Theotókos

di MadLucy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 26 luglio 2004 ***
Capitolo 2: *** 30 ottobre 2004 ***
Capitolo 3: *** 6 novembre 2004; 11 gennaio 2005; 8 febbraio 2005 ***
Capitolo 4: *** 3 aprile 2005; 27 aprile 2005; 28 aprile 2005 ***
Capitolo 5: *** 2 maggio 2005; 8 maggio 2005 ***
Capitolo 6: *** 15 maggio 2005 ***
Capitolo 7: *** 28 settembre 2011 ***



Capitolo 1
*** 26 luglio 2004 ***


Questo capitolo si colloca più o meno nell'episodio 18 -quello in cui Light e L vengono ammanettati.

I.

«Ti dispiace?»
Una volta allontanatisi dalle scrivanie, faticavano a recuperare il ritmo della discussione. Arrancavano tra educati silenzi e osservazioni pulite, poco impegnative. Erano i primi a svegliarsi e gli ultimi ad andare a dormire. Si erano accordati per cedere al sonno sempre troppo tardi. Light non aveva fatto parola sui letti uniti. Forse sarebbe sembrato più strano il farlo notare che il lasciar correre. Di solito rispettavano gli spazi dei pensieri dell'altro e non strumentalizzavano il pretesto della vicinanza forzata per imporre il fastidio della propria solitudine. Light pensava all'università, agli esami, al ritardo che s'ingigantiva. L pensava ai laghi -come i mari, ma immobili, inculcati nel loro buco. Pieni di acqua grigiastra, che non cadeva dal cielo. Si nascondeva nella terra. 
La verità è che l'ambiguità di quella tregua li frastornava. Se ne stavano dietro le loro trincee in attesa di capire se era più guerra o più pace.
«Ti dà fastidio? È per il caldo.» L parlava disgiunto dal suono stesso della sua voce, gli occhi affacciati altrove, su un piano dove altre linee si intersecavano. 
Light scosse la testa, arricciò il labbro inferiore a scoppio ritardato. «No, in realtà no. Fai come vuoi.»
L si era sfilato la maglia, lentamente, e i pantaloni. A intravederlo così sembrava un pollo spiumato. Light si sforzò di non guardarlo per non metterlo a disagio e spense la luce. Ma L stava lì, il busto sollevato, le spalle scarne contro il buio, aveva uno strano modo di procrastinare il momento del loro definitivo congedarsi a vicenda e da quella giornata. Light si sentì trattenere dall'orlo dei suoi occhi.
«Bene, buonanotte allora.»
«Buonanotte.»
Anche quando L si sdraiò, Light rimase ad ascoltare il suo respiro desto contro il cuscino. Forse aveva paura di lui. Forse aveva trovato una parola traditrice tra quelle da lui pronunciate. Poi lo avvertì sul suo orecchio. Era un respiro come un morso, incalzante, che esercitava pressione. Si chiudeva progressivamente sul padiglione di cartilagine. Lo turbò, ma non come se si trattasse di un'allusione sessuale, quanto una richiesta di aiuto. C'era qualcosa di disperato, un ansito strenuo. L era paralizzato, gelava immobile e respirava nel suo orecchio. Light inghiottì il brivido sinistro che gli punzecchiò la spina dorsale. 
«Cosa stai facendo?» chiese asciutto, tentando di riportare un barlume di razionalità in quell'offusamento onirico. L respirò anche con il naso.
«La nostra è una partita di sottintesi, Kira, non posso dirti tutto io.»
Light si sforzò di sorridere sarcastico, nonostante stesse perdendo le redini della situazione. La rapidità del respiro cominciava a inquietarlo. 
«E adesso questo chiamarmi così cosa sarebbe, una specie di... espediente erotico?»
«Non lo so, non me ne intendo molto, per la verità» ammise L con franchezza. La sua bocca trovò a tentoni quella di Light, senza timidezza ma con indecisione, come se non sapesse bene cosa farci. Rigirò la punta delle labbra tra le sue, in un contatto secco. Il battito cardiaco di Light si dissociò dal resto del corpo, alienato, indipendente, estraneo all'immobilità assoluta di cui ora anche il suo corpo era preda, sordo perchè immerso in un abisso di petrolio. La realizzazione attecchì solamente quando la bocca di L si aprì, cautamente, schiudendo un palato dal gusto talmente dolciastro da risultare aspro, e un guizzo di eccitazione avvivò le sue viscere, estinguendo il torpore della paura. Quel fremito interiore gli permise di riprendere il controllo dei propri movimenti e delle proprie azioni. 
«Non mi sembra una buona idea» mormorò, distanziandosi il minimo indispensabile per farlo, così sottovoce da rendere chiaro a se stesso quanto grave fosse la risonanza dell'accaduto, al limite del pericolo. Più che lasciargli una sensazione prettamente piacevole o sgradevole, lo stordiva. 
«Non è un'idea» replicò L. Non lo sfiorò di nuovo. Rimase un centimetro più indietro. Light battè rapidamente le palpebre, mano a mano prendendo appieno coscienza. 
«Perchè dovremmo farlo?» Lo stava soltanto mettendo alla prova per individuare indizi che lo ricollegassero a Kira? Era una specie di test? 
«Siamo giovani, costretti in un ambiente oppressivo e ipersorvegliato con rare valvole di sfogo e sottoposti a stress costante» snocciolò L, senza eccessiva partecipazione. «Immagino che sia giustificabile.»
Light si insospettì ancora di più. «Che un'azione sia giustificabile dall'esterno o giustificata dall'interno non è la stessa cosa. Stai fornendo un alibi, non dando una effettiva spiegazione.»
Si chiese quali fossero le reazioni previste e a cosa corrispondessero. Cercava un'intimità da cui se ne traesse una confessione a cuore aperto di colpevolezza? O forse riteneva che Kira avrebbe approfittato per sedurlo? Ma a che pro esporsi fino a quel punto, fino a passare dalla parte del torto? Ciò che seguì non fece altro che raddoppiare la sua confusione. 
«E se te lo stessi chiedendo?» Lo disse con un timbro roco, senza inflessioni inusuali, non imbellito, senza il fine di risultare accattivante. Senza persuadere, senza dargli un buon motivo per accettare. Lì, con il suo torso spolpato da granchio, le braccia troppo sottili. I suoi denti che sapevano di zucchero. 
«Ti risponderei che questa camera è pur sempre videosorvegliata» rispose Light, guardingo. L non si scompose. 
«Davvero credi che rimuoverne ogni traccia prima che qualcuno se ne accorga sia oltre le mie possibilità?»
«Credo che sia un comportamento irragionevolmente trasgressivo, che viola inutilmente le regole delle indagini, e quindi poco da te.» Light quasi si esasperò che lui fingesse di non capire quale fosse il problema di fondo, quanto fosse snervante dover affrontare tanta follia tutta in una volta.
«Secondo te è inutile.» Lo sguardo di L, ormai distinguibile grazie all'abitudine degli occhi al buio, aveva la stessa invadenza di tutto il resto di lui, indefinito, inqualificabile, ipnotico e respingente. «Per quanto mi riguarda, ho imparato che bisogna mettersi sempre nelle condizioni di mantenere la massima concentrazione, e in questo momento non lo sono. Così come in questo momento tu non sei Kira, e posso assicurarti che Kira non entrerà da quella porta, nè è interessato a farlo.»
Light trattenne il respiro. Per la prima volta, lo attraversò l'idea che L fosse sincero. Che gli stesse sul serio svelando, in termini netti e precisi, una propria umana debolezza. E che si fidasse abbastanza di lui da farlo. 
«Se sei così forte delle tue certezze, saprai anche come andrà a finire.»
L'unico rumore che si udiva erano gli anelli della loro catena.
«Sì, lo so, Light.» L ancora non si mosse. «In fondo hai detto di volermi aiutare.» 
Light cercò di capire dove si trovasse la sua mano destra sul materasso, e, quando mosse la propria per indagare, la incontrò all'improvviso. «Speravo di poterlo fare con la testa, non con il corpo.»
«Tutto ciò che riguarda il corpo può essere fatto meglio con la testa» sillabò L lentamente. 
Dopodichè fu impossibile stabilire chi avesse azzardato un movimento risolutivo. Light frizionò la matassa dei suoi capelli, saggiandone la consistenza, e si domandò vagamente come potesse stare succedendo. Anche la lingua di L sapeva di dolce acre perchè troppo dolce, e imitava la sua con attenzione, come si trattasse di passi di un ballo. Quando si rannicchiò sulla pancia, permettendogli di scorrere sopra di lui, Light potè constatare che il suo scheletro era quello di un usignolo, presumilmente cavo. Ma non vide nulla della pelle che aderiva a clavicole e torace disegnandone ogni linea, non toccò niente che non fossero le sue spalle e il bacino spigoloso. Non fu un'esplorazione fisica e nemmeno una preparazione progressiva. Il bacio servì più che altro ad impedire loro di fronteggiarsi. L'eccitazione di Light era l'effetto collaterale del suo sgomento e della gratificazione che quella resa supina gli offriva. Essere l'unico detentore di un istante del genere. Durò relativamente poco. Un momento prima ansimavano l'uno sulla scapola dell'altro, irrigiditi, assenti, e un momento dopo erano già ciascuno dalla sua parte del letto. Più come un delirio solipsistico che un'esperienza condivisa. E Light non aveva trattenuto nulla di lui, ma si chiese come L potesse aver avuto finora un odore interno, sotto la pelle, come chiunque altro, da prima che ci fosse l'istante in cui Light lo percepiva su di sè, attorno a sè. L'odore dell'aria che non usciva dai suoi polmoni e che Light aveva inspirato direttamente dal suo lago. E Light si sentiva senza schermi, o almeno sicuro dietro al suo, senza più un'accusa vincente sopra il capo.
«Tu dici di essere mio amico, ma solo se fossi Kira io potrei essere abbastanza interessante per te.» Udì la propria voce non più ridotta ad un bisbiglio, bensì sonora e distinta. «Ti auguri che io lo sia non per risolvere il caso e basta, ma perchè se non lo fossi sarei come tutti gli altri. E l'idea di un tuo pari adesso ti piace troppo per abbandonarla.»
L esaminò la portata di quelle parole per qualche secondo, impassibile. «Stai cercando di offendermi o questo è il genere di ragionamenti che fai di solito?»
«Vuoi chiamarmi di nuovo Kira?» ribattè Light, beffardo.
L non rispose. Si girò sul fianco opposto per dormire. 












Note dell'Autrice: Tornata casualmente nel fandom di Death Note, mi è partito l'impulso mpreg potente. I capitoli saranno cinque. Spero che anche a voi interessino deliri simili, e augurandomi questo vi ringrazio per aver letto, 
Lucy

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Capitolo 2
*** 30 ottobre 2004 ***


Questo capitolo si colloca circa nell'episodio 24, in cui Higuchi è morto e Light ha recuperato la memoria.

II.

Misa fu rilasciata quella mattina. Esprimeva la sua felicità nel parlare parecchio. Light l'assecondava tacendo, e nel suo silenzio c'era il riserbo compiaciuto del trionfo. Era prosciolto da tutte le accuse, aveva indietro la sua memoria del Death Note e aveva quella stupida pronta a recuperare il quaderno sotterrato, insieme ai ricordi, e scriverci il nome di L. Era già tutto apparecchiato fino all'ultimo dettaglio. Non restava che cominciare il pasto.
«Potremo avere finalmente un vero appuntamento» sospirò Misa, raggiante.
«Sì, fantastico» assentì Light. «Scusa, Ryuzaki, potresti lasciarci soli?»
«Certamente» replicò L. «Ma prima lasciami dire una cosa.» Li aveva seguiti fino all'atrio, anzichè rimanere ad osservare la scena dall'interno del quartier generale.
«Beh, d'accordo.»
L inaspettatamente si girò verso Misa. «Non sono un esperto di amicizie o rapporti sociali in generale,» esordì, «ma presumo e temo di aver commesso un grave torto nei tuoi confronti.»
Lei sorrise. «So che non l'hai fatto con cattiveria, Ryuzaki! Era per le indagini. Ti ho già perdonato.»
«Non mi riferisco al tuo soggiorno sotto sorveglianza qui» precisò L. «Ma a un'altra cosa. Tu sei la mia seconda amica, e avrei preferito non arrecarti questo dispiacere, ma vedi, aspetto un figlio dal tuo fidanzato» concluse, apatico.
Misa scoppiò a ridere. «Wow, questo sì che è un guaio! Cos'hai da dire a tua discolpa, Light?»
Light tacque, mentre un dubbio avanzava fra i suoi lineamenti. Il dubbio che quell'omertosa e consensuale amnesia condivisa non fosse il fatto isolato e bizzarro che aveva concluso dovesse essere.
«Io... non ho idea di cosa stia parlando» esitò Light, disorientato. Vi si era appeso, a correggere il vuoto isolato di quell'episodio, un filo pericolosissimo: un senso. Anzi, un piano.
«Avanti, non fare quella faccia seria! Ryuzaki sta scherzando!» lo riprese Misa, esilarata.
«Non è uno scherzo» obiettò L con calma. «Non si tratta nemmeno di una conseguenza così imprevedibile, dato che io e Light abbiamo avuto un rapporto sessuale. Almeno adesso sai di cosa sto parlando, vero?»
Light osservò con incredulità e orrore la nuova carta comparsa sul tavolo. L'ha fatto apposta. L'ha fatto apposta. L'ha fatto apposta. 
Questo giustificava tutto. L'assurdo comportamento di quella notte, il rivelarlo davanti a Misa... prima che Light potesse ordinarle di dissotterrare il quaderno e ricordare il vero nome di L. L'aveva fatto per fargli perdere la collaborazione del secondo Kira. Poi sopraggiunse le negazione, e si chiese stralunato come potesse una persona sana di mente concepire un piano così malato. Dove diavolo era disposto ad arrivare pur di arrestarlo?
«Misa, posso spiegarti tutto quanto» affermò infine, sotto gli sguardi che lo stavano torchiando. 
Misa arretrò di un passo, interdetta. «Cosa vorrebbe dire?»
«Che questo non è assolutamente impossibile» calibrò le parole Light. «Però... noi dovremmo discuterne in privato.» 
«Quindi tu, davanti alle telecamere, saresti andato a letto con lui e non con me?» esclamò Misa, dopo aver aperto e chiuso la bocca per la frustrazione un paio di volte. «La faccenda delle manette era tutta un pretesto?!»
Come si fa a trarne delle deduzioni del genere, pensò Light seccato. La sua mente però era intenta al guazzabuglio che si era appena scatenatosi. Trattenere Misa era la priorità, anche rispetto all'affrontare L. Se avesse perso i suoi occhi, proseguire nel giustiziare i criminali sarebbe stato infattibile.
«Certo che no, è stato un errore... un momento di paura, di fragilità... Ma non c'entra niente con quello che provo per te!» sentì se stesso pronunciare accorato.
«Non lo so, Light. Mi hai tradito con un maschio» farfugliò Misa, facendo un altro passo indietro mentre lui ne faceva uno in avanti. «E aspetta un... bambino. Forse siete voi due quelli che dovreste parlare.» 
«Sono d'accordo» aggiunse L. Si beccò un'occhiataccia.
«Dovresti vergognarti! Entrambi dovreste! E voi avreste dovuto essere un mio amico e il mio fidanzato?! Gran bel comportamento! Chiamatemi quando avrete risolto i vostri problemi familiari!»
Sbottando queste parole, la voce incrinata dal pianto incombente, la ragazza uscì platealmente dall'ingresso principale della struttura, con solo un borsone di effetti personali alla spalla. Light assistette mentre spariva dalla sua vista, inebetito.
«È comprensibile che abbia reagito in questo modo. Forse bisogna concederle un po' di tempo per smaltire la rabbia prima di prodigarsi in giustificazioni» puntualizzò L, esaminando il succedersi delle sue espressioni. Light provò a controllarle. 
«Santo cielo, perchè non l'hai detto prima a me solo? Avrei trovato una maniera meno brusca per farglielo sapere io stesso» si arrabbiò. Era consapevole del perchè L l'avesse fatto, ma pretendeva almeno una scusa convincente. Dopotutto, nessuno che non fosse Kira avrebbe potuto comprendere la trama di quel piano. Che, ovviamente, aveva il suo perchè soltanto nel momento in cui Light fosse Kira. Ciò significava che L non aveva per niente diminuito i suoi sospetti, anzi, era da più di un mese che aveva organizzato quella trappola da tendergli, perciò, per arrivare a tanto, doveva essere parecchio sicuro. 
«Mi sembrava più corretto da parte mia scusarmi personalmente e assumerne la responsabilità» si limitò a dire L, sedendo sui talloni su uno dei duri divani di pelle dell'atrio. «Non sono portato per i lieti annunci. Volevo risolvere più rapidamente possibile quest'incombenza.»
«Ti rendi conto di quanto è importante tutto ciò?» lo apostrofò Light, sbigottito, un po' simulando e un po' esternando ciò che davvero provava, e prendendo posto accanto a lui. 
«Me ne rendo conto» annuì L. «Non fraintendere questa comunicazione sbrigativa per disinteresse o superficialità. Sono al corrente di quanti cambiamenti scatenerà nella mia vita.» 
«E nella mia vita» sottolineò Light. «Io vado ancora all'università, Ryuzaki. Non so neanche se potrò-»
«E nel proseguimento delle investigazioni sul caso Kira, naturalmente» concluse L. Light incontrò il suo sguardo insondabile, alla ricerca di un segno di soddisfazione che dimostrasse quanto era contento che il suo piano fosse scattato come prevedeva. Con Misa che scappava senza le informazioni per riassumere il ruolo di secondo Kira e lui gettato nel panico. 
«Conoscendoti un po', mi sarebbe sembrato più probabile che tu abortissi di nascosto senza farne parola con nessuno» commentò, senza calcare troppo la mano. «Insomma, il tuo lavoro è molto impegnativo, e sicuramente non ti lascia una gran quantità di tempo libero...» 
«Avresti preferito che lo facessi?» lo interruppe L di nuovo, sbugiardandolo con lo sguardo. Entrambi sapevano che l'altro sapeva. Era una vera e propria recita senza neanche il pubblico. Un virtuosismo, quasi. 
«No, ovvio che no. È mio figlio» finse di turbarsi Light. «Ma pensavo che fosse quella la cosa fondamentale per te, la tua missione.»
Sul serio L era disposto a stravolgere la sua vita per il caso Kira? L, apparentemente così disavvezzo ai cambiamenti, così poco disposto ad adattarsi? Il detective lo guardò di sbieco. 
«Sarai sorpreso di scoprire che anche le madri possono lavorare e rendersi utili per la comunità, e che un figlio non preclude una carriera» dichiarò secco. 
«Il tuo lavoro è un discorso a parte» insistette Light, è particolare. «Si corrono tanti rischi, tra cui quello di perdere la vita o di mettere in pericolo i propri cari.» 
Il fantasma di quell'insinuazione aleggiò tra loro.
«Già ti preoccupi per lui. Il tuo istinto paterno è qualcosa di ammirevole» sussurrò L, grondando sarcasmo. Light contrattaccò.
«Dunque è successo i primi di agosto... Te ne sei accorto molto rapidamente, nonostante le gravidanze maschili abbiano sintomi difficili da rilevare.» 
L non battè ciglio. «Sono passati quasi tre mesi. Sono un investigatore. Sarebbe imbarazzante se non fossi in grado di accorgermi in tempo di cosa avviene sotto il mio naso -o in questo caso sotto il mio costato.»
Light realizzò di non avere ancora afferrato bene la situazione. L era veramente incinto di lui. Avrebbero avuto un figlio. Che sì, esisteva solo per stretegia, ma ciò non toglie che sarebbe nato. O no? Light non aveva più la possibilità di entrare in possesso del nome di L...
«Quanto ne sei sicuro?» continuò, assumendo l'aria più da giovane padre colto di sorpresa che gli riuscì.
«Quanto può esserne sicuro un rilevatore di hcg. Mi dispiace, Light» tagliò corto L.
Ma se per Kira era un inconveniente, per Light Yagami doveva essere una dolce benedizione. Mostrare disappunto sarebbe stata la fine. 
«Non deve dispiacerti. Insomma... Avrei preferito che me lo dicessi in privato, e aver ferito i sentimenti di Misa non è stato bello... però... è pur sempre un bambino, no?»
L non disse niente.
«Chi ne è a conoscenza?»
«Io, tu e Watari. Il medico che ha condotto le analisi non lo ha fatto con cognizione di causa.» 
Light si fece pensoso. 
«A questo punto, quasi converrebbe che Kira scoprisse del tuo stato.»
«Cambierebbe qualcosa?» domandò L, retorico. Il ragazzo si strinse nelle spalle a regola d'arte, come se stesse davvero riflettendo passo per passo. 
«Beh, forse non oserebbe ucciderti.»
«Ha già ucciso parecchi incensurati per la sola colpa di essersi frapposti tra lui e il suo piano» precisò L, senza riguardi.
«Già, ma un bambino non ancora nato è completamente innocente. Non si "oppone" a Kira, viene coinvolto in questa situazione senza la benchè minima responsabilità» argomentò Light. Credeva davvero in quel che diceva, in effetti. Solo che... Ancora niente era definito nella sua testa. Bisognava riportare ordine. Non poteva decidere cosa farsene di L, quando non aveva nemmeno disponibile l'opzione di ucciderlo. Prima era necessario riassumere il controllo, poi ragionare su cosa fosse etico o no fare. 
L lo fissava con attenzione. «Siamo tutti innocenti, Yagami. Abbastanza da non meritare un'esecuzione arbitraria da parte di un sedicente giustiziere. E tutte le vite hanno lo stesso valore. Non c'è differenza qualitativa tra quella di un bambino e di un adulto.» 
«Qui non stiamo parlando di cosa penso io, ma di cosa pensa Kira» aggiustò il tiro Light. «Anche se è impossibile prevedere con certezza cosa passerà per la testa di quel pazzo. La priorità ora è proteggerti.»
«Sono già protetto.»
Light pensò che il cambio di programma forse non gli avrebbe sbarrato ogni opportunità di ottenere un vantaggio. 
«Tu ti esponi troppo. E questo quartier generale è pieno di gente. Dimentichi che Kira può manovrare il comportamento delle vittime prima della loro morte. Gli basterebbe scoprire l'identità dei tuoi collaboratori per arrivare a te.» Magari sarebbe riuscito a togliere di mezzo un po' di impiastri. 
L portò il pollice alle labbra sottili. «Non ritengo plausibile che si possa manipolare una persona in modo tale che prima di morire ne uccida altre. In tal caso, Kira avrebbe già sfruttato ampiamente questo escamotage. Ad ogni modo, dovremo sottoporre al più presto il quaderno a dei test.»
«Ma preferirei che non fossi tu in prima persona» si precipitò a dire Light. «So che vuoi accertarti dell'autenticità delle regole, soprattutto quella dei tredici giorni, ma, se il governo ti darà il permesso di procedere, non voglio che sia tu a farlo.» Ancora doveva capire come si sarebbe mosso a riguardo. Il piano precedente prevedeva che L non lo facesse perchè sarebbe stato morto. Ma non era più valido. 
E per la prima volta dall'inizio della discussione L sorrise, affilato come un coltello. «Certo che no, Light. Sarebbe da incoscienti.» 

*

Watari entrò nella postazione di comando del quartier generale. Era deserta, eccezion fatta per L, nascosto dallo schienale della sua sedia a rotelle. Stava contemplando la prima pagina del Death Note, dove si susseguivano le regole. 
«Sei sicuro di sapere che cosa stai facendo?» sospirò Watari. Non glie lo aveva mai chiesto in tanti anni. Si fidava di lui, quando si trattava della difesa degli altri. Questa volta si era lasciato coinvolgere fino a un punto di non ritorno.
L chiuse il quaderno. «Guadagno tempo. Mentre Kira elabora un nuovo piano, io attuo il mio.» 
Watari fermò il carrello che stava spingendo fino alla sua scrivania. La sua espressione era combattuta.
«È diventato tutto troppo personale tra te e Kira. Tu dai per scontato che gli interessi della vita di suo figlio» esternò i propri timori.
«Ci sono vari potenziali sviluppi, e li ho presi tutti in considerazione.» Lo sguardo di L finì sulla vasta selezione di dolci allineati. «Se non muoio, avrò tutto il tempo per provare la sua colpevolezza. Se muoio subito dopo il parto, Light apparirebbe indubitabilmente come Kira. Ma è improbabile che commetta un errore così grossolano. Se vengo ucciso lo stesso -sempre ammesso che senza l'aiuto di Amane Kira riesca a farlo- allora l'avrebbe fatto in qualunque caso, e non avrei lasciato nulla di intentato.»
Watari contemplò con tormento la sua flemma.

«Che cosa credi che farà?»
L sogguardò prima una coppetta alla fragola, poi una fetta di torta alla crema. «Non vorrei essere in lui. Uccidere un bambino nel grembo -o il proprio stesso figlio- è un atto così spregevole da fare concorrenza con i reati dei criminali giustiziati tramite il Death Note. Ma d'altra parte, tenendo conto di tutti i sacrifici che sono già stati fatti, forse che non si può sacrificare per il bene superiore un embrione nemmeno compiutamente formato?»
«Vuoi mandarlo in crisi?» indovinò Watari.
«Voglio costringerlo a riflettere» corresse L. L'uomo si strofinò le mani guantate, aggrottando la fronte. 
«Non pensi di aver preso questa decisione troppo in fretta? Quando Kira non ci sarà più, il tuo bambino resterà. Avrà bisogno di un luogo stabile dove crescere, non di viaggi e spostamenti continui. Chi rimarrà a casa con lui, chi si occuperà di lui?»
«Indovina» disse L, allungando una mano verso un bignè alla crema ricoperto di cioccolato, ignorando il piattino e la salvietta su cui era posato. Watari sorrise con malinconia.
«Avrà bisogno del suo vero genitore, non di poveri vecchi...»
«Lo sai benissimo quanto poco conti il legame di sangue» negò L. «Chi ha parlato di poveri vecchi? Io intendevo, tutti loro. Tutti voi.»
Watari fece un esausto cenno di diniego. «È una responsabilità troppo grande anche per noi, ma soprattutto per te. Il suo dolore e le sue esigenze ricadranno sulle tue spalle e non potrai evitare di sentirti in colpa. Avrei tanto voluto che questa sofferenza ti fosse risparmiata. Portare al mondo una vita umana è un obbligo ad oltranza.»
«E strapparne più di cento cos'è?» rimbeccò L, senza perdere l'impassibilità. 
«Non mi interessa affatto di Kira e non sto pensando a lui. Penso a te» s'impuntò Watari. «Al fatto che tu debba dirottare il corso della tua esistenza a causa sua. Non ritengo che tu sia pronto a fare il padre, L.»
Scese il silenzio per un po'.

«Non pretendo di esserlo» replicò L, «ma non ho scelta. E in fin dei conti ci sei tu qui.»
Watari espirò ancora, profondamente. Poi gli sottrasse il bignè, mangiato per metà, dalle mani. 

«Bisogna diminuire gli zuccheri. Tanti quanti ne mangi, non fanno bene al piccolo» mormorò, mentre le sue labbra s'incurvavano con tenerezza.
«Un abbandono graduale» sottilizzò L, puntando un cannolo. 















Note dell'Autrice: Secondo capitolo! The game is on. Light deve ancora capire bene come gestire strategicamente questo inconveniente. L potrà esaminare il quaderno. Cosa succederà?
Ringrazio chi ha preferito/ricordato/seguito la storia. Lasciatemi qualche feedback per capire come mi sto muovendo! Grazie a tutti,
Lucy

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Capitolo 3
*** 6 novembre 2004; 11 gennaio 2005; 8 febbraio 2005 ***


III.

Il clamore che Light sospettava era arrivato. Dalle reazioni più trascurabili -Matsuda che "allora si vede che adesso L ha fatto un bel pieno di fiducia nei suoi confronti, eh?"- a quelle che si erano imposte con prepotenza. Soichiro Yagami, una volta ripresosi per lo shock al pensiero della presunta omosessualità -o bisessualità?- di suo figlio, aveva dato a tutti e due degli irresponsabili, per il fatto che avessero preso così sottogamba una cosa del genere. Aveva sottilineato quanto il coinvolgimento emotivo dovuto ai loro trascorsi inficiasse irrimediabilmente il loro rapporto come colleghi -e come sospettato e detective- quindi aveva preteso che Light non avesse più un posto al quartier generale. L'unica occasione in cui aveva il permesso di accedervi era per venire a trovare L ed informarsi della sua salute. 
Una volta solo in casa, Light potè finalmente intraprendere una conversazione da giorni rimandata.
«Rem» salutò nervoso lo Shinigami. «Come sta Misa?» Aveva provato a chiamarla molte volte, ma durante nessuna di esse era riuscito a concludere qualcosa di effettivo, a parte ascoltarla singhiozzare.
«A pezzi, come puoi immaginare» sibilò Rem. Light si sforzò di mostrare rammarico. 
«Sono assolutamente spiacente. Non era mia intenzione mancarle di rispetto. Non so come spiegare, ma L mi ha ingannato. Ha approfittato della mia amnesia per tessere la sua tela. Non lo avrei mai fatto, da consapevole. Mi ha incastrato con questo sordido e subdolo espediente, però posso risolvere tutto. Misa capirà come sono andate le cose e starà meglio. Ma prima devo liberarmi di L, altrimenti sarà la fine per entrambi.»
Rem lo fulminò, con gli occhi dorati e le pupille verticali.
 «Se posso essere franca con te, Light Yagami, preferirei che tu non tentassi di riavvicinarti a lei. Le hai quasi fatto un favore allontanandola. Almeno, a me lo hai fatto. In questo modo sarà molto più al sicuro.»
«Significa che non sei infuriata con me?» si stupì Light. La sua mente riprese a calcolare molto in fretta. In questo modo avrebbe potuto mantenere la collaborazione di Rem...?
«L'hai fatta soffrire, ed è difficile da tollerare. Ma forse questo le salverà la vita» ammise Rem. «Riprenderà il suo lavoro e non dovrà più giustiziare i criminali. Potrà voltare pagina senza credere che sia colpa sua.» 
«Ancora non lo può fare, con L in circolazione. Se dimostrerà che io sono Kira, come rientra nei suoi piani, inevitabilmente dedurrà che Misa è il secondo Kira» specificò Light, pregando intensamente che abboccasse. E abboccò. Rem piegò la bocca, determinata. 
«Allora ti aiuterò a eliminarlo. Per Misa. Vuoi che ti dica il suo nome?»
Le pulsazioni di Light accelerarono, frenetiche. 
Tutto filava molto meglio del previsto. Si era preparato una strategia difensiva, però non credeva di poter sperare in tanta fortuna. Aveva ripensato al fatto che L al momento aveva nel ventre un figlio suo, com'era logico. All'idea di avere delle riserve per questo motivo, gli pareva di fare il gioco di L, di dargliela vinta, il che lo innervosiva, lo spingeva nell'altra direzione, cioè a non avere pietà. D'altro canto... Kira non era un mostro, come al quartier generale pensavano, e compiere un atto del genere non sarebbe stato un gran modo per dimostrarlo. Gli innocenti non avrebbero dovuto essere coinvolti, a meno che non fosse strettamente necessario. In questo caso lo era? No. Light aveva preso infine una decisione temporeggiatrice, che per ora non avrebbe danneggiato irreparabilmente nulla, pur lasciando l'opportunità di farlo per ogni emergenza. Avrebbe scelto più avanti cosa ne sarebbe stato del bambino. Al momento si poteva agire per salvarsi senza per forza fare del male a nessuno. 
«Sì. Ma non lo ucciderò, non ora. 
L mi ha messo in una situazione nella quale, se lo uccidessi, risulterei in ogni caso il primo sospettato. Sarebbe troppo rischioso» la fece breve, senza concedere a Rem di interromperlo per dubitarne e cambiando argomento. «Vorrei prima risolvere il problema della verifica delle regole del Death Note. L vuole ottenere il permesso governativo per condurre un esperimento con le vite di due condannati alla pena capitale, far scrivere ad uno il nome dell'altro e aspettare tredici giorni, in modo da accertarsi che la regola aggiunta da Ryuk sia vera, cioè che, se non viene scritto un secondo nome dopo tredici giorni dal primo, chi ha scritto il primo muore. Ovviamente la regola è falsa, quindi vorrei che tu scoprissi l'identità del detenuto che scriverà il nome e che dopo tredici giorni da quando l'ha fatto scrivessi sul tuo Death Note il suo, di nome. Così sembrerà che sia morto seconda la regola, e io e Misa saremo ufficialmente liberi da ogni sospetto.»  
«L non si insospettirà nel vedermi all'improvviso al quartier generale proprio in quell'occasione?» replicò Rem. Light scacciò quell'ipotetica minaccia. 
«Certo che sì, ma non potrà ricollegare te a me con prove attendibili. Il quartier generale preferisce tacere riguardo l'esistenza degli Shinigami. Basterà che tu non gli parli e ignori le domande di chiunque.»
Lo Shinigami tacque. Entrambi sapevano cosa sarebbe successo se avesse usato i suoi poteri per allungare la vita di un umano, ma nessuno lo espresse ad alta voce. 
«Lo farò. Avvertimi quando decideranno di avviare l'esperimento. Nel frattempo, ti darò il nome che ti serve.»
Light lo accolse con un singulto di estasi e terrore. 


*

«Salve» esclamò Light, all'indirizzo delle facce stupite che si erano tutte voltate per scorgere il suo ingresso nel quartier generale -tutte, tranne una.
«Oh, ciao, Light» ruppe il ghiaccio Matsuda, cordiale. «Come stai?»
«Bene, ti ringrazio. Ricominciare a studiare è stato molto rilassante, dopo tanti sconquassi» raccontò lui, avvicinandosi. «Anche voi sembrate in forma. Ma in verità io sono venuto a porre questa domanda a qualcun altro» accennò, tra l'affettuoso e il divertito. Questo nuovo riconosciuto ruolo che aveva nei confronti di L lo spinse a prendersi la libertà di comportarsi come una persona matura verso un bambino capriccioso. L non reagì, continuando a fissare i monitor che aveva davanti.
«Ancora al lavoro, Ryuzaki? Non sta diventando troppo faticoso per te?» tornò alla carica Light, sottilmente canzonatorio, simulando innocuo brio. La voce di L era piatta e apparentemente non scalfita da nessun tipo di fastidio. 
«Al contrario. La maternità ha un ottimo effetto su di me. Mi sento pieno di energia.» La testa era incassata tra le spalle curve, come al solito. Il ventre un po' gonfio non era quasi distinguibile, in parte perchè nascosto dalle ginocchia, in parte perchè confuso tra le pieghe dell'ampia maglietta bianca. 
«Come vanno le cose?» domandò a proposito Light, cercando di approssimarsi per vederlo da vicino. 
«Non possiamo darti più nessuna informazione, non c'è bisogno che te lo ricordi» replicò L.  
«Intendevo qualcosa di generale, insomma.»
«Quindi è per questo che sei qui? Per informazioni che sapevi già non avresti potuto ottenere?» Il suo volto era duro. 
Matsuda seguì con gli occhi il palleggio della discussione. 
«Qualcuno vuole un caffè? Stavo per andarlo a prendere...» La tensione non si smorzò. 
Light lo fissò, d'un tratto serio. 
«Mio padre mi ha detto che hai fatto una visita questo giovedì. Non mi ha saputo riferire niente, quindi speravo che lo facessi tu.»
Il fatto che dovesse interessarsene e mostrarsene entusiasta per non destare sospetti gli permetteva di sfogare il presentimento di aver lasciato una parte di sè custodita lì, e di voler verificare com'era maturata, in quel suolo tanto sconosciuto e misterioso. Di come la loro unione stesse fermentando, e quanto si sarebbe frammista. Una specie di candida inconsapevolezza in cui loro due potevano incontrarsi come per la prima volta, contendendosi il monopolio di quella piccola persona...

«Nessuna nuova, buona nuova, no?» L ancora non incontrava il suo sguardo, bensì saettava da uno schermo all'altro, dove scorrevano tabelle indecifrabili. «Va tutto bene, Yagami. Nessun problema.» 
«Il dottore gli ha fatto cambiare dieta e da allora è molto di malumore» ridacchiò Matsuda, passando ancora inascoltato. 
«Al sesto mese dovrebbe già essere distinguibile il sesso» affermò Light. Se all'inizio aveva visto solamente la mossa, che l'aveva quasi offuscato, ora cominciava ad osservare il pezzo che l'aveva compiuta. Non aveva mai pensato in particolare a degli ipotetici futuri figli, l'idea non lo affascinava. Invece ora cominciava a chiedersi a quanto ammontasse il valore di quel raggio di lui defluito per sua incuria nel mondo, nelle inquadrature e nella crudeltà del reale. Dopotutto, se lui era il dio del nuovo mondo, quella che aveva appena smarrito nella carne del detective era una scintilla divina. Cominciava a chiedersi come avrebbe potuto splendere, un giorno. La curiosità vi orbitava intorno incerta e imbarazzata come una falena intorno a un fulgore abbagliante. Quel sentimento nuovo era giovane e esitante, ma carico di promesse. 
«Se la biologia non è un'opinione» disse L. 
«E... te lo sei fatto dire?» lo incalzò Light.
«No.»
 Tentò di richiamare a sè tutta la propria pazienza. «Avrai ricevuto delle foto dell'ecografia.» 
«Sì.»
Spalancò le braccia, irritato dal tono monocorde e dal viso inespressivo. 
«E non ti è neanche passato per la testa di farne una copia per me?»
«No» confermò L placido. 
«Avevi paura che scoprissi il suo nome e lo giustiziassi?» sputò Light, acido. L'altro finalmente volse lo sguardo, per dardeggiarlo. 
«Come siamo sulla difensiva. Forse dovremmo discuterne in privato.»
Matsuda, Aizawa e Mogi erano effettivamente a disagio, ma Light lo ignorò.

«Non c'è niente di privato in questa conversazione, è senso comune. Io sono il padre e tu non puoi tagliarmi fuori soltanto perchè sei arbitrariamente convinto che io sia Kira.»
«Arbitrariamente per ora. Ci sto lavorando» evidenziò L.  
Quello stesso pomeriggio Light annunciò a Rem che l'esperimento sarebbe stato condotto tre giorni dopo.
«Come fai a saperlo?» indagò lo Shinigami.
«Eccesso di zelo di mio padre. Ha segnato sull'agenda l'orario di un volo, quindi immagino che voglia assistere di persona alla scrittura del nome. Scommetto che fra pochi giorni ne comparirà un altro, tredici giorni più tardi.»
L'intuizione era esatta. L stabilì quale detenuto dovesse uccidere quale. Tredici giorni dopo, il primo detenuto morì. Soichiro Yagami tirò un altro sospiro di sollievo, e L si limitò a contemplare i monitor. Ciò lo condusse ad uno stretto isolamento, confinato in un ufficio la cui unica mobilia era costituita da computer di diverse dimensioni e nessuna fonte di luce naturale, per riflettere interrotto solo dal cibo e da sporadiche, fantomatiche ore di riposo a cui nessuno assisteva di persona, in cui tutti i dati del caso Kira venivano riprodotti più e più volte instancabilmente sugli schermi, come tanti occhi ammiccanti e puntati su di lui. Quando Light ripassò, venti giorni pià tardi, Watari riferì che ancora non era tornato ad unirsi agli altri, e comunicava le sue richieste e prescrizioni solo attraverso lui. 

«Non potete continuare così» si oppose Light. «Adesso che sta per averne uno non può più comportarsi come un bambino. Dovete riuscire a farlo ragionare.»
«Sai benissimo quant'è difficile» sbuffò Aizawa.
«Forse Light può aiutarci» propose Matsuda. «Sapete, lui che ha più, ehm, confidenza!»
Arrossì, ma Light no. 
«Ci posso provare, se volete, anche se non assicuro niente.»
Prima che potessero determinare il da farsi, la stessa porta a cui pensavano di bussare si spalancò. L vi uscì, camminando più in fretta di quanto Light gli avesse mai visto fare, pur senza prescindere dal mantenere la caratteristica postura, con la schiena irrimediabilmente storta.

«Presto» sbottò «ho bisogno della licenza per disporre dei tabulati completi dei movimenti di un utente criptato. Ora. Ora
«Perchè sarebbe così urgente?» si meravigliò il sovrintendente Yagami. L sedette alla scrivania principale e aprì una serie di finistre.
«Perchè deve essere immediatamente promulgato un mandato d'arresto valido. Può essere accusato in quanto complice indiretto di Kira stesso» spiegò, parlando rapidamente e digitando al contempo. Poi, avviò la stampante e si alzò a recuperare i fogli. «In base alla diminuzione delle uccisioni e dei dati, che vengono forniti modificati dai notiziari, deve avere intuito che Kira non può più uccidere sapendo solo il volto, ma necessita anche del nome, a causa del sequestro di un quaderno e della scomparsa del secondo Kira. Per questo creava file fantasma temporanei nei quali venivano-» e di botto, lasciandosi sfuggire dalle mani il mazzetto di fogli che stava raccogliendo, cadde al suolo afflosciandosi sul posto.

*


«Ecco, sta riprendendo i sensi» avvertì Watari, apprensivo. Le ciglia nere di L frullarono, prima che le palpebre si sollevassero definitivamente, permettendogli di distinguere i membri del quartier generale accostati al letto, ma a sufficiente distanza da concedergli aria.
«Bentornato tra noi, Ryuzaki» scherzò Light. La sua mano era sul materasso del letto su cui l'avevano fatto stendere, e il detective non mancò di ipotizzare che presumibilmente prima era posata sulla propria pancia. 
«Se era un calo di zuccheri, penso che vi denuncerò tutti quanti» mise subito in chiaro. Gli formicolavano i piedi e le mani. Le vertigini non avevano abbandonato la sua testa, quindi la tenne prudentemente ferma sul cuscino, affinchè nessuno lo notasse. 
Il sovrintendente fece segno di no con il mento. «Non era un calo di zuccheri. Era il tuo corpo che ti supplicava di non strapazzare più mio nipote
L gli rivolse solo una breve occhiata. «Potrebbe trattarsi di più di una persona, di un vero e proprio database a cui sia possibile accedere e fornire le proprie informazioni. Il che implica che, in tutto il mondo, agenti di polizia e di associazioni adibite alla sicurezza globale stiano tradendo di nascosto la dichiarazione universale dei diritti umani per aiutare Kira. Non possiamo permetterlo.»
Aizawa lo interruppe. «Basta così. Stai esagerando. Evidentemente mettere alla prova la vostra incolumità, come è appena successo, non è stato sufficiente per fartelo capire. Ci occuperemo noi della cosa, da ora in avanti.»
Light intanto sorrideva tra sè. L sta avendo un assaggio di quanto i sostenitori di Kira siano numerosi e fedeli, e di quanto la sua parola si stia diffondendo e stia ottenendo sempre più consensi, perchè la gente si sente serena e al sicuro, pensò.

«Sto incamerando un essere umano, non un virus influenzale, quindi la mia facoltà di giudizio non è alterata, se non vi spiace smetterla di lamentarvi» li freddò L, domandandosi se fosse producente o no azzardare ad alzarsi. 
«Tu stai prendendo la tua condizione troppo alla leggera, è questa l'opinione che tutti noi condividiamo» intervenne Watari, titubante e intristito, in quanto era spiacevole per lui discutere con il suo protetto. L allora spostò lo sguardo gravoso nel suo.
«Quale parte della faccenda in cui l'unico figlio che avrò, e non conoscerò mai, rischia di finire in casa del più pericoloso pluriomicida del nostro secolo, che è ancora a piede libero e che continuerà a tempo indeterminato a fare del male a meno che io, e solo io, non lo fermi -il che rende pienamente comprensibile il fatto che non potrei più guardarmi allo specchio se non fossi del tutto consapevole di stare facendo ininterrottamente il possibile e di non stare mai perdendo il ritmo- sto prendendo troppo alla leggera?» 
Calò un silenzio devastato. Il riflesso degli occhiali di Watari nascose gli occhi lucidi. 
Light si morse il labbro inferiore ad arte, simulando un'espressione ferita. 
«Per l'ultima volta, Ryuzaki, io non-
»
«Per l'ultima volta, Light Yagami, lasciami lavorare in pace.» La voce di L non ammetteva repliche. «O, a seconda dei punti di vista, perdere sportivamente.»
Il ragazzo azzardò un sorriso mesto. 
«Quello che cercavo di dire è che anche tu sei importante. Non sei solo uno strumento per risolvere il caso Kira, e devi riguardarti, non sacrificarti sempre a prescindere. Ma hai ragione. L'unico modo per non darla vinta a quel criminale è impegnarti e starai bene solo quando lo farai. Lo capisco. Sei sotto pressione e hai bisogno di collaborazione e non ordini. Quindi scusa se ti ho fatto irritare inutilmente. Ci vediamo presto.»
Non solo Light se ne andò. Anche suo padre, Aizawa e Matsuda decisero di concedergli un po' di solitudine per rimettersi. Watari gli preparò una tazzina di zollette di succhero con un po' di tè sopra. Quasi non parlò. Disse solo:

«So chi è veramente. Ma a volte lui sembra così...»
«Già, sembra così» concordò L.



















Note dell'Autrice: Uno stacco cronologico in avanti. Light ha confutato la prova decisiva con cui L credeva di incastrarlo, quindi ora che farà il detective?
Ringrazio chi legge, segue e apprezza la storia, e spero di sapere come la pensate nel dettaglio, o se avete speranze/ipotesi su come andrà!
Lucy

 

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Capitolo 4
*** 3 aprile 2005; 27 aprile 2005; 28 aprile 2005 ***


IV.

 

Light credeva di poter dedicare a L gli ultimi sprazzi di clemenza che gli rimanevano. Dopo aver informato Watari e avergli permesso di accendere tutte le videocamere che riteneva opportune,

«Offerta di pace» proclamò, aprendo la porta della camera che era stata quella che aveva condiviso con L ai tempi in cui erano ammanettati, e che ora apparteneva solo a lui. Il detective sedeva sul letto, ancora composto da due materassi accostati. Light non sapeva che cosa stesse facendo, ma una sfilza di fotocopie era disposta a ventaglio sul copriletto. Alcune erano le regole del Death Note, in vari ingrandimenti, altre erano liste di decessi in date diverse. Light espose in bella vista la confezione di gelato che portava sottobraccio. 

«Quanto di più simile ad una cenetta romantica noi potremmo mai avere.»

«E Watari ti ha permesso di venire qui?» obiettò L, più indisponente che stupito. 

«A quanto pare.» Light la posò sul bordo del letto, prima di sedersi anch'egli. «Direi che miglioro la qualità della tua serata.»

«Dipende dai punti di vista.» 

Non si era ancora abituato, stando a breve distanza, a vedere il bulbo alto e solenne del ventre prevaricare il diritto di quella costituzione esile a restare filiforme, con la sua incontenibile propulsione a palesarsi al mondo. Era la prova che rivelava che avevano varcato un limite insieme, qualcosa di enigmaticamente oscillante tra il sacro e il profano. Ora che era un ingombro così esuberante, quasi buffo, Light provava di nuovo la situazione di estraneità di partenza. Non gli pareva più possibile che ci fosse qualcosa di suo lì dentro, qualcosa che gli assomigliasse o appartenesse. Sembrava una faccenda solo di L, un suo problema personale da trattare con tatto e discrezione. O così come se fosse almeno lui si comportava, tra il brusco, il laconico e il protettivo.

«Ormai dovrebbe scalciare molto forte» improvvisò Light, un po' impacciato in un ambito di conversazione così poco formale. 

«Si dà il caso che io sia più forte» liquidò L. Veramente questo commento è riuscito a destare il suo spirito competitivo? pensò Light, trattenendosi dall'alzare gli occhi al soffitto. 

«Nessuno lo mette in dubbio. Gli insegnerai anche qualcosa di istruttivo, oltre alla capoeira?»

«Lo faccio già» spiegò L, posando una mano sulla pancia con diligenza, come se invece di un gesto amorevole fosse un iter pro forma. «Ascolta la mia voce con molta attenzione. Potrebbe essere utile anche per te, Light. Uccidere una persona è sbagliato. Uccidere una persona che ha ucciso una persona è sbagliato. Uccidere una persona perchè ha ucciso una persona che ha ucciso una persona è sbagliato. Uccidere-»

«Credo che il messaggio sia arrivato ad entrambi» sorrise Light a denti stretti.

«Ne ho anche un altro. La vendetta non è giustizia. La legge del taglione non è giustizia. L'omicidio-»

Light posò con un movimento flessuoso ma pigro del mento le labbra sulle sue. Non fu un vero bacio, rimase lì, a pesargli contro, una mano immobile sulla sua guancia. A fermargli la lingua senza sfiorarla. A respirargli in faccia la stessa aria disperata che L aveva soffiato dentro di lui. I polmoni di entrambi si colmavano e svuotavano ad alternanza, come un unico sistema. 

«La tua bocca diminuisce le mie capacità intellettive del 5%» notò L, senza una nota di meraviglia. 

«Quindi il fatto che io ti baci di nuovo sapendolo di quanto aumenta le probabilità che io sia Kira?» si interrogò Light, inumidendo appositamente il labbro inferiore. L lo squadrò poco impressionato, aprendo il coperchio di polistirolo della scatola del gelato. 

«Non ne sono sicuro, ma aumenta quelle a fondamento della tua egomania del 4%, il che significa automaticamente un 2% in più che tu sia Kira. Vuoi un po' di gelato?»

«No, ti ringrazio, anche perchè non me lo avresti dato comunque.»

«Si capisce. Avevi il dovere morale di rifiutare. Tuo figlio si prende già tutto il mio zucchero.»

Light rimase a guardare L infilarsi le cucchiaiate in bocca, una dopo l'altra. Gli venne in mente che il bambino non avrebbe avuto molte occasione di percepire i suoi genitori l'uno accanto all'altro con la guardia abbassata, chini su di lui, con quella dolce cappa di vapore caldo sulle spalle -però era bello che fosse successo almeno una volta.

«È strano immaginare come sarà, vero?» La loro vicinanza gli offriva un nuovo spunto di riflessione, ovvero l'aspetto fisico, che tra loro era quasi agli antipodi. Era interessante fantasticare su come si sarebbero spartiti i colori e le forme del nascituro.

«Tu come credi che sarà?» chiese L, leccandosi via il gelato dalla mano.

L'aspetto era ovviamente un'inezia. Essendo L senz'altro l'unico mortale che fosse alla sua altezza e che potesse assolvere un compito di tale importanza come dargli un figlio, il loro connubio non poteva che creare una mente che fosse pari a quelle di entrambi messe insieme. Persino più intelligente di loro, dunque. Uccidere un simile esemplare non sarebbe stato forse uno spreco? Un crimine ancora più terribile che uccidere un qualsiasi altro bambino? Un individuo tutto nuovo da formare, con insita in se stesso così tanta potenzialità... Tutta l'intelligenza di L, ma unita con la razionalità superiore di Light, in grado di vedere oltre le convenzioni e il banale buonismo popolare... Il corredo genetico del piccolo era il più prezioso e portentoso possibile. 

«Beh, quasi sicuramente sveglio» non si sbilanciò.  

«E se non lo fosse non lo ameresti?» cavillò L.

«Tu lo ami?» dedusse Light. Non aveva ben compreso quale fosse l'atteggiamento del detective nei confronti della creatura che gli aveva scombussolato la routine, se più di fastidio ed indifferenza -come dimostrava non interessandosi di scoprire venire a conoscenza di determinate informazioni durante le visite- o tutto sommato di sincero amore, come non gli aveva mai visto dispensare. La stessa mancanza di esternazioni d'affetto caratterizzava anche il suo rapporto con Watari, in fondo, e a lui doveva volere del bene, no?

Lo sguardo di L era finito sui fogli sparsi sul letto. Quasi gli avesse letto nel pensiero, esordì con:

«Watari crede che tutto questo» e diede un buffetto sulla sommità del pancione, «faccia parte di un tuo piano, strutturato dal presupposto che tu ritenga che la mia attitudine "presuntuosa e impassibile"» delimitò queste parole tra virgolette mimate con le dita, «regga su un in realtà fragile equilibrio psichico, che qualche esperienza relazionale azzardata potrebbe mettere in discussione, smontandomi pezzo per pezzo e riducendomi ad un umano rottame singhiozzante.»

Light strofinò il mento tra pollice ed indice. «Teoria intrigante.» 

L tornò al gelato. «Peccato che io non funzioni così.»

«E come funzioni?»

Light fu tentato di baciarlo di nuovo. Non era un'esperienza così travolgente, anzi. Era fredda, algida ed anestetica, distaccata e superba come loro, e armonizzava le loro menti sulle linee dello stesso spartito. Avrebbe voluto anche tenere tra le mani il suo addome dilatato, come un vasaio che modelli un'anfora, accarezzarlo con gentilezza e sentire di possedere il suo baricentro, il suo equilibrio, il risultato della sua verginità sottratta, il controllo su di lui. Ma L tolse dalla bocca il cucchiaio e disse : «Da domani non mi troverai più qui. L'approssimarsi del termine mette a rischio la mia salute, che va tenuta monitorata. Watari ha già provveduto a individuare una clinica sicura dove trasferirmi.»

«Quindi come comunicheremo?» tentennò Light. 

«Ce ne preoccuperemo quando si porrà il problema» tagliò corto L, gli occhi sul gelato. Gli fece inarcare un sopracciglio.

«Il problema si porrà molto presto. Sei all'ottavo mese...»

«È probabile che io non sopravviva per vederlo.» Era impossibile stabilire se ora L guardasse il gelato o la tensione della stoffa della maglia sul ventre. 

Pausa. Light emise un verso scettico di disaccordo.

«Ma cosa dici. Il trasferimento è soltanto una precauzione. Tu stesso non fai altro che dire quanto sei forte...»

«La concorrenza di Kira è sleale.» 

«Nel frattempo, potresti tutelare la tua incredibile resistenza aggiungendo più verdure al tuo menù» suggerì Light. «A giudicare dagli ultimi esami del sangue che Watari mi ha mostrato, ti servirebbero.»

L fu infastidito da quella forma di controllo. 

«Non sempre quello che tu credi che sia bene per gli altri lo è effettivamente, Yagami. A volte sono solo dispotiche prese di posizione.» 

«Non sono dispotico, solo obiettivo.»

«Certo, come posso anche solo insinuare che la tua intelligenza sia soggettiva e limitata dal vincolo di un punti di vista personale. Mi rendo conto che sarebbe un'offesa.»

«Le verdure fanno bene, Ryuzaki. Non fare il furbo con me.» 

«Se non lo facessi sarei morto da un pezzo. Ma questa volta... non vorrei insinuare che ti ho anticipato, ma ti ho anticipato.» 

Light simulò una risatina divertita, camuffando l'allarme. Cosa poteva mai significare? «Ah sì? E come avresti fatto?»

«Rifletti, Light. Rifletti. So che ci potresti arrivare.» L ticchettò l'indice contro la propria tempia un paio di volte. Poi il suo volto si impietrì. «A proposito, so dello Shinigami. E proverò tutto. Te lo posso giurare.» 

Anche Light si irrigidì, poi l'espressione colta alla sprovvista mutò in rabbia. «Buon divertimento. Se ancora non ti fidi di me, probabilmente non lo farai mai.»

«Non l'ho mai fatto» disse L, mentre lui usciva dalla stanza. 

Il giorno successivo, prima di scrivere il suo nome sul Death Note disseppellito, Light finì di preparare le false prove su come L stesse segretamente indagando sul conto di Aizawa in quanto infiltrato complice di Kira, pronte per essere casualmente rinvenute. Tutti avrebbero trovato la spiegazione di quella morte nello spostamento verso la clinica, cioè che Kira o un suo complice avessero potuto scoprire il suo nome una volta che era uscito dal quartier generale, servendosi delle informazioni ottenute da Aizawa riguardo il trasferimento, come la data, l'ora e il luogo. E questo, insieme al pericolo che il loro bambino correva, avrebbe contribuito a dissipare qualsiasi sospetto nei confronti di Light. La sua speranza era che, dato lo stato di gravidanza avanzata, fosse possibile effettuare un intervento d'urgenza per salvarlo, un cesareo peri-mortem... Teneva però conto del fatto che non si poteva escludere che fatalmente morisse anche lui, e questa era un'eventualità che Light mal digeriva, ma non doveva fermarlo. 

Light sfiorò la pagina del Death Note con la punta della penna, quasi con sacralità, e disse addio alla sua nemesi. Sperava vivamente che il frutto del loro sporadico momento di comunione germogliasse florido anzichè perire soffocato in un corpo destinato alla morte. La sua mano tremava intorno alla penna. Quaranta secondi più tardi, ugualmente, il suo petto non potè fare a meno di sentirsi più leggero.

Il primo sospetto lo ebbe quando quella sera vide rientrare a casa suo padre con l'umore di sempre, stanco e poco loquace. Non aveva il permesso di rivelare nulla sulle indagini, ma non avrebbe mai saputo recitare così bene e trattenersi dal mostrare un panico tanto fragoroso. L'ipotesi fu che non gli fosse stato comunicato. Ma mentre i giorni passavano senza che Soichiro Yagami apparisse più sconfortato, Light dovette arrendersi all'evidenza. 

«Ryuk,» domandò accigliato, «ti sei dimenticato di dirmi che i gestanti non possono venire uccisi dal Death Note?» 

Lui ghignò. «Non è che me lo sia dimenticato, tu non me l'hai mica mai chiesto. Finora non mi pare ti sia mai servito saperlo. Il Death Note non sortisce effetto contro chiunque non abbia compiuto settecentottanta giorni di età, e la morte della persona indicata sul quaderno non può causare indirettamente la morte di altre persone. Incrociando queste regole, ne risulta che...»

«... ho reso L intoccabile, fino a che non partorisce» concluse Light, cupo. La prima reazione fu ribaltare l'intera scrivania urlando di frustrazione, poi riprese il controllo e si limitò a sorridere freddamente. Ryuk non gli badò.

«Sono così emozionato, Light. Io sarei una specie di padrino. Senza di me, non sarebbe mai nato» osservò con aria d'importanza.

«Devo agire in modo che la sua morte, anche se avvenuta dopo il parto, non appaia come opera mia» rimuginava il ragazzo, reggendosi la testa con una mano. 

«Quindi lo potremo andare a vedere? Gli porterei una mela beneaugurante» offrì lo Shinigami, giocherellando con un pomo prima di inghiottirlo.

«È quello che spero anch'io» mormorò Light.

 

*

 

L lo contattò dalla clinica una sola volta. 

«I piani di Kira sono cambiati» fu il suo saluto. 

«In base a cosa lo deduci?» sospirò Light, arreso ad affrontare quello come primo argomento.

«Sono quasi certo che prima prevedesse di uccidermi non appena si presentasse un'occasione che confondesse le acque, per esempio il mio trasferimento. Oh, sì, era sicuramente al corrente di quello» sottolineò L, da tutti gli schermi disposti vicini collegati ai computer del quartier generale, portando il pollice alla bocca. «Eppure adesso la strategia è diversa.»  

«Diversa in che senso?» si finse concentrato Light.

«Perchè non sono morto? Dovrei essere morto. Magari ha escagitato una maniera di liberarsi di me che possa avvantaggiarlo maggiormente» concluse L, dopo qualche istante di perplessità. Il suo risentimento per non riuscire a trovare il nesso era palpabile. «Preferirei quasi essere morto al non capire perchè non lo sono.» 

«Non dire sciocchezze, Ryuzaki. Come farebbe Kira ad ucciderti?»

«Come fai ad essere sicuro che Kira non possa uccidermi? L'unico che sarebbe stato ostacolato nel farlo se fosse Kira saresti stato proprio tu. Ma Kira non sei tu, come ripeti sempre.»

«Per l'appunto. I dottori ti costringono a dormire, ogni tanto?» si preoccupò Light. Le borse sotto gli occhi apparivano più scure del solito. L'inquadratura tagliava fuori la pancia, così non poteva sincerarsi se fosse aumentata ancora di volume. L gli rivolse un'occhiata tediata.

«Sì, per tua fortuna -e per fortuna di Kira» ironizzò. «Non era complicato finchè si trattava di indagare stando con un bambino dentro, ma bloccato a letto con la flebo è un altro discorso.»

«Presto sarai contento di aver fatto questo sacrificio» promise Light. Effettivamente, dal suo punto di vista qualcosa era cambiato, oltre che il suo piano, ed era la sua concezione del figlio in arrivo. Il fatto che avesse impedito ad L di morire, che si fosse attaccato alla vita con tanta pervicacia, che si fosse fatto beffe dei poteri soprannaturali del quaderno già da subito, lo aveva indotto a pensare che il suo ruolo dovesse essere speciale, sempre altrettanto cardinale come in quell'occasione. Il governo del mondo che Light stava creando avrebbe avuto bisogno di un successore, no? Non avrebbe mai dovuto avere fine. E questo sarebbe stato reso possibile grazie all'esistenza del bambino. C'era una sorta di ironia dietro tutto questo: la creatura che avevano generato insieme affinchè il piano di L avesse successo era in realtà il completamento ideale del piano di Light. Il modo stesso in cui la docile biologia del suo corpo si era subito piegata a quel concepimento, il modo in cui arrendevolmente si era lasciato prendere e rapidamente era rimasto gravido, dimostrava quanto fosse giusto e necessario. Light si rammaricava del fatto che L non avrebbe mai compreso a fondo l'onore che gli veniva recato, nel far sì che suo figlio sarebbe stato l'erede di una così mirabile opera come un mondo purificato. Di più: suo figlio sarebbe stato un dio a sua volta, il meglio che potesse capitare all'intera umanità, nato per il beneficio dell'umanità stessa. Un piccolo dio per ora limitato ad un nido di sangue umano, in cui Light aveva avuto il diritto di impiantare radici a suo piacimento, consacrandolo, però tra poco libero di crescere sotto il più opportuno influsso per la sua natura. Ma in fondo la cosa più importante non era che L capisse, era che continuasse a comportarsi bene come aveva fatto finora, preservando l'erede dentro di sè per il tempo che occorreva e compiendo il suo più alto dovere, di strumento per il bene superiore. 

«Ciò non toglie che io abbia fatto progressi» annunciò L, sondando le sue reazioni senza avidità. 

«Mi fa piacere» proferì Light educatamente. Non era spaventato. 

«Questo fantomatico nuovo piano, pur probabilmente penalizzandomi in qualche modo brillante che non ho ancora colto,» e lo disse con pungente sarcasmo, «mi ha concesso qualcosa di prezioso in cui speravo fin dall'inizio, e cioè del tempo.» 

«Che tu sfrutti tutto nello stress e nel lavoro» gli fece notare Light, a mo' di rimprovero. Lui annuì. 

«Purtroppo per te -e purtroppo per Kira.»

 

*

 

«Quindi aggiungendo un secondo generatore, si potrebbe accelerare il funzionamento?» propose Mello, il mento poggiato su un pugno, muovendo l'indice in senso orario sopra il foglio millimetrato su cui lui e Matt stavano disegnando, contendendosi un mozzicone di grafite consumato. Matt oscillò con il capo, poco persuaso.

«Credo dipenda da dove viene messo.»

«Lo mettiamo qui, e sarebbe un buon 700 in più» annuì Mello, toccando con il dito. Anche lo sguardo di Matt si appuntò lì.

«720, all'incirca, sì» confermò annoiato. «Ma si può risparmiare più spazio, secondo me. Un doppio circuito è ingombrante...»

Quando udirono tre colpetti decisi di nocche che bussavano alla porta della stanza, Mello si affrettò a spegnere la sigaretta che aveva arrotolato mezz'ora prima sulla struttura di ferro del letto e a infilarla sotto il materasso. 

«Se ne accorgerà, puzza da morire qui dentro» gli fece notare Matt. Mello roteò gli occhi.

«Oh, al diavolo, continueremo a lavorarci in punizione.»

«Mello, posso entrare?» chiese la voce di Roger.

«Sì, prego.»

L'uomo aveva un volto estremamente serio. Non fece un solo passo oltre la soglia, e nemmeno un commento sull'odore di fumo di cui l'aria era rappresa, nonostante la finestra aperta. Disse soltanto: «Da oggi avremo un ospite, che ti convoca ad una riunione per stasera, subito dopo cena, nell'ufficio di Watari.»

Mello s'irrigidì, ma dissimulò. La mano che era rimasta sulla sua gamba affondò con le unghie nella stoffa dei pantaloni. 

«Va bene» dichiarò lentamente. 

«Sii puntuale.» Roger sapeva che non c'era bisogno di aggiungerlo. Distolse lo sguardo, salutò lui e Matt e richiuse la porta. 

I due ragazzini non commentarono nemmeno tra loro, quando se ne fu andato. Mello disse soltanto «ti racconterò tutto», e Matt rispose «forse è meglio di no.»

Mello arrivò puntuale. Era nervoso, ma esprimeva la tensione convertendola in grinta. L'adrenalina sostituiva l'ansia. Aveva un cipiglio quasi bellicoso quando bussò a sua volta all'ufficio di Watari, e una voce maschile che riconobbe non appena la sentì replicò: «avanti.»

Mello non mancò di notare che Near era già seduto contro la parete di fronte, e ciò gli fece digrignare i denti, ma non fu una sorpresa così amara: aveva potuto immaginarlo. Fu chi vide dopo che lo sconcertò, su un divano apparso nell'ufficio da un giorno all'altro. L era un ragazzo scompigliato, quasi sciatto, con una zazzera incolta di capelli scuri ed occhi molto grandi, con una fissità così vitrea da poter segnalare solo genialità o idiozia. Era sdraiato in maniera apparentemente scomodissima, supino ma con i talloni puntati sul cuscino, e quindi le ginocchia piegate e le dita dei piedi sollevate. Ma la cosa più evidente era un'altra, cioè la turgida protuberanza globiforme che lui si premurava di ergere più in alto possibile, per chissà quale dolore alle anche.

Mello non riuscì a trannersi. Per un attimo pensò che potesse non essere lui. Ma se non lui, chi?

«Ma... sei...» farfugliò, inebetito.

«Siediti pure dove preferisci, e prendi una caramella» ordinò L.

Mello ammutolì, cercando di dominarsi, e obbedì. Dopo una rapida selezione, ne scelse dalla scodella di ceramica al centro del tavolino da salotto -comparso, insieme al divano, per l'occasione- una al limone, e sedette su una sedia per gli ospiti. Poi lo guardò, attendendo.

«Roger dice di avervi tenuti informati sugli sviluppi del caso Kira, come avevo richiesto» esordì L. Near non reagì, e Mello fece cenno di sì per entrambi.

«Allora è stato poco esaustivo, se non ha accennato al fatto che sono irrimediabilmente, incontestabilmente incinto» ribattè il detective. 

«Ha a che fare con il caso Kira?» si sbalordì Mello, suo malgrado intrigato.

«Ha a che fare soltanto con il caso Kira» puntualizzò L. «Ora, ascoltate, perchè non mi ripeterò nemmeno una volta. Il quaderno è provvisto, come spero vi sia stato detto, di regole scritte dietro la copertina che illustrano alcuni molto limitati aspetti del suo funzionamento. Dico molto limitati perchè il quaderno deve essere necessariamente sottoposto ad altre regole, oltre quelle riportate. Per esempio, quella che determina che è possibile scrivere anche su un frammento di pagina di quaderno senza perderne l'effetto letale, che abbiamo constatato esista pur non essendo dichiaramente espressa. Una legislazione che determini ogni peculiarità di questo oggetto, che descriva cosa accada in ogni circostanza deve esistere conseguentemente all'esistenza stessa del quaderno, indipendentemente dalla trascrittura, di cui non è chiara la finalità. E i detentori di questa conoscenza totale, a mio avviso, sono gli Shinigami, a loro volta esseri capaci di cose per noi inimmaginabili, come lo scambio degli occhi che sentimmo invocare da Higuchi. Per cui, non posso che dedurre che la mia sopravvivenza sino ad ora sia dovuta ad un'imposizione di uno Shinigami, perchè contravvenzione ad una regola del quaderno, o della natura dei patti tra umani e dei della morte, o altre ragioni meno razionalizzabili, nonostante si tratti di congetture a sostegno delle quali non ho prove. Il sospettato principale ha sempre avuto uno o più Shinigami dalla sua parte. Ciò gli ha offerto opportunità d'azioni che altrimenti gli sarebbero state impossibili. Per esempio, sapere il mio nome.» 

«Kira sa il tuo nome?» lo interruppe Mello, inorridito. 

«E l'unico motivo per cui non sono morto, tornando al discorso di prima e delle leggi non scritte del quaderno, dev'essere la gestazione in corso» completò L, portando alla bocca un cioccolatino retto tra due dita a pinzetta. «Dopotutto, la morte di una persona designata non può causare altre morti. Non è così folle come teoria.»

Mello realizzò con spavento crescente. «Stai dicendo che quando il tuo bambino sarà nato morirai?» 

Near, dal canto suo, non mostrava nessun segno di stupore e allarme e si limitava a osservarlo con intensità, intuendo che l'acme della conversazione non fosse ancora stato raggiunto. 

«Sto dicendo che posso fare qualcosa, e che gradirei che voi partecipaste» riassunse L, prendendo un altro cioccolatino. «In questo momento siamo ripresi da telecamere in diverse angolazioni, come avrete notato. Tutto ciò serve a testimoniare ciò che avverrà in questa stanza.»

«Di cosa si tratta, L?» lo esortò Mello, euforico e terrorizzato. 

La voce di L era bassa e cupa. «Di un crimine. Stiamo agendo esplicitamente e consapevolmente contro la legge, e non lo faremmo se una causa di forza maggiore non lo imponesse, visto il poco tempo e l'evidente svantaggio della nostra posizione. Non voglio onestamente scrutare nel profondo di me stesso e indagare su quanto l'attaccamento al feto e l'istinto di proteggerlo abbiano condizionato l'assenso che ho dato a questa decisione, e se invece in un'altra situazione avrei agito integerrimamente e con maggiore temperanza. Ma queste sono riflessioni inconcludenti. L'unica certezza che posso condividere con voi senza esitare è che pur sgarrando non perderemo di vista il bene superiore che ci proponiamo di tutelare sempre. Siete ancora d'accordo ad assistere a ciò che farò?»

«Sì» mormorò Mello a mezza voce. 

«Sì» pronunciò Near, limpido, nel timbro una determinazione molto più ferrea che nella neutralità della sua espressione.

«Molto bene» approvò L. Un braccio, incredibilmente magro a confronto con il ventre imponente, scivolò dietro al divano ed estrasse una ventriquattr'ore di pelle nera, molto semplice. Fece scattare la serratura e ne estrasse il contenuto con un gesto distratto. Mello ansimò. Le pupille di Near si dilatarono. Non serviva averlo già visto prima per riconoscerlo. Era il Death Note. 

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell'Autrice: Buonasera! Due momenti importanti: il fallimento della mossa di Light e l'introduzione di Mello e Near. Quale ruolo giocheranno? Cosa vorrà fare L?

Ma soprattutto: sarà un bambino o una bambina? XD Queste sono le cose veramente importanti, me ne rendo conto.

Grazie per aver letto e sarei molto contenta di sapere cosa ne pensate!

Lucy

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Capitolo 5
*** 2 maggio 2005; 8 maggio 2005 ***


 

V.

 

Light lo capì da solo. Dopo la tensione che si respirava in casa da giorni, suo padre si era svegliato ed era uscito nel cuore della notte, in tutta fretta. Light non attese il mattino. Si precipitò al quartier generale, senza tollerare che alcuno gli bloccasse la strada. Quando raggiunse la sala di controllo, vi trovò Soichiro Yagami commosso.

«Congratulazioni, Light» gli augurò, con voce impastata e occhi che brillavano. Non lo aveva mai visto così.

«È nato? Già nato?» esclamò Light, euforico. 

«Sì.»

«È un maschio?» lo esortò a parlare, scuotendolo per le spalle per l'emozione. Ma suo padre abbassò il capo, senza rispondere, assalito da una sorta di senso di colpa. Light lo scosse ancora.

«Cosa? Perchè non me lo dici? C'è qualcosa che non va?» 

«Sono stato io a chiedergli di non dirti niente. Non prendertela con lui» irruppe una voce. Gli schermi si accesero all'unisono. Il volto di L lo fissava, tacito e serio. La pelle sembrava essersi bagnata e appiccicata alle ossa del volto e del collo. Gli occhi bulbosi erano più sporgenti del solito, e un po' arrossati. Le fatiche del parto dovevano averlo trivellato senza sconti, lasciandone la coscienza segnata e aggravata da una nuova consapevolezza, come avviene durante il rituale d'iniziazione alla maternità.

«Ryuzaki? Ma che significa?» rimase disorientato Light.

«Visto che ho le mie buone ragioni per credere che tu sia Kira, le informazioni riguardo il bambino sono riservate» fu la lapidaria risposta. Light spalancò gli occhi, indignato dall'ingiuria.

«Stai scherzando? Tu avevi le tue buone ragioni. Non le hai più. Ora hai solo pregiudizi e capricci da immaturo che non vuole ammettere di aver commesso un errore.»

Lo sguardo di L si fece ancora più vacuo, come una macchia d'inchiostro in espansione. «Ma io ne ho di nuove, di ragioni.» 

«E quali sarebbero?!» esplose Light, improvvisando sbalordimento. 

«Anche questo è riservato, ma lo saprai a breve, non temere.» L non parve interessato a decrittare il suo comportamento, anzi, sembrava più desideroso di finirla il più velocemente possibile. 

«L'unica cosa che voglio sapere è come si chiama mio figlio» sentenziò Light, rivolgendogli una smorfia affranta da sotto in su, le mani strette a pugno. 

«Non si può fare» dichiarò apertamente L, assestandosi meglio sulle ginocchia, «anzi, d'ora in poi ci riferiremo a lui o lei come X.»

Light scosse la testa, lentamente, basito, poi sbattè i pugni sulla scrivania davanti a sè. «Ti stai prendendo gioco di me? Ti sembra divertente?»

L non perse per nulla la calma. «Potrei farti la stessa domanda. La tua è malvagità gratuita, la mia no. Chi mi dice che non proverai a ricattarmi minacciando di uccidere X?» 

«Sono suo padre. È un mio diritto. Non decidi tutto tu» sbraitò Light. Recitare come se fosse uscito di senno aveva un effetto liberatorio.

«Vero» assentì L pigramente, «ecco perchè sto prendendo i provvedimenti legali necessari.»

«Come?»

«Hai sentito bene. Ritengo di aver raccolto prove sufficienti per rivolgerti di nuovo i precedenti capi d'accusa e sottrarti il diritto di paternità» recitò L, annoiato. 

Light alzò le braccia in alto, verso gli schermi. «Puoi accusarmi di tutto quello che vuoi, tanto sono innocente. La verità verrà a galla. Quello che mi importa... Ryuzaki, L, io ti imploro... Il sesso. Solo questo.» Unì i palmi delle mani. «Se è un maschietto o una femminuccia. Ti prego.» 

L serrò gli occhi in due fessure. «Non cercare di farmi passare per il cattivo della situazione. Un criminale pluriomicida non merita di partecipare alla vita dei suoi figli come tutta la brava gente.» 

«Io non sono un criminale!» Udire la sua voce infrangersi su quelle parole ebbe il medesimo effetto catartico. 

«E allora che cosa sei?» soffiò L, adirato. Il loro contatto visivo, nonostante il filtro, ardeva dolorosamente. 

«Disperato» compitarono le labbra di Light, quelle che un tempo diminuivano le sue capacità intellettive del 5%. Si scrutarono un'ultima volta, aridi e desolati come deserti disseminati di orme. 

«Non hai tutti i torti. Ma te ne renderai conto troppo tardi» vaticinò L. 

«Tardi rispetto a cosa?» sputò Light, gelido. 

Il detective non rispose. La severità non abbandonò i suoi lineamenti.  

Tardi rispetto a cosa? pensò Light. Quando tempo credi di avere, esattamente, L? Sulla pagina del Death Note era già stato scritto il suo nome, accompagnato da muore nell'arco di quarantotto ore per un'emorragia interna difficilmente rilevabile, distruggendo tutte le prove sull'identità di Kira che ha a disposizione. 

«È una femmina, Yagami» pronunciò L, prima di spegnere la connessione. 

 

*

 

Near non sognava quasi mai. Se lo faceva, si trattava perlopiù di vaporose e sfuggenti creature di cui riusciva ad intuire solo profili indistinti, tremolanti fra bagliori di luce soprannaturale. La sua mente rielaborava il passato e il presente senza turbarlo troppo. Invece questa volta fu diverso, perchè sognò il futuro. La scena era stata sorprendentemente timida. Un corridoio assolato e deserto, quello della Wammy's House, e un uomo che lo percorreva. Nel sogno, il corridoio appariva molto più lungo di quanto fosse in realtà. Lo si sarebbe quasi potuto definire esasperantemente interminabile. L'unico suono erano i passi dell'uomo contro le piastrelle lucide. Era di spalle, e aveva una certa fretta. Era sempre più vicino al traguardo, ma per qualche motivo mancava sempre un po', sempre un po'. Da una porta laterale Mello compariva, in piedi in fondo al corridoio, mentre Yagami proseguiva ad avanzare in direzione dell'uscita, senza dare segno di essersi accorto della sua presenza. Sempre più vicino. Mello alzava il braccio. Nella sua mano, artigliata come una grinfia incancrenita, c'era una pistola. Near non aveva creduto finora di esserci lui stesso, ma c'era. Era ai piedi di Mello e aveva eretto una torre di dadi. Ne mancava solo uno, ma Near non ci faceva più caso. La sua mano scattava ad afferrare la caviglia di Mello, in un gesto precipitoso quanto poco efficace. Il movimento brusco causava il crollo della torre di dadi. E subito dopo, uno sparo bucava l'aria.

Roger entrò in camera sua in silenzio, senza nemmeno salutare. I soliti panciotti rossi e marroni erano stati sostituiti da un completo nero. Aveva il volto di chi non ha dormito più di tre ore in una settimana. Non disse nulla, e aspettò che fosse Near a trovare la soluzione per lui. La vecchiaia e il tempo da cui lo conosceva glie lo concedevano.

«Quanti anni avevamo quando abbiamo sentito per la prima volta la storia del nodo gordiano?» chiese Near, giocherellando con degli aliossi, piccole croci di metalli simili ad asterischi tridimensionali. 

«Undici, credo.»

«È un aneddoto che mi è sempre piaciuto. Mello, nei confronti del nostro caso, assumerebbe una posizione che è più o meno la stessa di Alessandro Magno.» 

Roger osservò gli aliossi rincorrersi sul tappeto, con un misto di incomprensione e tristezza. «Intedi dire che non sarebbe in grado di sciogliere il nodo?»

«No. Intendo dire che Mello non perderebbe tempo a sciogliere un nodo che può tagliare. Soprattutto quando stabilisce un legame emotivo.» 

«A volte il tempo può essere un fattore decisivo» obiettò Roger.

«Lo capisco, ma non è così che si gioca.» Near ritirò il dado. «E lui non deve passare il resto della sua vita in prigione perchè X è nata dalle persone sbagliate.» Discese una pausa. Entrambi sapevano, ma sapere non serviva a niente. 

«Riusciresti a fermarlo?» mormorò Roger.

Near pensò all'uomo che cercava di raggiungere la fine del corridoio. Nelle sue orecchie ruggiva ancora il rumore del torrente di dadi che scrosciava sul pavimento.

«La vera domanda è se lui si lascerebbe fermare da me.»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell'Autrice: Siamo agli sgoccioli! Il prossimo capitolo sarà l'ultimo, e deciderò poi se aggiungere o meno un epilogo/flash-future. Fatemi sapere cosa credete che succederà o cosa ne pensate!

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Capitolo 6
*** 15 maggio 2005 ***


VI.

 

Una settimana più tardi, Light partì per l'Inghilterra. Il tempo durante l'atterraggio era bellissimo, un sole mite e fresco. Indosso portava un cappotto leggero ma elegante, un trench stretto in vita. Sembrava un uomo d'affari. La sua espressione era alquanto indecifrabile.

La Wammy's House era un edificio distinto, dalle linee semplici e pulite. Pur ospitando bambini, il cortile curato con perizia e l'atrio di granito screziato erano dominati da un silenzio rigoroso. I passi di Light echeggiarono nitidi come sassi nell'acqua. Dovette attraversare un lungo corridoio costeggiato di porte di aule, dietro le quali proveniva il sommesso brusio della voce dei maestri. 

Durante il viaggio in aereo aveva visto il video che L aveva registrato per lui prima di morire. Presumibilmente ne aveva girato uno per ogni scenario diverso. Quello forse si intitolava "nel caso in cui io muoia senza nemmeno più le pratiche per incriminare Kira".

"Vorrei che tu sapessi che, qualsiasi cosa tu abbia escogitato per la mia morte, ci sono degli elementi che non puoi controllare. Per esempio un semplice esperimento empirico praticato di fronte a dei miei collaboratori. Di nascosto -e di sicuro contro il volere- del governo, ho bruciato il Death Note in possesso della polizia. Capisci cosa comporta? Non soltanto la riprova che l'attendibilità delle regole scritte lì è dubbia, ma il semplice dato di fatto che tu non lo potrai più usare per fare del male a nessuno. Ne hai un altro, certo. E per neutralizzarti anche da quel punto di vista, avrò bisogno di aiuto. Ma non ci sarà mai più un secondo Kira." L aveva fatto una pausa, fissando vitreo l'obiettivo. "Se credi che i sospetti contro di te si siano estinti, ti sbagli di grosso. Ora rispondi nel tuo intimo a questa domanda, a cosa ha portato tutto questo se non a rendere orfana nostra figlia e spezzare vite. Avremmo potuto essere qualcosa di grande, insieme. Non ti nascondo che il periodo in cui avevi abbandonato il ruolo di Kira e non ne avevi più ricordo è stato uno dei più lieti che ho trascorso. Però non posso ringraziarti. Quando arriverai a destinazione, ripensa a quello che stai facendo e fai la scelta migliore. Watari non vede l'ora di potersene occupare personalmente. L'istruzione che la mia casa offre è la migliore possibile e tutti la amano già. Magari un tempo avresti potuto essere un bravo genitore, ma ora come ora rovineresti tutto. Perchè in fondo io ancora credo che tu lo sappia, dentro di te. Fallo per lei." 

Light aveva sorriso sereno, al termine della riproduzione. Possiamo ancora esserlo, qualcosa di grande insieme aveva pensato. Sta a vedere, Ryuzaki.

Lo studio di Watari era incredibilmente maestoso. Lui lo sogguardava con disprezzo da dietro le lenti degli occhiali.

«Una puntualità perfetta» borbottò.
«Capirà che non potevo aspettare un minuto di più» flautò Light. Fece un passo in avanti, verso di lui. Premuto contro il suo panciotto c'era un fagotto di flanella color lavanda, una copertina avvolgente con il cappuccio pieghettato e due lembi che si univano davanti, nascondendo alla vista il contenuto. Light si sporse, senza tradire alcuna perentorietà, con la calma assicuratagli dal potere. Il labbro inferiore di Watari ebbe un singulto. Il buonsenso gli suggeriva di stringerla con più forza e cacciare quell'uomo fuori da lì. Tollerare anche questo, dopo un dolore così immane, era difficilissimo. Poi ricordò Mello e Near, e le parole che erano state pronunciate. Non piangere, Watari. Non sarà per molto. Recupereremo X presto. Così allentò la presa e permise che il bozzolo gli fosse sottratto, con la morte nel cuore. Nel frattempo, Mello e Near sedevano in corridoio.
«Sei molto silenzioso oggi» osservò l'albino, senza guardarlo, chino su una reticella piena di biglie. Mello lasciò scendere una pausa, allungando sornionamente una gamba sul pavimento.

«Credi che io non sia in grado di sorprenderti, Near?» domandò serafico.

«Al contrario. Lo stai facendo» ribattè Near. «Watari ha informato entrambi che L morendo ha cancellato completamente dal sistema ogni traccia del video della distruzione del quaderno.» 

Mello scoppiò a ridere. Sembrava veramente, genuinamente esilarato. Infilò due dita in tasca e ne estrasse una chiavetta.

«Ma con chi credete di avere a che fare?» La sua risata riempì il corridoio, un suono irto e selvaggio di sollievo. 

Non appena ebbe la neonata tra le braccia, il volto di Light si sciolse in un'espressione di giubilo. Ammirò senza fiato la miniatura soffice dei suoi lineamenti, il vivace tono paonazzo della sua pelle, il fioco tepore naturale che emanava. Poi cominciò a cullarla con piccoli balzelli, affascinato. «Aimi, piccola Aimi. Papà è qui. Papà è qui» ripetè, ipnotico e ipnotizzato, vegliando la fragile sonnolenza della dea del nuovo mondo che stava per nascere, poco dopo di lei. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell'Autrice: Ultimo capitolo. Questa è la fine delle vicende in senso lineare. Come preannunciato, ci sarà un epilogo, flash forward per mostrarvi uno scorcio del futuro.

Se tutto ciò vi è piaciuto, o se non vi ha convinto per niente, fatemelo comunque sapere! Ci tengo! Grazie per aver letto,

Lucy

 

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Capitolo 7
*** 28 settembre 2011 ***


 

Epilogo.

 

 

 

 

Arrivarono a Winchester in treno. Il viaggio in Inghilterra, lungo e faticoso, aveva offerto l'occasione di una settimana a Londra. Misa ci era già stata diverse volte in passato, per qualche tappa dei tour, ma non le era mai parsa così bella come in questo autunno, con le foglie rosse che si squagliavano a pelo delle acque del Tamigi come tracce di piccoli, efferati delitti, e le cupole variopinte degli ombrelli aperti, come scudi opposti contro la bruma di umidità che galleggiava intorno a un sole imbrinato. Le vetrine dei negozi scaldavano già i volti e le mani potevano ancora stare fuori dalle tasche senza i guanti. Misa aveva comprato fish and chips a Covent Garden e si era appesa alle sbarre del cancello che circondava Buckingham Palace. Ma in quel momento era su un sedile del treno diretto a Winchester, ed era molto triste.

«Oh, Light,» diceva, «vorrei che fosse solo un incubo.» Nel dirlo, carezzava con mogia, tenace dolcezza la cute tiepida di una bambina addormentata con il capo sul suo grembo, con indosso i vestiti nuovi comprati a Londra, una gonnellina di taffettà a quadri e una maglietta con il muso di un orso. La stringeva con le braccia curve, a mo' di culla, con aria protettiva e un po' impostata, come una bambola dal busto di ceramica.

Light non rispondeva. La mite, ilare serenità che il suo volto aveva irradiato negli ultimi giorni era completamente spenta. Teneva le gambe dai calzoni di velluto beige accavallate rigidamente e fissava oltre il finestrino. Misa, imbambolata dal dolore, si teneva occupata a dividere in ciocche lisciate i capelli della bambina, fili neri e scintillanti, morbidi come piume ancora immature. Continuò a farlo finchè il treno arrivò a destinazione. A quel punto, Light le disse che non poteva accompagnarli fino alla loro ultima destinazione, perchè sarebbe stato troppo duro per lei. Misa scoppiò in lacrime, smarrita come una radice espiantata dalla terra, singhiozzando con l'intero volto, l'intero corpo. Era da tempo che non piangeva così.

«Devo andare, o la sveglierai» disse Light, atono.

«Mi mancherai tanto» bisbigliò Misa, con voce strozzata. «Mi mancherai tanto...»

Avrebbe voluto rincorrerlo mentre si allontanava, ma la paura la inchiodò dov'era. 

Il cancello era già socchiuso quando Light vi arrivò per la seconda volta nella sua vita. Il giardino era gradevole come lo ricordava, ma aranciato dalla stagione, e gli alberi si stavano spogliando. Vi passò oltre, inquietato. La porta d'ingresso invece era chiusa. Afferrò il battente con la mano libera. Avrebbe voluto che non fosse posseduta da quel tremito interno, che gorgogliava dal centro delle vene. Dovette aspettare una trentina di secondi prima che gli venisse aperto. Roger lo fissò, rattristato e stanco. Senza dire una parola, si fece da parte e lo scortò attraverso il corridoio che ricordava. 

Nell'ufficio di Watari, Mello lo sogguardava con il mento in alto, come una statua di sale. Solo le narici si muovevano impercettibilmente. Light non l'aveva mai incontrato di persona, pur avendolo nominato parecchio.

«Non credi di averci già insultati abbastanza? Dovevi anche mettere alla prova la nostra pazienza facendoti vedere qui?» sibilò rabbioso.

«Sono qui per stringere un accordo civilmente» proferì Light, ponderando ogni parola, autoritario ma pacato. 

«Mi sembra ironico sentirti parlare di civiltà, dopo tutto quello che hai fatto.»

«Sarebbe un discorso troppo lungo e complicato per affrontarlo ora.»

«E perchè venire da noi se non per un discorso lungo e complicato?»

«Si tratta del processo. Vorrei che ritiraste l'accusa contro di me, e in cambio ritirerò la mia nei confronti dell'intero istituto» illustrò Light, conciso. 

Mello lo squadrò, disgustato. «Davvero troppa strada per una stronzata del genere.»

L'accusa della Wammy's House nei confronti di Light Yagami era di essere Kira, e a sostegno di ciò, con in mano il video della distruzione del Death Note, pretendeva che le regole del quaderno messe in dubbio da L fossero ancora sperimentate con il permesso del governo. L'accusa di Light verso la Wammy's House era di favoreggiamento e complicità di reato nei confronti di L, colui che egli aveva indicato essere il vero assassino che aveva agito sotto lo pseudonimo di Kira. 

«Se lo farete -smettendo di mettere a repentaglio la mia carriera e in pericolo la mia vita, visto che le vostre insinuazioni hanno attirato su di me le ritorsioni dei parenti delle vittime di Kira o di chi si oppone con la violenza ai suoi ideali- vi darò in cambio qualcosa che desiderate» promise Light.

«E cosa sarebbe?» sputò Mello, scettico. 

«Tutto quello che ho.» Pronunciate quelle parole, sincere e desolate, Light svolse ciò che portava appeso al petto, un grande sacco da trekking, con la lampo slacciata, che sosteneva con un braccio. Svolgendo una coperta di cotone, scoprì un pochino la testa della bambina sul treno. I suoi tratti erano un incontro di quelli orientali e quelli occidentali, e il risultato era un delicato equilibrio di occhi lievemente allungati ma grandi, gonfi come acini d'uva sotto le palpebre azzurrine, un incarnato dai riverberi dorati ed espressive sopracciglia che si muovevano spesso.

Mello rimase di stucco. Automaticamente, abbandonò la sua posizione sullo scranno dietro la scrivania e la aggirò per avvicinarsi. Sembrava conteso tra il giubilo, l'impossibilità di realizzare e uno struggimento derivato dall'idea che non avrebbe potuto rifiutargli nulla.

«Come ho già detto, si sono verificati tentativi di attentare alle nostre vite. Tengono d'occhio la casa e i nostri spostamenti. La situazione sta degenerando. Senza contare il fatto che nei luoghi pubblici, a scuola, nell'intrattenere rapporti sociali, il suo essere additata come la figlia di Kira le causa non pochi problemi. Sono giunto alla conclusione che per ora non posso più tenerla con me» spiegò Light. Il tono era monocorde, ma lo sguardo era scavato dal tormento. 

Mello s'indispettì. «Non venirmela a raccontare. Stai vendendo tua figlia in cambio del nostro silenzio. Non mi aspettavo niente di meno da te.» 

Light non si infuriò: al contrario, sorrise pieno di amarezza. «Come si vede che non hai figli. Non pretendo affatto la tua comprensione. So soltanto che qui sarà al sicuro. Siete le uniche persone oltre alla mia famiglia che non trarrebbero nessun vantaggio nel farle del male.» 

«L'unica persona che le ha fatto del male sei tu, Yagami» mormorò Mello. Pensò a come Light avesse ritorto il video della distruzione del quaderno, a suo dire falso, come prova del fatto che L aveva sempre cercato di incastrarlo, fin dall'inizio, impuntandosi sul fatto che il colpevole fosse lui, mentre in realtà Kira sarebbe stato L per tutto il tempo, presentatosi in veste di detective per avere un alibi di ferro. Pensò a come Light avesse infangato il nome della persona che in quell'istituto tutti più rispettavano, e che tanto bene aveva fatto per il mondo. 

Dal canto suo, Light si era reso conto di quanto odiasse l'idea di esporre Aimi ai rischi di una vita così pericolosa come quella di Kira. E aveva capito che non avrebbe mai potuto imporglielo, impartirglielo quando la sua mente era malleabile. Una volta raggiunta l'età della ragione, le avrebbe offerto l'opportunità di scegliere. Non sarebbe stata degradata ad un soldatino indottrinato. Avrebbe seguito il proprio ideale etico come le sembrava giusto. Doveva essere lei a decidere se diventare l'erede. L'amore che provava per lei superava qualsiasi ambizione di rendere eterno il suo potere. E poi anche lui pensò a L. Alla sua ultima volontà. Che un po' fosse stato influenzato anche da questo? L pensava che sarebbe stata la scelta migliore. 

«Qua riceverà un'educazione adeguata alla sua intelligenza» aggiunse Light, rammentando le sue parole. «Sarebbe un peccato privarla di sviluppare appieno il suo potenziale.» 

Mello serrò gli occhi in due fessure. «E se mi chiederà dov'è suo padre, cosa le dovrei dire?»

«La verità. Che la amo sopra ogni altra cosa e che tornerò a prenderla quando tutto sarà risolto.» Light contemplò una delle sue piccole guance, come se sapesse che sfiorandola l'avrebbe ridotta in polvere. «Non posso rischiare che si svegli... È molto sensibile, e molto dolce. Se mi guardasse negli occhi, non riuscirei a lasciarla qui.» 

Mello non disse niente. Aprì semplicemente le braccia. Light, dopo qualche istante di esitazione, sfilò la bambina dal sacco e la lasciò, con un movimento lento e cauto, fra le mani di un altro uomo. Si sentì come se gli stesse cedendo il suo respiro e la sua intera dignità. Mello esaminò il carico tra le sue braccia. Esalava un sottile profumo di fragrante estate, quello di quando ci si espone per lungo tempo al sole, come se la sua pelle ne avesse assorbito il calore e lo conservasse come un'impronta. 

«Non le racconteremo un'infamia del tipo che L era Kira, lo sai, vero?» domandò aspramente, senza distogliere lo sguardo da lei.

«Lo so, e non mi interessa. Raccontatele quello che volete, ma proteggetela a costo della vita» ordinò Light. Pensò a quando L gli aveva chiesto cosa fosse, e lui avesse risposto "disperato". Gli sembrò che fosse passato un secondo. Gli sembrò che fosse legittimo che ad Aimi fosse data la possibilità di non disprezzare L. Si chinò e baciò la tempia scoperta di sua figlia. Il rumore cadenzato del suo respiro era quello della carta di riso della parete shoji che fruscia, di uno spiffero d'aria in un'ampolla di vetro. Trattenne il suo odore un'ultima volta, poi mosse le labbra, senza far rumore, e disse ti voglio bene.

«Ditele quello che volete, ma non lasciate nemmeno per un istante che creda che io non le voglio bene» specificò poi ad alta voce, rivolto a Mello, che non reagì. Se ne andò senza aggiungere altro, come un fantasma, senza pace e senza più scopo, libero della sua ultima debolezza. 

Mello rimase solo nella stanza. Ci sarebbe stato, d'un tratto, molto tempo per molte cose. Sarebbe andato da Near e gli avrebbe fatto il resoconto della visita. Avrebbero deciso, insieme -come Roger pretendeva che facessero qualsiasi cosa- cosa sarebbe stato più appropriato fare. Watari sarebbero stato pazzo di gioia. Le avrebbero fatto qualche domanda per capire come stesse. Ma prima di tutto questo, in quei pochi minuti prima di tutto, era soltanto sua. Mosse goffamente le braccia, pur rendendosi conto che ormai era un po' troppo grandicella per essere cullata.

«Sapevo che saresti tornata» le confessò. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell'Autrice: e con questo siamo giunti al termine! Ringrazio chi ha recensito, chi ha messo la storia in seguite, ricordate e preferite e chi ha letto. 

Lucy

 

 

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