Vices & Virtues

di CHAOSevangeline
(/viewuser.php?uid=71694)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 7: *** Capitolo settimo ***
Capitolo 8: *** Capitolo ottavo ***
Capitolo 9: *** Capitolo nono ***
Capitolo 10: *** Capitolo decimo ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***


Insolitamente per questa storia credo di non voler fare molte premesse. Stavo attraversando un periodo nero in fatto di ispirazione, ma l'idea mi ha colta all'improvviso e ho dovuto provare a scriverla.
Il risultato - anche questo stranamente - non mi dispiace troppo e spero davvero che possa piacere anche a voi.
Prima di lasciarvi alla lettura vorrei solamente precisare che un personaggio, che farà già una piccola apparizione all'interno di questo capitolo, non è un personaggio di YoI. Avevo bisogno di qualcuno che ricoprisse il suo ruolo, ma nessun personaggio della serie era adatto, perciò tra storpiare brutalmente qualcuno rendendolo OOC e "creare", se così si può dire, un personaggio, ho preferito così.
Come sempre ringrazio tutte le persone che mi hanno sopportato mentre scrivevo.
Spero che questo primo capitolo vi piaccia e che mi direte cosa ve ne pare!



 
Vices & Virtues
 
 
 
Capitolo primo
 


“Then I heard your heart beating, you were in the darkness too
So I stayed in the darkness with you”



« Signore e signori, avvicinatevi, prego! Il Veles Circus è in città! Come ogni anno vi attendiamo numerosi per ammaliarvi con i numeri dei nostri artisti! »
Yuri riusciva ad aspettare con trepidazione anche gli avvenimenti che per i più sarebbero potuti sembrare insignificanti; era una persona modesta, nell’animo, e riusciva ad emozionarsi anche al semplice pensiero che la domenica mattina, come d’usanza in casa sua, sarebbe stato servito il dolce che più gli piaceva.
Sembrava attendere ogni piccola cosa dando ad ognuna la stessa importanza, senza una gerarchia precisa.
Un solo evento Yuri attendeva più degli altri: l’arrivo del circo in città. Non di un circo qualsiasi, ma del Veles Circus.
Visitava Londra con cadenza annuale e si fermava lì per circa un mese.
Il mese più bello di tutto l’anno. Il mese che poteva trascorrere con Viktor.
Ancor prima che la sua mente registrasse quanto aveva appena sentito, Yuri venne scosso da un brivido di eccitazione, che lo portò a perdere del tutto l’interesse per i libri accuratamente disposti nella vetrina che stava guardando.
Si voltò, cercando chiunque stesse divulgando quell’annuncio.
Non gli fu difficile notarla: una giovane ragazza dai capelli rossi che stava in piedi su un baule sgargiante, in modo da essere più visibile per la folla.
« Mila! » esclamò Yuri, attraversando con ampie falcate la strada.
La donna, che stava per ripetere l’annuncio una seconda volta, si interruppe. Si guardò intorno con cipiglio confuso, per poi aprirsi in un sorriso smagliante nel vedere Yuri.
« Yuri, ciao! »
Balzò giù dal baule, unendo le mani dietro la schiena mentre osservava il ragazzo. Allora davvero non abbandonava mai il suo completo da valletta: la accompagnava anche fuori dal tendone, quando doveva pubblicizzare l’arrivo in città dello spettacolo. Le lunghe gambe scoperte stavano destando non poco scalpore tra i passanti, ma era proprio questo ciò che davvero attirava l’attenzione.
Scoprire con piacere che era eccentrica come al solito fece credere a Yuri che non fossero trascorsi dodici interminabili mesi dall’ultima volta che l’aveva vista.
« Siete tornati », constatò febbricitante.
« Già, di nuovo qui. » Mila si sciolse in un sorriso malizioso, mentre lo sguardo felino scrutava il volto di Yuri. « Ma dato che siamo tornati e io sono più che sicura che tu non voglia parlare con me: sì, ci siamo accampati sempre nello stesso posto. » Solo a quel punto l’espressione della donna si addolcì. « Il vecchio l’ha costretto a rimanere ad aiutarlo, ma Viktor ti sta aspettando. Va da lui. »
Yuri esitò qualche attimo. Gli dispiaceva davvero che ogni anno, ogni volta che aveva a che fare con i compagni di Viktor, fosse per domandare dove si trovasse lui, o per ammazzare il tempo prima che l’uomo lo raggiungesse.
Rivolse a Mila uno sguardo titubante e lesse chiaramente sul volto di lei il desiderio di spingerlo pur di farlo correre da Viktor.
La ringraziò sommessamente e si incamminò con rapidità verso la periferia, nel quartiere dove veniva solitamente montato il tendone.
Yuri era un ragazzo di buona famiglia, qualcuno che non si sarebbe dovuto abbassare – quanto odiava quel termine – a correre in mezzo alla strada se non in caso di stretta necessità. Non gli era mai importato ciò che era meglio o non era meglio fare, e in quel momento la situazione di certo non contribuì a rammentargli quelli che erano i suoi doveri.
Fu tanto se non abbandonò la giacca a terra per essere meno impacciato nella corsa.
Quanto era passato? Cinque minuti? Dieci?
Yuri ringraziò il cielo per la propria resistenza fisica e una volta sul luogo piantò con così tanta forza i piedi per frenare da sporcarsi le scarpe di terra.
Fece guizzare gli occhi da un presente all’altro: riconosceva tutti, non gli pareva di notare alcuna faccia nuova. Poi lo vide.
Il ciuffo argentato dietro l’orecchio perché non lo intralciasse, le maniche arrotolate fino ai gomiti per essere più comodo nel muoversi.
« Viktor! » chiamò a gran voce.
Un enorme sorriso si aprì sulle labbra di Yuri quando vide il volto sorpreso dell’uomo voltarsi in sua direzione. Gli occhi di Viktor si illuminarono e a quel punto Yuri iniziò a correre verso di lui, vedendo l’altro avvicinarsi di rimando.
« Yuri! »
A pochi passi da lui, Yuri gli saltò al collo, sentendo le braccia forti di Viktor avvolgersi attorno i suoi fianchi.
Sentì delle lievi vertigini e il mondo ruotò intorno a lui, prima di chinarsi su quelle splendide labbra per dare loro il bacio di bentornato.
Percepì con la bocca il sorriso di Viktor e anche quando la terra tornò ad aderire ai suoi piedi, Yuri si sentì come se in realtà stesse camminando molto più in alto.
Le sue guance erano rosse e gli occhi lucidi per l’emozione.
« Mi sei mancato », sussurrò contro le sue labbra.
Viktor lo baciò ancora e ancora, portando una mano tra le sue ciocche corvine.
« Anche tu, moya lyubov’, non c’è stato giorno in cui non ti abbia pensato. »
Yuri lo sapeva, sapeva quanto Viktor si struggesse grazie alle lettere che avevano preso a scambiarsi mentre il russo era in giro per il mondo. Dio, cos’avrebbe dato per essere con lui, per vedere quello che vedeva lui.
« Ma ora sono qui », riprese Viktor, prendendogli il volto tra le mani. « Sono qui e non me ne andrò, almeno per il prossimo mese. »
Yuri annuì, spingendo il volto contro una delle mani di Viktor.
Niente avrebbe potuto rovinare quel momento, niente.
Eccetto una voce che si insinuò nelle orecchie di Yuri con acidità.
« Credo che potrei vomitare. »
Non ebbe bisogno di voltarsi per capire chi avesse parlato, ma lo fece ugualmente, ancor prima di ricevere conferma dalle parole di Viktor.
« Yura, non avevi del lavoro da sbrigare? »
Yuri Plisetsky era lì, a scrutare entrambi con le proprie graffianti iridi verdi. Da quando l’aveva conosciuto, il giapponese aveva l’impressione che quel ragazzo gli stesse rimproverando qualcosa, a partire dal chiamarsi nel suo stesso modo, cosa che aveva spinto Viktor a scegliere un soprannome.
« E tu? » rispose tagliente dopo aver schioccato la lingua alle parole di Viktor.
Ogni volta che si vedevano, Yuri tentava un approccio per entrare nelle grazie del biondino. Sapeva che non era una cattiva persona, non quanto tentava di dimostrare almeno.
« Sei cresciuto, Yuri. »
« È quello che facciamo noi adolescenti », ribatté.
Viktor gettò un rapido sguardo prima al biondo, poi al ragazzo ancora tra le sue braccia. Sapeva quanto Yuri fosse sensibile e anche che aveva iniziato ad ignorare con tutto se stesso le parole del ragazzino per non venire ferito, ma l’idea che potesse soffrire lo disturbava ugualmente.
« Non farti distrarre da Yura, eri qui per me », mormorò con tono lascivo, godendosi il rossore che imporporò le guance di Yuri.
Si conoscevano da anni, ma bastavano sempre quei pochi sguardi e quelle poche parole perché il giapponese si sciogliesse. Lo sapeva lui, lo sapeva Viktor e lo sapeva anche il biondino che sullo sfondo della scena alzò gli occhi verso il cielo.
Quando vide Viktor tornare sulle labbra di Yuri per poi gettare a lui uno sguardo abbastanza eloquente, il ragazzo capì che per quanto volesse disturbare ancora la coppia di piccioncini non ci sarebbe riuscito: erano entrati nel loro mondo di sdolcinatezze e sarebbe stato indubbiamente più utile che si concentrasse su altro.
Una volta soli lo sguardo di ghiaccio di Viktor si indurì, anche se solo per un attimo. Quando lui e il russo si erano appena conosciuti, Yuri era riuscito a trovare spesso assoggettanti quei suoi occhi: gli sembrava sempre che lo trapassassero da parte a parte, che lo inquisissero. Con il tempo aveva iniziato ad amarli e a capirli. Per questo immaginò subito di cosa stesse per parlare il russo.
Viktor fece scorrere i polpastrelli ruvidi lungo la sua guancia, tracciando un percorso immaginario lungo lo zigomo e sul suo labbro inferiore, con il pollice.
« Come stai, Yuri? » gli domandò infine.
Una domanda fin troppo generica, ma Viktor sapeva che il ragazzo avrebbe capito. Non gli diede un momento di tregua con i propri occhi, tenendoli fissi in quelli castani del ragazzo. Lo vide cercare una via di fuga, sfuggendo alla presa del suo sguardo concentrandosi su un punto imprecisato della sua camicia.
« Sto bene », sospirò infine, annuendo come se volesse convincersi da solo di ciò che aveva appena detto.
Sapeva che non sarebbe bastato a Viktor, che avrebbe insistito.
« Ora sto davvero bene », si corresse, abbozzando un sorriso titubante.
Quella risposta sembrò accontentarlo.
« Ci sono io ad occuparmi di te, adesso. »
Il sorriso sulle labbra di Yuri si fece meno tirato, come se a quelle semplici parole corrispondesse la garanzia che sarebbe stato bene. Che sarebbero stati bene.
Affondò il volto contro la spalla di Viktor ed inspirò il suo profumo, lasciando che lo inebriasse al punto tale da allontanare la scomoda sensazione di nostalgia che provava nonostante il russo avesse appena fatto ritorno. I primi momenti che passavano vicini dopo tanto gli ricordavano paradossalmente che presto si sarebbero dovuti salutare ancora.
L’ultimo anno per Yuri era stato un inferno, un inferno in cui egoisticamente avrebbe sperato di veder apparire la mano di Viktor, pronta ad afferrare la sua per tirarlo fuori.
Peccato che Viktor avesse un tour che toccava tutte le maggiori capitali del continente e una capatina non indifferente nei territori russi. Nella sua terra.
Da quando si erano conosciuti sopperivano all’assenza reciproca con delle lettere; non era facile, dato che non erano affatto lo stereotipo di coppia ottocentesca che non si toccava e non si avvicinava più di un metro per timore di essere poco consoni. Era straziante poter solo parlare, ma da un lato Yuri si rendeva conto che quei viaggi facevano bene a Viktor: quando gli scriveva dalla Russia sembrava colmo di una nuova energia, nonostante i suoi ricordi lì non fossero dei migliori. Doveva mancargli davvero per tutto il resto dell’anno, almeno tanto quanto dimostrava gli mancasse lui, solo che non lo diceva: Viktor gli aveva raccontato qualcosa delle proprie radici e occasionalmente accennava ai propri sentimenti negativi, ma non si sbottonava mai troppo.
Una volta Yuri era addirittura giunto ad indagare parlando con Christophe, per sapere se ci fosse qualcosa di davvero importante da farsi rivelare dal fidanzato. Peccato avesse ottenuto solo una dichiarazione di totale ignoranza in materia. Non era riuscito nemmeno a fargli una domanda specifica a dire il vero, cosa che aveva portato Yuri a chiedersi se forse avesse chiesto alla persona sbagliata: non era sicuro di stargli poi così simpatico.
Non sapeva a chi piacesse davvero, a voler essere obiettivi. A Cristophe Giacometti sicuramente no, anzi: forse gli piaceva ancor meno che a Yuratchka, come lo chiamava occasionalmente Viktor e gran parte della loro troupe. Quel ragazzo non era un cattivo diavolo, semplicemente non riusciva a non erigere un muro tra sé e chiunque provasse ad avvicinarsi. Persino Viktor veniva costantemente allontanato, anche se gli aveva assicurato che lui e il ragazzo erano in ottimi rapporti. L’unico che aveva il diritto di parlare senza beccarsi un’occhiataccia – il più delle volte, almeno – era Otabek. Vedendoli vicini, Yuri aveva più volte creduto che tra di loro ci fosse qualcosa di più. Lo stesso qualcosa di più che c’era stato tra lui e Viktor quando lui ancora si ostinava a definirlo soltanto un amico.
« Viktor, non ti avevo detto di aiutare con l’inventario e poi di andare ad allenarti? »
Prima di voltarsi in direzione della voce, Yuri trovò spontaneo guardare il viso di Viktor. Gli sembrava quasi… allarmato? Era strano, di solito non si mostrava agitato di fronte a nulla, nemmeno nei giorni in cui si sarebbe dovuto esibire.
Era così stoico da sconvolgerlo, alle volte.
Voltarsi e vedere semplicemente il direttore del circo rese Yuri ancora più confuso. Dai racconti di Viktor l’aveva sempre percepito come un uomo severo, ma di cui non era necessario preoccuparsi troppo. Viktor almeno non ne sembrava affatto intimorito, perciò non capiva davvero il perché del suo cambio di espressione.
In qualche modo, a Yuri quell’uomo aveva sempre ricordato suo padre; aveva qualcosa di simile nello sguardo, forse anche nella fisionomia del viso. Certo, gli ricordava suo padre prima che cambiasse il proprio modo di guardarlo per la sua “scelta”, come l’aveva chiamata, di amare Viktor.
« Scusatemi, signor Veselov, sono stato io a distrarlo », si intromise Yuri, sempre formale come al solito, accennando un leggero sorriso di scuse.
Che almeno lì nessuno giudicasse lui e Viktor per la loro relazione lo faceva sentire a suo agio. Erano una famiglia, nessuno avrebbe rivelato nulla a nessuno di esterno e almeno nel tempo che trascorreva in quel luogo non doveva pensare a nascondersi.
« Ah, ci sei anche tu Yuri. » Come sempre era l’unico ad usare i convenevoli, ma quell’atmosfera calorosa non gli dispiaceva affatto. « Il nostro Viktor ha sentito la tua mancanza, come sempre. Forse potrei concedergli qualche moment-… »
« Non serve », lo interruppe Viktor senza troppe remore. « Torno al lavoro tra un momento. »
« Viktor, cosa succede? » gli chiese Yuri con un filo di voce.
Quando il russo tornò a voltarsi si dovette confrontare con gli occhi leggermente sgranati di Yuri, colmi di sorpresa e preoccupazione. Sapeva quanto fosse insicuro, doveva aver pensato almeno per un momento di essere indesiderato.
E Viktor non voleva che lo facesse nemmeno per un istante. Gli prese il viso con entrambe le mani.
« Non fare quella faccia, lyubov’ », sussurrò, sentendo che tutta la spavalderia con cui aveva detto che lo avrebbe lasciato andare svaniva. « Voglio stare con te, ma… » Un attimo di esitazione, poi Viktor proseguì, abbassando la voce. « È da un paio di tappe che sgarro. Scappavo dai miei compiti per scriverti e non voglio che qualcuno si azzardi a dire che la causa sei tu. Anche se… beh, è vero. »
Yuri parve riprendersi e il suo sguardo si illuminò. Si lasciò andare ad una piccola risata.
« Al solito posto? » domandò, stringendo la stoffa della sua camicia tra le dita.
« Sì. Alle sei. Non fare tardi. »
Appena finì di parlare gli schioccò un bacio sulla fronte, ma non gli bastò, perché prima di lasciarlo andare tornò a fiondarsi sulle sue labbra, baciandole con trasporto. Forse con più foga di quanta Yuri riuscisse a sopportare, perché parve inciampare in quel bacio, aggrappandosi con più forza alle sue spalle.
Lasciarlo andare fu difficile, quasi come se stesse per ripartire alla volta di un altro interminabile viaggio.
Anche quando Yuri si decise ad allontanarsi le loro dita impiegarono un po’ per sciogliere quella stretta. Viktor non riuscì, anche dopo avergli dato le spalle, a non voltarsi più e più volte che realizzare che finalmente era tornato a Londra.

 
Cinque anni prima

« Ti consiglio di smetterla di divorare con gli occhi quel ragazzo, prima che lo dica a suo padre e ci faccia sgombrare sotto chissà quale accusa. »
Viktor forse non aveva la personalità più incline ad andare d’amore e d’accordo con tutti: sapeva di poter risultare piuttosto antipatico, ma a sua discolpa lo diventava solo quando era strettamente necessario. Non considerava un nemico quel Jean-Jacques Leroy contro cui Yuri sfoderava il repertorio di antichi insulti russi almeno una decina di volte al giorno, ma non per questo Viktor evitava di rispondergli quando si dimostrava necessario.
In quel momento era necessario.
« Il fatto che lo stia guardando dà fastidio solo a te, JJ. » Essendo stato disturbato, Viktor trovava antipatico persino il suo nome d’arte. « Cos’è, l’avevi puntato tu? »
Potevano trovarsi a Parigi, a Mosca o a Vienna: se Viktor guardava con fin troppa insistenza qualcuno, JJ doveva intervenire. Così il russo lo pungeva sul vivo in quel modo, consapevole che JJ si sarebbe sciorinato in un sermone su quanto fosse interessato solo alle donne. Divertente le prime volte, ma ormai faceva parte di una monotona routine che il ragazzo dai tratti asiatici a qualche metro da lui stava elegantemente rompendo con la propria semplice presenza.
Viktor lo stava scrutando quasi fosse un pezzo esposto in un museo, chiedendosi che storia dovesse esserci alle sue spalle: non aveva mai visto un orientale vestito così di tutto punto, non a Londra. Che fosse un nobile? Perché si trovava con quel ragazzino dalla pelle scura che sembrava emozionato alla semplice vista degli attori del circo che montavano il tendone? Non che ci fosse nulla di strano: ormai Viktor era abituato ad essere osservato come una bestia in gabbia.
Ciò che davvero lo colpiva di quel ragazzo era il suo sguardo: anche con tutti quei metri a dividerli sembrava quasi intimidito. Viktor smise di cercare una giustificazione al proprio interesse e interruppe l’uomo accanto a lui, che come da copione stava giustificando quanto aveva detto poco prima senza essere minimamente ascoltato dal russo.
« JJ, fammi un favore. »
L’altro parve scordare completamente il proprio discorso e aggrottò le sopracciglia.
« Chiedilo a Christophe. »
« Christophe non ha discrezione per queste cose. »
« Stai ammettendo che sono migliore di Chris? »
Viktor alzò gli occhi al cielo. Perché ogni discussione con JJ doveva ridursi ad un mero tentativo di stabilire chi fosse il migliore?
Se voleva che lo aiutasse doveva imbonirselo, però.
« In questo frangente diciamo di sì. »
A JJ parve bastare, anche se avrebbe voluto insistere sulle graduatorie degli altri contesti.
« Che ci guadagno? »
« Quindici minuti in più per la tua esibizione, durante il prossimo spettacolo. Quindici minuti garantiti », rispose Viktor. « Ma solo se distrai quel ragazzino per almeno cinque minuti », indicò il ragazzo dalla pelle scura accanto all’oggetto della sua attenzione.
Gli occhi del moro brillarono, ma parve farsi non molto convinto subito dopo.
« E come dovrei fare, Viktor? »
« Fagli vedere… non lo so, il tendone? A quanto so c’è qualcuno che ha conquistato un paio di persone in questo modo. »
Viktor gli rivolse uno sguardo sornione, Jean-Jacques parve curioso di approfondire quel discorso, ma decise di serbare le proprie domande per un altro momento.
Il russo attese qualche attimo: guardò JJ che si avvicinava e scrutò le labbra del ragazzo che stava osservando muoversi, forse a rimproverare l’entusiasmo del suo amico. Il suo volto mutò in una maschera di preoccupazione. Forse credeva che li stessero per cacciare?
Era troppo timoroso per seguire gli spaventosi circensi all’interno della loro casa; chissà cosa gli avevano raccontato sulla gente come loro, quando era piccolo.
A quel punto Viktor si mosse. Allontanò la schiena dal carro a cui era appoggiato e si diresse verso il ragazzo che sembrava averlo notato, ma aveva prontamente distolto lo sguardo come se questo potesse impedire a Viktor di rivolgergli la parola.
« Al tuo amico sembra piacere parecchio il circo. A te no? »
Da vicino quel ragazzo era ancora più interessante: piccolo, di corporatura esile. Non gli dava più di diciotto anni, anche se quegli occhioni da cerbiatto probabilmente lo stavano ingannando.
Viktor lo vide sussultare e stringersi nelle spalle. Il ragazzo scosse la testa.
« Non ho mai avuto il piacere di assistere ad uno spettacolo, signore », rispose garbatamente con un filo di voce.
Sembrava sul punto di parlare ancora, ma Viktor scoppiò a ridere. Forse si sarebbe dovuto trattenere, davanti ad una creatura che sembrava tanto spaurita.
« Signore? Ho ventidue anni, sono certo che tu non sia molto più giovane. »
Dovette fare un piccolo gesto della mano per convincerlo a parlare.
« Ne ho diciotto. »
Aveva indovinato, allora.
Di solito Viktor non faceva domande: ne veniva tempestato dalle donne che incontrava lungo la propria strada. Gli chiedevano come fosse viaggiare, la sua meta preferita…
E lo facevano da Parigi a Praga, da mosca ad Almaty, quando si spingevano fino a lì. Si chiedeva come fosse possibile che in luoghi tanto lontani gli uni agli altri le persone avessero una fantasia così limitata da portarle a fargli sempre le stesse domande. Sempre le stesse domande a cui Viktor dava sempre le stesse risposte. Le rare volte in cui gli capitava di porre qualche quesito lo faceva senza interesse, ma in quel momento era diverso: il ragazzo di fronte non gli stava chiedendo nulla e lui invece aveva mille curiosità da soddisfare. Prima di tutto gli sarebbe piaciuto sapere il suo nome.
« Ad ogni modo io sono Viktor. »
Il ragazzo parve diffidare per un attimo.
« Yuri. »
« Non mi dire? Anche noi abbiamo un circense che si chiama Yuri! »
Sembrava che fosse riuscito a colpire un punto d’interesse per il ragazzo di fronte a lui: gli occhi si erano illuminati di una luce che fino a poco prima non c’era, o forse era rimasta semplicemente offuscata dalla timidezza.
Nonostante questo il ragazzo non gli chiese più nulla: che fosse per effettivo disinteresse o per paura di qualcosa che Viktor non riusciva a comprendere, Yuri rimase in silenzio.
Però Viktor era interessato, eccome se lo era, perciò avrebbe continuato a parlargli finché restava lì, di fronte a lui.
« Sai, mi hai incuriosito. » Decise di essere diretto. « Non ho mai visto qualcuno della tua nazionalità, qui a Londra. Non ho mai visto qualcuno della tua nazionalità in… queste vesti. »
Yuri non parve sorpreso; i salotti inglesi dovevano guardarlo spesso con gli stessi occhi di Viktor, o quantomeno dovevano avergli già posto quella domanda. Da quando era diventato come una delle persone monotone di cui tanto si lamentava?
« Mio padre è un mercante, importa ceramiche e suppellettili dall’oriente. »
Non era una storia curiosa; da quando i viaggi si erano fatti più sicuri e comuni non era strano trovare delle persone di nazionalità diverse sradicate dalla loro patria e per giunta scoprirle di ceti sociali inaspettati. Viktor stesso viaggiava in costante compagnia di persone provenienti da diverse parti del mondo, eppure Yuri aveva qualcosa di diverso.
Pensò per un attimo allo zampino del fato, ma si distrasse: quando sarebbe stato solo si sarebbe preso in giro per averlo pensato.
« Interessante. »
Davvero?
Il brillante Viktor Nikiforov era riuscito a dire solo “interessante”?
Lo sguardo di Yuri, per qualche motivo, parve farsi divertito.
« Non lo pensi davvero. »
Viktor aggrottò le sopracciglia.
« Invece sì. È una delle cose più banali che ho detto in tutta la mia vita, ma lo trovo davvero interessante. »
Com’era giusto non conoscendo quel ragazzo, Viktor non sapeva di preciso di che cosa parlare. Gli bastava solo che parlassero, che continuassero a conoscersi, non importava in che modo.
« Qual è la tua specialità? »
Oh, allora anche lui era interessato.
« Sono un trapezista », rispose rapidamente Viktor, come se non aspettasse altro e pendesse completamente dalle labbra dell’altro.
Non essere lui quello volubile in una discussione gli sembrava terribilmente strano.
« Però non uno di quelli che si limita a saltare da una piattaforma all’altra sperando di non cadere. » Sul volto di Yuri apparve un piccolo sorriso a quelle parole. Ottimo. « Faccio anche quello, ma mi concentro di più sulle coreografie e… detto così sembra noiosissimo. »
Yuri scosse la testa rapidamente, come per timore che l’altro potesse smettere di parlare se solo non si fosse affrettato a intervenire.
« Non è vero, mi interessa. » Si bloccò, rendendosi conto che sembrava aver appena fatto il verso a Viktor. « Davvero. Insomma mi… piacerebbe vederlo. »
Viktor sorrise appena.
« Purtroppo questo circo è su invito. »
« L’ho sentito dire, sì. »
« Però non ti perdi nulla. »
Yuri aggrottò le sopracciglia, confuso; quando Viktor aveva parlato sembrava decisamente convinto delle proprie capacità e della propria bravura, perché in quel momento stava ritrattando quanto aveva appena detto?
« Ma io sarei comunq-… »
« Yuri! » La voce del ragazzo che JJ aveva allontanato lo raggiunse. « Non sai quante cose ho appena visto! »
Il ragazzo si stava sbracciando per fargli capire dove si trovasse, dirigendosi a passo spedito verso di lui.
« È tuo amico? » chiese Viktor, già dandolo per scontato.
« Sì. »
Phichit si stava avvicinando a passo così spedito da aver recepito l’ultima parte della conversazione.
« In realtà lavoro per lui », intervenne Phichit. « Ma a Yuri non piace dirlo perché gli sembra brutto definirmi semplicemente il suo domestico. »
« Sei mio amico, non sei il mio domestico! »
« Però mi paghi! »
« Phichit, ne dobbiamo seriamente parlare ora? » sospirò infine Yuri, sotto lo sguardo divertito di Viktor.
« Potremmo sottoporre la questione ai presenti e capire una volta per tutte chi ha ragione », scherzò Phichit, voltandosi verso Viktor.
Yuri parve sul punto di chiedergli se fosse serio, ma Viktor intervenì.
« Se posso, preferirei non esprimermi », disse. « Mi dispiacerebbe contrariare Yuri. »
Dopo quella frase gettò al giapponese uno sguardo piuttosto intenso, che l’altro ricambiò. Anzi, più che ricambiarlo spontaneamente sembrò non poter fare in modo diverso, completamente incantato.
Si riscosse fissando l’orologio, schiarendosi la voce e agitandosi visibilmente.
« Si è fatto tardi! »
Phichit controllò il proprio, di orologio, e dall’espressione sul suo volto sembrò chiaro che per loro si era fatto davvero tardi.
« Potete tornare, se vi fa piacere », disse Viktor. « Magari quando avrete più tempo. »
« Certamente! » Yuri non si portò una mano sulle labbra solo perché sarebbe stato un gesto troppo vistoso. « Voglio dire… mi farebbe piacere, sì. »
Capì che parlare ancora avrebbe voluto dire semplicemente inciampare ancor di più nel discorso e diventare rosso fino alla punta delle orecchie, unico punto del suo viso ancora di un colorito accettabile.
Fece un inchino, poi richiamò Phichit con un borbottio e iniziò a camminare.
Viktor lo guardò, divertito, senza ricambiare quel gesto fin troppo formale per timore di metterlo ancor di più in difficoltà.
« Non sono riuscito a trattenerlo di più, quel ragazzino schizzava da una parte all’altra ed è voluto correre fuori a raccontare ogni cosa prima che gli facessi presente l’importanza di fare un buon nodo per fissare i riflettori. »
JJ si era avvicinato a Viktor di soppiatto, le braccia incrociate al petto e un sorriso divertito sul viso.
« Sembra che tu abbia fatto colpo », insistette. « Ci avevi visto giusto, mi sa. »
« Oh, tu dici? » domandò, con un sorriso divertito sulle labbra.
« Lo hai invitato al circo, Viktor? »
« Ti pare? Non lo farei mai. »

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***


Capitolo secondo
 
 

"Pay no attention
to the man behind the curtain

He's a dark familiar stranger
but that's danger”
 


Viktor era una persona piuttosto assennata: sapeva di avere dei doveri e fortunatamente la sua indole era abbastanza energica da permettergli di impegnare ogni briciolo di tempo disponibile in qualcosa di utile.
Da quando aveva conosciuto Yuri, però, Londra era diventata per Viktor il luogo in cui ogni interesse per i suoi obblighi spariva: se si trovava con Yuri non poteva per ovvi motivi dedicarsi al lavoro e quando non era con il ragazzo rivolgeva comunque i propri pensieri solo ed esclusivamente a lui, desiderando di averlo al proprio fianco.
La sua mente era spesso annebbiata dal ragazzo anche quando viaggiava, ma diversamente dal tempo speso soggiornando a Londra, nel resto del mondo l’immagine del suo amato giapponese fungeva più che altro da incentivo, lo spronava a lavorare per fare ritorno da lui e spingere il tempo a scorrere più velocemente.
Se solo fosse stato possibile Viktor avrebbe fatto in modo di concedersi delle vacanze, così da non doversi esibire e da poter scordare almeno per qualche giorno i propri obblighi verso la compagnia.
Già, se solo fosse stato possibile.
« Viktor, ti posso parlare? »
Una voce lo riscosse mentre finiva di assicurare la fune del trapezio con cui poi si sarebbe dovuto allenare; era il caso che almeno in quel momento avesse la testa bene sulle spalle, se non voleva che la sua brillante carriera si concludesse con un disastroso incidente.
La voce di Mila, proverbialmente squillante e canzonatoria, gli sembrava venata di serietà. Troppa serietà.
Viktor si domandò se non si trattasse di un problema legato a Sara, a Yura, o a chiunque altro facesse parte della compagnia: a parte con JJ e Christophe che sapevano badare a loro stessi, Mila aveva la tendenza ad atteggiarsi da sorella maggiore con chiunque, perciò sapere che era lei a volergli parlare non lo aiutava affatto a capire chi riguardasse il problema.
« Che succede? » chiese Viktor, perdendo completamente interesse per ciò che stava facendo.
Per un istante riuscì anche a scordarsi di Yuri, se in ballo c’era la sua famiglia allargata. Erano entrambe due costanti fondamentali, Yuri e i suoi compagni; non aveva senso trascurarne una per l’altra e viceversa.
« Si tratta di Yuri. »
Nessun vezzeggiativo: il problema era il suo Yuri.
Alle orecchie di Viktor quella rivelazione suonò come uno scherzo; aveva appena accantonato il pensiero del giapponese e subito qualcosa che lo riguardava lo costringeva a pensarci di nuovo. Non ebbe troppo tempo per chiedersi se fosse una beffa a causa della preoccupazione che iniziava a salire.
« Cos’è successo? »
« Ieri il vecchio mi ha mandata a diffondere la voce che eravamo arrivati in città. Con Sara, come al solito. »
Viktor percepì un brivido freddo corrergli lungo la schiena. Attese che la donna continuasse.
« Per quello Yuri è venuto qui subito: ci ha viste. » La donna osservò l’espressione confusa del russo. « Dovresti controllare gli inviti allo spettacolo, Viktor. Penso che lo riceverà di nuovo. »
Il sangue di Viktor gli si raggelò nelle vene.
Non poteva succedere, non di nuovo.
Vide Mila gettarsi una rapida occhiata alle spalle, come a controllare se qualcuno li avesse sentiti. Viktor comprendeva la sua preoccupazione e in realtà le era già fin troppo grato per ciò che aveva fatto: un favore simile avrebbe anche potuto avere delle ripercussioni, tanto che non la biasimò se dopo averla ringraziata, Mila si allontanò rapidamente, quasi non volendo lasciar traccia di quel colloquio.
Vedere i valletti che pubblicizzavano gli spettacoli era indice che l’invito ad almeno una delle quattro serate sarebbe giunto a destinazione.
Le partecipazioni erano sempre nel carrozzone che faceva da magazzino, al momento parcheggiato insieme agli altri fuori dal tendone.
Fu lì che Viktor si diresse.
Non avrebbe impiegato molto: sarebbe stato attento, avrebbe recuperato quell’invito per poi strapparlo in mille pezzi. Avrebbe dato loro anche fuoco, se l’avesse ritenuto necessario.
Sentì le risate dei suoi compagni provenire dalla pista dove a distanza di qualche sera si sarebbero esibiti; udì anche la voce di Mila di nuovo allegra, probabilmente nel tentativo di mascherare ogni preoccupazione per non sembrare sospetta.
Si scordò di loro per un momento, infine si scordò anche di essere furtivo, riuscendo a pensare soltanto a cancellare assolutamente ogni traccia di quell’invito.
Una volta nella carrozza Viktor si precipitò sulla scrivania di legno inchiodata ad una delle pareti; era piena di scartoffie e abbozzi degli inviti, ma non vedeva quelli veri.
Erano sempre dentro un’elegante busta dorata o, se ancora sciolti, coperti comunque di scritte tracciate con inchiostro sgargiante. Erano poco grotteschi per uno spettacolo come quello, ma comunque molto appariscenti.
Pronti o meno che fossero, sarebbe stato strano non notare una consistente pila di carta.
« Dove diavolo sono…?! » domandò, esasperato, mentre le sue mani iniziavano a perdere delicatezza nello spostare i plichi di carta.
« Che cosa stai cercando? »
Viktor trasalì. Si voltò, notando prima una chioma bionda raccolta in una coda e poi che si trattava di Yuri.
Lo guardò negli occhi e registrò la sua presenza, ma non parve curarsi di lui abbastanza da rispondergli, tornando invece alla propria ricerca.
Yuri odiava essere ignorato. Odiava essere ignorato da chiunque, ma soprattutto da Viktor.
« Non c’è nemmeno quello di Yuri, maledizione… »
Sentire il nome del suo omonimo minò ulteriormente ai nervi del ragazzo. Non c’era parte del mondo o momento della giornata che impediva al russo lì, di fronte a lui, di parlare del suo amato. Forse Yuri non gli sarebbe risultato tanto indigesto se solo Viktor avesse avuto il senso della misura; se solo Viktor non lo avesse eclissato, distraendosi perennemente con quel giapponese; se solo Viktor gli avesse dedicato la stessa dose di attenzioni che usava dargli prima o se solo avesse almeno finto di curarsi dell’opinione che lui aveva del suo fidanzatino.
Si sentiva dire spesso che peccava di presunzione ritenendo il proprio giudizio tanto importante, ma non gli interessava.
« Sempre Yuri », sbottò. « Non dovresti pensare allo spettacolo? Andiamo in scena tra due giorni e tu sei così… deconcentrato. »
Viktor sapeva che prendersela con la prima cosa o persona a portata di mano, quando nervoso, era sbagliato. Sapeva che Yuri non c’entrava nulla in quella faccenda e che anche solo alzare la voce non sarebbe stato giusto. Ma maledizione, se sapeva pungere i suoi nervi esattamente dove e quando erano scoperti.
Yuri capì che aveva fatto un passo falso quando gli occhi di Viktor lo perforarono da parte a parte come una lama di ghiaccio.
« E tu, Yura? Non volevi diventare il migliore della compagnia? » gli chiese, con un tono tanto pacato da suonare disturbante. « Sappiamo già entrambi chi sarà a fare del proprio meglio e chi invece no. »
Viktor represse l’impulso di coprirsi le labbra con le mani dopo aver parlato. Per un attimo gli parve di rivedere davanti a sé Yuri, qualche anno prima, che lo fissava con lo sguardo troppo orgoglioso per mostrarsi ferito proprio da lui, il cui parere contava così tanto. Perché fu esattamente questo lo sguardo che gli rivolse.
« Non volevo », sussurrò, muovendo un passo verso di lui.
Sapeva di averlo ferito abbastanza da essersi guadagnato il suo silenzio; silenzio che sarebbe stato interrotto sicuramente da sbraiti e urla, se solo non si fosse sbrigato ad aggiungere qualcos’altro.
« Yura, mi dispiace », proseguì. « Stavo cercando gli inviti. » Viktor attese un momento, quasi volesse sondare il terreno. « Yuri ha visto Mila, ieri. Quindi lo riceverà anche lui. Di nuovo. »
Lo sguardo del biondo si fece serio, ma non più per la rabbia: sembrò annebbiarsi di preoccupazione, esattamente come quello di Viktor. Se solo fosse stato un momento diverso, il russo si sarebbe beato della consapevolezza che Yuri non doveva odiare il suo omonimo giapponese tanto quanto voleva dimostrare. Doveva essersi affezionato, per gli impacciati tentativi del suo amato di capirlo e di essergli amico.
« Li hanno spediti questa mattina. »
Viktor sgranò gli occhi, scuotendo il capo.
« Siamo appena arrivati, sarebbero dovuti partire domani. »
Yuri incrociò le braccia al petto. Suonava paradossale pensato da lui, ma avrebbe voluto essere di maggior conforto per Viktor.
« Ho pensato che ci fosse qualcosa di strano, infatti. »
Gettò uno sguardo al volto dell’uomo, che si era oscurato. Prima che potesse aggiungere qualcosa, Viktor colpì con un pugno la superficie della scrivania.
« Cazzo! »
« Viktor, non è detto che venga. È solo un invito, non è obbligato », gli fece notare Yuri, tentando di suonare quanto più rassicurante possibile.
« No, Yuri vuole vedere una nostra esibizione da anni, sarebbe venuto qui anche l’anno scorso se non avessi fatto sparire l’invito al nostro ultimo spettacolo. »
Viktor aveva già vissuto quella scena, con la stessa adrenalina addosso. L’unica differenza era che l’anno prima aveva trovato in tempo i biglietti, anche se solo per caso, ed era riuscito a stracciare quello di Yuri.
Ciò che quella volta l’aveva tradito non era la speranza che non accadesse più, ma il tempo. Era stato preceduto.
Sapeva che il suo gesto non era rimasto segreto e anche se nessuno aveva fatto la spia, Viktor viveva accompagnato dalla sensazione che avrebbe pagato per quel suo piccolo sabotaggio. O che Yuri avrebbe pagato.
Se quella volta gli inviti erano stati spediti tanto presto era sicuro che fosse, nella migliore delle ipotesi, per ammonirlo.
« Pensi che dovrei lasciarlo? »
Yuri stava ancora pensando ad un piano per risolvere la situazione, perché doveva esserci una scappatoia plausibile che non fosse suggerire a Viktor di raccontare ogni singola cosa al giapponese: era la via più semplice, ma anche la più pericolosa.
« Eh? » fece solo, spontaneamente.
« Yuri. Forse dovrei lasciarlo », mormorò. « Inventarmi qualcosa, un tradimento magari. Tutto pur di tenerlo lontano da questo posto. »
Yuri sibilò.
« Ascolta, idiota, non mi sono sorbito anni dei tuoi vaneggiamenti su quel giapponesino e i vostri stomachevoli sguardi da innamorati per sentire questo », esplose, la sua voce che non si alzava solo per la consapevolezza che quel discorso dovesse rimanere segreto. « Perciò non lo lascerai, te lo impedisco. Anche perché probabilmente sarebbe capacissimo di fare delle enormi cazzate in preda a qualche delirio. E anche tu. Davvero, non capisco cosa ti salta in mente. »
Viktor dovette prendersi qualche attimo per realizzare che ciò che Yuri aveva appena fatto era stato rimproverarlo. Di solito i ruoli erano invertiti, anche se lui non era mai così brusco e volgare come era appena stato Yuri.
Decisamente quel ragazzino stava crescendo.
E decisamente lui doveva trovare una soluzione.

*

Viktor era entrato in casa di Yuri solamente una volta, ma l’aveva accompagnato lungo la strada in così tante occasioni, quando facevano tardi e non voleva che il ragazzo rincasasse da solo, da avere il percorso marchiato a fuoco nella propria memoria.
Non aveva avuto difficoltà nel raggiungere la soglia della piccola casa a schiera.
L’aveva sempre trovata modesta e adatta a Yuri, sia fuori che dentro.
Non era lì per vedere il ragazzo, però; era lì proprio perché sapeva che quel pomeriggio Yuri sarebbe stato impegnato con alcuni clienti dell’impresa che in passato apparteneva a suo padre.
Viktor doveva vedere Phichit. Doveva assolutamente incontrarlo e parlargli per risolvere quella maledetta questione. Sapeva che il ragazzo avrebbe capito.
Il russo afferrò il batacchio della porta, picchiandolo contro la superficie di legno. C’erano state delle volte in cui gli era risultato molto più spontaneo colpire direttamente la porta con la mano, ma Yuri gli aveva fatto notare che probabilmente chiunque fosse all’interno si sarebbe spaventato con un simile bussare. Supponeva che solo lui fosse in grado di dargli del bruto senza innervosirlo.
Per un attimo ebbe il timore che nemmeno Phichit fosse in casa, poi ricordò quanto il ragazzo trovasse noiose le questioni lavorative che coinvolgevano Yuri, per averlo seguito.
In quella casa ormai vivevano solamente loro due, tuttavia Viktor non era mai stato geloso.
Fin dalla prima volta in cui aveva incontrato Phichit, Viktor si era reso conto che lui e Yuri si guardavano con la stessa complicità di due fratelli, due persone che avevano vissuto così a lungo insieme da aver raggiunto un livello di intimità invidiabile. Lo stesso rapporto che aveva lui con uno Yuri Plisetsky o un Christophe.
Proprio perché conosceva il valore di una simile relazione non aveva mai tentato di allontanare Yuri e Phichit, anzi: sapere che Yuri era in sua compagnia lo aveva sempre reso più tranquillo, durante le proprie lunghe assenze.
Yuri gli aveva raccontato che la madre di Phichit era, fin da prima che lui nascesse, una domestica della sua famiglia. I suoi genitori l’avevano sempre sostenuta, ripagando in quel modo la sua fedeltà. Per questo motivo quando la famiglia di lei aveva smesso di volersi occupare costantemente di Phichit, i genitori del giapponese avevano accolto il bambino in casa loro.
Yuri era di appena un anno più grande e il loro incontro era avvenuto quando avevano rispettivamente otto e sette anni. Phichit inizialmente era molto più diffidente di lui, ma quando si era reso conto che Yuri era una persona tranquilla aveva preso il sopravvento. Prima erano stati compagni di giochi, poi Phichit era diventato praticamente il domestico privato di Yuri, per decisione dello stesso tailandese.
Viktor interruppe i propri pensieri solo vedendo la porta aprirsi.
« Viktor? Che ci fai qui? » domandò Phichit. « Yuri non c’è. »
« Lo so, sono venuto proprio per questo », rispose. « Ti devo parlare. »
Anche se Viktor manteneva sempre una certa cortesia distaccata per far capire agli altri che sì, non amava essere sgarbato, ma non sarebbe mai stato subito amico di chiunque avesse di fronte, c’erano alcune persone con cui nel corso del tempo si era lasciato andare. La maggior parte dei suoi compagni, ad esempio, e certamente Yuri. Anche Phichit, ormai, apparteneva a quella categoria.
Per questo quando il moro si rese conto che Viktor non gli aveva nemmeno rivolto un sorriso per salutarlo, capì che qualcosa non andava.
« Entra. »
La pazienza non era esattamente una dote propria a Phichit, lo aveva dimostrato a Viktor fin dalla prima volta in cui si erano visti: non aveva fatto altro che tormentare Yuri dicendo che sarebbe voluto entrare a visitare il tendone, che gli sarebbe piaciuto conoscere qualche artista e gli aveva dipinto in pochi minuti l’intero quadro della propria vita da circense. Era proprio grazie al suo entusiasmo che Viktor aveva trovato un modo per avvicinare Yuri.
Phichit rimase in attesa solo perché credeva di poter immaginare di che cosa Viktor avesse bisogno e voleva per questo ritardare il momento in cui ne avrebbero parlato, anche se solo di pochi secondi. Ricordava che l’anno prima, più o meno nello stesso periodo, il russo aveva fatto in modo di discutere da soli per sfogarsi riguardo ad una certa questione.
Phichit sapeva che con Viktor, quando c’era un problema, non si variava mai troppo sul tema: riguardava quasi sempre il luogo dove lavorava e tutto considerato non avrebbe nemmeno mai osato colpevolizzarlo per la sua necessità di confrontarsi con qualcuno.
Non che il tutto considerato di Phichit comprendesse molti elementi: non sapeva proprio tutto, forse sarebbe stato adeguato liquidare la cosa dicendo che non sapeva proprio nulla, ma aveva ugualmente intuito quanto bastava per capire che la situazione era grave.
Quando Viktor parlò gli parve trascorsa un’eternità, sperò che fosse trascorsa un’eternità; si trattava solo di pochi secondi, invece.
« Verrà invitato anche Yuri, quest’anno. »
« Cosa?! » esclamò Phichit. « Di nuovo? »
Viktor rispose con un piccolo cenno del capo. Gli sarebbe piaciuto poter gestire la cosa da solo, senza costringere terzi a preoccuparsi per lui o per Yuri. Sapeva però che non poteva muoversi senza aiuto, se non voleva destare sospetti.
Stabilirsi a casa di Yuri e controllare la posta sarebbe stato decisamente strano, oltre che impossibile: almeno tre quarti delle sue giornate doveva trascorrerli con i suoi colleghi e a provare i propri numeri. Utile, se voleva cercare di capire preventivamente cosa sarebbe potuto succedere.
« Forse non verrà invitato proprio a questo primo spettacolo », spiegò. « Ho provato a cercare gli inviti, ma sono stati fatti partire insolitamente presto, questa volta. Credo che arriveranno oggi, al massimo domani. »
Phichit aveva distolto lo sguardo dal viso di Viktor solo per un attimo e aveva sfruttato quel tempo per camminare nervosamente su e giù per la stanza. Quando si volse di nuovo verso il russo, si convinse di aver appena visto uno degli sguardi più tristi al mondo.
Viktor non lasciava trasparire quasi nulla e per quanto Phichit fosse uno dei pochi eletti non trattati con circostanza, probabilmente solo in virtù della sua amicizia con Yuri, non aveva mai visto l’espressione di Viktor sbottonarsi a quel modo. Gli sembrava un concentrato di impotenza e paura.
« Ho bisogno che controlli la posta, Phichit. Che prendi quegli inviti e che li fai sparire, se arrivano. E che mi avvisi quanto prima. Sai, per… »
Il ragazzo annuì con energia, come se mostrarsi tanto deciso a portare a termine quel compito potesse in qualche modo spronare Viktor a reagire.
« Per stare tranquillo, Viktor? Direi che te lo meriti », lo rassicurò. « Risolveremo questa cosa. »
« Grazie, davvero. »
Viktor provò una gratitudine tale nei confronti di Phichit che si chiese se mai sarebbe stato in grado di ripagarlo. Se le cose fossero andate avanti in quel modo probabilmente il ragazzo avrebbe dovuto continuare a celare quegli inviti anche l’anno successivo. Chissà, magari anche quello dopo ancora.
Pure Phichit dimostrò di aver pensato la stessa cosa, da quanto gli disse.
« Però, Viktor… » Il ragazzo gettò un rapido sguardo al russo, quasi timoroso. « Perché non spiegare tutto a Yuri? No, anzi, magari non proprio tutto. Almeno quello che può succedere quando vieni invitato. » L’espressione di Viktor gli parve torva, ma Phichit decise di continuare ugualmente. « So che Yuri è curioso, a me per primo ha detto che spera di riuscire a vedere una tua esibizione, prima o poi, ma mi ha detto anche che sentirti dire sempre che non perde nulla mancando agli spettacoli e il tuo essere misterioso sull’argomento gli stanno dando da pensare. Se io, o tu, potessimo dirgli almeno qualcosa potremmo convincerlo a stare lontano, no? »
Fu solamente la consapevolezza che Phichit volesse un bene a Yuri, seppur diverso, pari al suo, a spingere Viktor a respirare una volta in più prima di parlare.
Forse peccava di presunzione anche con il proprio voler credere di sapere già come sarebbero andate le cose, o forse era troppo spaventato dai rischi per decidere di correrli. Forse erano vere entrambe le cose.
« Yuri continua a dire che vuole sapere tutto di me per non permettermi di affrontarlo da solo, Phichit », sussurrò. « Se non mi prendesse per pazzo una volta scoperto cosa succede, magari perché tu confermi che è la verità, certamente farebbe altre domande, chiederebbe perché. E non posso spiegargli anche quello, perché sono sicuro che a quel punto arriverebbe a fare davvero qualche stupidaggine. »
Phichit annuì, anche se sapeva che inventare bugie su bugie per non dover essere sincero con Yuri sarebbe stato difficile, estenuante come lo era stato l’anno precedente.
Per un momento ricordò la sera in cui era stato lui a ricevere l’invito e a come tutto il suo entusiasmo fosse scemato quando aveva incontrato il direttore. Si era reso conto che qualcosa stava per succedere, la musica che ancora suonava in pista per intrattenere gli ospiti intenti ad andarsene si era fatta ovattata e il suo campo visivo si era rabbuiato.
Poi aveva sentito la voce di Viktor, che l’aveva portato via.
Non ricordava cosa gli avesse detto, come non ricordava che parole avesse scambiato con il direttore.
Sapeva solo che quando si era ripreso aveva reclamato una spiegazione e Viktor si era rassegnato, raccontandogli ciò che era strettamente relativo a quanto gli era accaduto.
Phichit aveva avuto incubi per giorni, ma Viktor l’aveva rassicurato dicendo che non avrebbe subito delle ripercussioni, che c’erano delle regole e che lontano da quel circo sarebbe stato al sicuro.
« Phichit, promettimi che non dirai nulla. »
Il ragazzo lo guardò, titubante.
Non voleva che Yuri si avvicinasse neanche di un soffio alla possibilità di finire peggio di lui.
« Prometto. »





----

Devo assolutamente partire con il fare dei ringraziamenti perché davvero, non mi sarei mai aspettata tutti i commenti che ho ricevuto al primo capitolo, né che tante persone si dimostrassero interessate a questa storia. Vi ringrazio davvero di cuore quindi per le recensioni, per aver inserito la storia tra le seguite, le ricordate, per aver semplicemente letto, per qualsiasi cosa. Dopo aver postato il capitolo correrò a rispondere a tutti!
Spero davvero che la storia, continuando, sia all'altezza delle vostre aspettative ;_;
Detto questo sì, il secondo capitolo è un po' di passaggio, ma già dal prossimo le cose si movimenteranno e cominceranno ad esserci le prime spiegazioni.
Conto di riuscire ad aggiornare più rapidamente: ho completato la storia, perciò dovrei pubblicare ogni due-tre giorni. Mi pare una buona scelta per una fan fiction dove, almeno mi auguro, rimarrà della suspance fino alla fine!
Come sempre spero che vi vada di dirmi cosa ne pensate.
Al prossimo capitolo!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***


Capitolo terzo
 

“When I hit the ground
You’re all I need”
 


C’era qualcosa che rinnovava l’emozione di andare in scena ad ogni spettacolo, nonostante lavorasse in quel circo ormai da anni.
JJ si era convinto che con il passare del tempo anche l’eccitazione di superare le cortine del sipario per ritrovarsi davanti la platea affollata sarebbe diventato monotono. Che proprio lui, tanto certo delle proprie abilità, fosse ancora spronato dall’idea di esibirsi, era una cosa che mai avrebbe creduto possibile.
Forse era la sottile paura di non riuscire a stupire il pubblico e il desiderio di ottenere anche un solo applauso in più rispetto alla precedente esibizione a smuoverlo, a spingerlo a cantare con maggiore trasporto per emozionare i suoi ascoltatori.
Quando era stato il momento di unirsi a quel circo JJ si era scoperto per nulla convinto che il suo talento sarebbe stato adatto, ma non per un qualche senso di inferiorità: era sempre stato abituato a spettacoli di livello superiore a quello di un circo da quattro soldi. Jean-Jacques Leroy non si sarebbe mai abbassato in quel modo.
Poi aveva visto Viktor volteggiare con una leggerezza disarmante sul suo trapezio e Christophe stupire tutti con i propri numeri di contorsionismo. Allora si era convinto che il suo talento doveva diventare adatto a quel circo, che non poteva essere da meno.
Forse era proprio la possibilità che i veterani di quello spettacolo lo surclassassero, o che addirittura quelli che si ostinava a chiamare pivelli come Yuri potessero farlo, a renderlo tanto appassionato.
Aveva bisogno di quel circo e trovarci un terreno fertile per il proprio talento era stata una fortuna, un segno che forse le cose dovevano davvero andare così.
« Signore e signori è con grande orgoglio che vi presentiamo il mitico Jean-Jacques Leroy! »
L’uomo si diresse verso la pista, spianando le pieghe del proprio abito in damasco viola scuro. Dalla giacca abbottonata sbucava il bavero della camicia, tutto fronzoli e merletti. Yuri l’aveva spesso accusato di essere pacchiano, ma poi JJ gli aveva fatto notare cos’era solito indossare Christophe, zittendolo.
Incrociò Mila per un attimo e si sentì augurare un in bocca al lupo storpiato dall’accento russo, a cui avrebbe volentieri risposto dicendo che non gli serviva.
Venne travolto dal boato della folla, preparandosi a cominciare la propria esibizione. Chi era abbastanza fortunato da poter assistere a quello spettacolo più di una volta era di solito chi si spellava di più le mani con gli applausi, consapevole della sua bravura. Sicuramente JJ non avrebbe tradito le loro aspettative.
C’era una persona in particolare a cui pensava quando doveva dare del proprio meglio: Isabella. La sua Isabella, sua moglie. L’unica donna che avesse mai amato, ma con cui, ahimè, aveva interrotto ogni rapporto. Lui era stato forse un po’ troppo avventato, poteva concederglielo, ma lei non aveva voluto capire.
Christophe gli aveva fatto notare che essendo lui un artista avrebbe dovuto apprezzare meglio di chiunque altro la bellezza di una storia d’amore tragica. JJ sarebbe riuscito a vederci del fascino e ad usarla come racconto d’effetto per stregare i propri ammiratori, se solo non ne fosse stato il protagonista.
Non c’era giorno in cui il pensiero di quella donna non lo logorasse. Cantare, spesso le stesse canzoni che lei stessa amava, era l’unico momento in cui riusciva a pensarla con lucidità, senza lasciarsi travolgere da malinconia e rimpianti. L’unico vero momento di pace dai propri fantasmi.
Quella canzone in particolare era una delle preferite di Isabella; JJ ricordava ancora distintamente quando era solito canticchiarla, con la testa sulle sue gambe, così come ricordava le dita esili di lei che gli accarezzavano i capelli. Tutto solo per renderla felice. In quei momenti riusciva a scordarsi del proprio bisogno di sembrare il migliore: sapeva che per lei lo era e riusciva a convincersi che lo sarebbe sempre stato.
Isabella aveva un sorriso per ogni occasione e quello suscitato dalla melodia che JJ aveva scelto per quella sera era talmente bello da essere da solo il motivo per cui l’uomo non si era mai stancato di accontentarla quando gli chiedeva di cantare per lei.
Ogni tanto JJ apriva gli occhi, mentre era in scena, e quasi gli sembrava di vederla in piedi davanti a sé, con quella precisa espressione. Ne ricordava ogni dettaglio, anche il più piccolo, quasi l’avesse fotografato più e più volte con i propri stessi occhi.
Non gli era capitato neanche una volta, però, di osservare la platea e vederla seduta tra il pubblico, tra un nobile sconosciuto e una donna accompagnata dal marito. Non gli capitava mai nemmeno di scambiare ciò che vedeva con l’immaginazione per realtà.
Per questo la voce gli morì in gola.
Interruppe la propria impeccabile esibizione e rimase immobile.
Divenne tanto pallido in così poco tempo da far giustificare il proprio comportamento con un malore a tutti i presenti. Non ricordava di averli mai sentiti bisbigliare sottovoce, magari addirittura contestando la sua bravura.
Per una volta a JJ non importava: non gli importava né della propria fama, né di ciò che il suo adorato pubblico stava pensando di lui. Poteva anche non lo adorarlo, per una volta: non gli interessava.
Gli occhi di Isabella erano fissi nei suoi. La donna si alzò, scavalcando le gambe delle persone sedute sulla sua stessa panca e JJ vide che si stava dirigendo verso le scale.
Non sapeva se volesse scappare da lui o se sperasse di raggiungerlo per parlare. Dubitava che non volesse essere notata: se così fosse stato non avrebbe indossato l’unico collier di diamanti che aveva deciso di non vendere, quando la loro situazione economica si era fatta precaria, così come non avrebbe indossato l’abito di seta verde che lui stesso le aveva ripetuto più e più volte di adorare.
L’aveva aiutata a scegliere la stoffa, così come aveva litigato con il sarto per convincerlo che farle tenere le spalle scoperte avrebbe valorizzato la sua figura.
JJ non affrettò un inchino, non ci provò nemmeno; abbandonò il proprio posto al centro della scena e sparì dietro le quinte.
L’unica cosa che voleva fare era parlare ad Isabella e allontanarla da quel luogo. Non doveva essere lì.
« Che sta succedendo? »
Viktor era seduto oltre il sipario, intento a godersi la sensazione provocata dai muscoli che lentamente si scioglievano. Avere sulle spalle la responsabilità della prima esibizione della serata comportava una discreta dose di tensione persino per lui, ma c’erano poche cose capaci di dare gratificazione quanto un numero d’apertura ben riuscito. E il suo era stato clamoroso.
Di solito Viktor non si intrometteva mai: era consuetudine che osservasse ciò che gli accadeva intorno spesso senza dare nemmeno l’impressione di aver guardato, sorprendendo tutti quando rivelava di aver osservato e anche con molta attenzione qualsiasi cosa fosse accaduta.
Se sentì la necessità di preoccuparsi fu perché quel comportamento da parte di JJ poteva essere motivato solo da un avvenimento grave.
« Isabella », biascicò l’uomo, superandolo rapidamente. « È qui. »
Viktor sgranò gli occhi.
Unico ad aver udito le parole di JJ, il russo lo seguì rapidamente, perdendo le sue tracce quando lo vide scomparire oltre l’angolo, ma conoscendo fortunatamente abbastanza bene quel tendone da sapere dove JJ si stesse dirigendo.
C’era un’uscita posteriore, che portava rapidamente alle gradinate.
Quantomeno non c’era nessuno lì con loro, o sarebbero stati rallentate da domande su domande.
Viktor vide di nuovo JJ mentre era intento a scostare con un braccio la stoffa pesante del tendone.
Le sue orecchie erano stordite dal rumore dell’orchestra che accompagnava l’esibizione di Otabek, ma ciò non gli impedì di distinguere qualcosa. Un suono che la sua mente riuscì a distinguere e catalogare come un urlo.
Quando Viktor uscì nell’aria fresca della tarda sera londinese capì che fin troppe cose stavano iniziando a sgretolarsi.
Vide la schiena di JJ, inginocchiato a terra e ricurvo su qualcosa che stringeva convulsamente tra le braccia. Gli parve di distinguere dei singhiozzi e quando vide il volto pallido di Isabella con gli occhi chiusi non ebbe dubbi sull’accaduto. Anche gli ultimi rimasugli di titubanza vennero spazzati via quando si accorse della presenza del vecchio proprietario del circo; lo stesso che gli ricordava Yakov, l’uomo che Viktor avrebbe voluto e dovuto ringraziare per la propria bravura.
« Perché? »
La voce di JJ suonò come un rantolo, disperato e cupo. Viktor si avvicinò, sentendo il peso dell’intera situazione che lo schiacciava. Immaginava come si sentisse: quella di perdere le persone care era una delle sue paure più grandi.
Essere così terrorizzati da rimanere senza fiato, immobili, capaci di chiedere solo perché. Viktor si era già trovato in una simile condizione e aveva giurato a sé stesso che non sarebbe mai più accaduto.
« Perché cosa, Jean-Jacques? » chiese il direttore.
Le dita dell’uomo si strinsero con più forza intorno alla seta verde dell’abito di Isabella, quasi fosse il suo unico appiglio alla lucidità.
« Perché proprio lei?! »
« È un sacrificio come un altro », rispose l’uomo, con voce pacata. « Il prezzo da pagare se volete che questo circo sopravviva. È nel vostro interesse. »
« Sì, ma perché Isabella?! » ringhiò ancora JJ, sempre più furente. « Sapevi chi era, sapevi cosa stavi facendo… »
« Non mi pare che il nostro accordo prevedesse che non toccassi Isabella, Jean-Jacques », gli fece notare l’uomo.
Viktor vide JJ, ancora chinato a terra, sciogliersi nella propria rassegnazione.
Il vecchio alzò lo sguardo e puntò i propri piccoli occhi, vispi e malvagi, in quelli azzurri di Viktor.
« Avremo degli ospiti interessanti, quest’anno. »
Capì cosa stava cercando di dirgli.
Viktor si lasciò superare. Pensò che non doveva ascoltare le proprie mani che prudevano. Pensò a Yuri, per cui doveva controllarsi.
Una volta rimasti soli, Viktor si avvicinò a JJ e poggiò una mano sulla sua spalla, senza dire una parola.
Una goccia di pioggia colpì il dorso della mano di Viktor, che alzò lo sguardo verso il cielo.
Non ci sarebbe potuto essere tempo più adatto.

*

La concretezza era una cosa a cui Yuri era sempre stato abituato, fin da piccolo. A ragione, essendo suo padre un uomo che con le cose materiali ci lavorava: se avesse voluto essere un buon candidato per l’azienda di famiglia, Yuri avrebbe certamente dovuto continuare ad essere realistico.
Piedi saldamente per terra non per questo non potevano andare a braccetto con la fantasia; suo padre gli aveva sempre detto che per un uomo d’affari la fantasia, il ragionare fuori dagli schemi e la capacità di vedere le situazioni da una prospettiva inaspettata erano un ottimo vantaggio. Peccato che Yuri avesse fantasia da vendere nei frangenti sbagliati.
Poteva essere concentrato sulla realtà e concreto quanto voleva: i suoi mostri rimanevano paure infondate che non riusciva a combattere.
Da quando aveva conosciuto Viktor e i suoi sentimenti avevano assunto un valore tanto importante nella sua vita,doveva ammettere che la situazione era degenerata. Non ne faceva una colpa al russo: se solo non avesse avuto lui in quel particolare periodo della propria vita era certo che sarebbe crollato.
Era grato a Viktor per tantissime cose ed era una delle persone a cui più teneva al mondo.
Yuri aveva diverse cicatrici e ferite ancora non rimarginate, nascoste da quella cappa ti timidezza e sorrisi cortesi. Ferite che avevano instillato in lui la sfiancante paura che a Viktor potesse accadere qualcosa, che se la vita si fosse voluta prendere ancora qualcuno, di certo avrebbe scelto lui.
Erano preoccupazioni che tenevano Yuri sveglio la notte, tanto quando Viktor era lontano che quando era a meno di un miglio da lui, con il suo circo.
Yuri non voleva annoiarlo con i propri pensieri. Non voleva che lo prendesse per pazzo, in realtà, ma c’erano sere come quella, in cui la pioggia batteva sulle finestre e il suo cuore martellava allo stesso modo, in cui veniva tormentato dal presentimento che stesse per accadere qualcosa.
Da quando Viktor era tornato a Londra, Yuri si era convinto che qualcosa non andasse. Non sapeva nemmeno lui che cosa, né chi riguardasse, ma ne era terrorizzato.
Avrebbe voluto parlare con qualcuno, perché distrarsi era l’unica cosa capace di dargli conforto in quei momenti; doveva solo riempire la testa di qualcos’altro e si sarebbe sentito meglio.
Non voleva svegliare Phichit, però. Non voleva essere sempre un peso.
Quella catena di pensieri venne spezzata da un bussare insistente alla porta d’ingresso, al piano di sotto.
Yuri gettò uno sguardo all’orologio a muro, nonostante l’avesse già controllato una manciata di secondi prima per l’ennesima volta, nella speranza che la mattina si fosse avvicinata più in fretta del previsto mentre lui non guardava.
Se era sicuro di qualcosa era che nessuno di rispettabile andava in giro per Londra alle tre di notte e che il buonsenso lo avrebbe dovuto tenere ancorato al proprio letto, dove poteva dirsi al sicuro.
Però aveva desiderato qualcuno con cui parlare, qualcosa che lo distraesse; forse sull’uscio di casa quel qualcuno c’era davvero. Nella penombra della propria camera da letto, invece, sarebbe soltanto rimasto accerchiato dalle proprie paure, in attesa che lo aggredissero di nuovo.
Era sfiancante.
Indossò la propria vestaglia blu scura e decise di scendere, non senza temere chi poteva esserci dall’altro lato della porta d’ingresso che, gradino dopo gradino, si faceva sempre più vicina.
Il ragazzo appoggiò l’orecchio alla porta. Lo scrosciare della pioggia si era fatto più insistente nel tempo che aveva impiegato a scendere.
« Chi è? » domandò, senza aprire.
« Yuri… »
Era Viktor.
Non bastavano una porta a dividerli e il rumore di un acquazzone per impedirgli di riconoscerlo.
Yuri si affrettò a sganciare il chiavistello e ad aprire. C’era qualcosa nel suo tono che gli aveva fatto raggelare il sangue; la conferma del suo presentimento che stesse per accadere qualcosa, forse?
Aprì la porta e sgranò gli occhi. Viktor se ne stava sull’uscio completamente fradicio, i capelli argentati appiccicati al volto e la giacca nocciola completamente zuppa d’acqua, così come i vestiti che si intravedevano sotto di essa. E i suoi occhi. Dio, i suoi occhi avevano l’espressione più triste che Yuri avesse mai visto.
« Che cos’è successo? » domandò.
Prese le mani dell’uomo e lo tirò dentro casa, chiudendo la porta.
« Sei gelato, Viktor… » mormorò, unendo le mani del russo tra le proprie nel vano tentativo di scaldarle. « Aspetta, togli questa. »
Si sporse per sfilargli la giacca, incurante che stesse gocciolando su tutto il pavimento.
Riuscì a malapena ad appendere il soprabito sull’attaccapanni che si sentì afferrare. Viktor parve crollare su di lui, afflosciarsi sulla sua spalla come un fiore appassito.
L’uomo non aveva aperto bocca se non per fargli capire chi fosse, ma Yuri riusciva a sentire tutta la sua tristezza attraverso la pelle.
« C’è stato un incidente », mormorò, ancora senza allontanare il viso dal suo corpo.
Yuri sgranò gli occhi. Se solo non avesse squadrato da cima a fondo Viktor l’avrebbe allontanato per accertarsi che stesse veramente bene, che non fosse lui la vittima.
Affondò le dita tra i suoi capelli, pettinandoli lentamente e baciando lo stesso percorso delle proprie mani nella vana speranza di sentire i muscoli dell’altro rilassarsi. Yuri si accorse che tremava, non seppe dire se per il freddo o per ciò che stava cominciando a raccontargli.
« La moglie di JJ è venuta a vederci ed è… »
« Mi dispiace, Viktor », mormorò Yuri, impedendogli di finire. « Mi dispiace tanto. »
Gli prese il viso tra le mani, facendoglielo sollevare per poterlo guardare negli occhi. Baciò le sue labbra, sentendosi ricambiare quasi con disperazione.
« So che è sciocco da chiedere, ma lui come sta? »
« Era furioso, a dir poco. E devastato. »
Dopo aver ricevuto conferma che non fosse l’altro a star male, accompagnare Viktor al piano superiore e recuperare una vestaglia che gli stesse abbastanza grande da coprirlo e tenerlo al caldo furono le prime cose di cui Yuri si occupò. Tornò da lui dopo aver gettato in lavanderia i vestiti zuppi, si sistemò sul letto e con un asciugamano tra le mani iniziò ad asciugare i capelli bagnati.
« Non volevo farti preoccupare così », disse Viktor, un sorriso tirato ad increspargli le labbra.
« Non dirlo neanche per scherzo! » rispose Yuri, scostando i lembi dell’asciugamano dal suo volto per poterlo guardare. « Sono felice che tu sia venuto qui », aggiunse, tornando al proprio lavoro.
Avrebbe voluto sapere cos’era successo con maggior precisione; non per un morboso e macabro senso di curiosità, ma per la convinzione che questo potesse aiutare Viktor a sentirsi almeno un po’ meglio.
« Sembra sciocco che io stia così male per quella donna », sussurrò. « Non la conoscevo nemmeno, ma JJ era così scosso. »
Se solo avesse potuto spiegare ogni cosa a Yuri, il vero motivo per cui quella situazione bruciava sulla sua pelle in quel modo, forse sarebbe davvero riuscito a sentirsi meglio. Forse avrebbero anche trovato una soluzione, per quanto utopico gli sembrasse.
Viktor si ritrovò con il volto affondato sul petto di Yuri. Le dita affusolate del ragazzo erano immerse nei suoi capelli e li accarezzavano con una delicatezza che in tutta la propria vita aveva sentito usare solamente da lui. Lo trattava come se fosse quanto di più prezioso avesse al mondo.
« Vivete insieme ogni giorno, Viktor. Vi conoscete da anni, è ovvio che tu sia così scosso. »
Viktor annuì appena. Quando Yuri gli parlava lo faceva sentire quasi sempre come se aprirsi e rivelare ogni cosa non fosse così complicato come credeva.
« Lei lo ha aiutato tanto. Una volta JJ mi ha detto che è… beh, era l’unica donna che abbia mai amato. Per questo non ha mai cercato la compagnia di nessun’altro, mentre eravamo in viaggio », cominciò, inspirando il profumo della pelle di Yuri quasi a darsi coraggio. « Ti ho mai detto che una volta JJ lavorava in teatro? »
Chissà, forse se avesse potuto stare più vicino a Viktor, se avesse potuto assistere di più ai suoi spettacoli, allora avrebbe conosciuto meglio sia lui che i suoi compagni.
Yuri scosse lentamente la testa, realizzando solo in ritardo che Viktor non lo avrebbe potuto vedere e che nemmeno aveva alzato gli occhi per provarci.
« No, Vik. Non me lo hai mai detto. »
« Era bravo. La sua specialità erano i musical, per questo ora le sue esibizioni sono canore », spiegò. « Ricordo che un anno, prima che noi due ci conoscessimo, sono venuto qui a Londra e ho visto intere strade tappezzate di manifesti di suoi spettacoli. C’era il pienone tutte le sere, ma questo è stato lui a dirmelo e sappiamo entrambi quanto possa essere vanitoso. »
Una risata amara sfuggì alle labbra di Viktor. Yuri quasi provò dolore nel sentirla.
« A quanto so il suo carattere deve averlo fatto mettere contro le persone sbagliate. Il suo successo e il suo modo di fare gli ha reso nemica una qualche banda e beh, il modo migliore per rovinare un attore è sfregiarlo. »
Le carezze di Yuri si erano spostate sul volto di Viktor, mentre le braccia esili del ragazzo si erano strette intorno al suo busto.
« All’epoca ha iniziato a bere, completamente devastato dall’accaduto. Lui e Isabella… » Viktor prese un respiro. Nominarla rendeva più concreto quanto era successo quella stessa sera. « Hanno avuto dei seri problemi economici, a quanto so. »
Yuri si era ripromesso di lasciarlo finire senza interromperlo, ma non ci riuscì.
« Ma non ho mai visto nessuno sfregio sul viso di JJ, Viktor. »
Il russo trattenne il respiro per un momento. Maledizione. Per un attimo si chiese se non fosse il caso di rivelare tutto al ragazzo, anche solo per poter sondare la sua reazione. Decise di non farlo.
« La chirurgia fa miracoli, Yuri. Così come il trucco. Il proprietario del circo deve… avergli pagato qualche operazione. » Viktor suonò un po’ brusco, troppo per fermarsi e dare il tempo al ragazzo di riflettere su quanto fosse stato scostante. « So di essere egoista, ma ciò che è successo a JJ mi ha dato da pensare. Non vorrei mai che accadesse… anche a noi. »
Yuri non era sciocco: capì che Viktor stava tentando di evitare il discorso, ma pensò che dopotutto si trattava di un’inezia. La cosa davvero importante era la preoccupazione che il russo gli aveva appena rivelato.
Scosse lentamente la testa, prendendo il volto di Viktor tra le mani.
Quanto potevano essere simili, loro due?
Avevano le stesse preoccupazioni.
« No, Viktor… » sussurrò, sforzando un sorriso. « Non devi neanche pensarci. »
Il russo gli rivolse un sorriso dolente. Si sentiva terribilmente in colpa a riversare un simile pensiero proprio sulle spalle di Yuri, ma sapeva che poteva capirlo. Lo avrebbe fatto anche senza aver già sperimentato una situazione simile.
« Non ci riesco, moya lyubov’ », sussurrò. « È tutta la notte che provo ad allontanare questa preoccupazione. Da quando sono tornato a Londra ho come l’impressione… » Viktor non si era mai sentito così bugiardo. « Che qualcosa voglia dividerci e ogni tanto temo che ci riuscirà. »
Non aveva un’impressione, aveva la certezza che sarebbe accaduto.
Yuri sentì un brivido freddo corrergli lungo la schiena. Anche lui aveva pensato la stessa identica cosa, che qualche presentimento gli stesse suggerendo che Viktor gli sarebbe stato portato via, che le cose non fossero così semplici come aveva sempre creduto.
Non glielo disse, però.
Da tempo Yuri non chiedeva altro che un’occasione per far sapere a Viktor che anche lui c’era, che poteva stargli vicino. Che Viktor poteva contare su di lui.
« Non accadrà », ripeté, con voce ferma.
Viktor non aveva mai visto quelle due pozze d’ebano che erano gli occhi di Yuri farsi tanto serie e convinte. Per un attimo pensò che avrebbe potuto lasciarsi convincere di qualsiasi cosa, di fronte a quello sguardo.
« Te lo prometto, Viktor », proseguì. « Non mi succederà nulla. Non ci succederà nulla. »
Un piccolo sorriso amaro incrinò le labbra di Viktor. Era un’espressione che non gli si addiceva affatto, pensò Yuri.
« Non puoi prometterlo. »
« Invece posso », ribatté Yuri. « Tu l’hai fatto. Lo hai fatto quando ho perso i miei genitori e pensavo che sarebbe successo qualcosa anche a te. »
Viktor si trovò costretto a rimanere in silenzio. Non avrebbe potuto nascondersi dicendo che quella situazione era diversa, perché aveva consolato Yuri in una situazione del tutto simile e per giunta con le stesse parole.
« Mi ricordo ancora la lettera che mi hai mandato, sai? », sussurrò, appoggiando il mento tra i fili argentati della chioma di Viktor. « Hai detto “faremo andare tutto bene, d’ora in poi. Io lo farò andare bene.” »
Un piccolo sorriso, questa volta più sollevato, comparve sulle labbra di Viktor di fronte a tanta dedizione da parte di Yuri. Aveva addirittura imparato quella frase a memoria; era sicuro che se avesse controllato l’avrebbe scoperta corretta.
« Se ne sei tanto convinto, lyubov’, come faccio a non crederti? »

*

Quattro mesi prima
Giugno
 
Mio amato Viktor,
ti chiedo scusa per la mia lentezza nel risponderti.
Qui le cose non sono state facili, non ho avuto nemmeno la forza di prendere in mano la penna o, se lo facevo, non riuscivo ad andare oltre il tuo nome.
Avrai pensato che mi fossi dimenticato di te, ma non è così, davvero: ti ho pensato sempre, ho letto e riletto le tue ultime lettere, al punto da saperle quasi a memoria.
Quando riceverai questa mia sarai in Russia. Com’è, Viktor? Casa tua, intendo. Non me ne hai mai voluto parlare troppo, non mi hai mai voluto raccontare nulla e non ho mai trovato giusto forzarti. Mi hai raccontato dei tuoi ricordi spiacevoli e non volevo rischiare di farti soffrire, anche se mi piacerebbe conoscere ogni pensiero che ti passa nella testa. Anche il peggiore. Qualcosa mi ha convinto che San Pietroburgo ti intristisca, anche se quando mi scrivi da lì sembri stare sempre tanto bene.
Casa mia è alquanto vuota, ora.
Phichit e io siamo rimasti soli.
Mia madre… era malata. Ce lo aspettavamo tutti, me lo aspettavo io e credo anche tu, da quando ti ho detto delle sue condizioni mentre ancora eri qui, qualche mese fa.
Il dottore ha detto che è stato il dolore per aver perso mio padre a causa di quel maledetto malore, l’anno scorso, più altre complicanze fisiche su cui né lui, né tantomeno io avremmo potuto agire in qualunque modo.
Non sono sicuro di credergli però, sai?
Mi è impossibile non addossarmi almeno parte della colpa. Credo di reputarmi un dispiacere. Però è vero: ormai non c’è più nulla che posso fare.
Al funerale hanno partecipato fin troppe persone. Non come a quello di mio padre, hai visto anche tu in quanti erano, però è stato un bene: tutti volevano parlarmi, ma questa volta non c’eri tu, pronto a trascinarmi fuori da quella bolgia infernale anche a costo di gettare a terra chiunque ti si parasse davanti.
Ci ha provato Phichit, ma con scarsi risultati. Ogni tanto la gente è davvero ottusa; credo che i più si stiano vantando di essere stati gentili con me, credendo di aver fatto la loro buona azione, ma so bene che se dovessi aver bisogno sparirebbero immediatamente.
Non riesco a non essere negativo. È che ho paura, Viktor. Ho paura che accada di nuovo, che per qualche motivo, per qualche schema, tutte le persone a me care se ne stiano andando.
Se succedesse a te io… non voglio nemmeno pensarci.
Perdonami se questa lettera è così triste, Viktor. Non sapevo nemmeno se scriverti tutto questo. Non volevo rischiare di distrarti dal tuo lavoro o di farti preoccupare, ma alla fine non mi sono trattenuto. Sei l’unico che riesce a rendere tutti i miei pensieri almeno un poco meno gravosi.
Dio, sono così egoista.
Da quando ci conosciamo, anche al meglio delle mie condizioni, non sono mai riuscito a mostrarti il supporto che meriteresti. Magari leggerai questa lettera poco prima di andare in scena, magari semplicemente rovinerò la tua giornata.
Mi chiedo se ti stancherai di me, Viktor. Se deluderò anche te o se magari l’ho già fatto. Questo non me lo perdonerei mai, temo.
Ti amo. Amo te e il tuo sorriso, che in questi giorni mi sta mancando più che mai.
Non vedo l’ora di riabbracciarti, ma mancando ancora diversi mesi – tanti mesi –, mi limiterò ad aspettare con impazienza la tua risposta.
Grazie, Viktor. Penso che tu sia una delle cose più belle che mi siano mai capitate.
 
Per sempre tuo,
Yuri

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo quarto ***


Capitolo quarto


 
 
“And oh my love remind me, what was it that I did?
Did I drink too much?
Am I losing touch?
Did I build this ship to wreck?”
 



C’erano delle volte in cui l’aria gelida della Russia gli risultava confortevole, paradossalmente calorosa. Sapeva di casa anche se lì, per lui, non esisteva più un luogo da chiamare in quel modo.
Il piccolo Viktor se ne stava immobile sulla panchina di legno, avvolto nel proprio solito giaccone nero e logoro ricevuto prima che il bambino fosse cresciuto abbastanza da poterlo indossare senza che gli stesse enorme. Affondò il volto nella sciarpa azzurra, avviluppata più e più volte intorno al suo collo esile e pallido per tenerlo al caldo, e si strinse con forza nelle proprie stesse spalle, tentando di darsi da solo un calore che non possedeva: il naso era ghiacciato, le dita affondate nelle tasche lentamente stavano diventando esili stalattiti. Viktor sentì l’ennesima lacrima scorrere lungo la propria guancia, scaldando per un momento la pelle che subito dopo venne percorsa da un brivido gelido.
Viktor non piangeva mai.
Gli avevano sempre detto che non doveva farsi vedere debole e vulnerabile, che non doveva dare agli altri nessun margine per approfittarsi mai di lui.
Con gli anni, per quanto ancora fosse piccolo, Viktor aveva iniziato a ricordarsi da solo quell’insegnamento, ripetendoselo quasi fosse un mantra.
Era stato Yakov ad impartirglielo, quando i genitori di Viktor erano morti; forse solo perché non avrebbe saputo come gestire un bambino in lacrime, ma a prescindere dalle motivazioni dell’uomo, quella lezione aveva avuto la sa utilità.
Se non altro essere affidato a Yakov in così tenera non era stato un trauma troppo forte, per Viktor: era un amico di famiglia e lui, alle volte, aveva addirittura osato chiamarlo zio. Piccolo o no che fosse, Viktor aveva capito subito che vivere con Yakov era un alternativa di gran lunga migliore rispetto ad un orfanotrofio russo.
Era vero, avrebbe dovuto abbandonare le proprie radici e le proprie conoscenze per girare il mondo, ma era così giovane che avere una casa, mobile o itinerante che fosse, non gli importava: bastava che ci fosse.
Per un bambino di appena cinque anni, poi, il circo esercitava un tale fascino da rendere le voci che lo descrivevano come un’accozzaglia di artisti da strapazzo del tutto prive di peso: Viktor non le aveva nemmeno sentite, troppo incantato ad osservare un numero di prestigio piuttosto che l’abilità di un contorsionista.
Aveva assistito a qualche spettacolo del circo di Yakov, quando ancora suo padre poteva accompagnarlo. Ne era rimasto affascinato, anche se non abbastanza da decidere di intraprendere la carriera del circense.
Forse se le cose fossero andate diversamente, se i suoi genitori non fossero morti, Viktor sarebbe rimasto fermo nella propria posizione di voler trovare un lavoro ordinario e a dodici anni non sarebbe stato uno dei più promettenti trapezisti mondiali. Questo a detta di Yakov, però: quando beveva diventava sempre più sincero di quanto non fosse normalmente.
Poco importava come fossero andate le cose, comunque, perché di quella sua casa e del posto dove avrebbe messo a frutto il proprio talento non rimaneva più nulla. Solo cenere.
Cenere che il nevischio più insistente fiocco dopo fiocco avrebbe spazzato via nell’arco di una notte. Ecco ciò che rimaneva della sua casa e di chiunque vi avesse abitato.
I corpi erano stati portati via ormai, prima ancora che lui tornasse. Cosa l’aveva tenuto lontano da lì? Una commissione, andare a comprare la cena con il guadagno dell’ultimo spettacolo. Viktor aveva ancora il sacchetto di carta unta sistemato accanto, sulla sua stessa panchina.
Mai come in quel momento desiderò che qualcuno a parte lui tornasse a dirgli di essere forte e di non piangere.
Era solo, completamente solo.
Ogni volta che la sua mente tornava a quella notte d’inverno trascorsa su un’anonima panchina di San Pietroburgo, Viktor ricordava di aver alzato lo sguardo. Gli occhi gonfi per le lacrime avevano visto quell’omuncolo, smilzo e ricurvo, che sul volto sembrava avere almeno un tratto di ogni persona che era stata a lui cara.
Ricordava di aver osservato la sua mano tesa verso di lui. Non l’aveva stretta, limitandosi a scendere dalla panchina per incamminarsi verso quella che adesso chiamava casa.
Il Veles.
« Viktor? »
Non gli sembrava che l’uomo l’avesse mai chiamato per nome, quella sera.
« Viktor, quanto ancora hai intenzione di dormire? »
Il russo aprì gli occhi, passandosi una mano sul volto per schermarlo dai raggi del sole. Si era sdraiato fuori quanto? Cinque minuti? Ed ecco che era crollato.
Christophe lo stava guardando, sul volto un’espressione che sembrava capace di racchiudere al contempo divertimento e preoccupazione.
« Da quanto sto dormendo? »
« Ah, non lo so. Però di solito si chiede sempre quanto uno voglia dormire ancora dando per scontato che si sia appisolato da tanto, quando lo si sveglia. »
Viktor si tirò a sedere, senza riuscire a seguire il discorso sconclusionato di Christophe. Le casse che durante i viaggi contenevano gli attrezzi erano un giaciglio che aveva appena scoperto alquanto scomodo, tanto che fu costretto a massaggiarsi la schiena fin dove riusciva ad arrivare con la propria mano.
Christophe si issò su uno dei bauli, sistemandosi accanto al russo.
Per molti anni Viktor era stato convinto di non avere neanche un amico, ma la sue certezze non si fermavano qui: era piuttosto convinto, anche, che una figura simile non gli sarebbe nemmeno servita. Mai. Poi un giorno, inaspettatamente, aveva riflettuto sulla questione e si era reso conto che a discapito di ogni aspettativa Christophe era esattamente ciò di cui credeva di non aver bisogno: un amico.
Era entrato a far parte di quel circo un anno dopo di lui, raccolto a Ginevra quando il Veles Circus vi aveva fatto tappa. Per diverso tempo Viktor non aveva saputo quale fosse la sua storia e in realtà non gli era nemmeno interessato scoprirla: stava attraversando una fase in cui preferiva crogiolarsi nella solitudine, ritenendo che il proprio dolore fosse abbastanza da giustificarlo se non voleva ascoltare quello degli altri. La sua mente aveva liquidato ogni possibile barlume di curiosità nei confronti del nuovo arrivato, convincendolo che la sua doveva essere una storia noiosa: quasi certamente si trattava di un orfano o di uno scappato di casa che vedeva nel circo la realizzazione di tutti i propri sogni. O forse semplicemente l’ultimo porto sicuro prima di convincersi che nella propria vita non ci sarebbe stato altro che insicurezze.
Era stato Christophe ad avvicinarsi. Lo aveva fatto gradualmente, non senza diversi rifiuti da parte di Viktor che continuava a non vedere troppo di buon occhio la vicinanza degli altri. Poi lo svizzero gli aveva fatto notare che non esisteva solo e soltanto il suo trapezio e Viktor un po’ si era sciolto, anche se inizialmente solo per fargli notare in modo poco gentile quanto non gli interessasse la sua opinione.
Quella risposta sgarbata era stata il preludio di una serie di confronti che li avevano portati a diventare amici.
Viktor aveva scoperto che effettivamente quella di Christophe era la noiosa storia di un orfano fuggito dall’orfanotrofio dove viveva – e così sia la convinzione che fosse senza genitori e per giunta fuggitivo trovavano riscontro – e Viktor aveva ricambiato raccontando qualcosa di sé.
Non erano inseparabili, spesso non andavano minimamente d’accordo e Dio solo sapeva quante volte Viktor aveva rischiato un litigio con Christophe a causa del suo modo di porsi con Yuri. Non lo detestava, ma ne era sempre stato irreparabilmente geloso. Quando si faceva una ragione di quella nuova presenza e non aveva voglia di fare il bastardo, però, era davvero una grande persona.
« Di nuovo quel sogno? » indagò Christophe. « Ti stavi lamentando, ti ho svegliato per quello. »
Viktor si massaggiò una tempia con due dita, annuendo.
« Il solito sogno, sì », sospirò.
Tralasciò la frustrazione di averlo visto interrompersi nello stesso esatto punto in cui lo aveva visto concludersi tutte le decine e decine di volte in cui già l’aveva sognato.
« L’hai mai raccontato a Yuri? »
Che volesse sottolineare un qualche primato di conoscenze rispetto al ragazzo?
Viktor alzò entrambe le sopracciglia.
« Certo che l’ho fatto. Quando dormivo con lui sembrava quasi che non riuscissi a sognare altro. »
Viktor ricordava ancora la prima volta in cui Yuri lo aveva svegliato, con delicatezza, asciugandogli il viso imperlato di sudore con la punta delle dita. Il cuore gli martellava nel petto con forza tale da far male, ma quando i suoi occhi avevano visto Yuri che gli sorrideva con un’ombra preoccupata sul viso si era sentito subito più tranquillo.
Aveva tenuto tanti segreti a Yuri, ma non quello: non voleva rischiare che il ragazzo avesse i mezzi per dire di non averlo mai conosciuto davvero.
« Gli ho raccontato il sogno e quello che mi hanno detto i soccorritori prima di cacciarmi via, che noi saltimbanchi ci meritiamo una cosa del genere, ma che comunque  non si conoscevano le cause dell’incendio e che non c’era stato molto da fare. »
Viktor diventava sempre vagamente nervoso quando si trattava di parlare del proprio passato, lo si sentiva dal suo tono di voce e lo si vedeva dai suoi occhi. Nemmeno con Yuri il suo timbro si era mantenuto calmo, ma comunque gli era parso felice di vederlo lasciarsi andare; aveva detto che era riuscito a vedere cosa provava realmente e che ne era lusingato.
« Ascolta, Christophe », cominciò Viktor. « Non so perché hai cominciato questo discorso, ma se stai per imbastire non so quale invettiva contro Yuri, allora davvero non è il momento. »
« Ehi, rilassati Viktor », rispose l’uomo, alzando le mani in segno di resa. « Da quant’è che tutto il tuo mondo è diventato Yuri? Cinque anni? Ti conosco, se non fosse una storia seria avresti perso l’interesse già dopo il primo mese di conoscenza. Non mi pare di aver insistito più così tanto per tentare di farvi lasciare. »
Viktor aveva una lista abbastanza lunga di prove da sottoporre a Christophe per fargli notare che ciò che diceva non corrispondeva esattamente alla verità: quando vedeva Yuri ancora gli rivolgeva sguardi di circostanza e due anni prima ci aveva anche litigato, ricevendo per tutta reazione una risposta tanto acida quanto inaspettata dal giapponese, che gli aveva fatto conquistare punti con chiunque, Christophe compreso.
Erano diventati amici, alla fine. Almeno un poco.
Viktor sapeva che lo svizzero si era comportato in quel modo per il suo bene, o almeno perché convinto di perseguirlo: era sempre stato più pragmatico e oggettivo di lui e voleva evitare che soffrisse. Poi Christophe si era reso conto che la scelta di rimanere con Yuri era ciò che nella vita avrebbe fatto stare meglio Viktor e il russo non avrebbe potuto essere più felice che proprio lui l’avesse realizzato.
Non che le sue frecciatine verso Yuri e riguardanti lui quando non era presente fossero finite, motivo per cui, in quel momento, Viktor continuò a non capire dove il discorso di Christophe volesse approdare.
Anche dopo tutti quegli anni rimaneva una persona abbastanza imprevedibile.
« Quello che sto dicendo è che sarebbe giusto che gli parlassi. Ancora, come hai fatto con il tuo sogno. Non è un bene avere segreti in una coppia. »
Il russo osservò prima lui, poi un punto indefinito davanti a sé. Sorrise divertito e scosse la testa.
« Beh, un discorso del genere proprio da te è inaspettato. »
« Ti sto simpatico anche perché so sorprenderti, direi. »
« Già, ma non lo fai mai per nulla », gli fece notare prontamente Viktor. « Perché adesso? »
Christophe parve sul punto di parlare, ma si interruppe, come se si fosse reso conto che qualsiasi battuta già preparata nella propria mente non sarebbe risultata abbastanza soddisfacente per Viktor da fargli concludere il suo interrogatorio.
« Hai parlato con Yura, vero? » insistette il russo.
Che il ragazzo avesse riferito a Christophe delle sue preoccupazioni circa la sicurezza di Yuri era l’unica motivazione che Viktor riusciva a dare a quel colloquio. Il tempismo calzava a pennello, considerando l’incidente di qualche sera prima.
La morte di Isabella doveva aver convinto Yura che fosse il momento di intervenire.
« Strano ma vero, è lui che ha parlato a me. Te lo vedi? Che mi viene a cercare e mi domanda di ascoltarlo. Senza aggredirmi, per giunta! » Il tentativo di Christophe di sdrammatizzare non andò a buon fine. « È preoccupato, Viktor. Per te e credo addirittura anche per Yuri. »
« Già, anche io sono preoccupato per Yuri », ribatté.
« Ora so che te la prenderai, che Yura te l’ha già suggerito e… che te la prenderai l’ho già detto? » Christophe lo studiò, attento. « Ma mi ripeterò: dovresti parlare a Yuri, Vik. Dirgli la verità. Tutta. »
Viktor avrebbe davvero voluto sorridere con una maschera di divertimento sarcastico, giusto per stemperare il velo gelido e cupo che andò a coprire i suoi occhi.
« E con che faccia, Chris? Come credi che mi guarderebbe dopo? »
« Tu non hai fatto niente. Nessuno qui dentro ha fatto nulla, a parte stare zitto per forza di cose », rispose. « Tu sei l’unico che può spezzare questa catena. »
« Spezzerò questa catena e cosa succederà, poi? A Yura, a te, a tutti. Anche a Yuri, magari. » Viktor si portò una mano sul volto, massaggiandosi gli occhi. « Non so cosa potrebbe fare lui, scoprendo tutto. E sto valutando un’ipotesi peggiore dell’essere lasciato. »
« Qual è? Che si unisca a noi? »
« Non lo dire neanche. »
« E perché? Non siamo un qualche gruppo di mostri, Viktor. »
« Non lo sto dicendo per questo motivo e lo sai. »
I loro sguardi si incrociarono e se possibile tra loro frizzò dell’elettricità statica. Viktor non avrebbe lasciato perdere, non tanto per orgoglio, ma perché era stanco che tutti criticassero le sue prese di posizione come se nemmeno ci avesse riflettuto, come se non avesse speso tempo e sanità mentale nel valutare lati positivi e negativi delle proprie azioni future.
« È anche per suo padre, vero? »
Viktor rispose con un piccolo cenno.
« Crede si sia semplicemente trattato di un malore lungo la strada del ritorno. »
Christophe annuì. Se fosse stato in Viktor avrebbe colto l’occasione che gli si era presentata qualche anno prima per essere sincero con Yuri, ma probabilmente riusciva a pensarlo solo perché non si trovava nei panni del russo.
« Ad ogni modo, credo che dovrebbe venirlo a sapere, prima o poi», insistette. « Ma se sono sicuro di una cosa, quella è che è decisamente il caso che parta tutto da te. Se dovesse scoprirlo da terzi non so davvero come potrebbe prenderla. Quel ragazzino è più determinato e imprevedibile di quanto si possa credere. »
Viktor si lasciò sfuggire un piccolo sorriso, amaro. Se si era innamorato di Yuri era anche perché quel ragazzo sapeva essere pieno di sorprese.
Ricordava ancora della volta in cui qualche teppistello l’aveva preso di mira. Scherzo della natura, l’avevano chiamato, solo perché lavorava in un circo. Viktor sapeva difendersi, ma era stato Yuri a pararsi tra lui e quei ragazzi, a distruggerli a parole servendosi di pettegolezzi che i noiosi ricevimenti di cui alle volte si lamentava gli avevano fornito.
Viktor aveva guardato quei tre andarsene con la coda tra le gambe e poi gli occhi di Yuri fissarsi nei suoi, timorosi che le parole di quegli sciocchi lo avessero ferito.
Doveva aver realizzato in quell’istante di essersi davvero innamorato di lui.
« Già. Ed è furbo: forse dopo tutti questi anni è arrivato a sospettare almeno un po’ di qualcosa. »
Christophe fu sul punto di rispondere, rendendosi conto che era riuscito ad ammorbidire Viktor abbastanza da insistere quel tanto che bastava per convincerlo, ma dovette bloccarsi per colpa della voce impastata di JJ, che a quanto era riuscito ad udire si stava lamentando della semplice luce del sole.
« Ha bevuto ancora? » domandò Viktor, voltandosi per cercare di scorgere l’uomo.
« In realtà temo che sia sobrio. Quando è ubriaco è più tranquillo. »
« Temi? Non possiamo lasciare che si spappoli il fegato con l’alcool. »
« Che però è l’unica cosa che può farlo stare meglio, in questo momento. »
Era passato solo qualche giorno dalla morte di Isabella. Viktor si rifiutava di definirlo incidente anche se tutti lì dentro ne parlavano chiamandolo in quel modo. Anche lui lo aveva fatto quando si era sfogato con Yuri, in realtà, ma ciò non toglieva che non si era trattato di un maledetto incidente, non c’era stato nulla di accidentale e lo sguardo che gli aveva rivolto il direttore del circo lo aveva fatto sentire anche terribilmente in colpa, responsabile. Forse era il suo egocentrismo a parlare, ma Viktor era abbastanza sicuro che se solo non avesse fatto sparire l’invito di Yuri l’anno prima, se solo non fosse tornato a controllare la lista degli invitati, forse Isabella non sarebbe morta.
Anzi, forse era proprio per questo che Yuri non aveva ricevuto l’invito al primo spettacolo: perché il direttore voleva che Viktor capisse chi era il più forte, o forse solo semplicemente instillare in lui una paura tale da spingerlo ad agire. In qualsiasi modo.
Dubitava che per lui fosse più di un gioco.
Ma se lo era, Viktor gli avrebbe dimostrato senza problemi fino a dove si sarebbe spinto per vincere.
 
*
 
« Jean-Jacques, dovresti smetterla di bere. »
Quanto odiava sentire quelle parole.
Socchiuse gli occhi appannati e sentì le guance andare fuoco.
« Non ho bevuto », protestò in un borbottio sconnesso.
Sapeva di averlo fatto e sapeva che se il suo corpo stava rispondendo così in ritardo agli impulsi che gli dava era proprio a causa dell’alcool.
« Lo hai fatto, invece. »
JJ si tirò a sedere sul proprio letto, duro come un mattone. O forse era semplicemente indolenzito perché ci aveva trascorso tutto il giorno? Non aveva nemmeno avuto voglia di coprirsi con la coperta; era un gesto troppo complesso, troppo stancante per la quantità di energie che sentiva essergli rimasta.
Poteva anche non essere lucido, ma gli fu sufficiente una rapida occhiata alla bottiglia sul comodino per rendersi conto che all’interno non c’era più nemmeno un goccio di vino.
La forza per raggiungere la cassa di provviste però non gli mancava mai.
I suoi occhi azzurri si fissarono sul pavimento in attesa che smettesse di muoversi come scosso da un violento terremoto.
Un attimo e si sarebbe alzato, se lo ripeteva da ore ormai.
Sentì un tocco sulle guance. Era caldo, ma meno della sua pelle; fu piacevole e gli portò almeno un po’ di sollievo.
Alzò lo sguardo e vide Isabella.
« Perché sei venuto qui, Jean-Jacques? » mormorò. « Perché mi hai lasciata da sola? »
L’uomo, accartocciato su se stesso, affondò il viso contro lo stomaco della donna. Saggiò con la pelle il tessuto di quello splendido vestito di seta verde e percepì le sue dita affusolate tra i capelli. Scosse la testa.
« Lo sai… lo sai perché. Non me lo chiedere. »
Non voleva che lo facesse, perché era perfettamente conscio di aver compiuto uno sbaglio, lasciandola. Ne aveva commessi tanti nel corso della propria vita, ma quello era stato senza dubbio il peggiore.
Risponderle rendeva solo il tutto più vero.
« Voglio che tu me lo dica lo stesso. »
L’uomo alzò lo sguardo in direzione della sua amata e si perse in quegli occhi chiari.
Si portò una mano sul viso, a coprire l’occhio destro. Fece scivolare le dita lungo la guancia, fino al mento.
« Ero diventato orribile », mormorò. « Non servivo a nulla. »
La donna scosse la testa e con essa si mossero le ciocche di morbidi capelli corvini.
« Per me eri sempre bellissimo », gli rispose. « Potevamo trovare una soluzione. »
Quella realtà lo colpì dolorosamente. Era vero, avrebbero potuto trovare una soluzione. Lui avrebbe potuto abbandonare l’alcool una volta per tutte, avrebbe potuto stare davvero bene. Avrebbe smesso di rovinarle la vita con debiti e preoccupazioni.
Sarebbero stati bene entrambi, ma non era andata così.
« Isabella… »
Non appena la chiamò, la figura della donna di fronte a lui svanì.
Non era altro che una proiezione dovuta ai fumi dell’alcool, qualcosa che il suo cervello stava usando per farlo sentire meglio, o forse per farlo soffrire ancor di più.
« Mi dispiace… »
Fu come se per un istante la sua mente fosse stata improvvisamente sgombrata da ogni cortina capace di inibirla. JJ si alzò, prese un profondo respiro ed uscì finalmente dal carrozzone che da diversi anni ormai gli faceva da casa.
Era stanco e purtroppo nemmeno così lucido come sarebbe stato giusto per affrontare ciò a cui stava andando incontro.
Nonostante i sensi rallentati riuscì a distinguere chiaramente le risate dei suoi colleghi che si allenavano in pista.
Dio, cosa avrebbe dato per essere felice come loro.
Invece non gli importava più di nulla, non gli importava più di quel circo né del suo aspetto, che da sempre era ciò che più curava. La barba ormai incolta gli dava fastidio sul viso e gli occhi cerchiati da profonde occhiaie scrutavano stancamente davanti a sé.
Arrivò di fronte al carrozzone del direttore e picchiò con il pugno contro la porta.
« Ehi, vecchio! » gridò. « Non sprecarti nemmeno ad aprire: non ti voglio vedere. Me ne vado! » ringhiò, rabbioso.
Spaccare la faccia a quell’uomo era proprio ciò di cui aveva bisogno, o proprio ciò di cui avrebbe avuto bisogno per far sì che le cose andassero meglio. Per avere la sensazione che sarebbero andate meglio.
Peccato che sapesse di non poter vincere.
In un certo senso stava scappando come un codardo, forse si stava solo convincendo che andarsene così tanto in fretta era solo una scusa per non subire ripercussioni.
Si voltò e iniziò a camminare.
Forse il suo vecchio appartamento era ancora in piedi? O forse avrebbe potuto lavorare da qualche parte per un po’. Con la sua nuova faccia, se solo non fosse svanita, probabilmente sarebbe tornato a lavorare in teatro.
Senza Isabella non aveva senso che tutto andasse bene, però.
Gettò un rapido sguardo all’ingresso del tendone. Per un attimo sperò quasi che qualcuno andasse a farlo ragionare.
Sembrava sempre fin troppo fermo nelle proprie convinzioni per ascoltare gli altri, troppo orgoglioso, o forse solo troppo bisognoso di rimanere sul proprio piedistallo per far credere che non si sarebbe mai abbassato al livello di nessuno.
Non che i suoi compagni non avessero cercato di aiutarlo. Peccato che solo Isabella sapesse come aiutarlo davvero.
Quel nome riecheggiò nella sua mente così tante volte da fargli male, così tanto forte che nemmeno sentì la porta, a solo pochi passi da lui, aprirsi.
Davvero aveva fatto così poca strada in tutto quel tempo?
« Credi davvero di poterlo fare, JJ? Non eravamo d’accordo così, mi pare. »
La voce del direttore del circo lo trapassò da parte a parte, ma JJ non ebbe paura. Non era poi così codardo, allora.
Si voltò, rabbioso.
« Cosa vuoi che me ne importi dei patti?! » urlò. « Non c’era nemmeno uccidere Isabella, tra i patti! »
« Non c’era nemmeno il non ucciderla, se è per questo », gli fece notare.
JJ ripeté quelle parole a bassa voce come se stesse tentando di prenderne atto senza però riuscirci davvero.
« Sei spregevole, sei… »
Gli parve quasi che quel momento stesse sfumando nei ricordi di qualche giorno prima, quando alzando lo sguardo aveva visto quella stessa espressione compiaciuta del direttore, avvolto nel suo cappotto consunto, subito dopo aver ucciso Isabella.
« Cosa vuoi fare in proposito, JJ? »
L’uomo ringhiò e fece per attaccarlo.
« Calmati adesso, JJ! »
Voltandosi quel tanto che bastava per vedere almeno in parte chi lo stesse trattenendo, JJ notò i capelli biondi di Yuri.
Perché quel ragazzino non poteva starsene al suo posto?
In condizioni normali avrebbe capito che lo stava aiutando, ma in condizioni normali, allo stesso modo, avrebbe anche potuto scrollarselo di dosso senza problemi: la stazza di Yuri non avrebbe aiutato il ragazzo a vincere contro JJ.
« Ti lasciamo da solo un’ora e guarda cosa diavolo combini », lo rimproverò.
Se Yuri non fosse stato nella propria stanza a riposarsi dopo le prove molto probabilmente non avrebbe sentito tutto quel trambusto e non sarebbe potuto intervenire.
« Già, JJ, stai diventando un peso per tutti », rincarò la dose Veselov.
Il moro, almeno un po’ calmato dai rimproveri di Yuri, parve essere scosso da un nuovo moto di nervosismo.
Yuri sibilò e perse la presa sulle braccia di JJ, che sgusciò via dalla sua stretta e scattò in avanti.
Yuri non sarebbe riuscito ad afferrarlo prima che raggiungesse il direttore, questo era poco ma sicuro. Eppure per qualche motivo, senza che apparentemente nulla l’avesse toccato, JJ si fermò a metà strada.
Yuri sperò di sentir dire qualcosa dal direttore. Anzi, più che da lui, da JJ, perché percepì un brivido freddo, quasi il suo corpo lo volesse avvisare che era appena accaduto qualcosa.
JJ cadde in ginocchio e quando Yuri lo raggiunse per controllare come stesse, vide che si copriva le labbra con una mano. Quando l’uomo la allontanò, la sua pelle era sporca di sangue, così come il mento.
Yuri andò nel panico e per un momento si concesse di non pensare a come si sarebbe comportato se tutto fosse stato normale.
« Bisogna chiamare gli altri… bisogna chiamare qualcuno! »
Era talmente agitato che nemmeno rifletté su quale potesse essere la vera spiegazione di quanto era appena sucecsso.
Riuscì ugualmente a capire, infine, e accadde quando vide Veselov rimanere in piedi esattamente dov’era prima.
Non sentì nemmeno il bisogno di chiedergli perché non stesse muovendo un passo: lo sapeva, lo sapeva perfettamente.
« JJ aveva detto di voler lasciare il circo, Yuri. »
Avrebbe ribattuto, ma si distrasse quando dovette aiutare JJ a stendersi, per evitare che cadesse rovinosamente al suolo.
« Ehi, non azzardarti a morire », disse.
Doveva suonare rassicurante, ma la voce di Yuri uscì pesantemente alterata dall’agitazione, tremante e spezzata.
« Vado a chiamare gli altri. »
Fu sul punto di alzarsi, ma JJ afferrò rapidamente la maglia di cotone grezzo che indossava per trattenerlo.
« No… »
JJ gettò un rapido sguardo oltre la spalla di Yuri; il direttore era già svanito. La scena di qualche sera prima si stava davvero ripetendo, solo che al posto di Isabella c’era lui. Si chiese se Yuri stesse provando un dispiacere e una paura almeno vagamente paragonabili a quelle che aveva sentito dentro di sé.
« Non posso lasciarti morire », ribatté Yuri.
« È troppo tardi », sussurrò.
Tossì una seconda volta, senza nemmeno riuscire a coprirsi le labbra.
Yuri scosse la testa, agitato. Puntò gli occhi, le cui iridi erano quasi completamente scomparse per la paura, verso il tendone.
« Non è troppo tardi, è… »
« Yuri », biascicò JJ. « Mi devi promettere che non farete più entrare nessuno in questo maledetto circo. »
JJ avrebbe voluto parlare di quanto terrore provasse, o di quanto sentisse freddo, ma sarebbe stato egoista. E per una volta non voleva esserlo; vedeva quanto Yuri fosse sconvolto, nonostante i loro scambi di battute fossero sempre stati acidi e sprezzanti.
Il ragazzo si limitò a fissarlo, sconcertato. Sapeva di non poter fare nulla, che nessuno avrebbe potuto cambiare le cose.
Non avrebbero potuto salvare JJ e non avrebbero potuto salvare i futuri membri del circo. Avrebbero dovuto rischiare la vita, per riuscirci.
« Promettimelo, Yuri. »
La mano con cui JJ si era avvinghiato alla sua maglia iniziò ad allentare la presa.
Yuri ancora non aveva parlato.
« Promettilo… »
Quando si rese conto che JJ stava lasciando cadere il braccio, Yuri lo afferrò.
« Va bene, lo prometto, ma tu non fare scherzi! »
Yuri non era mai stato empatico, non aveva mai voluto esserlo. Gli piaceva che tutti lo credessero in grado di provare solo rabbia e disprezzo, come gli piaceva essere lasciato in pace dopo averlo chiesto. Si lamentava sempre di JJ, non aveva fatto segreto nemmeno all’uomo di mal sopportarlo il più delle volte che aveva a che fare con lui, ma fino a prova contraria erano una famiglia.
Mai avrebbe creduto di associare a qualcuno come Jean Jacques Leroy una definizione tanto sdolcinata.
Rimase a fissare il volto di JJ farsi più pallido, con gli occhi chiusi e le labbra imporporate dal sangue.
Yuri non riuscì a versare una lacrima, così come non riuscì ad alzarsi in piedi. Non subito almeno.
Quando fu finalmente in grado di farlo, si diresse verso il tendone.
Aveva adagiato JJ in mezzo all’erba, composto, promettendosi di tornare lì il prima possibile.
Sapeva che non c’era più nulla da fare, probabilmente anche gli altri lo avrebbero capito subito e solamente guardando la sua faccia.
Scostò le tende, lo sguardo spento.
« Yuri, che succede? »
Otabek capiva subito quando qualcosa non andava. Yuri si chiese se fosse davvero così palese e si domandò cosa lo rendesse tale. Poi si accorse che stava tremando come una foglia e quando le sue ginocchia furono sul punto di cedere, Otabek lo afferrò.
Come aveva fatto a percorrere tutto quello spazio in così poco tempo?
Puntò lo sguardo oltre la sua spalla e vide che anche gli altri erano preoccupati. Fissò gli occhi su Viktor per un istante.
Sapeva su chi quell’evento avrebbe avuto più ripercussioni.
Tornò a guardare Otabek.
« JJ è morto. »

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo quinto ***


Capitolo quinto


 
 
“Fix me, or conflict me.
I'll take anything.”
 



Yuri non sapeva se quella fosse la scelta giusta. Sperava che lo fosse, ma non ne era affatto certo; con quello che era accaduto a JJ dubitava che nel circo di Viktor l’aria fosse anche solo vagamente respirabile: erano sicuramente tutti scossi, ma oltre a chi lo dimostrava senza remore, c’era anche chi lo nascondeva.
Yuri era preoccupato per Viktor. Quando si trattava di disgrazie il russo pensava di essere solo contro il mondo, l’unico della propria piccola fazione a combattere e di non dover assolutamente parlare dei propri pensieri con nessuno.
Non ne aveva mai compreso il motivo, ma Yuri era certo che l’ostinarsi di Viktor a prestare attenzione solo ai suoi problemi piuttosto che ai propri fosse un mero tentativo di dirottare i riflettori su di lui, piuttosto che su se stesso. Lo aveva capito, ormai. Lo aveva capito perché anche la notte prima, quando Viktor era tornato da lui una seconda volta, praticamente in lacrime, aveva preferito aggiungere dei dettagli alla storia di JJ che già gli aveva raccontato, piuttosto che rivelare quanto gli stava passando per la testa.
Yuri, come probabilmente molti altri, sapeva bene che in quei momenti, spesso, parlare non era necessario. Viktor non doveva dirgli tutto subito, non lo pretendeva, voleva solo che sapesse che era lì per lui in qualsiasi momento.
Anche a costo di risultargli asfissiante, anche a costo di farlo arrabbiare.
Per questo quando scostò la pestante tenda d’ingresso sentì la propria determinazione rinnovata nonostante l’insicurezza.
Non c’era nessuno. Nessuno a parte Yuri, il suo omonimo.
A voler essere inguaribilmente ottimisti anche in una simile situazione, mancava ancora una settimana allo spettacolo successivo, cosa che dava agli artisti diversi giorni per riprendersi dalla scomparsa del loro compagno.
Si chiedeva con che forza Yuri si stesse allenando già quel pomeriggio.
A quanto sapeva dal racconto di Viktor era stato lui a trovare JJ.
Yuri indossava la sua divisa da esibizione, una tuta verde scuro che aderiva perfettamente al suo corpo. Era ornata in alcuni punti da degli inserti cangianti, di un tessuto che gli sembrava rigido; gli ricordavano le squame di un serpente. La schiena era quasi completamente nuda e velata, lungo lo scollo del suo abito, di organza color smeraldo.
« Buonasera, Yuri. »
Non aveva mai avuto il coraggio di definirsi parte della famiglia. Yuri trascorreva con i colleghi di Viktor ben meno tempo di quanto ne trascorresse con lui; non vedeva il mondo con loro e non aveva nemmeno mai assistito ad una loro esibizione. La maggior parte di quella persona era sempre riuscita a farlo sentire a casa, però.
Lui, che era sempre stato abituato ad avere come unico amico Phichit, sentendosi dire che avrebbe dovuto abbandonarlo per dedicarsi a qualche amicizia più vantaggiosa.
Viktor spesso gli portava i saluti dei suoi colleghi, quando erano a Londra e non li vedeva per giorni o anche per lettera. Tutte le volte che questo accadeva, Yuri ne era felice.
Sarebbe stato più felice se solo fosse stato in grado di instaurare un legame con il biondino di fronte a lui. Che fosse l’occasione giusta?
Non gli sarebbe dispiaciuto ascoltare un suo sfogo, se avesse voluto parlarne. Yuri aveva il disperato bisogno di rendersi utile per loro, in qualsiasi modo.
Sapeva che era una persona speciale per Viktor. Non che gli altri non lo fossero, però Yura era diverso: quando Viktor ne parlava – e ne parlava più spesso di quanto l’altro dovesse pensare, dato che accusava più e più volte il russo di infischiarsene di lui – il suo tono di voce cambiava. Sembrava quasi che avesse un fratellino da cui tornare e ogni volta che gliene parlava condiva i propri racconti con dei dettagli tanto minuti da far comprendere quanto gli fosse affezionato.
A Yuri sarebbe tanto piaciuto entrare nelle grazie di una persona così cara a Viktor.
Gli sarebbe piaciuto che almeno la conversazione iniziasse bene, che almeno quella conversazione iniziasse meglio delle altre, ma il russo sembrò infastidito anche da quel semplice saluto.
Quando si voltò verso di lui, la coda alta in cui aveva raccolto i capelli parve frustare l’aria.
« Viktor è dietro il tendone con gli altri, dato che sarai qui per lui. »
Era davvero lì anche per incontrare Viktor, ma non solo; non si sarebbe avvicinato anche a lui, se così fosse stato. Yuri era stanco che il ragazzo lo dipingesse come un totale menefreghista nei confronti di qualsiasi persona non fosse Viktor, il tutto solo per un’impressione sbagliata avuta quando si erano appena conosciuti.
Yuri accennò un sorriso tirato, avvicinandosi.
« In realtà mi piacerebbe sapere anche come stai tu », gli disse.
Gli occhi verdi dell’altro si puntarono nei suoi. Sembrava sorpreso, forse perché semplicemente preso in contropiede.
Calciò da parte il pesante broccato che avrebbe dovuto usare per allenarsi. Viktor aveva accennato a Yuri qualcosa sulla specialità del ragazzo; inizialmente si limitava a danzare, poi su consiglio di Viktor aveva unito la sua abilità alle esibizioni aeree con il nastro. Altra dimostrazione di quanto il parere del russo contasse per lui.
« So cos’è successo e mi dispiace », insistette il giapponese.
« Sì beh, non metto in dubbio che tu lo sappia dato che la prima cosa a cui Viktor ha pensato è stato correre da te. Di nuovo. »
Lo aveva fatto anche quando si era verificato l’incidente in cui era rimasta coinvolta Isabella. Yuri si sentiva sempre sollevato quando poteva essere il primo ad occuparsi di Viktor, ma forse sarebbe stato giusto rimandarlo dai suoi compagni, che dovevano aver bisogno di lui.
C’era del serio risentimento nella voce del biondo, Yuri se ne rese perfettamente conto. Ma in fin dei conti, quando mai non c’era del risentimento nella sua voce, se stava parlando a lui?
Essere trattato in modo rude senza meritarselo avrebbe normalmente innervosito Yuri, che però non avrebbe protestato, incassando tutto in silenzio. Non riusciva nemmeno ad innervosirsi, quella volta.
« Capisco come ti senti, come capisco che tu non ne voglia parlare, ma… »
Il biondo, che fino a quel momento lo aveva degnato solo di qualche sguardo senza smettere di sciogliersi i muscoli parve in quel momento rivolgergli tutta la propria attenzione. Sulle sue labbra comparve un… sorriso?
« Oh, no », cominciò.
Non era davvero un sorriso, era più il preambolo del tono sarcastico che aveva cominciato ad usare.
« Tu non hai idea di come mi senta, Yuri », rispose. « Non hai idea di come sia vivere in queste condizioni, qui dentro e dopo quello che è successo. Tu non ne hai davvero idea! »
Il suo tono si stava facendo gradualmente più alto, cosa che portò il giapponese a irrigidirsi, colpito sia dal volume della sua voce che da ciò che stava dicendo. Le urla erano sempre state in grado di metterlo in soggezione.
Più ascoltava l’altro, più gli sembrava che qualcosa gli sfuggisse. Che le condizioni in cui versavano gli attori di quel circo andassero ben oltre il semplice lutto per la morte di JJ?
« Allora spiegami, se non posso capire », ribatté. « Ascoltami Yuri, io… »
« Vorrei essere come te, sai? » disse infine con un sibilo. « Vorrei essere un perfetto idiota come te e credere che le cose non vadano oltre a ciò che vedo. Sarebbe tutto più facile, maledizione! »
Il biondo si passò una mano sul volto.
« Tanto la tua preoccupazione è solo Viktor, no? Perché dovresti dare retta a dei poveracci come noi, altrimenti! »
« Questo non è vero! »
« Lo è invece, Katsuki! »
« Che sta succedendo? »
La voce di Viktor rimbombò, se possibile, all’interno del tendone. Yuri era così preso dal lasciarsi investire da quei rimproveri da non essersi nemmeno accorto della tenda alle spalle del biondo che si muoveva, lasciando entrare il russo e poi Otabek.
« Mi dispiace… » sussurrò il giapponese, abbassando il capo.
« Ti dispiace?! Non me ne faccio niente del tuo dispiacere! » ringhiò.
Otabek lo raggiunse e gli mise una mano sulla spalla. Era sempre stato un tipo piuttosto composto, Yuri non lo aveva mai visto toccare qualcuno o parlare troppo da quando lo aveva conosciuto. Eppure sembrava l’unica persona davvero capace di calmare il ragazzo in quel momento fuori di sé.
Yuri si sentiva terribilmente male; voleva aiutare e invece era riuscito a peggiorare la situazione. Nemmeno la presenza di Viktor lo rassicurò.
« Yuri, adesso basta », cercò di calmarlo Otabek, a bassa voce.
Lo afferrò saldamente per le braccia quando il biondo parve pronto a lanciarsi verso il ragazzo di fronte a lui, o solo per il timore che potesse farlo.
« Viktor, vedi di tenerlo alla larga da questo circo », sibilò ancora. « Se lo vedo di nuovo qui è la volta buona che lo ammazzo. »
Viktor sentì Yuri farsi ancora più piccolo tra le sue braccia.
Odiava quando Yura si comportava in quel modo nei confronti del giapponese, lo faceva arrabbiare così tanto da non volersi spingere nemmeno a capirlo: qualsiasi motivo lo facesse sentire giustificato a trattarlo tanto male, a Viktor non pareva nemmeno concepibile. Finché si trattava di frecciatine o atteggiamenti bruschi si era ripromesso di non parlare, di comune accordo con Yuri: era semplicemente l’indole di Yura ed escluso Otabek, nessuno si salvava. Tantomeno lui.
Se il ragazzino si spingeva troppo oltre, però, Viktor era solito intervenire. Le sue labbra erano già schiuse per parlare, ma i suoi occhi scorsero qualcosa nello sguardo di Yura che lo fermò. Qualcosa che aveva tutta l’aria di una muta intesa. Ripensò alle sue parole e si convinse che non fossero state scelte a caso, solo per rabbia.
Viktor guardò il biondo voltarsi, scrollandosi di dosso le mani di Otabek che comunque lo seguì.
« Yuri? » chiamò sottovoce Viktor. « Yuri, ehi. »
Prese il viso del giapponese tra le mani e sussultò. Non lo aveva mai visto così… arrabbiato? E amareggiato. Sembrava nervoso, ma senza sentirsi in diritto di esserlo.
« Volevo aiutare », sussurrò. « Non me lo ha chiesto nessuno, lo so che nessuno lo ha fatto! Ma sta sempre così sulle sue, tutti stanno sulle loro qui, pensavo che qualche parola di conforto l’avrebbe aiutato e invece… »
« Yuri, non è colpa tua. È nervoso, lo siamo tutti. Lo sei anche tu, con quello che ti è successo: qualche mese non basta a risolvere tutto, la ferita si sarà riaperta con quanto è successo negli ultimi giorni, o non saresti così coinvolto. Lo vedo da come ne parli. »
Yuri scosse lentamente la testa, cercando di ignorare la mano di Viktor tra i propri capelli.
« Smettila di preoccuparti per me, Viktor… »
« Ovviamente mi preoccupo per te, è questo che fan-… »
« Non è questo il punto! Tu ti preoccupi sempre e solo per me. Ma non esisto solo io, ci sei anche tu. » Si morse il labbro. « Anche tu hai bisogno di me, no? Invece non mi dici mai come stai… cosa ti passa per la testa. Lo capisco, ma… non posso intuire tutto da solo, Viktor. »
Il russo non avrebbe mai creduto che Yuri potesse preoccuparsi tanto per qualcosa che lui non diceva e tantomeno dimostrava. Era una cosa a cui purtroppo era sempre stato abituato: vivere nel proprio spazio, senza estendersi emotivamente. Non voleva disturbare e in fin dei conti era tanto abituato a gestire in quel modo come si sentiva da non voler cambiare nulla.
« Questo è perché non c’è nulla di cui accorgersi. »
Yuri lo trapassò da parte a parte con un’occhiata.
Non credeva che la cosa avrebbe potuto ferire Yuri.
« D’accordo », esalò infine, con un sospiro. « D’accordo Yuri, ti dirò come mi sento, ma tu ora calmati. »
Poggiò le labbra sulla sua fronte, attirandolo a sé.
« Viktor? »
« Mh? »
« Ti stai di nuovo preoccupando per me. »

*

« Che cos’è successo questa volta? »
La voce di Otabek non suonava mai esasperata. Quasi mai, perché in quel momento lo era eccome.
Sapeva quanto Yuri fosse un tipo difficile da gestire, ma non aveva mai percepito quella sua caratteristica come un peso; quando era entrato in quella compagnia erano semplicemente diventati amici, a prescindere dai loro difetti. Si erano semplicemente piaciuti e come lui non aveva riflettuto troppo su quanto Yuri fosse irascibile, Yuri non doveva averlo reputato noioso perché fin troppo introverso e in apparenza distaccato.
« Non provare a dirlo come se di solito mi incazzassi sempre per nulla, Beka. »
Otabek aveva una lunghissima lista di situazioni da sottoporre a Yuri per convincerlo che il semplice fatto che il suo interlocutore fosse il ragazzo di Viktor non giustificava i suoi scatti d’ira, ma in quel momento il russo sembrava abbastanza incline a prendersela anche con lui, cosa che Otabek avrebbe preferito evitare.
« Non è quello che intendevo », rispose. « È che questa volta mi è… sembrata diversa. »
Yuri stava passeggiando nervosamente per la propria roulotte. Era una cosa che faceva sempre quando era arrabbiato: spesso Otabek si ritrovava seduto su una sedia a riposarsi anche per Yuri, che mentre urlava e sbraitava macinava iarde su iarde nel raggio della sua minuscola abitazione. Della loro abitazione, dato che la condividevano; cosa che rendeva impossibile per Otabek ignorare i turbamenti del ragazzo.
Quella volta Yuri stava solo camminando, però: niente sbraiti, niente imprecazioni. Era nervoso, ma non così arrabbiato.
Le sopracciglia chiare del ragazzo si inarcarono alla constatazione del kazako.
« Che vuoi dire? »
« Non sei davvero arrabbiato con Yuri, credo », rispose. « Mi è parsa più una scenata. »
L’altro rimase in silenzio. Di solito Yuri gridava anche quando aveva qualcosa da nascondere e se proprio era a corto di frasi da rifilare come scusa poteva sempre insultare il suo avversario: non avrebbe destato sospetti.
« Se n’è accorto anche Viktor », insistette Otabek.
« Beh, lui doveva accorgersene », sibilò il biondo. « Era davvero così palese? »
Otabek alzò le spalle.
« Non penso che Yuri l’abbia capito, mi sembrava abbastanza scosso. »
« Bene, perché era esattamente quello che volevo. »
Quasi tutti coloro che avevano avuto a che fare con Yuri almeno una volta avevano creduto che per la sua testa non passassero altro che pensieri di odio, egoistici o legati alle sue esibizioni. L’errore delle persone era non capire che Yuri era molto di più e che quel molto di più comprendeva anche una letale dose di furbizia. Doveva averla appena usata nel tendone.
Otabek rimase in attesa, sperando che dopo aver grattato la superficie Yuri decidesse spontaneamente di spiegargli ogni cosa, senza doverlo infastidire con domande degne di un interrogatorio.
Il biondo si issò con le braccia sull’alto baule che usava come guardaroba, sedendovisi sopra a gambe incrociate.
« Quell’imbecille di Viktor stava cercando disperatamente un modo per impedire a Yuri di avvicinarsi a questo circo », spiegò, piantando un gomito nella propria coscia per potersi reggere la testa. « Pare ci sia il rischio che riceva l’invito e l’idiota vuole assolutamente vederci in scena. Se crede, e lo farà, che potrei lasciare la pista pur di fargli un occhio nero nel bel mezzo dello spettacolo non credo si farà vivo. »
Yuri aveva un buon cuore. Un buon cuore che aveva rinchiuso in una cassa di cui aveva gettato la chiave e che per giunta tentava di nascondere con tutto se stesso.
Peccato che Otabek l’avesse notata.
Quella rivelazione gli strappò un sorriso, ma si guardò bene dal sfoggiarlo.
« Non è da te fare qualcosa di simile senza essere obbligato. »
Non era da lui fare qualcosa di simile nemmeno sotto costrizione. Yuri era uno spirito libero, per questo a Otabek piaceva tanto.
Lo sguardo di Yuri parve incupirsi, mentre scioglieva il nodo in cui aveva aggrovigliato le proprie gambe e si raddrizzava.
« Lo sai, no? Che dovevo un favore a Viktor », esalò. « E nonostante tutto credo di essere ancora in debito. »
 

Tre anni prima

Quando Yuri si era unito a quel circo, due anni prima, aveva previsto con fin troppo ottimismo che i suoi sogni di gloria sarebbero stati coronati in breve tempo. Il che sarebbe stato per lui un’arma a doppio taglio, ma quando si erano decisi i termini del suo contratto era troppo entusiasta, giovane e arrabbiato con il mondo per rendersi conto che forse ciò che aveva chiesto non era vantaggioso come gli era parso.
Voleva solamente raggiungere il proprio scopo, voleva diventare il miglior ballerino sulla piazza e anche se forse esibirsi in un circo non faceva esattamente parte del percorso che si era figurato per diventarlo, la sua determinazione gli aveva suggerito che sarebbe andato bene ugualmente.
Al diavolo suo padre, che lo aveva accusato di avere un sogno inutile. Era a causa di quell’uomo che si era allontanato dalla sua famiglia, compresa l’unica persona che mai lo avesse sostenuto: suo nonno.
Era solo grazie a lui se era riuscito ad ottenere i soldi per pagare le proprie lezioni. Ricordava ancora l’emozione di sgattaiolare fuori di casa per andare ad allenarsi, facendo credere a tutti di essere a giocare con gli amici.
Ricordava ancora ogni insegnamento di Lilia, la sua istruttrice: erano le sue lezioni che lo stavano aiutando – o almeno avrebbero dovuto – a diventare il migliore, lì dentro.
Lilia era la stessa donna che aveva cercato di convincere suo padre – non senza l’aiuto di suo nonno – a farlo partecipare ad uno spettacolo e che aveva ottenuto ciò che voleva, perché sapeva essere davvero ostinata.
Così Yuri aveva partecipato ad una rappresentazione con la promessa che se fosse stato apprezzato dal pubblico avrebbe potuto continuare.
Aveva recitato come protagonista, aveva ricevuto fiori e applausi, ma suo padre non aveva mantenuto la parola.
Un mese dopo Yuri aveva smesso di prendere lezioni. Si allenava di nascosto, però, incurante delle grida che lo avrebbero raggiunto – e in alcuni casi le aveva sentite – se scoperto.
Voleva andarsene. Voleva andarsene in qualche capitale lontana, dove sembrava che tutti i sogni fossero per qualche motivo più semplici da coronare. Voleva andare lì e non tornare più, perché San Pietroburgo non aveva più nulla da offrirgli.
Nulla, a parte quel circo.
Ne aveva visti diversi, ma non aveva mai assistito a nessuna esibizione. Peccato solo che quel circo fosse solo ed esclusivamente su invito, invito che lui non aveva ricevuto.
Non che un’inezia simile avesse mai impedito a Yuri di fare ciò che voleva.
Era sgattaiolato dentro di nascosto, sollevando un lembo di stoffa che probabilmente doveva fare da ingresso secondario. Si era sporcato completamente i pantaloni regalatigli a Natale dell’anno prima, ma non gli interessava.
Quando era riuscito finalmente ad entrare, in quel preciso istante, le luci si erano fatte soffuse e avevano illuminato la figura di un ragazzo dai corti capelli argentati.
Yuri ricordava ancora quell’immagine: la camicia dello stesso colore della chioma del ragazzo che fasciava il suo busto, lasciando intravedere la muscolatura quando la luce lo permetteva. Le maniche a sbuffo ondeggiavano intorno il suo intero braccio ad ogni singolo movimento, rendendo il tutto più scenico. Yuri si era chiesto se fosse comodo, ad esibirsi con quella fascia di velluto nero a coprirgli i fianchi e parte dei pantaloni bianchi.
Sapeva che però aveva danzato con una sinuosità che aveva fatto sembrare fin troppo semplice quella disciplina. Sulle stesse note della melodia per cui si era preparato lui, quando aveva ottenuto da suo padre il permesso per andare in scena.
Lilia gli aveva sempre detto che era capace di sentire la musica fin nelle viscere, di amalgamarsi ad essa e di muoversi come se fosse un tutt’uno con l’armonia.
Per la prima volta Yuri pensò che si sbagliasse, perché nei suoi movimenti non c’era nulla di perfetto. La perfezione era un'altra e la stava guardando in quel preciso istante, in quel circo dove non sarebbe dovuto essere.
Era per lui che Yuri aveva scelto di entrarvi a far parte. Era per diventare bravo come Viktor Nikiforov, più di Viktor Nikiforov, che aveva cercato il proprietario del circo per ordinargli di farlo diventare uno di loro.
Così l’uomo gli aveva proposto un accordo. Yuri non era riuscito a rifiutare. Veselov era capace di assumere la stessa espressione di suo nonno: lo guardava con aspettativa, con le sopracciglia perennemente inarcate in un’espressione che pareva impaziente e scocciata, ma nei suoi occhi leggeva tutto ciò che gli serviva per sentirsi incoraggiato.
Si era spesso chiesto se non lo vedesse solo perché gli mancava.
A suo nonno non avrebbe mai parlato in quel modo, però, urlandogli in faccia furioso come stava facendo con il direttore a distanza di due anni dal suo arrivo nella compagnia.
« Vecchio, parliamoci chiaro », ringhiò Yuri, nervoso. « Sono in questo circo da due anni e abbiamo appena completato il mio primo tour, ma non mi pare di essermi avvicinato nemmeno un po’ a quello che mi avevi promesso. »
L’uomo osservò Yuri, impassibile. Quanto lo innervosiva. Era certo che sapesse perché si stava lamentando, era ovvio che lo sapesse e forse aveva addirittura previsto che prima o poi lo avrebbe fatto, eppure lo guardava con quell’espressione quasi divertita, senza fare una piega, come se le sue urla non lo disturbassero minimamente. Come se stesse studiando una bestiolina che si agitava in una gabbia.
« Mi avevi detto che sarei diventato il migliore e per questo sono qui, ma non è possibile che dopo tutti questi mesi io ancora non-… »
« Ti sbagli, Yuri », lo fermò l’uomo. « Tu mi hai chiesto un modo per diventare il migliore e ce l’hai: questo circo e il tuo talento. »
« Ma Viktor... »
« Significa che non stai usando abbastanza le tue doti, Yuri. Avresti dovuto formulare la tua richiesta in modo diverso, forse. »

« Maledetto schifoso! »
Un calcio. Il malcapitato sasso volò a diversi metri di distanza.
« Maledetto bastardo e bugiardo! »
Un secondo calcio, ma questa volta Yuri mancò il bersaglio. Osservò la pietra rimasta al proprio posto e schioccò la lingua, ancor più alterato.
« Siamo nervosi oggi? »
Yuri si voltò.
« Vaffanculo Viktor, non sono dell’umore. »
« Quando mai tu sei dell’umore? » gli chiese l’altro, raggiungendolo e rimanendo fermo al suo fianco.
Yuri schioccò la lingua e desiderò ardentemente di usare Viktor come nuovo bersaglio per i propri calci.
« Senti, hai un motivo per essere qui? Perché altrimenti… »
« Ti ho sentito. Prima, mentre parlavi con il vecchio », spiegò. « Mentre gli urlavi in faccia, ad essere precisi. »
Il ragazzo si irrigidì, osservando Viktor.
« E allora? Non è che voi altri non ci parliate. »
Viktor era sempre accompagnato da un sorriso beffardo. Da quando aveva avuto l’occasione di conoscerlo, Yuri si era convinto che l’uomo fosse completamente diverso da come appariva quando volteggiava a mezz’aria sul proprio trapezio. Quella che mostrava mentre si esibiva doveva essere una maschera o un lato particolare del suo carattere che appariva solo mentre era lì, sopra la testa di tutti quegli idioti che lo guardavano senza poter distogliere lo sguardo. Quando Viktor si trovava su quel trapezio, anche Yuri diventava uno di quegli idioti. Il Viktor Nikiforov di tutti i giorni però non era una persona diversa da tutte le altre: Yuri l’avrebbe volentieri pestato per la maggior parte del tempo.
« Già, beh. Noi non gli urliamo in faccia », gli fece notare il più grande.
Yuri era deciso a voltarsi per andare via. Era lì da prima, ma se Viktor era così desideroso di infastidirlo non vedeva perché dargli tanta corda rimanendo a sua disposizione.
Poi il sorriso sul volto del russo sparì, anche se Yuri non poté vederlo.
« Sei tanto ansioso di morire, Yuri? »
Un brivido percorse la schiena del ragazzo.
« Che ti importa? »
« Era solamente una domanda e mi piacerebbe che rispondessi. »
Yuri strinse le dita a pugno, fissando il punto dove era scomparso il primo sasso che aveva calciato.
« Ho uno scopo e voglio far vedere a chi crede che non lo raggiungerò che si sbaglia. Non mi interessa il prezzo. »
Viktor lo fissò silenziosamente.
« Davvero? Non ti interessa? » incalzò. « E dimmi, la persona a cui vuoi dimostrare tutto questo se ne accorgerà? »
Yuri odiava parlare di quell’argomento, perché nemmeno lui sapeva se la sua ostinazione fosse dovuta al motivo che aveva dato a Viktor, o se invece scaturisse da una sua necessità di dimostrare a se stesso la propria bravura.
Voleva solo che la loro discussione finisse e Viktor la smettesse di parlare di cose che non sapeva.
« Non sono affari tuoi, maledizione! »
« Me ne frega se muori, Yuri. »
Il biondo si bloccò, fissando Viktor. Continuava a dire una marea di stupidaggini senza nemmeno pensarci.
« Non mi conosci neanche, non sai niente! »
« Fai parte della famiglia, ormai », rispose prontamente. « E in una famiglia bisogna far capire ai fratellini più sciocchi e sconsiderati che non sono infallibili e non possono sempre spuntarla. »
Yuri sgranò gli occhi. Nessuno gli aveva mai parlato in quel modo, nemmeno quando viveva ancora lontano, a San Pietroburgo.
Viktor sembrava così incurante di qualsiasi suo pensiero da fargli credere che forse avrebbe dovuto ascoltarlo.
« Finché rimarrai in questo circo non diventerai mai il migliore, Yuri. »
Viktor gli rivolse un sorriso, anche se i suoi occhi dicevano tutt’altro: esprimevano il doppio della determinazione che Yuri aveva visto nei propri specchiandosi, quando aveva messo in scena il proprio primo spettacolo.
Incrociò le braccia, fiero.
« Ci sono già io a ricoprire quel ruolo. »

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo sesto ***


Capitolo sesto


 

“Oh so, your wounds they show”
 



Otabek guardò attentamente di fronte a sé, aprendo la mano e passandola sul muso dell’animale che gli stava di fronte.
« Sht, stai seduta, brava… » sussurrò attentamente, in modo che solo lui e il felino potessero ascoltarsi.
Quando aveva dovuto scegliere la propria specialità si era sentito smarrito e privo di idee. Mai avrebbe creduto di approdare ad una simile scelta né di giungere ad avere tre di quei maestosi animali a dipendere dai suoi ordini. Non soffriva di un qualche delirio di onnipotenza, semplicemente ogni tanto gli sembrava di potersi fidare più di loro, nonostante zanne e artigli, che delle persone.
Yuri escluso.
Come sempre era seduto alle sue spalle, fuori dalla pista, ad osservare silenziosamente le sue prove dopo aver concluso i propri allenamenti. Allenamenti a cui Otabek assisteva a propria volta: guardarsi a vicenda aiutava entrambi a rilassarsi.
Per dare del proprio meglio, Otabek aveva bisogno di essere del tutto calmo e nel modo di danzare di Yuri sul suo nastro c’era esattamente quel qualcosa capace di renderlo tale.
Non che la calma gli mancasse, ma spesso era solo esterna, superficiale; i movimenti di Yuri riuscivano a placare anche ogni pensiero od emozione.
Era ipnotico, fantastico.
Quando finiva di provare, poi, Yuri gli rivolgeva sempre il solito sguardo, affaticato e leggermente accigliato; gli chiedeva silenziosamente se fosse andato tutto bene, se ci fosse qualche dettaglio da modificare per migliorare l’esibizione. Gli chiedeva se quella volta, finalmente, sarebbe stato il migliore.
Per Otabek, Yuri era sempre il migliore, ma sperava per il suo bene che non tutti lo considerassero tale. Non voleva che le cose andassero a finire male, per rispettare le condizioni del patto del ragazzo.
La sua situazione era molto migliore, in confronto.
Otabek aveva lasciato il Kazakhistan a tredici anni, abbandonando i propri genitori e la sorellina. Era per lei che si trovava lì, la sua vita in cambio di vedere la sua malattia curata, dopo il totale fallimento delle medicine.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter incontrare più spesso la sorella, invece doveva accontentarsi di vederla più cresciuta ogni anno, al suo ritorno, quando e se i genitori le permettevano di vederlo. Dovevano considerarlo un buono a nulla, un fallimento per la sua scelta di vita, ma Otabek sapeva in cuor suo di aver fatto la cosa giusta. Peccato solo che non avesse altro da offrire per chiedere, in aggiunta alla propria richiesta, anche più tempo da trascorrere con lei.
Diventare un circense gli aveva fatto perdere delle persone importanti, ma gliene aveva fatte guadagnare di altrettanto fondamentali. Yuri era una di quelle.
Sentì lo sguardo del ragazzo scorrere curiosamente sulla propria schiena e quando si voltò, solo per un istante, lo vide incantato ad osservare le tigri siberiane che se ne stavano tranquillamente nella loro gabbia.
Quando Otabek si era unito al circo e Yuri aveva scoperto in che cosa sarebbero consistite le sue esibizioni, il ragazzo si era ammutolito e gli aveva chiesto dettagli: come avesse convinto il direttore a procurargli quegli animali, come prevedeva di organizzare i propri numeri. L’aveva anche rimproverato dicendogli che se non le avesse trattate bene si sarebbe vendicato prima ancora di loro. All’epoca Otabek lo conosceva ancora poco e scoprire che c’era qualcosa davvero capace di smuovere il cuore di Yuri in maniera tanto palese lo aveva intenerito. Si era addirittura lasciato strappare la promessa di fargli accarezzare uno dei suoi felini e quando l’aveva mantenuta, Yuri aveva passato i giorni successivi a guardarsi la mano sognante, quasi avesse raggiunto un traguardo invidiabile.
Otabek era felice che proprio per Yuri le sue esibizioni avessero tanto valore, a prescindere dal motivo; gli era sempre parso che per il russo contassero unicamente i numeri di Viktor e i propri, ma quando Otabek aveva incrociato casualmente lo sguardo di Yuri mentre lo guardava esibirsi, da dietro le quinte, si era accorto di quanto fosse concentrato. E preoccupato, anche, perché qualcosa sarebbe potuto andare storto in qualsiasi momento.
Durante le prove di Otabek stava sempre in silenzio, attento, convinto che il minimo respiro avrebbe potuto influenzare in modo negativo gli stessi animali che tanto lo affascinavano. Gli avevano sempre dato l’idea, nonostante la sua adorazione, di avere un comportamento capriccioso e imprevedibile. Un po’ come il suo. La differenza era che lui non avrebbe mai aggredito a morte Otabek e la totale mancanza di artigli sulle proprie mani.
In qualsiasi circo le esibizioni con gli animali erano il solito susseguirsi di acrobazie completamente casuali all’interno di cerchi, infuocati o meno che fossero, o dimostrazioni di equilibrio su qualche piedistallo traballante. La bellezza dei numeri di Otabek consisteva più che altro nella fiducia che sembrava riporre in quei felini, apparentemente in grado di ricambiarla; lo seguivano silenziosamente, non ringhiavano mai, sembravano completamente dipendenti dal suo volere.
Non agitava fruste, si era sempre detto contrario: semplicemente li osservava negli occhi e faceva qualche cenno con il capo per incitarli.
Otabek non aveva mai rivelato il proprio segreto a nessuno e Yuri, con il tempo, si era convinto che si trattasse semplicemente di un dono di cui in realtà il kazako non faceva sfoggio in modo troppo palese: non chiedeva mai grandi accompagnamenti musicali, non indossava mai abiti troppo appariscenti. Voleva che fosse tutto estremamente semplice.
Aveva smesso di esibirsi con la stessa camicia logora che usava per le prove solo perché Yuri lo aveva convinto che una giacca lo avrebbe reso più affascinante. Aveva usato testuali parole e poi se ne era vergognato, ma forse Otabek non ci aveva prestato troppa attenzione. Forse. Aveva capito che aveva preso seriamente quella sua opinione quando si era fatto confezionare una giacca di velluto rosso cremisi, su cui spiccava il bavero di colore nero.
Un cambiamento a dir poco radicale.
Su qualcun altro Yuri l’avrebbe trovata terribile, ma su Otabek era perfetta.
Non indugiava in dettagli come papillon a fermare la camicia che, sotto la giacca, spesso rimaneva fin troppo sbottonata.
Yuri si scordò dell’abbigliamento di scena scelto da Otabek, dato che in quel momento aveva preferito la sua amata camicia logora. Tornò piuttosto a concentrarsi sulla prima tigre che lentamente usciva dalla gabbia. Otabek stava indietreggiando lentamente, con attenzione, per guidarla.
Già il russo si immaginava intento ad osservare quella scena ripetuta tante volte quanti erano gli animali. Sapeva che non si sarebbe annoiato.
Ma accadde qualcosa di inaspettato. Yuri vide il primo felino sollevarsi sugli arti posteriori e colpire con una zampata il ragazzo di fronte a sé.
« Otabek! »
La voce di Yuri lo raggiunse mentre chiudeva rapidamente con un piede la porta della gabbia.
Non un gemito era sfuggito alle labbra di Otabek, troppo sorpreso per potersi davvero concentrare sul dolore che però, maledizione, era terribile.
Il biondino si precipitò in pista, mentre il ruggito della stessa tigre che aveva attaccato il suo padrone faceva rimestare il sangue all’interno delle sue vene.
Vide i suoi artigli brillare di sangue.
« Sto bene… » lo rassicurò Otabek, tirandosi a sedere.
Yuri fu chino su di lui prima che potesse accorgersene.
« Dove ti ha colpito? »
« Mi ha preso di striscio », rispose, sollevando lentamente il braccio.
Minimizzava. La camicia era zuppa di sangue e stracciata in tre punti sull’avambraccio.
Otabek fu certo di aver visto un’ombra scomparire dietro le quinte, non troppo accecato dal dolore per non notarla. Yuri non fece caso agli occhi dell’altro che fissavano oltre la sua spalla.
« Cristo… » mormorò Yuri. « Ce la fai ad alzarti? »
Fu la voce preoccupata del biondo a riportarlo con i piedi per terra. Otabek rispose con un cenno della testa, iniziando a mettersi in piedi.
« Ti stai preoccupando davvero troppo, Yuri », insistette. « Beh, almeno non ho messo la giacca… » tentò di sdrammatizzare.
« Oh, stai zitto! » borbottò il ragazzo. « Hai tre cazzo di squarci sul braccio, Otabek, e tu pensi alla giacca! »
Tutte le ferite che aveva solo rischiato dall’inizio della propria carriera non sarebbero state neanche lontanamente gravi come quella, nemmeno se fossero andate a segno. I graffi non parevano troppo fondi, almeno.
Si ritrovò con il braccio sano avvolto intorno alle spalle di Yuri, che sembrava convinto non potesse nemmeno camminare.
Otabek gettò un rapido sguardo al suo viso e lo notò contratto in un’espressione di pura preoccupazione.
Yuri era terribilmente stanco che tutti quegli avvenimenti terribili si verificassero davanti ai suoi occhi senza che potesse fare nulla di concreto per impedirlo.
Non sapeva davvero come comportarsi: non aveva mai medicato una ferita simile, né visto qualcuno medicarla. Avrebbe dovuto pulirla, sì, ma se non lo avesse fatto bene?
Voleva evitare che Otabek morisse di qualche infezione tremenda a causa sua. Anche che morisse dissanguato per colpa della sua indecisione. O che morisse per qualsiasi altro motivo.
Non fecero molta strada: Yuri gli fece superare la recinzione che delimitava la pista e lo fece sedere sul primo spalto, il più basso.
« Vado a chiamare qualcuno, tu aspetta qui. »
Quando gli parve di vedere la vista appannarsi, a Otabek fece comodo essere seduto. Si limitò ad annuire e a lasciare che Yuri si dileguasse, alla ricerca di qualche buon samaritano disposto ad aiutarlo.
Vederlo tornare con addirittura tre persone fu vagamente preoccupante, quasi lo spinse a chiedersi se non avesse davvero sminuito troppo la propria ferita. Giustificò la cosa ricordando cos’era accaduto di recente a JJ e immaginò che, probabilmente, mentre Yuri e chiunque avesse scelto per aiutarlo tornavano indietro, un certo seguito si fosse accodato a loro. In quel seguito c’era ad esempio Christophe, che di certo non sopportava il sangue e Mila, che probabilmente avrebbe fatto soltanto da supporto morale. Dietro di lei vide apparire anche Sara, a quel punto il conteggio salì a quattro, ma siccome Sara e suo fratello non potevano davvero muoversi senza essere in coppia, vide apparire anche lui. Cinque.
Tutti estremamente preoccupati, Yuri compreso; i suoi occhi verdi erano sgranati come Otabek non li aveva mai visti. L’unico elemento che gli faceva presagire qualcosa di buono era Viktor, che sembrava calmo come sempre nonostante il leggero guizzo di allarme che vide attraversare i suoi occhi quando riuscì a scorgere la ferita.
« Che è successo? » fu Mila a domandarlo, scattando sugli spalti ancora prima che ci riuscisse Yuri.
Si accucciò accanto al kazako e gli scostò un ciuffo di capelli dalla fronte sudata.
« Un graffio », rispose semplicemente. « Non era mai successo, però. »
« Non è un maledetto graffio! » ringhiò Yuri.
Doveva aver travisato il significato delle sue parole dato che quello era a tutti gli effetti un graffio.
Yuri fu il secondo a raggiungerlo, sistemandosi dal lato del braccio ferito. Lo fissò e si affondò i denti nel labbro, nervoso.
Viktor arrivò di fronte a lui e si chinò, osservando attento lo squarcio che segnava la camicia. I suoi occhi si spalancarono appena.
« Cosa? » domandò Yuri, aspettando un responso da parte del russo.
« Stai calmo », ribatté Viktor.
« È davvero pieno di sangue… »
La voce di Christophe arrivò alle orecchie di tutti biascicata, come se fosse sul punto di crollare a terra.
« Sai com’è, idiota, quando una tigre ti graffia esce del sangue! » gli ringhiò Yuri.
Michele appoggiò un catino pieno d’acqua accanto a Otabek e Mila si spostò, per lasciare che Sara appoggiasse le bende e una strana boccetta impolverata. Si trattava del disinfettante naturale che avevano acquistato mentre abbandonavano definitivamente l’est del continente, appena qualche mese prima. Glielo aveva venduto una donna, una donna che a Otabek aveva fatto tanto pensare ad una strega, cosa che lo aveva spinto a sperare e desiderare che quello strano liquido non dovesse essere mai usato proprio su di lui.
Sistemò una mano su quella di Yuri.
« Rilassati. »
Il biondo non gettò a Otabek la stessa occhiataccia che aveva riservato a Viktor quando gli aveva detto di rilassarsi e parve almeno provare a seguire il suo consiglio.
Il russo afferrò la manica della camicia del kazako e con uno strattone la strappò, sfilandola attento a fare in modo che non aderisse alla pelle ferita.
« L’avrei potuta rammendare. »
« Ora hai una scusa per comprarla nuova », ribatté il russo.
« Porto fuori Christophe, prima che svenga », si intromise Michele, che gettò un rapido sguardo al volto cadaverico dello svizzero.
Viktor annuì, tamponando la ferita con uno straccio imbevuto d’acqua.
Otabek si sforzò di non gemere, mentre Yuri controllava attentamente l’operato di Viktor.
« Perché diavolo è venuto qui se sa di star male? » sibilò Yuri, nervoso.
« Era preoccupato », ribatté Mila.
Yuri lo capiva, ma quelle parole non bastarono ad impedirgli di brontolare qualche lamentela sconnessa.
Otabek gettò un rapido sguardo all’ingresso e sospirò. Ora che oltre a lui e Yuri c’erano solo Viktor e Mila, dato che Sara era andata ad aiutare con Christophe, poteva anche parlare.
« Quando la tigre mi ha graffiato aveva uno sguardo strano », disse. « Prima che mi diciate che è una sciocchezza, credo di aver visto il direttore andarsene. »
Mila trasalì e anche Yuri finì per rimanere immobile. Viktor non poté fisicamente sorprendersi solo per evitare di fare del male a Otabek, ora che per di più lo stava disinfettando.
« Il direttore? » domandò Mila, allarmata.
Yuri ancora non aveva parlato, cosa che preoccupò Otabek. Non lo guardò, come per timore di farlo sentire in dovere di dire qualche cosa con il proprio sguardo.
« Non gli è bastato JJ?! »
Troppo tardi.
« Non hai nemmeno fatto qualcosa di insolito, niente di niente! »
« Non è noto per la sua scarsa ingordigia, temo », asserì Viktor. « Ormai agisce senza un pretesto. »
« Io credo che voglia cominciare a metterci gli uni contro gli altri », disse semplicemente Otabek.
Osservò l’ago che Viktor era sul punto di usare per ricucire le ferite e guardò altrove, per evitare di provare dolore ancor prima che cominciasse.
Capì che sarebbe stato meglio affrontare un discorso di quel calibro quando sarebbe stato più lucido e non mentre Viktor tentava di ricucirlo.
« Dov’è che hai imparato a fare queste cose? »
Viktor alzò lo sguardo per un momento, interrompendo il proprio lavoro per dargli tregua.
« Nel mio vecchio circo un ragazzo era stato morso da un leone », spiegò. « Ero l’unico con la mano abbastanza ferma e mi hanno insegnato a suturare. »
« E com’è andata a finire? » intervenne Yuri.
Viktor rimase in silenzio.
« Gli hanno amputato la gamba », spiegò. « Ma non l’avevano nemmeno disinfettata, non è stata colpa mia. »
Yuri rischiò di finire come Christophe, steso a terra in preda ad uno svenimento. Otabek invece parve rimanere impassibile nonostante la scelta di Viktor di raccontare quell’aneddoto non fosse stata troppo felice, data la situazione.
Quando ebbe finito di medicarlo, il russo gli lasciò andare il braccio.
« Ecco. Vedi di non sforzarlo », disse Viktor, stringendo la fasciatura e osservandola per assicurarsi che il suo lavoro fosse perfetto.
« Ti ringrazio, Viktor. »
« Lo accompagno a riposarsi », disse solamente Yuri, alzandosi in piedi.
Non era lui la vittima, ma quell’esperienza era stata emotivamente distruttiva.
Viktor osservò attentamente il biondino, chiedendosi se non dovesse servirgli una mano per sorreggere una persona della stazza di Otabek. Poi si rese conto che quella era esattamente una delle situazioni in cui erano presenti molte più persone di quante ne sarebbero state necessarie. Lo sapeva perché quando era con il suo Yuri provava piuttosto spesso quella sensazione.
« Allora io e Mila andiamo. Chiamatemi se c’è qualcosa che non va. »
Una volta soli, Yuri fissò attentamente il ragazzo.
Il kazako giurò per un attimo di aver visto le iridi verdi del russo brillare e si chiese se non stesse per crollargli davanti.
« Ascolta, Beka, devo dirti una cosa. »
Otabek scoprì le proprie aspettative piuttosto alte, in merito.
« Non azzardarti a morire. Perché se lo fai io giuro che… »
Sembrava quasi in difficoltà nel completare la frase.
« Mi resusciti per ammazzarmi? »
Yuri mantenne il proprio silenzio. Non era esattamente ciò che voleva dire, ma sapeva che non sarebbe comunque riuscito ad esprimere il concetto.
« Mi hai rubato le parole di bocca! »
Otabek si lasciò sfuggire un piccolo sorriso divertito. Sapeva quanto Yuri non intendesse ciò gli aveva appena suggerito, ma come ogni volta che Yuri non diceva ciò che pensava davvero, Otabek aveva capito perfettamente.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo settimo ***


Capitolo settimo



 
“Would you leave me,
If I told you what I've done?
'Cause it's so easy,
To say it to a crowd
But it's so hard, my love,
To say it to you out loud”



Un anno prima

Yuri aveva sempre visto dell’ironia nel trovare Viktor, l’attore di un circo perennemente in viaggio, il proprio unico punto fermo.
Era il centro del suo universo, l’asse intorno a cui il suo piccolo mondo ruotava. All’impazzata, da quando l’aveva conosciuto. La monotonia della sua noiosa vita si era spezzata e da allora Yuri si era convinto di aver cominciato a vedere a colori non più privi di intensità, ma sgargianti.
Quando Viktor si allontanava ciò che i suoi occhi vedevano diventava sbiadito e man mano che il momento del suo ritorno si faceva vicino i colori riapparivano. Era come se Yuri percepisse a distanza la sua aura che lentamente si faceva più intensa.
Lo amava, abbastanza da chiedersi che soluzioni potessero esserci all’inesorabile destino di doversi allontanare dopo appena un mese trascorso insieme ogni anno. Ancora una decina di giorni e Viktor sarebbe partito alla volta di chissà quale capitale. Yuri non era mai stato così vicino a chiedergli di portarlo con sé: era disposto ad imparare una specialità per potersi esibire, a fare qualsiasi cosa; aveva sentito dire che Sara e Mila si occupavano della pubblicità per lo spettacolo? Bene, avrebbe aiutato anche lui. Non gli interessavano i riflettori, voleva solo scappare: scappare da casa sua, da Londra. Stare con Viktor.
Magari Phichit sarebbe potuto andare con lui e così Yuri non avrebbe lasciato nulla indietro.
« Yuri, che succede? »
La porta aveva rischiato di sbattere contro la parete per la foga con cui Viktor l’aveva aperta, poi la sua voce aveva riempito l’unica stanzina della catapecchia che faceva loro da rifugio tutte le volte che gliene serviva uno: perché volevano baciarsi senza occhi indiscreti, perché volevano fare l’amore.
Yuri era seduto sul letto su cui si era abbandonato quando aveva capito che le gambe non lo avrebbero retto. Scattò in piedi però, quasi rinnovato di energia nel vedere Viktor.
« Posso venire con voi? Quando partirete, intendo. »
Chissà perché Viktor sembrò più sorpreso del previsto, come se non avesse nemmeno mai pensato che Yuri potesse fargli una richiesta simile. Come se non avesse nemmeno mai davvero pensato di portarlo con sé. Nei suoi occhi parve fluire della… paura?
Non pensò nemmeno per un istante che si trattasse di improvvisa paura di dividersi; non così, non con Yuri con gli occhi sgranati di terrore.
« Dimmi che cos’è successo, prima », lo incitò, avvicinandosi.
Yuri prese un respiro. Ripeterlo voleva dire che era vero. Scosse appena la testa e si sentì chiamare da Viktor. Il russo scostò i ciuffi scarmigliati che ricadevano sul volto di Yuri, in completa sintonia con la tempesta che aveva dentro. Li portava sempre pettinati indietro con ordine, ma non in quel momento.
« Mio padre ha scoperto tutto », asserì, prendendo un respiro come se da quella boccata d’aria dipendesse la sua capacità di rimanere in piedi. « Che frequentassi voi di un circo tanto rinomato era un gioco, per lui. Aveva ignorato le voci che mi descrivevano come un nullafacente per questo, ma… non so come, ha trovato le nostre lettere. »
Yuri affondò i denti nel proprio labbro. Se Viktor se la fosse presa per l’accaduto, se avesse rovinato anche la sua reputazione, se Viktor lo avesse odiato sarebbe stata tutta colpa sua.
« Le avevo nascoste, Viktor! Sono stato attento, te lo giuro! Non so come abbia fatto, io… »
Le dita lunghe e ruvide di Viktor carezzarono il viso di Yuri; ne saggiarono i lineamenti e sfiorarono gli angoli dei suoi occhi a mandorla, raccogliendo la prima di un’infinita serie di lacrime prima ancora che bagnasse la sua pelle. Lo uccideva vederlo in quelle condizioni, come per un momento lo aveva ucciso il timore che Yuri potesse volerlo lasciare per rendere le cose più semplici.
« Sht, ehi… » tentò di confortarlo. « Deve averle cercate, Yuri. Credo sospettasse qualcosa. »
Viktor aveva visto ogni tanto il padre di Yuri, mentre si incontravano. Aveva immaginato che li stesse facendo controllare e il suo tentativo di essere cauto doveva aver confermato i timori dell’uomo.
« Non sei arrabbiato? » domandò il giapponese.
« Come potrei? Non hai nessuna colpa. »
Per un momento Yuri si sentì meglio, come se almeno una delle sue tante preoccupazioni si fosse risolta.
« Grazie », sussurrò, stringendo tra le dita la stoffa della maglietta dell’uomo. « Ora però mi ha detto di non vederci più, ma non voglio… Non voglio. »
« Troveremo un modo », disse. « Non è impossibile, d’accordo? Andrà bene. »
Yuri sembrò non lasciarsi convincere tanto facilmente e Viktor se ne accorse.
« Posso mandarti le lettere firmandomi in modo diverso, mh? » gli propose. « Posso indirizzarle a Phichit, magari. Comunque riconoscerai la mia scrittura. »
Il giapponese annuì, titubante.
« Per qualche giorno potremmo non vederci. Se tu uscissi con Phichit senza venire ad incontrare me tuo padre smetterebbe di sospettare, no? Quando le acque si saranno calmate puoi farti accompagnare in qualche posto diverso dal solito. Ti aspetterò lì . »
Le lacrime di Yuri si acquietarono e Viktor tirò mentalmente un sospiro di sollievo. Avrebbe davvero voluto che le cose fossero più semplici, ma sapeva di non poter intervenire in nessun modo per cambiarle. Anche andare a parlare con il padre di Yuri avrebbe solamente peggiorato la situazione.
« Non voglio rimanere qui, Viktor », riprese il ragazzo.
Spesso gli aveva raccontato che l’idea di ereditare l’azienda di suo padre non lo entusiasmava, gli aveva rivelato che più volte si era ritenuto poco tagliato per quel lavoro. Se solo avesse potuto, Viktor gli avrebbe già chiesto di scappare con lui.
Non avevano bisogno di molto, se erano insieme.
« Lo so, Yuri, ma è la cosa migliore. »
Sapeva che per il territorio in cui si stavano addentrando avrebbe dovuto al ragazzo fin troppe spiegazioni. Forse sarebbe stato meglio convincerlo subito che quel tipo di vita non era adatta a lui.
« Ascoltami, so che vuoi venire con me. So che vuoi che stiamo insieme e credimi: lo vorrei anche io », proseguì Viktor. « Vorrei averti accanto ogni mattina, quando mi sveglio, vorrei non doverti scrivere per parlare, essere con te in qualsiasi momento e per qualsiasi cosa tu abbia bisogno, ma non voglio che tu faccia la vita del circense, Yuri. Non anche tu. »
Non si era mai chiesto se a Viktor piacesse davvero il proprio lavoro. Dalle sue parole non sembrava.
« Non dico che sarà facile, ma sono anche disposto a… »
Viktor scosse la testa.
« Tu ti fidi di me, Yuri? »
Il giapponese annuì, sul punto di parlare per chiedergli spiegazioni.
« Ho dei motivi per chiederti che tu non ci viva. Ti spiegherò tutto, d’accordo? Lo farò, te lo prometto. » Viktor accennò un sorriso, mentre guardava dritto negli occhi Yuri. « Però per ora devi resistere. Io sarò qui. »
Yuri si fidava di Viktor, glielo aveva appena detto. Se c’era qualcosa che non poteva sapere non gli importava della curiosità: avrebbe aspettato. Gli bastava solo che l’altro stesse bene e che tornasse da lui.
Un sorriso amaro si dipinse sulle sue labbra.
« Non sarai sempre qui », gli disse, portandosi una mano sul viso.
« Hai ragione », rispose Viktor.
Portò la punta dell’indice sul suo petto, all’altezza del cuore.
« E in quei momenti sarò qui. Tornerò sempre, Yuri. Non devi temere. »
Gli occhi di Yuri pizzicarono ancora, a quel punto Viktor lo strinse a sé con forza.
« Ti amo », disse Viktor.
Yuri sospirò appena, appoggiando la fronte contro la sua.
« Ti amo. »
 
*
 
Alle volte Yuri ripensava a quando Viktor aveva praticamente ammesso di avere dei segreti di cui non gli voleva – o forse poteva – parlare.
Aveva finto di dimenticarsene, aveva tentato di reprimere la curiosità, ma ogni volta che era solo e tale consapevolezza gli tornava in mente, Yuri finiva per rimuginarci fin troppo.
Il suo sesto senso lo stava obbligando a credere che quanto era accaduto da quando Viktor era tornato a Londra, dall’incidente più grave a quello che invece lo era meno, c’entrasse proprio con ciò che il ragazzo si rifiutava di rivelargli da anni.
Yuri aveva voluto sperare che si trattasse di una questione di poco conto, ma sapeva bene che se Viktor era tanto ostinato nel proprio silenzio era perché non credeva fosse il momento giusto. E non lo sarebbe mai stato, se il problema era qualcosa di radicato in lui tanto profondamente.
La situazione si era fatta insostenibile quando Yuri aveva iniziato a credere che non solo Viktor gli stesse tenendo dei segreti, ma che chiunque, intorno al russo, stesse iniziando ad avere delle riserve nei confronti di Yuri. Se avesse riguardato solamente gli amici di Viktor, Yuri avrebbe chiuso un occhio. Ma quando era arrivato a nutrire quel sospetto anche nei confronti di Phichit aveva sentito di dover prendere in mano la situazione.
Yuri aveva notato dei comportamenti insoliti da parte del suo migliore amico, una tendenza a defilarsi con disinvoltura da determinati argomenti e a evitarlo, quasi non volesse nemmeno rivolgergli la parola. Yuri gliene avrebbe parlato; era qualcosa che poteva succedere, in un’amicizia duratura, che i rapporti si raffreddassero, ma nell’ultimo periodo non ne aveva davvero avuto il tempo.
Prima Isabella, che Yuri non conosceva, ma la cui morte aveva decisamente sconvolto Viktor e poi JJ, che aveva dato il colpo di grazia al fidanzato.
Una volta Christophe aveva giustamente definito la relazione di Yuri e Viktor come “di simbiosi”; aveva detto che erano uno la fonte di energia per l’altro e davvero, Viktor in quell’ultimo periodo pareva necessitare di davvero molte cure da parte sua. Yuri voleva esserci, anche a costo di sembrargli infantile per la scelta dei passatempi che avrebbero dovuto distrarlo. Anche a costo di prosciugare ogni briciolo della propria linfa vitale.
Scese le scale lentamente, aggiustandosi i polsini della camicia. Viktor sarebbe passato da casa sua entro mezz’ora, ma come ogni volta che aveva un appuntamento con Viktor, Yuri riusciva ad essere maniacalmente in anticipo.
Per sfortuna di Phichit, che credeva di non incrociarlo nemmeno.
« È arrivata della posta? » domandò il giapponese entrando in salotto, dove aveva visto l’amico rifugiarsi.
Domanda più che legittima, se la persona di fronte a lui aveva in mano un’elegante busta.
Phichit gli parve sorpreso, quasi spaventato. Yuri lo vide irrigidirsi e voltarsi solo per rivolgergli uno sguardo preoccupato.
Il giapponese alzò un sopracciglio, perché tanta sorpresa per una domanda simile gli sembrava davvero ingiustificata.
« Oh… sì! » si affrettò a rispondere il ragazzo. « Una lettera. Da parte di mia madre, sai. »
La madre di Phichit viveva con loro, ma aveva chiesto cortesemente a Yuri di poter tornare in patria per qualche mese. Phichit sarebbe dovuto andare con lei, ma non aveva voluto lasciare da solo il giapponese in un momento tanto difficile.
Prestando più attenzione Yuri si rese effettivamente conto che Phichit reggeva in una mano una lettera già aperta e nell’altra un’elegante busta. Potevano essere rispettivamente contenuto e contenitore, ma ancora una volta il sesto senso di Yuri parve consigliargli di non desistere, solleticato dall’atteggiamento sospetto di Phichit.
« Sta bene? »
« Certo! Come tutta la famiglia », rispose l’altro, fingendo un tono allegro e spensierato.
Aprì un cassetto del mobile e infilò rapidamente all’interno lettera e busta.
« Vado a controllare cosa potremmo mangiare per cena. Magari quando Viktor ti sarà passato a prendere potrei andare a fare un po’ di spesa. »
Yuri annuì, sorridendo.
« Non serve che ti disturbi, ma se non hai altri impegni. »
Phichit scosse la testa e richiuse il sacchetto, avviandosi verso la porta.
« Vieni con me a scegliere? »
Yuri annuì, poi gettò un rapido sguardo all’attaccapanni.
« Prima decido che soprabito indossare », rispose.
« Ti posso aiutare », propose Phichit.
Phichit non si intrometteva quasi mai in quelle scelte, anzi: sperava di non essere interpellato e di solito era Yuri a dovergli chiedere esplicitamente di esprimere un parere. Tendeva a non prendere una posizione nemmeno quando la situazione in sé lo richiedeva.
« No, scelgo da solo, non ti preoccupare! »
Phichit lo guardò attentamente, rendendosi probabilmente conto di aver esagerato con le stranezze. Fece un passo indietro, raggiungendo l’ingresso.
« Allora ti aspetto in cucina, sì. »
Yuri annuì e gli sorrise. Quando fu certo che Phichit se ne fosse andato si mosse rapidamente verso la credenza e aprì il cassetto, attento a non fargli fare rumore.
Se quella fosse stata davvero una lettera della madre di Phichit non si sarebbe nemmeno azzardato a leggerla e quando si accorse che effettivamente lo era, Yuri non andò oltre il mittente.
Ciò che però ritenne di propria competenza fu la busta dorata che scivolò fuori dalla carta piegata della missiva. Quella sì che era per lui.
Allora davvero Phichit gli nascondeva qualcosa.
Quando la aprì, Yuri si vide comparire davanti agli occhi un invito per il circo.
 
*
 
Superstizioni e occulto erano una cosa che a Yuri non interessava. Non perché non ci credesse: nonostante l’epoca in cui viveva fosse pratica e nonostante fosse una persona materiale, proprio non riusciva ad escludere che ci fossero alcune cose capaci di andare oltre la sua comprensione.
Però per non pestare i piedi a ciò che non poteva vedere evitava di indagare: aveva sentito parlare i figli di alcuni colleghi di suo padre, una volta, e a quanto pareva avevano tentato di mettersi in contatto con qualche spettro o qualcosa di simile. Ora, Yuri non era del tutto certo di credere che un rituale simile potesse funzionare, ma perché rischiare?
Siccome rimaneva ugualmente curioso, poteva concedersi qualche pratica meno invasiva. Farsi leggere la mano gli sembrava qualcosa di innocuo e curioso.
« Ripetimi dove stiamo andando. »
Viktor non sembrava altrettanto entusiasta.
« Da un amico di Phichit. Pare che sappia leggere il passato e predire il futuro. »
Se solo Yuri lo avesse guardato in faccia avrebbe potuto vedere il sopracciglio pericolosamente arcuato di Viktor.
« Che razza di persone conosce Phichit? »
Il volto di Yuri si contrasse in un piccolo broncio offeso.
« Ti ricordo che anche io sono una delle conoscenze di Phichit. »
C’era un motivo se Viktor era tanto indeciso all’idea di farsi leggere la mano e andava ben oltre la possibilità che quello di fronte a lui fosse un ciarlatano con la semplice intenzione di spillare dei soldi dalle tasche di Yuri. Ciò che davvero spaventava Viktor era la possibilità di ritrovarsi davanti un vero veggente.
Per un momento si era convinto che Yuri lo stesse accompagnando lì proprio perché voleva avere delle conferme circa qualche sospetto. Dopotutto lui stesso gli aveva confessato di essersi accorto che da quando Viktor era tornato qualcosa non andava.
Aveva la coscienza sporca, Viktor, e si rendeva conto che la sensazione di essere messo alle strette fosse dovuta proprio a questo. Lo sperava almeno, perché nonostante tutti i tentativi di Christophe di convincerlo a parlare e la promessa fatta a Yuri, ormai anni prima, di spiegargli perché in alcune situazioni fosse tanto misterioso, non si sentiva pronto a rivelare nulla. Nemmeno sotto costrizione.
Lanciò un rapido sguardo al volto del giapponese, che era tornato a concentrarsi sulla strada che stavano percorrendo.
Forse si stava preoccupando troppo per nulla: Yuri gli aveva chiesto di uscire con l’intento di distrarlo, di fargli scordare almeno per un po’ l’accaduto degli ultimi giorni. Non doveva avere necessariamente un doppio fine, non il suo Yuri. Si chiese per un attimo cosa gli stesse accadendo se iniziava a dubitare anche di comprenderlo.
« Eccoci, siamo arrivati. »
Viktor non aveva minimamente fatto attenzione alla strada che avevano percorso per arrivare fin lì, o meglio: aveva carpito qualche punto di riferimento per poter tornare indietro, ma comunque non conosceva Londra abbastanza da sapere quale zona avessero raggiunto.
Sembrava comunque che si trattasse di un buon quartiere, che per le strade di acciottolato e l’elegante parco che riusciva a scorgere in fondo alla strada non aveva assolutamente nulla da invidiare alle distese di terra battuta e fanghiglia dove soggiornava con la sua compagnia.
Yuri bussò sul vetro della porta, dove dalla maniglia pendeva un cartello con su scritto “chiuso”.
Viktor parve convincersi che quello che stavano per incontrare fosse un imbroglione, se poteva permettersi di mantenere un negozio in un quartiere di case a schiera tanto eleganti.
Sentì dei passi all’interno, ma non poté vedere nulla a causa di una pesante tenda di velluto rosso che impediva a sguardi indiscreti di sbirciare nella bottega.
Un ragazzo dalla pelle olivastra aprì la porta. Indossava una camicia bianca che gli drappeggiava morbidamente il torso. Dal collo pendevano diverse collane e… seriamente Yuri stava per costringerlo a fare una cosa del genere?
« Yuri, ti aspettavo! »
I due si scambiarono un abbraccio e Viktor capì che quello non doveva essere solo amico di Phichit. Non se Yuri lo abbracciava, considerando quanto fosse timido al riguardo.
Il giapponese si voltò verso di lui quasi avesse sentito i suoi pensieri e gli sorrise.
« Questo è Viktor. »
L’uomo allungò la mano verso lo sconosciuto.
« Piacere. »
Il ragazzo sorrise e strinse la mano di Viktor, saldamente.
« Leo de la Iglesia », si presentò. « Finalmente ho l’onore! Sai, se conosci Yuri dopo un po’ diventa inevitabile volerti incontrare. »
« Ah, davvero? Spero che parli solo bene », disse Viktor, malizioso, voltandosi verso Yuri.
Stava diventando letteralmente color peperone.
« Ti posso assicurare che dice solo le cose migliori. »
Viktor non capì fino a che punto Leo gli stesse semplicemente reggendo il gioco, la cosa più importante fu comunque osservare gli occhi di Yuri che guizzavano con fare agitato da un punto ad un altro per evitare accuratamente il suo sguardo.
« L-Leo! Possiamo entrare? » chiese infine, con enorme sforzo, tanto che la sua voce ne uscì strozzata.
« Ma certo! » rispose il ragazzo con una risata, prima di mettersi da parte per fare in modo che sia Yuri, sia Viktor potessero entrare.
L’interno della stanza non era meno eccentrico di quanto si poteva presagire dal semplice drappo di velluto rosso che copriva la vetrina: c’erano ninnoli e almanacchi a tappezzare ogni mobile, ogni angolo di ogni tavolo, addirittura pendevano dalle pareti e dal lampadario.
Viktor riuscì ad identificare solamente un acchiappa sogni e qualcosa che ricordava una bambolina voodoo.
Il nome di Leo aveva convinto Viktor che fosse spagnolo, il suo intuito aveva proposto che venisse dal Sud America. In ogni caso, si domandava perché avesse tutti quelli oggetti che decisamente provenivano da altre culture.
Si chiese se semplicemente non fosse un collezionista e se quella che Yuri aveva preso per abilità non fosse piuttosto apparenza.
Fisicamente non era poi così eccentrico: Christophe con la tuta da esibizione lo era molto di più.
Leo indicò loro un tavolo, coperto da un telo bordeaux con dei ricami dorati. Quell’atmosfera era pesante e pacchiana, ma forse era tutta colpa dell’incenso.
Il ragazzo spostò due sedie in modo da far accomodare Viktor e Yuri, poi si sistemò di fronte a loro.
« Dunque, Phichit ha detto che volevate che vi leggessi la mano. »
Quel ragazzo sembrava perennemente entusiasta di ciò che diceva e anche di ciò che era in procinto di fare.
« È Yuri a volerlo, in realtà. »
Viktor aveva rubato le parole di bocca al giapponese. In poche altre occasioni si era mostrato così restio ad accontentare il ragazzo, ma era un atteggiamento che poteva assumere, anche in virtù della propria schiettezza. Yuri lo sapeva e non parve offendersi.
« Uno scettico? » domandò Leo, più a Yuri che a lui.
« Gliel’ho proposto anche per farlo ricredere, ma… beh, Viktor è piuttosto fermo nelle proprie convinzioni. »
Gli occhi di Yuri saettarono verso di lui. Era forse una frecciatina quella che gli stava lanciando?
« Fammi vedere il palmo, Viktor. »
Leo accompagnò le proprie parole con un gesto del capo. Il russo lo guardò indeciso, ma infine sollevò la mano destra. La sistemò sul tavolo, in modo che il palmo fosse rivolto verso l’alto.
Il ragazzo la prese e fece scorrere le dita lungo uno dei solchi della pelle, attentamente.
« Oh, circense dalla nascita! » constatò il ragazzo, con lo stesso entusiasmo che aveva mostrato fin da quando aveva aperto loro la porta.
« Sì, una cosa che ho detto anche a Yuri », disse. « Non dovevi leggere il futuro? »
Leo annuì, sorridendo. Sembrava abituato a trovarsi di fronte qualcuno che dava per scontata l’infondatezza delle sue capacità.
« Partire dal principio mi aiuta a mettere più ordine. Posso continuare? »
Viktor annuì appena.
« È successo qualcosa… » aggiunse. « A dieci anni. Hai cambiato compagnia, Viktor? »
Il russo si ritrovò preso in contropiede. Aveva indovinato anche l’età.
« Per quel brutto incidente? »
Un’altra cosa che Yuri sapeva. Dubitava che l’avesse spifferata al primo sconosciuto di turno solo perché riuscisse a convincere Viktor, però. Ne ebbe la conferma quando le dita esili del giapponese si strinsero intorno alla sua mano libera.
« È una cosa di cui non mi piace parlare. »
Leo annuì, andando oltre senza cambiare impressione. L’indice della sua mano continuò a scorrere sui solchi della mano di Vik.
« Oh e quando ti sei unito a loro hai tagliato i capelli perché pensavi ti potesse aiutare a cambiare. »
Quello Yuri non lo sapeva, però.
« Avevi davvero i capelli lunghi, Viktor? » domandò il ragazzo, genuinamente sorpreso.
Viktor si affrettò a mostrargli un sorriso, tornando a guardare Leo con preoccupazione. Lo vide interrompere i propri movimenti.
« Hai un segreto, Viktor. »
« Tutti ne hanno. Uno è una media piuttosto bassa, per la verità. »
« Ma tu lo vuoi tenere nascosto a Yuri, o sbaglio? »
Forse non avrebbe dovuto pestargli i piedi in quel modo mostrandosi scettico e acido. Ritirò la mano.
« Credo di non voler continuare. »
Si alzò rapidamente, senza nemmeno voler controllare con che faccia lo stessero guardando Leo e soprattutto Yuri.
Non era un segreto che volesse tenere per sé alcue cose, ma preferiva che l’altro non le scoprisse grazie ad un veggente.
Uscì rapidamente dal negozio e sentì i passi del giapponese seguirlo.
« Viktor, perché te la sei presa in questo modo? »
« Non me la sono presa, Yuri. »
« Ah no? » gli chiese, serio. « È il discorso di quel segreto ad averti fatto arrabbiare? Bastava chiedergli di non parlarne! » incalzò, cercando lentamente la mano del russo con la propria.
La strinse tra le dita, accorgendosi di un’improvvisa nota di calma nei suoi occhi.
Non voleva che quell’esperienza scuotesse tanto Viktor, non l’aveva portato lì per quel motivo.
L’uomo, ancora nervoso per ciò che era appena accaduto, annuì appena. Tutti i suoi sforzi per tenere Yuri al sicuro avevano appena rischiato di essere vanificati, questo lo aveva spaventato a morte: temeva la reazione di Yuri e le conseguenze.
« Viktor, mi hai già detto in passato che ci sono delle cose di cui non puoi parlarmi », cominciò il ragazzo.
Gli teneva ancora la mano, incurante che si trovassero per strada.
« Mi piacerebbe sapere ogni cosa, è vero, ma mi fido di te e aspetterò, se è questo che vuoi. »
Yuri controllò quante persone ci fossero intorno a loro. L’orario aveva svuotato i marciapiedi, tanto che si concesse di spostare entrambe le mani sul viso di Viktor.
« Calmati, ora. »
Viktor annuì, i suoi occhi nemmeno tentarono di capire quante persone avrebbero potuto vederli: non gli importava.
Era buffo come fosse tanto dipendente da Yuri quando, allo stesso tempo, tentava di tenerlo almeno un poco lontano per non ferirlo.
Il giapponese sistemò la propria fronte contro quella dell’uomo, socchiudendo gli occhi.
« Ti amo. »
Il cuore del russo perse un battito. Yuri glielo aveva detto con voce ferma, nonostante le gote avessero preso lievemente colore. Guardandolo negli occhi lo vide risoluto, deciso.
Era una cosa che gli faceva sempre piacere, accorgersi di come Yuri stesse diventando gradualmente più sicuro di sé.
« Ti amo anche io », rimandò, prima di baciare le sue labbra.
« Viktor? » lo chiamò, nonostante avesse già tutta la sua attenzione.
« Sì? »
« Scusami. »
Il russo aggrottò le sopracciglia, senza capire.
« Per che cosa? »
Yuri esitò, ma poi riuscì ad accennare un sorriso dispiaciuto.
« Non volevo che portarti qui ti facesse stare in questo modo. Volevo solamente aiutarti a non pensare a quello che è successo. »
Yuri venne zittito dalle labbra di Viktor che schioccavano sulle sue. Questa volta anche lui aveva controllato che nessuno li stesse guardando, più per Yuri che per sé.
« Lo so, Yuri. Non potevi sapere », lo rincuorò.
Era tornato il solito Viktor di sempre.
Yuri accennò un sorriso. I suoi occhi gli sembravano ancora tristi, ma Viktor era abbastanza sicuro di potersi occupare di lui.
« Mi avevi detto di dover provare oggi, vero? » domandò il giapponese. « Torno dentro a prendere la giacca e ti riaccompagno. Mi aspetti qui? »
Viktor sciolse delicatamente la presa dal corpo del ragazzo mentre annuiva. Avrebbe voluto continuare a tenerlo stretto e se non poteva farlo avrebbe volentieri saltato i propri allenamenti per rifugiarsi nel loro proverbiale nascondiglio.
Yuri gli rivolse un piccolo sorriso, lasciando la sua mano.
Tornò dentro il negozio, la porta rimasta socchiusa.
Subito gli occhi vivaci di Leo lo raggiunsero.
« Sì, decisamente Phichit aveva ragione nel dire che è spaventoso quando diventa serio », ruppe il silenzio. « Si è calmato? »
Yuri rispose con un cenno affermativo del capo, poi il sorriso sulle sue labbra scomparve.
« Leo, tornerò qui presto: ho bisogno che tu mi dica tutto quello che hai visto. »
 
*
 
« È stata una buona idea portare tutte queste coperte, lo sai? »
C’era qualcosa di estremamente rilassante nel corpo caldo di Yuri stretto al suo, pelle contro pelle, e il respiro calmo del giapponese contro il proprio collo.
Era proprio ciò che gli serviva dopo la tensione che l’aveva travolto poche ore prima, a causa di Leo.
Viktor avrebbe dato qualsiasi cosa purché quei momenti fin troppo brevi divenissero infiniti. Lo facevano sentire talmente bene che nemmeno si sentì in colpa per aver saltato le prove.
« Mhn… dici? » chiese Viktor, non convinto. « Saprei io come tenerti al caldo, con queste diventiamo più pigri… »
Yuri ridacchiò, divertito, mentre Viktor scivolava su di lui e gli schioccava un bacio sulle labbra.
Forse il giapponese non prestava attenzione a tutti quei piccoli cambiamenti, ma una volta non sarebbe mai stato in grado di ridere per una simile affermazione. Viktor se lo vide di fronte, al loro secondo incontro, con il volto arrossato semplicemente per essere tornato lì, di fronte a lui, senza però aver trovato nulla di efficace da dire per salutarlo.
Però c’era andato da solo e avevano trascorso l’intero pomeriggio a parlare. Quando erano giunti a trovare estremamente divertenti delle sciocchezze di cui Viktor non avrebbe mai immaginato di parlare aveva capito che Yuri aveva tutte le carte in regola per essere la persona giusta.
« Perché invece di dirlo non lo fai e basta, Vitya? »
Quanto poteva amarlo?
Il russo tornò a sporgersi, baciando più volte le labbra del giapponese.
« Ti rendi conto di quanto sei cambiato? » domandò, spostando le proprie labbra su tutto il suo volto.
« Cambiato come? »
« Il purissimo Yuri Katsuki non mi avrebbe mai detto una cosa del genere! »
Yuri accennò un piccolo sorriso, malizioso. Portò le mani sulle spalle di Viktor e le fece scorrere lentamente lungo la sua schiena, saggiando la muscolatura che conosceva a memoria.
« Oh, ma le pensava. Pensava cose molto peggiori di quelle che ha detto… »
Viktor sorrise. Avrebbe davvero voluto sapere ogni pensiero passato nella mente del ragazzo, allora.
« Questo significa che non sei stato completamente sincero con me! Mi hai tenuto dei segreti. »
Yuri ridacchiò, spostando la testa di lato per lasciare che Viktor percorresse la sua gola con le labbra.
« Perché, tu sei stato sempre sincero? »
Non intendeva accusare Viktor di nulla, non pensava davvero nulla in quel momento che non fosse provocarlo; si stava riferendo a qualche fantasia sciocca di cui il russo non gli aveva parlato, quando lo divorava con gli occhi e poi diceva di aver pensato a qualcosa di totalmente insignificante perché ancora non poteva permettersi di essere tanto diretto quanto avrebbe voluto.
L’espressione di Viktor si fece fin troppo torva, però.
« Viktor? Che succede? »
Il russo sospirò, rimanendo sopra di lui e puntando gli occhi nei suoi.
« Se non fossi stato sempre sincero per proteggerti e volessi rimediare ora, perché è giusto che tu sappia, mi ascolteresti? »
Yuri sussultò, annuendo. Quel cambiamento improvviso lo aveva scosso, ma si adattò rapidamente. Portò entrambe le mani sul volto di Viktor.
« Certo, ti ascolterei in qualsiasi momento. »
« Anche se potrei rovinarlo? » domandò.
Yuri lo attirò a sé, facendogli poggiare la fronte contro la sua.
« Ci sei tu, non puoi rovinare niente. »
Gli avrebbe detto di non esserne così sicuro, ma finché non avesse parlato Yuri non avrebbe capito la gravità della situazione.
« Anche se riguarda tuo padre? » Di fronte al cipiglio smarrito di Yuri continuò. « Ricordi dov’era, la sera in cui…? »
« Era venuto a vedervi, no? Aveva ricevuto l’invito. »
Maledizione, quell’invito. Se solo Yuri gliene avesse parlato prima. Se solo quell’uomo non fosse andato fin lì solo per affrontare lui.
« Non si è sentito male lungo la strada », disse rapidamente Viktor. « Era ancora qui. »
Yuri schiuse le labbra, sorpreso.
« Mi è venuto a cercare dopo la mia esibizione. Non mi va di ripetere tutto il colloquio, penso tu possa immaginare. »
“Stai lontano da mio figlio, maledetto parassita.”
Quella frase non aveva attraversato la mente di Yuri in forma troppo diversa, rispetto a ciò che Viktor si era sentito dire e che in quel momento stava nitidamente ricordando.
Il giapponese annuì.
« L’ho visto andare via e poi mi hanno avvisato che qualcuno… si era sentito male. Sono andato a vedere e c’era lui, ma era tardi ormai », spiegò. « Mi hanno interrogato, pensavano fossi stato io, considerando la discussione che c’era stata, ma… »
Yuri lo fissò negli occhi. Era mortalmente serio.
« E tu non me lo hai detto perché pensavi che avrei creduto che fossi stato tu? »
Viktor si chiese se con il lavoro che faceva per vivere e per il modo in cui quel circo sopravviveva, almeno in piccola parte non lo fosse davvero, un assassino.
Rispose con un cenno del capo.
« Viktor, tu… » Yuri sospirò, portandosi una mano sul viso. « Non c’erano segni. È stato un malore. Pensavi davvero che avrei creduto alla versione della polizia solo perché si tratta delle autorità? »
Gli occhi di Yuri brillarono di tristezza. La sua voce aveva tremato e tutto questo fece sentire Viktor in colpa.
Lo guardò. Era arrabbiato? Non tanto per quel segreto, ma per il motivo per cui aveva mentito? Nonostante tutto gli sembrava meno scosso del previsto: aveva temuto di trovarsi di fronte un fiume di lacrime e invece non era accaduto.
« Non sapevo cosa avresti potuto dire, eri sconvolto e… »
« Sei l’uomo che amo, non un assassino », disse. « Non avrei mai avuto dubbi! »
Viktor lo guardò negli occhi. Si sentì accarezzare lentamente, poi un bacio venne rubato alle sue labbra.
« Non sono un bambino, Viktor. Non sono così fragile. Devi smetterla di volermi proteggere ad ogni costo. »
Viktor annuì, consapevole che quel rimprovero fosse più che giusto. Era nei diritti di Yuri sapere e quella reazione fin troppo blanda era stata una fortuna, per Viktor: si sarebbe meritato anche di peggio.
Il russo abbassò lo sguardo.
« Yuri? »
« Mh? »
« Non è tutto qui », sussurrò. « Non si è trattato di un malore. »
Quello che era successo quel giorno lo aveva scosso fin troppo e poi Christophe aveva ragione: era stanco di mentire a Yuri. Era esausto. Poteva iniziare a dirgli almeno qualcosa, anche se per alcuni aspetti avrebbe continuato ad omettere.
« Né per lui, né per Isabella. Non sappiamo chi, ma li ha uccisi qualcuno. Per questo non voglio che tu venga al circo. »

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo ottavo ***


Capitolo ottavo


 
 

“What’s gonna be left of the world if you’re not in it?”



 
Quando lui e la sua compagnia avevano messo piede a Londra, Viktor si era chiesto se gli inevitabili momenti in cui tutti dovevano riunirsi potessero diventare più grevi. Gli elementi che componevano la combriccola non erano poi così numerosi, per questo l’umore di uno solo di loro poteva influenzare tutti gli altri, così come la sua scomparsa poteva farsi particolarmente insopportabile: erano pochi, ma molto legati. Anche se JJ era una delle persone che più di tutti lì dentro riusciva a farsi odiare semplicemente aprendo bocca per respirare, mancava incredibilmente ad ognuno di loro.
Perciò sì, alla domanda che si era posto al loro arrivo a Londra, Viktor aveva trovato risposta: le loro riunioni potevano diventare peggiori.
« Dico solo che non ho intenzione di stare qui ad aspettare i suoi comodi per farmi uccidere. »
Michele Crispino era una di quelle presenze tranquille che venivano messe in ombra da persone più esuberanti come poteva essere un Christophe, o uno Yuri.
Sicuramente, poi, il ragazzo era vincolato alla presenza della sorella: senza di lei non riusciva davvero ad esprimere tutto il proprio potenziale, motivo per cui dopo qualche pallido tentativo di andare in scena da soli, i fratelli Crispino si erano rassegnati ad organizzare solo esibizioni di coppia.
« Non dovresti essere paranoico », si lamentò Christophe. « Sai anche tu che JJ gli stava pestando i piedi, aveva detto che sarebbe andato a spifferare tutto. »
« Era ubriaco », ribatté Michele.
« Non penso che per questo fosse meno convinto di ciò che diceva, sai? »
« Come fai ad essere così cinico, Chris? » domandò Mila, incrociando le braccia al petto.
« Ne dobbiamo proprio parlare mentre ceniamo? Mi state facendo venire il voltastomaco », si lamentò Yuri.
Affrontare certi discorsi durante i pasti era un’arma a doppio taglio: anche se il direttore non cenava mai con loro, non era detto che non li sentisse. Non si poteva mai sapere dove si trovasse di preciso, o cosa avesse intenzione di fare.
« Se i bambini sono disturbati da certi argomenti dovrebbero andare a dormire », lo liquidò Chris.
Yuri fu sul punto di alzarsi e depennarlo dalla lista di possibili vittime future occupandosene lui con una posata, ma Otabek lo trattenne.
Si limitò così a fulminarlo, con sommo divertimento da parte dello svizzero.
« E poi ho sentito quello che ha detto Otabek, l’altro giorno. »
Viktor, che fino a quel momento era rimasto chino sul proprio piatto incurante di fare da moderatore, alzò lo sguardo. Sapeva quale informazione degna di nota aveva rivelato Otabek, quando credeva di essere rimasto solo con lui, Yuri e Mila.
Otabek stesso parve sentirsi punto nel vivo.
« E cosa avrebbe detto? »
Yuri rubò le parole di bocca al diretto interessato.
« Che ha visto Veselov, dopo essere stato graffiato dalla tigre. »
Diamine.
« Quindi ora origli anche? » gli domandò sprezzante Yuri.
« Stavo tornando dentro per vedere se vi serviva una mano. »
« Certo, come no », rise sarcastico il ragazzo.
A quel punto fu Sara ad intervenire.
« Siamo tutti preoccupati. Prima Isabella, poi JJ e adesso anche Otabek. Magari non arriverà fino in fondo più con nessuno, ma non siamo al sicuro. »
« E credo che tutti sappiamo il perché. »
Michele gettò un’occhiata a Viktor.
Non c’erano mai stati problemi né rivalità, tra di loro. Se Michele si stava accanendo in quel modo sull’argomento e su di lui era solo perché aveva intuito.
« Hai qualcosa da dirmi, Crispino? » chiese Viktor.
« Sì: non dovevi mettere le mani sui biglietti. »
Viktor capiva: capiva la preoccupazione dei suoi compagni, capiva anche che fossero arrabbiati con lui perché aveva agito senza consultarli. Poteva anche assumersi le proprie responsabilità.
Non che Viktor Nikiforov fosse una bestia sacra che nessuno doveva mai attaccare. Semplicemente sapeva come ferire. Di fronte ad accuse mosse in quel modo proprio non sarebbe riuscito a rimanere in silenzio.
« E tu che avresti fatto, se avessi saputo che tra quei biglietti ci fosse stato, che ne so, quello per tua sorella? »
La tensione parve salire.
Michele si bloccò. Per l’appunto, Viktor era perfettamente conscio di quali tasti fosse il caso di toccare per ottenere ciò che voleva.
« Non cambiare le carte in tavola, Sara non potrebbe mai riceverlo. »
« Sì, ma se potesse? » insistette Viktor. « Correresti il rischio di farla venire qui sapendo che potrebbe morire? »
« Le direi la verità e basta. »
« Certo, perché ovviamente non ti preoccuperebbe essere giudicato per il modo in cui il circo dove lavori sopravvive, vero? »
« Finitela di parlare come se non fossi qui », intervenne Sara. « Chiunque qui dentro avrebbe messo mano su quei maledetti biglietti per salvare qualcuno a cui tiene. »
Quella ragazza era molto più indipendente di quanto suo fratello volesse, forse perché tra i due era l’unica che sarebbe davvero riuscita a sopravvivere da sola.
Dopo le parole di Sara calò il silenzio, il rumore delle posate sul fondo dei piatti di zuppa era l’unica cosa a spezzare l’assenza di suoni.
« Ho controllato se ci fossero i biglietti per il primo spettacolo, è vero, ma non ce n’era uno per Yuri. » Fu Viktor a spezzare il silenzio. « Sapevo che farli sparire avrebbe avuto delle conseguenze, perciò ho solo chiesto ad un suo amico di ritirarli dalla cassetta delle lettere senza farglieli avere. »
« Non so quanto questo cambi per il direttore, Viktor. Lo stai comunque intralciando », gli fece notare Christophe.
Viktor non era una persona irascibile e la puntualizzazione di Chris aveva il suo perché. Sapeva che se avesse permesso a Michele di aggrapparsi a quella constatazione, però, si sarebbe decisamente innervosito.
« Gli ho spiegato anche alcune cose. Non tutto, ma gli ho dato dei validi motivi per non venire al circo. Se la scelta è sua, per quanto l’abbia influenzato, non avrà ripercussioni su di voi. »
« Al massimo le avrà su di te », disse Yuri.
Sembrava leggermente preoccupato, nonostante l’espressione proverbialmente accigliata.
« Sì, però a questo punto cosa c’entrava Otabek? » Fu Mila ad intervenire. « Passi anche Isabella, ha comunque giocato secondo le regole con lei, ma se ha fatto in modo che si ferisse anche Otabek chiunque potrebbe finirci in mezzo. Soprattutto dopo quanto è accaduto con JJ. »
La donna rivolse a Viktor uno sguardo costernato.
« Sai che non ho nulla contro di te, Viktor, ma… »
« Sono io che sono stato graffiato da una tigre, ma mi sembra che vi stiate facendo più problemi voi, di me. »
Otabek era una persona silenziosa, parlava quasi solo se interpellato o per calmare Yuri, che sembrava incapace di ascoltare chiunque non fosse lui. Non che il kazako non avesse niente da dire: preferiva soppesare il vantaggio di aprire bocca, quanto ne valesse la pena e l’effettiva utilità di ciò che aveva da dire.
Non era certo che avrebbe fatto cambiare idea alle persone lì con lui, ma era stanco che tutti si accanissero contro Viktor come se fosse la causa di ogni loro male.
« Davvero non capite che è quello che vuole? Vuole metterci uno contro l’altro, perché sa che certamente qualcuno si schiererà con Viktor e che altri invece gli andranno contro. »
Non era arrabbiato. Irritato sì, però.
Il solo fatto che fosse stato lui a parlare aveva fatto ammutolire tutti.
« L’ho visto, è vero, magari ha davvero fatto in modo che quella tigre mi graffiasse, ma intanto sono vivo, dato che non gli ho pestato i piedi in nessun modo. A differenza di JJ, che ha minacciato di andarsene. »
A quel nome Mila abbassò il capo, seguita da Michele, quasi fosse diventato un tabù.
« Il punto è che state cercando un capro espiatorio e Viktor vi fa comodo », proseguì. « Nessuno vi ha obbligati ad entrare a far parte di questo circo. C’è chi è entrato per disperazione, chi lo ha fatto quando era troppo piccolo per capire davvero a cosa stesse andando in contro, ma ad ogni modo siete voi ad aver accettato le sue condizioni purché un vostro desiderio venisse esaudito. Se dovete biasimare qualcuno ora che le cose si stanno facendo difficili per un capriccio del direttore, biasimate voi stessi. »
Otabek si alzò in piedi.
« E ve lo dice quello che si è fatto rinchiudere qui per salvare la vita di sua sorella. Non mi interessa sentirmi chiamare eroe, ho solo fatto ciò che credevo fosse giusto. » Fece scorrere lo sguardo sui presenti. « Quindi forse sono di parte, forse è egoista da dire perché non possiamo nemmeno tentare di salvare tutti quelli che vengono invitati qui, ma se Viktor riesce a tenere al sicuro almeno la persona che ama, non c’è davvero niente da rimproverargli. »
Otabek non si aspettava un ringraziamento, aveva detto solo quello che pensava fosse giusto dire. Se rivolse uno sguardo a Viktor fu solo per dimostrargli silenziosamente che lo capiva.
Le labbra di Viktor si mossero in un muto grazie che Otabek ricambiò con un cenno. Abbandonò la propria ciotola sul tavolo di fortuna allestito al centro della pista e uscì.
Ancora nessuno si azzardava a parlare. L’unico modo per concludere il discorso dopo quel monologo sarebbe stato alzarsi e andare via; Viktor non avrebbe saputo come difendere meglio la propria posizione, Michele e Mila, gli unici che avevano effettivamente detto qualcosa contro di lui, sapevano di essere colpevoli almeno quanto Viktor, se ancora volevano ritenerlo il responsabile di quella situazione.
« Beh, wow. » Yuri si alzò in piedi. « Direi che lo avete fatto incazzare per bene. »
Abbandonò il proprio piatto su quello di Otabek e si mise in piedi a propria volta per seguire il ragazzo. Non era d’accordo solo perché qualsiasi cosa uscita dalle labbra del kazako fosse la pura verità; lo era perché era stanco di essere l’unico ad aver capito che Viktor andava sostenuto.
Eppure Viktor stesso stava realizzando che la questione non era così semplice, che non si trattava di decidere se avesse ragione o meno: poteva essere nel giusto dal punto di vista di Otabek; poteva essere nel giusto anche dal proprio, ma sapeva che spesso la giustizia non andava di pari passo con ciò che sarebbe stato meglio.
Che lo colpevolizzassero in quel modo era sbagliato, che si accanissero contro di lui e gli addossassero le colpe di ogni sfortuna era sbagliato. Ma Viktor sapeva che Veselov lo stava sfidando, che si era innescato tutto da quando aveva dato fuoco a quel maledetto invito, l’anno prima, e che forse stava tentando di metterlo alla prova per fargli commettere un passo falso.
Magari altri incidenti avrebbero provocato solo qualche lieve ferita, o magari qualcuno ne sarebbe rimasto inevitabilmente ucciso. Quella sorte poteva toccare tanto a Sara, quanto a lui, o a Yura.
Poteva toccare anche a Yuri, se non si stava più giocando secondo le regole.
Quindi sì, forse era giusto che continuasse a difendere la persona che amava. Le persone che amava, perché contro le aspettative di tutti non teneva solamente al ragazzo che gli aveva rubato il cuore: teneva anche al ragazzino irascibile che per una volta era d’accordo con lui, o lo avrebbe già lasciato in balia del proprio destino per stare con Yuri; teneva a JJ, che era morto per disperazione senza lasciarsi aiutare; teneva a chiunque fosse seduto con lui in quel momento, perché anche loro erano la sua famiglia. Tutti loro, così come Yuri.
C’era un modo per proteggere entrambe quelle famiglie, Viktor se lo era visto apparire nella mente in diverse occasioni, ma lo aveva sempre scacciato, troppo impaurito al solo pensiero.
« Christophe, ti posso parlare? »
La sua voce non causò nessun cataclisma, nessuna esplosione di rabbia, niente di niente. Solo il lento muoversi del capo dello svizzero, che annuì.
Viktor lo aveva sempre ritenuto, oltre che un ottimo amico, anche fortemente influenzato dalla gelosia che per i primi anni aveva nutrito nei confronti di Yuri. Inizialmente aveva creduto che qualsiasi parere di Christophe nei confronti della sua relazione sarebbe stato dato nel vano tentativo di sospingerla verso la sua fine.
Fu anche per questo che una volta fuori dal tendone, nel silenzio meno teso della tarda sera londinese e nel suo buio, Viktor scelse di parlare in termini generici.
« Se ci fosse, ipoteticamente, una persona che… »
« Oh andiamo, sei serio, Viktor? » gli chiese Christophe, sarcastico. « Una persona che casualmente si chiama Viktor e… »
Viktor puntò i propri occhi in quelli dell’amico. Sciolse ogni briglia e lasciò che mostrassero esattamente ciò che provava: disperazione.
« Non complicare le cose », lo interruppe. « Ho davvero bisogno del tuo aiuto. »
Christophe si convinse che la situazione era abbastanza grave da permettere a Viktor di usare quei giochetti, per esprimersi.
« Se questa persona avesse affrontato una situazione tremenda tentando di conciliare ogni cosa senza però riuscirci, portando delle persone a farsi del male e altre a preoccuparsi. Se lo avesse fatto solo per egoismo, per trovare un’alternativa alla soluzione migliore, ma più dolorosa per lei, che cosa dovrebbe fare? »
Christophe giurò di aver sentito la voce di Viktor tremare e capì che quell’opzione doveva essere davvero dolorosa. Dal suo sguardo fermo però, capì anche che quello che doveva dargli non era un parere, ma solo supporto: Viktor aveva già deciso.
« Quale sarebbe la soluzione dolorosa? » Christophe lo guardò, attento. « E quanto sarebbe dolorosa? »
« Sarebbe dolorosa, quanto… »
Nemmeno le peggiori torture gli sembravano sufficienti a quantificare quel dolore.
Poi capì.
« Sarebbe dolorosa quanto lo sarebbe per me passare tutto il resto della mia vita senza Yuri. »
Rivolse a Christophe un sorriso amaro e l’uomo ebbe confermate tutte le proprie preoccupazioni.
« Dio, Viktor, non puoi farlo… » mormorò, cercando di articolare un pensiero davvero capace di convincere l’amico a desistere. « Lasciare Yuri è… »
« La cosa migliore che posso fare », sussurrò. « Pensaci: finirà di aspettarmi ogni anno e… odierà questo posto abbastanza da non volerci mettere piede. »
« Gli hai già detto di non venirci e ti ha ascoltato, non ha senso che arrivi a questo! »
« Non voglio che gli altri subiscano ripercussioni per… » Viktor sospirò. « Forse non è colpa mia, forse qualcuno continuerà ad essere ferito per un capriccio di Veselov, ma non voglio avere la responsabilità della morte di qualcuno sulle spalle, Chris. Se voglio proteggere tutti è… la cosa migliore. »
« È la cosa migliore per tutti, ma per te? » incalzò Christophe. « L’egoismo non è sbagliato, Viktor. Riusciresti davvero a sopportare di non vedere Yuri mai più? »
Viktor abbassò lo sguardo.
« No, non lo sopporterò. Ma farebbe più male sapere che tutti sono in pericolo per colpa mia. »
 
*
 
Quattro anni prima
 
Viktor non era mai stato innamorato. Non perché non credesse nell’amore, anzi: ne era troppo sedotto e si era creato delle aspettative. Provava sentimenti, non era glaciale come molti avrebbero potuto dire, ma aveva bisogno di qualcuno che con un semplice sguardo lo facesse sentire vivo. Aveva bisogno di qualcuno che lo capisse senza parole. Non era mai riuscito a spiegare nemmeno a se stesso ciò che desiderava in modo chiaro da una relazione, fino a quando non aveva incontrato Yuri.
Lo Yuri che aveva esitato a parlargli, troppo timido e spaventato per rivolgergli tutte le domande che invece gli aveva posto una volta sciolto.
Lo Yuri che vedeva il mondo attraverso i suoi occhi e che quando si guardavano troppo arrossiva.
Lo Yuri che aveva accettato di uscire con lui e Chris, ma non aveva retto il vino e aveva urlato che se Viktor glielo avesse chiesto sarebbe scappato con lui anche subito.
Lo Yuri perfetto che in quel momento lo stava guardando ad un palmo dal suo naso, con quegli enormi occhi a mandorla in cui Viktor si perdeva per interi minuti, emergendone convinto che la vera bellezza esistesse.
Era di Yuri che Viktor aveva bisogno. Ne aveva bisogno come l’aria.
Il loro posto segreto era una casa abbandonata vicino a dove Viktor e la sua compagnia si accampavano. Viktor l’aveva scoperta una volta arrivato in città quello stesso anno e mostrandola a Yuri, lui aveva detto che era bellissima. Aveva definito bellissima quella bettola con gli infissi scardinati, abitata solo dalla polvere. Viktor gli aveva quasi riso in faccia quando l’aveva chiamata in quel modo e Yuri si era offeso, chiedendogli cosa ci trovasse di tanto divertente: l’aveva trovata lui, era ovvio che gli piacesse.
Viktor si chiedeva ancora se avesse cominciato ad amare Yuri da quel momento o se fosse successo semplicemente quando aveva incrociato il suo sguardo la prima volta.
C’erano così tanti momenti in cui si era reso conto di amarlo da non riuscire a ricordare quale fosse il primo.
« Ti sei mai innamorato, Viktor? »
C’erano dei giorni in cui la timidezza di Yuri svaniva un po’, o forse si trattava di giorni in cui era più curioso del solito. Pareva nutrirsi disperatamente di ciò che Viktor aveva visto e aveva da raccontare, che si trattasse di luoghi o sentimenti.
Yuri non doveva aver mai sperimentato l’amore.
Il russo si chiese se avvicinando la mano al viso di Yuri, finito su di lui mentre scherzavano per una battuta che nemmeno ricordava, lo avrebbe spaventato e spinto ad allontanarsi.
Lo sguardo di Viktor si addolcì e le sue dita sfiorarono infine la sua pelle. Gli parve che una scossa avesse pervaso il suo intero braccio e che anche Yuri avesse sentito lo stesso effetto.
« Una volta sola. »
Yuri sembrò entusiasta di quella risposta al punto tale che Viktor si convinse di aver sentito il battito del suo cuore attraverso i loro petti.
Il giapponese schiuse le labbra e per un momento il suo cipiglio lo tradì. Che temesse di scoprire l’identità di quella persona o che Viktor fosse ancora innamorato di lei?
« Com’è stato…? »
« Oh, è davvero stupendo, Yuri. »
L’espressione di Yuri si fece più smarrita, mentre le dita esili si stringevano intorno alla stoffa della sua camicia.
Di nuovo, Yuri non riuscì ad indagare oltre.
« Sai una cosa, Yuri? »
« Che cosa, Viktor? »
« La persona di cui sono innamorato… » cominciò. « La sto guardando in questo preciso istante. »
Yuri si sollevò leggermente dal suo corpo in un singulto. Paura? Stupore? Viktor non seppe riconoscere di che cosa si trattasse, ma un bagliore parve illuminare gli occhi del giapponese, che divennero lucidi.
Yuri non era mai stato amato da nessuno in quel modo e Viktor si chiedeva davvero come fosse possibile. Era fortunato ad essere arrivato per primo, quando ancora nessuno si era accorto di ciò che avrebbe perso.
Poteva godersi tutta l’inesperienza di Yuri, la sua volontà di gettarsi a capofitto tra le sue braccia anche se con diffidenza e un briciolo di timore. Ma Viktor non voleva fargli alcun mare.
Il giapponese schiuse le labbra, il suo sguardo incatenato a quello di Viktor. Aveva così tante cose da dire che non riusciva a sceglierne una, né il modo in cui dirla.
« Anche… io », sussurrò impercettibilmente. « Anche io sto guardando la persona… di cui sono innamorato. »
Viktor sentì il cuore inghiottito da una voragine. Yuri se l’era preso e non glielo avrebbe più restituito, ma lui era d’accordo.
Era d’accordo finché poteva baciare all’infinito quelle labbra che tanto aveva sognato.
 
L’idea che non avrebbe più potuto toccarle lo stava già uccidendo.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo nono ***


 Capitolo nove

 

“Help me out of this hell
Your love lifts me up like helium”


 
 
Il porto era una zona che Yuri raramente frequentava. Paradossale, considerando che aveva ereditato l’azienda mercantile di suo padre.
Peccato che la sua infanzia fosse stata popolata non solo da storie riguardanti quanto abominevoli potessero essere gli attori di un circo, ma anche da racconti sulla disonestà dei marinai, su quanto fossero interessati solo a sbronzarsi nelle bettole stanziate lungo il Tamigi, cambiandone una ogni volta che scatenavano una rissa e venivano cacciati.
Considerando che l’unica relazione d’amore della sua vita era con un circense, aveva anche senso che Yuri infrangesse ogni raccomandazione fatta in forma fiabesca durante la sua infanzia e si infilasse in uno dei locali più umidi e malsani di tutta Londra.
Doveva ammettere che un po’ di farfalle stavano iniziando a popolare il suo stomaco, però, e non tanto perché stava trasgredendo: era perché parte degli uomini che si erano voltati a fissarlo, quando era entrato, rispondevano alla descrizione grottesca che gli era stata fornita da piccolo ed essere lì da solo, senza nemmeno una presenza amica come magari quella di Phichit, lo stava davvero mettendo in soggezione.
Si ricordò il motivo per cui aveva smosso mari e monti pur di arrivare a quel punto, si ricordò che ormai era ad un soffio dal raggiungere il proprio obiettivo e si fece forza.
Lo stesso giorno in cui aveva accompagnato Viktor a farsi leggere la mano con sommo dispiace del russo, Yuri era tornato lì per scoprire cosa effettivamente Leo avesse visto.
Non si era mosso in quel modo per scarsa fiducia nei confronti di Viktor, quanto più per timore: da quando aveva scoperto perché per tanti anni Viktor avesse tentato di tenerlo lontano da quel tendone si era chiesto se anche il russo stesso, così come i suoi compagni, non fosse in pericolo.
E se l’assassino fosse stato proprio uno di loro?
A quanto Viktor gli aveva spiegato poche notti prima, l’identità del carnefice era sconosciuta. Sempre ammesso che il segreto di cui aveva parlato Leo non riguardasse proprio il nome e il volto di quella persona. Non che Yuri potesse biasimare Viktor: con ogni probabilità sia lui che il resto dei circensi erano tenuti sotto scacco.
Più e più volte Yuri aveva ripassato mentalmente l’identità di ogni membro della compagnia e più e più volte si era reso conto che nessuno gli sembrava capace di fare qualcosa di brutale come uccidere.
Non li conosceva così tanto, ma era una sensazione che provava a pelle.
Che l’assassino fosse qualcuno del pubblico?
Giunto a quella conclusione, aveva ripensato all’assenza di segni di qualsivoglia tipo sul corpo delle vittime. Della vittima, sarebbe stato meglio dire: aveva provato a chiedere a Viktor in che condizioni versasse il corpo di Isabella, ma il russo non aveva saputo – o forse voluto – riferirgliele. Le uniche informazioni che aveva riguardavano suo padre.
Non riusciva davvero a trovare una spiegazione.
Con tutte quelle domande per la testa, anche in quel momento sull’uscio della locanda, Yuri si chiese se stesse seguendo la direzione giusta. Era l’unica pista a sua disposizione, però. Si sentiva in colpa per non aver parlato a Viktor delle proprie intenzioni, tanto era abituato a pianificare e condividere con lui qualsiasi cosa, ma era abbastanza sicuro che conoscendo le sue intenzioni, il russo l’avrebbe ostacolato.
L’unica cosa che Yuri aveva saputo da Leo era che una persona del passato di Viktor era ancora viva. E Yuri sapeva che del passato di Viktor nessuno era in vita, almeno secondo i racconti del russo. Non credeva che avrebbe mai potuto mentirgli, non riguardo a qualcosa di simile, perciò si convinse che fosse completamente all’oscuro di dove fosse quella persona.
Per un istante Yuri si era chiesto se non fosse Leo a prenderlo in giro, ma quando gli aveva detto che l’uomo in questione si chiamava Yakov aveva capito che non si trattava di una beffa: Yakov era, per quanto stupefacente e inspiegabile, ancora vivo.
Era stato proprio Leo a combinare quell’incontro. Gli aveva detto che l’uomo si trovava a Londra e aveva fatto in modo di dare appuntamento ad entrambi lì, dove nessuno li avrebbe ascoltati.
L’unica condizione che Yakov aveva posto era che andasse lì da solo e che non rivelasse assolutamente nulla a Viktor.
Yuri sperava gli spiegasse il perché.
Fece scorrere lentamente lo sguardo sui presenti. Leo gli aveva detto di cercare un uomo visibilmente sfregiato sul lato destro del viso.
Considerando il numero di presenti non fu facile riuscire ad ispezionare il volto di ognuno di loro, soprattutto se fissarli per più di una manciata di secondi significava guadagnarsi occhiate innervosite. Dopo qualche attimo di ricerca individuò una notevole cicatrice e non ebbe dubbi: aveva trovato la persona che stava cercando. Il volto dell’uomo non corrispondeva esattamente alla descrizione che Viktor gli aveva fornito anni prima, però.
Iniziò a camminare verso il tavolo, leggermente in disparte rispetto agli altri.
L’angolo in cui era sistemato era buio, quasi sotto le scale che conducevano al piano superiore. Sopra di esso pendeva una rete da pesca che in passato doveva essere stata un ornamento, segregata lì essendo ormai sbrindellata e consunta.
« Voi siete Yakov…? »
L’uomo alzò lo sguardo dalla propria pinta di birra e lo fissò.
« Il ragazzino che mi è venuto a parlare ha detto che ti avrebbe fatto capire come riconoscermi e credo sia ricorso alla cicatrice », rispose, spiazzando Yuri. « Dunque, vedi qualcun altro sfregiato allo stesso modo? »
Yuri rimase in silenzio e si strinse nelle spalle, senza sapere come rispondere. Optò per presentarsi.
« Ad ogni modo, io sono… »
« Sì, tu sei Yuri e io sono Yakov », disse, annoiato. « Adesso siediti: dai nell’occhio stando in piedi. »
Era davvero scostante come Viktor gli aveva raccontato.
Ubbidì rapidamente e si sedette di fronte a lui.
« Londra viene dipinta come la capitale del lusso, onestamente mi domando come facciate a bere roba così scadente », si lamentò. « Non ha nulla a che vedere con la vodka. »
Yuri osservò l’uomo. Viktor gliel’aveva descritto una volta: era riuscito davvero a dipingerlo in maniera accurata, tralasciando l’aspetto del suo viso.
Sicuramente quello che aveva indosso non era lo stesso giaccone sgualcito di cui gli aveva parlato Viktor, ma l’aspetto trasandato che si era figurato con le sue parole permaneva. Così come permaneva il cappello dei racconti di Viktor, che Yakov aveva calcato sul viso anche in quel momento.
« Temo che quello che state bevendo valga ciò che lo avete pagato, signore. »
Il volto burbero di Yakov cambiò prima in un’espressione sorpresa, per poi permettere alle labbra di incresparsi in quella che parve l’ombra di un sorriso divertito.
« Ad ogni modo non sono qui per chiacchierare », disse l’uomo. « Hai qualcosa da chiedermi, o sbaglio? »
Yuri annuì rapidamente, come per timore che l’uomo potesse scegliere di alzarsi e lasciarlo lì con tutti i suoi dubbi.
Aveva davvero molte cose da domandargli, anche perché avesse voluto vedere Viktor, ma decise di dare una rigida priorità a tutte le spiegazioni che voleva richiedere.
« Leo ha letto la mano di Viktor, qualche giorno fa. So che forse vi sembrerà sciocco, ma… »
« Una persona che mi trova e dice di sapere come mi chiamo, chi sono e che dovrei essere morto, senza che l’abbia mai vista prima, o è una brava spia o è davvero veggente. »
Yuri sentì i nervi tendersi.
« Potreste lasciarmi finire di parlare, per cortesia? »
L’uomo guardò Yuri in silenzio e alzò le spalle.
« Sapete che Viktor lavora in un circo, giusto? »
L’uomo rispose con un cenno, anche se parve sul punto di rispondere con un nuovo commento scostante.
« Bene. Ne sapete qualcosa? Anche i dettagli più insignificanti andranno bene », cominciò. « Stanno capitando delle cose strane, ci sono stati degli incidenti e Viktor mi ha parlato di un assassino… »
Ancora una volta Yuri venne interrotto, ora da una risata sommessa.
« Un assassino? È questa la scusa che ti ha rifilato? » chiese. « Non che il termine sia sbagliato, ma direi che è riduttivo. »
« Pensate che Viktor sappia chi è? »
« Oh, non solo sa chi è, ma sa anche come uccide le sue vittime. E questo non vale solo per lui, ma anche per il resto dei suoi colleghi. »
Yuri schiuse le labbra, sorpreso.
« E voi lo sapete? »
« Il direttore. »
« Il direttore? Ma non… »
« Ragazzino, se pensi di saperne di più di me allora perché sei venuto a cercarmi? »
Yuri si morse il labbro e scosse rapidamente la testa.
« Anche mio padre è morto lì, io credevo che… »
Si interruppe, consapevole di non avere idea di come concludere la frase.
Yakov parve ammorbidirsi a quella notizia, ma nascose ogni mutamento nel proprio sguardo dietro il boccale di birra, bevendone un sorso.
« Prima ti ho detto che non ho reputato sciocco che il tuo amico, Leo mi pare, mi avesse trovato dicendo di essere un veggente », cominciò, scrutando il viso di Yuri. « Se ti dicessi che è perché esiste qualcosa di ben più strano del suo potere, mi crederesti? »
Qualche anno prima Yuri avrebbe scosso la testa, forse si sarebbe alzato per andarsene, convinto di parlare con un folle. Quella sera gli venne spontaneo annuire, trattenendosi dal tentare di sciogliere il nodo che aveva in gola.
Era come se avesse respirato qualcosa, intorno a Viktor e a quel circo, che lo aveva reso inconsciamente consapevole che c’era qualcosa di davvero strano.
« Conosci Viktor da… cinque anni giusto? »
Yuri lo guardò sorpreso e al contempo confuso, ma decise di domandargli successivamente come lo sapesse, se davvero non aveva più avuto a che fare con il russo.
Annuì.
« E il direttore ti è mai sembrato invecchiato? »
Yuri ci rifletté per un attimo. Quando l’aveva conosciuto, il primo anno che Viktor aveva trascorso a Londra, Yuri aveva pensato che quell’uomo fosse piuttosto in là con gli anni, incartapecorito dall’età. Cinque anni dopo sarebbe dovuto sembrargli quantomeno più ingobbito sotto il peso del tempo, non identico.
Scosse la testa.
« E dimmi, ti ricorda qualcuno in particolare? »
Yuri si chiese se anche Yakov non fosse una sorta di veggente, capace di fargli le domande giuste, su cose su cui già aveva riflettuto.
« Ogni volta che lo vedo noto qualche somiglianza con mio padre, ma… »
Sgranò gli occhi. Forse iniziava a capire.
« Viktor lo ha visto, prima dell’incendio che c’è stato al nostro circo », spiegò. « Mi ha detto che mi assomigliava. »
Yuri lo ricordava: Viktor aveva detto una cosa del genere anche a lui, quando gli aveva descritto l’aspetto di Yakov. Quel paragone lo aveva portato a credere che  Yakov sarebbe stato piuttosto simile a suo padre, allora, ma quando l’aveva visto, entrando nel locale, non aveva riscontrato poi chissà quali somiglianze né con il direttore, né con suo padre. Aveva dato la colpa alla cicatrice.
« Viktor me lo ha detto. »
« Sono sicuro che se chiedessi a qualcun altro gli ricorderebbe una persone diversa. A me, ad esempio, ricordava il mio, di padre. »
Yuri serrò le labbra in una linea. Non aveva davvero idea di dove quella spiegazione sarebbe potuta arrivare e la cosa terribile era che in quel momento, con quelle prove, qualsiasi possibilità gli sembrava ragionevole.
« Ma come può un uomo così anziano uccidere tutte quelle persone senza nemmeno un aiuto…? » domandò. « Mio padre non aveva nemmeno un segno sul corpo, quando l’hanno trovato. Hanno parlato di un malore. »
Immaginò una risposta e gli fece accapponare la pelle.
« Quell’uomo non invecchia e le sue vittime non muoiono per ferite fisiche. »
Yuri sgranò gli occhi.
« Un… mostro? »
Yakov rispose con un piccolo cenno del capo.
« Ma allora perché Viktor è vivo? Perché tutti i ragazzi che lavorano lì stanno bene? »
« Perché per ora stanno bene, vorrai dire », rispose, il tono grave.
Pensare che Viktor fosse in pericolo doveva intimorire anche lui.
« Quell’uomo, o mostro, direi che è più adatto, deve seguire delle regole », spiegò. « Può mietere vittime solo tra gli spettatori e non può sperare di averne senza degli attori. »
« Ma perché gli inviti, a questo punto? »
« Perché ci sono persone più appetitose di altre, suppongo, o più portate a cedere. Questo dovresti chiederlo a lui. »
Yuri scosse la testa. Sentì le mani tremare e le tenne accuratamente nascoste sotto il tavolo.
« Continua pure… » disse, troppo scosso per ricordare le buone maniere.
« I suoi attori sono dei bonus. Ci stringe dei patti, un desiderio in cambio di un certo periodo passato a lavorare per lui. Le condizioni cambiano in base alla richiesta, in base a come gli sembra più divertente gestire la cosa. Quando il patto scade, o se l’altro contraente non rispetta le regole, allora lo uccide. »
L’idea che Viktor avesse chiesto qualcosa, qualcosa che Yuri non sapeva a chissà quali condizioni, lo fece precorrere interamente da un brivido. Che anche JJ fosse arrivato al capolinea del proprio contratto? O forse era parso inutile al direttore, che l’aveva ucciso?
« C’era un uomo che lavorava al circo. Viktor mi ha detto che era stato sfregiato, ma non ho mai visto nessuna ferita », spiegò Yuri. « Viktor ha parlato di trucco e altre sciocchezze, ma… potrebbe essere stato il direttore? »
« Ah, avrei qualcosa da chiedergli allora », scherzò. « Sì, potrebbe essere stato lui. »
Yuri si passò una mano sul volto pallido di preoccupazione e paura.
« Sai che cosa ha chiesto Viktor? »
« Non gli ho più parlato dopo l’incendio, o non penserebbe che io sia morto », rispose.
Viktor non gli avrebbe mai parlato della propria richiesta. Yuri si sentì tanto spaventato da credere che avrebbe anche potuto piangere lì, di fronte a quel perfetto sconosciuto.
« Non ti ha davvero mai parlato di nulla? » insistette Yakov.
« È sempre stato piuttosto misterioso in merito », mormorò Yuri. « Ogni volta che era sul punto di rivelarmi qualcosa si fermava sempre, insistere non è servito. »
« Se conosco Viktor, nonostante gli anni passati, avrà pensato sicuramente di poter gestire la cosa da solo », lo giustificò. « Probabilmente avrà temuto anche che tu potessi reputarlo un mostro per ciò che la gente subisce con il suo aiuto. »
Yuri digrignò i denti. Viktor gli aveva mentito, aveva omesso tantissime cose e ancora si chiedeva se non avesse altri segreti, ma Yuri si fidava di lui: con quelle scoperte non lo riteneva responsabile della morte di suo padre, non lo incolpava.
Gli era solo terribilmente grato per averlo sempre protetto.
« Viktor è entrato in quel circo quando vi ha persi, non è un assassino. »
Tra di loro calò in silenzio.
Yuri si sarebbe scusato per il proprio scatto, in condizioni normali, ma in quel momento nemmeno ci pensò.
« Come sai tutte queste cose? » domandò.
Yakov approfittò di quel cambio di argomento per allontanarsi dalla situazione di stallo in cui si era trovata la loro discussione dopo lo sfogo di Yuri.
« Dei patti mi ha parlato il direttore stesso. È venuto da me, una volta. Sai è lui ad offrirsi di aiutarti, dato che nessuno dovrebbe essere a conoscenza di come funzionano le cose. Per questo Viktor l’ha visto. Cerca di farti credere che sia tu ad aver disperatamente bisogno di lui, quando invece è anche il contrario », spiegò. « Per il resto posso dirti che le leggende russe sono piuttosto fantasiose e a quanto pare anche fondate, in certi casi. »
« Parlano di un modo per fermarlo? »
Yakov scosse la testa.
« Potrebbe anche esserci, però. »
Se esisteva un metodo l’avrebbe trovato, ma prima doveva parlarne con Viktor.
« Solo un’ultima cosa », mormorò. « Perché non hai voluto incontrare Viktor? »
« Alle volte è meglio che i morti rimangano tali », rispose, cupo. « Ho pensato che sarebbe stato più al sicuro lì, ma nonostante tutto ho preso a spostarmi seguendo il circo, come per tenerlo d’occhio a distanza. Quel ragazzo è sempre stato capace di fare le scelte peggiori. Davvero, non fidarti di tutto ciò che ti dice: spesso si obbliga pur di fare quello che gli sembra giusto per far star meglio tutti, anche quando magari non lo è. » Yakov sbuffò. « E poi avrei dovuto rivangare troppe cose, cose che lo avrebbero fatto sentire in colpa. »
Yuri lo fissò negli occhi. Le sue iridi castane brillarono di risolutezza.
« Quelle cose », cominciò. « Può dirle almeno a me? »
 
*
 
« Viktor, dobbiamo parlare. »
Yuri era l’ultima persona che Viktor voleva vedere, in quel momento. Non perché non desiderasse averlo davanti, ma perché sapeva di non poterlo avere davanti, perché non voleva parlare di nulla.
L’incedere del ragazzo normalmente lo avrebbe incuriosito, ma era così stanco, ricurvo sotto il peso di tutti i pensieri che lo stavano accompagnando che tentò di non farci caso per non dover rimuginare su altro.
Gli occhi del giapponese lo notarono subito e parvero scrutarlo allarmati per un secondo, lasciando subito posto, di nuovo, ad una fiammeggiante risolutezza.
Che fosse arrabbiato?
« Anche io ti devo parlare, Yuri. »
Il ragazzo parve sorpreso, ma non si scompose troppo, o almeno tentò di non farlo. Quel ruolo non era il suo, ma a parere di Viktor stava riuscendo ad interpretarlo alla perfezione.
Gli fece un piccolo cenno del capo, per farlo proseguire.
« Ci ho pensato tanto », cominciò il russo.
era impossibile fare in modo che la sua voce non tremasse almeno un poco.
« Perciò è una mia decisione, non la cambierò. »
Yuri lo fissò dritto negli occhi.
Sapeva cosa Viktor voleva dirgli. Sapeva ormai qual era il suo grande segreto, proprio per questo era lì.
Dopo anni aveva deciso finalmente di aprirsi e Yuri non avrebbe potuto esserne più felice.
Non gli interessava che i suoi sforzi per scoprire tutto fossero stati vani, ora che sarebbe stato il russo a dirgli tutto.
Avevano la possibilità di affrontare ogni cosa insieme.
Yuri già si vedeva, con le mani sul viso di Viktor a ringraziarlo per ciò che gli aveva rivelato, a baciarlo dicendogli che insieme ce l’avrebbero fatta, che dovevano farcela. Che non era solo, che lui ci sarebbe sempre stato.
« Finiamola qui, Yuri. »
La mente di Yuri si svuotò. Il suo cuore, tutto. Fu quasi come se l’ossigeno fosse sparito, perché gli parve di soffocare.
Il terreno franò sotto i suoi piedi, le vertigini lo fecero barcollare.
Mosse un passo indietro per recuperare l’equilibrio, o forse per allontanarsi da Viktor.
No, no, no.
Viktor non lo stava lasciando, giusto?
Le labbra schiuse, secche, non lasciavano uscire alcun suono. Yuri pensò di essersi scordato come articolare le parole e ancor prima di quelle un qualsiasi pensiero, anche il più semplice.
« Cosa…? »
Viktor si sentì morire. Quegli occhi smarriti di solito guardavano gli altri e si aggrappavano ai suoi perché lo difendesse. Non era lui la causa di tutto quel dolore, di quella solitudine. Non era lui a far soffrire Yuri.
« È meglio finirla », ripeté. « Tra due giorni ci sarà il mio ultimo spettacolo, partirò e tu sarai solo un’altra volta. Non è stato facile farla durare per cinque anni, ma questa relazione sta diventando… »
Yuri sperò che non la definisse, che si fermasse, che non parlasse dell’amore che aveva coltivato tanto gelosamente in modo negativo. Non lui, non Viktor.
« Sta diventando un peso morto. »
Un singhiozzo. Yuri non era riuscito a trattenerlo, nemmeno portandosi una mano alle labbra. Le lacrime iniziarono a scorrere rapidamente lungo le sue guance, scivolando tra le dita, bagnando le labbra e arrivando al mento.
« Perché, Viktor? »
Il russo si voltò, muovendo qualche passo. Avrebbe voluto stringere Yuri e spiegargli il perché delle proprie parole. Avrebbe voluto asciugargli il viso e spiegargli che non era un mostro, che voleva solo il suo bene, che non l’avrebbe mai lasciato. Si sarebbe rimangiato tutto.
« Guardami! » gridò, tra i singhiozzi.
Viktor non riuscì a non voltarsi. Yuri stava crollando, ed era tutta colpa sua.
« Calmati. »
Stava cercando di essere il più freddo possibile perché lo odiasse ancora di più.
« Calmarmi?! Come potrei calmarmi?! » Si passò una mano sul volto, strofinando il palmo sulla pelle arrossata dal pianto. « È per il circo, vero? È per questo, sì… »
Il russo aggrottò le sopracciglia, senza capire.
« È perché me ne andrò di nuovo, te l’ho già dett-… »
« Smettila di prendermi in giro, non sono un’idiota! » urlò, furioso. « So tutto ormai, so cosa succede qui! So perché ci lavori, so ogni cosa… »
Viktor si bloccò. Non sapeva come, non sapeva chi. Pensò a Phichit, ma decise che in quel momento l’identità di chiunque avesse parlato con Yuri non gli importava.
« Cosa sai, Yuri? » domandò, avvicinandosi di un passo.
Doveva capire quanto ciò che aveva scoperto potesse metterlo a rischio.
Vedendo che il ragazzo non si ritirava azzardò a portare le mani sulle sue spalle.
Il solo tocco delle mani di Viktor parve rincuorarlo, ma Yuri non riuscì a non tremare.
« Prima dimmi se è per questo che mi vuoi lasciare o… se è perché non mi ami », sussurrò.
Viktor sospirò appena.
« Yuri… »
« Rispondi e basta! »
Calò il silenzio. Viktor si rese conto di aver combinato un disastro che probabilmente non poteva riparare.
« Viktor, fermo, non ci provare! »
Entrambi si voltarono in direzione di Yuri Plisetsky, che correva verso il casolare dove erano soliti incontrarsi.
Osservò il volto di Yuri e anche il suo parve incupirsi.
« Lo hai già fatto?! »
« Non so di cosa stai parlando », lo liquidò Viktor. « Comunque sono cose che non ti riguardano. »
« Mi riguardano invece, cazzo! » ringhiò il ragazzino, voltandosi verso il giapponese. « Questo idiota non vuole lasciarti, se lo ha già fatto. E se non l’ha fatto, beh, pensava di arrivarci. » Tornò a fissare Viktor. « Christophe se lo è lasciato sfuggire. »
Yuri, ancora con le mani di Viktor sulle proprie spalle, alzò lo sguardo verso gli occhi glaciali dell’uomo. Viktor non riuscì a guardarli a lungo.
Quanto poteva essere debole?
« È vero », confermò, distogliendo lo sguardo. « Perdonami, io… credevo che fosse la cosa migliore. »
Si sarebbe dovuto arrabbiare o meglio, avrebbe potuto farlo. Voltarsi e far spaventare Viktor, farsi inseguire, ma non era da lui.
Riusciva solo a pensare al fatto che grazie al ragazzo che tentava con tutto se stesso di mostrarsi menefreghista davanti a tutti, la minaccia che lui e Viktor si lasciassero era stata sventata.
Yuri scosse la testa e gli accarezzò una guancia. Il cuore gli martellava ancora con forza nel petto, per il terrore.
« Che cos’è successo davvero? » domandò con voce tremolante.
Viktor si trattenne dal tirare un sospiro di sollievo.
« Ci sono stati degli incidenti. Sai già di Isabella e JJ, ma poi anche Otabek si è ferito. Hanno iniziato tutti a dire che stavo mettendo a repentaglio la sicurezza di tutti per proteggere solo te e… Dio, continuerei a farlo per tutta la vita, Yuri. Ma non sei davvero al sicuro, non lo sei. »
Yuri si passò una mano sul viso, tentando di calmarsi.
« Digli tutto, Viktor. Mi sono stufato di questi segreti, ti stanno uccidendo. »
Viktor scosse la testa.
« Yuri lo ha scoperto », rispose.
Osservò il volto del ragazzo e portò una mano sul suo viso. Lo accarezzò con la punta delle dita, raccogliendo le lacrime. Yuri spinse il viso contro la sua mano.
Avrebbe dovuto essere arrabbiato, ma Yakov lo aveva avvisato: gli aveva detto cosa Viktor sarebbe stato in grado di fare pur di gestire tutto da solo.
« Cosa vuol dire che lo ha scoperto? »
Viktor cercò con più attenzione gli occhi del giapponese.
« Quando mi hai portato a leggere la mano, vero? »
« Ho scoperto con chi parlare così, sì », rispose.
Accennò un piccolo sorriso di scuse e Viktor capì che forse la loro situazione si era salvata, il tutto grazie al piccolo biondino arrabbiato con il mondo che diceva di infischiarsene degli altri.
« Dio, sei diabolico… » sussurrò, prima di stringerlo per schioccargli un bacio sulla fronte.
Le uniche persone che pensava potessero riferirgli qualcosa erano Yura e Christophe, però. Nemmeno Phichit sapeva abbastanza.
Chi era stato?
« Lo ammetto, Katsuki. Non ti facevo così… »
Parve cercare il termine giusto.
« Sta cercando di farti un complimento, credo », scherzò Viktor.
Yuri si lasciò andare ad una piccola risata, un po’ tirata, ma comunque sincera.
« Grazie, Yuri. »
Non era solo per quel complimento, era per tutto. Il biondo borbottò qualcosa, voltandosi. Farfugliò anche qualcosa circa quanto fosse stato fondamentale affinché la loro melensa storia d’amore non si concludesse.
A quel punto il sorriso sul volto di Yuri si spense. Batté Viktor sul tempo, prima che gli chiedesse qualsiasi cosa.
« Ti devo raccontare un po’ di cose, Viktor », mormorò. « Ma è meglio se ti siedi. »
 
*
 
Erano riusciti a rimanere soli dopo non poche proteste da parte di Yura. Non si stava semplicemente facendo gli affari loro, era indubbio che volesse aiutare, ma Yuri per primo aveva suggerito che sarebbe stato meglio non renderlo partecipe.
Ciò che aveva da dire a Viktor avrebbe decisamente potuto scuoterlo e temeva la sua reazione al punto tale da voler essere l’unico a vederla.
Erano entrati nella solita catapecchia, Viktor seduto sul bordo del materasso logoro e Yuri di fronte a lui, su una sedia.
Aveva ancora gli occhi arrossati e gonfi per il pianto e ogni volta che il russo ricordava il perché sentiva una tremenda pugnalata al petto.
Era tutta colpa sua, solo perché non aveva voluto essere sincero.
Il giapponese si chinò in avanti, prendendo le sue mani tra le proprie.
« Anche di quello che sto per dirti mi ha parlato la persona che mi ha dato le informazioni sul circo », sussurrò. « La conosci, Viktor. Ti dirò chi è, se vuoi, ma non posso fartela incontrare. Mi aveva chiesto di non dirti nulla, ma non lo trovo giusto. »
Viktor avrebbe voluto poter dire che la sua era solamente curiosità, ma non era vero. Era preoccupato, timoroso di scoprire chi avesse parlato a Yuri, perché nessuna idea razionale o indolore per lui si stava facendo strada nella sua mente.
Si limitò ad annuire e Yuri prese un respiro.
« Ho incontrato Yakov, Viktor. »
Per quanto poco Viktor amasse parlare del proprio passato, quasi tutti sapevano che ruolo avesse avuto nella sua vita quell’uomo. Yuri comprese perfettamente perché gli occhi del russo si fossero sgranati e fossero rimasti puntati nei suoi come se avesse visto un fantasma.
Rimase imbambolato per qualche attimo.
« Viktor? » lo chiamò infine Yuri.
Senza ricevere risposta, il giapponese portò una mano sulla guancia dell’uomo.
« Viktor, tesoro… »
Solo a quel punto le iridi glaciali del russo parvero riprendere vita, farsi smarrite, confuse.
« È morto, Yuri, non puoi averlo visto… »
Yuri aveva temuto fino a quel momento che Viktor potesse arrabbiarsi, sentendosi preso in giro. L’avrebbe capito, sarebbe stato giustificato. Fu grato nel rendersi conto che non stesse accadendo nulla di tutto ciò.
« Lui no, Viktor. Credimi. » Parlava piano, come per non urtare l’instabile tranquillità di Viktor. « Mi ha spiegato ogni cosa, del perché il tuo circo è scomparso. Dell’incidente. » Mosse un pollice lungo la sua guancia, spostandosi al suo fianco, sul letto. « Vuoi che te lo racconti? »
Il russo annuì, lentamente. Non riusciva davvero ad esprimersi con qualcosa che non fossero gesti.
Prima che Yuri potesse parlare Viktor afferrò la sua mano. La strinse nella propria, come a cercare una forza che sentiva di non avere. Aveva davvero cercato di allontanare la sua fonte di energia? Era stato un pazzo.
« Non è stato un incidente », premise, dopo aver riordinato le idee per rendere quella tortura più rapida possibile.
Sapeva già che non sarebbe stata anche indolore.
« L’incendio di quella notte, intendo. Yakov aveva ricevuto un’offerta dal signor Veselov. Per questo sapeva come funzionano le cose, qui. Sapeva dei patti, delle richieste e di come ripagare il direttore. »
Allora Yuri aveva davvero scoperto ogni cosa.
« Però si è rifiutato e gli ha detto di andare al diavolo, di lasciare in pace lui e chiunque lavorasse nel suo circo. »
Yuri controllò l’espressione di Viktor. Era sempre più cupa. Passò le dita tra i suoi capelli, attirandolo a sé lentamente.
« Quindi Veselov ha appiccato quell’incendio. » Dovette deglutire prima di continuare. « Ma Yakov si è salvato. »
« E anche io », sussurrò Viktor, abbassando il capo.
Yuri gli prese il viso tra le mani per farlo voltare. Sapeva cosa stava pensando, ne era sicuro.
« Ti ha raccolto come trofeo, Viktor. Non ha progettato tutto solo per te, non devi sentirti in colpa o responsabile. »
Il colorito normalmente pallido del russo era se possibile più cadaverico. Le labbra erano serrate in una linea e l’unica mano libera stretta a pugno.
« Tutte le volte che sento di quell’incidente ringrazio che tu ti sia salvato e non ho smesso di farlo nemmeno quando ho saputo questo », tentò di rincuorarlo Yuri. « Anche Yakov. Avrebbe voluto dirti lui tutte queste cose, ma temeva che potessi subire delle ripercussioni, per anni ha seguito il circo senza farsi vedere. »
Viktor si alzò rapidamente. Yuri credette di averlo visto barcollare, ma quando il russo iniziò a camminare per la stanza capì che sarebbe stato meglio lasciarlo libero di muoversi.
Era scosso, come avrebbe potuto non esserlo? Era arrabbiato, furioso. Quella ferita non si sarebbe mai rimarginata, avrebbe continuato ad essere aperta e a far male, ma in quel momento fu come essersene procurata un’altra esattamente nello stesso punto.
Quando Viktor si voltò verso Yuri, una lacrima aveva rigato la sua guancia. Yuri schiuse le labbra e si alzò.
« Dov’è lui adesso? Lo voglio incontrare. »
« È partito, Viktor. Per l’America. Gli mancavano dei soldi per il viaggio. Ha detto che sarebbe partito quando avrebbe trovato qualcuno capace di occuparsi di te e… dopo avergli parlato ha deciso di partire. Ho aggiunto io quello che gli serviva », spiegò. « Ho pensato che sarebbe stato più al sicuro, lì. »
Yuri avrebbe dovuto consultarlo anche per quello. Non sarebbe stato giusto nei confronti di Yakov, ma aveva appena permesso che una parte del passato di Viktor se ne andasse.
Si aspettò una sfuriata, si chiese se sarebbero stati in grado di gestire qualcosa di simile in un momento come quello.
Viktor annuì e si avvicinò. Con enorme sorpresa di Yuri, lo strinse. Avrebbe potuto dirgli di avvisarlo, chiedergli perché si fosse immischiato in questioni che non lo riguardavano.
Invece Viktor lo strinse e poggiò le labbra sulla sua fronte.
« Grazie. »
Yuri oppose resistenza alla sua presa solo per poter alzare lo sguardo. Viktor gli sorrise appena.
Sapeva che vedere Yakov lo avrebbe devastato, perché comunque non sarebbero rimasti insieme Poteva almeno sperare di incontrarlo in futuro, di risolvere le cose e di parlargli una volta al sicuro.
« Ho già coinvolto te in questa faccenda, non avrei sopportato che anche lui morisse… per questo. » Baciò a stampo le labbra di Yuri. « Grazie per averlo salvato. »
Il giapponese scosse lentamente la testa, asciugando le nuove lacrime che si stavano formando agli angoli degli occhi di Viktor. La sua voce non tremava, il suo viso non sembrava più così sconvolto, ma era la prima volta che abbassava le sue difese in quel modo.
« Yuri? » domandò, affondando il viso nella sua spalla. « Voglio uccidere quel figlio di puttana. Ci deve essere un modo, lo voglio trovare. »
Yuri si lasciò sfuggire uno sbuffo di risata per il modo in cui Viktor si era concesso di essere rude, perché non credeva che si sarebbe ripreso tanto in fretta. La vendetta non era qualcosa a cui aveva mai pensato, non la contemplava, pensava fosse sbagliata.
Non voleva uccidere quel mostro solo per vendicare suo padre. Voleva farlo per difendere chi ancora era in vita.
« Non sei da solo, Viktor. Forse lo sei stato, ma non questa volta », disse. « Hai passato gli ultimi anni a proteggermi, voglio fare lo stesso. Ti aiuterò. » Esitò per un attimo. « Devi lasciare che io ti aiuti, non è una richiesta. »
Viktor alzò lo sguardo. Tutte le volte che aveva tentato di proteggere Yuri, di tenerlo all’oscuro, di fare in modo che fosse al sicuro gli passarono davanti agli occhi. Era giusto vanificare anni di sforzi acconsentendo?
Tutti quei dubbi vennero scacciati dal ricordo del sorriso caloroso del ragazzo, lo stesso che gli stava rivolgendo in quel momento, che gli rivolgeva ogni volta che tornava a Londra.
Lo aveva perdonato nonostante il suo grossolano tentativo di risolvere le cose, gli aveva reso le cose più difficili e poi grazie a Yura non si era concluso nulla. Grazie a Dio.
Yuri era l’unica ragione per cui Viktor aveva smesso di trascinarsi lungo il proprio percorso, si era scordato dei rimorsi e dei sensi di colpa.
Aveva sempre saputo che era forte, forse lo era addirittura più di lui. Lo aveva visto più volte nei suoi occhi e lo vedeva anche in quel momento. C’era in gioco la vita, ma Yuri non sembrava spaventato.
Da solo Viktor si sentiva debole, ma con lui accanto le cose potevano cambiare.
« Come posso oppormi se hai già deciso, moya lyubov’? Sai che odio farti arrabbiare », tentò di scherzare.
« Davvero? Perché i miei nervi sono stati messi a dura prova, poco fa. »
Rise anche Viktor, solo perché per un momento tentò di convincersi che tutto poteva andare bene. Era solo una nuova situazione a cui entrambi dovevano abituarsi.
Viktor glielo doveva. Doveva rispettare quella sua volontà.
« Ci serve un piano, l’ultimo spettacolo è domani », mormorò. « Ma è meglio che prima ti parli del mio patto. »

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo decimo ***


Capitolo dieci
 
 


 

« Ne sei ancora convinto, Yuri? »
Viktor era in piedi di fronte a lui, con le mani ferme a stringere le sue.
Avevano preferito passare tutta la notte a parlare, piuttosto che a dormire; il russo gli aveva chiesto di ripetergli testualmente quanto Yakov era stato in grado di dirgli e aveva puntualizzato i passaggi che Yuri trovava ancora troppo sconvolgenti per essere veri, gli aspetti più nebulosi e soprattutto quelli che Yakov non poteva conoscere. Il desiderio espresso da Viktor, ad esempio. Quale fosse la catena che stava tenendo il russo legato a quel circo era una delle prime cose che Yuri aveva voluto chiarire e Viktor aveva risposto senza nemmeno pensarci. Gli aveva parlato di quello, così come gli aveva parlato della sua necessità di mantenersi il migliore della compagnia per proteggere Yura.
« Ne sono convinto », ripeté, come se ricalcare le parole del russo potesse renderlo più convincente. « Tu sei pronto ad andare in scena? »
Viktor rispose con un piccolo cenno di fronte al sorriso del giapponese.
Quando era giunta l’alba, Yuri aveva suggerito a Viktor di riposarsi.
Aveva assistito alle prove di tutti almeno una volta, persino a quelle di Viktor. Era raro che il russo dovesse allenarsi proprio mentre c’era lui, preferendo organizzare il lavoro in modo tale da poter stare con Yuri ogni volta che era libero da qualsivoglia impegno.
Quando però la tranquillità era diventata una chimera per entrambi e i doveri erano diventati inconciliabili, Yuri si era trovato seduto sugli spalti ad osservare Viktor appeso al proprio amato trapezio.
Aveva sempre immaginato che la disciplina praticata dal russo fosse non solo difficile, ma anche pericolosa. Sapere di essere seduto a distrarlo lo aveva preoccupato, portandolo a trattenere il fiato ad ogni piroetta.
Era ben conscio dei rischi che Viktor avrebbe corso esibendosi e voleva che anche quella sera fosse il più lucido possibile per farlo. Per questo aveva vegliato su di lui, quella mattina, per essere certo che si riposasse almeno qualche ora.
Viktor non aveva protestato troppo: era letteralmente crollato tra le sue braccia rimanendo immobile e dormendo in pace come raramente faceva.
Yuri si era staccato da lui solo per qualche minuto per estrarre dalla propria giacca in velluto blu scuro, accomodata sullo schienale di una sedia lì vicino, un pezzo di carta di fortuna.
Lasciava sempre dell’inchiostro nel casolare dove lui e Viktor erano soliti incontrarsi, per le volte in cui le scartoffie di lavoro non potevano aspettare o diventavano troppe, costringendolo a lavorare in compagnia del russo che gli massaggiava le spalle e gli baciava dispettosamente il collo.
Così dietro la ricevuta di reso della biblioteca, Yuri aveva annotato dei pensieri, qualche stralcio di ciò che lui e Viktor avevano deciso di fare.
Poi aveva visto Viktor alzarsi e aveva nascosto tutto nella tasca interna della giacca, per potersi dedicare a lui.
« Sarò pronto quando avremo risolto questa storia. »
Fu la voce di Viktor a riportare Yuri con i piedi per terra, strappandolo a quel flusso di ricordi. Viktor parve quasi leggerlo attraverso i suoi occhi e gli prese il volto tra le mani.
« Ci sono io con te, andrà bene », lo rassicurò.
« Non avevo dubbi che avresti fatto andare tutto per il meglio », gli rispose Yuri con un sorriso.
Viktor tendeva sempre a rassicurare Yuri e raramente, facendolo, aveva dubbi su ciò che diceva. Quella volta però aveva bisogno della presenza del giapponese tanto quanto l’altro aveva bisogno di lui. Viktor non era infallibile, non sempre aveva delle certezze, ma Yuri riusciva a dargliele in qualsiasi momento.
I suoi occhi azzurri si fecero più seri.
« Ascoltami, Yuri… non voglio che tu ti senta mai responsabile per quello che accade qui dentro. Non è colpa tua, d’accordo? »
Yuri scostò appena alcune delle ciocche argentate di Viktor, accomodandole dietro l’orecchio perché non gli impedisse di guardarlo.
« Se pensassi una cosa simile incolperei anche te e non potrei mai », sussurrò, sporgendosi per rubargli un piccolo bacio a fior di labbra. « Lo so, non ti preoccupare »
« Quindi Yuri è finalmente riuscito a venire ad un nostro spettacolo, eh? »
Quella voce.
Il direttore fece voltare entrambi fulmineamente.
Viktor non aveva detto a Yuri di raggiungerlo dietro le quinte poco prima di cominciare a prepararsi senza un motivo preciso: sapeva che il direttore avrebbe fatto in modo di controllare che tutto fosse in ordine prima dello spettacolo e che proprio grazie a quel pretesto l’avrebbero incontrato. Sapeva anche che qualsiasi incidente si sarebbe verificato in seguito allo spettacolo, ma dubitava che Veselov sarebbe stato abbastanza di buon umore per prendersela con qualcuno.
Yuri rivolse all’uomo un piccolo sorriso e solo a quel punto Viktor capì esattamente come il ragazzo avesse fatto a trarlo in inganno, convincendolo che non stesse sospettando assolutamente di nulla quando invece stava portando avanti le proprie indagini segrete.
Colse nei suoi occhi un briciolo di paura, ma forse fu proprio quella a renderlo più credibile. Fu il fatto che ci fossero emozioni ad accendere il suo sguardo a far credere che non stesse recitando.
« Buonasera, signor Veselov », salutò Yuri, con la sua proverbiale cortesia.
Da quando Yuri aveva discusso con Yakov, il direttore aveva perso ogni somiglianza con suo padre: gli sembrava semplicemente un vecchio con gli occhi infossati nelle rughe del viso e perennemente avvolto in un consunto soprabito scuro.
Prima di rispondere, il direttore guardò Viktor. Sembrava stesse sospettando qualcosa, ma lasciargli la convinzione di poter prevedere qualsiasi possibilità faceva parte del loro piano tanto quanto tutti gli altri dettagli.
Viktor lo fissò in silenzio, sostenendo il suo sguardo.
« In realtà ero qui per parlare con voi, signore », proseguì Yuri.
A quel punto l’attenzione del direttore fu tutta per lui.
« Parlare con me? »
Adesso che Yuri sapeva più cose, adesso che era a conoscenza del perché suo padre fosse morto, di che cosa quell’uomo avesse fatto a Viktor e alla sua precedente famiglia, di cosa avesse quasi fatto a Phichit, Yuri provò una rabbia tale da chiedersi come fosse possibile che nessuno prima di quel momento avesse provato la tentazione di accanirsi su quell’uomo. Non era da lui maturare simili pensieri, ma riuscì a giustificarsi.
« Già », riprese Yuri. « Ho sentito dire che lei è in grado di esaudire qualsiasi desiderio, o sbaglio? »
L’uomo aggrottò le sopracciglia, sorpreso.
Il suo più grande vincolo era non poter rifiutare nessuna richiesta. Era semplice: esaudire qualsiasi desiderio in cambio di un compenso che almeno a lui pareva adeguato.
I suoi occhi, solitamente vispi e cordiali, mutarono. Sembrava che si stesse innervosendo.
« Quindi Viktor si è rassegnato a volerti portare con noi? »
Portò gli occhi sul russo e a quel punto la sua espressione divenne confusa.
« Yuri… come lo hai saputo? »
Possibile che davvero Viktor non avesse rivelato nulla? Doveva esserci una spia tra gli altri circensi, sarebbe stato più che plausibile, dati tutti gli sforzi del russo di non far scoprire nulla a Yuri, di tenerlo al sicuro.
Ma chi poteva essere? Christophe? Yuri? Quasi sicuramente si trattava di lui; per quanto tentasse di essere scostante si era decisamente ammorbidito.
Il giapponese si voltò rapidamente verso Viktor e puntò gli occhi nei suoi.
« Davvero pensavi che non lo avrei scoperto, in qualche modo? »
Yuri tornò a guardare il direttore, tendendo rapidamente il braccio verso di lui.
« La mia unica richiesta è lavorare in questo circo tanto a lungo quanto il patto di Viktor prevede che lui stia qui, senza che voi ci facciate del male. »
La voce di Yuri tremò per un istante, mentre attendeva che l’uomo di fronte a lui gli stringesse la mano. Viktor gli aveva spiegato che a quel punto il patto sarebbe stato suggellato.
Sentì le dita rugose e nerborute del vecchio stringersi intorno alla sua mano e venne scosso da un brivido. Yuri desiderò solo che quel momento finisse per poter tremare e tirare un sospiro di sollievo.
Prima che l’uomo gli lasciasse la mano, sul suo volto apparve un ghigno divertito.
« Avresti dovuto parlare con Viktor prima, Yuri », gli intimò. « Magari così ti avrebbe detto che lui un patto non l’ha mai stipulato. »
Gli lasciò la mano bruscamente e puntò gli occhi di nuovo verso Viktor così come fece Yuri, preoccupato.
Avrebbe potuto ucciderlo lì, su due piedi: avrebbe eliminato sia lui che Yuri, tanto capaci di rendersi scomodi.
Prima di poter fare qualsiasi cosa vide la mano di Viktor tesa verso di lui, esattamente come lo era stata quella di Yuri solo pochi attimi prima.
« Voglio la vita eterna, Veselov », ribatté. « Voglio lavorare per sempre in questo circo. »
L’uomo lo fissò negli occhi. Un basso ringhio sfuggì alle sue labbra e quando vide lo stesso sorriso soddisfatto comparire allo stesso tempo sia sul volto di Yuri che su quello di Viktor, capì che era appena stato ingannato.
Non avrebbe voluto, ma la sua mano dovette stringersi intorno a quella di Viktor.
« Gli altri saranno in pericolo per colpa vostra », sibilò.
« Se non puoi toccarci possiamo anche rivelare a chiunque i tuoi segreti, no? Possiamo svelare tutte le clausole nascoste dei tuoi patti per impedire ad altri di stringerli, o possiamo rifiutare di esibirci », gli fece notare Viktor. « Oppure potremmo stracciare tutti gli inviti prima che arrivino a destinazione? Ti conviene davvero farla pagare agli altri per ciò che abbiamo fatto noi se rischi di non avere più attori? »
Un secondo ringhio, più profondo del primo, sfuggì alle labbra di Veselov, che arretrò di un passo.
Rivolse loro uno sguardo carico d’odio, confermando che sì, quella volta aveva davvero perso.
Sparì in una delle ombre che le lampade del tendone gettavano a terra, lasciando Viktor e Yuri soli. Non conveniva che li provocasse, se ne era reso conto.
Parve un attimo interminabile: Yuri e Viktor si voltarono per guardarsi e scoppiarono entrambi in una risata che fece sparire le preoccupazioni che li avevano accompagnati fino a quel momento.
Viktor attirò a sé Yuri con forza.
« Ci siamo riusciti sul serio », biascicò Yuri.
« Sei stato fantastico, un attore nato… » sussurrò, baciandogli più volte le labbra. « Dio, non c’è davvero limite a quanto ti amo, Yuri! »
Il ragazzo ridacchiò, rubandogli a propria volta un bacio.
« Per me vale lo stesso », sussurrò, accarezzandogli il volto.
« Che ci fa qui Katsuki? »
Dopo il suo lungo colloquio con Viktor, Yuri aveva anche scoperto il perché della scenata di Yura. Si era già convinto dopo il suo tentativo di non farli lasciare che non fosse poi così malvagio, ma quella fu l’ennesima conferma.
Viktor si voltò, ancora senza lasciar andare il giapponese.
« Temo che ti dovrai abituare, Yura… »
Chissà perché un brivido di ghiaccio scorse lungo la spina dorsale del biondino.
« Perché…? »
Mosse qualche passo verso di loro, aggrottando le sopracciglia.
« Yuri è appena entrato a far parte del circo. »
« Cosa?! E tu glielo hai permesso?! »
Viktor si liberò rapidamente un braccio. Non era mai troppo affettuoso se non con Yuri, ma quella volta era davvero troppo su di giri per trattenersi. Se non aveva lasciato quel circo era stato esattamente per quello scostante ragazzo che ora si dimostrava tanto preoccupato per lui e per lo stesso giapponese che aveva giurato di uccidere.
Lo attirò a sé e quasi gli avesse letto nella mente, Yuri lo aiutò a chiuderlo in quella presa, scoppiando a ridere.
« Vi siete bevuti il cervello entrambi?! Lasciatemi! »
« È tutto a posto, Yura! Abbiamo pensato a tutto! »
Il ragazzo si liberò con uno strattone e li fissò, paonazzo per la rabbia o forse per l’imbarazzo.
Viktor lo guardò e per un istante giurò di aver visto l’ombra di un sorriso.
« Lo dico agli altri », borbottò. « Ma solo perché voglio gustarmi quell’idiota di Christophe che si soffoca con il vino. »
Il ragazzo si dileguò, con i capelli arruffati per l’attacco a sorpresa a cui quei due l’avevano sottoposto. Cosa avrebbe dovuto sopportare?
Viktor rivolse a Yuri un altro sguardo, beandosi degli occhi leggermente lucidi per le risate e forse l’emozione. Il sorriso del giapponese si addolcì quando vide che lo guardava.
« Il nostro è davvero un per sempre, Viktor. »
Non avrebbe potuto esserne più felice.
 
*
 
“ Phichit,
dici sempre che dovrei essere meno maniacale quando si parla di ordine e spero che apprezzerai questo salto di qualità che mi ha portato ad abbandonare la carta da lettere per scriverti dietro una ricevuta della biblioteca.
Sei più importante del mezzo che ho per scrivere! Non potevo assolutamente non salutarti.
Credo che tu ti sia accorto che stava per accadere qualcosa di strano, no? L’hai capito dal mio “sta per cambiare tutto” di ieri, quando sono uscito, temo. Però hai anche sempre detto che in fondo sono strano, quindi forse non ti sei fatto troppe domande.
Ho scoperto ogni cosa.
Quello che tu e Viktor avete cercato di nascondermi per proteggermi. Ti ringrazio davvero per averci provato, ma evidentemente era destino che sapessi.
Credo tu lo abbia già intuito, ma il motivo di questo biglietto infilato di corsa sotto la porta è che sto per partire con Viktor.
Sono stato egoista, ti sto salutando così, lo so, ma non volevo che le cose fossero più difficili per me, o per te. Non volevo che facessi qualcosa di avventato per rimanere insieme, soprattutto.
Sei il migliore amico che io abbia mai avuto e ti scriverò, lo prometto! Nella mia scrivania c’è un elenco dei luoghi dove Viktor andava a ritirare la posta, durante i viaggi, con un calendario. Dovrebbe aiutarci a mantenere la corrispondenza, sempre che tu voglia ancora parlarmi.
Per farmi perdonare – e lo so, è terribilmente materialista da parte mia – ho lasciato che disponessi di tutto quello che avevo. Beh, quasi tutto: ho portato via qualche soldo per convincere gli altri ragazzi del circo che sarò un amico speciale.
Sto scherzando, ovviamente. Ma l’azienda è tua, Phichit. Tua e di tua madre. Così come la casa. Potete farne quello che volete, meritate di vivere tranquilli.
Ti voglio davvero bene, Phichit. Ho avuto un’enorme fortuna nel conoscerti.    
Spero davvero che tra un anno, quando tornerò a Londra, tu sarai ancora qui. Magari potrò dirti se le capitali del mondo sono davvero come abbiamo sempre provato ad immaginarle. Già ci vedo a passare intere notti a parlare solamente di questo. Come da bambini, ti ricordi?
Mi manchi già, Phichit, e so che mi mancherai ancora di più. Ma so anche che capirai, prima di sapere quanto le cose fossero complicate mi hai suggerito spesso di lasciare tutto per scappare con Viktor.
Scusa se ti ho ascoltato proprio questa volta.
Ti auguro ogni bene.
 
Yuri”
 
*
 
Anche l’ultima luce si spense, lasciando che per un attimo l’intero tendone venisse inghiottito dall’oscurità.
Cominciare le esibizioni in quel modo aveva sempre reso Viktor più tranquillo: riusciva a scordarsi di tutto il pubblico e delle sue aspettative sul suo numero. Lo cancellava dalla mente e riusciva a prendere un solo, piccolo respiro capace di calmarlo.
Un riflettore venne puntato su di lui.
Venne illuminata la sua giacca bianca, corta, e le sfumature dorate che la venavano fino alle due lunghe code che penzolavano giù dal trapezio.
Aguzzando la vista, Viktor riuscì a vedere Yuri, sulla piattaforma sospesa in aria a qualche metro dalla sua. La stessa giacca, ma sfumata d’argento, lo abbagliò.
Vide che anche Yuri lo stava guardando, le labbra strette in una linea sottile di preoccupazione.
Era solo vedendo Viktor che il giapponese riusciva a calmarsi, convinto che il loro numero sarebbe stato perfetto.
La voce malinconica dei violini si insinuò nell’atmosfera gradualmente, quasi per non far accorgere nessuno del loro arrivo.
Viktor prese saldamente tra le mani la sbarra di legno del trapezio e si lanciò nel vuoto.
Yuri trattenne il fiato.
Aveva sempre sognato di vedere un’esibizione di Viktor senza che si trattasse di una prova.
Viktor raggiunse un secondo trapezio, sospeso e immobile esattamente di fronte agli spettatori.
Vi si issò. A Yuri parve di vedere i muscoli di Viktor tendersi e di sentirne la fatica. Dopo una verticale, il russo si sedette elegantemente sul trapezio, reggendosi con una mano alla corda che sosteneva il suo piedistallo.
Anche Yuri venne illuminato dal riflettore.
La sua presenza sul palco non era stata annunciata e il pubblico parve apprezzare il suo arrivo.
Raggiunse Viktor allo stesso modo, accomodandosi però su un secondo trapezio, sistemato accanto a quello del russo.
Incrociò lo sguardo di Viktor per un istante e ricambiò quel sorriso rassicurante che tanto amava.
Yuri si resse saldamente al trapezio e vi agganciò una gamba per volta. Abbandonò le braccia al vuoto e lentamente cominciò a sollevarsi, fino a sedersi esattamente accanto a Viktor.
Il russo allungò una mano verso il suo viso e lo sfiorò con la punta delle dita. Quando fu sul punto di ricambiare quel tocco, Yuri sentì il proprio trapezio sollevarsi.
Avevano concepito quella coreografia basandosi così tanto sulla loro storia che per un istante Yuri credette di aver sentito le ferite delle loro molteplici separazioni riaprirsi e dolere tutte insieme, contemporaneamente. La differenza era che per una volta era lui ad andarsene.
Si alzò in piedi, saggiando la sbarra di legno con le piante dei piedi. Strinse saldamente la corda tra le dita e fece oscillare appena il proprio piedistallo verso quello di Viktor, quasi stesse tentando di incitarlo a raggiungerlo.
Viktor lo guardò intensamente e afferrò una delle corde. Si sollevò lentamente dal trapezio, avviluppando poi una gamba intorno alla fune per arrivare più in alto. Un po’ più vicino a dove si trovava Yuri.
Se solo i loro allontanamenti fossero stati tutti così, Viktor avrebbe saputo che cosa fare per raggiungere il giapponese.
Yuri si chinò, tenendosi saldamente con una mano per porgere l’altra a Viktor, ma erano ancora troppo distanti.
Le loro dita parvero sfiorarsi, in un crescendo di archi, ma Yuri rinunciò, tornando a stringere la corda.
Viktor sistemò una mano accanto ai suoi piedi, stringendo saldamente il trapezio dove si trovava il ragazzo per potervi salire.
A quel punto Yuri si aggrappò ad entrambe le funi e si sollevò, facendo una piccola capriola e rimanendo sospeso, per controllare dove si trovasse Viktor.
Il russo si issò con una mossa agile, mantenendo quella posizione e allargando le gambe per un momento, prima di tornare a sedersi, dando le spalle al pubblico.
Yuri rilassò lentamente i muscoli, abbassandosi piano e sedendosi esattamente sulle gambe di Viktor. Lo guardò negli occhi.
« Ti stanno adorando », sussurrò Viktor sulle sue labbra.
« Ci, vorrai dire. »
Il loro trapezio riprese a scendere e Viktor lo fece dondolare appena, un piccolo sorriso a increspargli le labbra per le parole di Yuri.
Il giapponese scivolò seduto accanto a Viktor e sotto i suoi occhi si lasciò scivolare all’indietro, reggendosi con solo le gambe. Fu un gesto tanto fluido che parve quasi dover cadere.
Il trapezio era ormai solo a pochi metri da terra.
Quando Yuri tornò a stringere tra le dita la sbarra osservò Viktor, gli sorrise e lasciò la presa.
La musica cessò.
Yuri si sentì afferrare. Viktor, a penzoloni dal trapezio, l’aveva afferrato e lo stava sorreggendo mentre il trapezio veniva lentamente calato a terra.
« Odio quando scegli questa coreografia… » mormorò Viktor quando Yuri arrivò a toccare il pavimento
Il suo cuore batteva all’impazzata, esattamente come quello del giapponese.
Yuri stava dando le spalle al pubblico, il suo volto davanti a quello di Viktor, ancora appeso alla sbarra per le gambe. Gli diede un piccolo bacio sulle labbra, nascosto da sguardi indiscreti.
Sorrise appena e con un ultimo, fluido gesto, Viktor scese dal trapezio.
La melodia suonata dai violini si addolcì e le sue note lentamente svanirono. Viktor avvicinò il fianco a quello di Yuri e prese la sua mano, nascondendole entrambe dietro i loro corpi.
Lentamente le luci tornarono ad illuminare il tendone e la magia dell’esibizione andò pian piano scemando.
Vennero travolti da uno scroscio di applausi.
 
 
“Should have known right from the start
You can't predict the end.”

 


----

Se un paio di mesi fa mi avessero detto che sarei riuscita non solo a finire questa fanfiction, ma anche a pubblicarla tutta rispettando delle scadenze precise senza impazzire con la convinzione che non valesse nulla non ci avrei creduto.
Mettere la spunta su "completa" mi fa male.
Che dire? Ecco il decimo capitolo, ecco la conclusione della storia. Finale aperto, lo so, niente grandi vendette, solo Yuri e Viktor che come sempre si amano alla follia e che a modo loro hanno avuto un happy ending.
Però parliamone. "Ending". Anche se ora Vices & Virtues risulterà completa, ho già qualche ideuzza su cosa potrebbero combinare questi due dopo. La vita di Yuri e Viktor fino a questo punto è stato un susseguirsi di allontanamenti e riunioni, ma mi piacerebbe davvero parlare della loro vita insieme, di Yuri che vede con i suoi stessi occhi le stesse cose che vedono quelli di Viktor. Di Yuri e Viktor che mettono insieme Yura e Otabek, perché no. Insomma, credo di avere altro da dire e non vedo perché non farlo.
Se avessi reso questa storia più lunga, mi conosco, mi sarei distratta e non ce l'avrei fatta a concluderla. Era un progetto che avevo bisogno di concludere, ma lo vedo come un inizio, un punto di partenza per ingranare dopo la scarsa ispirazione di cui ho parlato nel primo capitolo.
Spero davvero che il finale vi sia piaciuto, che la storia nella sua integrità vi sia piaciuta e oltre a ringraziare tutte le persone che mi hanno sopportata mentre la scrivevo e la pubblicavo - dato che anche nel mentre avevo crisi di autostima - e che sanno già chi sono, vorrei ringraziare anche chiunque abbia letto la storia, tutti coloro che l'hanno aggiunta tra i preferiti, le ricordate e le seguite. Vorrei ringraziare chi ha recensito ogni capitolo e chi ha trovato tempo anche solo per un commento a quello introduttivo: davvero, mi avete incentivata tutti.
Ringrazio anche chi leggerà questa fanfiction in un colpo solo, o la recupererà tra qualche tempo.
Spero davvero che vi abbia tenuto compagnia almeno un po' <3

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3660610