Down In The Infinity Hole

di BowtiesAreCool
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due ***
Capitolo 3: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo Cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo Sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo Otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo Nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo Dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo Undici ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno ***


Note Autrici: Ebbene si! Siamo tornate! Purtroppo, causa lavoro/studio/dinamiche familiari e non la correzione delle storie ci prende molto ma molto più tempo. Però ci siamo e continuiamo a scrivere senza sosta quindi non perdete le speranze che prima o poi pubblicheremo tutto (Stiamo attualmente finendo la nostra 73esima storia, ebbene si, 73 e qui ne abbiamo pubblicate appena 22, quindi pensate l'iimane lavoro per correggerle -Visto che alcune sono più di cento pagine!)
Cosa dire di questa storia? Ritroviamo i nostri eroi adolescenti, non tutti, visto che Thor e Loki sono pensati intorno alla trentina d'anni. E, in onore del prossimo Infinity War, abbiamo inserito le Gemme dell'Infinito, ognuna data ad un pg diverso. 
Come al solito la storia è corretta -In realtà conto di finirla per domani!- e conterà una decina di capitoli. 
Aspettiamo sempre i vostri pareri, quindi non esitate a commentare anche con una semplice frase -Come diciamo sempre, i commenti ci fanno andare avanti nello scrivere e nel betare, quindi più commenti vediamo più siamo spronate!

Buona Lettura e alla prossima!


Gosa&Nemeryal



 
Capitolo Uno


 

Dal banco dietro Coulson proveniva un sonoro russare: era inconcepibile come un ragazzo dell'età di Anthony Stark potesse avere tanto sonno arretrato, eppure non c'era lezione mattutina che egli trascorresse sveglio, vigile, attento alle parole del professore. Abbandonato sulla superficie costellata di scritte e graffiti, Tony poggiava gli scarmigliati capelli neri sulle braccia coperte di ematomi, chiudeva le palpebre cerchiate di livida insonnia, quindi spalancava la bocca ad un quieto, letargico russare. Persino gli insegnanti avevano perso ogni speranza di vederlo interessato a quel che avevano da dire.
Con un mezzo sorriso, Phil si girò, sistemandosi i capelli castani sulla fronte, gli occhi azzurri posati gentilmente sul viso dell’amico, e lo scosse appena. “Ehi.” Bisbigliò. “Va bene dormire, ma evita di russare, così disturbi tutti.”
"Mmh---" Fu il mugolio di protesta da parte dell'altro. "È già ora di combattere i cattivi?"
"Shhh." Bisbigliò l’altro. "Ritorna a dormire ma non russare."
Tony sbadigliò e posò la fronte sui polsi incrociati. Sul sopracciglio faceva mostra di sé un taglio abbastanza profondo, ancora arrossato ai bordi.
Il ragazzo sorrise di nuovo, lasciandogli una pacca affettuosa sul braccio e tornando a seguire la lezione di storia, prendendo qualche appunto di tanto in tanto.
Conclusa la lezione, l'insegnante -La professoressa Romanoff- alzò la mano per intimare loro il silenzio. Si alzò dalla cattedra e, con camminata sicura nonostante il tacco incredibile, uscì dall'aula per tornarvi pochi minuti dopo con un ragazzo al seguito. "Gradirei l'attenzione di tutti." Esordì la donna, inarcando poi il sopracciglio rosso scuro. "Anche del signor Stark."
Phil si affrettò subito a scuotere l'amico. "Ehi, sveglia. C'è un ragazzo nuovo."
Grugnendo, Tony sollevò mollemente la testa e storse la bocca. "È uguale a qualunque altro ragazzo nuovo." Borbottò. "Cos'ha di speciale?"
"Salve a tutti." Si stava intanto presentando il nuovo arrivato, che con quegli occhi azzurri e il sorriso da bravo ragazzo sarebbe potuto diventare amico di tutto l'edificio scolastico. "Mi chiamo Steven. E vengo da Brooklyn. È un piacere fare la vostra conoscenza."
Phil osservò il ragazzo e poi si girò verso l'amico. "E' carino. Sembra essere uscito da una rivista di fotomodelli."
Stark, in tutta risposta, inarcò il sopracciglio. "A me sembra uscito da un qualche poster dei Boy Scout." E indicò con un gesto blando i capelli biondi tenuti in una piccola onda sul lato della fronte e la camicia da bravo ragazzo. "Domani porta una mela alla Romanoff, te lo dico io."
L'altro ridacchiò. "Magari è simpatico."
"Sembra avere un’asta di legno al posto del..." Non poté finire la frase che la professoressa Romanoff, col suo udito da pipistrello, si girò a guardarlo. "Grazie per la presentazione, Steven." Disse e i capelli guizzarono fulvi, quando tornò a rivolgere la propria attenzione sul nuovo arrivato. "Siedi pure dove preferisci." Steven annuì e fece un lieve inchino con la testa, finendo poi per sedersi accanto a Coulson.
Phil gli sorrise e subito gli porse la mano. "Philip, ma puoi chiamarmi Phil. E' un piacere conoscerti."
"Piacere mio." La stretta di Steven era forte, sicura. "Chiamami Steve."
L’altro continuò a sorridere. "È un periodo strano questo per trasferirsi."
"Lo so, ma i miei genitori hanno preferito venissi qui. Ci siamo trasferiti e questa scuola è la più vicina a casa."
"Capisco. Vi siete trasferiti per piacere o lavoro?"
"Lavoro."
"Bla bla bla." Li riprese Stark, dando un pizzico alla schiena di Coulson. "Io sto cercando di dormire, qui dietro."
"Ahi." Il ragazzo si girò con una risata. "Scusa tanto se disturbiamo il tuo sonnellino."
"Non dovresti seguire le lezioni?" Domandò Steve -E Stark rispose con una occhiata omicida. "Fatti i fatti tuoi."
"Tony!" Lo riprese l'amico. "Sii più gentile!" Poi si girò verso l'altro. "Non dargli retta, ha un pessimo carattere."
Il nuovo arrivato scrollò le spalle. "Non ti preoccupare. Vorrà dire che mi presenterò di nuovo quando avrà dormito a dovere."
"Sante parole." Fu il commento assonnato di Tony.
L'altro ridacchiò. "Sembra che tu sappia già come trattarlo."
Steve sorrise. Non disse una parola di più, unicamente perché il professor Banner era entrato in classe. Estrasse allora un quaderno rilegato di carta color pulce insieme ad una… Penna stilografica.
Phil fissò il quaderno e la penna sorpreso -Le penne stilografiche non si usavano più da anni, ormai. "Ho una penna in più, se vuoi. Con quella non sei troppo lento?"
"Mh?" Il ragazzo osservò la stilografica, rigirandola tra le dita. "Non ci ho mai fatto caso. Nel senso, non mi è mai sembrato di essere lento."
"Oh... Allora non importa.”
Steve gli sorrise. "Accetto volentieri la proposta della penna." Disse poi, "In effetti, temo di aver dimenticato le cariche di inchiostro a casa."
Il ragazzo annuì e gli passò una penna nera con un tappo rosso. "Se hai bisogno di altro basta che chiedi."
"Ti ringrazio." Forse Steve voleva chiedergli di più in pausa pranzo. Gli fu impedito, però, dalla professoressa Romanoff che, non appena i ragazzi furono usciti dall'aula, fermò Coulson ad appena un passo nel corridoio. "Il preside vorrebbe parlarti." Lo avvisò.
Il ragazzo guardò la professoressa preoccupato. "E' accaduto qualcosa?"
"No. Non ti preoccupare."
Annuì, avvertendo Tony e Steve che si sarebbero rivisti a mensa e salendo fino all'ultimo piano dell'edificio, dove vi era l'ufficio del preside. "Signore? Sono Coulson." Si annunciò con una sonora bussata.
"Entra." Nick Fury, avvolto nel pastrano nero, era girato di spalle. Quando Phil ebbe chiuso la porta, allungò il braccio e con le dita forti schiacciò un piccolo pulsante, nascosto all'interno di un libro sulla Seconda Guerra Mondiale. Un quieto clock annunciò che l'uscio adesso era sigillato ed il frizzare dell'aria assicurò che la stanza era insonorizzata. "Ho visto il combattimento di ieri sera." Disse Fury. "I Chitauri diventano più forti. Stark più debole."
"Non è più debole, solo più stanco." Il ragazzo sospirò appena e andò a sedersi sulla sedia di fronte la scrivania, lasciando la tracolla con i libri scolastici accanto alla sedia. "Non può farcela da solo contro tutti. Mi permetta di aiutarlo in qualche modo."
L'uomo si girò, l'occhio buono fisso in quello di Coulson. L'altro, il destro, era coperto da una benda nera e solcato da cicatrici. "Vuoi intervenire sul campo?"
"Vuole che si faccia ammazzare?" Chiese, in risposta.
"In fondo, la Romanoff ti ho addestrato per questo. Molto bene. La Romanoff ti accompagnerà all'armeria." Fury si sedette, intrecciando le dita davanti al viso. "Dobbiamo far uscire il nemico, Coulson. Stanarlo."
"Ci stiamo provando." L'altro annuì e sorrise. "Tony sta facendo del suo meglio ma non è così facile e comincia a risentire della stanchezza."
"Il nostro nemico lo sta studiando tramite i Chitauri. Non sono soltanto pesci piccoli da schermaglia, sono sentinelle."
Il ragazzo mugugnò pensieroso. "Cosa possiamo fare?" Chiese, infine, intrecciando le dita tra di loro, sulla scrivania.
"Quando sarai sul campo tenta una scansione dei nostri amici col ringhio facile. Non sia mai che ne emerga qualcosa che ci aiuti a capire."
"Mi procurerò l'attrezzatura adatta, allora." Annuì. "C'è altro?"
"Non al momento. Tienimi informato su qualunque cosa."
"Molto bene signore, la ringrazio." Si sollevò dalla sedia e salutò l'uomo con un cenno, uscendo poi dall'ufficio a passo spedito.
 
***
 
"Sei sicuro di voler venire con me, per la ronda?" Tony camminava accanto a Phil, le mani affondate nelle tasche della giacca rossa e lo zaino azzurro che dondolava sulla sua schiena. Stavano tornando a casa e il cielo sfumava lentamente all'approssimarsi della sera. "Sono preoccupato."
"Perché mai?" Phil strinse le dita sulla tracolla nera che portava, dondolando di tanto in tanto il viso. "Non puoi farcela da solo e un po' di aiuto non guasta mai."
"E se non riuscissi a proteggerti?"
"Non devi proteggermi Tony." Gli colpì giocosamente la spalla. "So cavarmela da solo, fidati."
"Come vuoi. Tu sei il Maestro Jedi e io il Padawan." Stark sogghignò. "Sai, in effetti Rogers non è così male."
Phil rise e lo colpì di nuovo."Davvero? Avete parlato molto?"
"Abbastanza. Sai, era tutto solo nel prato che leggeva un libro di Verne... Aveva evidente bisogno di compagnia."
"Evidente." Scosse la testa. "E cosa ti ha detto?"
Tony scrollò le spalle. "Credo di aver parlato solo io, in effetti."
Scoppiò a ridere. "Questo non mi meraviglia!"
"Oh, andiamo! Sai che la mia parlantina fa miracoli all'umore."
"Certo, certo. Ma mi interessa più cosa lui ha detto ha te."
Tony si grattò il mento, gli occhi socchiusi e un quieto "Mh." appeso alla bocca. "Mi ha detto dei libri che gli piacciono. Che ama dipingere. Tutto qui."
"Nessuna informazione personale?"
"'Ora che mi ci fai pensare no. Perché?"
L'altro mugugnò a sua volta, scrollando le spalle e fissando la strada davanti a loro. "Nulla, solo una curiosità."
"La tua curiosità ha sempre un secondo fine."
Rise. "Non questa volta, mi dispiace deluderti."
Tony gli diede un piccolo pugno sulla spalla. "Dai. Ci vediamo alle otto alla piazza davanti al liceo."
"D'accordo." Phil si fermò e guardò l'altro con preoccupazione. "Prova a dormire ancora e mangia, d'accordo? Devi essere in piene forze."
"Non mi fissare come se fossi in punto di morte." Gli disse l'altro. "Sto bene."
"Non è vero, ma farò finta di crederti." Gli lasciò una pacca sulla spalla. "Ci vediamo stasera."
"A stasera, Maestro Coulson."
 

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Capitolo 2
*** Capitolo Due ***


Capitolo Due




Stark ricadde all'indietro. L'armatura frenò e ammortizzò l'impatto con il terreno -Ma le lamiere contorte, sulla schiena e dietro le spalle, gli si conficcarono crudeli nella carne. Gettò un urlo, rotolando di lato e colpendo con un raggio repulsore il brutto muso del Chitauro che gli era saltato addosso.
"Tony!" Phil sparò un colpo al mostro senza esitazione e corse subito dall'amico. Aveva indossato, per la sua prima missione sul campo, una tuta nera, di un materiale simile allo spandex, leggera e flessibile che gli permetteva qualsiasi movimento. La Romanoff lo aveva equipaggiato di tutto punto con armi bianche, da fuoco e qualche piccolo gioiellino di alta tecnologia. "Ehi, stai bene?"
"Potrei stare meglio!"
"Sbaglio o sono più forti?"
"Non sbagli!" Tony si diede una spinta coi repulsori che teneva sotto gli stivali. Si girò, poi, le braccia coperte dalle scaglie di un'armatura scarlatta e oro, che ingigantiva la sua figura; un cerchio azzurro sfolgorava al centro del petto, una fonte di energia inesauribile.
"Proviamo a colpirli a distanza! Se non si avvicinano non possono colpirci!"
Tony annuì: il piano di Coulson aveva senso e poteva vantare degli ottimi mezzi di trasporto (i propulsori) abbastanza potenti da portarlo fuori tiro in un attimo. Il piano era ottimo. Ciò che non potevano prevedere fu lo scatto di uno dei Chitauri: il corpo grigiastro e grinzoso fremette tutto, gli artigli guizzarono e le gambe animalesche lo slanciarono in avanti. Stark riuscì a scansarlo, ma si avvide troppo tardi della direzione presa dal mostro.
Phil.
Quell'attimo di esitazione fu abbastanza perché un nemico lo puntasse alla schiena. Tony sollevò subito la mano: il colpo azzurro-bluastro sarebbe andato sicuramente a segno prima che il mostro colpisse l’amico...
...Non fosse stato per lo scudo che si frappose tra esso e le spalle di Tony. Scudo su cui il colpo deflagrò in un roboare di scintille e scoppi.
"Tony!" Phil sparò un paio di colpi al mostro che cadde poco più in là e poi corse dal ragazzo. Si bloccò poco prima quando incontrò una figura scura avvicinarsi a loro. Gli puntò l'arma contro. "Chi sei? Identificati!"
Era una figura d'uomo, più alta di Tony di una buona spanna e mezzo. Indossava una divisa blu, simile a spandex, sul cui petto campeggiava una stella d'argento; sotto di essa si dipartivano striature verticali rosse e bianche, che terminavano nel largo cinturone che gli stringeva la vita. Quando flesse il braccio destro, sulle spalle brillarono i frammenti azzurri di quelle che sembravano piccole scaglie; alle mani aveva guanti rossi e galosce rosse ai piedi, alte fin sotto il ginocchia. Il volto, tranne che per la bocca, era nascosta da un caschetto militare anch'esso blu; gli occhi chiari erano sinceri, buoni, e sopra di essi, al centro della fronte, sfolgorava una grossa A in maiuscolo, bianca. "Sono Capitan America."
"Capitan America?" Phil lo fissò con tanto di bocca aperta. "E chi saresti?"
Tony, da dentro l'armatura, digrignò i denti, la pelle arroventata dalla temperatura in salita tra le lamiere. "L'esagitato che mi ha appena salvato la pelle." Il Capitano arcuò le labbra in un sorriso, quindi fece perno sulla caviglia destra, si girò di scatto afferrando al contempo lo scudo, e scagliò l'arma contro l'ultimo dei Chitauri rimasto ancora in piedi. Lo scudo gli schiantò la mandibola e la creatura si disfece in un sussurro di sabbia. "Sono un amico."
Coulson si chinò su Tony e lo aiutò ad alzarsi. "Grazie per averci aiutato." Disse, poi, "Ma la prossima volta cerca di arrivare un po' prima."
"Perdonatemi. Mi hanno attaccato, mentre venivo qui."
"Ah." Stark modulò un sorriso irridente. "Ma guarda. Non sono più la sola star dello show?"
"Più siamo, meglio è, non credi?"
"Suppongo di doverti dare il benvenuto." Sbuffò Stark. "Sono Iron Man." Il Capitano annuì, sistemando lo scudo di nuovo sulla schiena. "È un onore."
"Io sono Phil." Si presentò l'altro. "E' la tua prima volta?"
Iron Man, nonostante il dolore alle ossa, alle articolazioni, ad ogni punto, praticamente, del corpo, si permise di sghignazzare. "Mio Dio, Phil. Non puoi chiedere alla gente della sua prima volta." Il Capitano inarcò evidentemente il sopracciglio. "Contro i Chitauri, sì."
Il ragazzo colpì l'amico con una gomitata, rivolgendo, poi, di nuovo, l'attenzione all'altro. "Ti ha mandato qualcuno contro di loro?"
"Sapevo di doverlo fare."
"Quindi è stata una tua scelta?"
"Sì."
"È stata la Gemma a dirti di doverlo fare?" Lo interrogò Tony. "O lo hai capito quando i Chitauri ti hanno attaccato perché avevi la Gemma?"
Phil spalancò gli occhi. "Sei il possessore di una Gemma?"
Il Capitano prese un respiro profondo prima di rispondere. "Lo sono."
Il ragazzo era sempre più incredulo. "E che potere ti conferisce?"
"Mi dispiace, preferirei non rivelarlo."
"Perché? Anche noi abbiamo una Gemma. Non vogliamo certo rubare la tua."
Tony avvertì un bolo di dolore dentro la gola. Lo inghiottì a forza, stringendo il braccio attorno alle spalle di Phil. "Ne riparleremo."
"Ehi." Phil gli passò subito un braccio intorno i fianchi per sostenerlo. "Hai bisogno di cure, per stasera hai fatto già abbastanza."
Stark annuì. Quando alzò gli occhi, il Capitano era sparito. "Non so cosa dire..."
"Dove diavolo è andato?" Il ragazzo si guardò intorno e poi scosse la testa. "Ritorniamo al rifugio, ne parleremo quando ti sentirai meglio."
 
***
 
"Dimmi cosa ne pensi." Fury ingrandì il fermo immagine del Capitano. Erano nel suo ufficio, i vetri oscurati, il pannello digitale sollevato di quattro palmi sopra la scrivania.
Il ragazzo aveva incrociato le braccia al petto e aveva scosso la testa. "E' bravo e senza di lui sarebbe potuta finire davvero male. Potrebbe essere una risorsa." Poi spostò gli occhi sull'uomo. "Ma il suo riserbo sulla Gemma mi insospettisce."
Nick annuì, quindi passò la mano sopra la scrivania: l'immagine del Capitano svanì, sostituita dagli ologrammi di sei pietre, di colori diversi. "Potere. Spazio. Mente. Realtà. Tempo. Anima. Escludendo quella del potere, quale potrebbe avere?"
Phil mugugnò appena. "Non credo abbia poteri particolari per utilizzare uno scudo come arma di attacco e difesa." Si picchiettò le labbra con l'indice. "Forse quella della Realtà..."
"Questo spiegherebbe il suo essere sparito tanto in fretta."
"E anche la sua improvvisa comparsa."
Il Direttore non annuì, né diede alcun segno di voler confermare la sua opinione. "Come sta Stark?"
Scosse le spalle. "Questa volta se l'è vista brutta e io non sono di molto aiuto. Lui dice di stare bene ma le tre costole incrinate e gli ematomi dicono il contrario."
"Cercate ogni contatto possibile col Capitano. Formate una boyband, se può servire a non farvi ammazzare."
Phil piegò le labbra in un mezzo sorriso. "D'accordo. Lei crede... Che lo conosciamo? Ho avuto una strana sensazione quando l'ho visto."
"Stiamo cercando un qualsiasi riscontro. Un campione biologico è ben accetto, se riuscirai a strappargli un capello."
"Ha i capelli coperti dal casco..." Si sollevò. "Ma posso provarci..."
"Nella mia frase sussiste una buona dose di sarcasmo." Fury chiuse tutti i pannelli, quindi tolse l'oscurazione alle finestre. "Vai, ora. Torna a lezione."
Il ragazzo annuì. "Vedrò di scoprirne di più."
"Mi fido di te, Coulson."
"Grazie signore." Salutò con un cenno l'uomo e corse in mensa recuperando un vassoio e raggiungendo Tony al tavolo. "Ehi, scusa, dovevo andare in bagno."
Stark alzò la testa dal piatto ancora intonso, pieno di stomachevoli maccheroni al formaggio. "Ho più nausea che fame." Ammise.
Lo guardò preoccupato. "Forse dovresti andare in ospedale, Tony."
"No. Devo solo ingoiare il fatto che ieri un dannato Chitauro mi ha quasi fatto la pelle."
"Stanno diventando più forti, Tony, non è certo colpa tua. Avrei dovuto proteggerti meglio." Bisbigliò, abbassando gli occhi sul piatto. "E' colpa mia."
"Taci." Fu la risposta secca dell'altro. "Non voglio sentire una parola di più."
"Ma è vero. Dovrei aiutarti ma non sono in grado di fare nulla. Le armi da fuoco li bloccano solo per pochi minuti, dovrei armarmi con qualcosa di più utile."
"Non voglio sentire altre cazzate."
"Linguaggio." Steve si sedette accanto a Stark e posò il vassoio accanto al suo. Aveva soltanto una mela ed uno yogurt, nulla di più. "Vi spiace? È tutto occupato."
"No, figurati." Phil lanciò un'occhiata dispiaciuta all'amico e un sorriso all'altro. "Come va?"
"Tutto bene." Il ragazzo di Brooklyn sorrise loro, prendendo lo yogurt e battendo il cucchiaio sulla copertura di stagnola. "Voi?"
"Bene. Come è andato il secondo giorno?"
"Solo il secondo? Ah, mi sembrava molto di più. Se non fosse per chimica, sarebbe perfetto."
"Chimica? Hai difficoltà?" Phil sorrise. "Tony è un genio in chimica, potrebbe darti una mano."
"Eh?" Fu la risposta del diretto interessato, allibito e sorpreso. "Io cosa?"
"Potresti dargli una mano con chimica." Ripeté l'altro con un sorriso.
"Oh beh. Se proprio vuole…"
"Ne sarei felice." Steve gli sorrise, prendendo una cucchiaiata di yogurt e poi mettendolo da parte. "Non sono per nulla portato."
"La settimana prossima abbiamo la prima verifica, se cominciate subito, puoi recuperare tutto."
Un calcio ben assestato arrivò da sotto il tavolo -Segnale convenuto per dire. "Ma che cazzo stai dicendo?"
Phil si morse le labbra per non emettere un suono, poi si schiarì la gola. "Io devo andare in biblioteca per il saggio di storia. Voi divertitevi con chimica."
Ennesimo calcio. Tony arcuò le sopracciglia, eloquente. "Su cosa è il saggio?" Si informò Steve.
"La seconda guerra mondiale." Phil mollò un calcio a Tony, eloquente a sua volta. "Ora vado." Si sollevò senza neanche aver toccato cibo. "Ti chiamo più tardi Tony."
"Seconda... Posso darti una mano, se ti serve." Fece Steve e Tony si disse d'accordo con un vigoroso annuire. "A chimica penseremo dopo." Convenne.
"Ma no, me la cavo da solo e poi devi recuperare tutto il programma, no?"
"Non so come darti torto. Se hai bisogno dimmelo, va bene?"
"Certo, ti ringrazio." Sorrise. "Allora ci vediamo."
 
***
 
"C'è un qualche tuo piano malefico nel continuare a lasciarmi da solo con Rogers?" Fu il saluto che gli rivolse Tony, la sera, quando prese in carico la telefonata di Phil.
Quello rispose con una risata. "Ammetti che ti piace, dai! Lo faccio per te, così hai contatti anche con qualcun'altro e non solo con me."
"Non mi---Non è vero che non ho altri contatti!"
"Davvero? Oltre me con chi parli?"
"...Coi professori."
"...Certo, loro non li avevo contati." Rispose, sarcastico. "Avanti! Steve è simpatico e non c'è nulla di male a frequentarlo."
"Lo conosco da due giorni. E ogni tanto mi sembra... Vecchio."
"Vecchio? In che senso?"
"Non lo so! Ha quell'aria di... qualcuno con più anni di quel che dimostra."
"Davvero? A me sembra un ragazzo così ammodo e gentile."
"Non dico che non lo sia. Non so come spiegarlo."
"Conoscilo meglio, magari riuscirai a capire perché ti trasmette quelle sensazioni."
"Questo tuo volermi programmare le uscite mi inquieta."
"Non sto programmando nulla! Dico solo che non c'è nulla di male ad uscirci."
"Come vuoi, come vuoi. Senti, ronda stasera?"
"Mh... Ne sei sicuro? Dovresti riposare un po'."
"E se i Chitauri attaccassero?"
"Tony non possiamo salvare sempre tutti e tu hai bisogno di riposare, ieri ci hai quasi rimesso la pelle."
"...Allora trova il Capitano. Combatti con lui."
"Io-- Cosa? Sei impazzito? A parte che io sono totalmente inutile sul campo di battaglia, dove pensi potrei trovarlo?"
"Non lo so! E non dire che sei inutile!"
"Ma lo sono! Non posseggo una Gemma e neanche le armi adeguate. Non servo a nulla, sono buono solo a disinfettare le ferite."
"Giuro che mi trasformo e volo fino a casa tua per prenderti a calci."
Ci fu uno sbuffo. "Andrò a cercare il Capitano se ti fa piacere, ma non cambio idea."
"Lo farai. Non ho che te: sarei perso se tu non ci fossi."
"Grazie Tony, ma sai che non è vero. Te la caveresti benissimo anche da solo."
"No. Non è così."
"Mh. E poi dici di non essere un sentimentale." Ridacchiò. "Ci vediamo domani a scuola."
"A domani. Stai attento."
 
***
 
"Iron Man non è con te?" Non fu Phil a trovare il Capitano, bensì il contrario: egli comparve al suo fianco quasi dal nulla, sulla cima di una palazzina che dominava il centro città. Dalla terrazza si contavano i tetti, le luci come filari e rosari singultanti. Il Capitano incrociò le braccia al petto, lo scudo posizionato dietro la schiena, e parve ancora più alto.
Il ragazzo sollevò gli occhi sull'uomo e parve appena intimorito dalla sua figura. "No. Ha subito troppe ferite, ieri. Deve riposare almeno per questa notte."
"Non dovreste combattere da soli una battaglia tanto grande." L'altro gli rivolse un quieto sorriso. "Permettetemi di aiutarvi."
L'altro annuì. "Ma anche con il tuo aiuto, temo sarà una battaglia sempre troppo grande. Dobbiamo capire come sconfiggerli una volta per tutte."
"Non credo di sapere molto su questo nemico."
Corrucciò le sopracciglia. "Allora perché lo combatti?"
"Perché così deve essere. Lo so. È il mio compito." Il Capitano tacque e il suo sguardo si perse lontano. "E tu? Come sai delle Gemme?"
Scosse le spalle. "Lo so e basta. E' il mio compito."
Un sorriso increspò le labbra dell'altro. "Allora puoi comprendermi. E credo lo sia anche per Iron Man." Proseguì. "Lo sappiamo. Al di là della ragione stessa: è così e basta. È il nostro compito."
"Tu cosa sai dei Chitauri?"
"Che sono creature mandate in avanscoperta: galoppini di..." Il Capitano storse appena la bocca. "Un'altra dimensione. Sono guidati dal fiuto, si muovono in branco. La loro tattica è elementare, tuttavia efficace."
"Eppure diventano più forti ogni giorno che passa." Phil gli si avvicinò, studiando il suo viso -Aveva qualcosa di familiare. "I primi tempi Iron Man riusciva a batterli in poco e con pochissimi danni. Ora..." Scosse la testa.
L'uomo si ritrasse appena. "Imparano. Si evolvono. E chi li comanda li migliora ogni battaglia di più."
"Come può farlo?"
"Immagino che possa vedere ciò che loro vedono e agire di conseguenza."
Phil corrucciò le sopracciglia. "Pensi che questo essere li crei dal nulla?"
"Non lo so." Ammise lui. "Le mie supposizioni possono arrivare unicamente fino ad un certo punto."
Phil lo osservò per alcuni istanti e la sensazione di conoscerlo si faceva ancor più strada in lui. "Che Gemma possiedi?" Chiese, poi, d'improvviso.
"Preferisco non rivelarlo."
"Perché no?"
"Troppe domande. Troppi dubbi. Risvolti." Il Capitano scosse la testa. "No. Meglio tenere il segreto."
Phil sollevò un sopracciglio. "Conosco le Gemme e l'unica cosa che mi incuriosisce è come tu ne sia venuto in possesso."
"È semplicemente apparsa nella mia vita. Mi ha chiamato e io ho risposto."
"Ti ha chiamato? Come?"
Il Capitano aprì la mano destra, quasi si aspettasse di vedere apparire qualcosa. "L'ho sentito."
Il ragazzo mugugnò appena, scuotendo poi le spalle. "Sembra sia una notte tranquilla, potremmo tornare a casa."
"Io farò ancora un po' di ronda." Lo avvisò lui. "La città è grande."
L’altro inclinò il viso. "Posso accompagnarti se vuoi."
Il Capitano gli sorrise. "Sarà un piacere."
 
***
 
Da qualche parte, oltre lo spazio, in un ritaglio universale al di là del mondo stesso, qualcuno alzò la testa. Non la alzava da tempo e non vedeva da molto le stelle oltre lo squarcio metallico delle sbarre. Distese le gambe, le braccia, reclinò la nuca. Sollevò le palpebre -Non apriva gli occhi da settimane infinite- rivelando l'iride coperta da una patina di ghiaccio tanto spessa da nascondere il grigio naturale del suo sguardo. "Maestro." Disse e la sua voce ruvida gracchiò nella gola. "Maestro. Lingua d'Argento. Una Gemma si è svegliata."
Alle sbarre si avvicinò un uomo allampanato, coperto da un mantello nero che nascondeva il corpo longilineo. Spostò gli occhi verdi in quelli dell'altro, incuriosito. "Riesci anche a capire quale?"
Colui che aveva appena aperto gli occhi piegò la testa. "Vedo la sua Anima." Lo sguardo sfolgorò di viola acceso. "Un uomo fuori dal Tempo."
"Mh... Dove avverti la sua presenza?"
"New York."
"Bene. Manderò altri Chitauri. Dobbiamo impadronirci di quelle Gemme il prima possibile."
"Lui sa combatterli. Lui ha già combattuto."
L'uomo lo fissò. "Come fai a saperlo?"
Un sorriso increspò le labbra dell'uomo. "Ho visto i Chitauri cadere. E vedo la sua anima, forgiata dalla guerra e dal sangue."
L'altro ispirò piano. "Ne manderò altri perché lo studino." Rispose, allora.
L'uomo che aveva aperto gli occhi annuì e abbassò le palpebre, celando alla vista gli occhi glaciali. "Sì, Maestro."
"Hai delle obiezioni?" Chiese allora l’altro, abbassandosi per guardare meglio il ragazzo in viso.
"No, Maestro."
E Lingua d’Argento piegò le labbra in un ghigno. "Continua a scandagliare. Ci sono altre Gemme dormienti."
"Sì, Maestro." L'uomo aprì di nuovo gli occhi, abbacinanti di lucore viola. "Li troverò. Per te "
"So che lo farai uccellino... Ma devi essere più veloce, il tempo stringe ormai.” Sussurrò, stringendo una delle sbarre tra le dita sottili.
"Le Gemme celano se stesse, Maestro. Non posso costringerle a svegliarsi."
"Certo che no, ma devi continuare a cercarle, senza sosta."
"Sì, Maestro." L'uomo che scandagliava le anime piegò la testa sulla spalla e tacque. I suoi occhi guardavano già lontano.

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Capitolo 3
*** Capitolo Tre ***


Capitolo Tre




"Nottataccia?" Steve aveva girato la testa verso Coulson, quando lo aveva sentito arrivare. Era seduto su una delle panche disseminate nel giardino antistante il liceo: accanto a sé teneva una cartelletta che ricordava una ventiquattrore e davanti un libro aperto, su cui stava segnando alcuni appunti.
Il ragazzo sbadigliò sonoramente. "Ho fatto nottata su quel saggio di storia." Mentì, sedendosi accanto a lui -Il Capitano aveva voluto fare il giro di tutta la città, a piedi.
"E tu? Come procede con chimica? Tony è un bravo insegnante?"
"Oh, ancora non abbiamo iniziato." Ammise l'altro. "Ieri non stava bene e mi dispiaceva chiamarlo di sera. Vuoi una mano col saggio?"
Scosse la testa. "No, tranquillo. Quindi vi vedrete oggi?"
"Forse. Non abbiamo ancora deciso nulla." Steve chiuse il libro e aprì la linguetta che teneva chiusa la cartelletta; vi pose dentro il volume, quindi si passò la tracolla sulla spalla destra. "Ancora non l'ho visto, stamani."
"Avrà fatto tardi come al solito. Ho provato a chiamarlo ma non ha risposto. Starà dormendo." Concluse con un sorriso.
"Dovrebbe dormire di più la notte e meno di giorno."
"La notte gli piace costruire le cose. Dice che il suo ingegno è più produttivo con la luna che col sole." Si sollevò con un altro sbadiglio. "Dovremmo entrare o faremo tardi anche noi."
"È un inventore?" Si informò il ragazzo di Brooklyn, alzandosi e incamminandosi verso la scuola.
Annuì. "Si. Gli piace costruire macchine e cose del genere."
"Ah, e io che a malapena so fare un castello di carte.. "
Phil ridacchiò. "Anche io sono pessimo, ma lui è un genio. Dico davvero."
"Sembra una brava persona." Convenne Steve, aprendo la porta dell'aula a Coulson. "Particolare, ma buona."
"Lo è davvero." Lo ringraziò con un cenno ed entrò in aula con un altro mezzo sbadiglio. "Anche se non lo ammetterebbe neanche sotto tortura. E' il mio migliore amico."
Il ragazzo di Brooklyn prese posto accanto a Coulson ed estrasse il solito quaderno, quindi una penna biro -Nonostante avesse la fedele stilografica con relative ricariche dentro la cartelletta. "Sono felice di aver incontrato sia te che lui."
"E io sono felice che tu sia qui." Phil si sedette e lasciò la tracolla sul pavimento. Poggiò la guancia sul pugno chiuso e lo guardò attentamente, studiandone gli occhi e la bocca –Aveva un’aria così familiare...
Steve aggrottò le sopracciglia. "Ho qualcosa sul viso?"
"Oh no, scusa. Notavo solo quanto fossero particolari i tuoi occhi."
L' altro non poté fare a meno di sbattere le palpebre. "Come, scusa?"
"Il colore dei tuoi occhi." Spiegò, continuando a guardarlo. "A primo impatto sembrano solo azzurri, ma hanno tantissime altre sfumature."
"...Okay?" Fece l'altro, titubante.
Il ragazzo sorrise, socchiudendo appena gli occhi. "Non ci sto provando, sta tranquillo. Solo mi piacciono i tuoi occhi."
"Non è una cosa che mi viene detta spesso."
"Davvero?" Continuò a sorridere. "Nessuna ragazza ti ha mai fatto un complimento?"
"Non in maniera tanto sincera. Forse una volta, un'amica di Londra."
Phil scosse la testa. "Dovresti avere fior fiori di ammiratrici, bello come sei."
Steve increspò la bocca in un quieto sorriso, un po' incerto, un po' ironico. "Mi stai corteggiando, forse?"
"Io?" Scosse la testa. "No, no, assolutamente! Non ci proverei mai con te, non sei il mio tipo." Rise.
Il ragazzo di Brooklyn gli diede una spallata giocosa. "Va bene, allora. È che le tue considerazioni erano un po' fraintendibili."
Phil scosse di nuovo le spalle con un mezzo sorriso. "Dico solo che sei un bel ragazzo e dovresti avere una fila bella lunga di ragazze, tutto qui. Anche Tony dovrebbe, se non fosse così strano."
"Non direi strano... Particolare."
"E' originale! E a proposito di Tony..." Guardò l'ora. "Comincio a preoccuparmi davvero." Afferrò il cellulare. "Provo a chiamarlo."
Steve annuì, quasi rilassato all'idea che l'attenzione fosse passata a qualcuno che non fosse lui.
Phil compose il numero. "Tony? Ehi, stai bene?"
Stark emise un mugugno dall'altra parte della cornetta. "Non ha suonato la sveglia."
Sorrise. "Mi stavo preoccupando. Ti aspetto in classe."
"Devo proprio...?"
"Se non ti senti, approfitta per riposare ancora. Passo da te dopo le lezioni."
"Perfetto. Scusa, ma mi si sono scaricate le batterie."
"Tranquillo, ci vediamo dopo. Ti saluta Steve." Disse, lanciando un'occhiata all'altro.
E questi annuì, guardandolo appena perplesso per la frase con cui stava per chiudere la chiamata.
"A dopo." Mise giù e guardò l'altro. "Non ha sentito la sveglia."
"Doveva essere distrutto."
Sollevò un sopracciglio. "A cosa ti riferisci?"
"Beh, se non ha sentito la sveglia e dorme da ieri..."
Phil lo guardò appena sospettoso. "Sarà stato molto stanco."
Steve annuì, di nuovo, quasi non sapesse bene né che dire, né che fare.
Phil gli lanciò un'occhiata. "Cosa c'è?"
"Nulla. "
"Dopo puoi venire a trovarlo con me se vuoi."
"Mi farebbe molto piacere."
"Tu dove vivi?"
Steve nominò un quartiere distante dalla scuola una ventina di minuti a piedi.
"Io abito lì vicino!" Saltò su Phil. "Potremmo vederci per studiare, qualche volta."
"Oh, sarebbe perfetto! Casa mia è ancora un po' in confusione a causa del trasloco." Lo avvisò l'altro. "Ce ne libereremo il prima possibile."
E Phil annuì afferrando un libro dalla tracolla. "Vivi con i tuoi genitori, vero?"
"Esatto. Mia madre è infermiera, mio padre è un soldato."
"Soldato? Ed è in licenza ora?"
Steve tamburellò le dita sul quaderno. "Ora si occupa delle scartoffie burocratiche."
"Oh... Meglio così, no?" Sorrise, quasi comprensivo.
"Molto. Non devo più preoccuparmi che cada al fronte."
Cosa aveva detto Tony? Che Steve gli pareva vecchio.
Desueto.
Il ragazzo sorrise. "I miei sono morti quando ero piccolo, invece." Disse. "Vivo con delle zie."
“Perdonami. Non volevo rivangare brutti ricordi."
Ma l’alro scosse la testa. "Nessun brutto ricordo, quasi non li ricordo più."
Steve allungò la mano e le dita erano calde, sulla pelle di Phil. "Mi spiace comunque."
Phil gli sorrise con calore. "Grazie."
Il ragazzo di Brooklyn continuò a sorridere, per poi dargli una pacca sul braccio -Molto più cameristica- e indicare il quaderno. "Sarà meglio pensare allo studio, ora."
 
***
 
Alla fine delle lezioni, Phil e Steve si diressero a casa di Tony ad una decina di isolata dalla scuola. "Ecco, siamo arrivati."
Era una casetta a due piani, una bicocca fin troppo scortese nel suo voler rendere noto a tutti la provenienza inglese del suo proprietario. Il giardino era curato alla perfezione, non un'ammaccatura rovinava la pittura esterna e uno scroscio di fiori brillava, allungandosi dai terrazzini. "È... Bellissima." Esalò Steve.
Phil ridacchiò. "Neanche Tony ha i genitori. E' cresciuto con un amico di suo padre e sua moglie."
La moglie, Hannah, si rivelò essere un uragano ungherese che abbracciò Phil con la dolcezza e il trasporto di una madre -E lo stesso fece con Steve, di cui trovò delizioso il baciamano e i modi cortesi. Svolazzante nell'abitino verde che risaltava gli occhi e i capelli bruno-rossicci, li condusse fino alla camera di Tony: il ragazzo, impaludato dentro una vecchia tuta rossa, stava armeggiando con alcuni cavi e attese di aver concluso il chissà-cosa su cui stava lavorando prima di salutarli.
"Ti ho portato dei biscotti." Phil posò un sacchetto di plastica sulla sua scrivania e andò a sedersi sul letto attaccato al muro. "Come ti senti?"
Steve invece rimase in piedi, gli occhi che osservavano curiosi la stanza del ragazzo, i poster, i marchingegni. "Bene." Fu la risposta di Stark, che agguantò i biscotti con rapidità di mano eccezionale. "Che mi sono perso?"
L'altro scosse le spalle. "Le solite cose. Ti ho portato anche i miei appunti."
"Yeeh--" Fu l'esclamazione sarcastica e tirata di Tony, che poi girò gli occhi verso Steve. "Siediti, ragazzone, il letto non morde."
Phil ridacchiò e poggiò la schiena alla parete, completamente a suo agio. "Tu a cosa stai lavorando?"
"A... Cose." E, dallo sguardo che rivolse a Phil, era palese a che ambito quelle "Cose" appartenessero.
"Come al solito!" Scherzò l'altro. "Ci sono novità?"
"Di che genere?"
Scosse le spalle. "Non lo so, in generale!"
Steve seguì lo scambio di battute, per poi schiarirsi la gola. "Forse è meglio che vada. Temo che la mia presenza qui vi crei imbarazzo."
"Ma non è vero!" Phil scosse la testa e batté la mano sul letto. "Rimani, non hai neanche provato i biscotti!"
Tony spalancò gli occhi a quella reazione tanto veemente; Rogers invece fece una quieta risata, allungandosi a prendere un dolce. "Biscotto sia."
"Possiamo giocare a qualcosa!"
"Non obbligo o verità." Gnaulò Stark. "Non obbligo o verità."
"Potremmo giocare anche a carte, se vi va."
"Oh, a quello so giocare." Fu il commento di Steve.
"Bene! Tony?"
Stark ingoiò un morso di biscotto. "Ma solo se ci diamo al poker."
"Basta che non scommettiamo soldi."
"Ma così togli tutto il divertimento!"
"Ho già speso la mia paghetta!" Rise l’altro.
"Beh, possiamo puntare fagioli o---"
"Fagioli?" Fu la reazione orripilata di Stark. "Cosa siamo, Rogers? Dei vecchietti?"
"Tony!" Lo sgridò Phil. "Usiamo delle fish ma senza poi pagare."
"Va bene va bene. Va bene." Tony roteò gli occhi al cielo. "Cattivo Stark. Cattivo."
Phil si sollevò e andò ad occupare il pavimento. Afferrò il mazzo di carte e cominciò a mescolarlo. "Hai dormito bene, vero?"
"Sì." Brontolò Tony, sedendosi a gambe incrociate. "E voi? Avete parlato alle mie spalle?"
"Tanto e male." Fu la risposta di Rogers, mentre si accomodava accanto all'altro.
"I professori hanno chiesto di te. Ho detto che eri influenzato."
"La Romanoff avrà pianto la mia assenza. Mi adora."
"Ah si, certo." Rise Phil mentre distribuiva le carte. "Domani verrai?"
"Se non mi cade un meteorite sulla testa stasera…"
"Meteorite?” Phil lo guardò tra il divertito e l’eloquente. “Non ti sembra di esagerare?"
"Sono realista."
Scosse la testa e prese un paio di carte. "Jarvis non c'è? Non l'ho visto."
"È andato al negozio kosher. Dammi due carte." Disse Stark, mentre Steve ne cambiava una.
Phil gli passò le carte e si mordicchiò le labbra. "Magari posso fermarmi a cena..."
"Faresti la felicità di Hanna." Tony gettò due fish da dieci davanti a sé.
Il ragazzo rilanciò con una fish da dieci. "Chiamo le mie zie ma non credo ci saranno problemi."
Una fish da venti, messa in tavola da Steve. "Non tirare troppo la corda, Rogers. Secondo me non hai una mano così bella."
"Secondo me ci spennerà entrambi." Replicò Phil, occhieggiando al ragazzo.
Steve arcuò la bocca in un sorriso compiaciuto. "È solo la fortuna del principiante." Disse, mostrando un full di assi.
"Fortuna del principiante?" Phil mostrò una scala reale. "O sei bravo?"
"Il mio tris di re sfigura." Brontolò Stark.
"Magari sei più fortunato in amore." Scherzò Coulson, rimescolando le carte.
"Non credo." Steve si rilassò un poco, mentre Tony lo osservava di sottecchi per non farsi vedere -Il sole che arrivava dalle finestre passava dita e carezze dorate tra i suoi capelli e… Mio Dio Stark datti un contegno.
Phil ridistribuì le carte. "Non vedo l'ora inizino le vacanze primaverili."
"Avete in programma qualcosa di particolare?"
"Dormire." Rise.
Anche Steve si unì alla risata e Tony si chiese, per un frammento di secondo, perché diavolo non potevano essere così, le loro giornate, senza una Gemma nascosta pigramente nel petto e mostri dalla faccia oblunga che lo volevano morto. "Io penso che spolvererò la moto." Disse Steve, mettendo una fish da trenta.
"Hai una moto?" Chiese l'altro, sorpreso. "Mi ci porti a fare un giro?"
"Una Harley Davidson." Confermò Steve, una punta di orgoglio nel fondo degli occhi azzurri.
"Dev'essere bellissima! Mi ci porti? Ti prego!" Phil lo guardava con occhi grandi e luminosi. “Ti prego!”
"D'accordo."
"Posso chiedertelo anche io?" Domandò Tony, guardando le carte con fissità tale da risultare forzata.
Phil spostò gli occhi sull'amico, prendendo una carta e rilanciando di venti. "Non pensavo ti piacessero le moto."
"Non ci sono mai salito sopra. Non posso dire che non mi piacciono, né il contrario."
"Io adoro le moto!" Phil sorrise. "Potremmo organizzare una gita al lago!"
"Approvo!" Salto su Tony. "È un'idea magnifica!"
Rise. "Bene! Possiamo preparare i pranzi a sacco e dormire sotto le stelle."
Steve sfiorò il contorno delle carte a punta di dita. "Sarebbero bellissimo."
"Facciamolo!" Esclamò Tony. "Niente ci tiene qui!"
Phil annuì. "Mancano ancora due settimane alle vacanze, abbiamo tempo per organizzarci."
"Io potrei cucinare qualcosa " propose Steve. "Me la cavo ai fornelli."
Tony annuì ed era davvero, davvero esaltato all'idea di poter fare quella sottospecie di gita casereccia, tutto zucchero filato e amici del cuore.
Ma la realtà, coi Chitauri accucciati nel buio, era più pericolosa e ben diversa.
 

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Capitolo 4
*** Capitolo Quattro ***


Capitolo Quattro
 



 
 
Il Capitano venne scaraventato oltre la strada, oltre una finestra in frantumi che gridò il proprio oltraggio strillando un dolore di roboante allarme. L'uomo, nonostante lo scudo avesse ammortizzato la caduta e l'impatto, avvertì la spalla indolenzirsi, coperta di brividi. Sputò allora un grumo di sangue, mescolato a saliva e improperi.
"Capitano!" Phil si fece largo sparando contro i Chitauri, svuotando tutto il caricatore -Anche se le creature erano immuni ai proiettili, li rallentavano per un po' e, in quel momento, tutto quello di cui avevano bisogno, era tempo. Si affacciò dalla finestra. "Stai bene? Dobbiamo andarcene!"
Il Capitano annuì, quindi fece per tirarsi in piedi -Un grido gli sfuggì alla bocca: una scheggia di vetro, che per l'adrenalina non aveva sentito, si era conficcata in quel mentre ancor più profondamente nel polpaccio.
Il ragazzo si lanciò verso di lui e lo afferrò per i fianchi. "Non muoverti, potresti far peggio!"
"Tu e Iron Man andate via." L'uomo lo spinse indietro, con fermezza. "Andate."
"No! Non ti lasceremo mai da solo! Appoggiati a me, ti aiuto io."
L'uomo allacciò il braccio attorno alle spalle dell'altro, stringendo i denti e contraendo la mascella. "Non posso rallentarvi---"
"Iron Man può coprirci le spalle, non è messo ancora così male." Piegò le labbra in un mezzo sorriso. "Questi cosi stanno diventando sempre più forti, accidenti."
"Dovremmo diventarlo anche no---Attento!" Ingoiando il ruggito di sofferenza, il Capitano spinse il corpo in avanti, a proteggere il corpo di entrambi con lo scudo -Che scagliò con uno scatto del polso verso il Chitauro che li aveva attaccati.
Phil cadde indietro, trascinando anche l'altro con se. "Oddio, scusa! Stai bene?"
"In guerra ho affrontato di peggio...!"
"...Guerra?"
"Ne riparleremo." Il Capitano serrò le palpebre. "Non ora."
"Oh, si, si, scusa!" Lo afferrò di nuovo. "Tony! Coprici mentre porto il Capitano al sicuro."
"Subito!" Rispose la voce di Iron Man. "Sta bene?"
"E' ferito e non riesce a camminare bene!" Si toccò l'orecchio sinistro, dove teneva l'auricolare per comunicare con l'amico. "Dobbiamo portarlo da un medico!"
"Come riesci a comunicare con lui...?" Fu la domanda del Capitano, mentre Tony organizzava veloce le idee. "La clinica del dottor Blake è a meno di un quarto d'ora da qui!"
"E' quella vicino il teatro?" Si indicò l'orecchio. "Auricolare. Ne daremo uno anche a te." Lo spinse in un vicolo. "Da qui faremo prima e saremo coperti."
Il Capitano cadde con la spalla contro il muro del palazzo da cui erano nascosti. "Cos'è un auricolare.. ?"
Phil aggrottò le sopracciglia. "Ma da che tempo vieni? Come fai a non sapere cos'è un auricolare?"
L'uomo si passò una mano sugli occhi e, sotto la maschera, la bocca ed il mento erano coperti di sudore.
"Lascia perdere, ora ti devo portare al sicuro!" Il ragazzo afferrò di nuovo i fianchi dell'uomo. "Andiamo!"
Il Capitano arrivò quasi per miracolo, il corpo bruciante e la divisa scurita dal sudore, tremante di brividi. "Iron Man...?" Chiese. "Dov'è?"
"Adesso ci raggiunge." Phil bussò insistente alla porta. "C'è nessuno? Abbiamo bisogno di aiuto!"
Donald Blake era rimasto nella clinica più del dovuto: non avrebbe saputo dare un motivo logico della sua scelta, eppure qualcosa, nel profondo dell'anima, in un angolo del cervello, lo aveva convinto a restare, a mandate a casa Darcy, la segretaria, e dedicarsi personalmente alle cartelle e alle diagnosi dei pazienti. Il grido lo risvegliò dal sopore che la luce della lampada sulla scrivania ed il silenzio avevano contribuito a creare. Il viso mutò in orrore quando vide l'uomo in maschera riverso sulla scalinata di ingresso e, nonostante gli occhiali di traverso sul naso per la fretta e la sorpresa, aiutò Phil a portarlo fin nello studio, facendolo distendere sul lettino. "Cosa...?" Domandò Blake, incapace di dare un senso a quanto aveva visto.
"Lo aiuti, io torno subito!" Senza spiegazione alcuna, Phil si precipitò di nuovo per strada. "Tony stai bene? Dove sei?"
Iron Man atterrò accanto a lui pochi istanti dopo, un ginocchio a terra e così il pugno destro. Sollevò la calotta del casco, rivelando gli occhi attenti, vigili, il colore appena pallido della carnagione. "Dov'è?"
"Se ne sta occupando il dottore. Tu stai bene, vero?"
"Sì! Ho ricacciato indietro gli ultimi: i razzi sulle spalle hanno fatto il loro dovere e superato il collaudo."
"Bene. Torna a casa, io rimango qui col Capitano."
"Cos--no! Rimarrò anche io!"
"Tony!" L'altro mise su il suo miglior cipiglio severo. "Sarà già abbastanza difficile spiegare la nostra presenza, senza che ci sia un'armatura parlante con noi. Va a casa a riposare, mi occupo io di lui."
Il ragazzo scosse la testa -Mandando al diavolo la ragione. "Vi aspetto qui fuori."
"Torna a casa." Ripeté, poi gli lasciò una pacca sul braccio e rientrò nello studio. "Mi dispiace per la nostra venuta così improvvisa." Si scusò col medico, avvicinandosi al Capitano.
"Non vi dovete preoccupare." Blake aveva messo a nudo la gamba, ponendo su un tavolinetto con rotelle disinfettante ed altro. "Ammetto tuttavia che sono curioso." Concluse, allungandosi ad abbassare la lampada che sovrastava il lettino dell'ambulatorio.
"Ha bisogno di aiuto? Come sta?"
"Sto bene." Rispose per lui il Capitano. "Starai ancora meglio quando avrò estratto il pezzo di vetro. Eravate ad una festa in maschera?"
Phil spalancò gli occhi. "Esatto." Rispose poi. "Ma ci sono state un paio di risse, sa... L'alcol..."
Donald Blake non parve così convinto. Non disse nulla e tenne per sé ogni commento -Quando, però, entrò in contatto con la pelle del Capitano, avvertì una strana sensazione al cuore. Un tumulto. Un palpito. Come un elastico tirato e poi lasciato andare, un catapultarsi in avanti di se stesso e di qualcosa, dentro di sé, dal carattere spigoloso e l'animo antico. Ritrasse allora la mani, deglutendo, le dita improvvisamente malferme.
"Va tutto bene, Dottore?" Phil osservò l'uomo, preoccupato e afferrò una mano del Capitano. "Può estrarre il vetro, vero?"
"Certo." Annuì l'uomo e il Capitano socchiuse gli occhi, quindi strinse i denti quando il medico cominciò a pulire la ferita. Una connessione. L'aveva sentita.
Il ragazzo gli strinse forte la mano con un mezzo sorrise. "Poi posso portarlo a casa, vero?"
Il dottor Blake, che l'ascoltava per metà, annuì distrattamente. Mentre si occupava di togliere sensibilità alla zona circostante la scheggia, si accorse di un rumore ovattato, di sottofondo, come macchine sputacchianti, il cicaleccio di una via che non era la sua... Socchiuse gli occhi, scosse un poco la testa, e cominciò ad estrarre il vetro. Il Capitano corrugò la fronte. "Perché non sento.. ? Ah." Disse poi, abbandonando la testa all'indietro. "No, non importa."
"Si chiama anestesia locale." Bisbigliò Phil, continuando a stringergli la mano. "Dovremmo fare una bella chiacchierata, poi."
"Non mi crederesti." Fu la risposta del Capitano. Girò impercettibilmente gli occhi, per non guardarlo. "Non ci crederesti."
"Mettimi alla prova."
Il Capitano tacque, chiudendo gli occhi e rilasciando un sospiro -Non avvertiva dolore, tuttavia la sensazione di qualcosa che gli scavava la carne era in qualche modo straniante. Si umettò le labbra, paziente, in attesa che il medico chiudesse la ferita.


***


Colui che aveva lo sguardo viola girò la testa di scatto ed emise un grido, come lo stridio di un Falco. "È debole, Maestro. Ma l'ho percepita."
Lingua d'argento comparve dinanzi alle sbarre come se si fosse volatilizzato in quel preciso istante. "Un'altra Gemma? Dove?"
"New York. Le Gemme si cercano l'una con l'altra."
"Bene." L'uomo piegò le labbra in un sorriso soddisfatto. "Domani invierò il grosso delle truppe. Se questa Gemma è debole, meglio approfittarne subito!"
"Diventeranno forti, Maestro. L'Uomo Di Ferro sta acquistando le forze: vedo le loro anime nutrirsi l'una dell'altra."
"Allora dobbiamo agire subito e non permettergli di unirsi!"
"Sradicare le loro radici, prima che crescano."
"Esatto!" L'uomo strinse le dita intorno alle sbarre. "Li divideremo e uccideremo uno alla volta."
Colui che era in gabbia piegò la testa. Il viola degli occhi si ritrasse, rimase unicamente la patina gelida.
"E tutte le Gemme saranno in mano tua."
"Esatto mio caro uccellino. Prima le Gemme." Piegò le labbra in un ghigno. "E poi il mondo."
"Il mondo." Convenne l'altro "Ai tuoi ordini."
"L'intero universo sarà ai miei ordini." L’uomo allungò una mano a sfiorare il viso dell'altro. "Trova le altre."
"Ne manca ancora una, Maestro." L'uomo inclinò il volto. "Ma non rimarrà nascosta a lungo."
"Continua a cercare, mio fedele uccellino."
"Sì, Maestro. Sì. Per te."
 
***

Blake aiutò il Capitano ad alzarsi e questi mise cauto il piede a terra.
"Niente sforzi." Lo avvisò il medico.
"Stia tranquillo, lo costringerò a letto per un po'." Phil si mosse subito al suo fianco e gli strinse i fianchi. "Appoggiati a me, ti porto a casa.”
"Non ti preoccupare." Il Capitano cercò di evitare a Phil più peso possibile. "Ce la faccio."
"Non è vero." Lo riprese bonario l'altro. "La ringrazio dottore, passerò domani a saldare il conto."
"Non vi preoccupate." Lo rassicurò il dottore, senza riuscire a fermarsi. "Non c'è niente da saldare."
Il ragazzo girò gli occhi sull'altro. "...Ma le cure...?"
Donald fece un gesto con la mano. "Andate. E fate attenzione."
"Grazie signore." Il ragazzo lo salutò con un sorriso grato e accompagnò l'altro in strada. "Se mi dici dove abiti ti accompagno."
"Non c'è bisogno." Il Capitano si tirò appena indietro. "Ce la posso fare."
"No, invece! E non ti lascio, quindi faresti bene a farti accompagnare."
"Ti prego." Fece l'uomo. "La gamba non fa quasi più male."
Ma l'altro scosse la testa. "Ti accompagno."
Il Capitano gli fece abbassare il braccio. Il suo sguardo era serio, gli occhi azzurri decisi. "Ti prego." Ripeté.
"Non mi interessa chi sei, ne dove abiti. Non ti lascio in queste condizioni." Replicò Phil, caparbio.
"Allora andiamo nel Queens."
Gli avvolse di nuovo i fianchi. "Andiamo."
"Ragazzi, dove siete?" Li raggiunse la voce di Tony, a metà strada. "Phil, vi raggiungo?"
"Tranquillo ce la caviamo. Accompagno il Capitano a casa, tu torna e va a riposare."
"Se volassimo fin là sarebbe tutto più veloce!"
"Non puoi portarci entrambi!"
"Posso portare peso fino a---" Poi Iron Man si arrese. "Come vuoi."
"Va a casa a riposare, fidati di me. Lui sta bene. Te lo passo se vuoi."
"Lascia perdere. Ho già fatto la figura del patetico abbastanza a lungo."
"Non dire stronzate, aspetta." Si fermò e tolse l'auricolare. "Iron man vuole parlare con te." Disse, sistemando l'apparecchio nell'orecchio dell'altro.
"Ah---" Sulle prime, imbarazzato, il Capitano accondiscese a quel gesto e la conversazione con Tony, tra una rassicurazione e l'altra, si trascinò passo dopo passo fino ad entrare nel Queens. Lì, dopo pochi minuti, il Capitano salutò Stark e consegnò l'auricolare a Phil. "Grazie."
"Figurati." Il ragazzo sospirò appena, esausto. "Dov'è casa tua?"
"Poco più avanti, un paio di portoni in più." L'uomo gli mise una mano sulla spalla. "Va' a riposare, ora."
Scosse la testa. "Ti ho portato fin qui, fatti portare almeno al portone." Sorrise e se lo strinse contro, fino alle scale. "È qui?"
"Sì. Ti ringrazio." Il Capitano gli diede una pacca sul braccio "Va', ora.”
"Riposati, per qualche giorno possiamo cavarcela da soli."
"Sono veloce a recuperare. Ma farò come dici tu e come dice il medico."
"Bene." Phil sorrise e gli lasciò una pacca sulla spalla. "E tieni questa. Così possiamo comunicare. Basta la metti nell'orecchio."
Il Capitano tenne l'auricolare tra le dita, squadrandolo con occhi appena dubbiosi. "Ricevuto."
"Puoi parlare sia con me che con Iron Man." Si portò due dita alla fronte. "A presto, allora."
L'altro ripeté il gesto e gli sorrise. Attese lunghi minuti prima di alzarsi in piedi, attento che Coulson non fosse lì, e incamminarsi lentamente verso Brooklyn -Con vestiti molto meno appariscenti, ovvio.
 
***
 
Tony osservò il banco vuoto di Steve, corrugando la fronte. "Perfetto-Rogers è in ritardo."
"Strano... È sempre puntualissimo." Phil sbadigliò e si abbandonò sul banco. "Ho sonno."
"Benvenuto nel mio mondo." Stark si sedette dietro di lui, dandogli un pizzico sulla schiena. "Botta di adrenalina ieri notte, eh?"
Phil si ritrasse con un mezzo sorriso. "Dio, credevo sarei svenuto! Ho temuto davvero il peggio. Dobbiamo trovare un altro modo per combatterli."
"La mia vena creativa è tornata in pompa magna." Annunciò l'amico, trionfante. "Non chiedermi come, ma ho mille idee in testa e posso realizzarle in pochissimo."
"Ottimo. Magari possiamo evitare la ronda per un po'."
"Ma---Se la evitiamo, come facciamo male ai Chitauri?"
"Abbiamo bisogno di una pausa, Tony. Tu non sei stanco?"
"Sì, ma..." Il ragazzo scrollò le spalle, "E il mondo e quelle cose lì?"
"Credi il mondo verrà distrutto se per una notte dormiamo?"
Tony si passò la mano tra i capelli scuri. "No. Non penso. Ehi!" Sventolò poi le dita in direzione della porta. "Rogers! Sei in ritardo!" Steve rifilò alcune lettere ammonticchiate a caso come risposta, trafelato, sedendosi ansante accanto a Phil. "Scusate. Non mi sono svegliato."
Phil gli regalò un enorme sorriso. "Tranquillo! Sei arrivato appena in tempo."
"Ottimo." Steve fece una smorfia nel spostare le gambe sotto il banco. "Non ho mai corso così veloce."
La smorfia, però, non sfuggì agli occhi attenti di Coulson. "Stai bene?"
"Sì. Non ti preoccupare, è solo una storta."
"Ehi." Tony si sporse da dietro il loro banco. "Di che ciarlate?"
"Come mai ancora non dormi?" Chiese invece Phil, guardandolo con affetto.
"Ah, non lo so. Mi sento ringalluzzito. Pizza, stasera? Che dite?" Steve rise, posando il peso sulla gamba sinistra, come se l'altra dolesse. "Non ti credevo potessi essere così pimpante."
"Neanche io... E comunque si, la pizza mi va!"
"Allora è deciso." Tony allungò le mani verso di loro, solenne.
Phil gli afferrò la mano con una risata. "Potete venire da me se vi va!"
"Mitico! Approvo!"
"Sei molto gentile." Fece Steve. "Grazie per l'ospitalità."
"Potremmo vedere anche un film!"
"E mangiare schifezze, oltre che la pizza."
"Ottimo! Scelgo io il film?"
Steve annuì, tendendo inconsciamente la mano a sfiorare la gamba destra. "Mi pare il minimo."
"Ottimo, facciamo alle sette da me. Ordino io. Come volete la pizza?"
"Peperoni!" Esclamò Tony, mentre Steve, sebbene titubante, annuiva, di nuovo, quindi decideva per la stessa pizza di Stark.
"Peperoni?" Phil arricciò il naso. "Qualcosa di leggero, eh?" Rise. "Sicuro anche per te, Steve? Puoi scegliere altro."
"I peperoni andranno benissimo. Vengo in moto, hai bisogno di un passaggio, Tony?" Stark si schiarì la gola, per poi scrollare le spalle. "Come ti pare. Grazie."
"Bene! Allora facciamo alle sette!"
"E alle sette sia!"
 

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Capitolo 5
*** Capitolo Cinque ***


Nota Autrici: Perdonate l'altalenante pubblicazione dei capitoli. Purtroppo il lavoro ci tiene parecchio impegnate! Pubblicheremo sempre due capitoli a settimana solo che potrebbero arrivare in giorni distanti o uno dopo l'altro, dipende dagli impegni. Purtroppo non abbiamo neanche il tempo di rispondere alle recensioni ma le leggiamo e siamo felicissime che anche questa storia vi piaccia! Ne approfittiamo qui per ringraziarvi (Shavanna, LoreleydeWinter, Nuxla graziegraziegrazie!). Promettiamo di rispondere il prima possibile! Godetevi il prossimo capitolo: le cose cominciano a complicarsi!


 
Capitolo Cinque




 "Ad insaputa di Victoria, vi ho preso la Coca Cola. Mi merito un riconoscimento come si deve, per questo strappo alla dieta ferrea." Isabelle pareva la copia sputata di Lucy Lawless: stesso viso, stesso modo di sorridere, c'era quasi da pensare che l'attrice conducesse una tripla vita, tra set, spionaggio internazionale e madre adottiva. Si sedette sul bracciolo del divano, guardando Phil con un quieto sorriso ad aleggiarle sulle labbra. "Come è andata a scuola?"
"Tutto bene." Il ragazzo sorrise alla donna con gratitudine. Quando era stato affidato alle due donne aveva appena sei anni e, nonostante alcune maldicenze, lui era sempre stato più che fiero di avere due mamm: lo facevano sentire speciale, anche se non lo avessero addestrato come spia da quando aveva otto anni e non lo avessero fatto assoldare dallo S.H.I.E.L.D. "Verrà anche il nuovo ragazzo."
"Oh." Isabelle accavallò le gambe, arcuando le sopracciglia scure in un'espressione eloquente. "Carino?"
Annuì. "Molto. Credo anche che piaccia parecchio a Tony. Ha cominciato ad aprirsi anche con lui."
"Sul serio? Deve essere una persona davvero speciale." La donna si allungò a passare la mano tra i capelli del ragazzo. "Come stai, Phil? Sei così stanco, lo vediamo. Quando sei tornato ieri notte ci si è fermato il cuore."
"Lo so, mi dispiace." Sorrise alla carezza della donna. "I Chitauri diventano più forti e insistenti e io non sono in grado di fare nulla. Se non fosse che Fury mi ha messo a controllare Tony, non mi sarei mai imbarcato in questa cosa."
"Fury ha fiducia in te. E anche noi. Anche se..." Isabelle prese un respiro. "Mi pento di non averti potuto dare una vita normale."
"Chi ti dice che l'avrei voluta?" Il ragazzo le strinse affettuosamente la mano. "Sono felice della mia vita e di avere voi come mamma.”
La donna si avvicinò, per regalargli un forte abbraccio. Era molto più espansiva (a seconda delle vedute) di Victoria, sempre algida, sempre rigida e composta nella figura, negli abiti, nel portamento. Autoritaria nel suo tailleur pantalone, l'unica nota fuori dalle righe era la ciocca colorata che le solleticava orecchio e spalla -Isabelle, al contrario, era un exploit di pantaloni comodi, anfibi e giacche di pelle. Tutte dal taglio femminile, forte e indipendente.
Phil le si strinse contro. "Grazie e mi dispiace farvi sempre preoccupare."
"E io faccio sempre preoccupare te e Victoria e lei me e te. Siamo pari, in fondo."
Ridacchiò. "Si, è vero. Ma lei è in missione? Non mi ha detto nulla."
"Oh, no. Io non ti ho detto nulla, ma potrebbe, potrebbe essere andata a prenderti qualcosa in fumetteria."
Come quando Phil era piccolo e stava male e Victoria, che nonostante l'addestramento aveva il sacrosanto terrore delle malattie infantili, arrivava con qualche gioco o pupazzo soltanto per vederlo sorridere.
Il viso di Phil si illuminò. "Davvero? Ma non sto male!"
"Ritornare tutto ammaccato e con del sangue sui pantaloni è un po'come essere malati."
Inclinò il viso con un sorriso. "Ma il sangue non era mio ed ero solo stanco." Poi poggiò il viso sulle gambe della donna. "Mi dispiace causarvi sempre un sacco di problemi. Sto cercando di risolvere tutto il prima possibile."
Isabelle filò i capelli del ragazzo tra le dita, lentamente, con la punta delle dita che sfioravano piano le tempie. "Non ci stai causando alcun problema, Phil."
Il ragazzo sorrise ma tacque. Sapeva che le donne passavano la notte sveglie ad aspettarlo, preoccupate di non vederlo tornare. Anche per quello aveva voluto che gli amici andassero da lui, per dare un senso di normalità a quella vita che di normale non aveva proprio nulla.


***


Alle sette, il rombo di una moto si spense oltre la finestra, sul ghiaietto che dava accesso alla casa di Coulson. Spiando oltre i vetri Phil poteva vedere il corpo di Tony fin troppo attaccato a quello di Steve e le dita di questi attardarsi un po' troppo nello slacciare il casco dell'altro. "È lui?" Domandò Isabelle, spuntando per poggiare una conca di pop corn sul tavolino dinanzi la tv. "È carino."
"Dici che devo cominciare ad essere geloso?" Provò a scherzare Phil.
"Geloso di chi?" Intervenne Victoria, posando sullo stipite la spalla coperta da una camicetta di lino bianco. "La gelosia porta al lato oscuro." Convenne Isabelle, che ricevette un'occhiata gelida dalla moglie.
"Tony è l'unico amico che ho, non vorrei perderlo perché... Beh… Si è innamorato di un altro."
"Tu sei l'unico amico che ha." Ribatté Victoria. "Non dimenticarlo."
"Ha anche Steve ora. E se si mettono insieme io diventerò superfluo..." Socchiuse appena gli occhi. "Non importa." Sussurrò. Poi aprì la porta con un enorme sorriso. "Ciao, benvenuti!”
Mentre Tony aveva indossato una felpa rossa e dei semplici jeans neri, Steve pareva pronto per una serata in qualche locale vintage, col suo gilet e la camicia carta da zucchero coi polsini alzati appena sotto il gomito. La gamba destra, solo, sembrava gonfia e il ragazzo si sforzava di non mettervi sopra il peso. "Ehi." Lo salutò Tony. "Isabelle ha preso la coca cola?"
"Ovvio." Il ragazzo sorrise ad entrambi, notando i movimenti impacciati di Steve -Cosa che aveva fatto anche a scuola e che destò in lui qualche blando sospetto. "La pizza arriverà a momenti."
"Lode al Signore! Buonasera Isabelle, miss Hand..." E Victoria si permise di arricciare le labbra in un sorriso -In fondo trovava simpatico questo modo di rapportarsi con lei di Tony. Rogers strinse la mano alle due donne, incuriosito dal loro palese rapporto di intimità -Affascinato. Sollevato, quasi.
"Loro sono le mie zie." Le presentò Phil. Sorrise poi a Tony. "Ho scelto i Guardiani della Galassia, spero vada bene. Altrimenti possiamo scegliere altro."
"Io sono Groot." Commentò Tony e Steve, con un sorriso, si limitò ad un. "Per me va bene."
"Accomodatevi sul divano, allora. Io prendo i bicchieri."
"Steve non aveva idea di cosa tu stessi parlando." Lo avvisò Victoria, approfittando del fatto che Phil era entrato in cucina. "Riposo, Agente Hand." La richiamò Isabelle, ma la donna scosse la testa. "E ha la gamba ferita."
"Lo so, me ne sono accorto." Phil afferrò i bicchieri e guardò le due donne. "E' la stessa gamba che si è ferito il Capitano ieri." Bisbigliò. "E neanche lui conosce la tecnologia. E' rimasto stupito dell'auricolare con cui comunico con Tony."
Isabelle divenne attenta, interessata. "Credi che...?"
Scosse le spalle. "Potrebbe esserlo e forse anche per questo Tony è attratto da lui. Le Gemme si chiamano l'un l'altra."
"Ma hai sempre parlato di lui come di un uomo."
"Se avesse la Gemma della realtà, potrebbe manipolare il suo aspetto fisico, no?"
Victoria si sedette dinanzi l'isolotto. "Ma potrebbe alterare la realtà perché voi non possiate vedere la sua ferita."
Phil scosse le spalle. "Deve consumare parecchia energia allora, no?"
"Gli studi sulle Gemme non sono completi." Isabelle tamburellò le dita sull'isolotto. "Potremmo prendere un campione biologico.. "
Phil ridacchiò. "Cosa vuoi fare, tagliargli una ciocca di capelli?"
"Pensavo di tenere il bicchiere in cui beve."
Il ragazzo inclinò in viso. "E' un'ottima idea." Disse, tornando poi dai suoi ospiti. "Ci sono popcorn e patatine e la pizza arriverà a momenti."
Steve, col naso immerso nelle istruzioni del lettore dvd, sollevò la testa e sorrise. Tony gli si era fatto accanto, la schiena contro il suo braccio e le gambe oltre il bracciolo del divano. Stava giochicchiando col cellulare; drizzò gli occhi, schizzando immediatamente in una posizione più composta.
L'altro gli lanciò un'occhiata appena. "Steve, non dirmi che non hai mai usato un lettore dvd!"
"Il mio è... Vecchio."
"Beh, questo ha quasi quattro anni ormai, non direi che è di ultima generazione." Poggiò i bicchieri sul tavolo, recuperò il telecomando e andò a sedersi in mezzo ai due. "Vi dispiace?"
"Certo che no." Steve mise da parte il manuale e sorrise. Stark tossicchiò, per poi annuire. "Naturalmente no."
"Bene." Premette poi il pulsante del play e strinse la ciotola di popcorn tra le dita, in modo che gli altri potessero mangiare a piacimento.
Steve piluccò dapprima qualcosa. Poi con gusto, come se non avesse mai mangiato nulla di simile; gli occhi erano tutti per lo schermo, per i colori, le immagini, lo schermo. "Sai, l’arma di Star Lord si può costruire." Commentò Stark."Un giorno."
"Lo farai tu?" Phil aveva rilassato le spalle, tanto da toccare quella dell'amico. "Perché non costruisci una navicella? Così potremmo andare in giro per lo spazio."
"Potrei davvero."
"Potremmo conoscere altri mondi e incontrare gli alieni."
"Dite sia possibile?" Domandò Steve. "Andare oltre il cielo? E che esistano altre creature?"
Phil ridacchiò. "Beh... L'uomo è già andato sulla Luna e su Marte quindi dico si alla prima domanda e... Credo che si, esistano altre creature nell'universo."
Un cambio di scena oscurò gli occhi sbarrati di Rogers, la sua espressione sgomenta. "Vorrei avere un Groot nella mia vita." Fece Tony. "Lo tratterei bene."
Phil piegò il viso verso l'altro. "Stai bene? Sei impallidito all'improvviso."
"Cosa? Oh, no. No. Sto bene."
"Sicuro? Vuoi un bicchiere d'acqua?"
Il giovane annuì. "Grazie..."
Phil si allungò subito e riempirgli il bicchiere e glielo passò. "Hai caldo? Posso aprire la finestra se vuoi."
Steve negò col capo e bevve in un sol sorso il bicchiere. Tony lo guardava con una nota di preoccupazione negli occhi. "Scusate. È stata la stanchezza."
"Forse è la fame! Chiamo la pizzeria per chiedere dov'è la nostra cena, torno subito." Prese il bicchiere di Steve e lo portò in cucina, affidandolo alle donne e prendendone un altro. "E' davvero un ragazzo strano." Bisbigliò alle due.
Isabelle, attenta a non toccarlo, fece cadere il bicchiere in un sacchetto di plastica. "Presto sapremo quanto." Victoria aveva le braccia incrociate al seno. "Sto cercando informazioni sul database."
"Ha detto che il padre è un soldato ma ora si occupa di lavoro di ufficio. Vive a Brooklyn con lui e la madre." Il citofono poi squillò e Phil afferrò le pizze. "Vedete cosa trovate."
A metà serata, Isabelle fece segno a Phil di venire in cucina; Tony aveva appena lasciato una delle sue ultime fette a Steve, che aveva divorato la propria pizza con un'espressione di pura estasi.
"Vado a prendere il dolce!" Phil sorrise ad entrambi e sparì in cucina, "Che succede?"
"Non esiste niente su di lui."
Sollevò un sopracciglio. "Come scusa?"
Victoria girò il portatile verso di lui. "Niente." Ripeté.
Spalancò occhi e bocca. "Ma è assurdo! Deve esserci minimo un certificato di nascita! Senza contare l'iscrizione alla scuola."
"È contraffatto. E in qualche modo non lo è. Non c'è niente di tangibile su di lui, a parte questo certificato della scuola così... Strano."
"Strano? Fury non avrebbe mai accettato certificati strani. Cosa intendi?"
Victoria scosse la testa. "È plausibile. Tuttavia non esiste altro."
Il ragazzo si morse le labbra. "Domani parlerò con Fury e smaschererò il Capitano. Vedendosi con le spalle al muro magari dirà la verità."
Isabelle annuì. "Stai attento."
Il ragazzo sorrise rassicurante. "Non mi accadrà nulla." Afferrò, poi, un vassoio di brownies. "Spero solo non sia pericoloso. Tony ci rimarrebbe davvero male."
"Avvisalo. Digli di non fidarsi."
"Con quale scusa? Lui non sa dello S.H.I.E.L.D. Pensa che sia solo uno scapestrato con armi comprate su internet!"
Victoria si avvicinò a lui e gli mise una mano sulla spalla. "Allora digli solo che il Capitano può essere pericoloso."
"...Ma a lui interessa Steve, non il Capitano."
"Tu temi siano la stessa persona, no? Si terrà in guardia almeno dal suo alias."
Il ragazzo abbassò appena il viso. "D'accordo, lo metterò in guardia, anche se dubito mi ascolterà." Prese un respiro e tornò nell'altra stanza con il solito sorriso. "Brownies per tutti! Li ho fatti io."
Tony si drizzò, per la seconda volta nella serata, per togliere la testa dalla spalla di Steve. Questi ringraziò con un cenno del capo, appena in imbarazzo per l'essere stato colto sul fatto.
Phil socchiuse appena gli occhi, "Mi state nascondendo qualcosa?"
"No!" Esclamò Stark. "No! Ero solo---Stavo---"
Sollevò un sopracciglio. "Aspetto tu smetta di balbettare e ti rifaccio la domanda, se vuoi."
Steve si concesse una risata, con Tony che brontolava nella conca dei pop corn. "Tony si è soltanto appoggiato a me. Nulla di più."
"Devi essere parecchio stanco, allora." Tornò a sedersi tra i due ragazzi. "Puoi appoggiarti a me, se ti va." Disse, con un sorriso di sfida -Quella situazione cominciava ad infastidirlo non poco anche se non sapeva ancora bene il perchè.
"Ma cosa---?"
"Temo si sia fatto tardi." A Steve non doveva essere sfuggito il cambio di atmosfera. Mortificato, si schiarì la voce. "Meglio che..."
"Ma no, è ancora presto." Phil girò appena il viso verso l'altro, non prima di aver scoccato un'occhiata velenosa a Tony. "E poi non hai neanche assaggiato il dolce."
"Temo che la mia presenza qui sia più un danno, che un piacere."
"Perché mai?" Chiese, allora, finto tonto.
Steve scosse la testa e si alzò in piedi. "Capisco quando la mia presenza è mal tollerata.”
Phil sollevò gli occhi su di lui. "Non capisco perché tu faccia così ora. Se vuoi stare vicino a Tony, basta che lo dici." Rispose, piccato.
 
"Oh." L'uomo dagli occhi viola, nella sua gabbia, sorrise. "Ecco che iniziano i contrasti."
 
"Forse non lo fa perché, beh, la cosa sembra darti fastidio. E sei fastidiosamente geloso." Replicò Tony per lui.
Phil si girò sorpreso verso l’amico. "...Bene. Allora visto che sono così fastidioso ve ne potete anche andare!"
 
"Sprizzano scintille e fiamme."
 
"Vi prego." Steve aprì i palmi delle mani. "Doveva essere una bella serata."
 
"Divisi sono più vulnerabili..." Lingua d'argento comparve davanti la gabbia, un ghigno a piegargli le labbra sottili. "Dobbiamo solo aspettare che si distruggano da soli."
 
Phil strinse le mani a pugno, livido in volto. "Andatevene."
 
"La crepa, Maestro. Bisogna allargarla. Le Gemme si cercano l'un l'altra e chi rimane fuori dal cono del loro potere è roso dalla gelosia."
 
Tony lanciò un'occhiata a Steve. "Ci vediamo domani. A scuola." Quindi si girò verso Phil. "Vorrei rimanere a parlare con te."
 
"Dobbiamo dividere le Gemme e forse chi non la possiede è il passo per avvicinarci... Dimmi cosa vedi."
 
Il ragazzo si morse la lingua e si limitò ad annuire.
 
"Il Senza-Potere. La sua anima è rosa dal senso di inutilità. Si sente futile. Prova vergogna. E rabbia."
 
Stark sospirò e si passò una mano tra i capelli, la porta che si chiudeva alle loro spalle. "Scusami. Non volevo essere un completo idiota."
"Se ti do così fastidio te ne puoi andare, vedrò di non disturbarti più d'ora in poi." Rispose invece l'altro, infastidito.
"Non mi dai fastidio. Ma... Non capisco il perché del tuo comportamento: mi hai consigliato tu di provarci."
 
"Allora useremo la sua rabbia per dividere e trovare le gemme. Forse ha accesso anche all'ultima."
"Bisogna avvicinarlo, Maestro."
"Dobbiamo, si, ma non con i Chitauri. Ci vuole qualcuno che si finga suo amico e lo porti a me..."
"Qualcuno che legga la sua Anima e conosca i suoi desideri..."
Lingua d'argento studiò attentamente l'altro. "Ti stai proponendo?"
"Lascia che ti serva con ogni mezzo che possiedo."
"E mi servirai bene?"

"Con tutto me stesso, Maestro."
"Molto bene, allora." L'uomo sfiorò il viso dell'altro in una carezza leggera. "Sarai il mio asso nella manica."
L'uomo che aveva gli occhi viola sorrise e piegò la testa, per avere maggior contatto con le sue dita. "Sì, Maestro."
 
"Non pensavo l'avresti fatto davvero! E poi lui non mi piace, nasconde qualcosa e tu sei solo uno stupido!"
"Sorvolerò sull'insulto, perché me lo sono meritato." Tony corrugò la fronte. "Ma se stravedevi per lui."
"Mi è concesso cambiare idea?" Il ragazzo sbuffò. "Sta lontano da lui, ti prego. Almeno fino a quando non avrò capito chi è davvero."
E Tony, a quelle parole, divenne guardingo e si mise in allarme. "Cosa intendi?" Gli chiese.
"Non sappiamo nulla di lui, Tony. Ed ha atteggiamenti strani. Hai visto la sua reazione quando ho detto che l'uomo è già andato sulla Luna? Sembra provenga da un altro pianeta o epoca!"
Stark allora aggrottò la fronte -Non era perplesso, era immerso in ragionamenti e pensieri, contatti logici, questo e quello. "È vero. Più di una volta mi è sembrato stupito da... Tutto."
"Non possiamo fidarci." Phil gli si avvicinò e poggiò le mani sulle spalle dell'amico. "Ti prego. Allontanalo per un po'. Dammi il tempo di scoprire chi è."
"Okay, pal." Tony gli diede una pacca sul braccio. "Mi fido di te."
Phil piegò le labbra in un mezzo sorriso e si strinse forte all'altro. "Promettimi che saremo sempre amici, anche se dovessi innamorarti di lui."
"Phil." Stark, restio agli abbracci, ad ogni contatto fisico, lo strinse di rimando e con forza. "Nessuno può essere te. Sarai sempre il mio migliore amico."
"Ma stasera ho avuto la sensazione di non essere così importante e non voglio più sentirmi così. Sei l'unico amico che ho. Senza di te sarei completamente solo."
"Ma tu sei importante."
"E lo sarò ancora, se dovessi stare con lui?"
"Lo sarai sempre."
"Ti voglio bene, Tony." Bisbigliò, commosso.
"Anche io. Ma se lo dici a qualcuno ti strappo i capelli."
Phil gli lasciò un bacio sulla guancia. "Scusa se sono stato fastidioso. Ho solo paura possa succederti qualcosa."
"E tu perdonami se sono stato una persona orrenda." Tony gli passò una mano sulla schiena. "Dai, guardiamoci il film."
"Ne mettiamo un altro e dormi qui?"
"Agli ordini!"

 

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Capitolo 6
*** Capitolo Sei ***


Capitolo Sei

 



"Ehi! Ehi!" A chiamarlo era stata una voce alle spalle. Una voce trafelata e trafelato era il ragazzo cui apparteneva, coi capelli scarmigliati e il viso appena arrossato dalla corsa: indossava pantaloni della tuta neri, un po' lisi sulle ginocchia, ed una canotta viola incandescente. Le ciocche bionde, sparate in ogni direzione, non migliorarono nemmeno quando il ragazzo, fermatosi dinanzi a Phil, vi ebbe passato le dita. "Scusami! Ma mi mancano ancora cinque di questi volantini, sono in ritardo e rischio che il capo mi ammazzi." Spiegò, tutto d'un fiato. "Li vuoi? La gente pensa che sia uno spacciatore!" E non erano altro che innocui volantini del Carson Carnival, il circo appena arrivato a Central Park.
Phil stava camminando a passo spedito verso scuola, la tracolla che gli ballonzolava sul fianco sinistro e la mente impegnata a pensare a Steve e il Capitano. Si bloccò di colpo e fissò l'altro stralunato, spostando poi gli occhi sui volantini. "Scusa tanto, ma cosa dovrei farci?"
Il ragazzo fissò i pezzi di carta, per poi fare spallucce. "Aeroplanini?"
"Perché non li imbuchi nella posta o li metti sulle macchine?" Il ragazzo strinse la tracolla tra le dita. "E ora, se vuoi scusarmi." Lo sorpassò senza neanche degnarlo di un'ulteriore sguardo, riperdendosi nei suoi pensieri.
Tap tap tap tap di suole di scarpe sul marciapiede. "Ci vuole un permesso per quello. Altrimenti ti multano."
L'altro sospirò esasperato. "Buttali in un cestino, allora!"
Il ragazzo sbuffò, calciando un inesistente sassolino sul marciapiede. "Capito l'antifona." Commentò. "Deduco che non verrai al circo, allora?"
Phil assottigliò appena gli occhi, infastidito. "Odio il circo. Odio i Clown, odio vedere quei poveri animali schiavizzati e affamati. E ti posso assicurare che ho di meglio da fare!"
"Ehi! Guarda che mi occupo io degli animali. Fidati, mi affamo io piuttosto che lasciarli senza cibo.”
E l’altro lo guardò con tanto d'occhi, cercando di capire se lo stesse facendo di proposito. "Ma sei stupido o cosa? Ho detto che non mi interessa." Scandì, sorpassandolo poi di nuovo e riprendendo la strada di casa.
"I giovani d'oggi!" Fu la sua esclamazione, poi torse le labbra in un sorriso. "Allora ti aspetto, eh! Venerdì sera!"
L'altro lo ignorò completamente, mordendosi le labbra di nuovo immerso nei suoi pensieri.
 
***
 
"Mamma mia che faccia." Lo salutò Tony -Aveva anche lui in mano un volantino del circo. "Che è successo?"
"Un tizio del circo mi ha fermato e voleva darmi cinque di quei cosi!" Indicò il foglio per poi accigliarsi. "Tu perché ne hai uno?"
Stark alzò le spalle. "Non lo so. Me lo hanno dato e non l'ho ancora buttato via."
Sbuffò. "Odio il circo e il tizio era davvero insistente!"
"Potevi dirgli Sì sì e poi buttarli via."
Phil sbatté le palpebre. "Ma certo." Disse, "La prossima volta mi fingerò cortese e interessato. Come ho fatto a non pensarci da solo?"
"Ah ah ah." Tony gli diede una spallata, un sorriso ironico sulla bocca; appallottolò il volantino, quindi lo lanciò nel primo cestino disponibile. "Oggi fumetteria?"
"Certo che si! Ci sono novità?"
"Nessuna. Ho provato a contattare il Capitano, per sapere se era di ronda ieri sera: non mi ha risposto."
Sollevò un sopracciglio. "Davvero?" Poi lo fermò e lo portò in bagno, chiudendo a chiave la porta. "Senti... Tu non ti sei fatto un'idea su chi è questo tizio?"
"Il Capitano?" Tony appoggiò le spalle sulla parete. "So solo che ha una Gemma. Lo sento."
"Si, questo lo so, ma secondo te, chi è?"
"Un Marine, forse. E non credo arrivi oltre i trent'anni."
Phil si mordicchiò le labbra e gli poggiò le mani sulle spalle. "E se fosse Steve?"
"Cosa--?! Steve? Ma! Ma non può essere lui!"
"Pensaci! E' comparso lo stesso giorno in cui Steve è arrivato a scuola. Entrambi sembrano cadere dalle nuvole quando si parla di cose elettroniche e Steve zoppicava in questi giorni. Si è fatto male alla stessa gamba del Capitano. Non possono essere solo coincidenze!"
Stark scosse la testa, con forza. "Ma non sembra lui.. "
"La sua Gemma potrebbe cambiare il suo aspetto fisico." Inclinò il viso. "Noi non sappiamo nulla di nessuno dei due. Dobbiamo smascherarlo e capire cosa vuole. E se la sua fosse solo una recita per ucciderti e prendere la Gemma?"
Stark trattenne il respiro e piegò la testa, abbassando le palpebre. "E se fosse un inviato del nostro nemico?"
"Dobbiamo capire se ci sta ingannando e tu devi stare attento, ti prego."
Il ragazzo fece un sorriso ironico e incolore. "Dannazione. Che botta."
Phil lo abbracciò. "Mi dispiace. Ma dobbiamo essere cauti, ora. Tu in special modo."
"Per fortuna ho te a guardarmi le spalle."
"Qualsiasi cosa accada avrai sempre me, Tony." Gli sorrise. "E ora andiamo in classe."
Steve era già seduto: abbozzò un sorriso incerto, nel vederli entrare, imbarazzato. Alzò la mano, in un segno di saluto cui Tony nemmeno rispose.
Phil si sedette e rivolse all'altro un sorriso cortese e un semplice. "Buongiorno."
"Volevo scusarmi per ieri sera. Per tutto il disagio che ho creato."
"Non importa, va tutto bene."
Steve negò col capo. Tony dietro di lui, si trincerò nel silenzio e tenne la bocca cucita, il viso nascosto nelle braccia. "Ho rovinato la serata."
"Ma no, non preoccuparti. Dai più importanza alla cosa di quello che è." Phil scosse le spalle ed estrasse quaderni e libri. "Mettiamoci una pietra sopra." Rispose, mantenendo sempre un tono cortese, quasi finto.
"Okay." Da quel momento Steve rimase in silenzio. Unicamente a fine lezione, si girò verso Coulson. "Pensavo di andare a studiare in biblioteca."
Il ragazzo sorrise cordiale. "E' un'ottima idea. Io e Tony, purtroppo, siamo impegnati. Ma possiamo studiare insieme domani."
"Certo." Il ragazzo di Brooklyn sorrise, pur se una stilla scura ombreggiava occhi e sguardo. "Sempre se domani non siamo impegnati di nuovo." Si intromise Tony. "La mia agenda è fitta di impegni."
Phil ridacchiò e afferrò la tracolla. "Andiamo o faremo tardi. A domani Steve."
"A domani..."
 
***
 
"Notizie strane dal DNA. Vieni a casa appena puoi. Mamma Is."
Questo il messaggio che era arrivato a Coulson, nel pomeriggio. E che non prometteva niente di buono.
Il ragazzo tornò a casa un paio d'ore dopo, trafelato. "Ho fatto il prima possibile!"
Isabelle stornò gli occhi dal portatile. Victoria dilatò le narici e si umettò le labbra. "Siediti." Gli consigliò. "È meglio."
"Che succede?" Si lasciò cadere sul pavimento, esausto. "Mi state spaventando."
Isabelle scambiò una occhiata con la moglie. "Abbiamo trovato il tuo amico." Esordì. "È stato... Dichiarato disperso in missione a Montecassino. Nel 1945."
"Nel 19-- Cosa?" Spalancò occhi e bocca. "Che state dicendo? E' impossibile!"
"Non c'era traccia del suo DNA nel database." Spiegò Victoria. "Nessuna anamnesi. Nessuna storia famigliare. Cosi abbiamo allargato i campi di ricerca, su più server e parole chiave." Allargò le braccia ed un pannello olografico si aprì a mostrare una raccolta di vecchi fascicoli militari, resoconti di guerra, di missioni ed una foto in seppia, di un ragazzo dai cappelli e gli occhi chiari. "Steven Rogers. Suo padre Joseph era nel centosettesimo. Sua madre Sarah una infermiera. È nato a Brooklyn, ma i suoi genitori erano di origine Irlandese."
Phil spalancò gli occhi e si sollevò di scatto, fissando la foto in cui riconosceva perfettamente Steve. "State dicendo che la Gemma l'ha reso immortale?"
"No. Tra i suoi sedici anni e l'apparizione al fronte sono passati anni in cui di lui non si sa nulla. Non lo ha reso immortale: lo ha spostato nel tempo."
Corrucciò le sopracciglia. "Quindi la sua è la Gemma del Tempo? E come fa a cambiare aspetto?"
"Muta i suoi anni. Invecchia." Isabelle gli mostrò una foto di Steve giovane, alla scuola d'arte di Brooklyn, e una al fronte -Ed era evidentemente Capitan America, nei tratti e negli occhi.
Scosse la testa. "E' impossibile. Io-- Non ci posso credere."
"È la Gemma del Tempo. Non della Realtà. Spiegherebbe molte cose."
"Ma così non può cambiare il futuro? Insomma-- Se proviene dalla seconda guerra mondiale, andando avanti e indietro potrebbe cambiare il futuro giorno dopo giorno, no?"
"Non sappiamo se sia in grado di farlo, né se sia possibile."
Phil continuava a guardarle incredulo. "Quindi quando la Gemma l'ha trovato l’ha spedito qui ed è rimasto intrappolato nel nostro tempo?"
Isabelle prese un respiro. "È l'ipotesi che riteniamo maggiormente probabile."
"E io sono stato così imperdonabile..." Bisbigliò, improvvisamente pallido. "Devo andare da lui, dove abita?"
"Brooklyn." Victoria scrisse veloce un biglietto. "È l'indirizzo del suo primo domicilio. Quello segnato sui documenti scolastici è fasullo."
Annuì e afferrò il bigliettino. "Grazie. Avvertite Fury di tutto."
Isabelle annuì, quindi prese una pistola d'ordinanza S.H.I.E.L.D. "Potrebbe essere pericoloso."
Phil fissò la pistola e poi la donna. "Vado solo da lui, non credo voglia uccidermi."
"Hai unicamente appurato che la sua è la Gemma del Tempo. Non da che parte sta."
"Verremo con te." Si disse d'accordo Victoria. "A distanza di sicurezza."
"Ma non ce ne bisogno! Se avesse voluto uccidermi l'avrebbe già fatto!"
Victoria strinse le labbra. "Siamo preoccupate. Non interverremo. Non senza un buon motivo, rimarremo fuori dell'abitazione."
Il ragazzo sorrise. "Grazie ma credo di potermela cavare da solo."
"E per questo siamo fiere di te."
Ma questo non impedì comunque alle due donne di seguirlo, una volta che fu fuori -Non importava quanto Phil fosse bravo: era del mondo che avevano timore.
 

***

 
Il condominio di Brooklyn era fatiscente, si reggeva a stento sulle fondamenta. Era con ogni probabilità disabitato e il tempo aveva smangiato l'intonaco, riducendolo a meno di polverosi brandelli; unicamente due dei cinque piani della palazzina mostravano finestre integre e unicamente quelle avevano i vetri puliti e non troppo rigati. Vi si poteva accedere tramite una scalinata cigolante, che puzzava di urina ed era sporca da cima a fondo di graffiti e segni osceni.
Phil si guardò intorno con una smorfia -Come si poteva vivere in un posto del genere? E come poteva essere stato così cattivo con Steve senza neanche conoscerlo? Si diede dell'idiota per l'ennesima volta e bussò alla porta, ben attento a non farsi male con le schegge di legno.
Dall'interno non provenne alcun rumore-Probabilmente Steve nemmeno si aspettava che qualcuno venisse lì e adesso era attento, dietro la porta, guardingo.
"Steve? Sono Phil. Ci sei?" Bussò di nuovo. "Volevo scusarmi con te."
Il cigolio dei cardini, quindi il volto del ragazzo che spuntava dal filo di luce della porta. "Phil? Come sei arrivato qui?"
Il ragazzo piegò le labbra in un mezzo sorriso. "Io-- Ecco--" Scosse le spalle. "Ho indagato un po' su di te."
L' altro prese un sospiro. "Entra."
Entrò ben attento a dove mettere i piedi e si guardò distrattamente intorno, girandosi subito dopo a guardare l'altro. "So che sei il Capitano e che possiedi la Gemma del Tempo."Andò subito al sodo.
"Dritto al punto." L'appartamento era ammobiliato alla meglio, con un tavolo grezzo, un divano tarlato, un vecchio frigo ed un fornelletto da campo. "Quindi?"
"Quindi volevo chiederti scusa." Abbassò il viso. "Sono stato davvero cattivo con te ma pensavo ci stessi prendendo in giro. Sono davvero dispiaciuto e vorrei aiutarti."
Steve si sciolse in un sorriso caldo e amichevole. "Parliamone davanti ad un tè." Consigliò lui. "C'è molto da dire."
Il ragazzo annuì e lo seguì. "Dio, ma come fai a vivere in un posto del genere?" 
"È tutta questione di prospettive ed esperienze."
"Potresti trasferirti da me." Sorrise. "Avresti anche una tv."
"Da...Te?" Steve, sgomento, rimase col bollitore a mezz' aria. "Cosa...?"
"Sei intrappolato qui?" Chiese, invece, sedendosi su una sgangherata sedia. "Non riesci a tornare nel tuo tempo, vero?"
Steve controllò la fiammella, rimanendo in silenzio per alcuni istanti. "Non lo so. È la Gemma che mi porta."
"Come funziona? Ti porta a suo piacimento?"
"Esatto. Mi ha portato in Guerra perché fossi pronto ad affrontare questo."
"L'hai sempre avuta con te?"
Il giovane scosse la testa. "Avevo sedici anni. Ho sentito come se il cuore avesse iniziato ad ardere: ho alzato la testa ed è caduta dal cielo, come una cometa."
Lo guardò sorpreso. "Avevi-- Perché, scusa, quanti anni hai adesso?"
"È complicato. Ne avevo sedici quando la Gemma venne da me, ma ventisei quando andai in Guerra. A occhio e croce ora come ora dovrei aver raggiunto anagraficamente il centenario."
Spalancò la bocca. "Ma puoi tornare a casa, no? Sei tu che controlli la Gemma, non il contrario!"
"Ma non posso controllare lo scorrere del tempo. Ciò che è stato è stato e non si può cambiare."
L'altro mugugnò pensieroso. "Quindi non puoi tornare indietro e cambiare il futuro? Non puoi tornare a casa tua?"
"Cambiare il futuro sottintende cambiare il passato." Steve passò a Phil una tazza un po' sbeccata ai bordi, tenendo poi per sé un bicchiere venato. "E il passato ha condotto a tutto questo. Un passato in cui io non ero presente: se tornassi indietro, cosa potrebbe accadere? O peggio, non accadere?"
"Ma così rinunci alla tua casa, ai tuoi amici, alla tua famiglia!"
"Credi che io non voglia tornare?" Gli occhi di Steve, ora duri, incutevano timore per la loro freddezza. "Se avessi potuto lo avrei già fatto."
Il ragazzo abbassò il viso. "Mi dispiace, non ci avevo pensato."
Il fischio del bollitore interruppe il silenzio che si era creato. Il giovane si mise in piedi, versando l'acqua e passando una bustina di tè economico all'altro. Gli diede poi un bricco di latte da discount, insieme a delle zollette di zucchero che si sfaldavano soltanto a guardarle. "Era Destino che venissi qui. Le Gemme vogliono riunirsi."
Phil si alzò di scatto e gli gettò le braccia al collo. "Mi dispiace così tanto!"
Steve rimase interdetto come non mai da quel comportamento inatteso. Sgranò gli occhi, per poi stringerlo di rimando. "Ehi. Tranquillo."
"Non volevo essere così cattivo, ero preoccupato per Tony e non volevo perderlo né che tu gli facessi del male."
"Lo so. Non ti scusare, davvero."
Phil gli si strinse di più contro. "Mi dispiace che tu abbia dovuto rinunciare a tutto per salvare noi."
"Beh." Steve cercò di sorridere, col cuore che guaiva nel petto. "Ora ho voi, no?"
"Certo." Lo guardò negli occhi. "Prepara le tue cose, verrai a stare da me."
"Ma---E le tue zie? E cosa dirai a Tony?"
"Le mie zie sanno di te e Tony..." Scosse le spalle. "Gli diremo la verità ma non come io ti abbia scoperto. Per quello non è ancora pronto."
Il giovane aggrottò la fronte. "Che intendi?"
L'altro si mordicchiò le labbra e poi sospirò. "Lavoro per una agenzia segreta, lo S.H.I.E.L.D. I miei genitori erano agenti, sono morti in azione e anche le miei zie ne fanno parte, perciò sono stato affidato a loro. Sono stato addestrato fin da piccolo ma Tony non lo sa e per ora non deve saperlo o non mi permetterà di proteggerlo."
"Il tuo segreto è al sicuro con me."
Sorrise. "Grazie. Tony è il mio migliore amico, da sempre e quando ha trovato la Gemma e me l'ha confidato, sono stato incaricato di proteggerlo e proteggere la terra da quei mostri."
"Allora permettimi di aiutarti. Ho combattuto i Nazisti, questi alieni hanno soltanto un alito peggiore."
Scosse la testa. "Non è così. Loro non vogliono ucciderci. Sono qui per studiarci. Crediamo cerchino il vostro punto debole per impadronirsi delle Gemme."
"Allora è nostro dovere mostrargli il nostro punto di forza." Steve tolse le bustine dal bicchiere e dalla tazza. "Essere divisi è il nostro punto debole."
Il ragazzo annuì. "Prendi tutto, domani parleremo con Tony. La camera degli ospiti è molto più bella è comoda di questa catapecchia." Piegò le labbra in un sorriso triste. "Con tutto il rispetto."
"Mia madre ti avrebbe rifilato un'occhiata gelida." Steve sorrise, ma per nascondere le implicazioni e i sentimenti di quel sorriso preferì girarsi per raggiungere una delle finestre e guardare fuori. "Mi chiedo sempre perché io. Perché. Tra tutti."
"Non so come le Gemme scelgano i loro possessori." Gli si avvicinò e poggiò una mano sulla sua spalla. "Forse scelgono le persone in base alla purezza del loro cuore o per qualche caratteristica particolare."
Il giovane di Brooklyn guardò il proprio fiato appannare appena il vetro. "Chissà."
"Andiamo. Abbiamo bisogno di una buona dormita."
"Certo. Aspetta..." Steve si avviò nell'altra stanza, un riquadro appena più grande della cucina, si inginocchiò sopra la terza asse da sinistra e questa, già allentata, venne via in un colpo. Ne estrasse una vecchia scatola, al cui interno riposava una foto ingiallita, accanto ad un paio di pennelli, un penny e una vecchia chiave. "Ho preso tutto. Possiamo andare."
Phil corrucciò le sopracciglia. "Tutto qui?"
"Sì. Non ho altro. Ma questo... È qui da quando ero ragazzo."
"Oh... Va bene, allora, andiamo."
Steve annuì, mettendo la scatola sottobraccio. "Non so come ringraziarti."
"Non devi farlo, lo faccio volentieri."
"Troverò comunque un modo."
Sorrise. "Rendi felice Tony. E' l'unica cosa che mi interessa."
Steve si schiarì la gola, le orecchie un poco morse di rosso e imbarazzo. "Certo."
Il ragazzo lo prese a braccetto. "Andiamo, le miei zie ci stanno aspettando."
 

***

 
Tony guardò prima Steve, poi Phil -La sua perplessità era palese, insomma, non si era detto che i contatti con Rogers dovevano essere minimi e bla bla bla? Perché lo avevano chiamato con tanta urgenza? Decise di bere un sorso di Coca Cola, regalo di Isabelle per il pomeriggio di svago e studio, insieme a merendine e schifezze varie. "Dunque?"
Phil sorrise, afferrando una merendina al cioccolato. "Ti starai chiedendo cosa ci facciamo tutti qui... Beh... Tony, ti presento il Capitano Steven Rogers." Disse, senza mezzi termini.
Il cuore di Stark mancò un battito. "Capitano...?" Esalò, bianco in volto. Steve annuì e si trattenne a stento dall'allungare la mano verso la sua. "Sono il possessore della Gemma del Tempo, Iron Man." Si presentò. "E vengo da molti anni lontano da qui."
Fu Phil a poggiare una mano su quella dell'amico. "Ehi. Possiamo fidarci di lui, non hai nulla da temere."
Stark ritirò immediatamente le dita, scottato dalla rivelazione, dalle conseguenze, dalla presa di coscienza di chi e cosa aveva davanti.
"Quanti anni?" Ringhiò. "Quanti?"
Il Capitano si umettò le labbra, serrando poi la bocca per cercare di trovare le parole adatte a quel momento.
"Ero... A Montecassino, insieme ai miei uomini, quando la Gemma mi portò qui. Era il 1945, poco prima della fine della Guerra."
"Tony calmati, ti prego. Questo non cambia nulla, credimi."
"Non cambia nulla? Non cambia--È un relitto di una guerra vecchia di anni, un dannato vecchiume che se la fa coi ragazzini è---È---"
"Un pedofilo?" Concluse per lui l'amico, scuro in volto. "In questo momento la sua età anagrafica è di sedici anni e poi ha rinunciato a tutto per essere qui e salvarci, quindi merita almeno un po' di rispetto da parte tua."
"Non mi sembra proprio che Capitan America abbia sedici anni."
"Capitan America ne ha ventisei." Rispose Steve, senza che il suo sguardo tradisse una singola emozione. "La Gemma mi ha semplicemente portato lì. Sedici anni, in un corpo di ventisei. La Gemma invecchia il mio corpo, ma io non ho esperienza di quegli anni che trascorrono. Io non cresco."
"Tony." Lo richiamò Phil. "Capisco quello che provi, credimi. Ma puoi fidarti di lui, non ti farebbe mai del male."
"È troppo anche per me." Tony tirò indietro la sedia. "Mi dispiace. Non è razionale. Non è logico."
"Le Gemme non sono razionali o logiche!" Saltò su l'altro. "Neanche la tua lo è! Che importa quanti anni ha o da dove viene? È qui per aiutare ed è sincero! Non dovrebbe importarti di null'altro!"
Tony emise un verso frustrato, ringhiando suoni incomprensibili tra i denti serrati. "Se elimini l'impossibile." Disse allora Steve. "Quello che rimane, per quanto improbabile, deve essere la verità."
"Arthur Conan Doyle."
"E Howard Stark." Aggiunse il Capitano. "Era tuo padre, vero?"
Phil aprì la bocca, sorpreso. "Hai conosciuto suo padre?"
"Faceva parte di una divisione dell'esercito. L'SSR."
"Davvero?"
"Davvero." Rispose Steve. "Conobbi lui e Peggy Carter durante--"
"Sei tu." Tony girò finalmente gli occhi verso di lui. "Peggy mi parlava sempre di te. Come ho fatto a non riconoscerti prima?"
"Non era razionale. Che io fossi l'uomo che lei ricordava."
Phil girava gli occhi dall'uno all'altro, confuso.
"Ho bisogno di aria." Annunciò Tony, prendendo la sacca che aveva lasciato sulla sedia e mettendola sulla spalla. "Non cercatemi per un po'."
"Ma Tony--"
"No. Niente Tony. Non ora. Non adesso."
"Ti prego non te ne andare." Phil gli afferrò la mano. "Insieme possiamo affrontare tutto, ricordi?"
Ma il ragazzo tirò via il braccio, con un gesto secco, e non si voltò indietro. La porta si chiuse alle sue spalle con un tonfo sordo. Steve si alzò, per stringere il braccio attorno alle spalle di Phil. "Deve accusare il colpo."
Phil poggiò il viso sulla sua spalla. "Non oso immaginare come reagirà quando gli dirò di me..." Bisbigliò, lasciandosi stringere.
"Ci sarò anche io quando glielo dirai. Non sarai solo."
"Grazie." Sorrise. "Tornerà presto."
Il Capitano annuì. "Non pensavo che la mia vita e la sua potessero essere tanto collegate." Ammise. "Non pensavo nemmeno che Howard mettesse la testa a posto al punto da avere una famiglia."
"Chissà cosa direbbe se fosse ancora qui..." Sospirò. "Probabilmente ti studierebbe come un fenomeno da baraccone."
"Prima mi tirerebbe un pugno in faccia."
Sollevò il viso per guardarlo. "Perché?"
"Per essere sparito tutto questo tempo."
"Eravate amici?"
Steve fece segno di sì col capo. "Non so perché, visto che eravamo due caratteri decisamente agli antipodi. Diceva che riuscivo a mitigare il suo cinismo e dargli quella ventata di patriottismo che è un toccasana per gli affari."
Phil ridacchiò. "Tony non ne parla mai." Disse poi. "Non so se è perché non lo ha ancora accettato o perché non andavano d'accordo."
"Non era una persona facile. Molti nell'esercito non lo sopportavano."
"Ma tu si."
"Non era una persona malvagia, né disdicevole. Era un uomo d'affari."
Phil si limitò ad annuire, lasciando l'abbraccio dell'altro con un sorriso grato. "Mettiamoci a studiare."
"Adesso lo vuoi il mio aiuto per il saggio di storia?" Sorrise il Capitano.
Il ragazzo ridacchiò. "Si, grazie!"
 

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Capitolo 7
*** Capitolo Sette ***


Capitolo Sette


 
 
Tony non si fece vedere per tre giorni, né a scuola, né alle ronde. Ogni volta che tentavano di contattarlo con la trasmittente, lui chiudeva le comunicazioni. Chiuso in se stesso, non cercava nessuno, non parlava a nessuno. Fu Hannah a chiedere aiuto a Phil, pregandolo di passare a casa: si era fatto taciturno, Tony, ossessionato dal padre, da un vecchio amico del padre, da Peggy e Jarvis non sapeva davvero più che fare per calmare il suo cuore.
E il ragazzo si presentò quel venerdì mattina alla porta di casa Jarvis con un scatola di brownies fatti in casa. "Buongiorno, sono venuto il prima possibile. E' in camera sua?"
L'allampanato Edwin Jarvis, coi suoi capelli brizzolati ed il panciotto, ex RAF, ex maggiordomo di casa Stark, annuì compito e lo fece entrare. "Tony non si è mai mostrato tanto interessato a suo padre." Disse, con la voce un poco nasale. "Non riesco a spiegarmi questa sua... Ossessione."
Phil si limitò a mugugnare pensieroso, per poi annuire. "Ci penso io, grazie per avermi chiamato."
"Grazie a te per essere venuto."
Il ragazzo non bussò nemmeno, scivolando all'interno della stanza come un'ombra. "Ehi, testa di ferro, che stai combinando?"
Tony era immerso fino al collo da scartoffie, vecchie fotografie e il computer era aperto su una sequela infinita di vecchi documentari sulla Seconda Guerra Mondiale. "Non sono affari tuoi."
"Tony..." Phil gli si avvicinò con un sospiro. "Ho fatto i brownies. Puoi dedicarmi cinque minuti, per favore?"
"Hai quattro minuti e cinquantanove secondi."
L'altro prese un respiro profondo. "Capisco che tu sia rimasto turbato da tutta la questione ma non puoi rinchiuderti in te stesso e lasciare il mondo fuori! Hai già eremitaggiato abbastanza, ti voglio fuori da questa casa in tre secondi netti."
"No." L'altro scosse la testa, continuando a sfogliare un vecchio fascicolo. "Io sono cresciuto con i racconti di Peggy su di lui. Mio padre amava più lui di quanto abbia mai amato me. E lei lo amava."
"E allora?" Gli strappò con rabbia il fascicolo tra le dita. "Quel ragazzo ha rinunciato a tutto per essere qui, per aiutarci e tu ti comporti come un bambino capriccioso! Cresci una buona volta!"
"Tu come lo hai saputo?" Gli occhi di Tony erano accusatori, avvelenati. "Come?"
"Me lo ha detto lui." Disse, "L'ho accusato di starti prendendo in giro e che sapevo era il Capitano, per la ferita alla gamba e lui mi ha confidato tutto." Disse, mascherando la verità e omettendo le analisi del DNA che avevano fatto per smascherarlo.
Tony si passò le mani tra i capelli, più e più volte. "Sono così--Furioso. E non ne capisco il motivo."
Phil sorrise intenerito e gli poggiò le mani sulle spalle. "Perché non parli con lui? Steve-- E' davvero la persona più buona che abbia mai conosciuto e sono sicuro sarebbe felice di rispondere alle tue domande. Potreste chiarirvi ed essere amici."
"Lui... Lui vedrà sempre e solo Howard in me."
"Oh Tony ma non dire sciocchezze!" Lo scosse appena. "Tu e tuo padre siete agli antipodi, completamente diversi!"
"Forse no. Forse voglio soltanto nasconderlo." Stark scosse la testa, piazzandosi le dita sulle palpebre.
"Non è vero. Tu sei dieci volte meglio di tuo padre e lo sai anche tu." Lo abbracciò con dolcezza. "Ma se questi sono i tuoi pensieri, mi impegnerò al massimo per mandarli via."
Tony posò la fronte sulla sua spalla. Forse era l'abbandono che temeva: quello di Phil una volta che avesse capito quanto il Capitano fosse splendido e perfetto -Come suo padre, in effetti. Howard stravedeva per lui. O forse, e non voleva ammetterlo, temeva l'abbandono del Capitano. Era terrorizzato dall'idea di finire come Peggy, intrappolata in una ragnatela di ricordi, incapace di salvarsi, di liberarsi, incapace di vivere al di fuori della memoria.
"Io sono qui, Tony. Lo sarò sempre per te." Il ragazzo lo strinse forte, cercando di trasmettergli tutto il suo affetto. "Lo affronteremo insieme, come abbiamo sempre fatto. Te lo prometto."
"Anche se lui è meglio di me?"
Ridacchiò. "Si, anche se lui è meglio di te." Gli fece sollevare il viso e gli sfiorò appena le labbra con le sue, una carezza leggera ma piena di calore. "Tu sei insostituibile, per me. Sei il mio migliore amico."
A quel contatto Tony rimase interdetto, socchiudendo un poco gli occhi con un sorriso malizioso sulle labbra. "Stai dicendo che sono anche il tuo tipo?"
Il ragazzo scoppiò a ridere. "Ti lascerò col dubbio! E ora andiamo! Devi parlare con Steve e stasera potremmo uscire tutti e tre." Si guardò intorno e gli occhi gli caddero su un volantino giallo. "Potremmo andare al circo."
"Pensavo odiassi il circo."
"E' così infatti ma... Steve ha bisogno di distrarsi un po' e magari a lui piace."
"A proposito di piacere..." Tony si schiarì la gola. "Prima che cominciasse questo caos volevo chiedere a Steve di uscire."
"Credo sia un'ottima idea!"
"Sei sicuro? Temevo fossi geloso."
Phil arrossì di botto. "No! Non sono geloso. Solo... Avevo paura di perderti come amico. Avendo lui io diventerei superfluo per te e..." Si grattò il naso in imbarazzo. "Non volevo perderti, tutto qui."
"Come potresti diventare superfluo? Tu sai cos'è un auricolare." Stark rise, quindi gli mostrò una foto di archivio vecchissima, di uno Steve evidentemente sottopeso, con gli occhi grandi e il viso smunto. "Lo hanno riformato tre volte, prima di prenderlo."
Phil afferrò incredulo la foto. "Come ha fatto a diventare così? Non credevo l'esercizio fisico trasformasse così tanto..."
"Credo che le Gemme tirino fuori il massimo potenziale. Io sono diventato ancora più geniale di quanto già non fossi."
"Non è vero, sei sempre stato geniale." Posò la foto e recuperò i biscotti. "Andiamo! Steve si è trasferito da me."
"Trasferito?!"
"Esatto." Aprì la porta. "Viveva in una catapecchia con a stento la corrente elettrica. Dormiva su un materasso tarlato!" Si girò a guardarlo. "Vivrà con noi fino a quando questa storia delle Gemme non sarà finita, poi le mie zie gli troveranno un appartamento."
"Dovremmo insegnargli a vivere in questo mondo. " Propose Tony, alzandosi dal pavimento. "Non credo conosca qualcosa. Anzi."
"Direi che non conosce nulla, quindi... Iniziamo dal circo." Sorrise. "E ora muovi le chiappe, scusati con Hannah e Edwin e andiamo da me."
"Odio quando mi dai ordini."
"Allora continuerò a darteli." Rise. "Ti aspetto in giardino." E in un attimo era già fuori la porta dopo aver salutato i padroni di casa.


*****



Il circo riempiva Central Park, sbocciando tra i suoi rami come un gigantesco fiore di tessuto pesante. Odorava di cerone, popcorn, ghiaccio secco e sudore; era incoronato di lustrini, di festoni e banderuole sghignazzanti all'aria dolciastra, satura di persone e profumi iridescenti. Tra le teste che si ammassavano per entrare, Steve colse quella di Donald Blake; afferrò la giacca di Phil, perché guardasse in quella direzione.
Il ragazzo cercava di mantenere un'espressione neutrale, anche se l'odore gli dava il voltastomaco e la calca di gente lo innervosiva non poco. Si fermò accanto all'amico e girò il viso, riconoscendo subito la figura dell'uomo. "Oh... Vuoi andare a parlargli?"
"No, ma.. "
"Emana una strana sensazione." Concluse per lui Tony. "Inspiegabile."
"Sensazione?" Si girò a guardare l'altro. "Amico o nemico? Magari anche lui ha una Gemma. Se è vero che si cercano l'un l'altra..."
"Avevo avvertito una sorta di scossa quando mi ha toccato."
"Lo avvicineremo alla fine dello spettacolo, allora. Dobbiamo capire se ha una Gemma o fa parte dell'entourage dei nostri nemici."
"Entourage." Commentò Tony. "Mi piace come suona."
Phil ridacchiò. "Andiamo a prendere posto."
Le sedute erano di plastica rossa, cigolante, disposte a cerchio attorno ad un palco di sabbia finissima, su cui già avevano montato le travi e i trapezi per i funamboli.
"E' la prima volta, Steve?"
"Era venuto un circo itinerante a Brooklyn, una volta." Rispose lui, "Assai più piccolo di questo. C'era unicamente un mago che tirava fuori i conigli dal cappello e una donna che faceva saltare i barboncini. Ah, e c'era il prode Maciste, coi baffi a manubrio e una specie di toga leopardata."
Phil si sedette accanto a Tony. "Io ho sempre odiato il circo." Scosse le spalle. "Comunque potrei anche cambiare idea."
"Punto venti dollari che non succederà."
Phil guardò tutta la gente che si andava ammassando sui sedili, i bambini urlanti e la musica alta che cominciava a spandersi per il tendone. "Ti devo venti dollari, allora."
Steve rise, ma parve divertirsi per tutto lo spettacolo: seguì ogni capriola, ogni piroetta, ogni salto, sorrise persino a qualche scherzo sghembo dei pagliacci. Poi, le luci calarono sul cerchio di sabbia. Venne avanti una figura vestita di scuro, con una canotta di ecopelle nera e stivali al polpaccio.
Coulson, invece, aveva seguito lo spettacolo con viso neutrale, piegando, forse, di tanto in tanto le labbra in un mezzo sorriso sghembo. All'avanzare della figura, però, non poté far a meno di sporsi in avanti e osservare il ragazzo -O almeno dall'altezza sembra un ragazzo forse della loro età, forse poco più grande.
Si rivelò essere il ragazzo che lo aveva fermato in mezzo alla strada: i suoi occhi sfolgoravano di grigio e di azzurro, sottolineati dalla matita nera; una croce di tessuto bordeaux gli attraversava il petto, che stretto nella canotta di ecopelle risaltava come non mai. Teneva un arco in mano e portava un parabraccio allacciato al polso destro.
"E' il tizio che voleva darmi i volantini a forza!" Bisbigliò a Tony. "Ma aveva detto che si occupava degli animali!"
Il circense allargò le braccia e fece un inchino. Poi i suoi movimenti si fecero troppo veloci da vedere, da capire. Scagliava frecce con rapidità eccezionale, ogni dardo un lampo che riverberava nei suoi occhi, nelle iridi brillanti di concentrazione. Non mancava un bersaglio, non uno, che lo stesse guardando o fosse girato di schiena.
"Wow... E' bravo... Uno così ci farebbe comodo contro gli alieni."
"Oh, certo. Li userà come puntaspilli."
Phil ridacchiò. "Non è una cattiva idea!"
Tony girò gli occhi al cielo. Sentiva un prurito dietro la nuca, uno strano murmure alla base del collo che zampettava sino alla sommità della testa -Cosa diavolo? Strinse le labbra, cercando di godersi lo spettacolo.
"Che ne pensi Steve?" Phil aveva occhi ormai solo per l'arciere. "Non trovi sia bravo?"
Il Capitano annuì. "È agile. Veloce. Ottima mira e riflessi poderosi."
"E sembra avere una vista straordinaria."
"Azzarderei una vista priva di punti ciechi."
"Secondo te com'è possibile?"
"Allenamento. Dote naturale. Non saprei dare altre spiegazioni."
Il ragazzo mugugnò pensieroso e fu il primo ad applaudire quando l'altro ebbe finito il suo numero. "Ne è valsa la pena solo per lui."
"Questo vuol dire che ti devo venti dollari?"
Donald Blake, invece, fu il primo ad uscire. Il bruciore che gli aveva fatto temere una patologia cardiaca non era diminuito, anzi, era aumentato fino a gonfiare la testa e inebetire i sensi. Avvertiva oltre la coscienza, oltre lo spazio un fulgore ed un fragore come di tuono ruggire nel petto. Si appoggiò ad un albero, dilatando le narici e inspirando piano per calmare il senso di nausea.
 
"Maestro." Colui che aveva gli occhi viola sapeva che Lingua d'Argento era in ascolto. "Una delle Gemme. È in tumulto. Vieni a prenderla."
"Indicami la strada." Bisbigliò quello, comparso come un'ombra dietro di lui.
 
"No, non ho detto che ho cambiato idea, solo che è valsa la pena venire solo per lui." Scosse le spalle. "Che facciamo? Andiamo a mangiare qualcosa?"
Ma entrambi, invece di rispondere, strizzarono le palpebre e serrarono la mandibola, i denti digrignati. Donald non sapeva come, ma era sicuro ci fosse una presenza dietro di sé. La avvertiva, un esile filo lucente quanto una catena di impulsi elettrici. Si voltò di scatto, deglutendo dinanzi alla figura che gli stava davanti. Accanto ad essa... I suoi occhi erano tanto viola da abbagliare.
Lingua d'argento lo guardò per un lungo istante. "Quale Gemma ti appartiene, mio fragile amico?" Chiese con voce suadente e strascicata.
"Non---Non capisco di cosa stai parlando."
L'uomo fisso l'altro con un ghigno. "Non puoi più nasconderti a me." E gli puntò contro un lungo bastone d'oro con all'estremità una Gemma blu che brillava come il sole. "Sei mio."
Donald arretrò di un passo e il cuore gli balzò ratto alla gola. Avvertì un bruciore intenso al cuore, quindi una scarica che saettò dal petto al braccio destro, al gomito, alle dita. Un tuono gli rombò nel torace e contro il palmo comparve la rozza figura di un manico -Aveva un martello, tra le mani, e non si era mai sentito tanto potente.
"Mi offrirai i tuoi servigi e la tua Gemma." Disse l'uomo con voce strascicata. "E sarai mio."
Donald Blake aumentò di statura. I capelli imbiondirono, la giacca venne sostituta da una armatura a piastre, i jeans da gambali finemente lavorati. Un mantello color sangue danzò sulle sue spalle. Un nuovo vigore gli eruttò in corpo. "Come devo chiamarti...?" Esalò, attratto e repulso dall'altro come da un magnete.
"Maestro."
 
Tony emise un singulto e quando si girò Steve era nelle medesime condizioni. "Una Gemma---"
"Una Gemma? Dove?" Phil li guardò allarmato. "La sentite?"
"Si sta svegliando---"
"Quindi possiamo raggiungerla! Dov'è?"
Stark scosse la testa, con violenza inaudita -La confusione gli batteva dentro il cranio. "Vicina!”
"Andiamo a prenderla, allora!"
Steve scattò fuori dal tendone e Tony a rotta di collo dietro. Nessuno li guardava, nessuno era in vista; il Capitano fece il gesto di chiudere qualcosa in pugno e lanciarlo in aria: un vorticare dorato saettò dal palmo e prese a girare sopra la sua testa, una stella d'argento da cui, per ogni punta, si dipanarono fasci di luce bianca, rossa e blu. Questi avvolsero gli arti, il petto, il capo, il corpo intero del ragazzo; nastri simili si condensarono attorno alla stella. Essa scese, un lucente scudo nell'oscurità della notte e Steve tese il braccio abbagliante per stringerlo tra le dita: il fulgore che lo avvolgeva si frantumò, mostrando l'uomo nel pieno della sua Potenza.
Phil spalancò gli occhi, guardando con sorpresa il ragazzo. Ripresosi, lo seguì, estraendo una pistola nascosta dietro la schiena.
"Via, Rogers." Lo canzonò Tony. "Quella è roba da antichi." Il petto di Stark esplose di una luce incredibile e azzurra. Tutto il suo essere venne avvolto in una guaina di apparecchiature, di minuscoli cavi e fili sottilissimi; un lampo e la guaina divenne nera, mentre puntini minuscoli brulicavano su di essa. Dalla punta delle dita, con un susseguiti di clangori metallici, placche e scaglie dure come carapaci di insetti si arrampicarono e chiusero sul corpo di Tony in fiammate scarlatte, fino a che anche il volto non venne racchiuso dalla maschera dorata del casco.
"...Ho capito che siete due spacconi, ma ora ci diamo una mossa per favore?"
Una patina di spesso ghiaccio copriva le iridi di Donald Blake -Ma era ancora Donald Blake? O era qualcosa di diverso? Di migliore? "Sento qualcosa che si avvicina, Maestro." Disse. "Cosa vuoi che faccia?"
"Chi si avvicina? Le altre Gemme?" Chiese l’altro con una punta di eccitazione.
"Sì. Due Gemme."
"Ottimo! Catturali! Voglio le loro Gemme!"
"Sì, Maestro." Colui che aveva gli occhi viola atterrò con un balzo accanto a Lingua D'Argento. "Ed io?"
"Tu non devi mostrarti." L’uomo gli accarezzò il viso con fare languido. "Sei il mio asso nella manica, ricordi?"
"Sì, ricordo." L'altro socchiuse le palpebre, per godere di quella carezza come avrebbe fatto un cane col padrone. "Rimarrò celato."
"Se non dovesse funzionare tu dovrai irretire il ragazzo e metterlo contro le Gemme. Divisi cadranno."
"Sì, Maestro. Creerò faglie. Divisioni."
"Molto bravo." Annuì. "E ora va. Il nostro amico se la caverà egregiamente.”
Quello che un tempo era Donald Blake si voltò verso la figura -E la trovò affascinante come un serpente. "Come mi chiamo, ora?" Lo interrogò. "Non sono Donald Blake. Non più."
L'uomo lo fissò con un ghigno. "Thor sarà il tuo nome. E ora va e torna vincitore." E quando Phil arrivò, Lingua d'argento era già scomparso e davanti a lui solo il medico totalmente trasformato. "Che cazz--"
"Io sono Thor." Dichiarò con orgoglio, con possanza e il martello, che roteava e fischiava nella mano destra, era carico di elettricità. "Inchinatevi dinanzi al Dio del Tuono, mortali."
"No, grazie." Tony fu veloce ad alzare il braccio e scagliare un colpo di repulsore contro di lui. "Mi fanno male le ginocchia."
"La Gemma non dovrebbe cambiare la personalità! Che diavolo gli è successo?"
"Non credo che sia il caso di chiederlo!" Fu l'esclamazione di Tony -Thor aveva deviato tanto il repulsore quanto lo scudo che Steve gli aveva lanciato e l'aria era satura di elettricità.
Phil deviò un fulmine per un pelo. "Dottor Blake! Siamo suoi amici, si può fidare di noi!"
"Donald Blake era niente meno di un mortale. Era un debole. Io..." Thor si gettò in avanti e scomparve in tumultuare di lampi. "Sono un Dio." Concluse, alle spalle di Phil. E il tuono lo avrebbe ucciso, se Steve non fosse intervenuto a ripararlo dietro lo scudo.
Phil si chiuse su se stesso per proteggersi e poggiò le mani sulle spalle di Steve. "Grazie!"
"È il minimo!" Il Capitano ruotò su se stesso, scagliando lo scudo in direzione di Thor -Il quale, comunque, scomparve in una vampata di saette e scariche. Steve rimase dunque a schiena scoperta e l'avversario, palesandosi dal nulla, lo colpì in mezzo alle scapole, schivando addirittura il repulsore lanciato da Iron Man.
Phil gli sparò contro, svuotando il caricatore. "Steve! Stai bene? Dobbiamo trovare il modo di fermarlo!"
Il Capitano sputò un grumo di sangue a terra, il corpo che vibrava a causa delle scariche. "Il tempo." Digrignò i denti. "Degli spostamenti."
"Tempo degli spostamenti?" Corse ad aiutarlo. "Che vuoi dire?"
"È come---" Steve cercò di mettersi in piedi. "Lo swing--
"Perdonami ma non so di cosa tu stia parlando." Lo sollevò. "Forse è meglio se ci ritiriamo, non credevo fosse così forte."
In quel momento, soltanto Tony era in grado di tenergli testa, grazie all'armatura e al fatto che ogni colpo di Thor era una carica alla batteria dello scafandro (energia o qualsiasi cosa desse l'impulso del movimento). "Su, biondina." Lo invitò. "Non farti pregare. Concedimi un altro ballo."
Phil li oservò. "Se riuscissimo a stordirlo potremmo portarlo allo S.H.I.E.L.D. e rinchiuderlo finché non rinsavisce!"
"Se riuscissi a mettere a segno un solo colpo---" Steve coprì Coulson con lo scudo e quando il tuono si rifranse contro di esso, chiuse gli occhi, cominciando a contare a bassa voce. Ad un tratto sollevò le palpebre, si voltò di scatto e scagliò l'arma -La quale, con grande sorpresa di tutti, si schiantò sotto il mento di Thor.
Phil spalancò gli occhi. "Il tempo tra un attacco e l'altro! Steve sei un genio!"
"Voi giovani lo swing non lo ballate mai?"
"Credo si sia estinto come ballo!" Urlò l’altro, estraendo un’altra pistola e sparando contro il medico.
A Thor sfuggì un ruggito di rabbia e questa volta nemmeno riuscì a sparire: Iron Man, lesto, lo colpì alla mano che reggeva il martello e questo gli sfuggì. Ruotò nell'aria ancora frizzante di scintille, crollando sull'asfalto.
"Bloccalo!"
Iron Man scattò immediatamente in avanti, pronto a---A crollare con un gran rumoreggiare di metallo, di schianti e singulti e scoppi. Thor, guidato dall'istinto, aveva teso la mano e il martello era schizzato verso le dita aperte, fracassando lo spallaccio sinistro di Tony, le braccia, persino le piastre sotto la scapola. Stark venne sbalzato di lato, un inutile pezzo di ferraglia, sussultante. Thor, invece, ruotò il martello e in guizzo scomparve.
"Tony!" Phil urlò e si gettò sull'amico.
"Tony!" Gridò Steve, in contemporanea, e fu accanto a lui in pochi balzi e gli prese il capo e glielo fece appoggiare sulle ginocchia. "Tony?" Lo chiamò. "Tony?"
"Ehi." Phil lo liberò dalla maschera. "Mi senti?"
Il volto di Stark era livido, bianco e impalpabile; respirava a fischi continui e due cerchi neri si allungavano sotto gli occhi. "È svenuto per lo shock. Dobbiamo portarlo via. "
"A casa nostra, muoviamoci!"
"Coraggio, Tony." Steve passò il braccio sotto le ginocchia di Stark e con l'altro gli cinse le spalle. "Coraggio, soldato."
Phil chiamò subito le sue zie per avvisarle e corsero a perdifiato fino alla casa.
 
***
 
Victoria versò il the. Era taciturna e col volto così bianco da far risaltare i tratti dritti del volto, del naso, la linea decisa della bocca. Isabelle era nella camera che avevano predisposto per Tony e Steve era con lei -Si era offerto smozzicando qualcosa sulla medicina da campo e i soldati e i commilitoni e la donna, presa a compassione, lo aveva fatto entrare. "Starà bene. " Disse la donna, posando le dita eleganti sulla spalla di Phil. "È svenuto per il dolore improvviso. Deve solo riprendersi."
Il ragazzo non aveva più detto nulla, chiuso nel suo addolorato silenzio. Scosse la testa alle parole della donna e inghiottì le ennesime lacrime.
Victoria gli si sedette accanto, senza interrompere il contatto fisico e piegò la testa, smuovendo la ciocca rosa. "Credimi. Starà bene."
"E poi?" Gracchiò in un bisbiglio. "Combatterà di nuovo e si farà uccidere. E poi Steve e poi toccherà anche a voi..."
"Non succederà niente di tutto questo." Victoria abbracciava assai poco, algida e regale, ma lo strinse con forza, in uno slancio così umano che da lei nessuno se lo sarebbe mai aspettato. "Non succederà."
Il ragazzo le si strinse disperato. "Si invece e io rimarrò di nuovo da solo."
"Non accadrà." Victoria lo cullò con inusitata dolcezza, mormorando una nenia di quando era piccolo e la tempesta ululava fuori dalle finestre, "Non sarai più da solo."
"Solo se posso impedirlo." Singhiozzò. "Non l'ho protetto, sono inutile senza una Gemma."
"Non sei inutile. Cosa farebbe Tony, cosa farebbe Steve senza di te?"
"Sono stati colpiti perché non sono in grado di proteggermi da solo." Scattò, all'improvviso. "Se io non ci fossi combatterebbero meglio!"
"Philip Coulson." Disse allora lei, con voce rigida e gli occhi in fiamme. "Se tu non ci fossi loro nemmeno saprebbero come fare a sopportare tutto questo, figurarsi affrontarlo!"
Il ragazzo la guardò meravigliato. "Non è vero." Disse poi, "Tu mi sopravvaluti come tutti gli altri."
"No. Sei tu a sottovalutarti. Sono tua madre, ma ufficialmente sono anche il tuo A.S. e non ti direi niente di tutto questo, se non lo credessi."
"Sei di parte, invece!" Saltò su. "Io non valgo nulla!"
"Ora basta." Victoria si mise in piedi e incrociò le braccia sotto il seno. La sua bocca era dura, il suo sguardo simile a vetro. "Vali molto più di ciò che credi. Pensi forse che esistano frotte di ragazzini con un distintivo dello S.H.I.E.L.D. tra le mani? Sai usare più di un'arma, parlare più di una lingua...Credi forse che Fury ti avrebbe affidato tutto questo se non ti ritenesse adatto?"
"Allora perché non sono in grado di proteggerli?" Chiese piccato, incrociando a sua volta le braccia al petto.
"Non puoi proteggere tutti." Rispose lei, un'ombra di dolore scivolò nei suoi occhi, incrinò la maschera di compostezza che aveva sul volto. "E fa male. Credimi. Credi alle parole di chi ci è già passato."
"Lo so ma io non voglio proteggere tutti, solo le persone che amo."
La donna prese un respiro -Era la prima volta che mostrava un istante di debolezza al figlio. Si avvicinò e gli strinse la spalla. "Bevi il tuo the, coraggio."
Phil inclinò il viso. "Voi siete tutta la mia vita, non posso perdervi."
"Tu sei la nostra. Non ci perderai: abbiamo fatto una promessa a tua madre e a te, quando sei arrivato qui."
"E Tony e Steve?"
"Non ti perderanno neanche loro. E tu non li perderai."
"Allora dobbiamo trovare il modo di eliminare le Gemme." Ricercò di nuovo le braccia delle donna. "Aiutami, ti prego."
"Non temere." Le dita di Victoria erano dolci, una lenta e morbida carezza sulla sommità del capo. "Puoi contare su di me."
"Grazie." Continuò a stringersi contro di lei e quando la lasciò aveva uno sguardo più risoluto. "Vado da Tony."
"Sappimi dire come sta."
Il ragazzo annuì ma invece di andare dall'amico, si diresse in camera sua. Pensò e rimuginò tra se e se per alcuni minuti, decidendo poi di tornare al parco. Uscire, però, era fuori discussione –Le donne glielo avrebbero impedito- quindi si calò dalla finestra, correndo a perdifiato fino al luogo dov'era avvenuto lo scontro. Voleva cercare qualunque traccia avrebbe potuto portarlo a scoprire cos'era accaduto al buon dottore e il modo migliore per affrontarlo.
"Ehi---" Lo raggiunse una voce, una voce che doveva conoscere bene visto che lo aveva fermato in mezzo alla strada per dargli dei volantini. "Che fai qui? Se sei venuto per postare qualcosa su Internet su ieri sera vai a chiedere ai giornalisti, noi non sappiamo nulla. Sloggia. Non vogliamo guai."
Il ragazzo si girò sorpreso. "Ehi, ciao." Lo salutò quando lo riconobbe. "Come va?"
"Oh. Ehi!" Il circense sorrise, più rilassato. "Giornalisti a parte, una meraviglia! Il pubblico di Central Park è eccezionale. A te è piaciuto il mio numero?"
"Cosa ti fa credere che sia venuto,? Magari giravo da queste parti per cercare qualsiasi cosa abbia attirato l'attenzione dei giornalisti." Sorrise.
"Ti ho visto tra il pubblico." Gli rivelò lui, andando ad accovacciarsi al suo fianco.
"Oh." Arrossì. "Certo... Ma qui cosa è successo?"
"La gente parla di una zuffa tra un uomo di latta, un tizio con lo scudo, un figurante medioevale e un civile."
Phil perse colorito. "Davvero? Certo che ne hanno di fantasia." Ridacchiò nervoso. "Tu hai visto qualcosa?"
"No, ma..." Clint indicò delle striature nere che si rincorrevano arzigogolate sull'asfalto. "Quelle mi danno da pensare."
Solo allora il ragazzo notò i segni e si avvicinò subito ad esaminarli. Le scariche elettriche avevano lasciato segni indelebili. Peccato non dicessero anche dove fosse scomparso Blake.
"Non sono segni di pneumatici." Commentò per lui il circense. "Troppo piccole e disomogenee."
"Già... Ma tu perché sei qui?" Chiese, girandosi a guardarlo. "Non dovresti occuparti dei tuoi animali?"
"Ho dato loro da mangiare e spazzolato la criniera di Marley." Il circense piegò la testa. "Abbiamo avuto un sacco di problemi coi giornalisti."
Coulson gli si avvicinò. "Come mai?"
"Credono che ci siamo noi, dietro questa storia. O cercano testimonianze varie e variegate."
"Capisco..." Poi scosse le spalle. "Beh... Meglio che vada."
"No, aspetta---Cioè..." Il circense si schiarì la voce. "Ti va un caffè?"
Guardò sorpreso l'altro. "Un-- Sono quasi le due del mattino..."
Il giovane sorrise, un sorriso scanzonato e irriverente che accese gli occhi grigio-azzurri. "A quest'ora è ancora più buono."
"...Se lo dici tu... Ma, posso chiederti perché?"
"Mi andava di chiedertelo." Fu la semplice risposta dell'altro.
Phil sorrise, non sapeva perché ma si sentiva attratto da quel ragazzo. "Allora andiamo."
"Mi chiamo Clint, comunque." Si presentò, balzando al suo fianco con un rapido saldo.
"Philip ma puoi chiamarmi Phil."
"Ottimo. Perché in realtà mi chiamo Clinton. Però Clint è come mi chiamano tutti."
"Clinton? Che nome strano!"
"Originale, vero?" Clint rise e lo condusse dall'altra parte di Central Park, in un piccolo bar ancora aperto, dove servivano brioche appena sfornate, nonostante l'ora, e cioccolata calda. "Per me un caffè, grazie." Ordinò Clint.
"Una cioccolata." Ordinò invece l'altro. "Quanti anni hai? Sembri molto giovane."
"Diciassette. Quasi diciotto." Il circense gli indicò un tavolo poco distante, vicino ad un quadro ad olio con la veduta del ponte di Brooklyn.
"E non vai a scuola?" Si sedette di fronte a lui, ringraziandolo con un cenno.
"No. Giro col circo e la nostra Cartomante mi dà lezioni private. Compro i libri ogni volta che ci fermiamo in qualche posto."
"Perché? Il circo non mi sembra così eccitante, potresti fare di meglio."
"Mi piace." Disse lui. Poggiò le braccia incrociate sul tavolino e piegò la testa. Aveva una canotta leggera, addosso, e un filo ancora nero sulle palpebre "Vedere ogni angolo d'America. Essere libero, con soltanto l'orizzonte come meta."
"Senza responsabilità o costrizioni..." Phil piegò le labbra in un leggero sorriso. "Sarebbe bello..."
"È un'esperienza come ti capita una sola volta nella vita. Certo, c'è da sgobbare parecchio, ma ne vale la pena."
"E non pensi mai al futuro? Non puoi certo rimanere in un circo per tutta la tua vita."
"Perché no?" Domandò lui.
"Beh..." Scosse le spalle. "Non vuoi avere una casa, una famiglia?"
Clint puntellò il mento sul palmo, le dita che tamburellavano sulla guancia e la curva della mandibola. "È strano che io non ci abbia mai pensato? Se non come un sogno vago, dai contorni sfumati."
"Suppongo dipenda dal fatto che già stando in un circo, tu non abbia mai avuti motivo di pensarci." Socchiuse appena gli occhi. "Arriverà il momento in cui vorrai fermarti, però..."
"Quando sarà, penso che il merito andrà alla persona che mi ha dato emozioni più intense del circo."
Phil sorrise. "Hai detto una cosa davvero molto romantica, sai?"
Il circense sorrise. "In fondo, io sono un tipo romantico."
"Oh, buono a sapersi." Ridacchiò. "Fino a quando ti fermi?"
"Staremo qui un mese."
"Ed è la prima volta? Posso mostrarti la città se vuoi."
"Sarebbe un onore."
Sorrise e scosse le spalle, leggermente in imbarazzo.
Allora il circense gli rivolse quel suo sorriso caldo e amichevole, che alleggeriva l'atmosfera ed il cuore. "Tu, invece? Studi?"
"Si." E Phil non si spiegava quella capriola che il suo stomaco aveva fatto al sorriso dell'altro. "Vado al liceo, ho quindici anni."
"Quindici? Sembri più maturo della tua età."
"Ti ringrazio."
"Dico la verità." Il ragazzo sorrise, quindi si scostò per permettere alla cameriera di posare le loro ordinazioni, insieme ad un piatto di pasticcini. "Cosa stavi cercando là?" Domandò, curioso.
"Cosa ti fa credere che stessi cercando qualcosa?" Rispose evasivo, afferrando subito un pasticcino e riempiendosi la bocca.
"Parevi Sherlock Holmes."
Ridacchiò. "Ero solo incuriosito."
Clint scrollò le spalle, versando un poco di zucchero nella tazza ed occhieggiando nella sua direzione. "Domani nel pomeriggio sono libero." La buttò lì. "Per vedere la Grande Mela."
"Dom-- Oh si! Certo." Annuì. Poi ripensò a Tony e Steve e scosse la testa. "Mi dispiace ma domani non posso... Se hai un numero posso mandarti un messaggio quando mi libero."
Clint nascose l'attimo di delusione prendendo un tovagliolo e scribacchiandovi sopra alcune cifre. "Ecco."
"Grazie." Scrisse su un tovagliolo anche il suo numero e glielo passò. "Questo è il mio se vuoi."
"Perfetto." Il circense gli sfiorò casualmente le dita, nel prendere il tovagliolo. "Avrai mie notizie "
Sorrise, le guance che si coloravano appena. "Okay e se mi libero, ti chiamo!"
"Ci conto, eh." Clint aveva un sorriso incredibilmente sincero e occhi che esprimevano felicità ad ogni ammiccare.
Phil si sentì arrossire e, per stemperare l’imbarazzo, afferrò la tazza e bevve la sua cioccolata.
Anche l'altro sorbì il caffè in silenzio, beandosi della loro vicinanza e del calore della tazza. Ci fu un trillo, poi, dalla tasca di Coulson -Isabelle, recitava lo schermo.
"Cazzo..." Bisbigliò il ragazzo. Aveva completamente dimenticato di essere fuggito di casa. "Perdonami, torno subito!" Disse, saltando su e uscendo di corsa dal locale. "Non arrabbiarti, ti prego!"
Isabelle era furiosa, faceva ancora più paura di Victoria. Lo aspettava appoggiata alla macchina e gli occhi erano così seri da fare male. "Cosa ci fai qui?"
Phil spalancò gli occhi. "I-- Io-- Ero venuto per cercare degli indizi, poi ho incontrato un amico e ha voluto offrirmi un caffè..." Balbettò. "Mi dispiace!"
"Sali." Disse solo la donna, andando al posto del guidatore. "Hai idea dello spavento che ci siamo prese?"
"A-- aspetta! Non ho finito la cioccolata e non l'ho neanche salutato! Posso tornare a casa da solo."
"Non se ne parla. Sali."
Phil la guardò quasi oltraggiato. "No! Non sono più un bambino! Se posso portare una pistola posso anche prendere un caffè con un amico!"
"Non alle due di notte! Non dopo che hai rischiato di perdere la vita!"
"Non verrò!" Si impuntò il ragazzo -Ed era la prima volta che osa rivolgersi così alla donna. Le diede le spalle e rientrò nel locale. "Perdonami."
"Ehi, tutto bene?" Clint sollevò gli occhi nei suoi.
"Ho litigato con mia zia e ora è venuta a prendermi. Ma non importa, voglio restare ancora un po'."
"Sei sicuro che non ti crei problemi?"
Scosse le spalle. "Non importa. Mi piace parlare con te."
"Anche a me-- " Clint girò la testa, verso l'entrata. "Quella con l'espressione da belva è tua zia?"
Phil arrossi. "Si--" Bisbigliò. Poi ingollò la cioccolata e prese un paio di dolcetti. "Perdonami, è meglio che vada. Puoi chiamarmi... Insomma... Se ti va..."
"Mi va di sicuro." Rispose Clint e il suo sorriso sfolgorava, ampio, caldo. "Dai, non scatenare la Civil War."
Il ragazzo ridacchiò. "Parleremo anche di questo." Lasciò dei soldi sul tavolo. "Offro io."
"Io ti offrirò la cena!" Gli gridò dietro, mentre Isabelle squadrava entrambi con freddezza.
Lo salutò con la mano e raggiunse la donna. "Andiamo."
"Non usare quel tono con me, ragazzino."
Sbuffò. "Scusa."
Isabelle non gli rivolse la parola per tutto il tragitto e, una volta a casa, gli disse solo che Tony stava bene e che i conti con lui li avrebbero fatti dopo.
Phil si era limitato ad annuire prima di raggiungere gli amici in camera. "Ehi... Come stai?"
Tony, ancora pallido, alzò il braccio ed il pollice destro. Steve era seduto accanto a lui, le dita strette a quelle dell'altro.
Gli si avvicinò e gli accarezzò il viso. "Abbiamo attirato l'attenzione. Ci sono stati i giornalisti sul posto."
"I giornalisti? E io non c'ero? Nessun obiettivo a catturare il mio profilo?"
Sorrise alla domanda e gli baciò la guancia. "Troverò il modo di fermarlo, te lo prometto."
"Ma non fare tutto da solo." Tony girò gli occhi su di lui.
"Non devi preoccuparti di questo. Ma voi non avrete più scontri finché non sapremo come batterli."
"Non possiamo." Fece il Capitano, "Verranno a cercarci."
"Qui sarete al sicuro."
"Ma tu e le tue zie no."
Phil sospirò. "In realtà voi siete al sicuro, nessuno vi ha mai visto in faccia. Io, al contrario, non porto una maschera. Sono io quello che può essere trovato."
"I Chitauri avvertono il nostro odore e Thor la Gemma." Gli fece notare Steve. "Ti proteggeremo, Phil."
"No." Il ragazzo scosse la testa. "Sul campo dovete pensare a voi, non a me. Io sto diventando un peso."
"Eccolo che ricomincia." Stark cercò di sistemarsi seduto, ma Steve glielo impedì. "Non sei un peso."
"Si, invece! Io dovrei proteggere voi, non il contrario!" Accarezzò il viso di Tony. "È colpa mia se stai male, ora. Troverò il modo di sconfiggerli, voi cercate di controllare al meglio il potere delle Gemme."
"Non è colpa tua. Non immaginavo potesse richiamare a sé il martello." Stark prese un respiro. "Siamo una squadra."
Ma Phil scosse la testa. "Devo proteggervi e lo farò. Voi dovete solo cercare di non farvi trovare finché non avremo la soluzione. Ti prego."
Il Capitano lo guardò, serio in volto, e gli occhi tradivano la presenza dell'uomo che era stato durante la guerra. "Credimi." Lo avvisò. "Ci troveranno comunque."
"Lo impedirò io." Phil girò gli occhi su di lui. "Dovete solo fidarvi di me."
"E tu devi fidarti di noi."
"Mi fido ma siete troppo esposti. Datemi solo due giorni, vi prego."
"Cosa vorresti fare in due giorni?"
"Proverò a trovare un modo. Ora Tony deve riposare." Si sporse a baciargli il viso. "E dormi davvero."
"Tranquillo. Se me lo permetti." Intervenne Steve. "Veglierò io il suo sonno."
Phil gli lanciò un'occhiata poco convinta. "Okay." Disse poi. "A domani."
"A domani."
 
***
 
"Abbiamo dovuto tracciarti." Lo apostrofò Victoria, dabbasso, seduta rigida sul divano. "Ti rendi conto?"
"Potevate chiamare." Rispose il ragazzo di rimando, seduto sul divano con le braccia incrociate al petto -Si sentiva un bambino sgridato per aver mangiato troppo cioccolata.
"Eravamo preoccupate---"
"Terrorizzate." Corresse Isabella. "Temevano che quell'essere ti avesse catturato o fatto del male o peggio."
"Volevo cercare qualche traccia e sapevo che non mi avreste mai fatto uscire."
"Non da solo. Phil, cerca di ragionare: non puoi fare tutto da solo."
"Perché no? Fury non mi ha affiancato nessuno!"
"Perché la situazione si sta aggravando." Gli spiegò Victoria, che non aveva perso l'espressione tesa, né il livore alle nocche delle mani, strette, artigliate alle braccia. "E hai sempre e comunque avuto Iron Man al tuo fianco."
"Non posso fare sempre affidamento su di lui." Sbuffò l’altro. "Perché diavolo non lo capite?!"
"Perché sei comunque un ragazzo." Isabella scosse la testa. "Dotato, pieno di buona volontà, con QI e capacità assai al di sopra dei tuoi coetanei, ma sei un ragazzo."
"Sono un agente. Me lo ripetete da anni!" Si sollevò di scatto. "Avete sempre detto che l'agenzia e il mio dovere vengono prima di tutto. I miei genitori sono morti per questo! Non sono più un ragazzo da anni, non lo sono a vostro piacere!"
"E noi non vogliamo che tu faccia la loro stessa fine!" Victoria non aveva mai perso la pazienza, mai, davanti a nessuno di loro -Forse unicamente davanti ad Isabella. "Non se possiamo proteggerti! Non se possiamo impedirlo! Non ci siamo riuscite con Meredith, non commetteremo lo stesso errore!"
Phil strinse le mani a pugno. "Non avete protetto lei, non ci riuscirete neanche con me!"
"Phil!" Isabella era scattata in piedi, il viso una maschera di orrore -Gli occhi di Victoria, dapprima inaspriti dalla rabbia, dall'amore divennero vitrei e si spezzarono, tanto che per un istante un bagliore di umanità, di quella umanità che soffre e della sofferenza ha paura, affiorò dalla contrazione della mandibola, dal tremore che in un attimo aveva percorso le ciglia. "Vai in camera tua." Isabella si girò a guardarlo ed era delusa, amareggiata, e il suo cuore era intirizzito nel petto. "Se ancora provi del rispetto per noi, ti prego, vai in camera tua."
Il ragazzo guardò le due donne e abbassò il viso, rilassando le spalle. "Mi dispiace, non dovevo dirlo."
"Ma lo hai fatto." Ribatté Isabella. "Vai in camera tua. Ne riparleremo domani."
"Mi dispiace." Ripeté di nuovo, salendo poi in camera sua. Si lasciò cadere sul letto e si sentì così stupido per aver detto quelle cose che gli veniva da piangere. Afferrò il cellulare e, senza pensarci, scrisse un sms a Clint.
"Scusa se sono andato via di fretta e grazie per la chiacchierata, mi hai fatto dimenticare i miei problemi per un po'."
La risposta dell'altro arrivò quasi subito, annunciata dallo squillare contento del telefono e dal nome dell'altro che balzellava sullo schermo. "Se io potrò impedire / a un cuore di spezzarsi." Recitava. "Non avrò vissuto invano / Se allevierò il dolore di una vita / o guarirò una pena o aiuterò un pettirosso caduto / a rientrare nel nido /non avrò vissuto invano. Puoi contare su di me, se ne hai bisogno."
Phil sorrise.
"Grazie. Ho litigato con le mie zie e sono un po' giù."
"Ahia. I problemi familiari sono i peggiori: il mio telematico orecchio è pronto ad ascoltarti."
"Posso chiamarti?"
"Certo!"
E Phil premette il pulsantino verde con un sorriso. "Ehi. Come mai non dormi ancora?"
"Ehi!" la voce dell'altro era allegra e Coulson poteva immaginarsi il suo sorriso frizzante, gli occhi grigio-azzurri brillanti per la gioia. "Sono sopra la gabbia di Marley che guardo le luci di New York davanti a me, è uno spettacolo da mozzare il fiato."
"Davvero? Mi piacerebbe vederlo. Scusa ancora per prima."
"Puoi rimanere dopo lo spettacolo tutte le volte che vuoi. E non ti preoccupare, ho visto l'espressione di tua zia e mi sono sentito tremare."
"Già... Ma io ho parlato un po' a sproposito e... Temo di averla fatta davvero grossa, questa volta."
"Ti sei fatto prendere dalla situazione e hai vomitato parole che in realtà non pensavi. Però pensa a questo: sono le tue zie, no? Credo ti conoscano. Sanno quando dici qualcosa che pensi davvero e quando invece non sei in te."
"Tu dici? Io non ne sono tanto sicuro."
"Perché?"
"Hanno fatto del loro meglio per crescermi eppure... Gli ho rinfacciato di non essere così brave..."
Ci fu un silenzio dall'altra parte della cornetta, dispiaciuto e carico di empatia. "Oh, Phil. Mi dispiace. Sai, credo che sia ancora riparabile, non devi temere."
"Lo spero davvero." Bisbigliò. "È l'unica famiglia che ho..." Poi si schiarì la voce. "Scusa, non volevo annoiarti con i miei problemi."
"Annoiarmi? Ma stai scherzando? Una cosa che ho imparato vivendo al circo è aiutare, sempre e comunque, e saper ascoltare: in una famiglia allargata come siamo qui, poi, figurati!"
Sorrise. "Litigate spesso?"
"Guarda, l'ultimo litigio cui ho assistito è stato venti minuti fa. Stavamo facendo una bevuta, no? Una di quelle bevute in cui ti ubriachi più per la compagnia che per l'alcool che ti passano, ecco. E ad un certo il nostro Maciste, che ha la dentatura delicata, dice che ha lasciato lo stappa-bottiglie nella roulotte, ma che nella roulotte non ci può andare, ché il suo gemello che fa il pagliaccio e la domatrice se la stanno spassando a pieni voti. Allora che succede? Che il domatore di leoni, che è un bravo Cristo e ha paura dei ragni, gli dice che ha i denti mosci come altre parti anatomiche e giù baruffe che levati, davvero. Uno spettacolo!"
La risata di Phil fu appena soffusa. "Tu sei cresciuto lì?"
"Sì. Mi hanno cresciuto come uno di loro."
"È bello."
"Ma sì, dai. Poteva andarmi molto peggio: in fondo mi vogliono bene e loro sono una compagnia come si deve." Un quieto sospiro dall'altra parte. "Sai, sembra che la città stia respirando. Ci sono tutte queste luci e nessun rumore, praticamente, è come vedere il torace che si abbassa ed alza."
"Non voglio disturbarti, allora. Meriti un po' di riposo dopo lo spettacolo."
"Ma io mi sto riposando. Sono come uno jedi, mi riposo con la meditazione."
Ridacchiò. "Domani credo di essere libero a meno che le mie zie non mi proibiscano di uscire."
"Verrei sotto alla tua finestra, gnaulando come un gatto alla ricerca del pesce e parleremmo dal giardino alla balaustra."
"Grazie è... Una cosa molto romantica."
"Spero non ti dispiaccia, molto spesso mi faccio prendere la mano e straparlo."
"No, no anzi. Mi piace. Insomma-- Mi fa piacere, ecco."
Oh, Coulson poté indovinare un enorme, raggiante sorriso sollevare la bocca dell'altro. "Magnifico."
"Mi piacerebbe vederti..."
"Domani." Gli propose lui. "Domani sarò tutto per te."
Seguì qualche attimo di silenzio. "Buonanotte Clint."
"Buonanotte, Phil. Ti auguro una notte meravigliosa come quella in cui siamo immersi ora."
"Grazie. Anche a te."
Clint chiuse la telefonata ed abbassò le palpebre.

Le foglie sussurravano tutt'intorno ed il mondo era silenzio.
 

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Capitolo 8
*** Capitolo Otto ***


Capitolo Otto


 
 
Al di là dello spazio un animo era in tumulto e l'uomo che aveva preso il nome di Thor agitava con rabbia il martello, chiamando a sé tempeste e nubi di stelle, lampi di galassie, fracassare saettante di comete. "Com'è possibile?" Chiese, furioso. "Che mi abbiano messo in ginocchio?" Si voltò verso Lingua D'Argento. "Come?"
"Perché non sei ancora in grado di utilizzare al massimo il potere della Gemma. E loro le usano da molto più tempo." L'altro era seduto su un trono d'oro, il viso poggiato sul pugno chiuso, annoiato. "Ti rifarai."
Thor lo squadrò con attenzione e gli si avvicinò, i passi pesanti sul pavimento a specchio del Non-Luogo dove dimoravano e dove lo spazio infinito si allungava fino a scolorire in un Non-Orizzonte di stelle pallide. Il mantello scarlatto mormorava sulle spalle, donandogli un'aura possente, forte. "E la Gemma ti controlla?" Lo interrogò. "Sei schiavo di essa?"
"Certo che no.” Replicò l’altro, piccato. “Ma io sono più forte di te."
"Ed io debole, al tuo confronto? Mi sento un Dio, Maestro, un Signore delle Tempeste."
"Non sarei un Maestro se non fossi il più forte, non credi?" Parlò annoiato, sollevando gli occhi all'insù.
Thor tacque, rifilandogli tuttavia un'occhiata sardonica. "Irriverente Maestro." Commentò. "Il tuo fascino è serpentino e mi stringe tra le sue spire."
"Non provare a tenermi testa, Thor. Ricorda a chi devi il tuo potere e la tua obbedienza."
"Non potrei mai, Maestro." L'altro piegò il ginocchio a terra e chinò il capo. "Sono il tuo Araldo."
"Li ritroverai." Si sollevò con lentezza e scese i tre gradini che lo separavano dall'altro. "E mi porterai le Gemme."
"Dovessi strapparle dal loro cuore straziato, saranno tue."
L'uomo piegò le labbra in un ghigno. "Non deludermi, Thor."
Il Dio sollevò la testa e le labbra si arcuarono in un sorriso. "Non lo farò, Maestro."
"Avrai potere sui miei Chitauri che ti aiuteranno a prendere le Gemme."
"Comanderò le tue schiere. Cavalcheranno il fulmine con me e porteranno distruzione ai tuoi nemici."
Il Maestro sorrise soddisfatto. "Bene. Ora va a pensare ad un piano mentre io penso ad eventuali piani B e C."
Thor annuì e si ritirò, lasciando Loki nell'immensità del vuoto e nel Non-Luogo. I suoi passi sparirono e rimase dietro di lui unicamente l'aria carica di elettrico.
 
*****
 
"Questo è per augurarti un buon risveglio. Ricorda: It's a good day from morning 'till night." Insieme al messaggio Clint aveva inviato un file audio -Che, come da anticipazione, altro non era se non "It's a Good Day", di Peggy Lee.
Phil si era svegliato non propriamente di buon umore ma non poté fare a meno di sorridere all’ascoltare la canzone e a ripensare a Clint. Gli rispose con un semplice Buongiorno andando poi a lavarsi il viso e scendendo subito in cucina per scusarsi di nuovo con le due donne.
Isabella era a fornelli, intenta a preparare del caffè: pareva rilassata, mentre chiacchierava con Steve del più e del meno, ma l'arzigogolo di occhiaie sotto le palpebre erano un chiaro segno della notte passata insonne. Il Capitano la stava aiutando a preparare la colazione, attento alle frittelle e alla quantità di caffè da mettere nella moka. Victoria non era presente -Con ogni probabilità si stava occupando del bendaggio di Tony.
"Buongiorno." Phil entrò a piccoli passi e subito si avvicinò alla donna.
"Buongiorno." Lo salutò Steve con calore. Il sorriso che la donna rivolse al figlio era sincero, sebbene sfumato agli angoli da una nota di tristezza. "Buongiorno."
"Steve ti dispiace..." Indicò la donna. "Vorrei parlare un attimo con lei."
"Nessun problema." Il Capitano prese un vassoio su cui già aveva posato una tazza di latte caldo e alcuni pancakes. "Porto questo a Tony."
"Grazie." Il ragazzo lo seguì con lo sguardo fino a vederlo scomparire dietro la porta. "Mi dispiace." Disse poi, ritornando con gli occhi sulla donna. "Non volevo dire quelle cose. Ero arrabbiato e... Davvero non volevo!"
Isabella sospirò e posò il bacino contro il lavello. "Né io né Victoria riusciamo a toglierci dalla testa il pensiero che quelle cose, comunque, covassero dentro di te."
"Ma non è vero!" Le si avvicinò e ricercò le sue braccia. "Non eravate neanche con loro, non avreste mai potuto salvarli! E non penso quelle cose, credimi!"
"Ma avremmo dovuto impedirle di andare. Di mandare altri." Isabella lo strinse con forza. "Ti voglio bene, piccoletto."
"Anche io! Vi considero davvero le mie mamme, non so dove sarei senza di voi!"
La donna gli diede un bacio sulla fronte, posando poi il mento sulla sommità della testa. "Voglio soltanto proteggerti."
"Lo so. Ma voglio risolvere questa cosa con le mie forze."
"Mi preoccuperò sempre per te."
"Ti voglio bene." Bisbigliò il ragazzo, godendo del calore della donna con un sorriso tranquillo. "La mamma è arrabbiata?"
"No. È solo... Giù di corda."
"Mi dispiace così tanto..."
"Va tutto bene, piccoletto. Però... Non farlo più. Di mentire e scappare via. Ti prego."
"D'accordo. Promesso."
"Dai, vai ad abbracciare anche Victoria o si ingelosirà di tutte le attenzioni che mi dedichi." Scherzò Isabella.
Ridacchiò molto più rilassato. "È con Tony?"
"Oh, sì. Tra lei e Steve non so chi sia l'Infermiera più preoccupata."
Phil le lasciò un bacio sulla guancia prima di dirigersi al piano di sopra. "Posso entrare?" Chiese, bussando alla porta.
La risposta fu Steve che apriva la porta e sorrideva e gli faceva cenno di accomodarsi. Tony pareva un pashà, adagiato sulle lenzuola e tre guanciali: con la mano sinistra si portava i pancake alla bocca e il bicchiere di latte era già mezzo vuoto; il braccio destro, invece, era abbandonato alle dita sapienti di Victoria, intenta a fasciargli la spalla e a controllare la contusione.
"Ehi, come ti senti?" Il ragazzo andò a sedersi accanto all'amico. "Ti trovo meglio."
"Sono servito e riverito e imbottito di antidolorifici." Disse Stark. "Sto una favola."
L'altro ridacchiò. "Bene." Gli accarezzò il viso con affetto. "Mi hai davvero fatto spaventare."
"Non avevo idea che quel tipo potesse richiamare il martello. Non usa magneti. Non mi pare di aver visto magneti."
"Forse è il potere della Gemma... Potremmo provare a toglierglielo."
Tony socchiuse le palpebre, adagiando meglio le spalle al cuscino. "Dovremo esercitarci con lo swing."
"Sono sicuro Steve ci insegnerebbe molto volentieri."
Il Capitano fece un mezzo sorriso. "Giovani d'oggi." Disse.
Phil ridacchiò prima di tornare serio e spostare lo sguardo sulla donna. "Possiamo parlare mamma?"
Victoria, fino a quel momento rimasta in silenzio, si girò verso il figlio e annuì.
"Riposa ancora un po'. Andrò io dai tuoi a rassicurarli." Disse, alzandosi.
"Oh." Fece Steve. "È solo tanta scena."
"Non è vero, Rogie!" Gnaulò Stark. "Sono malato!"
"Ma smettila!" Rise Phil. "Riposa. Anche tu, Steve." Disse, già accanto alla porta.
"Lo farò." Annuì lui. "Non temere."
Phil uscì e aspettò che la donna lo raggiungesse. Poi la abbracciò. In silenzio, solo cercando le sue braccia con affetto.
E Victoria lo tenne a sé senza dire una parola, conscia che nessuna parola, nessuna voce avrebbe mai e poi mai potuto essere eloquente quanto quell'abbraccio. "Sono fiera di te."
"Mi dispiace." Le si strinse forte contro. "Mi dispiace.”
"Non ne parliamo più. È passato."
"Non pensavo quelle cose, credimi!"
"Lo so, Phil, lo so. Non ti preoccupare. È passato, davvero."
Il ragazzo le si aggrappò contro. "Ti voglio bene. Siete tutto per me."
"E tu lo sei per noi." Victoria lo tenne a sé, con dolcezza, con tenerezza e calore.
Rimase abbracciato a lei per un tempo indefinito, prima di allontanarsi con gli occhi appena lucidi. "Andiamo a fare colazione."
"E lasciamo a quei due un po' di privacy." Convenne Victoria. Lo prese sottobraccio, con dolcezza, sviando lo sguardo striato di commozione.
In cucina, Phil abbracciò anche Isabella, ricercando affetto e coccole. "Stasera forse vedo di nuovo quel mio amico..." Buttò lì, mentre erano seduti a mangiare.
Isabella inarcò il sopracciglio. "Non mi avevi mai parlato di lui.”
"In realtà... L'ho conosciuto qualche giorno fa... Lavora nel circo..."
Victoria lo fissò da sopra la tazza. "Ma tu odi il circo."
"...Già..." Arrossì. "Lui fa l'arciere. È molto bravo."
"E di bell' aspetto." Aggiunse Isabella.
Il viso gli divenne ancor più rosso. "Davvero? Non l'ho notato."
"Come no." Rincarò la dose la donna.
"Davvero!"
Isabella sorbì il suo caffè con calma, scambiando un'occhiata con Victoria. "Potrebbe venire a cena da noi."
"Cos-- No!" Saltò su. "Cioè... Perché?"
"Perché è un tuo amico, no?"
"Ma non avete mai invitato i miei amici a cena..."
"Che sciocchezza. Tony lo abbiamo invitato più di una volta."
Phil aprì la bocca per replicare ma nessun suono ne uscì. Alla fine afferrò la sua tazza di nesquik e vi si trincerò dietro.
Isabella fece un sorriso vittorioso, arcuando le sopracciglia con soddisfazione. Arcuò gli angoli della bocca, mentre Victoria le faceva segno di no col capo.
"Magari tra un po' di tempo..." Disse lui alla fine.
"Certo. Quando avrete fatto come minimo cinque uscite e starete pensando di ufficializzare la cosa."
Phil spalancò la bocca. "M-- Ma l’ho appena conosciuto! E poi non mi piace in quel senso!"
"Adolescenti."
"Isabella." La richiamò Victoria -Che nonostante il tono faceva mostra di un divertito sorrisetto. "Lascia in pace il ragazzo."
"E poi lui è più grande. Non vi preoccupa questo?"
A quel punto, gli occhi di entrambe puntarono su di lui. "Quanto più grande?"
"Ha diciotto anni."
"Non entrerà in questa casa e tu devi stare attento. Non lo frequentare." Replicarono quasi all’unisono.
Phil spalancò gli occhi. "Cosa? Solo perché ha tre anni più di me?"
"Certo. Alla vostra età è una differenza troppo grande."
"Siamo solo amici. Anzi, conoscenti. Non c'è niente di cui aver paura."
Victoria socchiuse le palpebre. "Fai attenzione."
"Si mamma." Sorrise. Poi sbiancò. "Devo andare a fare rapporto a Fury!"
Isabella annuì. "È stato informato dell'attacco di ieri sera. Prima ha detto di riprenderti."
"Sto bene. Meglio che vada ora e dopo mi vedrò con Clint. Torno per ora di cena."
"Non dare troppa corda a Clint, se vedi che le sue intenzioni sono ambigue." Gli consigliò Victoria.
"...Ambigue? In che senso?"
"Con un secondo fine."
Phil continuò a guardarla confuso. "E che secondo fine potrebbe mai avere nei miei confronti?"
Isabella si schiarì la voce. "Portarti a letto per sfogare gli ormoni."
"Po--" Spalancò la bocca e divenne paonazzo. "No! Non lo farebbe mai!"
"Ti sto solo mettendo in guardia."
Scosse le spalle. "Non lo farebbe e neanche io." Lavò la tazza e diede un bacio alle due donne. "A stasera."
"A stasera, piccoletto." Isabella gli sorrise e Victoria gli portò lo zaino.-Nonché delle cartucce.
"Cartucce?"
"Hai svuotato i caricatori ieri notte e non sappiamo nulla di quel pazzo, né quando potrebbe saltare fuori."
Afferrò lo zaino. "Farò attenzione." Promise. "Voi prendetevi cura di Tony e Steve."
"Stai tranquillo." Victoria lo rassicurò con un sorriso, "Vai, ora. E chiama se hai bisogno."
"A dopo!" Uscito di casa Phil rilasciò un respiro. Poi afferrò il cellulare e invitò Clint per pranzo.
"Perfetto! Dimmi ora e dove!" Recitava il messaggio. "E corro da te."
"Ci vediamo al bar di ieri e poi decidiamo?" Rispose che già stava salendo le scale per raggiungere l'ufficio di Fury.
"Ottima idea. Le tue zie ti hanno lasciato libero?"
"Abbiamo fatto pace, si. Ora ho lezione, ci vediamo alle dodici!"
"Perfetto. Buona lezione.”
Davanti la porta dell'ufficio, Phil si sentì un bambino sperduto. Avrebbe dovuto ammettere il suo fallimento nel proteggere Tony e Steve e nel trovare un modo per sconfiggere le Gemme. Prese un respiro e bussò leggermente, sperando inconsciamente che il direttore non lo sentisse.
"Avanti." Dannato udito da pipistrello di Fury. All'interno della stanza, già insonorizzata e protetta, esplodevano le immagini del combattimento con Thor. "Donald Blake." Disse il Direttore. "Fedina penale perfetta. Neanche una multa. Carriera fulgida. In cosa si è trasformato?"
Phil abbassò gli occhi e si sedette. "Ha detto che si chiama Thor. Ma non ho capito che Gemma possiede."
"Spazio." Rispose per lui Fury. "O realtà."
Sospirò. "Mi dispiace, signore, ma le informazioni che abbiamo non ci permettono di affrontarle al meglio. Tony ha rischiato di morire. Credo dovremmo agire diversamente."
"Se hai idee, Agente Coulson, sono tutto orecchie "
Il ragazzo scosse la testa. "Non ne ho signore. L'unica cosa che so è che io sono solo una distrazione per loro, sul campo. Finché si preoccuperanno di difendermi, non potranno combattere al meglio."
Fury inarcò il sopracciglio. "Sei stato addestrato per essere il loro supporto, Agente Coulson, e sei stato giudicato idoneo."
"Lo so, signore." Annuì. "Ma, sinceramente, sono inutile. Le armi non funzionano e se loro devono pensare a proteggermi, non possono combattere."
"Allora sii in grado di proteggerti."
Sollevò gli occhi. "Come?"
"Ti addestrerai con May." Gli riferì lui. "E insieme a Mimo. Dovrai essere al livello dei tuoi compagni , se non di più."
"Mi perdoni signore, ma non credo sia un problema di allenamento, quanto di armi. Nessuna arma che possediamo è in grado di scalfire alieni e Gemme."
"Il tipo di arma, come la si usa, quando sfruttarla, sono nozioni in grado di salvarti la vita."
Il ragazzo corrucciò le sopracciglia. "Ho già queste nozioni, signore."
"Agente Coulson, stai forse insinuando che alla veneranda età di quindici anni sai già tutto quello che ti occorre sulle armi? Ad ogni livello?"
Sollevò un sopracciglio. "...Quasi tutto?"
"Agente Coulson, metti a freno la tua umiltà. Non sai nemmeno la metà."
"Ma signore--"
Il Direttore lo guardò dritto negli occhi. "Avrei preferito aspettare che tu fossi più maturo: sembra che gli eventi abbiano deciso per te. La Cavalleria, Mimo, Vedova Nera, saranno loro ad occuparsi di te."
Phil perse colore. "Sta dicendo che dovrò ricominciare l'addestramento?"
"E migliorarti. È come un Upgrade."
Boccheggiò appena. "Ma l'ho finito appena un anno fa, speravo di avere più tempo per riposare..."
"Se le circostanze fossero state diverse, te lo avrei permesso."
Abbassò il viso, amareggiato. "Devo cominciare subito, signore?"
"Da domani, Coulson. Per oggi, scendi a patti con l'idea."
Annuì. "Grazie signore." Si sollevò. "A domani."
"A domani."
Una volta fuori, il ragazzo si sentì quasi svenire: non voleva ricominciare l'addestramento, significava rinunciare a tutto e pensare solo a combattere e a dormire. Non avere più tempo per giocare con Tony e chiacchierare con Steve, non avere più tempo per vedere Clint... Senza contare che la Romanoff e la May lo avrebbero distrutto... Sospirò e si diresse all'uscita. Inviò un sms a Isabella e poi si diresse all'appuntamento, anche se gli si era chiuso lo stomaco.
"Mamma mia che faccia." Il sorriso di Clint fu un sole in grado di spazzare via le nubi. Rischiarò l'atmosfera, caldo e raggiante. Aveva addosso dei semplici pantaloni della tuta ed una canotta viola.
"Ciao." Phil gli sorrise. "Perdonami, ho avuto un brutto incontro. Come stai?"
"Bene! Ho dato da mangiare ai cavalli e pettinato Marley. Posso fare qualcosa per il tuo incontro?"
Scosse la testa. "Non importa. Dove preferisci andare a mangiare?"
"Sushi?" Propose lui.
Annuì. "Si, mi piace."
Clint gli sorrise e lo condusse allegro oltre il bar, saltellando un poco sui piedi e canticchiando una vecchia canzone.
"Tu sembri di buon umore..."
"Il sole splende, gli uccellini cantano, perché non dovrei essere felice?"
Annuì. "E' vero..."
"Il malumore avvelena l'anima e toglie battiti al nostro cuore."
Phil sorrise. "Si, è vero."
"È una cosa da vecchi saggi cinesi." Gli spiegò lui. "Quando nasciamo ci viene consegnato un numero limitato di battiti."
"Davvero?" Si strinse la tracolla al fianco. "Questa mi giunge nuova."
"Me lo hanno raccontato un po' di tempo fa." Continuò il circense. "Emozioni come la rabbia ne fanno perdere a fiotti."
Il ragazzo lo colpì appena con la spalla. "E tu ci credi davvero?"
"Perché no?" Rise Clint. "È affascinante, anche se non è vero. E aiuta a vivere con tranquillità."
Phil continuò a sorridere -Si sentiva di nuovo di buon umore. "Hai uno spettacolo oggi?"
"Stasera! Però nel pomeriggio faccio attività coi bambini."
"Bambini? Di che si tratta?"
"Faccio provare il tiro con l'arco ai bambini."
"Oh... Posso assistere?" Chiese con un sorriso. "Mi piacerebbe provare."
"Ma certo!" Clint gli sorrise. "Ne sarei più che felice!"
Arrossì appena. "Bene, grazie. Devo pagare qualcosa?"
"Il prezzo è un'altra cena con me, che ne pensi?"
Il ragazzo finse di pensarci su. "Ci sto!" Disse poi.
Clint gli diede una pacca sulla spalla, per poi indicare un ristorante all you can eat. "Et voilà!"
"Sai che qui non ci sono mai stato?" Gli si appoggiò appena contro. "Si mangia bene?"
Clint arrischiò allora a mettergli un braccio attorno alle spalle. "Mi hanno detto di sì."
Phil sorrise a quel gesto e piegò appena il viso verso di lui. "Speriamo sia così, allora."
E gli occhi di Clint, così vicini, erano caldi rispetto alla venatura azzurro-ghiaccio che li attraversava. "Ne sono sicuro."
"Hai un colore degli occhi davvero particolare." Bisbigliò, osservandolo attentamente.
"Davvero? Ti piace?"
Annuì. "Si, molto. Non ho mai visto occhi simili in tutta la mia vita."
Clint sorrise e tenendolo stretto a sé lo accompagnò fino al tavolo e, con cavalleria da tempi andati, lo aiutò a sedersi. "Pronto agli strafoghi?"
"Io sono nato pronto!" Gli sorrise a quel gesto così galante e poi incrociò le braccia sul tavolo, del tutto a suo agio.
Contento di vederlo tanto rilassato, Clint si fece portare due menù, la salsa di soia e le bacchette. "Si aprano le danze!" Esclamò, passando la lista a Coulson.
"Tu hai un piatto preferito?"
"Chirashi di salmone!"
"Davvero? Io sono per il Ramen e il sashimi."
Clint scorse il menù. "Per la tua gioia, ci sono entrambi."
"Bene! Allora prenderò quello!"
"Per me, invece.." Fece Clint, rivolto alla cameriera che si era appena avvicinata. "Sashimi di salmone, chirashi di salmone,hossomaki sempre al salmone e alga giapponese."
"Per me sashimi di salmone, ramen e ravioli alla griglia." Phil sorrise e passò il menù alla ragazza. "Grazie."
Lei sorrise, lasciando un menù per le ordinazioni seguenti e chiese con la sua voce cinguettante cosa volessero da bere. "Una Asahi per me." Rispose Clint.
"Acqua, grazie."
Ancora un annuire sorridente. Tornò poco dopo con acqua e birra e Clint si premurò di versare la prima a Phil. "Ho una fame incredibile."ammise.
Annuì. "Si, anch'io." Picchiettò le dita sul tavolo e si guardò intorno. "È un posto carino..."
"Vero?" Il giovane si prese un sorso di birra, per poi versare un poco di salsa di soia dentro la ciotolina laccata di marrone "E il prezzo è assai onesto." Disse.
Annuì. "Si è vero." Sorrise e si trovò a corto di parole, l'unica cosa che fece, fu studiare il viso e gli occhi dell'altro.
Clint fece un sorriso. "Ho qualcosa sulla faccia?"
"No, assolutamente." Scosse la testa. "Mi piace solo guardarti."
"Davvero? Non me lo dicono quasi mai, se sono fuori dallo spettacolo. Beh." Confessò l'altro. "Sei anche il primo che abbia mai invitato fuori, bisogna dirlo."
"Davvero?" Chiese sorpreso. "Eppure avrai conosciuto un sacco di persone!"
"Sì, ma..." Clint scrollò le spalle. "Entrano ed escono. Come una folata di vento."
"Nessun che ti sia rimasto nel cuore?"
"Nessuno ha mai dato retta ad un ragazzino." Disse lui. "Sono i miei compagni, che ho nel cuore. A loro non interessa la mia età."
Corrucciò le sopracciglia. "Compagni?"
"Colleghi. Quelli che lavorano con me al circo "
"Oh... E non c'è nessuno che ti è entrato nel cuore tra i tuoi compagni?"
"Sono tutti più grandi di me e tutti già accoppiati. Ogni tanto si lasciano, si rimettono insieme, si litigano, ma io finisco sempre per essere la spalla su cui piangere."
"Un vero amico, quindi." Phil sorrise e prese un sorso d'acqua. "E posso sapere come mai mi hai chiesto di uscire?"
"Mi è piaciuto il tuo spirito." Rispose Clint, "La tua risposta pronta quando ho cercato di rifilarti i volantini."
Ridacchiò. "Era una pessima giornata. Sono stato molto scortese, mi dispiace. Ma tu sei stato anche parecchio insistente."
"Era una pessima giornata." Si scusò lui, ridendo.
Phil rise con lui e si sentì estremamente bene. "Grazie." Disse poi, "Avevo bisogno di staccare un po'."
Il sorriso di Clint, radioso e luminoso, si allargò con dolcezza. Sapeva come porsi, cosa dire, quando e come rivolgersi a lui. Sembrava toccare ogni minuscola propaggine del suo carattere e del suo umore, traendone una quieta, dolce, significativa melodia. "Grazie a te." Disse. "Per avermi permesso di farlo."
Phil non poté fare a meno di allungare una mano verso la sua, a sfiorargli le dita con le sue. "Sono davvero felice di averti incontrato e spero di rimanere in contatto anche quando andrai via."
L'altro intrecciò le dita a quelle di Phil e la pelle era calda contro quella del giovane, poteva sentire il sangue scorrere nelle vene e il battito accelerato del cuore. "Credo sia giunto il momento di prendere un portatile ed installare Skype."
L'altro ridacchiò con le guance appena colorate di rosso e lo stomaco che, a quel contatto, fece delle capriole. "Oppure potresti pensare di fermarti qui. Andare a scuola e diplomarti, magari."
"Pensi che accetterebbero uno scappato di casa come me?"
Scosse le spalle. "Perché no?"
Clint strinse un poco di più la presa sulla sua mano. "Allora credo proprio che prenderò in seria considerazione l'idea."
"Davvero?" E i suoi occhi brillarono di sorpresa. "Lo faresti per me?"
"Certo." gli assicurò lui ed il suo sguardo non tradiva alcun segno di menzogna; era sincero, franco, credeva davvero in quel che stava dicendo.
"Clint, ne sei davvero sicuro? Non mi conosci neanche!"
"Nella mia vita ho seguito più l'istinto, della ragione." Gli rispose lui. "E il mio istinto mi dice che fermarmi qui potrebbe essere in grado di cambiarmi la vita, come quando sono scappato dall'orfanotrofio per unirmi al circo."
"Non ti sei mai pentito della tua scelta?"
"No. E' stata la cosa migliore che potessi fare."
"Beh... Però pensaci. Si tratterebbe comunque di lasciare la tua famiglia."
Clint gli sorrise. "Ti prometto che ci penserò, allora. E ne parlerò con loro."
Annuì. "Bene."
"Tu lo hai mai fatto? Un colpo di testa che ti ha cambiato la vita."
Scosse la testa. "No. Quando i miei sono morti sono stato affidato alle mie zie e sono sempre stato con loro."
"Perdonami." Fece allora Clint. "Non volevo farti tornare in mente brutti ricordi."
Phil strinse le dita alle sue. "Non li ricordo molto e credo di averla superata da un bel po'."
L'altro gli trasmise la sua vicinanza, la sua comprensione. "Anche io ho perso i miei quando ero bambino." Gli confessò. "Ma non avevo parenti cui essere affidato. Fino ai dodici anni sono rimasto nell'orfanotrofio e poi ho scavalcato il muro che mi divideva dal mondo esterno."
"Ma le mie zie non sono davvero mie parenti." Inclinò il viso. "Erano amiche dei miei genitori, tutto qui."
"Ah." Clint sorrise, con un che di imbarazzo. "Ho veramente fatto una gaffe."
"Ma no!" Rise lui e scosse la testa. "Sono state molto buone a volermi crescere. Avevo otto anni e non ero proprio facilissimo. Hanno avuto molta pazienza."
"Sappi che hanno fatto un ottimo lavoro." il ragazzo annuì. "Io mi sono trincerato nella rabbia e nel silenzio. Odiavo tutto e tutti, tenevo alla larga chiunque cercasse di avvicinarmi -Per questo, credo, nessuno mi ha mai voluto nella sua famiglia."
Phil sorrise comprensivo. "Li hai persi all'improvviso?"
"Sì. Un incidente d'auto."
"È più difficile quando accade." Annuì. "Però credo che all'orfanotrofio avrebbero potuto fare di meglio per aiutarti."
"Avevano tanti di quei bambini... Non potevano focalizzarsi su di me."
"E ora stai meglio? Sei meno arrabbiato?"
"Sì." Clint annuì. "Il mio cuore ha trovato pace."
"Ne sono felice." Poi arrivarono le portate e la conversazione verté su argomenti più leggeri.
A fine del pranzo, quando ebbero ordinato gran parte del menù, Clint appoggiò le spalle sulla sedia, satollo. "Che goduria!"
"Questo posto è buonissimo!" Phil sospirò beato. "Ci porterò anche le miei zie!"
"Direi che è un'ottima idea---!”
Inclinò il viso con un sorriso. "Devi andare?"
Clint lanciò un'occhiata all' orologio da polso, uno di quelli di plastica dozzinale dai colori improbabili. "Nah. Posso stare fuori ancora un po'."
"Sicuro?"
"Sicurissimo!"
"D'accordo. Ti va una passeggiata?"
"Solo se accompagnata da un gelato."
"Ci sto!"
Clint insistette per pagare. Uscito poi fuori dal ristorante si stiracchiò ben bene, beandosi della luce del sole che gli scivolava addosso. Lentamente, poi, fece scivolare la mano in quella di Phil.
Il ragazzo intrecciò subito le dita alle sue con un enorme sorriso grato. "Dove vuoi andare?"
"Le mie conoscenze finiscono con questo all you can eat. Conosci qualcosa qui vicino?"
Si mordicchiò le labbra. "Forse uno sul porto... Ma non so se è buono."
"Beh." Il ragazzo gli sorrise. "Scopriamolo!"
Annuì. "Andiamo!"
Per tutto il tragitto Clint non lasciò la sua mano e le dita, la pelle erano calde come un lieve capogiro. Parlò del più e del meno, invitando Coulson a fare lo stesso, mostrandosi interessato ad ogni parola che usciva dalla sua bocca e dimostrando questo suo interesse facendo domande, annuendo.
Il gelato fu preso e gustato seduti sul porto e Phil non era mai stato così rilassato e felice.
"Emani onde positive." Commentò Clint, facendo dondolare le gambe ."Mi piace."
"Onde positive? Davvero?" Rise. "È perché sono felice con te."
"Anche io lo sono." Il circense posò la tempia sulla sommità della sua testa.
"Mi piace il tuo profumo..."
"Sì? Di cosa profumo? Spero non di cerone, ti prego, fa' che non sia cerone."
Ridacchiò. "Sai di erba e terreno bagnato." Chiuse gli occhi. "Zucchero filato."
Clint sorrise, un sorriso a fior di labbra. Gentile, dedicato. "Tu sai di casa."
"Casa?" Sollevò il viso per guardarlo. "Quindi so di dolce?"
"Sì. È un odore rassicurante." Spiegò Clint. "Di farina. Di bucato. Di cose piacevoli, che scaldano il cuore."
"Grazie."
"Grazie a te." Clint si mise a guardare in avanti e gli occhi brillavano al tenue lumeggiare delle creste sulla cima dell'acqua.
Phil sollevò gli occhi sul suo viso. "È tutto okay?"
"Sì. Solitamente sono sempre in movimento, mi piace stare fermo a guardare cosa ho intorno."
"Capito." Poggiò di nuovo il viso sulla sua spalla e chiuse gli occhi, beandosi della vicinanza dell'altro.
Fu allora che il ragazzo si arrischiò a dargli un bacio sulla testa, un lieve sfiorare di labbra e pelle.
Phil sentì dei lunghi brividi lungo la schiena e sollevò il viso per guardarlo. "Non smetterò mai di ringraziarti. Avevo proprio bisogno di non pensare."
"Puoi contare su di me, Phil." Gli assicurò lui. "Ci sono io per te."
"Grazie." Bisbigliò, allungando il viso a lasciargli un bacio sulla guancia.
Il circense lo strinse allora a sé, ridendo con dolcezza di quella loro quieta intimità -Due anime che si toccavano l'una con l'altra, teneramente. "Grazie a te."
"Devi proprio andare, vero?"
"No no." Disse lui. "C'è ancora tempo."
Sorrise. "Ma a che ora devi andare?"
"Venti minuti e mi avvio."
"Allora va bene." Gli lasciò un altro bacio sulla guancia.
E Clint rispose con un bacio sulla sua guancia, uno sulle palpebre, uno sulla fronte.
"Come fai a farmi sentire così?"
"Sono me stesso. Forse è questo."
"Si, forse è questo."
"L'importante è che tu ti senta bene. Il resto non conta."
"È così infatti."
Clint gli diede un ultimo bacio sulla fronte, per poi rimanere alcuni istanti con la bocca sulla sua pelle. "Devo andare però, ora."
"Oh, di già?" Arrossì. "Scusa. Hai ragione. Puoi chiamarmi quando vuoi."
"E anche tu." Clint gli diede un bacio sulla punta del naso.
"Grazie per la giornata."
"Grazie a te. Comunque ci vediamo fra poco,no?" Fece il circense. "Alle prove di tiro con l'arco."
Phil si mordicchiò le labbra e guardò l'orologio d'acciaio che portava al polso. "Mi dispiace, ma è meglio che torni a casa."
Per un attimo, un fugace istante, Clint abbassò gli occhi e lo sguardo si macchiò di scura melanconia. "Okay." Disse poi, con un sorriso. "Forse è meglio non tirare troppo la corda con le tue zie."
Il suo sguardo, però, non sfuggì agli occhi attenti dell'altro. "Mi dispiace. Magari posso venire domani!" Provò. "Oppure possiamo vederci a pranzo o a cena!"
"Va benissimo." Clint sorrise. "A parte lo spettacolo serale e la pulizia mattutina, i miei orari sono flessibili al massimo!"
"Bene!" Sorrise. "Allora ti chiamo o mi chiami tu!"
"Perfetto. E se vuoi venire al circo, basta che chiedi di me, a qualunque ora."
"Perfetto." Indeciso su come salutarlo, tentennò leggermente, limitandosi, poi, a sfiorargli solo la mano. "A presto, allora."
"A presto." Clint tenne la mano nella sua, piegandosi poi a lasciarvi un bacio.
Quando tornò a casa, Phil era di ottimo umore. Aprì la porta con un enorme sorrise. "Sono a casa!"
Non gli rispose nessuno. Isabella e Victoria erano uscite e la seconda aveva lasciato un fumetto di Capitan America sul tavolo della cucina. Sopra di esso, un post-it giallo, su cui Isabella aveva scritto un allegro: Stasera pizza! Il numero e il menù erano già sul frigo.
Il ragazzo sorrise e afferrò il fumetto, salendo poi nella camera degli ospiti. Bussò leggermente alla porta. "Tony? Steve?"
Gli aprì Steve, dopo alcuni secondi, uno Steve assonnato, a torso nudo e con le mani che aggiustavano pigramente le ciocche disordinate. "Oh, Phil!" Esclamò. "Perdonami, stavo riposando."
"Oh, scusa!" Lo guardò dispiaciuto. "Volevo solo sapere come stava Tony."
"Entra." Gli sorrise il Capitano, andando a recuperare la camicia abbandonata sulle lenzuola. Stark era accoccolato sotto le coperte, girato sul fianco della spalla sana. Dormiva quieto e anche la sua maglia -strano- era stata gettata alla meglio poco oltre il materasso.
Phil si sedette sulla sponda del letto e accarezzò lentamente i capelli dell'amico. "Non dovrebbe fare sforzi." Bisbigliò, gettando un'occhiata eloquente a Steve.
Questi sbatté le palpebre, per un attimo perplesso. "Non ne sta facendo, infatti."
"Allora perché è senza maglietta e lo eri anche tu?"
"Victoria gli ha cambiato le fasciature prima di uscire e Tony ha preferito rimanere senza, ché le bende e la maglia gli davano fastidio." Il Capitano piegò la testa. "Io dormo sempre senza."
Il ragazzo distolse lo sguardo. "Come dici tu."
"Non mi credi?"
Scosse le spalle. "Non sono affari miei." Si sporse a baciare la guancia di Tony con tenerezza. "Vi lascio riposare." Bisbigliò, sollevandosi dal letto.
Steve si alzò in piedi, mentre Stark stringeva le palpebre e cercava una sistemazione migliore sotto le coperte. "Non mi permetterei mai di fare simili cose sotto il tuo tetto." Gli disse il Capitano. "Mai."
"Lo ami?" Gli chiese invece l’altro.
Steve rimase in silenzio per tanto, troppo tempo per una domanda di tale portata. Si chiuse la porta alle spalle, perché non una voce arrivasse a Tony.
"Non lo so." Ammise lui. "Quel che so è che accanto a Tony, tutto il dolore, tutto ciò che ho perso sembra acquisire un senso perché mi hanno portato sino a lui."
"È una bella cosa." Sorrise.
"Ma è amore?"
"Credo solo tu possa rispondere a questa domanda."
Il Capitano piegò la testa, sviando lo sguardo dal suo. "È se fossero le Gemme? Niente più di una attrazione simulata?"
"Beh... Credo che solo il tempo possa dircelo, non credi?"
"Per esperienza personale, il tempo porta più domande che risposte."
"Allora non so che consiglio darti. Segui il tuo cuore e basta."
Steve gli fece un quieto sorriso, per poi invitarlo a scendere a prendere un the con lui. "E tu come stai? Hai un aspetto assai diverso."
"Mi obbligano a riprendere l'addestramento per aiutarvi di più sul campo."
"Addestramento?" Steve prese il bollitore, per poi girarsi a guardarlo. "Come farai con gli studi?"
"Farò quello e quello, solo che non riuscirò più a stare a casa."
Il Capitano mise due tazze in tavola e lo zucchero e il latte. "Sono desolato." Disse poi. "Più di una volta non sono stato in grado di proteggerti come avrei dovuto."
"Devo essere io a proteggervi, non il contrario."
"Perché?"
"Perché è il mio compito." Afferrò la tazza. "Devo diventare più forte per farlo."
"Posso aiutarti anche io."
Sollevò un sopracciglio. "Come?"
"Sono stato nell'esercito. Posso aiutarti."
Phil sorrise. "Grazie ma credo che un allenamento basti e avanzi. Allo S.H.I.E.L.D. si parla di otto, nove ore al giorno, sette giorni su sette, quindi..." Sospirò. "Io lo odio."
Steve pose in tavola anche lo zucchero. "Non così diverso da quello che facevo io."
"Sono anni che lo faccio e mi erano stati promessi almeno tre anni di vita normale. E invece non è passato neanche un anno. Ho quindici anni! Voglio uscire con gli amici e andarmi a divertire, innamorarmi!" Lasciò andare la testa sul tavolo. "Volevo avere un po' di tempo per me..."
"Sai, conobbi un uomo, una volta." Steve si sedette al suo fianco. "Ben Parker. Mi disse che da grandi poteri derivano grandi responsabilità."
L'altro sollevò gli occhi su di lui. "Io non ho grandi poteri, Steve."
"Come no? I poteri non sono soltanto le Gemme."
"Ci sono altri tipi di potere?"
"Il coraggio di affrontare e sopportare tutto questo. Di usare le armi. Di fare fronte a quanto sta accadendo."
"Sono qualità, non poteri." Sorrise. "Prima finirà questa storia, prima tornerà tutto alla normalità. Potresti anche ritornare a casa tua."
"Già." Per un attimo il volto di Steve si rabbuiò. "Potrebbe."
Sorrise mesto. "Se vuoi tornare, possiamo trovare una soluzione.”
"Ancora non credo sia possibile."
"Forse quando le Gemme saranno riunite..."
Steve scosse la testa e incrociò le braccia sul tavolo. "Non lo so. E se il mio Destino fosse rimanere qui? Le tue zie mi hanno detto che sono stato dichiarato disperso in missione."
"Potresti ritornare nel momento esatto in cui sei sparito."
Il Capitano tacque e si dedicò con insolita attenzione a versare il thé, quasi il farne cadere una singola goccia potesse avere effetti indesiderati sull'equilibrio mentale cui stava lentamente anelando. "Il tempo è una intelaiatura fragile." Sussurrò. "Non so dire cosa potrebbe succedere, se tornassi."
"Credo lo scopriremo solo andando avanti."
"Concordo." Steve mise un goccio di latte nella propria tazza, rigirando lentamente il cucchiaio e facendo salire un quieto aroma di vaniglia. "Sono cambiate così tante cose... Non riuscirò mai ad impararle tutte."
"Hai tutta la vita, non scoraggiarti così."
Steve sorrise e gli occhi corsero ad una foto di Victoria e Isabella, appesa al frigorifero: le due donne camminavano sulla battigia, mano nella mano, di spalle all'obiettivo. "Sono felice che le cose siano cambiate."
"Suppongo fosse difficile dimostrare amore nella tua epoca."
"Diciamo che non era ben visto. Doveva essere nascosto. Finché non si sapeva, finché non era palese... Nella minima parte dei casi e per gente rispettabile a livello economico. Per tutti gli altri, la storia è assai diversa."
"Ora siamo molto più liberi." Sorrise Phil. "E Tony è un bravo ragazzo."
"È una persona molto buona. E coraggiosa."
"Lo è davvero. Per questo... Se non sei sicuro di quello che provi, non dargli speranze."
Il giovane annuì e posò la tazza che si era appena portato alle labbra.
"Scusa." Phil sorrise dispiaciuto. "Sono molto protettivo nei confronti di Tony ma è la mia famiglia al pari delle mie zie."
"Non ti devi scusare." Il Capitano gli rivolse un sorriso, come a sottolineare meglio le sue parole. "Capisco che tu lo voglia proteggere."
"Tu gli piaci davvero tanto." Prese un sorso di the e sospirò. "Sono un po' geloso." Ammise. "Vorrei avere anch'io qualcuno accanto."
"Perché non Tony?" Gli chiese lui, allora. "Sembrate molto uniti."
Scosse le spalle. "Non c'è stato il colpo di fulmine."
Steve annuì, per dire che aveva capito. "Come pensi che sia, questo colpo di fulmine?"
"....Non lo so... Qualcosa che ti toglie il fiato e ti fa stare bene."
Il Capitano si prese il tempo per pensare, mentre il the raffreddava dentro la ceramica. Vi tamburellò sopra le dita, chiudendo gli occhi per goderne la salda consistenza. "Deve essere una sensazione come mai nella vita."
Phil socchiuse gli occhi e pensò a quella giornata trascorsa con Clint. "È unica." Bisbigliò. "Non esiste nulla di meglio."
"La consapevolezza che va tutto bene."
Annuì. "È magico."
"Ogni pezzo va al suo posto."
"Ti è già capitato?"
"No." Steve scosse la testa. "Ma è una sensazione che ho iniziato a provare dacché sono qui."
L'altro sorrise. "Con Tony?"
Il Capitano permise ad un sorriso di affiorargli alle labbra.
E Phil rispose con egual sorriso. "Sono felice per te."
"Grazie. Per tutto quel che state facendo per me."
"Non abbiamo fatto nulla, credimi."
"Mi avete accolto. Mi avete dato la possibilità di vivere di nuovo."
"Siamo la tua nuova famiglia."
"Lo siete." Annuì Steve. "Lo siete davvero."
"Andrà sempre meglio." Finì il the e sospirò. "Vado un po' a riposare. Chiamami se hai bisogno."
"Lo farò sicuramente." Steve prese entrambe le tazze, apprestandosi a lavarle. "Dormi un poco e non pensare a nulla."
"Grazie." Lo salutò con una pacca sulla spalla e andò a chiudersi in camera. Fu tentato di inviare un sms a Clint ma si trattenne per non essere troppo insistente e andò a buttarsi sul letto.
Come richiamato dal suo pensiero, tuttavia, lo schermo del cellulare si illuminò e il nome del circense sfarfallò nero su di esso. "Coi bambini è andata bene. È durata poco, ne sono venuti solo tre e poi i genitori li hanno trascinati via! Balordi. Come stai?"
"Bene, solo un po' stanco." Sorrise felice. "Stasera hai lo spettacolo?"
"Oh, sì! Ancora un'oretta e poi comincio a scaldare i muscoli."
"Allora dovresti riposare un po'."
"Lo sto facendo. Sono attualmente in panciolle contro il caldo stomaco del mio miglior amico -Marley, il leone."
"Quindi il profumo di oggi era l'odore del leone?"
"Anche. Ma di leone lavato, sia chiaro."
"Ovvio! Grazie ancora per la bellissima giornata."
"Grazie a te. È stato...Fantastico stare al tuo fianco."
"Anche per me. Spero di rivederti presto."
"Che ne dici di domani?"
Il ragazzo si mordicchiò le labbra. "Mi dispiace ma non credo di potere. Le mie zie vogliono che cominci ad andare in palestra e... Non so a che ora mi libero." Mentì.
"Possiamo vederci prima, se vuoi."
"Ho scuola..."
"Okay. Capito."
"Mi dispiace! Forse nel weekend..."
"Okay."
"Ci sei rimasto male?"
 "Un po'. Però capisco che sia difficile mettere in accordo i propri desideri e quelli della famiglia."
Perché lui è libero, al contrario di te, spuntò un violaceo pensiero nel suo cuore, Al contrario di te, lui può far quel che vuole, senza chiedere a nessuno il permesso.
Phil chiuse gli occhi e lasciò da parte il cellulare per un attimo. Poi lo afferrò di nuovo e premette la cornetta verde per la chiamata.
"Ehi!" Gli rispose Clint, dall'altra parte. "Che succede?"
"Volevo solo scusarmi." Bisbigliò. "Purtroppo non posso non andare ma posso trovare un po' di tempo dopo cena, se ti va."
"Sarebbe perfetto!" Esclamò lui. "Non ti devi scusare, davvero."
"Lo so ma... Vorrei davvero passare più tempo con te ma non posso. Non posso davvero fare a meno di andare."
"Non c'è problema, dico davvero. L'importante è vederti, anche solo per cinque o dieci minuti." La sua voce era sincera, calda di un fugace sorriso. Ma di nuovo, quella sensazione livida fiorì nell'animo di Coulson: sei un bambino, pareva dirgli, che deve chiedere il permesso alle mamme e altro non è, se non una mezza cartuccia.
Phil ingoiò con forza. "Okay." Disse. "Ti lascio un buon lavoro allora."
"Aspetta---Sicuro di stare bene?"
Dall'altro lato non si udì nulla per qualche secondo. "Si." Disse, poi. "Solo che mi dispiace. È un brutto periodo."
"Ne vuoi parlare?"
"No, ti ringrazio. Passerà. Passa sempre tutto alla fine."
"Parlare accelera spesso il processo di guarigione." Gli disse. "E spesso le cose ristagnano, più che passare."
"Lo so ma ora non me la sento."
"Okay. Sappi che puoi chiamarmi quando vuoi. A qualsiasi ora. Se hai bisogno, io sono qui."
"Grazie, sei un amico."
"Di niente. Ti dedicherò il mio spettacolo, stasera. Tutte le frecce saranno in tuo onore!"
Ridacchiò. "Grazie Clint."
"Per te, lo faccio volentieri."
"E grazie anche per la giornata, sono stato davvero benissimo."
"Non mi sono mai sentito meglio in vita mia."
"Spero potremmo replicare il prima possibile. Se vuoi... Ti mando il mio indirizzo, così puoi venire a trovarmi se non riuscissimo a vederci."
"Okay! Perfetto!" E l'esaltazione nella sua voce era palese, "Prometto che non sarò invadente. Non troppo."
Sorrise. "Puoi venire quando vuoi, mi fa piacere."
"Quando vuoi e puoi, sai che il circo è sempre qui."
"Lo so, grazie."
"Okay. È meglio che inizi il riscaldamento o i miei muscoli saranno più freddi di una cena congelata."
"D'accordo, buon spettacolo, ci sentiamo presto."
"A presto. Ti penso continuamente."
"Davvero?" E l'emozione nella voce di Phil era palpabile.
"Davvero."
Lui pensa a te. Sussurrò la voce violacea.
Può guardarti come nessuno ti ha mai guardato.
"Anche io." Sussurrò. "In ogni attimo e mi pento di non averti baciato."
"Io mi sono fermato perché pensavo di correre troppo."
"Non mi sarei spostato..."
"Allora sarà mia premura rimediare quando ci rivedremo."
"Guarda che ci conto."
"Promesso."
"Buon lavoro, allora."
"E a te buona serata."
Phil riattaccò e affondò il viso nel cuscino, scoppiando poi a ridere. Non si era mai sentito così felice in vita sua.
 

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Capitolo 9
*** Capitolo Nove ***


Capitolo Nove




"La Gemma rimasta mi è nascosta." Disse colui che aveva gli occhi viola. "Non appare, Maestro. Non la avverto."
"Bisogna avere pazienza, uccellino. Molta pazienza." L'altro accarezzò languidamente la pietra azzurra nel suo scettro. "Molta pazienza. Per ora concentriamoci sulle altre. Hai già insinuato il dubbio nel cuore del ragazzo?"
"I primi semi stanno cominciando ad attecchire."
"A che pro?" Intervenne Thor. "Fatemi combattere. Diverranno cenere."
"Dobbiamo dividerli, mio valoroso guerriero. Le Gemme unite sono troppo potenti, divise saranno vulnerabili. E il ragazzo è l'unico che può dividerle."
Thor serrò le braccia al petto muscoloso e strinse le labbra. Diveniva inquieto quando l'altro era lì e lo guardava con quelle sue iridi che tutto vedevano. "Farò sì che loro divengano nemici."
"Affretta le cose, uccellino." Finalmente sollevò gli occhi sui due. "Agisci subito."
"Sì, Maestro." Quello fece un inchino, profondo e servile. "Ed io?" Domandò Thor, "Ho bisogno della battaglia. Il clamore delle armi mi chiama."
"Avrai la tua battaglia, amico mio. Devi solo pazientare. Quando le Gemme saranno divise, sarà un gioco da ragazzi ucciderli e prendere le pietre."
Non era contento. Poteva vederlo dagli occhi rabbiosi e da come teneva le dita attorno al martello. "Maestro." Intervenne colui che aveva gli occhi viola. "Necessito di una persona. Di una donna che possa far vacillare l'animo dell'uomo fuori dal Tempo."
"Una donna?" Chiese, perplesso. "Perché mai?"
"Ho letto un nome, nella sua anima. La discendente di costei ancora vive."
"Allora trovala." L'uomo piegò le labbra in un ghigno. "E poi io la incanterò."
Il servo dagli occhi viola si inchinò di nuovo.

 
***

 
"Hai un aspetto orribile." Tony si sporse a guardare Phil, spostando di lato il piatto di maccheroni della mensa e studiando la sua faccia con attenzione -Era passata una settimana dall'attacco di Thor e, ristabilitosi, Tony era divenuto ancor più fastidioso. E vibrante. E allegro. E geniale. "Aspetta... E quei lividi coperti col correttore?"
Phil non si era mai sentito così stanco. Tornava a casa passata la mezzanotte ed era talmente spossato che crollava a letto senza neanche rendersene conto. Senza contare che da quel giorno non era più riuscito a vedere Clint. May diceva che doveva solo pensare ad allenarsi, che era un agente e che delle vite dipendevano da lui, quindi non aveva tempo per pensare ad uscire con amici –E tutto queto influiva sull’umore già instabile del ragazzo.
Rigirò una patata nel piatto, per poi allontanarlo nauseato. "Sono caduto dalle scale." La cosa peggiore, poi, tra tutte, era mentire al suo migliore amico.
"Caduto dalle---?" Tony socchiuse le palpebre. "Quello è un gancio bello e buono! Ti stai mica facendo allenare da Steve? Guarda che non sono geloso!"
Corrucciò le sopracciglia. "Perché dovrei farmi allenare da lui? Sono solo caduto dalle scale."
"Per quella assurda storia che sei inutile e non servi." Spiegò Tony.
Phil scosse le spalle. "Magari glielo chiederò."
Tony annuì, per poi schiarirsi la voce. "Sai dov'è, a proposito?"
Scosse la testa. "No, è scomparso dopo le lezioni. Sarà andato in bagno."
In effetti, Steve ricomparve.
 ...Accompagnato da una bionda sorridente, occhi azzurri e spolverino bianco, maglietta a righe bianche e nere che ben aderivano ai fianchi sinuosi e al ventre piatto, e stivali alti che la snellivano ancora di più. Ridevano come se si conoscessero da una vita e lei non aveva occhi che per l'altro.
"E quella chi è?" Phil spalancò gli occhi e la bocca. "Non l'ho mai vista."
"Non ne ho idea--" Esalò Tony. "Cosa diavolo.. ? Perché lo sta spogliando con lo sguardo?"
"Beh Steve è bello, è normale che le ragazze gli facciano il filo. È lui che mi meraviglia."
Tony contrasse i denti. Il pugno si chiuse con tale forza da scricchiolare -Una patina rossa e dorata si era andata a formare sulla mano serrata, quasi la Gemma stesse rispondendo alla sua rabbia.
Notando il suo scatto, l'altro gli poggiò una mano sulla sua. "Calmati. Stanno solo parlando e sono sicuro lui abbia una spiegazione valida."
Una lieve aura rossastra rimase, nonostante avesse rilassato le dita.
Come richiamato dai pensieri di Tony, Steve si girò verso di loro. Sventolò la mano in segno di saluto, per poi avvicinarsi al tavolo -Con la ragazza alle calcagna.
"Ehi." Disse. "Posso presentarvi Sharon? È nella mia classe di arte."
"Salve!" Li salutò lei radiosa.
Phil si limitò ad un cenno del capo.
"Ciao." Fu il monosillabico e astioso saluto di Tony, mentre Steve si sedeva -E Sharon accanto a lui. "Abbiamo scoperto che sua nonna Peggy e mio... Nonno hanno combattuto insieme durante la Seconda Guerra Mondiale."
"Oh, davvero?" Phil la guardò meravigliato. "È una vera coincidenza!"
"Già." Il sorriso di Steve si illuminava tanto quanto andava rabbuiandosi quella di Tony.
La ragazza continuava a sorridere. "Spero non vi dispiaccia che mi sia seduta qui."
"Certo che no." Ringhiò Tony. "Chiunque abbia sangue in comune con Peggy è la benvenuta qui."
"Anche tuo nonno la conosceva?"
"Mio padre. Howard." Rispose lui. "E se te lo stai chiedendo, mio padre era già vecchio quando mia madre mi mise al mondo."
"Howard Stark? Tu sei suo figlio?" Chiese sorpresa. "Stark è una leggenda a casa mia!"
Steve sorrise, per incoraggiarlo a prendere parte alla conversazione, ma Tony non riusciva a togliersi dallo stomaco quella sensazione di fastidio. "Ah, sì?"
"Certo! L’ho incontrato una volta, quando ero molto piccola. È una leggenda!"
Stark non fu in grado nemmeno di rivolgerle un sorriso. "Meno male che qualcuno lo ricorda meglio di me." Commentò, velenoso. "È morto qualche anno dopo che sono uscito dalla provetta. Grazie a Dio aveva preso già da un po' un maggiordomo che ha avuto il cuore di crescermi."
Sharon aprì appena la bocca ma Phil intervenne subito. "Quindi fate arte insieme?"
Steve impiegò alcuni istanti per staccare gli occhi da Tony. Si riscosse subito, schiarendosi la gola. "Esatto. Ho dipinto un soggetto di guerra, lei lo ha visto e abbiamo iniziato a parlare."
"È una bella cosa, vero Tony?"
Il diretto interessato girò gli occhi su di lui, si alzò da tavola e afferrò di scatto il vassoio. "Troppo zucchero a questa tavolata. Mi sta salendo la glicemia."
"Tony---" Cercò di richiamarlo Steve, ma Stark gli rivolse il dito medio e diede loro le spalle.
"Ci parlo io." Phil afferrò il vassoio intoccato. "Ci vediamo a casa."
"D'accordo." Fece il Capitano, contrito. "Fammi sapere."
Il ragazzo raggiunse l’amico che era già all'uscita. "Ehi! Mi dici che ti è preso?"
Stark sputò uno sbuffo dalle narici dilatate e affondò i pugni nelle tasche dei pantaloni. La sua pelle pareva essersi indurita e sul gomito si era creato un bubbone simile a una giuntura.
Il ragazzo gli abbracciò le spalle. "La gelosia è una brutta bestia."
"Non sono---E anche se lo fossi?"
"Non hai motivo di esserlo. Steve ti adora!”
"Ma hai visto la sua espressione? Mentre parlava con lei e ricordava Peggy?"
"È il suo passato, Tony! Non puoi cancellarlo. E lui ha bisogno di aggrapparsi a qualcosa che gli ricordi la sua vita."
"Non voglio cancellarlo!" Stark strinse la mandibola e sottili nervature cominciarono a rincorrersi sulle sue braccia. "Non voglio che vi anneghi."
"Devi dargli tempo!" Lo strinse più forte. "Tempo, Tony, non può accettare tutto in poco. Era la sua vita!"
"E perché io non lo posso essere adesso?" Ci fu un bagliore negli occhi di Tony, riconducibile al potere della Gemma che pian piano tracimava dal suo essere, dal suo corpo vibrante.
Phil lo colpì con uno schiaffo. "Calmati! Controlla la Gemma o mi costringi a colpirti ancora!" Sibilò.
Mossa sbagliata: Stark ringhiò per un istante e la sua pelle parve sfolgorare, armandosi di placche metalliche dure come l'acciaio. Poi deglutì ed esse evaporarono in un attimo.
Phil assottigliò appena gli occhi. "Sto provando ad aiutarti! Se non vuoi va a litigare con Steve e non mettermi in mezzo!"
"Scusami." Tony prese un respiro profondo. "È che la guardava in un modo---"
L’altro sospirò. "Parla con lui. Sono sicuro fugherà ogni tuo dubbio."
"Sempre che non ci sia lei di mezzo."
"Allora vieni da me a parlarci. Non la porterà mai a casa mia."
Non i primi due giorni, almeno.
Il terzo, quando Phil tornò a casa, Sharon era seduta al tavolo della cucina e Steve, dinanzi ai fornelli, stava ridendo di qualcosa che lei aveva detto e intanto preparava il the.
Il ragazzo entrò con un occhio pesto e il naso sanguinante. Quando vide la ragazza, si bloccò sulla porta. "...Steve?"
"Oh, buongiorn---" Il Capitano sbiancò "Siediti, vado a prendere il kit del pronto soccorso."
Ma lui scosse la testa. "Preferirei che lei andasse via, se non ti dispiace." Disse, diretto, senza curarsi della ragazza seduta al tavolo.
"Capisco." Steve salutò la ragazza, le disse che comunque in storia dell'arte era ormai migliorata molto, la accompagnò alla porta e infine si girò verso Coulson. "Ho chiesto a Victoria e Isabella, prima."
"E a Tony?" Lasciò cadere la borsa sul pavimento, asciugandosi il sangue dal naso. "A lui lo hai chiesto?"
Il Capitano lo fece sedere, quindi prese dei pezzi di carta e glieli passò, perché si asciugasse le mani ancora lorde. "Non capisco."
"Capiresti se gli parlassi. Odia il modo in cui lei ci prova con te e tu le dai troppa confidenza."
"Non ci sta provando. Aveva bisogno di una mano, tutto qui."
"Steve." Lo guardò eloquente. "Ti spoglia con gli occhi e cerca di toccarti ogni volta che può. Perché non parli con Tony?"
Il Capitano incrociò le braccia al petto. "Non pensavo di dovergli dare spiegazioni."
Il ragazzo si tamponò il naso, scuotendo la testa. "Allora lascialo andare e mettiti con lei. Ma lascia stare Tony."
"Ma io non voglio mettermi con Sharon. Perché pensi che voglia...?"
"Il modo in cui la guardi." Allungò le braccia sul tavolo e vi poggiò la testa sopra, esausto. "Perciò Tony è così geloso."
"Non la guardo in nessun modo." Il suono della ceramica contro il linoleum lo informò che Steve gli stava preparando del the "È solo..." Bisbigliò. "Che le assomiglia in maniera incredibile."
"Allora sta con lei e non prendere in giro Tony." Si sollevò e sbandò appena. "Io devo andare in bagno."
"Non lo voglio prendere in giro---" Rumore di ceramica infranta, vomitare di acqua calda sul pavimento -Steve aveva stretto troppo la presa e la teiera si era infranta tra le dita.
Il ragazzo sollevò gli occhi in quelli dell'altro. "Allora parla con lui! E accompagnami a vomitare, non riesco a camminare."
Steve lo caricò in spalla, le mani che sanguinavano. Il bagliore della Gemma lo avvolse e si trasformò nel Capitano -Senza la divisa- perché il peso dell'altro fosse più facile da trasportare.
"Mi dispiace." Bisbigliò. "Non capisco perché sto così male..."
"Il tuo fisico è stremato." La voce di Steve adulto aveva un timbro baritonale, caldo e rassicurante. "Tranquillo, Soldato. Stanno solo chiedendo troppo e in poco tempo."
"Mi uccideranno e non vedrò più Clint..."
"Clint? È il ragazzo del circo? È venuto a cercarti oggi pomeriggio."
"Davvero?" Gli si aggrappò alla maglietta. "Cosa ha detto? Ha lasciato un messaggio?"
"Ha detto che sarebbe tornato domani, per l'ora di cena, prima di iniziare lo spettacolo."
"Cosa? E se mi vede così cosa gli dico? Non ho una scusa!"
"Ti verrà in mente qualcosa. Come ti senti?"
"Non molto bene... Ho nausea e mal di testa."
"Dovresti stenderti."
Phil annuì appena e poggiò il viso sulla sua spalla, addormentandosi poi di botto.
Steve sorrise a fior di labbra. Lo sollevò, quasi non avesse peso, e lo portò fino in camera: lo svestì, senza badare alla nudità, ma osservando preoccupato i lividi e i grafi e i tagli che sfregiavano la pelle. Gli infilò il pigiama, lo coprì fino al mento con le coperte quindi, tornando nella propria stanza e non mutando ancora l'aspetto adulto, prese il cellulare ed inviò un messaggio di scuse a Sharon, per come era stata trattata e per quanto veloce avesse dovuto abbandonare la casa.
A dispetto di tutto, Phil aprì gli occhi che era passata da poco l'ora di cena. Si sentiva distrutto eppure afferrò il cellulare e inviò un messaggio a Clint -Al di là delle scuse per le ferite, aveva voglia di vederlo dopo quasi due settimane in cui si telefonavano e basta. "Ehi, scusami, ero fuori casa. Tutto bene?"
"Tutto perfetto! Mi sono lussato la spalla durante un allenamento, per stasera niente spettacolo."
"Davvero? Mi dispiace! Sicuro di stare bene?"
"Sì, tranquillo. Non è la prima volta che mi succede."
"Capito. È un peccato, volevo chiederti se ti andava di venire da me. Ho voglia di vederti."
"Anche io ne ho una voglia matta. Dammi venti minuti e sono lì."
"Sicuro? Non dovresti riposare?"
"Ci sono abituato. Ci vediamo a casa tua tra poco!"
"Ti aspetto!" Phil si sollevò a fatica, andò in bagno a sciacquarsi il viso, fissando il viso pesto e pensando di nascondere tutto sotto uno strato di trucco, per poi rinunciarvi -Avrebbe inventato una scusa li per lì. Poi andò ad infilarsi di nuovo a letto e attese.
"Phil." lo avvisò Steve, aprendo la porta della stanza con un lieve sorriso sulle labbra. "C'è qualcuno per te." E questo qualcuno si presentò dietro un enorme mazzo di rose, unito ad una scatola di cioccolatini. "Ehi." Lo salutò Clint, spuntando da dietro l'enorme mazzo di fiori. "Come stai?"
Il ragazzo si alzò a sedere e sorrise appena. "Ehi. Scusa." Si indicò il viso pesto con una scrollata di spalle. "Sto bene e tu? La spalla?"
Clint sgranò gli occhi e corse da lui, poggiando le rose sul letto e così i cioccolatini e guardandolo spaventato.
"Che ti è successo?"
Scosse la testa. "Un piccolo diverbio con dei compagni di scuola. La tua spalla?" Chiese di nuovo.
"La devo tenere a riposo. Me l'hanno rimessa in asse."
Indicò il letto per farlo sedere. "Ne sono felice." Poi afferrò i fiori e li annusò con un sorriso. "Grazie, sono bellissimi."
"Speravo ti avrebbero fatto piacere." Clint si accomodò sulle lenzuola, quindi tese la mano per prendere la sua e accompagnarlo a sedersi sulle sue ginocchia.
Phil ridacchiò appena -Per quanto i lividi glielo permettessero. "Non eri obbligato a farmi regali, però." Gli poggiò le mani sulle spalle. "Sono felice di vederti. Sono quasi tre settimane dall'ultima volta."
"Mi sei mancato come l'aria." Bisbigliò il circense, piegando la testa e facendosi vicino alle sue labbra.
Phil sentì il cuore sgroppargli nel petto e avvicinò piano la bocca alla sua, in un lieve sfiorarsi.
E Clint schiuse la bocca sulla sua, in un lungo, lungo bacio, chiudendo le braccia attorno al suo corpo perché non potesse allontanarsi.
"Clint--" Bisbigliò, approfondendo il bacio e stringendogli le spalle tra le braccia.
"Adoro il modo in cui pronunci il mio nome."
"Fa piano, ho delle costole incrinate."
"Oh---Scusa." Sorrise l'altro, cercando di nuovo la sua bocca.
L'altro rispose con entusiasmo, stringendosi appena a lui. "Mi sei mancato."
"Anche tu." Clint passò le dita sulla sua schiena. "Mi sei mancato incredibilmente."
"Mi dispiace di non avere più tempo per uscire, vedrò di rimediare."
"Stai tranquillo." Lo rassicurò Clint. "Io sono qui per te."
Ma per quanto? Gli sussurrò una vocina. Il circo parte tra una settimana. E tu sei troppo occupato a fare il bravo bimbo. Ma intanto alle zie lui non piace, no, Phil? Quindi è meglio se va via. Così le zie non si arrabbiano.
Phil, a quei pensieri, abbassò gli occhi. "E poi? Insomma, tu devi ripartire, no?"
"O rimanere."
"Rimani?" Chiese, emozionato. "Davvero? Posso ospitarti io per i primi tempi, se vuoi!"
"Sicuro? Alle tue zie non darà fastidio...?"
"Me la vedo io con loro!" Entusiasta, lo abbracciò e baciò con furore. "Non vedo l'ora!"
Clint gli accarezzò il viso e continuò a baciarlo fino a non avere più fiato.
"Ti va di rimanere a dormire qui? Posso chiederlo alle mie zie."
"Eccome se mi va." Il ragazzo gli baciò la bocca. "Mi va un casino."
"Allora aspetta qui, io torno subito!" Lo baciò ancora e di nuovo prima di staccarsi a forza e scendere giù, dove gli altri stavano mangiando.
Ma, dallo sguardo di Victoria e Isabella, la presenza di Clint non doveva essere così gradita quanto lo era stata per Coulson. "Si tratterà qui ancora molto?" Domandò Victoria, arcuando le sopracciglia.
"L’ho invitato a dormire qui. Non è un problema, no? Ho un letto in più in camera mia." Si poggiò alla sedia della donna per tenersi in piedi.
"Certo che è un problema." Replicò lei. "E non dormirà qui."
Phil spalancò gli occhi. "Cosa? E perché?"
"Perché è un ragazzo diciottenne mai visto. È escluso che dorma qui, soprattutto in camera tua."
"Ma-- Ma--" Strinse le mani intorno al legno, arrabbiato. "Lui mi piace ed è buono con me! Mi fa sentire bene! E questo." Si indicò il viso pesto. "Dovrebbe bastare a farvi dire di si! Mi merito qualche ora di tranquillità!"
"Il fatto che tu ti stia allenando per non perdere la vita ogni volta che esci di casa non è un buon motivo!" Victoria si alzò in piedi, gli occhi che mandavano lampi. "Non lo conosci nemmeno."
"Mi fa stare bene, non mi serve altro! O lui rimane qui o vado io via con lui! A voi la scelta!"
Questa volta fu Isabella ad alzarsi. Si avvicinò al figlio, ma senza dolcezza negli occhi, né nella voce. Steve fece per dire qualcosa, zittito subito da Victoria. "Smettila di comportarti come un bambino." Fu il freddo rimprovero. "O comincerai ad essere trattato come tale."
Phil spalancò gli occhi, indurendo poi lo sguardo. "È questo che voi non avete mai capito: non sono mai stato un bambino, ho il diritto di esserlo, ogni tanto!"
"Non quando è a rischio la tua salute." Ribatté Isabella "Pensavo che in tutti questi anni avresti sviluppato anche un po' di lungimiranza, ma a quanto pare mi sbagliavo."
"È solo un ragazzo che mi piace, cosa c'è di male?" Chiese lui, quasi sull'orlo delle lacrime.
"È più grande di te! È uno sconosciuto che hai visto due volte!"
"Per appena due anni e mezzo? È ridicolo!" Respirò a fatica. "Vuole lasciare il circo e rimanere qui, per me. Vuole andare a scuola e trovare un lavoro! Vi prego!"
"Lo fa soltanto per raggirarti." Isabella scosse la testa. "Si stancherà di te e ti lascerà."
Phil spalancò gli occhi. "Vi odio." Sibilò, allontanandosi a fatica e deambulando verso le scale.
Furono le braccia di Steve a raggiungerlo. A sostenerlo. Un moto, orrido stupore si spalancava ad inghiottire le due donne. "Loro vogliono solo il tuo bene." Mormorò il Capitano. "Ma il loro è un mondo popolato da continui nemici."
"Voglio stare con lui." Bisbigliò, la voce rotta. "Perché non lo capiscono?"
"Perché sono spaventate. Non capiscono come tu possa provare un attaccamento tanto forte per lui."
"Con lui sto bene, mi sento la persona più giusta del mondo... Se lo mando via partirà col circo e non lo rivedrò mai più..." Salì un paio di gradini. "Non posso più andare avanti così..."
"Vorrei aiutarti, Phil. Ma non so come."
"Non lo so neanche io... E ora devo mandarlo via..."
"Mi dispiace, soldato."
"Grazie." Sussurrò, trascinandosi poi in camera. "Ehi."
"Ehi." C'era un sorriso stanco sulle labbra di Clint. "Ho sentito le urla giù di sotto. Meglio che vada "
Phil lo fissò spaventato. "No, aspetta!" Lo raggiunse sul letto e gli si aggrappò alle spalle. "Posso uscire dalla finestra e raggiungerti, ho dei soldi da parte e potremmo passare la notte in albergo. Non andare via, ti prego!"
Il circense si alzò in piedi e lo tenne a sé, cullandolo tra le braccia. "Sei esausto." Sussurrò. "A fatica stai in piedi."
"Voglio stare con te, ti prego." Lo abbracciò con forza. "Ti prego."
"Tieni la finestra aperta." Bisbigliò l'altro. "Non ti addormentare. Salgo io."
"Sicuro? Se ti trovano qui ti cacceranno via."
"Non mi farò trovare. Questa camera sarà il nostro rifugio."
Phil sorrise felice. "D'accordo. Ti accompagno alla porta."
"Niente mi terrà lontano da te. Niente."
Il ragazzo lo accompagnò fino alla porta d'entrata, ignorando le due donne, e lo tenne stretto, baciandolo a lungo come se davvero gli stesse dicendo addio. Poi rimase a guardare finché non lo vide svoltare l'angolo e se ne tornò in casa con aria afflitta.
Steve venne da lui poco dopo, con un vassoio di cibo tra le mani ed un cauto sorriso sulle labbra. "Ti ho portato qualcosa."
"Grazie ma non ho fame. Andrò direttamente a dormire."
"Mangia almeno un po' di pane." Steve si sedette accanto a lui. "Per favore."
"Grazie Steve ma voglio solo dormire." E gli indicò la porta, bruscamente. "Buonanotte."
Il Capitano gli scoccò una occhiata in tralice, un rimprovero ben visibile negli occhi azzurri. Si alzò senza dire una parola, salvo quando fu sulla soglia. "Vado di pattuglia, stanotte."
"Cosa?" Spalancò gli occhi. "Da solo? Non puoi!"
"Perché no?" Gli chiese. "È solo una ronda. Niente di più."
Phil lo osservò attentamente. "Perché invece non vai da Tony e risolvi la situazione?"
Il Capiranno scosse il capo. "Ho bisogno di pensare."
"Devi andare da lui, invece. Non fare il vigliacco! Tony ha bisogno di te."
"Di me?" Un sorriso stanco affiorò alla sua bocca. "Cosa mai potrei dargli?"
"Il tuo amore." Disse con convinzione. "Steve. Va da lui, amalo. A lui non serve nient'altro."
L'altro gli rivolse un sorriso malinconico. Uscì dalla camera,chiudendosi la porta alle spalle. Respirò piano, gli occhi chiusi -Davvero gli serviva solo quello? Tony era il futuro. Sharon il passato cui aggrapparsi. Anzi, un'illusione di passato. E lui era proprio in mezzo.

 
***

 
Dopo che fu uscito, Phil si sollevò cauto e chiuse la porta a chiave, spalancando poi la finestra e affacciandosi per vedere se l'altro era già arrivato.
Tra le ombre del guardino, Clint era una figura gibbosa e scura. A passi lenti, il circense si fece vicino al muro e i suoi occhi erano bagliori chiari nella notte.
Phil sorrise e indicò il rampicante accanto alla sua finestra. "Ce la fai con questo?"
Clint vi si aggrappò come un gatto, un sorriso baluginante nell'oscurità.
L'altro si sporse per aiutarlo e gli afferrò la mano. "Ti do qualcosa di mio per dormire, se vuoi."
"Oh no, stai tranquillo. Dormo in boxer."
"Oh, okay." Gli baciò la bocca. "Sono felice tu sia qui."
"Anche io lo sono." Clint sorrise e lo spinse piano contro il letto.
Phil si lasciò cadere dolcemente sul materasso e allungò le mani per farlo stendere accanto a lui. "Vieni."
Il giovane scivolò su di lui, quindi al suo fianco, sorridendo lieve e accarezzandogli il volto.
"Mi dispiace che le mie zie non capiscano quanto io tenga a te." Gli accarezzò dolcemente il viso. "Posso aiutarti a trovare casa e a pagare l'affitto finché non avrai trovato un lavoro."
"Stai tranquillo. Non voglio pesarti addosso."
"Ma voglio aiutarti! Stai lasciando la tua vita per me, è il minimo!" Sorrise e gli baciò le labbra. "Ti aiuterò io."
"Grazie." Clint gli baciò la fronte. "Sei una persona incredibile."
"Tu lo sei." Gli si strinse contro. "Non lasciarmi più."
"Non potrei mai." Il circense gli baciò l'angolo delle labbra. "Mi sei entrato nel cuore "
"Anche tu."
"Fermarti quel giorno è stata l'idea migliore del mondo."
Ridacchiò. "È vero." Si accoccolò su di lui. "Grazie per essere stato così insistente."
"Grazie a te per avermi mostrato il tuo spirito."
Il ragazzo sorrise e si addormentò pacificamente sul suo petto.
Al principio del mattino, tuttavia, Clint lo scrollò per svegliarlo. "Meglio che vada."
L'altro aprì appena gli occhi. "Cosa?" Chiese con voce impastata.
"Se le tue zie entrano e mi vedono è la fine."
"La porta è chiusa a chiave."
"Allora è perfetto." Clint lo fece stendere di nuovo e gli baciò la fronte, cullandolo fino a farlo addormentare.

Sorrise, poi, di un sorriso indecifrabile.
 

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Capitolo 10
*** Capitolo Dieci ***


Note Autrici: E ci avviamo al finale! Il prossimo, infatti, sarà l'ultimo capitolo. Grazie per averci seguite e fateci sapere che ne pensate!

Gosa&Nemeryal




Capitolo Dieci





Il telefono squillò. Più e più e più volte. Un trillare che affondava nelle orecchie e toglieva il respiro per la violenza con cui urlava, accanto al comodino di Phil -Era Tony, aggrappato alla cornetta e col fiato corto.
Phil si svegliò di botto e afferrò il cellulare confuso e intontito. "Pronto?"
"Vieni subito! Ora!"
"Tony? Che succede?"
"Steve! Vieni adesso, ho bisogno di aiuto!
"A-- arrivo!" Riattaccò e si sollevò a fatica, girando poi il viso a guardare Clint.
Il ragazzo aveva aperto gli occhi e lo fissava perplesso, la fronte aggrottata. "Che succede?"
"Un-- un mio amico non si è sentito bene. Ti dispiace? Devo raggiungerlo il prima possibile!"
"No. Assolutamente." Il circense si mise seduto. "Posso aiutarti?"
Scosse la testa. "No, grazie." Poi si sporse a baciarlo. "Ritorna stanotte, se puoi. Lascerò la finestra aperta."
"D'accordo." Clint gli baciò le labbra. "Scrivimi appena puoi."
"Certo e grazie per stanotte, sono stato benissimo." Gli baciò di nuovo le labbra. "Mi mancherai."
"Anche tu mi mancherai. Ma domani sera ti rivedrò e questo mi rassicura."
Annuì e lo baciò di nuovo. "A domani allora." Scese quasi di corsa le scale e andò in cucina dove le due donne stavano facendo colazione. "Steve è stato ferito, è da Tony ora."
Isabella drizzò la testa e si alzò in piedi. "Ti accompagno in macchina."
Il ragazzo si limitò ad annuire, stringendo al fianco una borsa di medicazioni.

 
***

 
Un pallidissimo Jarvis fece loro segno di entrare. Dal suo sguardo si capiva che una nota di comprensione cominciava a serpeggiare nella sua mente. Li accompagnò nella stanza di Tony, ma prima di aprire si bloccò con una mano sulla porta. "Mi darete spiegazioni?" Domandò.
"Dopo, la prego." Phil gli strinse una mano sul braccio, comprensivo. "Dopo le spiegheremo tutto."
Edwin annuì ed aprì. Il Capitano era disteso sul letto ed era bianco, livido, coi capelli incrostati di sangue ed un uno squarcio ancora grondante liquido all'altezza del petto. Segni di ustioni, di bruciature, percorrevano la pelle e la carne, scoperte dalla divisa ridotta a brandelli.
"Steve!" Phil si precipitò su di lui, preoccupato. "Che cosa è successo?"
"Ha cercato di strappargli il cuore dal petto." Apparve Tony, alla porta, gli occhi accesi dalla preoccupazione e dalla rabbia. "Per prendergli la Gemma."
"Chi ci ha provato?" Lesto iniziò a medicare e pulire le ferite.
"Thor." Stark si sedette accanto a Steve, indicando le bruciature. "E i Chitauri."
"Ti avevo detto che non dovevi uscire!" Spostò gli occhi sul Capitano. "Sei uno stupido!"
Questi sollevò a malapena le palpebre, richiudendole subito dopo con un sospiro affaticato. Tony scosse la testa. "Non possiamo portarlo in ospedale. Scoprirebbero chi è."
"Lo so, lo so. Aiutami! Devo ricucire la pelle!"
Stark annuì e con le mani ferme, attente, abituate a maneggiare minuscoli ingranaggi, si mise di buona lena ad aiutare l' altro. Steve di tanto in tanto spalancava la bocca in un gemito e la fronte si riempiva di sudore, la pelle arroventata dall'avanzare della febbre.
Phil si mosse preciso e lesto. In poco riuscì a richiudere tutte le ferite e si scostò esausto.
Tony si passò una mano sul volto, mostrando solo allora un lieve tremore al polso.
"Starà bene, deve solo riposare."
"Avrebbe dovuto avvertirmi."
"Glielo avevo detto. Perché poi è venuto qui?"
Tony scosse le spalle. "Si è trascinato a fatica fino alla porta. Mi è letteralmente svenuto tra le braccia."
"Avrei dovuto andare con lui..."
Stark occhieggiò al corpo ansimante di Steve. "Sì. Avresti dovuto."
Phil girò il viso verso l'amico e gli sembrò strano non avesse notato il suo viso tumefatto e i lividi e i tagli. "Gli avevo detto di chiamarti..."
"Non l'ha fatto." Tony non lo guardò neanche. "Non mi ha chiamato."
"E stato stupido da parte sua. Lo sgrideremo a dovere quando si sveglierà." Sospirò appena. "Tu devi parlare con i tuoi, però."
"A Jarvis verrà un infarto."
"Credo lo abbia già avuto. Va da loro, rimango io con lui."
"Vienimi a chiamare quando si sveglia."
"Certo, tranquillo." Annuì e sorrise appena. "Vai."
Tony lasciò una carezza tra i capelli di Steve, per poi alzarsi e chiudersi la porta alle spalle.
Phil sospirò e si sedette accanto all'altro, prendendogli la mano e guardandolo attentamente. "Sei stato proprio stupido." Bisbigliò.
Le dita si mossero appena contro il suo palmo.
"Ehi." Gli accarezzò i capelli e il viso. "Sei al sicuro ora, va tutto bene."
Steve aprì gli occhi offuscati dalla febbre. "Avete già chiamato il prete?" Mormorò. "È la mia fine?"
"Non dire sciocchezze, starai bene. Hai bisogno solo di riposo. Ma perché non hai chiamato Tony?"
"Tony...?"
"È andato a spiegare la situazione ai suoi." Gli accarezzò la mano. "Riposa, non preoccuparti. Poi dovrai raccontare quello che è successo."
"Hanno provato a portarla via." Bisbigliò lui e la voce era bassa, le labbra secche. "La Gemma non è nel cuore."
“Ah no?” Phil corrucciò le sopracciglia. "E dov'è?"
"Nelle armi."
"...Armi?"
Steve annuì, il corpo coperto di brividi. "Scudo."
Phil gli sistemò la coperta sul corpo. "Se i nostri nemici non lo sanno, possiamo sfruttare la cosa a nostro vantaggio. Ora devi dormire, però."
"Di' a Tony che mi dispiace." Steve gli prese la mano. "Diglielo."
"Potrai dirglielo tu quando ti sentirai meglio. E preparati a urla e isterismi: sei stato un irresponsabile."
"Ah. Non è la prima volta che me lo dicono."
"Potevi morire Steve, non fare lo spiritoso, ti prego!"
"Non è diverso dalla guerra."
"Steve." Assottigliò appena gli occhi. "Devi smetterla di voler fare l'eroe."
L'iride era slavata, pallida tra le palpebre. "Sono un soldato."
"Sei un essere umano. E Tony è uscito talmente fuori di testa che non ha fatto neanche caso al fatto che ho metà viso nero! Smettila di fare l'egoista!"
"Sono un soldato." Ripeté Steve. "Devo difendere voi. Il mio Paese. Ho risposto alla chiamata, devo fare ogni cosa in mio potere per salvarvi.”
"Sei cocciuto." Phil si sollevò a fatica, scuotendo la testa. "Magari Tony avrà più successo di me."
"Mi dispiace." Disse l'altro. "Per come sei costretto a soffrire. E lavorare. So cosa vuol dire non avere una fanciullezza."
"La differenza è che tu sei diventato soldato per scelta, a me non è stata data possibilità."
"Per scelta? Di chi? Della Gemma, non mia."
Sollevò un sopracciglio. "Vuoi dire che la Gemma ha fatto di te un soldato ancor prima di trovarti?"
"Mi ha portato nel mezzo del conflitto."
"Ma eri un soldato ancora prima. Durante la guerra hai combattuto. Quella è stata una tua scelta!"
Steve stette in silenzio, per poi annuire a fatica. "Era l'unica scelta possibile."
Scosse la testa. "Non è vero. Potevi aiutare in altro modo ma hai voluto arruolarti. Io sono diventato soldato appena mia madre ha scoperto di essere incinta. Io non ho avuto scelta. Devo supplicare per avere un po' di tranquillità e questa mi viene anche negata. Non puoi paragonarmi con te."
"Se solo avessi vissuto ai quei tempi, Phil. Se solo..."
"Purtroppo sono nato settanta'anni dopo." Deambulò pian piano verso la porta. "Riposa, ci vediamo dopo. Manderò un medico dello S.H.I.E.L.D. a visitarti."
"Purtroppo?" Lo sfidò l'altro, con voce che andava abbassandosi. "Non sei conscio della tua fortuna."
"Neanche tu, visto che rimani fedele ad una vita che non ti appartiene più."
Il Capitano non ribatté. La febbre era salita nelle ossa e nelle vene, rispedendolo dell'incoscienza.
Phil sopirò appena e uscì nel corridoio. "Mamma, è meglio far venire un medico, ho medicato per quanto ho potuto ma ha perso molto sangue e non vorrei che qualche ferita si infettasse."
"Perfetto." Isabella afferrò il cellulare e digitò velocemente un codice di emergenza. "Edwin è stato avvertito di tutto. Hannah sta mettendo del the sul fuoco."
Annuì, per poi guardare l'orologio che aveva al polso. "Devo andare all'allenamento, tienimi informato."
"Molto bene. In caso le cose peggiorassero, potrai lasciare l'allenamento senza problemi."
Phil annuì stancamente. "D'accordo."
“Sono fiera di te.”
Il ragazzo sollevò gli occhi nei suoi, perplesso. “Perché?”
"Perché a soli quindici anni riesci a tenere questo peso sulle spalle. Senza arrenderti."
"Non credo di avere altra scelta, ti pare? Se potessi starei con Clint, anziché farmi rompere le costole da May e Romanoff." Replicò scontroso.
La donna sbatté le palpebre, sorpresa dal suo scatto. "Come, prego?"
"Ho detto che se potessi scegliere cosa fare, starei con Clint, ora." Ripeté.
"A volte, per un bene superiore, molto va sacrificato."
Phil la guardò stranito, quasi non la riconoscesse. "Sto sacrificando la mia vita, devo buttare anche il mio cuore?"
Isabella scosse la testa. "Non buttarlo. Ma sii consapevole che più di una volta dovrai metterlo al secondo posto."
"Io lo amo." Bisbigliò. "Ma non potrò mai stare con lui, no?" Scosse le spalle. "Quindi posso anche buttarlo, non mi serve più."
"Io e tua zia siamo sposate. E così i tuoi genitori."
"Ma voi non volete che io stia con Clint!"
"Ti ho già spiegato i motivi delle nostre rimostranze."
"Oh avanti! Ha solo due anni e mezzo più di me! Non è un fattore così rilevante! E ha rinunciato al circo, vuole rimanere, per me! Perché non gli date fiducia e soprattutto non la date a me e nel mio giudizio?"
"Perché ho paura che tu possa essere...Influenzabile."
"Influ--" Spalancò gli occhi. "Su cosa?"
La donna si succhiò le labbra, quindi abbassò la testa e sospirò. "Non importa."
"Importa a me, invece! Avete giudicato Clint senza neanche conoscerlo e pensate che io sia un bambino! Voglio sapere il perché!"
"Perché potrebbe approfittare di te."
Corrucciò le sopracciglia. "Nel senso di violentarmi?"
"O approfittare della tua ingenuità per soldi o altro."
Phil poggiò le mani sulle spalle della donna. "Gli ho già offerto dei soldi per aiutarlo a trovare casa e lui ha rifiutato. Più volte. Perché non provate almeno a conoscerlo?"
"Tu hai fatto cosa?" Esclamò Isabella, gli occhi sbarrati e increduli. "Sei impazzito? Cosa ti ha detto la testa?"
"Mi ha detto che lo amo, ecco cosa! E sono soldi che ho guadagnato! Posso farne quello che voglio. Comunque li ha rifiutati. Non è un imbroglione e io sto bene con lui!"
"Dio..." La donna scosse la testa. "Come puoi credere al primo che passa? Lui sa come farsi amare dagli altri."
Phil la guardò ferito. "Perché invece di giudicare non mi date fiducia? Perché?!"
"È a lui che non do fiducia!"
"Ti sto chiedendo di averla in me!"
La donna scosse il capo, evitando di guardarlo negli occhi. "Ne riparleremo a casa."
"Non voglio parlarne." La voce tremò appena. "Io lo amo e voglio stare con lui. Discorso chiuso." Deambulò fino al piano di sotto, salutò i signori Jarvis e Tony e poi si diresse all'accademia per l'allenamento.

 
***

 
Bobbi gli tese la mano -Segno che l'allenamento era finito. Il cielo oltre le finestre era virato in un livido viola e la sera dava i primi respiri oltre l'orizzonte. "Stai migliorando." Si congratulò lei, aiutandolo a rimettersi in piedi e scrollando i capelli biondi.
"Credo tu mi abbia rotto una costola." Afferrò la mano e si mise in piedi. "Credi dovrò continuare ancora per molto?"
"Dobbiamo migliorare ancora un po' i tuoi tempi di reazione."
"Quindi... Una settimana ancora?" Provò.
Bobbi non gli rispose che con un sorriso dispiaciuto, un contrarsi delle labbra rosate. Era bella, Bobbi, autoritaria e libera, indipendente. Per un po' era stata anche sposata, ma una Gazza Ladra par suo aveva bisogno di spiegare le ali.
"È che... Vorrei un po' di tempo per riposare. Non voglio collassare all'improvviso."
"Parlerò con May." Gli promise Mimo. "Vedo cosa riesco a fare."
"Grazie mille." Sorrise. "Sei un'amica. Tu te la cavi benissimo, invece."
"Faccio questo lavoro da molto più tempo di te, ragazzino." Lo canzonò lei. "E comunque, il tuo problema maggiore è l'overthinking negativo." Gli fece notare. "In campo pensi solo a ciò che puoi perdere. Ti distrai da solo."
Il ragazzo spalancò gli occhi. "Io-- Ho solo paura di non essere in grado di proteggerli."
"Per evitarlo devi concentrarti su quello che hai attorno. Non su ciò che puoi perdere, ma ciò che puoi usare per impedirlo. Tutto quello che hai attorno è un'arma, di difesa o di attacco."
"E se non dovessi riuscirci?"
"Allora continueremo fino a che non avrai un collasso."
Phil spalancò gli occhi. "I--Io..." Abbassò il viso. "Capisco."
"Mi dispiace, Phil." Bobbi gli diede una pacca sulla spalla. "Ci siamo passati tutti."
"Forse, semplicemente, non sono portato per questa vita. Io voglio... Essere un normale quindicenne con i normali problemi dell'adolescenza."
"Non puoi." La donna gli rivolse un sorriso malinconico. "Non puoi esserlo. Nessuno di noi può essere una persona normale. Essere Agenti è qualcosa che ti cambia nel profondo: nessuno di noi è mai stato addestrato ad essere normale."
"E se rinunciassi?" Bisbigliò. "Se non volessi più essere un agente?"
"È una decisione che unicamente tu puoi prendere. Ma non si torna indietro, Phil."
Sospirò. "Si, lo so. Ma ti prego di non dire nulla a nessuno. Te l'ho detto perché sei un'amica per me e mi fido."
Bobbi annuì, comprensiva. "Puoi sempre parlare con Andrew." Gli consigliò lei, riferendosi allo psicologo dello S.H.I.E.L.D. "Sai che è sempre disposto ad aiutare."
"Lo so, ma so anche che lui ha il dovere di riferire tutto a Fury." Scosse le spalle, pentendosi un attimo dopo a causa di una fitta di dolore. "Grazie, comunque. E' meglio che vada ora."
"Aspetta." Mimo lo aiutò a camminare fino ad una delle panche della palestra, quindi recuperò da un armadietto lì vicino una siringa ipodermica. "Questo calmerà un poco il dolore "
"Grazie ma non voglio prendere medicine. Ho paura che possano confondermi in caso di uno scontro."
"D'accordo. Vuoi che ti accompagni?"
"No grazie, mi vedo con un amico. Ci vediamo domani." La salutò con una leggera pacca sulla spalla e andò a cambiarsi. In realtà aveva intenzione di chiedere a Clint di vedersi ma forse lui era impegnato con lo spettacolo. Gli inviò comunque un sms -Magari avrebbero potuto sentirsi. "Ehi, io ho appena finito, ti va un gelato?"
"Dimmi dove e quando." Fu la celere risposta dell'altro. "Voglio vederti al più presto, dopo la notte trascorsa con te."
"Anche ora se puoi, scegli tu il posto."
"Facciamo dieci minuti al..."Clint propose il nome di una gelateria piuttosto buona in centro.
"E' perfetto. A tra poco!"

 
***

 
"Che ne dici?" Thor, con gli occhi rivolti al vuoto non-vuoto, sollevò il mento e rimase in contemplazione. "Per quale motivo non sono stato in grado di prendere la Gemma del Tempo, Maestro?"
"Non lo so. Non lo so." L'uomo camminava nervosamente avanti e indietro. Dopo tutto ciò che aveva fatto, non era ancora riuscito a possedere le altre tre Gemme e non capiva dove stesse sbagliando. Devo possedere i loro cuori come ho già fatto, è l'unico modo per prendere le Gemme." Borbottò quasi tra se e se.
"Dimmi come posso aiutarti, Maestro." Fece Thor, fiero e con piglio orgoglioso. "E io lo farò."
L'altro si fermò e si girò a guardarlo. "Al prossimo scontro, basterà che tu lo tenga fermo abbastanza a lungo per permettermi di avvicinarlo. Poi farò tutto io. Intanto Hawkeye mi servirà il cuore del loro amico. Così sarà più facile avvicinarli."
"Sì, Maestro." Hawkeye chiuse gli occhi, visualizzando nella mente il luogo in cui si erano dati appuntamento. "Da chi vuoi iniziare, Maestro?" Lo interrogò Thor. "Tempo o Potere?"
"Il Capitano è debole e non si opporrà al controllo." L'uomo sogghignò. "Il ragazzino sarà il nostro lasciapassare."
"E sia. Fra tutti, il Capitano è l'unico onorevole sul campo di battaglia. Incontrarlo di nuovo fa cantare il mio sangue e sangue anela Mjolnir."
"Forse non ci sarà bisogno di nessuno scontro se Hawkeye farà ciò che deve."
"Sono qui per servirti, Maestro." Un passo dopo l' altro, Hawkeye si avvicinava alla gelateria. I suoi occhi erano ghiaccio, privi di ogni sentimento e volontà.
Phil era già lì e quando lo vide, il viso gli si aprì in un grande sorriso. "Ehi! Come stai?"
"Una meraviglia." Clint abbracciò le spalle di Phil e si allungò a baciargli le labbra.
"Sicuro?" Rispose piano al bacio. "Ti vedo strano."
"Portalo in un luogo isolato e mettilo fuori gioco. Il cuore umano è debole ma devo toccarlo per impossessarmi di lui."
"Ho preso un antidolorifico per la spalla e mi sento un po' rintronato." Si scusò lui, aprendo la bocca in un sorriso. "Come sta il tuo amico?"
"Meglio." Gli accarezzò teneramente il viso. "Forse dovresti andare a riposare, l'importante è averti visto anche se per poco."
"No, posso resistere ancora un poco per te."
Phil sorrise e gli sfiorò le labbra con le sue. "Ti va un gelato?"
"Oh, eccome! Non siamo qui per questo?" Clint gli baciò le labbra e si attardò ad assaggiare il suo sapore, lentamente, cogliendo ogni sfumatura di respiro e fiato.
L'altro gli si strinse forte contro. "Andiamo."
Clint lo tenne per le spalle, schioccandogli di tanto in tanto un bacio sulla tempia. Camminarono per almeno un quarto d'ora, parlando del più e del meno, ridendo e scherzando come una qualunque coppia, senza alcun pensiero al mondo. Così occupati a parlare Clint condusse Coulson in un vicolo che tagliava il quartiere a metà, dicendo che era una scorciatoia verso una gelateria che aveva scoperto un paio di giorni prima.
"Non sono mai stato in questa zona, sai?" Phil aveva poggiato la tempia alla sua e sembrava non avere neanche un pensiero. "Sono così felice di essere riuscito a vederti..."
"Anche io lo sono. Stringerti di nuovo a me, che meraviglia..."
"Potresti venire di nuovo da me..."
"Sai, arrampicarmi sull'edera è stato un gesto molto romantico."
L'altro ridacchiò. "Mi sono sentito un po' come Rapunzel."
"E io sono Flynn Rider."
"Oh, lui è un tipo davvero simpatico, sicuro di poter reggere il confronto?"
Clint sogghignò. "Sguardo che conquista....!"
Rise e cercò di nuovo la sua bocca. "Sai... Sto davvero bene con te e vorrei rendere la cosa... Più seria, se a te sta bene."
"Intendi una relazione ufficiale?" Clint lo abbracciò e si chinò a baciargli la bocca. "Ci sto."
"Davvero?" Le orecchie gli si imporporarono appena per l'imbarazzo. "Puoi pensarci se vuoi."
"No. Sono un amante delle decisioni impulsive."
"E sicuro che poi non avrai a pentirtene?" Gli baciò le labbra, "Voglio che tu ne sia sicuro e soprattutto che tu sia consapevole che le mie zie cercheranno di allontanarci in ogni momento."
"Ne sono sicuro. Niente si ottiene senza combattere."
"Allora va bene." Gli baciò di nuovo la bocca. "E ora andiamo a mangiare quel gelato! Dobbiamo festeggiare!"
"Dobbiamo." Fu concorde Clint -Clint che avvertì il cuore franare nel petto e non ne capì il motivo. Una profonda tristezza lo avvolse. Non ci sarebbe stato nessun gelato. Lo aveva attirato in trappola e adesso che la preda era presa, mancava soltanto il cacciatore.
Ignaro, Phil si guardò intorno, costatando che il vicoletto portava in una strada senza uscita, con edifici abbandonati. "Abbiamo sbagliato strada, qui non ci sono negozi."
L'altro prese un respiro e chiuse gli occhi. Il sapore del tradimento gli inacidiva la bocca.
"Clint? Che succede?"
"Salve, mio terrestre amico." E Phil guardò inorridito la figura appena apparsa tra lui e il ragazzo. "Chi sei?" Chiese indietreggiando appena. "Il mio nome è Loki." Si presentò la figura con un leggero inchino e solo allora Phil notò lo scettro che questo teneva tra le dita e la pietra blu su di esso. "Tu possiedi una Gemma..." "Oh, vedo che noti i particolari." Loki ghignò e poggiò una mano sulla spalla di Clint. "Ma sei stato davvero un ingenuo con il mio uccellino."
"...Cosa?" E gli occhi del ragazzo si fissarono su Clint, confusi e spaventati. "Che vuol dire?"
Quando Barton sollevò lo sguardo su di lui, l'intera cornea era coperta da una patina di spesso e gelido ghiaccio. Ogni espressione era sparita dal suo volto -Eppure, una lieve tensione alla mano destra, quasi la stesse per chiudere a pugno...
"Vivo per servire il Maestro." Disse. "Egli guida i miei passi e i miei fini."
"Lo hai soggiogato..." Loki sollevò lo scettro con un sorriso sornione. "La Gemma della mente è la più potente di tutte. Può piegare l'animo più combattivo e il più puro, rendendo chiunque una marionetta senza anima." Phil guardava i due inorridito. "Tutto questo per le Gemme?"
"Per il potere." Rispose l’altro. "Un potere illimitato. Quando le Gemme saranno riunite nessuno potrà contrastarmi!"
"Non posso permettertelo!" E dalla tasca il ragazzo estrasse una pistola con cui sparò a Loki. Inutile dire che l'altro non ne fu minimamente scalfito. Al contrario, Phil cadde bocconi quando l'uomo lo colpì con lo scettro dritto allo stomaco.
La tensione alla mano fece vibrare il polso di Clint. Doveva fedeltà al Maestro. Doveva fedeltà al Maestro. Eppure quella violenza ingiustificata incrinò il ghiaccio che ricopriva il suo cuore. Un palpito viola fiorì nelle arterie, mentre la rabbia gli rivoltava lo stomaco.
"E ora diventa mio." Loki poggiò la punta dello scettro sul petto del ragazzo che provò a ribellarsi in ogni modo, avvertendo un senso d'orrore attanagliargli le viscere. "Clint aiutami!" Fu l'ultima frase pronunciata da Phil prima che i suoi occhi azzurri perdessero ogni calore e diventassero inespressivi.
Per Clint fu come essere travolto dalla nausea, dal terrore, dall'odio. Non ne capì il motivo -Non avrebbe dovuto provare nulla- eppure gli venne voglia di urlare e gridare e abbattere Loki, perché non toccasse più Phil.
"Bene." Loki guardò soddisfatto il ragazzo. "Ora torna a casa e consegnami il Capitano e poi il tuo amico." "Si mio signore." Il ragazzo si sollevò come un automa. "Il tuo cuore è molto debole, ragazzino, ma servirai allo scopo."
Gli occhi erano vitrei. Senza vita. Clint si accorse di come gli piacessero, quegli occhi, e la voce di Phil in ogni sua sfumatura. "Lo accompagnerò io, Maestro." Si offrì Hawkeye. "E ti consegneremo il Capitano."
"Molto bene." L'uomo accarezzò languido il viso di Coulson. "Sarai un ottimo acquisto..."
Lascialo stare, avrebbe voluto dirgli. Quell'istante di ribellione affondò unghie gelide nel suo cuore, ghiacciando vene e sangue. Eppure, sì, il cuore palpitava ancora e si ribellava, sì, lentamente si faceva strada tra la neve. "Vieni." Si rivolse a Coulson. "Andiamo a casa tua."
Il ragazzo recuperò lo zaino e lo seguì, come un automa. Gli occhi erano vitrei e bassi, il viso ancora livido aveva perso colorito e il corpo si muoveva rigido.
Quando la presenza di Loki si involò ed il circense fu sicuro che li avesse lasciati soli, Clint chiuse le dita. Si concentrò sugli sprazzi viola che battevano le ali e sfioravano costole e ossa a punta di piume. Sul palmo, contro la pelle, avvertì in cilindro di energia irrigidirsi, prendendo la forma di un dardo -Un dardo capace di penetrare nell'Anima e risvegliare la coscienza. Con noncuranza, posò la mano sulla spalla di Phil e premette a fondo perché la freccia di viola pulsante superasse la prigione della carne.
Il ragazzo urlò per il dolore e si accasciò al suolo, portandosi la mano alla spalla come se solo quel gesto potesse eliminare il dolore. Gli occhi si spalancarono e tornarono limpidi mentre il viso riprendeva colorito.
Clint arretrò di un passo -Dio, cosa aveva fatto? Aveva tradito il Maestro -Ma aveva liberato Phil. Aveva tradito. Aveva salvato. Disobbedito. Scelto.
Phil si sollevò di scatto e arretrò, fissando Clint spaventato. "Co-- Cosa hai fatto?"
Il giovane scosse la testa, col moto di un animale recalcitrante che cerchi di levarsi il morso dalla bocca. Serrò le palpebre, la testa che pulsava senza sosta.
Il ragazzo era indeciso se scappare o meno ma Clint lo aveva liberato... Forse il condizionamento stava perdendo efficacia. "Combattilo." Sussurrò, stringendo però la mano sulla pistola che aveva dietro la schiena. "Tu sei più forte, combattilo."
"Non posso---" L'altro affondò le dita tra i capelli -Il Maestro stava srotolando le sue spire tra le tempie, sapeva che qualcosa non andava! "Non posso---"
"Si che puoi!" Phil lo afferrò per le spalle. "Guardami. Concentrati su di me."
Gli occhi di Clint tremarono appena tra le crepe che andavano aprendosi sulle patine ghiacciate dell'iride. "Prendi questa---" Una cuspide minuscola, meno di unghia, tutto ciò che aveva potuto richiamare col suo potere, apparve nel palmo del circense. "Conficcala nel cuore."
L'altro la afferrò e la affondò nel suo petto senza neanche pensarci due volte.
Clint cacciò un grido e cadde in ginocchio,le braccia strette al torace, il cuore che impazziva nelle costole. Il suo corpo si coprì di una luminescenza viola e per lui fu come essere avvolto da scrosciante acqua benedetta. Prese un ultimo respiro, sorridendo alla sensazione da capogiro dei propri pensieri liberi nella mente, non più aggiogati al volere di Loki.
Phil gli poggiò le mani sulle spalle. "Stai bene?"
"Sono libero." Bisbigliò lui. "Non è più nella mia testa."
Gli fece sollevare il viso e lo guardò dritto negli occhi: quella venatura azzurra che lo aveva tanto attratto fin dall'inizio era scomparsa. "Si, non ti controlla più." Bisbigliò. Poi si sollevò in piedi. "Così hai anche tu una Gemma..."
"La Gemma dell'Anima." Annuì l'altro. "Perdonami." Sussurrò "Ti prego di perdonarmi."
"Perché mi hai preso in giro e mi hai fatto cadere in una trappola?" Sollevò un sopracciglio, ferito e arrabbiato. "Devo portarti dal Capitano."
"Non potevo fare altrimenti." Clint si mise in piedi e prese un profondo respiro, "Non c'era niente che potessi fare per oppormi a lui."
Sollevò una mano per bloccarlo. "Non voglio parlarne e dovrò dire alle mie zie che avevano ragione su di te." Scosse la testa. "Andiamo."
"Lasciami andare." Disse lui. "Per favore."
"No!" Risoluto, gli afferrò il polso. "Devi venire con me."
"Ho già causato troppi problemi. Fammi andare via, non vi recherò più alcun male."
"Da solo sei vulnerabile. Loki potrebbe ingannarti di nuovo. Sarai più al sicuro con noi." Gli strinse di più il polso. "Me lo devi."
Clint si umettò le labbra, quindi annuì.
Phil lo portò direttamente a casa sua -I signori Jarvis ne avevano già passate troppe e doveva parlare con le sue zie.
Victoria non parve per nulla felice di vedere Clint nella cucina, nel santuario della sua famiglia. Da come assottigliò gli occhi si stava preparando alla guerra.
"Aspetta mamma." Phil la fermò prima che potesse parlare. "Lui ha una Gemma."
La donna sgranò impercettibilmente gli occhi; serrò le braccia al petto -Sotto l'ascella teneva una fondina di emergenza. "Quale?"
"La Gemma dell'Anima. Posso vedere ogni cosa, sentimento, emozione, memoria. Qualsiasi cosa. Posso entrare in contatto con le anime."
"E conosce chi vuole impossessarsi delle Gemme. Ci sarà utile per batterlo." Continuò Phil.
"Possiede la Gemma della Mente. Si chiama Loki."
Coulson si lasciò cadere su una sedia, esausto. "Possiamo fare dei piani, ora. Steve come sta?"
"Si sta riprendendo."
"È colpa mia."Clint serrò i pugni. "Dovevo dividervi. Sareste stati più deboli."
"Eri controllato, non è colpa tua."
Clint sollevò lo sguardo su di lui, rivolgendogli un sorriso stanco. "Mi sento comunque in colpa." Confessò. "Mi dispiace. Anche Sharon Carter è colpa mia."
"Sharon...?" Chiese confuso.
"La ragazza che ha avvicinato il Capitano."
"So chi è, la conosco. Ma cosa c'entra Loki con lei?"
"L'ha soggiogata, sotto mio consiglio, per seminare il dubbio nel cuore del Capitano."
Phil lo guardò sorpreso e fu quasi sul punto di colpirlo. "Perché l'hai fatto? Steve è quasi morto!"
"Erano i miei ordini."
"Perché non ti sei ribellato prima, allora?!"
"Fino a questo momento Loki non ti aveva toccato. Quando lo ha fatto... Ho sentito che qualcosa si ribellava."
Phil inclinò il viso, perplesso. "Quindi ti sei ribellato perché mi stava facendo del male?"
"Sì. E non volevo te ne facesse."
"Perché? Era tutta una messinscena."
"Io..." Clint non seppe che dire e alzò gli occhi su Victoria -Faceva paura, col suo sguardo glaciale e la mandibola serrata. "Sarai preso in custodia dallo S.H.I.E.L.D." Decretò e la voce era freddo metallo. "Interrogato. Sarai sottoposto a test clinici e psicologici. Se tenti di fuggire, di scappare o altro, ho il diritto ed il dovere di sparare a vista."
Il ragazzo osservò l'altro e la sua mancata risposta fu un tuffo al cuore. Abbassò lo sguardo e si mordicchiò le labbra. "Lui ci serve." Disse poi, rivolto alla donna. "Con tre Gemme abbiamo più possibilità di sconfiggere Loki."
"Può esserci utile anche dai laboratori dello S.H.I.E.L.D." Fu la replica della donna, il cui rivolgersi a Clint quasi fosse un oggetto era abbastanza eloquente. "Ha già fatto troppi danni."
"Ma lui ci serve." La fissò eloquente. "Sii obiettiva, ti prego."
"Lo sono. Mi sto comportando secondo le procedure previste." Uno sguardo velenoso trafisse Clint da parte a parte. "Sto già facendo uno strappo non ammanettandolo e stordendolo."
"Mamma, ti prego." Si sollevò dalla sedia, sbandando appena per il dolore alle costole. "Posso occuparmene io. Sono sicuro Fury sarebbe d'accordo con me."
"Non credo."
"Va bene." Disse il ragazzo. "Tutto ciò che volete farmi. Va bene. Lo merito."
"No, invece. Ti è stato fatto il lavaggio del cervello e l'unico motivo per cui mia madre ti è così ostile è perché io sono innamorato di te e lei non ha abbastanza fiducia in me da fidarsi!"
"Ora non stiamo parlando di problemi adolescenziali." Ribatté Victoria, per poi prendere un respiro. "Rimarrai confinato nella camera degli ospiti."
Il giglio le sorrise. "Grazie. Vieni, ti accompagno."
La donna, però, gli fece cenno di aspettare un istante: da un doppio fondo nella credenza prese due fili tubolari che, chiusi ai polsi di Clint con uno schiocco, mutarono in un paio di manette. "Ora può andare."
"Mamma!" Phil spalancò gli occhi. "Non è pericoloso, liberalo!"
"Che non è pericoloso è ancora da dimostrare."
"Non ti preoccupare." Clint rivolse un sorriso sfumato all'amico. "Non fa male."
"Se avesse voluto uccidermi, l'avrebbe già fatto! Mi ha salvato da Loki, non conta questo?"
"No. Perché da quanto ho capito è stato lui a portartici."
Phil sospirò esasperato. "Per fortuna il bambino sono io in questa casa." Sibilò, prendendo Clint per un braccio e portandolo al piano di sopra.
"Non prendertela con lei." Sussurrò Clint voltando la testa nella sua direzione, "Se fossi nei suoi panni, neanche io mi fiderei di me."
"Eri sotto il suo controllo, non è colpa tua. Ma come ti ha preso?" Lo fece sedere sul letto e si inginocchiò davanti a lui, provando a liberarlo dalle manette.
Ma quelle avrebbero risposto soltanto ad un determinato codice, che soltanto Victoria poteva sapere. "È venuto al circo." Mormorò lui, flettendo le dita "Credo... Due, due anni e mezzo fa. Mi ha." Deglutì, "Custodito perché potessi vedere il risveglio delle Gemme. "
"Custodito?" Sbuffò, lasciando perdere le manette e sedendosi sul pavimento. "Che vuol dire?"
"Mi...Teneva in gabbia."
Il ragazzo inclinò il viso con una smorfia. "Ti... Ha fatto del male?"
"Non che io ricordi, almeno."
Sospirò quasi di sollievo. "Bene, almeno ti ha risparmiato questo." Scosse le spalle. "Cosa ti faceva fare?"
"Guardare." Rispose l'altro. "Senza chiudere gli occhi e dormendo appena, soltanto se crollavo. Guardavo tutto. Sondavo ogni anima. Persino scordavo di mangiare."
"Lo facevi per trovare le Gemme? A cosa mira Loki?"
"Riunirle." Clint lo guardò. "Avere il potere dell'Infinito."
Il ragazzo lo guardò e rimase in silenzio per un lungo attimo, semplicemente guardandolo negli occhi. "Ha fatto lo stesso col dottor Blake, vero?"
"Sì." Il ragazzo fece cascare le spalle. "È così."
"Tu puoi liberarlo come hai fatto con me?"
"Sì." Clint annuì. "Non so se posso trasformarmi come Iron Man e Capitan America e Thor, ma posso creare le frecce e raggiungere l'Anima del dottore."
Sorrise. "Bene. Così potremmo liberare anche lui e Loki non avrà più scampo." Poggiò una mano sulle sue. "Grazie per avermi liberato."
Clint strinse le dita alle sue. "Mi sono sentito morire. Stavo tradendo -E non Loki, ma te."
"Me?" Corrucciò le sopracciglia. "Ai tuoi occhi era una farsa, come potevi tradirmi?"
"Non era una farsa. L'ho capito nel momento esatto in cui Loki è apparso dietro di noi."
"Vuoi dire che quando mi hai baciato lo volevi tu e non era frutto del controllo di Loki?" Si sollevò in ginocchio. "Che quando hai detto che ti mancavo e che volevi stare con me, non era Loki a parlare?"
"Non era Loki." Clint si tese e alzò le mani per accarezzargli il volto. "Te lo giuro. Non era Loki a parlare."
"Ma il tuo cuore era controllato da lui... Come faccio a crederti?"
"Baciami."
Corrucciò le sopracciglia, sorpreso. "Cosa?"
"Baciami." Ripeté lui. "E capirai se è una menzogna o meno."
Piegò le labbra in un mezzo sorriso. "Non sono così bravo a capire le bugie e... Tu mi piaci e non voglio illudermi."
Clint lo guardò ancora per lunghi istanti e il sorriso era triste, sulle sue labbra. "Tu hai risvegliato la mia anima."
L'altro si sollevò e gli sfiorò le labbra. "E tu mi hai avvicinato solo perché Loki te lo aveva ordinato. So che non è colpa tua." Lo prevenne. "Ma mi sento... Umiliato."
"Permettimi di rimediare." Bisbigliò Clint, "Ti prego."
"Prima dobbiamo uscire da questa situazione." Gli baciò di nuovo la bocca. "Tu mi piaci davvero."
Il giovane si tese, a cercare le sue labbra. "Anche tu."
Si sollevò e gli si sedette in grembo, continuando a baciarlo senza sosta.
"Vorrei abbracciarti." Gli confidò Clint, "Abbracciarti. Stringerti. Aggrapparmi a te."
In risposta, l'altro intrecciò le dita alle sue. "Si aprono con un codice e ho già provato quelli che conoscevo, mi dispiace."
"Non ti preoccupare." Il circense si tese a baciarlo. "È così... Strano pensare di nuovo con la mia testa. Totalmente. Loki mi aveva svuotato la testa e riempita di qualcos'altro."
"Con cosa?" Chiese, incuriosito, lasciandogli baci sulle labbra e sul viso.
"La sua presenza." Sospirò il ragazzo, socchiudendo gli occhi con un sorriso grato, "Era dappertutto. Come un culto. Come una droga."
"Ora andrà sempre meglio." Sorrise. "Nessuno ti farà più del male e Loki non si avvicinerà più, te lo prometto."
"Non ti toccherà più." Gli promise Clint. "Non ti sfiorerà. Neanche con un dito."
Sorrise. "Baciami ora."
E Clint lo accontentò, per lunghi minuti, come se non potesse fare a meno del suo fiato.
"Sono pazzo di te..." Bisbigliò. "Sei il primo, sai? Il primo in tutto."
"Lo so. La tua Anima brilla e freme, come se stesse spiegando le ali per prepararsi al volo."
"La vedi?" Chiese con un sorriso. "Vedi la mia anima?"
"Sì." Gli occhi di Clint parevano brillare, soffusi di un vivace alone viola. "È bellissima."
Ridacchiò. "E cos'altro vedi?"
"Ciò che ami. Ciò che ti fa paura. Le tue insicurezze, il tuo orgoglio. La tua storia. Passato e presente."
Lo fissò sorpreso. "Quindi sai tutto? Anche che sono un Agente dello S.H.I.E.L.D.?"
"Posso leggere dei nomi o vedere delle immagini, ma non sempre sono facili da interpretare."
Mugugnò pensieroso. "Capisco... Ma, ti prego, non far parola del mio ruolo a nessuno, specialmente a Tony. Lui non sa nulla."
"Hai la mia parola."
Phil sorrise e strofinò il naso sul suo. "Ora dobbiamo solo convincere le mie zie a farci stare insieme."
"Penso ci vorrà un po', ma..." Clint sorrise e gli baciò le labbra. "Per te ne vale la pena."
Lo strinse forte. "Grazie." Poi lo baciò ancora e ancora. "Hai fame? Ti porto qualcosa?"
"Volentieri." Il ragazzo gli baciò la guancia. "Ho molta sete, soprattutto."
"Vado a prendere qualcosa!" Gli baciò la bocca e la guancia. "Arrivo!" Poi corse al piano di sotto con un enorme sorriso.
"Rimani qui in cucina." Lo apostrofò Victoria, intenta a scrivere qualcosa sul portatile. "Steve e Tony stanno arrivando. Isabella è andata ad avvertire Fury."
"Clint ha sete. Gli porto qualcosa e ritorno." Afferrò un vassoio e vi poggiò acqua e succo, biscotti e merendine. "Torno in poco."
"Sto raccogliendo informazioni su di lui."
"Mi ha detto che lavorava nel circo e Loki l'ha trovato." Afferrò il vassoio. "Mamma, ti prego. Mi ha salvato la vita e vuole stare con me. A me basta."
"A me no." Victoria sollevò la testa e si fece sfuggire un sospiro. "Ha provato a farti del male. Non posso far finta di nulla.
"Era sotto il controllo di Loki ed è tornato in se perché tiene a me e mi ha salvato! Non intestardirti, per favore! Dagli almeno una possibilità."
"Va' da lui. Ti chiamo quando arrivano gli altri."
"Grazie!" Uscì e poi si riaffacciò di nuovo. "Il codice per le manette?"
"Non ancora." E un barlume di sorriso stuzzicò la bocca della donna.
"Oh avanti!" Piegò le labbra in un mezzo ghigno. "Così mi costringi ad imboccarlo."
Victoria inarcò immediatamente il sopracciglio. "Novanta. Sessanta. Settanta."
"Grazie!" Rise, correndo poi in camera.
Clint si era appoggiato alla parete con la schiena, la nuca reclinata sul muro. Guardava oltre la finestra, accorgendosi di quanto fosse strano non avvertire la presenza di Loki riempire ogni angolo della sua prospettiva, ogni singolo istante della sua vita, ogni più minuscolo respiro -Era libero. Si sentiva bene. Non avrebbe servito nessuno che non fosse se stesso.
"Tutto bene?" Phil gli poggiò il vassoio accanto e lo liberò dalle manette.
Il circense si guardò i polsi, ora nudi, segnati appena da un bracciale rosso. E la prima cosa che fece fu abbracciarlo, di slancio, stringendolo con forza.
"Ehi." Lo strinse di rimando. "Va tutto bene." Sussurrò al suo orecchio, accarezzandogli i capelli. "Va tutto bene."
Clint si accorse di tremare. Un tremito che dalla sommità della testa arrivava alla base della schiena. Comprese l'orrore in cui aveva vissuto, due anni in gabbia, come un cane, e come un cane anelante carezze e moine e come un cane ubbidiente, servile, il peggior nemico di se stesso. Due anni della sua vita volati via, dietro le sbarre, ridotto alla fame e al sonno -Felice di un tale, orrendo orrore!
"Che succede?" Poggiò la tempia sui suoi capelli. "Amor mio che succede? Hai paura?"
"Sì. Vedo ciò che ho passato e sono disgustato e ho paura di quel che Loki potrebbe fare." Clint tremò ancora, per poi far affiorare un lieve sorriso sulla bocca. "La tua Anima è così calda..."
Lo strinse più forte. "Non gli permetterò di farti del male, te lo prometto."
Clint si lasciò avvolgere dal suo calore. Era come immergersi nell'acqua calda e ogni scroscio gli solleticava la pelle con dolcezza, facendo salire teneri brividi sulle braccia e sulle spalle. "Grazie."Mormorò. "Grazie."
Il ragazzo abbassò il viso per baciargli le labbra. "Mangia qualcosa. Io devo scendere per l'arrivo di Steve e Tony. Ma torno subito. Se hai problemi scendi, okay?"
"Okay." Clint lo baciò di nuovo. "Grazie."
"Dico davvero." Lo guardò negli occhi. "Scendi se hai bisogno. Steve e Tony saranno felici di conoscerti."
"Non credo." Rise lui. "A parte te, non credo che qualcuno sia felice della mia presenza."
"Non li conosci." Gli picchiettò il naso col dito indice. "Andrà tutto bene."
"Se lo dici tu mi fido."
Gli baciò le labbra. "A dopo."
"A dopo. E grazie ancora."
Phil scese ancor più felice. "Eccomi! Novità?"
"La sua storia è verosimile." Ammise Victoria. "Si hanno notizie del circense Occhio Di Falco fino a due anni fa. Poi è scomparso e di lui non si è più saputo nulla."
"È quello che ha detto lui."
"Nessun parente in vita. Niente di niente. Quelli del circo hanno dichiarato la sua scomparsa, ma non hanno mai fatto pressioni per lo svolgimento delle indagini. È scomparso dal mondo e nessuno si è curato di questo."
"Provi un po' di pena per lui, ora?"
"Forse."
"È un bravo ragazzo. Devi solo conoscerlo."
"Il tuo cuore, Phil, a volte penso e temo sia troppo buono. Come ci riesci?"
Il ragazzo le si avvicinò e l'abbracciò. "Mamma aveva lo stesso cuore buono, no? Me lo dite sempre che assomiglio a lei."
La donna gli accarezzò la spalla, con un quieto sorriso sulla bocca. Davanti a lei, sullo schermo, file e foto e ritagli di giornali digitalizzati su Clint e la foto dell'incidente di un vecchio quotidiano di Waverly e le locandine del circo e le prognosi mediche che il bambino aveva raccolto negli anni -Invece delle figurine o di qualcosa di meglio.
Phil spostò lo sguardo sullo schermo. "Ha sofferto tanto e credo meriti un po' di felicità. Ho il dovere di farlo sentire bene visto che lo amo." Spostò gli occhi in quelli della donna. "Lo amo più della mia vita."
"È mio dovere di madre dirti di fare attenzione, Phil." Lei lo guardò con dolcezza, composta ed elegante, "Sebbene mi sia occorso meno di te per capire che con Isabella avrei spartito la vita. La conobbi dopo che tua madre mi rifiutò." Disse poi. "Le sono debitrice."
"Farò attenzione ma voi datemi fiducia. Ho bisogno di sentirvi vicine non contro di me."
"D'accordo." Annuì Victoria. "Dobbiamo lasciarti crescere."
"Grazie."
Furono interrotti dallo squillo del campanello. Tony era arrivato e aiutava Steve a camminare: il Capitano non era al massimo della forma e le ferite e le ossa rotte e il sangue perso gli pesavano addosso, gli schiacciavano le spalle. "Mi sembra di essere un novantenne." Si scusò, con un sorriso tirato. "Ma Rogers." Gli fece notate Stark. "Tu sei un novantenne."
Phil gli porse subito una sedia. "Come ti senti?"
"Come se una diligenza mi avesse calpestato."
"Ti preparo un the. Intanto mia madre vi dirà le novità."
"Abbiamo avvertito una Gemma usare il suo potere. Due, in realtà. Ha a che fare con questo?"
Annuì. "Clint possiede la Gemma dell'Anima e Loki, l'uomo che vuole le altre Gemme e comanda i Chitauri, possiede la Gemma della Mente. Possedeva Clint, obbligandolo a seguire i suoi ordini e ha soggiogato anche Blake."
Steve, seduto al tavolo, prese un respiro e socchiuse gli occhi "Possedeva? Ora è libero?”
"Ha posseduto me per qualche minuto e Clint, per proteggermi, ha rotto il controllo e mi ha salvato la vita." Mise a tavola le tazze, lo zucchero e dei biscotti. "È di sopra, se volete lo faccio scendere."
Tony inarcò le sopracciglia, scambiando un'occhiata con Steve. "E sei sicuro che non sia tutto un piano?"
"Ne sono sicuro. Loki mi aveva sotto il suo giogo che senso aveva liberarmi per giocarmi di nuovo?"
"Loki." Tony si grattò il naso. "Che nome strambo."
"Ancora non vi ho detto la cosa più importante!" Sorrise e versò il the. "Clint può liberare Blake."
"Cosa?" Steve spalancò gli occhi per la sorpresa, per poi piegarsi a causa del dolore al petto.
Phil gli poggiò le mani sulle spalle e fece pressione su alcuni punti per non farlo star male. "La Gemma dell'Anima è più potente di quel che pensassi. Credo che le Gemme possano neutralizzarsi a vicenda, per questo insieme sono così potenti."
Il Capitano serrò le palpebre-E strinse la mano di Tony, che gli aveva poggiato le dita sul ginocchio. "Dobbiamo chiedere a Clint." Disse Statk.
"Vado a chiamarlo se volete. Steve, perché non ti stendi in camera mia?"
"No." Il Capitano scosse la testa. "Voglio sentire ciò che ha da dire."
"Puoi sentirlo anche se sei a letto." Sorrise. "Ti accompagno, andiamo."
"Tranquillo, faccio io." Si propose Tony e, dopo un Coraggio, ragazzone, aiutò Steve a mettersi in piedi. Il Capitano gli rivolse un sorriso, aggrappandosi a lui.
"Vi precedo." Phil salì in camera e sistemò una pila di cuscini sul suo letto, andando poi a chiamare Clint perché si unisse a loro.
Il ragazzo, che non aveva toccato troppo cibo e si era steso mezzo addormentato sul materasso, drizzò la schiena e si girò a guardarlo. "Sono qui, vero?"
"Senti le Gemme?" Sorrise e allungò una mano verso di lui. "Andiamo, vogliono conoscerti."
"Sì." Clint tese le dita e si issò in piedi. "Sono curiosi. Mi sento in colpa per aver cercato di dividerli."
"Curiosi?" Ridacchiò. "Adorerai Steve e odierai Tony, ne sono sicuro!"
"Spero non mi odino."
"Perché dovrebbero? Sanno che mi hai salvato la vita." Intrecciò le dita alle sue. "E che puoi sconfiggere Loki."
"Io?" Clint rise e lo fece di cuore. "Ho soltanto un paio di frecce."
"Puoi scrutare la sua anima." Gli baciò le labbra. "E liberare Blake."
Steve si era steso e aveva gli occhi chiusi e la fronte imperlata di sudore. Tony gli posò la mano sulla spalla, cessando per un attimo di sistemare i cuscini sotto la sua schiena. Il Capitano sollevò le palpebre, lo sguardo attento sebbene velato dal sudore.
Phil gli si avvicinò subito. "Ehi, hai fatto troppi sforzi per oggi." Gli si sedette accanto e gli strinse la mano. "Farò venire di nuovo il medico."
"Sto bene." Rispose il soldato, per poi accennare a Clint col mento. "Ora è meglio ascoltare cosa ha da dire. Penseremo a me dopo."
Il ragazzo si limitò ad annuire e spostò gli occhi su Clint. "Non aver paura, sono tuoi amici."
"Io mi autodefinisco conoscente." Replicò Stark. "Alla lontana."
"Tony." Lo ammonì l'amico, incoraggiando poi l'altro a parlare.
Clint arcuò le labbra in un sorriso. "Mi dispiace per tutti i problemi che vi ho arrecato. Mi era stato dato l'ordine di dividervi e indebolirvi, per prendere le Gemme e così ho fatto." Si umettò la bocca. "Ho seminato il dubbio e minato la fiducia che avevate l'uno nell'altro. Posso vedere le vostre anime." Spiegò. "So dove colpire e con cosa."
"Quindi conosci anche il punto debole di Loki, no?"
"Non ho mai guardato dentro la sua Anima." Ammise Clint. "È uno spirito millenario. Ho visto unicamente questo."
"Spirito millenario?" Chiese confuso. "Che vuol dire?"
"È difficile da comprendere e spiegare. Loki non è di questo mondo."
"Vuoi dire che non è umano?" Spalancò la bocca. "Questo spiega perché mi ha chiamato umano..."
"È vecchio. Vecchio di Millenni." Clint si sedette sul materasso, attento a non sfiorare il Capitano. "Ha usato la Gemma per scopi malevoli. Thor, che ora è nel corpo di Donald Blake, era un Guerriero e usava la Gemma per spostarsi di battaglia in battaglia: Loki è sopravvissuto, Thor, caduto in Guerra, è perdurato."
"Nel senso che si è reincarnato?"
"Ha trovato terreno fertile nel corpo di Blake, un terreno cui attecchire."
"Era un Guerriero o un Giardiniere?" Ribatté Tony.
Phil lanciò un'occhiataccia all'altro, invitando poi Clint a continuare.
"Non so che altro dire." Ammise il circense, sorridendo.
"Potresti guardare la sua anima da qui e scoprire il suo punto debole?"
"Posso provare."
"Rivelerà la nostra posizione?"
"Per arrivare fino a lui devo usare una enorme quantità di potere."
"Il che vuol dire." Prese parola Steve. "Che sarà come avere un segnalatore sopra la testa."
"Senza contare che se ti sei svincolato dal suo controllo." Fece Tony. "L'avrà già saputo."
"Potremmo preparargli una trappola, allora!" Phil strinse le dita di Steve. "Quando il Capitano sarà tornato in forze."
"Non sono messo così male." Replicò lui, gentilmente. "La tua Anima è matura. E sola." Clint spostò gli occhi su Tony. "E si armonizza perfettamente alla tua."
"Queste cose pseudo-mistiche non fanno per me, amico."
"Clint vede le anime delle persone. Puoi fidarti di quello che dice." Phil sorrise. "Ora! Dobbiamo riposare, anche io sono alquanto stanco. Vi cedo la mia camera, ma!" Fissò i due amici. "Niente sconcezze nel mio letto!"
L'espressione dei due fu impagabile, ma la risata di Clint fu sconcertante, nella sua naturalezza, nella sua incredibile, incontrollabile gioia. "Non spiarmi, uccello del malaugurio!" Esclamò Stark, piccato. "Girati contro il muro!"
"Tony!" Phil assottigliò pericolosamente gli occhi. "Se vengo a sapere che avete fatto qualcosa nel mio letto, giuro che ti uccido con le mie mani!"
"Non faremo niente---"
"Anche perché Steve non può fare sforzi e deve recuperare le forze il prima possibile." Afferrò la mano di Clint. "Ci vediamo dopo."
"A dopo." Steve sorrise e fece loro un segno di saluto. Era stanco morto, debilitato, ma si permise di dormire unicamente quando Tony si fu arrampicato sul materasso e gli ebbe abbracciato la vita con un braccio.
 

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Capitolo 11
*** Capitolo Undici ***


Capitolo Undici





"Lo distruggerò." Thor, un ginocchio piegato a terra, alzò la fronte. "Si pentirà di questo tradimento. Lo punirò. La giustizia del Tonante calerà su di lui."
Loki era a dir poco furioso: non poteva credere di aver perso una delle Gemme solo perché quello stupido ragazzino si era affezionato. Era imperdonabile! "Dobbiamo distruggerli tutti!" Sibilò. "Ma abbiamo bisogno di trovare la sesta Gemma. Per quanto noi possiamo essere potenti, tre Gemme ci daranno filo da torcere. Abbiamo bisogno di bilanciarci."
"Manca solo quella della Realtà. La più ostica da trovare." Thor non si mise in piedi e rimase inginocchiato. "Il Capitano è debole. E il tuo animale da compagnia non ha mai imparato ad usare i suoi poteri per offendere, unicamente per servirti."
"Ma non sappiamo dove si trovano! Rischiamo di perdere solo tempo. Dobbiamo trovare l'altra Gemma prima che lo facciano loro!"
"E come, Maestro? Come?"
Loki ringhiò e si fermò nel mezzo della sala. "Organizzeremo una trappola."
"Una trappola?" Unicamente allora Thor si mise in piedi e lo raggiunse. Posò le mani sulle spalle dell'altro, le dita forti piagate da certo e mille battaglie. "Dimmi."
L'altro sollevò gli occhi nei suoi e stranamente non protestò per quel contatto. "Aspetteremo che loro la trovino e ce ne impossesseremo nel momento in cui si rivelerà."
"Caleremo su di loro. Non avranno possibilità di salvezza."
"Sei la mia ultima speranza, Thor.” Disse l’altro. “Non deludermi."
 
***
 
"Puoi sentire anche la Gemma che non è ancora uscita allo scoperto?" Phil era accoccolato sul petto di Clint e, nonostante fosse esausto, non riusciva a dormire. "Sapere dov'è?"
"No." Il ragazzo aveva il braccio attorno alle sue spalle e di tanto in tanto posava un bacio sul capo dell'altro. "Eppure è una sensazione strana. So che è attiva, lo avverto. Tuttavia non sono in grado di vederla."
"La Gemma della Realtà... Forse non puoi vederla proprio perché distorce la realtà. Però, se la trovassimo... Con quattro Gemme saremmo invincibili."
"Quattro Gemme su sei. Tempo. Anima. Potere. Realtà..."
"Secondo te qual è la più potente di tutte?"
"Credo si eguaglino e allo stesso tempo siano tutte deboli, allo stesso modo, finché non sono unite."
"Sono opposte e si completano solo quando sono insieme." Phil strofinò il naso sul suo collo. "È molto romantico."
"Oh, sì." Il ragazzo piegò la testa per baciargli la fronte. "Molto. “
"Tu come sei entrato in contatto con la tua Gemma?"
"Stavo scappando dall'orfanotrofio. Ero terrorizzato, ma volevo andare via, lasciandomi tutti alle spalle. Mi stavo chiedendo cosa ci fosse di sbagliato in me e negli altri, perché non riuscivo a capire il motivo del loro rifiuto verso di me---Poi ho sentito questo calore nel petto. Ho visto qualcosa venirmi incontro, un uccello o qualcosa di simile." Clint prese un sospiro. "E i miei occhi hanno cominciato a vedere."
"Dovevi essere molto spaventato. Quanti anni avevi?"
"Quattordici." Clint gli baciò di nuovo la sommità della testa. "Volevo soltanto capire."
"Come hai fatto poi?" Sollevò il viso per guardarlo. "Tony all'inizio era spaventatissimo e ci ha messo mesi per capire come usarla."
"Io l'ho usata al circo. Leggevo le anime della gente. O meglio." Lui scrollò le spalle. "Sentivo quel che volevano vedere. Così potevo sempre dare loro gli spettacoli migliori."
"Ma puoi anche difenderti e attaccare no?" Si mordicchiò le labbra. "Insomma... Quelle frecce che crei possono anche uccidere, no?"
"Non lo so. Non ho mai fatto nulla per ferire fisicamente una persona... Prima che Loki mi controllasse."
"E dopo?"
"Poi Loki non aveva bisogni che combattessi."
"Cosa ti faceva fare? Solo guardare?"
"Unicamente guardare."
"Quel tizio dev'essere un mostro..." Phil gli accarezzò teneramente il viso. "Sei al sicuro ora. E quando tutto sarà finito, magari anche la Gemma scomparirà."
"Chissà." Il giovane gli baciò le labbra. "Possono scomparire davvero?"
"In realtà non lo so." Inclinò appena il viso. "Io spero lo facciano. Non credo portino nulla di buono."
"Sono egoiste. Vogliono unirsi e spingono al limite lo spirito di chi le ospita."
"Non è solo per questo. Insomma, pensaci! Loki le vuole per se e se dopo aver sconfitto lui, venisse qualcun altro? E dopo ancora qualcun altro? Dovreste passare la vita a difendervi!"
"Lo so. Fino a che uno di noi non diverrà un nuovo Loki e ucciderà gli altri, per avere il potere dell'Infinito."
Corrucciò le sopracciglia. "Nessuno di voi lo farebbe mai! Voi non siete come Loki, tu non lo sei. Troveremo il modo di sbarazzarcene. Steve ha detto che le Gemme si manifestano nelle armi. Forse, se le chiudessimo da qualche parte, uscirebbero da voi..."
"Certo, si manifestano in esse e prendono forma tangibile." Gli diede ragione Clint. "Ma è molto più di così. Si aggrappano al cuore ospite. Sarà come togliere una dose. " Spiegò. "E alla fine ci corromperanno."
Phil lo fissò sorpreso. "Spiegati meglio, per favore."
"Le Gemme sono come cristalli di droga. Non puoi vivere senza di esse, dopo esserne venute in possesso e se ti lasci condizionare da quella che hai, soccomberai al loro desiderio di riunirle, costi quel che costi, in nome del Potere dell'Infinito."
"Quindi... Ad ognuno di voi potrebbero venire manie omicide per ottenere il potere? Davvero?"
"Sì. Occorrerebbero anni. Loki ha quella Gemma da decadi."
"Oh... Okay, almeno abbiamo il tempo per organizzarci." Dondolò appena il viso, poi, pensieroso. "Quindi non è neanche colpa sua, è come se la Gemma lo controllasse, no?"
"Lui dice di non esserne controllato." Rispose il circense. "Tuttavia credo che usarla per tutti questi anni abbia accelerato il processo."
Annuì. "Capisco... Se troviamo il modo di liberarci delle Gemme potremmo aiutarlo."
"Sempre che sia possibile."
Phil annuì di nuovo, chinandosi poi a baciarlo. "Troveremo una soluzione tutti insieme."
"Ne sono sicuro." Sussurrò lui, sulle sue labbra.
Sospirò di piacere, approfondendo subito il bacio, accarezzandogli il viso a punta di dita.
"Ti amo, Phil."
Il ragazzo spalancò gli occhi, incredulo. "Dici davvero?" Riuscì a balbettare parecchi secondi dopo.
"Dico davvero." Annuì l'altro, sorridendo.
Gli occhi di Phil sembravano brillare. "Non me lo aveva mai detto nessuno..."
"E io non ho mai trovato nessuno cui dirlo." Il circense lo abbracciò stretto e lo baciò con foga, con ardore e amore.
"Ti amo anche io." Bisbigliò, stringendosi forte a lui e rispondendo ai baci con entusiasmo.
"Grazie per avermi salvato."
"Tu hai salvato me, direi che siamo pari." Sorrise e gli si appoggiò contro. "Buonanotte."
"Buonanotte." Clint gli accarezzò lentamente la schiena, coprendo di baci la fronte e le palpebre "Fai sogni d'oro."
 
***
 
Tony alzò la testa dal libro di storia. La lezione, che come al solito non catturava il suo interesse, divenne un ronzio di sottofondo in un angolo della testa. Socchiuse le palpebre, chiedendosi per quale motivo lungo la sommità della testa e sul collo ci fossero quelle striature di brividi e camminate di pizzicorii. Steve, che in quelle due settimane aveva cominciato a riprendersi, sbatté gli occhi e strinse le dita sulla penna biro. Si girò verso Phil, dopo aver occhieggiato a Stark, dietro di loro. "C'è qualcosa di strano." Lo avvisò. "Non so cosa. Ma c'è."
"Strano?" Chiese l'altro distrattamente, prendendo alcuni appunti, attento alla lezione.
"Qualcosa che si muove." Spiegò il Capitano. "È una presenza."
A quella frase, Phil spostò gli occhi su di lui. "Loki?"
"No. Non credo. Non lo so."
"È come un richiamo." Intervenne Tony, dal posto dietro di loro. "Dalla biblioteca."
"Biblioteca?" Girò il viso per guardare Tony. "Loki potrebbe essere qui? Ora?"
"Potremmo chiederlo al nostro bidello di fiducia." Questo, al momento, era il lavoro che Fury aveva proposto a Clint: gavetta, studio serale e forse, forse sarebbe anche potuto entrare come matricola nello S.H.I.E.L.D. Forse.
"Volete uscire ora? Mancano ancora venti minuti alla fine."
"Venti minuti non sono una eternità." Disse Steve. "Possiamo aspettare."
Phil annuì. "Lo sentite ancora?"
"Sì. E non mi sembra di percepire pericolo. Solo questo richiamo."
"Okay, speriamo non sia pericoloso, però."
"Nel caso." Tony serrò il pugno e le nocche brillarono, metalliche. "Sappiamo come difenderci."
"Contieniti per favore."
"Dai, era soltanto un po'di sbruffoneria."
Phil sospirò appena e quei venti minuti passarono lentamente, anche troppo. Alla fine scattarono tutti in corridoio a cercare Clint.
Questi, con la sua divisa azzurro stinto e scopettone alla mano, già li attendeva fuori dall'aula. "Non è Loki." Li rassicurò. "È la Gemma Della Realtà."
"Cosa?!" Phil spalancò gli occhi. "È qui a scuola? Dove?"
"Nella biblioteca."
"Andiamo a controllare, allora!"
Aprirono la porta e la biblioteca non era affatto una biblioteca. Era un susseguirsi di corridoi e strade di pensiero, filamenti luminosi, percorsi della Mente, Orrore e Bellezza. Era un luogo dove la Realtà si mostrava in ogni piega e ansa, che fosse buona o cattiva, vera o falsa, sottolivelli e sovrastrutture, sopra e sotto, destra e sinistra. Era l'ingrandimento della Realtà vista al Microscopio della vita, sezionato, studiato, in continua crescita nel suo continuo deperire.
"Che diavolo..." Phil afferrò la pistola nascosta dietro la schiena. "Che succede?"
"Benvenuti." La Voce divenne Carne, il Verbo mutò in Membra. Apparve loro un Uomo di Sapienza, dagli occhi scuri che solcavano le acque torbide del mondo, dal mento aguzzo e i capelli corvini. Indossava vesti preziose e un lungo mantello spiegava le ali dietro la sua schiena. Un gioiello a guida di occhio poggiava sul suo petto. "Strange." Esalò Tony. "Stephen Strange. Il bibliotecario."
Phil spalancò gli occhi e la bocca. "Oh mio Dio..."
"È sempre stata qui..."
"Come abbiamo fatto a non accorgercene?"
"Semplicemente." Stephen si avvicinò, rapido come il pensiero. "Ho tratteggiato i contorni di una realtà in cui la Gemma non era nelle mie mani."
"Ecco perché sfuggivi al mio sguardo." Disse Clint. "Perché non potevo vedere la tua Anima con chiarezza."
Phil osservò attentamente l'uomo. "Perché ti nascondevi?"
"Attendevo che foste pronti."
"Pronti a cosa?"
"Ad affrontare Loki. Tutte i pezzi sono riuniti ora sulla scacchiera."
Confuso, il ragazzo guardò gli amici. "Credi davvero che siamo pronti? Loki è potente e sa come usare la Gemma."
"E voi anche." Stephen incrociò le gambe e parve sedere, così fluttuando, sulla corrente stessa del pensiero. "E fra voi c'è chi può portare il carico delle Gemme senza venirne corrotto."
"Vuoi dire che non si possono eliminare?" Istintivamente Phil strinse le dita di Clint.
Il circense strinse la sua mano di rimando, per infondergli sicurezza. "Possono essere rese inattive. Ma devono essere assopite una per una."
"E chi potrebbe farlo?"
Stephen si voltò verso Stark. Questi serrò le palpebre, colpito da una sferza di pensiero tanto potente da intorpidirgli il cervello. "Firme." Sussultò. "Le Gemme hanno firme specifiche. Non sono colori imbellettati. Sono stringhe numeriche."
"Stringhe?" Spalancò gli occhi. "Quindi dovrebbe farlo Tony?"
"Tuttavia servirebbe un catalizzatore." Continuò Iron Man. "O meglio, un contenitore. Qualcosa che trattenga le Gemme. Tutte insieme."
"Tipo una scatola?" Phil spostò gli occhi sul bibliotecario. "E dove la prendiamo?"
"Non una scatola." Disse Strange. "Una persona." Completò Steve per lui, indovinando i suoi pensieri.
"Una persona?! Siete impazziti? Volete dare le Gemme ad una sola persona?"
Clint guardò Strange negli occhi. Come colto da un pensiero si girò verso Phil e l'iride e la sclera si illuminarono di un accecante bagliore viola. "No..." Mormorò.
"Esatto, no! Non potete dare in simile potere ad una sola persona. E se volesse conquistare il mondo?"
"Tu non lo faresti." Fu il sussurro inudibile di Clint. "Tu non lo faresti."
Phil girò gli occhi sul compagno, confuso. "Cosa?"
"Le Gemme si sono riunite in un luogo." Stephen, più rapido del pensiero, gli fu accanto. "Attorno ad una persona."
Il ragazzo spostò gli occhi dall'uno all'altro. "Che... Che vuol dire?"
"Che sei tu quella persona." Rispose Strange.
Phil sbatté gli occhi, uno, due, tre volte. "Io?" Li guardò confuso. "Io cosa? No-- non voglio quelle cose!"
"Dovrai tenerle unicamente per permettere al tuo compagno di assopirle."
"E poi? A me che succederà?"
"Nulla." Gli promise Stephen. "Niente di male."
"E tu che ne sai?" Guardò Strange. "Cosa mi accadrà?"
"Nulla." Ripeté lui. "Non ti accadrà nulla."
"E le Gemme dovrò tenerle io?"
"Esattamente. Avrai le Sei Gemme dell' Infinito. Saranno tue. Cercheranno di controllarti."
"Ma ho visto la tua Anima." Disse Clint. "Non succederà."
Lo sguardo del ragazzo divenne spaventato. "Potrei distruggerci il mondo?"
"Se tu avessi in cuore un simile desiderio, le Gemme avrebbero un appiglio da cui poter propagare la loro potenza distruttiva. In te, tuttavia, non cova alcun pensiero negativo."
"E se io non volessi farlo?"
Strange lo fissò a lungo e i suoi occhi cercavano a fondo dentro di lui, nelle pieghe più profonde del suo essere -Era un potere che esulava dalla Gemma di cui era in possesso, assai diverso da quello di Clint. Era uno scrutare quasi tangibile, quasi l'essenza di Stephen si fosse annidata direttamente nel suo cuore.
Il ragazzo si ritrasse spaventato e provò a dire qualcosa, ma nessun suono abbandonò la sua bocca.
Clint intrecciò le dita alle sue, pressando il palmo contro la sua pelle. In un istante, avvertito quel grido di paura, l'armatura aveva avvolto il corpo di Tony ed uno scudo era apparso tra le mani di Steve. Il bibliotecario non disse una parola, tuttavia permise ad un sorriso di affiorargli alle labbra. Un sorriso compiaciuto e per nulla sorpreso. "Non ti preoccupare. Non voglio farti del male."
Ma l'altro lasciò la mano del compagno e indietreggiò ancora. "Cosa vuoi?"
"Comprendere la tua paura."
"Ho paura di essere corrotto e distruggere il mondo!"
"Non accadrà. Non sarai solo."
"E se non fossi in grado di controllare il potere delle Gemme? Che succederà?"
"Allora il mondo potrebbe cadere nel buio."
Gli occhi del ragazzo divennero ancor più grandi. "Quindi da me dipende il futuro del mondo? Non mi state chiedendo troppo?"
"Se non fossi sicuro che le tue mani sono in grado di reggerlo e così le tue spalle e così il cuore, non te lo chiederei."
"Mi date troppa fiducia! Io non credo di poterlo fare. Perché non lo fa lei?"
"Io non posso." Ammise Strange. "Io posseggo in me troppo potere. Le Gemme se ne nutrirebbero. Potrei voler fare del bene e con questo desiderio, distruggere tutto quel che esiste."
"Quindi... Non posso fare neanche del bene?"
"Non sono forze adatte per il bene. Né per il male. Sono forza pura e creano il caos primigenio della creazione."
"Quindi io sono neutrale? Perciò posso tenerle?"
"Tu sai discernere bene e male. Sai che l'uno può portare all'altro e che la vita non è mai un unico binario in una sola direzione."
Phil sospirò e abbassò il viso. "...Va bene. Ma devi promettermi che non succederà niente a nessuno."
"Te lo prometto."
"Dopo che le Gemme saranno silenti." Domandò Steve. "Cosa accadrà?"
"Nulla." Rispose Strange. "Niente accadrà. Se il mondo non verrà toccato dalle Gemme, continuerà a vivere senza che la loro sparizione lo coinvolga."
Phil alzò gli occhi sull'amico. "Non c'è possibilità per Steve di tornare a casa?"
"Potresti decidere di agire." Stephen tornò a guardare Coulson. "Usare la Gemma Del Tempo per ricondurlo agli anni della sua vita. Farlo, tuttavia, metterebbe a rischio la tua anima."
"Perché? Lo farei a fin di bene!"
"Ne sono certo." Stephen annuì. "Ma permetteresti alle Gemme di legarsi a te. Usare le Gemme significa permettere loro di entrarci nel cuore."
Phil guardò Steve risoluto. "Se vuoi tornare a casa lo farò, penserò poi alle conseguenze."
"Non metterai a rischio la tua vita per me."
"È una decisione che spetta a me. È casa tua, la tua vita!"
Tony lanciò uno sguardo al Capitano, che sviò i suoi occhi. Strange accennò alla porta. "Vi ho sconvolto più di quanto poteste sopportare. È meglio che andiate."
"Dobbiamo radunare le Gemme prima che io le abbia?" Chiese Phil già alla porta.
"Sì." Rispose Stephen. "Tutte."
Annuì. "Grazie." Una volta fuori prese un respiro e afferrò la mano di Clint. "Cosa devo fare?" Chiese in un bisbiglio.
Il circense lo guardò negli occhi e qualunque cosa avesse da dire gli rimase appesa sulle labbra. "Phil..."
Portò gli occhi nei suoi. "Ho paura."
"Lo so." L'altro gli accarezzò la mano. "Lo so che hai paura."
"Cosa devo fare?" Richiese.
"Devi fare ciò che senti di fare."
Sollevò un sopracciglio. "È questo il tuo consiglio? Segui l'istinto?"
Clint girò la testa e si umettò le labbra. "Io so che puoi farlo." Disse. "L’anima è adatta."
"Vorrei un consiglio dal ragazzo che ha detto di amarmi, non dalla Gemma!"
Clint serrò i denti e la rabbia, la frustrazione gli vibravano in corpo. "Fallo." Disse infine.
"Si può sapere che ti prende?" Chiese arrabbiato e confuso.
"Ho paura." Ammise lui."Perché sei l'unico che può far finire tutto questo, ma non voglio buttarti nella tana del lupo. Non voglio che ti accada qualcosa."
"Hanno detto che non mi accadrà nulla.... Così mi metti ancor più paura!"
"Sarai percosso e attraversato da---Da un quantitativo di energia come non se ne vedeva dai tempi del Big Bang!"
Phil spalancò gli occhi. "Così mi spaventi, non mi aiuti!"
Il circense si stropicciò gli occhi, mentre la campanella ruggiva sopra le loro teste. Passò la mano tra i capelli, quindi scosse la testa. "Mi dispiace "
Gli poggiò le mani sulle spalle. "Hanno detto che non è pericoloso e mi fido. Ma ho bisogno di te e della tua forza. Non lasciarmi, ti prego."
"Non potrei mai lasciarti." Clint gli sorrise, per poi cogliere ai lati degli occhi i primi, schifati fremiti di ragazzi e ragazze incappati in una intimità troppo strana anche per loro. "Vai in classe." Sussurrò. "Ti aspetto."
"Almeno un bacio?"
"Non possiamo qui."
Corrucciò le sopracciglia. "Perché?"
"Mormorano troppo." Bisbigliò lui. "Sento il loro astio."
"Chi?" Si girò. "I ragazzi? Che ti importa? Io e te siamo più importanti."
"Hai ragione." L'altro lo avrebbe persino baciato, accordandosi ai suoi desideri, se non fosse arrivato il professor Pym a dirgli di sbrigarsi.
Phil lo afferrò prima che se ne andasse e gli scoccò un veloce bacio sulla guancia. "A dopo."
"A dopo. E ti prego, non pensare troppo a quel che è successo." Clint gli strinse le dita. "E ricorda sempre che ci sono io con te."
Annuì. "Grazie." Lo guardò andar via piegando le labbra in una smorfia. Poi si girò e, invece di andare a lezione, chiamò Isabelle chiedendole di venire a prenderlo a scuola.
"Cosa succede?" Domandò lei, non appena il figlio fu entrato in macchina.
"Mamma è a casa? Devo parlare con entrambe."
"Sì, è a casa. È successo qualcosa di grave?"
"Abbiamo trovato l'ultima Gemma." Si mordicchiò le labbra e strofinò le dita tra loro, nervosamente. "Parliamone a casa."
Isabelle socchiuse le palpebre. Strinse le labbra, quindi annuì, non emettendo un suono, un singolo suono per tutta la durata del viaggio.
A casa, il ragazzo si sedette tra le due donne, spinte accanto a lui. "Abbiamo trovato la Gemma della Realtà. È del bibliotecario della scuola." Iniziò, stringendo le mani di entrambe le donne -Ricercava il loro calore per rassicurarsi e far smettere il tremore delle dita.
Victoria strinse le dita del figlio contro il palmo. "Perché sei così spaventato?"
"Ecco... Lui ha detto che le Gemme possono essere controllate e neutralizzate da un... Anima neutra e incorruttibile."
Una scintilla di comprensione illuminò gli occhi della donna. "Stava parlando di te."
Il ragazzo annuì. "È come se le Gemme avessero sempre cercato me..." Sospirò, stringendo le mani a quelle delle donne. "Strange ha detto che non è pericoloso e che non mi accadrà nulla se non userò le Gemme ma... Volevo rimandare Steve nel suo tempo ma, se lo faccio, le Gemme potrebbero corrompermi e rischio di distruggere il mondo."
Isabelle accarezzò il volto del figlio, scuotendo piano la testa. "Deve esserci un modo. Un altro modo."
"Non c'è." Scosse la testa e le spalle caddero sotto un peso invisibile. "Clint è terrorizzato e lo sono anche io ma... Devo liberare gli altri dalle Gemme prima che diventino come Loki."
"Parleremo con Fury. Troveremo qualcosa di diverso. Una soluzione che non ti coinvolga."
"Non c'è un'altra soluzione!" Saltò su. "Ho bisogno del vostro appoggio per farlo, vi prego!"
"Avrai sempre il nostro appoggio." Lo rassicurò Victoria.
"Me lo promettete? Io... Sono davvero terrorizzato di poter distruggere il mondo."
"Mi fido del tuo cuore." Isabelle gli posò una mano sulla spalla. "So che è forte. Più forte di qualunque Gemma."
Phil cominciò a tremare e si strinse forte alle due donne. Sentiva il corpo vibrare, il cuore scalpitare impaurito e si chiese, per l'ennesima volta in vita sua, quando avrebbe potuto avere una vita normale.
"Andrà tutto bene." Victoria gli accarezzò i capelli. "Andrà tutto bene, bambino mio."
"Non mi lasciate, non mi lasciate!"
"Non lo faremo. Saremo sempre qui per te."
Phil passò quella notte e le successive insonni, abbarbicato al corpo di Clint, pensando e rimuginando su quello che sarebbe stato il suo futuro. Di giorno, invece, preparavano piani e strategie per sconfiggere Loki e liberare Thor. Ad una settimana dal ritrovamento della Gemma della Realtà, i ragazzi erano nel posto più isolato che avevano trovato, pronti a tendere la trappola. "Allora! Clint attirerà l'attenzione di Loki, quando lui e Thor si presenteranno, mentre Tony e Steve distrarranno Loki, Clint e io libereremo Blake. Domande?"
Clint alzò la mano. "Loro." E indicò Tony in armatura e Steve in divisa. "Come fanno ad attivare i fenomenali poteri cosmici?"
Phil sollevò un sopracciglio. "Pensavo avessimo già superato questa fase!"
"Non è una fase! È una curiosità!"
Sbuffò. "Clint devi solo liberare Blake come hai fatto con me. Ci siamo esercitati, andrà bene."
"D'accordo." Steve, dall'alto dei suoi ventisei anni ricreati dalla Gemma, fece un sorriso paterno. Sistemò meglio lo scudo, quindi fece scrocchiare le vertebre del collo. "Se siete tutti pronti." Disse il circense. "Comincerei il mio spettacolo."
"Quando vuoi." L'altro gli sorrise e si mise in posizione, pistola alla mano.
Clint prese un respiro profondo e chiuse gli occhi. Il cuore formicolò della familiare presenza della Gemma, del suo potere che si sprigionava pizzicando lentamente ogni corda e fibra del corpo; serrò i pugni e drizzò di scatto la testa, gli occhi spalancati e l'iride e la cornea un incendio viola. Una vampa di calore si sprigionò dal suo corpo, un boato di energia che mise a nudo le Anime di coloro che gli erano accanto, toccando le corde dei loro spiriti. Gli occhi cercarono e cercarono e cercarono, fino a trovare, ecco, due Anime Antiche, di un Regno lontano...
Loki sentì uno sfrigolio dell'aria e subito abbandonò il suo trono. "Le Gemme sono riunite, ci stanno aspettando. Thor!" Chiamò. "Sarai il mio vincitore!"
Il Guerriero si erse nella sua potenza, nella sua forza. Sorrise di un sorriso tronfio, facendo fischiare il martello: zampilli di tuoni avvolsero il metallo, lampi fosforescenti esplosero nei suoi occhi. "Per te, Maestro."
"Non deludermi."
 
***
 
"Arriveranno? Sono quasi dieci minuti che aspettiamo."
"Arriveranno." Sentenziò Clint. "Li sento."
Loki e Thor comparvero davanti a loro in un vortice di vento. "Bene, bene, bene... Ecco i nostri eroi riuniti."
"È un piacere rivederti, Loki." Lo canzonò Clint, davanti agli altri con espressione risoluta e un ghigno divertito sulle labbra. "Thor." Lo salutò poi. "Fulmineo come sempre."
"Oh, il mio piccolo uccellino... Che ha tradito per un inutile ragazzino."
"Ho imparato che nella vita bisogna avere delle priorità."
"Dovevo essere io la tua priorità." Replicò l’uomo. "Io ti avrei dato il potere."
Clint strinse la mano destra a pugno e contrasse la mandibola. "Non mi avresti dato niente."
L'altro mosse lo scettro e fece spallucce. "Non lo saprai mai." Piegò il polso e fece partire un fascio di luce diretto al ragazzo.
Fra lui ed il giovane si frappose lo scudo del Capitano e, non appena Thor scattò in avanti brandendo il martello, un colpo di repulsore allo stomaco lo spinse indietro.
Phil mirò a Loki e gli sparò contro, facendo segno a Tony perché lo distraesse e desse il tempo a Clint di liberare Thor.
Iron Man scattò immediatamente in direzione dell'avversario, dirigendo un colpo al suo polso. Steve usò lo scudo per colpire Thor sotto il mento, quindi, spezzata la guardia fu la volta di Clint: con un dardo viola fra le mani saltò sul petto dell'uomo, conficcando la cuspide direttamente nel cuore.
"No!" Loki sentì il suo controllo su Thor spezzarsi e si gettò su Tony, colpendolo con lo scettro.
Iron Man accusò con un ringhio. Approfittando di quell'attimo in cui Loki gli dava le spalle, il Capitano scagliò lo scudo nella direzione del Dio.
Loki lo evitò all'ultimo momento e, con rabbia, si scagliò su Phil. "È tutta colpa tua!"
Ma quando provò a colpirlo, il bastone parve affondare in una piega di tessuto. Tirò e tirò e tirò fino a quando, ecco, il tessuto gli si avvolse attorno e lo scacciò via e Stephen Strange comparve davanti a Coulson.
Phil respirò di sollievo e Loki rimase sorpreso e basito. "L'ultima Gemma... Ti sei nascosto bene."
Stephen inarcò un sopracciglio e ad un suo gesto tralci di rovi agguantarono i polsi di Loki. "È giunto il momento, Loki Lingua D'Argento. Le Gemme e il loro Potere devono assopirsi."
"No! Potremmo conquistare il mondo insieme! Il potere delle Gemme è infinito."
"E così la loro malvagità."
"Potremmo fare tutto ciò che vogliamo! Saremmo delle divinità!"
Strange scosse la testa, con lentezza. Clint si avvicinò a Loki e aveva in mano un dardo viola, che brillava di dieci, cento, mille volute. "Non so se funzionerà, Loki." Ammise lui. "Se esiste ancora una parte di te che le Gemme non hanno toccato."
Loki assottigliò lo sguardo. "La Gemma non mi ha corrotto e il tuo potere non mi intaccherà."
"Allora sentirai soltanto un po' di solletico." Clint affondò la cuspide e nello stesso istante afferrò lo Scettro. Digrignò i denti, gettandolo, poi, verso Coulson.
Phil afferrò lo scettro mentre Loki urlava e si dibatteva e alla fine sveniva tra l'erba. Coulson osservò la Gemma e spostò gli occhi su Strange. "E ora?"
"E ora." Strange si sfilò il mantello. Esso divenne una pietra dai riflessi indistinti e, ad un suo gesto, lo Scettro di Loki mutò in una Gemma azzurro ghiaccio. "Sii forte, Phil Coulson."
Il ragazzo lo guardò confuso, sentendo poi l'aria sfrigolare intorno a lui.
Steve si fece vicino. Lo scudo brillò di una luce dorata, incandescente, mentre lo passava a Phil. La sua forma rimpicciolì, spogliandosi della divisa e tornando ad essere niente di più di un ragazzino di sedici anni.
Le Gemme vorticarono intorno al ragazzo, fermandosi poi a mezz'aria. Phil avvertì dei brividi freddi lungo la schiena e spostò subito gli occhi su Clint, impaurito.
"Andrà tutto bene." Il circense tese la mano, per intrecciare le loro dita. "Ci sono io con te." Thor, nella forma di Donald Blake, si inginocchiò dinanzi a Coulson, porgendogli una Gemma rosso sangue. Stark, già libero dall'armatura, stava scrivendo stringhe di numeri su un piccolo marchingegno costruito nei giorni precedenti.
Il ragazzo strinse le dita alle sue e chiuse gli occhi, accogliendo il potere delle Gemme. Si aggrappò alla mano del compagno e pensò a Isabelle e Victoria, a Tony e Steve e sentì la paura volare via.
Clint strinse le dita e sul palmo apparve una Gemma viola, ricolma di fumi e volute. La passò a Coulson, sorridendo al suo indirizzo. "Ci sono quasi!" Esclamò Tony. "Ci sono quasi!"
"Manca la tua, Mister." Gli ricordò Steve. "Coraggio."
Phil aprì gli occhi con un sorriso. "Ce la faccio, prenditi il tempo che serve."
Stark annuì. Ma i dati erano già finiti ed elaborati. Gettò un'occhiata all'armatura di Iron Man e prese un respiro, le dita sospese sopra i tasti. Una volta inibita, lui sarebbe stato unicamente... Tony. Niente missioni. Niente notti passate a sconfiggere i cattivi. Tutto ciò che aveva di speciale sarebbe scomparso in uno schiocco di dita.
"Tony?" Phil lo fissò confuso. "La tua Gemma." Disse, alzando una mano verso di lui.
L'altro guardò lui, quindi l'armatura. E agli occhi di Phil, che tutto vedevano, colsero l'ingarbugliarsi della sua anima e cose che mai aveva detto a nessuno, insicurezze, domande che mai aveva rivelato.
Il ragazzo sorrise. "Tony non hai bisogno della Gemma per essere speciale. Tu sei un ragazzo straordinario, lo eri molto prima di diventare Iron Man."
Steve gli si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla. "Coraggio, Mister. Ti aiuto io." Stark prese un respiro profondo e, una mano in quella di Steve e la Gemma scarlatta nell'altra, arrivò davanti a Coulson. "Se lo dici a qualcuno ti ammazzo." Rise, sghembo.
"Scherzi? Lo dirò a tutti." Rise l’altro, accogliendo anche l'ultima Gemma.
Il potere gli esplose nelle vene.
 
Potresti fare qualsiasi cosa, ora. Qualsiasi. Potresti piegare il mondo. Renderlo migliore. Tutti si inchinerebbero a te. Potresti uccidere Hitler. Potresti migliorare il futuro. Puoi fare tutto ciò che vuoi.
 
Phil chiuse gli occhi e strinse maggiormente le dita di Clint.
 
Non farò nulla di ciò. Pensò tra se e se.
Perché? Basterebbe alzare una mano. Saresti più potente di Loki. Più potente di Strange.
 
Si morse le labbra a sangue.
 
Non migliorerei il mondo, lo distruggerei solamente e io devo proteggerlo. Voi non siete nulla.
Noi Siamo Tutto. Principio. Fine. Alfa. Omega. Tutto. Materia e Antimateria. Spirito e Carne. Religione e Ateismo. Tutto. Pace. Guerra. Passato, presente, futuro. Ciò che è stato, che è, che sarà. Negativo. Positivo. Tutto. T U T T O.
Non siete amore. Non siete amicizia. Non siete le cose più importanti per me!
Puoi riportare il tuo amico nel suo Tempo. Usare il Potere per vendicare colui che ami.
Steve vuole rimanere per Tony e la vendetta è un sentimento che non mi è proprio. Arrendetevi, non riuscirete a corrompermi.
 
L'urlo delle Gemme si schiantò contro le ossa e deflagrò dentro il cuore. Seccò il sangue, assottigliò le vene, soffocò il respiro. Poi venne un singulto d'aria e Coulson fu investito da una scarica di energia tale da soffocare ogni voce. Tony, codificando ogni firma, era stato in grado (con l'aiuto di Jarvis e di alcuni strumenti appartenuti ad Howard) di calibrare delle energie contrarie in grado di annullare le Gemme.
Phil cadde in terra a causa del contraccolpo e sentì un forte dolore squarciargli il petto.
Subito Clint lo strinse tra le braccia e gli passò le mani tra i capelli. "Phil?" Lo chiamò. "Phil, mi senti?"
Il ragazzo aprì appena gli occhi e si portò le mani al viso. "Dio, mi scoppia la testa!"
Clint si permise un gemito di sollievo -Aveva il cuore in gola e una voglia incredibile di saltare. Donald Blake si chinò sul corpo senza sensi di Loki. Spinto da un istinto che covava ancora dentro il cuore, gli mise una mano sulla spalla e lo scosse lievemente.
Phil si lasciò cadere tra le braccia di Clint nello stesso momento in cui Loki apriva gli occhi.
"Come ti senti, Loki?" Gli domandò il medico -E nel riflesso degli occhi, nella piega della bocca atteggiata ad un preoccupato sorriso, si coglievano ancora le tracce di Thor.
"Ho un gran mal di testa... Che è successo?"
"Tu cosa ricordi?"
Scosse la testa. "È come se avessi un vuoto...” Guardò l’altro, confuso. “Tu chi sei?"
Donald spalancò gli occhi, avvertendo un nodo crollare nella trachea. "Mi chiamo Donald. Sono un medico." Gli rispose. "Ricordi chi sei?"
Quello socchiuse appena gli occhi. "...No."
"Non ti preoccupare." Thor lo fece sedere, con attenzione. "Mi prenderò cura io di te."
Loki piegò le labbra in un mezzo sorriso. "Non so perché, ma mi fido."
Phil respirò piano. "Perché mi sento così male?"
"Sei appena stato soggetto ad uno dei poteri più grandi di sempre." Sorrise Clint. "È normale."
"Portami a casa."
Clint lo aiutò a mettersi in piedi. Strange era sparito, lasciando dietro di sé unicamente una traccia di profumo di Agamotto.
 
*****
 
"Clint, sei pronto?" Phil si affacciò in camera che già indossava il completo giacca e cravatta nero, con la spilla dello S.H.I.E.L.D. appuntata sul taschino. In quei tre anni si era alzato in altezza e le spalle si erano allargate grazie agli allenamenti massacranti a cui lo sottoponeva May -E a cui lui stesso sottoponeva Clint, come suo AS. "Sei emozionato?" Gli si avvicinò con un sorriso -Ancora ricordava il giorno in cui aveva ricevuto il distintivo: era stato l'agente più giovane mai avuto in agenzia con appena dodici anni.
Clint sistemò i bottoni del polsino sinistro. Si guardò allo specchio, sistemando le punte dei capelli corti biondo-castano, quindi sistemò il colletto della camicia. "Sono debitamente terrorizzato."
"Perché mai? Devi solo prendere il distintivo e stringere la mano al Direttore. Sarai fantastico!"
"E se poi scopro che, ah ah, è una candid camera e devo tornare a fare il bidello?" E il bidello Clint lo aveva fatto per tutti quegli anni, finendo il turno e poi sgobbando alla scuola serale e poi riprendendo la mattina dopo per allenarsi. Phil lo aveva trovato più di una volta addormentato sullo scopettone o sopra un libro. Nessuno, allo S.H.I.E.L.D. avrebbe mai scommesso un soldo bucato su di lui.
"Non ti fidi di me per caso?" Sorrise e gli baciò le labbra.
Clint gli baciò la bocca, poi lo strinse a sé, forte delle braccia rese più dure e solide per l'allenamento -E sì che all'Agenzia lo consideravano un fenomeno da baraccone, lui che invece delle regolamentari pistole usava arco e frecce. "Mi fido."
"Allora non hai nulla di cui aver paura." Lo strinse. "Ti amo."
"Ti amo anche io, Phil." Il giovane gli baciò la fronte. "Grazie."
"Non ho fatto nulla."
"Mi hai dato una seconda possibilità. E la speranza di una vita vera."
"E tu l'hai data a me."
Clint gli accarezzò il viso, le nocche a sfiorare gli zigomi e la curva del mento. "Sei così bello..."
"Oh, tu lo sei molto di più." Gli baciò di nuovo le labbra. "Tutte allo S.H.I.E.L.D. vogliono accalappiarti."
"Oh, davvero? Beh, povere loro. Io appartengo soltanto ad una persona."
"Davvero? E saresti pronto ad impegnarti a vita con questa persona?"
"Sì." Clint gli strinse le dita. "Sì."
Il ragazzo sorrise e gli strinse le mani, abbassandosi poi in ginocchio. "Vuoi sposarmi, Clint?"
"Lo voglio." Esalò l' altro, i cui occhi increduli rilucevano di felicità inaudita. "Lo voglio."
Phil estrasse dalla tasca una scatolina viola da cui prese una fascetta nera cui era disegnata una freccia viola in controluce.
"È bellissimo, Phil..."
"Meno di te."
"Ti amo più della mia stessa vita."
"Anche io." Gli infilò l'anello e si alzò, stringendolo tra le braccia. "Mi hai reso la persona più felice del mondo."
"Sono così fortunato ad averti al mio fianco." Clint lo baciò con foga, aggrappato alle sue labbra e alle sue spalle. "Mi sento rinascere accanto a te."
"Anche io, amor mio, anche io."
"Oggi allora doppio festeggiamento. Inizia la mia vita come Agente e, cosa più importante, è l'inizio della mia vita al tuo fianco. La nostra vita."
"La nostra vita che sarà meravigliosa."Replicò Phil con un enorme sorriso.
"Sarà la nostra avventura più grande. E sono pronta ad affrontarla grazie a te."
Phil gli accarezzò teneramente il viso. "Allora partiamo. Non vedo l'ora di affrontare la vita con te."
"Inizia la missione."
Il ragazzo intrecciò le dita a quelle di Clint e gli sorrise: ora iniziava il vero viaggio e lui non vedeva l'ora di scoprire ciò che li aspettava.

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