Shadaze - Il tempo che cambia di Pinker (/viewuser.php?uid=814331)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dieci anni dopo ***
Capitolo 2: *** Cap II Schiavi ***
Capitolo 3: *** Cap III Chi si rivede... ***
Capitolo 4: *** Cap IV Sguardi … ***
Capitolo 5: *** Cap V Domande, Risposte e Bugie ***
Capitolo 6: *** Cap VI Caso Amy Rose ***
Capitolo 7: *** Cap VII Più di quello che pensi ***
Capitolo 8: *** Cap VIII Ci sarò per te ***
Capitolo 9: *** Cap IX Attentato al treno ***
Capitolo 10: *** Cap X Protezione ***
Capitolo 11: *** Cap XI Non sempre la notte porta consiglio ***
Capitolo 12: *** Cap XII Svegliati ***
Capitolo 13: *** Cap XIII Tutto cambia ***
Capitolo 14: *** Cap XIV Vicini alla propria meta ***
Capitolo 15: *** Cap XV Amori segreti ***
Capitolo 16: *** Cap XVI Lotta contro il tempo ***
Capitolo 17: *** Cap XVII La nuova città ***
Capitolo 18: *** Cap XVIII Quando una Rosa muore ***
Capitolo 19: *** Cap XVIX Fiamme dell'inferno ***
Capitolo 20: *** Un nuovo inizio ***
Capitolo 21: *** BONUS ***
Capitolo 1 *** Dieci anni dopo ***
~~Cap I Dieci Anni Dopo
Il treno era in viaggio da ore come se non avesse una meta precisa.
Al suo interno, una donna non doveva essere lì.
Quella era Blaze the Cat, che era ritornata a Mobius per un motivo non tanto felice.
Guardava fuori dalle piccole finestrelle sul soffitto e vedeva un cielo azzurro e sereno, senza nuvole.
Si ricordava ancora dell'ultima volta che mise piede in quel mondo, dieci anni prima...
- - -
In un piccolo studio buio, due figure si stavano riposando dopo essere tornati da una missione.
Le piccole pale di un ventilatore ruotavano per raffreddare la stanza.
Queste figure erano Shadow the Hedgehog e Rouge the Bat.
Dieci anni erano passati anche per loro.
Per Shadow,che era immortale, quel lasso di tempo non poteva fargli né caldo né freddo; tuttavia, le sue spine si erano allungate, anche se mantenevano quell'incurvatura verso l'alto, ed erano spesso molto scompigliate, la pelliccia sul petto si era arruffata sempre di più ed aveva sviluppato potenti muscoli sulle braccia e sulle gambe. Era anche diventato molto più alto.
I suoi occhi rosso sangue gli davano sempre quel suo sguardo da brividi, che farebbe paura a tutti quelli che gli passano in parte, anche se erano, per la maggior parte del tempo, privi di qualsiasi emozione.
Di questo non se ne preoccupava la ragazza pipistrello, sua amica e partner di missione.
Era da più di dieci anni che lo conosceva, e niente di lui la spaventava.
Quel riccio nero non parlava molto, ma Rouge ormai sapeva tutto quello che provava nell'anima.
Fianco a fianco per tutto questo tempo, e una spia non dovrebbe sapere già tutto di lui prima che lui lo dica?
Sarebbe meglio dire ex-spia. Infatti, fu questo il loro maggior cambiamento.
Da nove anni non lavoravano più per la G.U.N.
Erano stati licenziati, o meglio, erano stati costretti.
Nove anni prima...
Shadow era rispettato e il suo lavoro e la sua efficienza erano ammirati da tutti, c'era una grande fiducia in lui e nel suo team, chiamato Team Dark, composto da Shadow, Rouge e un robot chiamato Omega.
La G.U.N. lavorava per scopi benefici, nel rispetto di tutto e di tutti, cosa che rendeva molto orgoglioso il riccio nero.
Ma più si andava avanti, più Shadow poteva capire che la G.U.N. si stava immischiando in faccende sempre più violente.
Da stanare semplicemente delle bande di malintenzionati di scala mondiale, a dover uccidere o torturare persone per raggiungere il loro obbiettivo, che diventava sempre più abile nel nascondersi.
Il problema era che non sempre il loro ricercato consisteva nel Dottor Eggman, (obbiettivo che Shadow riteneva facile, perché -si sa- a Eggman piace lavorare “davanti agli occhi di tutti” per far vedere che gran genio che era, e con i suoi enormi robot ci riusciva bene) ma anche dei famigerati bastardi che si interessavano ai soldi, o al potere supremo.
Shadow protestava quando poteva, fino ad arrivare a protestare ogni volta che gli veniva assegnata una missione.
Era un cosa contro i suoi principi, l'aveva promesso a Maria...
Dopo una lite piuttosto forte con il comandante gli scappò il fatto di aver promesso alla sua amica... e fu l'inizio della sua caduta.
“Maria è morta, agente Shadow! E' ora che inizi a guardare avanti!”
Ogni volta che poteva, il Comandante diceva frasi che non avrebbe mai voluto- né dovuto – pronunciare; “Non si faccia torturare da un fantasma del passato!”, “La sua amica non c'è più, agente, e ora vada in missione!” oppure “Lei non è qui, e ora mi faccia il piacere di non tirar più fuori questa storia!” e poi gli ricordava sempre che aveva degli ordini da seguire e punto.
Ma Shadow non lo ascoltava già più, aveva sempre quella frase in testa:
Maria è morta, Maria è morta, Maria è morta, Maria non c'è più, Maria è morta, Maria è MORTA, MARIA E' MORTA!....
Quelle frasi sono state come uno shock per lui.
Un giorno non ce la fece più. Si ribellò. Si oppose a tutto, e fu severamente punito.
Rouge non seppe mai cosa gli accadde, ma lui non fu mai più come prima.
L'amica non lo riconosceva più, era come se gli avessero fatto il lavaggio del cervello, e non ebbe mai il coraggio di chiedergli cos'era successo.
Il riccio nero parlava ancora meno di quanto fosse abituato, ed era il peggior silenzio che la sua squadra gli aveva mai visto fare; non era un silenzio per pensare, come era suo solito, ma un silenzio d'odio e Rouge era certa che stesse facendo qualche congettura.
Non si sbagliava. Shadow progettava non solo a ribellarsi, ma anche a come farla pagare ai cani della G.U.N.
Lei non poteva dirgli di no: gli aveva sempre promesso che ci sarebbe stata per lui, anche quando tutto il mondo gli fosse stato contro, né lei né Omega l'avrebbero mai lasciato. E poi, alla fine rimaneva il suo amico.
Purtroppo, nessuno del Team Dark sospettava dei dubbi del Comandante...
Presente...
“Quei bastardi hanno disattivato Omega” pensava Shadow. Era stato stupido a non pensare minimamente che il Comandante non si fosse accorto di niente.
Ma ora era tutto passato. Non doveva più pensarci.
Era l'ultimo concetto che aveva imparato dal Comandante, il suo diretto superiore.
Loro erano caduti in basso. Mobius era caduta in basso.
Shadow e Rouge erano diventati mercenari, non avevano superiori, erano loro la loro azienda.
Loro prendevano le decisioni, le missioni, i meriti e i soldi.
Il rovescio della medaglia consisteva nel fatto che era un lavoro poco pulito. Anzi, spesso piuttosto sporco. Non lavoravano più per il bene e la sicurezza di tutti, ma come criminali specializzati.
Infatti erano imprendibili, e i loro nomi erano riconosciuti dalle agenzie criminali come una fonte di sicurezza e guadagno. In quel senso, i due erano molto rispettati.
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Capitolo 2 *** Cap II Schiavi ***
~~Shadow grugnì, attirando l'attenzione dell'amica, che distolse lo sguardo dalle carte che stava esaminando e, con uno dei suoi soliti sorrisi, gli disse: “E stata una missione facile e abbiamo guadagnato un sacco di soldi, non sei contento?”. Ovviamente sapeva che quella frase aveva maggiormente lo scopo di consolarlo e di calmarlo, quel ragazzo si faceva passare tanti ragionamenti in mente che lo facevano solo imbestialire.
Lui alzò una mezza palpebra e guardò la sua compare; anche lei era cresciuta ed era diventata una bella e irresistibile donna:
aveva ormai 28 anni e un manto bianco, i suoi capelli erano diventati più lunghi, ma avevano ancora quelle pieghe all'insù; avevo quel suo solito ombretto azzurro sugli occhi e l'eye-liner nero, per le labbra portava un rossetto rosso acceso; le sue curve si erano accentuate e, nonostante dieci anni prima non si poteva pensare che potesse crescere ancora, il seno era aumentato di qualche taglia. Per questo era invidiata da molte donne.
Le sue ali si erano allungate e ingrandite ed erano di un bel nero lucido.
Aveva tenuto quell'atteggiamento sensuale che l'aveva sempre distinta.
Shadow non poté che essere silenziosamente d'accordo: 10mila dollari per una missione di mezza giornata non era poco. Considerando che erano molto richiesti, avevano una missione praticamente ogni giorno, che portavano a termine perfettamente in 12h -massimo in 32h-, e ciascuna delle quali li faceva guadagnare dai 5mila a 10mila dollari. Gli affari andavano decisamente bene.
Rouge, che era segretaria-aiutante-complice, prendeva le chiamate e le registrava su uno dei due computer nel loro ufficio e fissava gli incontri con i loro clienti. Sull'altro computer eseguiva le ricerche riguardanti alle missioni.
Teneva tutto meticolosamente registrato in tabelle.
Col tempo, aveva imparato ad essere precisa e ordinata, quasi un'ossessione.
Dopo ammirare tutti i più bei gioielli del mondo, il suo hobby era di registrare tutte le partenze e gli orari, tutti i soldi e i luoghi. Era come un passatempo, una piccola mania.
Shadow richiuse la sua palpebra e chiese, semplicemente: “Quando avremo il nostro prossimo cliente?”.
Rouge sorrise e, senza guardare da nessuna parte,rispose: “Dovrebbe essere qui tra dieci minuti.”
Shadow aprì tutti e due gli occhi: “Perché diamine l'hai fatto venire così presto?!”
“Huh? Perché?”
“Siamo appena tornati!”
“E allora? Sei stanco, bellissimo?” chiese lei, per provocarlo, come al solito.
Lui sbuffò e rispose: “Io non sono mai stanco. Ma se non fossimo riusciti a portare a termine la missione in tempo?”.
“Io ero sicura che ce l'avessimo fatta!” rispose lei orgogliosa “Abbiamo appena infranto un nuovo record!” finì la frase, compilando una delle sue tabelle con un sorriso stampato in faccia.
“Mph!” fu tutto quello che ricevette dall'amico.
“La prossima volta” la istruì “se non siamo sicuri non farlo!”
“Eh! Va bene, Shadz.”. Le sue orecchie si rizzarono e si mise un dito all'auricolare che portava all'orecchio.
“Sì?” dopo qualche secondo parlò di nuovo: “Sì, ho capito. Attenda un attimo.” disse con voce professionale, distaccata, rivolta alla persona dall'altra parte dell'aggeggio. Si mise a digitare al computer.
Poi si rivolse a Shadow: “E' qui.”
Il riccio nero stava comodo sulla sua sedia con le mani dietro alla nuca, gli occhi chiusi e i piedi sulla scrivania. Ma dopo l'avvertenza da Rouge, si rimise seduto composto; “Fallo entrare.”
Lei annuì e si riportò le dita all'apparecchio “Venga avanti”.
La porta si aprì e una figura alta e massiccia, con un lungo cappotto scuro e un cappello nero in testa, si fece avanti fino alla scrivania del riccio dagli occhi rossi.
Sia Rouge che Shadow lo squadrarono da cima a fondo e non mancarono di guardarlo con sospetto.
Chi aveva una giaccone così, era per nascondere un'arma, soldi o semplicemente era un pezzo grosso.
Senza dire una parola, la figura si era avvicinata e si era piazzata davanti alla scrivania di Shadow, guardandolo dritto in faccia.
“Si sieda.” gli ordinò Shadow, più garbato e calmo che poté, indicando con un cenno di mano la sedia davanti alla scrivania.
L'omaccione si sedette senza fiatare e continuando a guardare dritto dritto negli occhi rossi del riccio nero.
E alla fine parlò, con un ghigno: “Agenzia Dark, Shadow the Hedgehog e Rouge the Bat, Eh?”
Shadow annuì e confermò: “Siamo noi.” e prima che potesse chiedere chi fosse il suo interlocutore, quest'ultimo si tolse il cappello nero. Shadow lo esaminò attentamente.
Era un cane – un bulldog, più specificatamente- dal manto marrone scuro, occhi neri e pungenti e lunghe orecchie che gli cadevano sulle tempie. Su per giù aveva una quarantina d'anni.
“Ho sentito dire che fate un sacco di lavoretti...” e con un ghigno si avvicinò con la faccia alla scrivania, come se volesse farlo rimanere un segreto “...anche illegali e sporchi?”
“...sì. E' vero.”
Rouge aveva ripreso a digitare sul computer della sua scrivania (solo Dio sa cosa) ma ogni tanto lanciava furtivamente occhiate da preoccupata al loro ospite.
Il bulldog si rilassò nuovamente sulla sedia, allontanando la faccia.
Shadow non sapeva perché, ma si sentiva sollevato. Rilasciò il respiro che aveva trattenuto.
Dopo qualche secondo di silenzio, il cane riprese a parlare: “Faccio le mie presentazioni: sono Bunch the Bulldog.” e porse la mano al suo interlocutore, il quale non poté far altro che ricambiare la stretta di mano.
Rouge picchiettava nervosamente sulla tastiera.
Solo Shadow se ne rese conto, mentre il loro ospite non sembrava accorgersene, oppure non gliene poteva fregar di meno.
La stretta di mano si interruppe e il bulldog riprese a parlare: “Voglio che mi facciate un lavoretto.”
Shadow voleva finire l'affare al più presto possibile: “Di che si tratta?”
Il cane si guardò un attimo intorno prima di parlare: “Non è un lavoro come gli altri, e non è nemmeno leggero-”
“Traffico di droga?” tagliò corto Shadow.
Bunch fece segno di no con la testa.
“...Commercio di schiavi.”
L'atmosfera dell'aria si irrigidì, e sembrò che il tempo si fosse fermato. Shadow non aveva mai collaborato con i trafficanti di schiavi, e a dir la verità aveva sempre desiderato non venire a contatto con quella gente.
Erano imprendibili, quei bracconieri; centinaia di persone in vagoni lunghissimi, di certo poco nascondibili, e la polizia non riusciva mai a seguire una traccia che fosse UNA.
“Molto abili” ammise Shadow tra sé e sé.
Poco dopo riprese la voce: “ E perché mai un trafficante di schiavi è venuto qui, da noi?”
Rouge adocchiò il loro futuro cliente; la domanda di Shadow era la stessa che voleva far lei.
Buch fece un mezzo sorriso e rispose alla sua domanda: “Il traffico di schiavi è -in un certo senso- sempre stato tranquillo. Essendo poi tutte ragazze, non ci sono state ribellioni...”
Rouge smise improvvisamente di battere, le sue orecchie si drizzarono e le sue pupille si rimpicciolirono; “Commercio sessuale?” .
Buch non ci fece caso e continuò, mentre il riccio nero seguiva per filo e per segno: “...ma questa volta è diverso, amico! Sento che c'è una spia...”.
Gli occhi rossi di Shadow luccicarono: “Una spia, eh?”
Bunch annuì.
“Ha dei sospettati?”
“Veramente...” iniziò il cane, grattandosi la nuca “...no.”
“Movimenti strani?”
“Neanche.”
Shadow sbuffò spazientito: “Non può pretendere che ci sia una spia solo perché se lo sente!”
Bunch perse il suo sorriso e guardandolo dritto negli occhi, con tono severo rispose: “Non sono paranoico, signor Shadow! I miei cattivi presentimenti hanno il brutto vizio di essere sempre veri. Sempre.” e accentuò l'ultimo sempre della frase.
Shadow scambiò un'occhiata veloce con Rouge.
“Ah!” esclamò il bulldog, come se si fosse ricordato di una cosa importante, e riacquistando il solito ghigno continuò: “La paga. Sappiate che sono molto generoso...” tirò fuori dal giaccone una mazzetta di soldi. Shadow non sapeva dire quanti erano ma, se le banconote erano tutte da 100 dollari come la prima, allora erano parecchi!
“15mila dollari adesso... e 1 milione a lavoro finito. Se accettate, ovvio.” e mise il mazzetto sulla scrivania, davanti a Shadow, il quale lo prese e li contò; esattamente 15mila dollari. Si accertò persino che non fossero false. Erano tutte vere.
Guardò Rouge e annuì.
Rimise giù il mazzetto.
“Accettiamo. Mi dica come vorrebbe procedere.”
Gli occhi neri di Bunch luccicarono.
“Ha fatto un ottimo affare, signor Shadow... ad ogni modo: portiamo i carichi al luogo di vendita in due settimane; in quel lasso di tempo voglio sapere chi è la spia! Ovviamente gli alimenti e i beni di prima necessità saranno offerti a lei e alla sua amica senza alcuna spesa per voi. Verrete messi sotto copertura; lei sarà una guardia, mentre la sua compare una prigioniera.”
Il riccio annuì.
“E se non c'è alcuna spia?”
“Le ho già detto che non mi sbaglio mai!”
“C'è sempre una prima volta.”
Il cane fece un mezzo sorriso. “Se non c'è...meglio così.”
Strinse nuovamente la mano al riccio nero e si apprestò a uscire.
Mentre cammina verso la porta, diede gli orari: “Domani alle tre di mattina, nel bosco vicino ad Acorn Street. Non fatevi vedere.”
E poi, arrivato alla porta, prima di girare il pomello, concluse: “La spia c'è!” e, detto questo, sparì dietro la porta.
Dopo essersi assicurati che fossero soli, Shadow e Rouge ritornarono a respirare normalmente, smontando l'atmosfera di tensione che si era formata.
Rouge sospirò; “Vedo che hai accettato subito,eh?”
“15mila dollari non sono pochi, e tanto meno 1 milione alla fine dei conti. Abbiamo aiutato spacciatori, non dovresti essere così-”
“Così come?!” prese lei sulla difensiva “Sei solo un maschilista!” digitò sull'altro computer “ E' commercio di schiave del sesso, ma a te che importa, vero??”gridò feroce tutto di un fiato.
Shadow si alzò: questo lavoro aveva toccato il tasto dolente della femminilità di Rouge.
Come se non avesse capito il problema, l'ex agente della G.U.N. le chiese: “Che ti prende!?”
Rouge gli lanciò un'occhiata di rimprovero.
“Non prendermi in giro, Shadow!”
Ma poi si calmò, e , sospirando, ammise: “Ora che mi sono sfogata... sto meglio.”
Shadow rimase un attimo in silenzio per trovare cosa dire per consolare la sua partner.
Tutto quello che seppe dire fu: “Non preoccuparti. Dopotutto, devono venderle,quindi non possono picchiarle troppo...”
Che consolazione cretina! Pensò il riccio nero tra sé e sé.
Rouge scosse la testa. Sulle sue labbra si formò un sorriso triste.
“Non me ne importerebbe niente se fossero tutti maschi, o una grande parte-”
“Non aggiungere altro!” gli ordinò lui in tono di rimprovero.
“Prepara le tue cose! Domani si parte!”
- - -
In un lungo e stretto vagone di legno, Blaze the cat sedeva e si guardava attorno; tante, troppe ragazze erano lì, nelle sue stesse condizioni, che piangevano, chiamavano qualcuno o si guardavano intorno impaurite, alcune dondolanti e altre immobili, silenziose, in posizione fetale.
Blaze non era come le altre; stava dritta, come era di suo, con uno sguardo inespressivo. Non piangeva, non singhiozzava, non si disperata e non era nemmeno scioccata. Anzi, era calma e concentrata. Non aveva un briciolo di paura.
L'avevano rapita a un malfamato e dimenticato porto, appena arrivata nel mondo del suo vecchio e caro amico Sonic.
Era da dieci anni che non vedeva né lui né alcuni dei suoi amici.
La gatta lilla era cresciuta e cambiata parecchio: era ormai una bellissima gatta ventiquattrenne, col manto lilla e morbido, e due occhi color oro e radianti come il sole.
Sulla fronte aveva ancora il gioiello color magenta.
Le sue labbra erano diventate più carnose, ma nulla di esagerato.
Il fisico da quattordicenne si era modellato nel tempo, creando curve melodiose, gambe sode abituate a correre, un bel culo modellato e il seno si aggirava sulla quarta.
I suoi capelli si erano notevolmente allungati e col tempo Blaze aveva perso l'abitudine di portarli in una coda col laccio rosso, e se li teneva sciolti, lungo le spalle.
La femminilità aveva finalmente bussato alla porta della gatta.
Compiuti 18 anni, da Principessa Imperiale era stata eletta Imperatrice della Sol Dimension ed era rispettata,amata e adorata da tutti i suoi sudditi.
Aveva trovato rimedio ai pirati, aveva salvato molte isole speciali e ne aveva scoperto di nuove, aveva salvato vecchi manoscritti che sarebbero andati perduti, aveva persino portato in vita le sirene a altre creature che si credevano essere leggendarie e aveva anche scoperto nuovi materiali e nuove grotte sottomarine, piene di specie a loro sconosciute.
Avendo fermato l'unico grande commercio in nero del suo mondo, Blaze poteva osservare come l'economia del suo mondo continuava a fiorire.
Ripensando al commercio di schiavi che stava avvenendo a Mobius, la regina rimaneva orgogliosa e rassicurata dalla perfezione del suo mondo, e ringraziava ogni singolo giorno di essere nata in quelle terre, e di esserne la sovrana.
Mobius è caduta davvero in basso.
Così pensava la gatta dagli occhi dorati, mentre guardava indignata il resto del vagone.
Non capiva perché Sonic non aveva ancora fatto niente. Forse non sapeva, ma comunque la gatta storse il naso.
Un mese prima, stavano iniziando ad arrivare delle lettere particolari; era Amy Rose che le scriveva e riusciva a spedirle nella Sol Dimension.
La prima volta, Blaze guardava con fare interrogativo quel pezzo di foglio rosa, ben ripiegato e con un sigillo rosso a forma di cuore.
Lo girava e lo rigirava incuriosita, ma anche incredula e sorpresa.
Alla fine l'aprì cautamente, e le si presentò una scritta visibilmente femminile:
Ciao Blaze!
Ti ricordi di me? Sono Amy, Amy Rose! Cavolo quanto tempo è passato!
Mi ricordo ancora quando io, te e Cream abbiamo lottato per il Sol Emerald...
E da lì in poi, la sua vecchia amica si abbandonò per un po' ai ricordi di loro due, per poi parlare della sua attualità.
Amy Rose era una femmina di riccio ormai ventiduenne col manto rosa confetto, un sorriso delizioso e dolce e due occhi di color verde smeraldo che brillavano sempre di felicità.
E' sempre stata ed era anche allora la leader delle Freedom Fighter, coloro che si battono per la giustizia. Era un'amica vera, forte, che non avrebbe mai lasciato indietro nessuno.
Stando a quello che ha scritto, Blaze poté dedurre che era maturata parecchio;
nelle sue lettere Amy non parlò mai di Sonic -cosa che faceva continuamente dieci anni prima, perché follemente innamorata-, scriveva grammaticalmente corretto e non si perdeva via a scrivere cose sciocche. La gatta Imperatrice sorrise a qual pensiero.
Inoltre si rese conto che Amy stava lavorando molto seriamente quando, il giorno dopo, le arrivò un'altra lettera sempre dalla riccia; questa volta le parlava di cose ben più serie:
stava indagando su un commercio illegale di schiavi.
Commercio illegale di schiavi? Blaze non ci poteva credere. Come poteva un paese a lei così caro avere un commercio di schiavi?? Non era una cosa ormai...vecchia?Da Medioevo?
Rabbrividiva solo al pensiero.
Ma poi si accorse che quel problema l'avrebbe trascinata con sé: Amy ne stava parlando con lei e le stava dicendo tutto quello che aveva scoperto giorno dopo giorno, e Blaze non era scema.
La sua amica aveva bisogno d'aiuto. Ed era proprio disperata per chiedere aiuto a una di un altro mondo. E poi Amy lo sapeva benissimo che più impegnata della principessa gatto non c'era nessuno. Doveva essere grave, e anche se la micia non avrebbe mai voluto essere coinvolta, prima o poi sapeva che ci sarebbe dovuta finire dentro insieme alla riccia rosa.
Non si sarebbe tirata indietro; voleva troppo bene alla sua energica amica e lei l'aveva aiutata troppe volte. E poi era per una buona causa.
Blaze aspettava solo una richiesta esplicita.
Quasi ogni giorno riceveva lettere dalla sua amica, e più andava avanti più la faccenda si faceva seria, e le lettere della cara riccia rosa diventava sempre meno ordinate e più improvvisate, come se fatte di fretta. Ma non chiedeva aiuto, e la gatta non sapeva spiegarselo.
Così per due settimane, finché arrivò un'ultima lettera, e le ultime parole furono:
...Blaze, sto rischiando. Forse mi stanno scoprendo. Cazzo Blaze se ho paura!
E poi più nulla.
Ogni giorno la Regina aspettava impaziente una sua lettera, che dicesse qualsiasi cosa, tipo “Tranquilla sono ancora viva” oppure semplicemente “Sto bene.”, “Non preoccuparti”.
Ma niente! Stava cominciando a sudare freddo, a preoccuparsi e innervosirsi, a perdere il sonno e il buonumore e più passava il tempo più diventava paranoica, passava la notte pensando al peggio.
Dopo una settimana non ce la fece più; era convinta che le fosse successo qualcosa, che l'avessero rapita, venduta o peggio...
Pensò a un piano rileggendo tutte le lettere e le informazione in esse contenute.
Poi organizzò i suoi impegni per il Regno e quando, poche ore dopo, fu tutto completato, salutò Gardon raccomandandolo di tante cose, e nel buio della notte scivolò silenziosamente fuori dal castello, per poi segretamente teletrasportarsi nel mondo parallelo.
Nessuno -a parte Gardon, il suo carissimo consigliere di corte- sapeva che lei se ne era andata per un bel po', e nessuno lo doveva sapere.
Nelle sue lettere, Amy aveva scritto che rapivano le vittime quando erano completamente sole e, spesso, uno di questi posti erano porti vecchi e sconosciuti o malfamate periferie di città.
Blaze sapeva dove doveva andare: Amy seguiva la pista dei trafficanti che rapivano le ragazze in un polveroso e decadente porto chiamato Salt Mère.
Blaze camminava nel cuore della notte, tra la nebbia, e raggiunse quel porto, dove una tranquilla osteria aveva ancora le luci accese. Faceva freddo e la gatta si stringeva nella sua giacca.
Alzò le orecchie: rumori di risata.
Si avvicinò e guardò l'insegna della taverna; “La Vecchia Rosa...” lesse la gatta a mezza voce.
Non voleva entrare; si limitò a spiare dalla serratura.
Vide solo avanzi di galera giocare a biliardo, freccette e poker.
Alcuni si stavano ubriacando come se non ci fosse un domani, altri fumavano sigari tranquillamente.
Dei rumori dall'altra parte del porto la distrassero.
“Forse...”iniziò a pensare lei, e si diresse verso quella direzione.
Quei rumori furono presto chiariti come sussurri, ma la povera Blaze non capiva di cosa stavano parlando.
Ma quando fu abbastanza vicina dal scoprirlo, tutto cessò. C'era un completo silenzio.
Le scappò un sottile Uh sorpreso, e poi i suoi sensi molto sviluppati la portarono a guardare dietro.
Un uomo era pronto a colpirla con una chiave inglese, ma lei, agile com'era, lo schivò in tempo e gli diede un pugno nello stomaco così forte da farlo rimanere piegato.
No! pensò arrabbiata tra sé e sé. Non è così che doveva andare. Si doveva far catturare, insomma!
Per sua “fortuna”, sentì qualcun altro avvicinarsi furtivo. Questa volta la micia fece finta di non accorgersene, quindi qualcuno la bloccò da dietro con un braccio e con l'altro portò al naso della ragazza uno straccio intriso in una sostanza calmante.
Blaze oppose una discreta resistenza (dopotutto doveva fingere di non voler essere rapita) e poi quell'odore la portò nel mondo dei sogni, ma prima fece in tempo a chiedersi se non avesse fatto una stronzata.
Il piano aveva funzionato. Era in viaggio dal giorno prima in un commercio di schiavi.
Quei bastardi.
Quando avrebbe scoperto abbastanza, li avrebbe bruciati tutti quanti.
Li avrebbe guardati diventare cenere, e sorrideva.
Non crederete davvero che anche lei non avesse un lato oscuro?...
Con l'andare del tempo era sì diventata più agile e acuta, con una perfetta vista al buio e i sesti sensi al massimo, ma era anche diventata un'abilissima piromante.
Si era allenata, aveva inventato nuove tattiche di lotta, ed era diventata temibile. Per i nemici anche terribile.
Con il fuoco, era diventata più potente che mai.
Era cresciuta sadica nei confronti dei nemici; se ne accorse completamente quando, a 19 anni, catturò finalmente Capitan Whisker e il suo equipaggio, quel coglione di Jhonny compreso.
Con solo un movimento di mano, creò abbastanza fuoco da scioglierli in pochi minuti, lasciando solo un mucchio di ferro fuso. Lei sorrideva soddisfatta nel processo.
Si sentiva orgogliosa e forte, mentre pensava: finalmente ve l'ho fatta pagare, per tutto quello che avete fatto!
Nessun rimorso, nessun piccolo dubbio sul fatto di essere stata troppo crudele.
Solo il piacere di non aver più nessun rompiscatole.
Come se non ci fosse abbastanza fortuna, il Dottor Eggman Nega era da anni a letto malato, incapace di creare nuovi robot-pirata.
Essendo i pirati tutti robot, potevano così solo diminuire. E se continuavano ad esserci, Blaze aveva progettato anche quello: aveva stretto un patto con le sirene, lei e il suo popolo si impegnavano a proteggerle, e loro facevano le “poliziotte del mare”, ed erano brave e fedelissime.
Naturalmente, per tutto il tempo della sua permanenza come schiava, Blaze non avrebbe utilizzato il suo fuoco: se l'era promesso, altrimenti la copertura saltava, ed era molto obiettiva. Anche se a volte stringeva i denti dalla rabbia, proprio perché non poteva bruciare il culo a qualcuno, né poteva minacciare.
L'atmosfera troppo tesa creata dalle altre vittime, in qualche modo, la accaldava e la faceva sudare.
Così cercò di pensare a qualcos'altro che la calmasse.
Le venne in mente la foto che Amy le aveva spedito allegata con la prima lettera;
ritraeva la riccia stessa in piedi con la posa di vittoria sulla sabbia fine, sullo sfondo regnavano il mare cristallino e un cielo splendido.
Era cresciuta anche lei: i suoi capelli a caschetto avevano preso una piega morbida, si erano allungati e ricadevano dolcemente sulle spalle, arrivando a metà di queste ultime; il suo ciuffo ricadeva fluente su un occhio.
Anche il suo corpo era cresciuto, aveva una bella linea, molto visibile dato che era in costume.
Poca fortuna ha avuto il seno, che sarà rimasto pressoché sulla seconda.
Ma nel complesso, era davvero carina e femminile.
Le aspettava un futuro brillante, a quella ragazza, e Blaze lo sapeva. Nessuno doveva rovinarlo.
La gatta era lì per Amy, e sarebbe riuscita a tornare a casa con la giovane riccia e a incastrarli tutti, e buttarli al fresco!
La gatta sorrise vittoriosa. Ce l'avrebbe fatta, non c'era nulla che poteva distruggerla o fermarla, era forte e si sapeva difendere, avrebbe vinto. Lei vinceva sempre.
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Capitolo 3 *** Cap III Chi si rivede... ***
Nota dell'autore: i personaggi sono tutti nel mondo di Sonic, ma ci saranno comparse (come Bunch nel capitolo precedente)che sono inventate da me.
Non sarebbe stato facile come Blaze pensava: quei bracconieri che facevano la guardia non facevano solo i controllori... portavano alcune ragazze in una stanza in fondo al vagone e Blaze non voleva nemmeno pensare a cosa le facevano.
E se obiettavano, venivano picchiate.
Questa cosa le faceva salire il crimine.
Non ce l'avrebbe fatta a non far esplodere tutto prima del tempo.
Dopo quasi dodici ore di viaggio, quei criminali avvertirono che si stavano fermando per fare un cambio di guardie e per far prendere aria ai prigionieri.
Blaze sospirò pesantemente. Non vedeva ora di uscire da quel buco.
Sotto gli occhi vigili di due guardie, le vittime camminarono fuori tremanti e indecise dove andare.
Appena Blaze uscì, si guardò intorno. Scrutò la zone da cima in fondo:
due binari uno parallelo all'altro con due treni di legno scuri e lunghissimi, uno era dove la gatta lilla trascorse la prigionia, l'altro era invece sbarrato, chiuso, vuoto.
In mezzo a questi due c'era uno spazio erboso, una lunga sottile striscia di terra, dove i prigionieri si raccoglievano.
Nonostante gli sforzi, la regina non riusciva a comprendere dov'erano, sopratutto grazie ai grandi vagoni che bloccavano lo sguardo del panorama.
Uscì un seccatissimo Mph! dalla bocca della micia.
Guardò allora tutti quelli che uscivano dai vagoni addietro al suo.
Blaze valutò attentamente la situazione:
le persone uscivano e, in gruppo com'erano sul treno, si radunavano nel sottile spazio di terreno.
Tra un gruppo del vagone e l'altro c'era uno spazio di circa cinque metri.
La micia guardò il numero del suo vagone; numero 2.
Poi la sua concentrazione tornò sugli altri gruppi; guardava se magari trovava Amy o -per purissimo caso- qualcuno che conosceva.
Tutti quelli che vedeva non corrispondevano alla descrizione della sua amica.
Con la foto della riccia dagli occhi verdi nella mente, Blaze analizzava tutte le facce che vedeva.
Ma nessuna donna aveva quel bel sorriso, vivi occhi verdi e una bellissima pelliccia rosa...
poi la gatta si accorse di qualcosa, che la colpì come un fulmine: erano tutte donne!
Possibile? Si chiese. Guardò meglio e non c'era neanche un uomo. Solo un caso?
No. Anche il gruppo dopo...
Di colpo la gatta lavanda analizzò il proprio gruppo.
Prima di allora, non si era accorta che anche il suo era un gruppo interamente femminile.
Si sentì stupida perché se ne era appena accorta!
Entrò silenziosamente nel panico; Possibile?! Si chiese di nuovo; Amy non mi aveva mai detto che nel traffico c'erano solo ragazze!
Dubbi atroci le passarono nella mente: e se si fosse fatta catturare dal traffico sbagliato?
L'amica non le aveva mai precisato che era un commercio femminile.
Il pensiero di aver sbagliato tutto e di star andando in un posto sconosciuto senza ragione la fecero sudare freddo. Quindi si mise a fare quello che aveva sempre fatto: pensare.
Caricò l'intero peso su una gamba e le dita sotto il mento, lo sguardo fisso verso il basso.
Il vento soffiava dolce e debole tra la sua pelliccia e i suoi capelli si muovevano ondeggianti.
Doveva salvare Amy, e se era sul vagone sbagliato sorgeva un bel problema.
Magari poteva far saltare tutto in aria e dileguarsi nel casino che aveva creato... ma le ragazze? Magari ne avrebbero sofferto...
Un pianto doloroso distrasse l'attenzione di Blaze: una donna sui trent'anni non riusciva a tenere a bada i singhiozzi. Era curva su sé stessa, teneva le mani premute sulla faccia, cercando di non far vedere le lacrime e le sue orecchie erano abbassate. Un'altra ragazza, sui vent'anni, le dava alcune pacche incoraggianti sulla schiena e cercava di consolarla con parole rincuoranti e un tono dolce.
La donna , disperata, parlò tra le lacrime: “Come faccio a tornare dal mio bambino!?”
La ragazza non le rispose, posò lo sguardo avvilito al suolo, continuando a dare pacche gentili alle spalle della donna.
“Come farà senza la sua mamma?!” continuò la donna tra i singhiozzi “E' così piccolo...oh mio-” e ritornò a piangere. La ragazza la tenne in piedi trattenendola per le spalle.
“Signora, non faccia così! Vedrà che rincontrerà suo figlio...”
La donna scosse la testa tra i singhiozzi.
La Regina gatto rimase di sasso; le orecchie tese e lo sguardo fisso sulla coppia di donne, gli occhi luccicavano e tremavano, mentre una lacrima si apprestava a lasciare l'occhio sinistro.
L'asciugò prima che potesse scorrere lungo il muso.
Quelle due donne non si erano mai incontrate prima -Blaze lo capiva dal fatto che la ragazza chiamava l'altra donna “Signora”- ma si consolavano e incoraggiavano.
La gatta sapeva solo che la signora aveva un figlio da cui è stata strappata, e non le servì altro:
doveva continuare anche se non era il caso che Amy seguiva, doveva farlo per loro.
La micia lilla si guardò intorno: molte avevano una storia simile, lo sentiva.
Amy era forte, ce l'avrebbe fatta. Il bisogno primario di Blaze si trasformò di liberare tutte le prigioniere che avevano fatto schiave, e farle ritornare alle loro famiglie. Far ritornare quella donna da suo figlio.
Strinse i pugni con coraggio, nessun dubbio e nessuna paura nella sua testa, le sue intenzioni erano chiare; avrebbe continuato, e niente la poteva fermare!
Una guardia si schiarì rumorosamente la voce.
Blaze portò la sua attenzione su quell'uomo. Lui iniziò a parlare:
“Attenzione ragazze, cambio di guardia: lui è nuovo, e sono certo che non lo volete far arrabbiare!”
minacciò con un ghigno.
La nuova guardia -una figura nera- grugnì e guardò tutte con fare atroce.
Le ragazze non riuscirono a reggere uno sguardo del genere -assetato di sangue- e iniziarono a tremare abbassando lo sguardo.
La gatta non si smosse ,anzi, guardò a fondo quella figura; aveva qualcosa di familiare, Blaze sapeva di averlo già visto.
Ci impiegò pochi secondi a riconoscerlo, e quando lo fece sgranò gli occhi, si sentì girare la testa, le gambe deboli e il respiro mancarle.
Tuttavia stette immobile, coi piedi saldamente a terra, squadrando sorpresa quella figura misteriosa.
Tutto quello che le girava per la mente era una domanda:
“Cosa ci fa Shadow qui?”
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Capitolo 4 *** Cap IV Sguardi … ***
Shadow
scrutava la situazione; come aveva detto il capo, tutte ragazze e
anche piuttosto spaventate.
Il
riccio nero odiava quando qualcuno si cagava in mano nel vederlo, o
balbettava, o piangeva...
insomma,
la sua pazienza era molto limitata, e nel vedere tutte quelle
ragazzine iniziare a tirar su il moccio dal naso senza che lui abbia
fatto niente lo faceva imbestialire.
Ogni
volta che perdeva la pazienza grugniva e di certo non era qualcosa
che tranquillizzava le prigioniere.
Cominciarono
a risalire sul furgone a passi lenti.
“Wow
amico!” disse Joe, la guardia che aveva presentato Shadow,
battendogli una pacca sulle spalle: “Fai accapponare la pelle
a
quelle!”
Il
riccio, rimasto silenzioso fino a quel punto, gli ricordò
seccato: “
Non sono tuo amico.
Siamo solo soci.”
Joe
roteò gli occhi; “Come vuoi. Tienile d'occhio e ricordati
cosa ha detto il capo!”
Shadow
grugnì: “Certo!”
Joe
se ne andò. Il riccio nero guardò le sue
prigioniere mentre
rientravano nel vagone.
Poi
ad un tratto si sentì bruciare dentro; da annoiato qual era
si trovò
a cercare con insistenza qualcosa che non conosceva.
Uno
sguardo, ne era sicuro; uno dei più penetranti che avesse
mai
sentito sulla sua pelle.
Era
caldo come il fuoco, si sentiva incenerire in sé, e gli
provocava
quel dolore che in verità era solo nella sua mente.
Gli piaceva.
Chiamatelo
masochista ma gli piaceva un sacco quella sensazione.
Per
quanto ci provava non riusciva a trovare il proprietario di quegli
occhi.
Muoveva
gli occhi analizzando tutte le ragazze, ma sembrava che nessuno lo
stesse fissando.
Diamine!
Pensava il riccio dagli occhi rossi Se
non stessero tutte ammassate come pecore!
Il
bruciore aumentava.
Si
avvicinò, ma si accorse che tutte erano rientrate e la
fiammata che
lo bruciava dentro si stava spegnando...
Questo
significava solo una cosa... chi lo fissava era una di loro.
Determinato,
salì sul vagone e lo chiuse.
Guardò
con aria da assassino i passeggeri.
Non
riusciva più a sentire quel calore.
Iniziò
a camminare lungo il vagone, lentamente, guardando a destra e
sinistra mentre il silenzio assoluto faceva da sovrano.
Eddai Diceva tra sé e
sé Shadow. Aspettava solo un segno.
Arrivò
all'altro capo del vagone e si guardò ancora in giro. Nulla.
Quindi
bussò alla porta di legno, che subito si aprì:
“Sì?”
chiese una voce oscura.
“E'
tutto a posto.” rispose il riccio nero senza battere ciglio.
“Ok.
SI PARTE!” gridò il tipo, rivolto verso l'altra
cabina.
Poi
Shadow si accorse di una tabella che aveva in mano.
“Devo
fare l'appello.” annunciò il tipo al riccio nero,
come se gli
avesse letto nel pensiero.
“Lascia,
faccio io.” Rispose solamente, prendendo la tabella dalle sue
zampe.
Il
tizio avrebbe voluto ribattere, ma non era così ignorante da
non
sapere chi fosse Shadow the Hedgehog. E inoltre, lo sguardo del
riccio faceva intuire che non conveniva insistere.
Il
tipo chiuse la porta di legno, lasciando l'ex agente della G.U.N. con
in mano l'elenco dei nomi.
Shadow
si girò dalle ragazze. Dopo pochi secondi il riccio nero
sentì
sotto i suoi piedi il treno che iniziava a muoversi.
Nessuno
parlava, gli unici suoni erano quelli delle ruote che cigolavano
sulle rotaie e il fischio di partenza.
Data
un'ultima occhiata al “carico”, Shadow
posò gli occhi sul suo
appello.
L'aveva
voluto apposta, avrebbe trovato chi cercava.
Iniziò
con voce alta a chiamare i nomi: “Angel the
Echidna.”
Una
timida voce rispose “Presente”, che
arrivò alle orecchie del
riccio nero, ma Shadow fece finta di non averla sentita.
Se
c'era una cosa che non riusciva a sopportare, era quando a un
qualsiasi appello c'era gente che rispondeva a bassa voce. Bisognava
capire chi era presente, diamine!
Ripeté,
più arrabbiato e deciso: “Angel the
Echidna?!”
La
voce si fece più forte, e Shadow decise che stavolta andava
bene.
Squadrò
l'echidna bianca dagli occhi azzurri che rispondeva al nome di Angel
e le ordinò quasi urlando: “La prossima volta,
quando ti chiamo,
alza la voce! Chiaro?! Ho ucciso per molto
meno!”
poi
si rivolse a tutte le altre, ringhiando: “Questo vale anche
per
voi! Non lo ripeterò un'altra volta!!” .
Le
ragazze annuirono con le lacrime agli occhi.
E
poi lo risentì, quello sguardo rodente che gli fece
accapponare la
pelle e gli diede un brivido lungo la spina dorsale.
Si
guardò in giro, ma sembrava che lo stesse osservando un
fantasma!
Quindi
continuò l'appello. Prima o poi salterà
fuori.
Continuò
più o meno senza interruzioni, Fortuna per loro
che collaborano
pensava il riccio nero.
Fino
a quando...
“Annie
the Hedgehog”
Nessuna
risposta. Le ragazze cominciarono a guardarsi intorno bisbigliando e
deglutendo.
Una
ragazza in particolare era piuttosto agitata. Avrebbe voluto
rispondere come le altre, ma le mancò la voce. E sapeva che
era nei
guai.
“ZITTE!”
sbraitò Shadow “ANNIE THE HEDGEHOG!?”.
Una
timida mano si alzò in aria.
Il
riccio nero guardò la ragazza – una riccia arancio
e gialla dagli
occhi blu- dritta negli occhi.
Annie
lo guardava immobile nelle sue orbite, con gli occhi che le
luccicavano dalla paura.
Shadow
non perse tempo ad avvicinarsi a lei e mollarle un ceffone che la
fece finire faccia a terra.
Naturalmente
le altre guardavano piene di terrore quella scena, si nascondevano
una dietro all'altra e abbassavano le orecchie.
“COSA
VI HO DETTO PRIMA!?” urlò il riccio nero
pieno di rabbia verso
la poverina, che si stava lentamente e debolmente alzando con una
mano sul punto colpito. Le bruciava e le faceva malissimo. Ovviamente
non rispose alla domanda retorica del riccio.
“Scusa...”
riuscì a dire tra le lacrime.
“SCUSA?!
La prossima volta non sarò tanto gentile!!”.
E
poi si sentì morire; quella sensazione di bruciore era
diventata
insopportabile anche per lui, era sicuro che stava andando a fuoco.
Si
guardò intorno; tutte lo stavano fissando tremanti.
Nella
sua mente Shadow si chiedeva cosa stesse succedendo, chi era quella
che voleva fulminarlo con lo sguardo? O era lui che si stava
prendendo la febbre e stava solo andando fuori di zucca?
Anche
se dentro si faceva molte domande, la sua espressione e la sua
corporatura non davano segni di lotte tra ragione e istinto che
avvenivano nel suo animo.
Si
limitò ad allontanarsi dalla riccia, che con l'aiuto di
alcune
ragazze si stava rimettendo composta, e continuò il suo
appello.
Passò ai nomi con l'iniziale B.
“Blaze
the Cat.” si bloccò subito dopo averlo detto.
Dove
l'ho già sentito? Si chiese.
Così...familiare...
Ripercorrendo
la
memoria, nello stesso secondo in cui si era fatto la domanda si
rispose da solo.
Aveva
appena
realizzato chi fosse quando una voce forte e fiera rispose:
“Presente!”
Quella
voce...
Quando
la sentì
rimase ancora più sbigottito di prima, e -questa volta- uno
attento
poteva leggerglielo in faccia.
Guardò
nella
direzione della voce e vide con stupore una bellissima gatta lilla,
seduta con la schiena dritta e appoggiata alla parete, le sue
ginocchia in posizione fetale.
La
testa di Shadow
era tutta un Wow,
anche se lui non l'avrebbe mai ammesso.
Il suo
sguardo
cadeva dritto dritto negli occhi dorati di quella creatura.
Analizzò
il suo
corpo senza farsi pregare; notò le forme delle gambe, i
capelli che
le scendevano sulle spalle e che la rendevano irresistibile, le ombre
nere intorno agli occhi che le dava un bel fascino e anche le
bocca...
Da
mordere
fu l'aggettivo e tutto quello che seppe dire sulle sue labbra.
Il
riccio si
trattenne nel mordere e leccare le proprie.
Essendo
seduta e
raccolta su sé stessa, Shadow non riusciva a vedere bene il
resto
del corpo.
Era da
alcuni
secondi che la stava fissando intensamente senza emettere un suono e
lei dava segno di esserne infastidita.
“C'è
qualche
problema?” chiese lei gentilmente, con una nota di seccatura.
Come lo
guardò con
rabbia Shadow si sentì quel bruciore, ma non ne era stupito;
nel
momento in cui aveva realizzato la presenza di Blaze, aveva subito
capito che era lei, che era il suo sguardo
di fuoco.
Così i suoi sospetti erano confermati.
Lui
scosse
leggermente la testa per riprendersi e rispose con un calmo “No.”
Continuò
il suo
appello come se nulla fosse successo, ma in realtà era
altamente
confuso.
“Che
cosa ci
fa qui una principessa come Blaze?...”
- - -
Stava
calando la
notte.
Blaze e
le altre
erano state portate fuori dai vagoni, per alcune ore, poi le avevano
portate in grandi capannoni dove le avevano dato da mangiare (una
povera zuppa di patate) e infine fatte coricare per dormire.
La
gatta lilla si
sdraiò sul letto di stracci e poteva sentire il freddo del
pavimento
di cemento.
Ma non
le
importava, tanto il suo potere le permetteva di variare temperatura a
suo piacimento!
Chiuse
gli occhi e
ripensò al fatto di quel pomeriggio: una volta uscita dal
treno in
tutta fretta, per evitare il riccio nero, si radunò nel ben
mezzo
delle altre, in modo da stare sempre vicino a qualcuno.
Non si sa mai...
Ma non
bastò: a un
certo punto si sentì perseguitata da dei brividi freddi che
il
calore del suo corpo non riusciva a respingere.
Si
guardava intorno
sudando freddo, per poi accorgersi che proprio colui che voleva
evitare la stava fissando senza interruzione dall'alto al basso.
Contrariamente
allo
sguardo della micia, quello di Shadow era di un freddo glaciale e non
le piaceva per niente. Non sapeva cosa fare pur di toglierselo dalla
pelle.
Ma
cosa ci fa
qui? Si chiedeva lei.
Pensavo
fosse un
agente della G.U.N! Non può essere che lavora con loro!...
che
incubo!
Si
preoccupò;
Se ho lui
dall'altra parte non ce ne
vengo più fuori! Tra l'altro mi preoccupo...è
diventato violento
nei confronti dei più deboli. Lo ammetto, lo conoscevo poco,
ma non
era così... che gli è successo?
Emise
un profondo
sospiro.
Per non parlare di
come mi divorava
con gli occhi...
Rabbrividì
solo al
pensiero. La paura che gli fosse maturato un pensiero perverso le
gelava il sangue nelle vene...
Tuttavia
non era
detto che fosse davvero cattivo...
Ma
sì certo! Si
illuminò Lavora per una agenzia segreta!
Sarà in missione sotto
copertura! Che stupida Blaze! E' ovvio, perché non c'ho
pensato
prima!
Sorrise
a questa
considerazione. Voleva sbattesi il palmo sulla fronte ma
evitò. Si
calmò notevolmente e si sentì più
leggera.
Mi sono
preoccupata per niente!
Si era
visibilmente
rasserenata.
Tuttavia
c'era una
parte di lei che non la convinceva... il suo subconscio la portava a
pensare oscuramente...
Ma
perché picchiarla?Era proprio
necessario?...
Non sembrava
scherzare per niente...
Devo dire che non
c'è andato
leggero...
...E questo non ha
senso...
Si era
stufata di
stare sdraiata e non aveva sonno.
Riaprì
gli occhi e
si mise seduta; tutte le prigioniere dormivano nel gigantesco
capannone.
Si
guardò destra e
sinistra mentre le sue pupille si allargavano per adattarsi
all'oscurità del luogo.
Si
alzò e
silenziosamente passeggiò per il corridoio a passi lenti; la
sua
coda ondeggiava nervosa al ritmo dei suoi passi e Blaze era
totalmente avvolta nei suoi pensieri.
Adorava
la notte;
era pacifica, tutto si rallentava quasi per fermarsi,
l'oscurità
avvolgeva qualsiasi cosa come per rassicurare le povere anime. Alcuni
vedevano paura in questo.
La
gatta non
avrebbe voluto far altro che uscire per vedere il cielo senza luna,
pieno di stelle di tutti i colori e dimensioni. Un vero spettacolo
della natura.
La
notte così
incantevole non faceva pensare a realtà dure. Questa volta,
non era
il caso per Blaze.
Non
aveva molto
tempo per queste cose, e spinse via quei desideri e quelle bellissime
visioni per lasciare spazio ai pensieri della sua attuale situazione.
Se
Shadow era
attualmente impegnato a stanare quella banda di canaglie, lei
l'avrebbe saputo, lui le avrebbe detto del suo piano. Doveva
avere un piano.
Shadow non
è certo il primo pirla
di questo mondo si
disse tra sé
e sé Blaze,
Sa cosa deve
essere fatto! E'
preciso, obiettivo...
Le sue
orecchie si
misero sull'allerta; una presenza si avvicinava velocemente...
Troppo veloce...
Non
fece in tempo a
girasi che due mani gelide si chiusero a tenaglia sui suoi fianchi,
stringendo e tenendola bloccata.
Uscì
un gasp
dalle sue labbra, mentre i suoi occhi brillavano preoccupati. Rimase
immobile, non sapendo che fare. Non si girò; aveva capito
chi era.
Era
così vicino
che il petto toccava quasi la schiena della gatta, che si
sentì
sussurrare: “Dobbiamo parlare.”
- - -
Da
tutto il
pomeriggio, sin da quando l'ha vista, Shadow aveva in mente solo lei,
quella gatta lilla.
Il
fatto che era
piombata così inaspettatamente non dava pace al riccio nero.
Nella
sua testa
echeggiava instancabilmente la domanda:
Che ci fa qua?
Poi si
rispondeva e
ci ragionava.
E' stata
catturata, ovvio, ma perché
è in questo universo?
Per non
parlare del
ricordo di dieci anni prima, quando Blaze faceva mangiare il fuoco a
tutti quelli sulla sua strada.
Perché
non scappa??
Ricordava
ancora
quando la aiutò a recuperare il Sol Emerald. Che dire, era
cresciuta
molto e se era così forte a quel tempo figuriamoci quanta
strada può
aver fatto!
E
invece è
prigioniera come tante altre.
Shadow
non sapeva
spiegarselo.
Le
avrebbe parlato,
poco ma sicuro!
E
mentre radunava
le idee per le domande che le avrebbe fatto, si mise ad osservarla.
Era
sempre zitta,
si guardava sempre intorno ed era isolata dal gruppo, ma non troppo.
E'
intelligente,
starà pensando a un piano di evasione pensava
Shadow.
Ma
finché non ho delle risposte ed
è sotto mia sorveglianza non le permetterò di
fare niente!
Aveva
bisogno di
sapere, era diventata ormai una cosa personale. Sapeva che era
potente, emanava energia da tutti i pori. Quindi era pericolosa.
Inoltre
se fosse
scappata quale scusa avrebbe dato a Bunch, il suo capo?
Non
voleva avere
impicci, e non sarebbe stata lei a darglieli!
Era
così
concentrato su di lei, che la micia si accorse dei suoi incessanti
sguardi.
Come se
a Shadow
importasse!
Lei
diventò
nervosa e il riccio nero poté dedurre con un mezzo sorriso
che i
suoi sguardi non le piacevano tanto quanto gli sguardi di lei
piacevano a lui.
Cercava
di
nascondersi dalla sua visuale.
Piccola
vendetta
per avermi quasi bruciato e con questa frase nelle mente se
ne
guardava bene di perderla d'occhio.
E
intanto si
accorgeva di come era cresciuta: si era alzata, doveva ammetterlo.
Una
volta era molto
più asciutta...ora poteva vedere delle curve fantastiche.
Che ci
volete fare?
Alla fine Shadow è un maschio!
E'
ovvio che
adocchiò le forme del petto e il sedere.
Come si
muoveva, la
sua coda che oscillava da un lato all'altro, il suo musetto fine, il
suo corpo perfetto...
Shadow
si voleva
schiaffeggiare da solo per togliersi quei fottuti pensieri dalla
testa!
Che cazzo mi
prende!? Devo
dimostrare rispetto per una Principessa!
Pensò tra sé e sé
Diamine! Sono
sempre stato un santo
e adesso arriva lei e mi atteggio come un maniaco! Perfetto! Ma
guarda te!
Si diceva ironico
mentre roteava gli occhi.
E' una ragazza
come tutte le altre!
MA CAZZO, allora qualcuno mi dica perché mi vien voglia di
sbatterla
contro il muro e-
Si
fermò
d'impatto. Non voleva fare così schifo. Sapeva cosa gli
altri
facevano a quelle povere prigioniere... ok, aveva schiaffeggiato una,
ma non sarebbe andato tanto in basso!
Rispettava
troppo
la principessa, e quindi l'avrebbe trattata come tale.
Con
questa
decisione nella mente, si dimenticò di tutte le cose che le
avrebbe
voluto fare...
Anche lei
vorrà delle spiegazioni.
Pensò non a torto.
Così
attese la
notte.
Dal
lettuccio dove
dormiva scrutava l'enorme spazio del capannone.
La
debole luce
della notte entrava dagli strappi nella plastica che copriva quella
grande struttura.
C'era
un silenzio
incredibile. Shadow respirò quell'aria piena di
tranquillità, e
aspettava.
Un
fruscio leggero
attirò il riccio nero fuori dal suo stato di dormi-veglia.
Una
figura nera e
snella si alzò mise a sedere lentamente, per poi alzarsi
allo stesso
modo.
Aveva
iniziato a
camminare distrattamente per il corridoio, così Shadow
decise di
alzarsi senza fare nessun rumore. Sapeva che era lei, come poteva
confondersi?
Si
avvicinò
velocemente alla ragazza assicurandosi che nessuno lo guardasse.
Le
orecchie della
bella creatura si mossero a scatti: l'aveva sentito arrivare.
Lui non
voleva che
scappasse, o che volesse fargli uno scherzetto col fuoco, quindi la
bloccò alla vita facendola sussultare, e la strinse a
sé senza
farla girare, sussurrandole: “Dobbiamo parlare.”
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Capitolo 5 *** Cap V Domande, Risposte e Bugie ***
Lei annuì solamente e senza proferire parola.
Lui iniziò a spingerla verso la porta, dicendole solo:
“Fuori.”
Lei sembrò felice di uscire da lì; Shadow non
aveva più bisogno di
spingerla, era uscita dalla sua presa e si era avviata verso la
porta, seguita a ruota dal riccio nero e rosso.
Abbassò la maniglia d'argento arrugginito e aprì
la porta cercando
di non farla cigolare, mentre dietro di lei Shadow si guardava
attorno sospettoso.
Uscirono e tutte e due respirarono a pieni polmoni l'aria fresca
della notte.
“Bene, signorina...” cominciò Shadow,
mettendo Blaze spalle al
muro “Ho delle domande da farti!”
“Potrei dire lo stesso!” replicò la
micia.
Shadow ignorò la sua affermazione: “Cosa ci fai
qui?”
“Volevo venire a trovare Sonic, e anche Amy e
Cream...” rispose
la gatta. Sembrava calma.
“...E sei ancora qui?”
“Come puoi vedere, Shadow.”
Il riccio nero avrebbe voluto chiederle di più, parlarle
semplicemente, ma tutte le domande che si era preparato quel
pomeriggio erano svanite nel nulla, come succede sempre quando il
momento arriva, come quando studi e poi quando vieni interrogato non
sai rispondere, eppure avevi letto l'argomento poche ore prima. Era
come se la presenza della gatta di fuoco repellesse i pensieri che
Shadow aveva studiato, come una calamita che funziona al contrario.
“E tu, Shadow...” cominciò Blaze,
togliendo il riccio nero dai
suoi pensieri “Che ci fai qua?”
“Pfft!” rispose il riccio roteando gli occhi.
Blaze incrociò le braccia, portò tutto il suo
peso su una gamba e
lo guardò con un'espressione che Shadow capiva bene. Anche
Rouge la
faceva.
Significava << Ora dammi una risposta
vera>>.
Alcuni secondi passarono in completo silenzio. Poi Shadow si decise a
parlare:
“La risposta non ti piacerà.”
“E' meglio che niente.”
“Ne sei sicura?”
“Perché, Shadow?”
Lui ignorò la sua domanda.
“Secondo te cosa ci faccio qui?” le chiese.
Lei non rispose, sembrava confusa e indecisa su cosa dire.
Lui arrivò finalmente al sodo: “Lavoro,
cara.”
“Lo sai che puoi fidarti di me.”
“In effetti mi fido. Dimmi, Principessa, sai per chi
lavoro?”
“Non era un'agenzia-”
“Lo sapevo.” la interruppe Shadow.
Blaze era visibilmente turbata.
“Ma tu non sapevi del mio cambiamento...”
continuò Shadow,
ignorando invece il cambiamento nella ragazza “...dopotutto
è
passato un sacco di tempo...”.
Silenzio. Gli occhi della gatta era spalancati e luccicavano per aver
appreso la terrificante realtà.
“Non ci credo...” sussurrò con un filo
di voce, che Shadow
sentì.
“Non crederci!” le rispose prontamente e calmo il
riccio nero.
Sembrava essere leggermente divertito dalla reazione di Blaze.
“Non ci posso credere!” disse la gatta lilla,
stavolta più
forte, intenzionata a farsi sentire bene da lui.
Cercava di avere un tono forte, ma in realtà la voce aveva
traballato un poco.
“Scusa, ma non ci voglio credere!”
“Scuse accettate.”
“E smettila di sfottere!” gli gridò
furiosa con l'indice puntato
in faccia al suo interlocutore.
Lui si limitò a prenderle il polso ed abbassarle la mano.
“Non sto sfottendo.” rispose pacifico.
Lei era rossa dalla rabbia, Shadow pensava che fosse solo questione
di tempo prima che esplodesse.
Era visibilmente frustrata. Il riccio si accorse di essere andato un
po' oltre.
“Chiedo scusa.” stavolta non aveva più
il tono da stronzo.
Ma lei non l'ascoltava più: “COME PUOI
LAVORARE PER LORO?!”
Lui non disse nulla.
Con la stessa ferocia che aveva prima, Blaze dimenò la mano
dalla
presa di Shadow, liberandosi.
Fece per andarsene, ma lui fu più veloce e le prese entrambe
i polsi
bloccandola al muro e la schiacciò col suo corpo verso la
parete, in
modo che non tentasse di scappare dimenandosi e dando calci.
“S-Shadow c-che stai facendo!?” chiese- anzi-
urlò Blaze con un
tono tra il sorpreso, arrabbiato e preoccupato.
Ma Shadow non la voleva ascoltare e pensava solo: Perché
non lo
usa??
Blaze tentava di dimenarsi, ma era come spostare una statua.
Perché
non lo
usa?
Shadow era frustato sempre di più. Stringeva la stretta
attorno ai
suoi polsi.
Perché
non lo
usa?!
Cominciò a guardarla con odio.
“CHE TI PRENDE!?” gli gridò la gatta
spaventatissima “LASCIAMI!
Altrimenti...”
“Altrimenti cosa?!” gli chiese lui.
Blaze non rispose, trovava curioso il fatto che lui sembrava
arrabbiato almeno quanto lei.
“Lasciami!” ordinò di nuovo.
“Perché?”
“COME PERCHE'?!?”
“Perché non lo usi, Blaze?!”
All'inizio lei sembrava confusa, ma poi sembrò capire di
cosa si
stava parlando...
“Non uso...cosa?” chiese con un filo di voce.
“NON FARE LA FINTA TONTA CON ME!! Lo so che sei
piro-cinetica! Non
me ne sono dimenticato!” le urlò irato.
“Perché non usi il tuo fuoco per
andartene?!”
Lei abbassò lo sguardo.
“L'ho...perso...” disse con il broncio.
“AH!” rise lui, che era tutto tranne che divertito
“Mi stai
prendendo in giro?! Perché non ti conviene! E ora
dimmi la
verità.”
“E' questa la verità! Secondo te perché
sono qui?”
“E' quello che sto cercando di capire.”
“Mi hanno fregato, Shadow. Sto pensando a come andarmene. Ora
che
sei il mio controllore, mi aiuterai?” era ritornata calma,
come se
la sua vicinanza con il riccio nero non le importava più.
Lui non riusciva più e leggerle in faccia, ed era una cosa
che non
sopportava.
Tuttavia si era calmato anche lui.
Una smorfia simile a un mezzo sorriso apparì sul suo volto,
mentre
la presa sui polsi della ragazza allentò.
“Perché dovrei?”
“Hai detto che ti fidi di me, dovrai solo far finta di non
vedermi
più...” era un tono tranquillo, che stranamente
Shadow trovò
sensuale. Ma non era disposto a cedere.
“Scordatelo!”
“Perché?” chiese lei, non alterando la
voce.
“Non passerò nei guai per colpa tua!”
“Oh, davvero? Capisco...ah! E io che pensavo
perché non riuscivi a
togliere gli occhi da me...!” disse ironica.
Shadow si scurì in volto, schiacciandola sempre
più verso il muro
per la rabbia.
“Come hai detto?!”
“Oggi pomeriggio. Continuavi a fissarmi. Eri
fastidioso.” rispose
lei, sempre tranquilla.
Shadow sembrava essersi calmato.
“Abituati. Non finisce qui, non ti perderò
d'occhio!” e
finalmente la lasciò.
Lei si limitò a guardarlo male e, dopo avergli voltato le
spalle,
s'incamminò verso i dormitori.
“Non minacciarmi, Shadow” disse la micia, senza
neanche voltarsi
“Posso uccidere anche senza bruciare.”
“Hai vinto questa battaglia, ma non la guerra.”
rispose il
riccio.
“Non abbiamo ancora finito. Non mi hai detto tutto.”
Blaze aveva aperto la porta ed era entrata, lasciando Shadow da solo
nell'oscurità e nel silenzio della notte.
Non era di certo stato uno dei giorni migliori di Blaze.
Questa nuova avventura si incasinava più si andava a fondo.
La gatta giaceva nel suo letto di stracci, con gli occhi chiusi.
Ritornò ai momenti in cui lei e Shadow hanno parlato, con
l'intento
di chiarire.
Il sangue nelle vene si era gelato completamente quando aveva
realizzato che Shadow era davvero dalla parte dei cattivi, e che non
l'avrebbe aiutata -anzi!- le aveva promesso che l'avrebbe ostacolata
in tutto e con tutto.
Sono
nella
merda.
Shadow è l'ultima persona che voleva avere contro
perché era
potente, la gatta lo percepiva.
Quanto era cambiato....
Lei aveva iniziato ad aver paura del nuovo Shadow; non tanto quando
alzava la voce o minacciava -se voleva lei poteva far meglio- ma
quando agiva come se le volesse far male fisicamente.
Blaze ritornò a quel momento: si era appena liberata dalla
sua presa
quando lui l'aveva completamente bloccata al muro, stringendo
più
forte del dovuto i suoi polsi e portando tutto il suo corpo addosso a
quella della gatta. Fu panico.
Cercava di dimenarsi come meglio potava, ma era troppo robusto per
essere allontanato e lei non era in una posizione favorevole per
combattere.
Shadow la guardava sempre più intensamente coi suoi occhi
color
sangue...Blaze si risentì quei brividi freddi che
tempestavano il
suo corpo... sentiva la sua stretta stringere sui polsi...
Non pensava ad altro che a una frase:
No!
Ti prego
Shadow, non farmi questo...!
Ma poi l'ex agente della G.U.N. le chiese del fuoco...
Cosa poteva dirgli? Che non poteva usare il fuoco perché
doveva
passare inosservata? Certo che no.
Era una stronzata incredibile, lo sapeva, ma non sapeva che altro
dirgli...
“L'ho...perso...”
In effetti le rise quasi in faccia.
Ma se fosse stata abbastanza brava a fingere magari lui ci sarebbe
cascato.
Doveva solo figurare come avrebbe continuato quella colossale bugia.
Il contesto c'era, si doveva solo inventare una storia e farla
passare per vera in tutto e per tutto.
Blaze si immaginava le domande che Shadow non le aveva ancora fatto,
ma che probabilmente non avrebbe tardato a chiedere, e trovava
risposte plausibili.
Quando trovò una risposta accettabile quasi per tutto, si
abbandonò
finalmente al sonno.
L'aspettava un domani pesante.
Shadow non rientrò nel dormitorio; doveva parlare con la sua
amica.
Dovevano parlare della giornata, della ricerca alla spia, di Blaze.
Rouge doveva saperlo.
Il riccio sapeva che la sua partner avrebbe sospettato della gatta,
come lui aveva iniziato a credere.
C'è
qualcosa
che mi nasconde, e temo che non siano belle cose, quelle che vuol
fare...
Shadow scosse la testa. Non aveva senso che Blaze fosse una spia! Una
ribelle che poi avrebbe creato problemi, questo sì, ma non
una spia.
Come
avrebbe
saputo del traffico di schiavi! Nah! E' ridicolo che sia lei!
E con questi pensieri, camminò fino al capannone
lì vicino; era di
certo più piccolo di quello dove lui, Blaze e le prigioniere
dormivano. Qui dormivano solo le guardie che non erano in turno
quella notte.
Più s'avvicinava, più Shadow poteva vedere due
figure chiacchierare
tranquillamente: una era la sua compagna, l'altra era una guardia.
Come Rouge vide il suo compare, congedò il ragazzo con cui
stava
parlando prima: “Grazie per la compagnia. Notte.”
Lui non rispose, fece solo un cenno dopo aver dato un'occhiata veloce
al tenebroso riccio nero, e poi se ne andò.
I due del Team lo guardarono mentre si allontanava, Shadow era
inespressivo mentre Rouge aveva un sorriso rilassato.
“Hey Shadz!” iniziò la ragazza
pipistrello, quando fu sicura che
non ci fosse più nessuno ad ascoltarli.
“Ti stava importunando?” si preoccupò
Shadow. Dopo tutto quello
che aveva visto, era normale chiederle almeno se stava bene.
“Assolutamente no! E' il ragazzo più gentile tra
tutti quelli che
ho incontrato qui sopra!” rispose lei.
“Mi fa piacere saperlo. E anche vedere che tu stai bene, come
sempre.”
Rouge ridacchiò.
“E' carino da parte tua preoccuparti per me,
brontolone!” gli
disse affettuosamente.
Shadow sbuffò.
“Ad ogni modo, come è andata la
giornata?” chiese il riccio.
“Mmh...non male. Dovresti sapere le condizioni igieniche che
ci
sono!” iniziò a lamentarsi la ragazza.
“Certo che lo so, ci sono stato anch'io sui vagoni.
Piuttosto, che
numero eri?”
“L'ultimo, il 5.” rispose ritornando calma Rouge.
Poi scosse la
testa.
“Sono sicura che la spia non c'è. Lo
sento!” Guardò il suo
compare con fare serio. Qualcosa le passava nella mente, oscurandole
il volto, ma Shadow non ebbe tempo di chiedere.
“E a te? Come è andato il primo giorno?”
chiese lei con un
bellissimo sorriso che le era ritornato sulle labbra.
“Eh!” rispose lui. Lei lo guardò con
fare interrogativo.
“Non sai chi ho incontrato oggi!”
“Aww” lo interruppe Rouge “ Un 'indovina
chi'! Vediamo se
azzecco! Mmh...” e si portò le dita sotto al
mento, cadendo nella
concentrazione. Dopo alcuni secondi la sua faccia si accese.
“AH! Amy, giusto? Quella ragazza si mette sempre nei
guai!”
sbuffò divertita la creatura bianca.
“Lo sai che tu non sbagli mai...”
incominciò il riccio nero
“...ma questa volta è diverso. Riprova.”
concluse la frase,
calmo e con un leggero sorriso.
“Oh! Mhh....” ritornò
a pensare Rouge.
“Argh! C'è così
tanta gente...! Shady, per favore, almeno
un indizio!”
Lui incrociò le braccia. “E' un'amica di Amy... e
di Sonic.”
La compagna sbuffò. “Qualcosa di meno
generico?”
E ritornò a pensare senza che Shadow le dicesse niente.
“Mmh... ci sono! Sally?”
“No.”
“... Bunny?”
“Neanche.”
“Julie-su?”
“Sei troppo lontana.”
“Tikal? Cream? Honey? Mina? Nicole?”
Shadow scosse la testa.
“Ti do un qualche indizio... è una
principessa...”
“...” la ragazza abbassò le orecchie.
“...è un gatto...”
“...!!!!” lei
raddrizzò di nuovo le orecchie.
“...col manto lilla...”
“Blaze qui?” chiese finalmente Rouge, con un filo
di voce. Shadow
annuì.
“Che ci fa qui?” esclamò la compare.
“Dice che era qui per far trovare Sonic, ma poi è
stata
catturata...”
“Mmh..” lo interruppe Rouge “...e tu non
le credi, giusto?”
Di nuovo, il riccio annuì.
“Quella gatta è troppo misteriosa, vorrei crederle
ma penso dica
solo balle.”
“...pensi a quello che penso io?”
domandò l'amica, guardandolo
con aria grave.
“Non credo sia lei la spia.” disse in fretta
Shadow. “Non
avrebbe senso.”
“E perché no?” ribatté lei,
portando le mani sui fianchi.
“...me lo sento.” rispose indeciso. “E
poi lei non avrebbe
avuto modo di saperlo.”
“Chi te lo dice?” sospirò l'amica.
Lui non rispose.
Nessuno. Pensò, guardando in un punto non
preciso
nell'oscurità.
Prima che i pensieri di Blaze come spia lo convincessero, Shadow fu
tirato fuori dalla sua concentrazione dalla voce calda della ragazza
pipistrello:
“E com'era?” disse, con voce provocatoria.
“Mh?... Oh, è cresciuta, è diventata
una bella ragazza.” disse
cercando di sembrare più impassibile possibile davanti
all'amica.
“Ah sì?” Rouge guardò il
cielo “Mi piacerebbe vederla di
nuovo, dopo tutto questo tempo.”
Poi si rivolse a Shadow:
“Come ti è sembrata?”
“Te l'ho detto... è cresciuta, ed
è-”
“No, Shadow!” lo interruppe la bianca
“Cosa pensi di
lei?”
“...non capisco che intendi dire.”
“Oh, sì invece!”
Lui fissò il suolo: “Perché ti
interessa? Non ti riguarda. Non
penso a niente di lei.” mentì.
“Ok, Shadz.” rispose la ragazza “Adesso
sono troppo stanca per
discutere. Ne riparleremo domani. Ho bisogno delle mie otto ore di
sonno per mantenere la mia bellezza.” disse, facendosi
passare le
dita tra i capelli.
Poi si rivolse al riccio nero con tono serio e piuttosto triste:
“Non farti coinvolgere troppo sentimentalmente, Shadow, o non
sperare di venircene fuori.” detto questo, se ne
andò al suo
dormitorio.
Shadow non obiettò e non aggiunse altro. Lei aveva ragione.
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Capitolo 6 *** Cap VI Caso Amy Rose ***
~~In fretta e furia, le guardie spinsero le prigioniere fuori dal loro sonno e le caricarono di nuovo sui vagoni.
Blaze salì e si sedette nel suo angolino, nell'ombra e da sola.
Le altre ragazze arrivavano piano piano, e il vagone era ancora mezzo vuoto quando qualcuno si sedette vicino a lei.
Guardò chi le stava accanto e notò con sorpresa che era la ragazza che il giorno prima Shadow aveva schiaffeggiato.
La riccia dorata le diede una veloce occhiata timida, per poi abbassare lo sguardo, imbarazzata.
“Ehy” disse dolcemente, continuando a guardare il suolo con un triste sorrisino. Sembrava nervosa.
Blaze la guardò in silenzio. Non sapeva capiva perché quella ragazzina volesse parlarle. Passarono alcuni secondi prima che la gatta trovò qualcosa sa dire:
“Tutto bene?”
“S-sì.” rispose balbettando, anche se sembrava convinta della sua risposta.
“Sicura?”
“Sì...” e poi alzò lo sguardo per guardarsi velocemente in giro.
“S-sei... il riccio nero... sembra rispettarti...”
Blaze capì. La riccia voleva sentirsi protetta.
“E' per questo che sei qui vicino?”
Lei annuì.
“Ho paura.” bisbigliò, con la voce che le tremava.
“Tranquilla,” la consolò la micia “Non ti picchierà più.”
La ragazzina annuì di nuovo.
“Annie, giusto?” chiese Blaze dopo qualche secondo.
“Sì. Tu?” chiese lei gentilmente, con la sua voce cristallina.
“Blaze.”
“Che bel nome!” gioì Annie.
La gatta lilla le fece un bel sorriso in risposta. Dopotutto, cercava di essere gentile con quella dolce e provata creatura.
Le ragazze erano salite tutte e il treno era ripartito.
Blaze doveva saper distrarsi dal riccio nero che controllava tutto il vagone. Così volle parlare un po' con la sua nuova compagna di sventura.
“Se posso chiedertelo, Annie... come ci sei finita qua?”
La riccia abbassò le orecchie. Blaze si rese conto che aveva rievocato memorie che l'amica cercava di tenere a bada.
“Mi spiace, lascia perdere se non te la senti-”
“No, va tutto bene!” rispose Annie, interrompendo la regina gatto.
“Mi hanno preso mentre tornavo a casa da scuola.” raccontò.
Blaze alzò un sopracciglio.
“Sei così giovane da andare ancora a scuola? Quanti anni hai?”
“17” ammise la riccia dorata “Molte hanno la mia stessa età, o sono addirittura più piccole.”
In quel momento, un'echidna bianca si mise seduta accanto a Annie. Blaze l'aveva riconosciuta.
“Piacere, Angel the Echidna.” si presentò la ragazza seria, freddamente, porgendo la mano alla gatta lilla. Sembrava frettolosa.
“Piacere, Blaze the Cat.” rispose lei allo stesso modo, ricambiando la stretta di mano.
L'echidna non fece la stessa cosa con la riccia, probabilmente perché si conoscevano già.
“Sta succedendo qualcosa di grosso.” disse Angel sottovoce, con fare grave.
“Davvero?” chiese Annie preoccupata. L'echidna bianca annuì. Sembrava non volersi far vedere troppo.
“Di che si tratta?” chiese Blaze, entrata anche lei nella discussione.
“Ci preleveranno per perquisirci e per farci delle domande. Si dice in giro il direttore sia fuori di sé: è convinto che tra noi ci sia un spia.”
Blaze s'irrigidì e si sentì gelare.
“Cosa?! Ma è impossibile!” piagnucolò Annie.
“Eppure è così. Quelli non scherzano, attenti a come agite o vi fanno fuori! Basta un sospetto per ritrovarvi con una pallottola nella testa! Vado a far passar parola.” disse, tutto d'un fiato, con tono preoccupato.
E poi cambiò aria, andando a fare quello che aveva promesso.
“Oddio. Oddio.” si agitò subito Annie.
“Calmati!” le ordinò la micia. Era preoccupata anche lei, ma non lo voleva dar a vedere. Almeno non a Annie, che si fidava di lei e la vedeva come un pilastro forte.
Ma calmare solo la riccia non era sufficiente, anche tutte le altre stavano scivolando nel panico.
“Non hai nulla da nascondere, Annie!” la consolò Blaze, quando vide che l'amica stava andando in iperventilazione “Devi solo stare calma!”
Anche Shadow aveva notato la situazione, ma non stava facendo niente.
Non incitava alla calma, né con le buone né con le cattive.
Era semplicemente lì che guardava l'agitazione delle ragazze, col suo sguardo non curante.
Le ragazze cominciarono presto a piagnucolare, piangere e cadere nel panico.
Blaze non capiva la loro reazione.
Sentì la mano di Angel sulla sua spalla.
“Aiutami Blaze, sei l'unica insieme a me che riesce a controllare la paura. Aiutami a calmarle!”
“Perché tutta questa agitazione?” chiese a voce alta la gatta, per farsi sentire dall'amica tra tutte quelle voci.
Angel impallidì.
“Non sai delle esecuzioni? Delle torture?...” chiese, con un filo di voce.
Blaze sgranò gli occhi.
“No...non ne sapevo niente.”
Angel prese un bel respiro.
“Ci sono tante cose che nessuno sa di questo traffico, per esempio che non è solo un commercio di schiavi...” spiegò, guardandosi attorno “Sono crudeli, Blaze, qualcuno li spedirà all'inferno!” disse, con la rabbia che le cresceva e che le alterava la voce.
Blaze stringeva i pugni.
“Qualcuno si farà male.” concluse.
“NO.” decretò decisa la gatta. “Non lo permetterò.”
E dopo questo, tutte e due cercarono di calmare la folla.
Ci avevano provato fino alla fine, ma ormai la voce stava mancando a tutte e due.
Angel e Blaze, con la gola secca, cercavano di urlare per riportare la calma.
“E'...inutile...” ansimò Angel. L'unica che le aveva ascoltate era Annie.
Due guardie arrivarono da dietro alle due ragazze e presero le braccia di Angel, uno per ogni parte.
“Cosa fate?” chiese la gatta, vedendo che la sua amica era stata presa.
“Abbiamo visto come sgattaiolavi in giro tra le altre ragazze. Cosa volevi fare, eh?” disse una guardia rivolta verso l'echidna bianca, che li guardava con occhi pieni di terrore.
Adesso quella nel panico era lei, e non riuscì a parlare perché la stavano strattonando fuori dal vagone.
“No! Non è come pensate!” gridò Blaze, inseguendoli a passo veloce “C'è stato un malinteso! Non potete fare questo! Lei non c'entra niente! Fermatevi!” iniziò a correre dietro a loro, i quali erano diventati stranamente molto veloci. Non sapeva cos'altro fare se non tentare di parlare. Blaze voleva bloccarli, anche se sapeva che avrebbe potuto mettere a rischio la sua missione. Li inseguì per i corridoi di legno, sgattaiolando tra le ragazze.
Stava per richiamarli come un Fermi! ma una porta si aprì quasi in faccia alla povera gatta.
Ne uscì un grande e grosso bulldog, che sembrava non avere un buon umore.
Blaze rimase immobile, fissando il cane irritata.
Lui non se ne accorse, altrimenti sarebbe andata diversamente.
Chiuse la porta sbattendola e guardando da tutt'altra parte, con occhi feroci, decisamente incazzato.
Se ne andò per il corridoio dalla parte opposta da dove Blaze veniva.
Voltato l'angolo, finalmente Blaze si poté muovere.
Era davanti alla porta e si guardò velocemente intorno. Non c'era nessuno. Aprì delicatamente la porta che poco prima era stata sbattuta. Non sapeva perché doveva cacciarsi nei guai così facilmente, ma sentiva che doveva essere una stanza importante, o che almeno l'avrebbe illuminata su alcune aspetti.
Entrò velocemente e richiuse subito.
Poi si voltò ad ammirare la stanza. Era piena di cartine geografiche e urbane, con i post-it attaccati qua e là da delle puntine.
Al centro della stanza, stava una grossa cattedra di ferro, piena di documenti disordinati.
Sopra la superficie grigia c'era anche un posacenere di vetro contenete cenere e resti di sigari.
Blaze esaminò le mappe.
Alcune sembravano vecchie cent'anni, altre profumavano di nuovo.
Ma sia vecchie che nuove avevano alcune strade tracciate di rosso da un pennarello.
Blaze cercò una mappa che poteva condurla alla strada che aveva e avrebbe fatto.
Cercò per un bel po' di tempo, perdendosi ad analizzare boschi, fiumi, laghi, città.
Alla fine riuscì a trovare una mappa che partiva dal porto in cui l'avevano rapita, e con il dito percorse la strada evidenziata finché non arrivò a un post-it dove c'era scritto 'arrivo' e sotto 'due settimane dalla partenza'.
Scostò leggermente il foglietto per leggere la meta:
New Mobius Big City.
Fece un breve calcolo: undici giorni all'arrivo.
Cercò delle cartine più grandi, dove diceva dove si trovava più precisamente quella città.
Ma NMBC sembrava sorgere nel nulla.
Blaze si passò una mano sul muso, per riprendersi dalla stanchezza che tutte quelle carte appese al muro le avevano fatto venire.
Poi, dopo un'ultima breve occhiata alle mappe, passò ai documenti sulla scrivania.
Erano dei file personali, a giudicare da com'erano strutturati.
La gatta prese il primo che le capitava, ovvero quello sopra la pila.
L'aprì ….. e immediatamente si sentì morire.
C'era una foto di Amy allegata!!
Era seria, con un vestito che ricordava le uniforme dei poliziotti in borghese.
I suoi capelli erano legati in una coda, a parte due ciocche, una le scendeva sulla guancia destra, l'altra su quella sinistra. I suoi occhi verdi non guardavano l'obiettivo.
Blaze si fece coraggio e iniziò a leggere; centrale e in alto, il nome AMY ROSE era scritto in maiuscolo e in grassetto.
E poi, immaginate, tutti gli effetti personali:
Età: 22 anni
Sesso: Femmina
Specie: Riccio
Lavoro: Investigatrice
Caratteristiche: rosa, occhi verdi
Punti di forza e attacco: forza fuori dalla media, attacca con un martello rosa.
Stato: PERICOLOSA
Blaze fu percorsa da brividi freddi e continuò a leggere:
Richiedere particolari attenzioni, sospetti confermati.
Indaga sul commercio a-001.
Quantità informazioni scoperte: ignota.
Avvistamenti: scoperta a spiare a Salt Mère, da allora tenuta sott'occhio.
Provvedimenti: momentaneamente, catturata.
Blaze sudò freddo. Avevano scoperto Amy, come temeva, e l'avevano catturata.
Merda, merda, merda.
Il fascicolo dell'amica continuava con foto di lei, foto di lei con amici, al lavoro, alcune con Sonic una anche con Cream...
Non solo, era stata anche spiata a lungo: c'era scritta la routine quotidiana, con tanto di annotazioni se era qualcosa al di fuori dell'ordinario. Avevano trovato l'indirizzo. Quei figli di bastardi.
Sperava che non avessero coinvolto anche la piccola Cream... che a pensarci bene, non doveva essere più tanto piccola.
Blaze provò con altri fascicoli; era tutta gente che non conosceva, ma avevano in comune di essere degli investigatori – privati e non- alcuni persino spie del governo. Tutti lavoravano su quel traffico di schiavi.
Non solo: tutti avevano un ELIMINATO sotto la foto profilo, fatta da uno stampino con l'inchiostro rosso.
Non ci voleva un genio per capirlo: li avevano uccisi tutti, un annientamento totale.
Tutti detective esperti, attrezzati, in gamba. Eppure tutti beccati, presi, eliminati prima di mandare all'aria il commercio illegale di schiavi. E Amy era una di loro.
Blaze si chiedeva inquieta quanto ci volesse prima che anche il fascicolo dell'amica fosse sigillato col marchio rosso.
In fondo, trovò anche Sonic, e ne rimase sorpresa. Si calmò solo quando notò che oltre al nome e alcune informazioni essenziali loro avevano niente. Nello stato c'era scritto semplicemente 'Fuori dalla faccenda, ma non si sa mai'.
La prudenza non è mai troppa. Pensò ironicamente Blaze.
Per quanto cercasse, non trovò informazioni sulla posizione della riccia rosa.
Dannazione! Dove l'avranno messa! Pensò ferocemente, frugando tra i cassetti della scrivania.
Forse Amy è ancora viva, e devo fare in fretta!
Sentì dei rumori provenienti fuori dalla porta. Si stavano avvicinando. Erano in due, stavano chiacchierando.
Mise tutto in un modo più ordinato possibile e cercò d'uscire di corsa, ma prima che potesse aprire la porta, il pomello girò.
Dall'altra parte della porta, chiunque fosse era troppo impegnato a parlare che fece tutto lentamente, dando il tempo a Blaze di nascondersi sotto la cattedra.
Rannicchiata e ben nascosta, la gatta poté sentire i passi dei due che entravano.
Uno chiacchierava con l'altro che invece lo ascoltava nel più completo silenzio.
La guardia che parlava era Joe. Blaze lo riconobbe dalla voce, era lo stesso che aveva presentato Shadow, anche se ovviamente non sapeva il suo nome.
“...E quindi amico” diceva la guardia al compare “Qui ci sono tutti i fascicoli di quei salami!” disse ridendo, battendo una mano sulla pila di documenti che Blaze poco prima aveva esaminato.
“Ci sono tutti! Dalla A di Amy Rose alla Z di...”
“Amy Rose?” Interruppe l'amico prendendo il fascicolo riguardante la riccia rosa.
Blaze riconobbe quella voce fredda e calma: Shadow.
“La conosci?” chiese leggermente stupido Joe.
“Sì.” ammise il riccio nero leggendo le informazioni “Ma sono anni che non la vedo. Non mi sarei mai aspettato che diventasse un'investigatrice.”
“E invece eccola!” esclamò la guardia, indicando bruscamente il fascicolo.
“Che ne è stato di lei?” chiese l'ex agente posando i documenti.
Joe ghignò: “E' stata catturata, come avrai appena letto...”
“E dov'è adesso?” chiese il riccio.
“E' stata su questo treno. Ma non so se in questo giro o in quello prima. Comunque non so molto, è solo quello che ho sentito dire in giro. Il capo non ci dice mai nulla nello specifico.” rispose serio l'amico.
Shadow si limitò ad annuire. “Perchè mi hai fatto venire qui?”
“Eh eh.” Joe gli consegnò un portadocumenti. Il riccio lo prese.
“Tieni. E' un fascicolo vuoto. Dovrai mettere tutte le informazioni possibili sulla spia, come noi abbiamo già fatto per gli altri. Piuttosto... come va con le ricerche?”
Per un attimo, Shadow non rispose. Aprì il fascicolo che era – come era stato previsto – vuoto.
“Le ricerche sono ancora in corso.”
Il compagno annuì lentamente.
“Sai,” si confidò quest'ultimo “avere una spia sul treno e non sapere chi sia mi manda in bestia! E' così brava che nessuno l'ha ancora scoperta! Chi sarà mai? Sospetti Shad?”
“Non chiamarmi Shad.” rispose il riccio, irritato. Aveva iniziato a esaminare un bel po' di fascicoli.
“Oh, scusa.” disse l'altro, non molto dispiaciuto.
“Perché ci sono tutti questi ELIMINATI ?”
Joe sorrise con cattiveria. “Significa che non daranno problemi. Mai più.”
Shadow annuì di nuovo, lentamente.
“Tutti quanti?”
“Sì! Tranne la riccia rosa... non so cosa aspettino, sinceramente.”
Un brivido freddo scese per la spina dorsale della gatta lilla, mentre guardava con odio la guardia.
“Sono un bel po'.” commentò ancora Shadow, facendo scorrere tutti i fascicoli.
“Che ci posso fare? Tutti ci tentano!” disse Joe, con un tono fiero.
“E...se i sospetti sono più di uno?”
“Bhè!” ridacchiò la guardia “Allora ti do un block notes e tanti sinceri auguri!”
“Mph!”
E entrambi uscirono.
Blaze uscì cautamente da sotto la cattedra.
E così...Amy è stata qua. E magari lo è ancora! Pensò la gatta, semi-rincuorata.
Uscì furtivamente dalla stanza. Ora iniziava a capire...
Shadow lavora per loro per trovare questa “spia”. Mi chiedo se stiano cercando me... o qualcun'altra che si è infiltrata come ho fatto io.
La sua mente balzò all'improvviso su qualcun altro;
Angel!
La gatta corse verso il suo vagone, sperando che l'echidna bianca fosse ritornata.
Non la vide. Si diresse verso Annie, che era rannicchiata in un angolo che guardava preoccupata i dintorni. C'era molta meno gente di quando se ne era andata.
“Annie!” la chiamò la gatta “Che è successo?”
“Hanno preso alcune ragazze per interrogarle...” disse semplicemente la riccia, sempre preoccupata.
“Te no?”
Annie scosse la testa.
“Notizie di Angel?” chiese la micia.
Ancora una volta, la riccia dorata scosse la testa.
“Non è ancora tornata?!” si agitò Blaze.
“No. Pensavo che tu sapessi dove fosse. Ti ho visto andarle dietro...”
Blaze si calmò.
“...L'ho...persa di vista...”
“Non ti preoccupare!” la interruppe Annie, che aveva notato il disagio dell'amica, e l'abbracciò. Cercava di essere allegra e di rasserenare la micia.
“Va tuuuuuuutto bene!” e le diede alcune pacche dolci sulla testa.
Questa ragazza è davvero tenera. Pensò stupita Blaze.
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Capitolo 7 *** Cap VII Più di quello che pensi ***
N.B:
I personaggi della storia appartengono tutti alla SEGA tranne Bunch,
Joe, Rose, Angel e Annie.
Arrivò
la notte e il treno finalmente si fermò di nuovo.
Tutte scesero e vennero fatte dormire in una villa abbandonata.
Blaze disprezzava quella scelta: era tutto legno marcio che sarebbe
potuto cedere da un momento all'altro, ma non solo era pericoloso, ma
anche freddo e poco igienico.
Le ragazze battevano i denti e dalle loro bocche uscivano nuvole di
vapore.
Le guardie le rinchiusero tutte in un'enorme stanza e le fecero segno
di sedersi.
Ancora una volta, Annie si sedette vicino vicino a Blaze.
Quel posto dava i brividi alla povera gatta; aveva l'impressione che
il soffitto stesse per cadere da un momento all'altro, e ogni volta
che si muoveva cigolavano le assi del pavimento.
Si guardava in giro, finché con la coda dell'occhio vide
lei, Angel.
Si alzò e le andò a sedere vicino.
“Angel.” la chiamò, ma l'echidna non si
mosse. Restò inanimata
a fissare il pavimento, con gli occhi sgranati. Decisamente qualcosa
non andava.
“Angel...” la voce della gatta si era addolcita.
Era preoccupata
per quello che le avevano fatto.
“Cosa ti è successo? Che ti hanno
fatto?!”
Dopo infiniti secondi di nulla, l'echidna sospirò
pesantemente.
“Mi fa male tutto...” disse con un filo di voce,
cercando di
sembrare non curante. E non disse altro per quella sera.
“Ok, riposa.” disse semplicemente Blaze, altamente
preoccupata.
Annie le aveva raggiunte e si era rannicchiata insieme alle altre
due.
Non c'era una sola luce: era tutto avvolto nel buio della notte.
Anche le altre ragazze si erano rannicchiate per dormire.
Blaze non ne aveva bisogno, dopotutto sul treno non c'era molto da
fare e quindi sonnecchiava, come molte altre...
Poi qualcosa le fulminò nella testa:
Perché
ci
fermiamo ogni notte, se possiamo dormire sul treno?
Per rifornirsi? Non ce n'era bisogno, mangiavano a terra. Se
mangiavano.
Se non si fermassero sempre, il viaggio durerebbe molto meno. Allora
perché...?
Blaze si tirò fuori dai suoi pensieri. Tutte le ragazze
sembravano
dormire di già.
“Annie?” sussurrò Blaze.
“Mh?” rispose lei, destandosi.
“Mi fai un favore?”
La riccia sfregò gli occhi e sbadigliò.
“Che favore?”
“Resta con Angel, per favore...”
“Perché? Dove vai?” si
allarmò lei.
“E' questo... devi dire che non sai dove sono. Non ci
metterò
molto...” detto questo, la fiera gatta si avvicinò
alla malconcia
finestra.
“E-e se ti beccano?” balbettò
preoccupata la riccia.
“Impossibile. Fidati.” disse sbrigativa, e
scavalcò la finestra.
Erano al primo piano, ma si sa che i gatti atterrano sempre in piedi
e fortunatamente c'era anche un cespuglio che attutì la
caduta.
Si alzò accertandosi che nessuno la vedesse, e si
spolverò il
vestito.
Voleva vederci chiaro in questa faccenda. Si ricordò delle
parole di
Angel:
Ci sono tante cose che nessuno sa di questo traffico, per
esempio
che non è solo un commercio di schiavi...
Furtivamente, Blaze percorse il perimetro della villa, che
stranamente non era sorvegliato.
Dov'è la fregatura?
La casa sembrava quieta.
Ma Blaze sentiva rumori di risate e chiacchiere.
Senza troppo stupore, si accorse che venivano dai vagoni del treno.
Uno era spalancato, lasciando la forte luce gialla delle lanterne
sprigionarsi nel blu scuro della notte.
Blaze volle avvicinarsi: si guardava intorno per assicurarsi di non
essere scoperta, gli alberi i suoi unici scudi.
Arrivò al vagone. In giro non c'era un'anima viva.
Tendeva l'orecchio per sentire i suoni. Poi affacciò il muso.
Le guardie ridevano ubriache giocando a poker. In palio, soldi,
gettoni e....diamanti.
E quelli da dove vengono? Pensò tra
sé e sé Blaze, mentre
guardava le pietre preziose che luccicavano cadendo e rotolando sul
tavolo da gioco.
“Arghh! Non è possibile che abbia perso
ancora!” si lamentò una
guardia, buttando ferocemente le carte che gli erano rimaste in mano
sulla superficie del tavolo.
Nel frattempo, chi aveva vinto si stava prendendo la sua ricompensa.
“Sai, la fortuna è cieca...”
iniziò il vincitore ridendo, ma
non finì la frase, perché dalle maniche uscirono
una serie di assi.
Entrambe le espressioni furono inizialmente di sorpresa, poi quella
del perdente divenne di rabbia e quella del vincitore di terrore.
“STAVI BARANDO!”
“Ecco io...” disse mentre si alzava di scatto per
cercare di
scappare.
“FIGLIO DI PUTTANA!” il compagno fu più
veloce e gli saltò
addosso, iniziando così una violenta e rumorosa rissa.
Rotolavano qua e là dandosi pugni e ribaltando il tavolo e
tutto
quello che c'era sopra. Ruppero anche la lanterna, e il suo suono dei
vetri rotti si sentì in lontananza.
“Che succede?!” chiese sbraitando una voce lontana.
Merda. Pensò Blaze, prima di arrampicarsi
in fretta e furia
sul tetto del vagone.
Appiattita e nascosta dall'oscurità, attese che la terza
guardia
arrivasse e prendesse per le orecchie i due amici e li portasse via.
Imbecilli! Per poco quegli animali non mi facevano scoprire!
Pensò furibonda Blaze tra sé e sé.
Strisciò sui vagoni finché trovò una
finestrella, sul penultimo
blocco. La aprì cauta e ci si infiltrò dentro.
L'odore di chiuso avvolse la gatta ed entrò nelle sue
narici,
dandole al momento il mal di testa.
Poi si concentrò sulla stanza: mai visti così
tanti sacchi
ammassati in un vagone!
Le ricordava la riserva di cibo quando lei, Marine e la sua ciurma
avevano imbarcato i viveri sulla nave.
Marine...chissà come sta...
pensò la gatta, mentre si
inginocchiava per aprire un sacco.
Non sapeva perché, ma non credeva che ci fossero degli
alimenti, lì
dentro.
Ci cacciò la mano.
E non si sbagliava; senza troppa meraviglia, tirò su una
manciata di
diamanti e altre pietre preziose.
E scommetteva che anche tutti gli altri sacchi ne erano pieni.
Non c'era bisogno di investigare di più; sempre con i sensi
all'erta, si avvicinò alla porta che l'avrebbe condotta
all'ultimo,
misterioso blocco.
L'aprì leggermente e subito un altro odore la invase... non
era di
chiuso, né di polvere.
Era... ferreo. Forte, e nauseabondo.
Si fermò di colpo.
L'aveva già sentito tante volte, ma al momento non le venne
in mente
niente... ma di sicuro non le piaceva. Era un odore che non associava
a belle cose.
Poi si fece coraggio, e spalancò del tutto la porta.
Sussultò rumorosamente, portandosi istintivamente le mani
alla
bocca, giusto in tempo per soffocare quelle grida che altrimenti
sarebbero uscite.
Una stanza delle torture.
Gabbie con spine lunghe e appuntite, tavolo da tortura e catene
dappertutto.
Mazze chiodate, catane e bastoni erano appesi in ordine sulle pareti.
Gli occhi della gatta uscivano quasi dalle orbite, tremavano mentre
si accorgeva che quell'odore che sentiva....
Era odore di sangue. Ce n'era parecchio per terra e sui tavoli di
legno, dove legavano le vittime.
Blaze realizzò con orrore che venivano portate qua.
Torturate come
nella santa inquisizione.
Che schifo. Fu tutto quello che riuscì a
pensare nei primi
momenti.
Si teneva le mani al naso per l'odore, troppo pesante e intenso.
E' questo che Angel intendeva. pensò
nuovamente Blaze,
mentre si addentrava in quella stanza della morte dopo aver preso
coraggio.
Commercio di schiavi, di pietre preziose e di torture. Avevano creato
un piccolo inferno.
Ben attenta di evitare le pozze di sangue e il mal di testa che le
stava venendo, la gatta si fermò davanti a una scrivania,
assolutamente simile a quella dell'ufficio del bulldog.
Che ci fa un'altra scrivania qua?
Non era un posto adatto, proprio fuori luogo.
Blaze si chiedeva chi aveva il coraggio di sedersi lì a
concentrarsi
su qualsiasi cosa mentre le persone venivano torturate.
Avendo trovato informazioni importanti nell'altra cattedra, Blaze
pensò che anche in questa ci sarebbero stati particolari
interessanti.
Aprì i cassetti e tirò fuori una pila di fogli
disordinati e
svolazzanti.
La gatta lilla fece una smorfia mentre cercava di ordinare quel
casino. Non sapeva neanche di cosa si trattasse, dato che non c'era
neanche una cartella per contenerli.
Poi iniziò a leggere il primo foglio.
La sua pazienza era stata ricompensata: su quei documenti c'erano
informazioni importanti riguardo ai diamanti.
Certo che c'era un motivo se si fermavano ogni notte! Il capo, che
secondo gli scritti si chiamava “sig. B. Bulldog”,
incontrava
fornitori per gli scambi di diamanti e soldi.
Quindi quel cane che ho visto uscire è davvero il
capo....
dev'essere lui! Pensò Blaze, quando
notò il cognome 'Bulldog'.
Non diceva molto di più, né sulle persone che lo
rifornivano né
dove le pietre preziose dovevano finire.
Quando stava ancora pensando dove trovare altre informazioni,
sentì
delle porte sbattere violentemente, creando un fracasso per tutto il
treno, aiutato da un forte eco.
E poi dei passi veloci, nervosi e pesanti, seguiti da altri
più
leggeri. Qualcuno si stava avvicinando...
No, ti prego, non di nuovo... pensò la
povera gatta,
guardandosi in giro.
Questa volta, sapeva che la cattedra non sarebbe stato un posto
sicuro dove nascondersi.
Tuttavia non ce l'avrebbe fatta a scappare dall'unica porta, o dalle
sottilissime finestrelle.
Decise allora che il posto più sicuro per lei era l'armadio
degli
“attrezzi”.
L'aprì e deglutì alla vista di tutte quei
pericolosi aggeggi. Ma
non aveva né scelta, né altro tempo da perdere, e
ci si infilò.
Richiuse le ante meglio che poté, ed aspettò nel
più completo
silenzio.
Quel qualcuno non tornò ad arrivare; ben presto Blaze non fu
più
sola.
Come aveva previsto, i passi pesanti appartenevano al grosso bulldog
che la gatta aveva già avuto il dispiacere di intravedere.
Dire che era furioso era dire poco; la faccia incartocciata in
un'espressione di pura rabbia, e gli occhi di quel nero pungente
sembravano pronti a uccidere.
Incutevano così timore che Blaze non poté
trattenere un brivido
lungo la spina dorsale.
Non aveva mai avuto così tanta stizza di farsi beccare. Non
sarebbe
andata a finire bene, e il fatto di trovarsi in mezzo a quelle
torture non aiutava.
Mentre si dirigeva verso la cattedra, Blaze vide che dietro di lui
altri suoi sciacalli stavano entrando nella sala, spaventati a morte
dell'umore del loro capo, e con passo tremolante.
Bunch si lasciò cadere con forza sulla sedia, come se
volesse far
ricordare ai suoi scagnozzi che era di pessimo umore. E
funzionò.
Qualcuno deglutì rumorosamente.
“C-capo...” parlò una guardia,
balbettando “N-non si deve
preoccupare troppo... c-c'è ancora tempo,
g-giusto?”
Bunch lo guardò con sguardo omicida, quindi la guardia
aggiunse in
fretta: “S-sono certo che il Team Dark s-stia facendo del suo
meglio...”
Il bulldog sbatté violentemente i pugni sulla superficie
della
scrivania, facendo sussultare tutti i suoi scagnozzi.
“LO SO! Ma non è abbastanza!”
urlò, guardando i suoi dipendenti
negli occhi.
“Ma non voglio che quell'intrusa venga anche a sapere del
traffico
di diamanti! Se lo scoprissero i miei soci d'affari, andrei in
rovina! Nessuno vuol avere a che fare con qualcuno che è
sotto
controllo d'una spia!” detto questo, cercò di
calmarsi, ma non ci
riuscì.
“Dov'é finito lui?!”
grugnì.
“Qui.” rispose la profonda e fredda voce di Shadow.
Le guardie si voltarono per vedere il nuovo arrivato che stava sulla
soglia, e lasciarono uno spazio in mezzo a loro per far vedere al
capo chi era arrivato.
“Shadow!” lo salutò lui, per nulla
felice. Tuttavia, si poteva
sentire tutto il suo rispetto.
Shadow fece un cenno con la testa, e avanzò verso di lui,
sfruttando
lo spazio che le guardie avevano creato.
Lo sguardo privo di qualsiasi emozione del riccio nero faceva venire
i brividi persino a un Bunch arrabbiato, con il solo risultato di
farlo calmar via.
Era qualcosa che quel bulldog non riusciva a sopportare, dato che non
gli piaceva essere dominato, tanto meno da uno sguardo.
Ma scuoteva la testa per dissipare quei pensieri.
Shadow era arrivato davanti alla scrivania e teneva le braccia
incrociate al petto, aspettando che il capo parlasse.
Ci fu un attimo di silenzio, prima che Bunch riprese la parola:
“Allora Shadow... dimmi che hai novità.”
Il riccio annuì.
“Abbiamo ristretto il campo.” rispose calmo.
“E...?” chiese il cane, che stava sulle spine.
Questa volta, Shadow scosse la testa: “Rimangono ancora tre
vagoni
sospetti.”
Bunch rilasciò un sospiro stanco. Chiuse gli occhi e si
portò una
mano al viso.
Non si capiva se stava pensando a che fare o se era semplicemente
stanco.
Non aveva più l'aria arrabbiata, solo una faccia sfinita.
La verità è che stava facendo sia l'una, che
l'altra cosa.
Cosa faccio adesso? Pensava tra sé e
sé, sconsolato.
Ho proprio bisogno di riposarmi, tutto questo stress mi sta
uccidendo. Se solo Rose mi vedesse in questo stato,
si
spaventerebbe a morte per me... pensò di nuovo,
facendo un
sorrisetto triste, mentre ritornava coi ricordi su Rose, sua moglie.
Ma lei non si sarebbe preoccupata per suo marito, dato che era morta
da quasi dieci anni...
Era una cagnetta stupenda, una labrador dal pelo scuro, due occhi
neri e penetranti e dai lineamenti dolci. Il suo vero nome era
Eleonor, ma siccome portava sempre un fiore rosa tra i capelli,
vicino all'orecchio, tutti la chiamavano col quel soprannome, quasi
dimenticando il nome d'origine.
Non le è mai importato del fatto che Bunch fosse un burbero
brontolone, lei vedeva solo il lato tenero di lui, sapeva che in
realtà aveva un cuore d'oro, e presto si innamorarono. Lui
era molto
protettivo e geloso verso di lei, ma anche romantico (seppure nessuno
se lo immaginerebbe a vederlo adesso) e a volte smielato.
Lei si preoccupava per lui, e accettava di buon grado tutte le sue
attenzioni.
Avevano tutti e due gli stessi interessi: lo stesso tipo di musica,
la stessa cucina, gli stessi posti...
Nonostante fuori sembrassero l'opposto, non potevano vivere uno senza
l'altra, e ben presto si sposarono. Bunch ringraziava il cielo ogni
singolo giorno per avergli dato quell'angelo di Rose.
Che nome è “Bunch”?
Un nome grossolano e rude. Eleonor...
la sua Rose... persino il suo nome era perfetto,
incantevole.
Lui sapeva che lei poteva scegliere qualcuno migliore, qualcuno che
lei meritasse, eppure scelse lui.
Se questo non è vero amore, cos'è allora?
Purtroppo, la loro fiaba di felicità e amore non
durò a lungo.
Dopo un paio di anni, in un tragico incidente, Rose venne investita
da un'auto e pochi giorni dopo, morì.
Tutto quello che il bulldog, all'epoca trentenne, aveva e adorava
più
d'ogni altra cosa le era stata portata via per sempre.
Lui non aveva famiglia, né amici, né nessuno che
lo sapesse
consolare. Solo lei.
Qualcosa in Bunch si spezzò, per irrevocabilmente non
aggiustarsi
più.
All'inizio tutto quello che seppe fare fu disperarsi, ma poi...
Bunch cambiò faccia. Completamente.
Divenne senza cuore, determinato e incline al lato oscuro.
Usò la sua intelligenza solo negli affari, i quali divennero
sempre
meno puliti.
Il cane acquistò furbizia, determinazione e
abilità in quello che
faceva.
Come se volesse consolare il vuoto che aveva con il successo.
Come se la sua vita precedente non fosse mai accaduta.
E neanche una decina di anni dopo, era diventato il più
potente
commerciante in nero.
E ne era anche fiero. Tuttavia, ogni volta che pensava alla sua cara
Rose, qualcosa si affacciava nuovamente nella sua anima... era triste
felicità, che poi si smaterializzava dalla testa di Bunch.
Ritornando a dove ci eravamo lasciati col racconto, Bunch sorrise
debolmente all'idea di Rose, anche se nessuno notò. Poi si
riprese e
guardò Shadow negli occhi:
“Sospetti?”
Il riccio nero sapeva che questa domanda sarebbe arrivata, e aveva
cercato di trovare almeno una risposta soddisfacente. Ma niente: dei
minimi sospetti che aveva raccolto da un po' tutte le guardie, ma
nessuno di quelli era davvero convincente.
Shadow non voleva dire di certo che sospettava della sua amica...
Ma che poteva dire? Di certo non fare scena muta.
Così scosse la testa: “Spiacente, niente di
importante.”
Bunch si scurì in volto: “Niente niente?”
“Come le ho già detto,” rispose il
riccio “Rimangono ancora
tre vagoni da analizzare.”
“Quali?”
“I numeri 3,4 e il 2 è da riguardare.”
“Mhh...” Bunch sembrò pensare a
qualcosa, e infine chiese con un
ghigno a una sua guardia:
“E voi? Cosa avete scoperto oggi?” e
accennò con la testa alla
parte della sala piene di torture.
Questa, riacquistando un sorriso cattivo, rispose: “Tutte
hanno
giurato sulla loro vita che non ne sapevano niente...” il
sorrisetto scomparve.
“Vada avanti...” parlò il bulldog, che
aveva capito che qualcosa
non andava.
“...Ne abbiamo perse due, capo...”
Per un secondo ci fu un silenzio di tomba.
Poi Bunch sbatté di nuovo i pugni sul tavolo.
“COSA DIAMINE VI AVEVO DETTO!?” urlò
furioso “Dovevate andarci
piano!!”
“Ci dispiace!” si affrettò la guardia
spaventata “Non
succederà mai più!”
“Esatto! Altrimenti sarà la fine per voi!! E ORA
FUORI!”
Le guardie uscirono tutte di corsa. Anche Shadow si stava per girare
e andarsene, ma Bunch lo fermò: “Lei resti, Shadow
the Hedgehog.”
Il riccio, sentendo quella frase, rimase immobile, a guardare in
faccia il suo nuovo capo.
Era una cosa che odiava, riavere un capo. Dopo il Comandante, non
aveva più voluto avere nessuno al di sopra di lui.
Gli ricordava quando doveva dare i rapporti, rispondere agli ordini,
andare in missioni...ubbidire e basta...
Tuttavia qualcosa era diverso, ma Shadow non capiva bene cosa...
Quando tutte le guardie furono fuori e la porta si chiuse, il bulldog
sospirò pesantemente.
“Scusa se ho urlato,” iniziò
“Ma quegli idioti rischiano
sempre di mandarmi in rovina. Non posso permettermi di perdere
neanche una di quelle ragazze. Tanto meno...” e qui si
fermò un
attimo, titubante su quello che voleva dire.
Ma Shadow comprese, e finì la frase per lui:
“...tanto meno i
diamanti?”
Il riccio nero notò che il cane lo stava guardando con
un'occhiata
interrogata, e gli spiegò:
“L'ho sentito in giro, signor Bunch. Le sue guardie hanno
delle
bocche più grande di un cratere vulcanico, e il peggio
è che non
sono mai chiuse. Capisco perché non si fida tanto di loro.
Ma lei
doveva dirmelo, e prima. Se mi vuole come collaboratore, non ci
devono più essere particolari all'oscuro, e che poi sono
costretto a
trovare.” la sua voce era scura e severa. Lo stava ammonendo.
Bunch rimase allibito e per un po' anche senza parole. Gli tremarono
le mani.
Dopo un po', iniziò a parlare di nuovo, a voce bassa:
“Capisco. E mi scusi. Quindi le dovrei dire
anche...”
“...della cocaina? Già.” rispose stoico
il riccio.
Bunch si morse il labbro. Il commercio di diamanti doveva rimanere
tremendamente segreto.
E inoltre, Shadow ora sapeva della droga, che invece era sconosciuto
a metà dei suoi scagnozzi, e al mondo.
Come diamine avrà fatto... pensava il
cagnaccio. Ma poi si
ricordò che chi gli stava davanti era un ex agente ritenuto
perfetto, e che la sua collaboratrice era una ex spia coi fiocchi.
“Ok Shadow,” disse alla fine “Hai
ragione, non so proprio come
ho potuto sperare di farla franca a te. Domani alle nove in punto nel
mio ufficio principale, e le dirò tutto, promesso!”
Shadow annuì soddisfatto, anche se non lo dava a vedere. Si
congedò
e alzò i tacchi.
Bunch rimase sulla sua sedia ancora per qualche minuto, terribilmente
stanco.
Poi si alzò, spense la luce e uscì.
Andò verso la sua stanza e si cambiò. Si mise a
letto, ma non si
addormentò subito; restò disteso a guardare il
soffitto, mentre le
dita giocavano con due oggetti attaccati alla collanina che portava
al collo.
Quei due oggetti erano due anelli d'oro. Ma non due anelli qualsiasi.
Il suo e quello della sua amata quando si sposarono.
Nel dormiveglia, a lui pareva di vederla:
bellissima, su un prato verde e selvaggio, intenta a fare una
ghirlanda di margherite.
La luce del sole brillava nei suoi occhioni dolci, mentre la brezza
leggera muoveva i suoi capelli, il suo vestitino verde, e il suo
fiore rosa dietro l'orecchio...
Cosa più bella, lei si voltava verso di lui e gli
sorrideva...
E poi lui si addormentava del tutto.
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Capitolo 8 *** Cap VIII Ci sarò per te ***
Blaze fu svegliata bruscamente.
Si alzò riluttante dal pavimento su cui aveva dormito quella
notte,
mentre alcune guardie facevano pressione dicendo di sbrigarsi.
Una volta sul treno, la gatta ripensò a quello che aveva
scoperto la
sera prima.
Stretta stretta nell'armadio, cercando di tener il fiato basso, Blaze
cercava di assimilare tutte le informazioni che le arrivavano
all'orecchio.
“Allora Shadow... dimmi che hai novità.”
Era Bunch che parlava. Il riccio annuì.
“Abbiamo ristretto il campo.” rispose calmo.
“E...?” chiese il cane, che stava sulle spine.
Shadow scosse la testa: “Rimangono ancora tre vagoni
sospetti.”
Il bulldog rilasciò un pesante sospiro, lasciandosi andare
sulla
sedia per un po'.
“Sospetti?”
Shadow scosse la testa: “Spiacente, niente di
importante.”
Bunch si scurì in volto: “Niente niente?”
“Come le ho già detto,” rispose il
riccio “Rimangono ancora
tre vagoni da analizzare.”
“Quali?”
“I numeri 3,4 e il 2 è da riguardare.”
Blaze inarcò le sopracciglia: il suo vagone, il
numero 2,
doveva essere...riguardato?
Dedusse che il problema rimaneva: non erano ancora al sicuro, lei
non era ancora al sicuro.
Poi un dubbio la colpì come un fulmine: il suo amico riccio
sospettava di lei?
Oddio.
Forse non era stata abbastanza convincente.
Dopo c'avrebbe pensato, e anche molto bene; doveva in qualche modo
ottenere la fiducia di Shadow.
Si ridestò dai suoi pensieri quando una guardia disse, con
un
sorriso beffardo:
“Tutte hanno giurato sulla loro vita che non ne sapevano
niente...”
il sorrisetto scomparve.
Blaze lo guardava con odio, le fiamme premevano di uscire a ogni
parola che usciva dalla bocca della guardia arrogante e che
tintinnava nell'orecchia della gatta. Poi rimase stupita del
cambiamento.
“Vada avanti...” parlò il bulldog.
“...Ne abbiamo perse due, capo...”
Gli occhi della regina sgranarono mentre apprendeva la
crudeltà che
era successa, premendo poi istintivamente la mano sulla bocca.
Per un secondo ci fu un silenzio di tomba.
Poi Bunch sbatté di nuovo i pugni sul tavolo facendo saltare
in aria
tutti, la gatta lilla compresa.
“COSA DIAMINE VI AVEVO DETTO!?” urlò
furioso “Dovevate andarci
piano!!”
La guardia mormorò spaventata qualche magra scusa, e in
risposta
ricevette una velata minaccia di morte.
Bunch fece poi uscire tutti eccetto Shadow.
Blaze si chiedeva quando sarebbe finito quello strazio; era stanca,
agitata e come se non bastasse una mazza chiodata le stava premendo
intensamente sulla schiena, rendendo il tutto più doloroso.
Però non era spaventata. In queste situazioni, lei
è sempre stata
l'ultima che perdeva la calma (se la perdeva).
Per qualche strano motivo, sentiva di essere sicura vicina alla
presenza del riccio nero, anche se stava con loro
nel loro
fottuto traffico.
Tuttavia, quando finalmente vide Shadow andarsene, si sentì
come se
il peggio di quella serata stesse per finire.
Ora rimaneva solo il bulldog, e dalle occhiaie che Blaze vedeva sotto
agli occhietti neri era sicura che se ne sarebbe andato anche lui.
Tuttavia Bunch rimase lì ancora un po', a riposarsi sulla
sedia, a
pensare a chissà che cosa.
Blaze si meravigliò del lato vulnerabile del cane; era
forte,
potente, spaventoso, crudele, 'cattivo'... ma adesso che la gatta lo
vedeva da solo, non sembrava niente di quello che si diceva in giro:
non sembrava più un demone in terra, ma un essere stanco
morto, una
persona normale con un'anima, umano.
Non era solito a Blaze di riuscire a capire una persona, a
comprenderla e a riuscire a guardarla in fondo.
Tuttavia, poteva dire che Bunch non era solo un assassino, ma aveva
anche lui delle emozioni.
Non solo alcune emozioni, ma tutte: Blaze
riuscì a
immaginarselo piangere, ridere, scherzare ma anche essere una persona
comprensibile, il migliore amico, il miglio compagno...e saper amare.
Aveva amato. Non capiva come, ma Blaze sapeva che aveva amato ed era
stato amato.
Aveva sofferto. Non capiva cosa era successo di così grave,
ma Blaze
sapeva che qualcosa di spaventoso era capitato.
Bunch era probabilmente una bellissima persona...
ma la gatta non finì di pensare, che il bulldog si
alzò e uscì
dalla stanza spegnendo la luce.
Quando la gatta piro-cinetica non sentì più i
suoi passi, decide di
uscire dal suo nascondiglio, e grazie allo stesso tragitto era
ritornata nei dormitori.
Blaze non era soddisfatta di quella scampagnata.
Cosa aveva scoperto?! Che trafficavano diamanti e droga.
Cosa vuoi che sia?! A lei non interessava: non sapeva dove era Amy,
che era l'unico motivo di tutto quello spionaggio, l'unico motivo di
tutti quei giorni nel commercio di schiavi, l'unico motivo per cui
aveva sospeso tutto e se ne era andata dal suo Regno. L'unico motivo
di TUTTO.
Cosa le interessava di quel commercio in più!? Nulla.
Aveva rischiato la pelle quella notte per niente!
Il solo pensiero che ritornava e ritornava nella sua mente la rendeva
sempre più frustrata.
Si guardava intorno e osservava la vagonata di ragazze che
affollavano il treno.
Poco più lontano, vide Joe che sembrava nei guai, mentre
un'altra
guardia dalla faccia alterata dalla rabbia gli urlava dietro tutti
gli insulti immaginabili, mentre Shadow alla sua destra guardava Joe
come se fosse il più gran idiota di questo mondo.
“Tu. Sei. UN COGLIONE!!” gli urlava la guardia.
Joe cercava di scusarsi, ma ecco che il tipo ritornava all'attacco:
“Cosa ti ha detto il capo?! Come credi di fare adesso?! COSA
TI E'
SALTATO IN MENTE DI MESCOLARE LE PRIGIONIERE!??”
Blaze rizzò le orecchie. Mescolare le prigioniere?
“Io pensavo che...” iniziò Joe, sudando
freddo.
“Il capo ha detto che per questo giro NON bisognava
assolutamente
mescolare! Come pensi che si possa fare, se le prigioniere di questo
vagone sono sparse per gli altri 4?! MH?!”
Joe agitava nervosamente le mani.
La guardia stava per dirgli qualcos'altro, quando Shadow gli
posò
una mano sulla spalla, facendolo voltare verso di sé.
“Non preoccuparti,” gli disse il riccio nero
“So chi sono i
sospetti e li tengo d'occhio.”
“Ah sì?” chiese incredula la guardia
“E come?”
“Ho i miei metodi.” e con la coda dell'occhio
catturò lo sguardo
di Blaze.
Brividi di freddo passarono la schiena della micia. Non c'erano
più
dubbi.
Sì, lui sospettava assolutamente di lei.
Poi Shadow tornò concentrato sul suo interlocutore:
“Non ci
saranno problemi.”
“Lo spero, signor Shadow!” mugugnò la
guardia, ancora mezza
arrabbiata dalla chiacchierata, e se ne andò.
Il riccio guardò Joe con fare serio, uno di quegli sguardi
che
dicono -devi stare più attento-.
L'amico teneva lo sguardo a terra, mezzo vergognato.
“La prossima volta non devi fare errori”
sussurrò Shadow, e
Blaze sentì “Non posso sempre tirarti fuori dai
guai.”
Finalmente Joe ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi, e
annuì.
“Grazie Shadow. E tranquillo, non ci sarà una
prossima volta.”
disse, con gratitudine sincera, e se ne andò anche lui.
Blaze seguì i movimenti del ragazzo finché non fu
uscito e poi
guardò Shadow.
Fu molto sorpresa nel vedere che lui la stava guardando, con sguardo
penetrante, e i loro occhi si incontrarono. Non riuscì a
trattenere
un brivido di freddo.
Lui sembrava pensieroso e anche... un po' confuso? Ma a Blaze non
interessava saperlo, e ruppe il contatto visivo.
Certo che oltre alle ragazze potevano mescolare anche le
guardie... pensò, e poi gelò in
realizzazione.
Annie!?
Angel!?
O mio...
Blaze passò almeno due ore in silenzio. Guardava il vuoto,
inerme.
Ma dentro di sé c'era una gran confusione, un macello di
idee.
I pensieri di Amy si mescolavano ai pensieri di Shadow, la paura di
una fine brutale sia sua sia dell'amica rosa si mischiava alla
preoccupazione verso il suo Regno, lasciato incustodito.
Certo, sapeva che non poteva succedere niente, ma l'ansia che aveva
sempre avuto nel custodire il suo prezioso mondo continuava a
tormentarla negli anni, essendone la guardiana non poteva mai essere
tranquilla al 100%.
Mentre si stava preoccupano di dove fossero Annie e Angel e come
stessero, il riccio nero e rosso si sedette accanto a lei, facendola
destare dai suoi pensieri.
Con la coda dell'occhio esaminò il suo compare; lui guardava
dritto
davanti a sé, fiero e potente, come se si fosse seduto
lì solo per
caso.
Anche se Blaze naturalmente sapeva che non era un caso.
Voleva farle qualche altra domanda? Il ricordo di qualche sera prima
ritornò nella mente della gatta, la memoria della promessa
del
riccio che diceva “Non abbiamo ancora finito. Non
mi hai detto
tutto.”. Era lì per risposte?
O voleva solo parlarle?
“Blaze.” cominciò lui, continuando a
guardare avanti.
“Mh?” fece la gatta, anche lei cercando di non
incontrare il suo
sguardo.
“Come stai?” chiese leggermente preoccupato con la
sua voce
bassa.
Lei non resistette e lo guardò confusa: “Come
scusa?”
“Stai bene?” ripeté lui, questa volta
incontrando il suo
sguardo.
“Sì... perché me lo chiedi?”
e riabbassò lo sguardo, trovando
molto più interessante il pavimento legnoso che la loro
conversazione.
“So che ieri è stata una giornata d'inferno...
volevo controllare
che tu stessi bene.”
Blaze lasciò un Mph! .
“E anche se stessi male, cosa potresti fare?” gli
chiese in tono
di sfida.
“Starti accanto e proteggerti.”
Queste parole presero di sprovvista la micia lilla, e i suoi occhi
dorati si trovarono a guardare Shadow in totale sbalordimento.
Lei si aspettava una risposta come un grugnito o un 'non lo so',
invece le ha risposto che l'avrebbe protetta.
Lui teneva d'occhio il vagone tranquillamente, come se non si
accorgesse dell'espressione dell'amica.
“C-come scusa?”
“E' la seconda volta in una conversazione che mi chiedi 'Come
scusa?'. Il tuo udito ti sta lasciando o devi pulirti le
orecchie?”
rispose acido lui. Certo, non avrebbe voluto rispondere
così,
avrebbe preferito dirle che se voleva lui era lì per lei,
che
l'avrebbe aiutata, consolata, protetta e l'avrebbe anche abbracciata,
per sollevarle il morale.
E invece la sua bocca aveva obbedito alla sua parte burbera e
scontrosa.
Tuttavia, Blaze non rimase offesa. Anzi, ignorò
completamente il suo
commento.
“Tu mi sorprendi.”
Questa volta, fu lui che guardò confuso lei.
“Ti... sorprendo? E questo cosa vorrebbe dire?”
“Tu sei l'ultima persona da cui mi aspettavo una frase del
genere.
Tu sei l'ultima persona da cui mi aspettavo protezione di sua
spontanea volontà.” rispose lei, calma,
guardandolo negli occhi.
Quelle iridi rosse le facevano venire la pelle d'oca, ma alla stesso
tempo le piacevano.
Rosse come il suo fuoco, rosse come il sangue.
Lui la guardava senza parole.
“E un'ultima cosa” riprese lei “Non ho
bisogno di protezione,
Shadow the Hedgehog.” concluse
solennemente.
E così rimasero a guardarsi negli occhi. Dei sorrisi si
fecero
strada sui loro volti.
E poi accadde.
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Capitolo 9 *** Cap IX Attentato al treno ***
Il treno tremò sotto i due ragazzi, i quali si guardarono in
giro
confusi e preoccupati.
Le ragazze strillarono dalla paura.
“CHE SUCCEDE!?” urlò Shadow, alzandosi
di scatto.
“C'è un guasto al treno!” rispose
urlando una guardia “E non
riusciamo a fermarlo!”
“Perché dobbiamo fermarlo!?”
“IL CAZZO DI PONTE E' CROLLATO!” strillò
un'altra guardia
completamente presa dal panico.
Impallidirono tutti.
“Se non ci fermiamo cadiamo nel burrone!” riprese
la guardia di
prima.
Shadow scattò via dal vagone numero 2
come una freccia.
“State calme!” urlava la guardia alla prigioniere,
cercando di
tenere il tono più rassicurante possibile.
In un momento di distrazione di quest'ultimo, Blaze
sgattaiolò
dietro alla guardia e si gettò all'inseguimento del riccio
nero.
L'aveva perso di vista, ma a furia di correre lo trovò:
stava
aprendo il portone scorrevole del vagone delle munizioni. Il treno
era in pieno movimento.
Quando Shadow aprì completamente la porta, l'aria lo
investì in
pieno facendo agitare le sue spine e scompigliandole più di
come
erano già.
La pelliccia bianca sul suo petto si muoveva disordinatamente quando
lui si espose pericolosamente per guardare le rotaie davanti al
treno.
Blaze lo raggiunse e lo chiamò: “Shadow!”
E poi si espose anche lei; la sua pelliccia si arruffava e i capelli
si muovevano in direzione opposta al senso di marcia. Il vento le
passava tra la pelle e negli occhi, rendendo fastidioso il suo
tentativo di tener aperte le palpebre.
E poi riuscì a vedere il problema, L'ENORME problema: il
treno
andava a tutta velocità verso un ponte a cui mancavano
alcuni
pezzi.... quel ponte era distrutto.
Mentre Blaze pensava frustrata che niente va mai come dovrebbe
andare, Shadow finalmente si accorse di lei.
“Blaze!” la chiamò ad alta voce, in modo
che sentisse nonostante
l'attrito dell'aria “Il treno non riuscirà a
fermarsi in tempo!
Quando scendo, sgancia il vagone!”
“Dove vai?!” chiese lei allo stesso modo.
“Vedo se riesco a cambiare rotta la treno!”
Blaze allora guardò meglio: prima del ponte c'era una
piccola leva.
Si accorse che c'era una rotaia secondaria che svoltava a sinistra,
giusto prima del burrone.
“Vengo con te!” disse, prima che Shadow potesse
saltare giù dal
treno.
“Cosa?! Non se ne parla nemmeno!”
“Il tempo stringe Shadow!” gli rispose con
rimprovero e
impazienza.
“Ti posso aiutare!” aggiunse supplichevole.
Vedendosi con le spalle al muro, l'ex agente annuì
brevemente.
“Ok, ma non fare scherzi!” disse a mezza voce, e
saltò giù dal
treno, seguito a ruota dalla gatta.
Entrambi a massima velocità, superarono quella del treno e
arrivarono alla leva.
Il riccio la tirò verso al basso con tutta la forza che
aveva; per
un pezzo andò giù, ma poi si bloccò a
metà.
Ovviamente grugnì quando realizzò che era tutta
piena di ruggine.
Tuttavia non demordette, e continuò a tirarla in
giù,facendo
progressi solo di qualche millimetro.
Sarebbe stata la fine per quelle ragazze, pensava Blaze non a torto,
ma si sentiva impotente.
Lei, la più potente e forte regina mai esistita... si
sentiva
impotente.
Guardava con orrore i tentativi dell'amico nero e rosso, e poi la
rotaia.
Un'idea pericolosa le arrivò in mente come un flash, e
(nonostante
non fosse da lei) si lanciò sulle rotaie.
Sapeva dove l'ingranaggio era collegato, e la sua idea poteva
salvarli tutti o ucciderli tutti:
visto che la leva non funzionava, avrebbe spostato la rotta a
mano.
Blaze iniziò a spingere verso le rotaie secondarie con tutte
le sue
forze il paio di lastre di ferro, che poi sarebbero state l'inizio
della nuova strada.
Essendo una donna forte, riuscì a fare progressi.
Ma era comunque troppo lenta.
Così Shadow, dopo essersi arreso con la leva, si mise
accanto alla
micia e l'aiutò.
Grazie al suo aiuto, raddoppiarono il lavoro.
Ma il treno si avvicinava sempre di più, ed era troppo
vicino...
Blaze continuava come se niente fosse, iniziando a sudare.
Shadow, tuttavia, si accorse della vicinanza del treno...
“Blaze...” il riccio nero cercò di
avvertirla.
Lei lo ignorò. Il treno fischiò come se volesse
ricordare che stava
arrivando.
“Blaze!” non c'era modo di farcela e si
alzò per allontanarsi a
distanza di sicurezza.
Tuttavia la gatta continuò a spingere, senza accorgersi
né del
treno né dell'amico che si era allontanato.
Lui pensava che l'avesse visto e si fosse alzata insieme a lui, ma
quando non avvertì la sua calda presenza si girò
per vederla ancora
lì a provarci.
Ormai mancavano pochi metri, ma la micia aveva le sue ragioni:
mollare e far cadere il treno, e far morire tutte le povere ragazze
all'interno? Annie, Angel, la giovane madre?
Tanti corpi senza vita sfracellati nelle macerie del treno, in fondo
alla gola di qualche burrone; non era quello il panorama che voleva
vedere.
Lei poteva aiutare, se avrebbe lascito andare non se
lo
sarebbe mai perdonata.
Ci avrebbe provato a costo della vita.
Non avrebbe ceduto così facilmente, senza contare che Amy...
Dio,
dov'era Amy?
Doveva proteggere chi amava di più, doveva arrivare alla
riccia
rosa, doveva andare avanti in quel modo.
Dopo un'improvvisa immagine della giovane Annie morta, piena di
sangue, che giaceva inerme inabile di mostrare ancora quei due
occhioni azzurri e quel bel sorriso, Blaze si sentì spingere
dentro
dalla rabbia.
“BLAZE!” chiamò Shadow con gli occhi
fuori dalle orbite, quando
vide che il treno stava praticamente per investirla.
Click.
Con una disperata spinta, il collegamento era fatto.
La locomotiva passò a pochi centimetri da Blaze, ma non
passò
dritto addosso alla micia; girò a sinistra.
Ce l'aveva fatta.
Era il pensiero che passava nella testa della regina, mentre
orgogliosa ansimava dallo sforzo, in ginocchio sulle rotaie.
La pelliccia lilla si muoveva freneticamente grazie alla folata
d'aria creata dal treno.
Poche, pochissime volte la sua testardaggine l'aveva aiutata nelle
sue imprese.
E grazie al cielo questa era una di quelle volte.
All'improvviso si sentì stringere sullo stomaco; era Shadow,
che
aveva avvolto un braccio attorno alla sua vita, sollevandola da
terra.
Con il braccio libero aveva afferrato al volo la maniglia di uno
degli ultimi vagoni, rimanendoci aggrappato insieme all'amica gatta,
e allontanandosi in fretta dal burrone.
Quella sera fu festa grande.
Risate, schioppi di tappi di bottiglia e grida vittoriose
caratterizzarono il casino negli alloggi delle guardie. E indovinate
chi era al centro dell'attenzione? Esatto, Shadow.
Tutti gli davano pacche sulle spalle e si complimentavano con lui,
elogiando la sua forza e il suo coraggio.
Lui ne era ovviamente annoiato, ma dato che il capo aveva tanto
insistito, non poteva semplicemente abbandonare la serata di punto in
bianco.
Sapeva poi che il merito non era affatto solo suo...
“Ma chi è quella che è venuta con
te?” chiedevano di tanto in
tanto alcune guardie, quelle più curiose e entrate in
confidenza
grazie all'alcol.
Lui non rispondeva, si limitava a far finta che una domanda del
genere non gli fosse mai stata chiesta.
Dopo l'ennesima domanda sull'amica gatta, la pazienza già
corta del
riccio finì.
“Cosa diamine te ne importa?!” sbraitò
l'ex agente in faccia al
malcapitato che aveva posto la domanda.
“Cosa me ne importa?!” rispose al posto suo un
altro, ridendo “E'
una bomba sexy quella tipa!”
“Già cazzo!” si intrometteva un altro
“ Ci andrebbero tutti a
letto con una così!”
“Non dirmi che non la guardavi anche tu in quel
modo!”
“Almeno te la sei fatta?!”
A sentir parlare in quel modo di Blaze, Shadow guardò
l'intera
comitiva con sguardo omicida, strinse i pugni e le sue nocche
sporsero pericolosamente.
Come si permettevano quei rozzi, ignoranti stronzi che puzzavano di
alcol trattare in quel modo una rispettabilissima principessa, come
si permettevano quei cafoni con l'ignoranza di un contadino del '700
parlare in quel modo alle spalle di una donna fantastica come lei!?
“No.” rispose tra i denti dalla
rabbia.
Joe stava in un angolo dall'inizio della festicciola, con una
bottiglia in mano.
Non aveva parlato per tutto il tempo - cosa non solita da lui - e si
era limitato a scolare una bottiglia di vodka tutto da solo.
Sembrava molto giù, ed era rimasto apatico tutto il tempo.
Tuttavia, nel sentire la voce omicida dell'amico, alzò lo
sguardo da
terra e lo guardò altamente spaventato; ormai riconosceva il
tono
del riccio quando qualcuno andava troppo oltre.
Ma gli altri o non se ne accorsero o erano troppo stupidi, e quello
che aveva chiesto se almeno se la fosse fatta aggiunse, ridendo:
“Allora me la faccio io!”
Gli altri risero alla battuta inesistente del compare. Tranne Joe.
E naturalmente tranne Shadow.
Quest'ultimo prese inavvertitamente il collo della guardia che quella
sera piaceva tanto scherzare e che non sapeva che stava giocando col
fuoco...
Questo gesto intimidatorio fece cessare d'improvviso tutti i rumori
nella stanza, e tutti gli occhi erano puntati verso i due; alcuni
erano incuriositi, altri sentivano il profumo di una rissa in cui non
volevano immischiarsi, altri ancora erano impauriti.
La guardia, sospesa nell'aria, respirava a fatica sotto la stretta
presa di Shadow.
Il riccio nero con furia cieca lo minacciò, tra i denti:
“Tu. Non la devi. TOCCARE!” lo squassò
con violenza avanti e
indietro mentre continuava a parlare: “HAI
CAPITO?!”
Smise di squassarlo e lo guardò dritto negli occhi, per
incidere
meglio il messaggio.
Poi lo mollò di scatto, non curandosi della sua pesante
caduta.
La guardia cadde faccia a terra, poi si tirò su lentamente
ansimando
e tossendo.
Rimase curvo sulle sue ginocchia, ancora troppo debole per alzarsi in
piedi.
Shadow squadrò il resto della gang:
“E questo vale per tutti voi!!”
gridò minacciando “Guai
a voi se fate i porci con lei!!”
Accortosi poi che aveva sclerato davanti a tutti, decise che era ora
di andarsene.
Anzi, che la festa era finita per tutti.
Era ora di mettere a nanna quei cattivi bambini tutti ubriachi.
Si diresse verso le due prigioniere che quella sera erano state
costrette a venire - una per cantare, l'altra per suonare uno
strumento a fiato, giusto per animare la festa – e disse con
voce
più calma e tranquilla possibile: “Tornatevene ai
vostri
dormitori. Ora!”
Con un cenno del capo, tutte e due corsero fuori, mezze spaventate
dalle azioni e dalle urla del riccio.
Poi quest'ultimo si voltò verso i colleghi:
“Grazie della festa” disse con noncuranza
“Ma ora è finita!
Domani dobbiamo lavorare e voi dovete far passare questa sbronza! A
dormire!” finì la frase, come se stesse parlando a
dei bambini.
E proprio come i bambini che vogliono rimanere alzati fino a tardi
nonostante il giorno dopo ci sia scuola, le guardie mugugnarono
contrarie, per poi trascinarsi assonnate verso i loro dormitori.
Shadow rimase a guardare affinché tutti se ne fossero
andati, e poi
uscì dalla stanza.
Chiusa la porta, si voltò per trovarsi dietro Bunch, il suo
capo,
che lo fissava con una mano nella tasca dei pantaloni blu e con un
sigaro nell'altra. Sembrava un boss mafioso, con quella suit.
“Capo.” salutò Shadow con rispetto,
facendo un cenno al bulldog,
e stando attento a guardarlo negli occhi.
“Shadow.” salutò Bunch nello stesso modo.
Rimasero immobili a fissarsi nelle orbite per qualche secondo, nel
completo silenzio.
Sembrava che Bunch volesse dirgli qualcosa, e più passava il
tempo,
più Shadow diventava impaziente e nervoso.
Prima di chiedere qualsiasi cosa, il cane parlò:
“Nel mio
ufficio.” e si girò per andarsene.
Il riccio fu colto alla sprovvista: “Cos-”
“Nel mio ufficio, Shadow the Hedgehog, ora!”
ordinò il suo boss,
tranquillamente, con quella sua aria di importanza.
“Sì capo.” rispose il riccio a mezza
voce, e lo seguì nel suo
ufficio.
---
Nota autore: Hello people!
Volevo
solo scusarmi per la cattiva descrizione delle rotaie, quando Blaze
cerca di spostarle a mano. Chiedo scusa se non è chiaro,
l'importante è che avete capito che ha fatto questo
collegamento per far andare il treno su un'altra corsia. Mi dispiace
ancora, ma non vivo in stazione quindi ho divuto lavorare di
fantasia/immaginazione/intuizione. Spero comunque che vi sia piaciuto.
Ah, vi consiglio di tenere a
mente le due prigioniere della feste, dopo le andremo a conoscere bene.
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Capitolo 10 *** Cap X Protezione ***
Bunch si abbandonò sulla sua sedia, dietro alla cattedra di
ferro.
Era lo stesso ufficio dove Blaze aveva trovato le prime informazioni
su Amy.
Shadow aveva di certo riconosciuto la stanza; tutte quelle carte e
quei documenti non si trovavano da nessun'altra parte.
Il suo capo era di certo un tipo a cui piaceva avere sotto controllo
ogni cosa.
“Venga avanti Shadow.” gli ordinò Bunch,
facendo un cenno con la
mano.
Il riccio si accorse che era giusto poco più avanti dalla
soglia
della porta, quindi avanzò finché non
arrivò davanti alla
scrivania.
Con un cenno della mano, il bulldog indicò in uno spigolo
della
stanza una seggiolina di legno, e invitò Shadow a prenderla:
“Prego, si sieda.”
Shadow la prese e si sedette a faccia a faccia con Bunch, e gli
scappò un sorriso:
“Wow questo è un dejavù; poche
settimane fa eravamo nella stessa
situazione.”
Anche il cane sorrise divertito:
“Sì, solo con i ruoli invertiti.”
Era ovvio che si stessero riferendo a quando Bunch e Shadow si
incontrarono per la prima volta, il riccio nero dietro una scrivania
che invitava il cane a sedersi.
“E ora,” riprese il boss del riccio “il
motivo per cui ti ho
fatto venire qui.”
Shadow era sicuro che avesse tirato fuori la questione della spia. E
invece...
“All'inizio era solo per ringraziarti infinitamente di quello
che
hai fatto. Hai salvato il mio treno, il mio carico, la mia carriera,
la mia vita e quella dei miei uomini. Ti ringrazio.” disse,
con
sincera gratitudine.
“Ma poi ho sentito quello che è successo alla
festicciola. Sei
andato completamente fuori di zucca. Ma ti capisco, quegli idioti non
reggono un goccetto e quella poca intelligenza che avevano sparisce
come un'aspirina a contatto con l'acqua.” fece una pausa.
“E' qua per darmi qualche punizione, non è
vero?” domandò il
riccio nero e rosso.
Bunch lo guardò come se fosse pazzo: “Ma che dice
Shadow?! Certo
che no! Per così poco” ridacchiò.
“Lei è speciale, non
è vero?” chiese, in tono
confidenziale.
Il riccio non si aspettava decisamente una domanda del genere:
“Come
scusa?”
“Caro mio, non faccia il finto tonto con me! So sentire
quando
qualcosa va in ballo, e il modo in cui hai reagito ne è la
prova!”
esclamò, con un ampio sorriso.
Shadow si sentì con le spalle al muro. Perché
aveva reagito così?
Di solito lui era calmo, teneva la situazione sotto controllo, ma in
quella situazione era partito come un razzo.
Ci pensò su, ma poi scosse la testa: se avesse potuto
ritornare
indietro nel tempo più e più volte, l'avrebbe
rifatto sempre.
“E' vero, ci sono legato, ma non come crede lei.”
spiegò calmo,
in tutto rispetto “Lei è
solo...un'amica.”
“Mh.” Bunch ci pensò su
“Un'amica molto amica, eh?” chiese
malizioso.
Shadow non seppe perché, ma annuì.
Bunch sorrise: “So che ti ha aiutato nella faccenda del
treno,
Shadow; siete due ragazzi coraggiosi, con del fegato da vendere,e
fate una bella squadra. Sento anch'io che è speciale, e
parlo del
suo potenziale...poi che dire, non mi stupisco che tu ci sia legato:
bella, giovane,forte...”
“Voglio solo...proteggerla.” interruppe il riccio,
che voleva
saltare alla conclusione del suo comportamento alla festa, mentre
guardava negli occhi il suo capo per dimostrargli che stava dicendo
la verità. Inoltre, si stava imbarazzando per quello che il
cane
stava dicendo, anche se lo dava poco a vedere.
Il viso di Bunch diventò inspiegabilmente serio da morire.
E poi silenzio. Il bulldog era tormentato da pensieri a Shadow
sconosciuti...
Bunch sapeva cosa significava quando un ragazzo voleva proteggere una
ragazza.
Era amore vero; verso un'amica, una sorella o la propria fidanzata,
non importava.
Sapeva che quando qualcuno ci tiene a un'altra persona, quello che si
è creato è un sentimento vero, forte e sincero.
Chi meglio di lui lo sapeva?
Quando proteggeva Eleonor, lo faceva con anima e corpo,
preoccupandosi sempre di lei e facendosi spesso passare per un
gelosissimo cane innamorato marcio.
Ma a lui non importava: voleva assicurarsi che la sua Rose fosse
sempre al sicuro, il suo obiettivo era renderla felice.
Potessero chiamarlo come cappero volevano, le parole non
raggiungevano nemmeno le sue orecchie se c'era di mezzo lei.
Quando un lui dice di voler proteggere una lei, ed
è serio,
allora non c'è niente che puoi fare. Ed è giusto
così.
Bunch 'ritornò sul pianeta Terra'.
Poi si rivolse a Shadow, che lo fissava incuriosito, con la sua
proposta:
“Hai mai pensato di metterla sotto la tua
protezione?”
Shadow rimase confuso:
“Che significa sotto la mia protezione?”
Bunch ridacchiò: “Cielo, non te
l'hanno detto le mie
guardie? Non so se sono incredibilmente stupidi...” e poi
concluse
a bassa voce, come se lo dicesse tra sé e sè
“...o fottutamene
furbi...”.
Vedendo la confusione aleggiare sul volto del suo dipendente, il
bulldog spiegò:
“Capita quasi sempre che alcune guardie vogliono tenersi
certe
femmine tutte per loro.
In senso, non sono disposti a condividerle, capisci? Così,
per
andare d'amore e d'accordo, questi vengono da me, mi dicono la
femmina, o le femmine, che vogliono tenersi per sé e
registro i
nomi, poi convoco tutti i miei dipendenti e li aggiorno. Se due o
più
guardie vogliono la stessa ragazza, chi se la piglia è il
primo che
viene da me. Si possono mettere sotto protezione solo due femmine al
giro. Spesso capita che si mettano d'accordo e si scambiano le
ragazze, quindi me lo vengono a dire. Se c'è un minimo
cambiamento,
devono dirmelo. Gli altri devono impegnarsi a non toccare o
importunare in nessun modo quelle ragazze.”
Shadow iniziò a capire. Sembrava proprio un bel sistema, ma
aveva
ancora dei dubbi:
“E se per caso non stanno ai patti?”
Un sorriso maligno si formò sul muso di Bunch:
“Li punisco tagliandoli le palle.”
Shadow si sentì rabbrividire all'idea.
“Davvero?”
“Nah, ma loro ci credono.” rise.
“Ora che sai che non è vero che faccio questo
genere di
amputazioni, non dirlo agli altri.”
“Non ci penso nemmeno.” assicurò il
riccio divertito.
“E non approfittarne. Le regole valgono per gli altri come
valgono
per te.”
“Le assicuro” rispose Shadow serio “Che
non si dovrà
assolutamente preoccupare.”
Il cane sorrise di nuovo: “Ne ero certo.”
Alcuni secondi di silenzio passarono e Shadow pensò che
l'argomento
fosse finito; così si alzò e si diresse verso la
porta.
Mentre girava il pomello, la voce di Bunch richiamò la sua
attenzione:
“Sai perché ho deciso di parlargliene, signor
Shadow? Sa perché
ho deciso di permettere ciò?”
Shadow, che aveva leggermente aperto la porta, la richiuse e la mano
lasciò il pomello.
“Non era per far andar d'accordo le guardie?”
chiese il riccio.
Bunch scosse la testa in risposta.
“No, Shadow: vedevo in certi comportamenti, e in certe
espressioni,
che alcune guardie non si...come si può dire...
'prenotavano' una
ragazza solo per possessione, ma anche per gelosia: alcune guardie si
sono innamorate di alcune prigioniere. Ho creato questo sistema
così
che queste guardie stessero insieme alle loro amate, senza terzi
incomodi che le vedono solo come un antistress.
So cos'è l'amore Shadow, e credimi, fa male quando ti
portano via
qualcuno che ti sta caro.
Tu, beh, sei diverso Shadow: sei il primo che mi ha detto
direttamente di volerla proteggere.
Certo, molte di queste guardie volevano proteggere le loro ragazze ma
tu sei diverso. La tua protezione è
diversa. Lo sento.”
Bunch respirò a fondo per riprendersi. Mai nella sua vita
Shadow the
Hedgehog avrebbe mai immaginato che il suo oscuro boss del commercio
di schiavi lo invitasse nel suo ufficio a parlare d'amore!
Poi trovò le parole per continuare il discorso:
“Ma poi quelle prigioniere vengono vendute ad altri, non
è vero?”
chiese.
Gli occhi del bulldog luccicarono con un po' di tristezza:
“Sì, Shadow. E se te lo stai chiedendo, sì:
è una tortura
vedere come quelle guardie soffrono come cani per settimane, con i
loro sguardi che dicono: 'sopprimetemi'. Io dico sempre alle mie
guardie, sin da quando le assumo, di non attaccarsi troppo, che
c'è
un prezzo alla fine da pagare.
Poi faccio ricordare ancora una volta che li avevo avvertiti, e solo
in quel momento se ne accorgono.
Quelli più severi,
quelli che vedi che non stanno mai a simpatizzare in nessun modo con
le ragazze, quelli sono stati i più
colpiti. Erano i più
sensibili, ma poi questa gente è diventata più
apatica, senza
interessi al di fuori del commercio...”
“Un po' come lei?” interruppe Shadow, ormai in
confidenza “Ha
sofferto anche lei, non è vero?”
Bunch continuò: “C'è stata gente che mi
ha chiesto di risparmiare
quella ragazza, di togliere una parte di stipendio per pagarla, ma
purtroppo non posso farlo. Devono imparare che
l'amore fa
male, e che finisce, come tutte le cose. Tutte le rose...muoiono.”
e finì la frase grave, come se quelle ultime parole gli
dessero un
enorme peso nell'anima.
I due restarono in silenzio per un po'. Ancora una volta, Bunch
riprese la parola: “A innamorarsi si corrono rischi, e se si
prendono questi rischi, bisogna affrontare le conseguenze. L'amore
è
un sentimento stupendo, senza quello il mondo sarebbe noioso e cupo,
ma fa molto male.”
“Però quello che fa è crudele. Se ne
rende conto?” chiese
pacatamente il riccio.
Il cane annuì: “Certo.”
L'ex agente si voltò verso la porta e girò il
pomello.
“Shadow, non mi hai ancora detto come si chiama.”
lo interruppe
nuovamente Bunch, mentre prendeva una penna e un taccuino rivestito
in pelle nera.
Il riccio si voltò nuovamente verso di lui: “Blaze
the Cat.”
Il bulldog annuì mentre fece scattare la penna, poi scrisse
velocemente le sue annotazioni sulla pagina bianca.
Shadow, intanto, fissava il suo capo con sguardo pensieroso...
“Mi chiedo come fosse lei, la sua rosa
che la fece
soffrire...” disse alla fine al suo boss.
“Buonanotte signor Shadow.” gli rispose lui,
ignorando quello che
il riccio gli aveva appena detto.
“Notte, capo.” rispose il nero, e finalmente
uscì dalla stanza,
chiudendo la porta dietro di sé, e lasciando Bunch da solo
nel suo
ufficio.
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Capitolo 11 *** Cap XI Non sempre la notte porta consiglio ***
Era piena notte.
La ragazza muoveva i piedi stanchi verso il suo dormitorio.
In una mano aveva uno strumento a fiato, simile a un clarinetto, ma
più piccolo e di materiali più modesti. Tuttavia
emetteva una
melodia soave e bellissima, e lei era molto brava a suonarlo.
Era l'unica cosa che le avevano permesso di tenere da quando
l'avevano rapita.
Certo, non aveva molto altro: in un normalissimo giorno passeggiava
ai confini di Mobius con in mano il suo flauto, indossando un
semplice vestito verde,con una specie di cintura fucsia alla vita, e
le rifiniture del vestito di un verde scuro. In testa indossava il
suo solito cappello, una specie di turbante verde. Era una bella
mattinata soleggiata, e sembrava andare tutto per il meglio, ma
all'improvviso vide degli oscuri individui circondarla senza
lasciarle via d'uscita.
Non ebbe nemmeno tempo di gridare che le furono addosso.
Uno le tappò con la mano la bocca e gli altri le
immobilizzarono
braccia e gambe.
Con l'altra mano, la ragazza si sfregò gli occhi assonnati e
mezzi
chiusi.
Era stata una lunga, lunghissima giornata: dormiva male da quando
l'avevano catturata, e l'attacco al treno era stato un infarto. Come
se non bastasse, ha dovuto suonare per ore e ore il suo strumento,
fino a notte tarda.
Era stravolta e, anche se le aveva fatto prendere una caga, era grata
al riccio nero di aver spedito lei e la sua amica a dormire qualche
ore prima della fine della festa prevista dalle guardie.
Da quando hanno scoperto che sapeva suonare quell'aggeggio alla
perfezione, l'hanno sempre “invitata” alle feste, o
semplicemente
quando avevano voglia di ascoltare un po' di musica.
Traballante dal sonno, non si accorse che qualcun altro stava
arrivando dall'altro corridoio, e ci si schiantò.
“Scusa!” bisbigliò, impaurita di aver
battuto contro una
guardia.
“Non ti preoccupare.” rispose una voce femminile
“Nemmeno io ti
avevo visto, scusa.”
La ragazza guardò il suo interlocutore, ovviamente una
prigioniera.
La luna spuntò dalle nubi, facendo entrare dall'unica
finestra alla
fine del corridoio la sua bianca luce, e permettendole di vedere
meglio chi aveva davanti.
Una gatta dagli occhi dorati la osservava stoica.
Blaze osservò attentamente la ragazza; non aveva mai visto
un'animale antropomorfo più strano di quella.
Era di certo un animale acquatico, ma la gatta non capiva quale.
Aveva la pelle di color arancio e due occhi violacei.
Notò che non aveva il naso, e sulla fronte aveva due perle,
una
piccola seguita da una più grande.
I suoi capelli erano ondulati e arrivavano all'altezza delle spalle.
Al collo teneva una sottilissima e corta collanina da cui pendeva una
piccola perla rosata.
Sulla parte superiore del polso, giusto prima della mano, era
cresciuta una deliziosa pinna ricurvata, sia sul braccio destro sia
sul sinistro.
La sua coda era lunga, quasi come uno strascico, e sembrava proprio
una grande coda di girino arancione.
Blaze si trattenne dal chiederle che animale fosse, perché
sapeva
che non era una domanda molto educata.
Quindi cambiò discorso:
“Cosa ci fai in piedi a quest'ora? Sembri esausta.”
“Lo sono.” rispose la ragazza, strofinandosi ancora
una volta gli
occhi.
“Da dove vieni?” chiese la micia, guardando dietro
alla ragazze,
nel corridoio da dove veniva quest'ultima.
“Oh... le guardie hanno dato una festa per celebrare il
successo
del treno. Ho dovuto suonare il mio strumento.”
replicò, alzando
il flauto per farlo vedere alla gatta lilla, la quale annuì
leggermente.
“Non sapevo facessero anche feste.”
sbuffò scocciata la regina
gatto.
La ragazza ridacchiò: “Più di quante
credi.”
“E com'era? Ti hanno fatto qualcosa?” chiese
preoccupata la
micia.
L'altra scosse la testa: “No, tranquilla. Erano tutti
impegnati sul
riccio nero.”
Blaze alzò un sopracciglio: “Intendi Shadow?”
chiese
pacatamente.
L'essere arancione la guardò confusa.
“Sì esatto, come fai a...” e poi il viso
le si illuminò.
“Ma certo, come ho fatto a non accorgermi prima! Tu sei
Blaze,
giusto? Quella che ha aiutato il riccio nero a salvarci tutti! Mi
ricordo quando ho visto voi due risalire sul treno!”
esclamò
esaltata.
“Shhh” fece Blaze, portando velocemente la mano
alla bocca della
creautura “C'è gente che dorme, e poi le
guardie... sappiamo tutte
e due che non possiamo stare nei corridoi.” le
spiegò.
La ragazza si accorse di quando fosse stata stupida ad urlare in quel
modo, e se ne vergognò tantissimo.
Rimuovendo delicatamente la mano della gatta dalla sua bocca, si
scusò:
“Mi spiace, credo che la situazione sia sfuggita di
mano...”
“Non ti scusare.” l'interruppe l'altra.
Dopo un minuto di silenzio, la pesciolina recuperò la
parola:
“Quindi... è vero?”
La gatta annuì.
“E...cosa ci fai qui? Perché sei in piedi anche
tu?” chiese la
ragazza incuriosita. La sua stanchezza sembrava essersi dissipata.
Blaze sorrise amaramente: “Non avevo sonno. Avevo bisogno di
fare
un giro. Ultimamente sono molto stressata di notte.” rispose.
“A chi lo dici.” sospirò pesantemente la
creatura acquatica,
pensando alle sue notti insonni.
“Non dormi bene la notte?” chiese la gatta.
“Già. Non mi sento a mio agio, e sfortunatamente
quando non mi
sento a mio agio non ho pace. Fortuna che è finita prima,
così
almeno posso tentare di dormire un po' più a
lungo.”
“Perché è finita
prima?”chiese la micia.
La ragazza si poteva aspettare una domanda del genere e
sospirò.
“Il tuo amico riccio è andato fuori di testa e ha
fatto finire
tutto.”
La micia la guardò perplessa: “Che diamine ha
fatto?”
E così, la giovane musicista le raccontò che si
era incazzato
perché dicevano cose sconce riguardanti la regina gatto.
“Quando questo sarà tutto finito li
brucerò con il loro stesso
alcol.” bisbigliò stizzita Blaze tra sé
e sé.
La ragazza capì ma non ci fece molto caso.
Poi fece una domanda che sapeva che era un po'...scomoda:
“Tra....tra
te e lui c'è qualcosa?”
La gatta arrossì leggermente a quelle parole, pur non
sapendo
perché. Fu grata che era buio e la giovane suonatrice non la
vide.
“Dio, no.” rispose calma, cercando di parlare non
noncuranza
“L'ho conosciuto e siamo amici, fine. Ci intendiamo bene,
c'è un
legame tra noi, ma non è così...stretto
come credi.” le
spiegò.
“Allora capisco, probabilmente non voleva che tu fossi usata
dagli
altri.”
“Sì... possibile.” concordò
la gatta, ricordandosi delle parole
del riccio, prima che il treno tremasse.
Le aveva promesso che l'avrebbe protetta. Quindi era quello che
probabilmente stava facendo.
“Magari ti mette sotto protezione.” disse la
creatura arancione,
portandosi la mano davanti alla bocca per contenere uno sbadiglio.
“Sotto protezione? Che cosa significa?” chiese
Blaze, che non ne
aveva mai sentito parlare.
“Uh? Non te l'ha detto nessuno?” e allora la
ragazza iniziò a
spiegarle come funzionava:
“Praticamente quando una guardia vuole 'mettere sotto
protezione'
una ragazza, significa che la ragazza diventa solo sua.
Dicono
protezione ma non lo è più di tanto. Ma noi
comunque non ci
possiamo fare niente, e da una parte ci conviene se non vogliamo
farci fare da tutti quanti.”
Blaze non riuscì a contenersi e esclamò un
sorpreso: “Porca
puttana!”.
Non era fine per una regina parlare in quella maniera, ma dopo tutto
quel tempo che aveva passato lì era ovvio che le si era
sviluppato
un linguaggio da camionista.
Ma diciamo che questa era l'ultima delle sue preoccupazioni.
Persino la creatura davanti alla gatta lilla non ci fece molto caso.
“Questo non significa necessariamente che ha cattive
intenzioni...
giusto?” chiese debolmente la ragazza acquatica.
Blaze rimase immobile per qualche secondo, poi si riprese e con un
sorriso scosse la testa.
“Probabilmente non mi avrà nemmeno messo sotto
questa
'protezione'. Lo sa che non ne ho bisogno, e poi è troppo
orgoglioso
per chiedere aiuto.” rispose.
Erano tutte valide ragioni, e la
micia lo sapeva. Tuttavia, qualcosa le diceva che non bastavano per
essere sicuri che Shadow non l'avesse messa sotto questa
'protezione'.
Ultimamente la micia era sicura proprio di nulla.
Era come se la sua vita fosse diventata un grosso punto di domanda, e
non riusciva più a calcolarne le prossime mosse.
Non riusciva a pensare stoicamente senza un ma, un forse
o un però, senza una sicurezza, senza
fidarsi del suo
istinto.
E il peggio è che faceva bene: aveva dimostrato
più volte a sé
stessa che il suo istinto faceva cilecca, i fatti non rientravano
più
nella sua logica e soprattutto si era resa conto che nulla era come
sembrava e tutto poteva voltare faccia e cambiare.
Shadow ne era l'esempio vivente: all'inizio pensava che fosse dalla
parte dei buoni, poi salta fuori che è uno dei cattivi e fa
quello
che le sta col fiato sul collo. Poi, del tutto inaspettatamente, lui
si preoccupa e fa tutto il premuroso. Il giorno prima le urlava
contro, il giorno dopo cercava di proteggerla.
Blaze non capiva se lui era bipolare, o se era normale e lei non lo
comprendeva.
Questa situazione la metteva in una confusione tremenda.
Ormai si affidava al caso; viveva alla giornata, rassegnata dal fatto
che anche i suoi piani non sarebbero mai andati lisci come l'olio.
Non sapeva se sarebbe riuscita ad arrivare alla meta, non sapeva se
Amy era ancora viva e non sapeva se sarebbe riuscita a salvarla.
Una cosa aveva chiara nella mente: trovare e salvare Amy. Non c'era
scoraggiamento che comparava con il desiderio di vederla sana e
salva.
La sua testardaggine era dura a morire, come sempre. Ci sono cose che
non cambieranno mai, come la lingua lunga di Marine.
“Quindi dici che non ti ha messo sotto la sua
protezione?” la
voce della ragazza fece destare Blaze dai suoi pensieri.
“Guarda, non lo so.” le avrebbe
voluto rispondere. Invece
replicò:
“Credo proprio di sì. Ora vai a
dormire.” le ordinò.
La ragazza annuì: “Va bene. Buona notte Blaze, e
grazie ancora.”
e iniziò a dirigersi verso il suo dormitorio.
“Di nulla.” le sentì dire.
E per la prima notte da quando era lì, la ragazza
riuscì ad
addormentarsi subito e senza incubi, riuscendo a riposare
pacificamente per il resto della nottata.
Le dava conforto sapere di avere qualcuno che l'avrebbe protetta sul
serio, e quella calda sensazione le aveva invaso il petto.
L'aveva appena conosciuta, quella gatta lilla, ma la vedeva
già come
una salvezza.
Sentiva che era una donna forte e coraggiosa, qualità che
lei non
aveva.
Non aveva mai desiderato neanche una mezza avventura, non reggeva
all'idea di mettersi in pericolo. Questo la portava a non riuscire a
mettere il muso troppo fuori dalla porta di casa.
Odiava quella sua codardia, e per questo si sentiva debole, quasi in
colpa.
Finché non fu catturata dai trafficanti.
Odiava essere in 'quell'avventura', tuttavia era riuscita a
dimostrare a sé stessa che ce la poteva fare, poteva
sopravvivere,
ed era più forte di quello che aveva sempre creduto.
Era una vita scomoda e senza certezze, il pericolo si accucciava in
un angolo nell'attesa di aggredirla senza preavviso.
Aveva ovviamente sentito parlare delle torture, e le si raggelava il
sangue e le si spezzava il cuore allo stesso tempo a pensare al fatto
di una compagna, che il giorno prima aveva conosciuto, non tornare
più il giorno dopo, quel maledetto giorno che si ricordano
tutti.
E, come tutte le altre, la ragazza aveva paura che prima o poi
dovesse toccare anche a lei.
Ma cercava di respingere quelle ansie, che ne aveva già
abbastanza.
Ogni notte si chiedeva come stessero i suoi amici e la sua famiglia,
cosa avevano provato quando non l'avevano più vista e come
si
sentivano davanti alla sua assenza.
Chissà se la stavano cercando.
Sarebbe mai ritornata da loro?
Nella profondità della notte, vicino al treno, si sentirono
dei
passi, e poi all'improvviso un batter d'ali.
La figura nera era atterrata sul penultimo vagone, e si apprestava ad
aprire la finestrella per entrare.
Con un leggero tonfo la sagoma atterrò sul pavimento.
Si alzò cautamente e si guardò intorno; sorrise
alla vista di così
tanti sacchi, soprattutto perché sapeva cosa contenevano.
Con passo sicuro si diresse verso uno di questi, lo aprì e
ci cacciò
la mano, per poi tirarla su piena di diamanti e pietre preziose.
“Quanto siete belle!” esclamò Rouge,
soffocando l'eccitazione
nella sua voce a una vista così ricca.
Non aveva mai pensato che avrebbe iniziato di nuovo a rubare come una
gazza ladra.
Beh, non proprio rubare, diciamo che quelle pietre erano... in
prestito.
Si sarebbe accontentata di circondarsi da esse, analizzarle e
ammirarle, per poi rimetterle al loro posto, come dei giocattoli.
Sospirava tristemente all'idea che non si poteva permettere di
prenderne nemmeno una.
La loro bellezza attraeva l'affascinante ladra, e i suoi occhi verdi
acqua luccicavano ai riflessi di luce delle pietre.
Ma nessuno poteva comprendere del perché lei era
sgattaiolata fuori
dalla sua stanza e si era intrufolata nel vagone.
Non era per il sua solito desiderio di rubare, nemmeno per la sua
sete di ricchezza.
La verità era che le pietre preziose le davano conforto e le
facevano compagnia.
Come possono degli oggetti animati fare ciò? Non hanno
né anima, né
sentimenti.
Il Comandante le lo diceva sempre. Anche Omega, Hope, Sonic e perfino
Shadow.
Loro non capiscono pensava Rouge, ogni volta sempre
più
demoralizzata, Loro. Non. Capiscono.
Le pietre le tenevano compagnia, la ascoltavano impassibili, senza
parlare e senza giudicarla.
Erano molto gentili. E poi erano stupende.
Ogni pietra aveva quel colore vitale che nessun pennarello, nessuna
tempera o nessun essere poteva riprodurre.
I loro luccichii attiravano l'attenzione e affascinavano sempre. Non
avevano età, né genere.
L'ex agente non aveva mai parlato con loro, ma iniziò da
quando fu
licenziata dalla G.U.N.
Appena poteva, appena ne aveva una sotto mano, osservava la sua
bellezza, e un po' alla volta si svuotava da quello che aveva dentro.
Gli raccontava di tutto, da come era andata alla giornata a come si
sentiva nell'animo.
Parlare a una pietra? A volte ci rideva, la faceva sembrare molto a
un certo guardiano...
Mamma mia, quanto le mancava la sua vecchia vita, quanto le mancavano
i suoi vecchi amici.
Quanto le mancava stuzzicare quel burbero echidna brontolone? Quanto
le mancava tentargli di rubare il Master Emerald? Quanto le mancava
sentire la sua voce, incazzata o meno, quanto le mancava passare un
po' di tempo a fargli compagnia? Quanto le mancava andare ad Angel
Island e star sicura di trovarlo lì, a riposarsi sotto
quell'enorme
smeraldo verde, seduto con la schiena appoggiata alla pietra, con gli
occhi chiusi e le braccia incrociate? Quanto le mancavano le sue
accuse di rubare il suo bellissimo smeraldo, quanto le mancava
vederlo arrossire per ogni cosa che faceva o diceva?
La risposta a tutte le domande era sempre: tanto.
Molto, anzi troppo.
La donna emanò un sussurro triste.
“Knuckles.” .
La nostalgia la invase, arrivandole nel petto e nello stomaco,
colpendola dolorosamente come un pugno.
Seduta con la schiena appoggiata alla parete, strinse
involontariamente i pugni ai quei lontani e felici ricordi, senza
curarsi degli spigoli delle preziose pietre che le ferivano la carne.
Perché era andata in quel modo?
Nove anni prima, non aveva fatto i conti con la consapevolezza che,
diventando fuggiaschi fuorilegge, nulla sarebbe stato più
piacevole
come prima.
Lo sapeva, certamente, che la sua vita sarebbe cambiata in peggio, ma
la sua coscienza era sempre stata sporca, quindi non se ne era
preoccupata più di tanto.
Ma non volle rendersi conto che sarebbe stata così
dura.
E' stata la più grande irresponsabilità mai
fatta, e sinceramente
non voleva passare in quel modo i prossimi dieci anni della sua vita.
Era piena di rimorsi; mentre guardava impassibile alle sofferenze
circostanti, c'era qualcosa dentro di sé che le gridava di
far
smettere quel dolore, di tornare indietro.
All'inizio queste grida erano disperate e irresistibili a Rouge, ma
poi riuscì a costruire un muro in grado di allontanare le
grida.
Voleva sfuggire alle terribili verità,e per questo si faceva
schifo
da sola.
Ma le grida, sebbene si affievolivano, non scomparivano, e Rouge
sapeva che mai l'avrebbero fatto.
Sarebbero rimaste lì, a ricordarle che poteva far smettere
il suo
dolore interno, ma andando incontro al mondo circostante.
Non poteva cambiare, non in quel momento.
E così quelle voci disperate continuavano ad arrivarle al
cuore e a
farlo sanguinare.
Riusciva a tenerle a bada solo di giorno, quando era in compagnia o
aveva qualcosa a cui pensare, ma quando giungeva la notte e la sua
mente era vuota e lei era sola, allora quelle grida se ne
approfittavano e la sopprimevano nell'angoscia e, se si può
dire,
anche nel rimorso.
Shadow era suo amico, ma era giusto quello che aveva fatto? E' stato
giusto seguirlo?
Il riccio nero è caduto e l'ha trascinata con sé,
senza farsi né
domande né problemi.
Ma era anche vero che il suo amico non le aveva mai chiesto niente:
non le aveva chiesto di seguirlo, non l'aveva pregata di stargli
vicino, non aveva implorato il suo aiuto.
Non le aveva mai chiesto di schierarsi dalla sua parte.
Non le aveva mai chiesto di lasciare tutto.
L'aveva ringraziata, certo, ma poi basta, fine.
Sei stata stupida Rouge si diceva tra sé
e sé con rabbia
Molto stupida.
Scuoteva la testa con gli occhi chiusi, trattenendo la rabbia
repressa.
Lo sapevi che lui non aveva bisogno d'aiuto
ridacchiava tra
sé e sé tristemente Lui sa cavarsela di
certo da solo.
La giovane pipistrella bianca avrebbe voluto scaricare tutta la colpa
addosso a lui, ma sull'orgoglio continuava a prevalere la sua
insopportabile coscienza: è stata una sua scelta, solo sua.
Ma faceva fatica ad ammetterlo a sé stessa, figuriamoci agli
altri,
figuriamoci a Shadow.
Sapeva inoltre che Shadow non comprendeva a fondo le persone, e
spesso non ci teneva nemmeno.
Aveva un lato comprensivo, e lo sapeva perché l'aveva visto,
ma era
rimasto nel vecchio Shadow.
Quello nuovo era diverso; aveva sempre quel suo fare orgoglioso, il
suo sguardo freddo, i suoi modi da omicida, era intelligente e molte
altre abilità, ma le sue belle qualità, quelle
più da essere con
un'anima... non c'erano. Rouge non credeva che fossero sparite, ma,
se si può dire, solo...in vacanza.
Non credeva davvero che fosse cattivo, o apatico al 100%, ma le sue
giornate erano grigie, monotone persino, anche se nel corso degli
anni è migliorato un po'.
E poi è arrivata lei. Blaze the Cat.
Rouge sapeva che i due erano molto simili, e i loro incontri passati
le facevano pensare a quanto potente poteva essere una cooperativa
formata da loro due.
Fiamme e Chaos Control, ve li immaginate?
La pipistrella sì. Sarebbe stato uno spettacolo vederli
combattere
insieme.
Sinceramente, la giovane donna non aveva ancora visto la gatta.
Shadow diceva che la vedeva ogni giorno, e inoltre ha salvato il
fondo schiena a tutto il treno, tuttavia Rouge non l'aveva ancora
vista. Ed era strano, dato che era sempre lei a
sapere per
prima le cose.
Ma una cosa sapeva: da quando Blaze era arrivata, qualcosa si era
risvegliato in Shadow.
Forse i ricordi di loro due lottare per il Sol Emerald erano emersi
nella sua testolina, ricordandosi che in fondo si era creato un bel
legame d'amicizia tra loro due.
Ma forse c'era di più, e Rouge stava ancora investigando;
ogni
notte, Shadow si incontrava con lei per fare rapporto, e ogni volta
la giovane ladra faceva in modo che il discorso andasse in direzione
Blaze the Cat. E ci riusciva così bene e senza dimostrare il
suo
interessamento, che Shadow le raccontava poco a poco tutto, senza
urlarle contro di farsi gli affari suoi e di sua spontanea
volontà.
Le aveva raccontato degli iniziali impulsi indesiderati, delle loro
chiacchierate e infine anche dell'attentato al treno.
Poi lei gli chiedeva di descriverla un po', e lui si perdeva nel
darle tutte i dettagli.
Rouge poteva vedere il suo amico descrivere l'amica gatta come si
descrive un fiore bellissimo.
Quando le parlava dei suoi lunghi e morbidi capelli, aveva un tono
dolce, pacato;
quando parlava del suo corpo poteva sentirlo deglutire;
quando le parlava di quegli occhi dorati, quelli del riccio
scintillavano;
e quando infine parlava del suo carattere, delle sue doti, delle sue
qualità, la pipistrella poteva percepire tutta la sua
ammirazione e
il rispetto nei confronti della principessa.
Lei era sempre stanca morta quando finiva la giornata, tra il viaggio
e la pressione alta che alcune guardie da strapazzo le facevano
venire a causa dei soprusi sulle altre ragazze che era costretta a
vedere, ma non voleva che lui smettesse. Non parlava così
tanto da
troppo tempo.
Ma dopo un po' lui vedeva che gli occhi della compare non ce la
facevano più, e quindi la mandava a dormire.
All'inizio lei si lamentava perché il suo gossip veniva
interrotto,
ma sapeva che il suo amico aveva ragione e gli dava la buonanotte,
per poi dirigersi sfinita al suo dormitorio.
Tuttavia, quella sera lei lo dovette aspettare a lungo, e quando
arrivò non sembrava essere molto in vena di parlare.
“Finalmente,
dove sei finito?” le chiese impaziente la bianca, mettendosi
le
mani sui fianchi e attendendo una sua risposta con un bel sorriso.
Ma, invece di risponderle o fare rapporto, continuò a
camminare
oltre, verso il suo dormitorio.
“Dove stai andando?” chiese spaesata la collega del
riccio,
inarcando le sopracciglia curiosa.
“Sono troppo stanco stasera. Domani ti racconto
tutto.” rispose
continuando ad avanzare, senza manco voltarsi indietro.
“Non mi lasci nemmeno congratularmi con te?”
ribatté Rouge
allegra, sperando di cavargli fuori qualcosa.
Lui si limitò a sorridere e ad alzare un mano in segno di
saluto,
mentre si faceva strada verso il dormitorio.
Chissà che cosa è successo. Si
era chiesta Rouge, mentre
guardava immobile l'immagine del suo amico rimpicciolirsi, mentre si
allontanava sempre di più.
Sinceramente, si era dimenticata della festicciola che le guardie
avevano dato, ma poi il ricordo di tanti passaparola gli era
ritornato in mente.
Cosa sarà successo a quella festa?
La curiosità iniziò a divorarla, le sue fantasia
su quello che
poteva essere successo si scatenarono in tanti possibili scenari,
finché non si convinse ad andare a letto.
Tuttavia, non riusciva a prendere sonno.
Le chiacchierate con Shadow l'aiutavano a occupare la mente e ad
addormentarsi meglio, anche se duravano poco.
Certo, lui non sapeva dei problemi mentali di Rouge, soprattutto
perché lei si comportava come se stesse sempre in forma.
Ma lei non voleva digli niente: sarebbe stato un peso per il suo
amico riccio.
Continuava a ripetere a sé stessa che poteva farcela anche
senza
allarmare uno che già aveva i suoi disordini mentali.
Quella sera aveva bisogno qualcuno con cui parlare, qualcosa che la
tenesse occupata per un po', per non darla vinta a quelle vocine.
E così eccola lì, a parlare con delle pietre, per
terra accasciata
alla parete, indebolita dalla stanchezza e dalla nostalgia. In un
momento debole, quando tutto lo stress le cadde addosso, si
sentì
arresa, e il suo viso e il pavimento si riempirono di lucenti
lacrime.
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Capitolo 12 *** Cap XII Svegliati ***
“Ehy sveglia.”
La voce risuonò ovattata nelle orecchie dell'addormenta
creatura.
Aprì gli occhi debolmente, poi li sbatté due o
tre volte
velocemente, per mettere a fuoco l'ambiente circostante.
Come al solito, vide la sua stanza, anche se ne fu sorpresa
all'inizio, dato che l'ultimo ricordo era di lei seduta nel vagone
del treno.
Poi la memoria iniziò a ritornarle, e si ricordò
che, quando aveva
capito che rischiava di addormentarsi lì, si era alzata ed
era
tornata nel suo dormitorio.
La luce gialla e luminosa del sole entrava dalla finestra e scaldava
la camera.
Si mise lentamente a sedere tenendosi la testa con una mano; se la
sentiva pesantissima, poteva giurare di aver fatto un incubo.
Ma attribuì quella pesantezza al fatto che era andata a
dormire
tardi e per aver pianto molto.
Poi il suo sguardo aveva finalmente realizzato che non era sola.
“Shadow?” chiese sorpresa, non aspettandosi il
compare nella sua
stanza.
“Dormivi come un sasso.” le disse lui, apatico
“Hanno bussato
più volte ma non hai mai risposto. Così mi sono
venuti a chiamare e
mi sono teletrasportato qua dentro.” finì il suo
racconto.
Poi inarcò le sopracciglia e la osservò meglio;
notò che aveva gli
occhi rosati e le occhiaie, segno che non aveva dormito abbastanza o
abbastanza bene, e la mano posizionata sulla testa gli suggeriva che
la sua amica aveva un'emicrania.
“Cos'hai Rouge?” le chiese preoccupato l'amico. Era
raro che la
bianca si svegliasse conciata così male, le poche volte era
perché
stava già male.
“Oh, niente” rispose lei “solo un po' di
mal di testa.”
“Ho notato.” disse il riccio, guardandola
sospettoso.
Dopo aver passato qualche secondo di silenzio a pensare, Shadow
riprese: “Lo sai che con me puoi parlare, di quello che ti
passa
per la testa. Se hai un problema devi solo dirmelo.”
“Grazie Shadow.” si affrettò a dire lei.
“Ma non c'è nulla che non va, sto bene. Ieri
è stata una giornata
impegnativa.” mentì.
“Non c'entra nulla con le guardie, vero?” chiese
Shadow,
pacatamente.
“No, bellissimo, ti ho già
detto che va tutto bene.” e
mise su un bel sorriso incoraggiante.
Sembrava tranquilla, decisa e accattivante, aveva persino iniziato di
nuovo con i soprannomi.
Agli occhi di Shadow era tornata la vecchia Rouge, e si voleva fidare
delle parole dell'amica.
Ma se solo avesse guardato nei suoi occhi come faceva con Blaze, si
sarebbe accorto del dolore che persisteva di giorno e peggiorava di
notte, di quell'inquietudine che la riduceva in quel modo.
Lui alzò le spalle.
“Va bene, fa come vuoi.” disse con un'insolita
noncuranza nei
confronti della donna.
Poi si voltò e iniziò a incamminarsi verso la
porta.
“Visto che stai bene, muoviti a prepararti, che il capo non
aspetta
nessuno. Fatti trovare pronta tra cinque minuti, non voglio essere
costretto a tornare di nuovo.”
Aveva appena finito di pronunciare queste parole di ghiaccio che
qualcosa gli fu tirato incredibilmente forte sulla nuca. Un cuscino.
Si fermò immediatamente.
“PERCHE' SEI COSI' FREDDO CON ME?!?” gli
urlò adirata. Lui girò
la testa per guardare la sua collaboratrice. Il suo sguardo sereno si
era trasformato in uno scocciato, le occhiaie nere e gli occhi rossi
la facevano sembrare un'indemoniata e i capelli spettinati la
rendevano una strega.
“Qual'è il tuo problema?!?” gli aveva
continuato a gridare “Come
pensi di venir trattato se ti comporti così?!? Sai che ti
dico??,
FUORI DI QUI!” gli strillò al top
dell'incazzatura, agitandosi
tutta.
Shadow sgranò gli occhi alla reazione esagerata della
compagna.
Qualcosa davvero non andava.
Comunque ci avrebbe pensato dopo, in quel momento era più
importante
alzare i tacchi, e anche alla svelta.
Dopo che il riccio nero ebbe chiuso la porta dietro di sé,
la
ragazza si buttò sdraiata sul letto, trovandolo
però scomodo.
“Non ho voglia di andare a prendermi il cuscino.”
mugugnò,
guardando con la coda dell'occhio il morbido oggetto a qualche metro
da lei, e pentendosi di averlo lanciato “così
lontano” solo per
colpire quella testa vuota di Shadow.
??? P.O.V
“Ehy, sveglia.”
Sento una gentile voce ovattata che mi dice di svegliarmi, ma
non
ci riesco.
E' tutto buio e non vedo niente.
Non riesco a muovermi, nemmeno un braccio, o una gamba; mi
sento
debole.
La mia forza di volontà è forte, voglio
svegliarmi, devo
svegliarmi.
Voglio reagire, voglio rispondere alla chiamata di quella voce
,
ma non ci riesco.
Non importa quanto io ci provi, io non mi muovo, io non vedo
luce,
io non vedo altro colore fuorché nero.
E' sempre la stessa storia, giorno dopo giorno, quella voce
femminile a me sconosciuta mi chiede di svegliarmi.
Me l''ha detto oggi come me l'ha detto ieri, e l'altro ieri, e
il
giorno prima, e il giorno prima ancora...
Quanto è passato da quando sono in questo stato?
Non lo so.
Giorni, settimane, mesi, anni, NON LO SO. Qui non
c'è la
percezione del tempo.
A dire la verità, non so nemmeno se c'è
la percezione dello
spazio.
Potrei essere sdraiata, seduta, in piedi o a testa in
giù ma per
me non ci sono differenze.
Non ho né freddo, né caldo. Non ho mai
fame, né sete, né
bisogno di andare in bagno.
E' solo noioso, vuoto.
Penso che non sia normale che io stia sempre così
bene
fisicamente.
Beh, forse non proprio bene; non mi sento le braccia, non mi
sento
le gambe, non mi sento nessuna parte del mio corpo, come se fossi un
fantasma. L'unica cosa che riesco a sentire sono i miei pensieri, e
forse dovrei ringraziare che almeno ho loro, che almeno ho la mente
lucida.
Ogni tanto ho anche dei flashback, dei ricordi. Mi tengono
compagnia.
Con loro rido, piango, mi diverto o mi dispero...
Ho fatto tutto quello che ho potuto fare.
Avrei dovuto aspettarmelo, sono i rischi del mestiere.
Avrei dovuto fare di più, o fare meglio.
Avrei dovuto stare più attenta.
Ma ormai non posso tornare indietro nel tempo, e nemmeno
piangermi
addosso.
Sono forte.
O almeno ero. La mia testa c'è ancora, ma il mio
corpo è andato.
Voglio solo svegliarmi da questo incubo.
Per favore, svegliati!
N.A: Lo so è
corto, ma volevo solo far concentare sull'idea del diverso significato
dei due "Ehy svegliati"...
Chi è questo
personaggio misterioso? Lo scoprirete leggendo!
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Capitolo 13 *** Cap XIII Tutto cambia ***
Era tutto distrutto. La cenere si sollevava e volava dove la
portava il vento ogni volta che lei metteva un piede a terra.
Correva.
Aveva il fiatone ma doveva continuare a correre per la propria
vita.
L'inferno era ancora in ballo.
Un enorme incendio aveva bruciato e distrutto ogni cosa, e le
voraci fiamme non avevano ancora smesso di mangiare.
Cadeva tutto a pezzi, era tutto nero dalla cenere e il cielo
era
grigio dal fumo.
Correva e si indeboliva, i gas e il fumo la intossicavano e le
rendevano difficile respirare.
Tossiva mentre continuava a scappare, inciampando ogni tanto
nei
mucchietti troppo alti di cenere o in alcuni resti di materiale che
non si era bruciato del tutto.
Ogni tanto vedeva con orrore alcuni cadaveri in mezzo al
fuoco, i
quali spesso diventavano materiale per alimentarlo.
Per quanto ci provava, non riusciva a sbattere le ali per
volare
via.
Era spaventata fuori di sé, e diventava sempre
più terrorizzata
quando non riusciva a trovare una via d'uscita.
Il panorama di morte e distruzione sembrava uguale dappertutto.
Lei continuava a correre sempre dritto, ma sembrava non
esserci
uscita.
Sudando dalla fatica e dalla paura, smise di correre sempre
dritto, decidendo di optare per una strada a zig-zag dove il fuoco
era di meno.
Mentre continuava a correre, del legno infuocato cedette dal
soffitto e cadde davanti, dietro, a sinistra e a destra della
ragazza, mettendola in trappola.
Alla realizzazione della sua ovvia morte, alla giovane donna
scapparono delle lacrime di paura e disperazione che le rigarono
violentemente il volto.
Sarebbe morta bruciata e nessuno l'avrebbe mai saputo. Non
c'era
nessuno ad aiutarla.
Le fiamme si innalzarono come grattaceli, e sembrava come se
stessero osservando la povera creatura, mentre lei le guardava con
occhi spalancati, per poi calare le loro infuocate fauci addosso al
corpicino indifeso.
“AHHHHHHHHHHHHHHHHHHH!”
Rouge the Bat si svegliò di scatto gridando.
Ansimava ed era tutta sudata, i suoi occhi fuori dalle orbite
tremavano ancora di paura.
Ci mise un po' per capire che era nel suo vagone e tutti –
guardie
e prigioniere – stavano guardando chi aveva cacciato un urlo
così
agghiacciante; lei.
Con mani tremanti, si toccò il viso e sentì i
suoi lineamenti
facciali, le guance, le orecchie e anche un po' di bagnato, colpa del
sudore.
Era viva! Non c'era nessun incendio, il treno non era in fiamme!
Alcune guardie che l'aveva vista sghignazzarono e poi tornarono a
fare i loro compiti come se nulla fosse.
Anche le prigioniere si erano ripresa dal colpo di spavento che le
aveva fatto venire, e tornarono a parlucchiare tra loro.
Il respiro di Rouge tornò normale e cominciò a
rilassarsi.
Esalò sollevata: era stato solo un brutto sogno...
Solo un incubo, grazie al cielo. Pensò.
Trovò quasi ridicolo il fatto che un incubo del genere la
facesse
sudare ed urlare in quel modo.
Certo, è stato terribile, ma aveva sognato di peggio,
credetemi.
Aveva iniziato a prendere in considerazione l'offerta di Shadow;
voleva raccontargli del sogno.
Ma non sapeva come avrebbe reagito; era solo un brutto sogno, quelli
che fanno tutti di tanto in tanto, come tutti sanno lei non
è il
primo essere vivente che sogna di morire.
Si sarebbe vergognata a morte, pensandoci bene, dopotutto Shadow era
solito avere incubi quasi ogni notte sulla morte di Maria. Aveva
smesso di farli da anni, certo, ma comunque gli rimaneva il ricordo
di quei continui sogni.
Lui diceva di non sognare più niente.
Avendo studiato qualcosa, Rouge avrebbe voluto sbattergli in faccia
che si sogna sempre, ogni volta che si dorme, e che sono proprio i
sogni che permettono a una persona di riposarsi.
Sono, se si può dire, bizzarre elaborazioni del cervello
create
nella fase REM, che variano di giornata in giornata.
Probabilmente il trauma che l'amico riccio aveva subito gli aveva
bloccato 'il cambio' dei sogni, ripetendo in continuazione le
scioccanti memorie.
Quando pensi di non aver sognato nulla, sappi che non è
vero, te ne
sei solo dimenticato.
I sogni restano più impressi nella memoria quando ci si
sveglia nel
mezzo di essi. Cosa che capitò a Rouge.
Ma a Shadow probabilmente non gliene sarebbe fregato niente, freddo e
rude com'era, le avrebbe soltanto detto: “E' un sogno Rouge,
non
c'è niente di cui aver paura!” in maniera anche
scocciata.
Ma poi qualcosa fulminò nella mente della pipistrella: loro
erano
un team.
Si ricordò di quando fu lei a unire il
Team Dark.
Loro dovevano essere uniti per lavorare in squadra.
Era una cosa che si era sfasata dopo aver abdicato dalla G.U.N., ma
che non si sarebbe dovuta dimenticare.
Il loro concetto di team e lavoro di squadra era cambiato, purtroppo,
e solo ora se ne stava accorgendo.
I membri dello stesso team devono fidarsi e affidarsi l'uno
all'altro. Per farlo dovevano parlare tra di loro, conoscersi,
capirsi.
Se voleva che il suo team – composto solo da lei e Shadow-
fosse
ancora il team forte che conosceva, doveva parlare, esprimersi.
Questo fanno i compagni, questo fanno gli amici: si aiutano a
vicenda.
Il treno iniziò a rallentare e la gatta lilla lo
percepì.
Guardò fuori dalla finestra, per osservare il cielo.
Strano pensò siamo in pieno
pomeriggio.
A un certo punto il treno si fermò del tutto.
Una guardia fece capolino dalla porta, guadagnandosi uno sguardo
interrogativo da Blaze.
Lui fece alcuni passi nella stanza, con le mani dietro la schiena, e
guardando in tutte le parti della stanza, richiedendo silenziosamente
l'attenzione delle prigioniere.
Quando, pochi secondi dopo, ebbe tutti i loro sguardi fissi su di
lui, annunciò solennemente:
“Ragazze, qui ci fermeremo così che possiate
lavarvi. Vi condurremo
vicino a una fonte d'acqua pulita, dopo vi saranno lasciati venti
minuti per igienizzarvi e rinfrescarvi. Sfruttateli, non vedrete
più
nessuna occasione per farvi un bel bagno.” detto questo,
diede
un'ultima occhiata alle ragazze, e poi s'incamminò
velocemente verso
la porta, dove pochi secondi dopo sparì.
Blaze reputò l'idea per niente male.
Si annusò i vestiti e arrivò alla conclusione che
aveva proprio
bisogno di un bagno, senza ma e senza però;
era da
giorni che non si lavava.
Essendo un gatto, era ovvio che fosse molto attenta alla sua igiene, e
già soffriva un po' per essere così trascurata.
Ma cosa si
aspettava? Di certo non una doccia ogni giorno.
Sospirò pesantemente.
Se le guardie oseranno dare una sbirciatina, conosceranno chi
è
veramente Blaze the Cat!
Eccole lì, appena scese dal treno e portate nel cuore del
bosco.
Blaze si chiese più volte se stessero portando lei e le sue
compagne
di sventura davvero a una fonte d'acqua per lavarsi.
Fortunatamente, dopo qualche minuti il bosco in cui si erano ficcati
si diramò, e si vide una bella radura con una cascata e una
torrente
che scorreva fino a perdersi nell'altra parte del bosco.
Attorno alle sponde, alcuni alberi.
“Avete venti minuti.” fu tutto quello che disse una
guardia,
quella a capo dello squadrone, prima che lui e gli altri rientrassero
nel bosco.
Ci lasciamo anche un po' di privacy disse Blaze tra
sé e sé che carini.
Pensò ironica.
Assicuratasi che le guardie le avessero davvero lasciate alla loro
intimità, imitò tutte le altre prigioniere: si
avvicinò allo
specchio d'acqua, si tolse i vestiti e li appese a uno dei rami degli
alberi in vicinanza.
All'inizio provava sconforto e una leggera punta di imbarazzo a
mostrarsi nuda davanti a così tante persone, ma poi non ci
fece più
caso, dopotutto erano tutte donne.
Scese in fretta nell'acqua, provando una piacevole sensazione quando
la freschezza del liquido le passò tra il pelo.
Saranno passati dieci minuti, neanche.
Blaze, immersa nell'acqua e nei pensieri, continuava a sfregarsi
lentamente la pelliccia per pulirsela alla meglio.
Gli argomenti dei suoi pensieri le scorrevano davanti mentre guardava
con sguardo assente le altre ragazze che sguazzavano nell'acqua,
chiacchierando e godendosi il bagno.
Blaze si ricordò dell'immediato obiettivo che si era data
qualche
giorno prima, e considerò l'idea di capire come fare a
metterlo in
atto.
Erano tantissime, troppe. Come avrebbe fatto a farle uscire tutte da
lì?
Non lo sapeva, ed era tempo di escogitare qualcosa, dato che i giorni
diminuivano e presto sarebbero arrivati a BMNC.
Per poi non parlare del fatto che lei doveva
evadere, in
qualche modo; Amy restava l'unica priorità, e prima o poi
Blaze
sarebbe dovuta tornare nel suo mondo.
Beh, forse le priorità si erano aggiunte, e si chiamavano
Annie e
Angel.
Soprattutto Annie, così giovane, innocente e debole non
poteva
essere venduta a degli sconosciuti senza brutti rischi.
Il fatto che la gatta non sapesse come stessero e dove precisamente
fossero le dava una sensazione d'inquietudine.
Avrebbe dovuto non conoscerle, non affezionarcisi. E invece non era
stata attenta, e adesso doveva preoccuparsi anche di loro.
Blaze non sapeva spiegarselo: era solita parlare con il minor numero
di persone necessario ed essere emotiva come una roccia con gli
altri.
Ma in quella situazione è stato diverso, come tutto il resto.
Ripensando alla riccia rosa, si chiedeva scocciata perché
nessuno ne
sapeva niente! Non una guardia che sia precisa, nemmeno Shadow,
però
lui era appena arrivato quindi era anche plausibile...
Shadow. Treno. Protezione.
Sono quelle le parole che si piantarono in testa nello stesso secondo
che Blaze pensò al riccio nero.
Protezione che lui le aveva promesso, ma anche la protezione di cui
la ragazza della sera prima le aveva parlato.
Glielo avrebbe chiesto. Perché no? Che c'è di
male? Giusto per
essere sicuri.
E anche se fosse? Cosa vuoi che le faccia? E' pur sempre Shadow!
Per qualche strana ragione, lei si fidava di lui, contro ogni logica
dei fatti...
La logica ormai non funziona, era rotta. Lei l'aveva intuito meglio
di chiunque altro.
Ed era frustrante, non si riusciva a mettere il cuore in pace.
Era ancora persa in sé stessa quando una ragazza, che aveva
riconosciuto la micia, si era avvicinata.
“Ciao.” la salutò la creatura con fare
calmo, una volta arrivata
davanti a lei.
Blaze si destò dallo stato di trance e guardò
dritta negli occhi la
giovane ragazza.
La scrutò bene, osservandola nei minimi dettagli; all'inizio
non
l'aveva riconosciuta, ma poi osservando meglio riconobbe i capelli
ondulati, le perle sulla fronte e quella lunga coda...
Era lei, la pesciolina della sera prima.
La pelle color arancio emanava riflessi di luce grazie all'acqua che
aveva addosso.
La perla che portava al collo emanava una leggero luccichio grazie ai
raggi del sole.
Gli occhietti violacei della ragazza la guardavano confusa, e
preoccupata allo stesso tempo di non venir riconosciuta.
“Ciao!” rispose la gatta “Tu sei...la
ragazza di ieri sera.”
La creatura acquatica sorrise rincuorata: “Sì,
sono io!”
Blaze doveva ammetterlo: anche in piena luce del giorno, non capiva
bene che animale fosse.
Ok, era una pesce, ma è troppo generico definirla tale. E'
come dire
che Blaze è un mammifero.
Tuttavia decise di tenersi per sé questi pensieri. Magari
nel
cognome c'è una traccia di ciò che è
veramente...
Che stupida! Si disse Blaze, facendosi internamente
un
face-palm.
“Scusa” disse alla ragazza, con voce desolata
“Che maleducata
che sono stata, ieri sera non ti ho chiesto come ti chiami!”.
La giovane suonatrice le diede un caldo sorriso; “Non
preoccuparti.”
“Coral.” si presentò “Coral
the Betta.”
“Piacere.” rispose la gatta, stringendole la mano.
Finita la stretta, Coral parlò di nuovo:
“Ti avevo vista qui tutta sola e sembravi anche turbata.
Così sono
venuta a salutarti. Stai bene?” chiese calma.
“Sì, grazie per il pensiero Coral.” le
rispose la gatta, che non
aveva perso l'abitudine di essere educata e gentile.
Nonostante ora sapeva che apparteneva alla specie
“betta”, non
aveva presente come erano fatti. Coral era la prima pesciolina di
quella specie che vedeva.
“Da dove vieni?” chiese la regina gatto.
La ragazza si sedette a gambe incrociate nell'acqua, per stare
più
comoda, e la sua faccia allegra era diventata sconsolata.
Si portò una mano sulla guancia, e scosse la testa:
“Abitavo
sul fondo dell'Oceano” rispose triste “vicino a
Mobius.”
La gatta rizzò le orecchie. Un'idea le piombò
nella mente.
Forse...
“Mobius, hai detto?” si accertò la gatta.
“Sì. Vicino a Mobius. Mi hanno catturato proprio
perché avevo
voglia di farci un giro lì.” confermò.
“Quindi...conosci qualcuno di Mobius?” chiese
speranzosa la
gatta.
Coral la guardò con sguardo interrogativo. Era confusa
dall'interesse della gatta nei confronti di Mobius.
“P-pochi...” ammise la creatura marina senza
guardarla negli
occhi, mentre muoveva la mano avanti e indietro nell'acqua,
dolcemente.
Forse lei sapeva chi era Amy. Forse lei sapeva anche se era ancora
sul treno.
Si fidava abbastanza per chiedere?
Non ho nulla da perdere. E poi cosa c'è di male se
chiedo?
“...Coral, conosci una riccia rosa di nome Amy
Rose?”
La gatta trattenne il fiato, mentre la ragazza arancio ci
pensò su.
“Sì, l'ho conosciuta molto tempo fa. Tu la
conosci?”
Un raggio di speranza per Blaze, la quale decise di rivelarle il
perché del suo interessamento.
“Sì, e volevo chiederti se l'avevi vista su questo
treno, perché
ho saputo che è stata catturata.” disse
sinceramente.
Gli occhi della ragazza si aprirono in sorpresa, mentre la bocca era
aperta in shock:
“C-cosa?...” chiese con voce flebile, mentre
impallidì
visibilmente.
Blaze si accorse che aveva fatto un buco nell'acqua. Sapeva chi era,
ed era già qualcosa, ma non ne sapeva niente di questa
storia. Alla
gatta servivano informazioni seduta stante.
“Quindi deduco che non sai dov'è...”
disse sconsolata,
sospirando.
“Io no” disse all'improvviso Coral, attirando
l'attenzione della
micia “...ma conosco un'amica che sa tutto su questo treno,
ormai.”
Le orecchie della gatta si rizzarono di nuovo e i suoi occhi dorati
guardavano la ragazza che aveva davanti con speranza e
curiosità.
“Davvero?... e chi è?” chiese con un
filo di tensione.
“Aspetta che te la chiamo.” rispose Coral verso la
gatta, prima
di girarsi e chiamare urlando la sua amica “MINA! Puoi
venire?!”.
Una ragazza arrivò da loro sfrecciando nell'acqua, creando
scie
d'acqua che andarono addosso alle ragazze vicine, le quali grugnirono
e si spostarono da lì.
“Ciao!” pigolò felice la ragazza, con
un'energia notevole “Come
va? Io sono Mina Mongoose!” esclamò porgendole la
mano.
Blaze la osservò: una mangusta.
L'energetica giovane donna aveva un manto giallo, una folta chioma
violetta che arrivano fino alla vita e una fluente frangetta sulla
fronte.
Il muso color pesca aveva ai lati dei ciuffi morbidi, e le sue
orecchie tonde spuntavano tra i capelli ed erano piene di orecchini
argentei.
Gli occhi erano di un verde smeraldo vivo, e luccicavano ai riflessi
del sole.
Blaze accettò la mano e gliela strinse, mentre la ragazza
che si era
presentata come 'Mina' la guardava con faccia da cucciola.
“Blaze the Cat” si presentò la guardiana
dei Sol Emerald.
“Piacere!” rispose la ragazza con un sorriso
smagliante. La
regina gatto capiva subito quando una persona era eccessivamente
sociale, e Mina era una di quelle.
Anzi, era iperattiva.
“Blaze, lei è la mia amica di cui ti avevo
parlato, anche lei era
alla festa, con il ruolo di cantante.” spiegò
Coral alla micia
lilla.
“Quindi...sei tu quella a cui mi devo rivolgere?”
chiese la
felina, guardando negli occhi la mangusta.
Coral chiuse gli occhi e annuì soddisfatta, per poi
rivolgersi alla
sua amica e spiegarle: “Blaze sta cercando un'amica che
è stata
catturata. Io non so dove sia, ma forse tu puoi aiutarla.”
Mina, la quale non aveva lasciato la mano di Blaze, la mollò
d'improvviso e confermò, con un sorriso fiero:
“Sei dalla ragazza giusta! So tutto di tutti
qua
dentro!” esclamò orgogliosa.
Era incredibile per Blaze pensarlo, ma sì: Mina aveva un
enorme
senso dell'investigazione.
Era abile a scoprire segreti, capiva quello che succedeva solo grazie
alle emozione e alla sua bravura di leggere il linguaggio del corpo,
abilità che aveva sviluppato col tempo.
Per non parlare di quanto fosse chiacchierona e ficcanaso: le piaceva
parlare di tutto e di più quasi quanto la musica.
La sua passione era cantare, qualsiasi Mobiano lo sapeva. Non
riusciva a stare troppo staccata dal microfono, dai concerti e dal
pubblico.
Aveva una voce melodiosa, ma anche giovane e a volte aggressiva; per
questo tutti amavano la sua musica.
Inoltre amava l'avventura e il senso del brivido, quindi non ci
pensava due volte a mettersi in gioco.
Era difficile pensare che due ragazze così opposte come
Coral e Mina
fossero amiche ed andassero d'amore e d'accordo.
Beh, a dire la verità non sapevano l'esistenza una
dell'altra fino
al giorno in cui hanno suonato insieme per la prima volta, nel
commercio di schiavi.
Erano solo loro due, a suonare e cantare per compiacere le guardie.
L'istinto e l'abitudine di Mina di creare nuove amicizie e conoscere
nuova gente, e il bisogno di avere qualcuno accanto di Coral
portarono le due giovani musiciste a intrecciare le loro vite,
diventando sempre più intime e impegnandosi a stare l'una
accanto
all'altra.
Come erano riusciti a prendere Mina?
Il giorno in cui diventò prigioniera, lei aveva un concerto
a
Mesmtown, la più vicina grande città al porto che
noi tutti ormai
conosciamo, Salt Mère.
Il suo manager Ash era ammalato, quindi lo lasciò da solo in
albergo
per riposarsi.
Decise di fare un giro in macchina; vagò e vagò
finché non
raggiunse una piccola taverna nel mezzo del nulla che dava sul
mare...
Lei era al volante della sua bella macchina color prugna, le mani sul
volante nero picchiettavano nervosamente. Il suo sguardo si perdeva
un po' sulla strada mal asfaltata, e un po' a guardare il paesaggio
che le scorreva a fianco. Alla radio suonava Britney Spears, idolo
della giovane mangusta. Il finestrino era tirato giù a
¾ per far
passare l'aria fresca, per non avere la sensazione di soffocamento. I
dadi di peluche bianchi appesi allo specchietto e la testa di una
statuetta hawaiana situata sul cruscotto oscillavano al muoversi
dell'auto.
Dove sono finita? Si chiese Mina, con un tocco di
divertimento. Andare a cercare posti sconosciuti in culo al mondo le
piaceva, come adorava scoprire cose nuove.
A un certo punto, sul finire della strada, vide una taverna. La
giovane cantante si sentì la gola secca, e si
maledì per non aver
bevuto prima di uscire dall'hotel.
Mi fermo a bere un po'. Pensò Mina,
parcheggiando la
macchina accanto alla locanda.
Una volta fermatasi, tirò su completamente il finestrino,
tolse le
chiavi e uscì dalla portiera, chiudendo la macchina dietro
di sé.
A passi decisi si incamminò verso la taverna, e poi si
fermò
direttamente davanti ad essa, in posa con le gambe larghe e le mani
sui fianchi, per osservarla bene.
“La Vecchia Rosa” lesse
sull'insegna legnosa. Non era
nulla di ché, come aveva già visto prima, ma non
le importava
molto.
Magari all'interno è meglio.
Sperò a buon cuore.
In tasca aveva solo dieci dollari, tutto quello che aveva quel
giorno. Sperava solo che un sorso di birra non le sarebbe costato
molto.
Finalmente allungò la mano sulla maniglia, e aprì
la porta.
Dentro c'era un caldo, come in tutte le taverne dove gli avanzi di
galera fumavano e bevevano.
C'è chi giocava a freccette o a poker o a altri giochi di
carte.
L'atmosfera era caratterizzata da risate e chiacchiere rumorose.
Finché lei non spalancò la porta e si
mostrò in tutta la sua
bellezza e fierezza sulla soglia dell'entrata.
Tutti smisero di fare qualsiasi cosa stessero facendo prima e
l'osservarono stupiti: non c'erano molte ragazze che passavano di
lì,
e se c'erano erano intimorite a morte.
Mina si guardò in giro tranquillamente, analizzando la
situazione;
era ovvio che si era accorta del cambio di atmosfera.
Dopo pochi lunghi secondi, la ragazza decise che era meglio andare al
bancone a ordinare qualcosa.
Mentre camminava, poteva sentire tutti gli sguardi addosso a lei.
Si fermò solo quando fu davanti al barman, un grosso
omaccione che
in quel momento stava pulendo un bicchiere con uno straccio.
Dopo lunghi attimi passati a guardarsi negli occhi, il barman
parlò:
“Allora, cosa ti porto?”
“E' buona qui la birra?” disse in tutta risposta la
cantante,
estendendo un sorriso accattivante.
Il barman rimase stupito; di solito le ragazzine erano timide e tutto
quello che sapevano chiedere era una bottiglia d'acqua naturale.
Anche gli altri, che avevano sentito, rimasero piacevolmente stupiti,
finché non iniziarono a rompere il ghiaccio:
“Quella sì che è una vera
donna!” gridò uno allegro.
“Le porti la miglior birra!” rise un altro.
“Sì, gliela offro io!” si
offrì un altro ancora, prima che
tutti si accerchiassero intorno alla bella ragazza.
Per tutta la sera Mina bevette birra gentilmente offerta da alcuni di
loro, giocò a biliardo, lanciò freccette,
sfidò a poker e fece
delle piccole performance, alla quale tutti applaudirono.
Si sentiva la reginetta della locanda, e un po' lo era.
Finché guardò l'orologio attaccato al muro dietro
al banco.
Mezzanotte passata.
Decisamente tardi; non aveva lasciato neanche un biglietto ad Ash, e
lui si sarebbe certamente preoccupato. Senza pensare che si era
dimenticata il cellulare.
Dopo che si fu maledetta da sola per la sua enorme sbadataggine,
salutò calorosamente tutti quelli del bar, come se fossero
vecchi e
cari amici, e loro salutarono lei allo stesso modo, ritornando poi
alla loro serata.
Uscì, e l'aria gelida l'avvolse subito. L'impatto le
provocò
brividi su tutto il corpo e dalla bocca uscirono delle nuvole di
vapore.
Stringendosi e abbracciandosi da sola per tenersi caldo, si
avviò
verso la macchina.
Oscillava ad ogni passo, segno che era anche mezza ubriaca. Sapeva
che non sarebbe riuscita a guidare al buio e in quello stato, e
sapeva anche che sarebbe stato molto pericoloso.
“Perfetto, davvero perfetto!” borbottò
ironica e scocciata tra
sé e sé al pensiero che non se ne poteva andare
così facilmente
come era arrivata.
Sentì qualcuno, dietro a delle casse sul porto, che parlava
di
trasporto di qualcosa e altre robe che non riusciva a capire.
Magari mi possono aiutare pensò
rincuorata Magari mi
possono dare un passaggio.
Si diresse allora verso quella scura parte del porto, cercando di non
traballare troppo.
“Scusate!” chiamò, cercando di essere
più gentile possibile
“Scusate! Posso chiedervi una cosa?”
Ma in quel preciso momento non sentì più i
sussurri. Rimase diversi
secondi con le orecchie all'allerta, ma le voci sembravano non essere
più lì.
Magari se l'era solo immaginato, magari era solo un effetto
dell'alcol.
Stava per andarsene, quando fu colpita forte alla testa da dietro, e
poi tutto divenne nero.
“E quindi, cosa mi volevi chiedere?” chiese Mina,
mettendosi le
mani sui fianchi.
“Se sai dirmi dov'è una riccia rosa che si chiama
Amy Rose.”
La mangusta si scurì, portandosi una mano al mento con fare
pensieroso.
“Sì, purtroppo ho sentito che hanno scoperto
Amy...” disse
grave.
“La conoscevi?” chiese cauta Blaze, e i suoi
sospetti si
rivelarono veri.
La ragazza annuì “Sin da tenera età, a
dire il vero. Abbiamo
lottato molto insieme, siamo state in molte avventure... eravamo
molto amiche. Si è staccata molto da noi da quando
è diventata capo
della polizia investigativa. Non l'ho mai vista così
impegnata nel
suo lavoro. Mi aveva accennato che stava seguendo qualcosa di
grande... ma non pensavo...” si interruppe e
sospirò tristemente.
Blaze e Coral le diedero tutto il tempo per riprendersi. La gatta
pensava solo a quanto fosse fortunata d'aver trovato un'amica
d'infanzia di Amy,
“Sono qui perché anch'io ho saputo che l'avevano
beccata, e voglio
liberarla.” spiegò con un filo di voce, in modo
che solamente le
due ragazze la sentissero.
Forse non doveva dirlo. Magari stava sbagliando a fidarsi
così tanto
da rivelarle il suo piano.
Sperava solo di non pentirsi ora che due persone di troppo sapevano
delle sue intenzioni.
Non c'era niente di male se non avevano cattive intenzioni, ma se
erano qualcuno di diverso dalle ragazze che sembravano sarebbero
stati dolori.
Ma poi, a pensarci bene, se erano amiche di Amy e l'avevano
conosciuta, non dovevano essere brutte persone...no?
La sfortunata cantante annuì lentamente, e si riprese:
“Capisco, e
Dio ti benedica per la tua buona azione. Purtroppo sei in ritardo,
Amy è stata nel giro precedente!” disse la
creatura, che era
visibilmente preoccupata per la riccia rosa.
Diamine.
Blaze ci pensò su: forse non era troppo tardi.
“Mina?” chiese, per attirare l'attenzione della
giovane donna.
“Mh?”
“Tutte le ragazze vanno a New Mobius Big
City?”
“Sì.” rispose “Sei la prima
che è a conoscenza della nostra
meta, sai? Oltre a me intendo.”
Blaze ignorò la sua affermazione.
“Quindi anche Amy sarà lì.
Certo...” disse pensierosa, quasi
dimenticandosi delle due ragazze.
Poi alzò lo sguardo per incontrare i loro, e chiese
solennemente e
seria:
“Siete disposte a programmare un piano di
fuga?”
Le reazioni furono diverse: Mina saltò in aria esaltata,
recuperando
la felicità che aveva perso nell'argomento precedente.
“Ci puoi scommettere!” le urlò eccitata.
Anche a Coral piaceva l'idea di tagliare la corda da quel destino
che, se si fossero trattenute oltre, le avrebbe condannate tutte per
certo.
Comunque, aveva troppa paura: se il piano non avesse funzionato? Ci
avrebbero rimesso la vita tutte e tre.
Se qualcosa andava storto... il ricordo delle torture la fece
rabbrividire.
Lo sapeva che non aveva coraggio. Lo sapeva che non aveva fegato per
rischiare. Lo sapeva di essere solo un peso.
Si morse il labbro.
Il disagio delle creatura acquatica non passò inosservato a
Blaze,
la quale la stava guardando da quando aveva proposto l'offerta,
sapendo che sarebbe stata molto combattuta.
Vedendo la giovane ragazza indecisa non proferire parola, la gatta le
sussurrò:
“Capisco se non ti fidi di noi...capisco se non ti
fidi di me.”
Coral si stupì da quanto la voce fosse calma e bassa, e
rimase
impressionata dall'autorità e dalla maturità che
emanava.
Perché non si fidava di lei? Aveva detto di vederla come una
salvezza, cos'è che non andava?
Mina? No, anche di lei si fidava.
Poi realizzò: non era di loro che non si
fidava, ma di sé
stessa.
Aveva paura di non essere capace nella sua parte di piano, aveva
paura di sbagliare qualcosa.
Aveva paura di essere troppo debole per qualsiasi proposta di fuga,
troppo debole per fare la sua parte.
Sarebbe stata solo d'intralcio, se lo sentiva. Loro ce la potevano
fare anche da sole.
Voleva aprir bocca per dirle quello che pensava, ma non
riuscì a
farlo.
Si sentiva anche lo sguardo preoccupato di Mina addosso.
Ci pensò sù e capì cosa la tratteneva
dalla sua confessione: non
era certa di essere così debole come pensava.
Anzi, quell'avventura le aveva fatto prendere un po' di
aggressività
nelle decisioni: non voleva guadagnarsi una vita così
schifosa.
Qualcosa scattò in lei: voleva provare, voleva rischiare.
“No.” disse decisa, e più dura di come
voleva far uscire. Le due
ragazze la guardarono sbalordite, soprattutto Mina, la quale non si
sarebbe mai aspettata un simile tono dalla sua mite amica.
Blaze stava all'erta di nuove reazioni.
Dopo brevi secondi di silenzio, Coral riprese con la stessa sfumatura
di voce:
“Voglio fare un piano per uscire da qui. Voglio andarmene con
voi.”
e aggiunse, più seria che mai;
“Sono pronta a rischiare.”
La determinazione aleggiava sul suo volto.
Blaze era contenta di sentire quelle parole, era contenta che
finalmente la giovane musicista si vedesse per quello che era: una
coraggiosa, sebbene prudente, determinata donna.
Anche Mina la guardava felice, una volta passata la sorpresa.
“Meglio così.” le disse
“Altrimenti ti avrei costretto
trascinandoti dietro di me.”
Coral la guardò spaesata.
“Non ti avrei mai lasciato qui.” le
spiegò con tono dolce.
“Nemmeno io.” aggiunse la regina gatto.
Coral le guardò con un sorriso che esprimeva solo l'enorme
gratitudine che aveva nei loro confronti.
Era grata di averle conosciute, era grata che fossero sue amiche, era
grata a loro per la loro amicizia e disponibilità. Se doveva
essere
sincera, se qual giorno se ne fosse stata vicino a casa non le
avrebbe mai incontrate. Probabilmente non avrebbe mai saputo della
loro esistenza.
Non voleva ammetterlo ma... probabilmente ringraziava di essere
finita in quella pericolosa avventura.
“Quidi Blaze... cos'hai in mente?” disse Mina
rivolta alla
giovane gatta, con un sorriso raggiante.
“Ve ne parlerò sul treno... che vagone
siete?” chiese la micia.
La mangusta sorrise maliziosa; “Sei fortunata, sono nel tuo
stesso
vagone!”
Blaze rimase perplessa: “Davvero? Non...t'aveva
vista.”
“Ma io sì, fidati. Numero 2, giusto?”
“Giusto.”
“Purtroppo” s'intromise Coral “io sono
nel numero 3.”
“Non preoccuparti cara, io e Blaze troveremo un modo per
contattarti e parlare.” la rassicurò Mina.
Era ora. Blaze e le altre si alzarono dall'acqua.
Si era alzato un venticello che faceva venire i brividi alle ragazze
ancora bagnate.
Blaze si avvicinò all'albero con i suoi vestiti.
Dopo essersi messa l'intimo, allungò la mano per prendere il
vestito
che aveva lasciato su uno dei rami, ma questo volò via a
causa del
vento, finendo nel bosco lì vicino.
Cazzo!
E non le rimase niente da fare se non andarlo a riprendere.
Si guardò una attimo in giro e poi si diede all'inseguimento.
Shadow era lì, tutto bello e tranquillo con gli occhi chiusi
e le
braccia incrociate, impegnato a concentrarsi sul silenzio della
natura.
Sentiva il vento che gli passava tra le spine, il profumo delle
foglie gialle e rosse, il canto degli uccelli.
Era un posto che lo calmava, a differenza del rumoroso treno con i
suoi chiassosi compagni.
Si fece un'immediata nota mentale dicendosi di ritornare in quel
posto.
Poi, si destò dai suoi pensieri; qualcosa gli era volato in
faccia,
coprendola tutta.
Notò subito che era sottile e leggero, e che puzzava un po'
di legno
e altri odori che non riconosceva.
Allarmato, aprì gli occhi e afferrò l'oggetto,
portandolo poi a
distanza di sicurezza per osservarlo meglio: un vestito.
Non uno qualsiasi: era il vestito marrone di una prigioniera.
E questo da dove viene? Pensò Shadow,
guardando da dove
proveniva quel vestito scarso.
Quello straccio gli era appena arrivato in faccia dal nulla, vi
immaginate la reazione di Shadow?
Beh, ne fu seriamente confuso, e iniziò a incamminarsi per
il
sentiero.
Cavolo, dov'è finito?! Pensò
Blaze, mentre si addentrava
nel bosco.
All'inizio era solo un po' scocciata, ma ora che seriamente non
riusciva più a trovarlo, era diventata frustrata, ed era
sulla buona
strada per diventare isterica.
Inoltre sapeva che il marrone del vestito si mimetizza perfettamente
con il sottosuolo del bosco.
Mai una che vada per il verso giusto, MAI UNA CHE VADA PER IL
VERSO GIUSTO!
Non poteva permettersi di far tardi, ma ovviamente la vita è
difficile e si sogna di semplificarsi.
Quindi correva per il sentiero, sperando con tutto il cuore che
nessuno la vedesse.
Purtroppo, e allo stesso tempo fortunatamente, le parve davanti
Shadow, che la guardò sorpreso, mentre in una mano aveva il
suo
vestito.
I loro sguardi si incontrarono e per un secondo ci fu silenzio.
Poi lei cacciò un urlo strozzato e cercando di coprirsi
contemporaneamente, mentre lui si voltò dall'altra parte per
non
vederla chiudendo anche gli occhi, e porgendole nello stesso tempo il
vestito.
Con estrema velocità, la gatta lilla gli strappò
di mano il vestito
e andò a nascondersi dietro ad un albero.
“Dio mio, Blaze!” le urlò Shadow rosso
in faccia, e anche un po'
disturbato “Dovevi dirmelo che era praticamente nuda! Almeno
mi
giravo in tempo!”
Lei si era infilata il vestito addosso, e premeva la schiena contro
l'albero, lasciandosi poi scivolare fino a terra.
Anche Shadow si era seduto alla stessa maniera, ma dal lato opposto
dell'albero, per dare tutto il suo spazio all'amica.
Il riccio nero non parlò per un bel po', aspettando che lei
gli
dicesse qualcosa. Ma lei non aprì bocca. L'ex agente non
sapeva cosa
le stesse passando per la testa... forse aveva ancora vergogna per
prima? Forse era imbarazzata?
Sta di fatto che, stranamente, fu lui a rompere il ghiaccio ed a
iniziare un discorso:
“Come ci è finito il tuo vestito nel
bosco?”
“Scherzi del vento.” sbuffò la gatta
dall'altra parte del
tronco.
Shadow si concentrò sul delizioso vento che soffiava tra le
foglie
autunnali...
“Il vento...” sussurrò lui, guardando i
rami muoversi.
Poi si riprese dalla calma che il bosco gli dava e con un sorriso
malizioso continuò:
“Ti sei fatta fregare da un po' di vento?” chiese
divertito.
Poteva sentire la micia dall'altra parte sbuffare stizzita.
“Il vestito era su un ramo e non ho fatto in tempo a
raggiungerlo.”
spiegò lei alla buona, senza trattenere una nota
d'irritabilità.
“Capito... non abbastanza alta, vostra altezza?”
disse malizioso, e allo stesso tempo divertito, una cosa ben strana
per lui.
Blaze non ci impiegò niente a capire la scadente battuta del
riccio,
fatta solo per stuzzicarla.
“Come osi!” gli urlò
indignata la felina.
Shadow ridacchiò. Eh, sì: gli piaceva proprio
punzecchiare la
giovane donna.
“Mi spiace,” disse ridendo pacato “ma
dovevo proprio dirla!”
“Sono stata più bassa!” si difese lei,
incrociando le braccia
offesa.
“A quel tempo avevi i poteri.”
“A quel tempo non avevi un così scarso senso
dell'umorismo.”
ribatté lei con un mezzo sorriso.
“Ahia, questa brucia!”
rimarcò il riccio nero, aspettando
la reazione della micia, anche lui con un mezzo sorriso.
“Questo è troppo!” rispose lei
fintamente offesa, ma con un
tocco di divertimento. Poi non disse più nulla per un po'.
“Shadow?”
“Mh?”
“Ti ricordi quando sei stato talmente stronzo da non volermi
aiutare anche se me la dovevi?” ridacchiò lei.
Lui sorrise a quei ricordi di dieci anni prima; certo che se lo
ricordava, lei era stata molto generosa a ripescarlo in mare dopo che
Metal Sonic aveva deciso di ignorare i suoi tentativi di pace. Lei
poi l'aveva aiutato a sconfiggere il robot e infine gli diede un
Chaos Emerald per tornare nella sua dimensione.
Lui, la prima volta che la rivide, le negò la tranquilla via
per
l'unico oggetto di cui lei aveva assoluto bisogno: il Sol Emerald.
Senza quello, il suo mondo sarebbe finito nel giro di poco, mentre
Mobius sarebbe continuata a vivere comunque.
Tuttavia, gli ordini erano ordini, e Shadow era molto pignolo su
questo.
E' qui che entra in gioco il Team Rose, composto da Amy Rose e Cream
the Rabbit.
Loro aiutarono la quattordicenne principessa a recuperare la preziosa
gemma combattendo valorosamente e con passione.
Questo loro gesto le rimase nel cuore per sempre.
Blaze si sentiva come se non avesse mai potuto ringraziarle
abbastanza, era in debito con loro, con Amy; era per questo che si
era imposta da sola l'obbligo di aiutarla quando ne aveva bisogno, in
questo caso salvarla.
Shadow tentò di scusarsi con lei, ma il tentativo
fallì
miseramente...
Blaze sfrecciò sul suolo della foresta.
Shadow corse fino a raggiungerla e si mise al suo fianco.
“Blaze. Voglio scusarmi.”
iniziò dolcemente “Lo so che il
tuo mondo ha bisogno dei Sol Emeralds...”
Blaze interruppe:
“Gli oceani evaporeranno, le isole sprofonderanno e
il cielo
cadrà.” gli disse stizzita, spiegandogli la
terribile situazione
del suo mondo.
“...e ammetto che non lo sapevo.” disse
lui, cominciando a
sentire forte il dispiacere di quello che stava facendo.
“Ma la mia missione e il mio mondo vengono prima. Ti
dovrò
combattere senza pentimenti.” disse, per nulla felice di
quello che
aveva appena pronunciato, che era purtroppo tutto vero.
Blaze non si trattenne più dalla rabbia:
“Allora perché
stai cercando così tanto di scusarti?” e
scattò via da lui,
lasciandolo indietro mortificato come non mai.
Eppure, alla fine di tutto quel casino... lui le lasciò
prendere la
gemma.
Persuase Rouge, con l'aiuto di Omega, a lasciarle il Sol Emerald, in
quanto la G.U.N. le doveva un Chaos Emerald.
Blaze sapeva che non era Sonic, ma comunque sapeva avere un cuore
d'oro...
“Le cose non sono più come prima, non è
così?” disse a un
certo punto la gatta, anche se sapeva già la risposta.
“Già.”
La sua voce si ammorbidì:
“Cos'è cambiato, Shadow?” gli chiese.
“Tutto è cambiato. Tutto cambia sempre,
è quasi normale.” le
rispose calmo, anche se si intuiva che questi erano argomenti
dolorosi per lui.
“Perché?” chiese ancora, non soddisfatta
della risposta del
riccio nero.
“Tutto cambia perché è la vita,
Blaze-”
“Lo sai che non intendevo questo.” lo interruppe
bruscamente, con
una nota di rimprovero.
“Cos'è successo? Cosa ti ha fato
cambiare?”
Shadow non rispose. Lei non lo sentiva emettere alcun suono, nemmeno
respirare.
Era come se fosse morto, o semplicemente svanito.
Restarono così a lungo in completo silenzio che Blaze si
chiese se
fosse proprio sparito.
“Shadow?” chiamò.
“Tu dovresti ritornare indietro.” disse lui
alzandosi
velocemente, azione che anche lei fece allarmata. La sua voce non era
fredda e nemmeno spazientita, anzi; sembrava averlo detto con
nonchalance.
I loro sguardi si rincontrarono di nuovo e lui le porse la mano:
“Vieni, torniamo al treno.”
Esitante, lei accettò la mano del riccio, la quale strinse
forte
attorno a quella della gatta lilla.
In silenzio, mano nella mano, i due tornarono alla locomotiva di
legno.
N.A: Ehilà!
Rieccomi qui in un altro capitolo! Se quelli precedenti erano corti,
consolatevi che questo è chilometrico!
Comunque, volevo fare
queste note d'autore perché nell'ultima parte, in cui Blaze
e Shadow parlano dei fatti avvenuti dieci anni prima, ho come dato per
scontato che voi abbiate letto il fumetto, ma visto che sono sicura che
la maggior parte di voi si è persa quelle perle di capitoli,
ve li riassumerò qua sotto.
Sonic Universe #1 e
#21-25 ( o giù di lì)
Nell' #1 si vede Shadow e
Metal Sonic che si sono teletrasportati nel bel mezzo dell'Oceano e
fluttuano su esso. Shadow tenta di far ragionare il robot e di farlo
ribellare contro il dottor Eggman, ma fallisce nel suo intento e viene
buttato in acqua. MS se ne va, e per fortuna di Shadow, Blaze e Marine
lo ripescano sulla loro nave.
Dopo aver fatto le
presentazioni, Blaze gli spiega come mai conosce Sonic
(salterò il racconto perchè è inutile
spiegarvelo).
Arrivano al porto per
trovare MS che attacca il popolo di Blaze. La principessa attacca il
robot, e anche Marine e Shadow ci provano, ma falliscono.
Shadow tenta di nuovo di
parlargli, ma il robot non ne vuole sapere.
Quindi, il riccio e la
gatta lo prendono alla sprovvista, lanciandolo lontano, dove Marine
è pronta a tirargli una palla di cannone, distruggendolo.
Shadow però
non è affatto contento, perchè MS era la sola via
per tornare nella sua dimensione.
Così, Blaze
gli offre un Chaos Emerald che ha trovato durante le sue ricerche.
Lui la ringrazia e si
teletrasporta alla base della G.U.N.
Nel #21 (penso) Amy e
Cream fanno conoscenza di Blaze, e all'inizio la combattono poi
decidono di aiutarla quando si accorgono che è un'amica di
Sonic. Anche Rouge si offre di aiutarle, facendo però lo
sbaglio di chiamare Blaze "principessa", insospettendo la gatta.
Trovato il Sol Emerald,
Rouge le tradisce e fa per andarsene, ma le tre ragazze la bloccano.
Entrano quindi in scena
Shadow e Omega per aiutare la loro collega.
Blaze riconosce Shadow, e
gli dice: "Shadow, è così che ripaghi la mia
generosità? Lo sai quanto il mio mondo abbia bisogno dei Sol
Emerald!"
Lui sembra pensarci un
po' su, visibilmente in colpa, ma poi ritorna freddo come il ghiaccio e
le risponde in una maniera leggermente stronza: "That was then, this is
now (Quel che è stato è stato, quel che
è adesso è adesso(circa))." (#thuglife)
Quindi alle ragazze non
rimane altro che combattere.
Il Sol Emerald passa in
varie mani, finchè dopo qualche passaggio Cheese lo prende e
vola via (mettendolo
nel culo al Team Dark coff
coff).
Blaze, Amy e Cream vanno
a raggiungere Cheese, che è caduto in mano del Team
Hooligane (penso si scrivi così).
Prima che potessero fare
qualcosa, le tre ragazze vengono raggiunte dal Team Dark e messe KO.
Nel frattempo Bean, Bark e
quello-con-la-passione-spinta-per-la-sua-stessa-moto fuggono.
Cream racconta che
loro non l'hanno più, e Amy - che si è ripresa-
descrive i tipi e Rouge li riconosce.
Blaze è
ovviamente incazzata, e Shadow è l'unico che cerca di
calmarla e le dice che stava cercando di aiutarla.
Amy chiama l'attenzione
di tutti e decide insieme a Rouge di fare squadra per un po'.
Sono in marcia, quando a
un certo punto Blaze sfreccia davanti a tutti, e Shadow la segue.
Qui avviene quel dialogo
che avevo messo nella storia.
Nel frattempo, i tre
hanno altri problemi: anche il Team Babylon Rouge è dietro
al Sol Emerald, e causano un'esplosione e il Sol Emerald riceve una
brutta botta.
Blaze, la quale
è strettamente legata ai Sol Emerald, si sente male e si
ferma un attimo. Preoccupati, Shadow e Amy vanno a soccorrerla, ma lei
dice che va tutto bene, quindi Amy ordina a Shadow di portare Blaze e
quindi lui se la ritrova in braccio stile sposa (naturalmente si
guardano imbarazzati, e vi giuro QUELLA SCENA ESISTE! E' anche lo
sfondo del mio cellulare perchè sono troppo belli! <3
)
I quattro gruppi si
ritrovano e lottano tra loro. Alla fine prevalgono il Team Dark e il
Team Rose.
Rouge è pronta
a ingaggiare un'altra lotta contro le ragazze, ma Shadow la blocca,
dicendo che la G.U.N. deve un Chaos Emerald a Blaze, e che è
più importante ila salvezza di un intero mondo.
Si salutano e i tre
agenti se ne vanno, lasciando le tre ragazze a darsi i saluti, poi
Blaze sparisce tra le fiamme verso la sua dimensione.
E sì, questa
è la storia! (non avrei mai immaginato di
dover fare tutto il cazzo di epilogo).
Ultima
cosa: non mettete nel dimenticatoio Annie e Angel, soprattutto Annie.
Ritornerà presto.
(Sinceramente
non volevo dare a un OC un così importante ruolo.... a dire
la verità non è così importante ma
è più importante di quello che mi aspettavo.)
|
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Capitolo 14 *** Cap XIV Vicini alla propria meta ***
Rouge tornò al treno tutta soddisfatta; aveva un sorriso
contento
che nessuno sapeva spiegarsi.
La verità era che finalmente era riuscita a vedere Blaze,
anche se
da lontano.
Non voleva che la gatta la vedesse, ma allo stesso tempo voleva
spiarla da vicino.
L'occasione arrivò durante quei venti minuti di bagno.
Anche la pipistrella era stata mandata a lavarsi, e lì la
vide.
Nell'acqua Rouge chiacchierava con le altre, per non destare
sospetti, e allo stesso tempo sorvegliava la giovane gatta.
Era proprio come l'aveva descritta Shadow: bella ed elegante.
Era senza dubbio una persona riservata, come Rouge se la ricordava, e
con un alone di mistero.
L'ex spia della G.U.N. non mancò a guardarla anche con
sospetto;
diffidava di una persona così calma e calcolatrice, sapendo
che al
momento giusto sarebbe esplosa come una mina.
Non credeva davvero che i suoi poteri se ne fossero andati via
così,
soprattutto se erano naturali come quelli della gatta.
Shadow non sapeva che pensare, sembrava quasi crederle, e nonostante
Rouge si stupisse dell'ingenuità dell'amico, lei non diceva
niente.
Se ne stava zitta e lo fissava mentre lui argomentava e parlava...
Sinceramente, non pensava che Blaze fosse una spia... ma
perché era
lì?
Rouge non pensava che avesse una motivo... Rouge sapeva
che
aveva un motivo:
Amy Rose catturata e poi poco dopo Blaze nello stesso commercio di
schiavi? Era ovvio che era tutto collegato. Quella guardiana non si
sarebbe schiodata dal suo prezioso mondo se non si fosse trattato di
qualcosa di grave.
In quanto a Amy... eh, che ci voleva fare?
Sospirò pesantemente al pensiero della riccia rosa.
Quella ragazza si cacciava nei guai sin dalla tenera età, e
ha
continuato fino a quel momento.
Aveva saputo di lei da Shadow, il quale le aveva raccontato del
fascicolo che aveva visto.
Investigatrice? Sì, era un lavoro che le stava bene, dopo
tutto.
Rouge ignorava quanto fosse maturata nel corso degli anni, non aveva
mai avuto occasione di vederla o di parlarci assieme ancora.
Se la ricordava come un'iperattiva riccia dodicenne rosa confetto che
continuava a parlare, gridare, sognare ad occhi aperti un
fidanzamento tra lei e Sonic che non esisteva, e blaterando
sciocchezze con il suo sgradevole, acuto e quasi infantile tono di
voce. Doveva essere molto cambiata se era diventata capo della
polizia investigativa.
Che altro poteva dire di lei? La ricordava una bambina: occhi verdi,
grandi e tondi che si guardavano in giro curiosi, un ciuffo sparato
sulla fronte e una pratico caschetto da maschiaccio;
aveva un cerchietto rosso sulla testa che non serviva a niente e
indossava un largo vestito rosso coi bordi bianchi, non molto lungo,
ma abbastanza da coprire le mutande bianche della nonna.
Non voleva ammetterlo, ma era preoccupata per lei: anche se fosse
rimasta un'annoiante creatura, non si meritava quella fine. Certo,
avrebbe dovuto sapere che non sarebbe stato facile.
Il peggio era che la sua posizione e il suo stato fisico e mentale
erano più misteriosi del triangolo delle bermuda: nessuno
sapeva
dove fosse, come stesse, se era viva o morta.
Era come se a un certo punto fosse scomparsa nel nulla, dato che
tutti sapevano solo che era salita sul treno e stop.
Oh, tesoro. Pensava triste, mentre camminava e
scuoteva la
testa sconsolata Perché non sei rimasta a
raccogliere
fiori...?
Blaze guardò Shadow che saliva sul vagone con
facilità, per poi
voltarsi verso di lei e porgerle entrambi i palmi, invitandola
silenziosamente a prendergli le mani, per aiutarla a salire.
Nonostante Blaze non fosse tipa da accettare aiuto –
soprattutto
quando non ne aveva assolutamente bisogno – la gatta lo
guardò e,
reclutante, accettò le mani.
Il riccio strinse forte attorno alla presa della gatta, come se
volesse assicurarsi di non lasciarla, e la tirò su senza
troppa
fatica.
Blaze mormorò un 'grazie', ma per il resto c'era troppo
silenzio. Il
tutto non sembrava nemmeno così naturale.
Una volta tirata a bordo, Shadow non riuscì a non guardare
gli occhi
della giovane gatta; dorati, che bruciano come il più fiero
inferno.
Erano quasi ipnotici.
Distolse lo sguardo, sapendo che non poteva perdere altro tempo in
quel modo, e che doveva portare le chiappe a lavoro.
Ad un tratto Blaze si ricordò... doveva chiederlo...
“Devi tornare nel tuo vagone, se ti chiedono qualcosa di' che
eri
con me.” disse, già voltato di spalle, e iniziando
ad andarsene
via.
“Aspetta!” lo chiamò Blaze,
inseguendolo. Lo raggiunse e gli
mise una mano sulla spalla in modo che si fermasse.
“Che c'è?” chiese lui, voltandosi a
guardarla.
All'inizio la micia lilla avrebbe voluto girarci un po' attorno, ma
non vedendo come fare e trovando l'approccio diretto più al
caso
loro, dato che nessuno dei due aveva tempo da perdere, disse:
“Cosa sai della protezione, qua dentro?” chiese
seria,
guardandolo dritto in faccia.
Shadow non rispose subito, sembrava stupito che lei sapesse di quel
particolare.
Le sue iridi le scrutarono il viso, cercando qualcosa da dirle... o
le parole giuste per dirle qualcosa.
“Mph!” grugnì alla fine “Se te
lo stai chiedendo: sì,
ti ho messa sotto la mia protezione.” ammise, prima di
riprendere a
camminare, via da lei. Sentiva un leggero imbarazzo a dirglielo
così
in faccia alla gatta, proprio alla diretta interessata.
Ma dopotutto, lei aveva il diritto di saperlo.
Blaze gli fu subito dietro.
“Perché l'hai fatto?” gli chiese
leggermente stupita “Lo sai
che me la so cavare da sola!”
“Certamente.” rispose lui con un pizzico di
sarcasmo.
“...ma preferisco esserne sicuro. E comunque, di che ti
lamenti?
Avrai un problema in meno.” riprese, tornando serio e sincero.
Blaze sospirò pesantemente.
“Non ti capisco. Si può sapere perché
cerchi sempre di
proteggermi? Non ne ho bisogno-”
“Oh, forse hai ragione!”
tagliò corto lui, iniziando a
perdere la pazienza e alzando troppo la voce.
“Forse non ne avrai bisogno, ma sai che
ti dico? Tu non la
vuoi perché ti fa sentire debole. Non
funziona così, cazzo!
Tu accetterai quello che decido e farai quello che ti dico e QUESTO
E' QUANTO!” urlò.
Blaze non disse niente: rimase immobile a guardare il suo amico che
pian piano sbolliva la rabbia, senza battere ciglio.
Shadow realizzò lentamente ciò che aveva appena
fatto, e si rese
conto che era stato troppo duro.
Avrebbe voluto dire qualsiasi cosa pur di scusarsi, ma semplicemente
non gli uscì niente dalla bocca.
A un certo puntò sentì uno strano rumore, come
una... risata. Alzò
lo sguardo e vide, con stupore, che Blaze stava ridacchiando
sottovoce, poi quella risata divenne sempre più forte, quasi
maniacale.
Shadow la guardò allibito. Semplicemente non capiva.
“Oh, Shadow” disse lei ridacchiando cattiva
“Nessuno ha mai
osato impormi quello che dovevo fare, e mai accetterò ordini
da
nessuno, nemmeno da te.” gli
spiegò, tornando calma poco a
poco.
Lui continuava a guardarla scioccato.
“E' per questo che ridevi?”
“Facciamo così” disse Blaze, ignorando
la domanda del riccio
nero “Io sarò disposta ad accettare la tua
protezione e a
rispettare quello che fai e che farai, ma non provare nemmeno ad
approfittartene!” e detto questo, gli diede le spalle e
uscì a
testa alta dalla stanza, con passo sicuro.
Shadow osservò mentre se ne andava, guardandole la coda che
oscillava da lato a lato.
La sua reazione l'aveva lasciato di sasso, e nonostante sembrava che
Blaze non se la fosse presa, Shadow pensava comunque di essere stato
troppo duro.
“Blaze...” la chiamò, sperando che si
fermasse e si girasse
verso di lui, per guadarlo.
Invece lei uscì senza degnarlo di uno sguardo.
Ora lui era solo. Forse l'aveva ferita. Forse aveva colpito sotto
quel grande scudo che Blaze aveva eretto per proteggersi. Forse aveva
ferito quello che c'era sotto la sua maschera, la stessa copertura
che aveva creato e che serviva per non mostrare le sue emozioni, per
sembrare forte.
Debole. Termine che faceva sicuramente un brutto
effetto su
una tipa fiera come Blaze.
Shadow poteva immaginarlo: una parole del genere diretta a lui
avrebbe sicuramente fatto scattare qualcosa in lui. Rabbia. Nessuno
poteva definirlo debole, perché lui non voleva esserlo e non
voleva
essere ritenuto tale.
Blaze, in questo punto di vista, era molto simile a lui, e quindi
–
quasi sicuramente- anche lei stava provando rabbia, che aveva coperto
in quel modo quasi bizzarro.
Magari era ancora arrabbiata, e se ne era andata per non esplodere.
Magari era lì in corridoio che stava fumando fuori di
sé.
Poi Shadow si accorse di una cosa, che lo colpì come un
fulmine:
l'ha fatto per dimostrare che era forte.
Gli aveva detto quelle cose per dimostrargli che sapeva tenere la
situazione sotto controllo, che sapeva farsi valere e che comunque
comandava lei.
Sorrise.
Ok. Come vuoi.
Blaze ritornò nel suo vagone.
Aprì la porta per entrare e vide tutte le ragazze
già dentro e
sedute.
Si guardò velocemente in giro finché vide Mina,
seduta anche lei
che guardava in giro sorridente e paziente. Blaze si accostò
a lei e
poi si sedette in parte.
“Blaze, eccoti!” esclamò la mangusta
“Dov'eri finita?”
“Ho avuto dei problemi.” rispose la giovane gatta
sbuffando. Non
le aveva detto una bugia, in parte era vero.
“Oh.”
“Nulla di grave.” si affrettò ad
aggiungere la gatta, non dando
nemmeno il tempo all'amica di iniziare a preoccuparsi.
“All'ora...questo piano?” chiese la giovane
cantante, la quale
iniziava ad eccitarsi al solo pensiero.
“A dire la verità” ammise la gatta,
senza vergognarsi troppo
“Non ho ancora un piano preciso. Non ho elementi per farlo.
Per
questo il tuo aiuto mi può essere prezioso.”
La ragazza annuì in silenzio.
“Capisco. Cosa vuoi sapere?”
“Prima di tutto...ci sono uscite di emergenza su questo
treno?”
“Mmh...oltre a quelle normali, solo una, in fondo all'ultima
stanza. Ma non ti consiglio di usarla...”
Blaze annuì grave, consapevole di quello che intendeva:
sapeva che
stanza era, quella delle torture.
“In secondo luogo, sei mai stata a NBMC?” riprese
Blaze.
Mina rise moderatamente: “Non sapevo nemmeno che esistesse. A
dire
il vero, nessuna prigioniera qui l'ha mai sentita.”
Blaze aveva una faccia scocciata: “Stai dicendo che nessuno
ha mai
sentito parlare di una città del genere?! Come?!”
“Eh eh, già, è proprio una
città fantasma.” ridacchiò Mina
“Potrebbe diventare leggendaria, come El Dorado, oppure
Atlantide,
la fantomatica città inghiottita dalle acque. A
proposito...”
aggiunse pensierosa “...dovrei chiedere a Coral se esiste
davvero.”
concluse con un sorriso.
“Ma ci sarà sicuramente una stazione?!”
esclamò la gatta lilla,
più a sé stessa che alla sua amica.
Mina ci pensò su: “Sì...le guardie
parlavano di una stazione...
quindi suppongo che ci sia.”
Blaze iniziò a pensare a qualcosa.
“Bene” disse solo.
Per un po' pensò a cosa si poteva fare, il suo sguardo
rimaneva
fisso e concentrato al suolo.
Mina la osservava in silenzio, chiedendosi cosa si stava ingegnando.
Dopo interminabili minuti di silenzio, la gatta alzò lo
sguardo e
guardò la sua amica:
“Penso di avere un'idea, vuoi sentirla?”
“Potrebbe funzionare!” disse alla fine Mina, dopo
aver ascoltato
attentamente quello che la micia le aveva proposto.
“Ora non ci resta che parlarne con Coral.” aggiunse
la giovane
cantante.
La gatta annuì pensierosa.
C'era ancora un sacco di tempo da passare sul treno, quindi
iniziò a
fare domande sui suoi amici.
Mina rispose a tutto:
le raccontò che Sonic si era sposato con Sally Acorn,
principessa
nonché futura regina di Mobius, e gli erano appena arrivati
due
gemellini, Manic e Sonia, e si diceva che erano già peperini.
Per quanto si sforzasse, Blaze faceva davvero fatica a immaginare il
suo amico blu come un re; lui era più un eroe, uno spirito
libero,
un avventuriero, e allo stesso tempo le venne in mente una cosa
spaventosa...
cosa ha pensato Amy dei due sposini? Come aveva reagito?
La gatta non resistette e chiese alla sua amica come Amy l'avesse
presa.
Lei, con un sospiro visibilmente triste, le rispose: “Non
molto
bene. Amy era ancora molto innamorata di Sonic, anche se aveva capito
che non ricambiava. Ma ha sempre voluto bene a entrambi, e diceva che
se erano felici così, era felice anche lei. Per questo al
loro
matrimonio ha fatto buona faccia a cattivo gioco. Io c'ero
perché ho
cantato alla loro cerimonia, e Amy se ne è andata prima che
finisse.”
Blaze annuì, assorbendo tutte le parole che uscivano dalla
bocca di
Mina.
Certo, doveva essere assolutamente doloroso vedere l'uomo della
propria vita sposare qualcun altro. La micia si sentiva male per Amy,
quindi smise di chiedere riguardo Sonic.
Per carità, lui aveva una vita, una famiglia e una buona
reputazione
e Blaze era assolutamente felice per lui, ma come poteva fare una
cosa del genere proprio a Amy?
Sospirò tristemente quando si rispose da sola; non si poteva
costringere nessuno ad amare.
In questo caso, si può dire che non si poteva costringere
Sonic a
ricambiare. E l'argomento Sonic/Amy era finito.
Knuckles si era sposato con una certa Julie-su, dalla quale aveva una
figlia già grandicella, Lara-su.
Onestamente, Blaze non conosceva bene Knuckles, ne aveva sentito
parlare da Sonic e l'aveva visto solo una volta quando lei era
piombata nel mondo del riccio blu in cerca dei Sol Emerald.
E quanto riguarda Tails...
“E' il mio amore” gioì Mina, ma con una
nota di tristezza
sapendo che lui adesso era lontano.
“Dovevamo sposarci a breve, ma poi è successo
questo...” disse,
abbassando lo sguardo e con le lacrime agli occhi. Poi prese
coraggio, e guardò Blaze dritta negli occhi.
“Ma per fortuna,” disse sorridendo di nuovo,
cercando di mandare
via le lacrime “se questo piano va a buon fine,
potrò tornare da
lui.”
Blaterò ancora per un po' sul fatto che anche dei certi
Bunnie e
Antoine si erano sposati ed avevano avuto due splendidi figli, prima
una bella bambina di nome Belle, poi un maschietto di nome Jacques.
Non sapendo chi siano, Blaze preferì tenere la bocca chiusa
ed
annuire come se avesse capito. O come se le fregasse qualcosa.
Così passarono alcune ore, raccontandosi a vicenda da dove
venivano,
della vita passata, dei progetti futuri, degli amici in comune...
Blaze, a un certo punto, non sapeva più che dire, ma aveva
ancora
tanto tempo davanti a sé.
Soprattutto, la micia si voleva distrarre dalla persistente figura
del riccio nero, Shadow, che sorvegliava il vagone, soprattutto lei.
Shadow era il guastafeste nel suo piano, ma se aveva fatto i calcoli
giusti sarebbe riuscita ad aggirarlo.
Per distrarsi da lui, emise un argomento a caso, che le venne
guardando la sua amica.
“Che bei capelli che hai.” le disse, ammirandole la
folta chioma
viola.
“Grazie!” cinguettò Mina, passandosi una
mano tra i capelli “Ma
ti confesso che li vorrei tagliare.”
“Davvero? Perché?” chiese dubbiosa
l'amica.
“Vorrei provare con un'acconciatura corta. Mi piacerebbero a
caschetto...”
N.A:
Salve gente! E' da un po' che non mi faccio sentire. Lo so, sono in
ritardo di due settimane.
Prima
che mi dite cosa cazzo sta succedendo con Sonic e gli altri, lasciate
che vi spieghi:
C'è
un fumetto, chiamato "Sonic 30 anni dopo" (il titolo l'ho tradotto in
italiano) in cui le coppie... erano quelle. Già. Solo che in
questa ff sono solo dieci gli anni.
Ora,
un po' di punti:
1)
Lo so che penserete: "oh cazzo, ancora riferimenti ai fumetti!" "Ma chi
li legge?" "Ma sei fissata solo con i fumetti?!?" "Non sono canon."
"Non c'entrano a nulla con i giochi. Ah, e Shadow e Blaze non si sono
mai incontr-"
ZITTI
PORCO SCHIFO! Sì, questa ff sarà soprattutto sui
fumetti, in cui le coppie saranno quelle.
2)
A proposito delle coppie, sappiate che anche io ho qualcosa da ridire.
Se non fosse che sono canon in quel fumetto, non le avrei mai messe.
Sonally
è sempre stata canon nei fumetti, e li accetto senza
problemi.
Knuckles
e Julie-su: anche loro sono stati una coppia canon, ma giuro che amo
solo la Knuckouge (Knuckles x Rouge). Non me ne è mai
fregato un cazzo di Julie-su, ma la va così stavolta.
(sappiate che nelle prossime fanfic Rouge e Knuckles saranno sempre
insieme.)
Tails
e Mina: Non chiedete. Non so cosa abbiano pensato quando hanno messo
questi due insieme. Semplicemente, no. Per carità, non dico
che insieme facciano schifo, perché comunque is a better
story than Shadamy.
Bunnie
e Antoine: loro due fanno parte della serie di personaggi di cui me ne
sbatto altamente il cazzo perché non mi sono mai impegnata a
conoscerli. non mi interessano, nè come singoli
nè come coppia. E' una coppia a me neutrale.
Che
posso dire? Spero vi piaccia e che continuate a leggere la mia storia!
:3
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Capitolo 15 *** Cap XV Amori segreti ***
Il sole era calato all'orizzonte e finalmente era arrivata la notte.
Come Blaze si aspettava, il treno si fermò.
Le ragazze vennero fatte scendere in fretta. In vista non una casa,
né dei capannoni: solo un'enorme grotta.
Stiamo scherzando? Si chiese scocciata Blaze, mentre
facevano
entrare lei e le altre ragazze dentro la fredda e umida caverna di
pietre.
Per terra c'erano tantissime coperte che poi tanto caldo non
tenevano. Ma sempre meglio di niente.
La notte fuori era nera, il cielo pieno di stelle compensava la
mancata luce della luna, ridotta ormai a un quarto.
Le prigioniere si erano accoccolate sulle coperte, cercando di stare
più vicine possibile per scaldarsi.
Tutte avevano chiuso gli occhi e cercavano di dormire, ma Blaze no.
Lei guardava il cielo, seduta sul suo straccio di coperta, vicina
alla giovane cantante.
“Tutto bene, Blaze?” chiese ad un tratto la voce
assonnata di
Mina, che a furia di chiacchierare aveva bisogno di ricaricare le
batterie.
“Sì.” rispose corto la gatta lilla
“Ora dormi, hai bisogno di
energie per domani. Sarà una lunga giornata...”
“Questo vale anche per te. Riposa.”
replicò la mangusta.
“Certo.” disse Blaze, rimanendo però
seduta, con lo sguardo
fisso fuori dalla grotta. Mina non cercò di dirle altro, e
si
sdraiò, cadendo nel sonno poco dopo.
Blaze sospirò pesantemente; non aveva sonno, anche se avesse
voluto
non sarebbe riuscita a dormire.
Si sdraiò e chiuse gli occhi; interi minuti passarono e lei
non si
sentiva minimamente assonnata.
Si ruzzolò nel suo limitato spazio per trovare una posizione
favorevole al sonno, ma invano. Sdraiata pancia all'aria, finalmente
si arrese e aprì gli occhi, trovandosi ad osservare il
soffitto di
pietra. Passarono lunghi secondi, e tornò seduta.
Respirò profondamente e si alzò in piedi,
dirigendosi lentamente
verso l'entrata della grotta.
Sulla soglia della caverna, si fermò e tornò a
guardare il cielo,
che quella sera sembrava essere particolarmente ipnotico.
Appoggiò la sua spalla sullo stipite di pietra, caricandoci
tutto il
peso corporeo e incrociando le braccia.
Il vento fresco le muoveva dolcemente i capelli, mentre respirava a
pieni polmoni l'aria notturna, di certo più salutare di
quella
viziata che si respirava sul treno. Chiuse gli occhi.
C'era un assoluto silenzio...
beh, forse non era vero; sentiva fieri passi felpati che si
avvicinavano proprio a lei.
Aprì un occhio, e non si stupì quando vide Shadow
accanto a lei.
Anche lui stava guardando il cielo.
Poi si voltò verso di lei quando si accorse di avere tutta
la sua
attenzione.
Blaze non disse niente; non aveva voglia di parlare, di rompere quel
silenzio.
Ma qualcuno lo doveva pur fare.
“Blaze.” salutò Shadow, pacatamente.
“Shadow.” rispose a sua volta la gatta.
Sembrava che ci fossero così tante cose che si dovessero
dire,
eppure nessuno accennava a muoversi, o a dire altro.
L'atmosfera era tesa, l'avevano notato entrambi. Il riccio nero
sembrava essere pensieroso.
Ancora una volta, fu Shadow che ruppe il silenzio:
“Andiamo a fare un giro?” chiese con voce ferma,
quasi di
comando.
La gatta sospirò, trattenendosi dall'emettere una risata
fredda;
sapeva che quella domanda era stata fatta solo per essere cortese, ma
lui non voleva di certo chiedere. Lei sapeva che al posto del punto
di domanda ci andava un solido punto di fine frase. Una frase
imperativa, insomma.
Come quando la prof ti chiama e, retoricamente, ti chiede:
“Allora,
vieni fuori tu interrogato?”. Ovviamente uscirai interrogato.
Lei annuì, tanto non riusciva a dormire, e soprattutto non
è che
avesse molta scelta.
Lui annuì a sua volta, e iniziò a camminare in
direzione opposta a
quella della grotta, con Blaze al suo fianco.
Camminarono per un po', e nessuno proferì parola. Di solito,
tra i
due, la più “loquace” era Blaze,
tuttavia quella sera, in
confronto a Shadow, era muta.
Arrivarono in un punto abbastanza tranquillo, pochi metri lontano dal
treno.
Non si sentivano né urla, ne schiamazzi, né
qualcosa che ti farebbe
pensare alla presenza di una guardia, e per Blaze era già un
buon
passo. Di idioti ne vedeva abbastanza di giorno, la notte doveva
rimanere qualcosa di sacro per il silenzio e per il riposo.
Shadow si fermò di botto, costringendo anche la gatta a fare
altrettanto.
La micia lo guardò, aspettando pazientemente che le dicesse
qualcosa, o almeno le spiegasse cosa voleva.
Shadow respirò pesantemente. Prima che Blaze potesse dire
qualsiasi
cosa, lui iniziò:
“Mi dispiace per quello che ti ho detto sul treno.”
disse,
incrociando le braccia, visibilmente nervoso di doversi scusare sotto
lo sguardo della ragazza “Mi rendo conto di essere stato
troppo
duro quando non avevo motivo per esserlo. Hai ragione, nessuno meglio
di te se la potrebbe cavare da solo. E mi dispiace anche averti
ferita; di certo tu non sei debole, e io lo so. Lo
sapevo
anche prima, ma ero troppo arrabbiato per contenermi. Scusa
ancora.”
finì il suo discorso. Si accorse che stava sudando. Ma era
sincero,
e non passò inosservato a Blaze, che lo guardava sorpresa.
Un leggero sorriso comparve sulla faccia di Blaze, rimasta
impassibile fino ad allora.
“Non credo alle mie orecchie. Ti stai davvero
scusando?”
“Sì.” rispose il riccio, fintamente
scocciato della domanda.
La gatta annuì con il sorriso più dolce che non
avesse mai fatto da
un bel pezzo. Poi riprese:
“Da quanto tempo ti alleni per questo discorso?”
disse con un
sorriso divertito.
In effetti, era da tutto il pomeriggio che si allenava. Di certo una
cosa del genere non gli sarebbe mai venuta spontanea a Shadow.
“...Così mi offendi.”
replicò, fintamente offeso. Blaze
ridacchiò in risposta.
Il riccio la guardò con un sorriso vagamente dolce; gli
piaceva la
sua risata, emanava comunque la sua serietà e la sua
maturità.
Suonava fin troppo bene.
...A dire la verità, Shadow non si era allenato tutto il
pomeriggio
solo per farle le sue scuse.
Aveva anche altri piani.
Gli batteva forte il cuore, e sentiva le mani che gli iniziarono a
tremare.
Ma ora o mai più, e sinceramente sapeva di aver aspettato
troppo.
Inalò profondamente, per calmarsi, e poi si
avvicinò ancora di più
a Blaze. Erano solo a un passo di distanza. Erano troppo vicini.
Ma avvenne tutto così in fretta che Blaze non ebbe il tempo
di
pensare a nulla.
Velocemente, Shadow le prese il viso tra le mani più
delicatamente
che poté e lo alzò, in modo che si potessero
guardare negli occhi.
Per un attimo fissò le sue iridi dorate, come reclutante a
fare
qualcosa. Ma sapeva che se non l'avesse fatto, sarebbe rimasto il
rimorso di un desiderio represso.
Al diavolo.
E, in un lampo, avvicinò la sua bocca a quella di Blaze,
baciandola.
Accadde tutto così velocemente, che Blaze non
riuscì nemmeno a
chiedersi perché Shadow le avesse preso la faccia.
Sgranò gli occhi quando sentì le labbra del
riccio sulle sue, ma
non le dispiacque per niente.
Non provò nemmeno ad allontanarlo.
Sapeva che non poteva permettersi di cacciarsi in una situazione
sentimentale, ma scacciò quei pensieri che al momento non
potevano
fregarle di meno, e si lasciò andare.
Chiuse gli occhi e ricambiò il bacio, portando d'istinto le
braccia
attorno al suo collo.
Entrambi sapevano di non essere dei grandi baciatori, essendo tutto
questo qualcosa di nuovo per loro.
Soprattutto Shadow; non era mai stata cosa da lui, e non gli era mai
fregato niente di farlo.
Non gli era mai saltato in testa di avere relazioni, o di baciare
qualcuno.
Gli altri si innamoravano e trascorrevano la loro vita con loro,
arrivando ad avere una famiglia, prendi Faker ad esempio, ma lui no,
perché lui era...Shadow. Semplicemente, il tenebroso e
antisociale
Shadow.
Forse era tempo di tirar fuori un altro Shadow, disposto ad essere
più aperto, ma solo per lei.
Mentre la baciava, poteva sentire un sentimento che non aveva mai
provato prima. Era bellissimo.
Forse non sapeva come si baciava, ma ci stava lavorando, reagendo
d'istinto.
Dall'altra parte, anche Blaze amava quella sensazione così
nuova, ma
così piacevole.
Non avrebbe mai immaginato di volere un bacio dal quel tenebroso
ragazzo, ma ora che ci pensava, non avrebbe voluto più
separarsi da
lui.
A un certo punto, presa da un dubbio, si staccò lentamente
da
Shadow, il quale nel frattempo le aveva circondato la vita con le
braccia, e la stringeva a sé.
Piacevolmente spaesato da quello che era appena successo,
aprì gli
occhi e la guardò con fare interrogativo, chiedendole
silenziosamente perché si fosse staccata.
Blaze scosse la testa, cercando di evitare i tentativi del riccio di
riavere la sua bocca.
“Sai quello che stai facendo?” chiese seria a
Shadow, a bassa
voce, ormai senza fiato.
“Sì. E non m'interessa nient'altro.”
rispose lui, deciso, ma con
un sorriso sulle labbra.
Blaze allora smise di evitare gli approcci di Shadow e
lasciò che
lui ricollegasse le loro labbra.
Questo bacio non era più di prova, ma era diventato molto
appassionato.
A un certo punto, Shadow, che aveva le braccia strette attorno alla
vita di Blaze, alzò dolcemente la gatta dal suolo, la quale,
per
istinto, aggrappò le gambe attorno alla vita del riccio, ma
i due
continuarono il loro bacio come se non si fossero mai mossi.
Fu tutto molto lento e sensuale, lui si avvicinò al vagone,
andando
a tatto trovò la maniglia ed aprì il portone.
Appoggiò
delicatamente Blaze sul pavimento di legno e si staccò
temporaneamente dalla sua bocca solo per richiudere il portone
scorrevole.
E quello che avvenne nel vagone, rimane nel vagone.
Vicino al penultimo vagone si sentirono dei passi, poi uno sbattere
d'ali, proprio come qualche sera prima.
“Quel maleducato è in ritardo di cinque
minuti.” brontolò
Rouge. “Ma non importa, meglio così.”
In men che non si dica, si ritrovò sul tetto del penultimo
vagone.
“Avevo intenzione di fare tardi all'appuntamento io,
questa
sera.” sussurrò maligna a nessuno in particolare,
dato che non
c'era anima viva. Aprì la finestrella.
“Così impara a farmi aspettare per poi mandarmi
via perché” e
qui imitò la sua voce “ 'sono troppo stanco',
mph!” sussurrò
stizzita.
Con un tonfo troppo leggero per essere sentito, la giovane ladra
atterrò nel suo vagone preferito.
“Ma io so come passare il tempo...”
bisbigliò entusiasta,
inginocchiandosi davanti a un sacco di diamanti.
“Venite da zia Rouge.”
Stava per aprirlo, quando sentì delle voci dal vagone
precedente.
“Annie, tranquilla.” diceva una voce maschile che
cercava di
calmare una giovane ragazza.
L'interesse per i gioielli di Rouge svanì all'istante, e si
alzò in
piedi per poi avvicinarsi alla porta di collegamento, per sentire
meglio. La sua abitudine di spia non l'avrebbe mai lasciata.
“M-m-ma..” balbettò la ragazza, ancora
in preda al panico.
Rouge riuscì ad aprire uno spiraglio senza che i due se ne
accorgessero. Sgranò gli occhi, confusa nel vedere chi
vedeva.
Joe?
La giovane guardia aveva le braccia attorno alla vita della riccia, e
la teneva stretta a sé.
Lei era visibilmente agitata, mentre teneva le mani sul suo petto.
Due amanti.
“Shhhh tranquilla.” continuava Joe, a bassa voce,
in tono più
rassicurante possibile.
“S-s-sei matto!” gli disse lei, agitandosi nel suo
abbraccio.
“Annie, calma-”
“Perché hai sabotato il treno?!”
urlò praticamente.
Rouge spalancò gli occhi più di quanto avesse mai
fatto in vita
sua. La sua bocca era aperta in shock.
Cosa?
Non poteva essere.
Il mondo stava impazzendo? Cosa stava succedendo?
Perché Joe?!
“Piccola, io-” cercava di giustificarsi lui.
“No! Saremmo potuti morire tutti! Cosa ti è
passato per la
testa?!” disse l'innocente creatura, agitandosi tutta
spaventata
nel suo abbraccio, mentre fu sul punto di piangere.
“Amore!- amore!- guardami!” le diceva lui,
visibilmente
preoccupato per lei, alzandole il mento con le dita in modo che si
calmasse e che lo guardasse negli occhi.
“Ehy, tesoro, non ti avrei lasciato morire. Ti stavo venendo
a
prendere, hai visto che stavo arrivando. Ci saremmo gettati dal treno
prima che quello cadesse giù. Credimi.”
spiegò supplichevole.
Sembrava sincero, infatti Annie si calmò notevolmente.
“...io...io...” disse lei, dopo un po'
“...io non voglio che le
altre ragazze muoiano. Alcune sono mie amiche.” disse lei,
con gli
occhi lucidi.
Lui non rispose, si limitò a guardarla triste.
“Lo so.” riprese Joe dopo un po' “Ma
ricordati che hai un
compito. Ricordati che ti hanno mandato apposta per spiarci. Se
Shadow ti becca e ti porta dal capo non me lo perdonerei
mai!”
Sembrava disperato.
Se la serata era scottante, beh, lo stava diventando ancora di
più.
Anzi, era un serata folle.
Quella sarebbe la spia tanto temuta?! Si chiese
stupita
Rouge.
Annie abbassò lo sguardo a terra, come se si vergognasse di
qualcosa.
“Io....io non ero capace di farlo. Non ero pronta. N-non so
perché
hanno mandato proprio me...” singhiozzò.
Joe l'abbracciò forte.
“Hanno mandato te perché nessuno aveva le palle
per farlo. Fanno
schifo. Ma tu sei coraggiosa.” disse, prendendole
delicatamente il
mento di nuovo, per farle alzare lo sguardo.
“Presto riusciremo a mettere fine a tutto questo, e ce ne
andremo
via. Te lo prometto.” e detto questo, le diede un dolce bacio
a
stampo sulle labbra.
“Sei una spia fantastica.”
Lei affondò la faccia piena di lacrime nel suo petto, mentre
lui la
teneva sempre più stretta a sé, sorridendo.
Rouge indietreggiò silenziosamente; aveva visto e sentito
abbastanza.
Silenziosa come era venuta, Rouge uscì dal vagone, e se ne
scappò
più lontana che poté, cercando di riordinare le
idee.
In un colpo solo, aveva trovato l'attentatore e la spia, e il peggio
era che collaboravano.
Sapeva inoltre dell'amicizia tra Shadow e Joe. Di certo l'amico
riccio non l'avrebbe presa bene.
Sospirò pesantemente.
I diamanti quella sera furono dimenticati.
N.A:
Hello people!
E
finalmente, quello che tutti stavano aspettando! Il bacio tra Shadow e
Blaze!!
(e finalmente si scopa coff
coff)
Dite
la verità: Annie e Joe, non ve li aspettavate, eh? ehehe
lol
E
niente, questa nota d'autore esiste solo per avvertirvi:
domenica
io parto per il mare per una settimana quindi non
aggiornerò, e penso che il mio capitolo non sarà
ancora pronto per quando tornerò.
Ma
non diperate!!!! Ho creato una one-shot/songfic che
pubblicherò appena tornerò dal mare,
così per farvi passare il tempo ;)
C'ho messo il cuore, e
sinceramnte mi piace molto, spero che anche a voi piacerà!
^^
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Capitolo 16 *** Cap XVI Lotta contro il tempo ***
Nel buio della notte, due figure -un riccio e una gatta- si
riposavano sdraiati sul legnoso pavimento di un vagone, riparati solo
dalla prima coperta che avevano trovato.
Lui era sdraiato con la schiena a terra, una mano dietro la nuca e
l'altra attorno alla vita della ragazza, la quale era accoccolata al
suo fianco, tenendo la testa sulla sua spalla e una mano sul suo
petto.
Shadow fissava il soffitto, con un sorriso soddisfatto, mentre si
teneva stretto la gatta.
Blaze semplicemente osservava la morbida pelliccia bianca che il
riccio aveva sul petto, e ci passava la mano dolcemente.
“Certo che hai fatto una mossa un po' azzardata.”
disse a un
certo punto Blaze, giocando con la pelliccia.
“Non credevo mi avresti mai messo in una situazione del
genere.”
disse sorridendo.
“Mph!” anche Shadow sorrise.
“Non era programmato, giuro, altrimenti avrei cercato un
posto con
un letto.”
La gatta ridacchiò, e poi scosse la testa, come se stesse
pensando a
qualcosa.
“Cosa ti è passato in mente di baciarmi?”
Shadow ci pensò su, anche se sapeva già la
risposta.
“Credo che i comuni esseri mortali si direbbero 'ti
amo'.” disse
lui, serio, diventando rosso e guardando da un'altra parte,
visibilmente imbarazzato.
Blaze sorrise, e allo stesso tempo roteò gli occhi nel
sentire
l'espressione 'comuni esseri mortali', che Shadow diceva con
orgogliosa superiorità.
“Certo che non è il miglior momento di
innamorarsi...” pensò ad
alta voce la gatta.
Shadow tacque.
“Hai ragione.” ammise alla fine
“Però volevo che tu lo
sapessi.”
Blaze alzò la testa dalla spalla del riccio per dargli un
dolce
bacio sulla guancia.
“Anch'io ti amo. Adesso anche tu lo sai.” disse
amorevole.
Il riccio sorrise in risposta e le diede un affettuoso bacio
sull'orecchia.
“Come siamo sdolcinati.” rise Blaze. Anche Shadow
rise.
“Non farci l'abitudine, quando torneremo sul treno dovremmo
fare
come se fossimo dei perfetti sconosciuti.”
La gatta annuì: “Sono d'accordo.”
Per un po' i due rimasero abbracciati, in silenzio.
“...una volta arrivata là, che farai?”
chiese Shadow, dopo un
po'. La gatta alzò un sopracciglio.
“Cosa vuoi che faccia? Troverò un modo per
andarmene.”
“Ci riuscirai davvero?” le chiese serio.
“...penso di sì.”
“Non sai nemmeno dov'è.”
“Nessuno sa dov'è.”
rispose la gatta, roteando gli occhi.
Shadow si irrigidì e la strinse ancora più a
sé, protettivo.
“C'è qualcosa che non va?” chiese
preoccupata.
Il riccio esitò.
“Non voglio che tu cada in mani sbagliate...”
Blaze lo interruppe:
“Te l'ho già detto, me la caverò, e
andrò via.” marcò con
insistenza.
Shadow la guardò con la coda dell'occhio, dubbioso, e rimase
muto
per un po'.
“Va bene.”
Blaze si mise seduta, togliendosi dall'abbraccio del riccio.
“Sarà meglio che mi vesta e vada dalle altre,
prima che si
accorgano della mia assenza.”
Shadow la trattenne per il braccio.
“E' presto. Resta.” le impose supplichevole.
Lei lo guardò e gli sorrise, per poi accoccolarsi di nuovo
vicino al
suo caro riccio.
Lui non perse tempo e la strinse a sé. Passarono il loro
rimanente
tempo a disposizione a baciarsi.
Rouge si svegliò di soprassalto.
“Dannati incubi.” sbuffò ansimante e
impaurita.
Quell'incendio. L'aveva sognato ancora. Gli stessi particolari, gli
stessi panorami, la stessa fine.
Dalle finestre del suo alloggio entravano i tiepidi raggi di sole,
illuminando la stanza e avvertendo che era già spuntato il
giorno. Si prospettava una bella giornata.
Si passò una mano sul muso stanco. Poi si ricordò
della sera prima:
Joe e Annie.
Saltò giù dal letto e corse a prepararsi.
Dopo che si fu sistemata, uscì a passo veloce dalla sua
camera,
sperando che a Joe non venisse in mente di fare altri scherzi
terroristici.
“Devo trovare Shadow seduta stante!”
“Blaze, ti alzi?” la pigolante voce di Mina
chiamò la gatta
addormentata sdraiata sullo straccio di coperta.
Quando il sole stava per fare capolino, Shadow accompagnò
Blaze alla
grotta e la salutò, per tornare poi ai suoi alloggi.
Avendo passato una notte in bianco e impegnativa, si sentì
improvvisamente stanca, e si addormentò appena si fu
sdraiata.
“Svegliati, dormigliona!” chiamò la voce
squillante della
giovane mangusta, mentre la squassava divertita.
Blaze aprì gli occhi e si mise a sedere. Mina la guardava
innocentemente con un sorriso radiante.
“E' già mattina...” mugugnò
la gatta, guardando fuori dalla
grotta e scoprendo un cielo soleggiato.
“Già!” esclamò la cantante,
attendendo nuove reazioni
dall'amica.
“Però tu sembri ancora stanca!”
continuò, e poi sussultò
“Caspita! Non dirmi che sei stata sveglia anche dopo averti
detto
di dormire?! Ti avevo detto di riposarti e di andare a dormire
presto! Invece sei andata a letto tardi!” la
rimproverò la
mangusta, agitando un indice davanti al muso della micia.
“Sono in perfetta forma.” si difesa Blaze,
alzandosi in piedi e
spolverandosi i vestiti.
La verità è che aveva ancora bisogno di dormire
un po'.
Mina roteò gli occhi con un sorriso divertito.
“Seh, va bene. Dai andiamo, hanno già portato
fuori le altre.” e
detto questo, entrambe le ragazze uscirono dalla grotta.
Raggiunsero la locomotiva e ci salirono.
“Lo sai che mancano solo due giorni all'arrivo?”
disse la
mangusta all'amica, mentre si sedeva nel vagone numero 2.
“Oggi compreso?”
“Oggi compreso.” confermò Mina.
“Bene.” poi un particolare le saltò in
mente “E Coral?”
“Bella domanda!” esclamò la mangusta
“Come facciamo ad
avvertire Coral?”
La gatta meditò: non sapeva quando l'avrebbero rivista, ma
non
potevano nemmeno andare a cercarla quando caspita volevano.
“Non è intelligente andarla a cercare
adesso.” spiegò la micia
all'amica “Dobbiamo solo aspettare il momento più
adatto.”
Mina annuì: “Sono d'accordo.”
Poi si scurì in volto e divenne pensierosa; “E se
non riuscissimo
a trovarla in tempo? E se più avanti non ci fossero
più momenti
adatti per parlarle?”
Blaze lo sapeva che l'amica aveva un bel punto: poteva essere che non
ce l'avrebbero fatta, come temeva Mina.
Adesso come adesso, erano in una lotta contro il tempo.
“Devi portare pazienza, aspettare ancora un po'. In casi
estremi,
faremo irruzione.”
“Sì, mi piace!” confermò la
cantante, eccitata al pensiero di
fare baccano, perché si sa, 'irruzione' è un
termine più gentile
per dire 'arrivare e fare casino'.
Rouge sentì il treno fermarsi, e non si stupì
né si allarmò:
sapeva che dovevano fare sosta di rifornimento. Era l'occasione
perfetta.
Quindi fece finta di stare male, si tenne la pancia ed alzò
una
mano. Una guardia la vide e le fece cenno con la testa di parlare.
“Mi scusi” disse lei, con voce flebile come
qualcuno che sta
realmente male “Non sto bene. Potrei andare in bagno, per
favore?”
chiese implorante.
La guardia, che sapeva bene chi Rouge the bat fosse, annuì e
rispose: “Sì, vieni.”
La giovane ragazza, sempre tenendo una mano sulla pancia e assumendo
un'espressione da chi sta per vomitare, seguì la guardia
fuori dal
vagone numero 3.
Una volta fuori, Rouge smise di fare la moribonda. Era un trucco che
poteva usare solo per le emergenze, per non insospettire le
prigioniere.
La guardia incrociò le braccia e la guardò,
attendendo una
spiegazione.
Rouge si ricompose: “Devo parlare con Shadow, è
questione di vita
o di morte!” spiegò preoccupata alla guardia, la
quale annuì.
Il ragazzo si rimise a camminare, facendo segno con la mano di
seguirlo.
Poco dopo, Rouge e la guardia trovarono Shadow giusto fuori dal
vagone numero 2, che ascoltava le informazioni di un'altra guardia.
“Siamo arrivati alla stazione per fare rifornimento, al capo
garbava di fartelo sapere.” spiegò il tizio a
Shadow.
Sin da quando il riccio aveva ripreso Bunch sul fatto che non gli
aveva detto dei commerci in più, il cane gli diceva tutto
quello che
accadeva, tutto.
I due notarono la ragazza e la guardia e li guardarono confusi.
“Shadow ti devo parlare. Ora.”
disse la pipistrella
bianca, facendo ben capire che era urgente.
Il riccio annuì.
Le guardie capirono senza input che non potevano origliare di
più e
se ne andarono per i fatti loro.
Una volta soli, Rouge iniziò:
“Dov'eri finito ieri sera?!” chiese stizzita,
appoggiando i pugni
sui fianchi.
“Non dirmi che sei uscita per questo!” gli rispose
lui,
scocciato.
“Ti ho fatto una domanda!” insistette lei, alzando
un po' la
voce.
“Ero...impegnato.” rispose Shadow, incrociando le
braccia e
guardando il pavimento, con un leggero imbarazzo che nascondeva
dietro a un tono scocciato.
“Mentre tu eri così 'impegnato', io ho fatto la
scoperta del
secolo!”disse lei agitata, muovendo le braccia per aria, e
ignorando totalmente in cosa Shadow fosse impegnato a fare.
Lui la guardò spazientito, e seriamente le chiese:
“Ebbene, donna? Cos'hai scoperto di così
importante?”
Allora Rouge gli spiegò tutta la storia che aveva visto con
i propri
occhi.
Shadow aprì violentemente la porta, sbattendola contro il
muro e
facendo un fracasso notevole.
Lui era incazzato, chiunque poteva leggerglielo in faccia.
Camminava a pugni stretti lungo i fianchi, la bocca era contorta in
una smorfia irata, mentre i suoi occhi rosso sangue guardavano con
fare omicida.
Avrebbe potuto uccidere qualcuno, e lui sapeva già chi.
Camminò calpestando rumorosamente il pavimento, viaggiando a
passi
veloci per i corridoi, e sbattendo tutte le porte che separavano un
corridoio dall'altro.
“Shadow!” chiamò Rouge, pochi metri
dietro all'ex agente,
rincorrendo il riccio, preoccupata della reazione dell'amico. Ma lui
non sembrava intenzionato né a fermarsi, né ad
ascoltarla.
“Dove stai andando?” chiese lei, cercando di tenere
il passo del
collega.
“A uccidere quel figlio di puttana! E se la trovo, pure
quella
stronza d'una spia!” sbraitò in risposta,
continuando la sua
camminata.
“Shadow!” lo chiamò ad alta voce la
pipistrella, con tono di
rimprovero, cercando di ottenere la sua attenzione.
“E pensare che l'avevo persino schiaffeggiata!”
sbraitò di
nuovo, aprendo uno dei pugni e guardandoselo, pieno d'odio
“Avrei
dovuto darglielo così forte che non si sarebbe
più rialzata!!”
“SHADOW!” chiamò Rouge più
forte, facendo uno scatto e
raggiungendo il compare.
Gli posò decisa una mano sulla spalla, costringendolo a
fermarsi.
“CHE C'E'?!” abbaiò lui in tutta
risposta, voltandosi verso la
collega.
Per la prima volta, Rouge non se la prese per il brusco tono del
compare, né fece tanto la preziosa che si offende
facilmente. La
questione era troppo seria. Gli sbatté subito in faccia il
dunque:
“Cosa credi di fare, eh? Andare là e picchiarlo
mentre urli come
una scimmia? Sappi che oltre a me non ci sono testimoni, la mia
parola contro la sua!” spiegò stizzita lei, quasi
urlando, in modo
che il riccio si mettesse bene in testa il problema.
Il compare alzò un sopracciglio, accorgendosi dello scenario
che
Rouge voleva fargli vedere.
Shadow sembrò tornare in sé, e si
calmò notevolmente. La sua parte
razionale ritornò in lui.
“So che tu non dubiti in me, lo sai che non ti sto dicendo
una
bugia.” continuò Rouge, più calma e
dolce “Ma a chi crederanno?
A me, o a Joe? Joe è una guardia, ha amici ed è
sicuramente in
vantaggio, è ovvio che non si fideranno di me mi daranno
della
bugiarda. E inoltre lo allarmeremo, e non potrebbe finire bene.
Magari si farà un'idea di come far esplodere il treno, e gli
altri
se ne accorgeranno quando è troppo tardi. In sostanza,
Shadow,
abbiamo bisogno di prove!” concluse lei.
Lui si portò le dita sotto il mento, con fare pensieroso.
“Hai assolutamente ragione.” disse Shadow
“Ma dove ci
procuriamo le prove? Troveremo sicuramente le sue impronte sugli
ingranaggi del treno, dato che è anche uno dei
meccanici.”
Rouge doveva ammettere che non ci aveva pensato.
Ok, avevano bisogno di prove, ma il problema era: dove cercarle? Come
trovarle?
Rouge analizzò cosa aveva detto Joe ad Annie:
Concentrati Rouge, cosa aveva detto?...
“Ehy, tesoro, non ti avrei lasciato morire. Ti stavo
venendo a
prendere, hai visto che stavo arrivando. Ci saremmo gettati dal treno
prima che quello cadesse giù. Credimi.”
...ti stavo venendo a prendere , hai visto che stavo
arrivando...
Ci sono!
Pensò Rouge soddisfatta.
“Shadow” lei richiamò l'amico, il quale
si era messo a pensare
anche lui.
“Lui voleva salvare Annie, ho sentito che le ha detto 'ti
stavo
venendo a prendere, hai visto che stavo arrivando'.”
Il riccio nero rimase in silenzio, mentre piano piano realizzava cosa
andava fatto. “Certo...”
“Se lui stava andando da lei, si suppone stesse correndo,
giusto?
In direzione opposta al guasto, per giunta. Non dovrebbe essere
passato inosservato, con tutto l'andirivieni che c'era.”
disse con
un sorrisino da furbetta.
“Se riuscissimo a mettere una pulce nell'orecchio alle
guardie,
riusciremmo ad averlo in pugno.” concluse trionfante,
sbattendo un
pugno sul palmo aperto dell'altra mano.
Shadow sorrise compiaciuto: “Non te l'ha mai detto nessuno
che
dovresti fare l'avvocato?”
Rouge alzò le spalle: “E chi t'aiuterebbe a
salvarti il culo,
bellissimo?” chiese lei, con un sorriso accattivante. Shadow
roteò
gli occhi.
“Bene.” disse alla fine,e le porse un block notes
“Va' a
interrogare tutte le guardie che vedi, io farò
altrettanto.”
concluse, porgendole una penna.
“Queste dichiarazioni le farò passare al capo, lui
saprà cosa
fare. Spero solo di non fare un buco nell'acqua.”
“E questi da dove vengono?” chiese spaesata Rouge,
intenta a
fissare carta e penna.
“Da dove li hai tirati fuori?” disse, e poi
sussultò “Non
dirmi che li tenevi nella tua pelliccia!”
“ROUGE!” la riprese l'amico “Non ti sei
mai chiesta come faccio
a nascondere un Chaos Emerald, perché adesso ti fai tanti
problemi?
Per dei block notes che mi ha regalato quello stronzo, poi!”
“A dire il vero” lo corresse l'amica “Mi
sono sempre chiesta
dove te lo ficcassi.”
“Nel culo.”
“Come??”
“Era ironico! Forza Rouge, concentrati! Quel pazzo ha due
giorni
per mandare a puttane tutti quanti e salvare il culo alla sua
ragazza, quindi significa che presto farà un altro
attentato, e
potrebbe farlo in qualsiasi momento, anche tra cinque minuti!
Dobbiamo fare in fretta!”
L'amica annuì. “Ok, a dopo.”
Ed entrambi corsero al loro lavoro.
Erano in una lotta contro il tempo.
Il treno si fermò, tutte lo percepirono.
Blaze aprì gli occhi dalla sua meditazione e
squadrò gli intorni,
mentre Mina smise di canticchiare e si guardò curiosamente
intorno,
per poi chiedersi: “Perché ci fermiamo?”
Nella stanza si levò un crescente mormorio.
“Ah, giusto!” esclamò Mina, sbattendo il
palmo sulla fronte,
come se si fosse ricordata qualcosa di importante.
“Le guardie avevano detto che si fermavano per
rifornirsi!”
spiegò ad alta voce a nessuno in particolare, forse dando
per
scontato che Blaze la stesse ascoltando. Naturalmente, fu
così.
Infatti, la gatta alzò un sopracciglio confusa.
“Le guardie sembrano parlare molto e di tutto solo con te! Si
può
sapere come fai a sentire ogni cosa?” chiese incredula e
leggermente turbata.
“Eheheheh” rise l'amica, grattandosi innocentemente
la nuca.
“Se te lo dicessi non sarebbe più un
segreto!” ridacchiò
misteriosa.
Blaze scosse la testa e roteò gli occhi alla frase della
mangusta.
“Beate le guardie, che almeno si possono stiracchiare le
gambe
sulla terra ferma!” Mina disse lamentosa, completamente a
caso, e a
Blaze si rizzarono le orecchie, captando una soluzione.
“Mi moriranno le gambe a forza di formicolarmi, non sono una
tipa
alla quale piace stare seduta-!” fu interrotta da Blaze:
“Stai
dicendo che le guardie scendono dal treno?”
“Sì!” sospirò pesantemente,
poi si bloccò e guardò la gatta
con estrema serietà.
“Perché? Anche tu hai problemi di
formicolio?”
“No, sciocca!” rispose la gatta “Questo
vuol dire che possiamo
andare a parlare con Coral!”
A Mina si accese la lampadina.
“Giusto! Con la carenza di guardie sarà
più facile infiltrarci!
Andiamo!” esclamò eccitata la mangusta, ma prima
di riuscire a
schizzare fuori dalla porta, Blaze la prese per la caviglia,
bloccandola così dov'era a mezz'aria e facendola cadere
pancia a
terra con un bel tonfo.
“Sei matta? Ragiona: non lascerebbero mai il treno privo di
guardie. C'è il rischio che le troviamo lo stesso, alcune.
Ci serve
un'altra idea.” le spiegò, lasciando andare la
caviglia
dell'amica, la quale si sedette gambe incrociate e iniziò a
pensare.
Poi si illuminò.
“Penso di avere una scusa nel caso ci beccassero...”
Le due ragazze si fecero strada nel corridoio, procedendo a passi
spediti.
“Per ora è vuoto.” bisbigliò
sollevata Mina a Blaze.
“Ehy, voi due!”
Una forte voce alle spalle delle due amiche si sentì, e si
fermarono
immediatamente.
Si voltarono e videro due guardie che le squadravano minacciose da
cima a fondo.
“Cosa state facendo qui? Non lo sapete che non potete uscire
dai
vostri vagoni?!” chiese retoricamente la stessa guardia che
aveva
parlato prima.
E qui entrava in gioco Mina.
“Oh, grazie al cielo vi abbiamo trovati!”
esclamò dolcemente la
mangusta, mettendosi le mani sul cuore “Pensavamo di dover
girare
tutto il treno prima di trovare qualcuno!”.
“Che volete?” chiese scocciata la seconda guardia,
che non aveva
ancora parlato.
Mina congiunse le mani come in preghiera, come per supplicarli.
“Siamo in quel periodo del mese in cui abbiamo le nostre
cose, e ci
stiamo sporcando tutte...” disse, guardando il suolo
imbarazzata.
Blaze dovette ammetterlo: se non avesse saputo che stava recitando,
probabilmente ci sarebbe cascata anche lei. Era semplicemente
realistico. Era bravissima, un'attrice nata.
La prima guardia alzò un sopracciglio e guardò
l'altra, poi scosse
la testa, e si rivolse alle ragazze:
“Spiacenti, non possiamo farci niente, tornate al vostro
vagone.”
ordinò.
“Non avete proprio niente da darci? Ci siamo appena fatte il
bagno,
sarebbe un peccato se rimanessimo così... e poi non possiamo
nemmeno
sederci che imbrattiamo dappertutto!”
continuò Mina triste, quasi disperata. La prima guardia si
grattò
la nuca, molto tentata a esaudire il desiderio della giovane
cantante.
“Non saprei...”
“Per favore... davvero non potete farci niente...?”
chiese
supplichevole, mostrando gli occhioni tristi.
La prima guardia non resistette: “Dai Clark, solo per questa
volta...”
La seconda guardia, rimasta muta fino a quel momento, non si fece
ingannare dagli occhi dolci, ma quando guardò Blaze
cambiò
completamente faccia. Sembrava allarmato.
Diede una gomitata all'amico, segno di venirgli più vicino.
Il
collega captò il segnale e avvicinò l'orecchio
alla bocca del
silenzioso compare, il quale iniziò a bisbigliarli
freneticamente
qualcosa, senza perdere di vista la gatta lilla. Entrambe le ragazze
si guardarono confuse.
Quando Clark finì di parlare, la prima guardia si rivolse
alle
ragazze:
“Bene bene, tu sei Blaze, giusto?”
Stupita che il suo nome fosse così conosciuto, la gatta
rispose con
un deciso “sì”.
“Ah già, la protetta del signor Shadow. E
tu” disse rivolto a
Mina “sei la cantante. Mi ricordo di te.”
Alla mangusta non rimase che affermare allegramente.
“E va bene” disse la prima guardia, una volta
confrontatasi con
la seconda “Faremo un'eccezione solo per voi due, giusto
perché
siete speciali.”
“Grazie!” pigolò felice Mina.
“Seguiteci.” ordinò la seconda guardia,
mentre lui e il collega
le fecero strada.
Le ragazze li seguirono, pronte per la seconda parte del piano.
I due ragazzi arrivarono a uno sgabuzzino; la prima guardia
tirò
fuori un mazzo di chiavi, e dopo averle esaminate bene trovò
quella
giusta.
Infilò la chiave dorata nella serratura, e la fece scattare.
Con un leggero click, la porta si aprì.
La prima guardia
entrò, mentre l'altra ci sporse solo la testa.
“Vediamo cosa abbiamo qui...” disse il ragazzo,
immerso nello
sgabuzzino.
Blaze e Mina non perdettero altro tempo: la gatta spinse la seconda
guardia dentro, la quale cadde addosso alla prima, mentre la cantante
sbatté la porta e la chiuse a chiave.
Dopo di che, estrasse l'oggetto metallico dalla serratura.
“Ehy, fateci uscire!” gridò arrabbiata
la prima guardia.
“Mamma mia, scusate, che sbadata che sono!” disse
Mina,
prendendoli per il culo con tono da finta dispiaciuta “Quali
di
queste sarà la chiave?” chiese sbarazzina,
agitando il mazzo di
chiavi, per far sentire bene il rumore metallico alle due guardie,
giusto per sfottere ancora di più.
“L'hai fatto apposta!” accusò incazzato
la prima guardia, la
quale tirò un pugno secco alla porta.
“Davvero?” chiese lei con finta sbadataggine
“Oh, non me
ne ero accorta!” concluse la frase con intonazione cattiva,
mettendo una chiave a caso nella serratura, giusto per bloccare il
buco.
“Forza, andiamo!” ordinò la gatta, che
insieme alla mangusta
sfrecciò verso il vagone numero 3.
“Ci siamo fatti fregare, Clark!” si
lagnò il primo.
“No, tu ti sei fatto fregare,
Ben!” rimarcò il secondo
“Quando imparerai che dietro agli occhi dolci c'è
il diavolo che
ci cova?!”
“Anche tu eri d'accordo!” gli fece notare Ben.
“Solo per motivi professionali! Non volevo che quella
stronzetta
poi si fosse andata a lamentare con il tipo perché non le
avevano
dato gli assorbenti!” si difese Clark.
“Che guaio!” schiamazzò Ben, tirando un
altro pugno alla porta
di legno.
Blaze aprì uno spiraglio nella porta del vagone tanto
cercato;
guardò cautamente dentro, per vedere se c'erano delle
guardie, ma
non ve ne trovò manco una. C'erano solo le prigioniere che
chiacchieravano più o meno tranquillamente.
Non molto lontana dalla porta, Coral sedeva da sola, guardandosi
occasionalmente in torno preoccupata.
La gatta la vide, ed aprì un po' di più lo
spiraglio, giusto per
poterci passare.
Mina la seguì subito dopo, richiudendo la porta una volta
passata
anche lei.
Sia la gatta che la mangusta andarono incontro alla pesciolina.
“Coral.” chiamò la giovane cantante.
La ragazza, a sentire il proprio nome, si voltò e le
guardò
stupita, ma anche felice di vederle.
“Blaze! Mina!” pigolò, mentre le due
ragazze si sedettero
accanto a lei.
“Cosa ci fate qui? Come avete fatto a uscire?”
“Non chiedere.” rispose secca la micia, mentre la
mangusta si
mise una mano sulla bocca, per contenere una risata. La creatura
acquatica guardò l'amica cantante con aria confusa.
“Beh, ecco, è una storiella davvero
divertente...” iniziò Mina
ridendo, ma fu interrotta bruscamente dalla frettolosa Blaze.
“Non abbiamo tempo per le storielle. Abbiamo fatto un
piano.”
“Fatemi capire bene...” cominciò Coral,
mentre Blaze correva per
i corridoi, trascinando dietro di sé la pesciolina e la
compagna
mangusta per le braccia.
“In poche parole, arriviamo là, usciamo, Blaze
crea un diversivo
mentre noi ci nascondiamo sotto il treno e poi fuggiamo confondendoci
tra la folla?” chiese, cercando di riordinare le idee e di
riassumere quello che aveva capito.
“In poche parole” rispose Mina
“sì.”
“Bene...e-e adesso dove stiamo andando?” chiese
ancora la
pesciolina, mentre veniva strattonata per il corridoio.
“Al vagone numero 2. Il piano funzionerà meglio se
ci troveremo
tutte e tre insieme.” rispose prontamente la regina gatto,
senza né
fermarsi né guardare le altre due in faccia.
“Non potevamo restare nel mio vagone?” chiese
Coral, confusa del
cambiamento.
“No, se non ci fossi, Shadow se ne accorgerebbe.”
spiegò la
gatta, continuando la sua marcia “E si insospettirebbe.
L'appello
lo fanno solo una volta, quando si sale, perciò non
controlleranno
chi c'è e chi non c'è. Se poi sei stata
nell'ombra fino ad adesso,
non se ne accorgeranno mai.”
Mina, anche lei trascinata dalla gatta senza apparente motivo,
concordò con le parole della guardiana: “E' vero!
Rilassati, sa
quello che fa.” incoraggiò sorridendo.
Poi prese un'iniziativa e disse: “Ehy, visto che non ci sono
molte
guardie, potremmo scappare adesso!” esclamò,
ponendo la sua idea
“Sarebbe molto più semplice!”.
Coral la guardò come se fosse pazza.
“Negativo!” negò decisa Blaze, con la
presa ben salda sulle
braccia delle altre due “Ti ricordo che non sappiamo dove
esattamente siamo, né quanto lontani siamo da NMBC o da
qualsiasi
altra città. Anche se scappassimo, ci perderemmo.”
“Ah. E perché stai correndo come se ci inseguisse
un leone
affamato?” chiese Mina.
“Non voglio rischiare di incontrare qualcuno!”
Corse ancora più veloce, consapevole di essere vicino alla
meta.
“Seguiremo il piano iniziale!”
rimarcò alle ragazze,
soprattutto alla mangusta gialla, che tendeva a prendere iniziative
azzardate.
“DOVE SONO QUELLE STRONZE?!” si sentì
urlare una voce
arrabbiata.
Blaze si fermò di colpo. Si era completamente dimenticata di
quei
due.
Li aveva riconosciuti, erano i tipi che lei e Mina avevano rinchiuso
nello sgabuzzino.
Erano riusciti a liberarsi, probabilmente tirando giù la
porta a
suon di calci.
Fortunatamente, i due non le avevano ancora viste, ma si stavano
avvicinando.
Blaze cercò una soluzione velocemente.
“Non me ne frega un cazzo se è la tipa di quel
figlio di mignotta,
io la riempio di calci!” sbraitò di nuovo la voce.
“Cambio di programma.” disse Blaze alle due
ragazze, le quali
erano entrambe intimorite dalle urla indemoniate delle guardie
“Scappiamo adesso!” concluse,
totalmente in disaccordo con
quello che aveva detto poco prima, e fuggì dalla parte
opposta,
trascinandosi dietro le altre due ragazze.
A Mina si illuminò il volto: “Quindi seguiamo la
mia idea?”
“Sì, seguiamo la tua idea.”
confermò la gatta.
“Correte!” ordinò. Le due si misero a
correre, cercando di
raggiungere la stessa velocità di Blaze.
“Ma non avevi appena detto che ci saremmo perse, e altre
cose?”
chiese spaventata Coral.
“Sì!” confermò la micia
“Ma vedi altre scelte? Se restiamo,
sta' sicura che il nostro piano di fuga finirà ancora prima
di
iniziare!”
“Vedi,” spiegò la mangusta all'amica
acquatica “Abbiamo
rinchiuso nello sgabuzzino quei due, prima, per poter venire da
te!”
Coral sussultò alla notizia. “Mi
dispiace!”
“Nah, non preoccuparti!” rispose tranquillamente
Mina, facendole
l'occhiolino.
Continuarono a correre, e fortunatamente non videro un'anima in giro.
Poi Mina diventò seriamente dubbiosa.
“Blaze, dove stiamo andando?” chiese, preoccupata
dal fatto che
stavano continuando ad andare avanti dritto.
“Se uscissimo dalle porte normali, o dalle finestre, si
accorgerebbero di noi!” spiegò la gatta.
Mina sgranò gli occhi, spaventata.
“Vuoi dire che...?” chiese con voce preoccupata.
“Fatti coraggio!” rispose la regina gatto
“Useremo l'uscita di
emergenza!”
“M-ma è nell'ultimo vagone!”
balbettò Mina.
“LO SO!” rispose scocciata la micia lilla, cercando
di andare
ancora più veloce.
Finalmente, arrivarono all'ultimo vagone, e Blaze aprì la
porta con
un calcio.
Nonostante la visione degli strumenti e del sangue secco le desse la
nausea, la gatta continuò a correre trascinandosi dietro le
due
ragazze, le quali sussultarono impaurite a tali panorami.
In fondo alla stanza trovarono quella maledetta porticina.
Aprì anche quella con un calcio, e si trovò sul
mini terrazzo
attaccato al treno.
Si guardò attorno per accertarsi che non ci fosse nessuno, e
fortunatamente sarebbero potute scappare senza essere viste.
“Giù!” disse solamente Blaze, avvertendo
le altre di saltare.
E così fu: le tre balzarono giù e corsero a
ripararsi nel bosco.
Avrebbero trovato un altro modo per ritrovare la strada.
Shadow e Rouge erano piombati di corsa nell'ufficio di Bunch.
Erano lì, davanti al cane, con i loro block notes in mano
pieni di
appunti, con espressioni preoccupate.
“COSA?!” esclamò sorpreso il bulldog,
saltando fuori dalla sua
scrivania con gli occhi fuori dalle orbite.
“Sapete chi è la spia e
l'attentatore?!” chiese
incredulo.
I due annuirono simultaneamente. Shadow, che era il portavoce, disse,
accennando con la mano:
“Sì, è stata la mia collega. Deve
raccontarle una storia molto
interessante.” e con un cenno della testa
invitò Rouge a
raccontare ciò che aveva visto.
La giovane donna narrò per filo e per segno quello che aveva
scoperto, mentre Bunch sedeva sulla sua sedia, con un braccio sullo
schienale. Aveva uno sguardo assente, ma ascoltava con grande
attenzione e annuiva alle parole della pipistrella bianca.
Naturalmente, Rouge saltò la parte in cui lei era andata
lì per i
diamanti, sostituendola dicendo che quando non riusciva a dormire
faceva alcuni giri per i vagoni. In parte era vero, se ci si pensa
bene.
Quando lei finì il racconto, lui rimase in silenzio.
Sembrava stesse
pensando a cosa dire.
Shadow lo precedette:
“Io mi fido della mia partner, ma capisco se non si fida di
lei.
Per questo abbiamo raccolto alcune dichiarazioni da parte di tutte le
guardie che abbiamo incontrato.”
Il riccio mise sulla cattedra i suoi appunti e quelli dell'amica,
giusto sotto il naso del bulldog.
Lui li guardò e lentamente allungò una mano su
uno di essi.
“Alcuni non l'hanno visto, ma la maggior parte dice di averlo
visto
correre verso il vagone numero 4, dove c'è la
spia” e qui porse
una foto di una giovane riccia dorata “Annie the
hedgehog.”
Bunch prese la foto in mano e l'esaminò.
“Le guardie hanno naturalmente chiesto a Joe dove stesse
andando,
ma lui non si è fermato ed ha continuato a
correre.” continuò a
spiegare Shadow. “Ad alcuni ha detto scocciato che non erano
affari
loro, ad altri semplicemente che 'tornava subito'.” concluse
il
riccio, riassumendo cosa aveva scoperto dagli interrogatori. Bunch,
che fino a quel momento se ne era stato zitto, annuì.
No mi sembra molto stupito notò l'ex
agente, adocchiandolo
con sospetto.
“Capisco.” disse il cane, alzandosi
“Avete ragione, è un
individuo molto sospetto. Vi credo, anch'io avevo notato che era
strano, per qualche motivo, soprattutto quando era tornato da quella
festa...”
Shadow ne fu colpito come un fulmine: ecco perché era
così mogio!
“Questo significa” interruppe Rouge “che
lei l'osservava già
da un pezzo?”.
Di nuovo, il cane annuì lentamente e serio. Sorrise, e poi
chiese,
rivolto al riccio:
“Il mio sesto senso non mi ha mai lasciato, signor Shadow.
Ora mi
dica, facevo bene?”
Quelle parole fecero tornare il riccio nero indietro nel tempo,
quando lui dubitava delle paranoie di Bunch, cercando di mandarle al
vento.
Shadow non poté far nient'altro che annuire in accordo.
“Aveva ragione.” ammise con un
sorriso.
“Adesso come intende procedere?” chiese poi al suo
capo.
“Beh, lo allarmeremo se spargessimo la voce. Ho solo bisogno
di
fare ulteriori domande ai miei uomini e di preparali per eventuali
attacchi. Se ho capito bene, pensate che ci riproverà a
breve?”
“Sì” rispose Shadow, annuendo
“O oggi, o domani. Crediamo che
si inventerà qualcosa per salvarsi insieme alla riccia,
mentre il
resto verrà distrutto.”
Bunch valutò le sue parole molto attentamente.
“Che mi dite di lei?”
“Anche se è una spia” si intromise Rouge
“ E' molto
persuasibile, ed è sotto il controllo di Joe. Propongo di
non
toccarla, per ora. Joe è molto possessivo e protettivo nei
suoi
confronti, se le torcessimo anche un solo capello diventerebbe molto
vendicativo. Inoltre, anche in questo modo, lo
insospettiremmo.”
“Pensiero molto intelligente, signorina Rouge.”
disse il cane
pensieroso.
“Quindi, lei mi sta dicendo di prendere prima lui in
fragrante?”
“Direi che conosciamo entrambi la risposta.”
Bunch sorrise. “Molto bene. Così sia.”
In quel momento, due guardie spalancarono la porta e il Team Dark si
voltò.
I tre nell'ufficio li guardarono: sembravano aver corso molto, con
quel fiato ansimante.
Inoltre erano incazzati. Si calmarono solo quando videro lo sguardo
omicida del loro boss.
I due entrarono nell'ufficio.
“Ebbene?” chiese il bulldog, guardandoli impaziente
e attendendo
spiegazioni.
Una guardia, Ben, si rivolse a Shadow con sguardo irato.
“La tua ragazza e un'altra tipa erano fuori dal loro vagone!
Ma c'è
dell'altro: ci hanno intrappolato in uno sgabuzzino e poi se ne sono
andate chissà dove! Non le troviamo
più!” disse stizzito,
agitando le braccia arrabbiato.
Sentendo questo, a Shadow si gelò il sangue, mentre sgranava
gli
occhi.
Perché l'avevano fatto? Dove volevano andare? Dove
erano adesso??
Anche Rouge si allarmò, sapendo che Blaze era in stretto
legame con
Shadow. E inoltre non sapeva ancora cosa fosse in grado di fare.
Anche Bunch aveva uno sguardo perplesso.
“Come hanno fatto a rinchiudervi nello sgabuzzino??”
Le due guardie si guardarono e la prima sospirò.
“Ci siamo fatti fregare...” ammise a mezza voce,
guardando il
pavimento.
“Ma bravi!” esclamò ironico il loro
capo.
“Davvero bravi! Mi piacerebbe sapere come abbiano fatto, ma
non
abbiamo tempo per questo! Fuori, presto vi chiamerò io,
lasciatemi
solo con il signor Shadow e la signorina Rouge!”
ordinò.
I due eseguirono gli ordini alla svelta, e in meno di un secondo
erano scappati fuori dalla porta, richiudendola dietro di loro.
Shadow, in cuor suo, ne era rimasto scioccato: perché
scappare,
perché adesso?
Sperava che non fosse lui la causa. No, non poteva essere lui. Ti
prego, no!
Avevano fatto l'amore la sera prima, si erano detti che si amavano...
non poteva lasciarlo così!
Non se ne poteva andare via così, senza nemmeno dargli una
spiegazione!
Per la prima volta dopo tanto tempo si sentì... tradito. Si
sentiva
in bocca un sapore amaro.
Era così amareggiato, al contrario di quando l'aveva baciata.
Che avesse ragione il suo capo, quando gli diceva che ad innamorarsi
si corrono dei rischi?
Amare fa davvero sempre così soffrire?!
Bunch lo guardava preoccupato: “Shadow?” lo
chiamò, cautamente.
Si spaventò quando Shadow alzò lo sguardo, il
quale finì dritto
negli occhi del boss.
Gli occhi rossi iniettati di sangue del riccio facevano paura,
raggelavano il sangue.
Erano pieni di rabbia, ma allo stesso tempo erano freddi, vuoti. Era
innaturale quello sguardo.
Sembrava che Shadow fosse pronto ad uccidere qualcuno, la
determinazione aleggiava sulla sua faccia.
Bunch non ne fu spaventato perché era inquietante, ma
perché aveva
riconosciuto quello sguardo.
Era il suo stesso sguardo. Come poteva non ricordare
com'era
quando decise di mandare a fanculo tutto il buono che aveva costruito
in tutti quegli anni prima della morte di Rose?
I due rimasero a fissarsi dritti negli occhi.
Rouge guardò tutta la scena, ma non disse nulla. Non era la
sua
battaglia, non doveva immischiarsi.
Bunch sapeva come si sentiva il riccio nero, e d'improvviso si mise
nei suoi panni.
Capiva che era ferito, capiva che si sentiva abbandonato. Capiva che
era irato.
Il cane iniziò a scuotere la testa leggermente, come se
stesse
negando qualcosa.
No. pensava il bulldog Non di nuovo. Non
a te, povero
figliuolo.
“Devo andarla a riprendere?” parlò alla
fine il riccio. La sua
voce... era fredda, morta. Nessuna emozione. Né rabbia,
né
tristezza. Era comunque profonda, ma vuota.
Era una voce neutrale, come se stesse per andare a prendere solo una
bestia scappata dal gregge, mentre invece era la ragazza che amava.
Bunch sembrava volesse dirgli qualcosa di confortevole, qualcosa di
incoraggiante, ma l'istinto da mercante accanito coprì la
parte di
Bunch che voleva migliorare l'umore del riccio.
“Sì, se riesci anche quella che è
scappata insieme a lei. Non
dovrebbero essere molto lontane.” disse spazientito, anche
lui con
un tono diverso da come si sentiva nell'animo. Era, in apparenza,
ritornato il solito capo, che dava ordini a destra e manca con voce
monotona. Il riccio annuì, e uscì dall'ufficio,
senza dire altro.
Rouge osservò il suo compare mentre faceva la sua uscita:
pugni
chiusi lungo i fianchi, camminata rigida, ma decisa... e
un'espressione indecifrabile.
Il suo amico era stato colpito, ma non voleva ancora affondare.
Poi, la pipistrella si rivolse al suo capo: “Vorrei
chiederle, se
qui non c'è bisogno di me, se posso andare con il mio
partner.”
richiese, molto gentilmente.
Bunch agitò una mano con fare non curante:
“Sì, vai anche tu.
Aiutalo.”
La ragazza annuì ed uscì in fretta per seguire
Shadow.
Una volta fuori, lo sguardo del cane si ammorbidì,
dimostrando una
profonda tristezza...
“Aiutalo.” sussurrò
di nuovo, quasi implorante, ripetendo
l'ultima parola della frase appena detta con noncuranza alla giovane
donna.
Pochi secondi dopo, la testa di Ben fece capolino dalla porta
dell'ufficio.
Bunch era ritornato serio e, con un cenno di mano, ordinò
scocciato
alla guardia:
“Vieni dentro, tu e il tuo compare! Vi devo dare un incarico
molto
importante!”
N.A:
HELLO PEOPLE! Vi sono mancata? no ok basta.
Questo
capitolo, devo ammetterlo, e un po' lunghetto e pieni di robe.
E
niente, sto velocizzando la pubblicazione dei capitoli,
perché voglio finirla prima dell'inizio di settembre/scuola.
Inoltre non manca tanto.
Non siamo vicinissimi, ma
neanche molto lontani dalla fine. Eh già. Mancheranno tipo 4
o 5 capitoli. Circa.
E poi anche
perché ho già in mente un'altra ff, ma vorrei
aspettare di finire almeno questa, altrimenti mi incasino. Inoltre, fra
un paio di settimane porterò il culo nuovamente al mare per
ben 2 settimane, quindi il tempo stringe. Non sorprendetevi se aggiorno
in fretta, tutto qui.
Niente, ci vediamo al
prossimo capitolo!
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Capitolo 17 *** Cap XVII La nuova città ***
“Qui dovremmo essere sicure di non venir trovate!”
Mina si guardò intorno, come se stesse cercando qualcosa, o
come se
volesse udire un particolare suono.
Coral la guardò perplessa.
“Mina, che stai facendo?” le chiese.
La giovane cantante compose le mani a binocolo, poi se le mise sugli
occhi e iniziò a guardarsi intorno a 180°.
“Sto trovando una via per tornare nella
civiltà!” rispose,
continuando concentrata in quello che stava facendo.
Coral esasperò arresa. Non era un'esperta, ma se NMBC era
ancora
lontana, fare così non sarebbe servito a niente, nemmeno con
la
buona fede di tutte e tre.
Blaze non le ascoltava, era totalmente su un altro piano: lei stava
ancora pensando alla fuga dal treno che avevano appena fatto. Lo
sapeva che non aveva avuto molta scelta, ma non poteva pensare se non
a Shadow; probabilmente l'avrebbe difesa, in qualche modo.
Non aveva pensato, quando era ancora sul treno, alla reazione che il
riccio avrebbe fatto quando non se la sarebbe più trovata
lì.
Per non parlare di come correvano le voci; le due guardie
probabilmente avrebbero fatto così tanti passaparola che, a
quest'ora, sarebbero arrivate all'orecchio e sulla bocca di tutti.
Shadow incluso.
Sospirò tristemente. Non avrebbe dovuto lasciarlo
così.
Blaze sapeva che lui si fidava di lei, e una fuga così
improvvisa
l'avrebbe fatto dubitare di lei per molto tempo, forse per sempre,
conoscendo il carattere di Shadow.
Le era giunta in testa più e più volte l'idea di
ritornare indietro
per controllare o per avvertire il riccio, per ritornare da lui, ma
era sfumata grazie alla sua parte logica: tornare indietro non
sarebbe stata una mossa intelligente.
Quindi, alla fine, aveva deciso di tentare di mettere la questione
Shadow the Hedgehog da parte per un po', e di riprenderla almeno dopo
aver trovato Amy e messo fine a tutta quella storia.
Cavolo, detta così suonava così male...
Non poteva dire quelle cose a Shadow, gli avrebbe spezzato il cuore,
oltre ad offenderlo.
Blaze voleva quel ragazzo con tutto il suo animo, ma il riccio
avrebbe solo capito che lei non avrebbe voluto sapere nulla di lui
finché i suoi problemi principali non fossero sistemati.
A pensarci bene, Shadow non avrebbe avuto tutti i torti di
arrabbiarsi: di certo non è bello essere messi in secondo
piano
dalla proprio amata, soprattutto se si ha un orgoglio come quello del
riccio.
Mi dispiace, Shadow.
Mentre lei era completamente persa nei suoi pensieri, le altre due
ragazze continuavano a discutere.
“Smettila Mina, finiremo per perderci!” le diceva
scocciata la
creatura marina, agitando le braccia per aria.
“Fidati di me, ho un istinto da paura!” disse in
tutta risposta
la giovane cantante, tutta fiduciosa del suo senso dell'orientamento.
Coral, come era prevedibile, roteò gli occhi sospirando
pesantemente, cercando di riacquistare un po' di pazienza.
“A me il tuo istinto fa paura.”
rimarcò la pesciolina,
portandosi i pugni sui fianchi.
“Beh” disse alla fine la mangusta gialla
“Dovremmo muoverci
comunque, non è stando ferme qui che risolveremo i nostri
problemi.”
disse, tornando seria.
Coral dovette ammettere che aveva ragione.
“Certo che ho ragione! Come dico sempre; il culo non si salva
da
solo, bellezza!” esclamò Mina.
La pesciolina sospirò arresa. Inoltre era leggermente
disturbata nel
sapere che la sua amica 'diceva sempre' una volgare frase del genere.
“E quindi dove andiamo?” chiese alla fine Coral.
La mangusta ci pensò su un attimo.
“Da quella parte!” esclamò dopo
un'attenta riflessione, con un
sorriso splendente, indicando verso Nord-Ovest. Coral guardò
perplessa l'indicazione dell'amica.
“Scusa, ma come fai ad essere così sicura che
quella sia la
direzione giusta?” chiese perplessa la ragazza acquatica.
Semplicemente, non sapeva come la sua amica fosse così
sicura di sé
stessa e di quello che faceva, nonostante fosse in una situazione
totalmente nuova.
Mina sorrise. Aveva sì un buon istinto, ma anche un ottimo
intuito.
Inoltre aveva la sua serie di ragionamenti: lei pensava che, se si
continuassero a percorrere le rotaie, si sarebbero trovate presto in
una località, se non a NMBC. Per questo, nonostante la
fretta
generale di darsela a gambe, aveva tenuto a mente la posizione del
treno man mano che correvano via.
In pratica, si era creata una mappa tutta sua basata sulla presenza
delle rotaie. Dovevano solo seguire la loro stessa strada, cercando
di non avvicinarsi troppo, né di allontanarsi ulteriormente;
semplicemente procedere in parallelo.
“Fidati.” rimarcò la mangusta
all'incredula amica.
“Ok.” rispose al posto suo Blaze, lasciando Coral
con la bocca
aperta pronta a dire qualcosa.
“Seguiremo la tua strada, e nel caso sbagliassi non
sarà un
problema, troveremo una soluzione. Facciamo più danni a
stare ferme
qui. Dopotutto, non credo che ci lasceranno andare così
facilmente,
anzi; magari qualcuno sarà già sulle nostre
tracce.” spiegò
sbrigativa, ma concisa.
Sperava solo che un certo riccio nero e la sua gag non le avesse
già
localizzate.
Le altre due annuirono in accordo.
“Forza, seguitemi!” esclamò eccitata
Mina, la quale finalmente
aveva il comando della missione.
“E sarebbe meglio se non urlaste.” aggiunse la
gatta “Attirerete
troppo l'attenzione.”
Mina non le rispose, ma continuò a trotterellare facendo
strada alle
altre due.
Tuttavia, come la sua amica Coral, aveva pienamente recepito il
messaggio della micia, e condusse le due ragazze in silenzio.
Si sentivano forti e decisi passi mentre i piedi incontravano il
suolo con un tonfo secco.
Un batter d'ali fu udito lì vicino, mentre la creatura
atterrava
leggera.
“E' inutile scovarli dall'alto.” disse Rouge the
bat “Gli
alberi sono un ottimo scudo. Non le troveremo con un approccio
aereo.” spiegò la ragazza al suo freddo compagno.
Il riccio nero si era fermato e, pensieroso, scrutava la foresta con
sguardo concentrato.
La ragazza poteva sentire la tensione che si era formata sin da
quando Shadow era uscito dall'ufficio, ed era sconfortante.
Non sapeva cosa il riccio avesse potuto fare alla gatta se l'avesse
rivista di nuovo. Aveva paura che fosse ritornato nello stesso stato
di quando il Comandante e la G.U.N. hanno iniziato a fottergli il
cervello, nove anni prima.
Inconsciamente, a causa della tensione, la ragazza bianca concentrava
il proprio peso corporeo su un piede e poi sull'altro, sfregandosi
nervosamente un braccio steso lungo il fianco.
Per quanto cercasse, trovava difficile trovare parole adatte in
quella situazione.
Chissà cosa lui stesse pensando...
Magari stava solo cercando un modo per localizzarle. La pipistralla
sospirò tra sé e sé.
Dopo tutto, il bosco era enorme, e cercarle a piedi sarebbe stato un
bel problema. Potevano essere dovunque, a pensarci bene.
A un certo punto, quando Rouge era ancora immersa nei suoi
preoccupatissimi pensieri, il riccio iniziò a marciare
dritto nel
bosco.
La partner lo guardò dubbiosa, chiedendosi dove lui volesse
andare,
per poi seguirlo titubante.
Gli stette dietro senza fiatare per alcuni minuti, prima di iniziare
a chiedersi se Shadow sapesse cosa stesse facendo.
L'analitica ragazza osservò le sue mosse: il riccio non
seguiva né
un sentiero né una direzione precisa, sembrava andare dove
lo
portava il vento.
Stava andando a caso? La pipistrella se l'era di certo chiesto.
Tuttavia non aveva avuto il coraggio di proferire parola.
Era passato un buon quarto d'ora, e finalmente la giovane donna si
decise di chiedere.
“Shadow, sai dove stiamo andando?” chiese
fermamente, ma comunque
con cautela.
Che mi prende?! Pensava Rouge
Perché mi comporto così??
Non esiste che io abbia paura di Shadow, lo conosco da una vita! Non
ha senso!
Aveva forse paura? Il suo linguaggio del corpo era molto simile a
quello di qualcuno che era spaventato, ma tuttavia non era
così. Lei
aveva paura per lui, per Blaze, per un sacco di altre persone, ma non
per sé stessa. Era solo... preoccupata di vederlo esplodere.
Scacciò quei pensieri, mentre attendeva una risposta da
Shadow.
“Non precisamente.” rispose secco il compare.
“E allora perché continui ad andare avanti senza
sapere dove
vai?!”
“Perché non abbiamo molta scelta.”
rispose leggermente scocciato
il riccio nero.
E poi Rouge non poté più trattenersi: dovevano
parlare.
“Shadow, perché fai così? E'
perché Blaze se n'è andata, non è
vero?” lo bombardò lei, mentre lui continuava la
sua camminata
indifferente (o almeno in apparenza).
Lui non rispondeva, ma Rouge probabilmente conosceva il detto che chi
tace acconsente, perché subito dopo continuò la
sua parlantina:
“Sono sicura che non ti voleva abbandonare,
ma aveva
qualcosa in mente! Che so, cosa da fare, posti dove
andare...”
disse lei, quasi supplicandolo di ascoltarla e di ragionare.
“Non è detto che se ne sia andata a causa
tua!” esclamò,
arrivando al dunque.
“Qualsiasi cosa potrebbe averla spinta a scappare! Non devi
sempre
pensare male delle persone!”
Il riccio rimaneva silente, mentre continuava a camminare, eppure la
sua marcia era rallentata.
“Avevi ragione, Rouge.” disse
dopo un po', e alla ragazza
sembrò di aver sentito una nota di tristezza. La partner
rimase
confusa.
“Avevi ragione quando dicevi che non dovevo farmi coinvolgere
sentimentalmente, o non ne sarei uscito fuori.”
Rouge si ricordò delle sue esatte parole che gli aveva detto
nelle
prime sere del loro nuovo incarico, e le sue orecchie si abbassarono
fiacche fiacche mentre sgranava gli occhi.
Non pensava che avrebbe mai detto quelle parole che persino lei si
era dimenticata.
“E questo da dove viene fuori?? Non dirmi che ti stai
pentendo di
quello che tu e Blaze avete costruito?!” esclamò
la giovane donna,
terrorizzata che la risposta fosse un
“sì”.
Finalmente Shadow si fermò e la guardò con la
coda dell'occhio,
iridi rosse la analizzarono.
“Non ho mai detto questo, e non è quello che
intendevo. Non mi
pento di niente.” le spiegò.
Rouge si calmò.
“E quindi?...Cosa farai quando la troverai?” chiese
Rouge con un
sospiro, ritornando calma, e rimanendo sulle spine in attesa di una
risposta. Quella era la domanda che le era premuta più di
tutte sin
da subito, dato che il suo compare era furioso.
“Cosa vuoi che faccia? Non potrei farle del male.”
rispose più
dolcemente il riccio, che aveva intuito la preoccupazione dell'amica.
“La riporterò indietro e le
parlerò.” disse alla fine alla
ragazza, la quale sospirò pesantemente.
“Non essere troppo rude, Shadow. Avrà un buon
motivo e, quando lo
sentirai, ti darai del coglione per esserti arrabbiato per nulla.
Blaze non è quel tipo di ragazza bastarda, Shadow. Non se ne
sarà
andata per farti soffrire.” parlò l'amica,
lentamente, cercando di
ficcare per bene il consiglio nella testolina del riccio.
Shadow alzò un sopracciglio. Davvero non capiva che sapeva
tutte
quelle cose?
Shadow sapeva che Blaze non era assolutamente una bastarda; poteva
essere fredda, schietta, magari anche rude, ma non era cattiva. La
conosceva abbastanza per dire che era leale.
Inoltre, ora che stava ricominciando a tornargli la calma, si era
reso conto che la gatta era ormai una donna matura e seria, calma,
intelligente e concentrata, deve aver avuto una
buona ragione.
Shadow sapeva già di essere un coglione. Era solo la rabbia
del
momento, un broncio che aveva tenuto su solo perché non
sapeva
spiegare la notizia che gli si era bombardata addosso.
“Ora muoviamoci a trovarle, chissà dove
sono!” esclamò il
riccio, ritornando in sé.
“Fortuna che ho trovato le tracce del loro
passaggio!”
Rouge lo guardò stupita e sorpresa.
“Scusa, hai trovato le loro tracce? Perché quando
ti ho chiesto se
sapevi dove stessimo andando hai risposto di no?” chiese
confusa la
pipistrella.
Shadow stese un sorriso.
“Perché in effetti sto solo seguendo le loro
impronte, ma non so
dove conducano.”
La giovane ex-spia roteò gli occhi.
“Conducici allora!” ordinò solennemente,
e con un pizzico di
divertimento.
Shadow sorrise ancora di più e si mise a correre molto
velocemente,
sapendo che l'amica sarebbe riuscita a raggiungerlo in volo.
Se Blaze avesse un problema anche più grande di lui, non gli
sarebbe
importato; l'avrebbe riportata indietro ad ogni costo, l'avrebbe
aiutata con i suoi problemi e protetta da tutte le malelingue e gli
insulti delle guardie.
Non avrebbe permesso a nessuno di toccarla, avrebbe ucciso pur di
tenerla sana e salva nel suo abbraccio. Tutto quello che voleva era
di perdersi nel suo sguardo dorato mentre si parlavano con un sorriso
sulle labbra.
Era nuovo al sentimento dell'amore, e forse si era fatto prendere un
po' dal panico per le cose che Bunch gli aveva detto la sera in cui
gli aveva parlato della protezione.
Blaze era la sua donna, non l'avrebbe mai lasciata. Non più.
Avevano camminato per ore, e si stava scurendo il cielo, pronto a far
arrivare la sera.
In fila indiana, tre ragazze continuavano a camminare; in testa,
sempre in forma smagliante, Mina si faceva strada tra i cespugli un
po' troppo alti, piuttosto scocciata che quei vegetali la stessero
rallentando e dando fastidio.
Pochi metri dietro di lei, Coral sbuffava, visibilmente stanca, e
iniziava a rallentare notevolmente il passo, chiedendosi quando
sarebbero arrivate o almeno quando avrebbero fatto una pausa.
Subito dietro alla giovane musicista, Blaze chiudeva la fila e si
preoccupava di non essere
-eventualmente- inseguita da qualcuno. Allo stesso tempo, la gatta
teneva d'occhio le altre due ragazze e, di tanto in tanto, spingeva
delicatamente la pesciolina, spronandola ed aiutandola ad andare
avanti. Vedeva che era stanca, ma non sapeva quanto poteva essere
sicuro fermarsi.
Tuttavia, il cielo cominciava a scurirsi, e poi sarebbe arrivata la
notte. Un posto dove stare dovevano trovarlo.
Lei non era una tipa che si stancava facilmente, e Mina sembrava
essere fresca come una rosa, ma al contrario Coral non ce la faceva
più, aveva bisogno di riposare.
Stava per suggerire di cercare un posto dove riprendere le forze,
quando l'eccitata e felicissima voce della mangusta urlò:
“Ragazze! Ci siamo! Vedo una città!”
Incredule e sorprese, le altre due ragazze corsero verso di lei e
guardarono dove il dito della cantante indicava: una città.
Un'enorme città, a dire il vero.
Il cemento delle strade perfettamente asfaltate e dei grattacieli
contrastava con la natura del bosco intorno, la quale iniziava e
finiva inavvertitamente, formando due confini ben delineati.
Era un città pulita, con poco smog e non una persona in
vista.
Le tre ragazze si inoltrarono nella città guardandosi
attorno
curiose.
Coral sembrava aver perso la sua stanchezza, ora che era arrivata.
Forse aveva riacquisto un po' di forza nel vedere che erano arrivati
alla loro destinazione. Ma lo erano veramente?
“Finalmente siamo arrivati.” bisbigliò
incredula Mina,
guardandosi intorno con occhi spalancati.
“Non sappiamo ancora se è NMBC.” le
disse Blaze, guardandosi in
giro per trovare qualcuno.
“Possiamo sempre chiedere a qualcuno.” propose
Coral.
“Se ci fosse qualcuno.” rispose la gatta. Per una
città del
genere, non c'era un'anima viva.
“Cribbio!” esclamò Mina “Non
ditemi che è davvero una città
fantasma!” disse tutta preoccupata.
Coral smise di guardare in giro e si mise ad osservare un punto. Si
calmò, e disse:
“Ma no, sciocca! Guarda là.” e
indicò sorridente il punto che
stava osservando “C'è un signore.”
Le ragazze guardarono dove indicava l'amica: a una cinquantina di
metri, seduto su una panchina di legno vicina ad un solitario e
sottile alberello, riposava tranquillamente un signore anziano, con
un bastone da passeggio di alta qualità in mano. Guardava i
grattacieli e la strada con un sorriso sereno.
“Potremmo andare a chiedere a lui.” propose Coral.
“Non vedo altra scelta.” sospirò in
risposta la gatta.
Le tre si incamminarono verso l'anziano abitante.
“Ok ragazze.” parlò Mina, poco prima di
raggiungere l'uomo
“Lasciate parlare me.” disse seriamente rivolta
alle altre, e
avvicinandosi all'anziano.
Blaze e Coral volettero fidarsi di lei, e la seguirono in silenzio.
Mina arrivò davanti al signore, con le sue due amiche dietro
di lei,
e si schiarì la voce, gesto che prese l'attenzione
dell'anziano.
Lui le guardava attendendo pazientemente che parlassero, senza mai
cambiare l'espressione da beato che aveva in faccia. Beh, si vede che
la vita in quella città era molto tranquilla, ed era strano.
Una città coinvolta con il commercio di schiavi, si
immaginava Mina,
avrebbe dovuto essere oscura, sporca, con vicoli bui e persone
sospette ad ogni angolo. Eppure non c'erano boss mafiosi che si
fumavano un sigaro, né ricconi al volante di auto di lusso.
Era una città piacevolmente integrata tra la natura, serena,
tranquilla, con pochi abitanti.
Ottenuta l'attenzione dell'anziano, Mina mise su un bel sorriso e
iniziò a parlargli gentilmente:
“Buongiorno signore! Io e le mie amiche” disse,
accennando con la
mano le altre due “Ci siamo perse perché il
ton-ton ha smesso di
funzionare. Mi saprebbe dire dove siamo, per piacere?”
L'anziano, con il suo solito sorriso, rispose:
“Siamo a New Mobius Big City, signorine.” disse con
cortesia,
ricambiando il tono gentile della ragazza.
Tutte e tre sgranarono gli occhi, ma Mina lo diede poco a vedere, e
annuì con la testa all'anziano.
“Capisco. Sa dov'è una cabina telefonica,
così avvertiamo i
nostri genitori, per favore? Sa, non ci sentono da quando siamo
partite e non vogliamo farli preoccupare...”
spiegò la cantante
con quel suo visino adorabile. Anche l'anziano annuì.
“Sì, signorina. Là, in fondo alla
strada, vicino all'ospedale.”
disse, alzando il bastone ed indicando la via, che le tre ragazze
guardarono. Mina estese il suo sorriso, poi si rivolse nuovamente
all'anziano abitante:
“Grazie mille, signore!” cinguettò
felice, salutando con la mano
e iniziando ad incamminarsi.
Anche Coral e Blaze ringraziarono di cuore, e lo salutarono.
“E' stato un piacere.” salutò felice il
vecchio gentile.
Le tre ragazze avevano raggiunto la cabina telefonica.
Mina, abituata alla città, si stupì di quanto
sembrasse nuova,
tanto che sembrava essere stata installata solo l'altro giorno. Per
non parlare di come era pulita e senza cattivi e spiacevoli odori.
Prese in mano la cornetta rossa e se la pose all'orecchio.
“Wow.” esclamò felice la cantante
“Non richiede monete.
Fantastico!” disse, sorpresa ed entusiasta dal fatto che non
dovevano usare monete o gettono per far funzionare l'aggeggio
telefonico.
Forse, finalmente, la fortuna stava incominciando a giocare dalla
loro parte.
Tuttavia, Mina non voleva esultare per il momento; non erano ancora
al sicuro del tutto, purtroppo.
Compose in fretta il numero di Ash e attese in linea, mentre le altre
due ragazze aspettavano fuori dalla cabina e si guardavano attorno,
ammirando gli intorni della città.
Rispondi...! supplicò nella sua testa la
mangusta, mentre
secondi e secondi passavano lenti.
Dai, sei sempre attaccato al telefono!...
“Pronto?” chiese una voce
maschile, che Mina riconobbe
subito: Ash.
Presa dalla gioia, la ragazza quasi urlò.
“ASH!” gridò contenta la mangusta, con
le lacrime agli occhi,
felice di sentire finalmente una voce amica.
“MINA?!” gridò lui a
sua volta, sorpreso.
“Sì! Quanto mi sei mancato... mi siete mancati
tutti! Come stai?!
E Tails?!” disse lei tutta d'un fiato, e avrebbe continuato
se Ash
non l'avesse bloccata.
“Mina! Dove sei stata tutto questo tempo?! Dove sei?!”
chiese preoccupato.
La ragazza, che si era ricordata che erano in una situazione
delicata, e si era accorta che stava solo sprecando tempo in
chiacchiere, gli spiegò la situazione.
“Sono stata rapita qualche settimana fa da dei trafficanti di
schiavi! Io e altre due mie amiche siamo riuscite a scappare! Per
favore, vieni a prenderci!” supplico la cantante.
“Sì, subito! Dove siete?!”
chiese Ash, sempre con tono
preoccupato.
“A NMBC, New Mobius Big City.”
“Un attimo.” disse Ash, e poi
Mina sentì il rumore delle
dita che digitavano su qualcosa.
“...emh, Mina?” chiese
dall'altra parte la voce del
manager, e dal tono con cui lo diceva, Mina sentiva che stavano
arrivando dei problemi.
“Il navigatore dice che non esiste una
città chiamata New
Mobius Big City.” spiegò perplesso.
Mina si spaventò, nonostante l'avesse previsto. Quella era
una città
fantasma, sconosciuta a tutti, persino al navigatore satellitare.
Come avrebbe fatto a trovarle, adesso?
“Maledizione!”
esclamò la mangusta dopo alcuni secondi di
silenzio morto.
“Giuro che esiste! Come facciamo??”
gridò nel microfono,
iniziando ad alterarsi.
Ma siccome il suo manager non è un tipo nato ieri, aveva
già
trovato un metodo che, sperando in bene, avrebbe funzionato.
“Ho un'idea!” disse dall'altra
parte della cornetta,
mentre si sentivano le dita digitare su qualcosa.
“Grazie a questa chiamata, posso localizzarvi!
Finché mi
arrivano le coordinate, state lì e non andatevene, arriviamo
subito!”
Mina sorrise speranzosa: “Grazie Ash!”
“Di niente cara. Chiamami fra un po', e ti
dirò a che punto
siamo!” le ordinò.
“Certo! Grazie ancora, Ash.” disse, e poi mise
giù, soddisfatta.
Finalmente quell'incubo sarebbe finito, sarebbero tutte e tre
ritornate a casa, e forse, grazie alla nuova scoperta della
città,
la polizia e gli agenti avrebbero potuto mettere fine al traffico e
liberare le altre prigioniere.
Se Ash e i rinforzi sarebbero riusciti a localizzarle, il resto
sarebbe andato liscio come l'olio.
Sorrideva al pensiero di tornare a casa da facce amiche, che
l'amavano, sorrideva nel pensare al suo futuro; concerti,
divertimento, le nozze... e magari anche dei bambini.
Uscì dalla cabina con un sorriso smagliante, guardando le
altre due.
“Ci vengono a prendere.” disse solamente.
Coral scoppiò dalla gioia, felice che quella brutta storia
stava per
finire.
Anche Blaze sorrise a sentire la bellissima notizia.
“Mi ha detto di richiamarlo fra un po'.”
continuò la cantante.
“Per vedere a che punto è, o se c'è
qualche problema o...che
so?”.
Coral annuì guardando la sua amica con adorazione.
Blaze aveva la schiena appoggiata alla cabina, con le braccia
incrociate, e aveva iniziato a guardare altrove. L'ospedale.
Aveva seriamente pensato di entrare a vedere se riusciva a trovare
una certa riccia rosa...
C'era qualcosa che la spingeva ad entrare: l'istinto.
Le diceva di entrare, chiedere alle infermiere, cercar stanza per
stanza se necessario, ma andare e provare.
La mente, invece, le diceva di aspettare l'arrivo del manager di
Mina, e la tratteneva dall'avventurarsi nel gigantesco ospedale dai
muri bianchi.
Era enorme, muri candidi come appena verniciati, finestre cristalline
che riflettevano la luce del sole e un'enorme croce rossa sulla
facciata. Non una crepa, né un graffito.
“Blaze?” chiamò Mina, mettendosi accanto
alla gatta.
Si stava preoccupando del suo sguardo assente.
Blaze non rispose subito, indecisa su cosa fare e cosa dire. Poi,
fece la sua scelta: doveva entrare.
Si distolse dalla cabina e stette in piedi dritta e rigida, come se
volesse sfidare l'enorme struttura di cemento.
Le braccia non erano più incrociate, ma erano stese dritte
lungo i
fianchi, con i pugni chiusi.
Coral e Mina la guardarono preoccupate, ma anche curiose. Cosa voleva
fare?
Dopo alcuni secondi di completo silenzio tra le tre, la gatta
inspirò
a fondo e finalmente parlò:
“Entro nell'ospedale, se avete bisogno di me mi venite a
cercare.”
disse, dando alla sue amiche solo uno sguardo con la coda
dell'occhio.
Entrambe annuirono. Mina avrebbe voluto dirle qualcosa, ma non le
uscì niente dalla bocca.
Il tono della regina faceva intuire che non accettava proteste di
nessun genere.
Mina, allora, lasciò fare la gatta, stando ferma immobile
vicino a
Coral mentre la loro amica fece la sua entrata nell'ospedale.
N.A:
Salve ragazzi!
Spero
che vi piaccia questo capitolo.
Molte mi hanno chiesto di
mettere il link dei disegni dei personaggi invecchiati di dieci anni di
questa ff, pobrabilmente li metterò nel prossimo dato che
non li ho nemmeno iniziati. Solo per avvertirvi, eh.
Comunque, preparatevi per
il prossimo capitolo che sarà il più triste e
deprimente di tutta la storia. Giusto un'avvertenza.
Non vi spoilero niente,
alla prossima! ;)
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Capitolo 18 *** Cap XVIII Quando una Rosa muore ***
Amy Rose P.O.V.
Buio. Ancora e ancora. Finirà mai questo film?
Non
che sia spiacevole, scene e scene dove rido, piango, mi emoziono. E'
il film sulla mia vita.
E' carino rivedere tutto, soprattutto memorie che si erano
dimenticate, ma voglio tornare alla realtà, al mio presente,
alla
mia vita. Voglio uscire da questo cinema, ma no ci sono porte,
purtroppo.
Dovrò aspettare che finiscano i ricordi, o mi
interromperò
prima? Non so.
Comunque, non dovremmo essere lontani dalla fine:
c'è una memoria
che, appena visto l'inizio, ho iniziato a rattristirmi.
No, per favore, non ancora quella memoria...!
Mi tormentava sin da quando ero sveglia, era il ricordo che mi
era
più rimasto impresso.
Qualcuno lo faccia smettere, non lo voglio rivivere!
Ero nel mio ufficio, seduta nella mia scrivania di legno.
Sul tavolo, le solite cose: fogli, documenti, una penna nera,
una
penna blu masticata e un vecchio telefono scuro con una suoneria
squillante.
Ero intenta a leggere la mia assicurazione sulla vita quando
sentii qualcuno bussare alla porta.
“Avanti.” dissi ad alta voce, in modo che
chi fosse dall'altra
parte della porta sentisse.
La
porta si aprì e rivelò la forma di Espio, un
camaleonte ninja
viola. Aveva il volto serio, come al solito, e mi guardava dritto
negli occhi.
Mi chiedevo spesso perché fosse così
serio e concentrato, ma in
quel momento non ci feci tanto caso. Lo guardai anch'io e misi
giù i
fogli che stavo leggendo. Gli lanciai un ampio sorriso.
“Espio! Da quanto tempo, amico mio.” lo
salutai, posando i
gomiti sulla scrivania e congiungendo le mani. In risposta, anche lui
sorrise.
“Piacere di rivederti, Amy Rose.”
salutò lui con rispetto,
facendomi un cenno con la testa.
“Cosa ti porta qui?” chiesi al camaleonte.
Il suo volto tornò serio mentre da una sua cintura
estrasse un
bigliettino rosa da visita.
Aggrottai le sopracciglia mentre lui si avvicinò
alla scrivania
con il pezzo di carta tra le dita.
“Cos'è?” chiesi perplessa,
allungando il braccio per
prendergli il foglietto che mi aveva allungato, e iniziando ad
esaminarlo. Il mio amico prese un bel respiro, prima di rispondermi:
“Sei stata ufficialmente invitata al matrimonio tra
Sonic e la
principessa Sally.” disse, con voce monotona da macchinetta.
Mi bloccai. Non riuscivo a respirare bene, per quanto ci
provassi,
ero rimasta scandalizzata.
Guardai con occhi sgranati il biglietto, senza impegnarmi a
leggerlo dato che sapevo cosa diceva.
Ero ferma, immobile come una statua.
E' stato un colpo al cuore, poi allo stomaco, sembrava che mi
avesse trafitta una lancia di ghiaccio. Cavolo, come mi facevano
male...
Non era possibile...no..no, NO! No no no no no...
Avevo brividi freddi, il sudore mi colava giù dalla
fronte.
Mi sentivo male non solo emotivamente, ma anche fisicamente...
Mi bruciava la gola, era come se stessi per vomitare.
“Rose?” mi chiamò il camaleonte.
Lo ignorai totalmente.
I-io...sapevo che quei due stavano molto insieme, ma non avrei
mai
pensato... Oddio.
P-perché Sonic, perché? Sapevi che sarei
stata male, perché mi
hai invitata? Per guardati sposare qualcun'altra? Non ti capisco!
Sarà un bel momento per te, ma non lo
sarà per me, come hai
potuto non pensarci?!
“Rose??”
Io non pensavo che tu fossi il tipo che si sposa, Sonic.
Davvero,
ti sei descritto sempre come uno spirito libero. Che ti è
successo?
Hai cambiato idea?
...la ami così tanto da rinunciare a tutto il
resto, come ho
fatto io con te in tutti questi anni?
...mi ferisce, Sonic, è davvero una cosa che mi
ferisce.
Mi hai sempre considerata solo come un'amica, non è
vero? E' per
questo che mi hai invitata?
...D'accordo caro, io ti voglio comunque bene... e anche a
Sally,
siamo sempre state amiche... si offenderebbe e ci rimarrebbe male se
non venissi.
Dio mio Sonic, perché non puoi tornare da me?!
“AMY!”
Il camaleonte mi aveva preso per le spalle e le aveva scosse,
facendomi destare dal mio stato di trance e dai miei monologhi
interiori.
Avrei voluto dirgli che stavo bene, ma l'unica cosa che
riuscii a
fare fu di alzare lentamente lo sguardo per guardarlo in faccia.
Almeno avrebbe saputo che ero ancora viva.
Il mio amico sgranò gli occhi.
“Mio Dio, Rose, sembra che tu abbia visto un
fantasma!”
esclamò preoccupato il ninja.
“Sto bene.” farfugliai acida. Non avrei
voluto essere così
sgarbata con lui, dopotutto era sempre stato gentile con me, non si
meritava una risposta cattiva.
Ma in quel momento ero disperata e avevo bisogno di sfogarmi,
e il
camaleonte era lì sotto tiro.
Dopo mi sono sentita male per come l'avevo trattato.
Espio non aveva nessuna colpa, se non quella di avermi portato
il
messaggio.
Ma
io non pensavo a questo in quel momento, pensavo solo con rabbia a
quanto fosse stronzo per parlarmi in quel modo, come se non sapesse
il problema, come se non sapesse quanto mi faceva soffrire la
notizia. Lo guardavo semplicemente con odio. Mi alzai di scatto.
“E vuoi smetterla di chiamarmi 'Rose'?! Chiamami per
nome! Ci
conosciamo da una vita, cazzo!”
gli sbraitai contro, dimenandomi dalla presa che aveva sulle
mie
spalle.
Lui mi lasciò andare allibito e
indietreggiò di alcuni passi
dalla scrivania.
Lo squadravo irata, con i pugni chiusi appoggiati sulla
superficie
del tavolo.
Mi osservò sorpreso, aspettando che mi calmassi via.
E in quel momento mi accorsi di quello che gli stavo dicendo.
Fu
qui che realizzai che stavo sbagliando.
Il mio sguardo si ammorbidì lentamente. Mi sentivo
così in
colpa...
Mi calmai e mi sedetti pesantemente sulla sedia. Espio
rimaneva
immobile a guardarmi perplesso.
Fantastico, è di nuovo colpa mia! Sentii un nodo
alla gola e
sapevo cosa significasse...
Cercai di trattenere le lacrime, ma non ci riuscii. Nascosi la
faccia nelle mie mani per la vergogna.
“Mi dispiace Espio! Non volevo-” riuscii a
dire tra i
singhiozzi. “Scusami tanto.”
Mi vergognavo così tanto da non volerlo vedere in
faccia, ma
soprattutto di guardarlo negli occhi.
Tenendo una mano sul volto, staccai l'altra per aprire un
cassetto
e prendere un fazzoletto.
Mi soffia il naso, cercando di calmarmi. Ero sempre stata
considerata una bambina molto emotiva, non volevo essere più
chiamata 'la ragazzina dalla lacrima facile'. Non volevo mostrarmi
ancora vulnerabile, mai più. Ma stavo fallendo miseramente;
anche se
avevo la faccia coperta, Espio si era sicuramente accorto che stavo
scoppiando.
Sobbalzai quando sentii una mano posarsi sulla mia spalla.
Guardai chi era, e non mi sorpresi nel vedere gli occhi gialli
di
Espio che guardavano i miei già rossi dalle lacrime.
“Non sono offeso, se te lo stai chiedendo, e tanto
meno
arrabbiato.” mi disse, come se mi avesse letto nel pensiero.
“Non è colpa tua. Lo sapevo che sarebbe
stata una notizia dura
per te.” disse, fermandosi un attimo per cercare cosa dire.
Lo
guardai con stupore; sapevo che Espio non era il tipo che sapeva
consolare la gente, però ci stava provando.
“Sonic...” sussurrai quasi
involontariamente, e lui capì e
chiuse gli occhi.
“Non sei tu il problema. Tu sei perfetta
così come sei, e non
hai nemmeno sbagliato nulla. Non è colpa tua, né
di nessun altro.
E'....la vita.” continuò lui.
Non ce la facevo più a guardarlo negli occhi, e li
abbassai,
temendo di iniziare di nuovo a piangere, e non volevo mica frignargli
in faccia.
“Non fare così. La vita non è
cattiva, solo aveva altri piani
per te. Piani meravigliosi, senza dubbio, ma il dolore c'è,
comunque
e sempre. Lo supererai, sei una donna forte, e andrai avanti per la
tua strada con un sorriso coraggioso, come fai sempre.”
Espio era un mio amico, ma non così stretto, eppure
a sentire
quelle parole... per la prima volta lo vidi come una roccia a cui
aggrapparmi. Qualcuno che mi stava cercando di far capire che le cose
succedono, belle e brutte, ma l'importante è andare avanti
affrontando tutto, e uscendone vincitore.
Lo abbracciai forte forte, lasciando andare le mie lacrime.
Era
così confortevole.
Lui all'inizio si era irrigidito perché
probabilmente non se
l'aspettava, ma poi aveva ricambiato l'abbraccio, cosa che mi
stupì.
“Ricordati che tu sei sempre stata
un'eroina” continuò lui,
sussurrando rincuorante.
“Anzi,
una combattente, una Freedom
fighter, e cosa
fanno meglio i combattenti tosti come te? Combattono, sopravvivono,
escono vincitori. Non si arrendono, vanno avanti, sempre. Tu che
farai?” concluse, lasciandomi andare per guardarmi in faccia.
Misi su un lieve sorriso, e con le dita mi asciugai gli occhi.
“Andrò avanti!” risposi
convinta. “Supererò anche questo!”
Lui mi sorrise dolcemente. “Brava!” disse.
“Non avere rancori, e non essere arrabbiata con i
tuoi amici. Ti
vorranno sempre bene comunque.”
Annuì contenta.
“Grazie Espio, grazie di cuore.” lo
ringraziai, per poi
stringerlo in un altro abbraccio spacca ossa.
Quando lo lascia andare, lui si diresse verso la porta.
“Quindi... andrai al loro matrimonio?”
chiese esitante.
Io annuì.
“Sì, rimarrebbero dispiaciuti se non
andassi.” risposi
sinceramente.
“Sei
sicura? Dopotutto, tu
potresti rimanere dispiaciuta se andassi.” m'avvertii lui, ma
l'avevo capito perfettamente da sola.
“Ehy ehy, prima mi dici di non avere rancori e poi
mi suggerisci
di non andare?” chiesi scherzosa al mio amico, il quale
iniziò a
scuotere la testa.
“No, non è questo che...” ma
poi si bloccò, e non disse più
niente.
Andò verso la porta e girò il pomello.
“Ci si vede in giro, Rose- volevo dire,
Amy.” salutò
sorridendo e aprendo la porta.
Ricambiai il sorriso.
“Grazie Espio, e arrivederci.”
Lui richiuse la porta dietro di sé, e fui di nuovo
da sola.
Sopirai stancamente.
Adocchiai il bigliettino da visita che stava sulla scrivania.
Non andare non significava avere rancori, ed io sapevo bene
che è
quello che intendeva dire Espio.
Lentamente e con mano tremante, presi in mano il foglietto e
lessi
il luogo, la data, l'ora.
Le nozze sarebbero state appena quattro giorni dopo.
Sapere che dopo quel giorno il mio amato Sonic se ne sarebbe
andato per sempre da me, per restare in altre braccia, mi
rattristiva, anzi, peggio; mi deprimeva.
Ma sarei andata là anche con un sorriso finto, a
fare i miei
auguri più sinceri a denti stretti.
Sospirai.
Magari non sarebbe stato tanto male.
Se pensavo che non potesse essere tanto male, mi sbagliavo
terribilmente!
Ho tentato, ho cercato di resistere ma la serata è
finita con me
che piangevo come una cogliona.
Il giorno stabilito, sono uscita dal lavoro e mi sono diretta
a
casa.
Una volta entrata in camera, chiusi a chiave la porta e andai
ad
aprire l'armadio stra colmo di vestiti ficcati disordinatamente
dentro.
Come
aprii le ante, alcuni vestiti caddero ai miei piedi. Grugnii,
soprattutto quando vidi il macello che c'era dentro: non c'era un
solo vestito
che fosse al suo
posto, appeso sul suo omino.
Perché dovevo essere così disordinata?!
Per non parlare di come erano tutti spiegazzati. Sembravano
non
essere stati stirati da anni.
Ne tirai fuori alcuni, quelli che mi parvero più
belli, e li
stesi sul letto per osservarli e decidere.
Li provai tutti, persino il mio preferito – un lungo
vestito
rosso acceso con scollatura a V e senza maniche, con una grande rosa
sul fianco dello stesso colore – ma nessuno mi diede
soddisfazione.
Rimasi davanti al letto a guardare con faccia imbronciata
tutti i
vestiti scartati, pensando a cosa mettermi.
“Sapete cosa vi dico?” dissi ai vestiti,
mettendomi le mani
sui fianchi “Non mi metto nessun vestito! Maglietta,
pantaloni e
via! Come al solito!” continuai, anche se quegli stracci, di
sicuro, non mi potevano sentire. Li presi e li buttai a casaccio
nell'armadio, chiudendolo subito dopo.
Mi diressi verso un altro armadio, questa volta più
piccolo, dove
tenevo i miei vestiti quotidiani.
Ero sicura che, questa volta, gli indumenti fossero ordinati.
Aprii le ante e mi misi a cercare quello che mi poteva servire. Alla
fine scelsi dei jeans blu chiari, una maglietta a quadri bianca e
rosa con i bottoni e una giacchetta di pelle beige chiara con la
cerniera.
Mi vestii, mi rifeci la coda e poi, dopo essermi guardata allo
specchio dell'entrata per assicurarmi di essere decente, uscii
finalmente di casa.
Mi diressi verso il palazzo della mia amica Sally.
C'era un'orda di gente per strada, naturalmente. Riuscii a
passare
in mezzo alla folla e mi ritrovai davanti all'enorme castello. Lo
guardai, indecisa se entrare o meno, e poi varcai il cancello.
La cerimonia fu come come molte altre; il prete, gli sposini
all'altare, la gente che piangeva di gioia. Anche io stavo per
piangere, ma di certo non perché ero felice.
Sonic
e Sally, alla fine, salutarono il loro popolo dal balconcino, per poi
ritornare al piano terreno, dove c'era un enorme palcoscenico. Mina
doveva esibirsi, figurati se non fosse stata lì a cantare
qualcosa
di romantico per loro.
E in effetti, lei comparve sul palco poco dopo in un
bellissimo
abito orientale rosso e bianco, e tutti l'accolsero con innumerevoli
applausi.
Lei iniziò a cantare 'Take me to Church' e tutte le
coppie si
posizionarono e si misero a ballare un lento. E' la canzone adatta,
ottima scelta Mina. Sei sempre stata brava.
Io rimasi seduta sulla stessa sedia della cerimonia per tutto
il
tempo. Mi limitai a guardare gli altri ballare, mentre io rimasi in
disparte.
Tanto, con chi volevate che ballassi?? Non c'era nessuno per
me. E
meglio così, non ne avevo voglia. Mi sentivo vuota.
Intanto, il cielo si scuriva; stava arrivando la sera.
Non avevo più niente da fare lì, se non
guardare quanto fossero
felici quei due, il mio amore e la mia amica, e mi alzai per
andarmene. La serata non era ancora finita, ma le nozze sì,
e loro
mi avevano invitato solo a quelle.
Li guardai ancora un'ultima volta, proprio quando avevano
deciso
di baciarsi.
Fu un tuffo al cuore, fu come se mi avessero buttato
dell'acqua
gelata addosso.
Se avessi guardato ancora, sarei sicuramente scoppiata a
piangere,
e mi girai per andarmene di corsa, senza voltarmi più
indietro.
Non avevo voglia di ritornare subito a casa. Avevo bisogno di
una
camminata.
Girai le strade ormai deserte di Mobius curva su me stessa,
con le
mani nelle tasche della giacca.
Dovevo calmarmi, ma non ci riuscivo. Mi sentivo morire.
Tutto quello che abbiamo passato insieme, da amici... ora era
andato tutto via, eravamo cresciuti e niente, non si poteva tornare
indietro. Mi manca tutto quello.
Pensai a tutte le avventure più belle che avessimo
mai fatto, e
iniziai a piangere.
A quel punto, non me ne fregava niente; avrei pianto quanto
volevo, non c'era nessuno che mi vedesse, nessuno che mi giudicasse.
Dovevo sfogarmi, in qualche maniera, una volta la madre di
Cream
mi aveva detto che dopo aver pianto ti senti meglio, perché
hai
buttato tutto fuori.
E così lasciai le lacrime rigarmi le guance, mentre
il mio pianto
diventava sempre più incontrollabile.
Non ci feci nemmeno caso quando iniziò a piovere.
Ero stanca, avevo sofferto tutti quei giorni, non c'era
davvero
niente da fare per un cuore spezzato?!
Aveva ragione Espio: non dovevo venire.
Mi appoggiai esausta al primo muro sulla mia strada.
Non potevo far altro che pensarti, Sonic...
“Io ti amo.” sussurrai tra un singhiozzo e
l'altro “Ma se
sei felice così, sarò felice anch'io.”
Dopo aver ripreso un po' d'energia, ed essermi sfogata
abbastanza,
ripresi il mio cammino verso casa, mentre la pioggia iniziò
a
picchiare forte.
Finì il ricordo, e ringraziai il cielo. Era
straziante ogni volta
che lo ripercorrevo.
Mi posso svegliare, adesso? O Amy Rose non ha ancora avuto
abbastanza?
Normal P.O.V.
L'infermiera entrò nella stanzetta della paziente, per
controllare
se era tutto in regola.
La ragazza non si era ancora mossa, era in coma da almeno una
settimana.
Il battito c'era, anche se debole. L'infermiera sospirò
sconsolata,
e si mosse a guardare la flebo.
Finiti i suoi controlli, fissò la ragazza, una riccia rosa
piena di
lividi e tagli, coperti da delle bende.
Così giovane, eppure doveva stare attaccata a delle macchine
per
sopravvivere.
L'infermiera sospirò di nuovo e, come faceva tutti i giorni,
le
sussurrò dolcemente:
“Ehy, sveglia.”
Era molto silenzioso il corridoio di quell'ospedale, i passi veloci e
nervosi di Blaze erano l'unica cosa udibile.
Non c'era nessuno in giro, solo un ampio corridoio graziosamente
dipinto di giallo miele.
Il pavimento era lucido e splendente, in giro c'erano scaffali peni
di garze e lenzuola perfettamente bianche, pulite e sterilizzate.
Blaze si stupì della perfezione di quella città:
era forse il posto
che più si avvicinava al paradiso?
Ci volle un po' prima di vedere qualche forma di vita: alcune
infermiere andavano e venivano di stanza in stanza portando in mano
lenzuola pulite, garze, cerotti, bende, flebo e alcune anche del
cibo. Quanto avrebbe voluto anche solo un assaggio.
Le infermiere erano silenziose e operative, non si fermavano un
attimo.
Sembrava che non avessero nemmeno appreso che un'estranea le stesse
osservando.
Blaze avrebbe voluto lasciarle fare il loro lavoro, ma l'ospedale era
enorme e avrebbe solo sprecato un sacco di tempo se avesse cercato da
sola.
Stava per chiedere a qualcuna di esse, quando un'infermiera senza
nulla in mano fece capolino dal fondo del corridoio e andò
proprio
nella sua direzione.
L'infermiera si fermò davanti alla gatta e la
guardò curiosa. Mise
su un gentile sorriso e chiese:
“Le serve qualcosa, signora?”
Faceva uno strano effetto a Blaze essere chiamata 'signora'; non era
così vecchia.
Ma scacciò quel fastidio, sapendo che l'aveva detto solo per
cortesia, e rispose:
“Sì, grazie. Vorrei sapere se avete una paziente
che risponda a
questa descrizione: è una riccia rosa di circa vent'anni,
occhi
verdi, capelli a caschetto e un ciuffo sulla fronte.”disse la
gatta.
L'infermiera rimase piacevolmente sorpresa da una simile rivelazione.
Sospirò rincuorata mettendosi una mano sul cuore.
“Grazie al cielo, qualcuno che la conosca! Lei è
un'amica? Un
parente?” chiese alla gatta.
Blaze si bloccò. L'aveva trovata, finalmente!
“Sono una sua amica.” rispose alla fine. L'altra
donna annuì.
“Sono appena stata da lei. Mi segua.” disse alla
guardiana, per
poi voltarsi e tornare da dove era venuta, con Blaze dietro.
“E' un sollievo sapere che qualcuno sa chi sia.”
continuò
l'infermiera alla gatta, la quale rimase silente tutto il tempo.
“L'abbiamo trovata nel bosco qui vicino in condizioni
critiche,
aveva lividi e lacerazioni su tutto il corpo. Non aveva documenti
addosso, e nessuno la conosceva. Era una sconosciuta.”
continuò,
arrivando a destinazione.
“Non credo che tu le possa parlare, purtroppo. E' in coma da
più
da una settimana, e non accenna a migliorare.”
continuò la donna,
con una nota di tristezza, mentre apriva la porta della stanza.
Entrarono e Blaze adocchiò subito la figura sul letto.
Amy.
Si inginocchiò al fianco della tanto cercata riccia rosa.
Era conciata malissimo, lo poteva vedere anche lei, ma almeno era
viva, almeno respirava ancora.
Lentamente, accarezzò la guancia della giovane amica, stando
ben
attenda di non toccare e spostare la mascherina dell'ossigeno.
“Potrei sapere il nome della paziente?” chiese
pacatamente
l'infermiera, aprendo un fascicolo di documenti e facendo scattare
una penna, pronta per scrivere.
“Amy Rose.” rispose naturalmente la gatta. La
ragazza annuì e
scrisse il nome della riccia.
“Può lasciarci da sole?” richiese
garbatamente Blaze, dopo
qualche minuto di silenzio.
“Certamente.” e detto questo, l'infermiera
uscì dalla stanza.
La gatta, una volta sola, sospirò pesantemente mentre
muoveva la
mano dalla guancia al ciuffo sulla fronte.
“Ehy, Amy.” chiamò la micia, anche se
non sapeva se la stesse
ascoltando, ma ci avrebbe provato ugualmente
“Perché non mi hai
chiesto aiuto sin da subito? Anzi, perché non me lo hai mai
chiesto?” chiese la gatta lilla, continuando a passare la
mano nel
ciuffo con dolcezza.
“Sono qui adesso. Sono venuta per te. Apri gli occhi.
Svegliati.
Per favore, svegliati.” continuò in un sussurro
Blaze, mentre gli
occhi le diventavano lucidi.
Con l'altra mano prese quella della riccia e gliela strinse forte,
aspettando una qualsiasi reazione.
Amy P.O.V.
Sarà questo il momento? Comincio a respirare
più forte, con più
libertà.
Inizio a sentire dei suoni in più, tante voci.
Forse i sensi mi stanno tornando; sento qualcuno toccarmi e
sussurrarmi parole dolci.
“Sono qui
adesso. Sono venuta per
te. Apri gli occhi. Svegliati. Per favore, svegliati.”
mi
dice dolcemente una voce femminile, non la solita che mi chiede di
svegliarmi di tanto in tanto, ma una voce stranamente familiare.
Ora mi sta stringendo la mano. Stringila anche tu, Amy! Fa
vedere
che si sei!
Con grande fatica, sto riuscendo ad aprire gli occhi...
è forse
un miracolo, questo?
Luce.
Per la prima volta in mesi riesco a percepire la luce, ed essa
riesce ad avvolgermi.
Sono felicissima, potrei saltare di gioia, ma non ho ancora
così
tante forze a sufficienza, e sento che non le avrò mai.
Mi sono svegliata, sì, ma ora mi sento deboluccia.
Apro e chiudo gli occhi con difficoltà, come se
avessi le
palpebre stanche e pesanti, mentre aspetto che la mia vista offuscata
metta a fuoco i dintorni.
Vedo una persona violacea, probabilmente è lei che
mi sta
parlando.
Pian piano, la mia vista si fa sempre più nitida.
Non riesco a
credere chi vedo!
“B-Blaze?”.
Normal P.O.V
Blaze alzò lo sguardo quando vide gli occhi di Amy iniziarsi
ad
aprire lentamente.
Si sta svegliando! Fu tutto quello che
pensò, felice che la
sua amica stava rispondendo alla sua chiamata. Ma commise l'errore di
illudersi e di dar per scontato che sarebbe stata meglio.
Amy la guardò e ci impiegò un bel po' per
rendersi conto di chi
fosse.
“B-Blaze?” chiese la riccia con un filo di voce,
con un tono tra
il sorpreso e il felice.
“Amy!” esclamò la gatta commossa,
prendendole la mano con
entrambe le mani.
“Come stai?” chiese la micia.
Amy respirò a fondo, prendendo fiato per rispondere.
“Non saprei. Mi sento stanca. E tu? Che ci fai
qui?” chiese
sussurrando.
Blaze ridacchiò sottovoce.
“Potevi aspettartelo, Amy. Non ti ricordi? Mi hai mandato una
lettera in cui dicevi che credevi di essere stata scoperta.”
spiegò
la regina.
“Ah già.” interruppe la riccia
“Scusa, ma avevo paura. Dovevo
dirlo a qualcuno se i miei timori si fossero mostrati veri.”
si
scusò Amy, la quale stava recuperando le forze e stava
iniziando a
parlare normalmente, seppure non riuscendo a muovere nient'altro
fuorché la bocca.
“...E purtroppo si sono mostrati veri.” concluse la
gatta
scurendosi in viso.
L'amica sospirò pesantemente; “Eh
già.”
“Come mi hai trovata?” chiese alla fine. La gatta
sorrise.
“E' una storia davvero lunga.”
“Racconta.”
E allora Blaze iniziò a raccontarle la sua avventura: di lei
che si
era mischiata nel commercio di schiavi, che aveva viaggiato e
scoperto un po' tutto, dell'incontro e della fuga con Mina e Coral.
“Mina?? Coral?” chiese stupita Amy, interrompendo
il racconto.
Blaze la rincuorò subito, prima che l'amica si preoccupasse
troppo.
“Sì, anche loro erano state catturate. Ma come ti
ho già detto,
siamo evase e stiamo tutte e tre bene.”
rispose la gatta. La riccia si calmò notevolmente. Fece,
seppure con
gran fatica, un largo sorriso.
“Grazie, Blaze. Grazie.”
sussurrò debole. Blaze alzò un
sopracciglio confusa.
“Di cosa?” chiese.
“Per essere venuta per me. Lo apprezzo molto.”
rispose la riccia,
con tono spezzato, quasi come se stesse per piangere dalla gioia.
Ma qualcosa non andava, e Blaze lo sentiva. Capiva dal tono di voce
della riccia che c'era qualcosa che non andava, c'era qualcosa che
Amy non le stava dicendo. E la gatta sperava di sbagliarsi,
perché
il suo istinto le diceva che, se avesse visto giusto, sarebbe stato
qualcosa di agghiacciante.
“...e per aver aiutato le mie amiche. Le hai salvate,
probabilmente
sei un angelo...” continuò Amy.
Blaze aggrottò la fronte, non capendo dove la sua amica
volesse
arrivare.
“Cosa stai dicendo?” chiese preoccupata e spaesata
la gatta.
Amy richiuse gli occhi, leggermente triste.
“Non sto molto bene.” iniziò come se non
fosse niente.
Blaze capì in un attimo cosa stava succedendo, e cosa lei
volesse
farle capire.
“Starai meglio.” interruppe subito la micia
“E' solo il primo
giorno. Devi rimetterti.”
Amy aveva riaperto gli occhi e stava guardando il soffitto senza
alcuna espressione, stanca.
Poi, scuotendo debolmente la testa, puntò il suo sguardo su
Blaze.
“Non ce la farò, Blaze. Io...”
“Non dirlo!” ordinò con rabbia la gatta,
iniziando ad avere gli
occhi lucidi.
“...io morirò, Blaze.”
continuò comunque la riccia in un
sussurro.
“Non dire così!” rispose la gatta
“Non lo puoi sapere.”
“Sì invece. Lo sento. Sono
un'investigatrice...”
“Esatto! Un'investigatrice, non una veggente con la palla
magica!
Tanto meno un dottore!” rimarcò decisa la gatta.
“Non so Blaze... mi sento mancare le forze. Non ci posso fare
niente...ma forse è meglio così...”
disse Amy, con un filo di
voce.
“E questo che significa?! Amy! Sono venuta qua per te e tu
ora mi
dici che vuoi lasciarti andare?!” disse arrabbiata la
guardiana,
alzando un po' troppo la voce, la quale iniziò a tremare.
Amy la guardò sorpresa, ma senza dire niente per un po'.
Sembrava
stesse pensando a qualcosa.
“Non voglio farti un torto, Blaze.” disse alla fine
la riccia, in
tono serio. Blaze si sorprese di quanto Amy sembrasse matura, con
quel tono.
“Ti ho già detto che apprezzo quello che hai
fatto. Ma entrambe
non abbiamo il potere della vita. E' inutile nascondere quello che
succederà, o impedirlo.” continuò la
giovane ragazza.
Blaze non sapeva cosa dirle. Aveva ragione.
“Che ne è stato della Amy sempre positiva e
ottimista?” chiese
sconsolata la gatta, più a sé stessa che
all'amica.
“Se ne è andata già tempo
fa.” rispose inaspettatamente la
riccia “Insieme alla sua infanzia e alla sua
innocenza.”
concluse, paurosamente seria.
Blaze abbassò lo sguardo sulle sue mani, che stringevano
ancora
quella della riccia.
“Io...Io non voglio perderti.”
disse alla fine la gatta
con voce spezzata, lasciando cadere le barriere del suo orgoglio e
iniziando a piangere di fronte alla sua amica.
Dopo alcuni dolorosi secondi, Blaze sentì la riccia
ricambiare la
stretta sulla sua mano.
“Blaze. Amica mia.” chiamò Amy, per
attirare l'attenzione della
ragazza su di lei.
La micia si asciugò velocemente le lacrime che le rigavano
il volto
e alzò lo sguardo al richiamo dell'amica.
Amy Rose la guardava con i suoi occhi provati e il viso pallido, ma
con un lieve, dolcissimo sorriso.
“Prima mi hai chiesto perché non ti ho chiesto
aiuto. Non volevo
essere un peso. Non avrei voluto coinvolgere nessuno. Ti mandavo
quelle lettere non per questioni professionali, che erano solo scuse,
ma perché così non mi sarei sentita
così sola. Ma soprattutto,
così almeno qualcuno non mi avrebbe dimenticata.”
Blaze rimase sconvolta dalla rivelazione. Sgranò gli occhi
alla
giovane amica.
“Almeno passerò gli ultimi minuti della mia vita
con qualcuno a
cui voglio bene, e non morirò sola.” concluse,
stranamente
sollevata, ma Blaze, alla fine, aveva capito perché.
Amy era davvero così sola? E' per questo che stava
accettando il suo
destino così serenamente, nonostante fosse una tragedia?
Povera
anima. Povera rosa in piena bellezza, che sarebbe morta ancora prima
di accennare ad appassire. E il peggio, era che le avevano strappato
i suoi petali con la forza, costringendola a finire.
Inconsciamente, Blaze si mise ad accarezzale la fronte.
“Te l'ho già detto che non devi parlare
così.” rispose
debolmente la gatta, capendo che era inutile convincere sé
stessa e
l'amica che tutto sarebbe finito bene.
“Lo so.” la riccia sorrise.
“Avrai un futuro brillante, Blaze. Te lo auguro
perché sei una
persona davvero speciale. Non tutti farebbero quello che hai fatto
tu. Promettimi di vivere felice, e di non dimenticarmi. Sii
felice.”
La riccia, con il suo debole sorriso che persisteva sul suo volto,
chiuse gli occhi e Blaze si accorse che la sua testa si era
afflosciata su un lato, quello rivolto verso la gatta.
“Amy?” chiamò l'amica.
E poi accadde.
Qualche secondo dopo, sullo schermo si vide la frequenza cardiaca
cessare e la macchinetta iniziò a suonare l'allarme.
L'espressione di Blaze cambiò in un attimo: le sue orecchie
si
appiattirono contro la testa, impallidì all'istante mentre
le sue
pupille si rimpicciolirono e i suoi occhi sgranarono in
realizzazione.
“INFERMIERA!” gridò Blaze, alzandosi di
scatto, e correndo verso
la porta mentre in sottofondo l'allarme suonava a palla.
La gatta spalancò la porta ed uscì nel corridoio.
“INFERMIERA!” chiamò di nuovo,
disperata, e vide che dal fondo
del corridoio stavano arrivando di corsa due infermiere con un
defibrillatore.
Blaze le lasciò passare e le due entrarono nella stanza.
Una iniziò a fare la rianimazione a mano, mentre l'altra
preparava
le piastre del defibrillatore.
“Libero!” disse a un certo punto la seconda
infermiera, e la
prima smise di premere, togliendo le mani e lasciando lo spazio alla
macchinetta.
Le piastre caddero sul petto della riccia, la quale sobbalzò
di
qualche centimetro per la potente scossa.
Tuttavia, il battito non ricominciò e l'allarme
continuò a suonare.
Così, la seconda infermiera preparò di nuovo il
defibrillatore
mentre la prima riprese con le sue manovre di rianimazione.
Blaze rimase fuori dalla stanzetta, ma vedeva ogni cosa dalla porta
rimasta aperta.
Lei rimase fuori nel corridoio, completamente raggelata da
ciò che
era successo, mentre le lacrime cominciarono a scendere e a rigarle
il volto. Lei lasciò fare, mentre osservava inerme la scena.
Lunghissimi minuti passarono, e Blaze aveva rinunciato a guardare
oltre.
Ora era lì, seduta con la schiena contro il muro,
abbracciandosi le
ginocchia.
Non aveva ancora smesso di piangere, ma stava cercando di calmarsi.
Sentì dei passi picchiettare nervosi e indecisi verso di lei.
Tentò disperatamente di ricomporsi, si asciugò
velocemente le
lacrime e attese.
Il leggero picchiettio delle scarpette si fermò proprio
davanti a
lei.
Nessuno parlava e la tensione cresceva drasticamente.
L'infermiera non parlava ancora; stava cercando le parole adatte,
oppure il momento adatto.
Questo confermava solo una cosa, una terribile cosa.
“Miss?” la donna richiamò dolcemente,
seppur addolorata,
l'attenzione della micia.
Prontamente, la gatta fece scattare lo sguardo e lo puntò in
faccia
all'infermiera, la stessa donna che l'aveva accompagnata nella stanza
dell'amica, e che solo ora Blaze si accorgeva della targhetta
argentea dove c'era inciso il suo nome, Rochelle Butterfly.
La donna continuò, piano: “Abbiamo provato di
tutto, ma non c'è
stato niente da fare. Mi spiace.”
Blaze rimase gelata. Poteva sentire il sudore freddo scorrere su
tutto il corpo, mentre il suo cuore smise di battere per qualche
secondo, per poi riprendere a battere ancora più velocemente
di
prima.
Era morta.
Era così doloroso... Blaze non voleva nemmeno vedere per
l'ultima
volta il corpo privo di vita della sua amica, l'avrebbe uccisa a
vista.
Perché doveva morire?! Perché proprio lei?! Non
aveva fatto niente
di male...
Figli di puttana.
Al dolore e alla tristezza si sostituirono subito rabbia e desiderio
di vendetta.
Non c'erano parole, per quanto cercasse, abbastanza offensive per
quegli animali che le avevano fatto questo.
Li avrebbe uccisi tutti. Dal primo all'ultimo, con
le sue
stesse mani e le sue stesse fiamme.
Fanculo tutto, sarebbe andata là e li avrebbe fatto vedere
chi era
davvero Blaze the cat, li avrebbe visti bruciare sotto i suoi occhi
iniettati di sangue. Il loro.
Non si sarebbe fermata finché sarebbero diventati tutti un
cumulo di
cenere.
Loro, il loro traffico di merda, quel treno del cazzo e tutto quello
che amavano sarebbero diventati materiale per alimentare il suo
fuoco.
Lei avrebbe avuto la sua vendetta, e finalmente si sarebbe messa su
quell'incubo la parola FINE.
Non le importava se poi avesse avuto sulla coscienza tutte quella
vite e l'appellativo di 'assassina'; se lo meritavano. Anzi, tutti
l'avrebbero ringraziata.
Amy pensò la gatta nella sua testa Ti
vendicherò. Mi
dispiace che sia andata a finire così per te, e
non
permetterò a quei bastardi di farla franca. Te lo prometto.
Promise all'amica morta, con determinazione e calma omicida.
Farete bene a iniziare a pregare. Questa è la
vostra ultima
tappa! Pensò adirata, questa volta rivolta alle
guardie.
Aveva smesso già da un po' di tremare, e aveva una smorfia
adirata.
L'infermiera, notando il cambiamento, si preoccupò di quello
che
potesse passare per la testa della gatta.
“Miss...?” chiamò ancora una volta
Rochelle, più delicata che
poté. Aveva un certo tocco con chi era stato colpito dalla
perdita
di una cara persona.
Blaze si alzò coi pugni forzatamente chiusi. Stava dritta
davanti
all'altra donna, immobile come una statua. Allarmata, Miss Butterfly
si avvicinò di qualche passo.
“Miss?” Chiamò ancora, preoccupata. E
quasi sussultò quando
vide lo sguardo della micia.
Occhi dorati, freddi e pericolosi. Uno sguardo che faceva intuire che
la persona non era solo arrabbiata, ma irata al massimo.
L'infermiera aveva paura, ma non sapeva che fare, e non si mosse.
Aveva paura che le facesse qualcosa, lei era una donnicciola, la
gatta davanti a lei era, oltre un po' più alta, visibilmente
forte.
Ma se pensava che Blaze fosse diventata una donna violenta che non
ragionava e con la quale non si poteva ragionare, si sbagliava di
grosso. Blaze non era diventata pazza, solo vendicativa.
Infatti, le passò in parte senza neanche sfiorarla e si
diresse
verso l'uscita dell'ospedale.
“M-Miss...?” sussurrò balbettando la
ragazza, nonostante avesse
ancora paura che la gatta potesse farle del male.
“Manderò delle sue amiche a prendere il corpo. Io
adesso devo
andare.” rispose freddamente, continuando a camminare senza
neanche
voltarsi indietro.
Quando passò vicino alla stanza dove stava la riccia, non
mancò di
guardarla con la coda dell'occhio. Fu più forte di lei,
anche se non
voleva guardare guardò lo stesso.
Dentro c'era un'infermiera che scriveva le sue annotazioni sulla
paziente deceduta, Amy Rose, e quest'ultima era ancora sul lettino,
coperta da un lenzuolo.
Addio Amy. Salutò abbattuta la gatta,
mentre passava in
parte alla stanzetta, e poi continuando dritta per la sua strada.
Tutte
le rose...muoiono.
N.A: ciao ragazzi.
Spero di non avervi
fatto piangere troppo. O depresso troppo. O entrambi.
Anyway, molti mi
hanno chiesto di disegnare le ragazze cresciute di dieci anni, come
vuole questa ff. Qua sotto vi do il link dove ci saranno Blaze, Amy e
Rouge.
http://sonicazzo.deviantart.com/art/Ten-years-later-Blaze-Amy-and-Rouge-551006897
Shadow è
più o meno rimasto uguale, quindi è inutile farlo.
Un'altra cosa:
venerdì io parto per il mare e ci starò per 2
settimane, quindi ovviamente non potrò nè
aggiornare nè rispondere, però potrò
andare a vedere le vostre recensioni.
Ma non disperate: come
l'ultima volta, ho preparato una ff per il mio ritorno dalle vacanze
(anche perché il prossimo capitolo non l'ho nemmeno iniziato
quindi sono in alto mare) che si chiama "Noi due" e nessuno se
la cagherà, perché è su una coppia che
non ho mai visto su questo sito: Silvamy.
Comunque, se avrete
voglia di leggerla non ve ne pentirete, anche perché mi
è uscita davvero bene, forse è la migliore delle
mie one-shot.
Detto questo, alla
prossima ;)
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Capitolo 19 *** Cap XVIX Fiamme dell'inferno ***
“Shadow... è questa?” chiese Rouge con
un filo di voce, toccando
con i piedi il solido cemento dopo essere uscita dalla alta
sterpaglia del bosco. Si guardò attorno stupita, ammirando
la nuova
città.
Il suo silenzioso compagno annuì.
“Mi avevano detto che era una città molto
particolare...” disse,
guardandosi in torno.
“Non mi dispiacerebbe vivere qua.” pensò
ad alta voce la
pipistrella.
Shadow non poteva biasimarla: tutto pulito e silenzioso, nessuno che
disturba la quiete, nessuna macchina... nessuna persona. Quella
città
in mezzo al verde era perfetta per lui. Magari, un giorno, ci sarebbe
venuto ad abitare, magari non solo lui...
Sospirò mentalmente. Blaze non sarebbe rimasta con lui. Si
era quasi
dimenticato che lei aveva un mondo da portare avanti.
“Dai andiamo, non siamo qui in vacanza. Cerchiamo
di-” il riccio
nero fu interrotto dal gracidante e meccanico rumore del
walkie-talkie che portava a una cintura alla vita. Grugnì
scocciato,
ma poi allungò la mano sull'aggeggio e se lo
portò all'orecchio.
“Qui Shadow the hedgehog, passo.” rispose, tenendo
premuto un
pulsante e poi rilasciandolo dopo aver detto 'passo'.
“Shadow! Non importa se non le hai prese,
raggiungici
immediatamente! Il treno è in pericolo, passo!”
urlò
preoccupata la voce di Bunch. Questo prese subito l'attenzione
dell'ex-agente.
“Ok, arriviamo! Passo e chiudo.” rispose il riccio,
mettendo a
posto l'aggeggio. Poi si rivolse alla sua compagna.
“Dobbiamo tornare. Stanno succedendo guai al
treno.” avvertì
Shadow. Lei sospirò, ma annuì.
“Con tutta la fatica che abbiamo fatto per arrivare fin
qui...!”
esasperò.
“Non ti preoccupare.” disse Shadow, cominciando a
dirigersi verso
una vecchia casupola di ferro inabitata ai bordi del bosco
“Questa
volta la strada per il ritorno sarà più
semplice.”
In effetti, la catapecchia si rivelò essere la stazione di
fermata
del carico di schiavi.
Da lì partivano le rotaie che si inoltravano nel bosco.
Con un cenno, Shadow ordinò alla compagna di seguirlo, e
attivò i
suoi pattini, scattando sulle rotaie. La partner aprì le sue
potenti
ali nere e si diede la spinta per salire in alto e seguì in
volo il
riccio nero.
Seguendo la strada, ci misero di meno ad arrivare al punto di
partenza, ma una volta là, alla stazione di rifornimento
dove
l'avevano lasciato, scoprirono che il treno non c'era più.
I due si guardarono in giro sorpresi e altamente confusi.
“Dov'è finito?!” esclamò la
ragazza, con una nota di
preoccupazione, fluttuando su sé stessa.
Shadow non sapeva come risponderle. Bunch non gli aveva comunicato
che si fossero spostati.
Ma comunque qualcosa non quadrava: se fossero andati avanti, loro
l'avrebbero visto di sicuro, e i treni non possono fare retromarcia.
Per quanto impossibile potesse essere, c'era solo un'unica, rimanente
ipotesi.
“Pensi a quello che penso io?” disse ad un certo
punto Rouge,
grave, fluttuando sulle rotaie e guardandosi in giro in cerca di
indizi.
Il riccio annuì impercettibilmente, ma la ragazzo lo
notò.
“Qualcuno ha spostato il treno dalle rotaie.”
continuò la
collega, nonostante non fosse sicura di quello che diceva. Non
c'erano segni di nessun tipo nell'erba circostante, la stazione era
intatta, le rotaie un po' arrugginite erano esattamente come prima.
Il treno era scomparso come un fantasma.
Dove diamine sono spariti?!
E per di più, Rouge non sapeva quale essere sarebbe riuscito
a
spostare un lungo e pesantissimo treno con tutta quella gente a
bordo!
Pensandoci, solo uno le veniva in mente, ovvero Shadow, ma solo
perché lui sapeva--
Gli occhi azzurri della bianca creature si spalancarono in terribile
realizzazione. Sperava che non fosse così, che la sua
ipotesi fosse
errata, ma più ci pensava e più si convinceva che
quello era
l'unico modo per spostare un carico del genere in maniera
così
pulita... e solo uno, o meglio una, poteva fare
quello che
(credeva) solamente il suo collega sapesse fare...
Scattò la sua testa verso il compagno.
“S-shadow...!” riuscì a esclamare, ma il
riccio non le aveva
dato molta importanza, dato che era impegnato a fare altro.
Infatti aveva preso in fretta e furia, con mani tremanti dallo stress
e dalla rabbia, il walkie-talkie e l'aveva acceso.
“Sono Shadow, dove siete?! Passo!” gridò
nella radiolina,
visibilmente coi nervi a fior di pelle.
Dall'aggeggio uscirono solo dei bzzzz disturbati e
alcune
parole impossibili da capire dal troppo poco segnale. Preoccupato, il
riccio ci riprovò.
“Dove siete?? Che succede?? Rispondete! BUNCH!” ma
anche questo
tentativo non funzionò.
In effetti, l'apparecchio emise solo qualche rumore gracidante e si
spense.
“Maledizione!” gridò Shadow incazzato,
sbattendo un piede per
terra in frustrazione.
Subito dopo, però, il silenzio tombale fu sostituito da
degli urli
in lontananza. Alzarono entrambi le orecchie, incuriositi da dei
suoni così agghiaccianti.
“Li senti anche tu?” fu Rouge a parlare.
In un attimo, il riccio nero ripose il walkie-talkie nella sua
cintura con la stessa abilità e velocità di un
cowboy con la sua
pistola.
“Rouge! In volo!” ordinò gridando alla
sua partner, e scheggiò
sul terreno in direzione delle urla.
“Agli ordini!” rispose la compagna, dando un
potente colpo
all'aria con le ali, per prendere quota, e gli fu subito dietro.
Seguirono le grida correndo a perdifiato, ognuno coi propri tormenti
per la testa.
Shadow era preoccupato per quello che Joe avesse potuto aver fatto,
dopotutto aveva lasciato il treno a sé stesso con un
attentatore a
bordo, pronto a esplodere in qualsiasi momento come una mina.
Le urla che sentiva non facevano un bel effetto a Shadow. Le ultime
grida femminili che ebbe sentito furono quelle di Maria...
Odiava quel rumore. Portava alla luce memorie che avrebbe voluto
seppellire per sempre, ricordi che stava cercando di dimenticare.
Dopo tutta quella fatica per mettersi il passato alle spalle, la
paura e la disperazione che provò in quel momento, il senso
di colpa
per non aver potuto far niente se non guardare...era tutto riemerso
come niente e senza che lui ci potesse fare qualcosa.
Shadow non vacillò, né fece sembrare di essere
troppo colpito dalla
cosa: aveva imparato a sue spese a mantenere il controllo. Sembrava
solo preoccupato per Bunch, i suoi colleghi, il treno e le
prigioniere...questioni di lavoro, insomma.
Rouge aveva il cuore in gola, non perché stava volando a
velocità
che raramente raggiungeva, ma per le immagini pulsanti dei suoi
incubi che le si mostravano all'improvviso, senza spiegazione.
Non capiva cosa centrassero in quel momento le immagini di
distruzione e morte ambientate in un fiero inferno. Rouge non era mai
stata una persona che collegava i sogni con la realtà, ma
tutte
queste urla le facevano venire qualche terribili dubbi, oltre che i
brividi...
Quelle urla. Le poteva paragonare alle stesse che sentiva nella testa
e che odiava.
Ma, come il suo compagno (e come faceva sempre), ignorò quel
suo
malessere personale, e quel suo brutto presentimento.
Le grida li condussero fuori dal bosco, dove iniziava una prateria
dall'erba ingiallita.
La sera cominciava a calare, ma i due videro perfettamente tantissime
giovani donne che correvano impaurite e urlanti per il prato, non
sapendo dove andare.
I due colleghi corsero in direzione delle giovani ragazze, le quali
li videro e li corsero incontro.
“Che succede?!” chiese il riccio nero alla prima
fila di giovani
donne.
Nonostante sapessero che Shadow fosse una guardia, trovarono
protettiva la sua presenza, e ringraziarono il cielo che fosse
lì.
“Ha attaccato il treno! C-ci ha detto di
andarcene...” dissero
tremanti alcune ragazze, intimorite anche dall'aspetto serio e dalla
superiorità che emanava il riccio.
“Dov'è adesso il treno?!” riprese lui.
“L-là in fondo!” rispose la prima
ragazza, indicando il fondo
della valle, dove c'era una caverna di enormi dimensioni. Shadow e
Rouge spostarono lo sguardo dove indicava l'indice della ragazza.
Poi Shadow ordinò ad alta voce: “Ok! Continuate a
correre finché
troverete le rotaie, da lì percorretele fino a trovarvi al
sicuro!
TUTTO CHIARO??”
Le prigioniere annuirono in consenso e si rimisero a correre.
“Non vi fermate!” rimarcò il riccio,
scattando verso la grotta,
seguito a ruota dalla pipistrella.
Una folla di ragazze scappava da quell'ammasso di pietre e correva
senza regole presa dal panico, seguendo solo le ragazze davanti.
Pecore.
Shadow faceva del suo meglio per arrivare velocemente, ma le ragazze
gli bloccavano la strada, esattamente come un gregge di pecore senza
pastore, e che stavano scappando dal lupo.
Sopra di lui, a qualche metro di distanza, volava Rouge, la quale
teneva un occhio sia sulle prigioniere, ormai libere, sia su Shadow.
Vedeva, per esempio, che lui era in difficoltà ad avanzare.
Ma una buona parte della sua testa era via, a immaginarsi e a
chiedersi cosa fosse successo...
Era inutile nasconderselo a sé stessa: stava succedendo
qualcosa di
estremamente spaventoso e pericoloso, e lei aveva un cattivissimo
presentimento che le faceva bruciare lo stomaco, come le fiamme dei
suoi incubi.
Fortunatamente, le ragazze stavano finendo di arrivare e l'ondata si
faceva più tenue.
Rouge, posando gli occhi sulle ultime giovani donne, notò
due esseri
che conosceva bene...
“Shadow!” gridò dall'alto. Lui
alzò gli occhi alla sua collega,
la quale gli indicò un punto esatto.
Il riccio squadrò i due ragazzi e li focalizzò.
Sgranò gli occhi
quando si accorse chi erano.
“Joe!” esclamò a
sé stesso il riccio nero.
I due colleghi si precipitarono verso Joe, il quale stava aiutando la
giovane Annie a scappare via.
“JOE!” gridò Shadow prima ancora di
raggiungerlo, e il ragazzo
chiamato si fermò.
Riconoscendo la voce dell'amico, si voltò verso
quest'ultimo, ma
ancora prima di dire qualcosa Shadow iniziò a fargli domande.
“COSA HAI FATTO?? CHE E' SUCCESSO??” gli
gridò.
“E' stata la tua amica!” rispose la giovane
guardia, cercando di
reggere la sua ragazza.
Ecco. Lo sapeva. Rouge l'aveva intuito.
Si ricordava, in effetti, che Blaze fosse capace di teletrasportarsi
in un vortice di fuoco, anche grazie all'aiuto dei Sol Emerald.
Questo spiega come mai non c'erano tracce intorno ai binari.
Questa idea, tuttavia, non dev'essere passata nel cervello di Shadow,
dato che sgranò gli occhi come se fosse l'ultima cosa che si
aspettasse di sentire.
Non disse nulla, e la riccia dorata continuò:
“Era come impazzita; ha aperto i vagoni con rabbia e ci ha
urlato
di uscire, di correre via, perché avrebbe bruciato il
treno...”
spiegò preoccupata, mentre il suo ragazzo aumentò
la stretta sulle
sue spalle, protettivo, in modo che l'aiutasse a stare in piedi.
Era praticamente stata calpestata da tutte e zoppicava, senza l'aiuto
di Joe non sarebbe riuscita ad andare lontano.
Shadow semplicemente non capiva.
Blaze? Ma perché...? Cosa stava succedendo??
In ogni caso, sarebbe andato al treno, e avrebbe visto tutto con i
propri occhi.
“Ok, voi andate al sicuro, seguite le rotaie e vi ritroverete
a
NMBC, noi andiamo a mettere a posto la situazione!” riprese
Shadow,
schizzando nuovamente sul terreno. Rouge diede un colpo d'ali e si
alzò all'inseguimento del collega.
“Sì, ma non fatele del male!”
urlò dietro di loro Annie, guardandoli nervosa mentre i due
si allontanavano. La riccia sentiva
di voler comunque bene alla gatta lilla, e non avrebbe mai voluto che
le succedesse qualcosa di grave. Amica era diventata, amica
rimaneva.
“Andiamo Annie!” esclamò Joe
preoccupato, strattonandola un po'
per svegliarla dalla sua trance “Raggiungiamo
Angel!” e la
trascinò via.
Blaze aveva appena finito il suo “lavoretto”: con
una buona dose
di cazzotti e di calci nello stomaco, aveva messo K.O. tutti i suoi
avversari.
Poveri sciocchi, non sapevano con chi avessero a che fare quando
hanno provato ad attaccarla.
Nessuno la supera nel corpo a corpo, nessuno.
Aveva sempre desiderato, sin dal primo attimo, di mettere quei maiali
al proprio posto.
Dopo averli fatti volare nel regno dei sogni, li aveva legati e
bendati a dovere, e poi era uscita dal treno e aveva richiuso bene le
porte.
L'unico che le aveva dato problemi era stato quel grosso cagnaccio
del loro capo, non solo per la sua mole nettamente superiore, ma era
inaspettatamente in confidenza con il corpo a corpo e con le tecniche
difensive. Ci ha messo un po' per batterlo, ma alla fine era caduto a
terra come una mosca.
Blaze guardava il treno, tutto legno che desiderava far diventare
cenere.
Il suo fuoco premeva già d'uscire, affamato.
Era tempo di tirarlo fuori, di far vedere di che pasta era veramente
fatta Blaze the Cat.
Rallentarono, e si fermarono quando furono praticamente sull'entrata.
Shadow si appiattì contro la parete esterna, e lo stesso
fece Rouge:
il pericolo poteva essere letteralmente dietro l'angolo, e non
volevano sbagliare come i novellini alle loro prime armi.
Aprendo la mano davanti al muso della compagna, il riccio le fece
segno di restare ferma, mentre lui controllava l'ingresso.
Cautamente, sporse lievemente la testa per controllare che fosse
abbastanza sicuro.
Nel corridoio di pietra non sembrava esserci qualcuno. Espose
completamente la capoccia per avere una visuale più ampia:
c'erano
solo le rocce fredde, illuminate dalla scarsa luce serale che entrava
dalle spalle del riccio nero.
Shadow rizzò le orecchie, in attesa di sentire la presenza
di
qualsiasi cosa; strani rumori venivano da qualche
“stanza” (se
così poteva definirla), e non erano per nulla rassicuranti.
Non capiva bene che fossero, sembravano...dei lamenti? Terrorizzati
per giunta.
Shadow osò fare un passo dentro.
“Seguimi.” sussurrò alla partner, senza
neanche voltarsi, sicuro
che fosse lì pronta per qualsiasi ordine.
“Ma sta attenta, e non fare rumore.”
avvertì sempre in un
sussurro, anche se sapeva che non era necessario, dato che stava
parlando con una spia che ne sapeva di queste cose. Inoltre, lei non
era così stupida da non averlo capito da sola. In effetti
non parlò,
non emise alcun suono, nemmeno un cenno per avvertire il compagno che
avesse inteso.
A Shadow, comunque, non servì; lei aveva capito, lo sapeva
perfettamente, come sapeva che lei avrebbe eseguito l'ordine.
Zampettarono in silenzio lungo l'intricato corridoio, i loro piedi
toccavano il freddo e duro pavimento di pietra con leggerezza. Si
muovevano veloci, ma anche cauti, verso i rumori che sentivano, e che
diventavano sempre più udibili, forti e insistenti. E
terribili,
soprattutto.
Raggelavano il sangue ad entrambi Shadow e Rouge; cosa stava
succedendo di così terrificante?
Cosa li faceva mugugnare in quel modo così spaventoso, come
se
urlassero per la loro vita?
Le ipotesi erano tante, e Shadow non voleva pensarci.
A Rouge, invece, non si trattennero dei brividi lungo la spina
dorsale, che le provocarono un improvviso freddo e una matta pelle
d'oca.
Perché dovevano urlare in quel modo?? Perché
anche loro??
La sua testa le stava scoppiando.
Non anche voi.
Non
potete
comunque scappare dalle fiamme.
Si scrollò le spalle inorridita e le ali scrocchiarono.
Perché
aveva pensato a una frase del genere?
Perché la sua mente cominciava a ricordarle l'inferno dei
suoi
incubi?
...C'era per caso un collegamento?
Dopo tutto quello che stava succedendo, Rouge stava iniziando a
crederci, e la cosa la spaventava troppo; si ricordava bene come
finiva l'incubo.
Prima ancora di capire perché, Rouge si portò una
mano alla fronte,
e con il dorso se la sfregò.
Notò con stupore che stava sudando assai. Si chiese come
fosse
possibile, poi rimase confusa.
Sbaglio, o si è fatto più caldo?
Sussultò silenziosamente quando il suo compagno davanti a
lei fermò
la loro camminata improvvisamente.
Ovviamente era stata troppo presa dai suoi viaggetti mentali per
accorgersi che il tunnel era finito; in fondo poteva già
vedere
l'uscita.
Il passo di Shadow era diventato più cauto, come se avesse
paura di
essere visto da un essere più potente di lui... o di vedere
qualcuno
in particolare.
Rouge lo notò, e trattenne un sospiro: lui non era la
creatura
perfetta, nessuno lo era e nessuno lo sarà mai. Shadow si
atteggiava
come un supremo essere di qualsiasi cosa, ma la pipistrella sapeva
perfettamente come andava la storia: era perfettamente umano tanto
quanto lei, con pregi e difetti.
Che lo neghi pure. Che neghi pure l'evidenza. Che neghi pure
l'effetto che Blaze gli ha fatto, neghi persino quanto è
cambiato
dall'inizio di quell'avventura. Quello che ha fatto quella gatta in
due settimane non l'ha fatto nessun altro in nove anni.
Poi Rouge si accorse che stava ancora navigando nei suoi pensieri.
Non era concentrata, e chi è distratto in una missione non
dura
molto.
Tu hai un problema, Rouge the Bat. Si disse la
giovane donna,
sorridendo amara e provocatoria a sé stessa.
Un problema molto grosso, che non puoi curare con dei
medicinali.
Devi risolverlo assolutamente . Si disse decisa, cercando di
guadagnare un po' di concentrazione.
Devi trovare un rimedio, non puoi continuare così.
In un modo o
nell'altro.
Seguì il suo compagno ed entrambi si fermarono sulla soglia
di una
arco a tutto sesto di pietra che fungeva da porta, pietrificati.
La caverna non continuava bassa come il corridoio, ma anzi, era
enorme, paragonabile con un gigantesco aeroporto, o un'enorme
stazione ferroviaria. Dall'alto, da un grosso buco circolare non
perfetto, entrava una lieve luce serale, abbastanza per vedere quello
che stava succedendo.
Da fuori non sembrava così gigantesca. Forse era
parzialmente sotto
terra, e loro camminando nel tunnel non se ne erano accorti.
In mezzo a quest'enorme sala, ci stava il treno, coi vagoni messi a
forma di S, per farceli stare tutti.
E lì, i due la videro: una bellissima gatta lilla dallo
sguardo
triste, che si guardava le dita delle mani, come se le stesse
contemplando indecisa. Ogni tanto alzava lo sguardo sul treno davanti
a lei, lasciando che le dita delle due mani si accarezzassero a
vicenda in un gesto nevrotico.
Nonostante ciò, sembrava così calma e
concentrata...
Shadow la guardava intensamente, bloccato sulla soglia da una forza
più forte di lui.
Ai suoi occhi, lei rimaneva bellissima. Solo il vederla
così, anche
se tremenda, gli faceva dimenticare di tutti quei disgraziati che
urlavano. Non capiva perché lei lo stesse facendo, ma era
sicuro che
sarebbe stato in grado di ragionarci.
Blaze sapeva essere una testa dura, ma ci avrebbe provato ugualmente.
Il riccio provò a fare un passo avanti, ma fu subito
trattenuto da
una forte presa sul braccio della pipistrella bianca dietro di lui.
Shadow si voltò e la guardò negli occhi,
chiedendole
silenziosamente perché lo stesse trattenendo. Gli occhi
azzurri
della compagna lo guardarono severi.
Capì il messaggio: ingenuo.
Si fermò e fece un passo indietro, acquattandosi nel buio
del
corridoio dal quale erano venuti.
Fortunatamente, Blaze sembrava non averli ancora notati.
I due restarono a guardare, chiedendosi quale sarebbe stata la sua
prossima mossa.
La loro curiosità fu saziata poco dopo, quando Blaze
slegò le dita
delle sue mani e lasciò che le braccia le pendessero
elegantemente
lungo i fianchi. Non aveva più quell'aria triste di prima,
bensì
un'espressione dura, determinata e pericolosamente seria.
Squadrava il treno con una smorfia disgustata, sotto gli sguardi
confusi e curiosi dei due ex-agenti.
Poi successe in un attimo: i pugni chiusi si schiusero un po', e dal
palmo delle mani uscirono alte fiamme, che arrivavano all'altezza
della testa della gatta. Quest'ultima tirò su il braccio
destro con
rabbia e potenza, causando l'innalzamento delle fiamme sotto i suoi
piedi.
Una colonna di vivo e distruttivo fuoco si innalzò dritto
per metri
con brutalità, facendo sussultare i due colleghi, i quali
fecero
inoltre un paio di passi indietro istintivamente.
La parte che li fece rimanere a bocca aperta fu quando la colonna di
fuoco prese letteralmente vita, vacillando come un
serpente,
con tanto di lingua biforcuta e suono sibilante.
“Non è possibile!”
avrebbe voluto esclamare la
pipistrella bianca, ma le parole non le uscirono neanche in un verso
strozzato.
La gatta era completamente avvolta dalle fiamme, ma si poteva ancora
distinguere la sua figura dritta e impassibile nonostante tutto.
Era immobile, il suo sguardo fisso dritto sul treno.
Il riccio nero cominciò a riprendersi dalla sorpresa, e
guardò
prima lei, poi il treno, poi di nuovo lei per innumerevoli volte,
sgranando gli occhi in terrore.
Rouge aveva avuto una simile reazione, ed ora il suo sguardo si
spostava dal treno all'enorme serpente di fuoco, il quale sembrava
pronto a prendere ordini di qualsiasi genere.
“Non vorrà mica...”sussurrò
Rouge con voce spezzata, senza
finire la frase, abbassando le orecchie e premendole sulla testa.
La gatta abbassò il gomito del braccio che aveva alzato, e
il
serpente abbassò il ventre a terra.
Subito dopo, Blaze socchiuse le dita in un pugno, lasciando ben
esteso solo l'indice, e lo fece ruotare in senso antiorario, con
delle fiammelle che si scaturivano dal palmo, che risalivano al dito
e che creavano un piccolo tornado di fuoco.
Analogamente, il serpente iniziò a strisciare intorno al
treno, in
circolo, ed acquisendo sempre più velocità,
finché la testa e la
coda furono fusi in un tutt'uno. Più girava, più
il cerchio attorno
al treno si stringeva, e Blaze sembrava...sorridere. Un lieve, ma
cattivissimo sorriso.
“No, non lo farà...” sussurrò
di nuovo Rouge, con gli occhi
spalancati, e assolutamente non convinta di quello che aveva appena
detto. Quel bisbiglio arrivò alle orecchie di Shadow come
uno
spiffero, ma lui continuò a guardare la scena senza dire
niente.
Quello che gli si proponeva sotto gli occhi era quasi impossibile:
Blaze, la donna che amava e che pensava di conoscere abbastanza bene,
non era un'assassina, e sperava ancora che non lo stesse per
diventare.
Confidava ancora che lei ritirasse il suo fuoco, e che si accorgesse
di lui e di quanto orgoglioso sarebbe stato di lei per non aver fatto
quella mossa azzardata. E invece dovette ricredersi.
Vide che Blaze aveva smesso di far girare l'indice, ma le sue fiamme
non calavano, e il suo serpente non si fermava. Shadow doveva fare
qualcosa.
“BLAZE!” urlò, ma non fu ascoltato.
La gatta lilla chiuse di colpo la mano, facendo morire le fiammelle
che danzavano su essa poco prima, e in un attimo il serpente a lei
collegato chiuse di scatto il cerchio addosso al treno, il quale
prese fuoco, esplodendo subito dopo.
Di spontanea reazione, i due colleghi si gettarono a terra,
abbassando le orecchie per il gran botto, coprendosi la faccia con le
braccia e tenendo gli occhi saldamente chiusi.
Osarono sbirciare solo quando sentirono il semplice scalpitare del
fuoco; i due tolsero il braccio dalla loro visuale e aprirono i loro
occhi cautamente, osservando ogni singolo centimetro dello spettacolo
davanti ai loro occhi.
Il treno era tutto distrutto, al posto dei vagoni rimanevano solo le
loro carcasse legnose.
Niente più urla, solo il rumore del fuoco vivo che mangiava
il
legno. Tutto quello che rimaneva del serpente gigante era un enorme
falò di fuoco inanimato che bruciava gli avanzi del treno.
Shadow si alzò lentamente sulle proprie gambe, continuando a
fissare
scioccato il panorama di distruzione davanti a sé.
Più guardava, più a Rouge veniva in bocca un
sapore acido,
schifoso, di vomito.
Si rialzò con ginocchia tremolanti come gelatine.
Fuoco, distruzione, cenere, legno bruciato e i cadaveri delle guardie
le ricordavano troppo quel suo dannatissimo incubo, e stava
cominciando a temere che la stessa fine fosse possibile.
Dovevano allontanarsi, ma figurati se Shadow l'avrebbe lasciata
lì
senza prima tentare di parlarci e di farla ragionare.
Aveva distrutto una locomotiva intera, eliminare anche loro non
sarebbe stato difficile.
Era un pensiero da codardi, si accorse Rouge. E no, non voleva
esserlo.
Loro erano il Team Dark, potevano ancora batterla, in qualche modo.
Se l'erano sempre cavata, questa volta non faceva differenza.
Prese un bel respiro e attese la prima mossa del suo compagno riccio.
Trascinami nelle tue cretinate ancora un'ultima volta.
Shadow fece un passo avanti, verso Blaze, cauto ed incerto.
“Blaze!” la richiamò con voce alta, in
modo che la sentisse, ma
gentile e paziente.
Finalmente la gatta si accorse di loro e, nel sentire il suo nome,
scattò la testa verso i due.
Li squadrò, e il suo sguardo finì per
concentrarsi su Shadow. I
suoi occhi si ammorbidirono sorpresi e amorevoli quando incontrarono
quelli rossi del riccio, ma fu per pochi secondi, poi ritornarono
freddi, lontani e chiusi.
A Shadow non piaceva per niente come la sua postura era tramutata in
difesa.
“Che cosa volete?” chiese Blaze, visibilmente
scocciata.
Shadow,
però, non ne fu troppo
allarmato; continuò ad avanzare lentamente verso la ragazza,
con i
palmi alzati davanti a sé.
“Parlare. E
anche chiarire
cos'è appena successo.” rispose calmo
il riccio,
continuando a camminare verso di lei, e sperando allo stesso tempo di
non allarmarla con la sua vicinanza.
A lei non sembrò importare del riccio, tuttavia...
“Andatevene!” ordinò con rabbia la
gatta, costringendo Shadow a
bloccarsi nei suoi passi.
“Non voglio uccidervi, per ora.”
aggiunse, ritornando a
guardare il treno in fiamme, e sottolineando bene quel 'per ora'.
Se pensava che i due si fossero impressionati, si sbagliava di
grosso: Rouge aveva affiancato il suo compare, ormai senza paura.
“Non ce ne andiamo senza di te.” rispose il riccio.
La gatta li
guardò con la coda dell'occhio. Sembrava confusa.
“Lasciatemi sola.” ordinò nuovamente, ma
non fu ascoltata. Ci fu
una breve pausa, poi Shadow iniziò nuovamente a camminare
verso di
lei.
“Blaze...” iniziò il riccio, porgendole
una mano con un sorriso
rassicurante.
La gatta non sapeva che fare. Guardò confusa nei suoi occhi,
quelli
che tanto amava, e poi la sua mano.
La mano che aveva già preso, stretto, che l'aveva
accarezzata,
che... che aveva accettato un lavoro del genere. Che aveva picchiato
Annie, che si era immischiata in quegli sporchi affari...!
La mano della gatta, che sembrava pronta ad afferrare quella del
riccio, si ritirò senza preavviso, mentre la sua espressione
cambiò
di nuovo, e si scurì. Guardò disprezzata il
riccio nero, con una
smorfia di rabbia.
“E' anche colpa tua!” gli
urlò adirata, mentre la
pietruzza rossa sulla sua fronte iniziava a diventare incandescente.
Anche l'espressione del riccio cambiò in un attimo: era
confuso, non
capiva cosa lei volesse dire con quella frase, e istintivamente fece
alcuni passi indietro, fino a raggiungere la sua compagna
pipistrello, senza però togliere lo sguardo dalla fronte
della
gatta.
Dai palmi della regina uscirono nuovamente le fiamme, e la pietra
brillò come una stella, rievocando il gigantesco serpente
dal fuoco
che continuava a scalpitare sui resti del treno.
Il rettile si mise in mezzo tra Shadow e Blaze, e guardò i
due
ex-agenti come se fosse pronto a mangiarli.
“Blaze! Che cosa--”
“ANDATE VIA!” avvertì ancora un'ultima
volta la ragazza,
iniziando ad essere immersa nelle sue stesse fiamme.
Più il fuoco attorno a lei aumentava, più il
volume del serpente
cresceva, e più aggressivo diventava.
I due agenti, non volendo andarsene, fecero l'unica cosa che
potessero fare: si misero in posizione d'attacco, con sguardo serio
ma di sfida, spazientendo ancora di più la gatta, la quale
vedeva
irritata che i suoi tentativi non funzionavano.
“Come volete...” sibilò, e le fiamme
l'avvolsero in un vortice
di fuoco.
Lo straccio di vestito che aveva addosso da due settimane
andò
completamente bruciato, e fu subito sostituito da un completo rosso
che le sue stesse fiamme avevano creato.
Nel frattempo, il rettile aveva raggiunto l'altezza della sala in cui
si trovava, la parte addominale si era ingrossata, gli si erano
formate quattro potenti zampe ed erano cresciute le orecchie e le
corna da demone. I due sussultarono quando la creatura davanti a loro
completò in poco tempo la sua trasformazione: da serpente
qual era,
era diventato un mitologico drago.
La creazione di Blaze ruggì minaccioso ai due colleghi,
agitando la
coda nervoso.
“...Attacca.”
Quando la gatta diede l'ordine, il drago alzò il collo in
alto,
pronto per abbassarlo e colpire i due.
“Aveva perso i poteri, neh?” disse la pipistrella
con un filo di
voce, ironica, ma visibilmente impaurita e impressionata.
Non aveva neanche smesso un secondo di fissare quel drago,
così come
Shadow.
“Zitta e corri.” disse lui tra i denti in tutta
risposta, e saltò
via insieme alla sua compagna giusto in tempo per non essere beccati
dall'attacco del drago.
Rouge e Shadow si rialzarono subito dopo, con il cuore a mille. La
prima iniziò a volare in alto , evitando le fiamme, mentre
il riccio
sfrecciò sul terreno, sfuggendo al fuoco che il drago
sputava dalla
bocca. Per aiutare il collega, Rouge ronzava attorno alla testa del
drago come una mosca fastidiosa, dando il tempo al compagno di
sferrare un attacco, creare un piano o farsi venire una fottutissima
idea!
Infatti, quando il drago iniziò a distrarsi, Shadow prese
dalle sue
spine un Chaos Emerlad che aveva sempre tenuto con sé per le
emergenze, e intonò la fatidica frase:
“CHAOS BLAST!”
Il Chaos Blast colpì, come si era aspettato, il drago e la
metà di
esso scoppiò in aria.
Ma presto, il fuoco crebbe di nuovo a comporre le parti mancanti et
voilà, il drago era ancora lì,
rigenerato, pronto per
riattaccare.
Rouge era sorpresa, ma Shadow fece una smorfia scocciata; si era
aspettato una reazione del genere, dato che il drago non era fatto di
vera materia solida.
Non c'era altra via: l'unico modo per fermarlo, era fermare la sua
fonte di potere.
“ROUGE!” chiamò il riccio nero
“Tienimelo distratto!” ordinò
alla collega.
Rouge non protestò; non aveva tempo, doveva restare
concentrata se
non voleva essere bruciata viva. Si limitò a percepire il
messaggio
con un “Ok!”, ed iniziò a infastidire il
drago, volando in giro
per la grotta.
“Che c'è bestione?” gli disse
provocatoria e con un sorrisetto
divertito, iniziando poi a volare sempre più in alto
“Non riesci a
prendere una piccola pipistrellina fastidiosa?”
continuò, ridendo.
Il drago sembrò capire le sue parole ed emise un verso
irato.
Deciso a prendere la fastidiosa ragazza, sulla sua schiena si fece
crescere due enormi, potenti ali di fuoco. Diede un colpo all'aria e
si alzò all'inseguimento della pipistrella.
“Oh!” esclamò stupita la giovane donna,
abbassandosi giusto in
tempo per evitare un'altra colonna di fuoco.
“Così mi rendi le cose più
difficili!” bisbigliò stizzita, ma
poi sorrise accattivante con tutto il coraggio che aveva in corpo.
“Forza bel moscone! Prendimi!” lo
provocò, svolazzando qua e là.
Il drago accettò la sfida, e la seguì come meglio
poté.
Nel frattempo, Shadow era scattato verso la sua gatta, completamente
concentrata a tenere in forze il suo drago.
Il riccio scavalcò i resti del treno, non curante delle
fiamme che
gli toccavano la pelle, e atterrò a qualche metro da lei.
Blaze si accorse del riccio, e scattò la testa verso di lui.
Shadow la guardò, supplichevole. Combatterla era l'ultima
cosa che
voleva fare.
“Blaze, ascoltami! Tu non sei
un'assassina!” le disse
Shadow, cercando di calmarla.
“Vattene via Shadow.”ordinò con
freddezza, anche se una parte di
lei desiderava che lui, nonostante tutto, rimanesse.
Incrociò le
braccia in sconforto.
Lui non andò via; non ne aveva nessuna intenzione.
“Blaze io ti amo! Non m'importa quello che hai appena fatto,
io ti
perdonerei sempre!”
Crederci o non crederci?
Come poteva perdonarla??
“Tu non capisci!” gli
gridò Blaze, con voce spezzata, e
mosse il suo braccio in obliquo, creando frecce di fuoco e
scagliandole addosso al riccio nero, che fortunatamente si
spostò in
tempo.
Blaze fece altri innumerevoli tentativi, che per fortuna andarono
tutti a vuoto.
Quegli attacchi le portarono via un sacco d'energia, costringendola a
fermarsi qualche secondo in più. Shadow non perse
l'occasione:
“CHAOS CONTROL!” esclamò, e
scagliò lontana la ragazza, la
quale sbatté con la schiena sulla parete. Cadde con un
leggero tonfo
per terra, e si mise sulle quattro zampe.
“Tu...!” ringhiò arrabbiata, alzandosi
in piedi con fatica.
“Blaze! Io capisco tutto quello che provi!” riprese
Shadow,
cercando disperatamente di farsi ascoltare, ma ancora una volta, non
ebbe fortuna: Blaze fece emergere dal pavimento sotto di lui delle
colonne di fuoco che cercarono di stanarlo.
Rouge stava cominciando ad avere seri problemi: tutto era in fiamme,
il drago stava diventando più preciso nella sua mira e per
di più
si stava stancando. Ma doveva resistere.
Quanto
ci
impiega Shadow?!
A parte qualche bruciatura, i tentativi di Blaze non stavano
funzionando. Grugnì seccata.
“Ci sono passato anch'io Blaze!” continuava Shadow
“Quando fui
risvegliato tentai di distruggere tutto quello che avevo sottomano!
Ero arrabbiato perché non avevo ricordi, se non quelli della
morte
di Maria!”.
Evitò un'altra palla di fuoco. A sua insaputa, Blaze lo
stava
veramente ascoltando, e non capiva dove lui volesse arrivare.
“Ero furibondo per quello che le avevano fatto! Ho distrutto
la
metà dei robot e degli uomini della G.U.N. per
vendicarmi!” Blaze
sembrò fermarsi un attimo.
“Ho persino collaborato con il Dottor Eggman! Ma poi mi hanno
fatto
aprire gli occhi Blaze!”
Rouge stava iniziando seriamente a sudare.
“Per l'amor del cielo!”
Si abbassò ancora una volta per evitare il conato di fuoco,
ma
questa volta, la coda del drago frustò nella sua direzione,
colpendole le ali.
“GAH!” strillò in
orrore e dolore la ragazza, e cadde al
suolo lasciando una striscia di fumo dietro di sé.
“Mi sono reso conto che la vendetta non avrebbe risolto
niente! Mi
avrebbe fatto stare bene solo per un po'! Ma comunque né
Maria né
il professor Gerald sarebbero tornati in vita!”
Blaze si fermò dal fare il suo prossimo attacco.
Sgranò gli occhi
in realizzazione:
Ha
ragione...
Che sto facendo?
Il fuoco attorno a sé si estinse. Non aveva più
senso combattere
ancora.
“Tutti sbagliano Blaze. Io ho sbagliato innumerevoli volte:
ho
sbagliato ad allearmi con Eggman, ho sbagliato a non fidarmi di
nessuno, ho sbagliato ad accettare il lavoro, ho sbagliato a
trascinare Rouge, ho sbagliato tante cose! Mi sbagliavo, non sono
immune ai fallimenti.” riprese Shadow, con un bel sorriso
sulle
labbra, felice che finalmente lo stesse ascoltando. Fece alcuni passi
verso di lei.
Blaze abbassò lo sguardo a terra in vergogna, strofinandosi
nervosamente una mano sul braccio.
Non era affatto pentita di quello che aveva fatto alle guardie e al
treno, ma si sentiva così viscida per aver solo pensato di
poter
fare del male al suo riccio.
Shadow e Blaze ora erano solo a un passo di distanza. Il ragazzo le
prese le mani nelle sue, delicatamente, costringendola ad alzare lo
sguardo su di lui.
Rouge non riusciva più a volare. Le sue ali le dolevano per
le
bruciature.
Non poteva far altro se non correre, e così fece.
Il fiato pesante, il cuore a mille, tra i resti mezzi bruciacchiati
del treno, i cadaveri che alimentavano il fuoco, la cenere grigiastra
che si sollevava a ogni suo passo e che la faceva tossire.
Si stava stancando, doveva trovare un'uscita, ma il panorama di
distruzione e morte sembrava uguale dappertutto.
Lei continuava ad andare ritto, ma poi decise di andare a zig-zag,
per evitare gli attacchi di fuoco del drago, e magari confonderlo.
A un certo punto, davanti, dietro, a destra e a sinistra della
spaventatissima ragazza caddero dei pezzi di resti legnosi in preda
alle fiamme, che la intrappolarono lì.
“No...” gemette in un sussurro.
Non c'era nessuno a
salvarla. Sarebbe morta da sola.
Il drago l'aveva raggiunta, e si era diviso in tante colonne di fuoco
che la circondavano.
Realizzando la sua imminente morte, Rouge non si preoccupò
più di
trattenere le lacrime, le quali uscirono incontrollate e le rigarono
il volto, nere dal make-up.
E'
la fine.
Socchiuse gli occhi, trattenendo un singhiozzo.
...Tutto
sommato, ho trascorso una bella vita.
Le fiamme la guardavano, come se fossero pronte a divorarle da un
momento all'altro.
Shadow guardò la sua amata gatta dritta negli occhi dorati,
quelli
che lui tanto amava.
“Ferma tutto questo, Blaze.” gli disse dolcemente.
“Ferma il fuoco.”
Le alte fiamme oscillarono, godendosi quel loro momento di vittoria,
prima di calare le loro fauci infuocate sulla creatura, la quale
iniziò ad urlare con tutto il fiato che le rimaneva in gola.
Click.
Un semplice schiocco di dita della gatta.
Tutto il fuco sparì in un attimo, lasciando solo fumo.
Rouge portò le braccia sul muso in inutile difesa, ma nulla
la
toccò.
Tolse lentamente il suo scudo dal volto, e aprì gli occhi:
tutto
quello che rimaneva delle fiamme che la stavano per aggredire era un
denso fumo.
La pipistrella tossì e agitò via il miscuglio di
gas e polveri con
la mano. Si guardò attorno sorpresa, ma felice di essere
ancora in
vita.
Shadow
ce l'ha
fatta!
Shadow stringeva forte le mani di Blaze, come se avesse paura di
lasciarla andare.
Le sorrideva gentile, come mai aveva fatto.
Lei continuava a tenere lo sguardo abbassato. Sospirò triste.
“Mi dispiace Shadow.” disse improvvisamente
“Mi dispiace per
come ti ho trattato.” ammise, lasciando da parte il suo
orgoglio.
Sospirò stressata.
“Non importa ora.” le rispose il riccio, in un
sussurro
amorevole. Finalmente la gatta si decise ad alzare lo sguardo, ma
qualcosa la colpì, e le fece spalancare gli occhi. Shadow la
guardò
confuso.
“Uh!”
sussultò la gatta, e poi svenne, cadendo in avanti.
Prima
che potesse cadere troppo in basso, Shadow la prese in un abbraccio.
“Blaze!?”
la chiamò.
Si
preoccupò, ma poi vide qualcosa sul suo collo: un dardo
soporifero.
Alzò
lo sguardo, e a qualche metro dietro la sua ragazza vide la sua
collega ferita, sporca, con gli occhi rossi, il make-up sbiadito, le
righe lasciate dalle lacrime e una pistola in mano.
“Rouge...stai
bene?” il suo sguardo si ammorbidì quando vide in
che condizioni
era ridotta.
“Non
credo... ma di certo meglio di prima.” rispose debolmente la
compagna, guardando la gatta.
Shadow
strinse a sé la gatta.
“Perché
l'hai fatto!?” le chiese Shadow, irritato, ma senza alzare
troppo
la voce.
“E'-è
solo sonnifero Shadow.” rispose la bianca creatura, ancora
con il
cuore in gola.
Il
collega grugnì.
“Non
ce n'era bisogno!” si difese, stringendo ancora
più a sé la
gatta.
“Scusa...
volevo essere sicura.” spiegò Rouge, togliendo lo
sguardo dai due
e portandolo sui resti ormai carbonizzati del treno.
Non
poté non pensare a quello che la gatta aveva fatto: uccidere
tutte
quelle vite...
Ma
forse se lo meritavano. Tutto quell'orrore aveva smesso di esistere.
Shadow
non avrebbe capito del perché Rouge sarebbe così
felice di ciò,
perché lui aveva sempre giocato dalla parte del lupo; Rouge,
invece,
era stata messa lì a fare la prigioniera, una bambola
speciale nella
collezione, anche se all'apparenza non aveva nulla di più in
confronto a tutte le altre.
Per
due settimane, lei è stata solo 'guardare ma non toccare',
mentre le
altre non avevano avuto tutta quella fortuna: picchiate, stuprate,
torturate, insultate.
Lei
vedeva tutto e sapeva tutto. Non le è sfuggito niente.
Non
aveva mai visto tanta violenza fisica e psicologica.
Li
odiava tanto quanto li odiavano le ragazze, tanto quanto li odiava
Blaze.
Sì,
decisamente avevano avuto la loro punizione meritata, in quelle
fiamme purificatrici.
Un
genuino sorriso si mostrò sul volto di Rouge: avrebbe
ricominciato
da capo!
Tutti
i lavori sporchi se li sarebbe messi alle spalle, ora che era tutto
finito avrebbe ricominciato da capo, verso un futuro più
brillante e
soddisfacente.
Le
voci. Quelle torturanti voci della coscienza.... erano sparite. Era
libera!
“...siamo
liberi...”
sussurrò sollevata tra sé e sé.
Si
voltò euforica verso il compagno, sprizzando gioia da tutti
i pori.
“SHADOW!
Noi--” si fermò di colpo quando vide Shadow in
ginocchio,
strettamente legato a Blaze in un abbraccio protettivo.
La
ragazza sorrise amorevole alla giovane coppia.
Anche
lui sarebbe cambiato in meglio.
N.A: Salve a tutti!
Sono terribilmente in ritardo, e
mi scuso un cifro. Comunque, contro le mie spettative, sono riuscita ad
aggiornare prima che parti di nuovo.
Si avvicina la scuola, questo
significa ritardi nello scrivere le ff. Fortuna che mancano solo un
paio di capitoli.
E io che già pensavo
di iniziare un'altra....
Detto ciò, adios!
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Capitolo 20 *** Un nuovo inizio ***
Una creatura dormiente riposava nella stanzetta, su un letto di
lenzuola bianche tutte spiegazzate, coricata su un lato e la schiena
curvata in posizione fetale.
Respirò profondamente per riprendere coscienza, e
aprì gli occhi.
Le pupille da gatto si assottigliarono per adattarsi alla tenue luce
della mattina che entrava dalla finestra alle sue spalle.
I suoi occhi scattarono da una parte all'altra di quella stanza che
lei non aveva mai visto prima.
Era una piccola stanza di un giallo tenue, spento, come se non fosse
stata riverniciata da anni.
Negli angoli del soffitto azzurro cielo si poteva vedere che la carta
da parati si stava staccando, lasciando intravedere il precedente
colore bianco.
La stanza era, inoltre, povera di arredi: c'erano solo lo stretto
letto su cui era poggiata ed un comodino di legno, ormai rovinato, e
sopra di esso ci stava un ventilatore spento, bianco e un po'
arrugginito.
Nonostante Blaze non
sapeva dove
fosse, non si allarmò troppo: quel posto la calmava, le
ispirava
calore, tranquillità, e l'odore non le era nuovo.
Profumo di pino e whisky, come quello di... Shadow.
Lentamente si mise a sedere, cercando nonostante il mal di testa di
ricordare cosa fosse successo.
La memoria l'avvolse poco a poco, sempre più velocemente
finché si
ricordò perfino del minimo dettaglio. Chiuse gli occhi.
Aveva davvero...ucciso tutta quella gente?
Sì, e ancora adesso non riusciva a sentire alcun rimorso.
Gardon ha ragione. Marine ha ragione.
Sono spietata.
Com'è potuto succedere?!
Non capiva com'era riuscita a perdere la calma così, in un
soffio,
rischiando di ferire degli innocenti o chi amava.
Non era la prima volta, e questo la spaventata. L'aveva sempre
spaventata.
Da piccola si era sempre così impegnata a farsi amare ed
accettare
dai più scettici, quelli che seriamente vedevano i poteri
della
gatta come una maledizione, ma adesso la pazienza di Blaze e la sua
calma stavano svanendo, come se stessero bruciando via nel suo stesso
fuoco, e stava diventando un... mostro.
Si coprì il viso con le mani.
No no no no no no no...
L'ultima cosa che voleva era essere temuta di nuovo, restare sola
ancora e per sempre.
Non
è solo colpa mia... ansimò nella sua
testa, cercando di calmarsi.
Io non voglio... sono gli altri che mi costringono...
“Non cambierai mai, principessa. E' inutile quanto
migliorerai,
non cambierai ciò che sei.” ebbe il coraggio di
dire il Capitano
Metal, il robot re dei pirati.
Nonostante fosse legato ad un palo senza via d'uscita, non si
trattenne dall'umiliare la principessa per un'ultima volta.
“Non mi interessa quello che dici. Dopotutto, sul
fondo
dell'oceano non avrai tante occasioni per parlare.”
sibilò tra i
denti la ragazza, acida.
Eh già, il progetto iniziale di condanna per i
robot pirata era
semplicemente di richiuderli, inattivi, in una prigione sul fondale
dell'oceano.
Il Capitano rise perfido, con quella sua voce metallica.
“Sei un demone, Blaze the cat.” le disse
Metal, con voce
ferma, sorprendendo la gatta.
“Stesso sangue di tuo padre! Maledetta strega dai
poteri
distruttrici!” continuò lui, come se fossero
normali parole,
alzando sempre più il tono della voce. La micia lilla
strinse i
pugni.
“Sta' zitto...” sibilò lei
nuovamente, agitando la coda
nervosa.
“Capo, cosa fa...?” chiese preoccupato un
robot, uno dei
sottomessi di Metal, anche lui legato al palo. Non capiva
perché il
suo capo stesse facendo di tutto per complicare la loro posizione.
“Non sarai mai come tutti gli altri. Tu non sei la
loro regina,
sei la loro rovina!”
“Sta' zitto! Tu cosa credi di essere stato per tutto
questo
tempo?!” gli rinfacciò la regina gatto, ma Metal
non perse colpi.
“Tu
vieni dall'inferno mia cara! Sei una macchina da cui è
meglio star
lontano! E per quanto tu ti sia autoconvinta del contrario, sei
pericolosa! Sei veleno! Tu esploderai... Tu. Sei. Un Mostro!”
finì, urlandole quella parola che tanto le trafiggeva il
cuore.
La ragazza si sentì morire a quelle gelide parole,
e sudò freddo
per un attimo. Ma poi, cambiò: esplose dentro, non riuscendo
più a
contenersi dalla rabbia. Si avvicinò pericolosamente al
robot.
“Visto che ti piace criticare così tanto
le mie fiamme,
Capitano Metal...” iniziò Blaze, sputando fuori
veleno ad ogni
parola e mostrando gli affilati denti nel processo.
“BRUCIA!”
Una semplice parola, e il palmo di Blaze si avvolse di
potente,
rabbioso fuoco.
Il secondo dopo, anche i robot furono avvolti da quelle
fiamme,
urlanti e chiedendo venia.
Tutti tranne
Metal: mentre gli
altri supplicavano la grazia, lui guardava la principessa coi suoi
occhi
metallici
rossi, mostrando un ghigno cattivo.
Mentre il metallo cominciava a colargli via, accumulandosi in
una
massa deforme alla base del palo, Metal riuscì, sempre col
suo
ghigno, a dire le sue ultime parole:
“Visto, principessa? Sei esplosa, e guarda che stai
facendo...
Rimedia al tuo caratterino, vostra altezza.”
Blaze lo guardò sorpresa, ma le sue parole non
colpirono subito
la sua mente: prima quel criminale doveva morire.
“Ci si vede all'inferno, Blaze the cat!”
urlò sghignazzando
il robot, prima che il fuoco riuscisse a scioglierli la mandibola, e
poi toccò al resto della testa, e infine ai circuiti interni.
La regina lo osservò con un sorriso soddisfatto,
sollevata che
alla fine quel dannato pirata se ne fosse andato per sempre.
Quella soddisfazione rimase sempre nel cuore della gatta,
tuttavia
il sorriso no: quando si fu calmata dalla sua vendetta, si mise a
ragionare su quello che il Capitano le aveva detto, e non ci mise
molto a capirne il significato.
Per un attimo temette che lui avesse ragione su tutto.
Sul fatto che fosse pericolosa, una strega, un mostro, e che
da
ciò non poteva scappare.
Ma poi si rese conto che, alla fine, lui era il suo spietato
nemico, e probabilmente aveva goduto nel vederla così debole
davanti
a delle parole.
Non doveva credergli.
Lei poteva essere quello che voleva, indipendentemente da
quello
che gli altri pensavano.
Se ne andò dal molo dopo pochi minuti, quando si
accorse che
tutti i robot furono liquefatti.
Da lontano, Marine e Gardon la videro bruciare quei robot, con
un
sorriso contento, senza capire perché. E fu tutto quello che
seppero.
Lei non raccontò mai come andò
veramente, anzi, cercò di
dimenticare quei dialoghi, e da lì la fama di sadica.
Blaze sospirò pesantemente.
La vita è stata ingiusta con lei.
Sarebbe stata più semplice se avesse avuto con lei anche i
suoi
amici Sonic e Amy, ma purtroppo non poteva disporre del loro prezioso
aiuto morale, e mai l'avrebbe avuto:
lui si trovava chissà dove impegnato con la famiglia e a
giocare al
re, lei era ormai irreperibile.
Si sentì un nodo in gola quando si ricordò della
povera Amy.
La gatta aprì gli occhi e si accorse che la sua vista si
stava già
offuscando dalle lacrime.
Si sentiva una vittima di una vita pesante, ma anche Amy lo era.
Non ci aveva mai pensato fin'ora: l'aveva sempre vista allegra,
felice e spensierata, ma in quegli anni tutto si era stravolto,
rendendo la personalità della riccia irriconoscibile.
Certo, dieci anni sono tanti. Le persone cambiano di continuo.
In un mondo che continua ad andare avanti, in un mondo in cui le
persone continuano a cambiare, restano solo i nostalgici ricordi, ed
è terribile quel sentimento. L'unica cosa che vuoi in quel
momento è
una macchina del tempo, o un qualcosa che lo fermi in eterno.
Ma niente è infinito, nulla è per sempre.
Blaze sospirò pesantemente, lasciando che una piccola
lacrima le
rigasse il volto.
La micia, se ci pensava bene, era fortunata: era ancora viva.
Le vite sua e di Amy erano come delle guerre, e Blaze era una reduce.
E quello che fanno meglio i reduci è ricordare chi non
c'è più.
Blaze si ricordò di una frase in un libro delle guerre della
Sol
Dimension che aveva letto da bambina: “I Sopravvissuti hanno
le
cicatrici, le Vittime le tombe.”
Non si era mai resa conto di quanto fosse vero prima d'allora.
Si sfregò la guancia con la manica del suo bel completino
rosso
fuoco, e sbatté più volte le palpebre per far
sparire la vista
offuscata.
Di lì a breve, quell'assoluto silenzio fu interrotto dallo
scattare
del pomello della porta, la quale si aprì.
Sulla soglia, fiero e forte, stava Shadow.
Il riccio nero e rosso non disse niente, si limitò a
guardarla da
cima a fondo, ma non era arrabbiato o deluso come lei credeva, ma
sembrò sollevato di vederla.
Sul volto di Shadow comparve il fantasma di un sorriso.
“Blaze.” disse alla fine, muovendosi verso di lei
senza alcuna
esitazione.
Le spalle irrigidite della gatta si ammorbidirono; vederlo
avvicinarsi a lei con così tanta fiducia nonostante tutto
quello che
era successo significava buon sentimento.
Tuttavia Blaze aveva ancora paura che lui non l'avesse perdonata del
tutto.
Ovviamente non rispose al richiamo del riccio, si limitò a
tenere
cautamente lo sguardo fisso su di lui per tutto il suo percorso dalla
soglia della porta fino al letto, preoccupandosi dei suoi movimenti,
della sua bocca, dalla quale poteva uscire qualsiasi parola, e del
suo linguaggio del corpo.
Nonostante venisse così analizzato, il riccio non si
sentì a
disagio.
Lo notò eccome, ma volle far credere di non farci caso.
Si sedette a peso morto accanto a lei con un lieve tonfo, e
incrociò
le mani tra loro.
Blaze guardò il riccio, il quale era impegnato ad osservarsi
le
mani, cercando sicuramente qualcosa da dire. La gatta
abbassò lo
sguardo sulle proprie ginocchia.
Shadow, intanto, stava cercando le parole più adatte per
iniziare a
parlare.
Non voleva parole qualunque, per un discorso così delicato.
“Come stai?” disse all'improvviso.
Blaze, non aspettandosi quella domanda, lo guardò spaesata.
Credeva che le avesse voluto chiedere il perché;
perché l'avesse
fatto, perché gli avesse sempre mentito sin dall'inizio.
C'erano tante cose che, a dire il vero, poteva chiedere.
E invece ecco una domanda così semplice.
“Cosa?” chiese la ragazza, alzando lo sguardo dalle
ginocchia e
posandolo sul riccio.
Shadow ridacchiò.
“Il tuo udito ti sta lasciando, o non ti sei pulita le
orecchie?”
disse, ridacchiando senza cattiveria.
Blaze sorrise alle parole del riccio nero, ricordandosi di una simile
frase, detta qualche tempo prima in un rude vagone di legno.
“Shadow...!” ridacchiò anche lei, con un
filo di voce.
Il riccio alzò lo sguardo, con un leggero sorriso.
“Allora Blaze...come stai? Sei stata svenuta per due
giorni.”
riprese il riccio.
Blaze sgranò gli occhi, sorpresa.
“Due giorni??” mormorò, portandosi una
mano alla testa, la quale
aveva iniziato improvvisamente a farle un po' male.
“Già...” rispose lui, adocchiando il
viso pallido della gatta.
Aveva bisogno di nutrimento, ma prima dovevano risolvere una
questione.
“Blaze... non voglio girarci troppo attorno.” disse
alla fine,
dopo una lunga riflessione.
“Voglio parlare di quello che è
successo.”
Lei non sembrò stupita affatto, e in effetti non lo era.
Prima o poi
avrebbero dovuto toccare quell'argomento.
“Forse non ne vuoi parlare... ma sai che dobbiamo.”
riprese lui
dopo una breve pausa, stando attento alla reazione della micia, la
quale annuì solamente.
“Ero arrabbiata Shadow.” iniziò lei con
un filo di voce,
giocando con le maniche del vestito.
“...Per Amy?” aggiunse il riccio.
La gatta rizzò le orecchie a sentire quelle parole
così
inaspettate, e alzò incredula lo sguardo, con occhi sgranati.
“Come lo sai?” chiese al riccio, guardandolo dritto
negli occhi.
Il giorno prima, Rouge aveva fatto alcune ricerche e ispezioni a
NMBC, e aveva scoperto che le ragazze, all'inizio vendute e fatte
lavorare come serve, si erano poi pian piano adattate ad essere
libere cittadine della città, ricoprendo varie cariche come
le
infermiere dell'ospedale.
Le raccontarono della paziente morta poco prima e della gatta che era
venuta ed aveva riconosciuto il corpo.
Dopo essersi accertata che la deceduta fosse proprio Amy Rose, Rouge
non ebbe più dubbi nel collegare la faccenda.
Inoltre si era incontrata anche con Mina, fuori dall'ospedale, che
era ritornata con il suo manager e una grande, scura vettura per
prelevare la riccia rosa.
Shadow prese un bel respiro.
“Rouge me l'ha detto. Mi ha anche detto che Mina l'ha
recuperata.
Oggi pomeriggio c'è il suo funerale, se te la
senti.” le rispose
il riccio nero.
La gatta distolse lo sguardo dal ragazzo e chiuse gli occhi.
Fu in quel momento che decise di lasciar andare tutto:
“Li odiavo. E li odio ancora.”
Queste dure parole le uscirono con una forza maggiore rispetto a
quella che avrebbe voluto.
Shadow la guardò senza battere ciglio, lasciando che lei
continuasse
il suo sfogo.
“Perché proprio lei??”
continuò la ragazza, indignata.
“Con tutta le persone orribili che ci sono al mondo, proprio
a lei
doveva toccare?? Perché??”
Al solo pensiero, le si spezzava il cuore e, di conseguenza, le
parole.
“Se lo chiedono tutti.” intervenne Shadow, che
capiva a pieno la
rabbia e la disperazione di Blaze.
E' inutile dire che anche lui si sentiva così quando perse
Maria. Si
sentiva solo, abbandonato, e in qualche modo doveva vendicare la sua
amica umana.
Ha passato anni a chiedersi perché l'avessero uccisa,
proprio lei
che non aveva fatto mai del male a nessuno, lei che era solo una
dolce bambina.
Perché lei ieri, e non Eggman oggi? Forse la giustizia
divina non
esiste. Forse le cose succedono e basta. Forse è vero il
detto
“Tutti i migliori se ne vanno”.
Sì, ma non è giusto...
Shadow ha visto la vita della ragazza spezzarsi proprio davanti a
sé,
e lui non ha potuto fare nulla, era impotente...
“...Ed io non sono riuscita ad impedirlo.”
continuò la gatta,
ignorando l'intervento del riccio.
Queste parole lo colsero particolarmente. E sapeva già dove
sarebbe
andato a finire questo argomento...
“Sarei dovuta andare a salvarla sin da subito, quando
ricevetti
quella stramaledetta lettera!” continuò la gatta,
diventando
sempre più frustrata man mano che parlava.
Shadow notò che stringeva i pugni dalla rabbia e, nel
processo,
anche il lenzuolo sottostante.
“E invece ho aspettato troppo! Tutto quello che sono riuscita
a
fare è stato vederla morire sotto i miei occhi, senza che io
avessi
potuto più fare qualcosa!” continuò,
alzando sempre di più la
voce, fino quasi ad urlare.
Ed eccola. Shadow l'aveva previsto: si biasima per non essere
riuscita a salvare l'insalvabile.
Era tutto troppo schifosamente uguale: la perdita di una persona
cara, il desiderio di sangue, e infine la disperazione ed i sensi di
colpa che ti mangiano vivo.
E poi c'era quel “avrei potuto”:
l'aveva torturato per
troppo tempo, e adesso stava toccando a Blaze.
Shadow suppose che fosse normale reagire così. L'anima di un
defunto
non va solo in cielo, ma ti entra anche negli occhi e ti rimane nella
mente.
“Non è colpa tua.” intervenne subito il
riccio, mentre alcune
lacrime di frustrazione cominciarono ad apparire ai bordi degli occhi
della gatta.
“Hai fatto tutto quello che potevi. E' inutile dire che
potevi fare
di più, se tu avresti davvero potuto l'avresti
fatto.”
La gatta teneva lo sguardo fisso sul pavimento, silenziosa.
“Non è vero. Se fossi partita prima, ce l'avrei
fatta. Ma ormai
non si può tornare indietro...” sospirò
calma la gatta, con una
nota di tristezza.
“Esatto, non si può cambiare il passato,
Blaze!” disse Shadow,
prendendo il mento della ragazza e, alzandolo verso il suo viso, si
assicurò che i suoi occhi dorati riflettessero nei suoi
rossi.
“Non fare come me, per favore.”
continuò, in un sussurro, stando
attento a non rompere quel filo intimo che si era creato tra il suo e
lo sguardo di Blaze. Con il pollice accarezzò teneramente la
guancia
della ragazza.
“Guarda avanti, verso il futuro; sarà solo quello
che potrai
ancora cambiare. Ricordati che il futuro diventerà presente,
e il
presente passato, e solo nel passato resterà il
dolore.” continuò
il riccio, con un lieve sorriso.
Blaze lo ascoltava senza dire niente, ma capiva tutto quello che le
voleva dire.
“Pensa ad Amy: non avrebbe mai voluto vederti soffrire. Come
ti
avrebbe voluto vedere, Blaze?”
E fu lì che qualcosa scattò nella mente della
gatta: un ricordo.
In apparenza così insignificante, ma adesso che ci pensava,
la micia
non capiva come avesse potuto dimenticarsene. Dimenticarsi
delle
ultime parole della sua cara amica.
“...Promettimi di vivere felice, e di non
dimenticarmi. Sii
felice.”
Sii felice.
Se l'era completamente scordato. Quella era l'ultima volontà
che la
sua amica aveva espresso sul letto di morte, e Blaze aveva totalmente
ignorato quel caloroso consiglio.
Aveva solo pensato a vendicarla, quando lei non l'aveva mai chiesto.
Si è data alla rabbia, invece di mantenere la sua promessa.
Ad Amy non sarebbe piaciuto per niente, e se ne vergognava. Si
sentiva come se l'avesse offesa.
Che stupida...
Blaze abbassò lo sguardo, voltando la testa dall'altra
parte.
Abbassò le orecchie in vergogna, mentre fissava i palmi
delle sue
mani ormai aperte davanti a sé, le stesse mani che avevano
ucciso
così tante persone in una maniera... mostruosa.
Le si creò
un groppo in gola al solo pensiero.
“Che stupida!”
sussurrò tra sé e sé, coprendosi il
viso
con le mani.
“Blaze!” chiamò Shadow, posandole una
mano sulla spalla, e allo
stesso tempo preoccupato di quello che stesse passando per la testa
della micia lilla.
...E lei che si era lamentata di Shadow, prendendosela con lui
perché
aveva schiaffeggiato una riccia e perché si era coinvolto in
quel
tipo d'affari, mentre lei aveva fatto molto di peggio. Che
ipocrita.
Scusami Amy.
Adesso cosa avrebbe potuto fare?
Seguire il suo consiglio. Perché no? Essere felice
nonostante tutto.
E se la felicità non fosse arrivata da sola, se la sarebbe
cercata.
Come era solita fare Amy: trovare la felicità ed il buono in
ogni
cosa. Non darsi mai per vinti, uscirne vincitrici
comunque.
“Va tutto bene, Blaze. Va tutto bene.” disse
solamente il riccio
nero, con la sua profonda voce, dando delle leggere pacche alle
spalle della gatta.
Lentamente, la regina gatto tolse le mani dal viso realizzando una
cosa:
“Shadow?” disse dopo un po', voltandosi leggermente
per guardarlo
in faccia.
“Sai come Amy avrebbe voluto vedermi?” gli chiese,
intenzionata a
rispondere alla domanda che il riccio le aveva posto poco prima.
“Felice. Semplicemente felice. E' tutto quello che ha
chiesto.”
rivelò alla fine, accorgendosi in quel momento di quanto
effettivamente il suo umore stava migliorando.
Lui. Lui la rendeva felice.
Shadow era qualcuno che l'amava per com'era, pregi e difetti, un
povero cristo con un doloroso passato e che era in grado di capirla.
Lui era uno dei pochi che non l'avrebbe mai guardata come un mostro.
Sapeva com'era essere chiamato con quella parola.
Come ha detto lui, il futuro è l'unica cosa che si
può ancora
scrivere, e lei intendeva renderlo felice. Sarebbe stato un futuro
felice se lui ci fosse stato, e la gatta intendeva assolutamente
tenerselo stretto.
Il riccio sorrise soddisfatto alla risposta della ragazza.
“Ne ero certo.” rispose solamente, avvolgendola in
un caloroso
abbraccio.
Blaze se ne approfittò per abbracciarlo a sua volta,
affondando il
viso nella sua pelliccia bianca.
Restarono così per minuti interi, assaporando il silenzio e
il
calore di quell'abbraccio.
“Blaze.” chiamò dopo un po' il ragazzo.
“Mh?”
“Cosa...cosa farai dopo?” chiese titubante. Sapeva
che nella sua
testa c'erano tante questioni ancora irrisolte, e ora che Blaze era
tornata normale, sentiva il bisogno svelarle.
Lentamente, la gatta si slegò dall'abbraccio, per guardarlo
dritto
negli occhi. Shadow la lasciò fare, anche se avrebbe
desiderato che
non lo guardasse così seriamente, che gli avesse risposto
con un
semplice “starò con te”,
senza staccarsi dalle sue
braccia.
Sarebbe dovuta tornare a casa, ovviamente. Blaze non aveva altra
scelta, e per quanto amasse Shadow, lei era una regina, anzi,
L'Imperatrice, e come tale aveva il dovere di
vegliare sui
suoi sudditi e sul suo mondo.
Nonostante queste idee fossero ben chiare nella sua mente, Blaze non
sapeva come dire cose del genere al riccio.
Sospirò pesantemente. Non c'era altra via.
“Dovrò tornare nel mio regno, Shadow.”
annunciò la gatta a
bassa voce, un po' dispiaciuta, e attese trattenendo il fiato la
reazione del ragazzo.
Il riccio annuì ripetutamente, segno che avevo compreso e
che lo
stava accettato.
“Anche di questo ne ero certo.” disse dopo un po'.
La gatta lo guardava incerta e dispiaciuta. Posò la sua mano
su
quella del riccio, e lui la guardò negli occhi. Blaze
adorava quegli
occhi. Non erano più così freddi come all'inizio.
Con un sorriso, la micia lilla fece la sua proposta:
“Potresti venire con me, Shadow.” disse, e attese.
La morbida mano della gatta scaldava quella del riccio, facendolo
giurare di non portare mai più i guanti per tutto il resto
della sua
vita. E inoltre gli scaldava anche il cuore.
Aveva già pensato di chiederle di poter venire con lei.
Ma qualcosa dentro di sé gli diceva di restare a Mobius. Ci
aveva
riflettuto molto, e nonostante gli dolesse ammetterlo, era raggiunto
a una conclusione: lui non apparteneva alla dimensione della micia, e
non c'aveva nulla a che fare.
Aveva pensato a tutti i pro e i contro, e per quanto volesse fra
vincere i pro, i contro erano troppi.
Aveva ancora una miriade di questioni irrisolte da sciogliere, e
persone che non poteva abbandonare così. Inoltre
quell'incidente del
treno avrebbe provocato un polverone in cui lui sarebbe stato
coinvolto, e doveva dare risposte. Voleva vedere come sarebbe andata
a finire per tutti gli altri.
Non poteva lasciare il suo mondo, la sua casa.
Alla fine, aveva deciso di non parlarne con Blaze. Purtroppo,
è
stata proprio lei a tirare fuori l'argomento. A Shadow si
gelò il
sangue nelle vene al solo pensiero che lei potesse prenderla male.
Mi capirà...giusto?
Dopotutto, anche lei era spinta dal dovere verso il proprio mondo.
Abbassò lo sguardo, perché proprio non poteva
guardarla in quegli
occhi speranzosi mentre le diceva della sua scelta.
“Non...posso, Blaze.” disse alla fine.
Lei rimase calma. O almeno in apparenza. Shadow si chiese cosa
passasse nella testa della ragazza, dietro a quegli occhi confusi.
“Perché no, Shadow?” chiese di nuovo,
insistente, portando la
mano libero sulla guancia del ragazzo, costringendolo con il suo
tocco delicato a rialzare lo sguardo.
“Cosa c'è ancora qui per te?”
Guardando in quegli occhi meravigliosi, Shadow stava per mandare
tutti i suoi piani al vento.
C'era davvero qualcosa di così importante -più
importante di lei-
per cui restare? No, non c'era.
Ma doveva restare.
“Il mondo ha bisogno di me.” rispose alla fine il
riccio, e baciò
la mano della gatta, premendosela sulla guancia con la mano libera,
quasi avesse paura di non sentire più il suo calore.
“...Anche io Shadow...” rispose Blaze, con un filo
di voce.
Shadow l'abbracciò di nuovo.
“Tu sei più forte del mondo, Blaze.”
La micia sorrise, e affondò di nuovo il muso nella pelliccia
sul
petto del ragazzo.
“Hai ragione.”
Shadow sorrise, contento della reazione della sua ragazza.
“Adesso andiamo a mangiare, che ne hai davvero bisogno. E poi
ti
voglio chiedere se riesci a stare da sola per qualche ora.”
“Certo. Dove vai?”
“Ho delle commissioni da fare.”
“E' pronta?”
Rouge the bat era appena entrata nel gigantesco ospedale della
città, l'Ospedale di NMBC.
L'odore di candeggina e disinfettante le era piombato nelle
narici
sin da quando aveva messo piede nella struttura.
Un passo dietro l'altro nel gigantesco e vuoto corridoio.
Rouge
poteva udire solo il rumore dei propri tacchi mentre percorreva la
Emergency Hall, e si guardava in giro attentamente.
L'affascinante pipistrella era lì per vederci
più chiaro: Shadow
aveva detto che la gatta aveva farfugliato qualcosa sul fatto che
fosse anche colpa sua... colpa di cosa?
Blaze aveva fatto la brava bambina fino alla sua
scappatella... e
poi era diventata un demone dell'inferno.
Magari l'ospedale non le avrebbe dato le informazioni che le
servivano, ma dopotutto era un luogo dove la gente circola, e bene o
male avrebbe sentito qualcosa.
Poco dopo, quando iniziò a chiedersi se ci fosse
vita in
quell'ospedale, ecco apparire alcune indaffaratissime infermiere, chi
con con qualcosa in mano e chi meno, che circolavano per i corridoi
senza sosta, sparendo nelle stanze o facendo capolino da queste
ultime, prima di correre via da un altro paziente. Era incredibile il
via vai che c'era, le infermiere zampettavano qua e là come
formiche
in un formicaio.
Rouge si avvicinò con passo sicuro e con il suo
solito sorriso
radioso e provocante, ed un'infermiera venne correndo dal corridoio
incontro a lei.
Finalmente
qualcuno che si sia accorto di me!
Pensò tra sé e sé
l'affascinate donna, ed attese pazientemente
che la ragazza si avvicinasse.
La pipistrella mise su il sorriso più rassicurante
che potesse
fare. Sulle labbra era ritornato il suo solito rossetto rosso
carminio, e il make-up sgualcito aveva lasciato spazio all'ombretto
azzurro luccicante e l'eye-lyner nero come la pece, che le risaltava
particolarmente gli occhi verdi-acqua.
“Buongiorno signora. Cosa posso fare per
lei?” chiese
cordialmente l'infermiera a Rouge, la quale squadrò la
ragazza,
soprattutto il cartellino con il suo nome.
“Buongiorno signorina Butterfly.”
salutò a sua volta Rouge,
con la stessa cortesia.
“La prego, mi chiami semplicemente Rochelle. Ha
bisogno di
qualcosa?” rispose l'infermiera, la quale cercava ovviamente
di
evitare tutta quella formalità non necessaria.
“Oh, sì cara. Vedi, io cerco una persona.
Un'amica.”
“Oh.” esclamò sorpresa la
ragazza “Pensavo che lei fosse
qui per una visita medica...” disse Rochelle, guardando le
ali
completamente bendate della pipistrella.
Questo gesto portò Rouge a girare la testa per
guardare in
un'espressione di disagio le proprie ali: avevano preso una brutta
bruciatura, e non poteva muoverle. Se provava ad agitarle, poteva
ancora sentire le fiamme attaccarle le membra. Fortunatamente Shadow
non era così male in campo medico.
Rouge cercò di tramutare l'espressione scocciata in
un'espressione serena, e ritornò faccia a faccia con
l'infermiera.
“ Non si preoccupi, le mie ali staranno benissimo
in un batter
di ciglia! Piuttosto, mi sa dire se ha visto recentemente una gatta
lilla?”
Gli occhi di Rochelle si illuminarono, segno che stava
portando a
galla un ricordo e che Rouge aveva fatto centro.
“Una gatta lilla, dice?” ripeté
la ragazza, come per volersi
accertare di aver capito bene.
“Sì, una gatta lilla; occhi gialli, alta
all'incirca così, e
poi che altro... ah sì, un diadema rosso in mezzo alla
fronte!”
descrisse soddisfatta la pipistrella bianca.
“Sì, è stata qui. Ha chiesto
anche lei di una sua amica. E'
questo quello che voleva sapere?”
Le orecchie dell'affascinante donna scattarono in aria.
Ha
chiesto
di qualcuno...?
“Sì, la ringrazio. Immagino che lei
l'abbia trovata, questa sua
amica...?”
L'infermiera annuì. Rouge estese il suo sorriso,
certa di essere
arrivata alla sua meta.
E'
stato
tutto così facile!
Gioì orgogliosa dentro di sé.
“Potrei farle altre domande?”
E in men che non si dica, si era trovata in un corridoio
sotterraneo dalle pareti blu scuro, camminando verso l'obitorio con
accanto Miss Rochelle Butterfly.
La gioia dentro di sé era sparita per lasciare
spazio a un
sentimento freddo, un vuoto glaciale.
Avrebbe desiderato sbagliarsi ancora.
Piuttosto avrebbe desiderato che in quell'ospedale non avesse
trovato niente, nemmeno uno straccio di prova. Sarebbe stato comunque
meglio che trovarsi davanti ad una situazione del genere.
Amy Rose è morta. La sua stessa
voce ripeteva nella sua
mente.
Amy
Rose è
morta e non tornerà mai più.
Rouge sentì come se immaginarsi la riccia rosa
defunta fosse la
cosa più impossibile da immaginare.
Non è facile associare una persona vitale come Amy
ad una persona
morta. E' per questo che la donna aveva richiesto di vedere la
riccia.
Passo dopo passo, Rouge sperava che la meta fosse ancora molto
lontana, mentre ripercorreva tutte le sue memorie di lei e Amy.
Tutte quelle volte che avevano litigato, collaborato, tutte
quelle
volte che si sono esplicitamente dette che non si sopportavano e
tutte quelle volte che invece andavano d'accordo erano memorie
lunghe, spesso divertenti o stressanti, che si ripetevano nella testa
di Rouge, come se fosse lei stessa prossima a morire.
Fu interrotta solo quando Rochelle le rivolse la parola, dopo
essersi fermata davanti a una porta di metallo.
“Siamo arrivati.” disse semplicemente, ma
bastò per far
rabbrividire Rouge, la quale stava sudando freddo in anticipo. La
ragazza aprì la porta.
“Questo è il nostro obitorio.”
disse di nuovo la graziosa
voce dell'infermiera, mentre entrava nella stanza. La pipistrella le
stava subito dietro.
L'obitorio non era proprio nulla di che: ben attrezzato, Rouge
doveva ammetterlo, ma freddo e squallido. Fortunatamente, non c'erano
corpi sui tavoli metallici da autopsia.
La ragazza si diressero verso una cella, mentre il cuore di
Rouge
pompava all'impazzata.
Non voleva così male ad Amy. Ci aveva pensato a
lungo e no,
questa fine proprio non doveva farla.
“E' pronta?”
La donna pipistrello annuì lentamente.
Ottenuta l'approvazione, Rochelle aprì l'oculo ed
estrasse la
barella dove c'era sdraiata proprio Amy Rose.
Rouge trattenne un sussulto, e si sforzò di tenere
gli occhi
aperti. Esaminò la giovane riccia: non c'erano dubbi che
fosse Amy,
purtroppo.
La riccia rosa aveva gli aculei spettinati che le contornavano
il
viso pallido e alcune cicatrici sparse per il corpo.
I lividi sulle palpebre chiuse avevano già iniziato
a perdere
intensità.
Sembra
che
stia dormendo.
Pensò la donna, mentre già sentiva la
gola secca e le lacrime
iniziare ad offuscarle la vista.
“Ci può lasciare un attimo da
sole?” ebbe il fiato di
chiedere, cercando di non andare in iperventilazione davanti
all'infermiera, la quale annuì.
“Certamente. Si prenda tutto il tempo
necessario.” disse
gentilmente, e lasciò l'obitorio.
Rouge fece un cenno del capo in gratitudine e la
seguì con lo
sguardo, finché fu fuori dalla porta, poi si
voltò verso l'amica.
“Amy.” sussurrò il suo nome
gentilmente, sapendo che comunque
la riccia non le avrebbe riposto.
La guardò con compassione, mentre le sfiorava la
fredda guancia
con le dita.
“C-cosa posso dire? Da dove iniziare?”
disse la pipistrella,
dolcemente, rivolta ad Amy.
“Mi dispiace per averti chiamata apertamente una
fastidiosissima
bimbetta.” cominciò con un sorriso triste. Si
leccò le labbra già
secche, fregandosi dell'orribile gusto del rossetto.
“Mi dispiace di tutte quelle volte che ti ho
disprezzato. La
verità è che non eri affatto sprezzante. Avevi
ottime capacità,
ero io che ero...invidiosa. E gelosa. Non ti avrei mai permesso di
diventare più brava di me.” ridacchiò
triste la donna.
“Eh, già! Ci sei riuscita! Hai fatto
invidia a Rouge the bat!
Questa te la concedo!” parlando così, alla ragazza
alata rispuntò
il radioso sorriso che l'aveva sempre caratterizzata, ma era sparito
quando, finito di parlare, aveva fissato il viso pallido e senza vita
di Amy Rose.
Stava parlando da sola per tutto quel tempo. Di nuovo.
Si sarebbe sentita stupida se, davanti a lei, non ci fosse
proprio
quella vecchia conoscenza.
Anche se Amy non la poteva sentire, Rouge si sentiva in dovere
di
dirle quelle cose, di confessarsi per l'ultima volta. Aveva bisogno
di sfogarsi, di dire quello che pensava. Quindi arrivò al
dunque.
“...Mi dispiace che il tuo viaggio finisca
qui.”
La sua frase fu incontrata da un previsto silenzio tombale.
Rouge
si schiarì la voce.
“Non sai che putiferio ha tirato su Blaze per la tua
morte.”
continuò la donna, cercando di non maledire la gatta per
aver quasi
mandato a puttane le sue ali.
“Le manchi. Ci
manchi. Non dimenticartelo mai, freedom
fighter.” le dita di Rouge erano ormai
diventate fredde a
furia di tenerle a contatto con la pelle della riccia.
“Addio, Amy Rose.” disse grave, e con
assoluto rispetto,
stampando poi un caloroso bacio sulla fronte della riccia.
Amy restava fredda e immobile.
Rouge sorrise amara a sé stessa e a quello che
stava facendo:
prima parlava con le pietre, e adesso con i morti. Non riusciva
proprio a trovare un interlocutore che la potesse ascoltare.
Ma comunque qualcosa cambiava dentro di sé, lo
poteva sentire.
Solo il risultato rimaneva lo stesso.
L'atmosfera nel piccolo ufficio era cambiata, Rouge lo poteva
sentire.
Dentro la stanzetta riuscivano finalmente ad entrare i raggi del sole
che di solito erano bloccati dalle persiane costantemente abbassate.
Rouge sedeva sulla sua sedia, guardandosi attorno mentre la luce le
sfiorava la pelle.
Ogni tanto posava il suo sguardo contento sullo schermo scuro del
computer spento davanti a sé, felice che finalmente potesse
riposare.
Aveva appena finito di raccogliere tutti i fascicoli sui loro
precedenti lavori e ora questi pezzi di carta e cartoncino giallo
erano tenuti in ordine sulla scrivania. Aveva svuotato scaffali,
cassetti e aveva spulciato anche comodini e armadi di vario genere.
E' incredibile cosa si può ritrovare facendo le pulizie di
primavera:
Questo dev'essere il numero di Knuckles.
Pensava la pipistrella, mentre osservava il pezzo di carta che era
stato dimenticato in fondo al cassetto. Leggeva e rileggeva il numero
che aveva tra le dita con indecisione, incerta se farne uso o meno.
Solo perché è sposato, non significa che
non ci possa parlare. Pensò Rouge alla fine,
alzando le spalle ed estendendo un sorriso
contento.
Ma prima avrebbe aspettato che il compare fosse uscito e l'avrebbe
lasciata sola.
Sapeva dove lui voleva andare ed è per questo che aveva
riunito
tutti i vecchi casi: avrebbero denunciato tutti i criminali che
avevano aiutato in passato e, se ce ne fosse stato bisogno, avrebbero
anche aiutato ad acciuffarli con le proprie mani; ma prima, Shadow
doveva risolvere una vecchia, delicata faccenda.
Rouge alzò lo sguardo sull'orologio da parete situato sopra
la porta
che conduceva alla cucina: 9.30 del mattino. Rouge già
sentiva
l'amico alzarsi dalla sedia della cucina, salutare la gatta e
dirigersi verso l'ufficio dove stava la pipistrella.
Rouge si tolse i guanti di lattice che aveva utilizzato per
raccogliere e pulire dalla polvere tutti quei documenti e si accorse
solo in quel momento di avere un paio di calli alle dita e le unghie
mezze rovinate.
“Ugh.” fu tutto quello che
uscì dalla sua bocca in una
smorfia disgustata.
La maniglia scattò e la porta si aprì. La giovane
donna ruotò la
testa verso il collega, il quale entrò nell'ufficio
richiudendosi la
porta subito dietro di sé.
“Allora, come sta?” chiese Rouge
“Meglio?”.
“Sì, ha solo bisogno di finire di mangiare e di
riposarsi.”
“Bene.” pronunciò la donna, contenta di
non dover preoccuparsi
troppo della micia lilla.
Poi aprì un cassetto ed estrasse uno smalto color carminio e
una
lima per le unghie.
“Le hai già detto di oggi pomeriggio?”
chiese con fare poco
curante, mentre iniziava a limarsi le unghie. Doveva sembrare
occupata in altro, e non sul fatto che ogni volta che menzionava il
funerale di Amy le veniva un groppo in gola.
“Sì, e niente la convincerà a non
andarci!” rispose il riccio.
“Che donna!” ridacchiò la bianca.
“Allora... vieni con me o preferisci oziare qui?”
chiese alla
fine il riccio, adocchiando l'indaffaratissima Rouge, la quale
rispose fintamente offesa:
“Senti caro, sono in piedi dalle sei e mezza a mettere in
ordine
queste cartacce, e come vedi ho molto da fare.”
disse,
agitando le dita appena limate davanti al muso di Shadow.
“Vedo.” sbuffò divertito, ma poi decise
di lasciare stare.
“Ci dai tu un'occhiata a Blaze di tanto in tanto?”
disse lui
sulla strada per uscire.
“Certo...di tanto in tanto...” rispose la ragazza
bianca con tono
da non curante, iniziando ad impreziosire le unghie con lo smalto.
“A dopo!” salutò Shadow, ed
uscì senza aspettare risposta,
chiudendo la porta con un tonfo secco.
Rouge smise di pitturarsi le unghie. Soffiò sulle uniche due
dita
che era riuscita a smaltare e afferrò il telefono in mano.
Portò la
cornetta all'orecchio mentre riprese tra le dita il foglietto con il
numero dell'echidna rosso. Guardò verso la porta della
cucina,
sperando che la gatta non avesse bisogno di lei o che sbucasse fuori
a caso.
Ma la porta della cucina rimaneva chiusa e non si sentiva volare una
mosca.
Rouge non si stupì; dopotutto sapeva che Blaze era una
ragazza molto
silenziosa, e anzi, lo prese come un buon segno.
Compose in fretta il numero e attese.
Spero solo che il guardiano qui non abbia cambiato telefono!
Pensava Rouge mentre attendeva. Più l'attesa si prolungava,
più
Rouge si mordicchiava il labbro, nervosa.
“Pronto?” si sentì
dall'altra parte della cornetta. Rouge
riconobbe subito quella voce: profonda, seria e matura...
“Knuckles!” esclamò felice la
pipistrella.
“Chi è?... R-Rouge?!”
chiese stupito l'echidna. Rouge
sorrise ancora di più: si ricordava di lei e riconosceva
ancora la
sua voce.
“Indovinato tesoro! E' da un po' che non ci si sente, come
va?”
disse in tutta risposta la donna, sorridendo ammaliante, nonostante
il guardiano non potesse vederla al di là del telefono.
“Vecchia canaglia! Dove sei stata tutto questo
tempo?!”
ridacchiò l'uomo dall'altra parte della cornetta.
“Ti sono mancata?” lo provocò Rouge.
“Neanche un po'!” Rispose lui a
tono, ridacchiando piano;
“Come va la vita? Che hai fatto in tutti questi anni?”.
“Tu non ne hai idea!”
Shadow marciava con passo sicuro sul cemento dei marciapiedi della
trafficata Mobius.
Gli sembrava così strano riprendere a camminare libero alla
luce del
sole e accanto alle persone sempre sorridenti della città.
Aveva
dimenticato il vento fresco della prima mattina che ti arriva in
faccia, l'odore del cibo fritto delle bancarelle, le chiacchiere e le
urla del giornalaio.
“EDIZIONE STRAORDINARIA!” urlavano i ragazzi,
facendo svolazzare
in aria una coppia di giornale.
“FINITO L'INCUBO DEI VENDITORI DI SCHIAVI!”
Come il riccio girava l'angolo, altri ragazzi avevano altre notizie,
ma tutte erano aderenti al commercio di schiavi.
“MINA MONGOOSE: RAPITA DAI TRAFFICANTI ADESSO E' DI NUOVO
LIBERA!”
“RIPORTATE A CASE LE VITTIME! PIU' DI 500 RAGAZZE!”
“RAGAZZE SALVATE DA DUE EROI EX-AGENTI!”
Da un'eroina.
Precisò Shadow nella sua testa, consapevole che il lavoro
sporco non
lo avevano fatto loro.
Anzi, loro non avevano fatto niente.
Chi aveva liberato Mina e le altre? Blaze.
Chi aveva bruciato i treni? Blaze.
Chi si era assicurata di dar voce alle vittime? Sempre Blaze.
Era Blaze l'unica che era riuscita ad alzarsi per le altre.
Tutto quello che Shadow e la sua collega avevano fatto era di
riportarla in sé stessa.
I giornalisti e i loro articoli da strapazzo, valli a capire.
Mobius è stata salvata da un'eroina.
Anzi, aggiunse Shadow dopo un po',
Da due eroine.
Amy ha dato la vita per questa nobile causa. E, da una parte, ha
aiutato Blaze nel suo intento, perfino nella morte è
riuscita a
dare, seppure involontariamente, forza alla gatta per finire quello
che aveva iniziato. Le aveva dato più energia e motivazione.
Negativa energia e oscura motivazione, ma pur sempre energia.
Ma i giornalisti sono stati troppo superficiali.
Non per non aver dato importanza a Blaze, dato che Shadow sapeva che
-per il suo bene- doveva starsene nascosta agli occhi del pubblico,
ma per non aver dato importanza alla coraggiosa poliziotta che
è
morta facendo il suo dovere.
Amy Rose di certo non sapeva la fine che avrebbe fatto, ma sapeva di
rischiare. Amy sapeva che il suo futuro sarebbe stato incerto e
traballante, ma ha continuato a fare quello che riteneva giusto.
La migliore poliziotta di sempre; dolce, gentile, coraggiosa, forte.
Tutti i migliori se ne vanno.
Shadow si fermò davanti ad un gigantesco palazzo di cemento
bianco,
appena fuori dalla periferia di Mobius.
Su questo grande edificio c'erano le note iniziali: G.U.N.
Era da un po' che non si presentava davanti a quell'imponente e
spoglia struttura.
Respirò a fondo, prima di fare il passo che gli avrebbe
cambiato di
nuovo la vita.
Cautamente, ma senza mostrare paura o esitazione, entrò.
Valicato il gran portone, si ritrovò in un'immensa sala.
Il pavimento, con fantasia a scacchiera verde scuro e oro che Shadow
non aveva mai apprezzato, era brillante e rifletteva l'elegante e
luminoso lampadario appeso al centro della sala.
Si respirava odore di sterilizzato; non era un gran ché, ma
sempre
meglio della candeggina degli ospedali.
Shadow si guardò ben attorno: nulla era mutato,
quell'agenzia era
rimasta così come l'aveva lasciata. In nove anni l'arredo
non era
cambiato, solo il personale sembrava essere diverso: molte facce non
erano note a Shadow, ma non c'era nulla da stupirsi.
Dopo lunghi istanti, decise di dirigersi finalmente verso la sua
meta: l'ufficio del Comandante.
Al grande capo era sempre piaciuto essere collocato in alto. Se non
si era spostato, il suo ufficio era situato all'ultimo piano.
Shadow si diresse verso i modernissimi ascensori, in fondo alla Hall,
mentre sentiva addosso lo sguardo dei segretari, i quali lo stavano
certamente guardando con cautela, come se temessero un attacco da
parte sua. Per mascherare il tutto, facevano finta di essere occupati
in altro, come rispondere al telefono o scrivere annotazioni o
appuntamenti, ma stavano fallendo tutti miseramente.
Shadow fece finta di ignorare gli sguardi curiosi dei dipendenti, e
premette il pulsante dell'ascensore. Attese pazientemente
finché,
con un suono di campanello, le porte si aprirono.
Una volta chiuso dentro, poté tirare un sospiro di sollievo.
Non sapeva sinceramente come sentirsi. Avrebbe rincontrato il suo
vecchio capo, e non sapeva se esserne preoccupato o tranquillo.
Per la prima volta, nella calma atmosfera dell'ascensore, Shadow
decidette che un piano psicologico non era proprio una cattiva idea.
Sarebbe rimasto impassibile a qualsiasi cosa sarebbe accaduta, a
qualsiasi cosa avrebbe detto il suo vecchio capo, e poi gli avrebbe
imposto le sue condizioni. D'altra parte, se una cosa del genere non
l'avesse fatta Shadow, l'avrebbe fatta il comandante.
L'ascensore squillò, facendo ritornare il riccio nero in
sé.
Uscì con passo sicuro, gli occhi puntati sulla solida porta
di legno
in fondo al corridoio, un solo pensiero in mente.
Ma a metà strada, si sentì chiamare da una voce
femminile, da una
donna.
“Shadow?!” esclamò stupita questa, alle
spalle del riccio, il
quale si fermò.
Si girò lentamente, e vide a pochi metri da lui una giovane
umana
coi capelli biondi a caschetto, occhi blu grandi e luminosi e una
miriade di lentiggini sparse sulle gote.
Shadow dovette ammettere che non la riconobbe subito, ma poi la
ragazza, estendendo un sorriso a trentadue denti, si buttò
sul
riccio nero e lo abbracciò forte.
“Shadow!” urlò lei, al settimo cielo.
“Sono così contenta di vederti! Ti ricordi di me?
Sono Hope!”
Fu un attimo: Shadow spalancò gli occhi ed estese un debole
sorriso,
sbigottito.
“Hope...” sussurrò, senza parole,
riconoscendo alla fine la
ragazza.
Lei si slegò finalmente dall'abbraccio per guardarlo dritto
negli
occhi.
“Ne è passato di tempo...”
continuò il riccio , guardandola con
dolcezza.
Se la ricordava quando quel genietto era ancora una bambina, e
vederla così cresciuta fu la vera freccia del tempo
trascorso che lo
colpì dritto al cuore. Erano passati troppi anni, non
l'aveva vista
nemmeno crescere!
“Ti trovo bene.” disse alla fine, commosso anche
lui.
Chissà cosa Hope pensasse di lui.
Chissà cosa Hope avesse pensato di lui quando, alla bellezza
di nove
anni prima, le era stato detto che il suo team aveva tradito
l'agenzia, se ne erano andati, erano diventati ricercati e,
più
avanti, anche criminali. Tutto a causa di quel riccio nero bastardo
che, quasi un decennio dopo, si era finalmente ritrovata davanti.
Chissà se anche lei si fosse sentita tradita, e traditrice,
nel caso
fosse stata costretta a disattivare Omega.
Chi lo sa quante domande si fosse fatta, ma poi non avesse trovato
risposta a nessuna di loro.
Chi s'immagina la sua tristezza, la sua frustrazione, la sua rabbia,
il suo dolore.
Shadow poteva solo fare ipotesi, ma Hope si ricordava ancora di
quanto aveva fatto male.
Sia chiaro, non lo odiava più (e forse mai lo aveva odiato),
e anzi,
era felicissima di rivederlo.
Tuttavia, nove anni prima, dopo aver ricevuto la notizia, il suo
umore cambiò: non era mai felice, per quanto lo volesse.
Alternava
la tristezza con la rabbia tutto il giorno.
Durante la prima, aveva dei seri problemi di depressione, con
conseguenti notti passate a piangere e largo uso di antidepressivi.
Durante la seconda, passava il tempo a farsi monologhi interiori,
facendosi domande di continuo e persino immaginandosi di avere
lì
Shadow e Rouge che rispondevano alla meglio alle sue inchieste. Ma
naturalmente, quando le domande della giovane ragazza diventavano
sempre più cruciali, essi non rispondevano.
Perché lei non sapeva,
e non si può mettere in bocca spiegazioni che non si sanno a
due
persone ormai immaginarie.
Il comandante non volle spiegarle nulla, e questo la frustrava ancora
di più. Quindi iniziò a fare ipotesi e ricerche,
ma si rese conto
che il suo superiore aveva eliminato tutto. Non era rimasto niente
negli archivi, e la maggior parte dei documenti non si poterono
consultare.
Il capo aveva fatto di certo un bel lavoretto. Inoltre,
consigliò
calorosamente a tutti gli agenti dell'agenzia di dimenticarsi di
Shadow the Hedgehog e Rouge the Bat non solo come parte di essa, ma
anche come esseri viventi.
Quando il comandante ebbe annunciato questi
“consigli” negli
altoparlanti sparsi per l'edificio, Hope era lì, in mezzo al
suo
nuovo team, sbigottita, mentre osservava l'approvazione negli occhi e
nelle espressioni dei suoi nuovi colleghi, come se non vedessero
l'ora di dimenticarsi dei due ex-agenti.
Questo, il comandante non lo doveva fare. Non a lei.
Poteva ordinare di scordare Shadow e Rouge al resto del mondo, se gli
pareva, ma non a lei.
Non erano stati semplici collaboratori, maledizione!
Cosa si aspettava?? Di continuare ad ignorare l'argomento??
Hope non era una ragazzina che teneva la bocca chiusa.
Presa dalla rabbia, si alzò dalla postazione di lavoro di
scatto,
spingendo via la sedia con violenza.
“Signorina Hope?” chiamò una signora
sulla quarantina, la quale
faceva parte del suo nuovo team.
“Se volete scusarmi.”
riuscì a biascicare tra i denti la
bambina, e si diresse verso l'uscita del laboratorio.
La donna, la quale aveva chiesto più per educazione che per
preoccupazione, alzò le spalle e ritornò al
lavoro. Nulla di nuovo,
ormai Hope se ne era abituata. Shadow, Rouge e Omega erano gli unici
che riconoscessero il suo potenziale fregandosene dell'età,
ma
questi...
Ma questi erano umani. L'aveva squadrata sin da subito.
La prima volta che il Comandante ebbe presentato Hope ai suoi nuovi
collaboratori, loro avevano guardato prima il capo, poi Hope, con
espressione da “E' uno scherzo, vero?”.
Hope strinse i pugni, mentre si dirigeva verso l'ufficio del
comandante senza esitazione.
Arrivata davanti alla possente porta, avrebbe voluto sradicarla. O
almeno sbatterla senza pudore.
Ma la sua persona rispettosa ed educata emerse giusto qualche secondo
prima che la ragazzina aprisse la porta senza ritegno.
Prese un bel respiro e, con energia, bussò alcuni colpi
secchi alla
porta.
Attese il permesso del capo, il quale si fece sentire subito da
dietro la porta, ed entrò.
Il comandante stava esaminando alcuni fogli, ma quando la biondina
fece capolino, lo sguardo dell'uomo si posò sulla sua
dipendente.
Per un attimo lei poté, con stupore, vedere...compassione?
“Hope.” salutò lui, pacato, posando i
fogli sulla scrivania.
La guardò come un nonno guarda la sua amata nipotina che si
rivolge
a lui perché ha subito un'ingiustizia. Solo che, negli occhi
dell'ormai anziano signore, c'era la consapevolezza che lui era
la causa dell'ingiustizia, la quale gli si stava ritorcendo contro.
Ma, inoltre, c'era anche la prontezza di prendersi quel colpo.
Lei non salutò, la rabbia le legava la bocca; molto peggio
dei
capricci di qualsiasi altro bambino.
“Lo so perché sei qui.” avrebbe
voluto dirle l'uomo,
“Non ti va a genio la mia recente comunicazione,
bambina.”, ma per evitare una situazione
al limite del
civile, lasciò che lei iniziasse il discorso. Dopotutto,
come darle
torto. Era troppo giovane per riuscire a gestire tutte quelle forti
emozioni allo stesso tempo.
“Lei mi deve delle spiegazioni!” riuscì
a dire la ragazzina una
volta davanti alla grande scrivania del suo superiore, senza
tralasciare tutta la rabbia rivolta verso di lui.
“Non è maturo da parte sua continuare ad evitare
l'argomento!”
“Ha ragione, sa dove colpire, la ragazza.”
pensò il
comandante, mentre annuiva in silenzio.
“Cosa. Li. Ha. Spinti. Ad. Andarsene?” pretese di
sapere lei,
chiedendo a denti stretti.
Lui non rispose subito. Si alzò dalla sua sedia e si diresse
pensieroso verso la finestra.
L'uomo iniziò a guardare fuori, perso nel suo stesso
silenzio,
mentre volgeva la schiena alla giovane.
Questo, ovviamente, contribuì ad aumentare l'ira della
ragazzina.
Ma prima che lei potesse gridargli in faccia nuovamente la domanda,
lui rispose vago:
“La risposta non ti piacerà.”
Silenzio.
“Non mi interessa.” avrebbe
voluto rispondere Hope, la
quale voleva solo conoscere la verità, ma allo stesso tempo
aveva
paura di saperla. Perché non le sarebbe piaciuta la
risposta? C'era
un motivo particolare?
La biondina sperava con tutto il cuore di non essere lei la causa.
Perché mai dovrebbe esserlo? Non lo sapeva. Ripercorse
brevemente la
sua memoria, cercando di trovare una prova che l'avrebbe condannata,
ma per quanto cercasse, il risultato delle sue autoanalisi la
reputava, ovviamente, innocente.
Prima di poter rispondere di voler sapere comunque la
verità, il suo
capo la interruppe un'altra volta:
“Non hai colpa né tu, né alcun
agente.”
Il comandante si leccò nervosamente le labbra secche, gesto
insolito, notò Hope. Stava cercando di dire qualcosa, ma
questa
volta fu la ragazzina ad interromperlo:
“E allora di chi è la colpa?”
Ancora silenzio. Per un attimo, Hope notò il tornado
d'inquietudine
che aleggiava sul volto dell'uomo, prima che quest'ultimo ritornasse
impassibile. Il signore chiuse gli occhi. Poi li riaprì e si
avvicino alla sua scrivania ed alla bambina.
“Ti dirò personalmente cos'è successo a
tempo debito, signorina
Hope.”
“Credo che tre mesi siano abbastanza.”
ribatté lei. Si era
calmata, tuttavia era ancora un po' acida.
Ma lui scosse la testa:
“No, non credo. Non credi che ci sia un motivo per cui non te
lo
dico, signorina Hope?”
“Forse sì, e vorrei saperlo. Shadow, Rouge e Omega
non erano solo
dei colleghi per me, ma anche la mia famiglia, tutto quello che
avevo. Li amavo. Ma ora che se ne sono andati, sono di nuovo sola.
Tutto quello che mi rimane è un robot disattivato
giù in cantina!”
esclamò la ragazza, ormai ai limiti della pazienza.
L'espressione dell'uomo prese tutt'altra piega. Hope lo
guardò
incuriosita, mentre la sua rabbia scemava poco a poco.
Sembrava amareggiato, notò la biondina. L'espressione
scocciata
della ragazzina mutò in preoccupazione
“Comand-”
“E' colpa mia.”
Le parole uscirono forti, dure, ma poco fiere di essere pronunciate.
Hope rimase di sasso. Non le pareva di aver capito bene.
“Cos...?”
“E' stata colpa mia.” ammise il comandante per la
seconda volta,
emettendo un sospiro sollevato, come se si fosse tolto un grandissimo
peso sullo stomaco.
“Ho detto qualcosa di troppo, signorina Hope. Qualcosa di
crudele.
Non ho tenuto conto dei sentimenti di Shadow.”
Si sedette pesantemente sulla sua sedia e si passò una mano
sulla
fronte, come se cercasse di riordinare le idee, e allo stesso tempo
di asciugarsi il sudore dei suoi peccati.
“Shadow the hedgehog...” mormorò
lentamente, scuotendo la testa
amareggiato, prima di riprendere:
“Shadow non era stato creato per essere solo una macchina,
dico
bene? Prima non ne ero sicuro. Si è sempre comportato come
tale, e
mi sono dimenticato che anche lui prova emozioni. Ho cominciato a
trattarlo come un robot, aspettandomi che eseguisse gli ordini e
basta, come aveva sempre fatto. E invece... ha un cuore. Ha un
cervello proprio. Ha una coscienza. Ecco, proprio
quello che
avevo perso: una morale. Se c'è un
qualcosa che ho imparato
da tutto questo, è di certo che avrei dovuto essere
più umano.
Mi sa tanto che qui la macchina sono io. Eh, non si
smette mai
d'imparare... Vorrei solo che l'avessi capito prima.”
Hope guardava impietrita il suo capo confessarsi col cuore aperto per
la prima volta nella sua vita, e davanti a lei per giunta.
“Ma perché lei...?” bisbigliò
lei, ma ancora una volta il
comandante la interruppe nel mezzo della frase.
“Ho sbagliato, Hope.”
continuò l'uomo, pregandola con lo
sguardo di perdonarlo.
“Sono un comune mortale, commetto degli errori anch'io; e
provocare
Shadow è stato uno di quelli.”
La biondina lo guardò stupita, sapendo quanto era difficile
per
quell'uomo confessare di essere in torto.
Hope tolse lo sguardo da quello del suo capo e si guardò le
mani
nervosamente intrecciate tra loro.
Ci fu silenzio per un po', poi il comandante riprese:
“Non mi aspetto che tu esegua l'ordine.” disse,
riferendosi
naturalmente all'ultima comunicazione.
“E non te lo voglio nemmeno chiedere. So quanto erano
importanti
per te. Ora, se non hai altro da aggiungere, gradirei che tornassi al
lavoro.” continuò, aggiungendo poi un
“per favore” alla fine.
Lei annuì e si alzò dalla sedia di fronte alla
cattedra del suo
capo, per poi dirigersi verso la porta.
Una volta sulla soglia, però, si fermò e si
voltò verso il suo
superiore.
“Comandante?” chiamò, e lui
alzò gli occhi verso la ragazza, la
quale sorrise solamente.
“Io la perdono.” e se ne
andò, lasciando l'uomo a
sorridere rincuorato tra sé e sé.
“Ti trovo bene.”
“Anche io, Shadow.”
I due amici erano ancora lì in un semi-abbraccio quando una
voce
forte e autoritaria attirò la loro attenzione, soprattutto
quella
del riccio nero.
“Shadow the Hedgehog.” chiamò il
comandante, a pochi metri dal
riccio.
Shadow lo guardò attentamente: nove anni erano passati anche
per il
gran capo, notò.
Tuttavia, alcuni atteggiamenti non erano cambiati: postura rigida,
petto in fuori, mani dietro la schiena come un degno colonnello, e
soprattutto la serietà che l'ha sempre distinto. Aleggiava
calma sul
suo volto, nonostante avesse involontariamente iniziato una profonda
lotta di sguardi tra lui e Shadow. Il riccio nero, anche se non
capiva perché, si mise sull'attenti.
“Comandante.” salutò semplicemente, non
togliendo nemmeno per un
secondo lo sguardo dal vecchio uomo, il quale annuì al
rispettoso
riccio.
“Signorina Hope, gradirei che tornasse al lavoro. Shadow, mi
segua.” ordinò il Comandante, con un tono cortese,
ma che non
accettava un rifiuto in risposta.
Dopo di ché, l'uomo si voltò e si diresse verso
il suo ufficio,
seguito dal riccio nero.
Hope li guardò finché non sparirono dietro la
massiccia porta, poi,
con un sorriso, ritornò nel suo laboratorio.
“Grazie per essere venuto, Shadow.”
Il riccio nero aveva appena chiuso la porta dietro di sé
quando
sentì le formali parole del comandante.
Il suo ex capo si sedette nella sua scrivania e invitò
Shadow, con
un cenno di mano, a prendere posto davanti a sé. Invito che
il
riccio accettò, e si sedette, sempre rimanendo in austero
silenzio.
L'uomo lo guardò negli occhi, ma dopo intensi minuti di
nulla, batté
sonoramente le mani in un applauso.
“Parliamo.” disse semplicemente,
come se non ne vedesse
l'ora. Forse, dopo tutti questi anni, quei due aveva davvero di che
parlare per ore: le scuse da farsi, raccontarsi quel che avevano
fatto in tutto quel tempo, la vita che avevano condotto...
Shadow sentì che erano quelli gli argomenti di cui il
comandante
voleva parlare, anche se non ne era mai stato il tipo; tuttavia, il
riccio sapeva che certi orgogli umani non si sarebbero mai piegati in
basso.
Scuse? Non esisteva quella parola nel vocabolario di
certi
individui, e Shadow sapeva che l'uomo davanti a sé faceva
parte di
quella fetta di popolazione.
Da parte sua, il riccio non era poi tanto da meno. Nemmeno lui si
sarebbe sprecato, non ne aveva nessuna intenzione.
“Parlare? Parlare di cosa?” rispose con tono di
sfida il riccio
nero, curioso di come sarebbe continuata quella situazione un po' in
bilico.
Il comandante spostò lo sguardo sulla superficie della sua
scrivania, dove di solito le matricole poggiano i loro curriculum.
“Affari.” rispose, facendo un cenno col capo al suo
ex-agente, il
quale sbottò.
Ovvio, affari.
Su invito dell'uomo, pose sulla cattedra i fascicoli che, per
accordo, aveva portato.
Quei pezzi di carta e cartoncino giallo non avevano fatto in tempo a
depositarsi sulla superficie di legno che il comandante li aveva
già
presi in mano per esaminarli.
“I fascicoli di cui mi avevi detto al telefono,
suppongo?”
“Sì.” confermò il mobiano
“Tutti i casi che mi sono passati
sotto mano in questi ultimi nove anni. Dal primo all'ultimo
spacciatore e trafficante in nero. E molto altro. Tutti suoi. E io e
la mia collega Rouge saremmo disposti ad aiutarvi a prenderli
tutti.”
concluse il riccio, poggiando la schiena allo schienale, più
rilassato, ora che aveva detto quello che doveva dire. Tuttavia,
rimaneva ancora il grosso del lavoro da fare.
Il comandante, dopo aver dato una lettura superficiale all'elenco
antecedente a tutti i file dei criminali riportati da Shadow, decise
di appoggiarli cautamente sul tavolo e si tolse gli occhiali da
lettura.
“Così adesso hai deciso di fare squadra con noi di
nuovo.”
constatò, guardando il suo ex-agente dritto negli occhi.
“Perché, Shadow? Cosa ti ha
spinto a tornare? Cosa ti ha
spinto a fare una scelta così radicale? Cosa ti spinge a
cambiare
ancora?”
Shadow non rispose subito. Bruscamente, girò la testa da
un'altra
parte, pur di rompere quel contatto visivo così penetrante.
Pensò
ad una risposta, mentre si mordeva la guancia dall'interno.
Cosa mi ha spinto a cambiare?
Dopo pochi secondi seppe cosa dire, e riportò il suo sguardo
sull'uomo davanti a sé, che attendeva una risposta paziente.
Ridacchiò piano.
“Mi è sembrato giusto farlo.” rispose
solamente.
L'uomo lo guardò con un pizzico di incredulità,
curiosità e
soprattutto contentezza.
Il comandante, imitando Shadow, incrociò le braccia e si
poggiò
allo schienale.
“Ti è sembrato giusto farlo?”
ripeté l'ex-capo del riccio, come
se cercasse una conferma, e fissava Shadow pensieroso.
“Sì.” affermò il riccio
“Ho capito che è giusto così.”
Il comandante mostrò uno dei suoi rari sorrisi, malizioso.
“E ci hai messo nove anni?” chiese, spinto dalla
curiosità di
capire a fondo come fosse successo, e con un tono
più
provocatorio che altro.
Anche Shadow sorrise.
“Avevo solo bisogno di una spinta.”
“Una spinta, eh?” il comandante annuiva con la
testa, come se
stesse analizzando la risposta, mentre fissava i fascicoli con
sguardo assente.
Sì, proprio una forte spinta, di colore lilla e avente nome
con
significato di fuoco, e che presto sarebbe sparita dalla faccia di
quel povero mondo.
“Quindi Shadow...” cominciò il
comandante “Sei pronto a
rientrare nel Team Dark?”
Era definitivo. Il riccio sentiva ormai la vita in agenzia
travolgerlo, mentre i lontani ricordi del suo passato lavoro
ritornarono a galla. Il ventre gli bruciava: stava per iniziare tutto
di nuovo...
Dover ritornare a fare missioni, a salvare il mondo, a sconfiggere i
cattivi, avere di nuovo l'appartamentino che condivideva con Rouge,
avere di nuovo una vita normale e completamente legale...
Shadow si sentì come se quei nove anni non fossero mai
passati: non
aveva mai lasciato l'agenzia, Hope, il suo team, il suo lavoro...
Tutte acide illusioni. Nove anni sono davvero parecchi anni, diverse
stagioni, molti mesi, troppe settimane, un'infinità di
giorni.
Ma lui si sentiva come se non avesse bisogno di tempo per integrarsi.
Lui era già integrato.
Ma ora, non mettiamo il carro davanti ai buoi.
“Sì, ma ho delle condizioni!” disse
Shadow, mettendo subito nero
su bianco chi decideva.
D'altra parte, o lo faceva lui o lo faceva il comandante.
L'uomo lo guardò, stupito ma non troppo.
“Dimmi.” disse solamente, dando poi l'occasione a
Shadow di
imporre le sue condizioni.
“Io e Rouge saremo liberi di non ubbidire agli ordini se essi
sono
a danno altrui.” cominciò, ricordandosi di quella
scura pagina di
storia dell'agenzia. Il comandante capì a pieno quello che
Shadow
intendeva, ed annuì in approvazione.
“Poi,” continuò il riccio, passando alle
altre condizioni. “Io
e Rouge avremo di nuovo il nostro appartamento, e un maggiore
stipendio. E anche alcuni giorni liberi. Inoltre, voglio che
ritorniamo in squadra con Hope e che Omega venga riattivato.”
e
controllò di non aver tralasciato nulla, prima di proseguire:
“Da parte nostra, posso assicurare che lavoreremo
meticolosamente e
con impegno, e inoltre arresteremo quei criminali e ne troveremo
altri. Contribuiremo alla giustizia.” e detto questo, attese
una
reazione dell'uomo, nuovamente il suo capo, il quale annuì.
Sapeva
che per guadagnarseli avrebbe dovuto concedere un bel po' di pregi,
ma sarebbe stato disposto a sacrificare un po' di soldi e tempo per
loro.
“D'accordo.” disse alla fine, con un sorriso, e
mise tutto per
iscritto su alcuni moduli.
Shadow li lesse e, dopo averli approvati, ci mise la sua firma.
“Questo foglio deve farlo avere alla sua collega.”
spiegò poi il
comandante, e diede una copia dello scritto al riccio nero
“Anche
lei deve firmarlo.”
“Ottimo.”
“Quando pensate di voler iniziare?” chiese l'uomo,
prima che
Shadow si alzasse per andarsene.
“Anche domani.”
“...Ottimo.”
I due si alzarono e si strinsero la mano con rispetto l'uno
dell'altro.
“Salutami Rouge.”
“Senz'altro... capo.”
A Shadow faceva strano, a dire il vero, poter richiamare qualcuno con
quella parola. Chiamare lui con quella parola.
Forse c'era qualcosa che nove anni avevano sbiadito, che non erano le
regole o il rigido orario di lavoro: la fiducia verso il comandante e
la sua autorità.
L'aria fresca del tardo pomeriggio faceva ondeggiare dolcemente i
capelli delle ragazze e i loro vestitini neri.
Il sole splendeva caloroso senza trovare nuvole che lo ostacolassero,
ma il vento provocava brividi quando si imbatteva negli spazi di
pelle che i vestiti non coprivano.
Che bella giornata.
Perfetta per i bambini che giocano fuori casa, col pallone, in un
campo di sabbia e sporco, ma comunque sono felici, anche se ritornano
a casa con strati di polvere sui pantaloncini e le ginocchia
sbucciate. E lo rifarebbero ancora e ancora.
Di certo, non era una giornata da funerale.
Eppure, su un'isolata collina in Green Hill, tra l'erba che cresceva
alta e rigogliosa, alcune persone decorosamente scure piangevano
silenziose e pregavano immobili.
Queste persone erano, ovviamente, Blaze, Shadow e Rouge. A loro,
più
tardi, si erano poi uniti Knuckles, Mina, Talis, Cream e sua madre e,
inaspettatamente, anche il Team Chaotix al completo.
“Amy era una cara amica.” fu tutto quello che disse
Espio,
fissando la foto sulla lapide della riccia rosa. Vector e Charmy
giurarono, sottovoce, di aver visto Espio piangere, prima.
Non era stato facile neanche per lui. Tra i tre, era quello che era
rimasto più in contatto con la riccia nel corso del tempo.
Ricevette
un duro colpo quando apprese della morte della ragazza.
Cream, appena vide Blaze, le saltò al collo ed
iniziò a farfugliare
quanto era felice di vederla, soprattutto in un momento del genere, e
di quanto avesse bisogno di una figura così forte e
consolatrice, ma
quelle parole si confondevano tra i singhiozzi e le lacrime.
Perdere Amy è stato come perdere la sua sorella maggiore.
Con la vecchia coniglia, la situazione non era migliore.
Vanilla, sull'orlo di un crollo emotivo, forzò un sorriso
alla
giovane gatta, mentre la guardava con gli occhi già
arrossati, ad un
passo dal piangere.
Con un filo di voce aveva salutato la gatta lilla dicendo un semplice
e gentile “Ciao cara, piacere di rivederti” e poi
non fu più
capace di dire altro per il resto della giornata, nemmeno per
consolare la figlioletta, cosa insolita per la calorosa madre.
Dopotutto, Vanilla era una figura materna per Amy. Per la madre di
Cream è stato uno shock ricevere la notizia, ed un dolore
immenso
assimilarla. Era come se le fosse morta una figlia, tanto la
conosceva e tanto se ne era presa cura.
Prima di essere in grado di consolare la coniglietta, doveva cercare
di consolare sé stessa, ma le era troppo difficile.
Fortunatamente,
Cream capiva la sua vecchia, ed è per questo che era subito
saltata
in braccio a Blaze, in cerca di conforto. Qualcuno doveva pur darlo.
La piccola coniglia si era alzata parecchio, notò la gatta.
I suoi
graziosi ciuffetti si erano allungati e arricciati adorabilmente. I
suoi enormi occhi nocciola erano rimasti vivi e dolci, nonostante le
lacrime.
Anche Mina abbracciò forte la giovane gatta appena la vide.
“Blaze...” l'aveva salutata, con la voce rotta,
tirando sul col
naso.
Tails, dietro la sua ragazza, aveva salutato la regina gatto con un
accenno di mano ed un debole sorriso.
“Avrei voluto rincontrarti in un momento migliore.”
confessò il
volpino alla gatta “Noi quattro; Sonic, io, te e Marine,
possibilmente, a ridere davanti ad un aperitivo.”
A proposito del riccio blu, Shadow e Rouge si erano preoccupati di
spedire un biglietto al re Sonic e alla consorte Sally, ma nessuno si
presentò.
Tails spiegò a Blaze che la famiglia reale era all'estero
per affari
burocratici, e che le lettere di vario genere venivano controllate
dai segretari e probabilmente quel poco gioioso invito era
già stato
buttato via a priori. Peccato.
La signora di Knuckles, Julie-Su, era partita con l'amica Sally, per
questo l'echidna rosso era arrivato da solo.
E così, erano tutti attorno alla tomba della povera Amy
Rose, mentre
il prete finiva la benedizione e il coro intonava i canti funebri.
Ogni tanto, Rouge si asciugava gli occhi col fazzoletto di seta
bianco che stringeva in pugno, mentre Knuckles, in un gesto premuroso
e consolatorio, le circondava le spalle col suo possente braccio,
protettivo.
Shadow, ogni tanto, lanciava occhiate alla sua ragazza, accanto a
lui, e osservava ogni minimo cambiamento d'umore. Però,
l'espressione della giovane donna rimase immutabile: triste, fredda,
distaccata. Il riccio ammirava il suo autocontrollo, quando questo
non esplodeva in un omicidio di massa.
Alla fine della cerimonia, il prete si congedò insieme al
coro,
facendo le sue condoglianze.
Era il tempo per gli addii.
Vector, che rappresentava il Team Chaotix, e Shadow, che
rappresentava il Team Dark e Blaze, si avvicinarono per posare
accanto alla tomba i fiori per Amy, delle bellissime rose rosse da
una parte, e delle profumatissime primule dall'altra. Cream volle
metterci anche una ghirlanda di margherite, come quelle che faceva
una volta con la riccia rosa, mentre Vanilla aveva preparato un
bouquet di mimose. Anche Knuckles, vicino a tutti quelli degli altri,
aveva posato un mazzetto di stupendi tulipani rossi e gialli; alcuni
erano già sbocciati, altri erano ancora raccolti in un
adorabile
bocciolo.
Tails non aveva portato fiori, ma si era scritto un memoriale da
recitare. Una volta ottenuta l'attenzione dei presenti,
iniziò:
“Oggi siamo qui per salutare Amy Rose, e per cui abbiamo
molto da
ringraziare.
Non solo per il suo eccellente lavoro, non solo per quello che ha
dato come poliziotta, ma soprattutto quello che ci ha dato come
persona, come amica.
Amy era una ragazza gioiosa, positiva, e testarda.”
Ogni tanto, Tails si fermava e sorrideva al pensiero della cara
amica.
“Era molto amorevole. Amava chi le stava intorno e tutti
amavano
lei. E credo che sia questo che la contraddistingueva: l'amore. Dava
calore a chi glielo chiedeva e non.
Quello che voglio dire è : grazie per
essere qui, a darle
tutto questo calore, perché questa è una prova
d'amore. E voglio
anche ringraziare Amy per la bellissima avventura.
Non so se là sopra ci sia davvero un paradiso, non so se Amy
ci
credesse, ma se un Padre Eterno esistesse davvero, se un cielo eterno
esistesse sul serio, sono sicuro che lei sarebbe lì, e le lo
auguro
con tutto il cuore, perché se lo merita davvero.
Grazie per l'ascolto.”
“Amen.” risposero tutti, prima di applaudire
pacatamente.
E stettero lì per quasi tutto il pomeriggio, a intessere
preghiere
mentre la voce di Mina accompagnava la melodia del vento.
“Quando
una stella muore,
che
brucia ma non vuole,
un
bacio e se ne va,
l'Universo
se ne accorgerà.”
Si sentì un fischio lontano: il treno per Blaze stava
arrivando.
La gatta inspirò a fondo e chiuse gli occhi, godendosi
quella fresca
brezza e tiepido sole del tardo pomeriggio che dolcemente le
passavano sul viso. Aprì le braccia, come se volesse
afferrare più
vento possibile.
Entro pochi minuti sarebbe tornata a fare la passeggera su uno scuro
vagone di legno e, sinceramente, voleva godersi l'aria aperta
finché
poteva.
Lei sorrideva serena e non diceva niente. Shadow la guardava nervoso,
a braccia conserte, anche lui senza dire una parola. Al contrario
della micia, non era per niente in pace con sé stesso.
L'unica cosa che lo calmava era l'angelica vista della sua ragazza
mentre si abbandonava al vento.
Il suo sorriso raro e splendente, il suo pelo che ondulava armonioso,
i suoi capelli vaporosi...
Piccoli particolari di un'immagine che somigliava ad un'opera d'arte,
purtroppo destinata presto a finire.
Lei lo tranquillizzava, mentre dentro di sé si continuava a
chiedere
perché non potesse andare con lei.
Cosa lo fermava dal saltare sul suo stesso treno, destinazione:
paradiso?
Cosa c'era di più importante di lei, per dover restare?
Forse nulla,
anzi, probabilmente nulla.
Ma doveva restare.
Finalmente Blaze aprì gli occhi e guardò il suo
ragazzo: in quel
momento, si accorse dello sguardo tormentato del riccio.
Si avvicinò a lui.
“Shadow?” chiamò, e lui la
guardò negli occhi dorati.
Lui aprì la bocca più volte, cercando di dire
qualcosa, ma alla
fine si arrese. In risposta, le prese la mano e la baciò.
“Non voglio che tu te ne vada.” le
confessò alla fine. La gatta,
percependo la pura tristezza nella voce del riccio, estese il suo
sorriso, dolcissimo.
Con un palmo gli prese la guancia.
“Questo non è un addio, Shadow.” disse
lei, cercando di
rasserenarlo. E di fatto, non era una bugia.
“E soprattutto, non è la fine. Guardalo come un
nuovo inizio.”
ed avvicinò le sua labbra a quelle del riccio, ma non le
toccò; si
fermò a qualche millimetro.
“La nostra storia continuerà, se lo vogliamo. Ti
danno fastidio le
distanze, Shadow?” continuò la gatta, sussurrando
al riccio, il
quale sorrise.
“Mi danno fastidio questi centimetri, figuriamoci due
mondi.”
rispose lui, sempre in un sussurro, e chiuse lo spazio tra le sue e
le labbra della micia lilla. Blaze si staccò ridacchiando
dopo
alcuni secondi.
Rizzò le orecchie in direzione delle rotaie: il suo treno si
stava
avvicinando, lo sentiva. E nemmeno Shadow era sordo.
“Quello che ti voglio dire è che... ti amo, Blaze
the cat.”
disse lui, riconoscendo ormai che il tempo era agli sgoccioli.
“Anche io, Shadow the hedgehog!” e detto questo, i
due si unirono
in un appassionato, bacio finale.
Pochi metri più in là, Rouge guardava intenerita
e commossa la
scena dei due amanti, mentre si stringevano tra le verdi colline, con
il vento che soffiava tra i loro corpi e che faceva ondulare vestiti
e capelli.
N.A:
Ci ho messo trecento anni per 'sta roba MAMMA MIA!
Eh,
già. Sono tornata! Sono viva!
La
storia si sta volgendo al termine, anzi, è già
finita.
Tuttavia,
c'è ancora un ultimo capitolo che mi piace chiamare BONUS.
Non
vi spoilero niente, alla prossima! (sperando che non ci metta troppo)
P.S: le ultime quattro
righe
della parte del funerale fanno parte della canzone di Giorgia, "Quando
una stella muore" (scusa Gab, citazione necessaria ;) )
|
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Capitolo 21 *** BONUS ***
UN ANNO DOPO
Respirò più profondamente, per svegliarsi. Mina
aprì gli occhi e
l'oscurità l'avvolse.
Ci vollero solo pochi attimi per realizzare di essere sdraiata nel
suo caldo letto, sotto le avvolgenti coperte di lana.
Si mise a sedere e dedusse, dall'oscurità che l'accerchiava,
di
essersi svegliata nel cuore della notte. Di nuovo.
Le succedeva ancora troppo spesso, nonostante fosse già
passato un
anno dalla sua stressante avventura. Il dottore le aveva comunque
detto di non preoccuparsi, “cose come queste si risolvono col
tempo
e gran pazienza”.
La donna sospirò. Adocchiò suo marito accanto a
lei, il quale
dormiva pacifico.
Mina sorrise teneramente a Tails, ammettendo allo stesso tempo di
essere un po' gelosa di quella abilità della volpe di
dormire senza
problemi.
Non che Mina soffrisse di insonnia: riusciva a dormire qualche ore la
notte, e sonnecchiava durante la giornata, per rimediare alle ore
perse. Tuttavia, svegliarsi nel cuore della notte e non riuscirsi ad
addormentare la faceva sentire, in qualche modo, incompleta.
Soprattutto quanto alle tre di notte la casa è fredda, tutti
dormono
e il mondo attorno è buio e pieno di ombre. Questo faceva
sentire
Mina completamente sola, e non in maniera confortevole. Anzi, le
venivano i brividi.
Non vedeva l'ora che la sveglia rossa di Tails squillasse al rintocco
delle sei. Dopodiché, suo marito avrebbe tirato un bel pugno
alla
sua stessa creazione per farla smettere, e poi si sarebbe alzato. Di
colpo, Mina non si sarebbe più sentita sola e il giorno
sarebbe
iniziato al meglio.
Purtroppo non erano nemmeno le quattro del mattino, ma Mina sapeva
già dove voleva andare e cosa voleva fare per far passare il
resto
della notte.
Molto lentamente, scoprì le sue gambe dalle lenzuola del
letto e si
mise a sedere sul bordo.
Il freddo della stanza contrastava fortemente con il calore delle
coperte, e Mina, che era ricoperta da una leggera vestaglia da notte,
si sentì rabbrividire la pelliccia.
Nonostante ciò, non ritornò sotto le coperte come
avrebbero fatto
tutti gli altri, ma si infilò le pantofole color neve e si
alzò,
per dirigersi verso la porta, e poi fuori dalla camera da letto.
Strizzò un paio di volte gli occhi, per abituarsi al nero
della
notte, poi, con passo dondolante, si incamminò lentamente
verso la
fine del corridoio.
Mise un piede davanti all'altro dolcemente, leggermente, in modo da
non far scricchiolare troppo le assi del pavimento.
Non voleva svegliare nessuno, e comunque preferiva cento volte il
silenzio tombale dell'abitazione che quel fastidioso rumore di legno
secco scrocchiante.
Lentamente, era arrivata a destinazione. Sorrise, mentre faceva
scattare la maniglia dorata della porta alla sua destra, alla fine
del corridoio.
L'aprì piano, cauta, entrò e richiuse subito
dopo. Si avvicinò al
centro della stanza con passo felpato, verso la candida culla della
nuova arrivata in famiglia, una piccola mangusta gialla e viola di
cinque giorni che dormiva beata.
Eh sì; era Melody, la figliuola di Mina e Tails, tanto amata
e tanto
attesa.
Era il ritratto di Mina, dicevano in molti, se non tutti. Infatti non
avevano tutti i torti: il manto giallo l'aveva ereditato tutto dalla
madre, persino gli occhi verde smeraldo erano uguali a quelli di
Mina.
I capelli, doveva ammettere, erano di una tonalità
più scura di
viola rispetto a quelli della madre mangusta, e sicuramente erano
lisci e compatti, al contrario dei capelli arruffati, ricci e ribelli
della donna in gioventù.
Ma il musetto... così candido e zuccherino, proprio come
quello di
Tails, non c'era dubbio!
Mina si sporse sulla culla, per ammirare con dolcezza sua figlia.
Melody si agitò un po' troppo nel sonno. Allarmata, Mina
estese la
sua mano verso la neonata.
“Ehy, tesoro.” sussurrò con tenerezza la
madre, accarezzando con
delicatezza la piccola guancia della cucciola, la quale, rassicurata,
smise di agitarsi e ritornò calma.
Piccola, dolce creatura.
Mina non riusciva ad evitare di pensare al passato con i
“se”:
e se Blaze non si fosse presentata, o se i trafficanti l'avessero
fatta franca?
Mina sarebbe ancora intrappolata da qualche parte, o schiava in
qualche palazzo di quella città fantasma. Sarebbe stata ben
lontana
dallo sposare Tails e rivedere i suoi amici. Non sarebbe nata Melody,
la vera stella dei suoi occhi.
Non sarebbe in una casa amica, con una famiglia e una bella vita.
E se fosse addirittura morta? Oh, non ci voleva nemmeno pensare.
Non voleva nemmeno pensare al fatto che--
Stava ancora accarezzando e osservando la sua piccola con tenerezza,
quando ella iniziò di nuovo ad agitarsi un po' troppo,
destando Mina
dai suoi pensieri. Questa volta, la cantante prese in braccio la
figlia e la cullò dolcemente.
“Shhh shhh” sussurrava la giovane madre, coccolando
la cucciola
per tranquillizzarla.
E in quel momento, come era già successo, iniziò
a parlare alla sua
bambina con adorazione:
“Mamma è qui, amore mio. Mamma ti vuole bene; e
anche papà, le
tue zie, i tuoi zii...” sussurrò lentamente al suo
piccolo
miracolo, mentre gli occhi si riempirono di lacrime e commozione. La
voce le tremava un poco. Essere lì con lei... era una
sensazione al
quale non si sarebbe mai abituata. Era un sentimento puro, felice e
grato. Averla stretta al suo petto le scaldava il cuore come nessun
altro aveva mai fatto.
E tutto quello a cui pensava era di proteggerla, e soprattutto di
farle capire quanto era amata.
Non sarebbe passato giorno in cui non le avrebbe detto quanto ci
tenesse a lei.
“E io ti prometto, piccola mia, che non ti lascerò
mai. Nessuno
ci separerà, tesoro.” concluse con un
largo sorriso la madre
mangusta, quasi come se volesse rassicurare la figliuola, e le diede
un caloroso bacio sulla fronte.
La bimba, come se avesse capito le dolci parole della mamma, si era
già calmata e stava dormendo profondamente, rannicchiata al
seno
della mangusta cantante.
E la notte si concluse con Mina che canticchiava le calde note di una
melodiosa ninna nanna alla sua bambina, mentre quest'ultima veniva
cullata nelle amorevoli braccia della madre.
Sei e mezza.
Ora di alzarsi ed iniziare a prepararsi per andare a lavoro.
Joe si era appena svegliato grazie al suono della vecchia sveglia sul
comodino, la quale segnava chiaramente l'ora con caratteri cubici e
di colore rosso acceso.
Respirò profondamente e piano piano aprì gli
occhi; senza troppo
stupore, notò che le persiane era sollevate a
metà, e la tenue luce
della prima mattina gli accarezzava la faccia dolcemente. Dovette
comunque aspettare qualche secondo affinché i suoi occhi si
abituassero alla luminosità della stanza. Poi
riuscì a tener aperte
le palpebre.
Si stiracchiò, poi si tolse le coperte di dosso e con
estrema
lentezza si mise a sedere ai bordi del letto.
Si guardò un po' attorno, nella sua nuova camera. Non era
nulla di
ché, a dire il vero:
le pareti erano di sicuro di un bel verde smeraldo una volta, ma
adesso, il colore era sbiadito o rovinato in quasi tutte le parti dei
muri. Joe lo guardò bene, e decise sul momento cosa avrebbe
fatto
nel suo giorno libero.
Il soffitto era di un bel azzurrino chiaro, come un cielo sereno.
Almeno il parquet di legno era ancora in buone condizioni.
Anche l'arredo della camera era piuttosto carente: solo il gigantesco
letto matrimoniale che occupava una buona porzione di quella piccola
stanza, lo spazioso armadio di fronte al letto della ex guardia e due
comodini, uno a destra e l'altro a sinistra della cuccetta dove
dormiva Joe.
Non un granché insomma, ma era plausibile: dopotutto, si era
trasferito in quel piccolo appartamento solo da una settimana, con la
sua sposa fresca fresca di matrimonio.
Proprio così, Joe si era appena sposato...
E proprio in quel momento, sulla soglia della porta, apparve la sua
consorte, Annie, con un sorriso splendente.
Joe si girò per ammirare la giovane donna: i suoi capelli
giallo
dorati erano raccolti in una grande cipolla sulla sua testa ed
indossava una camicia azzurra a righe di suo marito, visibilmente
troppo grande e larga per lei.
Joe non capiva come lei facesse ad alzarsi così presto,
addirittura
prima di lui, senza l'ausilio della sveglia.
Dalla cucina arrivava un buon odorino di toast cotto.
Annie deve aver fatto la colazione. Pensò
contento il
ragazzo.
“Buongiorno cara.” la salutò con un
ampio sorriso.
Lei non rispose subito; si avvicinò al letto, ci
salì e gattonò da
suo marito per abbracciarlo da dietro.
Poi gli diede un bacio sulla guancia e solo allora rispose al saluto:
“'Giorno amore!”
Un anno prima, quando vennero liberati da Blaze, i due si diressero
subito alla casa dei genitori di lei, brave ed umili persone
seriamente preoccupate per la loro bambina, la quale era sparita
senza lasciare tracce. Loro non sapevano che la loro piccola Annie
era stata scelta come infiltrata; sarebbero stati troppo in pena.
E così, dopo settimane che non la vedevano, appena se la
trovarono
davanti le si gettarono addosso, abbracciandola e baciandola, e
piangendo felici.
E si ritrovarono anche lui, Joe. La madre di Annie lo guardava
confusa, mentre il padre lo squadrava con sospetto.
Annie raccontò tutta la storia e spiegò senza
tralasciare nulla su
chi fosse il suo ragazzo.
Quando i due signori appresero che Joe era una delle guardie, non
mancarono di guardarlo con paura e rabbia, ma quando la ragazza
spiegò che lei era sana e salva grazie a lui, e sempre
grazie a lui
era riuscita a scappare da quell'inferno, allora lo guardarono come
se fosse il messia. Specialmente la madre, la quale decise subito di
accogliere il ragazzo.
Sua padre era di certo grato a Joe, ma ci impiegò un sacco
di tempo
prima di fidarsi di lui.
Di sicura la ex guardia aveva bisogno di un nuovo lavoro per
guadagnare di che vivere, e il padre fu molto gentile ad assicurargli
un posto nell'edilizia, dove lavorava anche lui.
Certo, doveva ammetterlo, era molto più faticoso del lavoro
precedente e di certo guadagnava un botto di meno, ma se era questo
l'inizio per una vita normale, era disposto ad affrontarlo. Poi,
però, ha preferito seguire la sua vocazione, ovvero il
meccanico;
uno dei lavoretti che faceva nel traffico, era proprio quello.
Ma a quel punto, il padre di Annie e Joe avevano stretto amicizia ed
avevano un rapporto di fiducia, tanto che il vecchio signore concesse
il matrimonio tra i due giovani, se volevano, ma solo dopo i diciotto
anni della figlia.
E così, nel giorno del suo diciottesimo compleanno, Annie
aveva
potuto sfoggiare il suo bel vestito bianco e sposare Joe.
“Quindi” disse Joe ad un certo punto, abbracciando
le spalle
della moglie “Oggi vai dal dottore?”
La donna annuì.
“Per te cosa sarà? Secondo me è un
maschietto!” cinguettò la
ragazza.
“Neanche per sogno!” rispose lui, ridacchiando e
abbracciandola
in vita.
“Sono sicuro sarà una femminuccia!”
“Quindi hai già dei nomi?” chiese lei
con un sorriso.
“Mmh...” ci pensò su lui, sedendosi
dritto “Ho alcuni nomi in
mente tra cui scegliere: per esempio quello di mia madre, mia madre
aveva un nome bellissimo si chiamava--”
“A me piacerebbe Angel.” lo interruppe lei, con un
filo di voce,
tenendo lo sguardo basso.
Joe si fermò di colpo. L'atmosfera si fece tesa e densa,
contrastando con la piacevole luce della camera; il ragazzo sapeva
che pronunciando quel nome si stava entrando in un territorio
piuttosto delicato.
Angel. La bellissima echidna bianca dagli occhi di ghiaccio.
Così dura, fredda e sfuggente, nessuno si aspettava fosse
anche così
fragile.
Chissà cosa stesse pensando quando prese la sua ultima,
grande
decisione.
Chissà cosa si fosse rotto dentro di lei. Di certo non
sapeva come
riaggiustarlo, dato che aveva scelto la tangenziale come punto di non
ritorno.
Un incidente. Angel aveva perso il controllo della sua macchina e
aveva sbandato nell'altra corsia, andando a fare un mortale frontale
con un camion che non era riuscito ad evitarla. Almeno non aveva
sofferto, aveva detto il medico legale, il quale parlava di una morte
sul colpo.
Un tragico incide. Almeno si credeva all'inizio.
La polizia aveva deciso di fare alcune indagini, e a casa
dell'echidna avevano trovato tre lettere:
la prima era aperta sul tavolo, in bella vista, per essere letta da
chiunque la trovasse.
Non c'era scritto nulla di ché, a dire il vero: la
confessione del
suo suicidio e il testamento, che era la parte più
interessante; si
trattava di consegnare due lettere, una a Annie the hedgehog, e
l'altra a Blaze the cat. Purtroppo, non fu mai possibile consegnare
la seconda.
Per Annie è stata una tragedia: già stava male
pensando che fosse
stato un'incidente, immaginatevi quando scoprì che era stato
intenzionale.
Era la sua migliore amica, e non ne sapeva niente; non sapeva della
sua profonda depressione, non sapeva dei farmaci, dello psicologo,
non aveva idea della torture fisiche e psicologiche alla quale era
stata sottoposta, quella dannata notte, e di quanto esse fossero
entrambe penetrare nella sua pelle e nella sua mente, senza darle
tregua. Ma soprattutto, non immaginava che non avrebbe mai superato
tutto questo.
Annie non riusciva a darsi pace: temeva di non aver fatto
abbastanza.
Per non parlare di come chiedeva di Blaze. Dio,
dov'era
Blaze?! Perché non si era fatta viva, perché non
aveva ricevuto la
lettera? Perché non era lì, con Annie,
perché non ha dato a Angel,
la quale si era addirittura disturbata a scrivere una lettera tutta
per lei, il suo ultimo saluto??
Che cosa ci fosse scritto su quella lettera, poi, non le era mai
stato detto. Cosa aveva da dirle Angel? Purtroppo non fu mai
possibile a Annie leggere quella lettere, nemmeno a Joe.
Forse avrebbe potuto impedirlo, o forse no, Joe non ne è mai
stato
sicuro. C'era troppa psicologia dietro, e lui sapeva che a questo
punto si sarebbe solo pianto sul latte versato.
L'unica cosa che sapeva, e che voleva assicurarsi, era di non
permettere pensieri simili a quelli di Angel di nascere nella testa
di Annie, perché alla fine, non era poi così
scontato che non
accadesse.
Annie attorcigliava alcune ciocche attorno al dito in un movimento
veloce e nervoso.
“Mi manca.” disse lei poco dopo, quasi in
sovrappensiero, mentre
osservava assente fuori dalla finestra. Joe si limitò a
guardarla e
a sforzare un sorriso. La baciò in fronte.
“Lo so.” sussurrò.
Annie si riprese, e le sue labbra si curvarono in un lieve sorriso.
“Quindi...” iniziò lei, con voce
più squillante “Come si
chiama tua madre?”
Gli occhi erano tornati a brillare e Joe poté constatare con
sollievo che si era di nuovo ripresa. Avrebbe fatto di tutto per
mantenerla felice, ad ogni costo.
“Non importa” ridacchiò lui
“Angel è molto più bello!”
Dieci e trenta.
Riesci a sentire tutte quelle persone là fuori?
“Respira.”
Il buio della piccola sala le infondeva calma, il silenzio della
solitudine la rilassava.
Non sarebbe durato molto, e per questo doveva concentrarsi al
massimo.
Chiuse gli occhi ed inspirò.
1...2...3...respira.
Le porte si aprirono. La giovane donna venne travolta dai raggi caldi
e brillanti del sole mattutino di prima estate e rapita dai numerosi
flash bianchi delle macchine fotografiche.
Aprì gli occhi e si ritrovò quasi abbagliata.
“Gentili signore e gentili signori!”
salutò col microfono in
mano l'ex-sindaco, un tricheco panciuto sulla sessantina, vestito
particolarmente elegante.
“Rivolgiamo un caloroso saluto al nuovo sindaco, Coral the
betta!”
Gli applausi partirono in automatico.
Coral, la giovane pesciolina arancione, fece alcuni passi verso il
pubblico emanando la sua gentile eleganza. I suoi tacchi neri si
fermarono solo ad alcuni passi dalla folla, mentre si lasciava
fotografare dalla cima ai piedi. Con quella gonnella verde e una
professionale camicetta nera, sembrava già essere la prima
cittadina
perfetta, un sindaco esperto, che portava, sopra le spalle, una
giacchetta verde che combaciava con la gonna.
Le sue perle luccicavano al bagliore dei flash, dandole quell'effetto
di luce come se fosse appena scesa da una stella. Anzi, come se
proprio lei fosse una stella.
E in un certo senso, in quella giornata speciale, lo era.
Con uno splendente sorriso sul suo angelico viso, salutò gli
spettatori con la sua tipica dolcezza.
Seduti in prima fila c'erano i suoi familiari che le lanciavano baci
con la mano, pieni di gioia.
All'estrema sinistra, però, non c'erano dei familiari:
c'erano
due posti riservati per due persone importanti nella sua vita.
Una era lì, e Coral la guardò con allegria e
delizia.
Sulla sua sedia sedeva Mina; bellissima e radiante, con il suo
sgargiante vestitino rosso, sorrideva di rimando al nuovo sindaco.
Sulle ginocchia teneva la sua neonata, la quale stava beatamente
dormendo. La giovane mangusta gialla lanciò, anche lei, un
amorevole
bacio con la mano, e le fece un occhiolino quasi accattivante.
Rivederla faceva battere il cuore forte a Coral.
E poi guardò l'altro posto prenotato e lo trovò
vuoto, intoccato,
con la scritta “Riservato” ancora attaccata allo
schienale.
Si trattenne dall'emanare un sospiro desolato: lei
non era lì.
Cercava di auto convincersi che fosse solo in ritardo, tuttavia
trovò
ben difficile crederlo.
Solo Mina sembrò percepire il disagio dell'amica.
Notò che stava
osservando la sedia a fianco.
La giovane cantate osservò attentamente la postazione
riservata,
pensando, e ciò non passò inosservato a Coral. In
qualche modo
aveva ancora un barlume di speranza.
Ma quando Mina si girò verso di lei e la guardò
negli occhi
scrollando le spalle e negando con il movimento della testa, allora
capì che sperare era stato inutile.
Se persino Mina non sapeva, allora voleva dire che
non c'era.
Fu un colpo duro per Coral da mandare giù.
Lei non era venuta nemmeno per questo, uno dei
giorni più
importanti della vita della pesciolina, un giorno che sarebbe dovuto
essere anche uno dei giorni più felici della sua vita.
Come poteva non importarle?? Come poteva non venire??
Dio, dov'era Blaze?
Salvatrice, compagna, amica! Coral stava dedicando tutti i suoi
successi a lei! E lei non c'era.
Da quando Blaze l'aveva salutata al funerale della riccia rosa, non
l'aveva più rivista, ed era una cosa che la stava
distruggendo.
Perché la ignorava? Perché non le rispondeva,
quando le scriveva??
Chiamarla era impossibile, per qualche ignoto motivo.
Coral aveva aspettato quel giorno con impazienza, spendendo al meglio
il suo tempo per rendere tutto perfetto. E' così che sarebbe
dovuto
essere, quel giorno: perfetto.
Ma tutte le candeline delle sue speranze sembravano spegnersi una
dopo l'altra solo per la mancanza di un elemento. Devastante quanto
un solo elemento possa fare la differenza.
Ne basta uno solo per spegnere le candele. Senza ossigeno, le fiamme
perdono la vita, si spengono, e rimane tutto vuoto, e soprattutto
freddo.
Freddo come dentro il cuore di Coral in quell'esatto momento.
Freddo come il sudore che colava dalla fronte del nuovo sindaco,
ferma a guardare una seggiola vuota, con occhi assenti e nuvolosi.
La giovane donna stava impiegando tutte le sue forze per mantenere
quel sorriso radiante, ma finto, fatto di plastica.
Doveva solo sorvolare sull'assenza dalla gatta lilla. Come se fosse
possibile.
Blaze, sin da quando l'aveva incontrata, era stata la sua colonna
portante, anche se non la conosceva. Si era sempre fidata di lei, si
reggeva su di lei, aveva sperato grazie a lei. Coral era lì,
viva e
a casa, grazie a lei.
Blaze era la sua luce nelle notti buie e insonni nel treno degli
orrori. La gatta aveva saputo far vedere in Coral tutte le
qualità
che adesso, da giovane adulta, la distingueva in tutta la
città.
Blaze aveva saputo infonderle il coraggio. Aveva saputo insegnarle la
vera forza.
E adesso, solo a ripensarci, a Coral sembrava un ricordo troppo
lontano, quasi un sogno.
Avrebbe tanto voluto ripiegarsi nel passato, qualche volta.
Guardò Mina, che con il suo sguardo premuroso poggiava gli
occhi un
po' sulla sua bambina e un po' alla dolorante pesciolina.
Grazie a Dio c'era Mina. A parere di Coral,non poteva trovare amica
migliore della mangusta gialla. Era un angelo dai capelli viola,
onestamente. Sin da quando quella brutta avventura era stata
conclusa, solo la bellissima cantante era rimasta al fianco del nuovo
sindaco. Era quella bomba d'aria fresca che risvegliava le candele di
colpo.
Coral si rese conto che Mina era tutto quella di cui aveva bisogno:
la persona che ti completa, ma non lo sa.
Si destò dai suoi pensieri solo quando la folla, entusiasta,
le
chiese a gran voce il discorso.
Radunò alla svelta le idee e si avvicinò al
microfono.
Salutò e ringraziò i cittadini, prima di tutto.
E poi si mise a parlare di quanto fosse importante per lei la
città,
di quanto le stessero a cuore i suoi cittadini e soprattutto tutto
quello che avrebbe fatto per onorare la sua carica.
Sì, insomma, discorsi da sindaco, che non starò
qui a spiegare.
Comunque andò tutto bene, e quando finì di
parlare, Coral venne
accolta dagli applausi della gente.
Il frastuono le fece quasi dimenticare la mancanza di Blaze e la
tristezza a riguardo. Quasi.
Ore undici e trenta.
“Chi l'avrebbe mai detto!” sbuffò,
estasiata, cercando di stare
al passo con il collega.
Shadow procedeva a passi lunghi e veloci, intento a fissare
attentamente una fotografia che teneva in mano, sorridendo.
Deliziose notizie erano giunte da...Blaze.
Rouge, con un aggraziato colpo d'ali, si alzò in volo e si
mise a
sedere sulle possenti e larghe spalle del silenzioso collega di
metallo, Omega. Rouge era così contenta quando lo avevano
riattivato
che avrebbe voluto piangere. Anche Shadow fu contento di rivedere il
loro vecchio amico.
I sotterranei erano freddi e scuri. Le pareti ed il soffitto erano
stai divorati dalla muffa e il pavimento ricoperto dalla polvere,
tanto che non si riusciva quasi più a distinguere le
piastrelle nere
da quelle bianche.
Dopo tanti anni, l'ascensore suonò la sua tipica campanella,
e si
aprì.
“Come è stato scritto nel contratto”
disse un agente uscendo
dall'ascensore e seguito a ruota da altri due “Abbiamo il
permesso
di riattivare Omega.”
Shadow e Rouge annuirono e i tre camminarono fino in fondo a
quell'enorme stanza. Poggiato ad una parete, Omega giaceva inattivo.
Alcuni sue parti mancavano, tipo un braccio metallico, e il torace
era stato rigato. Probabilmente erano i risultati dell'attacco al
robot, dieci anni prima; Omega aveva tentato con tutte le forze di
difendersi, ma alla fine la G.U.N. aveva prevalso su di lui. Poco male,
comunque, avrebbero potuto sistemarlo comodamente anche dopo.
Il ragazzo che li aveva guidati, però, aveva assicurato ai
due nuovi
membri che le sue condizioni interne non erano state danneggiate.
Shadow e Rouge non attesero nemmeno che il loro accompagnatore
riaccendesse la macchina: si gettarono sui suoi circuiti elettrici e,
dopo sequenze di tasti e ricongiungimenti di fili, erano riusciti a
sistemare Omega. La base per il suo funzionamento era stata
impostata.
Di colpo, gli occhi del robot si accesero, emanando le sue tipiche
luci rosse a laser.
Shadow e Rouge non dovettero fare altro che compiere qualche passo
indietro. Ammirarono come il loro vecchio amico si stava
risvegliando, e sorrisero compiaciuti.
La testa di Omega scattò, e si guardò attorno.
Curioso come un
robot potesse sembrare confuso.
Lentamente si alzò e scannerizzò le due figure
davanti a lui.
“Shadow the Hedgehog?...Rouge the Bat?...”
chiese. Shadow
sorrise all'amico ed annuì. Rouge lo guardò con
tenerezza. Dio,
quanto le era mancato tutto questo. La donna si avvicinò
alla
macchina, sorridente, e gli mise le mani sul petto metallico, come
per assicurarsi che tutto questo fosse reale. Omega non fece niente,
la lasciò fare. Poi Rouge lo abbracciò,
accogliente.
“Bentornato, Omega.”
Rouge si fece trasportare da Omega, più veloce e meno stanco
di lei.
“Tu! Padre!” cinguettò incredula
“Che cosa ne pensi Omega?”
chiese al robot, spensieratamente.
Omega fece del suo meglio per alzare le sue spalle metalliche.
“Io credo che Shadow saprà essere un
ottimo padre. Lui è la
creatura perfetta, dopotutto.” rispose onesto con
la sua tipica
vociona robotica.
Shadow sorrise ancora di più.
“E Blaze un'ottima madre.”
continuò la macchina “La
vostra creatura sarà meravigliosa.”
aggiunse.
“Come siamo positivi!” commentò
scherzosamente la pipistrella
bianca, dando gentili buffetti al robot.
“Avete già pensato ad un nome?” chiese
la donna.
“Calmati Rouge.” la frenò il riccio nero
“Io stesso sto ancora
assimilando la notizia.”
“E' un no?”
“Già.” Shadow si mise a giocare con
l'anello dorato al suo
anulare.
“...Forse dovremmo dirlo...?” iniziò
Rouge, e Shadow la guardò
perplesso. La donna sospirò forte.
“A Annie. A Joe. A Coral.” iniziò lei.
Sapeva che loro non l'avevano più vista dal funerale di Amy.
New Mobius Big City.
Che nome con le palle, si può dire.
Dopo la morte della riccia rosa, e dopo l'ingresso del Team Dark
nella G.U.N., l'agenzia in questione aveva iniziato a fare profonde
ed accurate ricerche sulla famosa città fantasma.
Nient'altro era che una città non dichiarata
perché costruita
illegalmente.
La situazione delle schiave e del traffico sessuale non era
così
grave come si era pensato: la maggior parte di esse, dopo un periodo di
alcuni anni, venivano trasformate in cittadine a tutti gli effetti,
ma ad alcune condizioni; mai lasciare la città, mai parlare
con
qualcuno fuori della città. E così, si sono
abituate a vivere in
quella bellissima prigione incantata. Le infermiere che hanno
accudito ( per quel che potevano) Amy, quando l'aveva vista per la
prima volta, l'avevano riconosciuta subito come una di loro,
accogliendola così senza troppe domande.
Quel gentile signore al quale Blaze, Mina e Coral avevano chiesto
informazioni era, in realtà, uno dei fondatori: architetto
illustre,
aveva perso tutto quello che aveva per il suo vizio di bere,
facendosi anche lasciare dalla moglie. Disintossicato, ma senza
più
nulla, aveva accettato di collaborare alla creazione della
più illustre città mai progettata: NMBC. Una
città dai sistemi
perfetti, e dopo aver preso la sua danarosa pensione, il vecchio
aveva deciso di passare il resto dei suoi anni nella pace di quella
misteriosa metropoli.
Dopo una confessione del genere, venne arrestato insieme a tutti
quelli coinvolti, e le ragazze vennero finalmente riportate a casa,
anche se sembravano molto incerte, come se non fossero sicure di
volerlo davvero.
Rouge aveva finalmente potuto mettere la parola
“fine” al
rapporto che doveva compilare.
Shadow e Rouge, insieme al Comandante, avevano raggiunto un accordo:
Blaze aveva commesso un crimine e avrebbe dovuto essere condannata
con l'accusa di pluriomicidio. Tuttavia, il risultato delle sue gesta
-se possiamo chiamarle così- ha portato alla risoluzione di
un caso
durato fin troppo a lungo, e ha riportato a casa tante, tante
vittime. Sarebbe stato ovvio che, se l'avessero imprigionata, si
sarebbero incattiviti le stesse vittime e i parenti.
Il Comandante aveva deciso di evitare un simile scenario, almeno per
il momento.
Blaze se ne sarebbe tornata nella sua dimensione con la fedina penale
pulita come l'aveva lasciata nel suo mondo, ma non avrebbe
più
dovuto rimettere piede a Mobius, pena le sbarre a vita.
Doveva sparire come era arrivata: nel nulla, e senza lasciare tracce.
Per questo Shadow e Rouge si erano impegnati a staccare i lacci tra
Blaze e Mobius, ma era impossibile estirparli completamente.
“E' da mesi che torturano Blaze con lettere.”
ripresa la donna
“Dovremmo dirgli che quelle lettere non le possono
arrivare-”
“Ne abbiamo già parlato Rouge.”
tagliò corto Shadow, sapendo
dove il discorso sarebbe andato a finire.
“Noi possiamo fare il nostro meglio per consegnarle, ed
è tutto.”
spiegò, mettendo via la foto della moglie incinta e Marine.
“Nessuno deve sapere che lei è in un'altra
dimensione.”
“Una volta ogni quattro o cinque mesi non è
abbastanza!” ribatté
Rouge.
“Blaze ha perso un incontro importante perché la
lettere le era
stata inviata 'solo' un mese fa. Quando le consegneremo la posta di
tutti questi mesi non varrà più
niente.” continuò la bianca, iniziando ad alzare
la voce.
“Dannazione, donna! Vuoi metterla in prigione?!”
urlò lui,
inasprendosi.
“No, se non si fa beccare!” rispose la pipistrella.
Shadow prese
un bel respiro e si calmò. Il tono di voce si
abbassò.
“Facciamo quello che possiamo.” rispose il collega,
abbassando lo
sguardo per terra. Rouge incrociò le braccia al petto, e lo
guardò
spazientita.
“Tu leggi le sue lettere?” chiese il riccio.
“Dato che lei non può.” rispose l'amica,
alzando le spalle
nervosamente.
Omega guardava i due in silenzio. La loro mentalità era
nettamente
cambiata in sua assenza. Dieci anni sono tanti da recuperare, e per
una macchina è naturalmente più difficile
“aggiornarsi” sulle
relazioni tra le persone. Quando l'avevano
“risvegliato”, le sue
prime immagini furono Shadow e Rouge che lo salutavano con un caldo
sorriso. All'inizio non capiva: erano loro, di sicuro, ma dieci anni
in un colpo solo è...impressionante.
Shadow continuava a far girare l'anello nuziale attorno al dito.
“E' difficile anche per me, ok?” disse,
più duro di come avrebbe
voluto. L'espressione sul viso della collega si addolcì.
“Io amo Blaze! Siamo sposati eppure sono costretto a vederla
solo
qualche volta. Sto per avere un figlio con quella donna e non so
nemmeno se assisterò alla sua nascita. Tutto quello che
voglio è
restare con loro...!” la sua bocca si bloccò.
Anche i suoi
movimenti si bloccarono. Il gesto lasciò in sospeso i
colleghi, i
quali lo guardarono sorpresi, ma anche preoccupati.
“Che cosa sto facendo...” sussurrò.
“Shadow?”
“Cosa ci faccio ancora qui?!” ed iniziò
a correre. Dove? Beh,
dal suo capo, ovviamente.
Omega e Rouge lo seguirono a ruota, volando e correndo veloci e
chiamando il suo nome.
Shadow richiamò l'ascensore , premendo con troppa ed inutile
forza
il bottone di richiamo. I due colleghi lo raggiunsero.
“Shadow, che ti passa per la testa!?” chiese a gran
voce Rouge,
ansimando.
“Rouge, mi faccio licenziare!”
La donna si bloccò di colpo. Lo guardò dritta
negli occhi.
“...Cosa?...” chiese, incredula.
Shadow picchiettò ripetutamente alcuni pugni sul tasto
dell'ascensore, come se
fosse convinto che così sarebbe arrivato più in
fretta.
“Sì Rouge!” confermò alla
donna, rivolgendo tutta l'attenzione
su di lei “Io qui ho finito!”
“Ma di che parli?”
“Non ho nessun motivo per rimanere qui!”
urlò lui, e poi cadde
il silenzio tra i due.
Un silenzio tombale ed agghiacciante.
Shadow realizzò che non erano quelle le parole che avrebbe
voluto
utilizzare. Detta così assumeva un irrispettoso significato.
E aveva ragione a temere.
Rouge lo guardò immobile. Si sentiva spezzarsi dentro.
Lei non era una ragione valida? Il team?? Davvero non stava
considerando il fatto che senza di lui lei rimaneva sola??
Lei...non aveva altri amici... e quei pochi che aveva, li aveva persi
negli ultimi dieci anni da criminale.
Come poteva farle questo?!
Ma poi realizzò... come lei poteva
fargli questo?
Il silenzio venne spezzato pochi secondi dopo solo dalla campanella
dell'ascensore. Esso si aprì e, con passo un po' reclutante,
Shadow
ci entrò. Rouge si sentiva paralizzata, tuttavia fece uno
sforzo ed
entrò anche lei, prima che le porte si chiudessero dietro di
lei.
Omega non entrò, guardò l'ascensore chiudersi con
dentro i suoi
colleghi usciti freschi freschi da una situazione piuttosto delicata.
C'erano alcune cose che si stava chiedendo: avrebbe dovuto dire
qualcosa? Avrebbe dovuto convincere Shadow a cambiare idea? O
l'avrebbe fatto Rouge?
Ma tanto Omega sapeva già che tipo fosse Shadow: se il
riccio nero
avesse mantenuto anche solo una minima percentuale dell'ambizione che
aveva
Shadow dieci anni prima, allora bisognava star pur certi che il
riccio nero aveva già preso la sua irreversibile decisione.
Una musichetta rilassante stava suonando dagli altoparlanti
dell'ascensore.
Ma l'atmosfera tra Shadow e Rouge non era un cazzo rilassata.
Il riccio evitava di guardare la collega negli occhi, lasciando
però
che la punta del suo piede dimostrasse il suo nervosismo
picchiettando ripetutamente.
Rouge si stava sfregando un braccio, nervosa anche lei, ma al
contrario dell'amico si assicurò di guardarlo bene in faccia.
Dopo u po', Shadow si sentì di parlare.
“Senti Rouge...” iniziò lui, indeciso
sulle parole da esporle
“Non è quello che intendevo dire.”
“Di che parli?”
“Lo sai bene di che parlo!” scattò lui
“Di quello che ho detto
prima. Che non avevo nessun motivo per restare.”
spiegò.
“Io ho concluso il caso del commercio degli schiavi. Ho avuto
le
risposte che cercavo, so come si conclude la storia, e soprattutto
sono certo che si sia conclusa.” prese un bel respiro, e poi
continuò con la sua spiegazione “Ho ripagato il
mio debito con la
G.U.N. e la società. Abbiamo sbattuto al fresco tutti i
criminali
che avevamo aiutato in passato; non so te, ma io mi sento leggero
adesso...libero,oserei dire. E adesso, da qualche altra parte,
c'è
qualcuno che ha bisogno di me: Blaze. Lei è la mia famiglia.
Sono
abituato a correre in soccorso quando si tratta di crimine, ma ho
capito che aiutare qualcuno non significa sempre mettere in cella
qualcun altro. Aiutare significa ricevere gioia a conti fatti. Blaze
ha bisogno di me, che la aiuti: solo così saremo una
famiglia, solo
così avrò la vera gioia, quello che ho sempre
cercato nel mio
lavoro.” e finì la frase tirando un respiro di
sollievo, perché
finalmente aveva potuto dire quello che pensava, quello che
intendeva.
Rouge lo guardò sbalordita, con gli occhi spalancati: tutto
quello
che Shadow voleva era di sistemarsi, e lei stava solo giocando per i
suoi stessi interessi.
Che egoista che sei Rouge. Pensava, Egoistica
ed
egocentrica.
La donna mostrò un leggero sorriso, dolce e caritatevole.
“E tu pensi che ti lascerei andare da solo dal grande
capo?”
chiese lei ridacchiando divertita. Anche Shadow accennò ad
un
sorriso. L'ascensore suonò la campanella: erano arrivati. Le
porte
si spalancarono.
Sul volto di Rouge era di nuovo spuntato un sorriso accattivante.
“Questa la voglio proprio vedere!”
Ore quindici.
Rouge respirò a fondo l'aria fresca delle colline
incontaminate.
L'erba ondeggiava morbida al muoversi del vento.
Anche Shadow inspirò la frescura della brezza di tarda
primavera.
Omega guardava un po' il paesaggio intoccato di campagna, con il suo
prato incolto e verde e il suo cielo celeste e privo di nuvole, e un
po' i suoi compagni, alternando.
Dire che convincere il Comandante a lasciare Shadow è stato
difficile, non è esatto: è stato impossibile.
Quindi sì, adesso
Shadow stava tagliando la corda.
“Bhe, qui ci dobbiamo salutare.” disse Shadow,
posizionando uno
strano congegno per terra.
Quell'aggeggio gli era stato donato da Hope, e serviva come portale.
Esso era alimentato a chaos energy:
l'energia degli
smeraldi del Chaos. Tirò fuori dalle sue spine non uno ma
ben due
smeraldi e li posizionò in due contenitori metallici
attaccati al
macchinario, proprio come Hope gli aveva detto di fare. Le luci si
attivarono e la macchina creò un portale: stava funzionando.
Shadow si girò verso i suoi amici.
Rouge lo guardò con un misto di tenerezza e tristezza, e poi
sospirò.
“Mi mancherai, bellissimo.” disse piano, con un
sorriso triste.
Shadow si avvicinò a lei. Si fermò a distanza di
un passo, e poi,
con gran sorpresa della giovane donna, l'abbracciò forte.
“Grazie di tutto Rouge.” le sussurrò
Shadow, come non aveva mai
fatto “Grazie per essermi sempre stato vicino. Sei l'amica
migliore
che potesse mai esistere.” le disse, con immensa gratitudine.
In quel momento, Rouge si sentì come se tutto il dolore, la
tristezza, il disagio passati accanto al riccio nero fossero stati
sciolti. Si sentì come se tutti quegli anni fossero serviti
a
qualcosa. Si sentì veramente apprezzata per la persona che
era, e
non più per l'agente che aveva dimostrato di essere durante
il suo
lavoro.
Non ce la fece a trattenere le lacrime e pianse. Ricambiò
l'abbraccio del riccio con una stretta così forte che Amy
levati
proprio.
“Ti voglio bene scemo.” gli disse amorevole tra le
lacrime.
“Anche io.” le rispose il riccio allo stesso modo.
Stessero secondi eterni così, poi lei si staccò
bruscamente.
“Sciò sciò!”
ridacchiò lei tra le lacrime “Lo sai che non mi
piacciono gli addii!” disse lei, asciugandosi il fiume che le
usciva dagli occhi, “Saluta Omega e affrettati! Blaze ti
starà
aspettando!”
Shadow annuì, e si dirisse verso Omega con il palmo proteso,
pronto
per stringergli la mano.
Invece Omega lo accolse in un mega abbraccio.
“Addio Shadow the hedgehog!”
salutò il robot “Verrai
a farci visita in futuro?”
“Certo che sì!” rispose Rouge al posto
suo “Altrimenti vengo
io a prenderti a calci!” promise ridacchiando.
“E poi” aggiunse, mettendosi una mano sul cuore
“Ho un nipotino
da conoscere, una volta nato.” disse, facendo l'occhiolino a
Shadow.
“Sicuro.” confermò lui.
“Quando volete, fate pure un salto.”
E poi salì sulla piattaforma e sentì i suoi
congegni mettersi in
azione.
“Ci mancherai!” esclamò Rouge in
extremis.
“Concordo!” esclamò a
sua volta il robot.
Shadow rise forte, contento, e fu tutto quello che Rouge e Omega
sentirono prima che un'abbagliante luce fosforescente verde facesse
sparire di prepotenza il corpo di Shadow. La macchina aveva
funzionato, Shadow era stato teletrasportato.
I due rimasero in completo silenzio per alcuni secondi, fissando il
portale.
“Credi che sia andato?” chiese Omega alla fine.
“Sì, credo sia già dall'altra
parte.” confermò la donna, e
tolse gli smeraldi dalla macchina, la quale si spense in mancanza
della preziosa energia.
“Sai” iniziò Omega,
guardando la collega, la quale rimase
voltata a mostrargli le spalle “Avrei scommesso
che
avresti fatto di tutto per farlo rimanere, persino costringerlo con
la forza, se necessario.”
La donna ridacchiò.
“Sai, l'avrei anche fatto, all'inizio. Ma poi ho capito che
non
potevo impedirlo. Vedi” spiegò lei, finalmente
girandosi per
guardarlo negli occhi rossi “Io ho sempre voluto che lui
andasse
avanti, che superasse la morte di Maria e tutti quei brutti ricordi
sull'ARK. L'ho sempre spronato a guardare avanti, di lasciarsi il
passato alle spalle, di costruirsi un futuro. E ora che ha fatto
tutto questo, mi sono resa conto che adesso sono io l'unica che
è
ancora attaccata al passato.” spiegò, asciugandosi
una lacrima
prima che scappasse dall'occhio.
“Tutto quello che volevo era che ritornasse tutto come prima,
e un
anno fa, quando ci siamo riuniti nel Team Dark ancora una volta, mi
sono illusa che potesse essere possibile, che il mio desiderio si
fosse avverato. E invece nulla è come prima, Shadow
è andato avanti
mentre io ho ignorato il mio stesso consiglio. Sciocca, non
è vero?”
chiese con un filo di voce, dando a Omega un forzatissimo sorrisetto.
“Sciocca no, casomai incoerente.”
rispose l'amico robot.
“Quelli erano veramente bei tempi. Sai, quando noi
eravamo un
vero team, unito, che combatteva per questo mondo
incondizionatamente. E' nostalgia Rouge, è normale che tu ne
soffra.” Omega le poggiò delicatamente
una mano sulla spalla.
La donna sorrise, consolata.
“Adesso che facciamo? Torniamo alla base?”
chiese Omega,
indeciso, mentre prendeva da terra il congegno di Hope. La
pipistrella bianca ridacchiò maliziosa.
“No Shadow, no party.” rispose con un sorriso
accattivante.
“Oggi ci prendiamo la giornata libera. Se mi sbrigo, magari
posso
trovare ancora Knuckles che fa compere al mercato.”disse,
alzandosi
in volo.
“Anzi” disse, volteggiando verso la
città “Ripensandoci, Omega
hai mai tentato di rubare una pietruzza grande come il Master
Emerald?” chiese, con gli occhi che le brillavano.
“No.” rispose il robot, seguendola a ruota con il
portale
sottobraccio.
Per
lui il tempo rimaneva un mistero. E' incredibile come cambia, ma
soprattutto come fa cambiare.
N.A:
E'. FINITA.
Ringrazio
tutti quelli che mi hanno seguito fino ad ora, e spero che la storia vi
sia piaciuta!
E' stato bello ragazzi! Alla
prossima avventura!
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