A quest for the Dragonborn

di IlMareCalmoDellaSera
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Season Unending ***
Capitolo 2: *** First Lessons ***
Capitolo 3: *** Dragon Rising ***



Capitolo 1
*** Season Unending ***


La Gola del Mondo. La cima più alta di Skyrim, nonché la cima più alta di Tamriel, un tempo seconda solo alla Montagna Rossa. Secondo la tradizione Nord, la razza degli uomini fu generata sulla montagna quando il cielo respirò sulla terra, per questo motivo fu chiamata "Gola del Mondo".

Era l'incarnazione stessa di Skyrim: aspra, letale, bellissima. Era come un punto di contatto, tra il cielo e la terra, tra il mortale e il divino. Si diceva che una volta arrivati in cima, si potesse sentire il respiro di Kynareth sulla pelle.

La montagna era situata all'interno del feudo di Whiterun, ma il modo più conveniente per salirla era passare per Ivarstead, a meno che non si volesse scalare la roccia nuda. Dalla città di Whiterun si aggirava la montagna da nord e, percorrendo il lato est, si arrivava ad Ivarstead.

Ivarstead era un piccolo insediamento sul confine occidentale del Rift, convenientemente posizionato tra le sponde del lago Geir e del fiume Acquescure. Il fiume, emissario del lago, provvedeva a muovere l'impianto della segheria locale, allo stesso tempo rendeva il terreno fertile e coltivabile.

Il posto non era molto frequentato, era fuori dalle rotte commerciali, e Wilhelm lo sapeva bene. In tutti gli anni che aveva gestito la locanda Vilemyr, l'unica locanda del villaggio, aveva imparato che i forestieri di passaggio per Ivarstead avevano tutti lo stesso scopo: arrivare in cima alla Gola del Mondo.

In realtà capitava solo ogni tanto di incontrare questo tipo di viaggiatori, ma Wilhelm li riconosceva subito. Erano viaggiatori esperti, questo lo si capiva dai modi e dall'aspetto, e gli rivolgevano sempre le stesse domande sulla montagna e su Hrothgar Alto, il monastero dei Barbagrigia. Wilhelm non ne sapeva molto, in realtà. I Barbagrigia erano degli eremiti, perciò non uscivano mai dal loro monastero arroccato sul fianco della montagna.

Tutti i pellegrini si incamminavano per il celebre sentiero dei 7000 gradini, ma quelli che speravano di arrivare fino in cima tornavano sempre delusi. La verità era che nessuno era mai andato oltre il monastero, infatti il sentiero che conduceva alla vetta era custodito dai Barbagrigia, ma non permettevano a nessuno di accedervi. Oltretutto, la cima della montagna era perennemente avvolta in una nube impenetrabile che la nascondeva alla vista, il che contribuiva ad aumentare la curiosità sul quel picco inaccessibile.

Ultimamente i curiosi erano molto aumentati da quando i Barbagrigia avevano parlato al mondo, e quando i Barbagrigia parlavano al mondo li si sentiva da ogni angolo di Skyrim. Era stato un evento epocale, l'ultima volta che era successo risaliva ai tempi di Tiber Septim, circa sei secoli addietro. Correva voce che fosse comparso un Sangue di Drago, e che i Barbagrigia lo avessero convocato per addestrarlo nell'uso della Voce, così come era accaduto per Tiber Septim.

Quella mattina Wilhelm aveva appena iniziato la sua giornata con le solite attività, stava ripulendo i boccali quando il primo cliente varcò la soglia della locanda. Anche stavolta non impiegò molto tempo ad inquadrare il nuovo avventore. Innanzitutto era un forestiero, questo si capiva facilmente, dato che era coperto dalla testa ai piedi con pesante mantello da viaggio. Nella mano destra impugnava un lungo bastone in legno chiaro, con una elaborata decorazione in metallo che ne adornava la cima. Mentre lo sconosciuto si avvicinava al bancone, Wilhelm poteva sentire il rumore dei suoi passi accompagnato dal leggero e regolare battere del bastone sul pavimento.

«Benvenuto alla locanda Vilemyr, cosa posso fare per te?» il saluto di Wilhelm giunse puntuale come sempre.

Lo sconosciuto, avvicinatosi al bancone, si scoprì il volto. «Buongiorno» salutò con un lieve sorriso, «ho bisogno di provviste, cos'hai in vendita?»

Wilhelm osservò il suo volto ed ebbe un senso di familiarità. Era giovane, sicuramente non aveva raggiunto i trent'anni, e quasi sicuramente non era originario di Skyrim. I tratti del viso non erano molto indicativi della sua provenienza: capelli neri, occhi piuttosto chiari, grigi di colore, e carnagione scura; forse era un sangue misto. L'accento invece sembrava quello degli imperiali, anche se non molto marcato. Wilhelm era sicuro di averlo già incontrato, sicuramente era già venuto alla locanda, ma c'era qualcosa in più che al momento non ricordava.

«Tutto quello che vedi» rispose Wilhelm, indicando con un gesto ampio gli scaffali vicini. «Ma, se posso darti un consiglio, ho un'ottima carne di cervo che mi è arrivata giusto ieri, fossi in te ne approfitterei».

Il forestiero valutò l'offerta per qualche momento, mentre guardava il cibo in mostra. «Vada per il cervo, allora. Vorrei anche mezza forma di pane, e un trancio di salmone affumicato».

«Certo» l'oste posò il boccale e lo straccio e incominciò a preparare le ordinazioni.

Nel frattempo, una donna comparve nella sala della locanda, uscendo da una delle camere. Tra le mani reggeva un liuto.

«Buongiorno Wilhelm» salutò.

«Buongiorno Lynly» rispose l'oste, mentre tagliava una forma di pane.

Poi la donna volse lo sguardo al forestiero. «Oh!» Fece, sorpresa. «Mi ricordo di te! Il nome è... Daric, giusto?»

«Giusto» sorrise. «Hai buona memoria».

Wilhelm guardò la donna con leggero stupore. «Lynly, lo conosci?».

Lynly alzò gli occhi al cielo. «Certo che lo conosco, e lo conosci anche tu, Wilhelm. Ci ha aiutato con quella faccenda del fantasma nel tumulo, ricordi?»

«Ah, ecco!» Fece Wilhelm, battendo il coltello sul tagliere. «Ora ricordo. Scusami amico, ma quando l'età avanza la memoria non ci assiste così bene».

«Non è l'età che avanza, Wilhelm, è l'idromele di ieri sera» commentò la donna, prima di sedersi su una sedia.

Il locandiere rise. «Lo prendo come un complimento, vuol dire che non sono vecchio, giusto?»

«No, vuol dire che non c'è bisogno di essere vecchi per sembrare rimbambiti» Lynly stava trattenendo le risate, cercando di apparire seria.

«Hai sentito che lingua tagliente?» disse Wilhelm al suo cliente, che guardava divertito la scena. «Si vede che ha studiato all'Accademia dei Bardi, eh?»

Lei non replicò, ma sorrise e incominciò a pizzicare le corde del liuto, canticchiando tra sé un motivo.

«Anche stavolta sei diretto a Hrothgar Alto?» mentre Wilhelm preparava la porzione di carne, cercò di intavolare una conversazione.

«Sì» rispose Daric, «ho bisogno di un po' di pace».

«Ah, ti capisco» fece Wilhelm, «Se è la pace che cerchi, allora non esiste posto migliore di quello» Gli porse sul bancone due involti ed una mezza forma di pane. «Ecco a te».

Daric estrasse un sacchetto dal mantello e porse una manciata di monete al locandiere.

«Ti ringrazio» disse questi, prendendo il pagamento. «Se quando discenderai dalla montagna vorrai passare qui, sarei lieto di offrirti un boccale di idromele, per farmi perdonare la mia cattiva memoria».

«Grazie, non mancherò» il sacchetto con il denaro ritornò sotto il mantello, insieme alle provviste. Salutò e fece per uscire, ma la voce dell'oste lo fermò sulla soglia.

«Fai attenzione quando imbocchi il sentiero, ultimamente Temba Braccio-Spesso si lamenta continuamente delle zampate d'orso che trova sui tronchi d'albero per la segheria. Non credo che tu abbia problemi a difenderti da un orso, ma spesso colgono i pellegrini di sorpresa».

«Ne terrò conto, grazie per l'avvertimento».

Quando uscì dalla locanda, Daric si accorse che il sole stava per fare capolino dalle cime dei Monti Velothi, mentre la luce dell'aurora sbiadiva velocemente i colori dell'alba. Il cielo era terso, da ogni direzione non si profilava neanche una nube all'orizzonte. Non era un'ottima condizione per scalare la montagna, in una giornata così luminosa il bianco della neve diventava quasi accecante. Daric si rialzò il cappuccio sul capo e si incamminò verso l'uscita orientale di Ivarstead. Passando per il sentiero principale, si lasciò alle spalle la segheria di Temba Braccio-Spesso e la fattoria Fellstar. Appena uscito dal villaggio, deviò a sinistra e percorse un ponte di pietra che si protendeva sul fiume Acquescure; al di là del ponte, iniziava il lungo sentiero dei 7000 gradini.

L'aveva percorso così tante volte negli ultimi giorni, che la prospettiva della interminabile scalata lo lasciava indifferente; anzi, considerata la magnifica vista che si godeva dalla montagna, ci aveva persino preso gusto. Purtroppo il pensiero di ciò che lo aspettava a Hrothgar Alto contribuiva ad aumentare l'aspetto negativo della faccenda. Daric si fermò ai primi gradini del sentiero, ripensando a quello che aveva detto a Wilhelm. Aveva detto che cercava la pace, ma al Sangue di Drago non era concessa la pace, non se l'ombra di Alduin era emersa dalle spire del tempo, minacciando di divorare il Mondo. Daric si era ritrovato ad affrontare un problema molto più grande di lui, sulle sue spalle ora gravava un enorme peso che era continuamente sul punto di schiacciarlo. Gli dèi gli avevano riservato un compito arduo, ma lui non si sarebbe tirato indietro. Era per questo motivo che ora si apprestava a raggiungere Hrothgar Alto, non per cercare la pace. Eppure Wilhelm aveva ragione, la pace di quel luogo era davvero rara da trovare altrove, e i Barbagrigia la difendevano come fosse il più prezioso dei tesori; tuttavia, Daric era riuscito a convincerli a rompere il loro eremitaggio per ospitare un consiglio di pace tra il Generale Tullius e lo jarl Ulfric Manto della Tempesta. Era indispensabile che i due convenissero ad una tregua temporanea, altrimenti non sarebbe riuscito nella sua impresa.

Incominciò a percorrere la salita, cercando di godersi il panorama senza pensare a nient'altro. Dopo pochi minuti, si fermò e aguzzò lo sguardo su alcuni cespugli al lato del sentiero, che fremevano in modo vistoso, a circa dieci passi di distanza. Dai cespugli emerse la figura massiccia di un orso che, camminando a quattro zampe, raggiunse il mezzo del sentiero. Si voltò verso Daric, quindi si levò sulle zampe posteriori e gli rivolse alcuni ruggiti minacciosi. Lo stava avvertendo a non procedere oltre, evidentemente era sul confine del suo territorio. Purtroppo non c'erano altre vie, perciò strinse nervosamente il bastone e mosse due passi avanti, sfidandolo apertamente. L'orso reagì nel modo aspettato, si rimise sulle quattro zampe e incominciò a corrergli incontro, intenzionato ad aggredirlo.

Daric inspirò profondamente e urlò: «Kaan!»

L'aria sembrò tremare, e l'orso si fermò ad un passo da lui. Alzò il muso e lo annusò per qualche istante, infine si girò e tranquillamente se ne tornò indietro. Daric rilassò la stretta sul bastone e si sbrigò ad allontanarsi prima che l'effetto del Thu'um svanisse.

In poco tempo raggiunse la prima tappa del sentiero: una tavoletta in pietra all'interno di una cornice scolpita, anch'essa in pietra; lungo il percorso verso Hrothgar Alto, erano presenti altre nove sculture uguali. Le tavolette recavano incisa la storia della Voce, dagli albori di Skyrim, quando i draghi regnavano sugli uomini, fino alla fine della Seconda Era, quando il giovane Tiber Septim era stato convocato dai Barbagrigia. Daric le conosceva a memoria oramai, ma si fermava comunque a leggerle, approfittandone per riprendere il fiato e godersi il panorama. Dato che il sentiero percorreva tutti i versanti della montagna, la vista riusciva ad abbracciare Skyrim completamente, fino a raggiungerne i confini.

Mano a mano che saliva, la neve ed il ghiaccio reclamavano sempre più spazio, e l'aria si faceva sempre più tagliente. Aveva appena superato il sesto emblema, quando qualcosa sul sentiero attirò la sua attenzione. Era come se il gelo avesse preso vita e si fosse condensato in una figura evanescente, la forma che ricordava quella di un grosso pesce. Uno Spettro del Ghiaccio fluttuava come un drappo agitato dal vento, disegnando cerchi nell'aria. Con una creatura del genere la Pace di Kyne non avrebbe funzionato, doveva approfittarne ed attaccarlo subito.

Attinse alle sue riserve di magicka per evocare una palla di fuoco, quindi la scagliò in direzione dello Spettro. La palla di fuoco colpì in pieno il bersaglio ed esplose all'impatto. Lo Spettro sibilò infuriato e, con una giravolta a mezz'aria, scomparve dalla vista. Daric conosceva questa abilità degli Spettri del Ghiaccio, si rendevano invisibili per poi attaccare di sorpresa, ma non scomparivano del tutto. Alzò il bastone in aria e dalla punta scaturì un cerchio di fuoco che si espanse tutt'intorno. Come aveva previsto, lo Spettro si era avvicinato approfittando dell'invisibilità, ma il suo incantesimo era riuscito comunque a colpirlo, ed ora era tornato ad essere visibile. Tuttavia, lungi ancora dall'essere sconfitto, lo Spettro sorprese Daric avventandosi fulmineo su di lui. Riuscì a spostarsi appena in tempo per non farsi colpire in pieno, ma lo Spettro riuscì comunque a prendergli il braccio sinistro. Sentì il gelo mordergli la carne e penetrare fin nelle ossa. Cercando di ignorare il dolore, Daric si voltò verso lo Spettro, che già si stava preparando ad un altro attacco, e urlò: «Yol Toor Shul!»

Il respiro di fuoco investì in pieno la creatura, che si dissolse lasciando al suolo un mucchietto di plasma azzurro.

«Ahi!» Mugugnò Daric, massaggiandosi il braccio completamente paralizzato dal gelo. Evocò una magia curativa e sentì il braccio formicolare e riprendere velocemente la sensibilità. Fece qualche movimento di prova e si accertò che era tornato come prima.

Si avvicinò ai resti dello Spettro e si chinò. Trovò due denti della creatura, che ripose in un sacchetto per gli ingredienti alchemici, poi raccolse come meglio poté l'essenza dello Spettro in un'ampolla.

Riprese il cammino, e quando arrivò al settimo emblema decise di fermarsi. La vista era semplicemente magnifica, quindi si sedette su una roccia per mangiare qualche boccone dalle sue provviste.

Terminato il pasto frugale, stava per rialzarsi quando si accorse che una capra gli si era avvicinata, e lo stava fissando. Probabilmente mentre mangiava, e distratto dal panorama, non ci aveva fatto caso.

Daric sorrise, «Scusami, ho preso il tuo posto preferito?»

La capra gli rispose con un belato, ma non si mosse.

«Vorresti qualcosa da mangiare? Purtroppo temo di non avere nulla di adatto a te».

La capra belò ancora, irremovibile nella sua posizione.

Daric rise di gusto, «Sei proprio testarda e sfacciata, eh? Forse ho qualcosa che potrebbe piacerti...» estrasse il sacchetto del sale da sotto il mantello e ne versò un mucchietto sul palmo della mano, quindi la porse all'animale. Questi si avvicinò alla mano e, dopo una breve annusata, cominciò a leccare il sale. Dopo che ebbe leccato anche l'ultimo granello dal guanto di Daric, la capra strofinò il muso sulla mano in segno di ringraziamento. Si fece anche fare docilmente qualche carezza, ma poi fu attirata via da qualcosa di più interessante: un cespuglio carico di succose Baccheneve.

Daric ridacchiò e scosse la testa, mentre guardava la capra mordere le bacche. «Vorrei sapere chi si è inventato che le capre sono stupide» disse tra sé.

La pausa era finita, purtroppo. Con malavoglia si alzò, e ricominciò a camminare. Quando ebbe superato l'ottavo emblema, sormontato da una statua di Tiber Septim, si trovò davanti alla scalinata di ingresso al monastero di Hrothgar Alto. Vicino, trovò il nono ed ultimo emblema. Le incisioni recitavano: "La Voce è venerazione. Segui la Via interiore. Parla solo per la Vera Necessità."

Quelle parole riassumevano in modo essenziale e conciso la filosofia della Via della Voce, ideata da Jurgen Windcaller molti secoli addietro.

Salì le scale ed entrò nel monastero. Il silenzio di quel luogo era a dir poco mistico, sembrava che le pareti stesse emanassero una saggezza vecchia di secoli.

Nella sala principale trovò uno dei monaci, inginocchiato a terra in meditazione.

«Bentornato, Sangue di Drago» salutò il monaco, dopo essersi alzato.

«Salute, Maestro Arngeir» Daric chinò brevemente il capo. «Mi dispiace avervi dovuto disturbare, spero che oggi si riesca ad ottenere qualcosa di buono».

Arngeir scosse il capo. «Non devi dispiacerti. Se, nei nostri limiti, potremo aiutarti, non ci tireremo indietro» gli fece cenno di seguirlo e i due si diressero verso il cortile esterno.

«Devo avvisarti però» una volta fuori Arngeir riprese a parlare, «non sarà un compito facile. Non pensare che quelle persone abbandoneranno facilmente la loro belligeranza. Questo consiglio potrebbe diventare una guerra combattuta a parole, e tu ti ritroveresti in mezzo, tuo malgrado».

«Lo so, cercherò di mantenere il controllo».

Il vecchio Barbagrigia annuì, «Ora dobbiamo solo aspettare che arrivino tutti. Puoi aspettare qua, se vuoi, verrò a chiamarti al momento opportuno».

Daric sorrise. «Grazie, Maestro Arngeir».

Questi ritornò dentro il monastero, Daric invece si issò su un muretto e si mise a sedere a gambe incrociate. Si mise a guardare il cielo limpido, cercando di replicare quello stato nella sua mente, sgombrandola da ogni pensiero.

Questa era una pratica che aveva imparato anni fa, quando aveva iniziato lo studio approfondito della magia. La sua sete di conoscenze sempre nuove lo aveva portato spesso ad esagerare con lo studio, ritrovandosi con la testa così piena di idee e nozioni, che semplicemente non riusciva a smettere di pensare e rimuginare. Per questo motivo aveva cominciato a soffrire di mal di testa e insonnia, al punto tale che la sua stessa salute aveva cominciato a risentirne. A nulla erano valsi i consigli di darsi una calmata, fu quindi suo nonno ad insegnargli a sgombrare la mente. Con un po' di pratica, non aveva avuto più problemi. Anche lo studio ne aveva tratto giovamento, perciò aveva iniziato a farlo abitualmente, che ne sentisse o meno il bisogno.

Ultimamente si era ritrovato sempre più spesso a rimuginare sulla Guerra Civile di Skyrim. Per quanto si sforzasse di comprendere le ragioni che animavano i due fronti, rimaneva sempre convinto che una guerra civile fosse una cosa ignobile. Ecco perché non aveva mai preso parte nella vicenda, perché era sbagliata in principio. In verità c'era anche un altro motivo: da quando aveva scoperto di essere il Sangue di Drago si sentiva doppiamente responsabile delle sue azioni. Per quanto lo riguardava, la Guerra Civile a conti fatti si riduceva ad una questione meramente politica, per cui non voleva averne nulla a che fare. Soprattutto non voleva che il suo essere Sangue di Drago, una figura importante nella cultura di Skyrim, fosse usato come mezzo di propaganda da una fazione contro l'altra.

Ora più che mai, aveva bisogno di una mente lucida e concentrata, e mentre la liberava da ogni pensiero, perse la cognizione del tempo.

«Sangue di Drago» una voce alle sue spalle lo riscosse dalla meditazione, si girò e vide che Arngeir era tornato. «Tutte le parti sono arrivate, stiamo aspettando te».

Daric annuì, scese dal muretto e riprese il suo bastone, quindi seguì Arngeir dentro il monastero. Quando arrivarono alla sala d'ingresso, vi trovò due ospiti inaspettati: Delphine, fiera nella sua armatura akaviri, ed Esbern, il vecchio archivista delle Blade.

Daric si fermò di botto, sorpreso, e lo stesso fece Arngeir, evidentemente erano arrivati proprio in quel momento. Ovviamente Daric li aveva avvisati che si sarebbe tenuto il consiglio, ma non aveva pensato che si sarebbero presentati.

«Sangue di Drago» Delphine lo salutò con un cenno del capo, poi si rivolse al monaco: «Arngeir, giusto?»

«Non siete i benvenuti qui» rispose, glaciale. «Cosa volete?»

«Vogliamo partecipare al consiglio, è merito nostro se il Sangue di Drago è arrivato fino a questo punto» fu la replica, altrettanto fredda, di Delphine.

«Merito vostro? Quanta arroganza».

«Vorresti negarlo? Se fosse per voi, il Sangue di Drago dovrebbe starsene qui tutto il giorno a fissare il cielo!»

Prima che il battibecco potesse proseguire, intervenne Esbern: «Delphine, non siamo venuti qui per scambiarci recriminazioni» poi si rivolse ad Arngeir: «Siamo qui perché vogliamo la sconfitta di Alduin, se la volete davvero anche voi, allora lasciateci partecipare. Le informazioni che abbiamo possono essere di importanza vitale per il Sangue di Drago».

Il monaco lo fissò in silenzio per qualche secondo, poi sospirò. «Va bene, seguitemi».

Le due Blade si unirono quindi al seguito di Arngeir. Imboccarono un corridoio a destra, e in breve si ritrovarono in una sala con un grande tavolo, vuoto al centro, dalla forma quasi ellittica. Tutti gli ospiti erano attorno al tavolo, ancora in piedi. Da un lato c'era Ulfric Manto della Tempesta, capo dei ribelli e jarl di Windhelm, insieme al suo braccio destro Galmar Pugno di Pietra. Dall'altro c'era il Generale Tullius, capo delle forze imperiali a Skyrim, con il Legato Rikke; poi c'era Elisif la Bella, jarl di Solitude, che probabilmente era venuta per rappresentare la parte filo-imperiale di Skyrim, e c'era anche Balgruuf il Grande, jarl di Whiterun, che avrebbe dovuto essere il principale beneficiario della tregua tra le due fazioni. Con una punta di irritazione, Daric notò che c'era anche l'Ambasciatrice Elenwen, rappresentante dei Thalmor in Skyrim. Anche Delphine ed Esbern rimasero interdetti alla vista di una dei loro acerrimi persecutori, ma se anche rimasero spaventati, non lo diedero a vedere, e si diressero ai posti vuoti vicino ad Ulfric. Anche Elenwen non mostrò di averli riconosciuti, ma si limitò a fissarli mentre prendevano posto.

Daric deglutì a vuoto e strinse nervosamente il bastone, quindi camminò fino all'altro capo del tavolo, dove c'era un posto vuoto. Avvertiva molti sguardi che lo scrutavano, ma non doveva assolutamente mostrarsi intimidito. Arrivò al suo posto ed abbassò il suo cappuccio, non aveva senso nascondere il volto ora.

Arngeir, dal lato opposto, esordì: «Mi auguro che tutti sappiate il motivo per cui siamo riuniti qui. Ora, se volete sedervi, possiamo dare inizio a questo consiglio».

La replica di Ulfric fu immediata: «Non ci siederemo allo stesso tavolo con quella serpe viscida dei Thalmor, ci stai provocando Tullius?»

«Ecco, ha già cominciato» mormorò Rikke.

«Sono qui per controllare che vengano rispettati i termini del Concordato Oro-Bianco» rispose Elenwen, impassibile.

«Decido io chi portare nella mia delegazione, Ulfric» replicò seccamente Tullius.

Daric alzò gli occhi al cielo. «Divino Stendarr, mandaci un briciolo di buonsenso» mormorò tra sé.

«Per favore, se incominciamo a trattare sui termini della trattativa non ne usciremo più» intervenne Arngeir, «Vogliamo interpellare il Sangue di Drago, per avere un parere neutrale?»

Nessuno si oppose apertamente, e Daric si trovò di nuovo al centro dell'attenzione.

Sospirò per calmarsi. «Jarl Ulfric, con il dovuto rispetto, non credere di essere l'unico qui a non apprezzare i Thalmor. Il fatto che l'Impero si accompagni ad individui discutibili non è l'oggetto di questo consiglio» Elenwen lo fulminò con lo sguardo, Galmar invece ridacchiò. «Quindi, per favore, vogliamo sederci per affrontare il vero motivo per cui siamo qui?»

Ulfric riportò lo sguardo su Tullius. «Va bene, può restare, ma non ammetto intromissioni da parte sua. Noi non trattiamo con lei, è chiaro?»

«Non capisco la tua ostilità, Ulfric» lo canzonò Elenwen, «non sono i Thalmor quelli che uccidono i tuoi uomini».

«Ma non dovrebbe essere dalla nostra parte?» mormorò Rikke.

«Non ammetto intromissioni» sibilò Ulfric minaccioso, «non farmelo ripetere ancora».

Arngeir riprese la parola: «Ora che questa faccenda è sistemata, vogliamo procedere?»

Gli attendenti al consiglio si sedettero.

«Bene, procediamo allora» disse Ulfric. «Il nostro termine per l'accordo è inderogabile: vogliamo Markarth».

La richiesta sollevò una sequela di proteste dalla delegazione imperiale.

«Con quale sfrontatezza avanzi una richiesta del genere?» fece Elisif, oltraggiata. «Questo è un insulto all'ospitalità dei Barbagrigia».

«Mantieni la calma, jarl Elisif» intervenne Tullius, «ci penso io a gestire questa faccenda».

«Generale, questo è inaccettabile!» Protestò lei. «È forse questo il modo di iniziare una trattativa di pace?»

«Elisif!» il richiamo di Tullius fu controllato ma fermo. «Ho detto che ci penso io» quindi si rivolse ad Ulfric: «Cosa stai cercando di fare, Ulfric? Ti sei accorto che non riuscirai a vincere questa guerra, e quindi ora cerchi di favorire la tua posizione con questo negoziato?»

«Sono sicuro che non sia l'intenzione dello jarl Ulfric» intervenne Arngeir. «Se ha deciso di avanzare questa richiesta, immagino che si aspetterà di cedere qualcosa in cambio».

«Oh sì, me lo immagino anch'io» borbottò Rikke, sarcastica.

«Se ti aspetti che cediamo Markarth a questo tavolo, allora tu dovrai cedere qualcosa di altrettanto valore» disse Tullius. «In cambio vogliamo Riften».

Ulfric sembrò soppesare la contro-richiesta, quindi si rivolse a Daric: «Qual è la tua opinione su questo scambio?»

Daric scrollò le spalle «Non so, mi sembra equo?» una risposta che suonò tutt'altro che convinta.

«Ci stai prendendo in giro?» ringhiò Ulfric. «Vedi di mostrare più serietà, qui non stiamo giocando!»

Quel rimprovero fece scattare Daric come una molla. Furibondo, vibrò un colpo al pavimento con l'estremità inferiore del suo bastone, e una singola fiammata guizzò dal braciere al centro del tavolo.

«Questo dovrei dirlo io» sibilò Daric. «Vi state scambiando feudi come se fossero banali pezzi di terra, ma vi importa qualcosa delle persone che ci vivono?»

«So che sembra ingiusto, ma in una guerra le trattative si fanno anche in questo modo» disse Tullius. «Non pretendo che tu capisca»

«No, non lo capisco!» sbottò Daric. «Non capisco perché in un consiglio di pace si debba comunque parlare di guerra, non capisco perché portate ancora avanti questo strazio che voi chiamate Guerra Civile, e non capisco perché deporre le armi debba per forza essere una faccenda così dannatamente complicata!» le parole uscirono dalla sua bocca in un crescendo di frustrazione, finché si ritrovò in piedi ad urlare le ultime due, battendo il pugno sul tavolo «Io qui vedo due cani pastori che si azzannano, mentre c'è un lupo che sta divorando il loro gregge, e non capisco perché!» ripeté quelle parole con veemenza per l'ennesima volta «E che Julianos mi perdoni, ma preferisco non capire, preferisco l'ignoranza» mormorò, sconfitto.

Nel silenzio attonito che seguì, Daric si sedette di nuovo, una mano a coprire gli occhi, già pentito di essersi lasciato andare in quel modo.

Tutti sembravano ammutoliti, quindi fu Arngeir a prendere la parola: «Purtroppo la situazione è questa, Sangue di Drago, che ci piaccia o no. Respira e concentrati, devi tenere a mente l'obbiettivo che ti sei posto».

Daric fece due profondi respiri, quindi annuì. «Vi chiedo scusa» disse, con la rinnovata calma, «a quanto pare siamo partiti tutti con il piede sbagliato, quindi permettemi di ricominciare» prese un altro profondo respiro. «Innanzitutto, vi ringrazio per essere qui, mi rendo conto che non è piacevole per nessuno».

«Puoi dirlo forte» borbottò Galmar.

«Non avrei insistito se non fosse così importante. Come saprete, i draghi sono tornati a Skyrim. Anzi, in realtà non se ne sono mai andati, sono sempre rimasti qui, sepolti nella terra e nella memoria. Ciò che veramente è tornato a Skyrim, è un pericolo ancora più grande. Esbern, vorresti parlarcene per favore?» in un qualche modo sentiva che nessun altro, più di lui, aveva diritto di parlarne.

«Certo, certo» il vecchio si schiarì la voce. «Alduin, il Divoratore del Mondo, è tornato» annunciò gravemente, «Helgen è stato solo un assaggio di ciò che è capace. È stato Alduin a risvegliare i draghi dalle loro tombe, gli stessi draghi che ora vagano per Skyrim seminando terrore e distruzione. Il Sangue di Drago lo ha costretto a ritirarsi a Sovngarde, ma abbiamo solo guadagnato un po' di tempo. Ora sta recuperando le forze, mentre noi parliamo qui, e sta divorando le anime dei soldati che avete mandato a morire in questo inutile fratricidio».

L'ultima frase sembrò irritare sensibilmente Ulfric. «Delphine, lui è con te?» chiese, e la donna annuì.

«Se è così, allora avvisalo di tenere a freno la lingua. Non sono qui per ascoltare i suoi giudizi personali».

«Io invece avviso tutti voi di starlo a sentire» replicò lei. «Per troppo tempo abbiamo ignorato i suoi avvertimenti»

«Non i miei avvertimenti» specificò Esbern con veemenza, «ma gli avvertimenti dei nostri antenati! Siamo stati noi stessi ad attirare questa calamità, abbiamo deciso di dimenticare e ci siamo cullati in una falsa sicurezza. La profezia era chiara, dovevamo sapere che prima o poi Alduin sarebbe tornato, e ora la nostra ultima speranza è il Sangue di Drago».

Vedendo che aveva finito, Daric riprese a parlare. «Gli dèi ci hanno concesso la possibilità di scegliere. Qui avete uno strumento per fermare Alduin» allargò le braccia, come se volesse offrirsi ai suoi interlocutori, «ora sta a voi decidere se utilizzarlo».

Breve ma diretto, il suo discorso aveva ottenuto l'effetto sperato. La belligeranza delle due parti sembrava essersi in parte sgonfiata, ora che erano stati messi davanti alla loro responsabilità.

«Non avete nulla da perdere e avete tutto da guadagnare» continuò, «al momento la vostra guerra è in stallo, avete quattro feudi ciascuno. L'unico feudo rimasto fuori è quello di Whiterun, ed è normale che jarl Balgruuf si senta minacciato. Io, però, ho assolutamente bisogno di catturare un seguace di Alduin, e Dragonsreach potrebbe essere la nostra unica opzione. Quello che vi chiedo quindi, è che voi cessiate le ostilità per qualche giorno, così che si possa catturare un drago in sicurezza, ho la vostra parola?»

Ulfric scoppiò in una risata amara. «Apprezzo lo sforzo, davvero, ma non mi fiderò mai più della parola dell'Impero».

«Lo stesso vale per noi» ribatté Elisif. «Non potremmo mai fidarci della parola di un assassino».

«Vi prego, lasciate che mi spieghi» Daric intervenne subito prima che scoppiasse un alterco. «Vi chiedo di fidarvi della mia parola, farò io da garante per questo mutuo accordo. Se voi mi giurate che non muoverete attacchi, io vi giuro che non ne riceverete».

L'ultima frase lasciò spiazzati un po' tutti, ma fu Tullius a dare voce alla domanda che probabilmente si chiedevano anche gli altri: «Per quanto sarei propenso a crederti, come puoi assicurarmi che non vengano attaccati i feudi leali all'Impero? Non sei tu a controllare i suoi uomini» indicò Ulfric con un cenno del capo.

Daric alzò le spalle con noncuranza. «Hai ragione, in realtà non posso assicurarvi che non riceviate attacchi. Posso però assicurarvi che chiunque di voi si dovesse rimangiare la parola data, avrebbe poi di cui pentirsene amaramente».

Nonostante il tono tranquillo, la minaccia non tanto velata cadde con l'impatto di un macigno. La verità era che nessuno di loro aveva pienamente idea di cosa fosse capace, ma già il fatto che fosse un Sangue di Drago lasciava un'impressione abbastanza convincente. Dopotutto, si diceva che quelli che possedevano un grande potere non avevano bisogno di utilizzarlo per incutere timore, ma gli bastava solo minacciare di utilizzarlo.

«Vi faccio un esempio» continuò con lo stesso tono leggero, «come pensate che reagirebbero gli uomini e le donne di Skyrim, qualora venissero a sapere che mentre il Sangue di Drago rischiava la sua vita per fermare Alduin, mentre la sorte del Mondo stesso era in bilico, voi ne avete approfittato per avvantaggiarvi in questa guerra? Sapete, queste voci si spargono in fretta, e la brava gente di Skyrim non ama questo tipo di vigliaccherie».

Un certo senso di disagio cominciò a serpeggiare tra i presenti, e Daric decise di rincarare ancora la dose: «Voglio rassicurarvi pienamente» il tono si fece improvvisamente freddo e spietato, «chi romperà questo accordo ne risponderà a me. Se nel periodo di tregua uno di voi si dovesse azzardare a sottrarre anche un semplice pozzo per l'acqua all'altra fazione, mi occuperò io stesso di restituirlo a chi lo possedeva prima. Ho affrontato le fauci e il fuoco del Divoratore del Mondo, non pensate che abbia paura dei vostri soldati».

Forse Daric era riuscito a far valere quella metà di sangue imperiale che gli scorreva nelle vene, il suo discorso era stato abbastanza convincente da lasciare gli altri di stucco.

Galmar emise un fischio basso. «Sei piccolo ma fai paura, dico sul serio».

«Non è piccolo, Galmar, sei tu che sei troppo cresciuto» commentò Rikke.

Daric riprese a parlare, stavolta in modo più pacato: «Jarl Ulfric, Generale Tullius, questa è la terza volta che vi incontro. La prima volta è stata ad Helgen, la seconda è stata quando vi ho chiesto di venire qui. Vi dico questo perché vorrei che sia chiaro un fatto: in questa guerra io non sto né con i ribelli né con l'Impero» scandì lentamente l'ultima frase. «Se pensate che l'esito di questa guerra sia più importante della sorte del mondo, allora forse meritiamo di essere divorati tutti da Alduin. Se invece, come dite, tenete veramente alla sorte di Skyrim, allora aiutatemi a salvarla».

Ora stava a loro decidere, lui non poteva certo obbligarli ad essere aiutati, sarebbe stato a dir poco ridicolo.

«Voglio crederti, Sangue di Drago» disse Ulfric. «Ho visto cosa è successo ad Helgen, e mai vorrei che succedesse in un'altra città, fosse anche schierata con l'Impero, non sono così meschino. Quanto tempo ti serve?»

Daric soppesò la domanda per qualche secondo. «Dieci giorni, a partire dalla prossima settimana. Avrete cinque giorni per avvisare tutte le vostre truppe e i vostri accampamenti».

«E sia, hai la mia parola» disse Ulfric.

Daric si rivolse quindi verso Tullius, aspettando la sua risposta. L'imperiale sospirò: «Tocca a me, immagino. Ebbene, alcuni potrebbero sostenere il contrario, ma l'Impero ha da sempre a cuore la sorte di Skyrim. Se questo è l'unico modo per impedire che i draghi la mettano a ferro e fuoco, allora hai il mio appoggio, Sangue di Drago».

«Molto bene» Arngeir si alzò in piedi, «Generale Tullius, jarl Ulfric, giurate voi di cessare le ostilità, per dieci giorni a partire dalla prossima settimana?»

Entrambi risposero a turno con un «Lo giuro».

«Sangue di Drago» il monaco si rivolse a lui, «vuoi essere tu il garante di questo giuramento, e assicurarti che ognuna delle due parti mantenga la sua parola?»

«Lo voglio».

«Che la dèa dei cieli e del vento vi sia testimone» concluse Arngeir con solennità. «Questo consiglio è sciolto».

«Andiamo, Galmar» Ulfric si alzò, ansioso di andarsene.

«Sì, mio signore» il suo huscarlo lo seguì. Arrivato all'uscita, Ulfric si rivolse a Daric per un'ultima volta: «Ritiro quello che ho detto prima, Sangue di Drago. Hai cuore e passione, e la tua serietà ti fa onore. Ti auguro di avere successo, che Talos ti accompagni» e se andò senza aspettare una risposta.

La delegazione imperiale però non se andò subito.

«Ti faccio i miei complimenti» gli disse Balgruuf, genuinamente impressionato. «Il mio palazzo è a tua disposizione. Basta una tua parola, e i miei uomini prepareranno la trappola».

«Grazie, jarl Balgruuf».

«Quale metodo avete escogitato per attirare un drago?» domandò Elisif.

Domanda legittima, pensò Daric. Esbern gli aveva promesso, durante il loro ultimo incontro, che avrebbe trovato un modo, quindi lo guardò speranzoso di una risposta.

Per fortuna colse il significato del suo sguardo. «Oh! Sì, in questo posso aiutarvi io» intervenne. «Sono riuscito a trovare i vecchi registri della Guardia del Drago Akaviri, su cui tenevano nota di tutti i draghi che uccidevano. Confrontandoli con la mappa dei tumuli tracciata da Delphine, sono riuscito a trovare il nome di un drago che è stato riportato in vita da Alduin».

Daric rimase interdetto per un momento. «Il nome? In che modo il suo nome può esserci utile?»

«Ah, forse non lo sai» Esbern spiegò pazientemente, «il nome di ogni drago è formato da tre parole di potere, esattamente come se fosse un Urlo. Se urlerai il nome di un drago, questo ti sentirà da ogni angolo di Skyrim».

«Sei sicuro che verrà?»

«Non sottovalutare l'orgoglio di un drago. Quando capirà che sei stato tu a chiamarlo, non resisterà alla tentazione di sfidarti, soprattutto dopo la tua recente vittoria contro Alduin».

«Suppongo che lo scopriremo solo provandolo. Qual è il nome di questo drago?»

«Dammi solo un momento» Esbern frugò nella tracolla che aveva con sè, tirò fuori un libro e lo aprì ad un segno. «Dunque, il nome penso che si traduca in 'Cacciatore alato delle nevi', ma per la pronuncia corretta mi rimetto a chi è più esperto di me» si rivolse ad Arngeir, che gli era vicino, e gli porse il libro.

Il monaco prese il libro, e dopo aver letto il nome in questione lo restituì.

«Il nome è Odahviing. Tienilo bene a mente: Od-Ah-Viing» Arngeir scandì bene le tre parole di potere.

Daric ripeté più volte il nome sottovoce, per imprimerlo al meglio, quindi annuì. «Grazie, a tutti voi».

Mentre la delegazione imperiale si apprestava da andarsene, fu avvicinato dal Legato Rikke. «A nome mio, ma anche della mia terra, volevo dire grazie a te, per tutto quello che fai» gli disse discretamente, a mezza voce. «Detto da me potrà sembrarti strano, ma sono contenta che tu non ti sia schierato in questa guerra. Skyrim è lacerata, e ora più che mai ha bisogno di un eroe che la unisca».

«Sventurata è quella terra che ha bisogno di eroi» rispose amaramente Daric. Poi, vedendo l'espressione confusa sul volto di Rikke, sospirò e si passò una mano sul viso. «Scusami, sono un po' stanco. Apprezzo la fiducia, veramente».

La voce di Tullius mise fine al loro breve dialogo: «Andiamo, Rikke. Dobbiamo tornare immediatamente a Solitude». Poi si rivolse a Daric: «Ti auguro di riuscire nella tua missione, che gli Otto possano guidarti e sostenerti».

Rikke lo salutò con un cenno, quindi seguì Tullius fuori dalla sala, insieme ad Elisif e Barlgruuf. Elenwen, prima di andarsene, gli scoccò un ultimo sguardo tagliente, e lo stesso fece con Esbern e Delphine.

Daric si abbandonò sulla sedia. La tensione lo aveva sfiancato, e il peggio doveva ancora arrivare.

Quando anche Arngeir lasciò la sala, Delphine si avvicinò. «Dobbiamo parlare, è importante» gli disse.

Sentì la tensione tornare, il tono non prometteva buone notizie. «Ti ascolto».

«Abbiamo scoperto chi è Paarthurnax, il maestro dei Barbagrigia».

Daric si rabbuiò, temeva che questo momento sarebbe giunto. «Avete scoperto che è un drago? Sì, l'ho scoperto anch'io».

«Paarthurnax non è un semplice drago, è stato uno dei luogotenenti di Alduin, uno dei suoi seguaci più fedeli e spietati. Durante la Guerra del Drago si è macchiato di diverse atrocità compiute a danno degli umani» la voce di Delphine si fece sempre più dura. «È arrivato il momento che paghi per i suoi crimini, è arrivato il momento che muoia. Questo compito ricade su di te, Sangue di Drago, solo tu puoi ucciderlo».

Per Daric fu come ricevere uno schiaffo in pieno volto. Quando si riprese dallo stupore, semplicemente rispose: «Non lo farò».

Delphine assottigliò gli occhi. «Ti avverto, se ti rifiuterai di ucciderlo, non potremo più aiutarti. Noi Blade abbiamo un giuramento a cui tenere fede».

«Questo lo comprendo e lo rispetto, ma se non mi darai una buona ragione per ucciderlo, io non lo farò».

«Quale ragione ti serve? È un drago! I draghi sono una minaccia per tutti, per questo devono essere uccisi».

Daric scosse la testa. «Stai ragionando come quei Vigilanti di Stendarr, è una logica totalmente priva di discernimento. Paarthurnax è un drago, è vero, ma allo stato attuale non è una minaccia per nessuno».

«Come fai a dirlo? È nella natura dei draghi comandare e sottomettere i mortali, e lui non fa eccezione».

«Ne sono consapevole, e ne è consapevole anche Paarthurnax. Ciò nonostante, non posso condannarlo a morte per qualcosa che potrebbe fare».

«E quello che ha fatto invece? Il suo passato non conta nulla?»

«Tutti noi abbiamo un passato, Delphine, e non sempre ne andiamo fieri. Paarthurnax ha compreso i suoi errori molto tempo fa, ha insegnato il Thu'um agli uomini, li ha aiutati a sconfiggere Alduin, e ha aiutato anche me».

«Oh, sì, molto nobile da parte sua» disse Delphine con evidente sarcasmo. «Il fatto che abbia tradito Alduin non lo rende migliore, lo rende solo capace di tradire di nuovo, e stavolta potrebbe tradire te!»

«Stai di nuovo parlando di ipotesi. Non dico che mi fido ciecamente di lui, ma nemmeno ne dubito a tal punto da considerarlo una minaccia».

La pazienza di Delphine sembrava essere a dura prova. «Come fai a trattare questa questione con così tanta leggerezza? Quel drago ha commesso atrocità così terribili da essere ricordate per secoli! Tutte quelle vittime meritano giustizia!»

Anche la pazienza di Daric si stava iniziando a consumarsi. Si alzò dalla sedia: «Non ammetto che mi si accusi di leggerezza» disse con tono fermo. «Non arrogarti la facoltà di parlare a nome dei morti, Delphine, soprattutto per elargire giudizi e sentenze. Senza compassione non c'è giustizia, ma solo una sterile vendetta».

Lei chiuse gli occhi e fece due profondi respiri per calmarsi. «Bene, vedo che è inutile insistere, ma se quel drago creerà di nuovo dei problemi, la responsabilità sarà tua».

«Certo, è così per chiunque. Tutti noi siamo responsabili delle nostre azioni e delle nostre mancanze, ma preferisco essere responsabile di ciò che io scelgo di fare o non fare, piuttosto di ciò che gli altri scelgono per me. Mi dispiace che debba finire così, ma la mia posizione è questa».

Esbern, che aveva sentito il loro diverbio, si avvicinò. «Dispiace anche a noi, Sangue di Drago» disse, prima di rivolgersi a Delphine: «Non possiamo pretendere che lui si prenda carico delle nostre battaglie e dei nostri principi, i nostri giuramenti non sono i suoi giuramenti. Se il Sangue di Drago dice che rispetta la nostra posizione, noi dobbiamo rispettare la sua».

Un'ombra di tristezza scese sul volto della donna, che abbassò lo sguardo. «Sì, hai ragione» disse, poi tornò a guardare Daric dritto negli occhi. «Mi auguro che non ti debba mai pentire di questa decisione, ma, nel caso dovessi ripensarci, sai dove trovarci. Ti ringrazio per ciò che hai fatto per noi, non lo dimenticheremo» gli rivolse un saluto militare, quindi girò i tacchi e se ne andò.

Esbern, rimasto solo con lui, rovistò nella sua tracolla, quindi gli porse un libriccino dall'aria anonima, senza alcun titolo, «Vorrei che tu avessi questo, Sangue di Drago».

Daric lo accettò, titubante, ma quando fece per aprirlo, il vecchio gli afferrò le mani e lo fermò, «Non adesso. Il tuo compito ora è fermare Alduin, e con tutto il cuore ti auguro di riuscirci. Purtroppo però, Alduin non è l'unica minaccia per questo mondo, ce n'è una ben peggiore che da tempo avvelena Tamriel con discordie e menzogne. Sai a cosa mi riferisco...» Daric annuì, «ho seriamente paura che la ragioni che la muovono siano ben più terribili di quanto appaiano ora. Ho scritto io questo libro, leggilo solo quando ti sentirai pronto, nel frattempo tienilo segreto» gli lasciò le mani e quindi gli strinse una spalla, rivolgendogli un raro sorriso. «Se mai ci incontreremo ancora, spero che saremo dalla stessa parte».

«Lo spero anch'io».

Infine anche Esbern se ne andò, e Daric rimase solo, con quel libriccino in mano. Senza pensarci due volte, lo fece sparire sotto il mantello. Come aveva detto Esbern, al momento non aveva bisogno di altre preoccupazioni.



La sera era scesa su Ivarstead, e la locanda Vilemyr si era riempita dei soliti avventori. Wilhelm era al banco, e da bravo oste qual era, stava chiacchierando con i suoi clienti. Jofthor, uno dei due coniugi che possedevano la fattoria Fellstar, gli stava raccontando qualcosa di interessante.

«Dico sul serio, Wilhelm» gli disse Joftho. «In un solo giorno non mai visto così tante persone salire per la montagna». Scosse la testa e bevve un sorso dal boccale che aveva in mano.

«Le hai riconosciute? Chi erano?» chiese Wilhelm, ansioso di avere qualche notizia succulenta da condividere con i suoi clienti. Di solito succedeva ben poco ad Ivarstead. Le uniche voci interessanti che sentiva arrivavano dalle altre città più movimentate.

«Non so chi fossero. Ne ho visti tre vestiti con roba di classe, costosa, altri due invece avevano l'armatura della Legione Imperiale, ed erano assieme ad uno di quegli elfi Thalmor. Poi ho visto una donna con un'armatura esotica, mai visto niente di simile».

Era talmente strana come comitiva, che Wilhelm cominciò a dubitare del racconto. «Jofthor, sei sicuro che il sole non ti abbia giocato brutti scherzi?»

«Per la barba di Ysmir, giuro che è vero!» Batté il boccale, fortunatamente quasi vuoto, sul banco. «Ho visto anche un uomo con una pelliccia d'orso addosso».

Wilhelm rise sonoramente. «Già me li immagino i Barbagrigia, che danno una festa con le persone più strane di Skyrim. Ci mancava solo la focosa servetta argoniana».

«Ah, e ho anche visto un tipo completamente coperto con un mantello» continuò Jofthor, imperterrito.

«Quello lo so chi è, forse...» Wilhelm alzò lo sguardo e ghignò. «Daric, giusto?» domandò alla figura incappucciata che, proprio in quel momento, si era avvicinata al banco.

«Giusto» rispose e si abbassò il cappuccio. Riconobbe il volto del ragazzo che aveva visto quella stessa mattina.

«Sì, sì eri proprio tu quello con il mantello» disse Jofthor, guadagnandosi un'occhiata interrogativa da parte di Daric.

«Il buon Jofthor mi stava raccontando di aver notato un po' di gente strana incamminarsi per la montagna, tu l'hai vista?» Wilhelm riempì un boccale alla botte alle sue spalle, e lo porse a Daric.

«Oh sì, ne ho vista di gente strana» rispose, mentre sedeva ad uno sgabello.




Bene, questo è un rospo che mi tenevo in gola da molto tempo. Secondo me, questa missione non dà sufficiente considerazione a quei giocatori che, per una ragione o per un'altra, vogliono rimanere neutrali nella Guerra Civile. Quello che proprio non mi va giù, nella missione originale, è che Ulfric e Tullius si mettano a scambiarsi feudi di Skyrim come fossero figurine. In questo capitolo ho cercato di raccontare una versione che fosse più vicina alle mie corde, spero che vi sia sembrata credibile. Ho cercato il più possibile di mantenere l'essenza dei dialoghi originali, e spero di non aver snaturato nessuno dei personaggi. Ne ho anche approfittato per inserire alla fine quel dialogo tra Delphine e il Sangue di Drago, che tecnicamente farebbe parte di una missione separata. Non avevo mai pubblicato qualcosa di così lungo, spero che non sia stato pesante da leggere. Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate. Ciao e alla prossima :)

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Capitolo 2
*** First Lessons ***


Winterhold era probabilmente una delle città di Skyrim con il clima più inospitale. Il vento che soffiava dal Mare dei Fantasmi, arrivava pressoché intatto con tutto il suo carico di freddo. Anche quando non nevicava, il sole si vedeva di rado.

Mentre procedeva per le strade di Winterhold, Daric avvertì un senso di malinconia e abbandono. La città era veramente piccola per essere una delle principali di Skyrim, ed aveva un aspetto alquanto derelitto. Molte abitazioni erano in macerie, apparentemente da molto tempo. Se non avesse visto le guardie pattugliare le strade, l'avrebbe quasi scambiata per una città abbandonata.

Proseguendo per la via principale, schiaffeggiato dalle raffiche di vento, giunse finalmente in vista dell'Accademia di Winterhold. Era uno spettacolo affascinante e inquietante allo stesso tempo. L'edificio dell'Accademia si trovava su un'isola rocciosa, larga appena per contenerlo, con le pareti a strapiombo sul mare. La via d'accesso era un percorso articolato di ponti di pietra, a stento sostenuto da alcuni pilastri di roccia. Era evidente che era successo qualcosa in quel posto, il tutto aveva un aspetto veramente precario, ed era ovvio che c'era qualche forma di magia a mantenerlo in piedi.

Salì per la prima rampa di pietra, e si trovò davanti ad un arco chiuso da un cancello di metallo. Memore della precedente visita al Collegio, Daric esaminò la colonna destra e trovò subito quello che cercava: l'incisione stilizzata di una mano. Daric vi appoggiò sopra la sua, e l'incisione si illuminò per qualche istante.

Dopo non molto tempo vide, da lontano, una persona uscire dall'Accademia, evidentemente per venirgli incontro. Al cancello si presentò un'altmer, indossava una veste scura e teneva i suoi lunghi capelli acconciati in due code alte dietro la testa.

«Salute a te» esordì lei, dopo aver aperto il cancello. «Dunque sei ritornato, quali affari ti portano stavolta all'Accademia di Winterhold? Ancora in cerca delle Antiche Pergamene?»

«Non stavolta, Faralda» sorrise Daric. «Vorrei entrare nel Accademia, sono interessato alle ricerche di uno dei vostri studiosi».

«Davvero?» fece lei, sorpresa. «Chi sarebbe questo studioso?»

«Arniel Gane, se non ricordo male».

Faralda alzò un sopracciglio «Arniel? Mi stupisce che tu sappia quello che sta ricercando, visto che nemmeno noi colleghi lo sappiamo. È una persona molto... riservata, diciamo».

«In verità mi interessano più le sue ricerche pregresse».

«Capisco. Ebbene, se vuoi entrare nell'Accademia, dovrai superare una semplice prova. Dovrai dimostrarmi che possiedi le conoscenze di base delle arti arcane».

«D'accordo, ci sto» rispose con estrema tranquillità. Confidava che la sua preparazione sarebbe stata più che sufficiente.

«Bene. Mostrami una magia di cura della Scuola del Recupero, usala su di me».

Un caso davvero fortuito, il Recupero era una delle sue Scuole preferite.

Senza esitare, stese il braccio destro e rivolse il palmo verso Faralda. Un'aura dorata la circondò interamente, e lei chiuse gli occhi.

Dopo qualche secondo, Daric abbassò il braccio e l'aura si spense. «Allora?» chiese.

Faralda fece un profondo respiro, quindi riaprì gli occhi. «Notevole, non sento più la stanchezza» rispose, impressionata. «Almeno per una volta, Colette Marence sarà felice di avere uno studente abile nel Recupero» aggiunse con una velata ironia. «Sei ammesso nell'Accademia».

Girò i tacchi e gli fece cenno di seguirla. Insieme percorsero i ponti in pietra che portavano all'Accademia, ma mentre Faralda proseguiva spedita, Daric lottava con la tentazione di rivolgere lo sguardo verso il basso, sopratutto verso certi punti dove il parapetto era crollato. Temeva continuamente che una raffica un po' troppo forte avrebbe potuto farlo precipitare dal ponte, quindi con una mano si reggeva al suo bastone, con l'altra si appoggiava al parapetto come se ne andasse della sua vita.

Quando arrivarono finalmente all'ingresso dell'Accademia, riuscì a recuperare un minimo di contegno, anche se si sentiva le gambe molli.

Un secondo cancello metallico si aprì sul cortile interno dell'Accademia, dalla semplice forma circolare, con al centro una grande statua raffigurante un mago. L'Accademia consisteva principalmente in tre strutture: una dal lato opposto all'ingresso, e altre due, più piccole, ai lati.

Attraversarono diritti il cortile e si fermarono davanti all'edificio più grande.

«Aspetta qui, per favore» disse Faralda, «avviserò il Maestro dell'Accademia, sarà lei a guidarti in un giro di introduzione».

Daric annuì, e Faralda entrò nell'edificio.

Rimase da solo, a guardarsi un po' intorno, e pensò che finalmente era arrivato dove voleva arrivare. Quando si era messo in viaggio per Skyrim, aveva pensato che avrebbe raggiunto l'Accademia senza problemi, che avrebbe imparato quello che cercava, e che poi se ne sarebbe tornato a casa. Per adesso la prima ipotesi era stata smentita clamorosamente, sperava che almeno le ultime due non dovessero subire la stessa sorte.

Fu riscosso dai pensieri quando udì la porta aprirsi. Si voltò e si trovò al cospetto di una donna dallo sguardo severo.

«Benvenuto all'Accademia di Winterhold» esordì lei, «sono Mirabelle Ervine...» si interruppe, squadrandogli il viso. «Ci siamo già incontrati?» chiese, quasi confusa.

«Sì, sono venuto qui non molto tempo fa, ma solo per consultare alcuni testi della vostra biblioteca» spiegò.

«Già, adesso ricordo meglio» Mirabelle annuì. «Potresti ripetermi il tuo nome?»

«Mi chiamo Daric».

«Dunque, Daric, ti mostrerò brevemente l'Accademia». Indicò con un gesto la porta da cui era appena uscita, «da qui si accede alla Sala degli Elementi, è il posto dove si tengono le lezioni e, quando queste non ci sono, dove si può fare pratica con gli incantesimi. Da qui si accede anche agli alloggi dell'Arcimago, ti prego di non disturbarlo inutilmente, puoi rivolgerti a me se hai qualche domanda riguardo le regole dell'Accademia. Infine, c'è anche l'Arcaenum, la biblioteca dell'Accademia, ma questo immagino tu lo sappia già. Vieni, continuiamo» .

Si diressero verso uno degli edifici minori.

«Questa è la Sala delle Apparenze, qui alloggiano gli insegnanti» spiegò Mirabelle. «Se avessi bisogno di consultarti con un insegnante, ti consiglio di cercarlo qui in prima istanza. Potrai trovare anche un incantatore arcano e un laboratorio d'alchimia, se ne avessi bisogno. È obbligatorio tenere tutto in ordine, non voglio ingredienti e gemme dell'anima sparse in giro».

Ripresero a camminare e giunsero all'edificio gemello. «Questa è la Sala della Conquista, è dedicata prevalentemente agli studenti ed ai ricercatori, ma vi alloggiamo anche io e Tolfdir, uno degli insegnanti. Faralda mi ha detto che sei interessato ad alcune ricerche di Arniel Gane, è vero?»

«Sì».

«Quando vorrai parlargli, lo troverai in questa Sala, è qui che trascorre molto del suo tempo. Ti avviso però che se non vorrà condividere le sue ricerche, dovrai rispettare la sua decisione. Qui all'Accademia la condivisione della conoscenza è libera ma volontaria. Mi sono spiegata?»

«Certo» si affrettò a rispondere. Non c'era minaccia nel tono della donna, ma lei stessa emanava un'aura di autorità così intensa, che non sentiva minimamante di volerla contrariare.

«Molto bene. Vieni, ti indico la tua stanza» quindi entrarono nell'edificio.

La Sala della Conquista aveva una struttura circolare, divisa in vari piani. Al centro si trovava un pozzo magico, che sprigionava una colonna di luce blu alta fino al soffitto, e tutt'intorno erano disposti gli alloggi.

«La stanza subito a destra è la tua» disse Mirabelle, «nel baule ai piedi del letto troverai un ricambio d'abiti, casomai volessi toglierti quelli da viaggio che indossi ora».

Non era una cattiva idea. A dirla tutta aveva anche bisogno di una buona dormita, ma quella poteva aspettare.

«Fra poco si terrà la prima lezione per i nuovi studenti di questo anno, se non vuoi perderla ti consiglio di sbrigarti. Il giro di introduzione è finito, ti auguro una buona permanenza all'Accademia».

«Ti ringrazio».

Mirabelle annuì, ed uscì dalla Sala.

Daric entrò nella stanza assegnata. Vi trovò un letto, una sedia, e del normale mobilio in cui riporre gli effetti personali.

Aprì il baule ai piedi del letto, e vi trovò un cambio di abiti puliti, dello stesso tipo che aveva visto indosso a Mirabelle e Faralda. Era una veste leggera e comoda adatta ad un mago, ma sufficientemente calda per il clima rigido di Skyrim.

Senza perdere tempo si spogliò, indossò i nuovi abiti e ripose i suoi in un armadio. Non era venuto per seguire le lezioni, ma visto che era arrivato giusto in tempo per la prima, non c'era motivo di non seguirla. Avrebbe parlato con Arniel Gane una volta che fosse finita la lezione. Rimise la sua tracolla sulla spalla, alla quale agganciò il suo inseparabile bastone.

Uscì dalla camera quasi correndo, e per poco non si scontrò con un altro membro dell'Accademia. Un khajiit, ad essere precisi.

«Oh!» Esclamò questi, sorpreso. Dopo aver squadrato Daric per un istante, sorrise. «Anche tu sei nuovo quest'anno, si? J'zargo ti ha sentito parlare con Mirabelle Ervine, poco fa» parlò con la tipica inflessione dei khajiit, quindi gli porse la mano.

«Sì, sono appena arrivato. Mi chiamo Daric» rispose, stringendogli la mano.

«J'zargo è arrivato due settimane fa, finalmente oggi c'è la prima lezione per i nuovi. Vieni anche tu, vero?»

Daric annuì. Dopotutto non era così in ritardo come aveva pensato, o quantomeno non era l'unico.

Uscirono insieme nel cortile, e il khajiit cercò di rompere il ghiaccio con un po' di conversazione.

«J'zargo è contento di avere un altro vicino di stanza» disse, mentre si dirigevano alla Sala degli Elementi. «Finora ha avuto solo quel Thalmor come vicino» fece una smorfia, «A J'zargo non piace affatto».

Daric stava per rispondere al commento amichevole del khajiit, ma la parola "Thalmor" lo fece replicare contrariato: «Come?» per un momento sperò di aver sentito male. «C'è un Thalmor anche qui?»

«Oh, sì. Il nome è Ancano, è il consigliere dell'Arcimago».

«Consigliere?!» ripeté, incredulo. «Da un Thalmor non mi farei consigliare nemmeno quale paio di stivali indossare la mattina».

Il khajiit ridacchiò. «J'zargo la pensa come te. Quando J'zargo diventerà Arcimago, caccerà subito il Thalmor dall'Accademia» annuì con convinzione.

Daric sorrise. «Allora sappi che faccio il tifo per te» disse.

Il khajiit gli lanciò un'occhiata strana, come se non si fosse aspettato quella risposta.

Arrivarono alla Sala degli Elementi, ed entrarono.

La Sala era un ambiente molto grande, dalla forma circolare, con un grosso pozzo magico al centro.

Vicino al pozzo stava un vecchio mago, che stava parlando ad altri due studenti. Alla loro entrata, aveva smesso di parlare, e i due studenti si erano girati per controllare.

«Venite, avvicinatevi. Abbiamo appena cominciato» disse con calma l'insegnante.

«Lui è Tolfdir» sussurrò J'zargo, mentre si avvicinavano.

«Come dicevo» riprese Tolfdir, «la consapevolezza della pericolosità della magia è essenziale per un mago. Sia per la magia che voi stessi impiegherete, sia per quella che vi troverete ad affrontare. Nel primo caso, lo studio e la preparazione diventano elementi imprescindibili per evitare che questo potente strumento, che è la magia, si ritorca contro di voi».

«Questo lo sappiamo» disse una studentessa, una dunmer. «Non saremmo qui se non avessimo una preparazione adeguata».

«Certo, cara. Certo» assentì il vecchio mago, «non sto mettendo in dubbio la vostra preparazione nell'uso della magia, io sto parlando del controllo della magia. Saper impugnare una spada, non implica il saperla maneggiare con destrezza e sicurezza. Saper usare la magia e saperla controllare devono andare di pari passo, è questo ciò che si intende con "maestria". Per saper controllare la magia sono necessari anni, se non decenni, di studio e pratica».

«Allora è meglio cominciare subito, no?» intervenne J'zargo.

«Calma, per favore» redarguì Toldir. «La fretta è una cattiva consigliera. Bisogna adoperare prudenza, prima di tutto, altrimenti il disastro è inevitabile».

«Ma noi siamo appena arrivati» disse l'altro studente, «non hai ancora testato le nostre capacità».

«È vero, ma questa premessa è valida per chiunque, anche i più esperti non devono sottovalutare la pericolosità della magia» rimase in silenzio per qualche istante, in attesa di altri commenti, quindi si rivolse a Daric: «Tu non hai ancora parlato, cosa ne pensi in proposito?»

«Beh...» si trovò un momento spiazzato, ma la risposta gli balenò subito in mente: «Il mio maestro mi diceva spesso che solo chi comprende la pericolosità della magia ne può comprendere appieno il potere».

«Una frase saggia e di buonsenso» disse Toldir con approvazione, «Voi che ne pensate?» chiese agli altri tre apprendisti. Questi si scambiarono uno sguardo, un po' interdetti.

«Se la mettiamo in questi termini, non posso certo dargli torto» disse la dunmer, e gli altri due annuirono.

Tolfdir scoppiò in una risata leggera. «Davvero? Allora penso che prenderò in prestito quella frase per la prima lezione del prossimo anno, spero che il tuo maestro non si offenderà».

Daric sorrise, «Affatto, ne sarebbe lusingato».

«Ad ogni modo» riprese Tolfdir, «questo discorso era funzionale per il vero argomento di questa lezione. Infatti, il controllo è necessario anche per difendersi dalla pericolosità della magia altrui. Oggi faremo un po' di pratica con gli incantesimi di difesa. Vorresti aiutarmi con una dimostrazione?» chiese a Daric.

«D'accordo» si avvicinò all'insegnante, incerto su cosa volesse fare.

«Sai usare un incantesimo di Scudo?» gli chiese, e Daric annuì. «Bene. Adesso ci distanzieremo di qualche passo, poi tu innalzerai lo Scudo e io lo colpirò con una magia offensiva, va bene?»

«Va bene» era un po' riluttante a fare da bersaglio per una dimostrazione, anche se protetto da uno Scudo.

Si allontanarono e si posizionarono uno di fronte all'altro. Daric protese davanti la sua mano, e uno scudo vibrante di pura energia magica si sprigionò e si espanse di fronte a lui. Tolfdir quindi evocò un dardo di fuoco e lo scagliò dritto sullo Scudo. Il dardo si disintegrò sullo Scudo con una piccola fiammata, e ovviamente Daric rimase totalmente indenne.

«Tienilo ancora alzato» disse Tolfdir, mentre un altro dardo di fuoco si stava formando dalla sua mano.

Colpì lo Scudo altre due volte, quindi disse: «Molto bene, basta così. Puoi tornare con i tuoi compagni, ti ringrazio per l'aiuto».

Daric abbassò la mano e lo Scudo svanì, quindi ritornò al suo posto al fianco di J'zargo.

«Gli Scudi sono tra le magie difensive più semplici» spiegò Tolfdir, giungendo le mani dietro la schiena. «Si tratta di respingere il magicka ostile con il proprio magicka, e questo ha una grande limitazione, qualcuno di voi la conosce o l'ha intuita?»

L'altro ragazzo, dal nome ancora sconosciuto, alzò la mano e rispose «Forse... la potenza dello Scudo deve essere commisurata alla potenza della magia ostile?»

«Bravo, è proprio così. Avrete solo l'istinto e l'esperienza per intuire quanto forte dovrà essere il vostro Scudo. Con uno Scudo troppo debole non sarete protetti in modo adeguato, con uno troppo forte consumerete inutilmente il vostro magicka. Per il momento però vi limiterete ad esercitarvi a creare uno Scudo che sia il più stabile possibile. Vi dividerete a coppie e ripeterete la dimostrazione che abbiamo fatto io ed il vostro compagno: uno dovrà tenere lo Scudo alzato, mentre l'altro lo colpirà tre volte, poi vi scambierete i ruoli e lo ripeterete ancora. Non dovete esagerare, né con l'attacco né con la difesa. Lo scopo di questo esercizio è imparare a controllare il magicka, in modo che il vostro Scudo rimaga solido sotto gli attacchi ostili. Se non avete domande, potete cominciare».

Dato che nessuno avanzò domande, procedettero a dividersi in coppie. I primi furono la dunmer e l'altro ragazzo, quindi Daric si rivolse a J'zargo, sorridendo: «Dovrai accontentarti di me, stavolta. Come preferisci incominciare?»

«Visto che Tolfdir ti ha fatto usare lo Scudo, ora tocca a te attaccare, e J'zargo si difenderà».

«D'accordo».

Si allontanarono a sufficienza, e J'zargo sollevò il suo Scudo. Mentre evocava un dardo di fuoco nella sua mano, Daric notò che lo Scudo di J'zargo era un po' flebile. Dato che Tolfdir comunque aveva consigliato di mantenere bassi sia gli Scudi che gli attacchi, non si fece domande e scagliò il suo dardo in direzione di J'zargo.

Come era prevedibile, il dardo esplose all'impatto con lo Scudo, ma questo non vacillò, e nemmeno J'zargo. I successivi due attacchi ebbero lo stesso risultato, J'zargo abbassò lo Scudo e ghignò, soddisfatto. «Non sembra così difficile» disse.

Daric sorrise di rimando, ma non disse nulla. Si limitò al alzare il suo Scudo, e con l'altra mano fece cenno a J'zargo di attaccarlo.

Continuarono in questo modo a scambiarsi i ruoli, ma mentre la sessione di pratica continuava, Daric ebbe due impressioni che si facevano sempre più forti.

La prima era la crescente difficoltà che stava provando J'zargo nel mantenere e sostenere gli Scudi. Nonostante apparisse sempre concentrato, i suoi Scudi sembravano progressivamente più deboli ed incerti, al punto che Daric si stava trovando costretto a diminuire ancora di più la potenza dei suoi attacchi, e J'zargo sembrava esserne consapevole.

La seconda sensazione che aveva, era che J'zargo stesse prendendo questa sua difficoltà un po' troppo sul personale. Infatti, mentre i suoi Scudi erano di volta in volta più deboli, i suoi attacchi verso Daric erano di volta in volta più forti. Il khajiit sembrava essere determinato nel metterlo in difficoltà, tuttavia Daric accolse quella sfida silenziosa, e aumentò di conseguenza la potenza dei suoi Scudi.

Nessuno dei due sembrava intenzionato a darla vinta all'altro, fino al punto che un dardo di fuoco di J'zargo esplose contro lo Scudo di Daric con un fragore tale che riecheggiò sulle pareti della Sala.

«Voi due, qualcosa non va?» la voce di Tolfdir li richiamò da quella strana competizione. Daric vide che gli altri due apprendisti si erano fermati e li stavano guardando, incuriositi.

J'zargo sgranò gli occhi, come se fosse uscito da una sorta di trance, e solo in quel momento si fosse effettivamente accorto di quello che aveva fatto. Quando incrociò lo sguardo di Daric, un'espressione colpevole si dipinse sul volto felino, ed il khajiit distolse lo sguardo in imbarazzo.

«Tutto a posto» rispose Daric, tranquillo.

Toldir annuì, quindi si rivolse a J'zargo: «E tu, figliolo? Qualcosa non va?»

Il khajiit scosse il capo. «No, niente» borbottò.

Dallo sguardo di Tolfdir era evidente che aveva capito cosa era successo. Forse li stava osservando già da tempo, o forse era merito di quell'intuito tipico degli insegnanti.

Ciò nonostante, non commentò la faccenda. «Molto bene» disse «possiamo anche finire qui, per oggi. Domani continueremo con questo esercizio, finché non avrete preso abbastanza dimestichezza. Siete liberi di andare, e ovviamente siete anche liberi di restare e continuare con la pratica, a voi la scelta. Mi raccomando di nuovo: non esagerate» pronunciò l'ultima frase guardando prima J'zargo e dopo Daric. «Buona giornata» si congedò e quindi si diresse verso l'uscita della Sala.

Quando la porta si chiuse alle spalle di Tolfdir, J'zargo si avvicinò a Daric.

«J'zargo ti porge le sue scuse» disse, chinando brevemente il capo. «Si è lasciato trasportare dall'entusiasmo ed ha esagerato, J'zargo è dispiaciuto per quello che è successo».

Daric rise. «Entusiasmo eh? A me sembrava che volessi incenerirmi».

«Oh, no, questo mai!» replicò subito, con tono allarmato.

«Ma certo, stavo scherzando. Comunque è anche colpa mia, sono stato io a darti corda dopotutto».

«Ecco, se fossi in te non lo farei più» disse una voce alle sue spalle. «J'zargo è molto competitivo, come hai potuto vedere».

Daric si girò e vide gli altri due apprendisti che si avvicinavano a loro, era stato il ragazzo a parlare.

«Non c'è nulla di male nella competizione, aiuta J'zargo a migliorarsi» replicò secco il khajiit.

«Non penso che far saltare in aria i tuoi competitori sia un buon modo per migliorarsi» disse la dunmer. «Se il tuo compagno non avesse avuto uno Scudo adeguato avresti potuto ferirlo gravemente»

Il khajiit incrociò le braccia, sulla difensiva «J'zargo è dispiaciuto e si è già scusato, non infierire con le prediche per favore».

«Invece infierisco quanto voglio!» si avvicinò a J'zargo e gli puntò un dito al petto. «Non pensare di fare la stessa cosa con me, se mai ci trovassimo a fare pratica insieme, perché non sarò così idiota da lasciartelo fare!»

«Non è colpa di J'zargo se i suoi incantesimi sono così potenti» replicò lui, con un ghigno insolente.

Lei roteò gli occhi «Che Azura ci salvi dalla testardaggine di questo khajiit, io ci rinuncio» disse esasperata, allargando le braccia.

A quanto pareva, quei tre avevano già avuto modo di conoscersi. Daric stava quasi per ridere a quel battibecco, quando realizzò una cosa.

«Aspetta un momento» si rivolse all'altro ragazzo «Ha detto che sono un "idiota"?» chiese, indicando la dunmer.

Il ragazzo si accigliò, riflettendoci un momento «Effettivamente sì, amico» poi si rivolse a lei «È stato molto scortese da parte tua, dopotutto neanche lo conosci» disse con tono il più possibile serio, ma osservandolo si capiva che stava la stava provocando per gioco, e che si stava trattenendo dal ridere.

Lei però sembrò non averlo intuito, perciò replicò confusa: «Ma non è vero! Io non... oh!» Quando realizzò che, implicitamente, era sottinteso nell'ultimo rimprovero che aveva fatto a J'zargo, arrossì e si portò una mano alla bocca.

Quella reazione fu l'ultima goccia che fece traboccare il vaso, e tutti e quattro scoppiarono a ridere. Quando l'ilarità si fu placata, lei si rivolse a Daric «Scusami, non intendevo darti dell'"idiota", davvero».

Daric agitò una mano, come a voler respingere le scuse. «Non c'è bisogno di scusarti, non hai tutti i torti» disse, ridacchiando di nuovo.

Quel piccolo equivoco aiutò a rompere il ghiaccio, e Daric si presentò anche agli altri due apprendisti.

La dunmer si chiamava Brelyna Maryon.

«Maryon? Fai parte della Casa Telvanni?» domandò Daric, curioso.

«Sì» rispose, sorpresa «Come lo sai?»

«Credo di aver incontrato un tuo parente a Stormhold, tempo fa. O almeno, credo che lo fosse, aveva il tuo stesso cognome».

«Non ti ricordi il suo nome?»

«Purtroppo no, me l'hanno presentato una volta e poi non ci siamo più rivisti».

«Oh, capisco» disse, e d'improvviso si fece pensierosa. Probabilmente stava cercando di immaginare quale familiare fosse.

Il ragazzo invece si presentò come Onmund.

«Mi toglieresti una curiosità?» gli chiese Onmund, mentre gli stringeva la mano «Da dove vieni? Non mi sembri originario di Skyrim».

«In effetti no, vengo da Cyrodiil».

«Dunque è così» sospirò, deluso «Allora sono davvero l'unico apprendista nord dell'Accademia».

«E ti stupisci? Lo sai che la tua gente odia la magia» disse Brelyna.

«Lo so, lo so» ammise Onmund, ormai rassegnato.

Tuttavia, l'impazienza di J'zargo interruppe la conversazione: «Non perdiamoci in chiacchiere. Vogliamo continuare a fare pratica?» suggerì.

«Sei sicuro che Daric voglia fare ancora coppia con te?» replicò Onmund con un ghigno divertito.

«Ma veramente...» il khajiit rimase interdetto. Rivolse uno guardo supplicante a Daric, che tuttavia esibiva un'espressione impassibile. J'zargo però non si lasciò scoraggiare, quindi gli chiese direttamente: «J'zargo ha potuto... constatare che sei molto bravo con gli Scudi, vorresti per favore aiutare J'zargo a fare pratica?»

Daric sorrise. Dopotutto, se non si faceva problemi a chiedere l'aiuto degli altri, forse l'arroganza del khajiit era solo una facciata.

«Io invece ho visto che sei molto bravo con le magie di Distruzione» disse Daric. «Forse ognuno di noi due può imparare qualcosa dall'altro, che ne pensi?»

Il khajiit rimase con un'espressione stupita per qualche secondo, sorpreso dalla risposta, e forse sorpreso anche dal complimento ricevuto, ma alla fine sorrise di rimando ed annuì.

Ripresero quindi tutti e quattro ad allenarsi, stavolta seriamente, e di quando in quando si scambiavano domande e suggerimenti. Nel frattempo altri apprendisti arrivarono nella Sala per fare pratica, quindi ad un certo punto i quattro compagni si avvicinarono per non occupare troppo spazio e non disturbare troppo gli altri.

«J'zargo non riesce a capire bene come usare il magicka con questi Scudi» borbottò il khajiit, frustrato, vedendo che ancora non riusciva ancora a generare uno Scudo sufficiente.

«Se vuoi un consiglio, cerca di essere meno "irruento"» disse Daric. «Ho l'impressione che buona parte del magicka che usi se ne vada disperso. Ricordati che ti stai difendendo, quindi la forza non serve. Devi proiettare il magicka davanti a te, con delicatezza, e manipolarlo per formare il tuo Scudo. Se usi la forza il tuo magicka viene spinto via e non riesce a potenziare lo Scudo in modo adeguato».

J'zargo ponderò il consiglio «Forse hai ragione» disse, «non è così facile come sembra».

«Vedrai che è solo questione di pratica».

«Giusto» il khajiit annuì con rinnovato vigore e convinzione «Continuiamo?»

Proseguirono con l'allenamento, ma quando Daric si accorse di non riuscire più a controllare bene il suo magicka, alzò una mano per fermare J'zargo.

«Io mi fermo qui, scusami» gli disse.

«Qualcosa non va?»

Daric scosse la testa «Sono solo stanco per il viaggio, tutto qui».

«Credo sia meglio che ci fermiamo tutti» intervenne Brelyna, «meglio non esagerare».

Furono tutti d'accordo nell'interrompere l'allenamento, visto che comunque l'avrebbero ripetuto il giorno dopo con Tolfdir. Nella Sala erano rimasti solo altri due apprendisti, che a quanto pare si stavano allenando a far levitare degli oggetti con la Telecinesi. Quando uscirono dalla Sala, videro che era scesa la notte.

«Caspita, non mi ero reso conto che fosse così tardi!» Esclamò Onmund.

«Io sì» disse Daric, poco prima di portarsi una mano alla bocca ed essere colto da un lungo sbadiglio.

«Lo vedo. Da quanto sei in viaggio?»

«Due giorni» rispose, massaggiandosi gli occhi stanchi.

«Sei partito da Cyrodiil e sei arrivato qui in due giorni?» fece Onmund, confuso.

«Non proprio. Sono qui a Skyrim già da qualche mese. Sarei dovuto venire qui sin da subito, ma ho avuto qualche... contrattempo».

«Lo credo bene, tra i draghi e la Guerra Civile l'ultimo periodo è stato difficile» disse Brelyna.

«Perlomeno il Sangue di Drago è riuscito a fermare Alduin» disse Onmund, quasi rabbrividendo a quel nome, «altrimenti non so in che situazione saremmo».

Daric sorrise. Tutte le volte che sentiva nominare il Sangue di Drago, si sentiva in imbarazzo. La verità era che non era abituato a questa fama, e probabilmente non lo sarebbe mai stato. Ora che il Sangue di Drago aveva assolto la sua missione, era opportuno che si ritirasse dalla scena, per questo evitava accuratamente di farsi riconoscere se poteva.

Entrarono nella Sala della Conquista, e furono accolti dal vociare allegro degli apprendisti. Era arrivata l'ora in cui praticamente tutti i membri dell'Accademia si ritiravano nei loro alloggi. Dal suono delle voci, si avvertiva che c'erano molte persone che chiacchieravano tra loro, però tutti sembravano parlare a mezza voce, quindi il brusìo di fondo era più che tollerabile. Visto che anche Mirabelle e Tolfdir alloggiavano in questa Sala, probabilmente nessuno ci teneva ad essere rimproverato.

«Mangiamo qualcosa?» propose J'zargo.

Onmund e Brelyna assentirono, e Daric si limitò a seguirli mentre si dirigevano in una delle stanze.

Essendo uscito di fretta, prima, Daric non aveva avuto occasione di esplorare l'edificio, quindi solo in quel momento scoprì che una delle stanze era adibita alla preparazione ed al consumo dei pasti. C'era un lungo tavolo in legno, affiancato da due panche per sedersi; alcune dispense erano allineate sulle pareti, cariche di cibo e vettovaglie; infine ad un angolo esterno, a destra dell'entrata, c'era una zona allestita per la cottura del cibo, con un caminetto e varie pentole e padelle.

Daric si avvicinò al caminetto, ma lo trovò spento, non c'era nulla in cottura.

«Non ci sperare troppo» gli disse Onmund, avvicinandosi. «Mi hanno detto che se vogliamo cucinare qualcosa siamo liberi di farlo, ma non c'è nessun cuoco che se ne occupa».

«Peccato» mugugnò, «non so cosa darei ora per un pasto caldo».

«Ti capisco» Onmund gli passò un braccio intorno alle spalle, con fare quasi consolatorio. «Vieni, ti faccio vedere cosa c'è da mangiare».

Lo guidò verso le dispense, dove stavano anche Brelyna e J'zargo, e Daric poté constatare che erano ben fornite. Vide pane, formaggio, pesce affumicato, anche della carne essiccata. C'era anche una discreta quantità di frutta e verdura fresca.

Tutti e quattro si servirono alle dispense, quindi si sederono insieme al tavolo.

Quando ebbero finito di mangiare, incominciarono a parlare tra loro dell'Accademia.

«Spero che inizieremo presto ad approfondire l'Evocazione, è quello che mi interessa di più» disse Brelyna.

«Telvanni fin nel midollo, eh?» scherzò Onmund. «A me interessa una preparazione più ampia, anche se meno approfondita».

«Come mai?» chiese Daric.

«Vorrei fare il mago di corte».

«Bah!» Fece J'zargo, scettico. «La magia non beneficia della politica, sappilo».

«Infatti non mi occuperei di politica» precisò Onmund, «mi occuperei sempre di magia, solo che lo farei al servizio di uno jarl».

«Saresti comunque limitato, non avresti piena libertà».

Onmund scrollò le spalle. «Se non altro avrò un po' di rispetto, cosa non facile per una mago a Skyrim».

«Non dovresti farti tarpare le ali dai pregiudizi» disse Brelyna, contrariata, «dovresti fare quello che più ti piace».

«Chi ha detto che non mi piacerebbe? A me piace rendermi utile» sorrise Onmund. «Ma quando si tratta di magia, la gente qui si fida solo dei guaritori e dei maghi di corte, purtroppo».

«Non credere che a Cyrodiil la situazione sia tanto migliore» interloquì Daric con tono cupo. «Il Sinodo ed il Collegio dei Sussurri stanno cercando da tempo di accaparrarsi il posto che un tempo apparteneva alla Gilda dei Maghi. Tra le loro beghe quelli che ci rimettono sono quelli come me, che vogliono semplicemente studiare la magia».

«Già, ho sentito che ti rendono la vita difficile se non sei affiliato ad una delle due».

Daric annuì. «Non immagini quanto».

«Tu di cosa ti occupi invece?» chiese Brelyna. «Ti stai specializzando in qualche cosa?»

«Ultimamente mi sto occupando di magia sperimentale» rispose Daric, in modo vago.

Gli altri tre rimasero in silenzio, guardandolo. Probabilmente stavano aspettando un'ulteriore spiegazione da parte sua e, vedendo che non arrivava, Onmund lo incalzò: «Non puoi dirci altro? Adesso ci hai incuriositi».

Daric sorrise a mo' di scusa, «Per il momento è meglio di no, vorrei prima assicurarmi che io non stia lavorando su qualcosa di troppo pericoloso».

Brelyna ridacchiò: «Non credo che "pericoloso" sia la parola più adatta per distogliere la curiosità» osservò.

«Vero! Ora J'zargo è ancora più curioso» disse il khajiit, imbronciato.

«La curiosità uccise il gatto» recitò Daric con un ghigno sinistro, e il volto di J'zargo si tramutò in una maschera di terrore.

Onmund, che in quel momento stava bevendo, per poco non si strozzò e incominciò a ridere e tossire. Brelyna, che era seduta accanto a J'zargo, gli mise una mano sulla spalla, nel tentativo di tranquillizzarlo, ma anche lei era in preda alle risate.

Forse non era la miglior battuta da dire ad un khajiit, ma non era riuscito a resistere. Non si era aspettato una reazione del genere, forse il povero J'zargo non sapeva cosa stava a significare quella frase.

«Ehi, stai tranquillo!» Gli disse Daric, sentendosi un po' colpevole. «È solo un modo di dire, non è una minaccia».

L'espressione di J'zargo passò dal terrorizzato, all'incredulo, e infine all'indispettito. «I vostri modi di dire sono inquietanti» disse, cercando di mantenere un contegno quasi da offeso; presto però si fece contagiare e iniziò a ridere anche lui: «Va bene» disse, «J'zargo si meritava una piccola vendetta da parte tua».

«Credimi, non era mia intenzione spaventarti» replicò Daric, «Pensavo si capisse che stessi scherzando».

«Mica tanto» disse Brelyna. «A giudicare dalla faccia che ha fatto, sembrava che gli avessi lanciato una maledizione mortale».

«Oh sì, è stata impagabile» disse Onmund, tenendosi una mano sulla pancia.

Continuarono a chiacchierare ancora per un po', fino a quando decisero di andarsene a letto.

A quanto pareva alloggiavano tutti al piano terra, quindi dopo un saluto ognuno si ritirò nella sua stanza.

Daric riuscì a malapena a spogliarsi e ad infilarsi sotto le lenzuola, prima di scivolare in un agognato sonno ristoratore.



Il giorno dopo, Daric si svegliò nel completo silenzio della Sala.

Si mise a sedere sul letto, rimanendo in ascolto per qualche secondo, ma riuscì a sentire solo il suono sommesso di qualcuno che russava.

Di solito si svegliava molto presto, ma a giudicare dal silenzio stavolta era più presto del solito.

Scese dal letto e si inginocchiò a terra. Senza pensarci portò una mano al petto, le dita si strinsero attorno al suo amuleto. Chinò il capo e chiuse gli occhi, avvicinando l'amuleto alla fronte. Le sue labbra si mossero, formulando parole silenziose di gratitudine e raccomandazione. Quando ebbe finito, si rialzò e si vestì. Rifece il letto e, ancora scalzo, vi si sedette sopra a gambe incrociate. Visto che nessuno era ancora sveglio, poteva approfittare del silenzio per fare il suo abituale esercizio di rilassamento mentale; chiuse gli occhi, rallentò il respiro e cercò di non pensare ad altro: solo all'aria che, in un ciclo, entrava e poi lentamente usciva.

Come al solito, non aveva cognizione del tempo che passava; solo quando si svegliarono un po' di persone, e il loro vociare si fece insistente alle sue orecchie, decise di smettere. Si diresse verso la stanza comune e si servì qualcosa da mangiare alle dispense. Mentre scrutava il tavolo in cerca di un posto per sedersi, riconobbe il compagno khajiit.

«Buongiorno» lo salutò, mentre si sedeva in un posto vuoto accanto a lui.

J'zargo sussultò, come se fosse stato sovrapensiero. «Buongiorno a te» replicò con un sorriso.

Daric vide che il piatto di J'zargo era ormai vuoto «Sei sveglio da molto tempo?» gli chiese.

Questi scosse il capo «Non molto». Poi disse: «J'zargo ti è molto grato per l'aiuto che hai dato ieri. Verrai anche oggi per la lezione, sì?»

«Credo di sì, devo prima parlare con una persona oggi» rispose, addentando poi una fetta di pane.

Cominciarono a parlare della lezione del giorno prima, J'zargo aveva alcune curiosità sul funzionamento degli Scudi, e Daric cercò di rispondergli come meglio poteva. Avrebbe dovuto dirgli di rivolgersi a Tolfdir per le domande, ma tutto sommato non gli pesava.

Dopo non molto tempo si unì a loro anche Onmund, e infine arrivò anche Brelyna. Quando tutti e quattro ebbero finito di mangiare, Daric si ricordò del suo impegno.

«Scusate, qualcuno di voi conosce Arniel Gane?» domandò.

«No, il nome mi è familiare, ma non lo conosco» disse Onmund.

J'zargo scosse la testa. «Mai sentito quel nome».

Dopotutto anche loro non erano lì all'Accademia da molto tempo, forse poteva chiedere a Mirabelle Ervine...

«Io lo conosco» disse invece Brelyna, «o perlomeno, so chi è» si corresse. «Mi ha parlato un paio di volte, chiedendomi di dare un'occhiata ad alcuni marchingegni nanici».

«Tu conosci la tecnologia dei nani?» fece Onmund, sorpreso.

«Certo che no» lei fece una smorfia. «Probabilmente ci sperava. Bah, come se tutti i dunmer fossero esperti di quella roba».

«Sai dov'è la sua stanza?» le domandò Daric.

«Sì, me lo ricordo. Devi salire al secondo piano, dalle scale la sua stanza è la prima a destra».

«Grazie» disse, alzandosi dalla panca. «Ci vediamo dopo» si congedò e quindi uscì dalla stanza.

Seguì le indicazioni di Brelyna, ed appena arrivato al secondo piano si affacciò alla stanza indicata. Vi trovò un uomo, chino su un tavolo ad esaminare uno strano contenitore, apparentemente costruito con il caratteristico metallo nanico.

«Chiedo scusa» esordì Daric.

Il mago sussultò e si voltò verso di lui «Sì?»

«Sto cercando Arniel Gane...»

«Sono io» disse l'uomo, «se hai qualcosa da dirmi ti prego di fare in fretta, sono molto occupato».

Mentre Daric entrava nella stanza, ebbe modo di osservare meglio il mago. Era un uomo probabilmente di cinquant'anni, con una calvizie estesa e dei pesanti cerchi neri attorno agli occhi.

«Mi chiamo Daric» si presentò. «Il mio maestro ti ha contattato da parte mia, tempo fa».

Arniel rimase spaesato per qualche secondo, al punto che Daric temette che si fosse scordato della lettera che gli era stata inviata; invece dopo non molto la sua espressione si accese «Ah sì, ora ricordo. Quindi tu sei l'allievo del vecchio Plinius?»

Daric annuì.

«Pensavo che non saresti più venuto, nell'ultima lettera c'era scritto che hai avuto dei contrattempi».

«Già, ma grazie ai Nove ne sono uscito vivo» lo disse con una leggera ironia, che Arniel ovviamente non poteva cogliere.

«Buon per te» Arniel incrociò le braccia e lo scrutò con interesse. «Dunque qual è il motivo per cui sei venuto da me? Vorresti ricordarmelo?»

«Certo, è molto semplice: avrei bisogno di alcune nozioni sulla magia tonale».

Arniel annuì. «Posso insegnarti quel che so, ma non è molto, sono gran lungi dall'essere un architetto tonale».

«Non importa, mi bastano le nozioni fondamentali» disse Daric, «mi occorrono soprattutto per capire se sono utili alla mia sperimentazione».

«Quale sperimentazione?» chiese una voce alle sue spalle.

Lo sguardo di Arniel si spostò sull'ignoto interlocutore, e la sua espressione mutò in una di disagio e timore. Daric si voltò e si trovò ad incrociare lo sguardo fiero ed altezzoso di un altmer, abbigliato con le vesti dei Thalmor.

«Quale sia non credo che ti riguardi» disse Daric in tono piatto. «Suppongo che tu sia Ancano, il consigliere dell'Arcimago».

«La tua supposizione è esatta, sei sveglio per essere un apprendista» disse l'elfo in modo quasi sprezzante. «Non serve che mi dica il tuo nome, lo so già. Scoprirai che ci sono ben poche cose di cui, prima o poi, non venga a conoscenza. Dico bene, Arniel?»

«N-non capisco cosa vuoi dire» balbettò Arniel nervosamente.

«Lo sai molto bene cosa voglio dire» replicò Ancano con una velata minaccia nella voce, poi si rivolse nuovamente a Daric: «Ti consiglio di assumere un atteggiamento diverso da quello del tuo collega, la reticenza non fa altro che alimentare sospetti».

Faralda gli aveva detto che Arniel era molto riservato sui suoi studi, probabilmente era a questo che si riferiva Ancano.

Daric alzò un sopracciglio. «Personalmente, penso che anche ficcare il naso dappertutto alimenti molti sospetti».

«Pensala come vuoi» replicò l'elfo, indifferente. «Per svolgere al meglio il mio compito devo essere a conoscenza di cosa succede qui».

«A quale "compito" ti riferisci? A quello di consigliere dell'Arcimago, o a quello di agente dei Thalmor?»

Ancano assottigliò gli occhi «Cosa vorresti insinuare?»

«Nulla» rispose Daric, con un sorriso amabile «ma, giusto ieri, mi è stato detto che la condivisione della conoscenza qui è a discrezione di ciascuno».

«Conosco bene le regole e-»

«E le stai ignorando» una voce femminile interruppe Ancano. Subito dopo, Mirabelle Ervine entrò nella stanza, un'espressione irritata sul viso. Stavolta fu il turno di Ancano a mostrarsi a disagio.

«Vieni con me» disse ad Ancano, con un tono che non ammetteva repliche, ed uscì.

L'elfo la seguì con riluttanza, ed Arniel e Daric si scambiarono uno sguardo perplesso. Dopo qualche secondo si sentì Mirabelle parlare dalla stanza attigua.

«Credevo di essere stata chiara, giorni fa» disse lei «Smettila di infastidire le persone in questo modo».

«Ti assicuro che non è mia intenzione» si sentì replicare l'elfo, con un forzato tono cortese. «Voglio solo assicurarmi che sia tutelata la sicurezza di tutti».

«I tuoi interrogatori sono indebiti» disse Mirabelle seccamente. «Non sta a te controllare, è compito mio e degli insegnanti. Qui non sei nell'Impero o nel Dominio, sei un ospite, e l'Arcimago si aspetta che ti comporti come tale. Non prenderti più autorità che non ti competono, sono stata chiara?»

«Sì, certamente» fu la replica asciutta dell'elfo. «Sarò fedele al mio ruolo».

«Molto bene, penso non ci sia altro da aggiungere» Mirabelle concluse la conversazione. Dopo poco la donna rientrò nella stanza, si rivolse ad Arniel: «Ero venuta ad avvisarti che c'era qualcuno che ti cercava, dato che ieri non ho avuto tempo, ma a quanto pare non c'è più bisogno» disse, lanciando un'occhiata a Daric. «Mi auguro che non ci saranno ulteriori problemi. Buona giornata a voi».

«Altrettanto a te, Mirabelle, ti ringrazio» disse Arniel, quindi la donna annuì e se andò.

«Quel Thalmor!» Sbottò Arniel, «fa troppe domande, c'è sotto qualcosa secondo me. Ma non riuscirà a rubare le mie ricerche, questo è sicuro».

Poi, vedendo che Daric era rimasto a fissare l'ingresso della stanza, gli chiese: «Ehi, stai bene?»

Il ragazzo sospirò, estatico. «Sì, è solo che... all'improvviso credo di amare quella donna».





Angolino noioso delle spiegazioni: come avrete notato, non ho seguito in modo pedissequo l'ambientazione di gioco. Questo perché in un gioco, per motivi tecnici, si adottano alcune semplificazioni, che però fuori dal contesto del gioco hanno poco senso. Ad esempio, ha senso che Faralda se ne stia tutto il tempo in piedi, al gelo, davanti all'ingresso dell'Accademia ad accogliere i visitatori? Per me no, quindi mi sono inventato quella specie di "campanello magico". Altro esempio: è normale che l'Accademia sia così piccola ed abbia così pochi studenti? Io ho voluto ingrandirla un po', e popolarla con altri studenti. Un'altra licenza che mi sono preso riguarda l'ingresso all'Accademia; nel gioco, durante la main quest si è praticamente costretti a diventare un membro dell'Accademia, solo perché si ha bisogno di informazioni sulle Antiche Pergamene; per me ha più senso che una persona possa visitare l'Accademia, magari solo per consultare la biblioteca, senza necessariamente diventarne un membro. Di licenze ce sono anche altre, ma non starò qui a spiegarle tutte, perciò se trovate qualcosa che non vi convince scrivetemelo pure.

Anche in questo capitolo si conosce qualcosa di più sul Sangue di Drago, ma in un'atmosfera molto più leggera. Spero che vi abbia convinto la mia interpretazione dei personaggi dell'Accademia, dato che sono tra quelli a cui sono più affezionato.

Vi avviso anche che ho pubblicato la seconda "versione" del primo capitolo, che contiene un'aggiunta di circa 500 parole. Se non avete voglia di rileggerlo tutto, scorrete fino all'inizio del consiglio di pace. Se vi va, fatemi anche sapere come vi è sembrata la modifica.

Ciao e alla prossima :)

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Capitolo 3
*** Dragon Rising ***


Quello zaino pesava, troppo. Daric cercò di sistemarselo meglio sulle spalle, per alleviare il fastidio, ma era una battaglia persa. Per fortuna era arrivato a Whiterun, e presto si sarebbe liberato di quel fardello. Mentre passava davanti alle scuderie della città, pensò tra sé che se fosse riuscito a superare la sua paura di salire in groppa ad un cavallo, si sarebbe potuto risparmiare parecchia fatica. In realtà c'era anche da considerare il problema che nella situazione attuale non poteva permettersi di comprare e mantenere un cavallo, e tutto sommato sarebbe stata anche una spesa inutile. Una volta che avesse consegnato quello che portava nello zaino si sarebbe diretto subito all'Accademia di Winterhold, dove si sarebbe fermato per qualche tempo. Non aveva intenzione di viaggiare per Skyrim più del necessario, o almeno, non nella situazione che si era sviluppata di recente. Già una volta aveva rischiato di rimetterci la testa, letteralmente, e non voleva tentare ancora la sorte.

Risalito il pendio arrivò all'ingresso di Whiterun, e dopo aver lanciato uno sguardo cauto alle due guardie, attraversò le porte.

Whiterun appariva subito come una città movimentata e vivace. Trovandosi al centro di Skyrim, serviva come snodo per quasi tutte le rotte commerciali, oltre ad essere un punto di riferimento anche per i viaggiatori.

Non avendo visitato nessun altra delle città di Skyrim non aveva modo di fare paragoni, ma Whiterun sembrava davvero una bella città, elegante e ben curata. Solo ora che vi ritornava per la seconda volta, si rese conto di quanto lo stile architettonico degli edifici gli ricordasse quello di Bruma. Non si stupì più di tanto, considerato che Bruma era una città con una lunga e prevalente tradizione nordica.

A differenza di Bruma, però, la gente lì non sembrava abituata alla vista di persone abbigliate con delle vesti da mago. Aveva sentito della diffidenza dei nord nei confronti della magia, tuttavia gran parte degli sguardi che gli venivano rivolti sembravano solo curiosi. Forse dipendeva dalla città, alcune erano più tolleranti, altre meno.

Arrivato al mercato, si fermò un momento per osservare il viavai di persone, un sorriso accennato sulle labbra. Era rincuorante vedere che almeno certe cose non cambiavano.

Continuò a risalire Whiterun, diretto al palazzo dello jarl. Di nuovo fu impressionato dalla sua maestosità, e al tempo stesso dalla sua "leggerezza". Il palazzo aveva una forma alta e slanciata che, unita alla sua posizione predominante, lo rendeva visibile da ogni angolo di Whiterun.

Una volta entrati, non si poteva non rimanere meravigliati dal magistrale lavoro di carpenteria che sosteneva le due grandi volte, che incombevano imponenti sulla grande sala del palazzo. L'aspetto austero e solenne contribuiva ad aumentare il senso di gravità che, assieme all'odore del legno stagionato, sembrava aleggiasse in quel posto.

Daric percorse la sala tra le occhiate delle guardie e della servitù, e si diresse verso le stanze di Farengar Fuoco-Segreto, il mago di corte. Quando entrò nel suo studio, lo trovò intento a conversare con una donna, vestita con un'armatura di cuoio e con un cappuccio che le nascondeva il volto. Tutti e due erano chini sul tavolo ad esaminare un libro.

«Non abbiamo molto tempo. Non stiamo parlando più di mere teorie, i draghi sono tornati» disse la donna.

«Lo so, lo so. Non temere. Per fortuna lo jarl si è interessato alla faccenda, perciò posso dedicargli molto più tempo. Spero di avere presto l'occasione di esaminare un drago vivo, sarebbe terribilmente intrigante» replicò Farengar. «Ora c'è un altro passaggio che vorrei mostrarti...» disse, sfogliando il libro.

«C'è qualcuno che ti aspetta, Farengar» disse la donna, impassibile, senza nemmeno alzare lo sguardo.

Il mago alzò lo sguardo e si accorse di Daric. «Ah, il collaboratore dello jarl. Già di ritorno dal Tumulo delle Cascate Tristi? A quanto sembra non sei morto» osservò Farengar con ironia.

«Non lo sono?» disse Daric simulando stupore, e si tastò il petto e l'addome, come ad assicurarsi che non ci fossero ferite mortali. «Sembra di no».

«Anche il senso dell'umorismo! E dimmi, hai trovato quello che ti avevo chiesto?»

«Guarda tu stesso».

Sollevato, Daric poté sfilarsi quel pesante zaino dalle spalle, per posarlo con delicatezza sul tavolo. Farengar non perse tempo ed aprì lo zaino, da cui estrasse una tavoletta di pietra incisa.

«Sì, questa è la Pietra del Drago!» disse, compiaciuto. «Sono sorpreso, a quanto pare stavolta lo jarl mi ha mandato qualcuno competente. Ti ringrazio, anche a nome della mia... socia» indicò la donna con un cenno del capo. «È stata lei a scoprirne la posizione, anche se non vuole dirmi come».

«Quindi sei stato tu a recuperarla dal Tumulo? Notevole» disse lei.

Nonostante il volto fosse oscurato dal cappuccio, Daric ebbe la sensazione di aver già incontrato quella donna. Tuttavia decise di non indagare, non voleva sembrare inopportuno.

«Lieto di essere stato d'aiuto» sorrise Daric. «Immagino che il mio lavoro sia giunto al termine».

«Sì, ora inizia il mio» disse Farengar, posando la Pietra del Drago sul tavolo. «Grazie ancora, puoi parlare con lo jarl per la tua ricompensa».

Non che Daric ci tenesse ad avere una ricompensa, ma visto che si era preso l'incomodo di esplorare una rovina piena di trappole, banditi e non morti - e soprattutto, con un ragno gigante - forse non era venale aspettarsene una.

Daric riprese il suo zaino, e augurò buon lavoro al mago di corte. Quando fece per uscire dallo studio, quasi si scontrò con una dunmer. L'elfa era armata fino ai denti, ed esibiva un'espressione molto tesa. Daric la riconobbe subito: era il fedele huscarlo dello jarl di Whiterun.

«Grazie ad Azura sei ancora qui» gli disse, quando lo riconobbe. «Abbiamo bisogno del tuo aiuto».

«Di nuovo? Per cosa?» Daric non fu per niente rassicurato dal suo tono urgente.

Lei sembrò ignorare la sua domanda «Ehi, Farengar!» Chiamò ad alta voce. «C'è bisogno anche di te, è stato avvistato un drago non molto lontano da qui».

Daric sentì una stretta allo stomaco. Possibile che fosse lo stesso di Helgen?

Farengar, d'altra parte, sembrò eccitato dalla notizia. «Davvero?» fece, e si affrettò ad unirsi a loro.

L'huscarlo sbuffò all'entusiasmo di Farengar. «Seguitemi» disse. Guidò entrambi fuori dallo studio e salirono per una scalinata in pietra. Arrivarono in una sala che, a giudicare dall'aspetto, sembrava adibita alla pianificazione tattica e militare. Su un tavolo facevano mostra due grandi mappe di Skyrim, di cui una punteggiata da numerosi segnalini rossi e blu.

Nella sala trovarono jarl Balgruuf, accanto ad un uomo della guardia di Whiterun che era piegato in avanti, mani sulle ginocchia, e respirava pesantemente. Quando vide arrivare il suo huscarlo, accompagnata da Daric e Farengar, lo jarl si rivolse alla guardia: «Allora soldato, va meglio ora?»

«Sì signore» rispose quello, e dopo un altro profondo respiro risollevò il busto e si portò il pugno al petto.

«Potresti ripetermi quello che hai detto ad Irileth?» chiese Balgruuf, con tono comprensivo ma urgente.

«Certo, signore» rispose prontamente la guardia. «Ero alla torre di osservazione ad ovest, con gli altri della mia squadra. Ad un certo punto abbiamo sentito le vedette dare l'allarme, urlavano che un drago si stava avvicinando da sud, a grande velocità. Sapevamo tutti quello che è successo a Helgen, quindi non abbiamo dubitato per un secondo. Mi è stato ordinato di avvisare la città, ma non appena sono uscito dalla torre ho sentito un ruggito, e ho temuto che mi attaccasse. Non mi sono voltato indietro, ho corso più veloce che potevo».

«Hai agito bene, ragazzo» disse lo jarl, poggiandogli una mano sulla spalla. «Puoi andare a riposarti ora, te lo sei meritato».

La guardia ringraziò, e dopo che ebbe lasciato la sala, la dunmer si rivolse a Balgruuf: «Ho già radunato un gruppo di uomini, una tua parola e li guiderò io stessa alla torre».

Balgruuf ponderò con un'espressione cupa. «Va bene. Mi affido a te, Irileth».

«Mio jarl,» intervenne Farengar, «lascia che vada anch'io. Per me sarebbe l'occasione perfetta per studiare un drago dal vivo».

«E l'occasione perfetta per farsi ammazzare» commentò Irileth.

Farengar le rivolse un'occhiataccia, ma prima che replicasse fu anticipato da Balgruuf: «Irileth ha ragione, e non posso rischiare di perdervi entrambi. Ho bisogno che tu rimanga a fare il tuo lavoro qui, Farengar».

Il mago di corte aprì la bocca per replicare, ma subito ci ripensò. «Come desideri, mio jarl» acconsentì, rassegnato.

Balgruuf annuì, soddisfatto, e si rivolse a Daric, che fino a quel momento aveva atteso in paziente silenzio.

«Ho saputo che hai ritrovato quell'antica tavola per Farengar».

«Sì, signore» rispose Daric.

«Non mancherò di ricompensarti, non temere. Purtroppo la situazione è grave, c'è un drago che minaccia il mio feudo, quindi mi dispiace tagliare corto i convenevoli, ma ho ancora bisogno del tuo aiuto».

«Il mio aiuto?» Fece Daric, perplesso. «Cosa posso fare io?»

«Non è ovvio?» Intervenne Irileth. «Qui tra noi, sei quello che ha più esperienza riguardo ai draghi».

«Esatto» continuò Balgruuf. «Ho bisogno che tu accompagni Irileth, e che la consigli sul metodo più efficace per affrontare quel drago».

«Esperienza? Quale esperienza?» Farfugliò Daric, allibito. Se la situazione non fosse stata così grave, gli sarebbe venuto da ridere. «Non sono mica uno di quegli antichi cacciadraghi akaviri, quindi quali consigli volete che abbia? Sono solo sopravvissuto all'attacco di un drago!»

«Ti sembra poco?» Fece l'huscarlo, quasi spazientita.

«Forse no, ma non mi sembra abbastanza per maturare un'esperienza utile! Per quello che vale, anche il soldato che era qui poco fa è sopravvissuto all'attacco di un drago, e davvero pensate che lui avrebbe consigli da darvi?»

«La situazione è urgente e non abbiamo altri a cui rivolgerci» disse Balgruuf, senza mezzi termini. «Anche il più piccolo aiuto potrebbe essere fondamentale, e non voglio tralasciare nessuna possibilità. Il fatto che tu sia riuscito a recuperare quella tavola dimostra che non sei certo uno sprovveduto, e a me non serve un cacciatore di draghi, mi serve qualcuno che aiuti i miei uomini a non finire massacrati inutilmente».

Brutale onestà. Daric non poté non empatizzare con quell'uomo, che stava cercando in tutti i modi di proteggere la sua gente, compresi i suoi soldati.

«D'accordo, andrò anch'io» disse infine. «Farò quello che posso per rendermi utile».

«Ti ringrazio» disse lo jarl, per poi rivolgersi al suo huscarlo: «Non voglio atti d'eroismo, sia chiaro. A me serve che torniate vivi, mi sono spiegato?»

«Sì, mio jarl» rispose lei. «Non ti preoccupare, non ci tengo a morire in modo stupido».

«Cercate di raccogliere il maggior numero di informazioni e, se potete, riportate qualche... pezzetto del drago per Farengar» aggiunse Balgruuf, con un mezzo ghigno.

A quelle parole, il mago fece la stessa espressione di un bambino alla promessa di un giocattolo, e ringraziò profusamente lo jarl.

«Bene» concluse questi. «Ora andate, prima che quella bestia decida di attaccare la città.»

Daric seguì Irileth fuori dal palazzo, con mille pensieri che si agitavano nella sua testa. Quando arrivarono nel distretto inferiore della città, l'insegna di una bottega catturò la sua attenzione.

«Irileth!» Daric chiamò l'huscarlo, che procedeva davanti a passo spedito. Quando lei si fermò e si voltò verso di lui, Daric le indicò la bottega. «Devo comprare alcune cose» le disse.

Lei guardò l'insegna e, riconoscendola, annuì. «Ti aspetto alla porta d'ingresso, cerca di fare in fretta» gli disse, prima di riprendere a camminare.

Daric entrò nel negozio, e lo trovò proprio come se l'aspettava: pieno di ingredienti e prodotti alchemici.

«Benvenuto!» fu salutato dalla proprietaria, una donna imperiale di mezza età. «Tutto quello che vedi è in vendita, non esitare a chiedere se hai bisogno».

«In effetti...» Daric si avvicinò al bancone. «Purtroppo ho il tempo contato, quindi mi servirebbe un aiuto. Hai delle foglie di aloe?»

«Ah, mio caro» disse la donna, con un'espressione nostalgica. «Non vedo una pianta di aloe da vent'anni, da quando mi sono trasferita da Cyrodiil. Una pianta dalle molte virtù, ma purtroppo a Skyrim non cresce. Di rado mi arriva da qualche mercante viaggiatore, ma con questa guerra in corso ne vedo sempre meno».

«Un vero peccato» mormorò Daric. Cercò di pensare ad una valida alternativa, guardando gli scaffali. «Forse...»

Daric uscì poco dopo dalla bottega, con un po' di oro in meno ma con qualche sicurezza in più per un eventuale scontro con quel drago. Si affrettò a raggiungere le porte della città e si riunì con Irileth, che stava parlando ad un gruppo di guardie. Giunse proprio sulla fine di un discorso di incoraggiamento.

«Non sappiamo fino in fondo cosa ci aspetta» disse Irileth, «ma sappiamo cosa è successo ad Helgen, quindi lasciate che vi dica questo: noi potremmo essere i primi, dopo secoli, ad uccidere un drago. Pensate solo a questo e scacciate la paura, perché questa impresa entrerà nella storia e nelle canzoni degli anni a venire! Siete con me?»

Irileth urlò l'ultima frase, e il gruppo di soldati proruppe in un coro di approvazione.

«Per Skyrim! Per Whiterun! Per lo jarl!» urlò ancora Irileth, imitata subito dopo dai soldati.

Quando Daric si avvicinò, gli chiese: «Sei pronto?»

«Ora sì».

«Bene» disse, prima di rivolgersi di nuovo ai suoi uomini. «Ascoltate, lui è un sopravvissuto dell'attacco ad Helgen» ed indicò Daric, «ci aiuterà come può nel caso dovessimo affrontare quel drago. Se non avete domande, possiamo metterci in marcia».

Ci fu qualche mormorio, ma nessuna domanda. Mentre il drappello usciva dalle porte della città, Daric poté notare che ognuno di loro era equipaggiato con arco e frecce. Nemmeno Irileth era una sprovveduta.

Non appena la strada si aprì alla vista della pianura di Whiterun, una colonna di fumo catturò l'attenzione dell'intero gruppo. Le volute nere si levavano da una torre di guardia, un cupo presagio di ciò che li stava aspettando.

Daric, che procedeva in testa accanto ad Irileth, le domandò: «È quella la torre?»

«Purtroppo sì» rispose lei, e invitò tutti ad accelerare il passo.

Mano a mano che si avvicinavano, Daric continuava a lanciare occhiate alla torre e ai dintorni, ma nessun drago sembrava essere visibile. Quasi cominciò a sperare che quella creatura se ne fosse già andata. Un pensiero poco nobile, ma non si sarebbe vergognato nel dire che in quel momento avrebbe preferito correre nella direzione opposta.

Era inquietante il tempismo con cui questo drago decideva i suoi attacchi. La prima volta, se fosse arrivato un istante dopo, Daric sarebbe morto decapitato. Questa volta, se fosse arrivato un istante dopo, Daric se ne sarebbe andato da Whiterun senza essere coinvolto in questa faccenda.

Se fosse stato paranoico, avrebbe pensato che quel drago lo stesse perseguitando.

Arrivarono in prossimità della torre, e poterono rendersi conto dell'entità dell'attacco. A terra alcuni focolai stavano consumando macchie di vegetazione spontanea e alcuni cumuli di materiali non più riconoscibili, mentre dalla torre alcune finestre eruttavano fumo e ceneri. L'odore acre di bruciato permeava l'aria, ed aveva un retrogusto sinistro che soffocava il respiro. A parte questo quadro devastato, il drago ancora non si palesava.

«Non mi piace questa calma» disse Irileth, a mezza voce. «Ascoltate, per prima cosa cerchiamo i sopravvissuti e prestiamo loro soccorso. Fate attenzione e state all'erta».

I soldati si divisero e iniziarono a perlustrare la zona, subito seguiti da Irileth.

Daric preferì dirigersi subito alla torre. Di sicuro i sopravvissuti si erano riparati all'interno, e se c'erano dei feriti poteva aiutarli.

A giudicare dall'aspetto attuale, quella torre un tempo era stata costruita assieme ad una piccola cinta di mura, che racchiudevano un cortile interno. Le mura erano in completo abbandono, forse erano state in parte riutilizzate come materiale per la manutenzione della torre.

Per entrare nell'edificio dovette quasi arrampicarsi su un troncone mezzo crollato delle mura. Indugiò sulla soglia, per quello che riusciva a vedere all'interno non c'era anima viva, e neanche morta. Sulla parete in fondo spiccava una grosso alone nero, e parte del mobilio era bruciato.

«C'è qualcuno?» Chiamò con prudenza.

«Chi va là?» fu la risposta che gli arrivò. «Entra e fatti vedere!» comandò bruscamente quella voce.

Daric entrò, cauto, e alla destra si trovò una guardia con la spada sguainata. Alla sinistra vide che ce n'erano altre due, sedute a terra, in condizioni non proprio ottimali. Dopo averlo squadrato, la guardia rilassò un poco la postura «Sei un viaggiatore? Non dovresti essere qua, questo posto è stato appena attaccato e stiamo aspettando i rinforzi».

«I rinforzi sono arrivati» gli disse. «Irileth è qui fuori, immagino che vorrai parlarle».

La guardia non se lo fece ripetere due volte e subito si precipitò fuori.

Daric invece si avvicinò ai due soldati feriti e si inginocchiò davanti a loro. Il primo aveva un'ustione sul braccio destro, dalla mano fino al gomito. Questi alzò lo sguardo, «Sono arrivati i rinforzi?» chiese a Daric, con la voce tesa dal dolore.

«Sì, il vostro compagno è riuscito a portare l'allarme a Whiterun».

Il soldato annuì, «Vorrei andare anch'io, ma con il braccio ridotto così non riesco nemmeno ad impugnare la spada».

«Forse posso fare qualcosa, porgimi il braccio».

Gli porse il braccio, e Daric vi avvicinò le sue mani.

«Non ti serve un unguento?» domandò la guardia.

Daric non rispose, invece evocò una debolissima magia del gelo e la diffuse sulla pelle ustionata. La guardia sospirò, sollevata.

«Tieni il braccio fermo ancora un po'» gli disse, quindi evocò una magia curativa. Le lesioni scomparvero in breve tempo, e la pelle ritornò sana.

«Come va adesso?» gli chiese. Il soldato osservò il braccio, sfiorando la pelle con l'altra mano. Infine provò ad aprire e chiudere le dita della mano appena guarita «È tornato come nuovo» disse, quasi ridendo per il sollievo. «Sei un nuovo guaritore del Tempio? Non ti ho mai visto prima».

«No, sono a Whiterun solo di passaggio. Sto assistendo lo jarl in alcune faccende, mi ha chiesto lui di venire qui».

«Davvero?» fece l'altro, sorpreso. «Se è così, devo dire che lo jarl ci ha visto giusto. Grazie per l'aiuto, quella bruciatura faceva davvero male».

«Di nulla, sono qui apposta» Daric sorrise imbarazzato. In realtà non era lì per fare il guaritore, ma non ci teneva affatto a puntualizzarlo.

«Quindi non ti dispiace se ti chiedo di rimettere in sesto anche il mio compagno?» gli chiese il soldato a bassa voce, indicando l'altra guardia seduta poco lontano da lui. «Scommetto che ora si sta trattenendo dal chiederlo, perché vuole fare il duro che soffre in silenzio».

«Certo, posso provarci».

«Ehi, Gunnar! Hai sentito?» disse al suo compagno. «Lo jarl ha mandato un guaritore! Ora non avrai più scuse per battere la fiacca, fra poco si torna in azione».

«Invece tu ti stai ammazzando di fatica...» rispose Gunnar, a tono con la provocazione scherzosa del compagno, ma con una voce flebile ed affaticata.

Daric gli si avvicinò, accompagnato dall'altro soldato. «Coraggio, fagli vedere le braccia» gli disse quest'ultimo.

Gunnar obbedì senza fiatare, e con gran fatica sollevò le braccia, mostrandogli le sue ferite. Daric sibilò a denti stretti, si sentì male solo a guardarle. Sulla parte esterna degli avambracci, fino al dorsi delle mani, la pelle era diventata bianco-brunastra, e aveva lo stesso aspetto del cuoio. Era un'ustione grave, e la parte colpita faceva pensare che il soldato si fosse fatto scudo con le braccia da una fiammata.

«Come ti senti?» gli domandò.

«Mi gira la testa... e mi sento stanco...» mormorò Gunnar.

«E alle braccia, cosa senti?»

«Niente... non sento più niente...».

Daric annuì, cupo. Era come sospettava.

«È grave?» gli domandò preoccupato il compagno a bassa voce, per non farsi sentire da Gunnar. «Fino a poco tempo fa non stava così male, a parte le ustioni».

«È uno stato di malessere che insorge dopo ustioni gravi» spiegò Daric. «È stato il drago, vero?»

«Sì, ci ha attaccati a sorpresa. Gunnar è stato atterrato e non è riuscito a fuggire in tempo, per fortuna la fiammata non l'ha investito in pieno».

«È stato molto fortunato, ma bisogna intervenire in fretta, altrimenti rischia un collasso. Ho bisogno di bende e di una ciotola».

Il soldato si allontanò subito per procurargli quanto chiesto.

Daric tornò a rivolgersi a Gunnar: «Adesso ti darò una pozione da bere, ma prima devo toglierti l'elmo. Va bene?»

Lui annuì, quindi Daric afferrò l'elmo e con delicatezza lo tirò verso l'alto, sfilandolo. Il viso di Gunnar era quello di un giovane nord, forse anche più giovane di Daric. I suoi occhi chiari erano velati dalla sofferenza, e i lunghi capelli castani si erano attaccati al viso madido di sudore.

Daric aprì la sua tracolla e vi estrasse un'ampolla rossa. Con qualche accortezza, riuscì a fargli bere la pozione.

«Bravo» gli disse. «Vedrai, fra poco ti sentirai meglio».

Gunnar deglutì e distolse lo sguardo. «Dimmi sinceramente» esordì, la voce spinta indietro dall'orlo del pianto, «Dovranno amputarmi le braccia?»

Daric ebbe una stretta al cuore.

«No!» si affrettò a rispondere. «Credimi, ho visto di peggio» gli disse, cercando di suonare rassicurante. «Le tue braccia torneranno com'erano, ci vorrà solo qualche giorno».

Gunnar lo guardò negli occhi, sorpreso e sollevato, poi gli sorrise, «Grazie».

Dopo poco l'altro soldato tornò con due rotoli di bende ed una ciotola di legno, e Daric poté mettersi al lavoro. Nella ciotola versò ad uno ad uno gli ingredienti, pescandoli dalla tracolla: da una bottiglietta versò una quantità d'olio, poi da un sacchetto di cuoio aggiunse una manciata di polvere color acquamarina, infine da una fiala stillò due gocce di un liquido denso e scuro. Mescolò il preparato con una spatola, e intorno si diffuse un aroma dolce ed erbaceo.

«Lavanda?» chiese l'altro soldato, inginocchiato vicino al suo compagno.

«Esatto» rispose Daric. «Di norma avrei preferito l'aloe per una bruciatura, ma anche l'essenza di lavanda fa il suo dovere» commentò, mentre spalmava l'unguento sulla pelle.

«Già» mormorò Gunnar con un sorriso nostalgico, «Me lo diceva anche mia nonna».

Poco dopo, alcuni uomini dei rinforzi entrarono nella torre con dei secchi colmi d'acqua, diretti ai piani superiori. Entrò anche Irileth, e si affiancò a Daric, osservando in silenzio.

Finita l'applicazione, Daric avvicinò le mani alle ferite ed evocò di nuovo una magia curativa. Stavolta la pelle non guarì, ma la polvere che aveva aggiunto all'unguento iniziò a brillare appena.

«Che cosa...?» esclamò stupefatto Gunnar, ritirando d'istinto le braccia. La proverbiale diffidenza dei nord verso la magia era riaffiorata.

«Stai tranquillo» gli disse Daric, paziente. «È un rimedio che ho usato altre volte, è perfettamente sicuro».

Per qualche istante Gunnar sembrò indeciso tra il rischiare di perdere le braccia ed il rischiare di fidarsi di una magia sconosciuta, ma alla fine, con un po' di riluttanza porse di nuovo le braccia a Daric per fargliele bendare.

«Non avevo mai visto un unguento così... particolare» commentò l'altro soldato, quasi affascinato.

«Non mi stupisce» disse Daric. «È una mia invenzione, lo usai per la prima volta per guarire la mano di un fabbro, che si era procurato un'ustione simile alla tua».

«Ed è guarito?»

«Certo, è tornato a fare il suo mestiere come prima» sorrise Daric.

«Ora ascolta bene» gli disse, quando ebbe finito di bendarlo, «Ovviamente dovrai stare a riposo. Dovrai tenere le bende per almeno cinque giorni, poi potrai toglierle e lavare via quello che resta dell'unguento. Quando la pelle sarà quasi guarita sentirai prurito e formicolio, ma dovrai evitare di grattarti» poi, dopo averci pensato un attimo, aggiunse «Anzi, evita in ogni caso di toccarti, altrimenti potrebbero restare delle cicatrici. Tutto chiaro?»

«Credo di sì».

Grazie alla pozione Gunnar aveva recuperato un colorito più sano, e non sembrava più sul punto di svenire. Daric si rivolse ad Irileth: «Sarebbe meglio che il suo compagno rimanesse con lui, per sicurezza».

«Va bene, mi fido del tuo parere» rispose lei. «Rimarrai con lui, d'accordo?» ordinò al compagno di Gunnar.

«Sì, signora».

Uscirono dalla torre e tornarono nel cortile, dove i soldati stavano spegnendo gli ultimi focolai.

«Avete trovato altri feriti?» le chiese Daric.

La dunmer scosse la testa. «Nessun altro ferito. Ci sono stati due morti, abbiamo trovato i corpi carbonizzati».

Fu in quel momento che Daric riconobbe quel retrogusto nauseante nel fumo: era l'odore della carne bruciata. Mormorò una preghiera ad Arkay per i due caduti, vittime di una morte così atroce. Non fece in tempo a finirla, che una voce dall'alto attirò la loro attenzione.

«Il drago sta tornando! Da sud!» Gridò una guardia dalla cima della torre.

«Me lo sentivo!» sibilò Irileth, per poi gridare agli altri: «Preparatevi all'attacco! Trovatevi un riparo e sfoderate gli archi, che ogni freccia sia un colpo a segno!»

I soldati reagirono con ammirevole disciplina, nonostante il ruggito terrificante che giunse poco dopo. Qualcuno si riparò dietro gli speroni del muro semicrollato, qualcuno entrò nella torre ed affacciò l'arco dalle feritoie. Per Daric, d'altro canto, sentire quel verso fu come rivivere un incubo. Non potevano bastare pochi giorni per affievolire il ricordo della devastazione di Helgen: le urla, le fiamme e il terrore incombente della morte.

«Sei pronto?» gli chiese la dunmer, i palmi delle mani già crepitanti di elettricità.

Daric annuì, risoluto.

La belva arrivò, come preannunciato, da sud. Oscurò il sole per un momento, come una nube passeggera, ma invece dell'acqua piovve il fuoco.

Daric fece appena in tempo a ripararsi, assieme ad Irileth, dietro una sporgenza del muro. Appena le fiamme passarono, uscirono allo scoperto. Il drago stava tornando indietro, quindi passarono al contrattacco. Le frecce cominciarono a sibilare nell'aria, mentre Irileth fece saettare le sue scariche elettriche. Daric non aveva idea se i draghi avessero particolari debolezze elementali, quindi tanto valeva che usasse il suo elemento preferito. Attinse al suo magicka e condensò nell'aria un dardo di ghiaccio, quindi lo scagliò verso il drago.

Molti delle offensive andarono a segno, ma il drago non sembrò accusare il danno. Fu quando questo ritornò per attaccare, che Daric si rese conto di un fatto lampante.

«Non è lo stesso!» disse ad Irileth, concitato.

«Di cosa stai parlando?»

«Del drago! Non è lo stesso che ha attaccato Helgen, questo è diverso!» Non poteva sbagliarsi, la creatura che aveva visto ad Helgen era nera come la notte, questa invece sembrava avere le scaglie forgiate nel bronzo.

«Allora speriamo che non arrivi anche l'altro» replicò lei, digrignando i denti e lanciando un'altra scarica.

A breve, i focolai tornarono ad ardere in più punti, ma per fortuna il fumo veniva subito disperso dalla grande mole d'aria che il drago spostava con le ali possenti. Nonostante la creatura fosse attaccata da più direzioni, rimaneva ad un livello superiore nello scontro. Scovava in modo sistematico i suoi avversari, e li spingeva alla fuga o a desistere. Si contavano già i primi feriti.

«Dobbiamo costringerlo ad atterrare» mormorò Daric.

Proprio in quel momento, il drago aveva appena cercato di disfarsi del soldato in cima alla torre, che per un soffio era riuscito a sfuggire ai suoi artigli. La belva tornò all'attacco, ma stavolta si fermò a mezz'aria. Fu in quel momento che a Daric balenò un'idea.

Evocò un altro dardo di ghiaccio, e mentre il drago reclinava il collo serpentino e spalancava le fauci, lo scagliò con tutta la forza.

Il dardo si inchiodò sull'ala destra, ed il getto di fuoco del drago fu subito spento da un ruggito irritato. La belva quasi precipitò, ma con fatica riprese quota e tornò a volare.

«Hai avuto una buona idea» gli disse Irileth, per poi gridare agli altri: «Mirate alle ali!»

La soddisfazione di Daric ebbe vita breve, perché il drago puntò dritto verso di lui. Atterrò in cima al muro usato come riparo e, per la sorpresa di tutti, parlò:

«Nos kinzon[1], hai guadagnato la mia attenzione, mortale».

Daric rimase paralizzato, da un'egual misura di meraviglia e terrore. In quel momento, in cui si trovò a fissare la creatura negli occhi, si sentì come un topolino al cospetto di un falco, e gli istanti parvero dilatarsi.

«Yol...»

Intuì quello che stava per succedere, ma i suoi piedi erano incollati al suolo. Non poteva muoversi.

«Toor...»

Solo in quel momento si rese conto che il drago pronunciava delle parole prima di soffiare il suo getto di fuoco, da lontano li aveva scambiati per semplici ruggiti. Chissà se avevano un significato?

«Shul!»

Chiuse gli occhi e si preparò al peggio. Oramai, ci aveva quasi fatto l'abitudine.

Tuttavia, il calore ustionante delle fiamme non arrivò. Si sentì invece strattonare con forza, e si ritrovò a rotolare a terra assieme a qualcuno. Quando riaprì gli occhi vide quelli cremisi di Irileth, sopra di lui.

«Si può sapere che ti è preso?» lo rimproverò con asprezza.

«Scusami» balbettò, imbarazzato. «È stata la paura».

Nel frattempo il drago era stato costretto a riprendere il volo, visto il costante numero di frecce che gli arrivavano addosso.

L'huscarlo sbuffò, rialzandosi in piedi, e gli offrì una mano.

«Non farmi rimpiangere di non aver portato Farengar al posto tuo» disse lei, ironica nonostante la situazione.

Daric sorrise, ed afferrò la sua mano. «Avresti dovuto portarci tutti e due, per fare un confronto» osservò, quando si fu rialzato.

«Me lo ricorderò la prossima volta» replicò lei, mentre tornava a guardare il drago. «A quanto pare la tua idea sta funzionando».

In effetti la belva stava avendo sempre più difficoltà a mantenersi in volo, viste le numerose lacerazioni che si erano formate sulle membrane delle ali. Bastarono alcuni altri colpi andati a segno per costringerla ad atterrare, proprio dietro la torre.

«Mantenete le distanze!» ordinò Irileth ai suoi uomini. «Non ingaggiate il corpo a corpo! Qualcuno intanto aiuti i feriti a rifugiarsi nella torre».

Daric fu tentato di andare a recuperare i feriti, ma la sua coscienza gli impose di seguire Irileth. Aveva promesso allo jarl di assisterla come poteva, e ci teneva a mantenere la parola data.

Arrivarono nello spazio retrostante la torre, e trovarono il drago ad aspettarli. Tutt'altro che domo, ora si agitava come una belva in trappola. Sputava fuoco a chiunque si esponesse per attaccarlo, anche da lontano, e ruggiva infastidito per le frecce che piovevano dalla torre, che era l'unico posto sicuro. Purtroppo le frecce erano limitate, sia nel numero che nell'efficacia, visto che di rado sembravano penetrare la corazza spessa delle scaglie. Daric e Irileth erano gli unici che, con la magia, riuscivano a ferirlo. Tuttavia il drago l'aveva capito, e quindi non lasciava loro sufficiente spazio per scoprirsi ed attaccare.

«Penso che dovremmo salire anche noi sulla torre, almeno avremmo più copertura» suggerì l'huscarlo.

«Aspetta, voglio prima fare un tentativo. Tienilo distratto per qualche momento» la fermò Daric.

«D'accordo» acconsentì, prima di sporgersi dalla copertura solo il tempo necessario per lanciare alla cieca qualche scarica.

Daric chiuse gli occhi, e proiettò la sua mente sulla sponda delle acque dell'Oblivion. Concentrandosi sul morfotipo, la forma che desiderava evocare, lanciò l'invito tra le onde del caos primigenio, e qualcosa subito rispose. Come un pesce che abboccava all'amo, Daric lo trascinò a sé. Lo ammanettò alle catene dell'obbedienza e, riaprendo gli occhi, gli aprì il passaggio per il Mundus.

Una bolla violacea apparve di fronte al drago, e da questa emerse l'incarnazione del fuoco. Una figura dalle fattezze femminili che leggiadra danzava nell'aria, proprio come la fiamma di cui si formava.

«Un Atronach?» fece Irileth, sorpresa. «Questa non me l'aspettavo».

Il daedra cominciò subito ad attaccare il drago, lanciando rapido una sequenza palle di fuoco. Quest'ultimo rispose con il suo getto incendiario ma, come Daric aveva supposto, l'Atronach ne era del tutto immune. Il drago provò ad accorciare le distanze, per stritolarlo tra le sue fauci, ma il daedra evitava con destrezza ogni morso.

«Ora è distratto!» disse Daric, ed entrambi ne approfittarono per uscire dalla copertura ed attaccarlo.

Il drago tuttavia, non si fece prendere in giro a lungo. Quando si accorse che si trattava di una tattica diversiva, reagì in modo inaspettato.

«Fo Krah Diin!»

Una bufera di ghiaccio esplose dalle fauci del drago, e l'Atronach, trovandosi sopraffatto dal suo elemento avverso, fu ricacciato nell'Oblivion.

«Grazia divina di Akatosh!» boccheggiò Daric, colto alla sprovvista. «Puo soffiare anche il ghiaccio?!»

«Dannazione, pare proprio di sì» imprecò Irileth a denti stretti.

«Brit grah[2]. Nonostante la vostra fragilità, siete pieni di risorse» disse il drago. «Yol Toor Shul!»

Di nuovo furono costretti a ripararsi dietro la copertura, e furono nella stessa situazione di prima.

«Peccato, era una buona trovata evocare un daedra» disse Irileth. «Ora però sappiamo che può sputare sia ghiaccio che fuoco, non potresti evocare un Atronach della Tempesta, o un dremora?»

Daric scosse mesto il capo. «Purtroppo non ho molta esperienza con la scuola dell'Evocazione, sarebbero oltre la mia portata».

«Capisco, allora dobbiamo farci venire un'altra idea» disse lei, alzando le spalle. «Oppure potremmo prenderci una fiammata in piena faccia, tanto per cambiare».

«Aspetta... cosa hai appena detto?» fece Daric, colto da un'intuizione.

«Che dobbiamo farci venire un'altra idea, mi sembra ovvio».

«No, quello che hai detto dopo»

«Che potremmo prenderci una fiammata in faccia?» ripeté Irileth, incerta su dove volesse andare a parare.

«Sì, esatto!» esclamò Daric, schioccando le dita. «Ecco l'idea che ci serve».

Lei gli rivolse un'occhiata scettica. «Cioè vorresti farla finita? Che razza d'idea sarebbe?»

«No, non volevo dire questo» disse Daric, agitando una mano. «Il punto è che tu sei una dunmer!» disse, come se lo avesse scoperto solo in quel momento.

Irileth sollevò un sopracciglio. «Il tuo acume mi sorprende. E con ciò?»[3]

«Beh, la tua gente ha una resistenza innata al fuoco, giusto?»

«Sì, ma non siamo immuni. Ne uscirei tutt'altro che illesa da un attacco del genere».

Daric si limitò a rovistare nella sua tracolla, quindi estrasse una boccetta e la agitò davanti agli occhi di Irileth. «E se io ti fornissi ancora più protezione?» propose, con un sorriso trionfale.

«Un tonico di resistenza al fuoco?» Irileth lesse l'etichetta, con un'espressione meditabonda. «Sì, potrebbe funzionare, ma non a lungo».

«A me bastano pochi secondi. Ho bisogno che tu mi copra, in modo che possa preparare un incantesimo più potente».

«Ora ho capito cosa hai in mente» annuì. «Devo però ricordarti che il drago sputa anche il ghiaccio, oltre che il fuoco. Cosa facciamo se decide per il primo invece che per il secondo?»

«Il drago pronuncia delle parole prima di usare quegli attacchi magici, quindi abbiamo una finestra di tempo per prevederlo».

«Dici sul serio? A me sembrano solo ruggiti»

«Anch'io la pensavo così. Non so quale lingua sia, ma ti assicuro che sono parole».

«Quindi mi assicuri che sei in grado di riconoscere un attacco dall'altro?»

Daric annuì.

Irileth ci pensò su per qualche momento. «Va bene. Al momento non mi vengono idee migliori, quindi mi fiderò di quello che dici».

«Grazie» disse, offrendole il tonico. «Ho bisogno di copertura per qualche secondo, tu dovrai solo farmi da scudo. A proposito...» aggiunse, d'improvviso «Porgimi il tuo scudo».

Lei acconsentì. Daric accostò una mano sulla superficie di legno, e in pochi secondi fu ricoperta da uno strato di ghiaccio.

«In questo modo potrai frangere le fiamme più a lungo, senza paura che lo scudo si bruci».

«Mi stai facendo preoccupare. Sicuro che ti serva solo qualche secondo?»

Daric sorrise imbarazzato. «È solo una precauzione in più. Mi sento in colpa per quello che ti sto chiedendo di fare».

«Non devi sentirti in colpa. Piuttosto, assicurati di colpirlo una volta per tutte».

Irileth bevve il tonico e, dopo un cenno d'intesa, uscì allo scoperto, con Daric a seguirla come un'ombra.

«Ehi, drago!» urlò lei. «Una volta che avremo finito con te, appenderemo la tua testa accanto a quella del vecchio Numinex, che ne dici?»

Provocarlo per attirare la sua attenzione era una buona idea, se poi fosse riuscita anche a farlo parlare, tanto meglio. Daric cominciò subito ad intessere il suo incantesimo. Dato che non era un esperto nella scuola della Distruzione, doveva colmare questa sua mancanza attingendo da un'altra scuola.

«Potrai anche sconfiggere me, ma ora che il padrone è tornato il vostro tempo è finito» rispose il drago.

Daric cercò di non farsi distrarre, tuttavia la menzione di questo "padrone" non poteva non preoccuparlo. Ancora nascosto alle spalle di Irileth, Daric solidificò un cuneo di ghiaccio, il più possibile appuntito.

«Yol...»

Riconoscendo la parola, Daric la avvertì subito: «È il fuoco!»

«Toor Shul!»

Irileth fece appena in tempo a sollevare il suo scudo, e furono investiti dal getto di fuoco. L'idea stava funzionando, Irileth sembrava imperturbabile al calore, e questo consentì a Daric di non interrompere la preparazione. Ora che il proiettile era stato formato, si stava affidando alla scuola dell'Alterazione per renderlo duro come l'acciaio.

Quando il fuoco si dissipò, il drago si accorse che il suo avversario non era agonizzante al suolo. Memore dello scontro appena avuto con l'Atronach, adottò subito la medesima strategia.

«Fo...»

Era arrivato il momento. «Via! Ora!» urlò Daric.

«Krah Diin!»

I successivi eventi si incastrarono l'uno con l'altro, come i denti di due ingranaggi. Irileth si buttò a terra di lato, e mentre il drago spalancava le fauci, Daric scagliò il suo proiettile di ghiaccio. La belva riuscì ad emettere appena uno sbuffo di gelo, prima che il proiettile lo colpisse alla sprovvista, conficcandosi dritto nella sua gola. Il ruggito di dolore si trasformò a breve in un gorgoglio di sangue, ed il drago si accasciò soffocando al suolo. Dopo alcuni spasimi, sempre più deboli, non si mosse più.

Tutt'intorno ci fu un lungo momento di silenzio, ma quando fu chiaro che non si sarebbe più rialzato, i soldati esplosero in grida di vittoria. Daric era rimasto frastornato, ancora non riusciva a capacitarsi di quello che era successo. Si riscosse solo quando Irileth gli diede un pugno amichevole sulla spalla.

«La tua idea ha funzionato, a quanto pare» si complimentò lei.

«Ha funzionato...» mormorò, «Ce l'abbiamo fatta!» disse, per poi sfogare la tensione accumulata in una risata liberatoria.

Sventata la minaccia incombente, poterono tutti prendere fiato e riassestare la situazione. Mentre quelli illesi si occuparono di spegnere nuovamente i focolai, e di disfarsi di tutti gli oggetti bruciati nella torre, Daric si curò dei feriti.

Quando ebbe finito, ed il sole si apprestava a tramontare, fu avvicinato da Irileth. «Io devo rimanere qui ancora per un po'» gli disse. «Bisogna organizzare il trasporto dei due morti a Whiterun, e bisogna scrivere un rapporto su quello che è successo qui. Tu intanto potresti ritornare dallo jarl e riferirgli che il drago è stato ucciso».

«Sì, immagino che sia in attesa di notizie» concordò Daric.

«Un'ultima cosa...» gli disse, facendo cenno di seguirla. Uscirono entrambi dalla torre, e tornarono nello spazio retrostante. Accanto al corpo del drago, a cui Daric non aveva osato avvicinarsi, si era radunato un capannello di soldati. Era comprensibile che provassero curiosità verso una creatura che, fino a poco tempo fa, abitava solo le leggende.

«Dobbiamo prendere un "pezzetto" del drago da portare a Farengar. Pensi di poterlo fare tu?» gli chiese Irileth.

«Penso di sì» rispose, non molto propenso all'idea. Irileth quindi lo salutò, e tornò ai suoi doveri.

Avvicinandosi al gruppo di soldati, Daric sentì che si scambiavano commenti sull'aspetto feroce del drago.

«È veramente spaventoso» disse uno. «Le canzoni non gli rendono giustizia».

«Già. Guardate quante frecce aveva conficcate addosso» disse un altro. «Sembrava imbattibile».

«Scusate» intervenne Daric. «Non fate caso a me, devo solo prelevare dei campioni».

Estrasse un coltello d'argento dalla tracolla, e fece per avvicinarsi al drago. Tuttavia, quando fu ad appena un passo di distanza, si bloccò di colpo. Il corpo inerme del drago iniziò ad illuminarsi. Come se un fuoco lo stesse consumando, le membra presero a sfaldarsi in brandelli, ed a disperdersi nell'aria come cenere. Uno strano flusso dorato si era levato dal drago, ed ora stava confluendo verso Daric. La sensazione fu indescrivibile. Fu come se la sua mente stesse inspirando a pieni polmoni, gonfiandosi di una conoscenza finora sconosciuta. Fu come vivere migliaia di anni in un secondo solo, e quando quel secondo finì, Daric si trovò a barcollare.

Fu sorretto prontamente da uno dei soldati. «Stai bene?» gli chiese.

Lui annuì, incerto. Guardò il corpo del drago: si era ridotto allo scheletro.

«Tu... hai assorbito la sua anima!» disse un soldato, la voce carica di meraviglia.

Daric aprì bocca ma non riuscì a proferire una parola, tanto era lo stupore.

«Sei il Sangue di Drago!» continuò il soldato.

Questa affermazione levò molti commenti scettici da parte degli altri uomini.

«Di cosa stai parlando?» chiese Daric, ritrovata la parola.

«Le leggende narrano che solo il Sangue di Drago può assorbire le anime dei draghi» rispose lo stesso soldato. «E che Kyne mi fulmini, ma è quello che hai appena fatto».

«Suvvia, Holvur» intervenne un altro. «Sei un po' troppo cresciuto per credere queste favole, non credi?»

«E tu sei un po' troppo furbo per aver detto un'idiozia simile» replicò Holvur, stizzito. «Quindi, secondo te, anche questo bestione sarebbe una favoletta?» chiese, indicando il drago.

«Credo a quello che vedo» continuò imperterrito l'altro soldato.

«E non hai visto quello che è appena successo, Hroki? O stavi dormendo?»

«Non so quello che ho visto» rispose Hroki, scaldandosi appena. «Per quello che ne sappiamo potrebbe essere stata una reazione spontanea del drago».

«Va bene, sapientone, allora ti mostrerò un'altra prova» insistette Holvur, poi rivolgendosi a Daric. «Se sei il Sangue di Drago, allora puoi usare gli Urli come i draghi. Perché non provi?»

Daric scosse il capo, confuso. «Anche se volessi, non so di cosa stai...»

Fu in quel momento che gli tornò in mente quello strano episodio al Tumulo delle Cascate Tristi, quando si era quasi sentito chiamare da una parete levigata, scolpita in caratteri sconosciuti. Fu in quel momento che la conoscenza assorbita dal drago andò a collimare con quel ricordo in un'unica parola, la stessa che nel Tumulo era risuonata insistente nella sua testa. Fu in quel momento che assunse un significato, e sentì il bisogno insopprimibile di urlarla.

«Fus!»

Forza. Era questo il significato della parola, ed era ben più che semantico, era fisico, tangibile. Dalla sua bocca non uscì solo il suono della parola, ma anche la manifestazione della forza stessa che rappresentava. Fu quella forza che scosse lo scheletro del drago, e fece barcollare i soldati davanti a sé, incluso lo scettico Hroki.

«Hah!» esultò Holdur, soddisfatto. «Ora l'hai visto e l'hai sentito, ci credi adesso?»

Hroki alzò le mani. «Va bene, mi arrendo. Sangue di Drago o meno, ha dato una bella lezione a quel drago, e tanto mi basta» disse, per poi andarsene. Gli altri nel frattempo avevano incominciato a mormorare tra loro, alcuni eccitati alla notizia, altri ancora scettici.

«Cosa ho appena fatto?» domandò Daric, sbalordito.

«Hai Urlato» rispose Holdur. «Non l'avevi mai fatto prima?»

«No, mai»

«Dunque lo hai fatto d'istinto, e questo dimostra che sei il Sangue di Drago» concluse il soldato.

Daric continuava a non capire, e scosse la testa, perplesso.

«Col tempo capirai» gli disse, come se avesse letto nella sua mente, e gli diede una pacca d'incoraggiamento sulla spalla. «Abbi cura di te, e grazie per il tuo aiuto» lo salutò, prima di andarsene anche lui. Ad uno ad uno il capannello si disperse, e Daric rimase solo. Con mille pensieri che gli affollavano la testa, e ancora con il coltello in mano, guardò la carcassa del drago: non c'era rimasto molto da prelevare. Decise di prendere un dente, e qualche frammento dai brandelli di pelle che erano rimasti attaccati qua e là alle ossa.

Nella strada di ritorno a Whiterun, ebbe modo di ripensare a quanto successo. Ormai poteva accantonare l'idea che si trattasse di una serie di semplici coincidenze. Perciò, se non era casuale, allora era voluto. Ma da chi? E, soprattutto, perché? Non gli piaceva essere all'oscuro dei fatti, ma al momento la migliore strategia da adottare era quella del "aspettiamo e stiamo a vedere".

Era arrivato alle fattorie nei pressi della città, quando un boato scosse il cielo e la terra, ed un coro di voci tonanti echeggiò nell'aria:

«Dovahkiin!»

Daric si preparò al peggio, ma in pochi istanti ritornò il silenzio e la tranquillità. Non provò nemmeno a chiedersi cosa fosse successo.

«Non c'è che dire, Skyrim è davvero un posto vivace» disse tra sé, riprendendo a camminare. Doveva sperare che l'ironia non l'abbandonasse mai, altrimenti sarebbe impazzito di questo passo.



La mattina successiva, Lydia stava per iniziare il suo allenamento quotidiano nel grande porticato di Dragonsreach, quando fu avvicinata da Proventus Avenicci.

«Salute, Lydia»

«Sovrintendente» ricambiò il saluto con un cenno del capo. «Posso fare qualcosa per te?»

«Mi dispiace interrompere il tuo allenamento, ma lo jarl vorrebbe parlarti».

Rimase spiazzata da quella richiesta. Di solito la mattina era un momento fitto di impegni per lo jarl.

«È urgente?» domandò, tastando il terreno.

«Non proprio, ma è molto importante» rispose Avenicci, evasivo. «Ora lo jarl ha un momento libero, quindi è meglio non rimandare».

«Va bene, andrò subito»

Salutò il sovrintendente e si diresse verso la grande sala. Quando arrivò al cospetto dello jarl, lo trovò immerso in una fitta conversazione con Irileth.

«Sei sicuro che sia una buona idea?» sentì dire dall'huscarlo. «Ci stiamo privando di un buon elemento».

«Lo so, ma lui ne avrà senz'altro più bisogno» rispose Balgruuf, prima di notare il suo arrivo.

«Lydia, ragazza mia» lo jarl la salutò come al solito in tono bonario, quasi come un padre.

«Volevi parlarmi, signore?» chiese lei, chinando il capo con rispetto.

«È così. Immagino che tu abbia saputo quello che è successo ieri».

Lei annuì, anche se incerta. «Ti riferisci alla faccenda del drago? O a quella dei Barbagrigia?»

«Entrambe, visto che sono collegate» rispose lo jarl. «Non è ancora di pubblico dominio, ma pare lo straniero che ci ha aiutati sia proprio il Sangue di Drago».

Lydia spalancò gli occhi, sorpresa. «Quindi i Barbagrigia stavano convocando lui?»

Quasi tutti a Skyrim sapevano che i Barbagrigia erano degli eremiti, e che non erano affatto soliti nel farsi sentire in quel modo. La sera prima, quando le loro voci erano esplose dall'alto del loro monastero di Hrothgar Alto, tutti avevano ripensato all'ultima persona che avevano convocato: nientemeno che il giovane Tiber Septim.

«Esatto, ma questi sono affari dei Barbagrigia, non nostri» tagliò corto lo jarl. «Quello che ci interessa, è che lo straniero abbia un giusto riconoscimento per l'aiuto che ci ha dato, ed è per questo che gli ho conferito il titolo di thane di Whiterun. Tuttavia, ogni thane che si rispetti deve avere un huscarlo fedele e all'altezza del compito, ed è qui che entri in gioco tu, Lydia».

«Io?» fece lei, ancora più sorpresa. «Davvero hai pensato a me?»

«Ma certo, ragazza mia» disse Balgruuf, sorridendo. «Sono convinto che saresti perfetta. Sta a te scegliere però, non è mia intenzione obbligarti».

«Per me sarebbe un onore, signore» rispose subito, cercando di tenere a freno l'emozione nella voce. Il fatto che lo jarl avesse pensato a lei per un simile compito, la riempiva d'orgoglio. Avrebbe avuto l'occasione di servire e proteggere non solo un cittadino illustre e valoroso, ma anche un eroe leggendario.

«Sapevo che avresti accettato» disse lo jarl, soddisfatto della reazione positiva. «In tal caso ti invito subito a fare la sua conoscenza, il thane è con Farengar in questo momento».

Lydia ringraziò e si congedò dallo jarl, dirigendosi verso lo studio del mago di corte.

Quando si fu allontanata a sufficienza, Irileth parlò: «Non le hai detto nulla di Daric, lo sai che potrebbe essersi costruita un'immagine sbagliata su di lui?»

«Lo so, ed è per questo che non le ho detto nulla» rispose lo jarl, serio. «Lydia è una brava ragazza, ma anche lei deve imparare che spesso le tradizioni limitano le nostra concezione del mondo».

Quando Lydia entrò nello studio del mago di corte, lo trovò assieme ad un collega. O forse era un nuovo apprendista?

«Quindi non c'è rimasto nient'altro?» chiese Farengar all'altro mago, un po' deluso. «Solo ossa?»

«In pratica sì. Ti avrei portato anche un'ampolla di sangue, ma...» l'altro mago scrollò il capo, senza finire la frase.

«Beh, potresti darmi il tuo sangue» suggerì Farengar con un ghigno. «Non sarebbe più o meno uguale?»

«Chiedo scusa» la donna interruppe la conversazione, visto che stava virando su toni inquietanti.

«Ah, Lydia» esclamò il mago di corte, sorpreso. «A cosa devo questa visita?»

«Sto cercando il nuovo thane» rispose, entrando nella stanza. «Lo jarl mi ha detto che avrei potuto trovarlo qui».

«Infatti l'hai trovato» disse Farengar, indicando l'altro mago con un cenno del capo.

Lydia lo squadrò da capo a piedi, perplessa. Era esile, come la gran parte dei maghi, e la veste che indossava aveva di sicuro visto giorni migliori. Da sotto il cappuccio, che era sollevato sulla testa, vide il volto di un giovane incorniciato da una barba ispida e nera, gli occhi grigi che ricambiavano il suo sguardo con curiosità. Nulla lasciava pensare che quella persona fosse l'uccisore di un drago.

Lei tornò a rivolgersi a Farengar, con un'espressione scettica. «Non prenderti gioco di me, non è divertente».

Il mago di corte, invece di rispondere, cominciò a sghignazzare senza ritegno, seguito a ruota dal supposto thane.

Lydia roteò gli occhi, quasi annoiata. «Mi sono persa una battuta?»

«Dipende» replicò Farengar, divertito. «Spero che la tua ultima sia stata una battuta, perché la mia non lo era».

Fu in quel momento che Lydia notò un'ascia appesa alla cintola dell'altro mago, e si ricordò di averla vista nell'armeria di Balgruuf. Di solito, quando uno jarl nominava un thane, gli consegnava una delle sue armi personali come distintivo del suo titolo. Non appena combinò insieme i due fatti, l'incredulità lasciò il posto alla vergogna. Lei si era aspettata un guerriero dall'aspetto feroce ed intimidatorio, un po' come Hrongar, il fratello dello jarl. Persino come mago aveva un aspetto alquanto misero, sembrava uno dei soliti apprendisti squattrinati che Farengar riceveva nel suo studio di tanto in tanto. Tuttavia i fatti parlavano chiaro, e a meno che lo jarl non fosse impazzito, quel ragazzo era veramente il nuovo thane di Whiterun, nonché il vociferato Sangue di Drago.

«Vi lascio soli alle vostre presentazioni» disse Farengar, e lasciò lo studio per non gravare oltre sull'imbarazzo del giovane huscarlo.

Resasi conto di aver fatto una figuraccia, chinò il capo per nascondere il rossore sulle guance. «Mio thane» disse, cercando di recuperare un po' di contegno. «Se vorrai scusare la mia insolenza, sarò onorata di essere il tuo huscarlo. Sarò il tuo scudo e la tua spada, proteggerò la tua persona ed i tuoi averi con la mia vita, fino alla morte se necessario».

Sollevò di nuovo lo sguardo, pronta a ricevere il giudizio, ma trovò il thane in difficoltà quasi quanto lei.

«Va bene, accetto» balbettò, rosso in viso. «Ma nessuno deve morire per me, sia chiaro»



Passato il momento di imbarazzo, e fatte le dovute presentazioni, Daric e Lydia lasciarono Dragonsreach.

Non appena fu fuori, Daric inspirò con piacere l'aria frizzante del mattino. In silenzio scese la scalinata, seguito a breve distanza da Lydia, e quando arrivò ad una delle panchine ai piedi del Verdorato, ci si sedette subito. Sospirò ed abbassò il viso sui palmi aperti delle mani. L'huscarlo rimase a guardarlo, confusa per il silenzio in cui sembrava essersi chiuso. Proprio in quel momento un bambino passò correndo accanto a loro, intento nei suoi giochi, ma subito dopo Lydia lo vide tornare indietro per fermarsi davanti a Daric. Lei rimase incerta su che cosa fare: il bambino sembrava intenzionato a volere l'attenzione di Daric, che era ancora ignaro della sua presenza. Doveva fermare il bambino? Forse il thane non voleva essere disturbato...

Fu così che Daric si sentì tirare per una manica, e quando risollevò lo sguardo incontrò quello meravigliato del bambino.

«Che belle vesti, signore» disse questi. «Sei uno stregone?»

Daric sorrise con tenerezza. «Suppongo di sì. Perché me lo chiedi?»

«Puoi farmi diventare invisibile?» chiese il bambino, trepidante. «Sai, sto giocando a nascondino e non voglio farmi trovare».

Come ragionamento non faceva una piega, ma l'incantesimo di Invisibilità richiedeva una conoscenza avanzata nella Scuola dell'Illusione. Daric stava per rispondergli che purtroppo non ne era capace, quando all'improvviso arrivò una bambina redguard e afferrò il suo coetaneo per le spalle, facendolo sobbalzare.

«Trovato!» Disse lei, esultante. «Ora tocca a me nascondermi».

«Così non vale, Braith!» Si lamentò il bambino. «Non hai contato fino a trenta!»

«E invece sì» replicò la bambina.

«E invece no»

«E invece sì» disse lei, minacciosa, con le mani sui fianchi. «Vuoi che ti faccio sanguinare il naso, piccolo Lars?»

Il bambino indietreggiò. «Smettila!» Balbettò, poco convincente.

«Scusami, signorina» Daric si intromise nella discussione, poggiando una mano sulla spalla di Lars. «È così che tratti gli amici?» Le chiese, a metà tra il serio ed il giocoso.

Braith sbuffò. «Lui non è mio amico, è solo un piagnucolone».

«Se non è tuo amico allora perché giochi con lui?»

Stavolta la bambina non ebbe la risposta pronta, e se ne uscì con un «Fatti gli affari tuoi,» prima di prendere Lars per un polso e trascinarlo via, ignorando le sue proteste.

Daric ridacchiò, scuotendo la testa. «Credo che il "piccolo Lars" abbia una spasimante».

«Tipico dei bambini» commentò Lydia, divertita. «Lo tratta male perché in fondo gli piace, e perché lui non se ne accorge».

«Già, e non sono solo i bambini a farlo...» solo in quel momento Daric, quando si rivolse a lei, notò che era ancora in piedi. «Siediti, ti prego» le disse, indicando lo spazio vuoto accanto a sé. Lei assecondò la richiesta, titubante.

«Sai, è tipico dei bambini anche meravigliarsi per ogni cosa nuova» continuò, guardando l'acqua che scorreva placida nei canali. «Se ha detto che ho delle belle vesti, allora non ha mai visto un mago che si rispetti. Senza offesa per Farengar, ovviamente» specificò, in fretta. «La verità è che sto indossando gli abiti di un poveraccio che era morto in una cella ad Helgen, ed ancora non sono riuscito a trovare niente di meglio» disse, avvilito. «Ti chiedo scusa, credo di essere un thane piuttosto patetico».

«Io non...» Lydia si morse il labbro, presa dai sensi di colpa. «È per quella frase che ho detto a Farengar, vero?»

Daric sorrise, scuotendo la testa. «No, era una frase sincera, e non posso biasimarti per essere stata scettica. Voglio dire, qui a Skyrim il Sangue di Drago per eccellenza è lui» indicò una statua di Tiber Septim, proprio davanti a loro. «Anche a Cyrodiil, quando si parla di Sangue di Drago si pensa ai grandi imperatori del passato, non certo ad uno come me».

«Forse hai ragione. Ciò non toglie che questo tipo di paragoni sia ingiusto» replicò lei. «E avrei dovuto sapere bene che si giudicano le persone in base a ciò che fanno, non in base a ciò che sono o a come appaiono».

«Tutti noi impariamo dagli errori non c'è nulla di male» disse Daric, prima che il silenzio calasse sulla conversazione. In sottofondo, si sentivano solo i sermoni veementi di un sacerdote di Talos.

«E comunque» riprese Lydia, dopo appena un minuto. «Nessuno chiamerebbe "patetico" uno che ha ucciso un drago».

Daric rise. «Grazie, sei gentile. In effetti mi sto autocommiserando un po' troppo, ma a dirla tutta se non fosse stato per Irileth sarei morto carbonizzato, quindi è stata un'impresa tutt'altro che eroica».

«Se non fosse stato per i suoi Cinquecento Compagni, Ysgramor non avrebbe mai conquistato Skyrim» controbatté Lydia, sorridendo. «Eppure nessuno si sognerebbe di sminuirlo per questo. Forse hai bisogno di qualcuno che ti guardi le spalle, e guarda caso un huscarlo serve anche a questo».

Il mago la guardò, un po' a disagio. Non era abituato che una persona gli giurasse fedeltà, senza conoscerlo e senza chiedere nulla in cambio. Da una parte lo rincuorava, da un'altra gli metteva apprensione, soprattutto la parte con: "fino alla morte se necessario".

«Non ho ancora capito bene questa faccenda dell'huscarlo» disse, cercando di non suonare irrispettoso. «Da dove vengo io non esiste nulla del genere».

«Se ti viene più facile, puoi considerarmi come una guardia del corpo» replicò lei, alzando le spalle. «Potresti anche incaricarmi di sorvegliare la tua casa, se preferisci».

«La mia casa...» mormorò, guardandosi attorno. «Mi piacerebbe averne una qui, Whiterun mi sembra davvero una bella città».

«Lieta che tu la pensi così» disse Lydia. «Ora che sei thane, potresti valutare di acquistarne una».

«Se avessi il denaro, volentieri». L'idea di per sé era buona. Dato che ormai era chiaro che avrebbe dovuto fermarsi a Skyrim più tempo del previsto, avere un punto di riferimento, un rifugio in cui dormire che non fosse solo una locanda, era essenziale. «Ma prima vorrei sapere cosa vogliono da me questi Barbagrigia. Tu conosci la strada per Ivarstead?» le chiese.

«Sì, posso accompagnarti se vuoi».

Daric si alzò. «Di solito sono un solitario, ma non rifiuto la compagnia» disse, prima di sfilare l'ascia dalla cintola e porgerla a Lydia. «Tieni, questa sarà più utile a te».

Lei esitò. «Sei sicuro?»

«Certo che lo sono» annuì con vigore, quasi spingendo l'ascia tra le mani dell'huscarlo. «So usare appena un pugnale, quindi con un'ascia in mano sarei pericoloso... e non nel modo giusto».

Anche Lydia si alzò, e accettò l'arma offerta con gratitudine. «Quando vuoi partire?»

«Subito» rispose Daric, pensoso. «Ma prima devo scrivere una lettera al mio maestro».




Scusate per il ritardo, ma questo capitolo mi ha bloccato per settimane. La quest già di per sé è cruciale per il Sangue di Drago, visto che gli viene rivelata la sua natura particolare, ma lo scoglio più difficile da superare è stato il combattimento con il drago. Non so voi, ma sin da subito sono stato un po' insofferente verso quei lucertoloni alati, che trovavano sempre i momenti meno opportuni per attaccarti. La mia prima fanfiction, "Un mestiere ingrato", la scrissi proprio sull'onda della rottura di scatole che mi provocavano, e infatti ci sono alcuni rimandi a quella storiella, soprattutto la tattica diversiva con l'Atronach. Ovviamente il Sangue di Drago di quella storia era solo il "prototipo" di Daric, quindi sono due personaggi diversi. Detto questo, spero che il combattimento con il drago sia stato sufficientemente movimentato, tutto qui.

Questo capitolo è venuto molto più lungo di quanto mi aspettassi, quindi spero che non sia stato pesante. In realtà avevo anche scritto il dialogo post-combattimento con lo jarl, ma alla fine mi è sembrato solo uno spiegone inutile, quindi l'ho tagliato. Magari fatemi sapere, per il futuro, se preferite che i capitoli più lunghi vengano spezzati in due parti.

Angolino noioso delle spiegazioni: anche stavolta mi sono preso qualche libertà, sia nell'interpretazione dell'ambientazione di gioco, sia nella scrittura di alcuni passaggi, quindi se ne trovate che non vi convincono fatemelo sapere. Come avrete notato, nel personaggio di Lydia ho dovuto metterci molto del mio, anche perché il gioco ci lascia solo una base minima da cui partire. Io ho voluto immaginarla come una specie di "pupilla" dello jarl, con un rapporto quasi padre-figlia tra i due.

Vi ringrazio per aver letto fin qui, se vi va fatemi sapere cosa ne pensate. Vi avviso subito che il prossimo capitolo non sarà pubblicato prima della fine di febbraio.

Vi auguro quindi un buon anno, ciao e a alla prossima :)



Note:

1. Traduzione: (un) colpo acuto [?]

2. Traduzione: (una) bella battaglia [?]

3. Citazione del mitico Lupo Alberto :) [?]




Piccolo avviso: con il prossimo capitolo, probabilmente pubblicherò anche la terza revisione del primo, con alcune correzioni suggerite nelle recensioni, e alcune modifiche/aggiunte nei dialoghi. Mi scuso con chi ha già recensito, ma quel capitolo ancora non mi soddisfa pienamente, abbiate pazienza per favore :)

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