Racconti di Giugno

di Destyno
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Onmund ***
Capitolo 2: *** Hadvar e Ralof ***



Capitolo 1
*** Onmund ***


“Da dov’è che vieni?” Chiese distrattamente Balthazar all’indirizzo di Onmund, afferrando una fetta di torta dal tavolo della mensa. “Non me lo ricordo.”

Il mago si voltò a guardarlo, incuriosito, ma il volto del bretone non tradiva nessuna espressione, mentre masticava la torta.

“Whiterun.” Mormorò poi. “Sono- cioè, ero un Manto Grigio.”

“Eri?”

“Mi hanno diseredato.”

Balthazar gli lanciò un’occhiata incuriosita.

“Addirittura? Sapevo che in genere i nord non sono degli amanti della magia, ma-”

“Sono cose private.” Lo interruppe Onmund, stizzito. “E mi piacerebbe se non risollevassi più l’argomento.”

L’altro mago serrò la bocca, e per il resto della cena non parlò più.

 

“Prendi.”

Onmund strinse istintivamente le mani attorno al piccolo oggetto che Balthazar gli aveva spinto contro con malagrazia.

“Ehi, fa’ più piano - aspetta, ma questo…”

Non c’erano dubbi: era lo stesso amuleto che sua madre Fralia gli aveva regalato quando aveva dodici anni, lo stesso che aveva venduto a Enthir quando, quasi quattro mesi dopo il suo compleanno e dodici dopo il suo arrivo all’Accademia, la sua famiglia ancora si rifiutava di riconoscere la sua esistenza.

Lo stesso amuleto che poi aveva rimpianto, quando suo fratello Avulstein era venuto a trovarlo, nello zaino un libro di magia che aveva comprato da Farengar e la bocca piena di scuse per non essere arrivato in tempo per il compleanno di suo fratello.

(Più di tutto, era stato il modo in cui l’aveva chiamato “fratello” che gli aveva fatto stringere il cuore in una morsa e fatto volare il pensiero a quel cimelio che aveva venduto)

“Come hai fatto a riaverlo? Enthir mi-”

Balthazar aveva la pelle sporca di giorni di viaggio, una ciocca di capelli che era stata bruciata via e una nuova ferita sulla guancia, in via di guarigione, e la faccia di una persona scocciata che voleva solo andare a dormire.

“Enthir mi doveva un favore, e mi ha pagato con questo. Prendilo e basta.”

Come scoprì in seguito, Enthir non doveva niente a nessuno, e Balthazar aveva dovuto combattere contro un negromante pazzo in una caverna sperduta nel Pale, perdendo anche due settimane di lezioni nel processo, per riavere l’amuleto.

 

Quando Onmund bussò alla porta della camera di Balthazar, indossava l’amuleto della sua famiglia. Gli occhi di Balthazar ci indugiarono sopra, prima di parlare.

“Che c’è?”

Il nord gli porse un piccolo taccuino.

“Sono i miei appunti delle ultime lezioni, quelle a cui sei mancato. Cerca di riportarmeli per la prossima settimana, ne ho bisogno per gli esami.”

Balthazar lo prese, quasi con cautela.

“Uh- io-” tossì, senza alzare lo sguardo dal taccuino “-io non credevo - grazie.”

“Non c’è di che.”

 

Quella sera Onmund sussurrò qualcosa, e il suo piatto sporco si animò e si mise in fila con gli altri, verso la cucina, a lavarsi da solo.

Poi si girò, cercando Balthazar.

Lo trovò, ancora seduto, a mangiare un’ultima fetta di crostata alle more. Si sedette vicino a lui, in silenzio.

“Mia madre ha avuto quattro figli. Due maschi, Thorald e Avulstein, e due femmine, Olfina e-” si interruppe, la gola improvvisamente secca, legata in un nodo che lo soffocava, “- e Freira.”

Balthazar rimase in silenzio, posando silenziosamente la fetta di torta, così Onmund continuò a parlare, senza guardarlo.

“Olfina e Avulstein sono rimasti a Whiterun. Thorald è morto lontano da casa, in una guerra che ancora miete vittime. E Freira… Freira non c’è più e basta. Forse - no, niente forse. Non c’è mai stata nessuna Freira.”

Onmund si voltò a guardare Balthazar.

“Spero che tu capisca la mia reticenza nel parlare della mia famiglia.”

Balthazar si girò a guardarlo, e gli mise una mano sulla spalla.

“Mi dispiace. Immagino che sia stato difficile.”

“Un po’ lo è stato, sì. Ma adesso sto meglio.”

“Posso - posso chiederti una cosa?”

Onmund annuì.

“Perché volevi indietro l’amuleto?”

Il nord sorrise, stringendo il medaglione nel palmo. Pensò al sorriso di Avulstein, al modo in cui lo difendeva dagli altri bambini che lo prendevano in giro per essere troppo alto e troppo magro, agli abbracci di Olfina e ai biscotti che gli aveva cucinato il giorno prima della partenza.

Pensò ai suoi genitori, freddi e distanti, che parevano sul punto di strappargli quel medaglione dal collo.

Ma non era per loro che lo portava.

“Perché c’è ancora qualcuno che mi vuole bene.”

 

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Capitolo 2
*** Hadvar e Ralof ***


Fu un istante.
Hadvar era lì. Anche il drago era lì, maestoso e terribile, la Fine del Mondo incarnata.
Hadvar era lì.
Ralof non aveva avuto il tempo di pensare. Non ne aveva avuto nemmeno bisogno.
Un istante, o forse mille anni dopo, erano dentro la fortezza, l’inferno e le grida degli uomini morenti dietro di loro, dietro una porta chiusa.
Si era reso conto di avere Hadvar stretto a sé. Non lo lasciò andare.
Non parlarono, per un po’. Rimasero lì, uno stretto accanto all’altro, contro una porta di legno, a riprendere fiato.
“Ralof.”
Lo lasciò andare immediatamente, ed ebbe paura. Forse anche Hadvar l’ebbe, mentre gli porgeva la mano per aiutarlo a rialzarsi.
Forse non avrebbe dovuto prenderla. Forse non avrebbe dovuto salvarlo, e forse non avrebbe dovuto più vederlo come Hadvar, perché adesso era un soldato dell’Impero, e lui era un Manto della Tempesta, e il mondo era in fiamme e adesso c’era la guerra e non potevano più passare le loro estati a far saltare sassi sul fiume di Riverwood e ad osservare le stelle sul tetto della segheria, le mani intrecciate e guance rosse d’imbarazzo.
Forse Ralof non avrebbe dovuto rimpiangerli.
“Mi manchi.”
Un sussurro, niente di più.
Hadvar tenne la sua mano tra le sue per molto più del necessario, e quando si rialzò non la lasciò andare.
“Anche tu.”
Scappiamo, avrebbe voluto proporre Ralof, o Hadvar, o entrambi, scappiamo da questa follia e torniamo a far saltare sassi sull’acqua e a guardare le stelle e il sole che sorge.
Forse avrebbero avuto un futuro. Forse sarebbero riusciti a valicare il confine, viaggiare per Tamriel, vedere i deserti di Elsweyr, e Valenwood, e la Montagna Rossa.
Forse si sarebbero sposati, una cerimonia veloce, dolce, e avrebbero comprato una casetta da qualche parte, tra i boschi. Forse avrebbero potuto tenere la guerra lontano da loro per tanti, tanti anni, finché i loro capelli non sarebbero diventati bianchi e i loro denti marci ma ancora generosi di sorrisi.
Ma forse no.
Forse sarebbero morti in guerra, tra il sangue, il fuoco e le urla, lontani l’uno dall’altro. Forse avrebbero trovato la morte l’uno sulla lama dell’altro.
Forse sarebbero stati catturati, e giustiziati come disertori.
Sarebbe potuto succedere. Lo sapevano entrambi.
Eppure non si lasciarono andare.

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