Il silenzio della Cripta

di GothicGaia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima Parte ***
Capitolo 2: *** Seconda Parte ***
Capitolo 3: *** Terza Parte ***



Capitolo 1
*** Prima Parte ***


NOTA Il racconto è stato diviso in tre parti, poiché era molto lungo. Scommetto che ci sono già più di diecimila racconti di vampiri che avete già letto e riletto, e non lo avrei mai pensato di pubblicare se non fosse stato che il racconto lo avevo già scritto. E quindi visto che si trovava a far polvere virtuale nella mia cartella di world, ho pesato che poteva essere una buona idea fargli dare un occhiata.
Avverto che potrebbe essere un po’ violento, e anche se ho messo il Riting Arancione ancora mi chiedo se ho fatto bene, poiché lo ho calcolato in base al fatto che io non mi impressiono facilmente. Perciò se ritenete che sia troppo eccessivo fatemelo sapere e lo sposterò nel Riting Rosso.
Ringraziamenti Occupo un piccolo angolino per ringraziare i miei primi recensori, tra cui: Sagas, Old Fashioned, e Trix_ che è stata così gentile da segnalarmi alcuni piccoli ma bruttissimi errori, che ho corretto come meglio potevo, sperando di rendere la vostra lettura più gradevole.
 
PRIMA PARTE
Il silenzio venne interrotto dallo squittio di un topolino, che correva lungo le pareti, avvolto dalla semioscurità della cella sotterranea in cui si muoveva, consapevole che quella fosse casa sua. Lì tra quelle pareti di pietra grigia, ricoperte di muffa e terra polverosa, il silenzio regnava perenne e raramente qualcuno, o qualcosa, lo spezzava. Un tempo quel luogo, era una cripta occupata dalle ossa dei morti, che giacevano addossati alle pareti, rivestiti di ragnatele. Ora quel luogo buio e silenzioso, costruito nelle profondità del sottosuolo era una cella. Una prigione. Il topolino si avvicinò alla caviglia del prigioniero che si trovava al centro della cripta, adagiato su una sedia, con le mani legate dietro la schiena, la testa reclinata in avanti e i lunghi capelli argentei che scendevano come una cascata nascondendo il suo volto.
La giovane donna che si trovava in piedi difronte al suo prigioniero, dando le spalle alla porta borchiata, reggeva una fiaccola accesa in una mano, e un pugnale nell’altra.
“Eros…” sussurrò, sperando che il suo prigioniero non fosse del tutto privo di sensi.
Il giovane sollevò la testa, e i suoi occhi brillarono alla luce dorata del fuoco.
“Rebecca…” gli rispose lui in tono rauco.
Lei si avvicinò appena un po’, per osservare meglio i suoi lineamenti. Ancora non riusciva a credere al volto che si trovava davanti. La sua pelle era ricoperta di vene bluastre che si diramavano sulla fronte e gli zigomi, mentre il bianco agli angoli degli occhi, era iniettato di sangue. Un tempo era di una bellezza perfetta, così meravigliosa da far impazzire chiunque lo guardasse. Ora si ritrovava davanti un mostro, divorato dalla fame e dalla sete di sangue, che non placava da moltissime notti. Questo succedeva ai vampiri che rimanevano senza mangiare per molto tempo. La pelle si raggrinziva mostrando quelle vene innaturali, e la pelle sotto gli occhi diventava livida. 
“Vattene via!” disse Eros “Vai, prima che io ti salti addosso!”
“Sei troppo debole” gli rispose Rebecca “E inoltre sei legato!”
Aveva conosciuto molti uomini, semplici uomini. E aveva conosciuto molti vampiri, che lo erano da talmente tanto tempo, d’aver dimenticato il significato della parola umanità.
Ma Eros era l’unico che aveva conosciuto sia come uomo, che come vampiro.
Rebecca agganciò la fiaccola all’angolo della cella, in modo d’avere la mano libera. Sollevandosi la manica del completo nero, fino al gomito, incise un taglio non troppo profondo sul polso sottile. Avvicinandosi al vampiro col braccio sollevato, lasciò che il sangue scorresse lungo l’avambraccio.
Il vampiro sollevando la testa aprì la bocca, lasciando che le piccole gocce di sangue gli bagnassero le labbra e la lingua. La sua bocca si contrasse di un ghigno di piacere, che rivelò i denti macchiati di rosso e i lunghi canini affilati, che luccicarono come lame, al bagliore tremolante della fiaccola.
Rebecca continuò a tenere il braccio steso in orizzontale, a pochi centimetri della sua testa, mentre lui nel tentativo di raggiungerle il polso, allungava invano, il collo verso l’alto. Ruggì disperato, dimenandosi, mentre Rebecca, rinfoderando il pugnale si portò la mano al polso, per bloccare l’emorragia. Si leccò le labbra, mentre due scie rosse gli colavano ai lati degli zigomi.
Rebecca osservò impressionata, mentre le vene bluastre scomparvero dal suo volto, e gli occhi infiammati tornavano limpidi e scintillanti. Non aveva mai assistito a un fenomeno del genere. Non era sua abitudine nutrire i vampiri che catturava. Ma Eros per lei era diverso. Tuttavia non poté fare a meno di chiedersi se in lui ci fosse ancora qualcosa di umano.
“Chi ti ha ridotto così?” gli domandò dopo un lungo istante.
Lui non le rispose. Fece una risata rauca. “Voglio sangue! Voglio ancora sangue!”
Rebecca con la punta dello stivale schiacciò la coda del topolino, che stava per fuggire. Chinandosi a raccoglierlo, gli spezzò l’osso del collo e stringendo l’esile corpo con tutta la forza che aveva nella mano, fece scire il sangue dalla mandibola e degli occhi, per farlo colare sul volto del vampiro.
Eros le sputò addosso, disgustato. “Non voglio il sangue di un disgustosissimo ratto! Voglio il tuo sangue!”
“Chi ha ucciso l’Eros che ho conosciuto? Chi ti ha trasformato in un Vampiro?”
Il suo volto meraviglioso si trasformò in un ghigno beffardo.
“Ti sembrerà strano, ma sei stata proprio tu, a far sì che io lasciassi il mondo della luce, o come lo chiamiamo noi, il mondo mortale!”
Rebecca lo guardò confusa, non capendo cosa c’entrasse con lei. Ma voleva sapere! Doveva sapere! Probabilmente non avrebbe avuto quel viso stupendo, praticamente perfetto, etereo e giovane. La sua pelle non sarebbe stata così liscia e perfetta. Così candida, splendidamente intonata ai lunghi capelli argentei e i chiarissimi occhi lilla. Non sarebbe stato un giovane uomo, con piccoli dettagli dell’adolescenza, dati dai lineamenti sottili e regolari. Sarebbe stato un uomo di mezza età, avrebbe avuto le rughe, la barba, e forse anche qualche stiratura di grigio trai capelli. Avrebbe spostato Aurora, la sua adorata Aurora. Se non fosse stato un vampiro a quest’ora sarebbe stato certamente padre, di un figlio avuto da quella giovane donna, che un tempo amava. Invece era un vampiro, incredibilmente bello, dall’insaziabile desiderio di sangue, che ringiovaniva quando ne beveva, e che il tempo non lasciava invecchiare.
“Raccontami come ho fatto a far sì che tu diventassi un vampiro!” gli domandò infine. Nel suo sguardo vide accendersi una luce, che prima non c’era. Era quella la domanda che si aspettava.
“Dovrò tronare indietro, di parecchio tempo, quando ancora ero umano! Solo, che da quando sono diventato vampiro, non ricordo più nulla di quello che si prova ad essere un umano!”
Rebecca non rispose, per evitare che cambiasse argomento.
“E’ iniziato tutto la prima volta che ci siamo incontrati ricordi? Era appena scomparsa misteriosamente tua sorella! E io e mio padre decidemmo di venire a fare visita alla tua famiglia. Portai con me il mio flauto. Ricordo quel momento come se fosse questo. Nel giardino di casa tua, con tutti gli amici che mi guardavano mentre suonavo. E tu eri lì, davanti a me e mi fissavi con i tuoi penetranti occhi grigi. E fu allora, mentre suonavo davanti al gazebo, con il vento che portò via il nastro che legava i miei capelli, che tu entrasti dentro il mio cuore. Non riuscivo a vedere nient’altro oltre al tuo viso, i tuoi lunghi capelli rossi, il tuo sguardo grigio, quasi nero. Ti guardai, dimenticando il tempo, il mondo che mi circondava, perfino quello che stavo suonando! Pensavo che una volta tornato a casa mi sarebbe passato, ma non fu così. Il mondo sembrava scomparso. C’eri solo tu nella mia mente. Tutti i miei amici, perfino Aurora era scomparsa dai mei pensieri. Presto ci saremmo dovuti sposare e io non avevo neanche più voglia di leggere le lettere che lei mi scriveva, né tanto meno di rispondergli. Ma come potevo mai amarti allora? Tu eri così piccola, e io ero un giovane uomo! Non riuscivo più a mangiare, né a dormire. Credevo di essere impazzito! E forse lo ero! Ma mi sentivo un mostro, mentre ti desideravo. Aurora si preoccupò ovviamente, e mi venne a trovare. Io quella volta, gli parlai a stento, sulla grande terrazza del mio palazzo, mentre bevevamo il thè, al mirtillo rosso, in cui vedevo il tuo riflesso. Litigammo, e lei se né andò via, tirandomi uno schiaffo così forte, che la mia guancia rimase livida per una settimana. Così mi rifugiai in me stesso. Non facevo altro che suonare il flauto, e il nuovo violino che avevo ricevuto in regalo, mentre pensavo a te, chiuso nella mia camera. Fu allora che mio padre intervenne. Mi disse che non potevo più stare chiuso in camera. Io ovviamente non gli ho mai parlato dei miei tormenti, e per questo lui non poteva a capire. Scrisse ad Aurora e gli chiese di perdonarmi. E poi decise di organizzare un ricevimento. Lui era un conte, e amava fare quel tipo di feste. E ne faceva spesso. Ma quella me la ricordo meglio di qualunque altra lui abbia mai fatto. Aveva invitato tutti i nobili più importanti della città. Le donne indossavano eleganti vestiti di seta, rossi, blu, viola, neri, verdi o bianchi. Con pettinature elaborate, in boccoli stupendi che ricadevano sui colli cinti da collane piene di perle e diamanti. Gli uomini invece, portavano le giacche lunghe e gli stivali alti. C’era anche Aurora. Era splendida! Quella sera indossava un vestito blu, dalla profonda scollatura, e i lunghi capelli biondi che ricadevano a onde sulle spalle scoperte. Indossava anche la collana che gli avevo regalato per il nostro fidanzamento, quella con il diamante a forma di cuore. Mi venne vicino, e io come a ogni ricevimento a cui avevamo partecipato insieme, la invitai a ballare. Ci unimmo agli altri nelle danze. Più tardi suonai per gli ospiti, ma poi ricominciai a pensare a te. Allora salì sulla terrazza del mio palazzo. Era grandissima, e piena di piante di rose. Mia madre le adorava, anche in loro, rivedevo i tuoi capelli, trai petali. Perfino nella luna, che quella notte era piena, vedevo il tuo volto che brillava. Fu in quel momento, quello in cui tenevo lo sguardo fisso in alto nel cielo, appoggiato al parapetto di marmo, che si avvicinò un uomo. Inizialmente percepì la sua presenza alle mie spalle, ma non gli diedi importanza. Poi a un tratto lui disse: ‘E una vera tentazione il collo di madamigella Aurora!’
“Se in quel momento fossi stato in me, mi sarei certamente girato per chiedergli cosa mi volesse dire, in tono intimidatorio. Invece mi portai una mano alla fronte. La sua voce mi aveva infastidito. Aveva interrotto i miei pensieri. Ma lui si avvicinò e continuò a parlarmi.
‘Tanto lungo e sottile, quanto fragile, facilmente spezzabile, come il collo di un calice di cristallo colmo di vino rosso, tra le dita dure di un uomo come me!’ continuò ‘ma è altrettanto bello ed elegante il collo del giovane che ha promesso di sposarla!’ e devo ammettere che a quelle parole mi sono sentito costretto a girarmi, perché mi risultarono assai incomprensibili a quei tempi. Ma non risposi. Mi ritrovai davanti un uomo diverso da qualunque altro uomo avessi mai visto. Anche sé sicuramente era più grande di me, non doveva avere più di trent’anni. Era interamente vestito di nero, la giacca, i pantaloni, gli stivali. Tutto era nero. Anche i capelli lunghissimi,  erano di un nero lucente, che apparivano ancora più scuri, in contrasto con i suoi occhi blu, e una pelle bianchissima. Come non né avevo mai vista una prima!”
Fece una lieve pausa in cerca di un vecchio ricordo perduto nella mente.
“Non voglio negare che mi colpì, il suo modo di parlare! Ma voglio che tu sappia, che in quel momento non capì minimamente chi e cosa mi ritrovai sulla terrazza del mio palazzo.
‘Mi domando quasi se quella fanciulla sia la scelta più giusta per uno come te!’ continuò lui. Ovviamente in quel momento mi spaventai e gli chiesi chi fosse e chi lo avesse invitato.
‘Sono venuto con un amico di tuo padre. Corrono molte voci sulla bellezza delle dame che frequentano le vostre feste! Io non sono un uomo impegnato, e non vedo un motivo per la quale dovrei sottrarmi a qualche svago. E oserei dire che c’è una certa damigella, che sembrerebbe esser proprio fatta al caso mio, ma a quanto pare è già impegnata con qualcun altro! Qualcuno, che a quanto vedo non s’interessa molto di lei!’
Trasalì e portai istintivamente gli occhi verso il giardino visibile dalla terrazza su cui ci trovavamo. Aurora  si trovava seduta sul bordo della fontana, e con una pelliccia sulle spalle discuteva animatamente con un gruppo di sue amiche. Fu in quel brevissimo attimo, che sentì qualcosa di appuntito penetrarmi il lobo del orecchio sinistro. Proprio qui.” Eros si spostò i lunghi capelli per mostragli il lobo nella quale era rimasta una piccola cicatrice bianca.
“Ti ha assaggiato” disse Rebecca “I vampiri così fanno, quando scelgono una persona che vogliono trasformare per tenere al loro fianco!”
“A quanto pare sembra proprio che tu né sappia più di me!”
“Sono una cacciatrice dopotutto, è fondamentale che io conosca bene chi e contro cosa combatto!”
“Combattere? Tenere al proprio fianco?” Domandò Eros in tono mite, di chi si sta rivolgendo a se stesso. “Come se volessero veramente tenere una persona al loro fianco per l’eternità, senza mai farsi sfiorare dall’idea di trovarsene un'altra, più giovane d’epoca che d’età, poiché ai vampiri non è concesso invecchiare col tempo. Ma col tempo i vampiri cercano nuovi compagni, più giovani, che gli insegano ad adeguarsi al mondo che si trasforma. Perché chi nasce in un mondo, non riesce facilmente ad adeguarsi a un altro. Un mondo in cui loro sarebbero risultati morti.” Fece una breve pausa, prima di riprendere il discorso “Certo non era la peggiore ferita che mi fosse stata inferta fino a quel momento. Ma visto che sanguinavo, e non avevo voglia di sporcarmi il collo della camicia bianca, rientrai nella salone dove si stava svolgendo la festa e mentre prendevo un tovagliolo dal tavolo del buffet, vidi lo stesso uomo, seduto sul divano, accanto a mia madre. E mentre le parlava, con le dita lunghe gli accarezzava delicatamente il collo. Ma la cosa che mi sorprese fu lo sguardo di mia madre, completamente perso nei suoi occhi. Mi stupì perché mia madre non era una donna frivola che si comportava in modo malizioso con chiunque ci provasse con lei. Certo anche se aveva superato i quarant’anni già da un po’ era ancora molto bella ed elegante, ma aveva sempre amato moltissimo mio padre, e si potevano considerare una coppia felice. E nel vederla lasciarsi toccare e sussurrare nell’orecchio da quell’uomo seducente, mi fece rabbrividire come nient’altro fosse mai stato in grado di fare nella mia vita. Non appena la festa fu finita, ognuno si ritirò nelle sue stanze. Ma la mattina dopo, mentre io e mia madre ci trovavamo sulla terrazza a bere il thè con la torta alle mele, preparata dalla nostra cuoca, Ethel -l’ultima che ho mangiato nella mia vita credo- le chiesi chi fosse quell’uomo con cui l’avevo vista parlare la sera prima.
‘E’ un commerciante tornato dall’oriente!’ mi spiegò ‘Si chiama Ferdinand Brown!’ mia madre ovviamente non sapeva che le aveva mentito. Ma a quell’epoca neanche io potevo saperlo.
‘L’ho invitato qui! Verrà a farci visita questa domenica! Era l’unico giorno in cui non aveva molti impegni!’ Ricordo che quando mia madre me lo disse, sentì una sensazione orribili, quella che si ha inconsapevolmente quando si percepisce un pericolo. La domenica era il giorno libero di tutti i nostri domestici, e forse quell’uomo misterioso lo sapeva! Per questo mia madre chiese a Ethel di preparare il thè e dei pasticcini, prima di andare via. Non solo ma anche mio padre era assente. Era partito il sabato pomeriggio per affari, e sarebbe rientrato solo lunedì mattina. Ovviamente lo aspettammo tutto il giorno. Quel pomeriggio mia madre indossava un elegante vestito porpora, con le maniche a sbuffo, e una profonda scollatura. L’ansia con cui lo attendeva, passeggiando avanti e indietro per il salotto, mi preoccupava. Si presentò da noi alle otto e mezza di sera, con un lungo mantello nero, molto vistoso e un paio di guanti in pelle. Una volta che mia madre l’ebbe fatto accomodare nel salotto mi venne a chiamare.
‘Eros vieni da noi a farci sentire come suoni uno dei tuoi bellissimi pezzi?’ mi chiese
‘No!’ risposi in tono molto secco ‘suono per risvegliare la mia anima! Non per fare l’esibizionista!’
‘Almeno cerca di essere cortese e di venire a salutare Ferdinand, che ha rinunciato ad una riunione con degli importanti amici!’
Rassegnato al corso degli eventi, seguì mia madre in salotto e salutai Ferdinand nel modo più educato possibile, e con sua insistenza mi sedei a prendere il thè con loro. Allora non ci feci caso, ma ovviamente Ferdinand non bevve il Thè. Mentre lui e mia madre conversavano io stavo lì e li fissavo in silenzio non sapendo minimamente cosa fare. Mi sentivo come quado ero bambino, costretto a dover subire le conversazioni degli adulti anche se sono terribilmente noiose. Lui le raccontava delle sue avventure in Cina. Probabilmente era veramente stato lì, ma non in questo secolo. E sicuramente non è mai stato fatto prigioniero da una gruppo di guerrieri Ninja. Ma mia madre rideva, mentre lui le narrava le sue disavventure. Non l’avevo mai vista sorridere in quel mondo in tutta la mia vita. Mi alzai e tornai in camera mia. Inutile dire che mi ero pentito nello stesso momento in cui lo avevo fatto. Anche se quell’uomo misterioso era rivolto al lei, di tano in tanto, mi lanciava delle occhiate fugaci, che io non compresi nella mia ignoranza. Continuai a ignoralo, fissando delle farfalle monarca immaginarie, che volavano per la stanza, posandosi ovunque, forche sul suo volto. Non sapevo che altro fare, e stavo troppo male per come mi sentivo, per poter reagire in qualche modo mi alzai a tornai nella mia stanza. Mi sedei alla scrivania e corressi gli spartiti che avevo scritto in quel periodo, poi dopo qualche ora mi alzai, a avvicinandomi al salotto sbirciai attraverso la porta socchiusa. Ancora adesso ricordo l’orrore che provai in quel momento. Si stavano baciando, appassionatamente, come due giovani amanti. Sembravano quasi due adolescenti, che si scoprivano per la prima volta nella loro vita. Lui le sollevò la gonna, accarezzandole le gambe, mentre con le labbra le baciava il collo. La domanda che mi arrovella la mente tutt’ora è: Se avessi fermato quel momento? Se fossi entrato nel salotto e mi fossi intromesso? Avrei salvato mia madre? Avrei salvato me stesso? O era già troppo tardi? L’unica cosa che fui in grado di fare fu quella di rinchiudermi in camera mia. Non sapevo come reagire! Mia madre stava tradendo mio padre, con un uomo che malapena conosceva! Avrei dovuto raccontarlo a mio padre? Io volevo bene e lui, e di certo non volevo nascondergli qualcosa. Ma volevo bene anche a mia madre, e mai avrei voluto che le capitasse qualcosa di brutto! Con la testa che mi scoppiava decisi di farmi un bagno caldo, con la speranza che evaporassero via i pensieri. Ma non bastava. Uscì dal bagno dopo un ora, e non sentendo più nulla, pesai che l’uomo fosse andato via. C’era un silenzio innaturale. A quell’ora solitamente la servitù era di ritorno. Eppure, nessuno era rientrato. Avevo ancora la vestaglia da bagno addosso, e mi stesi sul mio letto con il violino in una mano e l’archetto nell’altra. Inconsapevolmente, mi ero sdraiato con la testa fuori dal letto, e guardavo con gli occhi rovesciati il mio ritratto di quando avevo sedici anni, illuminato dai raggi della luna. Fu allora che senza accorgermene lo ritrovai su di me. Non sapevo come avesse fatto ad entrare nella mia camera, visto che l’avevo chiusa a chiave, né come fosse salito sul letto senza fare rumore. Mi blocco i fianchi con le gambe e i polsi con le mani.
‘Lasciami stare!’ gridai ‘Lasciami andare!’ cominciai a dibattermi disperatamente. Ma più io lottavo e più lui si stringeva a me.
‘Chi sei e cosa vuoi?’ gli domandai allarmato, ‘Come hai fatto ad entrare?’
‘Come fanno tutti i Vampiri!’ mi rispose lui con un lungo sorriso sulle labbra. Si stava divertendo in quel momento. Si stava beffando della mia ignoranza. Se in quel momento non avesse spalancato la bocca come un leone, tanto vicino al mio viso da farmi sentire l’alito di sangue, non ci avrei mai creduto. Aveva dei canini lunghissimi, ed erano sporchi di sangue fresco, come il resto delle sue labbra, e della sua lingua. E c’era una sola persona in quel momento a cui poteva aver succhiato il sangue. Mia madre. Fu solo un attimo. Poi vidi il suo viso calarsi velocissimo su di me. Affondò la bocca nel mio collo. Sentì quei canini lunghissimi penetrare la mia carne, lacerandola…”
“Ti fece molto male?” gli domandò Rebecca. Non lo aveva mai chiesto a nessuna delle vittime che aveva conosciuto, portate all’Ordine per farle esaminare. Ma ed Eros, ci teneva troppo per non sapere.
Eros fece un lieve sorriso. “Credevo che fosse la cosa più dolorosa che potessi provare in vita mia! Ma mi sbagliavo! Quel morso fu si, doloroso. Il primo bacio, come diciamo noi, è sempre il più violento. Gridai finché non persi i sensi! Il vampiro non mi aveva tirato via tutto il sangue ovviamente, solo metà. Mi sollevò tra le braccia e uscendo dalla finestra mi portò via in volo.  

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Capitolo 2
*** Seconda Parte ***


Ringraziamenti: Un enorme grazie a Trix_ per avermi corretto il testo e spiegato la differenza tra le desinenza della prima persona singolare, e la terza persona singolare. E per alcuni piccoli cosigli sui nostri adorati bevitori di snague. 
Spero che ora il testo sia maggiormente gradvole. Buona lettura! 

 

Seconda Parte

 
Se anche per un solo istante avessi pensato di aver passato il peggio, era semplicemente perché allora non sapevo cosa mi stesse riservando il mio rapitore.
Per trasformare una persona in vampiro è necessario succhiargli via tutto il sangue. Ma per farlo, occorre dividere la trasformazione in due tempi.
Il primo morso, e il secondo morso. Affinché il veleno del vampiro entri nel corpo umano morente, in modo tale d’adattarlo alla sua nuova natura.
Solo dopo due notti si può tirare via l’ultima parte di sangue umano. Il secondo morso.
Quando mi svegliai, non avevo ancora ricevuto il secondo morso.
Inutile dire che aprendo gli occhi, due notti dopo, mi ritrovai in una stanza che non era la mia. Le pareti di pietra fredda e il grande camino in marmo, mi suggerirono che mi trovavo in un grande castello. Le finestre erano coperte da pesanti tende nere, cosa che mi risultò alquanto strana. Non ne avevo mai viste di quel colore. Giacevo su un grande letto, circondato da un baldacchino dalle tende di quel macabro colore. Ero legato con i polsi a un paio di pesanti catene attaccate alla parete, e indossavo ancora la mia vestaglia da bagno. Provai a liberarmi, ma ero troppo debole. Gridai aiuto, in preda alla disperazione, per un tempo indefinito. Forse pochi minuti. O forse giorni. Avevo del tutto perso la concezione del tempo.
Solo dopo quello che a me parve un tempo infinito, comparve una figura, che con eleganza scostò lievemente quelle tende nere.
‘Ben svegliato!’ mi disse. Era lui. L’uomo che mi aveva rapito. Il vampiro.
Indossava una semplice vestaglia nera, che lo avvolgeva per intero, uniformandosi ai suoi capelli che ricadevano lisci come una cascata di tenebre sulle sue spalle. Mai come in quel momento mi parve così bianca la sua pelle. Delle piccole vene blu si intrecciavano come un reticolato appena visibile, ai lati delle sue tempie, alla flebile luce delle candele che lui stesso accese prima di parlare.
‘Mi dispiace non essermi presentato come si deve!’ Mi disse avvicinandosi velocemente, come un serpente pronto a colpire la sua preda. Uno attimo dopo era steso accanto a me. Io voltai la testa dal lato opposto. Ma lui con una mano dura e fredda come il marmo mi afferrò la mascella, costringendomi a guardarlo.
‘Non sei curioso di sapere chi sono?’ mi domandò.
‘No!’ gli risposi guardandolo dritto negli occhi blu. ‘Non voglio saperlo!’
‘Sono morto duecentocinquanta anni fa!’ disse come se non mi stesse ascoltando.  ‘Con un nome che ho perduto, morto anche esso, insieme al misero essere umano che fui un tempo! Ma nel mondo del popolo oscuro, mi chiamano Thanatos!’
Thanatos. Era quello il suo nome.
‘Non mi importa un accidente! Lasciami andare!’ gli risposi allora sconvolto.
‘Non appena ti ho visto ballare con quell’insignificante femmina da parasole ho subito capito che tu eri speciale Eros!’ disse, probabilmente si stava riferendo ad Aurora. ‘sarai un vampiro perfetto, con il viso di un angelo, e lo sguardo di un demone!’
‘Perché?’ gli chiesi ‘Perché vuoi che io diventi un vampiro?’ Ormai non avevo più dubbi sull’esistenza di tali creature. Thanatos rise in maniera agghiacciante nel sentirsi dire quelle parole.
‘Perché mi piaci! Speravo l’avessi intuito! Non credi che sia abbastanza?’
‘Io potrò anche piacerti! Ma tu a me non piaci affatto!’
‘Avrai tempo per apprezzarmi!’ si strinse a me, e cominciò ad accarezzarmi le guance con le sue dita gelide, mentre io in preda alla rabbia cercavo di voltarmi, disgustato, nel tentativo di sfuggire ai suoi occhi blu. Solo allora, mentre osservavo le sue dita stringere il mio mento, mi resi conto che aveva delle unghie lunghe e affilate.
Mi graffiò gli angoli delle labbra, per poi leccare il sangue che fuoriusciva. Aprendomi la vestaglia cominciò a darmi dei piccoli morsi, quasi fossero una cosa giocosa, affondandomi i suoi canini affilati sul petto e sulle spalle.
Solo dopo essersi divertito a farmi gemere di dolore mi afferrò la nuca, e posando le sue labbra sul mio collo, mi diede il secondo morso. Fu meno doloroso, poiché aveva già penetrato il mio collo, la volta precedente, e dato che non s’erano ancora rimarginati i fori, ruppe le piccole croste di sangue con facilità. Bevve ancora, e portando a termine la sua opera, mi diede il secondo morso. Aveva preso molto del mio sangue, e io mi sentivo debole, talmente debole, che a stento riuscivo a respirare. Allora con le unghie lunghe, si graffiò il suo collo, e piegandosi sulle mie labbra, mi costrinse a berlo. Più che berlo posso dire che mi si ingorgò in bocca senza che io facessi praticamente nessuno sforzo.
Thanatos si era fatto dei tagli notevolmente lunghi e profondi, quasi sapesse che io mi sarei rifiutato, in punto di morte, di fare una cosa del genere. Un essere umano, anche se in punto di morte, non concepirebbe mai l’idea di bere del sangue.
In ogni uomo risiede l’istinto di sopravvivenza, ma non quello nutrirsi di sangue. Nemmeno per sopravvivere.
Fu disgustosa, la sensazione del suo sangue, che mi scendeva bollente lungo la gola, e poco dopo mi staccai. Allora cominciò il dolore più forte che avessi mai provato. Il mio cuore cominciò a battere così forte che temetti sarebbe esploso. Mi sentì lacerare, come se il mio corpo si dividesse lentamente, prima in due, poi in tre fino ad arrivare a mille. Urlai, mi contorsi. Questo durò ore.
Ore di puro strazio.
Thanatos in piedi accanto a me mi guardava dall’alto, con aria soddisfatta. Nel giro di quelli che mi parvero pochi attimi, ma che in pratica furono ore, vidi l’universo crearsi, le stelle brillare, e la vita sulla Terra nascere. Il passato e il presente si fusero nella mia mente. Allora il dolore cessò, e io avevo una grande sete. Avevo sete di sangue! Non ero più umano!” concluse Eros.
Rebecca rimase immobile davanti a lui, e lo guardò negli occhi.
Nella cella delle segrete dell’ordine dei cacciatori di vampiri, calò il silenzio. La fiaccola accesa che illuminava  le pareti di pietra e il soffitto a volta, presto si sarebbe spenta. Rebecca osservò i suoi lineamenti oscurati, la testa reclinata in avanti, e lo sguardo perso nel vuoto, in chissà quale pensiero.
“Ricordi come è stata la prima volta che hai dato un morso da vampiro a qualcuno?”
“Ero diventato un vampiro? E’ questo quello a cui stai pensando Rebecca?” disse lui dopo un attimo. “Ho detto che non ero più umano! Non che mi fossi trasformato in vampiro! Avevo subito la trasformazione! Si! Avevo i canini affilati! Ma non ero ancora diventato un vampiro!” Eros sollevò il capo e la guardò dritto negli occhi.
“Thanatos liberandomi i polsi dalle catene mi aiutò a rialzarmi. Spostando le tende nere mi condusse in un bagno, dove c’era una grande vasca di marmo incastonata nel pavimento e un grande specchio che rifletteva la nostra immagine per intero. Come eravamo diversi l’uno dall’altro. Io uno spettro bianco che brillava come una stella, e lui un ombra oscura come il suo nome.
Il mio aspetto era cambiato. La mia pelle appariva più pallida e lucente. Più liscia, come se fosse ringiovanita. I miei occhi brillavano di una nuova luce, e i miei lineamenti in qualche modo si erano abbelliti. In quel momento pensai di essere veramente diventato un vampiro a tutti gli effetti. Ma mi sbagliavo.
‘Ho voglia di sangue!’ dissi, rivolgendomi a Thanatos.
Lui mi sorrise e mi prese per un braccio. ‘Bene! Allora andiamo a preparaci per la cena!’
Mi vestì con degli abiti sontuosi, tipici del nobile quell’ero, con una giacca bianca, dai ricami in oro, e un camicia di seta color crema.
Sono talmente tante, le persone a cui ho succhiato il sangue, che ogni volta che ci penso, faccio fatica e ricordare l’ultima vittima. Ma la prima… Quella, la ricordo bene! Non dimenticherò mai, il primo morso che diedi da vampiro! Non appena ebbe finito di agghindarmi, quasi fossi un suo giocattolo, Thanatos mi fece uscire dal suo castello, e mi portò in una grande città. Quella sera nella piazza più importante, c’era una fiera, ed era pieno di dame, gentiluomini, e bambini. Io e Thanatos ci mescolammo con la folla, e osservammo con cura, ognuno di loro. Thanatos rimase vicino a me per un po’ poi si diresse verso un ragazzo giovane, e iniziando a conversare con lui, lo coinvolse in uno dei suoi racconti avventurosi, poi lo prese a braccetto e se lo portò dietro la tenda di un venditore ambulante. Lo seguii per vedere come facesse. Lì lo afferrò per il collo e gli succhiò via tutto il sangue. Quando ebbe finito lo lasciò cadere al suolo. Mi guardò con gli occhi rossi e la bocca imbrattata di sangue.
‘Ora tocca a te! vedi di trovare qualcuno che ti piace!’ mi disse. A quel punto mi voltai e tornando nella piazza mi guardai intorno. Vidi una ragazza dai capelli neri, ricci. Aveva una pelle bianchissima, e uno sguardo ingenuo. Non doveva avere più di diciott’anni. Ciò che mi attirò, in realtà fu il suo profumo, delicato. Noi vampiri cacciamo così. Non badiamo tanto all’aspetto, quanto all’odore, che  si rivela anche nel sapore di una persona. Stava giocando al tiro a freccette, con un giovane della sua età, probabilmente il suo fidanzato. Lui era totalmente negato in quello stupido gioco, e  la ragazza stava superando il punteggio. A un ragazzo da sempre molto fastidio essere battuto da una ragazza, qualunque sia la competizione. Mentre cominciavano a bisticciare io mi avvicinai di spalle, e tirai una freccetta. Ovviamente la mandai al centro preciso. La ragazza si voltò subito verso di me, e nel vedermi rimase completamente ammaliata. Così io iniziai a conversare con lei, non avevo bisogno di mentire. A differenza di Thanatos che preferiva sedurre con delle storie d’avventura, a me basta essere me stesso. Ero un poeta, un musicista. Un anima fragile, tormentata e al contempo stesso sensibile, che affascinava chiunque. Il ragazzo ovviamente  s’infastidì e cercò d’intromettersi. Ma io gli feci notare che ero un aristocratico, e perciò non ebbe il coraggio di sfidarmi. La ragazza non aveva che occhi per me. Quando arrivò il momento perfetto, la trascinai dietro un albero, ai margini di un grande giardino. Cominciai a baciarla sulle labbra. Erano piccole e sottili, nulla in confronto alle labbra che desiderava da tempo. Lentamente le mie labbra scesero sul suo corpo, mentre lei si eccitava. Affondai il viso in quel collo sottile, che si gonfiava ad ogni suo respiro, e poi la morsi. I miei canini, erano giovani, e affilatissimi, non ci misi nulla a penetrarle la pelle. Gli tappai la bocca per non farla urlare, mentre lei si agitava in preda alla disperazione. Sentì il suo sangue scorrere dentro di me, mentre lo mandavo giù con un avidità che non avevo mai provato prima. Era caldo, così caldo, che mi bruciava la gola, mentre lo tiravo via.
Quando ebbi svuotato tutto il suo corpo, me la ritrovai tra le braccia, pallida, priva di vita. Sembrava una bambola. Non avevo il coraggio di abbandonarla lì in quel modo. Perciò la portai nel giardino che si trovava lì vicino, e la stesi al centro di un aiuola di fiori rossi. Le chiusi le palpebre e gli congiunsi le mani sul ventre. Poi mi inginocchiai e pregai per la sua anima, affinché andasse in paradiso. Per la prima volta in vita mia avevo assaggiato il sangue umano. Avevo usato i miei denti. Ma non ero ancora diventato un vampiro!”
Rebecca l’osservò in silenzio mentre lui rievocava i ricordi del passato. “Hai sempre fatto così d’allora?” gli domandò “Ogni volta che mordevi qualcuno pregavi per la sua anima?”
“No!” rispose Eros “Sarebbe impossibile pregare per tutti!”
“E cosa accadde dopo? Perché dici di non essere ancora diventato un vampiro?”
“A questo ci arriveremo molto presto, ma prima che ciò accadesse avvennero molte altre cose! Subito dopo aver bevuto il sangue della giovane fanciulla, mi sentii travolgere da una forza innaturale. Un potere che viene dato dal sangue umano. Tornammo al castello, e lì Thanaros mi portò giù nella cappella dei suoi antenati. C’era una bara preparata apposta per me. Lui me la mostrò, accanto alla sua, e me l’aprì.
‘Non dirai sul serio?’ gli domandai io guardandolo scettico.
‘Non ho mica intenzione di farti diventare una nuvola di polvere, appena sorge il sole, sai?’
Capii di non avere scelta. Potrà sembrare strano, ma ciò che a un vampiro fa sentire morto non è tanto il fatto che il proprio corpo sia freddo e che il cuore non batta più, quanto la quotidianità di passare tutti i giorni rinchiusi in una bara a dormire. Quello ti fa sentire letteralmente morto!
Passai così i primi giorni della mia vita da vampiro. Chiuso in una bara, a riflettere. Imparai presto che Thanatos faceva le ore lunghe e non si svegliava prima della mezzanotte. Io invece, mi destavo al tramonto, appena il sole si celava dietro l’orizzonte. Ne approfittai per volare via. Tornai a casa.
Entrando dalla finestra della mia camera, sentendomi un estraneo, nel cuore della notte, e mi incamminai come un ladro nei corridoi scuri. Andai nella camera da letto di mio padre. Si trovava seduto sulla sua poltrona, di fronte al camino. Stava piangendo.
‘Dove sei finito Eros?’ Parlava da solo. In tutti quegli anni della mia vita umana, non lo avevo mai sentito parlare a se stesso. Non lo avevo mai visto così stravolto.
Puzzava di alcol. Anche se io gli davo le spalle, ed ero distante più di due metri, potevo percepire quell’odore come se gli fossi stato addosso. Reggeva una bottiglia di Whisky nella mano, e di tanto in tanto se la portava alle labbra, piangendo.
‘Beatrice! Beatrice!’ chiamava mia madre. Furono quelle parole piante, a farmi capire che mia madre era morta. Allora mi voltai a tornai sui miei passi.
Avrei voluto dirgli tutto. Ma non ebbi il coraggio. Ero morto. E così preferì rimanere per mio padre, la figura che aveva amato. Quella umana. Tornai nella mia camera. Osservando tutto ciò che mi apparteneva, pensai di fare una valigia, per portarmi via le cose che più mi erano care. Ma guardandole mi resi conto che non mi appartenevano più. Erano oggetti di un nobile ormai scomparso. Accesi una candela e portandola verso una tenda, diedi fuoco alla mia camera. Come prima cosa diedi alle fiamme il mio ritratto di quando avevo sedici anni. Nulla doveva rimanere di me. Non volevo che mio padre si distruggesse davanti all’immagine del figlio che aveva perso.
Circondato dalle fiamme che mi costrinsero a tapparmi la bocca con il dorso della mano, mi arrampicai sulla finestra, pronto per volare via, quando voltandomi osservai il mio flauto e il mio violino, al centro di un nido di fuoco che presto li avrebbe attanagliati. Decisi di portare via solo quei due oggetti.
Rimasi alcuni momenti appostato su un albero, per controllare che la servitù si accorgesse dell’incendio, prima che si propagasse per tutta la casa. Per fortuna arrivarono dopo pochi minuti a spegnerlo. A quel punto volai via, evitando che qualcuno di loro mi vedesse.
Fu così che andai al cimitero, dove trovai la tomba di mia madre. M’inginocchia difronte alla lapide, e mi appoggia con il viso ad essa. E’ crudele pensare che l’ultima cosa che ti rimane di una persona che ami, è una lastra di marmo freddo.
Suonai il violino per lei, tutta la notte, fino all’alba, e poi lo lasciai lì, appoggiato al suo nome!”
“Ma poi sei tornato a riprendertelo!” disse Rebecca “O non ti avrei mai ritrovato, se non ti avessi sentito suonare quella notte nella foresta delle lapidi!”
Eros si fece sfuggire un lieve sorriso. “Già! Ti sei anche lasciata spogliare!”
“Solo spogliare?” gli domandò lei, ben sapendo cosa fosse accaduto.
“No!” si affrettò a correggere lui “Ti sei concessa a me, come avevo sempre sognato, ogni volta che mi chiudevo nella mia bara! Ma perché? Perché ti sei lasciata possedere in quel modo? Perché hai lasciato che ti strappassi via i vestiti, e ti possedessi su quella tavola di marmo gelida, senza opporre resistenza?”
Il silenzio calò ancora una volta nella cripta.
Rebecca s’inginocchiò difronte a lui e gli appoggiò la testa sul petto nudo.
“Perché non riesco ad ucciderti!” rispose “Perché non riesco ad ucciderti Eros? Tu puoi dirmelo?”
Eros appoggiò il mento sulla sua testa. “Perché mi ami!”
A quelle parole Rebecca si scostò istintivamente da lui, scuotendo il capo. “Non posso!”
“Come non puoi amare Evander?”
Rebecca spalancò gli occhi al sentir pronunciare quel nome. “Cosa sai di Evander?”
“Che è il più potente di tutti i vampiri! Noi lo chiamiamo il principe!”
“Lo conosci?”
“Non più di quanto lo conosca tu, Rebecca! Ma se vuoi posso raccontarti una storia che ti riguarda!”

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Capitolo 3
*** Terza Parte ***


Terza Parte

 
Fu così che Eros riprese il suo racconto “Erano passati cinque anni, da quando avevo subito la trasformazione, e non mi ero ancora separato dal mio assassino. Cosa mi tenne legato a Thanatos in tutti quegli anni? Il fatto che senza di lui non avrei saputo cavarmela da solo, come vampiro. Non sapevo nulla del nostro mondo, e perciò preferì restargli vicino per imparare a vivere quella vita che lui stesso mi aveva dato. C’è una grande società tra noi vampiri, come ben sai, ma alla fin fine, ogni vampiro preferisce isolarsi, per poter andare a caccia senza problemi con le interferenze di altri vampiri! Ognuno di noi s’impadronisce di un territorio di caccia! Fu solo dopo molti anni, in cui io e Thanatos vivemmo nella solitudine di due avidi cacciatori, che le cose cambiarono. Thanatos decise di portarmi al castello del Principe Evander, per presentarmi a lui.
Era una notte senza luna, di un freddo gennaio. Il castello ero ben organizzato per gli inverni freddi e i camini erano tutti accessi. Evander ci accolse nel suo salotto privato, dove ci attendevano due giovani fanciulli e due giovani fanciulle, ignari del loro destino.
Lui si trovava sulla sua poltrona, simile a un trono. Portava i lunghissimi capelli castani sciolti, che ondeggiavano lungo la schiena, e i suoi occhi dorati mi fissarono con interesse per tutta la sera.
‘Thanatos mi ha parlato molto di te, Eros! Il mio più antico discepolo dice che sei un ottimo musicista e un ottimo poeta!’
‘Spero che sia così vostra altezza!’
Evander scoppiò in una fragorosa risata ‘Non è necessario che ti rivolga a me in questo modo! Ero un principe, ai tempi dei crociati! La mia casata si è spenta insieme alla mia umanità! Ora sono solo Evander, per i vampiri che sono degni del mio rispetto!’
Evander ci presentò i quattro fanciulli ospiti anche loro, insieme a noi, che ci circondarono ansiosi di conoscerci.
Thanatos cominciò ad assaggiare il loro sangue, senza dargli dei veri e propri morsi, limitandosi a fargli dei piccoli buchetti sul collo, per leccare delicatamente le piccole gocce che fuoriuscivano.
Stavo quasi per assaggiare una delle due bellissime fanciulle che mi circondavano, quando ad un tratto, dalla rampa di scale che accedeva ai piani di spora comparve una fanciulla interamente vestita di bianco. Portava i capelli rosso scuro in un elegante pettinatura che ricadeva a boccoli dietro il collo, e ci fissò con degli intensi occhi grigio scuro.
Eri tu! Tutto le emozioni dentro di me si mescolarono facendomi girare la testa.
Scendesti le scale con l’eleganza di una principessa e ti avvicinasti ad Evander, baciandogli la mano.
‘Lei è Arianna!’ disse Evander presentandola. Allora capì. Non eri tu!
Era tua sorella! Sapevo che Arianna fosse tua sorella, ma nessuno mi aveva detto che fosse addirittura la tua gemella!”
Eros fece una breve pausa. “Non dici nulla?” le chiese dopo un lungo istante.
Solo dopo molti momenti Rebecca si decise a parlare “Sapevo che Arianna stesse con Evander!” gli disse “Per tutti questi anni era con lui, e io ero ancora troppo giovane per entrare nell’ordine! Lo ho saputo troppo tardi che lui l’aveva presa con se! Ora è fuggita, chissà per quale motivo, e io la sto ancora cercando!”
“Se solo sapessi dove fosse, te lo direi!” gli rispose Eros “Ma una cosa posso dirtela di certo! Quando la incontrai al castello di Evander, lei non era ancora diventata una vampira!
‘Sapete bene che non posso infrangere le mie stesse leggi!’ disse Evander che la fece accomodare sulle sue ginocchia. ‘Perciò la trasformerò al compimento dei suoi diciott’anni, e diventerà ufficialmente una vampira!’
Lo sguardo di Arianna si posò su di me per alcuni istanti, ma i suoi occhi non mi guardarono come mi avevano guardato i tuoi, quel giorno lontano, la prima volta che ti incontrai!
Dopo averla vista mi passò del tutto la voglio di mordere chiunque mi passasse vicino, e lasciai tutte le prende a Thanatos che non si fece scrupoli a nutrirsi di ben quattro fanciulli.
Evander ci accompagnò nelle sue segrete, dove teneva delle bare per gli ospiti e lì rimanemmo a dormire fino alla notte dopo! Io decisi di togliere il disturbo quasi subito! Non avevo intenzione di rimanere lì un altro girono a riposare, mentre una ragazzina umana si aggirava per il castello, perfettamente cosciente che fosse abitato dai vampiri, senza provare alcun desiderio di fuggire!”
“E Aurora?” domandò  Rebecca che si era alzata in pedi, e aveva cominciato a camminare avanti e indietro nella cella. “L’hai mai più rivista?”
“Oh Rebecca! Quale ferita profonda mi sati richiedendo di riaprire! Aurora! L’alba non era ancora del tutto morta nel mio cuore! Si! L’ho ritrovata! Una sera, mi destai prima del solito dal mio sonno e attesi nella bara che gli ultimi raggi di sole svanissero, prima di uscire allo scoperto. Andai nel porto. Amavo vedere le navi che andavano e venivano solcando le acque buie. Passeggiavo sul molo, come facevo spesso, non appena mi recavo li appena sveglio, quando ad un tratto la rividi. Era incantevole come l’ultima volta che l’avevo vista, indossava un abito celeste con delle rose bianche, e dei guanti di seta. Era sposta. Accanto a lei c’era un uomo bruno, che le cingeva la vita, e per mano stringeva quella più piccola di una bambina simile a lei, con gli stessi capelli, mentre uno più piccolo, appena nato, era stretto tra le sue braccia. Non ebbi il coraggio di farmi vedere da lei, così mi voltai e nel farlo mi ritrovai davanti Thanatos. Un sorriso inquietante era stampato sul suo volto, e se a quei tempi l’avessi conosciuto bene come lo conosco ora sarei fuggito.
‘Ma guarda un po’ chi c’è!’ disse ‘La nostra cara fanciulla da parasole!’
‘Andiamocene!’ mi affrettai a dire, posandogli una mano sulla spalla.
‘Ma perché mai?’ domandò lui ‘E’ decisamente da maleducati non salutare una persona che ci è così amica non ti pare?’
‘Andiamocene! Per favore!’ lo pregai. Ma Thanatos aveva già deciso. Mi afferrò per un braccio, stringendomi a se, e con passo deciso si avvicinò ad Aurore.
‘Ma che bella sorpresa!’ Disse ad alta voce. ‘Aurora! Ecco il sole che sorge al mattino!’
Entrambi si voltarono per guardarci.
Aurora non riconobbe Thanatos, ma nell’incrociare il mio sguardo divenne pallida, come se avesse visto un fantasma, e forse ormai per lei io lo ero.
Quel momento fu terribile per entrambi. Io mi resi conto che il tempo sul suo viso era passato, e le piccole righe agli angoli delle sue labbra ne erano la prova. Lei si rese conto che io non ero cambiato di solo giorno, benché gli anni fossero passati. Suo marito notò l’atmosfera che s’era creata tra noi e s’intromise, chiedendo se ci conoscevamo già. Eccome se ci conoscevamo, ma io non parlai affatto con lui, o se lo feci, dimenticai immediatamente ogni parola che gli rivolsi.
Fu la voce di Thanatos a interrompere l’incantesimo.
‘Allora sei pronto?’ mi domandò. I due si erano leggermente allontanati da noi. Io ero rimasto talmente sconvolto nel riguardarla in faccia che non mi erano neanche accorto che si era voltata.
‘Per cosa?’ gli chiesi non capendo.
‘Per saltarle al collo mi pare ovvio?’
‘Vuoi che la trasformi in vampira? No mai!’ risposi io.
‘No! Non in vampira! In vittima!’
Allora capì. ‘Non le toglierò mai la vita! Di questo puoi starne certo!’ gli risposi. Se soltanto avessi avuto un po’ più di coraggio allora, avrei impedito che lui si avvicinasse a loro. Ma scappai. Mi allontani dal porto di corsa e una volta raggiunto un luogo isolato volai via, al castello, dove vivevo ormai da tempo.
Non molto tempo dopo Thanatos mi raggiunse. Stavo per prendere il mio flauto nel tentativo di suonarlo, per riportare alla memoria i tempi in cui ero ancora umano, quando lui alle mie spalle, mi bloccò le braccia con a sua forza innaturale.
‘Eros non lo hai ancora capito? Non hai ancora capito chi sei?’
‘So benissimo chi sono!’
‘Hai ragione! Mi correggo! Forse non hai ancora capito cosa sei! Un vampiro!’
‘E con questo? Siamo forse giustificati a prenderci una vita come e quando ci viene più voglia?’
Il suo sorriso mi fece salire un brivido di disgusto lungo la schiena. ‘Si!’ rispose.
Thanatos mi prese e mi portò nei sotterranei del suo castello. Lì mi chiuse in un segreta dove non passava mai la luce del giorno. Un luogo molto simile a questo dove ci troviamo ora io e te, ma più stretto. Mi rinchiuse mi lasciò lì, per molti giorni, senza farmi bere in alcun modo. Gridai disperato di liberarmi. Cercai di uscirne. Ma non ci riuscì. Si può stare senza bere sangue umano per una notte o due. Ma dopo quattro o cinque notti diventa impossibile resistere. Io forse restai anche di più, chiuso lì dentro. La mia fame era tale che percepì l’odore del sangue oltre la porta. Qualcuno si era avvicinato. Un mortale. Non mi importava chi fosse. Non appena la porta venne aperta mi gettai su quel corpo così vicino e lo afferrai circondandolo con le braccia. Affondai le unghie tra i suoi capelli e immersi il viso nel suo collo, penetrandolo coi miei canini. Bevvi così avidamente tutto quel sangue che credevo mi sarei sentito di svenire. Solo dopo essermi staccato, la mia mente tornò lucida, e cominciò a distinguere i lineamenti di un bellissimo volto femminile, dai lunghi capelli dorati e il collo lungo e sottile.
Era Aurora.
Con il suo corpo tra le braccia mi misi a gridare. Un grido che echeggiò per tutto il castello.
Thanatos era in piedi accanto a me.
‘Non era poi così difficile!’ Disse ‘Dovevi solo avere più fame! Fame come un vampiro!’
Con gli occhi annebbiati dalle lacrime, e il mento rosso imbrattato di sangue capì cos’ero diventato.
Un vampiro.
Fu quello il momento in cui divenni un vampiro. Perché non avrei saputo più distinguere un essere umano. La sete di sangue li aveva resi tutti uguali.
‘Perché?’ gli chiesi ‘Perché mi hai fatto questo?’ Gli domandai ancora stringendo Aurora tra le braccia accarezzando il suo bel viso. Sembrava stesse dormendo con il capo poggiato sul mio petto.
‘Per farti capire chi sei!’ mi rispose ‘Ora lo sai!’
‘Io non voglio essere così!’ gli risposi.
‘Ma lo sei!’ mi prese il viso tra le mani, e asciugandomi le lacrime con le sue dita fredda leccò il sangue sulle mi labbra, ripulendomi il mento. Mi insinuò la lingua in bocca, baciandomi, volendo scoprire anche lui, il sapore del sangue di Aurora.”
Rebecca lo guardò non potendo credere ai suoi occhi. Sotto la flebile luce delle torce brillavano due righe di lacrime che gli scendevano lungo le guance.
“Non ero più umano! Perché non ero più in grado di distinguere un essere umano!”
“Oh Eros! Non dire così!” Rebecca s’inginocchiò davanti a lui prendendogli il viso tra le mani. “Tu stai piangendo! È la prova che dentro di te c’è ancora quello che eri una volta!” Avvicinandosi maggiormente con il viso sfiorò le sue labbra. Alzandosi da terra si mise a cavalcioni su di lui, sollevandogli il mento. Eros afferrò delicatamente il suo labbro inferiore con i denti, per un attimo.  Socchiuse, e togliendo quell’ultima distanza quasi inesistente le insinuò la lingue in bocca. Rebecca gemette, sentendo la lingua del vampiro che le solleticò il palato. Le loro lingue girarono l’una intorno all’altra per alcuni istanti, finché quella di lui non si spinse più in fondo, provocandole un brivido di piacere che le scosse tutto il corpo. Ritraendosi si staccò da quel bacio per riprendere fiato. Rebecca lo guardò per un lungo istante, non potendo credere di averlo baciato. Con la punta delle dita gli asciugò le lacrime.
“Fu allora che divenni un vampiro!” ripeté Eros guardandola dritto negli occhi, ora così vicini. “Dopo aver seppellito Aurora, mi allontani da Thanatos per sempre. Mi rifugiai in una catacomba, e mi misi a dormire per molti anni, uscendo solo per bere sangue! Poi incontrai Cesar e Aurelien! Per il resto, sai bene come andò, perché ci siamo rincontrati!”
Rebecca stringendosi a lui, allungò le mani dietro la sedia, e con le chiavi gli liberò i polsi. Le manette di ferro caddero al suolo con un suono metallico. 
“Ora so tutto!” disse Rebecca “Sei libero! Puoi fare quello che vuoi!”
Stava per alzarsi, quando Eros le imprigionò la vita fra le sue braccia, stringendola a se. Afferrandole la nuca, gli reclinò il collo, e strappando via il collare la morse. Rebecca sentì un dolore fortissimo, mentre i canini del vampiro le affondarono nella carne, ma non si fece sfuggire un solo lamento.
Eros bevve poco più di un minuto, staccandosi quasi immediatamente. Lei si abbandonò sulla sua spalla, con un debole sospiro.
“Il punto Rebecca non è quello che voglio io! Ma quello che vuoi tu!” Disse “Io voglio che tu diventi una vampira! Voglio che rimanga così come sei per sempre, accanto a me! Ma tu vuoi diventare una vampira?”
Rebecca ci pesò per alcuni sitanti. Sarebbe stato bellissimo, rimanere insieme per sempre, ora che si erano ritrovati. Ma aveva fatto una promessa. Aveva promesso a suo padre che avrebbe ritrovato sua sorella.
“Non posso!” disse alzandosi in piedi.
Eros si massaggiava i polsi dolenti. “Sapevo che lo avresti detto! Ma io non mi arrendo! Non ti costringerò a diventare una vampira, come è successo con me! Non stanotte! Ma sappi che non mollerò tanto facilmente! Riuscirò a convncerti!”
 
Rebecca gli aprì la porta di ferro della cella.
“vai! Sei libero! Fuggi e non farti più ritrovare!”
Eros si alzò lentamente e barcollando superò la soglia. Rebecca lo seguì richiudendo la porta.
“c’è una via secondaria nei sotterranei! Infilati nel fognature. Uscirai da una grotta sul versante del fiume!”
Lui la guardò a lungo poi si voltò senza dire nulla, e si allontanò nel corridoio buio. Rebecca lo osservò finché non fu del tutto scomparso dalla sua vista.
Sola con i suoi pensieri si avviò tra i corridoi delle celle sotterranee e fermandosi davanti a una porta in particolare estrasse il mazzo di schiavi ed entrò.
Al centro della cella giaceva un altro vampiro, dai lunghi capelli neri come l’oscurità che lo avvolgeva il viso pallido a causa della fame.
“Sono così commosso dal suo racconto che quasi mi fa sentire in colpa per quello che gli ho fatto!” disse Thanatos.
“Stai zitto!” gli gridò Rebecca.
“Non ti è balenato nella mente neanche per un solo istante, che lui ti stesse mentendo?” Domandò il vampiro dopo un attimo. “Non hai pensato per un solo istante che fosse stato lui, a venire da me? A pregarmi di trasformarlo in un vampiro!”
“E perché mai avrebbe dovuto chiederti una cosa del genere?” gli domandò Rebecca.
“Forse per aspettare che il tempo maturasse te, in modo tale da poterti trasformare in vampira per averti! Se non fosse stato per me a quest’ora quel bel bacio che ti ha dato te lo saresti potuto scordare! Sarebbe stato troppo vecchio per te! Non avrebbe potuto fare altro che guardarti da lontano! E tu non avresti potuto fare altro che vederlo come l’uomo che sarebbe stato! Dovresti ringraziarmi dolcezza! Se non fosse stato per me a quest’ora si sarebbe spostato con quella fanciulla che tanto apprezzava! Ma che in fin dei conti non era in grado di amare! E vuoi sapere perché? Perché anche se non aveva i denti, dentro di se, era già un vampiro!”
“No! Io non ti credo!” disse Rebecca “Credo che tu non abbia mai sospettato che Eros avesse nel cuore un'altra donna oltre ad Aurora! Se l’avessi saputo, a quest’ora mi avresti già ucciso da tempo, molto prima che io diventassi una cacciatrice!”
Thanatos gli rivolse uno dei suoi sorrisi crudeli. “Prim’o poi lo farò! Te lo posso assicurare! È una promessa!”
Rebecca riaprì la porta della cella, pronta per uscire.
“Preda camuffata da predatrice!” gli disse Thanatos.
Rebecca richiuse la porta alla sue spalle, lasciando che quel mostro rimanesse nella sua solitudine.
Sapeva che gliela avrebbe fatta pagare cara. 
FINE


NOTA Se la storia vi è piaciuta lasciate un commento o una piccola recensione. Come volete voi. Questa è solo una parte della trama principale, legata ai vari personaggi. 
E come detto in precedenza, se ritenete che sia troppo impressionante o inadeguata a un pubblico più giovanile, fatemelo sapere e la sposterò nel Rating Rosso. 

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