto quando era troppo piccolo per farlo da solo, ora era quasi il doppio di lei e poteva finalmente difenderla. Arrabbiarsi l’avrebbe solo fatta rimanere male, perché quella donna faceva tutto per il suo bene, pure quello, nonostante al biondo non andasse giù dover passare tanto tempo con il mini Stark.
«Okay! Dì al signor Stark che una volta a settimana posso farcela. Ma non di più.» Calcò sull’ultima frase, mentre sul volto della donna davanti a lui si apriva un sorriso soddisfatto.
«Come premio un po’ di cioccolata ed un DVD a tua scelta.» Film e cioccolata calda, sua madre sapeva come comprarlo con poco. Almeno gli sarebbe sceso il nervosismo.





Stark junior rientrò appena dopo cena non stupendosi di trovare il padre aspettarlo in salotto. Far finta di non vederlo era impossibile, ci aveva già provato qualche tempo prima ed era stato richiamato con diversi schiarimenti di voce di Howard. Dunque, Tony, optò per entrare nella stanza ed osservare l’ordine che vi era come se fosse la cosa più interessante del Mondo.
«Allora, andata bene? Anche se dubito, visto che la parte più divertente vi ha abbandonati a metà giornata.» Quel comportamento infastidiva suo padre più di tutti, specialmente se il ragazzo aveva agito come uno stupido per tutta la durata del tempo che era stato in loro compagnia; ma a Tony non interessava, lui era fatto così e quando poteva utilizzava qualsiasi forma di ironia a sua disposizione.
«Perché devi fare così ogni volta?» Howard fece passare le dita sugli occhi, fermando il pollice e l’indice all’attaccatura del naso. «Non rispondere, te ne prego.» Si alzò dalla poltrona vecchio stile sulla quale era seduto ed andò a riempirsi il bicchiere con un po’ di whiskey, procurando una smorfia da parte del figlio. «Sai, se ti fossi sforzato un po’ ti saresti reso conto del perché io e Peggy siamo amici nonostante questi anni divisi. Sono belle persone, Tony, mi piacerebbe tu provassi a conoscerle meglio.»
«Grazie ma no, grazie.» Sapeva scegliersi da solo le persone da conoscere e frequentare, fino a quel momento non aveva mai sbagliato, sicuramente nemmeno quella volta. Suo padre si addolciva sempre quando si parlava di una donna single in difficoltà, figuriamoci se questa aveva fatto parte del suo passato.
«Non hai alternative. Ti ho proposto per aiutare Steven in chimica e fisica.» Detto quello bevve un grande sorso della bevanda che s’era appena versato nel bicchiere, mentre gli occhi del figlio rischiavano di uscirgli dalle orbite.
«No. Assolutamente no. Non ho intenzione di stare con quel damerino pompato per più di due minuti, e sicuramente non mi metterò a dargli lezioni di ben due materie.» Steve proprio non gli stava simpatico. Da quando aveva iniziato a rispondergli a tono era entrato nella sua lista nera e da lì era difficile andarsene.
«Penso che ormai sia tardi per tirarti indietro, domani Peggy mi darà la risposta del ragazzo ed io penso ti faccia bene passare un po’ di tempo con persone che non siano Banner, Rhodes o Barton.» Poco gli interessava quello che suo padre pensava dei suoi amici; l’unico che meritava la sua stima era Bruce per le scoperte del padre nell’ambito dei raggi gamma, gli altri due erano solo due cognomi che aveva imparato a conoscere a forza di vederli girare per casa.
Si concentrò sul “domani” riferito alla donna di quel pomeriggio, cercando di comprendere com’era possibile che il padre aveva trovato un buco nei suoi svariati incontri lavorativi per vedere quella donna, quando non lo trovava nemmeno per andare a parlare con il Preside se il suo stesso figlio veniva richiamato per più volte.
Poi l’illuminazione: era già da diversi giorni che Howard diceva di dover trovare una segretaria, dopo che Susan gli aveva lasciati per un lavoro migliore. Aveva mandato via un sacco di persone perché, per quanto Tony dicesse, era proprio come lui e non riusciva a fidarsi tanto facilmente. Magicamente si rifà viva Peggy Rogers, ed ecco che il posto viene occupato.
«Quindi, hai trovato finalmente la tua segretaria? Che caso sia ricomparsa proprio in questo periodo, non trovi?» Il rumore sordo del bicchiere sulla superfice di legno fece pentire il ragazzo di non frenare mai la lingua, solo per un attimo, però. Sapeva che la sfuriata sarebbe arrivata comunque, che dicesse quelle cose o meno. Si sistemò il colletto della camicia preparandosi ad incassare la ramanzina.
«Basta. Hai raggiunto il limite, oggi. Ho provato in tutti i modi di passare sopra questo tuo comportamento, ma non ha funzionato. Peggy è una delle poche persone a cui tengo; siamo cresciuti insieme; è la migliore amica che io abbia avuto; una persona splendida, e tu le hai dato dell’opportunista senza nemmeno conoscerla. Hai idea di quanto ci sia rimasta male?»
Tony avrebbe voluto rispondere a suo modo, eppure qualcosa glielo impedì. Era da tempo immemore che non vedeva uno sguardo del genere dipinto su quel volto, forse nemmeno l’aveva mai visto. Voleva schiodarsi da lì, andare in camera, per potersi nascondere da quegli occhi che lo facevano sentire terribilmente in colpa.
«Domani mattina devo svegliarmi alle sette, posso andare?» Howard sapeva che non avrebbe ottenuto niente da suo figlio, tanto meno delle scuse, dunque scosse la testa e mosse la mano in segno di congedo, per poi versarsi un altro po’ di alcool nel bicchiere.
Forse avrebbe dovuto dire al padre il senso di colpa che si stava facendo strada dentro di lui, ma sapeva quanto sarebbe stato inutile, il giorno dopo avrebbe detto sicuramente qualcosa di sbagliato, ancora. Perché Tony Stark era così, uno sbaglio dietro l’altro. Solo nella sua officina non sbagliava un bullone, era molto più facile relazionarsi con delle macchine che con degli esseri viventi, per lui.
Ma un giorno, lui lo sapeva, suo padre l’avrebbe abbracciato per bene, dicendogli quanto fosse fiero del proprio figlio.








...
Note dell'autrice: Buonsalve, lettori!
Prima di tutto volevo ringraziare coloro che hanno messo la mi storia tra le seguite: Breaththeuniverse; Bynie; CaterinaCafiero; crazy_L; Nanna12345; _monique_; poi StevenRogers che l'ha messa tra le preferite e Gulab che ha recensito. Grazie mille. çç <3
BTW, spero che questo capitolo non vi abbia deluso, Davvero, ogni Giovedì scriverò 'sta cosa, ed ogni Giovedì avrò l'ansia. LOL
Al prossimo capitolo, caViH. <3

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Capitolo 3
*** I saw your smile. ***


Steve se ne stava seduto da solo in una delle tavolate situate nella zona mensa della Midtown High School mentre guardava il cellulare e muoveva su e giù la gamba. Erano passati cinque giorni dal pranzo a casa Stark ed aveva sempre cercato un modo per evitare di mandare il fatidico messaggio al giovane della villa, visto che la dolce e tenera Peggy s’era preoccupata di chiedere direttamente il numero ad Howard. Il biondo doveva soltanto scrivere l’ora ed il giorno e l’altro avrebbe risposto, a quanto diceva il signor Stark. Quel momento era stato rimandato il più possibile, l’avrebbe rimandato ancora se la professoressa non si fosse impuntata nel mettere una verifica di fisica il Martedì seguente. Così, al cambio dell’ora, estrasse il cellulare dalla tasca del giubbotto di pelle marrone e digitò un messaggio.
Stark, sono Steven Rogers. E premette il tasto “invio”, giusto per vedere se si ricordava della sua esistenza.
A distanza di tre ore, si rigirava l’oggetto rettangolare tra le mani, chiedendosi se avesse dovuto aggiungere qualcosa tipo, appunto, l’ora ed il giorno che preferiva. Poco sopportava il non sapere in cosa sperare, se in un completo gesto di indifferenza o in una risposta concreta. Non aveva cambiato idea su Tony Stark, non voleva passarci del tempo insieme, ma non voleva portare a casa un altro voto negativo in quella maledetta materia; cosa che sarebbe sicuramente successa se avesse provato a studiare da solo.
«Ehi, posso sedermi accanto a te, bel tenebrone solitario?» Una ragazza dai capelli rossi, lunghi fino alle spalle, era arrivata alla schiena del biondo, talmente concentrato sullo smartphone che quasi cadde dalla panca, procurando una risata alla studentessa che si stava sedendo accanto a lui.
«NATASHA.» Steve si portò la mano destra a livello del cuore, cercando di regolarizzare la respirazione.
Aveva perso il conto di tutte le volte che la sua amica si era divertita così: lui aveva sempre qualcosa per la testa e lei sembrava una spia da quanto era silenziosa. Era abbastanza sicuro che quella sarebbe stata la ragione della sua morte prematura.
«Che succede qui?» James Buchanan “Bucky” Barnes, un ragazzo dai capelli marroni e con la giacca della squadra di football, si sedette di fronte a Rogers con il suo sacchettino marrone. «Ho sentito una donzella urlare.»
«Ehi, non preoccuparti, non potrei mai rubarti il ruolo.» Bucky rispose facendo il verso al biondo, causando la risata dei due ragazzi che stavano seduti davanti a lui.
L’attenzione di tutti venne poi attirata dal vibrato del cellulare di Steve, capace di far crollare la scuola. Il proprietario guardò lo schermo, storcendo la bocca nel leggere “Stark” in parte al simbolino della busta. Il momento era arrivato, ed iniziò a sperare che ci fosse scritto un bel “non ho tempo” e finita lì.
Oggi alle tre.
Veloce e conciso aveva distrutto le speranze di Steve, che si trovò a buttare il telefono in mezzo al tavolo. L’oggetto poco amato venne afferrato da una mano appartenente ad un ragazzo di colore che si sedette accanto a Barnes, sotto gli occhi della rossa e del ragazzo castano, i quali stavano cercando di capire perché l’amico avesse compiuto quel gesto improvviso.
«Amico, che ti metterai per l’appuntamento?» Disse il nuovo arrivato, con una punta di ironia ed un sorriso beffardo stampato sul volto.
La sua frase attirò l’attenzione del suo vicino, il quale si sporse verso di lui per leggere i messaggi. «Appuntamento?»
«Allora eri serio su Stark.» Poi c’era Natasha, alla quale non serviva niente di più che un paio di frasi ed uno sguardo al comportamento di Rogers per comprendere di cosa si trattasse veramente.
Il giorno seguente il pranzo non s’era risparmiato nel dire quanto poco sopportasse il figlio di Howard Stark e quanto l’avesse irritato quel pomeriggio. I suoi amici non l’avevano mai visto così restio verso qualcuno, perciò Sam –l’ultimo arrivato- si divertiva un mondo a lanciargli delle battutine appena poteva. Dal canto suo, la rossa preferiva starsene a guardare le scenette, a volte ridacchiando, a volte scommettendo con Bucky su quanto avrebbe resistito ancora Steve prima di serrare un pugno a Wilson.
Il biondo si allungò per strappare dalle mani dell’amico il suo cellulare e rispondere al messaggio del moro con un semplice “Okay.”
«Fingi un male improvviso appena arrivi là.» Suggerì Bucky, con mezzo panino in bocca.
«Oppure chiamalo poco prima dicendo che sei caduto dalle scale e ti sei slogato una caviglia.» S’intromise Sam.
«Ragazzi, la vostra maturità mi disarma ogni volta.» Li riprese la Romanoff, per poi tornare a concentrarsi sull’amico al suo fianco. «Steve, vai per oggi e quando vedrai Peggy le dirai che non ti sei trovato bene, capirà sicuramente.»
Per tutta risposta ricevette un “Hm.” seguito dal suono della campana che segnava la fine della pausa pranzo e la ripresa delle lezioni. Bucky ingurgitò ciò che restava del suo panino; Sam tracannò il succo alla pesca e Natasha roteò gli occhi per poi essere la prima ad alzarsi.
«Il professore di spagnolo odia i ritardatari. Andiamo, Rogie?» L’interpellato annuì e si alzò, voltandosi verso gli altri due per salutarli, trovandoli presi in una sfida a chi arriva ultimo al cestino. Si voltò verso l’amica, la quale alzò le spalle e scosse la testa in segno di resa.



Tony aveva la testa appoggiata al pugno sinistro e cercava di vincere la lotta contro Morfeo, poco contento del fatto che il ragazzo fosse stato sveglio fino a notte inoltrata nel laboratorio di casa. Se poi si metteva in conto che la lezione era di Storia non aiutava. Era la materia più noiosa che avessero potuto inventare, secondo Tony; un susseguirsi di cause ed effetto sempre uguali che non portavano niente di buono, mai. Forse per quello che dopo soli dieci minuti il moro si arrese, dando la partita al dio del sonno ed accasciandosi sul banco.
Avrebbe dormito per chissà quanto ancora, se non fosse stato per la vibrazione improvvisa alla gamba che lo fece sobbalzare. Ebbe giusto il tempo di leggere l’orologio ed alzarsi, accompagnando il tutto con un “cazzo”, per poi mettersi a correre nei corridoi con i fogli che rischiavano di cadere dal libro. Arrivò giusto due secondi prima del professore di Chimica, sedendosi accanto ad un ragazzo dai capelli corvini e degli occhiali da vista.
«Siamo a cinque su cinque, Tony.» Si era messo a contare quante volte tardava alla lezione della seconda ora, il che corrispondeva a calcolare quante volte Stark si addormentava durante la prima.
«Lo so che sono una persona interessante, ma non dovresti essere così ossessionato da me, Bruce.» Banner scosse la testa ed aprì il libro di Chimica in mezzo al bancone.
Le ore di quella materia attivavano il cervello di Tony come poche, avrebbero dovuto metterla alle prime ore, così non avrebbe rischiato di arrivare tardi, o di addormentarsi ogni mattina dopo neanche cinque minuti. Senza contare che si divertiva a finire l’esperimento prima della fine della spiegazione del professore, giusto per entrare nelle sue simpatie. Ogni volta alzava la mano, mentre Bruce se la portava sulla faccia chiedendosi perché mai avesse accettato di essere il suo compagno di laboratorio. Si sforzava di sorridere al professore, come per dire che lui non c’entrava niente, ma durante le interrogazioni era chiaro che non servisse a tanto.
Tra una cosa e l’altra, il tempo passò in fretta e all’ora di pranzo si trovarono ad un tavolo della mensa insieme a Clint Barton, un ragazzino dai capelli biondo cenere e la strana ossessione per freccia, arco e pistole.
«Rhodey?» il biondo osservo i due ragazzi con in mano un panino che poteva fare invidia al signor McDonald.
«Ancora malato. Ha proposto una serata all’insegna di videogame a casa sua.» Rispose Stark, mentre masticava un pezzo di carne che aveva preso al self service della mensa. «Dio, per fortuna è una scuola privata, non voglio sapere come siano i cibi delle pubbliche.»
«Sei abituato ad un altro tipo di cucina, Tony, non è tanto male.» In risposta a Bruce, Clint emise una leggera risata e scosse il panino davanti al ragazzo senza occhiali, il quale mosse la testa di lato prendendo seriamente in considerazione l’idea di portarsi il cibo da casa. «Comunque, io ci sto. Un po’ di tranquillità non guasta, una volta tanto.»
«Vada per il torneo di Call of Duty.» Barton alzò la bottiglia di plastica, per poi portarsela alle labbra e berne un sorso.
Nel mentre, l’attenzione di Stark era stata riservata al cellulare che aveva tirato fuori dalla tasca dei jeans. Si era completamente dimenticato del messaggio di qualche ora fa, e avrebbe voluto continuare a fingere di non averlo visto dopo averlo letto. Tolto il dente tolto il dolore, no? E quello era il giorno perfetto: Venerdì pomeriggio Barton andava con il padre al poligono di tiro ed era l’unico giorno che quello di Banner gli permetteva di scendere nei laboratori. Quindi, gli rispose con meno lettere possibili e, successivamente, riportò l’attenzione ai suoi amici rendendosi conto che lo stavano fissando.
«Allora, ci stai o no?»
«Sì, perché non dovrei? Sapete quanto amo umiliarvi in certi giochi.» Gli altri due scossero la testa e ridacchiarono.
Per molti il suo comportamento era insolente e presuntuoso, ma loro avevano imparato a conoscerlo ed a sopportare ogni sua minima battuta. Alla fine non era così male averlo intorno, per non parlare delle scenette alle quali si poteva assistere –che divertivano più Clint e Rhodey che Bruce, ma erano dettagli.
Difficilmente Tony avrebbe ammesso a voce alta quanto si ritenesse fortunato ad avere quei tre ragazzi intorno. Non ricordava esattamente il momento nel quale erano entrati nella sua vita, ma sapeva che vi erano da diversi anni e non se n’erano ancora andati nonostante il suo essere dannatamente Anthony Edward Stark. Per lui erano più che semplici migliori amici, erano una certezza. L’unica certezza che aveva e, senza dubbio, la migliore.










A Steve era capitato poche volte di poter prendere in mano la macchina, sua madre ne necessitava per andare a lavorare, riusciva ad utilizzarla alcuni Venerdì sera e le Domeniche pomeriggio, per il resto della settimana se la cavava a passaggi da uno degli altri tre o optava per i mezzi pubblici. Per questo, quando seppe che il nuovo lavoro della madre includeva anche l’essere scorrazzata in giro da un’autista di Stark si mise quasi a saltare per il salotto; Peggy aveva dovuto fargli ripetere almeno tre volte a cosa ed a chi doveva stare attento.
Quattro giorni dopo quell’avvenimento, stava piano piano cambiando idea, con le dita che tamburellavano sul volante ed i clacson che risuonavano tra le file di macchine. Diede un’occhiata veloce all’orologio segnante le 2:50 del pomeriggio; era nello stesso punto da più di cinque minuti, se fosse andato avanti così sarebbe arrivato alla villa con quaranta minuti di ritardo. Chissà perché non aveva pensato al traffico.
Iniziò a guardarsi intorno alla ricerca di stradine alternative trovandone una poco più avanti, bastava solo che il semaforo si decidesse a diventare verde per la sua corsia e sarebbe riuscito ad allontanarsi per un po’ da quell’inferno.
Steve Rogers portò lo sguardo sulla luce rossa assottigliandolo come se, se si fosse concentrato abbastanza, ne avesse potuto controllare il funzionamento. Esultò con un “finalmente” appena la luce divenne verde e nel giro di qualche secondo riuscì ad imboccare la stradina sulla destra; curvò diverse volte, cercando di non investire alcune persone disprezzanti del marciapiede, sbucando sulla strada che avevano percorso la Domenica passata. Salvo imprevisti, non avrebbe fatto tanto tardi.



«Signorino Stark?» Tony era così preso dal sistemare i suoi vecchi appunti di fisica e chimica che sobbalzò nel sentire la voce di Edwin Jarvis dietro di lui.
Si portò una mano al cuore guardando male il maggiordomo da dietro la spalla; era talmente silenzioso che nemmeno alle tre di notte lo si poteva sentire camminare tra i corridoi vuoti e Tony era una di quelle persone che troppo spesso si estraniavano dal mondo, e da qualsiasi suo rumore, concentrandosi su qualcosa di più interessante. “Morirò prima di te, se continui così” gli aveva detto una volta, ma sembrava non importare più di tanto al maggiordomo.
«E’ arrivato il signorino Rogers, lo faccio accomodare?»
«No, lascialo fuori, sono curioso di vedere quanto tempo è disposto ad aspettare.» Disse lanciando un’occhiata all’orologio. Le 3:15, alla faccia della puntualità. Certo, se fosse arrivato anche solo due minuti prima avrebbe dovuto aspettare che Tony finisse di radunare i suoi appunti, ma questo Steve non lo sapeva.
«Non penso sia una cosa carina da fare, signorino.» Jarvis era ancora lì, dietro di lui, con le mani unite dietro la schiena. Alla sua frase il proprietario della camera si diede un leggero colpo in fronte con il palmo della mano, per poi voltarsi verso il signore dai capelli grigi.
«Era ironia, Jarvis!»
«Oh, scusi, non sono ancora molto pratico con questa forma di comunicazione.» Era sempre stato difficile per lui comprendere quando i due Stark usavano quel modo di parlare, aveva provato a cercare sul dizionario sperando di riuscire a farcela, ma alla fine si era arreso e continuava ad optare per sottolineare quanto assurdo fosse ciò che veniva chiesto.
«Jarvis, fallo entrare!» Il maggiordomo non s’era mosso di una virgola prima di quel richiamo perché era ancora indeciso su quali fossero le vere intenzioni del signorino. Una volta uscito dalla stanza, Stark scosse la testa e radunò i suoi appunti tra le mani, per poi uscire dalla camera.



«Mi scusi per l’attesa, Signorino Rogers.» Jarvis aprì il portone della villa, sistemandosi di lato per dare la possibilità all’invitato di entrare senza difficoltà. «Spero non abbia preso freddo.» Allungo le braccia verso il nuovo arrivato. «Vuole darmi il giubbino, signorino?»
«Oh, non si preoccupi, il freddo non mi dà così fastidio.» Steve si tolse ciò che il maggiordomo aveva chiesto e glielo porse. Non era abituato a questo genere di attenzioni, ed aveva paura di offendere qualcuno se avesse rifiutato quell’offerta. «Grazie.» Come risposta ebbe un sorriso, dopo il quale Edwin sparì in uno stanzino poco più avanti. Una specie di guardaroba, pensò Steven.
«Quindici minuti di ritardo. Allora non sei perfetto, Rogers.» L’attenzione di quest’ultimo si spostò dallo stanzino alle scale, dalle quali stava scendendo un giovane Tony Stark in uniforme scolastica e tanti –troppi- fogli tra le mani.
«Ognuno ha i suoi punti deboli. Non penso ci sia qualcuno di perfetto.» Seguì per tutto il tempo il moro chiedendosi quanto ancora ci sarebbe voluto per far cadere qualche foglio.
«Già, ed io sono l’eccezione che conferma la regola.» Il moro era arrivato davanti a Steve, un po’ troppo vicino per i gusti di questo, che aveva fatto un passo indietro. La cosa fece inarcare un sopracciglio a Tony. «Sta calmo fustone, non ho intenzione di mangiarti.» Si voltò e fece un paio di passi avanti, per poi fermarsi e girare il volto per quel che gli era concesso. «Non per ora, almeno.» Terminò quella frase con facendo l’occhiolino al biondo, per poi fargli segno di seguirlo nella stanza accanto.
Erano passati forse cinque minuti da quando divideva la stessa stanza con Stark e aveva già desiderato chiudergli il becco per tre volte in maniera poco educata; non era sicuro di poter restare con lui per un’ora senza tirargli qualcosa addosso.
«Da cosa vuoi iniziare: fisica o chimica?» Tony iniziò a sistemare i fogli sia sulla lunghezza che sulla larghezza del tavolo a seconda di argomento e materia. Se Jenna, la signora delle pulizia, l’avesse visto in quel momento avrebbe sicuramente chiamato il 911.
«Avrei una verifica di fisica Martedì, preferirei concentrarmi su quella.» Steve superò il ragazzo indaffarato e si posizionò due sedie più in là, dando per scontato che l’altro appoggiasse il proprio fondoschiena sulla sedia dietro esso.
«Grazie di avermi avvertito prima, così da evitare la fatica nel cercare gli appunti vecchi di chimica.» Tony riunì le prime due righe di fogli e sistemò la pila a lato del tavolo.
«Ricordo perfettamente di non averti mai chiesto i tuoi appunti.» Disse l’altro, mentre tirava fuori dalla tracolla nera tutto l’occorrente, non accorgendosi dell’occhiataccia lanciatagli dal ragazzo poco distante da lui.
«Se devo fare una cosa cerco di farla al meglio, ed indovina un po’ chi ha il massimo dei voti tra noi due? Si usano i miei appunti.» Andava particolarmente fiero dei suoi appunti di fisica, erano ordinati e comprensibili, senza dimenticare che erano anche gli unici senza disegnini poco apprezzati dai professori ai lati del foglio. «Dunque, dove siete arrivati?» Riportò la sua attenzione sui vari gruppettini di fogli davanti a lui pronto a prendere quello più consono alla riposta. Risposta che non arrivava. «Rogers?» Quasi gli venne istintivo darsi un altro colpo in faccia con la mano destra, perché –davvero- non poteva credere che quel ragazzo stesse girando le pagine del libro e del quaderno senza fermarsi. Poco faticava a capire come mai non fosse arrivato alla sufficienza.
La verità era che Steve si sentiva terribilmente sotto pressione da quando aveva visto la divisa della scuola. Maglioncino blu scuro con i lembi ornati da strisce color del bronzo ed una “R” –sempre in bronzo-  ricamata sul taschino in alto a sinistra; il leggero scollo a U permetteva di vedere il colletto della camicia bianca e la cravatta –smollata da Tony per essere più comodo-, la quale richiamava gli stessi colori del maglione; il tutto si concludeva con braghe beige e scarpe blu oltremare. Sì, l’aveva immaginato che Stark frequentasse una dannata scuola privata, ma non la Revenclaw High School. Avere sei in quella scuola corrispondeva ad avere almeno sette nelle altre private e otto in quelle pubbliche, in più erano avanti in tutti i programmi, svelato il mistero della miriade di fogli per entrambe le materie.
Steve era anni luce indietro confronto a Tony, poco ma sicuro; riusciva già a sentire le battutine di quello sulla sua patetica situazione. Sapeva di non poter fingere ancora per molto tempo di cercare l’argomento, in più sentiva addosso lo sguardo dell’altro ragazzo, il quale stava perdendo la pazienza poco a poco.
Il biondo chiuse il libro e si lasciò andare con la schiena alla sedia e, consapevole di non poter fingere più di tanto, sputò fuori la risposta. «La forza ed il lavoro.»
Ci volle qualche secondo prima che Tony comprendesse ciò che l’altro aveva detto con troppa velocità, poi si voltò in silenzio verso gli appunti e prese il primo pacchettino.
«Hai intenzione di stare lì o pensi di avvicinarti?» L’interpellato sbatté un paio di volte le palpebre sorpreso dal non aver ricevuto qualche commento sarcastico di rimando. «Okay, se la montagna non va da Maometto, Maometto va dalla montagna.» Detto quello, superò una sedia ed avvicinò quella dopo alla postazione del biondo, il quale aveva un sopracciglio alzato e rimuginava su ciò che aveva sentito.
«Sono sicuro sia il contrario, sai?» Nessuna arroganza nella sua voce, era come la prima volta che Tony l’aveva sentito parlare. Con quell’espressione dipinta in viso, poi, ricordava molto un bambino troppo cresciuto che cercava di capire quale passaggio del gioco si era perso.
Per la prima volta, Steve vide Tony sorridere per qualcosa di diverso dall’autocompiacimento.
«Contento di vedere che non hai perso l’uso della parola. Iniziamo?»













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Note dell'autrice: Buonsalve! <3
Chiedo venia per l'attesa, ma ho avuto problemi sia con il computer che con internet. çç
Btw, ecco il nuovo capitolo! Lo so che manca un biondone all'appello, ma ci sto lavorando, giuro. Non posso lasciar fuori il mio semidio preferito. <3
Un saluto ed un ringraziament anche ai nuovi seguaci, e fatemi spere che ne pensate, se vi va.
Baciotti&Biscotti. <3

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Capitolo 4
*** It was supposed to be a Clintasha moment. ***


Dopo quel pomeriggio di Fisica intensiva, Steve e Tony non s’erano più sentiti eccetto per un paio di messaggi dove il moro chiedeva di essere informato del risultato. Il biondo aveva arricciato il naso e risposto con un “Okay”, per poi entrare in classe e dare quel dannato compito.
Aveva passato la Domenica ed il Lunedì pomeriggio a cercare di infilarsi in testa le nozione scritte negli appunti di Stark, gentilmente offerti da lui perché “più completi ed utili” di quelli scritti nel quaderno di Rogers. Sentiva il bisogno di arrivare almeno alla sufficienza, erano già a Febbraio e doveva recuperare anche biologia. Così era come la vedeva lui, poi vi era Sam fermamente convinto che voleva fare bella impressione su Tony con Natasha e Bucky, che si sbilanciarono dalla parte di Wilson dopo aver visto lo sguardo inceneritore che il biondo aveva inviato al loro amico appena aveva insinuato la cosa.
A distanza di tre giorni dal compito, Steve stava sistemando i libri nell’armadietto per la quinta volta.
«Dio, se non la smetti ti tiro il libro di letteratura in testa.» La Romanoff chiuse l’armadietto accanto al suo e vi ci si appoggiò con la schiena, per poter vedere l’amico in volto.
«Sono agitato.» Quella fu la sua giustificazione per averle fatto fare colazione di fretta ed essere arrivati a scuola con mezz’ora di anticipo. Oh, ed ovviamente anche per il suo improvviso disturbo ossessivo compulsivo.
«Tranquillo, ci sono altri modi per far colpo sul miliardario “niente male”.» Alzò le mani e fece il segno della virgolettatura con le dita sulle ultime due parole, facendo sì che Steve si maledisse un’altra volta per non essere stato zitto. Quel Venerdì sera s’era fatto scappare che, comportamento da spocchioso a parte, Tony non era niente male assicurandosi anche le prese in giro della rossa da lì fino alla fine dei suoi giorni.
Chiuse l’armadietto di colpo, provocando una risata all’amica. Le sarebbe piaciuto proseguire su quella strada per capire se all’amico piacesse davvero solo l’aspetto fisico di quel ragazzo o meno, ma aveva ancora venti minuti buoni da passare con uno Steve nervoso, quindi decise di cambiare discorso.
«Senti, ti ricordi del ragazzo conosciuto al poligono di tiro?» L’espressione del biondo cambiò completamente, sul suo volto si fece strada un leggero sorriso e gli occhi sembrarono illuminarsi. Natasha non era mai stata tipa da storie durature, non aveva mai presentato un ragazzo ai suoi amici perché sapeva che non sarebbe durata, ma era da un po’ che il fantomatico arciere veniva menzionato dalla rossa.
«Non pensi sia arrivato il momento di dargli almeno un nome?» Steve incrociò le braccia al petto ed inarcò un sopracciglio, mentre Nat sbuffò.
«No, penso sia arrivato il momento di farvelo conoscere.» Venne impossibile trattenere l’espressione di sorpresa che si dipinse sul volto di lui.
«Quando? Dove? A che ora?» Ci sarebbero voluti secoli prima che capitasse un’occasione simile, la sua eccitazione era comprensibile anche per la rossa.
Lei ed il ragazzo in questione ne avevano parlato la settimana scorsa; lui l’aveva buttata lì per scherzare, lei aveva accettato a patto che si munisse di supporti morali perché, già lo sapeva, Steve, Bucky e Sam gli avrebbero fatto un interrogatorio stile C.S.I., soprattutto il primo; era estremamente protettivo nei suoi confronti, la vedeva come la sorellina mai avuta, cosa che faceva piacere a volte sì ed a volte no.
«Oggi lo vedo al poligono e ne parliamo. Per sicurezza, niente Stark domani pomeriggio.» Fece l’occhiolino all’amico con un sorriso beffardo in volto.
Okay, aveva detto che doveva distrarlo, ma la cosa era più forte di lei; le espressioni di Steve, poi, erano impagabili, finalmente capiva come mai Wilson ci trovasse così tanto divertimento nell’infastidire il biondo appena poteva.
Se solo gli sguardi potessero incenerire, Natasha sarebbe ridotta ad un cumulo di cenere invece di ridersela sotto i baffi. Qualsiasi altro essere umano avrebbe temuto nell’essere guardato in quel modo da una montagna come Rogers, ma lei amava giocare con le pistole e lo conosceva, e non puoi avere paura di lui una volta conosciuto.
«Cercherò di trattenere le lacrime.» Come risposta ricevette una pacca sulla spalla da parte dell’amica.
«Se hai bisogno di una spalla su cui versarle!» Il ragazzo scrollò la spalla per far togliere la mano della Romanoff pronto a rispondere, ma il rumore insopportabile della campanella risuonò tra i corridoi e Steve ricordò come mai erano lì da così tanto tempo. Sentì a mala pena il braccio dell’amica che cinse il suo. «Andiamo a scoprire se vale la pena di rubare gli appunti al genio.»
 
 
Se c’era una cosa che Tony odiava più di Storia alla prima ora erano le conferenze, completamente inutili, sistemate alle prime due. Quella settimana il Preside aveva deciso che gli studenti della Revenclaw avevano un alimentazione fin troppo sbagliata, quindi perché non fare una conferenza dove si spiega ciò che sarebbe potuto accadere al loro stomaco se avessero continuato a mangiare panini poco salutari ogni qualvolta riuscivano? Come se qualcuno si fosse veramente messo ad ascoltare qualcosa.
La nota positiva c’era, però: in quella macchia blu e bronzo di studenti era quasi impossibile notare se qualcuno stesse schiacciando un pisolino, a meno che la persona in questione non facesse uscire un qualche suono strano dalla gola. Tony e Clint, per sfortuna di Bruce, non rientravano in quel gruppo di persone e se ne stavano beatamente a sonnecchiare con la testa poggiata sulle spalle dell’amico, il quale stava combattendo in ogni modo per non seguire i suoi compagni. Girò leggermente la testa per vedere oltre quella di Stark, costatando che anche Rhodes aveva rinunciato a combattere. Iniziò a pensare di essere l’unico ad andare a letto in un orario decente durante la settimana, cosa non tanto strana, in effetti; Tony si perdeva fin troppo nel laboratorio costruitogli da suo padre in villa e poteva benissimo immaginarsi Barton e James giocare fino a notte fonda all’X-Box.
Quando la signora dai capelli castani iniziò a parlare di legumi, Bruce decise di lasciarsi andare e provare a seguire i suoi amici, appoggiandosi alla testa di Tony, l’errore più grande della mattinata. Si stava finalmente per addormentare, quando il suo amico sobbalzò facendolo sobbalzare a sua volta, così da svegliare anche il biondo affianco.
«E’ finita?» Chiese, con poca curanza del livello vocale, sbadigliando e strofinandosi una mano sugli occhi.
Bruce gli fece segno di abbassare la voce e scosse la testa, per poi voltarsi e sorridere alla professoressa di Letteratura che li stava guardando da chissà quanto tempo. Poco servì, e come risposta ottenne una fulminata ed una probabile interrogazione il Lunedì. Il ragazzo sprofondò nella poltrona, incrociando le braccia al petto, e decise che non avrebbe mai più cercato di convincere un professore della sua innocenza. Da lì fino alla fine della conferenza se ne sarebbe stato buono, oh sì, non avrebbe fiatato.
Peccato che certi buoni propositi non vadano mai a buon fine quando un Clint Barton entra nella tua visuale ed allunga un braccio verso il compagno alla tua destra, con lo sguardo assottigliato ed un sorrisetto stampato in volto.
«Dica, Mr. Stark, cosa la fa sorridere così?» Fu inevitabile smettere di fingere di seguire le verdure sullo schermo e girarsi verso l’amico affianco, constatando Bruce stesso del leggero sorriso sul volto del moro, il quale guardò i due inarcando un sopracciglio. «Fa vedere!» Prima che Tony potesse rendersene conto, il biondo aveva preso il suo telefono e s’era ritirato nell’angolo opposto della sua sedia finendo quasi addosso al ragazzo affianco, ricevendo un’occhiata della quale non gli importava poi così tanto.
Il moro allungò le braccia verso Clint cercando di sporgersi per riprendere il telefono, ma le mani di Banner lo tenevano lontano mentre anche lui si era avvicinato al ladro del telefono così da poter leggere. «Chi è Steven Rogers?»
«Qualcuno che ha preso un bel voto in fisica, a quanto pare.» Barton fece caricare i messaggi precedenti, rimanendo deluso nel vederne solo due in più. Accidenti, pensava ci fosse qualcosa di più interessante.
«Aspetta, Tony Stark che fa lezioni private?» Banner aveva smesso di frenare lo sporgersi dell’amico ed aveva iniziato a ridersela sotto i baffi. 
«Siete davvero infantili, ridatemi il telefono.» Si diede una leggera spinta ed afferrò il telefono, per poi sprofondare nella poltroncina blu.
Lui non aveva sorriso, Clint aveva visto male, ed anche se l’avesse fatto era sicuramente stato per autocompiacimento. I suoi appunti avevano fatto prendere un bel voto a Rogers, nient’altro.
«Ragazzi, state facendo un casino pazzesco e la professoressa Loobout vi sta guardando male.» Rhodey s’era preso tutto il tempo per svegliarsi, stiracchiarsi e connettere i neuroni, prima di intervenire nella situazione. «Ditemi almeno perché così tanto trambusto.»
«Il nostro Tony ha una cotta.» Le parole uscirono dalla bocca di Clint con un tono da canzoncina che fece saltare i nervi a Stark e ridere Banner, che cercò di limitarsi per non disturbare più di quanto stessero già facendo.
«Io non ho una cotta.» Fulminò i due amici con lo sguardo, per tornare a guardare davanti a sé. «Non faccio certe cose.»
«Seh.» Lo stesso Clint l’aveva detto più volte, poi una rossa tutto pepe aveva fatto la sua comparsa al poligono di tiro dove lo portava sempre suo papà e aveva dovuto ricredersi. «Comunque, di’ al tuo Steven Rogers che domani non puoi fare nessuna lezione privata. Tutti voi, tenetevi liberi.» Indicò i suoi tre amici, due dei quali lo guardavano incuriositi mentre l’altro gli lanciò un’altra occhiata killer.
«Che succede domani?» James era il più curioso del gruppo insieme a Clint, dava voce a tutte le domande che potevano passargli nella testa senza pensarci troppo.
«Pensavo di farvi conoscere Natasha.» Solo nominarla gli faceva nascere un leggero sorriso sul volto, e Bruce avrebbe davvero voluto dire quanto fosse contento di poter finalmente dare un volto alla rossa, ma non poté trattenersi dall’indicargli il volto e girarsi verso gli altri due.
«E’ lo stesso sorriso di Tony quando ha letto il messaggio.» Tony spalancò gli occhi perché da Banner una cosa del genere non se la poteva aspettare.
«Per la barba di Merlino, hai davvero una cotta.» Rhodey diede una pacca sull’addome dell’amico soffocando la risata che era nata.
Il moro notò che anche gli altri due compagni si stavano tappando la bocca e nascondendo quanto potevano dalla terribile professoressa, quindi arrivò alla conclusione che controbattere non sarebbe servito a niente e cercò di sprofondare ancora di più nella poltroncina. Barton gliel’avrebbe pagata, quella.
 
 
 
 
 
 
 
Il pomeriggio dopo Bucky faceva lo slalom tra le macchine, nemmeno fosse inseguito da chissà quale killer psicopatico, con Sam che rideva ed incitava l’amico al posto del guidatore e Steve che pregava solo di non morire. Il biondo si stava maledicendo per aver rifiutato il passaggio proposto dall’amica, ma il suo ragazzo avrebbe dovuto fare il giro di mezza città per niente.
Fu un miracolo, per Rogers, arrivare sano e salvo davanti al bar scelto dai due amanti, tanto che il Barnes ebbe giusto il tempo di spegnere la macchina che lui era già uscito. Ovviamente i due ragazzi seduti davanti risero. Era un mistero per loro come Steve cambiasse una volta al posto del guidatore; non che facesse come Bucky, però non rispettava egregiamente le regole della strada, soprattutto se aveva una moto tra le mani, in quel caso era peggio del moro.
«Ragazzi!» La rossa era posizionata dall’altra parte del parcheggio con affianco un ragazzo biondo poco più alto di lei. Aspettò che i suoi amici li raggiungessero, per poi presentare Clint al gruppo.
«Samuel Thomas Wilson, piacere.» Allungò la mano verso il biondo, il quale gliela strinse.
«Oh, nomi completi? In questo caso: Clint Francis Barton.» Bucky ci provò a non ridere, davvero, ma era riuscito a contenersi per due secondi.
«Ti prego, posso chiamarti Francis?» Il ragazzo diede una pacca sulla spalla a Steve, che lo stava fulminando con lo sguardo. «Ehi, Steve, a qualcuno è andata peggio, vedi?» Il biondo palestrato si passò la mano destra sulla fronte. «Il mio nome è James Buchanan Barnes, ma puoi chiamarmi Bucky.»
«Scusalo. Sa essere anche maturo, a volte.» Per risposta Clint alzò le spalle. Era abituato a certe cose, lui stesso non era poi così maturo. L’avrebbero appurato con l’arrivo del suo gruppo, ovviamente in ritardo. «Comunque, sono Steven Grant Rogers. Chiamami pure Steve.»
Nel sentire il nome, Clint alzò un sopracciglio ed assottigliò le labbra. Non poteva essere quello Steven Rogers, New York non era così piccola. Eppure sarebbe stato divertente, in caso contrario. Solo Stark poteva dargli una risposta.
 
 
Bruce picchiettava le dita sulla superfice del volante, lanciando occhiatacce prima al display con l’orario poi all’amico seduto al posto del passeggero. In orario, si erano detti, ma la definizione di quell’espressione voleva dire tutt’altro per Stark. Banner e Rhodey erano rimasti ad aspettarlo per quindici minuti buoni fuori dalla Villa e lui aveva semplicemente aperto la portiera della macchina dicendo che doveva stare davanti per evitare di star male.
Arrivarono con venti minuti di ritardo, perciò non si stupirono nel leggere il messaggio di Clint che li avvertiva di raggiungerli all’interno del locale, e così fecero.
Intravidero l’amico seduto pochi tavoli più in là con quattro nuche che spuntavano più avanti. Fare slalom tra un paio di bambini ed una cameriera era stato tanto estenuante per Bruce che fu il primo a sedersi sul divanetto, seguito a ruota da Rhodes e Tony.
«Ecco i miei ragazzi!» Clint allargò le braccia verso i nuovi arrivati. «Questi sono Bruce; Sam e il simpaticone alla fine del tavolo è Tony.» Indicò con una mano il gruppo davanti a lui, portando i suoi amici a concentrarsi su di loro. «Natasha; Samuel; James –ma preferisce Bucky- e…»
«Rogers?» Stark aveva poggiato lo sguardo sul biondo davanti a lui, il quale aveva avuto giusto il tempo di mettere a fuoco le facce dei ragazzi appena seduti prima di sentire la voce di Stark arrivargli alle orecchie.
«Ma dai, quante probabilità c’erano?» Le labbra di Clint si erano appena stese in un lieve sorriso e Sam ebbe come la sensazione di aver appena trovato una nuova spalla su cui contare per lanciare frecciatine al suo amico; sensazione confermata dall’incenerita che Tony aveva lanciato al ragazzo della Romanoff.
«Stark, se avessi saputo ti avrei riportato gli appunti.» Avrebbe voluto maledirlo lì, in quell’istante. Una bel lampo in piena testa, così qualche neurone iniziava a fare il suo lavoro, magari. Questo potere, però, mancava nelle lunghe doti del genio e dovette subire gli sguardi dei suoi tre amici, aspettando che uno aprisse bocca.
«Devi sentirti fortunato, Steve.» La voce di Bruce fece girare di scatto Tony. Da quando aveva iniziato a fare così anche lui? Dov’era finito il buon vecchio Bruce Banner che lasciava scivolare tutto, evitando di impicciarsi negli affari degli altri? «Sai, il nostro amico qui non presta facilmente gli appunti.»
«Già, io ho dovuto pagargli una settimana il pranzo perché mi passasse fisica.» Clint scosse la testa, mentre Steve storse leggermente il naso.
«Scommetto che quei pranzi pagati erano essenziali per uno Stark.» Tutti si ammutolirono e Tony ci rimase più male di quanto poteva ammettere a se stesso, quindi scrollò le spalle come se gli fosse scivolato tutto addosso.
«Si chiama “fare affari”, ma forse è un concetto difficile da capire per uno cresciuto in Ohio.»
«A me sembra più uno sfruttamento di persona, ma penso che sia la normalità per uno Stark.» Non avrebbe voluto dirlo così, ma anche se alla cena Howard l’aveva colpito non poteva dimenticarsi che era a capo di una società multimiliardaria e tutti sapevano che la strada per arrivarci non era stata costellata di onestà e purezza. Quello che pochi sapevano è come il figlio odiasse questa cosa. Ormai era il riflesso del padre, ed anche Steve lo vedeva così.
«Okay, ragazzi! Dove vi siete conosciuti?» Fu Bucky a cambiare discorso, cercando di ricordare a tutti come mai erano lì: la coppietta felice aveva deciso di rendersi in qualche modo ufficiale. Grazie a questo intervento partirono i discorsi sulle giornate al poligono e le battute tra i due.
Erano tutti intenti ad ascoltarli; risero quando Nat raccontò della caduta fatta da Clint nel campo ad ostacoli per attirare la sua attenzione e fecero un “ooh” quando si giustificò con un “stava parlando con un tizio più palestrato di Steve!”.  Tutti reagirono così, tranne Tony, scollegato totalmente da quel presente.
Sapeva da tempo che diverse persone l’avrebbero schernito per i comportamenti passati del padre, era sceso a patti con il fatto che il suo cognome era come una firma in un contratto che dichiara la possibilità di diventare un genio e la certezza che la tua vita sarà segnata dagli sbagli di chi ti ha preceduto. L’importante era che i suoi tre amici sapessero com’era lui realmente, della restante popolazione gli era importato sempre poco.
Fino a quel giorno, almeno. Cercava di capire come mai le parole di Steve l’avevano colpito così tanto, era abituato anche a cose peggiori, che gli importava se quel fustacchione pensava male di lui? 
Quella domanda l’avrebbe tartassato da lì fino alla fine della giornata, quando ormai era coricato a letto. L’unica cosa comportò fu l’aumento di nervosismo che spinse il ragazzo ad alzarsi e passare un’altra notte insonne a sistemare un motore. 






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Note dell'autrice: Chi non muore si rivede, dicono! 
Eccomi qui, con un nuovo capitolo dopo fin troppo tempo. Mi scuso per questo luuuungo silenzio, forze superiori mi hanno impedito di andare avanti. 
Ho ancora tante idee per questa ff e vorrei riuscire a finirla. Vi chiedo cortesemente di lasciare una vostra traccia, farmi capire cosa ne pensate e se posso migliorare in qualche modo. O anche se è meglio finirla qui e lasciar perdere. 
Grazie mille.

Un bacio,
BR.

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Capitolo 5
*** A new beginning. ***


Il mattino successivo Steve era seduto al tavolo dell’appartamento con una tazza di caffè, ormai fredda, davanti a lui. Aveva passato tutta notte a pensare al pomeriggio precedente ed a come si era comportato nei confronti di Tony. Poco gli sarebbe importato se solo Rhodey non l’avesse preso per un braccio e tenuto un attimo in parte per fargli presente che quel ragazzo non era suo padre.
Aveva fatto a Tony ciò che lui aveva sempre odiato sin da piccolo: essere paragonato al padre. Che non scorresse buon sangue tra i due era stato palese durante la cena, ma quando c’era in circolazione quel moretto gli veniva difficile ragionare, era come se l’ossigeno non gli arrivasse al cervello e sparava le prime cose che gli venivano. Questo, ovviamente, non l’avrebbe mai detto agli altri tre.
Decise di prendere in mano il telefono e mandare un messaggio al ricco per informarlo che nel giro di mezz’ora sarebbe stato davanti alla villa, volente o nolente. Voleva chiedergli scusa, ed il miglior modo per farlo era faccia a faccia. Senza togliere il fatto che il ragazzo della sua migliore amica era uno degli amici intimi di Tony e ciò avrebbe comportato delle uscite in compagnia ogni tanto, era meglio ricominciare da capo piuttosto che scannarsi ad ogni incontro. Sì, andare a parargli era la cosa giusta da fare, infondo aveva sbagliato ed era abbastanza certo che anche l’altro ragazzo sarebbe stato capace di ammettere i suoi sbagli, se l’avesse fatto Steve per primo.
Ancora non consapevole di quanto fosse utopica questa idea poggiò la tazza mezza piena nel lavandino e passò il corridoio a grandi falcate, giungendo in camera sua. Si infilò un paio di jeans appoggiato alla sedia ed una maglietta bianca che fasciava la sua muscolatura ed un maglioncino nero, quello meno consumato. Andava pur sempre in villa Stark, essere ben concio era il minimo. Si infilò il suo giubbino e nel giro di qualche minuto era in strada, direzione Villa Stark.
Ci mise quaranta minuti a causa del traffico che non diminuiva di Domenica mattina. Parcheggiò la macchina non troppo distante dagli scalini che portavano al portone d’entrata, dove lo stava già aspettando il maggiordomo di famiglia. Pensò fosse stato avvisato da Tony, il quale lo stava sicuramente aspettando nella sala da pranzo con una bella tazzona di caffè fumante e del cibo. Tanto cibo. Perché ne fosse così sicuro non lo sapeva, ma gli piaceva l’idea di quel ragazzo in un ambiente totalmente normale, fuori dal contesto nel quale veniva posto durante gli speciali televisivi o nei giornali. Il sorriso che gli si era dipinto nel pensare alla scena si spense quando Jarvis lo fece tornare alla realtà.
«Il signorino Stark sta ancora dormendo, signorino Rogers. Posso offrirle una tazza di caffè, nel mentre?» Si scansò per far entrare il giovane visitatore all’interno, mentre osservava la sua espressione cambiare. Probabilmente era meglio evitare di aggiungere che una tazza non sarebbe bastata.
Steve riusciva a farsi andare bene tutto, ma quella situazione lo infastidiva. Non era colpa di Tony quel cambiamento di umore, bensì sua. Avrebbe potuto pensarci che di Domenica pochi ragazzi si svegliavano presto, forse aspettare un messaggio di risposta da parte del ragazzo sarebbe stata la cosa migliore da fare. Un sacco di gente dormiva fino a tardi quel giorno, come sua mamma che da quando lavorava assiduamente le mattine domenicali la si vedeva solo dopo mezzogiorno.
Oh, no.
Sua madre. Il biondo si portò le mani sul volto immaginandola alterarsi per la mancanza di lui, della macchina e di un’avvertenza da parte del figlio. Miseriaccia, come aveva fatto a dimenticarsi di scrivere un paio di righe alla madre? No, cosa gli era saltato in mente quella mattina? Perché lo stava facendo? Si convinse che non valeva la pena litigare con Peggy per chiarirsi con quel ragazzino.
Si alzò dalla sedia e scansò la tazza di caffè appena stata data dal maggiordomo. «Scusi, ma devo proprio andare.»
«Come? Edwin fa del caffè bello fresco per te e decidi di andartene senza averlo minimamente sfiorato? Sono sicuro che tua madre ti ha cresciuto meglio di così.» Giusto, Domenica. Domenica le persone non lavorano e, di solito, se ne stanno in casa. Per quanto fosse difficile da pensare anche i geni sono persone, ed anche il fondatore di una multinazionale ha bisogno di riposarsi. «Versane un po’ anche a me, Edwin.» Howard Stark si sedette in parte a Steve. Aveva una vestaglia di seta che avrebbe fatto salire l’invidia anche a sua madre, alla quale di queste cose poco importava.
Steve riprese la tazza, portandosela poi alla bocca e bevendo il liquido nero al suo interno. Era buono, diverso dal solito caffè che girava a casa sua.
«Buono, vero? Dubito tu abbia mai bevuto una cosa del genere, sempre che non sia andato Oltreoceano.» Bevve un sorso del suo, gustandone il sapore. «Ah, solo le cose migliori a casa Stark.»
Steve strinse le spalle consapevole di non poter controbattere in alcun modo. Si sentiva a disagio nel rimanere lì, ma sapeva che andarsene con qualche scusa era fuori discussione. Cos’era cambiato da quella cena? Perché sentiva di fare un torto a qualcuno stando lì ad ascoltare le parole di Howard? Mentre si poneva questi dubbi l’interno del suo labbro inferiore iniziò a sanguinare. E come i cani sentono la paura, Stark sentì cosa stava provando il ragazzo al suo fianco.
«Ti ricordavo giusto un po’ più loquace, sai?» Bevve in un sol sorso quel che restava della bevanda aspettando la risposta di Steve, la quale non arrivò.
Dal canto suo, lui continuava a guardare quel liquido di un marrone talmente scuro da tendere al nero, troppo differente da quello tipico di casa sua. Si ricordava come avevano dialogato durante la cena, ma qualcosa era cambiato. Si sentiva sottopressione, forse perché ora era a tutti gli effetti il capo di sua madre e se avesse fatto o detto cose inopportune avrebbe potuto benissimo prendersela con Peggy. Anche se si era fatto una determinata idea di Howard, quel comportamento non ci rientrava. Avrà pesato molti piedi per essere riuscito ad avere ciò che aveva, nessuno di quelli apparteneva a degli amici, però. Doveva essere una persona leale, dopo tutto.
Intanto che Rogers rifletteva in silenzio, l’uomo incrociò le dita delle mani sotto al suo mento come se servissero a sostenerlo. Era da un po’ che si chiedeva se fosse giusto chiedere a Steven quel favore, eppure non poteva essere un caso la sua comparsa improvvisa in casa.
«Senti, Steven, posso chiederti un favore?» L’altro rispose con un breve movimento del capo, sentendosi ancora più a disagio. «Vorrei che passassi un po’ di tempo con Anthony. Lo so che è un ragazzo difficile, ma penso sia dovuto alla gente che frequenta. Se tu fossi disposto ad affiancarlo, forse migliorerebbe anche nel comportamento.» Il biondo sgranò gli occhi e voltò il viso verso l’uomo. «Se il compito dovesse essere insopportabile potrei pagarti!»
 
 
 Se qualcuno fosse passato da quelle parti in quel momento si sarebbe chiesto cosa ci fosse in quella stanza al secondo piano e perché fosse l’unica ad avere le ante chiuso. Forse sarebbero nate storie di una probabile camera colma di ricordi di Maria Stark; o forse un figlio nascosto al mondo perché diventato pazzo a causa della morte della madre e non vi erano cure o medicinali per rinsavirlo, il gemello pazzo di Anthony. Sicuramente tutto più interessante di quell’ammasso di coperte che avvolgevano il corpo del giovane moro. Moro che avrebbe potuto dormire altre tre ore buone se non fosse entrato Jarvis ad aprire le ante e spalancare la finestra. Il padre aveva imposto un limite alle dormite del figlio, ed ogni anno si accorciava di un’ora.
Il ragazzo si lamentò da sotto le coperte, le quali vennero levate dal maggiordomo e poste ai piedi del letto. L’occhiataccia che lanciò ad Edwin fu terribile, ma tanto si era messo a raccogliere i vestiti del giorno prima lasciati al loro destino.   
«Quando si sente pronto, giù ci sarebbe una visita per lei.» Era troppo presto perché fosse uno della sua banda, il che lo portò a pensare ad un amico del padre. Secondo il grande capo, Tony doveva fare amicizia –o almeno dimostrarsi disponibile- con tutte le persone che gli presentava. Un giorno l’azienda sarebbe pesata sulle sue spalle e certa gente doveva tenersela buona.
Si raggomitolò su se stesso, assumendo la forma di un riccio impaurito. Quel pensiero gli faceva salire sempre troppa ansia. Era troppo piccolo per pensare a certe cose, suo padre ci sarebbe stato per chissà quanto tempo ancora e lui non aveva tutta questa fretta di prendere in mano un’azienda multinazionale. Avrebbe preferito aprirsi una piccola officina in qualche luogo sperduto; un luogo dove nessuno l’avrebbe disturbato e dove poteva essere semplicemente Tony e non ”Anthony Edward Stark, il primo ed unico figlio di Howard Anthony Walter Stark Jr”.
Jarvis levò lo sguardo da terra con i vestiti in braccio e si sentì a disagio nel vedere il signorino in quella condizione. LA vecchia tata l’aveva avvertito prima di andarsene “A volte fa così. Soprattutto quando pensa al suo futuro. E’ così spaventato” e poi aveva preso la valigia e se n’era andata senza aspettare che tornasse da scuola. Non voleva piangere ed era convinta, “Tony è un ragazzino forte, capirà”.
Invece no. L’unica persona che gli era stata vicino durante la sua infanzia l’aveva lasciato senza dirgli niente. Era stata come una madre per lui, fu come averla persa per la seconda volta.
«Hai quindici anni, non continuerai ad avere una tata.» Per Howard era sempre stata quello. Chissà se ci aveva pensato che per suo figlio era qualcosina di più, o se semplicemente aveva guardato quanti soldi poteva spendere in più per il bere. Forse un giorno avrebbe capito meglio; forse il peso del suo lavoro, l’essere a capo di un’azienda di tale livello, era troppo da sopportare. Un figlio come lui, poi, non era tanto facile da gestire. Probabilmente sarebbe stato più felice di averne uno tipo Steve.
Steve.
Tornò in posizione supina con un braccio sulla pancia e l’altro appoggiato alla fronte mentre gli tornavano alla mente le parole del biondo. Perché continuava a pensarci? Non gli importava dell’idea che gli altri si facevano di lui, le persone giuste erano già al suo fianco.
«Non è neanche così perfetto.»
«Mi scusi, signorino?» I suoi pensieri erano diventati così rumorosi che neanche si accorse di esserseli fatti scappare.
«Chi mi starebbe aspettando a quest’ora del mattino?» Decise di evitare la domanda con un’altra domanda, la cosa più geniale che il suo cervello poteva partorire dopo essere stato svegliato così brutalmente.
Il ragazzo di qualche tempo fa, quello delle lezioni, ricorda? Alto, bio...» Si interruppe appena il lamento del signorino gli arrivò all’orecchio. Il suo premersi il cuscino sul volto fu un chiaro segnale che la faccenda non era buona, quindi decise di aver fatto tutto ciò che le sue mansioni richiedevano e se ne uscì dalla camera.
Perché era lì? Forse gli aveva portato gli appunti. Se li poteva anche tenere, a lui non servivano e non voleva più vedere la faccia del biondo. Comunque non poteva continuare ad ignorare la sua presenza al piano di sotto e decise di alzarsi. Si diede una lavata veloce, giusto per far vedere che non era sveglio da soli cinque minuti, poi scese con addosso una vestaglia rossa.
Uno scalino dopo l’altro, passo dopo passo, arrivò davanti alla porta giusto in tempo per sentire la voce di suo padre riempire la stanza.
Voleva andarsene. Fare una piccola valigia e correre a casa Barton, in quell’atmosfera famigliare che a lui non era stato concesso provare.
Voleva entrare e fare una scenata. Dire a suo padre che poteva tenersi i suoi soldi perché quel biondo al suo fianco mai l’avrebbe voluto.
Invece rimase immobile ad osservarli dalla piccola fessura della porta.
Per alcuni poteva sembrare un bel gesto, ma Tony era quello che era non per i suoi amici. Non sarebbe cambiato con Steve al suo fianco, o con qualsiasi altra persona. Aveva passato tutta la sua adolescenza cercando di tenersi alla larga dalla gente che apprezzava solo i suoi soldi e non era capace di accettare il suo comportamento, quel biondino non sarebbe stata l’eccezione.
Si fece coraggio e strinse i pungi; sarebbe entrato dicendo quello che pensava ed arrivederci. Niente più occhioni azzurri su di lui.
«Con tutto il rispetto, Signor Stark, penso stia facendo uno sbaglio.» Quelle parole fermarono Tony dall’aprire completamente la porta e fare la sua entrata in scena. Cercò la figura di Steve in quella fessura e lo vide allontanarsi la tazza del caffè ed alzarsi dalla sedia.
Howard storse il naso. Nessuno gli aveva mai detto una cosa del genere, solo in casi che si sarebbero rivelati in realtà geniali.
«Sono venuto qui con l’intento di scusarmi con Anthony e non ho intenzione di fare altro. Potrebbe dirle che sono passato?» Quando Stark fece un segno di disapprovazione, Steve alzò le spalle. «Oppure lasci stare. Saprà che son passato appena accenderà il cellulare, o parlerà con il maggiordomo.» Sistemò la sedia come era solito fare ovunque andasse, per poi rivolgere un saluto al padrone di casa e avviarsi verso la porta della stanza. Sperava solo che Jarvis non gli avesse messo il giubbino troppo nascosto, voleva andarsene via il prima possibile da quella casa.
«Non riesco a capire, davvero.» Howard si girò verso la schiena del ragazzo, il quale si fermò poco distante dall’uscita. «Cosa vuoi? Una macchina nuova? Preferisci quella ai soldi? Oppure –sei un’artista, no?- vuoi una fornitura illimitata di tele e colori? Delle migliori marche!» Si era alzato, avvicinandosi sempre di più a Steve, con in faccia stampata l’espressione di chi le ha sempre vinte tutte. Quel sorriso beffardo, il figlio gliel’aveva visto fare un milione di volte quando parlava con futuri clienti, che gira e rigira inganna tutti.
Ma non lui.
Pensò il moro, mentre il ragazzo dell’Ohio scuoteva leggermente la testa.
«Sa, ho conosciuto i suoi amici. Proprio per questo dico che dovrebbe dare più fiducia a suo figlio.» Fece un ultimo sorriso ad Howard prima di continuare verso la porta della sala.
Il gesto non era sicuramente stato bello, però da uno abituato a risolvere tutto con una mazzetta cosa ci si poteva aspettare? Voleva bene a suo figlio, anche se lo dimostrava in modo strano.
 
 
 
Tony aveva fatto le scale il più velocemente possibile, appoggiandosi poi al muro per riprendere fiato così da ricomporsi e comparire prima che Steve lasciasse la casa.
«Già stufo di aspettarmi? Meno male che non sono il tuo ragazzo.» Diavolo, perché continuavano ad uscirgli battute del genere in presenza del palestrato? Ne aveva di migliori e decisamente più belle.
«Mi appunterò che fantastichi di essere il mio ragazzo.» Steve si sistemò il giubbino con un colpo di spalle e poi infilò le mani nelle tasche aspettando che il suo coetaneo arrivasse a fine scale.
«Hai sbloccato un nuovo livello di battute, Rogers?»
«A volte ci si deve adeguare alle persone che ci circondano.» Carini gli scambi di battute, certo, ma Steve era lì per un altro motivo. Scusarsi ora era un po’ difficile, visto la simpatia del moro, però era lì e sapeva che era la cosa giusta da fare. «Volevo chiederti scusa.» Fatto. Tolto il dente, tolto il dolore.
Tony strinse le labbra per evitare di sorridere. Una persona normale avrebbe ringraziato e si sarebbe scusata a sua volta, erano stati degli stupidi entrambi, ma non Tony Stark. Si rese conto che le parole del giorno prima non avevano più importanza, Steve aveva iniziato a prendere una forma del tutto diversa nella sua testa con conseguente cancellazione di quel nome dalla lista nera. Anche se l’altro ragazzo rischiava di prenderla male non aveva più significato scusarsi per qualcosa che non riteneva più così grave.
«Che ne dici di ricominciare?» Così era meglio, molto meglio. Ricominciare era la soluzione. Poi erano delle scuse implicite.
Steve rimase un attimo sorpreso, si aspettava delle scuse anche da parte del moro, ma infondo aveva pur sempre Tony davanti. Quindi sorrise ed allungò il braccio destro verso il coetaneo.
«Ci sto.» Si strinsero le mani e poi il telefono di Steve iniziò a vibrare nella tasca. Eccoci, sua madre. «Scusa, devo proprio andare.» e si avvio verso la porta d’uscita, fermandosi giusto un attimo prima. «Strano che tu sia comparso un minuto dopo la fine della discussione, non trovi?»
Tony si ritrovò nuovamente immobile a fissare, questa volta, una porta chiudersi. Steve era più sveglio di quello che aveva pensato, non c’erano più dubbi. Forse era partito prevenuto nei suoi confronti, comportamento da verso stupido. Ora, però, poteva recuperare. Sarebbe iniziata da zero e, chissà, forse avrebbe aggiunto un nuovo amico alla sua piccola lista. Sicuramente era qualcuno di cui ci si poteva fidare, “l’uomo della cosa giusta”, averlo accanto non sarebbe stato poi così male.









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Nota dell'autrice: Guess who's back?! 
Giuro che ora son tornata e le mie future assenze non saranno così lunghe, sempre se ci saranno. Mi dispiace di nuovo, ma ho ritrovato ciò che pensavo di aver perso a causa di lavoro ed università. Poi ho capito che mettere da parte una passione fa solo star peggio, dunque eccomi tornata a scrivere. 
Spero di rendervi felici almeno un po', ma posso benissimo capire le reazioni tipo "oh, no. Non la leggo più perché questa si interrompe ancora, lo so." Però giuro che se dovesse accadere sarà una questione di massimo un mese causa esami. 
Niente, questo è il nuovo nuovento capitolo. Non so se ho perso il tocco o se la pausa mi ha fatto bene, comunque ho notato che nei capitoli precedenti c'erano errori di battitura, quindi ho deciso di rileggere ciò che scrivo (ora ci sono errori qui che non ho visto e ci faccio una figura di merda, va bene). E' un passo avanti, dai.
Comunque, per chi è arrivato fin qui ed è curioso di sapere di più sulla vita passata di Steeebe o non ha fatto altro che chiedersi "Sì, ma Thor?" sarà presto accontentato. 

Un bacio, 
BR.

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Capitolo 6
*** Clint's idea. ***


«Sei davvero sicuro di voler fare una cosa simile?» Natasha era seduta a gambe incrociate sul letto stropicciato del suo ragazzo, il quale si era messo a cercare qualcosa nella stanza disordinata.
Da lì a poco sarebbe stato il suo compleanno e lui voleva passarlo sia con la sua ragazza che con i suoi amici. Sicuramente lei non era una tipa che si faceva tanti problemi con le persone, ma Clint temeva di farla sentire a disagio senza un supporto morale, infondo conosceva i suoi tre amici da un mesetto. Mischiare i due gruppi gli sembrava l’unica soluzione. Sarebbe stato quasi assurdo invitare persone viste solo un paio di volte, però Steve e Tony si conoscevano ed erano già quattro su otto.
«Mai stato più sicuro…TROVATO!» Tirò fuori un foglio di carta –anch’esso abbastanza stropicciato- ed iniziò a stirarlo con la mano sulla scrivania. «E, data la mia sicurezza, mi farebbe piacere avere il supporto della mia rossa preferita.»
La Romanoff roteò gli occhi sorridendo per poi alzarsi e raggiungere il suo ragazzo. Lo abbracciò da dietro lasciandogli un bacio sulla schiena nuda.
«Continuo a pensare che sia un’idea folle, ma ti aiuterò ad organizzarla.» Per tutta risposta il ragazzo si voltò e le stampò un bacio sulle labbra.
Nel giro di qualche minuto i due erano sul letto a ritagliare fogliettini con sopra scritti i nomi di Steve, Bucky, Natasha e Sam, i quali sarebbero poi stati messi in un sacchettino verde e pescati dagli altri quattro.
Nat alzò un attimo lo sguardo verso un Clint intento a spiegazzare uno dei suoi due foglietti in modo totalmente diverso da quello che avevano deciso.
«Che stai facendo?» L’interpellato alzò gli occhi e mostrò il nome che vi era dentro. «Rogie?»
«Suonerà strano ma Tony ama le cose particolari, se lo facessimo pescare per primo andrebbe ad estrarre sicuramente il biglietto che sembra più diverso.» Si vide strappare il biglietto dalle mani.
«Niente imbrogli, Barton! Ora rifallo e piegalo decentemente.» Il biondo sbuffò e brontolò per due minuti sperando di far cambiare idea alla propria ragazza, ma niente.
Gli sembrava assurdo: per quanto aveva capito non c’era uno dei ragazzi a credere che loro non fossero perfetti insieme, gliel’aveva confermato proprio lei la sera dopo il secondo incontro dei due gruppi. Allora perché opporsi a farli capitare casualmente in coppia, obbligandoli a passare insieme del tempo al di fuori dalle lezioni di fisica e biologia?
«Il destino farà il suo corso, Clint.» Niente, si convinceva sempre di più che si fosse trovato una ragazza capace di leggere nel pensiero. Si sentiva abbastanza fottuto. «Sono entrambi troppo orgogliosi per capirlo ora, ma sarà inevitabile.» Chiuse il sacchettino con dentro i nomi ed andò a riporlo sulla scrivania dando uno sguardo veloce a quello che vi era disseminato sopra. Sperava solo di non dover riscrivere i nomi causa perdita di sacchetto.
«Il destino non esiste, Nat!» Era esasperato da questa cosa del far scorrere gli avvenimenti e non metterci il becco. Aveva provato a dirle di averla osservata per un po’ prima di farsi trovare esattamente nello stesso punto del poligono in cui lei andava ad una determinata ora, ma a poco era servito a quanto pareva.
La rossa scosse la testa mentre prendeva il telefono e spostava i pollici sullo schermo. Non era proprio il destino, era più il filo rosso. A volte due persone sono fatte per stare insieme ma per svariati motivi non ci riusciranno mai. Steve e Tony erano papabili per quella categoria di persone a causa del loro stupido orgoglio, sforzare la mano avrebbe solo peggiorato la situazione.
«Senti, la verità è che la situazione è questa per ora. Se qualcosa cambierà sarà per merito loro, non per certi giochetti. In più si conoscono da poco più di un mese e li abbiamo visti insieme solo due volte, forse ci stiamo facendo troppi film.»
Natasha iniziò a pensare di non avere tutti i torti. Conosceva Rogie da sette mesi ed era già diventato come un fratello; in poco si erano detti quasi tutto, tanto che fu il primo a sapere di Clint, ma non aveva mai sentito parlare di una qualche storia passata. Sarà l’effetto di avere una relazione, però le sarebbe piaciuto che il suo amico provasse cosa volesse dire amare e sentirsi amati. Forse aveva scambiato la tensione tra i due per qualcosa di più troppo in fretta.
«Sì, hai ragione.»
Forse ce l’aveva davvero. Tutte quelle battutine erano nate per far ridere ed infastidire l’amico, ma avevano iniziato ad offuscare la sua mente e quella dei suoi amici. Però un po’ ci sperava, nonostante le parole di Nat. Tony non aveva mai lasciato che qualcuno entrasse troppo nella sua vita, oltre a loro tre. Mai avuto storie, mai provato niente sul versante amoroso. All’inizio poco importava, a nessuno dei quattro sembrava importare quel sentimento. Avevano tutti degli obbiettivi ed erano concentrati su quelli.
Ma ora era diverso, grazie a Natasha aveva capito che puoi raggiungere tutti gli obbiettivi che vuoi, vale poco senza qualcuno con cui festeggiarli, però.
I suoi pensieri furono interrotti da tre squilli consecutivi provenienti dal telefono della rossa.
«Tre su tre.» Sorrise al suo ragazzo che ricambiò sentendosi già entusiasta all’idea della sua festa.
Lei non era ancora del tutto convinta, ma non poteva evitare di ridere ed abbracciare Clint nel vederlo in quelle condizioni. Un po’ come un bambino alla sua prima festa. Solo che lui aveva quasi diciotto anni, ma son dettagli.
 
 
 
«Non è imbrogliare, ma giocare d’astuzia, Rogers.» Tony si alzò dalla sedia e si stiracchiò la schiena, soddisfatto della sua vincita a Risiko.
La serata era iniziata fuori da quelle quattro mura e l’ultima cosa che Bruce voleva era rischiare la rottura di qualche vaso della madre. Ma la pioggerellina era presto diventata un diluvio e la sua casa era la più vicina. Mannaggia.
Ci fu un primo momento di stallo, poi decisero che Risiko sarebbe stato carino anche solo da vedere. Decisero di giocare Steve, Tony, Bucky, Clint, Natasha e Rhodey. Gli altri rimasero volentieri ad osservare, soprattutto Sam ancora scottato dalle svariate perdite contro il biondo del suo gruppo.
All’inizio filava tutto come al solito: Steve faceva piccoli passi verso il suo obbiettivo aspettando che gli altri giocatori si eliminassero a vicenda; i primi ad uscire furono Clint e Rhodey seguiti da Bucky. Attaccare Rogers era una missione suicida, ma Clint doveva conquistare l’Europa e Bucky far fuori l’esercito del biondo. James era semplicemente stato attaccato alle spalle da Rogers mentre cercava di abbattere l’armata di Stark. Maledette Americhe, escono sempre come obbiettivo.
La partita si giocava con Rogers e Stark. All’inizio non si capiva bene quale fosse la missione dei due, sembravano combattere due guerre differenti, incuranti dello squadrone avversario. Fino a quando Rogers non si vide il suo esercito essere spazzato via da quello dell’amico, il quale esultava di aver raggiunto il suo traguardo.
«Non è giocare d’astuzia rubare la carta obbiettivo di un concorrente eliminato, Stark!» Steve diede un pugno al tavolo facendo sobbalzare Bruce che aveva avuto l’astuta idea di mettersi dietro di lui ad osservare la partita.
«Oh, no. Ti ho rovinato la condotta!» Steve assottigliò lo sguardo, cosa che fece un attimo spaventare i ragazzi nella stanza, tranne Tony ovviamente.
Sin da quando avevano detto che il biondo era il campione indiscusso del gruppo Stark s’era dato un proprio obbiettivo: distruggere la sua armata. Il suo obbiettivo era diventato irraggiungibile con l’uscita di Clint dal gioco, ma sarebbe stato dieci volte più divertente concentrarsi sull’armata blu. Effettivamente non si era sbagliato.
«Il problema è che hai imbrogliato! Non mi interessa perdere se il vincitore ha seguito le regole.» Stark roteò gli occhi e passò il libretto di istruzioni al ragazzo di fronte a lui.
«Avanti, fammi vedere dove c’è scritta questa regola.» Steve abbassò lo sguardo sul libretto.
Ovviamente non ci sarebbe stata perché non serviva specificare che la propria carta obbiettivi doveva rimanere quella dall’inizio alla fine del gioco e Tony lo sapeva, lo si capiva dal ghigno divertito che aveva stampato in faccia. Rogers sentiva il sangue ribollirgli nelle vene, avrebbe voluto alzarsi di scatto e tirargli un pugno su quel sorrisetto compiaciuto, ma Natasha riusciva a riconoscere certi sguardi e diede una gomitata al suo ragazzo. Era il momento di cambiare argomento e intavolare la storia del compleanno.
«Allora, amici!» Clint allargò le braccia per attirare l’attenzione di tutti su di sé mentre la sua ragazza andava a prendere il sacchettino con i nomi nella sua borsa. «Questa serata è stata organizzata anche per parlare del mio compleanno che sarà –rullo di tamburi, Rhodey.» Indicò l’amico che imitò il suono richiesto colpendo il tavolo con le mani. «Sabato prossimo!» Non ci furono grandi sorprese visto che metà delle persone le conosceva da una vita, una era la sua ragazza e gli altri tre erano stati informati proprio da lei.
Barton unì le mani e se le sfregò. «Che inizio incoraggiante.» Almeno riusciva a farli ridere un po’, era un punto in più. «Allora, la mia idea è quella di compattare i due gruppi. Siamo ancora un po’ troppo divisi, non credete?» Ci furono alzate di spalle e un paio di occhi roteanti. Ovvio, era la terza volta che uscivano come potevano essere compatti?
«Okay, passiamo al dunque: ho pensato ad una festa in costume di un periodo del secolo scorso che preferite, dovrete decidere il vestito in coppia e passare del tempo insieme per provare a rendere il tutto verosimile.»
«Ma coppia si intende anche “di amici”?» Clint annuì a Bruce, pensando fosse abbastanza palese visto che non erano tutti gay e c’era una sola ragazza.
«Non ci sono possibilità di chiamarsi fuori e partecipare come osservatore, vero?» Ovviamente al genio non andava. Non provava particolare simpatia per nessuno dell’altro gruppo. Il loro arrivo aveva portato una rottura nella routine della suo vita, scombussolando il suo stato di sicurezza e facendolo irritare non poco.
Come risposta ottenne un’occhiataccia dell’amico, per cui alzò le mani in segno di resa.
«Nel sacchetto che ha in mano Nat ci sono il suo nome e quelli di Steve, Bucky e Sam. Noi altri pescheremo a caso. Inizio io.» Ravanò nel sacchetto per qualche secondo speranzoso di cogliere il biglietto con il nome della sua amata, ma di fortuna ne aveva già avuta abbastanza nell’incontrarla. Lesse il bigliettino e fece spallucce mentre la guardava. «Sam Wilson sarà il mio cavaliere.» Si girò verso gli altri presenti mostrando il bigliettino.
«Molto onorato. Spero solo di non affascinar troppo il signor Barton o la rossa potrebbe farmi fuori.» Fece l’occhiolino all’amica e quasi tutti risero, ovviamente non Tony.
Rhodey fu il successivo «Natasha.» Fece vedere il bigliettino come aveva fatto Clint ed intanto l’ansia di Tony cresceva. Erano rimasti solo due nomi in quel sacchettino e nessuno dei due gli andava particolarmente a genio. Forse.
Preferì fare una cosa veloce: infilò la mano, prese il primo bigliettino e lo aprì.
Cercò di decifrare le sue sensazioni. Era felice, deluso? Alla fine ci aveva sperato di pescare il nome di Steve oppure no? Cos’era quell’agitazione che aveva provato fino a quel momento?
Ormai era andata ed aveva imparato che certe domande era meglio non porsele, o comunque non trovarvi risposta. Voltò il foglietto verso gli altri ed un lamento arrivò dal ragazzo con il codino affianco a Sam. «Barnes.»
Doveva essere sfiga per forza James lo sapeva, un qualche scherzo del destino per tutte le frecciatine che tirava insistentemente al biondo. Steve guardò l’amico con la fronte appoggiata allo schienale della sedia e sogghignò, il che non sfuggì a Stark, che provò un certo fastidio.
«Quindi io ho Steven.» Banner era abbastanza contento, caratterialmente gli sembrava il più pacato. Tranne quando c’era Tony, ma erano dettagli.
A Steve cambiava poco, era solo felice che Clint e Nat non si fossero messi a fare giochetti strani per far uscire lui con Tony.
Si era in qualche modo illuso che quella Domenica mattina avesse cambiato un po’ di cose, ma dopo venti minuti in cui i due gruppi si erano riuniti per la seconda volta aveva capito l’impossibilità della cosa. Stark si era comportato al solito, come se quella mattina non ci fosse mai stata. L’ultima cosa che voleva era rischiare di passare più di un’ora il Sabato pomeriggio in sua compagnia. Quelle uscite le faceva principalmente per l’amica e perché gli altri componenti del gruppo non lo infastidivano per niente, si trovava bene a scambiare quattro chiacchiere con ognuno di loro. Però Stark era sempre lì a ricordargli della sua presenza, ogni qualvolta si metteva in mezzo facendolo innervosire. Infatti stava aspettando una sua battuta, l’avrebbe fatta da un momento all’altro.
Invece no.
Si voltò verso il moro, incrociando per un secondo lo sguardo del ragazzo che sembrava quasi…triste?
 
 
  
«Che cavolata.» Un paio d’ore dopo Tony era nella sua stanza, sdraiato sul letto a braccia incrociate sul busto e lo sguardo fisso al soffitto.
Gli altri avevano parlato per un po’ della festa, lui aveva solo ascoltato distrattamente mentre il suo partner era dalla parte opposta della sala. Palese il fatto che nessuno dei due fosse felice del risultato. Ed era stato abbastanza sicuro di aver visto Barnes provare a convincere Bruce a fare scambio biglietto con lui. Clint si era messo in mezzo giusto in tempo, spiegando che a lui avrebbe fatto davvero piacere vedere il biondo ed il moro in coppia, ma che Natasha avrebbe sguinzagliato la sua furia su chiunque avesse provato a barare.
Meglio così.
La reazione di Steve gli aveva dato particolarmente fastidio. Quella sua risata strozzata nei confronti dello sventurato compagno di gruppo rigirava nella testa di Tony da quando l’aveva fatta.
Vero, lui non aveva reso le cose più facili dopo quella Domenica, ma ci aveva pensato abbastanza e si era reso conto che comportarsi in modo differente nei suoi confronti con gli altri presenti avrebbe dato il via a quelle allusioni ormai scomparse. Almeno in sua presenza.
Forse avrebbe dovuto avvertirlo di questa sua decisione. Una volta messi d’accordo avrebbero potuto fingere un miglioramento volta per volta, così da non far immaginare cose contorte agli altri.
Oh, ‘fanculo.
Infondo non gli importava cosa pensava quel fustacchione. Preferiva stare in coppia con Bruce? Bene! Se fosse capitato con Tony avrebbe implorato un cambio di coppia? Stark l’avrebbe assecondato.
Forse.
Sì, forse, perché nel pensare a quella probabilità si era rannicchiato a riccio.
Okay, forse un po’ gli importava di ciò che Rogers pensava.








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Nota dell'autrice: Eccomi! Scusate per lo stacco ma ho avuto da fare ed ho cambiato idee sulla storia. Se avessi messo il capitolo che avevo in mente precedentemente ci sarebbe stato uno sbalzo temporale troppo grande ed ho preferito aggiungere dei capitoli in più.
Spero vi piaccia.
E Tony, piccino mio. <3

Un bacio, 

BR. 
 

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Capitolo 7
*** "You don't have a crush on Rogers." ***


- Sto male.
Stark.
 
Tony inviò il messaggio sicuro di essersi salvato la giornata. Quella mattina era stata abbastanza faticosa e non era riuscito a dormire durante le due ore di Storia a causa di Bruce, il quale aveva deciso di mettersi sempre affianco all’amico così da tenerlo sveglio e vigile.
No, mezza giornata con James Barnes non l’avrebbe sostenuta. Sicuramente quest’ultimo non avrebbe pianto dal dolore per dover rimandare quella giornata, era abbastanza palese che ricambiasse il sentimento.
 - Fra dieci minuti sono lì.
 Barnes.
Stark sgranò gli occhi per poi accasciarsi sulla scrivania emettendo un verso quasi disperato.
Era già Mercoledì e non avevano ancora niente di pronto per quel Sabato sera, nemmeno come vestirsi. Aveva stilato una lista di scuse che l’avrebbero esonerato dalla festa di Clint, ma sapeva che non avrebbe avuto il coraggio di farlo, si sarebbe sentito terribilmente in colpa. Gli toccava passare del tempo con il ragazzo dal codino facile pur di non deludere Barton. In quel momento avrebbe tanto voluto essere il menefreghista che gli piaceva interpretare.
«Signorino Stark, c’è un nuovo ragazzo per lei.» Tony alzò la testa dalla scrivania e si voltò con un sopracciglio inarcato verso Jarvis, entrato con passo silenzioso nella stanza.
Il maggiordomo era poco abituato a vedere gente nuova aggirarsi per la casa, si era appena adattato allo Steven del Sabato, era troppo vecchio per un altro ragazzo del Mercoledì pomeriggio.
«Tolto il dente, tolto il dolore.» Il ragazzo si spinse lontano dalla scrivania e si alzò pronto ad affrontare la giornata.
Più o meno.
 
 
 
«Buster Keaton e Charlie Chaplin.»
Bucky e Tony si erano sistemati nel salotto di Vila Stark. Inutile dire che Tony s’era sistemato subito sul divano, cercando di occuparlo il più possibile, mentre l’altro aveva optato per la poltrona vecchio stile.
«Due hipster.»
Il moro ignorava del tutto i suggerimenti di Bucky, il quale stava per perdere la pazienza. Era con lui da solo cinque minuti e già avrebbe voluto tirargli il tavolino addosso, come diavolo faceva Steve a starci un’ora senza spaccargli qualche dente?
«Stark, una mano?» L’interpellato gli rivolse uno sguardo accigliato e poi se ne tornò ad esaminare le cuciture del divano.
Bucky alzò le mani in segno di resa. «Okay, allora finiamola qui.» Tirò fuori il telefono sotto lo sguardo incuriosito del “partner”. «Ciao Clint, volevo dirti che io e Stark non riusciamo a combinare niente, mi dispiace davvero rovinare così la tua festa, ma purtroppo...»
«Keaton e Chaplin.» Bucky sorrise vittorioso, per poi girare il telefono verso l’altro ragazzo mostrandogli lo schermo ancora bloccato.
«Allora non sei proprio senza cuore.» Tony si maledisse almeno dieci volte nell’arco di quindici secondi. Assottigliò gli occhi e puntò il dito verso il ragazzo con il codino.
«Mi hai imbrogliato.» L’altro fece spallucce.
«Almeno abbiamo deciso.» Si alzò dalla sedia e si avvicinò al divano, allungando una mano al compagno. «Io faccio Keaton.»
«Non ti avrei mai ceduto Chaplin.» Stark scansò la mano di Barnes e fece leva sulle proprie braccia per tirarsi in piedi.
Ora dovevano solo trovare i vestiti, non avrebbero mai provato. Nessuno dei due voleva.
 
 
 
«Che?» Steve guardò Bruce con un sopracciglio inarcato ed un mezzo sorriso stampato in volto.
«Giuro, ora lo googlo.» Banner si voltò verso il computer di camera sua e si mise a digitare abbastanza velocemente.
In quel momento venne spontaneo a Rogers confrontarlo a se stesso che scriveva con due dita e sbagliava anche, mentre Bruce in meno di mezzo minuto aveva già aperto la pagina che stava cercando.
Portò il cursore su un punto della pagina e fece segno all’altro ragazzo di avvicinarsi per leggere con i suoi occhi. «Vedi? Gli americani fecero degli esperimenti, ma nessuno sa se siano andati a buon fine oppure no.»
«Certo molti non fecero una buona fine.» Steve storse la bocca, per poi rimettersi eretto ed incrociare le braccia al petto. «Però ci potrebbe stare.»
Bruce annuì e sorrise. Non era stato difficile mettersi d’accordo con il biondo, poi aveva il fisico perfetto per essere un probabile super soldato. Come aveva scoperto quella storia non si ricordava, però gli era rimasta impressa: durante la Seconda Guerra Mondiale degli scienziati americani fecero esperimenti su dei soldati per poterli rendere invincibili. Molti non ci credevano –tanto meno lui- ma sentiva che Steve era fatto per interpretare un super soldato e lui non doveva preoccuparsi tanto di trovare dei vestiti: avrebbe usato il suo camice e qualche vestito del padre.
«Beh, ora devo solo preoccuparmi del vestito.» Il biondo si portò una mano al mento mentre fece mente locale su dove potesse trovare una divisa militare di quel periodo. Sua madre aveva venduto tutte le cose del nonno per racimolare un po’ di grana, avevano preso le cose più belle e quelle di più valore, inutile dire che vi era anche la divisa.
Sicuramente esistevano negozi che vendevano costumi per feste in maschera, avrebbe dovuto girare tutta la città per giorni, però.
«Io conosco un posto dove dovrebbero averne una.» Bruce si alzò dalla sedia e prese in mano il giubbino appoggiato sul porta abiti.
La sua stanza era tremendamente ordinata, cosa inusuale per un ragazzo della sua età, eppure per uno come lui ci stava a pennello. Appena ci aveva messo piede Steve aveva pensato “Sì, è da Bruce”. Da un ragazzo come lui nessuno si sarebbe aspettato una camera disorganizzata, perfino i libri sugli scaffali erano divisi in ordine alfabetico e tra libri di scuola e di “piacere” –tra tante virgolette, visto che rientravano saggi di illuminati scienziati che Steve sarebbe riuscito a capire solo dopo una centina di anni-. Anche se ci fosse finito per sbaglio, avrebbe capito a chi apparteneva quella camera.
«Va bene se prendiamo la tua macchina? Sono un ottimo tom-tom.» Steve sorrise ed annuì, seguendo il ragazzo che era appena uscito dalla stanza.
 
 
 
Banner si aggirava tra gli scaffale di un negozio che vendeva vestiti di differenti epoche, portati lì da chi non sapeva cosa farne. Rischiavano tutti di prendere polvere in un vecchio baule, invece lì potevano sperare in una nuova vita. In più era tutto scontato visto che andava poca gente.
«Bruce?» Scostò lo sguardo dai vestiti e cercò di individuare la persona che lo aveva chiamato.
«Clint!»
«Ragazzi!» I due si voltarono, trovandosi davanti Rhodey e Natasha, la quale aveva un vestito appoggiato sulle braccia.
Nel vedere la rossa il viso di Clint si illuminò per poi abbracciarla e darle un bacio a stampo.
«Ehi, guardate che sono geloso.» Sam uscì da uno dei camerini, poco distanti dal gruppo, con un broncio in volto che fece ridere i ragazzi.
Ovviamente sarebbero andati a cercare i vestiti in quel negozio: se non avevi idee te ne venivano a palate, se ne avevi una sicuramente lì trovavi quello che cercavi.
«PRENDI QUEL CAPPOTTO E NON ROMPERE, STARK.» Beh, a quanto pare avevano deciso di andare tutti lo stesso giorno alla stessa ora.
«Dovresti prendere dei calmanti, Barnes. Prova con la camomilla prima di andare a dormire, così ogni sera per una settimana.» Il moro parlava mentre camminava all’indietro con un malloppo di vestiti tra le mani.
Non moriva dalla voglia di provarsi abiti di altre persone, ma secondo Barnes andare a spendere più di venti dollari per qualcosa che probabilmente non avrebbero più messo era fuori discussione e almeno quella cosa dovevano farla insieme. E meno male, visto che Tony si trovò davanti i componenti degli altri tre gruppi, almeno potevano vedere che i due ci avevano provato.
«Vatti a provare quei vestiti o ti tiro la prima cosa che capita.» Anche Bucky entrò finalmente nel campo visivo degli altri, li salutò con un sorriso ed un movimento della mano incurante di come potevano prendere quella frase gli amici di Stark.
«Vedete? Mi tratta male.» I ragazzi della Revenclaw scossero la testa, mentre gli altri tre cercarono di trattenere una risata. «Molte grazie per il sostegno, sappiate che me la segno.» Poi si voltò per entrare in uno dei camerini.
Già, almeno quello era l’intento, se solo non fosse uscito un tizio all’improvviso dal camerino davanti a Tony.
«Penso che possa andare, devo solo sistemarmi i capelli.» Steve si passò una mano tra la chioma bionda per cercare di appiattirgli e dare l’idea di come sarebbero stati quella sera. 
«Wow, Rogie! Sei nato nell’epoca sbagliata.» Solo alle parole dell’amica si accorse che lui e Bruce non erano gli unici clienti del locale e gli scappò una risata. Certe cose non succedevano quando viveva in Ohio, gli sembrava assurdo che fosse successo in una città come New York.
«Già...» Barnes si avvicinò al suo compagno di festa, appoggiando il braccio sulla spalla di questo. «…non pensi anche te, Tony?»
Da quando s’era trovato davanti Rogers in quella divisa verde militare Stark era rimasto immobile a fissarlo. Lui non se n’era accorto, ma ci aveva pensato Bucky a farglielo notare.
Alle parole dell’amico lo sguardo del biondo si spostò verso il ragazzo davanti a lui. Niente, Tony si ritrovò a pregare di diventare improvvisamente invisibile perché sentì le guance diventare calde e scomparve impulsivamente nel camerino senza rispondere minimamente al commento di Barnes.
Si guardò allo specchio situato sulla parete davanti a lui e si poggiò le mani sulle guance arrossate.
‘FANCULO.
Tirò un calcio al muro laterale, pentendosene poco dopo.
Fuori dal camerino i ragazzi erano rimasti immobili mentre facevano mente locale su ciò che era appena successo. Bucky si riteneva pienamente soddisfatto, lo evidenziava la sua espressione vittoriosa. Lo sguardo severo dell’amico lo lasciò del tutto indifferente. Aveva avuto una bella conferma e sicuramente non si sarebbe fermato perché qualche settimana prima si era detto di lasciar perdere la questione “Stony” –il nome l’aveva deciso Clint-, dunque aspettò che il biondo tornasse in camerino a cambiarsi per poi avvicinarsi al gruppo.
 
 
 
Se Steve aveva pensato fosse stata una fatica mettersi la divisa in modo quasi perfetto, toglierla senza fare un disastro era ancora peggio. Riuscì a farcela in un tempo accettabile -10 minuti-, ma quando uscì si trovò davanti il deserto. Le uniche persone presenti oltre a lui erano la proprietaria e qualcuno che borbottava nel camerino affianco. Sapeva che non poteva essere Bruce: uno non aveva bisogno di comprarsi alcun vestito, due non era tipo da borbottare così tanto. Tirò fuori il telefono per poter contattare il suo partner, ma ci aveva già pensato quest’ultimo a fargli sapere che aveva avuto un’emergenza e che ci aveva pensato Bucky, il quale gli chiedeva con un altro messaggio di portare a casa Stark perché era rimasto a piedi. Si era perso il momento in cui avevano deciso di ricominciare a rendergli la vita impossibile con il “fattore Stark”, evidentemente era stato l’unico del gruppo.
Si passò una mano sulla fronte lasciandosi andare sui puff marroncini appoggiati alle vetrate. Doveva solo portarlo fino in Villa, massimo venti minuti con troppo traffico. Musica a palla e via, come se Stark non fosse mai salito sulla sua macchina.
Ce la posso fare.
 
 
 
Tony si era appena rimesso i suoi vestiti dopo essersi rifiutato di uscire conciato in quel modo -soprattutto dopo Rogers vestito da perfetto soldatino- quando lesse il messaggio di Barnes.
-Ti porta a casa Stebe, non ringraziarmi.
La prossima volta l’avrebbe inseguito con un machete, quello sarebbe stato il suo ringraziamento. Anche se per quel ragazzo era l’opposto, Stark non aveva intenzione di passare troppo tempo con Steve. Le cose stavano iniziando a prendere una piega che poco gli piaceva e quelle frecciatine non erano sicuramente d’aiuto. Infondo chi diavolo sarebbe rimasto impassibile davanti ad un fustacchione vestito in quel modo? Era abbastanza comprensibile la sua reazione, sì.
Non hai una cotta per Rogers.
Quella frase sarebbe stata come un mantra da quel momento in poi; una specie di frase motivazionale. Non poteva essere il contrario. Non doveva essere il contrario.
 
 
 
«Dove stai andando, Stark?» Steve stava arrivando all’esasperazione.
Dopo aver pagato gli abiti erano usciti nel più completo silenzio e lui si era diretto verso la macchina, rendendosi conto solo dopo alcuni passi che l’altro ragazzo aveva avuto un’idea diversa andando in tutt’altra direzione. “Voglio una ciambella” aveva detto, guarda caso lì vicino c’era una delle migliori pasticcerie della città. Ed ecco mezz’ora buttata in una coda infinita. Ogni tanto il moro cercava di intavolare un discorso, il quale finiva nel giro di massimo tre minuti. Arrivati davanti al cassiere Tony ordinò due ciambelle con ripieno di cioccolato, una per lui ed una per Steve. Stupefatto, il biondo ringraziò con un sorriso. Sorriso che si spense appena Tony si diresse verso un tavolo piuttosto che verso l’uscita. Voleva gustarsi la ciambella comodo, povero. Via altri dieci minuti sempre molto pieni di conversazione.
Quando uscirono Steve pensava di potersene andare finalmente a casa, se non che il moro aveva ben altro per la testa.
«Voglio sciacquarmi la bocca, c’è uno Starbucks all’angolo.» Indicò dall’altra parte della strada e, senza aspettare risposta, si buttò sulle strisce pedonali facendo inchiodare una macchina facendo prendere un colpo al biondo che si era ritrovato a scusarsi con il guidatore ed a seguire il moro.
Fa’ che sia l’ultima volta o giuro che lo lascio qui.
Almeno in quel locale non c’era tanta coda e riuscirono ad arrivare alla cassa in meno di cinque minuti dove vi era una giovane ragazza dai capelli biondi che strabuzzò gli occhi nel veder entrare Anthony Edward Stark nel locale in cui lavorava. Per fortuna i due ragazzi erano troppo intenti a leggere la lista delle bevande dietro di lei per potersi accorgere della sua reazione.
«Un frappuccino al cioccolato per me e per lui…» Tony si voltò verso lo sventurato compagno ormai sceso a patti che non sarebbe andato a casa prima di una mezzora.
«Uno alla fragola, grazie.» L’altro si trattenne dal fare battutine sul frutto afrodisiaco, perché davvero stava rischiando già troppo nel farlo girare a destra e sinistra, non voleva sicuramente trovarsi con qualche dente in meno. L’idea proprio non gli piaceva.
Nel mentre Tony si immaginava senza tre denti, Steve prese il portafoglio dalla tasca del giubbino e pagò il conto prima che il moro riuscisse a tirare fuori i suoi soldi. L’ultima cosa che voleva era avere debiti con uno Stark, già lo infastidiva particolarmente avere delle ripetizioni gratuite.
Tony, dal canto suo, rimase un attimo imbambolato a guardare il biondo che prendeva lo scontrino e ringraziava la ragazza. Era la prima volta che succedeva una cosa del genere. Ovvio, nessuno si preoccupava di pagare anche per lui, già era tanto se si ricordavano di pagare la loro parte quando c’era Stark in circolazione; certo, non si era reso la cosa semplice quando aveva deciso di offrire da bere a mezza scuola durante l’ultima gita, comunque non se l’era sentita di fare la figura del tirchio e fare il giro del pullman per riscuotere i conti. Il gesto di Rogers era stata un’altra conferma dell’idea che piano piano si stava facendo su di lui e si trovò ad inarcare leggermente all’insù i lati delle labbra.
«Ehi, stai bene?» La voce del biondo lo riportò con i piedi per terra, facendolo rendere conto di come lo stava fissando. Inutile dire che si sentì le guance diventare sempre più calde. Abbassò lo sguardo sui bicchieri che aveva in mano il ragazzo davanti a lui e prese quello con striature marroni senza dire una parola, per poi avviarsi verso un tavolo per due libero sotto lo sguardo accigliato di Steve, che ringraziò la cameriera e seguì Tony.
Non hai una cotta per Rogers.
 
 
 
«Hai intenzione di farti avanti?» Steve aveva iniziato a seguire con lo sguardo la ragazza che li aveva accolti e serviti dopo che era passata per la terza volta in parte al loro tavolo. La cosa non era certo sfuggita al moro seduto di fronte a lui, il che gli aveva dato particolarmente fastidio.
«Non è il mio tipo.» Spostò lo sguardo dalla ragazza a Tony. Se gli avesse detto che riteneva abbastanza sospettoso il suo aggirarsi lì intorno, considerando che c’erano altri clienti, era sicuro l’avrebbe preso in giro e chiamato paranoico, meglio tenersi certi dubbi per sé.
«Poco seno?» Scherzò il moro, visto che di difetti fisici non sembrava averne.
«Poco testosterone.» Con la più completa disinvoltura lasciò Tony talmente di stucco che gli uscì un Ah stupefatto. Nonostante il comportamento di Barnes non aveva mai pensato a quell’opzione. «Spero non sia un problema.»
«No, anzi.» Si rese conto di averlo detto a voce alta solo quando vide il sopracciglio di Steve inarcarsi. Mandò giù il sorso di frappuccino che aveva appena aspirato e si affrettò a recuperare. «Nel senso che va bene. Non mi infastidisce per niente, davvero.» Stava peggiorando le cose, lo sapeva, perciò decise di spostare lo sguardo da Steve ed il suo sorriso divertito all’interessantissimo bicchiere mezzo vuoto che teneva fra le mani.
Dal canto suo Steve pensava che Stark avesse solo sbagliato a parlare, a volte capita di non saper come dire determinate cose e combini un disastro, però non ci sarebbe stato alcun male nel divertirsi un po’.
«Sai, Tony…»  Il biondo staccò la schiena dalla sedia e si protrasse verso il tavolo facendo scivolare il bicchiere, che teneva con entrambe le mani, un po’ più vicino a quello del moro andando poi a sfiorargli le dite con le sue. «…se ti piaccio basta dirlo.»
Tilt. Completo tilt momentaneo da parte del cervello del genio.
Odiava quando le cose gli sfuggivano di mano in tale modo, soprattutto quando degli occhi così azzurri lo osservavano.
Dannato Rogers.
Non gliel’avrebbe data vinta.
Decise di rispondere incrociando le sue dita con quelle dell’altro ragazzo, guardandolo con un sorrisetto beffardo stampato in volto. «Covi delle speranze, Steve?»
Ci furono cinque secondi di silenzio in cui si fissarono, riempiti poi dalla risata del biondo che si lasciò andare allo schienale della sedia staccandosi dall’intreccio di dita.
«Dai, finisci che andiamo.»
Tony ridacchiò prima di finire il suo ultimo sorso di frappuccino mentre il biondo si alzava dalla sedia. «E dove mi porti, casa mia o casa tua?» Intanto si era alzato anche lui ritrovandosi l’altro di fronte, il quale sorrise nuovamente.
Voleva continuare quel gioco? Okay, andata.
Steve si avvicinò, fece scivolare un braccio dietro la vita di Tony per tirarlo a sé ed avvicinò le labbra all’orecchio del più basso. «Dovrai aspettare almeno la terza uscita per altro, scusa.» Lasciandogli un bacio sulla guancia come ciliegina finale.
Non hai una cotta per Rogers.
Però intanto il cuore aveva preso un ritmo indegno anche per un corridore e le guance ribollivano.
 
 
 
La cameriera li seguì con lo sguardo mentre uscivano e si dirigevano dall’altra parte della strada. Sapeva che prima o poi avrebbe fruttato il suo lavoro da Starbucks. Poteva già sentire il telefono squillare la mattina successiva.
Guardò per un attimo la schermata del suo telefono ammirando con soddisfazione la galleria foto piena di scatti rubati ai due giovani ragazzi. Non era un’amante del gossip, ma da qualche parte doveva pur cominciare.    





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Note dell'autrice: Buonasera a tutti quanti. Mi sembra un po' più lunghino questo capitolo rispetto agli altri, ma non mi piaceva l'idea di dividere in due la giornata. 
Come al solito spero vi piaccia, ogni recensione è ben accetta e dannati apprendisti giornalisti. 

Un bacio, 
BR.

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Capitolo 8
*** Drunky boy. ***


Mezzanotte in punto, Skype.
Videochiamata.
«Questo è un bel casino.» Bucky si passò la mano sulla fronte mentre leggeva l’articolo linkatogli appena entrato nel gruppo già formato da Natasha, Clint, Bruce, Sam e l’altro James.
Era stata la rossa a vedere per prima la notizia perché era l’unica ad avere un gruppo scolastico su whatsapp tra i suoi amici. Aveva sempre maledetto la volta che si era fatta fregare da Jane ed aveva accettato di entrare nel gruppo organizzativo del ballo studentesco, ora si doveva ricredere. Era stato inoltrato lì il sito ed era abbastanza sicura che il telefono di Steve si stava illuminando ad intermittenza. Fortunatamente a quell’ora dormiva come un ghiro, loro dovevano solo decidere come organizzarsi la mattina dopo.
«Sapevo non essere una buona idea quella di andare via.» Bruce si grattò la guancia mentre faceva andare su e giù la gamba come se avesse un tic nervoso.
«Ehi, tu hai assecondato. Tutti avete assecondato.» Bucky incrociò le braccia al petto.
«Nessuno ti sta dando la colpa, amico.» Sam portò una mano in avanti per fargli segno di calmarsi.
«Concentriamoci sul perché abbiamo fatto la chiamata di gruppo, okay?» Natasha spostò lo sguardo dalle icone dei suoi amici a quelle dell’altro gruppo. «Come potrebbe prenderla Stark?»
Calò il silenzio per un minuto buono nel quale gli amici di Tony cercarono una risposta. Il primo a romperlo fu Rhodes con una leggera alzata di spalle.
«Potrebbe far finta di niente. Sapete, lasciare che le acque si calmino. Quante possibilità ci sono che vengano visti da soli ancora?»
«Una volta alla settimana, di Sabato pomeriggio.» Sbuffarono tutti, Bruce e Sam si lasciarono andare sulle rispettive scrivanie.
«Facciamo così: Nat domani mattina ti presenti a casa di Steve, io a casa di Tony. Vediamo come l’hanno presa ed aggiorniamo il gruppo che farò fra qualche minuto.» Tutti annuirono alle parole di Clint. «Ora è meglio andare a dormire, domani sarà una lunga giornata.» Si salutarono velocemente e chiusero le varie schermate.
Clint guardò per un’ultima volta l’articolo contornato di foto che ritraevano il suo amico e Steve Rogers in gesti in po’ troppo intimi per dei semplici amici. Arricciò le labbra e fece spallucce.
«Però starebbero bene insieme.» Poi chiuse definitivamente tutto, buttandosi nel letto.
 
 
 
Natasha era riuscita ad intercettare Margaret Rogers prima che chiudesse la porta, così entrò senza problemi nell’appartamento e si preoccupò di mettere su un’altra dose di caffè perché Peggy non ce l’aveva fatta e le sembrava che Steve fosse un attimo in ritardo. Qualcosa diceva a Nat che non era poi così in ritardo, quindi si diresse verso la camera dell’amico trovando la porta socchiusa.
«Rogie? Sono Nat, ti ho messo su il caffè.» Sentì i cigolii del letto seguiti dal passo di Steve, il quale aprì la porta sorridendole.
«Chissà come mai non sono stupito tu sia qui.» Romanoff arricciò le labbra di lato e fece spallucce. Colta in flagrante, almeno non doveva fare tanti giri per arrivare dritta al punto.
«Se vuoi oggi possiamo non andare a scuola.» Rogers uscì dalla camera e si diressero insieme verso la cucina dove presero una tazza a testa.
«Non ho intenzione di nascondermi Nat. Se qualcuno chiede, dico la verità.» La ragazza si era seduta su una sedia guardando il suo amico in parte alla moca con aria interrogativa. Questo inarcò un sopracciglio e scosse la testa.
«Davvero pensi che non te l’avrei detto?»
«Ci sarei rimasta molto molto male.» Risero entrambi, accompagnati dal rumore del caffè.
 
 
 
- Rogie l’ha presa con filosofia. Fra mezz’ora siamo a scuola.
- Stark mica tanto, e non intendo Tony.
Clint era stato accolto da Jarvis che gli aveva implorato di rimanere nel corridoio d’entrata, ma appena aveva sentito la voce di Stark senior un po’ troppo alta si era avviato alla ricerca dell’amico, entrando nella sala da pranzo senza preavviso.
I due si voltarono verso il nuovo arrivato, il quale incrociò gli occhi arrossati di Tony. Gli salì la voglia di prendere uno dei vassoi presenti sulla tavola e tirarlo addosso al padre, ma era abbastanza sicuro che sarebbe stato ufficialmente bandito da quella casa. 
«Scusate per l’intrusione, ma Tony rischia di fare tardi a scuola.» Howard lo guardò irritato, Clint doveva intervenire prima che dicesse qualcos’altro, che provasse a mandarlo via. «Rischia di intaccare la condotta, so che i migliori College ci tengono ad una buona condotta.»
Il ragazzo aveva ragione ed il signore lasciò andare il figlio con un gesto della mano.
Stark junior si alzò e prese la sua tracolla, avviandosi con passo veloce verso Clint che era già pronto ad uscire. Prima che potessero varcare la soglia, però, Howard doveva dire ancora una cosa.
«Ah, un’ultima cosa: dì pure a Steven che le lezioni del Sabato sono sospese, Anthony.» I due ragazzi si erano bloccati sulla soglia, Barton rivolto verso Tony e Tony rivolto verso il terreno. «Chiaro?»
L’interpellato si ritrovò a mandare giù la saliva cercando di scacciare il groppo che gli si era formato in gola, giusto per avere una voce abbastanza ferma. «Capito.» Poi sgusciò fuori seguito dall’altro ragazzo.
 
 
 
«Se vuoi possiamo non andare a scuola, Tony.» Questo fece un sorriso tirato.
«Certo, così poi chiamano mio padre ed è la volta buona che mi chiude a chiave il laboratorio.» Clint arricciò le labbra mentre controllava la strada ed ogni tanto tirava occhiate all’amico per vedere le sue espressioni. Cosa impossibile, visto che guardava perennemente fuori dal finestrino. «Però prima vorrei passare in un posto.»
Clint annuì, li avrebbero coperti Bruce e James, non c’erano problemi per quello.
«Ditemi dove volete andare ed io vi ci poterò, my Lord.» Stark si fece scappare una leggera risata prima di rispondere.
 
 
 
«Ehi, guardate! C’è il ragazzo di Rogers!» Un tipo fin troppo muscoloso con la giacca della squadra di football indicò la coppia di damerini in giacca e cravatta che stavano entrando nel parchetto della scuola pubblica.
«Siamo ancora in tempo ad andare via, Tony.» Clint disse la frase a bassa voce così che solo lui potesse sentirla. Era abbastanza sicuro che quella mandria di muscoli fosse in grado di annusare l’odore della paura. Ed ora lui ne aveva un po’.
«Tu giochi con arco e frecce da quando hai due anni e ti fai spaventare da degli energumeni di prima categoria? Toglili le giacche ed il loro ruolo nella squadra e li vedrai correre da mamma.» Diede un paio di pacche sulle spalle dell’amico, il quale sospirò. A quel punto pregava solo di uscire vivo da quella scuola.
Tony si era guardato intorno per tutto il tempo, fino ad arrivare alle scale della porta principale. Clint guardò la porta, poi l’amico, poi la porta. Diavolo no.
«Non dirlo, Tì.»
«Dobbiamo entrare.» Barton stava pensando di rimanere lì, tipo cane legato ad un palo che aspetta il suo padrone fuori dal supermercato. Non sarebbe stato male. «Con Steve ci sarà anche Natasha, Clint.»
Ci voleva poco per convincerlo a fare cose che non voleva, bastava nominare la sua ragazza e tutto cambiava. Tipo ora era lui a farsi strada tra gli sguardi dei ragazzi della pubblica. Non che avesse qualcosa contro le scuole pubbliche, solo che si sarebbe sentito più a suo agio ad entrarci in borghese, senza la divisa della Revenclaw addosso.
«Oh, eccoli!» Clint indicò il gruppetto per poi salutarli.
Nessuno ebbe il tempo di chiedere cosa ci facessero lì che Tony prese per un polso Steve e se lo tirò dietro fino allo sgabuzzino del bidello visto poco prima.
Barton inclinò leggermente la testa, mentre Natasha aveva corrucciato la fronte e gli altri due si erano trovati con la bocca spalancata.
 «Molto utile per far smettere le voci.»
 
Stark si chiuse la porta alle spalle, non aveva riflettuto molto su quanto poteva essere grande il magazzino di una pubblica, decisamente più piccolo di quello della Revenclaw. Lasciò perdere tutte le cose buttate a caso e spostò lo sguardo verso il biondo davanti a lui. Sopracciglio alzato, braccia incrociate al petto, bocca che si stava aprendo per parlare.
«Sei sicuro di essere un genio?» Riferito ovviamente alla scelta di trascinarselo dietro in uno dei posti usati troppo spesso da ragazzi adolescenti con ormoni a palla.
Aveva ben altro nella testa. Una domanda che gli girava dal momento in cui aveva letto l’articolo e visto le foto. Voleva delle risposte, voleva sapere se si stava logorando per un reale motivo o se fosse tutta una sua fantasia.
«Conoscevi la cameriera?»
Acqua gelata.
Quella domanda era stata come acqua gelata per Steve. Aveva capito male, sì, non glielo aveva chiesto davvero. Sicuramente aveva sbagliato a comporre la frase per lo stato di agitazione probabilmente dato dal vedere l’articolo.
«Scusa?»
«Conoscevi la cameriera, Rogers?»
Lasciò andare le braccia lungo il corpo.
No, nessuno sbaglio.
Steve sentì un’ondata di delusione mista a qualcosa di strano, che non riusciva ad identificare. Si sentiva ferito dalla congettura alla quale era arrivato Stark. Gli dava fastidio non ci avesse pensato due volte, nonostante tutto. Alla fine era colpa del comportamento del moro se le cose erano rimaste identiche a prima.
«Non me lo stai chiedendo davvero.»
«Rispondimi.» Stava iniziando a perdere la pazienza. Il non rispondere aumentava il suo dubbio. Era abituato che solo i colpevoli non rispondevano o aggiravano le domande.
Steve scosse la testa e si fece scappare una risata nervosa, per poi guardare Tony negli occhi.
«Non importa quello che dirò, vero?» L’altro ragazzo rimase impassibile, non voleva farsi leggere. «Posso dirti la verità, ma non andrebbe a braccetto con l’idea contorta che ormai ti sei fatto, giusto?» Quella domanda fece scostare lo sguardo di Stark dai suoi occhi azzurri. Steve sospirò. «Mi crederesti se dicessi che non la conosco?»
Ci furono almeno due minuti di silenzio nei quali Tony fissava il moccio immerso nell’acqua marroncina –chissà da quanto tempo era lì- e Steve fissava lui, il tutto finì con lo sbattere della porta che rimase su per miracolo.
 
 
 
«Oh-oh.» Bucky fu il primo ad esprimere quello che più o meno era il pensiero di tutti nel vedere uscire Steve dal magazzino sbattendo la porta e con un’espressione tutt’altro che felice.
Si fermò davanti al gruppo solo per poter prendere il libro e, visto che c’era, parlare a Barton.
«Scusami Clint, ma non penso che ci sarò Sabato.» Prese ciò che gli serviva dal suo armadietto, lo sbatté e se ne andò verso la curva del corridoio.
Natasha prese la mano del suo ragazzo, si scambiarono uno sguardo nel quali entrambi si scusavano. Lui per qualsiasi cosa avesse fatto Tony, anche solo per averlo portato lì e non avergli detto di aspettare nel pomeriggio; lei per l’impulso di seguire il suo amico, che ora aveva sicuramente più bisogno di lei di quanto ne avesse Clint.
Guardò la sua ragazza scomparire dietro l’angolo insieme ai suoi due amici.
«Possiamo andare.» Barton si voltò trovandosi alle spalle Stark, il quale non aveva proprio un bellissimo aspetto, quindi tempestarlo di domande sarebbe stato controproducente e da cattivo amico, perciò annuì e si avviò in sua compagnia verso l’uscita.
Che fosse successo un disastro era palese quanto il fatto che non volesse parlarne. Avrebbe aspettato novità da Natasha, sperando di riuscire a sistemare tutto e che in un certo senso non fosse proprio così irrecuperabile.
- Il tuo amico è un coglione.
Okay, la persona in cui riponeva più fiducia gli aveva appena distrutto tutte le speranze di riappacificare i due.
 
 
 
Era stata la giornata più difficile e pesante di tutti i suoi diciassette anni. Aveva retto fino ad un certo punto le beffe di alcuni suoi compagni di classe conquistandosi una meravigliosa nota disciplinare. La cena di quella sera non sarebbe stata più piacevole della mattinata.
Tony abbracciò uno dei cuscini del letto sul quale si era buttato appena rientrato.
Si era reso conto troppo tardi di aver sbagliato a comportarsi in un certo modo con Steve, come al solito rifletteva solo dopo le strigliate da parte dei suoi amici. Ormai era andata ed era abbastanza sicuro di potersi immaginare Rogers fare i salti di gioia per non essere costretto a vederlo tutti i Sabati pomeriggio più le sere delle uscite a gruppo.
Infondo andava bene così. Ognuno per la sua strada. Tanto non aveva una cotta per Rogers.
«Signorino Stark, c’è un ragazzo che l’attende.»
Non aveva sentito i passi di Jarvis avvicinarsi e tanto meno la porta aprirsi, ma a quelle parole schizzò seduto sul letto, guardò il maggiordomo per qualche secondo e scattò giù per le scale.
Forse era Steve, forse era andato lì per chiarire bene la cosa. Sì, alla fine aveva capito che per uno del suo calibro doveva essere difficile fidarsi delle persone ed era normalissimo dubitasse di chiunque gli si avvicinasse troppo e troppo in fretta.
O forse no.
Tony si fermò di colpo appena entrò nella sua visuale il ragazzo che lo stava aspettando. Doveva smettere di farsi film mentali, le cose non andavano mai come voleva lui.
«Stark.»
«Non sono dell’umore per qualsiasi cosa, Barnes, puoi andare.» Detto quello si voltò e fece per fare le scale a ritroso.
«Si tratta di Steve.»
Bucky guardò l’altro ragazzo bloccarsi, dare una veloce occhiata all’orologio che aveva sul polso, scendere le scale e sorpassarlo. Il che lo portò ad inarcare un sopracciglio, capire Stark era davvero difficile, doveva ammetterlo.
«Seguimi.»
Barnes sbuffò e fece come gli era stato chiesto con poca gentilezza. Lo stava facendo per il suo amico, doveva ricordarselo prima di lanciargli dietro qualcosa.
A breve si ritrovò in una specie di laboratorio di Dexter con aggiunta di macchine e moto vecchio stile. Rimase a bocca aperta. Era lì che Tony spendeva la maggior parte delle sue ore notturne, dunque, mica male come “posto sicuro”.
Al padrone di casa non andava molto a genio il fatto di averlo portato lì, invece, ma voleva evitare di alterare suo padre più di quanto già non fosse. Sperava solo di riuscire a far andare via James prima dell’arrivo del genitore senza dover farlo passare per l’uscita che si era fatto in quella stanza.
«Dunque?» Bucky spostò lo sguardo dalla collezioni di auto a Stark, ricordandosi improvvisamente il motivo della sua visita.
Si schiarì la voce. «Dunque: sai di essere un cretino.» Tony inarcò un sopracciglio e fece per controbattere, ma Bucky lo interruppe subito. «Non era una domanda.» L’altro ragazzo incrociò lo braccia al petto con un’espressione evidentemente d’offesa, però la cosa non scalfì minimamente l’interlocutore. «Solo un cretino potrebbe dare dell’approfittatore ad uno come Steve.» Stark arricciò le labbra è sposto lo sguardo verso il terreno. «Soprattutto se in quello Starbucks ci siete andati per tuo volere, mentre lui fremeva per tornare a casa.» Tony spalancò gli occhi tornando sul volto del ragazzo di fronte a lui.
Cazzo.
Si diede una manata in faccia.
Come aveva fatto a dimenticarselo? Non aveva solo dato dell’approfittatore a Steve, l’aveva incolpato di aver organizzato proprio tutto quando alla fine lui nemmeno voleva andarci in quel locale. Si sarebbe autoflagellato se non tenesse così tanto a se stesso.
Barnes riteneva il suo lavoro compiuto, uscito da lì avrebbe mandato un messaggio ai ragazzi con un bel “tutto sistemato, amatemi pure” in stampato maiuscolo con tanto di grassetto e sottolineatura. Prima però doveva essere certo che il moro non se ne fosse stato lì a piangere per l’amore probabilmente perduto tutta la vita.
«Sabato pomeriggio presentati da lui e fai le lezioni normalmente.» Tirò fuori il telefono sotto gli occhi stupefatti dell’altro. «Ti ho appena inviato il suo indirizzo. Fai un’altra stronzata e la prossima volta non sarò così amichevole.»
Stark annuì in silenzio, ringraziando fosse ancora presto per farlo uscire dalla porta d’entrata come un comune mortale. Non si preoccupò di dire una parola, provava ancora un certo astio nei confronti di quel ragazzo, probabilmente a causa del codino. Bucky non ci fece comunque caso, aveva capito che certe cose le riservava solo ai suoi amici più stretti e lui era andato lì solo per Steve. Sapeva che c’era rimasto male, anche se non lo diceva apertamente.
 
 
 
La giornata era andata meglio di quanto Rogers poteva immaginarsi, tralasciando il “fattore Stark” di quella mattina, aveva avuto anche un paio di inviti al ballo da due ragazzi della scuola, cordialmente rifiutati. Aveva mille altre cose per la testa ed accettare un invito così presto voleva dire iniziare ad uscirci con quella persona, ed uscire con quella persona voleva dire passarci ore anche a scuola, e andare alla stessa scuola voleva dire che se mai non si fossero piaciuti si sarebbero scambiati a mala pena un “ciao” o peggio.
Peggio, perché da due anni a quella parte era sempre lui il problema: le sue relazioni non duravano più di una settimana per il semplice fatto che oltre l’aspetto c’era sempre così poco di interessante, niente lo stimolava davvero. Sapeva che poi gli sguardi truci da parte di chi conosceva uno di quei ragazzi da più tempo di quanto conoscesse lui –tutta la scuola, praticamente- lo avrebbero seguito fino alla fine dell’anno. No, non avrebbe assolutamente retto una cosa del genere.
Però gli andava bene così. Stare solo non era un dispiacere, aveva più tempo per lui e non era tanto male. Aveva anche imparato nuove ricette, tipo quella che stava preparando prima che Margaret Rogers schiaffasse il giornale sul tavolo facendo sobbalzare il figlio. Neanche la porta aveva sentito, tanto era preso dal non far bruciare le cose.
«C’è qualcosa che mi devi dire, Steven?» Braccia incrociate, piede destro che picchiettava sulle mattonelle, sguardo impenetrabile e “Steven”, per niente buoni segni.
Il ragazzo decise di fare finta di niente, spense i fornelli e riempì due piatti nella completa calma, appoggiandoli poi sul tavolo uno di fronte all’altro.
«E’ pronta la cena.» Si sedette seguito dalla madre che non smetteva di fissarlo.
Peggy mangiava con tutta tranquillità, mentre Steve se ne stava ricurvo a guardare il piatto perché sapeva che se avesse alzato gli occhi si sarebbe trovato quelli della madre ancora intenti a ricevere una risposta.
La verità è che non si aspettava la notizia venisse stampata in una pagina interna al Times, e sicuramente non pensava arrivasse fino a lei. Dunque fecero tutta la cena in completo silenzio, fino a quando Steve prese i piatti e li portò al lavello causando un sospiro stremato da parte della donna.
«Non sono arrabbiata, Steve…»
Oh, no, certo. Mi hai solo chiamato Steven. Ma a voce alta non poteva dirlo o si sarebbe trovato il coltello che aveva dimenticato sul tavolo infilzato in una natica. Sua mamma aveva un’ottima mira.
«…solo che se me l’avessi detto prima avrei potuto preparare Howard in qualche modo.» Vide suo figlio scuotere la testa ed era abbastanza sicura stesse sorridendo. Uno di quei sorrisi tirati che fa lui quando la situazione gli sembra troppo assurda.
Peggy prese il coltello da buttare nel lavello come scusa per potersi avvicinare al figlio.
«Penso che non sia una piacevole giornata per Anthony, oggi.» No, sapeva dove stava per andare a parare e doveva assolutamente fermala prima che proponesse di andare a passare una serata con o peggio farlo restare lì per la notte.
«Sì, povero lui.» L’aveva detto con una non curanza tale che aveva messo in standby la madre. Di solito capiva tutto al volo, questa volta evidentemente era tacitamente contenta nel sapere il figlio finalmente con qualcuno capace di fargli passare le giornate in modo diverso confronto al solito.
Infondo pensava che non avesse mai avuto una storia in vita sua, ma ancora non ce la faceva a rivelare di averle mentito per un bel po’. 
Sciacquò l’ultimo piatto e lo poggio a sgocciolare, per poi sospirare leggermente.
«Non stiamo insieme.» Spostò lo sguardo su Peggy. «Stavamo scherzando e la cameriera doveva essere una giornalista in erba.» o una stronza patentata, ma la signora Rogers non amava quando suo figlio faceva uso improprio del linguaggio. Lei poteva, lui no.
Peggy incrociò le braccia al petto dopo essersi fatta raccontare del perché e del per come si trovassero in uno Starbucks da soli.
«Punto uno: da quando sei diventato così spavaldo? Punto due: ora chiami Howard e gli spieghi.» Mentre diceva l’ultima frase si era già messa a rovistare nella sua borsa in cerca del cellulare.
«Non ne ho intenzione. Stark se la sa cavare da solo.» Vide la madre scuotere la testa e porgli il cellulare.
«Non con suo padre, Steve.» Guardava il figlio, che ancora non prendeva in mano l’oggetto. Cavoli, era davvero cocciuto. «Senti, Howard è molto intelligente –un genio, non c’è che dire-, ma non ha la mente tanto aperta per quanto riguarda certe cose, sai? Ora potrebbe star sgridando Tony inutilmente e…» Vide il figlio accigliarsi di colpo.
Tony?
Okay, gli andava bene che i suoi amici avessero preso il vizio di usare il soprannome visto che tutti lo chiamavano così –ma tutti tutti, anche chi scriveva gli articoli-, però da sua madre non poteva reggerlo. Era stata lei ad insegnargli il peso dell’uso dei nomi, cognomi e compagnia bella. “Mai soprannomi o abbreviazioni se non ti importa o se non hai un legame” e lei Stark l’aveva visto solo alla cena, alla quale non si era comportato un granché.
Evidentemente aveva ancora per la testa quell’immagine di un Anthony in fasce, magari sperava che quella serata fosse stata una piccola cosa a parte. Vedeva sempre il buono nelle persone.
«...e probabilmente beccarsi una punizione? Oh, povero piccolo Anthony, come potrà mai reggere una punizione?» Il sarcasmo usato in quella frase mise in allarme Peggy, che appoggiò il telefono sul tavolo ed allungò una mano verso il figlio, il quale indietreggiò. «Sia mai, vero? Infondo è così buono, così educato. Non andrebbe mai nella scuola di tuo figlio a fare una scenata incolpandolo di aver organizzato tutto solo per finire tra i nomi più ricercati del giorno.» Mentre sputava fuori quelle parole una dietro l’altro aveva iniziato ad infilarsi le scarpe da corsa, grazie al cielo aveva già su le braghe della tuta.
«Steve, non puoi andare a correre ora, è tardi.»
Sì, era tardi, ma lui aveva bisogno di scaricare la rabbia che era tornata dopo aver pensato a quella mattina, alla sfacciataggine di quel dannato ragazzo ed al fatto che l’abbia fatto rimanere male più di quanto poteva ammettere. 
 
 
 
Stava girando per la città da non sapeva quante ore, non sapeva dove si trovasse e non aveva idea di quanto alcool avesse ingerito fino a quel momento. Evidentemente tanto, perché quando tirò fuori il portafoglio per controllare quanto ancora si potesse permettere ci trovò solo scontrini messi in malo modo. Bene, ora che suo padre gli aveva ritirato la carta voleva proprio vedere come avrebbe fatto a tirare avanti per un altro mese senza chiedere soldi al grande boss.
Aveva perso il conto di quante volte era sgattaiolato fuori casa per poter andare a far serata con gli amici o semplicemente andare a vedere come rimaneva viva quella città anche nelle ore più buie. Questa volta era stato diverso, però: era uscito dalla porta principale, come una brava drama queen che si rispetti. Niente passaggi segreti del laboratorio, solo un grande ed immenso “vaffanculo” prima di sbattersi la porta alle spalle.
Probabilmente il grande magnante delle Stark Industries aveva smesso di vedere sotto ottima luce Steven Rogers dopo che gli aveva implicitamente detto di essere un pessimo padre e se Tony era fatto così lui era l’unica persona da incolpare.
Che poi perché aveva pensato avesse fatto una bella cosa quella Domenica mattina ancora non lo capiva, non aveva difeso lui ma i suoi amici. Per Steve lui rimaneva una persona da evitare il più possibile e dopo la scenata di quella mattina aveva finalmente la libertà di poterlo evitare praticamente per tutta la vita. Per questo aveva deciso che Barnes poteva tenersi i suoi consigli, perché se Rogers non lo voleva tra i piedi, nemmeno Tony voleva lui tra i suoi.
Forse.
E comunque quello doveva essere stato il karma, per forza. Lui aveva accusato il biondo senza pensarci troppo o ripercorre gli avvenimenti del giorno precedente ed ora si trovava a girovagare per una zona di New York che non riusciva a riconoscere con troppo alcool in corpo per riuscire a distinguere le figure sul display del cellulare.
Poi chi avrebbe chiamato? I suoi amici sicuramente no, l’avrebbero preso a parole. Sarebbero andati a soccorrerlo, sì, ma poi preso a parole per tutto il tempo. Suo padre men che meno. Le possibilità rimaste equivalevano allo zero. Accidenti a lui che non si fidava.
Decise di girare a caso, che prima o poi avrebbe riconosciuto la strada. Invece si trovò in un angolo cieco, con delle scale di ferro che portavano alle abitazioni e tanta voglia di urlare.
Realizzò di aver bevuto troppo e le strade erano quasi completamente buie lì, era meglio sedersi da qualche parte ed aspettare di migliorare. Oppure il Sole. La prima delle due cose.
Si sedette sul quarto scalino della scala di ferro appoggiando la testa alla ringhiera e tenendosi strette le gambe al busto. Pregava solo che non fosse finito proprio sotto la casa di qualche malavitoso.
 
 
 
Margaret Rogers si comportò come una normalissima madre in pena girovagando per la casa per trovare cose a caso da fare, tipo sistemare i libri in ordine alfabetico per autore e poi per titolo, fino a quando non sentì le chiavi girare nel chiavistello della porta. Lasciò perdere i libri e si avviò verso l’entrata spalancando la bocca nel vedere entrare suo figlio con un Anthony ciondolante al fianco.
«Che diavolo è successo?» Chiuse la porta e cercò di aiutare Steve andando a sorreggere l’altro ragazzo dalla parte libera.
«L’ho trovato sulle scale.» Fece un cenno verso una sedia per far capire alla madre dove lo voleva portare.
«Non sarebbe meglio sul divano?» Rogers roteò gli occhi.
«No, sul divano rischia di addormentarsi.» Non voleva immaginarsi come sarebbe stata la mattina successiva avere uno Stark che si lamentava perché l’avevano fatto dormire su uno scomodissimo divano causandogli mal di schiena.
Appoggiarono Tony sulla prima sedia che trovarono e finalmente vennero messi a fuoco dal ragazzo, il quale scoppiò in una fragorosa risata. Con tutte le probabilità esistenti il suo inconscio l’aveva portato nella via letta quel pomeriggio, perfetto. Forse sarebbe stato meglio farsi prendere da un poco di buono.
«Stark, quanto hai bevuto?»
«Mio Dio, Stebe, sempre con questo tono autoritario.» Il biondo inarcò un sopracciglio e poi soffiò. Doveva lasciarlo sulle scale e fregarsene altamente, perché diavolo l’aveva portato su?
«Tony, da quanto sei fuori casa?» Ecco, la voce della madre era più pacata e tranquilla. Così si poteva ragionare. Per quanto ancora lui fosse in grado di farlo, ovvio.
«Non so…» Fece spallucce. «…prima di cena?» I Rogers spalancarono gli occhi.
«Metto su un caffè.» Appena finita la frase la madre si spostò verso i fornelli.
«Non gli serve un caffè, gli serve dormire un po’.» Tony guardò la scenetta con un sorriso divertito stampato in volto, non perché capisse davvero ciò che stava succedendo ma perché rideva sempre per tutto quando era ubriaco.
«Si deve riprendere, Steve!»
«Dovresti fargliene dieci per farlo riprendere.»
«Gliene farò dieci, allora!» Il biondo scosse la testa capendo nuovamente da chi aveva preso il suo carattere ed il perché aveva tirato su Stark dalle scale.
E anche perché lo stesse tirando su dalla sedia con tutta la delicatezza che poteva, pronto a portarlo in camera sua e concedergli di dormire in un posto un po’ più comodo del divano.
«Ora lo porto a dormire, ma’!»  
«Allora il caffè lo berrà domani!» Perché ormai la moca era pronta e sul fornello.
Peggy guardò il figlio fare un gesto a caso e sparire con l’altro ragazzo nel corridoio. Poteva dirle quello che voleva, ma comunque un po’ ci teneva a quel piccoletto.
 
 
 
Steve fece sedere Tony sul materasso del letto e lo maledisse per essere uscito con Jeans e camicia. Davvero, che ci faceva in casa con la camicia? Fece un grande respiro prima di iniziare a sbottonare l’indumento bianco, facendo sobbalzare l’altro ragazzo.
«Oh, non avevi detto “dopo la terza uscita”?»
«Wow, sei insopportabile anche da ubriaco.» Per tutta risposta ebbe un mugugno quasi di frustrazione.
Qualsiasi cosa facesse o dicesse era insopportabile per Rogers, anche quando obbiettivamente non aveva detto niente di che, solo rimarcato una battuta fatta dall’altro.
«Sarei insopportabile anche nell’intento di salvare un cucciolo, per te.» Se non fosse stato ubriaco probabilmente se ne sarebbe stato zitto, ma se non fosse stato ubriaco sarebbe tornato a casa e Steve non gli avrebbe dovuto togliere i vestiti. Quindi era stata una buona idea spendere così tanto per l’alcool, tutto sommato.
No, okay, che stava pensando? Aveva bevuto troppo, decisamente.
«In quel caso non saresti te.» Steve tolse la camicia sotto gli occhi sbarrati di Stark. 
Sarà anche stato ubriaco, ma quelle parole le aveva recepite abbastanza bene. Bell’immagine che s’era fatto Rogers di lui.
Intanto il biondo si era fermato a guardare il fisico del moro che, doveva ammettere, non era affatto da buttare. Certo, non aveva la sua stessa dose di muscoli, ma una tartaruga accennata c’era e le braccia dovevano essere state allenate a forza di aggiustare cose.
«Se vuoi mi metto in posa.» E via che il colorito rosa pallido della carnagione di Steve lasciò il posto ad un rosso pomodoro maturo che portò un ghigno sul volto di Tony.
Per tutta risposta prese la camicia e la posizionò sulla sedia, maledicendosi per essersi perso via.
«STEEEBE, avresti ancora i pantaloni da togliermi.» Ora era sicuro la sua pelle stesse prendendo fuoco.
«Togliteli da solo!» Sbottò mentre usciva dalla stanza per dirigersi verso il bagno con un cambio tra le braccia.
 
 
 
Finita la doccia decise di aspettare ancora un po’ prima di tornare in camera a controllare la situazione, così da essere sicuro che Stark dormisse già. Si diresse verso la cucina-salotto dove vide sua madre scorporare i cuscini dal divano.
«Io ci dovrei dormire lì.»
«No, tu dormi di là con Tony. Se dovesse stare male qualcuno deve accompagnarlo fino in bagno, non trovi?»
NONONONONONONONONO.
Il ragazzo sbuffò. Sapeva che sua madre sarebbe rimasta di quell’idea e quindi via a tornare in camera con i cuscini del divano dopo essersi bevuto mezzo litro d’acqua. Quella non era decisamente la sua serata. Una volta nella stanza posizionò il tutto ai piedi del letto e prese una coperta dall’armadio.
«Speravo dormissi con me.» Sobbalzò per lo spavento perché era convinto stesse già dormendo. Aveva evitato di accendere la luce ed ammazzarsi tre volte per quello, invece Tony era sveglio.
«Smettila di scherzare e dormi.»
Il problema era che non stava scherzando. La stanchezza aveva preso il sopravvento, mescolata all’alcool dava il via libera alla bocca di Stark.
«Lo salverei un cucciolo dalla strada, Stebe.» La voce era leggermente incrinata, questo colpì in modo negativo lo stomaco dell’altro ragazzo già coricato nel giaciglio improvvisato. Odiava far rimanere male le persone, ma quando era innervosito non pensava troppo a quello che diceva, poi se ne pentiva. Sperava solo che il giorno dopo non se lo ricordasse.
«Smettila di chiamarmi “Stebe” e dormi.»
Altri attimi di silenzio, poi nuovamente riempito dalla voce del moro.
«Vienici alla festa di Clint, dai.» Steve sospirò pesantemente. Quella cosa sarebbe andata avanti per molto, ancora, forse non rispondere l’avrebbe portato a stare zitto e cedere al sonno. «Ne sarebbe felice ed io giuro che non dirò niente. Non ti parlerò, me ne starò buono buono nel mio angolino.» Macché, avrebbe continuato ad andare avanti.
«No, non lo farai.»
«No, hai ragione.» Comparve un sorriso divertito su entrambi i volti e di nuovo il silenzio.
Questa volta durò un attimo di più, come se Tony si fosse preso del tempo per pensare.
«Perché non mi sopporti, Stebe?» Preferiva quando usava il suo cognome accompagnato da quel tono di menefreghismo che lo caratterizzava. Così era troppo tranquillo, troppo morbido e gli serviva tutta la sua concentrazione per ricordarsi del perché davvero non lo poteva reggere.
«Perché sei uno spaccone, Stark.» Sentì una leggera risata venire dal letto.
«Sì, penso sia quella l’impressione che do.» Il silenzio che cadde poi fu terribile per Steve.
Impressione. Già, forse aveva ragione. Forse era tutta un’impressione quella che aveva di Stark, alla fine non era così terribilmente insopportabile nell’ora di lezione, non lo era stato anche quel pomeriggio da Starbucks. Anzi, lì era stato lui a tagliare corto ogni tentata chiacchierata.
«Scusami per stamattina, sono un idiota.» Steve sorrise a quelle parole.
«Cavoli, non ho mai un registratore a portata di mano quando serve.» Tony rise di nuovo, e quella risata stava iniziando a piacere un po’ troppo a Steve. «Ora dormi.»
Rogers non lo vide, ma il moro annuì in silenzio. «Solo promettimi che verrai alla festa.» Il biondo sorrise di nuovo dopo aver sospirato.
«Promesso. Buonanotte Stark.»
«Buonanotte Stebe





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Note dell'autrice: Non ho molto da dire, solo volevo ringraziare le persone che seguono questa storia, chi l'ha messa tra i preferiti, tra i ricordati e chi recensisce. Grazie mille, davvero. <3

Un bacio,
BR.

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Capitolo 9
*** Artistic Boy. ***


Anthony Edward Stark amava l’alcool. Amava il sapore di ogni bevanda con gradazione presente negli scaffali dell’angolo bar di Villa Stark -di conseguenza ogni bevanda esistente- e come gli alleggeriva la testa. Il suo quinto o sesto bicchiere –non ricordava bene- era stata la parte migliore di tutta la giornata precedente.
Anthony Edward Stark odiava il mal di testa, però, e dimenticare cosa fosse successo la notte prima. La seconda parte non era così terribile quando si svegliava nel suo caldo letto a due piazze, ma quando aveva sentito l’angolo del materasso ed aveva fatto un giro su se stesso per andare al centro - così da dormire ancora un po’ senza rischiare di cadere- ritrovandosi all’altro angolo decise che era una di quelle volte dove tutto il post sbornia era abbastanza orribile da convincerlo a non bere più così tanto.
Doveva riprendersi, capire dove si trovasse e che diavolo di giorno fosse.
Cercò di tirarsi seduto con molta calma. Ogni secondo era riempito da almeno venti colpi di martello pneumatico nella testa, dopo ogni singolo movimento doveva fermarsi per un attimo.  
Fortunatamente dalla tapparella bucherellata entrava un po’ di luce dando la possibilità a Tony di vedere e distinguere oggetti. C’era un orologio sul comodino a destra del letto. Segnava le nove passate di Venerdì.
Venerdì?!
Era fritto.
Il suo sguardo fu successivamente catturato da una foto accanto ritraente una giovane donna con in braccio un bimbo biondo di massimo tre anni. Troppo piccolo per poterlo riconoscere, ma la madre aveva un aspetto familiare e trasalì appena riuscì a collegarla ad un nome. Doveva andare via da lì.
Si alzò di scatto dal letto, pentendosene poco dopo. Ricordava poco i mix fatti la sera prima, ma doveva esserci davvero tanta vodka. Appoggiò una mano al muro per tenersi su mentre l’altra andava a reggere la testa, sembrava pronta ad esplodere da un momento all’altro e gli veniva difficilissimo concentrarsi per mettere a fuoco gli oggetti. Dopo qualche secondo di ripresa riuscì ad individuare jeans e giacca sulla sedia. Poteva farcela, doveva solo fare un passettino alla volta, con molta, molta calma.
 
 
 
Steven Grant Rogers odiava dormire male. Svegliarsi la mattina poco riposato comportava un atteggiamento tra il nervoso e lo stressato. Il top quando si ha uno Stark per casa. Comunque, dopo averlo maledetto una dozzina di volte per il mal di schiena che i cuscini del divano gli avevano causato era riuscito ad uscire dalla camera con in mano colori e tavoletta e sotto il braccio destro una tela.
Steven Grant Rogers amava disegnare, era una delle due cose che lo rilassava maggiormente. L’altra era suonare, ma non era il caso visto l’ospite imprevisto. Amava tracciare linee e colore, vederli fondere tra loro e portare alla luce ciò che aveva in testa. Era un po’ come sistemare tutto quel casino, placarlo per più di qualche attimo. Si fondeva con quella tela, completamente.
Però quella volta qualcosa lo teneva sull’attenti. Sapeva che da un momento all’altro sarebbe spuntato Tony dal corridoio e prendere un colpo con il pennello in mano non era il caso. Rovinare quel dipinto era l’ultima cosa che voleva.
«Non dovresti essere a scuola?» Ringraziò di averlo fatto, altrimenti non avrebbe sentito i passi di Stark ed addio regalo.
«Buongiorno anche a te.» Indicò il caffè pronto. «Lì c’è del caffè e sul tavolo un bicchiere con l’aspirina in parte.»
Tony serrò le labbra rendendole una linea sottile, avrebbe voluto rispondere di non necessitare dell’aspirina, ma in quel momento la bramava più del caffè e fu la prima cosa che prese causando una risatina soffocata a Steve, il quale si beccò un’occhiata fulminante. Non ci fece caso, tanto.
Gli unici suoni che riempirono la stanza per un po’ furono quelli causati da Stark mentre si riempiva la tazzona. Rogers gli aveva fatto una dose per cinque persone, se non fosse stato tanto occupato a ricordarsi di non avere una cotta per lui l’avrebbe baciato.
Al biondo piaceva quel silenzio, riusciva a concentrarsi meglio sul dipinto.
Al moro dava fastidio, voleva collegare un po’ di tasselli e capire com’era arrivato fin lì senza far partire da lui la conversazione. Forse iniziandone una caso sarebbero arrivati a parlare di quello, un po’ come quando parti discutendo su che sugo è meglio per la pasta e finisci su quale Tomb Rider sia migliore.
Si posizionò dietro Steve, appoggiandosi con la schiena al mobile ed osservando il disegno. Era bravo, davvero.
«Mi faresti un ritratto?»
Addio tranquillità; addio concentrazione; addio tutto. Rogers fermò il pennello, chiuse gli occhi e prese un bel respiro prima di rispondere.
Odiava quella domanda dalla prima volta che l’aveva sentita, tipo a dodici/tredici anni. A parte il fatto che la maggior parte considerava il pagamento richiesto da tirchio egoista –anche se era giusto quello che serviva per un panino alla mensa- odiava proprio fare ritratti: riuscivano sempre a trovare un difetto; richiedevano mille cambiamenti; era una perdita di tempo allucinante ed erano incredibilmente anonimi –nessuno amava che venisse aggiunto un particolare a caso.
«Odio i ritratti.»
Tony annuì mentre sentiva già il suo obbiettivo andare in fumo e l’ansia di ricadere in un silenzio assordante prendere possesso del suo stomaco. Stava per succedere come quel giorno in coda per le donuts, non voleva cercare ogni volta un discorso, vederselo tranciare di botta e rimanerci male. Soprattutto non voleva rimanerci male.
«Potrei inserirti in qualche paesaggio, però quando inizierai ad essere più simpatico.»
Stark sorrise giusto il tempo di accorgersene e prendere possesso della sua espressione.
Non hai una cotta per Rogers.
«Sono il Re della comicità, caro Rogers.» Questo scosse la testa con un sorriso divertito in volto.
«Grazie al cielo non mi chiami più Stebe
Boom. Le guance di Tony diventarono due bei pomodori maturi. Iniziava a pensare di aver fatto un disastro, combina sempre disastri quando beve troppo. Di solito qualche banconota sottobanco sistema tutto, ma questa volta era abbastanza sicuro sarebbe servito a poco anche solo tentare. Si trovava in bilico. Se avesse chiesto sarebbe apparso come un povero ragazzo speranzoso di avere ancora un po’ di dignità; se non avesse chiesto i dubbi gli avrebbero tartassato il cervello per giorni e giorni, rischiando anche un lieve livello di paranoia.
Odiava quelle situazioni, un giorno sarebbe riuscito ad affrontarle in modo diverso. Solo che, miseriaccia, non era quello il giorno.
Intanto Steve era tornato a passare il pennello sulla tela totalmente impassibile. Giusto, così l’ansia di Tony non aumentava. Nono.
Doveva trovare qualcosa da dire per tornare sull’argomento, subito.
«Stebe è un bellissimo soprannome.» Che genio. Però aveva fatto ridere un po’ Steve.
«Lascio che poche persone storpino il mio nome, Stark. Indovina chi.»
Rimase in silenzio, arricciando la bocca di lato. Gli piaceva scherzare con lui e l’atmosfera che si stava creando, quindi decise di lasciare da parte il buco nero dei ricordi per concentrarsi su quel momento.
«Allora lascia “Stebe” prenotato per quando entrerò nella tua cerchia.» Uno scuotere di testa bionda ed un’altra risata. Quante erano? Due, tre? Successone.
Tony bevve un sorso di caffè, tornando a concentrarsi sul disegno dell’altro. New York, erano sicuramente i tetti dei palazzi della sua città di notte. Steve stava delineando una figura maschile di schiena, con capelli quasi argentati. «Chi sarebbe?» E non lo chiese perché un leggero nodo si era formato a livello della bocca dello stomaco, ma solo perché era curioso e ficcanaso.
«Non lo conosci.» Questo suonava molto un “fatti i cazzacci tuoi” e non aiutava lo stomaco di Stark, tanto che iniziò a pensare di poggiare il caffè.
Dal canto suo Steve si rese conto del tono di voce usato. Era sempre lo stesso con Tony, ma quella mattina si era ripromesso di provare a dargli qualche chance causa il senso di colpa della sera prima.
«E’ un regalo per la figlia della proprietaria dell’appartamento.» Mentre parlava firmò infondo al dipinto e il moro riuscì a leggerci un “Per Wanda M. da Cap”. «Aveva bisogno di qualcuno che tenesse la figlia due giorni a settimana e mi sono offerto.» Poggiò la tavoletta su un telo sistemato sulla parte del tavolo più vicina a lui ed il pennello in un bicchiere pieno d’acqua lì vicino. «Mi piacciono i bambini, hanno una visione del mondo che a noi sfugge ogni anno di più.» Sì alzò guardandosi i vestiti, sorridendo vittorioso per essersi sporcato relativamente poco –se non si calcola che doveva solo sistemare alcuni punti.
«La bambina si chiama Wanda Maximoff ed è dolcissima. Stanno qui due piani sotto, oggi è il suo compleanno. Una volta l’ho portata su per farle vedere la mia collezione di fumetti…» Vide Tony inarcare un sopracciglio e fare un sorriso beffardo mettendolo un po’ in imbarazzo, ma sembrava talmente attento al suo racconto che decise di continuare.  «...ha visto alcuni dei miei dipinti e me ne ha chiesto uno. Per tutta risposta le ho dato il mio primissimo disegno che mamma teneva attaccato lì.» Indicò il punto del frigo dove c’era una calamita blu lasciata a se stessa. «Le ho detto essere la mia primissima opera d’arte, fatta all’età di due anni. Mia mamma me l’aveva fatta anche firmare sotto la descrizione.» Sì, perché era ovviamente un ammasso di cose messe insieme, ma Peggy l’aveva visto così felice dopo averlo fatto che decise di spingerlo sempre di più a disegnare. Amava suo madre anche per quello.
Stark lo guardava e lo ascoltava. Era interessato dal racconto e dal modo in cui faceva sorridere il ragazzo davanti a lui. Più sorrideva, più Tony sentiva l’impulso di condividerlo. Ogni tanto sentiva i lati delle labbra alzarsi, allora portava la tazza alla bocca anche se era finito il liquido, tanto Steve non lo sapeva.
«Per tutta risposta lei se lo tenne e mi disse “tengo questo per quando sarai famoso ed importante, però voglio un dipinto tutto per me”…» Cercò di imitare il modo spensierato e la tonalità di voce usati dalla bambina, causando una lieve risata a Tony. «Le ho detto di aspettare, prima o poi sarebbe arrivato qualcosa di strabiliante. Ogni volta che vado da lei mi chiede il dipinto. Non puoi immaginare quanti schizzi ho buttato.» Scosse la testa, per poi indicare il risultato finale. «Poi un giorno mi disse che suo fratello era un supereroe. Quando al padre serve che faccia i turni serali al bar di famiglia non dice mai di no, ma lei è convinta che quelle sere Pietro sia fuori a salvare New York dai malviventi. Ha il dono della forza e della velocità, per questo nessuno lo vede. Ho pensato potesse farle piacere. Rimarrà il suo supereroe anche una volta cresciuta e questo quadro può aiutarla a ricordarselo se mai dovessero litigare, magari.» Fece spallucce mentre si asciugava le mani appena lavate.
«E’ un pensiero bellissimo, Steve, davvero.» Il tono era pacato e dolce. Probabilmente nemmeno Tony si era davvero reso conto di come aveva pronunciato quelle parole, ma era troppo occupato a pensare che forse un po’ cotto lo era.
Lievemente però. Leggero leggero, recuperabile.
Se lo ripeté ancora una volta dopo aver incrociato la sguardo del biondo. Lo stava ringraziando con quegli occhi e quel sorriso, anche se per Stark non era chiaro. Lo stava ringraziando per averlo ascoltato davvero, per non averlo preso in giro ogni due per tre e per aver distrutto nel tempo di quella frase l’idea di egocentrico, narcisista e menefreghista che aveva di lui dalla cena.
I due ragazzi si fissarono così per qualche secondo di troppo mettendo in allarme la parte razionale del più basso, il quale era convinto fosse meglio riempire il silenzio diverso da quello colmo di ansia e tensione a cui era abituato in presenza di Rogers. Questo era calmo e rilassante, come se fosse perfettamente nel posto giusto. Non andava bene e comunque aveva un’altra domanda per l’artista.
«Come mai “Cap”?» Per tutta risposta Steve fece una risatina imbarazzata e si portò una mano a grattarsi la testa, causando un’auto-maledizione di Tony per averglielo chiesto. Aveva appena ammesso di avere una leggera cotta, non poteva passare subito alla cottura media.
«Beh, le piace giocare a giochi di ruolo soprattutto ispirati ai fumetti che le ho prestato.» Si chiuse nelle spalle mentre le gote iniziavano a colorarsi leggermente. «A volte siamo spie infiltrate; altre un gruppo di supereroi in battaglia; altre facciamo i cattivi; cose del genere. Comunque vada io sono sempre il Capitano perché dice che conosco meglio le storie, i punti deboli e forti dei personaggi ed ho sempre una strategia buona per ogni occasione. Però “Capitano” era troppo formale, quindi ecco il motivo del “Cap”.»
L’imbarazzo del biondo lo potevano sentire anche gli inquilini del piano terra, Stark ne era sicuro.
«Quindi…vi vestite anche, tipo?» Scoppiò a ridere quando Rogers abbassò lo sguardo con le gote ancora più rosse. Una parte di Tony gli chiedeva di smetterla, evidentemente era quella molto affezionata alla sua dentatura perfetta che gli fece portare istintivamente le braccia davanti al volto.
A Steve non sfuggì la cosa. Effettivamente nemmeno lui doveva aver fatto una bellissima impressione a Tony, soprattutto quando lo faceva innervosire -tipo durante Risiko. Però, quella volta, non si sentì ribollire la voglia di sferrargli un pugno in pieno volto. Era un buon segnale, voleva dire che poteva iniziare a pensare seriamente di vederlo come amico e non più come una presenza fastidiosa.
«Sono avvantaggiato per la festa di Clint, se ci pensi.» La risata si fermò di colpo esattamente come il cuore di chi la emetteva.
«Vieni alla festa?» Domanda lecita. Se non si ricordava di averlo chiamato “Stebe” figuriamoci se ricordava altro.
«Me l’hai fatto promettere ieri sera. Hai detto che avrebbe fatto piacere a Clint e te saresti stato buono, ti ho detto che non l’avresti fatto e tu hai confermato.» Tony arricciò le labbra di lato mentre guardava la tazza. Moriva dalla voglia di sapere altro sulla serata, ma era troppo orgoglioso per chiedere. Però Steve sembrava aver individuato il binario dei pensieri del moro. «Dopo esserti scusato di avermi colpevolizzato a cavolo e ti sei dato dell’idiota.»
Stark sbagliava un sacco di volte, sembrava una cosa insita nel DNA della famiglia, però non si era mai dato dell’idiota. Forse solo mentalmente e giusto un paio di volte. «Wow, dovevo aver bevuto parecchio.»
L’aveva detto in un modo sbagliatissimo, con un sorrisetto divertito alla fine che poteva benissimo essere frainteso. Doveva recuperare prima di ritrovarsi cacciato fuori da quell’appartamento con uno Steve sbraitante al seguito.
Si schiarì la voce mentre metteva la tazza nel lavabo. «Però mi dispiace davvero per ieri mattina. A volte sono…»
«…un idiota?» Il biondo si beccò un’occhiata simile a quella di mezz’oretta prima.
«…troppo paranoico.» Accese l’acqua e prese la spugna sistemata nella ciotolina azzurra sotto gli occhi stupefatti di Steve. «Sai, non è facile quando tutti si avvicinano solo perché sei uno Stark e…» L’altro ragazzo cambiò espressione appena Tony ebbe finito di lavare la tazza, sicuro non avesse visto la sua reazione. «…essere figlio di un miliardario non vuol dire che sia maleducato e cafone.» ed invece l’aveva visto.
«Scusa.» Si riportò una mano a grattarsi la nuca con lo sguardo imbarazzato mirato da un’altra parte.
Smettila di fare così, santissimo Newton!
Tony fece spallucce guardando da un’altra parte. La scelta migliore di tutta la mattinata.
«Come sta la testa, comunque?»
Male, malissimo. Ci sei tu, tipo, ovunque.
«Bene, le medicine sono miracolose.» Steve annuì, per poi guardare l’ora sull’orologio della cucina.
«Se vuoi ti porto a casa.»
Già, doveva assolutamente andare a casa. Puzzava di alcool da capo a piedi e quei vestiti corrispondevano all’idea di “pulito” di pochissime persone. Però voleva anche stare lì un po’ di più, e voleva conoscere la piccola Wanda.
«Vuoi venire anche tu da lei, oggi?» Tony si era girato verso il dipinto senza rendersene conto. «Sono sicuro le farebbe piacere, più gente c’è più si diverte.»
Sì, gli sarebbe piaciuto dare un volto alla bambina e vedere la sua reazione al dipinto, ma sarebbe stata una buona idea? Poteva contarle sulle dita di una mano mozzata le volte che l’avevano lasciato da solo con un bambino: era suo cugino ed aveva pianto dopo neanche dieci minuti. Non ricordava bene il motivo, ma era abbastanza convinto fosse stata colpa sua. Con i bambini non era proprio capace. In effetti con nessun essere vivente era capace.
Ora lo sguardo del moro era sul terreno. Non sarebbe stata per niente una buona idea.
«Facciamo che ora ti porto a casa, così ti lavi e decidi se venire qui o meno?»
Tony alzò gli occhi ed una volta incrociati quelli azzurri dell’altro tutti i problemi che si stava facendo sembravano essere inutili e stupidi. Per una volta si concesse quel momento, rispondendo solo con un leggero movimento di testa ed un sorriso.



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Note dell'autrice: Buondì cari lettori. 
E' arrivato il momento che i battibecchi si plachino un po' e questi due si conoscano un po' di più -yeeeeh. Non so a quanti possa piacere l'idea dei Maximoff non gemelli e di una piccola Wanda, ma lei dovevo metterla.
Non ho moltissimo da dire, volevo solo ringraziare chi ha commentato, i nuovi "follower" della storia e chi ancora la segue. Grazie davvero. <3

Un bacio, 
BR.

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Capitolo 10
*** "Break a leg, Tony" ***


Villa Stark era vuota. Non che fosse una novità a quell’ora del giorno, c’era solo Edwin Jarvis intento a fare tutti i metri quadri di quel luogo più volte. Quando il signorino Stark era uscito di corsa la sera prima non ci aveva dato molto peso, dove poteva andare a piedi, infondo? Convinto di un suo ritorno prima di mezzanotte aveva ripreso a fare le sue cose e controllare che tutto fosse apposto. Però quella mattina il ragazzo non era in camera sua, il letto era intatto ed il signor Stark aveva rinunciato alla colazione andandosene a lavoro con uno sguardo perso nel nulla.
Anthony aveva dormito fuori, questo era logico. Più che altro preferiva pensare ciò piuttosto di immaginarselo da qualche parte legato per un riscatto o peggio, nell’Hudson. Howard non se lo sarebbe mai perdonato.
Sembrava improbabile, ma quell’uomo ci teneva davvero a suo figlio. Era stata la notizia più bella della sua vita, quando andò da lui a dargli la novizia aveva la felicità stampata in volto. Ma dopo il parto sua moglie Maria si ammalò. Fece tutto il possibile per resistere: terapie, pastiglie, riposo, psicologi, tutto. Riuscì fino ai due anni del piccolo Tony, già oltre ogni previsione.
Un pezzo del mondo di Howard era crollato. No, crollato no, se qualcosa crolla poi si può provare a ricostruire.
Un pezzo del mondo di Howard era scomparso. Suo figlio aveva bisogno di qualcuno che stesse con lui tutto il giorno, quindi ecco spuntare una tata tutta per lui da mattina a pomeriggio. Cercava di stare in sua compagnia almeno la sera, ma all’età di cinque anni iniziò a diventare pesante con domande da non fare e l’impulso di toccare cose da lasciare stare –tutto ciò presente nello studio del padre, ad esempio. Iniziò a sgridarlo troppo spesso e due anni dopo la tata si trasferì lì con loro.
Al nono compleanno decise di portare il piccolo Stark a fare un viaggio, così partirono. Poteva recuperare il rapporto e ricredersi su se stesso. Voleva essere un bravo padre, doveva farlo per suo figlio e per Maria, ce l’avrebbe fatta. Al ritorno decise di costruire un laboratorio in una zona inutilizzata della casa dove poter insegnare qualcosa a Tony, ma il lavoro diventava sempre più opprimente e le possibilità di fare qualcosa insieme diventarono sempre meno.
Poi arrivarono le chiamate dalla scuola; le risposte sarcastiche e solo tre amici a cui dare la colpa. L’adolescenza peggiorò tutto: si addormentava in classe; rispondeva con saccenza ai professori; stava ore nel laboratorio senza far entrare nessuno; faceva fin troppe feste in fin troppi posti.
Howard aveva tanto sperato di vederlo crescere con il carattere della madre, invece no. Ecco un piccolo se stesso girare per la casa non solo d’aspetto ma anche di comportamento. Quando guardava suo figlio vedeva quella parte di lui che avrebbe voluto cancellare dalla sua memoria.
Sapevo di non potercela fare senza di lei.” L’aveva detto una volta quando erano solo Jarvis e Howard in salotto, dopo un litigio con il figlio quattordicenne, la quale faccia da mezzo ubriaco era finita su un paio di giornali di gossip.
Tutto cambiò.
I pensieri di Jarvis vennero interrotti dal rumore del portone d’entrata che lo portò a fare retromarcia il più veloce possibile per vedere chi fosse arrivato.
«E’ VIVO!» Tony si trovò avvolto dalle braccia del maggiordomo ancor prima di entrare completamente nell’atrio. Odiava quando c’era un contatto fisico non richiesto e per quanto volesse bene ad Edwin reggeva poco quell’abbraccio soffocante. Picchiettò un paio di volte sulla spalla destra ricevendo come reazione dieci “scusi” consecutivi e la possibilità di tornare a respirare.
«Tranquillo Jarvis, mi fa piacere sapere che ci sia qualcuno preoccupato per me in questa casa.» Si sistemò la camicia con le mani prima di tornare a guardare il maggiordomo, ora con un’espressione accigliata e mirata oltre la sua figura. Non ci volle molto prima di capire cosa –o meglio chi- avesse attirato la sua attenzione. «Va tutto bene, mi ha solo accompagnato a casa.»
Dietro Tony, Steve iniziò a spostare il peso da un piede all’altro. L’occhiata lanciatagli da Jarvis non era stata delle migliori, se lo ricordava sempre cortese e sorridente, mentre in quel momento nemmeno lo salutò, tornò direttamente a guardare il moro.
«Sarebbe meglio che andasse via, signorino Stark.»
Bene, perfetto, nessuno voleva più Rogers in quella casa. Forse era davvero meglio andarsene. Sì, avrebbe detto a Tony che sarebbe passato a prenderlo dopo, nel caso avesse avuto voglia di conoscere Wanda, altrimenti alla sera successiva e basta. Appoggiò una mano sulla spalla del ragazzo davanti a lui, facendolo girare nella sua direzione.
«No, lui rimane.» Steve inarcò un sopracciglio a quelle parole. Okay che a Stark piaceva andare contro i desideri del padre, ma il biondo ci teneva davvero a non rischiare qualche denuncia per chissà quale motivazione. «Dopo dobbiamo andare da Clint. Devo solo farmi una doccia…» Tony si rivoltò verso Jarvis, che ora aveva uno sguardo seriamente preoccupato. «…sarò veloce, Jarvis.» Quest’ultimo annuì in silenzio e li fece entrare.
Non sarebbe stato veloce. Il signorino Stark non era mai veloce.
 
 
 
Fai come se fossi a casa tua.” Furono le parole di Tony prima che scomparisse su per le scale. Facile dirlo, un po’ più difficile farlo. Soprattutto quando c’è un maggiordomo con lo sguardo puntato nella tua direzione e ti prende il panico anche solo a fare un passo. Sguardo che stava diventando un po’ opprimente, ma non aveva delle cose da fare? Dubitava gli Stark lo pagassero per stare fermo a fissare gli ospiti indesiderati. Doveva trovare un modo per andare via dall’atrio e da quella presenza, subito.
Si guardò intorno alla ricerca di qualcosa, eccolo là un interessantissimo corridoio da esaminare. Voltò lo sguardo a Jarvis ed indicò verso la parte di casa che aveva attirato la sua attenzione.
«Penso che esplorerò un po’.» Come risposta ebbe uno sguardo che doveva essere fulminante, ma evidentemente il signor Edwin non era proprio il massimo con le espressioni intimidatorie. Non era il tipo, lo si capiva subito.
Decise di ricambiare con un sorriso ed andare per quella direzione.
Perché anche lui sembrava non gradirlo era una domanda della quale forse preferiva evitare la risposta. In fin dei conti erano solo finiti su un paio di siti e qualche trafiletto di giornale letto solo dagli amanti del gossip, niente di totalmente irrecuperabile. A quanto aveva saputo Tony ci era finito per cose ben peggiori. Forse quella era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, ma sarebbe successa la stessa cosa se Steve fosse stata una ragazza? Probabilmente no. Sua madre aveva catalogato Howard come “mentalità poco aperta su certe cose” e poteva benissimo aver ragione –infondo lo conosceva meglio lei, sicuro- però poteva anche darsi che si preoccupasse per suo figlio. Più un “che penseranno di lui”. Certo, questo non cambiava gli avvenimenti della sera prima e l’aver fatto girare Tony da solo per mezza New York senza mandare qualcuno a controllare. No, forse la sua preoccupazione era più un “cosa penseranno di me”.
Si sentì un po’ in colpa a pensarlo, Peggy gli aveva raccontato belle cose sul magnante per prepararlo alla cena. Poi non poteva essere così pessimo se sua madre ci teneva. Eppure quella Domenica mattina c’era davvero stata. Forse era solo un uomo intento a fare il meglio che poteva come padre, non tutti sono ottimi in quel campo, Steve lo sapeva bene.
Comunque era meglio concentrarsi sul corridoio e lasciare certi pensieri da parte senza rischiare di tirare fuori ricordi ben riposti nel loro cassettino. La sua attenzione venne attirata da una porta in mezzo alla parete di sinistra. Solo quella in tutto il corridoio. Una vocina continuava a ripetergli di non andare, ma la curiosità prendeva sempre il sopravvento quando non doveva, quindi eccolo scendere delle scale di metallo che lo portarono a quello che sembrava tutto un altro mondo.
Ora, Steve Rogers e la tecnologia avevano un rapporto davvero complicato, era abbastanza sicuro che se si fosse messo a toccare qualcosa in quel posto sarebbe esplosa la Villa –o implosa, dipendeva dalle sostanze presenti lì-, eppure si ritrovò a girare per il laboratorio.
Passò ben lontano dallo scaffale con le ampolle dirigendosi verso la scrivania piena di fogli, alcuni sembravano caduti per terra. Era un casino di numeri, formule e pagine sparse. Il suo occhio venne attirato dall’unico foglio con massimo due formule al quale centro c’era lo schizzo di una specie di armatura. Partivano freccette ovunque che portavano alla spiegazione delle specifiche, la scrittura era un po’ incasinata per capire bene cosa dicessero, l’unica cosa in stampato maiuscolo e comprensibile era un “CERCARE SOLUZIONE PER ESIGENZE FISICHE, ANCHE I SOLDATI VANNO IN BAGNO”, il che comportò una leggera risata da parte del biondo. Le Stark Industries erano nate principalmente per il settore artiglieria pesante, poi vennero ampliate con il passaggio dal nonno di Tony al padre. Comunque continuavano a rifornire l’esercito americano e le loro armi erano tra le migliori. Forse il moro voleva collaborare, in qualche modo.
Però quelli non erano affari suoi, mettere il naso nelle faccende di altra gente lo entusiasmava poco. Anche se era quello che stava facendo in un certo senso, ma son dettagli.
Una volta riposto il disegno sulla scrivania il suo sguardo venne catturato da una moto vecchio stile con in parte una cassetta degli attrezzi. Quella era la cosa più bella che avesse visto.
Amava le moto. Le amava da quando aveva più o meno nove anni e suo padre aveva deciso essere l’età giusta per poter salire su una moto -ovviamente con il dissenso di Peggy. A Rogers senior doveva tutto ciò che sapeva su quel mondo, tipo i pezzi particolari necessitati dal veicolo di fronte a lui. Tony non l’avrebbe rimessa in sesto tanto velocemente. In più delle cose non andavano, ma se avesse cambiato un minimo nessuno se ne sarebbe accorto, no?
 
 
 
La doccia era il posto in cui Tony si rilassava di più e faceva pace con le sue ansie. Si stava anche per dimenticare di aver lasciato Steve libero di gironzolare per la Villa senza problemi, fu questa illuminazione a farlo catapultare fuori dalla doccia prima dei suoi quaranta minuti obbligatori.
Forse non era stata una delle sue idee migliori, avrebbe dovuto dire qualcosa tipo “Jarvis, offri qualcosa al nostro ospite mentre mi preparo”, invece no “fai come se fossi a casa tua”, certo, tanto cosa mai potrebbe succedere? Infondo non ci sono posti a cui è vietato l’ingresso a lui stesso, assolutamente no. L’ultima cosa che Rogers gli sembrava era un probabile ficcanaso, ma poteva entrare per sbaglio in una di quelle stanze e far partire un qualche allarme ed addio a tutto ciò ancora permesso a Stark.  
Si asciugò malamente il corpo, prese la prima maglia a tiro ed un paio di jeans e corse fuori dalla stanza. Si bloccò solo una volta trovatosi davanti Jarvis, il quale comprese subito il motivo della corsa ed indicò il corridoio con una sola porta.
Tony spalancò gli occhi. No, quello era il suo laboratorio, altre persone potevano entrarci solo sotto suo permesso e mai senza di lui. Si era sbagliato, Rogers era decisamente un ficcanaso.
Strinse i pugni lungo i fianchi, avviandosi verso il laboratorio con passo veloce. Doveva solo essersi azzardato a toccare qualcosa in quel posto. Era meglio per lui che fosse appena entrato e stesse per fare retromarcia, era molto meglio per lui.
Non ci volle tanto prima che entrasse nella sua visuale uno Steve Rogers intento ad armeggiare con la moto.
«Giù le mani, Rogers!» Gli strappò di mano la chiave inglese ancor prima che il biondo lo vedesse arrivare.
Com’è che era? Nessuno se ne sarebbe accorto? Doveva averci preso troppo gusto.
Alzò lo sguardo verso il ragazzo appena arrivato nella stanza incrociando due occhi furiosi, dannato lui e la sua curiosità.
«Scusa, mi sembrava avesse bisogno di una sistemata e…»
«Oh, no! E’ qui perché è perfettamente funzionante!» Si posizionò dall’altra parte della moto per vedere cosa avesse combinato.
«Calmati, non tocco cose se non so quello che faccio.» Scrutò il viso di Stark, che piano piano si rendeva conto quanto l’avesse sistemata. Rogers ci sapeva fare con le moto, non l’avrebbe mai detto.
Sbuffò e si passò una mano tra i capelli ancora bagnati senza dire niente. Già scusarsi per il comportamento della mattina prima era stato uno sforzo immane, figuriamoci chiedere venia una seconda volta nello stesso giorno. Steve lo sospettava, quindi decise di prendere quel silenzio per buono ed iniziò a mettere nella scatola gli attrezzi.
Una volta tutto sistemato rialzò lo sguardo verso il moro, il quale stava ancora osservando la moto, rendendosi conto solo in quel momento delle condizioni in cui era il coetaneo.
Precisiamo: Steve era un ragazzo di diciassette anni e Tony aveva la maglietta quasi appiccicata al busto con tanto di capelli gocciolanti su volto e spalle, quindi era del tutto normale sentire improvvisamente caldo. Ma quello era Stark e non andava bene, non andava bene per niente.
«Hofamepensocheandròamangiarefammisaperesevienioggiciao.» Rogers si tirò su di scatto, facendo sobbalzare il ragazzo di fronte, e si diresse verso l’uscita.
Tony ci mise un po’ a decifrare la frase, però ce la fece prima che l’altro potesse uscire dalla stanza. «Puoi mangiare qui!»
Lasciarlo tornare al suo appartamento era la cosa migliora, lo sapeva benissimo, il problema era che voleva rimanesse lì e lui raramente faceva la cosa migliore rispetto a quella voluta.
Steve si bloccò all’inizio delle scale.
No.
Certo, quella sarebbe stata la risposta più saggia. Andarsene a casa per farsi una bella doccia fredda e rivederlo solo nel pomeriggio, in caso. Però era anche vero Tony poteva benissimo prenderla male, rischiando di far tornare il loro rapporto ad un livello instabile.
«Dipende che mi offri?» Anche se il moro l’aveva raggiunto, lui aveva tenuto lo sguardo sulle scale iniziando a farle una volta superato dal padrone di casa.
«Dovrei vedere come è messa la dispensa, ma se mi dici cosa ti piace posso inventarmi qualcosa.» Steve si bloccò con uno sguardo incredulo verso Stark.
«Vuoi dire che cucinerai te?»
 
 
 
Stark era stato in dispensa per dieci minuti buoni prima di uscire con uno scatolone tra le mani. Poi via dritto la cucina seguito da Steve, il quale aveva insistito per poterlo aiutare, quindi perché no? Gli avrebbe fatto fare quelle cose odiose tipo tagliare salsiccia e radicchio. Acconsentì senza controbattere lasciando Tony libero di tirare fuori l’occorrente. Tagliando le cose riuscì anche a calmarsi.
«Quando hai imparato a cucinare?» Steve tagliò l’ultimo pezzo di radicchio e lo versò in una ciotola accanto a quella con dentro la salsiccia sbriciolata, per poi prenderle entrambe e poggiarle sullo spazio vuoto in parte ai fornetti dove l’altro ragazzo stava controllando la cipolla.
«Penso sui tredici anni. Jarvis faceva sempre le solite cose, ero un po’ stufo.» Prese la ciotola contente la salsiccia e la unì al soffritto. «Alcune cose le ho imparate su internet, altre dal vivo.»
«In che senso “dal vivo”?» Rogers si era appoggiato con la schiena al mobile della cucina dove aveva appoggiato le ciotole così da poter guardare meglio cosa stesse facendo il cuoco in erba, il quale prese l’ultima ciotolina portata da Steve e buttò il radicchio nella padella.
«Beh, questo –ad esempio- è un piatto che ho imparato in Italia. Mio padre gira spesso per lavoro ed a volte mi prende con sé.» In teoria per imparare qualcosa, in pratica ci rinunciava e faceva fare al figlio quello che preferiva, l’importante era rimanesse dentro l’Hotel. «Sono rimasto tutto il tempo nella cucina dell’albergo, il cuoco mi prese in simpatia e mi ha insegnò qualcosina.»
«Sei stato in Italia?» Il volto di Steve si accese.
L’Europa aveva un certo fascino per lui, vuoi per la sua storia artistica o per le miriadi di cose che si potevano visitare. Aveva sempre sognato di andarci.
«Sì, ma non chiedermi niente. Ho visto solo la cucina dell’Hotel.» Fece un sorriso amaro mentre faceva saltare la dose di riso.
Era stato a Parigi, Roma, Berlino, Bruxelles ma non le aveva mai veramente viste. Aveva sempre fatto finta gli importasse poco, c’era sempre qualcosa di nuovo in ogni struttura alberghiera da scoprire. Sapeva fare un sacco di piatti italiani, ad esempio. Però ora doveva ammettere che avrebbe voluto vedere qualcosina, almeno il Colosseo.
Steve intravide un’ombreggiatura nello sguardo di Tony, procurandogli un leggero senso di colpa per averglielo chiesto con così tanto entusiasmo.
«Speriamo ne sia valsa la pena.» Il biondo fece ancora quel sorriso capace di rimettere tutto a posto in un nano secondo e Stark si maledisse per aver scostato lo sguardo dalla pentola verso di lui proprio in quel momento.    
«Beh, dimmelo tu.» Tirò su una piccola porzione di riso con la punta di un cucchiaio di metallo avvicinandola poi all’altro, talmente sicuro gli prendesse il cucchiaio dalla mano che non lo stava minimamente guardando.
Invece Steve sembrava non averlo pensato. Era rimasto in stallo per un attimo, poi aveva fatto spallucce e si era abbassato verso il cucchiaio poggiando una mano su quella di Tony, il quale si voltò di scatto con gli occhi spalancati ed il volto troppo caldo. Il colpo di grazia arrivò quando il biondo si leccò il labbro superiore per pulirselo.
Ecco, tutto quello non andava bene, ma proprio per niente. Ritornò con lo sguardo sul riso prima che l’altro potesse accorgersi del suo cambiamento di colorito.
«Sì, ne è valsa la pena.» Era una delle cose più buone che avesse mai mangiato. Erano sicuramente gli ingredienti, non si sarebbe stupido se Howard Stark avesse fatto importare anche quelli.
«Quindi è pronto?» Tony non staccava gli occhi dalla pentola, si sentiva quelli di Steve addosso e non aiutava.
«Penso di sì. Non deve essere troppo duro, giusto?» Il moro annuì e spense il fornello per poi fare gesto al biondo di passargli i piatti. Stava diventando di nuovo tutto troppo silenzioso, cosa poco gradita a Tony.
«Spero sia la prima ed ultima volta tu dica una frase simile.» Okay, forse era meglio il silenzio di prima.
Perché a volte non rifletteva prima di aprire bocca? Dannati ormoni adolescenziali, non si poteva saltare quella parte d’età a piedi pari? Erano instabili, fastidiosi e mandavano in pappa buona parte del cervello. Lui era un genio, certe uscite non erano per niente da persona con un alto quoziente intellettivo.
Però Steve stava ridendo con due piatti di riso in mano. Quindi, forse, non era tanto pessimo.
«Dai, Jarvis ci aspetta.» Fece segno al moro di prendere in mano l’altro piatto e di seguirlo.
 
 
 
Durante il pranzo erano uscite un sacco di cose: Steve aveva appreso cose sul mondo delle moto grazie al padre, ma di lui era meglio non parlarne perché declinava con più gentilezza possibile l’argomento; Tony era stato preso alla MIT ancora due anni fa, ma aveva preferito stare ancora un po’ con i suoi amici –questo era uscito grazie al maggiordomo, incapace di stare zitto-; Steve non apprezzava più di tanto l’arte dal ’60 in su, carine le idee ma poco di più; Tony sapeva parlare francese, italiano, tedesco e spagnolo, tutto grazie ai viaggi del padre; Jarvis lavorava per il signor Stark da più di venticinque anni –si era sentito messo un po’ in disparte, aveva dovuto dire qualcosa.
Entrambi avevano preso le informazioni sull’altro segnandole mentalmente, un po’ per evitare gaffe future, un po’ per ampliare la visione avuta dell’altro.  
In quel momento il maggiordomo si rese conto di poter lasciar da parte le preoccupazioni, perché era da diversi anni che il signorino Stark non stava in quella stanza per più di dieci minuti. Anche se i rumor fossero stati falsi sarebbe stata comunque una buona influenza sul giovane moro.
Decise di lasciarli lì a parlare ignorando completamente il ragazzo biondo ed il suo “lasci pure fare a me” una volta presi i piatti vuoti. Tanto c’era solo da piazzare tutto in lavastoviglie, non era un grande sforzo.
A Steve cadde l’occhio sull’ora, per poi spostare lo sguardo a Tony. Quest’ultimo si morse il labbro inferiore internamente, sapeva qual era la domanda, era un po’ meno convinto della risposta.
Ci aveva pensato un po’ mentre era in doccia arrivando a convincersi quanto fosse una pessima idea. Prima di tutto non avrebbe mai fatto un gioco di ruolo dove doveva stare agli ordini di qualcun altro, men che meno si sarebbe vestito, doveva già fare un grande sforzo per la festa di Clint e bastava. Poi, come già ricordato, era una frana con i bambini e con ogni essere vivente. Aveva appena guadagnato punti con Steve -almeno così gli sembrava- perderli per aver fatto piangere la bambina per cui sembrava stravedere suonava davvero male.
Il silenzio era stato abbastanza eloquente e Rogers s’era alzato dalla sedie senza dire una parola sotto lo sguardo di Tony. Era un diritto di Stark scegliere se andare con lui o meno, quindi perché rimanerci così male? No, non aveva senso, quindi il biondo si sforzò di fargli un sorriso ed apparire il più naturale possibile.
«Devo andare o rischio di passare tutto il giorno con una bambina imbronciata.» Tony annuì in silenzio e rimase a fissare la schiena di Steve allontanarsi.
Passò giusto qualche minuto, il tempo di sentire il saluto a Jarvis e il portone chiudersi, prima che si alzasse con un “Oh, al diavolo” e facesse la stessa strada dell’altro.
Steve era appena salito in macchina quando sentì la portiera del passeggero aprirsi e richiudersi. Non aveva bisogno di guardare chi fosse per sapere, c’erano veramente poco opzioni.
«Sappi che non indosserò niente di umiliante.» Lo sguardo di Tony era fisso sul parabrezza da quando era entrato in macchina. Sentiva di aver fatto una stronzata, ma ormai era lì.
«In bocca al lupo, Tony.»
Avrebbe dovuto preoccuparsi, ma il suo cervello era andato in standby. L’aveva chiamato per nome. Niente “Stark”.
Sì, aveva decisamente guadagnato dei punti.




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Note dell'autrice: Buondì! 
Niente, alla fine mi son persa via a scrivere e Wandina cara arriva nel prossimo capitolo, spero non dispiaccia come cosa.
Stevexmoto rimarrà una delle mie più grandi ship, sappevatelo. 
Ringrazio chi ha commentato, siete dolcini e carini e vi riempirei di cioccolatini. <3 

Un bacio, 
BR.

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Capitolo 11
*** Silly little girl. ***


La peggior scelta della sua vita.
L’aveva sospettato quando per poco non faceva cadere brutalmente il regalo di Steve per la bambina mentre cercava di aiutarlo ad impacchettarlo e s’era beccato un’occhiataccia dall’artista. Già lì avrebbe dovuto capire che era decisamente meglio tornarsene a casa. Invece no, aveva comunque deciso di scendere con Rogers –che dopo il piccolo infarto era tornato sorridente- per conoscere la piccola Wanda.
Faticava a capire quando e dove avesse sbagliato, sapeva solo che si era ritrovato legato nella vasca da bagno con un bavaglino in bocca mentre Steve era stato mandato da Wanda a prendere un paio di donuts. Ribellarsi era fuori discussione per motivi abbastanza logici, ma non pensava sicuramente potesse legare un nodo così ben stretto. In più la bambina era uscita dal bagno e non sembrava voler tornare.
Tony si lasciò andare con la spalla contro la superficie fredda della vasca, ringraziando di essersi messo dalla parte opposta del lavello. Forse tutto quello faceva parte del gioco, probabilmente stava ricomprendo la parte della donzella in pericolo. Infondo gli aveva sorriso appena presentato, sembrava anche abbastanza contenta di avere un’altra persona con cui giocare, era stato pure attento a non stare troppo vicino a Steve mentre appendeva il quadro in camera della piccola per evitare di fare qualche disastro. Tutto alla perfezione per evitare di essere odiato da lei.
Sì, Wanda aveva pensato ad una storia dove lui doveva essere salvato e non pensava di aver stretto troppo.
Se ne convinse così tanto che quando sbucò con la faccina da dietro la porta era sicuro fosse per allentargli la stretta e le sorrise.
Sorriso che scomparve appena entrò totalmente nella stanza accompagnata da una teca contente due rettili.
 
 
 
Coda. Perché diamine quando doveva comprare delle donuts trovava sempre coda? Probabilmente perché andava sempre di fretta, dannato Murphy. Non lasciava mai in appartamento Wanda se andava a prenderle qualcosa da mangiare, ma quella volta c’era anche Tony, quindi si era fatto pochi problemi. Solo nel vedere quanta gente stava attendendo il suo turno si era reso conto della sua pessima idea, immaginandosi diversi possibili scenari orribili che avrebbe potuto trovare una volta tornato dai due.
Lo infastidiva essere così diffidente, però non era per Stark, era proprio per Wanda. Anche se l’avesse lasciata con Natasha avrebbe avuto le stesse paure, forse maggiori. Neanche per lui era stata tanto liscia all’inizio, aveva rischiato di tornare a casa mezzo rasato solo perché era “troppo biondo”. Fortunatamente Pietro era tornato prima del previsto.
Il ricordo di quel giorno fece aumentare l’ansia a Steve. Se la piccola avesse fatto qualcosa del genere a Tony, ne era convinto, si sarebbe aggiudicato l’odio a vita dal parte del miliardario, perciò si convinse a fare una cosa mai fatta prima e che mai più avrebbe fatto.
«Scusi, avrei mia sorella a casa da sola, potrei passare? Voleva tanto delle donuts.» E via una.
«Scusi, mia sorella è molto malata ed è a casa che mi aspetta. Voleva delle donuts e non mi sentivo di deluderla.» Via tre di fila, ogni tanto era un bene che la gente origliasse.
«La prego, mia sorella sta malissimo e l’unica cosa che voleva erano delle donuts, potrei…?»
Ed in men che non si dica eccolo uscire tutto soddisfatto con una scatola di sei donuts in mano. Si sentiva un po’ uno schifo, ma ne andava del rapporto che si stava instaurando con il genio.
Non che mi importi così tanto, ovvio.
Dopo essersi convinto di quella frase aumentò il passo e fece le due rampe di scale il più veloce possibile, entrò nell’appartamento e si guardò intorno alla ricerca delle due persone lasciate lì quindici minuti prima.
«Wanda? Tony?» Vide sbucare la piccola dal corridoio con un sorriso stampato in volto.
«Le mie donuts!» Salì su una sedie intorno al tavolo di legno ed aspettò che il biondo appoggiasse il pacco rosa sul mobile, ma lui stava guardando in direzione del corridoio senza darle l’attenzione meritata. «Tony è andato via. Non stava bene.»
Steve inarcò un sopracciglio e si voltò verso Wanda, per poi tirare fuori il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans. Niente, a parte messaggi e chiamate degli altri tre volutamente ignorati. Anche se una parte di lui stava provando a convincerlo quanto potesse essere colpa del radicchio, l’altra sapeva lo avrebbe avvertito in qualche modo. In più era a piedi, se davvero fosse stato male non avrebbe mai fatto da lì alla Villa senza un mezzo.
La bambina comprese di essere stata scoperta dallo sguardo serio comparso sul volto del ragazzo davanti a lei. Spostò lo sguardo sulle sue gambine ciondolanti mentre si mordicchiava il labbro inferiore. Non disse niente, indicò solo la porta del bagno ricevendo un sospiro esasperato da parte di Steve.
 
 
 
Tony ricordava perfettamente il suo primo attacco di panico. Aveva cinque anni ed era stato a causa di un sogno che sembrava fin troppo vero. L’incubo non lo ricordava così bene, sapeva solo riguardasse la morte della madre e dei serpenti. Si era svegliato con la tachicardia, sentiva tremare gli arti e non riusciva a respirare regolarmente per colpa di un nodo alla gola inesistente.
Era successo un altro paio di volte, ma era già da quasi cinque anni che non ne aveva uno.
Però era ancora impresso tutto nella memoria e poco importava se non era un vero inizio di attacco, solo il sentire il cuore accelerare così tanto all’improvviso condizionava tutto il resto.
Le volte precedenti era sempre riuscito a chiamare qualcuno prima che il nodo alla gola gli impedisse di parlare, da suo padre alla tata, ma quella volta uscivano solo dei lamenti disperati neanche tanto alti. Era lì, bloccato, con un paio di serpenti pronti a salirgli sulle gambe.
Una parte di lui sapeva non potevano essere pericolosi, altrimenti sarebbero stati messi in un posto irraggiungibile per Wanda, ma non serviva a molto.
Il tutto peggiorò appena sentì strisciare sulla gamba destra. Sentiva gli occhi pizzicare ed i polmoni bruciare. Tentò di emettere ancora un verso che non uscì, fermato da quell’orribile groppo comparso all’improvviso.
Si sentiva in trappola, l’attacco lo stava avvolgendo completamente, talmente tanto che si accorse della presenza di qualcun altro solo quando vide una mano togliergli di dosso il serpente e lanciarlo alla parete opposta della vasca. Tony venne sollevato subito dopo, trovandosi slegato e senza bavaglio nel giro di pochi secondi.
Avvertì una mano cingergli la spalla ed il palmo dell’altra appoggiarsi su fine volto ed inizio collo. Non gli serviva mettere a fuoco per sapere chi avesse cucciato di fronte a lui, poche erano le possibilità.
Si lasciò cadere in avanti, andando ad appoggiare il volto sulla parte destra del petto sotto lo sguardo stupefatto di Steve, che si rese conto solo in quel momento di quanto stesse tremando. Decise di abbracciarlo come meglio poteva, mentre le braccia dell’altro l’avevano già avvolto passando sotto le ascelle.
«E’ tutto finito, Tony.» Fu il tono più dolce e rassicurante mai sentito da Tony, il quale accennò un sì con la testa contro la maglia grigia.
Lo sapeva, aveva bisogno solo di qualche secondo per riprendersi.
Passarono un paio di minuti così, mentre Wanda sistemava i rettili nella teca per riportarli al loro posto tutta tremante e con gli occhi gonfi, poi Stark si staccò e si asciugò gli occhi. Steve controllò ogni movimento dell’altro senza dire niente, cercando di capire se il recupero fosse completo o meno.
Si era spaventato terribilmente nel vederlo in quelle condizioni e sentiva un po’ essere colpa sua. Se non fosse sceso a prendere le donuts tutto quello poteva essere evitato.
«Steve…» Il suono era uscito un po’ tremolante e debole, quindi Tony si sentì in obbligo di schiarirsi la voce prima di proseguire. «…la prossima volta preferirei dei gatti.»
Come risposta ebbe un sorriso divertito seguito da un “promesso”. In quel momento, con quel sorriso davanti, si fece strada in Tony la terribile voglia di baciare il biondo e con quella un “e se ricambiasse?”. Il cuore aveva perso un paio di battiti al solo pensiero di tale possibilità, però chi voleva prendere in giro?
Steve era spontaneamente gentile con tutti, forse fin troppo di buon cuore; talmente cristallino che sembrava di conoscerlo già dopo una mattinata in sua compagnia; il probabile Golden Boy americano. Il suo proporsi come baby sitter per la piccola Wanda senza almeno un minimo abbassamento d’affitto rendeva palese la sua incapacità nell’approfittarsi delle persone. Aveva anche dei lati negativi, ovvio, solo non erano così gravi da oscurare quelli positivi.
E lui, beh, era Anthony Edward Stark. In sintesi tutto ciò che un ragazzo come Rogers avrebbe mai voluto al suo fianco se non come possibile amico.
Stark spostò lo sguardo dal fulcro dei sui pensieri alla porta aperta del bagno.
«Se non sbaglio ci sono delle donuts di là, penso di meritarmene una.» Poggiò le mani per terra facendo leva per alzarsi, seguito da Steve con le mani pronte a scattare nel caso le gambe di Tony avessero ceduto.
Sempre pronto ad aiutare gli altri, da aggiungere alla lista delle cose positive.
Comunque le gambe di Stark funzionavano alla perfezione ed arrivarono in cucina senza problemi, dove si lasciò andare su una sedie con in mano una donut al cioccolato.
Dopo pochi secondi spuntò dal corridoio Wanda, con le braccia lungo il corpo e la testina piegata in avanti. Arrivò fino a Steve prima di alzare il volto rivelando le guance rigate e gli occhi rossi.
«Sta bene?» La voce era incrinata e tremante.
Vederla in quelle condizioni strinse il cuore al ragazzo più alto, quindi era fuori discussione riuscire a farle una ramanzina. Gliel’aveva detto Natasha che se si fosse presentato il bisogno di dirle qualcosa non ce l’avrebbe fatta, ma lui era convinto non ce ne sarebbe stato bisogno, si doveva solo saper prenderli, i bambini. Decise di cercare un aiutino da parte di Tony, il quale era rimasto del tutto indifferente alla scena. Mai si sarebbe fatto incastrare dagli occhi gonfi e dispiaciuti di quella peste. Però erano un paio di iridi azzurre che gli stavano chiedendo aiuto in quel momento.
Mannaggia a te, Rogers.
Mandò già il pezzo di cibo e guardò la piccola.
«Sto bene, tranquilla.» Tornò sulla sua bellissima ciambella mezza mangiata. «Magari la prossima volta metti delle tarantole, così vai sul sicuro.»
Inutile dire che la bambina iniziò a singhiozzare appoggiando il volto alla gamba di Steve, il quale stava guardando Tony con tutto un altro sguardo. La sua testa era ancora salva solo perché quello non era l’appartamento dei Rogers e non poteva tirare cose a caso contro il moro.
«Non voleva farti male, sono innocui.» Eccolo lì, il paladino degli indifesi.
Poco importava se Stark aveva avuto un attacco di panico meno di cinque minuti prima, ora stava bene e quella in crisi era la piccola Wanda.
Ciò che aveva infastidito Tony, in realtà, era la mancata strigliata alla bambina confrontata al tono duro appena usato da Rogers nei suoi riguardi. Sembrava si fosse dimenticato di cosa aveva combinato Wanda, o comunque di quello che aveva causato.
Questo confermava la sua teoria sui comportamenti di Steve: era buono con tutti, a priori, sempre tu non facessi una cavolata stratosferica o ti comportassi da coglione patentato. Motivo per cui l’aveva aiutato la sera prima e di tutte le cose a seguire. Niente di più.
Strinse i denti nel sentire il nodo allo stomaco. Come poteva quel ragazzo aver fatto un tale effetto su di lui in un periodo complessivo inferiore ad una settimana? Era meglio tornare a com’erano prima, inversione a “U” e via.
«Grazie, ci ero arrivato da solo. Ma sai? Non si riesce tanto a ragionare mentre hai un attacco di panico in atto, Rogers.» L’aver marcato così tanto sul cognome mise in stallo Steve.
Probabilmente gli stava dando la colpa, se n’era andato a prendere la merenda senza preoccuparsi troppo di cosa sarebbe successo; il moro non aveva vissuto l’esperienza più bella della vita ed il biondo gli aveva quasi chiesto di chiedere scusa a Wanda per averle risposto in quel modo.
Però il tono usato gli fece scattare qualcosa, come le prime volte, come ogni dannata volta Tony parlava a vanvera con quel fare da superiore.
«Non lo sapeva, Stark.» Perfetto, tutto come un giorno prima, ottimo.
Tony mandò giù l’ultima parte di ciambella ed alzò le mani.
«Scusami, la prossima volta mi presento con un “soffro di attacchi di panico” aggiuntivo.»
Mentre i due si battibeccavano Wanda si era staccata dalla gamba di Steve ed aveva fatto qualche passo indietro. Fissò i due guardarsi in cagnesco per pochi secondi prima di rivedere nella sua mente i suoi genitori litigare.
«BASTA!» Gli occhi erano ancora rossi, ma le lacrime si erano asciugate del tutto. Li spostava da Tony a Steve e viceversa, incrociando i loro sguardi stupefatti. «SMETTETELA DI LITIGARE.»
«Se la smetti di urlare ci faccio un pensierino.» Non aveva dovuto nemmeno girarsi verso Steve per sentire l’occhiataccia di fuoco lanciatagli.
La piccola scosse la testa e trotterellò verso Tony, gli prese una mano tirando verso di lei per farlo alzare e –dopo che il ragazzo smise di fare resistenza- lo portò davanti a Rogers. I due si guardarono per un secondo, poi tornarono su di lei, ora seduta per terra a pochi passi da loro.
«Dovete fare pace.» Incrociò le braccia al petto con uno sguardo che poco ammetteva contraddizioni.
«Senti, visto che probabilmente nessuno…» A quella parola tirò un’occhiata a Steve per poi tornare sulla bambina. «…sembra riuscire a dirti qualcosa di negativo ci penserò io. Prima di tutto non puoi averla sempre vinta nella vi…»
«Scusa, Tony.» Il moro s’interruppe nel sentire la voce dell’altro ragazzo, voltandosi verso di lui ed incrociando i suo occhi.
Promemoria per lui: smettere di guardare quei dannati occhi.
«Se ora ti chiedo scusa sarebbe come contraddirmi, sai?» Ci fu qualche secondo di silenzio prima che aprisse nuovamente bocca. «Posso prendermi il 20% della colpa, però.» Steve roteò gli occhi, ma sorrise. Tony lo fece di rimando e la bambina emise un suono di felicità.
«Okay, di solito ora mamma e papà si danno un bacio.» Rogers si voltò verso la piccola con lo sguardo strabuzzato.
Stark, invece, stava ancora guardando l’altro ragazzo, intento a spiegare quanto la cosa fosse diversa. Che ci sarebbe stato di male in un bacio sulla guancia? Infondo Wanda sembrava abituata ad averle sempre vinte –almeno con Steve-, sarebbe stata un’ottima scusante. Quindi perché no? Poi se ne sarebbe uscito con una frase evidenziante come l’avesse fatto perché era un burlone nato e non per altro.
Non ci pensò una volta di più. Si alzò sulle punte quel che bastava per arrivare alla sua guancia.
«Tony potresti aiut…» Però, diavolo, Steve doveva rimanere fermo con la testa, non girarsi all’improvviso!
La risatina contenta di Wanda arrivò alle orecchie dei due prima ancora che si staccassero –cosa accaduta nel giro di tre secondi. Avevano fatto entrambi un balzo indietro, Tony appoggiandosi al tavolo e Steve alla parete.
«Che diavolo ti è saltato in mente, Stark?!»
Il moro aveva il cervello bloccato, come se non ci arrivasse aria. Già, che diavolo gli era saltato in mente? Quella giornata era partita fin troppo bene, no? Doveva fare qualche disastro. Comunque non era del tutto colpa sua. 
«Perché cavolo ti sei girato?!»
«Speravo in un aiuto!»
Lo sbuffo della piccola Wanda distrasse i due ragazzi, salvando anche Tony dal dire qualcosa di sconveniente.
«Facciamo che cambiamo? Siete diventati noiosi.»
Detto fatto. Nessuno dei due voleva continuare quel battibecco, Stark perché era ancora in fase di stallo e Steve perché si era stranamente agitato.
Il resto del tempo passò abbastanza in fretta. Wanda si fece anche perdonare lasciando a Tony una delle sue due donuts, continuando comunque ad insistere su quanto fossero innocui quei serpenti –progetto scolastico, a quanto pareva- e che voleva solo giocare. Steve l’aveva placata dopo la terza volta facendole intendere che non avrebbe mai avuto indietro il suo dolce.
Verso le 17:30 spuntò dalla porta principale un ragazzo sui diciotto anni dai capelli quasi argentati al quale la piccola corse incontro tutta contenta. Si presentò a Tony come Pietro, il fratello di Wanda, e ci tenne a precisare di aver perso una scommessa, non era argento per sua volontà.
Dopo uno scambio di battute ed il reso conto della giornata –evitando ovviamente la storia della vasca- i quattro si congedarono e Steve optò per portare a casa Tony piuttosto di fargli fare una ventina di isolati a piedi.
Si fermò davanti al cancello della Villa, sotto consiglio spassionato del moro, e spense la macchina.
«Senti, per il bacio…» Steve voleva evitare il più possibile situazioni di imbarazzo con Stark, non chiarire quella situazione avrebbe reso difficile la cosa.
Tony lo capì al volo, bastava vedere come il biondo tenesse lo sguardo sul volante e vi tamburellasse sopra con le dita. Un po’ aveva sperato fosse andata in un altro modo, ma si doveva ricordare l’improbabilità della cosa e stare lì in sua compagnia non aiutava. Quindi si voltò verso la portiera e l’aprì leggermente prima di parlare.
«Quale bacio?» Sentì gli occhi di Steve addosso, era quasi sicuro stesse facendo uno di quei sorrisi accennati da “grazie” silenzioso, decisamente meglio non girarsi.
Scese dalla macchina con un saluto veloce e si avviò oltre il cancello. Una volta varcato il portone, lo richiuse e vi si appoggiò con la schiena, portandosi una mano a strofinarsi gli occhi con il pollice e l’indice. La cosa stava degenerando, non poteva nemmeno evitarlo fino a quando gli fosse passata vista la sintonia che i due gruppi sembravano aver ottenuto. Decise di cancellare la possibilità di continuare le lezioni ed alla festa della sera dopo sarebbe sempre stato dalla parte opposta del biondo.
«ANTHONY EDWARD STARK!» Tony si tolse la mano dagli occhi e cercò di mettere a fuoco la figura che gli stava andando incontro minacciosamente.
«Clint?» L’amico lo prese per il colletto e se lo tirò ad un centimetro dal volto, abbastanza incazzato.
«Hai la minima idea dello spavento che ci hai fatto prendere?» Tony inarcò il sopracciglio cercando di togliere Steve dalla sua testa e di concentrarsi sul resto. «Non UN messaggio, Stark. UNO! DA IERI SERA.»
Certo, ecco cosa si era dimenticato. L’aveva detto che Rogers aveva un brutto effetto su di lui, no? Sospirò e si porta una mano a strofinarsi il volto.
«Scusa, Clint. Io…non ci ho pensato.» Barton lasciò la presa ed iniziò a camminare avanti ed indietro per la hall d’entrata.
«Non ci hai pensato? Sai che Rhodey pensava di far partire una squadra di ricerca? E Bruce già ti vedeva buttato in qualche discarica?»
«Ora li chiamo.» Tirò fuori il telefono dalla giacca ed iniziò a digitare, non aveva ancora finito di cercare il primo nome quando le parole di Clint gli arrivarono alle orecchie.
«Ho già avvertito io. Ed ho avvertito anche Nat, che penso sia andata a fare una ramanzina all’altro.» Tony spalancò gli occhi. «Jarvis era abbastanza sorpreso di vedermi qui, pensava tu e Steve foste da me.» Perché quel maggiordomo non se ne stava zitto una volta? «Ora, sono molto felice vi siate voluti appartare, ma avreste potuto rispondere ad un messaggio.»
«Oh, sì, e scrivere “guardate che sono con Steve, sto bene”? Da quanto lo sai? Dieci minuti, forse? E già stavi pensando a chissà quale possibilità.» Clint si accigliò. L’amico era andato sulla difensiva un po’ troppo velocemente. «Felice di deludere le tue aspettative. Mi ha trovato ieri sera dopo diversi bicchieri e si è comportato come una persona decente avrebbe fatto, niente di più.»
«Tony?» Ma non lo sentì minimamente.
«Sì, ho passato la giornata con lui, ma non è successo niente, okay? E’ solo una brava persona e si è assicurato che stessi bene, tutto qua.» Incrociò lo sguardo dell’amico con la bocca socchiusa e le sopracciglia inarcate. Si era esposto decisamente troppo. Scosse la testa e si avviò verso le scale, passando affianco all’amico. «Se non ti dispiace vorrei riposare un po’ prima del terzo round con mio padre, grazie di esservi preoccupati, ci si vede domani.»
Clint lo guardò scomparire per la rampa di scale che portava verso la parte di Villa dove si trovavano le camere, per poi uscire con il telefono in mano.
 
 
 
«Ora mi ascolti, signorino!»
Steve aveva trovato Natasha ad aspettarlo fuori dalla porta dell’appartamento. La strigliata era partita da subito, ma lui aveva cercato di non ascoltarla e anche di chiuderla fuori, ma questa aveva messo un piede in mezzo ed era entrata nell’abitazione.
Fin da quando Tony era sceso dalla macchina e lui ripartito per tornare a casa aveva continuato a pensare a quel pomeriggio e al motivo dell’agitazione dopo il bacio. Gli era sempre venuto abbastanza facile scendere a patti con le sue sensazioni, ma quella volta no. Forse perché era Tony Stark, forse perché non sapeva bene cosa gli stesse frullando in testa in quel periodo. Fatto sta che si era ricreduto un sacco sul quel morettino e non era per niente insopportabile, doveva ammetterlo. Stava solo cercando di convincersi gli piacesse come amico, niente di più, e la sfuriata di Natasha avrebbe aiutato ben poco.
«Nat, non ora per favore.» Questa corrugò la fronte, alternandosi ancora di più.
«NON-ORA? STEVE! Ti rendi conto? E’ da quasi ventiquattro ore che non abbiamo tue notizie!»
«Scusatemi, non pensavo foste così morbosi da doversi sentire almeno una volta al giorno.» Tutta la situazione stava facendo alterare anche il biondo, il che fece accigliare Natasha.
«No, il punto è la tua assenza ingiustificata.» Steve sospirò e si passò una mano sul volto.
Era assai comprensibile si fossero preoccupati nel non vederlo a scuola, l’aver ignorato messaggi e chiamate sicuramente non poteva averli tranquillizzati.
«Tu e Tony avete fatto prendere un colpo a tutti.» Fu comunque la rossa a prendere la parola, trovandosi gli occhi spalancati dell’amico a fissarla. «Clint è andato a Villa Stark e Jarvis non sa tenere la bocca chiusa.» Aveva incrociato le braccia al petto e fatto spallucce.
Steve scosse la testa e si diresse verso la credenza per prendere un bicchiere e riempirlo con dell’acqua.
«Potrei almeno sapere perché non volete dirci che state insieme?» Gli aveva creduto la mattina precedente, ma ora le sembrava talmente impossibile riuscirci.
Per risposta l’altro sbatté un pugno sul ripiano di marmo della cucina -facendo sobbalzare l’amica-, voltandosi poi verso di lei.
«Non stiamo insieme! Come te lo devo dire? La prossima volta lo ignoro brutalmente, okay? Lo lascio girovagare per le strade di New York con il tasso alcolico di un ubriacone e me ne frego, va meglio?»
«Steve, calmati.»
«NO. Perché da quando ci siamo conosciuti avete tutti questa fantasia di una probabile relazione, ma sai cosa? Non può accadere.» Steve aveva perso il controllo e le parole uscivano una dietro l’altra sotto lo sguardo accigliato della rossa. «Toglietevelo dalla testa, perché da oggi in poi cercheremo di andare un po’ più d’accordo ma ci verrà impossibile se voi…» Allungò un braccio verso la direzione della ragazza per indicarla. «…continuerete con certe allusioni.»
«Se è ancora per Mercoledì, Bucky ti ha chiesto scusa una ventina di volte.» Per la prima volta non riusciva a capire dove il biondo stesse andando a parare, le dava un po’ fastidio come cosa.
«Nonono, non è per quel pomeriggio. E’ per tutto. E’ per quando mi ha inviato la prima conferma di lezione; per quando mi è sfuggito che non è poi così male fisicamente; per quando ci siamo trovati la prima volta e le volte successive.» Ad ogni punto aveva tenuto conto con le dita. «Cosa avrei dovuto dirvi, quindi? “Non vengo a scuola perché ieri sera ho trovato Tony ubriaco e l’ho portato qui”?» L’amica spalancò gli occhi nel sentirgli dire il nome dell’altro ragazzo, ma lui non ci fece molto caso. «Ti lascio immaginare le battute.»
Ci furono attimi di silenzio. Natasha si era fermata al “Tony” e la sua mente ci mise poco a collegare la reazione eccessiva dell’amico al cambio repentino dall’uso del cognome a quello del soprannome.
«Ti piace Stark.» Era quasi un sussurro, però venne percepito perfettamente dall’amico che la guardò spalancando gli occhi.
«Nono, assolutamente no.» Prese il bicchiere che s’era riempito d’acqua e bevve tutto d’un sorso, per poi poggiarlo nel lavandino.
Sentì i passi della rossa avvicinarsi e la sua mano poggiarsi sulla schiena. Odiava quando faceva così, era come un pulsante “okay, ti dico tutto quello che mi passa per la testa”, era più forte di lui.
«Non lo so, okay?» Si voltò appoggiandosi al mobile ed incrociando le braccia al petto. «Riesce a passare dall’essere insopportabile ad essere una persona con la quale passarci mezza giornata insieme sembra la cosa più interessante del mondo.» Mentre lui guardava di fronte a sé e gesticolava con la mano destra Natasha prendeva appunti mentalmente. Come l’aver usato “interessante” e non “bello”, Steve preferiva di gran lunga qualcosa –o qualcuno- di interessante piuttosto che semplicemente bello. «Poi ci sono piccole cose che non pensi lui possa fare. Tipo ha lavato la tazza, okay?» Nat inarcò un sopracciglio e fece una risatina.
«Ha addirittura lavato una tazza?»
«Sì, e sa anche cucinare. Cucina lui per il maggiordomo!» Natasha batté un paio di volte la mano sulla spalla dell’amico. «Ma non può piacermi, non in quel senso.»
«Perché? Sareste una bella coppia. Tu lo aiuteresti a tenere un po’ più la testa sulle spalle e lui, beh, devi ammettere che ti rende più impulsivo.» La rossa fece spallucce, però fermò i lati della bocca quando vide il volto dell’amico abbassarsi e coprirsi di un sorriso forzato, amaro. «Steve?»
«Con quale possibilità, mh?» Alzò lo sguardo verso l’amica, la quale inarcò un sopracciglio. «Mettiamo caso che fosse vero, che sto iniziando ad avere una cotta per Tony, con quale possibilità, con quale speranza posso credere sia una bella cosa?» Nat fece per aprire la bocca, ma la richiuse immediatamente.
Non poteva dire con certezza sarebbe stato ricambiato, non conosceva Stark. Erano sempre state belle battute ed ipotesi fantasiose, niente di più. Almeno fino a quel momento.
«Vedi, Tony può avere chi vuole, quando vuole, dove vuole e solo perché lo vuole. Se un giorno deciderà di calmarsi non sarà sicuramente per un ragazzino di Brooklyn, cresciuto in Ohio, con zero inclinazione per la fisica o per le scienze matematiche.» Steve scosse la testa un’altra volta. Stava iniziando a sentirsi uno schifo ed era perché, sì, aveva una cotta per Stark e se l’era presa in meno di un giorno. «Potresti andare via? Ho bisogno di riposare un po’.»
Natasha non disse niente, annuì e basta. Lasciò un bacio veloce sulla guancia dell’amico e se ne andò chiudendosi la porta alle spalle. Si sentiva terribilmente in colpa per avergli aperto gli occhi sul famoso “fattore Stark”. A tutte quelle cose non ci aveva pensato, nessuno di loro ci aveva pensato. Avrebbe voluto tornare indietro e starsene zitta, ringraziare solo che stesse bene ed andarsene. Era una pessima amica, ecco la verità.
Scosse la testa e se ne andò giù per le scale con il telefono in mano notando un messaggio da parte di Clint.
- Se dicessi che Tony ha probabilmente una cotta per Steve sarebbe un problema?
Intrattenibile il sorriso sul volto della rossa.
- Se dicessi che Steve ha sicuramente una cotta per Tony sarebbe un problema? 









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Note dell'autrice: Non è fantastico che entrambi siano convinti di non poter piacere all'altro? MAGNIFICO. 
Comunque se non si è ancora capito ADORO CLINT BARTON E VOGLIO UN FILM TUTTO PER LUI. A parte gli scherzi, lui e gli altri cinque assumeranno sempre più importanza. Almeno questa è la mia idea, ma son già due capitoli che inizio a scrivere e va tutto come vuole, sooooo evito di promettere.
Spero continui a piacervi e ringrazio chi segue e chi trova tempo per recensire. <3

Un bacio, 
BR.

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Capitolo 12
*** Let's save the millionaire. ***


Steve era rimasto sveglio fino alle sei del mattino cercando in ogni modo di elencare i motivi per i quali Tony non poteva assolutamente piacergli, con scarso, scarsissimo successo. Allora la riflessione si era spostata sul perché stare insieme sarebbe stato impossibile, ripensando subito dopo alle parole di Natasha. Forse aveva ragione. Lui aveva sempre un ottimo controllo, rifletteva prima di reagire pur di evitare disastri, ma non quando c’era il moro nei paraggi. Fino a quel momento era stata una pessima cosa, però con la consapevolezza appena acquisita poteva cambiare.
Sì, anche se fosse cosa avrebbe fatto? Cercato di far colpo su Tony in qualche modo? No, fuori discussione. Novantanove su cento, mentre lui se ne stava lì a martoriarsi su ciò che iniziava a provare, Stark era in giro a far leva sul gossip falso per trovarsi una qualsiasi persona amante di tradimenti.
Ecco, un buon motivo per annullare la minima speranza era la passione dell’altro per le scappatelle. Se avesse avuto il minimo accenno di una possibilità da parte di Tony sarebbe stato solo per un unico fine e, no, Steve non era così.
Grazie a quella convinzione era riuscito a chiudere gli occhi cadendo in un sonno profondo nel giro di pochi minuti e svegliandosi solo passate le dodici, facendo preoccupare terribilmente sua madre.
Però si era abbastanza convinto che una storia con il moro non sarebbe stata fattibile ed era quasi sicuro di riuscire a reprimere i sentimenti appena nati.
Allora perché se ne stava a fissarsi allo specchio con uno smoking addosso?   
«Rogie, sei pronto?» La voce della rossa veniva da fuori la camera di Clint dove gli era stato concesso di cambiarsi.
Lui e Bruce erano stati tra i primi ad arrivare a casa Barton ed aveva cercato in tutti i modi di non sembrare agitato. Poco funzionò con Natasha, ovviamente. Comunque, rimase estremamente sorpreso quando Bucky entrò dalla porta con cinque minuti di ritardo senza Stark al seguito. Se non fosse stato per la gomitata della Romanoff, Steve sarebbe rimasto a fissare la porta per altri dieci minuti.
Strano, era stato abbastanza sicuro di aver avuto una discussione convincente con se stesso, quella notte.
«Bene, ora che ci siamo tutti…» Gli occhi dei presenti andarono sul festeggiato. «…è tempo di iniziare la missione.» Ci fu uno scambio di sguardi principalmente tra Sam, Bucky e Steve.
«Clint, non pensi di dover spiegare?» Natasha aveva un sorriso divertito dato dalle espressioni dei suoi amici, evidentemente appena resi conto di essere gli unici in travestiti, e si era avvicinata al suo ragazzo, il quale le sorrise di rimando.
«Certo!» Barton si strofinò le mani. «Allora, ogni qual volta Howard Stark fa una specie di party obbliga Tony a partecipare. Indovinate un po’ quando ha deciso di farne uno all’insaputa del figlio?» Era convinto al 90% l’avesse fatto apposta, anche se probabilmente il Signor Stark non sapeva di quella festa, ma Clint lo sopportava sempre meno ed ogni ragione era buona per dargli addosso.
«Quando succede…» Il festeggiato venne interrotto da Rhodey. «…andiamo in suo soccorso.» 
«Qualcosa mi dice che avete già un piano.» Fu Bucky il primo a parlare, a braccia conserte e spalle al muro. Poco lo entusiasmava l’idea di dover andare a salvare Stark, però aveva visto qualcosa negli occhi dell’amica che lo stava guardando in quel momento.
«Beh, un’idea ce l’avremmo.» Sam e Steve guardarono la rossa stupefatti, mentre Bucky stava iniziando a capire qualcosa ed un sorrisetto compiaciuto stava comparendo sul suo volto. «Tutti sappiamo del gossip uscito un paio di giorni fa, no?» Rogers strabuzzò ancora di più gli occhi.
«Ecco, siamo abbastanza sicuri lo sappiano anche i colleghi di Stark senior.» Bruce prese parola. «E lo dico perché mio padre è uno degli invitati.»
«Quindi non sarebbe poi così strano se il presunto ragazzo di Tony Stark fosse presente.» Gli occhi di Nat incontrarono quelli dell’amico, preso totalmente dal panico. Sapeva di non trovare supporto da Barnes o da Wilson, li poteva sentire sghignazzare alle sua destra, doveva tirarsi fuori da solo.
«N-no. N-non posso. E-ecco, io…sono vestito da militare!» Si indicò la divisa.
«Sono sicuro ti starà benissimo lo smoking nero di mio padre.» Avevano tutti uno sguardo terribilmente compiaciuto, il che fece venire voglia a Steve di urlare qualcosa o semplicemente di andarsene sbattendosi la porta dietro.
Poi s’era fatta strada una strana idea perché il tutto era nato principalmente dal gruppo degli amici di Tony, quindi ecco il motivo per cui stava indossando uno smoking nella stanza di Clint Barton con la rossa che lo chiamava da fuori. Sospirò, consapevole di non potersi tirare più indietro.
Bucky gli lasciò le chiavi della sua moto, pregandolo di trattarla bene. Faceva un sacco di storie solo perché l’ultima volta era quasi finito fuori stradi. Quasi. Steve rispose alzando le mani e uscì dalla casa seguito dagli altri che gli ricordavano di andare via con Tony il prima possibile.
Sarebbe stata una sfida abbastanza dura, lo capì nel vedere quante macchine erano parcheggiate nel viale della Villa Stark. Pregava solo ne valesse la pena.
 
 
 
Tony si sentiva uno schifo da quella mattina. Per essere più precisi da quando il padre gli aveva comunicato la sua favolosa idea per la serata. Ovviamente non aveva voluto sentire obbiezioni, poco importava se lui doveva fare altro, sempre prima l’azienda.
Si era sentito ancora peggio quando aveva mandato un messaggio a Clint spiegandoli i motivo per cui non ci sarebbe stato; il triplo quando evitò di rispondere alle sue chiamate perché non voleva essere un problema, non quella sera. L’aveva pregato di divertirsi insieme agli altri, per una volta poteva farcela.
Dunque si era messo uno smoking nero con tanto di papillon ed era sceso facendosi forza. Dopo più o meno venti minuti di sguardi strani e bisbigli ogni volta che passava qualcuno con un’età un po’ troppo avanzata decise di prendersi un paio di bicchieri di vino e tornarsene su in camera. Suo padre era troppo occupato a discutere di lavoro per rendersi conto se il figlio fosse o meno presente. Ancora veniva difficile capire perché lo obbligasse a fare presenza se poi poteva andarsene tranquillamente.
Quella sera, però, era meglio starsene in camera e non scappare verso casa Barton. Alla fine andava bene così, rendersi ridicolo davanti a Steve era l’ultima cosa che voleva. Steve con la sua divisa da militare ed il suo sorriso tremendamente…bello.
Tony si ritrovò a sorridere nell’immaginarsi il volto del biondo ed un po’ a desiderare comparisse dalla porta. Quella situazione era terribile, per lui. Aveva cercato in ogni modo di lasciar perdere, di convincersi non andasse bene per lui, ma –diavolo- quel ragazzo era come bloccato nella sua testa. L’unica soluzione era riuscire a convivere con quei sentimenti senza farsi prendere la mano, alla fine non erano poi così negativi. Stava sorridendo dopo tutta l’intera giornata ed era solo grazie all’immagine del biondo.
Sì, doveva solo cercare di non farsi prendere troppo, solo il poco. Solo quello che faceva stare bene.
«Signorino Stark?» Jarvis era comparso da dietro la porta causando un sobbalzo del ragazzo. «Penso la stiano cercando giù.»
Avrebbe voluto rispondere che stava male, ma sapeva suo padre non gli avrebbe mai creduto. Si alzò di malavoglia dal letto, dandosi una sistemata veloce, e poi seguì il maggiordomo. Si bloccò a metà scalinata nel vedere una chioma bionda davanti al padre di Bruce.
Non può essere lui, calmati.
Invece, appena la chioma si voltò verso la direzione dello sguardo del Signor Banner, i suoi occhi incrociarono due iridi azzurre e si sentì quasi morire. Il sorriso comparso sul volto di Steve non aiutava a far riprendere un battito regolare al miliardario, il quale cercò di apparire normale il più possibile.
Una domanda dietro l’altra si faceva strada nella testa di Tony mentre i suoi piedi proseguivano in direzione dell’altro ragazzo. Domande che si placarono non appena una mano del biondo passò dietro la sua schiena per tirarselo vicino e salutarlo con un bacio sulla guancia.
Ovviamente il volto iniziò a bollire, mentre sentiva gli occhi di metà sala addosso.
«Ci guardano tutti.» Gli uscì più come un sussurro e l’unico a sentirlo fu Steve, ancora dannatamente vicino al suo volto.
«Pensavo ti piacesse stare al centro dell’attenzione.» Tony era abbastanza sicuro l’avesse fatto apposta a dirlo a tre millimetri dal suo orecchio. Per forza.
«Steven?» La voce inconfondibile e dura come solo quella del padre sapeva essere. Ci fu un veloce scambio di sguardi tra Tony e Steve, prima che quest’ultimo si tirasse su per rivolgersi direttamente a chi l’aveva chiamato.
«Signor Stark.» La tensione era palpabile da chiunque, tanto che il brusio si era completamente spento e tutti gli invitati cercavano di vedere la scena il meglio possibile.
«Posso chiederti come mai sei qui?»
«Oh, andiamo Howie!» Al collo di Stark comparvero due braccia ed un viso divertito. L’uomo aveva più o meno la sua stessa età. «Sei sempre così polemico, non pensate anche voi?» Si rivolse poi alla folla di geni e manager tutta intorno. «Dico, finalmente il figlio mette la testa a posto e lui che fa? Si lamenta pure!»
«Hank, potresti smetterla?» Howard stava guardando l’amico nel modo più truce possibile, ma questo fece spallucce ed andò al centro dell’ovale camminando in senso orario.
«No, caro mio. Ti conosco da una vita e mezza, quindi…» Fece una piccola giravolta sul posto. «…so esattamente perché ti comporti così.» Lo sguardo del padre passò veloce al figlio, per poi tornare sullo scienziato. «E’ colpa loro.» Allargò le braccia verso gli altri membri della sala, che per la maggior parte assunsero un’aria offesa, mentre gli altri nascosero il sorriso beffardo nel miglior modo a loro concesso. «Hanno la mente così chiusa da fare invidia ai miei nonni.» Scosse la testa, tornando dal suo amico e poggiandogli una mano sulla spalla. «Ma non saranno loro a dover lavorare con Tony, saranno probabilmente i loro successori e sono abbastanza certo siano come mia figlia.» Si voltò verso i due ragazzi al centro, i quali lo guardavano con sguardi increduli. «Lei vi vede bene insieme, per la cronaca.»
«Penso tu abbia bevuto troppo, Hank.» Questo scosse la testa e fece un sorriso di conforto a Tony, un “dagli tempo”.
Ma lui era stufo di dargli tempo. Aveva perso il conto di quanto gliene aveva dato. Suo padre lo apprezzava sempre meno, qualsiasi cosa facesse non andava bene, quindi che importava? Prese la mano di Steve, il quale sobbalzò al contatto.
«Penso tu debba fartene una ragione, piuttosto.» Gli occhi si spostarono tutti sul moro. Anche quelli del biondo, il che l’avrebbe messo in soggezione se solo non si fosse concentrato sul viso corrugato del padre.
«Anthony, smettila subito con questa storia.»
«Perché? Perché non va bene a te?» Si sentì stringere la mano da parte del biondo, una silenziosa richiesta di non aggravare le cose. Steve aveva ragione, Tony lo sapeva benissimo, però era tutto più forte di lui. «Vuoi sapere una cosa? Non mi importa.» Fece spallucce. «Ho passato un sacco di tempo sperando mi calcolassi almeno un po’ di più, ma niente!»
«Anthony.» Denti stretti, sguardo severo ed un'altra stretta alla mano.
«L’unico modo perché ti degnassi di guardarmi era finire su qualche stupida rivista di gossip o prendere note in classe.» Gli occhi iniziarono a pizzicargli e si stupì di riuscire a tenere comunque una voce salda, non titubante o incrinata.
«Vai in camera tua, Anthony. Ora.»
«Certo.» Si voltò verso Steve. Non ci fu bisogno di dire niente, semplicemente annuì pronto a seguirlo. «Lui viene con me.»
Prima che il padre potesse dire qualcosa, i due erano già saliti su per le scale con passo veloce.
 
 
 
- Non è stata una grande idea.
Steve aveva inviato il messaggio a Natasha appena entrato in camera, poi si era posizionato in parte al moro seduto sul letto ed intento a smollarsi il papillon. Le mani tremavano troppo e lui era ancora agitato e scombussolato per la conversazione appena avuta per riuscirci, quindi il biondo decise di aiutarlo senza chiedere il permesso, avvicinando le sue mani al fiocco e slacciandolo sotto gli occhi spalancati di Tony. Una volta slegato il pezzo di stoffa Rogers incrociò lo sguardo dell’altro.
Ci sono persone desiderose di essere tranquillizzate dopo aver affrontato qualcuno in tale modo, sono quelle a cui va alla grande un “andrà tutto bene” perché davvero ci credono. Poi ci sono persone che sanno quanto quella frase sia falsa, sanno che niente cambierà davvero; loro puoi solo distrarle, scherzarci. Steve optò per quello, decidendo di riprendere la battuta di qualche giorno prima.
«Terza uscita, no?» L’espressione maliziosa comparsa sul volto del biondo mandò fuori uso il sistema di Stark per qualche secondo.
Riuscì a riprendersi prima del previsto e, per quanto la sua parte razionale lo pregava di tagliar corto, decise di seguire il suo istinto, continuando quella specie di gioco in atto da Mercoledì pomeriggio.
Sfoggiò un’espressione simile a quella del biondo e portò la mano ad afferrare la cravatta di Steve per tirarselo vicino. «Non perdiamo tempo, allora.»
Tutto in Rogers gridava di allontanarsi, di aggrapparsi alla convinzioni di quella mattina; se avesse ceduto a quegli occhi nocciola sarebbe diventato solo uno dei tanti, non poteva permetterselo. Però il modo in cui Tony l’aveva guardato stupefatto nel vederlo alla Villa più il fatto che fossero stati i suoi amici a farlo andare lo stava piano piano convincendo potesse esserci qualcosa anche dall’altra parte.
Stark, invece, stava cercando di non cedere troppo agli impulsi provenienti da altre zone differenti dal cervello, in quel momento. Per quanto quella poteva essere l’unica possibilità di qualcosa di più non voleva rischiare di rovinare tutto. Steve era andato lì per lui. Certo, sicuramente sotto richiesta dei suoi amici, ma l’aveva fatto. Quindi un po’ gli importava, infondo. 
I pensieri dei due furono interrotti dal vibrato improvviso del telefono di Steve, il quale si schiarì la gola prima di rispondere.
«Ehi, Nat…no, non preoccupatevi…cosa?» Il moro guardò l’altro ragazzo alzarsi dal letto ed iniziare a camminare per la stanza. «Non penso sia possibile.» Steve si fermò in mezzo alla stanza e guardò con un sopracciglio alzato Tony. «Che dice Clint?» Dopo quella frase si diresse verso la finestra più vicina al letto e la spalancò. «Sì, è perfetto!» Si rivoltò verso Stark con un sorriso vittorioso, il che fece abbastanza paura al ragazzo seduto. «Naaah, tranquilla. Siamo lì fra massimo venti minuti.» Chiuse la chiamata e mise il telefono in tasca.
«Nel caso te ne fossi dimenticato, giù ci sono persone parecchio ostili –soprattutto una-, come pensi di uscire?» Lo sguardo accigliato di Tony ebbe risposta nella mano di Steve che indicava l’albero fuori dalla finestra della camera. Spalancò gli occhi. «Scherzi, vero?»
 
 
 
La resistenza che Stark provò a opporre non servì a molto, Steve l’aveva sollevato di peso dal letto e messo davanti alla finestra. Il biondo era andato per primo, riuscendo ad arrivare sul ramo robusto con un lieve slancio. “Ti prendo io” aveva detto, e Tony non aveva potuto fare altro che fidarsi di quegli occhioni. Erano scesi sani e salvi, anche se per sbaglio Steve aveva messo un paio di volte la mano sul fondo schiena di Tony e questo l’aveva fulminato con lo sguardo. Probabilmente in altre situazioni avrebbe gradito, ma non mentre rischiava fratture multiple.
Il viaggio in moto non fu molto più facile per Tony, vista la velocità usata da Steve. A Barnes sarebbero arrivate una quindicina di multe, se aveva contato bene, si era visto spiattellato su una macchina per la bellezza di ventiquattro volte ed era sicuro avrebbe dato di stomaco una volta fermati.
Invece lo stomaco resistette, ma maledisse comunque Rogers per essere un pirata della strada, ricevendo come risposta una risata divertita.
Alla fine non fu una festa in maschera, a parte per Sam e Bucky, però Clint era sicuramente riuscito nel suo intento: i gruppi si erano uniti abbastanza bene. A parte delle piccole controversie tra Barnes e Stark dato dal fatto che il primo si divertiva a riempire il secondo di frecciatine su Steve, il quale –grazie al cielo- non sentiva quasi mai o comunque recepiva ancora meno. L’unico modo per farlo smettere era ammettere di avere una cotta per il biondo, Tony lo sapeva bene, quindi avanti di frecciatine e sguardi truci. Il colmo era stato raggiunto quando Rogers, preso da un attacco di caldo, si era tolto la giacca nera ed aveva aperto i primi tre bottoni della camicia mandando in palla Stark. Il “ti serve dell’acqua, Tony? O qualcosa per farti aria?” di Bucky era arrivato un secondo dopo, seguito da un “stai male?” un po’ preoccupato del biondo. Conseguenze: James e gli altri che cercavano di non ridere ed il moro che si chiedeva come potesse passare da spruzzare malizia ovunque ad essere così ingenuo; si soprese ancora di più nel rendersi conto quanto gli piacesse anche quel lato del ragazzo.
Decisero di fermarsi tutti a dormire principalmente perché si fecero le cinque del mattino, quindi sarebbe cambiato poco. Natasha ebbe di diritto una parte del letto di Clint, gli altri rimasero a dormire in taverna. Tony prese il divano, gli altri si posizionarono per terra senza troppi lamenti –tranne Bucky- con cuscini e coperte gentilmente offerti da Barton.
Crollarono tutti in breve tempo, tranne Steve ancora a rimuginare sulla serata e sul moro. Natasha e gli amici di Tony l’avevano spinto ad imbucarsi alla festa, quando poteva benissimo andare Bruce con una scusa, vista la presenza del padre; invece avevano mandato lui. Poteva anche essere stata la rossa a proporre, ma era convinto non l’avrebbe fatto se fosse mancata la certezza di un…qualcosa, chissà cosa. In più Tony si era immobilizzato nel vederlo alla Villa ed era quasi sicuro fosse arrossito dopo il bacio, però aveva la pelle troppo olivastra per esserne certo. O, magari, si stava immaginando tutto.
Sospirò e si voltò di lato, verso il divano, scoprendo di non essere l’unico ancora sveglio. Occhi nocciola dentro occhi azzurri, di nuovo.
Steve sorrise. Sorriso ricambiato da un “grazie” mimato. Rispose con un “cosa?” e lo sguardo di chi fingeva di non aver capito, ricevendo un “non lo ripeterò un'altra volta” che gli causò una risata. Cercò di soffocarla per non svegliare nessuno e decise fosse meglio chiudere lì il tutto. Mosse le labbra in un “buonanotte Tony” e ricevette un “buonanotte Steve” il quale gli permise di chiudere gli occhi e provare a dormire davvero.
Stark rimase a guardarlo ancora un po’. Non era vicinissimo al divano, c’erano Bruce e Wilson in mezzo, però riusciva a distinguere bene i lineamenti grazie alla luce che entrava dalle finestrelle. Quel grazie non era solo per aver provato a tirarlo fuori dalla Villa, quel grazie era per tutto.
Grazie, perché gli aveva concesso di conoscerlo meglio; grazie per aver retto il gioco davanti a suo padre; grazie per aver cercato di farlo ragionare, anche se non l’aveva ascoltato; grazie perché tutto quello non era poi così terribile come pensava. Non ancora, almeno. Lo sarebbe stato più avanti, quando il biondo si sarebbe presentato con un ragazzo bravo e gentile, uno di quelli che piaceva a tutti. Ma per quel momento voleva addormentarsi pensando alla serata e al sorriso di quel ragazzo.
 
 
 
«SVEGLIA DORMIGLIONE.» Tony si sentì tirare via la coperta di colpa trovandosi davanti il proprietario di casa. «E’ mezzogiorno e mezzo, ragazzo. Sei l’ultimo a svegliarsi, come al solito.»
«Mi posso considerare sveglio solo dopo una tazza di caffè.» Il moro si mise seduto strofinandosi l’occhio destro con la mano a pugno.
«Lo sappiamo, caro Tony.» Bruce comparve dall’altro lato del divano con una tazza fumante presa subito da Tony, che ringraziò velocemente e ne bevve subito un sorto.
«L’ha fatto Steve.» Quasi si strozzò a quelle parole, incrociando lo sguardo beffardo di Clint. Aveva capito tutto ancora Venerdì, poteva metterci le mani sul fuoco. Anzi, era pronto a scommettere fosse partita da lui l’idea di mandare Steve a portarlo fuori dalla Villa.
«Allora? Non ci devi dire niente?» Rhodey si sedette sul poggiolo del divano davanti a Tony con braccia conserte e sguardo di chi sapeva.
Tony preferì ignorarli e continuare a bere il suo caffè, mentre con gli occhi vagava nella stanza alla ricerca di un qualsiasi membro dell’altro gruppo. Ci mancava solo ci fosse qualcuno di loro ad assistere a quella scena.
«Tranquillo, sono andati tutti via. Tutti con qualcosa da fare.» Bruce fece spallucce, per poi passare lo sguardo a Clint. Sapevano chi doveva dire cosa, era come se fosse tutto organizzato. A Tony piaceva un sacco, però non quando il fulcro dell’argomento era lui.
«Tranne Steve, ovviamente.» Passò la palla a Rhodes con gli occhi.
«Ha tardato il più possibile.» E di nuovo a Bruce.
«Come se stesse aspettando che qualcuno si svegliasse.»
«Avrei voluto proporgli di baciarti, ma mi sono trattenuto.» La battuta finale di Clint chiudeva sempre lo scambio di frasi.
Tony abbassò lo sguardo sulla tazza per evitare quelli dei suo compagni. Una parte di lui voleva davvero dirlo, sfogarsi con qualcuno. L’altra sapeva sarebbe stata una pessima idea. Se a Clint fosse sfuggito con Natasha? Non di sua spontanea volontà, ovviamente, solo che a volte parlava a ruota e diceva cose senza pensarci. No, sarebbe stato un disastro. In più era abbastanza sicuro di essere il meno apprezzato dall’altro gruppo e le Spice Girls cantavano che una relazione poteva funzionare solo ed unicamente se si va d’accordo con gli amici dell’altro.
«AH! LO SAPEVO!» Il battito delle mani di Barton lo riportò con la testa alla situazione rendendosi conto di essersi perso via ed aver lasciato un silenzio abbastanza eloquente.
«Allora, qual è la tua strategia?» Tony spostò lo sguardo da Clint a James, per poi scuotere la testa.
«Nessuna strategia, non ci proverò con lui.» Si alzò di scatto e poggiò la tazza al tavolino spostato vicino al muro la sera prima. Negare ancora sarebbe stato inutile.
«Perché!?» La voce di Bruce sembrò abbastanza sorpresa. Già, Tony Stark che non voleva provarci con qualcuno doveva suonare davvero strano.
«Aiuto, il nostro amico è malato!» Barton gli corse in contro e gli mise una mano sulla fronte, venne scansato brutalmente dall’amico che se ne tornò verso il divano.
Si sedette lì, appoggiando i gomiti alle ginocchia ed il volto alle mani, coprendoselo totalmente. Gli altri tre si avvicinarono con volti stupefatti e scambi di sguardi, cercando di capire cosa stesse succedendo nella testa del miliardario.
«Sentite, non rovinerò l’equilibrio dei gruppi per un mio capriccio, okay?» Ci furono degli sbuffi come risposta. «Per una volta che non penso a me vi lamentate pure?»
«Punto primo: non è la prima volta; punto secondo: non è un capriccio! Ti sei reso conto di come lo guardi?» Stark passò lo sguardo su Rhodes ed alzò un sopracciglio.
«Ti abbiamo sorpreso a guardarlo con gli occhi a cuoricino una volta a testa.» Il moro si voltò verso Bruce.
Bene, ora doveva tenere sotto controllo le sue espressioni facciali 24 ore su 24, sperava solo non se ne fossero accorti Barnes e gli altri. Soprattutto Barnes, o sarebbe stato ancora più insopportabile.
«Dunque…» Clint si avvicinò ancora un po’ con le braccia incrociate al petto. «…cosa pensi di fare?»
Rifletté qualche minuto su cosa fosse meglio fare, poi optò per alzarsi e prendere la sua giacca da una delle sedie intorno al tavolo.
«Sto bene così.» Detto quello se ne andò, lasciando i tre amici lì a fissare la porta chiusa.
Il primo a spezzare il silenzio fu Rhodes, che diede due pacche sulla spalla a Barton. «Beh, speriamo la tua ragazza riesca meglio di noi.»
 
 
 
In verità Steve stava aspettando Nat fosse pronta a portarlo a casa, visto che Bucky e Sam avevano ben pensato di andarsene mentre lui stava ancora facendo colazione. Certo, gli sarebbe piaciuto Tony si svegliasse un po’ prima, però anche vederlo dormire non era poi così male. Nel senso che faceva ridere, con la bocca aperta e le braccia messe alla cavolo, con la sinistra sopra la testa e la destra ciondolante.
«Ehi, occhio a non sciuparlo.» La voce di Barton lo fece sobbalzare, doveva avere un passo felino perché era riuscito ad aprire la porta e posizionarsi in parte a Steve senza che questo se ne rendesse conto.
«Difficile non guardare una persona che dorme così.» Aveva la risposta pronta il ragazzo, Clint doveva ammetterlo.
«O difficile concentrarsi su altro quando c’è lui in stanza?» Natasha comparve alle spalle del biondo, il quale pregò Bruce restasse ancora un po’ in bagno e Rhodes continuasse a dormire per altri dieci minuti, almeno.
«Buongiorno anche a te, Nat. Ora possiamo andare?» Si alzò dalla sedia ed infilò le mani nelle tasche dei pantaloni.
«Non vuoi aspettare si svegli?» Clint si beccò un’occhiataccia da Steve ed una gomitata dalla sua rossa, alla quale rivolse lo sguardo comprendendo che ci avrebbe provato lei.
Si fidava abbastanza, quindi li lasciò andare dicendo a Rogers di potersi tenere il completo, tanto suo padre ne aveva una marea.
Il viaggio in macchina era stato abbastanza silenzioso. Steve si era perso di nuovo nei suoi dubbi perché faticava sempre di più a credere certe battute fossero solo per scherzare, soprattutto fatte dà e davanti a Barton. Poteva esserci una qualche sorta di sentimento anche da parte di Tony, o semplicemente si stava immaginando tutto? Certo, non era solito farlo, ma c’era sempre una prima volta.
Natasha lo guardava di sfuggita quando poteva, tipo ai semafori o quando non c’erano curve in vicinanza. Doveva dire qualcosa su Stark, con il suo ragazzo aveva deciso così. Lui avrebbe provato ad aprire gli occhi al moro con l’aiuto degli altri due e lei avrebbe fatto tutto il possibile per aprirli al biondo. A pochi erano sfuggiti gli sguardi che si lanciavano quando erano distanti, quasi un accertarsi l’altro stesse bene. In più c’era il modo in cui si guardavano quando l’altro era perso a fare altro o era la persona che stava parlando. Era stato chiaro per tutti, in quei due giorni era successo qualcosa tra i due. “Cosa” non era concesso sapere.
Però non se la sentiva di iniziare il discorso, lo vedeva ancora turbato per aver preso conoscenza di ciò che provava. Doveva essere difficile rendersi conto di avere una cotta per uno come Stark, la cui reputazione arrivava prima del suo nome e, anche se Clint le aveva assicurato quella volta fosse diverso, aveva paura di spingere l’amico verso una fine certa. Barton non poteva biasimarla, doveva solo provarci.
«Nat, posso chiederti una cosa.» Rogers aveva lo sguardo perso fuori dal finestrino, stava fissando due ragazzi giocare a pallone nel vicolo del suo appartamento. Non li conosceva, ma era sicuro di averli visti fare le scale del palazzo un paio di volte.
«Tutto quello che vuoi, Rogie.» Aveva spento il motore e si era girata vero il biondo.
«Perché l’hai fatto?» Proporre lui per salvare Stark, ovvio.
I due si stavano guardando. L’amica sorrise dolcemente, ma non fece passare la paura della risposta a Steve. Quale preferisse non lo sapeva, voleva solo smetterla di torturarsi con quei “forse” e quei “ma” che lo opprimevano dalla sera prima.
«Sai già la risposta, dipende da te se crederci o meno.» Steve rimase impassibile a quelle parole, annuì semplicemente e poi scese dalla macchina lasciando Natasha a guardarlo avviarsi verso l’appartamento.
Per la prima volta non era riuscita a capire lo sguardo dell’amico. Fermo, impassibile, non un movimento di muscolo facciale. Forse doveva solo starsene zitta o mentirgli spudoratamente, ma ormai era andata e le toccava aspettare. Pregava solo di non aver sbagliato.








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Note dell'autrice: Buonsalve, eccovi il nuovo capitolo. 
Niente, mentre scrivevo la scena della buonanotte mi sono venute una quindicina di carie, ma va bene così.
Nel prossimoa arriva il dolce Thor, promesso. 

Un bacio,
BR

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Capitolo 13
*** Not so important. ***


Era passata una settimana precisa dalla festa. Una settimana precisa che Tony non vedeva Steve. Il biondo era mancato all’uscita dei due gruppi quel Giovedì ed il moro aveva dovuto fare finta di niente, sperando che uno dei suoi amici avesse chiesto per conto suo, inutilmente. S’erano comportati come al solito, come se fossero tutti presenti. Lui, di conseguenza, aveva cercato di essere il più naturale possibile, ma due o tre gomitate da Clint gli erano arrivate. Zero battute da parte di Bucky, però, poteva essere una conquista.
Gli era balzata l’idea di scrivergli per chiedere come stava, idea scartata due secondi dopo. Aveva deciso di evitare qualsiasi cosa potesse venire fraintesa. Il problema era che per lui qualsiasi cosa poteva essere fraintesa. Almeno questo lo portava a starsene fermo nel suo angolino senza fare casini. Tanto avevano deciso di riprendere le lezioni di Sabato pomeriggio, quindi avrebbe chiesto lì.
- Ehi Tony, sono Steve. Oggi non posso proprio. Rimandiamo, okay?
Guardò la sua scrivania piena di fogli ben ordinati e divisi pronti per essere messi in cartella. No, non era “okay”.
- Grazie di avermi avvertito in tempo così da non averne perso nel trovare vecchi appunti e sistemare fogli.
Mancava un’ora e mezza a quella prestabilita. S’era preso così tanto d’anticipo rispetto al solito per non arrivare troppo tardi da Steve. Incredibile quanto velocemente era cambiato nei suoi confronti, fino a due settimane prima se ne sarebbe fregato altamente e avrebbe preparato tutto all’ultimo, arrivando con un ritardo imbarazzante. Il problema era che quando iniziava a tenerci tentava di non deludere la persona, anche in certe piccole cose.
Il risultato? Una bella, grandissima buca da parte del ragazzo. Perfetto, davvero.
- Figurati.
Tony roteò gli occhi dopo aver letto il messaggio con tanto di faccina sorridente.
- Era ironia, Steve. Spero qualsiasi cosa tu debba fare sia più importante dell’avere il diploma.
Era irritato e sapeva benissimo il perché: Rogers aveva disdetto la lezione con lui per una qualsiasi altra cosa. Continuava a preferire altro al passare il tempo con lui e questo gli dava un sacco fastidio. Gli dava ancora più fastidio il fatto che gli desse fastidio. Un fastidio unico.
- Metti gli appunti in parte, tienili ordinati, il prossimo Sabato recuperiamo l’ora. Non serve che ti alteri.
Sarebbe andata bene, proprio alla grande, se non avesse aggiunto la frase finale.
Era pronto per scrivere una risposta immediata quando sulla schermata del telefono apparve il faccione sorridente di Clint ed i simboli delle due cornette verde e rossa.
«Ehi Tì! Oggi che fai? Tu ed il tuo bello avete ripreso le lezioni o posso invaderti il Sabato pomeriggio?» Tony si porto il pollice e l’indice sugli occhi massaggiandoseli.
«Clint, non dovresti essere a lanciare frecce?» Sentì il silenzio dall’altra parte della cornetta e si lasciò andare con la schiena sulla sedia a poltroncina. «Tuo padre ti ha vietato di andare?»
«Per due settimane. A quanto pare ci teneva al completo.» Altri secondi di silenzio dove Clint rifletté. «Non è che il tuo ragazzo può restituirmelo? Se glielo porto questa settimana potrebbe lasciarmi andare il prossimo Sabato.» Tony rispose con un sospiro e si alzò dalla sedia.
«Se mi hai chiamato solo per questo sono abbastanza sicuro tu abbia il numero di Steve.»
«E’ più divertente chiamare te ed articolarlo come “il tuo ragazzo”.»
«Sarà ancora più divertente quando tornerai ad avere la maturità supposta per la tua età, sempre tu l’abbia mai avuta.» Sicuramente lui era uno degli ultimi a poter dire certe frasi, però quella storia stava diventando ancora più scocciante di prima, quando di fondato c’era ben poco.
«Ouch, questo fa male.» Tony scosse la testa e si sedette sul letto a gambe incrociate. «Coooomunque, ti andrebbe di accompagnarmi al centro commerciale?»
«Oh, certo tesoro! Andiamo a prendere l’abito della scorsa settimana?» Fece una voce acuta, causando la risata dell’altro.
«Poi sono io quello che deve maturare, eh? Devo prendere un regalo per mio cugino, sono l’unico libero.»
Ovviamente Stark accettò, non perché morisse dalla voglia di andare in un centro commerciale di Sabato pomeriggio, ma perché si sarebbe svagato un po’ ed avrebbe lasciato Steve in un angolo. Dopo avergli risposto, ovviamente.
- Non sei così importante da farmi alterare.
Si pentì di averlo mandato praticamente subito, soprattutto quando la risposta fu un pollice all’insù. Rispondere con “no, era una bugia, non odiarmi” sarebbe servito a ben poco, in più ne andava del suo orgoglio.
Stupido orgoglio, complicava sempre le cose.
 
 
 
Arrivarono a destinazione un’ora dopo la chiamata ed uscirono dal negozio di giocattoli nel giro di mezz’ora. Era l’unica cosa che dovevano fare, ma Clint aveva visto qualcosa di strano nell’amico ed aveva optato per mettere gli acquisti in macchina ed andarsi a prendere un gelato nel piano superiore. Una volta seduti da qualche parte sarebbe partito con le mille domande investigative per capire cos’avesse Tony, piano perfetto.
Certo, non calcolava di essere trascinato dentro un negozio di vestiti e rimanere nascosto dietro una fila di indumenti a guardare due biondi in cerca di qualcosa. Quello più basso dovette girarsi di profilo perché Clint capisse come mai Tony l’avesse tirato all’improvviso.
«Di solito si salutano le persone, non l…» Una mano di Stark andò a piazzarsi sulla bocca di Barton per farlo stare zitto mentre allungava l’orecchio in direzione dei due.
«Oh, signorina!» Fu lo sconosciuto ad aprire bocca. La voce era segno evidente di un’età ben al di sopra della loro, sulla venticinquina. «Staremmo cercando una maglietta che mi stia. Sa’, il mio Stewie qua mi ha riempito di tempera.» Si tirò Steve a sé facendo passare un braccio dietro le sue spalle. «E’ un artista, sa?!» La commessa sorrideva divertita più per l’imbarazzo del più basso –evidente dal colorito rosato- che per l’espansività dell’altro.
Dentro Tony stavano nascendo un sacco di emozioni. Rabbia, delusione, qualcosa che non sapeva decifrare, forse tristezza. Voleva seguirli e fermarli; voleva dire al biondo quanto fosse stronzo per essersi comportato come si era comportato ed averlo fatto bellamente infatuare dei suoi occhi e di quel sorriso perfetto. Sorriso ora rivolto al fustacchione alto davanti a lui.
Ecco perché Giovedì non era stato presente alla serata; ecco perché aveva rimandato la lezione. Lui, come uno stupido, si era anche preoccupato si fosse sentito male o fosse successo qualcosa. Invece no, era semplicemente in compagnia di qualcuno che trovava più piacevole di Tony.
Prima o poi doveva accadere, lo sapeva, solo non pensava così presto.
Strinse i pugni lunghi i fianchi e fece per muoversi, quando sentì le mani dell’amico tenerlo fermo.
Clint aveva gli occhi ridotti a due fessure mentre osservava i due ragazzi prendere un paio di magliette a quadri ed andarle a pagare. Stava cercando di capire qualcosa.
Era strano Natasha l’avesse tenuto all’oscuro di un papabile ragazzo per Steve, non tanto perché era curioso come pochi, ma per Stark e per tutto quello che girava intorno alla cotta dei due. Le cose non tornavano, doveva scoprire com’era davvero la situazione. Quindi prese un paio di berrettini con la visiera ed un paio di occhiali da sole, pagò il tutto e se ne uscì con l’amico, entrambi già in modalità “incognita”.
«Dimmi perché lo stiamo facendo.»
«Perché tu hai una cotta per Steve. E’ alla base pedinare la persona per cui si ha una cotta.» Detto quello lo spinse dietro un cespuglio messo al centro del corridoio per abbellire il palazzo. Almeno pensavano di averlo abbellito.
Guardarono Steve e l’altro tipo prendere una bibita a testa. Pagata da Steve. Altro colpo a Tony, che voleva sempre di più tornarsene a casa e chiudersi in camera. I sentimenti sono una brutta cosa, ne era sempre stato convinto.
«Come ti sembra New York?» Per strana fortuna i due si posizionarono nella panchina posizionata davanti al cespuglio. Perfetto per non fraintendere niente o perdersi parole a cavolo.
«Bah, non male.» Il biondone fece spallucce, per poi girarsi verso Steve e dargli una pacca sulla schiena. «Ma con te è tutto più bello e divertente!» Attirò l’attenzione di un paio di passanti, facendo imbarazzare nuovamente Rogers che si passò una mano dietro la testa.
«Thor abbassa la voce. Ci guardano tutti.»
Clint guardò l’amico in parte a lui mimando con la bocca il nome dell’altro con aria esterrefatta. Chi cavolo poteva chiamare il proprio figlio come un dio della mitologia nordica?
Tony non era tanto attento a quello. Era attento a Steve, a quante volte diventava rosso. Come poteva stare con qualcuno che lo metteva così tanto in imbarazzo?
«Ma no, Stewie! Ci guardano perché siamo piacevoli per gli occhi!» Tony roteò gli occhi ancora prima di sentire la risata proveniente da Steve.
Una risata di quel tipo non gliel’aveva mai sentita. Era liberatoria, al cento per cento senza freni. Una di quelle che fai quando sei in piena sintonia con tutto, quando stai bene dove e con chi sei. Lui una risata così non era ancora riuscito a strappargliela e dubitava ce l’avrebbe fatta. Quello era il segno evidente. Meglio andarsene.
Spostò lo sguardo verso Barton, il quale sobbalzò nel vedere l’amico togliersi gli occhiali e scoprire gli occhi lucidi. Aveva esagerato. Avrebbe dovuto mandare un messaggio a Natasha così da avere la risposta nel giro di due minuti, invece aveva deciso di seguire il suo istinto e mettersi ad origliare i due ragazzi, causando un malessere interiore a Tony.
I due amici indietreggiarono sempre accucciati fino ad arrivare all’entrata di un negozio. Si tirarono su e posizionarono cappelli e occhiali alla cavolo su un davanzale, per poi sgattaiolare fuori.
 
 
 
Thor Odinson si era preso una settimana di vacanza dal suo ranch in piena campagna per andare a trovare Steve e sua madre. Era una vita che non li vedeva, dà ancora prima si trasferissero nella Grande Mela. Ricordava sempre con piacere quando andavano a trovare la sua famiglia durante le vacanze estive, quasi per rifugiarsi dal caldo afoso di Luglio. Lui e Steve trovavano sempre un gioco nuovo da fare, a seconda della loro età, poi il 4 Luglio festeggiavano con grigliata e torta. Già, perché oltre che essere vacanza era anche il compleanno del biondo.
Aveva lasciato le redini della sua preziosa casa a sua sorella, l’unica della quale si fidava, ed era partito per New York senza avvertire i Rogers. Era riuscito a trovare sistemazione in un Hotel abbastanza carino, sempre grazie a lei, e Giovedì sera si era presentato a casa dei due per fare una sorpresa.
A Steve erano crollati tutti i piani. Odiava dare buca alla gente all’ultimo, ma Thor era lì e –al diavolo- per una volta si può anche fare. Si propose di portarlo a vedere la città fino a quando sarebbe ripartito senza pensarci troppo. Senza pensare al fatto fosse Giovedì sera e quindi sarebbe rimasto in circolazione almeno fino a Lunedì. Il che includeva il Venerdì –ma era sicuro non sarebbe stato un problema per i genitori di Wanda, avrebbero capito- ed il Sabato, punto un po’ critico.
Ciò che fece innervosire Rogers fu la risposta di Stark al suo messaggio. Il diploma l’avrebbe ottenuto anche senza l’aiuto del moro, non era così stupido, doveva solo impegnarsi di più su certe materie. Avrebbe chiesto aiuto a Natasha, poco ma sicuro.
Poi, dopo essere sceso dalla macchina nel parcheggio del centro commerciale, aveva visto l’ultimo messaggio. “non sei così importante”. Gli si strinse lo stomaco nel leggere la frase e se non fosse stato per la mano di Thor sulla sua spalla sarebbe rimasto a fissarla un’altra quindicina di minuti per imprimersela bene in testa.
Non era così importante per Stark. Già, altrimenti gli avrebbe scritto in settimana, o almeno non vedendolo il Giovedì sera. Se fosse stato un minimo importante gli avrebbe chiesto se si fosse sentito male, si sarebbe preoccupato un minimo. Le parole di Natasha erano state solo quello, parole. Forse non sapevano nemmeno gli altri ragazzi che diavolo passasse per la testa di Tony. Evidentemente, solo Tony passava per la testa di Tony. Non c’era posto per nessun altro, men che meno per Steve, doveva tornare a farsene una ragione.
Si concentrò sul fatto che doveva trovare un paio di magliette all’altro biondo perché era venuto con i cambi contati e si era avvicinato troppo a Steve mentre dipingeva, spaventandolo quasi a morte. Risultato: maglietta irrecuperabilmente sporca di tempera. Per scusarsi si era proposto di comprargliene almeno due e per quanto Thor avesse provato a dissuaderlo non c’era stato modo. Beh, avrebbe visto un centro commerciale per la prima volta, poteva farla andare.
Passare il tempo con Odinson lo distraeva un sacco da tutti i suoi problemi fin da quando era piccolo. Peccava un po’ di intelligenza, però lo faceva ridere come nessuno mai. Il che era un bene vista la situazione morale in cui si era ritrovato all’improvviso, fosse stato qualcun altro si sarebbe ritrovato a dover sforzare sorrisi per tutto il giorno.
«Che vuoi vedere, ora?» I due avevano finito le bibite ed avevano buttato i contenitori vuoti nel cestino più vicino.
«L’empire? Sif ha detto che devo assolutamente salirci!» Si muoveva sempre troppo ed all’improvviso, quindi non stupì Steve il vedere qualcuno preso in pieno dalla schiena di Thor. Il più basso sospirò, mentre il colpevole stava chiedendo scusa.
«Non sei in campagna, Thor, devi stare attento.»
«Oh, nessun problema Steve! Nat ci va giù peggio, a volte.» Steve spalancò gli occhi nel vedere Clint rialzarsi grazie all’aiuto del biondone.
«Clint! Non dovresti essere al poligono con lei?» Questo fece spallucce. Ne avrebbe parlato poi, era lì per altro.
«Storia lunga.» Si voltò verso colui che l’aveva fatto diventare un birillo. «Chi ho il piacere di conoscere?»
Thor allungò la mano verso Barton, il quale si sentiva più piccolo del solito. «Piacere, Thor Odinson.» Sì, i suoi genitori erano davvero stati crudeli nello scegliere il nome.
«E’ mio cugino.» La voce di Steve lo fece bloccare.
Lo sapeva doveva esserci una spiegazione ed eccola lì. Il cugino, la cosa più vicina ad un fratello che il figlio unico ha. Okay, ora doveva solo trovare il modo di dirlo a Tony, lasciato giù di sotto ad aspettare. Gli aveva detto di aver perso il cellulare quando si erano accucciati dietro la siepe, voleva provare ad investigare ancora un po’.
«Tuo cugino? Fantastico!» Lasciò la mano a Thor e si voltò verso l’altro biondo. «Oh, sai dov’è il negozio giocattoli? Dovrei prendere un regalo per il mio, invece.»
Steve fece spallucce. «E’ giù. Io e Thor stiamo andando via, ti possiamo accompagnare.»
Barton annuì contento di vedere almeno una cosa andare come voleva lui. Fece passare avanti Rogers cercando di tenere il più indietro possibile il cugino, che non capiva lo strano comportamento di quel ragazzo. Gli aveva detto un “fai come ti dico, ti prego” a bassa voce e si era fidato solo perché era amico di Steve.
Solo una volta sceso dalle scale, Rogers si rese conto di non avere i due ragazzi alle spalle e decise di indietreggiare per vedere se riusciva ad avere una visuale migliore così da capire a che punto fossero, andando sbattere la schiena contro una persona. Prima diceva a Thor, poi lui faceva la stessa cosa, diamine.
«Scusami, non volevo.»
«Ci mancherebbe. Avresti un po’ di problemi, altrimenti.» A Steve venne automatico sorridere nel sentire la voce del moro, il quale si stava strofinando gli occhi con i dorsi delle mani e non aveva minimamente messo a fuoco la persona davanti a lui. Si era dimenticato all’improvviso del messaggio, come se avesse avuto nessun peso.
«Meno di chi sta per sradicarsi gli occhi a forza di grattarli.» La frase più lunga concesse a Tony di riconoscere la voce e si voltò di scatto verso il biondo senza pensarci due volte.
Pessima cosa. Si ricordò di avere gli occhi rossi e liquidi appena vide il volto di Steve aprirsi in un’espressione assai preoccupata.
«Che è successo?» D’istinto gli prese il volto tra le mani e lo avvicinò al suo per essere sicuro di aver visto bene.
Stark si sentì il cuore scoppiare in petto nell’averlo così vicino dopo tanto tempo. Mentre gli occhi di Steve indagavano il suo volto, lui stava cercando di ricordarsi del ragazzo alto e biondo con il quale Rogers era. Doveva aggrapparsi a quello, a Steve e Thor insieme.
Poggiò le sue mani su quelle di Steve e se le allontanò in un gesto veloce. «Non sono affari tuoi.»
«Oh già…» L’altro inserì le mani nelle tasche dei pantaloni, ricordandosi all’improvviso del messaggio che gli aveva quasi distrutto la giornata e di quanto doveva essere sembrato stupido in quel momento. «…non sono abbastanza importante.» Fece un occhiolino a Tony con tanto di sorriso forzato, mentre l’altro aveva gli occhi sbarrati.
Perché non rifletteva, certe volte? Perché era negato per le relazioni umani? Perché Steve se la prendeva tanto con lui, poi? E dove diavolo era il suo bel fustone con tanti muscoli e poco cervello? Evidentemente li preferiva così, magari voleva sentirsi il più intelligente della coppia.
«Stewie! Non mi presenti il tuo ragazzo?» Altro colpo al cuore di Tony nel veder scendere il famigerato Thor in quel modo, con le braccia aperte verso Steve e Clint al suo fianco tutto sorridente e vittorioso.
«Non è il mio ragazzo, è un amico di Clint.» Calò il silenzio. Il sorriso di Barton si spense all’istante e cercò di decifrare lo sguardo vitreo di Tony puntato sul terreno.
Il moro sentiva i due occhi azzurri addosso che lo scrutavano, cercavano di captare qualche movimento, ma non ne fece alcuno. Era tutto inutile e lo sarebbe sempre stato. Decise di salutare Clint con un gesto della mano e di fare segno a Thor di seguirlo, perché se avesse aperto bocca era convinto si sarebbe tradito. Sarebbe uscita una voce incrinata se non tremolante, e davanti a Stark non gli sembrava il caso.
«Che diavolo hai fatto, Tony?» L’interpellato alzò il volto verso un Clint appannato.
«Un casino.» L’amico sospirò e si avvicinò per abbracciarlo, dandogli poi due colpetti sulla spalla.
«Vedrai che si risolverà.»
«Gli ho detto che non è abbastanza importante per influire sul mio umore.» Barton sciolse l’abbraccio e lo guardò stupefatto.
«Okay, dammi un secondo che chiamo Nat.» Fece per tirare fuori il telefono, ma venne fermato dall’amico.
«No. Devo sistemare io.» 
 
 
 
«Steve?» Il viso sorridente di Peggy sbucò dalla porta della camera dove Steve si era appena infilato il maglione.
«Sono pronto, ma non è un po’ presto?» Mancava ancora una mezz’oretta prima dell’arrivo di Thor sotto l’appartamento, quindi non capiva il perché fosse già lì a chiamarlo.
«C’è Tony. Se volevi invitarlo potevi chiedere.» La madre si era appoggiata allo stipite della porta con le mani incrociate e lo sguardo di chi aveva capito tutto. Come prima risposta ebbe un sospiro.
«Fallo venire qui, per favore. E non origliare.» Margaret alzò le mani in segno di resa e fece come le era stato chiesto.
Steve sentì Tony ringraziare sua madre fuori dalla porta della camera mentre si stava allacciando la scarpa destra. In quel momento ricordò cosa volesse dire avere l’ansia, chissà perché si dimenticava sempre come ci si sentiva.
«Permesso?» Fece segno di entrare ed il moro ubbidì, chiudendosi la porta alle spalle.
Nessuno dei due parlò per primo. Il biondo aveva tutte le ragioni del mondo per rimanersene zitto, sicuramente non avrebbe chiesto a Stark perché diavolo aveva deciso di andare lì a quell’ora di Sabato sera. No, non avrebbe più chiesto spiegazioni a nessuno.
Tony non aveva pensato a cosa dire, invece, ed era lì davanti ad uno Steve in procinto di essere pronto ad uscire senza riuscire ad aprire bocca. Di modi per dirlo ce n’erano tanti, ovvio, solo non voleva sembrare un emerito deficiente e rischiare di sbandierare a Steve la sua cotta. Intanto, sotto i suoi occhi, Rogers stava facendo tutto quello che doveva fare come se non ci fosse nessun altro in quella stanza.
Mentre si passava le mani sulla chioma bionda per sistemarsela, Steve riusciva a vedere dallo specchio l’altro ragazzo aprire e chiudere la bocca senza farne uscire alcun suono. Era abbastanza divertente come scena, soprattutto perché il moro non si era reso conto di essere visto e stava continuando a cercare qualcosa da dire.
Per quanto Rogers ci fosse rimasto male per quel messaggio e per come Tony aveva reagito quello stesso pomeriggio, se era lì a cercare faticosamente di parlare un motivo c’era. La decisione di non chiedere più alcuna spiegazione era nata principalmente da tre fatti: tutti i ragazzi del gruppo potevano aver frainteso ogni singola cosa; se avesse chiesto al diretto interessato probabilmente avrebbe risposto divagando o mentendo spudoratamente ed infine Stark faceva delle cose capaci di rendere palese le sue intenzioni. Probabilmente non se ne rendeva conto, ma anche solo il fatto fosse lì in quel momento voleva dire qualcosa. Stava cercando di scusarsi nel modo migliore che conosceva senza buoni risultati.
Steve sapeva quanto potesse essere difficile per Tony chiedere scusa, per questo apprezzò il tutto e gli sorrise attraverso lo specchio non appena il moro incrociò il suo riflesso.
Stark rimase a fissarlo con la bocca socchiusa. In quel momento capì che con il biondo non avrebbe mai dovuto sforzarsi troppo e diventare qualcos’altro. Poteva essere sé stesso, con i suoi limiti ed i suoi difetti, lui avrebbe colto le sue intenzioni, come in quel momento.
Nel mentre Steve si era girato ed era arrivato davanti all’altro, sempre con quel sorriso capace di togliere il fiato a chiunque.
«Ti andrebbe di venire a cena con noi?» Tony si immobilizzò di colpo.
Okay, che faccio? Sì, no? Qual è la risposta giusta? Posso chiamare qualcuno? AIUTO. CLINT PERCHE’ MI HAI FATTO VENIRE DA SOLO. Lo sai che quando dico “faccio io” devi seguirmi per evitare altri casini. LO SAI.
Aveva spalancato gli occhi senza nemmeno rendersene conto e Steve si sentì un completo idiota per averglielo chiesto. Chissà cosa stava andando a pensare in quel momento. Probabilmente aveva capito provasse qualcosa nei suoi confronti, perché chi inviti a cena con una parte di famiglia? Idiota.
«Lascia stare, non so perché te l’ho chiesto.» Rogers spostò lo sguardo verso la porta dalla quale giunse la voce della madre che li rendeva partecipi dell’arrivo di Thor. «E’ ora di andare.» Fece un paio di passi sorpassando Tony, il quale comprese di avere solo quella possibilità per riprendersi dal suo attacco isterico mentale.
«Vengo volentieri.» Il biondo si bloccò a pochi passi dalla porta e si voltò verso il moro. «Se sono ben accetto, ovviamente.» Ci fu uno scambio di sorrisi prima di avviarsi verso la cucina, insieme.
 
 
 
Stark non era abituato a quei tipo di ristoranti caserecci con camerieri aperti e pronti a scherzare con i clienti. Suo padre l’aveva sempre portato in posti ben diversi e con i suoi amici ordinava solo a domicilio, se non andavano ad un fast food. Steve era perfettamente a suo agio, lo sentiva scherzare con la cameriera mentre lui teneva il volto fisso sul menù. Si sentiva terribilmente fuori luogo, grazie al cielo aveva su ancora la maglietta dei “Black Sabbath” ed i jeans.
I suoi pensieri vennero interrotti dalla mano di Steve appena appoggiata al suo avambraccio. Alzò lo sguardo verso i due occhi azzurri e riuscì a dire solo un “mh?” mentre pregava di non diventare rosso almeno quella volta.
«Manchi solo tu, cosa prendi?»
Problema: Tony non aveva minimamente letto il menù. Era rimasto a fissarlo ragionando su quanto quel posto fosse diverso da ciò a cui era abituato e quando si sentisse a disagio. Quello era uno dei momenti in cui Stark riusciva sempre a tirarsi fuori dai guai, evitando una figura penosa, ma se avesse continuato a tenere gli occhi su Rogers gli sarebbe venuto difficile, quindi spostò lo sguardo sulla cameriera ancora sorridente.
«So che non è una tra le domande preferite dei camerieri, ma non sono abituato a certi ristoranti, quindi: che mi consiglia?» Steve spalancò gli occhi e si scambiò uno sguardo con sua madre, la quale si coprì la bocca per non far vedere il sorriso divertito nato per le parole di Tony. Tale e uguale al padre, decisamente.
«Cosa intende per “certi ristoranti”?» Lo sguardo della ragazza con in mano il blocchetto lasciava pochi fraintendimenti, era pronta a conficcargli la biro nella glottide nel caso avesse risposto nel modo errato.
«Caserecci, possiamo dire.» La frase era uscita in un modo bruttissimo, non voleva essere offensivo ma il tono di voce aveva dato quella sensazione agli altri quattro presenti.
«Fai la stessa cosa che ho ordinato per me, okay?» Steve guardò la cameriera che guardava Tony in cagnesco mentre aggiungeva una stanghetta in parte all’ordine del biondo. Sarebbe scoppiata nel giro di tre secondi, contati mentalmente dal biondo mentre si sistemava il tovagliolo sulle braghe.
«Sa’ cosa, mister Stark? La prossima volta porti il suo ragazzo in uno dei suoi sciccosissimi ristoranti.» Il moro la guardò con aria stupefatta mentre raccoglieva i menù e Steve sbuffò lasciandosi andare allo schienale della sedia.
«Non sono il suo ragazzo, Maria.» Gli occhi di Tony passarono al ragazzo messo di fianco a lui.
«Spero davvero, perché con un tipo del genere saresti sprecato.»
Certe frasi colpivano Stark dritto nello stomaco. Forse perché lo riportavano alla realtà in momenti come quelli, dove poteva essere tutto frainteso. La verità era quella, palese palese. Steve era troppo per poter stare con qualcuno come lui.
Steve aveva preso un pacco di grissini dal centro tavola senza dire una parola perché non pensava all’altro importassero certe frasi, probabilmente gli era scivolata addosso. Già tanto non avesse risposto con un “sarebbe solo fortunato a stare con uno come me”.
Però Peggy aveva notato come lo sguardo di Tony era diventato assente spostandosi sul piatto. Non voleva dire una stronzata, ma probabilmente a quel moretto piaceva suo figlio. 
«Maria ha un bel caratterino, vero?» I tre paia di occhi andarono sulla donna della tavola, la quale stava guardando Stark con un sorriso gentile in volto. «E’ una compagna di classe di Steve, peccato tu l’abbia conosciuta in tale situazione.»
«Sì, solitamente è simpatica.» Steve si chiuse nelle spalle e morsicò un grissino.
«Non è colpa della ragazza. Stark non è stato carino.» Thor ricevette due occhiatacce da parte dei suoi famigliari ed aggrottò le sopracciglia per capire cosa avesse detto. «E’ la verità!»
Tony si lasciò andare alla sedia facendosi scappare uno sbuffò non ignorato dal suo vicino. Forse Steve si era sbagliato a pensare non gli importasse di quella frase e forse doveva tornare a cercare di unire i puntini per capire cosa passasse nella testa del moro.
Mentre Peggy articolava Thor cercando di fargli intendere indirettamente quanto ci fosse rimasto male il ragazzo senza ottimi risultati, Steve aveva optato per allungare un grissino in direzione del ragazzo, il quale alzò lo sguardo verso il biondo sorridente.
Altra cosa di cui si rese conto: Steve ed i suoi piccoli gesti lo tranquillizzavano e lo facevano sentire come se fosse nel posto giusto, anche lì.
Ricambiò il sorriso dopo aver preso in mano il grissino sotto gli occhi di Peggy, che aveva smesso di discutere con il nipote gustandosi la scena. Forse il gossip un fondo di verità ce l’aveva.  
«Siete sicuri di non piacervi?» Alla scena aveva assistito anche Thor, purtroppo, ed aveva appena rovinato tutta l’atmosfera facendo quasi strozzare Stark con un pezzo di grissino e trasformando Steve in un pomodoro con gli occhi.
«Che diavolo di domanda è?» Steve cercò di riprendersi e diede un paio di pacche sulla schiena a Tony per aiutarlo a togliere il tocco incastrato.
«Beh, oggi pomeriggio sembrava non vi conosceste ed ora sembrate intendervi solo a sguardi.» Tony fece segno a Steve di fermare le manate sulla schiena e prese in mano il bicchiere bevendo tutta l’acqua versata poco prima. «La mia conclusione è che prima Stewie era stato probabilmente offeso da qualcosa fatta o detta da Stark, poi lui ha chiesto scusa ed ora è tutto tornato come prima.» Il moro fece un bel respiro a pieni polmoni provando la gioia di non avere più la gola bloccata. «Come una coppia, in pratica.»
Peggy si godette la scena con la schiena appoggiata alla sedia ed un sorriso stampato in volto. La settimana prima aveva visto un po’ di interesse nei confronti di Tony, in suo figlio, ma aveva pensato a qualcosa di più inerente alla possibile amicizia, non a quel tipo di interesse. Era ancora meglio.
I due ragazzi ringraziarono silenziosamente Maria arrivata con il cibo, l’unica cosa in grado di far distrarre Thor.
Steve aveva deciso di cambiare discorso appena possibile, riuscendo a non far tornare il cugino su loro due. Però aveva visto anche l’effetto che quella frase aveva fatto su Tony, il quale non aveva smentito comunque. Più collegava i puntini, più il quadro diventava abbastanza chiaro.
La cena passò via abbastanza veloce fino al momento del dolce dove Thor ricevette una chiamata dalla sorella e Peggy decise che andare in bagno e lasciare soli i due ragazzi era la cosa giusta da fare.
«Direi che la prossima volta tocca a me.» Il silenzio che si era formato venne spezzato da Tony, il quale optò per scherzare un po’. Per tutta risposta ebbe un sopracciglio alzato di Steve. «Spero ti piaccia il sushi.»
Il biondo sorrise appena capì il gioco messo in atto. Scherzare in quel modo con lui stava diventando fin troppo piacevole. «Mai mangiato, quindi vedi di portarmi in un ottimo posto.»
«Ah-» Tony alzò le sopracciglia. «Pure pretenzioso.»
Steve fece spallucce. «Beh, dipende come vuoi far finire la serata.» La frase venne seguita da un occhiolino che mandò il moro in palla completa. Doveva rispondere. Doveva riprendersi e continuare il gioco, ma la sua espressione divenne impassibile.
«Questa come va a finire, invece?» Incastrò i suoi occhi nocciola nelle due pozze azzurre di Rogers, il quale strinse le labbra.
Cosa voleva Stark da lui, davvero? Fino a pochi minuti prima stava mettendo insieme dei punti per capire quanta verità c’era nelle parole di Natasha, riuscendo anche abbastanza bene. In quel momento, invece, la frase a doppio senso inequivocabile fatta dal moro in quel modo fin troppo serio l’aveva fatto tornare alla sua idea iniziale: non avrebbe avuto altro di più che una semplice nottata.
Voleva scomparire all’istante. Si era illuso talmente tanto del contrario che il ritorno a quella convinzione lo colpì in pieno stomaco. Fortunatamente Thor tornò due secondi dopo, seguito subito da Peggy.
Il ristorante era poco lontano dall’appartamento, quindi ci erano arrivati a piedi ed a piedi dovevano tornare indietro.
Tony si era reso conto di un cambiamento nell’umore di Steve dopo la sua ultima frase. Forse l’aveva detta un po’ troppo seriamente ed aveva capito tutto. Ora stava cercando di stargli il più lontano possibile per non illuderlo. Era sempre stato così bravo a rovinare tutte le cose belle che gli capitavano, perché questa volta doveva essere diverso?
«Nat mi ha chiesto se vogliamo raggiungerli da Bucky.» Stark sobbalzò nel sentire la voce di Rogers così vicina rispetto a dove se lo ricordava poco prima. «Ha invitato anche Thor.» Gli fece un sorriso divertito, come se si stesse già immaginando suo cugino in mezzo ai loro amici.
Niente, ogni volta che pensava il biondo ce l’avesse con lui veniva smentito bellamente.
«Sì, ci sto. Prendiamo la mia macchina.» Tony tirò fuori le chiavi e fece scattare le luci di una Audi poco distante. 









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Note dell'autrice: E' arrivato Thor! (Per Loki ho altri piani, sorry sorry.)
A parte questo, ora l'hanno capito proprio tutti tranne i due. Non è bellissimo? 
Comunque, grazie a chi ha commentato, a chi segue e mette tra i preferiti ed ovviamente a chi legge. Siete tanto pasticcini. 

Un bacio, 
BR.

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Capitolo 14
*** Drunky boy II. ***


Stark aveva bevuto un po’ troppo. Di nuovo.
Questa volta non era colpa sua, però. Clint e Bucky erano stufi di vedere i loro due amici corrersi incontro e poi fare gli stessi passi indietro. Avevano deciso che quella sarebbe stata la serata giusta, almeno uno dei due doveva svegliarsi fuori. Ne bastava uno, poi tutto il resto sarebbe venuto da sé.
Barton conosceva il suo amico da quando erano piccoli, forse era quello che conosceva da più tempo, e sapeva quanto odiasse perdere le scommesse o sentirsi dire “tanto non ce la fai”. Sia lui che Bucky, poi, erano a conoscenza di quanto poco Tony reggesse il secondo, quindi se le sfide fossero state buttate da James si andava sul sicuro.
Erano riusciti a prendere il moro sottobraccio appena arrivato, portandolo alla tavola imbandita a bancone da bar. Clint gli disse che Bucky era sicuro non sarebbe riuscito a reggere una sfilza di cose da bere e da lì era partito il tutto. Dopo aver finito l’elenco di alcolici prefissato dai due si erano aggiunti un paio di shots alla tequila. Il risultato fu Tony accasciato sul divano che straparlava con ai lati i due malfattori, i quali trovarono finalmente Steve parlare con Natasha, Thor e Bruce mentre sorseggiava un cocktail fatto da Sam, improvvisato barman.
«Ehi Tony, c’è il tuo Steve.» Tony strinse gli occhi cercando di mettere a fuoco, per poi scuotere la testa e sbiasciare una frase molto simile ad un “non è mio” lamentoso.
«Sai cosa, Clint? Scommetto che non andrebbe mai a baciarlo.» Clint arricciò le labbra e guardò l’amico.
«Questa volta devo dare ragione a Bucky, Tì. Non hai il coraggio.» Vide il moro scuotere la testa in disaccordo, quasi offeso dalla supposizione fatta da Barnes e sostenuta da Barton. Fece leva sulle mani e si alzò, barcollando per un secondo e rimanendo in piedi solo grazie a Rhodey, il quale passava di lì in quel momento.
«Ora vi faccio vedere io.» Aveva indicato i due ragazzi ancora seduti, per poi avviarsi in direzione del biondo.
Rhodes cercò di andare dietro a Tony, ma venne tirato sul divano da Clint e Bucky, intenti a dirgli di stare zitto e guardare la scena. Vedeva l’amico faticare ad andare avanti, ma non ci volle molto per individuare il suo punto d’arrivo. Avrebbe dovuto dare un pugno ai due ed andare a fermarlo, però non avrebbe mai fatto in tempo.
«Ehi, Stebe!» La voce del moro attirò tutti i presenti nella stanza, mentre il modo in cui era stato chiamato fece preoccupare tantissimo il biondo. Si voltò comunque, trovandosi a pochi passi un Tony messo abbastanza male.
«Hai bevuto di nuovo come…» La domanda di Steve venne interrotta dalle mani di Stark che si aggrapparono al colletto della camicia e lo portarono alla bocca dell’altro.
Dalla sorpresa fece scivolare il bicchiere dalla mano –Bucky aveva previsto anche quello, spiegati i bicchieri di plastica. Sentì il cuore partire per tutta una sua strada, senza ascoltare Steve pregare di calmarsi per permettergli di ragionare. Voleva lasciarsi andare, voleva davvero, perché quelle labbra erano dannatamente morbide e riuscivano a rendere buono anche il sapore di tutti i miscugli alcolici bevuti dal miliardario. Ma sapeva di non poterselo permettere. Aveva fin troppi occhi puntati addosso per chiudere i suoi, quindi mise le mani su quelle di Stark –ora intorno al suo collo- e le staccò così da riuscire ad allontanarsi dal volto che aveva di fronte.
«Tony, che diavolo ti è preso!» L’interpellato strizzò gli occhi un paio di volte e poi puntò il dito in direzione dei tre sul divano.
«Clint e Barnes hanno detto che non l’avrei fatto.» I due si beccarono occhiate fulminee da ogni singola persona nella stanza, tranne Thor, lui se la rideva un sacco.
Tony attirò nuovamente l’attenzione di Steve perché gli barcollò davanti, spingendolo a tenerlo in piedi. Sembrava peggio dell’altra volta.
«Dio santissimo, quanto gli avete fatto bere?!» Non staccò gli occhi dal moro, che continuava a strizzare i suoi ed a muovere la testa cercando di mettere a fuoco le cose intorno.
«Non tanto…» Bucky guardò Clint, il quale alzò le spalle.
«Forse due o tre…»
«Tony li regge due o tre cocktail.» Rhodes diede una manata sul coppino ad entrambi.
Gli sguardi peggiori arrivarono da Natasha e Steve, un po’ perché Sam e Bruce sapevano i due amici non si sarebbero scusati ed un po’ perché erano gli unici a potersela prendere con entrambi in egual misura.
Mentre la rossa aveva iniziato a riempire di insulti i malfattori, Tony si era fermato a guardare il volto del biondo con un’espressione contrariata. Le labbra di Rogers erano incurvate in una smorfia poco socievole, quasi fosse pronto a lanciare il tavolo addosso a qualcuno, e questo non gli andava bene. Portò gli indici all’altezza degli angoli di quella bocca e li alzò, ricevendo dall’altro un indietreggiamento ed un sopracciglio alzato.
«Mi piaci di più quando sorridi. Hai un bel sorriso.» Rogers spalancò gli occhi. Intorno a lui si era bloccato tutto per un attimo, dalla risata di Thor alle parole di Natasha. L’unico rumore furono le mani di Clint e Bucky unite in un cinque contornato da espressioni vittoriose, cosa che causò un piccolo spavento a Tony facendogli perdere l’equilibrio appena trovato.
«Okay, penso sia meglio andarci a sedere.» Steve l’aveva fermato appena in tempo, di nuovo. Lanciò uno sguardo a Rhodey, il quale decise di tirare su con la forza i due ragazzi dal divano, così da lasciare spazio alla povera vittima dei loro scherzi.
Cercò di lasciar andare Stark il più dolcemente possibile, poi si tirò su e si voltò verso gli altri presenti in stanza dando la schiena all’ubriaco.
«Che facciamo?» Incrociò le mani al petto e guardò il gruppo di ragazzi davanti a lui.
«Oh, dalle mie parti li facciamo correre. Dovreste vedere come si buttano giù a vicenda.» Da Thor partì una risata data dal ricordo di qualche festa fatta nella sua zona.
«Ricordami da dove viene tuo cugino?» Il sorriso divertito sul volto di Sam gli fece capire che probabilmente se lo sarebbe appuntato da qualche parte per andarci. Soffiò e roteò gli occhi.
«Qualcun altro?»  
Intanto che la discussione si animava delle soluzioni più banali ed inutile, Tony era intento ad osservare cosa aveva davanti con la testa ciondolante da un lato.
Non si era mai impegnato troppo a studiare arte, aveva visto giusto due o tre cose, ma era abbastanza sicuro che quel fondoschiena facesse invidia alle statue antiche. I pantaloni scelti da Steve, poi, lo fasciavano alla perfezione, era praticamente impossibile non fermarsi a fissarlo, come aveva fatto a notarlo solo in quel momento?
All’improvviso si zittirono tutti. La maggior parte dei presenti aveva stretto le labbra per non farsi scappare una risata, mentre Clint e Bucky se la sghignazzavano allegramente e Thor stava vivendo il momento più divertente della sua permanenza in quella città.
Tutto era partito dallo scatto in avanti fatto da Steve appena una mano gli aveva afferrato il gluteo sinistro. S’era girato con le gote rosse e lo sguardo stupefatto verso il divano, dove si trovava uno Stark con il braccio destro teso.
«Che diavolo fai?!» Come risposta ebbe un’alzata di spalla.
«Controllavo.» Tornò con la schiena appoggiata al divano. «Sembrano di marmo, fai pilates?»
Rogers si stava sentendo estremamente in imbarazzo. La situazione era peggiorata da Barnes e Barton che si spalleggiavano e ridacchiavano in sottofondo. Aveva perso anche il sostegno degli altri, i quali si stavano ricredendo sulla qualità dell’idea dei loro amici. Fece un bel respiro.
«No, Tony.» Questo arricciò le labbra ed assunse un’espressione pensierosa, indeciso se credergli o no.
«Penso ti crederò.» Steve inarcò un sopracciglio e fece un sorriso divertito.
«Oh, grazie. Molto gentile.» Tony ricambiò il sorriso, per poi battere una mano sulla zona libera accanto a lui.
Momento di gelo improvviso. Le risate si bloccarono e gli occhi andarono tutti sul biondo, il quale sapeva non sarebbe cambiato molto. Avrebbe ricevuto battutine sia se si fosse seduto, sia se fosse rimasto in piedi, quindi che importava? Fece un passo in avanti, una semi giravolta su sé stesso e si posizionò dove gli era stato cortesemente chiesto dal ragazzo sbronzo, che appoggiò la testa alla sua spalla per tutta risposta. Arrivò un “ow” dalla direzione di Bucky, ma il biondo decise di non curarsene minimamente. Piuttosto lanciò uno sguardo alla rossa.
«Okay, ragazzi! Si va.» Capì al volo, ovviamente.
Ci furono un paio di contestazioni, soprattutto da Barnes e Barton abbracciati per non farsi dividere proprio in quel momento. Ma la rossa sapeva come convincere il suo ragazzo, quindi si scusò con il nuovo amico e si preparò ad andare via offrendosi pure di allungare Thor fino all’Hotel in cui alloggiava. Bruce e Rhodes decisero di non contestare, avevano recepito in fretta fosse meglio stare agli ordini di Natasha, in più il primo stava morendo di sonno per davvero.
Prima di uscire, Natasha lanciò uno sguardo che lasciava ben poco a contraddizioni verso il proprietario di casa. «Tu ora vai a letto.»
Tutti si erano mossi fin troppo velocemente per Stark, aveva dovuto chiudere gli occhi e strizzarli un paio di volte. Non aveva ben capito cosa fosse successo, però Steve era rimasto lì, quindi andava bene lo stesso.
Barnes ringraziò di avere casa libera per una settimana intera, almeno i suoi non avrebbero fatto domande nel trovarsi Steve e Tony sul divano.
«Vado a dormire!» Si stiracchiò e finse uno sbadiglio, beccandosi un’occhiataccia dall’amico.
«Sappiamo entrambi resteresti qui a fare battutine tutta notte.»
«Già, ma Nat mi fa un sacco paura quando mi guarda così.» Steve sbuffò una risata e scosse la testa, girandosi verso Tony appena sentì le sue mani cingergli la vita e fare uno sbadiglio. «Ohi. Senti, vi lascio camera mia, ma non fate gli sporcaccioni.» Poi scappò nel corridoio prima di beccarsi la lampada in testa.
Quanto ancora ci sarebbe voluto prima che si stancasse di fare certe battute non era sicuro di volerlo sapere, probabilmente mai. Però poteva conviverci. Alla fine e viste da fuori, con il senno di poi, alcune erano anche divertenti.
Un altro sbadiglio fece tornare nuovamente lo sguardo del biondo verso il morettino, intento a strusciare la faccia sul suo braccio.
«Penso sia meglio andare a dormire, che dici?» Ci fu un piccolo annuire come risposta e concesse a Steve di prenderlo in braccio e portarlo di peso nella stanza di Barnes.
Lo poggiò sul letto, sistemandogli le coperte come meglio gli venne. Era pronto a tirarsi su e tornarsene in salotto a dormire, quando Tony gli prese un braccio.
«Potresti rimanere qui?» Se la speranza avesse avuto un colore sarebbe stato il nocciola, il biondo ne era convinto.
Avrebbe dovuto ponderarci un po’ di più, ma gli bastò il ricordo dell’ultima volta e del distacco tra quando si era alzato lui e quando il moro per annuire e sistemarsi vicino. Insomma, doveva anche tenerlo controllato. Se si fosse sentito male chi l’avrebbe accompagnato fino al bagno? Dal divano non avrebbe sentito.
Sì, era la scelta giusta.
Rimasero per un po’ a guardarsi, Steve perché non aveva poi così tanto sonno e Tony perché stava combattendo con tutto sé stesso per restare sveglio e godere di quel momento.
«Dovresti provare a dormire un po’.» Aveva ragione, Stark lo sapeva.
Esattamente come sapeva che la mattina dopo non si sarebbe ricordato né di quell’attimo, né di quelli prima. Voleva tenere gli occhi aperti per quello; per stare in quel modo con Steve ancora per un po’. Se avesse resistito abbastanza forse sarebbe arrivato ad un punto in cui qualcosa poteva rimanere, perché era uno di quei momenti in cui stava bene grazie al biondo, uno di quei momenti che voleva tenere con sé e tirare fuori quando tutto andava a male. Ma il sonno avanzava velocemente e gli occhi iniziavano a chiudersi da soli. Purtroppo non aveva tanta forza di volontà, date le condizioni.
Prima di lasciarsi andare poteva provare ancora una cosa, però.
«Mi daresti il bacio della buonanotte?» Vide la bocca di Steve socchiudersi in segno di sorpresa. Quando si è ubriachi sicuramente non ci si pente di ciò che si dice, ma alcune volte si recepisce quando la cosa sembra poco gradita, dunque chiuse gli occhi ed alzò le spalle. «Fa niente, dormo senza.»
Anche se non lo poteva vedere, il biondo sorrise prima di appoggiare una mano sulla guancia del ragazzo di fonte a lui, per poi avvicinarsi con il volto, facendo congiungere le labbra a quelle dell’altro.
Probabilmente era stata la scelta peggiore di tutta la sua vita perché, diamine, quelle labbra erano la cosa più morbida che avesse mai baciato ed aveva il cuore pronto a balzargli fuori dal petto.
Steve era di nuovo diviso in due. Una parte di lui voleva credere Tony sapesse di avere davanti lui, sperava ci fosse un motivo fondato in quella richiesta; l’altra spingeva sul fatto che, appunto, era ubriaco. Era la parte più razionale, quella che ci teneva a ricordargli quali tipo di relazioni preferisse Stark. Quella più scocciante, certo, ma quella a cui doveva aggrapparsi per non farsi avvolgere completamente da cosa provava.
Appigliato a quell’ultimo pensiero si staccò dalle labbra del moro, accarezzandogli la guancia con il pollice.
«Buonanotte Tony.» L’altro ricambiò con un sorriso e chiuse gli occhi.
Stava per lasciarsi andare anche il biondo, quando delle parole sussurrate, dette con la poca forza concessa a chi si sta per addormentare, gli arrivarono all’orecchio.
«Vorrei tanto ricordarmelo.»
Rogers ci mise un po’ di più ad addormentarsi.
 
 
 
I coniugi Barton avevano questa strana fissa di alzarsi presto la Domenica mattina per fare qualcosa di interessante, la scelta poteva spaziare da musei a scampagnate fuori città, dipendeva dall’umore e dal tempo. Fino a quando erano riusciti si erano sempre portati dietro il figlio, poi era cresciuto ed aveva capito la bellezza di dormire tre ore in più –se andava bene. A volte capitava ancora di vedere Clint infilarsi i vestiti più adatti e seguirli, ma sicuramente non quando Natasha si fermava lì a dormire.
Niente in contrario, anzi sua madre era così felice di averla in casa che il ragazzo le aveva beccate più volte parlare di qualcosa e zittirsi appena si accorgevano della sua presenza. Il padre, poi, conosceva bene quello della Romanoff e sapeva non avrebbe portato problemi. La vedevano molto come influenza positiva nella vita del figlio.
Beh, sicuramente lei non avrebbe mai fatto ubriacare fin quasi allo svenimento uno dei suoi migliori amici per la semplice gioia di vederlo baciarsi con la propria cotta, cosa che non s’era risparmiata di ricordargli una volta svegli, vestiti ed al tavolo con brioches e caffè davanti.
«Pensi di andare avanti tutto il giorno? Per organizzarmi la giornata, sai.» Clint morsicò una brioche alla crema dopo quella frase.
«Dico solo che potresti inviargli un messaggio per sapere come sta, se si è svegliato, se sta bene.» 
«Se ha placata la sua frustrazione con Steve.» Si beccò un’altra occhiataccia dalla rossa. «Che c’è? Perso il senso dell’umorismo?» La vide appoggiarsi allo schienale e guardare dentro la sua tazza. Inarcò un sopracciglio. «Nat, che hai?»
Lei non si era resa conto di averlo guardato male, era stata una cosa istintiva nel sentire la frase del suo ragazzo. Le era tornato alla mente il monologo di Steve su Tony e l’improbabilità volesse qualcosa per davvero. Vedere star male Rogers sarebbe stato difficile da reggere.
«Ora ti farò una domanda e tu sarai sincero al cento per cento.» Clint fermò la brioche a mezz’aria, la portò sul tavolo e chiuse la bocca. «Tony ha davvero una cotta per Steve?»
Corrucciò le sopracciglia a quella domanda. Ne avevano già parlato qualche tempo prima, dopo le ventiquattro ore di silenzio radio da parte dei due ragazzi. Perché sembrare dubbiosi ora, quando i giochi erano quasi fatti?
«Che cosa mi stai chiedendo veramente?» Natasha si portò la tazza alla bocca e bevve un sorso del liquido, un po’ per darsi forza.
«Quante possibilità ci sono che non sia semplicemente un capriccio, una frustrazione, appunto.» Clint fece spallucce.
«”La reputazione di uno Stark arriva sempre prima di lui” sai chi è stato il primo a dirla?» Vide la sua ragazza scuotere la testa in segno di negazione. «Tony. Sai perché?» Stesso gesto di poco prima come risposta. «Perché è vero.»
«Che diavolo di risposta è?»
«Non è forse così?» Incrociò gli occhi di lei, pronta ed attenta ad ogni futura sua parola. «Ti ricordi la prima uscita tutti insieme? La frase di Steve rivolta a Tony?» Annuì, ricordandosi come si era raggelata l’atmosfera per un attimo. «Non era la prima volta e non sarà l’ultima, vero?» Non capì a cosa il suo ragazzo si stesse riferendo, ma la precedette prima che riuscisse a chiedere. «Dubito il dubbio sia partito da te. Scommetto su Steve, mi sbaglio?» Natasha arricciò la bocca e spostò lo sguardo di lato. Risposta abbastanza eloquente. «Vedi, io posso dirti tutto quello che voglio. Posso dirti quanto Tony stia combattendo contro sé per starsene buono nel suo angolino perché pensa di non essere all’altezza; posso dirti di non averlo mai visto stare così male per una persona come ieri, quando abbiamo visto Steve con suo cugino ed abbiamo pensato stessero insieme; posso dirti tutto questo e di più, ma non ha importanza.» S’era fermato con l’attenzione sulla tazza che aveva in mano e stava per arrivare alla bocca.
Non serviva continuasse. La verità era lì, cristallina. Tony aveva una bella cotta per Steve, c’erano tutti gli elementi in grado di confermarlo, ma se l’amico di Natasha rimaneva della sua idea poco sarebbe importato. Sarebbero nate scuse e giustificazioni per tutto, Steve era un asso in queste cose.
Si passò una mano tra i capelli mossi mentre la sua mente cercava una soluzione, nonostante sapeva quanto fosse insensato.
«Tony è la persona che conosco da più tempo. Più di Bruce e Rhodey.» Clint stava guardando un punto fisso sul tavolo, era quasi assente. «Andavamo allo stesso parco e mi sembrava sempre così triste. Se ne stava da solo a costruire cose con i cubi, mentre la sua tata lo guardava. Un giorno decisi di portargli dei pezzi di cioccolata, pensavo i bambini tristi lo fossero perché non sapevano che sapore avesse.» Gli scappò una risata lieve. «Lui mi fece spazio nel suo angolino privato. Ogni giorno di cioccolata in più, era un giorno di spazio in più. Però arrivò la volta che mia madre si dimenticò di comprarla. Arrivai da lui con la faccia da cane bastonato dicendo di esserne a corto e lui risposte “non importa, posso comprarmela anche da solo”.» La Romanoff sorrise immaginandosi un piccolo Tony che sentenziava su cose da bambini. «Non ti immagini quanto me la presi. Ero pronto a girare i tacchi ed andare con gli altri bambini a giocare, ma poi disse “non ti siedi?” con uno sguardo che ricordava quello triste dell’inizio. Lì capii che non era la cioccolata a renderlo felice, ma la presenza di qualcuno, di un amico.» Natasha s’era protesa in avanti per riuscire a poggiare una mano sull’avanbraccio di Clint, il quale si stava emozionando non poco per il ricordo. Diavolo, conosceva quel morettino da una vita. «Per questo ti dico di essere sicuro su di lui.»
«Okay allora, escogitiamo un piano.» La rossa si era alzata ed aveva unito le mani, portandole poi sopra la sua testa per allungare le braccia e stiracchiarle. «Che funzioni, magari.»
 
 
«Dormito bene, principino?» Bucky era insopportabile già di prima mattina, Tony doveva segnarselo da qualche parte.
Era appena entrato in cucina, dove c’erano già Steve ed il padrone di casa, che si era trovato quest’ultimo a dargli una spallata e porre quella domanda a voce un po’ troppo alta per un risveglio da post sbronza.
«Fallo almeno riprendere prima di torturarlo, Buck.» Il biondo comparve nella sfera visiva di Stark quando gli appoggiò davanti l’aspirina con un bicchiere d’acqua. Alzò il volto e lo ringraziò con un sorriso, facendogli perdere un battito. «Non ti ci abituare troppo, però.»
Barnes finse un coniato di vomito nel vedere i due sorridersi per così poco, la cosa sfuggì solo ad uno dei due, mentre l’altro aveva scosso la testa mandando l’amico a quel paese nel modo meno fine a lui concesso.
«Thor?» Tony si era guardato in torno dopo aver mandato giù l’antidolorifico alla ricerca del biondone, sorprendendosi nel non trovarlo.
Aveva dato per scontato Steve fosse lì perché era arrivato in auto con lui, la sera prima, quindi doveva esserci anche il cugino tra quelle stanze, ma dal corridoio non arrivava alcun rumore.
«L’ha allungato Clint quando sono andati via.» Steve finì di versare il caffè in una tazza e prese un piatto con dentro una ciambella, poggiandoli poi sul tavolo per Tony.
«Oh, e perché tu sei rimasto qua?» Prese con la sinistra la ciambella e con la destra la maniglia della tazza, portandosi quest’ultima subito alla bocca.
«Perché ti sei avvinghiato a lui come una cozza sullo scoglio dopo averlo baciato.» Prima che Rogers potesse provare a ragionare su quale scusa dire, Bucky aveva dovuto dire la sua, beccandosi un occhiataccia dall’amico e facendo mandare di traverso la bevanda al ragazzo seduto.
Stark tossì un paio di volte e si fece scappare un “che?” strozzato.
«Volevo vedere fino a che punto odiavi perdere le scommesse.» Barnes fece spallucce, mentre lo sguardò esterrefatto di Tony passò su Steve, il quale si portò una mano dietro la testa e fece un sorriso imbarazzato.
Ora come ci si comportava? Doveva chiedergli scusa? Prendere a parole il ragazzo con il codino?
La sua mente non riusciva a cavar fuori una risposta giusta, quindi si ritrovò a seguire il suo istinto, assumendo un’espressione tranquilla quanto più fosse concesso.
«Beh, scommetto che ora non potrai più farne a meno.» Morsicò la ciambella e poi spostò lo sguardo verso Steve, che aveva inarcato un sopracciglio e smorzato il sorriso. «Dei miei baci, intendo. In giro dicono siano i migliori della città.»
Bucky era convinto al novanta per cento di star per assistere ad un Rogers peperone in procinto di cercare qualcosa da dire, andando solo a peggiorare la situazione e portando il moro a capire qualcosa di più. Poteva già gustarsela nella sua mente.
Invece Steve aveva abbassato il braccio con nonchalance ed era andato a prendere la sua brioche.
«Ti posso dire che sicuramente non vale per quando sei ubriaco.» Tony lo guardò sorpreso dalla risposta e con un angolo della bocca alzato.
«Vuoi provare da sobrio?» I due incrociarono per qualche secondo, dopo quella frase, sotto lo sguardo sbalordito di Bucky.
Cosa stava succedendo, di grazia? Quei due stavano facendo un botta e risposta che avrebbe fatto invidia a Clint e Natasha e non era ancora finito. Guardò Steve circumnavigare il tavolo con tutta la calma del mondo e fermarsi solo una volta davanti all’atro ragazzo. Si cucciò fino al suo volto e rimase lì per frazioni di attimi recepiti da Tony come infiniti.
Rogers si era fermato troppo vicino, lo sapeva perfettamente. Nella testa gli rigiravano le ultime parole del moro dette prima di addormentarsi e si chiedeva se fosse poi così un errore baciarlo anche da sobrio. Chissà, magari si sbagliava a seguire la parte razionale che anche in quel momento stava cercando di farlo ragionare. Magari avrebbe solo dovuto avvicinarsi ancora un po’ ed avrebbe ottenuto tutte le risposte, riscontrandole concordi alle sue speranze.
Stark si chiedeva perché continuasse a fare quei giochetti con il biondo? Poi si trovava in situazioni come quella e doveva lottare con tutto sé stesso per non afferrargli la testa e tirarselo contro. Forse perché un po’ sperava l’avesse fatto l’altro, sarebbe stato l’unico modo per essere sicuro. Ancora sperava in qualcosa, ma ottenne solo bacio sulla guancia ed una frase a pochi centimetri dalla pelle.
«Mi dispiace, non penso tu sia pronto per reggerne uno mio.»
Tony si morsicò internamente il labbro inferiore, riducendo la bocca in una linea sottile. Le opzioni erano due: quel ragazzo l’avrebbe o fatto impazzire o morire d’infarto. Fece schioccare le labbra in un rumore sordo guardando Steve indietreggiare e fissarlo da poco più avanti.
«Modesto, mi dicono.» Steve fece spallucce e tornò al suo posto per riprendere la colazione dove l’aveva lasciata.
«Ho un buon insegnante.»
Nel suo piccolo angolino, Barnes era sicuro di aver assistito alla chiara conferma di quanto quei due si ricorressero. Non tanto per lo scambio di battute, assolutamente no. Per gli sguardi; per come giocavano perfettamente sulle tempistiche; per come erano rimasti in stallo qualche secondo prima che Steve si decidesse a dargli un bacio sulla guancia, quasi stessero ponderando se fare il passo oppure no; per come, in quell’istante, stessero sorridendo sotto i lati delle tazze per non farsi vedere dall’altro, probabilmente per non sembrare troppo stupidi reciprocamente.
Nemmeno sapevano quanto lo sembravano da fuori, invece. Si erano addirittura dimenticati della sua presenza, tanto che quando si mosse per avvicinarsi al tavolo li fece sobbalzare.
Serviva una riunione con gli altri il prima possibile. 









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Note dell'autrice: Buonsalve gente. 
Mi scuso tantissimo per il ritardo, però ECCOVI IL NUOVO CAPITOLO. 
Devo avvertirvi che da qui in poi aggiornerò con meno frequenza a causa di impegni personali, spero non sia un problema PERCHE' SO QUANTO E' ODIOSO ASPETTARE GLI AGGIORNAMENTI, CAVOLO. Per questo farò il possibile per non fare troppi stacchi.
Spero il capitolo vi sia piaciuto (CLINT CUCCIOLO MIO), grazie mille. 

Un bacio,
BR.

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Capitolo 15
*** What about dad? ***


Tony si propose di accompagnare Steve a casa, nonostante quest’ultimo si fosse imposto per prendere la metro perché “allunghi per niente, se ti infili nel traffico non arrivi più”. Finse di dover passare comunque per quella strada, inventando di dover andare a prendere dei pezzi di ricambio per qualcosa che il biondo non capì molto, quindi fece spallucce ed accettò. Sicuramente non gli dispiaceva stare un po’ di più con Stark. Così presero le loro cose, salutarono Bucky e se ne andarono verso l’Audi del genio.
Nessuno dei due parlò. C’era solo il rumore delle dita di Tony tamburellanti sul volante a ritmo di musica.
Nessuno dei due sentì di dover parlare. Stavano bene così. Finalmente il moro non doveva continuamente cercare qualcosa da dire, non c’era la necessità di farlo. Questa cosa peggiorò la situazione per il suo “tieni solo il bello e non attaccarti troppo”, però, come i sorrisi che arrivarono dal biondo quando i loro sguardi si incrociavano nello specchietto retrovisore.
Prima di scendere, Steve aveva ringraziato il ragazzo ricevendo in risposta un semplice movimento di mano. Una volta sentita chiudersi la portiera Tony mise in moto e sparì all’angolo.
Il biondo sospirò pesantemente prima di salire le scale ed entrare in appartamento dove si scaraventò sul letto ignorando le domande della madre.
Alla fine aveva dormito sì e no un’oretta e mezza, con la frase di Tony in testa e quello stesso ragazzo che si era avvicinato a lui piano piano sistemandosi contro il busto.
Più passava tempo con Stark, più le cose peggioravano. Dal non poterlo vedere era passato al contare i giorni che lo separavano dal farlo. Era stato un cambio radicale, improvviso, non si era preparato in alcun modo e questo l’aveva scombussolato. Di punto in bianco aveva iniziato a preoccuparsi seriamente per quel ragazzo, a volte sperava di incrociare i suoi occhi nocciola da qualche parte, per sbaglio, tra la folla. Ciò che era successo la serata precedente aveva aggravato la situazione, in più.
Quando sua madre lo aveva avvertito dello spostamento dall’Ohio alla Grande Mela si era ripromesso di concentrarsi su sé stesso. Una nuova vita per un nuovo Steve.
Di passi ce n’erano stati: l’autostima era aumentata e aveva sicuramente più fiducia in ciò che poteva fare. Si era messo giù un piano per il college, cercando i migliori in campo artistico. Aveva deciso che per una volta sarebbe stato lui prima di altri e questa cosa non gli era sembrata tanto brutta, fino a quel momento.
Prendersi una cotta per qualcuno in una città così ampia l’aveva messo in conto, certo, però aveva pensato di poter evitare la persona, nel caso. Poco si sarebbe potuto immaginare di rimanere incastrato in quel modo. Quello che provava per Tony era fuori dal suo controllo. Non che lo amasse –non ancora, almeno- però l’aveva visto forse dieci minuti prima e già gli mancava.
Sbuffò e si portò un braccio a coprirsi gli occhi.
Perché lui?
Sicuro si era sbagliato sul menefreghismo di Stark, ma era comunque una persona narcisista ed egocentrica. Faceva i suoi comodi la maggior parte delle volte e trattava con un po’ di rispetto solo quelle poche persone conosciute, ovvero i suoi amici. Però era anche gentile.
Come diavolo poteva essere così narcisista e gentile allo stesso tempo?
Aveva sempre ritenuto una qualità il contrario dell’altra. Semplicemente non potevano convivere.
In Tony Stark sì, evidentemente.
 
 
 
Villa Stark non era mai un bel posto dove stare la Domenica. Howard girava tra la cucina ed il salotto, con in mano un bicchiere di whisky mai vuoto e Tony se ne stava o in camera o in laboratorio. Raramente il padre andava a controllare cosa facesse il figlio, piuttosto mandava Jarvis in avanscoperta e faceva spallucce quando gli veniva riferito ciò che aveva chiesto.
Quella mattina, invece, Stark senior stava aspettando il figlio da un’ora e mezza. Mai gli era davvero importato dove e con chi fosse rimasto fuori la notte, ma con la comparsa di Steven le cose erano cambiate.
In più si era trovato un messaggio di Hank. “L’importante è che lui sia felice, no?” con tanto di link annesso contenente foto di suo figlio e l’altro ragazzo ad un ristorante.
Hank era il suo unico amico, insieme a Peggy, e sapeva che tutto quello lo faceva esclusivamente per aprirgli gli occhi, ma proprio non ci riusciva. Vedeva suo figlio contornato da etichette e nomignoli, poco preso sul serio con declino dell’azienda come risultato. Le frasi dette da alcuni colleghi dopo la scenata di Tony al party continuavano a girargli in testa.
Devi metterlo in riga, Howard.
Nessuno lo prenderà sul serio, Stark.”
“Pensi davvero che i nostri figli vogliano fare affari con…beh…uno così? Lascia perdere la figlia di Hank, è fuori dal comune.”
Anche se Peggy ed Hank continuavano a sostenere non ci sarebbe comunque stato niente di male, lui tendeva ad ascoltare quelle voci. E’ con gente del genere che suo figlio avrebbe dovuto lavorare e fare affari, non con i suoi amici.
«Il signorino è arrivato.» Howard spostò l’attenzione su Jarvis.
«Grazie.» Si alzò dalla poltrona sulla quale si era messo mentre sorseggiava il terzo bicchiere della giornata.
Poggiò il bicchiere sul tavolo a fianco prima di avviarsi verso la hall di entrata e beccare suo figlio intento a salire le scale il più veloce possibile per evitare il padre.
«Non si saluta più?»
Si gelò il sangue nelle vene del ragazzo, immobilizzato sulle scale. Affrontare una discussione con il padre non era nei programmi della giornata, i quali includevano principalmente costruire qualcosa dopo la doccia, o darsi alla moto e vedere cosa riusciva a fare.
«Dove sei stato fino ad ora?» Sempre quella voce dura e fredda che non ammetteva di essere ignorata.
«Da Clint.» Non trovava il senso di intavolare un discorso sui nuovi ragazzi, tanto non gli sarebbe importato davvero.
«Gradirei la verità una volta tanto, Anthony.» Inutile dire che suo padre era abituato alle bugie dette da lui tanto da non fidarsi più. Ma quando mai l’aveva fatto, infondo?
«Siamo stati da un amico di Steve.» Portò le mani nelle tasche dei jeans continuando a dare le spalle al padre. «Il gruppo si è allargato.» In qualche modo sperava potesse interessare.
«C’era anche Steven?» Vide il figlio annuire leggermente. Ovvio che c’era anche lui, per forza. «C’è tutte le volte che torni a casa il giorno dopo?»
Tony ebbe un fremito a quella domanda. Iniziò a temere di scoprire dove suo padre stesse andando parare. Chiuse gli occhi e si fece scappare un “” quasi impercettibile, pronto a qualsiasi cosa Howard avesse detto o fatto.
I secondi in cui Stark senior elaborava la risposta ed il momento in cui aprì bocca sembrarono infiniti, ma poi eccola, la frase tanto attesa, quella che sarebbe arrivata comunque, prima o poi.
«Ti vieto di vedere Steven. Non uscirai più con lui, ne’ da solo ne’ in gruppo.» Bevve un sorso del suo amaro, mentre Tony fissava a vuoto le scale ancora da fare. Sentiva gli occhi del padre scrutarlo, pronto a cogliere ogni sua mossa, senza ottenere alcun risultato.
Il figlio rimase fermo nella sua posizione per mezzo minuto. Elaborò le parole di Howard e capì di non poter far altro se non fingere. Era e non era la cosa che riusciva meglio ad uno Stark? Finalmente, eccolo lì, il momento di dimostrare quanto DNA del genio avesse in corpo. Alzò e abbassò le spalle.
«Okay.» Inutile dire il padre rimase stupefatto per quella risposta, ma cercò di mascherarlo appena notò il movimento del figlio intento a girarsi verso di lui. «Anzi, grazie! Mi risparmi la fatica di cercare una scusa per lasciarlo.» Guardò l’uomo davanti a lui inarcare un sopracciglio e balbettare qualcosa. «Dopo ieri sera sarebbe stato quasi impossibile trovare una soluzione, ma ora tutto risolto.» Se Howard non era riuscito a mantenere un’espressione neutra voleva dire che stava funzionando, doveva tagliare corto prima di tradirsi in qualche modo. «Allora niente Rogers per sempre, giusto? Bene, perfetto. Ora vado in camera a dormire un po’, se non ti dispiace. Bene. Oh, e buona bevuta.» Tirò fuori dalla tasca la mano destra e fece segno di saluto all’uomo prima di scomparire oltre le scale.
Si perse il movimento negativo del volto di Howard, arreso al fatto che il figlio non sarebbe mai cambiato, nemmeno se avesse trovato la sua Maria ne sarebbe stato capace.
Comunque, chiusa la porta a chiave, Tony si buttò sul letto con la testa immersa nel cuscino. Forse non era una cattiva idea fingere non gli importasse di Steve, tornare a comportarsi come se lui non ci fosse e la sola presenza lo infastidisse. Forse sarebbe arrivato al punto di crederci davvero. Perché, sì, era piacevole ripensare allo scambio di battute fatto quella mattina, od a momenti simili, ma che altro rimaneva poi? La mera illusione di qualcosa che non sarebbe mai potuto essere. Chiudere con Rogers era l’idea più saggia.
 
 
 
Steve avrebbe voluto passare tutta la Domenica a dormire per recuperare le ore di sonno perse la notte precedente invece di girare con un cugino intento a rispondere solo con monosillabi perché offeso dal fatto che non fosse stato reso partecipe della situazione sentimentale dell’altro biondo. Più provava a spiegargli come stavano veramente le cose, meno l’altro ci credeva. Tutta la pazienza di cui era dotato non sarebbe durata la giornata.
«Thor, per favore…» Ricevette un’alzata di spalle come risposta e pensò fosse l’unica che gli sarebbe arrivata, invece il cugino si girò verso di lui con braccia incrociate.
«Sono offeso, Steven.» Quest’ultimo sbuffò. Come se non si fosse capito. «Lo sai che non ho mai avuto problemi con i tuoi gusti. Certo, Stark non è proprio il tipo che immaginavo per te…» Si portò il pollice e l’indice della mano destra a strofinarsi il mento, riflettendo sui gusti discutibili di suo cugino, fino a quando non se lo trovò parato davanti.
«Io e Tony non stiamo insieme, okay?» Si indicò le labbra per portare l’attenzione dell’armadio in quel punto. «Segui le mie labbra: Io-e-Tony-non-stiamo-insieme.» Thor arricciò le sue da un lato.
«Ti darò il beneficio del dubbio, Steven. Ringrazia la mia gentilezza.» Come risposta ricevette uno sbuffo e due occhi azzurri che si volgevano verso il cielo. Sperava solo quel discorso fosse chiuso definitivamente.
Speranze vane, perché il pomeriggio andò avanti a battutine e frecciatine. Più Steve cercava di lasciare in un angolo Stark, più Thor trovava il modo di riportarglielo alla mente. Giornata da dimenticare. Voleva solo lasciare in hotel suo cugino a fare le valigie e tornarsene a casa a dormire per almeno dodici ore filate.
Dopo aver salutato l’altro biondo, di fatti, mise il turbo al suo passo. Poteva già assaporare la bellezza delle coperte e la morbidezza del suo cuscino. Tutto così fantastico, se non che una voce fin troppo famigliare lo fece gelare sul posto.
Immobile, con diverse emozioni intente a far lotta tra di loro, vide una figura maschile alta poco più di lui con lo stesso colore di capelli. Lo osservò dare un bacio ad una giovane ragazza e poi darne una sulla fronte al bambino moro che questa teneva in braccio.
Steve sentì il sangue gelarsi nelle vene. L’aveva immaginato in diverse situazioni: morto in qualche fossa; ubriaco sotto un ponte; in qualche centro sociale per la riabilitazione. Ma che fosse felice no. Semplicemente non se lo meritava.
Si accorse di aver attirato l’attenzione della ragazza un po’ troppo tardi. Vide l’uomo incrociare il suo sguardo, girarsi verso la sua compagna, sussurrarle qualcosa e poi dirigersi verso di lui, mentre gli altri due entravano nel bar lì vicino.
Vattene. Vattene ora. Gira i tacchi e non parlargli.
Era più facile pensarlo che farlo. Le sue gambe non si muovevano, erano come affondate nel cemento del marciapiedi. Solo quando l’uomo si trovò a pochi passi da lui riuscì a farne uno indietro.
«Calmo ragazzo, non ti faccio male.» La voce era sempre quella. Rude e ferma. Come se il rivederlo non avesse procurato alcuna emozione in lui.
«Ho i miei dubbi, se non ti dispiace.» Steve, invece, si sorprese nel sentirsi così freddo e distaccato. Aveva paura la sua voce potesse smascherarlo, ma sembrava non essere così.
«Senti, Steven, quello che ho fatto a te, a Margaret, è imperdonabile. Ma non ero felice, il che si è ritorto verso di voi. Ora sono cambiato e…» Gli occhi di Steve si spalancarono a quelle parole.
«Cosa, scusa?» Dava la colpa a loro. Per tutto ciò che aveva fatto; per tutto ciò che avevano passato Steve e sua madre, era solo colpa loro agli occhi di quell’uomo.
No, non poteva farcela.
La rabbia arrivò tutta in un colpo solo, impossibile da controllare. Nemmeno si accorse di aver iniziato a sganciare un paio di pugni a quello che avrebbe dovuto essere suo padre, prima di trovarsi immobilizzato da un uomo in divisa.
Il padre era inginocchiato a terra con una mano a tenersi il naso sanguinante e la nuova compagna accanto a lui. Ci fu uno scambio di sguardi tra padre e figlio, il quale non sentiva nessun rumore, nessuna voce, recepì soltanto il labiale dell’uomo “non so chi sia, non lo conosco. Mi ha aggredito all’improvviso”. Il suo nuovo rapporto, la sua nuova famiglia, era costruita su una bugia, su un passato taciuto che quella ragazza non avrebbe mai scoperto. Lui, il suo primo genito, non era più niente. I pomeriggi ad aggiustare moto non c’erano mai stati. Se Peggy fosse passata di lì in quel momento, Joseph avrebbe fatto finta di non conoscerla.
Questa era la goccia. Cercò di liberarsi dalla stretta di chiunque lo stesso tenendo con una gomitata per andare verso il padre, mentre si fece scappare un “mi fai schifo” con gli occhi fin troppo pieni di lacrime perché qualcuno credesse davvero alle frasi della vittima. Però ognuno doveva fare il suo lavoro e Steve si trovò all’improvviso con il volto spiaccicato ad un muro e due manette gelate che gli si chiusero intorno ai polsi.
Il suo letto l’avrebbe sognato ancora per un po’.
 
 
 
«STEVE?!» Fece giusto in tempo a mettere piede nella centrale che la voce di Clint Barton gli arrivò alle orecchie.
Perfetto. Proprio perfetto.
Il ragazzo più basso si fece strada tra le scrivanie ed i poliziotti intenti a bere caffè e passarsi carte. Era sicuro un giorno qualcuno di sua conoscenza avrebbe varcato quella soglia, ma non di certo Steven Grant Rogers, paladino degli indifesi e protettore della patria.
«Che hai combinato?» Affiancò il biondo ammanettato dalla parte senza poliziotto, il quale si sentì offeso per non essere stato interpellato direttamente e decise di rispondere, anche in modo abbastanza scocciato.
«Aggressione.» Clint spalancò gli occhi e guardò Steve andare a sedersi sulla panchina della cella della centrale, senza dire una parola.
Rogers aggredire qualcuno non ce lo vedeva proprio. Doveva esserci sotto qualcosa di più. Senza contare che quell’ufficiale non gli stava molto simpatico, era abbastanza sicuro fosse ignorante su varie cose, tra cui il suo lavoro. In più, chi mai potrebbe avere la forza e la capacità di far perdere il controllo al dolce gigante buono? Ci volle qualche secondo prima che un’orribile ipotesi investisse la sua mente.
«Non è Tì, vero?» I due incrociarono gli sguardi, un po’ intimorito della possibile risposta quello di Clint e incredulo della domanda quello di Steve.
«Non picchierei mai Tony!» Forse un po’ troppo impulsivo? Sì, probabile, perché l’espressione di Barton era passata dall’amico preoccupato, che stava già preparando mentalmente il discorso funebre, ad un sorriso beffardo, più che soddisfatto della risposta.
«Duuunque…» Si appoggiò alle grate della cella. «…ieri sera…» Alzò un paio di volte le sopracciglia, lasciando intendere al coetaneo come finire la frase da sé.
«Scommetto che tu sei l’amico con la tempistica migliore, vero?» Clint roteò gli occhi e sbuffò. Certo, non era il momento migliore per porre domande simili, ma tanto sarebbero rimasti lì entrambi per un bel po’, quindi perché non parlare di qualcosa di interessante e far fruttare il tempo con consigli su come comportarsi con Tony, ad esempio.
«Sei uno spasso, Rogers.» Si allontanò dalla cella e girò sui tacchi per dirigersi oltre la visuale del biondo.
Steve si lasciò andare la testa contro il muro freddo di quel posto, fregandosene altamente di quanti germi potessero assalirlo in quel lasso di tempo, e chiuse gli occhi. Da lì a poco sarebbe successo un disastro: avrebbero chiamato sua madre, sarebbe accorsa tutta preoccupata e pronta con una bella ramanzina, lui avrebbe cercato una scusa –perché dirle che il Joseph circolava allegramente per la Grande Mela era fuori discussione-, sarebbe stato poco credibile, lei l’avrebbe spedito di nuovo da qualche psicologo o psicoterapeuta o analista o chissà che altro ed in tutto questo Clint Barton sarebbe stato un testimone. Proprio lui, uno dei migliori amici di Stark. Era il suo giorno fortunato, evidentemente.
«Pensavo sarei stato io a farti perdere il controllo…» Quella voce fece aprire gli occhi di scatto al biondo, il quale si trovò l’unica persona che non voleva venisse a sapere tutto quello. Lì, sorridente e con in mano due bicchieri pieni di caffè. «…sogno distrutto. Vuoi?»
I buoni propositi di Tony furono andati a farsi benedire dopo la chiamata di Clint. Avrebbe voluto dire “lascia che si arrangi, è grande abbastanza”, ma qualcosa lo aveva portato a muoversi verso la macchina e raggiungere la centrale. Con l’aiuto di Clint era riuscito anche a convincere i poliziotti a non chiamare la madre di Steve almeno per un altro po’, così avevano tutto il tempo per cercare una scusa buona da usare. C’era quel non-so-che nel biondo in grado di far pensare a Stark che non fosse poi così bravo a raccontare bugie, soprattutto alla signora Rogers.
Steve si alzò dal suo angolino e si diresse verso le grate con un piccolo sorriso stampato in volto. Tony non era del tutto sicuro se fosse vero o semplicemente tirato, ma almeno si era alzato e sembrava intento a prendere un po’ di caffè.
«Wow, un caffè tutto per me?» Afferrò il bicchiere passatogli attraverso le grate ringraziando di essere stato privato delle manette.
«In verità ho messo dentro troppi soldi e non mi dava il resto. Ah, le tecnologia.»
«Beh, allora grazie tecnologia.» Ora il sorriso sul volto di Steve era vero, ne era sicuro.
Rimasero in silenzio per qualche minuto, giusto il tempo di finire le due bevande. La verità era che Tony non sapeva cosa dire o come iniziare ad intavolare l’argomento e Steve preferiva tacere perché qualsiasi cosa avrebbe portato sicuramente a domande alle quali non voleva rispondere. Però il tempo scorreva e Clint lanciava segnali all’amico di sbrigarsi perché non avevano tutta la giornata.
Stark fece segno a Steve di lasciargli il bicchiere vuoto, si voltò e lo buttò nel cestino poco distante. Prese un respiro e tornò sui suoi passi con le braccia conserte e lo sguardo un po’ più serio di prima, cosa scatenò in Rogers la voglia di andare a sedersi dov’era prima e continuare a pensare al suo imminente futuro.
«Che è successo, Steve?» Il biondo spostò lo sguardo dal moro al pavimento. Era diventato completamente assente.
«Niente di cui io voglia parlare.» Sapeva sarebbe stata dura, ma non si aspettava di trovare una statua congelata ad attenderlo. Clint avrebbe dovuto chiamare Natasha, non lui. Era incapace in queste cose.
Il massimo che riuscì a fare fu far passare una mano attraverso la cella, appoggiandola sul braccio del biondo, seguita da un «Non posso aiutarti se non mi parli».
Grande errore, evidentemente. Rogers si allontanò dalle sbarre, alzando lo sguardo verso l’altro ragazzo. Gli occhi erano ancora vitrei.
«Non ho chiesto il tuo aiuto.» Un’altra cosa che non voleva assolutamente era la presa coscienza di Tony sul suo passato e su suo padre.
Questo Stark non lo poteva sapere, però, e si sentì punto sul vivo. Era la prima volta in tutta la sua giovane vita che voleva aiutare davvero, non perché era moralmente giusto. Ci teneva a vederlo star bene, fuori da quella cella possibilmente. Cosa otteneva in cambio? Un bellissimo rifiuto. Il fatto avesse aggiunto “tuo” gli fece pensare che forse un aiuto lo voleva, ma ovviamente non da lui.
Si tirò indietro, con gesti freddi e meccanici, gli occhi di ghiaccio e l’orgoglio fin troppo ferito per i gusti di uno Stark.
«Okay. Va bene. Come ti pare.» Portò le mani in avanti e poi si voltò verso il corridoio. «Ah, se dovesse servirti qualcosa –non so, tipo qualcuno che ti aiuti in questi venti minuti a trovare una scusa plausibile da dire a Margaret- sai dove non trovarmi.» Detto quello fece per muoversi in direzione di Clint, ora con lo sguardo perso verso un punto che non rientrava nella visuale del miliardario.
Lo vide boccheggiare qualcosa e fargli segno di andare lì, poi di rimanere dov’era, poi di andare lì e così via, fino a quando la voce di un ufficiale si fece sempre più vicina e Barton si buttò in avanti per arrivare prima di loro ai due ragazzi.
«Che ti prende?» Non chiese nemmeno come mai l’atmosfera lì era palpabilmente tesa, semplicemente indicò dietro di lui con entrambe le mani.
«C’è Steve ma più grande!» Il biondo spalancò gli occhi e gelò sul posto, mentre il moro fece passare lo sguardo dall’amico, al carcerato e infine verso le due persone infondo al corridoio.
Okay, Clint aveva un po’ esagerato con quell’affermazione, ma Tony capì da chi avesse preso il colore degli occhi, dei capelli e, beh, quasi tutto il resto. Più si avvicinava, più riusciva a scorgere dei piccoli particolari, come il contorno del naso bluastro ed il taglio sul labbro. Non ci volle molto a collegare le cose, ancor meno ci volle perché i suoi occhi incrociassero quelli azzurri di Steve.
«Potrei parlare con mio figlio?» Barton si era posizionato vicino a Stark, al quale diede due colpetti con il gomito come se il signore appena arrivato non stesse guardando loro.
«Scommetto non avevi immaginato così la conoscenza del padre.» L’aveva detto a bassa voce, ma era stato recepito benissimo dallo Steve adulto. Inarcò un sopracciglio e si concentrò sul moro, fece un passo verso di lui e Rogers ne fece uno in avanti, il che portò il padre a spostare la sua attenzione verso l’altro ragazzo.
«Wow, ti piace così tanto da fare un passo verso di me? Se non ci fossero le sbarre potrei azzardarmi a dire che ti saresti parato davanti.» Ci fu un veloce scambio di sguardi tra Rogers e Barton, il quale prese per un polso Tony e fece per tirarlo via con sé, dato che il poliziotto aveva deciso di tornarsene nel suo posto lavoro e lasciare gli affari di famiglia svolgersi da soli. Ma Stark si strattonò via e rimase a fissare due occhi azzurri così simili a quelli nei quali spesso si perdeva ed allo stesso tempo così diversi. Avevano qualcosa di diverso, una luce diversa. No, mancava la luce.
«Ho chiesto di poter parlare con mio figlio.» Il tono era diventato un po’ più duro e Steve mandò un'altra occhiata a Clint. Voleva Tony il più lontano possibile da suo padre.
«Non mi sembra che qualcuno gli stia tappando la bocca, Signore, tanto meno le orecchie a Steve.» Si sentì prendere nuovamente il polso dalla mano dell’amico, ma riuscì a liberarsi praticamente subito facendo un passo verso la cella ed appoggiandosi di schiena con le braccia incrociate al petto. Sentì Rogers avvicinarsi sempre di più, probabilmente non era un buon segno, ma si fece forza attraverso la consapevolezza che a meno di 50 metri c’erano dei testimoni abbastanza affidabili.
Il padre di Steve emise uno sbuffo contornato da un sorrisetto. «Uno Stark doveva per forza esserci nella vita di famiglia, vero?» Spostò lo sguardo verso il figlio, il quale aveva inarcato un sopracciglio cercando di capire. «Cos’è? Che hanno questi Stark di tanto speciale?» Il suo sguardo era diventato quello che tanto ricordava e la sua voce stava prendendo la stessa piega.
«Oh beh, geni, miliardari, filantropi, cose da niente.» Tony fece spallucce con tutta la nonchalance possibile, per poi pentirsene appena incrociò lo sguardo del signore. Occhi così pieni di rabbia non gli aveva mai visti, nemmeno quando suo padre l’aveva beccato a rovistare negli oggetti impacchettati della madre. In quel momento si pentì di non essersene andato appena Clint gli aveva preso il polso, quasi sperava glielo riprendesse nel giro di pochi secondi. Invece, appena Joseph fece un passo verso il moro, si ritrovò l’amico parato davanti.
All’adulto presente scappò una leggera risata tendente all’isterico e poi tornò sul figlio mentre con un dito indicava il più basso dei tre.
«Come l’hai conosciuto? Ti ci ha portato Margaret, eh?» Non aspettò risposta, fece schioccare un paio di volta le dita della mano destra vicino al suo orecchio e scosse la testa un paio di volte, poi si avvicinò di scatto alle sbarre con una mano tesa, prendendo la maglia del figlio e tirandolo contro il ferro senza troppe preoccupazioni.
Steve si fece scappare un verso appena arrivò a contatto con il materiale freddo e Tony fece un passo in avanti, riportato subito indietro di due dall’amico che stava cercando contatto visivo con almeno un poliziotto, ma sembravano farsi tutti i cavoli loro.
«Stark. UNO STARK? Hai il coraggio di alterarti se dico di non conoscerti e poi te la fai con uno Stark?» Era a pochi centimetri dal suo volto e parlava a denti stretti. Gli sembrò di essere tornato indietro di un anno e mezzo, con cella aggiuntiva. «Guardalo!» Indicò Tony con la mano libera e Steve incrociò il suo sguardo spaventato. Nessuno sembrava cagare minimamente Clint intento a sbracciarsi, nemmeno gli ufficiali. «Lo sai che “per Stark viene sempre prima Stark”, vero?» Non valeva la pena rispondere, era evidentemente una domanda retorica come tutte le altre. Si stava facendo un monologo bello e finito. «A gente come loro importa solo di sé stessi.» Non riusciva a capire perché ce l’avesse così a morte con gli Stark. La sua reazione l’avrebbe compresa se il discorso fosse stato più generale, riguardante lo stare con un maschio, sempre la solita e stupida motivazione per cui perdeva le staffe con il figlio. Ma questo non riusciva a concepirlo.
Intanto lo sguardo del moro si era spostato verso le spalle dell’amico, fisso in un punto vuoto. «Li ha portati via a causa di mio padre.» Non era altissimo il tono di voce, ma venne comunque recepito dagli altri. Alzò lo sguardo verso quello di Joseph. «Li ha portati via perché si sentiva minacciato da lui.»
Fu un attimo. Steve si sentì lasciar andare la maglia, Barton si trovò a terra e Tony contro il muro sovrastato dal padre del biondo che lo aveva afferrato alla gola. 








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Note dell'autrice: Chi non muore si rivede, yeeeeh. Come potete vedere ho tenuto fede ai miei buoni propositi ed ho aggiornato a distanza di POCHISSIMO TEMPO, GRANDE ME! No, davvero, scusate. Mi sono lagnata abbastanza e non ho voglia di stare qui a dire grandi cose, solo non è stato un periodo facile per me MA ora sono tornata. 
CADESSE IL MONDO, PRIMA DI GIUGNO FINISCO QUESTA FANFIC, GIURO.

Un bacio,
BR.

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