Un colpo al cuore.

di cin75
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** Conoscere il bersaglio. ***
Capitolo 3: *** L'incontro ***
Capitolo 4: *** L'abbordaggio! ***
Capitolo 5: *** La passione di Jensen ***
Capitolo 6: *** La rivincita di Jared ***
Capitolo 7: *** La verità. ***
Capitolo 8: *** Il piano. ***
Capitolo 9: *** L'ultimo salvataggio. ***
Capitolo 10: *** Colpa del sole! ***
Capitolo 11: *** L'abbordaggio: seconda parte! ***
Capitolo 12: *** E' di nuovo amore! ***
Capitolo 13: *** Il passato di Jensen. ***
Capitolo 14: *** EPILOGO ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


P R O L O G O .
 

“Ti prego…ti prego, Jared. Non uccidermi. Non sparare. Non farlo!” supplicò Jensen, mettendo le mani avanti come a volersi proteggere dal proiettile che Jared stava per sparargli.

Il giovane lo fissò, incredulo. Sconvolto. E decisamente furioso.

“Tu …tu osi implorare per la tua vita quando tu per primo non hai mai concesso pietà?” lo accusò puntando meglio l’arma e avanzando quando vide che Jensen indietreggiava.

“Non sto chiedendo pietà per la mia vita.” lo spiazzò, però, l’altro. “Io avrò quello che mi merito, credimi. Quello che ti chiedo è di non oltrepassare quel limite che oltrepassai io, anni fa!” disse , fermandosi e non indietreggiando più. Abbassò anche le mani , in segno di resa completa.

“Che vuoi dire?!”

“Credimi, Jared. Il sangue della persona che uccidi non verrà mai via dalle tue mani. Puoi lavarlo via, puoi provare a dimenticare, puoi mentire convincendoti che puoi dimenticarlo…ma lui ci sarà sempre. Lì, sulle tue mani. Ne sentirai il calore, il viscidume..perfino l’odore. Non andrà mai via.” Fece guardando amaramente le proprie di mani, come se in quel momento, stesse vedendo quel sangue da cui voleva salvare Jared.

Il giovane , però, sembrava fermo nella sua decisione.

“Imparerò. Come hai fatto tu!” puntando meglio.

“Chi ti dice che io l’abbia fatto.” lo spiazzò notando un leggero cedimento da parte del ragazzo che aveva di fronte. “Jared per favore….consegnami alla polizia, all’FBI, a chiunque tu voglia ma , ti prego…ti prego… non premere quel grilletto. Io sono ben oltre l’essere salvabile, ma tu …tu non meriti quel baratro che c’è dietro quel proiettile.” e maledizione….Jensen sembrava dannatamente sincero tanto che Jared cominciò a vacillare nella sua scelta.


Misha lì trovò così. Uno di fronte all’altro. Sembrava di vedere un western classico.

Capì, allarmandosene, che cosa stava succedendo ma non c’era tempo per cercare una mediazione tra i due. Doveva solo fermarli….qualsiasi cosa stesse accadendo.

“Ma che cazzo fate? Non è il momento…..Dobbiamo andare via e in fretta.”

“Ma?...cosa?” si ritrovò comunque a chiedere Jensen anche se non tolse lo sguardo da Jared.

“Non ci sono riuscito. Volevo provarci. Ma…ma…non sono riuscito a disinnescare quella dannatissima bomba!!” confessò allarmato.

“Cosa???!” ringhiò il biondo che solo allora spostò lo sguardo sull’amico. “ Ti avevo detto di non….”

“Lo so. Lo so. L’ho capito!! Sono un fottuto hacker, Jensen e non un artificiere. Fammi causa!!” replicò guadagnando velocemente l’uscita. “Ora però…sbrigatevi. Abbiamo due minuti scarsi!”, e quando li vide ancora immobili: “MUOVETEVI!!” gridò e corse fuori.


Jensen tornò a guardare Jared che ancora gli puntava la pistola contro.

“Decidi tu come deve finire, Jared!” disse remissivo l’altro. “Resterò qui se vuoi, ma tu…tu va’. Mettiti in salvo!”

Jared lo stava odiando e amando con una forza e una rabbia immane , nello stesso momento. Jensen stava per ucciderlo. Poi lo aveva salvato. Poi si era lasciato conoscere. Poi gli aveva salvato di nuovo la vita. Poi si era lasciato amare e lo aveva amato. E solo qualche ora prima , gli aveva confessato tutto di lui. Di chi era in realtà. E Jared si era sentito sprofondare.

Si era sentito tradito. Ingannato. Ferito. Usato.

Ma ora doveva essere lucido e decidere in fretta.

Mise via la pistola.

“Hai ragione. Io non sarò come te. Non voglio essere un assassino e tu non te la caverai così facilmente! Muoviti!” indicandogli l’uscita e i due corsero fuori dall’edificio, ma il timer al polso di Jensen, correva impietoso.


Avevano solo pochi secondi e dovevano farseli bastare per poter sopravvivere.

Varcarono come razzi l’uscita del palazzo di vetro, appena in tempo per sentire una potente deflagrazione avvenire alle loro spalle.

Sobbalzarono e istintivamente si accovacciarono su loro stessi. Poi lentamente alzarono il viso verso il rumore di vetri in frantumi sopra le loro teste.

Fu un attimo. Un unico lunghissimo attimo.

Jensen vide un enorme vetrata precipitare verso di loro e dalla sua inclinazione avrebbe preso Jared in pieno. E non poteva permetterlo.

Scattò fulmineo verso il giovane. Lo abbrancò dai fianchi come un provetto giocatore di rugby , spostandolo appena in tempo dal vetro in caduta libera.

L’ultima cosa che Jensen vide prima di sentire il dolore e perdersi, fu lo scintillio del cristallo che andava in frantumi contro l’asfalto.



Jared senza sapere come, si ritrovò sul cemento. Schiena a terra.

Aveva visto Jensen correre verso di lui. Un attimo dopo il ragazzo lo placcava letteralmente spostandolo dal suo posto. Poi lo schianto della vetrata. Il ronzio dei vetri in frantumo nelle orecchie. Jensen disteso al suo fianco, sulla schiena.

La scheggia di vetro conficcata al centro del petto del biondo. Il suo corpo che tremava per lo choc subito. Il viso coperto di sangue. Pezzi di vetro ovunque.

Misha che correva verso di loro e lo afferrava e lo tirava su per assicurarsi che stesse bene e che poi , preoccupato, si inginocchiava accanto a Jensen.

Sentiva Misha chiamare, allarmato, il nome di Jensen.

Ma non sentiva Jensen rispondergli.


L’unico pensiero di Jared in quel momento: l’amareggiato verdetto di Jensen.

Io avrò quello che mi merito!






N.d.A.: Nuova avventura per me e per questi J2.
Come sempre sarò felice di sapere cosa ne pensate. Nle bene e nel male.

Baci, Cin!!

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Capitolo 2
*** Conoscere il bersaglio. ***


C’era una leggera brezza che soffiava da est quel pomeriggio. Il terrazzo su cui Jensen si era posizionato per tenere sotto controllo il suo bersaglio, gli dava una visuale completa di tutto il complesso edilizio da cui il cosiddetto bersaglio doveva venir fuori a momenti.

Il soggetto è a capo di un organizzazione che rapisce ragazzini alle loro famiglie e li avvia alla prostituzione. Ma è talmente stupido e avido che non delega niente a nessuno. È lui che tiene e tira le fila di tutto e tutti. Quindi se tagliamo la testa al mostro, braccia e gambe non sapranno più cosa fare. Ci serve uno dei suoi lavori, Falco. Pulito, veloce, silenzioso.

Questa era stata la motivazione con cui gli avevano sottoposto l’ennesimo contratto.

E poi , 850.000 dollari e la sicurezza che quel pezzo di merda non avrebbe mai più fatto del male a nessuno, furono un incentivo decisamente allettante.

“Devo fare i miei controlli. Lo sapete. E poi avrete la mia risposta!” era la solita risposta che Jensen dava a chi lo contattava.

Naturalmente. Ne siamo a conoscenza e per noi va bene. Aspettiamo un suo contatto!


 

Il giorno dopo Jensen contattò Misha o WikiMisha come , amichevolmente, il cecchino chiamava il suo informatore.

Misha gli dava tutte le informazioni possibili ed immaginabili sui bersagli che gli venivano affidati. Gli dava il via libera oppure gli consigliava di attendere perché la cosa poteva essere più complicata di quanto si potesse aspettare.

Il ragazzo gli forniva le varie identità, i documenti, gli accessi ai posti in cui serviva fare dei sopralluoghi. Le password, i codici di ingresso…Insomma se Tom Cruise in Mission Impossible avesse avuto un uomo in più a disposizione , sarebbe stato Misha!

 

Il cecchino tirò sulla testa gli occhiali da sole e riprese a guardare nel mirino del fucile. Il bersaglio, puntuale come lo era stato negli ultimi cinque giorni, venne fuori dall’edificio. Sostò come al solito vicino al carretto che vendeva caffè e ciambelle e ordinò il quotidiano caffè nero doppio senza zucchero. In quel mentre, un leggero trillo fece vibrare il telefonino che come sempre Jensen aveva accanto al fucile. Attivò il bluetooth all’orecchio con gesto rapido.

“Dimmi tutto!”

Via col vento, Falco!

Il mirino contro l’orbita dell’occhio infallibile. La respirazione calma e regolare. Il dito indice che si contrasse appena sul sensibile grilletto del fucile ad alta precisione.
 

Un sibilo impercettibile. Un leggero spostamento di vento.

Un “puff!” contro il petto dell’ignaro bersaglio.

 

E l’uomo per strada, otto piani più in basso, si ritrovò a terra. Un foro rosso in pieno torace. Il cuore spezzato in due. Metà ciambella ancora incastrata in bocca, il caffè a macchiargli il costoso vestito firmato e il cemento su cui era appena caduto morto. Gli occhi sbarrati e senza vita che fissavano un panorama che nemmeno vedevano, ormai fissi solo nella morte.


“Lavoro compiuto!”

Prendi il volo, uccellino!

“Odio quando mi chiami così!” fece il cecchino mentre riponeva con tutta calma il suo fucile nella borsa a forma di chitarra e se lo sistemava dietro le spalle, sentendo una leggera risata dall’altro lato della comunicazione. Indossò il giubbetto di jeans, un cappellino con la visiera e un paio di occhiali da sole scuri invece che quelli gialli che aveva portato fino a qualche momento prima.

Scommetto che non gli hai fatto prendere nemmeno il caffè!

“Ti sbagli! Sono stato magnanimo. Gli ho permesso perfino di fare colazione!” si scorse appena al parapetto guardando verso il basso. “Più o meno!!” precisò, lanciando uno sguardo veloce in strada e osservando il caos che lentamente prendeva piede intorno all’uomo morto.

Ok!” fu la risposta non proprio decisa.

“Ok, cosa?”

Torni al rifugio?!

“No!”

Come no!?!” fece allarmato il ragazzo al telefono.

“Mi devi una birra, amico. All’ultimo poker ti ho stracciato!”

Falco , sei fuori tempo massimo. Lascia perdere la birra e vola via!” sembrò ordinare.

“Non sento le paroline magiche , angioletto!!” lo provocò.

Ok!ok! Allora la birra questa volta la offro io!

“Finalmente!!”, esclamò entusiasta.

Gesù!! E’ sfiancante parlare con te!

“Ci vediamo al solito posto!” disse soddisfatto e mise fine alla conversazione.

Dieci minuti dopo era in mezzo alla folla che si accalcava indaffarata tra le strade di Boston. Macchine della polizia che si fermavano stridendo i loro freni vicino al carretto del caffè. Agenti che intimavano di fare spazio.

Quindici minuti dopo di lui, più nessuna traccia.



Alcuni mesi dopo, l’ennesimo contratto.

Vorremmo un incontro, come dire, vis-a-vis!!” fece la persona che lo contattò successivamente. Nella solita cassetta postale, la solita busta gialla aveva preannunciato un nuovo incarico, ma questa volta nel plico non c’erano le informazioni sul bersaglio di turno, ma un semplice numero di telefono con un espresso invito a chiamare. “Categoria 1” era la dicitura di quell’invito.

Nel lavoro, per così dire lavoro , di Jensen, una Categoria 1 significava un essere decisamente infimo e sadico che agiva contro ogni etica morale, contro ogni rispetto per la vita. Ignorando che questa vita fosse di un uomo, una donna o un bambino.

“Il vis-a-vis se lo può scordare e prima che questa conversazione avvenga, l’avviso che non rintraccerà la telefonata! Non ci riuscirà. Quindi nemmeno ci provi, chiunque lei sia!” fu il prologo di Jensen mentre aveva il via libera di Misha che gli faceva segno “Ok!” con la mano.

Il mio nome è Mark Sheppard. Ed è un piacere parlare con lei, signor…..?” e attese, aspettando che l’altro ricambiasse la cortesia.

“Amico, si aspetta davvero che le dica il mio nome o vuole solo sembrare stupido?!” lo provocò Jensen, mentre Misha accanto a lui stava già cercando tutto il possibile sul nome appena sentito.

Touchè!” fece l’interlocutore. “Allora come posso chiamarla?

“Falco. Può chiamarmi semplicemente Falco!”

D’accordo…Falco. Sono il rappresentante di una società benefica internazionale che opera a livello mondiale.” e Misha annuì, girando lo schermo del pc verso Jensen, così che l’amico potesse leggere tutto ciò che riguardava Sheppard.

“Wow!! Dovrei essere colpito!” disse alzando le sopracciglia un po’ per rispondere all’uomo e un po’ sinceramente sorpreso da tutto quello che stava leggendo.

Sì, dovrebbe..perchè , di solito, noi non facciamo ricorso a servizi come i servizi che offre lei.

“Mi sta forse offendendo, Mark?!”

Assolutamente. Credo fermamente nel diritto al lavoro. Qualunque esso sia.

“Quindi se lei avesse una figlia e questa sua figlia facesse la squillo nel più lussuoso degli alberghi o nel vicolo più malfamato del quartiere… per lei andrebbe bene?!”

Cosa?...no…no…mia figlia non….Ma come diavolo fa a sapere che ho una figlia?!

“Ho i miei metodi! E mi creda, molto più efficaci dei suoi!!”

Metodi molto veloci a quanto pare!!

“Non immagina quanto!!” fece dando una pacca amichevole sulla spalle dell’amico hacker.

Dio!! E’ sfiancante parlare con lei!” rispose esasperato l’uomo dall’altro capo del telefono.

“Sì, me lo dicono spesso!!”, sorridendo alla faccia compiaciuta dell’amico al suo fianco. “Ok! Basta convenevoli. Che cosa vuole da me, Mark?!”

 

“Voglio Jared Padalecki!” fece risoluto, Sheppard.



Jensen alzò le sopracciglia con un espressione sorpresa. “Non sono un mediatore di incontri, Mark, e non mi interessano i suoi gusti sessuali o da chi le piacerebbe essere soddisfatto. Ma se è di una compagnia che ha bisogno, ci sono un infinità di siti meeting da farle girare la testa.”

“Voglio Jared Padalecki….in una fossa!” fece. “Preferibilmente morto!” precisò gelido , la sua richiesta.

“L’ascolto!” e questa volta anche il tono di Jensen si fece serio.

“Padalecki gestisce , quella che agli occhi del mondo intero, è una società che potrebbe far concorrenza alla FAO o ad Amnesty International o alle suore di Madre Teresa. Perfino Ghandi ne farebbe parte se fosse ancora vivo!”

“Non le piacciono i santi, Mark!?”

“Padalecki è tutto fuorché un santo, mi creda.”

“E come lo sa?! Non siete nello stesso campo?!”

“Era questo, quello che credevamo io e i miei soci. Ma poi, voce dopo voce, prova dopo prova, indiscrezione dopo indiscrezione se vuole…ma abbiamo appurato che è ben altra l’attività che svolge.”

“Sarebbe?”

“Traffico di bambini. Da ogni parte del mondo. Abbiamo prove che a volte sottrae giovani donne alle loro famiglie. Giovani donne che dopo aver subito violenza vengono private dei figli di quella violenza e il più delle volte , uccise o usate per fornire organi da vendere al mercato nero.”

Jensen deglutì a quel racconto e scorse terrore e disgusto anche negli occhi di Misha.

“Come fa o come fate a sapere che ciò che dite è vero?!” chiese e poi prima di avere la risposta domandò ancora: “E poi perché se avete prove o conferme, non date tutto in mano alle autorità e lo fate sbattere in galera a vita!?”

“Crede che non ci abbiamo provato?” replicò retorico l’altro. “Ma ogni volta che abbiamo provato a mettere sotto i riflettori ciò che Padalecki realmente fa, finiva tutto in una bolla di sapone. Toccare quel tipo è come toccare il braccio destro del Papa. Impossibile!”

“Niente è impossibile!” fece Jensen.

“Il fatto stesso che ci siamo rivolti a lei, Falco, è la prova che qualcosa di impossibile c’è!” ribattè Sheppard.

“Il fatto stesso che vi siete rivolti a me, vuol dire che l’impossibile diverrà possibile se accetto il bersaglio!” asserì convinto Jensen.

“Se accetta il lavoro, le manderò ogni cosa, ogni prova, ogni foglio in mio possesso a giustificazione di quello che le sto dicendo.”

“E se non accetto?!”

“Questa conversazione non avrà mai avuto luogo e noi cercheremo un'altra strada. Ma mi creda, quella che riusciremo a trovare sarà lunga e in quel tempo altre ….molte giovani vite, saranno spezzate in modo tragico.”

“Mmmh!!” mugugnò Jensen al suo cellulare.

“Capisco che voglia pensarci, ma il mio gruppo non può accettare che un simile orrore continui. Avvisare per l’ennesima volta le autorità metterebbe in allarme Padalecki e non sappiamo come potrebbe reagire con le donne che ha già in suo…possesso. Ma Dio!!....” fece ad un certo punto esasperato l’uomo. “Senta!! So che adesso mi metterò nei guai con i miei soci, ma non mi interessa. Le spedirò alla solita casella postale una copia del materiale di cui lo ho appena accennato. Lo guardi, lo studi, lo giudichi e se dopo averlo visto ancora non volesse accettare, per favore, lo bruci. Se non mi contatterà più, saprò che non intende accettare il lavoro.” e fermò la conversazione.


Jensen restò in silenzio e pensieroso per alcuni minuti dopo quella telefonata e Misha era nel suo stesso stato.

“Che intendi fare, amico?!” fece il bruno.

“Per adesso, niente. Vediamo queste carte e poi decideremo e se decideremo, agiremo come da protocollo!”

“Come da protocollo!” confermò Misha e vide l’amico alzarsi dall’angolo della scrivania dove si era seduto per parlare al telefono. “Dove vai?!”

“Andiamo, angioletto, di certo non mi farò lasciare le carte alla stessa casella postale. Farò fare a quel plico un paio di giri e poi le ritirerò da un altro ufficio!”

“Prudente!!” esclamò compiaciuto Misha.

“Ehi!! “Prudente” è il mio secondo nome!!” scherzò.

“No! Il tuo secondo nome è Ross!”

“Pignolo!” ribattè il biondo all’amico.

“Pignolo… è il mio secondo nome!” lo parafrasò Misha.

“No!” fu pronto a rispondere Jensen. “Dmitri… è il tuo secondo nome, mio caro. Per non parlare di Tippens e di Krushnic!!”

“Ma sta’ zitto!” esclamò sconfitto l’hacker, sprofondando nella sua poltroncina.

“E Ackles vince ancora!!!” esclamò soddisfatto Jensen.

“Sì, sì, sì…come vuoi. Ma sta attento comunque!!!”

“Tranquillo!” fece poi con voce più amichevole e accomodante. “Tu nel frattempo trova tutto quello che puoi su questa MercyAid Society.”


Quando un paio di giorni dopo, finalmente, Jensen ebbe tra le mani il famoso plico , andò direttamente al rifugio dove lo aspettava Misha. Il ragazzo entrò e trovò l’amico ancora seduto alla sua scrivania.

“Cavolo, Mish!!” esclamò vedendo che Misha aveva la barba incolta, i capelli scombinati e gli occhi visibilmente stanchi. “Non dirmi che non hai staccato per niente?!” e lo disse anche con preoccupazione.

“Ho dormito qui! Avevo delle diagnostiche avviate che non potevo fermare e quindi…”

“Lo sai che si diventa ciechi così?!”

“No! Non è così che si diventa ciechi, Jens.” replicò. “ E credimi, facendo quello che faccio e il modo in cui mi tieni occupato tu, non avrei tempo nemmeno per diventare cieco con il metodo originale!” replicò seccato.

“Wow!! Qualcuno qui è nervoso!”

“No! Qualcuno qui è affamato e in astinenza da caffè!” e mentre diceva quelle parole, Misha vide Jensen girarsi appena e prendere la busta che aveva lasciato su un tavolo alle sue spalle. Il biondo l’aprì appena e un inteso aroma di caffè caldo raggiunse le narici estasiate di Misha.

“Oh!!! Non dirmi che…..”

“Caffè nero, caldo ma non bollente. Ciambelle al cioccolato e anche….” Fece stuzzicandolo, prendendo dalla busta una scatola più colorata delle altre, la dondolò davanti agli occhi incantati dell’amico.

“O mio Dio!! o mio Dio!!” biascicò Misha, sopraffatto dall’odore di miele e zucchero che proveniva dalla scatola. “Non dirmi che sono…non dirmi che sono…” balbettò incredulo, avanzando con movimenti lenti verso l’amico.

“Chak-Chak!” disse soddisfatto Jensen. Aprì appena il coperchio della scatola e sorrise compiaciuto quando vide Misha chiudere gli occhi e inspirare l’aroma che proveniva dalla scatola. “Appena fatti. Credo perfino che siano ancora caldi! Direttamente da quella pasticceria russa che adori!”

“O Dio Jensen. Lo sai?!” disse rubandogli letteralmente la scatola dalle mani. “Se tu non fossi così irrimediabilmente gay e io non fossi così dannatamente etero…beh!!! ti dichiarerei amore eterno!!”

“OK! Mi basta che tu mi dica che cosa hai scoperto! Me lo farò bastare!!” fece Jensen battendogli cordialmente la mano sulla spalla.

“Sì…” fece con la bocca piena Misha, mentre si risiedeva alla sua scrivania. “E’ stato un casino, Jens. Ti giuro, non ho mai faticato tanto in vita mia per aggirare un sistema. E non ho ancora finito!!” rivelò con disappunto.

“Addirittura?!” fece sorpreso Jensen, dato che non c’era sistema computerizzato che Misha non riuscisse a piegare ai suoi comandi. Letteralmente.

“Questa società ha messo nel suo sistema un numero smisurato di firewall. Backdoor che pensi ti facciano oltrepassare il confine e che invece si rivelano essere solo finte uscite. Hanno una password ad ogni step di sistema. Nemmeno Fort-Nox è messo così.” Concluse mentre controllava a che punto erano i programmi di decriptaggio.

“Ok! Dando per scontato che io abbia capito metà di quello che hai detto, posso presumere che si tratti di sicurezza. Sono un attività benefica a livello mondiale. Magari hanno paura che qualcuno sottragga loro fondi!” ipotizzò Jensen fulminando con lo sguardo l’amico che ghignava di quella sua mancanza tecnologica.

“L’ho pensato anche io. Ma voglio comunque cercare di andare fino in fondo!” replicò Misha, fissando lo schermo del suo pc. “Quello è il plico di Padalecki?”

“Sì!”, rispose aprendolo. “Hai fatto i compiti anche su di lui?!”

“Sto’ scaricando tutto in questo momento!” e Jensen sorrise.

Jensen aprì la busta e iniziò a tirar fuori foto di ogni genere, fogli con date di incontri, di consegne , di spedizioni. Tenne le foto per lui e passò tutto i resto a Misha che iniziò ad esaminarle.

“Mio Dio!” gli sentì sussurrare il bruno.

“Che c’è?!”

“La maggior parte di queste ragazze avrà al massimo 14…forse 15 anni, Mish….” fece disgustato e anche amareggiato. Poi passò alle altre foto. Quelle dei bambini decisamente maltrattati. “Figlio di puttana!” lo sentì ringhiare , ancora, Misha.

Poi arrivò all’ultima foto. Quella che ritraeva Jared.


Per un attimo, Jensen, restò basito. Aveva immaginato di vedere un uomo di mezza età, degli occhi gelidi, dei lineamenti duri e segnati dal tempo e dalla cattiveria stessa. Invece il volto che gli si palesò davanti agli occhi era ben lontano dalla personificazione terrena del Diavolo.

Jared era giovane. Forse la sua età, al massimo qualche anno di meno. Il fisico asciutto. Era alto, da quello che vedeva dalle foto che lo ritraevano senza che lui ne fosse a conoscenza. I capelli castano chiari, lunghi fino alle spalle. Gli occhi di un colore tra il verde e l’ambra ed erano incredibilmente – già, perché dato quello che faceva non potevano esserlo – dolci. Il suo sorriso era quasi timido, accennato ma comunque caldo. I lineamenti del suo viso erano gentili. Davvero belli e gentili.

“Jensen?!” lo richiamò Misha, vedendolo così assorto nel fissare quelle foto. “Jensen???” fece con più decisione.

“Sì!!” scattò Jensen, ripresosi.

“Quello è ….Lucifero?!” fece Misha alludendo alle foto tra le mani di Jensen.

“A quanto pare!” rispose perplesso, mostrando le immagini a Misha.

“Wow!!! Non ha una sorella…magari buona?!” scherzò.

“Glielo chiederò prima di rispedirlo all’Inferno!”

“Quindi hai deciso di accettare, presumo!” azzardò Misha.

“Hai visto quelle ragazzine, Mish? Quei bambini? Dio solo sa che cosa devono passare e che fine fanno. E guarda lui!!” fece mostrandogli la foto in cui Jared era ripreso meglio. “Ora capisco perché la MercyAid non vuole agire per via “legali”. Questo tipo è il Diavolo che può tranquillamente sedersi in prima fila in Chiesa la notte di Natale. Chi crederebbe che uno così è un mostro che vende organi al mercato nero, fa violentare ragazzine e vende, per puro profitto, i bambini nati da quelle violenze e Dio solo sa che cosa ne fa di quelle giovani madri!!”

Misha deglutì a quel breve resoconto fatto da Jensen. Fissò la foto di Jared e annuì convinto. Jensen aveva ragione. Dovevano accettare il contratto.

“Ok! Mi metto in moto. Domani avrai i documenti per i sopralluoghi.”

“D’accordo. Ah! Dimenticavo!” fece senza scomporsi più di tanto.

“Cosa?!”

“Questo il nostro compenso se accettiamo.” e gli fece scivolare davanti il bigliettino con su scritto la somma proposta.

“O cazzo….o cazzo….o cazzo!” esclamò Misha incredulo. “ 2…fottutissimi… milioni di dollari!!?”

“Già!!” fece compiaciuto Jensen. “Concludiamo questo contratto amico e andiamo in pensione. Ci stai?!”

“Potrò avere il mio ranch in campagna?!”

“Quello e molto altro, amico mio!! Quello e molto altro!” disse fissando la foto di Jared.


 

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Capitolo 3
*** L'incontro ***


L' I N C O N T R O

“C’è ancora molto da aspettare ?!” domandò cordiale ma con una punto di seccatura Jensen, alla segretaria che smistava come un cerbero tutto ciò che doveva arrivare, persone comprese, al suo capo: Jared Padalecki.

“Il sig. Padalecki oggi è molto impegnato e non so quando potrò prenderle l’appuntamento che chiede. Quindi abbia pazienza e dopo che avrò parlato con lui direttamente, vedrò di sistemarla in qualche modo.”

“Sistemarmi in qualche modo?!” replicò leggermente offeso ma sorridente.

“Lei non ha idea dei giornalisti che ogni giorno vogliono un intervista…esclusiva… con lui!” disse la ragazza indicando la porta alle sue spalle.

“Posso solo immaginare!” fece accondiscendente. Poi mentre stava per rimettersi a sedere, la porta dell’ufficio di Jared si aprì e ne uscirono tre uomini indaffarati a leggere carte su carte. Il biondo approfittò di un attimo di distrazione della segretaria e scattò verso l’ufficio, entrò e si chiuse la porta alle spalle.

“Cosa c’è ora in agenda Gen?!” fece senza alzare la testa dai documenti che stava consultando.


“Un caffè sarebbe ideale a quest’ora!” fu la risposta


Jared alzò lo sguardo verso lo sconosciuto nel suo ufficio e strinse gli occhi per metterlo a fuoco. Lo fissò da capo a piedi.

“E lei sarebbe?!”

“Jay Ross. The Final Travel Journal!” rispose Jensen.

Jared ripetè a fior di labbra il nome del giornale che sapeva decisamente di funebre: “Il giornale dell’ultimo viaggio”

“Non che ci sia niente di male , ma…che interesse può avere un giornale di …..viaggi, presumo….per uno che fa il mio lavoro, sig. Ross?”

“Magari sono qui per offrirle un viaggio!? Quello che sarà il viaggio della sua vita??!!” scherzò l’altro, avanzando appena verso la scrivania.

“Ok! Divertente. Ma mi creda, se Gen la trova qui dentro …di divertente ci sarà ben poco da vedere!”

“Già, ho notato!”, convenne sbirciando la porta che aveva violato. “ La sua segretaria è un vero mastino infernale!”

“Io eviterei di farglielo notare!” e in quel preciso momento la nominata Gen fece capolino nell’ufficio di Jared. Il ragazzo alla scrivania guardò l’inaspettato ospite e sorrise sornione. “Lieta di averla conosciuta, sig. Ross!” fece come saluto di buona fortuna, Jared.

La ragazza avanzò a grandi passi verso l’intruso e il suo sguardo era a dir poco demoniaco.

“Le avevo detto che non poteva entrare. Che avrei parlato con il sig. Padalecki e che nell’eventualità le avrei preso un appuntamento.”

“Beh! ormai ci sono. Mi prenda un appuntamento per…adesso!” azzardò.

“Cosa??!!” esclamò esterrefatta la ragazza.

“Lui è libero, io sono già qui. Lei, a quanto pare…” e guardò fuori dall’ufficio, invitando la ragazza a fare lo stesso. “….ha già la sua bella fila da smaltire, quindi….. Qui Pro Quo, Clarice!!” ironizzò.

E a quel punto Jared non resistette e scoppiò a ridere.

“Lo trovi divertente?!” fece Gen, fissando il suo capo.

“Perdonami! Perdonami, Gen. Ma dopo essere stato due ore con i nostri contabili…ne avevo bisogno. E poi lui….lui è divertente!!”

“Già, io sono divertente. Anzi ..io sono esilarante!!” rafforzò il finto giornalista.

“Non si allarghi!” lo fulminò lei con lo sguardo, gelando il sorriso che Jensen aveva sulle labbra.

E mentre la ragazza guadagnava l’uscita, ricordò a Jared che mezz’ora dopo aveva una video conferenza con l’ambasciatore francese.

“Parla francese?!” chiese con fare sorpreso , Jensen.

 “Bien sùr!” recitò Jared. “y espagnol !” continuò alzandosi dalla sua scrivania, fece il giro e si andò a sedere sul bordo esterno così da stare di fronte a Jensen che nel frattempo si era accomodato su una delle poltroncine che erano di fronte al tavolo di Jared. “E un pochino di italiano! Ma detesto il tedesco…non riesco proprio a farmelo entrare in testa!” fece con aria afflitta se quel suo punto debole.

“Caspita!!” esclamò colpito Jensen, lodandolo e battendo lievemente le mani in segno di approvazione. “Sono sinceramente sbalordito. Sapevo …mi avevano detto che lei era uno che nascondeva molte …peculiarità..” accentuò con il tono e con lo sguardo. “….ma questo mi sorprende davvero!”

“Mr. Ross..io ho contatti , a causa del mio lavoro, con gran parte del mondo. Cerco di cavarmela come meglio posso, facendo ricorso sulle mie forze.” Fece con un tono che a Jensen parve decisamente serio.

“Contatti con un mondo decisamente fortunato!” azzardò.

“Al contrario!” e questa volta il tono di Jared era decisamente serio. “Io contratto con la parte peggiore del mondo. Quello che ha a che vedere con gli abusi, le torture, le violenze più assurde e cerco di rimediare per quello che posso. Con quello che posso!” rafforzò. “Non limiti il suo giudizio a quello che vede qui dentro o al palazzo in cui questo ufficio ha sede. C’è ben altro dietro!”

“Oh!! non sa quanto le credo in questo momento!” fece cercando di nascondere l’ironia.

“Che vorrebbe dire?!” chiese perplesso per quell’affermazione.

“Niente ! ma il fatto è che è difficile pensare che lei si occupa, come dire, dei più bisognosi, indossando un doppio petto firmato. O che dal suo ufficio al piano attico o magari andando a pranzo in uno dei migliori ristoranti di Filadelfia , discute della fame del mondo.”


 

Jared accusò il colpo, ma sapeva che ben presto avrebbe segnato il suo punto. Si issò sulle gambe e lentamente raggiunse il suo interlocutore.

“Lei mi è simpatico e per quanto io non capisca come la sua testata giornalistica sia interessata a ciò che faccio, voglio svelarle qualcuno dei miei segreti!” fece avvicinandosi ancora.

“Sono tutto orecchi!” lo incoraggiò Jensen.

Jared sporse un braccio verso di lui e con l’altra mano sembrò cercare qualcosa all’interno della manica della giacca. Quello che ne venne fuori , fece alzare le sopracciglia di Jensen, decisamente sorpreso.


La targhetta del prezzo dell’abito.


“Lo ha rubato?!” ironizzò Jensen, fissando il cartellino e poi il giovane.

“Sono tornato due giorni fa dall’Uganda. Nel mio guardaroba non ci sono abiti classici o tanto meno firmati. Questo, che ritornerà nel pomeriggio nell’atelier dove è stato ritirato, lo ha preso Gen perché avevo degli incontri importanti per oggi. E mi scusi tanto se non mi faccio vedere in maglietta e jeans dall’ambasciatore francese!!” ironizzò. “Non faccio un pasto decente , come direbbe lei, in un ristorante costoso, dalla…Dio!.... credo dalla mia Prima Comunione!!” scherzò. “E riguardo questo posto…” fece allargando le braccia indicando la stanza in cui era e anche quello che c’era all’esterno. “…è un ufficio messo gentilmente a disposizione da uno dei nostri benefattori.”

“Ma io…” qualcosa cominciò a trillare nella mente di Jensen. Doveva sapere se tutto ciò che stava sentendo era vero. Perché se lo era, qualcosa non tornava.

“Io non possiedo niente di tutto questo. Di mio, ho solo i beni della mia famiglia. I miei sono benestanti , non lo nego, anche perché sarebbe da ipocrita rinnegare i fondi che mi aiutano, in parte, a fare quello che faccio. Ma tutto questo…tutto questo non mi appartiene. Lo scriva bello grande nel suo articolo , Jay, perché onestamente sono stanco di dire sempre le stesse cose a tutti i suoi colleghi , ogni santa volta!!”

Jensen era senza parole, cosa molto difficile per lui e stava cercando qualcosa con cui controbattere quando Gen entrò nell’ufficio. “Jared, il collegamento è pronto!”

“Arrivo subito!” rispose il giovane. “E’ stato un piacere conoscerla , Jay!” uscendo a grandi passi e lasciandosi alle spalle il giornalista.

“Piacere mio!” rispose senza enfasi, l’altro, voltandosi appena.


 

Cinque minuti dopo, Jensen era fuori dall’ufficio “in prestito” di Jared. Senza dare nell’occhio, osservò ogni angolazione dell’edificio. I palazzi su cui affacciava l’ufficio stesso di Jared. I vari punti di accesso. Le porte delle scale, gli ascensori, la vigilanza. Ogni cosa. Come al solito.

Solo che questa volta, sentiva quella vocina , che da tempo non sentiva e che gli intimava di stare attento.

Quella vocina che già una volta gli aveva urlato nella testa!


 

Quando fu fuori dal palazzo, chiamò Misha.

“Ehi, angioletto. Come vanno i tuoi compiti!?” chiese semplicemente, dato che era per strada.

“Come mai questa domanda? Lucifero non ti ha convinto?!” ironizzò l’amico.

“Se è quello che crediamo , è un Lucifero che sa recitare dannatamente bene! Finisci i compiti. Io cerco dove fare il nido!” e mise giù.

La scelta cadde su un palazzo da cui poteva vedere perfettamente l’ufficio di Jared. La grande vetrata che sostituiva una parete, erano un invito a fare un centro perfetto , ovunque Jared si fosse trovato.

Jensen ci passò tre giorni su quel terrazzo. Annotò la distanza, il vento che tirava, i riflessi del sole nelle varie ore della giornata. Tutto come da protocollo.


 

Una mattina però accadde qualcosa.

Fino a quella mattina , le giornate di Jared erano state di una routine mostruosa, quasi snervante.

Poi verso le tre del pomeriggio, Jensen vide fermarsi davanti l’ingresso principale una macchina da cui vi scesero una coppia , una giovane donna di colore e uno che sembrava essere per lo più una specie di sorvegliante.

Li perse giusto il tempo di vederli entrare nell’ufficio del suo bersaglio.

Fu in quel momento che accadde tutto.

Jensen fissò la ragazza che entrò per prima nella stanza e quasi come un flash riconobbe i suoi lineamenti.

Per giorni prima di entrare in contatto con Jared, aveva letto e riletto il suo fascicolo, visto e rivisto ogni foto delle sue giovani vittime. Ma se erano davvero vittime perché una di quelle ragazze che erano immortalate nelle foto, era letteralmente volata tra le braccia del giovane che l’afferrava per i fianchi facendola girare intorno con tanto di sorriso estasiato?

Perché si stavano abbracciando come se non avessero aspettato altro, da tempo? Perché quella coppia alle loro spalle era tutt’altro che in apprensione ma invece sorrideva di sincera commozione?

Quale vittima ha una simile reazione verso il proprio carnefice?


 

Dal suo mirino militare , Jensen riusciva ad osservare ogni cosa, ogni viso, ogni emozione che su quel viso veniva manifestata e allora quella vocina riprese a fare casino nella sua mente.

Prese il cellulare e chiamò Misha.

“Devi darmi delle risposte, Mish. Il bersaglio comincia ad essere sfocato!” metaforò sul fatto che agire contro Jared non fosse quello che bisognava fare.

“Stavo per chiamarti, amico. Ho buttato giù qualche altro firewall di Sheppard. Qualcosa non torna, come non torna la storia su Padalecki. Devi darmi mezz’ora. Solo mezz’ora.”

“Ti do’ quindici minuti!”

“Ok!” e mise giù.

Furono quindici minuti molto lunghi, ma quando Jensen vide che il gruppo nell’ufficio stava per sgombrare, si allarmò. Sapeva che Jared aveva in previsione un viaggio quella sera stessa e se non avesse agito entro i prossimi minuti , avrebbe perso la possibilità di farlo senza creare troppa pubblicità. Non si sarebbe mai messo a sparare tra la gente.

Quindi la sua ultima possibilità doveva coglierla non appena Jared avesse messo piede fuori dall’edificio.

“Andiamo , Mish! Quanto ti ci vuole ancora??!!” fece ansioso.


E poi eccolo!

Jared!

Perfettamente al centro del mirino, non appena fece due passi fuori dal palazzo, quasi come se si fosse messo in posizione.


Jensen respirò affondo e tese il dito sul grilletto.

“Andiamo…andiamo…andiamo….” sibilò tra i denti in attesa della chiamata di Misha.

Stava quasi per premerlo quando il cellulare vibrò.

Attivò la comunicazione e…

Ferma la giostra , Falco. Ferma immediatamente la giostra!!” gridò Misha dal suo cellulare.

“Cristo Santo!!” si ritrovò a bestemmiare Jensen allontanando immediatamente il dito dal grilletto e puntando il fucile verso l’alto. L’avvertimento allarmato dell’amico poteva significare solo una cosa.

Guai!!

“Ma che stai dicendo!?” chiese dopo aver resettato quel momento di panico.

“Il bersaglio non è quello che ci hanno detto. E chi ci ha ingaggiato non è chi dice di essere!”

“Figli di puttana.” Esclamò furioso. “Ok! Torno al rifugio.”

“Perfetto! Io sono già qui.” Gli rassicurò Misha.

Jensen raccolse le sue cose, ma un attimo prima di mettere via il mirino, lo puntò ancora verso Jared, fermo per la strada insieme alle persone che lo avevano raggiunto nel suo ufficio.

“Credo che ci rivedremo presto, amico!” fece sorridendo quando vide il giovane sorridere alla ragazza al suo fianco.


 

Non appena entrò nel bunker, Jensen mise via il suo armamentario e raggiunse Misha ai computer.

“Allora ? che cazzo è questa storia?!”

“Quando ho buttato giù l’ultimo firewall è come se si fossero aperte le porte dell’Inferno. E’ Sheppard!!” disse deciso.

“In che senso?!”

“E’ Sheppard che è a capo dell’organizzazione di cui accusava Padalecki. Ho trovato i registri, i conti, gli incontri, le date dei sequestri e delle nascite. I nomi di chi usufruiva di quei…servizi. Tutto. È sbucato fuori tutto. Ed è un casino Jensen. E’ davvero un gran casino!! L’Inferno è niente a confronto dell’organizzazione di Sheppard.”

“Perché Jared? Perché volevano uccidere Jared?!”

“Non lo so, ancora non trovo niente su questo, tranne un’annotazione su un registro elettronico.”

“Che tipo di annotazione ?!”

“ “Camelot deve cadere!!!” ”

“Che significa?!”

“Forse Jared non è il cattivo della storia, ma il buono e Sheppard vuole metterlo a tacere?!” rispose Misha, indicando di tanto in tanto quello che aveva scoperto e che Jensen leggeva scorrendo velocemente con gli occhi sullo schermo del pc.

“Già. Forse Jared sa qualcosa su di lui. Ha qualcosa che potrebbe mettere a rischio l’attività di Sheppard.”

“Ma se è così, quando saprà che Jared è ancora in giro, vivo e vegeto, capirà che ti sei tirato indietro e si farà i suoi conti e magari ci proverà in altra maniera a far fuori Jared?!”

“Non glielo permetterò. Mi ha preso per il culo una volta. Non gli permetterò di fare del male a Jared.” Asserì deciso, quasi offeso per quell’affronto subito.

“Che vuoi fare?!” chiese allibito Misha da una simile decisione così veloce.

“Passo al lato oscuro. Salvo il bersaglio!”, fece convinto. “Sei con me?!”

“Lo sai che non vai da nessuna parte senza di me, uccellino!”

“Ti voglio bene anch’io , angioletto!” e si misero al lavoro.


 

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Capitolo 4
*** L'abbordaggio! ***


L’ A B B O R D A G G I O !!!

Quando Jared uscì dal suo ufficio, si guardò distrattamente intorno, quasi come dovesse rendersi conto che direzione prendere. Ma quella distrazione non gli evitò di incrociare il suo sguardo con dei bellissimi occhi verdi che lo stavano guardando.

Jared si sentì per un attimo sconcertato da quell’incontro. Assottigliò lo sguardo verso il ragazzo che gli stava sorridendo e decise di avvicinarsi.

“Credevo di averle dato tutte le risposte che le servivano per il suo articolo, dieci giorni fa, sig. Ross!” esordì.

“Non sono qui per il mio articolo. Quello ha preso decisamente una strada che non immaginavo!” affermò tranquillamente, sorridendo all’espressione perplessa di Jared.

“Allora perché è qui?!”

“In realtà sono qui da stamattina , ma il suo cerbero in gonnella mi ha messo molto educatamente alla porta. Volevo offrirle il caffè, ma ormai siamo ad ora di pranzo e credo che dovrò optare per un invito a pranzo!”

“Sono molto impegnato signor….”, ma Jensen/Jay, lo anticipò.

“Jay! Jay , andrà benissimo.” Fece offrendo la mano in segno di presentazione.

Jared la strinse cortesemente, ma ripetè educatamente il suo diniego. “Rimango comunque molto impegnato!” liberandosi subito dopo dalla presa forte della mano di Jensen.

“Andiamo, Jared!!! Non le sto offrendo la Prima Comunione!!” lo provocò Jensen, memore del loro primo incontro e Jared sorrise, non riuscì ad evitarlo.

“E cosa mi sta proponendo?!”

“Il chiosco sulla quinta. E’ poco distante da qui. Fa’ i migliori hot-dog che io abbia mai mangiato!!”

Jared strinse appena le labbra , come se stesse decidendo velocemente cosa fare. Jensen lo affascinava. Lo conosceva appena eppure lo affascinava.

“Ok!” decise alla fine. “Ma ad una sola condizione!”

“Sarebbe?!”

“Ho bisogno prima di un caffè. O giuro che prendo a pugni qualcuno!!” esordì , quando immediatamente dopo, il suo cellulare squillò. “Oddio…non ci posso credere!” disse esasperato vedendo il nome sul display.

“Non rispondere!” azzardò Jensen passando semplicemente al “tu”.

Jared sorrise, accettando quell’improvvisa confidenza. “Magari fosse così semplice!” fu la risposta. E poi attivò la comunicazione.

“Ehi!!?”

“…….”

“Sul serio, Gen??!” fece seccato guardando per un attimo verso la finestra da cui si intravvedeva la sottile sagoma femminile che lo fissava contrariata.

“…..”

“Sono in quell’ufficio da stamattina alle sette. Ho visto gente, ho parlato con altra gente, ho ascoltato l’impossibile da altra gente ancora. Sono stanco. Il mio cervello è stanco. I miei occhi lo sono e ho un disperato bisogno di caffè!”

“…..”

“Sì, lo so che avresti potuto prendermelo tu. Ma avevo bisogno di uscire da lì per un po’!!” fece mentre dava le spalle a Jensen per avere più privacy in quella sua telefonata.

“…..”

“No. Il fatto che lui abbia un sorriso incredibile, due occhi verdi fantastici e un culo da favola, non ha niente a che fare con il fatto che ho fame e ho bisogno di una pausa. Ci vediamo tra un ora!” spiegò parlando a basa voce.

“…..”

“No.” Ribadì severamente e poi: “Ciao!!” e mise giù. Sospirò pesantemente e si girò verso Jensen.

Lo trovò che sorrideva, gli occhi sorridevano e aveva le braccia incrociate al petto. In una classica posa orgogliosa e con un ghigno decisamente strafottente.

“Hai….hai sentito?!”

“Cosa?!” fece innocentemente Jensen. “Che hai fame? O che hai bisogno di un caffè?”

“Jay!” lo rimproverò bonariamente.

“O che ho un culo fantastico?!” rise più apertamente.

“O Gesù!! Io…io…mi dispiace. Io non volevo che tu…”

“Cosa? che capissi in che squadra giocavi?”

Jared sospirò leggermente imbarazzato. Jensen allora gli si avvicinò e sporgendosi appena verso il suo viso…

“Tranquillo! Giochiamo nella stessa squadra!” sembrò volerlo rassicurare dato che le sfumature di rosso che si avvicendavano sul volto di Jared diventavano sempre più evidenti.

“Cosa? Tu?...”

“E già! Non si direbbe se non fosse…” e rimase un attimo perplesso.

“Se non fosse per cosa?!” azzardò Jared , incuriosito.

“Aspetta com’era? Ah, sì!!” esclamò alla risposta giusta. “ Un sorriso incredibile, due occhi verdi fantastici e un culo fantastico!” e guardando l’espressione di nuovo imbarazzata di Jared, scoppiò a ridere.

“Da favola! Il termine che ho usato è :da favola!!” ci tenne a precisare Jared che si unì a lui nella risata.


 

Dopo quella specie di approccio sotto copertura, Jensen passò molto tempo con Jared. Ma se per Jared tutto poteva sembrare come l’inizio di qualcosa, per Jensen oltre a quel qualcosa, c’era anche il fatto che doveva tenere sotto controllo Jared.

Per non destare sospetti aveva comunicato a Sheppard che ci stava ancora lavorando e che Jared si era dimostrato un bersaglio difficile da isolare.


 

Farlo fuori in una pubblica piazza, farebbe di lui un martire. E questo non lo vogliamo, vero Mark?!” fu la scusante addotta da Jensen anche se nella risposta di Sheppard , il cecchino vi aveva scorto una palese insoddisfazione. Quindi doveva stare con gli occhi ben aperti.


 

Quando stavano insieme, Jensen di tanto in tanto faceva presente a Jared che con il lavoro che faceva poteva attirarsi addosso l’ira di qualcuno interessato a ben altro che alle buone azioni. Ma ogni volta la risposta di Jared lo lasciava profondamente colpito.

“Fare del bene ha sempre attirato il male. Ma non per questo bisogna fermarsi! ”

E ogni volta Jensen rimaneva senza parole.


 

Tutto sembrava filare liscio. I controlli di Misha, gli appostamenti di Jensen quando non poteva stare con Jared.

Fin quando, una mattina, accadde quello che i due professionisti si aspettavano.

Jensen e Jared erano ad un chiosco, accanto a degli alberi, quando un bambino si avvicinò loro per ordinare un panino. Ma fu solo per semplice fortuna che il panino gli cadde dalle mani e il bimbo iniziò a piagnucolare. Jared si abbassò istintivamente per consolarlo e fu in quel momento che un piccolo buco rosso si palesò nel petto del povero ragazzo che serviva hot-dog, facendolo cadere rovinosamente a terra.

Jensen scattò come un felino verso Jared e il bimbo, buttandoli a terra. Coprendoli con il suo corpo.

“Ma che succede?!” esclamò Jared, mentre il piccolo aveva preso a piangere impaurito.

“Sta giù. Stanno sparando!!” mormorò per non allarmare il bimbo e mentre, guardingo, osservava la piazza e gli edifici circostanti alla ricerca del bastardo che aveva appena fatto fuoco e che di certo li stava tenendo ancora sotto tiro.


 

Evidentemente Sheppard non si era bevuto la sua scusa!


 

“COSA??!” fece sbalordito , Jared, mentre automaticamente andò a proteggere meglio il bambino.

Jensen gli indicò il ragazzo morto poco distante da loro e con un gesto relativamente pacato, indicò a Jared di strisciare dietro il piccolo chiosco per stare più al riparo. “Chiunque sia, ha un silenziatore!” disse.

“Cosa…cosa facciamo?!”

“Un attimo. Ci sto pensando!” e così dicendo vide il palloncino al lato del carretto.

Si guardò in giro e vide che c’erano molte persone nella piazza davanti alla strada in cui erano loro. Si alzò appena. Tirò fuori dalla tasca posteriore del suo jeans un coltellino e lo fece scattare. Poi con la punta della lama fece scoppiare un palloncino.

Lo scoppio risuonò nella piazza e poi, subito dopo, Jensen, si alzò senza mai smettere di restare protetto dal chiosco e urlò: “Tutti giù. Qualcuno sta sparando!!” e come sperava, la reazione istintiva della gente presente fu quella di correre da ogni parte pur di mettersi al riparo.

In quella confusione, si mischiarono anche Jared e Jensen, dopo aver ordinato al bambino di restare dov’era. Ben nascosto.

Anche se Jared aveva avuto delle rimostranze da fare. Rimostranze che erano crollate definitivamente alle spiegazioni di Jensen.


 

Ascoltami. Chiunque sia, ha sparato a te. Mirava a te. E di sicuro vuole ancora andare a segno. Ora dimmi!! Vuoi che ci segua mentre abbiamo anche il bambino con noi o vuoi che lui resti qui al sicuro!”

Jared guardò il ragazzo, poi il bambino terrorizzato e comprese che Jensen/Jay aveva ragione.

Ok! Piccolo. Tu ora resti qui, al sicuro e vedrai che tra un po’ tutto sarà finito e potrai tornare dalla tua mamma. Ma non devi muoverti da qui. Ok?!”

Il bimbo annuì ancora scosso e per far vedere che aveva capito, si rannicchiò contro la paretina del chioschetto.

Bravo campione!!” fece Jensen e poi con uno strattone deciso, afferrò Jared per il braccio e lo costrinse a seguirlo.


 

Nella loro fuga una vetrina andò in frantumi senza spiegazioni, poi il vetro di un auto dietro cui si erano nascosti, poi la piccola vetrina di una libreria. Il tutto mentre la gente si chiedeva cosa diavolo stesse accadendo a quelle vetrine.

“Quel bastardo deve essere su un tetto qui intorno!” ringhiò Jensen, dopo l’ennesima sosta dietro ad una macchina.

“Ma che cosa vuole da me?!”

“Farti fuori, mi sembra chiaro, no?!”

“Ma perché?”

“Perché il bene attira sempre il male!” lo parafrasò Jensen. “Ok!, laggiù c’è la stazione della metro. Se riusciamo a raggiungerla, saremo al sicuro. Da lì posso chiamare un mio collega e poi vedremo di risolvere la cosa!”

“Perché sei così dannatamente calmo?!”

“Perché sono un giornalista. E non sono stato sempre dietro ad una scrivania!” mentì con la prima scusa plausibile che gli venne in mente.

“Sei stato in zone di guerra?!”

“Non le chiamerei così ma non penso che sia il momento di parlarne, non credi?” fece perplesso Jensen, facendo presente al giovane accovacciato al suo fianco la situazione in cui si trovavano. “Ok!...al tre corri più veloce che puoi verso l’entrata della Metro. Non voltarti. Non rallentare. Non esitare. Tu corri e basta.”

“Ma tu…”

“Tranquillo. Sarò dietro di te. Non ti lascio!” lo rassicurò Jensen.

“Ok!” rispose fiducioso Jared, pronto a fare quello che gli era appena stato chiesto.

“Allora….uno…due …..TREEE!!” e Jared scattò fulmineo verso la stazione Metro sentendo alcuni vetri andare in frantumi poco dietro di lui e la gente che scattava colta di sorpresa da ciò che stava accadendo. Ma il giovane strinse i denti e fece esattamente come gli aveva detto Jay.

Non si voltò. Non rallentò. Non esitò. Corse e basta.

E quando si rese conto di essere nella stazione, al coperto, al sicuro tra la folla che ignara di ciò che gli stava succedendo, si affaccendava tra i vari vagoni, Jared si fermò e mise le mani sulle ginocchia per riprendere fiato.

“Wow!! Non ho mai corso tanto in vita mia.” esclamò e solo allora si voltò e si rese conto che Jay non era dietro di lui come aveva promesso.

Si guardò terrorizzato intorno. Scrutò tra la gente che gli sfilava accanto. “No..no..no… Jay…Jay dove sei?!” disse a bassa voce come se fosse una preghiera. “Dove sei…dove sei….” e come una preghiera , quella sua richiesta fu ascoltata.

“Ehi!! sono qui.” Rispose la voce calda di Jensen. Gli mise una mano sul braccio per tranquillizzarlo.

“Avevi detto che saresti stato….”

“Sì, lo so. Ma nonostante io sia attratto non proprio dal gentile sesso, sono ancora un gentiluomo. E c’era una vecchietta a cui ho ceduto l’ingresso prima di entrare.”

“Spiritoso!!” ironizzò Jared. “Ma non provare più a farmi uno scherzo del genere!!” lo rimproverò subito dopo.


 

Fu un attimo.

Un bagliore nei loro occhi.

Un respiro più affannato di un altro. Un battito di cuore più forte.

Come calamite i loro visi e le loro labbra trovarono il perfetto incastro in un bacio quasi disperato. Forse in cerca di conforto. Forse di sollievo.

Le mani intorno ai visi per rendere quel contatto più concreto e forte. Le lingue che si accarezzavano premurose e lente , nel segreto delle loro bocche unite. I loro sapori che si mischiarono in un perfetto afrodisiaco. Il calore dei loro corpi che divampava in quel bacio. Poi le mani di Jared , come fatte di vita proprie, strinsero la schiena forte di Jensen, tastando e premendo , schiacciando il corpo dell’altro verso il suo. E per tutta risposta le mani di Jensen si aggrapparono quasi disperate ai fianchi del giovane come ad impedirgli di andare via, di spostarsi o solo provare a mettere spazio tra di loro.

Gemettero uno sulle labbra dell’altro e la voglia di continuare esplose come un fuoco di artificio nelle loro teste e ….


 

“Ehi!! prendetevi una stanza , piccioncini!!” fu il monito divertito di alcuni ragazzi che li sorpassarono e se li lasciarono alle spalle.


 

Quel leggero rimprovero bastò a che i due si allontanassero , almeno per riprendere fiato. Si guardarono negli occhi e dove fin’ora c’era stata la paura per quello che era successo e l’agitazione per mettersi in salvo, ora c’era una velata scintilla di passione e desiderio.

“E’ stato….è stato…”

“Da togliere il fiato!” finì Jensen leggermente affannato.

“Già. Da togliere il fiato!” ripetè Jared e poi deglutì e si costrinse riaccendere il cervello , momentaneamente fuori uso a causa del bacio meraviglioso di Jay. “Hai detto che dovevi chiamare un tuo collega?!” sussurrò ancora emozionato.

“Cosa?....sì. Sì…Misha. Devo chiamare Misha!!” balbettò Jensen e prese il cellulare dalla sua tasca. Compose il numero e spiegò quello che era successo.


 


 

Fuori dalla stazione, una pattuglia di polizia veniva allertata poiché un uomo era caduto da uno dei palazzi. Aveva a tracolla un fucile ad alta precisione, ma la cosa che mise in allarme la polizia intervenuta, fu che l’uomo non era morto per la cosiddetta caduta.

Quello che l’aveva ucciso era il foro di proiettile che aveva giusto al centro della fronte.

La caduta era avvenuta solo dopo.


 


 

 


 


 

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Capitolo 5
*** La passione di Jensen ***


L A  P A S S I O N E  D I  J E N S E N

Jensen chiamò Misha e di lì a mezzora, l’amico arrivò con la macchina e ripartì veloce verso un motel alla periferia della città.

In quella stanza, i tre, cercarono di mettere a fuoco quello che era successo. O meglio Jared cercava di darsi una spiegazione, poiché gli altri due sapevano perfettamente quello che stava succedendo ma , assecondando i pensieri del giovane umanitario, provavano a portarlo sulle strada giusta senza dover ancora svelare troppo di loro.

“Jared…” fece Jensen/Jay. “Senti! Lo so come la pensi ma credo che quello che è successo oggi è strettamente legato al lavoro che fai. Forse si tratta di qualcuno con cui i rapporti non sono del tutto buoni. O qualcuno che ha interessi diversi dai tuoi e che si sente minacciato da quello che fai. O magari….” provava ad aprirgli gli occhi.

“Jay, il mio lavoro benefico dà fastidio a molti, poiché i fondi che vengono concessi a me e alla mia associazione di certo vengono sottratti ad altre società. Come posso individuare chi ha mandato chi a farmi fuori?!” rispose esasperato fissando i due come se li avesse appena visti e poi Jensen lo vide scuotere sconsolato la testa. Quasi in modo colpevole.

“Che c’è? Che hai? Stai male?!” si preoccupò il biondo lanciando uno sguardo furtivo all’amico russo che in quello scambio di battute si era tenuto in disparte.

“Sì. Sto male. Sto decisamente male!” asserì con fermezza.

“Cosa?!” fece allarmato Jensen.

“Guarda che ho fatto, Jay!!” rispose esasperato. “Ho infilato in quest’assurdità te. E lui!!” indicando Misha. “Non avrei mai dovuto permetterti di starmi così vicino, di entrare nella mia vita e ora…”

“Jared, ascolta!”

“…e ora, tu sei in pericolo e anche lui… e mi dispiace!!” esclamò sinceramente dispiaciuto verso Misha che si limitò a scuotere la testa come a volerlo rassicurare.

“Jared…” lo chiamava ancora Jensen per farsi ascoltare.

“E io non posso accettare che tu…”

“Sta’ zitto, Jared. Ascoltami!!” lo bloccò poi, quasi gridando. Jensen si pentì immediatamente di quel tono usato , soprattutto quando vide lo sguardo addolorato di Jared, ma almeno adesso il giovane lo stava ascoltando. “Ascoltami, per favore!”

Jared deglutì e respirò profondamente, decidendo che doveva ascoltare Jay. Annuì.

“Ok! Ora facciamo una cosa. Chiunque sia che ti stia alle calcagna , ora, credo…anzi, ne sono sicuro dovrà organizzarsi di nuovo, perché in questo posto siamo , almeno per il momento, al sicuro.” affermò guardando Misha che confermò discretamente. “Misha adesso si va a fare un giro e quando sarà sicuro che tutto è tranquillo, potrà tornarsene a casa sua. Noi, nel frattempo..” disse andando più vicino al giovane che lo ascoltava con attenzione. “…ce ne stiamo buoni buoni in questa stanza. Proviamo a mettere insieme qualche idea sensata e una specie di piano per capirci qualcosa.” e sapeva che doveva mentire in quel modo, dato che Jared non sapeva chi lui fosse sul serio e soprattutto Jared non sapeva che lui già sapeva chi era il responsabile di tutto quel caos.

“Ma Jen….” e immediatamente Misha si corresse. “Jay…credi che sia davvero sicuro fare in questa maniera?!”

“Sì. Qui siamo ancora in città e chiunque sia il mandante…. di certo penserà che Jared sia decisamente fuori città. Saremo, come dire, nascosti in piena luce.” lo rassicurò.

“Ok! Optimus Prime. E cosa dovrei fare io, una volta che sarò….a casa!” chiese con decisione Misha, sottolineando con sarcasmo la parola “casa”

“Il solito, amico. Tu alla scrivania e io in strada. Lo sai che così, la nostra, è una società perfetta.” convenne con lo stesso sarcasmo Jensen.

“Posso capirci qualcosa anche io!?” si intromise Jared.

“Già!! scusa.” si giustificò Jensen. “Io e Misha lavoriamo insieme!” esordì felice di non mentire per la prima volta. “Lui , il più delle volte rimane in ufficio a fare ricerche e cose del genere. Io sono quello che scende …diciamo, in campo!” e anche questa, in un certo senso, non era una menzogna. E si ritenne soddisfatto. O per lo più era una misera maniera di mettere a tacere la sua coscienza sporca.

“Il braccio e la mente!” convenne Jared fissandoli.

“Esattamente!” fu d’accordo Jensen. “Ok! Misha, va’ adesso. Ci vediamo qui tra tre giorni. Facciamo calmare le acque e poi faremo quello che serve per risolvere questa situazione!”

“Sei tu il capo!” obbedì non proprio convinto Misha mentre seguiva Jensen verso la porta di ingresso della camera.


Fugacemente entrambi guardarono il giovane alle loro spalle che si allontanava verso la finestra più lontana e quindi approfittarono di quel momento.

“Va’ all’ufficio di Jared. Rendilo inaccessibile. Lo faremo stare lì fin quando non renderò Sheppard ….inoffensivo.”

“Credi che sia la cosa giusta da fare?!” sussurrò Misha.

“Al momento è l’unica cosa che mi viene in mente. Sarebbe complicato dirgli che deve cambiare aria.”

“Dirgli la verità, magari?!” azzardò il russo.

“Credimi. Gli hanno appena sparato e sapere che ha al suo fianco un cecchino che era stato ingaggiato per farlo fuori, lo farebbe scappare a gambe levate!” riflettè Jensen.

“Ok! Come vuoi. Io vado, ma tu sta’ attento.” Si premunì l’amico.

“Lo sai “atten..”…”

“No!! “attento” non è affatto il tuo secondo nome! Guarda in che casino sei!!!” lo anticipò Misha e andò via.



Jensen per un po’ restò fermo , con le spalle appoggiate alla porta che Misha si era chiuso dietro andando via. Restò per un po’ fermo a fissare Jared. A contemplare lo sguardo preoccupato e pensieroso che gli vedeva fisso in volto.

“Ehi! stai bene?!” cercò di richiamarlo.

Jared sorrise appena. Ironico. Ma non lo guardò.

“No, Jay. Affatto. Mi hanno sparato addosso. Decisamente non sto bene!” asserì con una punta di sarcasmo.

“Senti, lo so che questa situazione , adesso, in questo momento può sembrarti una cos….”

“E ci siamo baciati!” disse fermando quella che voleva essere una specie di incoraggiamento da parte di Jensen.

Ma fu una cosa talmente fuori luogo che Jensen strabuzzò gli occhi appena la sentì. E la cosa strana fu che a quelle parole e al ricordo che esse portarono, un piacevole crampo allo stomaco lo fece deglutire.

Solo dopo aver preso un respiro profondo, Jensen, rispose con tono calmo e pacato.

“Sì. E’ vero. Ci siamo baciati!”

“Credi che ….abbia voluto significare….qualcosa?!” domandò imbarazzato Jared che ancora non lo guardava.

“Tu vuoi che ..significhi qualcosa?!” azzardò Jensen che piano avanzò verso il giovane.

“Io vorrei che non sia…che non….” ma non riusciva a spiegarsi.

“ Che sia stato solo una cosa istintiva dovuta a quel momento?!” provò ad ipotizzare Jensen.

“Sì!” sussurrò appena. “E’ stato così?!”

“Non lo so. Ma possiamo….” e si fermò per non oltrepassare un certo limite.

Finalmente Jared lo guardò e Jensen sentì qualcosa tremargli dentro.

“Possiamo…cosa?” fece Jared e ormai erano quasi uno di fronte all’altro.

“Potremmo…non lo so….”.Un passo verso Jared. “…provare a vedere se…..” . Un altro passo. “Cioè…. capire se è stato solo…” . Un altro ancora. “O se anche…”

“Jay?!” lo fermò Jared ormai ad un respiro dal biondo.

“Sì?”

“Stai balbettando!”

“Davvero?!” imbarazzato.

“Sì. Perciò sta zitto e baciami!” e così dicendo annullò del tutto lo spazio tra di loro e conquistò le labbra di Jensen e lasciò che Jensen conquistasse le sue.

E in quel bacio improvviso ma al tempo stesso cercato e voluto, ciò che i due provarono , scatenò una tale enfasi nel loro animo più profondo, che quel bacio stesso sembrò non poter bastare a chetare la marea emozionale che li stava sopraffacendo.


Le mani iniziarono a vagare curiose e frenetiche lungo le schiene coperte dalle camicie leggere. I corpi quasi come divenuti calamite si spingevano uno verso l’altro cercando più vicinanza possibile. Le loro bocche affamate di loro stessi, cercavano appassionate la giusta angolazione per restare unite il più a lungo possibile.

Fu solo il naturale bisogno d’aria a farli separare e nonostante tutto, nei loro occhi la passione e il desiderio non sembravano scemare.

Jared spostò per un secondo lo sguardo dallo sguardo di Jensen, del suo Jay, e fissò malizioso il letto poco distante da loro. Jensen, da par suo, seguì la traiettoria dello sguardo di Jared e sorrise appena.

“Credi che …sia una …buona idea!?” ansimò emozionato e forse nervoso.

“La migliore che io abbia mai avuto se tu…sei d’accordo.” rispose Jared.

Jensen si allontanò piano dall’abbraccio in cui Jared ancora lo teneva stretto e piano si diresse verso il bordo del letto. Quando vi fu vicino si girò di nuovo verso il giovane e con movimenti lenti e decisamente sensuali, si sbottonò la camicia e facendola scivolare piano lungo le poderose spalle, rimanendo così a torso nudo, si sedette sul materasso.

“Vieni qui!” invitò con voce roca e sexy e allungando una mano verso Jared che quasi in ipnosi obbedì a quel sensuale invito.

Il giovane poggiò un ginocchio sul bordo del letto sovrastando così Jensen che , invece, poggiando un piede sul materasso, fece perno e si portò più al centro del letto.

Jared seguì lentamente lo spostamento dell’altro al centro del letto e quando Jensen sembrò aver trovato il punto più comodo, Jared gli mise una mano sul fianco come a volerlo fermare e sensualmente si andò a sedere cavalcioni su di lui.

Il biondo portò le mani lungo la schiena del giovane e pigramente gli carezzò la sensuale linea della muscolatura. I fianchi, la schiena, le spalle fino a scavalcarle per poi scendere sul torace fino agli addominali in tensione. In modo specularmente sensuale, Jared compiva gli stessi movimenti e ora entrambi erano quasi mani nelle mani.

Jensen, poi, iniziò a slacciare i bottoni della camicia di Jared e uno dopo l’altro i piccoli cerchietti di osso, lasciarono che il biondo potesse godere della bella fisicità del giovane amante. Quando l’ultimo fu sganciato, Jensen infilò le mani tra la stoffa e la pelle accaldata di Jared e lasciò che la camicia cadesse silenziosamente e sofficemente dalle spalle del compagno. Poi con un movimento leggero e fluido l’afferrò per un piccolo lembo e la lanciò oltre il letto.

“Non è giusto!” si lamentò sorridendo Jared vedendo dove era finita la sua povera camicia.

“Te ne comprerò un'altra!” replicò Jensen, mentre si sporgeva verso di lui e gli baciava il torace ormai esposto.

“No…non è giusto che io non possa fare lo stesso con te!” lo corresse malizioso Jared.

Jensen alzò lo sguardo verso gli occhi ammiccanti del giovane e decise di accontentarlo anche se in un altro modo.

“Beh!...” rispose scostandosi appena. “Indosso ancora i pantaloni. Puoi sfilarmi questi se vuoi!”

“Non aspettavo altro!” e con un movimento deciso ma non brutale, poggiò la mano al centro del petto già nudo di Jensen e lo spinse contro il materasso.

Jensen giurò a se stesso che mai nessuno, in nessun modo, in nessuna occasione o maniera gli aveva sfilato i pantaloni in un modo così sensuale ed eccitante.

Jared gli aveva slacciato la cinta e sbottonato i jeans con accuratezza, senza fretta o ansia. E ad ogni movimento aveva fatto seguire un soffio o un bacio leggero o una semplice carezza. Tutto era stato fatto come a dire: Questo è l’inizio, aspettati altro!!!

Le mani avevano agito con delicatezza - anche se ogni tocco lungo la linea dei fianchi di Jensen e delle sue cosce era stato pressante e voluttuoso - mentre gli sfilavano i pantaloni e il suo bacino era scattato istintivamente verso l’alto quando la bocca calda e lasciva di Jared si era attardata sulla sua virilità fremente ma ancora nascosta dal tessuto dei boxer.

“O cavolo…” si era fatto sfuggire il biondo mentre piacevolmente agitato da quello che stava avvenendo al di sotto della sua cintola, cercava conforto e sostegno dalle lenzuola strette fra le sue mani.

“A quanto pare sto facendo un buon lavoro!” ghignò Jared, godendosi il meraviglioso volto sconvolto di Jensen.

Un secondo dopo, i due, erano intenti ad intrecciarsi ed incastrarsi lascivamente tra loro. Gli abiti rimasti divennero ben presto solo di intralcio alla loro passione sempre più calda e quando finalmente furono nudi ed esposti completamente al loro piacere, quel piacere stesso la fece da padrone.

Jensen si fece decisamente audace nei suoi movimenti e prese un dolce ma appassionato predominio sul suo amante che, per niente contrariato, si lasciò sovrastare. Il biondo lo fece sdraiare sulla schiena così da poterlo guardare in tutta la sua statuaria bellezza e cavolo!! ..se Jared non fosse magnificamente ….bello.

Gli baciò le labbra ansimanti e arrossate per i baci già dati. Scese lentamente, seguendo con la lingua, la linea del bel profilo del giovane. Mento, bacio. Mandibola, bacio. Collo, bacio. Spalla, bacio.

Tutto! Jensen voleva baciare tutto di Jared, saggiare ogni suo piccolo lembo di pelle, seguire il disegno dei suoi brividi quando veniva baciato. Placare con altri baci i fremiti causati dalle sue dita che si attardavano in posti più intimi.

“Jay….Jay….” sibilava intanto il giovane mentre Jensen lo conquistava in quel modo così terribilmente meraviglioso. Jared aveva l’impressione come se Jensen volesse imprimersi nella mente ogni parte del suo corpo e la cosa lo spaventava ma al tempo stesso lo inebriava. Lo eccitava.

Sì, perché in quella sua pratica così intima, Jensen, piano piano, era arrivato al suo ombelico e poi alla fine, sul suo ventre affannato e ancora non si fermava. Scendeva. Scendeva. E baciava e carezzava ancora. E ancora. Fin quando un calore umido e avvolgente non  sconvolse Jared.

Si costrinse ad alzare la testa, fino a quel momento schiacciata contro il cuscino così da sopportare i tocchi di Jensen, e vide il compagno che sensualmente lambiva la sua virilità eccitata e fremente. Lo vide muoversi con movimenti lenti e ritmici, su e giù, su di lui. Sentì il velluto della sua lingua che lo accarezzavano in tutta la sua lunghezza nascosta tra le labbra affamate e carnose di Jensen. Sentì la dolce presa dei suoi denti su di lui e tremò e quel tremore lo fece scattare istintivamente con i fianchi verso quella bocca maledettamente calda e eccitante e piacevole e peccaminosa e…ancora, ancora, ancora.

E gemette di frustrazione quando le mani di Jensen si posarono decise sui suoi fianchi per tenerlo bloccato al letto. Poi la bocca di Jensen lo abbandonò lentamente come se stesse comunque ancora gustandosi quel peccato di gola.

“Jay….” esalò l’altro, sconvolto per essere stato strappato da quel piacere immenso che stava per raggiungere. Gli occhi sgranati, le pupille dilatate dall’eccitazione provata. La bocca schiusa in cerca d’aria.

Jensen lo fissò soddisfatto. Jared in quel momento era il piacere fatto carne.

“Cosa c’è , piccolo?!” lo provocò. “Vuoi che mi fermi?!” azzardò Jensen ricevendo in cambio uno sguardo fulminante o forse supplichevole di andare avanti.

Jared deglutì rumorosamente e a fatica.

“Voglio…voglio…”

“Cosa, Jared? Cosa vuoi?!” continuò malizioso Jensen, mentre si abbassava di nuovo per baciargli la sua mascolinità pulsante e frustrata dall’essere stata abbandonata. E poi un attimo prima che Jared trovasse la forza e l’aria di rispondergli, le dita di Jensen iniziarono a stuzzicarlo, a cercare spazio dentro di lui, a conquistarlo in una maniera ben diversa di come aveva fatto fino a quel momento.

Jared gemette di puro piacere e le sue gambe si mossero istintivamente , in un tacito invito a continuare , a dare più spazio.

“Di più. Voglio di più. Voglio che tu vada anche oltre.” ansimò allungando una mano verso il volto di Jensen per accarezzarlo. “Voglio te. Voglio ogni cosa di te. Voglio sentirti. Voglio goderti e farti godere!”

Quel tocco e quelle parole, per Jensen, furono come benzina sul fuoco. Non riuscì a trattenersi. Scattò veloce verso il volto del giovane che lo stava fissando in estasi e lo baciò. Lo baciò forte. Con passione. Con devozione. Le loro teste si piegavano cercando l’angolazione giusta che avesse potuto concedere più profondità a quel bacio. Le loro lingue si scontrarono di nuovo in una danza umida e frenetica. Si cercavano, si trovavano, si saggiavano e appagate mischiavano i loro sapori.

“Dimmi che mi vuoi anche tu come ti voglio io!” boccheggiò Jared quando Jensen gli concesse di respirare.

Jensen fissò i suoi occhi verdi, belli , profondi, ipnotizzanti, in quelli più docili di Jared.

Mio Dio!, si ritrovò a pensare in quell’istante, sono fottuto!!

Capì che quello che aveva iniziato a sentire per Jared non era mera attrazione fisica o ricerca di una semplice soddisfazione. No!, Jared gli stava entrando dentro lentamente e stava arrivando in punta di piedi fino al centro del suo cuore. Con ogni sua parola o gesto o sguardo. Nel modo in cui gli si stava concedendo fiducioso e disarmante.

“Ti voglio, Jared. Mio Dio!!, ti voglio dal primo giorno che ti ho visto e che mi hai messo in riga nel tuo ufficio!” rispose cullandogli il viso con una sua mano. E sapeva di non mentire. “Sei in ogni mio pensiero. Dal primo del mattino all’ultimo della sera. E mi fa paura sentire quanto ti voglio dopo così poco tempo!” ammise e rimase perplesso quando video sul volto del giovane imprigionato sotto di lui, comparire un leggero sorriso. “Che c’è?!”

“Io provo la stessa cosa, quindi….” convenne muovendo appena i fianchi verso la mano di Jensen ancora nascosta tra le sue gambe.

“Quindi….” convenne Jensen muovendosi anche lui e piegando e flettendo le sue dita così da raggiungere quel punto magico.

“Non…non..così…!” sussurrò Jared. “Non così…”

E allora Jensen sfilò piano le dita dal corpo di Jared rimanendo per un attimo in quel posto caldo a massaggiarlo delicatamente. Poi si posizionò tra le gambe del suo amante e si stese su di lui, accarezzandolo , baciandolo e quando sentì la sua virilità vicina all’intimità più segreta di Jared, si issò piano su di lui e affondò in lui. Strenuamente lento.

Dalle loro bocche , un sibilo misto a dolore e piacere. Un respiro strozzato. Una spasmodica ricerca d’aria per contrastare quello che si stava provando. Il freddo del sudore sulla schiena. Il calore dei loro corpi che si univano ancora più in profondità. La frizione della loro pelle accaldata. Le mani di Jared che si aggrapparono alla schiena forte e possente di Jensen così da non farlo andare via. Le braccia di Jensen tese ai lati delle spalle di Jared così da avere la possibilità di spingersi ancora dentro di lui.

E poi bastò uno sguardo. Un solo semplice sguardo di intesa e la danza ebbe inizio.

Bellissima, appassionatamente dolce, cadenzata, ritmicamente incalzante. A volte lenta per gustarsi ogni lamento o ansimo. A volte più veloce per ricercare quel piacere che però si voleva ancora evitare, tanto era estasiante ciò che si stava provando.

“O Dio!...Jared…” ansimava Jensen conquistando ogni parte di quel corpo bellissimo che si inarcava sotto di lui e godendo della visione del volto accaldato di Jared che non smetteva mai di guardarlo.

“Di più…di più…Non smettere…..ti prego…di più… continua…” chiedeva Jared aggrappandosi a lui e stringendogli le lunghe gambe intorno ai fianchi così da sentirlo di più. Da sentire Jensen affondare di più in lui, conquistarlo fin dove i loro corpi permettevano. Esalando respiro dopo respiro pur di vivere ogni secondo di quell’amplesso così sconvolgente.

“Io non….non resisto. Piccolo…io..” cominciò ad incespicare Jensen, mentre i suoi movimenti divennero più decisi , profondi ma scoordinati.

“Lasciati andare….lasciati andare…” lo rassicurò Jared, ormai anche lui completamente perso e decisamente vicino al bordo di quello splendido precipizio che li avrebbe fatti cadere in uno strabiliante orgasmo.

I loro corpi tremarono insieme, scattarono uno verso l’altro come se sentirsi ancora più uniti li avesse potuti aiutare a sopportare quella forte scarica di elettrico piacere che li attraversò potente.

Un grido silenzioso sfuggì dalle labbra di entrambi. L’aria , per alcuni secondi, mancò ad entrambi e poi come uno tsunami tornò a riempire violentemente i loro polmoni e iniziò a farli ansimare e respirare affannosamente.

Poi lentamente, dolcemente, la frenesia lasciò il passo a quella bellissima spossatezza.


Jensen poggiò la fronte sudata contro quella del giovane ancora legato a lui e lentamente sciolse quel loro legame intimo, dispiacendosi della sottile smorfia di dolore che vide sul volto di Jared.

“Mi dispiace.…mi dispiace….mi dispiace…” ripeteva mentre scivolava via da lui.

Jared lo baciò per farlo smettere. “Tranquillo! È tutto ok! E’ che era davvero da tanto che io non…”

“Avresti…avresti dovuto dirmelo. Insomma…noi… Avremmo potuto…non so…io, magari…”

“Jensen, lo stai facendo ancora!” lo rimproverò docilmente, Jared, accarezzando con le dita il profilo delle belle labbra di Jensen.

“Cosa?!” chiese confuso.

“Stai balbettando!” lo prese in giro.

“Scusa!” fece ancora mortificato, l’altro.

“Smettila di scusarti e tienimi abbracciato!”

“Questo posso farlo!” asserì deciso il biondo che si spostò appena, poggiandosi allo schienale del letto e tirandosi dietro il magnifico corpo del compagno.


 


 

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Capitolo 6
*** La rivincita di Jared ***


LA  R I V I N C I T A   D I   J A R E D


Pacificamente esausti e soddisfatti, i due amanti, se ne stavano uno tra le braccia dell’altro.

Jensen , ancora appoggiato allo schienale del letto, teneva stretto a lui il corpo caldo di Jared che , pancia sotto, sembrava aver trovato l’incastro perfetto del suo corpo con quello del compagno.

La sua testa sembrava fatta apposta per incastrarsi perfettamente con la curva decisa del collo di Jensen. Le braccia parevano avere la misura giusta per poter abbracciare Jensen completamente e le loro gambe, di sicuro, non erano mai state così comode come lo erano adesso. Legate in un perfetto e sensuale intreccio.

Passarono così, in quella posizione, parecchio tempo. Quasi tutta la notte.

Vollero godersi tutto di quello che era successo tra loro. Assaporarsi fino all’ultimo secondo di appagamento fisico e non.


 

“Jay!?” sussurrò Jared senza spostarsi dalla sua posizione.

“Mmh!!?” fu la dolce anche se lamentosa risposta di Jensen che in quel pacifico e rilassato abbraccio non aveva mai smesso di carezzare pigramente la schiena del suo amante. La mano che lenta e ritmica saliva e scendeva , delicatamente, lungo tutta la spina dorsale di Jared, concludeva, ogni volta, quel sali-scendi lasciando una delicata carezza alla base del collo del giovane.

“Credi che sia da incosciente pensare di stare magnificamente in questo momento anche se solo qualche ora fa ci hanno sparato addosso e che potrebbero ancora farlo?!” fu la strana domanda che fece Jared e che a Jensen parve quasi dovuta da un insensato senso di colpa.

“No. Non lo credo affatto. Anzi, se non fosse assurdo dirlo, quasi quasi ringrazio il tipo che voleva fare il remake di “Due nel mirino” con noi.”

“Sul serio?!” fece , sorridendogli , Jared, che si issò su un fianco per poterlo guardare.


Mio Dio!! si ritrovò a pensare il giovane perdendosi nello sguardo incredibilmente smeraldino e profondo di Jensen. Mai visti occhi così belli!


“Certo. Se non fosse stato per lui, non penso che avremmo trovato il coraggio di fare quel passo che ci ha portato fin qui.” ammise Jensen, sistemandosi meglio contro il materasso e contro Jared.

“E dove ci avrebbe portato?!” domandò con un tono leggermente malizioso.

E Jensen decise di stare al gioco.

“Non so dove sei tu, ma io sono magnificamente incastrato sotto il magnifico corpo di un magnifico ragazzo il cui magnifico viso non fa altro che farmi venire in mente pensieri non proprio….magnifici!” ironizzò il biondo.

“E che pensieri sarebbero, se non sono indiscreto?!” domandò mentre gli rubava un bacio leggero ma umido.

“Brutti…davvero davvero brutti!” fece con aria contrita e colpevole, dopo aver risposto al bacio.

“Brutti in che senso?!” lo provocò Jared, mentre con un gesto deciso tirava più giù , verso il materasso, Jensen, e lentamente mentre il biondo parlava, lui gli si sistemava meglio sopra.

“Nel senso…indecenti.” rispose Jensen offrendogli innocentemente il collo.

“Indecenti?” si finse sconvolto e nel frattempo baciò Jensen sul collo, godendo del brivido con cui sentì fremere il compagno.

“Sconvenienti..” proseguì , l’altro, leggermente affannato dai brividi che iniziava a sentire scorrergli lungo tutto il corpo.

“Sconvenienti?!” ripetè ancora Jared e con una mano scese a carezzargli sensualmente la linea dei fianchi mentre ancora lo baciava.

“Lus…lussuriosi!” balbettò Jensen, intuendo quello che stava cercando di fare il suo sorprendente amante.

“Lussuriosi?!” e a questo punto non solo le mani di Jared scesero a dare attenzioni al corpo di Jensen. Era tutto il corpo di Jared a torturarlo piacevolmente: Bocca, mani, dita, pelle, fiato.

Il giovane , bacio dopo bacio, accarezzò con la bocca e la lingua, il corpo del compagno , fino ad arrivare alla sua virilità , oramai , di nuovo piena di gloriosa vita.

“Inap…inappropriati!!” quasi boccheggiò il biondo a quel contatto eroticamente intimo.

“Inappropriati?” ripetè Jared , sorridendo malizioso dalla sua posizione. “Davvero?” ironizzò lambendo con le labbra la pelle delicata del basso ventre di Jensen. “Dopo quello che tu e la tua ..lingua, mi avete fatto meno di un ora fa?!” e poi bloccandolo appena dai fianchi. “Per non parlare di quello che mi ha fatto il tuo amichetto qui sotto?!” lo provocò ancora, prima di procedere a quello che aveva in mente e che lasciò Jensen con le parole a metà tra gola e labbra.

“Jar….Jared…” riuscì appena a biascicare Jensen, quando la bocca di Jared prese il sopravvento della sua intimità esposta.

Jared ne baciava la lunghezza, ne accarezzava con il velluto della sua lingua l’intera turgidità. Con il calore delle sue labbra portava conforto ai tremori con cui la vedeva fremere. Poi, quando un gemito più appassionato da parte di Jensen , gli rubò un sorriso soddisfatto, il giovane , abbandonò quella sua dolce e appassionata tortura per tornare a guardare il suo amante , decisamente sopraffatto dal piacere che stava ricevendo.

“Troppo inappropriato?!” lo provocò ironicamente.

Jensen , non riuscì a dirgli nulla.

La mente ancora confusa dalle sensazioni che le attenzioni di Jared gli avevano provocato. L’unica frase che riuscì a mettere insieme fu qualcosa del tipo: “Ti stai vendicando?” e Jared soddisfatto decise di giocare la sua partita.

Tornò verso il volto accaldato di desiderio del suo bellissimo amante e ghignò un tanto soddisfatto quanto malizioso: “Ne ho tutta l’intenzione!” sentenziò baciandolo talmente profondamente da togliergli il fiato.
Poi,  furono le mani di Jared che si prendevano ogni parte del corpo di Jensen. La sua bocca che ne saggiava ogni centimetro. La sua lingue che ne gustava il sapore dolce e salato e tanto tanto inebriante. E infine il suo corpo che , comunque insodissfatto richiedeva di prendere ancora di più. Fin quando quell'intima richiesta non fu esaudita e Jensen si arrese completamente e lasciò che ogni parte di lui soccombesse alla passione di Jared.

Mai vendetta fu così appagante!!

Il falco aveva decisamente perso la sua gara contro una colomba.


 

Quei giorni passati in quella stanza di motel, trascorsero così. Tra baci, carezze, fremiti e ansimi appassionati.

La voglia di stare insieme, la soddisfazione di scoprire di volta in volta quei punti particolarmente sensibili dei loro corpi. Stare insieme e stare insieme in quel modo, sembrò qualcosa di cui i due neo amanti non riuscivano a fare a meno.

Uno strano oblio dovuto alla loro quasi indispensabile necessità di amarsi ogni volta che il loro corpo ne sentiva il bisogno, annebbiò il vero motivo per cui erano costretti a stare rinchiusi in quella camera.


 

La mattina del terzo giorno, erano appena usciti dalla doccia e si stavano godendo una più che meritata e abbondante colazione, quando Misha tornò a bussare alla loro porta.

Jared fece per andare ad aprire ma Jensen lo anticipò. Lo fermò per il polso e sporgendosi verso di lui, gli baciò la fronte spaziosa.

“Sta’ qui. Vado io.” gli disse sorridendogli dolcemente e allontanandosi da lui per andare ad aprire.


 

Jared sentì il suo stomaco contorcersi piacevolmente. Sentì il suo cuore battere all’impazzata. Perfino le sue mani a volte tremavano dall’emozione quando il suo Jay gli era vicino.

Che cosa gli aveva fatto quell’uomo? Possibile che fosse stato in grado di fargli provare quelle emozioni e quelle sensazioni in così poco tempo? Possibile che fosse già assuefatto alla presenza di Jay? Che il suo corpo andasse pericolosamente in astinenza quando Jay era lontano da lui? Che fosse già talmente preso da lui che aveva perso di vista il motivo per cui erano in quella stanza ?


 

Ma se questo era quello che, in quel momento, si allarmava nella mente di Jared, quello che vorticava in quella di Jensen era ben altro.

Il cecchino si era offerto di andare ad aprire per mera protezione. Misha non aveva detto a che ora sarebbe tornato e quindi Jensen non sapeva chi c’era dietro la porta. Prima di aprire mise la mano, con indifferenza, sul suo giubbetto accartocciato apposta sul pensile del piccolo ingresso della stanza, così da poterci nascondere dentro la pistola.

Jensen aveva visto che Jared non gli aveva tolto gli occhi di dosso e fu per questo che compì quel gesto con più noncuranza possibile ma allertando comunque i suoi sensi ad agire se ce ne fosse stato bisogno.

Guardò dallo spioncino e quando vide che al di la della porta c’era effettivamente Misha, si sentì sollevato. Si voltò verso Jared e gli fece l’occhiolino per rassicurarlo.

“Chi è?” chiese comunque.

“Io!” fu la risposta.

“Io chi?” chiese ancora sorridendo divertito a Jared che gli sorrideva di rimando.

“Sono Misha. Apri…Jay!!” fece l’altro calcando chiaramente sul nome.

“Come faccio a sapere che sei Misha?!” lo stuzzicò ancora Jensen, poggiandosi con la spalla allo stipite della porta e incrociando le braccia al petto.

“OH!! Andiamo. Ti sembra davvero il momento di scherzare?!” rispose seccato l’amico oltre la porta.

“Vedi!!? Il mio vecchio amico Misha non rinuncerebbe mai a scherzare!” lo provocò.

“Il tuo vecchio amico Misha sta per sputtanarti con il tuo nuovo amico Jared se adesso non apri questa dannata porta.” lo minacciò Misha.

“ Davvero? E cosa…” ma Misha non lo fece nemmeno finire e mise in pratica la sua minaccia.

“Ok! Te la sei cercata. Quando avevi 16 anni andavi matto per la seta e hai perfino indossato un paio di mut…”

“Ok!!! OK!! Hai vinto!” e vinse sul serio, perché prima che Misha potesse terminare la sua “rivelazione”, Jensen aprì velocemente la porta e lo tirò dentro, afferrandolo per un braccio.

“Fesso!” fu il saluto di Jensen.

“Puttana!” quello di Misha che si sistemò la camicia strattonata da Jensen.


 

Jared rideva apertamente di quel siparietto e non fece caso al fatto che Misha si guardò intorno e non fece nemmeno caso al modo in cui l’amico appena arrivato, scrutò lui e Jensen da capo a piedi.

“Vedo che avete fatto già colazione?!” chiese fissando Jensen appena dietro di lui.

“Sì. Avevamo fame!” rispose l’amico.

“Lo immagino!” replicò Misha appena appena malizioso.

“Molta….fame!” aggiunse Jared, mentre si portava alla bocca l’ultimo pezzo di ciambella fissando Jensen.

“Immagino anche perché!” convenne Misha, indicando il letto ancora sfatto. “Come immagino che non abbiate pensato a come venire fuori dal casino in cui siete finiti, vero?”

“Beh!! noi…” balbettò Jared, arrossendo appena.

“Certo che ci abbiamo pensato!” andò in aiuto Jensen, che con un lieve imbarazzato, infilò le mani in tasca. “Un paio di volte…tra una cosa….e l’altra!” ammiccò.


 

“Cazzo! Ragazzi!!” esclamò esasperato il russo. “Non ditemi che non avete fatto altro dalla sera che vi ho lasciato qui!!”


 

“Certo che no!!” si difese Jensen, avvicinandosi a Jared.

“E ?!” azzardò Misha.

“Diciamo che ora….ci conosciamo meglio !” rispose chinandosi appena per baciare il capo di Jared, che istintivamente chiuse gli occhi a quel contatto e sorrise sereno. Nonostante la situazione.

“Meno male che non sono diabetico!” asserì seccato Misha, sedendosi pesantemente su una sedia accanto al tavolo.

Il ragazzo avrebbe davvero voluto che i due avessero già un piano. Però sapeva che Jensen comunque sapeva cosa fare e poi….


E poi aveva visto lo sguardo dell’amico. I suoi occhi che brillavano. Il modo in cui aveva baciato Jared e come Jared si era abbandonato a quel bacio casto. Il modo in cui lo guardava e veniva guardato.

Non si trattava della cosa di un paio di giorni da motel. Quello che vedeva sia sul volto di Jared che su quello di Jensen era qualcosa che andava ben oltre. Molto più nel profondo.

E ne fu felice perché non aveva mai visto Jensen così.

E lo sarebbe stato ancora di più se in quel momento non avessero avuto qualcuno alle calcagna che voleva fare loro la pelle.


 

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Capitolo 7
*** La verità. ***


L A  V E R I T A ’


I tre erano fermi in un vicolo. Stavano decidendo quale sarebbe stata la strada migliore per ritornare a Filadelfia e portare Jared al sicuro, nella sua sede societaria.

Stavano discutendo poiché Jensen voleva metterlo su una macchina il più anonima possibile e rispedirlo indietro. Farlo barricare nel suo ufficio che Misha aveva provveduto a rendere inaccessibile, dopo aver abilmente evitato il caos che regnava in quegli uffici, data l’ingiustificata assenza di Jared e le diplomatiche ma anche minacciose avvertenze a mantenere la calma, di Gen.
Il russo aveva piazzato sensori, telecamere, allarmi che andavano dall’ascensore allo studio e inoltre aveva polarizzato i vetri delle finestre dopo essersi finto un lavavetri. Nessuno poteva vedere all'interno di quell'ufficio.

Jared invece voleva proseguire con loro e non capiva l’insistenza del compagno di allontanarlo da lui.

Misha si limitava a fare da mediatore. Aveva ormai capito quello che c’era tra i due, sbocciato in un modo così veloce e in una maniera altrettanto forte e aveva anche capito che sarebbe stato inutile mettersi in mezzo.


 

“Ma perché ti ostini a voler continuare da solo?!” si infuriava Jared.

“Devo trovare ancora qualche prova per il mio….articolo!” menti ancora. “Poi ti raggiungerò. Ma credimi, Jared…per favore credimi…per te è meglio salire sul primo taxi e tornare a…”

“No!!! No, anche io voglio capire cosa sta succedendo. E poi non me ne vado senza di te, ok?!” sbottò istintivamente. “Io non…”

Jensen sentì un tonfo al cuore a quell’esortazione di Jared. Ma fu un tonfo bellissimo, che non provava da secoli e che forse non aveva mai provato. E si convinse ancora di più che non poteva lasciare che Jared continuasse con lui e rischiasse la vita.

Lo prese per un braccio e lo strattonò appena lontano da Misha, così da avere un po’ privacy.

“Ascoltami, piccolo.” esordì deciso ma dolce. “Quello che è successo tra noi è successo tutto molto, troppo velocemente…”

“Che cosa vuoi dire?!” sibilò allarmato Jared.

Jensen capì il fraintendimento e si apprestò a chiarire. “ Ma per quanto sia successo velocemente non sono mai stato così sicuro di una cosa. Voglio stare con te. Stare con te è quello che voglio di più al mondo e Dio solo sa quanto io sia sincero in questo momento.” confessò accarezzandogli il viso su cui l’emozione di quelle parole aveva preso il sopravvento sull’ansia di quel momento.

“Anch’io Jay. Anche io voglio stare con te, perciò…per favore, Jay…” insistette Jared, mentre Jensen cominciò ad odiare quel nome, come se appartenesse a qualcuno che non era lui e di cui doveva e voleva essere geloso.

“Sono io che te le chiedo per favore, Jared. Quelli che ti stanno seguendo, non stanno seguendo solo te…” e in quel momento aveva deciso di dirgli almeno parte della verità di quel gran casino. “…loro stanno seguendo anche me.”

“Cosa?...Perchè?!” chiese allarmato Jared.

“C’è una cosa che devo dirti…di cui avevo paura e non sapevo come dirtela.”

“Jay tu puoi dirmi tutto!” lo incoraggiò il giovane , accarezzandogli piano il viso preoccupato.

“Loro cercano anche me perché io…io non ti ho….”, ma in quel preciso istante un colpo secco risuonò nel vicolo.


Jared vide Jensen stringere gli occhi in una dolorosa smorfia di sofferenza, mentre un inaspettato contraccolpo lo spingeva con il muro alle sue spalle. Lo vide portarsi una mano verso la spalla sinistra e poi vide il sangue scorrere subito dopo tra le dita del ragazzo.


“Sta giù!!” gridò Jensen, spingendo violentemente Jared dietro ad una macchina poco distante da loro, per poi appiattirsi di nuovo contro il muro.

Lo stesso fece Misha che si accovacciò dietro la loro macchina anche se era preoccupato per Jensen che sapeva essere stato ferito.

“Jensen!!!” lo chiamò, infatti, l’amico. E Jared poco distante da loro, si stranì nel sentire quel nome.

 

Chi era Jensen? Perché Misha aveva pronunciato quel nome guardando Jay?


Ma un altro sparò lo distrasse.

“Sta’ giù, Misha. Sto…sto bene….sto bene!” grugnì, cercando di sopportare al meglio la fitta di dolore che sentiva alla spalla ferita.

“Jay!” fece la voce di Jared e il biondo lo vide che stava per correre verso di lui.

Rumoroso, esplose, un secondo sparo.

“NOOOO!!” gridò furente Jensen. “Non azzardarti a venire qui. Resta dove sei e resta…resta giù.”, lo ammonì ancora e poi guardò verso l’amico. “Misha?!”

“Sì…sì, Jensen. Sono qui!”

 

Ancora quel nome!!

 

“Mi serve un mirino, Mish!” disse ansimando sicuro che Misha avrebbe capito quella sua richiesta e mentre lo diceva tirò fuori la pistola che teneva sotto la giacca. Incastrata tra la schiena e la cinta dei jeans. Dopo averla impugnata guardò verso Jared e vide che il giovane lo stava fissando sbalordito, quasi come se stesse guardando un'altra persona.

Ma Jensen ora non poteva pensarci. Doveva sbarazzarsi dell’uomo che li teneva sotto tiro.

“Ok! Falco.” e a quel nome, per Jensen, fu come staccare tutto ed essere ciò che era e che era sempre stato. Un cecchino. Freddo e distaccato.

“Ok!”

“D’accordo. Bersaglio a 20-25 metri di altezza.” rispose Misha facendo un rapido calcolo di quanto poteva essere alto quel palazzo di sei piani

“20 o 25?!” specificò Jensen, quasi con tono seccato.

Misha guardò il palazzo. Sapeva perché Jensen aveva bisogno di quella precisione. Sbagliare di cinque metri significava puntare da ben altra parte, data la situazione e quello che stavano facendo. Il russo guardò di nuovo il palazzo e fece velocemente dei calcoli mentali. “20…20 metri.” riferì con decisione.

“Angolo?” chiese ancora Jensen.

“ Ore due. Niente vento!” furono le altre istruzioni.


 

Jared nel frattempo li guardava esterrefatti. Non capiva quello che stava accadendo. Non capiva le istruzioni di Misha. Non capiva quel nome, il perché Jay avesse una pistola tra le mani e sembrava essere così a proprio agio nel maneggiarla.

Infondo era solo un giornalista!!

Jared seguiva come un automa quello che stava vedendo e sentendo. Fu solo un gemito strozzato del ragazzo con la pistola che lo fece ridestare da quella confusione.


 

“Ok, Falco. Ora respira….” fece la voce di Misha quando capì che Jensen era pronto a muoversi. “ Respira e controlla il battito. Respirazione in quattro tempi e rallenta il cuore.” e Jensen cominciò a seguire quelle istruzioni. Chiuse gli occhi. Inspirò dal naso. Contrasse il diaframma. Inspirò ancora fin quando non sentì la pancia tirare e poi ancora finchè il cuore iniziò a pulsare ritmicamente lento.

“20 metri…. Ore 2….. Niente vento……20 metri. Ore 2…. Niente vento…” gli sentiva ripetere Jared che completamente spaesato e spaventato da quello che stava accadendo cercò di muoversi di nuovo verso Jensen.

Forte, un altro sparò riecheggiò nel vicolo.

Solo allora Jensen riaprì gli occhi.

Era il momento giusto. Per sparare il cecchino doveva sporsi.

Uno scatto fulmineo. Una contrazione veloce dei muscoli delle gambe perchè lo sostenessero. Il braccio armato che si alzò fermo e rapido verso l’alto, seguendo una traiettoria ben precisa.


Un attimo. Uno suono secco. Fragoroso. La fiammata incendiò la punta della pistola. Il proiettile schizzò via volando implacabile dritto verso il cecchino appostato sul terrazzo. A venti metri di altezza. All’angolo destro come le “ore due” sull’orologio. Niente vento.


L’uomo grugnì prima di lasciar cadere l’arma e rimanere piegato in due sul parapetto del terrazzo da cui si era sporto per sparare.

Privo di vita.


 

“Falco!” sussurrò Misha, alzandosi dal suo rifugio.

“Jay…” mormorò Jared ancora accoccolato poco distante da Jensen.


 

Jensen abbassò il braccio. Si riappoggiò al muro contro cui si era rifugiato e solo allora guardò di nuovo Jared.

“Stai bene?!” volle comunque assicurarsi , sapendo bene che ormai era uscito allo scoperto. E poi il modo in cui Jared lo guardava toglieva ogni ombra di dubbio su ciò che era stato rivelato.

Nonostante ciò, Jared si ritrovò ad annuire e Jensen si spostò appena dal muro, ma in quel movimento, la spalla gli mandò una fitta di dolore che gli arrivò direttamente al cervello. Il ragazzo fece cadere la pistola, portandosi la mano oramai libera alla spalla ferita. Un ginocchio gli si piegò costringendolo ad accasciarsi a terra e poi, il dolore ancora più forte e forse l’adrenalina che scemava fecero il resto.

Jensen cadde su un fianco e vide tutto buio.


 

Quando riprese i sensi, erano in un altra stanza dello stesso motel che avevano lasciato poco prima.

Jensen riconobbe la visuale alla finestra.

Lui era disteso sul letto e Misha gli stava controllando la ferita.

“Ma guarda chi è tornato tra noi!!” esclamò compiaciuto e sollevato l’amico.

“Perché siamo ancora qui?!” biascicò Jensen.

“Perché quel bastardo ti ha sparato, ma fortunatamente il proiettile ti ha passato da parte a parte senza fare gravi danni e quindi ho solo dovuto metterti qualche punto. Qualcuna di queste per qualche giorno e ritornerai al massimo!” disse porgendogli un paio di antidolorifici.

Jensen tirò su a sedersi. “Grazie House!!” fece gemendo appena per i punti alla spalla che tiravano e bruciavano. Fissò per un attimo le due pastiglie nel palmo della sua mano e poi con un gesto rapido le mise in bocca e ingoiò, accettando il bicchiere di acqua che gli porgeva Misha.

“Che c’è?!” fece l’amico, vedendo un chiaro turbamento sul volto di Jensen.

“Dov’è?” chiese solo.

“Di là.” rispose telegrafico.

“Mish…nel vicolo, lui….lui ha sentito e ha ….ha visto quello che io….”

“Sì, Jensen. Ha visto e ha sentito.” convenne. “Ma questo non toglie che tu gli abbia salvato la vita. Di nuovo!” ci tenne a precisare comunque.

“Ha detto qualcosa? Gli hai detto qualcosa?” si informò rimettendosi lentamente in piedi.

“No e no. Ma credo che ormai sia ora di gettare a terra le maschere, Jens.”

“Sì, lo credo anch’io!” e sistemandosi la camicia che Misha gli aveva passato e aiutato ad indossare, uscì dalla stanza.


Jared era seduto su una sedia e sembrava fissare il vuoto davanti a lui, ma in realtà , Jensen, sapeva che il giovane stava cercando di analizzare e magari spiegarsi quello che era successo poco prima.

“Jared?!” lo richiamò quasi sottovoce.

Jared non si mosse.

Deglutì appena.

Le sue mani, le sue dita che si tormentavano lentamente, quasi stancamente.

“Chi sei?!” fu la risposta a quel richiamo e poi, solo allora, alzò lo sguardo e fissò Jensen. “Cosa ….sei?!” chiese ancora.

Jensen inspirò profondamente e il suo petto tremò a causa dell’ansia che stava provando in quel momento.

“Ok!..Ok!...io credo di doverti delle risposte!”

“Tu…credi?!” replicò stancamente sarcastico.

“Jared senti…” intervenne Misha, sperando di mediare per l’amico, ma Jensen lo guardò e ringraziandolo silenziosamente, solo con lo sguardo, gli chiese di lasciarli soli.

“Ma….” provò ancora.

“Misha, per favore!” e Misha obbedì. “Vado a vedere com’è la situazione là fuori!” disse prima di andare via.


 

Quando furono soli, Jensen rimase dov’era, al centro della stanza, di fronte a Jared, mentre il giovane che non aveva mai smesso di fissarlo, all’improvviso si alzò e si spostò verso il bancone del piccolo angolo cottura della stanza.

“Jensen? E’..è questo il tuo nome?” chiese.

Jensen si voltò verso di lui. “Sì. Il mio nome è Jensen. Jensen Ackles.”

“Il…tuo vero nome?!”

“Sì. È il mio vero nome.”

“Chi è Jay Ross?” chiese ancora.

“Nessuno. Non esiste.”

“Chi sei?!” fece di nuovo.

“Te l’ho detto. Mi chiamo….”

“CHI….SEI?????” gridò Jared.

E Jensen capì.

“Per il mondo che vive alla luce del sole sono Jensen Ackles, un semplice broker finanziario. Per quello che, invece, ha a che fare anche con la sua parte oscura sono…Falco. Jay Ross è solo quello che esiste tra gli altri due.”

“Falco?!” ripetè atono.

“Un cecchino.”

“Un ….cecchino?!”

“Alcune società o membri di una certa posizione, a volte, quando capiscono che alcune situazioni non possono essere risolte per vie legali, mi contattano e mi chiedono di rimediare in modo ….veloce.” provò a riassumere quella che era la sua vita segreta.

“Rimediare?!” domandò confuso.

“Sì!” quasi sussurrò.

“In che modo….rimedieresti, scusa?!”

“Nell’unico modo in cui può agire un cecchino!” rispose freddamente. Troppo freddamente.

“Tu…uccidi.”

“Sì!”

“Per denaro?!” chiese disgustato e sconvolto.

“Non è il motivo principale….. se riesci a credermi.”

“No! Non ci riesco, perdonami!” rispose immediatamente con tono sarcastico.

“Posso capirlo, ma….non accettarlo!”

“Scusami se ti ho offeso!” fece Jared portandosi la mano sul cuore, anche se la sua espressione diceva ben altro. “E chi uccideresti solo per spirito …come possiamo dire….di umanità!!?”

“Trafficanti di droga, assassini che l’hanno fatta franca, stupratori sadici, rapitori di bambini innocenti…la feccia del mondo, Jared. Anche quella che , vestendosi di santità, se ne va in giro per il mondo a lucrare sulla vita degli innocenti!” e questa risposta Jensen la diede con tutta la sincerità e la convinzione possibile poiché era quello che ripeteva ogni volta che imbracciava il fucile.

“Wow!!! Sei un eroe!!” esclamò invece ironico Jared. “E io che pensavo di avere di fronte un semplice killer….un banale sicario…un vile mercenario!!”

“Puoi chiamarmi come vuoi Jared. Ma non ho mai ucciso nessuno che non se lo meritasse!” cercò di giustificarsi.

“E tu pensi che io possa crederti?!”

“Tu sei vivo, no?!” sbottò improvvisamente Jensen, rendendosi immediatamente conto di aver svelato una parte della sua verità.

E Jared lo fissò incredulo. Non aveva messo in conto quella risposta. Decisamente non lo aveva fatto.

“Cosa?” mormorò. “Io ero…tu avresti dovuto…uccidermi?!”

Oramai era fatta. Definitivamente. “Sì. Eri un mio bersaglio, Jared.” Ammise colpevole.

“Oddio!” esalò il giovane ripensando all’ultimo assurdo periodo della sua vita.

“Il rappresentante di una società mi ha contattato alcune settimane fa, dicendomi che tu , per quanto fossi quello che la stampa diceva e lodava, eri in realtà il mandante di numerosi stupri a carico di ragazzine, che vendevi bambini innocenti al migliore offerente, che molto probabilmente eri anche a capo di un organizzazione di traffico di organi, ma che facevi quel lavoro talmente bene da non far filtrare niente alla luce del sole!” gli rivelò.

“Ma cosa…chi….”

“Mi hanno fatto avere un fascicolo su di te con tanto di foto e documenti. Ho agito da protocollo. Come al solito. Ho creato un contatto con te per vedere il tuo ambiente e capire come agire, ma tu…”

“Io, cosa?”

“Tu non sembravi davvero quello che mi era stato indicato come un Lucifero tra gli uomini.”

“Io non capisco.” fece ancora sorpreso e sconvolto da quella rivelazione.

“Stavo per agire, Jared. Stavo per colpire quando ho visto entrare nel tuo ufficio una di quelle ragazze che mi erano state indicate come vittime dei tuoi reati. L’ho vista correrti incontro, l’ho vista abbracciarti con trasporto, l’ho vista ridere felice mentre tu ricambiavi il suo abbraccio e ho visto quelle persone che l’avevano accompagnata , emozionarsi al vostro abbraccio…” raccontò Jensen, mentre vedeva sul volto del giovane una chiara espressione di chi sta cercando di mettere a fuoco un momento ben preciso.

“Amina!” sussurrò, alla fine , Jared. “Tu hai visto Amina!”

“Non so chi fosse lei, ma il modo in cui ti abbracciava ….e poi Misha ha fatto il resto e mi ha detto di fermarmi e che quello che ci era stato detto era falso. Che chi ci aveva ingaggiati non era chi credevamo.”

“Chi?!” fece improvvisamente gelido Jared.

“Me ne occuperò io. Tu devi tornare a Filadelfia.”

“Chi ti ha ingaggiato per farmi fuori, Jensen??!” fece autoritario, chiamandolo per la prima volta con il suo vero nome.

Jensen ispirò, colpito da un tono e un espressione che non aveva mai visto sul volto del giovane.

“Sheppard. Mark Sheppard.” rivelò.

“Il rappresentante della MercyAid Enterprises ?” ripetè basito.

“Sì!”

“Dio Santo!!” e rise istericamente.

“Che….che c’è? Lo trovi divertente ?”

“Tu non immagini quanto!! Divertente e tragico allo stesso tempo!!" disse sarcasticamente. "Doveva essere tutto ancora segreto. Nessuno doveva sapere niente. Nessuno!!” sembrava ripetersi, nel frattempo.

“Segreto? Cosa doveva essere segreto!?” si ritrovò a chiedere istintivamente Jensen.

“Fra due settimane devo consegnare alla procura di Stato dei documenti e delle prove importanti che inchiodano Sheppard e la sua società per quello di cui lui accusa me. Deve averlo saputo in qualche modo ed è per questo che ti ha ingaggiato.” e questa volta fu Jensen quello sorpreso.

“Non c’era niente tra le ricerche che abbiamo fatto che riguardava questa tua….consegna!” disse quasi mortificato Jensen.

“Nessuno lo sapeva. Solo l’ufficio del procuratore o meglio solo il procuratore e niente era stato messo per iscritto.” fu la spiegazione di Jared.

“Voleva ucciderti prima che tu lo mandassi a fondo!” riflettè Jensen.

“Un bel modo per essere dalla parte dei buoni, Jensen. Complimenti!” esclamò sarcastico, Jared.

“Jared, te lo ripeto io non..”

“Non mi interessa niente. Non mi interessano le tue spiegazioni. Non mi interessa sapere quale nobile scopo ti faccia accettare o meno di uccidere qualcuno. Tu non sei diverso da Sheppard!” sentenziò Jared.

“Jared , ti prego…” provò a calmarlo Jensen.

“Sta’ zitto. Per l’amor di Dio sta’ zitto, Jensen.” ringhiò furioso Jared. “Siamo stati insieme. Ti ho permesso di avvicinarti a me in un modo e una maniera che non concedevo a nessuno da tempo, da tanto tempo….”

“Jared, ascoltami...”

“Mi sono fidato di te come di nessun altro….”

“Ti prego….”

“Mio Dio, che schifo!! disse poi con disgusto. “Ti ho chiamato Jay...Io ti chiamavo Jay mentre facevamo l’amore e tu mai una volta, non una volta, hai mostrato un minimo di...di...” non riuscendo, nemmeno lui, a dire che tipo di stato d’animo avrebbe dovuto mostrargli Jensen in quella situazione così intima. Rimorso? Vergogna? Colpa? Di tutto un po’?

“No! Non è così Jared. Credimi. Ogni volta quel nome, detto da te , in quei momenti era come un pugno nello stomaco!” cercò di giustificarsi il biondo, fermandolo.

“Che non ti ha comunque convinto a fermarti, vero?” lo accusò in parte ironico, in parte irato.

“Jared...”

“Non potevi perderti la scopata della settimana, Jensen!?” fece con disprezzo, calcando sul nome.

“Noooo!!” quasi gridò Jensen. Non era assolutamente così. Jared non era assolutamente ciò che credeva di essere stato. Anche perché Jensen sapeva cosa ormai sentiva per il ragazzo.

“Che ipocrita!” continuò sprezzante. “Che bastardo!!” con più convinzione.

“Jared...” era l’unica cosa che invece riusciva a dire Jensen.
Lui!! quello che teneva testa, con intelligenza e ironia, a tutte le conversazioni con i suoi “mandanti”. Quello che era la lucidità fatta persona, in quel momento si sentiva la persona più confusa del pianeta.

Poi arrivò il colpo finale!

“Io e te abbiamo chiuso!” affermò Jared improvvisamente. Improvvisamente gelido. “Non mi interessa più niente di te. Qualsiasi cosa sia successa tra me e te in quella stanza smette di avere un qualche valore. Il solo pensarci mi fa schifo e credimi vorrei tanto vomitare adesso. Tu mi fai vomitare. Quello che fai e come lo fai mi da' il volta stomaco.” e per un assurdo motivo il suo respiro si fermò quando vide Jensen deglutire dopo quella sua affermazione.

Il biondo sembrava essersi fatto di sale. Quasi pallido anche con la biblica statua.

Ma Jared non poteva cedere. Non dopo quello che aveva scoperto.

Quindi si riprese. “Ma dopo quello che è successo e il punto in cui questa storia è arrivata, c’è solo un modo per portarla al termine.”

“Che…cosa…” balbettò Jensen ancora colpito duramente dalle parole di Jared e da come lo aveva appena cancellato dalla sua vita.

“Cambio di bersaglio!” asserì gelido e Jensen trasalì.

“Jared, no. Non lo farò!”

“Tranquillo. Non scenderò al tuo livello o peggio, a quello di Sheppard. Mi serve il tuo aiuto solo per mettere fine ai suoi traffici. Mi serve Misha per arrivare dove io non posso.” asserì pragmatico.

“Che cosa intendi fare?!”

“Voglio che sappia chiaramente che ho la possibilità di mandarlo all’inferno e che ci riuscirò dovesse costarmi la vita stessa.” fece lucido. Stranamente lucido. O forse incosciente della decisione che stava prendendo.

“Jared, tu…”

“Voglio che sappia che so perfettamente dove si trova il suo ufficio, il suo vero ufficio e che sto andando da lui per sbattergli in faccia che ormai ha perso!”

“Tu sei pazzo, Jared. Ti farai ammazzare!” sembrò quasi rimproverarlo.

“Beh! da quello che mi hai detto non è facile uccidermi!” rispose Jared con tono sarcastico.

“Non tutti quelli come me si preoccupano di capire chi merita di morire o meno!” ribadì deciso Jensen, fermandolo per un braccio, mentre il giovane lo sorpassava per uscire dalla stanza.

“Uno: ora sono io a decidere come andare avanti. Due: non osare mai più toccarmi…” fece strattonando la presa di Jensen. “…Falco!” concluse, pronunciando quel nome con disgusto.

“Potrei rifiutarmi di accettare…l’incarico!” suggerì Jensen, sperando in una sorta di rinsavita da parte di Jared.

“Fallo!” lo sfidò Jared. E poi sapendo di colpire basso: “Così sarà più facile per gli altri andare a segno dove tu hai fallito!” lo provocò.

“Figlio di puttana , tu lo sai che non ti lascerò andare da solo!” sibilò furioso per quella costrizione.

“Perché? Perché sei un provetto Batman?!” lo provocò Jared.

“No…perché mi sono innamorato di te!” e quelle parole gli uscirono dalla bocca prima che lui potesse rendersene conto e oltre a colpire in pieno Jared, sconvolsero anche lui, ma contrasse la mascella come per riprendere il controllo su quel momento assurdo in cui Jared gli mostrava il suo odio e lui gli confessava il suo amore. “E farò tutto il possibile perché tu sia al sicuro.”

Jared per un attimo si sentì vulnerabile, ma non poteva permettere a quello che anche lui sapeva di provare per Jensen, e quello che Jensen gli aveva appena confessato, di fare da paciere a tutte le menzogne che lo stesso Jensen gli aveva detto.

“Non ha alcuna importanza. Niente di quello che puoi sentire o provare, per me, ha importanza. Tra noi, d’ora in poi, ci sarà solo un …rapporto di lavoro! Tu , Jensen o Jay o come diamine ti chiami, non esisti più!” e uscì dalla stanza.

Jensen sbuffava letteralmente rabbia dal naso. Anche perchè sapeva che non avrebbe mai lasciato che Jared facesse quello che aveva in mente, senza avere le spalle coperte.

Scosse il capo amareggiato, sconfitto.

“E sia!!” sibilò esasperato, mentre recuperava la sua giacca e lo seguiva.


 

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Capitolo 8
*** Il piano. ***


I L   P I A N O


Quando raggiunsero Misha, il ragazzo era al suo pc , nella macchina, intento a cercare di capire come potevano muoversi senza attirare troppo l’attenzione degli uomini di Sheppard.

Li vide arrivare a grandi passi. Jared davanti, il viso cupo e pensieroso. Jensen , qualche passo dietro di lui.
Beh!, la sua espressione era come leggere l’Inferno di Dante: colpa, peccato, paura, rimorso.


I due entrarono in macchina.
Jensen al posto di guida, Jared a quello passeggero. Misha sui sedili posteriori.
La tensione , banale da dire, ma si tagliava con il coltello. Il russo capì da quel rumoroso silenzio che Jared ormai sapeva tutto e di certo non l’aveva presa bene. Tanto meno aveva compreso. Ancora meno, accettato.


“Allora?!” chiese quasi timoroso.

Fu Jared a rispondere a quella semplice domanda.

“Andiamo nella periferia di Filadelfia. Sulla Northeast, nella zona industriale. Li c’è l’ufficio di Sheppard. Il suo vero ufficio!” fece Jared.

Jensen lo fissò per un attimo e poi guardò Misha attraverso lo specchietto retrovisore.
L’amico negò appena con la testa, come a volergli indicare che non era davvero una bella idea , andare dritti dritti al centro della Morte Nera.

“Jared, ascolta….” cercò di dissuaderlo Jensen. “Possiamo trovare un altro modo per inchiodare quel bastardo di Sheppard. Oramai lui sa che è fottuto e non….”

“ Non mi interessa che lui sappia. Tanto meno mi interessa quello che vuoi tu. Voglio sputtanarlo davanti a tutto il suo entourage. Complice o meno!” affermò risoluto.

“Ascolta...” provò ancora Jensen.

“No. Tu ascolta!” lo fermò Jared. “O mi ci porti o ci vado da solo!” fu la risposta decisa che , invece, ebbe in ricambio.

Jensen abbozzò , sconfitto e stava per mettere in moto quando il suo cellulare, il suo altro cellulare, squillò.

Il biondo lo prese dalla tasca del suo giacchetto e attivò la comunicazione.

“Ne ho conosciuti di figli di puttana ma lei, mi creda, Sheppard, li batte tutti!” fece subito poichè sapeva benissimo chi era l’unico che poteva avere quel numero.


Grazie! Apprezzo sempre i complimenti fatti di vero cuore!!” lo provocò. “Mi avevano detto che era un professionista, Falco! Ma mi ha decisamente deluso!” fece la voce amareggiata di Sheppard.


“Da quello che ho scoperto, a lei serviva un volgare assassino e non un professionista che facesse giustizia!” replicò Jensen ignorando lo sguardo indecifrabile con cui sentiva Jared fissarlo.


Il caro dolce Jared, a quanto pare, ha conquistato anche lei.” ironizzò. “Peccato! Tra noi poteva nascere una proficua collaborazione. Io la mente, lei il braccio. Avremmo creato l’Inferno perfetto.


“Io non collaboro con i pezzi di merda come lei che sparano sulla folla o a degli innocenti. Io li faccio fuori quelli come lei!” ringhiò Jensen. “Anzi, sto venendo a prenderla, Sheppard!”


Ma sì. Ma sì. E mi dica il nobile Artù è lì con lei?!” e a quell’appellativo Jensen collegò anche l’annotazione sui registri elettronici dell’uomo.

“O mi creda!!!! Artù regnerà ancora per molto. Fin quando ci sarò io, nessuno farà cadere Camelot!”

Ma bravo!!!” esclamò compiaciuto Sheppard. “Da ciò che sento abbiamo messo le mani negli archivi del Regno. Deve avere un Lancillotto molto abile, Falco!! Beh! lasci che le dica una cosa…” e assottigliò la voce per renderla più melliflua. “Quando sarete giunti ad Avalon tutto ciò che troverete sarà soltanto fumo. Quando giungerete, troverete solo la vostra Camlann.” e mise giù.


“Figlio di puttana!” esclamò stizzito Jensen.

“Che ha detto!?” chiese Misha.

“ Che quando arriveremo troveremo solo fumo!” ringhiò pensieroso.

“Ok! Allora metti in moto e datti una mossa!” lo ammonì Jared e Jensen ignorando la morsa allo stomaco non potè fare altro che obbedire.

“Ehi, Mish?!” fece poi, rivolto all’amico che continuava a smanettare sul suo pc.

“Che c’è?!”

“Che cos’è Camlann ?” e anche Jared lo guardò, sorpreso e confuso da quella domanda.

“Camlann? Che c’entra Camlann?!” replicò perplesso, l'amico.

“Sheppard ha detto che quando saremo arrivati , troveremo la nostra Camlann!” fece riferendo quello che gli aveva detto Sheppard.

“Ohw!!”

“Ohw?? Perché “Ohw!” ?” chiese turbato Jensen.

“Camlann, nelle storie arturiane è dove Artù e i suoi cavalieri trovano la morte!” riferì turbato.


Jensen lo fissò per un attimo dallo specchietto. “Ohw!” ripetè e poi per un attimo, solo per un attimo, incrociò lo sguardo con quello di Jared che subito lo distolse e ritornò a fissare fuori dal suo finestrino, mentre Jensen tornò a fissare la strada davanti a lui.

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Capitolo 9
*** L'ultimo salvataggio. ***


L ‘ U L T I M O   S A L V A T A G G I O


Jensen, Misha e Jared erano giunti a quella che era la vera sede della MercyAid Enterprises. Quella in cui Jared sapeva che erano custoditi tutti i documenti e i materiali che sarebbero serviti a mandare a picco Sheppard e i suoi soci. E se era vero, come gli aveva fatto intendere lo stesso Sheppard durante il loro ultimo contatto telefonico, che non sarebbero riusciti ad avere niente tra le mani - “Sarà solo fumo!!” – ciò significava che di quell’ufficio ne sarebbe rimasto ben poco.

“Cosa ne pensi, Mish? Incendio o bomba?!” fece Jensen mentre salivano le scale verso il piano della società.

“Se è bastardo quanto penso…tutte e due. Facili da mescolare.” Ironizzò Misha.

“Credimi è bastardo quanto pensi!” si intromise Jared appena dietro di loro. I due si girarono a guardarlo, pensierosi.

“Ma se ha messo una bomba….insomma…il loro ufficio è ai piani centrali. Potrebbe venir giù mezzo edificio!!” fece quasi spaventato Misha all’idea di quello che poteva succedere.

“Credi che a lui interessi?” fece il giovane sorpassandoli e poi volle essere più chiaro, si girò verso i due alle sue spalle. “E’ un assassino. È solo un volgare assassino. E agli assassini non interessa nulla di chi rimane a soffrire.” finì puntando gli occhi su Jensen che in quel momento avrebbe preferito essere ingoiato da un buco nero nello spazio più lontano piuttosto che sapere il modo in cui Jared lo vedeva.

Ma deglutì. Ingoiò il dolore che sentì in pieno petto e accettò.

Affiancò Jared e non disse altro che un “Andiamo avanti!”


 

Quando arrivarono al piano degli uffici di Sheppard, come avevano previsto, li trovarono deserti. Jensen , pistola alla mano, si guardò rapidamente in giro per assicurarsi che non ci fosse nessuno. Solo dopo fece cenno a Misha e Jared di raggiungerlo.

“Misha…i computer. Cerca di vedere se riesci a recuperare qualcosa dall’hard disk.”

“Volo!” eseguì il ragazzo entrando nell’ufficio che sembrava essere quello di Sheppard. Ma non appena varcò la soglia, Jensen lo vide come congelarsi.

“Misha…muoviti. Che ti succede?!” parve quasi rimproverarlo, mentre comunque teneva d’occhio Jared , poco distante da lui.

“Io…io…credo che tu debba…debba vedere…questo!” balbettò Misha.

Jensen lo raggiunse e come l’amico, rimase anche lui, per un attimo, senza fiato. Poi riprese il controllo.

“Ok! Conosco questa roba. Non ci sono sensori di movimento. E’ potente ma semplice di concezione!”

“Ti dispiace dirmi solo se posso sedermi a quella sedia e usare il computer?”

“Sì, sì!! Tranquillo….è solo una bomba a timer e a quanto pare abbiamo ancora 20 minuti prima che questo posto salti in aria. Quindi tu ne hai 15 per fare una delle tue magie con questo pc.” sembrava volerlo rassicurare , Jensen.

“Ma cosa succede?!” fece Jared, che da una scrivania che stava controllando, vide i due parlare in quel modo. “Oh cazzo!!” esclamò un attimo dopo, dopo aver visto la bomba.

“Già!!” convenne ironicamente Jensen. “Ascolta, Misha. Tu mettiti al computer. Io e Jared diamo un occhiata in giro per vedere se questa è l’unica o ce ne sono altre. Fra 15…anzi, 13 minuti. Ti voglio fuori di qui. Hard disk o non hard disk, intesi?!” ma poi si bloccò improvvisamente e tornò a fissare l’amico. “Ehm… Misha?” lo richiamò. “Non provare a disinnescarla, intesi?!”

“Intesi!” obbedì l’amico avendo l’ennesima prova che Jensen lo conosceva perfettamente. Così abbandonò quel proposito che il biondo aveva bloccato sul nascere e si mise seduto alla scrivania.

“Andiamo!” fece Jensen, poi, rivolto a Jared che lo seguì.

Quando furono al centro della stanza, Jensen si fermò. Lo sguardo contratto, il volto pensieroso.

“Che c’è?!” fece duramente Jared.

“Se Sheppard vuole che tutto vada in fumo e che sembri un incidente , non avrà messo altre bombe. Ma molto probabilmente , sistemati in punti strategici, avrà piazzato degli acceleranti.”

“Benzina?!” azzardò Jared, guardandosi attorno.

Jensen non ne fu convinto. “No! I pompieri ne sentirebbero l’odore.”

“E allora?”

“Esche naturali!” asserì Jensen.

“Esche….cosa?!” fece con un tono seccato, l’altro.

“Sheppard è un figlio di puttana. Ma è un figlio di puttana furbo. Dobbiamo cercare accumuli di carta vicino alle prese d’aria. Prenderanno fuoco facilmente. Ci saranno state delle donne qui dentro, no?!....vedi se c’è del cotone idrofilo e acetone per unghie…”

“Sì, sì…ho capito!” fece senza dare soddisfazione e partì per quella ricerca. “Vado al piano di sopra!” disse mentre andava via.

“No!” lo fermò Jensen. “Non serve. Dobbiamo cercare agli uffici inferiori. Se vuole far crollare tutto, deve aver compromesso i piani al di sotto di questo e non quelli superiori!”

Jared strinse seccatamente le labbra, facendole sbiancare, conscio che Jensen aveva ragione. Ma non disse niente e andò via.

E come il biondo aveva previsto, stranamente vicino alle prese d’aria c’erano inusuali accumuli di risme di carta e nei bagni delle donne, un quantitativo decisamente inappropriato di cotone idrofilo e solvente per unghie. Nemmeno fosse stato un beauty farm.

In quei loro controlli, i due, si ritrovarono al piano terra. Jensen vi arrivò dalla scalinata principale, Jared da quella di servizio.


“Trovato altro?!” chiese Jensen.

“Niente se non una fornitura decennale per uno studio di manicure e tanta carta che sembra abbiano disboscato la Foresta Amazzonica!” ironizzò nervosamente.

“Non possiamo ripulire questo posto. Dobbiamo andarcene e anche in fretta!” disse Jensen pensieroso, mentre Jared gli si avvicinava e poi guardandosi intorno: “Ma dove diavolo è Misha??!” esclamò irritato e fece per prendere il cellulare quando Jared , con un movimento veloce, gli sfilò la pistola , infilata tra la cinta dei jeans e la maglietta.

“Jared , ma che fai?!” chiese allarmato Jensen.

“Sei un assassino, Jensen. Niente di più , niente di meno che un assassino. Al pari di Sheppard!” esordì il giovane , volendo giustificare , così, quel suo gesto.

“Jared…Jared non è il momento per questo discorso. Dobbiamo andarcene. Dobbiamo metterci in salvo! Tra pochi minuti qui arriverà l’inferno e tu…” provò a farlo rinsavire.

“L’inferno è quello che meriti, Jensen!” lo accusò Jared, tenendogli la pistola puntata contro.

Solo a quel punto, Jensen, fece un respiro profondo e capì quali fossero le reali intenzioni del giovane. Respirò ancora e mise le mani avanti per mostrare a Jared che era , ormai, indifeso e che voleva solo parlare.

“Ti prego…ti prego, Jared. Non uccidermi. Non sparare. Non farlo!” supplicò Jensen, mettendo le mani avanti come a volersi proteggere dal proiettile che Jared stava per sparargli.

Il giovane lo fissò, incredulo. Sconvolto. E decisamente furioso.

“Tu …tu osi implorare per la tua vita quando tu per primo non hai mai concesso pietà?” lo accusò puntando meglio l’arma e avanzando quando vedi che Jensen indietreggiava.

“Non sto chiedendo pietà per la mia vita.” lo spiazzò, però, l’altro. “Io avrò quello che mi merito, credimi. Quello che ti chiedo è di non oltrepassare quel limite che oltrepassai io, anni fa!” disse , fermandosi e non indietreggiando più.

Abbassò anche le mani , in segno di resa completa……..


 

…...Misha lì trovò così. Uno di fronte all’altro. Sembrava di vedere un western classico.

Capì, allarmandosene, che cosa stava succedendo ma non c’era tempo per cercare una mediazione tra i due. Doveva solo fermarli….qualsiasi cosa stesse accadendo.

“Ma che cazzo fate? Non è il momento…..Dobbiamo andare via e in fretta.”

“Ma?...perchè?” si ritrovò comunque a chiedere Jensen anche se non tolse lo sguardo da Jared.

“Non ci sono riuscito. Volevo provarci. Ma…ma…non sono riuscito a disinnescare quella dannatissima bomba!!” confessò allarmato.

“Cosa???!” ringhiò il biondo che solo allora spostò lo sguardo sull’amico. “ Ti avevo detto di non….”

“Lo so. Lo so. L’ho capito!! Sono un fottuto hacker, Jensen e non un artificiere. Fammi causa!!” replicò guadagnando velocemente l’uscita. “Ora però…sbrigatevi. Abbiamo due minuti scarsi!”, e quando li vide ancora immobili: “MUOVETEVI!!” gridò e corse fuori.

Jensen tornò a guardare Jared che ancora gli puntava la pistola contro.

“Decidi tu come deve finire, Jared!” disse remissivo l’altro. “Resterò qui se vuoi, ma tu…tu va’. Mettiti in salvo!”


 

Jared lo stava odiando e amando con una forza e una rabbia immane , nello stesso momento. Jensen stava per ucciderlo. Poi lo aveva salvato. Poi si era lasciato conoscere. Poi gli aveva salvato di nuovo la vita. Poi si era lasciato amare e lo aveva amato. E solo qualche ora prima , gli aveva confessato tutto di lui. Di chi era in realtà. E Jared si era sentito sprofondare.

Si era sentito tradito. Ingannato. Ferito. Usato.

Ma ora doveva essere lucido e decidere in fretta.

Mise via la pistola.


 

“Hai ragione. Io non sarò come te. Non voglio essere un assassino e tu non te la caverai così facilmente! Muoviti!” indicandogli l’uscita e i due corsero fuori dall’edificio, ma il timer al polso di Jensen, correva impietoso.

Avevano solo pochi secondi e dovevano farseli bastare per poter sopravvivere.

Varcarono come razzi l’uscita del palazzo di vetro, appena in tempo per sentire una potente deflagrazione avvenire alle loro spalle.

Sobbalzarono e istintivamente si accovacciarono su loro stessi. Poi lentamente alzarono il viso verso il rumore di vetri in frantumi sopra le loro teste.

Fu un attimo. Un unico lunghissimo attimo.

Jensen vide un enorme vetrata precipitare verso di loro e dalla sua inclinazione avrebbe preso Jared in pieno. E non poteva permetterlo.

Scattò fulmineo verso il giovane. Lo abbrancò dai fianchi come un provetto giocatore di rugby , spostandolo appena in tempo dal vetro in caduta libera.

L’ultima cosa che Jensen vide prima di sentire il dolore e perdersi, fu lo scintillio del cristallo che andava in frantumi contro l’asfalto.


 

Jared senza sapere come, si ritrovò sul cemento. Schiena a terra.

Aveva visto Jensen correre verso di lui. Un attimo dopo il ragazzo lo placcava letteralmente spostandolo dal suo posto. Poi lo schianto della vetrata. Il ronzio dei vetri in frantumo nelle orecchie. Jensen disteso al suo fianco, sulla schiena.

La scheggia di vetro conficcata al centro del petto del biondo. Il suo corpo che tremava per lo choc subito. Il viso coperto di sangue. Pezzi di vetro ovunque.

Misha che correva verso di loro e lo afferrava e lo tirava su per assicurarsi che stesse bene e che poi , preoccupato, si inginocchiava accanto a Jensen.

Sentiva Misha chiamare, allarmato, il nome di Jensen.

Ma non sentiva Jensen rispondergli.

L’unico pensiero di Jared in quel momento: l’amareggiato verdetto di Jensen.

Io avrò quello che mi merito!


 

Circa dieci minuti dopo, il posto era letteralmente invaso da pompieri, polizia, paramedici. Jared ancora scosso e confuso sia dall’esplosione che da tutto ciò che era successo, si perdeva con lo sguardo tra le rovine del piano esploso che ancora cadevano dall’edificio, ai richiami allarmati che Misha rivolgeva a Jensen, riverso a terra. Immobile.

Era vivo? Era morto?

Gli interessava saperlo?


 

Poi ad un tratto , un paramedico gli si avvicinò e gli chiese come stesse, gli disse di seguirlo all’ambulanza e il giovane quasi come fosse sotto ipnosi, obbedì.

Si alzò da terra e iniziò a camminare dietro il soccorritore fin quando si sentì afferrare per un braccio. Si voltò e si sorprese nel vedere che era Misha.

“Prendi questa Jared!” disse il russo mostrandogli una chiavetta USB. “C’è tutto l’archivio di Sheppard. Ho fatto in tempo a scaricarlo. Di certo ti servirà con il procuratore!” fece ancora mettendogli tra le mani , l’oggetto.

Il paramedico richiamò Jared e il giovane rispose al richiamo avviandosi di nuovo.

“Jared?!” lo richiamo anche Misha e quando il giovane lo guardò, l’altro proseguì: “Ti farò sapere lui come sta!” fece indicando Jensen che veniva portato via da due barellieri.

Jared guardò Misha, poi Jensen alle sue spalle mentre veniva caricato in un altra ambulanza, poi la chiavetta tra le sue mani, poi il caos che aveva intorno.

Si voltò, dando le spalle a Misha.

“Lui è morto!” e andò via, verso l’ambulanza che lo aspettava.

Misha non riuscì a dire niente in quel momento. L’unica cosa che riuscì a fare fu rimanere immobile a guardare Jared che andava via dopo aver proferito quelle parole.

Avrebbe voluto tanto parlare in favore dell’amico ferito, ma sapeva che in quel momento sarebbe stato inutile. La rabbia, il dolore, la delusione di Jared erano troppo forti e qualunque cosa lui avesse provato a dirgli, non avrebbe avuto possibilità, nessuna possibilità, di convincimento o perdono.

Sospirò amareggiato e triste e corse verso l’ambulanza che stava per portare via Jensen.

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Capitolo 10
*** Colpa del sole! ***


C O L P A   D E L   S O L E !


Circa sei mesi dopo , Jensen, se ne stava seduto ad una caffetteria di Manhattan. Gli piaceva quel posto perché da lì poteva vedere la Statua della Libertà. Imponente e bellissima.

Libera, soprattutto. Come lo era lui adesso.

Dal suo passato. Dal suo fucile.
Ma non, purtroppo, dai suoi sensi di colpa.


E da quel dolore e quella mancanza in particolare. A volte, quando girava per la città, aveva l’impressione di vederlo. A volte sentiva il suo profumo fresco, a volte la sua risata cristallina. Si girava a cercare tra la folla, a conferma di ciò che sentiva, ma ogni volta, capiva che era solo la sa mente, i suoi ricordi a distrarlo in un modo così sadico.

E in quei momenti, si fermava a pensare che se anche una volta, una sola di quelle volta, fosse stato davvero Jared , di certo, il giovane non gli avrebbe sorriso con quel sorriso che lui ricordava.

No!

Jared lo avrebbe solo guardato. Giudicato di nuovo. Odiato ancora. Disprezzato, di più.

E allora Jensen respirava affondo. Richiudeva tutto nel posto più recondito della sua mente e del suo cuore e provava ad andare avanti.


 

I mesi passati in ospedali furono duri. La scheggia di vetro che lo aveva trafitto aveva mancato di poco il cuore, ma aveva comunque creato un danno importante lesionando alcuni vasi arteriosi.

Jensen era stato in stato di incoscienza per molto tempo, costantemente vegliato da Misha che non si faceva mancare di assillare medici o infermieri pur di sapere per quanto tempo il suo amico sarebbe stato in quelle condizioni. Che cosa doveva aspettarsi. Se c’erano ancora rischi per la sopravvivenza di Jensen.

E ogni volta la risposta era la stessa: “Aspettiamo. Vediamo come reagisce allo stress e al trauma subito. Quando il suo fisico sarà pronto si risveglierà da solo e capiremo come agire.

E circa due settimane dopo, Jensen, fortunatamente, si svegliò da solo. I suoi parametri si ristabilirono anche se non velocemente come i medici auspicavano. Era come se il ragazzo non avesse fretta, o voglia, di ristabilirsi.

Misha che sapeva, propendeva per la seconda ipotesi e ogni tanto quando vedeva Jensen rifiutare perfino il cibo con scuse assurde, andava fuori di testa fino a quando lo stesso Jensen non capitolava e si metteva a mangiare.


 

Poi arrivò il momento di occuparsi anche della ferita che sembrava essere , forse, più grave di quella al petto e ancora non del tutto risolta. Quella agli occhi.

Infatti , il giorno dell’esplosione, il vetro era andato in mille pezzi e molte schegge del cristallo avevano letteralmente investito il viso di Jensen, non risparmiando gli occhi.

Minuziose operazioni di chirurgia plastica avevano permesso al viso di Jensen di non mostrare le varie ferite, ma per gli occhi fu diverso.

Dovette subire alcune delicate operazioni oculistiche e nonostante la situazione non fosse delle migliori, Jensen, si convinse che avrebbe accettato ogni verdetto e si ritrovò anche a ridere sinceramente quando il medico che gli curava gli occhi, gli disse scherzando ed ignorando il “secondo lavoro” del suo paziente: “I suoi occhi ora sono di nuovo sani, Jensen. Non al cento per cento, ma comunque sani. Il danno alla retina è stato fortunatamente sanato. La capacità visiva non sarà più quella di prima, ma con un paio di occhiali non credo che avrà problemi. Purtroppo per lei, però, non potrà mai essere un cecchino di professione!!

Jensen aveva riso assecondando la risata cordiale del medico, ma dentro di lui sapeva che ormai quella parte della sua vita era definitivamente finita.

Non che la rimpiangesse, ma in tutta onestà avrebbe voluto e sperato che una nuova vita, potesse rimpiazzare quella persa. Una vita che avrebbe potuto condividere con qualcuno, qualcuno da amare e da cui essere amato. Qualcuno da cui tornare a casa la sera o con cui organizzare viaggi o vacanze. Qualcuno con cui invecchiare e avere vicino fino alla fine.


 

Ma quel qualcuno, lo aveva perso. Quel qualcuno, lo aveva voluto perfino morto.

Quel qualcuno , la vita con quel qualcuno, ironicamente era andata in frantumi come la vetrata di quell’edificio. Quel qualcuno ormai era una figura sfocata come la visuale che avrebbero avuto i suoi occhi.

 

Misha, naturalmente, gli era stato accanto ogni giorno. Aveva cercato di distrarlo dalla sua condizione fisica, ma soprattutto dalla sua condizione psicologica, inondandolo di notizie utili e inutili, solo per farlo pensare ad altro.

Ma quando Jensen aveva chiesto che fine avesse fatto Sheppard, Misha non aveva potuto sottrarsi.

“Quel giorno ero comunque riuscito a fare un back-up della memoria di quel pc su una chiavetta usb e quando è scoppiato l’inferno, un attimo prima che ti portassero via con l’ambulanza ho dato tutto a Jared così che potesse consegnare la chiavetta insieme al materiale che aveva già lui, alla procura di Stato.” gli spiegò. “Sheppard è già al fresco e ci resterà per molto molto tempo. Hanno scoperto che la persona che aveva detto a Sheppard di ciò che era in grado di fare Jared, era l’assistente del procuratore, che aveva sentito per caso quello che stava per accadere e anche lui avrà quello che merita. Mentre tu sei solo…una delle vittime scampate all’esplosione!” ci tenne a precisare, poi.

“Ottimo. Ottimo lavoro, angioletto!” lo adulò, ma con un tono quasi amaro.

Misha intuì sia il tono , sia ciò che Jensen non osava chiedere. “Jensen…” azzardò.

“ E lui?” disse solo.

Misha abbassò lo sguardo , amareggiato. Dispiaciuto. “Non l’ho più visto da quel giorno. Ho provato a contattarlo ma…” e si fermò, dandosi silenziosamente dello stupido per quello che stava per dire.

“.. “Ma” cosa?” fece Jensen mentre si sistemava i vestiti che aveva indossato per le dimissioni.

“Senti…lascia perdere. Oramai è una storia vecchia. Non hai più bisogno di…”

“Ma cosa…Misha?!” chiese ancora e con più decisione.

Misha fece un respiro esasperato e tirò fuori dal giacchetto il suo cellulare odiandosi per non aver cancellato quel messaggio e non aver pensato ad una scusa plausibile. Digitò un paio di numeri e disse a Jensen di ascoltare il messaggio che Jared aveva lasciato sulla sua segreteria telefonica in risposta ai tentativi di contatto del ragazzo.

Jensen pigiò l’icona di ascolto e portò il telefono all’orecchio.


 

Smettila di contattarmi, Misha. Non mi interessa sapere se è vivo o è morto. Non mi interessa sapere se è libero o in prigione. Non mi interessa più niente di lui. Lui ha smesso di esistere nel momento in cui ha deciso di mentirmi. Ha smesso di esistere nell’attimo in cui ha detto di amarmi un momento dopo avermi confessato che avrebbe dovuto uccidermi. Per me, lui è morto in quella zona industriale sulla Northest di Filadelfia. Per me è morto anche senza essere morto!! Non cercarmi più Misha e se mai fosse Jensen a volerlo fare, digli che si ritroverà con l’FBI attaccato al culo nel più breve tempo possibile!


 

Il messaggio, tanto freddo e crudele quanto crudo e deciso, arrivò feroce prima dritto al centro del cuore di Jensen e poi nella parte razionale del suo cervello. Senza scomporsi più di tanto, ripassò il cellulare all’amico e tentò, sforzandosi di sorridergli. O almeno provarci.

“Beh! direi che è stato piuttosto chiaro, no?!” si sforzò di ironizzare.

“Lo…credo anch’io!” azzardò Misha. “Cosa facciamo adesso, Jensen?!”

Jensen si voltò a guardare il ragazzo e questa volta gli sorrise davvero.

“Hai tutto quello che serve per rifarti una vita, Mish. Devi solo iniziare. Costruisciti il tuo Paradiso, angioletto.” gli disse amichevolmente.

“E tu? Che farai?!”

Jensen si voltò di nuovo verso il letto dove stava il suo borsone e lo chiuse lentamente.

“Per il mondo , Jensen Ackles, è un broker finanziario che ha avuto questo infausto incidente. Resterò in giro per un altro po’ di tempo e poi me ne andrò in pensione.” fece senza guardarlo.

“Ok!” convenne con poca convinzione Misha. “Finisci di prepararti. Io vado a prendere la macchina e ti porto al tuo appartamento.”

“D’accordo, grazie. Ehm….. Misha?” lo richiamò un attimo dopo.

“Sì?”

“E il bunker?!”

“Staccato il contatore. Chiuso gas e acqua. Messo l’allarme e ho detto al vicino di ritirare la posta!” ironizzò come se avesse chiuso un semplice appartamento per un lungo viaggio.

“Perfetto.” sussurrò compiaciuto, Jensen.

“Lo so.”

Un attimo di silenzio, ma Misha non andò via, perché sapeva che c’era altro. Infatti.

“Mish?!”

“Sì, sono ancora qui, amico.” gli confermò l’amico.

Jensen rimase per un attimo in silenzio come se fosse insicuro nel voler fare o meno la domanda che aveva in testa. Poi quella stessa domanda, velocemente si tramutò in una confessione.

“Ero innamorato di lui, Mish.”

“Lo so, Jensen.”

“Sono ancora….. innamorato di lui.” sembrò voler precisare.

“So anche questo. E so che dirti che starai meglio o che il tempo aggiusta tutto, adesso non ti servirà a nulla, ma te lo dirò lo stesso perché è questo che dicono gli amici in queste situazioni del cavolo!”

“Ti voglio bene, Misha!”

“Te ne voglio anche io, Jensen. Ora, datti una mossa che ti porto a casa.” e andò via.


Jensen rimase ancora di spalle alle porta, così come lo era stato per il tempo di quello scambio di battute con Misha. Si costrinse a fissare il sole che entrava prepotente dalla grande finestra della sua camera. Sentì gli occhi che bruciavano, che pizzicavano per le lacrime imminenti ma non gli importò perché se qualcuno avesse notato i suoi occhi arrossati e lucidi avrebbe potuto dire che aveva “stupidamente” guardato il sole.

Chiunque gli avrebbe creduto anche se lui sapeva che non era il sole la causa di quelle lacrime.

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Capitolo 11
*** L'abbordaggio: seconda parte! ***


L’A B B O R D A G G I O : P A R T E   S E C O N D A !

I giorni passarono e la vita, nolente o dolente , andò avanti.

Seduto al solito locale che dava sulla Signora Libertà, Jensen si sistemò gli occhiali sul naso. Ancora non si abituava ad indossarli. Si rimise a leggere il giornale comprato la mattina. Sorseggiò il suo espresso italiano. Di tanto in tanto assaporava , compiacendosene silenziosamente, un pezzetto di torta al cioccolato e si godeva il panorama.

Ad un tratto , una busta gialla, scivolò sul suo tavolo finendo davanti ai suoi occhi.

Sentì una morsa allo stomaco, ma non si scompose più di tanto. Vi poggiò la mano sopra e senza nemmeno girarsi verso chiunque avesse tentato quel contatto, fece scivolare all’indietro il plico.

“Chiunque lei sia o chiunque l’abbia mandata da me. Mi dispiace. Ma sono in pensione!” fu la risposta pacata ed educata data senza smettere di guardare davanti a sé.

Nessuna risposta. Tranne che la busta ritornò davanti ai suoi occhi nello stesso modo della prima volta.

“Definitivamente …in pensione!” replicò a quel gesto e riconsegnando la busta in modo discreto.
 

“Ti donano gli occhiali. Ti rendono ancora più affascinante!”
 

Paradossalmente , quei mesi, erano stati duri anche per Jared. Non solo per la storia con Sheppard e la sua “impresa”, ma anche per tutto quello che era successo con Jensen.

Lo odiava. Lo odiava profondamente. Con ogni fibra del suo essere. Per averlo ferito. Per averlo ingannato e mentito. Per essere un cecchino e al tempo una persona coraggiosa e forte. Per essere un essere abietto e al tempo stesso una persona dal cuore tanto grande da essere capace di rinunciare a tutto pur di salvare una persona. Per essere stato capace di cose deprecabili e per averne compiute altre che glielo facevano amare.

Per essere lui, per essere Jensen. Magnifico, terribile Jensen.

Lo odiava. Lo odiava profondamente.

Questo si ripeteva Jared ogni mattina. Doveva farlo, per costringersi ad ignorare quanto stesse mentendo a sé stesso. Quanto, invece, continuasse ad amare Jensen. A volere Jensen. A voler capire la vita e il passato di Jensen. A voler trovare un modo, un qualsiasi modo che gli permettesse di vedere ciò che aveva visto Jensen negli uomini che aveva colpito.

Una mattina, più difficile delle altre, settimane dopo aver lasciato un infausto messaggio a Misha, Jared si ritrovò seduto sul divano di casa sua. Solo. In silenzio. Confuso come non mai. Pensava e ripensava a Jensen. Pensava e ripensava a loro due insieme. A loro due in quell’edificio. A quella pistola puntata contro Jensen. Alla rabbia che sentiva.

Pensò a “quel modo” che potesse aiutarlo. Per caso, il suo sguardo, si posò sul cellulare abbandonato sul cuscino accanto a lui.

Digitò un numero.

Attese. Poi ebbe risposta.

“Oddio! Jared sei tu?!”

“Misha, devi aiutarmi!”


 

“Anche un po’ misterioso!” sembrò adularlo ancora, Jared.

Jensen, solo allora, si girò verso quella voce. Quella voce che non avrebbe mai dimenticato. Nemmeno in quelle sfumature rabbiose che tempo addietro lo avevano minacciato di morte.

Il suo cuore perse un battito. Il suo respiro per un attimo si congelò all’interno dei polmoni. Solo l’ultimo sprazzo di lucidità imposto dalla sua mente, lo costrinse a rimanere , più o meno, indifferente. Fingendo, naturalmente.

“Che ci fai tu, qui?!” chiese fissando Jared che con gesti lenti, spostò la sedia e si sedette al suo tavolo. “Come mi hai trovato?!”

“Una domanda alla volta, Ackles!”, rispose sorridendogli appena, mentre si sistemava al suo posto. “Sempre che sia il tuo vero nome!” sussurrò discretamente.

“Erano gli altri nomi ad essere falsi. Te l’ho detto: Jensen Ackles è vero. E’ nato a Dallas, ha passato i trenta da un po’, ma non tanto!!” ironizzò, rubando un sorriso al suo interlocutore. “Ed è solo un broker di Borsa con un istinto infallibile per gli affari!” replicò con pacato compiacimento.

“Sul serio?!” azzardò Jared.

“Devo pur giustificare il mio appartamento a Chelsea!” ironizzò, l’altro

“Giusto!” convenne il giovane pensando alla zona residenziale nominata da Jensen e poi gli porse di nuovo la busta gialla.

“Ma che cos’è? Si può sapere??!” fece prendendo finalmente la busta tra le mani.

“Mettiamola così!” fece sporgendosi appena. “L’ultimo colpo della tua vita. Quello che , come dire, ti metterà l’anima in pace!”

“Jared??...ma sei impazzito?!” fece decisamente sconvolto e forse furioso.
 

Mesi prima voleva ucciderlo per quello che faceva e ora gli proponeva un bersaglio??
 

“Non fraintendere!” lo placò l’altro. “Prima…leggi!”, lo incoraggiò. “Misha mi ha dato una mano. Quel tipo è davvero peggio di Wikipedia. “

“Misha?!” esclamò, sorpreso di sapere di quella inaspettata “società”.

“Dio!! c’è qualcosa che non sappia o qualcuno che non riesca passare sotto i raggi X del suo computer??!” replicò quasi esasperato.

“Non che io sappia!” rispose Jensen, aprendo la busta. “ E da quanto….hai contatti con Misha, scusa?” fece mentre tirava fuori i fogli.

“L’ho contattato io e quando gli ho detto quello che volevo fare è stato lieto di aiutarmi!” rivelò il giovane.

“Senza dirmi niente!” affermò deluso il biondo.

“Era una della mie richieste. L’unica non contrattabile!” asserì deciso, Jared.


 

Quando tutti i fogli e le schede furono tra le mani di Jensen, questi, cominciò a leggere. Guardò con sorpresa le foto delle persone che vi erano impresse. Le date, i loro affari.

Le vittime di quegli affari.

Le persone che avevano sofferto a causa di quelle vittime. Famiglie distrutte dal dolore. Figli divenuti orfani. Mogli, vedove. Madri, disperate. Padri, distrutti.

Per il tempo di quella lettura assurda, a Jensen parve di aver fatto un salto nel suo assurdo e oscuro passato.

“Che significa…tutto questo!?!” fece indicando i fogli che con cura coprì e rimise nella busta gialla.

“Loro erano ciò che ti avevano detto, anche se i motivi per cui tu hai dovuto…agire..”, disse diplomaticamente dato il posto in cui erano. “…. avevano un ben altro interesse. Chi più , chi meno, erano tutti collegati a Sheppard. Lui li eliminava e ..come dire…prendeva il loro posto nelle loro attività. Erano persone cattive, degli sfruttatori, degli assassini. Vendevano bambini per la prostituzione. Spacciavano droga nelle scuole così da assicurarsi future clientele. Alcuni di loro erano nel mercato nero degli organi e Dio solo sa in che altri traffici atroci. Tutti scampati alla giustizia. Sheppard ti ha solo usato per eliminare la concorrenza.”

“Non ti seguo!”

“Non erano come…”

“Te?” azzardò Jensen, sapendo benissimo che Jared era decisamente lontano dall’essere un essere vile come uno di quelli messi in quella lista. “Innocenti?!” disse ancora.

“Io posso non essere un santo, ma…”

“Jared, la tua organizzazione ha salvato migliaia di vite. Ed era per questo che mi dissero che dovevo ucciderti. Certo, mi rifilarono una storia ben diversa che tu sai, ma …ok!, non sarai un santo. Ma credimi, loro….quella gente…” alludendo ai suoi vecchi capi. “…questa gente…” mettendo una mano sulla busta. “…non sono degni nemmeno di guardarti.”

“Non hai ucciso nessuno di innocente, Jensen. Non sei e non sei mai stato un mostro!” asserì sorprendentemente deciso, Jared.

“Ho comunque ucciso, Jared.” fu il verdetto inappellabile.

“Lo so e per me è ancora difficile da mandare giù…da accettare. Ma sapere che lo è anche per te e so che lo è anche per te, mi…. aiuta!” lo sorprese decisamente quando pronunziò quelle parole.

“Ti aiuta?!”

“Mi aiuta a sperare.” quasi sussurrò.

“Sperare cosa?!” sussurrò anche Jensen.

“So che non sei un assassino freddo e crudele. Che non hai mai ucciso per denaro. So che ogni volta che premevi quel grilletto era , a tuo avviso, per fare giustizia. In un modo contorto ho capito che in fondo cercavamo di avere la stessa giustizia anche se la ottenevamo in modo decisamente diversi.” cercò di spiegare Jared.

“Decisamente diversi. Troppo per …”

“So che hai un cuore, un cuore buono. Che hai un’anima, una splendida anima. Lo so, questo lo so. Mi hai salvato la vita più di una volta. Una, quando non hai fatto di me un tuo bersaglio. Poi , in quel parco poco distante la Metro. E ancora in quel vicolo nel retro del nostro motel. E dopo ancora, quando mi hai spinto via da quella vetrata che ti ha quasi ucciso. Un assassino mercenario non lo avrebbe mai fatto, non con una parcella di ben 2 milioni di dollari.”

“Misha!” sospirò Jensen, intuendo che l’amico russo aveva decisamente detto tutto di loro a Jared.

“E proprio perché so queste cose, che sto sperando di…che io e te…magari, un giorno…” e per la prima volta da quando si era seduto a quella sedia, Jared, si mostrò insicuro. Anzi, a Jensen, parve quasi anche arrossire. 

“Sul serio?!” sussurrò Jensen e la sua voce tremò.

“Ne dovremo parlare. E tanto. Davvero tanto. E cercare di capire, forse comprendere, i vari punti di vista. Ma io vorrei..vorrei davvero provarci.” confessò Jared. “Lo so che è assurdo, che sarà anche difficile, ma voglio provarci!”

Jensen era letteralmente senza fiato. Senza parole.

Quello che aveva sperato da tempo sembrava essersi appena avverato. Jared. Il suo Jared. Che gli diceva che avrebbe provato a comprendere il suo passato, che gli chiedeva di provarci ancora a stare insieme.

Un sogno?

Un’ illusione?


“Jared, io…” balbettò incerto.

“Jensen, ascolta….” provò il giovane.

“Il fatto è…” lo fermò Jensen. “…che dopo il messaggio che hai lasciato a Misha quando…”

“Lo so. Lo so. Ma ero arrabbiato, deluso, ferito e il fatto di sapere che comunque ti amavo anche io e che continuavo ad amarti anche quando mi ripetevo che ti odiavo, non migliorava il mio stato d’animo e credo di aver detto qualcosa di troppo.” Sembrò volersi giustificare.

Jensen lo fissò quasi incredulo dopo quelle ultime parole. “Tu…mi amavi?” mormorò in un sorriso stentato anche perchè , anche se in condizioni decisamente poco romantiche , lui si era dichiarato. Jared, di contro, gli aveva chiaramente detto di andare all'Inferno. E cavolo! se Jensen ci si era sentito all'Inferno dopo quel messaggio.

Jared sorrise di rimando, ma non rispose. Forse non era il momento adatto.
Si sistemò meglio sulla sua sedia e guardò Jensen dritto negli occhi e Jensen comprese quella sorta di ritrosia.

Poi , fu Jared a parlare di nuovo.

“Allora? La cosa ti dispiacerebbe..un giorno?!” chiese di nuovo.

Jensen strinse appena le belle labbra carnose, facendole sbiancare. Doveva essere sincero. Non era più il momento dei segreti o delle cose dette a metà. “La cosa mi renderebbe immensamente felice…un giorno.”


 

Dopo quello scambio di battute così inatteso, considerato anche come avevano iniziato, i due rimasero in silenzio per un po’. Di tanto in tanto si guardavano di sfuggita, quasi distrattamente. Ogni tanto Jensen fissava la busta e ogni tanto Jared fissava Jensen.

“Jensen?!” fece ad un certo punto il giovane.

“Mmmh!?”

“E se quel giorno fosse…. oggi?!” fece avvicinando appena la sua mano a quella di Jensen. Sfiorandola appena. Percependone appena il calore.

Jensen deglutì ansia, stupore, panico, felicità…tanta tanta felicità.

Mise da parte il giornale. La busta gialla. Si guardò un attimo intorno e poi fece cenno alla cameriera di avvicinarsi.

“Mi dica signore?!” fece lei, sorridendo cordiale.

“Ci può portare due espressi, per favore?!” ordinò gentilmente Jensen.

“Certamente. Ah!! vi avviso che , comunque, fra un po’, apriremo il dehor sulla terrazza del ristorante. Avvisatemi pure se volete prenotare per il pranzo.”

“Noi non..” stava per declinare Jensen.

“Perfetto!! Prenotiamo un tavolo per due!” lo sopraffece educatamente Jared. La ragazza ringraziò e andò via con la sua ordinazione.

Jensen lo guardò e vide una splendida luce negli di Jared.


Dio!! come gli era mancata quella luce che brillava in quel modo quando lo guardava.

 

“Ne sei sicuro, Jared?!” domandò forse timidamente Jensen.

“Non sarei qui se non lo fossi!” fu invece la risposta decisa da parte di Jared.

Jensen si sentì rinvigorito da una tale affermazione e parve ritrovare tutta la sua sicurezza.

Parlarono durante il pranzo. Semplicemente. Normalmente. E a tratti sembrava che niente di quelle assurdità che avevano vissuto, fossero successe. Niente Sheppard, niente fuga, niente segreti. Parlarono soltanto. Della nuova vita di Jensen. Dei nuovi progetti di Jared.

E ogni tanto si riscoprivano, quasi imbarazzati a guardarsi nel momento in cui l’altro non guardava.


Per quel “loro passato” sapevano entrambi che sarebbe servito un posto ben più discreto.


A fine pranzo, la cameriera si avvicinò al loro tavolo.

“I signori gradiscono il dessert?!” fece cordiale.

Jensen stava per rispondere di sì, quando anche questa volta fu Jared ad anticiparlo.

“Potrebbe essere così gentile da confezionarlo. Vado di fretta ma so che i vostri dolci sono qualcosa di celestiale e non vorrei perdermelo!” chiese ammiccando e porgendo la carta di credito.

“Ma naturalmente, signore! Non c’è nessun problema.” rispose la ragazza e andò via per eseguire la comanda e il conto.

Jensen a quel punto lo fissò stranito. Era convinto che Jared fosse stato bene e tutto ad un tratto invece vedeva sul volto del giovane una più che palese fretta di andare via.

“Io…io credevo che tu…” quasi balbettò.

“E’ così!” parve quasi rassicurarlo prima di sconvolgerlo. “ Ma il fatto è che adesso ho una gran voglia di vedere la zona in cui abiti. Adoro il quartiere di Chelsea.”

Jensen sorrise a quella strana richiesta. “Ok!”

“E ho voglia di vedere il tuo appartamento!” continuò il giovane filantropo.

Ma a quella gentile pretesa, Jensen, strabuzzò gli occhi dalla sorpresa.
"Ok!" ripetè ancora ,ma questa volta quasi balbettando, anche perché non poteva negare che sul volto di Jared vi fosse una certa malizia. Infatti!!

“ E ho voglia di vedere la camera da letto del tuo appartamento!” lo stuzzicò ancora Jared, avvicinandosi appena per concedere più privacy alla sua rivelazione.

E allora Jensen perse un battito.

“Al diavolo il “magari ..un giorno!”. E ci sarà tempo per tutte le spiegazioni mie e tue. E anche per , e lo so di certo, furiose litigate. Ma ora, ora, ho solo voglia di fare l’amore con te!” concluse il giovane fissando i suoi occhi in quelli già lucidi dell’ex cecchino. "Perchè mi sei mancato e perchè so che io sono mancato a te!"

E Jensen smise di respirare.

Poi deglutì, rumorosamente. Non riusciva a distogliere lo sguardo dallo sguardo ammiccante di Jared.

“Tu ….tu vuoi…..insomma….tu….noi….”

“Dal primo momento che ti ho visto seduto a quel tavolo!” lo stupì ancora, Jared. “Perciò…. o mi assecondi o giuro che ti trascino nel primo bagno che trovo in questo ristorante!” disse con la voce fin troppo bassa. Dolorosamente sensuale per Jensen che si sentì costretto ad accavallare le gambe , per sua fortuna, ancora coperte dalla tovaglia del tavolo a cui erano seduti.

“Non ho …io ..io.. non ho la macchina!” sembrò scusarsi e rendendosi immediatamente conto dopo, di quanto fosse stata stupida la cosa che aveva appena detto.


Che fine aveva fatto il cecchino glaciale che fino a qualche mese fa era l’immagine della decisione e della sicurezza??


Jared sorrise appena e poggiando i gomiti al tavolo, per potersi sporgere meglio verso Jensen, asserì semplicemente. “Fa’ niente. Prenderemo un taxi. O al massimo cammineremo così avrò tempo di pensare meglio a quello che ho intenzione di fare con te!”

“Oddio!!” esalò Jensen.

“Sì!! Credo che lo dirai spesso una volta che saremo a letto!!” lo provocò Jared, alzandosi subito dopo che la cameriera gli porse la scatola con il dolce.

Jared guardò il pacchetto e poi guardò Jensen che fissava lui.

“So che è successo tempo fa e per pochi giorni, ma dovresti aver notato che dopo aver fatto l’amore mi piace mangiare dolci!!” esordì avviandosi verso l’uscita del dehor.

Era vero!! Jensen fece immediatamente mente locale a quei loro pochi momenti d’amore che avevano avuto la fortuna di vivere e vide, tra i suoi ricordi, chiaramente Jared che si alzava dal letto e cercava una qualsiasi cosa da mangiare che fosse dolce.

Ogni volta che avevano fatto l’amore!


 

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Capitolo 12
*** E' di nuovo amore! ***


E’  A N C O R A  A M O R E !!!

Quando raggiunsero l’appartamento di Jensen, il biondo aprì la porta di ingresso ed entrò, facendo strada al suo ospite.

Posò le chiavi sul piccolo tavolo accanto al divano e nello stesso tempo sentì la porta richiudersi alle sue spalle. Per un assurdo nervosismo non riuscì a girarsi e tremò appena quando le braccia di Jared lo avvolsero.

Jensen chiuse gli occhi assaporando fin dentro l’anima quell’abbraccio e tremò ancora quando sentì le labbra di Jared sfiorargli il collo teso.

“Io…non posso credere che stia accadendo….questo!” sussurrò sia a Jared che a sè stesso.

“Credimi…non ci credo nemmeno io!” lo spiazzò Jared , girandolo piano tra le sue mani, come l’altro fosse un manichino in attesa di essere sistemato nella giusta posa. Gli mise due dita sotto il mento per costringere dolcemente Jensen a guardarlo negli occhi. Prese gentilmente le mani del biondo tra le sue e se le portò sui fianchi e sorrise soddisfatto quando sentì la presa di quelle mani farsi decisa contro il suo corpo.

Poi spostò le braccia, di nuovo, intorno al corpo di Jensen, e si sistemò meglio contro di lui. Vicino. Tanto…troppo vicino!

“E forse…..” continuò dopo aver trovato quella che sembrava essere la posizione finale. “…forse so a che cosa stai pensando!” azzardò ancora.

“A cosa?!” e questa volta fu Jensen ad azzardare.

“Pensi che questo..” indicando loro due e il modo in cui erano abbracciati. “…che quello che sta o che potrebbe accadere tra un po’ potrebbe anche essere una presa in giro. Una sorta di vendetta da parte mia. Una rivalsa per quello che credi di avermi fatto. Che sparirò velocemente dalla tua vita come ho già fatto una volta. E stai pensando che quel dolore al petto che credevi di non sentire più tornerà a fare male , e ti renderai conto che non ha mai smesso di fare male!” finì quasi in un sussurro, Jared, che in quel momento , in quell’ultima frase parve parlare per esperienza personale.

“E’ un dolore forte, profondo. A volte insopportabile. È come un ago infilato al centro del cuore che si muove e mi ferma il respiro ogni volta che credo che non ci sia più, ogni volta che…” provò a spiegare Jensen.

“…che credi non debba fare più male. E invece il dolore ricomincia più forte.” concluse per lui, Jared.

E Jensen annuì comprendendo appieno di che sensazione Jared stesse parlando.

“Ho provato il tuo stesso dolore , Jensen. Ed è per questo che sono qui. Con te!”

“Jared, io…”

“Sono stato uno stupido a non averlo capito prima, ad aver dato modo a quel dolore di farci del male inutilmente. Nonostante quello che siamo o siamo stati, nonostante tutto quello che abbiamo passato, ho capito, troppo tardi, che tu sei l’unico che può fermare il mio dolore e io so che sono l’unico che può fermare il tuo.” confessò deciso e poi un lampo di insicurezza gli attraversò il viso emozionato. “O almeno spero di esserlo!”

Jensen strinse istintivamente le mani sui fianchi del giovane e con un gesto deciso lo attirò ancor di più contro il suo corpo.

“Sì, che lo sei. Sì, che lo sei!!” esclamò convinto e annullando lo spazio esiguo che già c’era tra loro ed estasiandosi quando le sue labbra ritrovarono finalmente, dopo tanto tempo, le labbra di Jared. Labbra che furono pronte ad accoglierlo di nuovo. Labbra entusiaste di ricambiare quella passione, quella dolcezza, quella simbiosi che tanto era mancata.

Le mani di Jensen, scivolarono dai fianchi alla schiena di Jared, così da poterlo abbracciare più forte, da tenerlo più vicino. Così da non lasciarlo andare mai più.

Lo stesso fece Jared. Rinsaldò la presa intorno al corpo del compagno e avido di risentire sulle sue labbra, nella sua bocca , il sapore di Jensen, con fare voglioso e appassionato, si spostò dalle labbra carnose del biondo, lungo la mandibola e poi la linea del mento e poi il collo che si tendeva ansioso di essere saggiato di nuovo. E poi la linea della spalla appena sopra la clavicola coperta dal tessuto leggero della camicia.

“Dio!! quanto mi sei mancato!” fu l’esclamazione roca di eccitazione da parte di Jared che continuava a baciare Jensen come se ne valesse l’aria di cui aveva bisogno per respirare.

“Non quanto mi sei mancato tu, piccolo. Facevo,…facevo finta di niente…in questi mesi….” balbettava Jensen tra un bacio e l’altro. “..ma sapevo…sapevo che stavo per impazzire senza di te. Credo…credo che tu…mi abbia appena salvato la vita!” confessò, cercando di nuovo le labbra di Jared. Trovandole ancora pronte per le sue. Ricongiungendole ancora per unire i loro sapori e gemere piacevolmente di quella mancanza d’aria che quel bacio aveva causato.

Poi, per un attimo, i due, rimasero fronte contro fronte, sorridendo di quel bellissimo affanno, cercando forse di riprendere fiato.

“No! Decisamente mi hai appena salvato la vita!” volle correggersi Jensen. “Ora, respiro di nuovo. E non fa più male!”


Jared si spostò appena, posando una carezza leggera sul volto di Jensen che gli sorrise amorevolmente. In quel gesto fatto con calma e gentilezza, Jensen, credette , che il momento fosse passato, che c’era, giustamente, ancora altro e tanto da dire da dire. E lo avrebbe accettato.

Cavolo, se lo avrebbe accettato, pur di riavere Jared al suo fianco!!

Avrebbe parlato per ore e ore, giorno e notte se ce ne fosse stato bisogno. Avrebbe chiesto ancora mille e mille volte scusa. Avrebbe supplicato Jared di perdonare quella sua parte di vita assurda e di accettarlo per quello che era adesso.

Tutto! Avrebbe fatto di tutto!


 

“Fa’ l’amore con me , Jensen!” fu invece ciò che scivolò leggero sulle labbra di Jared. “Cura il mio dolore e lascia che io curi il tuo!”

Quelle parole furono come preghiera.

E quale preghiera pregna d’amore non merita di essere esaudita?!


 

Jensen si sentì come guidato da una forza potente e superiore, che lo costringeva ad accarezzare il viso di Jared, a stringerselo tra le braccia, a baciarlo come se baciare Jared significava respirare.

Ancora stretti in quell’abbraccio fatto di carezze e baci, i due , di nuovo amanti, arrivarono alla camera da letto del biondo.

Jensen spinse delicatamente Jared verso il letto, invitandolo a sdraiarcisi sopra. Il più giovane lo fece, indietreggiando fino a raggiungere il centro del materasso, mentre, Jensen, gli gattonava , letteralmente sopra, fino a raggiungere l’altezza del suo viso.

Jared, una volta fermo, con un movimento lento, mise le mani sulle lenti di Jensen.

Il biondo era ancora poco abituato e non gli era passato minimamente di indossarli ancora. Stupidamente , se ne imbarazzò.

“Scusa, io non….” provò.

“Te l’ho detto. Mi piacciono!” lo rassicurò Jared, rubandogli un bacio leggero.

“Davvero?!”

“Lascia che te lo mostri!” e questa volta il bacio fu molto più deciso e intimo e i due, abbandonaticisi, gemettero , uno sulle labbra dell’altro. Tra le labbra dell’altro.

Ci volle poco per ritrovarsi nudi, vicini, abbracciati quasi disperatamente come se avessero paura di allontanarsi di nuovo.

Le loro mani si rincorrevano sui loro corpi accaldati e ansiosi di essere toccati. Le bocche lambivano ogni parte di pelle che fremeva di piacere così da darne ancora.

I sospiri, i gemiti, gli ansiti si fecero più insistenti e profondi, quando la necessità di appartenersi, si fece forte. Insopportabile. Quasi dolorosa.

Si erano accarezzati, preparati , stuzzicati, provocati con tocchi esperti e delicati. Avevano, di nuovo, esplorato con dolce passione le loro parti più intime e segrete. Tutto per riaccendere quella stessa passione che li aveva avvicinati e uniti in quella stanza di motel.

E quella passione si era accesa. Anzi, era diventata un vero incendio fatto del più puro desiderio.

In quella danza fatta solo di movimenti d’amore, fu Jared a prevalere. Anche se il giovane ebbe la chiara impressione che Jensen era capitolato volontariamente.

“Jensen...” lo richiamò dolcemente.

Il biondo capì quel richiamo , quasi apprensivo e volle rassicurare il suo dolcissimo amante. “Ho sognato questo momento per giorni, mesi. Ho sognato di essere amato da te, come la prima volta. Ho sognato te ogni volta che chiudevo gli occhi. Ho sognato le tue mani su di me, la tua bocca che mi baciava, il tuo respiro che mi riportava alla vita. Ti prego...ti prego Jared, rendi reale quel sogno. Amami.” confessò accarezzandogli il viso emozionato a quelle parole. “Amami di nuovo!”

E Jared lo amò. Con ogni fibra del suo corpo e del suo essere. Con ogni respiro, con ogni spinta, con ogni pausa, con ogni ritmo del suo corpo. Lo amò, perché poteva farlo. Perché sapeva che doveva farlo.

E Jensen si lasciò amare e quei suoi “Oddio!!” tanto promessi da Jared, riecheggiarono soavi nella camera da letto del biondo.

Perchè essere amato da Jared, di nuovo, in quella maniera vera e sincera era l’unica cosa che desiderava al mondo. Si concesse a lui come mai avrebbe immaginato fosse capace di concedersi. Si arrese completamente ai sentimenti che provava e felice, da come Jared lo stava desiderando e amando, comprese che il tutto era ricambiato.


 

Quando il piacere giunse, forte e dolce, appagante e devastante, fu come essere investiti da una folata di vento fresco in una giornata calda e afosa.

Inebriante!!! Rinfrancante!! Pacificante!! Magnifico!!


 

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Capitolo 13
*** Il passato di Jensen. ***


I L   P A S S A T O   D I   J E N S E N



Amarsi di nuovo fu bellissimo. Ritrovarsi in quel modo anche così fortemente fisico fu magnifico.

Avere la consapevolezza che questa volta non c’erano segreti tra loro e che tutto ciò che avevano provato era scevro da ogni possibile tenebra fu decisamente appagante e tranquillizzante.


Jared, che ancora parzialmente copriva, premuroso, il corpo di Jensen con il suo, se ne stava beatamente in quella posizione, godendosi le pigre carezze che il maggiore gli donava sulla schiena ancora madida del sudore dell’amore.

Poi, un leggero bacio sul torace del biondo. Quasi una carezza. Forse, un respiro più accentuato sulla cicatrice che campeggiava al centro del torace di Jensen, segno di una morte scampata.

“Che hai?!” sussurrò Jensen a quel gesto così discreto.

“Chi sei Jensen?!” si ritrovò a chiedere Jared.

“Che significa?!” replicò perplesso l’ex cecchino ma senza astio nella voce.

“Cioè….so chi sei e so che mi hai detto la verità sul tuo nome. Ma da dove vieni, che facevi prima di diventare Falco, la tua famiglia, i tuoi amici. Chi sei davvero?” chiese ancora e sapeva che Jensen non si sarebbe risentito di una simile domanda. Ma cercò comunque di giustificarsi. “So che a causa del tuo lavoro , con le ricerche che hai fatto o che ha fatto Misha, sai tutto della mia vita. Ma io, di te….”

“Hai ragione, Jared. Hai ragione ed hai diritto di sapere tutto.”

“Devi dirmelo. Ma…”

“Ma, cosa?” si ritrovò a chiedere incuriosito Jensen.

“Ma solo se ti fidi di me a tal punto da confessarmi sinceramente l’uomo di cui so poter ancora amare con tutto me stesso.”

“Mi fido di te. Ti amo davvero e tanto. E mi fido di te più di quanto mi fidi di me stesso.” gli confessò con un tono emozionato e sincero stringendoselo contro il petto. Forte, deciso come se avesse paura di farlo andare via. “E ti dirò tutto di me.”

Jared , a quella decisione, gli baciò il petto, ora leggermente più ansante , comprendendone il motivo e dolcemente si sciolse dal suo abbraccio per tirarsi su a sederglisi accanto.

Jensen lo fissò e impresse a fuoco nella sua mente la dolcezza che vedeva in quel momento sul volto del compagno. Si tirò su anche lui, rimanendo poggiato alla spalliera del letto e per un po’, quasi come se stesse mettendo in ordine i pensieri, chiuse gli occhi e fece un respiro profondo.

“Avevo 10 anni. Mia madre era morta da circa quattro anni a causa di una malattia al cuore, ma mio padre riuscì ad amarmi anche per lei. Si faceva in quattro e io…io lo adoravo. Una sera, ricordo che era il 26 dicembre, stavamo ritornando da una cena con dei suoi amici di lavoro. Io ero seduto dietro e alla radio dicevano di stare attenti ad alcuni tratti stradali che erano ghiacciati a causa delle basse temperature. Papà mi disse di stringere bene la cintura e io, volendomi sentire adulto gli risposi di fare lo stesso per lui. Fu un attimo. La macchina all’improvviso sembrò avere vita propria e per quanto papà si affaticasse a cercare di tenerla sulla carreggiata giusta, non ci riusciva. Mi gridò di tenermi forte e che sarebbe andato tutto bene ma io lo vedevo che aveva paura. Poi accadde.” e a quel punto del racconto il ragazzo si fermò come se quel momento tragico della sua vita si stesse materializzando in pieno davanti ai suoi occhi.

“Oddio, Jensen!” sussurrò appena Jared, colpito dal racconto che stava udendo. “Che…che è successo?!”

“All’improvviso tutto iniziò a girare intorno a me. Ho perso il conto di quante volte la macchina si è ribaltata su se stessa…

“Mio Dio…”

“Vedevo i vetri andare in frantumi, le lamiere della macchina piegarsi paurosamente su di noi, gli alberi capovolgersi e tornare in piedi; asfalto e stelle alternarsi continuamente. Mio padre che cercava di allungare una mano verso di me come a volermi tenere. Le sue urla di paura e di dolore ogni volta che la cappotta sbatteva contro il cemento dell’asfalto. Io invece non riuscivo a dire o fare niente. Ero completamente terrorizzato, congelato dalla paura. E poi non so come, davvero, te lo giuro…io non so come, ma…ma…” e si fermò ancora passandosi una mano sul viso, scuotendo avvilito la testa, tremando appena, come se anche nel presente, in quel letto, davanti a Jared cercasse di capire quel “come”.

“Jensen! Jensen….calmati! Ci sono io qui. Sei con me. Tranquillo. Senti…basta, ok? Mi va ..mi va bene. Non c’è bisogno che tu debba….” provò a tranquillizzarlo Jared, ma Jensen non voleva smettere. Aveva deciso di dire tutto e avrebbe detto tutto all’uomo che amava. Che fosse stato doloroso o meno.

“Ad un tratto mi ritrovai a guardare la macchina.” lo stupì infatti.

“Cosa?!” sussurrò sbalordito Jared.

“Mi ritrovai seduto sulla strada ghiacciata a fissare la macchina continuare quella sua folle e tragica giostra di capriole. Fin quando l’asfalto di nuovo ruvido non ne fermò la corsa. Ricordo di aver chiamato mio padre, ma che mi sentivo così confuso e sconvolto che non riuscivo a muovermi!”

“Sei …sei stato sbalzato fuori dalla macchina?!” chiese sbalordito il più giovane.

“Sì. E qualche minuto dopo vidi la nostra macchina, con dentro ancora mio padre, andare a fuoco. Esplose con un fragore che non avevo mai sentito. La luce del fuoco causato dalla benzina era di un bagliore che non conoscevo. Quell’odore acre di gomma e plastica bruciata era qualcosa di stordente.”

“Mio Dio!!” ripetè profondamente addolorato Jared.


Che altro avrebbe potuto dire di fronte ad una tragedia del genere?

L’unica cosa che riuscì a concepire come confortante fu quella di prendere le mani di Jensen tra le sue e baciarle dolcemente. Voleva fargli sentire che era davvero con lui. Che se ne avesse avuto bisogno, Jensen, poteva chiedergli tutto il conforto che voleva.


“Non so quanto tempo sono rimasto seduto a terra e fissare quella morte assurda che si portava via mio padre oltre che tutto quello che rimaneva della mia famiglia e della mia vita. Poi , anche se confuse, iniziai a sentire delle voci che si avvicinavano sempre di più a me. Sentivo come se qualcuno mi stesse toccando, a tratti scuotendo. Solo quando mi ripresi in ospedale e mi sentivo poco più lucido mi dissero che la macchina che ci seguiva aveva visto tutto e aveva chiamato immediatamente i soccorsi.” raccontò ancora, trovando conforto nelle mani di Jared che ancora stringevano le sue.

“E’ stato un miracolo che ci fossero state quelle persone. Tu…tu potevi….potevi morire!” sembrò prendere coscienza Jared, sconvolto da quel pensiero. “Che è successo, poi?!”

“Sono stato in ospedale circa due giorni, finchè non mi dissero che per me c’era un signore che si dichiarava essere mio zio. Il mio padrino.”

“E…non era così?” chiese perplesso Jared, notando il tono che aveva usato Jensen.

“No. Cioè, quando lo vidi, lo riconobbi. Eravamo stati a casa sua la sera dell’incidente. Lui era un amico di mio padre. Molte volte li avevo visti insieme e mio padre molte volte mi ripeteva che Jim, questo il suo nome, era un brav’uomo e che mi sarei dovuto fidare di lui all’occorrenza. Ma di certo non era di famiglia e tanto meno era il mio padrino.”

“E allora cosa…come..”

“Quando io confermai di conoscerlo e ci lasciarono per qualche momento insieme da soli, lui si avvicinò a me e anche se con tono rassicurante fu molto diretto e deciso e mi disse : “Ascoltami ragazzo. Tuo padre non c’è più e della tua famiglia non è rimasto nessun altro. So che mi conosci e so che tuo padre ti ha detto di fidarti di me. Quindi: o per quelli lì fuori, io, divento il tuo padrino o tu ti ritroverai a scegliere in quale casa famiglia prendere residenza. Non potrò essere mai tuo padre, questo lo so. Ma credimi farò del mio meglio perché tu venga su come lui voleva.” E in quel momento rientrò la responsabile dell’assistenza sociale.”

“Tu che hai fatto?” chiese decisamente curioso Jared.

“Non avevo scelta. E di certo non volevo finire in una casa famiglia. Così presi la mia decisione. Jim divenne il mio “padrino” e qualche ora dopo ero a casa sua, sotto la sua tutela.” disse con nello sguardo ancora la consapevolezza di aver fatto la scelta giusta.

“Hai vissuto con lui?!”

“Sì. Jim si rivelò essere una bravissima persona. Una figura paterna di tutto rispetto. Mi fece andare a scuola, pagò per intero i miei studi, senza mai farmi pesare un solo centesimo. Mi trattò come un figlio, meglio di un figlio. E mi volle bene. Molto bene e io ne volli a lui. Davvero.” e Jared sentì in quelle parole il sincero affetto che Jensen provava per l’uomo che l’aveva cresciuto come un padre.

“Ti….volle?!” chiese , però, timoroso a causa di quel tempo verbale usato.

“Ha avuto un infarto circa dieci anni fa , durante il lavoro!”

“Mi dispiace.” sussurrò comprensivo Jared, accarezzandogli piano il profilo decisamente triste per quel ricordo. “Cosa faceva?!” chiese poi.

“Ne rimarresti stupito!” ironizzò Jensen sorridendogli sghembo.

“Ero nel mirino di un infallibile cecchino. Prima di lui, in quello di un facoltoso psicopatico in doppio petto. Sono scampato alla morte solo per miracolo. Mi sono innamorato dell’uomo che voleva spararmi, sono con lui adesso in questo letto …credimi, mi stupirò difficilmente!” scherzò Jared.


“Era un cecchino anche lui ed è stato per lui che lo sono diventato anche io!”

 

Jared rimase a bocca aperta e per qualche lunghissimo secondo non riuscì a proferire parola, rimanendo immobile a fissare il suo compagno che lo fissava di rimando in attesa di una qualsiasi reazione.

“Lui era….cosa?!” disse alla fine, incredulo.

“Lui era come me o forse dovrei dire che io sono diventato come lui, in effetti.” si corresse.

“Jensen, ma ….”

“Scoprii tutto per caso. Jim era molto bravo a far restare nell’ombra quel suo secondo lavoro. Un pomeriggio lessi per caso, in alcuni fogli, una richiesta con tanto di offerta. Non capii subito. Non volevo trarre conclusioni anche perché sul folgio c’era solo scritto “Compenso: 750 mila”, niente spiegazioni. Poteva essere tutto o forse niente o magari solo uno scherzo di qualche suo amico. Infondo l’offerta era di oltre 700 mila dollari. Che altro poteva essere?, pensai.”

“Ne parlasti con lui?!” volle sapere Jared.

“Sì. Gli accennai che avevo visto il foglio e che non capivo chi poteva fargli uno scherzo del genere.”

“E lui?”

Jensen inspirò profondamente e poi rispose.

“Fu vago, quasi sorpreso che io avessi letto. Forse si rese conto in quel momento di aver commesso il suo primo sbaglio e di averlo fatto con me. Tagliò corto la questione e disse che aveva un importante impegno lavorativo in quei giorni e che quindi sarei stato da solo a casa e che quello che avevo letto era solo uno stupido scherzo di un suo collega dell’officina in cui lavorava.”

“Gli credesti?!”

“Per la prima volta in vita mia, no. Per niente. Ma non gli diedi modo di sospettare alcun che. Lui andò via e io dopo un po’ lo seguii. E onestamente mi sorpresi di vedere di come fossi bravo a non farmi notare sia in macchina che a piedi.”

“Che cosa fece Jim? Dove andò quando uscì?”

“ Andò verso Sacramento, sai?, in quel periodo vivevamo in California. Quando arrivò si diresse verso l’Edificio sul campus dell’Università di Sacramento e…”

“Quell’enorme edificio in vetro blu?!”

“Esatto. Lo seguii mischiandomi alla folla di studenti e vidi che prese la direzione per raggiungere il tetto. Quando anche io arrivai sul tetto, fui cauto. Mi nascosi dietro una canna fumaria e lo vidi sistemarsi accanto ad un parapetto. Fu allora che lo vidi.”

“Vedesti cosa?!” domandò Jared sbalordito dal racconto ma anche curioso di sapere.

“Il fucile. Un fucile ad alta precisione. Il cervello mi andò in panico e non so come o perché ma mi feci avanti.”


 

Jim?”

Che diavolo ci fai tu qui, ragazzo?!”

Che diavolo ci faccio io qui?...che diavolo ci fai tu qui? Cosa stai facendo?”

Ciò che è giusto, Jensen. Non puoi sapere. Tu non puoi immaginare nemmeno quanto sia giusto quello che sto per fare.”

Io non posso sapere e non posso immaginare. Ma di certo non posso negare che tu sei qui con un fucile imbracciato pronto a fare fuoco su chissà chi!!”

Non si tratta di un chissà chi. Ma di un vile stupratore che non si fa problemi se le sue vittime siano ragazze o ragazzi. L’importante è che lui abbia ciò che vuole.”

Ma di che stai parlando , Jim? Sei impazzito?...c’è la polizia per questo. Se è vero ciò che dici, lascia che siano loro ad occuparsene!!”

C’hanno provato. Ma sai com’è? Andare contro il decano dell’Università che è il migliore amico del senatore in carica..beh!, può fare molto. La parole di un simile luminare contro quella di ragazzi senza arte né parte. Tieni ! guarda!!”

Che cosa sono?!”

Le sue vittime. Dodici sfortunati che porteranno su di loro, dentro di loro il segno visibile e invisibile di quel bastardo. Tre di loro , però, non lo hanno sopportato!”

Che…che significa?!”

Guarda ancora! Continua a leggere!”

“….Oddio. Si sono suicidati!”

Già. E’ l’unica cosa che è stata detta su di loro è stata “Forte stress da studio seguita da crisi depressiva”. Ci credi?!”

Jim, ma…”

Quel bastardo deve pagare. Il male che ha fatto a quei ragazzi, alla loro memoria, alle loro famiglie che non avranno mai giustizia e deve pagare…”

Jim ?”

“….per quel male che può ancora….”

Jim che hai?”

“…. fare, se io….se io.. non vado fino… in fondo.”

Jim??!!”

Cazzo!!”

Jiiiimmm!!!”

Il…il cuore…il cuore….”

Sta’ calmo. Chiamo un ambulanza. Sta’ tranquillo, ora…ora….”

No. Nooo!”

Cosa? come no? Jim hai un infarto!!”

Prendilo!”

Cosa?! Cosa devo prendere??!!”

Prendi il fucile. Guarda le foto…. Finisci il lavoro al posto …mio, Jensen.”

Come?? Cosa??? NO!! Io non posso!”

Sì. Sì, che puoi. Le nostre...le nostre battute di caccia. Ricordi? Le ricordi?”

Sì, certo...sì, ma che cosa...”

Ti ho insegnato ad essere invisibile, ad essere attento e silenzioso. A nasconderti anche in piena luce. Ti ho insegnato come si spara e sei un ottimo….tiratore…quasi migliore..di me. Fallo, Jensen! Fallo!!”

Jim, ti prego. Io…”

E’ il mio ultimo desiderio, Jay!”

Ti prego…ti prego. Non dire così…la risolveremo. Vedrai che…”

Finisci il lavoro, Jensen. Da’ pace a chi è morto e a chi invece vivrà nel ricordo di quello che è accaduto. Fa’ giustizia, Jensen. Da’ loro…..pace e giustizia!”


 

“Lo facesti?”

Un altro respiro. Forse di colpa, forse solo per prendere fiato e coraggio.

“Sì. Guardai la foto. Presi il fucile e puntai nella direzione del decano. Era accanto ad una ragazza. Le teneva il polso. Il sorriso di lui era stranamente ammiccante e maligno mentre quello di lei era decisamente spaurito. Mi ritrovai a pensare alla storia di Jim e vidi in quella ragazza la prossima vittima. Fissai ancora la ragazza e ...mio Dio!! Jared...c’era così tanto panico nei suoi occhi.” disse rivedendo per un attimo lo sguardo terrorizzato di quell’innocente. “ non ricordo come è successo, non ricordo quando la mia mente ha deciso di ordinare al mio dito di contrarsi sul grilletto, ma avvenne. Sparai. Un solo colpo. Un centro perfetto in pieno petto. Lui nemmeno se ne rese conto.”

“O mio Dio!” sibilò Jared, che,però, in angolo remoto della sua mente urlava di segreta gioia , quando sul volto del suo compagno, invece di vedere soddisfazione e orgoglio, vide, leggera e dolorosa, un' espressione di colpa. 
Jensen non era un mostro. No!, non lo era!!! 

“Sai la cosa strana che mi fece riflettere, facendomi dimenticare per un solo attimo che avevo appena ucciso un uomo?!” chiese retoricamente Jensen. “Qualche attimo dopo, tornai a fissare nel mirino del fucile e guardai di nuovo verso il basso. La ragazza era ancora lì, mentre decine di persone di affaccendavano intorno al corpo del decano. “

“Che.. faceva?!”

“Niente. Era ferma in un angolo e il suo volto era stranamente sereno. Non ci vidi più quella paura che ci avevo visto un attimo prima di sparare. Era quasi sollevata di vederlo morto. Non c’era più panico nei suoi occhi.” e mentre lo diceva sembrava quasi come se stesse vedendo ancora l’espressione sollevata di quella sconosciuta.

“Che hai fatto dopo?!”

“Lasciai il fucile e soccorsi Jim. Lui era debole e respirava a fatica. Si infilò una mano in tasca e tirò fuori una chiave.” raccontò.

“Una chiave?!”

“Sì. Mi disse che era la chiave del suo rifugio-ufficio a Lebanon, in Kansas e che se un giorno avessi voluto continuare a fare ciò che lui aveva fatto, era lì che dovevo andare per iniziare.”

“Ci sei andato, a quanto pare!”

“Dopo molti mesi. Seppellii Jim giustificando la sua morte come un semplice infarto. E quando misi a fuoco quello che era successo volevo saperne di più. Volevo sapere a tutti i costi e così andai in quel posto che Jim aveva chiamato “bunker”!! E da lì, da ciò che ci trovai, dai documenti e le foto , le vittime senza diritto di parola, i colpevoli che invece si godevano la bella vita, quella lettera e… iniziò la storia di Falco!”

“Lettera?!” azzardò Jared pensando che forse era qualcosa di troppo privato da essere confidato.













N.d.A.:  e siamo al penultimo capitolo. Il prossimo sarà quello conclusivo, spero, il giusto epilogo di questa storia.
Confesso che questo doveva essere l'ultimo, ma non mi era resa conto che sarebbe stato di circa 17 pagine di word, quindi luuuungooo!!
Perciò, chiedo perdono e pazienza!

Spero che la storia vi sia piaciuta e spero, così, anche il finale del prossimo capitolo.

Cin.  


 

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Capitolo 14
*** EPILOGO ***


E P I L O G O


“Jim mi scrisse una lettera che lasciò al bunker. Un po’ come se avesse saputo che un giorno o l’altro quel giorno sarebbe arrivato. Che io avrei seguito le sue orme, nel modo in cui lui voleva. O magari , che solo avessi dovuto sapere la verità.”

“Che ti diceva in quella lettera?”

Jensen sorrise nostalgico al ricordo di quelle parole scritte sul quel foglio.


 

D’accordo, ragazzo!

Sei stai leggendo questa lettera vuol dire che io ho timbrato il cartellino definitivamente. Vuol dire che tu sai, finalmente , tutto di me, di quello che sono realmente; di quello che faccio. Chi ne usufruisce e chi ne patisce.

Non so come sia accaduta la cosa: se per caso oppure ho commesso un qualche sbaglio che ti ha portato a dubitare di me. Ma comunque sia successo, il fatto che tu sia qui, nel mio bunker, vuol dire che hai accettato in qualche modo ciò che anche tu potresti essere, se comprenderai il vero motivo per cui anche io, tempo fa, decisi di oltrepassare quella linea sottile che divide chi potrebbe fare da chi lo fa e basta.

Ho ucciso molte persone , Jensen. Non ne vado fiero perché ho comunque interrotto delle vite umane, ma quelle vite umane di umano non avevano niente perché erano stupratori, assassini, le più vili forme di vita umana capaci solo di fare e portare il male nella vite di poveri innocenti.

E’ vero! Prendevo soldi per quello che facevo, ma non ho mai agito per mera avarizia. Ho sempre fatto ricerche sui bersagli che mi affidavano e molte volte quei bersagli smettevano di essere tali perché non erano ciò che mi dicevano. E allora agivo di conseguenza. Li aiutavo. Li mettevo in salvo. Davo loro soldi per andare avanti. Ecco perché accettavo denaro. E poi cercavo chi li voleva morti e mettevo le cose in chiaro.

Se un giorno, tu, vorrai seguire le mie orme, con i miei principi, con i miei metodi, facendo ricorso ai miei insegnamenti, qui, in questo posto, avrai a disposizione tutto quello che ti serve.

Ti ho insegnato a seguire le tracce diventando invisibile. Ti ho insegnato a sparare, a sentire il vento, a seguire il vento. A controllare il tuo respiro. Ti ho insegnato, discretamente, tutto ciò che io sapevo.

L’unica cosa che adesso dovrai imparare da solo, se deciderai, è il fondamento di questa missione: Non si spara a Bambi, ma alla mamma di Bambi.

Non fermarti alle apparenze, Jensen. Non fare che il tuo bersaglio sia esclusivamente il bersaglio che hai al centro del mirino. Guarda tutto. Osserva tutto. Anche e soprattutto quello che c’è in secondo piano, quello che c’è alle spalle di Bambi.

Capito, ragazzo?

Sii un risolutore compassionevole e non un giustiziere senza cuore.

Concedi dignità anche nella morte.

Non sarai Dio. Sarai solo colui che medierà l’incontro tra Lui e il vero bersaglio.

Il bene che ti voglio, che ti ho voluto e che sempre ti vorrò Jensen, che sia chiaro, non è legato alla scelta che farai.

Tu sarai sempre quel figlio che non ho mai avuto ma che il destino in modo doloroso e cruento mi ha comunque concesso di crescere.

Ti voglio bene, Jim.


 

Quando il ricordo di quella lettera si sopì di nuovo nella sua mente, l’ex cecchino cercò di riassumerla al suo compagno.

“Di ascoltare chiunque chiedesse il mio aiuto. Ma di non fidarmi di nessuno, di fare sempre delle ricerche scrupolose sui presunti bersagli. Di entrare in azione sempre con accanto le foto delle vittime così da ricordare il motivo per cui avrei premuto quel grilletto. Che non avrei mai e poi mai dovuto colpire Bambi ma solo e sempre , la madre di Bambi!” gli spiegò.

“Bambi?...la madre ?...ma cosa??...” chiese interdetto, Jared.

Jensen rise pacatamente. “Era un suo modo di dire che l’innocente non andava mai toccato, ma che si doveva sempre guardare ben oltre ciò che il mirino mostrava. Quello che c’era dietro.”

“In un certo senso, mai fidarsi delle apparenze!” convenne Jared.

“In un certo senso!” rispose Jensen anche se non ne sembrava sicuro.

“Non ne sembri convinto!” azzardò Jared.

“Con te non è stato così. È stato il tuo aspetto ad accendere la prima lampadina d’allarme nella mia testa.”

“Sul serio?!” si sorprese il giovane, che in quell’ammissione si ritrovò ad accarezzargli il profilo pensieroso.

“I tuoi occhi.”

“I miei occhi, cosa?!”

“La prima foto che mi mandarono era un tuo primo piano e i tuoi occhi mi colpirono immediatamente. Erano buoni, erano dolci, sembravano così sinceri da convincermi che non poteva essere diversamente. I tuoi lineamenti erano quelli di qualcuno che guardava al mondo e al prossimo sempre con gentilezza.” gli rivelò, Jensen, guardandolo negli occhi e sorridendo dolcemente vedendo in quegli stessi occhi una patina d’emozione. “Ma mi eri stato presentato come un classico mostro e così mi costrinsi a chiamarti Lucifero.”

“Lucifero?!” si sorprese Jared.

“Bellissimo e ingannatore!”

Jared lo guardò dubbioso e strinse le labbra sottili in una smorfia di perplessità.

“Non so se ritenermi offeso o meno, per questo.”

“Credimi, amore mio, se il vero Lucifero avesse le tue sembianze, gli venderei l’anima senza pensarci due volte!” lo adulò, Jensen. Forse!!

Jared sorrise appena a quello strano paragone ma ne comprese comunque il senso. Si sporse lentamente verso il volto del compagno e cercò le sue labbra. Fu un bacio semplice, casto. Labbra contro labbra. Ma paradossalmente profondo e intimo.

“Non sono Lucifero, ma credimi…. mi piacerebbe comunque avere la tua anima e mi piacerebbe che tu abbia la mia.”

“Mi sembra un ottimo contratto da stipulare!” scherzò Jensen accarezzandogli le labbra sottili piegate in un sorriso ammiccante.

Poi Jared si scostò da lui e sul suo volto di nuovo la curiosità.

“Che altro vuoi sapere!?” lo anticipò Jensen.

“Misha. Come hai conosciuto Misha? Come lo hai convinto ad essere il tuo braccio destro?!” chiese ora ancora più curioso.

Jensen sorrise al ricordo di come aveva conosciuto l’amico russo e sapeva che quella storia avrebbe di certo lasciato di stucco il suo bellissimo compagno..

“Vedi…in un certo senso..Misha è stato il primo “te” !” rispose criptico e sorrise ancora più apertamente quando vide sul volto del ragazzo un’espressione mista fatta di stupore e incredulità.

“Misha…il primo …me?!” balbettò sorpreso. “Ma credevo che Misha fosse….insomma ..etero!!”

Jensen a questo punto, rise. E rise di cuore.

E Jared si perse in quel sorriso e in quegli occhi verdi che brillavano come smeraldi. E lo amò. Amò Jensen con tutto il cuore e ringraziò con ogni fibra della sua anima il giorno in cui aveva compreso che non poteva stare senza di lui.

“Sapevo che avresti frainteso!” disse Jensen, ignaro dei pensieri di Jared ma baciandolo di nuovo ma questa volta con più con trasporto.

“Ma cosa?....allora…” cercò di avere delle spiegazioni il giovane , anche se non disdegnò affatto l’idea di essere baciato così da Jensen ogni volta che capiva male qualcosa. “Che cosa significa “il primo me” ?”

Jensen a quel punto , anche se sereno, divenne serio. “Anche lui era un mio bersaglio!” lo stupì.

“Dovevi…. ucciderlo?!”

“Sì, ma per mia e sua fortuna, gli insegnamenti di Jim diedero il loro frutto.”

 

Falco, la persona che le chiediamo di …cancellare…è un essere viscido che usa le sue innate capacità informatiche per carpire la buona fede di innocenti giovani donne. Le attira in posti isolati con la scusa di un posto di lavoro ben remunerato , dopo di che, le lascia nelle mani di infimi soggetti. Quando si rende conto che le sue “conquiste” sono oramai morte, si infiltra nei conti bancari o postali o di risparmio e le deruba di ogni bene.”

Bastardo e sciacallo!”

Non avrei saputo usare termini migliori. Ci aiuterà, Falco? Le autorità hanno le mani legate ma sappiamo che lei ha i mezzi per rintracciarlo e per fermarlo. Lo fermi. Per favore, lo fermi! Faccia giustizia per quelle povere vittime e dia pace alle loro famiglie.”

Lo farò. Lo fermerò se…”

Se?”

Se dopo aver fatto i miei controlli sarò convinto della storia e della sua colpevolezza! Io agisco così.”

E a noi va bene!”

Mi dia solo il nome e mi mandi quelli delle sue vittime!”

Avrà tutto in serata! Grazie Falco!”

Aspetti a ringraziarmi!”

 

“Quando rintracciai Misha, mi resi subito conto che c’era qualcosa che non andava. Sentii nella testa quella stessa voce che ho sentito quando ho visto te la prima volta in quelle foto.”

“Bellissimo e ingannatore?!” lo stuzzicò Jared.

“No, scemo!” fece divertito Jensen. “Lo rintracciai in un anonimo motel e mi stupii immediatamente.”

“Di cosa?!”

“Del perché un hacker di immensa bravura come mi era stato descritto Misha, si limitasse a stare in uno squallido motel a ore invece di godersi le fortune che aveva accumulato con il suo…lavoro. Ma poi notai qualcosa che mi lasciò perplesso. Un vassoio del pranzo vuoto accanto alla porta e uno mezzo pieno su un tavolo decisamente in piedi per miracolo.”

“Non…non ti seguo!” fece perplesso, Jared che seguiva con attenzione il racconto del compagno.

“Misha non mi sembrava uno che si godeva il lusso di chi che poteva farlo. Piuttosto, mi pareva qualcuno costretto a stare in quella stanza. Così, comincia a guardarmi in giro , ad osservare anche verso le altre stanze e infatti qualche camera più in là di quella di Misha, vidi due tipi che tenevano sotto controllo una donna di mezza età.”

“Cosa?”

“Lei era legata. I suoi polsi erano stretti ai braccioli della sedia su cui era costretta a stare. La cosa mi allarmò e quando vidi uno dei due che era con le uscire dalla stanza ed entrare solo qualche minuto dopo in quella in cui Misha era al computer comincia a mettere insieme i pezzi e decisi di ascoltare i consigli di Bobby: “Non sparare a Bambi ma alla mamma di Bambi!”!!”

“Che cosa hai fatto? Come sei riuscito a capire quello che stava succedendo?!”

“Presi una stanza nel motel e rintracciai il segnale del pc di Misha. Mi ci volle un po’ ma riuscii ad inserirmi nella sua messaggistica e gli spiegai come stavano le cose e lui, di rimando mi disse che tenevano sua madre prigioniera e la minacciavano di morte. Che lo obbligavano a rintracciare delle ragazze che gli dicevano sarebbero servite come escort d’alto borgo!” raccontò.

“ Non sapeva quello che succedeva a quelle poverine?!” domandò Jared, basito da quello che era il passato di Misha.

“No. E quando glielo dissi, dopo che tutta quella storia ebbe fine, Misha..beh!!.. lui andò in crisi e cercò perfino di….insomma…Lo trovai appena in tempo!” quasi sussurrò Jensen ricordando la triste fine a cui era riuscito a sottrarre quello che poi sarebbe diventato il suo migliore amico.

“Oddio, Jensen. Cercò di…. suicidarsi?!” domandò sbalordito e allarmato Jared. Un gesto simile non sembrava appartenere al Misha che aveva conosciuto lui: solare, divertente, gentile e leale.

“Sì. Non riusciva a sopportare l’idea che delle ragazze innocenti avessero trovato quella morte assurda anche a causa sua e una sera buttò giù un flacone di sonniferi. Fu sua madre a chiamarmi. Era terrorizzata perché non lo trovava e per quanto il suo inglese era stentato e lo mischiava ad un russo ben più marcato, mi resi conto che nella sua voce c’era il puro terrore che qualcosa potesse succedere al figlio sconvolto da quello che aveva scoperto. Lo trovai appena in tempo e dopo avergli fatto vomitare anche l’anima, lo rimisi in sesto.” rammentò triste.

“Come avete cominciato a….collaborare?!”

“Non so perché o come, ma quando lo guardai così disperato e distrutto, decisi di fidarmi di lui. Sua madre ormai era al sicuro e quindi anche lui aveva diritto di riprendersi la sua vita. Quindi gli confidai quello che facevo e gli dissi che se voleva fare qualcosa per cercare di dare pace a quel suo stato d’animo, poteva unirsi a me. Gli spiegai chi erano i miei bersagli, gli mostrai il bunker, gli feci vedere tutte le apparecchiature e gli archivi di cui si sarebbe potuto servire per le sue ricerche e poi gli misi un telefono in mano.”

“Un…telefono?!” ripetè confuso, Jared.

“Gli dissi che c’era un solo numero registrato nella rubrica, il mio. Quello di Falco. Ma se voleva avrebbe avuto la possibilità di chiamare la polizia o l’FBI o chiunque altro. Che ero nelle sue mani e che lui avrebbe dovuto scegliere cosa era meglio.”

Jared lo fissò quasi ipnotizzato, rapito dal voler sapere cosa avesse fatto Misha e guardava Jensen con le sopracciglia alzate. Con lo sguardo di chi attende di scoprire il finale della storia.

Jensen lo amò. Lo amò immensamente in quel momento. E amò quello sguardo così dolce e innocente.

Gli sorrise.

“Amore mio , sono qui!!” esclamò e gli baciò la fronte. “Quindi puoi solo immaginare quale numero Misha abbia chiamato con quel cellulare, no?”

Jared sospirò, chiuse gli occhi e si sentì immensamente stupido e ingenuo. Era scontato che Misha avesse scelto di lavorare con Jensen dato che Misha lavorava con Jensen!

“Che stupido!!” si disse da solo il giovane ridendo insieme al compagno che se lo era stretto di più a lui.

“Ammetto che grazie a lui e alle sue abilità ci sono molti “altri te” che sono ancora vivi e vegeti, mentre i loro mandanti se la stanno vedendo male!!” fece ancora Jensen, pensando ai tanti bersagli che non aveva colpito.


Dopo di che, una sorta di pacifico silenzio scese tra i due che restarono fermi in quel loro abbraccio così intimo e rassicurante.

Jared , placidamente abbandonato sul petto di Jensen, ne seguiva il respiro e pensava a quanto avesse significato per Jensen stesso confidargli tutto oramai. Il ragazzo si era messo completamente nelle sue mani e si era fidato definitivamente. Quale altra prova d’amore avrebbe potuto chiedergli ?

Jensen, beandosi del calore di Jared contro di sé, sembrava fare lo stesso pensiero. Aveva confidato a Jared tutto, senza tralasciare niente. Si era aperto anima e cuore e ogni segreto che ancora si poteva chiamare tale era ormai alla luce del sole.

Ora, c’era solo da decidere come portare avanti la cosa. E soprattutto come farla diventare parte della loro storia d’amore.

“Jared?!”

“Mmmh!?”

“Che cosa facciamo adesso?!”

Jared ridacchio impercettibilmente. “Avrei una o due idee, in effetti!”

“Andiamo!!” lo riprese Jensen. “Hai capito che cosa intendo!” specificò, continuando ad accarezzarlo.

“No! Non capisco a cosa tu ti voglia riferire, onestamente.” e a Jensen, Jared, parve decisamente serio e anche se dentro di lui un certo panico si fece strada, il biondo volle comunque chiarire ogni cosa.

“Quello che già sapevi di me…” iniziò Jensen non potendo trattenere una certa ansia nel suo tono di voce. “….quello che sai adesso. Puoi….puoi accettarlo? Puoi accettarmi?!” azzardò, temendo comunque la risposta.

Jared a quel punto si spostò da quella sua comoda posizione e si issò sui gomiti così da poter sovrastare, quel tanto che serviva, il corpo del suo amante.

I suoi occhi chiari e brillanti si fissarono in quelli più verdi e intensi di Jensen, non prima di averlo scrutato e quasi studiato.

“Ora ti dirò una cosa e te la dirò solo questa volta. Giurami che sei fuori da tutto il tuo passato come Falco; giurami che Falco è andato definitivamente in pensione. Giurami che da oggi in poi sarai solo il Jensen che adesso mi sta stringendo, il Jensen che amo con tutto me stesso. Che amavo anche quando mi urlavo disperatamente di odiare. Giurami solo questo e ti dirò “ti amo” ogni giorno della vita che passeremo insieme!” rispose con una serietà e una dolcezza che fecero quasi male, ma che arrivarono al cuore di Jensen come la più bella delle dichiarazioni. Sentire che Jared lo amava anche quando avrebbe voluto odiare, che gli giurava di dirgli che lo amava ogni giorno, era la sensazione più bella che poteva minimamente immaginare di poter provare.

Oltre all’amore che provava per Jared stesso, naturalmente!

Jensen si sistemò meglio in modo che Jared gli fosse di fronte. Così da potergli incorniciare il viso con le sue mani. E Jared , sorridente e docile, si lasciava cullare dalla sua voce e dal tocco delle sue mani sul proprio viso. “Qualche giorno fa , non so come, mi sono ritrovato a leggere una vecchia poesia e non ho potuto che sentire e provare quello che sento e provo per te , in quelle parole.”

“Jensen..” sussurrò a fior di labbra, Jared.

T’amo come si amano certe cose oscure,
segretamente,entro l’ombra e l’anima.
T’amo come la pianta che non fiorisce e reca dentro di sè, nascosta, la luce di quei fiori;
T’amo senza sapere come, nè da quando nè da dove,
t’amo direttamente senza problemi nè orgoglio:
così ti amo perchè non so amare altrimenti che così, in questo modo in cui non sono e non sei,
così vicino che la tua mano sul mio petto è mia,
così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno
.


Jared restò letteralmente senza parole.

“Pablo Neruda.” convenne il giovane mentre visibilmente emozionato cercava di tenere sotto controllo il dolce bruciore che sentiva agli occhi. “Lo adoro!” e nello stesso momento, in quel preciso momento capì di aver fatto la scelta giusta.

Jensen non poteva essere una cattiva persona, perché una persona senza cuore non è capace di ricordare delle parole che parlino d’amore e di un modo d’amare che pare quasi disperato. Non è capace di recitare una frase o un verso nel modo toccante come quello con cui Jensen gli aveva regalato quei versi.

Si avvicinò a lui e senza dire altro, annullò del tutto la distanza tra loro. Tra le loro labbra. Lo baciò piano. Dolcemente. Saggiando le sue labbra. Inalando il respiro stesso di Jensen. E sorrise quando sentì l’altro sorridergli nel bacio stesso.

Si scostò appena e piano sussurrò.

“Ora, voglio che tu mi dica un ultima cosa.”

“Tutto ciò che vuoi.”

“Dimmi “Ti amo, Jared!”!....solo : “Ti amo, Jared.”!”

Jensen per un po’ restò stranito da quella richiesta ma poi il suo cuore gli spiegò ogni cosa. Ed esaudì la semplice richiesta.

“Ti amo , Jared!”

Il giovane sospirò compiaciuto chiudendo gli occhi come a voler registrare quel momento e visibilmente felice, non attese oltre.

“Ti amo….Jensen!” rispose calcando appena sul nome del compagno.


 

Jared si era innamorato di Jensen, quando Jensen era Jay. Quando in fin dei conti era una menzogna. Ora, invece , in quel letto, si erano amati, per la prima volta come Jared e Jensen. E per la prima volta il giovane voleva sentirsi dire quel “ti amo” da un uomo che era chi diceva di essere. E Jensen era, in quel momento e lo sarebbe stato per sempre, Jensen.

L’uomo di cui si era innamorato. L’uomo che lo amava.

E Jensen lo accontentò mille e mille volte ancora sussurrandogli tutti i “Ti amo” che Jared avrebbe voluto sentirgli dire. Perché capì che non ci sarebbe stato più niente di così importante al mondo che dire “ti amo” a Jared. Più niente di così importante che amare Jared.

Infondo entrambi erano stati uno il cecchino dell’altro. Entrambi avevano sparato il loro colpo migliore.
Quello che andava dritto al cuore.






N.d.A.: anche questa è bella che andata! Spero vi sia piaciuta. Spero che abbiate "accettato" il motivo della scelta di vita di Jensen, che abbiate compreso quanto sia grande il sentimento di Jared per accettarlo.

Comunque sia, grazie a chi ha seguito la storia in silenzio, a chi l'ha perfino recensita. 
Grazie di cuore a tutti!!!

 

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