Che tu sia per me la salvezza

di Vulpinia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ricominciare da capo ***
Capitolo 2: *** Cercare di ricominciare ***



Capitolo 1
*** Ricominciare da capo ***


Primo Capitolo
Ricominciare da capo
 


Blake Morgan si era sempre considerata una persona fortunata. Aveva tutto ciò che desiderava dalla vita: una madre che nonostante il suo lavoro all'FBI riusciva a trovare del tempo per stare con lei, molti amici e un fidanzato che non aveva occhi che per i suoi. 

Ma tutto questo cambiò solo dopo una settimana del suo diciottesimo compleanno. Un serial Killer a cui sua madre stava dando la caccia assieme alla sua squadra dell'FBI, era riuscito ad ingannarla tramite una prova e rapirla. Furono sei giorni orribili per Blake, il collega di sua madre l'aveva chiamata subito informandola della situazione. Sentire quelle parole per la ragazza fu come morire lentamente e dolorosamente. Sapeva cosa faceva, conosceva il suo modus operandi. Aveva letto dai giornali cosa l'S.I. faceva alle sue vittime, conosceva i dettagli dei suoi giochi perversi con cui torturava le sue vittime ed era a conoscenza di quanto tempo passava con loro prima di lasciare il cadavere ormai freddo e sfigurato in un campo di grano. Ha pregato e pianto fino allo sfinimento sperando che sua madre si salvasse, che con fortuna trovasse uno stratagemma per liberarsi e fuggire ed avvisare la polizia. Ma purtroppo il destino di sua madre non fu diverso da quello delle altre vittime.

Sei giorni dopo il detective Joseph Moore, il capo della squadra incaricata di trovare l'assassino di cui faceva parte anche sua madre, si presentò alla sua porta e Blake capì tutto appena lo vide da dietro la porta decorata di casa. Non c'era bisogno di dire qualcosa. Sua madre non c'era più, non ci sarebbe stata mai più. Non avrebbe più potuto darle il buongiorno prima di andare a scuola, non l'avrebbe più sentita rientrare la sera dal lavoro e non avrebbe mai più udito la sua risata echeggiare per il salotto mentre guardavano i loro programmi trash preferiti. La ragazza in lacrime e il detective rimasero per quasi un ora in silenzio seduti sulla poltrona dell'ampio salotto. Per Joseph era difficile comunicare alla figlia di una vittima l'assassinio di un parente, questa volta però per lui era peggio. Conosceva Alexis, la madre di Blake, dai tempi dell'accademia e non avrebbe mai pensato di dover chiamare un suo famigliare per richiedere l'identificazione del cadavere. A causa del coinvolgimento personale lui e la sua squadra non era stato permesso di indagare sul caso e non hanno potuto fare altro che aspettare. Ogni giorno si chiedevano che cosa sarebbe successo se il direttore dell'FBI gli avesse lasciato il caso, la sua collega sarebbe stata ancora viva? Forse l'agente aveva lasciato un indizio che solo chi la conosceva poteva capire e così scoprire l'identità dell'assassino? O non sarebbe cambiato niente? Tutte queste domande perseguivano la squadra ed erano convinti che lo avrebbero fatto per sempre.

"Sono pronta per riconoscerla", disse la ragazza con la voce rotta dalle lacrime. 
Il detective le prese una mano e gliela strinse dolcemente per rassicurarla.

"Non c'è bisogno che tu lo faccia. Tua zia sta arrivando e lo farà lei.".
Blake si voltò e lo fissò duramente, le sopracciglia ravvicinate e abbassate indicavano che era arrabbiata nel sentire chi stava per arrivare.

"Perché l'avete chiamata? Lo sai benissimo che non si sentono da anni! Non mi ha mai vista, neanche in foto! Come i suo genitori le ha sbattuto in faccia la porta e ora lei accetta di riconoscere il suo... corpo?", chiese alzando la voce e provando una scossa di dolore nel pronunciare quell'ultima parola.

"Abbiamo pensato che forse è meglio così. Non è necessario che tu la veda in quello stato.", disse Joseph con calma.

"Ma..."

"Vuoi davvero che quello sia il tuo ultimo ricordo che hai di lei?", chiese cercando di misurare le parole.
Blake abbassò lo sguardo e si prese il viso tra le mani scoppiando a piangere. L'agente l'abbracciò e la tenne stretta a sè per molto tempo prima che la ragazza si decidesse di alzarsi e di accompagnarlo alla porta.
"Blake, se vuoi posso rimanere qui con te stasera. Non è il caso che tu rimanga sola in un momento come questo.", disse l'agente con affetto.

"No, non ce nè bisogno. Voglio stare da sola ora. Tu torna al lavoro e cattura il figlio di puttana che ha ucciso mia madre".
L'agente non fece in tempo a rispondere che Blake sbattè con forza la porta facendo vibrare il vetro decorato e corse in camera sua. Si buttò sul letto della madre e si avvolse nelle sue coperte, ne annusò il profumo e ricominciò a piangere in posizione fetale. L'unica cosa che voleva era stare da sola insieme al suo dolore.


Blake perse la cognizione del tempo, senza accorgersene era rimasta a letto per tre giorni di fila senza mangiare e bere, l'unica cosa che faceva era cercare di non pensare e di dormire. Voleva rimanere a letto avvolta nell'odore di sua madre finché il triste mietitore non si fosse deciso di abbassare la falce su di lei e raggiungere sua madre. La persona più importante della sua vita non c'era più e si chiedeva qual era il senso di continuare a vivere. Alexis era sempre stata il suo punto di riferimento, un modello da seguire, la metà della sua anima. Era sua madre, la sua migliore amica, la sua confidente, il suo tutto. Erano sempre state solo loro due. 
Di suo padre non ne sapeva niente, nemmeno il nome o il cognome o com'era fatto. Sua madre le disse chiaramente che lui aveva scelto di non avere niente a che fare con lei e con sua figlia e che gli unici figli che avrebbe riconosciuto sarebbero stati quelli che avrebbe avuto con sua moglie. Le disse che preferiva raccontarle una verità dolorosa piuttosto che mentirle con il rischio che un giorno venisse a scoprire tutto.


Blake sentì la porta di casa venire aperta e alcune voci parlare a bassa voce. Non riuscì a capire cosa stessero dicendo ma riconobbe la voce di Joseph. Blake si domandò che ci facesse lì in casa sua finché non sentì dei passi salire le scale e una voce femminile rispondere alla domanda dell'uomo.
Il cuore della ragazza cominciò a pompare velocemente e si strinse ancora di più nelle coperte. Dalla porta aperta della camera fece capolino una figura di una donna alta all'incira un metro e settanta e dalla corporatura atletica. La donna fece qualche passo incerto ed entrò nella stanza, illuminata dai raggi che filtravano dalla finestra poteva vederla finalmente per intero: pelle chiara, viso quadrato con zigomi e mandibola pronunciati, fronte larga e mento squadrato. I suoi occhi, che in questo momento erano acquosi, erano uguali ai suoi e a quelli della madre, verdi con sfumature gialle. I capelli castani ricadevano morbidi fino al seno. Il trucco era semplice, un po' di fondotinta, del mascara e un rossetto rosso chiaro sulle labbra. Indossava una semplice camicetta blu e dei pantaloni aderenti neri abbinate a delle ballerine dello stesso colore.
"Ciao Blake", la salutò sua zia con tono agitato.
La ragazza la guardò in silenzio.
"Ti avrei voluto conoscere in circostanze diverse.", disse facendo un passo verso di lei, guardò il letto e lo indicò, "Posso sedermi?", chiese.
Blake annuì e la guardò attentamente.
"So che non ci conosciamo, so che non ci siamo mai viste e che non abbiamo nessun legame affettivo... Ma ecco, voglio dirti che ci sono, okay? Per qualsiasi cosa.".

"Come ci sei stata per mia mamma in tutti questi anni?", chiese retorica con una punta di acidità nella voce.

"Io... È complesso da spiegare e poi...".

"Cosa c'è di complesso nell'alzare la cornetta e scambiare qualche parola con la propria sorella?", domandò con rabbia.

"Per molto tempo non ho composto il suo numero, i miei occhi erano cieci a causa di mia madre e di mio padre. Sai, io e tua madre siamo cresciute con un'educazione rigida, ci hanno imposto delle regole ferree e ci hanno manipolato fino a farci pensare cosa era giusto e cosa non lo era. Ma solo dal loro punto di vista.", mormorò con tono addolorato, "Alexis...", pronunciò il suo nome con nostalgia, "Ha capito molto prima di me che la vita che stavamo vivendo non poteva essere chiamata vita. Cominciò a fare di testa sua, ovviamente a casa fingeva di rispettare le regole e di pensarla come i nostri genitori, ma una volta fuori... Dovevi vederla Blake, era un uragano. Passava ore e ore insieme ai suoi amici, a parlare, a giocare, a bigiare la scuola e andare in giro per le colline alla ricerca di un posto tranquillo dove passare il tempo e la invidiavo, era una cosa che non ci era concessa perché potevamo stare in compagnia dei maschi solo in presenza di un adulto e io non ero coraggiosa quanto lei.", ricordando la sorella sorrise, sorriso che cominciò a sbiadire quando si ricordò il terribile giorno in cui la cacciarono. "Quando Alexis rimase incinta i miei genitori cercarono di comprire la cosa, avevano anche ideato un piano per farla sposare presto con l'uomo che l'aveva messa incinta e far credere agli altri che il bambino fosse nato prematuro. Ma quando scorprirono che era già sposato e più grande di lei... Loro dissero che gli aveva offesi, che si sentivano traditi da ciò che lei aveva fatto. Mia madre le preparò i vestiti e nostro padre l'accompagnò fino fuori città. Da quello che mi hanno detto lui le diede una bella somma di denaro per farle passare tranquilla i primi mesi di gravidanza e le proibì di ritornare.". 
Blake ascoltò attentamente quello che le diceva, sua madre non parlava mai della sua vita prima della sua nascita. Non le aveva mai detto il nome del posto in cui era nata perché temeva che sarebbe andata a conoscere i suoi nonni. Sua madre aveva bruciato tutto, le fotografie, le lettere che le inviava suo padre per sapere come stava andando la gravidanza e ogni tanto le metteva dei soldi tra i fogli delle lettere per lei e per la bambina.
"Quando i nostri genitori morirono pochi mesi fa trovai il coraggio di alzare la cornetta e di chiamarla. Era sorpresa di sentirmi e accettò di vedermi qui a Washington. Non era cambiata per niente, aveva sempre quell'aria furbetta che la distingueva sempre dalle altre ragazze della nostra cerchia di amiche. Le raccontai dell'incidente e dell'eredità che ci avevano lasciato i nostri genitori. Non versò lacrime e ne volle venire al cimitero a visitarli e dargli l'ultimo saluto. Posso comprenderla, se mi fossi trovata nella sua stessa situazione probabilmente avrei reagito anche io così.", disse toccando continuamente la collana che aveva attorno al collo.
Una piccola catenella in argento con un pendente a forma di cuore tempestato di piccole pietre di zirconia cubica.
Anche sua madre ne aveva una, la portava sempre al collo e quando le chiedeva chi gliela aveva regalata rispondeva sempre con voce nostalgica "La mia persona speciale". "Mi piacerebbe che tu mi dessi la possibilità di aiutarti con il funerale di Alexis.".
Blake la guardò e annuì. Si domandò se sua madre sarebbe stata  d'accordo e appena riguardò la collana pensò di si. La portava ogni giorno e ne aveva sempre cura, come se fosse un tesoro prezioso. Voleva dire sicuramente che nonostante tutto il dolore provocatole lei l'amava ancora. Probabilmente non aveva mai smesso di amarla.
"È una cosa tra sorelle", pensò Blake. Non conosceva quella sensazione e pensò che, se lei avesse avuto una sorella o un fratello, tralasciando tutte le ingiustizie recatole probabilmente avrebbe perdonato tutto.
E che gli avrebbe voluti al suo funerale.
 
"Come ti chiami?", chiese la ragazza con voce stanca.
La donna strabuzzò gli occhi sorpresa.

"Tu... Tu davvero non sai come mi chiamo?", chiese addolorata.
Blake scosse la testa.
"Mi chiamo Erin.".
La donna allungò la mano e Blake gliela strinse.


Erin prenotò una stanza dell'impresa funebre per la veglia. La sera prima del funerale tutte le persone a cui stava a cuore sua madre erano presenti, compresi i suoi amici e il suo ragazzo, tutti con gli occhi rossi dal pianto e un espressione triste sul volto. La stanza era molto carina, dai colori caldi che la rendevano in qualche modo intima. Alle pareti c'erano appese le foto più belle che ritraevano Alexis con un sorriso radioso, tutte la ritraevano nei suoi momenti più felici. La semplice bara in pino con le maniglie d'oro era chiusa, gli era stato consigliato poichè era impossibile rendere accettabile il suo viso e temevano che le persone vedendola sarebbero state male o sarebbero svenute. Sopra di essa c'era un mazzo con nove rose bianche con foglie decorative di colore verde tenute insieme da un nastro di colore bianco.
Blake guardò le dieci fila di sedie davanti a lei posizionate sopra a un tappetto marrone grande quasi quanto la stanza e si convinse che a sua madre sarebbe piaciuto.
Erin e lei avevano lavorato insieme nel rendere i due giorni perfetti per commemorare la sua vita. Non si parlavano moltissimo, la donna cercava di conversare con lei ma Blake era quasi sempre distratta nei suoi pensieri oscuri per poterla considerare molto. La ragazza guardò ogni persona avvicinarsi alla sua bara, chinarsi e sussurare qualcosa, come se sua madre potesse veramente sentire e rispondere. Altri baciavano il legno, altri accarezzavano la superficie liscia e altri rimanevano a guardare piangendo. Strinse molte mani, rispose "Grazie" in automatico quando le venivano fatte le condoglianze e non parlava con nessuno. Erin invece era il contrario, parlava di continuo della sorella, stringeva calorosamente la mano a tutti e ringraziava ogni persona per la presenza dicendo che ad Alexis le avrebbe fatto sicuramente piacere.
Blake non riusciva a capire come poteva essere così calma e tranquilla, come poteva non vacillare quando di fianco a lei c'era la bara in cui riposava la sua tanto amata sorella. Lei si sentiva vuota, aveva paura di parlare perché temeva di scoppiare a piangere, a volte sentiva qualcosa dentro di lei scalciare e le prendeva la voglia irrefrenabile di rompere tutto e di urlare, urlare e urlare. Trevor, il suo ragazzo, le stava sempre affianco e ogni tanto la guardava sperando che non crollasse sul pavimento. Era preoccupato per lei, non avevano mai parlato di quanto accaduto e odiava la cosa perché lei gli diceva sempre tutto.
La veglia finì con un raccoglimento in preghiera e Blake non voleva che finisse perché non era ancora pronta nel vedere, il giorno dopo, la bara venire seppellita e scomparire davanti ai suoi occhi. Non era ancora pronta per dirle addio.

"È finita", pensò Blake mentre saliva in macchina con sua zia Erin.
Strinse forte a sè la bandiera americana piegata con cura in cui fino a poche ore fa era posata sopra la bara della madre. La giornata era stata particolarmente bella per essere una giornata di gennaio. Non faceva freddo e il sole si era deciso di uscire fuori e illuminare con i suoi raggi tutte le persone presenti nel cimitero.
La cerimonia era stata breve, alcuni suoi colleghi avevano pronunciato qualche parola per sua madre, altri avevano tenuto un breve discorso di commemorazione. 
Sua zia per tutto il tempo le aveva stretto la mano come per donarle forza, per farle capire che non era sola. 


Febbraio

Un mese esatto dopo suonarono al campanello di casa Morgan e la ragazza, a passi lenti, andò ad aprire trovandosi davanti un fattorino con in mano un trasportino color verde mela. Il ragazzo la guardò con un sorriso gioioso incurante del modo in cui lei si presentava: i capelli neri erano scompigliati in uno chignon stretto, aveva delle occhiaie spaventose sotto agli occhi e indossava ancora il pigiama nonostante fosse appena pomeriggio.
"Ho una consegna per lei, signorina Morgan", disse porgendole il trasportino.
La ragazza lo guardò stranita.

"Non ho ordinato nulla", disse senza prendere ciò che il fattorino le porgeva.
Il ragazzo guardò i fogli con il destinatario della consegna e scosse la testa.

"Qui dice il contrario", disse facendole vedere i documenti.
Blake prese il trasportino e per poco non gli scivolò dalle mani da quanto era pesante.

"Un momento, ho altre cose da darle. Si voltò e scese velocemente i gradini color panna e raggiunse il camion con i sportelloni aperti dietro e recuperò due borsoni grandi e ritornò da lei. Glieli appoggiò a terra e dal taschino tirò fuori una penna bic di colore nera.
"Firmi qui", disse porgendole la penna e i documenti da firmare.
Lei firmò e dopo aver consegnato il tutto al fattorino lui la salutò e se andò via.
La ragazza mise il trasportino dentro casa e raccolse le due borse anch'esse pesanti. Si chiese come era possibile che fossero destinate a lei e dubbiosa guardò dentro alla gabbietta. In fondo al traportino di plastica colorata riposava un piccolo carlino di colore nero. Sbattè le palpebre sorpresa e decise di aprire le borse. Ci trovò dentro due ciotole di metallo, una pettorina, un collare e del cibo, tanto cibo, sottoforma di umido e in crocchette. In fondo alla seconda borsa trovò una lettera e perse un battito quando lesse il suo nome con la calligrafia di sua madre. Con mani tremanti la raccolse e aprì la busta.
Ci trovò dentro una lettera.

Buon compleanno tesoro mio!
Si, questo regalo ti è stato recapitato con un mese di ritardo ma capirai benissimo, dopo aver visto il contenuto della gabbietta, il motivo del mio ritardo.
Fin da piccola avevi sempre desiderato prenderti cura di un cucciolo tutto tuo ma non ti avevo ancora ritenuta adatta per una responsabilità così grande.
Ma ora che hai 18 anni e dopo avermi dimostrato più e più volte di essere in grado di prenderti le tue responsabilità ho deciso di darti quello che hai sempre desiderato: un cucciolo tutto tuo.
Non vedo l'ora di tornare a casa per vedere quella piccola peste gironzolare per casa e vedere il tuo bellissimo sorriso sul volto.

Con amore, 
Mamma.


Blake strinse la lettera al petto e cominciò a piangere. Non si sarebbe mai aspettata questo, un ultimo regalo da parte di sua madre. Ora come non mai la sentiva presente, come se da un momento all'altro tornasse a casa e le chiedesse se il regalo le fosse piaciuto.
Sentì dei lamenti provenire dal trasportino e si asciugò gli occhi con il palmo della mano. Il cucciolo era davanti alla rete di plastica e la guardava con i suoi occhietti neri. Blake aprì il meccanismo di apertura e il cagnolino uscì camminando come meglio poteva e si avvicinò a lei. Abbaiò dolcemente e la ragazza sorrise. Lo prese in braccio e lo guardò negli occhi.
"Benvenuto in famiglia, Edgar Allan Poe".

Marzo

Aprile

Maggio

Giugno

Luglio

Agosto

Settembre


Blake se ne stava sdraiata sul divano a guardare un quiz a premi alla tv quando sentì suonare alla porta. Guardando l'orologio appeso al muro si chiese chi era andata a disturbarla a quell'ora di notte. Spostò delicatamente Edgar che dormiva rumorosamente ai suoi piedi e andò ad aprire.
Erin sorrise appena la vide e la salutò con un "ciao" sussurrato.
La ragazza aprì di più la porta facendola entrare e la donna notò lo stato in cui riversava la casa: era perfetta. Rimase sorpresa dalla cosa, si aspettava che la casa fosse in un completo caos. I mobili sembravano luccicare dalle tante volte che erano stati puliti. I pavimenti erano immacolati, così puliti che ci si poteva mangiare sopra. Persino Blake era curata, i capelli erano in perfetto ordine, la manicure era fatta a opera d'arte così come l'estetica del viso. Su internet aveva letto che molte persone, quasi tutte, dopo la perdita di un genitore avvenuta in un modo molto cruento perdevano interesse in tutto. Non si curavano più l'aspetto e perdevano la voglia persino di pulire la casa. Capì che Blake, a quanto pare, faceva parte di quella cerchia di persone che per non pensare a tutto, teneva occupata la mente in faccende domestiche e pulizia di se stessa.
"Non ti aspettavo", mormorò Blake guardando la sua valigia a tracolla.
Eris sorrise nuovamente.

"Si, mi dispiace. Non ti ho avvisata. È stata una cosa fatta all'ultimo momento", confessò la donna.

"Sono preoccupata per te, Blake. Non rispondi quasi più alle mie chiamate, alle mie mail e ai miei messaggi", disse con tono preoccupato.

"Mi dispiace", rispose sincera, "Molte volte mi dimentico di farlo".
Erin entrò in salotto e guardò il piccolo cane che russava sopra al divano beige.

"E lui chi è?", chiese con un sorriso avvicinandosi al cane facendo piano per non svegliarlo.

"Lui è Edgar Allan Poe", rispose la ragazza guardando quella macchia nera vivente sul divano.

"Edgar Allan Poe", ripetè con un sorriso la zia, "Come lo scrittore preferito di Alexis", disse mentre accarezzava la testolina rotonda del cane. 
Blake annuì con un sorriso.

"Mi dispiace di averti fatta preoccupare. Ma come vedi sto bene.", disse fredda la ragazza.
Erin la guardò per qualche secondo prima di concentrarsi nuovamente sul cane.

"Non mi sembra che tu stia bene, Blake. Dopo la morte di tua madre hai smesso di andare a scuola e sei stata bocciata."

"Credo che sia un comportamento alquanto normale vista la perdita che ho subito. Non sono stata in grado di andare a scuola e fare finta di niente, di tornare alla normalità", rispose lei in fretta.

"Hai smesso di uscire, di vedere i tuoi amici. Quando è stata l'ultima volta che l'hai fatto?", chiese lei osservandola attentamente.

"Io... Non me lo ricordo", disse pensierosa, "Ma tu come fai a sapere tutto questo?", chiese incrociando le braccia al petto.

"Alcuni tuoi amici mi hanno contattata su facebook. È da quando c'è stato il funerale che mi hanno scritto dandomi tue notizie", rivelò lei sedendosi su una poltrona.

"I miei amici hanno fatto cosa?", chiese lei incredula.
Era vero, con i suoi amici si era pian piano allontanata e con Trevor, il suo ragazzo, si era lasciata dopo poche settimane. Aveva scoperto tramite un video girato a una festa di una loro compagna il suo tradimento. Non ci furono parole o incontri, solo il suo stato di facebook che da impegnato era passato a single.

"Loro sono preoccupati per te. Hanno fatto il possibile ma quando hanno visto che non facevi altro che alzare barriere per chiuderti dentro loro hanno deciso di aspettare che tu ti decidessi di parlare con loro".

"E hanno deciso di fare la spia", mormorò arrabbiata.

"Lo hanno fatto per il tuo bene", disse lei con un sorriso.

"Senti, Blake, oggi sono venuta qui non solo per vedere come stai. Ma anche per farti un offerta", disse.

"Che offerta?", domandò curiosa.

"Vieni a Beacon Hills con me. Forse allontanarsi da tutto questo potrebbe giovarti e farti ricominciare. Potresti finire l'ultimo anno là e poi, se vorrai, ritornare qui per il collage".

"Quindi secondo te sarebbe per me salutare venire sradicata dal mio ambiente che ho sempre conosciuto, andare a vivere per un anno dalla costa opposta dove non conosco nessuno?", chiese scettica.

"Forse è una buona occasione per te per stare meglio. Allontanarsi da questa casa potrebbe essere una soluzione. Non vedere le stanze che condividevi ogni giorno con tua madre, vedere la porta in cui entrava la sera o semplicemente vedere la sua camera potrebbe essere terapeutico. Andare in un posto in cui nessuno ti conosce e che nessuno è a conoscenza della tua perdita potrebbe essere una soluzione per farti ricominciare", disse Erin con convinzione.
"Lo sai che tua madre l'avrebbe voluto, ricordi il suo testamento?", domandò infine.
Blake abbassò lo sguardo. Come poteva dimenticarsi del testamento della madre? Pochi giorni dopo il funerale, lei e sua zia, le uniche parenti rimaste in vita, erano state chiamate dal notaio per leggere le ultime volontà di sua madre. Le aveva lasciato tutta la sua eredità - da cui aveva preso veramente poco, il giusto per pagare le bollette e il cibo per lei ed Edgar - la casa e la sua auto. A sua zia invece aveva lasciato delle lettere e un carillon antico che Blake non aveva mai visto. E una lettera per entrambe in cui chiedeva, in caso di morte avvenuta prima della sua maggiore età, che Blake venisse presa in custodia dalla sorella e se nel caso fosse morta dopo il raggiungimento dei diciotto anni, le sarebbe piaciuto che sua figlia fosse andata a vivere per un po' di tempo con la sorella per riallacciare le radici ormai perdute da tempo.
Blake guardò sua zia e sospirò. 
"E se avesse ragione? E se veramente mi potesse dare conforto andare a vivere altrove?" si domandò pensierosa.
"Ma come potrebbe essere terapeutico per me cambiare completamente ambiente? Perché mia madre vuole che io vada nel posto che ha sempre odiato e che non mi ha mai parlato?", pensò subito dopo.

"Ti lascio la notte per pensarci. Io ho prenotato una camera in un albergo vicino" disse alzandosi dalla poltrona e avvicinandosi a lei.
"Mi piacerebbe tantissimo che tu venissi a Beacon Hills e conoscere i posti in cui tua madre andava per svagarsi. Prendila come un'oppurtunità per conoscerla meglio", le disse con un sorriso, "Io e John saremmo lieti di averti con noi", aggiunse infine.

"John?", domandò guardandola.
Non aveva mai accennato a un John prima d'ora.

"È il mio compagno", rispose con un sorriso. "È venuto anche lui alla veglia e al funerale ma visto le circostanze abbiamo ritenuto opportuno aspettare per dirtelo. Avevamo troppi pensieri per la testa per fare una cena di famiglia, non era il momento adatto".
Blake annuì e l'accompagnò alla porta. Erin le diede un bacio sulla guancia e le diede la buonanotte.

Per tutta la notte Blake non riuscì a dormire, i suoi pensieri erano occupati con insistenza dai ricordi della madre. Anche se stava chiusa in camera sua poteva sentire il suo profumo provenire dalle sue coperte dall'altra parte della casa. Si girava e rigirava nel letto così tanto che Edgar scese giù con un lamento per riaddormentarsi pochi istanti dopo sul tappeto bianco posto di fianco al letto. Era così ormai da mesi, la notte era un incubo per lei, il buio non le piaceva. Aveva sempre l'impressione che nascosto nell'ombra ci fosse qualcuno ad osservarla e questo non le permetteva di dormire tranquillamente. Il pomeriggio per lei era l'unico momento in cui riusciva ad addormentarsi senza problemi e il cambio del giorno con la notte le aveva creato non pochi problemi.
Sbuffò aprendo gli occhi e guardò il soffitto illuminato dalla luce del lampione posto fuori dalla finestra. 
"E se avesse ragione?", si domandò per la millesima volta. 
Guardò la foto della madre posta sul comodino e sospirò quando capì la risposta definitiva.
Alle sei meno un quarto del mattino, impaziente di aspettare un'ora decente, prese il telefono e compose il numero di Erin.
La donna rispose dopo pochi squilli.
"Pronto?", domandò con la voce impastata dal sonno.

"Mi dispiace per l'ora ma non riesco ad aspettare. La mia risposta è si. Ma lo faccio perché è quello che voleva mia madre. Rispetto la sua ultima volontà".


Organizzare tutto il viaggio non era stato semplice. Molte cose di Blake non potevano essere portate in aereo ed Erin insistette nel pagare una ditta di traslochi per poter portare tutto ciò che aveva Blake in camera a parte il mobilio. Pagò a caro prezzo il camion che avrebbe guidato fino alla costa opposta per portare il tutto.
Dopo una settimana e mezza passata ad imballare le sue cose, a cercare una compagnia aerea che concedesse al cane di essere portato a bordo, chiamare qualcuno che si occupasse della casa almeno un giorno alla settimana fino al loro ritorno, partirono per Beacon Hills.
L'aeroporto di Washigton D.C. non era pieno di persone come al solito grazie all'ora, erano solamente le cinque e mezza del mattino e pochissime persone erano sedute in attesa della partenza. Dopo aver fatto il regolare check-in, il controllo bagaglio e aver aspettato dieci minuti in modo che facessero arrivare la navetta che le avrebbero portate all'aereo, saliro a bordo. Edgar era particolamente tranquillo, guardava attorno a sè con aria curiosa alzando di tanto in tanto il muso annusando l'aria e l'odore degli altri passeggeri. Sistemò come meglio potè il cane al suo posto, vicino al suo sedile e al finestrino, e sospirò aspettando la partenza che sarebbe avvenuta da lì a poco.
"Vedrai, Beacon Hills ti piacerà", disse Erin prendendola per mano.
Blake sorrise non molto convinta sperando di aver fatto la scelta giusta. Avevano davanti a loro ben nove ore di volo contando pure lo scalo di due ore per prendere l'aereo che le avrebbe portate all'aeroporto di Ontario e poi avrebbero fatto quasi mezz'ora di strada per arrivare a destinazione. Fortunatamente si era portata via un po' di cose per svagarsi, come un libro che doveva finire da tempo e il tablet munito di cuffie con salvati alcuni episodi di serie tv con cui doveva rimettersi in pari.
Quando il capitano comunicò all'equipaggio che tra pochi minuti sarebbero partiti, Blake si sentì un po' male. Si rese conto che non voleva del tutto andarsene, che voleva ritornare a casa e rifugiarsi nelle calde e famigliari coperte delle madre. Trattenne le lacrime mentre sentì l'aereo muoversi. Erin si accorse del suo stato d'animo e le prese una mano. 
"Andrà tutto bene, non ti preoccupare", le disse con tono dolce. 
Blake non potè far altro che stringerle forte la mano mentre l'aereo prese quota lasciandosi così alle spalle una parte di sè.

Una volta arrivate all'aeroporto di Ontario si rese conto il viaggio non era stato così tremendo e stancante come aveva pensanto. Una volta arrivate in modalità crociera, Blake accese il tablet e passò un paio di ore in compagnia di una serie tv, di tanto in tanto accarezzava il cane che dormiva sul suo trasportino per rilassarsi. Le hostess erano state tutte gentili con loro, le avevano portato la colazione che avevano consumato in silenzio ognuna perse nel proprio passatempo, Erin aveva deciso di leggere un libro di seicento pagine di una saga fantasy di cui Blake aveva sentito soltanto parlare.
Una volta arrivate allo scalo dell'aeroporto di Salt Lake City avevano aspettato le due ore dall'imbarco chiacchierando del più e del meno facendo merenda con della frutta secca, delle barrette proteiche e del succo di frutta.
Di nuovo a bordo, a metà viaggio, consumarono un pasto leggero e atterrarono dopo solo due ore e mezza.
Una volta recuperato i bagagli e aver fatto i controlli opportuni, Blake seguì sua zia con Edgar che camminava con la lingua a penzoloni al suo fianco. Arrivarono al parcheggio dell'aeroporto e misero i bagagli nel baule di una vecchia Renault verde metalizzata. Salirono in auto e prese in braccio il carlino dandogli così la possibilità di vedere fuori dal finestrino. Dopo quasi venticinque minuti di viaggio arrivarono a Beacon Hills.
Blake guardò con curiosità la zona che sembrava risiedere in una valle con delle colline poste un po' ovunque, le case suburbane erano pressoché uguali anche se i proprietari facevano del loro meglio per differenziare l'una dall'altra. C'è chi aveva il giardino curato con delle aiuole tagliate alla perfezione, chi invece aveva lo steccato sempre tinteggiato di bianco che proteggeva al suo interno un giardino pieno di fiori dai colori sgargianti e chi invece non gliene fregava niente dell'estetica della casa e lasciava in disordine l'esterno. 
"Ti dispiace se facciamo una sosta al supermercato?", domandò Erin girando per una via, allontanandosi sempre di più dalle case.
Blake scosse la testa a guardò di nuovo fuori dal finestrino. Si stavano avvicinando alla zona commerciale del posto, da quanto le aveva detto sua zia c'era anche un centro commerciale e un cinema da quelle parti.
Erin parcheggiò l'auto e guardò Edgar dormire sulle gambe della sua padrona.
"Potremo lasciare il cane in macchina e tenere un po' il finestrino abbassato", disse la donna mentre si slacciava la cintura.

"E se qualcuno me lo porta via?", chiese un po' spaventata la ragazza.
Erin sorrise con dolcezza.

"A Beacon Hills nessuno porta via il cane di nessuno, non ti devi preoccupare di questo. Non lasceremo tanto abbassato il finestrino, solo il minimo per far girare l'aria. Poi non ci staremo molto dentro, devo solo prendere due cose", disse con un sorriso.
Blake annuì e scese dall'auto, abbassò un pochino il vetro e chiuse la portiera guardando Edgar che la fissava con occhi languidi, come se avesse paura che lo lasciasse lì solo per sempre. Blake appoggiò una mano sul finestrino e sorrise.

"Tornerò presto, non ti preoccupare", mormorò per incoraggiare il suo amico a quattro zampe, come se si aspettasse che lui la capisse.
Si voltò verso sua zia e si incamminò verso il supermercato.


Melissa McCall stava confrontando due torte dai gusti differenti quando sentì udire una voce famigliare provenire da dietro di lei. Si voltò e vide Erin Morgan che entrava nel suo stesso reparto seguito da una ragazza più giovane e, dopo averla guardata meglio, dovette appoggiare ciò che aveva in mano sui scaffali per non farli cadere. La ragazza era la copia sputata di sua madre.
Il suo portamento, il suo viso, i suoi occhi verdi con delle sfumature di colore giallo e le sue labbra piene erano uguali a quelle di Alexis. I suoi capelli che scendevano fino alle spalle in morbide onde erano di un colore marrone scuro, questi erano le uniche cose che la differenziavano da sua madre che invece aveva i capelli biondi. Il gusto nel vestire era quasi uguale a quello di sua madre, indossava una maglietta aderente colore blu notte, dei jeans neri e dei stivaletti dello stesso colore. La guardava con la bocca semi-aperta dalla sorpresa.
Quando Erin vide Melissa si bloccò sul posto e si voltò verso la nipote.
"Ti dispiacerebbe andare a prendere del formaggio nel banco frigo dietro di noi?", chiese con un sorriso indicando il posto in cui doveva andare.
La ragazza annuì e si voltò allontanandosi da loro.
Erin, velocemente, si avvicinò alla donna.

"Lei non sa niente.", disse velocemente senza salutarla, "Lei non deve sapere niente. So quello che hai fatto tempo fa a mia sorella e ti avverto McCall, se oserai solamente farle quello che hai fatto ad Alexis te la farò pagare!", disse guardandola con sguardo omicida.
Melissa, nervosa, con il pollice fece roteare il nuovo anello di fidanzamento che aveva nell'anulare sinistro e scosse la testa.

"Non le farò niente.", disse alla svelta, "Non ho intenzione di farlo.", disse sincera.
Erin la guardò per qualche istante negli occhi e annuì, si voltò e si incamminò verso la nipote.
Melissa prese alla svelta una torta pescata a caso e camminò il più velocemente possibile verso la cassa, non vedendo l'ora di uscire da lì. Arrivata alla macchina chiuse la porta con forza e dopo essersi allacciata la cintura partì per tornare a casa.
Il cuore le pompava velocemente nel petto e si asciugò la fronte dal sudore.
Non poteva credere che lei sarebbe venuta lì a Beacon Hills. Non aveva mai pensato che sarebbe potuto succedere.
"E ora cosa faccio?", si domandò mentre percorreva la strada di casa.
"Dovrò raccontare la verità oppure lasciare perdere?", si chiese una volta arrivata.
Guardò Scott entrare in casa seguito da Allison e sospirò.
Avrebbe lasciato perdere. Per il bene di suo figlio lo avrebbe fatto.

 
Angolino personale:
Vi faccio un grande applauso per essere arrivati fino alla fine del capitolo. È solo introduttivo, serve per far conoscere la protagonista della storia.
Nei prossimi capitoli ci sarà più azione e vedremo i nostri beniamini molto spesso.
Se vi va di lasciare una piccola recensione per dirmi come vi è sembrato il capitolo mi farebbe soltanto che piacere. ^^
Al prossimo capitolo.

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Capitolo 2
*** Cercare di ricominciare ***


Secondo Capitolo
Cercare di ricominciare


 
Blake si trovò a guardare la casa di sua zia Erin con la bocca aperta dallo stupore.
Viste le tante case suburbane presenti nella zona la ragazza si aspettava di andare a vivere in una piccola abitazione come le altre, dai colori e dalle metrature pressochè identiche.
Ma non fu così.
La casa di sua zia si trovava lontana dalle altre. Era circondata da alte ringhiere di metallo scuro e un ampio cancello posto davanti al modesto garage e uno più piccolo posizionato lontano qualche metro dalla porta di casa. Il giardino era molto curato, le lunghe siepi con dei piccoli fiorellini rosa occupavano tutto il contorno della ringhiera impedendo ai passanti di sbirciarci dentro. L'unico modo per farlo era guardare attraverso i cancelli in ferro battuto. La casa alta due piani era di un bel colore rosa chiaro con delle finestre spaziose con la base ad arco e dalle rifiniture di colore bianco che permettevano alla luce naturale di filtrare illuminando l'intera stanza.
Blake appoggiò per terra Edgar e percorsero i piccoli ciottoli che portavano all'entrata della casa. La porta blindata era di colore bianco con il batacchio e il pomello color avorio.
Erin prese le chiavi dalla borsa e, dopo qualche giro di toppa, aprì la porta facendola accomodare all'interno.
Davanti a sè c'era un piccolo corridoio che portava in una stanza dove c'erano le scale a forma di "C" che salivano al piano di sopra; il muro di un bel azzurro era gradevole alla vista anche grazie al mobilio in legno scuro. Il lampadario a forma di goccia e dalla lunga corda in metallo si trovava in mezzo alla stanza permettendo sia al piano di sopra che quello sotto di essere illuminato senza lasciare ombre negli angoli. Sua zia le fece fare il giro della casa: sulla parte sinistra, una volta entrate, si trovava il soggiorno con il suo televisore al plasma di ultima generazione, un divano in ecopelle bianco e un pianoforte nero a muro dello stesso colore. Nel soggiorno in fondo una porta conduceva nello studio privato del compagno della donna. Nella parte dentra, invece, c'era la sala da pranzo con un lungo tavolo in mogano chiaro a otto posti, una credenza dove erano posati in bella vista il servizio buono per la cena e una piccola porta che portava in cucina. La cucina era il classico tipo all'americana, la lunga postazione dove si cucinava in mezzo alla stanza, dei banconi lungo il muro fino a creare una "L" e un frigo enorme a due porte con tanto di sportellino per il ghiaccio.
Erin la portò di sopra e le indicò le stanze. La prima porta che trovarono portava alla camera da letto di Erin e John, la seconda invece era il bagno, la terza era la camera degli ospiti e l'ultima, con di fianco una finestra dalle tende verde chiaro, c'era la sua camera. 
Blake entrò nella stanza che l'avrebbe ospitata per un anno scolastico e rimase, ancora una volta, sorpresa. Era molto grande, più grande della sua camera a Washington. Le pareti erano di colore bianco, davanti a sè si trovava una finestra con tanto di divanino dove poter leggere accarezzata dai raggi solari. Era spoglia, aveva solo un letto in ferro battuto di colore bianco con un comodino per ogni lato dello stesso colore posti nella parte sinistra della stanza, una scrivania posizionata davanti al letto con di fianco una libreria vuota abbastanza grande da poter contenere tutti i suoi libri e un armadio a due ante messo di fianco alla porta a sinistra. Era tutto bianco, troppo bianco per Blake.
"Ovviamente sei liberissima di cambiare il colore delle pareti, il bianco è molto impersonale secondo me", disse sua zia guardando la stanza. "Io e John non abbiamo voluto fare modifiche. Visto che ci vivrai tu qui dentro è più che giusto che sia tua a decidere il colore delle pareti e delle tende.", aggiunse con un sorriso.
Blake entrò nella stanza e si avvicinò alla finestra, il panorama era fantastico; Davanti a lei c'era un piccolo boschetto con tanti alberelli di media lunghezza e pensò che in autunno sarebbe stato uno spettacolo potersi risvegliare e vedere come prima cosa dopo essersi alzata dal letto tutte quelle foglie gialle, arancioni e rosse.
"Fino a quando non avrai sistemato la stanza come piace a te potrai dormire nella stanza degli ospiti.", disse la donna con un sorriso.
Blake si voltò e scosse la testa.

"Non ce ne bisogno, davvero. Mi va bene anche così.", disse la ragazza ricambiando il sorriso.

"Non essere sciocca, Blake. Voglio che questa stanza ti rispecchi. John mi ha detto che sarà felicissimo di aiutarti a dipingere le pareti della stanza. Se vuoi il suo aiuto, ovviamente".
Il sorriso di Blake si allargò di più sentendo quelle parole, le piaceva la libertà che sua zia le stava dando. La ragazza annuì ed Erin sembrò contenta della sua reazione.


Dopo aver sistemato i bagagli nella stanza degli ospiti e aver sistemato la cuccia di Edgar di fianco al letto, scese al piano di sotto. Trovò Erin in cucina che sistemava la spesa appena comperata.
"La scuola inizierà tra meno di una settimana.", l'avvisò la donna. "Domani ti accompagnerò per iscriverti così vedrai il tragitto che dovrai fare per raggiungere la scuola."

"Pensavo che ci sarei andata con l'autobus.", disse Blake osservando la zia. 
Purtroppo non poteva guidare la macchina lasciata in eredità dalla madre perché era di cilindrata troppo alta e lei aveva preso la patente da poco, molto in ritardo rispetto i suoi ex compagni di scuola.

"No, non ci andrai con quel mezzo.", disse una volta finito di sistemare il cibo dentro al frigo. "Io e John abbiamo la fortuna di lavorare vicino e abbiamo deciso che ci andremo insieme al lavoro e tu potrai usare la mia macchina. È quella che ho guidato oggi."

"Davvero? Non dovevi disturbarti fino a questo punto. Ci sarei andata volentieri anche in autobus.", disse sorpresa.
Sua zia stava facendo di tutto per far si che il suo soggiorno a Beacon Hills fosse il più confortevole possibile. 

"Non essere sciocca, Blake. Lo faccio con piacere.", disse Erin con un sorriso.

"Che lavoro fate?", chiese con curiosità.
Si sentiva un po' in colpa per non aver cercato di conoscerla un po' meglio durante il tragitto in aereo. Cominciava a sentirsi male nel vedere che sua zia stava facendo di tutto per farla stare meglio e farle passare dei bei momenti quando lei non si interessava per nulla a lei e a John.
Erin sorrise felice davanti alla curiosità della nipote.

"Io sono una personal trainer, due anni fa ho aperto assieme a una mia amica una palestra. John, invece, è un agente immobiliare. La palestra e il suo studio sono molto vicini e questo ci permette di pranzare insieme.", disse la donna con un sorriso sul volto.

"Che ne dici di aiutarmi a preparare una torta?", domandò la donna tirando fuori da un cassetto un grande libro di cucina dalla copertina dai colori vivaci. "È giusto iniziare una convivenza con un buon dolce da consumare in compagnia.".
Blake la guardò, non si capacitava di tutta quella sua allegria e forza di volontà nel fare tutto con un sorriso. Sua zia la guardò aspettando una sua risposta e la osservò mentre si allacciava in vita un grambiule con stampato sopra due cupcake muniti di braccia e gambe che si abbracciavano felici.

Blake conobbe John poco prima di cena. L'uomo era ritornato dal lavoro mentre la ragazza stava apparecchiando la tavola e quando varcò la porta di casa si bloccò sul posto e lo fissò. Era un uomo estremamente affascinante e dovette controllare la sua mandibola dal non farla cadere a terra dallo stupore. 
Alto all'incirca un metro e ottanta, muscoloso, capelli castani e dal viso dalla forma oblunga reso proporzionato grazie al taglio di capelli di lunghezza media sui lati e un leggero ciuffo in avanti che dava la percezione che il viso sia meno lungo. Il tutto reso perfetto dai suoi occhi color nocciola, il suo naso perfetto e dalle labbra dalla forma giusta. Indossava un completo gessato grigio e delle scarpe nere. In mano portava una valigetta in finta pelle dello stesso colore dell'abito.
Si rese subito conto che parlare con John la tranquillizava. L'uomo era molto bravo a parlare con le persone e riusciva facilmente a farle sentire a loro agio. Per lei era facile parlare con lui. Si era da subito mostrato cordiale, le aveva stretto la mano e le aveva chiesto come era andato il viaggio e l'aiutò, dopo aver portato la valigetta nel suo studio, a finire di apprecchiare la tavola.
Durante la cena parlarono del più e del meno, per Blake fu un sollievo che nessuno avesse toccato l'argomento 'mamma'. "Probabilmente", pensò tra se e se, "aspettano che sia io a fare la prima mossa e cercare di parlare con loro.". Ma sapeva che non sarebbe mai successo.
Parlare di sua madre le faceva male come il primo giorno.
"Hai pensato con quale colore dipingerai le pareti della tua stanza?", domandò John dopo aver finito il suo pezzo di torta ai mirtilli che Erin e Blake avevano preparato poche ore prima. "E tra parentesi, amo questa torta", disse facendole un occhiolino.
Blake sorrise.

"Sinceramente non ne ho idea. Forse non le dipingerò. Potrei non essere in pari con il programma scolastico della nuova scuola e non vorrei spendere troppo tempo prezioso a sistemare la stanza quando dovrei studiare.", mormorò lei guardando il piatto.

"Se proprio non vuoi dipingere la stanza puoi sempre mettere degli adesivi per pareti. Si trovano di tutti i colori e forme. Ci sono anche le scritte.", disse lui con un sorriso.
A Blake l'idea piacque. E tanto. Le sarebbe piaciuto avere la stanza con degli adesivi color rosso sulle pareti.

"Mi piacerebbe.", disse con un sorriso timido. "Magari a forma di girasole."
Erano i fiori preferiti della ragazza, le ricordava l'estate, il vento caldo che le scompigliava i capelli mentre era in macchina e i bei momenti passati in vacanza con i suoi amici e con sua madre.
John sorrise a sua volta.

"Adesivi, abbiamo un vincitore!", disse battendo le mani in segno di approvazione. "Domani potrei portarti a casa dei campioni così ti farai un'idea dei tipi di girasoli che ci sono in commercio."
Blake annuì con un sorriso timido. Rimasero in sala da pranzo ancora un po' chiacchierando del più e del meno. Aiutò sua zia a mettere i piatti nella lavastoviglie e, dopo aver fatto fare ad Edgar un piccolo giretto dell'isolato, andò in bagno a lavarsi i denti, indossò il pigiama e si mise sotto le coperte.
Impiegò molto tempo prima di addormentarsi, fuori c'era un vento abbastanza forte da far scuotere i rami degli alberi e proiettare, a causa alla luce della luna, terribili ombre sulla parete davanti a sè. Sognò l'oscurità, urla disperate e una risata terrificante in sottofondo.


Blake si svegliò di soprassalto e si mise una mano sul collo. Per colpa degli incubi si era svegliata più di una volta durante la notte e poco prima che si risvegliasse aveva sognato un uomo che cercava di strangolarla e nel mentre la guardava con i suoi occhi scuri. Poteva sentire ancora la sua mano premerle la gola con forza. Si asciugò con il palmo della mano la fronte sudata e guardò Edgar. Il carlino nero la stava guardando con la lingua a penzoloni, si era svegliato poco prima a causa dei lamenti che mormorava la sua padrona. Guardò l'ora: otto e mezza. Scese dal letto e prese il cambio e, con il fedele cagnolino sempre alle calcagna, andò in bagno a lavarsi. In casa regnava il silenzio, John doveva essere al lavoro mentre non sapeva dove fosse andata a finire sua zia. Una volta cambiata, andò a bussare alla porta di Erin e non ricevendo risposta l'aprì piano non trovando nessuno all'interno.
Scese le scale e guardò in ogni stanza non trovandola da nessuna parte. Sentì la porta aprirsi e vide Erin con in mano un cartoncino con appoggiati sopra due bicchieri enormi di caffè.
"Sei già sveglia?", domandò la zia sorpresa nel vederla in piedi, "Bene. Stamattina abbiamo finito il caffè e sono andata a prenderlo alla caffetteria più vicina", le disse porgendole la sua bevanda.
Blake la ringraziò e bevve un lungo sorso del liquido caldo e si leccò le labbra. Se fosse per lei poteva vivere tranquillamente di caffè. Era la sua bevanda preferita.
"E poi sono passata dal ferramenta per farti le copie delle chiavi di casa", disse tirando fuori dalla borsa un mazzo di chiavi colorato. "Quella blu apre il cancelletto d'entrata, quella rosa apre invece il portone grande, quella verde apre il garage mentre quella viola apre la porta di casa.", Erin le diede il mazzo e Blake le guardò con attenzione.
"Hai qualche piano per oggi?", domandò la donna guardandola con un sorriso.

"Pensavo di andare un po' in giro in macchina per prendere confidenza con il luogo. Mi interessa sapere dove si trova il veterinario della città e trovare una biblioteca dove poter studiare qualche volta", le rispose la ragazza sedendosi sul divano. "Sai quando arriveranno le mie cose?", chiese dopo un lungo sorso di caffè.

"Due ore fa ho controllato sul sito della ditta di traslochi. La posizione del nostro camion non è molto lontana e c'è scritto che saranno qui entro domani pomeriggio.", le rispose sedendosi di fianco a lei.

"Bene", mormorò lei prima di bere un altro sorso di caffè. 
Non vedeva l'ora di poter sistemare la sua camera e renderla più confortevole. Le mancavano i suoi libri, i suoi quadri, le foto di lei e sua madre. Le sue coperte che sapevano ancora di Alexis. Voleva avere nella sua stanza un pezzettino della sua casa.

Quando Erin parcheggiò l'auto davanti all'entrata della scuola, Blake vide una donna sulla cinquantina dai capelli neri raccolti in uno stretto chignon che le stava aspettando con sguardo severo. Scesero dalla vettura alla svelta e le andarono incontro, la donna sorrise ad entrambe appena si fermarono davanti a lei e dopo un "Ciao" detto ad alta voce entrarono nell'edificio scolastico. Prima di andare nel suo ufficio la direttrice le fece fare un piccolo giro della scuola. La prima cosa che notò è che era molto più piccola del suo liceo a Washington. A giudicare dall'odore dovevano aver ridipinto gli armadietti di azzurro scuro da poco, non si poteva respirare senza arricciare il naso dall'odore di chimico. Le aule erano di media grandezza, completamente diverse da quelle che lei aveva frequentato in vita sua. Tutto sembrava vecchio e  antiquato: i banchi erano consumati, le gambe delle sedie avevano dei graffi grigi così come l'appoggio in legno in cui ci si sedeva. Si chiese se sua madre fosse mai entrata in quella classe, in quale banco era solita sedersi o se c'era qualche scritta intagliata da lei stessa nel legno del banco. Nelle classe c'era un odore di stantio, probabilmente non avevano aperto le finestre dalla fine dell'anno scolastico precedente. Gli unici posti che aveva trovato piacevoli erano la mensa, la piscina, la palestra e il campo dove si pratica uno sport che lei non sapeva praticassero. La Direttrice le aveva detto che alla Beacon Hills High School si praticavano pochissime attività sportive: il basket, nuoto e lacrosse.
Finito il giro le accompagnò fino al suo ufficio: una stanza rettangolare con una scrivania in buone condizioni nel centro della stanza con sopra un computer fisso, dei fascicoli, varie penne ed evidenziatori, un telefono con il filo e la sua targhetta con il nome. Dietro alla scrivania c'era ovviamente la sedia girevole nera e la finestra in cui si poteva vedere il giardino. Appese alle pareti c'erano diverse lauree e attestati, appoggiati al muro c'erano dei schedari di colore bianco con uno sopra l'altro tre cassetti. Blake ed Erin si sedettero sulle poltroncine nere poste davanti alla scrivania ed aspettarono che la direttrice si andasse a sedere al suo posto.
"Prima di iniziare il colloquio volevo farvi le mie condoglianze per la prematura perdita di Alexis. Mia sorella e lei erano amiche, si erano conosciute tra i banchi di questa scuola. Era una persona buona, gentile e premurosa con tutti. Ed era stata l'unica persona a riuscire ad aiutare mia sorella nel momento del bisogno e non l'ho mai ringraziata per questo.", disse la direttrice con un sorriso e gli occhi lucidi.

"Anche lei è venuta al funerale di mia madre?", domandò la ragazza distogliendo lo sguardo dalla donna che aveva di fronte.

"No.", disse con tono triste, "Mia sorella si è suicidata a diciassette anni. Ma sono sicura che se fosse stata ancora in vita ci sarebbe venuta.", aggiunse a bassa voce. "Si chiamava come te. Blake.".
La giovane si voltò verso sua zia e notò che fissava la direttrice senza battere ciglio con le labbra strette in un linea. La sua espressione sembrava furiosa come se fosse arrabbiata con la donna di fronte a lei per aver svelato quel particolare che non conosceva.

"Ma parliamo di te, Blake Morgan.", disse la direttrice ad alta voce prendendo il suo fascicolo appoggiato alla sua destra. Lo aprì e lesse qualche riga.
"Voti alti in tutte le materie", mormorò, "Pratichi nuoto", aggiunse sorpresa, "Potresti farlo anche qui, abbiamo una piscina attrezzata per le gare e un nuotatore in più ci sarebbe utile".

"Sono un po' fuori allenamento", disse Blake con tono incerto.

"Non importa, ritornerai quella di prima in un batter d'occhio.", disse la donna con un sorriso.
"Per quanto riguarda il programma delle materie tu sei più avanti rispetto ai tuoi compagni, non di molto ma abbastanza per annoiarti per i primi due mesi dell'anno scolastico."

"Non importa.", rispose prontamente Blake. "È sempre utile ripassare.".
La direttrice parve soddisfatta della risposta della nuova alunna.

"Bene. Ho visto che il tuo comportamento è eccellente. Spero che lo continuerà ad esserlo anche qui, in questa scuola.".

"Senza ombra di dubbio.", rispose prontamente Erin per lei.
Il suo tono di voce era freddo e non capiva come mai questo cambiamento improvviso. Per ora, per Blake, la direttrice si stava comportando bene con loro.

"Ora vorrei parlarti di una cosa importante.", disse la donna chiudendo il suo fascicolo. "Ho letto che sei stata da uno psicologo dopo la morte di tua madre. È più che normale. È logico dopo una perdita del genere andarci.", iniziò parlando con calma, "Posso capire il motivo per cui hai smesso di andare a scuola, riprendersi da un fatto come questo non è facile."

"Vuole sapere se io ho intenzione di finire l'anno scolastico?", chiese Blake. "La risposta è si. Io penso di farcela ad arrivare fino agli esami.", disse sicura.
Erin le prese una mano e la strinse con dolcezza. Blake non era più abituata a dimostrazioni d'affetto del genere, anche in aereo aveva faticato a non allontanarsi da lei. Non che non le facesse piacere, solo che in quel momento non aveva voglia di essere toccata all'improvviso. 

"Bene.", disse soddisfatta la direttrice. "Visto che sei maggiorenne dovrai firmare delle carte per l'iscrizione. Lunedì mattina aspetterai davanti all'ingresso un insegnante che ti darà l'orario scolastico, la combinazione dell'armadietto e dopodichè ti accompagnerà fino all'aula in cui si terrà la tua prima lezione.", spiegò mentre guardava Blake leggere il foglio che le aveva dato. Una volta letto il tutto firmò con un'elegante calligrafia.
Strinse la mano della direttrice e dopo un breve saluto uscirono dal suo ufficio. Il tragitto fino all'auto fu silenzioso, lo sguardo di Erin non era cambiato di una virgola e decise di provare a chiedere come mai si comportava così.

"Come mai hai reagito in quel modo quando ha detto che mia madre mi ha dato il nome di sua sorella?", domandò la ragazza guardandola attentamente. Erin entrò in macchina senza guardarla e aspettò che lei si fosse messa la cintura di sicurezza prima di partire.

"Quando sua sorella morì diede la colpa ad Alexis.", disse con tono freddo. "Ovviamente non era colpa sua. Solo che... Nell'ultimo periodo si erano allontanate. Erano di due anni diversi e tua madre aveva da studiare per il diploma e non poteva uscire o parlare per molto tempo al telefono con qualcuno.", spiegò, "Blake era in uno dei suoi periodi neri quando successe. I suoi genitori non credevano ai psichiatri, non ritenevano fattibile il fatto che una pastiglia prescritta da loro potesse farla stare bene. In poche parole per loro erano dei ciarlatani e la loro figlia voleva solo attenzioni. Nessuno dei suoi familiari cercò di aiutarla, nemmeno sua sorella, e lei scelse di non soffrire più."
Blake ascoltò in silenzio quello che le diceva Erin. Era a Beacon Hills da un giorno e aveva già scoperto che oltre a essere stata cacciata perché incinta le era anche stata attribuita la colpa per un fatto così tragico. Blake era sicura che se avesse scoperto altre faccende come quella avrebbe di sicuro odiato a morte l'intera cittadina.

"Ci sono altre colpe insensate date a mia madre? Vorrei saperle subito.", disse la ragazza guardando fuori dal finestrino con la collera che aumentava sempre di più.

"No.", disse Erin. 

"Bene."


Blake si distese sfinita sul letto con Edgar in braccio. Dopo pranzo aveva passato tutto il pomeriggio a guidare per le strade di Beacon Hills giusto per prendere confidenza con il luogo. Trovò subito il veterinario, era la sua prima tappa. Il veterinario, il Dottor Deaton, l'aveva accolta con un grande sorriso appena la vide entrare nel suo ambulatorio. La ragazza le spiegò che si era trasferita momentaneamente a Beacon Hills e dato che il suo carlino avrebbe necessitato di vaccini obbligatori durante la stagione autunnale e invernale era andato da lui con la documentazione necessaria per registrare il suo cane nel suo studio. Le disse che aveva bisogno di vedere Edgar per valutare le sue condizioni e per vedere se tutto andava bene a causa del viaggio in aereo e per il cambio improvviso del luogo di casa che potevano aver destabilizzato il cane e aver creato qualche disturbo d'ansia. Blake promise che il lunedì successivo, dopo la scuola, l'avrebbe portato subito da lui. Una volta finito con il veterinario andò in libreria a comperare i libri di testo e fu contenta nel vedere che li avevano tutti a causa di un ordine più numeroso che per errore avevano fatto. Andò anche al centro commerciale per fare un giro e per vedere quali negozi offriva. Per essere una piccola città avevano tutto quello che serviva e se ne stupì. Su Facebook e su Twitter aveva letto stati su stati di persone che vivevano in città piccole dove non avevano niente per svagarsi o negozi dove comprare il necessario. Comprò un vestito e una maglietta che avrebbe indossato il primo giorno di scuola in un negozio dove vendevano abiti vintage, amava quel genere di vestiti così come li amava sua madre. Una volta di nuovo a casa di sua zia, dopo aver portato i sacchetti con le cose appena comperate in camera, la aiutò a preparare la cena. Parlarono poco anche se era più Erin a cercare di conversare con la nipote. Blake si sentò un po' male vista la situazione, con un occhio esterno poteva apparire estremamente antipatica ma non poteva farci nulla. Il fatto che avesse abbandonato la sorella, sua madre, non le andava ancora giù.
John arrivò puntuale per la cena e le portò dei campioni di adesivi da attaccare al muro. Erano bellissimi e per Blake tutti andavano bene così l'uomo disse che poteva prenderli tutti e l'aiutò ad attaccarli dandole, di tanto in tanto, dei consigli in quali punti metterli per rendere la stanza più graziosa e per non lasciare buchi troppo vuoti tra un girasole e l'altro. John, mentre aiutava Blake, le raccontò di alcuni clienti molto singolari che aveva avuto. Blake scoppiò a ridere sonoramente quando sentì l'uomo imitare un cliente ed Erin, che li guardava seduta sul letto, sorrideva mentre teneva in mano una tazza del suo thè preferito. In cuor suo sapeva che con lei Blake avrebbe faticato molto e che prima di sentirsi chiamare 'zia' sarebbe dovuto passare tanto tempo. Lo capiva, lo accettava. In fondo lei aveva abbandonato sua sorella e la nipote per molto tempo e poteva capire che lei combatteva contro il suo orgoglio. Ma le faceva piacere vedere che lei si trovava bene con il suo fidanzato. Le si riempiva il cuore di gioia quando vedeva che lei gli faceva domande sul suo lavoro o che accettasse con tranquillità di farsi aiutare. E le piaceva vedere e udire la sua risata. Per il momento le andava bene.


Il camion dei traslochi arrivò con dieci minuti d'anticipo e Blake li aspettava con impazienza da fuori il cancello. Erin l'aiutò a portare i tanti scatoloni nella sua vera stanza e, una volta portato su in camera l'ultimo, le chiese se aveva bisogno di aiuto. La ragazza scosse la testa e disse che voleva farlo da sola. La donna annuì e scese di sotto per firmare i documenti per confermare che tutto il carico era arrivato a destinazione. Aprì tutti i scatoloni per vedere al loro interno e per sistemare il tutto con ordine: piegò con cura ogni indumento e lo mise nell'armadio, ordinò la libreria con tutti i suoi libri in ordine di preferenza d'autore e mise la sua borsa con tutto l'occorente di nuoto sotto al letto. Prese le foto incorniciate di lei con sua madre e le mise un po' giro: su una mensola nella libreria davanti a un libro preferito da entrambe, sopra la scrivania accanto all'abat-jour rossa e una su ogni comodino così ogni volta che si sarebbe svegliata al mattino avrebbe visto lei come prima persona. Prese da uno scatolone la biancheria da letto piegata e stirata alla perfezione e si mise a sistemare il posto in cui avrebbe dormito. Sistemò tutti i giocattoli di Edgar in una cesta in vimini e la mise sotto la scrivania e mise la scaletta dove il cane poteva salire attaccata al letto in fondo a sinistra. Dall'ultimo scatolone tirò fuori il suo portatile e il carica batteria e li mise sulla scrivania. Non aveva toccato il computer da quando sua madre era morta. Con le sue ex migliori amiche aveva programmato tutta la sua vita: il college che avrebbe frequentato, l'indirizzo scelto, come sarebbe stata la sua casa, il suo lavoro e il suo matrimonio e i nomi che avrebbe dato ai futuri figli. Ma ora tutto era cambiato, letteralmente, e ogni volta che pensava a quella lista stava male. Aveva programmato tutta la sua vita pensando che non le sarebbe mai successo niente di male, non aveva messo in conto che le cose brutte accadevano a tutti e le persone che avevano un genitore o un parente che lavorava per il governo o che catturavano gli assassini avevano una percentuale più alta rispetto a tutti gli altri che ciò accadesse.
Chiuse gli occhi e spospirò. Voleva tornare a casa, voleva l'odore familiare della sua abitazione e rifugiarsi lì senza mai più uscire. Erano solo passati due giorni da quando era andata via e si sentiva colpevole per aver abbandonato il tetto di casa sua. Si voltò verso la scrivania e vide la foto di sua madre che sorrideva. Strinse i pugni così tanto da far diventare le nocche bianche.
"No, Blake. La mamma non avrebbe voluto vederti in questo stato. Devi essere forte come lo era lei. Devi risorgere dalle ceneri come ha fatto lei. Sii coraggiosa, fallo per la mamma.".
Blake si rialzò e si asciugò i palmi sudati sui jeans. Da quando si era isolata da tutti e tutto, lei stessa si prendeva cura da sola. Anche se questo significava parlare ad alta voce da sola per darsi coraggio. Alla fine solo Blake conosceva perfettamente Blake.


Blake aspettò in piedi fuori dalla scuola l'uomo che avrebbe dovuto portarle il suo orario scolastico e accompagnarla nell'aula in cui si sarebbe svolta la sua prima lezione dell'anno. Cinque minuti dopo il suono della campanella la porta a vetri si aprì e uscì un uomo tarchiato vestito in modo molto elegante e la guardò con un sorriso.
"Tu devi essere Blake", disse porgendogli la mano.
Blake gliela strinse con un sorriso tirato e annuì.
"Benvenuta alla Beacon Hills High School", disse aprendo la porta e facendole segno di entrare. Entrarono insieme e Blake seguì l'uomo lungo i corridoi vuoti e silenziosi della scuola.
"Questo è il tuo orario scolastico. Spero che ti troverai bene qui da noi.", disse allungando un foglietto con scritto le materie che ci sarebbero state durante la settimana.
Blake prese il piccolo foglio e guardò con interesse cosa avrebbe avuto come prima lezione. Letteratura inglese. Sospirò di sollievo, non era una materia che odiava ma neanche che amava. Salirono le scale velocemente e si fermarono a metà del corridoio davanti a una porta con una finestrella in mezzo. Aprì la porta ed entrò, consegnò un foglio alla sua nuova professoressa e prima di andarsene la salutò. Blake fece qualche passo dentro l'aula e guardò i suoi nuovi compagni di classe. Come era logico tutti la guardavano, chi con curiosità e chi senza interesse annoiato dell'intera situazione.

"Diamo il benvenuto alla nuova alunna, Blake Morgan!", disse la professoressa una volta alzato lo sguardo dal fogliettino con le sue credenziali.
Ci fu un mormorio di voci basse che dicevano "ciao" o "benvenuta", Blake accennò a un sorriso timido e dopo che la sua insegnante le fece cenno di andarsi a sedere lei si recò svelta in fondo all'aula nell'unico banco disponibile. Si sedette con un sospiro. Non amava essere al centro dell'attenzione, lo era stata fin da troppo tempo e venire fissata troppo la metteva a disagio. L'insegnante cominciò a insegnare la propria materia e dopo aver letto il nome dello scrittore che avrebbero studiato per un paio di lezioni si tranquilizzò. Thomas Hardy l'aveva già ampiamente studiato nella sua precedente scuola e fortunatamente ricordava tutto a memoria. Non volendo dare una brutta impressione di sè il primo giorno di scuola prese il quaderno e una penna e cominciò a prendere appunti.

Scott McCall guardò la sua nuova compagna di scuola, Blake, prendere appunti guardando di tanto in tanto la professoressa. Era da quando era entrata in classe che non aveva smesso un attimo di guardarla, c'era qualcosa in lei che lo faceva sentire strano e non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Appena le si era seduta di fianco il suo lupo sembrò fare le fusa e capì che il suo odore doveva piacere alla creatura dentro di sè. Sentì Allison alla sua sinistra schiarirsi la gola e si voltò verso di lei, la sua espressione era sorpresa e un po' infastidita. Era chiaro che a lei non piaceva che dava tutta la sua attenzione alla nuova arrivata. Cercò di concentrarsi senza cercare di guardare la sua nuova compagna.

Scoprì che non guardare la nuova arrivata era più difficile di quanto credeva. Sentiva il suo odore in tutte le stanze e in tutti i corridoi che percorreva. Non si capacitava del perché il suo profumo era più evidente degli altri. Per sicurezza chiese ad Isaac se anche per lui era così e quando scosse la testa rimase sorpreso dalla cosa. Si chiese subito come fosse possibile.
Grazie all'interrogatorio di Lydia fatta alla terza ora durante biologia scoprì, grazie al suo super udito, che si era appena trasferita da Washington, che abitava con sua zia momentaneamente e non aveva detto nulla riguardo sua madre o suo padre o il motivo del trasferimento. Lydia cercò di farla parlare ma la ragazza si chiuse a riccio e all'Alpha diede molto fastidio il comportamento della fidanzata del suo migliore amico. Sapeva che si comportava così solo perché aveva visto Allison arrabbiarsi perché lui sembrava essere attratto da Blake e quindi voleva sapere tutto di lei. Ma per lui non era giustificabile un comportamento del genere.

"È una cosa da lupo?", le domandò Allison una volta seduta di fronte a lui con il vassoio del pranzo. Scott la guardò stranito per qualche secondo prima di scuotere la testa.
"Sembri attratto da lei, non fai che guardarla!", continuò Allison infastidita.

"Ma non è così, credimi. È solo che... Non lo so... Il mio lupo sembra agitato da quando c'è lei.", mormorò aprendo il suo sacchetto di carta del pranzo.

"Pensi che dovremo darle un'occhiata?", domandò Stiles seduto di fianco a lui. "Se il tuo lupo è agitato allora potrebbe essere una cosa soprannaturale.", aggiunse.

"Non credo che sia questo il caso.", disse sicuro il ragazzo. "Me ne sarei accorto.".
Scott vide Jackson sedersi di fianco a Blake e, quando il ragazzo si sporse un po' troppo verso di lei durante la conversazione, sentì Stiles e Lydia agitarsi. Non fece in tempo a girarsi che Allison lo aveva schiaffeggiato con un quaderno.
"Ma che ti è preso?", domandò stupito il ragazzo lupo.

"I tuoi occhi erano appena diventati rossi.", rispose Stiles. "Spero che nessuno ti abbia visto!"
Scosse la testa e si voltò nuovamente verso la ragazza. Capì che il motivo dei suoi occhi rossi era causato da Jackson. Non gli piaceva per niente che stesse così attaccato a Blake.


Rincasò poche ore dopo da solo. Stiles e Lydia avevano deciso di andare insieme per negozi a comprare qualcosa per il falò di questo finesettimana che si faceva ogni anno per chiudere definitivamente le vacanze estive. Andò in cucina, aprì il frigo e prese il cartone del latte. Si versò una generosa quantità di quel liquido in una tazza e si sedette su uno sgabello. Sentì sua madre chiudere la porta d'ingresso e la salutò una volta entrata in cucina.
"Com'è andato il primo giorno di scuola?", gli chiese dopo avergli dato un bacio sulla fronte.
Sentì subito che era nervosa e che faceva finta di non esserlo.

"Come al solito.", disse lui guardandola mentre prendeva una mela dal cesto della frutta.

"Fatto nuove amicizie?", chiese con finta noncuranza.

"Non proprio.".

"In che senso 'Non proprio'?", le chiese guardandolo attentamente.

"C'è una nuova alunna, Blake Morgan, e frequentiamo quasi tutte le lezioni insieme. Non abbiamo ancora parlato ma c'è qualcosa di strano in lei che non so spiegare. Il mio lupo ha qualcosa che non va quando lei è nei paraggi.", disse pensieroso.

"E perché il tuo lupo si comporta così?", chiese rigida.
Scott non badò molto al suo tono di voce, era ancora difficile per sua madre accettare la sua seconda natura. Era normale il suo comportamento, sperava solo che lo accettasse del tutto prima o poi.

"Non ne ho idea.", disse sincero.
Guardò l'orologio e sbuffò.

"Meglio che vada o farò tardi da Deaton. Ci sentiamo stasera, okay?", gli chiese Scott mentre tirava fuori dalla tasca sinistra le chiavi della moto.
Melissa annuì senza riuscire a dire qualcosa e aspettò che suo figlio fosse già partito da un po' di tempo prima di prendere il telefono e comporre il numero del suo fidanzato.

"Tesoro, mi chiedevo quando mi avresti chiamato.", la salutò dolcemente l'uomo dall'altra parte della cornetta.

"Credo che il lupo di Scott abbia capito tutto. Cosa facciamo adesso?", domandò la donna in preda al panico. Suo figlio non doveva capire nulla, doveva rimanere all'oscuro di tutto. Doveva farlo per il suo bene.

"Melissa, tranquilla. Sistemeremo tutto, okay?", la rassicurò l'uomo. "Non permetterò a nessuno di fare del male alla nostra famiglia!"
Melissa sembrò stare un po' meglio dopo aver sentito quelle parole e sospirò sperando che tutto sarebbe andato per il meglio.

 

Ecco i prestavolto dei miei personaggi:

~ Blake Morgan:                                ~ Erin Morgan:                                ~ John:
  
(Phoebe Tonkin)                                        (Julianne Moore)                                   (Ryan Reynolds)
 
 
Angolino personale:
Vi faccio un grande applauso per essere arrivati fino alla fine del capitolo, ancora una volta. A piccoli passi entriamo in quella che sarà la trama vera e propria della storia. Come mai Melissa si sta comportando così? E perché il lupo di Scott reagisce in quella maniera quando Blake si trova nei paraggi? Lo scoprirete abbastanza presto!
Se vi va di lasciare una piccola recensione per dirmi come vi è sembrato il capitolo mi farebbe soltanto che piacere. ^^
Al prossimo capitolo.
 

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