Shadaze - Il tempo che cambia

di Pinker
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dieci anni dopo ***
Capitolo 2: *** Cap II Schiavi ***
Capitolo 3: *** Cap III Chi si rivede... ***
Capitolo 4: *** Cap IV Sguardi … ***
Capitolo 5: *** Cap V Domande, Risposte e Bugie ***
Capitolo 6: *** Cap VI Caso Amy Rose ***
Capitolo 7: *** Cap VII Più di quello che pensi ***
Capitolo 8: *** Cap VIII Ci sarò per te ***
Capitolo 9: *** Cap IX Attentato al treno ***
Capitolo 10: *** Cap X Protezione ***
Capitolo 11: *** Cap XI Non sempre la notte porta consiglio ***
Capitolo 12: *** Cap XII Svegliati ***
Capitolo 13: *** Cap XIII Tutto cambia ***
Capitolo 14: *** Cap XIV Vicini alla propria meta ***
Capitolo 15: *** Cap XV Amori segreti ***
Capitolo 16: *** Cap XVI Lotta contro il tempo ***
Capitolo 17: *** Cap XVII La nuova città ***
Capitolo 18: *** Cap XVIII Quando una Rosa muore ***
Capitolo 19: *** Cap XVIX Fiamme dell'inferno ***
Capitolo 20: *** Un nuovo inizio ***
Capitolo 21: *** BONUS ***



Capitolo 1
*** Dieci anni dopo ***


~~Cap I Dieci Anni Dopo

Il treno era in viaggio da ore come se non avesse una meta precisa.
Al suo interno, una donna non doveva essere lì.
Quella era Blaze the Cat, che era ritornata a Mobius per un motivo non tanto felice.
Guardava fuori dalle piccole finestrelle sul soffitto e vedeva un cielo azzurro e sereno, senza nuvole.
Si ricordava ancora dell'ultima volta che mise piede in quel mondo, dieci anni prima...
- - -
In un piccolo studio buio, due figure si stavano riposando dopo essere tornati da una missione.
Le piccole pale di un ventilatore ruotavano per raffreddare la stanza.
Queste figure erano Shadow the Hedgehog e Rouge the Bat.
Dieci anni erano passati anche per loro.
Per Shadow,che era immortale, quel lasso di tempo non poteva fargli né caldo né freddo; tuttavia, le sue spine si erano allungate, anche se mantenevano quell'incurvatura verso l'alto, ed erano spesso molto scompigliate, la pelliccia sul petto si era arruffata sempre di più ed aveva sviluppato potenti muscoli sulle braccia e sulle gambe. Era anche diventato molto più alto.
I suoi occhi rosso sangue gli davano sempre quel suo sguardo da brividi, che farebbe paura a tutti quelli che gli passano in parte, anche se erano, per la maggior parte del tempo, privi di qualsiasi emozione.
Di questo non se ne preoccupava la ragazza pipistrello, sua amica e partner di missione.
Era da più di dieci anni che lo conosceva, e niente di lui la spaventava.
Quel riccio nero non parlava molto, ma Rouge ormai sapeva tutto quello che provava nell'anima.
Fianco a fianco per tutto questo tempo, e una spia non dovrebbe sapere già tutto di lui prima che lui lo dica?
Sarebbe meglio dire ex-spia. Infatti, fu questo il loro maggior cambiamento.
Da nove anni non lavoravano più per la G.U.N.
Erano stati licenziati, o meglio, erano stati costretti.

Nove anni prima...

Shadow era rispettato e il suo lavoro e la sua efficienza erano ammirati da tutti, c'era una grande fiducia in lui e nel suo team, chiamato Team Dark, composto da Shadow, Rouge e un robot chiamato Omega.
La G.U.N. lavorava per scopi benefici, nel rispetto di tutto e di tutti, cosa che rendeva molto orgoglioso il riccio nero.
Ma più si andava avanti, più Shadow poteva capire che la G.U.N. si stava immischiando in faccende sempre più violente.
Da stanare semplicemente delle bande di malintenzionati di scala mondiale, a dover uccidere o torturare persone per raggiungere il loro obbiettivo, che diventava sempre più abile nel nascondersi.
Il problema era che non sempre il loro ricercato consisteva nel Dottor Eggman, (obbiettivo che Shadow riteneva facile, perché -si sa- a Eggman piace lavorare “davanti agli occhi di tutti” per far vedere che gran genio che era, e con i suoi enormi robot ci riusciva bene) ma anche dei famigerati bastardi che si interessavano ai soldi, o al potere supremo.
Shadow protestava quando poteva, fino ad arrivare a protestare ogni volta che gli veniva assegnata una missione.
Era un cosa contro i suoi principi, l'aveva promesso a Maria...
Dopo una lite piuttosto forte con il comandante gli scappò il fatto di aver promesso alla sua amica... e fu l'inizio della sua caduta.
“Maria è morta, agente Shadow! E' ora che inizi a guardare avanti!”
Ogni volta che poteva, il Comandante diceva frasi che non avrebbe mai voluto- né dovuto – pronunciare; “Non si faccia torturare da un fantasma del passato!”,  “La sua amica non c'è più, agente, e ora vada in missione!” oppure “Lei non è qui, e ora mi faccia il piacere di non tirar più fuori questa storia!” e poi gli ricordava sempre che aveva degli ordini da seguire e punto.
Ma Shadow non lo ascoltava già più, aveva sempre quella frase in testa:
Maria è morta, Maria è morta, Maria è morta, Maria non c'è più, Maria è morta, Maria è MORTA, MARIA E' MORTA!....
Quelle frasi sono state come uno shock per lui.
Un giorno non ce la fece più. Si ribellò. Si oppose a tutto, e fu severamente punito.
Rouge non seppe mai cosa gli accadde, ma lui non fu mai più come prima.
L'amica non lo riconosceva più, era come se gli avessero fatto il lavaggio del cervello, e non ebbe mai il coraggio di chiedergli cos'era successo.
Il riccio nero parlava ancora meno di quanto fosse abituato, ed era il peggior silenzio che la sua squadra gli aveva mai visto fare; non era un silenzio per pensare, come era suo solito, ma un silenzio d'odio e Rouge era certa che stesse facendo qualche congettura.
Non si sbagliava. Shadow progettava non solo a ribellarsi, ma anche a come farla pagare ai cani della G.U.N.
Lei non poteva dirgli di no: gli aveva sempre promesso che ci sarebbe stata per lui, anche quando tutto il mondo gli fosse stato contro, né lei né Omega l'avrebbero mai lasciato. E poi, alla fine rimaneva il suo amico.
Purtroppo, nessuno del Team Dark sospettava dei dubbi del Comandante...

Presente...

“Quei bastardi hanno disattivato Omega” pensava Shadow. Era stato stupido a non pensare minimamente che il Comandante non si fosse accorto di niente.
Ma ora era tutto passato. Non doveva più pensarci.
Era l'ultimo concetto che aveva imparato dal Comandante, il suo diretto superiore.
Loro erano caduti in basso. Mobius era caduta in basso.
Shadow e Rouge erano diventati mercenari, non avevano superiori, erano loro la loro azienda.
Loro prendevano le decisioni, le missioni, i meriti e i soldi.
Il rovescio della medaglia consisteva nel fatto che era un lavoro poco pulito. Anzi, spesso piuttosto sporco. Non lavoravano più per il bene e la sicurezza di tutti, ma come criminali specializzati.
Infatti erano imprendibili, e i loro nomi erano riconosciuti dalle agenzie criminali come una fonte di sicurezza e guadagno. In quel senso, i due erano molto rispettati.

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Capitolo 2
*** Cap II Schiavi ***


~~Shadow grugnì, attirando l'attenzione dell'amica, che distolse lo sguardo dalle carte che stava esaminando e, con uno dei suoi soliti sorrisi, gli disse: “E stata una missione facile e abbiamo guadagnato un sacco di soldi, non sei contento?”. Ovviamente sapeva che quella frase aveva maggiormente lo scopo di consolarlo e di calmarlo, quel ragazzo si faceva passare tanti ragionamenti in mente che lo facevano solo imbestialire.
Lui alzò una mezza palpebra e guardò la sua compare; anche lei era cresciuta ed era diventata una bella e irresistibile donna:
aveva ormai 28 anni e un manto bianco, i suoi capelli erano diventati più lunghi, ma avevano ancora quelle pieghe all'insù; avevo quel suo solito ombretto azzurro sugli occhi e l'eye-liner nero, per le labbra portava un rossetto rosso acceso; le sue curve si erano accentuate e, nonostante dieci anni prima non si poteva pensare che potesse crescere ancora, il seno era aumentato di qualche taglia.  Per questo era invidiata da molte donne.
Le sue ali si erano allungate e ingrandite ed erano di un bel nero lucido.
Aveva tenuto quell'atteggiamento sensuale che l'aveva sempre distinta.
Shadow non poté che essere silenziosamente d'accordo: 10mila dollari per una missione di mezza giornata non era poco. Considerando che erano molto richiesti, avevano una missione praticamente ogni giorno, che portavano a termine perfettamente in 12h -massimo in 32h-, e ciascuna delle quali li faceva guadagnare dai 5mila a 10mila dollari. Gli affari andavano decisamente bene.
Rouge, che era segretaria-aiutante-complice, prendeva le chiamate e le registrava su uno dei due computer nel loro ufficio e fissava gli incontri con i loro clienti. Sull'altro computer eseguiva le ricerche riguardanti alle missioni.
Teneva tutto meticolosamente registrato in tabelle.
Col tempo, aveva imparato ad essere precisa e ordinata, quasi un'ossessione.
Dopo ammirare tutti i più bei gioielli del mondo, il suo hobby era di registrare tutte le partenze e gli orari, tutti i soldi e i luoghi. Era come un passatempo, una piccola mania.
Shadow richiuse la sua palpebra e chiese, semplicemente: “Quando avremo il nostro prossimo cliente?”.
Rouge sorrise e, senza guardare da nessuna parte,rispose: “Dovrebbe essere qui tra dieci minuti.”
Shadow aprì tutti e due gli occhi: “Perché diamine l'hai fatto venire così presto?!”
“Huh? Perché?”
“Siamo appena tornati!”
“E allora? Sei stanco, bellissimo?” chiese lei, per provocarlo, come al solito.
Lui sbuffò e rispose: “Io non sono mai stanco. Ma se non fossimo riusciti a portare a termine la missione in tempo?”.
“Io ero sicura che ce l'avessimo fatta!” rispose lei orgogliosa “Abbiamo appena infranto un nuovo record!” finì la frase, compilando una delle sue tabelle con un sorriso stampato in faccia.
“Mph!” fu tutto quello che ricevette dall'amico.
“La prossima volta” la istruì “se non siamo sicuri non farlo!”
“Eh! Va bene, Shadz.”. Le sue orecchie si rizzarono e si mise un dito all'auricolare che portava all'orecchio.
“Sì?” dopo qualche secondo parlò di nuovo: “Sì, ho capito. Attenda un attimo.” disse con voce professionale, distaccata, rivolta alla persona dall'altra parte dell'aggeggio. Si mise a digitare al computer.
Poi si rivolse a Shadow: “E' qui.”
Il riccio nero stava comodo sulla sua sedia con le mani dietro alla nuca, gli occhi chiusi e i piedi sulla scrivania. Ma dopo l'avvertenza da Rouge, si rimise seduto composto; “Fallo entrare.”
Lei annuì e si riportò le dita all'apparecchio “Venga avanti”.
La porta si aprì e una figura alta e massiccia, con un lungo cappotto scuro e un cappello nero in testa, si fece avanti fino alla scrivania del riccio dagli occhi rossi.
Sia Rouge che Shadow lo squadrarono da cima a fondo e non mancarono di guardarlo con sospetto.
Chi aveva una giaccone così, era per nascondere un'arma, soldi o semplicemente era un pezzo grosso.
Senza dire una parola, la figura si era avvicinata e si era piazzata davanti alla scrivania di Shadow,   guardandolo dritto in faccia.
“Si sieda.” gli ordinò Shadow, più garbato e calmo che poté, indicando con un cenno di mano la sedia davanti alla scrivania.
L'omaccione si sedette senza fiatare e continuando a guardare dritto dritto negli occhi rossi del riccio nero.
E alla fine parlò, con un ghigno: “Agenzia Dark, Shadow the Hedgehog e Rouge the Bat, Eh?”
Shadow annuì e confermò: “Siamo noi.” e prima che potesse chiedere chi fosse il suo interlocutore, quest'ultimo si tolse il cappello nero. Shadow lo esaminò attentamente.
Era un cane – un bulldog, più specificatamente- dal manto marrone scuro, occhi neri e pungenti e lunghe orecchie che gli cadevano sulle tempie. Su per giù aveva una quarantina d'anni.
“Ho sentito dire che fate un sacco di lavoretti...” e con un ghigno si avvicinò con la faccia alla scrivania, come se volesse farlo rimanere un segreto “...anche illegali e sporchi?”
“...sì. E' vero.”
Rouge aveva ripreso a digitare sul computer della sua scrivania (solo Dio sa cosa) ma ogni tanto lanciava furtivamente occhiate da preoccupata al loro ospite.
Il bulldog si rilassò nuovamente sulla sedia, allontanando la faccia.
Shadow non sapeva perché, ma si sentiva sollevato. Rilasciò il respiro che aveva trattenuto.
Dopo qualche secondo di silenzio, il cane riprese a parlare: “Faccio le mie presentazioni: sono Bunch the Bulldog.” e porse la mano al suo interlocutore, il quale non poté far altro che ricambiare la stretta di mano.
Rouge picchiettava nervosamente sulla tastiera.
Solo Shadow se ne rese conto, mentre il loro ospite non sembrava accorgersene, oppure non gliene poteva fregar di meno.
La stretta di mano si interruppe e il bulldog riprese a parlare: “Voglio che mi facciate un lavoretto.”
Shadow voleva finire l'affare al più presto possibile: “Di che si tratta?”
Il cane si guardò un attimo intorno prima di parlare: “Non è un lavoro come gli altri, e non è nemmeno leggero-”
“Traffico di droga?” tagliò corto Shadow.
Bunch fece segno di no con la testa.
“...Commercio di schiavi.”
L'atmosfera dell'aria si irrigidì, e sembrò che il tempo si fosse fermato. Shadow non aveva mai collaborato con i trafficanti di schiavi, e a dir la verità aveva sempre desiderato non venire a contatto con quella gente.
Erano imprendibili, quei bracconieri; centinaia di persone in vagoni lunghissimi, di certo poco nascondibili, e la polizia non riusciva mai a seguire una traccia che fosse UNA.
Molto abili” ammise Shadow tra sé e sé.
Poco dopo riprese la voce: “ E perché mai un trafficante di schiavi è venuto qui, da noi?”
Rouge adocchiò il loro futuro cliente; la domanda di Shadow era la stessa che voleva far lei.
Buch fece un mezzo sorriso e rispose alla sua domanda: “Il traffico di schiavi è -in un certo senso- sempre stato tranquillo. Essendo poi tutte ragazze, non ci sono state ribellioni...”
Rouge smise improvvisamente di battere, le sue orecchie si drizzarono e le sue pupille si rimpicciolirono; “Commercio sessuale?” .
Buch non ci fece caso e continuò, mentre il riccio nero seguiva per filo e per segno: “...ma questa volta è diverso, amico! Sento che c'è una spia...”.
Gli occhi rossi di Shadow luccicarono: “Una spia, eh?”
Bunch annuì.
“Ha dei sospettati?”
“Veramente...” iniziò il cane, grattandosi la nuca “...no.”
“Movimenti strani?”
“Neanche.”
Shadow sbuffò spazientito: “Non può pretendere che ci sia una spia solo perché se lo sente!”
Bunch perse il suo sorriso e guardandolo dritto negli occhi, con tono severo rispose: “Non sono paranoico, signor Shadow! I miei cattivi presentimenti hanno il brutto vizio di essere sempre veri. Sempre.” e accentuò l'ultimo sempre della frase.
Shadow scambiò un'occhiata veloce con Rouge.
“Ah!” esclamò il bulldog, come se si fosse ricordato di una cosa importante, e riacquistando il solito ghigno continuò: “La paga. Sappiate che sono molto generoso...” tirò fuori dal giaccone una mazzetta di soldi. Shadow non sapeva dire quanti erano ma, se le banconote erano tutte da 100 dollari come la prima, allora erano parecchi!
“15mila dollari adesso... e 1 milione a lavoro finito. Se accettate, ovvio.” e mise il mazzetto sulla scrivania, davanti a Shadow, il quale lo prese e li contò; esattamente 15mila dollari. Si accertò persino che non fossero false. Erano tutte vere.
Guardò Rouge e annuì.
Rimise giù il mazzetto.
“Accettiamo. Mi dica come vorrebbe procedere.”
Gli occhi neri di Bunch luccicarono.
“Ha fatto un ottimo affare, signor Shadow... ad ogni modo: portiamo i carichi al luogo di vendita in due settimane; in quel lasso di tempo voglio sapere chi è la spia! Ovviamente gli alimenti e i beni di prima necessità saranno offerti a lei e alla sua amica senza alcuna spesa per voi. Verrete messi sotto copertura; lei sarà una guardia, mentre la sua compare una prigioniera.”
Il riccio annuì.
“E se non c'è alcuna spia?”
“Le ho già detto che non mi sbaglio mai!”
“C'è sempre una prima volta.”
Il cane fece un mezzo sorriso. “Se non c'è...meglio così.”
Strinse nuovamente la mano al riccio nero e si apprestò a uscire.
Mentre cammina verso la porta, diede gli orari: “Domani alle tre di mattina, nel bosco vicino ad Acorn Street. Non fatevi vedere.”
E poi, arrivato alla porta, prima di girare il pomello, concluse: “La spia c'è!” e, detto questo, sparì dietro la porta.

Dopo essersi assicurati che fossero soli, Shadow e Rouge ritornarono a respirare normalmente, smontando l'atmosfera di tensione che si era formata.
Rouge sospirò; “Vedo che hai accettato subito,eh?”
“15mila dollari non sono pochi, e tanto meno 1 milione alla fine dei conti. Abbiamo aiutato spacciatori, non dovresti essere così-”
“Così come?!” prese lei sulla difensiva “Sei solo un maschilista!” digitò sull'altro computer “ E' commercio di schiave del sesso, ma a te che importa, vero??”gridò feroce tutto di un fiato.
Shadow si alzò: questo lavoro aveva toccato il tasto dolente della femminilità di Rouge.
Come se non avesse capito il problema, l'ex agente della G.U.N. le chiese: “Che ti prende!?”
Rouge gli lanciò un'occhiata di rimprovero.
“Non prendermi in giro, Shadow!”
Ma poi si calmò, e , sospirando, ammise: “Ora che mi sono sfogata... sto meglio.”
Shadow rimase un attimo in silenzio per trovare cosa dire per consolare la sua partner.
Tutto quello che seppe dire fu: “Non preoccuparti. Dopotutto, devono venderle,quindi non possono picchiarle troppo...”
Che consolazione cretina! Pensò il riccio nero tra sé e sé.
Rouge scosse la testa. Sulle sue labbra si formò un sorriso triste.
“Non me ne importerebbe niente se fossero tutti maschi, o una grande parte-”
“Non aggiungere altro!” gli ordinò lui in tono di rimprovero.
“Prepara le tue cose! Domani si parte!”
- - -
In un lungo e stretto vagone di legno, Blaze the cat sedeva e si guardava attorno; tante, troppe ragazze erano lì, nelle sue stesse condizioni, che piangevano, chiamavano qualcuno o si guardavano intorno impaurite, alcune dondolanti e altre immobili, silenziose, in posizione fetale.
Blaze non era come le altre; stava dritta, come era di suo, con uno sguardo inespressivo. Non piangeva, non singhiozzava, non si disperata e non era nemmeno scioccata. Anzi, era calma e concentrata. Non aveva un briciolo di paura.
L'avevano rapita a un malfamato e dimenticato porto, appena arrivata nel mondo del suo vecchio e caro amico Sonic.
Era da dieci anni che non vedeva né lui né alcuni dei suoi amici.
La gatta lilla era cresciuta e cambiata parecchio: era ormai una bellissima gatta ventiquattrenne, col manto lilla e morbido, e due occhi color oro e radianti come il sole.
Sulla fronte aveva ancora il gioiello color magenta.
Le sue labbra erano diventate più carnose, ma nulla di esagerato.
Il fisico da quattordicenne si era modellato nel tempo, creando curve melodiose, gambe sode abituate a correre, un bel culo modellato e il seno si aggirava sulla quarta.
I suoi capelli si erano notevolmente allungati e col tempo Blaze aveva perso l'abitudine di portarli in una coda col laccio rosso, e se li teneva sciolti, lungo le spalle.  
La femminilità aveva finalmente bussato alla porta della gatta.
Compiuti 18 anni, da Principessa Imperiale era stata eletta Imperatrice della Sol Dimension ed era rispettata,amata e adorata da tutti i suoi sudditi.
Aveva trovato rimedio ai pirati, aveva salvato molte isole speciali e ne aveva scoperto di nuove, aveva salvato vecchi manoscritti che sarebbero andati perduti, aveva persino portato in vita le sirene a altre creature che si credevano essere leggendarie e aveva anche scoperto nuovi materiali e nuove grotte sottomarine, piene di specie a loro sconosciute.
Avendo fermato l'unico grande commercio in nero del suo mondo, Blaze poteva osservare come l'economia del suo mondo continuava a fiorire.
Ripensando al commercio di schiavi che stava avvenendo a Mobius, la regina rimaneva orgogliosa e rassicurata dalla perfezione del suo mondo, e ringraziava ogni singolo giorno di essere nata in quelle terre, e di esserne la sovrana.
Mobius è caduta davvero in basso.
Così pensava la gatta dagli occhi dorati, mentre guardava indignata il resto del vagone.
Non capiva perché Sonic non aveva ancora fatto niente. Forse non sapeva, ma comunque la gatta storse il naso.
 
Un mese prima, stavano iniziando ad arrivare delle lettere particolari; era Amy Rose che le scriveva e riusciva a spedirle nella Sol Dimension.
La prima volta, Blaze guardava con fare interrogativo quel pezzo di foglio rosa, ben ripiegato e con un sigillo rosso a forma di cuore.
Lo girava e lo rigirava incuriosita, ma anche incredula e sorpresa.
Alla fine l'aprì cautamente, e le si presentò una scritta visibilmente femminile:

Ciao Blaze!
                 Ti ricordi di me? Sono Amy, Amy Rose! Cavolo quanto tempo è passato!
Mi ricordo ancora quando io, te e Cream abbiamo lottato per il Sol Emerald...

E da lì in poi, la sua vecchia amica si abbandonò per un po' ai ricordi di loro due, per poi parlare della sua attualità.
Amy Rose era una femmina di riccio ormai ventiduenne col manto rosa confetto, un sorriso delizioso e dolce e due occhi di color verde smeraldo che brillavano sempre di felicità.
E' sempre stata ed era anche allora la leader delle Freedom Fighter, coloro che si battono per la giustizia. Era un'amica vera, forte, che non avrebbe mai lasciato indietro nessuno.
Stando a quello che ha scritto, Blaze poté dedurre che era maturata parecchio;
nelle sue lettere Amy non parlò mai di Sonic -cosa che faceva continuamente dieci anni prima, perché follemente innamorata-, scriveva grammaticalmente corretto e non si perdeva via a scrivere cose sciocche. La gatta Imperatrice sorrise a qual pensiero.
Inoltre si rese conto che Amy stava lavorando molto seriamente quando, il giorno dopo, le arrivò un'altra lettera sempre dalla riccia; questa volta le parlava di cose ben più serie:
stava indagando su un commercio illegale di schiavi.
Commercio illegale di schiavi? Blaze non ci poteva credere. Come poteva un paese a lei così caro avere un commercio di schiavi?? Non era una cosa ormai...vecchia?Da Medioevo?
Rabbrividiva solo al pensiero.
Ma poi si accorse che quel problema l'avrebbe trascinata con sé: Amy ne stava parlando con lei e le stava dicendo tutto quello che aveva scoperto giorno dopo giorno, e Blaze non era scema.
La sua amica aveva bisogno d'aiuto. Ed era proprio disperata per chiedere aiuto a una di un altro mondo. E poi Amy lo sapeva benissimo che più impegnata della principessa gatto non c'era nessuno. Doveva essere grave, e anche se la micia non avrebbe mai voluto essere coinvolta, prima o poi sapeva che ci sarebbe dovuta finire dentro insieme alla riccia rosa.
Non si sarebbe tirata indietro; voleva troppo bene alla sua energica amica e lei l'aveva aiutata troppe volte. E poi era per una buona causa.
Blaze aspettava solo una richiesta esplicita.
Quasi ogni giorno riceveva lettere dalla sua amica, e più andava avanti più la faccenda si faceva seria, e le lettere della cara riccia rosa diventava sempre meno ordinate e più improvvisate, come se fatte di fretta. Ma non chiedeva aiuto, e la gatta non sapeva spiegarselo.
Così per due settimane, finché arrivò un'ultima lettera, e le ultime parole furono:

...Blaze, sto rischiando. Forse mi stanno scoprendo. Cazzo Blaze se ho paura!

E poi più nulla.
Ogni giorno la Regina aspettava impaziente una sua lettera, che dicesse qualsiasi cosa, tipo “Tranquilla sono ancora viva” oppure semplicemente “Sto bene.”, “Non preoccuparti”.
Ma niente! Stava cominciando a sudare freddo, a preoccuparsi e innervosirsi, a perdere il sonno e il buonumore e più passava il tempo più diventava paranoica, passava la notte pensando al peggio.
Dopo una settimana non ce la fece più; era convinta che le fosse successo qualcosa, che l'avessero rapita, venduta o peggio...
Pensò a un piano rileggendo tutte le lettere e le informazione in esse contenute.
Poi organizzò i suoi impegni per il Regno e quando, poche ore dopo, fu tutto completato, salutò Gardon raccomandandolo di tante cose, e nel buio della notte scivolò silenziosamente fuori dal castello, per poi segretamente teletrasportarsi nel mondo parallelo.
Nessuno -a parte Gardon, il suo carissimo consigliere di corte- sapeva che lei se ne era andata per un bel po', e nessuno lo doveva sapere.
Nelle sue lettere, Amy aveva scritto che rapivano le vittime quando erano completamente sole e, spesso, uno di questi posti erano porti vecchi e sconosciuti o malfamate periferie di città.
Blaze sapeva dove doveva andare: Amy seguiva la pista dei trafficanti che rapivano le ragazze in un polveroso e decadente porto chiamato Salt Mère.
Blaze camminava nel cuore della notte, tra la nebbia, e raggiunse quel porto, dove una tranquilla osteria aveva ancora le luci accese. Faceva freddo e la gatta si stringeva nella sua giacca.
Alzò le orecchie: rumori di risata.
Si avvicinò e guardò l'insegna della taverna; “La Vecchia Rosa...” lesse la gatta a mezza voce.
Non voleva entrare; si limitò a spiare dalla serratura.
Vide solo avanzi di galera giocare a biliardo, freccette e poker.
Alcuni si stavano ubriacando come se non ci fosse un domani, altri fumavano sigari tranquillamente.
Dei rumori dall'altra parte del porto la distrassero.
Forse...”iniziò a pensare lei, e si diresse verso quella direzione.
Quei rumori furono presto chiariti come sussurri, ma la povera Blaze non capiva di cosa stavano parlando.
Ma quando fu abbastanza vicina dal scoprirlo, tutto cessò. C'era un completo silenzio.
Le scappò un sottile Uh sorpreso, e poi i suoi sensi molto sviluppati la portarono a guardare dietro.
Un uomo era pronto a colpirla con una chiave inglese, ma lei, agile com'era, lo schivò in tempo e gli diede un pugno nello stomaco così forte da farlo rimanere piegato.
No! pensò arrabbiata tra sé e sé. Non è così che doveva andare. Si doveva far catturare, insomma!
Per sua “fortuna”, sentì qualcun altro avvicinarsi furtivo. Questa volta la micia fece finta di non accorgersene, quindi qualcuno la bloccò da dietro con un braccio e con l'altro portò al naso della ragazza uno straccio intriso in una sostanza calmante.
Blaze oppose una discreta resistenza (dopotutto doveva fingere di non voler essere rapita) e poi quell'odore la portò nel mondo dei sogni, ma prima fece in tempo a chiedersi se non avesse fatto una stronzata.

Il piano aveva funzionato. Era in viaggio dal giorno prima in un commercio di schiavi.
Quei bastardi. 
Quando avrebbe scoperto abbastanza, li avrebbe bruciati tutti quanti.
Li avrebbe guardati diventare cenere, e sorrideva.
Non crederete davvero che anche lei non avesse un lato oscuro?...
Con l'andare del tempo era sì diventata più agile e acuta, con una perfetta vista al buio e i sesti sensi al massimo, ma era anche diventata un'abilissima piromante.
Si era allenata, aveva inventato nuove tattiche di lotta, ed era diventata temibile. Per i nemici anche terribile.
Con il fuoco, era diventata più potente che mai.
Era cresciuta sadica nei confronti dei nemici; se ne accorse completamente quando, a 19 anni, catturò finalmente Capitan Whisker e il suo equipaggio, quel coglione di Jhonny compreso.
Con solo un movimento di mano, creò abbastanza fuoco da scioglierli in pochi minuti, lasciando solo un mucchio di ferro fuso. Lei sorrideva soddisfatta nel processo.
Si sentiva orgogliosa e forte, mentre pensava: finalmente ve l'ho fatta pagare, per tutto quello che avete fatto! 
Nessun rimorso, nessun piccolo dubbio sul fatto di essere stata troppo crudele.
Solo il piacere di non aver più nessun rompiscatole.
Come se non ci fosse abbastanza fortuna, il Dottor Eggman Nega era da anni a letto malato, incapace di creare nuovi robot-pirata.
Essendo i pirati tutti robot, potevano così solo diminuire. E se continuavano ad esserci, Blaze aveva progettato anche quello: aveva stretto un patto con le sirene, lei e il suo popolo si impegnavano a proteggerle, e loro facevano le “poliziotte del mare”, ed erano brave e fedelissime.
Naturalmente, per tutto il tempo della sua permanenza come schiava, Blaze non avrebbe utilizzato il suo fuoco: se l'era promesso, altrimenti la copertura saltava, ed era molto obiettiva. Anche se a volte stringeva i denti dalla rabbia, proprio perché non poteva bruciare il culo a qualcuno, né poteva minacciare.

L'atmosfera troppo tesa creata dalle altre vittime, in qualche modo, la accaldava e la faceva sudare.
Così cercò di pensare a qualcos'altro che la calmasse.
Le venne in mente la foto che Amy le aveva spedito allegata con la prima lettera;
ritraeva la riccia stessa in piedi con la posa di vittoria sulla sabbia fine, sullo sfondo regnavano il mare cristallino e un cielo splendido.
Era cresciuta anche lei: i suoi capelli a caschetto avevano preso una piega morbida, si erano allungati e ricadevano dolcemente sulle spalle, arrivando a metà di queste ultime; il suo ciuffo ricadeva fluente su un occhio.
Anche il suo corpo era cresciuto, aveva una bella linea, molto visibile dato che era in costume.
Poca fortuna ha avuto il seno, che sarà rimasto pressoché sulla seconda.
Ma nel complesso, era davvero carina e femminile.
Le aspettava un futuro brillante, a quella ragazza, e Blaze lo sapeva. Nessuno doveva rovinarlo.
La gatta era lì per Amy, e sarebbe riuscita a tornare a casa con la giovane riccia e a incastrarli tutti, e buttarli al fresco!
La gatta sorrise vittoriosa. Ce l'avrebbe fatta, non c'era nulla che poteva distruggerla o fermarla, era forte e si sapeva difendere, avrebbe vinto. Lei vinceva sempre.

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Capitolo 3
*** Cap III Chi si rivede... ***


Nota dell'autore: i personaggi sono tutti nel mondo di Sonic, ma ci saranno comparse (come Bunch nel capitolo precedente)che sono inventate da me.

Non sarebbe stato facile come Blaze pensava: quei bracconieri che facevano la guardia non facevano solo i controllori... portavano alcune ragazze in una stanza in fondo al vagone e Blaze non voleva nemmeno pensare a cosa le facevano.
E se obiettavano, venivano picchiate.
Questa cosa le faceva salire il crimine.
Non ce l'avrebbe fatta a non far esplodere tutto prima del tempo.
Dopo quasi dodici ore di viaggio, quei criminali avvertirono che si stavano fermando per fare un cambio di guardie e per far prendere aria ai prigionieri.
Blaze sospirò pesantemente. Non vedeva ora di uscire da quel buco.
Sotto gli occhi vigili di due guardie, le vittime camminarono fuori tremanti e indecise dove andare.
Appena Blaze uscì, si guardò intorno. Scrutò la zone da cima in fondo:
due binari uno parallelo all'altro con due treni di legno scuri e lunghissimi, uno era dove la gatta lilla trascorse la prigionia, l'altro era invece sbarrato, chiuso, vuoto.
In mezzo a questi due c'era uno spazio erboso, una lunga sottile striscia di terra, dove i prigionieri si raccoglievano.
Nonostante gli sforzi, la regina non riusciva a comprendere dov'erano, sopratutto grazie ai grandi vagoni che bloccavano lo sguardo del panorama.
Uscì un seccatissimo Mph! dalla bocca della micia.
Guardò allora tutti quelli che uscivano dai vagoni addietro al suo.
Blaze valutò attentamente la situazione:
le persone uscivano e, in gruppo com'erano sul treno, si radunavano nel sottile spazio di terreno.
Tra un gruppo del vagone e l'altro c'era uno spazio di circa cinque metri.
La micia guardò il numero del suo vagone; numero 2.
Poi la sua concentrazione tornò sugli altri gruppi; guardava se magari trovava Amy o -per purissimo caso- qualcuno che conosceva.
Tutti quelli che vedeva non corrispondevano alla descrizione della sua amica.
Con la foto della riccia dagli occhi verdi nella mente, Blaze analizzava tutte le facce che vedeva.
Ma nessuna donna aveva quel bel sorriso, vivi occhi verdi e una bellissima pelliccia rosa...
poi la gatta si accorse di qualcosa, che la colpì come un fulmine: erano tutte donne!
Possibile?  Si chiese. Guardò meglio e non c'era neanche un uomo. Solo un caso?
No. Anche il gruppo dopo...
Di colpo la gatta lavanda analizzò il proprio gruppo.
Prima di allora, non si era accorta che anche il suo era un gruppo interamente femminile.
Si sentì stupida perché se ne era appena accorta!
Entrò silenziosamente nel panico; Possibile?!   Si chiese di nuovo; Amy non mi aveva mai detto che nel traffico c'erano solo ragazze!
Dubbi atroci le passarono nella mente: e se si fosse fatta catturare dal traffico sbagliato?
L'amica non le aveva mai precisato che era un commercio femminile.
Il pensiero di aver sbagliato tutto e di star andando in un posto sconosciuto senza ragione la fecero sudare freddo. Quindi si mise a fare quello che aveva sempre fatto: pensare.
Caricò l'intero peso su una gamba e le dita sotto il mento, lo sguardo fisso verso il basso.
Il vento soffiava dolce e debole tra la sua pelliccia e i suoi capelli si muovevano ondeggianti.
Doveva salvare Amy, e se era sul vagone sbagliato sorgeva un bel problema.
Magari poteva far saltare tutto in aria e dileguarsi nel casino che aveva creato... ma le ragazze? Magari ne avrebbero sofferto...
Un pianto doloroso distrasse l'attenzione di Blaze: una donna sui trent'anni non riusciva a tenere a bada i singhiozzi. Era curva su sé stessa, teneva le mani premute sulla faccia, cercando di non far vedere le lacrime e le sue orecchie erano abbassate. Un'altra ragazza, sui vent'anni, le dava alcune pacche incoraggianti sulla schiena e cercava di consolarla con parole rincuoranti e un tono dolce.
La donna , disperata, parlò tra le lacrime: “Come faccio a tornare dal mio bambino!?” 
La ragazza non le rispose, posò lo sguardo avvilito al suolo, continuando a dare pacche gentili alle spalle della donna.
“Come farà senza la sua mamma?!” continuò la donna tra i singhiozzi “E' così piccolo...oh mio-” e ritornò a piangere. La ragazza la tenne in piedi trattenendola per le spalle.
“Signora, non faccia così! Vedrà che rincontrerà suo figlio...”
La donna scosse la testa tra i singhiozzi.
La Regina gatto rimase di sasso; le orecchie tese e lo sguardo fisso sulla coppia di donne, gli occhi luccicavano e tremavano, mentre una lacrima si apprestava a lasciare l'occhio sinistro.
L'asciugò prima che potesse scorrere lungo il muso.
Quelle due donne non si erano mai incontrate prima -Blaze lo capiva dal fatto che la ragazza chiamava l'altra donna “Signora”- ma si consolavano e incoraggiavano.
La gatta sapeva solo che la signora aveva un figlio da cui è stata strappata, e non le servì altro:
doveva continuare anche se non era il caso che Amy seguiva, doveva farlo per loro.
La micia lilla si guardò intorno: molte avevano una storia simile, lo sentiva.
Amy era forte, ce l'avrebbe fatta. Il bisogno primario di Blaze si trasformò di liberare tutte le prigioniere che avevano fatto schiave, e farle ritornare alle loro famiglie. Far ritornare quella donna da suo figlio.
Strinse i pugni con coraggio, nessun dubbio e nessuna paura nella sua testa, le sue intenzioni erano chiare; avrebbe continuato, e niente la poteva fermare!

Una guardia si schiarì rumorosamente la voce.
Blaze portò la sua attenzione su quell'uomo. Lui iniziò a parlare:
“Attenzione ragazze, cambio di guardia: lui è nuovo, e sono certo che non lo volete far arrabbiare!”
minacciò con un ghigno.
La nuova guardia -una figura nera- grugnì e guardò tutte con fare atroce.
Le ragazze non riuscirono a reggere uno sguardo del genere -assetato di sangue- e iniziarono a tremare abbassando lo sguardo.
La gatta non si smosse ,anzi, guardò a fondo quella figura; aveva qualcosa di familiare, Blaze sapeva di averlo già visto.
Ci impiegò pochi secondi a riconoscerlo, e quando lo fece sgranò gli occhi, si sentì girare la testa, le gambe deboli e il respiro mancarle.
Tuttavia stette immobile, coi piedi saldamente a terra, squadrando sorpresa quella figura misteriosa.
Tutto quello che le girava per la mente era una domanda:

“Cosa ci fa Shadow qui?”

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Capitolo 4
*** Cap IV Sguardi … ***


Shadow scrutava la situazione; come aveva detto il capo, tutte ragazze e anche piuttosto spaventate.

Il riccio nero odiava quando qualcuno si cagava in mano nel vederlo, o balbettava, o piangeva...

insomma, la sua pazienza era molto limitata, e nel vedere tutte quelle ragazzine iniziare a tirar su il moccio dal naso senza che lui abbia fatto niente lo faceva imbestialire.

Ogni volta che perdeva la pazienza grugniva e di certo non era qualcosa che tranquillizzava le prigioniere.

Cominciarono a risalire sul furgone a passi lenti.

Wow amico!” disse Joe, la guardia che aveva presentato Shadow, battendogli una pacca sulle spalle: “Fai accapponare la pelle a quelle!”

Il riccio, rimasto silenzioso fino a quel punto, gli ricordò seccato: “ Non sono tuo amico. Siamo solo soci.”

Joe roteò gli occhi; “Come vuoi. Tienile d'occhio e ricordati cosa ha detto il capo!”

Shadow grugnì: “Certo!”

Joe se ne andò. Il riccio nero guardò le sue prigioniere mentre rientravano nel vagone.

Poi ad un tratto si sentì bruciare dentro; da annoiato qual era si trovò a cercare con insistenza qualcosa che non conosceva.

Uno sguardo, ne era sicuro; uno dei più penetranti che avesse mai sentito sulla sua pelle.

Era caldo come il fuoco, si sentiva incenerire in sé, e gli provocava quel dolore che in verità era solo nella sua mente. Gli piaceva.

Chiamatelo masochista ma gli piaceva un sacco quella sensazione.

Per quanto ci provava non riusciva a trovare il proprietario di quegli occhi.

Muoveva gli occhi analizzando tutte le ragazze, ma sembrava che nessuno lo stesse fissando.

Diamine! Pensava il riccio dagli occhi rossi Se non stessero tutte ammassate come pecore!

Il bruciore aumentava.

Si avvicinò, ma si accorse che tutte erano rientrate e la fiammata che lo bruciava dentro si stava spegnando...

Questo significava solo una cosa... chi lo fissava era una di loro.

Determinato, salì sul vagone e lo chiuse.

Guardò con aria da assassino i passeggeri.

Non riusciva più a sentire quel calore.

Iniziò a camminare lungo il vagone, lentamente, guardando a destra e sinistra mentre il silenzio assoluto faceva da sovrano.

Eddai Diceva tra sé e sé Shadow. Aspettava solo un segno.

Arrivò all'altro capo del vagone e si guardò ancora in giro. Nulla.

Quindi bussò alla porta di legno, che subito si aprì:

Sì?” chiese una voce oscura.

E' tutto a posto.” rispose il riccio nero senza battere ciglio.

Ok. SI PARTE!” gridò il tipo, rivolto verso l'altra cabina.

Poi Shadow si accorse di una tabella che aveva in mano.

Devo fare l'appello.” annunciò il tipo al riccio nero, come se gli avesse letto nel pensiero.

Lascia, faccio io.” Rispose solamente, prendendo la tabella dalle sue zampe.

Il tizio avrebbe voluto ribattere, ma non era così ignorante da non sapere chi fosse Shadow the Hedgehog. E inoltre, lo sguardo del riccio faceva intuire che non conveniva insistere.

Il tipo chiuse la porta di legno, lasciando l'ex agente della G.U.N. con in mano l'elenco dei nomi.

Shadow si girò dalle ragazze. Dopo pochi secondi il riccio nero sentì sotto i suoi piedi il treno che iniziava a muoversi.

Nessuno parlava, gli unici suoni erano quelli delle ruote che cigolavano sulle rotaie e il fischio di partenza.

Data un'ultima occhiata al “carico”, Shadow posò gli occhi sul suo appello.

L'aveva voluto apposta, avrebbe trovato chi cercava.

Iniziò con voce alta a chiamare i nomi: “Angel the Echidna.”

Una timida voce rispose “Presente”, che arrivò alle orecchie del riccio nero, ma Shadow fece finta di non averla sentita.

Se c'era una cosa che non riusciva a sopportare, era quando a un qualsiasi appello c'era gente che rispondeva a bassa voce. Bisognava capire chi era presente, diamine!

Ripeté, più arrabbiato e deciso: “Angel the Echidna?!”

La voce si fece più forte, e Shadow decise che stavolta andava bene.

Squadrò l'echidna bianca dagli occhi azzurri che rispondeva al nome di Angel e le ordinò quasi urlando: “La prossima volta, quando ti chiamo, alza la voce! Chiaro?! Ho ucciso per molto meno!”

poi si rivolse a tutte le altre, ringhiando: “Questo vale anche per voi! Non lo ripeterò un'altra volta!!” .

Le ragazze annuirono con le lacrime agli occhi.

E poi lo risentì, quello sguardo rodente che gli fece accapponare la pelle e gli diede un brivido lungo la spina dorsale.

Si guardò in giro, ma sembrava che lo stesse osservando un fantasma!

Quindi continuò l'appello. Prima o poi salterà fuori.

Continuò più o meno senza interruzioni, Fortuna per loro che collaborano pensava il riccio nero.

Fino a quando...

Annie the Hedgehog”

Nessuna risposta. Le ragazze cominciarono a guardarsi intorno bisbigliando e deglutendo.

Una ragazza in particolare era piuttosto agitata. Avrebbe voluto rispondere come le altre, ma le mancò la voce. E sapeva che era nei guai.

ZITTE!” sbraitò Shadow “ANNIE THE HEDGEHOG!?”.

Una timida mano si alzò in aria.

Il riccio nero guardò la ragazza – una riccia arancio e gialla dagli occhi blu- dritta negli occhi.

Annie lo guardava immobile nelle sue orbite, con gli occhi che le luccicavano dalla paura.

Shadow non perse tempo ad avvicinarsi a lei e mollarle un ceffone che la fece finire faccia a terra.

Naturalmente le altre guardavano piene di terrore quella scena, si nascondevano una dietro all'altra e abbassavano le orecchie.

COSA VI HO DETTO PRIMA!?” urlò il riccio nero pieno di rabbia verso la poverina, che si stava lentamente e debolmente alzando con una mano sul punto colpito. Le bruciava e le faceva malissimo. Ovviamente non rispose alla domanda retorica del riccio.

Scusa...” riuscì a dire tra le lacrime.

SCUSA?! La prossima volta non sarò tanto gentile!!”.

E poi si sentì morire; quella sensazione di bruciore era diventata insopportabile anche per lui, era sicuro che stava andando a fuoco.

Si guardò intorno; tutte lo stavano fissando tremanti.

Nella sua mente Shadow si chiedeva cosa stesse succedendo, chi era quella che voleva fulminarlo con lo sguardo? O era lui che si stava prendendo la febbre e stava solo andando fuori di zucca?

Anche se dentro si faceva molte domande, la sua espressione e la sua corporatura non davano segni di lotte tra ragione e istinto che avvenivano nel suo animo.

Si limitò ad allontanarsi dalla riccia, che con l'aiuto di alcune ragazze si stava rimettendo composta, e continuò il suo appello. Passò ai nomi con l'iniziale B.

Blaze the Cat.” si bloccò subito dopo averlo detto.

Dove l'ho già sentito? Si chiese. Così...familiare...

Ripercorrendo la memoria, nello stesso secondo in cui si era fatto la domanda si rispose da solo.

Aveva appena realizzato chi fosse quando una voce forte e fiera rispose: “Presente!

Quella voce...

Quando la sentì rimase ancora più sbigottito di prima, e -questa volta- uno attento poteva leggerglielo in faccia.

Guardò nella direzione della voce e vide con stupore una bellissima gatta lilla, seduta con la schiena dritta e appoggiata alla parete, le sue ginocchia in posizione fetale.

La testa di Shadow era tutta un Wow, anche se lui non l'avrebbe mai ammesso.

Il suo sguardo cadeva dritto dritto negli occhi dorati di quella creatura.

Analizzò il suo corpo senza farsi pregare; notò le forme delle gambe, i capelli che le scendevano sulle spalle e che la rendevano irresistibile, le ombre nere intorno agli occhi che le dava un bel fascino e anche le bocca...

Da mordere fu l'aggettivo e tutto quello che seppe dire sulle sue labbra.

Il riccio si trattenne nel mordere e leccare le proprie.

Essendo seduta e raccolta su sé stessa, Shadow non riusciva a vedere bene il resto del corpo.

Era da alcuni secondi che la stava fissando intensamente senza emettere un suono e lei dava segno di esserne infastidita.

“C'è qualche problema?” chiese lei gentilmente, con una nota di seccatura.

Come lo guardò con rabbia Shadow si sentì quel bruciore, ma non ne era stupito; nel momento in cui aveva realizzato la presenza di Blaze, aveva subito capito che era lei, che era il suo sguardo di fuoco. Così i suoi sospetti erano confermati.

Lui scosse leggermente la testa per riprendersi e rispose con un calmo “No.”

Continuò il suo appello come se nulla fosse successo, ma in realtà era altamente confuso.


Che cosa ci fa qui una principessa come Blaze?...


- - -

Stava calando la notte.

Blaze e le altre erano state portate fuori dai vagoni, per alcune ore, poi le avevano portate in grandi capannoni dove le avevano dato da mangiare (una povera zuppa di patate) e infine fatte coricare per dormire.

La gatta lilla si sdraiò sul letto di stracci e poteva sentire il freddo del pavimento di cemento.

Ma non le importava, tanto il suo potere le permetteva di variare temperatura a suo piacimento!

Chiuse gli occhi e ripensò al fatto di quel pomeriggio: una volta uscita dal treno in tutta fretta, per evitare il riccio nero, si radunò nel ben mezzo delle altre, in modo da stare sempre vicino a qualcuno.

Non si sa mai...

Ma non bastò: a un certo punto si sentì perseguitata da dei brividi freddi che il calore del suo corpo non riusciva a respingere.

Si guardava intorno sudando freddo, per poi accorgersi che proprio colui che voleva evitare la stava fissando senza interruzione dall'alto al basso.

Contrariamente allo sguardo della micia, quello di Shadow era di un freddo glaciale e non le piaceva per niente. Non sapeva cosa fare pur di toglierselo dalla pelle.

Ma cosa ci fa qui? Si chiedeva lei.

Pensavo fosse un agente della G.U.N! Non può essere che lavora con loro!... che incubo!

Si preoccupò;

Se ho lui dall'altra parte non ce ne vengo più fuori! Tra l'altro mi preoccupo...è diventato violento nei confronti dei più deboli. Lo ammetto, lo conoscevo poco, ma non era così... che gli è successo?

Emise un profondo sospiro.

Per non parlare di come mi divorava con gli occhi...

Rabbrividì solo al pensiero. La paura che gli fosse maturato un pensiero perverso le gelava il sangue nelle vene...

Tuttavia non era detto che fosse davvero cattivo...

Ma sì certo! Si illuminò Lavora per una agenzia segreta! Sarà in missione sotto copertura! Che stupida Blaze! E' ovvio, perché non c'ho pensato prima!

Sorrise a questa considerazione. Voleva sbattesi il palmo sulla fronte ma evitò. Si calmò notevolmente e si sentì più leggera.

Mi sono preoccupata per niente!

Si era visibilmente rasserenata.

Tuttavia c'era una parte di lei che non la convinceva... il suo subconscio la portava a pensare oscuramente...

Ma perché picchiarla?Era proprio necessario?...

Non sembrava scherzare per niente...

Devo dire che non c'è andato leggero...

...E questo non ha senso...

Si era stufata di stare sdraiata e non aveva sonno.

Riaprì gli occhi e si mise seduta; tutte le prigioniere dormivano nel gigantesco capannone.

Si guardò destra e sinistra mentre le sue pupille si allargavano per adattarsi all'oscurità del luogo.

Si alzò e silenziosamente passeggiò per il corridoio a passi lenti; la sua coda ondeggiava nervosa al ritmo dei suoi passi e Blaze era totalmente avvolta nei suoi pensieri.

Adorava la notte; era pacifica, tutto si rallentava quasi per fermarsi, l'oscurità avvolgeva qualsiasi cosa come per rassicurare le povere anime. Alcuni vedevano paura in questo.

La gatta non avrebbe voluto far altro che uscire per vedere il cielo senza luna, pieno di stelle di tutti i colori e dimensioni. Un vero spettacolo della natura.

La notte così incantevole non faceva pensare a realtà dure. Questa volta, non era il caso per Blaze.

Non aveva molto tempo per queste cose, e spinse via quei desideri e quelle bellissime visioni per lasciare spazio ai pensieri della sua attuale situazione.

Se Shadow era attualmente impegnato a stanare quella banda di canaglie, lei l'avrebbe saputo, lui le avrebbe detto del suo piano. Doveva avere un piano.

Shadow non è certo il primo pirla di questo mondo si disse tra sé e sé Blaze,

Sa cosa deve essere fatto! E' preciso, obiettivo...

Le sue orecchie si misero sull'allerta; una presenza si avvicinava velocemente...

Troppo veloce...

Non fece in tempo a girasi che due mani gelide si chiusero a tenaglia sui suoi fianchi, stringendo e tenendola bloccata.

Uscì un gasp dalle sue labbra, mentre i suoi occhi brillavano preoccupati. Rimase immobile, non sapendo che fare. Non si girò; aveva capito chi era.

Era così vicino che il petto toccava quasi la schiena della gatta, che si sentì sussurrare: “Dobbiamo parlare.”

- - -

Da tutto il pomeriggio, sin da quando l'ha vista, Shadow aveva in mente solo lei, quella gatta lilla.

Il fatto che era piombata così inaspettatamente non dava pace al riccio nero.

Nella sua testa echeggiava instancabilmente la domanda:

Che ci fa qua?

Poi si rispondeva e ci ragionava.

E' stata catturata, ovvio, ma perché è in questo universo?

Per non parlare del ricordo di dieci anni prima, quando Blaze faceva mangiare il fuoco a tutti quelli sulla sua strada.

Perché non scappa??

Ricordava ancora quando la aiutò a recuperare il Sol Emerald. Che dire, era cresciuta molto e se era così forte a quel tempo figuriamoci quanta strada può aver fatto!

E invece è prigioniera come tante altre.

Shadow non sapeva spiegarselo.

Le avrebbe parlato, poco ma sicuro!

E mentre radunava le idee per le domande che le avrebbe fatto, si mise ad osservarla.

Era sempre zitta, si guardava sempre intorno ed era isolata dal gruppo, ma non troppo.

E' intelligente, starà pensando a un piano di evasione pensava Shadow.

Ma finché non ho delle risposte ed è sotto mia sorveglianza non le permetterò di fare niente!

Aveva bisogno di sapere, era diventata ormai una cosa personale. Sapeva che era potente, emanava energia da tutti i pori. Quindi era pericolosa.

Inoltre se fosse scappata quale scusa avrebbe dato a Bunch, il suo capo?

Non voleva avere impicci, e non sarebbe stata lei a darglieli!

Era così concentrato su di lei, che la micia si accorse dei suoi incessanti sguardi.

Come se a Shadow importasse!

Lei diventò nervosa e il riccio nero poté dedurre con un mezzo sorriso che i suoi sguardi non le piacevano tanto quanto gli sguardi di lei piacevano a lui.

Cercava di nascondersi dalla sua visuale.

Piccola vendetta per avermi quasi bruciato e con questa frase nelle mente se ne guardava bene di perderla d'occhio.

E intanto si accorgeva di come era cresciuta: si era alzata, doveva ammetterlo.

Una volta era molto più asciutta...ora poteva vedere delle curve fantastiche.

Che ci volete fare? Alla fine Shadow è un maschio!

E' ovvio che adocchiò le forme del petto e il sedere.

Come si muoveva, la sua coda che oscillava da un lato all'altro, il suo musetto fine, il suo corpo perfetto...

Shadow si voleva schiaffeggiare da solo per togliersi quei fottuti pensieri dalla testa!

Che cazzo mi prende!? Devo dimostrare rispetto per una Principessa! Pensò tra sé e sé

Diamine! Sono sempre stato un santo e adesso arriva lei e mi atteggio come un maniaco! Perfetto! Ma guarda te! Si diceva ironico mentre roteava gli occhi.

E' una ragazza come tutte le altre! MA CAZZO, allora qualcuno mi dica perché mi vien voglia di sbatterla contro il muro e-

Si fermò d'impatto. Non voleva fare così schifo. Sapeva cosa gli altri facevano a quelle povere prigioniere... ok, aveva schiaffeggiato una, ma non sarebbe andato tanto in basso!

Rispettava troppo la principessa, e quindi l'avrebbe trattata come tale.

Con questa decisione nella mente, si dimenticò di tutte le cose che le avrebbe voluto fare...

Anche lei vorrà delle spiegazioni. Pensò non a torto.

Così attese la notte.

Dal lettuccio dove dormiva scrutava l'enorme spazio del capannone.

La debole luce della notte entrava dagli strappi nella plastica che copriva quella grande struttura.

C'era un silenzio incredibile. Shadow respirò quell'aria piena di tranquillità, e aspettava.

Un fruscio leggero attirò il riccio nero fuori dal suo stato di dormi-veglia.

Una figura nera e snella si alzò mise a sedere lentamente, per poi alzarsi allo stesso modo.

Aveva iniziato a camminare distrattamente per il corridoio, così Shadow decise di alzarsi senza fare nessun rumore. Sapeva che era lei, come poteva confondersi?

Si avvicinò velocemente alla ragazza assicurandosi che nessuno lo guardasse.

Le orecchie della bella creatura si mossero a scatti: l'aveva sentito arrivare.

Lui non voleva che scappasse, o che volesse fargli uno scherzetto col fuoco, quindi la bloccò alla vita facendola sussultare, e la strinse a sé senza farla girare, sussurrandole: “Dobbiamo parlare.”


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Capitolo 5
*** Cap V Domande, Risposte e Bugie ***


Lei annuì solamente e senza proferire parola.

Lui iniziò a spingerla verso la porta, dicendole solo: “Fuori.”

Lei sembrò felice di uscire da lì; Shadow non aveva più bisogno di spingerla, era uscita dalla sua presa e si era avviata verso la porta, seguita a ruota dal riccio nero e rosso.

Abbassò la maniglia d'argento arrugginito e aprì la porta cercando di non farla cigolare, mentre dietro di lei Shadow si guardava attorno sospettoso.

Uscirono e tutte e due respirarono a pieni polmoni l'aria fresca della notte.

“Bene, signorina...” cominciò Shadow, mettendo Blaze spalle al muro “Ho delle domande da farti!”

“Potrei dire lo stesso!” replicò la micia.

Shadow ignorò la sua affermazione: “Cosa ci fai qui?”

“Volevo venire a trovare Sonic, e anche Amy e Cream...” rispose la gatta. Sembrava calma.

“...E sei ancora qui?”

“Come puoi vedere, Shadow.”

Il riccio nero avrebbe voluto chiederle di più, parlarle semplicemente, ma tutte le domande che si era preparato quel pomeriggio erano svanite nel nulla, come succede sempre quando il momento arriva, come quando studi e poi quando vieni interrogato non sai rispondere, eppure avevi letto l'argomento poche ore prima. Era come se la presenza della gatta di fuoco repellesse i pensieri che Shadow aveva studiato, come una calamita che funziona al contrario.

“E tu, Shadow...” cominciò Blaze, togliendo il riccio nero dai suoi pensieri “Che ci fai qua?”

“Pfft!” rispose il riccio roteando gli occhi.

Blaze incrociò le braccia, portò tutto il suo peso su una gamba e lo guardò con un'espressione che Shadow capiva bene. Anche Rouge la faceva.

Significava << Ora dammi una risposta vera>>.

Alcuni secondi passarono in completo silenzio. Poi Shadow si decise a parlare:

“La risposta non ti piacerà.”

“E' meglio che niente.”

“Ne sei sicura?”

“Perché, Shadow?”

Lui ignorò la sua domanda.

“Secondo te cosa ci faccio qui?” le chiese.

Lei non rispose, sembrava confusa e indecisa su cosa dire.

Lui arrivò finalmente al sodo: “Lavoro, cara.”

“Lo sai che puoi fidarti di me.”

“In effetti mi fido. Dimmi, Principessa, sai per chi lavoro?”

“Non era un'agenzia-”

“Lo sapevo.” la interruppe Shadow.

Blaze era visibilmente turbata.

“Ma tu non sapevi del mio cambiamento...” continuò Shadow, ignorando invece il cambiamento nella ragazza “...dopotutto è passato un sacco di tempo...”.

Silenzio. Gli occhi della gatta era spalancati e luccicavano per aver appreso la terrificante realtà.

“Non ci credo...” sussurrò con un filo di voce, che Shadow sentì.

“Non crederci!” le rispose prontamente e calmo il riccio nero. Sembrava essere leggermente divertito dalla reazione di Blaze.

“Non ci posso credere!” disse la gatta lilla, stavolta più forte, intenzionata a farsi sentire bene da lui.

Cercava di avere un tono forte, ma in realtà la voce aveva traballato un poco.

“Scusa, ma non ci voglio credere!”

“Scuse accettate.”

“E smettila di sfottere!” gli gridò furiosa con l'indice puntato in faccia al suo interlocutore.

Lui si limitò a prenderle il polso ed abbassarle la mano.

“Non sto sfottendo.” rispose pacifico.

Lei era rossa dalla rabbia, Shadow pensava che fosse solo questione di tempo prima che esplodesse.

Era visibilmente frustrata. Il riccio si accorse di essere andato un po' oltre.

“Chiedo scusa.” stavolta non aveva più il tono da stronzo.

Ma lei non l'ascoltava più: “COME PUOI LAVORARE PER LORO?!

Lui non disse nulla.

Con la stessa ferocia che aveva prima, Blaze dimenò la mano dalla presa di Shadow, liberandosi.

Fece per andarsene, ma lui fu più veloce e le prese entrambe i polsi bloccandola al muro e la schiacciò col suo corpo verso la parete, in modo che non tentasse di scappare dimenandosi e dando calci.

“S-Shadow c-che stai facendo!?” chiese- anzi- urlò Blaze con un tono tra il sorpreso, arrabbiato e preoccupato.

Ma Shadow non la voleva ascoltare e pensava solo: Perché non lo usa??

Blaze tentava di dimenarsi, ma era come spostare una statua.

Perché non lo usa?

Shadow era frustato sempre di più. Stringeva la stretta attorno ai suoi polsi.

Perché non lo usa?!

Cominciò a guardarla con odio.

“CHE TI PRENDE!?” gli gridò la gatta spaventatissima “LASCIAMI! Altrimenti...”

“Altrimenti cosa?!” gli chiese lui.

Blaze non rispose, trovava curioso il fatto che lui sembrava arrabbiato almeno quanto lei.

“Lasciami!” ordinò di nuovo.

Perché?

“COME PERCHE'?!?”

Perché non lo usi, Blaze?!

All'inizio lei sembrava confusa, ma poi sembrò capire di cosa si stava parlando...

“Non uso...cosa?” chiese con un filo di voce.

“NON FARE LA FINTA TONTA CON ME!! Lo so che sei piro-cinetica! Non me ne sono dimenticato!” le urlò irato.

“Perché non usi il tuo fuoco per andartene?!”

Lei abbassò lo sguardo.

“L'ho...perso...” disse con il broncio.

“AH!” rise lui, che era tutto tranne che divertito “Mi stai prendendo in giro?! Perché non ti conviene! E ora dimmi la verità.”

“E' questa la verità! Secondo te perché sono qui?”

“E' quello che sto cercando di capire.”

“Mi hanno fregato, Shadow. Sto pensando a come andarmene. Ora che sei il mio controllore, mi aiuterai?” era ritornata calma, come se la sua vicinanza con il riccio nero non le importava più.

Lui non riusciva più e leggerle in faccia, ed era una cosa che non sopportava.

Tuttavia si era calmato anche lui.

Una smorfia simile a un mezzo sorriso apparì sul suo volto, mentre la presa sui polsi della ragazza allentò.

“Perché dovrei?”

“Hai detto che ti fidi di me, dovrai solo far finta di non vedermi più...” era un tono tranquillo, che stranamente Shadow trovò sensuale. Ma non era disposto a cedere.

“Scordatelo!”

“Perché?” chiese lei, non alterando la voce.

“Non passerò nei guai per colpa tua!”

“Oh, davvero? Capisco...ah! E io che pensavo perché non riuscivi a togliere gli occhi da me...!” disse ironica.

Shadow si scurì in volto, schiacciandola sempre più verso il muro per la rabbia.

Come hai detto?!”

“Oggi pomeriggio. Continuavi a fissarmi. Eri fastidioso.” rispose lei, sempre tranquilla.

Shadow sembrava essersi calmato.

“Abituati. Non finisce qui, non ti perderò d'occhio!” e finalmente la lasciò.

Lei si limitò a guardarlo male e, dopo avergli voltato le spalle, s'incamminò verso i dormitori.

“Non minacciarmi, Shadow” disse la micia, senza neanche voltarsi “Posso uccidere anche senza bruciare.”

“Hai vinto questa battaglia, ma non la guerra.” rispose il riccio.

“Non abbiamo ancora finito. Non mi hai detto tutto.”

Blaze aveva aperto la porta ed era entrata, lasciando Shadow da solo nell'oscurità e nel silenzio della notte.


Non era di certo stato uno dei giorni migliori di Blaze.

Questa nuova avventura si incasinava più si andava a fondo.

La gatta giaceva nel suo letto di stracci, con gli occhi chiusi.

Ritornò ai momenti in cui lei e Shadow hanno parlato, con l'intento di chiarire.

Il sangue nelle vene si era gelato completamente quando aveva realizzato che Shadow era davvero dalla parte dei cattivi, e che non l'avrebbe aiutata -anzi!- le aveva promesso che l'avrebbe ostacolata in tutto e con tutto.

Sono nella merda.

Shadow è l'ultima persona che voleva avere contro perché era potente, la gatta lo percepiva.

Quanto era cambiato....

Lei aveva iniziato ad aver paura del nuovo Shadow; non tanto quando alzava la voce o minacciava -se voleva lei poteva far meglio- ma quando agiva come se le volesse far male fisicamente.

Blaze ritornò a quel momento: si era appena liberata dalla sua presa quando lui l'aveva completamente bloccata al muro, stringendo più forte del dovuto i suoi polsi e portando tutto il suo corpo addosso a quella della gatta. Fu panico.

Cercava di dimenarsi come meglio potava, ma era troppo robusto per essere allontanato e lei non era in una posizione favorevole per combattere.

Shadow la guardava sempre più intensamente coi suoi occhi color sangue...Blaze si risentì quei brividi freddi che tempestavano il suo corpo... sentiva la sua stretta stringere sui polsi...

Non pensava ad altro che a una frase:

No! Ti prego Shadow, non farmi questo...!

Ma poi l'ex agente della G.U.N. le chiese del fuoco...

Cosa poteva dirgli? Che non poteva usare il fuoco perché doveva passare inosservata? Certo che no.

Era una stronzata incredibile, lo sapeva, ma non sapeva che altro dirgli...

“L'ho...perso...”

In effetti le rise quasi in faccia.

Ma se fosse stata abbastanza brava a fingere magari lui ci sarebbe cascato.

Doveva solo figurare come avrebbe continuato quella colossale bugia.

Il contesto c'era, si doveva solo inventare una storia e farla passare per vera in tutto e per tutto.

Blaze si immaginava le domande che Shadow non le aveva ancora fatto, ma che probabilmente non avrebbe tardato a chiedere, e trovava risposte plausibili.

Quando trovò una risposta accettabile quasi per tutto, si abbandonò finalmente al sonno.

L'aspettava un domani pesante.


Shadow non rientrò nel dormitorio; doveva parlare con la sua amica.

Dovevano parlare della giornata, della ricerca alla spia, di Blaze.

Rouge doveva saperlo.

Il riccio sapeva che la sua partner avrebbe sospettato della gatta, come lui aveva iniziato a credere.

C'è qualcosa che mi nasconde, e temo che non siano belle cose, quelle che vuol fare...

Shadow scosse la testa. Non aveva senso che Blaze fosse una spia! Una ribelle che poi avrebbe creato problemi, questo sì, ma non una spia.

Come avrebbe saputo del traffico di schiavi! Nah! E' ridicolo che sia lei!

E con questi pensieri, camminò fino al capannone lì vicino; era di certo più piccolo di quello dove lui, Blaze e le prigioniere dormivano. Qui dormivano solo le guardie che non erano in turno quella notte.

Più s'avvicinava, più Shadow poteva vedere due figure chiacchierare tranquillamente: una era la sua compagna, l'altra era una guardia.

Come Rouge vide il suo compare, congedò il ragazzo con cui stava parlando prima: “Grazie per la compagnia. Notte.”

Lui non rispose, fece solo un cenno dopo aver dato un'occhiata veloce al tenebroso riccio nero, e poi se ne andò.

I due del Team lo guardarono mentre si allontanava, Shadow era inespressivo mentre Rouge aveva un sorriso rilassato.

“Hey Shadz!” iniziò la ragazza pipistrello, quando fu sicura che non ci fosse più nessuno ad ascoltarli.

“Ti stava importunando?” si preoccupò Shadow. Dopo tutto quello che aveva visto, era normale chiederle almeno se stava bene.

“Assolutamente no! E' il ragazzo più gentile tra tutti quelli che ho incontrato qui sopra!” rispose lei.

“Mi fa piacere saperlo. E anche vedere che tu stai bene, come sempre.”

Rouge ridacchiò.

“E' carino da parte tua preoccuparti per me, brontolone!” gli disse affettuosamente.

Shadow sbuffò.

“Ad ogni modo, come è andata la giornata?” chiese il riccio.

“Mmh...non male. Dovresti sapere le condizioni igieniche che ci sono!” iniziò a lamentarsi la ragazza.

“Certo che lo so, ci sono stato anch'io sui vagoni. Piuttosto, che numero eri?”

“L'ultimo, il 5.” rispose ritornando calma Rouge. Poi scosse la testa.

“Sono sicura che la spia non c'è. Lo sento!” Guardò il suo compare con fare serio. Qualcosa le passava nella mente, oscurandole il volto, ma Shadow non ebbe tempo di chiedere.

“E a te? Come è andato il primo giorno?” chiese lei con un bellissimo sorriso che le era ritornato sulle labbra.

“Eh!” rispose lui. Lei lo guardò con fare interrogativo.

“Non sai chi ho incontrato oggi!”

“Aww” lo interruppe Rouge “ Un 'indovina chi'! Vediamo se azzecco! Mmh...” e si portò le dita sotto al mento, cadendo nella concentrazione. Dopo alcuni secondi la sua faccia si accese.

“AH! Amy, giusto? Quella ragazza si mette sempre nei guai!” sbuffò divertita la creatura bianca.

“Lo sai che tu non sbagli mai...” incominciò il riccio nero “...ma questa volta è diverso. Riprova.” concluse la frase, calmo e con un leggero sorriso.

Oh! Mhh....” ritornò a pensare Rouge.

Argh! C'è così tanta gente...! Shady, per favore, almeno un indizio!”

Lui incrociò le braccia. “E' un'amica di Amy... e di Sonic.”

La compagna sbuffò. “Qualcosa di meno generico?”

E ritornò a pensare senza che Shadow le dicesse niente.

“Mmh... ci sono! Sally?”

“No.”

“... Bunny?”

“Neanche.”

“Julie-su?”

“Sei troppo lontana.”

“Tikal? Cream? Honey? Mina? Nicole?”

Shadow scosse la testa.

“Ti do un qualche indizio... è una principessa...”

“...” la ragazza abbassò le orecchie.

“...è un gatto...”

“...!!!!” lei raddrizzò di nuovo le orecchie.

“...col manto lilla...”

“Blaze qui?” chiese finalmente Rouge, con un filo di voce. Shadow annuì.

“Che ci fa qui?” esclamò la compare.

“Dice che era qui per far trovare Sonic, ma poi è stata catturata...”

“Mmh..” lo interruppe Rouge “...e tu non le credi, giusto?”

Di nuovo, il riccio annuì.

“Quella gatta è troppo misteriosa, vorrei crederle ma penso dica solo balle.”

“...pensi a quello che penso io?” domandò l'amica, guardandolo con aria grave.

“Non credo sia lei la spia.” disse in fretta Shadow. “Non avrebbe senso.”

“E perché no?” ribatté lei, portando le mani sui fianchi.

“...me lo sento.” rispose indeciso. “E poi lei non avrebbe avuto modo di saperlo.”

“Chi te lo dice?” sospirò l'amica.

Lui non rispose.

Nessuno. Pensò, guardando in un punto non preciso nell'oscurità.

Prima che i pensieri di Blaze come spia lo convincessero, Shadow fu tirato fuori dalla sua concentrazione dalla voce calda della ragazza pipistrello:

“E com'era?” disse, con voce provocatoria.

“Mh?... Oh, è cresciuta, è diventata una bella ragazza.” disse cercando di sembrare più impassibile possibile davanti all'amica.

“Ah sì?” Rouge guardò il cielo “Mi piacerebbe vederla di nuovo, dopo tutto questo tempo.”

Poi si rivolse a Shadow:

“Come ti è sembrata?”

“Te l'ho detto... è cresciuta, ed è-”

“No, Shadow!” lo interruppe la bianca “Cosa pensi di lei?”

“...non capisco che intendi dire.”

“Oh, sì invece!”

Lui fissò il suolo: “Perché ti interessa? Non ti riguarda. Non penso a niente di lei.” mentì.

“Ok, Shadz.” rispose la ragazza “Adesso sono troppo stanca per discutere. Ne riparleremo domani. Ho bisogno delle mie otto ore di sonno per mantenere la mia bellezza.” disse, facendosi passare le dita tra i capelli.

Poi si rivolse al riccio nero con tono serio e piuttosto triste:

“Non farti coinvolgere troppo sentimentalmente, Shadow, o non sperare di venircene fuori.” detto questo, se ne andò al suo dormitorio.

Shadow non obiettò e non aggiunse altro. Lei aveva ragione.


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Capitolo 6
*** Cap VI Caso Amy Rose ***


~~In fretta e furia, le guardie spinsero le prigioniere fuori dal loro sonno e le caricarono di nuovo sui vagoni.
Blaze salì e si sedette nel suo angolino, nell'ombra e da sola.
Le altre ragazze arrivavano piano piano, e il vagone era ancora mezzo vuoto quando qualcuno si sedette vicino a lei.
Guardò chi le stava accanto e notò con sorpresa che era la ragazza che il giorno prima Shadow aveva schiaffeggiato.
La riccia dorata le diede una veloce occhiata timida, per poi abbassare lo sguardo, imbarazzata.
“Ehy” disse dolcemente, continuando a guardare il suolo con un triste sorrisino. Sembrava nervosa.
Blaze la guardò in silenzio. Non sapeva capiva perché quella ragazzina volesse parlarle. Passarono alcuni secondi prima che la gatta trovò qualcosa sa dire:
“Tutto bene?”
“S-sì.” rispose balbettando, anche se sembrava convinta della sua risposta.
“Sicura?”
“Sì...” e poi alzò lo sguardo per guardarsi velocemente in giro.
“S-sei... il riccio nero... sembra rispettarti...”
Blaze capì. La riccia voleva sentirsi protetta.
“E' per questo che sei qui vicino?”
Lei annuì.
Ho paura.” bisbigliò, con la voce che le tremava.
“Tranquilla,” la consolò la micia “Non ti picchierà più.”
La ragazzina annuì di nuovo.
“Annie, giusto?” chiese Blaze dopo qualche secondo.
“Sì. Tu?” chiese lei gentilmente, con la sua voce cristallina.
“Blaze.”
“Che bel nome!” gioì Annie.
La gatta lilla le fece un bel sorriso in risposta. Dopotutto, cercava di essere gentile con quella dolce e provata creatura.
Le ragazze erano salite tutte e il treno era ripartito.
Blaze doveva saper distrarsi dal riccio nero che controllava tutto il vagone. Così volle parlare un po' con la sua nuova compagna di sventura.
“Se posso chiedertelo, Annie... come ci sei finita qua?”
La riccia abbassò le orecchie. Blaze si rese conto che aveva rievocato memorie che l'amica cercava di tenere a bada.
“Mi spiace, lascia perdere se non te la senti-”
“No, va tutto bene!” rispose Annie, interrompendo la regina gatto.
“Mi hanno preso mentre tornavo a casa da scuola.” raccontò.
Blaze alzò un sopracciglio.
“Sei così giovane da andare ancora a scuola? Quanti anni hai?”
“17” ammise la riccia dorata “Molte hanno la mia stessa età, o sono addirittura più piccole.”
In quel momento, un'echidna bianca si mise seduta accanto a Annie. Blaze l'aveva riconosciuta.
“Piacere, Angel the Echidna.” si presentò la ragazza seria, freddamente, porgendo la mano alla gatta lilla. Sembrava frettolosa.
“Piacere, Blaze the Cat.” rispose lei allo stesso modo, ricambiando la stretta di mano.
L'echidna non fece la stessa cosa con la riccia, probabilmente perché si conoscevano già.
“Sta succedendo qualcosa di grosso.” disse Angel sottovoce, con fare grave.
“Davvero?” chiese Annie preoccupata. L'echidna bianca annuì. Sembrava non volersi far vedere troppo.
“Di che si tratta?” chiese Blaze, entrata anche lei nella discussione.
“Ci preleveranno per perquisirci e per farci delle domande. Si dice in giro il direttore sia fuori di sé: è convinto che tra noi ci sia un spia.”
Blaze s'irrigidì e si sentì gelare.
“Cosa?! Ma è impossibile!” piagnucolò Annie.
“Eppure è così. Quelli non scherzano, attenti a come agite o vi fanno fuori! Basta un sospetto per ritrovarvi con una pallottola nella testa! Vado a far passar parola.” disse, tutto d'un fiato, con tono preoccupato.
E poi cambiò aria, andando a fare quello che aveva promesso.
“Oddio. Oddio.” si agitò subito Annie.
“Calmati!” le ordinò la micia. Era preoccupata anche lei, ma non lo voleva dar a vedere. Almeno non a Annie, che si fidava di lei e la vedeva come un pilastro forte.
Ma calmare solo la riccia non era sufficiente, anche tutte le altre stavano scivolando nel panico.
“Non hai nulla da nascondere, Annie!” la consolò Blaze, quando vide che l'amica stava andando in iperventilazione “Devi solo stare calma!”
Anche Shadow aveva notato la situazione, ma non stava facendo niente.
Non incitava alla calma, né con le buone né con le cattive.
Era semplicemente lì che guardava l'agitazione delle ragazze, col suo sguardo non curante.
Le ragazze cominciarono presto a piagnucolare, piangere e cadere nel panico.
Blaze non capiva la loro reazione.
Sentì la mano di Angel sulla sua spalla.
“Aiutami Blaze, sei l'unica insieme a me che riesce a controllare la paura. Aiutami a calmarle!”
“Perché tutta questa agitazione?” chiese a voce alta la gatta, per farsi sentire dall'amica tra tutte quelle voci.
Angel impallidì.
“Non sai delle esecuzioni? Delle torture?...” chiese, con un filo di voce.
Blaze sgranò gli occhi.
“No...non ne sapevo niente.”
Angel prese un bel respiro.
“Ci sono tante cose che nessuno sa di questo traffico, per esempio che non è solo un commercio di schiavi...” spiegò, guardandosi attorno “Sono crudeli, Blaze, qualcuno li spedirà all'inferno!” disse, con la rabbia che le cresceva e che le alterava la voce.
Blaze stringeva i pugni.
“Qualcuno si farà male.” concluse.
“NO.” decretò decisa la gatta. “Non lo permetterò.”
E dopo questo, tutte e due cercarono di calmare la folla.

Ci avevano provato fino alla fine, ma ormai la voce stava mancando a tutte e due.
Angel e Blaze, con la gola secca, cercavano di urlare per riportare la calma.
“E'...inutile...” ansimò Angel. L'unica che le aveva ascoltate era Annie.
Due guardie arrivarono da dietro alle due ragazze e presero le braccia di Angel, uno per ogni parte.
“Cosa fate?” chiese la gatta, vedendo che la sua amica era stata presa.
“Abbiamo visto come sgattaiolavi in giro tra le altre ragazze. Cosa volevi fare, eh?” disse una guardia rivolta verso l'echidna bianca, che li guardava con occhi pieni di terrore.
Adesso quella nel panico era lei, e non riuscì a parlare perché la stavano strattonando fuori dal vagone.
“No! Non è come pensate!” gridò Blaze, inseguendoli a passo veloce “C'è stato un malinteso! Non potete fare questo! Lei non c'entra niente! Fermatevi!” iniziò a correre dietro a loro, i quali erano diventati stranamente molto veloci. Non sapeva cos'altro fare se non tentare di parlare. Blaze voleva bloccarli, anche se sapeva che avrebbe potuto mettere a rischio la sua missione. Li inseguì per i corridoi di legno, sgattaiolando tra le ragazze.
Stava per richiamarli come un Fermi! ma una porta si aprì quasi in faccia alla povera gatta.
Ne uscì un grande e grosso bulldog, che sembrava non avere un buon umore.
Blaze rimase immobile, fissando il cane irritata.
Lui non se ne accorse, altrimenti sarebbe andata diversamente.
Chiuse la porta sbattendola e guardando da tutt'altra parte, con occhi feroci, decisamente incazzato.
Se ne andò per il corridoio dalla parte opposta da dove Blaze veniva.
Voltato l'angolo, finalmente Blaze si poté muovere.
Era davanti alla porta e si guardò velocemente intorno. Non c'era nessuno. Aprì delicatamente la porta che poco prima era stata sbattuta. Non sapeva perché doveva cacciarsi nei guai così facilmente, ma sentiva che doveva essere una stanza importante, o che almeno l'avrebbe illuminata su alcune aspetti.
Entrò velocemente e richiuse subito.
Poi si voltò ad ammirare la stanza. Era piena di cartine geografiche e urbane, con i post-it attaccati qua e là da delle puntine.
Al centro della stanza, stava una grossa cattedra di ferro, piena di documenti disordinati.
Sopra la superficie grigia c'era anche un posacenere di vetro contenete cenere e resti di sigari.
Blaze esaminò le mappe.
Alcune sembravano vecchie cent'anni, altre profumavano di nuovo.
Ma sia vecchie che nuove avevano alcune strade tracciate di rosso da un pennarello.
Blaze cercò una mappa che poteva condurla alla strada che aveva e avrebbe fatto.
Cercò per un bel po' di tempo, perdendosi ad analizzare boschi, fiumi, laghi, città.
Alla fine riuscì a trovare una mappa che partiva dal porto in cui l'avevano rapita, e con il dito percorse la strada evidenziata finché non arrivò a un post-it dove c'era scritto 'arrivo' e sotto 'due settimane dalla partenza'.
Scostò leggermente il foglietto per leggere la meta:
New Mobius Big City.
Fece un breve calcolo: undici giorni all'arrivo.
Cercò delle cartine più grandi, dove diceva dove si trovava più precisamente quella città.
Ma NMBC sembrava sorgere nel nulla.
Blaze si passò una mano sul muso, per riprendersi dalla stanchezza che tutte quelle carte appese al muro le avevano fatto venire.
Poi, dopo un'ultima breve occhiata alle mappe, passò ai documenti sulla scrivania.
Erano dei file personali, a giudicare da com'erano strutturati.
La gatta prese il primo che le capitava, ovvero quello sopra la pila.
L'aprì ….. e immediatamente si sentì morire.
C'era una foto di Amy allegata!!
Era seria, con un vestito che ricordava le uniforme dei poliziotti in borghese.
I suoi capelli erano legati in una coda, a parte due ciocche, una le scendeva sulla guancia destra, l'altra su quella sinistra. I suoi occhi verdi non guardavano l'obiettivo.
Blaze si fece coraggio e iniziò a leggere; centrale e in alto, il nome AMY ROSE era scritto in maiuscolo e in grassetto.
E poi, immaginate, tutti gli effetti personali:

Età: 22 anni
Sesso: Femmina
Specie: Riccio
Lavoro: Investigatrice

Caratteristiche: rosa, occhi verdi
Punti di forza e attacco: forza fuori dalla media, attacca con un martello rosa.
Stato: PERICOLOSA

Blaze fu percorsa da brividi freddi e continuò a leggere:

Richiedere particolari attenzioni, sospetti confermati.
Indaga sul commercio a-001.
Quantità informazioni scoperte: ignota.
Avvistamenti: scoperta a spiare a Salt Mère, da allora tenuta sott'occhio.
Provvedimenti: momentaneamente, catturata.

Blaze sudò freddo. Avevano scoperto Amy, come temeva, e l'avevano catturata.
Merda, merda, merda.
Il fascicolo dell'amica continuava con foto di lei, foto di lei con amici, al lavoro, alcune con Sonic una anche con Cream...
Non solo, era stata anche spiata a lungo: c'era scritta la routine quotidiana, con tanto di annotazioni se era qualcosa al di fuori dell'ordinario. Avevano trovato l'indirizzo. Quei figli di bastardi.
Sperava che non avessero coinvolto anche la piccola Cream... che a pensarci bene, non doveva essere più tanto piccola.
Blaze provò con altri fascicoli; era tutta gente che non conosceva, ma avevano in comune di essere degli investigatori – privati e non- alcuni persino spie del governo. Tutti lavoravano su quel traffico di schiavi.
Non solo: tutti avevano un ELIMINATO sotto la foto profilo, fatta da uno stampino con l'inchiostro rosso.
Non ci voleva un genio per capirlo: li avevano uccisi tutti, un annientamento totale.
Tutti detective esperti, attrezzati, in gamba. Eppure tutti beccati, presi, eliminati prima di mandare all'aria il commercio illegale di schiavi. E Amy era una di loro.
Blaze si chiedeva inquieta quanto ci volesse prima che anche il fascicolo dell'amica fosse sigillato col marchio rosso.
In fondo, trovò anche Sonic, e ne rimase sorpresa. Si calmò solo quando notò che oltre al nome e alcune informazioni essenziali loro avevano niente. Nello stato c'era scritto semplicemente 'Fuori dalla faccenda, ma non si sa mai'.
La prudenza non è mai troppa.  Pensò ironicamente Blaze.
Per quanto cercasse, non trovò informazioni sulla posizione della riccia rosa.
Dannazione! Dove l'avranno messa!  Pensò ferocemente, frugando tra i cassetti della scrivania.
Forse Amy è ancora viva, e devo fare in fretta!

Sentì dei rumori provenienti fuori dalla porta. Si stavano avvicinando. Erano in due, stavano chiacchierando.
Mise tutto in un modo più ordinato possibile e cercò d'uscire di corsa, ma prima che potesse aprire la porta, il pomello girò.
Dall'altra parte della porta, chiunque fosse era troppo impegnato a parlare che fece tutto lentamente, dando il tempo a Blaze di nascondersi sotto la cattedra.
Rannicchiata e ben nascosta, la gatta poté sentire i passi dei due che entravano.
Uno chiacchierava con l'altro che invece lo ascoltava nel più completo silenzio.
La guardia che parlava era Joe. Blaze lo riconobbe dalla voce, era lo stesso che aveva presentato Shadow, anche se ovviamente non sapeva il suo nome.
“...E quindi amico” diceva la guardia al compare “Qui ci sono tutti i fascicoli di quei salami!” disse ridendo, battendo una mano sulla pila di documenti che Blaze poco prima aveva esaminato.
“Ci sono tutti! Dalla A di Amy Rose alla Z di...”
“Amy Rose?” Interruppe l'amico prendendo il fascicolo riguardante la riccia rosa.
Blaze riconobbe quella voce fredda e calma: Shadow.
“La conosci?” chiese leggermente stupido Joe.
“Sì.” ammise il riccio nero leggendo le informazioni “Ma sono anni che non la vedo. Non mi sarei mai aspettato che diventasse un'investigatrice.”
“E invece eccola!” esclamò la guardia, indicando bruscamente il fascicolo.
“Che ne è stato di lei?” chiese l'ex agente posando i documenti.
Joe ghignò: “E' stata catturata, come avrai appena letto...”
“E dov'è adesso?” chiese il riccio.
“E' stata su questo treno. Ma non so se in questo giro o in quello prima. Comunque non so molto, è solo quello che ho sentito dire in giro. Il capo non ci dice mai nulla nello specifico.” rispose serio l'amico.
Shadow si limitò ad annuire. “Perchè mi hai fatto venire qui?”
“Eh eh.” Joe gli consegnò un portadocumenti. Il riccio lo prese.
“Tieni. E' un fascicolo vuoto. Dovrai mettere tutte le informazioni possibili sulla spia, come noi abbiamo già fatto per gli altri. Piuttosto... come va con le ricerche?”
Per un attimo, Shadow non rispose. Aprì il fascicolo che era – come era stato previsto – vuoto.
“Le ricerche sono ancora in corso.”
Il compagno annuì lentamente.
“Sai,” si confidò quest'ultimo “avere una spia sul treno e non sapere chi sia mi manda in bestia! E' così brava che nessuno l'ha ancora scoperta! Chi sarà mai? Sospetti Shad?”
“Non chiamarmi Shad.” rispose il riccio, irritato. Aveva iniziato a esaminare un bel po' di fascicoli.
“Oh, scusa.” disse l'altro, non molto dispiaciuto.
“Perché ci sono tutti questi ELIMINATI ?”
Joe sorrise con cattiveria. “Significa che non daranno problemi. Mai più.”
Shadow annuì di nuovo, lentamente.
“Tutti quanti?”
“Sì! Tranne la riccia rosa... non so cosa aspettino, sinceramente.”
Un brivido freddo scese per la spina dorsale della gatta lilla, mentre guardava con odio la guardia.
“Sono un bel po'.” commentò ancora Shadow, facendo scorrere tutti i fascicoli.
“Che ci posso fare? Tutti ci tentano!” disse Joe, con un tono fiero.
“E...se i sospetti sono più di uno?”
“Bhè!” ridacchiò la guardia “Allora ti do un block notes e tanti sinceri auguri!”
“Mph!”
E entrambi uscirono.

Blaze uscì cautamente da sotto la cattedra.
E così...Amy è stata qua. E magari lo è ancora!  Pensò la gatta, semi-rincuorata.
Uscì furtivamente dalla stanza. Ora iniziava a capire...
Shadow lavora per loro per trovare questa “spia”. Mi chiedo se stiano cercando me... o qualcun'altra che si è infiltrata come ho fatto io.
La sua mente balzò all'improvviso su qualcun altro;
Angel!
La gatta corse verso il suo vagone, sperando che l'echidna bianca fosse ritornata.
Non la vide. Si diresse verso Annie, che era rannicchiata in un angolo che guardava preoccupata i dintorni. C'era molta meno gente di quando se ne era andata.
“Annie!” la chiamò la gatta “Che è successo?”
“Hanno preso alcune ragazze per interrogarle...” disse semplicemente la riccia, sempre preoccupata.
“Te no?”
Annie scosse la testa.
“Notizie di Angel?” chiese la micia.
Ancora una volta, la riccia dorata scosse la testa.
“Non è ancora tornata?!” si agitò Blaze.
“No. Pensavo che tu sapessi dove fosse. Ti ho visto andarle dietro...”
Blaze si calmò.
“...L'ho...persa di vista...”
“Non ti preoccupare!” la interruppe Annie, che aveva notato il disagio dell'amica, e l'abbracciò. Cercava di essere allegra e di rasserenare la micia.
“Va tuuuuuuutto bene!”  e le diede alcune pacche dolci sulla testa.
Questa ragazza è davvero tenera.  Pensò stupita Blaze.

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Capitolo 7
*** Cap VII Più di quello che pensi ***


N.B: I personaggi della storia appartengono tutti alla SEGA tranne Bunch, Joe, Rose, Angel e Annie.

Arrivò la notte e il treno finalmente si fermò di nuovo.

Tutte scesero e vennero fatte dormire in una villa abbandonata.

Blaze disprezzava quella scelta: era tutto legno marcio che sarebbe potuto cedere da un momento all'altro, ma non solo era pericoloso, ma anche freddo e poco igienico.

Le ragazze battevano i denti e dalle loro bocche uscivano nuvole di vapore.

Le guardie le rinchiusero tutte in un'enorme stanza e le fecero segno di sedersi.

Ancora una volta, Annie si sedette vicino vicino a Blaze.

Quel posto dava i brividi alla povera gatta; aveva l'impressione che il soffitto stesse per cadere da un momento all'altro, e ogni volta che si muoveva cigolavano le assi del pavimento.

Si guardava in giro, finché con la coda dell'occhio vide lei, Angel.

Si alzò e le andò a sedere vicino.

“Angel.” la chiamò, ma l'echidna non si mosse. Restò inanimata a fissare il pavimento, con gli occhi sgranati. Decisamente qualcosa non andava.

“Angel...” la voce della gatta si era addolcita. Era preoccupata per quello che le avevano fatto.

“Cosa ti è successo? Che ti hanno fatto?!”

Dopo infiniti secondi di nulla, l'echidna sospirò pesantemente.

“Mi fa male tutto...” disse con un filo di voce, cercando di sembrare non curante. E non disse altro per quella sera.

“Ok, riposa.” disse semplicemente Blaze, altamente preoccupata.

Annie le aveva raggiunte e si era rannicchiata insieme alle altre due.

Non c'era una sola luce: era tutto avvolto nel buio della notte.

Anche le altre ragazze si erano rannicchiate per dormire.

Blaze non ne aveva bisogno, dopotutto sul treno non c'era molto da fare e quindi sonnecchiava, come molte altre...

Poi qualcosa le fulminò nella testa:

Perché ci fermiamo ogni notte, se possiamo dormire sul treno?

Per rifornirsi? Non ce n'era bisogno, mangiavano a terra. Se mangiavano.

Se non si fermassero sempre, il viaggio durerebbe molto meno. Allora perché...?

Blaze si tirò fuori dai suoi pensieri. Tutte le ragazze sembravano dormire di già.

“Annie?” sussurrò Blaze.

“Mh?” rispose lei, destandosi.

“Mi fai un favore?”

La riccia sfregò gli occhi e sbadigliò.

“Che favore?”

“Resta con Angel, per favore...”

“Perché? Dove vai?” si allarmò lei.

“E' questo... devi dire che non sai dove sono. Non ci metterò molto...” detto questo, la fiera gatta si avvicinò alla malconcia finestra.

“E-e se ti beccano?” balbettò preoccupata la riccia.

“Impossibile. Fidati.” disse sbrigativa, e scavalcò la finestra.

Erano al primo piano, ma si sa che i gatti atterrano sempre in piedi e fortunatamente c'era anche un cespuglio che attutì la caduta.

Si alzò accertandosi che nessuno la vedesse, e si spolverò il vestito.

Voleva vederci chiaro in questa faccenda. Si ricordò delle parole di Angel:

Ci sono tante cose che nessuno sa di questo traffico, per esempio che non è solo un commercio di schiavi...

Furtivamente, Blaze percorse il perimetro della villa, che stranamente non era sorvegliato.

Dov'è la fregatura?

La casa sembrava quieta.

Ma Blaze sentiva rumori di risate e chiacchiere.

Senza troppo stupore, si accorse che venivano dai vagoni del treno.

Uno era spalancato, lasciando la forte luce gialla delle lanterne sprigionarsi nel blu scuro della notte.

Blaze volle avvicinarsi: si guardava intorno per assicurarsi di non essere scoperta, gli alberi i suoi unici scudi.

Arrivò al vagone. In giro non c'era un'anima viva.

Tendeva l'orecchio per sentire i suoni. Poi affacciò il muso.

Le guardie ridevano ubriache giocando a poker. In palio, soldi, gettoni e....diamanti.

E quelli da dove vengono? Pensò tra sé e sé Blaze, mentre guardava le pietre preziose che luccicavano cadendo e rotolando sul tavolo da gioco.

“Arghh! Non è possibile che abbia perso ancora!” si lamentò una guardia, buttando ferocemente le carte che gli erano rimaste in mano sulla superficie del tavolo.

Nel frattempo, chi aveva vinto si stava prendendo la sua ricompensa.

“Sai, la fortuna è cieca...” iniziò il vincitore ridendo, ma non finì la frase, perché dalle maniche uscirono una serie di assi.

Entrambe le espressioni furono inizialmente di sorpresa, poi quella del perdente divenne di rabbia e quella del vincitore di terrore.

“STAVI BARANDO!”

“Ecco io...” disse mentre si alzava di scatto per cercare di scappare.

“FIGLIO DI PUTTANA!” il compagno fu più veloce e gli saltò addosso, iniziando così una violenta e rumorosa rissa.

Rotolavano qua e là dandosi pugni e ribaltando il tavolo e tutto quello che c'era sopra. Ruppero anche la lanterna, e il suo suono dei vetri rotti si sentì in lontananza.

“Che succede?!” chiese sbraitando una voce lontana.

Merda. Pensò Blaze, prima di arrampicarsi in fretta e furia sul tetto del vagone.

Appiattita e nascosta dall'oscurità, attese che la terza guardia arrivasse e prendesse per le orecchie i due amici e li portasse via.

Imbecilli! Per poco quegli animali non mi facevano scoprire! Pensò furibonda Blaze tra sé e sé.

Strisciò sui vagoni finché trovò una finestrella, sul penultimo blocco. La aprì cauta e ci si infiltrò dentro.

L'odore di chiuso avvolse la gatta ed entrò nelle sue narici, dandole al momento il mal di testa.

Poi si concentrò sulla stanza: mai visti così tanti sacchi ammassati in un vagone!

Le ricordava la riserva di cibo quando lei, Marine e la sua ciurma avevano imbarcato i viveri sulla nave.

Marine...chissà come sta... pensò la gatta, mentre si inginocchiava per aprire un sacco.

Non sapeva perché, ma non credeva che ci fossero degli alimenti, lì dentro.

Ci cacciò la mano.

E non si sbagliava; senza troppa meraviglia, tirò su una manciata di diamanti e altre pietre preziose.

E scommetteva che anche tutti gli altri sacchi ne erano pieni.

Non c'era bisogno di investigare di più; sempre con i sensi all'erta, si avvicinò alla porta che l'avrebbe condotta all'ultimo, misterioso blocco.

L'aprì leggermente e subito un altro odore la invase... non era di chiuso, né di polvere.

Era... ferreo. Forte, e nauseabondo.

Si fermò di colpo.

L'aveva già sentito tante volte, ma al momento non le venne in mente niente... ma di sicuro non le piaceva. Era un odore che non associava a belle cose.

Poi si fece coraggio, e spalancò del tutto la porta.

Sussultò rumorosamente, portandosi istintivamente le mani alla bocca, giusto in tempo per soffocare quelle grida che altrimenti sarebbero uscite.


Una stanza delle torture.

Gabbie con spine lunghe e appuntite, tavolo da tortura e catene dappertutto.

Mazze chiodate, catane e bastoni erano appesi in ordine sulle pareti.

Gli occhi della gatta uscivano quasi dalle orbite, tremavano mentre si accorgeva che quell'odore che sentiva....

Era odore di sangue. Ce n'era parecchio per terra e sui tavoli di legno, dove legavano le vittime.

Blaze realizzò con orrore che venivano portate qua. Torturate come nella santa inquisizione.

Che schifo. Fu tutto quello che riuscì a pensare nei primi momenti.

Si teneva le mani al naso per l'odore, troppo pesante e intenso.

E' questo che Angel intendeva. pensò nuovamente Blaze, mentre si addentrava in quella stanza della morte dopo aver preso coraggio.

Commercio di schiavi, di pietre preziose e di torture. Avevano creato un piccolo inferno.

Ben attenta di evitare le pozze di sangue e il mal di testa che le stava venendo, la gatta si fermò davanti a una scrivania, assolutamente simile a quella dell'ufficio del bulldog.

Che ci fa un'altra scrivania qua?

Non era un posto adatto, proprio fuori luogo.

Blaze si chiedeva chi aveva il coraggio di sedersi lì a concentrarsi su qualsiasi cosa mentre le persone venivano torturate.

Avendo trovato informazioni importanti nell'altra cattedra, Blaze pensò che anche in questa ci sarebbero stati particolari interessanti.

Aprì i cassetti e tirò fuori una pila di fogli disordinati e svolazzanti.

La gatta lilla fece una smorfia mentre cercava di ordinare quel casino. Non sapeva neanche di cosa si trattasse, dato che non c'era neanche una cartella per contenerli.

Poi iniziò a leggere il primo foglio.

La sua pazienza era stata ricompensata: su quei documenti c'erano informazioni importanti riguardo ai diamanti.

Certo che c'era un motivo se si fermavano ogni notte! Il capo, che secondo gli scritti si chiamava “sig. B. Bulldog”, incontrava fornitori per gli scambi di diamanti e soldi.

Quindi quel cane che ho visto uscire è davvero il capo.... dev'essere lui! Pensò Blaze, quando notò il cognome 'Bulldog'.

Non diceva molto di più, né sulle persone che lo rifornivano né dove le pietre preziose dovevano finire.

Quando stava ancora pensando dove trovare altre informazioni, sentì delle porte sbattere violentemente, creando un fracasso per tutto il treno, aiutato da un forte eco.

E poi dei passi veloci, nervosi e pesanti, seguiti da altri più leggeri. Qualcuno si stava avvicinando...

No, ti prego, non di nuovo... pensò la povera gatta, guardandosi in giro.

Questa volta, sapeva che la cattedra non sarebbe stato un posto sicuro dove nascondersi.

Tuttavia non ce l'avrebbe fatta a scappare dall'unica porta, o dalle sottilissime finestrelle.

Decise allora che il posto più sicuro per lei era l'armadio degli “attrezzi”.

L'aprì e deglutì alla vista di tutte quei pericolosi aggeggi. Ma non aveva né scelta, né altro tempo da perdere, e ci si infilò. Richiuse le ante meglio che poté, ed aspettò nel più completo silenzio.


Quel qualcuno non tornò ad arrivare; ben presto Blaze non fu più sola.

Come aveva previsto, i passi pesanti appartenevano al grosso bulldog che la gatta aveva già avuto il dispiacere di intravedere.

Dire che era furioso era dire poco; la faccia incartocciata in un'espressione di pura rabbia, e gli occhi di quel nero pungente sembravano pronti a uccidere.

Incutevano così timore che Blaze non poté trattenere un brivido lungo la spina dorsale.

Non aveva mai avuto così tanta stizza di farsi beccare. Non sarebbe andata a finire bene, e il fatto di trovarsi in mezzo a quelle torture non aiutava.

Mentre si dirigeva verso la cattedra, Blaze vide che dietro di lui altri suoi sciacalli stavano entrando nella sala, spaventati a morte dell'umore del loro capo, e con passo tremolante.

Bunch si lasciò cadere con forza sulla sedia, come se volesse far ricordare ai suoi scagnozzi che era di pessimo umore. E funzionò. Qualcuno deglutì rumorosamente.

“C-capo...” parlò una guardia, balbettando “N-non si deve preoccupare troppo... c-c'è ancora tempo, g-giusto?”

Bunch lo guardò con sguardo omicida, quindi la guardia aggiunse in fretta: “S-sono certo che il Team Dark s-stia facendo del suo meglio...”

Il bulldog sbatté violentemente i pugni sulla superficie della scrivania, facendo sussultare tutti i suoi scagnozzi.

“LO SO! Ma non è abbastanza!” urlò, guardando i suoi dipendenti negli occhi.

“Ma non voglio che quell'intrusa venga anche a sapere del traffico di diamanti! Se lo scoprissero i miei soci d'affari, andrei in rovina! Nessuno vuol avere a che fare con qualcuno che è sotto controllo d'una spia!” detto questo, cercò di calmarsi, ma non ci riuscì.

“Dov'é finito lui?!” grugnì.

“Qui.” rispose la profonda e fredda voce di Shadow.

Le guardie si voltarono per vedere il nuovo arrivato che stava sulla soglia, e lasciarono uno spazio in mezzo a loro per far vedere al capo chi era arrivato.

“Shadow!” lo salutò lui, per nulla felice. Tuttavia, si poteva sentire tutto il suo rispetto.

Shadow fece un cenno con la testa, e avanzò verso di lui, sfruttando lo spazio che le guardie avevano creato.

Lo sguardo privo di qualsiasi emozione del riccio nero faceva venire i brividi persino a un Bunch arrabbiato, con il solo risultato di farlo calmar via.

Era qualcosa che quel bulldog non riusciva a sopportare, dato che non gli piaceva essere dominato, tanto meno da uno sguardo.

Ma scuoteva la testa per dissipare quei pensieri.

Shadow era arrivato davanti alla scrivania e teneva le braccia incrociate al petto, aspettando che il capo parlasse.

Ci fu un attimo di silenzio, prima che Bunch riprese la parola: “Allora Shadow... dimmi che hai novità.”

Il riccio annuì.

“Abbiamo ristretto il campo.” rispose calmo.

“E...?” chiese il cane, che stava sulle spine.

Questa volta, Shadow scosse la testa: “Rimangono ancora tre vagoni sospetti.”

Bunch rilasciò un sospiro stanco. Chiuse gli occhi e si portò una mano al viso.

Non si capiva se stava pensando a che fare o se era semplicemente stanco.

Non aveva più l'aria arrabbiata, solo una faccia sfinita.

La verità è che stava facendo sia l'una, che l'altra cosa.

Cosa faccio adesso? Pensava tra sé e sé, sconsolato.

Ho proprio bisogno di riposarmi, tutto questo stress mi sta uccidendo. Se solo Rose mi vedesse in questo stato, si spaventerebbe a morte per me... pensò di nuovo, facendo un sorrisetto triste, mentre ritornava coi ricordi su Rose, sua moglie. Ma lei non si sarebbe preoccupata per suo marito, dato che era morta da quasi dieci anni...

Era una cagnetta stupenda, una labrador dal pelo scuro, due occhi neri e penetranti e dai lineamenti dolci. Il suo vero nome era Eleonor, ma siccome portava sempre un fiore rosa tra i capelli, vicino all'orecchio, tutti la chiamavano col quel soprannome, quasi dimenticando il nome d'origine.

Non le è mai importato del fatto che Bunch fosse un burbero brontolone, lei vedeva solo il lato tenero di lui, sapeva che in realtà aveva un cuore d'oro, e presto si innamorarono. Lui era molto protettivo e geloso verso di lei, ma anche romantico (seppure nessuno se lo immaginerebbe a vederlo adesso) e a volte smielato.

Lei si preoccupava per lui, e accettava di buon grado tutte le sue attenzioni.

Avevano tutti e due gli stessi interessi: lo stesso tipo di musica, la stessa cucina, gli stessi posti...

Nonostante fuori sembrassero l'opposto, non potevano vivere uno senza l'altra, e ben presto si sposarono. Bunch ringraziava il cielo ogni singolo giorno per avergli dato quell'angelo di Rose.

Che nome è “Bunch”? Un nome grossolano e rude. Eleonor... la sua Rose... persino il suo nome era perfetto, incantevole.

Lui sapeva che lei poteva scegliere qualcuno migliore, qualcuno che lei meritasse, eppure scelse lui.

Se questo non è vero amore, cos'è allora?

Purtroppo, la loro fiaba di felicità e amore non durò a lungo.

Dopo un paio di anni, in un tragico incidente, Rose venne investita da un'auto e pochi giorni dopo, morì.

Tutto quello che il bulldog, all'epoca trentenne, aveva e adorava più d'ogni altra cosa le era stata portata via per sempre.

Lui non aveva famiglia, né amici, né nessuno che lo sapesse consolare. Solo lei.

Qualcosa in Bunch si spezzò, per irrevocabilmente non aggiustarsi più.

All'inizio tutto quello che seppe fare fu disperarsi, ma poi...

Bunch cambiò faccia. Completamente.

Divenne senza cuore, determinato e incline al lato oscuro.

Usò la sua intelligenza solo negli affari, i quali divennero sempre meno puliti.

Il cane acquistò furbizia, determinazione e abilità in quello che faceva.

Come se volesse consolare il vuoto che aveva con il successo.

Come se la sua vita precedente non fosse mai accaduta.

E neanche una decina di anni dopo, era diventato il più potente commerciante in nero.

E ne era anche fiero. Tuttavia, ogni volta che pensava alla sua cara Rose, qualcosa si affacciava nuovamente nella sua anima... era triste felicità, che poi si smaterializzava dalla testa di Bunch.

Ritornando a dove ci eravamo lasciati col racconto, Bunch sorrise debolmente all'idea di Rose, anche se nessuno notò. Poi si riprese e guardò Shadow negli occhi:

“Sospetti?”



Il riccio nero sapeva che questa domanda sarebbe arrivata, e aveva cercato di trovare almeno una risposta soddisfacente. Ma niente: dei minimi sospetti che aveva raccolto da un po' tutte le guardie, ma nessuno di quelli era davvero convincente.

Shadow non voleva dire di certo che sospettava della sua amica...

Ma che poteva dire? Di certo non fare scena muta.

Così scosse la testa: “Spiacente, niente di importante.”

Bunch si scurì in volto: “Niente niente?”

“Come le ho già detto,” rispose il riccio “Rimangono ancora tre vagoni da analizzare.”

“Quali?”

“I numeri 3,4 e il 2 è da riguardare.”

“Mhh...” Bunch sembrò pensare a qualcosa, e infine chiese con un ghigno a una sua guardia:

“E voi? Cosa avete scoperto oggi?” e accennò con la testa alla parte della sala piene di torture.

Questa, riacquistando un sorriso cattivo, rispose: “Tutte hanno giurato sulla loro vita che non ne sapevano niente...” il sorrisetto scomparve.

“Vada avanti...” parlò il bulldog, che aveva capito che qualcosa non andava.

“...Ne abbiamo perse due, capo...”

Per un secondo ci fu un silenzio di tomba.

Poi Bunch sbatté di nuovo i pugni sul tavolo.

“COSA DIAMINE VI AVEVO DETTO!?” urlò furioso “Dovevate andarci piano!!”

“Ci dispiace!” si affrettò la guardia spaventata “Non succederà mai più!”

“Esatto! Altrimenti sarà la fine per voi!! E ORA FUORI!”

Le guardie uscirono tutte di corsa. Anche Shadow si stava per girare e andarsene, ma Bunch lo fermò: “Lei resti, Shadow the Hedgehog.”

Il riccio, sentendo quella frase, rimase immobile, a guardare in faccia il suo nuovo capo.

Era una cosa che odiava, riavere un capo. Dopo il Comandante, non aveva più voluto avere nessuno al di sopra di lui.

Gli ricordava quando doveva dare i rapporti, rispondere agli ordini, andare in missioni...ubbidire e basta...

Tuttavia qualcosa era diverso, ma Shadow non capiva bene cosa...

Quando tutte le guardie furono fuori e la porta si chiuse, il bulldog sospirò pesantemente.

“Scusa se ho urlato,” iniziò “Ma quegli idioti rischiano sempre di mandarmi in rovina. Non posso permettermi di perdere neanche una di quelle ragazze. Tanto meno...” e qui si fermò un attimo, titubante su quello che voleva dire.

Ma Shadow comprese, e finì la frase per lui: “...tanto meno i diamanti?”

Il riccio nero notò che il cane lo stava guardando con un'occhiata interrogata, e gli spiegò:

“L'ho sentito in giro, signor Bunch. Le sue guardie hanno delle bocche più grande di un cratere vulcanico, e il peggio è che non sono mai chiuse. Capisco perché non si fida tanto di loro. Ma lei doveva dirmelo, e prima. Se mi vuole come collaboratore, non ci devono più essere particolari all'oscuro, e che poi sono costretto a trovare.” la sua voce era scura e severa. Lo stava ammonendo.

Bunch rimase allibito e per un po' anche senza parole. Gli tremarono le mani.

Dopo un po', iniziò a parlare di nuovo, a voce bassa:

“Capisco. E mi scusi. Quindi le dovrei dire anche...”

“...della cocaina? Già.” rispose stoico il riccio.

Bunch si morse il labbro. Il commercio di diamanti doveva rimanere tremendamente segreto.

E inoltre, Shadow ora sapeva della droga, che invece era sconosciuto a metà dei suoi scagnozzi, e al mondo.

Come diamine avrà fatto... pensava il cagnaccio. Ma poi si ricordò che chi gli stava davanti era un ex agente ritenuto perfetto, e che la sua collaboratrice era una ex spia coi fiocchi.

“Ok Shadow,” disse alla fine “Hai ragione, non so proprio come ho potuto sperare di farla franca a te. Domani alle nove in punto nel mio ufficio principale, e le dirò tutto, promesso!”

Shadow annuì soddisfatto, anche se non lo dava a vedere. Si congedò e alzò i tacchi.

Bunch rimase sulla sua sedia ancora per qualche minuto, terribilmente stanco.

Poi si alzò, spense la luce e uscì.

Andò verso la sua stanza e si cambiò. Si mise a letto, ma non si addormentò subito; restò disteso a guardare il soffitto, mentre le dita giocavano con due oggetti attaccati alla collanina che portava al collo.

Quei due oggetti erano due anelli d'oro. Ma non due anelli qualsiasi.

Il suo e quello della sua amata quando si sposarono.

Nel dormiveglia, a lui pareva di vederla:

bellissima, su un prato verde e selvaggio, intenta a fare una ghirlanda di margherite.

La luce del sole brillava nei suoi occhioni dolci, mentre la brezza leggera muoveva i suoi capelli, il suo vestitino verde, e il suo fiore rosa dietro l'orecchio...

Cosa più bella, lei si voltava verso di lui e gli sorrideva...

E poi lui si addormentava del tutto.

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Capitolo 8
*** Cap VIII Ci sarò per te ***


Blaze fu svegliata bruscamente.

Si alzò riluttante dal pavimento su cui aveva dormito quella notte, mentre alcune guardie facevano pressione dicendo di sbrigarsi.

Una volta sul treno, la gatta ripensò a quello che aveva scoperto la sera prima.


Stretta stretta nell'armadio, cercando di tener il fiato basso, Blaze cercava di assimilare tutte le informazioni che le arrivavano all'orecchio.

“Allora Shadow... dimmi che hai novità.”

Era Bunch che parlava. Il riccio annuì.

“Abbiamo ristretto il campo.” rispose calmo.

“E...?” chiese il cane, che stava sulle spine.

Shadow scosse la testa: “Rimangono ancora tre vagoni sospetti.”

Il bulldog rilasciò un pesante sospiro, lasciandosi andare sulla sedia per un po'.

“Sospetti?”

Shadow scosse la testa: “Spiacente, niente di importante.”

Bunch si scurì in volto: “Niente niente?”

“Come le ho già detto,” rispose il riccio “Rimangono ancora tre vagoni da analizzare.”

“Quali?”

“I numeri 3,4 e il 2 è da riguardare.”

Blaze inarcò le sopracciglia: il suo vagone, il numero 2, doveva essere...riguardato?

Dedusse che il problema rimaneva: non erano ancora al sicuro, lei non era ancora al sicuro.

Poi un dubbio la colpì come un fulmine: il suo amico riccio sospettava di lei?

Oddio.

Forse non era stata abbastanza convincente.

Dopo c'avrebbe pensato, e anche molto bene; doveva in qualche modo ottenere la fiducia di Shadow.

Si ridestò dai suoi pensieri quando una guardia disse, con un sorriso beffardo:

“Tutte hanno giurato sulla loro vita che non ne sapevano niente...” il sorrisetto scomparve.

Blaze lo guardava con odio, le fiamme premevano di uscire a ogni parola che usciva dalla bocca della guardia arrogante e che tintinnava nell'orecchia della gatta. Poi rimase stupita del cambiamento.

“Vada avanti...” parlò il bulldog.

“...Ne abbiamo perse due, capo...”

Gli occhi della regina sgranarono mentre apprendeva la crudeltà che era successa, premendo poi istintivamente la mano sulla bocca.

Per un secondo ci fu un silenzio di tomba.

Poi Bunch sbatté di nuovo i pugni sul tavolo facendo saltare in aria tutti, la gatta lilla compresa.

“COSA DIAMINE VI AVEVO DETTO!?” urlò furioso “Dovevate andarci piano!!”

La guardia mormorò spaventata qualche magra scusa, e in risposta ricevette una velata minaccia di morte.

Bunch fece poi uscire tutti eccetto Shadow.

Blaze si chiedeva quando sarebbe finito quello strazio; era stanca, agitata e come se non bastasse una mazza chiodata le stava premendo intensamente sulla schiena, rendendo il tutto più doloroso.

Però non era spaventata. In queste situazioni, lei è sempre stata l'ultima che perdeva la calma (se la perdeva).

Per qualche strano motivo, sentiva di essere sicura vicina alla presenza del riccio nero, anche se stava con loro nel loro fottuto traffico.

Tuttavia, quando finalmente vide Shadow andarsene, si sentì come se il peggio di quella serata stesse per finire.

Ora rimaneva solo il bulldog, e dalle occhiaie che Blaze vedeva sotto agli occhietti neri era sicura che se ne sarebbe andato anche lui.

Tuttavia Bunch rimase lì ancora un po', a riposarsi sulla sedia, a pensare a chissà che cosa.

Blaze si meravigliò del lato vulnerabile del cane; era forte, potente, spaventoso, crudele, 'cattivo'... ma adesso che la gatta lo vedeva da solo, non sembrava niente di quello che si diceva in giro: non sembrava più un demone in terra, ma un essere stanco morto, una persona normale con un'anima, umano.

Non era solito a Blaze di riuscire a capire una persona, a comprenderla e a riuscire a guardarla in fondo.

Tuttavia, poteva dire che Bunch non era solo un assassino, ma aveva anche lui delle emozioni.

Non solo alcune emozioni, ma tutte: Blaze riuscì a immaginarselo piangere, ridere, scherzare ma anche essere una persona comprensibile, il migliore amico, il miglio compagno...e saper amare.

Aveva amato. Non capiva come, ma Blaze sapeva che aveva amato ed era stato amato.

Aveva sofferto. Non capiva cosa era successo di così grave, ma Blaze sapeva che qualcosa di spaventoso era capitato.

Bunch era probabilmente una bellissima persona...

ma la gatta non finì di pensare, che il bulldog si alzò e uscì dalla stanza spegnendo la luce.

Quando la gatta piro-cinetica non sentì più i suoi passi, decide di uscire dal suo nascondiglio, e grazie allo stesso tragitto era ritornata nei dormitori.


Blaze non era soddisfatta di quella scampagnata.

Cosa aveva scoperto?! Che trafficavano diamanti e droga.

Cosa vuoi che sia?! A lei non interessava: non sapeva dove era Amy, che era l'unico motivo di tutto quello spionaggio, l'unico motivo di tutti quei giorni nel commercio di schiavi, l'unico motivo per cui aveva sospeso tutto e se ne era andata dal suo Regno. L'unico motivo di TUTTO.

Cosa le interessava di quel commercio in più!? Nulla.

Aveva rischiato la pelle quella notte per niente!

Il solo pensiero che ritornava e ritornava nella sua mente la rendeva sempre più frustrata.

Si guardava intorno e osservava la vagonata di ragazze che affollavano il treno.

Poco più lontano, vide Joe che sembrava nei guai, mentre un'altra guardia dalla faccia alterata dalla rabbia gli urlava dietro tutti gli insulti immaginabili, mentre Shadow alla sua destra guardava Joe come se fosse il più gran idiota di questo mondo.

“Tu. Sei. UN COGLIONE!!” gli urlava la guardia.

Joe cercava di scusarsi, ma ecco che il tipo ritornava all'attacco:

“Cosa ti ha detto il capo?! Come credi di fare adesso?! COSA TI E' SALTATO IN MENTE DI MESCOLARE LE PRIGIONIERE!??”

Blaze rizzò le orecchie. Mescolare le prigioniere?

“Io pensavo che...” iniziò Joe, sudando freddo.

“Il capo ha detto che per questo giro NON bisognava assolutamente mescolare! Come pensi che si possa fare, se le prigioniere di questo vagone sono sparse per gli altri 4?! MH?!”

Joe agitava nervosamente le mani.

La guardia stava per dirgli qualcos'altro, quando Shadow gli posò una mano sulla spalla, facendolo voltare verso di sé.

“Non preoccuparti,” gli disse il riccio nero “So chi sono i sospetti e li tengo d'occhio.”

“Ah sì?” chiese incredula la guardia “E come?”

“Ho i miei metodi.” e con la coda dell'occhio catturò lo sguardo di Blaze.

Brividi di freddo passarono la schiena della micia. Non c'erano più dubbi.

Sì, lui sospettava assolutamente di lei.

Poi Shadow tornò concentrato sul suo interlocutore: “Non ci saranno problemi.”

“Lo spero, signor Shadow!” mugugnò la guardia, ancora mezza arrabbiata dalla chiacchierata, e se ne andò.

Il riccio guardò Joe con fare serio, uno di quegli sguardi che dicono -devi stare più attento-.

L'amico teneva lo sguardo a terra, mezzo vergognato.

“La prossima volta non devi fare errori” sussurrò Shadow, e Blaze sentì “Non posso sempre tirarti fuori dai guai.”

Finalmente Joe ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi, e annuì.

“Grazie Shadow. E tranquillo, non ci sarà una prossima volta.” disse, con gratitudine sincera, e se ne andò anche lui.

Blaze seguì i movimenti del ragazzo finché non fu uscito e poi guardò Shadow.

Fu molto sorpresa nel vedere che lui la stava guardando, con sguardo penetrante, e i loro occhi si incontrarono. Non riuscì a trattenere un brivido di freddo.

Lui sembrava pensieroso e anche... un po' confuso? Ma a Blaze non interessava saperlo, e ruppe il contatto visivo.

Certo che oltre alle ragazze potevano mescolare anche le guardie... pensò, e poi gelò in realizzazione.

Annie!?

Angel!?

O mio...


Blaze passò almeno due ore in silenzio. Guardava il vuoto, inerme.

Ma dentro di sé c'era una gran confusione, un macello di idee.

I pensieri di Amy si mescolavano ai pensieri di Shadow, la paura di una fine brutale sia sua sia dell'amica rosa si mischiava alla preoccupazione verso il suo Regno, lasciato incustodito.

Certo, sapeva che non poteva succedere niente, ma l'ansia che aveva sempre avuto nel custodire il suo prezioso mondo continuava a tormentarla negli anni, essendone la guardiana non poteva mai essere tranquilla al 100%.

Mentre si stava preoccupano di dove fossero Annie e Angel e come stessero, il riccio nero e rosso si sedette accanto a lei, facendola destare dai suoi pensieri.

Con la coda dell'occhio esaminò il suo compare; lui guardava dritto davanti a sé, fiero e potente, come se si fosse seduto lì solo per caso.

Anche se Blaze naturalmente sapeva che non era un caso.

Voleva farle qualche altra domanda? Il ricordo di qualche sera prima ritornò nella mente della gatta, la memoria della promessa del riccio che diceva “Non abbiamo ancora finito. Non mi hai detto tutto.”. Era lì per risposte?

O voleva solo parlarle?

“Blaze.” cominciò lui, continuando a guardare avanti.

“Mh?” fece la gatta, anche lei cercando di non incontrare il suo sguardo.

“Come stai?” chiese leggermente preoccupato con la sua voce bassa.

Lei non resistette e lo guardò confusa: “Come scusa?”

“Stai bene?” ripeté lui, questa volta incontrando il suo sguardo.

“Sì... perché me lo chiedi?” e riabbassò lo sguardo, trovando molto più interessante il pavimento legnoso che la loro conversazione.

“So che ieri è stata una giornata d'inferno... volevo controllare che tu stessi bene.”

Blaze lasciò un Mph! .

“E anche se stessi male, cosa potresti fare?” gli chiese in tono di sfida.

“Starti accanto e proteggerti.”

Queste parole presero di sprovvista la micia lilla, e i suoi occhi dorati si trovarono a guardare Shadow in totale sbalordimento.

Lei si aspettava una risposta come un grugnito o un 'non lo so', invece le ha risposto che l'avrebbe protetta.

Lui teneva d'occhio il vagone tranquillamente, come se non si accorgesse dell'espressione dell'amica.

“C-come scusa?”

“E' la seconda volta in una conversazione che mi chiedi 'Come scusa?'. Il tuo udito ti sta lasciando o devi pulirti le orecchie?” rispose acido lui. Certo, non avrebbe voluto rispondere così, avrebbe preferito dirle che se voleva lui era lì per lei, che l'avrebbe aiutata, consolata, protetta e l'avrebbe anche abbracciata, per sollevarle il morale.

E invece la sua bocca aveva obbedito alla sua parte burbera e scontrosa.

Tuttavia, Blaze non rimase offesa. Anzi, ignorò completamente il suo commento.

“Tu mi sorprendi.”

Questa volta, fu lui che guardò confuso lei.

“Ti... sorprendo? E questo cosa vorrebbe dire?”

“Tu sei l'ultima persona da cui mi aspettavo una frase del genere. Tu sei l'ultima persona da cui mi aspettavo protezione di sua spontanea volontà.” rispose lei, calma, guardandolo negli occhi.

Quelle iridi rosse le facevano venire la pelle d'oca, ma alla stesso tempo le piacevano.

Rosse come il suo fuoco, rosse come il sangue.

Lui la guardava senza parole.

“E un'ultima cosa” riprese lei “Non ho bisogno di protezione, Shadow the Hedgehog.” concluse solennemente.

E così rimasero a guardarsi negli occhi. Dei sorrisi si fecero strada sui loro volti.

E poi accadde.

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Capitolo 9
*** Cap IX Attentato al treno ***


Il treno tremò sotto i due ragazzi, i quali si guardarono in giro confusi e preoccupati.

Le ragazze strillarono dalla paura.

“CHE SUCCEDE!?” urlò Shadow, alzandosi di scatto.

“C'è un guasto al treno!” rispose urlando una guardia “E non riusciamo a fermarlo!”

“Perché dobbiamo fermarlo!?”

“IL CAZZO DI PONTE E' CROLLATO!” strillò un'altra guardia completamente presa dal panico.

Impallidirono tutti.

“Se non ci fermiamo cadiamo nel burrone!” riprese la guardia di prima.

Shadow scattò via dal vagone numero 2 come una freccia.

“State calme!” urlava la guardia alla prigioniere, cercando di tenere il tono più rassicurante possibile.

In un momento di distrazione di quest'ultimo, Blaze sgattaiolò dietro alla guardia e si gettò all'inseguimento del riccio nero.

L'aveva perso di vista, ma a furia di correre lo trovò: stava aprendo il portone scorrevole del vagone delle munizioni. Il treno era in pieno movimento.

Quando Shadow aprì completamente la porta, l'aria lo investì in pieno facendo agitare le sue spine e scompigliandole più di come erano già.

La pelliccia bianca sul suo petto si muoveva disordinatamente quando lui si espose pericolosamente per guardare le rotaie davanti al treno.

Blaze lo raggiunse e lo chiamò: “Shadow!”

E poi si espose anche lei; la sua pelliccia si arruffava e i capelli si muovevano in direzione opposta al senso di marcia. Il vento le passava tra la pelle e negli occhi, rendendo fastidioso il suo tentativo di tener aperte le palpebre.

E poi riuscì a vedere il problema, L'ENORME problema: il treno andava a tutta velocità verso un ponte a cui mancavano alcuni pezzi.... quel ponte era distrutto.

Mentre Blaze pensava frustrata che niente va mai come dovrebbe andare, Shadow finalmente si accorse di lei.

“Blaze!” la chiamò ad alta voce, in modo che sentisse nonostante l'attrito dell'aria “Il treno non riuscirà a fermarsi in tempo! Quando scendo, sgancia il vagone!”

“Dove vai?!” chiese lei allo stesso modo.

“Vedo se riesco a cambiare rotta la treno!”

Blaze allora guardò meglio: prima del ponte c'era una piccola leva.

Si accorse che c'era una rotaia secondaria che svoltava a sinistra, giusto prima del burrone.

“Vengo con te!” disse, prima che Shadow potesse saltare giù dal treno.

“Cosa?! Non se ne parla nemmeno!”

“Il tempo stringe Shadow!” gli rispose con rimprovero e impazienza.

“Ti posso aiutare!” aggiunse supplichevole.

Vedendosi con le spalle al muro, l'ex agente annuì brevemente.

“Ok, ma non fare scherzi!” disse a mezza voce, e saltò giù dal treno, seguito a ruota dalla gatta.

Entrambi a massima velocità, superarono quella del treno e arrivarono alla leva.

Il riccio la tirò verso al basso con tutta la forza che aveva; per un pezzo andò giù, ma poi si bloccò a metà.

Ovviamente grugnì quando realizzò che era tutta piena di ruggine. Tuttavia non demordette, e continuò a tirarla in giù,facendo progressi solo di qualche millimetro.

Sarebbe stata la fine per quelle ragazze, pensava Blaze non a torto, ma si sentiva impotente.

Lei, la più potente e forte regina mai esistita... si sentiva impotente.

Guardava con orrore i tentativi dell'amico nero e rosso, e poi la rotaia.

Un'idea pericolosa le arrivò in mente come un flash, e (nonostante non fosse da lei) si lanciò sulle rotaie.

Sapeva dove l'ingranaggio era collegato, e la sua idea poteva salvarli tutti o ucciderli tutti:

visto che la leva non funzionava, avrebbe spostato la rotta a mano.

Blaze iniziò a spingere verso le rotaie secondarie con tutte le sue forze il paio di lastre di ferro, che poi sarebbero state l'inizio della nuova strada.

Essendo una donna forte, riuscì a fare progressi.

Ma era comunque troppo lenta.

Così Shadow, dopo essersi arreso con la leva, si mise accanto alla micia e l'aiutò.

Grazie al suo aiuto, raddoppiarono il lavoro.

Ma il treno si avvicinava sempre di più, ed era troppo vicino...

Blaze continuava come se niente fosse, iniziando a sudare.

Shadow, tuttavia, si accorse della vicinanza del treno...

“Blaze...” il riccio nero cercò di avvertirla.

Lei lo ignorò. Il treno fischiò come se volesse ricordare che stava arrivando.

“Blaze!” non c'era modo di farcela e si alzò per allontanarsi a distanza di sicurezza.

Tuttavia la gatta continuò a spingere, senza accorgersi né del treno né dell'amico che si era allontanato.

Lui pensava che l'avesse visto e si fosse alzata insieme a lui, ma quando non avvertì la sua calda presenza si girò per vederla ancora lì a provarci.

Ormai mancavano pochi metri, ma la micia aveva le sue ragioni: mollare e far cadere il treno, e far morire tutte le povere ragazze all'interno? Annie, Angel, la giovane madre?

Tanti corpi senza vita sfracellati nelle macerie del treno, in fondo alla gola di qualche burrone; non era quello il panorama che voleva vedere.

Lei poteva aiutare, se avrebbe lascito andare non se lo sarebbe mai perdonata.

Ci avrebbe provato a costo della vita.

Non avrebbe ceduto così facilmente, senza contare che Amy... Dio, dov'era Amy?

Doveva proteggere chi amava di più, doveva arrivare alla riccia rosa, doveva andare avanti in quel modo.

Dopo un'improvvisa immagine della giovane Annie morta, piena di sangue, che giaceva inerme inabile di mostrare ancora quei due occhioni azzurri e quel bel sorriso, Blaze si sentì spingere dentro dalla rabbia.

“BLAZE!” chiamò Shadow con gli occhi fuori dalle orbite, quando vide che il treno stava praticamente per investirla.

Click.

Con una disperata spinta, il collegamento era fatto.

La locomotiva passò a pochi centimetri da Blaze, ma non passò dritto addosso alla micia; girò a sinistra.

Ce l'aveva fatta.

Era il pensiero che passava nella testa della regina, mentre orgogliosa ansimava dallo sforzo, in ginocchio sulle rotaie.

La pelliccia lilla si muoveva freneticamente grazie alla folata d'aria creata dal treno.

Poche, pochissime volte la sua testardaggine l'aveva aiutata nelle sue imprese.

E grazie al cielo questa era una di quelle volte.

All'improvviso si sentì stringere sullo stomaco; era Shadow, che aveva avvolto un braccio attorno alla sua vita, sollevandola da terra.

Con il braccio libero aveva afferrato al volo la maniglia di uno degli ultimi vagoni, rimanendoci aggrappato insieme all'amica gatta, e allontanandosi in fretta dal burrone.



Quella sera fu festa grande.

Risate, schioppi di tappi di bottiglia e grida vittoriose caratterizzarono il casino negli alloggi delle guardie. E indovinate chi era al centro dell'attenzione? Esatto, Shadow.

Tutti gli davano pacche sulle spalle e si complimentavano con lui, elogiando la sua forza e il suo coraggio.

Lui ne era ovviamente annoiato, ma dato che il capo aveva tanto insistito, non poteva semplicemente abbandonare la serata di punto in bianco.

Sapeva poi che il merito non era affatto solo suo...

“Ma chi è quella che è venuta con te?” chiedevano di tanto in tanto alcune guardie, quelle più curiose e entrate in confidenza grazie all'alcol.

Lui non rispondeva, si limitava a far finta che una domanda del genere non gli fosse mai stata chiesta.

Dopo l'ennesima domanda sull'amica gatta, la pazienza già corta del riccio finì.

“Cosa diamine te ne importa?!” sbraitò l'ex agente in faccia al malcapitato che aveva posto la domanda.

“Cosa me ne importa?!” rispose al posto suo un altro, ridendo “E' una bomba sexy quella tipa!”

“Già cazzo!” si intrometteva un altro “ Ci andrebbero tutti a letto con una così!”

“Non dirmi che non la guardavi anche tu in quel modo!”

“Almeno te la sei fatta?!”

A sentir parlare in quel modo di Blaze, Shadow guardò l'intera comitiva con sguardo omicida, strinse i pugni e le sue nocche sporsero pericolosamente.

Come si permettevano quei rozzi, ignoranti stronzi che puzzavano di alcol trattare in quel modo una rispettabilissima principessa, come si permettevano quei cafoni con l'ignoranza di un contadino del '700 parlare in quel modo alle spalle di una donna fantastica come lei!?

No.” rispose tra i denti dalla rabbia.

Joe stava in un angolo dall'inizio della festicciola, con una bottiglia in mano.

Non aveva parlato per tutto il tempo - cosa non solita da lui - e si era limitato a scolare una bottiglia di vodka tutto da solo.

Sembrava molto giù, ed era rimasto apatico tutto il tempo.

Tuttavia, nel sentire la voce omicida dell'amico, alzò lo sguardo da terra e lo guardò altamente spaventato; ormai riconosceva il tono del riccio quando qualcuno andava troppo oltre.

Ma gli altri o non se ne accorsero o erano troppo stupidi, e quello che aveva chiesto se almeno se la fosse fatta aggiunse, ridendo: “Allora me la faccio io!”

Gli altri risero alla battuta inesistente del compare. Tranne Joe.

E naturalmente tranne Shadow.

Quest'ultimo prese inavvertitamente il collo della guardia che quella sera piaceva tanto scherzare e che non sapeva che stava giocando col fuoco...

Questo gesto intimidatorio fece cessare d'improvviso tutti i rumori nella stanza, e tutti gli occhi erano puntati verso i due; alcuni erano incuriositi, altri sentivano il profumo di una rissa in cui non volevano immischiarsi, altri ancora erano impauriti.

La guardia, sospesa nell'aria, respirava a fatica sotto la stretta presa di Shadow.

Il riccio nero con furia cieca lo minacciò, tra i denti:

“Tu. Non la devi. TOCCARE!” lo squassò con violenza avanti e indietro mentre continuava a parlare: “HAI CAPITO?!”

Smise di squassarlo e lo guardò dritto negli occhi, per incidere meglio il messaggio.

Poi lo mollò di scatto, non curandosi della sua pesante caduta.

La guardia cadde faccia a terra, poi si tirò su lentamente ansimando e tossendo.

Rimase curvo sulle sue ginocchia, ancora troppo debole per alzarsi in piedi.

Shadow squadrò il resto della gang:

E questo vale per tutti voi!!” gridò minacciando “Guai a voi se fate i porci con lei!!

Accortosi poi che aveva sclerato davanti a tutti, decise che era ora di andarsene.

Anzi, che la festa era finita per tutti.

Era ora di mettere a nanna quei cattivi bambini tutti ubriachi.

Si diresse verso le due prigioniere che quella sera erano state costrette a venire - una per cantare, l'altra per suonare uno strumento a fiato, giusto per animare la festa – e disse con voce più calma e tranquilla possibile: “Tornatevene ai vostri dormitori. Ora!”

Con un cenno del capo, tutte e due corsero fuori, mezze spaventate dalle azioni e dalle urla del riccio.

Poi quest'ultimo si voltò verso i colleghi:

“Grazie della festa” disse con noncuranza “Ma ora è finita! Domani dobbiamo lavorare e voi dovete far passare questa sbronza! A dormire!” finì la frase, come se stesse parlando a dei bambini.

E proprio come i bambini che vogliono rimanere alzati fino a tardi nonostante il giorno dopo ci sia scuola, le guardie mugugnarono contrarie, per poi trascinarsi assonnate verso i loro dormitori.

Shadow rimase a guardare affinché tutti se ne fossero andati, e poi uscì dalla stanza.

Chiusa la porta, si voltò per trovarsi dietro Bunch, il suo capo, che lo fissava con una mano nella tasca dei pantaloni blu e con un sigaro nell'altra. Sembrava un boss mafioso, con quella suit.

“Capo.” salutò Shadow con rispetto, facendo un cenno al bulldog, e stando attento a guardarlo negli occhi.

“Shadow.” salutò Bunch nello stesso modo.

Rimasero immobili a fissarsi nelle orbite per qualche secondo, nel completo silenzio.

Sembrava che Bunch volesse dirgli qualcosa, e più passava il tempo, più Shadow diventava impaziente e nervoso.

Prima di chiedere qualsiasi cosa, il cane parlò: “Nel mio ufficio.” e si girò per andarsene.

Il riccio fu colto alla sprovvista: “Cos-”

“Nel mio ufficio, Shadow the Hedgehog, ora!” ordinò il suo boss, tranquillamente, con quella sua aria di importanza.

“Sì capo.” rispose il riccio a mezza voce, e lo seguì nel suo ufficio.

---

Nota autore: Hello people!

Volevo solo scusarmi per la cattiva descrizione delle rotaie, quando Blaze cerca di spostarle a mano. Chiedo scusa se non è chiaro, l'importante è che avete capito che ha fatto questo collegamento per far andare il treno su un'altra corsia. Mi dispiace ancora, ma non vivo in stazione quindi ho divuto lavorare di fantasia/immaginazione/intuizione. Spero comunque che vi sia piaciuto.

Ah, vi consiglio di tenere a mente le due prigioniere della feste, dopo le andremo a conoscere bene.

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Capitolo 10
*** Cap X Protezione ***


Bunch si abbandonò sulla sua sedia, dietro alla cattedra di ferro.

Era lo stesso ufficio dove Blaze aveva trovato le prime informazioni su Amy.

Shadow aveva di certo riconosciuto la stanza; tutte quelle carte e quei documenti non si trovavano da nessun'altra parte.

Il suo capo era di certo un tipo a cui piaceva avere sotto controllo ogni cosa.

“Venga avanti Shadow.” gli ordinò Bunch, facendo un cenno con la mano.

Il riccio si accorse che era giusto poco più avanti dalla soglia della porta, quindi avanzò finché non arrivò davanti alla scrivania.

Con un cenno della mano, il bulldog indicò in uno spigolo della stanza una seggiolina di legno, e invitò Shadow a prenderla:

“Prego, si sieda.”

Shadow la prese e si sedette a faccia a faccia con Bunch, e gli scappò un sorriso:

“Wow questo è un dejavù; poche settimane fa eravamo nella stessa situazione.”

Anche il cane sorrise divertito:

“Sì, solo con i ruoli invertiti.”

Era ovvio che si stessero riferendo a quando Bunch e Shadow si incontrarono per la prima volta, il riccio nero dietro una scrivania che invitava il cane a sedersi.

“E ora,” riprese il boss del riccio “il motivo per cui ti ho fatto venire qui.”

Shadow era sicuro che avesse tirato fuori la questione della spia. E invece...

“All'inizio era solo per ringraziarti infinitamente di quello che hai fatto. Hai salvato il mio treno, il mio carico, la mia carriera, la mia vita e quella dei miei uomini. Ti ringrazio.” disse, con sincera gratitudine.

“Ma poi ho sentito quello che è successo alla festicciola. Sei andato completamente fuori di zucca. Ma ti capisco, quegli idioti non reggono un goccetto e quella poca intelligenza che avevano sparisce come un'aspirina a contatto con l'acqua.” fece una pausa.

“E' qua per darmi qualche punizione, non è vero?” domandò il riccio nero e rosso.

Bunch lo guardò come se fosse pazzo: “Ma che dice Shadow?! Certo che no! Per così poco” ridacchiò.

Lei è speciale, non è vero?” chiese, in tono confidenziale.

Il riccio non si aspettava decisamente una domanda del genere: “Come scusa?”

“Caro mio, non faccia il finto tonto con me! So sentire quando qualcosa va in ballo, e il modo in cui hai reagito ne è la prova!” esclamò, con un ampio sorriso.

Shadow si sentì con le spalle al muro. Perché aveva reagito così? Di solito lui era calmo, teneva la situazione sotto controllo, ma in quella situazione era partito come un razzo.

Ci pensò su, ma poi scosse la testa: se avesse potuto ritornare indietro nel tempo più e più volte, l'avrebbe rifatto sempre.

“E' vero, ci sono legato, ma non come crede lei.” spiegò calmo, in tutto rispetto “Lei è solo...un'amica.”

“Mh.” Bunch ci pensò su “Un'amica molto amica, eh?” chiese malizioso.

Shadow non seppe perché, ma annuì.

Bunch sorrise: “So che ti ha aiutato nella faccenda del treno, Shadow; siete due ragazzi coraggiosi, con del fegato da vendere,e fate una bella squadra. Sento anch'io che è speciale, e parlo del suo potenziale...poi che dire, non mi stupisco che tu ci sia legato: bella, giovane,forte...”

“Voglio solo...proteggerla.” interruppe il riccio, che voleva saltare alla conclusione del suo comportamento alla festa, mentre guardava negli occhi il suo capo per dimostrargli che stava dicendo la verità. Inoltre, si stava imbarazzando per quello che il cane stava dicendo, anche se lo dava poco a vedere.

Il viso di Bunch diventò inspiegabilmente serio da morire.

E poi silenzio. Il bulldog era tormentato da pensieri a Shadow sconosciuti...


Bunch sapeva cosa significava quando un ragazzo voleva proteggere una ragazza.

Era amore vero; verso un'amica, una sorella o la propria fidanzata, non importava.

Sapeva che quando qualcuno ci tiene a un'altra persona, quello che si è creato è un sentimento vero, forte e sincero.

Chi meglio di lui lo sapeva?

Quando proteggeva Eleonor, lo faceva con anima e corpo, preoccupandosi sempre di lei e facendosi spesso passare per un gelosissimo cane innamorato marcio.

Ma a lui non importava: voleva assicurarsi che la sua Rose fosse sempre al sicuro, il suo obiettivo era renderla felice.

Potessero chiamarlo come cappero volevano, le parole non raggiungevano nemmeno le sue orecchie se c'era di mezzo lei.

Quando un lui dice di voler proteggere una lei, ed è serio, allora non c'è niente che puoi fare. Ed è giusto così.


Bunch 'ritornò sul pianeta Terra'.

Poi si rivolse a Shadow, che lo fissava incuriosito, con la sua proposta:

“Hai mai pensato di metterla sotto la tua protezione?”

Shadow rimase confuso:

“Che significa sotto la mia protezione?”

Bunch ridacchiò: “Cielo, non te l'hanno detto le mie guardie? Non so se sono incredibilmente stupidi...” e poi concluse a bassa voce, come se lo dicesse tra sé e sè “...o fottutamene furbi...”.

Vedendo la confusione aleggiare sul volto del suo dipendente, il bulldog spiegò:

“Capita quasi sempre che alcune guardie vogliono tenersi certe femmine tutte per loro.

In senso, non sono disposti a condividerle, capisci? Così, per andare d'amore e d'accordo, questi vengono da me, mi dicono la femmina, o le femmine, che vogliono tenersi per sé e registro i nomi, poi convoco tutti i miei dipendenti e li aggiorno. Se due o più guardie vogliono la stessa ragazza, chi se la piglia è il primo che viene da me. Si possono mettere sotto protezione solo due femmine al giro. Spesso capita che si mettano d'accordo e si scambiano le ragazze, quindi me lo vengono a dire. Se c'è un minimo cambiamento, devono dirmelo. Gli altri devono impegnarsi a non toccare o importunare in nessun modo quelle ragazze.”

Shadow iniziò a capire. Sembrava proprio un bel sistema, ma aveva ancora dei dubbi:

“E se per caso non stanno ai patti?”

Un sorriso maligno si formò sul muso di Bunch:

“Li punisco tagliandoli le palle.”

Shadow si sentì rabbrividire all'idea.

“Davvero?”

“Nah, ma loro ci credono.” rise.

“Ora che sai che non è vero che faccio questo genere di amputazioni, non dirlo agli altri.”

“Non ci penso nemmeno.” assicurò il riccio divertito.

“E non approfittarne. Le regole valgono per gli altri come valgono per te.”

“Le assicuro” rispose Shadow serio “Che non si dovrà assolutamente preoccupare.”

Il cane sorrise di nuovo: “Ne ero certo.”

Alcuni secondi di silenzio passarono e Shadow pensò che l'argomento fosse finito; così si alzò e si diresse verso la porta.

Mentre girava il pomello, la voce di Bunch richiamò la sua attenzione:

“Sai perché ho deciso di parlargliene, signor Shadow? Sa perché ho deciso di permettere ciò?”

Shadow, che aveva leggermente aperto la porta, la richiuse e la mano lasciò il pomello.

“Non era per far andar d'accordo le guardie?” chiese il riccio.

Bunch scosse la testa in risposta.

“No, Shadow: vedevo in certi comportamenti, e in certe espressioni, che alcune guardie non si...come si può dire... 'prenotavano' una ragazza solo per possessione, ma anche per gelosia: alcune guardie si sono innamorate di alcune prigioniere. Ho creato questo sistema così che queste guardie stessero insieme alle loro amate, senza terzi incomodi che le vedono solo come un antistress.

So cos'è l'amore Shadow, e credimi, fa male quando ti portano via qualcuno che ti sta caro.

Tu, beh, sei diverso Shadow: sei il primo che mi ha detto direttamente di volerla proteggere.

Certo, molte di queste guardie volevano proteggere le loro ragazze ma tu sei diverso. La tua protezione è diversa. Lo sento.”

Bunch respirò a fondo per riprendersi. Mai nella sua vita Shadow the Hedgehog avrebbe mai immaginato che il suo oscuro boss del commercio di schiavi lo invitasse nel suo ufficio a parlare d'amore!

Poi trovò le parole per continuare il discorso:

“Ma poi quelle prigioniere vengono vendute ad altri, non è vero?” chiese.

Gli occhi del bulldog luccicarono con un po' di tristezza:

“Sì, Shadow. E se te lo stai chiedendo, : è una tortura vedere come quelle guardie soffrono come cani per settimane, con i loro sguardi che dicono: 'sopprimetemi'. Io dico sempre alle mie guardie, sin da quando le assumo, di non attaccarsi troppo, che c'è un prezzo alla fine da pagare.

Poi faccio ricordare ancora una volta che li avevo avvertiti, e solo in quel momento se ne accorgono. Quelli più severi, quelli che vedi che non stanno mai a simpatizzare in nessun modo con le ragazze, quelli sono stati i più colpiti. Erano i più sensibili, ma poi questa gente è diventata più apatica, senza interessi al di fuori del commercio...”

“Un po' come lei?” interruppe Shadow, ormai in confidenza “Ha sofferto anche lei, non è vero?”

Bunch continuò: “C'è stata gente che mi ha chiesto di risparmiare quella ragazza, di togliere una parte di stipendio per pagarla, ma purtroppo non posso farlo. Devono imparare che l'amore fa male, e che finisce, come tutte le cose. Tutte le rose...muoiono.” e finì la frase grave, come se quelle ultime parole gli dessero un enorme peso nell'anima.

I due restarono in silenzio per un po'. Ancora una volta, Bunch riprese la parola: “A innamorarsi si corrono rischi, e se si prendono questi rischi, bisogna affrontare le conseguenze. L'amore è un sentimento stupendo, senza quello il mondo sarebbe noioso e cupo, ma fa molto male.”

“Però quello che fa è crudele. Se ne rende conto?” chiese pacatamente il riccio.

Il cane annuì: “Certo.

L'ex agente si voltò verso la porta e girò il pomello.

“Shadow, non mi hai ancora detto come si chiama.” lo interruppe nuovamente Bunch, mentre prendeva una penna e un taccuino rivestito in pelle nera.

Il riccio si voltò nuovamente verso di lui: “Blaze the Cat.”

Il bulldog annuì mentre fece scattare la penna, poi scrisse velocemente le sue annotazioni sulla pagina bianca.

Shadow, intanto, fissava il suo capo con sguardo pensieroso...

“Mi chiedo come fosse lei, la sua rosa che la fece soffrire...” disse alla fine al suo boss.

“Buonanotte signor Shadow.” gli rispose lui, ignorando quello che il riccio gli aveva appena detto.

“Notte, capo.” rispose il nero, e finalmente uscì dalla stanza, chiudendo la porta dietro di sé, e lasciando Bunch da solo nel suo ufficio.


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Capitolo 11
*** Cap XI Non sempre la notte porta consiglio ***


Era piena notte.

La ragazza muoveva i piedi stanchi verso il suo dormitorio.

In una mano aveva uno strumento a fiato, simile a un clarinetto, ma più piccolo e di materiali più modesti. Tuttavia emetteva una melodia soave e bellissima, e lei era molto brava a suonarlo.

Era l'unica cosa che le avevano permesso di tenere da quando l'avevano rapita.

Certo, non aveva molto altro: in un normalissimo giorno passeggiava ai confini di Mobius con in mano il suo flauto, indossando un semplice vestito verde,con una specie di cintura fucsia alla vita, e le rifiniture del vestito di un verde scuro. In testa indossava il suo solito cappello, una specie di turbante verde. Era una bella mattinata soleggiata, e sembrava andare tutto per il meglio, ma all'improvviso vide degli oscuri individui circondarla senza lasciarle via d'uscita.

Non ebbe nemmeno tempo di gridare che le furono addosso.

Uno le tappò con la mano la bocca e gli altri le immobilizzarono braccia e gambe.


Con l'altra mano, la ragazza si sfregò gli occhi assonnati e mezzi chiusi.

Era stata una lunga, lunghissima giornata: dormiva male da quando l'avevano catturata, e l'attacco al treno era stato un infarto. Come se non bastasse, ha dovuto suonare per ore e ore il suo strumento, fino a notte tarda.

Era stravolta e, anche se le aveva fatto prendere una caga, era grata al riccio nero di aver spedito lei e la sua amica a dormire qualche ore prima della fine della festa prevista dalle guardie.

Da quando hanno scoperto che sapeva suonare quell'aggeggio alla perfezione, l'hanno sempre “invitata” alle feste, o semplicemente quando avevano voglia di ascoltare un po' di musica.

Traballante dal sonno, non si accorse che qualcun altro stava arrivando dall'altro corridoio, e ci si schiantò.

“Scusa!” bisbigliò, impaurita di aver battuto contro una guardia.

“Non ti preoccupare.” rispose una voce femminile “Nemmeno io ti avevo visto, scusa.”

La ragazza guardò il suo interlocutore, ovviamente una prigioniera.

La luna spuntò dalle nubi, facendo entrare dall'unica finestra alla fine del corridoio la sua bianca luce, e permettendole di vedere meglio chi aveva davanti.

Una gatta dagli occhi dorati la osservava stoica.



Blaze osservò attentamente la ragazza; non aveva mai visto un'animale antropomorfo più strano di quella.

Era di certo un animale acquatico, ma la gatta non capiva quale.

Aveva la pelle di color arancio e due occhi violacei.

Notò che non aveva il naso, e sulla fronte aveva due perle, una piccola seguita da una più grande.

I suoi capelli erano ondulati e arrivavano all'altezza delle spalle.

Al collo teneva una sottilissima e corta collanina da cui pendeva una piccola perla rosata.

Sulla parte superiore del polso, giusto prima della mano, era cresciuta una deliziosa pinna ricurvata, sia sul braccio destro sia sul sinistro.

La sua coda era lunga, quasi come uno strascico, e sembrava proprio una grande coda di girino arancione.

Blaze si trattenne dal chiederle che animale fosse, perché sapeva che non era una domanda molto educata.

Quindi cambiò discorso:

“Cosa ci fai in piedi a quest'ora? Sembri esausta.”

“Lo sono.” rispose la ragazza, strofinandosi ancora una volta gli occhi.

“Da dove vieni?” chiese la micia, guardando dietro alla ragazze, nel corridoio da dove veniva quest'ultima.

“Oh... le guardie hanno dato una festa per celebrare il successo del treno. Ho dovuto suonare il mio strumento.” replicò, alzando il flauto per farlo vedere alla gatta lilla, la quale annuì leggermente.

“Non sapevo facessero anche feste.” sbuffò scocciata la regina gatto.

La ragazza ridacchiò: “Più di quante credi.”

“E com'era? Ti hanno fatto qualcosa?” chiese preoccupata la micia.

L'altra scosse la testa: “No, tranquilla. Erano tutti impegnati sul riccio nero.”

Blaze alzò un sopracciglio: “Intendi Shadow?” chiese pacatamente.

L'essere arancione la guardò confusa.

“Sì esatto, come fai a...” e poi il viso le si illuminò.

“Ma certo, come ho fatto a non accorgermi prima! Tu sei Blaze, giusto? Quella che ha aiutato il riccio nero a salvarci tutti! Mi ricordo quando ho visto voi due risalire sul treno!” esclamò esaltata.

“Shhh” fece Blaze, portando velocemente la mano alla bocca della creautura “C'è gente che dorme, e poi le guardie... sappiamo tutte e due che non possiamo stare nei corridoi.” le spiegò.

La ragazza si accorse di quando fosse stata stupida ad urlare in quel modo, e se ne vergognò tantissimo.

Rimuovendo delicatamente la mano della gatta dalla sua bocca, si scusò:

“Mi spiace, credo che la situazione sia sfuggita di mano...”

“Non ti scusare.” l'interruppe l'altra.

Dopo un minuto di silenzio, la pesciolina recuperò la parola:

“Quindi... è vero?”

La gatta annuì.

“E...cosa ci fai qui? Perché sei in piedi anche tu?” chiese la ragazza incuriosita. La sua stanchezza sembrava essersi dissipata.

Blaze sorrise amaramente: “Non avevo sonno. Avevo bisogno di fare un giro. Ultimamente sono molto stressata di notte.” rispose.

“A chi lo dici.” sospirò pesantemente la creatura acquatica, pensando alle sue notti insonni.

“Non dormi bene la notte?” chiese la gatta.

“Già. Non mi sento a mio agio, e sfortunatamente quando non mi sento a mio agio non ho pace. Fortuna che è finita prima, così almeno posso tentare di dormire un po' più a lungo.”

“Perché è finita prima?”chiese la micia.

La ragazza si poteva aspettare una domanda del genere e sospirò.

“Il tuo amico riccio è andato fuori di testa e ha fatto finire tutto.”

La micia la guardò perplessa: “Che diamine ha fatto?”

E così, la giovane musicista le raccontò che si era incazzato perché dicevano cose sconce riguardanti la regina gatto.

“Quando questo sarà tutto finito li brucerò con il loro stesso alcol.” bisbigliò stizzita Blaze tra sé e sé.

La ragazza capì ma non ci fece molto caso.

Poi fece una domanda che sapeva che era un po'...scomoda: “Tra....tra te e lui c'è qualcosa?”

La gatta arrossì leggermente a quelle parole, pur non sapendo perché. Fu grata che era buio e la giovane suonatrice non la vide.

“Dio, no.” rispose calma, cercando di parlare non noncuranza “L'ho conosciuto e siamo amici, fine. Ci intendiamo bene, c'è un legame tra noi, ma non è così...stretto come credi.” le spiegò.

“Allora capisco, probabilmente non voleva che tu fossi usata dagli altri.”

“Sì... possibile.” concordò la gatta, ricordandosi delle parole del riccio, prima che il treno tremasse.

Le aveva promesso che l'avrebbe protetta. Quindi era quello che probabilmente stava facendo.

“Magari ti mette sotto protezione.” disse la creatura arancione, portandosi la mano davanti alla bocca per contenere uno sbadiglio.

“Sotto protezione? Che cosa significa?” chiese Blaze, che non ne aveva mai sentito parlare.

“Uh? Non te l'ha detto nessuno?” e allora la ragazza iniziò a spiegarle come funzionava:

“Praticamente quando una guardia vuole 'mettere sotto protezione' una ragazza, significa che la ragazza diventa solo sua. Dicono protezione ma non lo è più di tanto. Ma noi comunque non ci possiamo fare niente, e da una parte ci conviene se non vogliamo farci fare da tutti quanti.”

Blaze non riuscì a contenersi e esclamò un sorpreso: “Porca puttana!”.

Non era fine per una regina parlare in quella maniera, ma dopo tutto quel tempo che aveva passato lì era ovvio che le si era sviluppato un linguaggio da camionista.

Ma diciamo che questa era l'ultima delle sue preoccupazioni.

Persino la creatura davanti alla gatta lilla non ci fece molto caso.

“Questo non significa necessariamente che ha cattive intenzioni... giusto?” chiese debolmente la ragazza acquatica.

Blaze rimase immobile per qualche secondo, poi si riprese e con un sorriso scosse la testa.

“Probabilmente non mi avrà nemmeno messo sotto questa 'protezione'. Lo sa che non ne ho bisogno, e poi è troppo orgoglioso per chiedere aiuto.” rispose.
Erano tutte valide ragioni, e la micia lo sapeva. Tuttavia, qualcosa le diceva che non bastavano per essere sicuri che Shadow non l'avesse messa sotto questa 'protezione'.
Ultimamente la micia era sicura proprio di nulla.

Era come se la sua vita fosse diventata un grosso punto di domanda, e non riusciva più a calcolarne le prossime mosse.

Non riusciva a pensare stoicamente senza un ma, un forse o un però, senza una sicurezza, senza fidarsi del suo istinto.

E il peggio è che faceva bene: aveva dimostrato più volte a sé stessa che il suo istinto faceva cilecca, i fatti non rientravano più nella sua logica e soprattutto si era resa conto che nulla era come sembrava e tutto poteva voltare faccia e cambiare.

Shadow ne era l'esempio vivente: all'inizio pensava che fosse dalla parte dei buoni, poi salta fuori che è uno dei cattivi e fa quello che le sta col fiato sul collo. Poi, del tutto inaspettatamente, lui si preoccupa e fa tutto il premuroso. Il giorno prima le urlava contro, il giorno dopo cercava di proteggerla.

Blaze non capiva se lui era bipolare, o se era normale e lei non lo comprendeva.

Questa situazione la metteva in una confusione tremenda.

Ormai si affidava al caso; viveva alla giornata, rassegnata dal fatto che anche i suoi piani non sarebbero mai andati lisci come l'olio.

Non sapeva se sarebbe riuscita ad arrivare alla meta, non sapeva se Amy era ancora viva e non sapeva se sarebbe riuscita a salvarla.

Una cosa aveva chiara nella mente: trovare e salvare Amy. Non c'era scoraggiamento che comparava con il desiderio di vederla sana e salva.

La sua testardaggine era dura a morire, come sempre. Ci sono cose che non cambieranno mai, come la lingua lunga di Marine.

“Quindi dici che non ti ha messo sotto la sua protezione?” la voce della ragazza fece destare Blaze dai suoi pensieri.

Guarda, non lo so.” le avrebbe voluto rispondere. Invece replicò:

“Credo proprio di sì. Ora vai a dormire.” le ordinò.

La ragazza annuì: “Va bene. Buona notte Blaze, e grazie ancora.” e iniziò a dirigersi verso il suo dormitorio.

“Di nulla.” le sentì dire.

E per la prima notte da quando era lì, la ragazza riuscì ad addormentarsi subito e senza incubi, riuscendo a riposare pacificamente per il resto della nottata.

Le dava conforto sapere di avere qualcuno che l'avrebbe protetta sul serio, e quella calda sensazione le aveva invaso il petto.

L'aveva appena conosciuta, quella gatta lilla, ma la vedeva già come una salvezza.

Sentiva che era una donna forte e coraggiosa, qualità che lei non aveva.

Non aveva mai desiderato neanche una mezza avventura, non reggeva all'idea di mettersi in pericolo. Questo la portava a non riuscire a mettere il muso troppo fuori dalla porta di casa.

Odiava quella sua codardia, e per questo si sentiva debole, quasi in colpa.

Finché non fu catturata dai trafficanti.

Odiava essere in 'quell'avventura', tuttavia era riuscita a dimostrare a sé stessa che ce la poteva fare, poteva sopravvivere, ed era più forte di quello che aveva sempre creduto.

Era una vita scomoda e senza certezze, il pericolo si accucciava in un angolo nell'attesa di aggredirla senza preavviso.

Aveva ovviamente sentito parlare delle torture, e le si raggelava il sangue e le si spezzava il cuore allo stesso tempo a pensare al fatto di una compagna, che il giorno prima aveva conosciuto, non tornare più il giorno dopo, quel maledetto giorno che si ricordano tutti.

E, come tutte le altre, la ragazza aveva paura che prima o poi dovesse toccare anche a lei.

Ma cercava di respingere quelle ansie, che ne aveva già abbastanza.

Ogni notte si chiedeva come stessero i suoi amici e la sua famiglia, cosa avevano provato quando non l'avevano più vista e come si sentivano davanti alla sua assenza.

Chissà se la stavano cercando.

Sarebbe mai ritornata da loro?



Nella profondità della notte, vicino al treno, si sentirono dei passi, e poi all'improvviso un batter d'ali.

La figura nera era atterrata sul penultimo vagone, e si apprestava ad aprire la finestrella per entrare.

Con un leggero tonfo la sagoma atterrò sul pavimento.

Si alzò cautamente e si guardò intorno; sorrise alla vista di così tanti sacchi, soprattutto perché sapeva cosa contenevano.

Con passo sicuro si diresse verso uno di questi, lo aprì e ci cacciò la mano, per poi tirarla su piena di diamanti e pietre preziose.

“Quanto siete belle!” esclamò Rouge, soffocando l'eccitazione nella sua voce a una vista così ricca.

Non aveva mai pensato che avrebbe iniziato di nuovo a rubare come una gazza ladra.

Beh, non proprio rubare, diciamo che quelle pietre erano... in prestito.

Si sarebbe accontentata di circondarsi da esse, analizzarle e ammirarle, per poi rimetterle al loro posto, come dei giocattoli.

Sospirava tristemente all'idea che non si poteva permettere di prenderne nemmeno una.

La loro bellezza attraeva l'affascinante ladra, e i suoi occhi verdi acqua luccicavano ai riflessi di luce delle pietre.

Ma nessuno poteva comprendere del perché lei era sgattaiolata fuori dalla sua stanza e si era intrufolata nel vagone.

Non era per il sua solito desiderio di rubare, nemmeno per la sua sete di ricchezza.

La verità era che le pietre preziose le davano conforto e le facevano compagnia.

Come possono degli oggetti animati fare ciò? Non hanno né anima, né sentimenti.

Il Comandante le lo diceva sempre. Anche Omega, Hope, Sonic e perfino Shadow.

Loro non capiscono pensava Rouge, ogni volta sempre più demoralizzata, Loro. Non. Capiscono.

Le pietre le tenevano compagnia, la ascoltavano impassibili, senza parlare e senza giudicarla.

Erano molto gentili. E poi erano stupende.

Ogni pietra aveva quel colore vitale che nessun pennarello, nessuna tempera o nessun essere poteva riprodurre.

I loro luccichii attiravano l'attenzione e affascinavano sempre. Non avevano età, né genere.

L'ex agente non aveva mai parlato con loro, ma iniziò da quando fu licenziata dalla G.U.N.

Appena poteva, appena ne aveva una sotto mano, osservava la sua bellezza, e un po' alla volta si svuotava da quello che aveva dentro.

Gli raccontava di tutto, da come era andata alla giornata a come si sentiva nell'animo.

Parlare a una pietra? A volte ci rideva, la faceva sembrare molto a un certo guardiano...

Mamma mia, quanto le mancava la sua vecchia vita, quanto le mancavano i suoi vecchi amici.

Quanto le mancava stuzzicare quel burbero echidna brontolone? Quanto le mancava tentargli di rubare il Master Emerald? Quanto le mancava sentire la sua voce, incazzata o meno, quanto le mancava passare un po' di tempo a fargli compagnia? Quanto le mancava andare ad Angel Island e star sicura di trovarlo lì, a riposarsi sotto quell'enorme smeraldo verde, seduto con la schiena appoggiata alla pietra, con gli occhi chiusi e le braccia incrociate? Quanto le mancavano le sue accuse di rubare il suo bellissimo smeraldo, quanto le mancava vederlo arrossire per ogni cosa che faceva o diceva?

La risposta a tutte le domande era sempre: tanto.

Molto, anzi troppo.

La donna emanò un sussurro triste.

Knuckles.” .

La nostalgia la invase, arrivandole nel petto e nello stomaco, colpendola dolorosamente come un pugno.

Seduta con la schiena appoggiata alla parete, strinse involontariamente i pugni ai quei lontani e felici ricordi, senza curarsi degli spigoli delle preziose pietre che le ferivano la carne.

Perché era andata in quel modo?

Nove anni prima, non aveva fatto i conti con la consapevolezza che, diventando fuggiaschi fuorilegge, nulla sarebbe stato più piacevole come prima.

Lo sapeva, certamente, che la sua vita sarebbe cambiata in peggio, ma la sua coscienza era sempre stata sporca, quindi non se ne era preoccupata più di tanto.

Ma non volle rendersi conto che sarebbe stata così dura.

E' stata la più grande irresponsabilità mai fatta, e sinceramente non voleva passare in quel modo i prossimi dieci anni della sua vita.

Era piena di rimorsi; mentre guardava impassibile alle sofferenze circostanti, c'era qualcosa dentro di sé che le gridava di far smettere quel dolore, di tornare indietro.

All'inizio queste grida erano disperate e irresistibili a Rouge, ma poi riuscì a costruire un muro in grado di allontanare le grida. Voleva sfuggire alle terribili verità,e per questo si faceva schifo da sola.

Ma le grida, sebbene si affievolivano, non scomparivano, e Rouge sapeva che mai l'avrebbero fatto.

Sarebbero rimaste lì, a ricordarle che poteva far smettere il suo dolore interno, ma andando incontro al mondo circostante.

Non poteva cambiare, non in quel momento.

E così quelle voci disperate continuavano ad arrivarle al cuore e a farlo sanguinare.

Riusciva a tenerle a bada solo di giorno, quando era in compagnia o aveva qualcosa a cui pensare, ma quando giungeva la notte e la sua mente era vuota e lei era sola, allora quelle grida se ne approfittavano e la sopprimevano nell'angoscia e, se si può dire, anche nel rimorso.

Shadow era suo amico, ma era giusto quello che aveva fatto? E' stato giusto seguirlo?

Il riccio nero è caduto e l'ha trascinata con sé, senza farsi né domande né problemi.

Ma era anche vero che il suo amico non le aveva mai chiesto niente: non le aveva chiesto di seguirlo, non l'aveva pregata di stargli vicino, non aveva implorato il suo aiuto.

Non le aveva mai chiesto di schierarsi dalla sua parte.

Non le aveva mai chiesto di lasciare tutto.

L'aveva ringraziata, certo, ma poi basta, fine.

Sei stata stupida Rouge si diceva tra sé e sé con rabbia Molto stupida.

Scuoteva la testa con gli occhi chiusi, trattenendo la rabbia repressa.

Lo sapevi che lui non aveva bisogno d'aiuto ridacchiava tra sé e sé tristemente Lui sa cavarsela di certo da solo.

La giovane pipistrella bianca avrebbe voluto scaricare tutta la colpa addosso a lui, ma sull'orgoglio continuava a prevalere la sua insopportabile coscienza: è stata una sua scelta, solo sua.

Ma faceva fatica ad ammetterlo a sé stessa, figuriamoci agli altri, figuriamoci a Shadow.

Sapeva inoltre che Shadow non comprendeva a fondo le persone, e spesso non ci teneva nemmeno.

Aveva un lato comprensivo, e lo sapeva perché l'aveva visto, ma era rimasto nel vecchio Shadow.

Quello nuovo era diverso; aveva sempre quel suo fare orgoglioso, il suo sguardo freddo, i suoi modi da omicida, era intelligente e molte altre abilità, ma le sue belle qualità, quelle più da essere con un'anima... non c'erano. Rouge non credeva che fossero sparite, ma, se si può dire, solo...in vacanza.

Non credeva davvero che fosse cattivo, o apatico al 100%, ma le sue giornate erano grigie, monotone persino, anche se nel corso degli anni è migliorato un po'.

E poi è arrivata lei. Blaze the Cat.

Rouge sapeva che i due erano molto simili, e i loro incontri passati le facevano pensare a quanto potente poteva essere una cooperativa formata da loro due.

Fiamme e Chaos Control, ve li immaginate?

La pipistrella sì. Sarebbe stato uno spettacolo vederli combattere insieme.

Sinceramente, la giovane donna non aveva ancora visto la gatta.

Shadow diceva che la vedeva ogni giorno, e inoltre ha salvato il fondo schiena a tutto il treno, tuttavia Rouge non l'aveva ancora vista. Ed era strano, dato che era sempre lei a sapere per prima le cose.

Ma una cosa sapeva: da quando Blaze era arrivata, qualcosa si era risvegliato in Shadow.

Forse i ricordi di loro due lottare per il Sol Emerald erano emersi nella sua testolina, ricordandosi che in fondo si era creato un bel legame d'amicizia tra loro due.

Ma forse c'era di più, e Rouge stava ancora investigando; ogni notte, Shadow si incontrava con lei per fare rapporto, e ogni volta la giovane ladra faceva in modo che il discorso andasse in direzione Blaze the Cat. E ci riusciva così bene e senza dimostrare il suo interessamento, che Shadow le raccontava poco a poco tutto, senza urlarle contro di farsi gli affari suoi e di sua spontanea volontà.

Le aveva raccontato degli iniziali impulsi indesiderati, delle loro chiacchierate e infine anche dell'attentato al treno.

Poi lei gli chiedeva di descriverla un po', e lui si perdeva nel darle tutte i dettagli.

Rouge poteva vedere il suo amico descrivere l'amica gatta come si descrive un fiore bellissimo.

Quando le parlava dei suoi lunghi e morbidi capelli, aveva un tono dolce, pacato;

quando parlava del suo corpo poteva sentirlo deglutire;

quando le parlava di quegli occhi dorati, quelli del riccio scintillavano;

e quando infine parlava del suo carattere, delle sue doti, delle sue qualità, la pipistrella poteva percepire tutta la sua ammirazione e il rispetto nei confronti della principessa.

Lei era sempre stanca morta quando finiva la giornata, tra il viaggio e la pressione alta che alcune guardie da strapazzo le facevano venire a causa dei soprusi sulle altre ragazze che era costretta a vedere, ma non voleva che lui smettesse. Non parlava così tanto da troppo tempo.

Ma dopo un po' lui vedeva che gli occhi della compare non ce la facevano più, e quindi la mandava a dormire.

All'inizio lei si lamentava perché il suo gossip veniva interrotto, ma sapeva che il suo amico aveva ragione e gli dava la buonanotte, per poi dirigersi sfinita al suo dormitorio.

Tuttavia, quella sera lei lo dovette aspettare a lungo, e quando arrivò non sembrava essere molto in vena di parlare.
“Finalmente, dove sei finito?” le chiese impaziente la bianca, mettendosi le mani sui fianchi e attendendo una sua risposta con un bel sorriso.

Ma, invece di risponderle o fare rapporto, continuò a camminare oltre, verso il suo dormitorio.

“Dove stai andando?” chiese spaesata la collega del riccio, inarcando le sopracciglia curiosa.

“Sono troppo stanco stasera. Domani ti racconto tutto.” rispose continuando ad avanzare, senza manco voltarsi indietro.

“Non mi lasci nemmeno congratularmi con te?” ribatté Rouge allegra, sperando di cavargli fuori qualcosa.

Lui si limitò a sorridere e ad alzare un mano in segno di saluto, mentre si faceva strada verso il dormitorio.

Chissà che cosa è successo. Si era chiesta Rouge, mentre guardava immobile l'immagine del suo amico rimpicciolirsi, mentre si allontanava sempre di più.

Sinceramente, si era dimenticata della festicciola che le guardie avevano dato, ma poi il ricordo di tanti passaparola gli era ritornato in mente.

Cosa sarà successo a quella festa?

La curiosità iniziò a divorarla, le sue fantasia su quello che poteva essere successo si scatenarono in tanti possibili scenari, finché non si convinse ad andare a letto.

Tuttavia, non riusciva a prendere sonno.

Le chiacchierate con Shadow l'aiutavano a occupare la mente e ad addormentarsi meglio, anche se duravano poco.

Certo, lui non sapeva dei problemi mentali di Rouge, soprattutto perché lei si comportava come se stesse sempre in forma.

Ma lei non voleva digli niente: sarebbe stato un peso per il suo amico riccio.

Continuava a ripetere a sé stessa che poteva farcela anche senza allarmare uno che già aveva i suoi disordini mentali.

Quella sera aveva bisogno qualcuno con cui parlare, qualcosa che la tenesse occupata per un po', per non darla vinta a quelle vocine.

E così eccola lì, a parlare con delle pietre, per terra accasciata alla parete, indebolita dalla stanchezza e dalla nostalgia. In un momento debole, quando tutto lo stress le cadde addosso, si sentì arresa, e il suo viso e il pavimento si riempirono di lucenti lacrime.

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Capitolo 12
*** Cap XII Svegliati ***


“Ehy sveglia.”

La voce risuonò ovattata nelle orecchie dell'addormenta creatura.

Aprì gli occhi debolmente, poi li sbatté due o tre volte velocemente, per mettere a fuoco l'ambiente circostante.

Come al solito, vide la sua stanza, anche se ne fu sorpresa all'inizio, dato che l'ultimo ricordo era di lei seduta nel vagone del treno.

Poi la memoria iniziò a ritornarle, e si ricordò che, quando aveva capito che rischiava di addormentarsi lì, si era alzata ed era tornata nel suo dormitorio.

La luce gialla e luminosa del sole entrava dalla finestra e scaldava la camera.

Si mise lentamente a sedere tenendosi la testa con una mano; se la sentiva pesantissima, poteva giurare di aver fatto un incubo.

Ma attribuì quella pesantezza al fatto che era andata a dormire tardi e per aver pianto molto.

Poi il suo sguardo aveva finalmente realizzato che non era sola.

“Shadow?” chiese sorpresa, non aspettandosi il compare nella sua stanza.

“Dormivi come un sasso.” le disse lui, apatico “Hanno bussato più volte ma non hai mai risposto. Così mi sono venuti a chiamare e mi sono teletrasportato qua dentro.” finì il suo racconto.

Poi inarcò le sopracciglia e la osservò meglio; notò che aveva gli occhi rosati e le occhiaie, segno che non aveva dormito abbastanza o abbastanza bene, e la mano posizionata sulla testa gli suggeriva che la sua amica aveva un'emicrania.

“Cos'hai Rouge?” le chiese preoccupato l'amico. Era raro che la bianca si svegliasse conciata così male, le poche volte era perché stava già male.

“Oh, niente” rispose lei “solo un po' di mal di testa.”

“Ho notato.” disse il riccio, guardandola sospettoso.

Dopo aver passato qualche secondo di silenzio a pensare, Shadow riprese: “Lo sai che con me puoi parlare, di quello che ti passa per la testa. Se hai un problema devi solo dirmelo.”

“Grazie Shadow.” si affrettò a dire lei.

“Ma non c'è nulla che non va, sto bene. Ieri è stata una giornata impegnativa.” mentì.

“Non c'entra nulla con le guardie, vero?” chiese Shadow, pacatamente.

“No, bellissimo, ti ho già detto che va tutto bene.” e mise su un bel sorriso incoraggiante.

Sembrava tranquilla, decisa e accattivante, aveva persino iniziato di nuovo con i soprannomi.

Agli occhi di Shadow era tornata la vecchia Rouge, e si voleva fidare delle parole dell'amica.

Ma se solo avesse guardato nei suoi occhi come faceva con Blaze, si sarebbe accorto del dolore che persisteva di giorno e peggiorava di notte, di quell'inquietudine che la riduceva in quel modo.

Lui alzò le spalle.

“Va bene, fa come vuoi.” disse con un'insolita noncuranza nei confronti della donna.

Poi si voltò e iniziò a incamminarsi verso la porta.

“Visto che stai bene, muoviti a prepararti, che il capo non aspetta nessuno. Fatti trovare pronta tra cinque minuti, non voglio essere costretto a tornare di nuovo.”

Aveva appena finito di pronunciare queste parole di ghiaccio che qualcosa gli fu tirato incredibilmente forte sulla nuca. Un cuscino.

Si fermò immediatamente.

“PERCHE' SEI COSI' FREDDO CON ME?!?” gli urlò adirata. Lui girò la testa per guardare la sua collaboratrice. Il suo sguardo sereno si era trasformato in uno scocciato, le occhiaie nere e gli occhi rossi la facevano sembrare un'indemoniata e i capelli spettinati la rendevano una strega.

“Qual'è il tuo problema?!?” gli aveva continuato a gridare “Come pensi di venir trattato se ti comporti così?!? Sai che ti dico??, FUORI DI QUI!” gli strillò al top dell'incazzatura, agitandosi tutta.

Shadow sgranò gli occhi alla reazione esagerata della compagna. Qualcosa davvero non andava.

Comunque ci avrebbe pensato dopo, in quel momento era più importante alzare i tacchi, e anche alla svelta.

Dopo che il riccio nero ebbe chiuso la porta dietro di sé, la ragazza si buttò sdraiata sul letto, trovandolo però scomodo.

“Non ho voglia di andare a prendermi il cuscino.” mugugnò, guardando con la coda dell'occhio il morbido oggetto a qualche metro da lei, e pentendosi di averlo lanciato “così lontano” solo per colpire quella testa vuota di Shadow.



??? P.O.V


“Ehy, sveglia.”

Sento una gentile voce ovattata che mi dice di svegliarmi, ma non ci riesco.

E' tutto buio e non vedo niente.

Non riesco a muovermi, nemmeno un braccio, o una gamba; mi sento debole.

La mia forza di volontà è forte, voglio svegliarmi, devo svegliarmi.

Voglio reagire, voglio rispondere alla chiamata di quella voce , ma non ci riesco.

Non importa quanto io ci provi, io non mi muovo, io non vedo luce, io non vedo altro colore fuorché nero.

E' sempre la stessa storia, giorno dopo giorno, quella voce femminile a me sconosciuta mi chiede di svegliarmi.

Me l''ha detto oggi come me l'ha detto ieri, e l'altro ieri, e il giorno prima, e il giorno prima ancora...

Quanto è passato da quando sono in questo stato? Non lo so.

Giorni, settimane, mesi, anni, NON LO SO. Qui non c'è la percezione del tempo.

A dire la verità, non so nemmeno se c'è la percezione dello spazio.

Potrei essere sdraiata, seduta, in piedi o a testa in giù ma per me non ci sono differenze.

Non ho né freddo, né caldo. Non ho mai fame, né sete, né bisogno di andare in bagno.

E' solo noioso, vuoto.

Penso che non sia normale che io stia sempre così bene fisicamente.

Beh, forse non proprio bene; non mi sento le braccia, non mi sento le gambe, non mi sento nessuna parte del mio corpo, come se fossi un fantasma. L'unica cosa che riesco a sentire sono i miei pensieri, e forse dovrei ringraziare che almeno ho loro, che almeno ho la mente lucida.

Ogni tanto ho anche dei flashback, dei ricordi. Mi tengono compagnia.

Con loro rido, piango, mi diverto o mi dispero...

Ho fatto tutto quello che ho potuto fare.

Avrei dovuto aspettarmelo, sono i rischi del mestiere.

Avrei dovuto fare di più, o fare meglio.

Avrei dovuto stare più attenta.

Ma ormai non posso tornare indietro nel tempo, e nemmeno piangermi addosso.

Sono forte.

O almeno ero. La mia testa c'è ancora, ma il mio corpo è andato.

Voglio solo svegliarmi da questo incubo.

Per favore, svegliati!

N.A:  Lo so è corto, ma volevo solo far concentare sull'idea del diverso significato dei due "Ehy svegliati"...

Chi è questo personaggio misterioso? Lo scoprirete leggendo!


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Capitolo 13
*** Cap XIII Tutto cambia ***



Era tutto distrutto. La cenere si sollevava e volava dove la portava il vento ogni volta che lei metteva un piede a terra. Correva.

Aveva il fiatone ma doveva continuare a correre per la propria vita.

L'inferno era ancora in ballo.

Un enorme incendio aveva bruciato e distrutto ogni cosa, e le voraci fiamme non avevano ancora smesso di mangiare.

Cadeva tutto a pezzi, era tutto nero dalla cenere e il cielo era grigio dal fumo.

Correva e si indeboliva, i gas e il fumo la intossicavano e le rendevano difficile respirare.

Tossiva mentre continuava a scappare, inciampando ogni tanto nei mucchietti troppo alti di cenere o in alcuni resti di materiale che non si era bruciato del tutto.

Ogni tanto vedeva con orrore alcuni cadaveri in mezzo al fuoco, i quali spesso diventavano materiale per alimentarlo.

Per quanto ci provava, non riusciva a sbattere le ali per volare via.

Era spaventata fuori di sé, e diventava sempre più terrorizzata quando non riusciva a trovare una via d'uscita.

Il panorama di morte e distruzione sembrava uguale dappertutto.

Lei continuava a correre sempre dritto, ma sembrava non esserci uscita.

Sudando dalla fatica e dalla paura, smise di correre sempre dritto, decidendo di optare per una strada a zig-zag dove il fuoco era di meno.

Mentre continuava a correre, del legno infuocato cedette dal soffitto e cadde davanti, dietro, a sinistra e a destra della ragazza, mettendola in trappola.

Alla realizzazione della sua ovvia morte, alla giovane donna scapparono delle lacrime di paura e disperazione che le rigarono violentemente il volto.

Sarebbe morta bruciata e nessuno l'avrebbe mai saputo. Non c'era nessuno ad aiutarla.

Le fiamme si innalzarono come grattaceli, e sembrava come se stessero osservando la povera creatura, mentre lei le guardava con occhi spalancati, per poi calare le loro infuocate fauci addosso al corpicino indifeso.



“AHHHHHHHHHHHHHHHHHHH!”

Rouge the Bat si svegliò di scatto gridando.

Ansimava ed era tutta sudata, i suoi occhi fuori dalle orbite tremavano ancora di paura.

Ci mise un po' per capire che era nel suo vagone e tutti – guardie e prigioniere – stavano guardando chi aveva cacciato un urlo così agghiacciante; lei.

Con mani tremanti, si toccò il viso e sentì i suoi lineamenti facciali, le guance, le orecchie e anche un po' di bagnato, colpa del sudore.

Era viva! Non c'era nessun incendio, il treno non era in fiamme!

Alcune guardie che l'aveva vista sghignazzarono e poi tornarono a fare i loro compiti come se nulla fosse.

Anche le prigioniere si erano ripresa dal colpo di spavento che le aveva fatto venire, e tornarono a parlucchiare tra loro.

Il respiro di Rouge tornò normale e cominciò a rilassarsi.

Esalò sollevata: era stato solo un brutto sogno...

Solo un incubo, grazie al cielo. Pensò.

Trovò quasi ridicolo il fatto che un incubo del genere la facesse sudare ed urlare in quel modo.

Certo, è stato terribile, ma aveva sognato di peggio, credetemi.

Aveva iniziato a prendere in considerazione l'offerta di Shadow; voleva raccontargli del sogno.

Ma non sapeva come avrebbe reagito; era solo un brutto sogno, quelli che fanno tutti di tanto in tanto, come tutti sanno lei non è il primo essere vivente che sogna di morire.

Si sarebbe vergognata a morte, pensandoci bene, dopotutto Shadow era solito avere incubi quasi ogni notte sulla morte di Maria. Aveva smesso di farli da anni, certo, ma comunque gli rimaneva il ricordo di quei continui sogni.

Lui diceva di non sognare più niente.

Avendo studiato qualcosa, Rouge avrebbe voluto sbattergli in faccia che si sogna sempre, ogni volta che si dorme, e che sono proprio i sogni che permettono a una persona di riposarsi.

Sono, se si può dire, bizzarre elaborazioni del cervello create nella fase REM, che variano di giornata in giornata.

Probabilmente il trauma che l'amico riccio aveva subito gli aveva bloccato 'il cambio' dei sogni, ripetendo in continuazione le scioccanti memorie.

Quando pensi di non aver sognato nulla, sappi che non è vero, te ne sei solo dimenticato.

I sogni restano più impressi nella memoria quando ci si sveglia nel mezzo di essi. Cosa che capitò a Rouge.

Ma a Shadow probabilmente non gliene sarebbe fregato niente, freddo e rude com'era, le avrebbe soltanto detto: “E' un sogno Rouge, non c'è niente di cui aver paura!” in maniera anche scocciata.

Ma poi qualcosa fulminò nella mente della pipistrella: loro erano un team.

Si ricordò di quando fu lei a unire il Team Dark.

Loro dovevano essere uniti per lavorare in squadra.

Era una cosa che si era sfasata dopo aver abdicato dalla G.U.N., ma che non si sarebbe dovuta dimenticare.

Il loro concetto di team e lavoro di squadra era cambiato, purtroppo, e solo ora se ne stava accorgendo.

I membri dello stesso team devono fidarsi e affidarsi l'uno all'altro. Per farlo dovevano parlare tra di loro, conoscersi, capirsi.

Se voleva che il suo team – composto solo da lei e Shadow- fosse ancora il team forte che conosceva, doveva parlare, esprimersi.

Questo fanno i compagni, questo fanno gli amici: si aiutano a vicenda.



Il treno iniziò a rallentare e la gatta lilla lo percepì.

Guardò fuori dalla finestra, per osservare il cielo.

Strano pensò siamo in pieno pomeriggio.

A un certo punto il treno si fermò del tutto.

Una guardia fece capolino dalla porta, guadagnandosi uno sguardo interrogativo da Blaze.

Lui fece alcuni passi nella stanza, con le mani dietro la schiena, e guardando in tutte le parti della stanza, richiedendo silenziosamente l'attenzione delle prigioniere.

Quando, pochi secondi dopo, ebbe tutti i loro sguardi fissi su di lui, annunciò solennemente:

“Ragazze, qui ci fermeremo così che possiate lavarvi. Vi condurremo vicino a una fonte d'acqua pulita, dopo vi saranno lasciati venti minuti per igienizzarvi e rinfrescarvi. Sfruttateli, non vedrete più nessuna occasione per farvi un bel bagno.” detto questo, diede un'ultima occhiata alle ragazze, e poi s'incamminò velocemente verso la porta, dove pochi secondi dopo sparì.

Blaze reputò l'idea per niente male.

Si annusò i vestiti e arrivò alla conclusione che aveva proprio bisogno di un bagno, senza ma e senza però; era da giorni che non si lavava.

Essendo un gatto, era ovvio che fosse molto attenta alla sua igiene, e già soffriva un po' per essere così trascurata. Ma cosa si aspettava? Di certo non una doccia ogni giorno.

Sospirò pesantemente.

Se le guardie oseranno dare una sbirciatina, conosceranno chi è veramente Blaze the Cat!



Eccole lì, appena scese dal treno e portate nel cuore del bosco.

Blaze si chiese più volte se stessero portando lei e le sue compagne di sventura davvero a una fonte d'acqua per lavarsi.

Fortunatamente, dopo qualche minuti il bosco in cui si erano ficcati si diramò, e si vide una bella radura con una cascata e una torrente che scorreva fino a perdersi nell'altra parte del bosco.

Attorno alle sponde, alcuni alberi.

“Avete venti minuti.” fu tutto quello che disse una guardia, quella a capo dello squadrone, prima che lui e gli altri rientrassero nel bosco.

Ci lasciamo anche un po' di privacy disse Blaze tra sé e sé che carini. Pensò ironica.

Assicuratasi che le guardie le avessero davvero lasciate alla loro intimità, imitò tutte le altre prigioniere: si avvicinò allo specchio d'acqua, si tolse i vestiti e li appese a uno dei rami degli alberi in vicinanza.

All'inizio provava sconforto e una leggera punta di imbarazzo a mostrarsi nuda davanti a così tante persone, ma poi non ci fece più caso, dopotutto erano tutte donne.

Scese in fretta nell'acqua, provando una piacevole sensazione quando la freschezza del liquido le passò tra il pelo.


Saranno passati dieci minuti, neanche.

Blaze, immersa nell'acqua e nei pensieri, continuava a sfregarsi lentamente la pelliccia per pulirsela alla meglio.

Gli argomenti dei suoi pensieri le scorrevano davanti mentre guardava con sguardo assente le altre ragazze che sguazzavano nell'acqua, chiacchierando e godendosi il bagno.

Blaze si ricordò dell'immediato obiettivo che si era data qualche giorno prima, e considerò l'idea di capire come fare a metterlo in atto.

Erano tantissime, troppe. Come avrebbe fatto a farle uscire tutte da lì?

Non lo sapeva, ed era tempo di escogitare qualcosa, dato che i giorni diminuivano e presto sarebbero arrivati a BMNC.

Per poi non parlare del fatto che lei doveva evadere, in qualche modo; Amy restava l'unica priorità, e prima o poi Blaze sarebbe dovuta tornare nel suo mondo.

Beh, forse le priorità si erano aggiunte, e si chiamavano Annie e Angel.

Soprattutto Annie, così giovane, innocente e debole non poteva essere venduta a degli sconosciuti senza brutti rischi.

Il fatto che la gatta non sapesse come stessero e dove precisamente fossero le dava una sensazione d'inquietudine.

Avrebbe dovuto non conoscerle, non affezionarcisi. E invece non era stata attenta, e adesso doveva preoccuparsi anche di loro.

Blaze non sapeva spiegarselo: era solita parlare con il minor numero di persone necessario ed essere emotiva come una roccia con gli altri.

Ma in quella situazione è stato diverso, come tutto il resto.

Ripensando alla riccia rosa, si chiedeva scocciata perché nessuno ne sapeva niente! Non una guardia che sia precisa, nemmeno Shadow, però lui era appena arrivato quindi era anche plausibile...

Shadow. Treno. Protezione.

Sono quelle le parole che si piantarono in testa nello stesso secondo che Blaze pensò al riccio nero.

Protezione che lui le aveva promesso, ma anche la protezione di cui la ragazza della sera prima le aveva parlato.

Glielo avrebbe chiesto. Perché no? Che c'è di male? Giusto per essere sicuri.

E anche se fosse? Cosa vuoi che le faccia? E' pur sempre Shadow!

Per qualche strana ragione, lei si fidava di lui, contro ogni logica dei fatti...

La logica ormai non funziona, era rotta. Lei l'aveva intuito meglio di chiunque altro.

Ed era frustrante, non si riusciva a mettere il cuore in pace.

Era ancora persa in sé stessa quando una ragazza, che aveva riconosciuto la micia, si era avvicinata.

“Ciao.” la salutò la creatura con fare calmo, una volta arrivata davanti a lei.

Blaze si destò dallo stato di trance e guardò dritta negli occhi la giovane ragazza.

La scrutò bene, osservandola nei minimi dettagli; all'inizio non l'aveva riconosciuta, ma poi osservando meglio riconobbe i capelli ondulati, le perle sulla fronte e quella lunga coda...

Era lei, la pesciolina della sera prima.

La pelle color arancio emanava riflessi di luce grazie all'acqua che aveva addosso.

La perla che portava al collo emanava una leggero luccichio grazie ai raggi del sole.

Gli occhietti violacei della ragazza la guardavano confusa, e preoccupata allo stesso tempo di non venir riconosciuta.

“Ciao!” rispose la gatta “Tu sei...la ragazza di ieri sera.”

La creatura acquatica sorrise rincuorata: “Sì, sono io!”

Blaze doveva ammetterlo: anche in piena luce del giorno, non capiva bene che animale fosse.

Ok, era una pesce, ma è troppo generico definirla tale. E' come dire che Blaze è un mammifero.

Tuttavia decise di tenersi per sé questi pensieri. Magari nel cognome c'è una traccia di ciò che è veramente...

Che stupida! Si disse Blaze, facendosi internamente un face-palm.

“Scusa” disse alla ragazza, con voce desolata “Che maleducata che sono stata, ieri sera non ti ho chiesto come ti chiami!”.

La giovane suonatrice le diede un caldo sorriso; “Non preoccuparti.”

“Coral.” si presentò “Coral the Betta.”

“Piacere.” rispose la gatta, stringendole la mano.

Finita la stretta, Coral parlò di nuovo:

“Ti avevo vista qui tutta sola e sembravi anche turbata. Così sono venuta a salutarti. Stai bene?” chiese calma.

“Sì, grazie per il pensiero Coral.” le rispose la gatta, che non aveva perso l'abitudine di essere educata e gentile.

Nonostante ora sapeva che apparteneva alla specie “betta”, non aveva presente come erano fatti. Coral era la prima pesciolina di quella specie che vedeva.

“Da dove vieni?” chiese la regina gatto.

La ragazza si sedette a gambe incrociate nell'acqua, per stare più comoda, e la sua faccia allegra era diventata sconsolata.

Si portò una mano sulla guancia, e scosse la testa:
“Abitavo sul fondo dell'Oceano” rispose triste “vicino a Mobius.”

La gatta rizzò le orecchie. Un'idea le piombò nella mente.

Forse...

“Mobius, hai detto?” si accertò la gatta.

“Sì. Vicino a Mobius. Mi hanno catturato proprio perché avevo voglia di farci un giro lì.” confermò.

“Quindi...conosci qualcuno di Mobius?” chiese speranzosa la gatta.

Coral la guardò con sguardo interrogativo. Era confusa dall'interesse della gatta nei confronti di Mobius.

“P-pochi...” ammise la creatura marina senza guardarla negli occhi, mentre muoveva la mano avanti e indietro nell'acqua, dolcemente.

Forse lei sapeva chi era Amy. Forse lei sapeva anche se era ancora sul treno.

Si fidava abbastanza per chiedere?

Non ho nulla da perdere. E poi cosa c'è di male se chiedo?

“...Coral, conosci una riccia rosa di nome Amy Rose?”

La gatta trattenne il fiato, mentre la ragazza arancio ci pensò su.

“Sì, l'ho conosciuta molto tempo fa. Tu la conosci?”

Un raggio di speranza per Blaze, la quale decise di rivelarle il perché del suo interessamento.

“Sì, e volevo chiederti se l'avevi vista su questo treno, perché ho saputo che è stata catturata.” disse sinceramente.

Gli occhi della ragazza si aprirono in sorpresa, mentre la bocca era aperta in shock:

“C-cosa?...” chiese con voce flebile, mentre impallidì visibilmente.

Blaze si accorse che aveva fatto un buco nell'acqua. Sapeva chi era, ed era già qualcosa, ma non ne sapeva niente di questa storia. Alla gatta servivano informazioni seduta stante.

“Quindi deduco che non sai dov'è...” disse sconsolata, sospirando.

“Io no” disse all'improvviso Coral, attirando l'attenzione della micia “...ma conosco un'amica che sa tutto su questo treno, ormai.”

Le orecchie della gatta si rizzarono di nuovo e i suoi occhi dorati guardavano la ragazza che aveva davanti con speranza e curiosità.

“Davvero?... e chi è?” chiese con un filo di tensione.

“Aspetta che te la chiamo.” rispose Coral verso la gatta, prima di girarsi e chiamare urlando la sua amica “MINA! Puoi venire?!”.

Una ragazza arrivò da loro sfrecciando nell'acqua, creando scie d'acqua che andarono addosso alle ragazze vicine, le quali grugnirono e si spostarono da lì.

“Ciao!” pigolò felice la ragazza, con un'energia notevole “Come va? Io sono Mina Mongoose!” esclamò porgendole la mano.

Blaze la osservò: una mangusta.

L'energetica giovane donna aveva un manto giallo, una folta chioma violetta che arrivano fino alla vita e una fluente frangetta sulla fronte.

Il muso color pesca aveva ai lati dei ciuffi morbidi, e le sue orecchie tonde spuntavano tra i capelli ed erano piene di orecchini argentei.

Gli occhi erano di un verde smeraldo vivo, e luccicavano ai riflessi del sole.

Blaze accettò la mano e gliela strinse, mentre la ragazza che si era presentata come 'Mina' la guardava con faccia da cucciola.

“Blaze the Cat” si presentò la guardiana dei Sol Emerald.

“Piacere!” rispose la ragazza con un sorriso smagliante. La regina gatto capiva subito quando una persona era eccessivamente sociale, e Mina era una di quelle.

Anzi, era iperattiva.

“Blaze, lei è la mia amica di cui ti avevo parlato, anche lei era alla festa, con il ruolo di cantante.” spiegò Coral alla micia lilla.

“Quindi...sei tu quella a cui mi devo rivolgere?” chiese la felina, guardando negli occhi la mangusta.

Coral chiuse gli occhi e annuì soddisfatta, per poi rivolgersi alla sua amica e spiegarle: “Blaze sta cercando un'amica che è stata catturata. Io non so dove sia, ma forse tu puoi aiutarla.”

Mina, la quale non aveva lasciato la mano di Blaze, la mollò d'improvviso e confermò, con un sorriso fiero:

“Sei dalla ragazza giusta! So tutto di tutti qua dentro!” esclamò orgogliosa.

Era incredibile per Blaze pensarlo, ma sì: Mina aveva un enorme senso dell'investigazione.

Era abile a scoprire segreti, capiva quello che succedeva solo grazie alle emozione e alla sua bravura di leggere il linguaggio del corpo, abilità che aveva sviluppato col tempo.

Per non parlare di quanto fosse chiacchierona e ficcanaso: le piaceva parlare di tutto e di più quasi quanto la musica.

La sua passione era cantare, qualsiasi Mobiano lo sapeva. Non riusciva a stare troppo staccata dal microfono, dai concerti e dal pubblico.

Aveva una voce melodiosa, ma anche giovane e a volte aggressiva; per questo tutti amavano la sua musica.

Inoltre amava l'avventura e il senso del brivido, quindi non ci pensava due volte a mettersi in gioco.

Era difficile pensare che due ragazze così opposte come Coral e Mina fossero amiche ed andassero d'amore e d'accordo.

Beh, a dire la verità non sapevano l'esistenza una dell'altra fino al giorno in cui hanno suonato insieme per la prima volta, nel commercio di schiavi.

Erano solo loro due, a suonare e cantare per compiacere le guardie.

L'istinto e l'abitudine di Mina di creare nuove amicizie e conoscere nuova gente, e il bisogno di avere qualcuno accanto di Coral portarono le due giovani musiciste a intrecciare le loro vite, diventando sempre più intime e impegnandosi a stare l'una accanto all'altra.

Come erano riusciti a prendere Mina?

Il giorno in cui diventò prigioniera, lei aveva un concerto a Mesmtown, la più vicina grande città al porto che noi tutti ormai conosciamo, Salt Mère.

Il suo manager Ash era ammalato, quindi lo lasciò da solo in albergo per riposarsi.

Decise di fare un giro in macchina; vagò e vagò finché non raggiunse una piccola taverna nel mezzo del nulla che dava sul mare...


Lei era al volante della sua bella macchina color prugna, le mani sul volante nero picchiettavano nervosamente. Il suo sguardo si perdeva un po' sulla strada mal asfaltata, e un po' a guardare il paesaggio che le scorreva a fianco. Alla radio suonava Britney Spears, idolo della giovane mangusta. Il finestrino era tirato giù a ¾ per far passare l'aria fresca, per non avere la sensazione di soffocamento. I dadi di peluche bianchi appesi allo specchietto e la testa di una statuetta hawaiana situata sul cruscotto oscillavano al muoversi dell'auto.

Dove sono finita? Si chiese Mina, con un tocco di divertimento. Andare a cercare posti sconosciuti in culo al mondo le piaceva, come adorava scoprire cose nuove.

A un certo punto, sul finire della strada, vide una taverna. La giovane cantante si sentì la gola secca, e si maledì per non aver bevuto prima di uscire dall'hotel.

Mi fermo a bere un po'. Pensò Mina, parcheggiando la macchina accanto alla locanda.

Una volta fermatasi, tirò su completamente il finestrino, tolse le chiavi e uscì dalla portiera, chiudendo la macchina dietro di sé.

A passi decisi si incamminò verso la taverna, e poi si fermò direttamente davanti ad essa, in posa con le gambe larghe e le mani sui fianchi, per osservarla bene.

La Vecchia Rosa” lesse sull'insegna legnosa. Non era nulla di ché, come aveva già visto prima, ma non le importava molto.

Magari all'interno è meglio. Sperò a buon cuore.

In tasca aveva solo dieci dollari, tutto quello che aveva quel giorno. Sperava solo che un sorso di birra non le sarebbe costato molto.

Finalmente allungò la mano sulla maniglia, e aprì la porta.

Dentro c'era un caldo, come in tutte le taverne dove gli avanzi di galera fumavano e bevevano.

C'è chi giocava a freccette o a poker o a altri giochi di carte.

L'atmosfera era caratterizzata da risate e chiacchiere rumorose.

Finché lei non spalancò la porta e si mostrò in tutta la sua bellezza e fierezza sulla soglia dell'entrata.

Tutti smisero di fare qualsiasi cosa stessero facendo prima e l'osservarono stupiti: non c'erano molte ragazze che passavano di lì, e se c'erano erano intimorite a morte.

Mina si guardò in giro tranquillamente, analizzando la situazione; era ovvio che si era accorta del cambio di atmosfera.

Dopo pochi lunghi secondi, la ragazza decise che era meglio andare al bancone a ordinare qualcosa.

Mentre camminava, poteva sentire tutti gli sguardi addosso a lei.

Si fermò solo quando fu davanti al barman, un grosso omaccione che in quel momento stava pulendo un bicchiere con uno straccio.

Dopo lunghi attimi passati a guardarsi negli occhi, il barman parlò:

“Allora, cosa ti porto?”

“E' buona qui la birra?” disse in tutta risposta la cantante, estendendo un sorriso accattivante.

Il barman rimase stupito; di solito le ragazzine erano timide e tutto quello che sapevano chiedere era una bottiglia d'acqua naturale.

Anche gli altri, che avevano sentito, rimasero piacevolmente stupiti, finché non iniziarono a rompere il ghiaccio:

“Quella sì che è una vera donna!” gridò uno allegro.

“Le porti la miglior birra!” rise un altro.

“Sì, gliela offro io!” si offrì un altro ancora, prima che tutti si accerchiassero intorno alla bella ragazza.

Per tutta la sera Mina bevette birra gentilmente offerta da alcuni di loro, giocò a biliardo, lanciò freccette, sfidò a poker e fece delle piccole performance, alla quale tutti applaudirono.

Si sentiva la reginetta della locanda, e un po' lo era.

Finché guardò l'orologio attaccato al muro dietro al banco. Mezzanotte passata.

Decisamente tardi; non aveva lasciato neanche un biglietto ad Ash, e lui si sarebbe certamente preoccupato. Senza pensare che si era dimenticata il cellulare.

Dopo che si fu maledetta da sola per la sua enorme sbadataggine, salutò calorosamente tutti quelli del bar, come se fossero vecchi e cari amici, e loro salutarono lei allo stesso modo, ritornando poi alla loro serata.

Uscì, e l'aria gelida l'avvolse subito. L'impatto le provocò brividi su tutto il corpo e dalla bocca uscirono delle nuvole di vapore.

Stringendosi e abbracciandosi da sola per tenersi caldo, si avviò verso la macchina.

Oscillava ad ogni passo, segno che era anche mezza ubriaca. Sapeva che non sarebbe riuscita a guidare al buio e in quello stato, e sapeva anche che sarebbe stato molto pericoloso.

“Perfetto, davvero perfetto!” borbottò ironica e scocciata tra sé e sé al pensiero che non se ne poteva andare così facilmente come era arrivata.

Sentì qualcuno, dietro a delle casse sul porto, che parlava di trasporto di qualcosa e altre robe che non riusciva a capire.

Magari mi possono aiutare pensò rincuorata Magari mi possono dare un passaggio.

Si diresse allora verso quella scura parte del porto, cercando di non traballare troppo.

“Scusate!” chiamò, cercando di essere più gentile possibile “Scusate! Posso chiedervi una cosa?”

Ma in quel preciso momento non sentì più i sussurri. Rimase diversi secondi con le orecchie all'allerta, ma le voci sembravano non essere più lì.

Magari se l'era solo immaginato, magari era solo un effetto dell'alcol.

Stava per andarsene, quando fu colpita forte alla testa da dietro, e poi tutto divenne nero.


“E quindi, cosa mi volevi chiedere?” chiese Mina, mettendosi le mani sui fianchi.

“Se sai dirmi dov'è una riccia rosa che si chiama Amy Rose.”

La mangusta si scurì, portandosi una mano al mento con fare pensieroso.

“Sì, purtroppo ho sentito che hanno scoperto Amy...” disse grave.

“La conoscevi?” chiese cauta Blaze, e i suoi sospetti si rivelarono veri.

La ragazza annuì “Sin da tenera età, a dire il vero. Abbiamo lottato molto insieme, siamo state in molte avventure... eravamo molto amiche. Si è staccata molto da noi da quando è diventata capo della polizia investigativa. Non l'ho mai vista così impegnata nel suo lavoro. Mi aveva accennato che stava seguendo qualcosa di grande... ma non pensavo...” si interruppe e sospirò tristemente.

Blaze e Coral le diedero tutto il tempo per riprendersi. La gatta pensava solo a quanto fosse fortunata d'aver trovato un'amica d'infanzia di Amy,

“Sono qui perché anch'io ho saputo che l'avevano beccata, e voglio liberarla.” spiegò con un filo di voce, in modo che solamente le due ragazze la sentissero.

Forse non doveva dirlo. Magari stava sbagliando a fidarsi così tanto da rivelarle il suo piano.

Sperava solo di non pentirsi ora che due persone di troppo sapevano delle sue intenzioni.

Non c'era niente di male se non avevano cattive intenzioni, ma se erano qualcuno di diverso dalle ragazze che sembravano sarebbero stati dolori.

Ma poi, a pensarci bene, se erano amiche di Amy e l'avevano conosciuta, non dovevano essere brutte persone...no?

La sfortunata cantante annuì lentamente, e si riprese: “Capisco, e Dio ti benedica per la tua buona azione. Purtroppo sei in ritardo, Amy è stata nel giro precedente!” disse la creatura, che era visibilmente preoccupata per la riccia rosa.

Diamine.

Blaze ci pensò su: forse non era troppo tardi.

“Mina?” chiese, per attirare l'attenzione della giovane donna.

“Mh?”

Tutte le ragazze vanno a New Mobius Big City?”

“Sì.” rispose “Sei la prima che è a conoscenza della nostra meta, sai? Oltre a me intendo.”

Blaze ignorò la sua affermazione.

“Quindi anche Amy sarà lì. Certo...” disse pensierosa, quasi dimenticandosi delle due ragazze.

Poi alzò lo sguardo per incontrare i loro, e chiese solennemente e seria:
“Siete disposte a programmare un piano di fuga?”

Le reazioni furono diverse: Mina saltò in aria esaltata, recuperando la felicità che aveva perso nell'argomento precedente.

“Ci puoi scommettere!” le urlò eccitata.

Anche a Coral piaceva l'idea di tagliare la corda da quel destino che, se si fossero trattenute oltre, le avrebbe condannate tutte per certo.

Comunque, aveva troppa paura: se il piano non avesse funzionato? Ci avrebbero rimesso la vita tutte e tre.

Se qualcosa andava storto... il ricordo delle torture la fece rabbrividire.

Lo sapeva che non aveva coraggio. Lo sapeva che non aveva fegato per rischiare. Lo sapeva di essere solo un peso.

Si morse il labbro.

Il disagio delle creatura acquatica non passò inosservato a Blaze, la quale la stava guardando da quando aveva proposto l'offerta, sapendo che sarebbe stata molto combattuta.

Vedendo la giovane ragazza indecisa non proferire parola, la gatta le sussurrò:

“Capisco se non ti fidi di noi...capisco se non ti fidi di me.

Coral si stupì da quanto la voce fosse calma e bassa, e rimase impressionata dall'autorità e dalla maturità che emanava.

Perché non si fidava di lei? Aveva detto di vederla come una salvezza, cos'è che non andava?

Mina? No, anche di lei si fidava.

Poi realizzò: non era di loro che non si fidava, ma di sé stessa.

Aveva paura di non essere capace nella sua parte di piano, aveva paura di sbagliare qualcosa.

Aveva paura di essere troppo debole per qualsiasi proposta di fuga, troppo debole per fare la sua parte.

Sarebbe stata solo d'intralcio, se lo sentiva. Loro ce la potevano fare anche da sole.

Voleva aprir bocca per dirle quello che pensava, ma non riuscì a farlo.

Si sentiva anche lo sguardo preoccupato di Mina addosso.

Ci pensò sù e capì cosa la tratteneva dalla sua confessione: non era certa di essere così debole come pensava.

Anzi, quell'avventura le aveva fatto prendere un po' di aggressività nelle decisioni: non voleva guadagnarsi una vita così schifosa.

Qualcosa scattò in lei: voleva provare, voleva rischiare.

“No.” disse decisa, e più dura di come voleva far uscire. Le due ragazze la guardarono sbalordite, soprattutto Mina, la quale non si sarebbe mai aspettata un simile tono dalla sua mite amica.

Blaze stava all'erta di nuove reazioni.

Dopo brevi secondi di silenzio, Coral riprese con la stessa sfumatura di voce:

“Voglio fare un piano per uscire da qui. Voglio andarmene con voi.” e aggiunse, più seria che mai;

“Sono pronta a rischiare.”

La determinazione aleggiava sul suo volto.

Blaze era contenta di sentire quelle parole, era contenta che finalmente la giovane musicista si vedesse per quello che era: una coraggiosa, sebbene prudente, determinata donna.

Anche Mina la guardava felice, una volta passata la sorpresa.

“Meglio così.” le disse “Altrimenti ti avrei costretto trascinandoti dietro di me.”

Coral la guardò spaesata.

“Non ti avrei mai lasciato qui.” le spiegò con tono dolce.

“Nemmeno io.” aggiunse la regina gatto.

Coral le guardò con un sorriso che esprimeva solo l'enorme gratitudine che aveva nei loro confronti.

Era grata di averle conosciute, era grata che fossero sue amiche, era grata a loro per la loro amicizia e disponibilità. Se doveva essere sincera, se qual giorno se ne fosse stata vicino a casa non le avrebbe mai incontrate. Probabilmente non avrebbe mai saputo della loro esistenza.

Non voleva ammetterlo ma... probabilmente ringraziava di essere finita in quella pericolosa avventura.

“Quidi Blaze... cos'hai in mente?” disse Mina rivolta alla giovane gatta, con un sorriso raggiante.

“Ve ne parlerò sul treno... che vagone siete?” chiese la micia.

La mangusta sorrise maliziosa; “Sei fortunata, sono nel tuo stesso vagone!”

Blaze rimase perplessa: “Davvero? Non...t'aveva vista.”

“Ma io sì, fidati. Numero 2, giusto?”

“Giusto.”

“Purtroppo” s'intromise Coral “io sono nel numero 3.”

“Non preoccuparti cara, io e Blaze troveremo un modo per contattarti e parlare.” la rassicurò Mina.


Era ora. Blaze e le altre si alzarono dall'acqua.

Si era alzato un venticello che faceva venire i brividi alle ragazze ancora bagnate.

Blaze si avvicinò all'albero con i suoi vestiti.

Dopo essersi messa l'intimo, allungò la mano per prendere il vestito che aveva lasciato su uno dei rami, ma questo volò via a causa del vento, finendo nel bosco lì vicino.

Cazzo!

E non le rimase niente da fare se non andarlo a riprendere.

Si guardò una attimo in giro e poi si diede all'inseguimento.


Shadow era lì, tutto bello e tranquillo con gli occhi chiusi e le braccia incrociate, impegnato a concentrarsi sul silenzio della natura.

Sentiva il vento che gli passava tra le spine, il profumo delle foglie gialle e rosse, il canto degli uccelli.

Era un posto che lo calmava, a differenza del rumoroso treno con i suoi chiassosi compagni.

Si fece un'immediata nota mentale dicendosi di ritornare in quel posto.

Poi, si destò dai suoi pensieri; qualcosa gli era volato in faccia, coprendola tutta.

Notò subito che era sottile e leggero, e che puzzava un po' di legno e altri odori che non riconosceva.

Allarmato, aprì gli occhi e afferrò l'oggetto, portandolo poi a distanza di sicurezza per osservarlo meglio: un vestito.

Non uno qualsiasi: era il vestito marrone di una prigioniera.

E questo da dove viene? Pensò Shadow, guardando da dove proveniva quel vestito scarso.

Quello straccio gli era appena arrivato in faccia dal nulla, vi immaginate la reazione di Shadow?

Beh, ne fu seriamente confuso, e iniziò a incamminarsi per il sentiero.


Cavolo, dov'è finito?! Pensò Blaze, mentre si addentrava nel bosco.

All'inizio era solo un po' scocciata, ma ora che seriamente non riusciva più a trovarlo, era diventata frustrata, ed era sulla buona strada per diventare isterica.

Inoltre sapeva che il marrone del vestito si mimetizza perfettamente con il sottosuolo del bosco.

Mai una che vada per il verso giusto, MAI UNA CHE VADA PER IL VERSO GIUSTO!

Non poteva permettersi di far tardi, ma ovviamente la vita è difficile e si sogna di semplificarsi.

Quindi correva per il sentiero, sperando con tutto il cuore che nessuno la vedesse.

Purtroppo, e allo stesso tempo fortunatamente, le parve davanti Shadow, che la guardò sorpreso, mentre in una mano aveva il suo vestito.

I loro sguardi si incontrarono e per un secondo ci fu silenzio.

Poi lei cacciò un urlo strozzato e cercando di coprirsi contemporaneamente, mentre lui si voltò dall'altra parte per non vederla chiudendo anche gli occhi, e porgendole nello stesso tempo il vestito.

Con estrema velocità, la gatta lilla gli strappò di mano il vestito e andò a nascondersi dietro ad un albero.

“Dio mio, Blaze!” le urlò Shadow rosso in faccia, e anche un po' disturbato “Dovevi dirmelo che era praticamente nuda! Almeno mi giravo in tempo!”

Lei si era infilata il vestito addosso, e premeva la schiena contro l'albero, lasciandosi poi scivolare fino a terra.

Anche Shadow si era seduto alla stessa maniera, ma dal lato opposto dell'albero, per dare tutto il suo spazio all'amica.

Il riccio nero non parlò per un bel po', aspettando che lei gli dicesse qualcosa. Ma lei non aprì bocca. L'ex agente non sapeva cosa le stesse passando per la testa... forse aveva ancora vergogna per prima? Forse era imbarazzata?

Sta di fatto che, stranamente, fu lui a rompere il ghiaccio ed a iniziare un discorso:

“Come ci è finito il tuo vestito nel bosco?”

“Scherzi del vento.” sbuffò la gatta dall'altra parte del tronco.

Shadow si concentrò sul delizioso vento che soffiava tra le foglie autunnali...

“Il vento...” sussurrò lui, guardando i rami muoversi.

Poi si riprese dalla calma che il bosco gli dava e con un sorriso malizioso continuò:

“Ti sei fatta fregare da un po' di vento?” chiese divertito.

Poteva sentire la micia dall'altra parte sbuffare stizzita.

“Il vestito era su un ramo e non ho fatto in tempo a raggiungerlo.” spiegò lei alla buona, senza trattenere una nota d'irritabilità.

“Capito... non abbastanza alta, vostra altezza?” disse malizioso, e allo stesso tempo divertito, una cosa ben strana per lui.

Blaze non ci impiegò niente a capire la scadente battuta del riccio, fatta solo per stuzzicarla.

Come osi!” gli urlò indignata la felina.

Shadow ridacchiò. Eh, sì: gli piaceva proprio punzecchiare la giovane donna.

“Mi spiace,” disse ridendo pacato “ma dovevo proprio dirla!”

“Sono stata più bassa!” si difese lei, incrociando le braccia offesa.

“A quel tempo avevi i poteri.”

“A quel tempo non avevi un così scarso senso dell'umorismo.” ribatté lei con un mezzo sorriso.

“Ahia, questa brucia!” rimarcò il riccio nero, aspettando la reazione della micia, anche lui con un mezzo sorriso.

“Questo è troppo!” rispose lei fintamente offesa, ma con un tocco di divertimento. Poi non disse più nulla per un po'.

“Shadow?”

“Mh?”

“Ti ricordi quando sei stato talmente stronzo da non volermi aiutare anche se me la dovevi?” ridacchiò lei.

Lui sorrise a quei ricordi di dieci anni prima; certo che se lo ricordava, lei era stata molto generosa a ripescarlo in mare dopo che Metal Sonic aveva deciso di ignorare i suoi tentativi di pace. Lei poi l'aveva aiutato a sconfiggere il robot e infine gli diede un Chaos Emerald per tornare nella sua dimensione.

Lui, la prima volta che la rivide, le negò la tranquilla via per l'unico oggetto di cui lei aveva assoluto bisogno: il Sol Emerald.

Senza quello, il suo mondo sarebbe finito nel giro di poco, mentre Mobius sarebbe continuata a vivere comunque.

Tuttavia, gli ordini erano ordini, e Shadow era molto pignolo su questo.

E' qui che entra in gioco il Team Rose, composto da Amy Rose e Cream the Rabbit.

Loro aiutarono la quattordicenne principessa a recuperare la preziosa gemma combattendo valorosamente e con passione.

Questo loro gesto le rimase nel cuore per sempre.

Blaze si sentiva come se non avesse mai potuto ringraziarle abbastanza, era in debito con loro, con Amy; era per questo che si era imposta da sola l'obbligo di aiutarla quando ne aveva bisogno, in questo caso salvarla.

Shadow tentò di scusarsi con lei, ma il tentativo fallì miseramente...


Blaze sfrecciò sul suolo della foresta.

Shadow corse fino a raggiungerla e si mise al suo fianco.

Blaze. Voglio scusarmi.” iniziò dolcemente “Lo so che il tuo mondo ha bisogno dei Sol Emeralds...”

Blaze interruppe:

Gli oceani evaporeranno, le isole sprofonderanno e il cielo cadrà.” gli disse stizzita, spiegandogli la terribile situazione del suo mondo.

...e ammetto che non lo sapevo.” disse lui, cominciando a sentire forte il dispiacere di quello che stava facendo.

Ma la mia missione e il mio mondo vengono prima. Ti dovrò combattere senza pentimenti.” disse, per nulla felice di quello che aveva appena pronunciato, che era purtroppo tutto vero.

Blaze non si trattenne più dalla rabbia:
“Allora perché stai cercando così tanto di scusarti?” e scattò via da lui, lasciandolo indietro mortificato come non mai.


Eppure, alla fine di tutto quel casino... lui le lasciò prendere la gemma.

Persuase Rouge, con l'aiuto di Omega, a lasciarle il Sol Emerald, in quanto la G.U.N. le doveva un Chaos Emerald.

Blaze sapeva che non era Sonic, ma comunque sapeva avere un cuore d'oro...

“Le cose non sono più come prima, non è così?” disse a un certo punto la gatta, anche se sapeva già la risposta.

“Già.”

La sua voce si ammorbidì:

“Cos'è cambiato, Shadow?” gli chiese.

“Tutto è cambiato. Tutto cambia sempre, è quasi normale.” le rispose calmo, anche se si intuiva che questi erano argomenti dolorosi per lui.

“Perché?” chiese ancora, non soddisfatta della risposta del riccio nero.

“Tutto cambia perché è la vita, Blaze-”

“Lo sai che non intendevo questo.” lo interruppe bruscamente, con una nota di rimprovero.

“Cos'è successo? Cosa ti ha fato cambiare?”

Shadow non rispose. Lei non lo sentiva emettere alcun suono, nemmeno respirare.

Era come se fosse morto, o semplicemente svanito.

Restarono così a lungo in completo silenzio che Blaze si chiese se fosse proprio sparito.

“Shadow?” chiamò.

“Tu dovresti ritornare indietro.” disse lui alzandosi velocemente, azione che anche lei fece allarmata. La sua voce non era fredda e nemmeno spazientita, anzi; sembrava averlo detto con nonchalance.

I loro sguardi si rincontrarono di nuovo e lui le porse la mano:

“Vieni, torniamo al treno.”

Esitante, lei accettò la mano del riccio, la quale strinse forte attorno a quella della gatta lilla.

In silenzio, mano nella mano, i due tornarono alla locomotiva di legno.

N.A: Ehilà! Rieccomi qui in un altro capitolo! Se quelli precedenti erano corti, consolatevi che questo è chilometrico!
Comunque, volevo fare queste note d'autore perché nell'ultima parte, in cui Blaze e Shadow parlano dei fatti avvenuti dieci anni prima, ho come dato per scontato che voi abbiate letto il fumetto, ma visto che sono sicura che la maggior parte di voi si è persa quelle perle di capitoli, ve li riassumerò qua sotto.
Sonic Universe #1 e #21-25 ( o giù di lì)
Nell' #1 si vede Shadow e Metal Sonic che si sono teletrasportati nel bel mezzo dell'Oceano e fluttuano su esso. Shadow tenta di far ragionare il robot e di farlo ribellare contro il dottor Eggman, ma fallisce nel suo intento e viene buttato in acqua. MS se ne va, e per fortuna di Shadow, Blaze e Marine lo ripescano sulla loro nave.
Dopo aver fatto le presentazioni, Blaze gli spiega come mai conosce Sonic (salterò il racconto perchè è inutile spiegarvelo).
Arrivano al porto per trovare MS che attacca il popolo di Blaze. La principessa attacca il robot, e anche Marine e Shadow ci provano, ma falliscono.
Shadow tenta di nuovo di parlargli, ma il robot non ne vuole sapere.
Quindi, il riccio e la gatta lo prendono alla sprovvista, lanciandolo lontano, dove Marine è pronta a tirargli una palla di cannone, distruggendolo.
Shadow però non è affatto contento, perchè MS era la sola via per tornare nella sua dimensione.
Così, Blaze gli offre un Chaos Emerald che ha trovato durante le sue ricerche.
Lui la ringrazia e si teletrasporta alla base della G.U.N.
Nel #21 (penso) Amy e Cream fanno conoscenza di Blaze, e all'inizio la combattono poi decidono di aiutarla quando si accorgono che è un'amica di Sonic. Anche Rouge si offre di aiutarle, facendo però lo sbaglio di chiamare Blaze "principessa", insospettendo la gatta.
Trovato il Sol Emerald, Rouge le tradisce e fa per andarsene, ma le tre ragazze la bloccano.
Entrano quindi in scena Shadow e Omega per aiutare la loro collega.
Blaze riconosce Shadow, e gli dice: "Shadow, è così che ripaghi la mia generosità? Lo sai quanto il mio mondo abbia bisogno dei Sol Emerald!"
Lui sembra pensarci un po' su, visibilmente in colpa, ma poi ritorna freddo come il ghiaccio e le risponde in una maniera leggermente stronza: "That was then, this is now (Quel che è stato è stato, quel che è adesso è adesso(circa))." (#thuglife)
Quindi alle ragazze non rimane altro che combattere.
Il Sol Emerald passa in varie mani, finchè dopo qualche passaggio Cheese lo prende e vola via (mettendolo nel culo al Team Dark coff coff).
Blaze, Amy e Cream vanno a raggiungere Cheese, che è caduto in mano del Team Hooligane (penso si scrivi così).
Prima che potessero fare qualcosa, le tre ragazze vengono raggiunte dal Team Dark e messe KO. Nel frattempo Bean, Bark e quello-con-la-passione-spinta-per-la-sua-stessa-moto fuggono.
Cream racconta che loro non l'hanno più, e Amy - che si è ripresa- descrive i tipi e Rouge li riconosce.
Blaze è ovviamente incazzata, e Shadow è l'unico che cerca di calmarla e le dice che stava cercando di aiutarla.
Amy chiama l'attenzione di tutti e decide insieme a Rouge di fare squadra per un po'.
Sono in marcia, quando a un certo punto Blaze sfreccia davanti a tutti, e Shadow la segue.
Qui avviene quel dialogo che avevo messo nella storia.
Nel frattempo, i tre hanno altri problemi: anche il Team Babylon Rouge è dietro al Sol Emerald, e causano un'esplosione e il Sol Emerald riceve una brutta botta.
Blaze, la quale è strettamente legata ai Sol Emerald, si sente male e si ferma un attimo. Preoccupati, Shadow e Amy vanno a soccorrerla, ma lei dice che va tutto bene, quindi Amy ordina a Shadow di portare Blaze e quindi lui se la ritrova in braccio stile sposa (naturalmente si guardano imbarazzati, e vi giuro QUELLA SCENA ESISTE! E' anche lo sfondo del mio cellulare perchè sono troppo belli! <3 )
I quattro gruppi si ritrovano e lottano tra loro. Alla fine prevalgono il Team Dark e il Team Rose.
Rouge è pronta a ingaggiare un'altra lotta contro le ragazze, ma Shadow la blocca, dicendo che la G.U.N. deve un Chaos Emerald a Blaze, e che è più importante ila salvezza di un intero mondo.
Si salutano e i tre agenti se ne vanno, lasciando le tre ragazze a darsi i saluti, poi Blaze sparisce tra le fiamme verso la sua dimensione.
E sì, questa è la storia! (non avrei mai immaginato di dover fare tutto il cazzo di epilogo).

Ultima cosa: non mettete nel dimenticatoio Annie e Angel, soprattutto Annie. Ritornerà presto.
(Sinceramente non volevo dare a un OC un così importante ruolo.... a dire la verità non è così importante ma è più importante di quello che mi aspettavo.)

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Capitolo 14
*** Cap XIV Vicini alla propria meta ***


Rouge tornò al treno tutta soddisfatta; aveva un sorriso contento che nessuno sapeva spiegarsi.

La verità era che finalmente era riuscita a vedere Blaze, anche se da lontano.

Non voleva che la gatta la vedesse, ma allo stesso tempo voleva spiarla da vicino.

L'occasione arrivò durante quei venti minuti di bagno.

Anche la pipistrella era stata mandata a lavarsi, e lì la vide.

Nell'acqua Rouge chiacchierava con le altre, per non destare sospetti, e allo stesso tempo sorvegliava la giovane gatta.

Era proprio come l'aveva descritta Shadow: bella ed elegante.

Era senza dubbio una persona riservata, come Rouge se la ricordava, e con un alone di mistero.

L'ex spia della G.U.N. non mancò a guardarla anche con sospetto; diffidava di una persona così calma e calcolatrice, sapendo che al momento giusto sarebbe esplosa come una mina.

Non credeva davvero che i suoi poteri se ne fossero andati via così, soprattutto se erano naturali come quelli della gatta.

Shadow non sapeva che pensare, sembrava quasi crederle, e nonostante Rouge si stupisse dell'ingenuità dell'amico, lei non diceva niente.

Se ne stava zitta e lo fissava mentre lui argomentava e parlava...

Sinceramente, non pensava che Blaze fosse una spia... ma perché era lì?

Rouge non pensava che avesse una motivo... Rouge sapeva che aveva un motivo:

Amy Rose catturata e poi poco dopo Blaze nello stesso commercio di schiavi? Era ovvio che era tutto collegato. Quella guardiana non si sarebbe schiodata dal suo prezioso mondo se non si fosse trattato di qualcosa di grave.

In quanto a Amy... eh, che ci voleva fare?

Sospirò pesantemente al pensiero della riccia rosa.

Quella ragazza si cacciava nei guai sin dalla tenera età, e ha continuato fino a quel momento.

Aveva saputo di lei da Shadow, il quale le aveva raccontato del fascicolo che aveva visto.

Investigatrice? Sì, era un lavoro che le stava bene, dopo tutto. Rouge ignorava quanto fosse maturata nel corso degli anni, non aveva mai avuto occasione di vederla o di parlarci assieme ancora.

Se la ricordava come un'iperattiva riccia dodicenne rosa confetto che continuava a parlare, gridare, sognare ad occhi aperti un fidanzamento tra lei e Sonic che non esisteva, e blaterando sciocchezze con il suo sgradevole, acuto e quasi infantile tono di voce. Doveva essere molto cambiata se era diventata capo della polizia investigativa.

Che altro poteva dire di lei? La ricordava una bambina: occhi verdi, grandi e tondi che si guardavano in giro curiosi, un ciuffo sparato sulla fronte e una pratico caschetto da maschiaccio;

aveva un cerchietto rosso sulla testa che non serviva a niente e indossava un largo vestito rosso coi bordi bianchi, non molto lungo, ma abbastanza da coprire le mutande bianche della nonna.

Non voleva ammetterlo, ma era preoccupata per lei: anche se fosse rimasta un'annoiante creatura, non si meritava quella fine. Certo, avrebbe dovuto sapere che non sarebbe stato facile.

Il peggio era che la sua posizione e il suo stato fisico e mentale erano più misteriosi del triangolo delle bermuda: nessuno sapeva dove fosse, come stesse, se era viva o morta.

Era come se a un certo punto fosse scomparsa nel nulla, dato che tutti sapevano solo che era salita sul treno e stop.

Oh, tesoro. Pensava triste, mentre camminava e scuoteva la testa sconsolata Perché non sei rimasta a raccogliere fiori...?



Blaze guardò Shadow che saliva sul vagone con facilità, per poi voltarsi verso di lei e porgerle entrambi i palmi, invitandola silenziosamente a prendergli le mani, per aiutarla a salire.

Nonostante Blaze non fosse tipa da accettare aiuto – soprattutto quando non ne aveva assolutamente bisogno – la gatta lo guardò e, reclutante, accettò le mani.

Il riccio strinse forte attorno alla presa della gatta, come se volesse assicurarsi di non lasciarla, e la tirò su senza troppa fatica.

Blaze mormorò un 'grazie', ma per il resto c'era troppo silenzio. Il tutto non sembrava nemmeno così naturale.

Una volta tirata a bordo, Shadow non riuscì a non guardare gli occhi della giovane gatta; dorati, che bruciano come il più fiero inferno. Erano quasi ipnotici.

Distolse lo sguardo, sapendo che non poteva perdere altro tempo in quel modo, e che doveva portare le chiappe a lavoro.

Ad un tratto Blaze si ricordò... doveva chiederlo...

“Devi tornare nel tuo vagone, se ti chiedono qualcosa di' che eri con me.” disse, già voltato di spalle, e iniziando ad andarsene via.

“Aspetta!” lo chiamò Blaze, inseguendolo. Lo raggiunse e gli mise una mano sulla spalla in modo che si fermasse.

“Che c'è?” chiese lui, voltandosi a guardarla.

All'inizio la micia lilla avrebbe voluto girarci un po' attorno, ma non vedendo come fare e trovando l'approccio diretto più al caso loro, dato che nessuno dei due aveva tempo da perdere, disse:

“Cosa sai della protezione, qua dentro?” chiese seria, guardandolo dritto in faccia.

Shadow non rispose subito, sembrava stupito che lei sapesse di quel particolare.

Le sue iridi le scrutarono il viso, cercando qualcosa da dirle... o le parole giuste per dirle qualcosa.

“Mph!” grugnì alla fine “Se te lo stai chiedendo: , ti ho messa sotto la mia protezione.” ammise, prima di riprendere a camminare, via da lei. Sentiva un leggero imbarazzo a dirglielo così in faccia alla gatta, proprio alla diretta interessata.

Ma dopotutto, lei aveva il diritto di saperlo.

Blaze gli fu subito dietro.

“Perché l'hai fatto?” gli chiese leggermente stupita “Lo sai che me la so cavare da sola!”

“Certamente.” rispose lui con un pizzico di sarcasmo.

“...ma preferisco esserne sicuro. E comunque, di che ti lamenti? Avrai un problema in meno.” riprese, tornando serio e sincero.

Blaze sospirò pesantemente.

“Non ti capisco. Si può sapere perché cerchi sempre di proteggermi? Non ne ho bisogno-”

Oh, forse hai ragione!” tagliò corto lui, iniziando a perdere la pazienza e alzando troppo la voce.

“Forse non ne avrai bisogno, ma sai che ti dico? Tu non la vuoi perché ti fa sentire debole. Non funziona così, cazzo! Tu accetterai quello che decido e farai quello che ti dico e QUESTO E' QUANTO!” urlò.

Blaze non disse niente: rimase immobile a guardare il suo amico che pian piano sbolliva la rabbia, senza battere ciglio.

Shadow realizzò lentamente ciò che aveva appena fatto, e si rese conto che era stato troppo duro.

Avrebbe voluto dire qualsiasi cosa pur di scusarsi, ma semplicemente non gli uscì niente dalla bocca.

A un certo puntò sentì uno strano rumore, come una... risata. Alzò lo sguardo e vide, con stupore, che Blaze stava ridacchiando sottovoce, poi quella risata divenne sempre più forte, quasi maniacale.

Shadow la guardò allibito. Semplicemente non capiva.

“Oh, Shadow” disse lei ridacchiando cattiva “Nessuno ha mai osato impormi quello che dovevo fare, e mai accetterò ordini da nessuno, nemmeno da te.” gli spiegò, tornando calma poco a poco.

Lui continuava a guardarla scioccato.

“E' per questo che ridevi?”

“Facciamo così” disse Blaze, ignorando la domanda del riccio nero “Io sarò disposta ad accettare la tua protezione e a rispettare quello che fai e che farai, ma non provare nemmeno ad approfittartene!” e detto questo, gli diede le spalle e uscì a testa alta dalla stanza, con passo sicuro.

Shadow osservò mentre se ne andava, guardandole la coda che oscillava da lato a lato.

La sua reazione l'aveva lasciato di sasso, e nonostante sembrava che Blaze non se la fosse presa, Shadow pensava comunque di essere stato troppo duro.

“Blaze...” la chiamò, sperando che si fermasse e si girasse verso di lui, per guadarlo.

Invece lei uscì senza degnarlo di uno sguardo.

Ora lui era solo. Forse l'aveva ferita. Forse aveva colpito sotto quel grande scudo che Blaze aveva eretto per proteggersi. Forse aveva ferito quello che c'era sotto la sua maschera, la stessa copertura che aveva creato e che serviva per non mostrare le sue emozioni, per sembrare forte.

Debole. Termine che faceva sicuramente un brutto effetto su una tipa fiera come Blaze.

Shadow poteva immaginarlo: una parole del genere diretta a lui avrebbe sicuramente fatto scattare qualcosa in lui. Rabbia. Nessuno poteva definirlo debole, perché lui non voleva esserlo e non voleva essere ritenuto tale.

Blaze, in questo punto di vista, era molto simile a lui, e quindi – quasi sicuramente- anche lei stava provando rabbia, che aveva coperto in quel modo quasi bizzarro.

Magari era ancora arrabbiata, e se ne era andata per non esplodere. Magari era lì in corridoio che stava fumando fuori di sé.

Poi Shadow si accorse di una cosa, che lo colpì come un fulmine: l'ha fatto per dimostrare che era forte.

Gli aveva detto quelle cose per dimostrargli che sapeva tenere la situazione sotto controllo, che sapeva farsi valere e che comunque comandava lei.

Sorrise.

Ok. Come vuoi.



Blaze ritornò nel suo vagone.

Aprì la porta per entrare e vide tutte le ragazze già dentro e sedute.

Si guardò velocemente in giro finché vide Mina, seduta anche lei che guardava in giro sorridente e paziente. Blaze si accostò a lei e poi si sedette in parte.

“Blaze, eccoti!” esclamò la mangusta “Dov'eri finita?”

“Ho avuto dei problemi.” rispose la giovane gatta sbuffando. Non le aveva detto una bugia, in parte era vero.

Oh.

“Nulla di grave.” si affrettò ad aggiungere la gatta, non dando nemmeno il tempo all'amica di iniziare a preoccuparsi.

“All'ora...questo piano?” chiese la giovane cantante, la quale iniziava ad eccitarsi al solo pensiero.

“A dire la verità” ammise la gatta, senza vergognarsi troppo “Non ho ancora un piano preciso. Non ho elementi per farlo. Per questo il tuo aiuto mi può essere prezioso.”

La ragazza annuì in silenzio.

“Capisco. Cosa vuoi sapere?”

“Prima di tutto...ci sono uscite di emergenza su questo treno?”

“Mmh...oltre a quelle normali, solo una, in fondo all'ultima stanza. Ma non ti consiglio di usarla...”

Blaze annuì grave, consapevole di quello che intendeva: sapeva che stanza era, quella delle torture.

“In secondo luogo, sei mai stata a NBMC?” riprese Blaze.

Mina rise moderatamente: “Non sapevo nemmeno che esistesse. A dire il vero, nessuna prigioniera qui l'ha mai sentita.”

Blaze aveva una faccia scocciata: “Stai dicendo che nessuno ha mai sentito parlare di una città del genere?! Come?!”

“Eh eh, già, è proprio una città fantasma.” ridacchiò Mina “Potrebbe diventare leggendaria, come El Dorado, oppure Atlantide, la fantomatica città inghiottita dalle acque. A proposito...” aggiunse pensierosa “...dovrei chiedere a Coral se esiste davvero.” concluse con un sorriso.

“Ma ci sarà sicuramente una stazione?!” esclamò la gatta lilla, più a sé stessa che alla sua amica.

Mina ci pensò su: “Sì...le guardie parlavano di una stazione... quindi suppongo che ci sia.”

Blaze iniziò a pensare a qualcosa.

“Bene” disse solo.

Per un po' pensò a cosa si poteva fare, il suo sguardo rimaneva fisso e concentrato al suolo.

Mina la osservava in silenzio, chiedendosi cosa si stava ingegnando.

Dopo interminabili minuti di silenzio, la gatta alzò lo sguardo e guardò la sua amica:

“Penso di avere un'idea, vuoi sentirla?”



“Potrebbe funzionare!” disse alla fine Mina, dopo aver ascoltato attentamente quello che la micia le aveva proposto.

“Ora non ci resta che parlarne con Coral.” aggiunse la giovane cantante.

La gatta annuì pensierosa.

C'era ancora un sacco di tempo da passare sul treno, quindi iniziò a fare domande sui suoi amici.

Mina rispose a tutto:

le raccontò che Sonic si era sposato con Sally Acorn, principessa nonché futura regina di Mobius, e gli erano appena arrivati due gemellini, Manic e Sonia, e si diceva che erano già peperini.

Per quanto si sforzasse, Blaze faceva davvero fatica a immaginare il suo amico blu come un re; lui era più un eroe, uno spirito libero, un avventuriero, e allo stesso tempo le venne in mente una cosa spaventosa...

cosa ha pensato Amy dei due sposini? Come aveva reagito?

La gatta non resistette e chiese alla sua amica come Amy l'avesse presa.

Lei, con un sospiro visibilmente triste, le rispose: “Non molto bene. Amy era ancora molto innamorata di Sonic, anche se aveva capito che non ricambiava. Ma ha sempre voluto bene a entrambi, e diceva che se erano felici così, era felice anche lei. Per questo al loro matrimonio ha fatto buona faccia a cattivo gioco. Io c'ero perché ho cantato alla loro cerimonia, e Amy se ne è andata prima che finisse.”

Blaze annuì, assorbendo tutte le parole che uscivano dalla bocca di Mina.

Certo, doveva essere assolutamente doloroso vedere l'uomo della propria vita sposare qualcun altro. La micia si sentiva male per Amy, quindi smise di chiedere riguardo Sonic.

Per carità, lui aveva una vita, una famiglia e una buona reputazione e Blaze era assolutamente felice per lui, ma come poteva fare una cosa del genere proprio a Amy?

Sospirò tristemente quando si rispose da sola; non si poteva costringere nessuno ad amare.

In questo caso, si può dire che non si poteva costringere Sonic a ricambiare. E l'argomento Sonic/Amy era finito.

Knuckles si era sposato con una certa Julie-su, dalla quale aveva una figlia già grandicella, Lara-su.

Onestamente, Blaze non conosceva bene Knuckles, ne aveva sentito parlare da Sonic e l'aveva visto solo una volta quando lei era piombata nel mondo del riccio blu in cerca dei Sol Emerald.

E quanto riguarda Tails...

“E' il mio amore” gioì Mina, ma con una nota di tristezza sapendo che lui adesso era lontano.

“Dovevamo sposarci a breve, ma poi è successo questo...” disse, abbassando lo sguardo e con le lacrime agli occhi. Poi prese coraggio, e guardò Blaze dritta negli occhi.

“Ma per fortuna,” disse sorridendo di nuovo, cercando di mandare via le lacrime “se questo piano va a buon fine, potrò tornare da lui.”

Blaterò ancora per un po' sul fatto che anche dei certi Bunnie e Antoine si erano sposati ed avevano avuto due splendidi figli, prima una bella bambina di nome Belle, poi un maschietto di nome Jacques.

Non sapendo chi siano, Blaze preferì tenere la bocca chiusa ed annuire come se avesse capito. O come se le fregasse qualcosa.

Così passarono alcune ore, raccontandosi a vicenda da dove venivano, della vita passata, dei progetti futuri, degli amici in comune...

Blaze, a un certo punto, non sapeva più che dire, ma aveva ancora tanto tempo davanti a sé.

Soprattutto, la micia si voleva distrarre dalla persistente figura del riccio nero, Shadow, che sorvegliava il vagone, soprattutto lei.

Shadow era il guastafeste nel suo piano, ma se aveva fatto i calcoli giusti sarebbe riuscita ad aggirarlo.

Per distrarsi da lui, emise un argomento a caso, che le venne guardando la sua amica.

“Che bei capelli che hai.” le disse, ammirandole la folta chioma viola.

“Grazie!” cinguettò Mina, passandosi una mano tra i capelli “Ma ti confesso che li vorrei tagliare.”

“Davvero? Perché?” chiese dubbiosa l'amica.

“Vorrei provare con un'acconciatura corta. Mi piacerebbero a caschetto...”

N.A: Salve gente! E' da un po' che non mi faccio sentire. Lo so, sono in ritardo di due settimane.

Prima che mi dite cosa cazzo sta succedendo con Sonic e gli altri, lasciate che vi spieghi:

C'è un fumetto, chiamato "Sonic 30 anni dopo" (il titolo l'ho tradotto in italiano) in cui le coppie... erano quelle. Già. Solo che in questa ff sono solo dieci gli anni.

Ora, un po' di punti:

1) Lo so che penserete: "oh cazzo, ancora riferimenti ai fumetti!" "Ma chi li legge?" "Ma sei fissata solo con i fumetti?!?" "Non sono canon." "Non c'entrano a nulla con i giochi. Ah, e Shadow e Blaze non si sono mai incontr-"

ZITTI PORCO SCHIFO! Sì, questa ff sarà soprattutto sui fumetti, in cui le coppie saranno quelle.

2) A proposito delle coppie, sappiate che anche io ho qualcosa da ridire. Se non fosse che sono canon in quel fumetto, non le avrei mai messe.

Sonally è sempre stata canon nei fumetti, e li accetto senza problemi.

Knuckles e Julie-su: anche loro sono stati una coppia canon, ma giuro che amo solo la Knuckouge (Knuckles x Rouge). Non me ne è mai fregato un cazzo di Julie-su, ma la va così stavolta. (sappiate che nelle prossime fanfic Rouge e Knuckles saranno sempre insieme.)

Tails e Mina: Non chiedete. Non so cosa abbiano pensato quando hanno messo questi due insieme. Semplicemente, no. Per carità, non dico che insieme facciano schifo, perché comunque is a better story than Shadamy.

Bunnie e Antoine: loro due fanno parte della serie di personaggi di cui me ne sbatto altamente il cazzo perché non mi sono mai impegnata a conoscerli. non mi interessano, nè come singoli nè come coppia. E' una coppia a me neutrale.

Che posso dire? Spero vi piaccia e che continuate a leggere la mia storia! :3


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Capitolo 15
*** Cap XV Amori segreti ***


Il sole era calato all'orizzonte e finalmente era arrivata la notte. Come Blaze si aspettava, il treno si fermò.

Le ragazze vennero fatte scendere in fretta. In vista non una casa, né dei capannoni: solo un'enorme grotta.

Stiamo scherzando? Si chiese scocciata Blaze, mentre facevano entrare lei e le altre ragazze dentro la fredda e umida caverna di pietre.

Per terra c'erano tantissime coperte che poi tanto caldo non tenevano. Ma sempre meglio di niente.

La notte fuori era nera, il cielo pieno di stelle compensava la mancata luce della luna, ridotta ormai a un quarto.

Le prigioniere si erano accoccolate sulle coperte, cercando di stare più vicine possibile per scaldarsi.

Tutte avevano chiuso gli occhi e cercavano di dormire, ma Blaze no.

Lei guardava il cielo, seduta sul suo straccio di coperta, vicina alla giovane cantante.

“Tutto bene, Blaze?” chiese ad un tratto la voce assonnata di Mina, che a furia di chiacchierare aveva bisogno di ricaricare le batterie.

“Sì.” rispose corto la gatta lilla “Ora dormi, hai bisogno di energie per domani. Sarà una lunga giornata...”

“Questo vale anche per te. Riposa.” replicò la mangusta.

“Certo.” disse Blaze, rimanendo però seduta, con lo sguardo fisso fuori dalla grotta. Mina non cercò di dirle altro, e si sdraiò, cadendo nel sonno poco dopo.

Blaze sospirò pesantemente; non aveva sonno, anche se avesse voluto non sarebbe riuscita a dormire.

Si sdraiò e chiuse gli occhi; interi minuti passarono e lei non si sentiva minimamente assonnata.

Si ruzzolò nel suo limitato spazio per trovare una posizione favorevole al sonno, ma invano. Sdraiata pancia all'aria, finalmente si arrese e aprì gli occhi, trovandosi ad osservare il soffitto di pietra. Passarono lunghi secondi, e tornò seduta.

Respirò profondamente e si alzò in piedi, dirigendosi lentamente verso l'entrata della grotta.

Sulla soglia della caverna, si fermò e tornò a guardare il cielo, che quella sera sembrava essere particolarmente ipnotico.

Appoggiò la sua spalla sullo stipite di pietra, caricandoci tutto il peso corporeo e incrociando le braccia.

Il vento fresco le muoveva dolcemente i capelli, mentre respirava a pieni polmoni l'aria notturna, di certo più salutare di quella viziata che si respirava sul treno. Chiuse gli occhi.

C'era un assoluto silenzio...

beh, forse non era vero; sentiva fieri passi felpati che si avvicinavano proprio a lei.

Aprì un occhio, e non si stupì quando vide Shadow accanto a lei. Anche lui stava guardando il cielo.

Poi si voltò verso di lei quando si accorse di avere tutta la sua attenzione.

Blaze non disse niente; non aveva voglia di parlare, di rompere quel silenzio.

Ma qualcuno lo doveva pur fare.

“Blaze.” salutò Shadow, pacatamente.

“Shadow.” rispose a sua volta la gatta.

Sembrava che ci fossero così tante cose che si dovessero dire, eppure nessuno accennava a muoversi, o a dire altro.

L'atmosfera era tesa, l'avevano notato entrambi. Il riccio nero sembrava essere pensieroso.

Ancora una volta, fu Shadow che ruppe il silenzio:

“Andiamo a fare un giro?” chiese con voce ferma, quasi di comando.

La gatta sospirò, trattenendosi dall'emettere una risata fredda; sapeva che quella domanda era stata fatta solo per essere cortese, ma lui non voleva di certo chiedere. Lei sapeva che al posto del punto di domanda ci andava un solido punto di fine frase. Una frase imperativa, insomma.

Come quando la prof ti chiama e, retoricamente, ti chiede: “Allora, vieni fuori tu interrogato?”. Ovviamente uscirai interrogato.

Lei annuì, tanto non riusciva a dormire, e soprattutto non è che avesse molta scelta.

Lui annuì a sua volta, e iniziò a camminare in direzione opposta a quella della grotta, con Blaze al suo fianco.

Camminarono per un po', e nessuno proferì parola. Di solito, tra i due, la più “loquace” era Blaze, tuttavia quella sera, in confronto a Shadow, era muta.

Arrivarono in un punto abbastanza tranquillo, pochi metri lontano dal treno.

Non si sentivano né urla, ne schiamazzi, né qualcosa che ti farebbe pensare alla presenza di una guardia, e per Blaze era già un buon passo. Di idioti ne vedeva abbastanza di giorno, la notte doveva rimanere qualcosa di sacro per il silenzio e per il riposo.

Shadow si fermò di botto, costringendo anche la gatta a fare altrettanto.

La micia lo guardò, aspettando pazientemente che le dicesse qualcosa, o almeno le spiegasse cosa voleva.

Shadow respirò pesantemente. Prima che Blaze potesse dire qualsiasi cosa, lui iniziò:

“Mi dispiace per quello che ti ho detto sul treno.” disse, incrociando le braccia, visibilmente nervoso di doversi scusare sotto lo sguardo della ragazza “Mi rendo conto di essere stato troppo duro quando non avevo motivo per esserlo. Hai ragione, nessuno meglio di te se la potrebbe cavare da solo. E mi dispiace anche averti ferita; di certo tu non sei debole, e io lo so. Lo sapevo anche prima, ma ero troppo arrabbiato per contenermi. Scusa ancora.” finì il suo discorso. Si accorse che stava sudando. Ma era sincero, e non passò inosservato a Blaze, che lo guardava sorpresa.

Un leggero sorriso comparve sulla faccia di Blaze, rimasta impassibile fino ad allora.

“Non credo alle mie orecchie. Ti stai davvero scusando?”

“Sì.” rispose il riccio, fintamente scocciato della domanda.

La gatta annuì con il sorriso più dolce che non avesse mai fatto da un bel pezzo. Poi riprese:

“Da quanto tempo ti alleni per questo discorso?” disse con un sorriso divertito.

In effetti, era da tutto il pomeriggio che si allenava. Di certo una cosa del genere non gli sarebbe mai venuta spontanea a Shadow.

“...Così mi offendi.” replicò, fintamente offeso. Blaze ridacchiò in risposta.

Il riccio la guardò con un sorriso vagamente dolce; gli piaceva la sua risata, emanava comunque la sua serietà e la sua maturità. Suonava fin troppo bene.

...A dire la verità, Shadow non si era allenato tutto il pomeriggio solo per farle le sue scuse.

Aveva anche altri piani.

Gli batteva forte il cuore, e sentiva le mani che gli iniziarono a tremare.

Ma ora o mai più, e sinceramente sapeva di aver aspettato troppo.

Inalò profondamente, per calmarsi, e poi si avvicinò ancora di più a Blaze. Erano solo a un passo di distanza. Erano troppo vicini.

Ma avvenne tutto così in fretta che Blaze non ebbe il tempo di pensare a nulla.

Velocemente, Shadow le prese il viso tra le mani più delicatamente che poté e lo alzò, in modo che si potessero guardare negli occhi.

Per un attimo fissò le sue iridi dorate, come reclutante a fare qualcosa. Ma sapeva che se non l'avesse fatto, sarebbe rimasto il rimorso di un desiderio represso.

Al diavolo.

E, in un lampo, avvicinò la sua bocca a quella di Blaze, baciandola.

Accadde tutto così velocemente, che Blaze non riuscì nemmeno a chiedersi perché Shadow le avesse preso la faccia.

Sgranò gli occhi quando sentì le labbra del riccio sulle sue, ma non le dispiacque per niente.

Non provò nemmeno ad allontanarlo.

Sapeva che non poteva permettersi di cacciarsi in una situazione sentimentale, ma scacciò quei pensieri che al momento non potevano fregarle di meno, e si lasciò andare.

Chiuse gli occhi e ricambiò il bacio, portando d'istinto le braccia attorno al suo collo.

Entrambi sapevano di non essere dei grandi baciatori, essendo tutto questo qualcosa di nuovo per loro.

Soprattutto Shadow; non era mai stata cosa da lui, e non gli era mai fregato niente di farlo.

Non gli era mai saltato in testa di avere relazioni, o di baciare qualcuno.

Gli altri si innamoravano e trascorrevano la loro vita con loro, arrivando ad avere una famiglia, prendi Faker ad esempio, ma lui no, perché lui era...Shadow. Semplicemente, il tenebroso e antisociale Shadow.

Forse era tempo di tirar fuori un altro Shadow, disposto ad essere più aperto, ma solo per lei.

Mentre la baciava, poteva sentire un sentimento che non aveva mai provato prima. Era bellissimo.

Forse non sapeva come si baciava, ma ci stava lavorando, reagendo d'istinto.

Dall'altra parte, anche Blaze amava quella sensazione così nuova, ma così piacevole.

Non avrebbe mai immaginato di volere un bacio dal quel tenebroso ragazzo, ma ora che ci pensava, non avrebbe voluto più separarsi da lui.

A un certo punto, presa da un dubbio, si staccò lentamente da Shadow, il quale nel frattempo le aveva circondato la vita con le braccia, e la stringeva a sé.

Piacevolmente spaesato da quello che era appena successo, aprì gli occhi e la guardò con fare interrogativo, chiedendole silenziosamente perché si fosse staccata.

Blaze scosse la testa, cercando di evitare i tentativi del riccio di riavere la sua bocca.

“Sai quello che stai facendo?” chiese seria a Shadow, a bassa voce, ormai senza fiato.

“Sì. E non m'interessa nient'altro.” rispose lui, deciso, ma con un sorriso sulle labbra.

Blaze allora smise di evitare gli approcci di Shadow e lasciò che lui ricollegasse le loro labbra.

Questo bacio non era più di prova, ma era diventato molto appassionato.

A un certo punto, Shadow, che aveva le braccia strette attorno alla vita di Blaze, alzò dolcemente la gatta dal suolo, la quale, per istinto, aggrappò le gambe attorno alla vita del riccio, ma i due continuarono il loro bacio come se non si fossero mai mossi.

Fu tutto molto lento e sensuale, lui si avvicinò al vagone, andando a tatto trovò la maniglia ed aprì il portone. Appoggiò delicatamente Blaze sul pavimento di legno e si staccò temporaneamente dalla sua bocca solo per richiudere il portone scorrevole.

E quello che avvenne nel vagone, rimane nel vagone.





Vicino al penultimo vagone si sentirono dei passi, poi uno sbattere d'ali, proprio come qualche sera prima.

“Quel maleducato è in ritardo di cinque minuti.” brontolò Rouge. “Ma non importa, meglio così.”

In men che non si dica, si ritrovò sul tetto del penultimo vagone.

“Avevo intenzione di fare tardi all'appuntamento io, questa sera.” sussurrò maligna a nessuno in particolare, dato che non c'era anima viva. Aprì la finestrella.

“Così impara a farmi aspettare per poi mandarmi via perché” e qui imitò la sua voce “ 'sono troppo stanco', mph!” sussurrò stizzita.

Con un tonfo troppo leggero per essere sentito, la giovane ladra atterrò nel suo vagone preferito.

“Ma io so come passare il tempo...” bisbigliò entusiasta, inginocchiandosi davanti a un sacco di diamanti.

“Venite da zia Rouge.”

Stava per aprirlo, quando sentì delle voci dal vagone precedente.

“Annie, tranquilla.” diceva una voce maschile che cercava di calmare una giovane ragazza.

L'interesse per i gioielli di Rouge svanì all'istante, e si alzò in piedi per poi avvicinarsi alla porta di collegamento, per sentire meglio. La sua abitudine di spia non l'avrebbe mai lasciata.

“M-m-ma..” balbettò la ragazza, ancora in preda al panico.

Rouge riuscì ad aprire uno spiraglio senza che i due se ne accorgessero. Sgranò gli occhi, confusa nel vedere chi vedeva.

Joe?

La giovane guardia aveva le braccia attorno alla vita della riccia, e la teneva stretta a sé.

Lei era visibilmente agitata, mentre teneva le mani sul suo petto. Due amanti.

“Shhhh tranquilla.” continuava Joe, a bassa voce, in tono più rassicurante possibile.

“S-s-sei matto!” gli disse lei, agitandosi nel suo abbraccio.

“Annie, calma-”

“Perché hai sabotato il treno?!” urlò praticamente.

Rouge spalancò gli occhi più di quanto avesse mai fatto in vita sua. La sua bocca era aperta in shock.

Cosa?

Non poteva essere.

Il mondo stava impazzendo? Cosa stava succedendo?

Perché Joe?!

“Piccola, io-” cercava di giustificarsi lui.

“No! Saremmo potuti morire tutti! Cosa ti è passato per la testa?!” disse l'innocente creatura, agitandosi tutta spaventata nel suo abbraccio, mentre fu sul punto di piangere.

“Amore!- amore!- guardami!” le diceva lui, visibilmente preoccupato per lei, alzandole il mento con le dita in modo che si calmasse e che lo guardasse negli occhi.

“Ehy, tesoro, non ti avrei lasciato morire. Ti stavo venendo a prendere, hai visto che stavo arrivando. Ci saremmo gettati dal treno prima che quello cadesse giù. Credimi.” spiegò supplichevole.

Sembrava sincero, infatti Annie si calmò notevolmente.

“...io...io...” disse lei, dopo un po' “...io non voglio che le altre ragazze muoiano. Alcune sono mie amiche.” disse lei, con gli occhi lucidi.

Lui non rispose, si limitò a guardarla triste.

“Lo so.” riprese Joe dopo un po' “Ma ricordati che hai un compito. Ricordati che ti hanno mandato apposta per spiarci. Se Shadow ti becca e ti porta dal capo non me lo perdonerei mai!” Sembrava disperato.

Se la serata era scottante, beh, lo stava diventando ancora di più. Anzi, era un serata folle.

Quella sarebbe la spia tanto temuta?! Si chiese stupita Rouge.

Annie abbassò lo sguardo a terra, come se si vergognasse di qualcosa.

“Io....io non ero capace di farlo. Non ero pronta. N-non so perché hanno mandato proprio me...” singhiozzò.

Joe l'abbracciò forte.

“Hanno mandato te perché nessuno aveva le palle per farlo. Fanno schifo. Ma tu sei coraggiosa.” disse, prendendole delicatamente il mento di nuovo, per farle alzare lo sguardo.

“Presto riusciremo a mettere fine a tutto questo, e ce ne andremo via. Te lo prometto.” e detto questo, le diede un dolce bacio a stampo sulle labbra.

“Sei una spia fantastica.”

Lei affondò la faccia piena di lacrime nel suo petto, mentre lui la teneva sempre più stretta a sé, sorridendo.

Rouge indietreggiò silenziosamente; aveva visto e sentito abbastanza.

Silenziosa come era venuta, Rouge uscì dal vagone, e se ne scappò più lontana che poté, cercando di riordinare le idee.

In un colpo solo, aveva trovato l'attentatore e la spia, e il peggio era che collaboravano.

Sapeva inoltre dell'amicizia tra Shadow e Joe. Di certo l'amico riccio non l'avrebbe presa bene.

Sospirò pesantemente.

I diamanti quella sera furono dimenticati.

N.A: Hello people!

E finalmente, quello che tutti stavano aspettando! Il bacio tra Shadow e Blaze!! (e finalmente si scopa coff coff)

Dite la verità: Annie e Joe, non ve li aspettavate, eh? ehehe lol 

E niente, questa nota d'autore esiste solo per avvertirvi: 

domenica io parto per il mare per una settimana quindi non aggiornerò, e penso che il mio capitolo non sarà ancora pronto per quando tornerò.

Ma non diperate!!!! Ho creato una one-shot/songfic che pubblicherò appena tornerò dal mare, così per farvi passare il tempo ;)

C'ho messo il cuore, e sinceramnte mi piace molto, spero che anche a voi piacerà! ^^

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Capitolo 16
*** Cap XVI Lotta contro il tempo ***


Nel buio della notte, due figure -un riccio e una gatta- si riposavano sdraiati sul legnoso pavimento di un vagone, riparati solo dalla prima coperta che avevano trovato.

Lui era sdraiato con la schiena a terra, una mano dietro la nuca e l'altra attorno alla vita della ragazza, la quale era accoccolata al suo fianco, tenendo la testa sulla sua spalla e una mano sul suo petto.

Shadow fissava il soffitto, con un sorriso soddisfatto, mentre si teneva stretto la gatta.

Blaze semplicemente osservava la morbida pelliccia bianca che il riccio aveva sul petto, e ci passava la mano dolcemente.

“Certo che hai fatto una mossa un po' azzardata.” disse a un certo punto Blaze, giocando con la pelliccia.

“Non credevo mi avresti mai messo in una situazione del genere.” disse sorridendo.

“Mph!” anche Shadow sorrise.

“Non era programmato, giuro, altrimenti avrei cercato un posto con un letto.”

La gatta ridacchiò, e poi scosse la testa, come se stesse pensando a qualcosa.

“Cosa ti è passato in mente di baciarmi?”

Shadow ci pensò su, anche se sapeva già la risposta.

“Credo che i comuni esseri mortali si direbbero 'ti amo'.” disse lui, serio, diventando rosso e guardando da un'altra parte, visibilmente imbarazzato.

Blaze sorrise, e allo stesso tempo roteò gli occhi nel sentire l'espressione 'comuni esseri mortali', che Shadow diceva con orgogliosa superiorità.

“Certo che non è il miglior momento di innamorarsi...” pensò ad alta voce la gatta.

Shadow tacque.

“Hai ragione.” ammise alla fine “Però volevo che tu lo sapessi.”

Blaze alzò la testa dalla spalla del riccio per dargli un dolce bacio sulla guancia.

“Anch'io ti amo. Adesso anche tu lo sai.” disse amorevole.

Il riccio sorrise in risposta e le diede un affettuoso bacio sull'orecchia.

“Come siamo sdolcinati.” rise Blaze. Anche Shadow rise.

“Non farci l'abitudine, quando torneremo sul treno dovremmo fare come se fossimo dei perfetti sconosciuti.”

La gatta annuì: “Sono d'accordo.”

Per un po' i due rimasero abbracciati, in silenzio.

“...una volta arrivata là, che farai?” chiese Shadow, dopo un po'. La gatta alzò un sopracciglio.

“Cosa vuoi che faccia? Troverò un modo per andarmene.”

“Ci riuscirai davvero?” le chiese serio.

“...penso di sì.”

“Non sai nemmeno dov'è.”

Nessuno sa dov'è.” rispose la gatta, roteando gli occhi.

Shadow si irrigidì e la strinse ancora più a sé, protettivo.

“C'è qualcosa che non va?” chiese preoccupata.

Il riccio esitò.

“Non voglio che tu cada in mani sbagliate...”

Blaze lo interruppe:

“Te l'ho già detto, me la caverò, e andrò via.” marcò con insistenza.

Shadow la guardò con la coda dell'occhio, dubbioso, e rimase muto per un po'.

“Va bene.”

Blaze si mise seduta, togliendosi dall'abbraccio del riccio.

“Sarà meglio che mi vesta e vada dalle altre, prima che si accorgano della mia assenza.”

Shadow la trattenne per il braccio.

“E' presto. Resta.” le impose supplichevole.

Lei lo guardò e gli sorrise, per poi accoccolarsi di nuovo vicino al suo caro riccio.

Lui non perse tempo e la strinse a sé. Passarono il loro rimanente tempo a disposizione a baciarsi.



Rouge si svegliò di soprassalto.

“Dannati incubi.” sbuffò ansimante e impaurita.

Quell'incendio. L'aveva sognato ancora. Gli stessi particolari, gli stessi panorami, la stessa fine.

Dalle finestre del suo alloggio entravano i tiepidi raggi di sole, illuminando la stanza e avvertendo che era già spuntato il giorno. Si prospettava una bella giornata.

Si passò una mano sul muso stanco. Poi si ricordò della sera prima: Joe e Annie.

Saltò giù dal letto e corse a prepararsi.

Dopo che si fu sistemata, uscì a passo veloce dalla sua camera, sperando che a Joe non venisse in mente di fare altri scherzi terroristici.

Devo trovare Shadow seduta stante!



“Blaze, ti alzi?” la pigolante voce di Mina chiamò la gatta addormentata sdraiata sullo straccio di coperta.

Quando il sole stava per fare capolino, Shadow accompagnò Blaze alla grotta e la salutò, per tornare poi ai suoi alloggi.

Avendo passato una notte in bianco e impegnativa, si sentì improvvisamente stanca, e si addormentò appena si fu sdraiata.

“Svegliati, dormigliona!” chiamò la voce squillante della giovane mangusta, mentre la squassava divertita.

Blaze aprì gli occhi e si mise a sedere. Mina la guardava innocentemente con un sorriso radiante.

“E' già mattina...” mugugnò la gatta, guardando fuori dalla grotta e scoprendo un cielo soleggiato.

“Già!” esclamò la cantante, attendendo nuove reazioni dall'amica.

“Però tu sembri ancora stanca!” continuò, e poi sussultò “Caspita! Non dirmi che sei stata sveglia anche dopo averti detto di dormire?! Ti avevo detto di riposarti e di andare a dormire presto! Invece sei andata a letto tardi!” la rimproverò la mangusta, agitando un indice davanti al muso della micia.

“Sono in perfetta forma.” si difesa Blaze, alzandosi in piedi e spolverandosi i vestiti.

La verità è che aveva ancora bisogno di dormire un po'.

Mina roteò gli occhi con un sorriso divertito.

“Seh, va bene. Dai andiamo, hanno già portato fuori le altre.” e detto questo, entrambe le ragazze uscirono dalla grotta.

Raggiunsero la locomotiva e ci salirono.

“Lo sai che mancano solo due giorni all'arrivo?” disse la mangusta all'amica, mentre si sedeva nel vagone numero 2.

“Oggi compreso?”

“Oggi compreso.” confermò Mina.

“Bene.” poi un particolare le saltò in mente “E Coral?”

“Bella domanda!” esclamò la mangusta “Come facciamo ad avvertire Coral?”

La gatta meditò: non sapeva quando l'avrebbero rivista, ma non potevano nemmeno andare a cercarla quando caspita volevano.

“Non è intelligente andarla a cercare adesso.” spiegò la micia all'amica “Dobbiamo solo aspettare il momento più adatto.”

Mina annuì: “Sono d'accordo.”

Poi si scurì in volto e divenne pensierosa; “E se non riuscissimo a trovarla in tempo? E se più avanti non ci fossero più momenti adatti per parlarle?”

Blaze lo sapeva che l'amica aveva un bel punto: poteva essere che non ce l'avrebbero fatta, come temeva Mina.

Adesso come adesso, erano in una lotta contro il tempo.

“Devi portare pazienza, aspettare ancora un po'. In casi estremi, faremo irruzione.”

“Sì, mi piace!” confermò la cantante, eccitata al pensiero di fare baccano, perché si sa, 'irruzione' è un termine più gentile per dire 'arrivare e fare casino'.



Rouge sentì il treno fermarsi, e non si stupì né si allarmò: sapeva che dovevano fare sosta di rifornimento. Era l'occasione perfetta.

Quindi fece finta di stare male, si tenne la pancia ed alzò una mano. Una guardia la vide e le fece cenno con la testa di parlare.

“Mi scusi” disse lei, con voce flebile come qualcuno che sta realmente male “Non sto bene. Potrei andare in bagno, per favore?” chiese implorante.

La guardia, che sapeva bene chi Rouge the bat fosse, annuì e rispose: “Sì, vieni.”

La giovane ragazza, sempre tenendo una mano sulla pancia e assumendo un'espressione da chi sta per vomitare, seguì la guardia fuori dal vagone numero 3.

Una volta fuori, Rouge smise di fare la moribonda. Era un trucco che poteva usare solo per le emergenze, per non insospettire le prigioniere.

La guardia incrociò le braccia e la guardò, attendendo una spiegazione.

Rouge si ricompose: “Devo parlare con Shadow, è questione di vita o di morte!” spiegò preoccupata alla guardia, la quale annuì.

Il ragazzo si rimise a camminare, facendo segno con la mano di seguirlo.

Poco dopo, Rouge e la guardia trovarono Shadow giusto fuori dal vagone numero 2, che ascoltava le informazioni di un'altra guardia.

“Siamo arrivati alla stazione per fare rifornimento, al capo garbava di fartelo sapere.” spiegò il tizio a Shadow.

Sin da quando il riccio aveva ripreso Bunch sul fatto che non gli aveva detto dei commerci in più, il cane gli diceva tutto quello che accadeva, tutto.

I due notarono la ragazza e la guardia e li guardarono confusi.

“Shadow ti devo parlare. Ora.” disse la pipistrella bianca, facendo ben capire che era urgente.

Il riccio annuì.

Le guardie capirono senza input che non potevano origliare di più e se ne andarono per i fatti loro.

Una volta soli, Rouge iniziò:

“Dov'eri finito ieri sera?!” chiese stizzita, appoggiando i pugni sui fianchi.

“Non dirmi che sei uscita per questo!” gli rispose lui, scocciato.

“Ti ho fatto una domanda!” insistette lei, alzando un po' la voce.

“Ero...impegnato.” rispose Shadow, incrociando le braccia e guardando il pavimento, con un leggero imbarazzo che nascondeva dietro a un tono scocciato.

“Mentre tu eri così 'impegnato', io ho fatto la scoperta del secolo!”disse lei agitata, muovendo le braccia per aria, e ignorando totalmente in cosa Shadow fosse impegnato a fare.

Lui la guardò spazientito, e seriamente le chiese:

“Ebbene, donna? Cos'hai scoperto di così importante?”

Allora Rouge gli spiegò tutta la storia che aveva visto con i propri occhi.


Shadow aprì violentemente la porta, sbattendola contro il muro e facendo un fracasso notevole.

Lui era incazzato, chiunque poteva leggerglielo in faccia.

Camminava a pugni stretti lungo i fianchi, la bocca era contorta in una smorfia irata, mentre i suoi occhi rosso sangue guardavano con fare omicida.

Avrebbe potuto uccidere qualcuno, e lui sapeva già chi.

Camminò calpestando rumorosamente il pavimento, viaggiando a passi veloci per i corridoi, e sbattendo tutte le porte che separavano un corridoio dall'altro.

“Shadow!” chiamò Rouge, pochi metri dietro all'ex agente, rincorrendo il riccio, preoccupata della reazione dell'amico. Ma lui non sembrava intenzionato né a fermarsi, né ad ascoltarla.

“Dove stai andando?” chiese lei, cercando di tenere il passo del collega.

“A uccidere quel figlio di puttana! E se la trovo, pure quella stronza d'una spia!” sbraitò in risposta, continuando la sua camminata.

“Shadow!” lo chiamò ad alta voce la pipistrella, con tono di rimprovero, cercando di ottenere la sua attenzione.

“E pensare che l'avevo persino schiaffeggiata!” sbraitò di nuovo, aprendo uno dei pugni e guardandoselo, pieno d'odio “Avrei dovuto darglielo così forte che non si sarebbe più rialzata!!”

“SHADOW!” chiamò Rouge più forte, facendo uno scatto e raggiungendo il compare.

Gli posò decisa una mano sulla spalla, costringendolo a fermarsi.

“CHE C'E'?!” abbaiò lui in tutta risposta, voltandosi verso la collega.

Per la prima volta, Rouge non se la prese per il brusco tono del compare, né fece tanto la preziosa che si offende facilmente. La questione era troppo seria. Gli sbatté subito in faccia il dunque:

“Cosa credi di fare, eh? Andare là e picchiarlo mentre urli come una scimmia? Sappi che oltre a me non ci sono testimoni, la mia parola contro la sua!” spiegò stizzita lei, quasi urlando, in modo che il riccio si mettesse bene in testa il problema.

Il compare alzò un sopracciglio, accorgendosi dello scenario che Rouge voleva fargli vedere.

Shadow sembrò tornare in sé, e si calmò notevolmente. La sua parte razionale ritornò in lui.

“So che tu non dubiti in me, lo sai che non ti sto dicendo una bugia.” continuò Rouge, più calma e dolce “Ma a chi crederanno? A me, o a Joe? Joe è una guardia, ha amici ed è sicuramente in vantaggio, è ovvio che non si fideranno di me mi daranno della bugiarda. E inoltre lo allarmeremo, e non potrebbe finire bene. Magari si farà un'idea di come far esplodere il treno, e gli altri se ne accorgeranno quando è troppo tardi. In sostanza, Shadow, abbiamo bisogno di prove!” concluse lei.

Lui si portò le dita sotto il mento, con fare pensieroso.

“Hai assolutamente ragione.” disse Shadow “Ma dove ci procuriamo le prove? Troveremo sicuramente le sue impronte sugli ingranaggi del treno, dato che è anche uno dei meccanici.”

Rouge doveva ammettere che non ci aveva pensato.

Ok, avevano bisogno di prove, ma il problema era: dove cercarle? Come trovarle?

Rouge analizzò cosa aveva detto Joe ad Annie:

Concentrati Rouge, cosa aveva detto?...

Ehy, tesoro, non ti avrei lasciato morire. Ti stavo venendo a prendere, hai visto che stavo arrivando. Ci saremmo gettati dal treno prima che quello cadesse giù. Credimi.”

...ti stavo venendo a prendere , hai visto che stavo arrivando...

Ci sono!

Pensò Rouge soddisfatta.

“Shadow” lei richiamò l'amico, il quale si era messo a pensare anche lui.

“Lui voleva salvare Annie, ho sentito che le ha detto 'ti stavo venendo a prendere, hai visto che stavo arrivando'.”

Il riccio nero rimase in silenzio, mentre piano piano realizzava cosa andava fatto. “Certo...”

“Se lui stava andando da lei, si suppone stesse correndo, giusto? In direzione opposta al guasto, per giunta. Non dovrebbe essere passato inosservato, con tutto l'andirivieni che c'era.” disse con un sorrisino da furbetta.

“Se riuscissimo a mettere una pulce nell'orecchio alle guardie, riusciremmo ad averlo in pugno.” concluse trionfante, sbattendo un pugno sul palmo aperto dell'altra mano.

Shadow sorrise compiaciuto: “Non te l'ha mai detto nessuno che dovresti fare l'avvocato?”

Rouge alzò le spalle: “E chi t'aiuterebbe a salvarti il culo, bellissimo?” chiese lei, con un sorriso accattivante. Shadow roteò gli occhi.

“Bene.” disse alla fine,e le porse un block notes “Va' a interrogare tutte le guardie che vedi, io farò altrettanto.” concluse, porgendole una penna.

“Queste dichiarazioni le farò passare al capo, lui saprà cosa fare. Spero solo di non fare un buco nell'acqua.”

“E questi da dove vengono?” chiese spaesata Rouge, intenta a fissare carta e penna.

“Da dove li hai tirati fuori?” disse, e poi sussultò “Non dirmi che li tenevi nella tua pelliccia!”

“ROUGE!” la riprese l'amico “Non ti sei mai chiesta come faccio a nascondere un Chaos Emerald, perché adesso ti fai tanti problemi? Per dei block notes che mi ha regalato quello stronzo, poi!”

“A dire il vero” lo corresse l'amica “Mi sono sempre chiesta dove te lo ficcassi.”

“Nel culo.”

“Come??”

“Era ironico! Forza Rouge, concentrati! Quel pazzo ha due giorni per mandare a puttane tutti quanti e salvare il culo alla sua ragazza, quindi significa che presto farà un altro attentato, e potrebbe farlo in qualsiasi momento, anche tra cinque minuti! Dobbiamo fare in fretta!”

L'amica annuì. “Ok, a dopo.”

Ed entrambi corsero al loro lavoro.

Erano in una lotta contro il tempo.




Il treno si fermò, tutte lo percepirono.

Blaze aprì gli occhi dalla sua meditazione e squadrò gli intorni, mentre Mina smise di canticchiare e si guardò curiosamente intorno, per poi chiedersi: “Perché ci fermiamo?”

Nella stanza si levò un crescente mormorio.

“Ah, giusto!” esclamò Mina, sbattendo il palmo sulla fronte, come se si fosse ricordata qualcosa di importante.

“Le guardie avevano detto che si fermavano per rifornirsi!” spiegò ad alta voce a nessuno in particolare, forse dando per scontato che Blaze la stesse ascoltando. Naturalmente, fu così.

Infatti, la gatta alzò un sopracciglio confusa.

“Le guardie sembrano parlare molto e di tutto solo con te! Si può sapere come fai a sentire ogni cosa?” chiese incredula e leggermente turbata.

“Eheheheh” rise l'amica, grattandosi innocentemente la nuca.

“Se te lo dicessi non sarebbe più un segreto!” ridacchiò misteriosa.

Blaze scosse la testa e roteò gli occhi alla frase della mangusta.

“Beate le guardie, che almeno si possono stiracchiare le gambe sulla terra ferma!” Mina disse lamentosa, completamente a caso, e a Blaze si rizzarono le orecchie, captando una soluzione.

“Mi moriranno le gambe a forza di formicolarmi, non sono una tipa alla quale piace stare seduta-!” fu interrotta da Blaze: “Stai dicendo che le guardie scendono dal treno?”

“Sì!” sospirò pesantemente, poi si bloccò e guardò la gatta con estrema serietà.

“Perché? Anche tu hai problemi di formicolio?”

“No, sciocca!” rispose la gatta “Questo vuol dire che possiamo andare a parlare con Coral!”

A Mina si accese la lampadina.

“Giusto! Con la carenza di guardie sarà più facile infiltrarci! Andiamo!” esclamò eccitata la mangusta, ma prima di riuscire a schizzare fuori dalla porta, Blaze la prese per la caviglia, bloccandola così dov'era a mezz'aria e facendola cadere pancia a terra con un bel tonfo.

“Sei matta? Ragiona: non lascerebbero mai il treno privo di guardie. C'è il rischio che le troviamo lo stesso, alcune. Ci serve un'altra idea.” le spiegò, lasciando andare la caviglia dell'amica, la quale si sedette gambe incrociate e iniziò a pensare. Poi si illuminò.

“Penso di avere una scusa nel caso ci beccassero...”


Le due ragazze si fecero strada nel corridoio, procedendo a passi spediti.

“Per ora è vuoto.” bisbigliò sollevata Mina a Blaze.

“Ehy, voi due!”

Una forte voce alle spalle delle due amiche si sentì, e si fermarono immediatamente.

Si voltarono e videro due guardie che le squadravano minacciose da cima a fondo.

“Cosa state facendo qui? Non lo sapete che non potete uscire dai vostri vagoni?!” chiese retoricamente la stessa guardia che aveva parlato prima.

E qui entrava in gioco Mina.

“Oh, grazie al cielo vi abbiamo trovati!” esclamò dolcemente la mangusta, mettendosi le mani sul cuore “Pensavamo di dover girare tutto il treno prima di trovare qualcuno!”.

“Che volete?” chiese scocciata la seconda guardia, che non aveva ancora parlato.

Mina congiunse le mani come in preghiera, come per supplicarli.

“Siamo in quel periodo del mese in cui abbiamo le nostre cose, e ci stiamo sporcando tutte...” disse, guardando il suolo imbarazzata.

Blaze dovette ammetterlo: se non avesse saputo che stava recitando, probabilmente ci sarebbe cascata anche lei. Era semplicemente realistico. Era bravissima, un'attrice nata.

La prima guardia alzò un sopracciglio e guardò l'altra, poi scosse la testa, e si rivolse alle ragazze:

“Spiacenti, non possiamo farci niente, tornate al vostro vagone.” ordinò.

“Non avete proprio niente da darci? Ci siamo appena fatte il bagno, sarebbe un peccato se rimanessimo così... e poi non possiamo nemmeno sederci che imbrattiamo dappertutto!”

continuò Mina triste, quasi disperata. La prima guardia si grattò la nuca, molto tentata a esaudire il desiderio della giovane cantante.

“Non saprei...”

“Per favore... davvero non potete farci niente...?” chiese supplichevole, mostrando gli occhioni tristi.

La prima guardia non resistette: “Dai Clark, solo per questa volta...”

La seconda guardia, rimasta muta fino a quel momento, non si fece ingannare dagli occhi dolci, ma quando guardò Blaze cambiò completamente faccia. Sembrava allarmato.

Diede una gomitata all'amico, segno di venirgli più vicino. Il collega captò il segnale e avvicinò l'orecchio alla bocca del silenzioso compare, il quale iniziò a bisbigliarli freneticamente qualcosa, senza perdere di vista la gatta lilla. Entrambe le ragazze si guardarono confuse.

Quando Clark finì di parlare, la prima guardia si rivolse alle ragazze:

“Bene bene, tu sei Blaze, giusto?”

Stupita che il suo nome fosse così conosciuto, la gatta rispose con un deciso “sì”.

“Ah già, la protetta del signor Shadow. E tu” disse rivolto a Mina “sei la cantante. Mi ricordo di te.”

Alla mangusta non rimase che affermare allegramente.

“E va bene” disse la prima guardia, una volta confrontatasi con la seconda “Faremo un'eccezione solo per voi due, giusto perché siete speciali.”

“Grazie!” pigolò felice Mina.

“Seguiteci.” ordinò la seconda guardia, mentre lui e il collega le fecero strada.

Le ragazze li seguirono, pronte per la seconda parte del piano.

I due ragazzi arrivarono a uno sgabuzzino; la prima guardia tirò fuori un mazzo di chiavi, e dopo averle esaminate bene trovò quella giusta.

Infilò la chiave dorata nella serratura, e la fece scattare.

Con un leggero click, la porta si aprì. La prima guardia entrò, mentre l'altra ci sporse solo la testa.

“Vediamo cosa abbiamo qui...” disse il ragazzo, immerso nello sgabuzzino.

Blaze e Mina non perdettero altro tempo: la gatta spinse la seconda guardia dentro, la quale cadde addosso alla prima, mentre la cantante sbatté la porta e la chiuse a chiave.

Dopo di che, estrasse l'oggetto metallico dalla serratura.

“Ehy, fateci uscire!” gridò arrabbiata la prima guardia.

“Mamma mia, scusate, che sbadata che sono!” disse Mina, prendendoli per il culo con tono da finta dispiaciuta “Quali di queste sarà la chiave?” chiese sbarazzina, agitando il mazzo di chiavi, per far sentire bene il rumore metallico alle due guardie, giusto per sfottere ancora di più.

“L'hai fatto apposta!” accusò incazzato la prima guardia, la quale tirò un pugno secco alla porta.

“Davvero?” chiese lei con finta sbadataggine “Oh, non me ne ero accorta!” concluse la frase con intonazione cattiva, mettendo una chiave a caso nella serratura, giusto per bloccare il buco.

“Forza, andiamo!” ordinò la gatta, che insieme alla mangusta sfrecciò verso il vagone numero 3.

“Ci siamo fatti fregare, Clark!” si lagnò il primo.

“No, tu ti sei fatto fregare, Ben!” rimarcò il secondo “Quando imparerai che dietro agli occhi dolci c'è il diavolo che ci cova?!”

“Anche tu eri d'accordo!” gli fece notare Ben.

“Solo per motivi professionali! Non volevo che quella stronzetta poi si fosse andata a lamentare con il tipo perché non le avevano dato gli assorbenti!” si difese Clark.

“Che guaio!” schiamazzò Ben, tirando un altro pugno alla porta di legno.


Blaze aprì uno spiraglio nella porta del vagone tanto cercato; guardò cautamente dentro, per vedere se c'erano delle guardie, ma non ve ne trovò manco una. C'erano solo le prigioniere che chiacchieravano più o meno tranquillamente.

Non molto lontana dalla porta, Coral sedeva da sola, guardandosi occasionalmente in torno preoccupata.

La gatta la vide, ed aprì un po' di più lo spiraglio, giusto per poterci passare.

Mina la seguì subito dopo, richiudendo la porta una volta passata anche lei.

Sia la gatta che la mangusta andarono incontro alla pesciolina.

“Coral.” chiamò la giovane cantante.

La ragazza, a sentire il proprio nome, si voltò e le guardò stupita, ma anche felice di vederle.

“Blaze! Mina!” pigolò, mentre le due ragazze si sedettero accanto a lei.

“Cosa ci fate qui? Come avete fatto a uscire?”

“Non chiedere.” rispose secca la micia, mentre la mangusta si mise una mano sulla bocca, per contenere una risata. La creatura acquatica guardò l'amica cantante con aria confusa.

“Beh, ecco, è una storiella davvero divertente...” iniziò Mina ridendo, ma fu interrotta bruscamente dalla frettolosa Blaze.

“Non abbiamo tempo per le storielle. Abbiamo fatto un piano.”


“Fatemi capire bene...” cominciò Coral, mentre Blaze correva per i corridoi, trascinando dietro di sé la pesciolina e la compagna mangusta per le braccia.

“In poche parole, arriviamo là, usciamo, Blaze crea un diversivo mentre noi ci nascondiamo sotto il treno e poi fuggiamo confondendoci tra la folla?” chiese, cercando di riordinare le idee e di riassumere quello che aveva capito.

“In poche parole” rispose Mina “sì.”

“Bene...e-e adesso dove stiamo andando?” chiese ancora la pesciolina, mentre veniva strattonata per il corridoio.

“Al vagone numero 2. Il piano funzionerà meglio se ci troveremo tutte e tre insieme.” rispose prontamente la regina gatto, senza né fermarsi né guardare le altre due in faccia.

“Non potevamo restare nel mio vagone?” chiese Coral, confusa del cambiamento.

“No, se non ci fossi, Shadow se ne accorgerebbe.” spiegò la gatta, continuando la sua marcia “E si insospettirebbe. L'appello lo fanno solo una volta, quando si sale, perciò non controlleranno chi c'è e chi non c'è. Se poi sei stata nell'ombra fino ad adesso, non se ne accorgeranno mai.”

Mina, anche lei trascinata dalla gatta senza apparente motivo, concordò con le parole della guardiana: “E' vero! Rilassati, sa quello che fa.” incoraggiò sorridendo.

Poi prese un'iniziativa e disse: “Ehy, visto che non ci sono molte guardie, potremmo scappare adesso!” esclamò, ponendo la sua idea “Sarebbe molto più semplice!”.

Coral la guardò come se fosse pazza.

“Negativo!” negò decisa Blaze, con la presa ben salda sulle braccia delle altre due “Ti ricordo che non sappiamo dove esattamente siamo, né quanto lontani siamo da NMBC o da qualsiasi altra città. Anche se scappassimo, ci perderemmo.”

“Ah. E perché stai correndo come se ci inseguisse un leone affamato?” chiese Mina.

“Non voglio rischiare di incontrare qualcuno!”

Corse ancora più veloce, consapevole di essere vicino alla meta.

Seguiremo il piano iniziale!” rimarcò alle ragazze, soprattutto alla mangusta gialla, che tendeva a prendere iniziative azzardate.

“DOVE SONO QUELLE STRONZE?!” si sentì urlare una voce arrabbiata.

Blaze si fermò di colpo. Si era completamente dimenticata di quei due.

Li aveva riconosciuti, erano i tipi che lei e Mina avevano rinchiuso nello sgabuzzino.

Erano riusciti a liberarsi, probabilmente tirando giù la porta a suon di calci.

Fortunatamente, i due non le avevano ancora viste, ma si stavano avvicinando.

Blaze cercò una soluzione velocemente.

“Non me ne frega un cazzo se è la tipa di quel figlio di mignotta, io la riempio di calci!” sbraitò di nuovo la voce.

“Cambio di programma.” disse Blaze alle due ragazze, le quali erano entrambe intimorite dalle urla indemoniate delle guardie “Scappiamo adesso!” concluse, totalmente in disaccordo con quello che aveva detto poco prima, e fuggì dalla parte opposta, trascinandosi dietro le altre due ragazze.

A Mina si illuminò il volto: “Quindi seguiamo la mia idea?”

“Sì, seguiamo la tua idea.” confermò la gatta.

“Correte!” ordinò. Le due si misero a correre, cercando di raggiungere la stessa velocità di Blaze.

“Ma non avevi appena detto che ci saremmo perse, e altre cose?” chiese spaventata Coral.

“Sì!” confermò la micia “Ma vedi altre scelte? Se restiamo, sta' sicura che il nostro piano di fuga finirà ancora prima di iniziare!”

“Vedi,” spiegò la mangusta all'amica acquatica “Abbiamo rinchiuso nello sgabuzzino quei due, prima, per poter venire da te!”

Coral sussultò alla notizia. “Mi dispiace!”

“Nah, non preoccuparti!” rispose tranquillamente Mina, facendole l'occhiolino.

Continuarono a correre, e fortunatamente non videro un'anima in giro.

Poi Mina diventò seriamente dubbiosa.

“Blaze, dove stiamo andando?” chiese, preoccupata dal fatto che stavano continuando ad andare avanti dritto.

“Se uscissimo dalle porte normali, o dalle finestre, si accorgerebbero di noi!” spiegò la gatta.

Mina sgranò gli occhi, spaventata.

“Vuoi dire che...?” chiese con voce preoccupata.

“Fatti coraggio!” rispose la regina gatto “Useremo l'uscita di emergenza!”

“M-ma è nell'ultimo vagone!” balbettò Mina.

“LO SO!” rispose scocciata la micia lilla, cercando di andare ancora più veloce.

Finalmente, arrivarono all'ultimo vagone, e Blaze aprì la porta con un calcio.

Nonostante la visione degli strumenti e del sangue secco le desse la nausea, la gatta continuò a correre trascinandosi dietro le due ragazze, le quali sussultarono impaurite a tali panorami.

In fondo alla stanza trovarono quella maledetta porticina.

Aprì anche quella con un calcio, e si trovò sul mini terrazzo attaccato al treno.

Si guardò attorno per accertarsi che non ci fosse nessuno, e fortunatamente sarebbero potute scappare senza essere viste.

“Giù!” disse solamente Blaze, avvertendo le altre di saltare.

E così fu: le tre balzarono giù e corsero a ripararsi nel bosco. Avrebbero trovato un altro modo per ritrovare la strada.



Shadow e Rouge erano piombati di corsa nell'ufficio di Bunch.

Erano lì, davanti al cane, con i loro block notes in mano pieni di appunti, con espressioni preoccupate.

“COSA?!” esclamò sorpreso il bulldog, saltando fuori dalla sua scrivania con gli occhi fuori dalle orbite.

“Sapete chi è la spia e l'attentatore?!” chiese incredulo.

I due annuirono simultaneamente. Shadow, che era il portavoce, disse, accennando con la mano:

“Sì, è stata la mia collega. Deve raccontarle una storia molto interessante.” e con un cenno della testa invitò Rouge a raccontare ciò che aveva visto.

La giovane donna narrò per filo e per segno quello che aveva scoperto, mentre Bunch sedeva sulla sua sedia, con un braccio sullo schienale. Aveva uno sguardo assente, ma ascoltava con grande attenzione e annuiva alle parole della pipistrella bianca. Naturalmente, Rouge saltò la parte in cui lei era andata lì per i diamanti, sostituendola dicendo che quando non riusciva a dormire faceva alcuni giri per i vagoni. In parte era vero, se ci si pensa bene.

Quando lei finì il racconto, lui rimase in silenzio. Sembrava stesse pensando a cosa dire.

Shadow lo precedette:

“Io mi fido della mia partner, ma capisco se non si fida di lei. Per questo abbiamo raccolto alcune dichiarazioni da parte di tutte le guardie che abbiamo incontrato.”

Il riccio mise sulla cattedra i suoi appunti e quelli dell'amica, giusto sotto il naso del bulldog.

Lui li guardò e lentamente allungò una mano su uno di essi.

“Alcuni non l'hanno visto, ma la maggior parte dice di averlo visto correre verso il vagone numero 4, dove c'è la spia” e qui porse una foto di una giovane riccia dorata “Annie the hedgehog.”

Bunch prese la foto in mano e l'esaminò.

“Le guardie hanno naturalmente chiesto a Joe dove stesse andando, ma lui non si è fermato ed ha continuato a correre.” continuò a spiegare Shadow. “Ad alcuni ha detto scocciato che non erano affari loro, ad altri semplicemente che 'tornava subito'.” concluse il riccio, riassumendo cosa aveva scoperto dagli interrogatori. Bunch, che fino a quel momento se ne era stato zitto, annuì.

No mi sembra molto stupito notò l'ex agente, adocchiandolo con sospetto.

“Capisco.” disse il cane, alzandosi “Avete ragione, è un individuo molto sospetto. Vi credo, anch'io avevo notato che era strano, per qualche motivo, soprattutto quando era tornato da quella festa...”

Shadow ne fu colpito come un fulmine: ecco perché era così mogio!

“Questo significa” interruppe Rouge “che lei l'osservava già da un pezzo?”.

Di nuovo, il cane annuì lentamente e serio. Sorrise, e poi chiese, rivolto al riccio:

“Il mio sesto senso non mi ha mai lasciato, signor Shadow. Ora mi dica, facevo bene?”

Quelle parole fecero tornare il riccio nero indietro nel tempo, quando lui dubitava delle paranoie di Bunch, cercando di mandarle al vento.

Shadow non poté far nient'altro che annuire in accordo.

Aveva ragione.” ammise con un sorriso.

“Adesso come intende procedere?” chiese poi al suo capo.

“Beh, lo allarmeremo se spargessimo la voce. Ho solo bisogno di fare ulteriori domande ai miei uomini e di preparali per eventuali attacchi. Se ho capito bene, pensate che ci riproverà a breve?”

“Sì” rispose Shadow, annuendo “O oggi, o domani. Crediamo che si inventerà qualcosa per salvarsi insieme alla riccia, mentre il resto verrà distrutto.”

Bunch valutò le sue parole molto attentamente.

“Che mi dite di lei?”

“Anche se è una spia” si intromise Rouge “ E' molto persuasibile, ed è sotto il controllo di Joe. Propongo di non toccarla, per ora. Joe è molto possessivo e protettivo nei suoi confronti, se le torcessimo anche un solo capello diventerebbe molto vendicativo. Inoltre, anche in questo modo, lo insospettiremmo.”

“Pensiero molto intelligente, signorina Rouge.” disse il cane pensieroso.

“Quindi, lei mi sta dicendo di prendere prima lui in fragrante?”

“Direi che conosciamo entrambi la risposta.”

Bunch sorrise. “Molto bene. Così sia.”

In quel momento, due guardie spalancarono la porta e il Team Dark si voltò.

I tre nell'ufficio li guardarono: sembravano aver corso molto, con quel fiato ansimante.

Inoltre erano incazzati. Si calmarono solo quando videro lo sguardo omicida del loro boss.

I due entrarono nell'ufficio.

“Ebbene?” chiese il bulldog, guardandoli impaziente e attendendo spiegazioni.

Una guardia, Ben, si rivolse a Shadow con sguardo irato.

“La tua ragazza e un'altra tipa erano fuori dal loro vagone! Ma c'è dell'altro: ci hanno intrappolato in uno sgabuzzino e poi se ne sono andate chissà dove! Non le troviamo più!” disse stizzito, agitando le braccia arrabbiato.

Sentendo questo, a Shadow si gelò il sangue, mentre sgranava gli occhi.

Perché l'avevano fatto? Dove volevano andare? Dove erano adesso??

Anche Rouge si allarmò, sapendo che Blaze era in stretto legame con Shadow. E inoltre non sapeva ancora cosa fosse in grado di fare.

Anche Bunch aveva uno sguardo perplesso.

“Come hanno fatto a rinchiudervi nello sgabuzzino??”

Le due guardie si guardarono e la prima sospirò.

“Ci siamo fatti fregare...” ammise a mezza voce, guardando il pavimento.

“Ma bravi!” esclamò ironico il loro capo.

“Davvero bravi! Mi piacerebbe sapere come abbiano fatto, ma non abbiamo tempo per questo! Fuori, presto vi chiamerò io, lasciatemi solo con il signor Shadow e la signorina Rouge!” ordinò.

I due eseguirono gli ordini alla svelta, e in meno di un secondo erano scappati fuori dalla porta, richiudendola dietro di loro.

Shadow, in cuor suo, ne era rimasto scioccato: perché scappare, perché adesso?

Sperava che non fosse lui la causa. No, non poteva essere lui. Ti prego, no!

Avevano fatto l'amore la sera prima, si erano detti che si amavano... non poteva lasciarlo così!

Non se ne poteva andare via così, senza nemmeno dargli una spiegazione!

Per la prima volta dopo tanto tempo si sentì... tradito. Si sentiva in bocca un sapore amaro.

Era così amareggiato, al contrario di quando l'aveva baciata.

Che avesse ragione il suo capo, quando gli diceva che ad innamorarsi si corrono dei rischi?

Amare fa davvero sempre così soffrire?!

Bunch lo guardava preoccupato: “Shadow?” lo chiamò, cautamente.

Si spaventò quando Shadow alzò lo sguardo, il quale finì dritto negli occhi del boss.

Gli occhi rossi iniettati di sangue del riccio facevano paura, raggelavano il sangue.

Erano pieni di rabbia, ma allo stesso tempo erano freddi, vuoti. Era innaturale quello sguardo.

Sembrava che Shadow fosse pronto ad uccidere qualcuno, la determinazione aleggiava sulla sua faccia.

Bunch non ne fu spaventato perché era inquietante, ma perché aveva riconosciuto quello sguardo.

Era il suo stesso sguardo. Come poteva non ricordare com'era quando decise di mandare a fanculo tutto il buono che aveva costruito in tutti quegli anni prima della morte di Rose?

I due rimasero a fissarsi dritti negli occhi.

Rouge guardò tutta la scena, ma non disse nulla. Non era la sua battaglia, non doveva immischiarsi.

Bunch sapeva come si sentiva il riccio nero, e d'improvviso si mise nei suoi panni.

Capiva che era ferito, capiva che si sentiva abbandonato. Capiva che era irato.

Il cane iniziò a scuotere la testa leggermente, come se stesse negando qualcosa.

No. pensava il bulldog Non di nuovo. Non a te, povero figliuolo.

“Devo andarla a riprendere?” parlò alla fine il riccio. La sua voce... era fredda, morta. Nessuna emozione. Né rabbia, né tristezza. Era comunque profonda, ma vuota.

Era una voce neutrale, come se stesse per andare a prendere solo una bestia scappata dal gregge, mentre invece era la ragazza che amava.

Bunch sembrava volesse dirgli qualcosa di confortevole, qualcosa di incoraggiante, ma l'istinto da mercante accanito coprì la parte di Bunch che voleva migliorare l'umore del riccio.

“Sì, se riesci anche quella che è scappata insieme a lei. Non dovrebbero essere molto lontane.” disse spazientito, anche lui con un tono diverso da come si sentiva nell'animo. Era, in apparenza, ritornato il solito capo, che dava ordini a destra e manca con voce monotona. Il riccio annuì, e uscì dall'ufficio, senza dire altro.

Rouge osservò il suo compare mentre faceva la sua uscita: pugni chiusi lungo i fianchi, camminata rigida, ma decisa... e un'espressione indecifrabile.

Il suo amico era stato colpito, ma non voleva ancora affondare.

Poi, la pipistrella si rivolse al suo capo: “Vorrei chiederle, se qui non c'è bisogno di me, se posso andare con il mio partner.” richiese, molto gentilmente.

Bunch agitò una mano con fare non curante: “Sì, vai anche tu. Aiutalo.”

La ragazza annuì ed uscì in fretta per seguire Shadow.

Una volta fuori, lo sguardo del cane si ammorbidì, dimostrando una profonda tristezza...

Aiutalo.” sussurrò di nuovo, quasi implorante, ripetendo l'ultima parola della frase appena detta con noncuranza alla giovane donna.

Pochi secondi dopo, la testa di Ben fece capolino dalla porta dell'ufficio.

Bunch era ritornato serio e, con un cenno di mano, ordinò scocciato alla guardia:

“Vieni dentro, tu e il tuo compare! Vi devo dare un incarico molto importante!”

N.A:  HELLO PEOPLE! Vi sono mancata? no ok basta.

Questo capitolo, devo ammetterlo,  e un po' lunghetto e pieni di robe.

E niente, sto velocizzando la pubblicazione dei capitoli, perché voglio finirla prima dell'inizio di settembre/scuola. Inoltre non manca tanto.

Non siamo vicinissimi, ma neanche molto lontani dalla fine. Eh già. Mancheranno tipo 4 o 5 capitoli. Circa.
E poi anche perché ho già in mente un'altra ff, ma vorrei aspettare di finire almeno questa, altrimenti mi incasino. Inoltre, fra un paio di settimane porterò il culo nuovamente al mare per ben 2 settimane, quindi il tempo stringe. Non sorprendetevi se aggiorno in fretta, tutto qui.

Niente, ci vediamo al prossimo capitolo!

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Capitolo 17
*** Cap XVII La nuova città ***


“Qui dovremmo essere sicure di non venir trovate!”

Mina si guardò intorno, come se stesse cercando qualcosa, o come se volesse udire un particolare suono.

Coral la guardò perplessa.

“Mina, che stai facendo?” le chiese.

La giovane cantante compose le mani a binocolo, poi se le mise sugli occhi e iniziò a guardarsi intorno a 180°.

“Sto trovando una via per tornare nella civiltà!” rispose, continuando concentrata in quello che stava facendo.

Coral esasperò arresa. Non era un'esperta, ma se NMBC era ancora lontana, fare così non sarebbe servito a niente, nemmeno con la buona fede di tutte e tre.

Blaze non le ascoltava, era totalmente su un altro piano: lei stava ancora pensando alla fuga dal treno che avevano appena fatto. Lo sapeva che non aveva avuto molta scelta, ma non poteva pensare se non a Shadow; probabilmente l'avrebbe difesa, in qualche modo.

Non aveva pensato, quando era ancora sul treno, alla reazione che il riccio avrebbe fatto quando non se la sarebbe più trovata lì.

Per non parlare di come correvano le voci; le due guardie probabilmente avrebbero fatto così tanti passaparola che, a quest'ora, sarebbero arrivate all'orecchio e sulla bocca di tutti. Shadow incluso.

Sospirò tristemente. Non avrebbe dovuto lasciarlo così.

Blaze sapeva che lui si fidava di lei, e una fuga così improvvisa l'avrebbe fatto dubitare di lei per molto tempo, forse per sempre, conoscendo il carattere di Shadow.

Le era giunta in testa più e più volte l'idea di ritornare indietro per controllare o per avvertire il riccio, per ritornare da lui, ma era sfumata grazie alla sua parte logica: tornare indietro non sarebbe stata una mossa intelligente.

Quindi, alla fine, aveva deciso di tentare di mettere la questione Shadow the Hedgehog da parte per un po', e di riprenderla almeno dopo aver trovato Amy e messo fine a tutta quella storia.

Cavolo, detta così suonava così male...

Non poteva dire quelle cose a Shadow, gli avrebbe spezzato il cuore, oltre ad offenderlo.

Blaze voleva quel ragazzo con tutto il suo animo, ma il riccio avrebbe solo capito che lei non avrebbe voluto sapere nulla di lui finché i suoi problemi principali non fossero sistemati.

A pensarci bene, Shadow non avrebbe avuto tutti i torti di arrabbiarsi: di certo non è bello essere messi in secondo piano dalla proprio amata, soprattutto se si ha un orgoglio come quello del riccio.

Mi dispiace, Shadow.

Mentre lei era completamente persa nei suoi pensieri, le altre due ragazze continuavano a discutere.

“Smettila Mina, finiremo per perderci!” le diceva scocciata la creatura marina, agitando le braccia per aria.

“Fidati di me, ho un istinto da paura!” disse in tutta risposta la giovane cantante, tutta fiduciosa del suo senso dell'orientamento.

Coral, come era prevedibile, roteò gli occhi sospirando pesantemente, cercando di riacquistare un po' di pazienza.

“A me il tuo istinto fa paura.” rimarcò la pesciolina, portandosi i pugni sui fianchi.

“Beh” disse alla fine la mangusta gialla “Dovremmo muoverci comunque, non è stando ferme qui che risolveremo i nostri problemi.” disse, tornando seria.

Coral dovette ammettere che aveva ragione.

“Certo che ho ragione! Come dico sempre; il culo non si salva da solo, bellezza!” esclamò Mina.

La pesciolina sospirò arresa. Inoltre era leggermente disturbata nel sapere che la sua amica 'diceva sempre' una volgare frase del genere.

“E quindi dove andiamo?” chiese alla fine Coral.

La mangusta ci pensò su un attimo.

“Da quella parte!” esclamò dopo un'attenta riflessione, con un sorriso splendente, indicando verso Nord-Ovest. Coral guardò perplessa l'indicazione dell'amica.

“Scusa, ma come fai ad essere così sicura che quella sia la direzione giusta?” chiese perplessa la ragazza acquatica. Semplicemente, non sapeva come la sua amica fosse così sicura di sé stessa e di quello che faceva, nonostante fosse in una situazione totalmente nuova.

Mina sorrise. Aveva sì un buon istinto, ma anche un ottimo intuito.

Inoltre aveva la sua serie di ragionamenti: lei pensava che, se si continuassero a percorrere le rotaie, si sarebbero trovate presto in una località, se non a NMBC. Per questo, nonostante la fretta generale di darsela a gambe, aveva tenuto a mente la posizione del treno man mano che correvano via.

In pratica, si era creata una mappa tutta sua basata sulla presenza delle rotaie. Dovevano solo seguire la loro stessa strada, cercando di non avvicinarsi troppo, né di allontanarsi ulteriormente; semplicemente procedere in parallelo.

“Fidati.” rimarcò la mangusta all'incredula amica.

“Ok.” rispose al posto suo Blaze, lasciando Coral con la bocca aperta pronta a dire qualcosa.

“Seguiremo la tua strada, e nel caso sbagliassi non sarà un problema, troveremo una soluzione. Facciamo più danni a stare ferme qui. Dopotutto, non credo che ci lasceranno andare così facilmente, anzi; magari qualcuno sarà già sulle nostre tracce.” spiegò sbrigativa, ma concisa.

Sperava solo che un certo riccio nero e la sua gag non le avesse già localizzate.

Le altre due annuirono in accordo.

“Forza, seguitemi!” esclamò eccitata Mina, la quale finalmente aveva il comando della missione.

“E sarebbe meglio se non urlaste.” aggiunse la gatta “Attirerete troppo l'attenzione.”

Mina non le rispose, ma continuò a trotterellare facendo strada alle altre due.

Tuttavia, come la sua amica Coral, aveva pienamente recepito il messaggio della micia, e condusse le due ragazze in silenzio.



Si sentivano forti e decisi passi mentre i piedi incontravano il suolo con un tonfo secco.

Un batter d'ali fu udito lì vicino, mentre la creatura atterrava leggera.

“E' inutile scovarli dall'alto.” disse Rouge the bat “Gli alberi sono un ottimo scudo. Non le troveremo con un approccio aereo.” spiegò la ragazza al suo freddo compagno.

Il riccio nero si era fermato e, pensieroso, scrutava la foresta con sguardo concentrato.

La ragazza poteva sentire la tensione che si era formata sin da quando Shadow era uscito dall'ufficio, ed era sconfortante.

Non sapeva cosa il riccio avesse potuto fare alla gatta se l'avesse rivista di nuovo. Aveva paura che fosse ritornato nello stesso stato di quando il Comandante e la G.U.N. hanno iniziato a fottergli il cervello, nove anni prima.

Inconsciamente, a causa della tensione, la ragazza bianca concentrava il proprio peso corporeo su un piede e poi sull'altro, sfregandosi nervosamente un braccio steso lungo il fianco.

Per quanto cercasse, trovava difficile trovare parole adatte in quella situazione.

Chissà cosa lui stesse pensando...

Magari stava solo cercando un modo per localizzarle. La pipistralla sospirò tra sé e sé.

Dopo tutto, il bosco era enorme, e cercarle a piedi sarebbe stato un bel problema. Potevano essere dovunque, a pensarci bene.

A un certo punto, quando Rouge era ancora immersa nei suoi preoccupatissimi pensieri, il riccio iniziò a marciare dritto nel bosco.

La partner lo guardò dubbiosa, chiedendosi dove lui volesse andare, per poi seguirlo titubante.

Gli stette dietro senza fiatare per alcuni minuti, prima di iniziare a chiedersi se Shadow sapesse cosa stesse facendo.

L'analitica ragazza osservò le sue mosse: il riccio non seguiva né un sentiero né una direzione precisa, sembrava andare dove lo portava il vento.

Stava andando a caso? La pipistrella se l'era di certo chiesto.

Tuttavia non aveva avuto il coraggio di proferire parola.

Era passato un buon quarto d'ora, e finalmente la giovane donna si decise di chiedere.

“Shadow, sai dove stiamo andando?” chiese fermamente, ma comunque con cautela.

Che mi prende?! Pensava Rouge Perché mi comporto così?? Non esiste che io abbia paura di Shadow, lo conosco da una vita! Non ha senso!

Aveva forse paura? Il suo linguaggio del corpo era molto simile a quello di qualcuno che era spaventato, ma tuttavia non era così. Lei aveva paura per lui, per Blaze, per un sacco di altre persone, ma non per sé stessa. Era solo... preoccupata di vederlo esplodere.

Scacciò quei pensieri, mentre attendeva una risposta da Shadow.

“Non precisamente.” rispose secco il compare.

“E allora perché continui ad andare avanti senza sapere dove vai?!”

“Perché non abbiamo molta scelta.” rispose leggermente scocciato il riccio nero.

E poi Rouge non poté più trattenersi: dovevano parlare.

“Shadow, perché fai così? E' perché Blaze se n'è andata, non è vero?” lo bombardò lei, mentre lui continuava la sua camminata indifferente (o almeno in apparenza).

Lui non rispondeva, ma Rouge probabilmente conosceva il detto che chi tace acconsente, perché subito dopo continuò la sua parlantina:

“Sono sicura che non ti voleva abbandonare, ma aveva qualcosa in mente! Che so, cosa da fare, posti dove andare...” disse lei, quasi supplicandolo di ascoltarla e di ragionare.

Non è detto che se ne sia andata a causa tua!” esclamò, arrivando al dunque.

“Qualsiasi cosa potrebbe averla spinta a scappare! Non devi sempre pensare male delle persone!”

Il riccio rimaneva silente, mentre continuava a camminare, eppure la sua marcia era rallentata.

Avevi ragione, Rouge.” disse dopo un po', e alla ragazza sembrò di aver sentito una nota di tristezza. La partner rimase confusa.

“Avevi ragione quando dicevi che non dovevo farmi coinvolgere sentimentalmente, o non ne sarei uscito fuori.”

Rouge si ricordò delle sue esatte parole che gli aveva detto nelle prime sere del loro nuovo incarico, e le sue orecchie si abbassarono fiacche fiacche mentre sgranava gli occhi.

Non pensava che avrebbe mai detto quelle parole che persino lei si era dimenticata.

“E questo da dove viene fuori?? Non dirmi che ti stai pentendo di quello che tu e Blaze avete costruito?!” esclamò la giovane donna, terrorizzata che la risposta fosse un “sì”.

Finalmente Shadow si fermò e la guardò con la coda dell'occhio, iridi rosse la analizzarono.

“Non ho mai detto questo, e non è quello che intendevo. Non mi pento di niente.” le spiegò.

Rouge si calmò.

“E quindi?...Cosa farai quando la troverai?” chiese Rouge con un sospiro, ritornando calma, e rimanendo sulle spine in attesa di una risposta. Quella era la domanda che le era premuta più di tutte sin da subito, dato che il suo compare era furioso.

“Cosa vuoi che faccia? Non potrei farle del male.” rispose più dolcemente il riccio, che aveva intuito la preoccupazione dell'amica.

“La riporterò indietro e le parlerò.” disse alla fine alla ragazza, la quale sospirò pesantemente.

“Non essere troppo rude, Shadow. Avrà un buon motivo e, quando lo sentirai, ti darai del coglione per esserti arrabbiato per nulla. Blaze non è quel tipo di ragazza bastarda, Shadow. Non se ne sarà andata per farti soffrire.” parlò l'amica, lentamente, cercando di ficcare per bene il consiglio nella testolina del riccio.

Shadow alzò un sopracciglio. Davvero non capiva che sapeva tutte quelle cose?

Shadow sapeva che Blaze non era assolutamente una bastarda; poteva essere fredda, schietta, magari anche rude, ma non era cattiva. La conosceva abbastanza per dire che era leale.

Inoltre, ora che stava ricominciando a tornargli la calma, si era reso conto che la gatta era ormai una donna matura e seria, calma, intelligente e concentrata, deve aver avuto una buona ragione.

Shadow sapeva già di essere un coglione. Era solo la rabbia del momento, un broncio che aveva tenuto su solo perché non sapeva spiegare la notizia che gli si era bombardata addosso.

“Ora muoviamoci a trovarle, chissà dove sono!” esclamò il riccio, ritornando in sé.

“Fortuna che ho trovato le tracce del loro passaggio!”

Rouge lo guardò stupita e sorpresa.

“Scusa, hai trovato le loro tracce? Perché quando ti ho chiesto se sapevi dove stessimo andando hai risposto di no?” chiese confusa la pipistrella.

Shadow stese un sorriso.

“Perché in effetti sto solo seguendo le loro impronte, ma non so dove conducano.”

La giovane ex-spia roteò gli occhi.

“Conducici allora!” ordinò solennemente, e con un pizzico di divertimento.

Shadow sorrise ancora di più e si mise a correre molto velocemente, sapendo che l'amica sarebbe riuscita a raggiungerlo in volo.

Se Blaze avesse un problema anche più grande di lui, non gli sarebbe importato; l'avrebbe riportata indietro ad ogni costo, l'avrebbe aiutata con i suoi problemi e protetta da tutte le malelingue e gli insulti delle guardie.

Non avrebbe permesso a nessuno di toccarla, avrebbe ucciso pur di tenerla sana e salva nel suo abbraccio. Tutto quello che voleva era di perdersi nel suo sguardo dorato mentre si parlavano con un sorriso sulle labbra.

Era nuovo al sentimento dell'amore, e forse si era fatto prendere un po' dal panico per le cose che Bunch gli aveva detto la sera in cui gli aveva parlato della protezione.

Blaze era la sua donna, non l'avrebbe mai lasciata. Non più.



Avevano camminato per ore, e si stava scurendo il cielo, pronto a far arrivare la sera.

In fila indiana, tre ragazze continuavano a camminare; in testa, sempre in forma smagliante, Mina si faceva strada tra i cespugli un po' troppo alti, piuttosto scocciata che quei vegetali la stessero rallentando e dando fastidio.

Pochi metri dietro di lei, Coral sbuffava, visibilmente stanca, e iniziava a rallentare notevolmente il passo, chiedendosi quando sarebbero arrivate o almeno quando avrebbero fatto una pausa.

Subito dietro alla giovane musicista, Blaze chiudeva la fila e si preoccupava di non essere

-eventualmente- inseguita da qualcuno. Allo stesso tempo, la gatta teneva d'occhio le altre due ragazze e, di tanto in tanto, spingeva delicatamente la pesciolina, spronandola ed aiutandola ad andare avanti. Vedeva che era stanca, ma non sapeva quanto poteva essere sicuro fermarsi.

Tuttavia, il cielo cominciava a scurirsi, e poi sarebbe arrivata la notte. Un posto dove stare dovevano trovarlo.

Lei non era una tipa che si stancava facilmente, e Mina sembrava essere fresca come una rosa, ma al contrario Coral non ce la faceva più, aveva bisogno di riposare.

Stava per suggerire di cercare un posto dove riprendere le forze, quando l'eccitata e felicissima voce della mangusta urlò:

“Ragazze! Ci siamo! Vedo una città!”

Incredule e sorprese, le altre due ragazze corsero verso di lei e guardarono dove il dito della cantante indicava: una città.

Un'enorme città, a dire il vero.

Il cemento delle strade perfettamente asfaltate e dei grattacieli contrastava con la natura del bosco intorno, la quale iniziava e finiva inavvertitamente, formando due confini ben delineati.

Era un città pulita, con poco smog e non una persona in vista.

Le tre ragazze si inoltrarono nella città guardandosi attorno curiose.

Coral sembrava aver perso la sua stanchezza, ora che era arrivata. Forse aveva riacquisto un po' di forza nel vedere che erano arrivati alla loro destinazione. Ma lo erano veramente?

“Finalmente siamo arrivati.” bisbigliò incredula Mina, guardandosi intorno con occhi spalancati.

“Non sappiamo ancora se è NMBC.” le disse Blaze, guardandosi in giro per trovare qualcuno.

“Possiamo sempre chiedere a qualcuno.” propose Coral.

“Se ci fosse qualcuno.” rispose la gatta. Per una città del genere, non c'era un'anima viva.

“Cribbio!” esclamò Mina “Non ditemi che è davvero una città fantasma!” disse tutta preoccupata.

Coral smise di guardare in giro e si mise ad osservare un punto. Si calmò, e disse:

“Ma no, sciocca! Guarda là.” e indicò sorridente il punto che stava osservando “C'è un signore.”

Le ragazze guardarono dove indicava l'amica: a una cinquantina di metri, seduto su una panchina di legno vicina ad un solitario e sottile alberello, riposava tranquillamente un signore anziano, con un bastone da passeggio di alta qualità in mano. Guardava i grattacieli e la strada con un sorriso sereno.

“Potremmo andare a chiedere a lui.” propose Coral.

“Non vedo altra scelta.” sospirò in risposta la gatta.

Le tre si incamminarono verso l'anziano abitante.

“Ok ragazze.” parlò Mina, poco prima di raggiungere l'uomo “Lasciate parlare me.” disse seriamente rivolta alle altre, e avvicinandosi all'anziano.

Blaze e Coral volettero fidarsi di lei, e la seguirono in silenzio.

Mina arrivò davanti al signore, con le sue due amiche dietro di lei, e si schiarì la voce, gesto che prese l'attenzione dell'anziano.

Lui le guardava attendendo pazientemente che parlassero, senza mai cambiare l'espressione da beato che aveva in faccia. Beh, si vede che la vita in quella città era molto tranquilla, ed era strano.

Una città coinvolta con il commercio di schiavi, si immaginava Mina, avrebbe dovuto essere oscura, sporca, con vicoli bui e persone sospette ad ogni angolo. Eppure non c'erano boss mafiosi che si fumavano un sigaro, né ricconi al volante di auto di lusso.

Era una città piacevolmente integrata tra la natura, serena, tranquilla, con pochi abitanti.

Ottenuta l'attenzione dell'anziano, Mina mise su un bel sorriso e iniziò a parlargli gentilmente:

“Buongiorno signore! Io e le mie amiche” disse, accennando con la mano le altre due “Ci siamo perse perché il ton-ton ha smesso di funzionare. Mi saprebbe dire dove siamo, per piacere?”

L'anziano, con il suo solito sorriso, rispose:

“Siamo a New Mobius Big City, signorine.” disse con cortesia, ricambiando il tono gentile della ragazza.

Tutte e tre sgranarono gli occhi, ma Mina lo diede poco a vedere, e annuì con la testa all'anziano.

“Capisco. Sa dov'è una cabina telefonica, così avvertiamo i nostri genitori, per favore? Sa, non ci sentono da quando siamo partite e non vogliamo farli preoccupare...” spiegò la cantante con quel suo visino adorabile. Anche l'anziano annuì.

“Sì, signorina. Là, in fondo alla strada, vicino all'ospedale.” disse, alzando il bastone ed indicando la via, che le tre ragazze guardarono. Mina estese il suo sorriso, poi si rivolse nuovamente all'anziano abitante:

“Grazie mille, signore!” cinguettò felice, salutando con la mano e iniziando ad incamminarsi.

Anche Coral e Blaze ringraziarono di cuore, e lo salutarono.

“E' stato un piacere.” salutò felice il vecchio gentile.


Le tre ragazze avevano raggiunto la cabina telefonica.

Mina, abituata alla città, si stupì di quanto sembrasse nuova, tanto che sembrava essere stata installata solo l'altro giorno. Per non parlare di come era pulita e senza cattivi e spiacevoli odori.

Prese in mano la cornetta rossa e se la pose all'orecchio.

“Wow.” esclamò felice la cantante “Non richiede monete. Fantastico!” disse, sorpresa ed entusiasta dal fatto che non dovevano usare monete o gettono per far funzionare l'aggeggio telefonico.

Forse, finalmente, la fortuna stava incominciando a giocare dalla loro parte.

Tuttavia, Mina non voleva esultare per il momento; non erano ancora al sicuro del tutto, purtroppo.

Compose in fretta il numero di Ash e attese in linea, mentre le altre due ragazze aspettavano fuori dalla cabina e si guardavano attorno, ammirando gli intorni della città.

Rispondi...! supplicò nella sua testa la mangusta, mentre secondi e secondi passavano lenti.

Dai, sei sempre attaccato al telefono!...

Pronto?” chiese una voce maschile, che Mina riconobbe subito: Ash.

Presa dalla gioia, la ragazza quasi urlò.

“ASH!” gridò contenta la mangusta, con le lacrime agli occhi, felice di sentire finalmente una voce amica.

MINA?!” gridò lui a sua volta, sorpreso.

“Sì! Quanto mi sei mancato... mi siete mancati tutti! Come stai?! E Tails?!” disse lei tutta d'un fiato, e avrebbe continuato se Ash non l'avesse bloccata.

Mina! Dove sei stata tutto questo tempo?! Dove sei?!” chiese preoccupato.

La ragazza, che si era ricordata che erano in una situazione delicata, e si era accorta che stava solo sprecando tempo in chiacchiere, gli spiegò la situazione.

“Sono stata rapita qualche settimana fa da dei trafficanti di schiavi! Io e altre due mie amiche siamo riuscite a scappare! Per favore, vieni a prenderci!” supplico la cantante.

Sì, subito! Dove siete?!” chiese Ash, sempre con tono preoccupato.

“A NMBC, New Mobius Big City.”

Un attimo.” disse Ash, e poi Mina sentì il rumore delle dita che digitavano su qualcosa.

...emh, Mina?” chiese dall'altra parte la voce del manager, e dal tono con cui lo diceva, Mina sentiva che stavano arrivando dei problemi.

Il navigatore dice che non esiste una città chiamata New Mobius Big City.” spiegò perplesso.

Mina si spaventò, nonostante l'avesse previsto. Quella era una città fantasma, sconosciuta a tutti, persino al navigatore satellitare.

Come avrebbe fatto a trovarle, adesso?

Maledizione!” esclamò la mangusta dopo alcuni secondi di silenzio morto.

“Giuro che esiste! Come facciamo??” gridò nel microfono, iniziando ad alterarsi.

Ma siccome il suo manager non è un tipo nato ieri, aveva già trovato un metodo che, sperando in bene, avrebbe funzionato.

Ho un'idea!” disse dall'altra parte della cornetta, mentre si sentivano le dita digitare su qualcosa.

Grazie a questa chiamata, posso localizzarvi! Finché mi arrivano le coordinate, state lì e non andatevene, arriviamo subito!

Mina sorrise speranzosa: “Grazie Ash!”

Di niente cara. Chiamami fra un po', e ti dirò a che punto siamo!” le ordinò.

“Certo! Grazie ancora, Ash.” disse, e poi mise giù, soddisfatta. Finalmente quell'incubo sarebbe finito, sarebbero tutte e tre ritornate a casa, e forse, grazie alla nuova scoperta della città, la polizia e gli agenti avrebbero potuto mettere fine al traffico e liberare le altre prigioniere.

Se Ash e i rinforzi sarebbero riusciti a localizzarle, il resto sarebbe andato liscio come l'olio.

Sorrideva al pensiero di tornare a casa da facce amiche, che l'amavano, sorrideva nel pensare al suo futuro; concerti, divertimento, le nozze... e magari anche dei bambini.

Uscì dalla cabina con un sorriso smagliante, guardando le altre due.

“Ci vengono a prendere.” disse solamente.

Coral scoppiò dalla gioia, felice che quella brutta storia stava per finire.

Anche Blaze sorrise a sentire la bellissima notizia.

“Mi ha detto di richiamarlo fra un po'.” continuò la cantante. “Per vedere a che punto è, o se c'è qualche problema o...che so?”.

Coral annuì guardando la sua amica con adorazione.

Blaze aveva la schiena appoggiata alla cabina, con le braccia incrociate, e aveva iniziato a guardare altrove. L'ospedale.

Aveva seriamente pensato di entrare a vedere se riusciva a trovare una certa riccia rosa...

C'era qualcosa che la spingeva ad entrare: l'istinto.

Le diceva di entrare, chiedere alle infermiere, cercar stanza per stanza se necessario, ma andare e provare.

La mente, invece, le diceva di aspettare l'arrivo del manager di Mina, e la tratteneva dall'avventurarsi nel gigantesco ospedale dai muri bianchi.

Era enorme, muri candidi come appena verniciati, finestre cristalline che riflettevano la luce del sole e un'enorme croce rossa sulla facciata. Non una crepa, né un graffito.

“Blaze?” chiamò Mina, mettendosi accanto alla gatta.

Si stava preoccupando del suo sguardo assente.

Blaze non rispose subito, indecisa su cosa fare e cosa dire. Poi, fece la sua scelta: doveva entrare.

Si distolse dalla cabina e stette in piedi dritta e rigida, come se volesse sfidare l'enorme struttura di cemento.

Le braccia non erano più incrociate, ma erano stese dritte lungo i fianchi, con i pugni chiusi.

Coral e Mina la guardarono preoccupate, ma anche curiose. Cosa voleva fare?

Dopo alcuni secondi di completo silenzio tra le tre, la gatta inspirò a fondo e finalmente parlò:

“Entro nell'ospedale, se avete bisogno di me mi venite a cercare.” disse, dando alla sue amiche solo uno sguardo con la coda dell'occhio.

Entrambe annuirono. Mina avrebbe voluto dirle qualcosa, ma non le uscì niente dalla bocca.

Il tono della regina faceva intuire che non accettava proteste di nessun genere.

Mina, allora, lasciò fare la gatta, stando ferma immobile vicino a Coral mentre la loro amica fece la sua entrata nell'ospedale.

N.A: Salve ragazzi!

Spero che vi piaccia questo capitolo.

Molte mi hanno chiesto di mettere il link dei disegni dei personaggi invecchiati di dieci anni di questa ff, pobrabilmente li metterò nel prossimo dato che non li ho nemmeno iniziati. Solo per avvertirvi, eh.
Comunque, preparatevi per il prossimo capitolo che sarà il più triste e deprimente di tutta la storia. Giusto un'avvertenza.
Non vi spoilero niente, alla prossima! ;)

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Capitolo 18
*** Cap XVIII Quando una Rosa muore ***


Amy Rose P.O.V.


Buio. Ancora e ancora. Finirà mai questo film?

Non che sia spiacevole, scene e scene dove rido, piango, mi emoziono. E' il film sulla mia vita.

E' carino rivedere tutto, soprattutto memorie che si erano dimenticate, ma voglio tornare alla realtà, al mio presente, alla mia vita. Voglio uscire da questo cinema, ma no ci sono porte, purtroppo.

Dovrò aspettare che finiscano i ricordi, o mi interromperò prima? Non so.

Comunque, non dovremmo essere lontani dalla fine: c'è una memoria che, appena visto l'inizio, ho iniziato a rattristirmi.

No, per favore, non ancora quella memoria...!

Mi tormentava sin da quando ero sveglia, era il ricordo che mi era più rimasto impresso.

Qualcuno lo faccia smettere, non lo voglio rivivere!


Ero nel mio ufficio, seduta nella mia scrivania di legno.

Sul tavolo, le solite cose: fogli, documenti, una penna nera, una penna blu masticata e un vecchio telefono scuro con una suoneria squillante.

Ero intenta a leggere la mia assicurazione sulla vita quando sentii qualcuno bussare alla porta.

Avanti.” dissi ad alta voce, in modo che chi fosse dall'altra parte della porta sentisse.

La porta si aprì e rivelò la forma di Espio, un camaleonte ninja viola. Aveva il volto serio, come al solito, e mi guardava dritto negli occhi.

Mi chiedevo spesso perché fosse così serio e concentrato, ma in quel momento non ci feci tanto caso. Lo guardai anch'io e misi giù i fogli che stavo leggendo. Gli lanciai un ampio sorriso.

Espio! Da quanto tempo, amico mio.” lo salutai, posando i gomiti sulla scrivania e congiungendo le mani. In risposta, anche lui sorrise.

Piacere di rivederti, Amy Rose.” salutò lui con rispetto, facendomi un cenno con la testa.

Cosa ti porta qui?” chiesi al camaleonte.

Il suo volto tornò serio mentre da una sua cintura estrasse un bigliettino rosa da visita.

Aggrottai le sopracciglia mentre lui si avvicinò alla scrivania con il pezzo di carta tra le dita.

Cos'è?” chiesi perplessa, allungando il braccio per prendergli il foglietto che mi aveva allungato, e iniziando ad esaminarlo. Il mio amico prese un bel respiro, prima di rispondermi:

Sei stata ufficialmente invitata al matrimonio tra Sonic e la principessa Sally.” disse, con voce monotona da macchinetta.

Mi bloccai. Non riuscivo a respirare bene, per quanto ci provassi, ero rimasta scandalizzata.

Guardai con occhi sgranati il biglietto, senza impegnarmi a leggerlo dato che sapevo cosa diceva.

Ero ferma, immobile come una statua.

E' stato un colpo al cuore, poi allo stomaco, sembrava che mi avesse trafitta una lancia di ghiaccio. Cavolo, come mi facevano male...

Non era possibile...no..no, NO! No no no no no...

Avevo brividi freddi, il sudore mi colava giù dalla fronte.

Mi sentivo male non solo emotivamente, ma anche fisicamente...

Mi bruciava la gola, era come se stessi per vomitare.

Rose?” mi chiamò il camaleonte.

Lo ignorai totalmente.

I-io...sapevo che quei due stavano molto insieme, ma non avrei mai pensato... Oddio.

P-perché Sonic, perché? Sapevi che sarei stata male, perché mi hai invitata? Per guardati sposare qualcun'altra? Non ti capisco!

Sarà un bel momento per te, ma non lo sarà per me, come hai potuto non pensarci?!

Rose??”

Io non pensavo che tu fossi il tipo che si sposa, Sonic. Davvero, ti sei descritto sempre come uno spirito libero. Che ti è successo? Hai cambiato idea?

...la ami così tanto da rinunciare a tutto il resto, come ho fatto io con te in tutti questi anni?

...mi ferisce, Sonic, è davvero una cosa che mi ferisce.

Mi hai sempre considerata solo come un'amica, non è vero? E' per questo che mi hai invitata?

...D'accordo caro, io ti voglio comunque bene... e anche a Sally, siamo sempre state amiche... si offenderebbe e ci rimarrebbe male se non venissi.

Dio mio Sonic, perché non puoi tornare da me?!

AMY!”

Il camaleonte mi aveva preso per le spalle e le aveva scosse, facendomi destare dal mio stato di trance e dai miei monologhi interiori.

Avrei voluto dirgli che stavo bene, ma l'unica cosa che riuscii a fare fu di alzare lentamente lo sguardo per guardarlo in faccia. Almeno avrebbe saputo che ero ancora viva.

Il mio amico sgranò gli occhi.

Mio Dio, Rose, sembra che tu abbia visto un fantasma!” esclamò preoccupato il ninja.

Sto bene.” farfugliai acida. Non avrei voluto essere così sgarbata con lui, dopotutto era sempre stato gentile con me, non si meritava una risposta cattiva.

Ma in quel momento ero disperata e avevo bisogno di sfogarmi, e il camaleonte era lì sotto tiro.

Dopo mi sono sentita male per come l'avevo trattato.

Espio non aveva nessuna colpa, se non quella di avermi portato il messaggio.

Ma io non pensavo a questo in quel momento, pensavo solo con rabbia a quanto fosse stronzo per parlarmi in quel modo, come se non sapesse il problema, come se non sapesse quanto mi faceva soffrire la notizia. Lo guardavo semplicemente con odio. Mi alzai di scatto.

E vuoi smetterla di chiamarmi 'Rose'?! Chiamami per nome! Ci conosciamo da una vita, cazzo!”

gli sbraitai contro, dimenandomi dalla presa che aveva sulle mie spalle.

Lui mi lasciò andare allibito e indietreggiò di alcuni passi dalla scrivania.

Lo squadravo irata, con i pugni chiusi appoggiati sulla superficie del tavolo.

Mi osservò sorpreso, aspettando che mi calmassi via.

E in quel momento mi accorsi di quello che gli stavo dicendo. Fu qui che realizzai che stavo sbagliando.

Il mio sguardo si ammorbidì lentamente. Mi sentivo così in colpa...

Mi calmai e mi sedetti pesantemente sulla sedia. Espio rimaneva immobile a guardarmi perplesso.

Fantastico, è di nuovo colpa mia! Sentii un nodo alla gola e sapevo cosa significasse...

Cercai di trattenere le lacrime, ma non ci riuscii. Nascosi la faccia nelle mie mani per la vergogna.

Mi dispiace Espio! Non volevo-” riuscii a dire tra i singhiozzi. “Scusami tanto.”

Mi vergognavo così tanto da non volerlo vedere in faccia, ma soprattutto di guardarlo negli occhi.

Tenendo una mano sul volto, staccai l'altra per aprire un cassetto e prendere un fazzoletto.

Mi soffia il naso, cercando di calmarmi. Ero sempre stata considerata una bambina molto emotiva, non volevo essere più chiamata 'la ragazzina dalla lacrima facile'. Non volevo mostrarmi ancora vulnerabile, mai più. Ma stavo fallendo miseramente; anche se avevo la faccia coperta, Espio si era sicuramente accorto che stavo scoppiando.

Sobbalzai quando sentii una mano posarsi sulla mia spalla.

Guardai chi era, e non mi sorpresi nel vedere gli occhi gialli di Espio che guardavano i miei già rossi dalle lacrime.

Non sono offeso, se te lo stai chiedendo, e tanto meno arrabbiato.” mi disse, come se mi avesse letto nel pensiero.

Non è colpa tua. Lo sapevo che sarebbe stata una notizia dura per te.” disse, fermandosi un attimo per cercare cosa dire. Lo guardai con stupore; sapevo che Espio non era il tipo che sapeva consolare la gente, però ci stava provando.

Sonic...” sussurrai quasi involontariamente, e lui capì e chiuse gli occhi.

Non sei tu il problema. Tu sei perfetta così come sei, e non hai nemmeno sbagliato nulla. Non è colpa tua, né di nessun altro. E'....la vita.” continuò lui.

Non ce la facevo più a guardarlo negli occhi, e li abbassai, temendo di iniziare di nuovo a piangere, e non volevo mica frignargli in faccia.

Non fare così. La vita non è cattiva, solo aveva altri piani per te. Piani meravigliosi, senza dubbio, ma il dolore c'è, comunque e sempre. Lo supererai, sei una donna forte, e andrai avanti per la tua strada con un sorriso coraggioso, come fai sempre.”

Espio era un mio amico, ma non così stretto, eppure a sentire quelle parole... per la prima volta lo vidi come una roccia a cui aggrapparmi. Qualcuno che mi stava cercando di far capire che le cose succedono, belle e brutte, ma l'importante è andare avanti affrontando tutto, e uscendone vincitore.

Lo abbracciai forte forte, lasciando andare le mie lacrime. Era così confortevole.

Lui all'inizio si era irrigidito perché probabilmente non se l'aspettava, ma poi aveva ricambiato l'abbraccio, cosa che mi stupì.

Ricordati che tu sei sempre stata un'eroina” continuò lui, sussurrando rincuorante.

Anzi, una combattente, una Freedom fighter, e cosa fanno meglio i combattenti tosti come te? Combattono, sopravvivono, escono vincitori. Non si arrendono, vanno avanti, sempre. Tu che farai?” concluse, lasciandomi andare per guardarmi in faccia.

Misi su un lieve sorriso, e con le dita mi asciugai gli occhi.

Andrò avanti!” risposi convinta. “Supererò anche questo!”

Lui mi sorrise dolcemente. “Brava!” disse.

Non avere rancori, e non essere arrabbiata con i tuoi amici. Ti vorranno sempre bene comunque.”

Annuì contenta.

Grazie Espio, grazie di cuore.” lo ringraziai, per poi stringerlo in un altro abbraccio spacca ossa.

Quando lo lascia andare, lui si diresse verso la porta.

Quindi... andrai al loro matrimonio?” chiese esitante.

Io annuì.

Sì, rimarrebbero dispiaciuti se non andassi.” risposi sinceramente.

Sei sicura? Dopotutto, tu potresti rimanere dispiaciuta se andassi.” m'avvertii lui, ma l'avevo capito perfettamente da sola.

Ehy ehy, prima mi dici di non avere rancori e poi mi suggerisci di non andare?” chiesi scherzosa al mio amico, il quale iniziò a scuotere la testa.

No, non è questo che...” ma poi si bloccò, e non disse più niente.

Andò verso la porta e girò il pomello.

Ci si vede in giro, Rose- volevo dire, Amy.” salutò sorridendo e aprendo la porta.

Ricambiai il sorriso.

Grazie Espio, e arrivederci.”

Lui richiuse la porta dietro di sé, e fui di nuovo da sola. Sopirai stancamente.

Adocchiai il bigliettino da visita che stava sulla scrivania.

Non andare non significava avere rancori, ed io sapevo bene che è quello che intendeva dire Espio.

Lentamente e con mano tremante, presi in mano il foglietto e lessi il luogo, la data, l'ora.

Le nozze sarebbero state appena quattro giorni dopo.

Sapere che dopo quel giorno il mio amato Sonic se ne sarebbe andato per sempre da me, per restare in altre braccia, mi rattristiva, anzi, peggio; mi deprimeva.

Ma sarei andata là anche con un sorriso finto, a fare i miei auguri più sinceri a denti stretti.

Sospirai.

Magari non sarebbe stato tanto male.


Se pensavo che non potesse essere tanto male, mi sbagliavo terribilmente!

Ho tentato, ho cercato di resistere ma la serata è finita con me che piangevo come una cogliona.

Il giorno stabilito, sono uscita dal lavoro e mi sono diretta a casa.

Una volta entrata in camera, chiusi a chiave la porta e andai ad aprire l'armadio stra colmo di vestiti ficcati disordinatamente dentro.

Come aprii le ante, alcuni vestiti caddero ai miei piedi. Grugnii, soprattutto quando vidi il macello che c'era dentro: non c'era un solo vestito che fosse al suo posto, appeso sul suo omino.

Perché dovevo essere così disordinata?!

Per non parlare di come erano tutti spiegazzati. Sembravano non essere stati stirati da anni.

Ne tirai fuori alcuni, quelli che mi parvero più belli, e li stesi sul letto per osservarli e decidere.

Li provai tutti, persino il mio preferito – un lungo vestito rosso acceso con scollatura a V e senza maniche, con una grande rosa sul fianco dello stesso colore – ma nessuno mi diede soddisfazione.

Rimasi davanti al letto a guardare con faccia imbronciata tutti i vestiti scartati, pensando a cosa mettermi.

Sapete cosa vi dico?” dissi ai vestiti, mettendomi le mani sui fianchi “Non mi metto nessun vestito! Maglietta, pantaloni e via! Come al solito!” continuai, anche se quegli stracci, di sicuro, non mi potevano sentire. Li presi e li buttai a casaccio nell'armadio, chiudendolo subito dopo.

Mi diressi verso un altro armadio, questa volta più piccolo, dove tenevo i miei vestiti quotidiani.

Ero sicura che, questa volta, gli indumenti fossero ordinati. Aprii le ante e mi misi a cercare quello che mi poteva servire. Alla fine scelsi dei jeans blu chiari, una maglietta a quadri bianca e rosa con i bottoni e una giacchetta di pelle beige chiara con la cerniera.

Mi vestii, mi rifeci la coda e poi, dopo essermi guardata allo specchio dell'entrata per assicurarmi di essere decente, uscii finalmente di casa.

Mi diressi verso il palazzo della mia amica Sally.

C'era un'orda di gente per strada, naturalmente. Riuscii a passare in mezzo alla folla e mi ritrovai davanti all'enorme castello. Lo guardai, indecisa se entrare o meno, e poi varcai il cancello.

La cerimonia fu come come molte altre; il prete, gli sposini all'altare, la gente che piangeva di gioia. Anche io stavo per piangere, ma di certo non perché ero felice.

Sonic e Sally, alla fine, salutarono il loro popolo dal balconcino, per poi ritornare al piano terreno, dove c'era un enorme palcoscenico. Mina doveva esibirsi, figurati se non fosse stata lì a cantare qualcosa di romantico per loro.

E in effetti, lei comparve sul palco poco dopo in un bellissimo abito orientale rosso e bianco, e tutti l'accolsero con innumerevoli applausi.

Lei iniziò a cantare 'Take me to Church' e tutte le coppie si posizionarono e si misero a ballare un lento. E' la canzone adatta, ottima scelta Mina. Sei sempre stata brava.

Io rimasi seduta sulla stessa sedia della cerimonia per tutto il tempo. Mi limitai a guardare gli altri ballare, mentre io rimasi in disparte.

Tanto, con chi volevate che ballassi?? Non c'era nessuno per me. E meglio così, non ne avevo voglia. Mi sentivo vuota.

Intanto, il cielo si scuriva; stava arrivando la sera.

Non avevo più niente da fare lì, se non guardare quanto fossero felici quei due, il mio amore e la mia amica, e mi alzai per andarmene. La serata non era ancora finita, ma le nozze sì, e loro mi avevano invitato solo a quelle.

Li guardai ancora un'ultima volta, proprio quando avevano deciso di baciarsi.

Fu un tuffo al cuore, fu come se mi avessero buttato dell'acqua gelata addosso.

Se avessi guardato ancora, sarei sicuramente scoppiata a piangere, e mi girai per andarmene di corsa, senza voltarmi più indietro.

Non avevo voglia di ritornare subito a casa. Avevo bisogno di una camminata.

Girai le strade ormai deserte di Mobius curva su me stessa, con le mani nelle tasche della giacca.

Dovevo calmarmi, ma non ci riuscivo. Mi sentivo morire.

Tutto quello che abbiamo passato insieme, da amici... ora era andato tutto via, eravamo cresciuti e niente, non si poteva tornare indietro. Mi manca tutto quello.

Pensai a tutte le avventure più belle che avessimo mai fatto, e iniziai a piangere.

A quel punto, non me ne fregava niente; avrei pianto quanto volevo, non c'era nessuno che mi vedesse, nessuno che mi giudicasse.

Dovevo sfogarmi, in qualche maniera, una volta la madre di Cream mi aveva detto che dopo aver pianto ti senti meglio, perché hai buttato tutto fuori.

E così lasciai le lacrime rigarmi le guance, mentre il mio pianto diventava sempre più incontrollabile.

Non ci feci nemmeno caso quando iniziò a piovere.

Ero stanca, avevo sofferto tutti quei giorni, non c'era davvero niente da fare per un cuore spezzato?!

Aveva ragione Espio: non dovevo venire.

Mi appoggiai esausta al primo muro sulla mia strada.

Non potevo far altro che pensarti, Sonic...

Io ti amo.” sussurrai tra un singhiozzo e l'altro “Ma se sei felice così, sarò felice anch'io.”

Dopo aver ripreso un po' d'energia, ed essermi sfogata abbastanza, ripresi il mio cammino verso casa, mentre la pioggia iniziò a picchiare forte.


Finì il ricordo, e ringraziai il cielo. Era straziante ogni volta che lo ripercorrevo.

Mi posso svegliare, adesso? O Amy Rose non ha ancora avuto abbastanza?


Normal P.O.V.


L'infermiera entrò nella stanzetta della paziente, per controllare se era tutto in regola.

La ragazza non si era ancora mossa, era in coma da almeno una settimana.

Il battito c'era, anche se debole. L'infermiera sospirò sconsolata, e si mosse a guardare la flebo.

Finiti i suoi controlli, fissò la ragazza, una riccia rosa piena di lividi e tagli, coperti da delle bende.

Così giovane, eppure doveva stare attaccata a delle macchine per sopravvivere.

L'infermiera sospirò di nuovo e, come faceva tutti i giorni, le sussurrò dolcemente:

“Ehy, sveglia.”


Era molto silenzioso il corridoio di quell'ospedale, i passi veloci e nervosi di Blaze erano l'unica cosa udibile.

Non c'era nessuno in giro, solo un ampio corridoio graziosamente dipinto di giallo miele.

Il pavimento era lucido e splendente, in giro c'erano scaffali peni di garze e lenzuola perfettamente bianche, pulite e sterilizzate.

Blaze si stupì della perfezione di quella città: era forse il posto che più si avvicinava al paradiso?

Ci volle un po' prima di vedere qualche forma di vita: alcune infermiere andavano e venivano di stanza in stanza portando in mano lenzuola pulite, garze, cerotti, bende, flebo e alcune anche del cibo. Quanto avrebbe voluto anche solo un assaggio.

Le infermiere erano silenziose e operative, non si fermavano un attimo.

Sembrava che non avessero nemmeno appreso che un'estranea le stesse osservando.

Blaze avrebbe voluto lasciarle fare il loro lavoro, ma l'ospedale era enorme e avrebbe solo sprecato un sacco di tempo se avesse cercato da sola.

Stava per chiedere a qualcuna di esse, quando un'infermiera senza nulla in mano fece capolino dal fondo del corridoio e andò proprio nella sua direzione.

L'infermiera si fermò davanti alla gatta e la guardò curiosa. Mise su un gentile sorriso e chiese:

“Le serve qualcosa, signora?”

Faceva uno strano effetto a Blaze essere chiamata 'signora'; non era così vecchia.

Ma scacciò quel fastidio, sapendo che l'aveva detto solo per cortesia, e rispose:

“Sì, grazie. Vorrei sapere se avete una paziente che risponda a questa descrizione: è una riccia rosa di circa vent'anni, occhi verdi, capelli a caschetto e un ciuffo sulla fronte.”disse la gatta.

L'infermiera rimase piacevolmente sorpresa da una simile rivelazione.

Sospirò rincuorata mettendosi una mano sul cuore.

“Grazie al cielo, qualcuno che la conosca! Lei è un'amica? Un parente?” chiese alla gatta.

Blaze si bloccò. L'aveva trovata, finalmente!

“Sono una sua amica.” rispose alla fine. L'altra donna annuì.

“Sono appena stata da lei. Mi segua.” disse alla guardiana, per poi voltarsi e tornare da dove era venuta, con Blaze dietro.

“E' un sollievo sapere che qualcuno sa chi sia.” continuò l'infermiera alla gatta, la quale rimase silente tutto il tempo.

“L'abbiamo trovata nel bosco qui vicino in condizioni critiche, aveva lividi e lacerazioni su tutto il corpo. Non aveva documenti addosso, e nessuno la conosceva. Era una sconosciuta.” continuò, arrivando a destinazione.

“Non credo che tu le possa parlare, purtroppo. E' in coma da più da una settimana, e non accenna a migliorare.” continuò la donna, con una nota di tristezza, mentre apriva la porta della stanza.

Entrarono e Blaze adocchiò subito la figura sul letto.

Amy.

Si inginocchiò al fianco della tanto cercata riccia rosa.

Era conciata malissimo, lo poteva vedere anche lei, ma almeno era viva, almeno respirava ancora.

Lentamente, accarezzò la guancia della giovane amica, stando ben attenda di non toccare e spostare la mascherina dell'ossigeno.

“Potrei sapere il nome della paziente?” chiese pacatamente l'infermiera, aprendo un fascicolo di documenti e facendo scattare una penna, pronta per scrivere.

“Amy Rose.” rispose naturalmente la gatta. La ragazza annuì e scrisse il nome della riccia.

“Può lasciarci da sole?” richiese garbatamente Blaze, dopo qualche minuto di silenzio.

“Certamente.” e detto questo, l'infermiera uscì dalla stanza.

La gatta, una volta sola, sospirò pesantemente mentre muoveva la mano dalla guancia al ciuffo sulla fronte.

“Ehy, Amy.” chiamò la micia, anche se non sapeva se la stesse ascoltando, ma ci avrebbe provato ugualmente “Perché non mi hai chiesto aiuto sin da subito? Anzi, perché non me lo hai mai chiesto?” chiese la gatta lilla, continuando a passare la mano nel ciuffo con dolcezza.

“Sono qui adesso. Sono venuta per te. Apri gli occhi. Svegliati. Per favore, svegliati.” continuò in un sussurro Blaze, mentre gli occhi le diventavano lucidi.

Con l'altra mano prese quella della riccia e gliela strinse forte, aspettando una qualsiasi reazione.



Amy P.O.V.


Sarà questo il momento? Comincio a respirare più forte, con più libertà.

Inizio a sentire dei suoni in più, tante voci.

Forse i sensi mi stanno tornando; sento qualcuno toccarmi e sussurrarmi parole dolci.

Sono qui adesso. Sono venuta per te. Apri gli occhi. Svegliati. Per favore, svegliati.” mi dice dolcemente una voce femminile, non la solita che mi chiede di svegliarmi di tanto in tanto, ma una voce stranamente familiare.

Ora mi sta stringendo la mano. Stringila anche tu, Amy! Fa vedere che si sei!

Con grande fatica, sto riuscendo ad aprire gli occhi... è forse un miracolo, questo?


Luce.

Per la prima volta in mesi riesco a percepire la luce, ed essa riesce ad avvolgermi.

Sono felicissima, potrei saltare di gioia, ma non ho ancora così tante forze a sufficienza, e sento che non le avrò mai.

Mi sono svegliata, sì, ma ora mi sento deboluccia.

Apro e chiudo gli occhi con difficoltà, come se avessi le palpebre stanche e pesanti, mentre aspetto che la mia vista offuscata metta a fuoco i dintorni.

Vedo una persona violacea, probabilmente è lei che mi sta parlando.

Pian piano, la mia vista si fa sempre più nitida. Non riesco a credere chi vedo!

B-Blaze?”.



Normal P.O.V


Blaze alzò lo sguardo quando vide gli occhi di Amy iniziarsi ad aprire lentamente.

Si sta svegliando! Fu tutto quello che pensò, felice che la sua amica stava rispondendo alla sua chiamata. Ma commise l'errore di illudersi e di dar per scontato che sarebbe stata meglio.

Amy la guardò e ci impiegò un bel po' per rendersi conto di chi fosse.

“B-Blaze?” chiese la riccia con un filo di voce, con un tono tra il sorpreso e il felice.

“Amy!” esclamò la gatta commossa, prendendole la mano con entrambe le mani.

“Come stai?” chiese la micia.

Amy respirò a fondo, prendendo fiato per rispondere.

“Non saprei. Mi sento stanca. E tu? Che ci fai qui?” chiese sussurrando.

Blaze ridacchiò sottovoce.

“Potevi aspettartelo, Amy. Non ti ricordi? Mi hai mandato una lettera in cui dicevi che credevi di essere stata scoperta.” spiegò la regina.

“Ah già.” interruppe la riccia “Scusa, ma avevo paura. Dovevo dirlo a qualcuno se i miei timori si fossero mostrati veri.” si scusò Amy, la quale stava recuperando le forze e stava iniziando a parlare normalmente, seppure non riuscendo a muovere nient'altro fuorché la bocca.

“...E purtroppo si sono mostrati veri.” concluse la gatta scurendosi in viso.

L'amica sospirò pesantemente; “Eh già.”

“Come mi hai trovata?” chiese alla fine. La gatta sorrise.

“E' una storia davvero lunga.”

“Racconta.”

E allora Blaze iniziò a raccontarle la sua avventura: di lei che si era mischiata nel commercio di schiavi, che aveva viaggiato e scoperto un po' tutto, dell'incontro e della fuga con Mina e Coral.

“Mina?? Coral?” chiese stupita Amy, interrompendo il racconto.

Blaze la rincuorò subito, prima che l'amica si preoccupasse troppo.

“Sì, anche loro erano state catturate. Ma come ti ho già detto, siamo evase e stiamo tutte e tre bene.”

rispose la gatta. La riccia si calmò notevolmente. Fece, seppure con gran fatica, un largo sorriso.

“Grazie, Blaze. Grazie.” sussurrò debole. Blaze alzò un sopracciglio confusa.

“Di cosa?” chiese.

“Per essere venuta per me. Lo apprezzo molto.” rispose la riccia, con tono spezzato, quasi come se stesse per piangere dalla gioia.

Ma qualcosa non andava, e Blaze lo sentiva. Capiva dal tono di voce della riccia che c'era qualcosa che non andava, c'era qualcosa che Amy non le stava dicendo. E la gatta sperava di sbagliarsi, perché il suo istinto le diceva che, se avesse visto giusto, sarebbe stato qualcosa di agghiacciante.

“...e per aver aiutato le mie amiche. Le hai salvate, probabilmente sei un angelo...” continuò Amy.

Blaze aggrottò la fronte, non capendo dove la sua amica volesse arrivare.

“Cosa stai dicendo?” chiese preoccupata e spaesata la gatta.

Amy richiuse gli occhi, leggermente triste.

“Non sto molto bene.” iniziò come se non fosse niente.

Blaze capì in un attimo cosa stava succedendo, e cosa lei volesse farle capire.

“Starai meglio.” interruppe subito la micia “E' solo il primo giorno. Devi rimetterti.”

Amy aveva riaperto gli occhi e stava guardando il soffitto senza alcuna espressione, stanca.

Poi, scuotendo debolmente la testa, puntò il suo sguardo su Blaze.

“Non ce la farò, Blaze. Io...”

“Non dirlo!” ordinò con rabbia la gatta, iniziando ad avere gli occhi lucidi.

“...io morirò, Blaze.” continuò comunque la riccia in un sussurro.

“Non dire così!” rispose la gatta “Non lo puoi sapere.”

“Sì invece. Lo sento. Sono un'investigatrice...”

“Esatto! Un'investigatrice, non una veggente con la palla magica! Tanto meno un dottore!” rimarcò decisa la gatta.

“Non so Blaze... mi sento mancare le forze. Non ci posso fare niente...ma forse è meglio così...” disse Amy, con un filo di voce.

“E questo che significa?! Amy! Sono venuta qua per te e tu ora mi dici che vuoi lasciarti andare?!” disse arrabbiata la guardiana, alzando un po' troppo la voce, la quale iniziò a tremare.

Amy la guardò sorpresa, ma senza dire niente per un po'. Sembrava stesse pensando a qualcosa.

“Non voglio farti un torto, Blaze.” disse alla fine la riccia, in tono serio. Blaze si sorprese di quanto Amy sembrasse matura, con quel tono.

“Ti ho già detto che apprezzo quello che hai fatto. Ma entrambe non abbiamo il potere della vita. E' inutile nascondere quello che succederà, o impedirlo.” continuò la giovane ragazza.

Blaze non sapeva cosa dirle. Aveva ragione.

“Che ne è stato della Amy sempre positiva e ottimista?” chiese sconsolata la gatta, più a sé stessa che all'amica.

“Se ne è andata già tempo fa.” rispose inaspettatamente la riccia “Insieme alla sua infanzia e alla sua innocenza.” concluse, paurosamente seria.

Blaze abbassò lo sguardo sulle sue mani, che stringevano ancora quella della riccia.

“Io...Io non voglio perderti.” disse alla fine la gatta con voce spezzata, lasciando cadere le barriere del suo orgoglio e iniziando a piangere di fronte alla sua amica.

Dopo alcuni dolorosi secondi, Blaze sentì la riccia ricambiare la stretta sulla sua mano.

“Blaze. Amica mia.” chiamò Amy, per attirare l'attenzione della ragazza su di lei.

La micia si asciugò velocemente le lacrime che le rigavano il volto e alzò lo sguardo al richiamo dell'amica.

Amy Rose la guardava con i suoi occhi provati e il viso pallido, ma con un lieve, dolcissimo sorriso.

“Prima mi hai chiesto perché non ti ho chiesto aiuto. Non volevo essere un peso. Non avrei voluto coinvolgere nessuno. Ti mandavo quelle lettere non per questioni professionali, che erano solo scuse, ma perché così non mi sarei sentita così sola. Ma soprattutto, così almeno qualcuno non mi avrebbe dimenticata.”

Blaze rimase sconvolta dalla rivelazione. Sgranò gli occhi alla giovane amica.

“Almeno passerò gli ultimi minuti della mia vita con qualcuno a cui voglio bene, e non morirò sola.” concluse, stranamente sollevata, ma Blaze, alla fine, aveva capito perché.

Amy era davvero così sola? E' per questo che stava accettando il suo destino così serenamente, nonostante fosse una tragedia? Povera anima. Povera rosa in piena bellezza, che sarebbe morta ancora prima di accennare ad appassire. E il peggio, era che le avevano strappato i suoi petali con la forza, costringendola a finire.

Inconsciamente, Blaze si mise ad accarezzale la fronte.

“Te l'ho già detto che non devi parlare così.” rispose debolmente la gatta, capendo che era inutile convincere sé stessa e l'amica che tutto sarebbe finito bene.

“Lo so.” la riccia sorrise.

“Avrai un futuro brillante, Blaze. Te lo auguro perché sei una persona davvero speciale. Non tutti farebbero quello che hai fatto tu. Promettimi di vivere felice, e di non dimenticarmi. Sii felice.”

La riccia, con il suo debole sorriso che persisteva sul suo volto, chiuse gli occhi e Blaze si accorse che la sua testa si era afflosciata su un lato, quello rivolto verso la gatta.

“Amy?” chiamò l'amica.

E poi accadde.

Qualche secondo dopo, sullo schermo si vide la frequenza cardiaca cessare e la macchinetta iniziò a suonare l'allarme.

L'espressione di Blaze cambiò in un attimo: le sue orecchie si appiattirono contro la testa, impallidì all'istante mentre le sue pupille si rimpicciolirono e i suoi occhi sgranarono in realizzazione.

“INFERMIERA!” gridò Blaze, alzandosi di scatto, e correndo verso la porta mentre in sottofondo l'allarme suonava a palla.

La gatta spalancò la porta ed uscì nel corridoio.

“INFERMIERA!” chiamò di nuovo, disperata, e vide che dal fondo del corridoio stavano arrivando di corsa due infermiere con un defibrillatore.

Blaze le lasciò passare e le due entrarono nella stanza.

Una iniziò a fare la rianimazione a mano, mentre l'altra preparava le piastre del defibrillatore.

“Libero!” disse a un certo punto la seconda infermiera, e la prima smise di premere, togliendo le mani e lasciando lo spazio alla macchinetta.

Le piastre caddero sul petto della riccia, la quale sobbalzò di qualche centimetro per la potente scossa.

Tuttavia, il battito non ricominciò e l'allarme continuò a suonare.

Così, la seconda infermiera preparò di nuovo il defibrillatore mentre la prima riprese con le sue manovre di rianimazione.

Blaze rimase fuori dalla stanzetta, ma vedeva ogni cosa dalla porta rimasta aperta.

Lei rimase fuori nel corridoio, completamente raggelata da ciò che era successo, mentre le lacrime cominciarono a scendere e a rigarle il volto. Lei lasciò fare, mentre osservava inerme la scena.


Lunghissimi minuti passarono, e Blaze aveva rinunciato a guardare oltre.

Ora era lì, seduta con la schiena contro il muro, abbracciandosi le ginocchia.

Non aveva ancora smesso di piangere, ma stava cercando di calmarsi.

Sentì dei passi picchiettare nervosi e indecisi verso di lei.

Tentò disperatamente di ricomporsi, si asciugò velocemente le lacrime e attese.

Il leggero picchiettio delle scarpette si fermò proprio davanti a lei.

Nessuno parlava e la tensione cresceva drasticamente.

L'infermiera non parlava ancora; stava cercando le parole adatte, oppure il momento adatto.

Questo confermava solo una cosa, una terribile cosa.

“Miss?” la donna richiamò dolcemente, seppur addolorata, l'attenzione della micia.

Prontamente, la gatta fece scattare lo sguardo e lo puntò in faccia all'infermiera, la stessa donna che l'aveva accompagnata nella stanza dell'amica, e che solo ora Blaze si accorgeva della targhetta argentea dove c'era inciso il suo nome, Rochelle Butterfly.

La donna continuò, piano: “Abbiamo provato di tutto, ma non c'è stato niente da fare. Mi spiace.”

Blaze rimase gelata. Poteva sentire il sudore freddo scorrere su tutto il corpo, mentre il suo cuore smise di battere per qualche secondo, per poi riprendere a battere ancora più velocemente di prima.

Era morta.

Era così doloroso... Blaze non voleva nemmeno vedere per l'ultima volta il corpo privo di vita della sua amica, l'avrebbe uccisa a vista.

Perché doveva morire?! Perché proprio lei?! Non aveva fatto niente di male...

Figli di puttana.

Al dolore e alla tristezza si sostituirono subito rabbia e desiderio di vendetta.

Non c'erano parole, per quanto cercasse, abbastanza offensive per quegli animali che le avevano fatto questo.

Li avrebbe uccisi tutti. Dal primo all'ultimo, con le sue stesse mani e le sue stesse fiamme.

Fanculo tutto, sarebbe andata là e li avrebbe fatto vedere chi era davvero Blaze the cat, li avrebbe visti bruciare sotto i suoi occhi iniettati di sangue. Il loro.

Non si sarebbe fermata finché sarebbero diventati tutti un cumulo di cenere.

Loro, il loro traffico di merda, quel treno del cazzo e tutto quello che amavano sarebbero diventati materiale per alimentare il suo fuoco.

Lei avrebbe avuto la sua vendetta, e finalmente si sarebbe messa su quell'incubo la parola FINE.

Non le importava se poi avesse avuto sulla coscienza tutte quella vite e l'appellativo di 'assassina'; se lo meritavano. Anzi, tutti l'avrebbero ringraziata.

Amy pensò la gatta nella sua testa Ti vendicherò. Mi dispiace che sia andata a finire così per te, e non permetterò a quei bastardi di farla franca. Te lo prometto. Promise all'amica morta, con determinazione e calma omicida.

Farete bene a iniziare a pregare. Questa è la vostra ultima tappa! Pensò adirata, questa volta rivolta alle guardie.

Aveva smesso già da un po' di tremare, e aveva una smorfia adirata. L'infermiera, notando il cambiamento, si preoccupò di quello che potesse passare per la testa della gatta.

“Miss...?” chiamò ancora una volta Rochelle, più delicata che poté. Aveva un certo tocco con chi era stato colpito dalla perdita di una cara persona.

Blaze si alzò coi pugni forzatamente chiusi. Stava dritta davanti all'altra donna, immobile come una statua. Allarmata, Miss Butterfly si avvicinò di qualche passo.

“Miss?” Chiamò ancora, preoccupata. E quasi sussultò quando vide lo sguardo della micia.

Occhi dorati, freddi e pericolosi. Uno sguardo che faceva intuire che la persona non era solo arrabbiata, ma irata al massimo.

L'infermiera aveva paura, ma non sapeva che fare, e non si mosse. Aveva paura che le facesse qualcosa, lei era una donnicciola, la gatta davanti a lei era, oltre un po' più alta, visibilmente forte.

Ma se pensava che Blaze fosse diventata una donna violenta che non ragionava e con la quale non si poteva ragionare, si sbagliava di grosso. Blaze non era diventata pazza, solo vendicativa.

Infatti, le passò in parte senza neanche sfiorarla e si diresse verso l'uscita dell'ospedale.

“M-Miss...?” sussurrò balbettando la ragazza, nonostante avesse ancora paura che la gatta potesse farle del male.

“Manderò delle sue amiche a prendere il corpo. Io adesso devo andare.” rispose freddamente, continuando a camminare senza neanche voltarsi indietro.

Quando passò vicino alla stanza dove stava la riccia, non mancò di guardarla con la coda dell'occhio. Fu più forte di lei, anche se non voleva guardare guardò lo stesso.

Dentro c'era un'infermiera che scriveva le sue annotazioni sulla paziente deceduta, Amy Rose, e quest'ultima era ancora sul lettino, coperta da un lenzuolo.

Addio Amy. Salutò abbattuta la gatta, mentre passava in parte alla stanzetta, e poi continuando dritta per la sua strada.



Tutte le rose...muoiono.

N.A: ciao ragazzi.

Spero di non avervi fatto piangere troppo. O depresso troppo. O entrambi.

Anyway, molti mi hanno chiesto di disegnare le ragazze cresciute di dieci anni, come vuole questa ff. Qua sotto vi do il link dove ci saranno Blaze, Amy e Rouge.

http://sonicazzo.deviantart.com/art/Ten-years-later-Blaze-Amy-and-Rouge-551006897

Shadow è più o meno rimasto uguale, quindi è inutile farlo.
Un'altra cosa: venerdì io parto per il mare e ci starò per 2 settimane, quindi ovviamente non potrò nè aggiornare nè rispondere, però potrò andare a vedere le vostre recensioni.
Ma non disperate: come l'ultima volta, ho preparato una ff per il mio ritorno dalle vacanze (anche perché il prossimo capitolo non l'ho nemmeno iniziato quindi sono in alto mare) che si chiama "Noi due" e nessuno se la cagherà, perché è su una coppia che non ho mai visto su questo sito: Silvamy.
Comunque, se avrete voglia di leggerla non ve ne pentirete, anche perché mi è uscita davvero bene, forse è la migliore delle mie one-shot.

Detto questo, alla prossima ;)

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Capitolo 19
*** Cap XVIX Fiamme dell'inferno ***


“Shadow... è questa?” chiese Rouge con un filo di voce, toccando con i piedi il solido cemento dopo essere uscita dalla alta sterpaglia del bosco. Si guardò attorno stupita, ammirando la nuova città.

Il suo silenzioso compagno annuì.

“Mi avevano detto che era una città molto particolare...” disse, guardandosi in torno.

“Non mi dispiacerebbe vivere qua.” pensò ad alta voce la pipistrella.

Shadow non poteva biasimarla: tutto pulito e silenzioso, nessuno che disturba la quiete, nessuna macchina... nessuna persona. Quella città in mezzo al verde era perfetta per lui. Magari, un giorno, ci sarebbe venuto ad abitare, magari non solo lui...

Sospirò mentalmente. Blaze non sarebbe rimasta con lui. Si era quasi dimenticato che lei aveva un mondo da portare avanti.

“Dai andiamo, non siamo qui in vacanza. Cerchiamo di-” il riccio nero fu interrotto dal gracidante e meccanico rumore del walkie-talkie che portava a una cintura alla vita. Grugnì scocciato, ma poi allungò la mano sull'aggeggio e se lo portò all'orecchio.

“Qui Shadow the hedgehog, passo.” rispose, tenendo premuto un pulsante e poi rilasciandolo dopo aver detto 'passo'.

Shadow! Non importa se non le hai prese, raggiungici immediatamente! Il treno è in pericolo, passo!” urlò preoccupata la voce di Bunch. Questo prese subito l'attenzione dell'ex-agente.

“Ok, arriviamo! Passo e chiudo.” rispose il riccio, mettendo a posto l'aggeggio. Poi si rivolse alla sua compagna.

“Dobbiamo tornare. Stanno succedendo guai al treno.” avvertì Shadow. Lei sospirò, ma annuì.

“Con tutta la fatica che abbiamo fatto per arrivare fin qui...!” esasperò.

“Non ti preoccupare.” disse Shadow, cominciando a dirigersi verso una vecchia casupola di ferro inabitata ai bordi del bosco “Questa volta la strada per il ritorno sarà più semplice.”

In effetti, la catapecchia si rivelò essere la stazione di fermata del carico di schiavi.

Da lì partivano le rotaie che si inoltravano nel bosco.

Con un cenno, Shadow ordinò alla compagna di seguirlo, e attivò i suoi pattini, scattando sulle rotaie. La partner aprì le sue potenti ali nere e si diede la spinta per salire in alto e seguì in volo il riccio nero.



Seguendo la strada, ci misero di meno ad arrivare al punto di partenza, ma una volta là, alla stazione di rifornimento dove l'avevano lasciato, scoprirono che il treno non c'era più.

I due si guardarono in giro sorpresi e altamente confusi.

“Dov'è finito?!” esclamò la ragazza, con una nota di preoccupazione, fluttuando su sé stessa.

Shadow non sapeva come risponderle. Bunch non gli aveva comunicato che si fossero spostati.

Ma comunque qualcosa non quadrava: se fossero andati avanti, loro l'avrebbero visto di sicuro, e i treni non possono fare retromarcia.

Per quanto impossibile potesse essere, c'era solo un'unica, rimanente ipotesi.

“Pensi a quello che penso io?” disse ad un certo punto Rouge, grave, fluttuando sulle rotaie e guardandosi in giro in cerca di indizi.

Il riccio annuì impercettibilmente, ma la ragazzo lo notò.

“Qualcuno ha spostato il treno dalle rotaie.” continuò la collega, nonostante non fosse sicura di quello che diceva. Non c'erano segni di nessun tipo nell'erba circostante, la stazione era intatta, le rotaie un po' arrugginite erano esattamente come prima. Il treno era scomparso come un fantasma.

Dove diamine sono spariti?!

E per di più, Rouge non sapeva quale essere sarebbe riuscito a spostare un lungo e pesantissimo treno con tutta quella gente a bordo!

Pensandoci, solo uno le veniva in mente, ovvero Shadow, ma solo perché lui sapeva--

Gli occhi azzurri della bianca creature si spalancarono in terribile realizzazione. Sperava che non fosse così, che la sua ipotesi fosse errata, ma più ci pensava e più si convinceva che quello era l'unico modo per spostare un carico del genere in maniera così pulita... e solo uno, o meglio una, poteva fare quello che (credeva) solamente il suo collega sapesse fare...

Scattò la sua testa verso il compagno.

“S-shadow...!” riuscì a esclamare, ma il riccio non le aveva dato molta importanza, dato che era impegnato a fare altro.

Infatti aveva preso in fretta e furia, con mani tremanti dallo stress e dalla rabbia, il walkie-talkie e l'aveva acceso.

“Sono Shadow, dove siete?! Passo!” gridò nella radiolina, visibilmente coi nervi a fior di pelle.

Dall'aggeggio uscirono solo dei bzzzz disturbati e alcune parole impossibili da capire dal troppo poco segnale. Preoccupato, il riccio ci riprovò.

“Dove siete?? Che succede?? Rispondete! BUNCH!” ma anche questo tentativo non funzionò.

In effetti, l'apparecchio emise solo qualche rumore gracidante e si spense.

“Maledizione!” gridò Shadow incazzato, sbattendo un piede per terra in frustrazione.

Subito dopo, però, il silenzio tombale fu sostituito da degli urli in lontananza. Alzarono entrambi le orecchie, incuriositi da dei suoni così agghiaccianti.

“Li senti anche tu?” fu Rouge a parlare.

In un attimo, il riccio nero ripose il walkie-talkie nella sua cintura con la stessa abilità e velocità di un cowboy con la sua pistola.

“Rouge! In volo!” ordinò gridando alla sua partner, e scheggiò sul terreno in direzione delle urla.

“Agli ordini!” rispose la compagna, dando un potente colpo all'aria con le ali, per prendere quota, e gli fu subito dietro.



Seguirono le grida correndo a perdifiato, ognuno coi propri tormenti per la testa.

Shadow era preoccupato per quello che Joe avesse potuto aver fatto, dopotutto aveva lasciato il treno a sé stesso con un attentatore a bordo, pronto a esplodere in qualsiasi momento come una mina.

Le urla che sentiva non facevano un bel effetto a Shadow. Le ultime grida femminili che ebbe sentito furono quelle di Maria...

Odiava quel rumore. Portava alla luce memorie che avrebbe voluto seppellire per sempre, ricordi che stava cercando di dimenticare. Dopo tutta quella fatica per mettersi il passato alle spalle, la paura e la disperazione che provò in quel momento, il senso di colpa per non aver potuto far niente se non guardare...era tutto riemerso come niente e senza che lui ci potesse fare qualcosa.

Shadow non vacillò, né fece sembrare di essere troppo colpito dalla cosa: aveva imparato a sue spese a mantenere il controllo. Sembrava solo preoccupato per Bunch, i suoi colleghi, il treno e le prigioniere...questioni di lavoro, insomma.

Rouge aveva il cuore in gola, non perché stava volando a velocità che raramente raggiungeva, ma per le immagini pulsanti dei suoi incubi che le si mostravano all'improvviso, senza spiegazione.

Non capiva cosa centrassero in quel momento le immagini di distruzione e morte ambientate in un fiero inferno. Rouge non era mai stata una persona che collegava i sogni con la realtà, ma tutte queste urla le facevano venire qualche terribili dubbi, oltre che i brividi...

Quelle urla. Le poteva paragonare alle stesse che sentiva nella testa e che odiava.

Ma, come il suo compagno (e come faceva sempre), ignorò quel suo malessere personale, e quel suo brutto presentimento.

Le grida li condussero fuori dal bosco, dove iniziava una prateria dall'erba ingiallita.

La sera cominciava a calare, ma i due videro perfettamente tantissime giovani donne che correvano impaurite e urlanti per il prato, non sapendo dove andare.

I due colleghi corsero in direzione delle giovani ragazze, le quali li videro e li corsero incontro.

“Che succede?!” chiese il riccio nero alla prima fila di giovani donne.

Nonostante sapessero che Shadow fosse una guardia, trovarono protettiva la sua presenza, e ringraziarono il cielo che fosse lì.

“Ha attaccato il treno! C-ci ha detto di andarcene...” dissero tremanti alcune ragazze, intimorite anche dall'aspetto serio e dalla superiorità che emanava il riccio.

“Dov'è adesso il treno?!” riprese lui.

“L-là in fondo!” rispose la prima ragazza, indicando il fondo della valle, dove c'era una caverna di enormi dimensioni. Shadow e Rouge spostarono lo sguardo dove indicava l'indice della ragazza.

Poi Shadow ordinò ad alta voce: “Ok! Continuate a correre finché troverete le rotaie, da lì percorretele fino a trovarvi al sicuro! TUTTO CHIARO??”

Le prigioniere annuirono in consenso e si rimisero a correre.

“Non vi fermate!” rimarcò il riccio, scattando verso la grotta, seguito a ruota dalla pipistrella.

Una folla di ragazze scappava da quell'ammasso di pietre e correva senza regole presa dal panico, seguendo solo le ragazze davanti.

Pecore.

Shadow faceva del suo meglio per arrivare velocemente, ma le ragazze gli bloccavano la strada, esattamente come un gregge di pecore senza pastore, e che stavano scappando dal lupo.

Sopra di lui, a qualche metro di distanza, volava Rouge, la quale teneva un occhio sia sulle prigioniere, ormai libere, sia su Shadow. Vedeva, per esempio, che lui era in difficoltà ad avanzare.

Ma una buona parte della sua testa era via, a immaginarsi e a chiedersi cosa fosse successo...

Era inutile nasconderselo a sé stessa: stava succedendo qualcosa di estremamente spaventoso e pericoloso, e lei aveva un cattivissimo presentimento che le faceva bruciare lo stomaco, come le fiamme dei suoi incubi.

Fortunatamente, le ragazze stavano finendo di arrivare e l'ondata si faceva più tenue.

Rouge, posando gli occhi sulle ultime giovani donne, notò due esseri che conosceva bene...

“Shadow!” gridò dall'alto. Lui alzò gli occhi alla sua collega, la quale gli indicò un punto esatto.

Il riccio squadrò i due ragazzi e li focalizzò. Sgranò gli occhi quando si accorse chi erano.

Joe!” esclamò a sé stesso il riccio nero.

I due colleghi si precipitarono verso Joe, il quale stava aiutando la giovane Annie a scappare via.

“JOE!” gridò Shadow prima ancora di raggiungerlo, e il ragazzo chiamato si fermò.

Riconoscendo la voce dell'amico, si voltò verso quest'ultimo, ma ancora prima di dire qualcosa Shadow iniziò a fargli domande.

“COSA HAI FATTO?? CHE E' SUCCESSO??” gli gridò.

“E' stata la tua amica!” rispose la giovane guardia, cercando di reggere la sua ragazza.

Ecco. Lo sapeva. Rouge l'aveva intuito.

Si ricordava, in effetti, che Blaze fosse capace di teletrasportarsi in un vortice di fuoco, anche grazie all'aiuto dei Sol Emerald. Questo spiega come mai non c'erano tracce intorno ai binari.

Questa idea, tuttavia, non dev'essere passata nel cervello di Shadow, dato che sgranò gli occhi come se fosse l'ultima cosa che si aspettasse di sentire.

Non disse nulla, e la riccia dorata continuò:

“Era come impazzita; ha aperto i vagoni con rabbia e ci ha urlato di uscire, di correre via, perché avrebbe bruciato il treno...” spiegò preoccupata, mentre il suo ragazzo aumentò la stretta sulle sue spalle, protettivo, in modo che l'aiutasse a stare in piedi.

Era praticamente stata calpestata da tutte e zoppicava, senza l'aiuto di Joe non sarebbe riuscita ad andare lontano.

Shadow semplicemente non capiva.

Blaze? Ma perché...? Cosa stava succedendo??

In ogni caso, sarebbe andato al treno, e avrebbe visto tutto con i propri occhi.

“Ok, voi andate al sicuro, seguite le rotaie e vi ritroverete a NMBC, noi andiamo a mettere a posto la situazione!” riprese Shadow, schizzando nuovamente sul terreno. Rouge diede un colpo d'ali e si alzò all'inseguimento del collega.

“Sì, ma non fatele del male!” urlò dietro di loro Annie, guardandoli nervosa mentre i due si allontanavano. La riccia sentiva di voler comunque bene alla gatta lilla, e non avrebbe mai voluto che le succedesse qualcosa di grave. Amica era diventata, amica rimaneva.

“Andiamo Annie!” esclamò Joe preoccupato, strattonandola un po' per svegliarla dalla sua trance “Raggiungiamo Angel!” e la trascinò via.



Blaze aveva appena finito il suo “lavoretto”: con una buona dose di cazzotti e di calci nello stomaco, aveva messo K.O. tutti i suoi avversari.

Poveri sciocchi, non sapevano con chi avessero a che fare quando hanno provato ad attaccarla.

Nessuno la supera nel corpo a corpo, nessuno.

Aveva sempre desiderato, sin dal primo attimo, di mettere quei maiali al proprio posto.

Dopo averli fatti volare nel regno dei sogni, li aveva legati e bendati a dovere, e poi era uscita dal treno e aveva richiuso bene le porte.

L'unico che le aveva dato problemi era stato quel grosso cagnaccio del loro capo, non solo per la sua mole nettamente superiore, ma era inaspettatamente in confidenza con il corpo a corpo e con le tecniche difensive. Ci ha messo un po' per batterlo, ma alla fine era caduto a terra come una mosca.

Blaze guardava il treno, tutto legno che desiderava far diventare cenere.

Il suo fuoco premeva già d'uscire, affamato.

Era tempo di tirarlo fuori, di far vedere di che pasta era veramente fatta Blaze the Cat.



Rallentarono, e si fermarono quando furono praticamente sull'entrata.

Shadow si appiattì contro la parete esterna, e lo stesso fece Rouge: il pericolo poteva essere letteralmente dietro l'angolo, e non volevano sbagliare come i novellini alle loro prime armi.

Aprendo la mano davanti al muso della compagna, il riccio le fece segno di restare ferma, mentre lui controllava l'ingresso.

Cautamente, sporse lievemente la testa per controllare che fosse abbastanza sicuro.

Nel corridoio di pietra non sembrava esserci qualcuno. Espose completamente la capoccia per avere una visuale più ampia: c'erano solo le rocce fredde, illuminate dalla scarsa luce serale che entrava dalle spalle del riccio nero.

Shadow rizzò le orecchie, in attesa di sentire la presenza di qualsiasi cosa; strani rumori venivano da qualche “stanza” (se così poteva definirla), e non erano per nulla rassicuranti.

Non capiva bene che fossero, sembravano...dei lamenti? Terrorizzati per giunta.

Shadow osò fare un passo dentro.

“Seguimi.” sussurrò alla partner, senza neanche voltarsi, sicuro che fosse lì pronta per qualsiasi ordine.

“Ma sta attenta, e non fare rumore.” avvertì sempre in un sussurro, anche se sapeva che non era necessario, dato che stava parlando con una spia che ne sapeva di queste cose. Inoltre, lei non era così stupida da non averlo capito da sola. In effetti non parlò, non emise alcun suono, nemmeno un cenno per avvertire il compagno che avesse inteso.

A Shadow, comunque, non servì; lei aveva capito, lo sapeva perfettamente, come sapeva che lei avrebbe eseguito l'ordine.

Zampettarono in silenzio lungo l'intricato corridoio, i loro piedi toccavano il freddo e duro pavimento di pietra con leggerezza. Si muovevano veloci, ma anche cauti, verso i rumori che sentivano, e che diventavano sempre più udibili, forti e insistenti. E terribili, soprattutto.

Raggelavano il sangue ad entrambi Shadow e Rouge; cosa stava succedendo di così terrificante?

Cosa li faceva mugugnare in quel modo così spaventoso, come se urlassero per la loro vita?

Le ipotesi erano tante, e Shadow non voleva pensarci.

A Rouge, invece, non si trattennero dei brividi lungo la spina dorsale, che le provocarono un improvviso freddo e una matta pelle d'oca.

Perché dovevano urlare in quel modo?? Perché anche loro??

La sua testa le stava scoppiando.

Non anche voi.

Non potete comunque scappare dalle fiamme.

Si scrollò le spalle inorridita e le ali scrocchiarono. Perché aveva pensato a una frase del genere?

Perché la sua mente cominciava a ricordarle l'inferno dei suoi incubi?

...C'era per caso un collegamento?

Dopo tutto quello che stava succedendo, Rouge stava iniziando a crederci, e la cosa la spaventava troppo; si ricordava bene come finiva l'incubo.

Prima ancora di capire perché, Rouge si portò una mano alla fronte, e con il dorso se la sfregò.

Notò con stupore che stava sudando assai. Si chiese come fosse possibile, poi rimase confusa.

Sbaglio, o si è fatto più caldo?

Sussultò silenziosamente quando il suo compagno davanti a lei fermò la loro camminata improvvisamente.

Ovviamente era stata troppo presa dai suoi viaggetti mentali per accorgersi che il tunnel era finito; in fondo poteva già vedere l'uscita.

Il passo di Shadow era diventato più cauto, come se avesse paura di essere visto da un essere più potente di lui... o di vedere qualcuno in particolare.

Rouge lo notò, e trattenne un sospiro: lui non era la creatura perfetta, nessuno lo era e nessuno lo sarà mai. Shadow si atteggiava come un supremo essere di qualsiasi cosa, ma la pipistrella sapeva perfettamente come andava la storia: era perfettamente umano tanto quanto lei, con pregi e difetti.

Che lo neghi pure. Che neghi pure l'evidenza. Che neghi pure l'effetto che Blaze gli ha fatto, neghi persino quanto è cambiato dall'inizio di quell'avventura. Quello che ha fatto quella gatta in due settimane non l'ha fatto nessun altro in nove anni.

Poi Rouge si accorse che stava ancora navigando nei suoi pensieri. Non era concentrata, e chi è distratto in una missione non dura molto.

Tu hai un problema, Rouge the Bat. Si disse la giovane donna, sorridendo amara e provocatoria a sé stessa.

Un problema molto grosso, che non puoi curare con dei medicinali. Devi risolverlo assolutamente . Si disse decisa, cercando di guadagnare un po' di concentrazione.

Devi trovare un rimedio, non puoi continuare così. In un modo o nell'altro.

Seguì il suo compagno ed entrambi si fermarono sulla soglia di una arco a tutto sesto di pietra che fungeva da porta, pietrificati.

La caverna non continuava bassa come il corridoio, ma anzi, era enorme, paragonabile con un gigantesco aeroporto, o un'enorme stazione ferroviaria. Dall'alto, da un grosso buco circolare non perfetto, entrava una lieve luce serale, abbastanza per vedere quello che stava succedendo.

Da fuori non sembrava così gigantesca. Forse era parzialmente sotto terra, e loro camminando nel tunnel non se ne erano accorti.

In mezzo a quest'enorme sala, ci stava il treno, coi vagoni messi a forma di S, per farceli stare tutti.

E lì, i due la videro: una bellissima gatta lilla dallo sguardo triste, che si guardava le dita delle mani, come se le stesse contemplando indecisa. Ogni tanto alzava lo sguardo sul treno davanti a lei, lasciando che le dita delle due mani si accarezzassero a vicenda in un gesto nevrotico.

Nonostante ciò, sembrava così calma e concentrata...

Shadow la guardava intensamente, bloccato sulla soglia da una forza più forte di lui.

Ai suoi occhi, lei rimaneva bellissima. Solo il vederla così, anche se tremenda, gli faceva dimenticare di tutti quei disgraziati che urlavano. Non capiva perché lei lo stesse facendo, ma era sicuro che sarebbe stato in grado di ragionarci.

Blaze sapeva essere una testa dura, ma ci avrebbe provato ugualmente.

Il riccio provò a fare un passo avanti, ma fu subito trattenuto da una forte presa sul braccio della pipistrella bianca dietro di lui. Shadow si voltò e la guardò negli occhi, chiedendole silenziosamente perché lo stesse trattenendo. Gli occhi azzurri della compagna lo guardarono severi.

Capì il messaggio: ingenuo.

Si fermò e fece un passo indietro, acquattandosi nel buio del corridoio dal quale erano venuti.

Fortunatamente, Blaze sembrava non averli ancora notati.

I due restarono a guardare, chiedendosi quale sarebbe stata la sua prossima mossa.

La loro curiosità fu saziata poco dopo, quando Blaze slegò le dita delle sue mani e lasciò che le braccia le pendessero elegantemente lungo i fianchi. Non aveva più quell'aria triste di prima, bensì un'espressione dura, determinata e pericolosamente seria.

Squadrava il treno con una smorfia disgustata, sotto gli sguardi confusi e curiosi dei due ex-agenti.

Poi successe in un attimo: i pugni chiusi si schiusero un po', e dal palmo delle mani uscirono alte fiamme, che arrivavano all'altezza della testa della gatta. Quest'ultima tirò su il braccio destro con rabbia e potenza, causando l'innalzamento delle fiamme sotto i suoi piedi.

Una colonna di vivo e distruttivo fuoco si innalzò dritto per metri con brutalità, facendo sussultare i due colleghi, i quali fecero inoltre un paio di passi indietro istintivamente.

La parte che li fece rimanere a bocca aperta fu quando la colonna di fuoco prese letteralmente vita, vacillando come un serpente, con tanto di lingua biforcuta e suono sibilante.

Non è possibile!” avrebbe voluto esclamare la pipistrella bianca, ma le parole non le uscirono neanche in un verso strozzato.

La gatta era completamente avvolta dalle fiamme, ma si poteva ancora distinguere la sua figura dritta e impassibile nonostante tutto.

Era immobile, il suo sguardo fisso dritto sul treno.

Il riccio nero cominciò a riprendersi dalla sorpresa, e guardò prima lei, poi il treno, poi di nuovo lei per innumerevoli volte, sgranando gli occhi in terrore.

Rouge aveva avuto una simile reazione, ed ora il suo sguardo si spostava dal treno all'enorme serpente di fuoco, il quale sembrava pronto a prendere ordini di qualsiasi genere.

“Non vorrà mica...”sussurrò Rouge con voce spezzata, senza finire la frase, abbassando le orecchie e premendole sulla testa.

La gatta abbassò il gomito del braccio che aveva alzato, e il serpente abbassò il ventre a terra.

Subito dopo, Blaze socchiuse le dita in un pugno, lasciando ben esteso solo l'indice, e lo fece ruotare in senso antiorario, con delle fiammelle che si scaturivano dal palmo, che risalivano al dito e che creavano un piccolo tornado di fuoco.

Analogamente, il serpente iniziò a strisciare intorno al treno, in circolo, ed acquisendo sempre più velocità, finché la testa e la coda furono fusi in un tutt'uno. Più girava, più il cerchio attorno al treno si stringeva, e Blaze sembrava...sorridere. Un lieve, ma cattivissimo sorriso.

“No, non lo farà...” sussurrò di nuovo Rouge, con gli occhi spalancati, e assolutamente non convinta di quello che aveva appena detto. Quel bisbiglio arrivò alle orecchie di Shadow come uno spiffero, ma lui continuò a guardare la scena senza dire niente.

Quello che gli si proponeva sotto gli occhi era quasi impossibile: Blaze, la donna che amava e che pensava di conoscere abbastanza bene, non era un'assassina, e sperava ancora che non lo stesse per diventare.

Confidava ancora che lei ritirasse il suo fuoco, e che si accorgesse di lui e di quanto orgoglioso sarebbe stato di lei per non aver fatto quella mossa azzardata. E invece dovette ricredersi.

Vide che Blaze aveva smesso di far girare l'indice, ma le sue fiamme non calavano, e il suo serpente non si fermava. Shadow doveva fare qualcosa.

“BLAZE!” urlò, ma non fu ascoltato.

La gatta lilla chiuse di colpo la mano, facendo morire le fiammelle che danzavano su essa poco prima, e in un attimo il serpente a lei collegato chiuse di scatto il cerchio addosso al treno, il quale prese fuoco, esplodendo subito dopo.

Di spontanea reazione, i due colleghi si gettarono a terra, abbassando le orecchie per il gran botto, coprendosi la faccia con le braccia e tenendo gli occhi saldamente chiusi.

Osarono sbirciare solo quando sentirono il semplice scalpitare del fuoco; i due tolsero il braccio dalla loro visuale e aprirono i loro occhi cautamente, osservando ogni singolo centimetro dello spettacolo davanti ai loro occhi.

Il treno era tutto distrutto, al posto dei vagoni rimanevano solo le loro carcasse legnose.

Niente più urla, solo il rumore del fuoco vivo che mangiava il legno. Tutto quello che rimaneva del serpente gigante era un enorme falò di fuoco inanimato che bruciava gli avanzi del treno.

Shadow si alzò lentamente sulle proprie gambe, continuando a fissare scioccato il panorama di distruzione davanti a sé.

Più guardava, più a Rouge veniva in bocca un sapore acido, schifoso, di vomito.

Si rialzò con ginocchia tremolanti come gelatine.

Fuoco, distruzione, cenere, legno bruciato e i cadaveri delle guardie le ricordavano troppo quel suo dannatissimo incubo, e stava cominciando a temere che la stessa fine fosse possibile.

Dovevano allontanarsi, ma figurati se Shadow l'avrebbe lasciata lì senza prima tentare di parlarci e di farla ragionare.

Aveva distrutto una locomotiva intera, eliminare anche loro non sarebbe stato difficile.

Era un pensiero da codardi, si accorse Rouge. E no, non voleva esserlo.

Loro erano il Team Dark, potevano ancora batterla, in qualche modo.

Se l'erano sempre cavata, questa volta non faceva differenza.

Prese un bel respiro e attese la prima mossa del suo compagno riccio.

Trascinami nelle tue cretinate ancora un'ultima volta.

Shadow fece un passo avanti, verso Blaze, cauto ed incerto.

“Blaze!” la richiamò con voce alta, in modo che la sentisse, ma gentile e paziente.

Finalmente la gatta si accorse di loro e, nel sentire il suo nome, scattò la testa verso i due.

Li squadrò, e il suo sguardo finì per concentrarsi su Shadow. I suoi occhi si ammorbidirono sorpresi e amorevoli quando incontrarono quelli rossi del riccio, ma fu per pochi secondi, poi ritornarono freddi, lontani e chiusi.

A Shadow non piaceva per niente come la sua postura era tramutata in difesa.

“Che cosa volete?” chiese Blaze, visibilmente scocciata.

Shadow, però, non ne fu troppo allarmato; continuò ad avanzare lentamente verso la ragazza, con i palmi alzati davanti a sé.

Parlare. E anche chiarire cos'è appena successo.” rispose calmo il riccio, continuando a camminare verso di lei, e sperando allo stesso tempo di non allarmarla con la sua vicinanza.

A lei non sembrò importare del riccio, tuttavia...

“Andatevene!” ordinò con rabbia la gatta, costringendo Shadow a bloccarsi nei suoi passi.

“Non voglio uccidervi, per ora.” aggiunse, ritornando a guardare il treno in fiamme, e sottolineando bene quel 'per ora'.

Se pensava che i due si fossero impressionati, si sbagliava di grosso: Rouge aveva affiancato il suo compare, ormai senza paura.

“Non ce ne andiamo senza di te.” rispose il riccio. La gatta li guardò con la coda dell'occhio. Sembrava confusa.

“Lasciatemi sola.” ordinò nuovamente, ma non fu ascoltata. Ci fu una breve pausa, poi Shadow iniziò nuovamente a camminare verso di lei.

“Blaze...” iniziò il riccio, porgendole una mano con un sorriso rassicurante.

La gatta non sapeva che fare. Guardò confusa nei suoi occhi, quelli che tanto amava, e poi la sua mano.

La mano che aveva già preso, stretto, che l'aveva accarezzata, che... che aveva accettato un lavoro del genere. Che aveva picchiato Annie, che si era immischiata in quegli sporchi affari...!

La mano della gatta, che sembrava pronta ad afferrare quella del riccio, si ritirò senza preavviso, mentre la sua espressione cambiò di nuovo, e si scurì. Guardò disprezzata il riccio nero, con una smorfia di rabbia.

E' anche colpa tua!” gli urlò adirata, mentre la pietruzza rossa sulla sua fronte iniziava a diventare incandescente.

Anche l'espressione del riccio cambiò in un attimo: era confuso, non capiva cosa lei volesse dire con quella frase, e istintivamente fece alcuni passi indietro, fino a raggiungere la sua compagna pipistrello, senza però togliere lo sguardo dalla fronte della gatta.

Dai palmi della regina uscirono nuovamente le fiamme, e la pietra brillò come una stella, rievocando il gigantesco serpente dal fuoco che continuava a scalpitare sui resti del treno.

Il rettile si mise in mezzo tra Shadow e Blaze, e guardò i due ex-agenti come se fosse pronto a mangiarli.

“Blaze! Che cosa--”

“ANDATE VIA!” avvertì ancora un'ultima volta la ragazza, iniziando ad essere immersa nelle sue stesse fiamme.

Più il fuoco attorno a lei aumentava, più il volume del serpente cresceva, e più aggressivo diventava.

I due agenti, non volendo andarsene, fecero l'unica cosa che potessero fare: si misero in posizione d'attacco, con sguardo serio ma di sfida, spazientendo ancora di più la gatta, la quale vedeva irritata che i suoi tentativi non funzionavano.

“Come volete...” sibilò, e le fiamme l'avvolsero in un vortice di fuoco.

Lo straccio di vestito che aveva addosso da due settimane andò completamente bruciato, e fu subito sostituito da un completo rosso che le sue stesse fiamme avevano creato.

Nel frattempo, il rettile aveva raggiunto l'altezza della sala in cui si trovava, la parte addominale si era ingrossata, gli si erano formate quattro potenti zampe ed erano cresciute le orecchie e le corna da demone. I due sussultarono quando la creatura davanti a loro completò in poco tempo la sua trasformazione: da serpente qual era, era diventato un mitologico drago.

La creazione di Blaze ruggì minaccioso ai due colleghi, agitando la coda nervoso.

...Attacca.

Quando la gatta diede l'ordine, il drago alzò il collo in alto, pronto per abbassarlo e colpire i due.

“Aveva perso i poteri, neh?” disse la pipistrella con un filo di voce, ironica, ma visibilmente impaurita e impressionata.

Non aveva neanche smesso un secondo di fissare quel drago, così come Shadow.

“Zitta e corri.” disse lui tra i denti in tutta risposta, e saltò via insieme alla sua compagna giusto in tempo per non essere beccati dall'attacco del drago.

Rouge e Shadow si rialzarono subito dopo, con il cuore a mille. La prima iniziò a volare in alto , evitando le fiamme, mentre il riccio sfrecciò sul terreno, sfuggendo al fuoco che il drago sputava dalla bocca. Per aiutare il collega, Rouge ronzava attorno alla testa del drago come una mosca fastidiosa, dando il tempo al compagno di sferrare un attacco, creare un piano o farsi venire una fottutissima idea!

Infatti, quando il drago iniziò a distrarsi, Shadow prese dalle sue spine un Chaos Emerlad che aveva sempre tenuto con sé per le emergenze, e intonò la fatidica frase:

CHAOS BLAST!

Il Chaos Blast colpì, come si era aspettato, il drago e la metà di esso scoppiò in aria.

Ma presto, il fuoco crebbe di nuovo a comporre le parti mancanti et voilà, il drago era ancora lì, rigenerato, pronto per riattaccare.

Rouge era sorpresa, ma Shadow fece una smorfia scocciata; si era aspettato una reazione del genere, dato che il drago non era fatto di vera materia solida.

Non c'era altra via: l'unico modo per fermarlo, era fermare la sua fonte di potere.

“ROUGE!” chiamò il riccio nero “Tienimelo distratto!” ordinò alla collega.

Rouge non protestò; non aveva tempo, doveva restare concentrata se non voleva essere bruciata viva. Si limitò a percepire il messaggio con un “Ok!”, ed iniziò a infastidire il drago, volando in giro per la grotta.

“Che c'è bestione?” gli disse provocatoria e con un sorrisetto divertito, iniziando poi a volare sempre più in alto “Non riesci a prendere una piccola pipistrellina fastidiosa?” continuò, ridendo.

Il drago sembrò capire le sue parole ed emise un verso irato.

Deciso a prendere la fastidiosa ragazza, sulla sua schiena si fece crescere due enormi, potenti ali di fuoco. Diede un colpo all'aria e si alzò all'inseguimento della pipistrella.

“Oh!” esclamò stupita la giovane donna, abbassandosi giusto in tempo per evitare un'altra colonna di fuoco.

“Così mi rendi le cose più difficili!” bisbigliò stizzita, ma poi sorrise accattivante con tutto il coraggio che aveva in corpo.

“Forza bel moscone! Prendimi!” lo provocò, svolazzando qua e là. Il drago accettò la sfida, e la seguì come meglio poté.

Nel frattempo, Shadow era scattato verso la sua gatta, completamente concentrata a tenere in forze il suo drago.

Il riccio scavalcò i resti del treno, non curante delle fiamme che gli toccavano la pelle, e atterrò a qualche metro da lei.

Blaze si accorse del riccio, e scattò la testa verso di lui.

Shadow la guardò, supplichevole. Combatterla era l'ultima cosa che voleva fare.

“Blaze, ascoltami! Tu non sei un'assassina!” le disse Shadow, cercando di calmarla.

“Vattene via Shadow.”ordinò con freddezza, anche se una parte di lei desiderava che lui, nonostante tutto, rimanesse. Incrociò le braccia in sconforto.

Lui non andò via; non ne aveva nessuna intenzione.

“Blaze io ti amo! Non m'importa quello che hai appena fatto, io ti perdonerei sempre!”

Crederci o non crederci?

Come poteva perdonarla??

Tu non capisci!” gli gridò Blaze, con voce spezzata, e mosse il suo braccio in obliquo, creando frecce di fuoco e scagliandole addosso al riccio nero, che fortunatamente si spostò in tempo.

Blaze fece altri innumerevoli tentativi, che per fortuna andarono tutti a vuoto.

Quegli attacchi le portarono via un sacco d'energia, costringendola a fermarsi qualche secondo in più. Shadow non perse l'occasione:

“CHAOS CONTROL!” esclamò, e scagliò lontana la ragazza, la quale sbatté con la schiena sulla parete. Cadde con un leggero tonfo per terra, e si mise sulle quattro zampe.

“Tu...!” ringhiò arrabbiata, alzandosi in piedi con fatica.

“Blaze! Io capisco tutto quello che provi!” riprese Shadow, cercando disperatamente di farsi ascoltare, ma ancora una volta, non ebbe fortuna: Blaze fece emergere dal pavimento sotto di lui delle colonne di fuoco che cercarono di stanarlo.


Rouge stava cominciando ad avere seri problemi: tutto era in fiamme, il drago stava diventando più preciso nella sua mira e per di più si stava stancando. Ma doveva resistere.

Quanto ci impiega Shadow?!


A parte qualche bruciatura, i tentativi di Blaze non stavano funzionando. Grugnì seccata.

“Ci sono passato anch'io Blaze!” continuava Shadow “Quando fui risvegliato tentai di distruggere tutto quello che avevo sottomano! Ero arrabbiato perché non avevo ricordi, se non quelli della morte di Maria!”.

Evitò un'altra palla di fuoco. A sua insaputa, Blaze lo stava veramente ascoltando, e non capiva dove lui volesse arrivare.

“Ero furibondo per quello che le avevano fatto! Ho distrutto la metà dei robot e degli uomini della G.U.N. per vendicarmi!” Blaze sembrò fermarsi un attimo.

“Ho persino collaborato con il Dottor Eggman! Ma poi mi hanno fatto aprire gli occhi Blaze!”


Rouge stava iniziando seriamente a sudare.

“Per l'amor del cielo!”

Si abbassò ancora una volta per evitare il conato di fuoco, ma questa volta, la coda del drago frustò nella sua direzione, colpendole le ali.

GAH!” strillò in orrore e dolore la ragazza, e cadde al suolo lasciando una striscia di fumo dietro di sé.


“Mi sono reso conto che la vendetta non avrebbe risolto niente! Mi avrebbe fatto stare bene solo per un po'! Ma comunque né Maria né il professor Gerald sarebbero tornati in vita!”

Blaze si fermò dal fare il suo prossimo attacco. Sgranò gli occhi in realizzazione:

Ha ragione... Che sto facendo?

Il fuoco attorno a sé si estinse. Non aveva più senso combattere ancora.

“Tutti sbagliano Blaze. Io ho sbagliato innumerevoli volte: ho sbagliato ad allearmi con Eggman, ho sbagliato a non fidarmi di nessuno, ho sbagliato ad accettare il lavoro, ho sbagliato a trascinare Rouge, ho sbagliato tante cose! Mi sbagliavo, non sono immune ai fallimenti.” riprese Shadow, con un bel sorriso sulle labbra, felice che finalmente lo stesse ascoltando. Fece alcuni passi verso di lei.

Blaze abbassò lo sguardo a terra in vergogna, strofinandosi nervosamente una mano sul braccio.

Non era affatto pentita di quello che aveva fatto alle guardie e al treno, ma si sentiva così viscida per aver solo pensato di poter fare del male al suo riccio.

Shadow e Blaze ora erano solo a un passo di distanza. Il ragazzo le prese le mani nelle sue, delicatamente, costringendola ad alzare lo sguardo su di lui.


Rouge non riusciva più a volare. Le sue ali le dolevano per le bruciature.

Non poteva far altro se non correre, e così fece.

Il fiato pesante, il cuore a mille, tra i resti mezzi bruciacchiati del treno, i cadaveri che alimentavano il fuoco, la cenere grigiastra che si sollevava a ogni suo passo e che la faceva tossire.

Si stava stancando, doveva trovare un'uscita, ma il panorama di distruzione e morte sembrava uguale dappertutto.

Lei continuava ad andare ritto, ma poi decise di andare a zig-zag, per evitare gli attacchi di fuoco del drago, e magari confonderlo.

A un certo punto, davanti, dietro, a destra e a sinistra della spaventatissima ragazza caddero dei pezzi di resti legnosi in preda alle fiamme, che la intrappolarono lì.

No...” gemette in un sussurro. Non c'era nessuno a salvarla. Sarebbe morta da sola.

Il drago l'aveva raggiunta, e si era diviso in tante colonne di fuoco che la circondavano.

Realizzando la sua imminente morte, Rouge non si preoccupò più di trattenere le lacrime, le quali uscirono incontrollate e le rigarono il volto, nere dal make-up.

E' la fine.

Socchiuse gli occhi, trattenendo un singhiozzo.

...Tutto sommato, ho trascorso una bella vita.

Le fiamme la guardavano, come se fossero pronte a divorarle da un momento all'altro.


Shadow guardò la sua amata gatta dritta negli occhi dorati, quelli che lui tanto amava.

“Ferma tutto questo, Blaze.” gli disse dolcemente.

“Ferma il fuoco.”


Le alte fiamme oscillarono, godendosi quel loro momento di vittoria, prima di calare le loro fauci infuocate sulla creatura, la quale iniziò ad urlare con tutto il fiato che le rimaneva in gola.


Click.

Un semplice schiocco di dita della gatta.

Tutto il fuco sparì in un attimo, lasciando solo fumo.


Rouge portò le braccia sul muso in inutile difesa, ma nulla la toccò.

Tolse lentamente il suo scudo dal volto, e aprì gli occhi: tutto quello che rimaneva delle fiamme che la stavano per aggredire era un denso fumo.

La pipistrella tossì e agitò via il miscuglio di gas e polveri con la mano. Si guardò attorno sorpresa, ma felice di essere ancora in vita.

Shadow ce l'ha fatta!


Shadow stringeva forte le mani di Blaze, come se avesse paura di lasciarla andare.

Le sorrideva gentile, come mai aveva fatto.

Lei continuava a tenere lo sguardo abbassato. Sospirò triste.

“Mi dispiace Shadow.” disse improvvisamente “Mi dispiace per come ti ho trattato.” ammise, lasciando da parte il suo orgoglio. Sospirò stressata.

“Non importa ora.” le rispose il riccio, in un sussurro amorevole. Finalmente la gatta si decise ad alzare lo sguardo, ma qualcosa la colpì, e le fece spalancare gli occhi. Shadow la guardò confuso.

Uh!” sussultò la gatta, e poi svenne, cadendo in avanti.

Prima che potesse cadere troppo in basso, Shadow la prese in un abbraccio.

Blaze!?” la chiamò.

Si preoccupò, ma poi vide qualcosa sul suo collo: un dardo soporifero.

Alzò lo sguardo, e a qualche metro dietro la sua ragazza vide la sua collega ferita, sporca, con gli occhi rossi, il make-up sbiadito, le righe lasciate dalle lacrime e una pistola in mano.

Rouge...stai bene?” il suo sguardo si ammorbidì quando vide in che condizioni era ridotta.

Non credo... ma di certo meglio di prima.” rispose debolmente la compagna, guardando la gatta.

Shadow strinse a sé la gatta.

Perché l'hai fatto!?” le chiese Shadow, irritato, ma senza alzare troppo la voce.

E'-è solo sonnifero Shadow.” rispose la bianca creatura, ancora con il cuore in gola.

Il collega grugnì.

Non ce n'era bisogno!” si difese, stringendo ancora più a sé la gatta.

Scusa... volevo essere sicura.” spiegò Rouge, togliendo lo sguardo dai due e portandolo sui resti ormai carbonizzati del treno.

Non poté non pensare a quello che la gatta aveva fatto: uccidere tutte quelle vite...

Ma forse se lo meritavano. Tutto quell'orrore aveva smesso di esistere.

Shadow non avrebbe capito del perché Rouge sarebbe così felice di ciò, perché lui aveva sempre giocato dalla parte del lupo; Rouge, invece, era stata messa lì a fare la prigioniera, una bambola speciale nella collezione, anche se all'apparenza non aveva nulla di più in confronto a tutte le altre.

Per due settimane, lei è stata solo 'guardare ma non toccare', mentre le altre non avevano avuto tutta quella fortuna: picchiate, stuprate, torturate, insultate.

Lei vedeva tutto e sapeva tutto. Non le è sfuggito niente.

Non aveva mai visto tanta violenza fisica e psicologica.

Li odiava tanto quanto li odiavano le ragazze, tanto quanto li odiava Blaze.

Sì, decisamente avevano avuto la loro punizione meritata, in quelle fiamme purificatrici.

Un genuino sorriso si mostrò sul volto di Rouge: avrebbe ricominciato da capo!

Tutti i lavori sporchi se li sarebbe messi alle spalle, ora che era tutto finito avrebbe ricominciato da capo, verso un futuro più brillante e soddisfacente.

Le voci. Quelle torturanti voci della coscienza.... erano sparite. Era libera!

...siamo liberi...” sussurrò sollevata tra sé e sé.

Si voltò euforica verso il compagno, sprizzando gioia da tutti i pori.

SHADOW! Noi--” si fermò di colpo quando vide Shadow in ginocchio, strettamente legato a Blaze in un abbraccio protettivo.

La ragazza sorrise amorevole alla giovane coppia.

Anche lui sarebbe cambiato in meglio.

N.A: Salve a tutti!

Sono terribilmente in ritardo, e mi scuso un cifro. Comunque, contro le mie spettative, sono riuscita ad aggiornare prima che parti di nuovo.

Si avvicina la scuola, questo significa ritardi nello scrivere le ff. Fortuna che mancano solo un paio di capitoli.

E io che già pensavo di iniziare un'altra....

Detto ciò, adios!

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Capitolo 20
*** Un nuovo inizio ***


Una creatura dormiente riposava nella stanzetta, su un letto di lenzuola bianche tutte spiegazzate, coricata su un lato e la schiena curvata in posizione fetale.

Respirò profondamente per riprendere coscienza, e aprì gli occhi.

Le pupille da gatto si assottigliarono per adattarsi alla tenue luce della mattina che entrava dalla finestra alle sue spalle.

I suoi occhi scattarono da una parte all'altra di quella stanza che lei non aveva mai visto prima.

Era una piccola stanza di un giallo tenue, spento, come se non fosse stata riverniciata da anni.

Negli angoli del soffitto azzurro cielo si poteva vedere che la carta da parati si stava staccando, lasciando intravedere il precedente colore bianco.

La stanza era, inoltre, povera di arredi: c'erano solo lo stretto letto su cui era poggiata ed un comodino di legno, ormai rovinato, e sopra di esso ci stava un ventilatore spento, bianco e un po' arrugginito.

Nonostante Blaze non sapeva dove fosse, non si allarmò troppo: quel posto la calmava, le ispirava calore, tranquillità, e l'odore non le era nuovo.

Profumo di pino e whisky, come quello di... Shadow.

Lentamente si mise a sedere, cercando nonostante il mal di testa di ricordare cosa fosse successo.

La memoria l'avvolse poco a poco, sempre più velocemente finché si ricordò perfino del minimo dettaglio. Chiuse gli occhi.

Aveva davvero...ucciso tutta quella gente?

Sì, e ancora adesso non riusciva a sentire alcun rimorso.

Gardon ha ragione. Marine ha ragione.

Sono spietata.

Com'è potuto succedere?!

Non capiva com'era riuscita a perdere la calma così, in un soffio, rischiando di ferire degli innocenti o chi amava.

Non era la prima volta, e questo la spaventata. L'aveva sempre spaventata.

Da piccola si era sempre così impegnata a farsi amare ed accettare dai più scettici, quelli che seriamente vedevano i poteri della gatta come una maledizione, ma adesso la pazienza di Blaze e la sua calma stavano svanendo, come se stessero bruciando via nel suo stesso fuoco, e stava diventando un... mostro.

Si coprì il viso con le mani.

No no no no no no no...

L'ultima cosa che voleva era essere temuta di nuovo, restare sola ancora e per sempre.

Non è solo colpa mia... ansimò nella sua testa, cercando di calmarsi.

Io non voglio... sono gli altri che mi costringono...


Non cambierai mai, principessa. E' inutile quanto migliorerai, non cambierai ciò che sei.” ebbe il coraggio di dire il Capitano Metal, il robot re dei pirati.

Nonostante fosse legato ad un palo senza via d'uscita, non si trattenne dall'umiliare la principessa per un'ultima volta.

Non mi interessa quello che dici. Dopotutto, sul fondo dell'oceano non avrai tante occasioni per parlare.” sibilò tra i denti la ragazza, acida.

Eh già, il progetto iniziale di condanna per i robot pirata era semplicemente di richiuderli, inattivi, in una prigione sul fondale dell'oceano.

Il Capitano rise perfido, con quella sua voce metallica.

Sei un demone, Blaze the cat.” le disse Metal, con voce ferma, sorprendendo la gatta.

Stesso sangue di tuo padre! Maledetta strega dai poteri distruttrici!” continuò lui, come se fossero normali parole, alzando sempre più il tono della voce. La micia lilla strinse i pugni.

Sta' zitto...” sibilò lei nuovamente, agitando la coda nervosa.

Capo, cosa fa...?” chiese preoccupato un robot, uno dei sottomessi di Metal, anche lui legato al palo. Non capiva perché il suo capo stesse facendo di tutto per complicare la loro posizione.

Non sarai mai come tutti gli altri. Tu non sei la loro regina, sei la loro rovina!”

Sta' zitto! Tu cosa credi di essere stato per tutto questo tempo?!” gli rinfacciò la regina gatto, ma Metal non perse colpi.

Tu vieni dall'inferno mia cara! Sei una macchina da cui è meglio star lontano! E per quanto tu ti sia autoconvinta del contrario, sei pericolosa! Sei veleno! Tu esploderai... Tu. Sei. Un Mostro!” finì, urlandole quella parola che tanto le trafiggeva il cuore.

La ragazza si sentì morire a quelle gelide parole, e sudò freddo per un attimo. Ma poi, cambiò: esplose dentro, non riuscendo più a contenersi dalla rabbia. Si avvicinò pericolosamente al robot.

Visto che ti piace criticare così tanto le mie fiamme, Capitano Metal...” iniziò Blaze, sputando fuori veleno ad ogni parola e mostrando gli affilati denti nel processo.

BRUCIA!

Una semplice parola, e il palmo di Blaze si avvolse di potente, rabbioso fuoco.

Il secondo dopo, anche i robot furono avvolti da quelle fiamme, urlanti e chiedendo venia.

Tutti tranne Metal: mentre gli altri supplicavano la grazia, lui guardava la principessa coi suoi occhi metallici rossi, mostrando un ghigno cattivo.

Mentre il metallo cominciava a colargli via, accumulandosi in una massa deforme alla base del palo, Metal riuscì, sempre col suo ghigno, a dire le sue ultime parole:

Visto, principessa? Sei esplosa, e guarda che stai facendo... Rimedia al tuo caratterino, vostra altezza.”

Blaze lo guardò sorpresa, ma le sue parole non colpirono subito la sua mente: prima quel criminale doveva morire.

Ci si vede all'inferno, Blaze the cat!” urlò sghignazzando il robot, prima che il fuoco riuscisse a scioglierli la mandibola, e poi toccò al resto della testa, e infine ai circuiti interni.

La regina lo osservò con un sorriso soddisfatto, sollevata che alla fine quel dannato pirata se ne fosse andato per sempre.

Quella soddisfazione rimase sempre nel cuore della gatta, tuttavia il sorriso no: quando si fu calmata dalla sua vendetta, si mise a ragionare su quello che il Capitano le aveva detto, e non ci mise molto a capirne il significato.

Per un attimo temette che lui avesse ragione su tutto.

Sul fatto che fosse pericolosa, una strega, un mostro, e che da ciò non poteva scappare.

Ma poi si rese conto che, alla fine, lui era il suo spietato nemico, e probabilmente aveva goduto nel vederla così debole davanti a delle parole.

Non doveva credergli.

Lei poteva essere quello che voleva, indipendentemente da quello che gli altri pensavano.

Se ne andò dal molo dopo pochi minuti, quando si accorse che tutti i robot furono liquefatti.

Da lontano, Marine e Gardon la videro bruciare quei robot, con un sorriso contento, senza capire perché. E fu tutto quello che seppero.

Lei non raccontò mai come andò veramente, anzi, cercò di dimenticare quei dialoghi, e da lì la fama di sadica.


Blaze sospirò pesantemente.

La vita è stata ingiusta con lei.

Sarebbe stata più semplice se avesse avuto con lei anche i suoi amici Sonic e Amy, ma purtroppo non poteva disporre del loro prezioso aiuto morale, e mai l'avrebbe avuto:

lui si trovava chissà dove impegnato con la famiglia e a giocare al re, lei era ormai irreperibile.

Si sentì un nodo in gola quando si ricordò della povera Amy.

La gatta aprì gli occhi e si accorse che la sua vista si stava già offuscando dalle lacrime.

Si sentiva una vittima di una vita pesante, ma anche Amy lo era.

Non ci aveva mai pensato fin'ora: l'aveva sempre vista allegra, felice e spensierata, ma in quegli anni tutto si era stravolto, rendendo la personalità della riccia irriconoscibile.

Certo, dieci anni sono tanti. Le persone cambiano di continuo.

In un mondo che continua ad andare avanti, in un mondo in cui le persone continuano a cambiare, restano solo i nostalgici ricordi, ed è terribile quel sentimento. L'unica cosa che vuoi in quel momento è una macchina del tempo, o un qualcosa che lo fermi in eterno.

Ma niente è infinito, nulla è per sempre.

Blaze sospirò pesantemente, lasciando che una piccola lacrima le rigasse il volto.

La micia, se ci pensava bene, era fortunata: era ancora viva.

Le vite sua e di Amy erano come delle guerre, e Blaze era una reduce.

E quello che fanno meglio i reduci è ricordare chi non c'è più.

Blaze si ricordò di una frase in un libro delle guerre della Sol Dimension che aveva letto da bambina: “I Sopravvissuti hanno le cicatrici, le Vittime le tombe.”

Non si era mai resa conto di quanto fosse vero prima d'allora.

Si sfregò la guancia con la manica del suo bel completino rosso fuoco, e sbatté più volte le palpebre per far sparire la vista offuscata.

Di lì a breve, quell'assoluto silenzio fu interrotto dallo scattare del pomello della porta, la quale si aprì.

Sulla soglia, fiero e forte, stava Shadow.

Il riccio nero e rosso non disse niente, si limitò a guardarla da cima a fondo, ma non era arrabbiato o deluso come lei credeva, ma sembrò sollevato di vederla.

Sul volto di Shadow comparve il fantasma di un sorriso.

“Blaze.” disse alla fine, muovendosi verso di lei senza alcuna esitazione.

Le spalle irrigidite della gatta si ammorbidirono; vederlo avvicinarsi a lei con così tanta fiducia nonostante tutto quello che era successo significava buon sentimento.

Tuttavia Blaze aveva ancora paura che lui non l'avesse perdonata del tutto.

Ovviamente non rispose al richiamo del riccio, si limitò a tenere cautamente lo sguardo fisso su di lui per tutto il suo percorso dalla soglia della porta fino al letto, preoccupandosi dei suoi movimenti, della sua bocca, dalla quale poteva uscire qualsiasi parola, e del suo linguaggio del corpo.

Nonostante venisse così analizzato, il riccio non si sentì a disagio.

Lo notò eccome, ma volle far credere di non farci caso.

Si sedette a peso morto accanto a lei con un lieve tonfo, e incrociò le mani tra loro.

Blaze guardò il riccio, il quale era impegnato ad osservarsi le mani, cercando sicuramente qualcosa da dire. La gatta abbassò lo sguardo sulle proprie ginocchia.

Shadow, intanto, stava cercando le parole più adatte per iniziare a parlare.

Non voleva parole qualunque, per un discorso così delicato.

“Come stai?” disse all'improvviso.

Blaze, non aspettandosi quella domanda, lo guardò spaesata.

Credeva che le avesse voluto chiedere il perché; perché l'avesse fatto, perché gli avesse sempre mentito sin dall'inizio.

C'erano tante cose che, a dire il vero, poteva chiedere.

E invece ecco una domanda così semplice.

“Cosa?” chiese la ragazza, alzando lo sguardo dalle ginocchia e posandolo sul riccio.

Shadow ridacchiò.

“Il tuo udito ti sta lasciando, o non ti sei pulita le orecchie?” disse, ridacchiando senza cattiveria.

Blaze sorrise alle parole del riccio nero, ricordandosi di una simile frase, detta qualche tempo prima in un rude vagone di legno.

“Shadow...!” ridacchiò anche lei, con un filo di voce.

Il riccio alzò lo sguardo, con un leggero sorriso.

“Allora Blaze...come stai? Sei stata svenuta per due giorni.” riprese il riccio.

Blaze sgranò gli occhi, sorpresa.

“Due giorni??” mormorò, portandosi una mano alla testa, la quale aveva iniziato improvvisamente a farle un po' male.

“Già...” rispose lui, adocchiando il viso pallido della gatta. Aveva bisogno di nutrimento, ma prima dovevano risolvere una questione.

“Blaze... non voglio girarci troppo attorno.” disse alla fine, dopo una lunga riflessione.

“Voglio parlare di quello che è successo.”

Lei non sembrò stupita affatto, e in effetti non lo era. Prima o poi avrebbero dovuto toccare quell'argomento.

“Forse non ne vuoi parlare... ma sai che dobbiamo.” riprese lui dopo una breve pausa, stando attento alla reazione della micia, la quale annuì solamente.

“Ero arrabbiata Shadow.” iniziò lei con un filo di voce, giocando con le maniche del vestito.

“...Per Amy?” aggiunse il riccio.

La gatta rizzò le orecchie a sentire quelle parole così inaspettate, e alzò incredula lo sguardo, con occhi sgranati.

“Come lo sai?” chiese al riccio, guardandolo dritto negli occhi.

Il giorno prima, Rouge aveva fatto alcune ricerche e ispezioni a NMBC, e aveva scoperto che le ragazze, all'inizio vendute e fatte lavorare come serve, si erano poi pian piano adattate ad essere libere cittadine della città, ricoprendo varie cariche come le infermiere dell'ospedale.

Le raccontarono della paziente morta poco prima e della gatta che era venuta ed aveva riconosciuto il corpo.

Dopo essersi accertata che la deceduta fosse proprio Amy Rose, Rouge non ebbe più dubbi nel collegare la faccenda.

Inoltre si era incontrata anche con Mina, fuori dall'ospedale, che era ritornata con il suo manager e una grande, scura vettura per prelevare la riccia rosa.

Shadow prese un bel respiro.

“Rouge me l'ha detto. Mi ha anche detto che Mina l'ha recuperata. Oggi pomeriggio c'è il suo funerale, se te la senti.” le rispose il riccio nero.

La gatta distolse lo sguardo dal ragazzo e chiuse gli occhi.

Fu in quel momento che decise di lasciar andare tutto:

“Li odiavo. E li odio ancora.”

Queste dure parole le uscirono con una forza maggiore rispetto a quella che avrebbe voluto.

Shadow la guardò senza battere ciglio, lasciando che lei continuasse il suo sfogo.

“Perché proprio lei??” continuò la ragazza, indignata.

“Con tutta le persone orribili che ci sono al mondo, proprio a lei doveva toccare?? Perché??”

Al solo pensiero, le si spezzava il cuore e, di conseguenza, le parole.

“Se lo chiedono tutti.” intervenne Shadow, che capiva a pieno la rabbia e la disperazione di Blaze.

E' inutile dire che anche lui si sentiva così quando perse Maria. Si sentiva solo, abbandonato, e in qualche modo doveva vendicare la sua amica umana.

Ha passato anni a chiedersi perché l'avessero uccisa, proprio lei che non aveva fatto mai del male a nessuno, lei che era solo una dolce bambina.

Perché lei ieri, e non Eggman oggi? Forse la giustizia divina non esiste. Forse le cose succedono e basta. Forse è vero il detto “Tutti i migliori se ne vanno”.

Sì, ma non è giusto...

Shadow ha visto la vita della ragazza spezzarsi proprio davanti a sé, e lui non ha potuto fare nulla, era impotente...

“...Ed io non sono riuscita ad impedirlo.” continuò la gatta, ignorando l'intervento del riccio.

Queste parole lo colsero particolarmente. E sapeva già dove sarebbe andato a finire questo argomento...

“Sarei dovuta andare a salvarla sin da subito, quando ricevetti quella stramaledetta lettera!” continuò la gatta, diventando sempre più frustrata man mano che parlava.

Shadow notò che stringeva i pugni dalla rabbia e, nel processo, anche il lenzuolo sottostante.

“E invece ho aspettato troppo! Tutto quello che sono riuscita a fare è stato vederla morire sotto i miei occhi, senza che io avessi potuto più fare qualcosa!” continuò, alzando sempre di più la voce, fino quasi ad urlare.

Ed eccola. Shadow l'aveva previsto: si biasima per non essere riuscita a salvare l'insalvabile.

Era tutto troppo schifosamente uguale: la perdita di una persona cara, il desiderio di sangue, e infine la disperazione ed i sensi di colpa che ti mangiano vivo.

E poi c'era quel “avrei potuto”: l'aveva torturato per troppo tempo, e adesso stava toccando a Blaze.

Shadow suppose che fosse normale reagire così. L'anima di un defunto non va solo in cielo, ma ti entra anche negli occhi e ti rimane nella mente.

“Non è colpa tua.” intervenne subito il riccio, mentre alcune lacrime di frustrazione cominciarono ad apparire ai bordi degli occhi della gatta.

“Hai fatto tutto quello che potevi. E' inutile dire che potevi fare di più, se tu avresti davvero potuto l'avresti fatto.”

La gatta teneva lo sguardo fisso sul pavimento, silenziosa.

“Non è vero. Se fossi partita prima, ce l'avrei fatta. Ma ormai non si può tornare indietro...” sospirò calma la gatta, con una nota di tristezza.

“Esatto, non si può cambiare il passato, Blaze!” disse Shadow, prendendo il mento della ragazza e, alzandolo verso il suo viso, si assicurò che i suoi occhi dorati riflettessero nei suoi rossi.

“Non fare come me, per favore.” continuò, in un sussurro, stando attento a non rompere quel filo intimo che si era creato tra il suo e lo sguardo di Blaze. Con il pollice accarezzò teneramente la guancia della ragazza.

“Guarda avanti, verso il futuro; sarà solo quello che potrai ancora cambiare. Ricordati che il futuro diventerà presente, e il presente passato, e solo nel passato resterà il dolore.” continuò il riccio, con un lieve sorriso.

Blaze lo ascoltava senza dire niente, ma capiva tutto quello che le voleva dire.

“Pensa ad Amy: non avrebbe mai voluto vederti soffrire. Come ti avrebbe voluto vedere, Blaze?”

E fu lì che qualcosa scattò nella mente della gatta: un ricordo.

In apparenza così insignificante, ma adesso che ci pensava, la micia non capiva come avesse potuto dimenticarsene. Dimenticarsi delle ultime parole della sua cara amica.


...Promettimi di vivere felice, e di non dimenticarmi. Sii felice.


Sii felice.

Se l'era completamente scordato. Quella era l'ultima volontà che la sua amica aveva espresso sul letto di morte, e Blaze aveva totalmente ignorato quel caloroso consiglio.

Aveva solo pensato a vendicarla, quando lei non l'aveva mai chiesto.

Si è data alla rabbia, invece di mantenere la sua promessa.

Ad Amy non sarebbe piaciuto per niente, e se ne vergognava. Si sentiva come se l'avesse offesa.

Che stupida...

Blaze abbassò lo sguardo, voltando la testa dall'altra parte. Abbassò le orecchie in vergogna, mentre fissava i palmi delle sue mani ormai aperte davanti a sé, le stesse mani che avevano ucciso così tante persone in una maniera... mostruosa. Le si creò un groppo in gola al solo pensiero.

Che stupida!” sussurrò tra sé e sé, coprendosi il viso con le mani.

“Blaze!” chiamò Shadow, posandole una mano sulla spalla, e allo stesso tempo preoccupato di quello che stesse passando per la testa della micia lilla.

...E lei che si era lamentata di Shadow, prendendosela con lui perché aveva schiaffeggiato una riccia e perché si era coinvolto in quel tipo d'affari, mentre lei aveva fatto molto di peggio. Che ipocrita.

Scusami Amy.

Adesso cosa avrebbe potuto fare?

Seguire il suo consiglio. Perché no? Essere felice nonostante tutto. E se la felicità non fosse arrivata da sola, se la sarebbe cercata.

Come era solita fare Amy: trovare la felicità ed il buono in ogni cosa. Non darsi mai per vinti, uscirne vincitrici comunque.

“Va tutto bene, Blaze. Va tutto bene.” disse solamente il riccio nero, con la sua profonda voce, dando delle leggere pacche alle spalle della gatta.

Lentamente, la regina gatto tolse le mani dal viso realizzando una cosa:

“Shadow?” disse dopo un po', voltandosi leggermente per guardarlo in faccia.

“Sai come Amy avrebbe voluto vedermi?” gli chiese, intenzionata a rispondere alla domanda che il riccio le aveva posto poco prima.

“Felice. Semplicemente felice. E' tutto quello che ha chiesto.” rivelò alla fine, accorgendosi in quel momento di quanto effettivamente il suo umore stava migliorando.

Lui. Lui la rendeva felice.

Shadow era qualcuno che l'amava per com'era, pregi e difetti, un povero cristo con un doloroso passato e che era in grado di capirla. Lui era uno dei pochi che non l'avrebbe mai guardata come un mostro. Sapeva com'era essere chiamato con quella parola.

Come ha detto lui, il futuro è l'unica cosa che si può ancora scrivere, e lei intendeva renderlo felice. Sarebbe stato un futuro felice se lui ci fosse stato, e la gatta intendeva assolutamente tenerselo stretto.

Il riccio sorrise soddisfatto alla risposta della ragazza.

“Ne ero certo.” rispose solamente, avvolgendola in un caloroso abbraccio.

Blaze se ne approfittò per abbracciarlo a sua volta, affondando il viso nella sua pelliccia bianca.

Restarono così per minuti interi, assaporando il silenzio e il calore di quell'abbraccio.

“Blaze.” chiamò dopo un po' il ragazzo.

“Mh?”

“Cosa...cosa farai dopo?” chiese titubante. Sapeva che nella sua testa c'erano tante questioni ancora irrisolte, e ora che Blaze era tornata normale, sentiva il bisogno svelarle.

Lentamente, la gatta si slegò dall'abbraccio, per guardarlo dritto negli occhi. Shadow la lasciò fare, anche se avrebbe desiderato che non lo guardasse così seriamente, che gli avesse risposto con un semplice “starò con te”, senza staccarsi dalle sue braccia.

Sarebbe dovuta tornare a casa, ovviamente. Blaze non aveva altra scelta, e per quanto amasse Shadow, lei era una regina, anzi, L'Imperatrice, e come tale aveva il dovere di vegliare sui suoi sudditi e sul suo mondo.

Nonostante queste idee fossero ben chiare nella sua mente, Blaze non sapeva come dire cose del genere al riccio.

Sospirò pesantemente. Non c'era altra via.

“Dovrò tornare nel mio regno, Shadow.” annunciò la gatta a bassa voce, un po' dispiaciuta, e attese trattenendo il fiato la reazione del ragazzo.

Il riccio annuì ripetutamente, segno che avevo compreso e che lo stava accettato.

“Anche di questo ne ero certo.” disse dopo un po'.

La gatta lo guardava incerta e dispiaciuta. Posò la sua mano su quella del riccio, e lui la guardò negli occhi. Blaze adorava quegli occhi. Non erano più così freddi come all'inizio.

Con un sorriso, la micia lilla fece la sua proposta:

“Potresti venire con me, Shadow.” disse, e attese.

La morbida mano della gatta scaldava quella del riccio, facendolo giurare di non portare mai più i guanti per tutto il resto della sua vita. E inoltre gli scaldava anche il cuore.

Aveva già pensato di chiederle di poter venire con lei.

Ma qualcosa dentro di sé gli diceva di restare a Mobius. Ci aveva riflettuto molto, e nonostante gli dolesse ammetterlo, era raggiunto a una conclusione: lui non apparteneva alla dimensione della micia, e non c'aveva nulla a che fare.

Aveva pensato a tutti i pro e i contro, e per quanto volesse fra vincere i pro, i contro erano troppi.

Aveva ancora una miriade di questioni irrisolte da sciogliere, e persone che non poteva abbandonare così. Inoltre quell'incidente del treno avrebbe provocato un polverone in cui lui sarebbe stato coinvolto, e doveva dare risposte. Voleva vedere come sarebbe andata a finire per tutti gli altri.

Non poteva lasciare il suo mondo, la sua casa.

Alla fine, aveva deciso di non parlarne con Blaze. Purtroppo, è stata proprio lei a tirare fuori l'argomento. A Shadow si gelò il sangue nelle vene al solo pensiero che lei potesse prenderla male.

Mi capirà...giusto?

Dopotutto, anche lei era spinta dal dovere verso il proprio mondo.

Abbassò lo sguardo, perché proprio non poteva guardarla in quegli occhi speranzosi mentre le diceva della sua scelta.

“Non...posso, Blaze.” disse alla fine.

Lei rimase calma. O almeno in apparenza. Shadow si chiese cosa passasse nella testa della ragazza, dietro a quegli occhi confusi.

“Perché no, Shadow?” chiese di nuovo, insistente, portando la mano libero sulla guancia del ragazzo, costringendolo con il suo tocco delicato a rialzare lo sguardo.

“Cosa c'è ancora qui per te?”

Guardando in quegli occhi meravigliosi, Shadow stava per mandare tutti i suoi piani al vento.

C'era davvero qualcosa di così importante -più importante di lei- per cui restare? No, non c'era.

Ma doveva restare.

“Il mondo ha bisogno di me.” rispose alla fine il riccio, e baciò la mano della gatta, premendosela sulla guancia con la mano libera, quasi avesse paura di non sentire più il suo calore.

“...Anche io Shadow...” rispose Blaze, con un filo di voce. Shadow l'abbracciò di nuovo.

“Tu sei più forte del mondo, Blaze.”

La micia sorrise, e affondò di nuovo il muso nella pelliccia sul petto del ragazzo.

“Hai ragione.”

Shadow sorrise, contento della reazione della sua ragazza.

“Adesso andiamo a mangiare, che ne hai davvero bisogno. E poi ti voglio chiedere se riesci a stare da sola per qualche ora.”

“Certo. Dove vai?”

“Ho delle commissioni da fare.”

E' pronta?”


Rouge the bat era appena entrata nel gigantesco ospedale della città, l'Ospedale di NMBC.

L'odore di candeggina e disinfettante le era piombato nelle narici sin da quando aveva messo piede nella struttura.

Un passo dietro l'altro nel gigantesco e vuoto corridoio. Rouge poteva udire solo il rumore dei propri tacchi mentre percorreva la Emergency Hall, e si guardava in giro attentamente.

L'affascinante pipistrella era lì per vederci più chiaro: Shadow aveva detto che la gatta aveva farfugliato qualcosa sul fatto che fosse anche colpa sua... colpa di cosa?

Blaze aveva fatto la brava bambina fino alla sua scappatella... e poi era diventata un demone dell'inferno.

Magari l'ospedale non le avrebbe dato le informazioni che le servivano, ma dopotutto era un luogo dove la gente circola, e bene o male avrebbe sentito qualcosa.

Poco dopo, quando iniziò a chiedersi se ci fosse vita in quell'ospedale, ecco apparire alcune indaffaratissime infermiere, chi con con qualcosa in mano e chi meno, che circolavano per i corridoi senza sosta, sparendo nelle stanze o facendo capolino da queste ultime, prima di correre via da un altro paziente. Era incredibile il via vai che c'era, le infermiere zampettavano qua e là come formiche in un formicaio.

Rouge si avvicinò con passo sicuro e con il suo solito sorriso radioso e provocante, ed un'infermiera venne correndo dal corridoio incontro a lei.

Finalmente qualcuno che si sia accorto di me!

Pensò tra sé e sé l'affascinate donna, ed attese pazientemente che la ragazza si avvicinasse.

La pipistrella mise su il sorriso più rassicurante che potesse fare. Sulle labbra era ritornato il suo solito rossetto rosso carminio, e il make-up sgualcito aveva lasciato spazio all'ombretto azzurro luccicante e l'eye-lyner nero come la pece, che le risaltava particolarmente gli occhi verdi-acqua.

Buongiorno signora. Cosa posso fare per lei?” chiese cordialmente l'infermiera a Rouge, la quale squadrò la ragazza, soprattutto il cartellino con il suo nome.

Buongiorno signorina Butterfly.” salutò a sua volta Rouge, con la stessa cortesia.

La prego, mi chiami semplicemente Rochelle. Ha bisogno di qualcosa?” rispose l'infermiera, la quale cercava ovviamente di evitare tutta quella formalità non necessaria.

Oh, sì cara. Vedi, io cerco una persona. Un'amica.”

Oh.” esclamò sorpresa la ragazza “Pensavo che lei fosse qui per una visita medica...” disse Rochelle, guardando le ali completamente bendate della pipistrella.

Questo gesto portò Rouge a girare la testa per guardare in un'espressione di disagio le proprie ali: avevano preso una brutta bruciatura, e non poteva muoverle. Se provava ad agitarle, poteva ancora sentire le fiamme attaccarle le membra. Fortunatamente Shadow non era così male in campo medico.

Rouge cercò di tramutare l'espressione scocciata in un'espressione serena, e ritornò faccia a faccia con l'infermiera.

Non si preoccupi, le mie ali staranno benissimo in un batter di ciglia! Piuttosto, mi sa dire se ha visto recentemente una gatta lilla?”

Gli occhi di Rochelle si illuminarono, segno che stava portando a galla un ricordo e che Rouge aveva fatto centro.

Una gatta lilla, dice?” ripeté la ragazza, come per volersi accertare di aver capito bene.

Sì, una gatta lilla; occhi gialli, alta all'incirca così, e poi che altro... ah sì, un diadema rosso in mezzo alla fronte!” descrisse soddisfatta la pipistrella bianca.

Sì, è stata qui. Ha chiesto anche lei di una sua amica. E' questo quello che voleva sapere?”

Le orecchie dell'affascinante donna scattarono in aria.

Ha chiesto di qualcuno...?

Sì, la ringrazio. Immagino che lei l'abbia trovata, questa sua amica...?”

L'infermiera annuì. Rouge estese il suo sorriso, certa di essere arrivata alla sua meta.

E' stato tutto così facile!

Gioì orgogliosa dentro di sé.

Potrei farle altre domande?”


E in men che non si dica, si era trovata in un corridoio sotterraneo dalle pareti blu scuro, camminando verso l'obitorio con accanto Miss Rochelle Butterfly.

La gioia dentro di sé era sparita per lasciare spazio a un sentimento freddo, un vuoto glaciale.

Avrebbe desiderato sbagliarsi ancora.

Piuttosto avrebbe desiderato che in quell'ospedale non avesse trovato niente, nemmeno uno straccio di prova. Sarebbe stato comunque meglio che trovarsi davanti ad una situazione del genere.

Amy Rose è morta. La sua stessa voce ripeteva nella sua mente.

Amy Rose è morta e non tornerà mai più.

Rouge sentì come se immaginarsi la riccia rosa defunta fosse la cosa più impossibile da immaginare.

Non è facile associare una persona vitale come Amy ad una persona morta. E' per questo che la donna aveva richiesto di vedere la riccia.

Passo dopo passo, Rouge sperava che la meta fosse ancora molto lontana, mentre ripercorreva tutte le sue memorie di lei e Amy.

Tutte quelle volte che avevano litigato, collaborato, tutte quelle volte che si sono esplicitamente dette che non si sopportavano e tutte quelle volte che invece andavano d'accordo erano memorie lunghe, spesso divertenti o stressanti, che si ripetevano nella testa di Rouge, come se fosse lei stessa prossima a morire.

Fu interrotta solo quando Rochelle le rivolse la parola, dopo essersi fermata davanti a una porta di metallo.

Siamo arrivati.” disse semplicemente, ma bastò per far rabbrividire Rouge, la quale stava sudando freddo in anticipo. La ragazza aprì la porta.

Questo è il nostro obitorio.” disse di nuovo la graziosa voce dell'infermiera, mentre entrava nella stanza. La pipistrella le stava subito dietro.

L'obitorio non era proprio nulla di che: ben attrezzato, Rouge doveva ammetterlo, ma freddo e squallido. Fortunatamente, non c'erano corpi sui tavoli metallici da autopsia.

La ragazza si diressero verso una cella, mentre il cuore di Rouge pompava all'impazzata.

Non voleva così male ad Amy. Ci aveva pensato a lungo e no, questa fine proprio non doveva farla.

E' pronta?”

La donna pipistrello annuì lentamente.

Ottenuta l'approvazione, Rochelle aprì l'oculo ed estrasse la barella dove c'era sdraiata proprio Amy Rose.

Rouge trattenne un sussulto, e si sforzò di tenere gli occhi aperti. Esaminò la giovane riccia: non c'erano dubbi che fosse Amy, purtroppo.

La riccia rosa aveva gli aculei spettinati che le contornavano il viso pallido e alcune cicatrici sparse per il corpo.

I lividi sulle palpebre chiuse avevano già iniziato a perdere intensità.

Sembra che stia dormendo.

Pensò la donna, mentre già sentiva la gola secca e le lacrime iniziare ad offuscarle la vista.

Ci può lasciare un attimo da sole?” ebbe il fiato di chiedere, cercando di non andare in iperventilazione davanti all'infermiera, la quale annuì.

Certamente. Si prenda tutto il tempo necessario.” disse gentilmente, e lasciò l'obitorio.

Rouge fece un cenno del capo in gratitudine e la seguì con lo sguardo, finché fu fuori dalla porta, poi si voltò verso l'amica.

Amy.” sussurrò il suo nome gentilmente, sapendo che comunque la riccia non le avrebbe riposto.

La guardò con compassione, mentre le sfiorava la fredda guancia con le dita.

C-cosa posso dire? Da dove iniziare?” disse la pipistrella, dolcemente, rivolta ad Amy.

Mi dispiace per averti chiamata apertamente una fastidiosissima bimbetta.” cominciò con un sorriso triste. Si leccò le labbra già secche, fregandosi dell'orribile gusto del rossetto.

Mi dispiace di tutte quelle volte che ti ho disprezzato. La verità è che non eri affatto sprezzante. Avevi ottime capacità, ero io che ero...invidiosa. E gelosa. Non ti avrei mai permesso di diventare più brava di me.” ridacchiò triste la donna.

Eh, già! Ci sei riuscita! Hai fatto invidia a Rouge the bat! Questa te la concedo!” parlando così, alla ragazza alata rispuntò il radioso sorriso che l'aveva sempre caratterizzata, ma era sparito quando, finito di parlare, aveva fissato il viso pallido e senza vita di Amy Rose.

Stava parlando da sola per tutto quel tempo. Di nuovo.

Si sarebbe sentita stupida se, davanti a lei, non ci fosse proprio quella vecchia conoscenza.

Anche se Amy non la poteva sentire, Rouge si sentiva in dovere di dirle quelle cose, di confessarsi per l'ultima volta. Aveva bisogno di sfogarsi, di dire quello che pensava. Quindi arrivò al dunque.

...Mi dispiace che il tuo viaggio finisca qui.”

La sua frase fu incontrata da un previsto silenzio tombale. Rouge si schiarì la voce.

Non sai che putiferio ha tirato su Blaze per la tua morte.” continuò la donna, cercando di non maledire la gatta per aver quasi mandato a puttane le sue ali.

Le manchi. Ci manchi. Non dimenticartelo mai, freedom fighter.” le dita di Rouge erano ormai diventate fredde a furia di tenerle a contatto con la pelle della riccia.

Addio, Amy Rose.” disse grave, e con assoluto rispetto, stampando poi un caloroso bacio sulla fronte della riccia.

Amy restava fredda e immobile.

Rouge sorrise amara a sé stessa e a quello che stava facendo: prima parlava con le pietre, e adesso con i morti. Non riusciva proprio a trovare un interlocutore che la potesse ascoltare.

Ma comunque qualcosa cambiava dentro di sé, lo poteva sentire.

Solo il risultato rimaneva lo stesso.



L'atmosfera nel piccolo ufficio era cambiata, Rouge lo poteva sentire.

Dentro la stanzetta riuscivano finalmente ad entrare i raggi del sole che di solito erano bloccati dalle persiane costantemente abbassate.

Rouge sedeva sulla sua sedia, guardandosi attorno mentre la luce le sfiorava la pelle.

Ogni tanto posava il suo sguardo contento sullo schermo scuro del computer spento davanti a sé, felice che finalmente potesse riposare.

Aveva appena finito di raccogliere tutti i fascicoli sui loro precedenti lavori e ora questi pezzi di carta e cartoncino giallo erano tenuti in ordine sulla scrivania. Aveva svuotato scaffali, cassetti e aveva spulciato anche comodini e armadi di vario genere.

E' incredibile cosa si può ritrovare facendo le pulizie di primavera:

Questo dev'essere il numero di Knuckles.

Pensava la pipistrella, mentre osservava il pezzo di carta che era stato dimenticato in fondo al cassetto. Leggeva e rileggeva il numero che aveva tra le dita con indecisione, incerta se farne uso o meno.

Solo perché è sposato, non significa che non ci possa parlare. Pensò Rouge alla fine, alzando le spalle ed estendendo un sorriso contento.

Ma prima avrebbe aspettato che il compare fosse uscito e l'avrebbe lasciata sola.

Sapeva dove lui voleva andare ed è per questo che aveva riunito tutti i vecchi casi: avrebbero denunciato tutti i criminali che avevano aiutato in passato e, se ce ne fosse stato bisogno, avrebbero anche aiutato ad acciuffarli con le proprie mani; ma prima, Shadow doveva risolvere una vecchia, delicata faccenda.

Rouge alzò lo sguardo sull'orologio da parete situato sopra la porta che conduceva alla cucina: 9.30 del mattino. Rouge già sentiva l'amico alzarsi dalla sedia della cucina, salutare la gatta e dirigersi verso l'ufficio dove stava la pipistrella.

Rouge si tolse i guanti di lattice che aveva utilizzato per raccogliere e pulire dalla polvere tutti quei documenti e si accorse solo in quel momento di avere un paio di calli alle dita e le unghie mezze rovinate.

Ugh.” fu tutto quello che uscì dalla sua bocca in una smorfia disgustata.

La maniglia scattò e la porta si aprì. La giovane donna ruotò la testa verso il collega, il quale entrò nell'ufficio richiudendosi la porta subito dietro di sé.

“Allora, come sta?” chiese Rouge “Meglio?”.

“Sì, ha solo bisogno di finire di mangiare e di riposarsi.”

“Bene.” pronunciò la donna, contenta di non dover preoccuparsi troppo della micia lilla.

Poi aprì un cassetto ed estrasse uno smalto color carminio e una lima per le unghie.

“Le hai già detto di oggi pomeriggio?” chiese con fare poco curante, mentre iniziava a limarsi le unghie. Doveva sembrare occupata in altro, e non sul fatto che ogni volta che menzionava il funerale di Amy le veniva un groppo in gola.

“Sì, e niente la convincerà a non andarci!” rispose il riccio.

“Che donna!” ridacchiò la bianca.

“Allora... vieni con me o preferisci oziare qui?” chiese alla fine il riccio, adocchiando l'indaffaratissima Rouge, la quale rispose fintamente offesa:

“Senti caro, sono in piedi dalle sei e mezza a mettere in ordine queste cartacce, e come vedi ho molto da fare.” disse, agitando le dita appena limate davanti al muso di Shadow.

“Vedo.” sbuffò divertito, ma poi decise di lasciare stare.

“Ci dai tu un'occhiata a Blaze di tanto in tanto?” disse lui sulla strada per uscire.

“Certo...di tanto in tanto...” rispose la ragazza bianca con tono da non curante, iniziando ad impreziosire le unghie con lo smalto.

“A dopo!” salutò Shadow, ed uscì senza aspettare risposta, chiudendo la porta con un tonfo secco.

Rouge smise di pitturarsi le unghie. Soffiò sulle uniche due dita che era riuscita a smaltare e afferrò il telefono in mano. Portò la cornetta all'orecchio mentre riprese tra le dita il foglietto con il numero dell'echidna rosso. Guardò verso la porta della cucina, sperando che la gatta non avesse bisogno di lei o che sbucasse fuori a caso.

Ma la porta della cucina rimaneva chiusa e non si sentiva volare una mosca.

Rouge non si stupì; dopotutto sapeva che Blaze era una ragazza molto silenziosa, e anzi, lo prese come un buon segno.

Compose in fretta il numero e attese.

Spero solo che il guardiano qui non abbia cambiato telefono!

Pensava Rouge mentre attendeva. Più l'attesa si prolungava, più Rouge si mordicchiava il labbro, nervosa.

Pronto?” si sentì dall'altra parte della cornetta. Rouge riconobbe subito quella voce: profonda, seria e matura...

“Knuckles!” esclamò felice la pipistrella.

Chi è?... R-Rouge?!” chiese stupito l'echidna. Rouge sorrise ancora di più: si ricordava di lei e riconosceva ancora la sua voce.

“Indovinato tesoro! E' da un po' che non ci si sente, come va?” disse in tutta risposta la donna, sorridendo ammaliante, nonostante il guardiano non potesse vederla al di là del telefono.

Vecchia canaglia! Dove sei stata tutto questo tempo?!” ridacchiò l'uomo dall'altra parte della cornetta.

“Ti sono mancata?” lo provocò Rouge.

Neanche un po'!” Rispose lui a tono, ridacchiando piano;

Come va la vita? Che hai fatto in tutti questi anni?”.

“Tu non ne hai idea!”




Shadow marciava con passo sicuro sul cemento dei marciapiedi della trafficata Mobius.

Gli sembrava così strano riprendere a camminare libero alla luce del sole e accanto alle persone sempre sorridenti della città. Aveva dimenticato il vento fresco della prima mattina che ti arriva in faccia, l'odore del cibo fritto delle bancarelle, le chiacchiere e le urla del giornalaio.

“EDIZIONE STRAORDINARIA!” urlavano i ragazzi, facendo svolazzare in aria una coppia di giornale.

“FINITO L'INCUBO DEI VENDITORI DI SCHIAVI!”

Come il riccio girava l'angolo, altri ragazzi avevano altre notizie, ma tutte erano aderenti al commercio di schiavi.

“MINA MONGOOSE: RAPITA DAI TRAFFICANTI ADESSO E' DI NUOVO LIBERA!”

“RIPORTATE A CASE LE VITTIME! PIU' DI 500 RAGAZZE!”

“RAGAZZE SALVATE DA DUE EROI EX-AGENTI!”

Da un'eroina.

Precisò Shadow nella sua testa, consapevole che il lavoro sporco non lo avevano fatto loro.

Anzi, loro non avevano fatto niente.

Chi aveva liberato Mina e le altre? Blaze.

Chi aveva bruciato i treni? Blaze.

Chi si era assicurata di dar voce alle vittime? Sempre Blaze.

Era Blaze l'unica che era riuscita ad alzarsi per le altre.

Tutto quello che Shadow e la sua collega avevano fatto era di riportarla in sé stessa.

I giornalisti e i loro articoli da strapazzo, valli a capire.

Mobius è stata salvata da un'eroina.

Anzi, aggiunse Shadow dopo un po',

Da due eroine.

Amy ha dato la vita per questa nobile causa. E, da una parte, ha aiutato Blaze nel suo intento, perfino nella morte è riuscita a dare, seppure involontariamente, forza alla gatta per finire quello che aveva iniziato. Le aveva dato più energia e motivazione. Negativa energia e oscura motivazione, ma pur sempre energia.

Ma i giornalisti sono stati troppo superficiali.

Non per non aver dato importanza a Blaze, dato che Shadow sapeva che -per il suo bene- doveva starsene nascosta agli occhi del pubblico, ma per non aver dato importanza alla coraggiosa poliziotta che è morta facendo il suo dovere.

Amy Rose di certo non sapeva la fine che avrebbe fatto, ma sapeva di rischiare. Amy sapeva che il suo futuro sarebbe stato incerto e traballante, ma ha continuato a fare quello che riteneva giusto.

La migliore poliziotta di sempre; dolce, gentile, coraggiosa, forte.

Tutti i migliori se ne vanno.


Shadow si fermò davanti ad un gigantesco palazzo di cemento bianco, appena fuori dalla periferia di Mobius.

Su questo grande edificio c'erano le note iniziali: G.U.N.

Era da un po' che non si presentava davanti a quell'imponente e spoglia struttura.

Respirò a fondo, prima di fare il passo che gli avrebbe cambiato di nuovo la vita.

Cautamente, ma senza mostrare paura o esitazione, entrò.

Valicato il gran portone, si ritrovò in un'immensa sala.

Il pavimento, con fantasia a scacchiera verde scuro e oro che Shadow non aveva mai apprezzato, era brillante e rifletteva l'elegante e luminoso lampadario appeso al centro della sala.

Si respirava odore di sterilizzato; non era un gran ché, ma sempre meglio della candeggina degli ospedali.

Shadow si guardò ben attorno: nulla era mutato, quell'agenzia era rimasta così come l'aveva lasciata. In nove anni l'arredo non era cambiato, solo il personale sembrava essere diverso: molte facce non erano note a Shadow, ma non c'era nulla da stupirsi.

Dopo lunghi istanti, decise di dirigersi finalmente verso la sua meta: l'ufficio del Comandante.

Al grande capo era sempre piaciuto essere collocato in alto. Se non si era spostato, il suo ufficio era situato all'ultimo piano.

Shadow si diresse verso i modernissimi ascensori, in fondo alla Hall, mentre sentiva addosso lo sguardo dei segretari, i quali lo stavano certamente guardando con cautela, come se temessero un attacco da parte sua. Per mascherare il tutto, facevano finta di essere occupati in altro, come rispondere al telefono o scrivere annotazioni o appuntamenti, ma stavano fallendo tutti miseramente.

Shadow fece finta di ignorare gli sguardi curiosi dei dipendenti, e premette il pulsante dell'ascensore. Attese pazientemente finché, con un suono di campanello, le porte si aprirono.

Una volta chiuso dentro, poté tirare un sospiro di sollievo.

Non sapeva sinceramente come sentirsi. Avrebbe rincontrato il suo vecchio capo, e non sapeva se esserne preoccupato o tranquillo.

Per la prima volta, nella calma atmosfera dell'ascensore, Shadow decidette che un piano psicologico non era proprio una cattiva idea.

Sarebbe rimasto impassibile a qualsiasi cosa sarebbe accaduta, a qualsiasi cosa avrebbe detto il suo vecchio capo, e poi gli avrebbe imposto le sue condizioni. D'altra parte, se una cosa del genere non l'avesse fatta Shadow, l'avrebbe fatta il comandante.

L'ascensore squillò, facendo ritornare il riccio nero in sé.

Uscì con passo sicuro, gli occhi puntati sulla solida porta di legno in fondo al corridoio, un solo pensiero in mente.

Ma a metà strada, si sentì chiamare da una voce femminile, da una donna.

“Shadow?!” esclamò stupita questa, alle spalle del riccio, il quale si fermò.

Si girò lentamente, e vide a pochi metri da lui una giovane umana coi capelli biondi a caschetto, occhi blu grandi e luminosi e una miriade di lentiggini sparse sulle gote.

Shadow dovette ammettere che non la riconobbe subito, ma poi la ragazza, estendendo un sorriso a trentadue denti, si buttò sul riccio nero e lo abbracciò forte.

“Shadow!” urlò lei, al settimo cielo.

“Sono così contenta di vederti! Ti ricordi di me? Sono Hope!”

Fu un attimo: Shadow spalancò gli occhi ed estese un debole sorriso, sbigottito.

“Hope...” sussurrò, senza parole, riconoscendo alla fine la ragazza.

Lei si slegò finalmente dall'abbraccio per guardarlo dritto negli occhi.

“Ne è passato di tempo...” continuò il riccio , guardandola con dolcezza.

Se la ricordava quando quel genietto era ancora una bambina, e vederla così cresciuta fu la vera freccia del tempo trascorso che lo colpì dritto al cuore. Erano passati troppi anni, non l'aveva vista nemmeno crescere!

“Ti trovo bene.” disse alla fine, commosso anche lui.

Chissà cosa Hope pensasse di lui.

Chissà cosa Hope avesse pensato di lui quando, alla bellezza di nove anni prima, le era stato detto che il suo team aveva tradito l'agenzia, se ne erano andati, erano diventati ricercati e, più avanti, anche criminali. Tutto a causa di quel riccio nero bastardo che, quasi un decennio dopo, si era finalmente ritrovata davanti.

Chissà se anche lei si fosse sentita tradita, e traditrice, nel caso fosse stata costretta a disattivare Omega.

Chi lo sa quante domande si fosse fatta, ma poi non avesse trovato risposta a nessuna di loro.

Chi s'immagina la sua tristezza, la sua frustrazione, la sua rabbia, il suo dolore.

Shadow poteva solo fare ipotesi, ma Hope si ricordava ancora di quanto aveva fatto male.

Sia chiaro, non lo odiava più (e forse mai lo aveva odiato), e anzi, era felicissima di rivederlo.

Tuttavia, nove anni prima, dopo aver ricevuto la notizia, il suo umore cambiò: non era mai felice, per quanto lo volesse. Alternava la tristezza con la rabbia tutto il giorno.

Durante la prima, aveva dei seri problemi di depressione, con conseguenti notti passate a piangere e largo uso di antidepressivi. Durante la seconda, passava il tempo a farsi monologhi interiori, facendosi domande di continuo e persino immaginandosi di avere lì Shadow e Rouge che rispondevano alla meglio alle sue inchieste. Ma naturalmente, quando le domande della giovane ragazza diventavano sempre più cruciali, essi non rispondevano. Perché lei non sapeva, e non si può mettere in bocca spiegazioni che non si sanno a due persone ormai immaginarie.

Il comandante non volle spiegarle nulla, e questo la frustrava ancora di più. Quindi iniziò a fare ipotesi e ricerche, ma si rese conto che il suo superiore aveva eliminato tutto. Non era rimasto niente negli archivi, e la maggior parte dei documenti non si poterono consultare.

Il capo aveva fatto di certo un bel lavoretto. Inoltre, consigliò calorosamente a tutti gli agenti dell'agenzia di dimenticarsi di Shadow the Hedgehog e Rouge the Bat non solo come parte di essa, ma anche come esseri viventi.

Quando il comandante ebbe annunciato questi “consigli” negli altoparlanti sparsi per l'edificio, Hope era lì, in mezzo al suo nuovo team, sbigottita, mentre osservava l'approvazione negli occhi e nelle espressioni dei suoi nuovi colleghi, come se non vedessero l'ora di dimenticarsi dei due ex-agenti.

Questo, il comandante non lo doveva fare. Non a lei.

Poteva ordinare di scordare Shadow e Rouge al resto del mondo, se gli pareva, ma non a lei.

Non erano stati semplici collaboratori, maledizione!

Cosa si aspettava?? Di continuare ad ignorare l'argomento??

Hope non era una ragazzina che teneva la bocca chiusa.


Presa dalla rabbia, si alzò dalla postazione di lavoro di scatto, spingendo via la sedia con violenza.

“Signorina Hope?” chiamò una signora sulla quarantina, la quale faceva parte del suo nuovo team.

Se volete scusarmi.” riuscì a biascicare tra i denti la bambina, e si diresse verso l'uscita del laboratorio.

La donna, la quale aveva chiesto più per educazione che per preoccupazione, alzò le spalle e ritornò al lavoro. Nulla di nuovo, ormai Hope se ne era abituata. Shadow, Rouge e Omega erano gli unici che riconoscessero il suo potenziale fregandosene dell'età, ma questi...

Ma questi erano umani. L'aveva squadrata sin da subito.

La prima volta che il Comandante ebbe presentato Hope ai suoi nuovi collaboratori, loro avevano guardato prima il capo, poi Hope, con espressione da “E' uno scherzo, vero?”.

Hope strinse i pugni, mentre si dirigeva verso l'ufficio del comandante senza esitazione.

Arrivata davanti alla possente porta, avrebbe voluto sradicarla. O almeno sbatterla senza pudore.

Ma la sua persona rispettosa ed educata emerse giusto qualche secondo prima che la ragazzina aprisse la porta senza ritegno.

Prese un bel respiro e, con energia, bussò alcuni colpi secchi alla porta.

Attese il permesso del capo, il quale si fece sentire subito da dietro la porta, ed entrò.

Il comandante stava esaminando alcuni fogli, ma quando la biondina fece capolino, lo sguardo dell'uomo si posò sulla sua dipendente. Per un attimo lei poté, con stupore, vedere...compassione?

“Hope.” salutò lui, pacato, posando i fogli sulla scrivania.

La guardò come un nonno guarda la sua amata nipotina che si rivolge a lui perché ha subito un'ingiustizia. Solo che, negli occhi dell'ormai anziano signore, c'era la consapevolezza che lui era la causa dell'ingiustizia, la quale gli si stava ritorcendo contro. Ma, inoltre, c'era anche la prontezza di prendersi quel colpo.

Lei non salutò, la rabbia le legava la bocca; molto peggio dei capricci di qualsiasi altro bambino.

Lo so perché sei qui.” avrebbe voluto dirle l'uomo, “Non ti va a genio la mia recente comunicazione, bambina.”, ma per evitare una situazione al limite del civile, lasciò che lei iniziasse il discorso. Dopotutto, come darle torto. Era troppo giovane per riuscire a gestire tutte quelle forti emozioni allo stesso tempo.

“Lei mi deve delle spiegazioni!” riuscì a dire la ragazzina una volta davanti alla grande scrivania del suo superiore, senza tralasciare tutta la rabbia rivolta verso di lui.

“Non è maturo da parte sua continuare ad evitare l'argomento!”

Ha ragione, sa dove colpire, la ragazza.” pensò il comandante, mentre annuiva in silenzio.

“Cosa. Li. Ha. Spinti. Ad. Andarsene?” pretese di sapere lei, chiedendo a denti stretti.

Lui non rispose subito. Si alzò dalla sua sedia e si diresse pensieroso verso la finestra.

L'uomo iniziò a guardare fuori, perso nel suo stesso silenzio, mentre volgeva la schiena alla giovane.

Questo, ovviamente, contribuì ad aumentare l'ira della ragazzina.

Ma prima che lei potesse gridargli in faccia nuovamente la domanda, lui rispose vago:

“La risposta non ti piacerà.”

Silenzio.

Non mi interessa.” avrebbe voluto rispondere Hope, la quale voleva solo conoscere la verità, ma allo stesso tempo aveva paura di saperla. Perché non le sarebbe piaciuta la risposta? C'era un motivo particolare?

La biondina sperava con tutto il cuore di non essere lei la causa.

Perché mai dovrebbe esserlo? Non lo sapeva. Ripercorse brevemente la sua memoria, cercando di trovare una prova che l'avrebbe condannata, ma per quanto cercasse, il risultato delle sue autoanalisi la reputava, ovviamente, innocente.

Prima di poter rispondere di voler sapere comunque la verità, il suo capo la interruppe un'altra volta:

“Non hai colpa né tu, né alcun agente.”

Il comandante si leccò nervosamente le labbra secche, gesto insolito, notò Hope. Stava cercando di dire qualcosa, ma questa volta fu la ragazzina ad interromperlo:

“E allora di chi è la colpa?”

Ancora silenzio. Per un attimo, Hope notò il tornado d'inquietudine che aleggiava sul volto dell'uomo, prima che quest'ultimo ritornasse impassibile. Il signore chiuse gli occhi. Poi li riaprì e si avvicino alla sua scrivania ed alla bambina.

“Ti dirò personalmente cos'è successo a tempo debito, signorina Hope.”

“Credo che tre mesi siano abbastanza.” ribatté lei. Si era calmata, tuttavia era ancora un po' acida.

Ma lui scosse la testa:

“No, non credo. Non credi che ci sia un motivo per cui non te lo dico, signorina Hope?”

“Forse sì, e vorrei saperlo. Shadow, Rouge e Omega non erano solo dei colleghi per me, ma anche la mia famiglia, tutto quello che avevo. Li amavo. Ma ora che se ne sono andati, sono di nuovo sola. Tutto quello che mi rimane è un robot disattivato giù in cantina!” esclamò la ragazza, ormai ai limiti della pazienza.

L'espressione dell'uomo prese tutt'altra piega. Hope lo guardò incuriosita, mentre la sua rabbia scemava poco a poco.

Sembrava amareggiato, notò la biondina. L'espressione scocciata della ragazzina mutò in preoccupazione

“Comand-”

E' colpa mia.”

Le parole uscirono forti, dure, ma poco fiere di essere pronunciate.

Hope rimase di sasso. Non le pareva di aver capito bene.

“Cos...?”

“E' stata colpa mia.” ammise il comandante per la seconda volta, emettendo un sospiro sollevato, come se si fosse tolto un grandissimo peso sullo stomaco.

“Ho detto qualcosa di troppo, signorina Hope. Qualcosa di crudele. Non ho tenuto conto dei sentimenti di Shadow.”

Si sedette pesantemente sulla sua sedia e si passò una mano sulla fronte, come se cercasse di riordinare le idee, e allo stesso tempo di asciugarsi il sudore dei suoi peccati.

“Shadow the hedgehog...” mormorò lentamente, scuotendo la testa amareggiato, prima di riprendere:

“Shadow non era stato creato per essere solo una macchina, dico bene? Prima non ne ero sicuro. Si è sempre comportato come tale, e mi sono dimenticato che anche lui prova emozioni. Ho cominciato a trattarlo come un robot, aspettandomi che eseguisse gli ordini e basta, come aveva sempre fatto. E invece... ha un cuore. Ha un cervello proprio. Ha una coscienza. Ecco, proprio quello che avevo perso: una morale. Se c'è un qualcosa che ho imparato da tutto questo, è di certo che avrei dovuto essere più umano. Mi sa tanto che qui la macchina sono io. Eh, non si smette mai d'imparare... Vorrei solo che l'avessi capito prima.”

Hope guardava impietrita il suo capo confessarsi col cuore aperto per la prima volta nella sua vita, e davanti a lei per giunta.

“Ma perché lei...?” bisbigliò lei, ma ancora una volta il comandante la interruppe nel mezzo della frase.

Ho sbagliato, Hope.” continuò l'uomo, pregandola con lo sguardo di perdonarlo.

“Sono un comune mortale, commetto degli errori anch'io; e provocare Shadow è stato uno di quelli.”

La biondina lo guardò stupita, sapendo quanto era difficile per quell'uomo confessare di essere in torto.

Hope tolse lo sguardo da quello del suo capo e si guardò le mani nervosamente intrecciate tra loro.

Ci fu silenzio per un po', poi il comandante riprese:

“Non mi aspetto che tu esegua l'ordine.” disse, riferendosi naturalmente all'ultima comunicazione.

“E non te lo voglio nemmeno chiedere. So quanto erano importanti per te. Ora, se non hai altro da aggiungere, gradirei che tornassi al lavoro.” continuò, aggiungendo poi un “per favore” alla fine.

Lei annuì e si alzò dalla sedia di fronte alla cattedra del suo capo, per poi dirigersi verso la porta.

Una volta sulla soglia, però, si fermò e si voltò verso il suo superiore.

“Comandante?” chiamò, e lui alzò gli occhi verso la ragazza, la quale sorrise solamente.

Io la perdono.” e se ne andò, lasciando l'uomo a sorridere rincuorato tra sé e sé.


“Ti trovo bene.”

“Anche io, Shadow.”

I due amici erano ancora lì in un semi-abbraccio quando una voce forte e autoritaria attirò la loro attenzione, soprattutto quella del riccio nero.

“Shadow the Hedgehog.” chiamò il comandante, a pochi metri dal riccio.

Shadow lo guardò attentamente: nove anni erano passati anche per il gran capo, notò.

Tuttavia, alcuni atteggiamenti non erano cambiati: postura rigida, petto in fuori, mani dietro la schiena come un degno colonnello, e soprattutto la serietà che l'ha sempre distinto. Aleggiava calma sul suo volto, nonostante avesse involontariamente iniziato una profonda lotta di sguardi tra lui e Shadow. Il riccio nero, anche se non capiva perché, si mise sull'attenti.

“Comandante.” salutò semplicemente, non togliendo nemmeno per un secondo lo sguardo dal vecchio uomo, il quale annuì al rispettoso riccio.

“Signorina Hope, gradirei che tornasse al lavoro. Shadow, mi segua.” ordinò il Comandante, con un tono cortese, ma che non accettava un rifiuto in risposta.

Dopo di ché, l'uomo si voltò e si diresse verso il suo ufficio, seguito dal riccio nero.

Hope li guardò finché non sparirono dietro la massiccia porta, poi, con un sorriso, ritornò nel suo laboratorio.


“Grazie per essere venuto, Shadow.”

Il riccio nero aveva appena chiuso la porta dietro di sé quando sentì le formali parole del comandante.

Il suo ex capo si sedette nella sua scrivania e invitò Shadow, con un cenno di mano, a prendere posto davanti a sé. Invito che il riccio accettò, e si sedette, sempre rimanendo in austero silenzio.

L'uomo lo guardò negli occhi, ma dopo intensi minuti di nulla, batté sonoramente le mani in un applauso.

Parliamo.” disse semplicemente, come se non ne vedesse l'ora. Forse, dopo tutti questi anni, quei due aveva davvero di che parlare per ore: le scuse da farsi, raccontarsi quel che avevano fatto in tutto quel tempo, la vita che avevano condotto...

Shadow sentì che erano quelli gli argomenti di cui il comandante voleva parlare, anche se non ne era mai stato il tipo; tuttavia, il riccio sapeva che certi orgogli umani non si sarebbero mai piegati in basso.

Scuse? Non esisteva quella parola nel vocabolario di certi individui, e Shadow sapeva che l'uomo davanti a sé faceva parte di quella fetta di popolazione.

Da parte sua, il riccio non era poi tanto da meno. Nemmeno lui si sarebbe sprecato, non ne aveva nessuna intenzione.

“Parlare? Parlare di cosa?” rispose con tono di sfida il riccio nero, curioso di come sarebbe continuata quella situazione un po' in bilico.

Il comandante spostò lo sguardo sulla superficie della sua scrivania, dove di solito le matricole poggiano i loro curriculum.

“Affari.” rispose, facendo un cenno col capo al suo ex-agente, il quale sbottò.

Ovvio, affari.

Su invito dell'uomo, pose sulla cattedra i fascicoli che, per accordo, aveva portato.

Quei pezzi di carta e cartoncino giallo non avevano fatto in tempo a depositarsi sulla superficie di legno che il comandante li aveva già presi in mano per esaminarli.

“I fascicoli di cui mi avevi detto al telefono, suppongo?”

“Sì.” confermò il mobiano “Tutti i casi che mi sono passati sotto mano in questi ultimi nove anni. Dal primo all'ultimo spacciatore e trafficante in nero. E molto altro. Tutti suoi. E io e la mia collega Rouge saremmo disposti ad aiutarvi a prenderli tutti.” concluse il riccio, poggiando la schiena allo schienale, più rilassato, ora che aveva detto quello che doveva dire. Tuttavia, rimaneva ancora il grosso del lavoro da fare.

Il comandante, dopo aver dato una lettura superficiale all'elenco antecedente a tutti i file dei criminali riportati da Shadow, decise di appoggiarli cautamente sul tavolo e si tolse gli occhiali da lettura.

“Così adesso hai deciso di fare squadra con noi di nuovo.” constatò, guardando il suo ex-agente dritto negli occhi.

Perché, Shadow? Cosa ti ha spinto a tornare? Cosa ti ha spinto a fare una scelta così radicale? Cosa ti spinge a cambiare ancora?”

Shadow non rispose subito. Bruscamente, girò la testa da un'altra parte, pur di rompere quel contatto visivo così penetrante. Pensò ad una risposta, mentre si mordeva la guancia dall'interno.

Cosa mi ha spinto a cambiare?

Dopo pochi secondi seppe cosa dire, e riportò il suo sguardo sull'uomo davanti a sé, che attendeva una risposta paziente. Ridacchiò piano.

“Mi è sembrato giusto farlo.” rispose solamente.

L'uomo lo guardò con un pizzico di incredulità, curiosità e soprattutto contentezza.

Il comandante, imitando Shadow, incrociò le braccia e si poggiò allo schienale.

“Ti è sembrato giusto farlo?” ripeté l'ex-capo del riccio, come se cercasse una conferma, e fissava Shadow pensieroso.

“Sì.” affermò il riccio “Ho capito che è giusto così.”

Il comandante mostrò uno dei suoi rari sorrisi, malizioso.

“E ci hai messo nove anni?” chiese, spinto dalla curiosità di capire a fondo come fosse successo, e con un tono più provocatorio che altro.

Anche Shadow sorrise.

“Avevo solo bisogno di una spinta.

“Una spinta, eh?” il comandante annuiva con la testa, come se stesse analizzando la risposta, mentre fissava i fascicoli con sguardo assente.

Sì, proprio una forte spinta, di colore lilla e avente nome con significato di fuoco, e che presto sarebbe sparita dalla faccia di quel povero mondo.

“Quindi Shadow...” cominciò il comandante “Sei pronto a rientrare nel Team Dark?”

Era definitivo. Il riccio sentiva ormai la vita in agenzia travolgerlo, mentre i lontani ricordi del suo passato lavoro ritornarono a galla. Il ventre gli bruciava: stava per iniziare tutto di nuovo...

Dover ritornare a fare missioni, a salvare il mondo, a sconfiggere i cattivi, avere di nuovo l'appartamentino che condivideva con Rouge, avere di nuovo una vita normale e completamente legale...

Shadow si sentì come se quei nove anni non fossero mai passati: non aveva mai lasciato l'agenzia, Hope, il suo team, il suo lavoro...

Tutte acide illusioni. Nove anni sono davvero parecchi anni, diverse stagioni, molti mesi, troppe settimane, un'infinità di giorni.

Ma lui si sentiva come se non avesse bisogno di tempo per integrarsi. Lui era già integrato.

Ma ora, non mettiamo il carro davanti ai buoi.

“Sì, ma ho delle condizioni!” disse Shadow, mettendo subito nero su bianco chi decideva.

D'altra parte, o lo faceva lui o lo faceva il comandante.

L'uomo lo guardò, stupito ma non troppo.

“Dimmi.” disse solamente, dando poi l'occasione a Shadow di imporre le sue condizioni.

“Io e Rouge saremo liberi di non ubbidire agli ordini se essi sono a danno altrui.” cominciò, ricordandosi di quella scura pagina di storia dell'agenzia. Il comandante capì a pieno quello che Shadow intendeva, ed annuì in approvazione.

“Poi,” continuò il riccio, passando alle altre condizioni. “Io e Rouge avremo di nuovo il nostro appartamento, e un maggiore stipendio. E anche alcuni giorni liberi. Inoltre, voglio che ritorniamo in squadra con Hope e che Omega venga riattivato.” e controllò di non aver tralasciato nulla, prima di proseguire:

“Da parte nostra, posso assicurare che lavoreremo meticolosamente e con impegno, e inoltre arresteremo quei criminali e ne troveremo altri. Contribuiremo alla giustizia.” e detto questo, attese una reazione dell'uomo, nuovamente il suo capo, il quale annuì. Sapeva che per guadagnarseli avrebbe dovuto concedere un bel po' di pregi, ma sarebbe stato disposto a sacrificare un po' di soldi e tempo per loro.

“D'accordo.” disse alla fine, con un sorriso, e mise tutto per iscritto su alcuni moduli.

Shadow li lesse e, dopo averli approvati, ci mise la sua firma.

“Questo foglio deve farlo avere alla sua collega.” spiegò poi il comandante, e diede una copia dello scritto al riccio nero “Anche lei deve firmarlo.”

“Ottimo.”

“Quando pensate di voler iniziare?” chiese l'uomo, prima che Shadow si alzasse per andarsene.

“Anche domani.”

“...Ottimo.”

I due si alzarono e si strinsero la mano con rispetto l'uno dell'altro.

“Salutami Rouge.”

“Senz'altro... capo.”

A Shadow faceva strano, a dire il vero, poter richiamare qualcuno con quella parola. Chiamare lui con quella parola.

Forse c'era qualcosa che nove anni avevano sbiadito, che non erano le regole o il rigido orario di lavoro: la fiducia verso il comandante e la sua autorità.



L'aria fresca del tardo pomeriggio faceva ondeggiare dolcemente i capelli delle ragazze e i loro vestitini neri.

Il sole splendeva caloroso senza trovare nuvole che lo ostacolassero, ma il vento provocava brividi quando si imbatteva negli spazi di pelle che i vestiti non coprivano.

Che bella giornata.

Perfetta per i bambini che giocano fuori casa, col pallone, in un campo di sabbia e sporco, ma comunque sono felici, anche se ritornano a casa con strati di polvere sui pantaloncini e le ginocchia sbucciate. E lo rifarebbero ancora e ancora.

Di certo, non era una giornata da funerale.

Eppure, su un'isolata collina in Green Hill, tra l'erba che cresceva alta e rigogliosa, alcune persone decorosamente scure piangevano silenziose e pregavano immobili.

Queste persone erano, ovviamente, Blaze, Shadow e Rouge. A loro, più tardi, si erano poi uniti Knuckles, Mina, Talis, Cream e sua madre e, inaspettatamente, anche il Team Chaotix al completo.

“Amy era una cara amica.” fu tutto quello che disse Espio, fissando la foto sulla lapide della riccia rosa. Vector e Charmy giurarono, sottovoce, di aver visto Espio piangere, prima.

Non era stato facile neanche per lui. Tra i tre, era quello che era rimasto più in contatto con la riccia nel corso del tempo. Ricevette un duro colpo quando apprese della morte della ragazza.

Cream, appena vide Blaze, le saltò al collo ed iniziò a farfugliare quanto era felice di vederla, soprattutto in un momento del genere, e di quanto avesse bisogno di una figura così forte e consolatrice, ma quelle parole si confondevano tra i singhiozzi e le lacrime.

Perdere Amy è stato come perdere la sua sorella maggiore.

Con la vecchia coniglia, la situazione non era migliore.

Vanilla, sull'orlo di un crollo emotivo, forzò un sorriso alla giovane gatta, mentre la guardava con gli occhi già arrossati, ad un passo dal piangere.

Con un filo di voce aveva salutato la gatta lilla dicendo un semplice e gentile “Ciao cara, piacere di rivederti” e poi non fu più capace di dire altro per il resto della giornata, nemmeno per consolare la figlioletta, cosa insolita per la calorosa madre.

Dopotutto, Vanilla era una figura materna per Amy. Per la madre di Cream è stato uno shock ricevere la notizia, ed un dolore immenso assimilarla. Era come se le fosse morta una figlia, tanto la conosceva e tanto se ne era presa cura.

Prima di essere in grado di consolare la coniglietta, doveva cercare di consolare sé stessa, ma le era troppo difficile. Fortunatamente, Cream capiva la sua vecchia, ed è per questo che era subito saltata in braccio a Blaze, in cerca di conforto. Qualcuno doveva pur darlo.

La piccola coniglia si era alzata parecchio, notò la gatta. I suoi graziosi ciuffetti si erano allungati e arricciati adorabilmente. I suoi enormi occhi nocciola erano rimasti vivi e dolci, nonostante le lacrime.

Anche Mina abbracciò forte la giovane gatta appena la vide.

“Blaze...” l'aveva salutata, con la voce rotta, tirando sul col naso.

Tails, dietro la sua ragazza, aveva salutato la regina gatto con un accenno di mano ed un debole sorriso.

“Avrei voluto rincontrarti in un momento migliore.” confessò il volpino alla gatta “Noi quattro; Sonic, io, te e Marine, possibilmente, a ridere davanti ad un aperitivo.”

A proposito del riccio blu, Shadow e Rouge si erano preoccupati di spedire un biglietto al re Sonic e alla consorte Sally, ma nessuno si presentò.

Tails spiegò a Blaze che la famiglia reale era all'estero per affari burocratici, e che le lettere di vario genere venivano controllate dai segretari e probabilmente quel poco gioioso invito era già stato buttato via a priori. Peccato.

La signora di Knuckles, Julie-Su, era partita con l'amica Sally, per questo l'echidna rosso era arrivato da solo.

E così, erano tutti attorno alla tomba della povera Amy Rose, mentre il prete finiva la benedizione e il coro intonava i canti funebri.

Ogni tanto, Rouge si asciugava gli occhi col fazzoletto di seta bianco che stringeva in pugno, mentre Knuckles, in un gesto premuroso e consolatorio, le circondava le spalle col suo possente braccio, protettivo.

Shadow, ogni tanto, lanciava occhiate alla sua ragazza, accanto a lui, e osservava ogni minimo cambiamento d'umore. Però, l'espressione della giovane donna rimase immutabile: triste, fredda, distaccata. Il riccio ammirava il suo autocontrollo, quando questo non esplodeva in un omicidio di massa.

Alla fine della cerimonia, il prete si congedò insieme al coro, facendo le sue condoglianze.

Era il tempo per gli addii.

Vector, che rappresentava il Team Chaotix, e Shadow, che rappresentava il Team Dark e Blaze, si avvicinarono per posare accanto alla tomba i fiori per Amy, delle bellissime rose rosse da una parte, e delle profumatissime primule dall'altra. Cream volle metterci anche una ghirlanda di margherite, come quelle che faceva una volta con la riccia rosa, mentre Vanilla aveva preparato un bouquet di mimose. Anche Knuckles, vicino a tutti quelli degli altri, aveva posato un mazzetto di stupendi tulipani rossi e gialli; alcuni erano già sbocciati, altri erano ancora raccolti in un adorabile bocciolo.

Tails non aveva portato fiori, ma si era scritto un memoriale da recitare. Una volta ottenuta l'attenzione dei presenti, iniziò:

“Oggi siamo qui per salutare Amy Rose, e per cui abbiamo molto da ringraziare.

Non solo per il suo eccellente lavoro, non solo per quello che ha dato come poliziotta, ma soprattutto quello che ci ha dato come persona, come amica.

Amy era una ragazza gioiosa, positiva, e testarda.”

Ogni tanto, Tails si fermava e sorrideva al pensiero della cara amica.

“Era molto amorevole. Amava chi le stava intorno e tutti amavano lei. E credo che sia questo che la contraddistingueva: l'amore. Dava calore a chi glielo chiedeva e non.

Quello che voglio dire è : grazie per essere qui, a darle tutto questo calore, perché questa è una prova d'amore. E voglio anche ringraziare Amy per la bellissima avventura.

Non so se là sopra ci sia davvero un paradiso, non so se Amy ci credesse, ma se un Padre Eterno esistesse davvero, se un cielo eterno esistesse sul serio, sono sicuro che lei sarebbe lì, e le lo auguro con tutto il cuore, perché se lo merita davvero.

Grazie per l'ascolto.”

“Amen.” risposero tutti, prima di applaudire pacatamente.

E stettero lì per quasi tutto il pomeriggio, a intessere preghiere mentre la voce di Mina accompagnava la melodia del vento.


Quando una stella muore,

che brucia ma non vuole,

un bacio e se ne va,

l'Universo se ne accorgerà.”



Si sentì un fischio lontano: il treno per Blaze stava arrivando.

La gatta inspirò a fondo e chiuse gli occhi, godendosi quella fresca brezza e tiepido sole del tardo pomeriggio che dolcemente le passavano sul viso. Aprì le braccia, come se volesse afferrare più vento possibile.

Entro pochi minuti sarebbe tornata a fare la passeggera su uno scuro vagone di legno e, sinceramente, voleva godersi l'aria aperta finché poteva.

Lei sorrideva serena e non diceva niente. Shadow la guardava nervoso, a braccia conserte, anche lui senza dire una parola. Al contrario della micia, non era per niente in pace con sé stesso.

L'unica cosa che lo calmava era l'angelica vista della sua ragazza mentre si abbandonava al vento.

Il suo sorriso raro e splendente, il suo pelo che ondulava armonioso, i suoi capelli vaporosi...

Piccoli particolari di un'immagine che somigliava ad un'opera d'arte, purtroppo destinata presto a finire.

Lei lo tranquillizzava, mentre dentro di sé si continuava a chiedere perché non potesse andare con lei.

Cosa lo fermava dal saltare sul suo stesso treno, destinazione: paradiso?

Cosa c'era di più importante di lei, per dover restare? Forse nulla, anzi, probabilmente nulla.

Ma doveva restare.

Finalmente Blaze aprì gli occhi e guardò il suo ragazzo: in quel momento, si accorse dello sguardo tormentato del riccio.

Si avvicinò a lui.

“Shadow?” chiamò, e lui la guardò negli occhi dorati.

Lui aprì la bocca più volte, cercando di dire qualcosa, ma alla fine si arrese. In risposta, le prese la mano e la baciò.

“Non voglio che tu te ne vada.” le confessò alla fine. La gatta, percependo la pura tristezza nella voce del riccio, estese il suo sorriso, dolcissimo.

Con un palmo gli prese la guancia.

“Questo non è un addio, Shadow.” disse lei, cercando di rasserenarlo. E di fatto, non era una bugia.

“E soprattutto, non è la fine. Guardalo come un nuovo inizio.” ed avvicinò le sua labbra a quelle del riccio, ma non le toccò; si fermò a qualche millimetro.

“La nostra storia continuerà, se lo vogliamo. Ti danno fastidio le distanze, Shadow?” continuò la gatta, sussurrando al riccio, il quale sorrise.

“Mi danno fastidio questi centimetri, figuriamoci due mondi.” rispose lui, sempre in un sussurro, e chiuse lo spazio tra le sue e le labbra della micia lilla. Blaze si staccò ridacchiando dopo alcuni secondi.

Rizzò le orecchie in direzione delle rotaie: il suo treno si stava avvicinando, lo sentiva. E nemmeno Shadow era sordo.

“Quello che ti voglio dire è che... ti amo, Blaze the cat.” disse lui, riconoscendo ormai che il tempo era agli sgoccioli.

“Anche io, Shadow the hedgehog!” e detto questo, i due si unirono in un appassionato, bacio finale.

Pochi metri più in là, Rouge guardava intenerita e commossa la scena dei due amanti, mentre si stringevano tra le verdi colline, con il vento che soffiava tra i loro corpi e che faceva ondulare vestiti e capelli.

N.A: Ci ho messo trecento anni per 'sta roba MAMMA MIA!

Eh, già. Sono tornata! Sono viva!

La storia si sta volgendo al termine, anzi, è già finita.
Tuttavia, c'è ancora un ultimo capitolo che mi piace chiamare BONUS.
Non vi spoilero niente, alla prossima! (sperando che non ci metta troppo)
P.S: le ultime quattro righe della parte del funerale fanno parte della canzone di Giorgia, "Quando una stella muore" (scusa Gab, citazione necessaria ;) )

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Capitolo 21
*** BONUS ***


UN ANNO DOPO


Respirò più profondamente, per svegliarsi. Mina aprì gli occhi e l'oscurità l'avvolse.

Ci vollero solo pochi attimi per realizzare di essere sdraiata nel suo caldo letto, sotto le avvolgenti coperte di lana.

Si mise a sedere e dedusse, dall'oscurità che l'accerchiava, di essersi svegliata nel cuore della notte. Di nuovo.

Le succedeva ancora troppo spesso, nonostante fosse già passato un anno dalla sua stressante avventura. Il dottore le aveva comunque detto di non preoccuparsi, “cose come queste si risolvono col tempo e gran pazienza”.

La donna sospirò. Adocchiò suo marito accanto a lei, il quale dormiva pacifico.

Mina sorrise teneramente a Tails, ammettendo allo stesso tempo di essere un po' gelosa di quella abilità della volpe di dormire senza problemi.

Non che Mina soffrisse di insonnia: riusciva a dormire qualche ore la notte, e sonnecchiava durante la giornata, per rimediare alle ore perse. Tuttavia, svegliarsi nel cuore della notte e non riuscirsi ad addormentare la faceva sentire, in qualche modo, incompleta.

Soprattutto quanto alle tre di notte la casa è fredda, tutti dormono e il mondo attorno è buio e pieno di ombre. Questo faceva sentire Mina completamente sola, e non in maniera confortevole. Anzi, le venivano i brividi.

Non vedeva l'ora che la sveglia rossa di Tails squillasse al rintocco delle sei. Dopodiché, suo marito avrebbe tirato un bel pugno alla sua stessa creazione per farla smettere, e poi si sarebbe alzato. Di colpo, Mina non si sarebbe più sentita sola e il giorno sarebbe iniziato al meglio.

Purtroppo non erano nemmeno le quattro del mattino, ma Mina sapeva già dove voleva andare e cosa voleva fare per far passare il resto della notte.

Molto lentamente, scoprì le sue gambe dalle lenzuola del letto e si mise a sedere sul bordo.

Il freddo della stanza contrastava fortemente con il calore delle coperte, e Mina, che era ricoperta da una leggera vestaglia da notte, si sentì rabbrividire la pelliccia.

Nonostante ciò, non ritornò sotto le coperte come avrebbero fatto tutti gli altri, ma si infilò le pantofole color neve e si alzò, per dirigersi verso la porta, e poi fuori dalla camera da letto.

Strizzò un paio di volte gli occhi, per abituarsi al nero della notte, poi, con passo dondolante, si incamminò lentamente verso la fine del corridoio.

Mise un piede davanti all'altro dolcemente, leggermente, in modo da non far scricchiolare troppo le assi del pavimento.

Non voleva svegliare nessuno, e comunque preferiva cento volte il silenzio tombale dell'abitazione che quel fastidioso rumore di legno secco scrocchiante.

Lentamente, era arrivata a destinazione. Sorrise, mentre faceva scattare la maniglia dorata della porta alla sua destra, alla fine del corridoio.

L'aprì piano, cauta, entrò e richiuse subito dopo. Si avvicinò al centro della stanza con passo felpato, verso la candida culla della nuova arrivata in famiglia, una piccola mangusta gialla e viola di cinque giorni che dormiva beata.

Eh sì; era Melody, la figliuola di Mina e Tails, tanto amata e tanto attesa.

Era il ritratto di Mina, dicevano in molti, se non tutti. Infatti non avevano tutti i torti: il manto giallo l'aveva ereditato tutto dalla madre, persino gli occhi verde smeraldo erano uguali a quelli di Mina.

I capelli, doveva ammettere, erano di una tonalità più scura di viola rispetto a quelli della madre mangusta, e sicuramente erano lisci e compatti, al contrario dei capelli arruffati, ricci e ribelli della donna in gioventù.

Ma il musetto... così candido e zuccherino, proprio come quello di Tails, non c'era dubbio!

Mina si sporse sulla culla, per ammirare con dolcezza sua figlia. Melody si agitò un po' troppo nel sonno. Allarmata, Mina estese la sua mano verso la neonata.

“Ehy, tesoro.” sussurrò con tenerezza la madre, accarezzando con delicatezza la piccola guancia della cucciola, la quale, rassicurata, smise di agitarsi e ritornò calma.

Piccola, dolce creatura.

Mina non riusciva ad evitare di pensare al passato con i “se”:

e se Blaze non si fosse presentata, o se i trafficanti l'avessero fatta franca?

Mina sarebbe ancora intrappolata da qualche parte, o schiava in qualche palazzo di quella città fantasma. Sarebbe stata ben lontana dallo sposare Tails e rivedere i suoi amici. Non sarebbe nata Melody, la vera stella dei suoi occhi.

Non sarebbe in una casa amica, con una famiglia e una bella vita.

E se fosse addirittura morta? Oh, non ci voleva nemmeno pensare.

Non voleva nemmeno pensare al fatto che--

Stava ancora accarezzando e osservando la sua piccola con tenerezza, quando ella iniziò di nuovo ad agitarsi un po' troppo, destando Mina dai suoi pensieri. Questa volta, la cantante prese in braccio la figlia e la cullò dolcemente.

“Shhh shhh” sussurrava la giovane madre, coccolando la cucciola per tranquillizzarla.

E in quel momento, come era già successo, iniziò a parlare alla sua bambina con adorazione:

“Mamma è qui, amore mio. Mamma ti vuole bene; e anche papà, le tue zie, i tuoi zii...” sussurrò lentamente al suo piccolo miracolo, mentre gli occhi si riempirono di lacrime e commozione. La voce le tremava un poco. Essere lì con lei... era una sensazione al quale non si sarebbe mai abituata. Era un sentimento puro, felice e grato. Averla stretta al suo petto le scaldava il cuore come nessun altro aveva mai fatto.

E tutto quello a cui pensava era di proteggerla, e soprattutto di farle capire quanto era amata.

Non sarebbe passato giorno in cui non le avrebbe detto quanto ci tenesse a lei.

“E io ti prometto, piccola mia, che non ti lascerò mai. Nessuno ci separerà, tesoro.” concluse con un largo sorriso la madre mangusta, quasi come se volesse rassicurare la figliuola, e le diede un caloroso bacio sulla fronte.

La bimba, come se avesse capito le dolci parole della mamma, si era già calmata e stava dormendo profondamente, rannicchiata al seno della mangusta cantante.

E la notte si concluse con Mina che canticchiava le calde note di una melodiosa ninna nanna alla sua bambina, mentre quest'ultima veniva cullata nelle amorevoli braccia della madre.



Sei e mezza.

Ora di alzarsi ed iniziare a prepararsi per andare a lavoro.

Joe si era appena svegliato grazie al suono della vecchia sveglia sul comodino, la quale segnava chiaramente l'ora con caratteri cubici e di colore rosso acceso.

Respirò profondamente e piano piano aprì gli occhi; senza troppo stupore, notò che le persiane era sollevate a metà, e la tenue luce della prima mattina gli accarezzava la faccia dolcemente. Dovette comunque aspettare qualche secondo affinché i suoi occhi si abituassero alla luminosità della stanza. Poi riuscì a tener aperte le palpebre.

Si stiracchiò, poi si tolse le coperte di dosso e con estrema lentezza si mise a sedere ai bordi del letto.

Si guardò un po' attorno, nella sua nuova camera. Non era nulla di ché, a dire il vero:

le pareti erano di sicuro di un bel verde smeraldo una volta, ma adesso, il colore era sbiadito o rovinato in quasi tutte le parti dei muri. Joe lo guardò bene, e decise sul momento cosa avrebbe fatto nel suo giorno libero.

Il soffitto era di un bel azzurrino chiaro, come un cielo sereno.

Almeno il parquet di legno era ancora in buone condizioni.

Anche l'arredo della camera era piuttosto carente: solo il gigantesco letto matrimoniale che occupava una buona porzione di quella piccola stanza, lo spazioso armadio di fronte al letto della ex guardia e due comodini, uno a destra e l'altro a sinistra della cuccetta dove dormiva Joe.

Non un granché insomma, ma era plausibile: dopotutto, si era trasferito in quel piccolo appartamento solo da una settimana, con la sua sposa fresca fresca di matrimonio.

Proprio così, Joe si era appena sposato...

E proprio in quel momento, sulla soglia della porta, apparve la sua consorte, Annie, con un sorriso splendente.

Joe si girò per ammirare la giovane donna: i suoi capelli giallo dorati erano raccolti in una grande cipolla sulla sua testa ed indossava una camicia azzurra a righe di suo marito, visibilmente troppo grande e larga per lei.

Joe non capiva come lei facesse ad alzarsi così presto, addirittura prima di lui, senza l'ausilio della sveglia.

Dalla cucina arrivava un buon odorino di toast cotto.

Annie deve aver fatto la colazione. Pensò contento il ragazzo.

“Buongiorno cara.” la salutò con un ampio sorriso.

Lei non rispose subito; si avvicinò al letto, ci salì e gattonò da suo marito per abbracciarlo da dietro.

Poi gli diede un bacio sulla guancia e solo allora rispose al saluto: “'Giorno amore!”


Un anno prima, quando vennero liberati da Blaze, i due si diressero subito alla casa dei genitori di lei, brave ed umili persone seriamente preoccupate per la loro bambina, la quale era sparita senza lasciare tracce. Loro non sapevano che la loro piccola Annie era stata scelta come infiltrata; sarebbero stati troppo in pena.

E così, dopo settimane che non la vedevano, appena se la trovarono davanti le si gettarono addosso, abbracciandola e baciandola, e piangendo felici.

E si ritrovarono anche lui, Joe. La madre di Annie lo guardava confusa, mentre il padre lo squadrava con sospetto.

Annie raccontò tutta la storia e spiegò senza tralasciare nulla su chi fosse il suo ragazzo.

Quando i due signori appresero che Joe era una delle guardie, non mancarono di guardarlo con paura e rabbia, ma quando la ragazza spiegò che lei era sana e salva grazie a lui, e sempre grazie a lui era riuscita a scappare da quell'inferno, allora lo guardarono come se fosse il messia. Specialmente la madre, la quale decise subito di accogliere il ragazzo.

Sua padre era di certo grato a Joe, ma ci impiegò un sacco di tempo prima di fidarsi di lui.

Di sicura la ex guardia aveva bisogno di un nuovo lavoro per guadagnare di che vivere, e il padre fu molto gentile ad assicurargli un posto nell'edilizia, dove lavorava anche lui.

Certo, doveva ammetterlo, era molto più faticoso del lavoro precedente e di certo guadagnava un botto di meno, ma se era questo l'inizio per una vita normale, era disposto ad affrontarlo. Poi, però, ha preferito seguire la sua vocazione, ovvero il meccanico; uno dei lavoretti che faceva nel traffico, era proprio quello.

Ma a quel punto, il padre di Annie e Joe avevano stretto amicizia ed avevano un rapporto di fiducia, tanto che il vecchio signore concesse il matrimonio tra i due giovani, se volevano, ma solo dopo i diciotto anni della figlia.

E così, nel giorno del suo diciottesimo compleanno, Annie aveva potuto sfoggiare il suo bel vestito bianco e sposare Joe.


“Quindi” disse Joe ad un certo punto, abbracciando le spalle della moglie “Oggi vai dal dottore?”

La donna annuì.

“Per te cosa sarà? Secondo me è un maschietto!” cinguettò la ragazza.

“Neanche per sogno!” rispose lui, ridacchiando e abbracciandola in vita.

“Sono sicuro sarà una femminuccia!”

“Quindi hai già dei nomi?” chiese lei con un sorriso.

“Mmh...” ci pensò su lui, sedendosi dritto “Ho alcuni nomi in mente tra cui scegliere: per esempio quello di mia madre, mia madre aveva un nome bellissimo si chiamava--”

“A me piacerebbe Angel.” lo interruppe lei, con un filo di voce, tenendo lo sguardo basso.

Joe si fermò di colpo. L'atmosfera si fece tesa e densa, contrastando con la piacevole luce della camera; il ragazzo sapeva che pronunciando quel nome si stava entrando in un territorio piuttosto delicato.

Angel. La bellissima echidna bianca dagli occhi di ghiaccio.

Così dura, fredda e sfuggente, nessuno si aspettava fosse anche così fragile.

Chissà cosa stesse pensando quando prese la sua ultima, grande decisione.

Chissà cosa si fosse rotto dentro di lei. Di certo non sapeva come riaggiustarlo, dato che aveva scelto la tangenziale come punto di non ritorno.

Un incidente. Angel aveva perso il controllo della sua macchina e aveva sbandato nell'altra corsia, andando a fare un mortale frontale con un camion che non era riuscito ad evitarla. Almeno non aveva sofferto, aveva detto il medico legale, il quale parlava di una morte sul colpo.

Un tragico incide. Almeno si credeva all'inizio.

La polizia aveva deciso di fare alcune indagini, e a casa dell'echidna avevano trovato tre lettere:

la prima era aperta sul tavolo, in bella vista, per essere letta da chiunque la trovasse.

Non c'era scritto nulla di ché, a dire il vero: la confessione del suo suicidio e il testamento, che era la parte più interessante; si trattava di consegnare due lettere, una a Annie the hedgehog, e l'altra a Blaze the cat. Purtroppo, non fu mai possibile consegnare la seconda.

Per Annie è stata una tragedia: già stava male pensando che fosse stato un'incidente, immaginatevi quando scoprì che era stato intenzionale.

Era la sua migliore amica, e non ne sapeva niente; non sapeva della sua profonda depressione, non sapeva dei farmaci, dello psicologo, non aveva idea della torture fisiche e psicologiche alla quale era stata sottoposta, quella dannata notte, e di quanto esse fossero entrambe penetrare nella sua pelle e nella sua mente, senza darle tregua. Ma soprattutto, non immaginava che non avrebbe mai superato tutto questo.

Annie non riusciva a darsi pace: temeva di non aver fatto abbastanza.

Per non parlare di come chiedeva di Blaze. Dio, dov'era Blaze?! Perché non si era fatta viva, perché non aveva ricevuto la lettera? Perché non era lì, con Annie, perché non ha dato a Angel, la quale si era addirittura disturbata a scrivere una lettera tutta per lei, il suo ultimo saluto??

Che cosa ci fosse scritto su quella lettera, poi, non le era mai stato detto. Cosa aveva da dirle Angel? Purtroppo non fu mai possibile a Annie leggere quella lettere, nemmeno a Joe.

Forse avrebbe potuto impedirlo, o forse no, Joe non ne è mai stato sicuro. C'era troppa psicologia dietro, e lui sapeva che a questo punto si sarebbe solo pianto sul latte versato.

L'unica cosa che sapeva, e che voleva assicurarsi, era di non permettere pensieri simili a quelli di Angel di nascere nella testa di Annie, perché alla fine, non era poi così scontato che non accadesse.


Annie attorcigliava alcune ciocche attorno al dito in un movimento veloce e nervoso.

“Mi manca.” disse lei poco dopo, quasi in sovrappensiero, mentre osservava assente fuori dalla finestra. Joe si limitò a guardarla e a sforzare un sorriso. La baciò in fronte.

“Lo so.” sussurrò.

Annie si riprese, e le sue labbra si curvarono in un lieve sorriso.

“Quindi...” iniziò lei, con voce più squillante “Come si chiama tua madre?”

Gli occhi erano tornati a brillare e Joe poté constatare con sollievo che si era di nuovo ripresa. Avrebbe fatto di tutto per mantenerla felice, ad ogni costo.

“Non importa” ridacchiò lui “Angel è molto più bello!”



Dieci e trenta.


Riesci a sentire tutte quelle persone là fuori?

Respira.

Il buio della piccola sala le infondeva calma, il silenzio della solitudine la rilassava.

Non sarebbe durato molto, e per questo doveva concentrarsi al massimo.

Chiuse gli occhi ed inspirò.

1...2...3...respira.

Le porte si aprirono. La giovane donna venne travolta dai raggi caldi e brillanti del sole mattutino di prima estate e rapita dai numerosi flash bianchi delle macchine fotografiche.

Aprì gli occhi e si ritrovò quasi abbagliata.

“Gentili signore e gentili signori!” salutò col microfono in mano l'ex-sindaco, un tricheco panciuto sulla sessantina, vestito particolarmente elegante.

“Rivolgiamo un caloroso saluto al nuovo sindaco, Coral the betta!”

Gli applausi partirono in automatico.

Coral, la giovane pesciolina arancione, fece alcuni passi verso il pubblico emanando la sua gentile eleganza. I suoi tacchi neri si fermarono solo ad alcuni passi dalla folla, mentre si lasciava fotografare dalla cima ai piedi. Con quella gonnella verde e una professionale camicetta nera, sembrava già essere la prima cittadina perfetta, un sindaco esperto, che portava, sopra le spalle, una giacchetta verde che combaciava con la gonna.

Le sue perle luccicavano al bagliore dei flash, dandole quell'effetto di luce come se fosse appena scesa da una stella. Anzi, come se proprio lei fosse una stella.

E in un certo senso, in quella giornata speciale, lo era.

Con uno splendente sorriso sul suo angelico viso, salutò gli spettatori con la sua tipica dolcezza.

Seduti in prima fila c'erano i suoi familiari che le lanciavano baci con la mano, pieni di gioia.

All'estrema sinistra, però, non c'erano dei familiari: c'erano due posti riservati per due persone importanti nella sua vita.

Una era lì, e Coral la guardò con allegria e delizia.

Sulla sua sedia sedeva Mina; bellissima e radiante, con il suo sgargiante vestitino rosso, sorrideva di rimando al nuovo sindaco. Sulle ginocchia teneva la sua neonata, la quale stava beatamente dormendo. La giovane mangusta gialla lanciò, anche lei, un amorevole bacio con la mano, e le fece un occhiolino quasi accattivante. Rivederla faceva battere il cuore forte a Coral.

E poi guardò l'altro posto prenotato e lo trovò vuoto, intoccato, con la scritta “Riservato” ancora attaccata allo schienale.

Si trattenne dall'emanare un sospiro desolato: lei non era lì.

Cercava di auto convincersi che fosse solo in ritardo, tuttavia trovò ben difficile crederlo.

Solo Mina sembrò percepire il disagio dell'amica. Notò che stava osservando la sedia a fianco.

La giovane cantate osservò attentamente la postazione riservata, pensando, e ciò non passò inosservato a Coral. In qualche modo aveva ancora un barlume di speranza.

Ma quando Mina si girò verso di lei e la guardò negli occhi scrollando le spalle e negando con il movimento della testa, allora capì che sperare era stato inutile.

Se persino Mina non sapeva, allora voleva dire che non c'era.

Fu un colpo duro per Coral da mandare giù.

Lei non era venuta nemmeno per questo, uno dei giorni più importanti della vita della pesciolina, un giorno che sarebbe dovuto essere anche uno dei giorni più felici della sua vita.

Come poteva non importarle?? Come poteva non venire??

Dio, dov'era Blaze?

Salvatrice, compagna, amica! Coral stava dedicando tutti i suoi successi a lei! E lei non c'era.

Da quando Blaze l'aveva salutata al funerale della riccia rosa, non l'aveva più rivista, ed era una cosa che la stava distruggendo.

Perché la ignorava? Perché non le rispondeva, quando le scriveva?? Chiamarla era impossibile, per qualche ignoto motivo.

Coral aveva aspettato quel giorno con impazienza, spendendo al meglio il suo tempo per rendere tutto perfetto. E' così che sarebbe dovuto essere, quel giorno: perfetto.

Ma tutte le candeline delle sue speranze sembravano spegnersi una dopo l'altra solo per la mancanza di un elemento. Devastante quanto un solo elemento possa fare la differenza.

Ne basta uno solo per spegnere le candele. Senza ossigeno, le fiamme perdono la vita, si spengono, e rimane tutto vuoto, e soprattutto freddo.

Freddo come dentro il cuore di Coral in quell'esatto momento.

Freddo come il sudore che colava dalla fronte del nuovo sindaco, ferma a guardare una seggiola vuota, con occhi assenti e nuvolosi.

La giovane donna stava impiegando tutte le sue forze per mantenere quel sorriso radiante, ma finto, fatto di plastica.

Doveva solo sorvolare sull'assenza dalla gatta lilla. Come se fosse possibile.

Blaze, sin da quando l'aveva incontrata, era stata la sua colonna portante, anche se non la conosceva. Si era sempre fidata di lei, si reggeva su di lei, aveva sperato grazie a lei. Coral era lì, viva e a casa, grazie a lei.

Blaze era la sua luce nelle notti buie e insonni nel treno degli orrori. La gatta aveva saputo far vedere in Coral tutte le qualità che adesso, da giovane adulta, la distingueva in tutta la città.

Blaze aveva saputo infonderle il coraggio. Aveva saputo insegnarle la vera forza.

E adesso, solo a ripensarci, a Coral sembrava un ricordo troppo lontano, quasi un sogno.

Avrebbe tanto voluto ripiegarsi nel passato, qualche volta.

Guardò Mina, che con il suo sguardo premuroso poggiava gli occhi un po' sulla sua bambina e un po' alla dolorante pesciolina.

Grazie a Dio c'era Mina. A parere di Coral,non poteva trovare amica migliore della mangusta gialla. Era un angelo dai capelli viola, onestamente. Sin da quando quella brutta avventura era stata conclusa, solo la bellissima cantante era rimasta al fianco del nuovo sindaco. Era quella bomba d'aria fresca che risvegliava le candele di colpo.

Coral si rese conto che Mina era tutto quella di cui aveva bisogno: la persona che ti completa, ma non lo sa.

Si destò dai suoi pensieri solo quando la folla, entusiasta, le chiese a gran voce il discorso.

Radunò alla svelta le idee e si avvicinò al microfono.

Salutò e ringraziò i cittadini, prima di tutto.

E poi si mise a parlare di quanto fosse importante per lei la città, di quanto le stessero a cuore i suoi cittadini e soprattutto tutto quello che avrebbe fatto per onorare la sua carica.

Sì, insomma, discorsi da sindaco, che non starò qui a spiegare.

Comunque andò tutto bene, e quando finì di parlare, Coral venne accolta dagli applausi della gente.

Il frastuono le fece quasi dimenticare la mancanza di Blaze e la tristezza a riguardo. Quasi.



Ore undici e trenta.


“Chi l'avrebbe mai detto!” sbuffò, estasiata, cercando di stare al passo con il collega.

Shadow procedeva a passi lunghi e veloci, intento a fissare attentamente una fotografia che teneva in mano, sorridendo.

Deliziose notizie erano giunte da...Blaze.

Rouge, con un aggraziato colpo d'ali, si alzò in volo e si mise a sedere sulle possenti e larghe spalle del silenzioso collega di metallo, Omega. Rouge era così contenta quando lo avevano riattivato che avrebbe voluto piangere. Anche Shadow fu contento di rivedere il loro vecchio amico.


I sotterranei erano freddi e scuri. Le pareti ed il soffitto erano stai divorati dalla muffa e il pavimento ricoperto dalla polvere, tanto che non si riusciva quasi più a distinguere le piastrelle nere da quelle bianche.

Dopo tanti anni, l'ascensore suonò la sua tipica campanella, e si aprì.

“Come è stato scritto nel contratto” disse un agente uscendo dall'ascensore e seguito a ruota da altri due “Abbiamo il permesso di riattivare Omega.”

Shadow e Rouge annuirono e i tre camminarono fino in fondo a quell'enorme stanza. Poggiato ad una parete, Omega giaceva inattivo. Alcuni sue parti mancavano, tipo un braccio metallico, e il torace era stato rigato. Probabilmente erano i risultati dell'attacco al robot, dieci anni prima; Omega aveva tentato con tutte le forze di difendersi, ma alla fine la G.U.N. aveva prevalso su di lui. Poco male, comunque, avrebbero potuto sistemarlo comodamente anche dopo.

Il ragazzo che li aveva guidati, però, aveva assicurato ai due nuovi membri che le sue condizioni interne non erano state danneggiate.

Shadow e Rouge non attesero nemmeno che il loro accompagnatore riaccendesse la macchina: si gettarono sui suoi circuiti elettrici e, dopo sequenze di tasti e ricongiungimenti di fili, erano riusciti a sistemare Omega. La base per il suo funzionamento era stata impostata.

Di colpo, gli occhi del robot si accesero, emanando le sue tipiche luci rosse a laser.

Shadow e Rouge non dovettero fare altro che compiere qualche passo indietro. Ammirarono come il loro vecchio amico si stava risvegliando, e sorrisero compiaciuti.

La testa di Omega scattò, e si guardò attorno. Curioso come un robot potesse sembrare confuso.

Lentamente si alzò e scannerizzò le due figure davanti a lui.

Shadow the Hedgehog?...Rouge the Bat?...” chiese. Shadow sorrise all'amico ed annuì. Rouge lo guardò con tenerezza. Dio, quanto le era mancato tutto questo. La donna si avvicinò alla macchina, sorridente, e gli mise le mani sul petto metallico, come per assicurarsi che tutto questo fosse reale. Omega non fece niente, la lasciò fare. Poi Rouge lo abbracciò, accogliente.

“Bentornato, Omega.”



Rouge si fece trasportare da Omega, più veloce e meno stanco di lei.

“Tu! Padre!” cinguettò incredula “Che cosa ne pensi Omega?” chiese al robot, spensieratamente.

Omega fece del suo meglio per alzare le sue spalle metalliche.

Io credo che Shadow saprà essere un ottimo padre. Lui è la creatura perfetta, dopotutto.” rispose onesto con la sua tipica vociona robotica.

Shadow sorrise ancora di più.

E Blaze un'ottima madre.” continuò la macchina “La vostra creatura sarà meravigliosa.” aggiunse.

“Come siamo positivi!” commentò scherzosamente la pipistrella bianca, dando gentili buffetti al robot.

“Avete già pensato ad un nome?” chiese la donna.

“Calmati Rouge.” la frenò il riccio nero “Io stesso sto ancora assimilando la notizia.”

“E' un no?”

“Già.” Shadow si mise a giocare con l'anello dorato al suo anulare.

“...Forse dovremmo dirlo...?” iniziò Rouge, e Shadow la guardò perplesso. La donna sospirò forte.

“A Annie. A Joe. A Coral.” iniziò lei.

Sapeva che loro non l'avevano più vista dal funerale di Amy.


New Mobius Big City.

Che nome con le palle, si può dire.

Dopo la morte della riccia rosa, e dopo l'ingresso del Team Dark nella G.U.N., l'agenzia in questione aveva iniziato a fare profonde ed accurate ricerche sulla famosa città fantasma.

Nient'altro era che una città non dichiarata perché costruita illegalmente.

La situazione delle schiave e del traffico sessuale non era così grave come si era pensato: la maggior parte di esse, dopo un periodo di alcuni anni, venivano trasformate in cittadine a tutti gli effetti, ma ad alcune condizioni; mai lasciare la città, mai parlare con qualcuno fuori della città. E così, si sono abituate a vivere in quella bellissima prigione incantata. Le infermiere che hanno accudito ( per quel che potevano) Amy, quando l'aveva vista per la prima volta, l'avevano riconosciuta subito come una di loro, accogliendola così senza troppe domande.

Quel gentile signore al quale Blaze, Mina e Coral avevano chiesto informazioni era, in realtà, uno dei fondatori: architetto illustre, aveva perso tutto quello che aveva per il suo vizio di bere, facendosi anche lasciare dalla moglie. Disintossicato, ma senza più nulla, aveva accettato di collaborare alla creazione della più illustre città mai progettata: NMBC. Una città dai sistemi perfetti, e dopo aver preso la sua danarosa pensione, il vecchio aveva deciso di passare il resto dei suoi anni nella pace di quella misteriosa metropoli.

Dopo una confessione del genere, venne arrestato insieme a tutti quelli coinvolti, e le ragazze vennero finalmente riportate a casa, anche se sembravano molto incerte, come se non fossero sicure di volerlo davvero.

Rouge aveva finalmente potuto mettere la parola “fine” al rapporto che doveva compilare.

Shadow e Rouge, insieme al Comandante, avevano raggiunto un accordo: Blaze aveva commesso un crimine e avrebbe dovuto essere condannata con l'accusa di pluriomicidio. Tuttavia, il risultato delle sue gesta -se possiamo chiamarle così- ha portato alla risoluzione di un caso durato fin troppo a lungo, e ha riportato a casa tante, tante vittime. Sarebbe stato ovvio che, se l'avessero imprigionata, si sarebbero incattiviti le stesse vittime e i parenti.

Il Comandante aveva deciso di evitare un simile scenario, almeno per il momento.

Blaze se ne sarebbe tornata nella sua dimensione con la fedina penale pulita come l'aveva lasciata nel suo mondo, ma non avrebbe più dovuto rimettere piede a Mobius, pena le sbarre a vita.

Doveva sparire come era arrivata: nel nulla, e senza lasciare tracce.

Per questo Shadow e Rouge si erano impegnati a staccare i lacci tra Blaze e Mobius, ma era impossibile estirparli completamente.


“E' da mesi che torturano Blaze con lettere.” ripresa la donna “Dovremmo dirgli che quelle lettere non le possono arrivare-”

“Ne abbiamo già parlato Rouge.” tagliò corto Shadow, sapendo dove il discorso sarebbe andato a finire.

“Noi possiamo fare il nostro meglio per consegnarle, ed è tutto.” spiegò, mettendo via la foto della moglie incinta e Marine.

“Nessuno deve sapere che lei è in un'altra dimensione.”

“Una volta ogni quattro o cinque mesi non è abbastanza!” ribatté Rouge.

“Blaze ha perso un incontro importante perché la lettere le era stata inviata 'solo' un mese fa. Quando le consegneremo la posta di tutti questi mesi non varrà più niente.” continuò la bianca, iniziando ad alzare la voce.

“Dannazione, donna! Vuoi metterla in prigione?!” urlò lui, inasprendosi.

“No, se non si fa beccare!” rispose la pipistrella. Shadow prese un bel respiro e si calmò. Il tono di voce si abbassò.

“Facciamo quello che possiamo.” rispose il collega, abbassando lo sguardo per terra. Rouge incrociò le braccia al petto, e lo guardò spazientita.

“Tu leggi le sue lettere?” chiese il riccio.

“Dato che lei non può.” rispose l'amica, alzando le spalle nervosamente.

Omega guardava i due in silenzio. La loro mentalità era nettamente cambiata in sua assenza. Dieci anni sono tanti da recuperare, e per una macchina è naturalmente più difficile “aggiornarsi” sulle relazioni tra le persone. Quando l'avevano “risvegliato”, le sue prime immagini furono Shadow e Rouge che lo salutavano con un caldo sorriso. All'inizio non capiva: erano loro, di sicuro, ma dieci anni in un colpo solo è...impressionante.

Shadow continuava a far girare l'anello nuziale attorno al dito.

“E' difficile anche per me, ok?” disse, più duro di come avrebbe voluto. L'espressione sul viso della collega si addolcì.

“Io amo Blaze! Siamo sposati eppure sono costretto a vederla solo qualche volta. Sto per avere un figlio con quella donna e non so nemmeno se assisterò alla sua nascita. Tutto quello che voglio è restare con loro...!” la sua bocca si bloccò. Anche i suoi movimenti si bloccarono. Il gesto lasciò in sospeso i colleghi, i quali lo guardarono sorpresi, ma anche preoccupati.

“Che cosa sto facendo...” sussurrò.

“Shadow?”

“Cosa ci faccio ancora qui?!” ed iniziò a correre. Dove? Beh, dal suo capo, ovviamente.

Omega e Rouge lo seguirono a ruota, volando e correndo veloci e chiamando il suo nome.

Shadow richiamò l'ascensore , premendo con troppa ed inutile forza il bottone di richiamo. I due colleghi lo raggiunsero.

“Shadow, che ti passa per la testa!?” chiese a gran voce Rouge, ansimando.

“Rouge, mi faccio licenziare!”

La donna si bloccò di colpo. Lo guardò dritta negli occhi.

“...Cosa?...” chiese, incredula.

Shadow picchiettò ripetutamente alcuni pugni sul tasto dell'ascensore, come se fosse convinto che così sarebbe arrivato più in fretta.

“Sì Rouge!” confermò alla donna, rivolgendo tutta l'attenzione su di lei “Io qui ho finito!”

“Ma di che parli?”

“Non ho nessun motivo per rimanere qui!” urlò lui, e poi cadde il silenzio tra i due.

Un silenzio tombale ed agghiacciante.

Shadow realizzò che non erano quelle le parole che avrebbe voluto utilizzare. Detta così assumeva un irrispettoso significato.

E aveva ragione a temere.

Rouge lo guardò immobile. Si sentiva spezzarsi dentro.

Lei non era una ragione valida? Il team?? Davvero non stava considerando il fatto che senza di lui lei rimaneva sola??

Lei...non aveva altri amici... e quei pochi che aveva, li aveva persi negli ultimi dieci anni da criminale.

Come poteva farle questo?!

Ma poi realizzò... come lei poteva fargli questo?

Il silenzio venne spezzato pochi secondi dopo solo dalla campanella dell'ascensore. Esso si aprì e, con passo un po' reclutante, Shadow ci entrò. Rouge si sentiva paralizzata, tuttavia fece uno sforzo ed entrò anche lei, prima che le porte si chiudessero dietro di lei.

Omega non entrò, guardò l'ascensore chiudersi con dentro i suoi colleghi usciti freschi freschi da una situazione piuttosto delicata.

C'erano alcune cose che si stava chiedendo: avrebbe dovuto dire qualcosa? Avrebbe dovuto convincere Shadow a cambiare idea? O l'avrebbe fatto Rouge?

Ma tanto Omega sapeva già che tipo fosse Shadow: se il riccio nero avesse mantenuto anche solo una minima percentuale dell'ambizione che aveva Shadow dieci anni prima, allora bisognava star pur certi che il riccio nero aveva già preso la sua irreversibile decisione.


Una musichetta rilassante stava suonando dagli altoparlanti dell'ascensore.

Ma l'atmosfera tra Shadow e Rouge non era un cazzo rilassata.

Il riccio evitava di guardare la collega negli occhi, lasciando però che la punta del suo piede dimostrasse il suo nervosismo picchiettando ripetutamente.

Rouge si stava sfregando un braccio, nervosa anche lei, ma al contrario dell'amico si assicurò di guardarlo bene in faccia.

Dopo u po', Shadow si sentì di parlare.

“Senti Rouge...” iniziò lui, indeciso sulle parole da esporle “Non è quello che intendevo dire.”

“Di che parli?”

“Lo sai bene di che parlo!” scattò lui “Di quello che ho detto prima. Che non avevo nessun motivo per restare.” spiegò.

“Io ho concluso il caso del commercio degli schiavi. Ho avuto le risposte che cercavo, so come si conclude la storia, e soprattutto sono certo che si sia conclusa.” prese un bel respiro, e poi continuò con la sua spiegazione “Ho ripagato il mio debito con la G.U.N. e la società. Abbiamo sbattuto al fresco tutti i criminali che avevamo aiutato in passato; non so te, ma io mi sento leggero adesso...libero,oserei dire. E adesso, da qualche altra parte, c'è qualcuno che ha bisogno di me: Blaze. Lei è la mia famiglia. Sono abituato a correre in soccorso quando si tratta di crimine, ma ho capito che aiutare qualcuno non significa sempre mettere in cella qualcun altro. Aiutare significa ricevere gioia a conti fatti. Blaze ha bisogno di me, che la aiuti: solo così saremo una famiglia, solo così avrò la vera gioia, quello che ho sempre cercato nel mio lavoro.” e finì la frase tirando un respiro di sollievo, perché finalmente aveva potuto dire quello che pensava, quello che intendeva.

Rouge lo guardò sbalordita, con gli occhi spalancati: tutto quello che Shadow voleva era di sistemarsi, e lei stava solo giocando per i suoi stessi interessi.

Che egoista che sei Rouge. Pensava, Egoistica ed egocentrica.

La donna mostrò un leggero sorriso, dolce e caritatevole.

“E tu pensi che ti lascerei andare da solo dal grande capo?” chiese lei ridacchiando divertita. Anche Shadow accennò ad un sorriso. L'ascensore suonò la campanella: erano arrivati. Le porte si spalancarono.

Sul volto di Rouge era di nuovo spuntato un sorriso accattivante.

“Questa la voglio proprio vedere!”



Ore quindici.


Rouge respirò a fondo l'aria fresca delle colline incontaminate. L'erba ondeggiava morbida al muoversi del vento.

Anche Shadow inspirò la frescura della brezza di tarda primavera.

Omega guardava un po' il paesaggio intoccato di campagna, con il suo prato incolto e verde e il suo cielo celeste e privo di nuvole, e un po' i suoi compagni, alternando.

Dire che convincere il Comandante a lasciare Shadow è stato difficile, non è esatto: è stato impossibile. Quindi sì, adesso Shadow stava tagliando la corda.

“Bhe, qui ci dobbiamo salutare.” disse Shadow, posizionando uno strano congegno per terra.

Quell'aggeggio gli era stato donato da Hope, e serviva come portale. Esso era alimentato a chaos energy: l'energia degli smeraldi del Chaos. Tirò fuori dalle sue spine non uno ma ben due smeraldi e li posizionò in due contenitori metallici attaccati al macchinario, proprio come Hope gli aveva detto di fare. Le luci si attivarono e la macchina creò un portale: stava funzionando.

Shadow si girò verso i suoi amici.

Rouge lo guardò con un misto di tenerezza e tristezza, e poi sospirò.

“Mi mancherai, bellissimo.” disse piano, con un sorriso triste.

Shadow si avvicinò a lei. Si fermò a distanza di un passo, e poi, con gran sorpresa della giovane donna, l'abbracciò forte.

“Grazie di tutto Rouge.” le sussurrò Shadow, come non aveva mai fatto “Grazie per essermi sempre stato vicino. Sei l'amica migliore che potesse mai esistere.” le disse, con immensa gratitudine.

In quel momento, Rouge si sentì come se tutto il dolore, la tristezza, il disagio passati accanto al riccio nero fossero stati sciolti. Si sentì come se tutti quegli anni fossero serviti a qualcosa. Si sentì veramente apprezzata per la persona che era, e non più per l'agente che aveva dimostrato di essere durante il suo lavoro.

Non ce la fece a trattenere le lacrime e pianse. Ricambiò l'abbraccio del riccio con una stretta così forte che Amy levati proprio.

“Ti voglio bene scemo.” gli disse amorevole tra le lacrime.

“Anche io.” le rispose il riccio allo stesso modo.

Stessero secondi eterni così, poi lei si staccò bruscamente.

“Sciò sciò!” ridacchiò lei tra le lacrime “Lo sai che non mi piacciono gli addii!” disse lei, asciugandosi il fiume che le usciva dagli occhi, “Saluta Omega e affrettati! Blaze ti starà aspettando!”

Shadow annuì, e si dirisse verso Omega con il palmo proteso, pronto per stringergli la mano.

Invece Omega lo accolse in un mega abbraccio.

Addio Shadow the hedgehog!” salutò il robot “Verrai a farci visita in futuro?

“Certo che sì!” rispose Rouge al posto suo “Altrimenti vengo io a prenderti a calci!” promise ridacchiando.

“E poi” aggiunse, mettendosi una mano sul cuore “Ho un nipotino da conoscere, una volta nato.” disse, facendo l'occhiolino a Shadow.

“Sicuro.” confermò lui. “Quando volete, fate pure un salto.”

E poi salì sulla piattaforma e sentì i suoi congegni mettersi in azione.

“Ci mancherai!” esclamò Rouge in extremis.

Concordo!” esclamò a sua volta il robot.

Shadow rise forte, contento, e fu tutto quello che Rouge e Omega sentirono prima che un'abbagliante luce fosforescente verde facesse sparire di prepotenza il corpo di Shadow. La macchina aveva funzionato, Shadow era stato teletrasportato.

I due rimasero in completo silenzio per alcuni secondi, fissando il portale.

“Credi che sia andato?” chiese Omega alla fine.

“Sì, credo sia già dall'altra parte.” confermò la donna, e tolse gli smeraldi dalla macchina, la quale si spense in mancanza della preziosa energia.

Sai” iniziò Omega, guardando la collega, la quale rimase voltata a mostrargli le spalle “Avrei scommesso che avresti fatto di tutto per farlo rimanere, persino costringerlo con la forza, se necessario.

La donna ridacchiò.

“Sai, l'avrei anche fatto, all'inizio. Ma poi ho capito che non potevo impedirlo. Vedi” spiegò lei, finalmente girandosi per guardarlo negli occhi rossi “Io ho sempre voluto che lui andasse avanti, che superasse la morte di Maria e tutti quei brutti ricordi sull'ARK. L'ho sempre spronato a guardare avanti, di lasciarsi il passato alle spalle, di costruirsi un futuro. E ora che ha fatto tutto questo, mi sono resa conto che adesso sono io l'unica che è ancora attaccata al passato.” spiegò, asciugandosi una lacrima prima che scappasse dall'occhio.

“Tutto quello che volevo era che ritornasse tutto come prima, e un anno fa, quando ci siamo riuniti nel Team Dark ancora una volta, mi sono illusa che potesse essere possibile, che il mio desiderio si fosse avverato. E invece nulla è come prima, Shadow è andato avanti mentre io ho ignorato il mio stesso consiglio. Sciocca, non è vero?” chiese con un filo di voce, dando a Omega un forzatissimo sorrisetto.

Sciocca no, casomai incoerente.” rispose l'amico robot.

Quelli erano veramente bei tempi. Sai, quando noi eravamo un vero team, unito, che combatteva per questo mondo incondizionatamente. E' nostalgia Rouge, è normale che tu ne soffra.” Omega le poggiò delicatamente una mano sulla spalla. La donna sorrise, consolata.

Adesso che facciamo? Torniamo alla base?” chiese Omega, indeciso, mentre prendeva da terra il congegno di Hope. La pipistrella bianca ridacchiò maliziosa.

“No Shadow, no party.” rispose con un sorriso accattivante.

“Oggi ci prendiamo la giornata libera. Se mi sbrigo, magari posso trovare ancora Knuckles che fa compere al mercato.”disse, alzandosi in volo.

“Anzi” disse, volteggiando verso la città “Ripensandoci, Omega hai mai tentato di rubare una pietruzza grande come il Master Emerald?” chiese, con gli occhi che le brillavano.

“No.” rispose il robot, seguendola a ruota con il portale sottobraccio. 

Per lui il tempo rimaneva un mistero. E' incredibile come cambia, ma soprattutto come fa cambiare.

N.A: E'. FINITA.

Ringrazio tutti quelli che mi hanno seguito fino ad ora, e spero che la storia vi sia piaciuta!

E' stato bello ragazzi! Alla prossima avventura!


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