Quello zaino pesava, troppo. Daric cercò di sistemarselo meglio sulle
spalle, per alleviare il fastidio, ma era una battaglia persa. Per
fortuna era arrivato a Whiterun, e presto si sarebbe liberato di quel
fardello. Mentre passava davanti alle scuderie della città, pensò tra sé
che se fosse riuscito a superare la sua paura di salire in groppa ad un
cavallo, si sarebbe potuto risparmiare parecchia fatica. In realtà c'era
anche da considerare il problema che nella situazione attuale non poteva
permettersi di comprare e mantenere un cavallo, e tutto sommato sarebbe
stata anche una spesa inutile. Una volta che avesse consegnato quello
che portava nello zaino si sarebbe diretto subito all'Accademia di
Winterhold, dove si sarebbe fermato per qualche tempo. Non aveva
intenzione di viaggiare per Skyrim più del necessario, o almeno, non
nella situazione che si era sviluppata di recente. Già una volta aveva
rischiato di rimetterci la testa, letteralmente, e non voleva tentare
ancora la sorte.
Risalito il pendio arrivò all'ingresso di Whiterun, e dopo aver
lanciato uno sguardo cauto alle due guardie, attraversò le porte.
Whiterun appariva subito come una città movimentata e vivace.
Trovandosi al centro di Skyrim, serviva come snodo per quasi tutte le
rotte commerciali, oltre ad essere un punto di riferimento anche per i
viaggiatori.
Non avendo visitato nessun altra delle città di Skyrim non aveva modo
di fare paragoni, ma Whiterun sembrava davvero una bella città, elegante
e ben curata. Solo ora che vi ritornava per la seconda volta, si rese
conto di quanto lo stile architettonico degli edifici gli ricordasse
quello di Bruma. Non si stupì più di tanto, considerato che Bruma era
una città con una lunga e prevalente tradizione nordica.
A differenza di Bruma, però, la gente lì non sembrava abituata alla
vista di persone abbigliate con delle vesti da mago. Aveva sentito della
diffidenza dei nord nei confronti della magia, tuttavia gran parte degli
sguardi che gli venivano rivolti sembravano solo curiosi. Forse
dipendeva dalla città, alcune erano più tolleranti, altre meno.
Arrivato al mercato, si fermò un momento per osservare il viavai di
persone, un sorriso accennato sulle labbra. Era rincuorante vedere che
almeno certe cose non cambiavano.
Continuò a risalire Whiterun, diretto al palazzo dello jarl. Di nuovo
fu impressionato dalla sua maestosità, e al tempo stesso dalla sua
"leggerezza". Il palazzo aveva una forma alta e slanciata che, unita
alla sua posizione predominante, lo rendeva visibile da ogni angolo di
Whiterun.
Una volta entrati, non si poteva non rimanere meravigliati dal
magistrale lavoro di carpenteria che sosteneva le due grandi volte, che
incombevano imponenti sulla grande sala del palazzo. L'aspetto austero e
solenne contribuiva ad aumentare il senso di gravità che, assieme
all'odore del legno stagionato, sembrava aleggiasse in quel posto.
Daric percorse la sala tra le occhiate delle guardie e della servitù, e
si diresse verso le stanze di Farengar Fuoco-Segreto, il mago di corte.
Quando entrò nel suo studio, lo trovò intento a conversare con una
donna, vestita con un'armatura di cuoio e con un cappuccio che le
nascondeva il volto. Tutti e due erano chini sul tavolo ad esaminare un
libro.
«Non abbiamo molto tempo. Non stiamo parlando più di mere teorie, i
draghi sono tornati» disse la donna.
«Lo so, lo so. Non temere. Per fortuna lo jarl si è interessato alla
faccenda, perciò posso dedicargli molto più tempo. Spero di avere presto
l'occasione di esaminare un drago vivo, sarebbe terribilmente
intrigante» replicò Farengar. «Ora c'è un altro passaggio che vorrei
mostrarti...» disse, sfogliando il libro.
«C'è qualcuno che ti aspetta, Farengar» disse la donna, impassibile,
senza nemmeno alzare lo sguardo.
Il mago alzò lo sguardo e si accorse di Daric. «Ah, il collaboratore
dello jarl. Già di ritorno dal Tumulo delle Cascate Tristi? A quanto
sembra non sei morto» osservò Farengar con ironia.
«Non lo sono?» disse Daric simulando stupore, e si tastò il petto e
l'addome, come ad assicurarsi che non ci fossero ferite mortali. «Sembra
di no».
«Anche il senso dell'umorismo! E dimmi, hai trovato quello che ti avevo
chiesto?»
«Guarda tu stesso».
Sollevato, Daric poté sfilarsi quel pesante zaino dalle spalle, per
posarlo con delicatezza sul tavolo. Farengar non perse tempo ed aprì lo
zaino, da cui estrasse una tavoletta di pietra incisa.
«Sì, questa è la Pietra del Drago!» disse, compiaciuto. «Sono sorpreso,
a quanto pare stavolta lo jarl mi ha mandato qualcuno competente. Ti
ringrazio, anche a nome della mia... socia» indicò la donna con un cenno
del capo. «È stata lei a scoprirne la posizione, anche se non vuole
dirmi come».
«Quindi sei stato tu a recuperarla dal Tumulo? Notevole» disse lei.
Nonostante il volto fosse oscurato dal cappuccio, Daric ebbe la
sensazione di aver già incontrato quella donna. Tuttavia decise di non
indagare, non voleva sembrare inopportuno.
«Lieto di essere stato d'aiuto» sorrise Daric. «Immagino che il mio
lavoro sia giunto al termine».
«Sì, ora inizia il mio» disse Farengar, posando la Pietra del Drago sul
tavolo. «Grazie ancora, puoi parlare con lo jarl per la tua ricompensa».
Non che Daric ci tenesse ad avere una ricompensa, ma visto che si era
preso l'incomodo di esplorare una rovina piena di trappole, banditi e
non morti - e soprattutto, con un ragno gigante - forse non era venale
aspettarsene una.
Daric riprese il suo zaino, e augurò buon lavoro al mago di corte.
Quando fece per uscire dallo studio, quasi si scontrò con una dunmer.
L'elfa era armata fino ai denti, ed esibiva un'espressione molto tesa.
Daric la riconobbe subito: era il fedele huscarlo dello jarl di
Whiterun.
«Grazie ad Azura sei ancora qui» gli disse, quando lo riconobbe.
«Abbiamo bisogno del tuo aiuto».
«Di nuovo? Per cosa?» Daric non fu per niente rassicurato dal suo tono
urgente.
Lei sembrò ignorare la sua domanda «Ehi, Farengar!» Chiamò ad alta
voce. «C'è bisogno anche di te, è stato avvistato un drago non molto
lontano da qui».
Daric sentì una stretta allo stomaco. Possibile che fosse lo stesso di
Helgen?
Farengar, d'altra parte, sembrò eccitato dalla notizia. «Davvero?»
fece, e si affrettò ad unirsi a loro.
L'huscarlo sbuffò all'entusiasmo di Farengar. «Seguitemi» disse. Guidò
entrambi fuori dallo studio e salirono per una scalinata in pietra.
Arrivarono in una sala che, a giudicare dall'aspetto, sembrava adibita
alla pianificazione tattica e militare. Su un tavolo facevano mostra due
grandi mappe di Skyrim, di cui una punteggiata da numerosi segnalini
rossi e blu.
Nella sala trovarono jarl Balgruuf, accanto ad un uomo della guardia di
Whiterun che era piegato in avanti, mani sulle ginocchia, e respirava
pesantemente. Quando vide arrivare il suo huscarlo, accompagnata da
Daric e Farengar, lo jarl si rivolse alla guardia: «Allora soldato, va
meglio ora?»
«Sì signore» rispose quello, e dopo un altro profondo respiro risollevò
il busto e si portò il pugno al petto.
«Potresti ripetermi quello che hai detto ad Irileth?» chiese Balgruuf,
con tono comprensivo ma urgente.
«Certo, signore» rispose prontamente la guardia. «Ero alla torre di
osservazione ad ovest, con gli altri della mia squadra. Ad un certo
punto abbiamo sentito le vedette dare l'allarme, urlavano che un drago
si stava avvicinando da sud, a grande velocità. Sapevamo tutti quello
che è successo a Helgen, quindi non abbiamo dubitato per un secondo. Mi
è stato ordinato di avvisare la città, ma non appena sono uscito dalla
torre ho sentito un ruggito, e ho temuto che mi attaccasse. Non mi sono
voltato indietro, ho corso più veloce che potevo».
«Hai agito bene, ragazzo» disse lo jarl, poggiandogli una mano sulla
spalla. «Puoi andare a riposarti ora, te lo sei meritato».
La guardia ringraziò, e dopo che ebbe lasciato la sala, la dunmer si
rivolse a Balgruuf: «Ho già radunato un gruppo di uomini, una tua parola
e li guiderò io stessa alla torre».
Balgruuf ponderò con un'espressione cupa. «Va bene. Mi affido a te,
Irileth».
«Mio jarl,» intervenne Farengar, «lascia che vada anch'io. Per me
sarebbe l'occasione perfetta per studiare un drago dal vivo».
«E l'occasione perfetta per farsi ammazzare» commentò Irileth.
Farengar le rivolse un'occhiataccia, ma prima che replicasse fu
anticipato da Balgruuf: «Irileth ha ragione, e non posso rischiare di
perdervi entrambi. Ho bisogno che tu rimanga a fare il tuo lavoro qui,
Farengar».
Il mago di corte aprì la bocca per replicare, ma subito ci ripensò.
«Come desideri, mio jarl» acconsentì, rassegnato.
Balgruuf annuì, soddisfatto, e si rivolse a Daric, che fino a quel
momento aveva atteso in paziente silenzio.
«Ho saputo che hai ritrovato quell'antica tavola per Farengar».
«Sì, signore» rispose Daric.
«Non mancherò di ricompensarti, non temere. Purtroppo la situazione è
grave, c'è un drago che minaccia il mio feudo, quindi mi dispiace
tagliare corto i convenevoli, ma ho ancora bisogno del tuo aiuto».
«Il mio aiuto?» Fece Daric, perplesso. «Cosa posso fare io?»
«Non è ovvio?» Intervenne Irileth. «Qui tra noi, sei quello che ha più
esperienza riguardo ai draghi».
«Esatto» continuò Balgruuf. «Ho bisogno che tu accompagni Irileth, e
che la consigli sul metodo più efficace per affrontare quel drago».
«Esperienza? Quale esperienza?» Farfugliò Daric, allibito. Se la
situazione non fosse stata così grave, gli sarebbe venuto da ridere.
«Non sono mica uno di quegli antichi cacciadraghi akaviri, quindi quali
consigli volete che abbia? Sono solo sopravvissuto all'attacco di un
drago!»
«Ti sembra poco?» Fece l'huscarlo, quasi spazientita.
«Forse no, ma non mi sembra abbastanza per maturare un'esperienza
utile! Per quello che vale, anche il soldato che era qui poco fa è
sopravvissuto all'attacco di un drago, e davvero pensate che lui avrebbe
consigli da darvi?»
«La situazione è urgente e non abbiamo altri a cui rivolgerci» disse
Balgruuf, senza mezzi termini. «Anche il più piccolo aiuto potrebbe
essere fondamentale, e non voglio tralasciare nessuna possibilità. Il
fatto che tu sia riuscito a recuperare quella tavola dimostra che non
sei certo uno sprovveduto, e a me non serve un cacciatore di draghi, mi
serve qualcuno che aiuti i miei uomini a non finire massacrati
inutilmente».
Brutale onestà. Daric non poté non empatizzare con quell'uomo, che
stava cercando in tutti i modi di proteggere la sua gente, compresi i
suoi soldati.
«D'accordo, andrò anch'io» disse infine. «Farò quello che posso per
rendermi utile».
«Ti ringrazio» disse lo jarl, per poi rivolgersi al suo huscarlo: «Non
voglio atti d'eroismo, sia chiaro. A me serve che torniate vivi, mi sono
spiegato?»
«Sì, mio jarl» rispose lei. «Non ti preoccupare, non ci tengo a morire
in modo stupido».
«Cercate di raccogliere il maggior numero di informazioni e, se potete,
riportate qualche... pezzetto del drago per Farengar» aggiunse
Balgruuf, con un mezzo ghigno.
A quelle parole, il mago fece la stessa espressione di un bambino alla
promessa di un giocattolo, e ringraziò profusamente lo jarl.
«Bene» concluse questi. «Ora andate, prima che quella bestia decida di
attaccare la città.»
Daric seguì Irileth fuori dal palazzo, con mille pensieri che si
agitavano nella sua testa. Quando arrivarono nel distretto inferiore
della città, l'insegna di una bottega catturò la sua attenzione.
«Irileth!» Daric chiamò l'huscarlo, che procedeva davanti a passo
spedito. Quando lei si fermò e si voltò verso di lui, Daric le indicò la
bottega. «Devo comprare alcune cose» le disse.
Lei guardò l'insegna e, riconoscendola, annuì. «Ti aspetto alla porta
d'ingresso, cerca di fare in fretta» gli disse, prima di riprendere a
camminare.
Daric entrò nel negozio, e lo trovò proprio come se l'aspettava: pieno
di ingredienti e prodotti alchemici.
«Benvenuto!» fu salutato dalla proprietaria, una donna imperiale di
mezza età. «Tutto quello che vedi è in vendita, non esitare a chiedere
se hai bisogno».
«In effetti...» Daric si avvicinò al bancone. «Purtroppo ho il tempo
contato, quindi mi servirebbe un aiuto. Hai delle foglie di aloe?»
«Ah, mio caro» disse la donna, con un'espressione nostalgica. «Non vedo
una pianta di aloe da vent'anni, da quando mi sono trasferita da
Cyrodiil. Una pianta dalle molte virtù, ma purtroppo a Skyrim non
cresce. Di rado mi arriva da qualche mercante viaggiatore, ma con questa
guerra in corso ne vedo sempre meno».
«Un vero peccato» mormorò Daric. Cercò di pensare ad una valida
alternativa, guardando gli scaffali. «Forse...»
Daric uscì poco dopo dalla bottega, con un po' di oro in meno ma con
qualche sicurezza in più per un eventuale scontro con quel drago. Si
affrettò a raggiungere le porte della città e si riunì con Irileth, che
stava parlando ad un gruppo di guardie. Giunse proprio sulla fine di un
discorso di incoraggiamento.
«Non sappiamo fino in fondo cosa ci aspetta» disse Irileth, «ma
sappiamo cosa è successo ad Helgen, quindi lasciate che vi dica questo:
noi potremmo essere i primi, dopo secoli, ad uccidere un drago. Pensate
solo a questo e scacciate la paura, perché questa impresa entrerà nella
storia e nelle canzoni degli anni a venire! Siete con me?»
Irileth urlò l'ultima frase, e il gruppo di soldati proruppe in un coro
di approvazione.
«Per Skyrim! Per Whiterun! Per lo jarl!» urlò ancora Irileth, imitata
subito dopo dai soldati.
Quando Daric si avvicinò, gli chiese: «Sei pronto?»
«Ora sì».
«Bene» disse, prima di rivolgersi di nuovo ai suoi uomini. «Ascoltate,
lui è un sopravvissuto dell'attacco ad Helgen» ed indicò Daric, «ci
aiuterà come può nel caso dovessimo affrontare quel drago. Se non avete
domande, possiamo metterci in marcia».
Ci fu qualche mormorio, ma nessuna domanda. Mentre il drappello usciva
dalle porte della città, Daric poté notare che ognuno di loro era
equipaggiato con arco e frecce. Nemmeno Irileth era una sprovveduta.
Non appena la strada si aprì alla vista della pianura di Whiterun, una
colonna di fumo catturò l'attenzione dell'intero gruppo. Le volute nere
si levavano da una torre di guardia, un cupo presagio di ciò che li
stava aspettando.
Daric, che procedeva in testa accanto ad Irileth, le domandò: «È quella
la torre?»
«Purtroppo sì» rispose lei, e invitò tutti ad accelerare il passo.
Mano a mano che si avvicinavano, Daric continuava a lanciare occhiate
alla torre e ai dintorni, ma nessun drago sembrava essere visibile.
Quasi cominciò a sperare che quella creatura se ne fosse già andata. Un
pensiero poco nobile, ma non si sarebbe vergognato nel dire che in quel
momento avrebbe preferito correre nella direzione opposta.
Era inquietante il tempismo con cui questo drago decideva i suoi
attacchi. La prima volta, se fosse arrivato un istante dopo, Daric
sarebbe morto decapitato. Questa volta, se fosse arrivato un istante
dopo, Daric se ne sarebbe andato da Whiterun senza essere coinvolto in
questa faccenda.
Se fosse stato paranoico, avrebbe pensato che quel drago lo stesse
perseguitando.
Arrivarono in prossimità della torre, e poterono rendersi conto
dell'entità dell'attacco. A terra alcuni focolai stavano consumando
macchie di vegetazione spontanea e alcuni cumuli di materiali non più
riconoscibili, mentre dalla torre alcune finestre eruttavano fumo e
ceneri. L'odore acre di bruciato permeava l'aria, ed aveva un retrogusto
sinistro che soffocava il respiro. A parte questo quadro devastato, il
drago ancora non si palesava.
«Non mi piace questa calma» disse Irileth, a mezza voce. «Ascoltate,
per prima cosa cerchiamo i sopravvissuti e prestiamo loro soccorso. Fate
attenzione e state all'erta».
I soldati si divisero e iniziarono a perlustrare la zona, subito
seguiti da Irileth.
Daric preferì dirigersi subito alla torre. Di sicuro i sopravvissuti
si erano riparati all'interno, e se c'erano dei feriti poteva aiutarli.
A giudicare dall'aspetto attuale, quella torre un tempo era stata
costruita assieme ad una piccola cinta di mura, che racchiudevano un
cortile interno. Le mura erano in completo abbandono, forse erano state
in parte riutilizzate come materiale per la manutenzione della torre.
Per entrare nell'edificio dovette quasi arrampicarsi su un troncone
mezzo crollato delle mura. Indugiò sulla soglia, per quello che riusciva
a vedere all'interno non c'era anima viva, e neanche morta. Sulla parete
in fondo spiccava una grosso alone nero, e parte del mobilio era
bruciato.
«C'è qualcuno?» Chiamò con prudenza.
«Chi va là?» fu la risposta che gli arrivò. «Entra e fatti vedere!»
comandò bruscamente quella voce.
Daric entrò, cauto, e alla destra si trovò una guardia con la spada
sguainata. Alla sinistra vide che ce n'erano altre due, sedute a terra,
in condizioni non proprio ottimali. Dopo averlo squadrato, la guardia
rilassò un poco la postura «Sei un viaggiatore? Non dovresti essere qua,
questo posto è stato appena attaccato e stiamo aspettando i rinforzi».
«I rinforzi sono arrivati» gli disse. «Irileth è qui fuori, immagino
che vorrai parlarle».
La guardia non se lo fece ripetere due volte e subito si precipitò
fuori.
Daric invece si avvicinò ai due soldati feriti e si inginocchiò davanti
a loro. Il primo aveva un'ustione sul braccio destro, dalla mano fino al
gomito. Questi alzò lo sguardo, «Sono arrivati i rinforzi?» chiese a
Daric, con la voce tesa dal dolore.
«Sì, il vostro compagno è riuscito a portare l'allarme a Whiterun».
Il soldato annuì, «Vorrei andare anch'io, ma con il braccio ridotto
così non riesco nemmeno ad impugnare la spada».
«Forse posso fare qualcosa, porgimi il braccio».
Gli porse il braccio, e Daric vi avvicinò le sue mani.
«Non ti serve un unguento?» domandò la guardia.
Daric non rispose, invece evocò una debolissima magia del gelo e la
diffuse sulla pelle ustionata. La guardia sospirò, sollevata.
«Tieni il braccio fermo ancora un po'» gli disse, quindi evocò una
magia curativa. Le lesioni scomparvero in breve tempo, e la pelle
ritornò sana.
«Come va adesso?» gli chiese. Il soldato osservò il braccio, sfiorando
la pelle con l'altra mano. Infine provò ad aprire e chiudere le dita
della mano appena guarita «È tornato come nuovo» disse, quasi ridendo
per il sollievo. «Sei un nuovo guaritore del Tempio? Non ti ho mai visto
prima».
«No, sono a Whiterun solo di passaggio. Sto assistendo lo jarl in
alcune faccende, mi ha chiesto lui di venire qui».
«Davvero?» fece l'altro, sorpreso. «Se è così, devo dire che lo jarl ci
ha visto giusto. Grazie per l'aiuto, quella bruciatura faceva davvero
male».
«Di nulla, sono qui apposta» Daric sorrise imbarazzato. In realtà non
era lì per fare il guaritore, ma non ci teneva affatto a puntualizzarlo.
«Quindi non ti dispiace se ti chiedo di rimettere in sesto anche il mio
compagno?» gli chiese il soldato a bassa voce, indicando l'altra guardia
seduta poco lontano da lui. «Scommetto che ora si sta trattenendo dal
chiederlo, perché vuole fare il duro che soffre in silenzio».
«Certo, posso provarci».
«Ehi, Gunnar! Hai sentito?» disse al suo compagno. «Lo jarl ha mandato
un guaritore! Ora non avrai più scuse per battere la fiacca, fra poco si
torna in azione».
«Invece tu ti stai ammazzando di fatica...» rispose Gunnar, a tono con
la provocazione scherzosa del compagno, ma con una voce flebile ed
affaticata.
Daric gli si avvicinò, accompagnato dall'altro soldato. «Coraggio,
fagli vedere le braccia» gli disse quest'ultimo.
Gunnar obbedì senza fiatare, e con gran fatica sollevò le braccia,
mostrandogli le sue ferite. Daric sibilò a denti stretti, si sentì male
solo a guardarle. Sulla parte esterna degli avambracci, fino al dorsi
delle mani, la pelle era diventata bianco-brunastra, e aveva lo stesso
aspetto del cuoio. Era un'ustione grave, e la parte colpita faceva
pensare che il soldato si fosse fatto scudo con le braccia da una
fiammata.
«Come ti senti?» gli domandò.
«Mi gira la testa... e mi sento stanco...» mormorò Gunnar.
«E alle braccia, cosa senti?»
«Niente... non sento più niente...».
Daric annuì, cupo. Era come sospettava.
«È grave?» gli domandò preoccupato il compagno a bassa voce, per non
farsi sentire da Gunnar. «Fino a poco tempo fa non stava così male, a
parte le ustioni».
«È uno stato di malessere che insorge dopo ustioni gravi» spiegò Daric.
«È stato il drago, vero?»
«Sì, ci ha attaccati a sorpresa. Gunnar è stato atterrato e non è
riuscito a fuggire in tempo, per fortuna la fiammata non l'ha investito
in pieno».
«È stato molto fortunato, ma bisogna intervenire in fretta,
altrimenti rischia un collasso. Ho bisogno di bende e di una ciotola».
Il soldato si allontanò subito per procurargli quanto chiesto.
Daric tornò a rivolgersi a Gunnar: «Adesso ti darò una pozione da bere,
ma prima devo toglierti l'elmo. Va bene?»
Lui annuì, quindi Daric afferrò l'elmo e con delicatezza lo tirò verso
l'alto, sfilandolo. Il viso di Gunnar era quello di un giovane nord,
forse anche più giovane di Daric. I suoi occhi chiari erano velati dalla
sofferenza, e i lunghi capelli castani si erano attaccati al viso madido
di sudore.
Daric aprì la sua tracolla e vi estrasse un'ampolla rossa. Con qualche
accortezza, riuscì a fargli bere la pozione.
«Bravo» gli disse. «Vedrai, fra poco ti sentirai meglio».
Gunnar deglutì e distolse lo sguardo. «Dimmi sinceramente» esordì, la
voce spinta indietro dall'orlo del pianto, «Dovranno amputarmi le
braccia?»
Daric ebbe una stretta al cuore.
«No!» si affrettò a rispondere. «Credimi, ho visto di peggio» gli
disse, cercando di suonare rassicurante. «Le tue braccia torneranno
com'erano, ci vorrà solo qualche giorno».
Gunnar lo guardò negli occhi, sorpreso e sollevato, poi gli sorrise,
«Grazie».
Dopo poco l'altro soldato tornò con due rotoli di bende ed una ciotola
di legno, e Daric poté mettersi al lavoro. Nella ciotola versò ad uno ad
uno gli ingredienti, pescandoli dalla tracolla: da una bottiglietta
versò una quantità d'olio, poi da un sacchetto di cuoio aggiunse una
manciata di polvere color acquamarina, infine da una fiala stillò due
gocce di un liquido denso e scuro. Mescolò il preparato con una spatola,
e intorno si diffuse un aroma dolce ed erbaceo.
«Lavanda?» chiese l'altro soldato, inginocchiato vicino al suo
compagno.
«Esatto» rispose Daric. «Di norma avrei preferito l'aloe per una
bruciatura, ma anche l'essenza di lavanda fa il suo dovere» commentò,
mentre spalmava l'unguento sulla pelle.
«Già» mormorò Gunnar con un sorriso nostalgico, «Me lo diceva anche mia
nonna».
Poco dopo, alcuni uomini dei rinforzi entrarono nella torre con dei
secchi colmi d'acqua, diretti ai piani superiori. Entrò anche Irileth, e
si affiancò a Daric, osservando in silenzio.
Finita l'applicazione, Daric avvicinò le mani alle ferite ed evocò di
nuovo una magia curativa. Stavolta la pelle non guarì, ma la polvere che
aveva aggiunto all'unguento iniziò a brillare appena.
«Che cosa...?» esclamò stupefatto Gunnar, ritirando d'istinto le
braccia. La proverbiale diffidenza dei nord verso la magia era
riaffiorata.
«Stai tranquillo» gli disse Daric, paziente. «È un rimedio che ho usato
altre volte, è perfettamente sicuro».
Per qualche istante Gunnar sembrò indeciso tra il rischiare di perdere
le braccia ed il rischiare di fidarsi di una magia sconosciuta, ma alla
fine, con un po' di riluttanza porse di nuovo le braccia a Daric per
fargliele bendare.
«Non avevo mai visto un unguento così... particolare» commentò l'altro
soldato, quasi affascinato.
«Non mi stupisce» disse Daric. «È una mia invenzione, lo usai per la
prima volta per guarire la mano di un fabbro, che si era procurato
un'ustione simile alla tua».
«Ed è guarito?»
«Certo, è tornato a fare il suo mestiere come prima» sorrise Daric.
«Ora ascolta bene» gli disse, quando ebbe finito di bendarlo,
«Ovviamente dovrai stare a riposo. Dovrai tenere le bende per almeno
cinque giorni, poi potrai toglierle e lavare via quello che resta
dell'unguento. Quando la pelle sarà quasi guarita sentirai prurito e
formicolio, ma dovrai evitare di grattarti» poi, dopo averci pensato un
attimo, aggiunse «Anzi, evita in ogni caso di toccarti, altrimenti
potrebbero restare delle cicatrici. Tutto chiaro?»
«Credo di sì».
Grazie alla pozione Gunnar aveva recuperato un colorito più sano, e non
sembrava più sul punto di svenire. Daric si rivolse ad Irileth: «Sarebbe
meglio che il suo compagno rimanesse con lui, per sicurezza».
«Va bene, mi fido del tuo parere» rispose lei. «Rimarrai con lui,
d'accordo?» ordinò al compagno di Gunnar.
«Sì, signora».
Uscirono dalla torre e tornarono nel cortile, dove i soldati stavano
spegnendo gli ultimi focolai.
«Avete trovato altri feriti?» le chiese Daric.
La dunmer scosse la testa. «Nessun altro ferito. Ci sono stati due
morti, abbiamo trovato i corpi carbonizzati».
Fu in quel momento che Daric riconobbe quel retrogusto nauseante nel
fumo: era l'odore della carne bruciata. Mormorò una preghiera ad Arkay
per i due caduti, vittime di una morte così atroce. Non fece in tempo a
finirla, che una voce dall'alto attirò la loro attenzione.
«Il drago sta tornando! Da sud!» Gridò una guardia dalla cima della
torre.
«Me lo sentivo!» sibilò Irileth, per poi gridare agli altri:
«Preparatevi all'attacco! Trovatevi un riparo e sfoderate gli archi, che
ogni freccia sia un colpo a segno!»
I soldati reagirono con ammirevole disciplina, nonostante il ruggito
terrificante che giunse poco dopo. Qualcuno si riparò dietro gli speroni
del muro semicrollato, qualcuno entrò nella torre ed affacciò l'arco
dalle feritoie. Per Daric, d'altro canto, sentire quel verso fu come
rivivere un incubo. Non potevano bastare pochi giorni per affievolire il
ricordo della devastazione di Helgen: le urla, le fiamme e il terrore
incombente della morte.
«Sei pronto?» gli chiese la dunmer, i palmi delle mani già crepitanti
di elettricità.
Daric annuì, risoluto.
La belva arrivò, come preannunciato, da sud. Oscurò il sole per un
momento, come una nube passeggera, ma invece dell'acqua piovve il fuoco.
Daric fece appena in tempo a ripararsi, assieme ad Irileth, dietro una
sporgenza del muro. Appena le fiamme passarono, uscirono allo scoperto.
Il drago stava tornando indietro, quindi passarono al contrattacco. Le
frecce cominciarono a sibilare nell'aria, mentre Irileth fece saettare
le sue scariche elettriche. Daric non aveva idea se i draghi avessero
particolari debolezze elementali, quindi tanto valeva che usasse il suo
elemento preferito. Attinse al suo magicka e condensò nell'aria un dardo
di ghiaccio, quindi lo scagliò verso il drago.
Molti delle offensive andarono a segno, ma il drago non sembrò accusare
il danno. Fu quando questo ritornò per attaccare, che Daric si rese
conto di un fatto lampante.
«Non è lo stesso!» disse ad Irileth, concitato.
«Di cosa stai parlando?»
«Del drago! Non è lo stesso che ha attaccato Helgen, questo è diverso!»
Non poteva sbagliarsi, la creatura che aveva visto ad Helgen era nera
come la notte, questa invece sembrava avere le scaglie forgiate nel
bronzo.
«Allora speriamo che non arrivi anche l'altro» replicò lei, digrignando
i denti e lanciando un'altra scarica.
A breve, i focolai tornarono ad ardere in più punti, ma per fortuna il
fumo veniva subito disperso dalla grande mole d'aria che il drago
spostava con le ali possenti. Nonostante la creatura fosse attaccata da
più direzioni, rimaneva ad un livello superiore nello scontro. Scovava
in modo sistematico i suoi avversari, e li spingeva alla fuga o a
desistere. Si contavano già i primi feriti.
«Dobbiamo costringerlo ad atterrare» mormorò Daric.
Proprio in quel momento, il drago aveva appena cercato di disfarsi del
soldato in cima alla torre, che per un soffio era riuscito a sfuggire ai
suoi artigli. La belva tornò all'attacco, ma stavolta si fermò a
mezz'aria. Fu in quel momento che a Daric balenò un'idea.
Evocò un altro dardo di ghiaccio, e mentre il drago reclinava il collo
serpentino e spalancava le fauci, lo scagliò con tutta la forza.
Il dardo si inchiodò sull'ala destra, ed il getto di fuoco del drago fu
subito spento da un ruggito irritato. La belva quasi precipitò, ma con
fatica riprese quota e tornò a volare.
«Hai avuto una buona idea» gli disse Irileth, per poi gridare agli
altri: «Mirate alle ali!»
La soddisfazione di Daric ebbe vita breve, perché il drago puntò dritto
verso di lui. Atterrò in cima al muro usato come riparo e, per la
sorpresa di tutti, parlò:
«Nos kinzon[1],
hai guadagnato la mia attenzione, mortale».
Daric rimase paralizzato, da un'egual misura di meraviglia e terrore.
In quel momento, in cui si trovò a fissare la creatura negli occhi, si
sentì come un topolino al cospetto di un falco, e gli istanti parvero
dilatarsi.
«Yol...»
Intuì quello che stava per succedere, ma i suoi piedi erano incollati
al suolo. Non poteva muoversi.
«Toor...»
Solo in quel momento si rese conto che il drago pronunciava delle
parole prima di soffiare il suo getto di fuoco, da lontano li aveva
scambiati per semplici ruggiti. Chissà se avevano un significato?
«Shul!»
Chiuse gli occhi e si preparò al peggio. Oramai, ci aveva quasi fatto
l'abitudine.
Tuttavia, il calore ustionante delle fiamme non arrivò. Si sentì invece
strattonare con forza, e si ritrovò a rotolare a terra assieme a
qualcuno. Quando riaprì gli occhi vide quelli cremisi di Irileth, sopra
di lui.
«Si può sapere che ti è preso?» lo rimproverò con asprezza.
«Scusami» balbettò, imbarazzato. «È stata la paura».
Nel frattempo il drago era stato costretto a riprendere il volo, visto
il costante numero di frecce che gli arrivavano addosso.
L'huscarlo sbuffò, rialzandosi in piedi, e gli offrì una mano.
«Non farmi rimpiangere di non aver portato Farengar al posto tuo» disse
lei, ironica nonostante la situazione.
Daric sorrise, ed afferrò la sua mano. «Avresti dovuto portarci tutti e
due, per fare un confronto» osservò, quando si fu rialzato.
«Me lo ricorderò la prossima volta» replicò lei, mentre tornava a
guardare il drago. «A quanto pare la tua idea sta funzionando».
In effetti la belva stava avendo sempre più difficoltà a mantenersi in
volo, viste le numerose lacerazioni che si erano formate sulle membrane
delle ali. Bastarono alcuni altri colpi andati a segno per costringerla
ad atterrare, proprio dietro la torre.
«Mantenete le distanze!» ordinò Irileth ai suoi uomini. «Non ingaggiate
il corpo a corpo! Qualcuno intanto aiuti i feriti a rifugiarsi nella
torre».
Daric fu tentato di andare a recuperare i feriti, ma la sua coscienza
gli impose di seguire Irileth. Aveva promesso allo jarl di assisterla
come poteva, e ci teneva a mantenere la parola data.
Arrivarono nello spazio retrostante la torre, e trovarono il drago ad
aspettarli. Tutt'altro che domo, ora si agitava come una belva in
trappola. Sputava fuoco a chiunque si esponesse per attaccarlo, anche da
lontano, e ruggiva infastidito per le frecce che piovevano dalla torre,
che era l'unico posto sicuro. Purtroppo le frecce erano limitate, sia
nel numero che nell'efficacia, visto che di rado sembravano penetrare la
corazza spessa delle scaglie. Daric e Irileth erano gli unici che, con
la magia, riuscivano a ferirlo. Tuttavia il drago l'aveva capito, e
quindi non lasciava loro sufficiente spazio per scoprirsi ed attaccare.
«Penso che dovremmo salire anche noi sulla torre, almeno avremmo più
copertura» suggerì l'huscarlo.
«Aspetta, voglio prima fare un tentativo. Tienilo distratto per qualche
momento» la fermò Daric.
«D'accordo» acconsentì, prima di sporgersi dalla copertura solo il
tempo necessario per lanciare alla cieca qualche scarica.
Daric chiuse gli occhi, e proiettò la sua mente sulla sponda delle
acque dell'Oblivion. Concentrandosi sul morfotipo, la forma che
desiderava evocare, lanciò l'invito tra le onde del caos primigenio, e
qualcosa subito rispose. Come un pesce che abboccava all'amo, Daric lo
trascinò a sé. Lo ammanettò alle catene dell'obbedienza e, riaprendo gli
occhi, gli aprì il passaggio per il Mundus.
Una bolla violacea apparve di fronte al drago, e da questa emerse
l'incarnazione del fuoco. Una figura dalle fattezze femminili che
leggiadra danzava nell'aria, proprio come la fiamma di cui si formava.
«Un Atronach?» fece Irileth, sorpresa. «Questa non me l'aspettavo».
Il daedra cominciò subito ad attaccare il drago, lanciando rapido una
sequenza palle di fuoco. Quest'ultimo rispose con il suo getto
incendiario ma, come Daric aveva supposto, l'Atronach ne era del tutto
immune. Il drago provò ad accorciare le distanze, per stritolarlo tra le
sue fauci, ma il daedra evitava con destrezza ogni morso.
«Ora è distratto!» disse Daric, ed entrambi ne approfittarono per
uscire dalla copertura ed attaccarlo.
Il drago tuttavia, non si fece prendere in giro a lungo. Quando si
accorse che si trattava di una tattica diversiva, reagì in modo
inaspettato.
«Fo Krah Diin!»
Una bufera di ghiaccio esplose dalle fauci del drago, e l'Atronach,
trovandosi sopraffatto dal suo elemento avverso, fu ricacciato
nell'Oblivion.
«Grazia divina di Akatosh!» boccheggiò Daric, colto alla sprovvista.
«Puo soffiare anche il ghiaccio?!»
«Dannazione, pare proprio di sì» imprecò Irileth a denti stretti.
«Brit grah[2].
Nonostante la vostra fragilità, siete pieni di risorse» disse il drago.
«Yol Toor Shul!»
Di nuovo furono costretti a ripararsi dietro la copertura, e furono
nella stessa situazione di prima.
«Peccato, era una buona trovata evocare un daedra» disse Irileth. «Ora
però sappiamo che può sputare sia ghiaccio che fuoco, non potresti
evocare un Atronach della Tempesta, o un dremora?»
Daric scosse mesto il capo. «Purtroppo non ho molta esperienza con la
scuola dell'Evocazione, sarebbero oltre la mia portata».
«Capisco, allora dobbiamo farci venire un'altra idea» disse lei,
alzando le spalle. «Oppure potremmo prenderci una fiammata in piena
faccia, tanto per cambiare».
«Aspetta... cosa hai appena detto?» fece Daric, colto da un'intuizione.
«Che dobbiamo farci venire un'altra idea, mi sembra ovvio».
«No, quello che hai detto dopo»
«Che potremmo prenderci una fiammata in faccia?» ripeté Irileth,
incerta su dove volesse andare a parare.
«Sì, esatto!» esclamò Daric, schioccando le dita. «Ecco l'idea che ci
serve».
Lei gli rivolse un'occhiata scettica. «Cioè vorresti farla finita? Che
razza d'idea sarebbe?»
«No, non volevo dire questo» disse Daric, agitando una mano. «Il punto
è che tu sei una dunmer!» disse, come se lo avesse scoperto solo in quel
momento.
Irileth sollevò un sopracciglio. «Il tuo acume mi sorprende. E con
ciò?»[3]
«Beh, la tua gente ha una resistenza innata al fuoco, giusto?»
«Sì, ma non siamo immuni. Ne uscirei tutt'altro che illesa da un
attacco del genere».
Daric si limitò a rovistare nella sua tracolla, quindi estrasse una
boccetta e la agitò davanti agli occhi di Irileth. «E se io ti fornissi
ancora più protezione?» propose, con un sorriso trionfale.
«Un tonico di resistenza al fuoco?» Irileth lesse l'etichetta, con
un'espressione meditabonda. «Sì, potrebbe funzionare, ma non a lungo».
«A me bastano pochi secondi. Ho bisogno che tu mi copra, in modo che
possa preparare un incantesimo più potente».
«Ora ho capito cosa hai in mente» annuì. «Devo però ricordarti che il
drago sputa anche il ghiaccio, oltre che il fuoco. Cosa facciamo se
decide per il primo invece che per il secondo?»
«Il drago pronuncia delle parole prima di usare quegli attacchi magici,
quindi abbiamo una finestra di tempo per prevederlo».
«Dici sul serio? A me sembrano solo ruggiti»
«Anch'io la pensavo così. Non so quale lingua sia, ma ti assicuro che
sono parole».
«Quindi mi assicuri che sei in grado di riconoscere un attacco
dall'altro?»
Daric annuì.
Irileth ci pensò su per qualche momento. «Va bene. Al momento non mi
vengono idee migliori, quindi mi fiderò di quello che dici».
«Grazie» disse, offrendole il tonico. «Ho bisogno di copertura per
qualche secondo, tu dovrai solo farmi da scudo. A proposito...»
aggiunse, d'improvviso «Porgimi il tuo scudo».
Lei acconsentì. Daric accostò una mano sulla superficie di legno, e in
pochi secondi fu ricoperta da uno strato di ghiaccio.
«In questo modo potrai frangere le fiamme più a lungo, senza paura che
lo scudo si bruci».
«Mi stai facendo preoccupare. Sicuro che ti serva solo qualche
secondo?»
Daric sorrise imbarazzato. «È solo una precauzione in più. Mi sento in
colpa per quello che ti sto chiedendo di fare».
«Non devi sentirti in colpa. Piuttosto, assicurati di colpirlo una
volta per tutte».
Irileth bevve il tonico e, dopo un cenno d'intesa, uscì allo scoperto,
con Daric a seguirla come un'ombra.
«Ehi, drago!» urlò lei. «Una volta che avremo finito con te,
appenderemo la tua testa accanto a quella del vecchio Numinex, che ne
dici?»
Provocarlo per attirare la sua attenzione era una buona idea, se poi
fosse riuscita anche a farlo parlare, tanto meglio. Daric cominciò
subito ad intessere il suo incantesimo. Dato che non era un esperto
nella scuola della Distruzione, doveva colmare questa sua mancanza
attingendo da un'altra scuola.
«Potrai anche sconfiggere me, ma ora che il padrone è tornato il vostro
tempo è finito» rispose il drago.
Daric cercò di non farsi distrarre, tuttavia la menzione di questo
"padrone" non poteva non preoccuparlo. Ancora nascosto alle spalle di
Irileth, Daric solidificò un cuneo di ghiaccio, il più possibile
appuntito.
«Yol...»
Riconoscendo la parola, Daric la avvertì subito: «È il fuoco!»
«Toor Shul!»
Irileth fece appena in tempo a sollevare il suo scudo, e furono
investiti dal getto di fuoco. L'idea stava funzionando, Irileth sembrava
imperturbabile al calore, e questo consentì a Daric di non interrompere
la preparazione. Ora che il proiettile era stato formato, si stava
affidando alla scuola dell'Alterazione per renderlo duro come l'acciaio.
Quando il fuoco si dissipò, il drago si accorse che il suo avversario
non era agonizzante al suolo. Memore dello scontro appena avuto con
l'Atronach, adottò subito la medesima strategia.
«Fo...»
Era arrivato il momento. «Via! Ora!» urlò Daric.
«Krah Diin!»
I successivi eventi si incastrarono l'uno con l'altro, come i denti di
due ingranaggi. Irileth si buttò a terra di lato, e mentre il drago
spalancava le fauci, Daric scagliò il suo proiettile di ghiaccio. La
belva riuscì ad emettere appena uno sbuffo di gelo, prima che il
proiettile lo colpisse alla sprovvista, conficcandosi dritto
nella sua gola. Il ruggito di dolore si trasformò a breve in un
gorgoglio di sangue, ed il drago si accasciò soffocando al suolo. Dopo
alcuni spasimi, sempre più deboli, non si mosse più.
Tutt'intorno ci fu un lungo momento di silenzio, ma quando fu chiaro
che non si sarebbe più rialzato, i soldati esplosero in grida di
vittoria. Daric era rimasto frastornato, ancora non riusciva a
capacitarsi di quello che era successo. Si riscosse solo quando Irileth
gli diede un pugno amichevole sulla spalla.
«La tua idea ha funzionato, a quanto pare» si complimentò lei.
«Ha funzionato...» mormorò, «Ce l'abbiamo fatta!» disse, per poi
sfogare la tensione accumulata in una risata liberatoria.
Sventata la minaccia incombente, poterono tutti prendere fiato e
riassestare la situazione. Mentre quelli illesi si occuparono di
spegnere nuovamente i focolai, e di disfarsi di tutti gli oggetti
bruciati nella torre, Daric si curò dei feriti.
Quando ebbe finito, ed il sole si apprestava a tramontare, fu
avvicinato da Irileth. «Io devo rimanere qui ancora per un po'» gli
disse. «Bisogna organizzare il trasporto dei due morti a Whiterun, e
bisogna scrivere un rapporto su quello che è successo qui. Tu intanto
potresti ritornare dallo jarl e riferirgli che il drago è stato ucciso».
«Sì, immagino che sia in attesa di notizie» concordò Daric.
«Un'ultima cosa...» gli disse, facendo cenno di seguirla. Uscirono
entrambi dalla torre, e tornarono nello spazio retrostante. Accanto al
corpo del drago, a cui Daric non aveva osato avvicinarsi, si era
radunato un capannello di soldati. Era comprensibile che provassero
curiosità verso una creatura che, fino a poco tempo fa, abitava solo le
leggende.
«Dobbiamo prendere un "pezzetto" del drago da portare a Farengar. Pensi
di poterlo fare tu?» gli chiese Irileth.
«Penso di sì» rispose, non molto propenso all'idea. Irileth quindi lo
salutò, e tornò ai suoi doveri.
Avvicinandosi al gruppo di soldati, Daric sentì che si scambiavano
commenti sull'aspetto feroce del drago.
«È veramente spaventoso» disse uno. «Le canzoni non gli rendono
giustizia».
«Già. Guardate quante frecce aveva conficcate addosso» disse un altro.
«Sembrava imbattibile».
«Scusate» intervenne Daric. «Non fate caso a me, devo solo prelevare
dei campioni».
Estrasse un coltello d'argento dalla tracolla, e fece per avvicinarsi
al drago. Tuttavia, quando fu ad appena un passo di distanza, si bloccò
di colpo. Il corpo inerme del drago iniziò ad illuminarsi. Come se un
fuoco lo stesse consumando, le membra presero a sfaldarsi in brandelli,
ed a disperdersi nell'aria come cenere. Uno strano flusso dorato si era
levato dal drago, ed ora stava confluendo verso Daric. La sensazione fu
indescrivibile. Fu come se la sua mente stesse inspirando a pieni
polmoni, gonfiandosi di una conoscenza finora sconosciuta. Fu come
vivere migliaia di anni in un secondo solo, e quando quel secondo finì,
Daric si trovò a barcollare.
Fu sorretto prontamente da uno dei soldati. «Stai bene?» gli chiese.
Lui annuì, incerto. Guardò il corpo del drago: si era ridotto allo
scheletro.
«Tu... hai assorbito la sua anima!» disse un soldato, la voce carica di
meraviglia.
Daric aprì bocca ma non riuscì a proferire una parola, tanto era lo
stupore.
«Sei il Sangue di Drago!» continuò il soldato.
Questa affermazione levò molti commenti scettici da parte degli altri
uomini.
«Di cosa stai parlando?» chiese Daric, ritrovata la parola.
«Le leggende narrano che solo il Sangue di Drago può assorbire le anime
dei draghi» rispose lo stesso soldato. «E che Kyne mi fulmini, ma è
quello che hai appena fatto».
«Suvvia, Holvur» intervenne un altro. «Sei un po' troppo cresciuto per
credere queste favole, non credi?»
«E tu sei un po' troppo furbo per aver detto un'idiozia simile» replicò
Holvur, stizzito. «Quindi, secondo te, anche questo bestione sarebbe una
favoletta?» chiese, indicando il drago.
«Credo a quello che vedo» continuò imperterrito l'altro soldato.
«E non hai visto quello che è appena successo, Hroki? O stavi
dormendo?»
«Non so quello che ho visto» rispose Hroki, scaldandosi appena. «Per
quello che ne sappiamo potrebbe essere stata una reazione spontanea del
drago».
«Va bene, sapientone, allora ti mostrerò un'altra prova» insistette
Holvur, poi rivolgendosi a Daric. «Se sei il Sangue di Drago, allora
puoi usare gli Urli come i draghi. Perché non provi?»
Daric scosse il capo, confuso. «Anche se volessi, non so di cosa
stai...»
Fu in quel momento che gli tornò in mente quello strano episodio al
Tumulo delle Cascate Tristi, quando si era quasi sentito chiamare da una
parete levigata, scolpita in caratteri sconosciuti. Fu in quel momento
che la conoscenza assorbita dal drago andò a collimare con quel ricordo
in un'unica parola, la stessa che nel Tumulo era risuonata insistente
nella sua testa. Fu in quel momento che assunse un significato, e sentì
il bisogno insopprimibile di urlarla.
«Fus!»
Forza. Era questo il significato della parola, ed era ben più
che semantico, era fisico, tangibile. Dalla sua bocca non uscì solo il
suono della parola, ma anche la manifestazione della forza stessa che
rappresentava. Fu quella forza che scosse lo scheletro del drago, e fece
barcollare i soldati davanti a sé, incluso lo scettico Hroki.
«Hah!» esultò Holdur, soddisfatto. «Ora l'hai visto e l'hai sentito, ci
credi adesso?»
Hroki alzò le mani. «Va bene, mi arrendo. Sangue di Drago o meno, ha
dato una bella lezione a quel drago, e tanto mi basta» disse, per poi
andarsene. Gli altri nel frattempo avevano incominciato a mormorare tra
loro, alcuni eccitati alla notizia, altri ancora scettici.
«Cosa ho appena fatto?» domandò Daric, sbalordito.
«Hai Urlato» rispose Holdur. «Non l'avevi mai fatto prima?»
«No, mai»
«Dunque lo hai fatto d'istinto, e questo dimostra che sei il Sangue di
Drago» concluse il soldato.
Daric continuava a non capire, e scosse la testa, perplesso.
«Col tempo capirai» gli disse, come se avesse letto nella sua mente, e
gli diede una pacca d'incoraggiamento sulla spalla. «Abbi cura di te, e
grazie per il tuo aiuto» lo salutò, prima di andarsene anche lui. Ad uno
ad uno il capannello si disperse, e Daric rimase solo. Con mille
pensieri che gli affollavano la testa, e ancora con il coltello in mano,
guardò la carcassa del drago: non c'era rimasto molto da prelevare.
Decise di prendere un dente, e qualche frammento dai brandelli di pelle
che erano rimasti attaccati qua e là alle ossa.
Nella strada di ritorno a Whiterun, ebbe modo di ripensare a quanto
successo. Ormai poteva accantonare l'idea che si trattasse di una serie
di semplici coincidenze. Perciò, se non era casuale, allora era voluto.
Ma da chi? E, soprattutto, perché? Non gli piaceva essere all'oscuro dei
fatti, ma al momento la migliore strategia da adottare era quella del
"aspettiamo e stiamo a vedere".
Era arrivato alle fattorie nei pressi della città, quando un boato
scosse il cielo e la terra, ed un coro di voci tonanti echeggiò
nell'aria:
«Dovahkiin!»
Daric si preparò al peggio, ma in pochi istanti ritornò il silenzio e
la tranquillità. Non provò nemmeno a chiedersi cosa fosse successo.
«Non c'è che dire, Skyrim è davvero un posto vivace» disse tra sé,
riprendendo a camminare. Doveva sperare che l'ironia non l'abbandonasse
mai, altrimenti sarebbe impazzito di questo passo.
⁂
La mattina successiva, Lydia stava per iniziare il suo allenamento
quotidiano nel grande porticato di Dragonsreach, quando fu avvicinata da
Proventus Avenicci.
«Salute, Lydia»
«Sovrintendente» ricambiò il saluto con un cenno del capo. «Posso fare
qualcosa per te?»
«Mi dispiace interrompere il tuo allenamento, ma lo jarl vorrebbe
parlarti».
Rimase spiazzata da quella richiesta. Di solito la mattina era un
momento fitto di impegni per lo jarl.
«È urgente?» domandò, tastando il terreno.
«Non proprio, ma è molto importante» rispose Avenicci, evasivo. «Ora lo
jarl ha un momento libero, quindi è meglio non rimandare».
«Va bene, andrò subito»
Salutò il sovrintendente e si diresse verso la grande sala. Quando
arrivò al cospetto dello jarl, lo trovò immerso in una fitta
conversazione con Irileth.
«Sei sicuro che sia una buona idea?» sentì dire dall'huscarlo. «Ci
stiamo privando di un buon elemento».
«Lo so, ma lui ne avrà senz'altro più bisogno» rispose Balgruuf, prima
di notare il suo arrivo.
«Lydia, ragazza mia» lo jarl la salutò come al solito in tono bonario,
quasi come un padre.
«Volevi parlarmi, signore?» chiese lei, chinando il capo con rispetto.
«È così. Immagino che tu abbia saputo quello che è successo ieri».
Lei annuì, anche se incerta. «Ti riferisci alla faccenda del drago? O a
quella dei Barbagrigia?»
«Entrambe, visto che sono collegate» rispose lo jarl. «Non è ancora di
pubblico dominio, ma pare lo straniero che ci ha aiutati sia proprio il
Sangue di Drago».
Lydia spalancò gli occhi, sorpresa. «Quindi i Barbagrigia stavano
convocando lui?»
Quasi tutti a Skyrim sapevano che i Barbagrigia erano degli eremiti, e
che non erano affatto soliti nel farsi sentire in quel modo. La sera
prima, quando le loro voci erano esplose dall'alto del loro monastero di
Hrothgar Alto, tutti avevano ripensato all'ultima persona che avevano
convocato: nientemeno che il giovane Tiber Septim.
«Esatto, ma questi sono affari dei Barbagrigia, non nostri» tagliò
corto lo jarl. «Quello che ci interessa, è che lo straniero abbia un
giusto riconoscimento per l'aiuto che ci ha dato, ed è per questo che
gli ho conferito il titolo di thane di Whiterun. Tuttavia, ogni thane
che si rispetti deve avere un huscarlo fedele e all'altezza del compito,
ed è qui che entri in gioco tu, Lydia».
«Io?» fece lei, ancora più sorpresa. «Davvero hai pensato a me?»
«Ma certo, ragazza mia» disse Balgruuf, sorridendo. «Sono convinto che
saresti perfetta. Sta a te scegliere però, non è mia intenzione
obbligarti».
«Per me sarebbe un onore, signore» rispose subito, cercando di tenere a
freno l'emozione nella voce. Il fatto che lo jarl avesse pensato a lei
per un simile compito, la riempiva d'orgoglio. Avrebbe avuto l'occasione
di servire e proteggere non solo un cittadino illustre e valoroso, ma
anche un eroe leggendario.
«Sapevo che avresti accettato» disse lo jarl, soddisfatto della
reazione positiva. «In tal caso ti invito subito a fare la sua
conoscenza, il thane è con Farengar in questo momento».
Lydia ringraziò e si congedò dallo jarl, dirigendosi verso lo studio
del mago di corte.
Quando si fu allontanata a sufficienza, Irileth parlò: «Non le hai
detto nulla di Daric, lo sai che potrebbe essersi costruita un'immagine
sbagliata su di lui?»
«Lo so, ed è per questo che non le ho detto nulla» rispose lo jarl,
serio. «Lydia è una brava ragazza, ma anche lei deve imparare che spesso
le tradizioni limitano le nostra concezione del mondo».
Quando Lydia entrò nello studio del mago di corte, lo trovò assieme ad
un collega. O forse era un nuovo apprendista?
«Quindi non c'è rimasto nient'altro?» chiese Farengar all'altro mago,
un po' deluso. «Solo ossa?»
«In pratica sì. Ti avrei portato anche un'ampolla di sangue, ma...»
l'altro mago scrollò il capo, senza finire la frase.
«Beh, potresti darmi il tuo sangue» suggerì Farengar con un
ghigno. «Non sarebbe più o meno uguale?»
«Chiedo scusa» la donna interruppe la conversazione, visto che stava
virando su toni inquietanti.
«Ah, Lydia» esclamò il mago di corte, sorpreso. «A cosa devo questa
visita?»
«Sto cercando il nuovo thane» rispose, entrando nella stanza. «Lo jarl
mi ha detto che avrei potuto trovarlo qui».
«Infatti l'hai trovato» disse Farengar, indicando l'altro mago con un
cenno del capo.
Lydia lo squadrò da capo a piedi, perplessa. Era esile, come la gran
parte dei maghi, e la veste che indossava aveva di sicuro visto giorni
migliori. Da sotto il cappuccio, che era sollevato sulla testa, vide il
volto di un giovane incorniciato da una barba ispida e nera, gli occhi
grigi che ricambiavano il suo sguardo con curiosità. Nulla lasciava
pensare che quella persona fosse l'uccisore di un drago.
Lei tornò a rivolgersi a Farengar, con un'espressione scettica. «Non
prenderti gioco di me, non è divertente».
Il mago di corte, invece di rispondere, cominciò a sghignazzare senza
ritegno, seguito a ruota dal supposto thane.
Lydia roteò gli occhi, quasi annoiata. «Mi sono persa una battuta?»
«Dipende» replicò Farengar, divertito. «Spero che la tua ultima sia
stata una battuta, perché la mia non lo era».
Fu in quel momento che Lydia notò un'ascia appesa alla cintola
dell'altro mago, e si ricordò di averla vista nell'armeria di Balgruuf.
Di solito, quando uno jarl nominava un thane, gli consegnava una delle
sue armi personali come distintivo del suo titolo. Non appena combinò
insieme i due fatti, l'incredulità lasciò il posto alla vergogna. Lei si
era aspettata un guerriero dall'aspetto feroce ed intimidatorio, un po'
come Hrongar, il fratello dello jarl. Persino come mago aveva un aspetto
alquanto misero, sembrava uno dei soliti apprendisti squattrinati che
Farengar riceveva nel suo studio di tanto in tanto. Tuttavia i fatti
parlavano chiaro, e a meno che lo jarl non fosse impazzito, quel ragazzo
era veramente il nuovo thane di Whiterun, nonché il vociferato Sangue di
Drago.
«Vi lascio soli alle vostre presentazioni» disse Farengar, e lasciò lo
studio per non gravare oltre sull'imbarazzo del giovane huscarlo.
Resasi conto di aver fatto una figuraccia, chinò il capo per nascondere
il rossore sulle guance. «Mio thane» disse, cercando di recuperare un
po' di contegno. «Se vorrai scusare la mia insolenza, sarò onorata di
essere il tuo huscarlo. Sarò il tuo scudo e la tua spada, proteggerò la
tua persona ed i tuoi averi con la mia vita, fino alla morte se
necessario».
Sollevò di nuovo lo sguardo, pronta a ricevere il giudizio, ma trovò il
thane in difficoltà quasi quanto lei.
«Va bene, accetto» balbettò, rosso in viso. «Ma nessuno deve morire per
me, sia chiaro»
⁂
Passato il momento di imbarazzo, e fatte le dovute presentazioni, Daric
e Lydia lasciarono Dragonsreach.
Non appena fu fuori, Daric inspirò con piacere l'aria frizzante del
mattino. In silenzio scese la scalinata, seguito a breve distanza da
Lydia, e quando arrivò ad una delle panchine ai piedi del Verdorato, ci
si sedette subito. Sospirò ed abbassò il viso sui palmi aperti delle
mani. L'huscarlo rimase a guardarlo, confusa per il silenzio in cui
sembrava essersi chiuso. Proprio in quel momento un bambino passò
correndo accanto a loro, intento nei suoi giochi, ma subito dopo Lydia
lo vide tornare indietro per fermarsi davanti a Daric. Lei rimase
incerta su che cosa fare: il bambino sembrava intenzionato a volere
l'attenzione di Daric, che era ancora ignaro della sua presenza. Doveva
fermare il bambino? Forse il thane non voleva essere disturbato...
Fu così che Daric si sentì tirare per una manica, e quando risollevò lo
sguardo incontrò quello meravigliato del bambino.
«Che belle vesti, signore» disse questi. «Sei uno stregone?»
Daric sorrise con tenerezza. «Suppongo di sì. Perché me lo chiedi?»
«Puoi farmi diventare invisibile?» chiese il bambino, trepidante. «Sai,
sto giocando a nascondino e non voglio farmi trovare».
Come ragionamento non faceva una piega, ma l'incantesimo di
Invisibilità richiedeva una conoscenza avanzata nella Scuola
dell'Illusione. Daric stava per rispondergli che purtroppo non ne era
capace, quando all'improvviso arrivò una bambina redguard e afferrò il
suo coetaneo per le spalle, facendolo sobbalzare.
«Trovato!» Disse lei, esultante. «Ora tocca a me nascondermi».
«Così non vale, Braith!» Si lamentò il bambino. «Non hai contato fino a
trenta!»
«E invece sì» replicò la bambina.
«E invece no»
«E invece sì» disse lei, minacciosa, con le mani sui fianchi.
«Vuoi che ti faccio sanguinare il naso, piccolo Lars?»
Il bambino indietreggiò. «Smettila!» Balbettò, poco convincente.
«Scusami, signorina» Daric si intromise nella discussione, poggiando
una mano sulla spalla di Lars. «È così che tratti gli amici?» Le chiese,
a metà tra il serio ed il giocoso.
Braith sbuffò. «Lui non è mio amico, è solo un piagnucolone».
«Se non è tuo amico allora perché giochi con lui?»
Stavolta la bambina non ebbe la risposta pronta, e se ne uscì con un
«Fatti gli affari tuoi,» prima di prendere Lars per un polso e
trascinarlo via, ignorando le sue proteste.
Daric ridacchiò, scuotendo la testa. «Credo che il "piccolo Lars" abbia
una spasimante».
«Tipico dei bambini» commentò Lydia, divertita. «Lo tratta male perché
in fondo gli piace, e perché lui non se ne accorge».
«Già, e non sono solo i bambini a farlo...» solo in quel momento Daric,
quando si rivolse a lei, notò che era ancora in piedi. «Siediti, ti
prego» le disse, indicando lo spazio vuoto accanto a sé. Lei assecondò
la richiesta, titubante.
«Sai, è tipico dei bambini anche meravigliarsi per ogni cosa nuova»
continuò, guardando l'acqua che scorreva placida nei canali. «Se ha
detto che ho delle belle vesti, allora non ha mai visto un mago che si
rispetti. Senza offesa per Farengar, ovviamente» specificò, in fretta.
«La verità è che sto indossando gli abiti di un poveraccio che era morto
in una cella ad Helgen, ed ancora non sono riuscito a trovare niente di
meglio» disse, avvilito. «Ti chiedo scusa, credo di essere un thane
piuttosto patetico».
«Io non...» Lydia si morse il labbro, presa dai sensi di colpa. «È per
quella frase che ho detto a Farengar, vero?»
Daric sorrise, scuotendo la testa. «No, era una frase sincera, e non
posso biasimarti per essere stata scettica. Voglio dire, qui a Skyrim il
Sangue di Drago per eccellenza è lui» indicò una statua di Tiber Septim,
proprio davanti a loro. «Anche a Cyrodiil, quando si parla di Sangue di
Drago si pensa ai grandi imperatori del passato, non certo ad uno come
me».
«Forse hai ragione. Ciò non toglie che questo tipo di paragoni sia
ingiusto» replicò lei. «E avrei dovuto sapere bene che si giudicano le
persone in base a ciò che fanno, non in base a ciò che sono o a come
appaiono».
«Tutti noi impariamo dagli errori non c'è nulla di male» disse Daric,
prima che il silenzio calasse sulla conversazione. In sottofondo, si
sentivano solo i sermoni veementi di un sacerdote di Talos.
«E comunque» riprese Lydia, dopo appena un minuto. «Nessuno chiamerebbe
"patetico" uno che ha ucciso un drago».
Daric rise. «Grazie, sei gentile. In effetti mi sto autocommiserando un
po' troppo, ma a dirla tutta se non fosse stato per Irileth sarei morto
carbonizzato, quindi è stata un'impresa tutt'altro che eroica».
«Se non fosse stato per i suoi Cinquecento Compagni, Ysgramor non
avrebbe mai conquistato Skyrim» controbatté Lydia, sorridendo. «Eppure
nessuno si sognerebbe di sminuirlo per questo. Forse hai bisogno di
qualcuno che ti guardi le spalle, e guarda caso un huscarlo serve anche
a questo».
Il mago la guardò, un po' a disagio. Non era abituato che una persona
gli giurasse fedeltà, senza conoscerlo e senza chiedere nulla in cambio.
Da una parte lo rincuorava, da un'altra gli metteva apprensione,
soprattutto la parte con: "fino alla morte se necessario".
«Non ho ancora capito bene questa faccenda dell'huscarlo» disse,
cercando di non suonare irrispettoso. «Da dove vengo io non esiste nulla
del genere».
«Se ti viene più facile, puoi considerarmi come una guardia del corpo»
replicò lei, alzando le spalle. «Potresti anche incaricarmi di
sorvegliare la tua casa, se preferisci».
«La mia casa...» mormorò, guardandosi attorno. «Mi piacerebbe averne
una qui, Whiterun mi sembra davvero una bella città».
«Lieta che tu la pensi così» disse Lydia. «Ora che sei thane, potresti
valutare di acquistarne una».
«Se avessi il denaro, volentieri». L'idea di per sé era buona. Dato che
ormai era chiaro che avrebbe dovuto fermarsi a Skyrim più tempo del
previsto, avere un punto di riferimento, un rifugio in cui dormire che
non fosse solo una locanda, era essenziale. «Ma prima vorrei sapere cosa
vogliono da me questi Barbagrigia. Tu conosci la strada per Ivarstead?»
le chiese.
«Sì, posso accompagnarti se vuoi».
Daric si alzò. «Di solito sono un solitario, ma non rifiuto la
compagnia» disse, prima di sfilare l'ascia dalla cintola e porgerla a
Lydia. «Tieni, questa sarà più utile a te».
Lei esitò. «Sei sicuro?»
«Certo che lo sono» annuì con vigore, quasi spingendo l'ascia tra le
mani dell'huscarlo. «So usare appena un pugnale, quindi con un'ascia in
mano sarei pericoloso... e non nel modo giusto».
Anche Lydia si alzò, e accettò l'arma offerta con gratitudine. «Quando
vuoi partire?»
«Subito» rispose Daric, pensoso. «Ma prima devo scrivere una lettera al
mio maestro».
Scusate per il ritardo, ma questo capitolo mi ha bloccato per
settimane. La quest già di per sé è cruciale per il Sangue di Drago,
visto che gli viene rivelata la sua natura particolare, ma lo scoglio
più difficile da superare è stato il combattimento con il drago. Non so
voi, ma sin da subito sono stato un po' insofferente verso quei
lucertoloni alati, che trovavano sempre i momenti meno opportuni per
attaccarti. La mia prima fanfiction, "Un mestiere ingrato", la scrissi
proprio sull'onda della rottura di scatole che mi provocavano, e infatti
ci sono alcuni rimandi a quella storiella, soprattutto la tattica
diversiva con l'Atronach. Ovviamente il Sangue di Drago di quella storia
era solo il "prototipo" di Daric, quindi sono due personaggi diversi.
Detto questo, spero che il combattimento con il drago sia stato
sufficientemente movimentato, tutto qui.
Questo capitolo è venuto molto più lungo di quanto mi aspettassi,
quindi spero che non sia stato pesante. In realtà avevo anche scritto il
dialogo post-combattimento con lo jarl, ma alla fine mi è sembrato solo
uno spiegone inutile, quindi l'ho tagliato. Magari fatemi sapere, per il
futuro, se preferite che i capitoli più lunghi vengano spezzati in due
parti.
Angolino noioso delle spiegazioni: anche stavolta mi sono preso qualche
libertà, sia nell'interpretazione dell'ambientazione di gioco, sia nella
scrittura di alcuni passaggi, quindi se ne trovate che non vi convincono
fatemelo sapere. Come avrete notato, nel personaggio di Lydia ho dovuto
metterci molto del mio, anche perché il gioco ci lascia solo una base
minima da cui partire. Io ho voluto immaginarla come una specie di
"pupilla" dello jarl, con un rapporto quasi padre-figlia tra i due.
Vi ringrazio per aver letto fin qui, se vi va fatemi sapere cosa ne
pensate. Vi avviso subito che il prossimo capitolo non sarà pubblicato
prima della fine di febbraio.
Vi auguro quindi un buon anno, ciao e a alla prossima :)
Note:
1. Traduzione: (un) colpo acuto [?]
2. Traduzione: (una) bella battaglia [?]
3. Citazione del mitico Lupo Alberto :) [?]
Piccolo avviso: con il prossimo capitolo, probabilmente pubblicherò
anche la terza revisione del primo, con alcune correzioni suggerite
nelle recensioni, e alcune modifiche/aggiunte nei dialoghi. Mi scuso con
chi ha già recensito, ma quel capitolo ancora non mi soddisfa
pienamente, abbiate pazienza per favore :)