Il mistero di Kim Wo Soon

di JoeyTre
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un nuovo inizio ***
Capitolo 2: *** Jake ***
Capitolo 3: *** Senza fiato ***
Capitolo 4: *** Il Ponte ***



Capitolo 1
*** Un nuovo inizio ***







piccola

Cammino piano, lungo una strada in salita. E' tutto tranquillo qui. Forse fin troppo. Non c'è nessuno accanto a me, eppure sento di dover scappare. Ho paura, anche se non so ancora di chi.
Fa freddo, anche se c'è il sole. Ci sono degli alberi ai lati di questa strada deserta, e sembrano bellissimi. Hanno quei fiori rosa tanto delicati, i cui petali vengono portati via dal vento freddo, e cadono vorticosamente per terra, creando un tappeto morbido sull'asfalto gelido.
Non so dove sono, ma devo scappare. O morirò. Proprio come lei.


"Kim! Kim dove sei?"
Spalanco gli occhi quando sento la voce di mia madre che mi chiama dalle scale. Sono in camera mia, ma ho bisogno di qualche secondo per realizzarlo, dato che lo è diventata solo da qualche giorno.
"Sì, mamma. Sono qui" biascico con tutte le mie forze. Ma mia madre non deve aver sentito molto bene, complice forse l'età che avanza senza pietà. Quindi sale le scale, e bussa con forza alla porta della mia stanza. Il rumore mi spacca la testa.
"Andiamo, signorina. Vuoi far tardi proprio ora che sei la nuova arrivata a scuola? Cosa penseranno di te i professori?!".
Giusto, sono la nuova arrivata qui al liceo di Princeton, in California. Proprio un ottimo motivo per buttarmi giù dal letto, devo riconoscere.
"Arrivo, dammi tregua sergente Dohmen".
La sento sbuffare dall'altro lato della porta.
Il lavoro di mia madre è uno dei più fighi del mondo, ma è anche uno dei più terribili in fatto di comodità. E' una ricercatrice per uno studio che riguarda la possibilità di ricavare acqua durante le grandi siccità della California. Per questo motivo, siamo costrette a spostarci di città in città ogni due, tre anni. Un ciclo perfetto per quanto riguarda la distruzione di tutte le mie amicizie.
Mi trascino fuori dal letto e apro la valigia che mi sono portata dietro. Non ho ancora avuto il tempo di sistemare le mie cose. Prendo una maglietta nera e dei jeans scuri. Lego i miei capelli viola in uno chignon spettinatissimo e prendo la mia borsa a tracolla.
"Eccomi, fresca e pronta come una rosa" borbotto mentre scendo le scale.
Mia madre mi guarda di sottecchi, e scuote leggermente la testa. E' avvolta in uno stretto abito da ufficio di uno strano giallo paglierino. Ha i suoi lunghi capelli biondi sciolti, e un paio di vertiginose scarpe con il tacco.
"Sei sicura di voler andare a scuola così?"
"E tu sei sicura di voler andare a lavoro così?" ribatto io, mentre afferro una mela che addento in fretta e lancio uno sguardo di sfida verso di lei. Mia madre alza gli occhi al cielo e si arrende.
"Lo so, lo so. Non abbiamo gli stessi gusti in fatto di moda".
"E questa è solo una delle mille cose che provano che sono stata adottata".
Sorrido, mentre lei si avvicina e mi stampa un bacio sulla fronte.
"Non condividere il profilo genetico è solo un fatto marginale. Tu sei mia figlia e lo sei sempre stata, okay? E ora vai a scuola e...come dicono i giovani oggi? Spacca tutto!".
Questa volta sono io ad alzare gli occhi al cielo, ma trattengo anche una risata.
"Sì, certo, spacco tutto" dico, mentre esco di casa per non perdere l'ultimo autobus della mattina.


 


E così eccomi alla Princeton High School. Un edificio grigio e tristissimo, con un giardino altrettanto più brutto. Rimpiango per un attimo la mia scuola precedente, dove ho speso gli ultimi due anni più belli della mia vita. Mi piaceva perfino un ragazzo, cosa alquanto rara. Gli avrei persino chiesto di accompagnarmi al ballo, se solo mia madre non mi avesse distrutto tutto con l'ennesimo trasferimento. Credo sia arrivato il momento di farmi forza. Inspiro profondamente.
I primi giorni in una nuova scuola sono sempre i più complessi. Non ho idea di dove siano le aule, di come siano i professori. Per non parlare del fatto che sono la nuova attrazione della settimana, e per questo dovrò sopportare le più svariate domande sul fatto che sono continuamente in giro per la California.
"Forza Kim, ce la puoi fare" mi dico, e mi sento anche una stupida mentre lo faccio. Ma d'altronde, non ho altra scelta. Devo superare questa giornata. Cammino verso l'entrata della scuola, ma qualcosa a lato della via attira la mia attenzione. Un albero dai fiori rosa. Esattamente come nel sogno che faccio da quando sono piccola. Mi blocco, perché le sensazioni che provo sono forti e nuove. E' come se avessi paura. Un presentimento orribile. Inspiro profondamente.
"Ehi, Kim Dohmen?"
Mi volto di scatto. Una ragazza di colore dai lunghi capelli ricci agita una mano per salutarmi. Stringe con l'altra una serie di libri, e indossa un vestitino lilla con piccoli fiori bianchi e gialli. Le dona tantissimo. In verità, penso sia davvero bella.
Sorrido forzatamente, più per cortesia. Non ho molta voglia di fare nuove conoscenze, sono ancora intrappolata in quel limbo in cui mi mancano i miei vecchi amici e non accetto l'idea di essere in una nuova città. In una nuova vita.
"In carne ed ossa. Chi la cerca?" rispondo.
"Sono Melanie Klayers, e sono a capo del consiglio studentesco. Mi hanno assegnato il compito di accoglierti qui alla Princeton High".
Annuisco.
"Beh, benvenuta, prima di tutto" continua Melanie, in evidente imbarazzo a causa del mio silenzio.
"Grazie, prima di tutto".
"Se vuoi seguirmi, ti mostro l'aula di matematica. Il professore è uno stronzo abissale, ma insomma... ti ci abituerai".
"Lo spero. Sono una frana in matematica".
"Benvenuta nel club" mi dice poi, mentre mi indica una enorme porta in legno massiccio.
"E questa sarebbe la nuova arrivata?".
Qualcuno alle spalle pronuncia queste parole con tono sprezzante.
Mi volto giusto in tempo per gettare il mio sguardo inceneritore nei confronti del ragazzo che mi fissa dall'alto dei suoi 190 centimetri. Degluisco.
"Che problemi hai?" sbotto, infastidita.
Il ragazzo mi scruta ancora per qualche secondo, in silenzio. Nel suo sguardo beffardo colgo una leggera sfumatura di insofferenza. Mi odia, senza nemmeno conoscermi.
"Nessuno, a parte che non mi aspettavo una come te".
"Andiamo Jake, lasciala stare" s'intromette Melanie, in evidente imbarazzo.
"Così come?" continuo io, incrociando le braccia. Il fastidio nei confronti di questo idiota è diventato odio.
"Insomma, guardati. Con quei capelli rosa e quell'aria dark. Chi cazzo ti credi di essere?" mi dice sicuro di sé.
"Speravo mi sbagliassi sul tuo conto" dico, avanzando verso di lui. Melanie cerca di fermarmi sfiorandomi un braccio, ma il suo tentativo sembra vano.
"Invece sei proprio lo stronzo che credo tu sia" dico, sferrando un pugno che colpisce la sua guancia destra.
Il colpo mi provoca un dolore acuto alla mano, ma a mio vantaggio gioca il fatto che nessuno dei presenti si aspettasse un risvolto del genere. A dire il vero, nemmeno io. Jake strabuzza gli occhi, portandosi una mano alla guancia colpita.
"E tu, capelli lilla, sei nei guai fino al collo".
"Viola" lo correggo, con aria di sfida "i miei capelli sono viola".

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Capitolo 2
*** Jake ***




piccola

"Kim, che cosa è successo?" mia madre corre trafelata verso di me, e si guarda intorno per cercare di capire il motivo che ha portato il preside della scuola a volerle parlare proprio oggi.
Alzo gli occhi al cielo.
"Mamma, un coglione ha deciso di prendermi in giro. Io gli ho tirato un pugno. E' tutto okay" dico, cercando una gomma da masticare all'interno della mia borsa. Siamo entrambe sedute in questa buia sala d'attesa che sembra essersi fermata al 1995. Mia madre si porta entrambe le mani alla testa.
"Tu hai fatto... cosa?!" mi chiede esterrefatta.
"Sì. L'ho colpito. Mi hai sempre detto di difendermi, no?"
"Non ho mai ammesso la violenza, Kim, e lo sai. Mio dio, cosa penseranno i professori di me?".
"Che hai una figlia tosta?" chiedo, cercando di strapparle un sorriso.
Mia madre sembra su tutte le furie. Evviva, le cose si mettono sempre meglio per me.
Qualcuno pronuncia il nostro cognome. Io e mia madre entriamo nell'ufficio del preside, un uomo sui cinquanta anni che siede tranquillo dall'altra parte dell'enorme scrivania in legno. Davanti a lui, in piedi, c'è quello stupido Jake. Ha la testa bassa, e un'aria dispiaciuta.
"Ebbene, signorina Dohmen" mi dice l'uomo "pensavo di poterla conoscere in un modo completamente diverso, ma lei ha fatto il resto. Intanto, colgo l'occasione per presentarle mio figlio, Jake Touillard".
"Oh mio dio, Preside Touillard, la prego di scusare mia figlia per tutto quello che è successo" s'intromette mia madre, con quel suo tono patetico che mi fa venire voglia di vomitare.
"La ringrazio, signora Dohmen. Ma noi siamo qui per un compito molto difficile, che è quello di educare. E' per questo che ritengo che entrambi i nostri figli abbiano sbagliato, e che perciò siano meritevoli di una punizione".
Mia madre annuisce prontamente.
"Assolutamente, e spero anche che sia esemplare".
Non credo alle mie orecchie, e per un attimo spero che mia madre debba trasferirsi dall'altra parte del globo terrestre. Qualsiasi cosa, pur di non restare qui a subìre questa conversazione.
"Jake e Kim passeranno i prossimi tre mesi a ripulire l'intera biblioteca della Princeton High. Un compito ingrato, certo, ma che sono sicuro possa servire a farli riflettere sulla possibilità di riparare a quanto fatto".
"Ma papà, tre mesi sono lunghissimi! Ho gli allenamenti di basket!" Jake parla per la prima volta. E ovviamente dice qualcosa di così prevedibile, che se fosse in un programma TV, la pubblicità sarebbe più interessante.
"Non m'importa nulla. Avresti dovuto pensarci prima" gli risponde l'uomo.
"Ha assolutamente ragione, Preside Touillard. Spero che anche Kim impari qualcosa" continua mia madre.
Sono letteralmente schifata da tutto questo, e proprio mentre cerco di mantenere un'espressione neutrale, il preside mi rivolge la parola.
"E in quanto a lei, Kim. Qui alla Princeton High sappiamo quanto sia negativa e orribile la violenza. Ho deciso di non sospenderla solo perché è il suo primo giorno, e dobbiamo ancora conoscerla bene. Ma ecco... la teniamo d'occhio. Non se lo dimentichi".
Annuisco.
Vorrei esplodere un'altra volta di rabbia, ma respiro profondamente.
Non avrebbe senso farlo adesso, perciò annuisco meccanicamente, e mi volto per uscire al più presto da lì. Jake Touillard mi rivolge uno sguardo intriso di un odio primordiale.
Da oggi, quel ragazzo è sulla mia lista nera.


 



"E questa è l'ala della biblioteca dove si trova tutta la letteratura inglese del settecento e ottocento" il signor Coles è impegnato a spiegarci con chirurgica attenzione tutta la disposizione della biblioteca più inutile del secolo.
"Signor Coles, lo sa che oggi esiste Wikipedia, vero?" Jake è dietro di noi e spara cazzate miscelate con ovvietà da quando è entrato. Alzo gli occhi al cielo, consapevole del fatto che non mi libererò di lui molto facilmente.
"Certo, Touillard, ma questo non può e non deve svalutare quello che i libri hanno fatto e continuano a fare per l'umanità!".
Io mi avvicino a Jake, che continua a guardarsi intorno con aria schifata.
"Cerca di chiudere quella boccaccia, e lascia che Coles faccia il suo lavoro" sibilo a denti stretti, affinché l'uomo non ci senta.
"E' arrivata la paladina della giustizia. Dovrei chiamarti Sailor Moon?" mi risponde con odioso sarcasmo. Io gli tiro un calcio calibrato a livello dello stinco. Jake spalanca gli occhi e si costringe a non emettere alcun suono. Inghiotte il dolore e poi si allunga verso di me per afferrare il mio braccio. Mi attira a sé con violenza, mentre io gli faccio resistenza e sostengo il suo sguardo infuriato.
Non mi fa paura, e voglio che anche lui lo sappia.
"Fai attenzione a chi crei casini, mocciosetta. Mi hai già fatto arrabbiare una volta".
"Che cosa succede qua?" Coles è tornato indietro, e scruta la mano di Jake che stringe il mio braccio. Lui mi lascia andare con uno scatto, e sposta lo sguardo verso il vecchio professore.
"Niente, signor Coles. Evidentemente abbiamo iniziato con il piede sbagliato" dice, forzandosi di mantenere un tono calmo.
Il resto del tour si svolge in maniera regolare. Non ho prestato molta attenzione a quelli che sono i nostri compiti all'interno di questo grande deserto polveroso e abbandonato da tutti. Il signor Coles si raccomanda per l'ultima volta di rispettare il luogo in cui siamo, e si allontana, dopo aver preso con sé alcuni dei suoi libri preferiti.
Io e Jake Touillard restiamo da soli.
"Ti conviene iniziare a catalogare tutti i libri dell'ala ovest. Prima finiamo il lavoro e meglio è per tutti" gli dico.
"Tu sei davvero convinta che farò qualcosa? Ho appena perso l'opportunità di partecipare al campionato annuale di basket. Non muoverò un dito qui dentro" mi risponde, sedendosi su una vecchia poltrona di pelle nera e portando le mani dietro la nuca. Il sole che filtra dalla finestra illumina i suoi capelli neri e la sua pelle bianchissima. Jake chiude gli occhi.
"Benissimo, meglio così. Farò tutto da sola" gli dico, mentre mi trascino verso una pila di libri in completo disordine.
"Perché sei arrivata qui a Princeton?" sento la sua voce farmi questa domanda.
"Perché mia madre lavorerà qui, almeno per il prossimo anno" gli rispondo senza voltarmi e continuando a spostare i libri.
"Da dove vieni?" mi chiede, e quel suo tono non mi è nuovo. Emetto un sonoro sospiro.
"Sono stanca della gente che me lo chiede di continuo. Sono nata qui in California, okay? I miei genitori erano Coreani e vivevano a Los Angeles da diversi anni. Sono morti in un incidente stradale quando ero molto piccola e io sono andata in affidamento. Vivo con mia madre da sedici anni".
"Non hai un padre...adottivo?".
Quella domanda m'infastidisce ancora di più.
"Non sono affari tuoi" dico con un tono che non ammette possibilità di replica. Io e mia madre siamo sempre state da sole, ma non ho voglia di raccontare la storia della mia vita a questo completo sconosciuto. Ho già detto troppo.
"Ti chiedo un accordo, Sailor Moon" continua lui. Mi volto per incrociare i suoi due occhi azzurri che mi studiano attentamente. Jake è a pochi passi da me.
"No, non faccio patti con smidollati come te".
"La mia reputazione è andata a puttane per colpa tua. Ho in mente una vendetta che non ti piacerà" il suo tono serio mi provoca un lungo brivido dietro la schiena. Il modo in cui mi guarda è inquietante, ma faccio di tutto per non fargli capire che sono preoccupata. Devo nascondere tutti i miei punti deboli.
"Tra pochi giorni ci sarà una festa a casa mia, con tutta la squadra di basket e i senior della Princeton High. Esci con me, e saremo pari".
Trattengo il respiro, incredula. Il primo ragazzo che ho conosciuto qui è anche quello che odio di più. E mi ha appena chiesto di uscire con lui per scongiurare una terribile vendetta contro di me.
Trattengo una risata isterica.
"Non mi credi?" mi chiede lui. Il suo sguardo è affilato come la lama di un coltello.
"Vendicati pure, Jake. Non uscirò mai con uno come te".
Lui abbassa lo sguardo e si allontana senza dire nulla.
"Ehi, non puoi andartene. Manca ancora un'ora!" gli urlo mentre lo guardo avvicinarsi all'uscita secondaria di emergenza che collega la biblioteca al cortile della scuola. Lo vedo camminare accanto ad una grossa pila di libri che il signor Coles ci ha lasciato da catalogare. Jake la spinge con un braccio, facendola crollare. La guardo disintegrarsi, mentre una grossa nuvola di polvere si solleva per poi dissolversi all'interno della grande stanza in cui rimango da sola.
Deglutisco, mentre torno a fare il mio lavoro e cerco di non pensare a quello che è appena successo.
Una voce dentro di me, però, non vuole smettere di ripercorrere gli ultimi momenti, e quelle sue odiose parole continuano a ronzarmi in testa e non mi lasciano tregua.
Temo che sia solo l'inizio.


 

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Capitolo 3
*** Senza fiato ***




piccola



Il giorno seguente cammino a testa bassa lungo i corridoi della Princeton High. E' solo la prima settimana qui, e già sogno di andarmene via. Mia madre è ancora in preda al panico per la storia di Jake. Pensa che questo sia uno di quei periodi difficili in cui ho bisogno di parlare con qualcuno che possa capire questa mia complicata fase dell'adolescenza. Il punto, tuttavia, è un altro. L'adolescenza fa schifo per tutti.
"Ehi, Kim" la voce di Melanie mi distrae. La noto camminare accanto a me lungo il corridoio.
"Ciao, Melanie" dico con fare distratto. Mi sono completamente dimenticata del fatto che debba farmi da tutor per tutta la prima settimana.
"Puoi chiamarmi Mel, se vuoi" mi dice in tono gentile.
"Senti, non serve che tu mi faccia da tutor" dico forzando un sorriso.
"Perché? Fa sempre comodo avere qualcuno con cui parlare. I primi giorni possono essere un po'...difficili".
Dalle sue parole capisco tutto.
"E' stato il preside a dirti di seguirmi, vero?".
Melanie si agita per qualche istante, alla ricerca di una buona scusa.
"Tranquilla, ti risparmio la fatica" sussurro, e mi volto per andarmene.
"Kim, gli armadietti sono dall'altra parte" mi corregge lei.
"D'accordo" sbotto, tornando indietro "seguimi pure, non ho nulla da nascondere".
"Questo lo so" ridacchia lei, portandosi una ciocca dei suoi lunghi capelli ricci dietro l'orecchio.
"Cosa vuoi dire?" le chiedo.
"Tutti parlano di te a scuola. Sai, per quel pugno".
Annuisco, senza capire dove Melanie voglia arrivare.
"Penso che Jake Touillard se lo sia meritato. E' uno stronzo abissale" mi confessa a voce bassa, guardandosi intorno per assicurarsi di non essere ascoltata.
"Wow, Melanie. Hai scoperto l'acqua calda" le rispondo in tono ironico.
Lei sorride, poi mi guarda ancora una volta. Sembra tormentata da un dubbio.
"Che c'è?" le chiedo, continuando a camminare lungo il corridoio.
"Gira una voce su di te, a scuola. E vorrei capire se è vera" mi risponde dopo aver tentennato qualche istante, in preda all'indecisione.
"Wow, questo è un record. Sono qui da meno di due giorni e già circolano voci sul mio conto. Devo controllare i muri del bagno?".
"E' vero che conosci Hunter?" mi chiede Melanie a bassa voce.
"Non ho idea di chi sia costui" ribatto in tono secco.
Melanie sembra sorpresa della mia assoluta ignoranza.
"Andiamo, non dirmi che non lo conosci. Dal modo in cui ti comporti, da come hai trattato il ragazzo più popolare della scuola, sembra che lui stesso ti abbia mandato qui. Siete...colleghi?".
"Non so come dirtelo, Mel. Non ho idea di chi sia questo Hunter".
La ragazza mi fa segno di abbassare la voce. Probabilmente sarà una di quelle leggende metropolitane che circola alla Princeton High da diverso tempo. La reazione di Melanie mi spinge a volerne sapere di più.
"Chi sarebbe questo Hunter?" chiedo, rallentando e fermandomi al centro del corridoio. Anche Melanie fa lo stesso.
"E' qualcuno che lavora in incognito" mi dice, sforzandosi di trovare le parole giuste.
"E che razza di lavoro fa?" chiedo. Il suo modo cauto di dare informazioni inizia a spazientirmi.
"Qualsiasi lavoro tu gli chieda di fare" mi dice sottovoce. La campanella segna l'inizio delle lezioni, e il frastuono causato dalla miriade di studenti impegnati a cercare la propria aula copre la voce di Melanie.
Scuoto la testa, decisa a non voler più sentir parlare di queste stupide leggende. Più di qualcuno sembra notarci al centro del corridoio dove ci siamo fermate per parlare.
"C'è qualcosa che non va" mi dice Melanie. Ed ha ragione. Diversi sguardi si posano su di noi. Sento alcune risatine soffocate, mentre un cattivo presentimento inizia a farsi largo dentro di me.
Mi volto alla ricerca del mio armadietto, notando un piccolo gruppo di studenti che si è fermato ad osservarlo.
"Kim..." mi dice Melanie, tentando di fermarmi. Ma io sono già lì, alla fine del corridoio. Qualcuno mi fa spazio per lasciarmi passare. Il mio armadietto è ricoperto di uova rotte e farina. Al centro campeggia la patetica firma dell'autore, un foglio con su scritto "Ciao Lilla".
"Stronzo abissale" ripete Melanie, che si ferma alle mie spalle.
Jake Touillard ha appena mosso un'altra pedina. Una vera e propria dichiarazione di guerra.
"Ci andrai alla festa della squadra di basket di domani?" le chiedo, aprendo l'armadietto per prendere il libro di matematica e sporcandomi le mani di farina.
"Sì, certo. Ma si terrà a casa di Jake, non credo che ti convenga venire".
Io la guardo ancora una volta, per poi sorridere.
"Invece mi conviene. Mi conviene tantissimo".


 


"Continuo a pensare che questa non sia una buona idea" mi dice Melanie, mentre camminiamo lungo il vialetto che conduce alla spledida villa dei Touillard. Indossa un lungo abito verde smeraldo e una giacca di jeans, un look perfetto per gli ultimi giorni di settembre. Io ho messo un semplice vestitino nero, e ho raccolto i capelli in una coda bassa. Dall'enorme casa a tre piani provengono i tipici rumori di una festa che sembra essere decollata da tempo. D'altronde, ho avuto bisogno di più di un'ora per convincere mia madre a lasciarmi venire.
"Jake avrà quel che si merita" dico più a me stessa che a lei. Melanie si schiarisce la voce di proposito.
"Non vorrai rovinare la festa" aggiunge poi in tono perentorio.
Io alzo le mani in segno di resa.
"Probabilmente dovrei chiamare uno come Hunter per fare una cosa del genere" aggiungo con una risata.
"Fossi in te non scherzerei su uno come lui. C'è chi dice che sia pericolosissimo".
"Non m'importa nulla delle voci, Mel. Dovresti iniziare a fare lo stesso anche tu" aggiungo poi.
"C'è chi dice che abbia portato a termine anche degli omicidi su commissione".
Io scuoto la testa, decisa a non voler più ascoltare. Un sottofondo di musica techno ci raggiunge, mentre siamo ferme davanti alla porta d'ingresso che è spalancata per far uscire due ragazzi ubriachi. Li osservo mentre barcollano e vomitano sul prato perfettamente curato del giardino. Sembrano entrambi due giocatori di basket.
"Oh mio dio, che schifo" commenta Mel, mentre avanza all'interno del grande atrio. La casa è magnifica. O almeno, quel che resta lo è. E' piena di ragazzi e puzza di alcol e sudore. Mi viene il voltastomaco.
Raggiungo il giardino posteriore, alla ricerca del re della serata. Mi immagino di trovarlo ubriaco e completamente fuori di sé, e questo mi provoca un brivido di eccitazione, mentre penso alle diverse modalità con cui potrò finalmente muovere la mia pedina.
Qualcuno afferra il mio polso, e lo stringe con forza. E' un ragazzo biondo, anche lui prossimo al coma etilico, che mi guarda sforzandosi di riconoscermi.
"Tu sei... quella puttanella che le ha suonate a Jackie, eh?" biascica, mentre cerca di tenere gli occhi aperti.
"Lasciami andare" dico ad alta voce, strattonando il braccio. Lui scoppia a ridere.
"Ti piace lui, non è vero?".
La domanda rimane sospesa nel vuoto. Non ho voglia di discutere con questo zombie, e tanto comunque domani non se lo ricorderà nemmeno. Ho solo voglia di prendere a calci quello schifoso. E proprio mentre penso questo, lo vedo. E' a bordo piscina, che beve un cocktail e parla con una ragazza dell'ultimo anno. I suoi occhi azzurri si illuminano in una risata che accentua due minuscole fossette. Sulla guancia ha ancora il livido del mio pugno dell'altro giorno.  
Mi avvicino, mentre sento la rabbia montare ad oggi passo, come un fuoco che ribolle senza darmi tregua.
"Allora sei venuta, alla fine...Lilla" mi dice Jake in tono beffardo.
Io scuoto la testa e incrocio le braccia.
"Hai davvero una bella faccia tosta, Touillard".
"E questa chi è?" chiede la ragazza, che sembra essere divertita dall'intera situazione.
"Una patetica del secondo anno" risponde lui, portando un braccio sulle sue spalle.
"Sfigato" dico a denti stretti, ma non gli do il tempo di rispondere.
Lo spingo con tutte le mie forze. Jake si accorge troppo tardi, e non ha il tempo necessario per opporre abbastanza resistenza. Lo vedo sprofondare sott'acqua.
Il tuffo mi bagna il vestito e le gambe, perciò faccio qualche piccolo passo indietro, ma rimango lì sul posto, come se fossi pietrificata. L'intera situazione mi sembra surreale.
La ragazza dell'ultimo anno si porta le mani alla bocca, piegandosi verso la piscina. Jake è ancora sott'acqua, ed io lo fisso senza riuscire a muovermi.
"Che diavolo hai fatto? Non sa nuotare!" esclama poi, in preda al panico.
"Aiuto! Jake non sa nuotare!".
Di scatto mi lancio verso la piscina. Il tuffo è rapido e l'acqua è freddissima. Mi spingo in profondità, alla disperata ricerca del suo braccio. Il cloro è come fuoco negli occhi che cerco di tenere aperti.
Finalmente afferro la sua mano, e lo trascino con me in superficie. Quando inspiro l'aria per la prima volta, tutti gli invitati sono a bordo piscina che guardano la scena in un silenzio assordante. Qualcuno ci aiuta ad uscire.
"Ha perso i sensi!"
"Qualcuno faccia qualcosa".
Io sono ancora accanto a lui. Prendo fra le mani la sua faccia e inizio a praticare la respirazione bocca a bocca. Poi il massaggio cardiaco, come ho imparato in uno dei mille corsi di aggiornamento che ho visto fare a mia madre.
Dopo qualche secondo, Jake tossisce.
Poi apre gli occhi, e mi guarda confuso e spaventato. Le sue mani tremano.
E anche le mie.
"Lilla... che cazzo hai fatto?" mi chiede con l'ultimo filo di voce che gli è rimasto, mentre tossisce disperato.
E' proprio la stessa domanda che mi sto facendo io.
 

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Capitolo 4
*** Il Ponte ***




piccola

"Non ci credo, l'hai fatto davvero?" Melanie ascolta la mia versione dei fatti con uno sguardo attonito.
Io annuisco, mentre camminiamo verso la sua auto. Ho molto freddo, e batto i denti. Non avrei mai immaginato che sarei finita avvolta in un asciugamano di fortuna che ho afferrato prima di sparire da lì.
"Mi sono sentita un'idiota. Avrei potuto ucciderlo" dirlo ad alta voce mi regala un senso di liberazione. Melanie annuisce.
"L'hai rischiata grossa, Kim. Fossi in te non mi avvicinerei più a lui".
Melanie ha ragione. Non mi sono mai spinta così in basso con qualcuno. Perché tutto questo odio? Perché ho reagito in quel modo così forte?
"Ehi, puoi dormire da me se ti va, solo per stanotte. Parliamo un po' di quello che è successo" mi dice Melanie. Sembra sincera, e per un attimo l'idea di esserle amica mi sfiora.
"Non preoccuparti" le dico, ma lei ha già notato la mia esitazione.
"Andiamo, ti presto qualcosa da mettere, così non torni a casa in questo stato" continua lei.
Le rivolgo uno sguardo riconoscente e accetto l'invito.
La casa di Melanie è a qualche isolato da lì, perciò arriviamo in pochi minuti. Raggiungiamo la sua camera in punta di piedi, per non svegliare i genitori che dormono da qualche ora. Melanie mi allunga qualche asciugamano e poi sparisce nel suo armadio alla ricerca di qualcosa da prestarmi. Io mi asciugo i capelli, mentre mi guardo intorno. Noto alcune foto appese ad una bacheca accanto al letto. Rivedo il suo volto di qualche anno più giovane, e poi quello di Jake. Sono seduti su una panchina all'interno del cortile della scuola, e sorridono entrambi verso l'obbiettivo.
"Questa foto..." sussurro.
"Sì, eravamo io e Touillard. Siamo stati insieme per qualche tempo" mi confessa lei, dopo avermi dato un paio di leggins e un top. Io mi spoglio, per poi mettermi finalmente qualcosa di caldo e asciutto. La sensazione è appagante, e sento i miei muscoli rilassarsi per la prima volta dopo diverse ore di tensione.
"Scusa, non te l'ho detto. E' stato l'anno scorso. Io ero una matricola, completamente ingnara di quanto fosse uno stronzo" continua Melanie.
"L'hai scoperto nel peggiore dei modi, credo".
"E' per questo che mi sei stata simpatica sin da subito. Tu l'hai scoperto immediatamente" Melanie mi dice questo, per poi sedersi accanto a me e legare i suoi lunghi capelli in uno chignon.
"Grazie per questa sera" le dico d'un tratto, quasi senza rendermene conto.
"Figurati. Ma promettimi che non succederà più nulla del genere. Non voglio che ti sospendano".
Annuisco, e poi mi stendo al suo fianco e chiudo gli occhi. Non so se che cosa accadrà domani. Non so che cosa farà Jake, ma di una cosa sono sicura. Questa volta ho davvero esagerato.


 


Il giorno dopo scopro che tutte le lezioni sono state sospese. A Princeton viene ricordata una giornata storica particolare, la festa dei padri fondatori della città. Trovo il signor Coles impegnato alla ricerca esasperata di un volume che gli serve per comporre il discorso che farà alla fine della festa, al centro di Princeton. Io decido comunque di restare in biblioteca per qualche ora. Ho bisogno di stare da sola e di pensare a tutto quello che è successo. La compagnia di questi libri polverosi inizia a non essere poi così tanto noiosa.
Mi siedo sulla vecchia poltrona di pelle nera e inizio a sfogliare una delle copie più antiche di "Delitto e Castigo". Le pagine hanno quell'odore acre tipico dei libri. Mi ci immergo, lentamente, trovando infine un po' di pace.
"Sapevo di trovarti qui" la sua voce, improvvisamente, mi trascina alla realtà. Sollevo lo sguardo.
"Jake" mormoro, restando immobile.
"Sono venuto solo a chiederti una cosa. Non ti denuncerò per quello che hai fatto, se mi dici la verità" continua lui. Sul suo volto si è fatta largo un'espressione placida.
"Mi dispiace per ieri, okay?" dico sollevandomi. E mentre lo dico, sento che è la verità. Lo guardo nei suoi occhi azzurri che si sono arrossati a causa del fumo e della mancanza di sonno.
"Finiamola qui" continuo poi, approfittando di qualche secondo di completo silenzio nel quale siamo piombati.
"Volevi davvero uscire con me?" la sua domanda taglia l'aria come un coltello affilato.
"Ti ho detto che mi dispiace" ribatto, dopo aver riposto il libro su una delle mensole.
"Non hai risposto alla mia domanda. Perché eri a casa mia ieri?" Jake sembra davvero intenzionato a voler sapere a tutti i costi la verità. Stringe le mani in due pugni e mi guarda dritto negli occhi. Inspiro lentamente.
"Volevo solo vendicarmi. Per la storia dell'armadietto" dico poi, e abbasso lo sguardo. Mi sento strana mentro confesso questa cosa. C'è una parte di me che non avrebbe voluto farlo, e che ora si pente amaramente.
Jake Touillard riduce la distanza fra di noi con passi svelti, nervosi.
"Stai mentendo, Kim. So che lo fai".
Lui non ammette questa mia esitazione, e anch'io ne sono sorpresa. Non ho idea di quello che mi stia succedendo, e perché io abbia reagito così.
"Non dire stronzate, mi conosci appena" mormoro.
"Invece mi sembra di conoscerti bene" Jake mi interrompe, avvicinandosi sempre di più. L'espressione del suo volto è indecifrabile. E' un misto di emozioni che mi spaventano, perché molto intense. C'è qualcosa dentro di me e dentro di lui di ancora più profondo che non voglio affrontare.
"Lasciami stare" dico con un filo di voce.
"Mi sembra troppo tardi per chiedere una cosa del genere, non credi Kim?" Jake mi sussurra queste parole all'orecchio. Il suo respiro è vicinissimo, e mi solletica il collo, a pochissimi centimetri di distanza da me. Una parte di me vorrebbe spingerlo via un'altra volta, perché ha paura di questo gioco pericoloso che entrambi abbiamo iniziato. L'altra parte non vede l'ora di assistere alla sua prossima mossa. Jake, un perfetto sconosciuto. Uno stronzo abissale. Una bellissima tentazione.
Deglutisco, cercando di mantenere la calma. Lui fiuta la mia agitazione, e sorride sicuro di sé. Le sue labbra mi sfiorano il collo. Sussulto. Lui prende il mio viso fra le mani, costringendomi a guardarlo negli occhi. Io li fisso per qualche istante. Sono due pozze di un azzurro chiarissimo. Sono occhi di ghiaccio.
"Jake" dico, ma la mia voce è quasi un sussurro strozzato.
Lui spinge il suo corpo contro il mio. Il calore della sua pelle mi confonde. Sento le gambe sciogliersi, e il respiro farsi sempre più corto.
"Ti avrò, Kim. A tutti i costi".
Quelle parole accendono ancora una volta la mia rabbia. Lo spingo indietro, quel tanto che basta a farmi passare per correre via. Devo restare da sola per riuscire a pensare lucidamente.
Non posso più permettermi di sbagliare.

 


Passeggio ormai da diverse ore, e si è fatta sera. Princeton è una piccola città immersa nel nulla. Ci sono solo un paio di piccoli fiumi artificiali, motivo che ha spinto mia madre a continuare proprio qui la sua ricerca. Uno dei due fiumi circonda la città, e scorre sotto un lungo ponte che osservo davanti a me. Decido di attraversarlo, e di fermarmi al centro per osservare l'acqua che scorre di sotto. I rumori della festa per i padri fondatori si sentono in lontananza. Resto ad ascoltarli, in silenzio.
Non mi sono mai sentita così vulnerabile. Ripenso a Jake, e a tutto quello che è successo. Ripenso a quello che mi ha detto, alla sua voce, alle sue labbra sul mio collo. Una scarica di brividi mi percorre la schiena. Un rumore sospetto mi trascina alla realtà di quel ponte avvolto dalla penombra. Resto immobile e trattengo il respiro per qualche secondo. Posso sentire il mio cuore battere impazzito.
"Chi c'è?" chiedo ad alta voce. Nessuna risposta.
Mi volto lentamente. Non c'è nessuno. Devo correre via da lì il prima possibile.
Indietreggio con estrema attenzione, guardandomi intorno. La fine del ponte mi sembra adesso lontanissima, nonostante non ci abbia poi messo così tanto per raggiungere il centro. Con la coda dell'occhio osservo un movimento rapido di qualcuno dietro di me. E' vestito di nero, ed è velocissimo. Scatto in una corsa rapida, ma non posso nulla contro di lui, che mi raggiunge alle spalle e mi blocca con il suo braccio attorno al mio collo.
Urlo più forte che posso, anche se lì non c'è nessuno che possa salvarmi.
"Stai ferma" sento la sua voce impormi questa regola fondamentale. E' la voce di un ragazzo, ma non ha nessun tipo di accento.
"Lasciami andare, stronzo" dico, ma questo non fa che spingerlo a stringere ancora di più il suo braccio attorno al mio collo. Io cerco di contrastarlo, ma sembra molto più forte di me. Ripenso velocemente a tutti i giocatori di basket che ho visto alla festa di Jake, ma nessuna corporatura sembra corrispondere a quella del ragazzo dietro di me.
Sento un piccolo rumore metallico. E' un coltello, vicinissimo alla mia gola.
E' la fine. Sento che morirò.
Il suono di un taglio netto arriva alle mie orecchie, ma non ho più le forze per chiedere aiuto. Sento il mio corpo che si arrende.
"Devi combattere, Kim. Devi combattere fino alla fine" una voce nella mia testa ripete queste parole come un mantra che si confonde con i battiti veloci del mio cuore.
Il ragazzo abbandona la presa, ed io crollo per terra.
Mi porto le mani al collo, in preda al terrore. Sento i suoi passi veloci che si allontanano da me. Non c'è nessuna ferita che sanguina, solo la mia forte iperventilazione.
Non riesco a capire che cosa sia appena successo. Le mie mani toccano i miei capelli, per poi accorgersi di qualcosa di assolutamente assurdo.
Quel ragazzo vestito di nero ne ha tagliato una ciocca, ed è fuggito con quella.
Il mio respiro rallenta mentre realizzo che sono salva.
Almeno per ora.
La vocina nella mia testa ritorna a farsi sentire.
"Sei stata fortunata, questa volta. Ma sei in pericolo. Devi chiedere aiuto".
Vorrei farla tacere, come sempre, ma questa volta non posso.
Ha maledettamente ragione.  







 

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