Crossing

di Ria
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Before stepping toward the crossing ***
Capitolo 2: *** The doorway for the crossing ***
Capitolo 3: *** Waiting on middle of crossing ***
Capitolo 4: *** Toward the crossing: first road ***
Capitolo 5: *** Toward the crossing: first road (part II) ***
Capitolo 6: *** Toward the crossing: first road (part III) ***
Capitolo 7: *** Again on center of crossing ***
Capitolo 8: *** Stop for a minute on the crossing ***
Capitolo 9: *** Fighting on middle of crossing ***
Capitolo 10: *** Toward the crossing: second road ***
Capitolo 11: *** Toward the crossing: second road (part II) ***
Capitolo 12: *** Toward the crossing: second road (part III) ***
Capitolo 13: *** Toward the crossing: back to first road ***
Capitolo 14: *** Toward the crossing: third road (intro) ***
Capitolo 15: *** Toward the crossing: third road ***
Capitolo 16: *** Toward the crossing: third road (part II) ***
Capitolo 17: *** Toward the crossing: third road (part III) ***
Capitolo 18: *** Toward the crossing: third road (epilogue) ***
Capitolo 19: *** Toward the crossing: fourth road ***
Capitolo 20: *** Toward the crossing: fourth road (part II) ***
Capitolo 21: *** Toward the crossing: fourth road (part III) ***
Capitolo 22: *** Toward the crossing: fourth road (part IV) ***
Capitolo 23: *** Toward the crossing: in the middle of two roads ***
Capitolo 24: *** Toward the crossing: in the middle of two roads (part II) ***
Capitolo 25: *** Toward the crossing: fifth road ***
Capitolo 26: *** Toward the crossing: no way road ***
Capitolo 27: *** Toward the crossing: no way road (part II) ***
Capitolo 28: *** Toward the crossing: sixth road (intro) ***
Capitolo 29: *** Toward the crossing: sixth road ***
Capitolo 30: *** Toward the crossing: between six and seven ***
Capitolo 31: *** Toward the crossing: between six and seven (part II) ***
Capitolo 32: *** Toward the crossing: seventh road ***
Capitolo 33: *** Toward the crossing: seventh road (part II) ***
Capitolo 34: *** Toward the crossing: seventh road (part III) ***
Capitolo 35: *** Toward the crossing: eighth road (prelude) ***
Capitolo 36: *** Toward the crossing: eighth road ***
Capitolo 37: *** Toward the crossing: eighth road (part II) ***
Capitolo 38: *** Toward the crossing: eighth road (epilogue) ***
Capitolo 39: *** Toward the crossing: ninth road (prelude) ***
Capitolo 40: *** Toward the crossing: ninth road ***
Capitolo 41: *** Toward the crossing: ninth road (part II) ***
Capitolo 42: *** Toward the crossing: ninth road (part III) ***
Capitolo 43: *** Outside the crossing ***
Capitolo 44: *** In the middle of crossing ***
Capitolo 45: *** In the middle of crossing (part II) ***
Capitolo 46: *** In the middle of crossing (part III) ***
Capitolo 47: *** In the middle of crossing (part IV) ***
Capitolo 48: *** In the middle of crossing (part V) ***
Capitolo 49: *** In the middle of crossing (part VI) ***
Capitolo 50: *** Outside the crossing II ***
Capitolo 51: *** Suspended on the crossing ***
Capitolo 52: *** Outside the crossing III ***
Capitolo 53: *** Suspended on the crossing II ***
Capitolo 54: *** Toward the Crossing: tenth road ***
Capitolo 55: *** Toward the Crossing: tenth road (part II) ***
Capitolo 56: *** Toward the Crossing: tenth road (part III) ***
Capitolo 57: *** Toward the Crossing: tenth road (epilogue) ***
Capitolo 58: *** End of the Crossing ***



Capitolo 1
*** Before stepping toward the crossing ***


Lo sfrigolio delle scariche elettriche si spense lentamente, echeggiando tra le pietre e i tronchi distrutti come un mormorio. Pai portò indietro il braccio di scatto, iroso, il fiato grosso e il viso pallido coperto di polvere e sudore; sbirciò appena con la coda dell'occhio alla sua sinistra:

« Ohi… Sei ancora vivo? »

Sentì un lamento e un'imprecazione, seguiti dal rumore del pietrisco che Kisshu smosse alzandosi:

« Vivo sì – mugugnò massaggiandosi la testa – ma non so quanto sano… La mia spalla sta facendo uno strano rumore. »

Si udì un altro scoppio sordo e un forte spostamento d'aria e terra li investì. Kisshu inveì più forte:

« Quell'idiota di Eyn non può andarci più piano?! »

Berciò coprendosi il viso col braccio e guardò torvo la grossa fumata nera che si stagliava in lontananza, contornata dal bagliore rossastro di un incendio. Taruto, a poca distanza da loro, fluttuava a mezz'aria respirando con affanno:

« Accidenti…! – tossì rauco – Questo fumo è soffocante…! »

Sentirono un urlo di rabbia e videro una figura venire scagliata nella loro direzione, andando ad  incastrarsi in un enorme tronco semicarbonizzato.

« Eyner! »

Taruto gli corse incontro, reggendosi un poco il braccio destro da cui gocciolava un rivoletto di sangue, e si sporse nella crepa da cui spuntavano solo un paio di gambe pallide:

« Sei… Sei ancora intero Eyn? »

Kisshu e Pai si avvicinarono, mentre il ragazzo di nome Eyner si tirava faticosamente a sedere:

« Credo… Di sì, – mormorò – ma non mi aspettavo riuscissero a girarmi contro la mia stessa tecnica… »

La terra sotto i loro piedi tremò di colpo; il ruggito del fuoco trapassò l'aria e tutt'attorno il paesaggio sembrò implodere verso il punto in cui si concentravano le fiamme, dove si faceva sempre più nitido un piccolo punto di luce tersa e abbagliante: la luce si alzò lentamente, contrastando il rosso delle vampe col suo colore abbacinante e facendo stagliare netta contro di esse una sagoma scura, che rideva rozza e appagata.

« Merda…! »

Per una volta nessuno commentò il linguaggio di Taruto. I quattro ragazzi si lanciarono come furie verso la figura, i visi bianchi di terrore.

Non potevano permettere che fuggisse!

Kisshu sentì l'aria sibilare quando la fendette coi propri sai e il clangore della lama contro quella dell'avversario rimanere soffocata da un boato più cupo del fuoco.

« Non intrometterti ulteriormente, Ikisatashi. – sibilò la figura – Hai già imbrattato abbastanza il Suo nome con i tuoi comportamenti da blasfemo. »

Kisshu schioccò la lingua con fare sprezzante.

Rimase immobile col suo avversario, solo le braccia che sostenevano i sai che tremavano appena. Piantò le iridi ambrate in quelle celesti del nemico: queste lo trucidarono con rabbia gelida da dietro il filo di una scure, sfiorate da una frangia color dell'oro; a quella vista Kisshu digrignò d'istinto i denti, furente.

Com'era possibile che quella combinazione di colori gli fosse sempre causa di tracimazioni di bile?

« Intromettermi? – sibilò con un ghignò – A dire il vero pensavo di farti fuori. »

Spezzò la guardia avversaria e si rilanciò contro di lui nello stesso istante in cui i suoi compagni lo raggiungevano. Intravide anche i rinforzi nemici, ma gli ignorò: doveva solo pensare a riprendere la sfera che lui teneva in mano, all'istante.

Le lame cozzarono e stridettero nel fracasso dell'incendio e la terra tremò con più forza, come un pavimento che cede privato delle fondamenta. L'avversario di Kisshu sorrise sardonico:

« È inutile che insistiate. È destino, ora rimetteremo le cose a posto. »

Per tutta risposta Kisshu lanciò un urlo feroce e affondò con entrambe le braccia verso l'addome del rivale: l'arma a destra mancò la carne e la sentì opporre solo la lieve resistenza della stoffa, quella di sinistra invece impattò contro qualcosa di duro, ma non si trattava dell'ascia nemica.

La lama s'incastrò nella superficie liscia della gemma con un impercettibile scricchiolio; entrambi i contendenti si congelarono sul posto, ammirando la luce emanata dall'oggetto svanire di colpo, per poi vorticare come nebulosa bruma ed espandersi con altrettanta velocità.

« Ops. »

L'aria e le fiamme si spensero facilmente nemmeno fossero appartenute ad un fiammifero, e perfino il rumore delle vampate e delle scosse scomparvero.

E poi tutto conflagrò di nuovo.

Una luce insostenibile esplose avvolgendo tutti loro e una violenta pressione schiacciò i resti della vegetazione e li sbalzò lontano dalla minuscola e luminosissima sfera. Kisshu atterrò con violenza sul terreno nuovamente mosso dal sisma, rotolando per molti metri nel pietrisco che gli graffiava  ogni centimetro di pelle che riusciva a raggiungere, incapace di capire dove quell'energia lo stesse spingendo, dove fossero Taruto, Pai e Eyner, dove fossero i suoi avversari. Riuscì solo a percepire, più che a vedere, la sfera luminosa spaccarsi del tutto e disperdersi in ogni direzione in scie color arcobaleno.

Se non avesse rischiato di riempirsi la bocca di terra, avrebbe tirato giù una serie di parolacce degne di un portuale.

Era inevitabile.

Le persone con gli occhi azzurri e i capelli biondi gli portavano proprio male.

 

 

 

 

Cap.01 – Before stepping toward the crossing

               «It's been ages, my little pussycat!»

 

 

 

 

Ichigo

Ichigo mi senti?

 

"… Chi sei?

Io… Ti conosco?"

 

Una figura famigliare. Alta. Robusta.

Ma chi era non lo sapeva di preciso: le sembrava di avere un velo di fronte agli occhi, o di guardare attraverso delle lenti appannate.

Era sicura, però, di conoscere quella voce.

Calda.

Rassicurante.

Gentile.

 

"Tu…"

 

Quanto tempo, piccola mia.

 

"Chi sei?"

 

Le parve sorridesse con un po' di malinconia.

 

Ascoltami, Ichigo.

Ho poco tempo!

Ascoltami attentamente…

 

Lei voleva protestare. Dire che non avrebbe obbedito a nessuno senza un valido motivo.

Ma la sua voce…

Era così famigliare e confortante. Ed era profondamente preoccupata, piegata dall'urgenza.

Era vero.

Doveva ascoltare con attenzione.

Annuì appena e il campanellino al suo collo trillò argentino.

 

Dovrai essere forte, Ichigo.

Non scappare dalla sfida, anche se ti sembrerà difficile.

 

"Sfida? Quale sfida?

Ormai non devo più combattere nulla…!"

 

Dovrai.

Dovrai, mia piccola Ichigo.

Ma non aver paura, tu te la caverai.

Ricorda questo. Qualunque cosa ti diranno, qualunque cosa vedrai…

Io non sono lui.

E non sono Lui.

 

"Chi?

Chi non sei?"

 

Lui fece cenno di non interromperlo e insisté con più veemenza.

 

Affrontali, Ichigo!

 

Lo vide muovere alcuni passi verso di lei.

Anche da così vicino non era in grado di vederlo bene, sembrava avvolto da un'intensa fonte di luce che ne sfocava i contorni.

Lui la guardò qualche secondo. Le poggiò con delicatezza una mano sulla spalla e le posò un bacio sulla fronte, facendola rabbrividire.

Aveva delle labbra morbide, ma gelide come il ghiaccio.

O il fondo dell'oceano…

Buio e profondo…

Dove aveva già provato quella sensazione?

 

"Tu…"

 

Spero di riuscire a rivederti.

 

Di colpo scomparve, quasi fosse stato di fumo.

Attorno a lei tutto prese a scurirsi e apparve un'immagine ben definita, seppur incomprensibile.

Una piccola sfera di luce iridescente si sollevò in aria a decine di metri da lei, in alto, sempre più in alto; brillò, vibrò e pulsò, quindi si scisse in gocce che schizzarono in tutte le direzioni.

Lei voleva capire cosa stesse succedendo, dove stessero andando quelle piccole lacrime lucenti, ma la luce era troppo forte, tutto stava diventando bianco…

 

 

 

Quando la sua mano si abbatté sopra la sveglia, la scagliò sul pavimento, dove la poveretta rovinò con un secco rumore di plastica.

« Ichigo, tesoro! – la voce di Sakura, da dietro la porta, parve esasperata – Potresti evitare di fracassare un'altra sveglia? Ora alzati, farai tardi! »

La rossa mosse ancora il braccio che spuntava dalle coperte agitandolo a mo' di banderuola, e grugnendo fece capolino dalla sua tana, i capelli che si diramavano spettinati in tutte le direzioni possibili.

Si fregò gli occhi cisposi guardando fuori dalla finestra, un sole luminoso e il cinguettio degli uccellini che annunciavano un'altra bella giornata primaverile.

Si sentiva stordita, le era parso di aver parlato con qualcuno… Qualcosa di importante…

Si passò una mano nella frangetta e sbadigliò, probabilmente si era trattato solo di un sogno.

Un sogno…

Però ricordava la piccola e splendente luce che si era spezzata di fronte ai suoi occhi.

Era inevitabile, sapeva perfettamente cosa fosse.

Ci ripensò più e più volte, mentre cominciava a lavarsi e vestirsi. Tornata dal bagno lanciò il pigiama sul letto, indossò la biancheria pulita e si mise in piedi di fronte allo specchio verticale, pronta ad indossare la divisa; la sua mano reggeva già la gruccia, quando qualcosa attirò il suo sguardo.

Una voglia rosata, dall'insolita forma di un cuore con sopra due codine da gatto, le ammiccò dall'interno coscia. La rossa si corrucciò:

« Perché ho sognato la Mew Aqua? »

 

 

***

« Che cosa?! L'avete sognato anche voi?! »

Le amiche la guardarono gravemente, annuendo. Ichigo non replicò limitandosi a fissarle a bocca spalancata.

In quei tre anni aveva perso l'abitudine alle stranezze.

Ormai da tempo la squadra MewMew aveva smesso di combattere gli alieni, e sebbene lei e le sue amiche non avessero mai perso i poteri – come confermavano le loro voglie e come, almeno ogni quindici giorni, la rossa non dimenticava di far scordare a Ryou, inveendogli contro – non avevano più dovuto affrontare combattimenti o pericoli mortali di alcun genere.

Le cose avevano preso una tranquilla, banale e tanto desiderata piega di quiete: il liceo, la quotidianità con la sua famiglia, Masaya; perfino quel lavoretto part-time al Caffè, ormai divenuto per l'appunto soltanto un part-time, era continuato, ma nulla più di questo.

Ichigo scosse la testa con veemenza, facendo oscillare pericolosamente la sua crestina da cameriera:

« Insomma! – protestò miagolando – Ho cominciato il secondo anno solo qualche settimana fa, non posso occuparmi di altri problemi! »

« Ichigo, smettila di fare l'isterica, non sappiamo ancora se sia un problema. »

La rossa trucidò la mewbird con un'occhiataccia, a cui lei rispose con un'espressione di rassegnata superiorità.

Anche dopo tre anni l'amica riusciva a mandare Ichigo in bestia proprio come il primo giorno.

« E se invece fosse un grande, grandissimo problema?! »

La mora la ignorò, aggiustandosi dietro l'orecchio un ciuffo sfuggito allo chignon morbido in cui da qualche tempo legava i capelli, diventato troppo lunghi per le sue due solite crocchie.

« Magari è solo una coincidenza. »

Tentò di blandirla Retasu, seppur con poca convinzione. Ichigo le rivolse un mezzo sorriso, la dolcezza di quella ragazza era una delle poche cose che le impediva di dare in escandescenze.

« Forse abbiamo mangiato pesante? »

Ridacchiò Purin, ma la faccia delle altre non sembrò una propensione per dare credito a quella stupidaggine; sbuffarono in coro, anche se ormai la biondina era cresciuta abbastanza da arrivare alla loro altezza era rimasta la stessa discola un po' ingenua e, spesso, tutto ciò era stressante.

« Ma cosa stai dicendo? »

« Purin… »

« Io non credo alle coincidenze, comunque. »

Fu la nota lapidaria di Zakuro. Le altre quattro si sporsero verso lo schermo del portatile poggiato sul tavolo, voltandolo per vedere meglio la mewwolf: questa se ne stava seduta dall'altro lato del monitor, un'elegante stanza d'albergo alle sue spalle, tenendo il gomito puntellato su un tavolino e nascondendo il viso dietro la mano con fare pensieroso.

« Ormai ho imparato che certe cose non sono accidenti casuali. – continuò severa – E se si tratta di alieni, poteri e soprattutto, Mew Aqua, ancora meno. »

« Ma per quale ragione avremmo dovuto sognare la Mew Aqua? E per giunta tutte e cinque! – rincarò Ichigo allarmata – Sulla Terra non ce n'è più neppure una goccia, e quella che Kisshu e gli altri si sono portati via… Chissà a quante centinaia di anni luce si trova! »

« Forse abbiamo sognato la Mew Aqua, ma in realtà voleva dire qualcos'altro? »

Nessuna rispose a Minto, la cui frase fu coperta da grugniti pensierosi.

« … Forse dovremmo parlarne con Shirogane-san e Akasaka-san… »

« … Non so Retasu – fece Ichigo mordicchiandosi il labbro – del resto se fosse comparso qualcosa di strano ce l'avrebbero detto… Tirare in ballo la questione… »

« Hai paura si scopra qualcosa di inquietante, o semplicemente non vuoi immischiarti in un eventuale nuovo problema? »

Sibilò Minto. Ichigo le berciò contro, coda e orecchie che spuntavano di colpo da sotto la gonna e tra i capelli:

« Scusi tanto, sa, miss "vita-noiosa", io sarei contenta di starmene tranquilla! »

« Punto primo, la mia era una domanda serissima, non avresti bisogno di arrabbiarti in questo modo se non avessi la coda di paglia. – puntualizzò – Secondo, la mia vita va benissimo così. »

« Insomma, ora piantatela! »

« Retasu onee-chan ha ragione. – rincarò Purin – E tornando al discorso principale… Se preferite lasciar perdere secondo me si può anche fare: come ha detto Ichigo onee-chan, se stesse succedendo qualcosa Shirogane onii-chan e Akasaka onii-chan ce lo avrebbero detto sicuramente, quindi per il momento possiamo accantonare la questione. »

Le ragazze si guardarono qualche istante senza risponderle. Dopo un po' Zakuro sospirò:

« D'accordo. Se preferite così, per il momento lasciamo stare, ma teniamo tutte gli occhi aperti, intese? »

Tutte annuirono.

« A proposito! – Minto cambiò espressione e sorridendo radiosa si accostò allo schermo – Onee-sama, quando torni dall'America? »

« Partirò tra qualche ora. – sorrise la mora – Arriverò domani in giornata. Quindi ho preferito chiamarvi prima. »

Fece loro l'occhiolino e s'interruppe, chiamata da una voce perentoria che le parlava inglese; lei rispose con la sua solita pacatezza e il suo accento perfetto, quindi sospirando riguardò lo schermo:

« Devo andare ora. Finchè potrò terrò acceso il cellulare, per qualunque cosa teniamoci in contatto. »

« A presto, Zakuro-san! »

Lei sorrise alla rossa e spense il computer. Le ragazze fissarono ancora un po' lo schermo su cui ormai appariva solo la finestra vuota della chat room e si guardarono, ora più tranquille.

« Beh, domani sarà qui anche Zakuro-san. – sorrise Retasu – perché non ci concentriamo sul lavoro e ne riparliamo domani? »

Le altre annuirono più convinte. Il campanello del locale trillò, segno che qualcuno aveva aperto la porta, e mentre Purin portava via il pc le altre diedero il benvenuto ai clienti, dando il via ad un nuovo pomeriggio lavorativo.

Ma sì, non valeva la pena preoccuparti.

Era stato solo un sogno.

 

 

***

« Reta-chan, che c'è? Sei ancora nel mondo dei sogni? »

« Eh? »

La ragazza sbattè un paio di volte la palpebre, guardando confusa la sua interlocutrice.

« È da due minuti che te ne stai lì impalata! – protestò l'altra – Cosa c'è, hai una lettera d'amore nell'armadietto? »

Retasu, che teneva ancora le scarpe in mano, la guardò allibita e arrossì di botto:

« Ma che stai dicendo?! – pigolò, facendo a cambio con le scarpe da interno – Che stupidaggine! Stavo solo pensando…! »

Ridacchiò con fare nervoso e s'infilò le nuove calzature, la compagna che la guardava sospettosa sistemandosi sovrappensiero i capelli rosso acceso, tagliati a caschetto:

« Sarà… Ma sei rimasta dritta in piedi con le scarpe a mezz'asta per una vita, credevo ci fosse qualcosa di interessante. »

E mentre diceva così sbirciò nell'armadietto dell'amica, sbuffando delusa quando lo scorse effettivamente vuoto.

« Ayumi-chan, potresti non sbirciare tra le cose altrui? »

« Uffa! – chiuse lo sportello con un colpo secco – Mai una novità succosa! »

Retasu non commentò nemmeno e, sorridendo, si avviò con la compagna verso la propria aula.

Aveva conosciuto Ayumi l'anno precedente tramite il club di cucito della scuola ed erano diventate presto amiche. Retasu non ci avrebbe mai neppure sperato: Ayumi era una ragazza forte, dal carattere esuberante, forse a volte troppo aggressiva e diretta, ma proprio per questo ammiratissima dalla mewfocena, così timida e passiva; non pensava nemmeno lontanamente che quelle sue caratteristiche, la mitezza, la riservatezza, la troppa cortesia, fossero ammirate dalla rossa e che l'avrebbero spinta a ricevere in qualche modo la sua amicizia.

Retasu ne era felicissima, ancor più che Ayumi piaceva molto anche al resto delle sue amiche; si trovavano spesso ad uscire tutte assieme e a scuola avevano formato un bel terzetto con Ichigo, che frequentava lo stesso liceo.

« Aaah, i maschi di questa scuola sono proprio ciechi. »

Sbuffò la rossa strappando a Retasu un sorriso timido.

« Quell'armadietto dovrebbe essere pieno zeppo di lettere! »

« Ma cosa dici, Ayumi-chan. »

« È vero! – replicò con veemenza – Sei così carina e dolce! Dovresti ricevere una dichiarazione al giorno! »

« Ayu, stai delirando… »

Mormorò l'altra, scarlatta in viso. La rossa sospirò a fondo e, cambiando umore con la velocità che la caratterizzava, fece un sorriso beato prendendo a strusciarsi contro la spalla di Retasu:

« Del resto, meglio così, che dover eliminare una stirpe di idioti pronti a ronzarti attorno. »

Si stropicciò per bene contro la divisa della verde, che si limitò a sorridere in un misto di disagio e tenerezza; di sicuro, il frequentare Ayumi l'aveva resa un po' meno esitante, fino a qualche anno prima per un simile atteggiamento da parte di un'amica, sarebbe entrata nel panico.

« E così tutte le attenzioni e i dolcetti avanzati ad economia domestica di Reta-chan me li pappo io! – cantilenò strofinandosi anche contro il suo collo – Mmm, sei troppo brava in cose come quelle! »

« Eh eh, allora i prossimi dolci di Pan di Spagna li dividiamo, ok? »

« Sìì! – la strinse per le spalle – Ah, ma guarda che sorriso! Sei l'emblema della mogliettina! »

« Eh?!? »

« Ti prego, Reta-chan, sposami! »

« A-A-Ayumi-chan, che dici?! »

Quella sorrise di rimando senza scollarsi di dosso; pensava sul serio quelle cose di Retasu, ma era anche molto divertente prenderla un po' in giro.

« Sei così carinaaa! – trillò felice – E poi… »

Con un ghigno malefico le afferrò il seno con entrambe le mani, strappando all'amica uno strillo di sbigottimento.

« Guarda qui! Ehi, ma è cresciuto durante le vacanze! Ma come diavolo fai?! – si lamentò – Ho cominciato a mangiare le stesse cose che mangi tu, ma il mio è rimasto piatto come una tavola da surf! »

L'altra non rispose, rossa come un'aragosta e in apparente stato catatonico.

« Ayu, smettila di molestare Retasu! Le stai facendo venire un colpo. »

Le proteste di Ichigo sortirono il loro effetto, almeno in parte, e Ayumi sciolse la morsa attorno a Retasu, abbracciandole un braccio. La verde sorrise tirata alla mewneko, cercando di ignorare le facce attonite dei compagni di scuola che le fissavano.

Ayumi fece un cenno di saluto alla rossa e grugnì:

« Dovrò valutare anche il tuo, sai furbetta? – disse scurendosi in viso – Chissà che avete combinato tu e Aoyama-kun durante le vacanze primaverili… »

« Innanzitutto non sarebbero fatti tuoi, ma in ogni caso che ti salta in mente?! »

« Beh, si sa che quando succedono certe cose – replicò Ayumi con aria da esperta – le ragazze diventano più belle, sia nel viso che nel corpo. E il seno va - a - lievi - tar… »

Concluse canticchiando.

« Di che parlate? »

« Di Ichigo-chan e Aoyama-kun che arrivano in terza base. »

« Cosa?! Ichigo, e ce lo dici così?!? »

« Io e Masaya-kun non siamo arrivati proprio da nessuna parte!! – sibilò la ragazza a denti stretti, riuscendo a trattenere orecchie e coda per non si sa quale forza celeste – Moe! Miwa! »

La rossa fissò scandalizzata le sue due amiche di sempre, spuntate alle sue spalle. Sia loro che Ayumi la guardarono sospettose:

« Yanagida-chan, Honjo-chan, le credete? »

« Nemmeno un pochino Kotegawa-chan! »

« Avanti, dicci tutto Ichigo! »

« Ma vi giuro che non è successo nulla! – strepitò disperata – Davvero! Potete anche controllare, non ho nulla da nascondere, il mio seno è sempre uguale! »

« Per quanto immagino che a qualcuno possa interessare il suo sviluppo – tossicchiò una voce, congelandola sul posto – non credo sia il momento adatto, né il luogo per parlarne. »

La rossa si voltò lentamente, pallida in viso, e desiderò solo sprofondare:

« P-professore… »

« Anche perché sta per suonare la campanella, signorina Momomiya. – continuò l'uomo imperterrito, sistemandosi la cravatta – Vista la sua media di ritardi, non sprecherei l'opportunità di provare l'ebbrezza di essere al proprio posto, ad inizio lezione. »

Lei chinò la testa colpevole e bofonchiò un ; l'uomo superò il gruppetto e la campanella suonò facendo entrare tutti nelle rispettive aule.

« Giuro! – bofonchiò Ichigo al culmine della vergona, guardando le amiche che si trattenevano dal ridere – Giuro che me la pagherete, tutte e tre! »

La rossa s'infilò a testa bassa in aula seguita da Moe e Miwa, mentre Ayumi e Retasu scivolarono due porte più giù.

Retasu continuò a sorridere a disagio mentre Ayu sghignazzava:

« Prendere in giro Ichigo-chan è quasi cento volte meglio che prendere in giro te! »

« P-prendermi in giro? »

Mormorò Retasu; Ayumi la guardò:

« Ho esagerato? »

« B-beh, no… »

La rassicurò l'altra e la rossa le sorrise furba:

« Bene. E mi sembra che tu stia meglio. – ammiccò alla sua faccia confusa – Mi sembravi preoccupata stamattina. »

Retasu la fissò stupita e sorrise:

« Niente di che. – la rassicurò – Comunque, ora va molto meglio. Ti ringrazio. »

Ayumi sorrise e andò a sedersi.

La lezione incominciò e Retasu si mise diligentemente a prendere appunti, sebbene la sua testa scappasse ancora altrove con una certa facilità.

In effetti stava pensando a qualcosa quella mattina, una cosa che non aveva smesso di tormentarla dal giorno precedente, il sogno sulla Mew Aqua.

Aveva una strana sensazione al riguardo, ma vista la reazione che avevano avuto le altre, aveva preferito tenerla per sé.

Del resto, probabilmente avevano ragione loro, si trattava di un sogno e basta.

Ma Zakuro non ne sembrava convinta, e lei aveva grande fiducia nell'intuito della sua amica.

Non era solo il sogno in sé a preoccuparla, però, ma anche cosa aveva sognato.

Le altre avevano detto tutte di aver aperto gli occhi prima di vedere dove fossero dirette le luci; lei, invece, si era svegliata qualche istante dopo, abbastanza in ritardo per scorgere una delle scie luminose puntarle dritta contro e dissolversi contro il suo petto.

Il pensiero non le dava pace, perché solo lei? Forse era stato un altro caso e si era semplicemente svegliata con qualche minuto di ritardo?

Però come coincidenze cominciano ad essere un po' troppe…

Sobbalzò sentendo qualcosa di leggero colpirle la nuca e vide un foglietto ripiegato caderle sul banco; sopra c'era scritto "da Ayumi".

Si coprì con l'astuccio e aprì il foglietto.

 

Il pensiero di stamattina Non c'entrava con Shirogane, vero?

 

Retasu si mordicchiò il labbro leggendo, ma poi sorrise con tenerezza, Ayumi era sempre così premurosa nei suoi confronti.

Prese la penna e rispose subito sotto, ripassandolo dietro.

 

No, stai tranquilla. Lo sai, ormai è andata.

 

Retasu sapeva bene che a Ryou piaceva Ichigo; per la verità credeva che lo sapessero tutti, eccezion fatta proprio per la rossa.

Anche a conoscenza di questo lei, però, non era stata in grado di trattenere i suoi sentimenti.

Era successo poco prima del diploma di terza media, un bel pomeriggio soleggiato. Si erano ritrovati da soli al Caffè, Retasu non sapeva dire se per caso o se perché le amiche si erano accorte dell'agitazione che aveva da giorni e giorni e avevano intuito qualcosa; lei aveva aspettato il sedicente momento giusto, ma questo non era mai arrivato, e alla fine le parole le erano uscite da sole:

« So che tu vuoi bene già ad una persona! – ricordava la sua voce tremante, le gambe che sembravano pronte a cedere – Però… Però tu mi piaci. Mi piaci davvero. »

Non sapeva dire dove avesse trovato la forza di dirlo e restare poi immobile a fissarlo in quei meravigliosi occhi azzurri. Ryou l'aveva guardata in silenzio e lei aveva continuato:

« Non potrei… Non potrei starti vicino? »

La frase si era spenta in un soffio mentre lei aveva chinato il capo incapace di guardarlo ancora. Ryou non aveva risposto, ma le aveva accarezzato la testa gentilmente:

« Sai che non posso dirti di sì. – aveva sussurrato triste – Non sarebbe giusto. »

Le aveva sollevato il viso e le aveva sfiorato piano la guancia. A Retasu era parso che anche lui fosse teso e perfino triste:

« Anche io ti voglio molto bene, ma non è quello che mi stai chiedendo.  »

Lei aveva annuito. Capiva, certo che capiva, ma quella premura nei suoi confronti non faceva che aumentare l'affetto che provava nei suoi confronti, e allo stesso tempo le spezzava il cuore.

Non aveva potuto trattenere le lacrime, che lui aveva asciugato col dolcezza:

« Retasu… »

Lei aveva scosso la testa senza riuscire a dire altro; aveva pianto in silenzio per minuti interminabili e Ryou non si era mai allontanato, restandole accanto e confortandola finchè non si era calmata.

Anche nei giorni successivi era stato fin troppo dolce e apprensivo con lei; Retasu non se n'era certo stupita, sapeva bene che dietro la lingua velenosa del biondo si nascondeva una persona molto gentile. Se n'era innamorata anche per quello.

Ma tutte quelle premure non la facevano stare che peggio.

Per giorni non aveva fatto che piangere di nascosto, attenta a non farsi scoprire, e quando le lacrime erano finite era rimasta solo la tristezza. Aveva tentato di nasconderla, ma era difficile farla ad Ichigo e alle altre, e tra di loro anche Ayumi.

« Noi siamo amiche, no?! – era esplosa un giorno tornando dalle attività del club – Quindi devi dividere con me sia le cose divertenti che i tormenti! »

Alla fine aveva dovuto confessare tutto e doveva ammettere che, dopo, si era sentita più leggera.

Poco a poco la delusione si era assopita e, ormai, poteva dire di aver dimenticato il suo primo, deludente vero amore(*). Certo, Ryou non le era ancora indifferente, continuava a considerarlo una magnifica persona e – a pensarci arrossiva – un bel ragazzo, ma era un amico; un amico speciale che sentiva legato da un profondo affetto da parte di entrambi, ma solo un amico.

Retasu sentì un altro colpetto alla nuca e aprì di nuovo il messaggino di Ayumi.

 

Bene. Sai, ogni tanto diventi malinconica quando ne parliamo, sono sempre preoccupata.

 

Sai, sono fatta così.

 

Lo so. Ed è mio compito preoccuparmi.

 

Retasu rise, finendo quasi per essere beccata dal professore. Si nascose abbassando la testa fino a sfiorare il quaderno col naso, rossa in viso, e quando ebbe campo libero rispose all'amica.

 

Grazie . Comunque stamattina ero solo un po' addormentata, niente di che.

 

Le dispiaceva non poter essere sincera fino in fondo, ma era fuori questione che coinvolgesse Ayumi nelle MewMew; ancor più che potevano esserci nuovi pericoli all'orizzonte.

 

Mmm non starai pensando ad un nuovo ragazzo, vero ^-^?

 

Retasu arrossì nel giro di un secondo.

 

Ma che ti salta in mente ?!

 

Perché, scusa? Non sarebbe male ;3!

 

Beh, non c'è nessuno che mi piace!

 

Potresti guardarti attorno, no?

 

Non ne ho intenzione, e poi sono negata per queste cose!

 

Retasu sospirò, si era proprio intestardita su quel discorso!

 

Vorrà dire che ci guarderà Ayu-chan per te ;)

 

Ma cosa dici?!

 

^w^ tanto so bene qual è il genere di Reta-chan! Un bel ragazzo (quello chiunque ;P!), alto e magari più grande ^^. E ovviamente, molto intelligente, a te piacciono i secchioni xP!

 

Perfino da dietro Ayumi potè vedere Retasu diventare bordeaux.

 

Ci ho azzeccato, ci ho azzeccato! xD!

Scommetto che stai già pensando a qualcuno, vero ?

 

Assolutamente no!

 

E irritata Retasu appallottolò il foglietto e lo nascose nei più profondi recessi del suo astuccio, ponendo fine alla questione.

Detestava come Ayumi la conoscesse così bene, non era giusto! Ed era imbarazzante leggere i propri gusti messi così, in bella vista su due righe striminzite.

Sono così… Ovvia?

Sbuffò, ora le ci sarebbe voluta tutta l'ora per tornare a concentrarsi. Tutta colpa di Ayu e delle sue proposte sciocche!

Mai le avrebbe detto, però, che in realtà a qualcuno in realtà aveva pensato.

Sicuramente era più alto di lei, all'epoca la superava di almeno tutta una testa! E non credeva si fosse rimpicciolito, con gli anni.

Intelligente? Molto, forse troppo.

L'età non era in grado di indovinarla, ma era quasi certa fosse più grande, forse anche per quella sua compostezza…

Rigidità è il termine più adatto. Glaciale.

A quel pensiero dovette fermarsi. Si diede della stupida, perché stava arrossendo.

Perché le veniva in mente quell'immagine?

Un sorriso. L'unico che gli avesse mai visto fare.

Un sorriso vero, gentile.

Retasu sentì l'ennesimo colpettino alla nuca e sbuffò, aprendo con stizza un nuovo bigliettino.

 

Poi mi dici il nome, eh?

 

In tutta risposta anche quel biglietto finì fagocitato dall'astuccio.

Doveva solo calmarsi, in quel momento era solo agitata e quindi i pensieri le si stavano confondendo.

Non aveva alcun motivo di pensare a Pai, non ci aveva mai pensato. Inoltre, ora lui e gli altri si trovavano in chissà quale punto lontanissimo dello spazio, quindi cosa importava?

Si sforzò di seguire la lezione e, con suo sommo piacere, presto tutte le sue preoccupazioni furono assorbite dalle formule di chimica.

Giusto.

Era così che doveva essere la sua vita.

Calma e noiosa, ma serena.

 

 

***

 

« Quindi, niente? La solita vacanza calma e noiosa? »

« Sì, la solita vacanza calma e noiosa! – sbottò Ichigo ormai al limite della sopportazione – Se ora avete finito di farmi il terzo grado su me e il mio ragazzo, io vorrei passare a salutarlo prima di andare al lavoro! »

E scappò da Moe e Miwa, che la salutarono con un'aria per nulla soddisfatta in volto.

Accidenti ad Ayumi!

Per colpa sua era tutta la giornata che le altre non facevano che tormentarla su lei e Masaya, volendo a tutti i costi scoprire qualche risvolto piccante della loro relazione, e non c'era stato santo di far capire loro che non c'era stato proprio alcuno sviluppo in tal senso.

Non ci credo! era stata la frase più gettonata.

La rossa sospirò, credevano forse che a lei facesse piacere? Eppure era proprio così.

Stavano assieme ormai da più di tre anni, eppure…

« Ichigo! Sono qui! »

La ragazza sobbalzò e fece un gran sorriso, scorgendo Masaya in tenuta da kendo salutarla all'uscita della palestra. Gli corse incontro come un cagnolino, deliziandosi nell'ammirarlo in divisa: più passava il tempo, più trovava quel ragazzo bellissimo(**)!

« Com'è andata la giornata, piccola? »

« Ora che ti vedo, benissimo!

Sorrise lei felice; lui ricambiò radioso, con aria timida:

« A te? Tutto bene? »

« Il solito… Hai il lavoro al Caffè oggi? »

« Già – bofonchiò lei cupa – Sarò anche da sola con Minto e Purin… Zakuro-san è ancora in viaggio e Retasu oggi ha le attività del club. »

« Capisco. – le diede un buffetto sulla testa, facendola miagolare – Cerca di non innervosirti troppo, ok? »

Lei annuì ridacchiando. Masaya abbassò la mano e si ritrovarono a fissarsi negli occhi; erano vicinissimi ed Ichigo credette le stesse per esplodere il cuore:

« Masaya… »

Il moro sorrise, le prese il mento con due dita e le diede un tenero bacio a fior di labbra, che durò nemmeno un minuto.

« Ora devo andare. – disse quando si allontanò, dispiaciuto – Ti chiamo appena finisco, ok? »

Lei annuì, l'aria ancora trasognata, e lo guardò finchè non scomparve oltre la porta della palestra, poi si avviò. Non ebbe percorso nemmeno cento metri, che l'entusiasmo per quel bacio lieve era già svanito, lasciandola col tormento che da tempo l'attanagliava.

Certo, arrivare in terza base…!

Erano senza dubbio perdutamente innamorati l'uno dell'altra, Ichigo non aveva dubbi; e Masaya era dolce e premuroso, non le faceva mai mancare il suo affetto, o le sue attenzioni. Sì, Ichigo poteva tranquillamente dire di essere molto, molto felice assieme a lui.

Però…

« Possibile che – sbottò tra sé e sé – non ci sia mai una scossa di passione?! »

Quando avevano preso a frequentarsi erano ancora abbastanza piccoli da potersi limitare a qualche effusione e a degli abbracci, ma ormai erano al liceo! E non c'era mai stata una volta, una sola singola volta, in cui si fossero spinti appena più in là. Nemmeno un bacio degno di tale nome.

Lei non voleva certo che le saltasse addosso, ma non negava che le sarebbe piaciuto molto vedere che la voleva, o che quantomeno lasciasse intuire un minimo di desiderio.

Ichigo da parte sua – anche se a pensarci si sentiva un po' maniaca – voleva veramente compissero un passo avanti, ma non sapeva più come fare a farglielo capire, il ragazzo sembrava impermeabile a qualunque messaggio subliminale, in quel senso.

La rossa sospirò, a fare quei pensieri si sentiva in colpa. Masaya era praticamente il ragazzo perfetto, eppure lei trovava di che lamentarsi.

E poi, lamentarsi di cosa? Non era forse bello avere un fidanzato che non cercava di allungarle le mani sotto i vestiti, che si preoccupava di ogni sua esigenza e la trattava come una principessa?

Era fantastico. Almeno a parole.

Ma, e negarlo a sé stessa stava diventando sempre più difficile, non le bastava solo la dolcezza; voleva qualcosa in più, serviva qualcosa in più, e non credeva di poterlo nascondere ancora a lungo.

Soprattutto da quando…

I suoi pensieri si bloccarono così come i suoi passi; qualcosa l'aveva attratta, non un suono, ma una sorta di vibrazione nell'aria che faceva impazzire il suo sesto senso felino. Attaccato come sempre alla sua cartella, il piccolo Masha si alzò in volo e si ingrandì:

« Ichigo, Ichigo, che succede piii? »

« Non lo so… »

Mormorò lei. Gli occhi nocciola sembravano calamitati verso un punto oltre gli alberi alla sua destra, nel centro del parco: lì, nell'indefinito azzurro acceso del cielo, l'aria vibrava come quando fa molto caldo, senza un'apparente ragione.

« … Vieni con me, Masha. »

 

 

***

 

« Che succede Kei? »

« Non lo so – rispose il bruno allarmato – fammi verificare. »

I sensori dei computer sembravano impazziti: nel laboratorio era esplosa una cacofonia di bip sincopati, mentre i monitor vibravano disturbati da un curioso effetto neve.

« Una fonte di energia enorme, eppure così disorganizzata…! – Keiichiro era sorpreso e spaventato come non lo era da tempo – Non riesco a capirne la natura… Aspetta! »

Un monitor parve rianimarsi e mandò un segnale preciso, ormai ben noto a Ryou e Keiichiro. Il biondo impallidì:

« Non è possibile…! »

« Non ci sono errori. – replicò Kei con tono grave – Dobbiamo avvisare subito le ragazze! »

Ryou annuì:

« Contatta le altre, io cerco di rintracciare Zakuro, sperando sia già atterrata. »

 

 

***

 

Ichigo impiegò meno di cinque minuti a raggiungere la sua meta. Il piccolo Masha continuava a svolazzarle accanto, pigolando spaventato, ma lei non badò ai suoi richiami acuti.

Di fronte a lei, invisibile se non da quella posizione, c'era quello che sembrava un gigantesco tunnel di luce bianca; era impossibile capire se fosse piatto o andasse in profondità, talmente era luminoso, e Ichigo ebbe l'impressione che nessuno si fosse accorto della sua presenza.

Forse riesco a vederlo per il sesto senso che mi da il DNA del Gatto Selvatico?

« Ichigo! Fa paura, Ichigo! Andiamo via, piii! »

Lei, però, non era spaventata.

Alzò lentamente un braccio e l'allungò di fronte a sé: voleva toccarlo, voleva toccare quella superfice opalescente, capire…

« Non te l'hanno insegnato che non si toccano le cose che non si conoscono? »

La mewneko buttò un urlo mentre una mano pallida sbucava dal tunnel bianco e le si serrava sul polso; indietreggiò terrorizzata tirandosi dietro il resto che era attaccato a quella mano, che in quel momento aveva preso a ridacchiare:

« Sei sempre la solita, Ichigo. »

Lei sgranò gli occhi a quella voce, guardando la figura di uomo che spuntava galleggiando dal nulla; cascò quasi per terra dallo stupore, mentre lui si spostava un po' la frangia dei capelli verde scuro, diventati più lunghi.

« K… Kisshu! »

« Quanto tempo, mia dolce micina! »

 

 

 

 

 

 

(*) mi rifiuto di considerare il tipo della biblioteca come un "amore" -.-""! innanzitutto, perché Retasu piange troppo e non è giusto ç_ç*! Secondo… Vabbè dai in due giorni Reta s'è già ripresa xP!

(**) uuugh, che fatica scrivere di cose simili @__@""!!

 

 

 

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~

 

Ooh yes, i'm coming back xD!! Sì lo so devo ancora finire GG&ET, ma questa storia mi è venuta in mente qualche gg fa e mi ha presa molto, così… Ho buttato giù una tramina veloce ed eccomi ^^!

Kisshu: ma che bello -.-""

Ichigo: tremo per la gioia -.-""…

Ryou: esaltante -_-"!

Cattivi ç_ç"! Kisshu, dai almeno tu sii dalla mia parte! Guarda che bella noticina c'è nelle info della ficcy ç_ç!

Kisshu *si illumina pericolosamente*: leggo "lime" o sbaglio?

^w^

Kisshu *ghigno*: autrice maniaca…

Si, ma tu sei contento ^w^!

Ichigo: un secondo, che intenzioni hai?! *voce tremolante di panico*

mmm… non sono ancora certa, per il momento lasciamo rating arancione e lime come nota, poi vedremo se alzare il tiro ^w^+!

Ichigo: un secondo, un secondo, in cosa vuoi coinvolgerci vecchia maniaca >\< ?!?

Minto: io non voglio saperne niente -\-!

Retasu: m-m-m-ma-a-a c-c-c-he-che… @\\@!

Zakuro: …

Purin: perché siete tutte nervose?

Ragazze: non preoccuparti, tu sei risparmiata, sei piccola -_-""…

A dire il vero nella storia ha 14 anni, quindi… Taruto, mi raccomando eh ^w^!

Taruto: che °\°?!

Ragazze: ma che intenzioni hai >\< ?!?

*le ignora* mi raccomando gente, lasciate tanti tanti tanti commy ^w^! Questa storia mi da un sacco di buone vibrazioni, spero vi piaccia ^^! E che vi piaccia il mio nuovo pg, personalmente io lo adoro x3!

Eyner: parli di me per caso ^^"?

*occhioni a cuore* sììì! Eyn-kun, vieni qui! Come sei carinoooo!!

Pai: ma se è comparso per due righe…

Taci, ghiacciolo! Avranno modo di apprezzarlo nei prossimi capitoli!

Pai: … (meglio non commentare)

*ancora abbarbicata ad Eyner* ci vediamo presto! Un bacioneeee!!

 

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Capitolo 2
*** The doorway for the crossing ***


Buongiorno a tutti!! Ecco l'esempio dell'universitaria scansafatiche xD, che non avendo nulla di meglio da fare aggiorna ^^!

Kisshu: non so se essere felice perché forse così finiamo prima o triste…

*Ria lo centra sul mento con una gomitata* ok, già che sono qui non mi perdo in sproloqui, vi lascio alla lettura mata ne~!

 

 ~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~

 

 

 

Cap.02 – The doorway for the crossing

               Love at first violet sight             

 

 

 

 

« K… Kisshu! »

« Quanto tempo, mia dolce micina! »

La rossa si lasciò rimettere dritta dalla presa forte dell'alieno senza opporre alcuna resistenza, incapace di reagire. Lo continuò a scrutare esterrefatta mentre lui, ridacchiando, terminava il suo voletto e le atterrava vicino.

Era cambiato enormemente in tre anni, e allo stesso tempo era come se non fosse trascorso più di un giorno dalla sua partenza. Era diventato un po' più alto e più robusto, più uomo; i capelli sul collo e la frangia erano più lunghi, anche se portava sempre due codini sopra le orecchie. Ma  il sorrisetto canzonatorio, che le stava rivolgendo in quel momento, e i magnetici occhi ambrati che non la mollavano di un millimetro, erano identici all'ultima volta che li aveva visti.

« Come mai quelle guancette rosse? – la canzonò malizioso – Sei così contenta di vedermi? »

Ichigo divenne ulteriormente rossa e scostò la mano da lui:

« C-che ti inventi?! Piuttosto, che diavolo ci fai qui?! – sbottò  e indicò il passaggio da cui era spuntato –  E-e quello che…! »

Si zittì ritrovandosi il ragazzo a meno di due centimetri da lei:

« Ehi, e mi saluti così dopo tanto tempo? – le sussurrò prendendole il mento tra le dita – E dire che io ero così impaziente di vederti… »

« Che fai?! – protestò sentendo l'altro suo braccio spostarsi attorno alla sua vita – Mollami subito Kisshu! »

Lui non parve intenzionato a farlo e le accarezzò la guancia col pollice. Ichigo si mordicchiò il labbro cercando di sottrassi al suo sguardo, ma senza riuscire a liberarsi dalla sua stretta; né le gambe né le braccia le davano retta, era paralizzata come una falena con la luce.

Ma è sempre stato così?! Accidenti…

Coi problemi sentimentali che aveva, essere guardata con tanto desiderio era spiazzante.

« Sei diventata proprio carina sai? »

La rossa avvertì la mano scendere dalla guancia alla sua spalla e alla schiena, mentre l'altra scivolava pericolosamente sul fianco.

« Cos…?! »

Ok, quello però era troppo.

« N-non provarci! Tieni giù quelle mani! »

« Dai, sei grande orm-AHI! »

Ichigo fu liberata di colpo dalla stretta di Kisshu e caracollò indietro di un paio di passi cadendo sul sedere con un lamento; ancora confusa guardò Kisshu e vide un'altra figura famigliare, che gli teneva il braccio ben fermo in una morsa.

« Ahi, ahi, ahi! Cazzo, Pai, mollami! »

Protestò Kisshu. Scostò il braccio in malo modo fulminando il compagno e questo replicò con la sua occhiata più glaciale:

« Puoi smettere di inseguire le gonnelle, almeno per trenta secondi? »

Kisshu imprecò forte, maledicendolo. Pai lo ignorò e si voltò a guardare Ichigo che di colpo fu presa da una paura sorda: forse perché quello che aveva davanti era ormai un uomo dall'aria truce e severa, forse perché ricordava la gelida spietatezza dell'alieno nella battaglia finale, ma la vista di Pai l'aveva terrorizzata facendole pensare solo una cosa.

Alieni: cioè pericolo.

« Salve, MewIchigo. »

Sentendosi chiamare la rossa scattò con la mano alla tasca della divisa, afferrando il suo ciondolo e rivolgendo a Pai lo sguardo più fermo che potè.

« Siete un disastro voi due! E tu Pai, hai la solita faccia spaventosa! – rise una voce scanzonata – Guarda Ichigo, è bianca come un lenzuolo! »

Un ragazzo poco più piccolo di lei saltò di fianco agli altri due, guardandola con un ghigno. Era diventato più grande, anche nell'abbigliamento, dove aveva abbandonato i pantaloncini a culotte per un paio lungo e scuro, che si chiudeva a sbuffo sulla caviglia, ma i codini che gli spuntavano sulla testa come piccole corna da demonietto erano uguali; nel vederlo Ichigo si sentì molto meglio e si lasciò sfuggire un sorriso:

« Taruto! »

« Ohi. Ehi, ma sei invecchiata un altro po', baba? »

L'espressione di Ichigo cambiò per l'ennesima volta divenendo furente:

« Come mi hai chiamata, chibi-ko?! »

« Ragazzi, insomma, la fate finita? »

Una quarta voce: questa, la rossa non riusciva a collegarla a nessuno, anche facendo uno sforzo di memoria.

« Siamo qui per una ragione, state solo confondendo questa poveretta. »

Dalla luce uscì fuori un altro alieno e ad Ichigo sfuggì un gemito.

Ma quanti ce ne sono?! E io sono qui da sola, miaooo!

L'ultimo arrivato doveva avere all'incirca l'età di Pai; alto e dal fisico robusto, ma asciutto, indossava abiti simili a quelli degli altri, con pantalone nero lungo e una maglia a maniche corte blu scuro. Aveva i capelli di un castano quasi nero, tenuti leggermente lunghi sul collo e con un codino com'era d'uso tra la sua gente, che partiva dalla frangia e girava dietro l'orecchio scendendo sulla spalla. Rispetto ai suoi amici aveva un viso maturo, ma estremamente dolce e gentile, come fu gentile il sorriso che rivolse ad un'attonita Ichigo:

« Tranquilla, non siamo qui con intenzioni cattive. – gettò un'occhiata fugace a Pai, che non battè ciglio – E ti assicuro che Kisshu non proverà più a sfiorarti nemmeno un capello. Vero Kisshu? »

L'altro gli rispose grugnendo e borbottando, portandosi le braccia dietro la testa.

« Mi chiamo Eyner. – le sorrise ancora e le porse la mano – Dai, ti aiuto ad alzarti. »

Ichigo accettò, ancora titubante, ma rassicurata dalla gentilezza del ragazzo; lui non smise un secondo di sorriderle e lei restò un secondo a studiarlo, ancora un po' frastornata: aveva due occhi di un colore incredibile, grigi al centro che andavano sfumando in un profondo blu scuro sul limitare dell'iride.

« Ok. Finiti i convenevoli. Eyn, avete intenzione di restare li a rimirarvi ancora per molto?! »

« Kisshu, falla finita. – sospirò Eyner con sufficienza, insensibile all'abbaiare dell'altro – Dici solo stupidaggini. »

« S-scusate… – trovò infine la forza di mormorare la rossa – M-ma che sta succedendo? »

Eyner sospirò a disagio e fece una piccola smorfia:

« Scusa, hai ragione. Vedi… »

« Ribbon Mint Echo! »

I quattro alieni scattarono in aria evitando per un pelo il colpo: la mewbird, a una decina di metri da loro, volava in direzione di Ichigo con l'arco teso contro i ragazzi, l'aria minacciosa.

« Ichigo, stai bene?! »

« S-sì, Minto, ma aspet… »

« I sensori di Keiichiro non sbagliano mai, eh? – continuò acida la mora, senza ascoltarla – E siete pure aumentati di numero, che bellezza! »

Eyner, che sembrava aspettarsi una simile reazione, ma doveva avere un'indole da paciere, sollevò le mani in segno di resa e si avvicinò con cautela:

« Calma, calma. Non siamo qui per batterci, noi… »

Dovette spostarsi bruscamente di lato perché una freccia energetica di Minto non gli bucasse la pancia.

« Non mi ricordavo che anche questa vecchiaccia fosse così testarda! »

« Pagherai anche questa, sai Taruto?! »

« Minto, ascolt…! »

Ichigo cadde di nuovo all'indietro, colta alla sprovvista da un altro colpo della mora diretto agli alieni; Pai si corrucciò e nella sua mano comparve il suo ventaglio.

« E-ehi Pai, che diavolo pensi di fare? »

Mormorò Eyn. Pai nemmeno rispose:

« Fuu Shi Sen! »

Un enorme spostamento d'aria colpì in pieno Minto, spingendola lontano e rischiando di farla precipitare a terra: un secondo prima che si schiantasse alle sue spalle comparve Kisshu che l'afferrò e, onde evitare altre scaramucce, le bloccò le braccia dietro la schiena. Eyner fissò i compagni parecchio innervosito:

« Voi e la parola "diplomazia" non esistete nella stessa frase! »

« Preferivi ci riducesse a spiedini? – sentenziò Pai caustico – Ora almeno dovrà starci a sentire. »

Minto intanto si contorceva come un'anguilla, tentando invano di liberarsi di Kisshu; lui non la stava stringendo tanto da farle male, ma non potersi muovere non le dava certo motivo di essere tranquilla.

« Vedi, non serve che ti stanchi tanto a cercare di frecciarci, siamo qui in via di ambasciatori. »

Le disse divertito il ragazzo. Poi si abbassò col mento fino alla sua spalla e, affondata la guancia tra i suoi capelli, le sussurrò nell'orecchio:

« Se prometti che fai la brava e non tenti di ucciderci, uccellino, ti lascio andare. Altrimenti ti trascino dai tuoi amici portandoti in spalla, scegli tu. »

Lei s'irrigidì indispettita, nessuno aveva mai osato prendersi tanta confidenza. Dato che era in svantaggio annuì, sconfitta, portando il mento in su e impettendosi più del solito:

« D'accordo. »

Soddisfatto Kisshu svolazzò fino a raggiungere Ichigo e quindi mollò lentamente la presa:

« Bene, come stavam-AHIA! »

Con un movimento degno di un pugile Minto lo aveva centrato in piena spalla con un gancio, nera in viso:

« Non osare toccarmi mai più, mi sono spiegata?! »

« Ohi… Ma che ti salta in mente, brutta cornacchia che…! »

« Vi prego, ora basta! – supplicò Ichigo – Io non ci sto capendo più nulla, volete finirmi di dire che succede?! »

« Io chiedo cosa succede! – sbottò Minto – Hai visto chi c'è?! E tu non ti trasformi?! »

« Ve l'abbiamo detto – ripetè stancamente Eyner – non siamo qui per combattere contro di voi. »

« Ah! – replicò sdegnosa la mora – E perché dovrei crederti? »

« Perché Ichigo era da sola con noi prima del tuo arrivo, stupida cornacchia. – sibilò Kisshu, ancora intento a massaggiarsi la spalla – Avessimo voluto farla fuori, lo avremmo fatto. »

Minto lo guardò torva, ma non replicò. Alle sue spalle Eyner si massaggiò il collo, sarebbe stato molto, molto più complicato del previsto…

« Beh, ci sono molte cose da spiegarvi… Ichigo, giusto? – guardò con un sorriso la rossa – Inoltre credo che dovrebbero saperlo anche le vostre amiche, anzi, devono saperlo. »

 

 

***

 

Retasu stava correndo così forte che aveva rischiato più volte di perdere la cartella per strada; ormai era senza fiato, ma fermarsi era fuori questione, doveva arrivare al Caffè il più in fretta possibile.

Quando il suo ciondolo si era attivato, dopo quello che sembrava un secolo, trasmettendole il messaggio di Ryou su una nuova comparsa degli alieni, non ci aveva creduto.

"È un errore", si era detta.

In un misto di paura, confusione e turbamento aveva mollato con una scusa le attività del club ed era corsa via, per poi doversi fermare non appena era arrivata in vista del parco. Un'altra comunicazione e un altro moto di paura, cos'era successo?

« Fzzz… Cambio di programma. – la voce di Keiichiro, grattata dalle interferenze, era bassa e ansiosa – Venite tutte al Caffè appena potete. »

Non aveva senso.

Perché una segnalazione di alieni, e poi una convocazione alla sede?

Quando scorse la grossa struttura rosa del locale si diede un'altra spinta, esausta per la corsa e il caldo del pomeriggio, coprì il vialetto in due passi e quasi saltò i gradini dell'ingresso, spalancando la porta con un botto. Dovette appoggiarsi alle ginocchia, completamente senza fiato; sollevò piano la testa e alla sua destra, da dietro gli occhiali appannati per il fiatone, vide Ichigo e Minto sedute ad un tavolino: la prima la guardò preoccupata, mentre la seconda non parve nemmeno vederla, tanto teneva gli occhi serrati per la rabbia.

« Bene, ormai manca solo Purin. »

La voce di Ryou le fece finire di alzare la testa, ma fu un'ombra famigliare alla sua sinistra ad attirare la sua attenzione.

Retasu si rimise dritta scattando come una molla; lo guardò incredula e lui le rivolse un lieve cenno con la testa, incurvando appena le labbra in quello che sembrò l'ombra di un sorriso:

« Ciao. »

Un saluto talmente normale e inaspettato, che per Retasu passò in secondo piano anche la questione del perché si trovasse lì.

Ciao? Le aveva detto ciao?!

Non poteva esistere Pai che le diceva ciao!

Perché le stranezze si dovevano accumulare tutte insieme?!

Ringraziò che per la corsa doveva avere la faccia accaldata, perché avrebbe mascherato il rossore sulle sue guance.

« P… Pai-san… »

« Oh, sì, tranquilla pesciolina, ci siamo anche noi! Ma tu non farci caso. »

La presa in giro di Kisshu le fece fare un altro balzo sul posto e, purtroppo, non potè più nascondere di avvampare come una fiamma viva:

« K-K-Kisshu-san…! E… Taruto?! M-ma che succede…? »

« Oh, niente di importante! – continuò a canzonarla Kisshu, col fratellino che gli faceva da spalla sogghignando – Se ti va vi lasciamo un altro po' a chiacchierare voi due da soli. »

Taruto trattenne una risata facendo un irritante verso nasale. Retasu riabbassò lo sguardo vergognandosi a morte, ma Pai non sembrò neppure farci caso:

« Siete due idioti. »

Si limitò a considerare.

« Mi trovo d'accordo. – fu la frecciatina di Minto, che fulminò i due con ferocia – Siete qui per qualcosa di importante o per tormentare la mia amica?! »

« Una cosa molto importante. »

Sospirò Eyner sconfortato, non era certo di essere molto convincente con quei due che sghignazzavano alle sue spalle:

« Ma sarebbe meglio lo dicessimo a tutte… »

Minto grugnì in assenso. Retasu, approfittando del fatto di non avere più l'attenzione di tutti, sgattaiolò vicino alle sue amiche e si sedette pesantemente su una sedia continuando ad ammirare in basso.

Che cavolo ti è preso?! Stupida!

« Tutto a posto? »

Sollevò appena il capo a quel sussurro. A parlare era stato Eyner, che era in piedi a poca distanza da lei; nel vederlo Retasu assunse un'aria confusa.

« Non ci siamo ancora presentati, sono Eyner. – le disse gentile – Credo che tu lo sappia già, ma… Lasciali perdere, Kisshu e Taruto sono due bambini. »

Lei ricambiò appena il sorriso e si sentì meno in imbarazzo. Quel ragazzo le ricordava un po' Keiichiro, era il tipo di persona con un'aura da fratello maggiore, che ti faceva sempre sentire a tuo agio.

« Quindi manca solo la scimmietta? – chiese Kisshu che, perduto il suo motivo di risate, si stava annoiando ad aspettare – E il demone viola? »

Ichigo lo guardò scettica:

« Chi? »

« Quella specie di furia di Zakuro. »

« Non osare parlare male della mia onee-sama! »

Soffiò Minto; Kisshu la guardò con fare derisorio:

« Che faccia arrabbiata, uccellino! Guarda che ti vengono le rughe. »

« Tu, brutto…! »

Ryou s'intromise tra i due con un gesto del braccio, zittendoli:

« Zakuro ci sta raggiungendo. – spiegò asciutto – Ci vorrà un po', quindi ora ci seguirà tramite telefono. »

 E dicendo così posò un cordless sul tavolino dove erano sedute le ragazze.

« Quando arriverà anche Purin, la chiamerò e… »

Le ultime parole furono coperte da un assordante urlo di gioia; sulla soglia si stagliava Purin, nella sua sfavillante divisa delle medie, col più grande e luminoso sorriso che riusciva a fare stampato in faccia. Nel vederla Taruto smise finalmente di ridere e si bloccò dritto in piedi, l'impressione che qualcosa di enorme lo avesse centrato in pieno stomaco. Per sua fortuna dopo successe tutto troppo in fretta perché qualcuno focalizzasse il tono sottile che aveva, o la dolcezza con cui pronunciò il suo nome:

« Purin… »

« Taru-Taru! »

La biondina si fiondò nel locale come una furia agguantando il ragazzino con una presa al collo; più che abbracciarlo, sembrò dare il via ad un incontro di wrestling.

« Taru-Taru! Sei tornato! Sei tornato! – trillò al colmo della felicità – Taru-Taruuu! »

« L-la pianti con quel nome idiota?! – mormorò lui, mezzo soffocato dal suo abbraccio e con una generale incapacità di parlare fluentemente, tanto gli era appiccicata – Staccati, sto perdendo sensibilità al collo! »

« Uffa, sei cattivo Taru-Taru! »

Sbuffò lei gonfiando le guance. Incrociò le braccia e lo guardò storto, ma non si schiodò da dove si trovava: cosa imbarazzante per il brunetto, visto che nel salto di lei era capitombolato per terra e si era ritrovato mezzo sdraiato, con Purin tranquillamente seduta a cavalcioni su di lui. Il rantolo con cui Taruto parlò sembrò il respiro di un asmatico:

« Potresti scendere? »

« Come sei antipatico! – frignò lei, che non sembrava dare alcun peso alla posizione – Sei gelido! Un ghiacciolo! »

« G-g-gelido? C-c-che c'entra, tu…! »

« Ok, direi che potete discuterne dopo. »

Con garbo Purin fu presa sotto le ascelle e costretta ad alzarsi da Eyner, seriamente preoccupato che a Taruto venisse un infarto tanto era rosso in viso.

« Inoltre, avremmo una faccenda abbastanza pregnante di cui discutere – continuò zelante – ti spiace rimandare la strigliata a più tardi? »

Taruto non commentò l'ultima affermazione, anche perché stava cercando di riportare il suo cuore ad un battito cardiaco regolare. Purin era ancora scura in viso, ma annuì al nuovo arrivato.

Ichigo sospirò intenerita a vederla: sapeva che quei due erano diventati amici, ma non credeva che a Purin Taruto fosse mancato tanto.

« Vedi, micina? »

La voce suadente di Kisshu, comparso di colpo accanto al suo orecchio, la fece quasi cadere dalla sedia.

« È così che avresti dovuto salutarmi, sai? »

« N-non dire stupidaggini! »

L'eventuale risposta fu coperta dal battito di mani di Keiichiro; l'uomo rivolse a tutti uno dei suoi sorrisi cordiali e disse:

« Direi che possiamo saltare i convenevoli, vero? – guardò gli alieni e la sua espressione divenne più grave – Di cosa dovete parlarci? »

 

 

Eyner prese un bel respiro, guardando le sue interlocutrici – compreso il telefono che trasmetteva la voce di Zakuro – una per una: sembravano proprio delle comuni ragazzine e, per giunta dall'aria un po' spaurita. Anche dopo averne vista una trasformata e pronta alla lotta, non si toglieva dalla testa che la loro richiesta fosse un po' crudele.

Sono praticamente delle bambine…

Sospirò, in fondo anche Taruto era poco più di un bambino; e, in ogni caso, che accettassero o meno anche il loro mondo era in pericolo; e loro più di altri, dopo quello che avevano fatto per il suo pianeta, meritavano di sapere.

« Ricordate la MewAqua che Kisshu e i ragazzi portarono via dopo che Deep Blue fu sconfitto? »

« Certo. »

La voce di Minto era inquieta mentre si scambiava fugaci occhiate con le compagne.

« Bene. – riprese Eyner – Ecco, non appena il cristallo ha raggiunto il nostro pianeta ha reagito, per via del devastante squilibrio ambientale in cui imperversava.

« Io non so se sono in grado di spiegarvelo bene… Comunque, in sostanza, la MewAqua ha raggiunto il centro del pianeta e lì si è unita al nucleo, incominciando a scaldare e irradiare di energia benefica tutta la superfice. »

« Quindi il vostro pianeta è rinato! »

Esclamò Purin allegra guardando Taruto; a quella domanda il ragazzino si era illuminato e aveva preso a raccontare concitato:

« Sì! Dovresti vederlo! È proprio…! »

« Non ha importanza. – lo freddò Pai – Non perdiamo altro tempo in sciocchezze. »

Taruto, diversamente da come avrebbe fatto in passato, invece di arrabbiarsi chinò la testa annuendo con un brontolio ed Eyner proseguì:

« Sì, il nostro pianeta ha cominciato a rinascere. – disse, sorridendo a Purin – In tre anni siamo arrivati ad avere una patria completamente vivibile. Però… »

« Però? »

« Ci siamo ritrovati con qualche "problemino interno", micetta. »

Ryou mandò un borbottio seccato, mal sopportava Kisshu per più di un motivo, ma da quando era rispuntato stava cominciando a stargli davvero sulle scatole.

« Che intendi con problemino? »

Sibilò l'americano.

« Quanta acredine, biondino. Non dovresti essere così antipatico, siamo qui per salvare anche il vostro culo, sai? »

« Insomma, tacete un po'! – sbottò Ichigo – Senti… Eyner? Ti prego, finisci il discorso. »

« Il "problemino" di cui parla Kisshu – riprese il bruno svogliatamente – riguarda certi nostri compatrioti. »

« Anche se il pianeta è rinato, non tutti ne sono rimasti contenti. – fece Kisshu – Alcuni credono che avremmo dovuto comunque conquistare la Terra, con annessi e connessi. »

A quell'ultima affermazione Ichigo sentì un brivido scenderle lungo la schiena. Eyner continuò

« All'inizio la cosa si limitava a qualche coro di protesta per strada e qualche piccolo tumulto. Poi… - si fermò, soppesando come spiegare la faccenda – Tra loro s'è formato un gruppo di soldati che avevano ben più di un proposito bellicoso. Avevano le possibilità e la capacità per andarsi a prendere la Terra anche senza il consenso dei nostri superiori e tutta l'intenzione di farlo. »

« Già. – sbottò Taruto – Senza contare che sono dei fanatici sciroccati biondi che… »

« Taruto. »

Il brunetto sobbalzò; Pai non aveva urlato, ma era stato come se lo avesse fatto. Taruto si morse la lingua, non doveva parlare nei dettagli di quella faccenda: era un problema loro, a meno che le ragazze non avessero accettato di aiutarli, ma anche così non sarebbe stato loro compito dirglielo.

« Se devi parlare ancora di stupidaggini, ti consiglio di tacere e basta. »

Scese un istante di silenzio teso; Ryou divenne ancor più accigliato, non gli erano mai piaciute le mezze frasi.

« E quindi? »

La voce di Zakuro risultò gracchiante e bassa dal telefono, accompagnata dal rumore di sottofondo della macchina su cui viaggiava.

« Cosa c'entriamo noi in questo? »

« Ci stavo arrivando. – sospiro Eyner – Nei loro piani hanno deciso di impossessarsi della Mew Aqua, per ottenere una fonte di energia sufficiente ai loro scopi; noi abbiamo tentato di impedirgli di prenderla, ma… »

Si fermò per l'ennesima volta e guardo Kisshu di sottecchi; questo di colpo era diventato sfuggente e aveva preso ad ammirare il soffitto fischiettando.

« C'è stato un piccolo incidente. »

« Chiamalo "piccolo"…! »

« Taruto, ti giuro che se la lingua non te la taglia Pai lo faccio io! »

Sibilò Kisshu a disagio.

« Il cristallo si è rotto. »

Concluse Eyner sbrigativo ignorandoli. A quella frase le quattro MewMew scattarono in piedi, pallide in volto.

« R-rotto?! »

Minto si sporse oltre la sedia a guardarli attonita:

« Ne siete proprio sicuri?! La Mew Aqua…  Rotta?! E… Come…?! »

« Rotta. Spaccata. Disintegrata. Puff! – fece Kisshu sarcastico – E come per magia uno sciame di gocce di Mew Aqua disperse ovunque… Ma perché fate quelle facce? »

« Noi l'abbiamo sognato… »

Sussurrò Purin ancora frastornata; tanto Ryou e Keiichiro quanto gli alieni le scrutarono senza capire.

« Di cosa state parlando? »

« Abbiamo sognato la Mew Aqua che si frantuma e si dissolve, Shirogane – rispose Zakuro con tono piatto – esattamente come ha descritto Kisshu. Meno di due giorni fa. »

« Cosa?! E perché non avete detto nulla?! »

Ichigo e le ragazze si fecero piccine piccine sulle sedie.

« N-non pensavamo fosse importante    mormorò la rossa – almeno finchè non ne hanno parlato loro. »

Indicò i quattro alieni che avevano preso a parlottare tra loro con fare ansioso.

« Quindi aveva ragione MoiMoi. – fece Pai pensieroso – È un bel problema. »

« Già. A questo punto, direi che dovrebbero incontrare sia lei che Teruga… »

« Scusate, di cosa state parlando? »

« Uccellino, dacci tregua, stiamo consultando. »

« Di cosa state parlando?! »

Ripetè secca la mora: dopo quel trambusto non aveva la minima intenzione di aspettare per le risposte. Eyner si diede un'altra occhiata coi compagni e assunse un'espressione grave:

« Quando la Mew Aqua si è infranta – riprese a spiegare – ha generato un'energia enorme; tanta energia che i frammenti non si sono limitati a disperdersi sul nostro pianeta, ma hanno generato dei "ponti" per altri luoghi. »

« Altri luoghi? »

Kisshu fece una smorfia sarcastica:

« Qualcuna di voi ha presente quel grosso tunnel bianco, da cui siamo usciti dopo una rilassante passeggiatina? »

« Stai scherzando! – pigolò Ichigo – Vorreste dirmi che quel coso è un… Come si dice…! Un…?! »

« Un passaggio per il vostro pianeta? – concluse Ryou senza parole – Ma è… Incredibile…! »

« Non credevo che la Mew Aqua potesse avere tanta energia. »

Mormorò Keiichiro con reverenza. Pai incrociò le braccia al petto:

« Nemmeno noi. Ma è un'energia parecchio instabile, soprattutto perché non parliamo più di frammenti di cristallo. »

I terresti lo scrutarono incuriositi.

« Per qualche ragione (forse perché stava attivamente rilasciando energia, nel nucleo del nostro pianeta) la Mew Aqua si è dispersa nella sua forma "attiva", ossia quella liquida. »

« Quella che liberavamo col Mew Aqua Rod? »

Domandò Purin indicandosi; Pai annuì appena:

« Ma i passaggi creati non sono completamente sicuri. Non sappiamo quanto possano durare, né per quanto resteranno nella forma in cui sono; con tutta probabilità, anzi, potrebbero collassare o espandersi, minacciando la sicurezza dei luoghi che toccano. »

« E quindi anche quella del nostro pianeta. – puntualizzò Zakuro – Visto che uno di questi passaggi ci entra direttamente in casa… »

Pai grugnì in assenso.

« Per questo siete venuti? Per avvisarci di questo simpatico regalino? »

Sibilò Ryou furente.

« Non proprio. – disse Eyner – Vedi, i passaggi sono instabili per via della Mew Aqua che si trova ad una delle due estremità del percorso. La soluzione sarebbe di ritrovarla… »

« Però? »

Eyner si fermò, guardando sorpreso il telefono; chiunque si trovasse dall'altra parte, era una ragazza parecchio perspicace.

« Sì, c'è un "però". – ammise – Anche chi ha tentato di rubare la Mew Aqua ne sta cercando i resti; per impedire che li recuperassero, siamo stati costretti a distruggere ogni strumento utile a trovare il cristallo, disturbando con speciali frequenze quelle che ne permettevano il rilevamento. »

« Loro non sono in grado di creare un rilevatore ex novo, – aggiunse Pai – ma neppure noi possiamo più servirci dei nostri strumenti. Senza un modo per localizzare la Mew Aqua siamo completamente ciechi. »

« E, per la cronaca – puntualizzò aspro Kisshu – anche il nostro mondo sarebbe nei guai se lasciamo tutto così, ok? Quindi sì, niente intenzioni buoniste biondino, siamo qui perché anche le nostre chiappe sono nei guai. »

« Mai conosciuto un essere più volgare… »

Sussurrò Minto a denti stretti.

« Avevamo le mani legate – continuò Eyner, stavolta con una punta di disagio – finchè a Pai non è venuto in mente di voi. »

« Di… Noi? »

Sussurrò Retasu in imbarazzo. L'alieno dai capelli scuri guardò le quattro ragazze con la sua solita indifferenza:

« Voi siete in grado di percepire il cristallo solo coi vostri corpi, giusto? »

« Mica tanto! – esclamò Purin – In teoria è così, ma succede solo in certi casi e nemmeno troppo bene! »

« Solo se siamo emotivamente… Ecco, diciamo instabili. »

Mormorò ancora la mewfocena.

« Avevamo avvalorato questa teoria. »

Disse Pai con calma. Retasu si rannicchiò su sé stessa, non le piaceva molto l'idea che il ragazzo e altri suoi amici avessero studiato una cosa del genere.

« Ma, dopo quello che avete detto, cioè di aver sognato il cristallo che si rompeva e tutti il resto, credo che possiamo sostenere anche una seconda ipotesi. »

« Ossia? »

Keiichiro e Ryou si fecero avanti, l'aria incuriosita dello scienziato e quella preoccupata dell'amico che si mescolavano sui loro volti in maniera confusa.

« Queste ragazze reagivano alla Mew Aqua cristallizzata – spiegò Pai – ma la loro reazione aumenterà a confronto con quella liquida, specie se in uno stato di rilascio di energia. »

« Ehm… – Ichigo sollevò il braccio come a lezione, sentendosi un po' scema – Per i comuni mortali? »

« Che prenderete ad illuminarvi come lampadine molto più facilmente, micina. »

« Vuol dire soltanto che sarà più facile per voi percepirlo. – s'intromise Eyner – Ed era quello per cui siamo venuti qui. »

« In che senso? »

« Noi non siamo in grado di trovare i frammenti, voi sì. Non sappiamo quanti ce ne sono dispersi, ma almeno uno sulla Terra c'è; potrebbero però essercene molti altri, e molti altri passaggi. Ogni passaggio è potenzialmente pericoloso… »

« Aspetta un attimo! – Ryou lo guardò minaccioso – State per caso chiedendo una nostra collaborazione?! »

« Non la tua – puntualizzò Kisshu – ma la loro, caro terricolo. »

« E non la stiamo chiedendo noi, ma i nostri superiori. – rincarò gelidamente Pai – Che chiedono di poter parlare con le ragazze. »

« Non se ne parla proprio! – sbottò Minto – Io non ho la minima intenzione di farmi coinvolgere…! »

« Purin viene con voi! »

Le amiche la guardarono attonite:

« Ma che stai dicendo?! »

« Ci hanno chiesto aiuto. – rispose lei semplicemente – E noi non solo gli dobbiamo la vita, ma Taruto è anche mio amico, quindi io gli aiuterò. »

« Ma sei impazzita?! »

« In effetti, Purin ha ragione… »

« Retasu! »

La ragazza ignorò le proteste di Minto, continuando a reggersi pensosa il mento tra le dita:

« Abbiamo un debito nei loro confronti. Inoltre, credo che se avessero voluto farci del male, lo avrebbero già fatto, no? »

Più convinta si girò verso quattro alieni e gli rivolse un sorriso gentile:

« Verrò anch'io, se desiderano parlare con noi; e, se posso, vi aiuterò. »

Kisshu si lasciò sfuggire un sogghigno e diede una gomitata nelle costole a Pai, bisbigliando:

« Io l'ho sempre detto che quella pesciolina è in gamba. »

Il fratello non gli diede neppure risposta.

« Sono impazzite… Siete completamente impazzite! – protestò Ryou – Volete infilarvi in territorio nemico così, come se niente fosse?! »

« Non è territorio nemico, che sciocchezze. – replicò Purin tranquillissima – E poi non avevo paura di loro quando ci siamo affrontati la prima volta, dovrei averne adesso che sono amici? »

« Quest'affermazione è molto confortante. »

Borbottò Taruto offeso.

« Beh, noi eravamo amici già prima, no? »

Sorrise la biondina; Taruto arrossì indispettito:

« Non credo proprio…! »

Lei lo ignorò, ridacchiando.

« … Prima di decidere, vorrei parlare anch'io coi vostri superiori. »

« Z-Zakuro onee-sama! – la voce di Minto era disperata – Anche tu?! »

« Di sicuro c'è qualcosa di grosso che bolle in pentola – continuò calma la mewwolfe visto che i nostri ospiti sono stati (volutamente, ho ragione di credere) vaghi, su certi dettagli, vorrei sentire tutto detto per bene da chi di dovere. »

Eyner si grattò una guancia sovrappensiero:

« Accidenti… E quest'intuizione da dove ti è venuta? »

« Sesto senso. »

Il ragazzo si lasciò sfuggire un sorriso ammirato. Altro che sesto senso, quella ragazza aveva un intuito spaventoso! Era proprio curioso di conoscerla…

« M-ma onee-sama… »

« Io sarò lì tra meno di un'ora – continuò imperterrita – e andrò. Ichigo, Minto, voi pensateci per bene. »

E la comunicazione si chiuse di colpo. Minto prese a tormentarsi le mani e a borbottare tra sé e sé:

« Non è possibile… Ma perché sempre cose simili?! Però… Se l'onee-sama si fida… Però… Però… »

Ichigo la guardò comprensiva e sospirò.

Mai che si possa stare in pace…

 

 

Trascorse quasi un'ora e di Zakuro ancora nessuna traccia. Ichigo, stanca dell'atmosfera pesante che si era creata al piano inferiore, era salita sul terrazzino che dava sul giardino e se ne stava appoggiata alla ringhiera, sospirando.

In cuor suo era certa che gli alieni non sarebbero mai venuti da loro senza un buon motivo, e ancor meno avrebbero chiesto il loro aiuto. Sapeva anche che lei forse più delle altre doveva la propria vita a quei ragazzi, specialmente a Kisshu. L'aveva amata profondamente e lei lo aveva sempre respinto, senza dare troppo credito alle sue parole, aprendo gli occhi solo quando lo aveva visto trafitto da parte a parte con una lama.

Le lacrime infide che aveva pianto all'epoca non erano uno scotto sufficiente, non poteva essere tanto crudele da negargli aiuto ora che Kisshu glielo chiedeva.

Dall'altra parte le sembrava talmente ingiusto… Essere trascinata per l'ennesima volta in battaglie in cui lei mai aveva chiesto, né tantomeno avrebbe mai desiderato trovarsi.

Sospirò ancora, il viso affondato dietro le braccia raccolte sulla balaustrata:

« Che cosa devo fare? »

« Non vorrai andare vero? »

Sobbalzò sentendo Ryou parlare. Si voltò di scatto e si ritrovò faccia a faccia col biondo, il viso irrigidito di preoccupazione, e sentì chiaramente lo stomaco contrarsi.

Perché, perché, perché maledizione le faceva quell'effetto da qualche tempo?!

Non poteva dire che Ryou le fosse mai stato completamente indifferente. Certo, la faceva arrabbiare spesso e volentieri, era linguacciuto e privo di qualunque tipo di tatto, ma alle volte diventava incredibilmente carino e premuroso: un'ambivalenza che la faceva sentire spesso e volentieri confusa e che più di una volta, suo malgrado, le aveva procurato forti batticuori. Poi si era fidanzata con Masaya e tutto quel caos era scomparso, evaporato come neve al sole di fronte al suo unico, vero amore.

Almeno avrebbe dovuto essere così.

E allora perché – Ichigo pregava divinità e santi di tutte le religioni perché rispondessero a quella domanda – non appena erano cominciati i suoi problemi nel rapporto con Masaya, il batticuore era tornato?

Era come se tra lei e Ryou si fosse formato un circuito elettrico a cui mancavano dei pezzi, o in cui ci fosse un filo scollegato. Non capiva perché la sua rara gentilezza la scuotesse tanto, non capiva perché si preoccupasse tanto per lei, come stava facendo in quel momento(*), capiva e voleva soltanto che quella storia finisse.

In fondo, sono innamorata di Masaya. Abbiamo qualche problema, ma sono sciocchezze, il nostro amore è più forte!

« Ichigo, mi rispondi? »

Insistè Ryou più brusco. Ichigo si voltò a guardarlo torva, quantomeno l'atteggiamento pessimo del ragazzo l'aiutava molto a far sparire l'agitazione.

« A cosa? »

« Non ti fiderai degli alieni, vero? »

Lei lo guardò infastidita da quel modo crudele con cui aveva nominato Kisshu e gli altri:

« Non essere così sulla difensiva. In fondo Purin e Retasu hanno ragione, noi gli dobbiamo la vita. »

Il ragazzo non rispose, sapendo bene che era nel giusto; anche lui era in debito con Pai.

« E poi si tratterebbe solo di andare a parlare… »

« Questo è quello che dicono loro! »

« Loro avrebbero potuto uccidermi appena li ho incontrati, erano quattro contro uno! – sbottò – Ma non l'hanno fatto! »

« Lo so. »

« Allora non ti fidi ancora di loro?! »

« Non potrei mai fidarmi di loro! »

« Beh, io invece ho deciso di fidarmi! – fece cocciuta – E ho deciso che andrò! »

Rimase in piedi con le braccia lungo i fianchi a guardarlo furente; lui la scrutò con sguardo duro, infilandosi le mani in tasca seccato:

« Fai come diavolo vuoi, brutta testona. »

E girò sui tacchi lasciandola da sola. Ichigo si mise a sbattere i piedi stizzita, era davvero insopportabile!

Perché diavolo viene a farmi la predica se poi mi dice di fare come voglio?!

Altro che batticuore! La sua doveva essere una reazione psicosomatica alla presenza di Ryou, non c'era alcun dubbio!

La sua attenzione fu distolta da una figura elegante che saettava verso il vialetto d'ingresso, finalmente era arrivata anche Zakuro.

 

 

 

Eyner si mise più comodo sulla sedia e si guardò attorno cercando per l'ennesima volta di ricollegare i volti delle ragazze ai nomi che aveva visto sugli schermi di Pai e MoiMoi, in modo da non doverli chiedere.

Sapeva che quella dai capelli rossi era Ichigo, anche perché Kisshu – approfittando di avere un interlocutore che non sapeva nulla della Terra – gliene aveva parlato fino alla nausea. Se avesse avuto ancora qualche dubbio l'amico aveva provveduto a fugarlo per benino, col suo appiccicarsi alla ragazza come una ventosa; anche in quel momento, che era sparita, non faceva che cercarla con la coda dell'occhio. Era quasi straziante da vedere: Kisshu aveva passato gli ultimi tre anni ad angustiarsi di non poter vedere "la sua micina", ma Eyner non credeva che la sua ossessione fosse così disperata.

Avendola vista trasformata conosceva anche Minto, ibridata con un volatile. Non gli sarebbe stato difficile ricordarsela, specialmente se avesse mantenuto quell'aria altezzosa e arrabbiata.

La ragazza con gli occhiali che aveva accettato di buon grado di aiutarli era sicuramente Retasu: nei profili che avevano analizzato era descritta proprio come tranquilla e refrattaria allo scontro, fin troppo propensa al dialogo.

La quarta, quella più piccina, era senza dubbio Purin; anche su di lei ne aveva sentite di cotte e di crude, in particolar modo da parte di Taruto. Gli veniva da ridere a pensarci, soprattutto vedendolo in quel momento tutto intento a chiacchierare con la biondina: sapeva che gli era mancata, ma forse aveva sofferto la nostalgia più di quanto Eyner pensasse.

Il gatto, l'uccellino, la scimmia, l'animale acquatico… Manca il lupo.

La ragazza con cui avevano comunicato per telefono. Non riusciva ad immaginarsela, gli altri non ne avevamo mai parlato troppo; solo come di una combattente estremamente forte e pericolosa.

Di colpo la porta del locale si spalancò. Tutte le ragazze si alzarono andando incontro a Zakuro e anche Eyner si mise in piedi, curioso di vedere come fosse quella guerriera dalla lingua tanto saccente.

Bastò scorgerla che si bloccò sul posto, sentendo il suo cuore saltare almeno due battiti.

Zakuro avanzò con grazia di un paio di passi nel locale, l'aria seria sul viso dai lineamenti perfetti; indossava il suo solito outfit, una mini nera con giubbotto e stivale col tacco alto che esaltavano il suo corpo slanciato e formoso, privo anche degli ultimi accenni di ragazzina.

Eyner deglutì forte, la bocca improvvisamente secca.

Non riusciva a toglierle gli occhi di dosso, mentre lei parlottava con le amiche sul da farsi.

La camminata elegante e sinuosa. I magnetici occhi blu. I lunghissimi capelli color glicine, che si ravvivava pigramente dietro l'orecchio.

« Quindi tu saresti? »

Il ragazzo sobbalzò, non si era neppure accorto che lei gli era arrivata vicino. Restò a fissarla rosso in viso per almeno mezzo minuto, prima che Kisshu lo risvegliasse con un leggero calcio negli stinchi.

« E-Eyner. Sono Eyner. »

Stiracchiò un sorriso che diventò solo una smorfia sghemba; Zakuro ricambiò appena, ma un sopracciglio le guizzò in alto con fare ironico mentre superava il ragazzo.

Bene. Sono sulla Terra da meno di due ore e vorrei già sprofondare sottoterra.

« Allora? – esortò la mora piatta – Non avevamo fretta? »

 

 

***

 

« D'accordo, ora non ne sono più tanto convinta. »

Mormorò Ichigo con voce sottile; cercò conforto nelle amiche, tutte col naso all'insù a scrutare il passaggio bianco per il pianeta degli alieni e tutte con l'aria nervosa.

« È molto più inquietante di come lo avevate descritto… »

« Sta tranquilla pesciolina – fece Kisshu con superiorità – a parte i primi secondi di cecità, non senti niente. »

La ragazza si torturò le mani poco convinta, senza nascondere un'aria un po' corrucciata: Kisshu aveva preso a darle quel soprannome, ma non era che la cosa le piacesse troppo.

« Sarà meglio sbrigarci. »

Scambiatosi un cenno d'intesa con Pai, Eyner entrò dentro al passaggio e scomparve. Dopo pochi secondi Zakuro raddrizzò la schiena e lo seguì con passo deciso, seguita a ruota da Minto.

« Che c'è, ti fa paura Purin? »

La canzonò Taruto; la biondina lo guardò con un sorriso storto:

« Un pochino. »

Non si aspettava una riposta simile; la vide tormentarsi le labbra nervosa e con un sorriso timido le disse:

« Dai – fece un passo verso la luce bianca, porgendole appena la mano – ti scorto io. »

Purin fece un gran sorriso e ricambiò la stretta, entrando assieme a lui. Nel vederli Retasu sembrò prendere coraggio, fece due profondi respiri e, serrati gli occhi in una morsa, si lanciò a testa bassa nel passaggio. Ichigo nel vederla si allarmò un poco:

« Ditemi che dall'altra parte non c'è un burrone o qualcosa del genere… »

Kisshu rise, mentre Pai non ebbe la minima reazione e seguì gli altri.

« Restiamo solo noi due, micetta. Andiamo? – il ragazzo le si avvicinò pericolosamente – O preferisci startene un po' qui con me? Si può anche fare, sai? »

« Sei proprio un idiota, Kisshu! »

Urlò lei, divenuta ormai un tutt'uno coi propri capelli; Kisshu assunse un'espressione delusa, ma si riprese in fretta e con un sorrisetto le afferrò il braccio, tirandola piano verso il passaggio:

« Allora andiamo? »

Lei si accese di un altro tono di rosso per il modo in cui la stava stringendo, accarezzandole lentamente la pelle con la punta delle dita, ma non ebbe il tempo di protestare che fu inghiottita dal bianco.

Per qualche lunghissimo istante si ritrovò completamente cieca. Parimenti con gli occhi chiusi non aveva altro che bianco di fronte a sé, un bianco così abbacinante e luminoso da far male alla vista.

A parte quello non sentiva in effetti alcuna differenza, nessuna particolare sensazione che le indicasse di stare attraversando un tunnel spaziotemporale; solo un assoluto silenzio. Dopo un paio di minuti, in cui la luce prese ad affievolirsi, iniziò a sentire qualcosa di nuovo: un lieve sospiro di vento fresco sui capelli, un leggero profumo d'erba, stormire ovattato di foglie. Poco a poco stava cominciando a vedere di nuovo, finchè di colpo lei e Kisshu non si trovarono dall'altra parte e Ichigo fu abbagliata una seconda volta, in quel caso dalla luce di un sole sconosciuto.

Strinse gli occhi cercando di abituarsi, ma si costrinse ben presto a spalancarli per cogliere ogni dettaglio del paesaggio incredibile che aveva davanti.

Si trovavano su un lieve pendio erboso circondato da alberi imponenti e sconosciuti, simili a querce per la grandezza dei loro tronchi, ma dalle chiome larghe e cascanti come quelle dei salici. Un intero bosco di quei giganti si estendeva alle loro spalle, mentre di fronte il pendio continuava dolcemente fino ad una vallata poco distante: in mezzo a questa, circondata da un verde rigoglioso, si ergeva una città non imponente, ma bellissima nella sua armonia e nella ricchezza delle sue costruzioni; nel vederla, coi suoi edifici così lineari e puliti, ad Ichigo ricordò immediatamente la città che avevano visto tempo addietro, estrapolata dai dati di Masha(**).

« Ma questo posto è fichissimo!!! »

Purin stava ridendo esaltata, correndo in cerchio senza smettere di guardarsi attorno freneticamente:

« È bello, troppo bello! »

 « Hai ragione… È stupendo. »

Rincarò Retasu sistemandosi gli occhiali sul naso. Ichigo notò che l'amica continuava a pulirsi sovrappensiero le ginocchia e le mani appena sporche di terra, segno che effettivamente doveva aver capitombolato appena uscita dal passaggio; sospirò, quella ragazza aveva serie difficoltà di equilibrio.

Anche Zakuro e Minto erano rapite dal luogo, ma se la prima non diceva nulla e si limitava ad ammirare in silenzio, come faceva sempre, l'altra non sembrava proprio intenzionata a dare alcun commento positivo: ancora irritata dalla situazione se ne stava caparbiamente a labbra serrate e sembrò inacidirci ancor di più quando Kisshu, col suo solito fare canzonatorio, le disse sgarbato:

« Allora? Niente male eh, miss acidume? »

Lei rispose trapassandolo da parte a parte con lo sguardo:

« Mi sembrava di aver capito che ci fosse una certa urgenza! »

« Sì, è vero. – fece Eyner, cercando di ignorare le saette che quei due si lanciavano a vicenda – Dobbiamo andare. »

« Dove? Lì? »

Chiese telegrafica la mewwolf e indicò la città.

« No. »

Rispose Pai, ancor più conciso di lei, ed indicò a sua volta un edificio seminascosto dalla vegetazione, a poco meno di duecento metri da loro. Senza aggiungere altro si avviò e gli altri lo seguirono tutti poco alla volta.

« Ehm… Kisshu. »

Il ragazzo si voltò sovrappensiero, scorgendo Ichigo che teneva la testa voltata, parecchio rossa in viso:

« Potresti… Lasciarmi, per piacere? »

E la sentì cercare di ritrarre il braccio attorno a cui lui teneva ancora saldamente la mano. Il ragazzo annuì, ma sorridendo furbo:

« Come vuoi, micina. »

La sua mano scivolò via con tutta calma, sfiorandole avidamente la pelle fino al polso e alle dita; Ichigo imprecò contro sé stessa per arrossire a quel gesto così studiato e lascivo, mentre Kisshu sembrò soddisfatto e sorridendo candido si avviò, tranquillo come se non fosse accaduto nulla.

Non sapeva cosa fosse successo tra Ichigo e il suo merluzzo in quei tre anni, ma ora aveva la conferma che qualcosa non quadrava.

Sì, Ichigo lo respingeva, ma non come una volta. Tre anni prima non gli avrebbe mai permesso di afferrarla senza ribellarsi con tutte le sue forze, né avrebbe avuto la benchè minima reazione ad un qualunque gesto un po' più ammiccante.

Invece ora reagiva, oh, se reagiva!

Non poteva sperare in niente di meglio. Dopo tutto quel tempo non avrebbe mai immaginato di avere più chance di quante ne aveva durante il loro primo incontro, forse… Poteva davvero conquistare la sua gattina.

I suoi problemi si riducevano a Pai ed Eyner. Il fratellastro non aveva mai gradito – non certo a torto – la sua infatuazione per la mewneko, e di sicuro non avrebbe gradito si replicassero i problemi avvenuti ai tempi di Deep Blue.

Solo perché ho impedito una trappola quasi mortale in cui erano coinvolte tutte e cinque le MewMew(***)…! Pai porta troppo rancore!

Secondo problema era Eyner. In parte per amicizia – il bruno non era stato troppo felice nel sapere i dettagli dei "guai" in cui Kisshu si era infilato per colpa della rossa – in parte perché lui non era così bravo a scindere lavoro e piacere e, per la missione, poteva diventare un problema. Ma su quel versante forse aveva ricevuto un inaspettato aiuto, almeno a giudicare dalla reazione di Eyner alla vista di Zakuro e il modo, parecchio persistente, con cui continuava a scrutarla di sottecchi.

Tanto valeva dare una piccola spinta alle cose.

Del resto se il peccato fosse stato condiviso sarebbe risultato meno grave, no?

« Yo, Eyn. »

« Kisshu. Che c'è? – il bruno cercò Ichigo un istante – Non le starai dando ancora fastidio, vero? »

« Io? Sono un bravo bambino, cosa credi? »

Eyner evitò di commentare, quando Kisshu metteva su quel sorriso mentiva così spudoratamente che non valeva neppure la pena di discutere.

« Volevo sapere tu come stavi. »

Continuò con tono divertito; Eyner arrossì appena, capendo benissimo di cosa stava parlando:

« … Quanto sono stato patetico da uno a dieci? »

« Mmm… Io direi un dodici, dodici e mezzo. »

« Grazie – proferì Eyn tombale – sei di gran conforto. »

Sospirò pesantemente mentre Kisshu rideva sotto i baffi:

« Non mi sarei mai aspettato una reazione del genere da te! – quello era vero, ne era rimasto molto sorpreso – È proprio il tuo tipo, eh? »

« Kisshu, piantala per favore, non è il caso di pensare a cose simili. »

« Ma dai! E poi è divertente, non avevo mai visto nessuno innamorarsi con tanta velocità! »

Eyner gli tappò la bocca con più discrezione che potè e lo guardò serissimo, arrossendo di colpo:

« Vacci piano! – sussurrò appena udibile – Non farti simili viaggi e, soprattutto, non farli ad alta voce! Mi ha solo colpito, ok? Tutto qui. Ora frena la tua mente malata, grazie, ho collezionato una figura di merda abbastanza epica senza che tu ci aggiunga nulla. »

Kisshu annuì, più che altro per liberarsi dalla presa di Eyner che lo stava quasi soffocando, e senza aggiungere altro fece spallucce e accelerò il passo, portandosi avanti. Non doveva insistere oltre per il momento. Intanto, però, una pulce nell'orecchio l'aveva messa e sapeva bene che Eyner, in fondo, era troppo semplice perché lui si sbagliasse.

Si fermarono tutti imitando Pai, dritto in piedi di fronte all'edificio che aveva indicato prima. Si trattava di una struttura a parallelepipedo, molto semplice e spoglia; i muri esterni avevano una tinta curiosa che sembrava cangiante, o forse riflettente per il modo in cui diventava indistinguibile quando la vegetazione mossa dal vento la sfiorava; non c'erano finestre, ma semplici fori rettangolari nella pietra e, nel complesso, l'edificio era fin troppo sobrio e disadorno, abbastanza deludente rispetto alla città che si scorgeva in lontananza.

Pai allungò la mano verso l'ingresso, una porta intarsiata appena incassata nel muro, e la poggiò su una superfice invisibile ad una decima di centimetri dall'entrata; attorno alla sua mano s'illuminò un profilo di luce blu artificiale, si udì un rumorino elettrico e una voce acuta canticchiò:

« Sì sì sìì ? Chi è, chi è? »

Pai sospirò con fare stressato:

« MoiMoi, che domande fai? »

« Ah, Pai-chan! »

La porta si aprì con un risucchio e le MewMew percepirono un lieve baluginio nell'aria mentre la barriera invisibile svaniva.

« Ci siete tutti? Anche le ragazze? »

Continuò a cantilenare la voce; Ichigo sentì chiaramente che qualcuno la osservava sebbene non capisse da dove arrivasse lo sguardo.

« Aaah, eccole lì! »

« MoiMoi, hai finito di fare la scema? – sibilò freddo Pai – Noi scendiamo. Chiama il consigliere Teruga. »

« Ok, ok, agli ordini. Come sei noioso… »

Il gruppo seguì il ragazzo dentro l'edificio. Subito dopo l'ingresso si apriva un corridoio che scendeva rapidamente verso il basso, rivelando una struttura cupa e buia.

« Miao, che posto lugubre! »

« E… Esattamente, che posto sarebbe? »

Domandò Purin con tono preoccupato e allungò la mano nella semioscurità, cercando quella di Taruto che gliel'afferrò timidamente, approfittando del buio.

« È un centro ricerche. – spiegò Eyner – Lo usiamo come base operativa dopo l'incidente con la Mew Aqua, è sicuro e non troppo esposto, così possiamo evitare problemi con la popolazione, e ridurre al minimo la fuga di informazioni. »

« Tanto, qui ci lavorano solo in tre. – aggiunse Kisshu a bassa voce e indicò il fratello maggiore – Sotto il comando di Nostro Signore dei Ghiaccioli. »

Sentendolo Purin, Taruto, Minto, Ichigo e perfino Retasu trattennero male uno sbotto di risa; pure Pai, però, sembrò sentire, e si voltò con aria feroce guardandoli da oltre la spalla. Purtroppo fu Retasu a beccarsi la silenziosa strigliata, essendo la sola sulla linea visiva del ragazzo che la studiò in cagnesco qualche istante, per poi rivoltarsi e accelerare il passo.

« Ahi, sorry pesciolina – le sussurrò Kisshu sorpassandola – colpa mia. »

La mewfocena non gli rispose e non si fermò, ma rannicchiò le braccia in grembo con fare impacciato.

Dopo un paio di minuti di discesa arrivarono in una piccola stanza ovale con un tavolo e alcune sedie, che assomigliava ad una piccola sala conferenze.

Dentro c'erano tre persone; le due più giovani, in piedi, erano un uomo e una donna.

La donna, o meglio la ragazza, doveva avere più o meno l'età di Ichigo, sebbene possedesse uno di quei visi dolci che rendono impossibile definire gli anni precisi. Era piccola e minuta, quasi non ne si intuivano le forme, e aveva luminosi capelli viola chiaro che scendevano vaporosi tutto attorno fino alle spalle, con due lunghi codini ai lati della testa e occhi color del miele, grandi e allegri. Indossava una maglia verde giada dallo scollo tondo, stretta in vita, dalle maniche a tre quarti che terminavano a campana; sotto aveva una gonna verde bottiglia corta e gonfia da cui spuntavano le calzature più strane che Ichigo avesse mai visto, un misto tra delle ballerine e dei collant.

L'uomo sembrava poco più grande di Eyner e Pai ed era alto quasi quanto loro, ma più massiccio; aveva un'aria torva e un po’ annoiata, accentuata dalla frangia verde pallido che gli accarezzava gli occhi blu notte; al contrario dei suoi compagni non portava codini o trecce tra i capelli corti e scalati, ma in compenso aveva un curatissimo filo di barba che scendeva dal labbro fino al mento. Gli abiti che indossava, un pantalone lungo color canna di fucile, che si insacchettava in scarponcini pesanti, e la maglia con le maniche morbide, strette a tre quarti, e scollata a v sul torace, gli davano un'aria parecchio feroce, che unita al suo sguardo cupo fece indietreggiare un poco le ragazze.

Seduto su una delle sedie, infine, c'era un uomo abbastanza attempato, magro e dalla schiena curva. Indossava abiti che perfino per le terrestri, ignare dei costumi alieni, erano più ricercati di altri che avevano visto: un pesante pastrano bianco bordato di filo bronzeo gli scendeva davanti e dietro, coprendo una maglia lunga avorio  e dei pantaloni alla zuava della stessa tinta, che finivano in alti calzari color bronzo. I radi capelli sale e pepe erano attraversati da un ciuffo, tenuto stretto da un laccio giallo pallido, che gli passava sopra un orecchio e poi dietro la nuca, fino al lato opposto della testa; sul viso nascosto dietro le mani nodose c'erano due limpidi occhi verde oliva, appena coperti da sopracciglia cespugliose.

« Benvenute, mie care. – disse l'uomo; aveva una voce bassa dovuta all'età, ma ogni sua parola era chiara e ben udibile – Molto piacere di conoscervi. Perdonatemi per l'accoglienza così… Discreta, ma dalle nostre parti l'atmosfera non è delle migliori, e io ci tenevo a parlarvi in tranquillità. »

Si tirò in piedi faticosamente e fece loro un lieve inchino che fu ricambiato goffamente e con una certa agitazione.

« Mi chiamo Teruga. – continuò – Sono il consigliere anziano del Consiglio Maggiore. »

Le guardò stiracchiando un sorriso sul viso rugoso:

« Se siete qui, posso sperare nel fatto che abbiate accettato di aiutarci? »

Purin stava già per esclamare di sì, ma Zakuro la fermò e rispose con garbo:

« Prima vorremmo capire meglio cosa sta succedendo. Vede – fece cenno di guardare alle sue spalle verso i quattro ragazzi che le avevano scortate – loro non sono stati prodighi di dettagli. »

« Ragazzina. »

A parlare era stato l'uomo dai capelli chiari. Aveva la voce profonda e roca e sembrava parecchio seccato:

« Stai attenta a quello che dici. »

Lei lo guardò senza rispondere. Eyner fece inconsciamente un passo avanti, frapponendosi tra i due:

« Sando, stava solo chiedendo, non credo… »

« Esatto. Stavo solo chiedendo. – replicò freddamente la mora – E credo che avremmo diritto di avere le idee più chiare. Del resto, così avevano detto Kisshu e gli altri: non potevano darci maggiori dettagli, perché voi ce li avreste forniti. »

Si girò verso Eyner e il ragazzo si sentì parecchio a disagio, aveva l'impressione che Zakuro fosse arrabbiata con lui.

Era meglio se mi facevo i fatti miei e li lasciavo sbranare.

« Sì, esatto. »

Intervenne Pai tranquillo. Il consigliere sorrise con fare da felino, quelle umane erano molto divertenti:

« Avete ragione. Sedetevi pure care, vi spiegheremo tutto. »

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) glielo dite voi o glielo dico io -.-""? questa non capisce proprio una mazza -_-""!

Ryou/Kisshu: concordo -.-"!

Ichigo: di che state parlando?

Tutti: -.-""" appunto

(**) episodio 17 della serie ;)

(***) sì ok, la metto la nota, ma tanto lo sapete no? Quell'episodio lo conosciamo TUTTI! (e ogni volta che lo vedo vorrei fare Ichigo allo spiedo +__+**…) episodio 39

 

 

 

 

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Eyner: … autrice…

Dimmi caro ^^.

Eyner: ma io non ti stavo simpatico -.-"?

Certo ^w^!

Eyner: e allora perché nel giro di un capitolo mi presenti e mi fai fare una figura di emme -_-"""?

Perché sei adorabile ^w^!

Eyner: -.-""… Tremo se penso che succedeva se ti stavo sulle balle…

(da Il Collezionista) Combattenti d'Orione con aureola in testa: non chiedere -.-***!!!

Allora, che ne dite gente, che ne dite ^^? Lo so, è un bel brodone ^^"", ma abbiate pazienza xP, le cose da dire sono davvero un sacco e vorrei lasciarmi troppi capitoli di spiegazione… Ho già deciso di smezzare questo xkè era davvero enorme, prometto che il prossimo ci saranno meno chiacchiere e più cose interessanti ;).

Kisshu: oh, io sn già molto interessato ^^!

Ichigo: autrice, che diavolo hai intenzione di fare >\\< ?!

Io ^^ *aureola*? Perché, non ti stai divertendo?

Ichigo: direi proprio di no >\\\\< !! cos'è, vuoi gettarmi in un triangolo?!

Taruto: io direi più un quadrato…

Purin: uno schema a stellina x3!

Minto: per la stella ne manca uno…

Ichigo: manica di idiotiiii >\\\< **!!!

SPUFF! *Ichigo si agita tanto che diventa un gatto*

Oooh, finalmente la pace! Allora, dicevo… Che ne dite dei personaggi che ho inserito? Eyner farà parte della squadra e quindi lo vedrete sempre, mentre sia Sando che MoiMoi avranno molto + spazio nei prossimi cap, non vedo l'ora porteranno tante sorprese x3!

Sando: …

MoiMoi: sìsì, che bello ^w^!!

Parto a ringraziare!

A Viola_Merida_32: ciau cara ^w^! Uhu il tuo entusiasmo è sempre una carica x3, azieee! *gongola* beh per le trame non so… A volte mi vengono in mente scene inconcludenti, e penso "ah, che bell'idea! Ma ci dovrei creare una storia…" e allora vado, altre (rarissime!) volte sono folgorata sul posto, molte altre (purtroppo ç_ç) mi scervello a forza finché non trovo una trama decente. Negli ultimi tempi è un po' più facile :P, visto che passo il mio tempo a lavorare su trame manga originali da pubblicare, se devo scrivere una ficcy ho molto meno da lavorare xP, ho trama generale e pg già pronti xPP!

Kisshu: Opportunista!

Taruto: scansafatiche!

*Ria li picchia con la riga da 70 cm* sono felice che ti piaccia il mio modo di scrivere ^\\^, mi impegnerò ancora di più! Lo so, per il momento la storia è un po' incasinata… Con questo e il prox cap sarà quasi tutto spiegato (o almeno la maggior parte delle cose… Mica posso raccontarvi tutto, se no non ho + niente da scrivere ;P!). non sai che patema scrivere che Masaya è figo -.-""! e temo che a fini di trama dovrò replicare, me tapina ç_ç""!

Ichigo: che cattiva T_T"!

Masaya: tappina?

Eccolo l'idiota -.-""…

Ichigo: M-Masaya-kun ç_ç""…

È puccia Retasu eh ^w^? Aaah, mi divertirò prossimamente, anche con quella notina lime *-*… *risata maniaca*

A Yoake: cara, ma che piacere sapere che leggi anche le altre mie storie! *gongolaggio aumenta* ma non ti preoccupare, recencisci come vuoi, da delirio, corta corta o chilometrica xD! L'importante per me sono le vostre recensioni, qualunque giudizio è ben accetto e può solo aiutarmi a migliorare ^^! Grazie dei complimenti, sono contenta che la storia di abbia già coinvolto anche se è incasinata :P, era quello che volevo ottenere ^^. Purtroppo per il momento non posso farti alcuna anticipazione, né sul legame con l'intro con gli eventi del primo capitolo, né su Retasu… Non voglio rovinarti la sorpresa! Ma posso dirti di tenere viva la tua idea ;). Per la tua nota sul Giapponese, potrebbe essere (non lo conosco così bene da dirti il contrario), ma potrebbe anche essere una regola legata al "linguaggio cortese": ci sono molte parole che devono dire le donne perché sembra + educato, ad esempio il bento una donna lo dovrebbe dire "o-bento" xkè risulta più fine, ma sono sottigliezze non molto chiare, ancor meno dagli anime e manga in cui si parla in modi un po' strani rispetto al loro parlato ^^"". Onestamente io cercherò di andare ad orecchio :P, ti ringrazio cmq dell'info mi documenterò ;)

A mobo: ^\\^ sono commossa di sentire tanti complimenti su come scrivo, mi rende proprio felice ^^! Anche se le fanfic sono un hobby, per me sono cose molto importanti proprio come il dipingere e i manga e mi ci impegno molto, vedere che un mio lavoro è tanto apprezzato mi rende davvero contenta! *lacrimuccia* anche a me Retasu piace da morire x3, forse perché siamo imbranate uguali xD!

Retasu: io… Imbranata °\\°"?

Comunque spero di darle sufficiente respiro. Sono felice che tu legga anche Il collezionista, devo ritoccare il cap ma aggiornerò presto anche quello, anche perché ho grandi progetti per il futuro e voglio concludere *w*…

Tutti: tremiamo dal pensiero °_°""!

Ho aggiornato prima Crossing presa dall'impeto della novità ;P, ora corro a finire l'altro cap e poi cercherò di terminare quello di GG&ET, che si sta rivelando un po' ostico nei miei confronti -.-** (Aisei è un casino da manovrare, se non faccio attenzione mi massacra gli altri personaggi!)

Aisei *da GG&ET*: lasciami fare +___+** *occhi assassini*

Stanni bonna in po! *parla genovese* se me li accoppi non posso più scrivere!

Cast di GG&ET: una scelta sofferta eppuyre allentante, estremo sacrificio e liberazione oppure lenta tortura da parte di questa squilibrata…

Aisei: Io?

Tutti *indicano Ria*: no, lei!

*li ignora* spero che anche questo capitolo ti abbia incuriosito! A presto con Crossing e gli altri cap delle mie ficcy, una bacio a tutti e commentate numerosi ^^!!

 

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Capitolo 3
*** Waiting on middle of crossing ***


Olala! Bonjour! O bonsoir, a seconda di quando state leggendo, comunque salveee ^^! Questo mese sono in ritardo con gli aggiornamenti, chiedo perdonanza >.<""! Tanti progetti e tante cose da fare… Stiamo partendo anche con le commission di DeviantArt, non so proprio come farmi del male eh ^^""?
Pai: essere inutile -.-

Ç_ç""! buhuuu, Eyn-chaaaan! Pai è cattivo! *pianto da bebè*

Eyner: su su ^^""… *pat-pat sulla testa* Per favore, possiamo cominciare il capitolo ^^"? qui in fondo non ci arriviamo più -_-!

*Ria col moccio al naso* ci vediamo in fondo, *sniff* ç_ç"!

 

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Cap. 03 – Waiting on middle of crossing

                 Walking around under an unlucky star

 

 

 

 

 

« Dunque i generali vi hanno parlato di cosa è successo, giusto? »

Riprese la voce di Teruga dopo un veloce riassunto. Ichigo, ancora con la mascella a mezz'asta da quando aveva sentito la parola "generali" rivolta ai loro accompagnatori, annuì:

« S-sì. Dei problemi dopo che avevano lasciato la terra e di come il cristallo si è rotto e disperso… »

« Ma non ci hanno detto di preciso chi voleva prenderlo. – intervenne Minto – Come mai doveva essere lei a dircelo? »

Il consigliere prese un profondo respiro e si risedette:

« Per il nostro mondo la comparsa di questi individui non è solo un rischio per la nostra esistenza, ma anche, mi rammarica dirlo, un problema di natura politica che ci colpisce molto profondamente, minando la nostra tranquillità sociale. »

Diede un'occhiata a MoiMoi e questa annuì. Si portò verso il centro della stanza e lasciò sospeso a mezz'aria un oggettino sottile simile ad una tessera magnetica. L'oggetto restò a fluttuare qualche istante e MoiMoi lo toccò appena con l'indice: quattro figure vennero proiettate in aria dalla tessera in quattro ologrammi distinti, che strapparono alle terrestri delle grida di stupore.

« N-non può essere…! »

Ichigo si avvicinò piano alle immagini, gli occhi nocciola tremanti, e fece per allungare la mano:

« Ao No Kishi….? »

Ritrasse la mani di scatto.

No, non era Ao No Kishi. Le immagini mostravano quattro alieni dai capelli biondi e dagli occhi azzurri, ma nessuno di loro era il difensore della mewneko, anche se gli assomigliavano enormemente.

« Non hai sbagliato propriamente. – le sorrise MoiMoi – Ma forse è meglio spiegare dall'inizio. »

« Sai il motivo per cui Masaya Aoyama si trasformava in Ao No Kishi? »

Chiese Pai alla rossa. Lei scosse appena la testa, frastornata.

« Beh… Perché Aoyama-kun voleva proteggere Ichigo – disse piano Retasu – e usava inconsciamente il potere di Ao No Kishi, cioè Deep Blue… »

Pai annuì:

« Perché condividevano lo stesso corpo. – sintetizzò – E sapete il motivo? »

Non seppero rispondere; dopo qualche secondo di silenzio intervenne MoiMoi:

« Perché condividevano un DNA molto simile. »

S'indicò portandosi le mani al petto:

« La mia gente e voi terrestri non siamo tanto diversi in fondo, no? A partire dall'aspetto fino alla struttura interna. Inoltre siamo nati sullo stesso pianeta, anche se in epoche diverse, quindi il nostro codice genetico è estremamente simile.

« Sappiamo che la forza di Deep Blue era molto simile all'energia che sprigiona la Mew Aqua, un'energia nel senso puro del termine. Per questo motivo il suo corpo reagiva tanto al cristallo. »

« Ma cosa c'entra con Aoyama onii-chan? »

« Deep Blue era un'entità incorporea – disse Pai – e ha preso poco a poco possesso del corpo estraneo che possedeva un DNA più simile a quello del suo corpo originale. »

« Vorreste dire che Aoyama è più simile ad un alieno che ad un essere umano? »

Domandò scettica Zakuro.

« Molto umano non mi è mai sembrato. »

Commentò Kisshu acido.

« No, il vostro amico è un umano in tutto e per tutto, – sorrise MoiMoi – ma il suo codice genetico è estremamente vicino al nostro più di quello di altri terrestri, ad esempio dei vostri. Nel suo caso, la cosa poi ha preso una piega particolare per via della presenza di Deep Blue, ma purtroppo non è stato un evento isolato. »

« Che vuoi dire? »

« Questi tizi – indicò i quattro sosia di Ao No Kishi – che ora si fanno chiamare Quattro Ancestrali, un tempo erano individui comuni, con la sola particolarità (che, ovviamente, abbiamo scoperto solo a fattaccio compiuto) di avere un DNA molto, molto simile a quello di Deep Blue.

« Quando Kisshu-chan e gli altri hanno portato qui la Mew Aqua, loro hanno cominciato a subire dei cambiamenti: l'irradiazione del cristallo ha avuto una sorta di effetto secondario e ha risvegliato quei caratteri ereditari appartenuti al nostro ex-sovrano. Come per il vostro amico sulla Terra. »

« Ma è assurdo! »

Esclamò Minto, ma MoiMoi scosse la testa afflitta:

« Purtroppo è così, anche se alcune dinamiche ci sono ancora poco chiare. »

« Esattamente come Ao No Kishi, però, sono incompleti. – concluse Pai – A differenza sua, però, sono pienamente coscienti di chi sono e di cosa stanno facendo, ma non hanno ancora risvegliato tutta la loro forza. »

« Vorresti dire… Come Deep Blue? »

La mewfocena tremò da capo a piedi vedendolo annuire.

« Per questo volevano il cristallo – aggiunse Eyner – e ancora adesso lo stanno cercando. »

Scese un silenzio teso, mentre le ragazze si guardavano molto preoccupate. Il consigliere Teruga diede un lieve colpo di tosse e riprese:

« Capite ora cosa intendiamo come motivo politico?

« Questi cosiddetti Quattro Ancestrali sono una possibile reincarnazione di Deep Blue: non sono soltanto molto pericolosi in sé, dunque, ma sono anche un esortazione per tutti coloro che vorrebbero ancora una conquista definitiva della Terra. Per alcuni sono il simbolo di una nostra supposta predominanza sul genere umano, per altri quello di un tiranno che non vuole smettere di tormentare le nostre vite. »

« E, ovviamente, se questi Ancestrali sono così bellicosi, non patteggeranno per una soluzione pacifica… »

Concluse Zakuro gravemente, ricordando le parole di Eyner al Caffè. Teruga annuì lievemente; MoiMoi riafferrò la tessera e gli ologrammi scomparvero, così riprese:

« A conti fatti, signorine, noi ci troviamo con questi problemi comuni.

« Ci sono dei passaggi che collegano il vostro e il nostro mondo, e molti, molti altri, e questi sono instabili e pericolosi; ci sono inoltre quattro pericolosi e potenti guerrieri, disposti a qualunque cosa pur di ottenere la Mew Aqua dispersa tra i ponti creati dalla stessa; questi individui, inoltre, pensano che ottenendo la Mew Aqua diventeranno una specie di reincarnazione di Deep Blue e una volta accaduto, come prima cosa, cercherebbero di conquistare la Terra.

« La soluzione è rintracciare i frammenti di Mew Aqua prima di loro, ma noi non siamo in grado di farlo, mentre voi sì. »

Teruga guardò penetrante le cinque ragazze e disse piano:

« Quindi ve lo chiedo ufficialmente: vorreste collaborare con noi, finchè non avremo rintracciato ogni frammento del cristallo? »

Ichigo si irrigidì alla domanda, sentendo la pressione di leader del gruppo come non accadeva da tempo.

Esattamente come prima di partire era tormentata dal dubbio, se accettare per dovere o se rifiutare per, una volta tanto, poter decidere da sé.

Manco a dirlo fu Purin a scattare subito in avanti con un gran sorriso:

« Io lo avevo già detto e non ho cambiato idea. Vi aiuterò! »

« Purin… Guarda che potrebbe essere pericoloso! »

Tentò di blandirla Minto, ma la biondina era irremovibile:

« C'è anche Taru-Taru, non corro alcun pericolo! »

« Perché mi coinvolgi sempre?! »

Bofonchiò il ragazzino a denti stretti arrossendo appena; Purin continuò tranquilla:

« Comunque, credo che possa bastare io per cercarla, no? »

Guardò Pai e MoiMoi che si scambiarono occhiate indecifrabili.

« Sì… Non credo farebbe differenza. Io e Pai-chan abbiamo comprovato che dovreste reagire meglio, visto che la Mew Aqua è in forma liquida, però con una soltanto impiegheremmo un sacco di tempo… »

« Non esiste che tu faccia una cosa del genere da sola! »

Fece Retasu agitata. Purin mise il broncio e le guardò:

« Beh, io comunque li aiuterò. Voi che fate? »

Le amiche non risposero di nuovo. Zakuro si massaggiò il collo e sospirò:

« So che abbiamo poco tempo e vi serve una risposta subito, ma possiamo rifletterci un po'? Il tempo di due passi. »

« Già! Ideona! »

Purin si avvicinò di corsa alla sedia dove sedeva Teruga, incurante dell'occhiataccia di Sando, e alzando il braccio e mettendosi in punta di piedi chiese, eccitatissima:

« Signor Teruga, signore! Possiamo curiosare qui in giro? »

Tutti i presenti la fissarono come se fosse impazzita.

« Zakuro nee-san ha ragione, ci vogliono due passi! E la vostra città mi sembra così bella, possiamo sbirciare in giro?! »

Taruto fece una smorfia vedendo la sua faccia contenta, era evidente che voleva solo poter esplorare la città, ma Teruga si limitò a sorridere benevolo:

« Certo. Due passi vi schiariranno le idee. Vi chiedo solo di non girare sole e di cercare di non dare nell'occhio… »

Non terminò la frase che Purin era già corsa di sopra, con Taruto ad inseguirla che protestava senza posa; subito anche il resto delle MewMew e i ragazzi salirono di nuovo, lasciando nella sala solo chi avevano trovato.

« E tu dove vorresti andare? »

La voce profonda di Sando fermò MoiMoi che era ormai ai piedi della scala:

« Sono curiosa – disse – voglio sbirciare cosa combinano. »

E scomparve a balzelli strappando all'uomo un sospiro rassegnato e a Teruga una risata bassa.

« … È sicuro che sia un bene che girino per strada? »

Chiese Sando dopo alcuni minuti di silenzio. Teruga si accomodò meglio sulla sedia e sospirò:

« I generali avranno già provveduto a schermarle, cosicché non siano riconoscibili. Inoltre… –  sembrò riflettere se parlare o meno, massaggiandosi le mani magre – Se vedessero… Forse si convincerebbero più facilmente. »

Sando non rispose.

« So bene che è una richiesta onerosa, la nostra, ma ti assicuro che non la farei, se avessimo un'altra soluzione. »

« Lo so, signore. »

 

 

***

 

 

Purin era al settimo cielo, incapace anche di sbattere le palpebre tanto la vista della città la entusiasmava. Eccitatissima si allungò più che potè coprendosi gli occhi dal sole e guardò la vita che si estendeva oltre quel lieve crinale dove si era fermata, a un passo dalla porta principale.

Stava già scattando per correre tra la folla quando qualcuno l'afferrò per il colletto e lei capitombolò a gambe all'aria.

« Dannazione, ti fermi un secondo?! »

« Ahiii… Taru-Taru! – si lagnò – Mi hai fatto male! »

« Vuoi scatenare il panico, deficiente?! – proseguì a sgridarla – Dove pensi di andare con quel tuo aspetto umano?! »

La fece alzare in modo brusco e le toccò leggermente la spalla; Purin ebbe la sensazione che qualcosa di caldo le scivolasse addosso per alcuni secondi e poi, come d'incanto, attorno al suo polso sinistro comparvero due minuscole sferette di luce, appena vedibili, che ruotavano pigre una dietro l'altra.

« Wow, che figata! Che cosa sono?! »

« Ti ho solo schermata. »

« Che? »

« Ma tu ascolti la gente quando parla?! – sbottò – Ti abbiamo detto che c'è ancora della gente che vorrebbe la conquista della Terra, e tu pensavi di passeggiare tranquilla?! »

Sospirò seccato mentre gli altri li raggiungevano, a volte Purin era esasperante.

« Grazie allo schermo non ti vedranno; passerai inosservata come se fossi niente più che una di noi e, se anche qualcuno ti parlasse, vedrebbe solo una ragazzina della mia gente. – le indicò le piccole sfere sul polso – Quelle sono solo un indicatore: se svaniscono, per una qualche ragione, tu nasconditi. È chiaro?! »

Lei annuì convinta continuando a sorridere, cosa che non rassicurò Taruto neppure un secondo:

« Mi toccherà starti appiccicato per controllare che non ti cacci nei guai, conoscendoti… »

« Già. Come se la cosa ti desse fastidio, vero? »

« Kisshu, vai al diavolo! »

Il ragazzino fulminò il fratellastro con un'occhiata assassina, ma dovette subito tornare ad ignorarlo perché, spinta da "tanto non possono vedermi!" – frase che gridò a pieni polmoni – Purin si era già lanciata in città senza aspettarli.

« Guarda che non è che sei invisibile! – le urlò dietro Taruto – Dannazione…! Aspettami, scimmia che non sei altro! »

Le corse dietro seguito da una preoccupatissima Retasu e poi dalle altre ragazze, che non sembravano così entusiaste di perdersi in mezzo ad una folla di alieni.

« Purin, per l'amor del cielo! – le gridò Minto – Fermati! »

Parole al vento.

Raggiunsero lo spiazzo appena dopo la porta e si ritrovarono nell'allegra confusione di una città che stava riprendendo a vivere, nel chiacchiericcio e nel trambusto di richiami di venditori, passi frettolosi, risate e discussioni. Eyner non sembrava troppo contento e così neppure Pai e Kisshu.

« Qui è troppo affollato. – disse piano il bruno – Rischiamo di dividerci. »

Gli altri due annuirono.

« Sì, forse è meglio spostarci. »

Concordò Kisshu; del resto, con quella folla non poteva starsene un po' tranquillo con la sua gattina come progettava già da almeno una decina di minuti.

« Su, portiamole via da qui… »

Sentirono un grido divertito e scorsero Purin venire letteralmente inghiottita da un gruppo di persone. Taruto le saltò dietro, preoccupato e furente, ma quando anche lui sparì alla vista Retasu tentò di raggiungerli, finendo quasi per essere schiacciata dalla folla.

La confusione era tale che non riusciva più a capire dove fosse né a sentire le voci delle compagne, ma non aveva abbastanza forza per contrastare quel fiume di gente. Di colpo sentì qualcuno afferrarle piano un braccio e tirarla verso dì sé, e in un secondo fu fuori dalla ressa, ancora in mezzo al caos, ma con abbastanza spazio per respirare.

« Tutta intera? »

Lei ritrasse il braccio come se lo avesse scottato e stiracchiò un sorriso impacciato, pregando per la quarta volta in meno di una giornata di non essere rimasta brasata a guardarlo:

« S-sì, tutta intera… Grazie Pai-san. »

Lui fece spallucce, era così alto che individuare la verde in quel marasma e tirarla fuori era stato semplicissimo.

Retasu continuò a torturarsi le dita rilassandosi solo quando scorse Taruto e Purin – lui, l'aria frastornata dopo essere riemerso dal guazzabuglio, che teneva saldamente lei per un braccio – a poca distanza da loro. Pai invece non sembrò contento, guardandosi attorno corrucciato.

Certo che Eyner sapeva essere proprio profetico.

« Dove sono finiti gli altri? »

 

 

***

 

 

Non era possibile…

Non era vero!

La sorte non poteva avercela con lei a quel modo!

Si guardò attorno disperata, non capiva nemmeno dove fossero finiti, sembrava una zona di villette, ma poteva essere anche un cimitero, per quel che la riguardava.

Continuò a ruotare su sé stessa cercando volti famigliari, ma l'unico che scorgeva era quello dell'alieno dagli occhi dorati alle sue spalle, che la guardava insistente:

« … Perché diavolo mi trovo da solo con te? »

« Questo dovrei dirlo io, Kisshu! »

Sbottò stridula Minto.

« Io volevo restare solo, sì, ma con la mia gattina! – fece imperterrito e la indicò – Perché mai dovrei stare solo con te?! »

« Dovevi pensarci prima di afferrarmi, no?! »

« Ma sentila! – sbottò offeso – Sei talmente bassa che la folla stava per schiacciarti, dovresti solo ringraziarmi per averti tirato fuori da lì! »

Lei s'irrigidì punta sul vivo. In effetti per una volta Kisshu non aveva fatto niente di male, anzi, se non fosse stato per lui chissà dove sarebbe finita; ma non l'avrebbe mai data vinta al ragazzo e così, impettendosi, prese a camminare senza neppure guardarlo:

« Beh, se le cose stanno così… Grazie tante e va a quel paese. – soffiò con un sorriso feroce – Vai pure da Ichigo o da chi ti pare! »

Lui sbuffò furibondo:

« E tu dove staresti andando?! »

« A farmi una passeggiata! »

E sparì dietro un angolo. Kisshu si passò le mani nei capelli, quella morettina voleva mandarlo ai matti.

Fu seriamente tentato di lasciarla da sola, ma se lo avesse fatto si sarebbe trovato con una lunga lista di persone – Pai, Ichigo e Zakuro in testa – pronte a fargli la pelle per averla abbandonata.

Sbuffò forte e la seguì, pregando di riuscire almeno a trovare presto Ichigo e che i suoi piani non andassero tutti a monte.

 

 

***

 

 

Eyner si convinse che quella giornata fosse nata sotto una cattiva stella.

Cos'era quella cosa che leggevano gli umani? L'oroscopo? Quello del suo segno era di sicuro molto negativo.

Perché altrimenti si era ritrovato da solo con Zakuro?

L'atmosfera tra loro non partiva già come una delle migliori, visto il disagio da parte di lui per la figuraccia che aveva fatto al Caffè, e il mutismo della mora coronava il tutto con un clima talmente gelido da lanciare vibrazioni negative.

L'ultima volta che Zakuro aveva parlato era stata una decina di minuti prima, quando spinti dalla folla lei ed Eyner si erano ritrovati nel quartiere limitrofo al mercato. Dopo aver constatato che nessuno degli altri era in zona, la mewwolf si era limitata a sentenziare che aveva comunque bisogno di camminare un po' e riflettere sulla proposta di Teruga; poi, il silenzio assoluto.

La mora camminava spedita e si guardava attorno all'apparenza senza degnare di uno sguardo il suo accompagnatore; attorno a loro c'era unicamente la quiete di un quartieruccio di periferia, con le case con piccoli cortili interni e dei vociare lontani, e i due passeggiavano tranquilli uno accanto all'altra.

Non che… La cosa mi dispiaccia troppo…

Eyner scosse la testa dandosi dell'idiota.

Respirò a fondo, sentendosi immensamente stanco, e mandò una piccola maledizione alla lingua lunga di Kisshu.

Non serviva ammetterlo ulteriormente, Zakuro era proprio il suo tipo: il capello lungo e scuro, l'aria adulta, un bel fisico; ma tra un gusto estetico all'assurdità che insinuava l'amico, c'era una bella differenza. Inoltre, come poteva essere? Per invaghirsi di qualcuno non bastava certo l'aspetto e quella ragazza era più blindata di una cassaforte: a stento parlava, come si poteva capire qualcosa di lei?

Meglio soprassedere sulla faccenda.

Ad un certo punto vide Zakuro rallentare e fermarsi, incuriosita da qualcosa; si voltò anche lui e scorse un gruppetto di bambini corrergli incontro con aria sovreccitata. La mora lo sentì borbottare con un mezzo sorriso:

« Cavolo, non mi ero accorto che fossimo arrivati fin qui… »

Zakuro guardò sorpresa il bruno venire circondato dal piccolo esercito pipiante, in cui piccole braccine pallide si allungavano per farsi spazio e portare il proprio padrone più vicino a Eyner.

« Eyner! »

« Sei tornato! Ma dov'eri?! »

« Sei stato oltre il cerchio bianco, vero?! »

« Cosa c'era dall'altra parte? La mamma dice che c'è un pianeta pieno di mostri! »

« Lo dice solo per spaventarti! – si udì supponente la voce di un maschietto – In realtà c'è la Terra. »

Voci di protesta.

« E tu che ne sai?! »

« Sono più grande! A me queste cose le dicono! »

« Ma piantala! »

Eyner tentò invano di acquietarli, non era il momento di badare a loro:

« Ragazzi, sentite, ora non ho tempo, sto accompagnando una persona… »

I bambini gemettero delusi e si girarono tutti simultaneamente verso Zakuro, guardandola severi; lei, con immenso stupore di Eyner, aveva assunto un'aria dolce e divertita verso i bambini e, con fare teatrale, aveva chinato la testa dicendo:

« Sì, sono io la colpevole. »

« Signorina! – piagnucolò una bimba con due grosse trecce ai lati della testa – Non potete fermarvi per un po'? »

Gli altri bambini si unirono al coro. Zakuro continuò a sorridere e si scambiò un'occhiata col ragazzo:

« Guarda che se gli dai il dito, questi si prendono perfino il collo, non solo il braccio. »

Lei si lasciò sfuggire uno sbuffo divertito e alzò le spalle:

« Solo una piccola pausa. »

 

 

***

 

 

« Ragazze! Ehi, c'è nessuno?! »

Nessuna risposta. Ichigo guardò con una lieve nota di panico i volti indifferenti della gente che le camminava attorno, senza riuscire a scorgere nessuna delle sue amiche.

Com'era possibile che fosse rimasta da sola?!

Non sapeva cosa fare, aveva perso di vista l'ingresso che avevano attraversato e non poteva neppure tornare indietro, ma girare da sola le sembrava una follia, ancor più che le era stato esplicitamente domandato di non farlo.

Cosa faccio?! Cosa faccio?! Cosa faccio?! Cosa faccio?! Cosa faccio?!

« Ehi… »

La rossa si spaventò tanto per quella bussatina sulla spalla, che sentì spuntare i suoi attributi felini; d'istinto si coprì le orecchie e si voltò, pallida e con gli occhi lucidi, sciogliendosi poi in un sospiro di sollievo:

« Tu sei… MoiMoi! »

« Ciao. – sorrise – Scusami, ti ho spaventata tanto? »

I suoi occhi ambrati sbirciarono la coda nera che si dimenava alle spalle della rossa e questa pensò subito a nasconderla:

« No… Scusa, è che sono rimasta sola e… »

MoiMoi sorrise con fare comprensivo.

« Stai attenta a mantenere il controllo, però. – le sussurrò – I tuoi poteri, anche espressi minimamente come con gli attributi felini, disturbano lo schermo. »

Ichigo annuì notando solo in quel momento che le due sfere segno della schermatura, che ruotavano sul suo polso, tremavano appena, acquietandosi solo quando coda e orecchie da gatto sparirono.

« Che vi è successo? – chiese ancora MoiMoi – Volevo divertirmi a fare un giretto anch'io, ma siete spariti. »

« Siamo stati sommersi da un mare di gente – mormorò Ichigo piangendo – e così non so dove siano gli altri, miaooo… »

MoiMoi ridacchiò:

« Ho capito. Stai tranquilla, sono sicura che le tue amiche sono in buone mani. – le ammiccò – Se ti va, potrei farti io (com'è che dite sulla Terra…? Ah, sì!) da Cicerone e farti vedere un po’ le cose qui attorno. Così ti rilassi e poi… Rifletti con calma. »

Ichigo la guardò un istante e poi annuì convinta: in effetti aveva bisogno di distrarsi un po', era troppo nervosa per pensare lucidamente alla proposta di Teruga; MoiMoi, poi, sembrava un'ottima compagnia.

« Su allora! Andiamo, andiamo! »

Ridendo prese la rossa a braccetto e la tirò con sé:

« Ci sarà da divertirsi! »

 

 

***

 

 

« Purin, ti prego, fermati un secondo! »

La biondina rise e, ignorando le proteste di Taruto, saettò veloce verso un'altra bancarella ad ammirare il cibo mai visto e gli oggetti in vendita senza un attimo di sosta.

Era tutto così… Strano! Così bello e insolito! La frutta così colorata…!

Per la quinta volta da quando era lì sentì due braccia afferrarla per le spalle e bloccarla con forza:

« Hai idea della parola "discrezione"?! – le sibilò Taruto all'orecchio – Se continui a fare tutto questo chiasso attiri solo l'attenzione! »

« Ma io mi sto solo divertendo! »

Replicò delusa. Taruto sospirò, rosso dalla corsa e col fiatone, si sentiva esausto come non lo era da tempo:

« Non ti divertiresti anche senza fare tanto casino? Non potresti fare almeno come Retasu? »

Fece un cenno alle sue spalle indicando la mewfocena qualche banco dietro di loro: anche lei si era abbandonata in quel mondo tutto nuovo, tanto che Pai doveva sorvegliarla perché non si perdesse, ma almeno la sua presenza passava inosservata.

« Se ci beccano e scoppia un casino, poi chi li sente Pai e gli altri? »

Purin incrociò le braccia dietro la schiena e lo guardò delusa. Taruto sbuffò di nuovo, chiedendosi se davvero avessero la stessa età:

« Guarda che non ho detto che devi stare ferma… »

La biondina si riprese all'istante e sorridendo gli afferrò il polso trascinandolo verso un banchetto che sembrava vendere roba da mangiare. Sul banco del venditore c'era una pentola bassa e sfrigolante da cui uscivano delle palline bitorzolute dal profumino invitante e tutt'attorno era zeppo di bambini, ma anche gli adulti sembravano mettersi in fila volentieri.

« Che cos'è? »

Chiese Purin con la bava alla bocca.

« Si chiama mimeri… È una specie di frittella. – spiegò veloce; a vedere la sua faccia gli venne spontaneo fare un sorrisetto – La vuoi provare? »

« Posso?! »

« Una sola te la danno. »

Disse con aria saccente; si allungò oltre il mucchio di gente, scambiò due parole col venditore in una lingua che Purin non capì e poi tornò indietro, con una frittella per mano. Ghignò compiaciuto:

« Una a testa. »

Purin gliene rubò una con impazienza e la morse avidamente, tutta contenta: la pallina aveva una consistenza spugnosa e soffice e un sapore salato, unito a una nota dolciastra dovuta forse al condimento.

« È buonissima! – cantilenò la ragazza finendo la frittella in un boccone – Buona, buona, buona! Ne voglio ancora! »

« Guarda che per averne di più devi pagarle. – puntualizzò lui, finendo la sua con aria poco soddisfatta – E comunque, non sono granchè… »

« Invece sono buonissime! »

Replicò Purin sorridendo. Taruto si leccò un dito facendo spallucce:

« Mia madre le fa molto più buone. »

Purin gli si parò davanti con aria di felice sorpresa e gli urlò nelle orecchie:

« Tu hai una mamma?!? »

« Come chiunque? – rispose sarcastico – Ho anche un padre se è per questo. »

« Sul serio?! »

« Ma perché ti stupisci tanto?! Cos'è, tu sei nata sotto un cavolo?! »

« Ma no, scemotto! – sorrise – Sai… È che io non ce l'ho più la mamma, quindi mi sembra bellissimo che tu abbia la tua! »

Taruto si bloccò dov'era, la voce che si spegneva:

« Come…? »

« La mia mamma non c'è più. – spiegò lei tranquilla – Ormai è tanto tempo. »

Taruto non rispose e restò a fissarla intristito: si sentiva un emerito cretino.

Non aveva fatto altro che sgridare Purin da quando l'aveva rivista, quando invece avrebbe dovuto dimostrarle quanto gli era mancata… E poi quella bella scena.

« Scusa. – sussurrò – Non lo sapevo. »

Lei scosse la testa senza smettere di sorridere e gli afferrò entrambe le mani, prendendo a correre all'indietro:

« Poi me la presenti, eh? – fece allegra – Ora però voglio esplorare ancora! Vieni dai! »

Il brunetto si lasciò tirare e sospirò, era ovvio che Purin considerava chiuso il discorso e voleva solo che lui facesse altrettanto.

« Ok, ok – rise – però mollami la mano! »

 

 

« Guarda che ti conviene accelerare, rischiamo di perderli. »

Retasu sobbalzò a quella frase e scostò di malavoglia l'attenzione dal banchetto zeppo di stoffe colorate in cui si era persa da cinque minuti buoni.

« C-come? »

Domanda cretina.

Pai fece appena un cenno con la testa verso Taruto e Purin che sparivano all'orizzonte e tornò a guardarla inespressivo; Retasu si costrinse di violenza a non arrossire, forse per Pai era normale fissare la gente in quel modo persistente, ma a lei faceva solo venire voglia di nascondersi.

« Ho detto che dobbiamo aumentare il passo o li perdiamo. »

Ripetè atono. Lei annuì agitata e trottò veloce dietro al ragazzo standogli appresso, anche se a fatica. Era troppo svelto, lui sapeva come muoversi in quella calca mentre lei no, in più lei era goffa e non faceva che incespicare, spinta da quello o da quel tizio: ogni due passi era costretta a retrocedere o a spostarsi di lato e intanto Pai si allontanava…

E se mi lascia qui?!

Chiuse gli occhi e mormorando a raffica permesso si fece largo a forza, ma com'era prevedibile andò a sbattere contro qualcuno che si era fermato e lei, ovviamente, non aveva visto.

« Oddio, – mormorò, massaggiandosi il naso contuso – mi dispiace, scu- »

« Dovresti smettere con questa tecnica del "mi butto ad occhi chiusi". »

« P-Pai-san! »

Lo sforzo per non arrossire fu inutile, ma per fortuna aveva la scusa di doversi tenere le mani sul naso arrossato dalla botta, e potè nascondere senza troppi problemi il resto del viso.

C'era una coincidenza cosmica per cui doveva continuare a fare figuracce di fronte a lui?

« N-non mi ero accorta di averti raggiunto… »

L'angolo della bocca di Pai accennò appena verso l'alto e il suo sopracciglio ebbe un guizzo. Retasu abbassò lentamente le mani a quell'espressione appena divertita: non era lei ad averlo raggiunto, ma lui ad averla aspettata?

« Pensavi ti lasciassi qui? »

Lei chinò la testa, presa in fallo.

« Andrò più piano. Sei lenta, rischi di rimanere indietro. »

Retasu assunse una faccia un po' piccata:

« N-non è molto carino quello che hai detto… »

Lui non disse altro e riprese a camminare, stavolta più lentamente e Retasu lo seguì obbediente, sospirando.

Andarono avanti per un po' in silenzio, lei che in parte si distraeva ancora per l'atmosfera vivace che li circondava e in parte cercava Purin con lo sguardo, attenta che non sfuggisse dal loro raggio d'azione.

Entrambi videro la mewscimmia agitarsi particolarmente davanti ad un banchetto e venire trascinata via da un paonazzo Taruto, e Retasu rise:

« Sembra si stia divertendo molto. »

« … Non è cresciuta per niente. »

Fu il piatto commento.

« Non è da ammirare? – disse lei con dolcezza – In ogni situazione riesce a trovare un motivo per essere positiva e allegra, io lo trovo stupendo! »

Pai non le rispose, ma a Retasu parve di scorgere un nuovo lieve sorriso.

Chinò la testa a disagio zittendosi di nuovo.

Forse per via del fatto che non erano più avversari, ma aveva l'impressione che Pai sorridesse – se quelli potevano chiamarsi sorrisi – un po' troppo spesso e a lei non piaceva.

Quel sorriso… La innervosiva.

« C-che succede? »

Si fermò di colpo accorgendosi di averlo superato: lo vide fissare immobile i due ragazzini che svoltavano in una via laterale e corrugare lo sguardo.

« Stanno andando in qualche posto pericoloso? »

Domandò preoccupata. Lui non cambiò espressione, ma riprese a seguirli:

« No. Non proprio. »

 

 

***

 

 

Minto camminava sull'argine in terra battuta di un piccolo fiume limpido, attorno a cui salivano dolcemente dei prati pieni di fiori di tutti i colori e simili nell'aspetto a certe piante esotiche che conosceva; si accucciò per guardarne meglio alcuni, ad esempio quelli le ricordavano l'ibisco, anche se i fiori erano molto piccoli e di un viola pallido.

Sarebbe stata una bellissima passeggiata rilassante, se non avesse avuto grandi responsabilità su cui ponderare e non si fosse trovata su un pianeta alieno.

« Si può sapere dove avresti intenzione di andare? »

E se non avesse avuto Kisshu a seguirla come un segugio.

« Dove mi pare. – sentenziò – E tu perché mi segui? »

« Perché se ti lascio sola e ti succede qualcosa, il senpai Sando mi fa una testa così. »

« Beh, non sono certo fatti miei! »

« Oh, puoi scommetterci, Madama Sbuffante! »

« Hai finito coi soprannomi stupidi?! »

« E tu hai finito di aggredirmi ogni sillaba che pronuncio?! »

Minto si zittì di colpo, mentre Kisshu si portava le mani sui fianchi:

« Senti, ho capito non ti piaccio. E (credimi!) anche io preferirei stare con qualcun altro… »

« Sì, lo so bene, con Ichigo – lo guardò come si guarda uno stupido – battaglia persa! »

Lui replicò con un ghigno furbo:

« Io non ne sono tanto sicuro. »

Minto parve sorpresa di quella affermazione; sospirò a fondo:

« Te ne sei accorto? »

Ad esser stupito divenne Kisshu.

« È strana da un po' – disse lei facendo spallucce – e penso che tu sappia di che sto parlando, a giudicare da quell'espressione lasciva… »

« Ehi! »

Stava per mandarla a quel paese, quando la vide rimettersi a guardare il prato alla sua destra con aria assorta; gli scappò una risata:

« Non ci credo… Sei preoccupata? »

Lei lo guardò punta sul vivo:

« Assolutamente no. – mentì – I tormenti umorali di Ichigo non mi competono. »

« Come bugiarda sei pessima. »

Minto insisté con l'ignorarlo e riprese a camminare più lentamente, le guance appena arrossate.

« Quindi anche tu ti preoccupi per le tue amiche. »

« Mi pare ovvio. – borbottò cupa – A quanto pare sono più profonda di quello che pensavi, vero? »

« Già. Riesci addirittura a sostenere un dialogo col sottoscritto di più di venti parole senza insultarmi… O quasi. »

Lei sgranò gli occhi e lo guardò, prendendosi un sorrisetto sardonico; fu costretta ad incassarlo in silenzio mentre lui ridacchiava:

« Come relazioni sociali con te stiamo a zero… Ma come amica non sei malaccio. »

Lo scrutò da sotto in su per essere sicura che non la stesse prendendo in giro e sospirò:

« Grazie. – girò la testa perché non la vedesse – Scusa. Forse ho esagerato. »

« Ah, davvero? »

« Non ricominciare. »

Lo sentì ridacchiare e lasciò perdere. Dopo un po' le sembrò che il silenzio fosse diventato pesante e cercò un qualunque discorso per romperlo:

« Certo… Che questo posto è proprio bellissimo. »

« Quanti complimenti! Stai bene? »

Lei sbuffò seccata:

« Lascia perdere… »

« Scherzavo, scherzavo. »

Era davvero divertente irritarla, gli veniva così facile!

« Ci abbiamo messo un po' a renderlo così, il ghiaccio può essere coriaceo. Speriamo che duri abbastanza finchè non torna la Mew Aqua… »

« Perché? Che intendi? »

Lui si grattò la guancia pensando se dirlo o meno:

« C'è qualche problemino… »

« Posso saperlo? – disse con più energia – Vorrei aiutarvi, quindi penso di poterlo sapere, no? »

« Vuoi aiutarci? »

Lei resse alla perfezione il suo sguardo sorpreso:

« Sì. Perché, non era quello che volevate? Che hai da guardarmi così? »

« Quando siamo arrivati combattevi a spada tratta perché non volevi farlo…! Sei ben strana, sai? »

« Mi hai seccata con la tua ironia da quattro soldi! »

Sbottò e girò sui tacchi per tornare indietro, ma non tenne conto dell'argine del fiume sdrucciolevole.

Le sfuggì un urlo strozzato ed era già pronta al tuffo fuori programma quando avvertì una presa salda sulla vita e si sentì tirare indietro fino al sentiero sicuro.

« Pew…! Per un pelo! – Kisshu rise appena – Tutto ok? »

Curiosamente, Minto non gli rispose, ma restò avvinghiata con una mano al suo braccio, tremante, respirando veloce e pallida in volto.

« Sì… Sto bene. – fingeva spudoratamente, ma non poteva farlo vedere, il suo orgoglio non glielo permetteva – Grazie. »

Gli fece segno di lasciarla, ma invece di sentirlo allontanare percepì più chiaramente il suo torace contro la sua schiena.

« Ah, però! – ghignò malizioso stringendo la presa del braccio – Sei minuta, ma hai un corpicino mica male…! »

Schivò a malapena la gomitata con cui Minto cercò di centrarlo nel plesso solare:

« BRUTTO IMBECILLE MANIACO DALLE MANI LUNGHE! »

Lui la lasciò ridendo prima che lei lo coinvolgesse in una lotta violenta e la guardò allontanarsi, sbattendo i piedi e rossa d'irritazione:

« Se vi aiuterò, tu dovrai mantenere una distanza minima di dieci metri da me! Mi hai capita?!? »

« Capita, capita… Mamma mia, qui nessuno sa stare agli scherzi! »

 

 

***

 

 

Zakuro dondolò pigramente la testa appoggiata alla mano senza smettere di guardare Eyner e lo stuolo di bimbi che continuava ad attornialo, martellandolo perché raccontasse di quello che aveva fatto nei giorni in cui non lo avevano visto.

All'inizio il rapporto di Eyner era stato parecchio attendibile, ma resosi conto che i bambini non sembravano apprezzare aveva cambiato toni narrando di imprese quanto mai rocambolesche e poco verosimili, ma che il pubblico sembrava apprezzare.

« Bene, vi già detto abbastanza. – riuscì finalmente a dire dopo una ventina di minuti – Solo per quello che vi ho raccontato potrei finire di fronte al Consiglio Maggiore o magari direttamente in carcere! »

Mentiva così bene che i bambini pendevano dalle sue labbra, annuendo con arie cospiratrici e gli occhi lucidi d'eccitazione; Zakuro si scoprì a trattenersi dal ridere.

« Eyner, Eyner! »

La bimba con le trecce che aveva insistito perché restassero gli afferrò una manica e tirò ripetutamente:

« Ci fai la tua magia prima? Ti preeeego! »

A quella frase proruppero anche gli altri bambini. Eyner sospirò, sembrava costargli molta fatica non assecondarli:

« Dai, ora devo andare… »

« Che magia? »

Si voltò e vide Zakuro che si era avvicinata, forse con fare incuriosito, anche se era impossibile capirlo dalla sua faccia inespressiva(*).

« Neanche la signorina la conosce! Dai Eyner! – insisté la bambina che, ormai, lo stava praticamente denudando a furia di aggrapparsi alla sua maglia – Per favore! »

Il bruno sospirò per l'ennesima volta:

« D'accordo… Solo una. »

Sotto gli sguardi trepidanti dei bambini tenne i palmi delle mani a mezz'aria, l'uno verso l'altro, ad una certa distanza: Zakuro intravide una minuscola scintilla dorata e poi, dal nulla, comparve un uccellino. Sembrava proprio vivo per come sbatteva le alucce e la coda, ma il suo corpo era interamente fatto di fiamme vorticanti.

Eyner mosse appena gli indici e i pollici e l'esserino compì un breve svolazzo nello spazio vuoto tra le sue mani, poi fece una capriola in aria, si rimpicciolì fino ad una lingua di fuoco e tornò grande, stavolta con le sembianze di una farfalla; volò ancora, compì un'altra giravolta riducendosi e diventò un serpente, che scivolava nel nulla come su solida roccia; un altro giro e divenne una raganella, un altro e fu uno sfavillante pesciolino, che con un ultimo guizzo verso il basso divenne una minuscola fiammella e si spense, così com'era apparso.

I bambini esplosero in altre grida di contentezza, durante le quali Eyner approfittò per squagliarsela e, fatto un cenno di saluto, spinse via Zakuro prima che li incastrassero con altre richieste.

« Uff, che fatica…! Mi dispiace, alla fine sei rimasta invischiata con me. »

Lei fece un cenno di diniego:

« È stato divertente. »

Eyner si chiese se mentisse o dicesse la verità, ma era inutile tentare di capirlo; era come parlare ad una sfinge.

« Carino il trucchetto di prima. »

« Proprio giusto un trucchetto. – sospirò con un po' di delusione – Mentre combatto non sono in grado di fare cose così elaborate, ci riesco solo in formato mignon. »

« Usi il fuoco per combattere? Credevo che utilizzaste tutti i fulmini. »

Eyn si stupì di una domanda del genere, ma in fondo lei aveva combattuto contro Kisshu, Pai e Taruto per quasi un anno intero, non era così strano avesse notato quel particolare; e poi, tutto era meglio del silenzio:

« Non necessariamente… È una questione di predisposizione. Poi c'è chi impara a padroneggiarne diversi – si battè l'indice sul mento pensieroso – che io ricordi, Pai padroneggia vento, fulmini, acqua e ghiaccio. Sando senpai invece, per esempio, è un maestro con le creature vegetali… »

« Sando… Quel simpaticissimo gorilla che abbiamo incontrato prima? »

Eyner rise sotto i baffi:

« Sì, ma stai tranquilla, di solito non è così rigido. È anche irascibile e scontroso. »

« Magnifico… »

Zakuro non aveva riso, ma Eyn era riuscito a strapparle un sorrisetto beffardo.

« Quei bambini… Li conoscevi tutti? »

« Casa mia è in zona. – disse spiccio – Loro vivono tutti lì attorno… Mi si appiccicano sempre. »

« Si vede che ti sono affezionati. Sarà una faticaccia. »

« Così così. Ho una sorellina più o meno della loro età, ci ho fatto presto il callo. »

« Hai una sorella? »

« Di sette anni. Quattordici di differenza. Siccome siamo soli io e lei, io faccio da fratello e un po' da tutto, a seconda delle occasioni. »

Concluse con ironia; Zakuro non rispose, mantenendo la sua solita espressione.

« Scusa, sto parlando di cose senza importanza. »

Lei scosse la testa con decisione:

« È bello. »

Le sfuggì un altro lieve sorriso e Eyner sentì lo stomaco fare le capriole.

Ahi, ahi…

Era meglio cambiare discorso.

« Senti… Allora cos'hai deciso di fare? »

Lei non rispose aggiustandosi i capelli dietro l'orecchio e poi lo fissò seria:

« Voi ci avete detto tutto, vero? »

Era una semplice domanda, non un'accusa; Eyner stava per rispondere di sì, quando gli venne in mente una cosa che nessuno di loro aveva ancora accennato.

« Forse c'è una cosa che dovresti vedere. »

 

 

***

 

 

Quella giornata stava rasentano l'assurdo.

Era cominciata in maniera pressoché normale, con la scuola e il resto… Poi il portale, gli alieni, una nuova missione da "salviamo l'universo"…

E ora stava facendo shopping alieno.

MoiMoi continuava a trascinarla per il mercato, senza darle neppure il tempo di focalizzarsi sul pensiero "ehi! Stai facendo compere con una ragazza aliena su un altro pianeta!".

« Sono così contenta di divertirmi un po'…! Al laboratorio ci sono sempre solo i ragazzi, una noia mortale! Ah, guarda, guarda! »

Trascinò la rossa verso una bancarella che vendeva – per quel che Ichigo poteva capire – abiti e accessori e si allungò ad afferrare due nastrini di un bel rosa acceso:

« Questi ti starebbero benissimo! – li accostò ai suoi capelli e sorrise deliziata – Ah, lo sapevo! Dai Ichigo-chan, prendili prendili! »

La rossa osservò i nastrini un po' spiazzata, MoiMoi era simpatica, ma un tantino esagitata; ma quei nastri erano davvero la fine del mondo…

« Vorrei – mormorò a disagio – m-ma non posso… Non ho… »

Si vergognava a dire "non ho soldi", anche se l'unico motivo era che non apparteneva neppure a quel pianeta. MoiMoi le fece l'occhiolino:

« Tranquilla, se ti piacciono ci penso io! »

« Cosa? Oh no! Non potrei…! »

Non finì la frase che MoiMoi aveva già pagato e glieli stava mettendo arbitrariamente, cinguettando felice ad opera compiuta:

« Ti stanno benissimo! Sei proprio carina, Ichigo-chan! »

Lei sorrise. Si accorse che MoiMoi le aveva acconciato i codini come i suoi compatrioti e il sorriso si allargò:

« Non male. Così sono una variante. »

MoiMoi parve soddisfatta e ridendo la portò ancora con sé in giro.

Era divertente chiacchierare con l'aliena, con lei Ichigo si sentiva molto più a suo agio che con gli altri e si sentì di porle un sacco di domande, la maggior parte curiosità un po' sciocche.

« Mi sono stupita, prima, quando il consigliere ha chiamato Kisshu e gli altri "generali". »

« Il consigliere Teruga lo fa per scherzare. – disse MoiMoi con aria imbarazzata – In realtà Pai-chan e Sando sono colonnelli, io, Kisshu-chan ed Eyner-chan siamo capitani e Taruto-chan è tenente(**). »

« M-ma sono tutti gradi di ufficiali dell'esercito! »

« Beh, lo siamo no? »

Ichigo era attonita:

« Ma non siete… Insomma… Parecchio giovani?! »

Quell'ultima affermazione sembrò piacere molto a MoiMoi, che gongolò:

« Probabilmente entriamo come soldati solo un po' prima di voi terrestri…! Anche se in effetti Taruto-chan è molto piccolo… »

« Non credo sia quello il problema. »

Ma MoiMoi era già andata, distratta da un altro negozio.

« Senti… Ma quell'armadio che era assieme a te e al consigliere… »

MoiMoi ridacchiò:

« Parli di Sando? »

Ichigo fece cenno di sì e MoiMoi rise più forte:

« Fa paura eh? »

« Non so – rispose la rossa poco convinta – è che… Mi sembra un tipo alla Pai, solo più grosso e cattivo. »

Visto che MoiMoi rimase a guardarla, Ichigo temette di aver detto qualcosa di offensivo, ma cambiò idea all'istante quando la vide scompisciarsi dalle risate:

« Oh no…! Assolutamente no! – si asciugò una lacrimuccia, cercando di calmarsi – Si stava dando un tono perché era lì in veste di guardia del corpo di Teruga, però… »

Altre risate, tante che dovette tenersi la pancia:

« Stai tranquilla, non assomiglia per niente a Pai-chan! »

Ichigo era diventata curiosa, ma temeva che la sua guida morisse nelle sue stesse risate e cambiò domanda:

« E… Sì, Sando-san cosa fa di preciso? »

« Tutti i lavori in cui è bene avere qualcuno di massiccio e dall'aria minacciosa alle spalle. – ridacchiò ancora MoiMoi – Di solito, però, è il mastino del centro ricerche. »

Ad Ichigo sembrò che quell'ultima parte fosse detta con gran tenerezza, anche se non capiva il motivo.

« Quindi fa la guardia a me e a Pai-chan. »

Concluse con una linguaccia.

« Tu lavori assieme a Pai? »

« Siamo gli addetti ai progetti di ricerca e sviluppo. Dovremmo collaborare, ma alla fine finisce sempre che gli faccio da assistente! Pai-chan è molto più bravo di me! »

« Ma cosa fate di preciso? »

« Cerchiamo nuovi modi per far crescere il pianeta, ma soprattutto un sacco di analisi noiose… Di recente Pai-chan era tornato ad analizzare i dati che aveva raccolto su di voi sulla Terra, per via del problema Mew Aqua. »

Ichigo si strinse un po' a quell'affermazione, l'idea di essere studiata non le piaceva troppo.

« Informazioni utili… E un sacco di dati interessanti. – la guardò con aria furbetta – Allora? Tu e Kisshu che avete combinato? »

« Che?! – poco mancò che le spuntassero le orecchie – N-non so cos'hai visto, ma ti avverto che stai fraintendendo tutto! »

MoiMoi sembrò delusa:

« Ma come? Kisshu-chan parlava sempre di te… »

Ichigo avvertì il petto stringersi a quella frase:

« Davvero? »

MoiMoi annuì come una bambina, l'indice sulle labbra imbronciate:

« Che peccato… E dire che lui è così carino! Non trovi? »

Ichigo s'irrigidì alla domanda:

« Carino? »

Non ci aveva mai fatto davvero caso.

Però, a rifletterci…

Con quell'aria da diavoletto e gli occhi ambrati… E un fisico mica male…

Sentì ancora le orecchie feline voler fare prepotentemente capolino.

« N-non ci ho mai fatto caso. »

Tartagliò. Cercò disperatamente un modo di cambiare discorso e intravide la sua salvezza, le treccine verdi di Retasu che si allontanavano dietro un angolo:

« Ah! G-guarda, ci sono le altre! – le prese la mano e corse via – Raggiungiamole, veloce! »

La rossa si fece largo tra la gente e sbucò in una via laterale, inerpicandosi verso quella che sembrava una campagna via via sempre più spoglia. Dopo aver camminato qualche minuto, però, senza più scorgere Retasu, sentì un brivido gelido scenderle per il collo; d'impulso strinse la mano di MoiMoi più forte e la sentì ricambiare, mentre l'aliena si portava davanti a lei e la guardava triste:

« Come temevamo… Senti che c'è qualcosa che non va, vero? – la rossa annuì – Vuoi vedere? »

Ichigo tremò vistosamente, ma poi annuì di nuovo. Con garbo MoiMoi l'accompagnò ancora per un pezzo di strada, risalendo un crinale di terra spoglia, e la fece affacciare giù.

Attorno alle due e vicino, c'erano i quattro ragazzi con le altre MewMew, tutte con la medesima espressione inorridita.

In quell'ameno paesaggio verde si apriva un rettangolo di sonno eterno, una cicatrice grigiastra su una pelle perfetta: per circa un chilometro quadrato non c'era un solo filo d'erba, o un albero, ma solo terra polverosa e fredda che mai più avrebbe ridato la vita; non era stato un incendio, o una calamità naturale, era come se, semplicemente, lì la terra fosse morta.

Ichigo dovette voltare la testa orripilata: qualcosa, nei recessi del suo codice genetico, urlava e piangeva disperata a quella visione.

« È successo non appena la Mew Aqua è stata rubata – sussurrò MoiMoi cupamente – è come se… Il nostro pianeta non fosse stato pronto a vedersi togliere la sua fonte di vita, come se non fosse ancora autosufficiente.

« Prima era un mondo congelato, ma sotto la neve era vivo. Ora… Sta morendo, definitivamente. La cosa per il momento si è circoscritta a questo, ma… »

« Potrebbe aumentare. – disse Pai – Aumenterà… E sarà sempre più veloce. »

« Non sarà permanente, vero? »

Chiese Retasu in un singhiozzo. MoiMoi abbassò la testa:

« Non lo sappiamo. Certo è che, più tempo passa, più è probabile che lo diventi. »

Ichigo tirò forte su col naso e strinse i pugni.

No, lei poteva sopportare altre cento battaglie, che ci sarebbe sempre stato un motivo per combatterle. Quello, quello era la cosa ingiusta.

Bastò un'occhiata con le altre ragazze e lei drizzò le spalle, la voce incrinata:

« Dite a Teruga che accettiamo. »

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) si astengono commenti -.-""

Zakuro: …?

Ecco, appunto -.-"""!

(**) mi sono ispirata alle graduatorie del nostro esercito, cercando di non essere né troppo bassa, né troppo alta… Prendetela come una licenza poetica :P, per il valore che hanno in questa ficcy le graduatorie militari ho pensato non fosse il caso di ingarbugliarmici troppo

 

 

 

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~

 

Kisshu: io mi chiedo sempre di cosa ti fai per essere così sclerotica, Ria, perché porca miseria deve essere roba buona -.-"!

Devo minacciarti di morte ad ogni zona commenti ^^*? *Ria con badile in mano*

Kisshu: quello *indica badile* è una minaccia di morte e di occultamento cadavere °_°"!

Appunto ^^+! Allora gente, che ne dite s'è capito un po' di più? Ditemi cosa ne pensate del pianeta alieno (momentaneamente senza nome ^^"") a me piace molto, vorrei poterlo far comparire più avanti! Spero di avere occasione ;)

Ryou: e se non lo sai tu che scrivi -.-""…

Oh, ma io lo so ^^! Non so se ci starebbe bene -_-… Mumble mumble

Ichigo: ma che rumore è?

Sto ponderando.

MoiMoi: Piuttosto, che bello sono comparsa anche io ^^!

Ma certo gioia! Ah, ma quanto sei carina! Farò il tuo chara quando ho un po' di tempo, giuro ^\\\^!

MoiMoi: Yatta ^w^!

*Ria la stritola in un abbraccio coi cuoricini*

Zakuro: … *prende il foglio col testo per i ringraziamenti e lo passa a Retasu*

Retasu: come? Devo farli io?

Zakuro: … *annuisce*

Retasu: O-ok, ci provo…

A Hypnotic Poison: sono davvero felice che ti piacciano tanto le nostre vicende, sono sicura che Ria-san si impegnerà ancora di più sentendo il tuo entusiasmo ^-^! Hai proprio ragione, povero Shirogane-san! Ma che vuoi farci, Ichigo-san non è portata per capire queste cose *sospiro comprensivo*

Kisshu: eddai! Ma non si può recensire così, lei è troppo buona!

Retasu: eh ç\\ç?!

Ryo: ignoralo e continua…

Retasu: O-ok… Ehm, dicevo… Facci sapere cosa ne penserai di MoiMoi-san e Sando-san, anche noi dobbiamo farcene un'idea ^^. Teruga-san piace molto anche a me, mi da fiducia ^^. Poi… Eh? Eyner-san e Zakuro-san?

Eyner: CHE?!? Ehi, andateci piano con le supposizioni! >\\\<

See, vabbè… Dai Retasu molla qui quel foglio, che ho capito se aspetto voi non finiamo più!

A Yoake: tutta questa adulazione mi darà alla testa *gongola* x3 che ti devo dire di Pai? È il nostro iceman, per farlo smuovere potrebbero servire le bombe atomiche, anche con Reta-chan! O forse è come Ichigo, cioè completamente idiota per le questioni di cuore -.-? *dubbio che si insinua…*

Pai: attenta a dare titoli, autrice demente -.-*.

Davvero non ti piacciono Ichigo e Ryo? Beh, Ichi posso anche capirlo, ma Ryo *ç* *sbava* vabbè, i gusti sono gusti ;), spero di farteli apprezzare almeno un pochino J. Per Minto la penso come te, ma penso che se avesse avuto più spazio avrebbero potuto renderla molto più amabile… E' così tsundere >w

Minto: mi aggrego a Pai e ti consiglio di non dare titoli -\\-! Io tsundere?! E con quel maniaco elfizzato?! *indica Kisshu* quando mai >\\<*?!?

Kisshu: io con la nana -.-?!

Sorvoliamo -.-… A Danya: mia dolce nee-chan *sorriso e sghignazzamento complici* vedrai, ti renderò felice +w+!

Kisshu: che è, una proposta di matrimonio?

No, di crudeltà tra autrici ^^+

*Pai rabbrividisce*

Ho sproloquiato anche troppo, ora vado che ho un sacco da fare! Cercherò di aggiornare GG&ET e finire il Collezionista, tifate per me e continuate a recensire <3! Baci bacini bacetti bacioni a tutti <3!!

 

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Capitolo 4
*** Toward the crossing: first road ***


Ola ola ola a tutti! Come va? Passato un buon Natale? Io sono sul divano con digestivo endovena nel tentativo di riprendermi @w@!

Kisshu: la colpa è solo tua che ti ingozzi come un tacchino, animale -.-“!

Ma è Natale çwç! I ravioli TTwTT…!

Kisshu: Tacchino ciccione -.-!

*Ria lo attacca al collo con una presa da wrestling* COSA HAI DETTO +__+**?!?!

Ryou: Sorvoliamo sull’autrice tacchino e su questo masochista (che se continua ad importunarla a quella maniera finirà per essere ucciso prima della fine della fanfic) e andiamo col capitolo va… (e io ho già la tracimazione di bile -.-***…)

 

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Cap. 04 – Toward the crossing: first road

                 Ichigo's dangerous heartbeats

 

 

 

 

Riemersero dal portale che il sole stava già tramontando. Le cinque MewMew, l'espressione stanca e preoccupata, si allontanarono voltandosi solo per guardare gli alieni rimasti sulla soglia del passaggio.

« Allora, facciamo così? – domandò Eyner – Noi torneremo tra qualche giorno, quando MoiMoi e Pai avranno finito. »

Le ragazze annuirono e lo guardarono sparire oltre la porta bianca, seguito dai compagni.

Ichigo rimase un istante a fissare la superficie cangiante, le amiche che si allontanavano in silenzio, e sospirò pesantemente studiando l'erba umida ai suoi piedi. Era così persa nei pensieri che non notò nemmeno il ragazzo che tornava indietro e le spuntava alle spalle:

« Alla fine non siamo potuti restare soli neppure un minutino, eh Ichigo? »

La rossa sussultò trattenendo uno strilletto:

« Kisshu! Accidenti, che spavento! »

Lui le sorrise malizioso e non rispose. Ichigo cercò di sostenere quegli occhi che la accarezzavano o di sdegnarli con forza, quantomeno di ignorarli, ma più cercava di voltare la testa, più le sembrava che le iridi dorate di Kisshu le calamitassero lo sguardo, costringendola a guardarlo.

La rossa sbuffò stizzosa e diede una voltata talmente secca col collo verso il limitare del parco, che ebbe paura di averlo bloccato:

« Insomma, potresti perdere questo viziaccio?! »

Lui sogghignò, le sgusciò accanto e avvicinandosi di scatto le posò un bacio sulla guancia, troppo vicino alle labbra:

« Sei tu il mio vizio, micina. – sussurrò roco – Ci vediamo. »

« Stupido! »

Lo urlò al nulla, perché lui era già sparito, ma nel frattempo si era gustato appieno la faccia sconvolta e deliziosamente rossa della sua gattina, e per questo si poteva ritenere soddisfatto.

Ichigo serrò i pugni finchè non ebbe quasi più sensibilità alle dita. Era talmente arrabbiata e imbarazzata che potè solo pregare che MoiMoi impiegasse più tempo del dovuto, così che non fosse costretta ad incontrare Kisshu troppo presto.

 

 

« Sappiamo che un frammento si trova sulla Terra. – disse MoiMoi – Direi che potremmo cominciare da lì, non vi pare? »

Tutti avevano dato l'assenso.

« Per il momento temo di dover derogare questo compito a voi ragazze – continuò tristemente – nel frattempo, io e Pai-chan studieremo un sistema che possa contenere il passaggio perché sia più stabile, almeno finchè ci servirà. Ci occorreranno un paio di giorni. »

Si frugò in tasca e tirò fuori una curiosa pallina pelosa, di colore arancione, che a Ichigo ricordò subito Masha.

« Lo so, non è proprio discreto – rise MoiMoi – ma è il solo prototipo funzionante che ho. Ci fossero novità, di qualunque genere dal vostro o dal nostro lato, possiamo usarlo per comunicare; finchè non lo stabilizziamo, meglio usare il passaggio il meno possibile. »

Mise la pallina nelle mani della mewneko e sorrise chiudendole le dita:

« Spero tu non lo debba usare, Ichigo-chan. »

 

 

 

Quando arrivarono al Caffè non fu semplice raccontare tutto a Ryou e Keiichiro, come non fu semplice anche solo decidere da che parte cominciare a parlare.

Lentamente, passandosi il testimone di volta in volta quando non ricordavano dei dettagli, le ragazze spiegarono ogni cosa: dei passaggi, della Mew Aqua, del gruppo dei Quattro Ancestrali, del pianeta morente. I due giovani ascoltarono in silenzio con espressione grave e quando per le ragazze arrivò il momento di dire che accettavano la proposta di Kisshu e degli altri, Keiichiro abbassò il capo, ma annuì con forza; Ryou, invece, lasciò andare le braccia lungo i fianchi e dopo aver borbottato un come vi pare, se ne andò al piano di sopra senza aggiungere altro.

« Shirogane-san! »

Kei le afferrò piano una spalla e la rassicurò:

« Stai tranquilla, Retasu. Credo di capirlo. Lo sapete bene, sia io che lui vi siamo molto affezionati, e questa cosa… È pericolosa. Non fargliene una colpa se impiegherà un po' a digerirla. »

« Akasaka-san… »

Lui le sorrise dolcemente e sia lei che le altre ragazze ricambiarono, mentre Purin gli si avvinghiò al braccio.

« Vedrai che domani saremo come sempre pronti a darvi una mano. – continuò il bruno gentile, incurante dei cinquanta chili extra che gli pendevano sulla mano – Ora però, sarà meglio che andiate a casa a riposarvi per bene, specie tu Zakuro, sei ancora in pieno jet lag. »

Le ragazze annuirono e si avviarono all'uscita, in effetti troppo stanche e frastornate per poter discutere ancora di qualcosa.

« Acc…! La tracolla! »

« L'hai persa, Ichigo? »

« Ma no! – sbottò la rossa infastidita dal tono di Minto –  L'avevo lasciata nello spogliatoio… Voi andate pure, ci vediamo domani. »

Fece un cenno alla moretta e girò veloce sui tacchi.

Ci mise pochi secondi a recuperare la borsa, ma quando tornò indietro il locale era già completamente deserto, non c'era più nemmeno il rumore di Keiichiro che trafficava in cucina. La rossa rimase un istante a contemplare la pace di quel posto, da tempo così caro e famigliare, con la luce del tramonto che inondava di cremisi tutta la silenziosa sala principale, creando un'atmosfera calda e tranquilla.

« Come mai ancora qui? »

La voce un po' rude di Ryou la sorprese; si girò appena, notando che il biondo, sotto la solita espressione piatta, sembrava turbato e la cosa era molto, molto strana.

« Avevo dimenticato la borsa. – borbottò lei – Perché, devi dare una festa che non posso fermarmi? »

Lui nemmeno le rispose e continuò a sorseggiare la bottiglietta di the che aveva in mano con aria annoiata. Ichigo era sempre più sorpresa, era difficile che Ryou non rispondesse alle sue provocazioni.

« Allora… È andato bene il vostro viaggetto? »

Chiese caustico. Ichigo sbuffò stanca e partì cantilenando col tono più sarcastico che le riuscì:

« Sì, capo, nessuno ci ha estorto informazioni vitali sulla Terra, sul progetto m o su qualunque altra cosa che tu possa ritenere vagamente importante! Anzi, ti dirò! – ribattè sprezzante – Potrei dire di essermi divertita, penso anzi di essermi fatta una nuova amic… »

« Stavo parlando di Kisshu. »

Ichigo rimase spiazzata:

« Cosa c'entra Kisshu? »

« Quante volte è riuscito a saltarti addosso? »

Un misto di ironia crudele e un'incomprensibile rabbia sorda in quelle parole. Ichigo, invece di sentirsi a disagio, si offese e scattò sull'attenti:

« Ma come ti permetti?! Pensi forse che gli consentirei una cosa del genere?! »

L'imbarazzo nei suoi occhi tradiva qualcosa di diverso, anche se non quello che pensava il biondo, ma tanto bastò per indurire l'occhiata che mandò alla rossa mentre distendeva un ghigno beffardo:

« Infatti non è mai successo. »

Il suo sarcasmo fece solo avvampare d'ira la mewneko:

« Sei un deficiente! »

« Forse. Tu, intanto, stai arrossendo come una mocciosa. »

« Cosa vorresti insinuare?! »

In tutta risposta lui indossò il sorriso più maligno e velenoso di cui era capace. La ragazza era così furiosa da non riuscire più ad articolare un insulto sufficiente.

Come… Come osava anche solo suggerire che lei…?!

Lei non era così! Amava Masaya, era follemente innamorata di Masaya! Mai avrebbe potuto…!

E perché avrebbe dovuto?!

Masaya era dolce, era premuroso, era perfetto!

Per lei era tutto.

« Io amo Masaya! »

Ryou corrugò impercettibilmente la fronte.

Forse quella ragazzina aveva finalmente deciso il suo funerale e voleva dargli la botosta finale con quella frase, almeno a giudicare da come sentì il cuore rattrappirsi ad un chicco d'uva; o forse godeva nello sbattere in faccia a tutti il suo amore perfetto, senza curarsi di dove i suoi colpi andassero a parare.

Prese un respiro profondo per calmarsi, stava diventando ingiusto. Sapeva perfettamente che Ichigo non era così, che l'unica cosa che le permetteva di distribuire in giro le sue onde dell'amore era solo l'ignoranza dei sentimenti altrui.

E deve restare così.

« Sì, lo so. – un tono piatto che nulla tradiva della fatica che stava impiegando per parlare – Ma sei imprudente. »

Non sapeva per quanto tempo ancora avrebbe potuto resistere dall'intromettersi tra Ichigo e il tonno ecologista, ma di certo non poteva tollerare che Kisshu facesse qualche gioco strano.

Dalle reazioni di Ichigo temeva che ci avesse già provato.

Non poteva permettergli di rifarlo.

Si avvicinò alla rossa piano, soppesando i passi e i movimenti della mano che saliva a sfiorarle la frangetta; se non si fosse trattenuto, se non avesse riflettuto, anche solo per un secondo, non avrebbe retto a quella faccia teneramente imbronciata:

« Cerca di fare attenzione. Non voglio succeda qualcosa per cui tu poi possa soffrire. »

Lei tacque; di colpo aveva difficoltà anche a deglutire.

« C-che vuoi dire? »

Lui non rispose frizionando tra pollice e indice un ciuffo rosso.

Un campanellino nella testa di Ichigo le gridava di non starsene lì, di andare a casa, ma le sue gambe ancora una volta non sembrarono intenzionate ad ubbidirle e indugiò, una statua di sale a fissare trasognata gli occhi azzurri del ragazzo.

Cosa trattenne Ryou, cosa lo fece rigidamente retrocedere e salire di nuovo al piano di sopra, Ichigo non lo seppe; non appena le fu abbastanza distante, però, la rossa si abbracciò la borsa al petto e corse fuori a tutta velocità, pregando che l'aria rinfrescata della sera lavasse via quel terribile batticuore che ancora le inondava di dolci brividi ogni centimetro di pelle.

 

 

 

Non riusciva a dormire quella notte: sdraiata nel suo letto, col suo comodo pigiama rosa e abbracciata al cuscino, si rotolava da parte a parte, agitata, nervosa, confusa.

Cosa le stava succedendo?

Lei era certa dei suoi sentimenti, lei amava Masaya! E allora perché doveva stare così?

Si mise sul fianco e guardò la sveglia, era mezzanotte passata.

Allungò piano la mano verso il cellulare, selezionò il numero in rubrica e chiamò; l'apparecchio restò muto pochi secondi, poi una voce elettronica la informò che il numero non era raggiungibile.

Sospirò e chiuse la chiamata, meglio evitare di lasciare un messaggio in segreteria.

Ovvio che fosse spento, era tardi. Masaya era uno studente modello, attento e diligente, era normale che ad un simile orario non fosse raggiungibile.

Ichigo affondò il viso nel cuscino, incapace di zittire una vocina maligna che rosicava in un angolo del suo cervello. Sempre spento… Non gli era mai venuto in mente che per lei avrebbe potuto tenerlo acceso? Non lo avrebbe certo disturbato ad ogni ora della notte!

Non pensava mai che lei avrebbe voluto sentirlo? Che magari avesse bisogno di sentirlo?

E a lui non veniva mai voglia di sentire la sua voce, le sere che stava alzato di più?

Lei in quel momento ne aveva una voglia matta.

Voleva… No, doveva sentirlo. Aveva bisogno di lui, di essere scaldata dalla sua dolcezza, di sentirsi dire ti amo dal suo perfetto principe.

Invece le rispondeva un messaggio registrato di un sintetizzatore vocale, e questo la faceva sentire immensamente sola. Avvertì un groppo stringerle la gola e tentò invano di addormentarsi, rannicchiandosi sotto le lenzuola.

Cercò di concentrarsi sul ricordo della sua voce, sulla sensazione dei loro baci e dei loro abbracci.

Ma il solo pensiero non riuscì a scacciare le sensazioni fresche e brucianti delle strette e del bacio di Kisshu, né a farle scordare l'odore del dopobarba di Ryou che le aveva invano i polmoni.

Si sentì sporca e cattiva. Avrebbe voluto piangere e, meccanicamente, tentò invano di chiamare un'altra volta; l’accolse ancora la voce sintetica e buttò giù alla terza parola, e poi chiamò ancora.

Segreteria. Butta giù.

Chiama ancora. Segreteria.

Segreteria.

Masaya… Ho bisogno di te…

 

 

***

 

« Ichigo, stai bene? – le domandò premurosa Retasu – Sei così pallida…! »

« Sto bene, ti ringrazio – mentì – ho solo dormito malissimo… »

In realtà non era proprio riuscita a dormire. Aveva passato la notte in un dormiveglia sfibrante, continuando testarda a telefonare ad un numero che non le avrebbe risposto, fino a crollare all’alba; quando poche ore dopo sua madre l’aveva chiamata per la quinta volta, costringendola ad alzarsi, s'era resa conto che la batteria del telefonino era crollata: si era lanciata in scivolata fino alla presa, ma quando aveva attaccato il cellulare alla corrente era già troppo tardi:

« Ciao piccola. – la voce di Masaya, nel messaggio in segreteria, le sembrò lontanissima – Ho visto le tue chiamate… È tutto a posto? Io oggi ho di nuovo gli allenamenti, se puoi appena finite le lezioni ci vediamo fuori dalla palestra. »

E niente di più.              

Aveva subito provato a richiamarlo, ma la segreteria l'aveva di nuovo accolta a braccia aperte, segno sia che il ragazzo era già sul treno(*), sia che – di conseguenza – lei era in spaventoso ritardo, quindi non poteva pensare a incrociarlo prima delle lezioni. Non avrebbe potuto nemmeno vederlo prima di andare al Caffè, con le altre erano già d'accordo che si sarebbero viste immediatamente all'uscita per cercare la Mew Aqua.

Sospirò triste, non gliene andava mai bene una…

« Ichigo-chan sente molto le stagioni – ridacchiò Ayumi – quando viene caldo non dorme la notte e sonnecchia di giorno… Praticamente è un gatto! »

« Già – Ichigo pregò che non si notasse il tono sarcastico – praticamente. »

« Allora oggi non venite a fare compere con me? »

Chiese Ayu delusa; Retasu sollevò la mano in segno di scuse:

« Shirogane-san ci ha chiesto di aiutarlo in alcuni lavoretti extra al Caffè – dissimulò sorridendo – in cambio di ore pagate. »

« Avare! – le canzonò Ayumi; poi sbuffò – Quello Shirogane è uno schiavista! »

« Puoi dirlo forte, miaa… »

« Però è un gran bel pezzo di figo. »

Ichigo si fermò di scatto facendo tintinnare il campanellino al suo collo e non potè impedire alla scena della sera prima, né al profumo del biondo di invaderle prepotentemente la testa.

Insomma! Prima MoiMoi ora lei?!

« Ma cosa diavolo avete tutte quante?! – sbottò esasperata – Fatela finita con questi discorsi!! »

E scattò verso scuola come una furia, senza voltarsi.

« Ma cosa ho detto di male? »

 

 

***

 

L’umore di Ichigo non migliorò durante la giornata. La ricerca era stata interminabile e infruttuosa, lei e le ragazze erano rientrate solo la sera e tra la cena, le interminabili domande da Inquisizione Spagnola di suo padre (“perchè così tardi?”, “eri con Aoyama-kun vero? Dovrebbe essere più attento a queste cose!”) e la nuova intransigente regola di fare almeno un paio d’ore di compiti al giorno, per evitare il solito crollo di media scolastica a metà anno, quando finalmente aveva avuto la calma e il tempo di telefonare a Masaya a risponderle fu nuovamente la segreteria.

« Ah, ma certo! – si disse con un sorriso – Masaya-kun non può permettersi di rimanere indietro con lo studio, lui punta all’università statale(**)… »

Chiuse la tastiera contro lo schermo e si accasciò sul letto con un sospiro esasperato, premendo forte un braccio sulle palpebre che già si inumidivano.

« Dannazione…! »

Si girò lentamente sul fianco, avvilita. Avrebbe dato qualunque cosa per parlare con qualcuno…!

Minto?

Figuriamoci se vuole ascoltare le mie lamentele amorose! Come minimo mi risponderebbe che sono io ad essere troppo emotiva.

Retasu?

La farei solo preoccupare… E conoscendola mi rifilerebbe una rassicurazione politica, dicendo che è solo un momento…

Purin?

Sorvoliamo.

Zakuro?

Probabilmente mi spiegherebbe che allontanarsi in una coppia è normale crescendo, e probabilmente avrebbe ragione.

Tutte cose che non voleva sentire.

Sovrappensiero allungò la mano verso la tasca della gonna appoggiata alla sedia della scrivania, afferrando con due dita il trasmettitore colorato che MoiMoi le aveva dato, per poi prendere a giocherellarci passandolo di mano in mano.

« Insomma, possibile che ci sia sempre qualche problema?! »

« Che? »

La rossa cacciò un urlo e stritolò la pallina pelosa tra le mani.

« Ichigo? Sei tu? »

« M-M-M-MoiMoi?! »

Aprì lentamente le dita e il suo cuore prese a decelerare mentre si rendeva conto della voce metallica che vibrava dal piccolo oggetto.

« Ichigo-chan tutto ok? – domandò preoccupata – Hai acceso il trasmettitore… »

« S-scusami, non volevo. – balbettò – Mi annoiavo, l’ho preso in mano e… »

MoiMoi annuì con un piccolo grugnito.

« Mi dispiace. – continuò – Ora vado, ci… »

« Ichigo. Tutto bene? »

La rossa si stupì della domanda, ma non dissentì e stette in silenzio; la voce dell’aliena era calma e gentile, simile a quello che aveva talvolta Zakuro quando capiva qualcosa che le amiche non volevano dire.

« Hai un tono strano – continuò MoiMoi – è tutto a posto? »

« S-sì… Cioè… – tacque un altro istante e poi, sospirando, non potè evitare di mormorare – MoiMoi… Ti spiacerebbe fare due chiacchiere con me? »

Sentì l’altra mandare un risolino:

« Mi aspetta una lunga nottata di cablaggi, perciò comincia pure. »

 

 

***

 

 

Dopo il primo giorno infruttuoso di ricerche, ne seguirono altri due, altrettanto deludenti. Avevano ormai setacciato ogni angolo di Tokyo, ma nessuna di loro aveva avuto nemmeno una pallida reazione ad un eventuale cristallo, che fossero emotivamente nervose o meno.

Ormai al terzo giorno cominciavano a preoccuparsi. Forse il cristallo non si era fermato a Tokyo, forse non era neppure in Giappone. Purin, l'aria annoiata mentre camminava, si chiedeva cosa avrebbero mai potuto fare se si fosse trovata all'estero. Setacciare l'intero globo cercando la Mew Aqua… Poteva anche essere divertente, ma come avrebbe fatto coi suoi fratellini?

« Uffa… Mai che giri l'angolo e puff! Mew Aqua individuata! »

Guardò un secondo il suo riflesso nella vetrinetta di un negozio di alimentari, ancora non riusciva ad abituarsi a quell'immagine.

In tre anni aveva preso almeno dieci centimetri di altezza e, dalla gonna scozzese sui toni del blu, facevano capolino due gambette da grillo troppo magre per i suoi gusti; i fianchi avevano preso appena ad incurvarsi, quasi con fastidio, ed era sufficiente la maglietta alla marinara non perfettamente aderente che portava a nascondere l'accenno di seno. Non le piaceva vedersi così, non era più una bambina e neppure un'adulta.

Sono strana… È questa quella che chiamano pubertà?

Forse perché si era messa a pensare ad una cosa fastidiosa, ma di colpo il suo corpo mandò un lieve baluginio.

« Non può essere…! »

Si voltò esaltata, finalmente l'aveva trovata!

Ma il suo entusiasmo si spense così com'era esploso, vedendo cos'aveva di fronte. Prese il ciondolo Mew dalla tasca della divisa e ci parlò dentro:

« Ragazze, ho una notizia buona e una pessima. – mormorò – Forse è meglio cominciare dalla pessima. »

 

 

***

 

Lo Yakori era un istituto scolastico pubblico tra i più noti in città.

Disponeva di un monumentale complesso costituito da elementari, medie e liceo, oltre ad una piscina, campo di atletica, un auditorium e due palestre; la retta e le spese scolastiche dentro di esso erano contenute, ma allo stesso tempo forniva un'istruzione cinque volte superiore alla media degli altri istituti.

Una scuola d'élite tra le scuole pubbliche.

« E noi dovremmo entrare lì dentro?! Stai scherzando?! – farfugliò Ichigo rivolta a Ryou – Non esiste! Non ce la potrei mai fare! »

« Sì, lo so bene. – sospirò lui rassegnato – Lo Yakori ha una struttura tale che gli studenti iscritti dalle elementari non hanno praticamente rischio di bocciatura con l'avanzamento di classe, ma per coloro che si iscrivono negli anni successivi è previsto un test attitudinale. Ho seri dubbi che tu possa raggiungere lo standar richiesto. »

« Mi stai dando della stupida?! »

Non si degnò neppure di risponderle e Ichigo ringraziò si trovassero nel locale zeppo di clienti, o la furia le avrebbe fatto spuntare la coda. Retasu tentò di spezzare una lancia in favore dell'amica:

« Però non credo che nessuna di noi possa riuscirci e, comunque, ci vorrebbe troppo tempo. »

« Per farvi entrare ci penso io. »

« Ma non vorrai farci entrare lì come studenti, vero?! – chiese sconvolta la rossa – Ryou, noi andiamo già a scuola! Come lo spiegheremo?! E ai nostri genitori?! »

« Calmati. »

La zittì con sufficienza, facendole solo montare la rabbia.

« Sarà una ricerca ben più semplice del solito, vi trovereste in uno spazio chiuso ben definito no? Per qualche giorno potete fingere di essere malate, avrete delle compagne a scuola che possano passare il messaggio. »

« Certo – soffiò Ichigo velenosa – al contrario di te, simpaticone, noi abbiamo una vita sociale oltre queste mura! »

« Mi fa piacere. – replicò piatto senza neppure considerare la provocazione – Per quanto riguarda i vostri genitori, basterà non dire nulla; voi uscirete per andare a scuola e semplicemente, andrete da un'altra parte. »

La mewneko gemette arrabbiata, secondo lei la faceva ancora troppo facile, ma era convinta che protestare ancora sarebbe stato inutile: l'espressione delle sue amiche le diceva che per loro quello era un buon piano e anche lei avrebbe dovuto accettarlo.

Ryou si prese il mento nella mano e riflettè un istante:

« Ichigo, ho bisogno di Masha. »

Le disse porgendole il palmo aperto.

« Cosa? Perché? »

« Spero che i vostri amici vogliano aiutarvi, no? – sogghignò – Mi servono i dati registrati sul nostro ultimo incontro. Ditegli pure che al resto penso io. »

 

 

***

 

« … E lui ha detto così – finì di spiegare la rossa – ma ovviamente non sarà necessario che vi infiltriate anche voi! »

« Invece dovete andare tutti assieme. »

Disse MoiMoi e tornò ad armeggiare con chissà cosa, senza più guardarla.

Non appena avevano rintracciato la Mew Aqua, le cinque terrestri avevano avvisato Kisshu e gli altri per decidere il da farsi; siccome Pai e MoiMoi avevano annunciato di essere riusciti a stabilizzare il portale, avevano chiesto loro di raggiungerli dall'altra parte e fare loro un resoconto faccia a faccia.

« Non sappiamo di preciso dove si trovi la goccia – riprese MoiMoi, ravanando in un cassetto – potrebbe essere nascosta da qualche parte, come essersi fusa con un animale, o addirittura con una persona. »

Esultò trovando finalmente quello che voleva e corse dai ragazzi, mettendogli qualcosa di sottilissimo al polso:

« È bene che stiate assieme e vi intrufoliate anche tra gli studenti, qualcuno di loro potrebbe aver assimilato la Mew Aqua inconsciamente… Et voilà! »

Sorrise con soddisfazione mentre Taruto scrutava lo strano braccialettino con aria dubbiosa:

« Che diavolo sono? »

« Dispositivi automatici per la schermatura. – disse Pai laconico – Si setteranno automaticamente a seconda della situazione, così da non farci dare nell'occhio. »

« Non vedo alcuna differenza. »

Osservò scettica Minto.

« Li abbiamo settati apposta! Voi non noterete alcuna differenza. – spiegò MoiMoi – Gli altri terrestri, invece, non vedranno le caratteristiche fisiche che ci distinguono, come le orecchie o la carnagione. Se funzionano senza problemi sarebbero utili anche su altri mondi, e potremmo realizzarne anche per voi. »

« Grazie MoiMoi – le sorrise Ichigo – sei grande! »

« Io ho solo montato i pezzi! – ridacchiò con falsa modestia – Tutto merito di Pai-chan! »

« Senpai, la potresti piantare con quel "chan"? »

Ichigo guardò male il ragazzo e si strinse contro MoiMoi con fare protettivo:

« Sei proprio cafone! Dare della senpai ad una ragazzina così graziosa! »

Pai si limitò a guardarla scettico:

« Non la stavo prendendo in giro. »

Ichigo inasprì l'occhiata.

« Ehm, micina, non sta scherzando. – Kisshu indicò i suoi fratellastri, Eyner e sé stesso – Siamo tutti suoi kohai. »

« Che? »

Allontanò appena MoiMoi guardandola con due occhi come uova al tegamino:

« MoiMoi… Ma quanti anni hai? »

« Ne ho quasi ventiquattro. »

Non fu solo Ichigo a lanciare un urlo di stupore; perfino Zakuro sembrava sbigottita.

« Io – la mewneko guardò ammirata il viso liscissimo e infantile di MoiMoi – credevo ne avessi… Boh… Sedici…? »

« Ma come sei carina!! – strillò in brodo di giuggiole, aggrappandosi al suo collo – Come sei gentile! Mi metti in imbarazzo! »

Guardò torva i suoi kohai minacciandoli con l'indice:

« Sentito?! Sono quasi al quarto di secolo e sono ancora una ragazza carinissima, quindi siate più gentili d'ora in poi! »

Sando, dall'ombra, schioccò appena la lingua. MoiMoi soffocò ogni eventuale commento prendendo a battere le mani:

« Va bene! Su, andate tutti, via! Ricordatevi che il passaggio ora è stabile, quindi potrete anche teletrasportarvi da una parte all'altra. »

« Ma davvero? »

Kisshu pensò subito di approfittarne.

« Facciamo una prova, Ichigo? »

Non le diede neppure il tempo di rispondere che l'abbrancò per la vita e si teletrasportò via, seguito poi dagli altri. Rimasti soli, MoiMoi si girò a guardare Sando con aria seccata:

« Sei antipatico! »

« Non ho detto nulla, io. »

Lo guardò torva e quello alzò una mano in segno di scusa:

« Stavo scherzando. »

« Ti perdono se dici che sono carina. »

Si premette gli indici sulle guance e lui rispose con un'aria scettica, un po' a disagio. MoiMoi mise il broncio:

« Uffa… »

« A parte le scemenze – riprese Sando con un colpetto di tosse – le umane… Lo sanno? »

MoiMoi smise di colpo di sorridere e assunse un'aria un po’ triste. Sando lo guardò severamente:

« Guarda che poi diventerà più complicato. »

« Ma va! – riprese allegramente – La prossima volta, e poi non è così importante. »

« Lo è per te, no? »

Lo guardò senza rispondere

« Stai diventando amica della rossa o sbaglio? »

« E tu che ne sai? »

« Ma se l’altro giorno avete comunicato per almeno due ore…! »

« Impiccione! »

Lui sollevò un sopracciglio:

« Tu usi materiale sperimentale per chiacchiere tra donne e io sono impiccione? »

MoiMoi guardò lontano e non rispose di nuovo, fancendo sospirare Sando:

« La trovi simpatica, vero? »

Lei tornò a guardarlo, era incredibile il modo in cui la capiva al volo.

« MoiMoi… Devi dirglielo. Lo so che non ti piace mentire. »

Si sorprese un po' di quel commento che le strappò un sorriso, ma non gli rispose e tornò al suo lavoro. Sando si massaggiò appena il collo:

« Cocciutaggine. »

 

 

***

 

Non appena Ichigo ebbe poggiato i piedi a terra tentò di divincolarsi dall'abbraccio di Kisshu, ma lui la teneva saldamente appiccicata al suo torace.

« Su, micina, non essere sempre così riottosa! – le sussurrò all'orecchio – Ti sto solo abbracciando. »

« Kisshu, dai smettila! »

Sentì il naso dell'alieno sfiorarle la pelle del collo e il suo cuore diede un'impennata.

« Kisshu, basta! »

Diede un ultimo strattone e riuscì ad allontanarsi, ma Kisshu era già pronto a riprenderla quando la rossa vide, con sollievo e un'inspiegabile nota di panico, una figura famigliare farsi avanti a larghi passi verso di loro, e Kisshu abbandonò i tentativi di prenderla.

Ryou.

Perché c'era Ryou?

Ebbe l'impressione che aspettasse lì fuori dal portale da un po', sebbene non ne capisse la ragione. Il ragazzo non parve calcolare Ichigo, ma rimase a fissarsi in cagnesco con Kisshu finchè non arrivarono anche gli altri ed entrambi, come in un accordo muto, smisero semplicemente di considerarsi.

Non serviva che si parlassero, si erano capiti alla perfezione.

Se non si erano saltati addosso per sgozzarsi a vicenda era soltanto perché c'era qualcosa di più importante in quel momento, di cui preoccuparsi.

« Se avete finito con le stupidaggini – sibilò l'americano con ferocia – dobbiamo procedere ad un cambio di look. »

 

 

 

Ichigo finì di sistemarsi la divisa dello Yakori e guardò il risultato allo specchio, doveva ammettere che come completo era parecchio scialbo: una semplice gonna a pieghe grigio cadetto, con una camicetta bianca e sopra un pullover smanicato nero, con fiocco di un tono più chiaro della gonna e calze bianche.

« Sembra di stare ad un funerale… »

Si guardò triste allo specchio e individuò l'unica nota allegra del suo look, i nastrini regalo di MoiMoi.

Più li guardava più le piacevano, erano sgargianti, ma non pacchiani e molto femminili, perfetti per lei.

Beh, almeno così non sembro pronta per essere seppellita.

Uscì dallo spogliatoio curiosa di vedere come stesse quel triste look alle amiche e ai loro collaboratori.

« Ah Ichigo, finalmente! –disse Minto – Ce ne hai messo di tempo! »

La rossa la guardò torva e un po' gelosa: quel completo sull'amica sortiva un effetto decisamente diverso che su di lei, e dava a Minto un'aria sobria e molto elegante.

« Perché tu stai così e io sembro un becchino? »

« Ma no, Ichigo, ti sta benissimo! »

« Grazie Retasu… »

Stiracchiò un sorriso, ma continuò a pensare che al momento fossero loro due ad essere molto carine vestite a quel modo. Zakuro le guardò con un sospiro divertito: Ichigo credeva di vederla molto più nervosa, visto che avrebbe dovuto rivestire i panni della studentessa anche se si era già diplomata, ma la mewwolf sembrava aver accettato di buon grado il travestimento.

« Ah, Zakuro nee-chan, che nostalgia! – ridacchiò Purin – La treccia! Come stai bene! »

Zakuro le sorride amorevolmente, portandosi dietro le spalle il comodo codino in cui legava sempre i capelli andando a scuola:

« Anche tu sei molto carina, Purin. »

La biondina gongolò sistemandosi il completo delle medie, che differiva dal loro solo per la maglietta alla marinara.

« Ma come diavolo fate ad indossare 'sta roba? Io sto soffocando! »

Bofonchiò Taruto: faceva un effetto abbastanza strano vederlo vestito così, coi pantaloni del loro stesso grigio e la giacca alla coreana, ma nel complesso stava bene.

« Stai benissimo, Taru-Taru! »

« Sarà… »

« Tu lamentati – gli rimbrottò Kisshu – io mi sono dovuto legare questa specie di cappio al collo! Ma siamo scemi?! »

Ichigo serrò le labbra più strette che potè perché la mascella non prendesse a penzolarle nel vuoto.

Come per loro, la divisa maschile del liceo era una variante di quella delle medie, col pantalone grigio blu, una camicia bianca e un blazer nero con cravatta blu scuro.

Accidenti a Kisshu.

Stava bene vestito così, maledettamente bene; Ichigo credeva che il cuore stesse per esploderle.

« Vorreste dirmi che finchè non troviamo quel coso io dovrò indossarla tutti i giorni? – continuò a lamentarsi lui, sciogliendo un po' il nodo della cravatta – Cuocerò qui dentro! »

Dentro di sé Ichigo cacciò un urlo di disperazione, non era lui a doversi lamentare della divisa, ma lei che si chiedeva se sarebbe riuscita a sopravvivere avendocelo appicciato ogni santo giorno, per di più conciato così.

Kami-sama… Ma che ho fatto di male?!

« Beh – sogghignò Minto – per lo meno ora avete un aspetto decente e non sembrate più due fenomeni da circo. »

Kisshu la guardò malissimo:

« E tu sembri quanto mai una cornacchia tutta in nero, spocchiosa che non sei altro. »

Lei lo guardò con sufficienza rifiutandosi di replicare, cosa che irritò Kisshu ancora di più: detestava quell'atteggiamento superiore.

« Uffa! – sbuffò ancora Taruto – Ma Pai ed Eyner dove sono? »

« Ora che mi ci fai pensare… Non c'è nemmeno Shirogane-san. – Retasu si guardò attorno dubbiosa – Dove saranno? »

In quel momento dalle scale comparve Keiichiro con aria soddisfatta e subito dietro i tre inquisiti, uno dei quali in particolare non sembrava per niente contento; a vederli Kisshu sbottò:

« Perché cavolo voi siete vestiti diversi?! »

Pai si limitò a grugnire, l'espressione talmente seccata che probabilmente si sarebbe andati a fuoco a passargli vicino; Eyner invece sembrava averla presa con filosofia e si guardava gli abiti solo un po' incuriosito della novità.

« Perché dobbiamo setacciare ogni angolo di quella scuola – gli rispose Ryou – e non possiamo farlo, se ci limitiamo al corpo studentesco. »

Ichigo rischiò un altro infarto.

Ryou, come Pai ed Eyner, indossava una camicia bianca e pantaloni da completo molto sobri, niente di più, ma stava ugualmente così bene da togliere il fiato.

« Noi tre ci spacceremo come tirocinanti universitari. »

« Cioè vi avremo come insegnanti? Che forte! »

« Un secondo! – protestò Kisshu – Perché io invece sono finito del gruppo dei mocciosi?! »

« Ehi! »

« Kisshu, non ci saremmo mai potuti far passare per studenti – puntualizzò Eyner – nemmeno dei più grandi e pluriripetenti! »

« Stai insinuando che io invece sembro un lattante? »

« Sta insinuando che tu stai bene dove ti abbiamo messo – sibilò Pai, parecchio irritato della situazione – quindi chiudi il becco e segui il piano senza lamentarti. »

Kisshu schioccò la lingua stizzito, ma obbedì: meglio non tirare troppo la corda quando Pai era così su di giri.

« La questione è semplice – fece ancora Ryou – prima troviamo quella goccia, prima finisce il lavoro sotto copertura.

« Cercate di dare poco nell'occhio, ma dovrete setacciare la scuola in ogni angolo; noi tre, come finti insegnanti, potremmo dare un orecchio alle voci di corridoio (fatti strani, o studenti che si comportano in modo particolare da qualche tempo, ogni cosa che possa essere influenzata dal cristallo) e aprire la strada dove gli studenti normalmente non potrebbero entrare. Ci organizzeremo per perlustrarla anche di notte, così diminuiremo drasticamente i tempi. »

« Anche di notte?! – piagnucolò Ichigo – Voglio basta sperare che tu non dia compiti, quantomeno! »

« Hai idea di cosa voglia dire lavorare sotto copertura? – replicò sarcastico – Dovrà impegnarsi per mantenere l'immagine di studentessa quasi efficiente, signorina Momomiya. »

Una lieve nota di panico e un altro battito troppo rapido le serrarono lo stomaco a quel sorrisetto divertito.

Sì, in un'altra vita Ichigo Momomiya doveva aver commesso impensabili atrocità. Non vedeva altra spiegazione perché dall'alto la torturassero a quella maniera.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) in Giappone è rigorosamente vietato usare il telefono sui treni e sulle metro, regola che i giapponesi rispettano scrupolosamente; qualcuno si limita a tenere il telefono in silenzioso, ma nessuno comunque riceve o fa chiamate (solo messaggi e e-mail)

(**) università statale di Tokyo, considerata come una delle più difficili a cui accedere

 

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~

 

Salve! Eccoci qui, pronti per nuove avventure ^^! Lo so, questo cap è un po' più corto, ma ho preferito riservare le vicende scolastiche ad un blocco unico.

Che dite sto diventando troppo cattiva con Ichigo ^^? Io però mi sto divertendo un sacco ^w^!

Ichigo: s*****! ç_ç""

Come se a te dispiacesse -.-!

Kisshu: ehi, ma non può esserci anche il biondo! Finalmente che potevo avere un po' di occasioni di privacy con la mia gattina

Ryou: e secondo te perché ci sono anch'io -.-***?!

^^. Mi dispiace che con tanti personaggi devo comportarmi in maniera altalenante per non lasciare indietro nessuno… Nel prossimo tornerò un po' su Eyner ^^, e magari anche su Retasu e Pai.

Pai: perché ci nomini sempre assieme?

E chi lo sa eh -.-""? (tonto!)

Eyner: io sono un po' in ansia ^^""

Ringraziamo!

A Hypnotic Poison: ahaha, che bello vederti così su di giri x3! MoiMoi e Sando riserveranno ancora molte soprese J: già, MoiMoi è la sola signorina in un branco di maschi antipatici :P, e Sando fa proprio una vita da cani xDD!

MoiMoi: ma se io sono così dolce ^w^!

Sando: sorvoliamo -.-…

Eeeeh, mia cara, noto con piacere che i pairing ti stuzzicano ^w^!! Ma gli sviluppi sono ancora lunghi, e potrei riservarti qualche sorpresina ;). Come hai visto questo è un altro capitolo di passaggio, giusto per mettere un altro po’ in paranoia la nostra mewneko xP (come sono cattiva!) so che mi odierai un pochino per la lentezza ^^””, ma cercherò di far arrivare l’action prima possibile senza correre come una forsennata J

A Danya: nee-chan, non mi morire! Ah sn contenta che tu sia così entusiasta :3; l’idea del pianeta è stato uno dei miei rari (purtroppo ç_ç) colpi di genio (sn un mito ^°^!)

Kisshu: certo -_-“!

Kyaaaah, io la tua preferita ^\\\^?!? Ti riempio di bacini, azie x3!!

A Ginchan: ti ringrazio tantissimo del commento :3, spero che tu trovi il tempo di lasciarmi due paroline J, alimenta il mio ego! xDD *riderotolamuore* Ti ringrazio anche dei vari giudizi sulle coppie, ma stai tranquilla anche se ora le cose possono sembrare già scritte ho intenzione di incasinare parecchie cosette *w*… *risatina sadica*.  Ahaha su Sando saprai tutto, te lo prometto! Lo torturerò per benino ^w^!

Sando: e questo che vorrebbe dire -.-“”?!

Ho già un’idea della famiglia Ikisatashi e con tutta probabilità compariranno, anche se più avanti ^^. Tu porta pazienza J

A mobo: grazie mille piccina ^w^! Il tuo entusiasmo e i tuoi complimenti sono sempre una carica, continua a seguirmi ^w^!!!

 

Vi saluto tutti con un grande abbraccio, vi faccio gli auguri per un Felice Anno Nuovo e vi invito al prossimo capitolo, tra un mesetto col nuovo anno 2014! (nella speranza che riesca anche ad aggiungere il nuovo cap di GG&ET ^^””…)

XOXO ♥

 

 

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Capitolo 5
*** Toward the crossing: first road (part II) ***


Benvenuti a tutti nel 2014 ^w^! Iniziato bene l'anno nuovo? Spero di sì per tutti, io sono già stanca @_@""!

Ichigo: andiamo bene ^^""!

Lo so, sono un po' in anticipo sulla pubblicazione, ma diciamo così: un uccellino tentatore (tu sai di chi parlo, vero cara ;)?) mi ha convinta a fare la brava e a pubblicare prima un nuovo capitolo.

Tutti: che bello -.-"""!!

Solo per questa volta eh? E perché si tratta di un capitolo tranquillo (ma abbastanza divertente *evilgrin*). Prendetelo come un regalo di Natale in ritardo, o un passaggio della Befana anticipato J

Ryou: la Befana ce l'abbiamo, quello è sicuro.

Parli di me caro ^^+? Attento perché io non ho ancora deciso cosa accadrà alla tua miciosa, quindi se non vuoi ritrovarti a cercare consolazione tra le braccia di Kisshu, non seccarmi +__+*!

Ryou: Glom O__O""!

Kisshu: ehi, e io che centro?! *brivido*

Tu c'entri sempre tessshoro ^w^+. Su! Anno nuovo, avventure nuove! Passiamo ad una storia con trama da commedia scolastica, con amori e intrighi adolescenziali!

Kisshu: ma sei impazzita?!

Pai: stai scherzando vero -.-"?

Ovvio. Nessuno di voi sa cosa sia il sarcasmo ^^?

Pai: una cosa a te sconosciuta ovviamente…

Scemenze a parte, partiamo con questo capitolo, dove continuano le ricerche della Mew Aqua e dove si delineano rapporti destinati unicamente ad incasinarsi ^^+! (ah sì, non spererete mica che sia tutto come sembra, eh ^w^?)

A voi buona lettura ci si vede giù J!

 

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Cap. 05 – Toward the crossing: first road (part II)

                 O-bento, chatter and raise a smile

 

 

 

 

 

Ichigo si sedette con uno sbuffo al suo nuovo banco, appoggiando i gomiti sul piano di fòrmica e affondando il viso sulle mani; guardò il professore intimare il silenzio e lei approfittò degli ultimi attimi di fracasso per controllare il cellulare: lesse veloce la risposta di Masaya e il suo cuore sfarfallò piacevolmente.

 

Se è così importante, allora mi libererò assolutamente piccola J. Ci vediamo alle 16 al solito posto, un bacio

 

Sorrise con aria così felice che Minto, da due banchi davanti, la dovette centrare in fronte con una gomma da cancellare perché si disincantasse. Ichigo guardò torva la mewbird e con le labbra sillabò:

"Ahi, ma che diavolo fai?!"

"Svegliati, scema"

Fu la risposta laconica. Ichigo ringhiò sommessamente e sentì qualcuno ridacchiare piano: due banchi a sinistra e due indietro, Kisshu aveva potuto assistere alla scena e sembrava molto divertito. La rossa lo snobbò, né lui né nessun'altro avrebbe potuto guastare il suo umore  per il resto della giornata.

Finalmente avrebbe trascorso un po' di tempo con Masaya, un intero pomeriggio con lui: avrebbe potuto parlargli di tutto quello che stava succedendo, cosa che non era riuscita a fare nei giorni precedenti, farsi consigliare un po'… Ma soprattutto avrebbero potuto passare ore e ore solo loro due, loro due! Finalmente tutti i suoi tormenti sarebbero stai spazzati via e il suo cuore assetato, che in quei pochi giorni si era sentito così solo e sporco, sarebbe rinato pulito.

Sette ore. Solo sette ore.

Nulla avrebbe potuto dissuaderla dall'andare quel pomeriggio: alieno o conquistatori, cristalli o gocce di Mew Aqua, proteste di Ryou o meno, erano in dieci al lavoro e di loro ben quattro potevano percepire il cristallo, appena fosse suonata la campanella lei sarebbe sparita come il vento. E né Kisshu, né Minto, né le nuove compagnie di classe – che si erano ampiamente sdilinquite in quanto mai irritanti gridolini e risatine alla vista del ragazzo – né quella scuola per spocchiosi, né avere quel musone di Pai o Ryou l'insopportabile come insegnanti le avrebbero tolto quell'eccitazione e quella gioia. Incrollabilmente felice.

Solo sette ore.

Più indietro, Kisshu allungò le gambe sotto al banco accavallando le caviglie e intrecciò le braccia dietro la testa, sbuffando forte. Lui sapeva perfettamente cosa rendeva Ichigo così felice e la cosa gli mandava il sangue al cervello: credeva che la sua micina e l'ameba avessero qualche problema, invece ad Ichigo era bastato leggere un messaggio di nemmeno cinque righe per sprizzare energia da ogni poro, un centesimo della reazione che aveva avuto quando lui l'aveva abbracciata.

Ma che diavolo ha di speciale quel terrestre?!

Cambiò posizione con fare nervoso, già la situazione era fastidiosa di per sé, – non aveva mai studiato volentieri, si era tolto il dente presto e ora doveva pure replicare senza possibilità di marinare – ma sperava almeno che avrebbe potuto intervallare la ricerca del cristallo con qualche attimo in solitudine con Ichigo, o magari fondere le due cose… Ma come faceva, se lei continuava ad avere per la testa il suo ragazzo e si guardava attorno con gli occhi a cuoricino?!

Si sorprese sentendo qualcosa cadere sul suo banco con un tonfo leggero, un piccolo pezzo di carta ripiegato. Lì per lì credette con fastidio fosse stato passato da una di quelle insulse ragazzine in divisa – ne aveva un paio nel giro di un banco e tutte continuavano a lanciargli occhiatine languide con aria da ebeti – e aprì di malavoglia il foglietto, scritto con una calligrafia minuta ed elegante.

 

Cosa tu voglia combinare con Ichigo sono solo fatti tuoi, ma ora piantala di guardarla come un prosciutto arrosto e concentrati,

alla prossima ora andremo con Retasu a perlustrare in giro.

                                                                     M.

Ps sei così palesemente geloso che ti sento sfrigolare il fegato da qui

 

Ci mancò poco che si alzasse in piedi e urlasse di rabbia. Accartocciò il foglietto tra le mani e guardò idrofobo più avanti, scorgendo solo di sfuggita un'occhiata compassata di Minto.

Ok, se voleva farlo arrabbiare ci era riuscita alla perfezione, quella l'avrebbe scontata.

 

 

La prima ora trascorse come una qualunque ora di scuola in un qualunque istituto del globo in una qualunque primavera di un qualunque anno: calma, silenziosa e abbastanza monotona, da come Ichigo e Kisshu arrivarono a sonnecchiare prima della campana. Al cambio della materia alla cattedra salì Ryou, la cui entrata provocò un altro stormire di gallinelle e causò ad Ichigo l'ennesimo, seppur lieve, attacco di tachicardia seguito da un accesso di bile; accesso che diventò straripamento quando – la rossa doveva ancora capire che scusa aveva usato Ryou con gli altri professori per lasciarglielo fare – il ragazzo annunciò ai "tre studenti Midorikawa, Aizawa e Ikisatashi che potevano uscire". La ragazza si domandò disperata perché lei non era stata contemplata nel gruppo di ricerca e perché si sarebbe dovuta sorbire due sostanziose ore di biologia, ma più seccato di lei era di sicuro Kisshu, che invece aveva intuito benissimo le intenzioni del biondo.

"Non ti lascerò più da solo con Ichigo, se posso impedirlo".

Diceva quello lo sguardo color ghiaccio di Ryou, mentre con un sorrisetto scrutava Kisshu scomparire oltre la porta scorrevole.

Perfetto, la lista nera dell'alieno stava aumentando di minuto in minuto.

Lui e le due ragazze si allontanarono un po' dall'aula fermandosi di fronte alle scale e Minto incrociò le braccia al petto:

« Bene, direi di dividerci. »

« Dividerci? – Kisshu la guardò scettico – Cornacchietta, io non posso percepire la Mew Aqua, altrimenti non sarei qui, vestito come un cretino. »

« Ma puoi vedere se succede qualcosa di sospetto. – sentenziò lei e tirò fuori dalla tasca una pallina pelosa poco più grande di una biglia, color verde acido – MoiMoi ha realizzato trasmettitori per tutti. »

Kisshu si toccò sovrappensiero in tasca sentendo il suo trasmettitore e annuì grugnendo. Doveva ammettere che la sua senpai era mostruosa, aveva dato un prototipo di quei cosi ad Ichigo solo tre giorni prima, ed era riuscita a perfezionarli tanto da ridurre le loro dimensioni a quasi un terzo; anche se la scelta cromatica e di design non restava il suo forte, si aveva ancora l'impressione di chiacchierare con un criceto punk.

« Ci rivediamo qui tra due ore, prima che Shirogane termini la lezione – fece ancora autoritaria Minto – cerchiamo di sbrigarci. »

Tutti e tre andarono in direzioni diverse. Retasu, avviandosi, cercò di fare mente locale su che aule stesse controllando e in che zona dell'istituto si trovasse, in modo da verificare con gli altri le aree già perlustrate.

Quel campus era immenso. Avevano stabilito che, durante le ore diurne, loro avrebbero controllato a turni l'edificio delle superiori, approfittando delle lezioni tenute da Pai o da Ryou, e lo stesso avrebbe fatto Zakuro occupandosi del piano del terzo anno, quello più in alto, comprensivo di molte aule dei club; Purin e Taruto invece avrebbero controllato gli edifici delle medie e delle elementari, facilmente accessibili da una parte e dall'altra e molto più piccoli rispetto alle superiori, aiutati da Eyner, l'unico dei finti universitari ad essere spedito da un'altra parte; restava il problema di luoghi non raggiungibili nelle ore "di fuga" o a cui neppure un professore poteva accedere senza motivo, come la piscina, ma per quelli avrebbero seguito l'idea di Ryou di fare turni esplorativi notturni.

In quel mentre Retasu stava scendendo al primo piano, tra le classi degli studenti del primo anno, dove si trovavano anche aule per le materie facoltative e quelle per gli indirizzi a scelta, posti che quindi rimanevano chiusi per lungo tempo. La ragazza si sentiva un po' a disagio e allo stesso tempo un po' emozionata, non le era mai capitato di trovarsi a girovagare per i corridoi deserti a metà mattinata: ondeggiò per qualche minuto da un'aula all'altra, leggendo i cartellini affissi ai lati delle porte – "Aula di Musica 1", "Laboratorio di Arte dal Vivo", "Aula di Chimica 2" – quando la sua attenzione fu rapita da una porta un po' diversa, realizzata in stile occidentale; oltre quella soglia il muro proseguiva liscio, segno che dietro doveva esserci un unico ambiente, e sulla targhetta metallica la scritta recitava "Biblioteca 1".  Qualcosa nell'animo della giapponese si svegliò di soprassalto, una biblioteca a scuola? Né alle medie né al liceo aveva avuto una vera biblioteca, solo una piccola aula lettura e decine di meravigliosi, stupendi libri purtroppo intoccabili senza permesso scritto e custoditi con gelosia dal professore responsabile.

Ma sarà vera?

Aprì timidamente la porta affacciandosi dallo spiraglio: un'aula lunga e larga, con decine e decine di scaffali in legno chiaro zeppi di volumi e tavolini di metallo sparsi qui e là, dove qualche studente del terzo anno era assorto in ricerche più o meno fruttuose e dove qualcun altro, con l'aria agitata, tradiva il bigiare compiuto e il tentativo di recuperare qualche compito dimenticato. Era una biblioteca, piccola, ma una biblioteca vera. Retasu si sentì al settimo cielo.

Ah, ma la Mew Aqua…

Sospirò e fece per chiudere la porta, quando le sovvenne un'ideuzza: in fondo la goccia poteva trovarsi anche lì no? Era un'aula molto grande, ci entravano molti studenti… Poteva essere un buon punto di indagine.

Ok, solo un giro di perlustrazione.

 

 

***

 

 

Eyner sospirò di sollievo quando raggiunse il tetto, era davvero stremato; si chiese perché mai soltanto lui fosse finito a fare da insegnante a dei ragazzini, ma si rispose subito che si trattava di una domanda inutile che mai avrebbe ricevuto risposta. Passeggiò per un po’ su quel tetto enorme: sebbene le strutture delle elementari e delle medie fossero separate da quella delle superiori da divisioni interne, per motivi di sicurezza il tetto era unico per tutto il complesso, accessibile in caso di emergenza.

Beh, la sua poteva considerarsi emergenza: era stanco morto, aveva girato ogni maledetta stanza dove fosse riuscito ad arrivare, faceva un caldo incredibile e un'altra sensazione noiosa che non sapeva definire lo tormentava da un po', e lassù c'era un bel vento fresco e tanta quiete.

Camminò per alcuni minuti raggiungendo l'altra estremità del tetto; scorse una sagoma in lontananza e se ne sorprese, ma lo fu ancor di più quando la riconobbe.

Cos'è, destino?

« Zakuro. »

La mora, seduta sullo sbocco dell'impianto di condizionamento, sollevò appena lo sguardo e accennò con la testa senza parlare.

« Come mai sei qui? Marinato? »

Ridacchiò il ragazzo; lei sollevò un pacchetto incellophanato:

« Pranzo. »

Ecco cos'era quell'altra sensazione fastidiosa. Fame.

« In effetti io è da ieri sera che non mangio qualcosa… »

Pregò che lei non avesse sentito il poderoso gorgoglio del suo stomaco, mentre le si sedeva a poca distanza, sul pavimento. Che lo avesse fatto o meno, la mora lo fissò un pochino, frugò tra i resti di un altro pacchetto e ne prese un terzo, ancora intonso, porgendoglielo:

« Era una potenziale merenda per oggi. – spiegò laconica – Ma potrò sopravvivere. »

La guardò sorpreso e poi sorrise con gratitudine, ignorando a forza il puerile guizzo felice che aveva avuto il suo stomaco per quella gentilezza.

Non fare il cretino.

« Grazie. – scrutò il pacchetto dubbioso – Che cos'è? »

« Melon Pan. »

La risposta non soddisfò il ragazzo e Zakuro, dato un altro morso al suo pan, spiegò:

« "Panino melone"; in realtà non sa di melone, ha solo la forma(*), quello è al cioccolato. »

L'espressione confusa di Eyner si accentuò soltanto ascoltandola, mentre scartava il suo pranzo e lo studiava un poco:

« Perché dare ad un cibo il nome di qualcosa se poi non sa effettivamente di quella cosa? »

Zakuro trattenne uno sbuffo  divertito:

« Benvenuto a quello che si definisce "shock culturale". – scherzò, riempiendo l'aria del rumore del cellophane che si accartocciava – Da queste parti potrebbe capitarti spesso, ai giapponesi piace creare cose un po' particolari. »

Riprese a mangiare e il ragazzo la imitò. Rimasero per qualche minuto in silenzio finchè Zakuro lo guardò appallottolare l'incarto vuoto e sentenziò:

« Avevi fame. »

Lui soffiò nei denti con fare scherzoso:

« Solo un po'. »

Zakuro trattenne un'altra risatina. Eyner sentì il suo stomaco dare l'ennesima stretta: dannazione, quei sorrisi appena accennati lo colpivano nel suo punto debole…

« Shirogane non ve l'ha detto che avreste dovuto portarvi qualcosa da mettere sotto i denti? »

« Credo si sia gentilmente scordato di dircelo. – rispose un po' sarcastico – Ho l'impressione che tutta questa storia gli stia parecchio sullo stomaco, o meglio, che noi alieni gli stiamo parecchio sullo stomaco. Per essere fini. »

« Non sbagli. – ammise lei – Anche se, diciamo, ha i suoi buoni motivi. Tranquillo però, non intralcerà il nostro lavoro. »

« Se lo dici tu. – sorrise ed esaminò sovrappensiero la pallina di spazzatura che aveva fatto – Quindi per questi cosi serve denaro terrestre? »

Zakuro annuì:

« Di sotto c'è una caffetteria, li ho presi lì. – spiegò spiccia – Ma puoi portarti da mangiare da casa. »

« Ah beh, problema risolto. – ridacchiò – E tu? »

« Col lavoro non ho fatto in tempo a prepararmi il bento. – fece con noncuranza e vedendo la sua espressione aggiunse – Il pranzo al sacco. »

« Con lavoro… Intendi quello al locale di Shirogane? »

Zakuro scosse la testa:

« L'altro lavoro. »

Eyner la continuò a guardare incuriosito, ma visto che lei non rispondeva si sbrigò a fare un cenno di diniego con la mano:

« Lascia stare, non importa. »

« Faccio la modella. »

Gli rispose invece; ancora una volta non bastò quella sintesi e continuò, pensando a come spiegarlo con poco:

« In sostanza, indosso abiti di persone famose che li creano e poi mi faccio fotografare, così la gente li vede e può decidere di comprarli. »

Ok, forse come sintesi era eccessiva, ma ad Eyner sembrò bastare:

« Capito. E ti impegna così tanto da non poterti fare da mangiare? »

Lei fece un verso di sufficienza.

« Non vorrai dirmi che hai intenzione di mangiare questi finchè dovremo stare qui dentro? Sarà anche buono, ma è dolce… E non credo dia un gran sostegno energetico. »

« Abituata. – rispose piatta – A casa sono sempre sola… Detesto cucinare per me soltanto, preferisco comprare roba pronta. »

Eyner la fissò un istante senza risponderle, le era sembrato fosse diventata malinconica:

« Senti… »

Un rumore ben noto lo interruppe di colpo. Zakuro sospirò e si alzò, scendendo con eleganza dal tubo:

« Prima campanella… Sarà il caso che torni al lavoro. – disse, mentre raccoglieva la sua immondizia – Nemmeno tu hai trovato niente, dal tuo lato? »

« Il nulla assoluto – sospirò stanco – spero che Taruto e Purin abbiano più fortuna di me. »

« Beh – continuò lei – almeno ho trovato un posticino tranquillo dove mangiare. »

Aprì la porta che portava di sotto e gli lanciò un'ultima occhiata divertita:

« Allora arrivederci professore. »

« Spiritosa. »

 

 

***

 

 

Mentre Zakuro ed Eyner mangiavano sul tetto, al piano di sotto Kisshu era in piena crisi da stomaco vuoto.

Per la terza volta in due minuti si sdraiò con tutta la faccia sul banco, lamentandosi cupo:

« Che fame… Sto morendo dalla fame… »

« Come sei noioso. – disse sdegnosa Minto– Vatti a prendere da mangiare e piantala! »

« E come, di grazia? – borbottò – Se vuoi pagarmelo tu il pranzo… O se volete, potrei introdurmi di nascosto in mensa e rubare qualcosa. »

« Non ti azzardare! – esclamò Ichigo – Ci mancherebbe solo che qualcuno ti veda teletrasportarti, e siamo a posto! »

« Ma io ho fame, micetta! – frignò – Dividiamo insieme il tuo pranzo? »

Ichigo strinse protettiva il suo bento tra le braccia:

« Scordatelo! Con la fatica che ci ho messo per prepararmelo! »

« Se l'hai fatto con le tue mani – sorrise lui– allora devo mangiarlo per forza. »

« Ti ho detto di no! »

Sbottò lei arrossendo. Minto mandò un sospiro seccato:

« Per l'amor del cielo, Ichigo! Credo che la tua linea ne gioverebbe soltanto se mangiassi un po' di meno. »

« Che hai detto?! »

« E in quanto a te – guardò Kisshu condiscendente – ti sconsiglio di provarlo, la nostra rossa di solito non danza tra i fornelli, ci fa a pugni. »

Prima che Ichigo prendesse fiato per insultarla, Retasu proruppe nell'aula come una furia sospirando di sollievo:

« Meno male, ho fatto in tempo! »

« Retasu! – la voce di Minto si fece un sussurro – Ma si può sapere dove diavolo sei stata?! Sei sparita quasi tutta la mattinata! »

Vide l'amica arrossire appena, a disagio:

« Niente di che – ridacchiò impacciata – è solo… Mi sono distratta a cercare, ecco. »

Non diede tempo alla mora di chiedere altro e infilò la testa dentro al borsa, estraendone un bento gigantesco; Ichigo sbarrò gli occhi:

« Ma hai intenzione di mangiarti tutta quella roba?! »

Retasu sorrise con dolcezza e scosse la testa, togliendo il panno che avvolgeva il contenitore e scoprendone invece tre separati:

« Io e Purin abbiamo immaginato che non vi sareste portati niente da mangiare – fece gentile – così abbiamo preparato qualcosa noi per Kisshu-san, Eyner-san, Taruto-san e Pai-san. »

Porse una delle scatole a Kisshu che la guardò teatrale:

« Per me? – lei annuì – Sei una santa! »

« Già. »

Sospirò Minto con un sorriso rassegnato; poi puntò le bacchette contro Kisshu, che si stava già strafogando:

« Non osare approfittarne, tu! Domani arrangiatevi! »

« Nella speranza domani di non dover venire ancora qui dentro…  »

Bofonchiò Ichigo a denti stretti. Kisshu ingollò un grosso boccone di onigiri e guardò un istante Retasu, che stava mettendo da parte un bento per sé e prendeva in mano altri due; sulle labbra gli si dipinse un sorrisetto maligno:

« Com'è che non ti sei ancora trovata un ragazzo? »

« Eh?!? »

« Kisshu, ti spiacerebbe provarci con una ragazza alla volta? »

Ruggì Minto velenosa, ma lui la ignorò:

« Chiedevo solo. – prese ad elencare sulle dita – È dolce, goffa, imbranata, occhialuta e con un seno enorme(**), com'è possibile che non abbia ancora un ragazzo? »

« Eh?!?!?!? »

« Che non ce l'abbia tu, cornacchietta, lo capisc- »

Sia Ichigo che Minto lo centrarono in piena fronte coi coperchi dei bento, zittendolo, e proruppero in coro:

« Sei un idiota! »

Retasu era ancora paralizzata dal discorso, viola in viso, ma al sonoro tonk! della plastica contro la testa di Kisshu si svegliò di colpo e, imbracciato l'altro bento, corse fuori prima che la pausa pranzo finisse. Nell'aula, il lamento sommesso di Kisshu si sollevò come una nenia, ignorato dalle due furenti ragazze che gli mangiavano di fronte.

« Guardate che i miei volevano essere complimenti (ahia…) »

 

 

***

 

 

Retasu si era bloccata di fronte all'aula professori dove scorgeva Pai, da solo, seduto ad una scrivania con aria annoiata. La ragazza si diede della stupida, non aveva calcolato quel punto fondamentale: come poteva lei (ufficialmente studentessa) portare il pranzo a lui (ufficialmente un professore)?! Sarebbe scoppiato il finimondo!

E ora cosa faccio?

In pochi secondi ponderò un piano di segretezza quanto mai cervellotico e titubante bussò sul vetro della porta, attirando l'attenzione di Pai; appena lui si voltò gli fece segno di uscire e continuando con quel sistema di nascondersi e far segnali lo portò al riparo dietro ad un paio di distributori di bibite. Quando lui la raggiunse sembrò davvero scocciato:

« Che cosa c'è? »

Retasu sussultò appena al tono brusco, ma del resto erano almeno cinque minuti che giocava con lei a rimpiattino e aveva tutte le ragioni di essere seccato. Lei gli porse di scatto il bento, sentendo il cuore che prendeva a battere veloce e le mani sudate.

« Ecco… Ho pensato che voi… Tu, e Taruto-san e Kisshu non… Non aveste da mangiare, così… »

Perché doveva fare così? Sì, forse era un po' imbarazzante, ma la sua era solo una gentilezza, e con Kisshu non era stato niente di così complicato. Allora perché con Pai era tanto difficile?

In quel momento le vennero in mente tanti dubbi che fece per ritrarre la scatola: e se in realtà non aveva fame? Se aveva fatto cose che non avrebbero mangiato? Forse era meglio farsi solo i fatti propri…

Sentì due dita sfiorare le sue mentre il bento le veniva tolto dalle mani e riaprì gli occhi che aveva serrato così bene, cogliendo appena il mezzo sorriso di Pai e il grazie che accennò, prima di tornarsene indietro.

 

 

***

 

 

« Che pizza! »

Con uno sbuffo e un'altra imprecazione tra i denti per nulla adatta alla sua età, Taruto si lasciò andare seduto per terra:

« Possibile che non abbiamo ancora trovato un accidente?! Ma dove si nasconde quella dannata goccia?! »

Purin gli si sedette accanto, anche lei spompata:

« Sono sicura che è qui da qualche parte – ribadì decisa – ma questo posto è così grande…! »

Sospirarono entrambi.

« Ah – fece di colpo il ragazzo – non ti ho ancora ringraziato per il pranzo. »

« Era buono? »

Lui le fece un sorriso furbetto:

« Accettabile… »

« Ehi! »

« Scherzo, era buonissimo. Sei brava! »

Lei sorrise compiaciuta:

« Sono un'esperta, sono anni che cucino per me e i miei fratellini, i pranzi al sacco non hanno più segreti! »

« Cucini tu? E tuo padre? »

Si pentì subito della domanda, ricordandosi che lei non aveva più la madre e temendo cosa potesse essere successo al padre, ma Purin sorrise candidamente:

« Lui è sempre in viaggio per tornei e allenamenti, a casa viene di rado, quindi ci penso io. »

« Tu? Ma scusa, lascia te e tuo fratello da soli? »

« Fratellini. – lo corresse – Ho quattro fratellini e una sorellina più piccoli di me. »

« Che?! E tuo padre vi lascia sempre da soli?! »

« Sa che può contare su di me. »

La mascella di Taruto si spalancò al punto che si sarebbe potuta proporre al Guinness dei Primati.

« Ma è un disgraziato! »

La biondina fece spallucce e sorrise allegra; Taruto era senza parole e continuando a guardarla sorridere abbassò lo sguardo:

« Ti avrà fatto sentire sola, vero? »

Purin si zittì di colpo.

Nessuno. Nessuno gliel'aveva mai chiesto.

Lo guardò come se lo vedesse per la prima volta e dopo i primi secondi di smarrimento, sorrise ancora, ma più triste:

« Sì. Molto. »

Taruto giurò a sé stesso che se mai avesse incontrato il padre della biondina, gli avrebbe fatto passare un brutto quarto d'ora con uno dei suoi chimeri.

« Ma ho i miei fratellini! – riprese Purin allegra – Sai, mi aiutano tanto… E ho le ragazze! »

Si allungò abbracciandolo:

« E ora ho di nuovo Taru-Taru! – lo guardò contenta, ignorando il suo rossore – Non mi potrei mai sentire sola! »

Taruto ricambiò il sorriso:

« Sei proprio incredibile… »

« È un complimento? »

« Intendevo incredibilmente strana. »

Si corresse bofonchiando. Purin non calcolò le sue proteste e cambiò discorso:

« Ehi, se ti è piaciuto il mio bento, te lo faccio anche domani! »

« … Non serve, mi farò dare una mano a casa e mi porterò qualcosa… »

« Ma a me ha fatto piacere farlo. – sorrise – Ho deciso, te lo preparerò anche domani! »

« Ascolti mai gli altri quando parlano? – sospirò esasperato – E poi… Insomma, è imbarazzante! Non sei mica la mia ragazza! »

La precisazione sembrò cogliere nel segno e Purin si portò l'indice alla guancia, soppesando la questione, e dopo qualche istante s'illuminò:

« Beh, se divento la tua ragazza allora posso fartelo? Per me va bene, a me Taru-Taru piace! »

Purin non avrebbe mai creduto di poter vedere qualcuno diventare più rosso di Ichigo.

Con la sua nuova carnagione da papavero Taruto schizzò in piedi e con voce strozzata strillò:

« Ma ti sembrano cose da dire?! Che hai nel cervello, le rondini?! »

E sparì a passo marziale nel corridoio sperando che, allontanandosi da Purin e dai suoi trastullamenti mentali, il suo cuore evitasse di esplodergli.

 

 

***

 

 

Quando suonò la campanella di fine lezioni tutto il drappello si riunì in un angolo nascosto del cortile: avevano tutti l'aria sfatta e afflitta, e nel mazzo si scorgevano anche alcuni sguardi irritati.

Ryou, che prese la parola, era in cima alla lista:

« Si può sapere dov'è finita Ichigo? »

« È scappata alla prima vibrazione della campana: – disse Minto con rassegnazione – avrà borbottato il nome di Masaya quattro o cinque volte senza darmi risposta ed è corsa fuori come un'invasata. »

Ryou grugnì infastidito; anche Kisshu era furioso e mugugnava tra i denti ogni sorta di maledizione contemplabile, dal fatto che Masaya finisse spiaccicato sotto un autobus a che sopra la sua testa si concentrassero tutte le nuvole del globo, per rovinargli quel meraviglioso pomeriggio di sole. Possibilmente facendo piovere sassi.

« Lasciamo perdere… Allora, c'è ancora qualche ora prima che la scuola chiuda e potremo controllare tra gli studenti dei club e tra le loro aule.

« Resta solo da decidere chi farà il turno notturno. »

« Ah, già, c'è pure quello… – brontolò Kisshu – E come vorresti deciderlo? »

« Vecchia maniera. »

Ryou tirò fuori dalla tasca dei pantaloni una fascettina di stecchetti di legno, che tenne per il fondo:

« Pesca a sorteggio. – disse – Nessuno di noi ha voglia di farsi la notte in bianco, quindi andremo a sorte. Chi prende i bastoncini con due segni rossi, sta sotto. »

« Cosa siamo, all'asilo? »

Fu il commento velenoso di Kisshu.

« Io andrei anche un po' più indietro… »

« Ha qualche altra idea più democratica, Pai? »

Rimbeccò il biondo con tutto il sarcasmo di cui era dotato; l'altro non rispose e Zakuro, vicino a lui, si allungò afferrando uno stecchino, stando bene attenta a tenere nascosto il fondo nel pugno chiuso:

« Piuttosto… Quando hai fatto una cosa del genere? »

« Ho rinunciato alla pausa caffè – disse Ryou, e prese a sua volta un bastoncino – ultimamente ho l'impressione di essere troppo irritabile, devo diminuire la caffeina. »

Tutti gli altri afferrarono un legnetto e lo tennero stretto. Purin, che adorava quelle (stupide) cose, si guardò attorno con aria cospiratrice:

« Al tre? Uno, due… »

Quando Kisshu si guardò nel palmo della mano trattenne una parolaccia, ma non riuscì a fare lo stesso col gemito che gli si sollevò dal profondo, nel vedere chi aveva l'altro bastoncino coi due segni rossi:

« Bene – soffiò – con questo, alla mia giornata manca solo un attacco di cavallette o una voragine di lava che mi inghiotta… »

La voce di Minto, che gettava il suo stecchino marchiato nel bidone più vicino, parve volerlo sferzare a sangue:

« Già, che peccato, vero? Invece di un gatto, dovrai fare ricerche in notturna con un volatile. »

 

 

***

 

 

Il pomeriggio scivolò lentamente, in ore pesanti e sonnolente accompagnate dal cinguettio degli uccellini e dallo stormire di un venticello tiepido.

Pai aveva preso a passeggiare nervosamente per il cortile dell'istituto, incapace di starsene ancora per un minuto tra quelle quattro mura. E dire che non aveva mai avuto problemi con gli spazi chiusi, ci passava più di metà delle sue giornate.

Era conscio che il problema non era lo stare al chiuso, ma quella ricerca snervante; quantomeno, in quelle ore infruttuose aveva forse trovato una pista. Alcuni professori erano preoccupati di un'agitazione insolita tra gli studenti del primo anno, qualcosa che aveva a che fare con desideri ed angeli… Cose misteriose e fenomeni all'apparenza inspiegabili comunque, tutte cose  che potevano in qualche modo legarsi al cristallo. Non era riuscito a capire molto bene, c'erano delle lacune nella sua conoscenza degli umani, ma del resto stavano collaborando con delle terrestri che avrebbero potuto dargli delle delucidazioni; chiariti i dubbi, non gli sarebbe rimasto altro da fare che valutare con MoiMoi le potenzialità della goccia di Mew Aqua basandosi su quelle informazioni e, forse, sarebbero riusciti a trovare quel benedetto frammento entro il giorno seguente.

Si ritrovò di fronte al campo di atletica, circondato da un'alta rete di acciaio e da piccole aiuole di erbetta verde punteggiate ordinatamente da alberi e panchine. Su una delle panche, appena dietro la curva della pista dei 200 metri, individuò una familiare sagoma sormontata da una curiosa capigliatura verde, concentratissima in una lettura all'apparenza troppo coinvolgente perché la si potesse distrarre.

Una venuzza guizzò sulla fronte di Pai, era così che cercava quel benedetto cristallo?

Prese un bel respiro per frenare l'impulso di correrle incontro e minacciarla ad occhiatacce, si trattava di Retasu, non di Kisshu o Taruto: avventarsi contro di lei in quella maniera sarebbe stato esagerato e, tra l'altro, aveva l'impressione fosse un atteggiamento che la mandava abbastanza nel panico.

Allungò il passo e girò dietro alle aiuole, per avvicinarsi con calma, ma tanto Retasu aveva un'aria così assorta che con ogni probabilità non si sarebbe accorta di lui neppure se le fosse caduto in braccio. Aveva un'espressione che Pai non le aveva mai visto fare, tranquilla e rilassata, con un lieve sorriso soddisfatto; di solito le aveva visto assumere – meglio, tentare di assumere – arie combattive, di dubbio, di confusione, di paura, ma mai una come quella.

Si chiese perché esserne così sorpreso, se ora stavano dalla stessa parte poteva anche essere normale.

Credo comunque che si stia rilassando troppo…

Si avvicinò ancora un po' per poi fermarsi di nuovo. Due ragazzi, dall'aria abbastanza adulta, forse del terzo anno, si erano accostati poco lontano da lui e guardavano verso la ragazza confabulando fitto.

« Allora è quella lì? »

« Sì, la riconoscerei tra mille, con quei capelli. È stata tutta la mattina in biblioteca a ronzare tra gli scaffali e a leggere, me la ricordo bene. »

La vena sulla fronte di Pai pulsò di nuovo prepotente, quindi nella pigrizia era pure recidiva!

Ma qualcuno qui ha preso sul serio il compito di cercare la Mew Aqua?!

« Però hai ragione, è proprio carina! »

« Già… Ma a te piacciono quelle con gli occhiali, vero? Maniaco… »

« Sì, come se tu non ci pensassi! »

« Chissene frega, resta carina. Anche se ha l'aria un po' da tonta… »

« Sì, oggi è inciampata due volte e poco ci è mancato che si schiantasse per terra. »

Sghignazzamento generale:

« Almeno le hai visto le mutande? »

« Per chi mi hai preso?! Sono un gentiluomo, io! »

« Si, certo! »

« Comunque, non sarà una un po' presuntuosa…? »

« Ma va! Secondo me è una di quelle che basta una parola gentile e fanno di tutto. »

« Allora, che dici? »

« Proviamo a parlarle, dai… »

« E voi che diavolo stareste facendo qui dietro? »

La voce perentoria di Pai fece sobbalzare perfino Retasu, oltre ai due di terza che si voltarono a guardarlo terrorizzati: del resto lui, nel giro di una mattinata, si era fatto la fama di professore orco tra più di metà degli studenti.

« P-p-professor Ikis… »

« Se non avete niente di meglio da fare – il tono calmo era così minaccioso che sembrò cancellare il tepore del sole – non statevene qui a fare le comari. Sparite! »

Con un pigolio i due se la diedero a gambe all'istante e Pai grugnendo si avvicinò a grandi falcate alla panchina di Retasu; lei nel frattempo aveva chiuso di scatto il libro e aveva preso a guardarlo allarmata, non capiva cosa avesse il ragazzo, ma il suo sguardo era spaventoso.

« Ehm… Cos'ho combinato? »

Le venne spontanea la domanda visto la faccia che aveva.

« Niente. – grugnì – Detesto gli idioti. »

Lei lo guardò confusa, ma lui non spiegò: non era molto chiaro nemmeno a lui, però i commenti di quei due mocciosi gli avevano dato ai nervi. Prese due respiri e si calmò un poco, girandosi di nuovo verso di lei con aria severa, ma tranquilla:

« No, aspetta, una cosa c'è. Si può sapere che stai facendo? »

Retasu sussultò colpevole, nascondendo il libro dietro la schiena:

« I-io… Stavo solo… Ecco… – schioccò le dita – Riflettendo! Sì, un attimo di pausa e di riflessione! »

La guardò sollevando appena un sopracciglio:

« È la bugia più palese che abbia mai sentito. »

Lei arrossì a disagio:

« Ho trovato un libro bellissimo – ammise, chinando il capo – e non ho resistito… »

« Non hai letto abbastanza stamattina in biblioteca? »

Non lo disse con cattiveria, ma c'era una punta di rimprovero che fece arrossire Retasu ulteriormente:

« Non ho letto tutta la mattina! – protestò – Ho ispezionato! Poi sì, mi sono soffermata nella biblioteca, ma non ho perso il tempo a leggere! »

La studiò inespressivo.

« So perfettamente che abbiamo una missione importante! – insisté lei – Mi sono solo… Presa una pausa, ecco. »

La faccia che fece, tutta rossa, corrucciata e seria nel tentare di convincerlo, spazzò via qualunque malumore da parte di Pai, che sorrise sotto i baffi:

« Ok, ok ho capito. »

Le diede un leggerissimo colpetto col registro sulla testa facendole sfuggire un urletto.

« Che bel verso. »

Lei era scioccata. Forse si sbagliava, ma era quasi certa la stesse prendendo in giro.

« È solo che… Mi hai spaventata. »

Le parve che ridesse appena e venne da ridere anche a lei.

« Ora basta, però. – continuò più piatto – Su, torna a cercare, ci resta poco tempo prima che chiudano il campus. »

Lei annuì senza rispondergli, toccandosi la testa col cuore che batteva forte.

 

 

***

 

 

Ormai si stava facendo scuro e il sole era quasi completamente calato oltre l'orizzonte, lanciando ombre lunghe su tutta la città. Seduti nel parco – il loro parco – sulla solita panchina – la loro panchina – Ichigo se ne stava beata con la testa appoggiata alla spalla di Masaya, mentre lui le accarezzava i capelli e rifletteva un istante sul lunghissimo, contorto racconto della sua ragazza.

« Così – fece dopo qualche minuto di silenzio – direi che siete di nuovo in mezzo ai problemi. »

« Già. – mugugnò la mewneko – E così si dimezzerà il tempo che potremo trascorrere assieme…! »

Frignò, ma Masaya la guardò preoccupato:

« Quello che mi dispiace veramente – sussurrò, fissando gli occhi nocciola chiaro in quelli cioccolato di lei – è di non essere più in grado di proteggerti. »

Ichigo si sciolse nel più dolce dei suoi sorrisi, abbracciandolo.

Sì. Nulla e nessuno poteva competere con quella gioia, con la felicità che le dava la dolcezza e l'amore di Masaya.

« Non preoccuparti – lo confortò – starò attenta. »

Lui le sorrise e le accarezzò la guancia dolcemente.

« E… Con quel tipo, Kisshu? »

Pessima domanda.

Ichigo s'irrigidì come un baccalà:

« Che intendi? »

La guardò eloquente, non aveva certo dimenticato che l'alieno aveva dimostrato più e più volte anche in sua presenza un – si poteva definire così? – "eccessivo attaccamento" ad Ichigo.

« Tutto a posto? »

« Ma certo! – rispose lei con voce forse troppo acuta – Che vuoi che sia successo? E comunque, se avesse strane intenzioni lo prenderei a calci, stai tranquillo! »

Rise, un po’ troppo forte, ma a Masaya parve bastare e sorridendole disse ok. Ichigo ci rimase un po' male.

Tutta lì la reazione?

Beh, in fondo io gli ho detto che va tutto bene…

Le venne in mente come Ryou aveva osteggiato l'inizio di quella coalizione e scacciò il pensiero con forza: Ryou non lo aveva fatto perché si preoccupava per lei, ma perché odiava gli alieni.

Masaya, invece, temeva per la sua sicurezza, ma credeva alle sue parole del tutto – o quasi del tutto – vere; quindi, non aveva motivo di agitarsi troppo.

È così.

Gli sorrise e si avvicinò di più a lui, che la strinse per la vita e la tirò a sé baciandola dolcemente. Ichigo si perse all'istante in quel contatto, abbandonandosi contro il torace del ragazzo, la testa vuota; quando sentì di schiudere appena le labbra le parve di esser pronta a svenire dall'emozione, sentiva il sottile filo del suo respiro intrecciarsi col suo…

Masaya si allontanò lentamente, sorridendole, e le posò un leggero bacio sulla guancia mentre lei stava ancora cercando di collegare cosa fosse successo.

« Ti amo, mia bella gattina. – le sussurrò giocando col campanellino al suo collo – Mi dispiace interrompere, ma dobbiamo rientrare, non pensi? »

Lei guardò frastornata lui e il sole che tramontava del tutto e annuì triste.

« Sai bene che rimarrei qui con te all'infinito, ma vorrei evitare che tuo padre mi fracassi la testa con la spada di bambù. – ridacchiò – E soprattutto che tu venga rimproverata per colpa mia. »

Ichigo annuì con un sorriso inebetito sulla faccia, le sembrava che il petto stesse per traboccarle dalla contentezza.

Mai, mai, mai avrebbe potuto trovare miglior principe azzurro di lui.

Se lo ripeteva gongolante, mentre uscivano dal parco tenendosi per mano, mentre l'accompagnava a casa, mentre le rubava un altro leggero bacio sulla soglia; mentre cenava con aria trasognata, mentre si cambiava e si metteva a dormire.

Ovunque, pur di soffocare quell'egoistico urlo interiore che chiedeva – anzi, pretendeva sapere – perché per l'ennesima volta quel bacio che poteva diventare qualcosa di più non lo fosse diventato.

 

 

***

 

 

Minto si strinse nel pullover e si fregò forte le mani sulle braccia coperte solo dalla camicia, da ore lei e Kisshu perlustravano ogni zona della scuola difficilmente accessibile durante il giorno: l'auditorium, i laboratori di ricerca dei diplomandi al primo piano, quasi tutte le strutture dove i club sportivi tenevano le attrezzature. Purtroppo, nulla di fatto dall'indagine, fino a quel momento.

« A questo punto – fece sconfortata – rimane solo la piscina. »

Il complesso disponeva di un'enorme piscina olimpionica, che da lì a poche settimane sarebbe stata divisa tra tutte le classi di elementari, medie e superiori, con conseguente gran confusione; per quel motivo, già da alcuni giorni professori e addetti avevano riempito la vasca e avevano preso a controllare ogni cosa, dai sistemi di filtraggio allo stato di conservazione delle piastrelle, e la piscina era di nuovo agibile.

Minto e Kisshu ci camminarono attorno per un po’, senza entrare oltre la recinzione, ma non videro nulla se non il luccicare della luna sull'acqua calma. Kisshu sbuffò esasperato:

« Senti, uccellino, sono ore che vaghiamo come anime in pena. Io sono stanco morto, che ne dici se ce ne andiamo ognuno a casa propria? »

« No. – fece lei dura – Dobbiamo controllare per bene. »

Kisshu lasciò andare le braccia lungo i fianchi melodrammatico e sospirò, cacciando gli occhi al cielo, mentre guardava la morettina intrufolarsi oltre la griglia e scavalcarla.

« Devo per forza ammirarti le mutande, che ti arrampichi? »

« Nessuno ti ha chiesto di guardarmi sotto la gonna. »

« Un po' complicato – la schernì, teletrasportandosi dentro – se dimeni le gambe a quella maniera. »

Lei lo fissò piccata; non aveva pensato a chiedergli di teletrasportarsi assieme a lei, si sarebbe risparmiata la fatica. E la figuraccia. Invece di imbarazzarsi fissò il ragazzo ancora più seccata e saltò dall'altra parte con grande agilità, ignorandolo altèra.

« Abilità da ladra matricolata. – rise Kisshu – I miei complimenti. »

Lei lo fissò scura in viso:

« Non sono io che volevo rubare in mensa per la fame, a pranzo. »

Lui le rispose grugnendo. Minto prese a perlustrare tutto il perimetro della piscina, curiosando sotto la tettoia dove di solito gli studenti aspettavano prima di entrare in piscina, negli spogliatoi, nel capanno degli attrezzi.

Niente. Nulla. Nada. Vuoto totale. Zero assoluto.

« Ma siamo sicuri che la scimmietta non si sia sbagliata? »

« Assolutamente no. – replicò convinta – È difficile percepirlo, ma quando avviene siamo sempre certe di aver trovato il cristallo. »

Kisshu incrociò le braccia dietro la testa e non le diede risposta. Minto sospirò, in effetti era frustrante quella ricerca senza frutti, va bene che quella scuola era immensa… Ma così tanto? Sollevò lo sguardo demoralizzata, da lì era visibile quasi tutto il profilo dell'edificio scolastico, compreso quel lieve bagliore sopra la scuola media.

Bagliore…?

« Kisshu, guarda lì! »

« Uh? »

Gli afferrò il braccio e indicò in alto; lui strizzò gli occhi per vedere meglio e colse qualcosa.

« Hai visto? »

« Sì… Che diavolo è? »

« Non mi sembra un riflesso – pensò ad alta voce la mewbird – che sia l- »

Ci fu un lampo improvviso dal tetto e con uno strillo Minto arretrò, scivolando sul bordo umido della piscina.

Era scampata ad un tuffo appena qualche giorno prima, di certo il karma voleva riequilibrare le cose.

Che fosse incluso anche Kisshu, al cui braccio la mora era ancora ben attaccata, non era certo, ma allo stesso modo anche lui finì dritto in acqua con un tonfo sordo.

Anche se la giornate era stata calda non era stato sufficiente per scaldare la piscina e Minto sentì il freddo inghiottirla; i vestiti, specialmente il bel maglioncino nero, s'inzupparono subito trascinandola a fondo, giù, giù nel buio, e anche se lei era brava a nuotare non le permettevano di risalire. Irrigidita, cercando di scacciare la paura con tutta la forza che aveva nell'animo, si tolse con fatica il pullover e le scarpe e tentò di risalire, dando due forti bracciate, ma la superficie rimase lontana; una fitta di panico, un'altra bracciata e una mano pallida le si serrò attorno al polso sottile, tirandola fuori con uno strattone. Minto tornò all'aperto con un poderoso respiro, prendendo poi a sputacchiare cloro sulle bianche mattonelle.

« Tu e l'acqua avete un brutto rapporto, eh? – la canzonò Kisshu, seduto malamente ad un metro da lei – E con questa sono due che ti salvo la pellaccia »

Kisshu doveva ringraziare che Minto fosse troppo senza fiato e troppo attenta al fatto che gli doveva, effettivamente, un enorme favore, perché altrimenti lo avrebbe mandato a stendere. Si sedette più composta, riprendendo man mano lucidità:

« Già – sospirò – grazie. »

Prese un altro bel respiro e si levò i capelli che le si erano incollati tutti attorno alla faccia, scivolando via dallo chignon disfatto, accorgendosi solo dopo un po' che Kisshu la guardava in modo diverso:

« Che c'è? Ho qualcosa in faccia? »

« … Sei appena caduta in una piscina vestita e tu ti preoccupi della faccia? – aveva un tono strano – È della camicetta che dovresti preoccuparti… »

Lei si guardò confusa e arrossì di botto. Con la confusione non aveva pensato a quel terribile connubio.

Camicetta bianca e un bagno fuori programma; con biancheria intima di pizzo.

Si strinse paonazza le braccia contro il petto, ma si rese conto che ogni centimetro di pelle che aveva coperto dal tessuto, bagnato e sensualmente aderente, era diventato in potenza molto pericoloso.

« C-che ammiri?! – sbottò quasi isterica – Guarda di là! Subito! »

Lui però non distolse lo sguardo di un millimetro. Minto lo vide togliersi la giacca e si rannicchiò un altro po', restando confusa quando gliela mise sulle spalle.

« Non sono in astinenza da così tanto da saltarti addosso per così poco, – fece malizioso – ma meglio nascondere quel corpicino, che ne dici? »

Lei lo guardò offesa infagottandosi nel blazer fradicio, era incredibile come trovasse sempre un modo per burlarsi di lei.

« Sai, potrei cambiare idea… »

« Idiota! »

Per l'appunto.

Lo guardò alzarsi mentre rideva e avvertì per un attimo la rabbia acquietarsi; forse Kisshu aveva la lingua lunga e cattiva, ma doveva ammettere che sapeva anche compiere dei gesti gentili: l'aria era parecchio fresca e lui non doveva avere tanto più caldo di lei, con solo la camicia fradicia addosso.

Fu a quel pensiero che Minto avvertì di arrossire per la seconda volta.

Quella camicia gli si stava appiccicando troppo e segnava in maniera perfetta il torace ben delineato; i capelli verdi, che da bagnati sembravano neri, si erano attaccati al collo diafano e gocciolavano dalla frangia, dietro a cui gli occhi dorati parevano quasi tremare a contrasto con quello scuro.

Minto chinò la testa di scatto mordendosi la lingua, per caso era diventata scema? Quasi non avesse mai visto un ragazzo appena uscito dall'acqua.

Sì, ma la situazione di solito lo implicava, non era un caso.

E di solito non si trattava di alieni, o anche semplicemente di ragazzi vagamente somiglianti a Kisshu.

Con l'ennesimo scossone alla testa Minto finì di allacciarsi il blazer che le fece praticamente da vestito e si alzò; all'apparenza Kisshu non aveva notato nulla e strizzandosi sovrappensiero una manica fradicia le chiese:

« Ma che è stato quella cosa? »

« N-non lo so – fece, con voce più ferma che potè – forse è meglio dare un'occhiata. »

Lui annuì. Minto prese la borsa che aveva lasciato indietro dopo aver scavalcato il recinto e Kisshu le toccò il braccio che gli porgeva, teletrasportandosi con la mewbird fino al tetto; purtroppo, non videro nulla di importante: solo il tetto spoglio della scuola e, per un attimo, un'ombra indefinita che si chiudeva alle spalle la porta per il piano inferiore.

« L'ho sognato? »

Kisshu scosse la testa; del resto, lui vedeva bene di notte come di giorno:

« C'era qualcuno, sicuramente un essere umano. – la precedette, rassicurandola – Strano, però, non avevo sentito nessuno entrare. »

« Dev'essere successo mentre siamo caduti in acqua… »

Kisshu si massaggiò il collo con fare sfiancato, sospirando:

« Senti, uccellino, a questo punto direi che abbiamo guardato dappertutto, ma se c'era effettivamente qualcosa qui (e mi gioco un dito che c'era) per il momento, è svanita; non so se è qualcosa che si mostra o succede solo di notte… Quello che so è che sono bagnato come un pulcino e stanco morto, che ne dici se issiamo bandiera bianca e ne riparliamo domani assieme agli altri? »

Minto concordò debolmente:

« Sì, hai ragione – frugò distrattamente nella borsa cercando il cellulare, segnava le quattro meno un quarto del mattino – nemmeno a me farebbe schifo dormire per lo meno tre o quattro orette. »

Lui le prese nuovamente il braccio e si teletrasportò via. Comparvero di fronte a villa Aizawa, esattamente sul balcone della mora, che guardò il ragazzo sorpresa:

« Hai azzeccato la stanza? »

« Sul serio? – si stupì lui – Mi ricordavo solo dov'era casa tua, qui ho tirato ad indovinare. »

« Ah, già… Quella volta che hai gentilmente interrotto quella festa nel mio giardino, facendo quasi fuori Saionji-san.(***) »

Kisshu fece una strana smorfia:

« Mai ricordarsi un mio pregio, tra tutte voialtre siete così prevenute nei miei confronti! »

Lei sospirò esasperata, ma non nascose un sorrisetto.

« Ah, ti devo ridare la giacca… »

Lo squadrò malissimo e lui si voltò con fare drammatico:

« Non guardo, non guardo! »

Più convinta, ma sempre a disagio, lei gli diede le spalle e si sfilò piano il blazer, cosa per nulla semplice dato che zuppo d'acqua era pesantissimo e si arenava ad ogni piega; quando finalmente riuscì a compiere la titanica impresa allungò, sempre di spalle, l'indumento al ragazzo, che lo prese sovrappensiero.

« Ah, a proposito… »

Non si girò come promesso, ma per i gusti di Minto venne comunque troppo vicino quando gli sentì premere la spalla sulla sua scapola:

« Prima di rompere le scatole su come mi comporto io… – le sussurrò con voce bassa – Faresti bene tu, ad evitare di guardarmi come se mi volessi mangiare, sai? »

Lei si girò di scatto indispettita e rossa d'imbarazzo, facendo solo in tempo a vedere il suo ghignetto soddisfatto: dalla faccia che Minto aveva fatto, Kisshu si sentì più che ripagato per il simpatico bigliettino di quella mattina.

Minto rimase qualche secondo immobile e poi, livida di rabbia, spalancò la finestra così forte da spaventare a morte il piccolo Miky che mandò un abbaio secco.

« Miky, smettila per piacere! »

Sbottò e il volpino si rannicchiò uggiolando arrabbiato, la sua padroncina non lo trattava mai così bruscamente. In quel momento, però, Minto si sentiva talmente umiliata e furiosa che se non fosse stata piena notte – e se un gesto simile non avesse richiamato nella sua stanza un centinaio tra domestici e inservienti – avrebbe urlato a pieni polmoni tutte le imprecazioni che conosceva. Cominciò a togliersi la divisa fradicia abbandonandola per la stanza e andò alla sua gigantesca cabina armadio, spalancò un cassetto e continuando a scattare collerica afferrò un morbidissimo e profumato asciugamano da doccia azzurro, fregandosi con foga la testa senza nemmeno preoccuparsi di disfare lo chignon.

« Quel… Brutto…! Fastidioso! Lascivo…! Pezzo di….! »

Arrivò a rendersi la testa come un porcospino solo per potersi sfogare; una volta più calma si finì di togliere anche la biancheria grondante che cadde con piccoli tonfi sordi sul pavimento lucido, quindi si avvolse attorno l'asciugamano e si accovacciò sul letto, scaldandosi la pelle ghiacciata. Rimase immobile per un po' per quietarsi completamente e prese ad accarezzare il musetto del suo cagnolino, che si sporgeva verso di lei con le zampine appoggiate al materasso, e dopo qualche minuto se lo mise in braccio coccolandolo.

Era furiosa con sé stessa: aveva fatto la figura della stupida e non aveva potuto neppure difendersi, era stato troppo chiaro per negare.

Tutto solo perché quell'insopportabile di Kisshu era minimamente avvenente e lei era una ragazza?! Doveva succederle tutto solo per una superflua predisposizione biologica umana?!

No.

Forse non era immune ai propri impulsi naturali come sperava, ma non si sarebbe di certo fatta coinvolgere in cose così volgari; doveva mantenere il suo status e sollevarsi rispetto al popolino.

Lei non era una persona di così bassi istinti. Era un individuo superiore a simili grettezze.

Ma questo non voleva dire che non avrebbe fatto pagare a quella malalingua la sua voglia di dire spiritosaggini.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) non chiedetemi il senso di questa cosa ^^""… Cmq i famosi Melon Pan dovrebbero assomigliare ai meloni di Cantalupo, e solo da qualche tempo ne sono usciti al sapore di melone

(**) sì, sono maniaca e ripetitiva… Ma porca miseria! L'ho notato solo io oppure no?! Certo, nella serie a seconda del disegnatore le proporzioni cambiano da episodio ad episodio, ma restiamo d'accordo sulla questione -.-!

Retasu: i-i-i-io °///°, cioè, io @///@...!

(***) episodio 32, che ha causato all'autrice serie turbe mentali per la scoperta del linguaggio volgare di Kisshu ç_ç"!

Kisshu: sn abbastanza grande per parlare come c**** mi pare -.-!

 

 

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Muhahahaha, ah, quale cattiveria! Come sono perfida e maliziosa!

Kisshu: come sei deficiente…

Ma dai che ti sei divertito!

Kisshu: oh, parecchio *evilgrin* ora posso far divorare questa cornacchia arrapata da un chimero e riconcentrarmi sulla mia gattina, prima che intervenga il biondo?

Minto: IO LO AMMAZZO!!!!

Ryou: mettiti in fila -.-***…

Ok, lo ammetto, non si capisce quali parings canon sono i miei preferiti eh :P? Ripeto come sopra, però, vi prometto che inserirò qualche bella sorpresina succulenta proseguendo J, quindi non crediate di aver già azzeccato tutto-tutto ;P! Ringriazio viviccimamiente ^w^!!!

Hypnotic Poison: per la mia bontà mi merito un bacino, eh xD! *ride* Beh sappiamo tutti per chi tifi tu nel triangolo (quadrato? No… Pentagono? Mica è chiarissimo -.-"!) Tra Ichi e i suoi spasimanti ;)… Già alla fine lei mi spunta sempre prepotentemente in primo piano e la cosa non mi rende felicissima -.-…

Ragazze TMM: dillo a noi -.-!

Ichigo: Ehi!

Ma mi serve lei per far lavorare Mr Fighitud… Ehm, Ryou e poi Kisshu… E' un circolo vizioso xD! Lo so, il nostro alienotto se ne approfitta un bel po', ma povero! Tutti i torti non ce li ha, la voleva prima e ora lei è pure meno reticente! Mi ci butterei a pesce pure io (ovviamente non con la gatta, magari con Kisshu appunto ^w^)

Kisshu: maniaca.

Ria/Minto: Senti chi parla!

Noo, povera MoiMoi ^^""! al momento ho tutta l'intenzione di risparmiarle la vita ;P. Tranquilla (faccio spoiler) nel prox cap scoprirai tutto J.

mobo: sono contenta che MoiMoi riscuota tanto successo ^w^! Ah, mi sa che dovrai aspettare il prossimo capitolo per i tuoi dubbi ;), ma tranquilla, sarà tutto più chiaro ^w^! Sì lo so è abbastanza irritante vedere Ichigo attorniata di maschietti -.-**... Temo che prima della fine vorrete ucciderla ^^”””!

Ichigo: grazie eh -.ç*!

Marie_: yeps, tutte contro la rossa xD! Mmm, pensi di sopportarla un pochino ^^""? Se la tolgo di scena non mi progredisce la storia ^^""! sì lo so è snervante, ma diciamo che pagherà lo scotto di tante attenzioni, forse poi le vorrete anche un po' di bene.

Ichigo: posso licenziarmi? Ti prego TT_TT

Mmm, chissà cosa avrò in mente per la nostra Reta-chan ^w^? Le opzioni sn tante, ti ricordo che tra i personaggi secondari c'è anche la piccola Ayu-chan :3 che non vede l'ora di ammogliare la nostra pesciolotta ^w^! Ci saranno sorprese su MoiMoi nel prox capitolo, ma non posso dirti di più ^^! Per rispondere alla tua domanda, shonen-ai letteralmente vuol dire "amore tra ragazzi" ed è usato per definire quelle storie in cui ci sono coppie omosessuali maschili, ma in cui non saranno presenti scene di sesso esplicito (per capirci è l'equivalente della nota lime).

 

Spero che il mio regalino sarà ricompensato con tanti commentini ^w^! <- avida

Vi saluto tutti e vi aspetto tra un mese, finalmente ci sarà l'apparizione dei Quattro Ancestrali!

Ancestrali: e alla buon'ora!

Bacini! ©

 

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Capitolo 6
*** Toward the crossing: first road (part III) ***


Buondì miei cari! Come va la vitaccia? Qui si sussegue nel suo viavai, stanno arrivando gli esami e io sono decisamente nei guai ^^!

Retasu: ah, hai fatto la rima ^w^!

Vero cara? A canone, così mi risollevo il morale prima della catastrofe TTwTT!

Finalmente si entra nell'azione! In questo capitolo botte, martelli, rivelazioni e un sadico biondo con la bocca più volgare che abbiate mai visto!! (abbastanza inquietante come spot pubblicitario ^^"")

 

ATTENZIONE!!!! Chi ritiene che un linguaggio eccessivamente volgare possa urtarlo è avvisato di leggere il capitolo con cautela. Inoltre, qualunque frase che sia o si possa ritenere oscena e/o razzista/omofoba non rispecchia assolutamente le idee dell'autrice e non sono assolutamente appoggiabili o condivisibili, ma solo una caratterizzazione di un personaggio negativo.

 

EDIT 2022 (questa nota vale solo per i “vecchi lettori”, se è la prima volta che leggete Crossing skippate tranquillamente ;*)

 

Da questo capitolo parte la rivisitazione del testo per quanto riguarda MoiMoi, la terminologia e il genere (nel testo) con cui mi riferisco a lei nella narrazione onnisciente.

Ho fatto un bel papiro in merito nell’ultimo capitolo pubblicato, spero nel mentre di non aver ferito nessuno e spero che capiate quanto sia importante per me questo “piccolo” cambiamento  

 

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Cap. 06 – Toward the crossing: first road (part III)

                 The Angel and the first Mew Aqua Drop



Il gruppo si riunì il mattino successivo di buon'ora al Caffè, per discutere di tutto quello che avevano raccolto nella giornata precedente, ossia poco e niente. Con MoiMoi in viva voce da uno dei loro piccoli trasmettitori pelosi, quello blu di Zakuro –  l'unico cioè che avesse un colore sopportabile alle sette del mattino – cercarono di analizzare quel poco, concentrandosi sullo strano bagliore scorto da Minto e Kisshu la sera prima e sulle voci che Pai, ma anche Ryou, avevano sentito tra i professori su un misterioso "angelo".

« Angelo… Volete dire quel mito terrestre di umani con le ali? »

Domandò la vocetta di MoiMoi dall'altro lato; nel sentirla Kisshu si premette forte le mani sulle tempie:

« Senpai, ti prego, abbassa il volume… Ho dormito tre ore, risparmiami… »

« Non credo in questo caso, MoiMoi. - rifletté Retasu – Pai-san e Shirogane-san hanno parlato di angeli… Angeli, tetto della scuola… »

Le ragazze si guardarono cogliendo l'intuizione della verde e ad Ichigo sfuggì un pigolio di terrore.

« State pensando ad una di quelle cose tipo kokkuri? »

« Kok-che? »

« Letteralmente vuol dire "divinazione con la tavoletta" – spiegò Minto, la voce strascicata per il sonno arretrato – era un tipo di divinazione che si usava spesso un tempo… Tra i ragazzi a scuola va ancora di moda. »

« Divinazione? »

Pai si premette forte con due dita la radice del naso, quando Taruto prendeva a fare domande a quella maniera, quasi stesse recitando molto male, sembrava scemo.

« Cioè… Chiamare degli spiriti, o i defunti, perché ti aiutino a risolvere un quesito. »

Continuò a spiegare la mora; Ichigo era sempre più pallida.

« Prendi un foglio, o una tavoletta, con scritto sopra l'alfabeto, ci metti sopra una moneta che tutti i presenti tengono con un dito e (teoricamente) lo spirito risponde alle tue domande facendoti muovere la moneta. »

Eyner le guardò incredulo:

« E voi umani credete a queste cose? »

« Io non ci credo, – rispose Minto con sufficienza – ma in teoria tutti sanno come funziona… Un motivo in più per non farmi coinvolgere. Sai come si dice, meglio non rischiare, richiamare i morti… »

« È una cosa… Macabra da morire! »

Esclamò il bruno con una smorfia.

« È assurda. »

Sentenziò Taruto scettico; Kisshu sembrava divertito:

« È troppo stupida! »

« È terrificante! »

Fu il soffocato grido di terrore di Ichigo, ormai rannicchiata dietro a Retasu.

« Ma che c'entra la divinazione con l'angelo? »

« È una cosa che va di moda tra gli studenti – spiegò Zakuro – sai, una sorta di leggenda metropolitana. Più o meno in tutte le scuole c'è la diceria che ci sia uno spirito, o un angelo come ora lo chiamano più spesso, che in qualche maniera (col kokkuri, o in altri modi) faccia soprattutto realizzare i desideri. »

Ichigo era così avvinghiata alla gonna di Retasu che poteva strapparla da un momento all'altro.

« Non vorrete credere che una simile scemenza sia legata alla Mew Aqua! »

Esclamò Ryou scandalizzato. Sentirono MoiMoi mormorare sommessa, ponderando:

« Non credo una cosa come realizzare un desiderio – disse – però possiamo ipotizzare che, se ci sono persone che si avvicinano alla goccia, ne ricevano un'influenza benefica per la loro esistenza, che possono deputare come dovuto ad un intervento superiore. »

« Ma la Mew Aqua non può farti fidanzare con qualcuno! »

Esclamò Retasu pentendosene subito quando tutti gli sguardi la fissarono:

« Di solito non chiedono questo, le ragazze, all'angelo? »

Chiese piano piano; Minto annuì con forza:

« Sempre le stesse stupidaggini. »

« Beh, ovviamente una cosa simile non è possibile. – continuò MoiMoi – Ma la Mew Aqua è una fonte di energia positiva: non l'abbiamo mai sperimentato, ma se può ridare la vita ad un pianeta morente, forse ad una persona può donare energia; molta energia porta la gente ad essere positiva ed avere più fiducia in se stessa, tanto magari da dichiararsi a qualcuno. Anche se il processo è diverso, il risultato sarebbe lo stesso, no? »

« Sì, come teoria regge – riflettè Pai – gli umani non sono in grado nemmeno di relazionarsi correttamente tra loro, senza il giusto stimolo energetico. »

« Certo, Pai, dalla tua categoria di robot sai dare sempre giudizi lucidi – lo schernì Kisshu – guarda che nessuno di noi è una batteria! »

« Sto dicendo – scandì ancora, lentamente, come per farsi capire da qualcuno molto lento – che le persone tendono ad avere difficoltà ad agire, quando sono depresse, e di solito quando sono depresse sono anche più deboli fisicamente, ma al contrario se si sentono più energiche sono più allegre e agiscono con solerzia; è soltanto una questione di come si relazionano psicologicamente al loro stato fisico. »

Kisshu non gli diede risposta. Il discorso poteva anche filare, ma nulla toglieva al fatto che se fosse uscito da un calcolatore elettronico lo avrebbe stupito di meno.

Mio fratello non ha né cuore né cervello sotto quella pellaccia, ma solo il sistema di analisi principale di un computer.

« Quindi secondo voi quest'ipotesi ha un senso. »

Sospiro Ryou; vedendo che nessuno replicava, ma c'era solo Pai a guardarlo severo, sospirò più forte passandosi una mano sulla fronte:

« Bene. Controlliamo allora se questo fantomatico "angelo" c'è, e se con lui troviamo la Mew Aqua. »

***

Quella mattina il lavoro fu interamente delegato alle ragazze. Perfettamente a loro agio tra le chiacchiere e i pettegolezzi dei banchi di scuola, presero a sondare il terreno alla ricerca di informazioni sull'angelo della scuola, ricevendo notizie molto più interessanti di quello che si aspettavano.

« È successo tutto poco più di due settimane fa. »

Spiegò una brunetta coi capelli mossi alle compagne, i banchi affiancati durante l'ora di studio libero; Retasu, Minto e Ichigo finsero di pendere dalle sue labbra all'idea di un essere sovrannaturale che esaudiva i desideri, ma in realtà scandagliavano ogni dettaglio che riferiva per capire se, davvero, si trattava della Mew Aqua.

Primo indizio coerente, fattore tempo. Poco più di due settimane… Coincideva con l'attacco degli Ancestrali e la rottura del cristallo.

« Dicono che si trovi sul tetto delle medie, ma non ci sia sempre; compare unicamente la notte, sotto forma di una ragazza. »

Quello combaciava con ciò che Minto e Kisshu avevano visto la notte precedente.

« Mamma che paura…! »

« Ichigo… »

Retasu guardò confortante l'amica, bianca come un lenzuolo: la rossa cercava di convincersi da ore che tutta quella storia riguardasse solo la Mew Aqua, ma invece sembravano unicamente storie di fantasmi e spettri, e lei era terrorizzata a morte da cose simili!

La brunetta narrante sorrise sorniona alla sua faccia e si sporse di più sul banco abbassando la voce, assumendo un tono macabro:

« Dicono che sia lo spettro di una ragazza morta anni fa, ma che sia rimasta legata alla scuola e porti aiuto agli studenti… Quando compare, si viene irradiati da una luce incredibile e da un senso di benessere, ed è segno che ha esaudito il tuo desiderio. »

Minto ignorò il piagnucolio strozzato della mewneko, era più importante ciò che avevano appena sentito.

Un'incredibile luce e un senso di benessere… Erano gli effetti purificatori del cristallo.

« Ahi, Ichigo…! Mi stai stritolando la mano! »

La mewbird guardò seccata la rossa che si era avvinghiata alla povera Retasu, era così pallida che poteva svenire da un momento all'altro.

« E come fate a dire che funzioni? »

Domandò ancora Minto recitando alla perfezione la parte della ragazza curiosa. La brunetta arrossì felice e si indicò:

« Con me ha funzionato! – si avvicinò ancora un po', ormai il gruppetto era tutto sporto sui banchi – Non riuscivo a dichiararmi al senpai… E di colpo ci sono riuscita! »

Le sue amiche la strinsero soffocando dei gridolini eccitati e delle risatine di scherno.

« È stato come… Una scarica di adrenalina! Di colpo ho avuto la forza di andare a parlargli, ero così piena di energia! »

Terzo punto, infusione di energia benefica nelle persone. Le tre MewMew si guardarono di soppiatto con sguardi eloquenti, forse di trattava davvero del cristallo.

« Davvero interessante. – fece MoiMoi – Comincio a credere che abbiamo imbroccato la pista giusta. »

Ichigo, Kisshu, Minto, Retasu, Zakuro, Purin e Taruto, tutti accovacciati in un angolo del cortile, si strinsero attorno al trasmettitore che la mewneko reggeva in mano, stando attenti a non farsi vedere.

« Ma non potevamo aspettare la pausa pranzo? »

Sibilò Taruto a denti stretti, spiaccicato addosso a Purin per restare nascosto dietro al muro; era scarlatto in volto, ma alla biondina non sembrava dispiacere più di tanto stargli così vicina.

« Non abbiamo tempo da perdere – sussurrò Minto astiosa – per fortuna siamo riusciti ad uscire tutti nelle stesse ore, approfittiamone. »

Il brunetto guardò storto la mewbird, quel giorno in particolare era più acida del solito.

« Cos'è, tu e Kisshu avete fatto la notte, che sei così nervosa? »

Il tono malizioso non nascondeva in alcun modo la sordida supposizione, a cui Kisshu e Minto risposero in contemporanea trucidando Taruto con un'occhiata.

« Piuttosto mi faccio suora. »

Dal trasmettitore provenne un perentorio colpetto di tosse e MoiMoi riprese la parola:

« Comincio a pensare che il favoloso angelo sia un essere umano a cui si è unita una goccia di Mew Aqua. »

« Potrebbe – rifletté Minto – in effetti ieri sera abbiamo visto qualcuno sul tetto. »

Si voltò verso Kisshu – ancora impegnato a sgozzare con gli occhi il fratellino – e questi riflettè:

« Sì… C'era una persona, l'ho vista di sfuggita, ma sono certo fosse un essere umano. Mi sembrava una ragazza… »

A quell'affermazione Purin si incuriosì:

« Com'era? »

Kisshu ci rifletté qualche minuto, sforzandosi di ricordare:

« Una ragazzina… Credo avesse i capelli neri, forse corti… – bofonchiò a mezza bocca – Non sono sicuro, in quel momento ero un po' distratto. »

Minto trascurò quell'ultima frase detta a mezza voce. Sicuramente non l'aveva detta riferita a lei, o forse l'aveva fatto, sì, ma solo per darle fastidio.

Dopo quella descrizione Purin prese a fregarsi in tasca agitata e tirò fuori una foto spiegazzata:

« Assomigliava a questa? »

La foto ritraeva una ragazzina con la divisa delle medie Yakori dall'aria un po' triste, coi capelli neri scalati. Kisshu la studiò girandola nelle mani:

« Sì, potrebbe proprio essere lei. Ma chi è? »

« Una ragazza che stava nella nostra classe. Ho saputo di lei oggi parlando con alcune compagne, pare sia scomparsa da qualche settimana. »

« Più o meno da quando è spuntato l'angelo. »

Fu la laconica constatazione di Zakuro; Purin annuì forte:

« La famiglia ha denunciato la scomparsa dopo un paio di giorni e le sue amiche distribuiscono in giro la foto, per questo ne ho una. »

« E se quella ragazzina fosse entrata in contatto col cristallo? – si chiese MoiMoi – Voi potete maneggiarlo senza problemi, ma le persone normali forse no; per reazione, è diventata una sorta di strana creatura… »

« Tutto può essere, ma non abbiamo prove. – sospirò Ichigo rassegnata – Dovremmo cercare almeno di intercettarla… »

« Beh, dicono che compaia sul tetto, ma non ho trovato niente. – disse Zakuro – L'ho setacciato in lungo e in largo e, credetemi, era più che un deserto. »

« Ma sono sicura ci fosse qualcuno ieri sera, onee-sama. »

« Forse compare solo in certi orari? »

Ichigo sentì un brivido gelido lungo tutta la spina dorsale:

« N-non parlate-tene così… S-sembra un'apparizione! O-o qualco-co-cosa del genere… »

« In effetti… Forse… – disse Minto a bassa voce, scherzando – Quella che abbiamo visto noi era una presenza… »

« M-M-M-M-M-Minto piantala! – piagnucolò – Lo so che mi stai solo prendendo in giro! »

La rossa cercò di calmarsi, quando sentì un rivolo d'aria fredda solleticarle il collo: cacciò uno strillo da spaccare i timpani e saltò dalla parte opposta, facendo trillare il campanello sulla coda nera da gatto.

« Micetta, ma ti spaventa così tanto? »

Lei guardò sconvolta Kisshu, piegato in due dalle risate:

« Non è divertente! – mormorò col magone – Voialtri…! Siete crudeli! »

« Ad ogni modo – intervenne Zakuro fredda, per sedare quel fracasso – non credo abbiamo molte altre scelte che seguire questa pista. Direi che per il momento possiamo solo continuare a cercare, sperando di scovare l'angelo. »

Si guardarono a vicenda, nessuno molto convinto, ma visto che quella sembrava l'unica buona soluzione dovettero acconsentire.

« Ok – fece MoiMoi – tenetemi aggiornata eh? Ah, Kisshu-chan, Taruto-chan? »

« Che c'è, senpai? »

« Tenete i trasmettitori a portata d'orecchio – gli ammonì – oggi si riuniva il Consiglio Maggiore, credo che Teruga voglia comunicare tutto. »

Le terrestri videro i due ragazzi guardarsi allarmati, ma non chiesero niente.

« Ricevuto. – fu la laconica risposta di Kisshu – Facci sapere MoiMoi. »

***

Zakuro finì di salire le scale che portavano al tetto sospirando infastidita, aveva dimenticato quanto fosse irritante girare a vuoto a quella maniera, cercando qualcosa e non trovandola. Per fortuna non aveva avuto noie da nessuno nella sua ricerca, né studenti né professori: di fronte alla sua vera indole e all'aria severa e feroce la gente non sapeva come comportarsi e, di solito, si terrorizzava e prendeva le distanze; durante la mattinata le era addirittura sembrato che alcune ragazze la definissero "una yankee".

Ho raggiunto il mio apice. La brillante e impeccabile Zakuro Fujiwara è stata considerata una teppista.

Non che le importasse più di tanto. Lei aveva trovato le amiche fidate di cui aveva bisogno anni prima, e in ogni caso non aveva problemi a passare il tempo da sola; si sentiva più a suo agio. Meglio quello, comunque, che trascorrere le ore in mezzo a gente che la fraintendeva soltanto o si illudeva di capirla, quando non faceva nemmeno lo sforzo.

Spinse il maniglione antipanico dell'arrugginita porticina che si apriva sul tetto e fu investita da una folata di aria calda profumata di polline; il ronzio basso del condizionatore divenne subito una nenia confortante, bassa e gutturale come fusa di un gatto, e Zakuro sospirò serena ritenendolo un rumore cento volte più piacevole del chiasso che faceva la calca di studenti, un piano più in basso. Si sedette su quello che aveva designato come il suo posto preferito, il tubo di sfogo dell'aria, e rimase in silenzio col viso appoggiato alle braccia e gli occhi chiusi ad ascoltare i rumori lontani e ovattati, le voci distanti, gli scalpiccii dei passi, le risate.

Distante da tutto e tutti, un po' come si sentiva ogni giorno della sua vita, eccezion fatta per quando era al Caffè: su un piedistallo, dove nessuno provava ad arrivare.

« Facciamo un pisolino ristoratore? »

Zakuro aprì appena un occhio, sorpresa, incrociandone due grigi e blu che le sorridevano gentili.

« Eyner. »

Correzione, in effetti c'era qualcuno oltre alle ragazze che non sembrava preoccuparsi minimamente di invadere il suo territorio. Sebbene lo facesse con attenzione, poco alla volta e dolcemente, come chi deve familiarizzare con un animale mordace.

Lei, Zakuro, un animale mordace. Sì, come paragone poteva funzionare.

« Non dormivo. – lo corresse piatta – Pensavo un po'. »

« Credevo facessi una pennichella dopo pranzo. »

Si giustificò. Lei lo guardò senza rispondere, in effetti aveva fame, ma non si era comprata né portata niente quel giorno; si era concentrata troppo a cercare il cristallo e se n'era dimenticata.

« Non ho ancora pranzato. »

Fece con sufficienza.

« Niente pan oggi? »

« Parrebbe… »

Gli vide esibire un altro sorriso, ma ebbe l'impressione che farlo gli costasse molto. Ed era vero, Eyner ci stava mettendo molto, moltissimo autocontrollo, chiedendosi perché diavolo stesse compiendo un simile gesto verso la fredda e brusca Zakuro.

Minimo mi ride in faccia.

« Se avessi fame – Zakuro lo guardò frugare in un curioso sacchetto di tela rozza – ti va? »

Senza capire lo studiò porgerle una scatoletta di metallo che lei aprì, finendo inondata da un invitante profumino di cibo e di colpo capì di stare morendo dalla fame. Alzò lo sguardo verso Eyner, teso in volto, e le sfuggì un sorrisetto inquisitore:

« Per me? »

« Eh? S-sì, cioè, no! – rise nervoso – Mi sono ricordato quello che hai detto ieri, così quando ho preparato da mangiare… Ho solo fatto un piatto in più. »

Cioè aveva preparato anche per lei, detto in altri termini. Zakuro non poté evitare di sorridere lievemente per un secondo, ma non disse nulla. Finì di aprire la scatoletta – segnale muto che accettava l'offerta di cibo – e si sedette meglio sul suo posticino, imitata da Eyner che si accomodò sul pavimento come il giorno prima. L'inatteso pranzo consisteva in qualcosa non dissimile da spaghetti dalla forma rozza e ruvida, color cannella, conditi in una salsa densa con pezzetti di carne e verdure; odorava di brace e di speziato ed aveva una consistenza corposa e succulenta; sapeva di casa.

Zakuro mandò giù un boccone e si fermò. Vedendola Eyner si sentì parecchio a disagio e mormorò:

« Non sentirti obbligata, se n- »

« No. »

Lo bloccò. Sollevò la scatola fino al viso ed Eyner potè giurare di vederla sorridere:

« È solo un po'… Strano. – disse con una punta di nostalgia – Non so quanto tempo è che non mangio qualcosa preparato in casa… »

Si voltò verso il ragazzo e lui spalancò appena gli occhi per lo stupore; no, non se l'era sognato, Zakuro gli aveva proprio sorriso:

« Grazie. »

Ecco.

Ormai era fatta.

Era finito, andato. Perso. Completamente fregato

Era bastato quel minimo sorriso perché sentisse il cuore schizzargli in gola. Si sentì uno stupido, perché era così che si stava comportando, come un ragazzino stupido… Stava perdendo la testa per la ragazza più inaccessibile di tutta la Terra, forse di tutta la galassia.

« … Prego… »

Fu l'unica cosa che poté dire, prima di chinare la testa perché, almeno, non lo vedesse sorridere felice come un cretino.

***

La giornata trascorse veloce ed arrivò presto la sera, con una piccola luna piena e dozzine di stelle che spuntavano in un cielo via via più scuro. Ichigo si sentiva esausta, avevano perlustrato ogni benedetto centimetro di quella scuola, ma non avevano trovato nulla, e le sarebbe pure spettata la perlustrazione notturna; per giunta, non aveva neppure sentito un pochino Masaya in tutta la giornata, né aveva avuto possibilità di vederlo. Guardò sconsolata l'orologio al suo polso, le dieci di sera, a quell'ora Masaya stava finendo di studiare e quindi aveva spento il cellulare… Però poteva inviargli almeno un messaggio.

Ciao Masaya, come procede lo studio ^w^ ? Spero tutto bene, mi manchi molto.

Buonanotte

Mise via il telefonino e sospirò, guardandosi attorno aspettando Retasu ed Eyner. Visto che sembravano così vicini a rintracciare la goccia di Mew Aqua, avevano deciso di mandare le ragazze a due alla volta, in modo da affrontare adeguatamente un'emergenza in attesa delle compagne. Giocherellò ancora qualche istante con un sassolino ai suoi piedi e finalmente sentì il rumore ovattato del teletrasporto, scorgendo il ragazzo atterrare col delicatezza assieme alla mewfocena.

« Grazie del passaggio. »

« Figurati. »

« Scusate, ho fatto fare tardi a tutti. – s'inchinò Retasu – Ma i miei avrebbero trovato strano che non passassi da casa neppure dopo la chiusura di scuola. »

« Tranquilla – la blandì Ichigo – l'importante è che siate arrivati. »

La verde la guardò sorpresa e vide la rossa stringerle le mani, gli occhi lucidi di lacrime spaventate:

« Tremo pensando se qui stasera ci fosse stata Minto…! – piagnucolò con gratitudine – Sono già terrorizzata pensando a cosa potremmo trovare, ci fosse stata lei sarei morta d'infarto! »

« I-Ichigo… »

Per un paio d'ore perlustrarono ancora la scuola, concentrandosi sul tetto, senza individuare nulla di importante; Eyner e Retasu camminavano tranquilli, mentre Ichigo se ne stava col pugno  raccolto sulla bocca a camminare incerta e tremante, l'altra mano attaccata alla gonna dell'amica nella brutta imitazione di una bimba di tre anni.

« E se spunta fuori che è veramente un fantasma e ci maledice?! »

Pigolò. Eyner la guardò sospirando:

« Ichigo, non credi di esagerare? »

Lei scosse forte la testa; inutile discutere di fronte alle fobie di qualcuno.

« Coraggio. Non c'è niente che… »

« Cosa? – squittì spaventata – Niente cosa?! »

Eyner non rispose e infilò la mano in tasca estraendo il trasmettitore di MoiMoi; lo toccò con la punta dell'indice e questo vibrò, parendo quasi un esserino vero con quella peluria di cui era ricoperto:

« Eyn-chan? »

« Che succede, senpai? »

« Tu e i ragazzi dovete venire subito qui! Sta succedendo il finimondo! »

Il tono era concitato e la voce spezzata dalla rabbia ed Eyner si corrucciò senza interromperla.

« Ebode ha convocato una riunione straordinaria del consiglio e sta dicendo un sacco di stupidaggini sugli Ancestrali e…! E…! »

« MoiMoi, calmati! »

« Un corno! – sbottò – Oh, Eyn-chan per favore! E gli altri…! Venite subito, il consigliere Teruga non riesce più a tenere tranquillo il Consiglio! »

« Senpai, sono assieme ad Ichigo e a Retasu, non posso lasciarle da sole. »

« Non preoccuparti Eyner-san. »

Retasu, allarmata dal tono di MoiMoi, gli sfiorò il braccio e lo guardò ferma:

« Noi possiamo cavarcela benissimo da sole. »

« No, è pericoloso; non sappiamo se qualcuno ha già rintracciato la goccia di cristallo – ribattè MoiMoi greve – Datemi un po' di tempo e sono lì da voi. Eyner, tu devi essere qui! Sai che è con voi che vogliono parlare. »

Eyner non sembrava ancora convinto, ma le due ragazze insistettero.

« Sembra davvero importante – disse Ichigo – vai pure Eyn-san, possiamo cavarcela per dieci minuti. »

Eyner ci pensò ancora qualche secondo e poi annuì.

« State attente, arrivo subito! »

Fu l'ultimo suono della vocetta metallica di MoiMoi prima che Eyner svanisse. Rimaste sole, Ichigo cercò di cancellare la paura che ancora le faceva tremare le ginocchia e raddrizzò la schiena:

« Dobbiamo trovare la goccia – disse preoccupata – e in fretta. »

Retasu annuì:

« Chiamiamo le ragazze. »

In attesa delle amiche e di MoiMoi, Ichigo e Retasu ripresero a setacciare il tetto della scuola in modo sempre più frenetico. La rossa non riusciva a togliersi di dosso l'agitazione per la comunicazione tra MoiMoi ed Eyner, un'agitazione che le chiudeva lo stomaco ben più che la sua paura dei fantasmi. Temeva stesse succedendo qualcosa, dall'altra parte, e questo la preoccupava; non aveva scordato le parole di Teruga: qualcuno sul pianeta alieno non era stato troppo contento che la Terra fosse rimasta nelle mani degli umani e appoggiava – pubblicamente o meno, questo non lo sapeva – i famigerati Ancestrali, possibili nuove versioni di Deep Blue.

Un tremito le salì lungo la gola.

« Retasu, hai visto nulla? »

« Niente di niente! – gemette la verde – Non c'è nessuno e niente. »

Ichigo si morse il labbro inferiore, possibile che la loro teoria fosse completamente sbagliata?

Si fermò di colpo, cogliendo il cigolio di una porta. Lei e Retasu si nascosero dietro ad rialzo del muro e sbirciarono oltre: qualcuno, forse una ragazza a giudicare dal poco di vestiario che potevano distinguere, era uscito dall'ingresso che dava sulle scale e avanzava verso il parapetto; la figura camminava con la schiena dritta e le braccia lungo i fianchi guardando fisso di fronte a sé, mettendo davanti un piede per volta con immensa lentezza. La videro fermarsi proprio di fronte al parapetto restando immobile, a guardare il nulla, i corti capelli scuri che ondeggiavano nella brezza notturna, e quando un bagliore della luna ne illuminò meglio il profilo per pochi istanti, Retasu sobbalzò:

« È lei! – sussurrò concitata – La ragazzina scomparsa! »

« È vero. Ma che ci fa qui, in piena notte? – Ichigo si acquattò dietro al muretto assieme all'amica – È ovvio che non si nasconde qui a scuola, l'avremmo scovata. »

« Perciò, deve venire qui di notte. »

« Ma perché? »

Udirono un fruscio e si voltarono spaventate, scorgendo le amiche che, già trasformate, erano salite con un solo balzo sul tetto; la mewneko fece subito segno loro di nascondersi e loro la assecondarono, confuse.

« Meno male – sospirò la rossa – non sembra essersi accorta di noi. »

« Ma quella…! »

« Proprio lei, Purin. »

« E da quanto è lì in piedi? »

Chiese Minto; Retasu provò a contare:

« Non saranno che cinque minuti… »

« Non credo si possa accorgere di noi. – fece piatta Zakuro – Non credo sia nemmeno cosciente di dove si trovi. »

Le altre la guardarono senza capire.

« Ichigo, Retasu, trasformatevi. Non so cosa potrebbe succedere. »

La mewwolf si tirò di colpo in piedi e con voce ferma chiamò:

« Ehi! »

Le amiche la guardarono allarmate, ma nonostante il tono di Zakuro la ragazzina non si mosse. Gli occhi della mora si ridussero a due fessure e la videro riprendere fiato, chiamando ancora:

« Ehi! Sei tu l'Angelo?! »

A quella frase la ragazzina parve svegliarsi e si girò lentamente verso di lei; la guardarono sorridere, gli occhi che rilucevano di uno stranissimo bagliore e parlare a tono basso con una voce che, chiaramente, non era completamente di un essere umano:

« Chi mi cerca? »

Più che una voce, un tremolio; uno frusciare d'erba, qualcosa di leggero e mormorante. Sul petto della ragazzina dove di solito poggiava il fiocco della divisa, gravitava una gocciolina pulsante di luce iridescente non più grossa di una noce. Ichigo, trasformatasi, sobbalzò alla vista, e sia lei che le compagne brillarono un secondo su tutto il corpo di un tenue bagliore azzurro.

L'abbiamo trovata!

« Chi mi cerca? »

Ripeté l'Angelo. Ichigo si fece coraggio e avanzò con aria decisa:

« Noi siamo le MewMew! »

Lo gridò forte, quasi per dar più forza a sé stessa in quella situazione assurda, che come vera intimidazione:

« Devi restituirci la Mew Aqua, per il tuo bene! »

L'Angelo le guardò – meglio, parve guardarle, era difficile capirlo – e apparì confusa:

« Non dovete chiedere nulla all'Angelo? »

« Una cosa soltanto. – insisté Ichigo – quella che porti al collo. »

L'Angelo non gradì la richiesta. Dapprima si portò la mano al petto, a coprire la goccia vibrante, poi si accigliò e con voce più ferma, tuonò:

« No. »

Ci fu un'esplosione di energia e le cinque ragazze quasi finirono sbalzate via dal tetto, reggendosi per puro miracolo. Nel fortissimo vento che si stava sprigionando Ichigo vide l'Angelo esattamente dov'era prima, immobile, che riluceva di bianco coi pugni serrati sulle gambe; la goccia di Mew Aqua pulsava a ritmo serrato, ma la ragazzina che la portava sembrava sofferente.

« Sta male…! »

Disse Retasu, la voce coperta dal frastuono.

« Saremo noi a farci male se non la smette! »

Urlò in risposta Purin. Minto si aggrappò al muro dell'ingresso delle medie per non venire spinta via:

« Credo che l'energia della Mew Aqua sia troppo per lei – disse con una mano sulla bocca per riuscire a respirare – Vi ricordate cosa ha detto MoiMoi? »

« Non mi dite che ora magari si trasforma sul serio in un angelo! »

« Non credo, Retasu – rispose Zakuro tentando di mantenere la sua flemma – ma non so cosa potrebbe succederle! Dobbiamo toglierle quella goccia di dosso! »

« E come facciamo?! – gemette la mewfocena – Non possiamo avvicinarci! »

Ci fu un'altra ondata di energia e Ichigo indietreggiò, inciampando su uno scalino. Si sollevò dolorante, cercando di non soccombere dalla forza del cristallo e percependo nel rombo sordo il sottile tintinnio del suo campanellino mentre muoveva la coda.

S'illuminò, e se…

« Mew Strawberry Bell! »

« Ichigo, ma che…?! »

« Lasciami fare, Minto! »

La mewneko afferrò la campanella e se la mise di fronte; di colpo le onde di energia rimbalzarono indietro e presero a infrangersi contro l'arma come su una barriera invisibile.

« Ichigo nee-chan! »

« Incredibile… – esclamò Minto – Ichigo, sei un genio! »

« Che tono sconcertato…! »

La rimbeccò Ichigo con un ghignetto. L'altra sorrise trionfante, estrasse il suo arco e si mise accanto alla rossa, seguita dalle altre:

« Mint Arrow! »

« Retasu Castanets! »

« Purin Ring! »

« Zakuro's Whip! »

Forse non erano in grado di fermare il potere della Mew Aqua, ma a quella maniera potevano avanzare. La formazione creò uno scudo compatto e cominciò a procedere verso l'Angelo, che se ne stava sempre immobile nello stesso punto.

« Dobbiamo andarle più vicine! – gridò forte Ichigo per sovrastare il fracasso – Dobbiamo riuscire a separarla dalla Mew Aqua! »

« Ichigo, l'idea delle armi era buona, ma non credo possano aiutarci anche in questo! – disse Retasu – Non è un chimero! »

« Intanto raggiungiamola! »

Con un guizzo Minto si portò più avanti e aprì un altro po’ la strada, le altre subito dietro e con difficoltà, un passo alla volta, arrivarono di fronte all'Angelo; Ichigo voleva trovare un piano, ma l'espressione sofferente della ragazzina cancellò ogni buon proposito di agire razionalmente.

« Al mio tre – urlò – spostatevi! »

« Cosa?! »

« Ichigo sei impazzita?! »

« Apritemi la strada! – insisté – Da qui posso raggiungerla con un balzo! »

Cercò sostegno in Zakuro; lei la guardò un istante in silenzio e annuì:

« Al tre. »

« Pronte! »

« Non sono convinta, ma… Uno! »

« D-due! »

« Tre! »

Le quattro ragazze si tolsero di scatto ed Ichigo schizzò avanti con la sua campanella tesa di fronte, spingendo con tutta la forza che possedeva. Il contrasto con i flussi della Mew Aqua fu incredibile, ma continuando a spingere, galleggiando come se nuotasse, vide la ragazzina sempre più vicina, sempre più vicina… Bastava allungare il braccio e l'avrebbe afferrata…

« Ora ti prendo! »

La sua mano si serrò stretta sul polso della morettina e la Mew Aqua mandò un altro poderoso bagliore; Ichigo chiuse gli occhi senza lasciare la ragazza e dopo pochi, interminabili secondi, potè vederla di nuovo, priva di sensi, con la goccia di cristallo che le ruotava fiacca attorno.

« Ce l'ho f-! »

Le si gelò il sangue nelle vene quando realizzò che entrambe avevano superato il parapetto.

« ICHIGO! »

La mewneko si strinse istintivamente contro la ragazzina svenuta e precipitò a peso morto, le proprie urla e quelle delle amiche delle orecchie; le parve di scorgere Minto lanciarsi in volo dietro di lei, ma stava cadendo troppo veloce. E il marciapiede era sempre più vicino…

« Ichigo! »

Un urlo vicinissimo al suo orecchio, ma non la voce di Minto, e qualcuno che l'abbracciava e arrestava la sua caduta, planando delicatamente fino a terra.

« Ma che mi combini? »

« M-MoiMoi! »

Ichigo posò i piedi a terra e si lasciò andare in ginocchio guardando colma di gratitudine l'aliena, che invece aveva la faccia imbronciata. Qualunque insulto volesse lanciare alla rossa non ebbe il tempo di dirlo: la goccia di Mew Aqua, come una lucciola disturbata dal suo placido svolazzare, aveva preso ad agitarsi e a muoversi in maniera sempre più irregolare.

« Accidenti…! »

MoiMoi prese a frugare nervosa nelle tasche della sua gonna:

« Presto! Ragazze, saltate giù! Ichigo, la tua arma, riafferrala! »

Solo in quel momento la ragazza si rese conto di aver lasciato la campanella, che giaceva accanto alla sua gamba; intimorita dal tono dell'aliena l'afferrò con entrambe le mani e subito le altre, atterrate in sincrono, la imitarono. Percepirono con chiarezza i loro poteri risuonare ad un ignoto richiamo e la Mew Aqua si calmò, ruotando più lentamente.

« Trovato! »

Trionfante MoiMoi strinse tra le dita una minuscola ampolla trasparente e la girò verso la goccia che ci entrò subito dentro, calamitata dall'oggetto. Non appena fu al sicuro dietro al vetro le ragazze si accasciarono a terra esauste, guardando stordite la boccetta che MoiMoi chiudeva e che in quel momento appariva una piccola torcia intermittente.

« Uff, per fortuna ho fatto in tempo! – sospirò, per poi girarsi severa verso Ichigo – Ma che ti è saltato in mente?! Volevi spiaccicarti?! »

« Scusa – sorrise tirata – non mi ero accorta che fossimo finite oltre il tetto. »

Si allungò e visto che l'aliena era così piccina riuscì ad agguantarla  per il collo e abbracciarla senza troppi problemi:

« Grazie. »

MoiMoi ricambiò la stretta, un po' a disagio, ma sorrise.

« E… Accidenti, come hai fatto?! – domandò la rossa ammirata – Il cristallo! Come…? »

L'aliena sorrise soddisfatta e fece ruotare la boccetta come una rivoltella:

« Materiale sintetico realizzato da Pai-chan basandosi sulle vostre armi. »

« Che?! »

« Pai-chan aveva molti dati su di voi. »

Sorrise candida. Ichigo fece una smorfia offesa.

« Sembra che non solo i vostri corpi, ma anche i vostri attacchi e le armi reagiscano alla vicinanza del cristallo… E viceversa. Chi ha avuto la brillante intuizione? »

« È difficile crederlo, ma è stata Ichigo. »

« Grazie Minto, sempre una parola gentile… »

« Sei stata grande! »

La incoraggiò MoiMoi e si chinò sulla ragazzina dai capelli neri ancora priva di sensi, stesa a terra con la testa sulla coscia di Ichigo:

« Sembra che il cristallo si fosse unito a lei, ma il suo corpo non è stato in grado di assorbirlo del tutto; ne sprigionava inconsciamente il potere, ma ne subiva anche l'onda riflessa… Non so quanto avrebbe potuto resistere. »

« Ma perché ha reagito a noi? »

« Si basa tutto sui vostri DNA modificati, Retasu-chan. La forza che nasce dagli animali con cui siete fuse è la stessa del cristallo. – sollevò l'ampolla e la guardò pensierosa – A dire il vero da spiegare è un po' lungo e devo ancora verificare una cosa… »

Indicò la ragazzina mora:

« Credo che prima sia meglio occuparsi di lei, prima, sembra si stia riprendendo. »

Detto questo videro tutte la morettina aprire gli occhi e prendere a guardarsi attorno confusa:

« Voi… Siete le… MewMew? »

Loro annuirono; MoiMoi lasciò spazio alle terrestri e si acquattò dietro di loro, mentre Ichigo sorrideva gentile alla ragazzina:

« Stai bene? »

« Sì… Ma come… Dove sono…? Perché sono a scuola…? »

« Non ricordi? – le chiese Retasu – Sei scomparsa per giorni. »

La morettina scosse forte la testa:

« Io… Io… L'ultima cosa che ricordo… È di essere salita sul tetto. – mormorò – Era iniziata la scuola da poco e… E io ero giù perché non… Riuscivo ad ingranare. Desideravo diventare più forte, perché volevo migliorare… Poi ho visto una luce fortissima… »

Le ragazze attorno a lei si guardarono senza una parola.

« E di colpo mi sono sentita così piena di energie, riuscivo a fare tutto quanto! Poi… – si premette forte le mani sulle tempie – Non ricordo… »

« Ecco cosa dev'essere successo. – sussurrò MoiMoi – La goccia irradiava energia da dentro di lei, ma essendo un comune umano non riusciva a gestirla, così a poco a poco ha perso il controllo. »

Zakuro annuì e aggiunse:

« Probabilmente è venuta inconsciamente nell'ultimo posto che ricordava, qualcuno l'ha vista e, ricevuto un po' del beneficio del cristallo, deve aver tirato fuori la storia dell'Angelo e lei si è fatta suggestionare. »

« Non ricordi proprio altro? »

Insistè con dolcezza Ichigo; la ragazzina si premette i palmi sulla fronte sforzandosi di rammentare:

« Mi sembra… Di aver camminato, tanto… Ricordo di essermi fermata a mangiare, ogni tanto, ma è tutto così confuso… »

« Questo spiegherebbe perché non l'abbiamo mai scovata qui attorno – disse Purin – però perché andarsene in giro? »

MoiMoi aggrottò la fronte:

« Mmm… Allora forse è vero anche quello… »

« Di che parli? »

Le domandò Minto preoccupata.

« Principi di fisica e chimica. – le fece un cenno come a dire che le avrebbe spiegato meglio dopo – Ma per ora posso dirti che la goccia ha tentato di tornare al cristallo originale tramite questa ragazzina. »

« Ma cosa dici? La Mew Aqua non è viva, è solo una pietra che accumula energia. »

« Già… »

La mewbird la guardò ancora confusa, ma MoiMoi non aggiunse altro.

« Beh, adesso non importa. – fece Zakuro – Abbiamo recuperato il cristallo e salvato una ragazza. Direi che come bilancio della giornata è ottimo. »

Si avvicinò alla morettina e l'aiutò ad alzarsi assieme a Retasu:

« Noi la accompagniamo alla stazione di polizia più vicina, che la riportino ai suoi genitori. – disse perentoria – Torniamo subito. »

Si caricò in spalla la ragazzina e scomparve rapidamente all'orizzonte seguita dalla mewfocena. Le loro compagne presero un altro bel respiro rilassandosi del tutto e scoprendosi ben più che sfinite, nemmeno avessero lottato con un esercito di chimeri. MoiMoi ridacchiò allegra:

« Siete state bravissime! Appena le ragazze tornano festeggeremo! Assieme agli altri ovviamente… Anche se non se lo meriterebbero, non avendo fatto un accidente! »

« Non credo che Pai onii-san sia molto portato per le feste. E nemmeno Sando-san. »

« Ah, lasciali perdere, Purin! – insisté – Si dovranno adeguare. Grazie a questa gocciolina si apriranno le strade per tutte le altre e… »

Si Interruppe all'improvviso, accigliandosi. Le tre ragazze la studiarono senza capire, finché l'istinto non le portò a sollevare lo sguardo.

C'era una sagoma scura sopra le loro teste. Nello scorgerla MoiMoi assunse un'espressione feroce.

« Sembra sia arrivato in tempo, eh? – sentirono ridere una voce maschile – Cercavo giusto una goccia di Mew Aqua, mi sentivo deboluccio stamattina. »

Si trattava senza dubbio un alieno, con quella pelle diafana e le tipiche orecchie, ma gli occhi erano di un blu intenso e i capelli di un bel biondo grano con le punte sparate in ogni direzione. Indossava una sorta di strana divisa che nella mente di Ichigo riportò l'immagine di Ao No Kishi: un grosso pastrano blu con lunghe code, smanicato, sotto a cui s'intravedevano una maglia aderente senza maniche che lasciava scoperta la pancia, pantaloncini blu corti e un paio di stivaletti blu.

Uno dei Quattro Ancestrali!

Ichigo ebbe un brivido quando il ragazzo le rivolse un ghignetto crudele, ma si accorse che non stava guardando lei.

« Quanto tempo, senpai. – fece allegro – Sempre lo stesso disgustoso look, eh? »

MoiMoi rispose con un'occhiata torva, frapponendosi tra lui e le ragazze:

« Tu invece sei crollato in quanto a stile, Zizi. »

Spinse Ichigo indietro, prendendo a sussurrare:

« Non farti immischiare con questo tizio, Ichigo-chan. E neppure voialtre. »

La mewneko retrocesse un po' a disagio, restando sbigottita mentre vedeva comparire nella mano di MoiMoi un gigantesco martello: il lungo manico, che le arrivava quasi alla fronte, doveva avere una circonferenza di dieci centimetri e la testa quadrata era grande quanto il suo torace. MoiMoi si voltò un momento verso le tre e guardò ancora in alto:

« Non intervenite. Basto io per lui. »

« Vuoi combattere con me, senpai? – la canzonò l'altro – Un fiore dolce, delicato e fragile come te? »

Il biondo schivò appena in tempo un fendente dell'enorme arma, indirizzato alla sua testa; MoiMoi sogghignò:

« Puoi scommetterci. »

Ichigo li guardò allarmata saettare sopra di lei, con l'amica che roteava l'enorme mazza come se fosse stata un rametto. La rossa e le compagne non mossero un muscolo, spiazzate, accorgendosi solo all'ultimo momento del ritorno di Retasu e Zakuro.

« Ma che sta succedendo?! »

Pigolò Retasu e soffocò uno strillo vedendo MoiMoi piegarsi sulla schiena e scansare una ginocchiata al viso.

La mewwolf, al suo fianco, indurì lo sguardo seguendo i movimenti di Zizi:

« Quello è…? »

La domanda parve riscuotere di colpo Purin che si accigliò e brandì i suoi tamburelli, per nulla disposta a starsene da parte:

« Dobbiamo aiutarla subito! »

Senza aspettare pareri contrari spiccò un salto mirando al ragazzo:

« Ribbon…! »

« Purin no! »

Prima che MoiMoi potesse intervenire Zizi aveva già scartato dalla sua traiettoria e si era lanciato a folle velocità contro la biondina, centrandola in pieno stomaco con un destro:

« Tu fatti i fatti tuoi, scherzo mutante! »

La mewscimmia cadde giù a peso morto e fu afferrata al volo dalle compagne, accompagnata dalla risata volgare del biondo. Quello gongolò solo pochi secondi, perché MoiMoi non mancò di ricambiare la sua delicatezza e lui fu travolto da cinquanta e passa chili di pietra dritto nel fianco, andando a infrascarsi tra le chiome degli alberi lì vicino.

« Purin! »

Ignorando la sorte dell'avversario MoiMoi atterrò di colpo e si affiancò alle altre ragazze, già attorno alla biondina, inginocchiata a rimettere sull'erba.

« Ti prego, dimmi che stai bene! »

Gemette ancora, mollando il suo martello.

« Sto… Bene… –  rantolò la piccola – Mi ha solo preso… Molto bene. »

L'altra stiracchiò un sorriso di sollievo e riagguantò il martello, sentendo la voce strascicata di Zizi che mandava imprecazioni.

« Ve l'ho detto, non intervenite più! – prese la boccetta con la goccia di Mew Aqua e la diede ad Ichigo – State pronte se doveste difendervi, ma con lui ci combatto io! »

Si voltò e tentò di nascondere meglio che potè la sua preoccupazione. Non era certa di essere in grado di proteggere le ragazze, ma non potevano affrontate Zizi in quel momento, erano stanche e sarebbe stato un suicidio.

« Cazzo, senpai, sei uno stronzo! – abbaiò Zizi spuntando fuori coperto di foglie – Mi avrai rotto almeno quattordici costole, bastardo! »

« Purtroppo no. Ci fossi riuscita, non saresti ancora qui a blaterare, moccioso. »

Zizi mise su un sorriso folle e nelle sue mani apparvero due tirapugni:

« Ora ti faccio vedere io…! Razza di…! »

I due ripresero a lottare in aria con maggior foga. Sebbene l'arma di Zizi sembrasse così insignificante di fronte al martello di MoiMoi, il biondo fermava i suoi colpi con ugual e forse maggior forza, mettendo presto l'avversaria alle strette.

Zizi centrò la testa del martello con un altro pugno, costringendo MoiMoi ad arretrare.

« Mi hai rotto il cazzo, senpai. »

Il ragazzo strinse i pugni; il metallo sulle sue nocche cominciò a brillare e lui tese le braccia di colpo per tirare un doppio diretto: un fascio di luce si sprigionò per un paio di secondi, colpendo in pieno MoiMoi e schiantandola contro il muro della scuola.

« MoiMoi! »

Le cinque terrestri si avvicinarono alle macerie spaventate cercando segni dell'aliena e continuando a chiamarla, con gran fastidio di Zizi che non sembrò gradire che i richiami sovrastassero le sue risate trionfali:

« Ma quanto strillate voialtre! – berciò verso il basso – Giuro che appena ho finito col senpai invertito, vi mozzo a tutte la ling- »

« Hama Do Sen! »

Dal nulla una colonna di terra scura s'impennò in aria prendendo Zizi in piena faccia e facendolo quasi precipitare. Le MewMew guardarono la scena ad occhi sgranati, scorgendo MoiMoi che usciva ansante dal piccolo cumulo di detriti reggendosi al manico del martello come ad una stampella.

« MoiMoi! Grazie a…!

Ichigo fece per correrle incontro amorevolmente, ma si bloccò nello scorgerla e abbassò lentamente le braccia, stupita di quel che vedeva:

« Ma tu… »

Nell'impatto i vestiti di MoiMoi avevano subito parecchie perdite, ma se le calzature si limitavano ad essere più forate di una fetta di formaggio e la gonna aveva assunta una taglia molto mini, la parte sopra degli abiti si era completamente disintegrata, mettendo in mostra quello che, sicuramente, non era un corpo femminile.

« … Sei un ragazzo?! »

Il sussurro di Ichigo non si nascose al sensibile udito di MoiMoi che dapprima cercò di coprirsi istintivamente il torace col braccio libero, ma poi abbassò piano la mano e chinò la testa con un sorriso triste, scrollando le spalle. Non ebbe la forza di controllare se lo sguardo della rossa fosse solo sorpreso, disgustato oppure deluso:

« Scusa. »

Si udì un gemito seguito da l'ennesima lunga serie di improperi, rilasciati solo con una voce un po' più nasale:

« Brutta checca di merda… Mi hai quasi sfasciato la mascella! E il naso, il mio perfetto naso, stronzo! »

MoiMoi non sembrò neppure ascoltarlo e si portò di nuovo avanti mettendosi tra lui e le ragazze:

« Non preoccupatevi  »

Le tremava la voce mentre faceva segno loro di stare indietro, senza però mai voltarsi:

« Ora lo rispedisco a casa. »

Sollevò il martello con entrambe le mani e se lo portò di fronte, ruotandolo come una chiave in una toppa. Altre colonne di terra, più piccole, ma meglio definite e più numerose, saettarono verso Zizi costringendolo ad affrontare gli enormi serpenti rocciosi che tentavano di ferirlo o immobilizzarlo; l'alieno non faceva che urlare di rabbia, asciugandosi quando poteva gli incessanti rivoletti di sangue che colavano dal  naso, dal labbro e dal sopracciglio spaccato:

« Merda, merda, merda! – spaccò due serpenti con un pugno solo – Non fare il vigliacco e vieni qui, senpai donnetta del cazzo! »

MoiMoi sollevò una mano e i rettili di terra conversero tutti verso Zizi, pronti a trafiggerlo, ma furono troppo lenti: con una capriola all'ultimo momento il ragazzo vanificò l'attacco e i serpenti si schiantarono uno contro l'altro disintegrandosi, e Zizi si lanciò prontamente verso i nemici con aria furente.

Era ad appena un paio di metri da MoiMoi quando qualcosa lo bloccò per la caviglia, facendogli mordere la lingua per il contraccolpo; sputò un altro paio di parolacce e si voltò furente per impallidire di colpo, mentre MoiMoi sorrideva sollevata.

« Sando! »

Era spuntato così dal nulla che sembrò essere stato evocato dall'amica appena un secondo prima. La possente figura si stagliava contro il bagliore grigiastro dell'alba, minacciosa e incombente come una nuvola scura.

Zizi ruotò su se stesso con un pigolio spaventato, gli occhi sbarrati a quella visione e alla vista dell'enorme ramo nodoso che gli si stava stringendo sempre di più attorno alla gamba; tentò di divincolarsi, ma il suo pugno rimbalzò contro il legno come sulla gommapiuma. La creatura vegetale ebbe un guizzo da pesce, scricchiolò e con uno scatto lo tirò indietro dritto nelle braccia dell'altro alieno, che fece subito gli onori di casa finendo l'opera di MoiMoi e, probabilmente, rompendo del tutto il naso del biondo con un gancio poderoso. Zizi caracollò all'indietro gemendo e Sando evocò altri rami e liane, che liberarono la gamba del ragazzo e si strinsero attorno al suo collo.

L'Ancestrale gemette di terrore e imprecò ancora tra i denti, ma Sando non ebbe il minimo moto di compassione e continuò a guardarlo con durezza:

« Pessima idea venire qui da solo, sbarbatello. »

Le ragazze videro Zizi prendere a dimenare convulso le gambe mentre con le mani tentava invano di sciogliere la stretta sulla sua gola, strabuzzando sempre di più gli occhi e diventando cianotico.

« S-Sando-san! »

D'impulso Retasu chiamò l'alieno, terrorizzata a quella vista, ma Sando non la calcolò e lei si coprì il viso con le mani, inorridita dall'idea di stare per vedere morire qualcuno.

Ma Zizi non era dell'idea di dipartire così in fretta e, senza sapere più che fare, colpì con l'attacco che aveva centrato MoiMoi le liane sul suo collo: la scarica investì anche lui, ma non sembrò fargli danno mentre i rami si dissolvevano e lui poteva riprendere a respirare. Ansante, gli occhi sparati fuori dalle orbite e lacrimanti, si concesse un solo secondo per guardare Sando con odio, e sparì prima di dover affrontare un secondo in più l'uomo dai capelli verdi.

Le ragazze presero fiato quasi non respirassero dall'inizio dello scontro, sciogliendo le trasformazioni, e Sando atterrò vicino a loro senza mai smettere di guardare il punto in cui Zizi era svanito. Nell'incrociare il suo profilo Ichigo si ricordò di MoiMoi e si girò preoccupata verso di lei: l'aliena se ne stava voltata verso il muro, palesemente a disagio, e la rossa notò che il suo sguardo guizzava di continuo imbarazzatissima verso Sando facendola rannicchiare ancora di più.

« MoiMoi… »

« Scusa… Ichigo-chan. – le disse a voce bassa – E anche voi ragazze. Non è che… Non volevo dirvelo. Però, ecco… »

Sentì la rossa raggiungerla, ormai era ad una decina di centimetri dalla sua schiena; abbassò la voce di un altro tono:

« Io… Non mi vergogno di come sono. Sono nata maschio, ma mi sono sempre sentita una ragazza, e anche gli altri lo sanno, lo hanno sempre saputo tutti e io non l'ho mai nascosto.

« Quando vi ho conosciute, voi… Sapevo sarebbero potuti nascere problemi, però… Più passava il tempo, più è diventato complicato, e alla fine mi è venuta paura, perché temevo pensaste che volevo nasconderlo. »

Sentì un fruscio di vestiti e si voltò appena, incuriosita, finendo con la testa nel pullover della divisa di Ichigo. La guardò frastornata, mentre lei le sistemava l'indumento addosso e l'aiutava a infilare le maniche:

« Sarà anche successo perché ci stavi difendendo – la rimproverò sorridendo – non puoi girare conciata così! Dai, ti presto questa finchè non potrai rivestirti. »

« Ichigo… »

La violetta incrociò lo sguardo di Zakuro che le sorrise gentile.

« Non preoccuparti. – le sorrise ancora Ichigo – MoiMoi è semplicemente MoiMoi. Un'amica. »

La videro sgranare gli occhioni dorati e indicarsi, come non fosse sicura di quel che stava sentendo:

« Io…? »

« Certo! »

Esclamò Purin saltandogli al collo; Minto e Retasu sorrisero:

« E in che altro modo potremmo definirti? »

« Tra le più preziose che abbiamo. »

« Ti sei tanto prodigata per noi finora! E sei stata così premurosa, specialmente con me… – le sorrise la mewneko – Non potrei considerarti altro che un'amica. »

MoiMoi vide che tutte le sorridevano e quasi si commosse:

« Ragazze… »

Incrociò un istante lo sguardo di Sando, che ammiccò con aria di conforto; MoiMoi allora si passò un braccio sul viso e fece un sorriso smagliante, riacquistando il suo atteggiamento allegro. Prese a sistemarsi fischiettando il maglioncino della rossa che, di rimando, prese a stritolarla con troppa energia mentre il gruppetto ridacchiò, con un certo fastidio di Sando che si avvicinò a MoiMoi con aria molto seccata:

« MoiMoi, non sarebbe il caso di rientrare? Avete trovato il cristallo, no? »

La violetta non gli diede proprio retta, continuando a parlare tranquilla.

« Ohi. »

Ma MoiMoi continuò a ridacchiare scioccamente senza considerare l'uomo. Al terzo richiamo infruttuoso le ragazze lo videro diventare livido in faccia, afferrare MoiMoi per il collo con una presa a gomito e prendere a sfregarle le nocche sulla testa:

« Insomma, vuoi ascoltarmi quando parlo, brutta testa cervellotica?! »

« Ahi! Ahi! Ahi! Sando, piantala! »

« No, se non chiedi scusa, racchia! »

« Racchia a me?! – MoiMoi prese a mordergli per gioco il braccio con cui la stava stritolando, ridendo anche se continuava a lamentarsi – Ha parlato il gorilla barbuto! »

Le terrestri osservavano la scena ammutolite, sembrava di vedere due bambini che si fanno i dispetti.

« Oddio – mormorò Minto – quindi è questa la vera indole di Sando-san? »

« Che delusione! Purin pensava fosse molto più cool…! »

« Come si suol dire, l'apparenza inganna. »

Concluse Retasu con un sospiro. A quei commenti Sando si irrigidì e le guardò infastidito, evidentemente non era quella l'impressione che voleva dare.

« Visto, Ichigo-chan? – rise MoiMoi liberandosi dalla presa – Te l'avevo detto. »

« Detto che? – bofonchiò l'altro  – Si può sapere che diavolo va a dire in giro su di me? »

MoiMoi ci rifletté teatrale e si puntellò il dito sulle labbra:

« Che sei un gran figo? »

« … Deficiente. »

Fu l'unico commento che riuscì a dare prima di darle le spalle scocciato. L'altra sbuffò e si mise le mani sui fianchi:

« Piuttosto… Cioè, grazie per l'aiuto, ma tu che ci fai qui? Non eri alla riunione del Consiglio? »

Le ragazze videro chiaramente Sando sobbalzare:

« È con gli altri che vogliono parlare. – si giustificò piano – Eyner è arrivato dicendo che avevano quasi trovato la goccia e che saresti andata da loro. »

MoiMoi tacque ancora per un secondo:

« Ti sei preoccupato? »

L'altro la guardò torvo e imbarazzato assieme:

« Ovvio, scimunita, tu sei capace di farti ammazzare! »

Borbottò qualcosa che non si riuscì a capire e si allontanò, facendo segno al gruppo di muoversi; le ragazze ubbidirono, notando divertite il sorriso a trentadue denti di MoiMoi.

« Beh, allora, vi muovete? – sbottò ancora Sando – Portiamo quella benedetta goccia a casa. »



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Capitolo 7
*** Again on center of crossing ***


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Salve a tutti voi! Non vi ho fatto aspettare troppo vero ^^?

Finalmente scopriremo cosa sta accadendo nel mondo alieno, tutti pronti?! L'assemblea del Consiglio si apre e quattro (dico QUATTRO!) nuovi personaggi fanno il loro ingresso! Stappiamo lo spumante e diamo fiato alle trombe ^w^!

Kisshu: te arrivare in fondo a qualcosa senza complicarti la vita?

Bestia -.-! ci vediamo in fondo J!

 

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Cap. 07 – Again on center of crossing

                 The Council

 

 

 

 

 

Attraversarono il passaggio che stava spuntando del tutto il sole, per ritrovarsi in una nuova alba frizzante e pulita, da alta montagna. Sando e MoiMoi precedettero le terrestri con passo svelto e si diressero al laboratorio senza una parola; entrarono di corsa e fecero cenno alle ragazze di seguirli, quindi scesero verso la stanza dove avevano incontrato Teruga la prima volta, la superarono e svoltarono a sinistra; oltrepassato l'arco di una porta accedettero ad un corridoio lungo e stretto, semimmerso nell'oscurità, e senza rallentare lo percorsero interamente nel giro di un paio di minuti. Il gruppo stava in silenzio e poteva avvertire il brusio lontano delle piazze e delle strade oltre le pareti spoglie: il corridoio doveva trovarsi appena sotto la superficie della strada e costeggiare il mercato, perché per quasi tutto il tragitto udirono distintamente passi di ogni genere risuonare attorno a loro finché, a poco a poco, ogni rumore prese ad assopirsi lentamente fino a scomparire del tutto. Le cinque ragazze si guardarono attorno tentando di capire dove si trovassero, ma scorsero soltanto il fondo del corridoio.

Di fronte a loro c'era una piccola porta, con un solo minuscolo buchino sprovvisto di pomello. A quel punto Sando si frugò in tasca e tirò fuori una piccola maniglia dorata, la incastrò con un leggero scatto metallico nell'apertura e aprì l'uscio, in cui riuscì a entrare solo chinandosi a metà. L'uomo si mise in piedi dall'altra parte, fece passare avanti tutto il gruppo e poi richiuse la serratura con un secco rumore di ferro e, mentre lo faceva, Ichigo si rese conto che si portava via anche la maniglia, lasciando la porta priva di qualsiasi sistema per aprirla dal lato in cui si trovavano. Non pensò a chiedere e non ne ebbe il tempo, perché i due alieni ripresero subito la loro avanzata con espressioni sempre più preoccupate.

Il passaggio li aveva portati in un edificio che confrontato col laboratorio da cui erano partiti, sembrava appartenere a un altro mondo.

Alti muri chiari salivano lisci come piastrelle per poi incurvarsi dolcemente a cinque metri sopra le loro teste; un liscio pavimento era solcato da ampi raggi di sole, provenienti da altissime finestre ogivali in vetro dai colori pastello e dall'aspetto elegante ma semplice; non c'era un suono attorno a loro ad eccezione del loro incedere celere, echeggiante come in una cattedrale deserta.

« Non mi piace questo posto. »

Fu il laconico sussurro di Zakuro, intenta a guardarsi attorno con la circospezione di un animale in un territorio ignoto; Ichigo non potè che essere d'accordo. Aveva l'impressione di stare percorrendo corridoi in cui non si sarebbe dovuta mai trovare e in cui non era ben accetta, corridoi che per quanto tranquilli erano pericolosi.

Dopo qualche minuto avvertirono un mormorio sordo che aumentò di colpo, trasformandosi in un cicaleggio frastornante: decine di voci rimbombavano basse da dietro una grossa porta e nessuna di loro era troppo pacifica. Le cinque MewMew si guardarono agitate all’idea di dover entrare, ma Sando e MoiMoi sorpassarono l’ingresso e raggiunsero un'altra porticina in un angolo poco distante. L’uomo la aprì e le ragazze furono investite da un’onda di frastuono: oltre l’ingresso s’intravedeva un minuscolo passaggio e in fondo un ambiente molto più grande e molto affollato. MoiMoi intimò loro con un cenno di zittirsi e le invitò ad entrare con cautela, fermandosi appena prima di raggiungere la sala.

Si trovavano all’estremità di una stanza semicircolare, alle spalle dei tre fratelli Ikisatashi e di Eyner. In piedi uno accanto all’altro, dritti come statue e con i visi tesi, i quattro guardavano cinque file di sedute poste lungo la parete rotonda, composta ciascuna da cinque scranni ad eccezione della fila centrale, che ne aveva sei; ai lati della fila più bassa quattro soldati stavano immobili pronti ad intervenire in caso di emergenza e tra questi Ichigo fu colpita dal secondo a destra, un uomo sulla quarantina dai capelli indaco scuro.

Perché ho l'impressione di averlo già visto…?

Si dimenticò presto di lui, tornando a focalizzare il resto dei presenti. Trentun alieni, uomini e donne, con abiti bianchi e facce torve alternavano silenzi pesanti a borbottii adirati facendo da coro ad uno di loro, in piedi sulla destra della seconda fila: era un uomo non troppo vecchio ma dall'aria sciupata e maligna, che gli donava un aspetto avvizzito; aveva occhi piccoli e allungati di un gelido grigio pietra, e i capelli nero fumo erano pettinati sulla testa fin a divenire parte integrante del cranio, scendendo in due riccioli sulla mandibola affilata. Doveva aver da poco detto qualcosa che il resto dei presenti non aveva apprezzato visto il parlottio che aveva scatenato, ma il caos doveva soddisfarlo perchè non smetteva di sorridere compiaciuto. Le terrestri notarono solo poche persone che non parlavano – tra cui riconobbero Teruga, quasi al centro sulla fila più in alto – ma le altre non facevano che gesticolare e agitarsi, indicando senza troppe cerimonie i quattro ragazzi in piedi che, evidentemente, erano oggetto del dibattito.

L’uomo dagli occhi grigi fece un cenno ai presenti e riportò la calma, tornando quindi a guardare di fronte a sé: Taruto sostenne il suo sguardo con aria torva esattamente come Kisshu, anche se la sua espressione tendeva più all’omicida, Pai come sempre imperscrutabile, Eyner serio e composto; le loro facce parvero divertire ulteriormente l’uomo che increspò le labbra sottili in un sorriso falso.

« Suvvia, non è il caso di essere così seri! – scherzò – Ma, capiteci bene, le dichiarazioni del consigliere Teruga ci hanno lasciato perplessi… Confermate tutto quello che ha detto? »

E allungò un dito dall'unghia acuminata verso il consigliere più anziano; questi non mosse un muscolo, ma rimase dritto e impassibile a guardarlo con serenità.

« Ce lo state chiedendo come se fossimo ad un processo, consigliere Ebode. »

Puntualizzò Kisshu gelido. Nessuno gli disse nulla – sebbene Pai lo avrebbe volentieri fritto con un fulmine, a giudicare dall'occhiataccia che gli lanciò – e Kisshu restò indifferente anche quando Eyner gli rifilò una discretissima gomitata tra la quarta e quinta costola, lasciandogli sfuggire solo un impercettibile gemito. Ebode non gradì il sarcasmo e il suo viso tremò di stizza, ma si limitò a sorridere:

« Vi stiamo solo chiedendo conferma, in quanto diretti interessati. – allargò un braccio teatrale indicando il resto del Consiglio – Dunque, confermate ciò che Teruga ha detto? »

« Sì, signore. »

Fece Pai sbrigativo prima che qualcun altro commentasse.

« Quindi confermate – cominciò Ebode drammatico – di aver agito alle spalle del Consiglio, di aver cospirato per impossessarvi dell'unica salvezza del nostro popolo assieme a degli sporchi umani, rei di aver segnato la fine del nostro signore Deep Blue? »

« Deep Blue! Non e- »

« Deep Blue-sama ha disonorato la fiducia del suo popolo e di conseguenza la nostra. – intervenne Pai, bloccando l'invettiva di Taruto sul nascere – Vi sono già noti gli avvenimenti della Terra. »

« Avvenimenti a cui noi dobbiamo credere sulla vostra parola. »

Specificò Ebode. I suoi occhi di pietra scivolarono verso Kisshu e il consigliere sorrise malevolo mostrando appena i denti ferini:

« Le voci circolano. Diventa difficile credere che tutto sia avvenuto per puro dovere verso la patria quando si viene a conoscere certi dettagli… Vero capitano? »

La sala rumoreggiò di bassi mormorii confusi. Kisshu non rispose all'insinuazione e rimase immobile a fissarlo con odio, probabilmente mordendosi la lingua per non insultarlo.

« E cosa vi fa credere che i "dettagli" siano più veri del nostro rapporto su quegli avvenimenti? »

Chiese ancora Pai. Ebode non trattenne una risatina a fior di labbra e rispose velenoso:

« Da di che pensare, colonnello; specie considerando con chi vi ha accorpati il consigliere Teruga. Il capitano Luneilim… »

Ci furono altri borbottii e qualche commento malizioso, accompagnato da risatine soffocate; le ragazze videro MoiMoi irrigidirsi mentre stringeva i lembi della maniche, con Sando alle spalle che assumeva un'espressione furiosa.

« Senza dimenticare il colonnello Okorene e del qui presente… – Ebode sospese la frase, sottintendendo qualcosa che le terrestri non colsero come gli altri, ma che non poteva essere molto gentile – Capitano Toruke. »

Qualunque cosa non avesse detto fu un qualcosa di troppo, perché si scatenò un conflitto interno tra i consiglieri; dalle poche parole che le ragazze potevano cogliere, non tutti gradivano le allusioni su Sando ed Eyner e li difendevano a spada tratta e con toni fin troppo passionali.

Ci vollero cinque minuti perché tornasse una calma tale da lasciare parlare Ebode. Questi si era reso conto di aver rovinato l'atmosfera di diffidenza creata con tanta cura, ma non sembrava intenzionato ad arrendersi e riprese, mellifluo:

« Concedeteci, che la cosa sembra sospetta. »

« Cosa, di preciso? »

Intervenne Eyner con calma. Appena prese la parola sembrò accendersi di nuovo la faida, con metà dei consiglieri che lo scrutavano con sufficienza e l'altra metà che pendeva dalle sue labbra, ma tutti evitarono di lanciarsi in nuove discussioni e il bruno disse:

« Il capitano Luneilim è una delle massime esperte tecnologiche di tutto il pianeta… »

« Esperto, vorrà dire… »

Fu un sussurro e non si capì chi l'avesse pronunciato, ma bastò a provocare altri sogghigni; vicino alle terrestri MoiMoi si rannicchiò un altro po' su sé stesso, più per la rabbia che per altro, ma si trattenne e restò immobile nel suo angolo. Eyner fece finta di non sentire nulla e lanciata un'occhiata gelida verso i seggi, continuò:

« Nulla della sua carriera potrebbe mettere in dubbio la sua fedeltà alla nostra gente, così come il colonnello Okorene. »

« Che non brilla certo per condotta militare esemplare. »

Puntualizzò Ebode con un cenno di diniego con il dito.

Da dov'era nascosta con gli altri, Ichigo strinse forte la mano sull'ampolla contenente la MewAqua, che non aveva lasciato da quando MoiMoi gliel'aveva affidata. Non capiva bene cosa stesse succedendo, ma ad ogni parola che quell'uomo pronunciava sentiva montarle la rabbia.

Come poteva dire tutte quelle assurdità? E come poteva non capire cosa stessero facendo per riottenere il cristallo? Come poteva dubitare di chi stava cercando di mantenere vivo quel pianeta stupendo? Non aveva forse visto cosa stava accadendo?! Non sapeva forse chi fossero gli Ancestrali? O forse, era uno di quelli che ne appoggiava l'operato, e allora la cosa la sconvolgeva ancora di più.

« Ma mai ha dato credito a dubbi sul suo prodigarsi alla nostra causa – insisté Eyner con fermezza – e neppure io, se è per questo; qualunque sia stata la mia scelta. »

Altri borbottii di protesta e altri di assenso. Ebode sorrise sarcastico a quell'ultima affermazione e si prese il mento tra due dita:

« E di quelle terrestri? Noi dovremmo affidare la nostra sorte a delle umane? È  per colpa degli umani, se noi non abbiamo riottenuto la nostra patria. »

« È  questa, la nostra patria!! »

Protestò Taruto a gran voce e molti presenti gli fecero coro. Ebode fece subito marcia indietro:

« Una patria che sta morendo, tenente. – disse con tono grave – E io non posso che temere…! Cosa ci garantisce che quelle umane collaborino?! Cosa ci garantisce che non ci derubino dei frammenti che troviamo (ammesso che ce ne siano, dubbio che non ci è ancora stato chiarito) e li usino per sanare ciò che le piccole e insulse menti della loro gente hanno fatto alla Terra?! Cosa, ditemi, consiglieri! »

« Il fatto che ci troviamo qui! »

La sala piombò nel silenzio mentre Ichigo avanzava a passo marziale fino a trovarsi a un paio di metri dai seggi del Consiglio. Tanto le sue amiche dall'angolo quanto i quattro alieni alle sue spalle entrarono nel panico e Teruga, dall'alto, non potè che alzarsi in piedi a guardarla preoccupato.

« Ichigo, che diavolo fai?! – sussurrò a denti stretti Kisshu – Sei impazzita?! »

« Non posso più sopportarlo! »

« Vattene… Immediatamente! »

Sillabò glaciale Pai, lo sguardo scuro dardeggiante dalla rabbia; si scambiò un'occhiata allarmata con Eyner e fissò le guardie ai piedi degli scranni, le mani sull'elsa delle armi, e schioccò la lingua: se fossero intervenuti avrebbero anche potuto ucciderla.

« Sparisci subito! »

« Una terrestre… »

Ebode sembrò non credere ai propri occhi, ma la sua faccia non tradiva solo sconcerto: non si sarebbe mai aspettato che la sorte voltasse a suo favore così bruscamente, dovette contenersi per non sorridere e mantenere un atteggiamento scandalizzato.

« Una terrestre! Cosa ci fa una terrestre alla presenza del Consiglio?! »

Si girò verso gli altri presenti con voce strozzata:

« Guardate! I fatti sono evidenti! Le fanno spiare, come fossero delle ladre…! »

« Non siamo ladre! Né tantomeno spie! »

I consiglieri non apprezzarono la replica; presero ad agitarsi di nuovo, gridando all'insolenza e allo scandalo, mentre Ebode sorrideva sempre più compiaciuto:

« E pensi di dimostrarlo presentandoti in questo modo? Che sfrontatezza! »

Il clamore aumentò, coprendo le proteste della rossa. I quattro ragazzi alle sue spalle passavano lo sguardo da lei a Teruga alle guardie al gruppetto nell'angolo, che solo per il potere di una qualche divinità sconosciuta non aveva ancora dato in escandescenze.

« È  impazzita! Completamente impazzita! »

Piagnucolò Retasu terrorizzata; Minto era fuori di sé:

« Non so se sarebbe meglio uccidere prima lei o quel simpaticone di consigliere… »

« Qui finisce che ci ammazzano tutti, altroché! – gemette MoiMoi – Dovevate dirmelo che c'era un rischio simile! »

« E che avresti fatto? »

Domandò Zakuro amara. Dietro di lei Sando bofonchiò aspro:

« L'avrei legata e nascosta in qualche fosso, purché non scatenasse un simile casino. »

Al centro della sala, Kisshu tentò con più discrezione possibile di far retrocedere Ichigo, afferrandole con decisione il braccio:

« Micetta, non sai quel che stai facendo. – le sussurrò all'orecchio – Per piacere, per una volta stammi a sentire, chiedi umilmente perdono, inchinati e vattene! Forse riusciamo a rim- »

Lei, come al solito, fu sorda alle sue suppliche e si divincolò guardandolo male:

« Non ho la minima intenzione di sentirgli dire altre stupidaggini! »

Fece altri due passi avanti e sollevò il braccio:

« Non vi fidate di noi, vero? Volete vedere la MewAqua?! »

Dall'angolo Sando dovette trattenere MoiMoi per il colletto del pullover perché non si gettasse addosso alla rossa:

« Ichigo-chan, no…! »

La mewneko nello stesso istante lasciò scivolare un poco l'ampolla fuori dal palmo: una serie di lampi iridescenti si diffuse tutt'attorno, zittendo di colpo ogni dissenso. Quando il silenzio fu totale Ichigo riabbassò il braccio e con decisione proruppe:

« Se avessi voluto, non l'avrei riportata qui! Abbiamo accettato di aiutarvi, non c'è alcun secondo fine o altre sciocchezze! »

Silenzio. La rabbia, l'agitazione e la foga che aveva messo nelle parole le avevano tolto parecchio fiato e le stavano facendo ronzare il cuore nelle orecchie, ma era certa di essersi fatta valere e aver aiutato la causa dei ragazzi.

« Micina… Io ti amo, ma devo dirtelo…  A volte sei un'idiota. »

Di colpo tutti i presenti detonarono in urla furiose e proteste; le quattro guardie presenti estrassero del tutto le armi e si misero in posizione di minaccia, tanto che Ichigo arretrò spaventata.

« È  inaudito! »

Colse nel marasma generale.

« Ma l'avete sentita?! »

« Quella è la MewAqua, è proprio quella! »

« Sciocchezze! – intervenne Ebode – Sarà un trucco! »

« Come ha fatto ad entrare?! »

« Tradimento! »

Fu una doccia fredda per la rossa, che lasciò che Kisshu e gli altri la nascondessero dietro sé stessi per ripararla. Credeva che mostrarsi a quel modo avrebbe fatto tacere ogni dubbio, invece pareva solo aver intensificato i problemi.

Che diavolo ho combinato…?!

« Ora basta. Fate silenzio, immediatamente. »

Una voce sconosciuta, ferma e autoritaria, tuonò sopra il cicaleggio confuso. Tutti i consiglieri si acquietarono in pochi istanti e gli occhi di tutti si posarono su chi aveva dato l'ordine.

Dal quarto seggio della terza fila, dall'aspetto uno fra i tanti del Consiglio, si alzò una donna a prendere la parola. Un po' più giovane di Teruga, ma con qualche anno in più di Ebode, era un'aliena dal viso delicatamente segnato dall'età, serio e fermo; lunghi capelli magenta scuro le scendevano ai lati del volto divisi in due grossi ciuffi fin alla vita, dove erano stati tirati indietro e legati formando una bassa coda morbida, in mezzo a cui passava una piccola treccia. In un silenzio reverenziale la donna si alzò, scese i pochi gradini che la separavano dal pavimento e si avvicinò agli imputati, lo sguardo fisso su Ichigo. Kisshu d'istinto si spostò un altro po' davanti alla rossa e la consigliera sorrise:

« Capitano, mi lascerebbe parlare un istante con questa signorina? »

Lo guardò appena da sotto in su con aria divertita:

« Solo parlare. »

Kisshu non protestò e, poco convinto, accompagnò avanti la mewneko. Questa si portò timidamente di fronte alla donna e chinò il capo in segno di saluto, chiedendosi perché mai il suo cervello smettesse di funzionare solo quando non doveva.

« Consigliere Meryold… »

La voce di Ebode, fino ad un istante prima così potente, si era ridotta ad un mite sussurro:

« Non credo serva… »

« Credo che la mia carica a comando del Consiglio mi permetta di fare anche cose superflue, nei limiti del lecito, non pensa? – lo interruppe la donna pacata – E in ogni caso sì, ritengo che serva. »

Tornò a guardare Ichigo e le fece un lieve cenno d'incoraggiamento; la rossa fece un altro passo avanti, ammirando le iridi color zaffiro della donna.

« Ho l'impressione che si siano saltate le presentazioni – riprese Meryold con cortese tono di rimprovero – tu saresti…? »

« M-Momomiya… Momomiya Ichigo. »

Borbottò lei con un lieve inchino; il consigliere ricambiò accennando il gesto.

« Molto bene. Momomiya-san… Hai affermato che in quell'ampolla c'è del cristallo in forma liquida, uh? »

« Sissignora. »

Rispose con più garbo possibile e mostrò di nuovo l'oggetto.

« Dove l'hai trovata? »

« Sulla Terra. »

Replicò pronta; di colpo si sentiva nervosa e faticava a parlare senza incespicare per la fretta:

« Io e le mie compagne, con l'aiuto di MoiMoi… Cioè… »

« Del capitano Luneilim. – la corresse la donna con dolcezza – Immagino che anche questo contenitore sia opera sua… Intuisco anche il suo tocco, o sbaglio, colonnello? »

Sollevò lo sguardo verso Pai che annuì riverente. Il consigliere Meryold sorrise.

« Momomiya-san, ti spiacerebbe darmi un istante quella boccetta? »

Le porse con gentilezza la mano destra. Ichigo titubò un secondo, ma accettò, notando solo in quel momento che la donna muoveva solo il braccio che le stava offrendo e mai il sinistro, nascosto dalla lunga manica e tenuto raccolto sotto il seno.

L'aria si caricò di tensione mentre Meryold prendeva la fiala tra le dita. Socchiudendo con attenzione il tappo senza aprirlo che di un'unghia, la donna sollevò con fatica il braccio sinistro scoprendolo appena e vi avvicinò l'ampolla. Quando la manica raggiunse il gomito Ichigo sentì un brivido freddo e si irrigidì, vergognandosi del moto di disgusto che le aveva serrato lo stomaco: oltre la mano diafana della donna la pelle del polso diventava coperta di piaghe come fosse stata divorata dal fuoco, proseguendo fin oltre il gomito; anche agli occhi inesperti della giapponese, però, non appariva propriamente una grave scottatura, ma più un qualcosa di estraneo al resto del corpo, sorto lì per un accidente come un parassita, un qualcosa che forse un tempo era vivo e ormai stava marcendo portando con sé ciò che lo ospitava. Ichigo cercò di non guardare altrove, a disagio, ma Meryold non parve notarla e lasciò che la bocca della fiala sfiorasse la sua pelle martoriata. Il potere della MewAqua reagì in un attimo alla ferita e la sanò, rigenerando muscoli e pelle e restituendo un elegante braccio pallido.

Tutta la sala trattenne il fiato, nessuna prova poteva essere più schiacciante di quella. Dopo una decina di secondi Meryold allontanò di scatto la bottiglietta e la richiuse con mano tremante, quasi che tenerla ancora accostata a sé le costasse sofferenza; Ichigo la vide prendere un lento respiro e ricomporsi, quindi si coprì il braccio e le tese nuovamente la boccetta.

« Non spetta a me questo dono. »

Fu il soffio che i sensi felini della rossa riuscirono ad afferrare.

« Signori – proruppe Meryold con voce decisa e ferma, voltandosi – i vostri occhi non sono stati ingannati, avete avuto una prova inconfutabile che quella retta tra le mani di questa giovane è il Dono degli Avi. »

I consiglieri assentirono e la donna si portò di fianco ad Ichigo in modo che tutti la vedessero, chiedendo ancora:

« Siete state tu e le tue compagne a recuperarlo? »

« Si. – rispose ancora la mewneko – E se non ci avesse aiutato Mo… Il capitano Luneilim, ora questa goccia l'avrebbe presa Zizi. »

A quell'affermazione lo sguardo di Meryold si indurì:

« Zizi…? Stai parlando dell'ex-capitano? »

Ichigo non era sicurissima su cosa rispondere:

« Era un alie… Un ragazzo giovane, coi capelli biondi e gli occhi azzurri e le orecchie simili alle vostre… – l'ultima frase le morì sulle labbra e, come temeva, accese qualche protesta dagli spalti – Nel senso non come quelle terrestri. »

Meryold  le rivolse un cenno di assenso col capo:

« Ed aveva un linguaggio… Colorito? »

« Se si vuole usare un eufemismo. »

Il Consiglio si agitò nuovamente. Ebode si rialzò con vigore:

« E come possiamo crederle?! Lei è una terrestre, un'avversaria! – si lagnò – Se si fosse trattato di uno di noi, di certo non…! Con ogni probabilità il capitano ha temuto per l'incolumità del Dono... »

La compostezza di Ichigo andò a farsi benedire e guardò l'uomo furibonda:

« Ha quasi ucciso MoiMoi! »

Protestò scandalizzata. I presenti si innervosirono ancora a quell'affermazione ed Ebode fu costretto a tacere.

« Ha attaccato il capitano Luneilim? »

Cercò riprova Meryold ed Ichigo confermò:

« Per fortuna… –  s'interruppe, incerta se dire della presenza di Sando; decise che era meglio restare vaghi – È  riuscita a cavarsela. »

Al consigliere parve bastare. Fece un ultimo cenno alla rossa e ai quattro ragazzi e tornò al suo seggio, seguita dalla solita quiete d'attesa; al centro della sala, Kisshu aveva riportato Ichigo nella loro fila tirandola senza troppe cerimonie, temendo altri colpi di testa, ma data la situazione lei si dimostrò molto docile e obbedì.

« Se mi condannano a morte – le sussurrò lui all'orecchio – ricorda, per me la colpevole sei tu. »

Tacque subito quando la voce forte d Meryold invase tutta la sala:

« Signori del consiglio. Siamo stati qui riuniti oggi poiché il nostro illustre membro, il consigliere Ebode, ha voluto chiarimenti su quanto annunciato dal consigliere Teruga poche ore prima, ossia del progetto di collaborazione con i soli individui in grado di localizzare il Dono degli Avi.

« Le domande erano tante e le questioni toccate sono state le più varie. Premettendo – sollevò una mano per zittire le proteste di Ebode prima ancora che parlasse – che non era nel nostro interesse concentrarsi sulle vicende di tre anni fa. È stato già deliberato che le azioni compiute dal colonnello Ikisatashi, dal capitano Ikisatashi e dal tenente Ikisatashi sono state piegate dalla realtà dei fatti ed hanno agito nel miglior bene per il nostro mondo. »

« P-però… »

« Vuole forse negare il cielo vero che si trova sopra questo soffitto, Ebode? »

Domandò con severità. L'altro chinò il capo, furente, e tacque di nuovo.

« Stesso discorso – continuò Meryold – per gli altri sopracitati, incluso il capitano Toruke. »

Eyner fece un lieve inchino come ringraziamento a cui Meryold ricambiò impercettibilmente.

« Le uniche cose da valutare sono la necessità per noi di recuperare il Dono, e il fatto evidente che queste giovani sono in grado di farlo e apparentemente sono anche intenzionate a farlo. »

Si voltò verso Ichigo che sollevò la testa in segno di attenzione.

« Puoi parlare a nome di tutte voi, Momomiya-san, dicendo che ci aiuterete finché vi sarà chiesto? »

« Certamente. »

Ci fu qualche brusio poco convinto, ma il consigliere capo annuì e tutti dovettero accogliere la risposta senza obiezioni.

« Per quanto riguarda i Quattro Ancestrali, sospendo per ora il mio giudizio – continuò – l'unica cosa che ordino è che, in qualunque circostanza vengano trovati ad attaccare un membro qualunque del nostro esercito, siano colpiti a loro volta. »

Ancora voci di assenso. Ebode era fuori di sé.

« Dunque – la voce di Meryold si alzò di un altro tono – quanti contrari? »

Ichigo osservò Kisshu contrarre la mascella nel vedere quattordici mani alzate e anche lei sentì un'ondata di paura.

« Astenuti? »

Nessuna mano.

« Quanti a favore? »

Diciassette mani si alzarono piano, compresa quella di Meryold; Ichigo sentì la mano del ragazzo che le cingeva il braccio rilassarsi di colpo.

« Molto bene. »

L'intero Consiglio si alzò in piedi e Meryold concluse la seduta:

« Dichiaro ufficialmente che il Consiglio Maggiore appoggia la proposta del consigliere Teruga. Gli uomini preposti si occuperanno di ritrovare il Dono degli Avi e collaboreranno con le umane da loro scelte, nei limiti delle nostre leggi; fintanto che Jeweliria e tutto il nostro popolo non saranno al sicuro, le terrestri saranno sotto la protezione del Consiglio Maggiore. »

Fece un gesto magniloquente verso i cinque ragazzi in piedi; questi si chinarono quanto più poterono – Ichigo, al cui braccio Kisshu era ancora attaccato, scese con parecchia malagrazia – e si dileguarono più educatamente e velocemente che poterono nel passaggio di servizio, trascinando via il resto delle MewMew e i loro due compagni.

Si rintanarono subito in un più tranquillo corridoio laterale sentendo sempre più in lontananza la sala del Consiglio animarsi di passi e sedie scostate, e restarono in silenzio in quel cantuccio finché non furono certi che tutti i presenti si fossero allontanati a sufficienza; solo quando furono al sicuro Kisshu lasciò andare il braccio di Ichigo e lui e gli altri alieni ripresero finalmente a respirare.

« Mamma mia, mamma mia, mamma mia-ah! – soffiò MoiMoi – Ho temuto di ritrovarmi in una cella! »

« A chi lo dici…! – rise nervoso Eyner – Mi sono detto "tra poco vedrò il sole solo a strisce!" »

« Finché non ti avessero staccato la testa. Se ti fosse andata bene. »

Sibilò Pai. Si voltò di scatto verso Ichigo e le afferrò una spalla, scrollandola iroso:

« Ma si può sapere che hai nel cervello, stupida umana?! »

« Cos- »

« Non ti azzardare mai più ad immischiarti nelle faccende della nostra gente! »

« Stai scherzando?! – sbottò Minto – Senti, se devi rimproverarla sono d'accordo, ha fatto una stupidaggine, ma mi pare che nelle faccende della tua gente noi ci siamo invischiate parecchio, non credi? »

« Evita il sarcasmo, cornacchietta. »

Con malagrazia Kisshu staccò dalla rossa il fratello, che girò sui tacchi e si mise a bofonchiare maledizioni in un angolo.

« Pai ha ragione – le disse severo – Hai rischiato di mandare all'aria tutto il lavoro fatto finora, oltre ovviamente a rischiare il tuo bel collo. »

« Io volevo solo aiutarvi! – protestò Ichigo piccata – Bel modo di ringraziare! »

« Volevi aiutarci mettendoti contro coloro che sono in grado di decidere della nostra sorte?! – ribattè brusco – Grazie dell'aiuto, ne faccio a meno! »

« Non è colpa mia se quel… Quell'Ebode…! »

« Ichigo, guarda che hanno ragione. »

« Zakuro-san! »

« Non sappiamo niente delle loro leggi, delle loro usanze; potremmo aver ingrandito un pasticcio e aver causato una catastrofe. »

Ichigo la guardò offesa e cercò sostegno dalle compagne, senza riceverlo; si morse il labbro arrabbiata, non meritava quei giudizi così severi!

« E se mi avessi dato retta, almeno tre secondi… – puntualizzò ancora Kisshu – Ma tu non mi ascolti mai, vero? »

Era impossibile non sentire la nota ferita di quell'ultima frase. Ichigo abbassò lo sguardo, incapace di sostenere quello del ragazzo.

« Beh – concluse Eyner – diciamo che, alla fine, è andata bene. »

Pai replicò schioccando la lingua furibondo.

« Meryold-sama ci ha dato il suo sostegno, no? – insisté – E per il momento il Consiglio ci appoggia, credo che sia il meglio che potevamo ottenere. »

« Già… »

Taruto sospirò e incrociò le mani dietro la nuca:

« Certo che tu, vecchia, crei sempre un sacco di casin- »

Cacciò un urlo e le terrestri videro due mani afferrarlo per la vita e caricarlo su una spalla del loro proprietario senza alcuno sforzo, nemmeno Taruto fosse stato fatto di piume.

« Non sta bene dare della "vecchia" a una ragazza così carina! »

Ichigo ebbe un lieve sobbalzo guardando l'uomo che reggeva il brunetto come un sacco di patate: era il soldato dai capelli scuri che aveva attirato la sua attenzione nella sala del Consiglio.

« Da quando sei diventato così maleducato, eh? »

« Che cavolo…?! Papà, fammi scendere immediatamente! »

Ogni commento stupito fu sepolto dalla risata forte dell'uomo che non ascoltò un secondo le lamentele di Taruto e lo tenne saldamente dove lo aveva messo, con aria giuliva.

« Hai combinato un bel trambusto li dentro, signorina. – ammiccò ad Ichigo – Per fortuna c'erano quel musone di mio figlio ed Eyner dietro di te, e i miei uomini non sono proprio dei cuori di leone. »

« Lo prendo come un complimento. »

Ridacchiò appena Eyner. Pai sospirò cupo.

« Grazie per avermi considerato minaccioso quanto una ragazzina… »

Protestò Kisshu incrociando le braccia.

« Se fossi intervenuto anche tu ci avresti mandato al pensionamento anticipato. »

« Pa', a sentirti parlare sembri un vecchio! »

Il padre rise sotto i baffi e si grattò la guancia dove riposava un velo di barba da cinque del pomeriggio:

« Sì sa che la custodia del Consiglio Maggiore è un modo carino per accantonare i soldati anziani, no? »

Con un unico gesto ribaltò gentilmente a terra il figlio minore, scompigliandogli poi i capelli con una mano:

« È a voi giovinastri che capitano le cose divertenti. »

Taruto gli scostò la mano seccato e prese a protestare che non doveva più trattarlo come un moccioso, cosa che fece solo ridere il signor Ikisatashi un altro po'. Mentre battibeccava col figlio, Ichigo osservò meglio l'uomo e capì finalmente perché aveva avuto l'impressione di conoscerlo.

Se fosse stato più giovane e privo di quel sorriso allegro, sarebbe stato il ritratto vivente di Pai, perfino i capelli corti avevano lo stesso tono di viola, anche se tendevano più al blu; sulla base del collo portava un minuscolo codino racchiuso in un nastro, nero come gli abiti semplicissimi che portava sotto la divisa, un'armatura leggera di materiale simile a pelle, composta da copri spalle, pettorale e copri avambracci; a guardarla attentamente la barba era di proposito tenuta corta e curatissima e seguiva la linea dello zigomo, dando forza alla sua già robusta figura. La cosa che lo rendeva più diverso dal figlio, sorriso a parte, erano gli occhi di un incandescente color oro, dal taglio allungato e dotati di una luce allegra e fiera.

« Ma noto con piacere che qui la combriccola è molto variegata! »

Fece un inchino teatrale e strizzò l'occhio alle terrestri, indicando poi Kisshu, Pai e Taruto:

« Iader Ikisatashi, purtroppo progenitore di questi disgraziati. »

« Spiritoso… »

« Piacere di conoscerla. »

Sorrise appena Retasu e Iader rise di nuovo:

« Kami-sama, niente "lei"! Potrei essere tuo padre, bambina! »

Retasu arrossì come consuetudine, ma rispose con un tenero sorriso:

« Sì… Iader-san… »

« Hai scelto quella sbagliata pa'. – scherzò Kisshu – Parli a ms. formalità. »

« Il fatto che Retasu sia educata – puntualizzò acre Minto – non ti autorizza a darle titoli; specie tu, che l'educazione te la sei persa negli anni assieme al pudore! »

A sentire quello scambio di frecciate Iader mandò un fischio acuto:

« Anche tu non hai fatto una buona scelta su la persona con cui discutere, Kisshu. »

« Ok. Adesso basta. Devo proprio ucciderla. »

« Piantatela immediatamente voi due. – sbuffò Pai seccato, dividendoli – Padre… Che ci fai qui? »

« Volevo conoscere le nostre ospiti – rispose candido – e vedere come stava la nostra MoiMoi. »

Si voltò verso l'alieno che gli sorrise riconoscente, inclinando la testa di lato come un gatto:

« Sono un bijoux. – ridacchiò premendosi la guancia con l'indice – Mi hanno solo frullata un pochino. »

« Ma tu andrai a farti visitare comunque. »

Sentenziò Sando; MoiMoi protestò con forza, ma l'altro la ignorò. Iader le diede un buffetto gentile sulla spalla:

« Ha ragione. Zizi non ha mai avuto la mano leggera. Devi… »

S'interruppe e guardò serio verso il corridoio più grande alle loro spalle: gli altri alieni lo imitarono e, dopo pochi secondi, anche le terrestri avvertirono dei passi provenire nella loro direzione. Si sporsero in fuori e scorsero il consigliere Meryold affiancata da due guardie che si dirigeva verso di loro; appena fu loro vicina gli alieni fecero un segno di reverenza e le ragazze li imitarono, un po' intimorite.

« Meryold-sama… »

« Iader-san – sorrise la donna – immaginavo di trovarti con loro. »

L'uomo sorrise e arruffò un altro poco i capelli di Taruto, che si guardò bene dal ribellarsi.

« Lasa-san sta meglio? »

« Molto meglio, la ringrazio. – rispose lui – Tra qualche giorno sarà di nuovo in forma. »

Le ragazze non sapevano di chi parlasse Iader, ma quella frase rassomigliò ad un balsamo per i nervi dei suoi figli che distesero tutti e tre le spalle. Meryold sorrise gentile:

« Ne sono felice. »

Gli occhi blu della donna si rivolsero a MoiMoi, che drizzò la schiena e s'inchinò di nuovo.

« Capitano Luneilim, mi è stato riferito che siete ferita… »

« Nulla di grave – rispose prontamente – me la caverò. »

La donna annuì con delicatezza. Passò quindi lo sguardo sulle cinque terrestri e, fatto un cenno alla sua scorta perché si allontanasse un poco, disse:

« Vorrei scambiare ancora due parole con Momomiya-san e le sue amiche, se avete del tempo. »

Le terrestri si guardarono, ma non avevano molta scelta se non acconsentire. Seguirono Meryold pochi metri più in là, abbastanza per rimanere sotto l'occhio vigile dei loro custodi e per ritagliarsi un po' di privacy. La donna le osservò una per una e sospirò:

« Siete così giovani… Ma, del resto, anche la spedizione che mandammo sulla Terra era composta solo da ragazzi… »

Aveva un tono nostalgico e venato dal rammarico. Le ragazze non seppero che rispondere e si limitarono a qualche grugnito sommesso.

« Momomiya-san. »

« S-sì? »

« Devo ammetterlo, ammiro il tuo coraggio di oggi. Sei una ragazza forte e, sappi, non penso che tu abbia detto nulla di sbagliato. »

La rossa sorrise radiosa, ma cambiò subito espressione quando vide l'aria turbata di Meryold:

« Ma sei stata un'incosciente. Le tue intenzioni e le tue motivazioni sono più che nobili… Ma non è con quelle che si scuotono le coscienze dei politici. Col tuo atteggiamento hai solo inasprito coloro che vi si opponevano, apparendo come una sobillatrice irrispettosa. »

« I-io… –  Ichigo voleva sprofondare, ma cercò di mantenere un contegno – Ho solo detto la verità! »

« Non è la verità che certe persone vogliono sentirsi dire. – replicò la donna tristemente – Vogliono sentirsi dire ciò che è comodo. Che possiamo riconquistare la nostra antica patria e ricrearla, che avremo onori e gloria da parte di Deep Blue-sama. La verità… La verità è scomoda e non accontenta chi vuole troppo. Tra l'altro, in quest'ambiente conta più la presentazione in molti casi, che le parole. »

Ichigo abbassò il capo umiliata non sapendo che replicare. Il consigliere le poggiò con garbo la mano sana sulla spalla e disse:

« Comprendo la tua volontà e, ripeto, ammiro la tua forza d'animo. Ma d'ora in avanti cerca metodi più diplomatici per farti valere e lascia la tua energia per dove serve. »

Le sorrise incoraggiante e fece un cenno alle sue due guardie, per poi riavviarsi con loro lungo il corridoio.

 

 

***

 

 

Alieni e terrestri uscirono da un ingresso secondario del palazzo e si ritrovarono in un ampio giardino, circondato da case che andavano ad aumentare via via che si guardava verso sud, interrompendosi al limitare della foresta. Iader li lasciò sulla soglia e tornò alle sue faccende seguito da Sando, che si doveva ripresentare alla guardia di Teruga; non prima, ovviamente, di aver di nuovo avvertito MoiMoi di farsi visitare.

« Ma sto bene! – protestò l'altro – E poi devo andare a mettere la MewAqua…! »

« A quella penso io. »

Lo fermò Pai duro e gli strappò di mano la boccetta con la goccia che aveva recuperato; MoiMoi gonfiò le guance offeso:

« Pai-chan, non ti intromettere. »

« Se tu non stessi bene, a me toccherebbe il doppio del lavoro. »

Fece sbrigativo. A guardarlo Retasu trattenne un risolino, la sua massima espressione di premura era talmente rigida da essere comica.

« Simpatico! – sbuffò MoiMoi – Quelli del centro medico non mi farebbero uscire per settimane…! »

« Se è solo per un controllo – fece Iader gentile – perché non ti fai controllare da Lasa? Ormai sta meglio e vedere qualcuno le farà solo che piacere. »

MoiMoi sembrò apprezzare l'idea, ma poi ci pensò su:

« Non disturberò Lasa-san? »

« Sai com'è mia moglie, anche se non guarisce si costringe a stare meglio! – rise l'uomo – È  incapace di stare a letto, scalpita. »

« E va bene. – sospirò Kisshu massaggiandosi il collo – Allora nel frattempo io riaccompagno le ragazze a casa… »

« Stai scherzando vero?! »

Esclamò Purin e bypassando il ragazzo si rivolse a Taruto:

« Taru-Taru, te lo ricordi che me lo avevi promesso eh? Voglio conoscere la tua mamma! »

« Che?! »

Il ragazzino sentì con orrore il padre trattenere una grassa risata: gli sarebbero toccate settimane e settimane di prese in giro per quel nomignolo.

« Purin, ma cosa dici? – la sgridò Minto – Non ci si invita a casa della gente, ma quanti anni hai?! »

Lei non la calcolò e continuò a fissare il brunetto con gli occhi lucidi di emozione mentre lui protestava:

« A parte che ti ho già detto che devi chiamarmi col mio nome, ma poi che ti salta in mente?! Io non ho promesso un accidente! »

« Eddai! Sono curiosa! Scommetto che anche le ragazze lo sono… Vero onee-chan? »

Sentendosi chiamata in causa Retasu sussultò senza nascondere un lieve rossore; era evidente che l'idea di scoprire qualcos'altro sulla vita quotidiana dei loro nuovi alleati la intrigava.

« Della serie "essere un libro aperto"… »

La canzonò Kisshu. Retasu divenne scarlatta.

« Ti diverti tanto a darle noia? »

Il commento seccato di Pai divertì solo di più il fratello, che lo guardò malizioso:

« Ti da fastidio? »

« Mi da fastidio avere un fratello di quattro anni. – soffiò glaciale – È scorretto prendersela con chi non replica. »

Kisshu rispose sbuffando. Dal canto suo Retasu tornò del suo solito colorito, ma il suo umore peggiorò di colpo: non sapeva perché, ma era convinta di essere stata presa in giro da entrambi; eppure, se da parte di Kisshu era una cosa a cui si stava abituando – era consapevole di fornirgli fin troppi spunti per dire cattiverie – e che in fondo accettava per via del carattere di lui, le sembrava che nelle parole di Pai ci fosse sempre un'allusione al fatto che lei fosse un po' tonta. E non era una sensazione piacevole.

Pai si premette forte due dita sulla tempia e strinse la fiala che teneva in mano:

« Fate come vi pare, comunque, non ho tempo di stare dietro a queste scemenze. »

E si dileguò senza aggiungere altro. Iader lo guardò sparire e alzò gli occhi al cielo, rientrando assieme a Sando:

« Io non capisco proprio da chi abbia preso questo caratteraccio! »

 

 

***

 

 

Alla fine Purin convinse Taruto e Kisshu a portarsela appresso assieme a MoiMoi e alle altre ragazze, non tutte proprio contente della decisione presa.

« È  una perdita di tempo! »

Proruppe Minto incrociando le braccia.

« Cosa c'è – la punzecchiò Kisshu – ha paura che la nostra umile dimora da bifolchi non sia adatta al suo lignaggio, signorina? »

Lei non gli rispose neppure e sollevò il mento imperiosa. A dirla tutta neppure Ichigo, sebbene molto curiosa, aveva questa gran voglia di trovarsi lì. Aveva fatto la figura della stupida, rischiato la vita sua e delle amiche e forse compromesso tutto il lavoro dei ragazzi… Per non parlare del fatto che aveva ferito Kisshu per l'ennesima volta e se ne stava pentendo a morte.

« Eyner-san dov'è andato? »

« Credo a prendere Sury da una vicina – rifletté vago Taruto – visto che mia madre non stava bene… »

Retasu si sistemò meglio gli occhiali sul naso senza capire:

« Sury? »

« La sorella. »

I due si voltarono sorpresi verso Zakuro, che si limitò a fare spallucce:

« Mi ha accennato al fatto che ha una sorella. Fai due più due… »

Si fermarono di fronte ad una semplice costruzione a parallelepipedo, che sembrava di pietra e ricordava certe case terrestri costruite nel deserto; era molto grande ed articolata su due piani, con grezze imposte simili a veneziane di legno e una grossa e pesante porta, che Kisshu aprì strisciando forte sul pavimento.

« Mamma? Ci sei? »

Fece segno alle ragazze di restare indietro ed entrò per primo assieme a Taruto, guardandosi attorno. C'era un piccolo disimpegno che si affacciava su un salotto con un grosso tavolo circolare con un'unica gamba centrale, di materiale plastico grigio come le sedie poste attorno, circondato da scaffali zeppi di oggetti non identificabili, ma il tutto era deserto.

« Forse è andata a riposarsi un po'. »

Pensò Taruto ad alta voce. Si fermò, perché da una stanza più in fondo si udì una voce sottile che lo chiamava; pochi passi leggeri e da un angolo in ombra una figura minuta gli andò incontro sorridendo:

« Ragazzi! Mi sembrava di aver sentito… Oh? »

La donna si fermò poco prima di raggiungere il figlio minore, guardando incuriosita l'assiepamento fuori dal suo ingresso; sorrise impercettibilmente:

« Abbiamo compagnia, vedo. »

 

 

 

Lasa fece accomodare tutte le ragazze nel suo salotto e ascoltò i vari motivi delle visite, sorridendo lieve e seguendo attenta mentre si faceva aiutare da Taruto a servire tazze colme di una bevanda fumante.

« Oh, no signora…! »

Si agitò Retasu, ricordandosi delle parole di Meryold sulla donna e temendo per il loro significato:

« Non serve…! »

« Figurati. – ribattè dolcemente – E non datemi del lei, chiamatemi Lasa. »

Retasu non replicò e accettò la coppetta che le porgeva con un sorriso timido.

« Non servono tante cerimonie – borbottò Kisshu alla madre – e inoltre, non dovresti essere a riposo? »

« Kisshu, avevo un po' di febbre, non ero moribonda. – puntualizzò tranquilla – Su, bevi e non brontolare. »

La donna si accomodò su una sedia e degustò qualche sorso finendo di ascoltare il resoconto di MoiMoi sugli ultimi avvenimenti.

Dopo aver incontrato Iader sarebbe stato difficile immaginare che Lasa, ossia la moglie del fin troppo vivace signor Ikisatashi, fosse davvero la persona che avevano di fronte. A differenza del marito Lasa parlava poco, sempre a bassa voce, aveva modi misurati e gentili e sembrava un po' fredda, o forse attenta a rapportarsi con gli altri senza invadere il loro spazio. Minuta e non molto alta – a stento doveva raggiungere il metro e sessanta – aveva un viso rotondo e dolce molto simile a quello di Taruto; capelli color castagna le arrivavano ordinatamente alle spalle piegandosi in piccoli riccioli sulle punte, e dietro l'orecchio destro spuntava una treccina chiusa in perline blu cupo, lo stesso colore che avevano i suoi occhi. Alla vista delle terrestri, ancor più che tutto il resto, risultarono curiosi gli abiti, probabilmente perché non avevamo mai visto una donna tra gli alieni eccetto il consigliere Meryold che ad ogni modo portava gli abiti della sua casta. Lasa indossava una sorta di corpetto poco aderente, mogano scuro, allacciato con un nastro che partiva dallo scollo delicatamente a punta e si interrompeva alla vita; sotto compariva una camiciola panna chiaro che arrivava morbida fino al polso, dove era chiusa con due laccetti; dello stesso colore era la gonna lunga che ondeggiava in svariate pieghe, ma non si poteva capire il materiale di cui era fatta: ad un primo sguardo sembrava simile a pesante cotone per come scendeva fino ai piedi, eppure fasciava i fianchi e le gambe della donna con la leggerezza della seta.

Tutto in Lasa le affascinava e incuriosiva; le ragazze rimasero a lungo taciturne, studiandola di sottecchi e lasciando a MoiMoi il timone della conversazione.

« …Quindi, Lasa-san – fece dopo un po' – se potessi darmi un'occhiata… Giusto per controllare che non mi si sia rotta qualcosa. »

« Ben volentieri cara. Ah, sai… Vorrei fosse per altri motivi, ma sono felice che tu sia passata. – finì il contenuto della sua tazza e sorrise alle terrestri –E anche voi ovvio. »

« L'idea è stata mia! »

Rise Purin raggiante; gli altri sospirarono rassegnati e Lasa si lasciò sfuggire un risolino:

« Davvero un'ottima idea, allora. Adesso, però, vorrei dare una controllatina a MoiMoi-chan, se non vi dispiace. »

A quella frase il ragazzo balzò giù dalla sedia e imboccò con sicurezza il corridoio che portava dall'altra parte della casa, precedendo la donna.

« Perciò vostra madre è un medico. »

Disse Minto sovrappensiero girando la tazza tra le mani.

« E tu che ne sai? »

Chiese Taruto sollevando un sopracciglio; lei lo guardò condiscendente:

« Mi sembra ovvio, dato che MoiMoi-chan le ha chiesto di controllare il suo stato di salute. »

L'altro si corrucciò e arrossì indispettito, detestava quella vecchiaccia che lo trattava sempre come un bambino stupido.

« Mi fa un po' strano pensare che lo sia… –  ridacchiò Retasu – Come dire… Se io immagino degli alieni, è difficile associarli a mestieri normali… »

« Cosa doveva fare, l'allevatrice di manguste? – domandò sarcastico Kisshu – E poi vi ricordo che qui le aliene siete voi, non il contrario. »

« Che figata! »

Rise Purin. Ingollò l'ultimo sorso e scese con una piroetta dalla sedia, lanciandosi addosso a quella di Taruto:

« Ora sono curiosa di vedere in giro! Mi fai vedere la tua camera? »

« Che? Sei scema per caso?! – sbottò lui – Manco morto! »

Lei rise solo più forte e gli afferrò la mano costringendolo ad alzarsi:

« Dai, andiamo andiamo! »

« Mi vuoi dar retta, stupida scimmietta?!? »

Ma le proteste di Taruto caddero nel fracasso che la biondina stava facendo trascinandolo per la casa come un rimorchio e a lui non rimase altra scelta che correrle dietro cercando di non incespicare.

« Poveri noi…! »

Fu l'unico commento che Ichigo riuscì ad emettere; Minto fece spallucce e bevve con eleganza un'altra sorsata e Zakuro rise sotto i baffi.

« Non so se è più scema la mocciosa o mio fratello… Spero almeno che non devastino la casa! »

Retasu fece un sorriso tirato, ma doveva ammettere che forse quella non era una preoccupazione così remota.

Il gruppetto restò in silenzio alcuni minuti ed Ichigo sentì presto di essere di nuovo a disagio: voleva chiedere scusa per quello che era successo nella Sala del Consiglio e in particolare scusarsi con Kisshu per averlo trattato come una pezza, ma la sua lingua non collaborava e restava immobile nella bocca completamente secca. Inaspettatamente ci pensò Minto a toglierla dall'impiccio di decidersi, terminato di bere:

« A cosa si riferiva il consigliere Ebode quando parlava di MoiMoi, Sando-san ed Eyner? »

La domanda l'aveva formulata lei ma doveva ronzare da un po' nella testa di tutte, perché Kisshu si trovò quattro paia d'occhi a fissarlo incuriositi. Sospirò e si passò una mano nella frangia:

« Beh, sulla senpai MoiMoi potete immaginarvelo da sole… »

Sospirò sprezzante e Ichigo battè la sua tazza sul tavolo, scandalizzata:

« Non sarà perché lei non è…! »

Lui fece spallucce:

« Abilità ed intelligenza evidentemente sono irrilevanti, se scegli di indossare una gonna anche se sei provvisto dei gioielli di famiglia. »

« È … Terribile. »

Fu il piccolo singhiozzo con cui rispose Retasu; Zakuro sospirò e sussurrò aspra:

« È  bello sapere che certe stupidaggini sono comuni a tutto l'universo. »

Kisshu si lasciò sfuggire un amaro risolino concorde.

« Per quanto riguarda Eyner – riprese – non penso di essere io la persona più adatta a parlarne, quindi… »

Vuotò la sua tazza e non sembrò intenzionato a concludere il discorso.

« E Sando-san? »

Chiese Retasu timidamente; Kisshu la osservò qualche secondo in silenzio e incrociò le braccia:

« Diciamo che anche la sua è complicata… »

« Ma di questo se ne può parlare. »

Intervenne MoiMoi, ritornata indietro assieme a Lasa.

« MoiMoi-chan! Allora? »

Domandò Ichigo apprensiva e l'altro le sorrise:

« Senza essere troppo tecnici, sono solo un po' ammaccata; nulla da ricucire e gessare. Ho la pelle dura. – ridacchiò – Sono una damigella di acciaio! »

« Ma – puntualizzò Lasa – ti riguarderai e non farai sforzi per qualche giorno, mi sono spiegata? »

MoiMoi bofonchiò a labbra strette ma annuì e si risedette:

« E Purin-chan e Taruto? »

« Credo che Purin lo abbia costretto a fargli fare un giro turistico della casa. »

Sogghignò divertito Kisshu. MoiMoi ricambiò la ghignata e rise, mentre Lasa sospirava sorridendo appena:

« Cerca di non esagerare nel torturarlo, Kisshu… »

 

 

***

 

 

« Nessuno te l'ha insegnato che non si fruga nella roba degli altri?! »

Inveì Taruto afferrando Purin per la vita e tirandola via di peso da uno dei cassetti del suo armadio, dove la biondina si era infilata con tutta la testa.

« Ma sono curiosa! – ammise con una linguaccia – Non avrei mai pensato di poter vedere la tua stanza. »

« È una stanza, Purin. – le fece notare stanco – Ci dormo e basta. »

« Non è vero. Ci sono anche tutte le tue cose! »

Disse e passò il dito sulle coste di alcuni libri scritti in una lingua sconosciuta:

« Specie quelle che ti piacciono. »

« E allora? »

Chiese scettico e lei sorrise:

« È bello scoprire le cose che piacciono a chi ti piace, no? »

« Falla finita con questa storia! »

Berciò con voce stridula, divampando, ma lei non ci badò e afferrò una scatolina da uno scaffale; Taruto sbiancò guardandola scrollare il cofanetto per sentire se era vuoto:

« Cosa c'è qui dentro? »

« Niente! – mormorò – Ridammelo! »

« Sembra qualcosa di piccolo… Che rotola…? »

Senza darle più corda lui le prese la scatolina dalle mani e la nascose dietro la schiena:

« Non c'è niente, ti ho detto! »

« Eddai, fammi vedere! – ridacchiò lei – O almeno dimmi cosa c'è. »

« Non… – era  rosso come un pomodoro – Non posso, ok? È  un segreto. »

Lei gli mise il broncio e lo guardò nascondere la scatolina sotto il cuscino.

« E va bene… Tieniti i tuoi segreti, se vuoi. – gli rivolse un'occhiata complice – In cambio voglio vedere com'eri da piccolo. Ce l'hai una foto? »

« Che?! Scordatelo! – sbottò – E poi che diavolo è una foto? »

Lei riprese a frugare in giro sorda alle sue proteste, ma Taruto la assecondò: avrebbe fatto di tutto, anche cercare una cosa di cui non conosceva la natura, pur di tenere Purin lontana dalla scatola dove custodiva gelosamente le caramelle che gli aveva regalato.

 

 

***

 

 

« MoiMoi-san? »

« Uh? »

L'alieno guardò Retasu che stringeva la sua tazza, muovendosi impacciata sulla sedia:

« Cosa… Dicevi di Sando-san? »

MoiMoi smise di ridere e assunse un sorriso triste.

« Se è una cosa che non dobbiamo sapere… »

L'altro scosse la testa e cominciò:

« Lo avrete saputo che prima della MewAqua, questo pianeta era in condizioni climatiche spaventose. »

Zakuro annuì con un basso brontolio e MoiMoi proseguì:

« Capitava spesso che dovessimo mandare pattuglie in esplorazione su pianeti vicini, sapete per approvvigionamenti o scambi commerciali… Anche se non sempre le cose erano amichevoli.

« A quel tempo Sando era a capo di una squadra di cui facevo parte anch'io e una mia kohai e, beh… Doti o meno, non eravamo viste troppo bene dal resto del plotone. Io per come sono… »

Sospese un istante la frase scuotendo la testa.

« L'altra ragazza perché era una donna uh? »

Completò Minto. MoiMoi annuì piano:

« Facendola breve, ci fu un azione contro dei soldati ostili e io e la mia kohai fummo lasciate volontariamente indietro dal resto della squadra, rischiando la pelle. »

« Che cosa?! »

« Non vollero giocarsi la buccia per noi. Anche se in qualche modo ce la cavammo… Quella volta l'ospedale non me lo levò nessuno! – tentò di sdrammatizzare lui guardando Ichigo con un sorriso storto – Nemmeno alla mia compagna, è vero… »

« Ma il resto della squadra ne uscì peggio. »

Chiuse Kisshu con una certa maligna soddisfazione. Le ragazze lo guardarono confuse e il suo ghigno si ingrandì:

« Sando-san non aveva mai gradito certe discriminazioni e non tollerò assolutamente una simile vigliaccata. Così, riunì la sua squadra e ne massacrò di botte più della metà. »

« Non ci fu nessun morto… Fortunatamente… »

Ichigo era certa che quel fortunatamente di MoiMoi fosse posto tra gigantesche virgolette.

« Ma Sando-san fu degradato e spedito a fare da balia alle reclute e al consigliere Teruga – proseguì Kisshu – o meglio, il consigliere lo propose per quei compiti, per evitargli la galera. »

« Anche se questo non bastò al Consiglio… »

Aggiunse Lasa sovrappensiero; quando si accorse che le terrestri la guardavano preoccupate sospirò e concluse:

« Come atto di punizione imposero che perdesse l'Appartenenza. »

« Perchè aveva infangato l'onore dell'esercito. »

Scimmiottò Kisshu con asprezza. Le ragazze non capirono subito, finché Ichigo non si toccò distrattamente i nastrini di MoiMoi che le legavano i codini:

« Sando-san non ha niente… »

Lasa fece piano segno di sì col capo.

« La nostra gente li porta come tratto distintivo »

MoiMoi toccò con due dita uno dei suoi codini e indicò con un cenno quelli di Kisshu e la treccia di Lasa:

« Non averne è come essere esclusi dagli altri. »

Tacque accucciandosi mesto sulla seggiola.

« MoiMoi-chan, sai bene che non fu colpa tua. »

Disse Lasa piano ma con decisione; lui annuì poco convinto. Sulla sua sedia Ichigo si fece più piccola che potè e pigolò:

« È  colpa mia…! Se non fossi intervenuta non avrebbero tirato in ballo simili sciocchezze…! »

« Stupidaggini – la corresse MoiMoi – quelle carte era certo che Ebode le avrebbe giocate; certo, avrebbe dovuto evitare di tirare in ballo sia Sando che Eyn-chan, visto che metà del Consiglio stravede per loro. »

« Non so Eyner… Ma per quanto riguarda Sando-san, devo sospettare che c'entri col modo in cui ha martellato quel volgarissimo ragazzetto biondo? »

Chiese Minto e MoiMoi sorrise soddisfatto:

« E non lo avete visto davvero arrabbiato! »

« Un po' sarei curiosa… »

« Zakuro, sei cosciente di essere una tipa rissosa? »

« Non azzardarti a parlare così all'onee-sama, sai? – sibilò incurante dell'aria divertita negli occhi dorati di Kisshu – Poi, detto proprio da te, una persona dedita a certi atti di diplomazia…! »

« Tu vuoi proprio che io ti affoghi in qualche pozza. »

La mora si costrinse ad ignorare il velato riferimento alla disavventura nella piscina dello Yakori e non replicò più.

« Sì, è vero Ichigo – sospirò MoiMoi lasciando stare i due a battibeccare – sei stata sciocca. Ma hai portato dalla nostra parte il consigliere Meryold, ed è una gran cosa! »

« Assolutamente. »

Aggiunse dolcemente Lasa.

Sentendo nominare il consigliere Ichigo ricordò quello che era successo nella sala e sollevò lo sguardo:

« A proposito… Ma Meryold-san, cosa ha al… »

Non sapeva come proseguire senza sembrare irrispettosa; cosa che voleva evitare, visto che aveva già esaurito la sua dose di maleducazione consentita da quelle parti.

« È  successo poco dopo che il pianeta ha cominciato a morire. – fece Kisshu sbrigativo – Quando è entrata in contatto con una delle piante di quella zona. »

« Alcune hanno emanato esalazioni velenose prima di morire, forse una reazione di rigetto alla perdita dei benefici del Dono. – spiegò MoiMoi – Il risultato su chi ne è venuto in contatto sono strane piaghe ed ustioni, e da quello che abbiamo analizzato finora, solo il potere della MewAqua può sanarle. »

« Tramite il Dono degli Avi, come la chiamava quella donna. »

Disse Zakuro senza bisogno che confermassero.

« Ecco perché bisogna trovare le Gocce al più presto! – esclamò forte MoiMoi – Anzi, grazie del paina Lasa-san, ma sarà meglio tornare ad aiutare Pai-chan. »

La donna annuì gentile:

« Spero che tornerai a trovarmi. Ah, e anche voi. »

Le ragazze accettarono sorridendo e si chiesero, quasi contemporaneamente, cosa c'entrassero i caratterialmente terribili Pai e Kisshu – Taruto era ancora passabile – con quella donna così dolce e garbata.

« Beh – borbottò Kisshu alzandosi – andrò a recuperare la scimmietta e Taruto, che vi accompagnino… »

« Tu non vai con loro? »

Si fermò un secondo sulle scale alla domanda della madre, ma poi si limitò ad un laconico no e sparì di sopra.

 

 

***

 

 

Il pugno fu così forte che lui non riuscì a reggersi in piedi e si ritrovò scagliato contro la colonna, travolgendo la piccola vasca e rovesciando acqua ovunque.

« Vedi di non rovinare l'altare, Zizi. – sghignazzò una voce – Lo sai che l'antiestetica mi turba l'animo. »

« Chiudi quel cesso di bocca, Toyu! »

Sibilò l'altro, asciugandosi il sangue dal labbro già tumefatto dall'incontro con Sando.

Il giovane di nome Toyu lo fissò con sufficienza, ma non aggiunse altro, zittito dal cenno che gli fece il dispensatore del cazzotto.

« È  inutile che sfoghi la tua rabbia con lui. Sei stato un idiota, per colpa tua abbiamo perso un'altra Goccia. »

« Non è colpa mia Arashi! – protestò – Non mi avevi detto che con quelle terricole merdose ci sarebbero stati anche il senpai finocchio e quella specie di armadio di Sando! »

« E tu non sei riuscito ad eliminarli. – sentenziò l'altro – Devo forse dubitare di te? »

Zizi non rispose e finì di pulirsi dal sangue con aria da cane bastonato.

« La nostra ricerca è ad un punto morto. Senza una Goccia attiva non possiamo trovarne altre. »

« Non farti salire la bile Arashi – disse Toyu con un sorrisetto untuoso – in fondo, loro hanno solo una Goccia; noi ne abbiamo tre. Lasciamo che le trovino per noi e se Zizi non è in grado di recuperarle da solo, faremo lo sforzo di aiutarlo. »

Il diretto interessato gli inveì contro in dialetto alieno, cosa che fece spanciare dal ridere una ragazzina bionda al fianco di Toyu. Arashi li ignorò, riflettendo:

« Sì… Finché non aumenterà la forza, è la soluzione più rapida. »

Schiccò le dita e gli altri tre si girarono a guardarlo:

« Mettetevi alle costole di quelle cinque ragazzine. Aspettate che trovino una Goccia attiva… E uccidetele. »

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~

 

Sì, lo so, ho buttato sul fuoco un inferno di roba ^^""! spero di non aver creato troppa confusione :P.

Kisshu: quando mai. Le tue trame sono sempre così lineari…

Tu non rompere! Finalmente ho ritagliato uno spazietto per Taru-Taru e Purin, anche se piccino. Non sono troppo carini?

Taruto: no, siamo un povero disgraziato e una vandala. O una bambina di 5 anni in un corpo di una di 14

Sai che sei cattivo? Eppure è già la seconda volta che ti fa la dichiarazione .

Taruto: QUI NESSUNO SI DICHIARA PROPRIO A NESSUNO!!!

Non morirmi di infarto…Deliri a parte, spero di riuscire a dar loro più spazio andando avanti.

Taruto: ma spazio per che?!

(proprio non ci arriva -.-""). Cosa ne dite del Consiglio e del consigliere Meryold? Personalmente mi piace un sacco come personaggio, anche se avrà sempre un ruolo secondario… E poi la trovo una donna bellissima ©©©!!

Meryold: ti ringrazio, cara.

E di Lasa e Iader? Mi sono innamorata di Lasa © e voglio Iader come fratellone!

Lasa: dovrei preoccuparmi ^^? *sorriso angelico*

Iader: credo che nessuno dopo questo si chiederà più da dove derivi la flemma di Pai, tesoro ^^""…

Spero di aver reso bene le parti descrittive e che si capisca tutto al meglio… Sto cominciando gli schizzi per i personaggi, magari se avrò tempo farò anche quelli dei luoghi.

Mi chiedo come mai alla fine in quasi tutte le storie si finisca sempre a tirare in ballo un Consiglio ^^""… Forse perché da un'aria più democratica o, viceversa, più adatta agli intrighi politici? Come si voglia chiamarlo è indifferente ma viva la democrazia xD! <- persona sotto esami completamente scema.

Ora meglio che però passi a ringraziare, o non la pianto più di delirare xP!

Hypnotic Poison: hihi le pulci nell'orecchio sono il mio pane quotidiano ^w^! (<-str*****) Sì la trasformazione di Ichi la fa rinsavire minimamente… Solo quella -.-"", perché è evidente che col passare degli anni diventa più scema! (sì sto sfogando cattiveria a non finire :P… Dai che più avanti la recupero ;), questa è una piccola vendetta per ciò che han dovuto subire Kisshu e Ryou nella serie ^^).

Ichigo: il tuo amore mi riempie l'animo ç__ç""" *sarcasmo +100 Pt*

Due rivelazioni in un botto :D! Pensavo fin dall'inizio di creare un personaggino trap, non è adorabile ©? *sbrodola* Personalmente adoro Sando, mi diverto troppo a scrivere di lui! Che cerca di darsi un tono e poi è scemo xD…!

Sando: … -.-***

Compensa diciamo con una forza da schiacciasassi e un lieve sadismo nel combattimento ^^"", più avanti avrete modo di vederlo ;). Però devo dire che anche questo riassunto del passato che ho scritto da già buoni stimoli eh? *ride* Zizi… Diciamo che tanto per lui quanto per gli altri Ancestrali ho cercato di mettere ogni variazione di delirio che avremmo potuto vedere in quell'amorfo del Cavaliere Blu, ma che – visto che Aoyama è una pippa -.-" – non ci siamo gustati perché è diventato Deep Blue; e ti assicuro che mi sono ben lasciata andare all'assurdo xD! Purtroppo non si vedranno ancora per alcuni capitoli >_<""… Devo scrivere ancora tante cose! Per quanto riguarda la questione parings oscillerò ancora un po' nei prox cap tra tutti quindi non posso dare né conferme né smentite né anticipazioni :P. Io ovviamente sono di partissima per Eyn-chan, ma chissà se Zaku lo sbatterà in friendzone… Tutto è possibile!
Eyner: non ho capito quello che hai detto, ma escludendo che dovete smetterla di farvi i fatti miei -\\-, ho come l'impressione che non sia una bella cosa!

Stesso discorso per Kisshu e l'uccellino… C'è ancora il gatto per il momento a zonzo e fino ad allora, non si balla.

Purin: ma non erano i topi a ballare senza il gatto?

È lo stesso :P.

mobo: sono così felice che ti piaccia MoiMoi ^w^! La mia piccina deve piacere a tutti ©©©! *amore profondo* Sono felice anche ti piaccia Sando, mi diverto molto a scrivere di lui perché oscilla di continuo tra il "voglio-apparire-integerrimo" al "se-rompi-ti-spacco-il-c***" per finire con una modalità da moccioso xD, è irascibile è timido in fondo, uno spasso!

Sando: autrice ho voglia di ucciderti -_-***…

*ignora totalmente* come dicevo ad HPoison ci vorrà ancora qualche capitolo per vedere i tre restanti biondozzi, ma temo che non avrai una gran simpatia nemmeno per loro ^^""…

Danya: nee-chan la deformazione professionale ormai infetta le carni! (che schifo xP…) Grazie per questa immensa fiducia nelle mie capacità >.<, giuro che non ti deluderò *w*! *occhietti fiammeggianti* per le risposte a tutti i tuoi quesiti mi dipanerò tra questo cap e il prox cap.

Prima di lasciarvi andareeeee….!!

SONDAGGIONE!

In che situazione/pianeti/universi vi piacerebbe vedere le TMM e i begli alienozzi? *ingranaggi che girano senza pietà*

Ancora un secondo!!
Ho completato alcuni chara degli OC presenti in questa storia *squilli di trombe* e anche qualche idea di come mi immagino i personaggi originali dopo tre anni (sono pazza xD!). Giusto perché non fossi stata brava a descrivere, da questa partee~
!! ->

https://www.facebook.com/photo.php?fbid=711843742169191&set=a.369887816364787.83735.369088309778071&type=1&theater
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=711843708835861&set=a.369887816364787.83735.369088309778071&type=1&theater
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=711843712169194&set=a.369887816364787.83735.369088309778071&type=1&theater
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=711843705502528&set=a.369887816364787.83735.369088309778071&type=1&theater


Una prima carrellata aliena xD! Ditemi che ne pensate eh? Lasciatemi un commentino sulle immine, anche piccino picciò :3!

 

Grazie anche a chi legge senza commentare, ma se trovate due minuti lasciatemi qualche parolina, mi rendete felice ©. Anche solo un "mi piace", un "carina", un "forse è meglio se rinunci" xD… Nell'ultimo caso magari mettetemi il motivo eh ;P?
Il prox capitolo sarà lungo, ma parecchio tranquillo… Anche se so che quasi tutti vorrete uccidere Ichigo alla fine (vorrebbe farlo anche la sottoscritta, e l'ho scritto io -.-*!).
A presto, mata ne~
©!

 

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Capitolo 8
*** Stop for a minute on the crossing ***


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Bonjour o bonsoir che sia ^^! Allò everyone!

Come promesso, un cap molto tranquillo… Almeno dal punto di vista avvenimenti pregnanti, ma credo per il resto di aver spremuto tutta la mia crudeltà… Abbastanza per far odiare a morte Ichigo per i prossimi quindici anni ^^""!

Ichigo: è rassicurante °__°""!

Non spoilero che è già lungo, ci vediamo in fondo!

 

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Cap. 08 – Stop for a minute on the crossing

                 180 days/self-destruction man

 

 

 

 

 

« Ribadisco da prima: non dovresti riposarti, tu? »

Lasa guardò appena oltre la sua spalla, scorgendo il figlio che la squadrava serio appoggiato all'angolo del muro.

« Ah, eccoti. Credevo ti fossi perso di sopra, caro. »

« Non cambiare discorso – sbuffò Kisshu – dai molla… »

La scostò deciso e finì di sistemare la cucina al posto suo, con la donna che alzava gli occhi al cielo:

« Voi ragazzi vi preoccupate troppo, guardate che sto bene. »

« Sai cos'avevi? »

Le chiese critico; Lasa si prese il viso nella mano:

« Devo ancora confermarlo, anche se… »

« Anche se? »

Lei scosse la testa e sorrise confortante:

« Niente… Santo cielo da quando sei così ansioso? »

« Sei tu che fai venire l'ansia. »

Mugugnò chiudendo l'anta sopra la sua testa. Lei rise piano, si asciugò le mani e lo guardò un istante:

« Dunque… Ichigo, eh? »

Kisshu restò qualche secondo con la mano che reggeva la tazza pulita a mezz'aria per poi riporla via senza rispondere.

Avere tre figli maschi insegnava a muoversi con cautela quando si parlava di faccende di cuore e Lasa l'aveva imparato meglio di molte altre persone; non era mai invadente coi suoi ragazzi e non dispensava giudizi se non richiesti, limitandosi a fare da confidente. Forse per quel motivo lei era l'unica a cui Kisshu avesse espresso a chiare parole – escludendo la diretta interessata – i suoi sentimenti per la mewneko.

« Già. »

« È  per questo che hai preferito rimanere ad aiutare me? »

« Un figlio non può aiutare la sua anziana madre? »

Rispose teatrale; lei non reagì limitandosi a sollevare un sopracciglio.

« È  più divertente prendere in giro Taruto. »

« Non lo metto in dubbio. – sorrise lei – È  per quello che è successo di fronte al Consiglio? »

Kisshu non le rispose di nuovo e strinse i palmi sul bordo del lavello, lasciandosi sfuggire una risata amara:

« Non è solo per…! Qualunque cosa esca dalla mia bocca, anche la più innocente, lei non mi da retta. »

Si sedette stizzoso su una sedia e si premette forte le mani sulla fronte; Lasa lo raggiunse senza dire niente e gli si sedette accanto, le mani raccolte in grembo.

« Non hai mai rinunciato a lei. »

Constatò lentamente. Kisshu la osservò in attesa della critica, ma lei non fece niente.

« Non ci riesco. »

Fu la semplice risposta mentre si allungava sullo schienale. Lasa sospirò e gli accarezzò una spalla:

« Cerca solo di non spingerti oltre quel che puoi sopportare. »

Kisshu la sbirciò da dietro la frangia che si stava appiattendo sugli occhi, scorgendo il suo sorriso malinconico; sapeva che la faccenda la preoccupava, ma lo avrebbe fatto comunque sbagliare liberamente, se lui voleva.

« E se vuoi annoiare la tua anziana madre – gli ricordò, facendogli il verso – sai dove trovarla. »

Fece per alzarsi, ma lui la precedette e le schioccò un bacio sulla guancia:

« Grazie. »

« Non fare l'appiccicoso. »

Rise.

« E tu non fare Pai. »

Lasa scosse la testa divertita mentre lui si stiracchiava, ristampandosi in faccia la sua solita aria beffarda:

« A proposito… Sarà meglio che vada a dare una mano a lui e alla senpai. »

« Abbi pietà dei nervi di tuo fratello, gli farai venire un'ulcera. »

« È  colpa sua che non sa essere spiritoso! – si giustificò con un sorriso – Dovrebbe togliere la testa da dentro uno schermo e rilassarsi un po', pensare a qualche ragazza… »

Lasa mise su un sorriso ambiguo:

« Già. Dovrebbe. »

« … Cosa sai che io non so? »

« Io? – domandò innocente – Cosa dovrei sapere? »

Continuò a sorridergli sibillina e lui fece spallucce, uscendo; Lasa sospirò tra sé e sé:

« Non so proprio nulla. – ribadì con aria sorniona – E temo nemmeno Pai … »

 

 

***

 

 

Nel frattempo Taruto aveva riaccompagnato le ragazze sulla Terra, con Purin che non la piantava di martellarlo con chiacchiere su quello che aveva visto – lo aveva costretto a farle vedere – a casa del brunetto; lui era un po' esasperato, anche perché la biondina sembrava aver perso completamente testa per Lasa.

« La tua mamma è fantastica! È  così dolce… E poi è bellissima! »

« Ho capito, cavolo quanto stressi! Ti ci vuoi fidanzare? »

« Come sei antipatico! – borbottò lei – Sempre il solito! »

Tenne il broncio per circa cinque secondi; un record praticamente.

« Senti, Taru-Taru! »

« A ridagli… »

« Pensi che potrei tornare a trovarti? Mi piacerebbe un sacco! »

« B-beh… MoiMoi-san e Pai hanno detto che ci vorrà un po' per trovare le altre Gocce, quindi non credo che ci vedremo per qualche giorno… »

« Cheeeee?!? »

Si lagnò lei sgranando le iridi scure:

« Ma MoiMoi nee-chan ha detto che il portale resta aperto! Non è vero? »

Cercò sostegno nelle compagne che non seppero bene cosa risponderle e si limitarono a guardarla con mezzi sorrisi.

« Sì, è vero, – le disse gentile Retasu – ma dovremmo usarlo solo per urgenze… »

« E poi la barriera che ha messo la senpai per evitare l'ingresso involontario di altra gente – chiarì Taruto – sarà anche invisibile, ma temo vi noterebbero se cominciaste a svanire ed apparire nel nulla. »

Purin mandò un altro gemito sconsolato e tornò a fissarlo ad occhi spalancati. Taruto cercò di ignorarla guardando altrove e facendo smorfie con la bocca, a disagio: in tutta onestà non gli sarebbe dispiaciuto rivedere presto la mewscimmia, ma dirlo sarebbe stato imbarazzante quanto averla ancora una volta nella sua stanza.

« Uffa… »

Se avesse avuto le sue orecchie animali, in quel momento Purin le avrebbe abbassate fin a farle sparire nei capelli:

« E va bene… »

Mise su un'espressione così delusa che Taruto non resistette e, cercando di darsi un tono, incrociò le braccia e sbottò più seccato che potè:

« Se la pianti di frignare come una mocciosa, vedrò se puoi venire un po', un giorno. »

« Sul serio?! »

« Se si può! – chiarì severo – Dovrò aiutare anch'io la senpai. Non stiamo mica giocando! »

Purin annuì una decina di volte e gli gettò le braccia al collo, saltellando euforica: una conferma, secondo Taruto, che lei stesse progettando di farlo morire per un coccolone.

« Insomma, piantala di appiccicarti! »

La allontanò a fatica e si sollevò a mezz'aria, giusto per evitare che lei si attaccasse ancora al suo collo:

« I comunicatori ce li avete. – borbottò, cercando di far calare il rossore – Cercate di non mettervi nei guai. »

« Ci vediamo Taru-Taru! »

Lui replicò con una linguaccia e si teletrasportò via. Minto sospirò seccata:

« Non so perché, ma credo che sia più probabile il contrario… »

« Cosa intendi? »

« Che non siamo mai noi a metterci nei guai, Reta-chan. Sono i guai che ci trovano. »

 

 

***

 

 

Quando arrivò finalmente a casa Ichigo era così stanca che l'unica cosa che riuscì a fare, prima di cadere in uno stato di semi coma, fu abbandonarsi completamente vestita sul letto con un sospiro degno di una vaporiera.

« Che razza di vita, quella dell'eroina…! – piagnucolò – Masha, sono esaustaaa~ah! »

« Esausta! Esausta! Piii! »

Era scontato, con la giornata che aveva passato. Assieme alle ragazze era tornata dal pianeta alieno che era mattina e, per evitare problemi coi genitori, era dovuta correre a casa dove non era riuscita a coricarsi nemmeno dieci minuti; nel tempo che si era intrufolata dalla finestra, sua madre era salita per bussarle e dirle di alzarsi, quindi via la divisa dello Yakori e fuori la solita e dritta a scuola. Lì, ovviamente, ogni tentativo di pennichella era stato vanificato – la professoressa di giapponese le aveva dato una librata così dura sulla testa per svegliarla, che si era quasi rotta il naso sul banco – e aveva dovuto faticosamente arrancare fino alle lezioni di recupero per i giorni di assenza, mentre era sotto copertura con le altre.

Ma perché i compiti extra?! Io stavo tentando di salvare la Terra, non merito queste cattiverie, nyaa~ah!!

A coronare il suo sfinimento, per l'ennesima volta non era riuscita a vedere né sentire Masaya che per un paio di minuti mentre camminava dalla fermata del treno a casa: il ragazzo era stato molto sbrigativo, ma le aveva accennato a grosse novità in arrivo, per le quali sembrava molto eccitato.

« Una grossa sorpresa… Secondo te cosa potrebbe essere? »

« Cosa, cosa? Non lo so, piii! »

« Magari qualcosa di speciale per noi due…! – prese a fantasticare – Non riusciamo mai a starcene un po' da soli con calma, magari sta organizzando un viaggetto… »

« Viaggetto, viaggetto piii! Week-end romantico, piii! »

La rossa rise deliziata e prese il robottino tra le mani, strusciandoselo sulla guancia:

« Non sarebbe fantastico? »

« Sei felice! È fantastico, è fantastico, pii! »

Lei gli diede un bacino sul musetto e si sforzò di alzarsi, sbadigliando:

« Beh, non reggerei una bella notizia stanca come sono! Dai Masha, ce lo facciamo  una bella dormita? »

« Dormita! Sì, sì, pii! »

 

 

***

 

 

« Sei allegra, oggi. »

Disse Retasu con un sorriso; Ichigo annuì spensierata continuando a canticchiare mentre spazzava il pavimento.

« Ha la stessa faccia da due giorni. – sospirò Minto con superiorità – Vorrei proprio sapere cos'hai da essere così felice. »

« Il tuo sarcasmo non mi tocca. – replicò trionfante la rossa – Quindi puoi anche risparmiare il fiato. »

L'altra la guardò scettica, ma alzò le spalle e continuò a bersi il suo the con tutta calma. Ichigo intanto terminò col pavimento e passò a lucidare i tavoli senza smettere di fischiettare allegra: la notizia – o per meglio dire mezza notizia – datale da Masaya su "grosse novità" l'aveva caricata per una giornata intera e, finalmente, il moro le aveva annunciato che quel pomeriggio sarebbe venuto al Caffè e le avrebbe potuto rivelare tutto. Era così eccitata che non smetteva di passare da un lavoro all'altro nel locale, rubandolo anche alle compagne; la sua mente aveva già ricamato ogni possibile variazione di sorpresa sentimentale, passando da probabili ma banali uscite pomeridiane a proposte di paradossali fughe romantiche.

« Hai finito di pensare ad Aoyama? Stai sorridendo come un'idiota… »

Si girò imbesuita a guardare Ryou senza togliersi di dosso la stupida smorfia ridacchiante, coronata da un rivolo di bavetta; quando se ne rese conto, perché lui  le stava rivolgendo il suo miglior sorriso di sufficienza, arrossì di botto e lo guardò torva:

« C-c-cosa ti fa pensare che stia pensando a Masaya-kun?! »

« Perché ora hai anche le orecchie rosse, non solo i capelli… – fece perfido – Stai ancora sbavando. »

La pelle della mewneko si accese di un altro tono e lei gli diede le spalle piccata, nascondendosi malamente mentre si asciugava le labbra:

« Sei insopportabile, Shirogane! »

« Tu invece, sei stranamente efficiente. – dovette ammettere – Come mai tutta questa energia? »

Lei non doveva aver colto il sottile tono caustico con cui le pose la domanda, perché tornò a guardarlo inebetita dalla gioia e non gli rispose ridendo come una stupida.

Ryou si sorprese di sé stesso, non avrebbe mai pensato di possedere un simile istinto omicida.

Kami-sama, quanto odio quell'ameba di ragazzino!

« Sai bene che non ti concederò permessi di alcun genere. – puntualizzò duro – E ti ricordo che vi sareste prese un impegno con certi alieni, hai presente… Per la salvezza dell'Universo? »

« Ah. Ah. Ah. – sillabò lei con acidume – Guarda che non…! »

Ci fu un tintinnio e la porta si aprì. Nel giro di due secondi Ichigo tornò a sorridere raggiante, lasciò Ryou dritto in piedi dove si trovava e si fiondò sull'ingresso, continuando ad abbracciare la scopa. Ryou avrebbe potuto giurare con orrore di vederle uscire fiori e cuoricini dalla testa.

« Buongiorno. »

« Masaya-kun! Bene arrivato! »

Le altre ragazze salutarono di rimando il moro con entusiasmo. Solo Zakuro si limitò ad un cenno col capo, lanciando un'occhiata in tralice a Ryou e dovette ammetterlo: nei panni del biondo, ad una vista simile neppure lei sarebbe stata sicura di rimanere così stoica.

« Scusatemi, potrei rubarvi un secondo Ichigo? – chiese gentilmente Masaya – Promesso, ve la riporto nel giro di cinque minuti. »

L'ultima parte era rivolta a Ryou, che si limitò ad un tranquillissimo come vi pare e se ne tornò in cucina da Keiichiro, cercando di soffocare con tutte le proprie forze l'astio per l'aria soddisfatta di Masaya. Purin, Minto e Retasu invece, ridacchiarono maliziose e annuirono mentre Ichigo trascinava il suo ragazzo verso l'uscita sul retro arrossendo come un'aragosta.

« Accidenti a loro…! – borbottò chiudendo la porta – Scusale, sai come sono. »

Lui sorrise con la sua solita dolcezza.

« Allora! – esclamò la ragazza con gli occhi che brillavano – Cosa dovevi dirmi? »

Masaya fece il sostenuto ancora un secondo e poi s'illuminò in viso:

« È grandioso! Mi hanno preso! »

Lei sgranò gli occhi senza capire:

« Preso…? »

« C'è un corso, sai, in Inghilterra…! – continuò a spiegare emozionato – Me ne parlò il professore ad inizio anno, dicendomi che con la mia media scolastica e il mio inglese avrei potuto parteciparvi. »

Lei non mutò espressione, il mezzo sorriso rimastole gelato sulle guance:

« E…? »

« Si tratta di un corso per valutare le potenzialità di studenti stranieri in vari ambiti, che potrebbe permettermi una borsa di studio per l'università! »

Ichigo continuava a non reagire. Lo sentiva parlare, lo vedeva così esaltato da non trovare un punto adatto per fermarlo e chiedergli cosa centrasse lei in quelle chiacchiere, mentre il romantico castello che si era costruita nella testa si sbriciolava sempre più velocemente.

« E mi hanno preso! – ribadì lui al settimo cielo – Potrò partire tra una settimana! »

« Potrai… Cosa?! »

Il ronzio confuso dei suoi pensieri si arrestò di colpo e la domanda le uscì quasi come un urlo.

« Partire? »

Ripeté a pappagallo.

« Riesci ad immaginarlo? Sei mesi ad Oxford! Ci vogliono anni di studio e non so quanto altro per entrare lì, e io potrò assaporarlo per sei mesi. »

Sei mesi…?

Sei mesi?!

« Sei mesi… »

« Finalmente potrò fare la ricerca sui Red Data Animal. Ora… Piccola, che succede? »

Alla fine si era accorto che lo stava fissando con occhio vitreo da animale imbalsamato; lei non gli rispose subito, incapace di focalizzare un pensiero logico che non fossero i pochi, focali punti del suo discorso.

Inghilterra. Partire. Sei mesi.

Partire.

Inghilterra. Europa. Un continente e mezzo di distanza, o un continente e due oceani, a seconda dei punti di vista; novemila chilometri, o giù di lì.

Sei mesi. Centottanta giorni.

« Non… Mi avevi detto nulla… »

Masaya di colpo parve spegnersi e si intristì:

« Non c'è stato nulla di certo fino all'ultimo – si giustificò mortificato – e visto che sarebbero passati solo gli studenti coi migliori voti agli esami dell'ultimo trimestre io h- »

« Sì… – annuì meccanicamente – Ti sei concentrato nello studio, ovvio… »

« Tesoro… Mi dispiace non volevo… Credevo che fosse una bella notizia. »

Ichigo lo guardò ancora inespressiva, meravigliandosi di come un ragazzo così intelligente e premuroso potesse rivelarsi un tale insensibile idiota.

Felice?

Le stava annunciando che per ben sei mesi si sarebbe trovato quasi dalla parte opposta del mondo. Senza di lei.

E non le aveva detto una parola per tutto quel tempo.

Certo, sprizzava dalla gioia!

« Scusami, hai ragione. – mormorò lui, la voce piegata dal senso di colpa – Avrei dovuto dirti qualcosa. »

Sembrava un bambino che aveva portato il primo perfetto compito in classe alla madre, ma non aveva ricevuto i giusti elogi.

« Non preoccuparti, ora… Parlerò col professore. Gli spiegherò e- »

« No. »

Gli afferrò il braccio per evitare che continuasse e gli sorrise tirata e al contempo più dolce che potè:

« Tranquillo. Beh lo ammetto… »

Cercò di mandare una risata scanzonata e le uscì un rantolo non meglio identificato:

« Un po' sono arrabbiata…! Ma posso capire perché tu non me l'abbia detto. »

Qualcosa, nei più profondi recessi della sua testa, le stava gridando contro ogni sorta di insulto conosciuto.

Capire?! No, non capiva perché non glielo avesse detto!

Non le stava salvando la vita da una minaccia aliena, non le stava impedendo di farsi uccidere da mostri zannuti e squamosi o da pazzoidi coi capelli ossigenati! Nulla di simile aveva fatto dicendole niente!

Le aveva semplicemente mentito su una possibile assenza di sei mesi!

« In fondo si tratta del tuo sogno, no? Fare ricerche sui Red Data Animal per salvarli dall'estinzione. »

Possibile che fosse così vigliacca, così spaventata all'idea di ferire il suo adorato ragazzo – che doveva avere un validissimo motivo, escludendo i sopracitati, per non dirle nulla di quel viaggio – da non urlargli contro quanto quel silenzio la ferisse?

« Non è meraviglioso? »

Avvertì la sua voce che calava di parecchi toni e abbassò lo sguardo, incapace di reggere la faccia da brava fidanzata accondiscendente. Sentì il fruscio della camicia di Masaya e le sue braccia che la stringevano con foga, avvolgendola col suo profumo:

« Perdonami! – le sussurrò all'orecchio, accarezzandole la nuca – Giuro! Mi farò perdonare…! Chiederò se è possibile ridurre il tempo di permanenza… E ti chiamerò tutti i giorni! Sempre! Oh, Ichigo…! È tutta colpa mia, non volevo renderti così triste! »

Lei si lasciò stringere intanto che sentiva il groppo alla gola premere sempre più forte e i bordi degli occhi inumidirsi. Restò a farsi cullare mentre prendeva grossi respiri perché tutto il suo essere recuperasse la calma.

Sì, non glielo aveva detto, ma…

Del resto, era così importante per lui! Una simile occasione…!

E come poteva ferirlo ancora? Era già così mortificato di averla fatta stare male…

In quel momento non era in grado di capirlo, ma col senno di poi si sarebbe data un premio per il suo autoconvincimento. E per la sua stupidità.

Allontanò un pochino il moro e si asciugò gli occhi sorridendogli appena:

« Ci sentiremo, vero? »

« Tutti i giorni, piccola. »

Le rispose col sorriso più caldo e gentile che aveva.

« E non partirai subito, vero? »

« Una settimana. – disse grave – Ma in questi giorni sarò esonerato dagli allenamenti per prepararmi al viaggio: ci vedremo tutti i giorni, per tutto il tempo che vorrai. »

« E andremo dove voglio io? »

Chiese con un risolino; lui ammiccò:

« Anche sulla Luna, amore. »

Lei sorrise ed acconsentì. Masaya le asciugò delicatamente le guance e la baciò senza lasciarla un momento, sfiorandole i capelli con dolcezza. Rimasero così per alcuni minuti finché dal locale non iniziò a provenire un confuso parlottio e un gran rumore di sedie, segno che la clientela iniziava a popolare il Caffè.

« Devo rientrare ora… »

« Certo. – le accarezzò ancora il viso e la guardò premuroso – Vuoi che parliamo ancora un po'? Spiegherò io a Shirogane-san… »

« No, stai tranquillo. E poi è meglio evitare! – fece stirando un sorriso sghembo – Shirogane mi ha già minacciata, se chiedessi altri giorni di permesso mi dimezzerà lo stipendio! »

Masaya si lasciò sfuggire un sospiro divertito, le diede un altro tenero bacio sulla guancia e poco convinto la lasciò rientrare senza dirle altro.

Minto quando vide rientrare la rossa tirò uno sbuffo seccato misto a sollievo, forse per via dei due vassoi carichi di ordini che reggeva in mano:

« Finalmente! Ma si può sapere quanto ci hai mes- »

« Uh? Cosa c'è? »

Ichigo le vide posare i vassoi su un tavolo vuoto e trottarle incontro:

« È  tutto a posto? Sei pallida e hai gli occhi rossi. »

« Sto benissimo! – sorrise allegra – Gli occhi…? Sarà che prima ho starnutito così forte che mi hanno lacrimato. »

Era una delle bugie più patetiche che avesse mai detto, ma un nuovo ordine le impedì di aggiungere altro e la costrinse a tornare all'opera, sorvolando sulle preoccupazioni della mewbird. Quel pomeriggio il locale si era riempito come non mai e ben presto qualunque traccia di malumore della rossa fu soppiantata dal suo sorriso professionale e dalla stanchezza della giornata.

Le ore passarono veloci e piene tanto che nessuna delle ragazze si accorse dell'ora finché non videro Keiichiro porre il cartello CHIUSO sull'uscio del Caffè:

« Molto bene ragazze. – annunciò cordiale – Un ottimo lavoro, come sempre. »

Tutte e cinque sorrisero.

« Potete pure andare – concluse – alla cucina e all'inventario penso io. »

« Aspetta – si illuminò un secondo Ichigo – avevi detto di aver finito lo zucchero, vero? »

« Ah, è vero! »

« Se non ricordo male in magazzino ce n'è ancora – gli sorrise lei – se vuoi ci penso io. »

« Te ne sarei molto grato, Ichigo cara. »

La rossa scivolò via e si dileguò veloce giù per le scale, facendo un cenno di saluto alle amiche che andavano a cambiarsi; troppo breve, per rendersi conto dell'occhiata infinitesimale che si erano lanciati Zakuro e Ryou.

Se Ichigo fa volentieri del lavoro extra non pagato, io sono moro e con gli occhi verdi.

 

 

Ryou aspettò a correrle dietro per chiedere spiegazioni, ignorando la curiosità – o preoccupazione? – che aveva, come Minto, da quando aveva visto la faccia della  rossa dopo la chiacchierata con Aoyama.

Cinque minuti.

Dieci minuti.

Venti minuti.

O lo zucchero lo stava andando a raccogliere personalmente nei campi, o era rimasta sepolta da qualche sacco di farina messo nel posto sbagliato.

Il biondo scese svelto di sotto, cercando di convincersi che quello che lo muoveva era la stizza per la probabile goffaggine di Ichigo e non, come il pizzicore al petto gli suggeriva, il timore che qualcosa non andasse e si ritrovò di fronte ad una porta semichiusa sull'oscurità. Sbuffò e aprì mugugnando:

« Mi dici cosa speri di trovare al buio? Non credo che… »

Il chiarore proveniente dal corridoio illuminò per prima cosa la schiena di Ichigo, accucciata sul pavimento; poi, prima che Ryou potesse chiederle alcunché, lei si voltò alla luce mostrando un viso arrossato e gonfio per le lacrime.

Il pizzicore al petto del biondo divenne una stretta nel vederla in quello stato; nel momento in cui lei si rese conto che la stava guardando balzò in piedi prendendo a fregarsi crudelmente il viso già tumefatto, asciugando senza successo lacrime che non accennavano a smettere di scendere.

« Ehi, ehi! »

Ryou le prese le mani e l'ascoltò respirare a scatti e singhiozzi.

« Che succede? »

« N-no… No, niente…  Solo… »

Tirò su col naso e mancò poco che si schiaffeggiasse gli occhi nel tentativo di asciugarli; e dire che era corsa di sotto per evitare domande da parte delle ragazze… Ma doveva avere la sfortuna di farsi vedere da Ryou mentre piangeva come una fontana. Scosse forte la testa e le sfuggì un singulto secco e poi ancora lucciconi; Ryou le prese di nuovo le mani perché la smettesse di agitarsi, ma lei insisteva a tenere le labbra serrate e a scuotere la testa senza parlagli.

« Ichigo, che succede? »

Bastò il tono appena più dolce del solito e Ichigo cedette, tornando a gemere senza controllo:

« Non… Detto… Sei… »

« Oh my God, Ichigo calmati. Non capisco una parola. »

« Andrà… In I-I-Inghilterra… Sei mesi… »

« In Inghilterra per sei mesi? – chiese e lei annuì confusamente in conferma – Stai parlando di Aoyama? »

Un gemito più acuto e un altro col capo.

« Farà… Un corso di… Non so… – continuò più comprensibile – E starà la per… Sei mesi… »

Aoyama in Inghilterra? Per sei interi mesi l'odioso ragazzo perfetto fuori dai piedi?

Natale era in anticipo.

« E non mi ha…! Non…! »

« Come? »

« Non mi ha… Detto niente…! Lui va… Va via e… Non mi diceva… Niente! »

L'entusiasmo di Ryou scemò appena, se aveva capito bene il discorso non si capacitava più di come Ichigo potesse amare quel tipo.

« Lui… Va in Inghilterra sei mesi, e non ti avrebbe detto niente? »

Lei scosse la testa, schiaffeggiandogli il naso con la crestina:

« Mi ha detto… Oggi… – il suo respiro fi attraversato da un tremito sproporzionato – E partirà tra sette giorni! »

Qualcuno aveva ancora il coraggio di sostenere Aoyama e dirgli che non era un idiota?

« Ichigo, ho capito, ma ora calmati… »

« È … È  il suo sogno! Lo so! – proseguì ostinata – È fantastico… Però…! Però…! »

Un altro forte pigolio e non riuscì a far altro che singhiozzare. Ryou la fissò immobile, incapace di comprendere perché lei stesse ancora difendendo il moro: sì, lui non poteva essere che contento che l'ameba non si trovasse nel raggio d'azione della rossa per metà dell'anno ma… Per vederla in condizioni simili avrebbe sopportato di riaverlo perfino a lavorare al Caffè.

D'impulso la strinse e si stupì di non ricevere resistenza. Ichigo si contrasse appena all'abbraccio del biondo, rilassandosi però quasi nello stesso momento; senza troppe cerimonie rannicchiò le mani sul suo torace e affondò la testa nella sua maglia, piangendo senza più controllo.

Ryou la lasciò fare, passandole piano una mano sui capelli e l'altra sulla schiena, chiedendosi cosa gli stesse impedendo in quel momento di sgridarla e dirle che "il suo Masaya" era un imbecille, che non meritava le sue lacrime; chiedendosi cosa gli permettesse di non dirle "lascialo perdere", cosa non lo avesse ancora fatto chinare per baciarla e far smettere quelle lacrime.

Forse lo stesso motivo per cui invece l'avrebbe fatto con tutto il cuore, lo stesso motivo per cui ora stava cercando di consolarla.

 

 

***

 

 

La città di Jeweliria era ormai immersa nel buio e in ogni casa le finestre risplendevano di calore o mandavano sottili raggi di luce attraverso le imposte. Poco fuori dal Palazzo del Consiglio sette figure camminavano in un silenzio teso, le facce scure che non nascondevano il disappunto appena ricevuto; MoiMoi alla fine proruppe torvo:

« Non mi piace questa storia. »

« Nemmeno a me. »

« Ma non possiamo certo rifiutarci, Kisshu. »

Aggiunse Pai severo. L'altro lo fulminò con un'occhiata storta ed Eyner sospirò:

« Quelli che sono sotto esame però non siamo noi, ma loro. – puntualizzò – E non mi sembra giusto piombargli in casa e costringerle a farlo. »

« Preferisci che mandino qualcuno del Consiglio a prenderle? »

« Sando, non cominciare anche tu – lo sgridò MoiMoi – il punto è che non è corretto trascinarle qui a forza. È quello che vuole Ebode. »

« Già. – Kisshu schioccò la lingua – Costringerle ad esibirsi di fronte a tutti, come al circo: obbedienti bestioline sotto gli ordini del consigliere! »

« Nessuno vuole questo Kisshu. – lo interruppe Teruga – Infatti, vi stavo proponendo, quantomeno, di avvisarle. »

« Ma non è che così abbiano possibilità di scelta. »

L'anziano guardò Kisshu senza rispondere.

« Se è inevitabile – sospirò – allora è meglio dirglielo quanto prima. »

MoiMoi guardò un secondo Pai, con la tipica espressione di quando cercava una soluzione, ed era certo che anche il suo kohai ci stesse rimuginando: sapeva bene quando qualcosa non lo convinceva.

« E se mostrassimo la vostra lotta sulla Terra Pai-chan? – propose appena – Dovresti avere ancora dei dati, vero? »

« Temo che non basterebbero – replicò asciutto – penserebbero che sono contraffazioni. »

MoiMoi sospirò; poi di colpo si voltò a guardare ancora il ragazzo e questi sgranò gli occhi: dopo anni di lavoro fianco a fianco era facile capirsi, almeno quando si trattava di far lavorare il cervello.

« Senpai, sei un genio. »

« È perfetto! – mormorò MoiMoi eccitato – Gireremmo i piani di Ebode contro di lui! »

« MoiMoi-san, vi spiacerebbe spiegarvi meglio? »

Domandò confuso Teruga e MoiMoi sorrise furbo:

« Che se vogliono vederle, sarà alle loro condizioni, non a quelle di Ebode. »

 

 

***

 

 

Ichigo si lasciò andare con la testa sul cuscino e si tirò fino al naso le morbide coperte color fragola, sospirando malinconica; aveva pianto così tanto che le bruciavano gli occhi e la testa le pulsava tanto che voleva solo dormire. Il piccolo Masha la stava guardando impensierito, ma non emetteva neppure il suo consueto piii per non infastidirla e si limitava a svolazzarle vicino con aria triste.

« Ehi, non fare quella faccia. – gli sussurrò con dolcezza la mewneko – Su, vieni qui. »

Il robottino si appoggiò al guanciale e lei gli sorrise:

« Non devi preoccuparti, ora sto molto meglio… Sono solo stanca. »

Lui la studiò qualche secondo per poi sorridere e, convinto come sempre dalle parole della padroncina, si lasciò fare qualche grattino dietro le orecchie pigolando deliziato. Ichigo proseguì a coccolarlo finché lui non chiuse gli occhioni rosati ed iniziò ad emettere un ritmico e lievissimo grattare metallico; lei rimase a esaminarlo un paio di minuti, sbuffando rassegnata.

Il mio piccolino l'ha costruito un genio che non si è preoccupato di sapergli fare nemmeno le addizioni… Ma in compenso, sa russare.

Sospirò arrossendo lievemente:

« Oggi ho fatto una cosa imbarazzante… »

Quando quel pomeriggio Ryou l'aveva abbracciata avrebbe dovuto allontanarlo; sapeva che il ragazzo l'aveva fatto per consolarla, ma lei avrebbe dovuto comunque rifiutare una premura del genere. Invece si era stretta al biondo con disperazione, restando lì fino ad aver sfogato tutta la sua tristezza e la sua frustrazione.

La verità era che tra le sue braccia si era sentita totalmente al sicuro; nel momento in cui il suo cuore sembrava annegarle in petto, Ryou era stato un'ancora di salvezza e lei ci si era aggrappata  con tutte le forze.

Sospirò per l'ennesima volta, non solo era stata ingiusta nei confronti di Masaya abbracciando un altro ragazzo, ma aveva anche messo di certo in imbarazzo Ryou approfittando di uno – stranamente – emotivo gesto di gentilezza.

« Uffa, perché mi ritrovo sempre in queste situazioni? – gemette nel cuscino – Non ne posso più! »

Sfregò il viso nella federa fino ad elettrificarsi la frangetta e quindi si arrese sconsolata; l'unica soluzione che al momento vedeva era scusarsi con Ryou e chiedergli di fare finta di nulla, oltre ovvio non dire niente a Masaya: stare sei mesi separati sarebbe stato ancora più difficile se si fossero salutati bisticciando. Con quell'idea nella mente Ichigo chiuse gli occhi e dopo poco finalmente si addormentò.

 

 

 

Ichigo

Ichigo.

 

"… Questa voce…

Sei di nuovo tu?"

 

Vide la figura indistinta ai suoi occhi farle un impercettibile cenno col capo.

 

"Tu…"

 

Sapeva chi era. Lo sapeva, ma…

 

Qualcosa ti turba, Ichigo.

 

"… Come posso sapere che sei tu?"

 

Non puoi.

 

Fu la triste risposta.

Lo percepì fare qualche passo avanti.

 

Non ancora.

 

"Non capisco."

 

Le fece un cenno noncurante e le arrivò abbastanza vicino da prenderle con dolcezza un braccio.

 

Ichigo, ascolta.

Ho poco tempo!

Non c'è abbastanza forza, ancora…

 

Come la prima volta lei potè solo acconsentire ad ascoltarlo.

 

Ricordi cosa ti dissi la prima volta?

 

"Che non sei lui, né Lui."

 

Lo percepì sorriderle.

Lui annuì.

 

"Non capisco."

 

Non importa, ora. Ma devi tenerlo a mente.

Mi raccomando, piccola Ichigo.

 

Lei annuì ancora, anche se più seccata.

Lo sentì ridere.

 

So che non ti piacciono queste cose.

Ma non posso dirti di più.

Potrebbero sentirmi.

 

"Chi?

Chi potrebbe sentirti?"

 

Non le rispose e la sua voce s'incrinò appena di preoccupazione.

 

Ascoltami.

Loro avevano trovato le Vie, ma hanno perso la Chiave.

Dovete trovare le altre prima che vi raggiungano.

 

"Vie? Loro? Parli degli Ancestrali?

Ti prego! Sii più chiaro, non capisco!"

 

Capirai.

Per ora ascolta, e rammenta bene.

Quando sarai in dubbio, segui il tuo secondo istinto.

 

"Il mio secondo…?"

 

Capì che doveva aver sobbalzato, spaventato.

Come la volta precedente le rivolse un appena intuibile sorriso, sfiorandole la fronte con labbra morbide e fredde.

 

Fai attenzione, Ichigo.

 

"Aspetta…! Ti prego…"

 

 

 

« Aspetta! »

Si tirò su così di scatto dal letto che Masha rotolò giù dal cuscino sbattendo sul pavimento con un lamento acuto.

« Ichigo! – protestò rialzandosi – Che male! Che male! Piii! »

Lei impiegò qualche secondo a focalizzare la sua figura rosata che le svolazzava di fronte al naso:

« Masha… Scusami, piccolo… »

« Hai fatto un incubo? Incubo? Piii? »

La rossa non gli rispose. Guardò un momento fuori dalla finestra, non era neppure l'alba.

« Perché? Di nuovo… »

Si massaggiò la fronte preoccupata; credeva che la notte in cui aveva sognato la MewAqua avesse avuto solo l'impressione di vederlo, invece era successo di nuovo.

« Non è possibile! – mormorò – Lui era… »

« Ichigo. Ichigo. Cos'hai, piii? »

Lei si limitò a sorridergli e a dargli un buffetto sulla testolina per rassicurarlo.

In fondo poteva benissimo essere solo un sogno, anche se le recenti esperienze le avevano dimostrato di farne di abbastanza premonitori.

Ma se era vero…

Come poteva essere ancora vivo?

 

 

***

 

 

Arrivò al Caffè che erano le 10, per la sua media stranamente in orario al turno domenicale. Attraversò il vialetto d'ingresso sbadigliando come un ippopotamo e in preda allo sconforto, dopo quel sogno con la misteriosa figura evanescente non aveva più chiuso occhio e visto che nemmeno il resto della nottata era stato molto ristoratore, aveva così sonno che si sarebbe potuta addormentare su uno dei cespugli accanto a cui stava camminando.

« Che barba… Lavorare anche la domenica, per giunta tutto il giorno! – si lagnò, aprendo la porta – Ryou è uno schiavista… »

Sobbalzò accorgendosi che l'americano era proprio appena dietro la soglia e la fissava inespressivo: se l'aveva sentita, era spacciata.

« Ichigo. »

« S-sìì~ì ♪? »

« Stranamente in orario. »

Constatò incolore; lei rise nervosa finendo di entrare:

« Già, visto? – fece con voce acuta – Ogni tanto i… Masaya?! »

Ecco.

Tutto poteva aspettarsi, tranne vedere il suo ragazzo tranquillamente in piedi di fronte a Ryou.

La colse un brivido freddo: che il biondo avesse detto qualcosa su quanto accaduto il giorno prima e quindi Masaya fosse pronto per la Santa Inquisizione?

Si smentì subito, fosse stato così il moro non le avrebbe sorriso come stava facendo.

« Masaya… Cosa…? »

« Ti avevo promesso che saremmo usciti assieme tutti i giorni, prima che partissi. – le ammiccò – Oggi però eri al lavoro, così sono venuto a chiedere il permesso al tuo capo. »

Rivolse un sorriso cordiale a Ryou che rispose con un piatto grugnito d'assenso; non era ancora riuscito a capire se quella di Masaya fosse effettiva cortesia, o semplice arroganza nascosta da modi civili. Ichigo guardò i due fermandosi infine sull'americano, studiandolo speranzosa:

« E…? »

« Per il turno pomeridiano ti voglio qui. In anticipo. – aggiunse – E ovviamente riceverai solo metà della paga. »

La rossa saltellò sul posto in preda alla gioia:

« Sul serio?! Io… Grazie! »

Corse come una matta fino agli spogliatoi per posare la borsa e poi di nuovo fuori trascinandosi dietro Masaya; si fermò dopo pochi metri, però, e concitata disse:

« Aspetta, un secondo, Masaya-kun. Io… Arrivo, un momento! »

Trottò indietro attraverso la porta aperta e placcò Ryou sull'ingresso dov'era rimasto immobile:

« Graziegraziegraziegrazie! – fece a raffica, levandogli le braccia dal collo – Giuro, sarò puntualissima! »

« Sarà meglio per te. »

Sbuffò seccato; le concesse un accenno di sorriso mentre in pratica la sbatteva fuori dalla porta:

« Vedi di tornare in forma. »

Lei annuì e saltellò dal suo ragazzo, allontanandosi vero il parco; Ryou invece chiuse l'ingresso e se ne salì in camera senza considerare Keiichiro che, dalla cucina, si era affacciato per vedere cosa stesse succedendo.

« Come si dice, darsi la zappa sui piedi da soli. »

Ryou se ne convinse una volta per tutte, nei suoi geni doveva esserci qualcosa di masochistico. Non c'era altra ragione per farsi così del male.

 

 

***

 

 

Ichigo decise che si sarebbe rimangiata tutte le cattiverie che aveva sempre detto su Ryou.

Ok, non tutte tutte, ma… Una buona parte, sì.

Col permesso di quella mattina si sentiva come rinata. Masaya l'aveva portata in tutti i suoi posti preferiti, facendola rilassare e viziandola in ogni sua richiesta – l'aveva perfino accompagnata a quella bancarella che le piaceva tanto, dove vendevano le sue crepes preferite – e non aveva fatto altro che spiegarle ogni più piccolo dettaglio del suo viaggio, facendola finalmente partecipe dell'evento a cui teneva tanto. Più lo sentiva parlare con aria entusiasta e al contempo afflitta per la consapevolezza della loro lontananza, più Ichigo si sentiva meno prossima all'abbandono, meno triste, e soprattutto i sei mesi le apparivano meno lunghi e meno solitari.

« … E magari – continuò Masaya – durante le vacanze estive potrei venire a trovarti. O potresti venire tu! L'Inghilterra dev'esse meravigliosa d'estate. »

« Che idea fantastica! Sarebbe belliss- »

Sentì un leggero rumore elettronico ripetersi sincopato e si fermò, prendendo d'istinto il telefono. Nessun messaggio.

« Ichigo, sta continuando a suonare… »

Lei impallidì: se non si trattava di un SMS, poteva essere solo un'altra cosa.

Si frugò in tasca turbata ed estrasse il trasmettitore degli alieni, che emetteva ritmici bip soffocati, e lo accarezzò non troppo convinta con l'indice:

« Ehm… Pronto? »

« Ichigo-chan? Ciao! »

La mewneko sospirò sollevata dal tono allegro che uscì dall'apparecchio, forse non c'erano brutte notizie:

« MoiMoi! Dimmi pure. »

« Scusa il disturbo! – trillò l'alieno – Una domandina veloce… Tra quanto vi ritroverete tu e le ragazze alla vostra base? »

« Intendi… Il Caffè? – chiese lei confusa – Le altre dovrebbero essere già lì, io ci andrò tra un'oretta… Perché? »

« Solo un'informazione. – ridacchiò – Allora a più tardi! »

E chiuse la comunicazione senza dare il tempo di replicare.

Ichigo guardò confusa Masaya che le rivolse un mezzo sorriso a disagio e lei mormorò:

« Sbaglio, o ha detto "a più tardi"? »

 

 

***

 

 

Con fare nervoso guardò per l'ennesima volta l'orologio che ormai segnava le cinque passate. Sospirò, servì un altro tavolo, fece un conto, salutò i clienti e guardò di nuovo la parete con aria torva, sospirando ancora.

« Insomma, vuoi piantarla? Sembri una nave a vapore! »

Rivolse a Minto un'occhiataccia e insisté nel suo controllo del quadrante, sempre più nervosa.

« Ma sei sicura di quello che ti ha detto? »

« Certo che sono sicura! – sbottò Ichigo – Quello che non so è il motivo, non ha detto niente. »

Retasu la guardò preoccupata, ma non seppe cosa risponderle e osservò distratta il locale ormai quasi vuoto.

« Considerando quello che è successo di fronte al Consiglio – sospirò Minto amara – temo nulla di buono. »

Ichigo la guardò male, ma non potè replicare e grugnì una risposta affermativa.

Proprio in quello stesso istante la porta si aprì col suo solito tintinnio. Le MewMew stavano per dare l'usuale accoglienza al nuovo cliente con vocina cantilenante, ma il Benvenuti morì loro in gola alla prima sillaba.

« Oh, ti prego Ichigo, finisci la frase! – supplicò Kisshu con un sorriso adorante – Dimmi benvenuto! »

« Kisshu, sei un cretino. »

Bofonchiò Taruto disgustato. Dietro di lui Eyner rise ironico, chiudendosi la porta alle spalle e lasciando MoiMoi a fare un trionfante ingresso:

« Ciao ragazze! »

Loro non risposero, gli occhi sgranati per lo stupore. Ichigo tartagliava:

« M-M-Mo-Mo…?! »

Alieni. C'erano quattro alieni che stavano entrando tranquillamente nel locale. Perfettamente riconoscibili.

« MoiMoi! Siete impazziti?! – sussurrò senza voce – Entrate qui così, la gente…! »

« Ichigo. »

La rossa si fermò al richiamo di Zakuro e si voltò stranita verso di lei.

« Guarda. »

Seguì il cenno della mora e si accorse che nessuno dei clienti si era interessato più di tanto all'ingresso di quattro individui fuori dalla norma. Retasu si portò una mano alla bocca e mormorò:

« Non siete invisibili vero? »

MoiMoi ridacchiò e indicò uno specchio decorativo appeso alla parete, in cui veniva riflesso: sulla superficie lucida, però, Ichigo non vide l'alieno, ma una ragazza terrestre con gli stessi capelli di MoiMoi e con indosso un ricco vestitino in stile Waloli.

« Incredibile… »

Ichigo passò a cercare la posizione giusta per vedere il riflesso degli altri tre alieni e scorse tre normalissimi ragazzi terrestri, con banali magliette e jeans. Niente pelli diafane, niente orecchie appuntite; solo gli occhi e i capelli erano delle loro solite tonalità, anche se avevano perso quel quid di "alieno".

« Ma come avete fatto? »

Domandò Minto ammirata ed Eyner scoprì il braccialetto per la schermatura:

« È una nuova versione speciale. Così possiamo evitare perfino i cambi d'abito. – e sussurrò divertito – Credo che qualcuno sia rimasto traumatizzato dalla cravatta. »

Kisshu grugnì infastidito e non lo degnò di attenzione.

« Sono magnifici! – esclamò Retasu – MoiMoi-san, sei geniale! »

« Non mi prendo tutto il merito – arrossì deliziato – come sempre Pai-chan da alle mie idee quel tocco di classe. È un genietto il mio kohai! »

Retasu era certa che se Pai l'avesse sentito avrebbe seriamente valutato l'ipotesi di surgelarlo.

« Che… Diavolo sta succedendo?! »

« Shirogane! »

A sentire quel nome Kisshu si mise sul chi vive e scurì in volto, guardando le terrestri che bloccavano il loro capo prima che andasse in escandescenze.

« Loro? Qui? »

Domandò Keiichiro sorpreso.

« Sì, ma tranquilli! – proruppe Ichigo – Gli altri non possono vederli, a loro sembrano semplici terrestri. »

Ryou non disse niente e lanciò un'occhiata torva al ragazzo dai capelli verde cupo, che replicò con altrettanta gioia. Eyner li scrutò alcuni istanti e ringraziò il motivo che gli stava impedendo di uccidersi, qualunque esso fosse.

Non si capacitava di come Kisshu trovasse ovunque qualcuno con cui stare di continuo ai ferri corti.

« Mi congratulo con chi ha realizzato dispositivi tanto ingegnosi. »

Stava intanto dicendo Keiichiro, facendo a MoiMoi un lieve inchino per saluto:

« Non credo di essermi ancora presentato… Sono Keiichiro Akasaka. »

« Piacere mio, MoiMoi  Quindi, se tu sei Akasaka… – fece un sorrisetto furbo e indicò il biondo – Tu sei Ryou, uh? »

Lui annuì senza scomporsi.

« Piacere di conoscervi! E, a proposito dei miei giocattoli… – si frugò nelle tasche della gonna e tirò fuori altri cinque bracciali identici – Ta-dà! Nuovi fiammanti per le ragazze! »

« Beh… Grazie. »

Disse Ryou stendendo un sorriso piatto; MoiMoi gli lasciò in mano i dispositivi e ridacchiò:

« Uno a testa. Ma… Non c'è Purin-chan? »

« È andata a fare una commissione. »

Rispose Retasu tranquilla, ma MoiMoi parve non gradire:

« Cosa?!? Siamo venuti apposta per una cosa importantissima! »

« Una cosa importantissima? »

« Già – borbottò Taruto – per la quale la nostra presenza non era necessaria. »

« MoiMoi-san è già stata attaccata – gli fece notare Eyner – e dato che siamo qui in segreto, è un bene che abbia un supporto in caso di guai. »

« E sarà solo la terza volta che te lo spieghiamo… »

« Lo so, Kisshu! – sbottò il brunetto seccato – Non toglie che sia una rottura. »

« Dai, Taru-chan! – ridacchiò MoiMoi – Io sono contenta, ho un gruppo di fichissime guardie del corpo! »

Lui e Retasu risero, con Kisshu alle spalle che borbottava qualcosa sulla scemenza del suo senpai.

« MoiMoi-san – domandò Zakuro – cosa sei venuta a dirci? »

Non le importava più di tanto della presenza degli alieni se non creavano scompiglio o se non dovevano affrontarli, ma la frase precedente di MoiMoi l'aveva messa sul chi vive. Era l'ora di tagliare i convenevoli.

« Devo parlare a tutte. – le rispose fermo – Quando pensate tornerà? »

« Il negozio è lontano – rifletté Keiichiro – se è urgente, potrei andarla a prendere »

« Perché non mandi loro? »

Fece Ryou e indicò Kisshu:

« Col vostro trucchetto dovreste andare e tornare in un paio di minuti. »

L'altro non gradì il suo tono e lo esaminò con un ghigno beffardo:

« Se me lo chiedi gentilmente, biondo. »

« Bella pensata, Ryou. – li interruppe MoiMoi prima che partissero con una battaglia di frecciate – Vai tu, Taru-chan? »

Lui sentendosi interpellato di colpo la guardò senza rispondere e poi aggrottò la fronte:

« L'ho detto che è una rottura… Perché diavolo devo andare io?! »

« È la tua ragazza, non la mia. »

Alla battuta di Kisshu Taruto passò dal rosa al rosso allo scarlatto nel giro di quindici secondi, ma si ostinò a fissarlo con l'espressione più truce e indifferente che gli riuscì:

« Sei tutto scemo? »

« Per favore, Taruto… »

Sospirò Eyner trattenendosi evidentemente dal tirare un pugno nei denti a Kisshu perché stesse zitto:

« Puoi andare tu? »

Il brunetto borbottò altre lamentele ma annuì, malgrado fosse come gli avessero chiesto di spostare una pietra.

« Non perdete troppo tempo a sbaciucchiarvi. »

Il fratello gli berciò contro un vaffanculo uscendo a passo marziale dalla porta e teletrasportandosi via. Eyner alzò gli occhi al cielo fissando di sbieco Kisshu che rideva:

« Se un giorno ti uccidesse, non gli darei torto. »

Kisshu rispose con un ghignetto e l'amico si afferrò la fronte tra le dita, sbuffando.

« Beh, mentre aspettiamo, voialtre cosa fate? Ci sono ancora dei clienti o sbaglio? »

« Che cosa?! – fece Ichigo scandalizzata – Ma Shirogane… »

« Niente "ma", specie da chi ha fatto mezza giornata di ferie. – puntualizzò – Avanti, ti stanno chiamando al tavolo 5. »

Ichigo si mise le mani sui fianchi seccata:

« Sei davvero uno schiavista! Avido, dispot-  »

Cambiò faccia di colpo al nuovo richiamo dei clienti e indossato il suo miglior sorriso corse via, abbandonando le proteste.

« Uao… Dimmi qual è il trucco per farle cambiare così umore. »

Ryou guardò Kisshu con un sorriso cinico:

« Chiamarti Masaya Aoyama. »

 

 

***

 

 

Taruto comparve sopra una via affollata di gente, si guardò attorno e constatato che non c'era traccia di Purin si teletrasportò via imprecando. Era la terza volta che succedeva e cominciava ad essere davvero stufo; si chiese perché fosse stato a sentire le stupide prese in giro di Kisshu, se non si fosse distratto gli sarebbe venuto in mente di chiedere allo spilungone terrestre dove si fosse diretta la mewscimmia.

« Ma dove cavolo si è cacciata?! »

Non sapeva più dove cercarla; in fondo  non c'erano tanti posti che conoscesse della Terra, non si era mai preoccupato di impararli e ormai aveva quasi terminato la sua lista.

Si teletrasportò un'altra volta e sbucò sopra il parco in cui tante volte lui e Purin si erano scontrati.

Io e le terrestri.

Si corresse scuotendo la testa brusco. Fluttuò lì attorno scrutando tutte le panchine, i sentieri, gli alberi e i cespugli, ma non c'era traccia della biondina; sbuffando controllò anche sulle strade limitrofe e fortunatamente scorse un'arruffata chioma color paglia sopra una vezzosa divisa arancione e bianca. Mandò un sospiro di sollievo e atterrò in un vicolo poco più avanti sulla strada percorsa da Purin:

« Ti ho trovata, peste di una scimmia. »

Lei, la faccia nascosta dietro una mastodontica borsa della spesa, piegò a fatica la testa di lato per vederlo almeno con un occhio:

« Taru-Taru? Che ci fai qui? »

« Ancora con quel Taru-Taru? – sbuffò – Comunque, sono venuto a recuperarti. La senpai deve parlarvi. »

« MoiMoi nee-chan? È successo qualcosa? »

Taruto fece spallucce:

« Più o meno… Ma che hai lì davanti? »

« La spesa. »

Sorrise radiosa.

« Per un esercito. – puntualizzò lui poco convinto – Quest'affare peserà un quintale! »

Purin sollevò l'enorme sacchetto sopra la testa e ridacchiò:

« Tranquillo, sono forzuta. Dovresti saperlo. »

« Già. Del resto sei una scimmia no? – la schernì – Qual era il tuo DNA…? Quello del gorilla? »

« Sono una scimmia leonina! »

Sbottò offesa e lui rise:

« Dai, donna forzuta… Te lo porto io. Ora andiamo. »

 

 

***

 

 

Ichigo sollevò la spazzatura e la mise nel bidone emettendo tanti di quei versi che si sarebbe potuto pensare spostasse un elefante. A mani nude e sulla ghiaia.

« Non potevamo chiudere, già che è arrivata MoiMoi? – bofonchiò prendendo il coperchio – Shirogane è proprio impossibile! »

« Sei sempre a lamentarti, micina. Non fa bene alla salute arrabbiarsi così. »

Lei chiuse la pattumiera in un assordante clangore di latta, voltandosi spaventata:

« Kisshu! Accidenti a te e alla tua mania di spuntare alle spalle! »

Si premette forte la mano sul petto e sbuffò stanca:

« Mi hai fatto prendere un infarto! »

Lui rise e le andò più vicino, sorridendole malizioso:

« Mi ricordavo bene di questa divisa. Sai, ti sta d'incanto. »

Lei lo fissò un secondo poco convinta a dargli corda:

« Grazie… »

Mormorò soltanto.

« Coi tuoi capelli… E il faccino rosso come lo hai ora, sembri davvero una fragolina.– sussurrò provocante – Mi viene voglia di mangiarti. »

« Imbecille! »

Esplose pregando che il prurito che sentì guizzarle sulla testa fosse solo un prurito e non le sue orecchie feline che cercavano di spuntare; non poteva certo farsi venire il batticuore per una battuta di Kisshu. Lo superò sdegnosa facendo per tornare dentro e lo sentì ridere:

« Era un complimento, micina, non arrabbiarti. »

« Beh, io non gradisco! »

« Ah no?  »

La studiò in silenzio con un brillio di lascivia negli occhi dorati e Ichigo sentì lo stomaco contrarsi piacevolmente, ma restò a fissarlo ammusonita scongiurandosi di non arrossire:

« No. »

« D'accordo. »

La voce arrendevole strideva col suo sorriso compiaciuto:

« Io invece li accetto volentieri. Da terrestre come sto? »

« Kisshu, io ti vedo come al solito. »

Lui fece un'espressione delusa e prese ad armeggiare col bracciale al suo polso; Ichigo sentì un clink, vide l'immagine del ragazzo tremare un secondo e di colpo ai suoi occhi Kisshu apparve vestito come un terrestre.

« Allora? Come sto? »

Lei lo fissò stranita:

« Ma come hai fatto? »

« Nuovo optional. – ammiccò e le mostrò una rotellina invisibile sul bracciale – Possiamo aumentare il livello di schermatura. Ad 1, solo le persone su cui è tarato posso vedere chi realmente c'è sotto lo schermo; a 2, come adesso; a 3, la mimetizzazione è completa e c'è una mutazione fisica. »

« Fisica? »

« Diciamo che se ora lo mettessi a 3 – continuò – sarei in tutto e per tutto umano. »

« Cioè – domandò titubante Ichigo – anche se ti guardassi io? »

« Anche se mi toccassi, avrei tutte le caratteristiche di un terrestre. – e sussurrando eccitante aggiunse – Vogliamo provare? »

Si trattenne dal riderle in faccia mentre lei diventava rossa così di botto da passare da amabile a ridicola: la vide cercare un insulto abbastanza efficace per replicare, ma non parve trovarne e boccheggiò muta guardandolo col colorito di un gambero.

« Allora? – insisté Kisshu approfittando del suo sbandamento – Come sto? »

Ichigo studiò i jeans a sigaretta dall'aria un po' consunta e la maglia nera aderente con lo scollo tondo, abiti semplici e perfetti sul fisico asciutto e forte dell'alieno. Lei sentì il cuore dare una brusca accelerata e la faccia salire di temperatura, mentre il ragazzo sorrideva allusivo:

« Immagino di essere uno spettacolo piacevole. »

Con un tintinnio alla rossa spuntarono orecchie e coda mentre guardava furente e paonazza Kisshu e scoppiava:

« SEI SOLO UN MANIACO! »

Lo piantò lì scappando verso il retro, ma a Kisshu non importò: gli era sufficiente la codina nera che svoltava dietro l'edificio come risposta più che affermativa.

 

 

***

 

 

« Mmmm! Che buono! – mugolò MoiMoi agitandosi sulla sedia – Akasaka-san, è buonissimo! »

« Ti ringrazio. – gli sorrise l'uomo – Il gâteau au chocolat è uno dei nostri prodotti più venduti. »

« Senpai, non agitarti tanto… Anche se ora siamo rimasti solo noi – le fece notare Eyner – forse stai esagerando. »

MoiMoi prese un'altra forchettata di dolce e gioì più forte, incurante delle sue proteste.

« Kei, non puoi sempre far scroccare tutti in questo modo! »

« Non essere sgarbato, Ryou – lo blandì – MoiMoi-san e gli altri ora sono nostri alleati, e non esiste che non si offra qualcosa ad un'ospite così intelligente e graziosa. »

« Io e te diventeremo ottimi amici! »

Ridacchiò MoiMoi e Ryou sospirò a fondo:

« Una fetta di torta – guardò sconsolato l'alzatina ormai vuota – non una intera. »

« Un sano appetito è segno di buona salute. »

Sorrise Keiichiro.

« È con questa scusa che permetti ad Ichigo di papparsi almeno una torta a settimana, vero? »

Retasu, in piedi vicino all'alieno assieme ad Eyner, ridacchiò garbata.

« Certo che questo posto… »

« È un po' troppo femminile? »

Domandò la verde; Eyner stirò un sorriso sghembo:

« Diciamo che non è nelle mie corde. »

Lei sorrise divertita.

« A proposito, Retasu-chan. »

Il bruno prese una borsa di stoffa che lei notò solo in quel momento:

« Te lo dovevo riportare. »

Era il bento che Retasu aveva preparato il primo giorno allo Yakori. La ragazza prese il sacchetto e sorrise:

« Grazie. Era buono? Mi spiace, alla fine te lo sei portato dietro… »

« Scherzi? Avevi fatto lo sforzo di farlo, non potevo sprecarlo. »

Lei gli fece un cenno e sorrise di nuovo. Quando aveva trovato il ragazzo, quel giorno a pranzo, aveva scoperto di essersi impegnata inutilmente e che lui aveva mangiato per i fatti suoi; si sarebbe riportata indietro il bento senza problemi, ma Eyner aveva insistito per poterlo avere lo stesso per non vanificare la sua premura.

« E per risponderti, era buonissimo – disse gentile – Sury ne è andata matta. »

Retasu lo ringraziò con un cenno arrossendo appena. Era piacevole chiacchierare con Eyner, si sentiva molto a suo agio: era gentile e capace di adattarsi ad ogni persona che incontrava compresa lei con cui, immaginava, non fosse semplice rapportarsi introversa com'era; al contempo era determinato e sembrava in grado di cavarsela in ogni situazione, come aveva dimostrato tenendo testa ad Ebode di fronte al Consiglio. Le sarebbe piaciuto diventare amica di una persona simile.

« Sury – gli domandò curiosa – è la tua sorellina, giusto? »

Vide che la guardava stupito e sollevò appena le spalle sorridendo:

« Me l'hanno detto Taruto-san e Zakuro-san. »

Lo vide riflettere un secondo sulla frase e sorridere:

« Ah sì, uh? »

« Mi piacerebbe conoscerla un giorno. Deve essere carinissima! »

« Una peste, ma carina. – rise il bruno – Anche tu sei una sorella maggiore? »

Alla faccia sorpresa di lei ammiccò:

« Intuizione. »

« Ho un fratellino che va alle medie. »

« Capisco. Ti somiglia? »

« Praticamente è me coi capelli corti – arrossì lei – occhiali compresi. »

Lui rise piano e fece per continuare, ma un'Ichigo furente, coda nera spianata,  piombò nella sala catalizzando l'attenzione di tutti.

« Ichigo, che ti prende? »

La sgridò Minto; lei rispose quasi soffiando:

« Proprio niente! »

E finì di ripulire l'ultimo tavolo senza aggiungere altro. Nel mentre dal retro spuntò Kisshu fischiettando e, nel vederlo, Eyner lo guardò severo:

« Che hai combinato? »

« Io? Perché dev'essere colpa mia? »

« Perché mi gioco un braccio che ci fossi tu con Ichigo – rispose piatto – o non sarebbe tanto arrabbiata. »

« Possibile che abbiate tutti una così bassa opinione di me? »

Fece offeso, ma il sorriso dipinto sulla sua faccia non scomparve. Ryou sentì le nocche scricchiolare mentre si stritolava le dita in pugno.

« Proprio un maniaco senza alcuna buona creanza. »

« Hai detto qualcosa, cornacchia? »

Minto non potè rispondergli – per sua fortuna – perché finalmente arrivarono anche Taruto e Purin.

Evitato che alla furia di Minto si aggiungesse il brunetto – aizzato per l'ennesima volta da una battuta del fratello – e fatta ritrovare la calma ad Ichigo, MoiMoi si mise in piedi di fronte alle terrestri e incrociò le braccia, sospirando:

« Abbiamo un problema. »

« Si era intuito. – fece Zakuro incolore – Più nello specifico? »

« Avete presente il piccolo intervento di Ichigo al Consiglio, l'altro giorno? »

« Non ricordarlo con quel tono, Kisshu… »

Piagnucolò Ichigo.

« Ha sollevato qualche problema. »

« Dici, Eyner? – disse aspra Minto lanciando un'occhiataccia alla mewneko – Non l'avrei mai detto! »

« Piantatela, guardate che è una cosa grave. – insisté il bruno – I consiglieri hanno avuto qualche dubbio sulle vostre capacità ed Ebode ha colto la palla al balzo, fomentando la cosa. Alcuni che avevano votato a nostro favore non sono più così convinti. »

« Dubbi sulle nostre capacità…? »

« Certo… – intervenne pensieroso Ryou – immagino non faccia colpo una ragazzina di diciassette anni, come eroina della Terra. »

« Come se avessi chiesto io di essere ibridata con un felino! »

« Il punto è – la fermò MoiMoi – che rischiamo ci tolgano l'incarico di cercare il Dono degli Avi. »

Il biondo lo squadrò confuso e lui rispose sbrigativo:

« È così che chiama la MewAqua la mia gente. »

« Se i consiglieri non vi ritengono capaci di lottare, se vi considerano solo delle ragazzine e via discorrendo – concluse Kisshu – non potremmo più collaborare. Dovremmo farlo di nascosto e rischieremmo di ritrovarci alle costole tutto l'esercito di Jeweliria. »

I terrestri non risposero.

« Ma in che bella situazione del cazzo le avete incastrate. »

Non potè evitare di sibilare Ryou e Kisshu lo fulminò con occhi di fuoco.

« A dire il vero Ebode ha suggerito una soluzione, anche se non ancora in via ufficiale, – aggiunse Taruto scocciato – ma è solo una sua tattica. »

« Cosa intendi Taru-Taru? »

« Ha proposto di convocarvi perché dimostriate le vostre capacità di fronte a tutto il Consiglio. – le rispose MoiMoi – Ma fare come dice significherebbe che noi non abbiamo libertà di decisione, e nemmeno Teruga. »

« È una manovra politica in piena regola. – annuì Minto – Se decliniamo, ci troveremmo tutto il Consiglio contro; se accettiamo, saremmo le obbedienti pedine di Ebode. »

« Mi rifiuto di fare una cosa simile. »

Sibilò Zakuro minacciosa e MoiMoi ammiccò furbo:

« Anche noi. Per quello ci è venuto in mente un piano. »

Le terrestri gli si fecero più vicine ascoltando curiose.

« La richiesta di dimostrare la vostra forza verrebbe dal Consiglio e non potremmo rifiutarla, ma se la proponesse Ebode non potremmo accoglierla. La soluzione è rispettare la domanda del Consiglio… Fuori dai piani di Ebode. »

Ichigo e le ragazze lo guardarono smarrite:

« Cosa intendi? »

« Organizzeremo tutto in modo che sembri una casualità. Tanto, voi al momento avete libero accesso al passaggio tra la Terra e Jeweliria. »

« Abbiamo qualche amico al Palazzo Bianco – disse Kisshu – che potrebbe aiutarci. Faremo in modo di farvi dimostrare le vostre doti di fronte a tutti i consiglieri. Noi ci occuperemmo di scortarvi là e di prepararvi "l'arena", Teruga di portare l'intero Consiglio dove vogliamo noi.»

« Volete farci lottare? – domandò Retasu a disagio – Ma… »

« Lo so che non è una cosa piacevole, ma non c'è altra soluzione. – sospirò MoiMoi – Ovviamente, se proprio non… »

« Ma non possiamo semplicemente andare di fronte a quel tipaccio, quell'Ebode, e fargli vedere come siamo toste?! »

Protestò Purin, per nulla entusiasta della tela di sotterfugi che le stavano proponendo; Ichigo la fermò poggiandole una mano sul braccio e si fece seria in volto:

« No… Come ha detto il consigliere Meryold, bisogna usare la tattica giusta. In questo caso, non ne vedo una migliore. »

« Esatto. – sorrise Eyner – Comunque, state tranquille. Prima di farvi "esibire" MoiMoi-san e Pai devono risolvere alcune cose con la Goccia, ci vorrà ancora qualche giorno. Giusto? »

« Tre giorni. – rispose MoiMoi – Verremo a prendervi noi. Poi avete già i dispositivi di schermatura, non dovrete preoccuparvi di altro oltre ad essere in piena forma. »

Le ragazze annuirono piano, tese come corde di violino. Vicino a loro Ryou, che non aveva più detto nulla, parve riflettere e poi disse:

« Senti MoiMoi… Quando tornerete, porteresti anche a me uno di quei dispositivi? »

Tutti i presenti si girarono a fissarlo nello stesso momento.

« Non avrai intenzione di venire, spero. »

« Se devono valutare le ragazze, potrebbe essere utile avere con voi quello che le ha rese come sono ora, Kisshu. – chiarì freddo – Inoltre, in tutta sincerità la situazione non mi da molta fiducia. Voglio venire anche io. »

« Come se tu potessi fare qualcosa. »

Gli sibilò l'altro velenoso. Ryou contrasse la mascella, ma non si mosse né gli rispose guardandolo con superiorità.

« Shirogane, sei impazzito? – gli sussurrò Ichigo – Non p- »

« Penso di essere libero di fare ciò che voglio, Ichigo. – sbottò zittendola e tornò a guardare MoiMoi – Allora? Puoi farne uno anche a me? »

« Certo. E in fondo non è un'idea così strampalata… Sì, avere con noi il creatore delle MewMew può esserci molto utile. »

Fece un altro sorrisino di ringraziamento a Keiichiro per il dolce e si mise vicino ai compagni, pronto a teletrasportarsi:

« Corro da Pai-chan per finire il lavoro. »

I terrestri lo guardarono ma non scucì una parola circa di che lavoro parlasse:

« Ci vediamo tra tre giorni. »

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~

 

*Ria annota una lista* ok, i lettori coi bazooka a destra… Quelli con le accette a sinistra…

Ichigo: che stanno facendo?

Si stanno organizzando per farti fuori, Ichi-chan.

Ichigo: CHE °A°"?!?

Sì, sono consapevole di quello che ho scritto, ma… Scusatemi, vi capisco se vorrete uccidermi. Mi odio da sola, quanto può essere scema la rossa -____-""?!? ho cercato di renderla il più possibile com'è nell'anime cioè, "chissene quanti mi muoio dietro figosi e con un minimo di spina dorsale, passa l'amorfo e… PUFF! Cuoricini e unicorni"

Kisshu/Ryou: una sofferenza ben nota -.-*!

Spero di averla fatta somigliante, il mio lettore beta/moroso dice di sì… Ma ciò non toglie che ora mi unirò alle Ryou&Kisshu fans e massacrerò Ichigo di legnate +__+*.

Ichigo: IIIIIH!!!! *fugge*

Eyner: oook… *gocciolone* mentre l'autrice è persa nel delirio, ringrazierò io per i commenti…

A Hypnotic Poison: noto con piacere che i nuovi personaggi hanno avuto successo ^^, Ria-san ne è felice… *si gira un istante e scorge Ria che insegue Ichigo con aria omicida*… Ok *gocc* purtroppo ha rimandato i chara al prossimo capitolo, non ha avuto tempo di completarli e rischiava di far slittare ancor di più il rilascio di questo.

Kisshu: è una pigra del ***** -.-!

Va a éçé*+òè+ò+è!!!

Eyner: "oddio -.-""…" vabbè… Purtroppo il ritorno di Ryou-san non ti sarà piaciuto troppo (temo ^^"") e… Ehi, che è 'sta storia della friendzone?!

Kisshu: quella dove stai finendo te…

Eyner: Ehi, un momento! Qui non ci stiamo allargando con le supposizioni -\\\-?!?

Kisshu: *evilgrin* sì sì certo…

Zakuro: di che parlate?

Eyner: NIENTE!!

Ok mi avete rotto -.-""… Anche te Eyn sei inutile molla quel foglio…

Su Sando e MoiMoi ho ancora molto da dire ;), ma c'è tempo. Purtroppo anche per le relazione definitive c'è tempo… Le cose sono ingarbugliate!

A Danya: nuooo! Non volevo confonderti ^^""! plz! Nn morirmi!  Purtroppo le situazioni statiche/deliranti continueranno ancora per un po' (da come hai visto qui sopra ;)), ma del resto non posso far mollare così dal nulla Ichigo e l'ameba! Per quanto mi piacerebbe, la cosa deve svolgersi con una certa coerenza di eventi e visto che lei gli muore dietro da sempre (che palle -.-""!) devo adattarmi… Temo che arriveremo a scene da bestemmiare contro la micia e lacrimoni! (sono masochista, poveri i miei bamboli ç_ç"!)

Kisshu/Ryou: ma parli di noi -.-""?

A mobo: noto con piacere che tutte odiano Ebode e invece sventalo bandiere gigantesche per Meryold ^w^, zono felize! xD e che, chi più chi meno, sono piaicuti anche gli Ikisatashi parents ;P! Iader da subito impatto, per Lasa ci sarà ancora tanto da descriverla… Qui ho già cominciato J, ma personalmente mi piace tantissimo :3!

A tutti… Il sondaggio è finito, ho avuto buoni spunti (azie :3), idee diverse, ma decisive… E mi sono spaventata a vedere la coerenza dei nostri pensieri in certi casi °_°""! mi sento una vecchia depravata!

Kisshu: nessun dubio al riguardo.

Bimbo, sto finendo di chinare 32 tavole e sto dietro alla tesi, sono parecchio irritabile! Chiudi il becco o mi divertirò sul tuo cadavere +__+**!!

Kisshu: … "questa fa paura"…

Come ho scritto purtroppo non ho nuovi chara ç_ç, prometto che li metterò al prox! Mi scuso per lasciarvi di corsa, ma il lavoro mi attende! Ci si vede tra un mesetto, XOXO
©©©©©!!!!!

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Capitolo 9
*** Fighting on middle of crossing ***


Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: 
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Farai felice milioni di scrittori. 

 

 

 

 

Sialve! Tutti pronti ad un bel capitolozzo di scazzottate? Succederanno un sacco di cose in poco tempo, quindi non sto a cianciare e vi lascio libera la pista! E giusto perché sono psicopatica, another new entry! (sì, amo complicarmi la vita! *musichetta della Morte Nera*)

 

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Cap. 09 – Fighting on middle of crossing

                 Challenge of arrows, puddings and the strongest warrior (?)

 

 

 

 

 

« Quindi mi dai di nuovo buca. »

Bofonchiò Ayumi guardando Retasu torva. L'amica chinò la testa e si scusò:

« Mi dispiace… »

« Negli ultimi tempi sei sempre chiusa in quel cavolo di Caffè. – sbuffò – E così anche le altre! »

« C'è molto da lavorare – spiegò la mewfocena con un sorriso tirato – e Akasaka-san e Shirogane-san da soli non ce la fanno… »

La rossa non gli rispose e assunse un'espressione grave:

« Sul serio? »

« Eh? »

« Sei strana ultimamente… Sei perfino stata a casa con la febbre e non mi hai chiamata una volta. »

Spiegò riferendosi alla scusa della verde sulla sua assenza durante le ispezioni allo Yakori:

« E anche le ragazze sono un po' schive. »

Retasu non le rispose.

« Non è che mi stai nascondendo qualcosa? »

« Ma cosa dici? – le mentì dolcemente – È tutto a posto. Siamo solo un po' indaffarate! »

Ayumi la fissò qualche istante, scettica, poi alzò gli occhi al cielo e sospirò:

« Aaah, insomma! E io che volevo portarti a cercare qualche bel ragazzo! »

« Non mi sembra proprio il caso. »

« Prima o poi riuscirò a trascinarti con me! »

Rise la rossa. Si fermò  sull'incrocio dove si sarebbe separata dall'amica e le sorrise furba:

« Di ad Akasaka che mi deve un parfait speciale, mi sta rovinando la vita sociale! – le ammiccò e si diresse nella direzione opposta alla sua – Stasera mi telefoni? »

« Certo! – sorrise la verde – A stasera. »

Attraversò e proseguì verso il Caffè, sforzandosi di sorridere e di ignorare il senso di colpa. Si sentiva malissimo a mentire ad Ayumi, ma non poteva certo rivelarle degli alieni o del fatto che fosse una MewMew, l'avrebbe solo esposta al pericolo.

Per il suo bene avrebbe dovuto continuare a mentirle.

Anche a costo di ferirla tacendole la verità, doveva tenerla al sicuro.

Proprio perché le voglio tanto bene, devo tacere.

 

 

Quel pomeriggio fuori dal vialetto del locale Keiichiro aveva apposto il cartello di chiusura, corredato di scuse annotate a mano per gli affezionati clienti. Retasu stette a scrutare per alcuni minuti la minuziosa scritta lilla, lo stomaco che si attorcigliava, ma poi prese un bel respiro per farsi coraggio ed entrò; fu con un certo sollievo che vide le sue amiche già disposte alla partenza e tutte con la sua stessa faccia tesa.

« Non sono l'unica ad aver paura? »

Chiese con un sorrisino triste; Ichigo le rispose con la medesima espressione, sospirando:

« Visto il successo dell'ultima volta io me la sto facendo sotto. »

« A questo proposito – la punzecchiò Minto – potresti, per piacere, cercare di contenerti dal fare qualsiasi mossa stupida? »

La mewneko si limitò ad un verso di disappunto.

« È l'ora. »

La voce di Zakuro, sebbene appena un sussurro, perforò il silenzio come uno sparo:

« MoiMoi-san ci aspetta. »

Ichigo non fece mistero dell'agitazione che le serrò la gola alla sua frase e deglutì a fatica.

Senza che qualcuno aggiungesse altro tutto il gruppo si incamminò verso il portale; la giornata era mite e soleggiata, eppure il nervosismo era così tanto che Retasu sentiva solo freddo.

« Tutto a posto? – le domandò Ryou – Sei pallida. »

« Sto bene, grazie – gli sorrise – Sono solo un po' nervosa. »

Lui annuì e tornò a guardare avanti. Retasu pensò non fosse molto delicato fargli la stessa domanda, in fondo la mascella contratta e la fronte aggrottata rispondevano da sole.

Raggiunsero il punto in cui sapevano trovarsi il passaggio e restarono disorientati non vedendo altro che un praticello ben curato. Ichigo fece qualche altro titubante passo sull'erba, cacciando un urlo quando si trovò quasi a sbattere contro la testa di MoiMoi.

« Eccovi, siete in ritardo. »

Scherzò. La rossa, capitombolata a terra, non gli rispose, troppo intenta a ispezionare il busto dell'alieno, all'apparenza sospeso a mezz'aria e privo del resto a cui di solito era attaccato.

« M-MoiMoi-chan – balbettò – c-che… »

« Uh? Ah, è vero, la barriera.  »

Fece un passo indietro, scomparendo del tutto eccetto che per la mano destra con cui indicò loro di seguirlo. Poco convinti i terrestri obbedirono, avvertendo solo un lieve pizzicore nell'istante in cui passavano dentro una membrana impalpabile; dall'altra parte, come doveva essere, c'era il portale per Jeweliria. Le ragazze si strinsero un poco per farsi coraggio, mentre MoiMoi dava a Ryou uno dei bracciali schermanti e gli spiegava sommariamente il suo uso.

« Una cosa che mi sono scordata… Visto che non c'è bisogno non è settato per la mia lingua. – disse sbrigativo – Quindi se ogni tanto non cogliessi qualche parola, non preoccuparti. »

« In effetti non me lo sono mai chiesta… –  fece Purin entrando nel portale – Ma come mai noi e voi parliamo la stessa lingua? »

« Beh, se ci pensi noi un tempo vivevamo sulla Terra – le sorrise MoiMoi – le varie lingue che parlate ora sono diverse evoluzioni della nostra. »

« In effetti c'è una teoria secondo cui tutti gli idiomi della Terra avrebbero una stessa origine(*)… »

Disse distrattamente Ryou.

« Per noi i vostri inglese, francese, giapponese e compagnia non sono altro che strane inflessioni dialettali – ammiccò MoiMoi – e per voi è la stessa cosa con noi; per quello non avete mai avuto problemi a capire quello che dicevamo. Magari non cogliete tutte le sfumature di significato e nemmeno noi quando parlate voialtri, ma diciamo che siamo ad un buon livello. »

Ridacchiò e spuntarono dall'altra parte del passaggio. In fondo al declivio ai loro piedi c'erano Kisshu e gli altri ad aspettarli e nemmeno loro sembravano troppo rilassati.

« Allora – chiese ancora Minto – finora noi abbiamo ascoltato e parlato la lingua aliena senza rendercene conto? »

« Fonde un po' il cervello a pensarci – rise l'alieno – quindi credo sia meglio non farlo. »

« Si può sapere cos'avete tanto da chiacchierare? – borbottò Kisshu interrompendoli – Sembrate delle galline che starnazzano. »

Con sua sorpresa Minto non si oppose alla battuta e lo ignorò. Non aveva intenzione di reagire per una simile inezia: Kisshu doveva ancora scontare le sue stupide insinuazioni della notte alla piscina, lei avrebbe centellinato la sua vendetta per il momento opportuno.

« Com'è altezzosa e composta oggi la nostra cornacchia! »

Anche se sarebbe stato complicato. Molto complicato.

« Kisshu, falla finita. – lo seccò Pai gelido – Avanti, dobbiamo andare. »

« … M-ma »

Retasu tentennò e indicò il piccolo edificio del laboratorio, seminascosto dagli alberi:

« Non passiamo… Da lì? »

« Assolutamente no, Reta-chan! – proruppe vivacemente MoiMoi – Su, testa alta e petto in fuori! Si entra dalla porta principale! »

 

 

Era strano camminare per Jeweliria, molto più che il primo giorno in cui avevano curiosato le strade e le viuzze di quel mondo sconosciuto: la gente non le vedeva più come alcune tra i tanti, ma le notava ad una sola occhiata e le indicava al culmine dello stupore, parlottando, bisbigliando stupiti e talvolta ostili o sgomenti. Retasu camminava senza smettere di far saettare la coda dell'occhio a destra e a manca, incassando sempre più la testa tra le spalle ogniqualvolta incrociava per errore lo sguardo con qualcuno. Odiava trovarsi al centro dell'attenzione e in quel caso non si trattava neppure di attenzione benevola; se avesse dato retta al suo istinto, se la sarebbe già data a gambe. Fu irrefrenabile l'invidia per Minto, che seppur nervosa camminava con passo fermo e deciso, o per Purin, che come unica preoccupazione aveva la ricerca di una superfice riflettente in cui vedere come apparisse agli alieni; Zakuro come ogni volta procedeva indifferente, e perfino Ichigo passeggiava con un certo contegno. Solo lei, sempre e solo lei, Retasu, dava l'impressione di un pulcino in un cortile di volpi.

« Non credo di essere un buon esempio di come si cammina a testa alta… »

Mormorò a disagio. Pai, che le camminava davanti, si voltò appena per guardarla da oltre la spalla ma non disse nulla, fissandola interrogativo; lei si innervosì ulteriormente e prese a fregarsi le mani:

« I-io… Non sono adatta a… Queste cose. Mi sento un fenomeno da baraccone… »

Era così in difficoltà che Pai sentì il bisogno inspiegabile di dire qualcosa, ma non gli venne in mente nulla e rimase dov'era, inespressivo.

Retasu stava ormai per cominciare ad ammirarsi le punte dei piedi pur di togliersi da sotto quei penetranti occhi scuri, quando avvertì una pacca garbata in mezzo alle scapole e fu costretta a drizzare di colpo la testa, mandando un urletto di stupore.

« Niente ansia, Retasu-chan: ancora duecento metri e ci siamo. »

« Eyner-san… »

Lui le sorrise gentile e ammiccò:

« Guarda dritto e non farci caso. Il massimo che possono fare è sparlottare un po', nulla di cui preoccuparsi. »

Retasu prese un bel respiro e gli sorrise, sentendosi un po' più coraggiosa. Di fronte a lei, Pai distolse l'attenzione dalla scena e accelerò il passo con fare un po' scocciato.

« … Ma che ho detto? »

Zakuro, che camminava a poca distanza, gli rivolse un sorriso da sfinge:

« Non ne ho idea. »

« Pai-chan è solo nervoso. »

Sospirò MoiMoi e guardò il bruno allusivo:

« Ho chiesto aiuto anche a Lena. »

Le due terrestri non capirono perché Eyner fissasse l'amico con occhi sgranati:

« Senpai sei impazzita? »

« Dobbiamo affidarci a tutti gli aiuti possibili! »

Puntualizzò con foga ed Eyner potè solo annuire poco convinto senza aggiungere commenti. Lo stesso fecero le due ragazze, ma Retasu non potè non constatare, tra sé e sé e con un curioso malessere, che "Lena" le suonava moltissimo come un nome femminile.

 

 

Visto da fuori e alla luce del giorno il Palazzo del Consiglio risultava imponente, una gigantesca struttura a base rettangolare dai lisci muri color sabbia su cui si incurvavano, ad intervalli regolari, protuberante ovali che accentuavano l'affusolarsi delle finestre; l'ingresso si affacciava perfettamente in mezzo alla via principale ed era formato da due alti battenti bianchi, spessi un palmo e fissati alla parete con enormi cardini. Quando Kisshu e Pai, che aprivano il piccolo corteo, vi si trovarono di fronte fecero un cenno di saluto alle quattro guardie disposte due a due ai lati dell'entrata: le più vicine al portone afferrarono le maniglie e tirarono aprendo a fatica, ricambiando nuovamente il saluto ai commilitoni che entravano e guardando torvi i curiosi ospiti che li seguivano.

Kisshu guidò con sicurezza il gruppo verso quello che i terrestri potevano intuire il centro del palazzo, mentre MoiMoi prendeva a chiacchierare con loro dell'edificio e di altre sciocchezze, per connotare ancora di più i loro piani di innocenza e spontaneità. Le ragazze lo assecondavano annuendo e sorridendo, tentando di ignorare le occhiatacce che ricevevano dalle varie guardie appostate per i corridoi e da quelli che, dedussero dall'abbigliamento semplice e dall'aria affaccendata, dovevano essere servi o domestici.

« Fate come se non ci fossero. – bisbigliò Eyner appena udibile – Voi siete qui previo permesso del Consiglio e sotto la nostra custodia e, soprattutto, senza intenzioni bellicose; tranquille e interessate. »

Scherzò. Ichigo annuì e tentò di appoggiare la cosa meglio che potè, vagando incuriosita con lo sguardo e finendo per scorgere la sua immagine specchiata in una finestra meno illuminata dal sole delle altre.

Le sembrò piacevolmente bizzarra l'Ichigo che vide riflessa: i suoi abiti assomigliavano a quelli di Kisshu e degli altri, con un sentore arabeggiante, anche se la maglietta che portava lei, rosso scuro, appariva molto più corta delle loro scoprendole la pancia fin sotto al seno; alle gambe portava pantaloni color panna lunghi e un po' informi, che si chiudevano sulla caviglia, e ai piedi ballerine scure. Dando una rapida occhiata ai riflessi delle compagne si accorse che gli abiti erano tutti sullo stesso genere, ma si coordinavano per lunghezza e per colore a ciascuna di loro: la maglia di Retasu, ad esempio, sembrava più coprente della sua e tendeva al verde acqua; viceversa, Zakuro pareva indossare un top più che adatto al suo fisico da modella e tutto il suo completo era di un cupo lilla. Ichigo si sorprese – tralasciando senza riserbo il colpo al cuore che le diede la vista – di come stesse bene lo stile stravagante a Ryou, all'aspetto nato per indossare l'aderente maglia blu scuro senza maniche e i pantaloni morbidi che aveva.

« Carini, vero? »

La risatina di MoiMoi, che le ammiccò sottovoce vedendola così concentrata, le strappò un sobbalzo.

« Segretezza non vuol dire trascurare i dettagli, specie per il look! »

Ichigo non potè trattenere un sospiro divertito e si rilassò, continuando a sostenere il finto giro turistico dell'amico.

Raggiunsero la Sala del Consiglio dopo qualche minuto, ma tirarono avanti e svoltarono per il corridoio dove avevano incontrato Iader; da lì proseguirono per un altro paio di minuti e più procedevano, più le stanze attorno a loro diminuivano e l'ambiente diventava più sobrio, senza perdere in bellezza. Si ritrovarono in una sorta di gigantesco chiostro con passaggi aperti su un largo spiazzo erboso, un cortile interno al palazzo: una grande luce veniva dall'alto e all'inizio i terrestri pensarono di trovarsi all'aperto, invece sopra le loro teste si chiudeva una splendida cupola trasparente incorniciata di metallo dorato.

« Ora ascoltatemi. – sussurrò MoiMoi con più discrezione possibile – Da qui in poi, ci siamo organizzati a puntino. Voi… Cercate di seguire il "copione" e quand'è il momento… Fate vedere di cosa siete capaci. »

Non certo granché come direttiva, ma Ryou e le ragazze poterono solo annuire e seguirono gli alieni per il portico, uscendo con loro sull'erba.

Sul prato c'era una figura intenta ad esercitarsi in una qualche attività fisica; a ben guardare si trattava di una giovane donna che si allenava a centrare bersagli che apparivano a mezz'aria, uno di fila all'altro, in ogni punto del prato e ad ogni altezza. Fu strano rendersi conto che l'arma usata dalla giovane era un arco, oggetto che forse le terrestri vedevano più nelle mani di un elfo(**) in un libro fantasy, ma ancor più strana e strabiliante era la precisione millimetrica con cui centrava l'obbiettivo.

MoiMoi le corse subito incontro con l'aria felice e sorpresa di chi rivede inaspettatamente dopo anni un vecchio amico e Kisshu e gli altri la imitarono, sorridendo e salutando; solo Pai, le braccia conserte e l'espressione funerea, si limitò ad un grugnito inudibile.

« Senpai, erano secoli! »

Scherzò la giovane; MoiMoi le diede un rapido abbraccio:

« Sai com'è, il laboratorio non è dietro l'angolo. »

« Già. E immagino che siate sempre impegnati… »

Sollevò appena lo sguardo color rame verso un punto imprecisato del gruppo, allusiva, e Retasu notò di sottecchi Pai farsi più cupo.

« Ah, ma non vi ho presentati! – esclamò MoiMoi battendosi una mano sulla fronte – Ragazze, Ryou-kun, questa è una mia kohai e amica… »

« Lenatheri Inetaki. »

Si presentò la ragazza con un cenno del capo e fece l'occhiolino:

« Visto che è complicato, fate come tutti e chiamatemi Lena. »

Retasu sospirò, il suo intuito ci aveva azzeccato.

Studiò la ragazza per qualche minuto, mentre questa si faceva presentare il resto del gruppo dai compagni: la mewfocena non era in grado di definire con certezza le sensazioni che le dava, ma era certa di non aver mai conosciuto qualcuno come lei. Lena era senza alcun dubbio una ragazza affascinante, dal fisico magro e forte, ma dotata di una bellezza che negli anni doveva aver reso lei stessa più mascolina e spartana, più dura, più selvaggia; come i capelli ebano che erano stati tagliati cortissimi, scalando dal collo alla nuca, lasciando solo due ciuffi più lunghi ad incorniciarle il viso magro dove si distendevano labbra sottili e ben disegnate. Gli abiti sui toni del bosco, pantaloncini corti al limite del sensuale e una sorta di fascia sul seno, con scollo tondo e provvista di due maniche morbide che arrivavano al polso, erano minimali ma non curati, tenuti corti solo per la comodità di movimento; l'unica cosa che pareva unicamente di bellezza in quel pratico vestiario, era una lunga benda color mirto che le abbracciava con cura la gamba sinistra fino alla coscia.

Splendida. Forte. Indomabile. Feroce.

Retasu si visualizzò limpidi gli aggettivi per l'aliena nella sua testa e si chiese amaramente dove si trovasse, nell'universo, la fabbrica che produceva simili particolari bellezze. Lei, di sicuro, fosse anche uscita dallo stesso posto era uno degli scarti malriusciti.

« E tu sei? »

Retasu sbatté  gli occhi un paio di volte e divenne paonazza, rendendosi conto che Lena le stava parlando e le aveva rivolto per due volte la medesima domanda, mentre lei la fissava come una stupida.

« R-Retasu M-Midorikawa… »

Perché non c'era mai un fulmine, un maremoto, un chimero impazzito pronto ad aggredirla quando si trovava in situazioni simili?

« Piacere. »

Retasu non riuscì a non sentire una nota di scherno nelle parole dell'aliena mentre le sorrideva, seppur pronunciata con candore.

« Come mai tanti visitatori, senpai? »

« Un po' di sfoggio del nostro bel palazzo, mentre aspettiamo i risultati degli ultimi dati. »

Fece vago ridacchiando. Lena sorrise complice e proprio nello stesso momento si sentirono in lontananza alcuni passi e delle porte che si aprivano.

« Questo dev'essere Sando. »

Borbottò tra sé e sé Kisshu con un sorriso compiaciuto, indicando alle spalle di Lena. Altri passi più calmi ed indicò soddisfatto alla sua sinistra:

« E questo è Teruga… »

Lo sguardo ambrato puntò il gruppo che si avvicinava più velocemente, scrutando una decina di persone che si dirigevano nella loro direzione; Kisshu, i fratelli e gli amici si rivolsero rapidissime occhiate complici e Minto, più avvezza delle altre ragazze a simili scambi di battute mute e sotterfugi, intuì che la sceneggiatura si stava compiendo con millimetrica precisione.

« Quindi voi sareste le famose MewMew… – disse con tono vago Lena – In effetti sembrano comuni ragazzine. »

« Ma molto più forti di quel che appare. »

Chiarì con orgoglio Purin. Il sorriso di Lena si allargò per l'interesse:

« Davvero? »

In quel momento il drappello più numeroso di ospiti li raggiunse: una combriccola di ragazzi molto giovani, con in faccia la fatica di un allenamento appena concluso, e alla loro testa Sando, la solita aria scrupolosamente distaccata e seccata.

« Cos'è tutto questo casino? »

« Solo qualche chiacchiera, senpai. – sorrise Lena gentile – Facevo la conoscenza delle nostre ospiti. »

Tornò a guardare le terrestri e, se non avesse saputo della sua recita, Minto avrebbe potuto credere senza problemi alla sua squisita curiosità.

« A dire il vero sono rimasta stupita e avrei voluto conoscere le loro tanto decantate abilità. »

« Non esageriamo… »

Lena e gli altri soldati risero alla battuta di Kisshu mentre le terrestri lo trucidarono con lo sguardo.

« Sei proprio l'ultimo che può contestarle. »

Fece Zakuro piano. Lena rise ancora, facendo finta di non vedere il gruppo di consiglieri scortato da Teruga che si avvicinava incuriosito, e guardò le ragazze:

« Facciamo una prova? »

« Perché no? »

Minto si fece avanti sorridendo. Era il momento di cogliere la palla al balzo.

« Le nostre armi sono simili – continuò la mora afferrando il suo ciondolo tra le dita – sarei curiosa di vederle all'opera. »

Lena assunse un'aria di sfida e sorrise. Allungò la mano di lato e sotto le sue dita s'illuminò una tastiera trasparente su cui digitò veloce e si udì un rumore elettrico mentre una sorta di tabellone segnapunti, composto solo di luci come la pulsantiera, si accese sotto la cupola; poi l'aria attorno al prato tremò frizzando sorda e una barriera, percepibile solo dal baluginio del sole su di essa, scese a proteggere l'area attorno alle due.

« Scegliamo un avversario che conosciamo entrambe. »

Suggerì Lena e attorno lei e Minto spuntarono un gruppo di creature deformi. I corpi tondi e tozzi, coperti di pelo verdognolo e grigiastro, avevano solo due zampe lunghe e magre dotate di artigli, musi triangolari e ringhianti e grandi orecchie cespugliose.

Alla loro vista il piccolo Masha si staccò dalla cintura di Ichigo, prendendo a pigolare:

« Chimeri! Chimeri! Piii! C'è un chimero! »

La mewneko lo afferrò con un balzo e lo schiacciò contro il suo petto, pregando che nessuno avesse notato la buffa palletta di pelo rosa.

Sul campo, incuranti di tutti tranne che dei chimeri, Lena e Minto erano immobili; con nonchalance l'aliena prese arco e freccia in mano e guardò la moretta divertita:

« Chi arriva prima a 30? »

L'altra le rispose con tono di superiorità:

« Io. Nemmeno da chiederlo. »

Si trasformò causando qualche fischio di apprezzamento dai soldati, subito strigliati senza pietà da Sando:

« Cos'è, non avete mai visto una donna? – tuonò – Pensate che una lama in quelle teste vuote faccia meno male se arriva da una portatrice di gonnella?! Guardate invece come si combatte, voialtri che non alzate nemmeno una spada! Ebeti! »

« Noto che Sando-san non si fa scrupoli di esibire un caratteraccio al momento opportuno… »

Constatò Zakuro divertita.

« Sai come corri veloce per la pista di allenamento – sogghignò con un sorriso tirato Eyner – quando hai uno con quella faccia che ti urla alle spalle? »

Nel frattempo la sfida era cominciata. Minto si rese subito conto del peso degli anni di pace e di quanto la sua avversaria, alleata o meno, non avesse intenzione di farsi scrupoli o riservarle trattamenti di favore. Lena si teletrasportava con pause di pochi decimi di secondo da un obbiettivo all'altro e possedeva la precisione e la capacità di reazione ottimale a non sprecare nemmeno una freccia, centrando ogni preda al primo colpo; neppure i contrattacchi dei chimeri le erano di ostacolo e la ragazza si piegava e schivava i loro artigli e le loro zanne con tutta tranquillità. Minto ci mise alcuni secondi per riprendere il controllo lasciando a Lena un vantaggio di 10 bersagli, ma non si fece sconfortare e ripartì all'attacco: volando rapida e puntellandosi all'occorrenza contro la barriera per darsi slancio – cosa che fornì alle reclute un nuovo piacevole spunto per altri fischi – la mewbird conquistò metà del punteggio massimo nel giro di un minuto. Sotto di lei gli incoraggiamenti delle compagne e di qualcuno dei soldati, impressionati dalla sua rapidità, la caricavano e la spingevano a colpire a ritmo sempre più serrato, cercando di ignorare la pressione degli sguardi del Consiglio che avvertiva alla sua sinistra.

A dieci minuti dall'inizio sul grosso tabellone sospeso brillavano un 25 e un 22,  con un vantaggio di tre colpi per Lena; entrambe le ragazze si erano dovute fermare perché i chimeri si erano innervositi troppo e si muovevano troppo disordinatamente rendendo impossibile mirare con sicurezza. Minto prese due profondi respiri e si morse il labbro, doveva trovare un modo di chiudere la faccenda e ottenere gli ultimi punti.

« Oh, per l'amor del cielo Ichigo! – sbottò – Puoi far star zitto Masha per almeno cinque secondi?! »

Il robottino continuava a scappare dalle mani della rossa e cercava senza successo di entrare nella barriera, dove decine di piccoli chimeri parassita pulsavano e fluttuavano pigri.

« Chimeri! Chimeri! Pii! Chimeri! Chimeri! »

« Siamo un po' nervose? »

La canzono Kisshu sussurrando, ma Minto si limitò a bisbigliare:

« Sto cercando un'idea… E se continuate a darmi noia, non la troverò. »

« Se sei tesa come una corda di violino, non ci riuscirai. »

Le delucidò. Lei rispose grugnendo e lo sentì ponderare su qualcosa:

« … Sbaglio o quel tubino ti sta un po' più stretto in certi punti rispetto a tre anni fa? »

Minto tirò d'impulso un calcio contro la barriera e questa tremò fin alla cupola, emettendo un lievissimo tintinnio lugubre. Al suono un gruppetto dei chimeri rimasti si fiondò contro la morettina, che scartò di lato all'ultimo momento mandandoli a schiantarsi sulla parete invisibile. Minto li ascoltò uggiolare ritirandosi e incrociò un secondo un'occhiata allusiva di Kisshu, capendo.

Questi chimeri… Non ci vedono.

Creature che si muovevano solo in base al suono, la spiegazione ad orecchie così grandi ed ingombranti; e la sua carta per la vittoria.

Lena centrò uno dei chimeri storditi e il punteggio divenne 26 a 22. Minto incoccò una freccia d'energia e senza badare all'avversaria si posizionò più al centro che potè, valutando di aver una visuale ampia e libera; Lena non si preoccupò della manovra visto il marasma in cui si dimenavano i chimeri e in cui si sarebbe potuto beccare il bersaglio solo per caso, ma Minto non tirò dopo tese l'arco. Di colpo, fischiò. Un fischio lungo e acuto che attirò tutta l'attenzione dei chimeri, che le si gettarono addosso con bassi latrati: il primo chimero fu colpito non appena rivolse il muso verso Minto, altri quattro furono centrati prima di avvicinare anche solo il fiato alla ragazza; un balzo con capriola per liberarsi lo spazio di manovra necessario, e la mewbird concluse con una freccia negli ultimi tre, chiudendo il gioco.

Alle sue spalle Purin mandò un grido di vittoria:

« Chi vuole uno spiedino di chimeri?! – rise saltellando entusiasta – Sei grande onee-chan! »

Lena si lasciò sfuggire una risata ammirata e dai soldati e perfino dai membri del consiglio partirono tiepidi ma incoraggianti applausi. MoiMoi si trattenne quanto più potè, ma non riuscì a non sorridere:

« Grande! Se ce la caviamo con una, è fatta! »

Pai sollevò lo sguardo, attratto da qualcosa, e strinse gli occhi scuri rivolgendosi amaro al compagno:

« Hai troppe speranze, senpai. »

Dalla parte opposta alla loro videro avvicinarsi i consiglieri che non erano ancora lì presenti; con stizza e con sollievo, tra loro scorsero sia Ebode che il consigliere Meryold.

« Davvero niente male! – continuò Lena rivolta a Minto – Sei una delle poche che mi abbia battuta. »

Minto sciolse la trasformazione – qualche recluta non gradì il cambiamento e si lamentò sottovoce, beccandosi altre sgridate da Sando – e sorrise, cercando di mascherare il fiatone:

« Lo considero un onore. »

Lena la guardò con aria furba e fece ricomparire la tastiera luminosa: dal terreno spuntarono piccole teche con dentro grosse piante dalle foglie carnose color viola pallido, al centro delle quali vi era adagiato uno strano, enorme seme bitorzoluto; subito i chimeri parassita vi si attaccarono, ma la pianta non cambiò aspetto e le creature restarono da assorbire il baccello coi corti tentacoletti.

« Questi simpaticoni vanno matti per i semi di paina. – spiegò Lena – E credo sia meglio rimandarli a casa, prima che il vostro amichetto lì si faccia prendere un cortocircuito. »

Indicò Masha che tentava ancora di sfuggire alla presa di Ichigo, incurante delle sue suppliche di stare buono. Nel momento in cui anche l'ultima teca e l'ultimo parassita scomparvero il robottino si acquietò, attirando una risata famigliare:

« Che curioso essere…! »

Ichigo sobbalzò diventando viola in viso e nascose Masha dietro la schiena:

« Meryold-sama… »

« È una creatura meccanica? – chiese gentile, sentendo il cigolio prodotto dalle ali di Masha – Alquanto vivace! »

« È un'unità di raccolta dati – si intromise Ryou – e progettata per catturare i chimeri parassita. »

Meryold guardò incuriosita l'umano sconosciuto che le rivolse un educato inchino e sorrise in assenso.

« Ryou Shirogane, mi perdoni. – fece il biondo – Sono i- »

« Un altro umano! – sbottò tra i denti Ebode – Meryold-sama, è una cosa intollerabile! »

« Shirogane è qui su nostra richiesta – intervenne Pai, chinando appena il capo in segno di saluto – in quanto creatore del progetto m. »

Meryold studiò sorpresa l'umano che ricambiava l'occhiata di Ebode con educata indifferenza.

« Siete molto giovane anche voi. »

« Non ho mai ritenuto che l'età fosse un problema rilevante. »

Meryold alzò un sopracciglio divertita, mentre Ebode borbottava:

« Era ovvio… Dato che ha scelto come guerriere delle bambine. »

Alcuni consiglieri lo appoggiarono e bofonchiarono maligni; Ryou, fermata Purin dal protestare, continuò pacato:

« Non sono stato io a sceglierle. Il loro corredo genetico le ha scelte. »

« Una magnifica frase retorica. »

Insisté Ebode e Ryou lo guardò con sufficienza, ma si rifiutò di aggiungere altro.

« Sono solo delle ragazzine con simpatici abitini colorati – proruppe con ferocia l'uomo – non certo soldati! »

Scoccò un'occhiataccia maligna a Kisshu, Pai e Taruto, stendendo un ghigno sprezzante:

« Da queste madamigelle vi siete fatti soggiogare? »

All'affermazione si avvicinò loro un vecchio consigliere che aveva assistito alla sfida scortato da Teruga, e indicò con un cenno Minto:

« A dire il vero, questa giovane si è dimostrata perfettamente all'altezza del sergente Inetaki… »

« Proprio così – rincarò Teruga – e i nostri stimati colleghi qui presenti possono confermarlo, come i nostri soldati laggiù. »

Le reclute che avevano fatto il tifo per Minto poco prima annuirono convinte, ma gli altri invece presero a parlottare tra loro come se all'improvviso non fossero più certi di quanto avevano visto.

« Suvvia! – si ostinò Ebode – Un tiro al bersaglio non è certo un duello! »

« State diventando ingiusto, Ebode. »

Lo ammonì un consigliere sulla trentina dai capelli azzurri.

« Mettete in dubbio il mio operato, Ebode-san? »

Chiese Lena senza nascondere l'offesa per una tale affermazione. Ebode si limitò ad un'occhiata allusiva e Lena stritolò il suo arco tra le mani:

« Come mai potrei? »

« Che le terrestri dimostrino il loro valore, allora! »

Eruppe seccato uno del gruppo di Ebode, un alto omone con la testa rasata e profondi occhi di brace:

« Le nostre reclute non saranno troppo stanche per un altro allenamento, no? »

I terrestri videro Sando fare un cenno d'assenso all'uomo e sorridere compiaciuto: non doveva aspettare altro. Schioccò le dita e indicò ad uno dei suoi di farsi avanti, portando in campo un ragazzo allampanato e scattante con una zazzera aranciata; sembrava incuriosito all'idea di affrontare una delle ragazze e un po' smanioso da come fece subito comparire tra le mani un lungo bastone di metallo nero.

« Vado io. »

« No, aspetta, Ichigo nee-chan! – Purin le saltò davanti come una furia – Vado io! »

Fissò decisa il suo avversario e brandì il suo ciondolo, trasformandosi: se quei vecchiacci pensavano che lei fosse solo una bimbetta, li avrebbe fatti ricredere!

Taruto sentì un tremendo moto di nostalgia vedendo spuntare la famigliare codina arricciata da scimmia e, seguendola, si accorse che la divisa gialla da cui spuntava era leggermente diversa rispetto all'ultima volta che l'aveva vista: al posto del vestito a pagliaccetto Purin indossava una gonna a pieghe e una maglietta a maniche corte con scollo a rombo sul petto, che le lasciava scoperta la pancia(***), il tutto sempre giallo limone. Ebode, dal suo cantuccio di accoliti, sussurrò beffardo:

« Una mocciosa in gonnella. »

Lena digitò ancora sulla tastiera e la barriera si allargò, arrivando fino al confine del prato; i consiglieri si sistemarono oltre di essa, prudenti, mentre il resto dei presenti si limitò a spostarti quanto più possibile di lato.

« Siamo sicuro che ci possiamo fidare di quello li? »

Domandò Taruto a bassa voce; MoiMoi gli sorrise:

« Se Sando si fida, io mi fido. »

Gli altri ragazzi annuirono. Taruto non rispose, ma si morse distratto il labbro inferiore: il fatto che fosse un alleato non stava a significare che Pel-di-carota avrebbe usato la mano meno pesante.

« Purin è forte. »

Il brunetto guardò appena Retasu che gli sorrideva incoraggiante:

« Non devi assolutamente preoccuparti. »

Lui rimase qualche istante a studiare il suo viso gentile e poi si voltò scocciato, borbottando:

« E chi si preoccupa? »

Si udì Sando urlare un via e i due avversari si gettarono uno contro l'altro. I timori di Taruto furono confermati da come l'arma della recluta aprì un bel buco per terra, ma Purin non sembrò impressionata: evitò il colpo con noncuranza e brandì i suoi anelli, intrappolando la gamba destra del ragazzo in una massa di budino giallo.

« Che diavolo è… Questa cosa?! »

Soffiò lui incapace di liberarsi e Purin ammiccò:

« Un delizioso diversivo. »

Il poveretto dovette dimenticarsi dell'impiccio e proteggersi il viso col suo bastone prima che Purin lo centrasse con una ginocchiata. La biondina saltò indietro e altri Ribbon Purin Ring Inferno sibilarono accanto alla recluta che però ebbe la prontezza di schivarli, mentre tentava invano di usare la sua arma come leva per distruggere la trappola gelatinosa; quando finalmente potè tornare a camminare un colpo di Purin lo centrò in pieno petto, disintegrandosi all'impatto e facendolo ruzzolare per alcuni metri nelle risate generali dei compagni.

« Il prossimo che fa casino – gli berciò contro Sando – alla prossima seduta di allenamento combatte contro di me! »

Fu silenzio di tomba.

Pel-di-carota intanto si era rimesso in piedi ed era furioso per la vergogna: le stava prendendo da una ragazzina alta un metro e uno sputo, guerriera o meno che fosse.

« Ora basta guanti di velluto. »

Purin vide il bastone nelle mani del ragazzo mandare per un momento scintille azzurre e blu e corrugò la fronte. Tentò di fermarlo con altri Ribbon Purin Ring Inferno, ma Pel-di-carota li schivò portandosi a mezzo metro da lei; solo i suoi riflessi e la sua conoscenza delle arti marziali le permisero di non farsi rompere il naso, bloccando la bastonata con gli avambracci. Assecondò il contraccolpo e si lasciò spingere all'indietro guardando il ragazzo mettersi in posizione di attacco: ormai lei avrebbe potuto affidarsi solo al kou-en-ji kenpo e pregare che i geni della scimmia leonina le dessero lo slancio in più necessario a non farsi friggere.

Lo scontro riprese più serrato e dai soldati cominciò un vociare entusiasta. Pel-di-carota era un abile combattente e non aveva tanto da invidiare a Kisshu e agli altri, da quel che Purin riusciva a capire, ma nemmeno lei si risparmiava e rispondeva colpo su colpo con forza e velocità. Ichigo riuscì a sentire che anche tra i consiglieri in molti avevano preso ad elogiare la cinese, ma non riuscì a trarne conforto: i fulmini che aveva intravisto sul bastone della recluta l'avevano allarmata ,era sicura che Purin avrebbe rischiato grosso finché avesse continuato a lottare.

In quel momento la biondina si trovò in posizione di svantaggio e fu costretta a bloccare il colpo di Pel-di-carota con le mani, chiudendo saldamente le dita attorno al metallo; vide il ragazzo sorridere soddisfatto e un brivido le serrò lo stomaco.

« Mossa sbagliata. »

Lo sfrigolio delle scariche invase l'aria attorno a loro assieme al gemito di Purin, che fu sbalzata violentemente all'indietro e rotolò a faccia in giù nell'erba.

I soldati cacciarono urla di trionfo come tifosi allo stadio, mentre nella fazione opposta scese un silenzio gelido.

« Purin…! »

Ichigo chiamò la compagnia imponendosi di rimanere immobile e, con enorme sollievo, la vide tentare di alzarsi; Pel-di-carota non era però intenzionato a finire col dubbio sulla vittoria e prese ad avvicinarsi alla biondina minaccioso, facendo ondeggiare il bastone in una mano.

Taruto avvertì il panico inondargli il petto e fece per bloccare il soldato, ma due mani tremanti gli si serrarono attorno al braccio per impedirgli di muoversi. Seguì confuso la linea di quelle dita pallide e non capì perché a tenerlo fosse Retasu; il mormorio che emise fu appena udibile :

« Se intervieni… »

Le labbra così strette da essere una linea invisibile sul viso e gli occhi terrorizzati, la ragazza prese due grandi respiri per calmarsi e ripetè:

« Se intervieni – deglutì un istante, correggendosi – se interveniamo, temo che rovineremmo tutto… »

« Retasu-chan ha ragione. – sospirò Eyner teso – State fermi. »

Taruto non gli rispose e rimase immobile, ma Retasu non lasciò la presa.

Intanto Purin era riuscita a tirarsi almeno in ginocchio; ancora stordita, si guardò attorno con gli occhi socchiusi e annebbiati, respirando forte, cogliendo solo all'ultimo la sagoma della recluta vicino a lei.

« La chiudiamo qui? »

L'arma nera riprese a sfrigolare. Purin tentò id rimettersi in piedi senza successo, i muscoli erano ancora irrigiditi dalle scariche che li avevano invasi e non volevano reggerla; vide Pel-di-carota tirare indietro le braccia pronto a colpirla per metterla definitivamente fuori combattimento, così si lanciò in un'idea parecchio stupida.

Si ritrasse per non prendere il bastone in testa e poi ci si gettò sopra, pregando che i vestiti la proteggessero per i pochi secondi che le occorrevano; con tutto il suo peso sull'arma costrinse Pel-di-carota a scivolare in basso e, usando l'asta come appoggio, Purin fece leva sulle braccia e  calciò all'insù con tutta la forza centrando la mandibola del soldato con una tallonata.

Il bastone smise di colpo di emettere fulmini e Pel-di-carota crollò a terra con un lamento, reggendosi il mento tra le mani e imprecando sottovoce. Purin lo imitò lasciandosi sedere a terra sfinita e lo studiò mentre si alzava lentamente, la mano sempre serrata sul mento e sulla bocca:

« "Mocciosa"? »

Si voltò verso i consiglieri parlando ammirato e senza nascondere un certo rammarico:

« Io la definirei uno schiacciasassi in miniatura. »

Ci furono grasse risate, prese in giro ed esclamazioni di stima dai suoi commilitoni e solo in pochi del Consiglio non vollero dispensare un breve applauso a Purin, che mise su il suo miglior sorriso e si fece aiutare a rialzarsi da Pel-di-carota, ancora intento a massaggiarsi la mascella.

Dalla sua postazione, Taruto avvertì Retasu sciogliere la presa sul suo braccio e tirare un sospiro di sollievo:

« Che spavento…! Bravissima Purin! »

« Incosciente. – bofonchiò il brunetto – Ha rischiato di farsi bollire il cervellino che ha sotto quel cespuglio biondo. »

« Ma se l'è cavata, no? »

Replicò Kisshu. Studiò il fratellino, ancora irrigidito nella stessa posizione dei dieci minuti precedenti e col respiro pesante, e sospirò:

« Quindi ora metti via quei giocattoli. »

Taruto lo guardò senza una parola e si ricompose drizzando la schiena, quindi mosse appena il polso destro e tre piccoli affilatissimi coltelli scomparvero dalle sue dita con uno sfregare metallico. Per fortuna il brunetto era ancora troppo inesperto con le sue nuove armi per farsi trascinare dall'impulso, o si sarebbero ritrovati a dover spiegare il perché di un soldato ridotto a porcospino.

« Dici sempre la cosa giusta al momento giusto, uh? »

Fece sarcastica Minto; Kisshu la squadrò divertito:

« Mi avresti dato ascolto, nervosa com'eri, se prima ti avessi suggerito qualcosa? »

Lei non gli rispose.

« È molto più facile e veloce farti arrabbiare. »

« Sei tu che sei troppo irritante. »

Intanto Purin era tornata nel gruppo con aria gongolante, facendo qualche inchino ai consiglieri come quando ringraziava il proprio pubblico durante i suoi spettacoli. Ormai sembrava fosse rimasto solo Ebode ad opporsi a lei e alle sue compagne da come, incupito, non si univa al chiacchiericcio degli altri tormentandosi nervoso le mani curate.

L'uomo non aveva, però, ancora intenzione di gettare la spugna, e preso un bel respiro distese i denti gialli in un gran sorriso ed esclamò:

« Complimenti! »

Con aria colma di ammirazione e ritrovata gentilezza applaudì piano e si avvicinò ai terrestri aprendo i palmi in segno di pace:

« Ammetto di avervi sottovalutate! Non nego di essere sorpreso, una grande dimostrazione. »

Pai non si perdeva un solo movimento del volto dell'uomo né una sola sillaba, chiedendosi dove volesse andare a parare.

« Suonerei indelicato se chiedessi a voi, che non ce le avete ancora mostrate, – indicò le ragazze con un lieve cenno – di darci un assaggio delle vostre capacità? »

Il viso di Pai si fece più duro ed Ebode indicò:

« Voi, per esempio? »

Retasu tremò appena sotto gli occhi di pietra dell'uomo. Lui sorrise untuoso e la verde drizzò la schiena, pregando che la voce non suonasse tremante come alle sue orecchie:

« Con tutto il rispetto, devo declinare. »

I consiglieri si guardarono confusi ed Ebode allargò la smorfia di vittoria, ma prima che potesse riprendere con domande insinuanti Meryold intervenne:

« È una risposta insolita. »

Retasu lo sapeva, specie in simili circostanze, ma non sarebbe andata contro alla sua volontà:

« Capisco i vostri timori sulla nostra scelta e ritengo giusto vogliate prova di cosa possiamo fare. – rispose gentilmente – Io, però, non ho mai avuto desiderio di combattere; se e quando sarà necessario, lotterò e difenderò ciò che devo come ho sempre fatto, ma mi rifiuto di attaccare di mia volontà. »

La donna la osservò a lungo senza mutare espressione, incurante dei colleghi che mormoravano alle sue spalle.

« Senza contare che le mie amiche hanno dimostrato le nostre abilità meglio di quanto potrei mai fare io. »

Meryold sorrise con garbo:

« Una difficile presa di posizione. »

« La guerra porta soltanto amarezza. »

Retasu sgranò gli occhi e sollevò la testa verso Pai, a cui Meryold stava sorridendo con aria divertita:

« Non sembra farina del suo sacco, colonnello. »

Lui non rispose sospirando sibillino. Retasu era interdetta: Meryold aveva ragione, quelle parole non erano di Pai, ma sue.

La guerra porta soltanto dolore e sofferenza. È mai possibile che non riusciate a capirlo?!

Lo ricordava alla perfezione quel pomeriggio. Il cielo nero, l'oscura sagoma del castello di Deep Blue sopra il tempio semidistrutto, l'aria satura di umidità e paura; un Pai al tempo nemico, guerriero spietato al punto da eliminare anche il giovane compagno che si opponeva alla loro causa, combattente a cui Retasu rivolgeva l'ennesima, inutile, disperata supplica per la pace.

Quanto tempo era passato da quando aveva pronunciato quella frase?

Come poteva Pai ricordarsene dopo tutto quel tempo? E soprattutto per quale motivo le ricordava?

Retasu sapeva di non avere abbastanza coraggio per domandarglielo e che non si trovavano nella situazione adatta per farlo, così rimase basita a scrutarlo. Meryold sospirò:

« Capisco. Beh, voi non siete certo sotto esame – puntualizzò gettando un'occhiata rapidissima ad Ebode – e avete già assecondato fin troppo la nostra curiosità. »

Sorrise a Retasu che ricambiò con un timido cenno del capo.

« Quindi, rispetteremo la tua scelta. »

Non tutti sembrarono soddisfatti della pacifica soluzione e molti furono gli sguardi scettici e seccati, finchè Zakuro si fece avanti decisa:

« Se è utile a chiudere a questione. »

Incrociò le braccia e guardò il Consiglio con eloquenza:

« Io sono più propensa ai fatti che alle parole. »

I consiglieri presero a consultarsi un po' sospettosi per l'intervento improvviso e così perentorio, mentre Eyner si avvicinò alla mewwolf :

« Puoi lasciar perdere, se preferisci. »

« Retasu non combatterà; e, data la natura del suo potere, è meglio che Ichigo non lo mostri. – spiegò lei – Se basta dimostrare di sapersi difendere per non avere altri problemi, conviene assecondarli. »

Lui la fissò in silenzio; Zakuro ebbe l'impressione che avesse intuito i suoi propositi e non gli piacessero per niente:

« E cosa vorresti fare? »

La mora sorrise battagliera:

« Sando-san. »

L'inquisito alzò la testa e Zakuro insisté:

« Una sfida tra me e te? »

Le reclute schierate alle spalle di Sando si esaltarono a quella richiesta e cominciarono ad acclamare il loro superiore, che fissava la giovane come non fosse certo di aver capito le sue parole.

« Ok, lo sapevo. – sospirò Eyner – Una buona soluzione. E un ottimo sistema per farsi massacrare. »

Zakuro sollevò un sopracciglio risentita:

« Sono più forte di quanto tu possa pensare. »

Fece gelida e con sua sorpresa Eyner annuì:

« Più che convinto. Il problema… »

Vide preoccupato Sando assumere un'aria di sfida e avvicinarsi a loro, inneggiato dai soldati, e schioccò la lingua preoccupato:

« … È che posso dire la stessa cosa di lui. »

I due avversari si misero uno di fronte all'altro senza che nessun'altro protestasse; l'intero Consiglio tornò oltre la barriera e anche i terrestri, spinti dai compagni, furono invitati a mettersi al riparo.

« Forse era meglio fermarla. »

Appurò Ichigo e Kisshu ridacchiò ironico:

« Troppo tardi, gattina. »

Zakuro si trasformò e i soldati, probabilmente trattenendosi per la presenza del capo Consiglio e memori delle minacce di Sando, si limitarono a confabulare tra loro commenti di evidente gradimento.

« Ormoni in avaria eh? »

« Kisshu tu sei l'unico che non può esprimere un simile giudizio – fece Pai freddo – visti i precedenti. »

Ichigo non riuscì ad ignorare la rapida stilettata che le lanciarono gli occhi scuri del ragazzo e si corrucciò piccata: come se fosse colpa sua che Kisshu le si era attaccato alla sottana come una mosca sul miele!

Il ragazzo dai capelli verdi rise con noncuranza e incrociò le braccia dietro la testa:

« Più che altro mi chiedo come faccio ad essere l'unico ad aver apprezzato! – rise malizioso – Beh, Taruto puzzava ancora di latte tre anni fa, per cui… »

« Di che diavolo parli? »

« Che, Pai caro, diavolo anche tu hai gli occhi attaccati alla testa! Oppure non ci vedi? »

Pai si rifiutò di replicare.

« Dico bene, Eyn? »

Il bruno non rispose mandando uno strano grugnito e Kisshu ridacchiando lo guardò fissare la mewwolf  e Sando che lottavano senza badare al loro pubblico.

La frusta di Zakuro si dispiegò sul campo e picchiò sulla barriera alle spalle dell'uomo, evitandolo solo di pochi centimetri. Quello fece una smorfia di rabbioso divertimento e agitò la sua arma, un corto e letale coltello a lama ricurva che sulla Terra chiamavano karambit:

« Ho l'impressione che continuerai a dimenare quell'arnese luminoso per non farmi avvicinare, o sbaglio? »

« No – lo corresse Zakuro – continuerò "a dimenare quest'arnese luminoso" finché non ti avrò centrato, Sando-san. »

Lui rise eccitato:

« Vediamo se ci riesci, bambina. »

La terra sotto i piedi di Zakuro tremò mentre Sando si circondava di liane e rami, pronti a scagliarsi su di lei come lance; un gesto e le creature vegetali le furono addosso. Aveva già visto simili esseri manovrati da Taruto, ma quelli di Sando erano di tutt'altra scuola: saettavano attorno alla mora con assurda velocità e lei riusciva a schivarli solo grazie al suo intuito, ma anche così evitava il pericolo solo di pochi millimetri e più di una volta avvertì la pelle bruciare al contatto accidentale con le cortecce ruvide, o una liana spinosa sfiorarle le orecchie animali; caparbia schivava gli attacchi senza arrendersi, distruggendo le piante con la sua arma e arrivando sempre più vicina a colpire Sando. All'improvviso, arrampicandosi sui tronchi e sulle liane che aveva evitato, Zakuro si rese conto che ormai rimanevano un paio di metri tra lei e la cupola trasparente sopra le loro teste e non aveva più modo di lottare a distanza; strinse la presa sulla sua arma e con un rapido colpo di tacco si lanciò giù di testa, mirando all'uomo.

I due si colpirono nello stesso momento: la frusta di Zakuro si allacciò salda al polso di Sando, che fu tirato verso la ragazza e colpito con un calcio al petto, mentre un enorme ramo contorto centrava la mewwolf con una scudisciata allo stomaco.

« Onee-sama! »

Nel fragore del tifo dei soldati i duellanti si schiantarono dalle parti opposte del campo sollevando un gran polverone. Per alcuni secondi non si capì cosa stesse succedendo e nella foschia s'intravidero solo le ombre gigantesche delle creature vegetali, che andavano ritirandosi, non più sotto il controllo del padrone. Zakuro si tirò in piedi con un lamento, si asciugò rabbiosa un taglio sulla guancia e sentì Sando ridere aspro:

« Porca di quella… Sei coriacea, ragazzina! »

« Anche tu, vecchio. »

Il sarcasmo non piaceva a Zakuro, ma nemmeno Sando lo gradiva.

La mewwolf tirò di nuovo fuori la sua frusta e l'uomo fece ricomparire altre piante, più grosse e dall'aspetto quasi senziente, dal modo in cui ondeggiavano inquietanti le estremità come musi animali; MoiMoi diventò pallido in viso:

« Ehi, voi due, non starete esagerando? »

Inutile. Quando Sando prendeva quell'espressione era impossibile fermarlo, ed era preoccupante notare che Zakuro aveva lo stesso sguardo.

« Ok, ora basta. – mormorò – Dobbiamo fermarli, o si faranno male per davvero! »

Appena ebbe pronunciato quelle parole Sando e Zakuro schizzarono uno contro l'altro. L'incitamento degli spettatori e l'adrenalina li resero sordi ai richiami dei compagni e li fece ignorare il rischio di uno scontro serio. Zakuro ebbe l'impressione che il tempo rallentasse mentre scorgeva il punto in cui la sua frusta sarebbe calata sul collo di Sando, sempre più vicino, più vicino…

« È ora di piantarla. »

Una stretta gentile sul braccio che aveva tirato indietro per assestare il colpo e uno sfregare di metallo.

Zakuro fissò confusa Eyner comparso tra lei e l'avversario, una mano a tenere il polso di lei e l'altra armata di un jitte(****) d'acciaio a bloccare il karambit di Sando.

« Senpai, direi che è sufficiente. »

La mewwolf s'incupì e tentò di liberarsi, rendendosi conto di non poterlo fare: Eyner non le stava facendo male, né la stringeva in modo eccessivo, ma se attorno al braccio avesse avuto un cubo di cemento da un quintale Zakuro avrebbe avuto la stessa libertà di movimento. Perfino Sando, grande, grosso e con lo charme da elefante che aveva, faceva evidentemente fatica a sostenere la spinta di Eyner contro il suo pugnale.

Scese il silenzio e i tre restarono immobili finchè Sando, preso un profondo respiro, ritrasse il braccio e fece scomparire le sue piante, il fiato grosso per lo sforzo; Eyner abbassò l'arma e lasciò Zakuro, sorridendo al suo senpai:

« Dov'è finita la diplomazia? »

« Dillo alla mocciosa che mi ha dato del vecchio… »

I sottoposti di Sando risero e presero ad applaudire, richiamando il loro comandante a più riprese:

« È stato grande, senpai! »

« Non esageri, che se le rovina quel visino è un peccato! »

« Meglio se non ammacca nemmeno il resto…! »

« Possiamo unirci anche noi al loro gruppo? »

Non smisero anche quando Sando li fulminò con un'occhiataccia.

Intanto i consiglieri avevano preso di nuovo a parlare tra loro con una certa eccitazione, la breve ma intensa sfida tra Zakuro e Sando doveva averli colpiti molto.

« Per tenere testa al colonnello Okorene devono essere davvero abili… »

« A conti fatti. Comincio a nutrire dei dubbi sul fatto che non siano state loro, a sconfiggere Deep Blue-sama… »

« Ma nel caso… »

« … Andrebbe valutato il tradimento. »

« Ma queste giovani sono qui per aiutarci! Non… »

Un colpo di tosse parecchio marcato del consigliere Meryold li fece tacere tutti:

« Non credo sia il luogo né il momento adatto per aprire simili questioni. – disse calma – Se ora nessun'altro di voi ha qualcosa da domandare ai nostri ospiti, a quel che rammento avrebbero impegni urgenti. »

Nessuno si oppose e il Consiglio per intero si ritirò. Terrestri e compagni salutarono rispettosamente e in silenzio guardando i consiglieri uscire e non appena furono fuori dal porticato, Sando si avventò sui suoi soldati ruggendo:

« Voi idioti e le vostre lingue da maniaci di quart'ordine! Vi conviene filarvela, razza di debosciati, prima che finisca di sfogarmi sopra le vostre teste da microcefali! »

Le reclute sparirono come il vento tra le risate dei presenti.

« È andata…! »

Sospirò Kisshu sollevato.

« È andata sul serio! – canticchiò MoiMoi – Sono un genio! »

« E io non sono stato di alcun aiuto. »

Puntualizzò sarcastico Sando; MoiMoi gli fece una linguaccia. Ci furono altre risate di sollievo mentre Eyner provvedeva a far scomparire la barriera.

« Tutto a posto? »

Zakuro, che si massaggiava il punto in cui l'aveva stretta, lo guardò appena.

« Scusami, ti ho fatto male? Io… »

« No. – lo rassicurò ferma – Solo… Non credevo fossi tanto forte. »

Lui fece un mezzo sorriso e alzò le spalle. Zakuro lo studiò scrupolosa:

« Sei migliorato rispetto a tre anni fa? »

La domanda lì per lì suonò strana, ma poi Eyner si accorse di cosa intendesse e le rivolse un sorriso strano:

« Non credo di aver fatto un solo progresso nell'ultima decade. »

Tentò di scherzare. Zakuro lo fissò ancora, ma alla fine preferì tenere la sua domanda per sé, ben sapendo che lui l'aveva capita lo stesso.

Se era così in gamba, perché non era stato scelto lui per conquistare la Terra?

« Dobbiamo subito correre al laboratorio! – chiocciava intanto MoiMoi, parecchio su di giri – Dobbiamo procedere con… Ma dov'è andata Lena-chan? »

« Non vorrai portarla, vero? »

« Come sei noioso Pai-chan! – protestò impassibile allo sguardo minaccioso del kohai – Volevo solo salutarla… »

Prese a guardarsi attorno e scorse la figura della ragazza che si dileguava lentamente in un corridoio laterale; la chiamò, ma lei non rispose e sparì zoppicando dietro un angolo.

« Uffa! Non mi ha sentita! »

« Io direi più che non ti ha voluta sentire, senpai. »

Fece Taruto e MoiMoi lo guardò storto.

« Era una mia impressione – domandò Retasu piano – o Lena-san era pallida…? »

« Intendi più del normale? »

Scherzò Purin, ma i ragazzi invece si esaminarono a vicenda con facce strane. Fu dopo qualche secondo di silenzio che Pai, sbuffando al limite della sopportazione, si diresse dietro alla ragazza.

« Ci vediamo là, Pai-chan! »

Lui fece un cenno rapido con una mano, palesemente stizzito. I terrestri si lanciarono occhiate confuse, ma nessuno disse altro sulla faccenda e dovettero seguire MoiMoi, che li invitava a tornare indietro.

« Spero che Pai-chan si sbrighi – sorrise misterioso – abbiamo scoperto un sacco di cose con quella Goccia. E ora, sappiamo dove cercare le altre. »

 

 

 

Lena si accasciò contro la parete del corridoio e cercò di reggersi con ogni muscolo del braccio e delle dita, pur di far ricevere meno peso alla gamba sinistra. Si passò una mano tremante sulla benda e strinse, digrignando i denti dal dolore; ogni centimetro del suo corpo pulsava dalla la coscia alla schiena e le martellava tutta la spina dorsale, placandosi quel che basta per stare decentemente in piedi solo dopo interminabili, sfibranti minuti.

« Quand'è l'ultima volta che ti sei fatta controllare, Inetaki? »

Lei tentò inutilmente di calmare i respiri affannosi, la fronte madida di sudore e guardò il suo interlocutore con fare sarcastico:

« Come siamo formali, Pai. »

« Tu invece ti prendi troppa confidenza. »

Non replicò al tono spietato e duro come l'acciaio. Aveva smesso di farlo tanto tempo prima e, del resto, non aveva troppi diritti di sgridarlo.

Avvertì altre stilettate incendiarle i nervi ma si costrinse a fare un'espressione noncurante:

« Saranno tre mesi. Mese più, mese meno… »

Ignorò lo sguardo di aspro rimprovero del ragazzo e fece un sorrisino malizioso, mettendosi più dritta:

« Non ti ho mai visto difendere così qualcuno. »

« Non ho difeso proprio nessuno. »

« Oh, andiamo! Non la dai a bere proprio a me! – la sua voce gentile si piegò di una stridente nota di perfidia – " La guerra porta soltanto amarezza"… E questa da dov'è uscita? »

Lui la fissò truce senza risponderle.

« La tua amica con l'erba in testa mi sembra decisamente prima di nerbo… »

« Vedi di farla finita. »

La seccò.

« Mi prendi in giro? E' un discorso da mocciosi! – rise alzandosi del tutto – Se bisogna combattere, si combatte. »

« Sì – rispose incolore – ma si può scegliere per cosa lottare, e chiedersi se è giusto. Si può anche scegliere di non farlo. »

Lena lo fissò sgranando gli occhi rossastri e smise di colpo di ridere:

« Stai scherzando. »

« Perché dovrei? »

« Non puoi credere ad una cosa del genere! »

Il suo sguardo fermo la fece impallidire:

« Cos'è ti sei rincretinito?! Non puoi appoggiare un'idea così vigliacca e appoggiare una mocciosa del…! »

Lui la guardò con ferocia tale che Lena si sentì morire le parole in gola.

« Ha avuto più coraggio lei a non cambiare mai strada – sibilò – di te. »

Lei abbassò lo sguardo e non rispose. Pai la trafisse con rabbia ancora alcuni istanti e quindi girò sui tacchi:

« Fatti controllare quella gamba. »

Lei lo fissò storto e sulle sue labbra si dipinse un no, ma il ragazzo inasprì l'occhiata:

« È un ordine, sergente Inetaki. »

Lena potè solo chinare il capo umiliata. Mentre la lasciava nel corridoio, Pai si convinse che il sissignore con cui le rispose fosse in realtà un invito ad andarsene a quel paese.

 

 

Nel corridoio limitrofo, dopo alcuni minuti di consultazione, i consiglieri si congedarono riprendendo ciascuno le proprie mansioni. Ebode seguì i suoi colleghi che sparivano con lo sguardo colmo di rabbia: gli sciocchi si erano fatti abbindolare dal teatrino messo in piedi da Teruga e da quattro trucchetti con giocattoli luminosi, ma non lui.

No, lui vedeva la verità su quelle terrestri e sui traditori, lui li avrebbe smascherati e fermati.

Avrebbe riabilitato il grande nome di Deep-Blue.

Lui avrebbe supportato la grande opera degli Ancestrali, gli unici degni di servire il loro signore.

Doveva solo trovare un modo di minare la fiducia neonata nelle umane. Gli occorreva un diversivo, un espediente. Un aiuto.

Sentì qualcuno imprecare a poca distanza e poi udì dei passi, scorgendo una figura familiare. Sul suo volto malaticcio ricomparve un sorriso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) incredibile, ma vero, esiste sul serio! La lessi tanti e tanti anni fa su un mio libro di scuola e ho avuto conferme online che è una teoria valutata (anche se non si è certi sia quella giusta)

(**) la somiglianza c'è, ammettiamolo…

Lena: spiritosa -.-!

(***) ho ripreso il cambio di look che le avevo apportato ne Il Collezionista ;)

Kisshu: vivi di pappa pronta, eh?

Zitto te! Roba mia, ci faccio quel che voglio!

Kisshu: -.-…

(****) iiih, quanti pallini oggi @_@""! ok, il jitte (o jutte) è quella storta di bastone dotato di uncino usato soprattutto un tempo dalle forze dell'ordine giapponesi, un incrocio tra un manganello e una spada corta (qui qualche info se siete curiosi ;) http://it.wikipedia.org/wiki/Jitte)

 

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~

 

*Ria ancora con trombette e fischietti di Capodanno* vai ragazze! Dai dai dai! Spaccac****!

Kisshu: che hai visto, un film di Jason Statham che sei così ingasata?

Ma se non sai nemmeno chi è Jason Statham!

Kisshu: scherzi?! Sai come sarebbe figo vivere come lui? Pieno di gnocca ed essere tamarro sempre e comunque! Farei a cambio subito!
Ancora non capisco come tu possa conoscerlo, ma sorvoliamo -.-""…

Allora gente cosa ne dite? Lo so succede un po' di tutto qui ^^". E io continuo ad inserire personaggi, e non abbiamo ancora cominciato la VERA ricerca della MewAqua!

Pai: infatti, dobbiamo menarcela ancora tanto? Ci sta morendo il pianeta, se non ve ne foste accorti -.-…
Cosa ne pensate di Lena ^^? Sì avrei voluto postare il suo chara e quello di altri pg, ma non ho avuto il tempo troppo lavoro ç_ç… Spero di rifarmi la volta prossima! Riguardo a Lena cmq… Andando avanti con la storia sarà importante, nonché molto inopportuna ^w^!
Lena: sarebbe un complimento -.-"?

No, mia Legolas –w-

Lena: andiamoci piano con gli insulti -.-**…

 

Dico grazie graziemille graziemillissime a tutti i miei lettori! Vi lascio e scappo che approfitto di queste pochissime ore libere per scrivere qualche altra riga. Al prox cap, dove finalmente capiremo come trovare le altre Gocce e… Sorpresa! Niente spoiler, vietatissimo! Ci vediamo tra un mese!

 

Mata Ne~©!

 

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Capitolo 10
*** Toward the crossing: second road ***


Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: 
Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro recensioni. 
Farai felice milioni di scrittori. 

 

 

 

Sì sì sì, lo so. Sono in MOSTRUOSO anticipo.

Minto: ti trasferisci in Alaska!

… no -.-

Ichigo: hai una crisi dello scrittore senza scadenza

No -.-"

Retasu: hai deciso di… Di… Ehm…

Purin: Reta-chan, non ti vengono insulti in mente ^^""?

Retasu: non sono brava in queste cose ç\\ç!

Oddei -.-"""…

Kisshu: hai deciso di farla finita? *occhi colmi di speranza*

Ma anche no!!

Kisshu: uffa…

Sei un grandissimo BEEEEEP. -.-* sorvoliamo… La verità è che sono molto indietro col le mie scadenze lavorative e universitario, quindi la pubblicazione mensile potrebbe slittare; visto che in questo cap spiegherò alcune cose importanti, ho deciso di postarlo prima, in modo che se per fine mese non avessi tempo libero non sarà passato troppo tempo tra lo scorso cap e il prossimo ^w^!

Pai: come sei generosa -.-""" *molto sarcastico*

Prima o poi anche tu me la pagherai ^^***…

Capitolo succoso ^w^! Spiegazioni, fraintendimenti, problemi e un finale shipposo (le fan di Ryou mi uccideranno ^^""…)

Vamos comagñeros! X3

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~

 

 

 

Cap. 10 – Toward the crossing: second road

                 Eyner the Coward

 

 

 

 

 

Pai si riunì alla comitiva quando questa era ancora a metà strada per il laboratorio, con una faccia talmente scura che nessuno osò chiederli spiegazioni.

MoiMoi li guidò a passo spedito fino all'ingresso principale dell'edificio, scese di un piano e poi voltò in un piccolo corridoio sulla destra che si apriva su una scaletta a chiocciola; il gruppo camminò per qualche minuto, andando più in basso rispetto alla stanza delle conferenze, e si ritrovò in una sala più grande di quella superiore, ma dall'aspetto più angusto; i l soffitto era basso e, come il pavimento e i muri, era ingombro di cavi elettrici sottili come capelli o larghi anche un metro. Sulla parete opposta all'ingresso si trovava un enorme schermo piatto spesso un paio di millimetri, che occupava interamente il muro assieme alla sua gigantesca pulsantiera, posizionata sotto. Nei pochi metri rimasti che non fossero adibiti a suolo calpestabile c'erano piedistalli sormontati da sfere trasparenti, come quelle che Pai usava sulla Terra per l'analisi dei dati, rendendo quasi impossibile muoversi senza centrare qualcosa. Il tutto si condiva di una luce scarsa dai toni freddi, che donava la confortante sensazioni di trovarsi in una cella.

In tutto l'ammucchio di oggetti solo un ritaglio di pavimento era lasciato sgombero, forse per una qualche funzione speciale, ma ad occhio risultava solo un vuoto cerchio d'acciaio non sfruttato.

Con sicurezza MoiMoi corse al piedistallo più vicino allo spazio vuoto e toccò la sua sfera, illuminandola, poi compose alcuni comandi: si udì un ronzio e il pavimento si aprì, sollevando una teca trasparente colma del liquido più azzurro che i terrestri avessero mai visto; al suo interno, intenta a ciondolare pigramente simile ad un pesciolino argenteo, si muoveva la Goccia di MewAqua.

« Ci abbiamo messo un po' a trovarle una casetta – disse MoiMoi – ma alla fine  abbiamo usato lo stesso sistema con cui teniamo aperto il passaggio verso la Terra. »

Ryou allungò affascinato la mano verso la teca entrando in contatto non con del vetro, ma con una strana superficie vibrante, gelida al tatto e leggermente elastica. Si guardò il palmo che prudeva intorpidito e bofonchiò:

« Frequenze di energia inversa… »

« È intelligente questo biondino! »

Esclamò MoiMoi e lo guardò ammirato:

« Esatto. Come per il passaggio, che resterà attivo finché non spegneremo l'impulso, la Goccia non potrà uscire fino a che non disattiveremo la teca. »

« Ma perché non usarla per  sanare il pianeta? »

« Sarebbe inutile – spiegò Pai atono – l'area malata è in continua espansione; se utilizzassimo ora l'energia essa si disperderebbe prima di sortire qualche effetto. »

« Dobbiamo trovare le altre Gocce e riportarle al guscio di cristallo da dove sono esplose – proseguì MoiMoi – e a quel punto potremmo rimetterle al loro posto, sempre… »

Si interruppe come se continuare lo spaventasse.

« Sempre che si faccia in tempo. »

La laconica conclusione di Pai lasciò un velo di gelo su tutti i presenti e per alcuni istanti  nella stanza si udirono solo i rumori elettrici della sfera.

« Un motivo in più per sbrigarci. – proruppe Ichigo con decisione – MoiMoi-chan, allora? »

L'alieno le rivolse un gran sorriso e corse al monitor gigante; una volta sedutosi su una sedia digitò qualche rapido comando e fece comparire un'immagine. Il profilo di una sfera tracciato in bianco, dal cui equatore partivano una serie di parallelepipedi, e al centro del globo un puntino luminoso.

« Qui – indicò il punto – c'è il guscio del Dono degli Avi, ossia il cristallo di MewAqua; più terra terra ci siamo… »

« Noi? »

Chiese Sando già stufo di tutti quei discorsi. MoiMoi annuì guardandolo rassegnato:

« Sì, giusto. Questi qui – passò ad indicare i prismi – sono i passaggi che il Dono ha creato quando si è scisso. »

« Di cui uno è arrivato sulla Terra. »

« Bingo, Reta-chan. »

Il ragazzo si girò verso le terrestri e ponderò un momento su come spiegar loro la situazione, senza andare a parare in contorte definizioni scientifiche che temeva avrebbe capito solo Ryou.

« Dunque… –  fece alla fine – Sto semplificando, quindi prendetemi così come vi parlo.

« C'è una legge più o meno universale per cui la materia in ogni sua forma cerca di mantenere uno stato di equilibrio, o di minimo dispendio di energia. Troppa energia vuol dire poco equilibrio, così la natura cerca di pareggiarla. Fin qui mi seguite? »

« Hai ridotto ad una striscia di quattro vignette l'Odissea, ma credo di sì. »

Fece Ryou sarcastico.

« Scusa se noi abbiamo bisogno dell'edizione tascabile! »

« Nessuno aveva dei dubbi su di te, Ichigo… »

« Che diavolo è l'Odidea? »

« Piantala, Taruto. E comunque, è Odissea. »

Lo sgridò Pai e fece cenno a MoiMoi di continuare:

« Succede così con gli atomi – riprese – devono avere la stessa carica positiva (protoni) e negativa (elettroni) per essere in equilibrio; se non lo sono, cercano l'equilibrio con altri atomi dello stesso tipo o di altri elementi. »

« Ok, rallenta un secondo….! »

Pigolò la mewneko e la videro borbottare tra sé e sé gesticolando con le dita, nel vano tentativo di ricordare lezioni di chimica mai seguite:

« Sì… Ok, ti seguo… »

« Insomma Ichigo, è roba da elementari. »

« Che razza di elementari hai frequentato, Minto?! »

« La MewAqua – continuò MoiMoi alzando il tono per zittirle – sta reagendo allo stesso modo. Forse perché non sono stati separati col sistema giusto, il guscio e le Gocce sono ancora collegati: questo stato fa rilasciare alla MewAqua una grande energia, con cui può aprire i passaggi, ma l'energia è troppa. Così le Gocce tentano di tornare al punto d'origine per ristabilire un equilibrio. »

« Questo spiega il comportamento della ragazzina dello Yakori. – pensò Zakuro a voce alta – Doveva avvertire l'istinto di tornare indietro, ma ovviamente la MewAqua non è senziente quindi non poteva dare istruzioni alla poveretta e questa finiva solo per girare a vuoto, in stato di semi incoscienza per la presenza della Goccia. »

MoiMoi schioccò la lingua con tono affermativo e sospirò:

« Ma il fatto che le Gocce si spostino è solo il problema minore… »

« Ce n'è un altro? »

Mormorò Ichigo preoccupata e lui le sorrise tirato. Pai si avvicinò alla tastiera e pigiò qualche tasto: i prismi sul monitor cambiarono di colpo posizione e da un cerchio regolare si disposero sulla superficie totale della sfera, in alto, in basso e di lato, rivolti ogni direzione.

« Credevamo che le Gocce avessero aperto dei passaggi per altri pianeti, ma siamo stati troppo ottimisti. »

« Alcuni passaggi portano a pianeti su questa dimensione, è vero – proseguì MoiMoi – ma gli altri… »

« Aspetta un secondo! »

Sul viso impassibile di Ryou si disegnò una smorfia:

« Hai detto "questa dimensione"?! »

« Non credo di aver capito bene nemmeno io, senpai. »

Fece Kisshu ridacchiando frastornato.

« In questa dimensione. – ripeté  MoiMoi più calmo che potè – Alcuni sì. Gli altri no. »

« State dicendo che la MewAqua ha aperto dei passaggi non solo per lo spazio – fece Minto agitata – ma addirittura per nuove dimensioni?! »

« Così sembrerebbe. »

Replicò Pai asciutto, seccato dalle loro reazioni infantili.

« Cos'è, una puntata di X-files?! »

« Ma se non eri nemmeno nata ai tempi di quella serie! »

« Vi sembra che sia questo il problema principale? »

Esclamò Retasu guardando scioccata Purin e Minto.

« Quindi – la voce di Zakuro tradiva una leggera apprensione – è questo il nostro problema più grande. »

MoiMoi ondeggiò la mano a destra e a sinistra:

« Così così. I bracciali schermanti funzionano rilevando dati dall'ambiente esterno e possono codificare qualunque idioma possibile, quindi dovrebbero essere dei validissimi aiuti per farci passare inosservati; a meno che non si capiti in una dimensione o su un pianeta di acido solforico… Ma nel caso si può valutare. »

Le ammiccò tentando senza successo di stemperare:

« Diciamo che il vero problema è una fusione delle due cose. »

Digitò ancora sulla tastiera. Dal puntino al centro partì una scia di luce, che i presenti intuirono rappresentasse una Goccia, che attraversò uno dei prismi fermandosi al suo limitare; dopo qualche secondo, però, la Goccia si spostò sullo schermo in modo casuale, facendo comparire un nuovo prisma nel punto in cui si fermò e facendo scomparire il precedente.

« Una volta dall'altra parte le Gocce non riescono a tornare indietro. – disse MoiMoi – Ma sembra che, se trovano un passaggio che le avvicina alla "casa base", possano riuscire ad entrarvi. »

« I frammenti si spostano?! »

« Temo di sì Reta-chan… »

Il ragazzo saltò giù dalla sedia e fece un cenno verso il gigantesco monitor, su cui le figure tridimensionali ruotavano e si fondevano in un unico corpo confuso:

« Siamo al centro di un Incrocio che non porta mai nello stesso punto; ogni Via che attraversa l'Incrocio, quindi ogni collegamento con la MewAqua, è un potenziale pericolo per i due mondi al di là dei passaggi, ma le Gocce si possono spostare… »
« La cosa positiva – intervenne Pai – è che le Gocce reagiscono tra loro. Con quella che possediamo possiamo individuare le Gocce dall'altra parte. »

« Sempre che queste non si spostino. »

Puntualizzò caustico Sando.

« Riguardo a questo – disse MoiMoi più sereno – sappiamo che le Gocce non possono tenere aperto più di un passaggio per volta; se noi usassimo il dispositivo con cui passiamo da qui alla Terra, una volta trovata la Goccia potremmo saldare il passaggio che ha creato e le impediremmo di fuggire. »

« Detta così sembra facile… »

Mormorò Ichigo poco convinta.

« Proprio così! »

« Il mio era sarcasmo, Purin… »

Lei fece spallucce e Ryou si massaggiò la tempia con fare stanco:

« Quindi i frammenti potrebbero essere ovunque? »
« In ogni dimensione possibile e su ogni pianeta possibile che l'Incrocio raggiunga. »

Ammise MoiMoi con un sospiro. Minto si premette forte le dita sulla fronte al culmine dell'irritazione:
« Perfetto! E noi dovremmo collaborare per...?! »
« Per tutto il tempo necessario, caro passerotto. »
« Richiamami ancora a quel modo, Kisshu, e sarà la collaborazione più breve della tua vita! »

Pai si trattenne dal prenderli entrambi a ceffoni; aveva l'impressione di lavorare con dei bambini:

« È esatto. – disse con più calma che potè – E visto che nessuno di noi sembra entusiasta all'idea di questi viaggetti, direi di cominciare subito. »

« Subito? – esclamò Purin – Ehi, aspetta! Non posso mica sparire da casa senza preavviso! »

« Ci sono evidenti motivi di forza maggiore. »

Puntualizzò lui duramente.

« Forza maggiore o meno, non posso andarmene così. E nemmeno le altre. »

Le sue amiche annuirono a darle man forte.

« E allora? – soffiò velenoso – Quando lor signore sarebbero pronte? »

« Ora calmati Pai – tentò di blandirlo Eyner – è evidente che dobbiamo partire quanto prima, ma lasciamo loro il tempo di organizzarsi. »

« Sempre l'avvocato del diavolo… »

« Dico solo che a noi non succede nulla se spariamo qualche giorno – insisté l'altro – nessuno ci verrebbe a cercare. »

« Esatto. – fece Ichigo – Hai la minima idea di cosa voglia dire sparire per un tempo indefinito dal radar di Shintaro Momomiya?! Dubito che come collaboratrici risulteremmo molto utili, blindate dentro casa per punizione fino alla maggiore età. »

Il ragazzo evitò di rispondere e li guardò contraendo a tal punto la mascella che Kisshu giurò di sentirgli scricchiolare i denti.

« Domattina saremo qui. – disse Zakuro con decisione – Prima dell'alba. »

Dato che Pai non era più intenzionato a partecipare al discorso, ai suoi sensi irrazionale, e non rispose MoiMoi annuì per lui:

« Prima dell'alba. Intanto io e Pai-chan bloccheremo il passaggio più vicino, ma dobbiamo essere veloci. – indicò di nuovo il monitor – Delle Gocce che abbiamo rilevato tre hanno lasciato solo la traccia, ma non riusciamo più ad individuarle. Non vorrei che si disperdessero, trascorso troppo tempo. »

I terrestri annuirono in silenzio.

 

 

Furono MoiMoi ed Eyner ad accompagnarli fino al passaggio. Su Tokyo il sole stava calando e la temperatura scendendo rapida, portandosi dietro un fresco profumo di erba e primavera; nessuna delle ragazze sembrava però incline ad abbandonarsi a quella quiete mentre, angosciate, guardavano MoiMoi consegnare a Ryou cinque piccole sfere gelatinose:

« Nel caso dovessimo metterci un po'. »

Disse e Ryou vide le sfere fluttuare ad un centimetro dal suo palmo, le superfici tremolanti come se respirassero.

« Potete usarle per creare dei diversivi. »

« Dovrei clonare le ragazze? »

MoiMoi scosse la testa:

« Sono schermi speciali creati in laboratorio… Hanno la stessa funzione dei vostri bracciali, ma possono ricreare una persona completa. – saltò nel passaggio – Sono già programmati, basta premerci sopra per attivarli. Mentre non li usate, teneteli pure in un cassetto. »

E fatto un cenno di saluto tornò indietro col compagno.

Ichigo e le altre si guardarono in silenzio; incamminandosi verso casa, la rossa non riuscì a non pensare al sogno della notte precedente, alle parole ascoltate dalla figura evanescente e poi da MoiMoi e Pai.

Gocce e passaggi, Gocce e Vie.

Tre Gocce scomparse.

Le Vie irraggiungibili senza una Chiave.

Che si riferisse a questo?

Turbata pensò di parlarne alle amiche, ma non aveva certezze, né che i due discorsi avessero un qualche legame, né su chi effettivamente fosse la persona del suo sogno.

Preferì tacere, riavviandosi verso casa e guardando preoccupata il sole sparire dietro gli edifici più alti del centro.

L'alba non sarebbe arrivata mai troppo velocemente.

 

 

***

 

 

Era ancora buio quando Retasu arrivò di fronte al passaggio per Jeweliria. Guardò sospirando il cielo scuro e la luce grigiastra in lontananza ad est e fu certa di essere arrivata davvero troppo presto.

Beh, meglio aspettare di altro…

Non aveva quasi chiuso occhio per l'agitazione e quando la sua sveglia aveva segnato le quattro e venti del mattino, si era stufata di rigirarsi nelle lenzuola: si era vestita in fretta lasciando un bigliettino ai genitori – a cui, per quando si fossero svegliati, avrebbero creduto tranquillamente – in cui annunciava di essersi svegliata "un po' prima" e di essersi già avviata a lezione, ed era corsa al parco senza pensare che con le ragazze l'appuntamento sarebbe stato dopo più di mezz'ora.

Sospirò ancora, rabbrividendo ad un soffio di aria fresca. Non era proprio una grande idea rimanere lì, ma di certo a casa non poteva tornare e le sembrava assurdo andare al Caffè, rischiando di perdere solo tempo e magari svegliare in anticipo Ryou e Keiichiro.

« Chissà… Se MoiMoi-san è già sveglia… »

Si guardò ancora un po' attorno ed entrò nel passaggio. Anche dall'altra parte era ancora scuro, ma l'alba faceva capolino con più convinzione da oltre l'orizzonte.

Con passo incerto Retasu si avviò al laboratorio, rimanendo poi in piedi immobile di fronte all'ingresso per lunghi minuti: ovviamente non c'erano campanelli di sorta né citofoni, e anche con la sua miopia riusciva a scorgere il riflesso della barriera attorno all'edificio.

E adesso?

« M-MoiMoi-san…? »

« Reta-chan? »

La verde sospirò a lungo, ogni tanto anche a lei un po' di fortuna:

« Sì, sono io. »

« Che ci fai qui? È prestissimo! »

« Le altre arriveranno tra poco – le giustificò prontamente – io… Ecco, ero un po' nervosa e… Sono arrivata prima. »

Disse impacciata:

« Se ti disturbo… »

« Entra, Reta-chan – rise lui – scendi al laboratorio inferiore… Io arrivo subito. »

La verde entrò trotterellando nella porta che si apriva con un risucchio sordo e scese al piano più in basso con baldanza; aveva già un bel sorriso dipinto in volto ed era pronta a salutare l'amico, ma tutto l'entusiasmo evaporò nell'istante in cui intravide la stanza.

Dritto di fronte sé vide Lenatheri seduta su una sedia, la gamba sinistra appena sollevata e coperta alla vista dalla figura di Pai, inginocchiato a terra; il ragazzo dava la schiena alla scala, ma si scorgeva senza problemi la sua mano intenta a saggiare la curva bianca della coscia della mora, come si capiva l'attenzione che aveva nel farlo.

Retasu divenne pallida, poi rossa fin ad essere scarlatta e poi ancora blu dallo spavento appena vide che Lena si era accorta di lei; la verde passò dal cianotico ad una simpatica gradazione di magenta, si girò di scatto e si spiaccicò contro lo stipite della porta, serrando gli occhi fin a farsi venire mal di testa:

« Sc-sc-scu-scu…! N-n-n-n….! »

Il suo cervello viaggiava così velocemente per cercare di capire da non farla parlare.

Non credeva a quello che aveva visto.

Non era possibile!

Se mai, mai, mai nella vita avrebbe desiderato trovarsi in un simile impiccio, la cosa si aggravava per la sua irrazionalità.

« Reta-chan? »

La ragazza sobbalzò appena alla voce:

« M-MoiMoi-san…? »

L'irrazionalità divenne assurdità, c'era qualcosa che non quadrava.

Lenatheri, Pai… E MoiMoi?!

Quasi incerta di aver sentito il suo nome Retasu  si riaffacciò nella stanza, più confusa che mai, incrociando i sorridendo occhioni mielati dell'amico:

« Buongiorno! Vieni, vieni pure. »

Lei lo guardò come se fosse impazzito e riportò titubante lo sguardo agli altri due. Pai la osservava tranquillissimo, anzi un po' stupito di vederla così agitata, mentre Lena le stava rivolgendo un sorriso gentilmente beffardo:

« Midorikawa-san, giusto? »

La verde annuì appena e il sorriso di Lena si allargò, addolcendosi:

« Buongiorno. »

Retasu la vide muovere la gamba e l'imbarazzo fu sostituito in un lampo da un freddo disagio. Sulla gamba sinistra dove il giorno prima Lena indossava una fascia colorata, al posto della pelle chiara c'erano una serie di minuscoli ingranaggi e lamine metalliche, rilucenti alla luce azzurrognola delle strumentazioni elettroniche; le viti e i giunti sibilavano impercettibili ad ogni minimo movimento della mora, sostenendo tutto ciò che stava al di sotto della curva del fianco.

« Ikisatashi mi stava aiutando. »

Spiegò Lena sbrigativa, guardando di sottecchi Pai. Solo allora Retasu si rese conto che la mano del ragazzo, che aveva creduto nuda sulla pelle di Lena, reggeva un piccolo attrezzo simile da un cacciavite: gli diede un ultimo mezzo giro e poi la estrasse da quella che, un tempo, era stata la caviglia della ragazza. Lena soffiò appena quando estrasse la punta metallica e si rivolse ancora a Retasu: 

« La mia gamba fa i capricci… »

Guardò l'alieno come se si aspettasse una risposta, ma lui non disse una parola e si rialzò scocciato:

« Io non sono un medico. »

« Qui serve un meccanico, altro che medico. – scherzò lei con amarezza – E quale miglior meccanico di quello che l'ha costruita? »

Lui la fulminò offeso del termine. MoiMoi rise e Retasu sentì il fastidioso ronzio dei neuroni acquietarsi e riprese a respirare con regolarità.

Era evidente che vi fosse una spiegazione razionale a ciò che aveva visto e logicamente non era… Quel che aveva creduto di vedere.

Ovvio.

D'altronde com'era possibile?

Pai non era…

Su. Con una donna a scambiarsi effusioni… !

Il solo pensiero era ridicolo!

Retasu si pizzicò sovrappensiero un angolo delle labbra. Lei non sapeva niente di Pai oltre a ciò che aveva visto combattendoci contro, non poteva certo affermare con sicurezza cosa fosse possibile o meno.

« Sei mattiniera. »

Le parole Lena intenta a riallacciarsi la fascia la riportarono di colpo coi piedi a terra.

« Ero venuta presto apposta per lasciarvi lavorare in pace. »

Retasu fece un piccolo inchino di scuse e arrossì, notando che la sua cortesia e il suo essere in difficoltà divertivano parecchio la mora:

« Solo… Un po' d'insonnia… – mormorò cercando di ignorare il suo sorrisetto – Così sono arrivata troppo presto… »

« Tranquilla, tranquilla! – sorrise MoiMoi – Tanto noi eravamo qui, io e Pai-chan siamo il re e la regina dell'insonnia! »

Retasu stiracchiò un sorriso, ma non riuscì a scollarsi di dosso l'impressione che Lena, intenta a ricoprirsi la gamba, di quando in quando la studiasse divertita.

« Tieni. »

La verde sbatté un paio di volte le palpebre guardando perplessa la piccola tazza che le veniva porta. Prese timorosa la coppetta fumante tra le dita e riconobbe l'odore di paina, che aveva bevuto da Lasa:

« Grazie Pai-san… »

« Essere troppo nervosi non è  molto utile. – disse asciutto – Quello dovrebbe rilassarti un po'. »

Lei non si offese minimamente al suo tono e sorrise del gesto, ringraziandolo di nuovo.

« Ne voglio un altro po' anch'io! »

« Senpai, ne hai bevute tre tazze in un'ora– precisò lui – e sei già fin troppo rilassata. Il prossimo stadio è la catalessi. »

« Uffa, Pai-chan! Sei antipatico! »

Retasu rise piano alla scena e MoiMoi le andò dietro, sbeffeggiando per gioco il suo kohai che come d'abitudine non ribatté alla provocazione sebbene il suo volto serio fosse sereno.

Solo dopo qualche minuto MoiMoi si rese conto che Lena non c'era più.

 

 

 

 

Quando furono riuniti il cielo stava cominciando a diventare azzurro sulla città ancora addormentata. Nel sotterraneo si discutevano gli ultimi dettagli e Taruto era impegnato in una chiacchierata con Sando:

« Tu non verrai, senpai? »

« Il consigliere Teruga ha ancora dei nemici tra il Consiglio – gli spiegò – è sempre bene che abbia le spalle coperte. »

Il brunetto assunse un'aria evidentemente delusa:

« Capisco… »

Sando ridacchiò e gli strofinò i capelli:

« Sei diventato forte, ragazzino. Non preoccuparti. »

Taruto rise compiaciuto e poi cercò di ridarsi un contegno, riaggiustandosi i capelli infastidito.

« Certo che Eyn è in ritardo… »

Sospirò Kisshu sovrappensiero.

« Credo che Teruga-san lo abbia chiamato per qualcosa – fece vago MoiMoi – magari lo ha trattenuto. »

Sando corrucciò la fronte poco convinto:

« Allora ci sta mettendo troppo. »

MoiMoi lo guardò alzarsi e dirigersi verso le scale e si inginocchiò sulla sua sedia:

« Dove vai? »

« A cercarlo, no? – replicò l'altro brusco – Non si era detto che eravamo di fretta? »

« Ah, Sando-san…! Vengo anch'io… Rischio di diventare matta a stare ancora ferma! »

L'uomo studiò Retasu in silenzio e poi vide Zakuro affiancarsi all'amica, la stessa faccia che chiedeva solo di potersi muovere un po' e fuggire dalla snervante attesa della partenza. Sando si strinse nelle spalle:

« Abbiate almeno la decenza di non perdervi… »

 

 

 

Sando le condusse attraverso il passaggio da cui avevano raggiunto il Palazzo del Consiglio la prima volta e trovò subito il modo di farle rendere utili:

« Ci sono solo un paio di posti dove potrebbero essere. »

Indicò alle due terrestri il corridoio alla loro sinistra:

« Se arrivate in fondo e non vedete nessuno, vuol dire che sono di qua. »

E accennò col pollice dalla parte opposta.

« Esplicativo. »

Commentò divertita Zakuro, ma Sando non le diede retta e si avviò per i fatti suoi.

« Ormai è quasi sorto il sole – osservò preoccupata Retasu – meglio sbrigarci. »

La mewwolf annuì e la precedette a passo svelto.

Camminarono in silenzio per qualche minuto per il corridoio semibuio, trapassato solo qui e lì dalla luce fredda dell'alba che raggiungeva alcune finestre; il pavimento lucido e le lisce pareti erano intervallati da ombre azzurrognole e non un suono, eccetto i loro passi leggeri, sfiorava l'aria immobile.

« Non fossi così agitata all'idea che tra meno di dieci minuti potrei trovarmi su un altro pianeta – disse Retasu con un sorrisino tirato – adorerei passeggiare in questo posto… »

Zakuro annuì appena e le sorrise incoraggiante.

Di colpo sentirono distintamente, seppur lontane, delle voci; voci per niente rassicuranti e imprecazioni soffocate, accompagnate da tonfi tremendamente simili a corpi che venivano colpiti.

Retasu guardò allarmata la mora e d'istinto scattò in direzione dei suoni svoltando in un corridoio laterale senza via d'uscita, stipato sul fondo di rastrelliere d'armi. Era molto buio, ma si potevano distinguere tre figure intente ad infierire con sadica soddisfazione su una quarta: gli aggressori erano soldati, dalla divisa che indossavano, mentre il quarto…

Nell'attimo in cui lo riconobbe Retasu trattenne a stento un grido.

« Eyner-san! »

Lui, fino ad un secondo prima immobile di fronte ai suoi assalitori, sgranò gli occhi sentendola e sollevata la testa fece una smorfia:

« Ahi, ahi… »

Retasu si accorse del rapido passaggio dei suoi occhi grigi da lei alla mora alle sue spalle, così come si accorse del sorriso amaro che per un secondo piegò le labbra del bruno, prima che tornasse a guardarla rattristato:

« Questo era meglio se non lo vedevate… »

« E queste che vogliono?! »

Uno dei soldati, il più vicino alle terrestri, le squadrò minaccioso:

« Cosa c'è? Siete ven… »

« Loro non c'entrano. »

Lo bloccò Eyner. Nonostante la faccia malconcia e il sangue sul colletto dei vestiti, la sua voce era calma e nulla nei suoi movimenti tradiva alcuna percossa; senza fatica si tirò dritto e scostò in malo modo i due che lo tenevano, dando l'impressione di essersi limitato a non reagire fino a quel momento.

Si asciugò il labbro spaccato e fissò con stanca rassegnazione i tre che lo circondavano:

« Bene, avete finito di giocare – disse piano – ora me ne vado… »

« Dove pensi di scappare, faiglek(*)?! »

Uno dei due alle sue spalle lo riagguantò per il braccio, strattonandolo indietro:

« Non abbiamo finito! »

Guardando il viso di Eyner la minaccia non dovette essere granché incisiva, perché il bruno si limitò a squadrare l'altro con fastidio. Retasu invece si spaventò ulteriormente e spintonò via uno dei soldati, cercando di avvicinarsi all'amico:

« Lasciatelo subito! »

La guardia ovviamente non ascoltò neppure una sillaba e la spinse indietro, ridendo sotto i baffi:

« Che dolce squadriglia di aiutanti! »

« Tieni le mani a posto dalla mia amica, pezzo d'imbecille… »

« Vi ho detto che loro non c'entrano. »

Sbottò Eyner con tono duro scostando il braccio; i soldati risero più di gusto.

« Ehi, io le conosco queste… – rumoreggiò il terzo dei tre – Non sono le terricole a cui si accompagna faiglek? »

« Ti conviene stare attento a quello che dici – soffiò ancora Zakuro, gelida – e fossi in te me ne andrei, prima di farmi del male. »

« Che paura! »

I tre proruppero in grasse risate e il primo afferrò Retasu al polso, strappandole uno strillo acuto:

« Che vorreste far- »

Prima che una delle due ragazze potesse reagire il soldato cacciò un urlo e lasciò la verde, piegandosi all'indietro per il dolore. Retasu e Zakuro lo videro tentare invano di liberarsi, ma Eyner gli teneva l'avambraccio  flesso dietro la schiena e l'unica cosa che il soldato riusciva a fare era provare a non cedere sulle gambe.

« Se volete fare gli stronzi con me, divertitevi pure – ringhiò il bruno feroce – ma sfiorate loro, e potrei arrabbiarmi. »

A conferma della minaccia Eyner piegò ancora più giù il braccio del soldato, che latrò e imprecò contorcendosi nel tentativo inutile di sciogliere la morsa del bruno.

« Maledetto faiglek di merda…! »

Uno dei soldati alle sue spalle fece comparire nella mano una daga e tentò di colpirlo, ma Eyner fu più svelto. Lanciò con forza il ragazzo che stava trattenendo contro il muro, dove questo sbatté  di faccia per poi crollare a terra con un gemito, e prima che l'altro soldato lo trafiggesse Eyner estrasse la sua arma; la lama avversaria fu tranciata a metà come un foglio di carta e il bruno calciò in pieno petto l'assalitore, che rovinò a terra travolgendo una delle rastrelliere con un gran fracasso.

« Grosso figlio di p- »

L'ultimo dei tre oltre all'assalto non completò nemmeno la frase e fu centrato da una secca gomitata nei denti, finendo lungo disteso ad imprecare con le mani serrate sul viso. Il proprietario della daga tentò di rialzarsi, tossendo e sputacchiando, e terrorizzato vide Eyner puntagli in mezzo agli occhi il suo jitte; il metallo dell'arma riluceva appena di rosso e pareva sul punto di emettere fuoco.

« Se qualcuno di voi, chiunque, prova anche solo a pensare di mettere loro le mani addosso, non mi limiterò a disarmarvi. »

Calciò verso di lui le parti della sua arma ormai distrutta, i bordi delle due metà spezzate incandescenti. I tre soldati,  prima così baldanzosi e soddisfatti lo guardarono tremanti e pallidi in viso, frastornati dalla sua reazione, ma non si mossero.

« Che sta succedendo?! »

Alla voce imperiosa di Sando i soldati emisero uggiolii di terrore: scattarono in piedi e caracollarono all'istante fuori dal corridoio, spintonandosi a vicenda per scappare, accelerando il passo mentre l'uomo inveiva loro contro e gli ordinava di fermarsi.

« Lascia perdere, senpai… »

Le parole di Eyner gli si spensero sulle labbra e con un gemito si lasciò andare in ginocchio, stringendosi dolorante un braccio sul torace.

« Eyner-san…! »

« Sto bene, sto bene… – la rassicurò, la guancia destra tumefatta – Sul serio… »

Con gentilezza Sando scostò Retasu e si mise il braccio di Eyner attorno alle spalle, sollevandolo di peso e facendo per teletrasportarsi. Le ragazze gli posero una mano sulla schiena appena in tempo, prima che le lasciasse lì: si ritrovarono in una stanza stretta e sconosciuta, ma dallo stile familiare; Retasu era certa che si trovassero in una qualche ala del laboratorio che non avevano ancora visto.

« Si può sapere cos'è successo? »

La voce di Zakuro appena più animosa del solito non scosse Sando, intento ad aiutare Eyner a sedersi sull'unica sedia presente. Lei corrugò la fronte e chiamò l'uomo perché le rispondesse, ma Sando continuò a non degnarla di attenzione mentre la porta della stanza si aprì facendo entrare MoiMoi.

« Sando, che cos… Eyn-chan! »

Il ragazzo trottò amorevolmente dal kohai guardandolo spaventato e prendendo ad ispezionarlo, facendogli voltare con gentilezza il viso per valutare l'entità dei danni.

« Era un po' che non succedeva, senpai… »

Il bruno gli rivolse un sorriso storto:

« Mi sarò distratto. »

Lui non aggiunse nulla e si mordicchiò il labbro, prendendo ad armeggiare con qualcosa nascosto dietro una pila di cavi malconci. Sando lo osservò distrattamente con la coda dell'occhio, scuro in volto, e Retasu si avvicinò timidamente ad Eyner:

« Eyner-san, ma cos'è successo? »

« Non preoccuparti, Retasu-chan. – le sorrise rincuorante – Non è grave. Partiremo solo un po' in ritardo. »

Lei fece per dire qualcos'altro, ma MoiMoi la afferrò per un braccio e spinse lei e la mewwolf verso la porta, facendo segno anche a Sando di seguirle:

« Ora uscite. – fece sbrigativo – Ci vediamo sopra. »

« Aspetta, MoiMoi-s…! »

Lui le chiuse la porta in faccia senza dar adito a risposta.

Retasu guardò confusa la mora, evidentemente sull'orlo di scoppiare ma che restò muta, i pugni chiusi, e sentì Sando che si avviava su per la scala alle loro spalle.

« Che è successo? »

Chiese Zakuro, ma Sando le diede solo la schiena e risalì.

« Sando-san. »

Lui insisté nel suo silenzio ostinato e arrivò fin alla soglia di un'altra porta, braccato dalla mewwolf:

« Sando-san! »

Si fermò con la mano già sulla maniglia. Restarono così per cinque minuti buoni, lui che la guardava fisso e in silenzio, lei che sosteneva il suo sguardo color della notte, fermamente intenzionata ad avere risposte; alla fine, sospirando, lui abbassò la mano e si rigirò verso le terrestri:

« È complicato. »

« Tutto da queste parti è complicato. – gli fece notare con durezza la mora – Per questo abbiamo il diritto di sapere. »

Sando sembrò ancora indeciso, finché dabbasso non sentirono avvicinarsi MoiMoi intento a canticchiare avvilito una grottesca filastrocca, che a Retasu ricordò terribilmente le canzoncine idiote che a volte inventano i bambini per canzonare i compagni.

 

Testa di terra, occhi da vecchio

Il vigliacco geli in eterno

Nel ghiaccio che non vuol fermare,

Dalla casa che non ci vuol riportare

Gettatelo in cella! Via la chiave!

Marcisci! Avvizzisci! Crepa!

Del traditore resti solo la pena

 

Le due ragazze lo guardarono disorientate.

« Nella nostra lingua, almeno, è più musicale. »

Disse sarcastico.

« MoiMoi-san… Dov'è Eyner-san? »

« Tra dieci minuti ci raggiunge – la rassicurò – non appena si sarà risistemato. »

Retasu lo guardò senza capire.

« Abbiamo un macchinario utile per guarire in poco tempo piccole ferite. – spiegò lui – Una soluzione di emergenza, visto che non era grave e noi dobbiamo partire subito. »

« Sì, però… »

MoiMoi ignorò le sue proteste, superò il terzetto e aprì la porta, fermandosi solo una volta che l'ebbe aperta. Si girò verso le ragazze e sospirò piano:

« Ve ne parlo solo perché avete visto. Non ditelo agli altri, ok? E specie con Kisshu, non fatene parola! Lui e Eyn-chan… Non ne parlano volentieri. »

Loro annuirono e MoiMoi riprese a salire, stavolta con passo più lento.

« MoiMoi-san, quella specie di filastrocca… »

Lui sospirò di nuovo e rivolse a Retasu un sorriso malinconico:

« Fino a due anni fa si sentiva ancora spesso. »

Gli sfuggì una risata:

« Che strano… Prima che Kisshu e gli altri partissero per la Terra a nessuno sarebbe mai venuto in mente di cantare una cosa simile ad Eyn. »

« Avevo intuito qualcosa. »

L'alieno studiò sorpreso Zakuro che invece si rimirò il braccio destro:

« Ieri… Anche volendo non avrei potuto evitare che mi trattenesse. – disse atona – Mi sono chiesta perché non fosse stato scelto un combattente tanto forte per la missione. »

« Eyn-chan è stato scelto. »

Le ragazze sollevarono lo sguardo incrociando quello dorato e triste di lui:

« Il Consiglio scelse quattro soldati tra i più abili del nostro esercito per venire sulla Terra, ma Taru-chan aveva ricevuto la nomina solo a titolo formale. »

« Una "riserva" – spiegò Sando – nel caso uno dei prescelti avesse rifiutato la missione. Una formalità burocratica, più che altro. »

« Però Eyner-san…. »

MoiMoi sorrise cupamente:

« In quel momento perfino Deep Blue doveva rispettare le nostre leggi, e queste dicono che per validi motivi si può rifiutare una missione. Eyn-chan disse semplicemente che non poteva essere lui ad andare sulla Terra perché non riteneva di avere la determinazione per assolvere tutti gli ordini che avrebbe potuto ricevere. Insomma, non sapeva se sarebbe stato in grado di combattere a qualunque costo. »

Retasu strinse le labbra e raccolse le mani al petto, capendo perfettamente i dubbi di Eyner e immaginando quanto dovesse essergli costato pronunciare simili parole di fronte alla sua gente.

« Nessuno poteva incarcerarlo o punirlo per questo. – disse Sando – Però nessuno accettò mai per davvero la sua decisione. »

Le ragazze non risposero.

« Faiglek… »

MoiMoi guardò Zakuro e mandò un lungo sospiro:

« Codardo. »

« M-ma perché Eyner-san non si ribella? – domandò Retasu titubante – Insomma, non avrebbe problemi, a difendersi intento… »

Sando rise amaro:

« La prima e ultima volta che ha reagito l'hanno sbattuto in cella di rigore per tre settimane. È robusto, fa prima a lasciarli sfogare in modo che si annoino, che dargli due legnate e poi finire in prigione per colpa loro. »

A Retasu non sembrò un ragionamento molto salubre ed immaginò che il motivo fosse un altro, ma non chiese. Zakuro invece distese appena la fronte, soppesando le parole dell'uomo.

« Non fatene parola, ok? – insisté MoiMoi – Per favore. »

Le ragazze annuirono e finirono di seguirli fino al laboratorio principale dove gli altri erano riuniti in attesa del loro arrivo. Subito tutti cominciarono a chiedere dove fosse finito l'ultimo membro del gruppo, ma Zakuro e Retasu  si limitarono a fare spallucce alle loro domande e lasciarono spiegare a MoiMoi, che si inventò un'assurda scusa a cui solo gli inconsapevoli terrestri avrebbero potuto credere.

Retasu si sistemò gli occhiali sul naso e sospirò tremula:

« Dici che Eyner-san starà bene? »

La mora non le rispose.

 

 

 

Uscirono all'aperto che ormai era mattina piena. Eyner era ricomparso una decina di minuti dopo, proprio come aveva detto MoiMoi, sorridendo sereno e senza traccia addosso di alcun graffio o livido né segni sugli abiti, che aveva opportunamente cambiato. Tuttavia, mentre si avviavano al passaggio attraversando il bosco dietro al laboratorio, il ragazzo si tenne in disparte e cominciò a rallentare, camminando svogliato tra la vegetazione bassa.

« Pensieroso? »

Sollevò appena la testa e fece uno strano sorriso storto:

« Zakuro… »

Si rese conto di essere rimasto molto indietro rispetto agli altri, ma nessuno se n'era accorto.

« I senpai ve ne hanno parlato. »

Dedusse dal suo aspettarlo. Zakuro mosse con sufficienza le spalle e riprese a camminare al suo fianco:

« Retasu era preoccupata. »

« Lo immaginavo – rispose sospirando – è fatta così, vero? »

Zakuro annuì con un suono non ben definito.

« Mi dispiace che abbia visto una simile scena. – si fermò e studiò la mora in silenzio – Immagino che mi riterrai uno stupido. »

Lei continuò a non parlare e ricambiò il suo sguardo; Eyner non capì la sua espressione, ma ebbe la sensazione che lo stesse studiando.

« È per Sury? »

Eyner la fissò stranito e Zakuro continuò:

« Per tua sorella. E' per lei che non reagisci? »

Si aspettava ogni domanda sull'argomento tranne quella. Impiegò qualche istante a metabolizzare e infine annuì:

« Grazie a Lasa-san una volta me la sono cavata, ma non posso lasciarla sola. Inoltre, dopo il ritorno dei ragazzi le cose sono migliorate… Ormai avevo imparato ad evitare il problema dal principio, per questo non mi aspettavo i simpaticoni di oggi. »

Zakuro fece un cenno col capo in segno d'assenso.

« Puoi dirlo, sai? »

Lei gli rivolse un'occhiata interrogativa.

« Pensi che sia un patetico idiota. »

In quell'istante Eyner si convinse che Zakuro fosse la persona più sorprendente ed imperscrutabile che mai avrebbe potuto incontrare nella sua vita. La vide voltarsi di nuovo e, prima di sussurrargli divertita la risposta,  sorrise:

« Sì. Sei un idiota. »

E raggiungendo gli altri lo corresse:

« Un coraggioso idiota. »

 

 

 

Camminarono per alcuni minuti raggiungendo un piccolo spiazzo tra gli alberi, dietro un dislivello alle spalle del portale per la Terra. A fluttuare sopra l'erba secca c'era un altro disco di luce abbagliante, più piccolo di quello per Tokyo e dai bordi più frastagliati, tremuli, imprecisi; due piccole scatole nere a forma triangolare erano posizionate ai lati del passaggio e ronzavano lente, emettendo invisibili scintille azzurre.

Con zelo MoiMoi si avvicinò alle scatole e premette alcuni pulsanti: gli oggetti ronzarono più forte e il passaggio tremò, diventando più nitido.

« Ho concentrato le frequenze su questo passaggio – spiegò rapido – quindi il portale per la Terra sarà semichiuso. Non preoccupatevi, una volta tornati indietro lo riattiverò appieno. »

« Sappiamo almeno dove stiamo andando? »

« Non essere così acido, Ryou. »

Ma il rimprovero non servi a Ichigo per mascherare la sua vocina spaventata.

« È un pianeta di questo sistema – li confortò l'alieno – Glatera. »

Kisshu mandò un fischio sollevato:

« Cominciamo facile, almeno! »

« Dici sul serio o scherzi? »

« Mai stato più serio, micetta. »

Il suo ghigno non la rassicurò molto.

« È un pianetino di foreste dove non c'è niente, a parte una grande città-porto – disse Taruto – non avremo molti posti dove cercare la Goccia. »

Con passo spedito Pai superò il gruppetto perso in chiacchiere ed entrò nel portale, segnale che era l'ora di muoversi.

Con un balzo Purin e Taruto gli si accodarono, imitati da Minto e Retasu; Ichigo aspettò un secondo, prese un bel respiro e le seguì e Kisshu dietro di lei, fermandosi solo un istante a guardare MoiMoi, intento a  sistemare gli stabilizzatori del portale:

« Non vieni con noi, senpai? »

« Sono a riposo forzato – sospirò, guardando storto Sando – perciò è meglio che resti a controllare la situazione. E poi non vorrei che quelli là venissero a farci una visitina. »

« Se succede, torniamo subito indietro. – fece Eyner con fermezza, seguendo l'amico – State attenti. »

MoiMoi gli sorrise e li guardò sparire. L'ultimo ad entrare fu Ryou, rimasto a fissare la superficie bianca per qualche minuto con fare assorto.

« Non credo che nessuno direbbe niente, se decidessi di non andare. »

Il biondo guardò MoiMoi inespressivo.

« Capisco il tuo desiderio di seguirle, ma tu  non hai poteri, no? Non credo… E quello cos'è? »

L'alieno si allungò verso il polso del ragazzo e sfiorò con le dita il bracciale schermante, sgranando gli occhi; Ryou sorrise divertito.

« Che hai combinato? »

« Una piccola aggiustatina alla Ryou. »

E passò nel portale dandogli un'ultima occhiata sibillina.

Il ragazzo dovette coprirsi gli occhi per via della luce intensa e dopo pochi passi fu fuori dal passaggio finendo investito da un'aria soffocante, calda e gravida d'umidità che portava odore di terra e di piante, di sporco, metallo e polvere. Faceva fatica a capire dove si trovasse, il portale sbucava dietro ad un basso edificio marrone in un vicolo stretto, chiuso su un lato da una gretta palizzata di legno e aperto dall'altro su una folla frastornante. Tutti i suoi sensi erano intontiti dalla calura e dal rumore e attorno non vedeva nulla di illuminante, ad eccezione del muro di pietra.

« Shirogane-kun! »

Ichigo lo chiamò dal lato che dava sulla strada gesticolando con la mano e lui la raggiunse; notò che tutte le ragazze erano nella loro Mewform e volle chiedere il motivo, ma cambiò idea vedendo cosa gli passeggiava di fronte.

Pareva di essere piombati in un film di fantascienza. Tra bancarelle malmesse e negozietti che si aprivano sulla strada polverosa passeggiavano esseri di tutte le specie, di ogni dimensione e di ogni aspetto possibile. Alcuni assomigliavano ai terrestri o a Kisshu e gli altri, con pelli più o meno scure e orecchie pronunciate o rotonde, qualcuno – e Ryou capì perché le ragazze si fossero trasformate senza problemi – con orecchie e code animali e perfino con la pelle simile a pelliccia o squame. Altri passanti avevano corporature, oltre che tutte le altre caratteristiche fisiche, rassomiglianti a tozzi formichieri o grosse lucertole bipedi e parlavano lingue sconosciute, così rapidamente che i bracciali non facevano in tempo a tradurle e alle orecchie dei terrestri arrivavano solo sbuffi e ringhi. Qualcuno aveva tanta ferraglia arrugginita addosso da non poter capire cosa vi fosse sotto, qualcun altro indossava abiti di pelliccia che facevano evaporare per il caldo al solo vederli, altri erano abbigliati solo per il minimo indispensabile al pudore.

Kisshu prese un sonoro respiro e fece teatrale:

« Aaah, Glatera! Quanto mi sei mancata! »

« Fa un caldo assurdo! – si lamentò Purin asciugandosi il sudore dal viso – Con che coraggio vi lamentavate del caldo di Tokyo?! Qui sembra la foresta pluviale! »

« Credo sia simile… Guardando la vegetazione… »

Disse distrattamente Zakuro.

« Come troveremo la Mew Aqua in un tale marasma? »

« Vecchia maniera cornacchietta. Gambe in spalla e diamo un'occhiata in giro. »

 

 

 

Cercare di non perdersi tra la folla di Glatera era complicato quanto trovare indizi sulla MewAqua , specie gironzolando in dieci. Eyner guardò compatendolo un disperato Taruto, intento a trattenere Purin dal curiosare da sola e perdersi:

« Speriamo che non si facciano catturare da qualche mercante, qui sono capaci di rivenderli per un sacco di farina! »

A quell'affermazione Retasu mandò un pigolio di terrore e incollò lo sguardo sull'amica bionda, tutta concentrata su una gabbietta di strani esserini pelosi dall'aria famelica. Minto sospirò seccata e si asciugò la fronte sudata:

« Che bel posticino…! »

« Ci si adatta come può. – ribattè Pai piatto – Qui non c'è granchè, ma è l'unico pianeta nel raggio di molte miglia su cui si possa sostare e fare rifornimento. È logico che ci si raduni un po' di tutto. »

« Ovviamente. »

Allenato da anni alla linguaccia di Kisshu, Pai non replicò nemmeno al sarcasmo di Zakuro.

« Abbiamo almeno qualche opzione su dove cercare? »

Eyner schivò un gruppo di tre bassi e tozzi figuri dotati di pesanti scarpe di metallo che per poco non gli triturarono un piede, e imprecando sottovoce parolacce incomprensibili rispose:

« La cosa migliore sarebbe chiedere informazioni, ma non sappiamo come potrebbero reagire. La Goccia potrebbe essersi unita a qualcuno e aver giocato uno scherzetto come quello della Terra, oppure potrebbe essersi inserita in qualche oggetto che ha assunto un qualche valore… »

« Il classico ago nel pagliaio. »

Sospirò Minto annuendo.

« Se riusciamo a scovare qualcuno che conosciamo – borbottò pensieroso  il bruno – forse… »

« Credevo che non viaggiaste molto dal vostro pianeta. »

« Intendi per via del clima? »

Replicò alla sua domanda e Ryou fece un verso muto d'assenso.

« Prima meno, ma non era così raro. – disse spiccio Eyner – Ovviamente ora ci spostiamo di più. »

« È Kisshu quello sempre a zonzo – soffiò Pai con fare seccato – forse può trovare qualcosa di utile. »

« E dov'è finito? »

« Era dietro di noi con Ichigo… »

Alle parole di Retasu, Ryou serrò la mascella e si guardò alle spalle individuando all'istante lo sgargiante abito rosa confetto della mewneko. Troppo lontano, troppa gente tra loro; un alieno con troppe palesi intenzioni malevole vicino a lei.

Troppo fu il suo l'orgoglio che, invece di fargli fare marcia indietro, gli fece accelerare il passo.

 

 

Ichigo si chinò con circospezione a studiare la cassetta, lasciata sull'angolo del banchetto di fronte a cui si trovava. Il venditore era occupato a trattare con n cliente per l'acquisto di uno strano lucertolone color lilla e non badò a lei, che mise il naso più vicino che potè alla gabbietta: dentro c'erano cinque esserini che a prima vista erano dotati di aculei, ma osservandoli meglio possedevano un manto composto da lunghi filamenti spessi, che muovevano di continuo come un'anemone di mare; i filamenti erano di colori caldi, gialli e rossastri, e diventavano iridescenti ad ogni movenza sfiorando sfumature violette e verdognole; le creature avevano piccoli occhi nerissimi e tre zampe tozze e rotonde su cui si barcamenavano goffi, emettendo in continuazione un sottile verso simile ad un fischio.

Ichigo li guardò estasiata per la loro stranezza e la bellezza dei loro colori, avvicinandosi ulteriormente. Voleva accarezzarli e allungò un dito guantato tra le sbarre; uno degli esserini la fissò con gli occhietti lucenti e la rossa mandò un pigolio eccitato:

« Accidenti, quanto sei carino…! »

L'animaletto mosse un altro po' il mantello, indietreggiò e prese a sbattere freneticamente la boccuccia. Ichigo si fermò disorientata, riuscendo appena in tempo a schivare un getto di bava che lui le sputò contro, cacciando un urletto e capitombolando a terra.

« Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino. Non dite così voi? »

Lei fissò torva Kisshu che la stava canzonando, arrossendo offesa:

« Nessuno ha chiesto la tua opinione! »

Lui rise e l'aiutò ad alzarsi, indicando a terra:

« Perché non chiedi prima di metterci le mani? »

Ichigo seguì con lo sguardo il suo dito e fu scossa da un tremito: dove la creaturina aveva sputato c'era un bel buco fumante.

« Erano così carini… »

Piagnucolò in sua difesa; Kisshu la guardò divertito:

« Quei cosi carini sputano acido. »

La spinse via prima che qualcuno chiedesse qualcosa o protestasse, sussurrandole:

« Sinceramente, non è un animale che mi piacerebbe avere in casa. »

Ichigo non potè essere più d'accordo.

Si allontanarono velocemente e di colpo Ichigo si rese conto che erano rimasti separati dagli altri. Un moto d'agitazione le strinse lo stomaco, trovarsi da sola con Kisshu non era il massimo delle sue aspirazioni.

Cercò di non pensare a ciò che lui avrebbe potuto fare o dirle e si concentrò invece su cosa avrebbe dovuto dire lei; prese un bel respiro, abbassò le orecchie feline con aria colpevole e mormorò:

« Senti… »

« Uh? »

« Io volevo… Mi dispiace per quello… Che è successo l'altro giorno. »

Si tormentò un lembo della gonna guardando per terra:

« Al Consiglio. Non volevo comportarmi così con te, scusami tanto… »

Kisshu la guardò un momento e sorrise:

« Scuse accettate, micina. »

Lei restò spiazzata, tanto per la rapidità con cui aveva accettato le sue parole quanto per l'aria felice che aveva preso nel sentirle, e guardò di lato a disagio.

« Non fare quella faccia micetta, mica ti mangio! »

Rise lui e poi prese un sorriso malizioso, abbassando il tono:

« Almeno se non me lo chiedi… »

« Sei il solito stupido! – sbottò lei rizzando la coda – Come faccio a darti retta quando sei serio, se passi il tempo a prendermi in giro?! »

Il sorriso scomparve dal viso di Kisshu, che assunse un'espressione indefinibile. Ichigo credette di scorgere dietro lo sguardo ambrato del ragazzo un oceano di frasi non dette, ma non ne colse alcuna. O forse, non volle farlo.

« Io non ti prendo in giro, Ichigo. »

A sentirsi chiamare per nome la rossa non riuscì più a muovere un muscolo.

« Ogni cosa che ti dico la penso davvero. »

Sollevò il braccio e le sfiorò la guancia con la punta delle dita. Ichigo cercò di convincersi che fosse l'afa di Glatera a farla soffocare, non la voce roca e calda di lui:

« Mi piaci, ti trovo adorabile e non fosse che probabilmente mi tireresti un pugno, ti bacerei proprio qui e adesso. »

Ichigo ebbe l'impressione che i muscoli della pancia fossero tornati alle dimensioni di quando aveva tre anni, tanto le si serrarono attorno allo stomaco mozzandole il respiro. Pregò che lui togliesse la mano dalla sua faccia o si sarebbe accorto che stava avvampando; sempre che non l'avesse già tradita il colore della sua pelle, in quel momento di certo dello stesso tono del fiocco sulla sua coda.

« Perché ti amo. »

Lei sussultò e si strinse nelle spalle, il cuore che schizzava in petto. Rimase in silenzio a fissarlo, incapace di replicare al desiderio che sentiva trafiggerle la pelle ad ogni occhiata, a quell'amore bruciante e triste di essere per l'ennesima volta dichiarato, ricevendo solo silenzio.

Come non fosse accaduto nulla Kisshu le sorrise furbo, le diede un buffetto sul naso con l'indice e riprese a camminare. Ichigo rimase immobile a fissarlo respirando forte per calmarsi e poi, titubante, gli trottò dietro per non perdersi, tenendo comunque una certa distanza.

Lei non lo amava… Ma se le parlava a quel modo, se la guardava sempre come la cosa più bella al mondo, dirglielo diventava difficile.

Accidenti a te!

Lo guardò voltare la testa richiamato da qualcosa ed avvicinarsi ad un negozio, prendendo a parlare col chiassoso venditore. L'uomo, piccolo e flaccido, aveva una strana testa calva coperta da squame e parlava strascicato, tanto che nonostante il traduttore Ichigo non capiva troppo bene cosa stesse dicendo. Le parve che l'uomo la indicasse mentre si avvicinava e dicesse qualcosa di sospetto a Kisshu, ridacchiando, e arrossì indispettita:

« Mi auguro che tu non gli abbia detto niente di fraintendibile…! »

Sibilò all'orecchio del ragazzo che sorrise candido:

« Tutte insinuazioni sue. »

« Allora! – continuò l'uomo con voce rasposa – Che posso vendere a te e alla tua dolce metà? »

Prima che Ichigo li artigliasse la faccia in uno scatto di imbarazzo rabbioso Kisshu sorrise incurante:

« Fortunatamente credo di poter tenere i miei soldi in tasca senza farmi derubare da te. »

L'uomo fece una teatrale faccia offesa.

« Ma se posso chiederti una cosa da amico, la prossima volta posso farci un pensierino… »

L'uomo strinse gli occhi e annuì con un grugnito, decisamente meno allegro:

« Bada che se si tratta di cose in cui posso rischiare la pelle, ti arrangi. »

« Niente di tutto ciò! – lo rassicurò Kisshu – Sai niente di una strana sfera luminosa? »

Il negoziante lo continuò a fissare torvo e scosse la testa senza capire. Ichigo allora si avvicinò ancora e aggiunse:

« È grande – avvicinò le mani a formare una palla – all'incirca così… Bianca, più o meno, e si muove di continuo. »

L'uomo li studiò come se fossero rincretiniti per un altro paio di minuti e poi grugnì:

« Mmm… Non so se è quello che cercate, ma forse una cosa simile l'ho già vista… »

Ichigo saltellò dalla gioia:

« Davvero?! »

Lui allungò il braccio oltre la finestra del suo negozio ed indicò il muro adiacente: sopra era affisso uno strano manifesto tutto sporco, con disegnato in maniera molto realistica un grosso mostro simile ad un cane gigante.

Kisshu si avvicinò per leggere e sbiancò. Ichigo si mordicchiò il labbro:

« Quanto siamo nei guai? »

« Vuoi proprio saperlo? »

Le fece spazio perché guardasse meglio. Ichigo non capì cosa ci fosse scritto su quel pezzo di carta, ma riconobbe perfettamente la pallina luminosa disegnata al collo del mostro canino.

« Direi in guai molto, molto grossi. E zannuti. »

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) termine che mi sono inventata storpiando il tedesco Feigling (pron. faiklink) cioè codardo

 

 

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Ok, in quante vogliono uccidermi ^^""?

Possiamo basta dividere chi mi vuole uccidere per ciò che sto combinando da chi mi vuol far secca perché ho troncato qui ^^""? Grazie ^w^""!

Ichigo: io sono la prima in lista -\\\-***!!!

Oh, piantala! Che tra l'altro mi chiedo come mai sei ancora viva, con quello che ho scritto la volta scorsa credevo ti avrebbero linciato…

Ichigo: si vede che i tuoi lettori sono più intelligenti di te -.-*!

Questo è sicuro ^^!

Ryou: se lo dice pure da sola -.-""…

Non mi aspettavo fossero più comprensivi!

Minto: magari aspettano solo che tu prosegua con la storia per ucciderla quando sarà distrutta, come una zebra zoppa.

Ichigo: °___°"""?!?

Minto-chan, a volte fai paura….
vorrei ringraziare TANTISSIMISSIMO MANDANDO MILLE BACINI x3!! Le mie fedelissime e dolciosissime Hypnotic Poison, Danya e mobo! La cara Viola_Merida_32! E ovviamente la carinissima e super entusiasta ^\\^ zakuro_san!
Grazie mille a tutte, mi date un sacco di carica e non solo per scrivere
©©©! Davvero, grazie del sostegno ©

Cercherò di rispettare la mia prossima scadenza, stavolta postando anche i chara nuovi. Chiedo scusa in anticipo per eventuali ritardi L, vi bacio tutti e vi ringrazio anche delle visite (114 in due settimane ©©©! *riderotolarotolarotola*) Alla prossima!

 

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Capitolo 11
*** Toward the crossing: second road (part II) ***


Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: 
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Botte botte botte botte! Oddio sto delirando! *ride*

Capitolo d'azione, spero di aver reso al meglio tutto quel che succede! Vi lascio a divertirvi ci vediamo in fondo ;)!

 

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Cap. 11 – Toward the crossing: second road (part II)

                 Cat and Dog

 

 

 

 

 

« Questo sì che è un casino! »

« Definirlo così mi sembra eufemistico. »

Sospirò amaramente Eyner guardando Taruto con aria torva.

Il gruppo era fermo attorno ad una folla confusa che andava accalcandosi all'estremità ovest della città, dove alcuni edifici malconci incorniciavano uno spiazzo di terra battuta, racchiuso da un alto recinto di legno e filo metallico. Manifesti come quello visto da Ichigo e Kisshu aumentavano di numero man mano che ci si avvicinava al piazzale, venendo additati dalle persone eccitate, e la calca rumoreggiava sempre più forte mentre piccoli gruppetti ne interrompevano il flusso, radunandosi qui e là e dando il via a scommesse di ogni sorta.

Ichigo studiò affranta l'ennesima locandina che l'adocchiava da un angolo: il mostro sulla carta le ricordava le creature dei suoi incubi da bambina e avrebbe fatto qualunque cosa, pur di non trovarselo di fronte.

« E quindi? – chiese Minto secca – Come la risolviamo? »

Gli altri la guardarono senza dire nulla.

Deciso a trovare risposta alla stessa domanda Pai si infilò nella ressa con passo deciso, scivolando veloce fra le fila sempre più serrate di curiosi per raggiungere lo spiazzo in fondo.

« P-P-Pai-san…! »

Il ragazzo si voltò appena con un sospiro, aveva l'impressione che quella scena stesse diventando un cliché. Subito dietro le sue spalle scorse la chioma smeraldina di Retasu che annaspava faticosamente nel marasma, spiaccicata tra due energumeni sordi alle sue timide richieste di farle spazio e alle sue – forse troppo – garbate spinte per allontanarli.

« A-aspetAhi! P-permesso…! »

Con un ultimo colpo di spalla finalmente riuscì a districarsi, ma impiegò troppa forza e incespicò perdendo l'equilibrio: allungò il braccio pronta all'impatto col terreno, invece le sue dita si strinsero attorno a della stoffa.

« Insomma… »

« Uff… Gra- »

Prima che dicesse altro Pai la rimise dritta tirandola con poco garbo per il braccio:

« Fai più attenzione a dove metti i piedi. »

Il tono fu così esasperato che Retasu chinò lo sguardo sulle punte delle scarpe, mortificata.

« Ti sei fatta male? »

« Eh? »

La ragazza arrossì quando, sollevando la testa, incrociò troppo di colpo le iridi viola scuro dell'alieno:

« N-no… »

Ebbe l'impressione di vederlo sorridere, ma l'arrivo di Purin alle sue spalle e di tutto il loro seguito non le diede il tempo di verificare, che Pai aveva ripreso a farsi largo fino al recinto di legno.

Il gruppo fece molta fatica ad arrivare in fondo, ma riuscì a distribuirsi sul limitare della folla che si teneva a prudente distanza dalla recinzione. In piedi su una sorta di palco improvvisato – due cavalletti di legno tarlato e una tavola marcescente – stava un alieno smunto dalla pelle bruna, butterata di macchie scure e radi ciuffetti di pelo ispido; il viso magro era incorniciato da una barba irsuta e malcresciuta e le sue gambe erano in realtà due zampe dotate di zoccoli, ormai scheggiati dall'usura.

« Ora le ho viste tutte. – mormorò Ryou sarcastico – Un satiro?! »

« Un che? »

« Quello »

E indicò la creatura sul trespolo; Kisshu lo squadrò come se fosse scemo:

« Non so di che diavolo tu stia parlando. Quello è un Quiorq – fece con naturalezza – di certo non la razza più piacevole del mondo, ma se… Qualunque cosa tu abbia detto, era un insulto, forse è esagerato. »

« Gli umani hanno leggende su creature che assomigliano ai Quiorq – disse piano Pai – satiro è il nome con cui li identificano. »

« Sì. E non dovrebbero esistere. – puntualizzò Ryou con una certa esasperazione – Eppure ne ho uno davanti che sbraita come un mercante in fiera. »

Kisshu rise aspro:

« Certo che se ti stupisci per una cosa simile, non andrai lontano da queste parti biondo! »

Lanciando un urlo rauco per attirare l'attenzione il Quiorq barcollò un poco sul suo rialzino e spalancò gli occhi verde prato:

« Venite avanti gente! Venite! Oggi, e solo per oggi! Misurate la vostra abilità in combattimento e guadagnate un gruzzolo da sistemarvi per tutta la vita! »

La folla mandò grida d'assenso, costringendolo ad interrompersi alcuni secondi.

« Avanti! Giovani e vecchi, uomini o fanciulle! Qui non si fa discriminazione! »

Risa più forti e qualche fischio che strapparono alla creatura un gracchiante verso di gola, la brutta imitazione di un risolino:

« Resistete due! Dico due minuti con La Bestia e guadagnatevi la vostra fortuna! »

Il boato degli spettatori fu inutile per coprire il cupo ruggito che vibrò tutt'attorno, strappando urletti spaventati ai più giovani.

Nel mezzo della piccola arena, trattenuto da una grossa catena rugginosa, si agitava il mostro ritratto nei manifesti, che non rendevano per nulla giustizia al suo aspetto minaccioso e potente. Ad Ichigo ricordò un bulldog per la sua fisionomia, specie il modo in cui teneva storte le tozze zampe anteriori, ma le dimensioni erano di un pullman da sedici posti; il corpo era ricoperto di un fitto pelo grigio lurido di fango e terra, mentre l'enorme bocca, che avrebbe tranquillamente potuto inghiottire la mewneko intera coda compresa, aveva larghi denti bianchissimi sulle gengive rosate, digrignati in un latrato furioso. La creatura si agitava, muovendo convulsa il corpo corto e sgraziato, scuotendo la testa tozza forse nel vano tentativo di liberarsi dalla catena e raschiando le letali unghie nere sul terreno secco; solo ogni tanto, nel groviglio del pelame sporco, si intravedeva il familiare baluginio iridescente della MewAqua, legata con una corda al collo dell'animale come un collare.

« È proprio il Dono degli Avi… »

Il gemito della rossa fu accompagnato da una bassa imprecazione di Kisshu:

« Un merkv… E pure bello incazzato, maledizione… »

« Un cazzo di enorme, immenso casino! – si ripetè Taruto sbattendo i piedi – E adesso?! »

Un boato più forte della folla lo interruppe, mentre un temerario tentava la sfida con la creatura e veniva scortato sulla pista. Il rumore della catena dell'animale che veniva sganciata suonò letale nel silenzio che l'accompagnò.

« Sia come sia, dobbiamo riprendere quella Goccia. – fece notare Minto con un sospiro – Su, proponete. »

Guardò i quattro alieni con sufficienza:

« Siete voi gli esperti a trattare con altri alieni, no? »

« Meno sarcasmo, cornacchia. – soffiò velenoso Kisshu – E comunque quello non è qualcuno con cui si può ragionare. »

Scoppiarono grida terrorizzate e il merkv latrò più forte, brandendo lo sfidante tra le fauci e sbatacchiandolo nella brutta imitazione di un cucciolo col suo giocattolo. La baldanza di Minto per un secondo scemò mentre indietreggiava pallida, inorridita dalle urla di dolore dell'uomo.

« Per quanto pericoloso, dobbiamo entrare lì dentro. »

« Oh, certo! Che bel sistema per morire! – sbottò Taruto – Scusa Pai, non era Kisshu quello delle idee stupide?! »

« Hai una soluzione migliore? »

Alla nota del fratello Taruto non seppe che rispondere.

« Il problema è come fare. – fece Eyner corrucciandosi – Forse io potrei abbatterlo… Ma se lo uccidessi, temo che verrei linciato da tutta questa simpaticissima gente. »

« Non possiamo toglierli il loro hobby. »

Concordò Zakuro, mal celando un certo disgusto:

« Escluderei anche la mia arma e quella di Minto – continuò – non si tratta di un chimero, non so che effetti potrebbero avere. »

« Se seguiamo questo ragionamento ci gambizziamo da soli! – borbottò Kisshu – Ne' io, ne' Pai o Taruto allora siamo adatti, vorresti entrarci a mani nude per caso? O mandarci la pesciolina? »

« Kisshu-san, per favore, smettila di chiamarmi così! – mormorò Retasu – E poi… S-sì, in effetti io, forse, ho la tecnica più adatta… »

« Reta-chan, non credo sia una buona idea. »

« Sono d'accordo con Eyner – fece Ryou, poggiando con premura una mano sulla spalla della verde – è troppo pericoloso. »

« Abbiamo affrontato di peggio. Se non possiamo aiutare quando serve, che senso ha essere qui? »

Sorrise rassicurante la ragazza, assumendo un'aria più decisa:

« Inoltre non occorre certo che vinca la sfida, no? È sufficiente che riesca a prendere la Goccia. »

Nell'arena il merkv veniva intanto riportato nei ranghi, trascinato di lato dal suo gigantesco guinzaglio, mentre alcuni uomini recuperavano i resti rantolanti del primo sfidante.

« Allora forse non è meglio il mio potere? – domandò Purin – Potrei immobilizzarlo, prendere la Goccia e darmela a gambe. »

« E se quel coso si libera? – sbottò Taruto – Non ricordo che la tua arma abbia una lunga durata. »

« Dura abbastanza per una toccata e fuga. »

Disse con forza, ma il brunetto non sembrò convinto e, anzi, alle facce dei compagni che riflettevano sulle parole della biondina divenne solo più preoccupato.

« Forse è la soluzione migliore… »

Soppesò piano Eyner.

« Anche perché si può entrare soltanto uno alla volta. – Kisshu guardò Purin di sbieco – Te la senti, nanerottola? »

« E-ehi! Aspettate un secondo…! »

« Certo che me la sento! »

« Purin! »

« D'accordo – mormorò Retasu mordicchiandosi il labbro – però fai attenzione, eh? »

« Insomma, aspett- »

« No. »

Si voltarono tutti a guardare Ichigo, sorpresi per il tono secco e acuto. La rossa stava in piedi rigida, le braccia lungo i fianchi, la pelle d'oca e i peli di coda e orecchie dritti, fissando corrucciata il merkv che grattava per terra infastidito.

« Vado io. »

« Cosa?! Ichigo sei impazzita?! »

« Vado io, Minto. »

« Sì, sei completamente impazzita. – sussurrò Ryou – Ragiona un secondo, tu…! »

« Ho detto che vado io! »

L'americano rimase spiazzato dall'urlo e si limitò a fissarla, tentando di capire. Ichigo non disse altro, neppure lei era certa delle sue parole, ma qualcosa le diceva che doveva essere lei ad entrare. Aveva paura, ogni muscolo dei suo corpo era rigido di terrore alla sola idea di trovarsi faccia a faccia col mostro peloso, eppure qualcosa dentro le diceva che quella paura non l'avrebbe fermata;  poteva affrontare il merkv meglio di quanto avrebbero potuto fare il Ring Inferno di Purin – che avrebbe trattenuto la bestia solo per poco, robusta e grossa com'era – o il Ribbon Lettuce Rush di Retasu – che si sarebbe potuto rivelare troppo efficace. Un richiamo appena udibile eppure potente premeva per convincerla, qualcosa di profondo, qualcosa che le apparteneva eppure non era parte di lei, qualcosa di…

Istintivo.

Le tornarono in mente le parole della figura dei suoi sogni. Trattenne il respiro un istante, fissando nei piccoli occhi marroni il merkv che ringhiava basso nella sua direzione e poco mancò che si mettesse a soffiare. Come un gatto contro un cane.

Segui il tuo secondo istinto.

L'istinto del gatto… Del gatto Selvatico Iriomote!

« Fidatevi di me. »

Insistè la rossa. Inspirò a fondo e strinse i pugni, marciando marziale verso il palco del Quiorq:

« Voglio provarci io! »

La folla attorno a lei si accese in urli e risa sguaiate e riuscì a sentire le parole del Quiorq solo perché si trovava sotto di lui. L'alieno mandò un altro paio dei suoi rauchi versi di divertimento e si chinò verso la mewneko con un ghigno ferino:

« Nessun rimborso per arti strappati o faccini deturpati, signorinella. »

« Avete detto che può partecipare chiunque, no? – sbottò lei impettendosi – Voglio partecipare. Il resto non sono fatti suoi. »

Il Quiorq gracchiò un altro paio di volte, alzando e abbassando le spalle:

« Esattamente. »

L'essere si rimise dritto e si allungò verso la porta del recinto per aprila, saltò giù dalla sua pedana e andò dall'altra parte dello spiazzo per manovrare la catena che legava il merkv. Ichigo sospirò ancora a fondo e fece per entrare, così assordata dal caos della gente che non sentì le parole di Kisshu e sobbalzò quando lo avvertì cingerle il polso:

« Micetta, ripensaci. Da sola… È troppo pericoloso. »

La rossa si sorprese del suo sguardo preoccupato e avvertì un cocente senso di colpa serrarle la gola.

Perchè poi?

Non gli doveva nulla di più di una cortese amicizia, non provava nulla di diverso. Non aveva ragione di sentirsi in colpa per farlo preoccupare.

« Sei in ansia per me? »

« Ovvio. – mormorò – Non voglio che ti accada nulla. »

Ripetendosi che non aveva motivo di farlo, d'istinto Ichigo sorrise incoraggiante:

« Andrà tutto bene. »

Scosse appena il braccio perché la lasciasse andare ed entrò nel recinto, tra le urla d'incoraggiamento, le risate e i fischi di tutti gli altri presenti. Ebbe solo un secondo per voltarsi indietro e scorgere un altro paio d'occhi che la fissavano con la stessa espressione di Kisshu; un misto di ansia, paura e una rabbia sorda per la sua cocciutaggine: Ichigo si chiese se fosse solo la tensione a renderle quello sguardo più intenso del dovuto, o se invece – scacciò il pensiero con la stessa rapidità con cui l'aveva formulato – dipendesse dal fatto che veniva da due noti occhi azzurri.

Altri due Quiorq le chiusero la porta del recinto alle spalle e il presentatore, nel punto opposto della pista, gridò:

« Si chiudono le scommesse, signori! Le puntate ormai sono fatte! »

Afferrò con entrambe le mani una grossa valvola collegata ad un argano, che raccoglieva e rilasciava la catena del merkv; diede due lievi giri e la catena perse tensione, adagiandosi come un serpente ai piedi della creatura, ma questa restò ferma dove si trovava: sapeva bene quando avrebbe dovuto colpire.

« Si dia inizio alla festa! »

Un secco clank e la catena si staccò dal collare del merkv.

Una frazione di secondo.

La certezza di essere libero.

E la belva scattò avanti, ruggendo.

Le fauci del merkv si chiusero con un colpo sordo dove un istante prima si trovava Ichigo, balzata agilmente di lato; l'animale perse il poco equilibrio che aveva sulle zampe goffe e rotolò sulla schiena, scatenando nuove grida d'entusiasmo dal pubblico. La rossa non si mosse e restò a studiare la creatura, intenta a contorcersi a terra intontita e rabbiosa: di colpo la sua decisione le parve una colossale stupidaggine e avrebbe voluto solo darsela a gambe, lasciando il piacere di giocare col dolce bestione a qualcun altro.

Una parte di sé – probabilmente quella dotata di un minimo di senno – la pregava solo di squagliarsela, di mettere quanti più metri possibili tra sé e il merkv, o almeno di tirare fuori la sua Strawberry Bell e farlo arrosto. Un'altra – ovviamente la stessa che ponderava idee prive di alcun senso logico su un altro (altri due) ragazzo(i) che non era (erano) il suo – le diceva invece di assecondarla, che non aveva nulla da temere.

Certo. È solo una specie di colosso dotato di un arsenale di zanne affilate come rasoi e grosse come tronchi!

Vide il merkv rizzarsi infine sulle zampe e scuotere la testa irritato, tornando a puntarla. Troppo persa nei suoi pensieri Ichigo non ebbe il tempo di pianificare una strategia e il suo corpo reagì per i fatti suoi, dando libero spazio ai geni del Gatto Selvatico: di scatto la rossa si mise a quattro zampe, inarcando la schiena, e gonfiata la coda prese a soffiare ostile, scoprendo i minuscoli canini aguzzi.

Immaginò che le sue amiche, vedendola, si stessero domandando quali aree del suo cervello si fossero irrimediabilmente danneggiate. Del resto, se lo stava chiedendo pure lei.

Così rimase scioccata nel vedere che la sua posa minacciosa sortiva effetto. Appena ebbe presto posizione, il merkv perse tutta la sua baldanza e si mise prudentemente in allerta, ringhiando basso e muovendosi attorno alla mewneko senza darle mai la schiena. Ichigo assecondò l'onda dell'assurda situazione e restò in guardia, senza però sapere come continuare.

Invece lo sai.

No.

Sentire le voci. Un primo fortissimo segno di follia.

Colpisci. Il punto è quello.

Non posso farlo! Mi sbranerà non appena mi avrà a tiro!

No.

Il merkv fece per avvicinarsi e Ichigo soffiò con più forza, facendolo indietreggiare spazientito.

Sei un Gatto, Ichigo. Sai cosa fare, sai come muoverti. Vai.

« Oh, insomma! – sbottò mettendosi in piedi – Non posso farlo! »

Al cambiamento di posa il merkv tornò più aggressivo e si lanciò contro la rossa, mancandola di un millimetro. La folla rumoreggiò spazientita per essersi persa la vista di un po' di sangue, ed Ichigo rotolò di lato andando a sbattere contro il recinto.

« Ichigo! »

Riuscì a malapena a sentire la voce di Minto nel marasma. Coi capelli e gli occhi sporchi di terra intravide solo la macchia azzurra che era l'amica, le figure delle altre attorno a lei che si agitavano, Kisshu – lo vedeva bene perché era il più vicino alla griglia, solo per quel motivo, si disse – che voleva entrare a tutti i costi, e Ryou – anche lui, si disse, lo vedeva solo perché i suoi capelli chiari erano ben visibili, solo per quel motivo – che sembrava intenzionato a seguirlo, o a fare qualcos'altro di stupido.

Alzati.

La stoffa del suo guanto sfregò con un suono fastidioso sul terreno duro, impiastricciandosi in qualcosa di molliccio e appiccicoso. Più tardi avrebbe ringraziato la gelida consapevolezza e il conato che le salirono allo stomaco e che la riscossero, quando capì che si trattava del sangue del poveretto che aveva tentato prima di lei.

Alzati. Alzati!

« Ichigo! »

Il richiamo di Minto si spezzò in uno strillo mentre il merkv si fiondava ancora sulla sua vittima, ma Ichigo lo schivò pronta e si rimise in posizione di minaccia soffiando e sibilando più che mai, cavando addirittura al merkv un impercettibile uggiolio.

È un cane. Solo un grosso, enorme cane.

Se lo ripetè ancora e ancora, muovendosi in tondo con l'animale di fronte a lei in un assurdo stallo alla messicana.

I cani cacciano i gatti per istinto. Per istinto, i gatti scappano, ma messi alle strette rizzano il pelo e si fingono più grossi per intimorire il nemico. E se anche le minacce non funzionano, i gatti sanno dove attaccare per rendere innocuo l'assalitore.

Colpiscilo.

Il Gatto Iriomote con cui era ibridata doveva essere un bell'attaccabrighe, o almeno fu l'impressione che Ichigo ebbe nel momento.

Colpiscilo.

Il suo cervello continuava a ripeterle che c'era troppo poco raggio di manovra, che se avesse tentato il merkv l'avrebbe azzannata e sbatacchiata in giro come il suo primo avversario, riducendola a brandelli. Prese un bel respiro e calmò i battiti del cuore, fino ad allora la ragione aveva solo rischiato di farla sbranare. Sguainò le unghie e rizzò di più la coda nel vedere che il merkv si era stufato di giocare e stava per balzarle addosso.

Adesso!

La bestia si lanciò sulla rossa e nello stesso istante lei saltò. Seppure l'azione non durò che pochi decimi di secondo, la mewneko percepì alla perfezione il fiato spesso e umido del merkv sulla sua pelle, la punta della zanna che le graffiava la coscia e le strappava la gonna, il naso umido che si schiacciava contro il suo petto, ma ignorò tutto. Aveva schivato il morso – sapeva, sì, sapeva! Che sarebbe successo, che ci sarebbe riuscita – e non le restava che colpire:

« A cuccia, brutto sacco di bava! »

Fendette l'aria col braccio e sentì le unghie incidere la carne delle palpebre un istante prima che il merkv cacciasse indietro il muso ululando di dolore, centrandola col contraccolpo e lanciandola nuovamente a terra. Ichigo ruotò su se stessa e si schiantò malamente nella polvere. Ancora urla, grida, fischi, lampi di luce e buio per ogni istante in cui i suoi occhi guardavano rispettivamente verso il cielo o il terreno, e un rapido guizzo scuro, come di animale, accompagnato da un baluginio bianco.

Il merkv continuò ad agitarsi e a guaire per alcuni minuti mentre la gente protestava, così Ichigo ebbe il tempo di rimettersi dritta. Si fregò la polvere dal viso e, ai piedi del recinto, intravide una figura piccola e familiare, un gatto che reggeva in bocca un sottile filo strappato con, all'estremità, la goccia di MewAqua.

« … Art(*)! »

 

 

« Ichigo nee-chan! »

« Accidenti, che cavolo le passa per la testa?! »

Sbottò Minto, ma non riuscì a nascondere la sua preoccupazione.

« Aspettate… Shirogane-san. Dov'è Shirogane-san?! »

« Cosa? »

« E… Era qui fino ad un secondo fa! – tartagliò Retasu agitatissima – Non… »

« Sono qui. »

La verde non fu sicura di averlo sentito nel fracasso finchè non lo vide sbracciare appena nella sua direzione, con aria assolutamente tranquilla. Kisshu, che già mal sopportava il biondo e in più era teso come una corda di violino per la sorte di Ichigo, gli inveì contro urlandogli alcune parole che i bracciali non ebbero il tempo di tradurre, o che forse MoiMoi aveva impostato strategicamente per non tradurre, ma che suonarono lo stesso molto offensive:

« Siamo già nella merda senza che tu te ne vada a zonzo, brutto moccioso! – berciò – Dove cavolo s- »

S'interruppe subito quando l'americano gli si avvicinò mostrando la Goccia, che reggeva tra le dita tramite pochi resti ormai distrutti di corda.

« Ha assunto una consistenza più solida di quella che abbiamo trovato sulla Terra – fece calmo e guardò Pai – ma dovrebbe essere ancora attiva. »

L'altro annuì e tirò fuori da una tasca la boccetta che avevano usato la volta precedente: la Goccia vi entrò lenta, quasi fosse stanca, e Pai la chiuse dentro prima che la situazione cambiasse.

« … Come diavolo hai fatto a prenderla? »

« Ho anch'io i miei trucchi, Kisshu. »

Ribattè l'altro freddamente per poi tornare ad ignorarlo e a studiare la situazione nell'arena.

« Shirogane-san… »

« Sto bene. – disse spiccio – Ora facciamo uscire Ichigo da lì. »

Retasu non gli rispose, ma non le sfuggì il rivolo rosso che gli colava dal braccio.

 

 

Ichigo non capì come fosse potuto venire in mente a Ryou di gettarsi contro un bestione cento volte più grosso di lui, ma avrebbe rimandato la predica a più tardi. Avevano la Goccia e tanto bastava.

Si rimise in piedi a fatica, massaggiandosi il fianco dolorante e cercando di ripulire i graffi sulla coscia dalla terra, tenendo sempre d'occhio il merkv che continuava ad agitarsi in un angolo dello spiazzo.  Passò qualche minuto e la rossa si accorse che la creatura andava calmandosi ben più del necessario: all'improvviso non parve più un mostro assetato di sangue, ma un enorme cagnolone smarrito che, guaendo, tentava di aprire appena gli occhi tumefatti e annusava attorno, confuso. Ichigo lo vide muovere le orecchie, in ascolto, per poi prendere a grattarsi sotto al collo come cercando qualcosa; sembrò non trovare nulla e cominciò ad abbaiare allegro, zampettando con tutta calma verso di lei.

Ichigo si rimise in posizione di difesa, ma il merkv non ci badò e si sedette goffamente sollevando un gran polverone: la lingua a penzoloni e la coda intenta a spazzare il piazzale, incurante delle proteste della folla e dei richiami del padrone, il merkv latrò un paio di volte in direzione della rossa, muovendo di quando in quando le orecchie in tutte le direzioni.

« Grazie di averlo tolto. »

Ichigo per poco non urlò:

« Oddio… Tu hai… »

Il merkv abbaiò di nuovo e alle orecchie di Ichigo giunse un già. Sgranò gli occhi, guardò il bracciale al suo polso e poi guardò ancora l'animale:

« Oddio, ho capito cosa hai detto! »

 

 

« Qualcuno mi spiega che sta succedendo? »

« Il cagnolone sta ringraziando Ichigo nee-chan, Taru-Taru. »

Il brunetto guardò Purin con la mascella a mezz'asta:

« Sei diventata scema di un botto?! »

« Non è vero! »

Protestò e si mise le mani dietro le orecchie per sentire meglio:

« Sento poco… Ma la sta ringraziando. »

« Prima parlava coi gatti, ora con i cani! »

Gemette Minto:

« Ditemi che non ci metteremo anche noi a parlare con cani, uccelli e scimmie, vi prego! »

Mormorò sconfortata.

« Devono essere i bracciali – riflettè Pai – certo che la senpai è fin troppo zelante… »

 

 

« Quella cosa… Io l'ho detto al padrone che non la volevo, che mi pungeva le orecchie! »

Ichigo era così intontita che rispose solo dopo un po':

« C-con quella cosa… Intenti quella che avevi al collo? »

« Fischiava! Ronzava! Le mie povere orecchie! – uggiolò – Ma ha voluto farmela indossare lo stesso… »

Il merkv latrò più forte in direzione degli spettatori per zittire le loro proteste – anche loro! Fastidio, sempre fastidio! Povere orecchie mie! – e si avvicinò col muso a Ichigo:

« Faceva così male…! Così male…! E io… »

Abbassò le orecchie e la guardò con occhi tristi:

« Ero tanto arrabbiato... »

Ichigo non sapeva cosa dire, era già abbastanza assurdo cercare di rispondere. Stava parlando con un cane gigante che fino a dieci minuti prima l'avrebbe squartata, e invece in quel momento si comportava come un cucciolo colto in flagranza di reato dopo aver devastato la spazzatura.

« Su… Va tutto bene… –  mormorò poco convinta – Non è successo nulla. »

Il merkv parve apprezzare le sue parole e la ringraziò ulteriormente passandole dal ginocchio alla punta delle orecchie la lingua umida e rasposa, ed Ichigo emise un gridolino ultrasonico irrigidendosi per il ribrezzo.

« Grazie, micia senza pelo! Sei buona, mi piaci! »

Abbaiò così contento che Ichigo si trattenne dal saltellare isterica e disgustata e stemperò una smorfia sghemba simile ad un sorriso:

« Di niente. »

Lui abbaiò ancora e la rossa ridacchiò, dandogli delle lievi carezze sul tartufo umido:

« Grazie a te per non avermi mangiata. »

Un altro abbaio felice e un paio di sfregatine dell'enorme muso contro il torace della mewneko, che si lasciò sfuggire altre risate più calorose. Ormai la folla attorno a loro era spezzata tra i sibili di protesta e le urla divertite per lo "spettacolo inutile e patetico", mentre il Quiorq dirigente di scena zampettava sui suoi zoccoli malmessi in preda al panico, senza sapere come non rimetterci altri soldi.

« Ora devo andare. »

Disse ancora Ichigo, poggiando il guanto sul naso del merkv:

« I miei amici mi asp- »

Una lama sottilissima trapassò il cranio dell'animale con la rapidità di un battito, ritraendosi altrettanto velocemente. Ichigo non ebbe neppure il tempo di reagire e restò congelata, la mano ancora concava appoggiata ormai al nulla, mentre il merkv si accasciava a terra.

« Ooh, povero cucciolo! È morto subito, che peccato… »

Il crudele pigolio di una vocetta infantile ruppe la tensione della folla, che cominciò ad urlare e spintonarsi per darsela a gambe. Ichigo sollevò lentamente la testa, pallida e furiosa, incrociando tre figure bionde che fluttuavano sopra la sua testa.

« Vuoi farci divertire un po' di più, gatta rosa? »

 

 

Retasu si portò una mano alla bocca riconoscendo una delle sagome in cielo e intuendo chi fossero gli altri:

« Zizi… Gli Ancestrali! »

« Merda! »

Senza pensarci oltre Kisshu si teletrasportò nell'arena e afferrò Ichigo portandola via, prima che la dispensatrice di morte usasse anche la rossa come puntaspilli.

« Oh, insomma! – protestò piagnucolosa – Kisshu-san, non vale così! »

Lui fissò la diretta interessata con un ghigno beffardo, lasciando che Ichigo si riunisse con le sue amiche.

La rossa non era mai stata un'amante del genere horror e quella ragazzina – se effettivamente lo era come suggeriva l'aspetto – le ricordava orribilmente i fantasmi o le bambine possedute di certi film, e le dava la pelle d'oca. Doveva essere poco più piccola di Purin, con occhi blu e capelli biondi liscissimi e lunghi fin sotto le spalle, e  indossava una curiosa camicia bianca su cui aveva allacciato un bustino blu, short di un tono più scuro e stivali sopra al ginocchio. Canticchiando a labbra chiuse ondeggiò la testa a destra e a sinistra, mormorando con voce acuta e sottile:

« Volevo farle solo un po' male. Appena appena, per divertirmi un pochino! »

« Vedo che ti si è bloccata la crescita, Lindèvi, ma il sadismo è lievitato! »

« Non accetto simili critiche da un mocciosetto, Taruto-kun – ridacchiò allegra – E comunque non mi si è bloccata la crescita… Sono ferma al mio status ottimale di forza e bellezza. »

Vicino a lei Zizi schioccò la lingua e le fece il verso, borbottando:

« Hai finito di dire stronzate e ci prendiamo quella fottuta Goccia?! »

Lindèvi sbuffò con sufficienza e mosse le dita della mano destra, su cui era installato un bizzarro guanto metallico dotato di unghie d'acciaio lunghe una ventina di centimetri. Il terzo del gruppo sospirò divertito:

« Risolviamola in fretta. »

Con un guizzo le tre figure si gettarono sulle MewMew e sugli alieni, che si dispersero immediatamente. Zizi si lanciò verso Retasu, la più vicina a lui, finendo investito da un gigantesco getto d'acqua e schiantandosi contro la recinzione, abbattendola.

« Stupido troglodita…! »

Con movimenti aggraziati Lindèvi mirò invece a Ichigo, pronta a finire ciò che aveva cominciato. La rossa schivò di poco le sue rapidissime lame allungabili, cercando di ignorare il bruciore che di quando in quando le lacerava la pelle, ma non prestò attenzione all'altra mando dell'aliena:

« Dai, fermati! Così ci divertiamo! »

Il guanto metallico sulla sinistra era composto da una serie di anelli concentrici adagiati a tre a tre su ciascun dito, dai quali uscirono alcuni cordoncini sottilissimi che si avvolsero attorno al polso della rossa. Appena Lindèvi strinse il pugno Ichigo urlò di dolore, sentendosi tirare con forza indicibile dalla ragazzina e incapace di liberarsi della sua presa, col filo che le incideva la carne. Lindèvi rise di gusto e tirò indietro il braccio, strattonandola, ma Kisshu fu ancora pronto in aiuto della mewneko e, approfittando della distrazione della bionda, tagliò di netto il cavetto d'acciaio e si teletrasportò via, al sicuro. L'aliena battè i piedi indispettita:

« Insomma! Stavano giocando io e lei! »

Evitò di un pelo il Fuu Hyo Sen, che le congelò tutto il filo ancora esposto. Aprì la bocca mortificata come un bambino a cui era stato rotto un giocattolo e guardò Pai con odio, stritolando tra le dita il cavo gelato e orami inservibile.

« Sono certo che io e te faremo un gioco molto più divertente. »

 

 

« Sei tutta intera? »

« Sì… Credo di sì. »

Seduta su un tetto poco lontano dallo scontro, Ichigo cercò di togliersi il filo dal braccio senza lacerarsi la pelle, ma era difficile e ottenne solo di graffiarsi tutta la mano.

« Attenta. Ti aiuto… »

Pian piano Kisshu afferrò uno dei suoi sai e lo accostò con gentilezza al braccio della rossa. Lei sobbalzò un poco a quel gesto e lui le fermò il braccio, per non tagliarla:

« Stai tranquilla. Non ti farò male, ma devo toglierti questo coso. »

La stretta ferma e gentile e il tono della voce di lui, con sua grande sorpresa, la rassicurarono subito. Annuì e rilassò il braccio, rabbrividendo appena al contatto con la lama fredda sulla pelle, e con un solo gesto Kisshu tagliò via il cavo. Ichigo lo studiò gettare via il filo mentre si fasciava i tagli con un lembo macilento della gonna:

« Grazie… »

« Per così poco, micina. »

Lei non riuscì a trattenere un mezzo sorriso:

« Sul serio. Sto per perdere il conto delle volte in cui mi hai salvato la vita… »

Lui le accarezzò una guancia con l'indice:

« Sempre e comunque. »

« N-non… Serve – farfugliò lei abbassando lo sguardo – Io… So cavarmela. »

Kisshu le rivolse un sorriso divertito:

« Allora i miei aiuti sono un extra. »

Abbassò appena la testa e la guardò malizioso, ridacchiando:

« Magari potrei chiedere un pagamento da parte tua micina. In natura, ovvio. »

Lei arrossì indispettita e si ritrasse, maledicendosi per avergli consesso troppa confidenza, ma non ebbe il tempo di protestare: un grosso pezzo di steccato lanciato da Zizi si spiaccicò sul tetto a meno di venti centimetri da lei, sfondandolo completamente.

« Forse è meglio rimandare a più tardi la chiacchierata. »

Ichigo annuì più e più volte fissando inebetita il buco a un palmo dal proprio sedere. Mentre Kisshu estraeva i suoi sai e si gettava contro il biondo linguacciuto, lei evitò l'ennesimo detrito lanciato a caso e saltò nel vuoto, ritrovandosi a ruzzolare sgraziatamente nella polvere schivando a malapena i proiettili improvvisati di Zizi.

« Ahia! La coda! – frignò stridula raschiando per terra, staccandosi una grossa scheggia di legno dal fiocco  rosso – Insomma,  lasciate tutti stare la mia coda, niaa~h!! »

 

 

« Onee-sama! Stai bene?! »

« Sì Minto… –  la rassicurò la mewwolf – Mi brucia solo un po' la guancia. Un graffietto. »

La mora sospirò rasserenata e tornò a guardarsi attorno. Poco prima, per la rabbia di essere stata interrotta, Lindèvi aveva sferrato un attacco ad ampio raggio costringendole ad allontanarsi. Aveva poi ripreso a lottare contro Pai, Taruto e Purin, mentre Zizi gettava da ogni parte pezzi di legno e metallo, tentando invano di colpire Retasu per vendicarsi e venendo infastidito nella missione dalla stessa verde e da Eyner, in quel momento raggiunti da Kisshu; non si scorgevano né Ichigo né Ryou, ma ancor più allarmante non c'era da nessuna parte traccia del terzo Ancestrale.

Zakuro fece qualche prudente passo indietro, i suoi sensi animali tesi a percepire il minimo sospiro nel frastuono della lotta e nelle grida sempre più distanti della popolazione. Preparata per un attacco, non focalizzò immediatamente il tocco leggerissimo delle dita che le scostarono i capelli dal collo:

« Guarda qui che bel bocconcino! Mi fai quasi passare la voglia di fare sul serio e magari distrarmi un po'. »

Sia la mewwolf che Minto sobbalzarono per non essersi accorte della presenza di qualcuno, ma Zakuro ebbe abbastanza prontezza per reagire e calciò all'indietro con quanta forza aveva; il suo tacco, però, colpì soltanto l'aria e lei udì con fastidio l'irritante risata ostentata del suo avversario.

« Sei lenta, tesoro. »

Il ragazzo salì di quota andando ad appoggiarsi sul tetto con aria annoiata, passandosi una mano nella frangia.

Come i suoi accoliti aveva occhi azzurri e capelli biondi, scalati in onde disordinate che scivolavano fino al collo; portava quella che sembrava una giacca militare a mezze maniche col collo alto tenuto aperto, di un bel blu scuro, e pantaloni lunghi che coprivano gli stivali dalla suola alta, parimenti color notte. D'aspetto era più affascinante degli altri e sembrava esserne pienamente cosciente, pavoneggiandosi con aria da insopportabile narcisista.

« Tranquilla, per tua fortuna so esserlo anch'io. »

Si accarezzò le labbra evocativo e la squadrò da capo a piedi con lascivia:

« Io e te ci divertiremo un sacco, assieme. »

Zakuro avvertì un brivido incresparle la pelle per il disgusto e Minto potè giurare di sentirla ringhiare.

« Toyu, piantala di fare il galletto con quelle scrofe e vieni ad aiutarmi! – strillò Zizi – Qui siamo tre contro uno! »

E scattò all'indietro prima che Eyner e Kisshu lo rendessero uno spiedino arrosto; Toyu sbuffò seccato:

« Uff, d'accordo. Incapace… »

Nella sua mano destra comparve un elegante fioretto, che roteò teatrale sulla linea visiva della mewwolf:

« Vogliamo goderci un ardente amplesso tra sangue e baci, bellezza? »

« Tu vedrai solo il sangue – sibilò la mora – e prega che si limiti a quello del tuo naso. »

Con uno scatto fu addosso al ragazzo e incrociò la frusta con la sua lama, generando una cascata di scintille. Toyu continuò a leccarsi la bocca soddisfatto e incalzò l'avversaria, ignorando senza riserve i richiami del compagno sotto di lui; parò, fendette e affondò, guardando con compiacenza il taglio lucente sfiorare la pelle nivea della mora, beandosi dei movimenti aggraziati del suo corpo snello.

« Ho trovato una perla rara – sussurrò suadente – ti muovi e combatti con una tale eleganza ed energia… Devi essere una forza a letto. »

Schivò di poco un dardo di Minto che li tallonava a pochi metri di distanza:

« Smetti immediatamente di parlare! – squittì rossa in volto per l'indignazione – Razza di pervertito! Staccati da Zakuro! »

Lui allontanò appena la mewwolf e fendette l'aria in direzione dell'altra ragazza, scacciandola con la sola pressione dell'aria; Zakuro non ebbe occasione di preoccuparsi per la mewbird che Toyu le fu alle costole, pressandola senza tregua.

« E non sei neppure umana, ma migliorata! »

Fischiò ammirato e studiò la sua coda di lupo, seguendola con un certo appagamento fin oltre la curva della coscia:

« Quasi quasi ti prendo per me… »

Volendo solo potergli chiudere la bocca Zakuro lo lasciò compiere un altro affondo e, quando fu abbastanza vicino, afferrò la sua mano e l'elsa della spada e dandosi la spinta lo centrò con una ginocchiata in pieno naso; Toyu barcollò stordito e la mora terminò l'opera avvolgendolo con la sua frusta e lanciandolo verso terra con tutta la sua forza.

« Minto! »

« Eccomi! »

La mewbird si avvicinò all'alieno, arco teso e freccia incoccata per dare l'ultimo colpo, ma non fece in tempo: all'improvviso Toyu spalancò gli occhi, si strinse attorno al polso la frusta di Zakuro tirandola verso di sé e al tempo stesso si spostò di lato e afferrò con l'altra mano la caviglia di Minto, proiettandola verso terra. La mora sgranò gli occhi spaventata capendo quanta poca distanza ci fosse per l'impatto e con quanta energia Toyu l'avesse scagliata, ma invece di sfracellarsi urtò contro qualcosa di solido, ma molto più morbido del terreno, qualcosa che gemeva e imprecava.

« Accidenti… Ecco perché quell'affare ti stringe, sei ingrassata cornacchietta! »

« Ohi… »

Per fortuna non si rese conto di essere sulle ginocchia di Kisshu, o il suo orgoglio non le avrebbe perdonato di arrossire per l'imbarazzo.

« Ma quanto sei pesante?! Mi hai distrutto la cassa toracica! »

Lei non replicò alla battutaccia e lui si mise a sedere dolorante, massaggiandosi il torace:

« Cavolo che botta… Sei intera? »

« Credo di sì… »

Intontita, Minto scivolò a terra, guardando Retasu e Ichigo evitare un colpo troppo pesante di Zizi, e sollevò gli occhi al cielo. Divenne bianca come un lenzuolo:

« Zakuro…! Dove sono Zakuro e Toyu?! »

 

 

La mewwolf non capì se faticava a vedere per i detriti che riempivano l'aria o per il colpo subito. Di sicuro Toyu non aveva avuto la mano leggera quando l'aveva schiantata giù, perché non sentiva più un muscolo sano. Stesa a terra, incastrata tra le macerie del muro in cui l'alieno l'aveva lanciata, guardò il biondo camminarle lentamente incontro asciugandosi il labbro spaccato:

« Sai, mi piacciono le donne che mi fanno resistenza. – sogghignò piano – Mi eccitano molto. »

« Allora devono eccitarti tutte le donne – sibilò velenosa – perché non riesco a concepire nessuna che possa non fare resistenza alle avance di un idiota come te. »

Non gli diede la soddisfazione di sentire un solo lamento nel momento in cui la schiaffeggiò, né si spaventò mentre le stritolava il viso tra le dita e si portava in basso fino a sfiorarle il naso col proprio, ma continuò a squadrarlo con rabbioso fastidio.

« Non sfidare la mia pazienza, dolcezza. »

Nella mano destra gli comparve ancora il fioretto con cui prese a sfiorarle la nuca e l'orecchio, per poi scivolare sulla gola, e nel frattempo le si appoggiò col ginocchio sul petto per impedirle di muoversi. Zakuro tentò di ignorare l'orrenda sensazione del fiato mozzato e dell'acciaio che le rigava la pelle, cercando invece con ogni cellula del suo io di alzarsi e fronteggiarlo, ma il corpo non le rispondeva.

Muoviti, forza muoviti!

« È già finito il divertimento? Peccato… »

Deluso Toyu si rimise in piedi e Zakuro tentò di alzarsi, ricevendo un secco calcio nello sterno e finendo nuovamente lunga distesa.

« Speravo mi dessi molto più piacere, zucchero. »

Piegò appena indietro il braccio per l'affondo. Ammirò con un ghigno la gola di lei che si abbassava e alzava sempre più velocemente e pregustò la sensazione che gli avrebbe dato trafiggerla, quando avvertì di non riuscire a muovere la lama; fece per voltarsi, ma alla sensazione del filo acuminato alla base della nuca desistette. Si lasciò sfuggire una risata sprezzante:

« Sempre sul più bello tu? »

« Allontanati da lei. Ora. »

Toyu rise sempre più divertito. Tolse lo stivale da sopra Zakuro, si voltò e guardò con sufficienza Eyner che il jitte piantato contro la sua fronte e la mano libera serrata attorno alla lama del suo fioretto.

« Non credo sia stata un'idea molto furba. »

Fece sarcastico indicando con un cenno la mano del bruno. Eyner non si scompose per il taglio che gli si era aperto sulla mano e continuò a fissarlo minaccioso:

« Ti ho detto di allontanarti. Subito. »

L'altro imitò un pianto di bambino e porse minacciosamente l'altra mano verso il viso della terrestre:

« Se no che fai? »

La vampa rovente simile a un serpente che fuoriuscì dalla punta del jitte mancò il biondo di un soffio. Uno schiocco di teletrasporto, il sibilo dell'acciaio che scivolava via dal palmo di Eyner, e Toyu era scomparso.

Il bruno restò immobile e poi abbassò il braccio stanco spostando l'attenzione alla mora che, faticosamente, si metteva a sedere:

« Stai bene? »

Lei annuì appena:

« La tua mano… »

« Onee-sama! »

Accompagnata dallo scalpiccio del pietrisco una spaventatissima Minto corse loro incontro arrancando sui detriti, cerea e coperta di graffi:

« Stai bene, vero?! Non ti ha fatto del male?! »

« Sono intera… All'incirca. »

Le sorrise incoraggiante e le permise di aiutarla a rialzarsi; i muscoli le dolevano al punto che si domandò se non si fosse rotta sul serio un osso o due.

« Dov'è andato? »

Chiese invece, ma Eyner non le rispose e restò a scrutare il cielo guardingo.

Attorno, solo i rumori della lotta.

Poi un strillo di lotta. Fragore di acqua.

E un grido più stridulo, un urlo di dolore.

« Reta-chan…! »

 

 

Il pugno di Zizi che centrò Retasu  in pieno viso sarebbe stato duro per molti, ma per lei fu troppo forte. Con un lamento acuto fu scagliata lontano, rotolando via scomposta senza opporre resistenza come un sacco vuoto, mancando di pochi metri Ichigo.

« Retasu! »                    

La rossa fu subito al capezzale dell'amica priva di sensi, immobile a faccia in giù, ma non riuscì a  svegliarla: Zizi aveva raggiunto il limite della sua esigua pazienza e le fu immediatamente di fianco, trascinandola via per il bavero del bustino.

« Mi avete rotto, voi e i vostri costumini colorati di merda! »

Ichigo schivò solo il primo colpo; il calcio successivo la centrò perfettamente al fianco, stroncando anche lei al suolo.

« Crepa! »

La rossa lo vide terrorizzata schizzare ancora verso di lei, ma la ginocchiata diretta alla sua testa fu intercettata da Kisshu. Zizi fulminò furioso il ragazzo che gli bloccava la gamba col braccio, ma Kisshu gli rispose con un ghignetto malefico sperando che non capisse che stava trattenendosi dal vomitare, a causa del colpo nel plesso solare.

« Che cazzo vuoi tu?! »

Tentò di toglierselo di dosso senonché  Kisshu gli puntò un sai alla gola; il biondo rimase immobile, spaventato e rabbioso, e l'altro tossicchiò malamente un po' di saliva ancora stomacato:

« Sul serio, gattina… Tu e le tue amiche me ne dovete, per ripagare tutte le volte in cui vi ho salvato la pellaccia! »

La lama del tridente affondò nella tibia di Zizi come nel burro. L'Ancestrale imprecò una decina di volte di fila, calciò via Kisshu prendendolo in faccia con una gomitata e fluttuò malamente di lato, latrando di dolore:

« Maledetto…! Maledetto bastardo…! »

Fece comparire il suo tirapugni nella mano, digrignando i denti canditi macchiati di sangue:

« Ti ammazzo…! Giuro che ti ammazzo! »

Kisshu cercò di ignorare il dolore al viso e si voltò spaventato verso Ichigo: ebbe appena il tempo di afferrarle una mano, prima di teletrasportarsi e avvertire l'onda d'urto del colpo di Zizi sfiorargli la spalla.

 

 

« Ichigo! Retasu! »

Al grido spaventato di Purin  anche Taruto si bloccò. Entrambi i ragazzini cercarono di scorgere qualcosa dalla devastazione causata da Zizi, riprendendo a respirare solo quando videro vicino a Kisshu, Ichigo e Ryou, Eyner che reggeva in braccio un'ancora semi-incosciente Retasu.

« Uff, meno male…! »

La vocetta stridula di Lindèvi che esplose nell'aria ferma fu un colpo terribile per i loro nervi:

« Buh buuh! Pai-saa ~n ! Guarda che io sono qui! »

Una lama del suo guanto destro si conficcò da parte a parte nel braccio di Pai, inchiodandolo al muro alle sue spalle; lui digrignò i denti dal dolore e soffocò un urlo, lasciando andare il suo ventaglio per aggrapparsi alla lama ed impedire che gli squarciasse la spalla. Purin e Taruto cercarono di andargli in aiuto, ma Lindèvi mosse l'altra mano e un groviglio di fili si attorcigliò attorno alla mewscimmia stritolandola.

« Purin…! »

« A-a-aah! Taruto-kun! »

Cantilenando allegra l'aliena unì le dita e i fili attorno al collo di Purin si strinsero un po' di più.

« Purin! »

« Che ne dici di fare il bravo, uh? »

Il brunetto si irrigidì dov'era serrando le dita su uno dei suoi pugnali, impotente.

« Zizi, insomma! »

Protestò la ragazzina guardando disgustata il compagno, ferito e ululante dalla rabbia:

« Piantala di stare a perdere del tempo! »

« Questo stronzo mi ha bucato una gamba! »

« Fatti tuoi, idiota. – gli soffiò contro Toyu – Piuttosto… Dov'è il Dono degli Avi? »

Per un secondo i pensieri di Pai furono allontanati dal dolore: se gli Ancestrali si fossero messi a cercare avrebbero trovato subito la Goccia o, peggio, li avrebbero fatti fuori uno ad uno perché gliela consegnassero, per poi concludere il lavoro.

Lindèvi sorrise con dolcezza e guardò verso il gruppetto più gremito:

« Ce lo dite? »

Non ottenendo risposte mise il broncio e si prese una guancia tra due dita:

« Facciamo così. Se voi mi rispondete, io allento la presa. »

E detto questo strinse ulteriormente le dita strappando a Purin un grido di dolore, che si spense in un rantolo soffocato.

Pai tentò di ignorare quello strillo straziante e si sforzò di pensare una soluzione. Di colpo incrociò lo sguardo chiaro di Ryou.

Un lieve cenno col capo alle spalle dell'alieno; uno sguardo d'intesa, l'espressione decisa.

Qualcosa, anzi tutto del piano dell'americano gli sfuggiva, ma la fama del cervello del biondino era abbastanza da far presumere una buona idea.

E poi, non avevano grandi opzioni.

« Ora basta Lindèvi. »

Berciò Zizi, estraendosi di malagrazia il sai dalla gamba:

« Ammazziamoli e cerchiamo il Dono sulle loro carcasse! Mi schifano alla vista! »

« Sei cretino? Rischiamo di distruggerlo. »

Lo ammonì Toyu con disprezzo.

« Se si sposta rischiamo di perderne un altro – aggiunse Lindèvi – vediamo di scucire qualcosa da q- »

« Ribbon Mint Echo! »

« Ribbon Zakuro's Pure! »

La freccia di Minto spezzò l'intrico attorno a Purin, liberandola, e la frusta di Zakuro tagliò la lama che Pai aveva nel braccio. Senza dare il tempo agli avversari di reagire Taruto centrò Lindèvi nella spalla con uno dei suoi pugnali, mentre Eyner bloccò l'assalto di Zizi e Zakuro – con una certa soddisfazione – sferzò Toyu con la sua arma gettandolo a terra. Intanto, Pai si liberò del resto della lama che aveva nel braccio, infilò la mano in tasca e afferrò l'ampolla con la Goccia: scorse appena l'ombra scura dell'esserino peloso che miagolò nella sua direzione e pregando di non avere un'allucinazione, lanciò la boccetta.

 

 

Neppure in una simile situazione Ryou riuscì a sopportare l'intenso saporaccio del contenitore sintetico, come succedeva sempre con quasi tutto ciò che entrava in contatto con la sua sensibile lingua felina. Cercò di non pensarci e serrò i dentini attorno al collo della bottiglietta, correndo quanto più veloce le sue zampette glielo consentivano.

Alle sue spalle sentì il vociare di amici e avversari, le urla sguaiate di Zizi e il fragore d'acqua del colpo di Retasu; accelerò l'andatura, evitando le zampe da elefante di un gruppo di alieni prima che lo spiaccicassero, e si concentrò solo sulla sua meta.

Ancora urla, un frastuono di vento e la voce di Kisshu che urlava corriamo!.

Passi di corsa alle sue spalle.

« Art! »

Il cuoricino del gatto, che rimbombava già così veloce nel piccolo petto, ebbe un altro sussulto.

Ichigo.

« Art, fermati! Art! »

La rossa tentò invano di mantenere il contatto visivo con il gatto grigio, correndo freneticamente assieme agli altri verso il portale, schivando i colpi degli Ancestrali.

« Art, la trasformazione! – gemette ancora lei – Non hai abbastanza tempo! Art! »

Superò d'un balzo una bancarella colma di cianfrusaglie un secondo prima che Zizi la disintegrasse. Mancava ancora un bel pezzo di strada al passaggio e anche correndoci avrebbero impiegato troppo: altri due minuti e Ryou sarebbe rimasto per sempre un gatto.

Ryou!

« Non stare dietro a loro, Zizi! – sbottò Toyu – Prendi quello stupido gatto! Il gatto! »

« E come cazzo faccio a prenderlo?! È un foruncolo! »

« Non me ne frega nulla!! – strillò Lindèvi isterica premendosi la mano sulla ferita della spalla – Ferma quel dannatissimo essere!! Spiaccicalo! Ammazzalo! Ammazzalo!! »

Il colpo di Zizi esplose appena alle spalle di Minto, facendola sbandare verso il tetto di un edificio. Lei assecondò quanto possibile la spinta per non sfracellarsi e si voltò indietro imbracciando il suo arco:

« Ora ti insegno un po' d'educazione, razza di gorilla! »

Il dardo d'energia prese  Zizi in pieno petto: lui precipitò addosso a Toyu ed entrambi scesero bruscamente di quota; Minto non restò a guardarli e accelerò l'andatura, traballando incerta sulle alucce che aveva sfregato contro la pietra del muro nella rapida azione. Scivolò di lato evitando un'altra lama di Lindèvi e scorse con preoccupazione le sue compagne: sia Zakuro che Purin erano malconce e Retasu correva malamente, ancora intontita dal colpo di Zizi; neppure i ragazzi erano cioncati troppo bene, ma tutti si ostinavano a volare rapidi in direzione della salvezza.

Alle sue spalle Zizi ruggì furibondo. Non potè fermarsi per capire la sua mossa successiva perché Pai ed Eyner scagliarono contro lui e gli altri Ancestrali un'onda di fulmini e fuoco, bloccandoli per alcuni preziosi secondi dietro un muro invalicabile. Minto si preparò ad una fuga immediata, ma gli altri continuarono solo a correre ancora più veloci.

« Si può sapere cosa stiamo…?! »

Un'esplosione, forse la combinazione del fuoco amico o il contraccolpo avversario, e la mewbird sbandò più forte perdendo il controllo di volo.

Una fitta di dolore e terribili istanti di buio.

« Minto-san! »

Dal modo in cui l'aveva chiamata era certa che fosse stata Retasu a pronunciare il suo nome, eppure era troppo confusa per riconoscere la sua voce. Così com'era troppo confusa per protestare alla presa sul suo braccio, alla sensazione decisa di essere sollevata di peso mentre precipitava al suolo.

« Minto, su riprenditi! »

Non le sembrò il caso di sgridare Taruto per il tono confidenziale. Obbediente si lasciò aiutare a rimettersi più dritta e riprese a volare da sola, sfiorandosi la tempia che pulsava dal dolore.

« Perché non ci teletrasportiamo via?! »

Sbottò Zakuro nel frastuono senza però smettere di correre, approfittando che gli Ancestrali fossero immobilizzati.

« Troverebbero il passaggio e ce li ritroveremmo in casa! »

Fece Eyner di rimando.

« Che vorrebbe dire?! »

« Non ti sei mai chiesta perché non ci siamo preoccupati di loro alla base, micina?! »

Con un colpo di reni Kisshu si voltò e lanciò una saetta dai suoi sai, rinforzando la barriera dei compagni:

« Gli abbiamo impedito di tornare a Jeweliria! Il loro teletrasporto è bloccato sul pianeta, e se arrivassero con un'astronave li arresterebbero all'istante. »

« Ma se noi riaprissimo la strada e ci teletrasportassimo adesso – concluse Pai, soffiando tra i denti per il dolore della ferita – loro ci verrebbero dietro. »

Zakuro distrusse ciò che restava di un muro sul suo raggio d'azione perché non le fosse d'impiccio:

« Dobbiamo entrare nel passaggio a piedi… »

« E appena la Goccia passerà, questo si chiuderà alle nostre spalle! »

Retasu soffocò le ultime parole in uno strillo, voltandosi appena a guardare allarmata la barriera che cedeva con scoppi sordi:

« Resteremmo bloccati qui! »

« Meglio pensare dopo alla nostra pelle. »

Le parole di Pai non furono molto incisive dato il pallore del suo viso:

« Fate entrare quel benedetto gatto nel passagg- ! »

La barriera cedette del tutto deflagrando come un tuono. Tutti furono spinti lontano, chi correva finì a terra.

Ichigo tenne salde le braccia di fronte al viso per non sfregarlo al suolo, perciò scorse appena la sagoma di Kisshu prendere in pieno una bancarella e restarvi incastrata dentro, immobile.

« Kisshu! »

Lei era troppo frastornata, tutto successe troppo velocemente.

Il vano tentativo di alzarsi. Il calcio sulla schiena di Toyu.

Lindèvi che compariva qualche metro più avanti di lei. Il bagliore della MewAqua.

Una risata cattiva e un miagolio strozzato.

Ryou…!

« ART!! »

Non pensò ai tre che accerchiavano la creaturina, né ai richiami delle amiche. Si lanciò con tutto il proprio peso sull'aliena bionda, travolgendola, serrò le braccia attorno ad Art per proteggerlo e scattò in un vicolo laterale.

« Ichigo! »

« Voi andate! Andate! »

Le proteste di Minto si spensero nel crollo dell'edificio a fianco della rossa. Tra le sue braccia Art miagolò in protesta:

« Ma che diavolo ti salta in mente?! Razza di stupida! »

Schioccando la lingua nervosa e restando a fatica in equilibrio, mentre gli stivali sdrucciolavano in una curva troppo stretta, Ichigo tappò il muso del gattino grigio:

« La prossima volta lascio che ci facciano un archetto da violino con la tua pellaccia! »

Abbassò la testa prima che Toyu gliela trafiggesse e con la coda dell'occhio scorse il vicolo da cui erano arrivati, due vie più in là. Il petto le si gonfiò di sollievo, intuendo la testa verde bosco di Kisshu appoggiata alla spalla di Eyner di fronte al cerchio luminoso.

Rifletté un secondo, arrossendo per l'assurdità di ciò che aveva provato, trovandosi anche a pensare alla sciocchezza del salvataggio di Ryou, così insensato, impulsivo e autolesionistico. Mandò un lamento di esasperazione saltando in una stradina più a sinistra:

« Perché te e la versione malefica di un elfo non mi date mai un attimo di tregua, accidenti?!?!! »

« Di cosa stai parlando?! Lasciami andare e vattene! »

« Chiudi quel muso baffuto e piantala di miagolare! – gli strillò contro – Se ti prendono sei morto! »

« Per questo devi lasciarmi and-! »

« Appena la Goccia passerà oltre il portale, il passaggio si chiuderà! – proruppe – Se gli altri saranno già dentro noi potremmo sprangarlo passando per ultimi! »

« È il piano più stupido che ti potesse venire in mente! »

« E fare da esca viva credi sia più intelligente?! » 

Cacciò un grido e cadde all'indietro trovandosi di fronte Toyu.

« Ne ho abbastanza. – il suo sorriso feroce ricordò una iena – Dammi quella Goccia, stupida umana. »

Ichigo lo guardò torva e si strinse Art al petto, protettiva.

« Non costringermi a fare il cattivo. »

Art soffiò appena, mezzo soffocato dalla boccetta che reggeva ancora tra i denti, diede un rapido colpo di reni e sfuggì dalla presa della rossa, schizzando via.

« Maledizione! Toyu, ferma quella fottuta palla di pelo! »

I tre alieni spostarono immediatamente l'attenzione all'esserino grigio, ignorando Ichigo che ebbe il tempo di rimettersi in piedi.

Si puntellò con mani e piedi come un atleta e scattò avanti, gli occhioni rosa spalancati dalla paura nel vedere le lame che puntavano al piccolo corpo di Art; allungò indietro il braccio verso la coda, si piegò per sorpassare Zizi che rasentava terra e si girò su sé stessa.

Non le restava che pregare perché facesse effetto abbastanza a lungo.

« Ribbon Strawberry Surprise! » 

Aveva preso un tale slancio che non potè contrastare la forza del suo stesso colpo e atterrò malamente sul fianco vicino al gatto, ma non potè rilassarsi. Cercò di alzarsi, barcollando, riagguantò Art afferrandolo sotto la pancia e guizzò verso il portale.

Venti metri.

« Porca merda! I miei occhi! Dannata gatta troia! »

Le urla di Zizi la fecero accelerare, ancora e ancora.

Dieci metri.

« Giochi sporco! Toyu, uccidila! »

« Non ci vedo, Lindèvi…! »

Cinque metri.

« Non me ne frega più un cazzo di quella maledetta Goccia! Io devo ammazzarne almeno uno! »

« Zizi, no! »

Ichigo trattenne il respiro aspettando la pressione del colpo; invece alle sue spalle percepì un grosso spostamento d'aria e un basso ruggito.

Un enorme tonfo, la voce di Toyu che si spezzava in un grido di dolore e un'immensa ombra alle sue spalle.

Ichigo voltò appena la testa oltre la spalla e intravide il merkv – sporco, affannato, bavoso, ma vivo, incredibilmente vivo! – sbatacchiare nell'enorme bocca il disperato Ancestrale. Eclissò dalla mente qualunque domanda, divorando l'ultimo paio di metri mentre Zizi tentava di colpirla.

La rossa avvertì le orecchie trapanate dal suo grido belluino nel medesimo istante in cui, serrando gli occhi e stringendosi ancora contro Art, saltava nel portale.

Un attimo di vuoto e, poi, l'esplosione.

 

 

 

 

 

 

(*) per chi non se lo ricordasse :P, è l'identità di Ryou da micioso *lovelove*. Il nome originale sarebbe Aruto o Alto (a seconda della dizione Giapponese) ma erano due pronunce agghiaccianti quindi ho tenuto la versione italiana ^^

 

 

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Ta-ta-ta-taaan! Ta tah ta  taaa!

Ichigo: e quindi?

Quindi che?

Ichigo: interrompi così?!?

Già ^w^!

Ichigo/Ryou: ma sei una BEEEEP!

^____^ *evilgrin*

Cosa ne dite miei cari? Non vorrete trucidarmi vero ^w^? Spero di aver reso bene il tutto, mi raccomando commentate e ditemi cosa ne pensate :D!


Prima di salutarvi, vi lascio questi due schizzi :D! Lena ->
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=758426350844263&set=ms.758426350844263.758426354177596.bps.a.369887816364787.83735.369088309778071&type=1&theater e una cosa volante che, lo ammetto, Danya, Hypnotic, sono solo per voi *ride*

 https://www.facebook.com/photo.php?fbid=758426354177596&set=ms.758426350844263.758426354177596.bps.a.369887816364787.83735.369088309778071&type=1&theater

 

Una nota volante… Non giudicatemi una pazza sadica odiatrice di gatti/animali, per la battuta sul violino (non sia mai!!), c'è un retroscena e vorrei spiegarlo… A dire la verità da bambina vedevo moltissimi cartoni americani dove i gatti venivano minacciati dai padroni di diventare corde di violino e un fondo di verità c'è ho scoperto che un tempo usavano budello di pecora, ma ovviamente di gatti non se ne parla ^^""! per dare un senso avrei dovuto inserire lo shamisen giapponese (che viene effettivamente fatto con pelli di gatte TT-TT), ma mi suonava strano. Sì è un discorso inutile che nn c'entra nulla, prendetemelo per buono e vogliatemi bene lo stesso :P!

 

Ringrazio! Danya, Hypnotic Poison, zakuro_san e mobo per le recensioni! Vi voglio bene! *sbrodola cuori* ci vediamo tra un mese!

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Capitolo 12
*** Toward the crossing: second road (part III) ***


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Farai felice milioni di scrittori. 

 

 

 

 

Sìsì lo so, avevo detto un mese… Sarò franca, tra i bellissimi commenti sull'aggiornare presto e la mia diciamo nulla voglia di iniziare a prepararmi per quegli ultimi due maledettissimi esami, prendo tempo e scrivo a più non posso! Quindi… Ta-ta-ta-tah !

Dato che la volta scorsa vi ho lasciati con l'acquolina in bocca non mi dilungo! Credo che il titolo sia abbastanza per incuriosire e preoccupare :P
A dopo lettura!

 

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Cap. 12 – Toward the crossing: second road (part III)

                 Ménage à trois for stubborn idiots

 

 

 

 

 

L'erba le risultò morbida e fresca sulla pelle graffiata e contusa, il sole tiepido una carezza balsamica; c'era uno straordinario silenzio rispetto a poco prima, solo il bosco a mormorare alle sue spalle e il venticello leggero a stuzzicarle la punta delle orecchie, che prese a muovere con piccoli scatti.

Ichigo non si diede pensiero di alzarsi finché non avvertì qualcosa strusciarlesi contro all'altezza del seno. Scostò il braccio infastidita e aprì solo mezzo occhio, incrociando le pupille cerulee di un gatto intento a rassettarsi il pelo arruffato.

« … Art… »

Si tirò di scatto a sedere, pentendosene tre secondi dopo per via del capogiro che le fece quasi rimettere la colazione.

Era sul declivio da cui erano partiti la mattina, alle spalle di Jeweliria. Poco distante da lei Minto era costretta a stare seduta, con Zakuro accanto a controllarle la ferita alla testa; Retasu era lì vicino, ginocchioni, a prendere lunghi e fondi respiri per calmare i nervi, e dietro di lei si scorgeva la sgargiante divisa di Purin, intenta a ricevere le premure – sotto forma di rimproveri – di Taruto per le sue ferite. La mente della rossa le riportò l'immagine di Kisshu incosciente, mentre veniva trascinato via da Eyner, e subito il suo sguardo saettò attorno per cercarlo: non fu semplice individuare la zazzera smeraldina tra i ciuffi scomposti dell'erba, impossibile non udire i bassi borbottii e le proteste per "l'obbligo di rimanere steso qualche minuto", che il ragazzo mormorava a mezze labbra come una maledizione.

Ichigo tirò un sospiro e rilassò le spalle, tornando completamente lucida, per ripiombare nel panico quando udì il miagolio che si sollevò da vicino al suo ginocchio.

« Oh no…! Ryou…! »

Si premette le mani guantate sul viso e avvertì un groppo serrarle la gola, mentre scrutava il gattino seduto tranquillo accanto all'ampolla con dentro la Goccia.

« Che razza di stupido…! – le sfuggì un basso singhiozzo – Perché ti sei trasformato?! I dieci minuti… »

Ichigo conosceva bene l'abilità segreta dell'americano di mutare in felino, come sapeva bene i rischi che questa comportava.

Ryou aveva esaurito il tempo massimo senza tornare umano.

Sarebbe rimasto per sempre un gatto.

« Perché l'hai fatto?! »

Il gatto la guardò in silenzio. Ichigo si sentiva tremendamente in colpa: era sicura che l'unica ragione nelle azioni di Ryou, come sempre, fosse la volontà di aiutarle, ma stavolta l'avevano coinvolto in una disavventura di cui si sarebbe anche potuto evitare l'onere. Invece le aveva seguite, come sempre, aveva seguito lei, solo per ritrovarsi a dover miagolare per il resto della vita.

« Mi dispiace tanto…! Se avessi fatto in tempo a raggiungere il passaggio…! »

« Oggi dici un sacco di cose assurde, sai? »

« Eh? »

« In tempo per cosa? »

Con la zampina sinistra Art toccò il bracciale schermante, opportunamente ridotto di dimensioni, che portava sulla destra: per un istante la sua immagine tremò e poi, d'incanto, di fronte ad Ichigo ricomparve Ryou Shirogane. Il biondo credette di veder cadere alla mewneko i bulbi oculari, tanto li aveva fuori dalle orbite:

« Beh, che ti prende? »

« T-tu… La trasformazione… »

« Non mi ero trasformato mica! – disse tranquillissimo – Ero semplicemente schermato. »

« Tu… Come?! »

« Aaah, ecco quali sono le modifiche che hai fatto! »

Ichigo scrutò frastornata MoiMoi che trottava nella loro direzione con un sorrisetto sghembo in volto. Ryou non gli rispose e gli porse la boccetta con la Goccia, alzando le spalle:

« Ho solo sfruttato le peculiarità del tuo lavoro per personalizzarlo. »

« Certo. – fece l'altro drizzando un sopracciglio – Semplicissimo. Hai modificato il terzo livello di espansione di schermo, perché assumesse la tua… Forma speciale. »

Rise piano squadrandolo da capo a piedi, un misto di ammirazione e un po' di livore, forse perché il ragazzo aveva modificato senza permesso la sua creazione:

« Un gioco da ragazzi! »

« Aspettate un secondo! »

Lo strillo di Ichigo fu talmente improvviso che MoiMoi balzò appena all'indietro, preoccupato.

« Mi staresti dicendo che tu non ti sei mai trasformato?! »

Fulminò Ryou con occhi infuocati, ma lui si limitò a guardarla allusivo:

« Ottima deduzione dell'ovvio. »

« Dannato cervellone da strapazzo!!! »

Era quasi comica la differenza tra la calma del ragazzo, più che abituato agli sbotti nevrotici della rossa, e l'espressione sconvolta di MoiMoi.

« Ero preoccupata da morire! Pensavo…! Pensavo che saresti rimasto un gatto per tutta la vita!! – gridò a pieni polmoni – E invece era solo un uso improprio di quel coso?!? »

« Io direi un uso più che legittimo e soprattutto, intelligente. – sentenziò pacato – E comunque, io ti avevo detto di andartene. »

Ichigo lo indicò minacciosa senza concepire insulti degni di battezzarlo: restò a gesticolare indignata per un paio di minuti, poi sollevò la testa al cielo e mandandolo a quel paese si avviò a passo di carica verso il passaggio per la Terra.

« Aspetta, Ichigo-chan! Fammi controllare le tue ferite…! »

« Sto benissimo! »

Non sarebbe sembrato tanto strano il tono di voce, se non lo avessero sentito sin dal fondo del bosco.

« Voglio solo allontanarmi da quell'idiota prima di ucciderlo!! »

« Wow… »

MoiMoi guardò Ryou sospirare e massaggiarsi il collo rassegnato e non trattenne un risolino:

« I miei complimenti! Credevo che solo Kisshu-chan sapesse farla arrabbiare così! »

« Non paragonarmi a lui, senpai… »

Kisshu si rimise seduto con un lamento e lanciò un'occhiata di sbieco al biondo, seccato che il suo allegro teatrino con Ichigo gli avesse tolto la possibilità di ricevere qualche premura dalla rossa.

« Come ti senti? »

« Mai stato meglio, senpai! – fece sarcastico – Sono solo un po' ammaccato. »

MoiMoi lo guardò poco convinto.

« Ti conviene controllare gli altri, piuttosto. Specie mio fratello e la cornacchietta – aggiunse, indicandoli col pollice – sono stati abbastanza frollati. »

« Io sto bene. »

« Tu non stai bene, Pai! »

Lo rimproverò MoiMoi con vigore:

« E sarà meglio far vedere a qualcun altro di più competente questo buco… Kami-sama…! – gemette agghiacciato guardandogli il braccio – Vai subito! »

« Non… »

« MoiMoi-san ha ragione, Pai-san… »

Retasu non si stupì dell'occhiata torva che il ragazzo le lanciò e che invitava senza troppe cerimonie a farsi i fatti propri. Lei però si limitò a mordicchiarsi il labbro e insisté:

« Sembra grave. Forse dovresti farti vedere… »

Sostenne lo sguardo cupo di lui finché non sospirò seccato e si voltò, allontanandosi a passi lenti. MoiMoi guardò la ragazza ammirato:

« Incredibile…! Con me non è mai stato così docile! »

« Come? »

Lui sorrise e scosse il capo:

« Nulla, Reta-chan. Tu, piuttosto? »

La verde sorrise dolcemente:

« Sto bene. Quel Zizi ha la mano pesante… Ma sono più robusta di quanto sembri. »

L'amico rise piano:

« Allora ti affido Purin-chan. »

Le passò una delle minuscole valigette che si era portato dietro; aprendola, Retasu si accorse che era profondissima a discapito delle dimensioni e del peso, e conteneva il necessario per le prime cure di un esercito.

« Tu, però, mettiti lo stesso questa dove ti hanno colpita. »

E prima di spostare la sua attenzione a Minto, le indicò un piccolo barattolo bianco e ammiccò:

« Eviterà che ti venga il livido. »

Retasu gli sorrise e andò da Purin, intenta a protestare con Taruto perché le imponeva di rimanere seduta.

« Certo che quei due ne hanno di energie! »

Rise MoiMoi mentre ripuliva il taglio sulla tempia della mewbird e Zakuro annuì, sorridendo lievemente.

« Se è per questo nemmeno Kisshu sembra in grado di esaurirle. »

Sbottò Eyner seccato avvicinandosi al terzetto, e lo videro fissare l'amico che scendeva la china ancora incerto sulle gambe, ma a passo spedito. Il bruno avrebbe scommesso un mese di paga che stava inseguendo Ichigo e lo avrebbe fatto pure Ryou. Quest'ultimo però non si scompose e, nella più totale noncuranza, raggiunse Retasu intenta a disinfettare i tagli della più piccola del gruppo.

Eyner sospirò con anche troppa enfasi.

Tra il ragazzo che la braccava come un falco e quello che invece non faceva che rispondere con gelido contegno ad ogni sua reazione, non sapeva dire chi Tra Kisshu e Ryou fosse più un disastro con Ichigo.

« Come stai? »

Alla domanda di Zakuro il bruno sorrise un poco:

« Un po' di graffi, qualche livido, niente di che. Tu invece? »

Lei fece spallucce e indicò la mano del ragazzo con un cenno:

« Quella? »

Eyner girò il palmo, che seguitava a sanguinare copioso:

« Mica male, in effetti. – scherzò – Dovrò farmici dare un paio di punti. »

La mora lo fissò in silenzio. Tornò al suo aspetto, infilò una mano nella tasca posteriore dei jeans e con il fazzoletto che tirò fuori gli fasciò la mano ben stretta, senza dire una parola.

« Mentre aspetti che ti ricuciano. »

Proferì pacata stiracchiando un sorrisetto; Eyner ricambiò, sorpreso e, lo ammetteva, un po' compiaciuto:

« Grazie. »

Nel frattempo MoiMoi terminò fischiettando di medicare Minto. La morettina sfiorò con l'indice il cerotto che le decorava la tempia e borbottò:

« Non so proprio come lo spiegherò ai miei… »

« Un incidente al Caffè. »

Disse Purin allegra, sollevando il braccio perché Retasu glielo bendasse:

« Non se ne accorgeranno mai! »

« Tu dovresti ringraziare di non avere tuo padre tra i piedi a fare domande – sentenziò l'altra di rimando – sembri una mummia! »

Lei stese un sorriso a trentadue denti e l'altro sbottò:

« Non c'è niente da ridere scimmietta da circo. »

« Sempre a fare il guastafeste, Taru-Taru! »

« In ogni caso – intervenne Retasu per fermarli – siamo riusciti ad impedire che gli Ancestrali ottenessero una Goccia. »

« È questo lo spirito Reta-chan! »

MoiMoi balzò in piedi allegro, abbracciò valigetta del pronto soccorso e boccetta e fece segno a tutti di seguirlo:

« Anzi, andiamo a metterla al sicuro. Intanto, mi racconterete per bene tutto quanto! »

 

 

***

 

 

L'ospedale di Jeweliria si trovava in un edificio abbastanza anonimo paragonato alla magnificenza del Palazzo del Consiglio o alle variopinte case del popolo, seminascosto all'estremità nord-ovest della città; i Jeweliriani però non ci badavano: avevano la convinzione per cui la natura del luogo portasse necessariamente alla sobrietà del suo involucro esterno, concentrandosi piuttosto sulla sua funzionalità. Nonostante il presupposto, un terreste avrebbe trovato i corridoi dell'ospedale molto più confortevoli di molti altri sulla Terra. Lampade calde accentuavano il biancore di muri e pavimenti, facendo smarrire il sentore di asettico e lasciando solo la sensazione di pulito; l'odore di medicinali e disinfettati era ridotto al minimo, coperto non da profumi ma da una qualche strumentazione che ne assorbiva l'aroma pungente; le stanze di degenza erano spartane, ma accoglienti, e le strumentazioni di diagnostica e controllo, a dispetto dell'alta tecnologia, erano piccole e discrete, quasi troppo essenziali.

In piedi in una delle tante corsie, Lasa terminò di scorrere la sua lista di visite per il turno del giorno sorridendo con un lieve sospiro.

« Sono felice di vedere che è di nuovo in forma, Ikisatashi-san. »

La donna sorrise appena all'infermiera al suo fianco e le porse la cartelletta:

« Non riesco mai a stare troppo lontana da qui. Per caso sono arrivati i risultati delle analisi che avevo chiesto? »

L'infermiera scosse la testa e Lasa sollevò la mano per tranquillizzarla:

« Nessuna urgenza. Ci sono altre cose con… »

L'infermiera la guardò confusa e si voltò per capire cosa avesse attirato la sua attenzione. Sobbalzò con un sorrisetto sciocco nel vedere Pai, ma cambiò immediatamente espressione quando scorse la ferita sul suo braccio.

« … Obena-san, ti spiacerebbe portare tu questi in archivio? »

La giovane annuì e strinse i referti al petto, incapace di non stupirsi per il pacato sangue freddo della dottoressa:

« Arrivo subito. »

 

 

Seduto su un lettino in una stanza vuota, Pai lasciò che la madre gli controllasse il braccio e cominciasse a medicarglielo in perfetto silenzio, emettendo a stento leggeri soffi tra i denti quando iniziò a ricucirlo.

« Devi smetterla di venire in reparto quando è il turno delle tirocinanti. »

Il ragazzo guardò Lasa senza capire.

« Devono pensare a curare i pazienti, non a farsi venire gli spasimi di cuore per la tua presenza. »

« Si può sapere di che parli, madre? »

Lei sospirò rassegnata:

« Che mio figlio è tanto intelligente, quanto ignaro che mi sono impegnata per farlo bello anche fuori. »

Lui chiuse gli occhi seccato dal discorso:

« Che sciocchezze. »

Lasa chiuse la sutura ed evitò di replicare, ridacchiando piano.

« Per fortuna ha mancato l'osso. Guarirà senza problemi. »

Lo rassicurò mentre prendeva delle bende da un mobiletto alto.

« Com'è…? »

« Lindèvi. »

Fece spiccio. Lasa non disse nulla, ma Pai sapeva che non le bastava come risposta e aggiunse:

« Mi sono distratto. »

Perfino lui si stupì di ciò che aveva detto, anche se era la verità. Lasa sgranò gli occhi scuri e lo studiò attentamente:

« Questo è strano. »

« Più del fatto che abbia il braccio con un buco? »

« Molto di più, tesoro. »

Pai non rispose.

Sapeva che Lasa aveva ragione.

Un'incidente dovuto ad un'imprudenza, o a un rischio seppur calcolato, era plausibile. Che lui si distraesse, no.

« Cosa è successo? »

Pai socchiuse appena le labbra, come per rispondere, ma non disse una parola. Lasa lo guardò fissare un punto indefinito di fronte a sé.

Anche mettendo assieme gli eventi la cosa non assumeva un senso.

Stava affrontando l'Ancestrale… Quando aveva sentito le urla delle terrestri e quelle di Zizi che veniva ferito…

L'unica cosa che aveva chiara in mente era la macchia verde acceso che, con la coda dell'occhio, aveva visto immobile a terra, dritta sul raggio d'azione di Zizi. Poi il colpo, il frastuono dello schianto. E poi ancora lui, che riprendeva – inspiegabilmente, perché non s'era reso conto di aver smesso di farlo – a respirare, scorgendo Eyner che aveva tratto in salvo…

« Pai? »

Il ragazzo grugnì basso e si voltò dalla parte opposta alla madre.

« Quando riesci ad intercettarlo, sarà meglio che tu dia un'occhiata anche a Kisshu. »

Pai non poteva vederla, ma Lasa lo stava fissando: aveva palesemente cambiato discorso, e con una naturalezza disarmante.

Sorrise ma non lo corresse:

« D'accordo. »

 

 

***

 

 

Ichigo era quasi arrivata al passaggio per tornare a casa, ma la passeggiata non era riuscita a calmarla per nulla.

« Quello stupido di Ryou…! »

Calciò con tutte le sue forze un sassolino, colpendo un tronco e ricevendo il proiettile di rimbalzo dritto sulla fronte. Inutile dire che andò ancor di più in bestia:

« Accidenti a lui! – insisté – Guarda cosa mi fa fare! »

Afferrò di nuovo il sasso e stavolta lo lanciò verso l'erba, allungandosi come un lanciatore di baseball:

« Brutto narcisista! Egoista! Cervellotico! Spocchioso! Mi ero ripromessa di non preoccuparmi mai, mai più per te! E avevo ragione, brutto…! Brutto…! »

Afferrò un altro sasso e fece per lanciarselo alle spalle, idealmente contro Ryou.

« Ohi, micetta! Attenta! »

Fu buffo vederla restare immobile col braccio a mezz'aria, senza capire perché avesse Kisshu davanti.

« Come puoi vedere, non sono Shirogane. »

La mewneko arrossì a disagio e abbassò lentamente la mano, bofonchiando:

« Mi hai sentita, uh? »

« Il difficile sarebbe stato non sentirti. »

Scherzò e lei aggrottò la fronte seccata.

« C'è sempre un buon motivo per avercela col biondo – ammiccò divertito – ma, nello specifico, non ho capito che ha combinato. »

Ichigo ci pensò un momento, ma lui sembrava pronto ad ascoltarla e lei aveva bisogno di sfogarsi prima di prendere a calci un tronco; quindi spiegò di Ryou e della mutazione, senza trascurare quanto successo su Glatera.

« … Capisci? Credevo di averlo condannato ad essere un felino per il resto dei suoi giorni! – finì di sfogarsi – Invece, come al solito, si fa da solo i suoi brillanti piani e non dice nulla! »

Kisshu la osservò divertito – e abbastanza soddisfatto che stesse inveendo così veemente contro Shirogane – e rise un poco:

« Ti capisco, micetta, ma non è il caso di agitarsi tanto. Ti verrà un colpo. »

Lei lo squadrò di traverso e si offese nel vederlo ridere:

« Grazie, eh! Sempre tutti buoni a ridere alle mie spalle! »

Fece per lasciarlo lì, ma Kisshu la prese delicatamente per la spalla e si scusò:

« È solo che sei così carina da arrabbiata…! »

Ichigo si sforzò palesemente di ignorare il complimento.

« In ogni caso, ti capisco, ma non è il caso di prendersela tanto. Il biondo è come Pai, ha un budget di dieci parole al giorno. »

Lo disse con una tale naturalezza che Ichigo non riuscì a trattenersi dal sogghignare.

« Devo dirlo però… Quando sorridi sei molto più carina. »

La rossa smise all'istante di ridere: troppo poco abituata a farlo in tempi così rapidi, non riuscì a mantenere la compostezza e arrossì fino alle orecchie.

« Ti ho già detto di non parlarmi così. – bofonchiò – P-però… Dato che ti devo la vita oggi… »

« Due volte. »

« Non barare, una sola! »

« E le palline di pelo sputa-acido? »

Ichigo mosse la coda indispettita:

« Ok. – sospirò sconfitta – Dato che ti devo la vita due volte, oggi, accetterò il complimento e non mi arrabbierò. »

« Quale concessione! »

Rise ancora lui e la campanella sulla coda di Ichigo trillò un paio di volte. Era inutile, la sua gattina non sapeva proprio fare la sostenuta.

« È una ricompensa un po' misera, però, non credi? »

Ichigo ignorò l'allusione e proseguì, ma Kisshu diede due falcate più lunghe e le si portò di fronte, a un paio di centimetri dal naso. La rossa riuscì solo a chiedersi sconfortata perché la sovrastasse tanto in altezza e perché la cosa – che non era assolutamente piacevole – la agitasse tanto.

« Voglio che tu mi dica una cosa. »

Lei annuì meccanicamente, mentre con la mente frugava tra tutti i neuroni del suo cervello cercando ogni memoria di Masaya che assomigliasse vagamente al modo in cui Kisshu la stava guardando, al tono di voce con cui le sussurrava.

Non trovare nulla fu frustrante quasi quanto insistere nella recita della donna di ghiaccio.

« A Glatera, hai chiamato il mio nome, vero? »

Il rossore per essere stata colta in flagrante doveva essere già una risposta. Eppure Kisshu continuò a guardarla, il solito sorrisetto ad increspargli le labbra, ma gli occhi erano liquidi, vibranti di quella che Ichigo riuscì ad identificare come speranza mista ad euforia.

« … Sì. »

Non riuscì a trattenere le due lettere che sfuggirono come un respiro, o un singhiozzo sordo. Il sorriso di Kisshu si fece più largo e più dolce:

« Ti preoccupi per me, micina. »

Non glielo stava domandando; Ichigo avvertì l'addome tendersi d'agitazione.

« Allora io dovrei ringraziare te. »

Ichigo non si muoveva. Non poteva. Tremò lievemente quando Kisshu le sfiorò il labbro inferiore col pollice, ma restò immobile.

No… Ti prego no…

Lo sentì accarezzarle appena la bocca con la sua e, ancora, ancora troppo tardi per lei, il pensiero di Masaya le diede la scossa per riscuoterla.

Scattò indietro e spinse via Kisshu, lo superò e si lanciò praticamente di testa nel portale. Non si fermò a controllare che la seguisse, né che le altre fossero in arrivo, né si preoccupò di sbucare dal nulla in mezzo al parco per poi balzare via, tra i palazzi e sui tetti.

Lontano.

Doveva andare quanto più lontano da lui.

Subito.

Cacciò indietro le lacrime di vergogna sfregandosi i guanti sulle gote già rosse, e al pensiero che, se Masaya fosse stato in Giappone, avrebbe solo voluto raggiungerlo, la fece sentire ancora più in colpa.

« Maledizione…! »

Non ne poteva più. Aveva a che fare solo con degli stupidi egoisti.

Tranne Masaya ovviamente.

Anzi, ormai ne era convinta, tutti gli uomini di tutto l'universo erano degli egoisti maniaci.

Tranne Masaya.

« Kisshu, ti odio! Sei un cretino! E lo è anche Ryou! Non fosse stato perché mi ha fatta arrabbiare…! »

Tirò su col naso e saltò su un altro tetto, correndo sempre più forte, e si mise ad urlare al vento:

« Idioti, idioti! Siete due cretini! Vi detesto tutti e due! »

 

 

***

 

 

Ichigo rimase chiusa nella sua stanza fino all'ora di cena raggomitolata sul suo letto, senza muoversi di un millimetro. Furono inutili i tentativi del piccolo Masha di risollevarle il morale, così come quelli di sua madre che, preoccupata del suo viso arrossato, le aveva bussato alla porta senza ottenere risposta. A stento aveva sollevato il cellulare quando Retasu l'aveva chiamata per aggiornarla su quanto successo a Jeweliria dopo la sua sparizione.

« MoiMoi-san ha detto che la Goccia che abbiamo recuperato conteneva più energia della prima. – aveva detto la verde – Riuscirà a individuare molti più passaggi. »

« … Ah sì? »

L'amica era rimasta in silenzio, preoccupata dal tono, e poi aveva continuato con gentilezza:

« Potremo prenderci qualche giorno di pausa. Ha detto che si organizzerà con gli altri perché si possa avere sempre del supporto vicino, giusto per sicurezza. »

« Capisco… »

« Non credo che gli Ancestrali ci attaccheranno in casa, se non ci sono Gocce, però… »

« Scusa, Retasu… –  l'aveva interrotta bofonchiando – Credo… Che mia madre mi stia chiamando per la cena. »

Retasu aveva capito immediatamente che stava mentendo, contando anche che erano le cinque del pomeriggio, ma non aveva insistito e sospirando premurosa le aveva detto:

« Certo. Allora ci vediamo domani al Caffè? »

« Uhm… »

« Ichigo-chan? »

« Uh? »

« … Se hai bisogno, chiamami pure. »

E aveva messo giù senza aspettare risposta.

Fu solo un paio d'ore più tardi che Sakura chiamò la figlia per mangiare. Mogia mogia, Ichigo scese di sotto, replicò a bassi monosillabi alle parole della madre e si sedette a mangiare in silenzio, spiluzzicando pensierosa.

Era una fortuna che suo padre fosse alcuni giorni fuori casa per lavoro, Shintaro non era esattamente ciò che si dice una persona discreta: l'avrebbe crivellata di domande sul suo umore, campando supposizioni finché Ichigo, esasperata, non gli avesse risposto a tono scatenando l'ennesima lite da Guerra Mondiale, con la classica conclusione di patteggiamento forzato – Shintaro che si lamentava della figlia con Sakura e Ichigo che si blindava nella sua stanza. Sakura, invece, era molto più empatica su certe questioni e non domandò nulla alla rossa, lasciandola mangiare tranquilla.

In tutta onestà Ichigo avrebbe voluto parlare con qualcuno, ma la situazione era troppo delicata e strana per coinvolgere le sue amiche; perfino MoiMoi era da escludere.

Sollevò appena gli occhi nocciola dal suo pesce grigliato e scrutò di sottecchi la madre, intenta a gustarsi le alghe della sua zuppa di miso:

« Anche se fa caldo – disse soddisfatta – è sempre così buona…! »

« Mamma… »

« Dimmi, tesoro. »

Ichigo si fermò, incerta. Le parve di non sapere più cosa chiedere.

Prese un altro boccone di riso, un po' di pesce e si allungò per prendere una melanzana ai ferri, lo sguardo comprensivo di Sakura addosso, fermandosi a metà strada:

« Posso… Chiederti una cosa? »

« Certo cara. Cosa succede? »

Ichigo tacque di nuovo, terminò il movimento col braccio afferrando la melanzana e la mangiucchiò pian piano; eppure, inghiottire fu molto più faticoso del solito.

« Ho un problema. Cioè… Una mia amica. Lei ha un problema; e non so come aiutarla. »

Si corresse. La storia era troppo complicata, o lei se ne vergognava troppo, non sapeva decidere, per scendere ancor più nei dettagli.

Sakura annuì facendole cenno di continuare e Ichigo posò le bacchette:

« Sai… È fidanzata da molto tempo con la stessa persona e… Sono molto innamorati. »

« Beh, questo non mi sembra un problema. »

Scherzò con dolcezza la donna e Ichigo si concesse un lieve sorriso:

« Stanno bene assieme, c'è sintonia, affetto e rispetto. »

La madre annui con un sorriso sempre più largo e Ichigo si sentì meglio. Era bello poter parlare della sua relazione a quel modo, si sentiva molto più libera e senza imbarazzo.

« Però… »

« Però? »

La rossa s'interruppe.

Cosa cavolo sto dicendo? Il mio rapporto con Masaya ora non c'entra… E poi, non ho alcun problema.

« Niente, è che… Di recente, ha incontrato alcuni vecchi amici. »

Sakura la guardò curiosa, ma non chiese e assentì ancora.

« Tra questi, uno di loro… »

Ichigo strinse i pugni sulle ginocchia e si ammirò le nocche rossa come un pomodoro. Era inutile, non riusciva nemmeno a ripensarci.

« Ha cercato di baciarla! »

Fece alla fine tutto d'un fiato. Sakura si tirò a sedere più dritta:

« Accidenti…! »

Sorrise condiscendente e appoggiò il viso sul palmo della mano:

« Una situazione complicata. Davvero. »

Ichigo annuì freneticamente.

« In certe situazioni, a rischio di ferire qualcuno bisogna mettere bene in chiaro i propri sentimenti. – continuò serafica la donna – Se la tua amica non prova nulla per il suo amico, per quanto il sentimento sia sincero deve respingerlo. »

Ichigo fece ancora segno di sì col capo, ma con meno convinzione.

« Solo che… »

« Solo che? »

Per un secondo Ichigo temette che le spuntassero le orecchie per l'agitazione.

« Col suo ragazzo… Lei ha sempre avuto… Un rapporto molto… Ehm… »

Il sorriso di Sakura si allargò un poco, intuendo. Fortuna davvero, che suo marito non fosse presente.

« Puro? »

Ichigo rischiò l'infarto. Mai avrebbe pensato che sua madre intendesse il suo pensiero, né che lo esprimesse con così cruda sincerità.

« Tesoro, non devi vergognartene a parlarne. – Sakura rise piano – Certo, sono cose che necessitano di privacy, e sono discorsi che è bene non fare di fronte a tuo padre. »

Ichigo pensò con terrore a come avrebbe reagito il gelosissimo genitore, se avesse anche solo accennato alla possibilità di rapporti intimi tra maschi e femmine.

« Però si tratta di cose normali, alla tua età. »

La rossa tornò a rimirarsi le unghie, disegnando cerchietti con l'indice sulla stoffa scura dei pantaloni, prese un bel respiro e mormorò flebile:

« Il suo ragazzo… Con lui non hanno mai superato il limite del bacio. E questo è bello, molto bello – aggiunse più concitata – Non sarebbe squallido, se si trattasse solo di un rapporto fisico? »

« Molto. »

Replicò dolcemente la madre.

« Lui la ama e la rispetta. »

« Come è giusto che sia. »

« E lei sa di essere bella per lui, di piacergli, e… »

Sakura la studiò cercare le parole per continuare e non trovarle, affranta:

«  Lei è certa… Certa del suo amore! Non ha alcun dubbio! »

Lasciò la frase in sospeso. Prendeva respiri lunghi e tremuli, quasi che nella stanza mancasse ossigeno.

« Ma qualcosa manca, vero? »

Ichigo la guardò un momento e poi chinò ancora la testa, incapace di sostenere il suo sorriso preoccupato.

« Quando… Quando Kisshu mi guarda e mi parla a quella maniera, come se non vedesse altri che me… Non so più cosa fare! – pigolò – Il mio corpo non mi da retta… Non riesco a reagire. »

Sakura tacque mortificata dell'espressione afflitta della figlia e si chiese, un pochino curiosa, se si fosse resa conto di aver preso a parlare in prima persona.

« La… Tua amica, cosa pensa di questo secondo ragazzo? »

« Eh? »

La donna sospirò sibillina:

« I suoi sentimenti verso di lei… Sono sinceri? »

Ichigo emise un sarcastico verso col naso:

« Lo dimostra fin troppo. »

Sakura trattenne una risatina. Incrociò le braccia e la guardò con serietà e delicatezza:

« In qualunque rapporto sono necessari stima e affetto, cara, è ovvio. Senza queste basi la coppia è destinata a crollare su sé stessa e a separarsi, o a ostinarsi in una storia infelice.

« Arriva un momento, però, specie quando si è grandi, o quando si frequenta una persona da molto tempo… Come la tua amica, in cui solo questi due ingredienti non sostengono più da soli. »

Ichigo osservò la madre che guardava un punto lontano:

« È normale desiderare il contatto fisico, un rapporto che unisca il tenero sentimento a qualcosa di più… »

« Ho… Ho capito! »

La mewneko arrossì e fece cenno alla madre di tralasciare. Di per sé la discussione era imbarazzante, sentirle parlare esplicitamente di cose anche lontanamente vicine al sesso sarebbe stato troppo!

« Sentirsi desiderati è bello. Ci fa stare bene. E sentirsi desiderati dalla persona amata è ancora più speciale; si vuole ed è giusto, desiderare ed essere desiderati. »

Ichigo ammirò la donna, persa un momento in chissà quali pensieri, e l'ascoltò continuare:

« Bisogna capire se i problemi derivano unicamente da una mancanza di chiarezza o da un'insicurezza verso la persona amata, o se effettivamente i propri sentimenti sono cambiati. »

Ichigo non rispose. Fissò il piatto e annuì piano, riflettendo sulle parole.

« Sono certa che, se ci rifletterà, la tua amica saprà risolvere la cosa. »

Guardò ancora la madre che le sorrideva incoraggiante e ricambiò lievemente.

« Accidenti, Ichigo, sei proprio cresciuta eh? »

Ridacchiò Sakura prendendosi una guancia nel palmo  tornando allegra come sempre:

« Ormai parliamo di argomenti da donne, io e te. Come sono contenta! »

« Dai mamma, piantala ora…! »

La donna rise ancora deliziata e prese a blaterale giuliva sul rapporto madre e figlia. Ichigo la lasciò fare sbuffando, ma non nascose un sorrisetto a fior di labbra per le sue parole.

« Grazie mamma. »

« Come dici, tesoro? »

« Ho detto se posso avere ancora un po' di riso, per favore. »

 

 

***

 

 

« Hai salvato tutti i dati che MoiMoi-san ci ha passato? »

« Ho appena terminato, Ryou. – disse Keiichiro gentile – Li incrocerò con quelli raccolti da Masha al Palazzo del Consiglio e allo Yakori e con le nostre vecchie informazioni, non sia mai che si scopra qualcosa di interessante. »

Il biondo annuì grugnendo. Il seminterrato era più buio del solito data l'ora tarda e le luci fredde dei monitor lo infastidivano più del dovuto.

« Arrabbiato? »

« Solo un po' stanco. – mentì all'amico – Non vedo l'ora di stendermi. »

« Vai pure – lo incitò il bruno – qui posso finire io, manca poco. Buonanotte. »

« 'Notte… »

Salì lentamente di sopra, gettando una rapida occhiata al locale deserto e immerso nell'oscurità. Le ombre lunghe delle sedie raccolte sui tavoli, le finestre che intervallavano pozze scure a spade di luce artificiale proveniente dai lampioni, facevano sembrare la vezzosa stanza cupa e oscura.

Forse sono i miei pensieri ad esserlo.

Arrivò nella sua stanza e si sentì un naufrago approdato finalmente in porto. Quelle quattro mura erano il suo rifugio, il suo limbo personale, la sua torre d'avorio: lì poteva pensare senza badare a nessuno sguardo, senza dover rendere conto di cosa facesse e perché, senza preoccuparsi di nessuno. Era il suo santuario e nessuno ci entrava impunemente.

Tranne, di quando in quando, la sciocca impulsiva Ichigo.

Si sedette pesantemente sul letto lanciando la maglietta dall'altro capo della stanza. Non sapeva proprio come non farsi del male.

Come quel pomeriggio… Cosa gli sarebbe costato scusarsi con lei? L'aveva fatta preoccupare, e a ben donde si sarebbe potuto aggiungere; anche se non era accaduto nulla, avrebbe benissimo potuto pronunciare quella minuscola, seccante parolina.

Scusa. Sorry.

Perfino in inglese sarebbe stato lo stesso dispendio di fiato.

Invece, zitto.

Ostico e caparbio, prigioniero nella stessa aura di impassibilità che s'era cucito addosso. A rimirarla andar via come da contratto su tutte le furie. E, ciliegina sulla torta, Kisshu che le scorrazzava dietro pronto a cogliere la palla al balzo, mentre lui cocciuto come un mulo restava fermo dove si trovava.

Chissà come si era divertito il maledetto, a sentire Ichigo ingiuriarlo! Doveva anche averlo fatto per un po', perché le orecchie avevano continuato a fischiargli per ore.

« … Sono un idiota. »

Se Ryou fosse stato più immaturo sarebbe stato semplice accusare la rossa perché era troppo emotiva, o troppo permalosa; sarebbe stato facile per lui, riversare su di lei la sua frustrazione. Purtroppo non era puerile a sufficienza.

E poi, Ichigo non aveva alcuna colpa per una volta. Era stato lui a prenderla a pesci in faccia solo perché si era spaventata inutilmente.

Se non avesse rischiato di attirare l'attenzione di Keiichiro che sentiva muoversi al piano inferiore, avrebbe cominciato a prendere il muro a testate.

Era consapevole che non sarebbe riuscito a trovare un'occasione adatta per scusarsi tanto presto, né che avrebbe potuto farlo con tanta disinvoltura: non era decisamente nella sua indole – mai! Mai Ryou Shirogane si sarebbe chinato a chiedere scusa per primo, specie con Ichigo – e poi, se l'avesse fatto, la rossa avrebbe creduto che avesse la febbre o che fosse impazzito. L'ultima cosa che voleva, però, era che la mewneko gli tenesse il muso ad oltranza. E non solo perché gli dispiacesse di principio.

Si passò una mano nella frangia dorata e si corrucciò pensando a Kisshu.

Stava diventando impossibile. Si liberava di un rompiscatole e subito ne spuntava un altro.

Non era comprensibile che Ichigo avesse una tale sequela di ammiratori! Era completamente illogico.

Non fare il furbo. Tu sei il primo in lista…

Sbuffò e, rialzatosi, si tolse di un colpo i pantaloni gettandoli con malcreanza sulla sedia, dove si accasciarono penzolando per una gambiera. Rimasto in boxer s'infilò di furia sotto le coperte e spense la luce: la stanza piombò nelle tenebre più dense, eppure lui si coprì gli occhi con l'avambraccio per sigillare anche il chiarore invisibile proveniente dalla finestra.

Calma, doveva calmarsi.

Avrebbe risolto, in qualche modo, ma doveva calmarsi.

Il tutto al mattino dopo.

In fondo, lui era un maestro a mettere in disparte i propri bisogni e i propri sentimenti.

Avrebbe accantonato il desiderio di chiamarla e giustificarsi per farlo il giorno dopo, o quello dopo ancora, o il successivo. Quando avesse potuto darle un buffetto sulla testa e, con noncuranza, accennare un sorriso e delle scuse per poi andarsene via con le mani in tasca.

Si girò su un fianco cupo in viso quasi quanto lo era il cielo, senza smettere di chiedersi per l'ennesima volta se, non essendoci Aoyama, l'avrebbe mai davvero chiamata all'una di notte.

Come al solito, non si rispose.

 

 

***

 

 

Il portatile di Ichigo mandò un basso ronzio mentre cercava la linea per connettersi alla chat-room. La rossa guardò distratta l'orologio in basso allo schermo, l'una e un quarto; a Londra erano solo le 17.15, Masaya avrebbe risposto di sicuro.

Si agitò un po' sulla sedia osservando la barra di caricamento senza davvero vederla. Si era decisa a non avere segreti per il suo ragazzo e raccontargli cos'era successo, ma all'improvviso aveva paura.

Se non fosse stata in grado di farsi capire? Se si fosse arrabbiato? Se non avesse voluto ascoltarla?

Scosse la testa con forza, Masaya non era un tipo simile(*).

Lui era comprensivo, paziente e dolce. L'avrebbe ascoltata fino in fondo e…

Chissà… se mi perdonerà?

Si morse il labbro e fece per annullare la chiamata, ma era troppo tardi. Con un piccolo lampo il riquadro del ricevente si accese e Masaya le sorrise, spixellando leggermente di fronte all'elegante muro della stanza del suo dormitorio ad Oxford.

« Ciao piccola. »

« Ciao Aoyama-kun. Come stai? »

« A meraviglia. Ma che ore sono? – rise e la guardò con amorevole rimprovero – Lì è notte fonda! »

« Lo so… Però domani è sabato, quindi potrò dormire. »

« Ah, è vero. Faccio ancora confusione col fuso orario… »

La rossa sorrise:

« Ho pensato di chiamarti quando potessi essere libero per me. »

Masaya rise ancora, discretamente. Ichigo lo ammirò, al settimo cielo per poterlo vedere e sentire, incupendosi un secondo dopo.

« Piccola, cosa succede? – le chiese preoccupato – Hai un faccino… Sei stanca? »

Ichigo scosse la testa e prese un profondo respiro:

« Devo dirti una cosa. Però… Lasciami dire tutto fino in fondo, ok? »

« Ichigo, così mi spaventi! »

Tentò invano di giocare lui. Ichigo prese ancora fiato, doveva trovare le parole più adatte, arrivare al discorso per gradi, fargli capire quanto le pesasse il tutto.

Come se fosse mai stata brava, con le parole.

« Kisshu mi ha baciata. »

« Cosa?! »

Ichigo indietreggiò appena con la sedia e incassò la testa nelle spalle.

Calma, era una reazione normale. Normalissima. Doveva solo spiegarsi meglio.

« Ma l'ho cacciato via subito! Quel brutto stupido! »

« Ichigo, di cosa stai parlando? »

« È successo che… Che… »

Non doveva piangere. Non doveva lasciare che il tremore ai bordi delle ciglia esplodesse, o che la voce vacillasse. Sarebbe sembrata colpevole e lei non lo era, non aveva fatto niente di sbagliato!

« Ichigo. »

Precetti inutili. Al solo udir pronunciare il suo nome la rossa scoppiò in lacrime e puntò gli occhi sul ripiano della scrivania, vergognandosi come una ladra:

« Scusami… Scusami Masaya-kun! Avrei dovuto allontanarmi subito, invece ho lasciato che… Che… »

Lui non disse nulla per alcuni istanti. Ichigo era pronta a vederlo chiudere la comunicazione dicendo di non volerla più vedere, invece lo sentì sospirare a fondo:

« Ti ha baciata contro la tua volontà? »

« M-ma certo! – aggiunse lei animosamente, singhiozzando più forte – Non penserai che…! »

« Certo che no, sciocchina. »

Ichigo studiò lo schermo confusa. Masaya si massaggiò la fronte con l'espressione ancora corrucciata, sebbene tentasse di rimanere tranquillo:

« Temevo che succedesse una cosa simile. In fondo, mi sono convinto che lui non abbia mai rinunciato a te dal momento in cui è tornato. »

« Masaya, mi dispiace così tanto! Mi sento in colpa…! »

« Amore, no! Non devi! »

Le sorrise affettuoso e posò due dita sullo schermo:

« Ti conosco, posso immaginarmi che tu ti sia trovata in difficoltà e che non abbia reagito per tempo. »

Lei mandò un singulto interrogativo e tirò su col naso, fregandosi le guance.

« Non sono assolutamente arrabbiato con te, piccola. – insisté lui – Con Kisshu, se mai. E preoccupato, sì quello sì, specie a vederti così disperata. »

« Masaya… »

Le regalò di nuovo uno dei suoi sorrisi di sole e Ichigo sentì scomparire tutto l'imbarazzo e la tristezza.

« Ti prego, d'ora in avanti prendi maggiori distanze, però. Non sono tranquillo a sapere che puoi rimanere da sola con lui. »

Lei stiracchiò un mezzo sorriso, ignorando il fatto che Masaya invece sembrasse maledettamente serio e che fosse eccessivo, forse, trattare Kisshu come un molestatore.

Rispetto a tre anni fa, è quasi galante!

« Tranquillo. »

« D'accordo. Sai… Sono contento che tu me l'abbia detto. »

« Ah sì? »

« Vuol dire che non ci nascondiamo nulla, nemmeno a miglia e miglia di distanza. »

Cercò di imitare la ragazza in uno dei suoi slanci di ottimismo; lei rise più forte e sorrise incantata:

« Ti amo tanto, Masaya-kun. »

« Anche io, Ichigo… »

« Su… ! – esclamò ancora lei, asciugandosi del tutto il viso – Voglio… Voglio smettere di pensarci! Raccontami di Londra! Com'è laggiù? E la scuola? »

Bastò dargli il la e Masaya prese a raccontarle ogni cosa per filo e per segno, da cosa aveva visto a lezione a quante volte i suoi compagni di stanza lo avessero già portato a mangiare fish and chips. Ichigo si gustò ogni parola, si abbeverò all'entusiasmo infantile del suo amore e alla sua allegria nemmeno non lo vedesse da anni, felice di essersi tolta un peso e di aver chiarito tutto. Con poche incisive parole e un sorriso, com'era tipico di Masaya.

Non si domandò perché lui non chiedesse altro sulla faccenda.

Che motivo avrebbe avuto? Si era trattato di un gesto al di fuori del controllo e della volontà della rossa. Non aveva ragione di indagare.

In un angolino della sua mente Ichigo avvertì annidarsi un esserino maligno e crudele, pronto a tarlarle i pensieri e lo spirito nell'esatto secondo in cui la sicurezza datale da Aoyama fosse calata di un'unghia.

Lui non aveva dubbi. Ma lei non aveva minimamente accennato allo smarrimento che l'aveva colpita, permettendo a Kisshu di baciarla.

Mi ha solo colto alla sprovvista.

Se ne volle convincere e lo ripeté  ancora, ancora e ancora, ascoltando Masaya raccontarle del suo viaggio con una luce negli occhi che poche volte Ichigo aveva visto.

Colta alla sprovvista.

Solo quello.

Lo confermò  ancora, ipnotizzata dal viso del moro e dall'inebriante sensazione del loro amore, del loro perfetto amore senza alcuna incrinatura o bugia.

Se n'era convinta, non c'era nulla sotto l'accaduto. Sorrise e accantonò la cosa in un angolo della memoria in attesa che andasse perduta.

Avrebbe ignorato tutto e si sarebbe prodigata per non lasciare altro spazio d'azione a Kisshu. Si trattava sicuramente della scelta più giusta.

Finché non si risolverà questa cosa degli Ancestrali e Masaya non tornerà da me. Poi, tutto sarà come prima.

 

 

***

 

 

Kisshu sbuffò, affondando il viso nel palmo della mano destra e appoggiandosi con l'altro braccio al ginocchio. Era la quinta volta che saltellava da un braccio all'altro, incapace di stare fermo e troppo stanco per passeggiare e rilassarsi.

Due passi avanti, quattro indietro e uno ancora avanti.

Era la sensazione che il suo rapporto con Ichigo gli donava sempre. Oltre ad uno sgradevole sapore amarognolo in bocca.

Forse premeva troppo. Forse era ancora troppo presto per l'attacco frontale.

Forse avrebbe dovuto aspettare, starle accanto con discrezione, in attesa che le cose con l'ameba si deteriorassero da sole come sperava.

Rise di se stesso. Non ci sarebbe mai riuscito! Pazienza e strategia non erano esattamente due parole principi del suo vocabolario.

E poi… Aveva sofferto un anno intero venendo respinto senza pietà, per poi aspettare tre anni per rivederla. Quando finalmente l'aveva così vicina doveva desistere?

Non stava né in cielo né in terra.

Si alzò a guardare le stelle. Ormai erano anni che poteva rivedere la volta celeste sopra il tetto di casa sua, eppure l'immensità dello spazio costellata di minuscoli soli era uno spettacolo che lo rapida ogni volta.

Non avrebbe ceduto. Mai.

Avrebbe colto ogni occasione; ogni segno del cedimento di Ichigo a lui, ogni sua reazione ad un respiro, un tocco, un sussurro che le rivolgeva. Finché per lei non fosse stato naturale; finché non fosse stato inevitabile. Finché averlo accanto non le fosse divenuto necessario come respirare.

E, ne era certo, lo sarebbe stato presto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) perché non è capace di reazioni degne di tale nome -.-**! Ecco perchèèèè!!! (scusate ma non riuscivo più a trattenerla questa -.-!)

 

 

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Fuori un altro! Sono troppo buona sto aggiornando a velocità disarmante! Colpa vostra che mi fate gli occhioni a cuore! (voce del compagno in sottofondo: non è vero, scimunita, è la voce degli esami! Mettiti a studiare! – La la la la lala laaaa~♪ ^°^"""!!!)

Un attimo di pausa per concentrarci sui tormenti dei personaggi… Comincio a credere che Ichigo mi stia uscendo complessata ^^""! alcune volte invece, risbirciando gli eppy della serie, mi convinco che ho semplicemente ripreso l'Ichigo "delirante-sballottaggio-in-triangolo-con-lei-come-centro" aggiungendoci una sana libido da 17enne… Me lo sto sognando?

Ichigo: IO non sono mai stata così -.-**!!!

*coff coff* permettimi di dissentire… hai una media di 5 baci rubati per personaggio maschile e due soli col tuo ragazzo quindi -.-""…

Mmm temo che visto come stanno evolvendo le cose ci saranno un paio di capitoli molto tranquilli, ma sono ancora incerta. Praticamente li ho già scritti, ma devo ricontrollare… Ho paura che sia troppo noioso -_ç.
Ditemi voi ^^. Siete i miei consiglieri, i miei giudici e il mio pubblico, fatemi sentire le vostre vocine
©

Mi dispiace di essermi tanto concentrata sulla rossa, ma forse perché – al momento – è lei ad avere le relazioni più complicate… Ora poco a poco andrò un po' a divertirmi con gli altri ^^+!

Purin: evviva ^o^!

Minto: guarda che non è una bella cosa -__-"!!

Eyner: ^^""….

Zakuro: ….

Retasu: m-ma che intende dire °\\°?!

Vedrai… *evilgrin*

Mi sono accorta di una cosa, mentre scrivo sto sempre attenta a usare per MoiMoi il maschile, anche se poi parla al femminile… Forse sembrerò contraddittoria ^^""! più che altro non vorrei offendere nessuno con la mia dabbenaggine ç-ç, cmq… Diciamo che lo faccio così non si perde di vista il fatto che, fisicamente, MoiMoi-chan è un maschietto (mi occorrerà per la storia ;) ) però ricordatevi di considerarla una graziosa signorina

MoiMoi: ma io sono una graziosa signorina ^w^!

Lo sooooo!!! *sbrodola cuori*

Sando: … ¬__¬

MoiMoi: cafone >○< *

E non fare quella faccia te che tanto non ci crede nessuno che fai il sostenuto -.-!

 

Ringrazio tutti coloro che hanno commentato, GRAZIE MILLEEEEE ©©©!! Tornerò presto con un nuovo capitolo, se sparissi risucchiata dai libri di testo… Aspettatemi J! Baci bacini bacionissimi!

 

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Capitolo 13
*** Toward the crossing: back to first road ***


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Eeeh! Che streeees! Gente sn sotto esami e sn un po' sclerata!

Mentre pondero di accelerare la pubblicazione dei prox capitoli e passare dal mese alle due settimane, ho deciso di rendere felici voi…

Kisshu: seee!

-.-*… E sollevare a me l'umore pubblicando nonostante gli esami :3 (buhahahhaaa ç_ç"!) visto che è un capitolo molto tranquillo e io sn impaziente di raggiungere le parti succose ;3… A dopo!!

 

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Cap. 13 – Toward the crossing: back to first road

                 Relaxed work day

 

 

 

 

 

Con un lamento soffocato Toyu sbattè a terra. Il colpo alla bocca dello stomaco gli causò un violento conato e le mani su cui tentava di sollevarsi furono schizzate da bile e sangue.

Un calcio alla spalla e caracollò sul fianco, ma prima che potesse reagire in alcun modo lo stesso piede che lo aveva colpito gli si posizionò sulla gola. Toyu rantolò tentando di respirare e strinse le mani sulla caviglia dell'uomo sopra di lui; furono invane le sue richieste di liberarlo, strozzate nella gola occlusa il tanto che bastava per non ucciderlo.

« Siete un branco di inutili scarti. »

Toyu tossì una richiesta di perdono e Arashi premette appena di più. Dietro di lui, Zizi agonizzava tremante contro una parete sfondata per metà, coperto di calcinacci; Lindèvi stava accucciata lì accanto, un rivolo di sangue che le colava dalle labbra al collo, stringendo le braccia attorno al torace scosso da singhiozzi.

« Quattro. Miseri. Soldatucoli. – sillabò Arashi feroce – E degli inutili terrestri. »

Alzò il piede e colpì col tacco il torace di Toyu; lui gemette rauco e si piegò su un fianco, inerme, mentre Arashi passeggiava attorno con le mani raccolte dietro la schiena.

« Voi, col nobile sangue che eleva le vostre vene, avreste dovuto trucidarli! Invece vi siete fatti fregare! Da dei pagliacci e da un…! Un…! »

Puntò i glaciali occhi azzurri su Lindèvi e lei squittì rannicchiandosi su sé stessa.

« Uno stupido gatto! »

« N-noi… N-non… »

« Osi anche protestare? »

La bionda pigolò di terrore e si fece ancora più piccola contro il muro. Arashi sospirò stanco e si massaggiò la fronte, ormai pago dello sfogo e rassegnato al danno.

Si allontanò a passi lenti verso la parete sul fondo del corridoio, liscia e argentea come una lastra di ghiaccio; reverente si inginocchiò serrando i pugni sul petto e con tono pieno di rammarico, sussurrò:

« Continueremo la ricerca. Non permetteremo che gli Impuri tocchino un'altra sola lacrima del suo Dono, mio signore. »

Nei riflessi lattei della superficie si intravide un'ombra scura, indistinta, appena un riflesso cupo nel bianco. Un mormorio confuso e sottile tremò nell'aria stantia del luogo, facendo chinare rispettosamente il capo di Arashi:

« Ancora… ora… Bas… basta… Trovate… ovate… Il mio… io… Trova… ate… »

Un nuovo tremolio buio e l'ombra scomparve. Tutto attorno taceva e Toyu sollevò lentamente lo sguardo afflitto: la Sua forza non era neppure paragonabile a quella di un tempo, si era talmente disgregata che ormai poteva trasmettere loro solo pensieri sconnessi.

« Andatevene tutti. Avanti. »

Fece imperioso rimettendosi in piedi:

« E non costringetemi ad intervenire. »

Con un ultimo singulto spaventato, Toyu, Lindèvi e Zizi si alzarono malamente e barcollarono via più in fretta possibile.

Arashi sospirò ancora e guardò la sua immagine riflessa confusamente sulla parete. Schioccò la lingua iroso, la forma incompleta non era per lui, come invece per gli altri, un qualcosa di cui farsi fregio ma, anzi, lo disgustava enormemente.

I capelli platino erano tagliati accuratamente attorno al capo, scalati sul collo, con due ciuffi che ricadevano davanti alle orecchie ferine; gli occhi azzurri erano talmente chiari da risultare quasi bianchi e parevano sempre scrutare attorno con svogliatezza. La giacca militare blu, a maniche lunghe, era strettamente allacciata fino alla vita e si divideva in due scendendo a terra con un taglio circolare; lunghi pantaloni militari dello stesso colore coprivano stivali spartani, in quel momento lordati di schizzi di sangue di Zizi.

Tra i suoi compagni lui era il solo che somigliasse tanto al Primo, se non per poche differenze; era sicuro che perfino i terrestri l'avrebbero scambiato per lui, e la sola idea gli dava repulsione.

Sospirò ancora tentando di mantenere un contegno, quando la sua immagine nello specchio tremò. Alzò appena la testa, incuriosito, vedendo nel riflesso i suoi abiti mutare e i suoi capelli allungarsi in una coda; l'immagine, di nuovo immobile nella sua posizione, di colpo si agitò indipendentemente da lui, battendo i palmi quasi indistinguibili sulla superficie alabastrina. Arashi sogghignò piano:

« Non occorre disperarsi a tal punto, Primo. Presto, il nostro signore sarà risvegliato e tu scomparirai. »

Altro movimento confuso, una protesta muta, e la figura scomparve nei meandri bianchi dello specchio opaco, rimandando ancora e solo la figura di Arashi.

« Non sarà mai abbastanza presto per me, se può consolarti… Non per potermi mondare dall'avere la tua stessa faccia. »

 

 

***

 

 

Retasu fu davvero contenta di vedere Ichigo entrare nel locale sorridente ed energica. Dopo che l'aveva contattata la sera prima temeva le fosse successo qualcosa di grave, ma doveva essersi sbagliata: in fondo lei non era troppo dotata del cosiddetto "intuito femminile", poteva benissimo aver scambiato un elevato stato di stanchezza per qualche tormento emotivo, in realtà inesistente. Studiò l'amica spalancare la porta allegra, salutare fischiettando Keiichiro e illuminarsi alla sua offerta di seconda colazione con fettina di torta alle ciliegie – accettata in una frazione e mezza di secondo – e sgambettare veloce negli spogliatoi, dove Purin l'accolse con un esagerato ciao! che si sentì due stanze più in là.

La verde ridacchiò e terminò di pulire il tavolino sistemandoci poi attorno le tre sedie coordinate.

« Oh, buongiorno Shirogane-san! »

Il biondo, gli occhi ancora impastati di sonno, le rispose sorridendo con un lieve cenno della testa.

« Buongiorno Ryou. »

« 'rno Kei… – sbadigliò – Stamattina ho proprio bisogno di un caffè… »

Pronto e sorridente il bruno gli passò un'alta tazza fumante dall'apertura nel muro della cucina; Ryou fece un cenno di gratitudine e bevve un lungo sorso, sospirando soddisfatto.

« Aha! Ora ho finalmente la prova che anche Shirogane ha bisogno di un aiuto, per rimettersi in piedi al mattino! »

Ryou rimase stoicamente immobile, forse più del dovuto, per non far notare che a momenti si faceva andare di traverso il caffè.

Sentire Ichigo ridere così dolcemente non era qualcosa che potesse affrontare alle nove del mattino, per giunta col corpo sprovvisto di caffeina.

Abbassò la tazza e la guardò alzando un sopracciglio, impassibile:

« Ichigo, io, a differenza tua, mi sveglio all'ora che devo. »

Prima o poi gli avrebbero regalato un Oscar. Garantito.

La rossa gonfiò le guance offesa, drizzò la schiena e lo sorpassò senza degnarlo di uno sguardo entrando in cucina, dove Kei le aveva già preparato un piattino fornito di adeguata forchettina per gustarsi il suo dolce.

Il solito scambio di battutine, il solito bisticcio, il solito tentativo di Ichigo di apparire superiore. Doveva essere meno arrabbiata con lui di quanto Ryou pensasse per essere già tornata alla loro routine.

Oppure è successo qualcosa che ha surclassato il mio comportamento.

Il pensiero diede al nuovo sorso di caffè uno sgradevole aroma di bruciato. La seguente apertura della porta, lo rese imbevibile.

« Yo-ho! »

« Buongiorno Kisshu-san. »

« 'Giorno pesciolina. »

« Kisshu-san! – farfugliò la ragazza – Per favore…! »

« Kisshu, ti ha detto di non chiamarla così. Non mi sembra un concetto complicato! »

Il ragazzo sbuffò che non sapevano stare agli scherzi e il compagno lo ignorò seccato.

« Buongiorno Reta-chan. Shirogane. »

« Eyner… »

« Siete solo voi. Siamo arrivati troppo presto? »

« Purin è a cambiarsi. – fece Ryou asciutto, poggiando irritato la tazza mezza piena sul davanzale – E di là… »

Prima che completasse la frase Ichigo uscì baldanzosa dalla cucina. Kisshu mise su il suo miglior sorriso e alzò la mano per darle il buongiorno, ma Ichigo lo ignorò: incupitasi di colpo grugnì verso di lui uno sbrigativo ciao per tornare radiosa l'istante dopo, salutare Eyner e afferrare la scopa andando a sistemare il vialetto d'ingresso fischiettando.

Nella sala tutti rimasero immobili a fissare Kisshu, la mano ancora a mezz'asta e una smorfia sghemba sulle labbra. Nel silenzio la voce di Purin risultò un trillo di campanella:

« Uffa! La divisa mi sta diventando corta…! Ah, Eyner-san! Kisshu-san! Buon… »

« E questo che cavolo vorrebbe dire?!? »

« C-come? »

« Non credo ce l'avesse con te, Purin… »

Sussurrò Ryou sorridendo sotto i baffi. La biondina alzò le spalle e si rimise al lavoro, ignorando l'alieno di colpo più pallido del solito, e Ryou riprese in mano il suo caffè:

« Davvero ottimo…! »

 

 

Kisshu si piazzò su un tavolino in un angolo del locale e non si mosse più, le braccia conserte sul ripiano e l'espressione così torva da generare un'aura oscura attorno.

Socchiuse gli occhi fissando Ichigo a chiacchierare allegramente con le sue amiche e gli montò ancor di più la rabbia.

La rossa aveva deciso di fare il giochino dell'indifferente offesa, e a lui la cosa non piaceva affatto. Specie considerato che non aveva opposto tanta resistenza quando l'aveva – quasi – baciata – anche se tentava di fargli intendere il contrario. Lui, però, era presente e sapeva bene quel che era successo!

La porta si aprì con un tintinnio e il suo umore scese di un'altra tacca.

« Scusate il ritardo…! »

A quella frase Ichigo mise su un ghigno malevolo e soddisfatto:

« Minto, insomma! Oggi è sabato, sei in ritardo di mezz'ora! »

« Mi aveva già avvisato. »

La rossa guardò Ryou confusa e un po' delusa che difendesse la mewbird. Lei era rimproverata costantemente per i piccolissimi ritardi, che in fondo avvenivano solo ogni tanto. Con una certa frequenza, ma ogni tanto.

« Il mi autista ha avuto un improvviso problema famigliare. – aggiunse Minto con sufficienza, togliendosi la giacchetta – Così sono dovuta venire a piedi. »

Ichigo arrossì indispettita, ma non demorse:

« Guai al mondo a prendere l'autobus, eh? »

« E per quale motivo? – rispose superiore l'altra – C'è un così bel sole. E poi sono solo due chilometri, ci ho messo appena una ventina di minuti. »

« C-che?! Ma che sei un siluro?! »

« Sono solo allenata. Potresti riuscirsi benissimo anche tu. »

Si avviò verso gli spogliatoi guardando di sottecchi l'amica:

« Certo, se mangiassi meno fette di torta… »

Da copione la rossa si corredò di coda e orecchie nere, inveendo inutilmente contro Minto che ormai non la stava più ascoltando.

Kisshu non riuscì a non chiedersi come diavolo facessero quelle due ad essere amiche. A dirla tutta, non si capacitava come Minto potesse avere delle amiche in generale.

Era spocchiosa, superba e cocciuta, e la sua lingua velenosa non faceva distinzioni nemmeno tra chi le era più vicino; nei rapporti con gli altri era scostante e non concedeva famigliarità a nessuno; inoltre – e secondo il ragazzo, si trattava di una delle pecche più gravi – era priva del minimo briciolo di senso dell'umorismo, anche se dispensava battutacce a destra e a manca.

« I rapporti tra ragazze sono incomprensibili… »

« Cos'hai da bofonchiare già di prima mattina? »

Kisshu alzò sorpreso gli occhi dorati udendo lo strusciare di una sedia.

« Che cavolo vuoi? »

Minto lo guardò appena mentre si sedeva con tutta calma:

« Siamo di malumore? In ogni caso, questo è il mio posto. »

« Avete un'altra ventina di tavoli qui dentro – le fece notare seccato – qui c'ero io. »

« Ma è qui che mi siedo io. – insisté pacata – Qui posso controllare la situazione nel locale e rilassarmi, senza dover correre di qua e di là come una volgare ragazzotta di campagna. »

« Come mi hai chiamata?! »

« Ichigo, non sei al centro dei miei pensieri. »

Ribattè la mora divertita del suo intervento. Ichigo arrossì ancora colta in fallo e, borbottando, finì di posizionare – sbattere con violenza – i tavolini. Kisshu invece guardò Minto sempre più torvo:

« Scegliere un altro tavolo? »

« Hai proprio ragione. – allungò la mano verso il resto della sala – Vai pure, abbiamo tanto posto. »

Prima di essere linciata a parolacce Minto fu salvata da Keiichiro, che le portava un vassoio con tazza e teiera fumante:

« Ceylon tea. »

« Fantastico. Grazie mille Akasaka-san. »

« Kisshu-san, vuoi favorire? »

Keiichiro avrebbe dovuto ringraziare la potenza del suo sorriso gentile che smorzò il desiderio di Kisshu di mandarlo a quel paese, ripiegando invece su un ringhio interpretabile come una negazione.

« Minto, per l'amor del cielo! Sei qui da dieci minuti e ti sei già seduta! »

« Oh, Ichigo, quanto sei ripetitiva! – sospirò annoiata la mora – Come posso iniziare la mia giornata senza una tazza di tè? »

La rossa digrignò i denti ingiuriandola in silenzio. Minto non se ne curò minimamente, bevve una lunga sorsata e prese un lungo respiro soddisfatto:

« Ottimo. »

« Minto, giuro che prima o poi farò in modo che ti strozzi, tu e il tuo dannatissimo tè!! »

« Posso collaborare, micina? Ora come ora avverto un gran istinto omicida… »

Non appena Kisshu la nominò Ichigo sussultò manco l'avesse morsicata un ragno. Fissò trucida il ragazzo senza degnarlo di risposta, lanciò un altro impropero alla mora e tornò al lavoro.

Nessuno commentò la scena – Purin probabilmente, perché non ne aveva colto la gravità; Retasu ed Eyner perché non credevano fosse giusto infierire – e Kisshu restò nuovamente in silenzio a fissare la crestina bianca annegata tra ciuffi amaranti scivolare lontano da lui.

« Ne hai combinata una delle tue. »

Ci mise qualche secondo a metabolizzare le parole di Minto.

« Che vorresti dire? »

« Che non hai capito un accidente di come comportarti con Ichigo. »

Il ragazzo rise sprezzante:

« Cos'è, vuoi aiutarmi? »

« Non ci penso nemmeno. – rispose asciutta – Innanzitutto, non sono fatti miei. »

Posò la tazza e lo guardò con supponenza:

« Inoltre anche se fossi mossa a pietà nell'aiutarti, visto che il tuo cervello sembra mosso unicamente dagli ormoni finiresti per saltarle addosso. »

Con uno scatto Kisshu si alzò in piedi e sbatté  il palmo sul tavolo; i suoi occhi dorati mandavano lampi:

« Ecco, brava. – sibilò – Fatti i santissimi cazzi tuoi, dannata cornacchia. »

Senza neppure sentire le proteste di Eyner il ragazzo uscì a passo da mitragliere, urlando che avrebbe pattugliato i dintorni fino al cambio coi compagni.

Per quello che lo riguardava, ne aveva abbastanza delle terrestri per una giornata.

 

 

Una mezz'oretta più tardi Eyner chiudeva il trasmettitore e si passava una mano sul viso, sospirando stancamente.

« Tutto a posto, Eyner-san? »

Accennò un mezzo sorriso:

« Per il momento non è ancora fuggito su Plutone a disintegrare ghiaccioli – tentò di ironizzare – ma sono più che sicuro che non stia battendo Tokyo palmo a palmo per zelo eccessivo… »

Retasu annuì in conferma e assunse un'espressione impensierita:

« Sono certa che Kisshu-san tornerà presto come al solito. »

Eyner non si trattenne dal guardala intenerito:

« Guarda che non c'è bisogno di rassicurarmi. Lo conosco, il cretino. »

La verde arrossì appena a disagio e lui le accarezzò la testa:

« Grazie mille – aumentò la velocità scompigliandole la frangetta – però ora sorridi. »

Lei rise un po' in imbarazzo e accennò un sorrisino.

« Vedo che qui è già affollato… »

« Zakuro-san! Buongiorno! »

La mewwolf rispose annuendo lievemente. Spostò lo sguardo sull'alieno e sulla mano bendata che stava scostando dal capo di Retasu.

« Come va? »

« Niente di che. – rispose lui facendo spallucce – Un graffietto. »

Zakuro emise un monosillabo come conferma e andò a cambiarsi; lungo la strada salutò Purin, che stava andando incontro ad Eyner:

« Eyner nii-san, senti! Credi che oggi Taru-Taru verrà? »

« Temo di no – rispose dispiaciuto – a quanto ho capito aveva qualcosa di molto urgente da fare assieme a Sando. »

 

 

***

 

 

Taruto tentò di smorzare il colpo ricevuto e fece perno col braccio a terra mentre strusciava indietro, per tenere l'equilibrio. Con il fiato grosso e la fronte imperlata di sudore guardò severo il rivale di fronte a lui, che invece non accennava la minima fatica.

« Vuoi fermarti? »

« No! – deglutì cercando di dare sollievo alla bocca riarsa e si asciugò un po' il viso – Riproviamo! »

Due enormi liane con mostruosi fiori dotati di denti sulla cima schioccarono alle spalle del brunetto e Sando sogghignò soddisfatto:

« Bravo. »

Le piante che circondavano protettive l'uomo si ricoprirono di corteccia e rovi e scattarono in avanti assieme a lui, scontrandosi con violenza contro gli avversari.

Come Taruto ricordava, Sando era un insegnante severo, ma anche senza riuscire a respingerlo e anzi, venendo respinto con una certa violenza, non si arrese e insisté.

La lotta con gli Ancestrali era stata ben più violenta di quanto avesse immaginato e lui era riuscito a fare ben poco; poteva ammettere di essersela cavata solo perché gli avversari si erano più interessati alle MewMew e agli altri più che a lui. Per un momento l'immagine di Purin strangolata nella tela di Lindèvi gli diede una morsa al cuore.

Abbassò rapidamente la testa e sentì sibilare il ramo che l'aveva mancato.

« Non distrarti, Taruto! »

Non ebbe finito di parlare che un fiore zannuto gli mancò per poco l'orecchio destro e il ragazzino lo guardò ghignando:

« Nemmeno tu senpai! »

Non poteva lasciare che succedesse ancora. Doveva diventare molto più forte, per non essere più un peso e poter difendere chi gli stava a cuore.

« Stai diventando più veloce! – si complimentò Sando con un sorriso sghembo – Forza, di nuovo! »

« Sì! »

 

 

***

 

 

Ben presto il locale si affollò di persone, com'era abitudine nei giorni festivi. Eyner studiò scioccato la confusione, tra clienti, ordinazioni e le ragazze che saettavano da ogni parte nemmeno fossero maratonete, solerti e sorridenti.

« Non so se essere ammirato o terrorizzato… »

Scherzò con Keiichiro, notando un cliente che sussultava spaventato all'espressione burbera di Zakuro che gli sbatteva sul tavolo la sua ordinazione.

« Sono ragazze piene di vigore. »

Sorrise l'uomo smagliante. Il bruno lo studiò poco convinto e osservò Purin esibirsi in uno dei suoi giochi con la palla, reggendo in mano un traballantissimo vassoio di calici da parfait vuoti che tintinnavano inquietanti.

« Se questa è la definizione… »

Si stiracchiò un poco, starsene lì in piedi per ore senza aver nulla da fare non era molto emozionante, ma non gli dispiaceva la quiete dopo quanto successo a Glatera considerando, per di più, che con ogni probabilità il simpatico scambio di opinioni con li Ancestrali si sarebbe ripetuto e con più violenza.

Si voltò appena quando Ryou gli toccò la spalla con un oggettino rettangolare; l'alieno lo studiò e il biondo si limitò a porgerli la chiavetta usb che aveva preparato:

« Se puoi portarla a MoiMoi-san – disse sbrigativo – sono i dati raccolti da me e Kei. »

Eyner sorrise e afferrò la chiavetta, ringraziandolo con un cenno. Ryou ricambiò senza mutare espressione e si appoggiò alla parete, le braccia conserte:

« Siete certi di potervela prendere così comoda? – domandò distrattamente – Il vostro mondo sta morendo. »

Eyner lo guardò divertito:

« Come mai questa domanda? Credevo non ti stessimo simpatici. »

L'altro non rispose e il bruno sospirò divertito:

« Dobbiamo sbrigarci, è vero – spiegò – ma non possiamo attraversare un nuovo passaggio senza che MoiMoi abbia stabilizzato l'ingresso. Inoltre, per quanto riguarda la salute del pianeta, al momento è stabile. »

« Cosa intendi? »

« Non possiamo usare i frammenti singolarmente, perché sarebbero inefficaci – continuò – le loro radiazioni, però, riescono in qualche modo a rallentare la diffusione della morte sul pianeta. L'ultimo frammento era più forte del primo e l'ha addirittura arrestata, anche se sarà una cosa temporanea. »

Ryou annuì in silenzio. Alzò distratto gli occhi chiari e incrociò Retasu che lo salutava, mentre porgeva in cucina un vassoio colmo di tazze vuote:

« Sembrate assorti. Di che parlavate? »

« Niente di che. »

Fece spiccio l'americano. Eyner gli rivolse un sorriso di rimprovero:

« Certo che sei davvero gelido, tu! Sembri una versione bionda di Pai. »

« Chi sarebbe una versione di chi? »

Nel sentire quella voce a Retasu venne quasi un infarto: soffocò uno strillo e guardò alle spalle di Eyner, che aveva sobbalzato come lei, da dove era comparsa la figura corrucciata di Pai.

« Per l'amor del…! Sei impazzito?! – sbottò Eyner premendosi una mano sul petto – Vuoi farmi prendere un colpo?! »

« Da dove sei spuntato? »

Sibilò Ryou freddo. Pai non si scompose e indicò alle sue spalle col terrestre che lo fissava torvo: non aveva ancora digerito l'idea che gli alieni scorrazzassero per il suo locale e attorno alle ragazze, che sbucassero dove e quando volevano dal nulla gli piaceva ancora meno.

« Sono venuto per l'idiota. »

« Kisshu? »

« Chi altri? »

Per lo meno i due cervelloni andavano d'accordo su una cosa: trovare estremamente irritante Kisshu.

« È fuori. Da qualche parte… »

L'espressione tenebrosa di Pai convinse Eyner ad intervenire prima che estraesse il suo ventaglio:

« Ho capito, ho capito! – disse sbrigativo alzando i palmi in segno di resa – Vado a cercarlo. »

L'altro grugnì un ringraziamento e il ragazzo se ne uscì chiedendosi chi, tra i suoi alleati, fosse effettivamente il più infantile. Ryou sogghignò di nascosto, non era il solo dunque a lottare come paciere contro la sua volontà.

« Shirogane nii-san! »

Come d'abitudine.

« Che succede? »

« Credo che Ichigo e Minto stiano per lanciarsi i vassoi – mormorò Purin – potresti… Venire a darmi una mano? »

Lui sbuffò rassegnato ma la seguì; osservando l'americano fare il baby-sitter Pai si sentì un po' frustrato, quell'alleanza lo avrebbe mandato al manicomio.

« Come va il braccio? »

Sapeva che la domanda era rivolta a lui, eppure Pai non potè studiare Retasu colto alla sprovvista; lei fece un enorme sforzo per non abbassare la testa, il ragazzo aveva l'abitudine di fissare le persone dritte negli occhi e la cosa la innervosiva. Forse più del dovuto.

« Va… Meglio? »

« Mi è stato medicato. – replicò pacato – Per il momento, sono a posto. »

Se fosse stato zitto sarebbe stato uguale, visto che la sua risposta equivaleva al nulla. Retasu raccolse le mani in grembo e chinò appena il capo mogia, immaginò che per lui fosse una scocciatura rispondere alle domande di qualcuna pressoché estranea.

« Capisco… »

« Grazie. »

Retasu rialzò lo sguardo e riconoscendo il tenue sorriso del ragazzo d'istinto sorrise arrossendo dolcemente:

« Nulla – fece scuotendo la testa – sono contenta. »

Tentò timidamente di proseguire la conversazione, quando due braccia l'afferrarono da dietro per la vita stritolandola e strappandole un urlo.

« Re-ta-cha-n ! Buon! Giorno ! »

« A-A-A-A-A-Ayumi-chan! »

La rossa sogghignò soddisfatta, pavoneggiandosi nel suo completo di gonna plissettata e maglietta nuove fiammanti:

« Che brutta faccia! – si lagnò con una smorfia – Non mi fai nemmeno due feste? »

« Dai, Ayumi – sorrise la verde – sono contenta di vederti… Mi hai solo spaventata! »

Ayumi si poggiò le dita sul petto e sollevò la testa fiera:

« La mia specialità! Retasu special holding from behind! »

La mewfocena sorrise a disagio:

« Ayu-chan, ma cosa dici… »

L'altra ridacchiò e si sporse oltre il profilo dell'amica, accorgendosi solo in quel momento di Pai che, poco convinto, aveva continuato ad osservare l'imbarazzante teatrino. Lui si sentì parecchio a disagio dato che Ayumi non gli scollava gli occhi di dosso e per un momento temette che lo schermo avesse ceduto, ma visto che nessun'altro nel locale era tanto incuriosito dalla sua presenza dedusse che il problema fosse tutto della rossa.

« Che succede, Ayu-c… »

« Ah, niente! – trillò la ragazza afferrandola per un braccio – Andiamo, sono affamata! »

E la trascinò via puntando a passo di marcia un tavolo d'angolo libero.

« Oh, buongiorno Kotegawa-san. – sorrise Keiichiro incurante che le due ragazze l'avessero sorpassato come siluri – Mi è giunto alle orecchie che ti devo un parfait speciale. »

« Perfetto Akasaka-san! »

Esclamò facendo un segno di vittoria con le dita. L'uomo si diresse solerte in cucina e Ayumi si avvicinò al suo tavolo, avvicinando a sé Retasu con fare complice.

« Che… Che c'è Ayu-chan? »

L'altra l'afferrò per le spalle e bisbigliò eccitata:

« Dove l'hai scovato?! »

« C-come? »

« Quel Pai! Dove l'hai trovato uno così?! »

La verde la guardava allibita:

« Eh? »

« È un figo spaventoso! – disse con una vocetta strozzata e un sorriso rincretinito – Ti prego dimmi che è single! O che ha un fratello gemello, almeno! »

« Di che state parlando? »

« Ah, Ichigo-chan, Ichigo-chan! – Ayumi fece freneticamente segno alla rossa di avvicinarsi – Sto parlando di lui! Lui! »

La mewneko seguì l'indice dell'amica che puntava al ragazzo dall'altra parte del locale e assunse la faccia più scettica che era capace di mostrare:

« Pai? »

Ayumi la guardò estasiata.

« Ma è inquietante! »

« Cos'hai, il prosciutto sugli occhi? »

Sbottò l'altra:

« Ok che per te c'è solo Masaya – la canzonò cantilenando – però il tuo senso estetico dovrebbe ancora funzionare del tutto! »

« Sarà… »

Ayumi si corrucciò e afferrò entrambe per le spalle, sedendosi e portandosele vicino perché la sentissero:

« Alto, con un fisico mica male – elencò ammaliata – quell'aria un po' da bel tenebroso che non guasta… E poi hai visto che occhi che ha?! »

« Mmm, non mi convinci… »

Ichigo era sicurissima che Ayumi non lo avrebbe trovato così fantastico mentre tentava di friggerla con delle saette.

« Mi ricorda un po' qualcuno… – insisté la ragazza – Ah, già! Ryou! Però lui sorride un po' di più, quel tipo non credo lo faccia spesso. »

La mewneko aggrottò la fronte e non seppe perché non potè trattenersi dal puntualizzare cupa:

« Lui e Shirogane non hanno un capello in comune. »

« Se lo dici tu. – fece spallucce e sogghignò – Tu che ne dici, Reta… Uh? »

La mewfocena non rispondeva. Fissava ad occhi sgranati la finestra che si affacciava sulla cucina e il ragazzo ancora fermo lì vicino, le guance un po' troppo rosa acceso.

« Retasu? »

Sussultò e guardò qualche secondo intontita Ayumi e Ichigo.

« È tutto a posto? »

Lei non rispose; le altre la videro impallidire un momento e immediatamente dopo tornare scarlatta, voltandosi all'improvviso:

« Devo andare…! »

Corse incontro a Purin rubandole dalle mani il sacco dell'immondizia e scappò fuori dalla porta di servizio, correndo al bidone sul retro. Mise lentamente il coperchio sulla pattumiera e si chiuse le mani sul viso, sentendolo bollente.

« … Ma che mi è preso…? »

Inspirò ed espirò a fondo più volte, ma il rossore non calò e neppure l'impressione di avere un canarino nel petto che svolazzava.

« No… Non è possibile, non ci credo… »

 

 

***

 

 

« Allora siamo d'accordo? »

« … Va bene. Ma lei rispetterà la sua parte di accordo, Ebode, o il contratto è annullato. »

« Contratto! Che brutta parola! – sogghignò l'uomo – Reciproco scambio di favori. Suona molto meglio, non trova? »

« Ne dubito. »

Il consigliere sostenne l'occhiataccia sorridendo mellifluo.

« Dato che io non ottengo niente. »

« Una vittoria morale ha comunque il suo valore, ritengo. »

Non ricevendo replica Ebode intuì che per il suo interlocutore proseguire sarebbe risultato ipocrita, e dispiegò i denti giallastri con fare animalesco:

« Ha già in mente come procedere? »

« Al momento credo che la soluzione migliore sia intralciare i loro movimenti. »

« Non sarà rischioso? – sussurrò Ebode cupamente – Okorene non è di semplice gestione… »

« Ora è assegnato alla scorta di Teruga con priorità. »

« Già – sbuffò Ebode mordendosi l'unghia del pollice – immagino temano ritorsioni dopo che il Consiglio ha approvato l'alleanza con le terricole. »

« Sa che questo potrebbe essere un problema, vero? »

« Lo so, lo so – sbottò l'uomo zittendolo con un gesto secco della mano – ci penserò con calma alle prossime riunioni del Consiglio. »

Ebode osservò il suo interlocutore incrociare le braccia al petto e sospirare.

« La questione urgente ora sono gli Ikisatashi, Toruke e le loro stomachevoli mocciose. – insisté il consigliere – Come pensa di procedere? »

« Tentare di penetrare nel laboratorio adesso sarebbe troppo sospetto, le accuse fioccherebbero immediatamente come nespole. »

Ebode seguì il ragionamento senza battere ciglio, teso per la segretezza della discussione e scattando al minimo rumore.

« È più saggio occuparsi dei mezzi di trasporto. »

« Cosa intende? »

« Il capitano Luneilim ha discusso a lungo con la squadra di sorveglianza dell'hangar: non ho informazioni su dove siano diretti, ma ho la certezza che non potranno andare a piedi. »

Ebode si fregò le mani elettrizzato:

« Certo, certo… Potrebbe passare come un incidente, una fatalità dovuta alla pericolosità della missione… »

« Ebode. »

L'uomo sollevò la testa sostenendo a fatica lo sguardo duro che gli venne rivolto:

« Sia chiaro. Ho acconsentito ad aiutarla, ma non intendo sporcarmi le mani. »

Il consigliere rise malevolo:

« Aiutarmi è di per sé un ottimo modo per farlo, sa? »

« Non mi prenda in giro. – fu l'acre risposta – Lei blatera di agire per ripristinare la sovranità di Deep Blue-sama tramite gli Ancestrali, di riportare l'ordine naturale e di salvare la nostra patria originale… Ma la verità è ben altra. »

Gli occhi di pietra di Ebode brillarono ilari.

« La sua è una manovra politica. »

« E con ciò? È sbagliato ottenere un piccolo compenso per portare la pace alla nostra gente? »

« … Lei è disgustoso. »

L'altro rise con respiri asmatici:

« Oh sì! Ma tenga sempre a mente che è lei, a fare accordi con quest'uomo disgustoso! »

Si voltò soffocando altre risa e riacquistando compostezza:

« Vediamo di concludere in fretta quest'accordo, se le risulta così indigesto. – concluse – Si comporti da spia efficace e vedrà che tutto finirà presto. »

Gli rispose un'altra volta il silenzio.

 

 

 

 

La spia attese paziente di vedere MoiMoi uscire dal laboratorio; il ragazzo stava fischiettando una marcetta allegra e sistemando alcune pieghe della gonna mentre chiudeva l'ingresso per gli estranei, poi lo vide caricarsi in spalla una grossa sacca e trottare verso la periferia sud della città con passo svelto. La spia sapeva che si stava dirigendo all'hangar, ma lo seguì comunque con circospezione, sgusciando tra le ombre.

MoiMoi arrivò all'aerorimessa salutando tutti coloro che incrociava e portando un po' d'allegria nell'enorme edificio spoglio e grigio. Baldanzoso raggiunse un ufficiale dall'aria annoiata e ci parlò fitto fitto un paio di minuti, facendosi poi condurre a due piccole astronavi di pattuglia e confermando con brevi cenni ciò che l'ufficiale gli diceva.

La spia rimase immobile in un angolo riparato e distante; non le importava sapere cosa si stavano dicendo, ma ispezionare le navette appena avesse potuto. MoiMoi rimase a parlare ancora un paio di minuti, quindi salutò vezzosamente il suo commilitone e si allontanò saltellando.

La spia attese ancora finchè l'hangar non tornò alla sua silenziosa monotonia e sgusciò fuori dal suo nascondiglio.

Le navicelle scelte da MoiMoi erano piccoli mezzi da sbarco, di norma assegnati alle corazzate, ma quei due erano stati sistemati con sistemi di ricognizione più elaborati; le cabine erano confortevoli, ma poco spaziose e sulle carene non c'erano segni che denotassero armi a sufficienza per un attacco incisivo.  Le navi erano dotate rispettivamente di sei e quattro posti: era ragionevole presumere che il grosso delle terrestri sarebbe stato stipato nella navicella più capiente, mentre i quattro Jeweliriani avrebbero preso quella più piccola.

La spia controllò ancora che nessuno l'avesse notata o curiosasse la zona e si avvicinò alla navetta grande. Con fare esperto scivolò sul fianco del mezzo ed aprì il portellone laterale, entrando dentro; in silenzio si accucciò oltre il pannello di comando fin a sdraiarcisi sotto e socchiuse gli occhi: cercò attentamente sulla superficie perfetta del pannello fino a trovare la minuscola protuberanza che cercava. Attenta a fare meno rumore possibile tirò fuori dalla tasca il minuscolo dischetto che Ebode si era procurato, si stese sulla schiena e avvicinò l'oggetto al pannello che, come calamitato, aderì perfettamente alla superficie: neppure un occhio allenato sarebbe riuscito a distinguerlo senza toccare con mano.

La spia udì dei passi avvicinarsi e si appiattì sul pavimento della cabina; non mosse un muscolo e smise praticamente di respirare, l'orecchio teso, ascoltando il rumore diventare più distinto e vicino. Nulla sembrava aver però attirato l'attenzione dei soldati e presto i loro passi si allontanarono lasciando nuovamente silenzio; la spia attese, controllò la situazione sbirciando da oltre il quadro comandi e scivolando quatta quatta fuori dalla navetta scomparve.

Presto il problema delle terrestri sarebbe stato solo un ricordo.

 

 

***

 

 

Il tramonto su Tokyo portò con sé la fine di una produttiva ed animata giornata al Cafè. Le ragazze avevano appena appuntato il cartello di chiusura fuori dalla porta e se ne stavano sedute gustandosi alcuni pasticcini forniti da Keiichiro per rinfrancarle.

« A furia di mangiare i tuoi dolci finirò per ingrassare, Akasaka nii-chan – Purin agguantò un bignè al cioccolato formato mignon e lo ingoiò in un boccone, mugolando di gioia – Ma sono troppo buoni! »

« Il giorno che sarai tu ad ingrassare dovremo nasconderci… »

Commentò Zakuro ridendo discretamente e la biondina le rivolse il sorriso colmo di cioccolata più radioso che poteva.

« Purin, insomma sei una signorina! Comportati come tale. »

« Come sei noiosa Minto! »

L'altra sospirò condiscendente e finì di mangiare elegantemente un bignè con la panna montata.

« Beh, la capisco, questa roba è buona davvero! – rise Eyner favorendo del banchetto – Pai dovresti provare! »

L'altro, senza smettere di fissare fuori da una delle finestre a cuore, replicò con spicci monosillabi che il bruno interpretò come un rifiuto.

« Perché non ne porti qualcuno alla tua sorellina? Sono certa che li adorerà. »

Propose la mewfocena ed Eyner le fece l'occhiolino:

« Bell'idea, Reta-chan. »

Si voltò e vide Keiichiro annuire complice della ragazza scomparire in cucina. Eyner divorò l'ultimo frammento di bignè e ringraziò ancora Retasu, scompigliandole un poco la frangetta:

« Va meglio? »

« Come? »

« Prima mi sembrava non fossi in forma. »

La ragazza si vergognò, non credeva che qualcuno se ne fosse accorto; scosse la testa e sorrise gentile:

« Niente, Eyner-san. Ti ringrazio. »

Lui ridacchiò dandole un colpetto con l'unghia sulla fronte:

« "Eyner", va bene solo Eyner. »

« Retasu nee-chan parla sempre così. – la difese ridendo la mewscimmia – Quando ci siamo conosciute chiamava anche me "Purin-san", anche se sono più piccola. »

La verde arrossì a disagio:

« Non mi sembra tu mi stia facendo un complimento! »

Le amiche risero e Purin l'abbracciò affettuosa.

Dall'ingresso Pai, che pareva aver ignorato tutta la conversazione, finalmente si allontanò dalla finestra e guardò Eyner:

« Cambio. »

La porta si aprì e MoiMoi fece il suo ingresso spalancando un braccio e ridendo a gran voce:

« Salve a tutti! »

Le ragazze gli corsero subito incontro calorose, mentre Eyner prendeva il pacchetto che Keiichiro gli porgeva e ridacchiava:

« Sei in ritardo, senpai. »

L'altro fece una faccia offesa:

« Io mica sono venuta a mani vuote! Dovevo prepararmi! »

« Prepararti? »

MoiMoi mostrò trionfante il borsone che portava alla mewneko, ammiccando:

« Mi tocca il turno notturno, se non ho niente da fare mi annoio. »

« Tu da sola? – le domandò premurosa Retasu – Ma sarà una faticaccia. »

« Il Consiglio Maggiore ha indetto una riunione che andrà per le lunghe – rispose facendo spallucce – Sando è bloccatissimo! »

« Chiederò a Taruto di venire, o a Kisshu di tornare – fece Pai – sarà meno complicato. »

« No! »

Ichigo arrossì quando si accorse di aver urlato e abbassò lo sguardo con un sorriso impacciato:

« Cioè… Non credo sia il caso… »

« Ha ragione, tranquillo Pai-chan. »

MoiMoi sorrise e il ragazzo lo guardò serio:

« Dovresti essere ancora in convalescenza, senpai. »

« Non succederà nulla! – rise l'altro – Dovrò solo passeggiare e sorvegliare la situazione! Se succedesse qualcosa lo sapreste subito. »

Gli si avvicinò e gli diede una gomitata amichevole nelle costole, ridacchiando:

« E poi le ragazze erano abituate ad intervenire contro voialtri, perciò… »

Pai alzò appena un sopracciglio senza replicare.

« Sai, MoiMoi-san – disse poi Minto con aria furba – forse ho un'idea anche migliore. »

 

 

***

 

 

La casa di Minto era silenziosa quella sera, avvolta nella tranquillità tiepida dell'estate ormai alle porte. Le luci delle grandi camere e dei saloni erano spente, ad eccezione della finestra sul retro al secondo piano ancora illuminata e da cui provenivano chiacchiere basse e risate.

« Un'idea grandiosa, Minto-chan! – esclamò MoiMoi – Non avevo mai fatto una festa con le amiche. »

MoiMoi rise e si gettò ad angelo sul materasso della mora, affondando nel piumone morbido.

« Veramente l'avevo proposto solo a te e l'onee-sama, MoiMoi-san – sospirò la mewbird con tono seccato – ma le altre si sono tutte imbucate. »

L'alieno si divertì a vederla fare la sostenuta nonostante sorridesse, ma non ribattè alla sua frase.

« MoiMoi nee-san, il pigiama, li pigiama! »

Guardando il ragazzo inclinare la testa poco convinto Purin incalzò ridendo:

« Per un pigiama party ci vuole il pigiama! »

« Non ho la più pallida idea di cosa sia…! »

« Un indumento per dormire – spiegò piano Zakuro, intenta a legarsi i capelli in una treccia – voi non ne avete nessuno? »

MoiMoi riflettè un momento:

« Non proprio… Beh, ora comincia a fare caldo, quindi non occorre mettersi niente addosso… »

Si fermò vedendo che Ichigo, Retasu e Minto la fissavano ad occhi spalancati.

« Che ho detto? »

« Niente addosso? – cercò conferma Purin, un po' arrossata e curiosa – Cioè niente niente? »

« Sì, è quel… »

« Abbiamo capito! – gli interruppe Ichigo con voce stridula, scarlatta come le amiche – Non servono altri dettagli!! »

MoiMoi le guardò allibito:

« Ma che ho detto? »

Zakuro si allacciò la treccia e sospirò divertita:

« I giapponesi sono timidi per certe cose. »

« Ma non sei giapponese anche tu? »

« Ho vissuto molto all'estero, non mi scandalizzo più per cose simili. »

L'altro emise un verso di assenso e pensò che gli umani fossero davvero strani.

« Comunque, quando fa più freddo usiamo delle tuniche leggere o… Sì, una cosa simile a quello – e indicò il pigiama paglierino di Purin – Io però non ho nulla… »

« No problem! »

Esclamò Ichigo tentando di ricomporsi e baldanzosa spalancò l'armadio a muro di Minto:

« Sono sicura che troveremo qualcosa di perfetto, MoiMoi-chan! »

« Certo, prego eh! – sbottò Minto – Servitevi pure senza permesso! Sarebbe casa mia Ichigo, se non te lo ricordassi! »

Ma la rossa aveva già trascinato MoiMoi a cercare un completo che gli stesse bene, seguiti a ruota da Purin e Retasu che non persero occasione di frugare curiose dappertutto.

 

 

Mezz'ora più tardi il gruppetto era raccolto sull'enorme tappeto della stanza di Minto, mangiucchiando tramezzini e tè preparati dallo chef della morettina – semplici patatine e schifezze da party non erano state neppure contemplate – e conversando a più non posso. Il più entusiasta era MoiMoi: continuando a rimirare deliziato il pigiama verde limone scovato da Ichigo nel container per abiti di Minto, con una vaporosa maglia a maniche corte e pantaloni lunghi, il ragazzo aveva immediatamente assimilato le "basi dei pigiama party" e non accennava il minimo di stanchezza, per quanti giochi avessero fatto e per quante chiacchiere si fossero scambiati.

« Ora vi faccio una domanda pericolosa! – disse ad un certo punto abbracciando un cuscino con fare serio – Ma dovete rispondermi sinceramente. »

« Spara! »

Esclamò Ichigo avvicinandosi. MoiMoi la guardò maliziosa:

« Come stiamo a questioni di cuore? »

« Pessimo quiz. – borbottò Minto – Come puoi chiedere una cosa simile ad Ichigo? Sai già che farà gli occhi a cuore rispondendoti "Masaya!". » 

« Sei proprio antipatica, Minto! »

Sbottò la rossa, ma si sentì sollevata che MoiMoi non le avesse rivolto direttamente la domanda. E non seppe dire perché.

MoiMoi mise il broncio e guardò la mewbird borbottando:

« E tu Minto-chan? »

« Nessuno che mi piaccia, al momento. »

L'altro strinse gli occhi fissandola inquisitore:

« Ne sei sicura? »

La mora annuì e MoiMoi sbuffò deluso.

« A Purin piace Taru-Taru! »

« Ooh, ecco come si risponde! – esclamò il ragazzo andando a sedersi di fronte alla biondina – Dimmi tutto, dimmi, dimmi, dimmi! »

Purin sorrise un po' impacciata, grattandosi la guancia:

« Non è che ci sia tanto da dire. – ammise – Siamo amici, però… Lui mi piace tanto. »

Le amiche le sorrisero e MoiMoi mandò un urletto compiaciuto stritolando la mewscimmia tra le braccia:

« Come sei carina! – la liberò puntandole l'indice sul naso – Tranquilla,  la senpai ti darà una mano! So che Taruto-chan è uno zuccone, ma sono sicura che anche tu gli piaccia. »

Purin arrossì un pochino e allargò il sorriso.

« Che bello, Purin! »

« E tu Reta-chan? »

« Eh? »

MoiMoi sorrise malizioso:

« Nessuno che ti faccia venire un po' di batticuore? »

« N-no! Assolutamente no! »

Si agitò tanto da far appannare gli occhiali; MoiMoi inclinò la testa di lato e la guardò da sotto in su:

« Sicuuura? »

« Sicura sicura sicura sicura!! »

« Sei proprio curiosa, eh? »

« Cerca di capirmi Zakuro-chan! – borbottò lui – Sono sempre in mezzo a degli uomini e Lena-chan non è persona da cose simili, mi manca spettegolare un po'! »

La mora ridacchiò appena.

« Già che ci siamo, finiamo il giro! – riprese MoiMoi – Zakuro? »

« Non è possibile! – proruppe calorosamente Minto – Se l'onee-sama frequentasse qualcuno lo saprei di sicuro! »

MoiMoi non badò alle sue proteste e aspettò la risposta della mewwolf, che invece poggiò il viso sul palmo della mano e fissò un punto lontano senza rispondere.

« Non ce lo vuoi dire? »

Ridacchiò MoiMoi malizioso. Zakuro sorrise lievemente voltandosi e scosse la testa:

« Non frequento nessuno. »

« Questo non vuol dire che non ci sia qualcuno che ti piace. »

Puntualizzò lui, ma Zakuro prese una sorsata di tè con aria sibillina e non rispose.

« E di te MoiMoi-chan? »

Il ragazzo sobbalzò e guardo Ichigo con un sorriso storto:

« Cavolo, è vero, questo gioco si può fare anche alla rovescia… »

« Hai qualcuno che ti piace? »

Lui non rispose abbracciando il cuscino e aumentando solo le domande delle ragazze; dal suo angolino, Zakuro posò la tazza del tè e sorrise complice.

« Dacci almeno un indizio! »

« Assolutamente no Ichigo-chan! »

« Ma così non vale! »

« Non vi ho mica costrette a dirmi niente io! »

Rise in risposta, cercando di sfuggire al placcaggio delle altre quattro che lo inseguivano per tutta la camera.

« È qualcuno che conosciamo! »

MoiMoi arrossì parecchio e Ichigo schioccò le dita soddisfatta:

« Abbiamo indovinato! »

« Accidenti com'è tardi! Sarà meglio dormire! »

E con una risatina stridula MoiMoi si gettò sul letto e chiuse ermeticamente gli occhi, ignorando le ragazze che lo scrollavano ridendo di gusto: dopo Glatera potevano concedersi una serata come quella.

Nel sentire le loro risate e i loro battibecchi MoiMoi avvertì l'affetto nei loro confronti aumentare sempre di più e si sentì un po' in colpa: erano così felici ad essere delle comuni ragazze, impegnate nei loro lavoretti e nei loro problemi amorosi, che l'idea di averle coinvolte con qualcuno di pericoloso come gli Ancestrali gli faceva male al cuore. Si disse che se loro l'avessero saputo lo avrebbero sgridato, controbattendo che era stata una loro libera scelta e dimostrandosi, ancora, ben più forti e generose di quanto uno avrebbe potuto immaginare. A quel pensiero sorrise.

Continuò ad ascoltare attendo, un orecchio verso il mormorio sempre più lieve delle ragazze che si raggomitolavano sull'enorme letto di Minto e prendevano pian piano sonno, l'altro teso all'esterno, pronto a cogliere il minimo sospiro sospetto.

Non avrebbe permesso a nessuno di quei quattro sadici di sfiorare neppure un capello delle sue preziose amiche.

 

 

 

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Eccoci qui! Mm lo ammetto, forse come capitolo è pallosetto ^^"", però dovevo dare un po' di tregua a queste povere creature! Invece mi sono sfogata sugli Ancestrali :P!

Chi sarà il misterioso aiutante del viscido, schifoso, infido, fetente, bast

Ebode: abbiamo capito -.-""!

Zitto te! Dicevo… di Ebode? La risposta è…! Non saprete assolutamente nulla di nulla di nullissima da me fino alla fine! *evilgrin*

Tutti: [CENSURA]

Alla fine Ayumi è tornata in scena prima del previsto, anche se di poco… Io adoro usare Ayumi, è la mia incarnazione personale della fangirl xD!

Ayumi: lo prenderò per un complimento ^^""

Spero di farla tornare al più presto in azione *w* (Danya ne sai qualcosa eh? xD) come ho detto aggiornerò al più presto, passata questa ultima terribile settimana TT-TT. Il prossimo capitolo mi darà tante pucciose soddisfazioni x3

MoiMoi: sia lode!

 

Ringrazio con mille mila baci tutti coloro che hanno commentato, siete la mia energia ! vi aspetto per il prossimo capitolo, Mata~ne !

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Capitolo 14
*** Toward the crossing: third road (intro) ***


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Tum-tum tum-tum tum-tum! X3

Kisshu: che sono, tamburi dei Targaryen?

Tu non devi più guardare la tv, mi diventi molesto -.-! e poi che cavolo sono i tamburi dei Targaryen?!

Kisshu: ah boh! Quella gira sempre con un fottio di soldati, mi sembrava ci stesse bene ^.^

Ignorante -.-"!

Non sono tamburi, è un batticuore! *effetto shojo nello sfondo*  mi sono divertita un po' ;)… A dopo !

 

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Cap. 14 – Toward the crossing: third road (intro)

                 Some bad ideas

 

 

 

 

 

Taruto si rigirò nel letto un paio di volte, mugugnando tra i denti mentre tentava vanamente di non svegliarsi; passavano i minuti e la sua mente usciva sempre più dall'ottundimento, ignara della sua volontà di continuare a dormire, e lui incominciava a cogliere più distintamente il calore del letto, la luce del sole e la voce che aveva cominciato a chiamarlo gentilmente.

« Tar… »

Mugolò piano, passandosi una mano sugli occhi, e di malavoglia socchiuse una palpebra tentando di focalizzare la sagoma della madre che era andata a svegliarlo.

« Mam- »

« Buongiorno Taru-Taru! »

Nei secondi di silenzio successivo, l'urlo del ragazzino fu pari solo al fracasso che fece rotolando giù dal letto:

« Co-co-co-co…?! »

« Coccodè? »

« Cosa ci fai nella mia camera tu?!? »

« Sono venuta a svegliarti. »

« Ma perché sei nella mia camera?! »

Ribadì innervosito e lei rispose ingenuamente:

« Mi ha fatta entrare Lasa-san. »

Taruto non seppe come rispondere e si passò una mano sulla fronte per l'irritazione, estraendo il cuscino che nella caduta si era incastrato tra le sue gambe e il comodino. Purin lo studiò un momento, pure se era arrabbiato si vedeva chiaramente quanto fosse ancora intontito, specie dagli occhi dorati languidi di sonno; aveva sciolto i codini e i capelli risultavano parecchio lunghi sul collo, arruffatissimi e un po' elettrici, come se avesse passato la notte a strusciare la testa sul cuscino.

« Che c'è? »

Lei gli sorrise contenta arrossandosi sulle guance:

« Niente, pensavo che da appena alzato sei proprio carino. »

« Tu rifletti mai sulle cose prima di farle uscire dalla bocca?! – le berciò contro diventando porpora – Così, potresti provare! »

Purin replicò ridendo e Taruto riuscì solo a cacciare indietro la testa, sbuffando: era sveglio da cinque minuti ed era già stanco morto.

« Lasa-san mi ha detto di dirti che tra poco è pronta la colazione. »

« Eviterò di chiedere ancora perché tu sia qui a quest'ora e perché mamma non ti abbia fermata, o mi esploderà il fegato. »

Bofonchiò; poi si ricordò della situazione in cui si trovava e fece una smorfia a disagio:

« Ti spiace uscire adesso? »

« E perché? »

« Perché se non te ne sei accorta – sbottò rossissimo –  io sarei in mutande e mi dovrei vestire! »

« Beh, fallo no? »

Lui la guardò manco fosse scema.

« Che io sia un maschio e tu no è una cosa che ti ha sfiorato il cervello? »

« Ho quattro fratelli più piccoli, ne ho già visti di ragazzi in mutande. – replicò calmissima facendo spallucce – E comunque, scusa, mi risulta che tu un tempo girassi in pantaloncini e a torso nudo, dov'è la differenza? »

« Un'enorme differenza! »

Sbraitò e afferratala per le spalle la sbattè fuori chiudendo la porta. La lasciò ingiuriarlo con una sequela di noioso! e sei antipatico! e si vestì mugugnando. La ascoltò sedersi con un tonfo nel corridoio e, legandosi i capelli, provò a convincersi di non essere contento per essersi svegliato vedendo come prima cosa il sorriso della biondina.

 

 

 

Lasa finì di mettere in tavola il piatto con la colazione per Taruto e sentì il figlio scendere le scale a passi pesanti, seguito da altri ben più veloci e allegri.

« Buongiorno tesoro. »

Sorrise vedendo il brunetto lanciarle una bassa occhiata scura del tipo perché hai mandato Purin nella mia stanza; lei sorrise semplicemente con più dolcezza e posò un altro piatto sul tavolo, invitando Purin ad accomodarsi.

« Posso sul serio?! »

« Non fare complimenti. »

E si sedette vicino a Taruto, che rigirava il cucchiaio nel piattino borbottando parolacce. Purin studiò lo spuntino offertole, era una sorta di rettangolo bianco che le ricordò il tofu immerso in una cremina chiara; stuzzicò il rettangolo col cucchiaio, in realtà più che del tofu aveva la densità del formaggio, filamentoso e compatto, dal gusto vagamente salato come pane bianco. La ragazzina provò a prenderne un boccone e lo ingoiò con una goccia di crema, il gusto assomigliava a quello di un toast con la marmellata, ma con la consistenza di un budino.

« Che buono! »

« Non dovresti scroccare cibo in casa altrui… »

Lasa fulminò Taruto con un'occhiataccia, ma Purin non parve essersela minimamente presa e ripulì il piatto con un sorriso beato.

« Non mi hai ancora detto perché sei venuta a rompere le scatole… »

« Sando nii-san aveva detto che sarebbe tornato presto dopo il suo turno stamattina, così visto che dovevi dargli il cambio sono venuta qui con lui a chiamarti. »

Lui la guardò poco convinto riprendendo a giocare con la colazione.

Erano passati tre giorni da quando avevano recuperato il secondo frammento e non era successo nulla di particolarmente degno di nota: i turni di sorveglianza si erano susseguiti regolarmente senza che ci fossero problemi e le ragazze si erano godute qualche giorno di tranquilla routine, riacquistando le forze e positività dopo gli ultimi scontri.

« Non avevo bisogno che venissi qui…! »

« Ma io volevo venire a trovarti. »

Sorrise ancora e Taruto s'infilò in bocca una bella cucchiaiata della sua colazione guardando da un'altra parte in imbarazzo:

« Che scema… »

Lasa ridacchiò:

« È bello vedere che andate così d'accordo. »

Taruto arrossì appena e fissò di sottecchi la madre mentre Purin distese un gran sorriso.

« Lasa-san, tu non mangi? »

« Ti ringrazio cara, ma non ho granchè appetito. »

Taruto posò il cucchiaio e divenne più cupo.

« Stai bene Lasa-san? »

« Solo un po' di nausea – sorrise la donna – nulla di che. »

Purin sorrise, ma Taruto restò pensieroso a fissare la colazione rimasta.

 

 

***

 

 

Ichigo si stiracchiò sulla sedia e guardò distratta fuori dalla finestra dell'aula, ammirando la luce tersa e il cielo azzurro.

« … Che bel tempo… »

« Ichigo sembri un carcerato uscito dall'isolamento. – giocò Moe – Su, sorridi! »

« Infatti, questo tempo dovrebbe metterti allegria non deprimerti! »

« Scusa Miwa, ma oggi non sono proprio dell'umore adatto. »

« È successo qualcosa? »

La mewneko mosse la mano a destra e a sinistra con fare di sufficienza:

« Tranquilla, Retasu… Sono solo un po' così… »

« Non hai chiacchierato abbastanza con Aoyama-kun ieri sera? »

La punzecchiò Ayumi e vedendo gli sguardi incuriositi delle altre ridacchiò:

« Mi ha piantata in asso durante una conversazione fondamentale, solo per parlare col suo amorino…! »

Ichigo però non le rispose, spegnendo la presa in giro e facendo preoccupare la rossa e le altre, che però non chiesero niente.

Era vero che aveva parlato con Masaya, e per ben due ore; così il giorno prima e quello prima ancora. Ma non poteva proprio dire che le chiacchierate fossero state confortanti.

Constatato che la situazione a Tokyo era tranquilla e Ichigo stava bene, Masaya non faceva che parlare dell'Inghilterra: di quanto fosse bella e piena di persone curiose e intraprendenti, di quanto fosse interessante lo studio e quando si trovasse bene al campus, di quanta storia avesse la scuola e quanta ne avesse Londra, di quanto perfino il cibo fosse più gustoso laggiù.

« Amo stare qui. – aveva sospirato giusto la sera prima – È tutto così stimolante ed eccitante…! Manchi solo tu e tutto sarebbe perfetto. »

Lei aveva ricambiato con un sorriso il suo sguardo innamorato, ma per quanto dolci le sue parole non alleviavano la solitudine che sentiva né la sensazione che Masaya non sentisse nostalgia di casa come Ichigo la sentiva di lui. Si ripeteva di non essere in ansia, che tanto entusiasmo da parte del ragazzo era normale visto che stava inseguendo il suo sogno, eppure non riusciva a stare meglio.

Inoltre si sentiva in colpa verso Kisshu che da giorni non le rivolgeva la parola, gironzolando per il Cafè con aria da cane bastonato. Non gli perdonava di averla baciata e aveva promesso a Masaya di mantenere le distanze, per evitare futuri equivoci, però ammetteva di essere stata un po' troppo dura nei suoi confronti, da parte sua avrebbe potuto respingerlo prima del misfatto.

La mewneko sospirò mogia e si stese sul banco mormorando:

« Non vedo l'ora arrivino le vacanze…! »

« Se va avanti così saranno ancora molto, molto lontane, signorina Momomiya. »

Ichigo sobbalzò sulla sedia e tutti gli altri studenti si misero a sedere mentre la professoressa di chimica si accomodava in cattedra.

« Ho corretto i vostri compiti – disse la donna, prendendo a distribuirli banco per banco – sono felice di vedere che ci sono stati miglioramenti. »

Così dicendo passò il compito ad Ayumi, che esultò silenziosamente e sventolò a Retasu il proprio voto con aria soddisfatta.

« Certo, non si può dire lo stesso per tutti. »

E la professoressa consegnò freddamente il compito ad Ichigo che per poco non svenne sul banco.

12 su 100. Mai aveva spostato così in là i limiti della sua insufficienza.

« Mi auguro che coloro che non hanno preso i voti sperati migliorino la media prima del prossimo compito di verifica – sentenziò la donna – o vi assicuro che trascorrete le prossime vacanze alle lezioni di recupero. »

Ichigo volle solo poter miagolare per la disperazione.

Ma possibile che non me ne vada mai bene una?! Niaa~h…!

 

 

***

 

 

Eyner si guardava attorno cercando un segno di Zakuro, controllando di quando in quando che la sua schermatura funzionasse a dovere e che nessuno, in quel marasma di gente, lo vedesse per quel che davvero era. Per rilassarsi, insisteva nel rigirare tra le dita il pass che Minto gli aveva dato: chiunque lo studiasse incuriosito, appena scorgeva il rettangolino di plastica sul suo petto, perdeva immediatamente interesse per lui e proseguiva dritto nemmeno Eyner fosse stato trasparente.

Sospirò grattandosi la guancia a disagio, se si trovava in una situazione strana la colpa era sua che non aveva saputo replicare alla richiesta di Minto di andare a prendere la mewwolf, impegnata in un servizio fuori città. La mewbird non aveva neppure ponderato che potessero esserci obiezioni e, senza aspettare nessuno, aveva tirato fuori dalla tasca il suo pass personale – regalo di Zakuro – che le permetteva accesso all'edificio dove la modella era solita recarsi per lavoro, e lo aveva schiaffato in mano al bruno:

« Faremo prima che aspettarla – aveva aggiunto come se il suo ragionamento fosse il solo sensato – ed è meglio che vada tu Eyner-san. Visti i precedenti, sei il solo di cui ci si possa fidare. »

E il discorso era stato coronato dalle invettive di Taruto che Eyner non aveva neppure provato a fermare, pensando che un po' la morettina se le meritasse.

La preoccupazione di Minto per la sua adorata senpai forse era eccessiva e, più che altro, diretta verso l'Ancestrale che avevano affrontato, ma Eyner non si toglieva di dosso la sensazione che potesse aver ragione. Aveva ben visto l'atteggiamento di Toyu verso Zakuro e la cosa non gli piaceva per nulla: Toyu era una persona che badava poco a ciò che non gli importava e perdeva velocemente interesse per le novità, ma capitava che si fissasse su qualcosa, specie quando si parlava di donne. E non era tipo da accettare un no come risposta.

Ora mi sa che sono io a preoccuparmi troppo.

Poteva darsi che fosse semplicemente nervoso, non era troppo a suo agio in un ambiente totalmente sconosciuto e temeva di combinare dei guai.

« Speriamo di trovare quel benedetto studio…! »

Prese il corridoio di destra e scorse una porta aperta: la stanza all'interno era buia, ma da un angolo proveniva una forte luce e molte persone si affaccendavano avanti e indietro; nel brusio basso degli addetti che si scambiavano ordini e muovevano pesanti fari e attrezzatura fotografica, qualcuno chiamò il nome di Zakuro ed Eyner sospirò sollevato. E una tappa l'aveva raggiunta: restava solo da trovare la ragazza e andarsene.

… Dici niente.

La stanza era zeppa di gente e lui riuscì appena ad appoggiarsi alla parete di fondo con fare discreto. Cercò di trovare la mewwolf tra quei volti sconosciuti e la individuò ai piedi della pedana rialzata illuminata, al centro della sala, accerchiata da quattro persone che controllavano gli abiti, l'acconciatura e il trucco. Per farsi vedere avrebbe dovuto usare dei fuochi d'artificio.

Restò fermo alcuni minuti, spulciando un modo per richiamare l'attenzione della mora senza doverla chiamare a gran voce, quando vide lo staff che l'attorniava smettere di armeggiare e parlottare concitato; lei fece due sorrisi garbati e qualche cenno con la mano, come a dire di aspettare, e senza dilungarsi oltre filò dritta verso Eyner.

« Cosa ci fai qui? »

La sua espressione vagamente sorpresa era una tale rarità da valere il prezzo della fatica per trovarla. Prima che Eyner rispondesse Zakuro vide il pass al suo collo e sospirò:

« Minto… »

« Con un pizzico di reale apprensione. – aggiunse lui ammiccando – Non è un bene restare isolate troppo a lungo. »

« Sono abituata. – replicò piatta e poi sorrise appena – Ma d'accordo. »

« Possiamo scappare? Mi sento un po' osservato… »

La mora sollevò un sopracciglio notando metà della troupe bramosa di sapere con chi stesse parlando e scosse la testa:

« Non ho ancora finito. Puoi tornare dalle altre, non sei costretto ad aspettare. »

« Hai idea di quanto ho impiegato a muovermi in questo posto potendo andare solo a piedi? – chiese sarcastico – Io non mi schiodo più senza qualcuno che sappia come uscirne! »

Zakuro sospirò e parve divertita. Alzò l'indice in direzione della manager, che stava scalpitando per l'interruzione del lavoro, e tornò indietro spedita:

« Questo è l'ultimo – disse al bruno – e ho finito. »

Salì rapidamente sulla pedana e seguì obbediente le indicazioni del fotografo, elargendo all'obbiettivo e a tutti quanti attorno sorrisi e parole gentili. Eyner si acquattò ancor di più nel buio, approfittando che il gruppo di lavoro fosse tornato all'opera per sfuggire alle loro occhiate inquisitorie, e guardò distrattamente Zakuro ridere e ripetere un paio di volte il gesto di lanciarsi all'indietro i capelli, con il fotografo che scattava e scattava a più non posso da ogni angolazione. Tutti attorno a lui continuavano a bisbigliare su quanto bene fosse venuto il servizio e sulla bellezza di Zakuro e la sua affabilità, ma Eyner non era molto convinto di ciò che sentiva. Non negava il fascino della ragazza, che pareva nata col corpo adatto ad indossare magnificamente ogni abito concepibile e che, in quel momento, sorprendeva anche con semplici pantaloni capri e la camicia taglio all'americana; né poteva immaginarla non mettere anima e corpo in ciò che faceva, dato quel che aveva visto guardandola combattere.

Però…

La sala si riempì dell'applauso degli operatori e dei ringraziamenti dello staff principale, mentre Zakuro s'inchinava garbatamente per contraccambiare. Eyner la vide scambiare altre due chiacchiere con la sua manager, salutare i membri dell'équipe e allontanarsi verso l'uscita, così lui, prima che lo vedesse ancora qualcuno, sgusciò nel corridoio deserto aspettando la ragazza; lei lo raggiunse subito, inforcò gli occhiali da sole e procedé spedita nel corridoio.

« Deduco di aver fatto bene. »

Zakuro annuì tirando fuori dalla borsa una bottiglietta d'acqua:

« La vostra idea non è stata eccessiva, ma se mi vedessero andare via da sola con un ragazzo, dovrei dare spiegazioni. »

Bevve una lunga sorsata e sospirò soddisfatta:

« E non mi va. »

« Cos'è, il clan dei pettegoli? »

« Si chiama mondo dello spettacolo. »

Fece lei. Eyner assunse un'espressione scettica e non ribattè.

« Hai avuto il brivido di partecipare ad un servizio fotografico. »

Aggiunse lei ironica.

« A dire il vero i brividi me li hai dati tu. »

Zakuro lo fissò un istante da dietro le lenti scure e lo vide fare una smorfia:

« Non sembravi nemmeno tu con tutti quei sorrisini e quelle risatine! Brr! »

Lei non gli rispose subito e prese un altro sorso d'acqua, parlando con più distacco:

« È così che devo essere. A nessuno piace una modella che non sorride. »

Eyner fece spallucce:

« Io preferisco di gran lunga la Zakuro musona, allora. »

Zakuro continuò a guardarlo e poi si abbassò gli occhiali con un sorrisetto serafico:

« Era un tentativo di complimento? »

« Denunciami. »

Scosse la testa e lui ridacchiò.

« Non ti è riuscito molto bene. »

Eyner soffiò tra i denti drammatico, quando qualcosa attirò la sua attenzione e doppiò la mora:

« Provo a rimediare. »

Si accostò ad un distributore e Zakuro lo vide frugare nelle tasche dei pantaloni estraendo un paio di monete.

« E queste dove te le sei procurate? »

Eyner abbassò la voce fino a renderla un sussurro:

« Non lo saprai mai. »

Zakuro lo studiò divertita inserire il contante e poi invitarla teatralmente a scegliere una bevanda sulla pulsantiera.

« Sai che se ci vedono potrebbero non dico ingigantire, ma fare di un caffè una proposta di matrimonio? »

Chiese prendendo il bicchierino di plastica dalla macchina.

« Visto la tua avvenenza unanimemente riconosciuta, credo che mi perdonerebbero in entrambi i casi. »

Lei smise di bere e si tolse gli occhiali per guardarlo meglio:

« Questo era un complimento. »

« Quindi mi è uscito bene stavolta. »

Gli rivolse un impercettibile sorriso malizioso senza ribattere, riprendendo a camminare sorseggiando il suo caffè.

 

 

***

 

 

Ichigo sospirò a fondo malinconica, la giornata continuava a darle poche gioie. Poco prima aveva letto una mail di Masaya che l'avvisava di non poter essere presente al loro consueto appuntamenti in chat – aveva una relazione sul suo percorso di studi fino ad allora da consegnare, aveva detto – e a fare il turno di sorveglianza c'erano Eyner e Taruto, quindi non si sarebbe nemmeno potuta togliere dallo stomaco la questione di Kisshu.

« Almeno oggi ci sono pochi clienti… »

Sospirò e si guardò attorno. Minto come sempre era intenta a bere il tè, Zakuro a servire – spaventare – le clienti e Purin animava la sala col suo spettacolo, approfittando della poca ressa per fermarsi di tanto in tanto a chiacchierare con Taruto. Cos'avessero da dirsi per non smettere un secondo di emettere fiato la rossa non lo sapeva, ma non potè evitare di sorridere: Purin aveva sempre sentito una forte nostalgia per il petulante ragazzino, e dopo quel che aveva detto a MoiMoi quando erano a casa di Minto la mewneko immaginò non solo per amicizia: era normale che la mewscimmiafosse abbastanza euforica.

Ichigo sbadigliò e in un angolo vide Retasu che terminava di servire l'ultima tavolata presente e, dopo aver verificato che nessuno avesse bisogno di lei, si era messa a parlare con Eyner. Alla rossa non era sfuggito come i due andassero d'accordo, probabilmente per il carattere simile, e ormai non era strano vederli assieme.

Come colpita da un fulmine la mewneko stritolò tra le mani lo straccio con cui stava pulendo il tavolino, ricordandosi la reazione di panico di Retasu quando MoiMoi aveva indagato sulla sua situazione sentimentale.

« E se…?! »

Si acquattò dietro il tavolo ad osservare l'amica, che rideva tranquilla, e gli occhi le brillarono d'entusiasmo:

« Incredibile! Bene, bene… »

« Che stai facendo lì dietro? »

La rossa mandò un urletto infilandosi completamente sotto al tavolo.

« Ichigo? »

Lo sbuffo condiscendente e i jeans che intravide da dietro le gambe delle sedie le diedero conferma su chi l'avesse colta in flagrante e arrossì, sollevandosi troppo di scatto e sbattendo la testa contro il tavolino:

« Ohii… Che male, nyah! »

« Tanto hai la testa dura – la canzonò Ryou  pacato – mi preoccupo per il tavolo piuttosto. »

« Sei il solito cafone! »

Gli sibilò contro lei, ma Ryou reagì con fare di sufficienza:

« Che stai combinando? »

« Supposizioni. »

Lui la guardò scettico e Ichigo si allungò per bisbigliargli all'orecchio eccitata:

« Retasu… Sai, credo si sia presa una cotta per Eyner-san! »

Ryou sbarrò gli occhi manco fossero due fanali:

« Ma di che parli? »

Ichigo sbuffò alzando gli occhi al cielo:

« Voi maschi non capite assolutamente nulla di queste cose! Guardala! »

Ryou seguì l'indice della rossa puntato sui due inquisiti e aggrottò la fronte riflessivo:

« Per me sei tu che fai il passo più lungo della gamba. »

Lei sbuffò ancora liquidandolo con un gesto altero della mano.

« Invece di spettegolare sulle tue amiche – la rimproverò il ragazzo – pensa a lavorare, che pure oggi sei arrivata in ritardo. »

Ichigo arrossì appena indispettita, ma l'attenzione di Ryou fu attirata da un oggetto caduto a terra:

« È tuo questo? »

La rossa divenne pallida riconoscendo il pezzetto di carta che lui stava dispiegando:

« E-ehi! Ridammelo subito…! »

Troppo tardi. Ryou lesse un momento cosa riportava il foglio e le rivolse un ghignetto perfido:

« 12 su 100? »

Ichigo maledisse l'attimo di distrazione in cui aveva spostato il compito dalla tasca della divisa scolastica a quella da cameriera e avvertì spuntarle le orecchie feline per la vergogna:

« Non sono fatti tuoi! – mormorò strappandogli il foglio di mano – Non tutti sono intelligenti come te, sai?! »

« Sarà così, ma quel voto è imbarazzante, concedimelo. »

Lei fece una smorfia e abbassò le orecchie:

« Lo so… »

Si sedette sulla sedia umiliata e Ryou smise di punzecchiarla: di norma se la canzonava per i voti scolastici la rossa gli inveiva contro per ore, che fosse così mansueta era preoccupante.

« Perché quella faccia? Sarà sufficiente studiare. »

Fece con tono più garbato. Ichigo invece sospirò cupa:

« Cosa serve studiare se tanto non ci capisco nulla? Mi occorrerebbero delle ripetizioni… Ma ora non posso permettermele, e non voglio chiedere soldi ai miei. »

« Come sarebbe non te le puoi permettere? E i tuoi stipendi? »

Ichigo s'irrigidì di colpo e chinò il capo mogia:

« Non… Ne ho più tanti. Li ho spesi. »

Non era intenzionata a dirgli altro. Ryou la guardò per un po' in silenzio, poi le riprese il compito dalle mani e lo scorse con più attenzione senza badare alla rossa che tentava invano di riprenderselo:

« Shirogane! Insomma, piantala, ridamm- »

« Ti darò io ripetizioni. »

Ichigo rimase gelata con il pugno diretto alla spalla di Ryou a mezz'aria:

« C-come? »

« Mi avevi già chiesto di aiutarti con i compiti una volta, no? »

Lei retrocedette sospettosa mentre ritirava la coda e le orecchie da gatto:

« Sì – bofonchiò – e tu mi avevi chiesto 2.000 yen a materia! »

« Ovvio, per i compiti bisogna arrangiarsi da soli. Se vuoi svicolare, devi pagare. – sentenziò superiore – Le ripetizioni sono una cosa diversa. »

Lei socchiuse gli occhi girandogli attorno per studiarlo da ogni angolazione

« Quindi… –  chiese ancora diffidente – Non vorresti un centesimo da me? »

« Tanto che senso avrebbe? Sarebbero i soldi che ti retribuisco, tanto varrebbe farti lavorare gratis e tenermeli in tasca. Ma Kei potrebbe uccidermi per una cosa simile. »

« E non vuoi niente? Niente di niente? »

« Niente che tu possa darmi riscuote il mio interesse, Momomiya. »

Mentiva così spudoratamente che anche Ichigo se ne sarebbe potuta accorgere, ma era meglio soprassedere sulla cosa; lei corrugò la fronte offesa e insisté:

« E niente commenti? Niente prese in giro? »

« Lo vuoi il mio aiuto o no, Ichigo? »

Lei ci riflettè solo un microsecondo: aiuto nello studio della chimica da parte di Ryou Shirogane, genio delle scienze e studioso creatore del m Proget?

« C-certo! Certo che sì! – lo guardò con gli occhi che brillavano – Grazie mille Shirogane! »

Lui le restituì il foglio e si infilò le mani in tasca andandosene in cucina:

« A casa tua dopo l'orario di chiusura. »

La rossa rimase per l'ennesima brasata in una posa assurda, mentre piroettava sul posto per la contentezza.

« Alle 18. E vedi di essere pronta, non voglio perdere tempo. »

Lei era ancora con gli occhi pallati verso le scale dopo che Ryou era sparito da un minuto intero.

Ripetizioni.

Con Ryou. Ripetizioni private.

A casa sua.

Ad Ichigo cadde lo straccio dalle mani quando si accorse di avere la tachicardia al solo pensiero e temette di aver appena commesso un grande, gigantesco errore di valutazione.

 

 

***

 

 

Il cancelliere annunciò l'inizio della seduta e tutti i membri del Consiglio Maggiore si alzarono in piedi per accogliere il consigliere Meryold. La donna fece un cenno di ringraziamento col capo e andò a sedersi sul proprio scranno, ascoltando gli argomenti della riunione in corso.

« … E in ultimo – enumerò il cancelliere con tono pomposo – la richiesta del consigliere Teruga di estensione del permesso di accesso ai terrestri. »

Seppur elencato in fondo parve il punto più scottante dell'assemblea e molti consiglieri, ignorando la scaletta, si alzarono indignati:

« Teruga, cosa vorrebbe ottenere con questo?! »

« Avremo pure stretto un'alleanza, ma non dimentichiamo che fino a tre anni fa eravamo in guerra! »

« Cosa sta tramando? »

« Signori, vi prego! »

Lentamente l'anziano consigliere si mise in piedi. Si schiarì la gola e con voce calma e forte, disse:

« La mia richiesta non ha alcun secondo fine, signori consiglieri. Vorrei solo agevolare la missione che grava sui nostri soldati e sulle giovani terrestri. Ciò che è accaduto su Glatera ha evidenziato la potenza dei disertori noti come Ancestrali e la loro ferocia, nonché la loro determinazione nel raccogliere il Dono degli Avi.

« Sapete bene che il capitano Luneilim e tutti i nostri ufficiali scientifici hanno imposto uno scudo cosicché questa minaccia non possa colpire Jeweliria, ma ciò non impedisce agli Ancestrali di agire liberamente altrove. Fino ad oggi siamo riusciti a tutelare i nostri alleati, ma per quanto tempo ancora riusciremo a farlo? Senza contare la laboriosità dell'operazione per essere loro di sostegno. »

I consiglieri ascoltavano attenti, bofonchiando appena di tanto in tanto fra loro e consultandosi a bassa voce.

« Se accetterete – concluse Teruga – non dovremo più preoccuparci della loro sorte; esse potranno accedere a qualunque luogo di Jeweliria, nei limiti delle nostre leggi, e starà solo a loro discrezione rifugiarsi in questo porto sicuro. »

Dalla sua postazione di guardia del Consiglio ai piedi delle balconate Iader corrugò un poco la fronte: il discorso di Teruga pareva generoso, ma qualcosa nel suo tono voleva puntualizzare una certa superiorità tra le terrestri e i jeweliriani e a lui non piacque; cercò con la coda dell'occhio Sando e lo scorse sulla fila della balconata di Teruga, in un angolo, con l'aria torva e la mascella contratta: era preoccupato e Iader immaginò che il consigliere stesse scegliendo le parole proprio per accattivarsi i colleghi più ostili, però la cosa non stava sortendo molto effetto viste le loro espressioni cupe.

« E come intenderebbe rendere possibile "il libero accesso"? »

Chiese ostico un uomo dal viso affilato; Teruga sorrise modesto:

« Oh, non ho le conoscenze tecnologiche per spiegarvi il tutto! Confido nell'abilità della nostra équipe scientifica. »

Neanche uno dei consiglieri replicò alle sue parole e la sala si animò di mormorii e scambi di opinioni. Fu totalmente inaspettata  la voce che si levò dal brusio generale:

« Io voto a favore della richiesta del consigliere Teruga. »

Nella nuova ondata di basse polemiche, Teruga guardò l'intervenuto e chiese gentile:

« A cosa devo il suo favore, consigliere Ebode? »

L'altro sorrise con assoluta calma:

« Non ho certo cambiato opinione sulle terrestri, Teruga – ammise – Ma comprendo le sue preoccupazioni e ritengo che ciò che chiede sia una microscopica concessione, a cui non vedo motivo di dire di no. Sempre nei limiti dell'ordine, e soprattutto circoscrivendo l'accesso alla loro sola presenza fisica e non a interventi di altro tipo. »

Il Consiglio parlottò concitato: era rimasto colpito dal tentativo di dialogo esposto da Ebode con il suo appoggio all'avversario, così osteggiato nelle settimane precedenti, e la richiesta di Teruga parve meno assurda. L'uomo sorrise con gratitudine e fece un leggero inchino a Ebode che ricambiò, ed entrambi si sedettero in attesa che il consulto del Consiglio terminasse.

Dopo ore di discussioni sulle altre questioni in esame, Meryold si alzò in piedi annunciando la fine della seduta e punto per punto chiese l'approvazione o meno delle richieste.

« Il Consiglio Maggiore sottopone la richiesta del consigliere Teruga di estensione del permesso di accesso ai terrestri. »

Annunciò infine il cancelliere. Meryold si guardò attorno e sentenziò:

« Astenuti. – sette mani si alzarono timidamente nel silenzio – Contrari? – undici consiglieri – Favorevoli? »

I restanti tredici consiglieri alzarono le mani con decisione e tra questi, anche Ebode sollevò le dita magre e avvizzite.

La riunione fu aggiornata e tutti i presenti se ne uscirono lentamente.

Teruga raggiunse Sando e si avviò con tutta calma fuori dal salone diretto ai propri alloggi. Camminarono a lungo, con Teruga che rivolgeva veloci convenevoli con chi incontrava e Sando al suo fianco in silenzio, finchè non furono in un'ala più tranquilla del Palazzo Bianco: piccoli edifici indipendenti si disponevano ordinati su un cortile ampio e stretto, chiuso da un alto muro di cinta che svoltava e si ricollegava alla parte anteriore del palazzo.

« La sua richiesta è stata abbastanza avventata. »

Teruga fece un sorrisetto furbo:

« Abbiamo ottenuto la maggioranza, tanto basta. Comunque è stata il capitano Luneilim a suggerire l'estensione di permesso, perciò ho preso atto della cosa senza pormi troppi dubbi. »

Sando non rispose mantenendo l'aria torva e Teruga sospirò divertito.

« Signore… Crede davvero che Ebode abbia voluto aiutarla? »

Da diedro le sopracciglia folte gli occhi verdi dell'uomo cercarono quelli scuri di Sando e saettarono duri:

« Assolutamente no. »

Rimasero in silenzio. Teruga sospirò a fondo e guardò il cielo azzurro:

« Sando, d'ora in poi vorrei che facessi da scorta al capitano Luneilim e alle ragazze terrestri. »

« Come? »

Il soldato si fermò a guardarlo senza comprendere. Dopo quanto aveva affermato l'ultimo ordine suonava strano.

« Ebode ha in mente qualcosa. »

Spiegò lentamente il consigliere:

« Nulla che al momento possa coinvolgere quelle ragazze o voi, ma sta progettando qualcosa . Per il momento agirà per salamelecchi e parole retoriche, finti sorrisi e manifestazione di lungimiranza, ma alla prima occasione tenterà di riportare il Consiglio contro di noi. E non possiamo permettercelo. »

Congiunse le mani al petto ponderando sul da farsi:

« Per il momento seguiamo il suo gioco. Se tu sarai coinvolto a tempo pieno con gli Ikisatashi e tutti gli altri e ti avrò di scorta solo in occasioni ufficiali, l'impressione sarà che non temo più ritorsioni per le mie decisioni. Apparirò vulnerabile ed Ebode sarà pronto a svelare le sue carte senza preoccupazioni. »

Sando annuì in silenzio, comprendendo:

« Chiederò a un soldato fidato di scortarla di nascosto, per ogni evenienza. »

Puntualizzò severo e Teruga concesse la cosa con un cenno muto.

« Hai in mente qualcuno? »

« Lenatheri, senza dubbio. »

« Bene. – sospirò Teruga provato dalla situazione – Ma che si tratti di una cosa discreta. »

Sando s'inchinò rigidamente e si congedò dal consigliere che entrava nella propria abitazione.

Non gli restava altro che trovare Lena per informarla della situazione e poi raggiungere MoiMoi nel suo antro di tecnologia.

A quel pensiero si irrigidì e fece una smorfia rendendosi conto della situazione in cui si era cacciato:

« … E ora chi la ferma più la pazzoide dall'assillarmi ogni giorno, se ce l'avrò ogni giorno tra i piedi? »

 

 

***

 

 

« Sei in ritardo! »

Kisshu ridacchiò delle scuse veloci a Taruto che ribattè schioccando la lingua seccato e scomparve, contento di andarsene a casa a riposare dopo tutto il giorno nel Cafè delle ragazze.

Kisshu spostò lo sguardo all'edificio rosato, la luce del sole ormai basso ne gettava l'ombra lunga sul sentierino d'ingresso che lui attraversò allegro: aveva trascorso giorni ferito e arrabbiato per la reazione di Ichigo, ma quella mattina si era svegliato con un buon presentimento e aveva atteso impaziente il momento del suo turno; aveva quasi pensato di presentarsi prima, ma se avesse disertato l'aiuto che doveva a Pai per la calibrazione del nuovo passaggio il fratello e MoiMoi lo avrebbero appeso per il collo.

Aprì la porta del locale e lo trovò già vuoto, coi tavolini e le sedie rassettati e Minto che finiva di spazzare la sala; Kisshu si corrucciò, aveva ancora il dente avvelenato con la morettina dopo le sentenze che gli aveva sputato addosso ma cercò di non alzare un polverone:

« Ciao… »

Lei rispose con tono altrettanto poco convinto. Kisshu non badò alla cosa e si guardò intorno senza dire altro cercando segni di una qualunque altra presenza.

« Ichigo è tornata a casa. »

Lo precedette la mewbird prima che aprisse bocca; lui la guardò innervosito:

« Scherzi? »

Minto alzò le spalle:

« Ha detto di dover studiare. »

Kisshu alzò gli occhi al cielo, non ci avrebbe creduto neppure se Ichigo gliel'avesse detto in faccia. Sbuffò furioso e di malagrazia librò fino a sedersi in uno spazio tra due sedie su uno dei tavoli

« Ehi, fai attenzione! Ho appena finito di mettere a posto. »

« Oh, per favore. Lasciami in pace almeno. »

E poggiò il gomito sul ginocchio, prendendosi il mento nel palmo. Minto non ribattè al suo sbotto e lo studiò sospirare cupo, mordendosi il labbro.

« Senti… »

« Che vuoi, cornacchietta? »

« Mi chiamo Minto. – lo seccò dura, poi raddolcì il tono andandogli vicino – Non so quanto ti importi ma… Ci ho pensato, volevo scusarmi per quello che ti ho detto l'altra volta. »

Lui la guardò di sottecchi con eloquenza.

« Ho esagerato. »

« Ah, davvero? »

La mora irrigidì la mascella al suo sarcasmo:

« Non si accettano così delle scuse sincere, maleducato che non sei altro. »

« E non è maleducato anche infierire su qualcuno che ha già i suoi problemi? »

La ragazza non potè replicare. Prese due respiri per calmarsi e non insultarlo un'altra volta, aveva tutte le ragioni di punzecchiarla e lei aveva solo che da tacere. In realtà non avrebbe voluto essere così velenosa quando lo aveva stuzzicato su Ichigo: l'idea iniziale era solo vendicarsi un pochino per le sue battutacce dopo la notte allo Yakori, ma le sue parole avevano girato il dito in una ferita aperta.

« Non è andata via per evitarti. »

« Sì, certo…! »

« Dico sul serio. »

Lui la studiò quasi divertito del suo tentativo di essere gentile e raccolse le braccia dietro la testa, nascondendocela in mezzo:

« Ma possibile che se la sia presa così tanto per un bacio?! »

« Te ne stupisci? »

Lui spalancò la bocca enfatizzando l'ovvietà della cosa e si poggiò sulle braccia:

« Era al resto che avrebbe dovuto badare… Quelle era solo un bacio! »

« Evidentemente per Ichigo ha una certa importanza, no? »

Gli fece notare altera poggiando la scopa ad una sedia e incrociando le braccia:

« Non ce l'ha per molte persone? »

Kisshu la guardò torvo senza rispondere.

« Immagino poi che emozioni un po' ricevere un bacio da qualcuno… »

Lui cambiò di colpo faccia studiandola come non avesse capito bene le parole.

« Ichigo, poi, è così emotiva! »

« Scusa, hai detto "immagino"? »

Il tono superbo di Minto si spense come un lumino mentre lei tratteneva il fiato ripensando alla pessima scelta delle parole. Le era scappato.

« Di cosa stai parlando? »

Minto si girò riagguantando la scopa e si rimise a lavorare, tentando di non apparire rigida:

« Di nulla. »

Dissimulare. Svicolare. Negare.

« Ah, capisco. »

Anche di spalle riusciva a percepire il sogghigno divertito di Kisshu:

« La nostra miss alta società, la signorina di classe, così superiore, così spocchiosetta…! In realtà è una mocciosa che non ha mai baciato nessuno, eh? »

Non doveva rispondere. Lo faceva apposta per infastidirla, per trascinarla in un altro di quei battibecchi infantili che lui amava tanto.

No.

Non glielo doveva lasciare fare.

« Non sono fatti tuoi. »

Supplicò il suo cervello di non ascoltare la propria voce che stava tremando dalla vergogna, di convincerlo di non essere arrossita per la stizza.

La risata beffarda del ragazzo che saltava giù dal tavolo le ferì le orecchie:

« Ma che carina! »

« Vai a quel paese! »

Lui continuò a ridacchiare, troppo appagato della situazione per lasciare in pace la ragazza.

« Che sarà mai? »

Insisté facendole il verso:

« Un bacio non è così importante per tutti, no? »

Lei alzò appena la testa senza voltarsi e Kisshu gongolò al colmo della soddisfazione. Minto aveva la tendenza a fare un po' troppo la superiore per i suoi gusti e, sebbene si fosse scusata per l'ultima frecciatina, era più che pronto a farle abbassare la cresta: mai avrebbe sperato che un'occasione tanto ghiotta gli cadesse così presto tra le braccia!

« Per gente più profonda di te deve essere un gesto con un significato, evidentemente. »

Sibilò e Kisshu le stuzzicò la cuffietta bianca che sbucava tra i capelli scuri divertito come un bambino:

« E' solo un contatto di pochi centimetri tra due persone, tocchi molto di più con una stretta di mano. »

Minto insisté ad ignorarlo.

« Certo, alla tua età non aver mai baciato nessuno… Non è triste? »

Lei si voltò di colpo scarlatta per l'umiliazione solo per guardarlo in faccia e potergli dire quanto fosse idiota.

Mossa sbagliata.

Continuando a sorridere Kisshu si chinò e la baciò per una frazione di secondo, allontanandosi prima che Minto realizzasse cosa le aveva fatto.

« Visto? »

Lei era ammutolita.

« Con questo dovresti essere a posto. – la canzonò ancora – Tranquilla, non è stato proprio niente di che. »

Si avviò all'uscita gesticolando per sottolineare il fatto che non doveva ringraziarlo e si teletrasportò via più allegro, cominciando la sua ronda.

Minto restò immobile, le dita appena strette sul manico della scopa, mentre si copriva la bocca con l'altra mano:

« … Bastardo… »

 

 

***

 

 

Ichigo saltellò un'altra volta sul divano del salotto tormentandosi le mani che teneva in grembo, facendo ballare le gambe convulsamente sulle punte dei piedi.

« Tesoro, che stai facendo? Sembri un condannato al patibolo! »

Ichigo non rispose stiracchiando un sorriso teso e lisciò un paio di pieghe della gonna che indossava.

Il karma la stava punendo, non sapeva il motivo ma era così, la puniva e con un certo accanimento.

Prima i suoi problemi con Masaya che si coronavano con la sua partenza, Kisshu che la tampinava senza che lei fosse in grado di resistergli, poi Ryou…

Già, Ryou.

Che da un momento all'altro sarebbe piombato in casa sua con sua madre presente.

« Mamma… Ehm, ascolta sei… Tornata presto oggi, uh? »

La donna gioì annuendo:

« Ero pronta a rimanere bloccata al supermercato, invece non c'era nessuna coda! Che colpo di fortuna! »

Ichigo cacciò indietro la testa:

« Eh già! »

« Te l'ho già detto, sei troppo agitata. – le sorrise – Sono solo delle ripetizioni e, per giunta, con un tuo amico. Di cosa ti preoccupi? »

E rise terminando di mettere via la spesa. Ichigo gemette piano, incapace di dirle che era proprio la sua presenza a preoccuparla di più che avere Ryou in casa sua.

Il campanello la colse alla sprovvista facendola balzare a sedere rigida come un baccalà; non ebbe abbastanza prontezza per alzarsi e guardò sbiancando la madre andare ad aprire.

« Buonasera. La signora Momomiya? »

Ichigo era attonita per l'espressione garbata e il tono rispettoso di Ryou.

« Sono Ryou Shirogane. »

« Buonasera a te, caro. Prego, vieni dentro. »

Ryou non fece complimenti ed entrò, notando parecchio divertito la faccia confusa e a disagio di Ichigo. Lei non aveva la più pallida idea di come comportarsi e d'impulso fece un mezzo inchino per salutarlo:

« S-Shirogane… »

« Cominciamo, Ichigo-san? »

Lei lo guardò spaesata. Quando mai l'aveva chiamata "Ichigo-san"?! Annuì comunque e gli fece segno verso le scale.

« Buono studio. – trillò Sakura – Più tardi vi porto un tè. »

« La ringrazio, signora Momomiya. »

« Oh, chiamami Sakura! »

Rise. Ryou rispose con un cenno del capo e sparì su per le scale e solo allora Ichigo accennò a seguirlo.

« Ichigo…! Ichigo! »

La rossa guardò la madre un po' seccata, facendo chiari segni di impazienza, e la donna ammiccò:

« Non mi avevi detto che il tuo capo era un così bel ragazzo! »

« Mamma…! »

« È straniero, vero? O solo per metà? Ed è così educato! »

« Si vede che proprio non lo conosci, mamma! »

Sussurrò seccata la ragazza, lievemente rossa sulle guance, e sgattaiolò dietro all'americano trovandolo in piedi in mezzo al pianerottolo proprio di fronte alla porta semiaperta della sua camera.  Ichigo restò un istante a guardarlo, in imbarazzo: perfino Masaya non era entrato che pochissime volte nella sua stanza e non erano mai rimasti lì troppo a lungo da soli – Shintaro era un deterrente molto incisivo – era la prima volta che vi faceva entrare un maschio che non fosse il suo ragazzo.

« Allora? – le domandò spiccio – Mi fai entrare o no? » 

Lei sbuffò dei suoi modi e spalancò la porta.

Ryou entrò lentamente scrutando attorno. Ogni cosa nella stanza, dal pavimento a grandi scacchi bianchi e rosa, alle vezzose lenzuola che sbucavano da sotto il piumino carminio, i mobili semplici e femminili, le foto e gli oggetti che per lei erano preziosi disposti con cura sulle mensole e sui ripiani, tutto rispecchiava con accuratezza il gusto e il carattere di Ichigo. Ryou frugò ogni dettaglio per impiantarselo per sempre nella memoria, inspirando senza farsi notare l'odore dolce di fragola che  danzava sottile nell'aria e accorgendosi che tutto ciò che vedeva gli riportava qualcosa che lui già sapeva della rossa. Come la scatolina laccata messa sotto lo specchio accanto alla spazzola, dove senz'altro costodiva la sua collezione di nastrini per capelli; o il pupazzetto di gattina con fiocchetto e gonnellina a pieghe, simile ad uno che una volta aveva visto su una rivista e che Retasu aveva provato a rifarle per il compleanno, che teneva sul comodino vicino alla sveglia e ad un piccolo cuscino imbottito, dove probabilmente si accucciava Masha; una foto incorniciata del giorno in cui tutto il gruppo era andato al mare, anni prima, e una del diciottesimo compleanno di Ryou, quando le ragazze e Keiichiro lo avevo portato – costretto – ad uscire con loro per festeggiare.

Senza mostrare alcun turbamento Ryou si accomodò sulla sedia che Ichigo aveva portato dalla cucina e lei si sedette sulla sua, prendendo i libri che aveva impilato sul lato della scrivania e mettendoli d fronte al ragazzo. Lui la osservò in silenzio aprire i testi e studiò il suo abbigliamento, la sottile maglietta a maniche lunghe rosa antico e la mini nera, e si sentì un idiota per trovarla bellissima anche così.

Ichigo provò ad ignorare gli occhi azzurri piantati addosso e a convincersi che Ryou la stesse semplicemente guardando con la consueta altezzosità impaziente, senza riuscirci granché. Il cuore le prese a palpitare e avvertì lievissimi brividi su tutta la pelle desiderando solo alzare la testa per guardarlo in viso.

Piantò lo sguardo sul titolo del capitolo e non proferì verbo finchè non sentì il ragazzo sbuffare e lo scorse accavallare le gambe. Lei farfugliò qualche parola confusa, l'atmosfera era tesissima:

« A-allora… Ti sembrerà strano fare ripetizioni, eh? »

« Non particolarmente. »

E tornò zitto. Ichigo si mordicchiò il labbro e prese a giocherellare con la matita, quando lui sospirando seccato le rubò il libro dalle mani, lesse velocemente e cominciò:

« Dunque. Nomenclatura tradizionale e nomenclatura IUPAC a partire dai metalli e dai non-metalli… »

« E-eh? »

« Cosa c'è? »

Lei proseguì a fissarlo stranita. Forse aveva avvertito solo lei l'agitazione di prima? Oppure lui aveva già accantonato tutto?

« N-non potremmo fare due chiacchiere prima di… Cominciare? Così, per rilassarci! »

« Siamo stati al lavoro assieme per tutto il giorno. – replicò lui – Non hai bisogno di perdere altro tempo. Su, iniziamo. »

E, ancora confusa e tesa, Ichigo fu costretta ad obbedire.

 

 

Dopo due ore non avevano ancora alzato la testa dai libri, se non per ricevere il tè da parte di Sakura, ma Ryou non aveva concesso pause neppure per quello e Ichigo era stata costretta a berlo mentre ripassava.

Non poteva lamentarsi del risultato, Ryou era un insegnante preciso e le sue spiegazioni erano chiare e semplici, ma ormai lei era giunta al limite.

« Forza ripetiamo ancora una volta. »

Ichigo si accasciò sulla scrivania:

« Sono esausta! – si lagnò – non può entrarmi in testa neppure un'altra nozione! »

Lo guardò supplichevole e lui in tutta risposta scrisse un'altra formula su un foglietto e gliela porse:

« SiO2. Cos'è? »

« Ohuuu…! »

Lui sbuffò e accanto alla formula scrisse ossido di silicio e Ichigo sbuffò:

« Vuoi confondermi a tutti i costi? Il silicio è un non-metallo, quindi con l'ossigeno forma un anidride non un ossido. No? »

Si fermò e sgranò gli occhi; Ryou le sorrise facendole segno di continuare.

« Silicio e ossigeno… Anidride silicica. – scrisse emozionata – O diossido di silicio! »

Ryou rise sotto i baffi chiudendo il libro con un tonfo:

« Alla fine hai capito. »

Lei non smetteva di sorridere fiera di sé stessa:

« Sì…! Sul serio, ho capito tutto! – rise allegra e chiuse l'astuccio – Sono un genio! »

« No, il genio sono io. – puntualizzò Ryou divertito – Tu però sei una studentessa abbastanza brava. »

La rossa fece uno sberleffo e rise finendo di riordinare la scrivania. Ryou si stiracchiò sulla sedia e sospirò, sfinito. Si guardò attorno e per l'ennesima volta la sua attenzione fu catturata da un bel completo con ancora addosso il cartellino del brezzo, appeso ad una gruccia sul fianco dell'armadio: un abitino bianco smanicato, con spalline sottili e scollatura quadrata su cui erano cuciti dei laccetti a simulare un corpetto, e a chiudere l'insieme un cardigan verde pallido e dei sandali abbinati.

Quando Ichigo notò che aveva visto il completo smise di ridere e guardò sconsolata la scrivania.

« Cos'è? »

Scosse la testa e non volle rispondere. Ryou non distolse lo sguardo da lei e alla fine Ichigo sussurrò:

« L'ho… Comprato agli ultimi saldi. Ma mi è costato lo stesso un occhio della testa! – ridacchiò poco convinta – Mi ha letteralmente prosciugata! »

Ryou immaginò per chi lo avesse acquistato e gli si rovesciò lo stomaco, però limitò esternamente la cosa ad una contrazione della mandibola:

« È per cose simili che usi i soldi che ti do? »

Lei non si accorse del suo cambio d'espressione e fece spallucce con un sorriso triste:

« Però pare che non avrò occasione di usarlo. »

Ryou non diede opinione, ma non riuscì a sentirsi un idiota per aver provato rabbia nei suoi confronti. Seppur non si sarebbe detto Ichigo era una persona attenta a controllare le proprie spese e si concedeva di rado cose oltre le sue finanze: doveva tenerci molto ad indossare quell'abito per Masaya, ma per quando lui fosse tornato sarebbe stato troppo freddo e metterselo sarebbe stato improponibile, almeno fino al ritorno del caldo.

Ichigo emise un sospiro tremulo provando a tornare allegra:

« Come ripasso non è andato male! Forse riuscirò a studiare in tempo per la prova. »

« Vedremo. »

« Come? »

« Non penserai di essere preparata vero? Non distingui un idrossido da un idrossile. »

Sospirò con rassegnazione alzandosi:

« Temo che dovrò sprecare altre ore preziose dietro alla tua testa dura. »

La vide corrucciarsi offesa ma non protestare:

« Grazie. – bofonchiò – Però la mia testa non è dura. »

La faccia di Ryou si distese in un sorrisetto sarcastico e Ichigo grugnì offesa.

« Solo un po'. »

« La chimica è complicata! E non mi piace. – puntualizzò – Devi ammetterlo che nonostante tutto mi sto impegnando! »

« È vero. »

« Quindi non puoi prendermi in giro! »

Lui rise a fior di labbra e annuì più volte. Si avviò alla porta e l'aprì facendo un passo oltre la soglia. Si fermò a metà strada:

« Ho un'idea. »

« Uh? »

« Se continuerai ad impegnarti e riuscirai a prendere un bel voto a quel compito… Potremmo fare in modo di non sprecare quel vestito. »

Ichigo non capì immediatamente.

« Se il compito andrà bene – le disse piano, uscendo – ti porterò fuori a sfoggiarlo. »

Si chiuse la porta alle spalle senza controllare la reazione della rossa.

 

 

***

 

 

« Però così non è giusto! »

« Hai sentito Lasa-san, no? – fece Sando severo – Devi rimanere ancora a riposo. »

MoiMoi gonfiò le guance e incrociò le braccia piccato, ma l'amico era irremovibile:

« Se sarà necessario interverremo. – lo rassicurò – Ma fare sforzi è pericoloso. »

Lui non era convinto e restò rannicchiato sulla sedia, così Sando gli accarezzò un poco la testa con fare fraterno. MoiMoi lo lasciò fare e sospirò, rialzandosi e sorridendogli, e l'altro ritrasse la mano a disagio dando due colpetti di tosse.

« Allora… Come procede? »

MoiMoi sembrò deluso ma terminò di inserire i comandi nel sistema:

« Abbiamo stabilizzato questo passaggio. – allungò l'indice sullo schermo verso il puntino pulsante sulla sinistra – Non sono riuscita a identificare la zona, deve essere una distorsione dimensionale. »

Digitò altri comandi e una colonna di dati scorse sulla destra:

« I robot esploratori confermano che l'aria è respirabile e la gravità è nella norma, pare che la maggior parte  del suolo sia ricoperto di foreste tropicali. »

Sando annuì e lo guardò spegnere tutto.

« Ci sono notizie sugli Ancestrali? »

MoiMoi scosse la testa preoccupato.

« Sando… »

« Dimmi. »

« Andrà tutto bene vero? »

L'amico lo fissò e MoiMoi si attorcigliò un ciuffo di capelli tra le dita:

« Non voglio che i ragazzi si facciano di nuovo male… »

Sando non trattenne un sorriso e gli accarezzò un'altra volta la testa scombinandogli la frangia:

« Andrà tutto bene, stai tranquilla. »

MoiMoi ridacchiò del gesto e gli sorrise luminoso. Sando ricambiò un secondo, poi s'irrigidì e tornò sui suoi passi ritraendo la mano e andandosene con aria torva, lasciando MoiMoi ad ondeggiare mogio sulla sua sedia:

« Brutto antipatico…! »

 

 

***

 

 

Era ormai notte fonda, ma Ryou continuava a lavorare senza sosta. Si sfregò gli occhi assonnati e brucianti per il bagliore elettronico dello schermo del computer, terminò la sequenza e quando il sistema iniziò a rielaborare tutti i dati inseriti, finalmente, si concesse di sedersi un istante.

 

« Se il compito andrà bene ti porterò fuori a sfoggiarlo. »

 

Il pensiero che fino al momento prima era riuscito a chiudere fuori concentrandosi sul lavoro gli trapanò il cervello come un fulmine.

« … Sono diventato scemo… »

Come gli era venuto in mente di chiedere ad Ichigo di uscire?!

Ammetteva di stare approfittando dell'assenza di Masaya e del suo comportamento per stare vicino alla ragazza, ma chiederle di uscire… Era un po' troppo.

Ichigo è fidanzata!

« Già… »

Ci fu un rumore sordo e un macchinario si aprì con un sibilo, scoprendo alcune sottili fiale di vetro colme di un liquido incolore. Ryou si alzò ed estrasse una delle fiale inserendola in un'elaborata pistola con stantuffo: non potè evitare un brivido nel reggere l'oggetto una seconda volta tra le dita.

Rialzò gli occhi sullo schermo, come a riverificare i dati, ma i risultati che leggeva erano inconfutabili. Grazie alle informazioni di MoiMoi e Pai era riuscito a correggere la sola falla del m Proget, l'unica cosa che gli aveva impedito di essere lui stesso ad affrontare la minaccia aliena.

Si sfilò la fascia rossa che portava al collo e ne sfiorò il lato destro dove aveva sperimentato la sicurezza del gene m la prima volta e dove la pelle diventava lievemente più dura per la piccola cicatrice.

Strinse la pistola nella mano e con l'altra azionò la registrazione vocale del suo portatile, aperto accanto alla tastiera del computer più grande:

« Proget m, esperimento 003-bis: inserimento di DNA modificato in soggetto non compatibile. »

S'interruppe un secondo prendendo un bel respiro. Il suo pensiero tornò ad Ichigo e a Masaya e non riuscì a non stritolare il calcio della pistola.

Aveva sempre voluto proteggerla, ma l'aveva coinvolta in una guerra. L'aveva guardata ferirsi, combattere, piangere senza poter muovere un dito. Si era addirittura trovato a ringraziare la persona più odiata, quella che gliel'aveva portata via, perché era diventato capace di proteggerla.

Finalmente era il suo turno.

Alzò il dito dal tasto di registrazione e sospirò amaro, che per farlo avesse dovuto aspettare l'intervento degli alieni contro cui il proget era nato era talmente ironico da risultare grottesco.

Riprese a registrare schiarendosi la gola:

« Se l'esperimento fallisse, ti prego Keiichiro: scusami. »

E premette il grilletto.

 

 

 

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Minto: … Autriceeee!! Dove seiiii +___+***?!

*Ria si acquatta dietro un cassonetto*

Minto: aha! Eccotiii +_________+****!!!

Aaaaah!!

Minto *brandendo la scopa del capitolo* che cavolo ti è venuto in mente?!? Maledetta, questa me la paghi!!!

v-veramente è stata iniziativa di Kisshu, io non c'entro niente ^^"""!!

Purin: di che parlate?

Minto: NIENTE +\\\\+!!

*Ria ne approfitta per squagliarsela*

Allora sono stata brava ^^? Eh eh? Le ho messe due scenette interessanti ^^? *evilgrin* e sì lo tronco così! Sn mefistica e fentente xP. La verità è che avrei voluto farli già arrivare nle nuovo mondo ma diventava troppo lungo, così ho preferito dividere J! Finalmente un po' d'azione!

 

Mando bacini e abbracci a tutti coloro che mi seguono, a tutti coloro che leggono e a  Hypnotic Poison, Amuchan, Danya, zakuro_san e mobo che hanno commentato w! Scappo prima che Minto mi ammazzi ^^""!
Ci si vede tra un paio di settimane se non vengo uccisa prima :P! Mata~ne
!

 

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Capitolo 15
*** Toward the crossing: third road ***


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Ok, diciamocelo, è solo il mio amore per i vostri commenti che mi sta portando ad aggiornare perché mi manca il capitolo nuovo, spero di non ritardare l'uscita ^^""! vabbè :P

… Non so come fare l'incipit di questo capitolo ^^""! torniamo all'avventura, vi lascio alla lettura

 

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Cap. 15 – Toward the crossing: third road

                 New world

 

 

 

 

 

Il mattino successivo MoiMoi chiamò i terrestri di buon'ora dicendo che il passaggio era stato stabilizzato e si presentò al Cafè poco dopo, per fare da accompagnatore.

Ryou riuscì giusto a bersi un paio di sorsi di caffè nero mentre aspettavano le ragazze, continuando a passarsi sovrappensiero la mano sulla parte destra del collo.

« Tutto ok? »

Abbassò la tazza e guardò appena Keiichiro al suo fianco rivolgendogli un sorriso basso:

« Certo. »

L'altro ricambiò con aria sibillina e un po' triste, ma non disse nulla.

 

 

Alcuni minuti più tardi le ragazze e Ryou seguivano MoiMoi dentro al passo per Jeweliria, dirigendosi al nuovo percorso dispiegato dal Dono degli Avi.

Appena usciti girarono alle spalle del passaggio e si inoltrarono nel bosco, camminando per un po' nel silenzio interrotto dal cinguettare di uccelli nascosti e dal frusciare delle fronde sopra le loro teste; unica nota stonata nella quiete era il parlottio fitto fitto di Ichigo, Purin e Minto, che confabulavano cercando di non farsi sentire da Retasu, intenta a camminare poco distante.

« Ma ne sei sicura? »

« Vi dico di sì! – esclamò la rossa concitata – Retasu si è presa una cotta per Eyner-san! »

« Retasu nee-chan e Eyn nii-chan?! »

« Shhht! Purin! »

La mewneko tappò la bocca alla biondina e fece una smorfia ridacchiando verso Ryou, che si era voltato attirato dal baccano. Zakuro, alle loro spalle, le studiò tutte e tre sorridere innocenti e sospirare di sollievo quando il pericolo fu scongiurato.

« Non facciamoci sentire! – sussurrò Ichigo rimproverando l'amica – Sai com'è Retasu… Se sapesse che abbiamo capito, la metteremmo in imbarazzo e andrebbe nel panico. »

« Non sono ancora sicura che tu abbia visto giusto… »

« Ma dai, Minto! – esclamò in un soffio la rossa – Retasu è sempre così impacciata coi ragazzi! Invece con Eyner la vedo così rilassata e allegra…! »

« Hai ragione! – rincarò Purin schioccando le dita – Che bello! Eyn nii-chan sarebbe perfetto per lei! »

« Però Retasu non è abbastanza intraprendente per farsi avanti, lo sai. »

Puntualizzò Minto incrociando le braccia e Ichigo sorrise furba:

« Per questo ho intenzione di darle una mano. Con discrezione, ovvio. »

Le tre ridacchiarono.

« Ci aiuterai anche tu, Zakuro? »

La mora non rispose alla richiesta di Ichigo e continuò a camminare e la rossa capì che non voleva essere coinvolta, così lasciò perdere.

 

 

 

Il nuovo accesso era largo almeno tre volte i precedenti e ronzava basso nella calma circostante; era situato su un breve altopiano del bosco, punteggiato di cespugli irti, e di fronte ad esso erano sistemate due piccole astronavi a cui Kisshu, Pai, Taruto ed Eyner erano appoggiati in attesa.

« Che gran figata! – esclamò Purin bruciando gli ultimi metri correndo – Volete dire che saliremo su queste?! »

 « Secondo te perché le avremmo portate fino qui, scimmietta? »

Lei non badò alle prese in giro di Taruto ed emozionata girò un paio di volte attorno alle navicelle:

« Ragazze, avete visto?! Non sono fenomenali?! »

Saltò in groppa ad uno dei mezzi e poi scivolò a terra lungo la fiancata, ridendo mentre rotolava sull'erba.

« Certo che ne hai di argento vivo addosso. »

Lei ricambiò il commento divertito di Eyner con un sorriso a trentadue denti e si spazzolò via l'erba dai pantaloni intanto che le altre la raggiungevano. Quando Retasu, arrancando sul crinale, si scambiò un saluto con Eyner le amiche alle sue spalle si diedero di gomito.

« Come mai le navicelle? »

Domandò la verde studiandole affascinata.

« Non siamo sicuri di dove porti la distorsione, stavolta – rispose MoiMoi – data la diversa espansione del campo energetico, sono certa di tratti di un passaggio dimensionale. »

« Non è che abbia capito proprio tutto – mormorò Ichigo – ma… Ho sentito le parole passaggio dimensionale? »

« Purtroppo ci tocca, micina. »

Sospirò Kisshu andandole vicino. Nell'istante in cui lo fece non la rossa, ma Minto, vicino a lei, si allontanò come una furia squadrandolo con odio così palese che Ichigo guardò interrogativa il ragazzo, scorgendolo perplesso quanto lei.

Pai, per nulla interessato ai tafferugli infantili dei tre, si avvicinò alla navetta più piccola e finì di spiegare:

« Le informazioni che abbiamo ottenuto sono poche. Con queste potremmo muoverci più agevolmente e correndo meno rischi. »

« Dovremmo dividerci? »

Zakuro non era convinta, ma non si scompose e passeggiò lentamente attorno ai due mezzi valutando lo spazio di ciascuna navicella.

« Navi più grandi darebbero troppo nell'occhio, e queste hanno un miglior sistema di occultamento. Rimarremo sempre in contatto – la rassicurò Eyner – e viaggeremo a distanza ravvicinata. »

Lei sospirò annuendo, ma continuò a fissare enigmatica le astronavi.

« Su, muoviamoci. »

Appena Pai si voltò verso la navetta piccola il portellone di questa scivolò verso il suo scomparto in alto, aprendo l'ingresso.

« Voi ragazze salite su quella. »

E indicò l'altra.

« E chi la guida? »

« Io. »

« Allora io vado sull'altra. »

Dichiarò Minto cupamente alle parole di Kisshu.

« Cornacchietta, guarda che sono capace. »

« Potresti essere anche il pilota più bravo esistente, ma io salgo sull'altra. »

Lo fulminò sdegnosa e Kisshu evitò di protestare solo perché troppo confuso da tanto sprezzo.

« Allora io prendo il posto di Minto. – fece Ryou atono – Senza offesa. »

« E chi si offende… »

Sospirò sarcastico Eyner.

« Cos'è, hai paura che combini qualcosa? »

Le parole acide di Kisshu ricevettero un'occhiata altrettanto feroce:

« Ne sono più che certo. »

« Allora io posso fare cambio con Eyn nii-san? Così viaggio con Taru-Taru. »

Dicendo queste Purin si voltò e mandò un'occhiata a Retasu ammiccando verso Ichigo, che alzò le dita in segno di vittoria: mai perdere un'occasione in un piano per aspiranti Cupido.

« Non è che cambi molto per me, però forse dovremmo sbrigarci… »

« Per me puoi venire qui anche subito Eyner – sbottò Kisshu – prima che ammazzi questo biondino! »

« Non vorrei puntualizzare, ma qui ci sono solo sei posti… »

« Kisshu potrebbe andarsene di la, Retasu. »

« Nemmeno da morto. Spostati tu, Ryou! »

Fu la risposta in coro del ragazzo e di Minto; i due si squadrarono l'un l'altro in contemporanea.

« Cos'hai detto gallina spennacchiata?! »

« Se vuoi ti faccio lo spelling. »

« S-se mai mi sposto io… »

« No, Retasu, tu resta qui! »

L'amica guardò Ichigo frastornata dalla sua reazione e l'altra ridacchiò nervosamente:

« N-non credo sia il caso di fare altri scambi, no? »

Un tuono di lamiera fece zittire tutti. Con rabbia Pai alzò la mano dal fianco della nave, sibilando gelido:

« Non stiamo andando ad una gita. Salite su quelle navi e non dite più una parola, mi sono spiegato?! »

Nessuno replicò, e tra borbottii sordi e qualche altro scambio più o meno forzato – sotto lo sguardo sempre più funereo di Pai – le due astronavi furono al completo di passeggeri.

Kisshu, al comando della nave più grande, lanciava occhiate storte a Ryou sul sedile dietro al suo: il biondo era seduto accanto ad Ichigo, ancora turbata per il viso furibondo di Minto che alla fine, in tutto il via vai, era rimasta da quella parte piazzandosi nel sedile più in fondo – e più lontano da Kisshu – vicino a Retasu.

« Hai una faccia spaventosa. »

« Fatti i cavoli tuoi, Eyn… »

L'altro fece spallucce ignorando lo sbotto dell'amico e iniziò la sequenza di decollo. Rimasto sul prato MoiMoi urlò nel fischio della partenza:

« Se ci sarà bisogno le navi invieranno automaticamente un segnale d'emergenza. Verremo subitissimo. »

Eyner accennò con la mano in conferma e tutte e due le navette entrarono nel passaggio.

Le astronavi comparvero in un cielo pervinca pallido solcato da un sole bianco; sotto di loro chilometri e chilometri di verde si adagiavano dai monti alle pianure, un oceano di vegetazione attraversato da stracci di nubi d'umidità. Purin si sporse in piedi sul sedile spiaccicando la faccia contro il vetro, la bocca spalancata per la suggestione:

« È incredibile…! Zakuro nee-san, guarda! Degli uccelli! – e puntò l'indice sulla superficie trasparente – Sono enormi! E viola! »

« Vuoi darti una calmata?! – sbottò Taruto – Non hai mica tre anni! »

« Con tanta foresta… Sarà difficile trovare la Goccia. »

Pensò la mewwolf a voce alta e Pai, che era di pessimo umore dopo l'assurdo spettacolino di poco prima, rispose con un monosillabo a labbra strette.

« È per questo che abbiamo chiesto il vostro aiuto. »

Fece Taruto incrociando le mani dietro la testa e Purin gli si avvinghiò al braccio sollevando il pugno con fare entusiasta:

« Lo troveremo in un batter d'occhio! »

« Ehi! Non appiccicarti! »

Purin rispose stritolando anche l'altro braccio su quello del brunetto che brontolò ancora e la mewwolf sospirò divertita.

Di colpo la navetta diede un forte scossone e compì un piccolo balzo in basso; nessuno disse nulla e Purin tornò a sedersi in silenzio e spostò la mano sulla sinistra di Taruto, rigido come un sasso. Zakuro, da davanti, rilassò lentamente le dita che aveva artigliato al sedile e si voltò verso Pai:

« È normale? »

Lui guardò i comandi e i suoi occhi divennero due fessure:

« No. »

 

 

« Che gli prende a Pai? »

« Non lo so… –  disse Eyner piano, controllando uno strano segnale sul quadro di fronte a sé – Ma non mi piace. »

« Cos'è quello? »

Chiese Kisshu notando la spia anomala che luccicava, ma Eyner scosse la testa.

« Ehi. »

Alle ragazze non piacque il tono ansioso dei due, né l'espressione di Ryou mentre si alzava e sporgeva verso i loro sedili:

« Che succed- »

La navicella sbandò con uno strattone strappando uno strillo alle terrestri; restò di nuovo in assetto un solo momento, poi scartò ancora dalla parte opposta e poi indietro, fermandosi solo perché Kisshu ed Eyner riuscirono a tenerla in assetto.

« Che è successo? »

Nessuno dei due rispose a Minto.

« Che è successo?! »

« Chiudi il becco, cornacchietta. »

Stridé Kisshu con un filo di voce, rilassando un poco le dita dai comandi:

« Non lo so. »

« Come sarebbe a dire "non lo so"?! »

« Quello che ha detto, Ryou. – sbottò Eyner trafficando con la pulsantiera – Non è un'avaria del sistema. Ma qualcosa non funziona. »

Kisshu allungò la mano alla base del quadro comandi e tirò fuori un sottilissimo auricolare:

« Pai? Mi senti? »

Ichigo tese l'orecchio per sentire la risposta, ma lo strumento era troppo preciso e limitava al minimo la dispersione del suono; si affacciò dal finestrino e trovò subito la navicella degli altri, trattenendo un sospiro di terrore quando li vide slittare di lato.

 

 

« C'è qualcosa che fa impazzire la strumentazione. »

Taruto guardò il fratello consultarsi preoccupato con Kisshu e contemporaneamente trattenere a fatica la navetta in posizione orizzontale.

« Non possiamo avere tutti e due la stessa anomalia! Non ha senso! »

La navicella oscillò più bruscamente e Purin strinse forte la mano di Taruto che la lasciò intrecciare le dita con le sue.

« Sembra… Una radiazione! »

Le mani di Pai corsero veloci sulla pulsantiera e poi lui si voltò verso l'altra astronave:

« Viene dalla vostra nave! »

 

 

« Che cosa?! »

La navicella grande tremò dalla punta alla coda e scivolò violentemente contro la carena dell'altra. Con un frastuono di metallo e vetro infranto il tetto della navetta da sei fu strappato via, mentre l'altra roteò su sé stessa per il contraccolpo e scese di una decina di metri. Pai cercò di tornare indietro e di correre in aiuto dell'altra astronave, che fischiando continuava a filare via di lato e discendeva di metri e metri ogni secondo, ma la loro nave invece come un cavallo imbizzarrito si arrestò a mezz'aria, scattò indietro e poi in avanti, centrando gli altri proprio nella fiancata.

Ichigo urlò e perse la presa al sedile dove si era aggrappata: avvertì con orrore il proprio peso svanire per pochi istanti e poi tornare, intanto che la navicella restava in alto e lei cadeva giù. Gemette quando il braccio tirò nel contraccolpo della stretta sul suo polso; alzò lo sguardo, terrorizzata, vedendo Ryou che si protendeva a fatica oltre il tettuccio distrutto, la mano sinistra serrata sulla carena distrutta.

« Ryou, la tua man- »

Soffocò le parole in un urlo e si sentì scivolare nelle dita del ragazzo. Nel panico tentò di afferrare a sua volta il braccio di Ryou con l'altra mano, ma la navicella sbandava troppo: la mewneko insisté, gli occhi colmi di lacrime per la paura, guardò Ryou ormai al limite delle forze, Minto che tentava di aiutarla ma le cui dita non arrivavano neppure vicino all'amica.

Poi ci fu uno scossone più forte. Ichigo avvertì il braccio sdrucciolare via e, senza freni, precipitò giù.

 

 

***

 

 

Quando aprì gli occhi riuscì solo a concentrarsi sul dolore diffuso alle membra, ancor prima di focalizzare dove fosse. Con un lamento Retasu si mise in ginocchio, massaggiandosi la tempia, e si rese conto di aver perso gli occhiali; cercò a tentoni sull'erba e sui rami secchi e fu enorme il sollievo quando li trovò e constatò che non erano rotti. Con gli occhiali addosso la verde riuscì a guardarsi attorno: era rannicchiata tra due alberi coperti di muschio ed edera e uno di essi aveva parecchi rami spezzati probabilmente per via del suo passaggio.

Rami. Caduta. Precipitare. Esplosione. Con un lampo riacquistò lucidità e insorse il panico. Era da sola.

Che fine avevano fatto gli altri? Perché non erano lì vicino a lei?

« I-Ichigo! Shirogane! Minto! »

Cercò di alzarsi e di calmare tanto il respiro quanto le ginocchia tremanti:

« Kisshu-san! Eyn… Ah! »

Ripiombò a terra accecata da un improvviso dolore alla gamba. Strinse i denti intanto che percepiva le lacrime pungerle gli occhi, e col respiro spezzato spostò la gonna per cercare il punto preciso da cui nasceva la fitta. Scorse la sua caviglia sinistra, gonfia e tumefatta, e il cuore le perse un battito.

Sarà rotta? O è solo il colpo?

Provò pian piano a poggiarla a terra e si rese conto di riuscirci senza troppo dolore, quindi forse non era fratturata. Provò ad alzarsi in piedi e a fare qualche passo e cacciò un gemito.

Cercò di tranquillizzarsi prendendo un paio di respiri profondi. Doveva pensare lucidamente. Non ricordava quasi nulla dello schianto e quel poco che le tornava alla mente era troppo confuso, ma una cosa era sicura: era in un luogo sconosciuto, da sola, e ferita; doveva trovare quanto prima gli altri.

Frugò in tasca cercando il trasmettitore di MoiMoi senza trovarlo, probabilmente era andato perduto nella caduta, e trattenere la paura fu molto più difficile. Fece un altro faticoso passo, non riusciva a calmarsi, tutto il corpo stava iniziando a gridare per i colpi ricevuti e sotto le fronde l'aria spessa e umida la soffocava, dando solo manforte al fogliame fitto che non permetteva di vedere nulla oltre un paio di metri.

Cosa faccio? Cosa posso fare?!

Deglutì forte e si asciugò il sudore dalla fronte. L'istinto le diceva di aspettare, di starsene tranquilla, ma non poteva, era troppo pericoloso. Doveva cercare di trovare un segno delle amiche o di una delle navi, o almeno raggiungere un posto riparato dove aspettare aiuto, e il sentierino claustrofobico dove si trovava era tutto tranne che sicuro.

Mosse un altro paio di passi lenti e dolorosi, poi di colpo mise il piede destro su una zolla di terra morbida che si sbriciolò senza darle il tempo di reagire: cadde nel cespuglio e precipitò con un urlo nel pendio che vi si nascondeva dietro, scomparendo nel sottobosco.

 

 

***

 

 

« Purin…! Purin, stai bene? »

La biondina si stropicciò lamentandosi la nuca, ma annuì:

« Dove siamo, Taru-Taru? »

« Non lo so… Ahi! – si toccò il braccio destro dove era comparsa una brutta serie di graffi – Cavolo, quanto brucia…! »

Purin si tirò in piedi e guardò il buco che avevano provocato nelle fronde sopra di loro, tetto naturale della radura dov'erano caduti.

« Come mai siamo precipitati? »

« Qualcosa ha mandato in tilt il sistema delle navette… Non ho mai visto una cosa così. »

« No. Intendo… Perché siamo precipitati io e te? Perché non hai volato? »

Lui scosse piano la testa:

« Non ci sono riuscito. »

Si tolse due rametti dai capelli e alzò anche lui lo sguardo:

« Ci ho provato. Ho provato anche a teletrasportarmi, ma niente. Sono caduto giù assieme a te come una pietra. »

La biondina si spazzolò altra terra dalle ginocchia e guardò allarmata il pezzo di carena che aveva distrutto un paio di minuti alberelli, conficcandosi nella terra alcuni metri più in là.

« Cosa sarà successo agli altri? »

Taruto non rispose, rovistò in tasca ed estrasse un piccolo trasmettitore uguale a quello delle ragazze; provò ad usarlo, ma non ricevette né riuscì a mandare nessun messaggio. Purin lo vide sospirare e divenne sempre più pallida, quasi sul punto di piangere:

« Non saranno… Non saranno…! »

« Ehi, calmati! »

Lui la zittì con un cenno della mano, le afferrò le spalle e strinse sorridendole spavaldo:

« Lo sai, le altre vecchie hanno la pellaccia dura quanto la tua. I miei fratelli ed Eyn sono pure peggio! – il suo sguardo divenne un po' più incoraggiante – Vedrai che non si sono fatti niente. »

Lei prese un bel respiro e annuì. Taruto aprì il palmo sul trasmettitore e Purin si accorse che l'oggettino pulsava lentamente di luci diverse, e quando lui  lo toccò si allargò diventando piatto e sottile: le luci divennero punti indipendenti e lampeggiarono distribuiti sulla piccola superficie.

« Sono le spie dei trasmettitori degli altri. Anche se non possiamo comunicare, possiamo trovarli. – spiegò lui – Deve essersi un po' danneggiato nella caduta, non capisco chi sia chi. Però ci sono solo sei segnali. Il mio ovvio non si vede… Il tuo… »

Purin cercò d'impulso nelle tasche senza trovarlo e sbuffò affranta:

« Mi sa che l'ho perso… »

Taruto scosse la testa:

« Lo vedrei comunque. Probabilmente si è rotto nella caduta. »

Indicò la mappa e Purin gli andò più vicino:

« Uno… Due… Tre sono lontani tra di loro, ma nella stessa zona, di là… –  allungò il braccio alle sue spalle – Due sono qui vicino. »

Purin riprese a respirare con più calma e afferrò il ragazzo per una mano:

« Raggiungiamoli subito! – fece concitata – Riesci a camminare? »

Studiò preoccupata il braccio di lui che annuì con nonchalance:

« Brucia solo un pochino. Tu? »

« A posto. »

E si diressero spediti verso il pallido lumino che lampeggiava quasi dovesse spegnersi.

 

 

***

 

 

Zakuro aveva camminato per ore senza ricevere un solo segno dei compagni. Riprese tra le mani il piccolo trasmettitore, tentò di usarlo un'altra volta ma l'oggetto rispose solo con un brusio sordo.

L'esplosione di una delle navicelle poco dopo lo scontro tra le due l'aveva scagliata lontano, ma era sicura di non essere troppo lontana dagli altri; prima di cadere oltre le fronde verdi aveva visto dove la navetta più grande era caduta, e nonostante il colpo ricevuto atterrando era riuscita a tenere a mente la posizione: raggiungere quel posto era la sola possibilità di trovare qualcuno, ma ormai era stanca e affannata per via dell'aria pesante, faticava a mantenere il passo che si era autoimposta e la sua meta sembrava sempre più lontana. Per sicurezza si era trasformata, cogliendo coi sensi affinati ogni rumore, ogni odore, ogni movimento, sobbalzando sull'attenti al minimo uccello o piccolo roditore o rettile che sgusciava sui tronchi.

All'improvviso scese un silenzio innaturale seguito da un pesante fruscio; qualcosa di grosso aveva spaventato gli animali e si stava avvicinando a lei.

Strinse le dita attorno alla frusta e si acquattò dietro ad un tronco, pronta a colpire.

« So che sei lì. Potresti evitare di spalmarmi contro un albero? »

Zakuro ripose l'arma e uscì fuori con circospezione, rilassando le spalle mentre Eyner le si avvicinava claudicando:

« Ci ho messo un po', scusa… A quanto pare né volo né teletrasporto funzionano così mi tocca muovermi a piedi e, lo sai, non sono molto svelto. »

Il ragazzo aveva il trasmettitore in modalità di mappatura e sei luci ben differenziate erano accese su di esso, una delle quali aveva un piccolo cursore puntato sopra.

« Per fortuna funziona ancora perfettamente, a parte il sistema di comunicazione. »

Zakuro osservò la piccola mappa e si rese conto che sulla luce puntata dal cursore c'era una scritta minuscola in un carattere che non capiva e che, dedusse, fosse il suo nome.

« Chi c'è vicino a noi? »

« Non ci sono i segnali di tutti… Forse qualche trasmettitore si è rotto nell'impatto. – mosse il dito sopra la mappa e il cursore si spostò – Credo che il più vicino a noi sia Pai. »

La ragazza osservò la mappa e annuì.

« Come stai? »

La mora vide Eyner osservarle la gamba, dove un lungo taglio le si apriva sulla coscia e scivolava sotto lo stivale; portò una mano vicino alla ferita che ardeva e pulsava per lo sforzo della lunga camminata e fece un cenno di sufficienza col capo.

« Tu? »

Lui sorrise e nascose con una mano una brutta macchia rossa sul fianco.

« Non è stare bene quello. Qualunque cosa sia. »

Le parole di Zakuro furono coperte da un lontano ringhio animale. Eyner si rabbuiò ed entrambi tentarono di capire da dove fosse provenuto il suono, ma senza successo.

« Poi ci penseremo. – la incitò spingendola con delicatezza – Ora troviamo Pai e gli altri e cerchiamo un posto sicuro. »

 

 

***

 

 

Con uno strillo d'esasperazione Minto riuscì a liberare la gonna dal groviglio di rami in cui si era incastrata. Rotolò violentemente per terra per il contraccolpo e sbuffò ancora sbattendo i pugni a terra, la malasorte doveva essersi accanita contro di lei.

Non bastava la pessima giornata trascorsa; appena svegli andavano in missione in un luogo sconosciuto e pericoloso, le loro navicelle esplodevano, lei precipitava in una foresta all'apparenza sconfinata in un gigantesco cespuglio di rovi e si ritrovava completamente sola, senza poter comunicare e senza idea di dove fossero gli altri.

Mandò un gemito strozzato, non c'era parte del suo corpo che non le facesse male al più insignificante respiro. Cercò frenetica il suo ciondolo, se si fosse trasformata sarebbe volata sopra la volta arborea e avrebbe trovato gli altri.

Un brusio alle sue spalle la fece sobbalzare e si trasformò senza neppure aspettare di vedere di cosa si trattasse; restò immobile, la freccia pronta, ma quando vide chi spuntava dalle frasche fu tentata di scossare comunque.

Era evidente, la malasorte la stava letteralmente perseguitando.

« Tu. »

« Oh, sì, buongiorno passerotto. Anch'io sono contento di vedere che stai bene! »

Soffiò Kisshu ironico al suo tono frustrato. Minto riabbassò l'arma, la sua caduta era stata brutta, ma quella del ragazzo era stata peggiore: aveva un taglio sul collo, graffi sparsi su viso, mani e braccia, una brutta ferita sulla spalla che ammiccava dalla manica strappata e zoppicava un poco sulla gamba destra.

« Non hai volato… »

« Cos'è, la giornata della simpatia e delle ovvietà? »

Minto non gli rispose e lui si sedette su una radice muschiosa riprendendo fiato:

« Ci ho provato, ma niente da fare. Non riesco nemmeno a teletrasportarmi. »

« Centra qualcosa quello che è successo alle navicelle? »

« Non ne ho la più pallida idea. – sospirò scoraggiato – Non so nemmeno dove siano finiti gli altri, ad un certo punto una delle navette è esplosa… Credo. »

Si passò una mano sulla testa ancora frastornato:

« Ho sentito un rumore e sono venuto qui. »

Mandò una risatina bassa:

« Sinceramente… »

« Se osi dire che avresti preferito incontrare Ichigo, ti pianto una freccia in testa. »

« Guarda che scherzavo. »

Lei rispose con una scorsa sprezzante e sobbalzò di nuovo, sentendo un rumore lontano. Tese arco ed orecchie, pronta al minimo movimento, finchè distinse una voce.

« Purin…! »

Kisshu fece scomparire i suoi sai e sospirò sollevato:

« Allora forse non siamo stati i soliti fortunati. »

L'occhiata al vetriolo che Minto gli rivolse prima di correre incontro all'amica lo convinse che l'idea fosse tutt'altro che condivisa.

 

 

***

 

 

Pai sbuffò esausto, mai più nella vita avrebbe preso una navicella senza prima controllarla di persona da cima a fondo. Chiunque avesse giocato il simpatico scherzetto a lui e al gruppo aveva usato una tecnologia non molto avanzata, ma progettata per essere silenziosa e letale: un trasmettitore di frequenze che aveva spezzato i segnali dei comandi principali della nave e mandato in tilt il sistema di navigazione, per il resto era stata sufficiente l'aerodinamicità dei mezzi impazziti. Non capiva invece perché non riuscisse né a volare né a teletrasportarsi, ma era improbabile che le due cose fossero collegate, doveva essere un evento connesso a quella dimensione; sarebbe stato un problema irrilevante, non si fosse trovato isolato da tutti.

« Speriamo che gli altri siano in salvo. »

Prese in mano il suo trasmettitore: era attivo, ma non riceveva né il segnale degli altri né riusciva a chiamare qualcuno.

Ormai camminava da qualche ora ma non aveva ancora incontrato nessuno e l'inquietante sensazione di girare in tondo iniziava a farsi strada. Tentò di individuare il sole tra la massa invalicabile degli alberi, scorgendo a malapena la sua luce e chiedendosi se sarebbe servito a qualcosa individuare un punto cardinale: in quel luogo il sole poteva perfettamente ruotare da sud a ovest o girare in cerchio sopra uno degli emisferi, o chissà che altro; l'unica cosa che capiva con chiarezza era l'esistenza di un giorno e di una notte perché le ombre si erano allungate con le ore e, purtroppo, non troppo tardi sarebbe arrivata la notte.

Si fermò e studiò attorno, ogni angolo della foresta sembrava identico al precedente. Scese in un sentiero un metro più in basso da dove si trovava per togliersi dall'illusione di camminare sempre nello stesso punto e avanzò su un cammino stretto che prendeva a costeggiare un leggero declivio. Proseguì a fatica mentre il tragitto si stringeva e poi tornava ad allargarsi, finchè non scorse una figura accovacciata sul fondo del pendio.

« … Retasu… »

Sentendosi chiamare la ragazza mosse appena la testa, mugolando, ma non aprì gli occhi. Dalla terra che aveva addosso doveva essere caduta dal terrapieno sovrastante e, Pai temeva, abbastanza malamente: era pallida e gli occhiali, che le pendevano storti sul naso, non nascondevano il taglio sopra il sopracciglio, nonostante la lente incrinata.

Pai le si avvicinò afferrandole la spalla e la chiamò ancora. Lei gemette ancora e aprì piano gli occhi:

« Pa… i…? »

« Stai bene? »

Si morse la lingua appena ebbe aperto bocca, era una domanda stupida quasi quanto superflua. Alla ragazza però parve far piacere l'inutile apprensione e sorrise con dolcezza:

« Ho rotolato… Un po', ma… Credo di essere ancora… Intera… »

Si mise seduta più dritta e trattenne un gemito portando la mano alla caviglia dolente.

« Intera non direi. »

« No… – mormorò – È successo quando… Sono caduta. Cioè, caduta prima… Dalla nave. »

Si raddrizzò gli occhiali e controllò che tutto il resto fosse relativamente sano e – graffi e contusioni a parte – sembrava esserlo.

« Hai… Hai visto qualcuno degli altri? »

Pai scosse la testa e Retasu abbassò lo sguardo allarmata.

« Dobbiamo spostarci da qui e trovare un luogo tranquillo prima di notte. »

Lei annuì e si alzò trattenendo un lamento, e lui la guardò severo:

« Non riesco a volare, ci muoviamo a piedi. Pensi di farcela? »

Retasu si mordicchiò il labbro, ma si sforzò di sorridere e affermò:

« S-sì. Ce la dovrei fare. »

Mosse qualche passo incerto e con un lamento secco crollò contro un tronco per sorreggersi.

« Forse non ce la faccio… »

Pai non rispose e si mise in ginocchio poggiandole una mano sulla caviglia; Retasu provò ad ignorare il trotto che le donò il cuore e si diede della sciocca, l'agitazione però non calò e lei cercò di concentrarsi sul dolore che percepiva ad ogni stretta del ragazzo.

« Credo sia lussata. Non puoi camminarci. »

Lei lo guardò chiedendo in silenzio come risolvere la situazione e sbarrò gli occhi vedendogli porgere la schiena.

« N-no, davvero! Non è necessario, ce la faccio! »

« Non puoi posare il peso sulla caviglia – le rimbeccò severo – rischi solo di peggiorarla. »

« No, ce la faccio. »

Lui si rimise in piedi e la fissò storto. Lo sguardo fermo non era intenzionato ad accettare capricci e Retasu sapeva benissimo che non era il caso di creare problemi, eppure restò immobile con espressione impacciata.

« Come vuoi. »

Prima di poter reagire in qualunque modo Retasu avvertì un braccio passarle dietro la schiena e uno sotto le ginocchia e il ragazzo la sollevò di peso, riprendendo a camminare assolutamente tranquillo. La verde fece molta fatica ad articolare una protesta, tartagliando piccoli monosillabi afoni.

« Asp…! Pai-s…! »

« Per quanto mi riguarda non ho intenzione di rallentare – spiegò distaccato – e tu non puoi camminare. Ergo, se non sei intenzionata a fare le cose sensate, mi vedo costretto a costringerti. »

Retasu lo fissava ad occhi sgranati, sconvolta dalla sua calma quando a lei stava per prendere un colpo.

« O-o-ok! Va bene, ok! Però ora fammi scendere! »

Mentre lo disse il ragazzo si fermò e lei lo udì chiaramente mandare un sospiro di sorpresa: socchiuse un occhio e scorse la propria mano che riluceva lieve d'azzurro.

« MewAqua…! »

Il bagliore svanì così com'era comparso. Pai mise Retasu a terra e si guardò attorno: spostandosi erano usciti un poco dalla vegetazione più fitta e poteva intravedere la forma di montagne non troppo alte dove la foresta si diradava; in lontananza, una sagoma scura si stagliava controsole, una sorta di torre di poco più alta delle chiome degli alberi. Nessun segno della Goccia.

« Hai capito dove si trovava? »

Retasu fece un cenno di diniego:

« È stato troppo rapido. »

Lui sospirò e annuì, come a dire di non preoccuparsi, e tornò a guardare l'edificio lontano:

« Che la Goccia sia o no lassù, quello è un buon punto di osservazione. Non credo di arrivarci per la notte, ma entro domattina ce la potremmo fare. »

Retasu annuì; seguì obbediente le sue istruzioni per farsi portare in spalla e ringraziò che al puntiglioso ragazzo non fosse venuto in mente di chiederle cosa avesse fatto reagire il suo corpo per individuare la MewAqua.

 

 

***

 

 

Ichigo

Ichigo.

 

"… Questa voce…"

 

La rossa socchiuse gli occhi e l'ombra comparve dal baluginio circostante, sorridendole.

Ormai la sua forma era definita e lei faceva meno fatica a riconoscerla.

Deglutì forte.

 

"Perché sei qui?"

 

Come perchè?

Ti ho aiutato finora, e voglio continuare a farlo.

 

"Ma perché sei qui?

Perché esisti ancora?!

Tu… Tu sei scomparso!"

 

L'ombra sorrise triste.

 

Doveva essere il mio destino.

Ichigo, lo so che non vuoi che lo dica… Ma ascoltami!

Qui il tempo è diverso.

Una dimensione lontana, nello spazio e nel tempo.

Essa è qui da molto tempo…

 

"Essa? Cosa? La Goccia?"

 

Non cercare in ciò che è, ma in ciò che è stato.

Trova la torre.

 

"Cosa sono, il principe di Raperonzolo?!

E non parlare per enigmi, lo detesto!"

 

L'ombra rise. Ichigo sentì che la risata era più calda dell'ultima volta, più forte.

Più viva.

 

"… Ma cosa sei tu?

E perché dovrei ascoltarti, se sei…"

 

Hai dimenticato c'ho che ti ho detto?

Io non sono Lui.

So che le mie parole ti suonano lontane… Ma devo proteggerti.

Se parlassi chiaramente, mi scoprirebbero.

Ichigo, ti prego… Ascolta queste ultime mie parole, e saprai che non ti farò del male.

Trova la torre. Segui il fiume, l'acqua è figlia del Dono.

E non temere di essere sola.

La Bestia ti proteggerà

 

"Oh, ti prego, sii più chiaro! Non ho capito nulla!"

 

Ma mentre parlava l'ombra stava già diventando lontana…

Sempre più lontana…

 

 

 

 

« Ichigo… Ichigo svegliati! »

La rossa scacciò pigramente la cosa che le stuzzicava la spalla, era ancora troppo presto per svegliarsi…

« Ichigo! »

Si sorprese capendo che a stringerla era una mano, così come si sorprese si sentire duro sotto di sé e non il morbido del suo materasso.

« Ichigo! Thank God…! »

Con delicatezza Ryou le accarezzò la testa dove un piccolo rivolo di sangue aveva impastato i bei capelli color fiamma:

« Temevo avessi battuto la testa con troppa forza…! »

« Shirogane… »

Come un fulmine a ciel sereno ad Ichigo tornò in mente l'incidente delle navicelle e la sua terribile caduta e d'impulso si aggrappò al braccio dell'americano, pallida come un fantasma:

« Oh mio…! Cos'è…? Cos'è successo? »

Lui scosse la testa e si voltò: alle sue spalle un lungo percorso si apriva fra le frasche e gli alberi che erano stati schiacciati come un prato estivo da un'auto.

« La nostra navetta (o meglio, quel che ne restava) per fortuna ci ha mancati, quando ci ha gentilmente portato a terra ore fa. Sei rimasta priva di conoscenza da allora. »

« E gli altri? »

« Ci sono solo io. – ammise preoccupato – Durante lo schianto una gamba mi è rimasta incastrata tra i sedili… Non so per quale miracolo sono riuscito a liberarla e a saltare via prima dell'atterraggio. »

Ichigo lo studiò dalla testa ai piedi, aveva lividi un po' dappertutto e una bella collezione di graffi, se si escludeva la gamba destra che appariva rossa e gonfia da dietro gli strappi nei jeans; il viso era cereo e affaticato, ma nulla poteva competere con l'aria di enorme sollievo che gli stava attraversando lo sguardo.

Ichigo distolse gli occhi dai suoi, arrossendo, e tentò di rimettersi in piedi ottenendo solo di doversi far sorreggere dal ragazzo.

« Ti gira la testa? »

Lei annuì con un mugolio:

« Ho una sete terribile… »

« Sono ore che sei qui stesa e ci sarà l'ottanta per cento di umidità, senza contare il caldo. Sei disidratata. »

La aiutò a raddrizzarsi piano:

« Dalla direzione in cui la navicella è scomparsa mi pare si sentire un rumore d'acqua. Probabilmente c'è un lago, o un fiume. »

Nella speranza di rinfrescarsi e recuperare le forze i due ragazzi si incamminarono lentamente sul sentiero spianato dalla mezza carena della nave. Ichigo si lasciava guidare docilmente da Ryou tenendo la mano sul suo braccio, ancora insicura sulle gambe e non aiutata dalle condizioni del terreno, schiacciato e bucherellato dalla lamiera in picchiata e reso scivoloso dalle foglie triturate.

« Shirogane… Aspetta! I trasmettitori…! »

Lui fece un cenno di diniego:

« Ho perso il mio quando siamo precipitati. E il tuo, beh… Diciamo che grazie all'astronave ormai è ridotto ad una polpetta. »

La rossa si morse il labbro e continuò a camminare incerta dietro al biondo. Lei era lenta e lui stanco e le parve avessero impiegato ore solo per lasciarsi alle spalle lo spiazzo da cui erano partiti; fu costretta a fermarsi per un altro capogiro e s'intimò di considerare la stretta alla sua mano del ragazzo solo un gesto di sincera preoccupazione per un'amica.

« Ce la fai? Vuoi fermarti? »

Lei scosse la testa e poco mancò che vomitasse.

« Possiamo fermarsi un momento. C'è ancora luce. »

E con garbo la costrinse a sedersi sull'erba schiacciata; Ichigo eseguì rassegnata, sebbene quei brevi istanti ferma furono una ventata d'aria fresca per il suo malessere.

« … Gli altri staranno bene, vero? »

Ryou la guardò con la solita espressione pacata:

« Tu sei caduta da quaranta metri e stai ancora in piedi. Non credo che gli altri avranno avuto problemi. »

Il suo tono era canzonatorio come sempre, ma lei riuscì ad intravedere un sorriso sulle sue labbra e ricambiò con una smorfia da finta arrabbiata:

« Sei sempre antipatico, sa- »

Un ruggito rauco rimbombò a brevissima distanza da loro, così cupo da gelare il sangue; gli uccelli che iniziavano a radunarsi nelle fronde più alte scapparono via cinguettando e il senso felino di Ichigo diede un urlo talmente forte da farla balzare in piedi e scatenare un altro attacco di nausea.

« … Ti scongiuro Shirogane, dimmi che non era vicino. »

Pregò che lui le dicesse che era pazza, che le sue orecchie funzionavano male o che altro, ma il ragazzo tacque con il volto teso. Ichigo prese un respiro tremante e cercò il proprio ciondolo dandosi al contempo della sciocca: sapeva  che in un simile stato non sarebbe mai riuscita a mantenere la trasformazione.

Ryou intanto fissava un cespuglio a cinque metri di distanza, retrocedendo lentamente e mettendosi fra il fruscio che veniva dalle foglie e la rossa; Ichigo arrancò goffa all'indietro e cacciò un urletto cadendo quando con la caviglia incappò in una radice sporgente.

Il cespuglio frusciò più bruscamente e una massa pelosa sbucò fuori piano ringhiando: aveva la struttura di una iena, col torace curvo e il muso quadrato, le zampe invece erano grosse e dotate di dita lunghe e callose; il pelo irsuto e cortissimo era del colore dell'erba secca, i denti neri e lucenti, gli occhi arancio veleno. Ichigo squittì di terrore e l'animale mosse su e giù le spalle ruggendo, pronto a balzare.

« Stai indietro. »

La rossa sgranò gli occhi verso Ryou, che la spinse ancora via e mosse un passo verso l'animale:

« Che vuoi fare…? »

La creatura incassò la testa indietro e scoprì i denti minacciando l'imminente attacco che avrebbe scagliato sul ragazzo, se lui avesse mosso un altro passo; Ryou avanzò ancora e la bestia scoprì meglio le gengive, mostrando un grugno spaventoso.

« S-Shirogane…?! »

Doveva essere impazzito per il caldo. O aver battuto la testa precipitando.

« Stai ferma, Ichigo. »

« A-aspetta! Che vuoi…?! »

L'animale scattò e Ichigo gridò spaventata mentre restava accecata da un'improvvisa luce bianca.

« Stavolta sarò io a proteggerti. »

 

 

***

 

 

Kisshu teneva la testa appoggiata al ramo basso del tronco contro cui era seduto, riversa indietro a scrutare il cielo che si scuriva poco a poco: era difficile calcolare il tempo in quel luogo sconosciuto, la luce, gli odori, perfino i rumori suonavano familiari e malgrado ciò estranei, e l'intontimento che accompagnava i ricordi di poco prima precipitasse non erano un aiuto per capire quante ore fossero trascorse da allora.

Risollevò il mento e guardò distratto Purin e Taruto intenti a cogliere dei frutti da un albero poco lontano, attorniati da piccoli uccelli simili a pappagallini e qualche strano topolino che banchettavano, incuranti della loro vicinanza; c'era da domandarsi da quanto tempo non incontrassero esseri umani o loro simili, o se mai ne avessero visto uno.

Sbuffò irritato, i due ragazzini gli avevano intimato di restarsene tranquillo per via delle ferite, ma era frustrante non potersi muovere in una tale situazione.

Ichigo… Starai bene?

Ricordava vagamente di aver visto la ragazza cadere poco prima che la navicella esplodesse, ma tutto era così confuso da non poterne avere la certezza.

Si trovavano molto in alto… Se fosse successo sul serio… Cercò di non pensarci.

Si massaggiò il collo dolorante e nella piccola radura che avevano designato come base riapparve Minto. Spossata e con l'aria torva reggeva tra le mani un contorto ammasso di lamiere e pezzi di navetta che avevano raccattato in giro e, come autentici sopravvissuti, avevano incastrato per creare un surrogato di secchio con cui procurarsi un po' d'acqua; la mewbird doveva averne trovato, perché arrancava con secchio rimediato tra le mani, e sembrava pesasse molto.

Kisshu si alzò e provò a sorridere allungando la mano per aiutarla, ma Minto si ritrasse fulminandolo da capo a piedi:

« Ce la faccio. »

La guardò imbambolato trascinare il suo fardello in un punto riparato e sedersi dandogli le spalle e digrignò i denti.

Credeva che l'unico suo pensiero fosse riprendere il minimo di forze per andare a cercare Ichigo. In quel momento, lo surclassava la volontà di trovare un metodo silenzioso per uccidere Minto.

 

 

***

 

 

Ichigo rimaneva seduta a terra, immobile, fissando scioccata la creatura comparsa come scudo tra lei e la iena deforme. Aveva la forma di enorme felino, delle dimensioni di una tigre, con una lunga coda da gatto, la testa rotonda e spalle larghe e arcuate; il pelo folto era di un bel grigio bianco, più fitto sulla cima della schiena e sulle zampe, grosse quanto la testa di Ichigo, intente a raschiare minacciose il terreno con le unghie.

Il felino ringhiò verso la iena che si appiattì sul terreno, la coda tra le zampe, ma quest'ultima non retrocedette e latrò in risposta iniziando a studiare il nemico mentre tentava di raggiungere la preda.

Ichigo tartagliò poche lettere confuse, incapace di convincersi di quanto stava accadendo.

Ryou non aveva mai avuto capacità di trasformarsi in altro che in gatto perché il suo DNA non era compatibile con quello modificato del proget m. Non aveva certo superpoteri e, anche se ogni tanto la stessa rossa ne dubitava, era sicuramente umano.

Allora perché si era trasformato  in una sorta di pantera argentea?

« … Ryou?… »

Il felino voltò un poco la testa e fissò gli occhi verde acqua in quelli nocciola di lei emettendo un basso latrato di gola.

Appena si rigirò l'altro animale scattò contro di lui e Ryou lo imitò. Le due bestie ringhiavano e ululavano forte, dimenando artigli e colpendo senza esitazione ogni punto scoperto dell'avversario tentando di metterlo al tappeto; la stazza avvantaggiava  il felino, che più di una volta fu pronto a far soccombere l'altra bestia, ma questa era più veloce e ogni volta scivolava via all'ultimo, non risparmiando all'altro lo schiocco dei denti che mancavano di poco il suo orecchio. All'improvviso la iena sgusciò su un masso usandolo come trampolino e riuscì a raggiungere la schiena di Ryou: con un lampo gli fu addosso e reggendosi saldamente con tre degli arti, con l'altra zampa e i denti prese a dilaniare le spalle del nemico. Ichigo tremò allo straziante uggiolio del felino e lo vide rotolarsi a terra tentando di liberarsi della creatura artigliata alla sua schiena.

« Ryou! »

Il felino sbattè ancora contro il terreno, ma la iena rimase ancora a torturarlo; frastornato e sofferente Ryou si rimise sulle zampe e caricò con tutta la sua forza addosso ad un tronco, frapponendo tra sé e il legno l'altro animale. Un uggiolio stridulo ed entrambe le creature si ribaltarono a terra. Ryou si rialzò, scosse forte la testa per snebbiare lo sguardo e cercò la iena, riversa gemente su un fianco, e scattò azzannandola dietro al collo: l'animale guaì, schiacciato a terra, e solo dopo lunghi strazianti minuti Ryou aprì le fauci il minimo che permisero alla iena di fuggire piangendo.

Il felino rimase fermo, il fiato pesante, controllando che la creatura avesse effettivamente abbandonato il tentativo di procurarsi la cena, e si girò lentamente verso Ichigo.  Lei era ancora scioccata e teneva gli occhi fissi su di lui. Le si avvicinò, lentamente, e lei allungò un minimo la mano per posargliela sul muso appena le fu abbastanza vicino: l'animale aveva il respiro pesante e teneva la bocca semiaperta, spossato; brutte chiazze di terra e rosso macchiavano il suo manto perfetto e in certi punti il pelo era stato strappato via, rivelando tagli frastagliati sulla carne.

Ichigo si morse il labbro avvertendo un groppo serrarle la gola:

« Ma cosa ti è saltato in mente…?! »

Il felino ruggì basso e alle orecchie di lei risuonò un fievole sto bene.

« Come… Come hai fatto?! Perché… –  ritrasse la mano alla domanda e si alzò di scatto – No, non voglio saperlo! Solo… Come ci sei riuscito? »

Ryou ruggì ancora, ma lei scosse la testa senza capire.

« Non… Non è che ora non puoi più tornare indietro, vero? »

L'animale rimase immobile ed Ichigo trattenne il fiato rabbrividendo; dopo qualche istante, però, la sagoma felina sfavillò di bianco e inginocchiato di fronte a lei ricomparve Ryou che si lasciò andare ad una bassa imprecazione in inglese, sbuffando:

« Non è semplice come lo fate apparire voi cambiando look così a lampo… »

« Sei un idiota, Shirogane! Mi farai morire d'infarto…! »

Ichigo fu tentata di gettargli le braccia al collo. Si trattenne. Cercò di non allarmarsi per le ferite che, dal corpo felino, erano passate a quello umano di lui e si intravedevano nette sotto ciò che restava della sua povera maglietta maciullata.

Aprì le labbra e fu interrotta da un piccolo lampo tra gli alberi.

« Il sole è quasi tramontato… »

Ryou si alzò stringendo i denti e prese con gentilezza il polso della ragazza, tirandola lungo il sentiero formato dalla navetta. Non ascoltò né le domande di lei su quanto accaduto né le sue lagnanze sulle sue ferite, ed entrambi proseguirono un'altra decina di minuti mentre un rombo profondo diventava sempre più forte, finchè finalmente non si trovarono su una sponda contro cui curvava un ampio fiume tranquillo; il pezzo di astronave che aveva spianato loro la strada si era arenata contro un grosso tronco spezzandolo a metà, mostrando ai due ragazzi il lato completamente squarciato da cui si intravedevano un paio di sedili superstiti e il quadro comandi distrutto.

Ichigo corse alla sponda lieta di potersi finalmente dissetare, ma Ryou la fermò:

« Non sappiamo se sia potabile. »

Lei lo guardò interrogativa, chiedendosi come potevano capirlo, e dall'altra parte del fiume scorse un uccellino color oro sporgersi sulla corrente e infilare il beccuccio nell'acqua calma. I due ragazzi si guardarono e in simultanea allungarono visi e mani verso la superficie lucente.

Ad Ichigo parve di rinascere, dopo il caldo appiccicoso della foresta l'acqua era fresca e deliziosa, un rimedio che si diffondeva nelle membra rinvigorendola totalmente. Alzò la testa per riprendere fiato dal bere ininterrotto e si voltò distratta verso Ryou, spalancando gli occhi:

« La tua mano…! »

Il biondo si scrutò confuso la mano sinistra con cui si stava aiutando a bere: lo sgraziato taglio sul palmo che si era procurato sul metallo distrutto della navicella, tentando di sostenere Ichigo, riluceva appena guarendo in pochi secondi.

« What the fuck?! »

I due guardarono attoniti la mano tornare liscia e Ichigo si chiuse le mani sul viso.

 

Segui il fiume, l'acqua è figlia del Dono.

 

« Non ci credo… »

Ichigo si controllò il viso e si accorse che anche i piccoli tagli che aveva lei erano scomparsi.

« MewAqua…! »

« In un fiume? »

Lei si agitò e lo zittì, guardandosi attorno frenetica:

« No, non è qui…! Ma il fiume…! Sì, c'entra col fiume, ma non è qui! Ne sono sicura! »

« Non è che siate mai state troppo affidabili nell'individuare il cristallo… »

Lei lo fulminò offesa e Ryou soffiò stanco:

« Ora non ha importanza… È quasi buio e io sono esausto. »

Si alzò e si allontanò un poco verso il limitare più fitto del bosco:

« In ogni caso, quell'acqua sembra guarire tutte le ferite. Visto il volo che ti sei fatta, fatti un bel bagno. »

Ichigo lo studiò poco convinta:

« Tu hai appena lottato contro una iena formato extralarge. »

Lui non rispose e si mise a raccogliere legna per fare un po' di fuoco, mentre la sera scendeva del tutto su di loro.

 

 

***

 

 

Pai si fermò scrutando preoccupato il cielo oltre il fogliame, passato dal pervinca ad un indaco scuro e puntellato da lucine di un vellutato blu.

Saranno stelle…? O satelliti?

Qualunque cosa fossero il loro chiarore era debole e non avrebbe illuminato abbastanza il cammino una volta tramontato del tutto il sole. Dovevano trovare un posto per fermarsi, sperando che l'alba non attendesse troppo a sorgere.

« Pai-san, sei stanco? »

Lui alzò appena la testa verso la ragazza rannicchiata oltre le sue spalle e che se ne stava quietamente immobile, quasi respirando a malapena, per non dargli troppo peso.

« Ce la faccio. »

Retasu sorrise timida e annuì in silenzio. A dispetto delle apparenze, Pai non era granchè bravo a mentire perché non le era sfuggito il pallore sulle guance, né il sudore sulla fronte; la verde non era un barile, ma neppure un peso piuma data anche la sua discreta altezza, e lui non solo aveva ancora il braccio colpitogli da Lindèvi in fase di guarigione, ma stava camminando da parecchio senza fermarsi e senza bere o mangiare, che accusasse la stanchezza era inevitabile.

Sapendo bene che domandare ancora sulla sua salute non sarebbe servito, la ragazza tornò ad accovacciarsi dietro. Si rese conto sovrappensiero che col palmo poggiato sulla schiena di lui, nel silenzio, sentiva perfettamente il suo respiro e il battito veloce del cuore, ambedue molto più regolari di quanto pensasse considerando lo sforzo.

È un soldato in fondo… Chissà quanto si è allenato…

Il suono le lasciava sensazioni contrastanti, scoraggiandola per essere di peso al giovane e, al contempo, rilassandola; l'idea la imbarazzava e ringraziò che Pai fosse voltato dalla parte opposta al suo viso, ma continuò ad ascoltare quieta socchiudendo gli occhi.

« Retasu. »

Lei sobbalzò rischiando di cadere all'indietro. Il ragazzo fissava il costone alla loro sinistra in cui, ben visibili nella luce sempre più fioca, erano scolpiti dei gradini: non si trattava di una casualità naturale poiché erano troppo precisi e netti, qualcuno li aveva lasciati nella terra con strumenti di legno o forse metallici.

Pai si sistemò meglio Retasu sulla schiena e s'incamminò lungo la scalinata, unica cosa che li collegava alla misteriosa torre vista nel pomeriggio.

Procedettero ancora a lungo e quando intravidero la curva del crinale, la notte era scesa del tutto.

« Alla buon'ora. Vi cercavamo da un pezzo. »

Erano ormai quasi in cima quando due ombre apparvero sulla cresta dei gradini; nell'intravedere la figura snella di Zakuro e il sorriso di Eyner, Retasu si sciolse in un sorriso di sollievo:

« State bene…! »

Il bruno ondeggiò la testa di lato quasi a dire più o meno e sorrise stanco, aiutando l'amico a terminare la salita.

« Il tuo trasmettitore funziona, allora. »

« Solo la modalità di ricerca, la ricezione vocale è fuori uso. »

Il ragazzo dagli occhi scuri fece un cenno, preoccupato.

« Anche tu non riesci a volare? »

« Neppure a teletrasportarmi. »

Replicò laconico Pai ed Eyner soffiò tra i denti:

« È un guaio. Gli altri sono ancora lontani… »

« Per il momento dobbiamo trovare un riparo. – intervenne Zakuro – È troppo buio, siamo tutti stanchi e malconci. »

Il ragazzo fece un sorriso sghembo per mascherare una smorfia di dolore e si premette con più forza la mano sul fianco.

« Eyner-san, ma perdi sangue…! »

Lui tentò di sminuire, ma prima che aprisse bocca Pai gli lanciò un'occhiataccia e si guardò attorno ansioso:

« Voi avete visto una grande torre, in quella direzione? »

« No… Ma c'erano dei resti di edifici, e sono diventati più frequenti mentre venivamo da questa parte. »

Il ragazzo annuì a Zakuro e attraversò velocemente lo spazio privo di alberi in cui si trovavano, cercando attorno qualsiasi cosa potesse ripararli per la notte.

 

 

 

 

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~

 

Sì, lo so, sn una maledetta a lasciare sempre tutto sul più bello! Perdono! xP

Ichigo: ma se non sei pentita per niente -.-""…

^^+

Come vi sembra? Non sono andata troppo svelta vero? È sempre un casino gestire tutti i personaggi contemporaneamente @_@""! che faticaccia! Allora, l'idea di questo cap è venuta un po' dai vostri suggerimenti (ve lo ricordate il sondaggione ;P?) e un po' dal mio collega/sceneggiatore che ho fatto il MADORNALE  errore (?) di coinvolgere -.-""…

~ : FLASHBACK : ~

Ria: uffa, non so come dividere questi capitoli! Non mi quaglia la storia! [<- lamento delle ultime 6 ore]

K.i.S.: … e se fai così cosà, poi hai il tempo per questo e questo e così torni a quest'altro? E nel mezzo puoi mettere coso, cosino e cosetto e succedere quello e quell'altro. [<- tutto in 5 minuti]

Ria: … solo perché sono idee buonissime non ti dirò che ti odio perché sei troppo bravo -.ç*!

~ : : : : ~

Sto fremendo all'idea del prossimo cap! *evilgrin* … >w< quanto mi divertirò!!!

Tutti: aiuto °_°""…!

K.i.S.: mettici due scene zozze eh.

Tu stai buono -.-"! (tranquillo se riesco lo farò ^^+)

PG: CHE °_°""?!

Ringrazio da morire x3 Hypnotic Poison, Amuchan, mobo, Danya, zakuro-san e Pepper_Jean Ci vediamo tra un paio di settimane :D! (pregando che l'ispirazione mi colga per finire le bozze ç_ç)

 

 

 

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Capitolo 16
*** Toward the crossing: third road (part II) ***


Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: 
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Farai felice milioni di scrittori. 

 

 

 

 

Sono terrorizzata a postare questo capitolo ^^""!

Kisshu: e perché?

Perché le fan di RyouxIchigo prima vorranno saltarmi addosso… Poi vorranno sgozzarmi ^^""! E temo anche le tue…

Kisshu: che?! Ohi che mi combini?! Non osare eh?! Io non ho ancora fatto la mia mossa!!

*Pai lo imbavaglia e lo sbatte in uno sgabuzzino*

Grazie caro ^w^

Pai: …

Vi lascio alla lettura, intanto vado a rinnovarmi l'assicurazione sugli infortuni ^^""…

 

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Cap. 16 – Toward the crossing: third road (part II)

                 Whisper in the rainforest

 

 

 

 

 

Ichigo tornò a voltarsi verso la sponda del fiume, dove un bel fuocherello scoppiettante proiettava ombre lunghe e tremule sul metallo distrutto della navetta e faceva apparire la schiena di Ryou, curva verso le fiamme, scura e più grande del solito; ciò che restava della gilet nero del ragazzo – un mucchietto di mozziconi di stoffa sbrindellati – era stato usato per accendere il falò, e anche nel buio denso della foresta la mewneko distingueva il tono ambrato della sua pelle nuda.

La rossa guardò un momento il cielo sopra di lei, dove piccoli puntini bluastri gettavano a malapena una penombra azzurra su ciò che stava sotto di loro. Si strinse le mani al petto e riaffondò nei flutti del fiume; gli occhi scuri, che spuntavano appena sopra la superficie dell'acqua, saettarono verso l'albero su cui aveva steso i vestiti ad asciugare dopo aver lavato un minimo il fango e la polvere, poi tornò a fissare guardinga Ryou, sempre immobile a darle le spalle come nella mezz'ora precedente.

Non avrebbe voluto farsi il bagno con Ryou a due metri di distanza – e soprattutto, non da nuda! – ma il ragazzo le aveva imposto di curarsi le ferite e lei aveva dovuto obbedire per evitare che la gettasse nel fiume completamente vestita. Non aveva smesso di controllare che l'algido americano non si lasciasse prendere da istinti maschili, che fossero pure solo sbirciare da oltre la spalla, ma lui aveva diligentemente preparato il bivacco, ricavato una sorta di cuccetta coi sedili per la notte e si era seduto a scaldarsi, senza mai dare adito a trovare interesse per lei.

Se solo avesse saputo con quanto sforzo Ryou si stava concentrando sul fuoco pur di scacciare dalla sua testa il pensiero di lei intenta a fare il bagno, si sarebbe dovuta ricredere. Oltre a chiedere al biondo di partecipare ad un torneo di poker: la sua imperscrutabilità gli avrebbe fatti sbancare.

Ichigo sospirò ancora e, sempre immersa fino al mento, si frizionò le braccia e strinse i denti. Come l'ombra le aveva detto in sogno nel fiume la MewAqua non c'era, eppure doveva esserne in contatto perché ne rilasciava gli influssi: la guarigione era lenta sulle ferite più profonde, mentre i tagli e le abrasioni più piccole si sanavano quasi all'istante con un lieve bruciore.

Stando attenta a non uscire dall'acqua la rossa cercò di massaggiarsi le gambe e il suo stomaco rombò sonoramente:

« Cavolo, che fame…! »

Stranamente Ryou non rispose subito. Ichigo lo guardò oscillare la testa e poi borbottare:

« Quando hai finito mangerai. Ho trovato qualche frutto, dovrai accontentarti. »

Lei asserì con un piccolo grugnito e continuò a studiarlo dubbiosa: la voce del ragazzo era sottile e impastata, ma non come chi era stanco o annoiato; lo guardò ancora ondeggiare con la testa e presto si accorse che il suo respiro era irregolare, breve e basso.

« Shirogane? »

« Che c'è? »

« Dovrei chiedertelo io. – puntualizzò un po' preoccupata, avvicinandosi alla sponda – Hai qualcosa che non va. »

Ryou fece istintivamente per voltarsi e tornò subito sui suoi passi, sbuffando:

« A parte essere sperduto in una dimensione sconosciuta ed essere stato quasi mangiato da una iena, direi che sto una favola. »

Ichigo emise un rantolo di mal sopportazione e, affondando sotto il limite della riva in modo che spuntasse solo la testa, sbottò perentoria:

« Fammi vedere la faccia! »

Lui obbedì seppur con indolenza e Ichigo iniziò a spaventarsi, ma quando il biondo si fu girato capì di aver davvero paura: pure da quella distanza poteva scorgere la fatica sul suo volto e il sudore che gli imperlava la fronte.

« E allora, dottoressa? »

« Fai meno lo spiritoso! »

Controllò a disagio di essere perfettamente mimetizzata dietro il terreno e allungò fuori dall'acqua il braccio, facendogli segno di avvicinarsi:

« Guai a te se sbirci! »

« Come se avessi qualcosa da far vedere, Momomiya… »

« Cafone! »

Lui tentò di ridere emettendo solo un rauco respiro affannoso e si inginocchiò ad occhi chiusi vicino alla rossa, solo quel che bastava perché lei posasse due dita sulla sua faccia.

« Ma tu scotti! »

Da vicino vide bene le ferite di Ryou inferte dalla iena e trattenne il fiato: i tagli erano piagati e scuri d'infezioni come ferite non curate vecchie di settimane, le parve addirittura di sentire un leggero odore di putrescenza.

« Com'è possibile che siano ridotte così…?! »

Ryou, lo sguardo chiaro un po' annebbiato, si studiò i tagli e ne toccò uno vicino alla spalla. Premette e soffocò un gemito mentre dal taglio usciva un nauseante rivolo di sostanza violacea:

« Quella bestia schifosa… Doveva avere artigli avvelenati… »

Dondolò per la terza volta pericolosamente il capo per poco non cadde a terra. Ichigo fu abbastanza pronta da allungare anche l'altro braccio e lasciarlo appoggiare con il torace ai suoi palmi, prima di esclamare turbata e decisa:

« Trasformati… Trasformati subito! »

Da sotto le palpebre semichiuse, Ryou non la dispensò di una silenziosa occhiataccia alla ricerca di una nota di follia:

« Come? »

« Devi subito entrare in acqua! Non ho tempo di darti il cambio e non ti lascio certo entrare con me così! »

« Ichigo… »

« Veloce! »

Lui la guardò a fatica, sempre meno lucido, ma obbedì di nuovo troppo intontito per reclamare.

« Forza! »

Il corpo del ragazzo brillò un istante e il grosso felino dal manto grigio comparve al suo posto. Ichigo lo guidò paziente finchè tutto l'enorme corpo non fu immerso nel fiume  e il muso appoggiato alla riva; attese di vedere le ferite suppurare la tossina e guarire, ma il risanamento era troppo lento rispetto agli effetti del veleno e l'animale respirava con sempre maggior difficoltà.

La rossa deglutì con forza e affondò le dita candide nel manto umido e nodoso della pantera cercando i tagli e rabbrividendo alla sensazione morbida e vischiosa delle piaghe. Con il cuore pesante iniziò a ripulire delicatamente i tagli, lasciando che l'effetto benefico dell'acqua entrasse più rapido nel corpo del ragazzo: passarono i minuti, ma Ryou continuava a respirare pesantemente e non apriva gli occhi, accovacciato sul fondo basso e con il muso semiaperto tra l'erba.

« Accidenti…! Ma perché non ti sei trasformato in Art?! – proruppe lei pregando in una reazione – Così sei enorme! »

Ryou restò immobile mandando un rantolo basso e Ichigo avvertì il torace sprofondarle dall'ansia. Cercò di accelerare e di raggiungere l'altro lato del felino senza girargli attorno, stendendosi completamente sulla sua schiena, e frugò ogni anfratto del pelame folto ricercando ogni più piccolo graffio.

« Questo è tutto perché hai voluto fare l'eroe, razza di stupido! – sussurrò tremula – Guai a te se mi abbandoni in un posto simile, chiaro?! »

Insisté gettandogli fiotti d'acqua addosso finchè il manto dell'animale non fu zuppo, pulendo e massaggiando, e poco a poco lo udì respirare con più calma; sospirò di sollievo e proseguì diligente nelle cure, incurante che Ryou stesse recuperando anche lucidità e, ben presto, avrebbe finito per restare ancora senza fiato.

Il felino ruggì piano, ma Ichigo non badò alla cosa e non si sforzò di capire le sue parole. Ryou ripetè, senza successo, la mente che si snebbiava troppo velocemente per permettergli di razionalizzare quanto stesse accadendo.

Seppur con l'aspetto di un felino quel corpo, su cui Ichigo stava passando con dolcezza le mani e contro cui premeva senza remore le forme, era il suo. Era il suo corpo che avvertiva il calore della ragazza, la sua fragranza così forte ora che i vestiti non c'erano mentre si agitava preoccupa per lui.

« … Ichigo ora basta. »

Lei continuò a non ascoltarlo, o forse fu disattenta e non interpretò il miagolio profondo che lui emise; Ryou sgranchì gli artigli della zampa e incise il fondo sabbioso come ad imporsi il controllo.

« Me la cavo da solo. »

« Oh, insomma! Per una volta non fare tanto l'orgoglioso! – sbottò lei, prendendo a medicare le sue spalle – Sta funzionando. Ancora qualche minuto e potrai tornare a fare lo spocchioso, pazienta. »

Ryou ringhiò roco e mosse il testone esasperato.

« Ichigo… »

« Ho quasi finito! »

Scoppiò seccata e tornò ad allungare il braccio lungo la sua spina dorsale finendo quasi per abbracciarlo. Per Ryou fu troppo.

Ci fu un lampo e, senza capire, Ichigo si ritrovò cinta da due forti braccia e vide alcuni ciuffi dorati solleticarle il naso, intanto che un paio di labbra le sfioravano appena la spalla.

Il silenzio che piombò attorno, cullato dallo sciabordio sordo del fiume, divenne così denso e fermo da poterlo percepire sulla pelle e fu difficile captare il mormorio roco di lui:

« Ti avevo detto basta… »

Ryou si chiese come avesse potuto resistere fino a quel momento; il veleno era ancora in circolo e gli intorpidiva la ragione e il corpo, eppure ogni suo nervo vibrava vigile come mai prima.

Non riusciva a parlare, intento com'era a respirare a pieni polmoni l'odore di Ichigo, la meravigliosa essenza della sua pelle che mai avrebbe immaginato più inebriante del suo consueto profumo. Strinse la presa sulla sua schiena, le braccia che tremavano talmente erano tese, e accarezzò con dita decise tutta la curva sensuale dalle fossette di Venere fino alle scapole. Avvertì con un brivido di piacere la pelle fredda e umida d'acqua di Ichigo scaldarsi sul viso affondato sulla sua clavicola, e il seno rotondo e perfetto che premeva sul suo torace:  trattenere il sospiro tremulo che parve volergli esplodere nel petto fu uno sforzo immane.

Ichigo non si mosse. Non tremò, non provò a liberarsi, non esternò neppure agitazione. Non riusciva a pensare a nulla, inerme nell'abbraccio del ragazzo. Poteva sentire unicamente il proprio respiro spezzarsi e il cuore rimbombare contro il petto di Ryou, una delle sue mani che le cingeva la vita posandosi su un fianco, dal lato opposto, e l'altra che risaliva la curva della sua silhouette fino alla nuca, affondando tra i capelli fradici. Sussultò avvertendo il fiato del ragazzo salirle lungo il collo fino all'orecchio.

« Ichigo… »

Quasi non sentì le sue parole tanto la sua voce era bassa.

« Sh-Shir… »

Le labbra di Ryou le si posarono morbidamente sulla tempia e lei trasalì ottenendo solo di attaccarsi di più al suo corpo scolpito, aderendovi con una perfezione così insopportabile da causarle un arresto cardiaco. Chiuse gli occhi, la faccia rovente, e scosse la testa in un timido tentativo di respingerlo finendo ad affondare il naso tra i capelli di lui e prendendo una fonda boccata del loro odore.

Doveva allontanarlo; doveva dirgli di lasciarla, ma la voce non le uscì.

La sua mente era vuota.

Aveva l'impressione che sarebbe evaporata tanto il sangue le stava divampando nelle vene.

La pelle di Ryou. Il calore di Ryou. Il respiro di Ryou. Il profumo di Ryou.

Mi esplode la testa…

« Ryou…! »

Bastarono quelle quattro lettere e l'incanto s'infranse di colpo.

Ryou, fino ad un secondo prima così morbidamente cinto alla rossa, divenne rigido come granito, balzò dritto sulla schiena, le afferrò le spalle e l'allontanò di scatto.

Ichigo incrociò solo un secondo i suoi occhi azzurri prima che lui chinasse il capo e se ne uscisse dall'acqua senza più guardarla.

 

 

***

 

 

« Ahi! »

« Scusami. – fece Zakuro alzando la pezza bagnata dalla caviglia di Retasu – Resisti. »

Lei annuì e l'amica finì di fasciarle la caviglia con le bende di fortuna che si era procurata La mora non potè che guardare con un po' di dispiacere i resti della sua maglietta firmata, ma essendo l'unico indumento di cotone tra tutti quelli degli altri, assieme a parte della lunga gonna di Retasu, le era sembrato inevitabile e utile sacrificarlo.

« Ecco fatto. – sospirò sistemandosi la canottiera – Non è il massimo, ma così dovresti riuscire a tenerla ferma e a non farla traballare mentre dormi. »

« Grazie. »

La ragazza sorrise e si risedette, guardandosi attorno con un sospiro.

Avevano dovuto camminare ancora una decina di minuti dopo essersi riuniti con Pai e la mewfocena prima di trovare qualche nuovo segno di mano umana. Alla fine avevano scorto un rozzo edificio, due muri di pietra all'apparenza ricavati direttamente nella roccia, costruiti contro un alto costone muschioso che costituiva la terza parete: la costruzione aveva un buco rettangolare su una delle facciate come finestra, e  il quarto muro era crollato negli anni, lasciando resti morsicati che si aggrappavano disperatamente al resto.

Per lo meno c'è il tetto.

Zakuro battè sovrappensiero il palmo sul pavimento in terra battuta disseminato di pietruzze e qualche ciuffo d'erba: forse come riparo si poteva scegliere di meglio, ma loro erano sfiniti e i muri di pietra con la loro parete rocciosa di fondo erano robusti, e garantivano un unico punto da dover sorvegliare per eventuali problemi. Prese l'anfora semidistrutta che avevano rinvenuto nei recessi della casa, una delle poche cose ancora riconoscibili che identificasse l'edificio come abitazione, e bevve un po' d'acqua presa da i resti di un pozzo poco distante: per quanto avesse già bevuto e bevuto, fin quasi a cadere dentro alla cavità nel tentativo di spegnere l'arsura, il suo corpo continuava a reclamare acqua.

Lei e Retasu udirono dei passi e alzarono contemporaneamente la testa; videro Eyner rientrare a passi lenti, chiaramente stremato, e lasciarsi cadere a peso morto contro una delle pareti.

« Tutto a posto Eyner-sa… Eyner? »

Il ragazzo stese un bel sorriso e sbuffò stanco:

« Qui attorno tutto tranquillo. Per quel che mi riguarda posso anche arrendermi e crollare in un mini coma, sono esausto. »

Zakuro si alzò in piedi e lo guardò severa afferrandogli la spalla:

« La tua ferita. »

Lui le allontanò gentilmente la mano:

« Non sanguina più ormai. »

« Zakuro ha ragione. – rincarò Retasu preoccupata – Non va bene lasciarla così, potrebbe infettarsi! »

Il bruno la guardò e sospirò arrendevole:

« Ho capito, farò il bravo… »

Zakuro andò a prendere le bende improvvisate e l'acqua e Retasu si alzò pian piano andando vicino ad Eyner per aiutare.

« Mi prendi in giro? »

La mewwolf guardò scettica lui che si sollevava un lembo della maglia scoprendo appena la ferita. Il bruno alzò gli occhi al cielo e ridacchiò nervoso:

« Non dirai sul serio…! »

Lei fu irremovibile e lui sospirando si sfilò la maglia, trattenendo un lieve gemito di dolore. Retasu scostò un secondo lo sguardo e arrossì e Zakuro la fissò scettica.

« Guarda che è giusta la sua reazione più che la tua. »

Scherzò Eyner, appena deluso dell'espressione come sempre glaciale della mora; Zakuro rise sotto i baffi.

« È… Stato solo istintivo. – bofonchiò Retasu accigliandosi – Non guardarmi così. »

« Ok, ok. »

Continuando a scrutarla divertita la mewwolf bagnò un lembo di benda pulita e studiò la ferita di Eyner: era un taglio largo tre dita e lungo un palmo, sul fianco, all'altezza dell'ombelico, che perdeva ancora un piccolo rivolo di sangue e mostrava la carne viva.

« Ho già controllato, non c'è niente. »

Fece Eyner sibilando tra i denti mentre Zakuro passava le dita vicino alla pelle spaccata:

« Niente di grosso. – chiarì – Ma sembra sporca. »

« Giuro che posso sopravvivere. »

La mora alzò appena lo sguardo su di lui: evidentemente non era molto disposto a farsi stuzzicare la lesione. Impassibile riabbassò la testa, avvicinò la garza al taglio e sfiorò con troppa energia la ferita facendo scattare Eyner dal dolore.

Lei ritirò indietro la mano di scatto e strinse la stoffa seccata:

« Facciamo cambio. »

Retasu la guardò un po' confusa e l'altra insisté:

« Dovrei riuscire a tenerlo fermo. »

« Ehi, io sarei qui… »

Bofonchiò Eyner e lei gli scoccò un'occhiata indecifrabile, forse divertita. Retasu stese un lieve sorriso, prese la benda bagnata dalle mani dell'amica e s'inginocchiò abbassando gli occhi al livello della ferita: con cura estrema passò la pezza nel taglio e prese a ripulirlo, non risparmiando ad Eyner una serie di fitte non troppo tollerabili.

« Scusami…! »

« Niente. »

Lei strinse le labbra e guardò la stoffa:

« Ci sono dei residui… Sembra ferro… »

Incrociò un momento gli occhi grigio-blu di lui e non ebbe bisogno di chiedere, intuendo che a provocare la lacerazione fosse stato un pezzo consistente della navetta partito a mo' di proiettile dalla carena. Il bruno fece un sorriso storto e alzò le spalle:

« Vai tranquilla. Sono robusto, sai? »

Ma Zakuro, che gli cingeva saldamente il torace col braccio perché non si facesse male muovendosi, sentì il sudore freddo che gli colò sul collo e la sua mascella contrarsi.

« Come diavolo ti è passato per la testa di andartene a spasso con una cosa simile? »

Lui si limitò a guardarla da sotto in su con una smorfia e non rispose. Intanto Retasu finì di togliere ogni avanzo di polvere e lamina dalla ferita e prese un pezzo più lungo di benda, fasciando stretto l'addome del ragazzo; quando ebbe finito sia lei che Eyner si rilassarono e Zakuro lo lasciò andare sedendosi.

« Scusami per averti fatto male Eyner-san… »

« Ricominciamo? – scherzò lui e diede un buffetto sulla testa della verde – Ti ho già detto di stare tranquilla. Anzi, grazie. »

Si voltò verso Zakuro:

« Anche a te. »

Lei ricambiò con un cenno.

« Forse ci andrebbero dei punti… –  insisté Retasu pensierosa – Anche se è fasciata io non sono un dottore. »

Lui scosse la testa sorridendo, si battè la mano sul petto come segno di ottima salute e si sedette più comodo cacciando la testa indietro:

« Sinceramente ora l'unica cosa che mi turba è la fame…! »

Sospirò e nella casetta scese un morbido silenzio. L'aria attorno andava raffreddandosi rapidamente e dal caldo soffocante della giornata si arrivò quasi a sentire freddo; gli animali che, nascosti, avevano animato di suoni la foresta si erano azzittiti e solo qualche pigolio risuonava nel buio, accompagnato di quando in quando da un frusciare quieto.

Pai comparve altrettanto silenzioso poco dopo con in braccio una sorta di cestino malconcio recuperato nella casa, colmo di frutta becchettata dagli uccelli:

« Se li hanno mangiati loro, potremo mangiarli anche noi. »

Disse laconico distribuendo la cena. Gli altri, intontiti e stanchi fin quasi a non potersi più muovere, si avventarono sul magro banchetto e Pai mise da parte una piccola scorta per il giorno dopo unendosi poi a loro. Il pasto serale si consumò in fretta e senza troppi sproloqui, quindi il ragazzo si alzò in piedi asciugandosi la fronte madida e si avviò all'uscita:

« Ci conviene fare dei turni di guardia per sicurezza. – fece spiccio – Comincio io. Voi dormite, poi vi sveglio. »

Eyner non fece troppe cerimonie e si abbandonò contro il muro per godersi una bella dormita e Zakuro, lì vicino, raccolse ciò che restava della sua maglia e ci ricavò uno striminzito cuscino per la notte.

« Aspetta Pai-san! »

Il ragazzo, già fuori dall'ingresso, guardò Retasu che saltellava su una gamba sola appoggiandosi alle pareti e gli sorrideva gentile:

« Faccio io il primo turno. »

Lui la squadrò scettico da capo a piedi:

« Dovresti riposare quella caviglia. »

« Zakuro me l'ha medicata – insisté gentile – in fondo si tratta solo di controllare che non ci siano problemi e posso riuscirci. »

Lui continuò a fissarla e lei ricambiò con un sorriso dolce, ma fermo:

« Mi hai portata sulle spalle tutto il giorno… Sei tu che dovresti riposarti. »

Abbassò appena lo sguardo ripensando alla cosa e sentendosi a disagio, per più di un motivo, ma Pai non le rispose di nuovo. Passarono secondi interminabili in cui la verde si sentì scrutare ancora, poi Pai sospirò e con un monosillabico assenso tornò indietro.

 

 

***

 

 

Il falò si era ormai spento e le braci emettevano un impercettibile barlume rossastro nella radura. Kisshu si passò con vigore l'indice sugli occhi impastati di sonno, guardando appena Purin e Taruto che dormivano come sassi: la notte era alta e tutto era silenzioso e fermo, eccetto il lieve rumore di passi in circolo sul limitare dello spiazzo che appartenevano a Minto, intenta nel turno di guardia. Quando la ragazza rientrò dalla perlustrazione e vide Kisshu sveglio s'irrigidì nelle spalle nemmeno avesse preso la scossa e lo guardò storto:

« È presto per il tuo turno. »

« Sono così stanco che faccio fatica a dormire. »

Ghignò lui, ma lei continuò a squadrarlo gelida e furente:

« Allora chiudi gli occhi e fai finta. »

Con rabbia si avvicinò al fuoco, si accovacciò e scosse senza alcun garbo le braci per non far morire le fiamme; Kisshu la fissò per tutto il tempo ad occhi sgranati, spiazzato da tanto astio, e quando lei con un gesto di stizza gli gettò praticamente in grembo il legnetto ormai carbonizzato con cui aveva stuzzicato i tizzoni, scattò in piedi esasperato. A passo marziale la seguì oltre la radura in uno spiazzo poco più piccolo, doppiandola con facilità data la loro differenza di falcata e le si piazzò davanti minaccioso:

« Hai finito? »

Lei lo guardò più fredda che potè, senza nascondere di retrocedere alla sua presenza:

« Finito cosa? »

« Di trattarmi come uno scarafaggio! O qualche altro essere un po' repellente! – sbottò – Si può sapere che cavolo hai contro di me?! »

« Contro di te? Nulla. – replicò aspra – Ma hai la tendenza ad allungare le mani anche sulle donne che non ti interessano, e io non voglio più farmi coinvolgere. »

« Non dirmi che è ancora per quell'inutile bacetto…! »

La fierezza di Minto ruggì ferocemente. Lo fulminò come se pregasse di vederlo cadere stecchito nello stesso istante, gli diede le spalle e cercò di allontanarsi trovandoselo un'altra volta davanti a braccia incrociate.

« Mi dai fastidio. »

« Non me n'ero accorto! – sibilò sarcastico – Sul serio, è per quel bacio?! Stai scherzando?! »

Minto non gradì per nulla la sua risata e gli urlò contro:

« Già. È stato disgustoso! »

Era furiosa per il gesto di Kisshu, ma non tanto per il bacio in sé, o perché fosse stato il primo: erano cose che a lei non importavano e che, in effetti, potevano avere il loro valore come no. Come diceva lui, era stato solo un misero bacio.

Minto non era riuscita a digerire la sua reazione.

Per quanto insignificante, un bacio rimaneva sempre un bacio e non credeva che tra gli alieni avesse un senso diverso da quello che aveva per lei. Ovviamente sapeva che Kisshu amava Ichigo e, del resto, Minto non si aspettava né voleva un qualche risvolto melodrammatico, ma… Che quantomeno avesse una replica.

Un minimo di disagio.

Anche una nota di fastidio.

Un segno che non se l'era immaginato, insomma.

Qualunque cosa.

Invece niente.

L'aveva baciata, ma la cosa lo aveva toccato come se avesse baciato una pietra.

Era quello che Minto non riusciva a sopportare, che il suo orgoglio non riusciva a sopportare.

Si sentiva umiliata come mai in vita sua e aveva giurato a sé stessa che mai più avrebbe permesso a Kisshu di mortificarla a quel modo.

Era decisa a fargliela pagare, ma se Kisshu non aveva intenzione di lasciarla in pace era il momento di passare alla lingua tagliente. Voleva ridurlo senza più un briciolo della sua superbia:

« La cosa più schifosa che io abbia mai dovuto sopportare. »

Le intenzioni di Minto sembrarono trovare terreno fertile perché Kisshu la guardò davvero offeso:

« Allora hai delle strane teorie su come dovrebbe essere un bacio, cornacchietta. »

« Non certo quella cosa umidiccia e leziosa che hai fatto tu. – fece imperterrita – Neanche in queste cose hai un briciolo di classe, tremo al pensiero se avessi continuato. »

« Ti sarebbe piaciuto, eh? Presuntuosa che non sei altro! »

« Sicuramente! – lo scherno si tagliava col coltello – Sarebbe stato come masticare, immagino. »

Bastò l'occhiata di Kisshu a farle capire che stava esagerando, ma non si riusciva a fermare: aveva l'impressione che qualcosa nel suo intimo si fosse rotto e ora non poteva far altro che riversare tutto addosso a lui, nel modo più cattivo che riusciva a formulare.

Kisshu dal canto suo aveva l'impressione che la rabbia di Minto fosse indirizzata unicamente al fatto che lui fosse un alieno, più che per il gesto che aveva fatto; pareva il riflesso di quanto succedeva con Ichigo, rifiutato da principio solo perché diverso, e non lo sopportava:

« Ora piantala. »

« E perché? Ti da fastidio? »

Si girò appena a guardarlo in viso; ogni ombra di sarcasmo era svanito dal viso magro di lui lasciandovi solo rabbia, ma nonostante questo la mewbird non si fermò:

« Sto solo esprimendo il mio disgusto per l'orrido bacio di un alieno maniaco, non sto facendo altro! »

Ecco, aveva esagerato.

Kisshu digrignò i denti e l'afferrò per le spalle, livido in volto; Minto s'irrigidì di colpo trovandoselo così vicino.

« Allora ti ha fatto così schifo, eh? »

Le sibilò a meno di un centimetro dal viso con occhi feroci:

« Vediamo, brutta cornacchia boriosa. »

Minto sbarrò gli occhi terrorizzata e la sua testa smise di funzionare, rendendola incapace di cacciarlo via. Non riusciva a capire cosa fosse passato per la testa di Kisshu per baciarla a quel modo, ma di sicuro non c'entrava nulla con la volta precedente. Non seppe spiegare come le loro labbra aderissero così bene e sofficemente, o perché il rivolo di respiro che avvertì intrecciarsi con il suo le diede lo sfarfallio allo stomaco, forse per quel bizzarro senso di sospensione che lasciava il contatto di due bocche socchiuse.

Inclinò appena la testa mentre si sentiva dapprima tirare un altro po' verso di lui, e poi veniva di nuovo allontanata lentamente, quasi con malessere. Si rese conto di aver chiuso gli occhi solo nel momento in cui si vide riflessa nelle iridi dorate di Kisshu.

« Crederò alle tue parole – sussurrò roco e sprezzante – quando ti vedrò sparire quell'aria trasognata dalla faccia. »

E la lasciò lì con le braccia lungo i fianchi senza dire altro. Minto fissò inerme il punto in cui lui era sparito e afferrò rabbiosa un sasso, scagliandolo lontano: guardò la pietra rimpallare su un tronco e rotolare via a balzelli, furiosa con se stessa, ma si costrinse a drizzare la schiena e a tornare indietro.

Prima o poi il mio orgoglio mi ucciderà.

 

 

***

 

 

Ichigo si rannicchiò più stretta sul lettino improvvisato nei sedili e si coprì con altro po' con la sottilissima copertina, ritrovata in un vano seminascosto della carena distrutta.

La notte si era già fatta più scura e poi più chiara, tingendo tutto di un pallido grigiore, e il fuoco dietro alle sue spalle aveva smesso di scoppiettare già da qualche ora, ma lei non aveva ancora chiuso occhio.

Ryou sembrava riposare, immobile attorno al bivacco come pantera argentea. Non aveva più aperto bocca da quando era entrato nel fiume con lei: dopo essere uscito dall'acqua si era ritrasformato in felino e si era accucciato di fronte al fuoco, senza toccare cibo, e quando anche Ichigo, dopo un tempo interminabile per uscire dal fiume, si era asciugata, vestita e seduta di fronte alle fiamme, lui si era semplicemente accucciato poco più distante guardando altrove. Lei aveva mangiucchiato la sua cena e poi si era raggomitolata sui sedili, con Ryou che ruggiva basso che avrebbe fatto la guardia. Non l'aveva mai chiamata per il cambio.

Lei affondò con il viso sotto la coperta. Il cuore continuava a batterle talmente forte da ronzarle nelle orecchie, le era impossibile pensare figurarsi dormire.

Non riusciva a togliersi dalla testa un solo secondo di quando Ryou l'aveva abbracciata. Ogni centimetro di pelle che l'aveva toccata, l'odore, il tepore.

Avrebbe dovuto essere arrabbiata, offesa, o forse disgustata, invece la sola reazione che quei pensieri le donavano era un'emozione troppo forte perché potesse ignorarla, o per acquietarla solo con una dormita. Ancor peggio, non si trattava di un'emozione per nulla spiacevole.

Tutto era inciso nella sua memoria come se fosse accaduto un istante prima. E se ne vergognava a morte.

Le venne da piangere e serrò gli occhi rannicchiando la testa contro il petto.

Masaya…

Ringraziò la stanchezza che infine fece presa sul suo corpo per almeno alcune ore. Le impedì di sentire oltre il suo cuore farsi piccolo come una nocciola, soffocato dal senso di colpa verso il moro e stritolato dalla presenza bruciante di Ryou.

Masaya… Ti prego, torna presto…

Forse, se lui l'avesse abbracciata, avrebbe dimenticato.

Conquistata dal sonno e dai pensieri non si accorse del pezzettino di quadro comandi, un perfetto rettangolo lungo una decina di centimetri, che si sollevò dai resti della navetta su quattro piccole leve: come un ragno sulle sue zampette la scatolina si allontanò velocemente nella boscaglia, non visto, sollevando un'antenna minuscola e sensibilissima, che mandò alcuni ovattati bip bip; la scatolina camminò ancora un paio di metri, si fermò, ronzò e dal suo dorso comparve una piccola e tecnologica elica che la sollevò su, sopra le fronde, e poi via verso il passaggio ancora aperto nel cielo verso Jeweliria.

 

 

***

 

 

Con un soffio disgustato la ragazza ritrasse la lama; un risucchio e uno sfregare metallico, seguiti da un tonfo sordo e un uggiolio, mentre lei oscillava l'arma schizzando il terreno di sangue scuro e caldo:

« Che razza di bestiaccia schifosa! »

« Sei solo la solita gallinaccia isterica Lindèvi! »

Sghignazzò Zizi sguaiato. Lei lo fulminò furente e pestò più volte la testa della povera creatura appena uccisa, della stessa razza di quella che aveva assalito Ichigo e Ryou.

« Non era la tua testa piena di escrementi che cercava di sbranare questo stronzo – bisbigliò velenosa calciando di lato la carcassa – ma la mia! »

Lui schioccò la lingua e fece qualche passo prima di berciare:

« Piuttosto spiegami perché cazzo sto qui con te a strisciare a terra, come una qualunque delle bestie in questa fottutissima foresta?! »

« Smettila di frignare. – sospirò seccato Toyu – Se lo sapessimo, cercheremmo di risolvere la cosa. »

Si accucciò vicino al cadavere dell'animale e con uno stecchino gli scostò le labbra scoprendo le gengive; ignorò il verso di disgusto di Lindèvi e studiò incuriosito i denti della bestia, poi sorrise ed estrasse un piccolo pugnale armeggiando con esso nella bocca nera.

« Ieph! Ma che diavolo stai facendo?! »

« Raccolgo roba interessante. »

Lei si rifiutò di guardare il completare dell'opera e gli diede le spalle allontanandosi sul sentiero. Quando Toyu si rialzò, pulendo il pugnale sulla gambiera dei pantaloni e facendolo scomparire, raggiunse gli altri e si guardò attorno:

« Comunque, sei così scemo da non avvertirla? »

Zizi lo studiò con espressione idiota e Toyu si massaggiò le tempie:

« Sei davvero la vergogna di tutti noi… Eppure il Dono ha risvegliato anche il tuo potere, pezzo di gorilla senza cervello! »

Il ragazzo lo guardò storto, ma prese un bel respiro e chiuse gli occhi: da rilassato poteva avvertire il pizzicore sulla pelle, il ronzio alle orecchie e il sapore limpido e fresco, come di acqua, sulla punta della lingua, le stesse sensazioni del giorno in cui era rinato. Aprì gli occhi e annuso l'aria storcendo la bocca:

« Cos'è quest'odore? »

« Quello di ciò che tiene il tuo inutile sedere piantato a terra. La cosa, qualunque essa sia, che fa interferenza con il Dono. »

Sorridendo sarcastico Toyu lo doppiò e proseguì per il cammino seguendo la scia vaga che la combinazione di MewAqua e qualcos'altro di misterioso gli donavano.

« Dite che anche gli Ikisatashi e le terrestri sono qui? »

« Altrimenti non saremmo potuti arrivare senza loro che aprivano il passaggio, idiota. »

« Lindèvi, giuro che ti ammazzo se non chiudi quella bocca merdosa! »

« Volete chiudere quelle fogne che avete sulla faccia o devo chiudervele io per l'eternità? »

Lindèvi e Zizi misero su espressioni offese e cupe, ma le loro proteste furono miseri borbottii inudibili. Toyu li ignorò:

« Se noi possiamo solo andare a piedi, non credete che anche quelle grette nullità siano nella stessa situazione? – li squadrò di sbieco da oltre la spalla – A meno che non vogliamo bruciare tutto il bosco per trovarli, muovetevi in silenzio e aguzzate le orecchie. »

Lindèvi annuì con poco entusiasmo e Zizi mandò altre due imprecazioni senza obbiettare. Toyu continuò a farsi strada di malagrazia sul percorso non battuto, tenendo i sensi affilati per imparare ogni singolo suono familiare tra la vegetazione per poter individuare ciò che, invece, era estraneo esattamente come loro tre. Si ritrovò a sogghignare: l'ultima volta le terrestri erano riuscite a farlo divertire parecchio, chissà che non avrebbe potuto replicare il piacere.

 

 

***

 

 

Sando si stiracchiò sbadigliando, l'abitudine non gli era d'aiuto ad uscire dal torpore di quelle levatacce all'alba; scrocchiando il collo entrò nella sala controllo del laboratorio e non trattenne uno sbuffo, scorgendo la scena al suo interno.

« Buongiorno, semp… Che succede? »

Lui guardò appena Lena, che era arrivata dietro di lui, con quell'espressione stramba, seccata e preoccupata assieme che solo lui era in grado di fare, e fece un cenno verso il centro della stanza. MoiMoi era seduto sulla sua sedia, i piedi sul sedile e le gambe raccolte al petto, fissando completamente immobile lo schermo azzurro di fronte a sé; le mani sulle ginocchia e il viso dietro di esse, con la fronte corrugata, l'alieno concentratissimo batteva ritmicamente i piedi mormorando a bocca chiusa lo stesso motivetto incomprensibile, simile ad un'allegra marcetta:

« Pam pampupaParapà pa-pa pum parappà »

Lenatheri sbatté  un momento le palpebre confusa, ancor più che l'attenzione di MoiMoi verso un monitor vuoto era ingiustificabile, ma Sando sospirò più a fondo:

« Fa sempre così quand'è preoccupata. »

Lena non replicò; lo guardò andare verso MoiMoi e non trattenne un sorriso gentile.

L'alieno non reagì quando l'uomo gli fu alle spalle, né quando questo affondò la mano enorme sulla sua testolina e gli frizionò gentilmente la chioma violetta:

« Che hai da mugugnare tanto, uh? »

MoiMoi insisté con l'immobilità e smise solo di canticchiare, emettendo un monosillabo come risposta.

« Ohi. »

Sando gli premette l'indice sulla tempia e gli scosse la testa un paio di volte finché l'altro fu costretto a mormorare:

« Non arriva il segnale… »

« Di che diavolo parli? »

Dietro di loro, Lena si avvicinò circospetta, preoccupata di non dover ascoltare; MoiMoi le fece un cenno e  si alzò sulla sedia guardando lei e Sando con occhi lucidi:

« Avevo messo un segnalatore su una delle astronavi per avvisarmi quando fossero atterrati. Per sicurezza – si giustificò subito – Da una dimensione all'altra le comunicazioni sono difficoltose e… »

« E allora? »

« E allora niente. – sussurrò lui – Nulla di nulla. Comincio a preocc- »

Come richiamato dalle sue parole un avviso prestabilito illuminò un angolo del monitor e MoiMoi per poco non cadde dal suo precario equilibrio. L'alieno si lanciò sulla tastiera con un gran sorriso, impallidendo immediatamente dopo:

« Cosa? No…! Non è possibile…! »

« Che succede? »

Sando un potè evitare di preoccuparsi vedendolo in viso:

« Sando…! Le navette…! »

« Che? »

« Sono entrambe precipitate! »

MoiMoi rischiò di cadere una seconda volta mentre Lena si proiettava sullo schermo diventando bianca come un lenzuolo:

« Cosa?! »

« Questo… Questo è un avviso di emergenza. – tartagliò MoiMoi agitatissimo guardando il luccichio sul monitor – È in dotazione a tutti i nuovi mezzi di ricognizione, e mi segnala che entrambe le navi sono danneggiate. Di una non rileva neppure più la trasmissione! »

La mora lo guardò con gli occhi ramati terrorizzati, ma non disse una parola. MoiMoi non smise di agitarsi:

« Lo sapevo, lo sapevo! »

« Ora calmati! »

Con voce severa e calma Sando gli afferrò le spalle e lo guardò fisso:

« Potrebbe essere stato solo un guasto dovuto alla dimensione. Qualche segnale strano… Qualche vibrazione o… O… »

MoiMoi mandò un basso singhiozzo e quasi ridacchiò a vederlo cercare di calmarlo, lui totalmente digiuno di qualsivoglia nozione scientifica:

« … O qualche altra stronzata tecnologica. »

Per l'appunto.

MoiMoi inspirò ed espirò sonoramente per poi annuire.

« Ora ti siedi qui – fece ancora perentorio Sando – controlli il punto da dove parte il segnale, raccogli tutti i dati e cerchi di contattare gli altri. Se non rispondono, andiamo a cercarli. »

L'altro annuì ancora. Anche se a modo suo – quindi non decisamente in modo ortodosso – Sando riusciva sempre a confortarlo. Si sciolse in uno dei suoi sorrisi dolci e Sando si ritrasse, dandogli le spalle e mandando due colpetti di tosse, a disagio; MoiMoi non trattenne un sospiro.

Al solito.

Si rimise lesto al lavoro ticchettando sui tasti a ritmo tarantolato. Lenatheri, ancora pallida e agitata, si accostò a Sando e disse piano:

« Senpai, forse è il caso che qualcuno vada a controllare… Io potrei… »

Con un gesto secco la fermò prima che ultimasse la frase:

« Non preoccuparti. Tu devi completare il compito che ti ha affidato Teruga-san. »

Lei si mordicchiò il labbro poco convinta e Sando insisté duro:

« Non farti distrarre. Ho proposto te perché ho fiducia nelle tue abilità, dimostrami che ho ragione. »

Lena drizzò le spalle e divenne più seria annuendo fieramente:

« Agli ordini. »

Sando le concesse un mezzo sorriso. Lena battè i tacchi con fare militaresco, prese dalle mani dell'uomo la lista con gli impegni e gli spostamenti di Teruga e uscì a passo spedito, mandando un rapido cenno di saluto a MoiMoi e un augurio di trovare presto i dispersi.

 

 

***

 

 

Taruto sbadigliò sonoramente e si stropicciò la faccia con il palmo, infastidito dalla luce che filtrava a scatti dalle fronde; mandò un lamento muovendosi, il terreno duro non era stato granchè clemente con la sua schiena e probabilmente si era sfregiato a vita tutta la pelle che aveva tenuto a contatto con l'erba corta e ispida, ma tutto passò in secondo piano appena si rese conto che qualcosa simile ad una testa era appoggiata sul suo braccio piegato.

Arrossì vedendosi Purin così vicina, però la trovò così tenera e carina addormentata tranquilla a pochi centimetri dal suo naso, che fece ben attenzione a non muoversi bruscamente e le si accoccolò un po' più vicino, sfiorando la fronte con la sua e chiudendo gli occhi.

La pace durò una manciata di minuti prima che la risata caustica di Kisshu lo facesse sobbalzare:

« Qualcuno qui si sta divertendo vedo. »

Taruto scattò a sedere e centrò con il braccio Purin sulla fronte, strappandole un lamento e facendole poi battere la testa a terra:

« Ahi, Taru-Taru! Ma che fai? »

« Io non ho fatto niente! – sbottò lui rosso in volto – Piuttosto che ci facevi appicciata a me? »

Lei lo scrutò torva e si fregò gli occhi assonnati; Kisshu emise un'altra risata dal suono di sega a nastro:

« Come siete teneri! »

« E tu rompi già i coglioni appena sveglio! – sibilò Taruto alzandosi – Ti sei tirato su col piede sinistro?! »

L'altro rispose digrignando i denti. Dalle occhiaie che aveva effettivamente non sembrava aver dormito molto bene. Mai comunque male come Minto, che nonostante la faccia sfatta dalla stanchezza ostentava la massima tranquillità e compostezza; la mora era comparsa subito dopo che i due ragazzini si erano messi in piedi, portando al bivacco una nuova razione d'acqua e dispensando ad entrambi un rapido sorrisino, ignorando invece Kisshu e sorpassandolo con indifferenza.

Purin diede una gomitata a Taruto e gli bisbigliò:

« Cos'avranno oggi quei due? »

« Non lo so… »

« Minto è strana da ieri, ma anche Kisshu nii-chan ora non scherza! »

Il brunetto fece spallucce. La cosa non gli interessava troppo in tutta onestà, ma doveva ammettere che nessuno dei due era troppo sopportabile quando era di umore nero.

« Vediamo di darci una mossa. – sbottò Kisshu alzandosi – Mangiamo e rimettiamoci a cercare gli altri, voglio andarmene da questo posto. »

E così dicendo uscì poco fuori dalla radura senza toccare cibo.

 

 

***

 

 

A svegliare Eyner fu il caldo afoso che spuntata l'alba si sollevò dalla boscaglia come la nebbia al tramonto. Aveva l'impressione di essersi addormentato due minuti prima, sebbene il suo turno di guardia fosse stato a notte da poco inoltrata e lui si fosse potuto riposare ancora a lungo: ogni muscolo protestava per la dormita sul terreno e il taglio al fianco gli intorpidiva tutta l'area circostante del torace; ispezionò la fasciatura, ben stretta e pulita se non per un invisibile alone rosato, perciò la lasciò com'era. Si guardò attorno, Retasu non c'era e Pai dormiva dall'altro capo della stanza, ma leggermente più in là di come lo aveva lasciato la sera prima e, dedusse, doveva aver fatto un altro turno dopo di lui. Guardò ancora alla sua sinistra e scorse la chioma glicine di Zakuro a poca distanza da sé. La ragazza era raggomitolata su un fianco, il cuscino improvvisato ormai abbandonato e la testa sul terreno, l'espressione tranquilla e il respiro regolare: chi la conoscesse o l'avesse incontrata mentre lavorava al Cafè non avrebbe mai potuto immaginarsela così calma, e perfino a Eyner che l'aveva di fronte agli occhi parve impossibile si trattasse della stessa Zakuro sempre sul chi vive che aveva conosciuto nelle settimane precedenti.

Rimase fermo a osservarla per un po'. Esitante allungò due dita verso un ciuffo che le ricadeva sulla guancia, temendo di svegliarla, invece lei continuò a dormire profondamente e il bruno le scostò i capelli dal viso portandoglieli piano dietro l'orecchio; le farfalle nel suo stomaco si mossero dispettose e quando lui osservò ancora il bel volto di Zakuro che dormiva, le maligne decisero di svolazzare con tutta la loro forza.

… Sono proprio malato. Mi sento un cretino.

« Buongiorno. »

Il bruno si girò di scatto verso la porta e ritrasse la mano, nascondendola colpevole contro il fianco, e stiracchiò un sorriso impacciato a Retasu che entrò con le braccia colme di frutta.

« 'Giorno Reta-chan. »

Lei gli sorrise e posò la colazione nei resti di una ciotola che aveva pulito in precedenza per lo scopo:

« Come va la ferita? »

« Meglio – replicò gentile sforzandosi di nascondere l'agitazione – pizzica solo un po'. »

Retasu sorrise sollevata e gli fece cenno di alzare il braccio per controllare la fasciatura. Sfiorò con delicatezza le bende e verificò che effettivamente fosse tutto a posto, accucciandosi un poco per andare più vicino con lo sguardo alla ferita.

« Dottoressa ha finito? – scherzò Eyner – Mi pesa il braccio. »

Retasu ridacchiò e gli fece cenno di appoggiarsi alle sue spalle: probabilmente si sarebbe sentita in difficoltà in un'altra circostanza, ma con Eyner era sempre a suo agio come con un fratello e una simile situazione, con lei accovacciata e lui che pareva abbracciarla, non le causavano nessuna delle sue paranoie.

« … È già mattina… »

La voce impastata dal sonno di Pai fece balzare Retasu in ginocchio come una molla e poco mancò che nella fretta infilasse un dito nella ferita di Eyner; non mancò lo stesso di strappagli un doloroso sospiro tra i denti e lei si scusò, agitata, sperando che Pai non avesse fatto in tempo a vederla nella – divenuta di colpo e senza alcun dubbio – imbarazzante posizione.

Eyner le scoccò un'occhiata strana e sorrise appena a Pai, che fissava lui e la ragazza con aria assente:

« Da quanto siete svegli? »

« Saranno dieci minuti. »

Sospirò Eyner. Si mise seduto più composto ignorando il bruciore al taglio e afferrando uno dei frutti portati da Retasu, una sorta di mela bitorzoluta color ciliegia. Pai grugnì in risposta e rimase qualche momento seduto fermo, l'aria intontita e torva, allungandosi poi verso il cesto e agguantando un frutto per sbocconcellarlo pigramente. Retasu lo studiava allibita, non sembrava nemmeno Pai con quell'espressione indolente; Eyner la vide e si trattenne dal ridere.

« Qualcuno soffre di pressione bassa, uh? »

Il bruno ancora divertito guardò Zakuro che si alzava e stiracchiava abbrancando un po' di colazione, sedendosi poi a studiare la faccia scura e assonnata di Pai.

« Già… – Eyner si abbassò bisbigliando –  Benvenute al grande evento di "Pai: attività celebrale -2". »

Retasu guardò i due amici e poi di nuovo il ragazzo e dovette alzarsi con la scusa di prendere l'acqua, pur di nascondere il sorriso e il rossore sulle guance.

La naturalezza dell'espressione toglieva molta aura di austerità attorno a Pai; appariva quasi carino e Retasu non riusciva a smettere né di pensarci né di ridere piano. Cercò di non strozzarsi mentre beveva e tornò dagli altri a mangiare rendendosi conto degli evidenti sforzi di Pai per tornare lucido corrugando la fronte e aprendo per bene gli occhi, ancora insistentemente a mezz'asta, e la verde continuò a sorridere per tutto il pasto cercando di non farsi notare.

 

 

***

 

 

« Ah! »

Ichigo finì lunga distesa a terra con il naso nella fanghiglia e nell'erba, avvertendo il secco e fastidioso dolore delle ginocchia che si sbucciavano.

« Ti sei fatta male? »

La rossa alzò la testa e incrociò per la prima volta dalla sera precedente gli occhi azzurri di Ryou; fu un momento solo, poi lui abbassò lo sguardo e le porse la mano per aiutarla ad alzarsi senza guardarla e quando Ichigo fu di nuovo in piedi le diede le spalle e si avviò sul sentiero in silenzio. Lei strinse le labbra e si spazzò la gonna impolverata, andandogli lentamente dietro.

Il sole era alto nel cielo già da ore e arroventava le cime degli alberi donando l'effetto di una fornace; il fango del sentiero si era seccato in superficie, ma sotto era vischioso ed era facile inciampare su una zolla d'erba viscida o su una radice che spuntava dal terreno morbido fra il fogliame ammonticchiato; camminare era faticoso, con l'aria madida e appiccicosa che incollava i vestiti alla pelle, e gli odori di stantio, di muffito e umidità rendevano i respiri densi come se si inspirasse acqua. Ogni passo pareva durare come dieci e come se non bastasse Ryou si era trincerato in un silenzio assoluto trasformando la marcia in una sorta di punizione. Ichigo era esausta, fisicamente quando psicologicamente, e avrebbe voluto solo ritrovare le amiche e tornarsene a casa.

I due ragazzi stavano costeggiando il fiume accanto a cui avevano riposato la notte, seguendo il suo percorso a ritroso verso quella che speravano fosse la sorgente e forse il punto dove si trovava il Dono.

« Credi che manchi ancora molto? »

La voce di Ichigo suonò arrochita dal lungo silenzio e della sete che le attanagliava la gola. Ryou non si voltò a guardarla:

« La dimensione del fiume si sta riducendo, e la pendenza del sentiero aumenta: forse stiamo arrivando al punto dove sgorga… »

Ichigo lo sentì zittirsi e gli si avvicinò: sull'orizzonte della volta arborea svettava la guglia di un'alta torre, di certo una costruzione artificiale; l'edificio si arrampicava attorno ad una roccia e si integrava perfettamente in essa, tanto che le sporgenze dell'altura e gli alberi si fondevano con le pietre squadrate e logore; su un lato del fabbricato si scorgeva chiaramente il riflesso argenteo del fiume che spumeggiava tra le rupi e i laterizi color sabbia, dapprima come timido zampillo e poi crescendo in rigagnolo e fiumiciattolo.

La mewneko trattenne un momento il respiro.

Trova la torre. Segui il fiume, l'acqua è figlia del Dono.

Non è possibile…

« Certo è un posto insolito per costruirsi una casa. »

Sussultò alle parole di Ryou che parve essersi rilassato un poco; non seppe bene cosa rispondergli, le parole dell'ombra familiare e sibillina ancora nelle orecchie, e si limitò ad annuire. Ryou non si girò a guardarla:

« Sbrighiamoci. »

 

 

***

 

 

Retasu si bagnò con la pezza inumidita la caviglia dolorante, pregando che il freddo attutisse un po' l'affaticamento.

Avevano camminato tutto il giorno e anche se aveva intervallato la zoppicante andatura – durante cui aveva usato un po' Zakuro e un po' Eyner come appoggi – ai passaggi offerti da Pai, la storta era tornata a farsi sentire con prepotenza. Alzò gli occhi color oceano al cielo che andava a scurirsi sull'orizzonte dove il sole nasceva e a dorarsi dalla parte opposta: secondo il mappatore di Eyner avrebbero dovuto aver ormai raggiunto gli altri, ma la vegetazione non facilitava il compito di trovarli.

Vicino alla verde Zakuro si appoggiò pesantemente ad un albero e strinse le dita attorno alla coscia dove il taglio del giorno prima, ormai rimarginato, tirava la pelle e pulsava lievemente, forse perché non era stato curato con la giusta attenzione o forse solo per lo sforzo della camminata. La mewwolf  guardò prima Pai, seduto a terra a riprendere con discrezione fiato, poi Eyner che sulla curva del sentiero passeggiava in piccoli cerchi, zoomando sulla mappa e cercando di individuare meglio dove fosse il resto del gruppo.

« Qualcosa disturba il segnale – bofonchiò alla fine ed imprecò tra i denti – dannazione…! »

« Sono qui attorno, no? »

Il bruno guardò Zakuro e sospirò:

« E speri di trovarli in questa selva? »

Lei non replicò ma il suo sguardo gli diede ragione. Rimasero tutti in silenzio qualche istante, quando un trambusto tra il fogliame attirò la loro attenzione: non dissero nulla e tesero le orecchie, sentendo un borbottio e un tramestio frettoloso, poi il grido che stemperò ogni ansia.

« Ti pare che si debba lasciare una ragazza nel fango?! »

« Se invece di sculettare camminassi non cadresti come una papera zoppa. »

« Kisshu, sei un idiota!!! »

Eyner guardò le due ragazze alle sue spalle con una smorfia sghemba e Pai sospirò seccato:

« Credo di sapere dove sono… »

 

 

***

 

 

La torre era sembrata vicina, eppure fu pomeriggio inoltrato quando ne raggiunsero le pendici. Ichigo era così stanca che dovette sedersi sulla sponda e affondare praticamente il viso nel fiume, ormai ridotto ad un rivoletto, per rinfrancarsi, mentre Ryou instancabile esplorò tutta la base della montagna cercando un accesso alla torre finché non scovò delle scale macilente che s'inerpicavano verticalmente lungo le viscere dell'edificio.

« Credo si possa considerare un ingresso. »

« Vorresti scalare quella? »

Ichigo guardò piagnucolando gli scalini ripidi e consunti e gettò un'occhiata preoccupata al biondo, che persisté nel non guardarla in viso ed entrò nella torre:

« Quando ti viene in mente una soluzione più comoda fammi un fischio. »

 

 

L'arrampicata fu estremamente difficoltosa. La scala, che arrancava a chiocciola lungo la forma contorta della torre, era ripidissima e priva di sostegni laterali, e molte volte i gradini, troppo stretti perché uno dei due ragazzi vi poggiasse completamente un piede, si sbriciolavano un secondo dopo essere stato abbandonati per lo scalino successivo. Dopo un po' divenne impossibile capire dove si trovassero con tutto quel girare e curvare e ben presto il sole, che faceva ogni tanto capolino dai buchi delle finestre, divenne un inaspettato e noioso appuntamento che centrava gli occhi e intontiva con la sua luce sempre più rossastra.

Intanto che salivano Ichigo notò che sulle pareti c'erano incisioni ormai quasi invisibili, ma ben intuibili al tatto: immagini di attività di caccia e di vita quotidiana e scritte in un carattere a lei sconosciuto erano scavate nella pietra porosa, ai lati della scala e sul soffitto, narrando una storia appena intellegibile nei radi spazi contigui. Storie dell'esistenza passata di creature forse umane, forse solo dotare di due braccia e due gambe come lei, ma prive di altre caratteristiche somatiche; i tratti erano troppo sbozzati e coperti dell'oblio e dello sporco per intuire dettagli più utili, ma nel guazzabuglio non le sfuggì un particolare disegno, ripetuto più volte nel proseguire delle vicende rappresentate. Quando capì  si aggrappò tanto forte alla cintura di Ryou da farlo quasi cadere per le scale:

« Shirogane…! – la sua voce sussurrata rimbombò nell'androne dopo secoli di silenzio, generando una pioggia di polvere – Guarda! »

Una figurina ormai divorata dal tempo stava in piedi, le braccia stese in fuori come ad accogliere reverente qualcosa; attorno altre forme accovacciate o gaudenti e, sopra di esse, un piccolo cerchio storto con alcuni raggi stilizzati che si diffondevano sulla scena facendo nascere piccoli fiori tra i piedi della gente.

Ryou sgranò gli occhi e appoggiò con cautela la mano sulla parete, scrostando con l'unghia la polvere unta e per rivelare altro dell'immagine, ma i pochi indicativi dettagli non parevano voler lasciare dubbi. Ichigo si premette il palmo sulla bocca.

Qui il tempo è diverso.

Una dimensione lontana, nello spazio e nelle ere.

Essa è qui da molto…

Non cercare in ciò che è, ma in ciò che è stato.

Trova la torre.

« Non è possibile… Come faceva…? Come poteva saperlo? »

« Come? »

« Anche questo… Cos'è? Come fa a…? »

Ryou la guardò di sbieco:

« Ichigo, di che stai parlando? »

Lei non gli rispose, lo sorpassò e cominciò a correre lungo il resto della scalinata facendola traballare paurosamente.

Ignorò i richiami del biondo, sentiva solo il proprio cuore martellarle come un pazzo nel petto e il fiato che aumentava di ritmo mentre, a due a due, mangiava gradini su gradini verso la punta della torre infilandosi in anfratti faticosamente raggiunti dal sole morente, ritrovandosi presto ad inciampare e ad adagiare per poche frazioni di secondo i piedi nel vuoto. La torre compì una brusca curva alla sua sinistra facendola schiantare con la spalla, ma lei proseguì cercando di non badare alla parete dalla parte opposta, troppo incombente, e come dal nulla la scala s'interruppe aprendosi su un breve corridoio; Ichigo riuscì a malapena a passarvi, tanto sia il soffitto sia i muri le sfioravano il corpo, ma raggiunse comunque una porta marcescente tre metri più in là che si disintegrò non appena lei provò a disincastrarla dal suo stipite per aprirla.

Una piccola stanza circolare inghiottita dalla luce incandescente del tramonto accolse la rossa, accecandola alcuni secondi; quando tornò a vedere, si rese conto che la stanza era al contempo completamente spoglia e riccamente decorata come il più nobile dei palazzi. Le pareti non erano altro che archi tondi sorretti da sottilissime colonnine poste su parapetti non più alti di mezzo metro, che a loro volta sorreggevano tutti assieme una cupola tonda che andava a chiudersi nella sottile punta della torre sovrastante l'intera costruzione. Ogni centimetro del pavimento, così come le colonne, gli archi e il soffitto, erano intarsiati con motivi geometrici minuziosissimi e alcune pietre preziose, leggermente usurate e scheggiate, ammiccavano da alloggiamenti strategicamente posti tra i ghirigori; qualcuna era mancante, ma negli occhielli vuoti o riempiti solo da frammenti, piccole piante color ciclamino erano spuntate quasi a voler mantenere la bellezza dei decori. Altre piante, nate spontaneamente dalla montagna, anche se ormai inselvatichite mantenevano ancora le forme e la cura con cui mani esperte le avevano addomesticate per uniformarsi alla costruzione con la massima armonia, sbucando tra gli archi e in parte scivolando coi rami grossi e pesanti fino al pavimento.

Al centro della sala c'era un minuscolo pilastro semidistrutto da cui s'intravedeva il fiotto singhiozzante della sorgente del fiume; qualcosa brillava poco sopra il getto, circondata sulla sommità da sottili lastre concave di pietra lucidata color malva. Ichigo rimase a fissare il tutto non stupendosi dell'esclamazione soffocata di Ryou, che interruppe la sua invettiva contro di lei:

« Non ci posso credere…! Quella è…?! »

« Essa è qui da molto tempo… Trova la torre. Segui il fiume, l'acqua è figlia del Dono. »

Ichigo seppe da subito che Ryou la stava guardando chiedendosi se avesse perso la ragione, ma continuò a ripetere le parole dell'Ombra tenendo gli occhi nocciola sul Dono.

La Goccia non aveva perduto nulla della sua forza dopo essere stata separata dal resto del cristallo e Ichigo lo sapeva, come sapeva che non era trascorso che un mese dalla rottura del Dono. Eppure, pietre su pietre testimoniavano che quella pallina iridescente fosse lì da centinaia di anni, forse centinaia di secoli.

« Una dimensione lontana, nello spazio e nel tempo. »

« Ichigo, di cosa stai parlando? »

« Lo sapeva… Sapeva tutto! – insisté lei fissandolo come chi non stava attento – Del Dono, della dimensione…! Perfino del fiume! »

« Giuro che non sto capendo una parola e non puoi immaginare quanto la cosa mi dia fastidio…! »

Lei fece un cenno con la mano come a dirgli di lasciar perdere e si frugò agitata in tasca, ringraziando almeno di non aver perduto il contenitore per la Goccia datole da MoiMoi. Fece qualche passo verso l'altarino e si accorse che la MewAqua era immobile su di esso ma ben attiva, perché i graffi della giornata guarirono di colpo.

« Così userai tutta l'energia della MewAqua – fece Ryou allarmato – mettila subito dentro quel coso. »

Lei non se lo fece ripetere e sfilò il tappo: la Goccia tremò sul suo piedistallo, quasi non riuscisse a muoversi, poi con un guizzo scivolò nella boccetta e Ichigo ce la chiuse dentro. Avvertì un brivido e le lastre che circondavano il Dono tremarono, schiantandosi all'improvviso a terra e sfracellandosi in un frastuono di vetri rotti.

Per lunghi minuti non ci fu altro rumore del fruscio del vento tra le fronde che spuntavano sotto gli archi. La rossa strinse la boccetta e guardò Ryou allarmata:

« … Ma cosa è successo? »

« Non ne ho idea, signorinella. »

Ichigo si concesse uno squittio riconoscendo la voce melliflua alle sue spalle. Saltò sul posto e scattò indietro, voltandosi verso uno degli archi che dava liberamente nel vuoto, e tre figure bionde le apparvero come demoni neri nell'ombra del giorno morente:

« Ma ti ringrazio. Non hai idea della rottura di seguirvi a piedi per tutto questo tempo. »

Prima ancora che Ichigo si trasformasse Ryou si era già mutato in felino e frapposto fra lei e Toyu, che gli rivolse un ghigno divertito:

« Cosa ne dite ora? Ci date la gemma con le buone o con le cattive? »

In un lampo bianco MewIchigo comparve dietro la pantera argentata, si strinse con forza al pelo della sua schiena ed entrambi si gettarono fuori dall'arco opposto a dove erano comparsi gli Ancestrali, giù fra le fronde lungo il crinale della montagna.

Toyu rise e guardò i compagni, i visi contratti in smorfie di crudele allegria:

« Lo prendo per un "con le cattive" »

 

 

 

 

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*rintanata dietro un tank della Seconda Guerra Mondiale* ok, chi vuole uccidermi per il finale troncato prenda i mitra, chi per la scena troncata al fiume gli concedo i bazooka ^^""!!

K.i.S.: ma dovevi far concludere!

E non possoooo ç_ç""! lo farei, oddei se lo farei! Ma insomma…! È un po' troppo a questo punto della storia non posso!

Kisshu *ancora dallo sgabuzzino*: mgjndkjfffphpfphph!!! (trad: autrice [censura] maledetta infida [censura] ti ammazzo! Giuro che ti ammazzo!)

Minto: fatti da parte, è roba mia +__+*****!

Fan di RyouXIchigo: Riaaaaaa +___+***…
Ok, scappo o rischio davvero la morte °-°""! Ringrazio di cuore Hypnotic Poison, Amuchan, Danya, zakuro_san e mobo  per i commenti e un bacio anche a chi ha solo letto, ci vediamo tra un paio di settimane!! *fugge in una nube di polvere*

 

 

 

 

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Capitolo 17
*** Toward the crossing: third road (part III) ***


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Salveeeee!! Gente, poi non dite che non vi voglio bene…! Pur di non farsi più tribolare ho aggiornato e sono le 3 di notte a momenti! Sono pazza! <- persona ancora svalvolata da un periodo di notti insonni

Finalmente potrete sapere come si risolverà la questione degli Ancestrali nella nuova dimensione. Un capitolo di botte e di spiegazioni, con una nuova inquietante possibilità sulle strade dell'Incrocio, Ichigo con turbe mentali sempre più forti, inquietanti superiori con l'aspetto di gorilla in******* e una vena pericolosamente shipposa

A dopo bacini!

 

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Cap. 17 – Toward the crossing: third road (part III)

                 Time-sharing, time shaking

 

 

 

 

 

Già altre volte era saltata nel vuoto compiendo balzi impensabili per un essere umano, ma ciò non tolse che nel momento in cui lei e Ryou si trovarono a mezz'aria sopra gli alberi e il costone roccioso, il cuore le precipitò nello stomaco.

Assecondò i sensi felini e le movenze della pantera argentata che puntò ad un grosso albero arroccato con radici secolari ad uno spuntone: l'impatto con le fronde non fu piacevole, ma la loro velocità si ridusse e appena Ichigo sentì i piedi toccare l'incrocio tra i rami e il tronco si diede un'altra spinta, compiendo un altro balzo verso il basso. Ryou ruggì piano per il fastidio e ruzzolò un po' più in basso di lei, svanendo rapidamente oltre le fronde.

« Shirogane! »

Il richiamo di Ichigo fu soffocato dal suo strillo quando mise il piede in fallo; per sua fortuna la discesa era stata ben più rapida della salita e si trovava già molto vicino al suolo, perciò non fece altro che capitombolare malamente su un paio di chiome nodose prima di cadere a quattro zampe al suolo, pochi metri di distanza da Ryou.

« Tutto a posto? »

Il felino ruggì in assenso. Ichigo annuì e scattò in piedi fuggendo nel bosco seguita a ruota dalla pantera, cercando di mettere quanta più distanza possibile tra sé e gli Ancestrali.

L'ultima volta che li avevano affrontati erano in nove e avevano comunque rischiato la vita; pensare di batterli solo in due era una follia.

La foresta si districava di malavoglia al passaggio frettoloso della rossa e di Ryou, sferzandone i corpi e i visi con rami affilati ed edera penzolante; più volte Ichigo inciampò in radici invisibili e piroettò a mezz'aria per ricadere in piedi, meglio di qualunque gatto vero, per poi continuare a correre e correre senza sapere bene dove scappare.

All'improvviso la foresta si allargò in una radura spoglia, lasciando i due al totale scoperto: Ryou non si sorprese delle tre figure che ondeggiarono pigre sopra le loro teste e abbassò il ventre sul prato, ringhiando.

« Strano, ero certo che la vostra mascotte fosse un gattino. – fece Lindèvi a voce alta arricciandosi un ciuffo sul dito – Cosa gli hai dato da mangiare perché diventasse così? »

Zizi rise sguaiato e Lindèvi lo guardò con commiserazione, conscia della povertà della battuta, ma non disse niente.

« Avanti ragazzina. – sorrise Toyu alla terrestre – Dacci il Dono. Non fare capricci. »

Ichigo fece comparire la propria arma nella mano destra e si mise in posizione di difesa, indietreggiando ma mantenendo la schiena dritta e Ryou al suo fianco, entrambi pronti a combattere. L'alieno sospirò divertito:

« Fate in fretta. »

Alle sue parole Zizi e Lindèvi si gettarono sui due avversari. Le lame della ragazza sibilarono in direzione di Ryou allontanandolo dalla compagna, mentre il biondo si avventò sulla mewneko.

Ichigo urlò quando il tirapugni di Zizi impattò con la potenza di un treno contro la sua campanella e lei fu fatta indietreggiare a viva forza: avvertì le braccia tremare e le gambe minacciare di cedere intanto che, con un tramestio sordo, i piedi lasciavano profondi solchi nel terreno.

« Voglio farci un paté con ciò che resterà del tuo corpicino, troietta miagolante! »

Lei aprì mezzo occhio fulminandolo e con uno scatto improvviso si buttò di lato. La spinta del pugno di lui la colpì alla gamba e lei rotolò con un lamento, invece Zizi, perso il suo punto d'appoggio, non reagì in tempo e si schiantò al suolo creando uno scavo di una manciata di metri e profondo altrettanto in cui scomparve.

« Devi prima riuscire a prendermi, idiota. »

Ryou prese un respiro di sollievo alla vista di Zizi semisepolto e tornò immediatamente a ruggire contro la sua avversaria. Lindèvi rideva crudele, gustandosi ogni fendente che portava via brandelli di pelliccia argentea e tranciava piccoli lembi di carne:

« Stasera cena a base di felini. »

Lui ringhiò fragorosamente, curvò su se stesso e puntò contro di lei incurante della lama che per poco non gli portò via un orecchio; mirò senza indugio alla spalla della bionda e vi affondò i denti con tutta la forza concessa dalle sue mandibole animali. Lindèvi vide gli artigli affondarle nel braccio e nell'altra spalla mentre lui la costringeva a terra con il proprio peso: urlò in modo straziante intanto che i denti di Ryou le cinsero l'omero nella loro stretta, rendendo il braccio sinistro e l'arma fatta di fili inutilizzabile. Ryou avrebbe provveduto anche a sbarazzarsi dell'altro braccio e delle fastidiosissime lame, se Lindèvi non avesse approfittato di quell'attimo di respiro in cui ebbe socchiuso le fauci per colpirlo con un pugno alla gola e scivolargli via da sotto le zappe. Lui rantolò e sbuffò, facendo ondeggiare la grossa lingua rosa, e Lindèvi si tenne la spalla martoriata guardando furiosa il proprio sangue:

« Ecco perché odio gli animali! »

Si udì un grido belluino e Zizi riemerse dal suo buco sparando in ogni direzione chili di terra, sporco, infangato e furioso, e trucidando con gli occhi color ghiaccio Ichigo che lo puntò con la sua campanella; lui si asciugò il sangue che colava da un taglio sulla guancia e scoprì i canini ferini:

« Ora ti sgozzo mocciosa del cazzo. »

Urlò ancora e Ichigo gli lanciò contro il Ribbon Strawberry Surprise centrandolo in piena faccia. Il biondo fu scagliato via finendo, per la seconda volta da quando conosceva le terrestri, infrascato in mezzo agli alberi, e Ichigo corse subito in soccorso di Ryou vessato dal contrattacco sempre più incalzante e furioso di Lindèvi.

Toyu schioccò la lingua esasperato:

« Che razza di cretini! »

Estrasse il suo fioretto e si lanciò giù mirando alla giugulare della rossa, che non avrebbe fatto in tempo a sfuggirgli. Eppure, quando Toyu stese il braccio e incrociò lo sguardo attonito della mewneko, che si voltava verso di lui, la lama fendette solo l'aria.

Il ragazzo atterrò, incredulo quasi quanto Ichigo comparsa una ventina di metri più in là.

« Buongiorno micetta. »

« Kisshu! »

Lui sorrise e la sollevò meglio tra le braccia, dove la teneva a guisa di principessa. Il suo tono sollevato fu il più gran regalo della giornata per il ragazzo – dopo essere, per qualche misteriosa ragione, tornato a volare e teletrasportarsi – ma potè gustarla pochi secondi prima che la rossa saltasse via vedendo al colmo della gioia il resto del gruppo, più o meno incolume.

Toyu si massaggiò le tempie avvertendo l'approssimarsi di una violenta emicrania:

« Siete come gli scarafaggi, santo Cielo…! »

Il gruppo imbracciava già le rispettive armi contro gli Ancestrali e fu solo Taruto che si preoccupò di chiedere con tono scettico:

« E la palla di pelo grigia? »

Ryou ruggì seccato ma dovette tornare ad occuparsi di Lindèvi, per nulla intenzionata a continuare per molto quel balletto.

« È Shirogane! »

L'ansia di Ichigo non bastò ad impedire che Kisshu le perforasse il timpano:

« Che hai detto?! »

« Te… Ve lo spiego dopo! – insisté allarmata – Ora andiamo! »

Il ragazzo la seguì mentre lei si gettava su Lindèvi allontanandola da Ryou e presto Kisshu e la bionda ingaggiarono una lotta di lame che, nonostante il solo braccio di lei, il ragazzo faticava a sostenere. Sì udì per l'ennesima volta la voce aspra di Zizi e le sue imprecazioni a catena prima che lui saettasse fuori dal bosco, intercettato all'istante dal resto delle MewMew.

Solo Retasu, benchè trasformata, fu costretta a restare in disparte.

« Ma io voglio…! »

« Non devi sforzarti – cercò di blandirla Eyner – e potresti farti ancora più male, o non riuscire a difenderti visto quanto fatichi a stare in piedi. »

« Però… »

« Ci saresti d'impiccio. »

Lei si ritrasse un poco ed Eyner guardò severo Pai, che andava all'attacco:

« Non lo pensa veramente. »

Provò a recuperare, ma Retasu scosse la testa sorridendo mogia:

« Ha ragione. Aspetterò qui, in caso di emergenza… Ho un raggio d'azione abbastanza ampio. »

Lui sospirò e annuì, chiedendosi tra tutti e tre i fratelli Ikisatashi dove avessero preso la totale mancanza di tatto che li contraddistingueva.

 

Nel frattempo la battaglia infuriava e gli Ancestrali si trovarono inverosimilmente in difficoltà. Nessuno degli avversari era intenzionato a lasciargli abbastanza spazio per colpire, come su Glatera, e attaccava con ogni bricio di forza rimasta.

Per quanto riguardava Minto, inoltre, gliene erano successe troppe in quegli ultimi giorni e aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno: chi meglio degli Ancestrali, motivo per cui si era ritrovata a fare la profuga in mezzo alla giungla?

« Purin, adesso! »

La biondina generò un Pudding Ring Inferno che si solidificò attorno al torace di Lindèvi e l'aliena precipitò con uno strillo e un tonfo sordo; Zizi si distrasse un secondo e Minto ne approfittò per tentare di colpirlo con le sue frecce. Il ragazzo le schivò agilmente, ma finì dritto nella traiettoria di Zakuro e fu immobilizzato dalla sua frusta e schiantato al suolo. Toyu fischiò con ostentata venerazione:

« Non è una brutta posizione. »

Fece malizioso gettando un'occhiata lasciva alla mewwolf. Lei replicò con la sua somma espressione di disgusto.

« Se vuoi dopo ti lascio pure a farti massacrare da lei – sibilò Pai sprezzante puntandogli contro il suo ventaglio – Sempre che tu non ti faccia friggere. »

L'altro lo guardò divertito e imitò il suo gesto con il fioretto, tornando a duellare con lui.

A terra Zakuro studiò Zizi contorcersi e bestemmiare come un ossesso avvolto nella sua frusta e si rivolse alle compagne e agli altri due Ikisatashi:

« Mettiamoli tranquilli e andiamocene da qui. »

Taruto annuì e già alcune liane si stavano alzando pigramente dal terreno quando la mora si voltò verso Ichigo:

« Avete recuperato la MewAqua? »

« Certo. »

La mano guantata si insinuò tra le pieghe della gonna stringendosi distrattamente sulla boccetta. L'altra sospirò sollevata:

« Bene. Ora non c- »

Si udì un terribile rumore, come un osso che viene di colpo piegato nel modo sbagliato, e Zakuro sentì qualcosa serrarsi attorno alla sua caviglia. Fece appena in tempo a vedere il braccio di Zizi, curvo dalla parte opposta rispetto al normale, la sua mano che l'aveva agguantata e il suo sguardo folle:

« Ti ammazzo! »

Un fortissimo calore e la sensazione di centinaia di spilli nella carne, prima che una spinta come di martello la centrasse al fianco e la scagliasse via, immergendo gli altri nella luce.

 

Una forte esplosione scosse l'aria e piegò le chiome degli alberi facendo quasi cadere a terra Retasu ed Eyner sul limitare dello spiazzo. La verde riuscì a malapena a distinguere, con il vento che l'accecava, Zizi emettere fiotti di energia dal proprio corpo e Toyu scomparire da sotto gli occhi di Pai e riapparire ad un centimetro da Ichigo.

Retasu vide la compagna non fare in tempo a reagire e venire gettata a terra con uno strattone, perdendo dalle dita un piccolo oggettino che brillò alla luce del sole.

Il tintinnio fu dolce e chiaro tanto da sovrastare il frastuono emesso da Zizi. Retasu impiegò un secondo di troppo a focalizzare cosa fosse l'oggetto che rotolava veloce verso di lei e vide la sua gamba e il fianco di Eyner venire avvolti da una tenue luce bianca.

« Merda…! »

Il bruno si strinse il palmo sulla ferita formicolante sentendola diventare sempre più piccola e si lanciò sulla boccetta, chiudendola di scatto. Retasu lo guardò allarmata e capì di riuscire a stare sul piede ferito senza sentire più alcun dolore:

« Non dirmi che… »

Eyner sospirò scuotendo la testa:

« Ho fatto in tempo. »

Lei sorrise sollevata e guardò l'ampolla, dove però mancava un evidente quantità di MewAqua che i loro corpi dovevano aver assorbito.

Poco distante gli altri stavano ancora tenendo a bada gli Ancestrali e Toyu, assalito su due fronti da Kisshu e Pai, non era ancora riuscito a raggiungere i due al limitare della radura. Eyner ne approfittò immediatamente, infilando tra le mani della verde la boccetta:

« Stai qui e proteggila! »

Si teletrasportò nella mischia prima ancora che Retasu proferisse parola. Eyner sentì il fianco continuare a pizzicare, segno che la ferita si era miracolosamente rimarginata quel poco che le impediva di sanguinare, ma il minimo sforzo l'avrebbe riaperta; ovviamente, il riposo non era un'opzione.

Sferzò l'aria con il jitte e mirò senza indugio a Zizi, urlante di furia mentre scatenava incontrollato tutta la sua energia. Le MewMew che lo accerchiavano riuscivano appena a rimanere nei paraggi, stordite dal bagliore e dalla forza che li si stava riversando addosso; Zakuro, scagliata a poca distanza in mezzo all'erba, riuscì a distinguere solo la sagoma scura del bruno che si confondeva nella luce.

Provò a muoversi, ma il taglio sulla gamba che si era riaperto con il colpo di Zizi, le fece vibrare tutto il corpo di dolore; provò a chiamare, ma non le uscì la voce; le orecchie fischiavano, eppure non le servì poter sentire Pai che chiamava Eyner gridandogli se fosse impazzito, per capire che stava facendo una follia.

Il ragazzo ignorò le proteste dell'amico e cercò di non badare al proprio istinto che gli urlava di allontanare Kisshu e Purin, i più vicini a Zizi, dal punto focale dell'energia che li stava travolgendo. Aveva un solo obbiettivo. La ferita si riaprì in un istante e molte altre più piccole si unirono a lei, ma lui non indietreggiò; era quasi certo che sarebbe uscito sordo da quella situazione, tanto il grido di Zizi gli distruggeva le orecchie, così com'era certo di aver perso una manciata buona di diottrie per colpa del riverbero, eppure insisté finché non distinse più chiaramente l'Ancestrale di fronte a sé.

Serrò le dita sul manico del jitte e provò il piacevole brivido di quando la lama diveniva incandescente. Un ultimo respiro e vibrò il colpo senza esitazione.

Una frazione di secondo dopo l'energia cessò di inondare l'area, ma non le grida di Zizi che si fecero più acute e strazianti: il suo braccio destro era scomparso e disperso in cenere e la sua mano sinistra si stava serrando spasmodica su un moncherino cauterizzato.

Eyner oscillò nel pesante silenzio la propria arma facendo danzare una piccola fiammella, che andò spegnendosi sopra di essa, incurante dei lamenti del nemico.

Le terrestri erano rimaste attonite. Invece Kisshu approfittò dell'attimo di sospensione per colpire Lindèvi, intontita dagli strilli del compagno: Ryou parve avere la stessa idea e la travolse con il proprio peso intanto che Kisshu la colpiva in testa con il manico dei suoi sai, mandandola lunga distesa e priva di sensi.

La cosa fu talmente simultanea che il ragazzo non potè evitare di voltarsi verso la pantera argentata e ghignare:

« Mica male come sincronia. Quasi andassimo d'accordo, non trovi? »

L'altro ruggì baritonale come ad assentire:

« Non ti ci abituare troppo. »

Ichigo guardò i due avversari sconfitti nell'erba e non trattenne una morsa pietosa allo stomaco; strinse i denti e deglutì forte.

Questa è una lotta all'ultimo sangue. O noi o loro.

L'idea non la fece stare poi tanto meglio.

Toyu si bloccò a mezz'aria a guardare lo sfacelo dei suoi alleati e il suo bel viso si deformò in una smorfia furiosa:

« Maledetti imbecilli…! »

Allontanò con un calcio in faccia Taruto che, sentendo la sua voce, aveva tentato di saltargli addosso e bloccarlo, e poi si lanciò in volo radente al suolo cercando segni del cristallo che aveva strappato dalle mani di Ichigo.

Sfortuna volle che il suo sguardo incrociasse Retasu, seminascosta nella boscaglia a trenta metri da lui, e l'espressione terrorizzata che lei assunse fu la risposta che cercava.

« Trovata! »

La verde ebbe abbastanza prontezza di riflessi da scagliargli addosso una serie di colpi, che divelsero gli alberelli più minuti li attorno ma non fermarono il biondo; scappò indietro senza pensare, inoltrandosi nel bosco, fiduciosa della caviglia che non le doleva più, ma non potè mettere abbastanza distanza tra sé e l'Ancestrale con la boscaglia così fitta.

L'onda d'urto elettrificata del fendente di Toyu le vibrò dietro la schiena schiantandola contro gli alberi e lei potè solo provare ad attutire il colpo rannicchiandosi su se stessa: finì il suo breve volo contro un tronco nodoso e bitorzoluto ricoperto di muschio, ritrovandosi il fioretto del biondo premuto sulla carotide.

« Dammi quell'affare. Adesso. »

Lei sostenne il suo sguardo nonostante il cuore che martellava di terrore e mosse le dita sulle sue nacchere.

L'onda d'oceano che generò le rombò contro le orecchie e vide il proprio viso circondato da un tunnel d'acqua vorticoso e la sagoma di Toyu, appena distinguibile, al suo limitare, spinta lontano dalla forza del getto.

La verde riprese a respirare solo un momento e subito dopo avvertì ancora la paura bloccarle le gambe, scorgendo l'Ancestrale che non senza fatica tranciava a fendenti il suo attacco e ne usciva, poco e niente incolume ma abbastanza in forze da agitare ancora il suo fioretto.

Retasu, conscia di non poter fuggire, lo vide terrorizzata a meno di un metro dalla sua gola.

Ciò che avvenne dopo fu così in rapida sequenza da non poterlo focalizzare appieno subito.

Un peso leggero contro di lei. Qualcosa di scuro che le copriva il viso e il sibilo di una lama. Un grido di dolore e una fiammata.

Sbattè le palpebre un paio di volte, intontita, capendo di stare sfiorando con il naso della stoffa e che qualcuno l'aveva sollevata di peso spostandola di un paio di metri dalla traiettoria di Toyu. Lo intravide tra le pieghe della stoffa riverso sulla pancia ad emettere sibili strozzati; sulla sua schiena l'elegante giacca blu era diventata uno straccio bruciacchiato, rivelando un'orrenda ustione che saliva dalla vita fino al collo.

« Stai bene? »

« Sì… – deglutì piano cercando di schiarire la voce tremula – Grazie Pai-san… »

Si allontanò veloce dalla sua stretta pregando di non arrossire:

« La tua guancia… »

Lui fece spallucce asciugandosi il taglio causato dal fioretto.

« Reta-chan! Stai bene?! »

Eyner, distolta l'attenzione dall'avversario che aveva abbattuto, era corso incontro alla verde e le aveva afferrato premuroso il braccio; lei sorrise:

« Sto bene… Mi ha solo sfiorato. »

Anche dicendo così non riuscì a trattenere un piccolo sobbalzo per la scossa che ancora vibrava sottopelle. Il bruno le prese la mano:

« Non mi sembra così tanto. Su, ti porto io. »

« No, sul serio! Sto bene… »

Le parve che Pai stesse per sgridarla per l'ennesima volta, ammonendola di obbedire, ma i nuovi lamenti più lucidi di Toyu interruppero qualunque discussione.

« Andiamocene subito. »

Gli altri due annuirono e si teletrasportarono dal resto del gruppo.

Taruto aveva già provveduto a bloccare a terra con i suoi chimeri-pianta Lindèvi, ancora svenuta, e Zizi che si lamentava con sempre meno vigore. Seppur con la vittoria in tasca erano tutti visibilmente provati, non solo Zakuro che – dopo il simpatico voletto offerto dal biondo gorilla – si appoggiava di buon grado a Minto: difficilmente avrebbero resistito ad altri attacchi.

« Muoviamoci prima che si riprendano. »

Il suono ovattato del teletrasporto fu accompagnato da una bassa bestemmia in dialetto alieno di Zizi, per la quale anche senza capire Ichigo non potè che sobbalzare offesa.

 

 

Quando si ritrovarono a Jeweliria il portale si chiuse dietro di loro con un suono cristallino rimpicciolendosi in un puntino fino a scomparire. Nessuno si mosse o disse una parola; rimasero tutti immobili, qualcuno si concesse di lasciarsi andare a sedere, ma non fecero altro.

Ichigo aveva l'impressione che la testa le girasse come sull'ottovolante. Erano successe così tante cose e così in fretta, era così stanca e sfibrata che l'unica cosa che voleva era restarsene lì, accovacciata sull'erba, guardando il sole che tramontava del tutto dietro i tronchi degli alberi e montagne lontane.

« Comincio a pensare di essere un po' fuori allenamento. »

Tutti guardarono stancamente Kisshu, intento a massaggiarsi il collo indolenzito:

« Se facciamo 'sta fatica ogni volta contro quelli là, non oso pensare come saremo conciati tra una Goccia o due! »

Eyner gli concesse un sospiro divertito prima di stringersi la mano sul fianco:

« Per quanto mi riguarda ho staccato un braccio ad uno e atterrato un altro, io sono a posto con la coscienza. »

« Ohi… »

Poco distante Ryou, tornato in forma umano e lasciatosi andare poco elegantemente a terra, si rimise seduto e li guardò con un sorriso sghembo, le braccia e il viso coperti di tagli:

« Voi volate, sparate fulmini e fiamme. Io per battere quella stronza ho dovuto morderla. »

« Sì ecco, per l'appunto! – esclamò acida Minto – Ci spieghi cosa diavolo era quel…?! »

Si udirono dei passi frettolosi sotto il crinale della collinetta. Un piccolo gruppo, forse armati dal rumore metallico e sbatacchiante che accompagnava il fruscio sull'erba dei loro passi.

D'istinto i quattro alieni e le MewMew si rimisero sul chi vive, pronti a colpire. Ad Ichigo sfuggì un gemito di disperazione: di chiunque si trattasse, lei non era in grado di affrontare una mosca distrutta com'era, aveva solo di che pregare che le intenzioni dei nuovi arrivati fossero pacifiche.

Le teste del gruppetto sbucarono subito dopo da oltre il declivio e lì si fermarono, sobbalzando al contempo con il resto dei presenti.

« Padre. »

« Pai…! Ragazzi…! »

Fatto un rapido cenno alla decina di soldati alle sue spalle Iader bruciò i pochi metri rimasti tra sé e i figli e si aggrappò alle spalle di Pai con fare agitato:

« Ma dov'eravate finiti?! Cos'è successo?! »

Sembrò preoccupato e arrabbiato al contempo, quasi confuso; aveva l'aria di chi non dormiva troppo bene da qualche tempo e sia lui che i suoi soldati avevano divise diverse da quelle che le terrestri gli avevano già visto addosso, più essenziali ma più spesse e robuste.

« Papà, di che parli? »

Iader guardò Taruto senza rispondergli e prese un profondo respiro di sollievo:

« Sono giorni che non abbiamo notizie. Luneilim ha provato a contattarvi senza successo e- »

Zakuro lo interruppe, scostandosi da Minto e zoppicando incontro all'uomo:

« Come sarebbe… Giorni? »

 

 

 

« Siete in silenzio radio da ben due settimane. »

Ichigo, seduta sul lettino di quella linda stanzetta, guardò Iader come se avesse parlato in una lingua sconosciuta.

Con la testa ancora annebbiata, cosa incentivata dal rapidissimo passaggio dalla collina all'ospedale dove la truppa gli aveva trascinati tutti quanti, la rossa potè solo continuare a fissarlo con le labbra semichiuse, in attesa di una smentita o di un'ulteriore spiegazione che non avvenne. Si guardò attorno, le amiche che avevano sentito erano frastornate quanto lei, mentre Ryou aveva un'espressione torva di chi si sente preso in giro; Eyner aveva preso a fissare il pavimento, incurante dell'infermiera che gli stava fasciando con gentilezza il torace, borbottando con aria agitata frasi incomprensibili, e i tre fratelli Ikisatashi  stavano cercando di seguire la conversazione e al contempo tranquillizzare la madre, in quel momento intenta in un muto e profondo abbraccio del suo ultimogenito con l'ansia stampata sul viso pallido.

« Ma siamo rimasti laggiù solo due giorni. »

Ripetè per l'ennesima volta Kisshu, afferrando sovrappensiero la mano che Lasa gli porgeva.

« Due settimane. – confermò cupa la donna, prendendogli le dita anche nell'altro palmo – Tre giorni dopo che siete partiti MoiMoi-chan ha rilevato che le vostre navette erano precipitate. »

Fece una pausa, sembrò voler ricominciare invece aprì e richiuse la bocca abbassando lo sguardo. Era molto stanca anche lei, ma cercò di ostentare tutto il contegno di cui era capace e rimase immobile stringendo la mano del figlio mezzano.

« Sando-kun e io saremmo partiti immediatamente a cercarvi – disse ancora Iader – ma il Consiglio ce l'ha proibito. »

« E perché diavolo ci avrebbero lasciati la a marcire?! »

« Il Consiglio non ha acconsentito alla partenza di soldati. – fece spiccio l'uomo con fare seccato – Teruga-san li ha convinti a far partire alcuni volontari, ma solo ieri lui… »

Pai mandò un grugnito di assenso interrompendolo; aveva intuito che ci fosse altro sotto, ma non era il posto adatto per parlarne. Sospirò e si alzò, ringraziando con fare brusco l'infermiera che chinò il capo e andò a controllare intimidita le ferite di Purin.

« MoiMoi-chan…? »

Domandò Ichigo ringraziando la giovane morettina che, finito di incerottarla, se ne uscì in corridoio; Iader intuì la sua domanda e sorrise appena:

« Ho avvisato lei e Sando prima che voi entraste. Credo di averla salvata da una mezza crisi di nervi. »

La rossa storse un sorriso dispiaciuto e lui le fece stancamente l'occhiolino, cercando di tornare più allegro:

« Mi volete spiegare cos'è successo? »

« Vorremmo saperlo anche noi. – sbuffò Kisshu grattandosi il cerotto sulla fronte – A meno che non abbiamo preso tutti quanti una botta in testa troppo forte sono sicuro che siamo stati là solo due giorni, massimo tre (visto che non so quanto effettivamente durasse un giorno in quel fottuto posto), come cacchio è possibile che qui siano passate due settimane?! »

Alle sue parole Retasu vide Eyner riprendere a fissare il pavimento angosciato .

« Tutto a posto? »

Lui stese un sorriso che parve un ghigno:

« Sto pensando… Due settimane, da sola… Lasa ha detto di essersene occupata, però… »

La verde intuì che stesse parlando della sorella e gli posò gentile il palmo su un ginocchio, senza dirgli nulla.

« Una dimensione lontana, nello spazio e nel tempo. »

« Ti sei rimbambito biondo? »

Ryou non rispose a Kisshu e se ne restò pacatamente con gli occhi chiusi, quasi gustandosi quanto appena pronunciato:

« Hai detto così mentre eravamo alla torre, giusto? »

Ichigo capì che si dovette sforzare moltissimo per guardarla in viso e la cosa non le piacque affatto: le sembrava l'accusasse di qualcosa, quando non aveva fatto proprio nulla e, anzi, era stato lui a comportarsi in modo assurdo.

« Una dimensione lontana, nello spazio e nel tempo. – ripetè ancora – In effetti quel posto sembrava abbandonato da secoli e c'erano incisioni della MewAqua vecchie centinaia di anni. »

« Una dimensione in cui il tempo scorre diversamente da questa? »

Il biondo annuì e Pai si prese il mento nella mano riflettendo. Retasu si chiuse le mani sul viso e impallidì:

« Oddio… A casa sarà il pandemonio! »

Zakuro fece un lieve cenno con il capo:

« MoiMoi-chan ha detto che gli scudi potevano sostituirci, ma per così tanti giorni? »

« MoiMoi-san sa quello che fa. Non preoccupatevi. – le liquidò con più garbo possibile il viola – Ora mi domando piuttosto se chi ha sabotato le navette sapesse della distorsione temporale… »

« Io mi domando invece come cavolo facevi tu a saperlo! »

Sbottò Minto guardando Ichigo torva. La rossa si ritrovò gli occhi di tutti addosso e si fece piccola piccola:

« In… Che senso? »

« Nel senso che lo sapevi, Ichigo. – puntualizzò glaciale Ryou – Ben prima di vedere quella torre, tu lo sapevi. Vorrei sapere come. »

Lei ricambiò il tono gelido con un'occhiata rovente e furiosa:

« Non… Non è il momento, adesso! »

« Non è il momento per cosa? »

« Per quel che mi riguarda, Minto – soffiò saltando giù dal lettino – voglio solo andare a casa e… Riprendermi! Ne riparleremo con calma, in un altro momento e in un altro posto, e anche con MoiMoi e Sando! »

Gli occhi nocciola saettarono un momento alle due infermiere rimaste nella stanza, che si voltarono prontamente da un'altra parte, e Lasa si frappose fra la rossa e l'amica afferrando con dolcezza la spalla della prima:

« Sono d'accordo. Tornate a casa. »

« Prima – disse Retasu afferrando la boccetta con la MewAqua dalla tasca – andiamo a posare questa. »

 

 

 

Ci volle ancora una buona mezz'ora prima che le infermiere e i dottori – Lasa compresa – concedessero ai terrestri e agli altri cinque di allontanarsi dall'edificio. Solo Pai rimase indietro, pronto a seguire Iader per fare rapporto al Consiglio e al Comitato Disciplinare d'Armata, a cui faceva capo tutto l'esercito.

« Forse sarebbe meglio se veniste anche voi. – disse l'uomo mentre si avviavano all'uscita, guardando gli altri due figli – Tu Eyn vai pure a casa. »

Tutti e tre annuirono, il bruno decisamente sollevato all'idea di tornare dalla sorella minore.

« Accompagno le ragazze al laboratorio. »

Fu l'unica cosa che aggiunse e scortò i terrestri fuori dalla città.

Una decina di minuti dopo si trovavano a pochi metri dall'edificio, quando udirono delle grida acute e un frastuono come di oggetto metallico che si frantuma. Nessuno disse nulla e appena Eyner ebbe disattivato lo scudo attorno al laboratorio si precipitarono tutti dentro.

Il fracasso che li accolse fu allarmante, ma mai quanto l'espressione frastornata di MoiMoi e la furente di Sando, impegnato ad imprecare contro qualcosa evidentemente molto restio a restargli tra le braccia:

« Maledizione, fermati, piccola peste! »

« Noo! Cattivo! Lasciami! »

La vocina disperata parve attirare l'attenzione di Eyner che scostò le ragazze agitato:

« Sury?! »

La cosa che Sando reggeva, che non era altro che una bambina all'incirca di sei anni, si voltò di scatto sentendosi chiamare e prese a piangere forte, liberandosi della presa e correndo verso il bruno con gli occhi colmi di lacrime:

« Fratellone! »

Gli balzò al collo e scoppiò a piangere in grossi singhiozzi, Eyner che la consolava e si guardava attorno confuso. MoiMoi si mordicchiò il labbro:

« Scusa, Eyn-chan… »

Si fermò osservandoli uno per uno e per un secondo sorrise con lo sguardo lucido:

« Che bello rivedervi! Eravamo così preoccupati! »

Le ragazze ricambiarono il sorriso, finché un singhiozzo più deciso di Sury non riacquistò l'attenzione di MoiMoi e lui mormorò dispiaciuto:

« È venuta qui a cercarti, non sono riuscita a farla tornare a casa. – si voltò severo verso Sando – Poi qualcuno ha avuto la brillante idea di dirle…! Oh, non ho parole! »

« Non la smetteva più di chiedere di te, era insopportabile! – sbottò lui guardando Eyner seccato – E non è colpa mia se ha creduto alle stupidaggini che le ho detto! »

« Le hai detto che suo fratello non sarebbe tornato più! »

Berciò MoiMoi sconvolto. La bimba emise un pigolio strozzato ed Eyner la strinse forte:

« Ma sei scemo, senpai?! »

« Non immaginavo che mi avrebbe creduto! »

« Sei un cretino! – sbottò scandalizzata Ichigo – Non si dicono cose del genere ad una bambina! »

Sando bofonchiò qualcosa di non meglio definito. Eyner cercò di calmare la piccola e quando finalmente i suoi singhiozzi si fermarono l'allontanò appena per guardarle il faccino arrossato e umido:

« Sury, ma perché sei venuta qui? »

Lei non gli rispose fregandosi gli occhi con il pugno chiuso e assunse un'espressione colpevole. Eyner la scrutò severo:

« Lasa-san sarà preoccupata. »

La bambina scosse la testa:

« Le ho detto che andavo a giocare con degli amici… »

« Ora dici anche le bugie? »

Sury chinò il capino triste e si aggrappò ancora più forte alla sua maglia.

Eyner sospirò, era chiaro che sua sorella non avesse la minima intenzione di scrollarglisi di dosso, specie dopo non averlo visto per così tanto tempo e dopo quel che aveva detto Sando.

« Dai Sury… »

Lei scosse la testa e affondò un altro po' il visino nella sua spalla. Lui le accarezzò la testa e sospirò ancora, sentendo una mano toccargli il braccio:

« Vai con lei. Qui non abbiamo bisogno di scorta. »

« Zakuro… »

La mora fece un cenno d'incoraggiamento e guardò un istante Sury, che aveva alzato lo sguardo incuriosita da quella voce ignota; Zakuro le sorrise:

« Credo sia questa signorina, ora, ad aver bisogno della tua presenza. »

Sury continuò a guardarla sgranando gli occhioni dall'iride bicolore come il fratello e annuì meccanicamente, le guance rosse.

« Ci pensiamo noi a riportarle a casa. »

Sorrise MoiMoi e guardò Sando che replicò con un grugnito, ancora scocciato dei rimproveri.

« Prima però dovete spiegarmi tutto quello che è successo! »

Mormorò con vocina più acuta il violetto e si aggrappò alle mani di Ichigo:

« Sono morta di paura… Ho pensato le peggiori cose possibili! – frignò come una zia in pena per i nipoti – E il Consiglio non ci lasciava partire…! »

Tirò su con il naso e Ichigo l'abbracciò sorridendo.

Dietro di loro Eyner sospirò per la terza volta e si accomodò meglio Sury tra le braccia:

« E va bene. Allora riaccompagnatele voi, io… »

Si dovette fermare, perché aveva avvertito una leggerissima resistenza voltandosi e vide Sury che stringeva la manina attorno alla giacca di Zakuro.

« Sury, non provarci. – la sgridò con dolcezza – Di capricci ne hai già fatti troppi. »

Lei non era intenzionata a piegarsi al e borbottò:

« Non sto facendo i capricci. »

Ma la sua mano non lasciò la presa.

« Sury, non può. Deve… »

Zakuro gli fece però un lieve cenno con la mano, zittendolo:

« MoiMoi, non vi occorre la mia assistenza, vero? »

« Fino a ieri ero in grado di inserire le gocce nel loro cilindro – disse ridendo – quindi penso di poter sopravvivere senza la tua fondamentale presenza. E visto che non sei proprio miss parlantina, sarò costretta a chiedere il resoconto di quanto è successo a loro. »

« Allora ci rivediamo al Caffè. »

Sentenziò piatta la mora verso le ragazze e si avviò all'uscita, con Sury che ancora teneva serrate le dita sulla sua giacca.

 

 

***

 

 

« … E questo è quanto. »

Le parole di Pai furono seguite da un profondo silenzio, puntellato unicamente dal sibilo ritmico di un apparecchio, simile ad una macchina da scrivere, che annotava ogni singola parola pronunciata nella piccola stanza. I borbottii di sottofondo dei membri anziani del Consiglio e degli ufficiali del Corpo Disciplinare d'Armata non scomposero né Pai né i suoi fratelli, che fissavano in silenzio Meryold e l'uomo alla sua sinistra in attesa di qualche commento. Lui scricchiolò le nocche, mugugnando a labbra chiuse e guardò Meryold:

« È stata un'idea saggia convocare i Membri Ristretti. »

La donna annuì pacatamente senza dire nulla. L'uomo, all'incirca della stessa età di Iader, si scostò i capelli che puntavano con decisione al sale e pepe e si tirò in piedi; da quella posizione appariva molto più massiccio e alto di quanto già non fosse, anche dopo gli anni di sedentarietà che avevano asciugato il suo corpo mastodontico, e Taruto si fece d'istinto più piccino sulla sedia.

« Signori. »

Proruppe fissando ad uno ad uno i presenti; la sua voce era calma, ma molto brusca e disarmonica, cosa che appariva meno bizzarra quando si scorgeva la brutta cicatrice sulla sua gola.

« Io non sono intelligente. Sono un uomo che tende ad andare per le spicce, come ben sapete, e i rompicapo mi fanno venire il mal di testa quasi quanto i polpettoni che blaterate al Palazzo Bianco. »

Kisshu, come sempre, trovò ridicole parole simili dette dal più brillante stratega delle ultime tre generazioni, ma ovviamente non osò controbattere. Nessuno sano di mente avrebbe controbattuto a quell'energumeno.

« Quindi, per come la vedo io, le opzioni sono due: o quei bastardi dalla testa bionda hanno trovato il modo di reperire informazioni anche senza avere accesso a Jeweliria, oppure c'è un altro traditore ancora in circolazione. »

« Un… Traditore? Suvvia, nobile Ronahuge n- »

« Mi richiami ancora a quel modo e le strappo la lingua, Ebode. »

L'altro s'irrigidì sul posto e fece un cenno di scuse. Certi atteggiamenti non avrebbero avuto scampo di fronte all'intero Consiglio o al Corpo Disciplinare d'Armata, ma i Membri Ristretti non badavano a cosucce come il modo in cui qualcuno si rivolgeva ad un altro; le loro mansioni comprendevano tutto ciò che stava al di sopra degli altri organi governativi di Jeweliria e non contavano età o gradi, ma solo i meriti che avevano consentito l'accesso. E dati i meriti che Ronahuge portava con sé nessuno considerò degno di biasimo il suo abbaiare contro Ebode, ultimo venuto e che si permetteva di chiamarlo con il suo – ormai arcinoto – odiato nome di battesimo.

Il gruppo dei Membri Ristretti era nato inizialmente come circolo di consiglieri diretti della semi-divinità Deep Blue, scelti appositamente dallo stesso tra le cariche governative e tra i membri dell'esercito. Dopo la sua dipartita l'esistenza dei Membri Ristretti aveva iniziato a diventare sempre più una voce di corridoio, data la loro influenza apparentemente sempre meno incisiva, e agli stessi Membri quella cosa non dispiaceva affatto. Quale modo migliore di risolvere le questioni che varcavano la giurisdizione del Consiglio o del Corpo Disciplinare senza intromissioni?

Ovviamente i capi dei maggiori dipartimenti, Meryold e Ronahuge, sapevano perfettamente della sua esistenza oltre a farne parte, ma dissimulavano senza troppi problemi. Del resto i Membri Ristretti non dovevano intervenire in nessuna decisione senza che ci fossero valide ragioni.

L'ultima volta che Kisshu li aveva visti intervenire era al loro ritorno dalla Terra: non avrebbe immaginato che il loro naufragio fosse una ragione così altrettanto valida per mettersi in moto.

« Quindi lei punterebbe ad un'azione interna, nobile Ron. »

Riprese Meryold con calma. L'uomo la fissò con un'intensità quasi sconveniente:

« Ha forse idee più sensate? »

« E se avessero semplicemente bypassato la barriera protettiva di Luneilim? »

Gracchiò un secco e raggrinzito ufficiale del Corpo Disciplinare. Ron fece dardeggiare le iridi color bronzo e tuonò cupo:

« Il giorno che diffiderò di un dispositivo del capitano Luneilim o del colonnello Ikisatashi, sarà quello in cui mi ritroverò il coltello di un mercenario su per il culo. »

L'ufficiale si strinse nelle spalle infastidito dal linguaggio, ma dovette assentire.

« Concordo. »

Si aggiunse un consigliere più giovane e accennò con la mano ai tre Ikisatashi figli:

« Inoltre, ci hanno confermato che le navicelle erano state manomesse. Non vedo un motivo sensato per cui dovrebbero mentire. »

Kisshu lo studiò un momento, era lo stesso consigliere che aveva difeso le MewMew durante la sfida con Lenatheri e Sando. Gli rivolse un rispettoso e discreto cenno di ringraziamento.

« Per alimentare malelingue all'interno del Consiglio? »

« Con tutti il rispetto Ebode-san – intervenne Iader – parlando da padre, non ho cresciuto tre soldati così stupidi da inscenare una manomissione delle loro astronavi senza riflettere che non avrebbero ricevuto immediati soccorsi. »

« Ha ragione. – gli fece eco il terzo membro presente del Corpo – Le nostre procedure impongono l'intervento dopo tre giorni in caso di richiesta di soccorso, di sei in mancanza di comunicazioni; nel caso di perdita di contatto in territorio sconosciuto, dieci giorni. »

« E loro sono comparsi per quindici. »

Sospirò Meryold stanca di simili puntualizzazioni. Ron si schiarì la voce e sentenziò:

« Qualcuno non vuole che otteniamo il Dono prima che Jeweliria marcisca del tutto. Oppure, voleva vedere morto qualcuno e (lo ripeto da uomo stupido) sono più che certo di sapere chi. »

Guardò Teruga che ricambiò con seria preoccupazione.

« Se le cose stanno così non si tratta più solo di una ripicca contro le terrestri – bofonchiò il magro ufficiale del Corpo – ma di un vero inganno concepito anche contro il Consiglio, che ha concesso loro fiducia. »

« È una cazzo di dichiarazione d'intenti. – sbottò Ron – Intenti decisamente ostili, mi sembra inutile puntualizzarlo! »

« Assolutamente. »

Con fare perentorio Meryold si alzò e tutti gli sguardi furono immediatamente su di lei:

« Chiedo immediatamente che il Corpo Disciplinare d'Armata si occupi di far luce su questa faccenda, anche se non abbiamo potuto recuperare gli strumenti di manomissione. »

Pai chinò appena la testa contrito e la donna gli fece cenno di lasciar stare. Guardò i tre ufficiali del Corpo compreso Ron e loro annuirono.

« Inoltre impongo che l'estensione del permesso di accesso ai terrestri sia attivato il prima possibile. Iader-san, chiedo a lei di avvertire Kiddan-san. »

« Certo. »

La donna si voltò verso la strana macchina da scrivere che non aveva interrotto un momento il suo lavoro: agitò la mano e il meccanismo rallentò fino a fermarsi, quindi svanì riducendosi alle dimensioni e alla forma di una fede, che Meryold indossò alla mano destra.

« Questa riunione è aggiornata. Vi prego di mantenere per voi ogni cosa è stata detta tra queste mura. »

Tutti si alzarono e annuirono.

« E voi – i suoi occhi blu scrutarono severi la famiglia Ikisatashi – vi ricordo che avete acceduto a questa riunione solo in via eccezionale. Vi è proibito sia parlare di quanto avvenuto, sia dei Membri Ristretti che di dove si è svolto il raduno, mi sono spiegata? »

Fecero rapidi cenni di sì senza alcuna obiezione.

I quattro attesero che tutti e sei membri presenti uscissero eccetto Ron, che si accodò dietro di loro e li condusse per il lungo e stretto corridoio buio fino a che non si ritrovarono in un angolo del Palazzo Bianco. Kisshu si sentì un po' frastornato e guardò senza pensare alle sue spalle, ma non c'era nient'altro che un corridoio vuoto: non si era neppure accorto di essersene andato e neppure di essere tornato indietro.

I Membri Ristretti sanno creare distorsioni dimensionali incredibili…

« Possibile che quando ci siete di mezzo voi tre scoppiano solo dei gran casini? – sbuffò Ron seccato – Iader, credevo che almeno un po' del buonsenso di quella santa donna di tua moglie l'avessero ereditato, i tuoi figli! Cos'è, ti sei riprodotto per mitosi? »

L'uomo ridacchiò a disagio, come faceva da soldato semplice verso il suo superiore. Ron sospirò e non disse altro conducendoli per il corridoio.

« Sono più che certo di non appartenere al processo di sdoppiamento… »

« Tu tra tutti sei quello che è di più una testa di cazzo, Kisshu. – sentenziò Ron laconico – Mai quanto tuo padre, ma ci arrivi vicino. »

« Credo che dovrei offendermi? »

« Grazie pa'… »

« Almeno Pai lo salvavo, ma… »

L'uomo s'interruppe e guardò Pai dalla testa ai piedi. Taruto non riuscì a non vedere suo fratello come un uomo piccolissimo, a confronto con il mastodontico Ronahuge.

« Non avete ritrovato il dispositivo di manomissione? »

Pai annuì.

« Mi prendi forse per un coglione, ragazzino? – fece cupo – Fai vedere. »

Pai sostenne il suo sguardo incandescente pochi secondi, prima di infilare una mano in tasca e mostrargli il dischetto mezzo rotto che aveva estratto dalle lamiere della nave. Ron lo rigirò tra le dita per un po', sforzandosi inutilmente di capire cosa fosse – non era davvero stupido, ma in fondo la sola tecnologia che capiva era quella di una lama ben affilata e di un fucile carico – finché non vide ciò che stava cercando.

« Questo coso fa parte delle nostre scorte militari. »

« Esatto. – il viola incrociò le braccia con espressione dura – Materiale a cui nessuno fuori dall'esercito o da un'alta carica del Consiglio poteva avere accesso. »

« Quindi c'è davvero un traditore. »

Sospirò Iader preoccupato. Pai annuì in silenzio mentre Ronahuge gli porgeva di nuovo il dischetto:

« Nascondilo per bene. Meglio non dire niente a nessuno per il momento. »

« Non so se sarò in grado di risalire a chi l'ha rubato – ammise il giovane – ma posso provarci. »

« Fallo. – insisté Ron – E date un calcio a Kiddan perché si muova. La prossima volta potreste non essere così fortunati da sfracellarvi e basta. »

 

 

***

 

 

Sury camminava davanti ai due ragazzi con fare spedito e allegro, dimentica del pianto a dirotto fatto fino a poco prima e felicissima di riavere il fratello e una persona interessante da scortare fino a casa. Eyner si massaggiò il collo a disagio:

« Mi spiace, con me finisci sempre incastrata con qualche marmocchio. »

Zakuro non gli rispose guardandolo fisso e lui si rese conto di non aver scelto le parole migliori.

« Intendevo… –  cercò di aggiustarsi – Io sono obbligato, tu… »

« Non preoccuparti. »

Abbozzò un sorriso che sparì veloce com'era comparso e continuò a camminare, nel silenzio sonnolento del tramonto.

« Credo che tu possa concederle di essere un po' viziata, almeno per oggi. »

Eyner studiò la sorellina, gli occhi ancora gonfi per il gran pianto che faceva saettare di quando in quando verso di lui, soffocando sorrisini allegri in stranissime smorfie e faccette storte; sorrise con tenerezza:

« Credo di sì. »

Zakuro ricambiò con un cenno. Osservò un po’ meglio Sury, che aveva preso un filo d'erba e lo faceva ondeggiare con gusto: aveva capelli tra i più lisci che avesse mai visto, perfettamente pareggiati alla vita, neri con riflessi cioccolato appena più scuri del fratello; due ciuffi erano tenuti davanti alle orecchie, legati con dei nastrini viola forse per fare pendant coi suoi occhi, ma non si avvicinavano nemmeno al cangiante iride blu-lilla della piccina. Sulla pelle chiarissima c'erano cerotti e qui e lì vari graffietti in via di guarigione, segno che nonostante l'aspetto delicato la bambina doveva essere abbastanza scalmanata.

Si fermarono poco più avanti ed Eyner mosse il braccio teatrale:

« Beh, allora signorina, benvenuta in casa Toruke. »

Zakuro osservò il piccolo edificio in cui il ragazzo la invitò ad entrare. Come struttura era simile alle case adiacenti e a quella degli Ikisatashi, anche se più piccola; la porta d'ingresso era di travi di legno grezze e spesse e si apriva su un ampio ambiente in cui il mobilio aveva una linea moderna, ma allo stesso tempo sembrava vecchiotto e molto vissuto; un tavolo circolare occupava tutto un angolo assieme a quattro sedie a guscio, e sulle pareti c'erano scaffali molto semplici ricolmi di oggetti familiari – come dei libri – e altri di cui non coglieva la natura. In un cantuccio buio la mora scorgeva quello che sembrava un divano dall'aria consumata, mentre in fondo di fronte a lei intravedeva un piano cottura; dalla parte opposta un corridoio curvava a gomito, nascondendo oltre la parete quelle che forse erano le camere da letto.

« Lo so, è un po' malandata. »

Fece Eyner a disagio. Zakuro scosse la testa e sussurrò un no. Per quanto a prima vista angusta e forse povera, quella casa trasudava calore e intimità, una sensazione che non aveva mai avvertito dalla sontuosa villetta dei suoi in America o nel suo appartamento ultramoderno a Tokyo.

« La trovo bellissima. »

Si sentì tirare un paio di volte per la manica e si ritrovò a guardare Sury, l'aria tipica dei bambini quando trovano qualcosa che li affascina e li imbarazza al contempo. Zakuro contraccambiò la sua faccia impacciata con un sorriso gentile e Sury ridacchiò:

« Ti faccio vedere la casa! »

Scattò verso il divanetto accendendo una piccola lampada sul soffitto; Eyner la guardò passandosi una mano sul viso con fare stanco e Zakuro lo blandì con un gesto del capo.

« Mi spiace – disse ancora, grato della sua pazienza – di solito non è così appiccicosa. »

« Con tutto quello che è successo, anche lei vorrà distrarsi. – dedusse la mora gentilmente – Vuole solo un po' di attenzione. »

Lui rispose con un sorriso sghembo mentre Sury tornava indietro e costringeva allegra Zakuro a seguirla nella sua visita guidata. Finito di esplorare quella prima ala della casa – senza tralasciare nemmeno lo scarico del lavandino, con una certa disperazione di Eyner, e senza smettere un istante di chiacchierare a macchinetta, da brava bambina qual era – Sury si diresse nel corridoio. Zakuro si voltò solo un attimo verso il bruno, come a chiedere il permesso, intuendo che si trattasse di una zona intima, e lui fece un altro sorriso storto accennando con una smorfia ironica che non nascondeva nulla di inquietante o imbarazzante la dietro e poteva andare.

Sury condusse la ragazza in un piccolo passaggio su cui si affacciavano tre porte, due alla sua sinistra e una chiusa, a destra.

« Onee-chan! Onee-chan! Vieni! »

Zakuro sorrise e la seguì verso quella che, immaginò, fosse la sua camera, ma non prima di aver buttato un occhio nella stanza all'inizio del corridoio. Del resto, la porta era aperta, un palese invito a sbirciare.

La camera era come il resto della casa, semplice fin ad essere spoglia, ma accogliente; c'era una finestra che dava a nord-est, un letto sobrio accostato alla stessa parete e un mobile che forse conteneva dei vestiti, nient'altro.

« Quella è la camera di Eyner – le disse la bambina dall'altra stanza – non c'è niente di interessante lì. »

Zakuro annuì, ma fece comunque un altro passo dentro la stanza per vedere meglio; non che a quel modo potesse adocchiare molto altro, a parte un piccolo comodino su cui intravide due cornici con foto. Sovrappensiero ne prese una in mano, rendendosi conto che non si trattavano delle comuni foto a cui era abituata, ma l'immagine sembrava impressa con un qualche procedimento chimico su una sottilissima lastrina di metallo, come un dagherrotipo. Al contrario di quello terrestre, un processo antico e che ricordava ritrarre solo personaggi in bianco e nero di almeno centocinquant'anni prima, quelle avevano un'aria moderna ed erano a colori. In una c'era un Eyner di poco più giovane con una piccola Sury in braccio, nell'altra quella che doveva essere una foto di famiglia. In centro c'era Eyner ancora più piccolo, forse sui dodici anni e coi capelli un po’ più lunghi sul collo; dietro le sue spalle un uomo coi suoi stessi capelli scuri e lo stesso sorriso, ma gli occhi blu violetti della neonata, senza dubbio Sury, tenuta in braccio dalla donna dalla parte opposta dell'immagine. Lei era quella che spiccava di più: era minuta, dal viso dolce, ma anche da una semplice foto trasudava un fascino da diavoletta, accentuato dalle onde rosso amaranto che le sfioravano le spalle; non aveva grande somiglianza col resto del gruppo eccezzion fatta per gli occhi, quel grigio vivace che sfumava nel blu notte dell'estremità dell'iride, come quelli di Eyner.

« È la mia mamma. »

Zakuro ebbe un lieve sobbalzo sebbene non lo diede a vedere; si girò e incrociò lo sguardo un po’ immalinconito di Sury, che le andò vicino indicando la foto con l'indice:

« Me l'ha detto il fratellone. Quella è la mia mamma e quello è il mio papà. »

Zakuro annuì e le porse la foto, che Sury accarezzò distratta e rimise sul comodino con fare amorevole:

« Eyner mi ha detto che papà è morto poco dopo che sono nata io, la mamma quando avevo tre anni. »

Il suo tono era basso, ma piatto e tranquillo, troppo da adulta; alla mewwolf ricordò il suo alla stessa età, e non le piacque.

« Un po' me la ricordo, ma non tanto… »

A quel punto sembrò intristirsi. Zakuro le si inginocchiò vicino e sorrise:

« Cosa ti ricordi? »

« … Mi ricordo il suo profumo. – replicò, quasi incerta su cosa rispondere – E… il modo in cui mi abbracciava. »

« È bellissimo. – sorrise discretamente – Sai, è difficile ricordarsi cose simili quando si è così piccini. »

Sury parve entusiasmarsi a quell'affermazione e prese di nuovo un gran sorriso:

« Ora ti faccio vedere i miei giocattoli! »

Zakuro le fece segno di sì e Sury andò trotterellando di nuovo in corridoio; la mora la seguì, non prima di vedere qualcosa di bianco che prima non aveva notato spuntare da dietro le cornici spostate: il fazzoletto con cui aveva fasciato il braccio di Eyner, quando si era ferito contro Toyu.

 

 

***

 

 

« Cosa facciamo? »

La voce di Ebode nel trasmettitore risuonava bassa e fioca come quella di un bimbo:

« Cosa facciamo?!? »

« Cosa facciamo? – sibilò l'interlocutore dall'altro lato; sembrava molto irritato – Ebode, cosa farà lei! »

« Se scoprono me scopriranno anche te! – berciò stridulo – Mi hai capito?! Razza di- »

« E chi crederà ad un traditore? »

Ebode si zittì digrignando i denti furente.

« Stia tranquillo. Non risaliranno mai a lei. »

« Ma hanno capito che ci sono dei traditori! »

« Se ne stupisce? – sbuffò sarcastico – Cosa pensava? »

S'interruppe un momento e la sua voce divenne feroce:

« Ha quasi ucciso quattro membri dell'esercito, in missione per conto di un consigliere anziano e sotto la protezione diretta del Consiglio Maggiore. »

Ebode rise nervosamente, ma parve più singhiozzare:

« Suvvia n- »

« Lei mi aveva garantito la loro incolumità! Mi aveva assicurato che solo i terrestri sarebbero rimasti coinvolti, invece ha quasi ucciso…! »

« No. – sussurrò l'uomo malevolo – Lei li ha quasi uccisi. »

Silenzio. Un silenzio irritato e colpevole. Ebode sogghignò:

« Un incidente di percorso. »

« Al prossimo potrei aprirle la gola. E non penso che in molti piangeranno la sua scomparsa. »

Ebode deglutì, ma ostentò quanta più calma potè:

« Suvvia, ha ragione, dobbiamo calmarci… Dobbiamo fare il punto della situazione. – soppesò – Per il momento agirei con maggiore discrezione. Dobbiamo essere sicuri di colpire i bersagli giusti e al momento giusto. »

Dall'altra parte si udì un grugnito d'assenso.

« Mi informi di tutti i dettagli che riesce ad ottenere con le sue ricerche, e su quanto detto nei concilio dei Membri Ristretti. »

« Ovviamente. »

« … È meglio se non la ricontatto per qualche giorno. »

« Idea saggia. – assentì l'uomo – Le invierò tutto quando possibile. Aspetteremo le loro prossime missioni, non credo agiranno fintanto che quel vecchio sciocco non avrà completato i permessi di accesso. »

Ci un altro verso di conferma e il trasmettitore smise di ricevere. Ebode lo nascoste sotto la cappa da consigliere e tornò a passi lenti nei suoi alloggi, senza smettere di sfiorarsi la carotide con due dita.

 

 

***

 

 

Ichigo sprofondò sulla sua sedia e gettò indietro la testa, esausta. L'orologio sul suo comodino segnava già le 2 e lei non aveva guardato nemmeno la metà dei file registrati dal suo scudo.

Come aveva assicurato Pai, gli schermi avevano svolto egregiamente il loro lavoro: per due settimane terrestri nessuno si era reso conto che non fosse la vera Ichigo, o la vera Retasu o Minto o Purin o Zakuro, ad andarsene in giro, ma copie apparentemente perfette. Gli scudi avevano copiato i loro schemi comportamentali e d'abitudine, vivendo le loro giornate e mascherando la loro assenza a tutti – eccetto ovviamente Keiichiro, che mandando alle ortiche la sua solita compostezza le aveva abbracciate tutte nel momento un cui avevano varcato la soglia del Caffè, preoccupato a morte.

Ovviamente gli schermi non potevano compensare alla loro effettiva assenza, ma MoiMoi aveva pensato anche a quell'inconveniente. La mewneko toccò sovrappensiero la minuscola scheda di memoria inserita nel suo pc, in cui erano immagazzinati sotto forma di video tutti e quindici giorni in cui era stata sostituita da una sua copia in impulsi elettrici e nano-robot.

Era incredibilmente assurdo veder scorrere le scene della sua vita quotidiana, che parevano riprese da una telecamerina nascosta: c'era tutto, dal mangiare all'incontrarsi con le amiche, la scuola, perfino l'andare in bagno. Fortunatamente la tecnologia aliena dello scudo le permetteva di visionarle ad una velocità tripla al normale – capendo cosa stava guardando – altrimenti avrebbe passato altri quindici giorni di fronte allo schermo; alla lunga però le era venuto mal di testa e aveva proprio dovuto fare pausa, prima che le esplodesse il cervello.

Inoltre non era più così sicura di voler continuare, dopo quanto aveva visto.

Come da programma, lo schermo che la sostituiva si era occupato anche delle conversazioni con Masaya. Beninteso che non fosse in grado di spiegare cosa stesse accadendo alla vera Ichigo, la sua proiezione si limitava a sorridere confermando una tipica e tranquilla giornata, lasciando poi le redini della conversazione al moro.

Tuto normale. Tutto tranquillo.

Come poteva non essere? Lo scudo era la sua copia perfetta.

Eppure, l'idea che Masaya non si fosse accorto che non si trattava di lei la feriva.

Forse è lo schermo, si diceva. Forse è che siamo lontani, e l'altra me sorride serena.

Forse era che ormai parlava talmente tanto dell'Inghilterra da non provare più interesse per quello che lei aveva da dirgli. Ma del resto Ichigo – quella falsa – cosa aveva da raccontare? La solita vita, la scuola, il Caffè. Una tremenda minaccia inter dimensionale per il momento stabile.

L'Inghilterra era un argomento molto più interessante.

Di certo se lei – quella vera – gli avesse spiegato cos'era successo si sarebbe preoccupato. Forse avrebbe preso addirittura il primo volo per Tokyo solo per essere sicuro che stesse bene

Forse lo avrebbe fatto.

Ichigo però non aveva detto una parola. Nemmeno una. Aveva sorriso, quella sera, telefonandogli come se non fosse accaduto nulla, e come il suo doppione aveva fatto le sere precedenti aveva raccontato vaghi dettagli di una giornata monotona, finendo per ascoltare invece per filo e per segno l'escursione a Stonehenge e l'affascinante storia dietro al cerchio di pietre.

Forse se avesse saputo si sarebbe preoccupato, ma Ichigo non era riuscita a dirglielo.

Era infantile, lo sapeva. Neppure i fratellini di Purin si erano accorti di non trovarsi di fronte la sorella, ma lei puniva senza dirglielo Masaya perché non l'aveva riconosciuta. Non riusciva ad accettare la cosa.

Sono sicura che se fosse stato qui se ne sarebbe accorto.

Sospirò e si alzò per andarsi a lavare il viso, aveva ancora moltissime cose da vedere prima di dormire.

 

 

***

 

 

Lo strillo di Zizi fece tremare le pareti mentre lui sbatacchiava le gambe contro la teca di vetro della sua capsula di rigenerazione:

« Cazzo…! Fa male! Fa male! Cazzo fa maleeeh! »

Toyu lo fulminò con un'occhiataccia ma era troppo sofferente per rispondergli; terminò di controllare i parametri vitali di Lindèvi, immobile come Biancaneve nella sua bara di cristallo, e dolorante si diresse ai piani inferiori.

Le grida del suo compagno lo accompagnarono ancora a lungo, finché non si ritrovò nella cripta che si spalancava sotto l'altare dello Specchio. Una parete trasparente e liscia come acciaio, gemella di quella al piano superiore, circondava tutto il corridoio morto come solide mura lasciando solo uno spiraglio d'accesso allo spazio che si apriva sul fondo; un'ombra nera continuava a danzare frastagliata da una parte all'altra dello specchio, a scatti confusi, intervallandosi con una sagoma ormai quasi totalmente definita che passeggiava sul limitare della superficie come meditando sul da farsi. Di fronte alla parete una capsula rigenerativa enorme, dotata di intricatissimi sistemi per la respirazione artificiale e il coma indotto, ronzava silenziosa custodendo il suo ospite con grande cura.

Toyu sospirò sollevato, il crollo di Arashi era stato provvidenziale. Se li avesse visti tornare in simili condizioni – lui ustionato, Lindèvi con una spalla distrutta e Zizi senza un braccio – con ogni probabilità li avrebbe resi cibo per topi.

Alzò lo sguardo verso la parete studiando la sagoma che passeggiava. Era certo lo stesse guardando e lui ne riconosceva quasi distintamente la forma; ormai era solo un individuo dietro un vetro leggermente appannato.

« Sei diventato così forte da costringere Arashi ad un ciclo di riposo? »

Domandò, consapevole di non ottenere risposta. L'ombra annuì con una qual soddisfazione, controllando la sua coinquilina che sfumava qui e li come stracci di fumo spazzati dal vento.

« Sono sicuro che hai aiutato tu la ragazzina a trovare il Dono… Sei davvero un ingrato! – rise – La tua gente siamo noi o sbaglio? »

La sagoma rimase immobile e Toyu sentì bruciare sulla pelle il suo sguardo di disappunto.

Bruciare…

Si piegò un poco e immediatamente dovette fermarsi per le fitte che riceveva dall'ustione sulla schiena.

Quell'Eyner gliel'avrebbe pagata molto cara.

« Ora non ho tempo. »

Sussurrò a se stesso. Guardò ancora Arashi, addormentato dietro al vetro, e fece due conti.

Sarebbero occorsi alcuni giorni prima che Zizi e Lindèvi fossero di nuovo in grado di combattere e lo stesso valeva per lui. Arashi, invece, non sarebbe uscito dal ciclo di sonno prima di alcune settimane: il suo legame con il Primo era diventato troppo forte, se non voleva rischiare di perdere completamente la propria coscienza avrebbe dovuto isolarsi dalla sua esistenza e indebolire il contatto.

Questo significa che ho un po' di tempo.

"Un topo all'angolo sa mordere un gatto", così si diceva. Ne avevano avuto piena dimostrazione, o almeno era ciò che urlava da tre ore Zizi stritolandosi il moncherino sulla spalla.

Si sarebbero rimessi in sesto. Avrebbero sondato il terreno, con calma, studiando con attenzione le mosse dei nemici e atteso il momento propizio.

Pianificando gli venne in mente la maestria con cui la ragazza lupo aveva inchiodato Zizi a terra; le sue belle labbra si curvarono divertite:

« Non ho mantenuto la promessa… Alla prossima volta. Le riserverò un'accoglienza degna. »

Si voltò gettando un ultimo sguardo alla parete. La sagoma del Primo era angosciata e questo fece divertire molto Toyu:

« Pensi di riuscire a salvarle per sempre? »

 

 

 

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~

 

Uhaaa, in qualche modo ce l'ho fatta @_@""! ragazzi questo capitolo è stato un parto…! Sapete, quelli che proprio non vogliono venire, che li riscrivete + e + volte e fan sempre schifo? Ecco, è uno di quelli.

Ci ho messo un sacco a farlo diventare come volevo, o quantomeno decente :P.

Per quel che mi riguarda adoro Ronahuge… Sì ha un nome impronunciabile (la H si sente e la G è dura, per la cronaca ;) ) l'ho creato apposta xDD! Mi diverto un sacco a scrivere di lui, ma alla fine mi vengono solo personaggi soccati ^^"" <. Riflesso di una persona fine come uno scaricatore di porto.
Stasse i commenti sono rapidi anche xkè voglio morire sul letto :P. Vi rassicuro sul fatto che la tesi è stata completata e aggiornerò di nuovo tra 2 settimane
J perciò attendente con fiducia . vi ringrazio dei commenti e del sostegno , siete patatolosi e io vi adoro ; un bacio speciale a  Hypnotic Poison (solo per te alle 3, ma chére :3), Danya, zakuro_san, Amuchan e mobo ALLA PROSSIMA!

 

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Capitolo 18
*** Toward the crossing: third road (epilogue) ***


Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: 
Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro recensioni. 
Farai felice milioni di scrittori. 

 

Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: Non essere indifferente!
Salva anche tu una tastiera da pazzoidi che le massacrano scrivendo come disperate! Non chiudere gli occhi, puoi salvare milioni di vite elettroniche.

 

 

 

 

 

 

Hola gente! E con sommo anticipo, solo perché sto svalvolando in questi gg (e così recupero il ritardo dell'ultima volta :P). Siete felici? Allegri? Moderatamente poco incacchiatelli ^w^?

Allora preparatevi a questo bel capitolozzo che salta di palo in frasca amabilmente xD, con cambi scena ogni tre per due (mi gira la testa @_@"!) e piccioni giganti xDD!

Kisshu: ti serve una vacanza -.-"!

Perfettamente ragione MA cosa impossibile almeno fino a data da destinarsi ^^"""! <- ombre di stanchezza
Vi lascio alla lettura, è lunghissimo! A dopo!

 

 

 

Questo capitolo lo dedico a tutti quelli che si stanno dando da fare.

A tutti quelli che hanno qualcosa da dover affrontare, e tutti quelli che hanno bisogno di un abbraccio .

(Sì, lo so che sai che parlo anche di te. Sono spudorata, fattene una ragione J )

 

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Cap. 18 – Toward the crossing: third road (epilogue) 

                 Thinking through

 

 

 

 

 

La lezione di giapponese proseguiva da un'ora con la voce ritmica del professore a scandire il tempo, meglio di quanto non facesse l'orologio scalcinato sulla parete; le penne e le matite sfregavano sui fogli con l'armonia di un concerto, taluna rapida, taluna più lenta, un'altra che batteva sulla superficie del banco tanto il proprietario la schiacciava dopo averla alzata.

Ichigo stava seguendo l'esempio degli altri, ma era certa che non avrebbe ricordato nulla di quanto stava ascoltando. La sua mente era affollata da troppi pensieri per considerare importanti o vagamente interessanti le parole che annotava distrattamente.

Erano trascorsi quattro giorni dal loro ritorno e lei non poteva dire proprio di averli trascorsi con animo sereno. Soprassedendo sulla – immane – quantità di materiale da studiare che aveva e che mai si sarebbe ricordata prima degli esami di fine trimestre – a cui, grazie al simpatico scherzetto temporale, mancava meno di un mese e una decina di giorni – era nervosa per la situazione con Masaya, per cui non smetteva di sentirsi arrabbiata e contemporaneamente in colpa per sentirsi arrabbiata; ciliegina sulla torta, doveva passare ogni pomeriggio a lavorare con la costante presenza da fantasma di Ryou, che la trattava con ancor più freddezza e indifferenza del normale.

Prima mi… Abbraccia e poi mi ignora. Ma che gli passa per la testa a quello?!

L'unica cosa positiva era che non aveva ancora avuto modo di stare sola con Kisshu per più di due minuti. Sarebbe stato davvero troppo, almeno in quel momento, dover anche riportare a galla la storia del bacio e delle scuse che entrambi si dovevano a vicenda: lei non era sicura di suonare molto sincera nello stato in cui era, se gli avesse detto di essere stata troppo dura con lui.

Ovviamente restava aperta tutta la questione degli Ancestrali, dei salti dimensionali e del suo misterioso salvatore. Non era potuta sfuggire troppo agli interrogativi su di lui, visto e considerato come il primo giorno di ritorno alla quotidianità fosse arrivata al Caffè e le si fosse presentato davanti la brigata al completo di MewMew e alieni, MoiMoi e Sando compresi, pronti a farle il terzo grado.

Spiegare come le fosse apparso in sogno, le corrispondenze con le sue enigmatiche parole – il suggerimento sull'istinto felino, a Glatera, e poi sulla MewAqua nel fiume e sul tempo alterato nella dimensione – non fu difficile come se l'era immaginato. Fu molto peggio. Ogni parola che le usciva dalla bocca le suonava un farfugliamento da schizofrenica e forse era così, a giudicare dalle espressioni incredule degli altri. Quando aveva timidamente affermato della somiglianza dell'ombra con Ao No Kishi, Minto le era saltata quasi al collo:

« Ti rendi conto chi fosse Ao No Kishi?! – aveva sibilato fuori di sé – Non ti sei accorta di chi ora ha la sua stessa faccia?! »

« Minto… »

« Non ti è passato per l'anticamera del cervello che quella cosa sia uno…! »

« Minto. »

La mora si era zittita al rimprovero fermo di Zakuro. Ichigo aveva abbassato la testa incapace di continuare.

« Se avesse voluto fare del male a Ichigo – aveva suggerito appena Retasu – non avrebbe potuto approfittare di quando ha affrontato il merkv? O di quando siamo precipitati… »

« Potrebbe anche usare lei per trovare il cristallo. »

Aveva bofonchiato la mewbird lugubre guardando Ichigo con una vena di preoccupazione.

« Per quale motivo? – aveva puntualizzato Pai – Chiunque (o qualunque cosa) sia quell'essere, sapeva dove si trovava la MewAqua in quella dimensione: se collabora con gli Ancestrali che senso avrebbe avuto suggerire ad Ichigo la sua ubicazione? »

Il ragionamento era parso sensato, ma non aveva dissolto l'inquietudine che aleggiava tra i presenti. Ichigo aveva promesso di porre attenzione in quei contatti e di fare rapporto appena fosse successo qualcosa di insolito e nessuno aveva replicato; del resto cosa avrebbero potuto dirle?

Solo Kisshu, mentre lei si trovava già sulla porta, l'aveva fermata afferrandole una spalla e raccomandandole:

« Fai attenzione, d'accordo micetta? La tua testa è un posto dove non posso proteggerti. »

Lei, che dopo giorni di silenzio e gli ultimi trascorsi  si sarebbe aspettata tutto, ma non simili parole e lo sguardo sinceramente in ansia del ragazzo, era rimasta a fissarlo arrossendo come una bambina e farfugliato un grazie se n'era andata quanto più in fretta poteva.

Dovette posare la penna e fingere di cercare qualcosa sotto il banco per nascondere le guance scarlatte.

Dannazione, perché ci ho ripensato…?!

Doveva aver rotto per errore qualche statuetta votiva ed aver attirato l'ira di una divinità, oppure doveva aver disturbato il riposo di qualche spirito ed essersi attirata il malocchio.

Era sicura di aver già pensato qualcosa del genere, ma non vedeva altre spiegazioni per i suoi problemi sentimentali.

Da una parte c'era Masaya, il suo eterno amore, il ragazzo perfetto, con cui le pareva di avere più un rapporto fraterno che una relazione vera e propria.

Dall'altra Kisshu, che di perfetto aveva poco e nulla e che però la trattava come se fosse il suo primo e ultimo pensiero nella giornata, non risparmiandosi a ripeterglielo sia a parole sia – purtroppo – ad azioni.

Infine Ryou, incomprensibile, contorto, imperscrutabile Ryou, che passava dal trattarla come una ragazzina tonta a proporle appuntamenti o ad impetuosi – e imbarazzanti – slanci di affetto, tornando immediatamente dopo più gelido di prima.

Possibile che non esistesse una mediazione tra i tre?

Ichigo capì di essere rimasta troppo a lungo a frugare a vuoto sotto il banco e che le occorreva più tempo per schiarirsi le idee – o almeno rimetterle su binari sensati, in cui non comparissero né Kisshu né Ryou, ma solo il suo Masaya – quindi alzò la mano e prima ancora che il professore le desse il permesso, lei si stava già avviando in bagno.

« Non ritardi, Momomiya – lo sentì mentre usciva – tra poco ci sarà il cambio dell'ora e vi ricordo che dovete presentarvi nel laboratorio di chimica. »

La rossa chiuse la porta con un gemito mettendosi le mani nei capelli. Chimica, giusto…! La materia su cui pendeva già una grave insufficienza, di cui non capiva nulla e, giusto perché la sorte ha un certo gusto sadico, che aveva iniziato a comprendere un pochino solo grazie all'aiuto di Ryou; la materia per cui avrebbe presto avuto un esame di recupero che, da sola, avrebbe sicuramente fallito.

Ma perché tutte a me, niaa~h…!!!

 

 

***

 

 

Toyu regolò il dispositivo di cura automatico e vi si sedette sopra, stringendo i denti in un gemito soffocato; l'ustione non aveva accennato un solo istante ad alleggerire il dolore che gli infliggeva. Doveva resistere, presto sarebbe passato tutto. Le manovre che aveva progettato richiedevano tempo, ma non c'era motivo per dedicarlo tutto alla sua guarigione.

Diede un'ultima occhiata all'apparecchio che si stava riscaldando sulla plancia di comando, in fondo a quel guazzabuglio di pannelli elettronici che lui e gli altri avevano assemblato alla bene e meglio, con parti di attrezzature trafugate sotto al naso dell'esercito di Jeweliria. L'oggetto che Toyu fissava non era nulla più che una sfera poco più grande di una palla da baseball, con un'evidente ma piccola telecamera incorporata sul davanti, che emetteva ritmici ronzii di circuiti in funzione; al suo interno, dietro un pannello trasparente, si muoveva lentamente un para-para, che sbatteva le antennucce contro la superficie emettendo suoni ovattati.

Quello era di certo il bottino più utile che avevano sgraffignato, o almeno lo sarebbe stato per i nuovi piani del biondo. Si trattava di una serie di sonde da avanscoperta, che i soldati inviavano in territorio ostile per creare intralci ai nemici: erano dotati di sensori visivi, telecamere e un piccolo cervello elettronico che permetteva analisi approssimative, ma efficaci, degli eventi registrati.

Toyu sorrise soddisfatto, schioccò le dita e la sonda scomparve; lui si distese nella capsula e chiuse gli occhi.

Analizzare le terrestri e i loro ex-compatrioti non significava non potergli dare qualche grattacapo.

 

 

***

 

 

« Mi dici cos'hai? »

« Eh? »

Retasu alzò gli occhi dal pupazzetto che stava cucendo e studiò confusa Ayumi: la rossa aveva posato del tutto ago e filo e la scrutava a braccia conserte con severità, la bocca piegata in una smorfia.

« Cos'hai che non va? »

« È una domanda un pochino vaga, Ayu-chan… »

« Non metterti a fare la spiritosa con me. »

Retasu smise di ridacchiare e Ayumi si protese sul tavolo continuando a guardarla fissa negli occhi.

« Nelle ultime settimane era tornato tutto come al solito – sospirò – Andavi al lavoro, venivi qui al club, siamo uscite, abbiamo studiato. Tutto tranquillo. Ora sono alcuni giorni che ti vedo stanca, distratta: hai una faccia spaventosa (con quelle occhiaie potrei farmici delle borse!), sei sempre con la testa tra le nuvole (più del solito), non ti ricordi le lezioni che ieri sapevi benissimo… »

La verde non rispose, impallidendo ad ogni parola.

« Per non parlare del sospirare! »

« C-come? »

« Ogni tanto ti incanti e sospiri con aria assente. »

Ayumi si protese sulle braccia fin a picchiare con la punta del naso contro gli occhiali dell'amica:

« Non è che ti sei innamorata di nuovo, uh? »

« Assolutamente no! »

Sbottò arrossendo; Ayumi la fissò un istante sembrando crederci e tornò più indietro, ma non abbandonò l'espressione cupa. Retasu era senza parole: né a casa né a scuola qualcuno aveva neppure sospettato che ci fosse una certa differenza tra lei e la Retasu falsa, invece la rossa l'aveva intuito. Strinse le labbra riflettendo, forse non era così strano: la schiettezza di Ayumi si accompagnava ad uno strano sesto senso per cose simili.

« Però sei strana – insisté – e io sono preoccupata. »

La fissò triste e Retasu credette di venire risucchiata da quello sguardo verde cupo. Si sforzò di sorridere, avvertendo chiaramente qualcosa incrinarsi terribilmente nel petto:

« Va tutto benissimo, Ayu-chan. Sta arrivando il caldo, ho avuto un pochino di problemi a dormire – replicò accentuando il fastidio per la cosa – nulla di grave. »

Sapeva di non averla proprio persuasa e sapeva che Ayumi continuava ad essere convinta che le stesse dicendo una bugia. Il sapore aspro del senso di colpa le invase la bocca, ma Retasu non smise di sorridere e tornò al suo lavoro sperando ad alta voce di finirlo prima dell'orario di lavoro.

Ti prego, scusami Ayu-chan…

 

 

***

 

 

Minto terminò di spazzare il pavimento del locale e andò a svuotare la paletta sbuffando per l'ennesima volta. Da quando erano tornati a casa non aveva più avuto un attimo di pace, tra lavoro, il controllare tutto ciò che era successo in due settimane e stare attenta a non tradirsi e dire cose sbagliate, ricordandosi ogni chiacchierata con le compagne di scuola, le lezioni e il resto. Era esausta.

Avrebbe voluto basta mezza giornata per raccogliere le forze, rilassarsi, e magari cancellare dalla mente certi ricordi dell'ultima settimana.

Dal fondo del locale sentì Eyner e Taruto che arrivavano a dare il cambio ai compagni; la mewbird tentò di sigillarsi le orecchie con il pensiero e di focalizzare solo la risposta allegra di MoiMoi,  ma fu inutile e la voce di Kisshu le perforò i timpani come uno sparo. Ogni volta che la captava le ribolliva il sangue nelle vene per la rabbia e la vergogna e doveva stare attenta d avere oggetti contundenti vicino alle mani, per non rischiare di lanciarli per tutto il Caffè.

Era furiosa con il ragazzo e i suoi ormoni in caduta libera, per non parlare del vizio appena scoperto – purtroppo sulla sua pelle – di introdurre la lingua in bocca altrui altrui senza consenso.

Ma ancor di più era furiosa con se stessa per non aver reagito, nell'instante in cui quello scriteriato aveva osato profanare ancora le sue labbra: aveva a malapena formulato l'idea di tirargli una ginocchiata nel plesso solare, ma era bastato l'afferrasse perché il suo cervello si svuotasse e lasciasse il bianco.

L'umiliazione sembrava volerla uccidere impedendole di scordarsi la sensazione di quel bacio. Fosse stata quantomeno una sensazione sgradevole – come avrebbe dovuto essere – di aggressione, di qualcosa di umidiccio o anche solo di invasione del proprio spazio, come quando qualcuno appena conosciuto ti abbraccia… Invece, per colmare la beffa, era stata piacevole. "Naturale", era il termine più adatto.

All'idea sbattè la paletta a terra facendo tuonare il colpo per tutta la stanza. Ignorò le occhiate interdette dei presenti che avvertì perforarle la schiena e riagguantò paletta e scopa, avviandosi nel retro a passo di marcia.

I casi erano due, o un tarlo alieno le aveva iniziato a rosicchiare il cervello e lei era impazzita, oppure – cosa più preoccupante – l'irritante vizio di Kisshu era legato ad una grande abilità, a cui lei sembrava abbastanza sensibile.

Il cielo me ne scampi e liberi…! Non ci penso neanche!

Un brivido freddo le salì fino al collo, doveva calmarsi e ragionare.

Quale fosse il trastullo mentale che aveva portato Kisshu a baciarla lei doveva centrare, in un modo o nell'altro. Mise la scopa al suo posto nell'armadietto e restò a fissare il fondo lucido: ogni momento discutibile che aveva trascorso con il ragazzo era sempre avvenuto dopo che lei aveva abboccato ad un suo stuzzicarla, o dopo che lei aveva punzecchiato lui; pareva che il suo trovarlo così insopportabile lo divertisse.

Richiuse l'armadietto e prese un profondo respiro, ricomponendosi.

Era ovvio, bastava guardare il suo comportamento con Ichigo, più la rossa lo scacciava più Kisshu non mollava la presa: era come un bambino viziato e Minto non aveva la minima intenzione di diventare il giocattolo top del mese. Doveva comportarsi da adulta, lei, rimanendo distaccata e calma, in poco tempo Kisshu si sarebbe stufato e avrebbe ricominciato ad ignorarla, mentre lei avrebbe scordato tutta la fastidiosa e seccante vicenda.

Si sistemò la crestina sulla testa e tornò in sala con il suo tipico sorriso di superiorità, convinta e decisa nella sua scelta. Non pensava minimamente di non aver valutato una possibilità ancor più preoccupante e, presto, avrebbe avuto di che pentirsene.

 

 

***

 

 

Purin mise fischiettando le scarpe da interno nell'armadietto e indossò quelle della divisa, non vedeva l'ora di andare al Caffè: giorno di stipendio, una buona dose di mance che nel periodo primavera-estate subivano un'impennata come i clienti, e soprattutto Taruto al turno di guardia. Dopo la sera a casa di Minto, quando aveva ammesso a MoiMoi che il brunetto le piaceva, era diventata sempre più allegra e desiderosa di vederlo e di parlargli, ogni momento era buono per stare un po' in sua compagnia.

« Ehm… Fon? »

Purin chiuse l'armadietto e guardò incuriosita uno dei suoi compagni di classe, un tipo un poco allampanato con i capelli nero pece tutti arruffati, in piedi al suo fianco.

« Haseki-kun. Ciao! »

Lui borbottò un ciao poco convinto; si guardava in continuazione prima la punta delle scarpe poi la biondina, sfuggendo il suo sguardo confuso, e infine mormorò:

« Posso… Parlarti un attimo? »

« Ma certo. – rispose lei allegramente – Dimmi pure! »

Il ragazzo incassò il viso nelle spalle e ispezionò attorno a disagio:

« A dire il vero… Avrei bisogno di parlarti da solo. »

Purin inclinò appena la testa senza capire, c'era ancora qualche studente nell'ingresso ma loro due attorno non avevano nessuno. Haseki scrutò torvo i pochi compagni di classe che li videro e se ne andarono ridacchiando e insisté:

« Possiamo andare qui dietro…? In cortile? Ti rubo solo due minuti. »

Purin continuò a non capire, ma fece spallucce e annuì seguendolo.

 

 

« Insomma… Che palle! Qui le scuole sono tutte uguali! »

Taruto sbottò così forte che alcuni passanti si fermarono, cercando di capire chi avesse parlato, e lui dovette spostarsi rapidamente dal loro raggio d'azione. Sbuffò scostandosi nervoso la frangia dagli occhi:

« La prossima volta non mi lascio convincere! »

Tutta colpa di MoiMoi, si disse, della sua preoccupazione dopo la loro assenza e di tutte le paranoie su un contrattacco di quei pazzi furiosi degli Ancestrali; lo aveva tartassato tanto che l'agitazione era venuta anche a lui e aveva accettato di andare a recuperare Purin che stava ritardando a lezione.

« Accidenti alla senpai! »

Borbottò e arrossì un pochino, consapevole di essere preoccupato di suo: le parole di MoiMoi avevano unicamente versato benzina sul fuoco.

Al quinto tentativo riuscì finalmente a trovare la scuola di Purin. Taruto fluttuò per qualche minuto sopra l'ingresso senza scorgere traccia della biondina, quindi sorvolò il perimetro della scuola attento che nessuno lo vedesse da una finestra; a metà del giro, quando fu sopra al cortile posteriore in cui scendeva la scala antincendio, vide finalmente Purin che parlottava con qualcuno.

Il ragazzino si teletrasportò più vicino dietro ad un cespuglio, non poteva piombare addosso alla ragazzina con un altro umano presente e nel suo solito aspetto: sistemò lo schermo sul suo polso e sbirciò fuori dal cespuglio, rendendosi conto che a parlare con Purin c'era un ragazzo.

« Haseki, allora, che volevi dirmi? »

Sentì domandare la mewscimmia, che si muoveva un po' nervosa sulle punte dei piedi sbirciando l'orologio e conscia di stare facendo tardi al lavoro. Il moro si morse il labbro e deglutì, visibilmente in imbarazzo e Taruto si accigliò, restando nascosto, non gli piacque quella faccia.

« Ecco… Fon, è un po' che volevo dirti… No, a dire il vero è un sacco di tempo… »

S'interruppe un istante ridacchiando nervoso e Taruto lo trovò insopportabile. Inoltre non capì assolutamente cosa stesse farfugliando, finché i segnali – evidentemente non colti da Purin – non si ricollegarono accendendogli un lumino nel cervello. L'irritazione si mescolò ad un lieve panico.

Stiamo scherzando?!

Tic nervoso di grattarsi il collo. Occhi più serpeggianti di un'anguilla che cercavano Purin e scappavano appena lei li incrociava.

Che fa 'sto tipo? Mi prende in giro?!

Agitazione crescente. Faccia sempre più rossa.

« Fon, io… Ecco io… Volevo dirti che tu… »

Che?! Cosa?! Chi?!

« Che tu mi p- »

Haseki emise uno strano verso di stupore e Purin cacciò un urletto vedendolo cadere di colpo a gambe all'aria; lui atterrò con un tonfo e avvertì qualcosa, la stessa che gli aveva falciato le gambe, tendersi e guizzare dietro alle sue spalle:

« Cosa diavolo…? »

Si alzò, fece mezzo passo e inciampò in una liana tesa davanti alle sue caviglie, finendo lungo disteso. Riuscì a malapena a capire cosa fosse successo che sentì qualcos'altro stringersi sul suo piede, sollevandolo e lanciandolo in mezzo agli arbusti dall'altro lato del prato.

« Haseki-kun! »

Purin osservò il moro, stordito tra i cespugli e con gli occhi quasi rivoltati che tartagliava parole senza senso, e si voltò furiosa dalla parte opposta: Taruto stava uscendo dal suo nascondiglio, schermato in abiti umani e con la faccia torva.

« Ma che cosa hai fatto?! »

« Ho dato un taglio alla conversazione, andava per le lunghe e io non ho voglia di aspettarti ancora. – si giustificò di malavoglia – O volevi ascoltarti tutta la dichiarazione? »

Purin lo studiò arrabbiata e confusa e quando comprese a fondo il senso di quella frase si voltò spaesata verso Haseki, che si stava riprendendo con bassi lamenti.

« Co…?! Davvero?! »

« Ma quanto sei scema? – sbottò Taruto nervoso – Cos'è, gli devi anche rispondere? »

« C-comunque non è una buona ragione per usarlo come peso da lancio per le tue liane! – lo strigliò – Ti ha dato di volta il cervello?! »

Lui insisté a fissarla torvo e un po' rosso in una piena e infantile dimostrazione di gelosia e non le rispose, avviandosi in un angolo riparato per teletrasportarsi. Purin battè i piedi a terra seccata, si voltò un secondo verso Haseki scusandosi per tutto e corse dietro a Taruto continuando a sgridarlo; il povero Haseki tentò di farfugliare qualcosa, ma era sicuro di aver già ottenuto la sua risposta.

 

 

I due ragazzini continuarono a litigare per il tragitto fino al Caffè e anche una volta arrivati, con Taruto sempre più intenzionato a non piegarsi ad alcuna scusa e sempre più imbarazzato per il gesto che aveva fatto. All'ennesima protesta di Purin per il suo comportamento e alla risposta di lui a grugniti, la biondina se ne andò negli spogliatoi arrabbiatissima e lui si piazzò in un angolo del locale, su una sedia, a gambe e braccia incrociate, borbottando parolacce e senza degnare di attenzione nessuno dei presenti che tentò di chiedergli cosa stesse succedendo.

Nel trambusto nessuno notò la piccola ombra sferica che sfrecciava fuori dalle finestre a cuore, accompagnata da un basso ronzio. Solo il piccolo Masha sembrò notarla, ma i suoi pigolii furono coperti dalla porta che venne aperta di botto.

« Mi dispiace, ho fatto tardi! Io… »

Le scuse di Retasu si spensero non appena la ragazza si accorse dell'atmosfera cupa:

« Ma che succede? »

« Vorrei saperlo anch'io Reta-chan – sospirò Eyner, che guardava condiscendente il suo amico – sono così da quando sono arrivati. »

La verde vide con apprensione Purin che finiva di preparare il locale: era chiaramente arrabbiata, ma ogni tanto il suo viso di ammorbidiva e un leggero di rossore le velava le guance.

« Che sia entrata anche lei nella pubertà? »

« Minto-san… »

« Non sono sbalzi d'umore un po' eccessivi? »

Mormorò Ichigo confusa. Né Retasu né Minto le seppero rispondere, mentre Zakuro, che aveva finito la sua parte di tavoli, guardò l'amica più giovane e sorrise.

Fu Keiichiro ad interrompere le loro congetture arrivando in sala e rivolgendosi implorante a Retasu con un fogliettino tra le dita:

« Scusami, ma posso approfittare di te visto che non ti sei ancora cambiata? Mi sono reso conto di aver scordato alcune cose e mi servono per l'ordine di un cliente… »

« Ma certo Akasaka-san. »

Sorrise lei prendendo la lista. A sentire il discorso Ichigo s'illuminò e richiamò l'attenzione di Purin a gesti e bisbigli, che quando capì, si scordò dei suoi tormenti e sogghignò complice con la rossa.

« Onee-chan, fatti accompagnare da Eyner nii-chan! »

I due emisero nello stesso momento un eh? di confusione per essere stati interpellati all'improvviso.

« Ma sì! – rincarò la mewneko – Meglio non girare sole. »

« Ma dai, Ichigo-san – fece timida la verde – è qui vicino, posso fare da sola. »

« Non ha tutti i torti. – pensò Eyner – In ogni caso, la prudenza non guasta. Se è vicino ci metteremo poco, e qui c'è Taruto. »

Non suonò convincente come rassicurazione, vista l'espressione tombale del brunetto, ma nessuno puntualizzò. Retasu ci riflettè un poco e annuì ringraziandolo:

« Ti spiace… Se andiamo a piedi? – mormorò però a disagio – Il teletrasporto… Non so come facciate voi in continuazione, ma a me da la nausea. »

Eyner rise e le diede un buffetto sulla testa annuendo. Appena si furono chiusi la porta alle spalle Ichigo e Purin si diedero il cinque:

« Perfettamente nelle previsioni! »

« Con loro due è troppo facile! »

Minto prese ad elencare sulle dita:

« Retasu non rifiuterebbe mai di fare un favore a qualcuno. Eyner è troppo coscienzioso per non essere prudente. Retasu odia il teletrasporto (come tutte noi, credo, a parte Purin). »

Guardò le amiche che sorrisero a confermare le sue intuizioni.

« Ci sarebbe arrivato anche un bambino, ma devo ammettere che come strategia non è malaccio. »

« Siamo grandissime strateghe, altroché! »

Si vantò Ichigo; Purin si battè un pugno sul petto, fiera:

« Realizzeremo il sogno d'amore di Retasu, sicuramente! »

« Ma si può sapere di che state parlando? »

Sbottò Taruto dal su angolino seccato degli schiamazzi. Le due risposero in coro:

« Tu non puoi capire. »

« Io ho il timore che siate voi a non aver capito un accidente – fece stancamente Ryou, sporto dalla finestra della cucina – finirete per causare più guai di quanti già ne abbiamo. »

Le ragazze non diedero minimamente ascolto alle sue parole e continuarono a ridacchiare giulive, con Minto che le osservava incerta se redarguirle o dare retta alle loro – presunte – certezze.

« Le ragazze sono innamorate dell'amore. – sorrise Keiichiro con aria da filosofo – Non si dice così? »

« Per me sono solo delle impiccione. »

Borbottò l'americano rientrando. Da come Zakuro lo seguì in cucina, sentendo i primi clienti entrare, Keiichiro immaginò la pensasse allo stesso modo, ma era davvero difficile intuire anche solo vagamente i pensieri dell'ermetica mora.

« Uh? »

« Tutto ok Akasaka-san? »

Il bruno scostò lo sguardo dalla finestra e sorrise radioso a Minto:

« Certo. Mi era parso solo… Di vedere un'ombra – fece spallucce e le porse un vassoio vuoto – sarà stato qualche uccellino. »

Lei fece un cenno di sufficienza e gli sorrise, andando a prendere gli ordini.

Fuori, appostata sul muro, la sonda esplorativa ronzò un secondo, analizzando i dati raccolti, e si mosse seguendo due dei  soggetti delle sue ricerche che si allontanavano nel parco.

 

 

Nel giro di cinque il minuti il locale si stipò di gente e le ragazze non ebbero più modo di pensare a nessuno dei loro problemi. Dopo i primi quattro tavoli Ichigo si pentì un poco di aver permesso a Retasu di abbandonarle – sarebbe stata meglio Minto, dato l'apporto lavorativo che dava – ma scacciò subito l'idea: doveva essere di sostegno alla sua amica, a costo di correre come una pazza per il locale e farsi venire la labirintite.

« Buongiorno! – sorrise in automatico all'ennesimo cliente, senza guardarlo davvero – Desidera un tavolo? »

« Ciao, Ichigo-chan… »

« Ayu-chan! Scusami, ciao! »

L'altra sorrise e guardò l'affollamento di gente e le nuvole colorate e bianche che erano le cameriere intente a sgambettare su e giù.

« Indaffarate, uh? »

« Abbastanza – rispose Ichigo con un sorrisetto sghembo – vieni, ti trovo un… Ma stai bene? »

La mewneko guardò preoccupata l'amica, di norma così allegra e frizzante, che stringeva mogia la sua tracolla e teneva lo sguardo basso.

« Eh? Ah, sì… –  sorrise l'altra stentatamene – Sto bene. Senti… Reta-chan è già arrivata? »

« A dire il vero è uscita un momento per una commissione. »

« Ah… »

« Ayu-chan, che hai? – chiese ancora Ichigo – Non è che ti sei presa il raffreddore? »

« Tranquilla, sto bene. – insisté la rossa – Dici che Retasu ci metterà a tanto a tornare? »

« Dipende se le cose vanno come speriamo! – trillò Purin comparendole davanti – Ciao Ayu nee-chan! »

« Ciao Purin… Come sperate in che senso? »

Le altre due si scambiarono un ghigno complice e Ichigo, convinta di tirare su l'amica, esclamò maliziosa:

« Diciamo che le abbiamo organizzato un appuntamento. »

« Ma di che parli? »

« Retasu nee-chan si è presa una cotta per Eyner. »

Rise Purin convintissima.

« Abbiamo creato un'occasione per cui potessero starsene un po' da soli. »

Ayumi continuava a fissarle incredula:

« Reta-chan ha un ragazzo che le piace? »

Ichigo annuì eccitatissima:

« L'hai visto l'altra volt… Tempo fa qui al Caffè – si corresse la mewneko, ricordandosi che per l'amica erano trascorsi già parecchi giorni da quell'episodio – quando hai incontrato anche Pai. Eyner è entrato dopo, è quel ragazzo coi capelli scuri… »

« Ichigo! Purin! – sbottò Minto dispotica – Si può sapere cosa state facendo?! Qui abbiamo bisogno di voi! »

« Eccoci! »

Sbuffò lei indolente:

« Scusa, Ayu-chan. Dai vieni, ti trovo un tavolo, appena sfoltiamo un pochino gli ordini ne riparliamo con calma. »

« No… Grazie, Ichigo – mormorò la ramata – Volevo… Dire una cosa a Reta-chan, ma la chiamo stasera. »

Si girò prima ancora che le altre due potessero protestare:

« Sono indietro con storia, è meglio se vado a studiare. Ci vediamo domani. »

« Aspetta, Ayu-chan…! »

Ma lei aveva già chiuso la porta e si era avviata a passo spedito lungo il vialetto d'ingresso.

 

 

***

 

 

« Scusami per il disturbo. »

« Reta-chan, si dice "grazie dell'aiuto" – la corresse Eyner affettuosamente – non devi chiedere scusa per tutto. »

« Scu… Ok. »

Lui annuì deciso e la verde rise piano, sistemandosi meglio la borsa sulla spalla.

« Accidenti, si sta rompendo…! »

« Di che parli? »

Lei prese tra le dita un pupazzetto che teneva legato alla borsa e gli mostrò la scucitura tra la sua schiena e il laccio per appenderlo:

« Meno male che me ne sono accorta, mi sarebbe dispiaciuto perderlo. – sospirò sfilandolo dalla cerniera dov'era appeso – Ci ho lavorato per giorni. »

« Aspetta, lo hai fatto tu? »

Eyner guardò ammirato lo strano esserino di stoffa – una sorta di pulcino rosa – e Retasu annuì timida.

« Hai un talento incredibile. »

« Grazie. »

Rispose sorridendo radiosa.

« Se Sury vedesse una cosa simile non ti si scollerebbe più di dosso! »

« Allora gliene farò uno tutto per lei. »

« Ehi, guarda che non scherzavo! – replicò al suo tono allegro – Cercherebbe di schiavizzarti per averne degli altri. »

Retasu non riuscì a non ridere di gusto.

« È una bimba carinissima. »

« È una viziata, ed è colpa mia – sospirò lui, fingendosi seccato ma senza smettere di sorridere – Non hai idea della fatica che ho fatto per non farmi seguire oggi… »

« Avresti potuto portarla, poverina. »

Fece dispiaciuta.

« Preferisco aspettare che si risolva una certa questione… »

La verde lo guardò interrogativa ma lui scosse la testa:

« Dovrebbero mancare pochi giorni – la rassicurò – ora è troppo lungo da sp- »

Si fermò di colpo studiando un'aiuola alla loro sinistra. Retasu lo imitò, ma non scorse niente:

« Eyner, cos- »

« Shhh. »

Lei obbedì preoccupata e stesse in ascolto; le parve di avvertire un rumore, ma era troppo flebile per le sue orecchie umane. Eyner rimase immobile e in silenzio una manciata di secondi, posò lentamente a terra la borsa della spesa e mosse l'indice della mano: una fiammella si animò silenziosa sulla punta del dito e lui la lanciò come un coltello nell'erba. Si udì un tramestio, uno strano ronzio metallico e qualcosa di meccanico schizzò in mezzo al prato scomparendo in pochi istanti.

« C-cos'era…? »

« Non lo so. Di sicuro non era vivo – assodò cupo – e sono convinto anche non fosse di queste parti. »

La mewfocena sgranò gli occhioni blu e lo fissò impallidendo.

« Sbrighiamoci! »

Lei annuì e non protestò minimamente quanto Eyner teletrasportò entrambi di nuovo al Caffè.

 

 

***

 

 

Il rudimentale cervello elettronico della sonda la portò a nascondersi un un'altra aiuola, al sicuro sotto un alberello; si acquattò nell'erba e fece un controllo delle funzioni principali, che non fossero state danneggiate dalla fiammata ricevuta. Solo il rivestimento esterno era un poco bruciacchiato, niente di prioritario, per cui passò alla rianalisi dei dati raccolti fino a quel momento.

Purtroppo non erano sufficienti: non aveva potuto individuare soggetti che si rapportassero ai suoi obbiettivi, e di questi aveva solo poche informazioni superficiali. Gli serviva più tempo. Occasioni migliori per studiare le loro mosse e immagazzinare dati.

Doveva ricorrere alla sua funzione principale.

Il suo sensore di movimento individuò un passerotto che becchettava tranquillo a poca distanza da lui, a stento interessato alla presenza di quel bizzarro aggeggio. La sonda ricalcolò velocemente le informazioni per valutare cosa fosse la cosa che gli si muoveva di fronte e quando capì che si trattava di un soggetto compatibile, aprì lo scomparto per liberare l'alieno parassita.

 

 

Ayumi tirò un calcio ad un sassolino che invadeva il sentiero, camminando con una mano in tasca e l'altra che le spostava con ripetuti scatti nervosi un ciuffo dietro l'orecchio. Era andata via dal Caffè per evitare di tirare in ballo le sue preoccupazioni con le altre, ma non era stata una grande idea.

Doveva parlare con Retasu, e doveva farlo quanto prima. Doveva riuscire a capire.

Lei non si considerava una persona molto intelligente, giusto nella media; certo, però, era che avesse un enorme intuito per capire quando una persona che le era cara aveva dei tormenti, e Retasu ne aveva di sicuro.

Forse centrava il sedicente ragazzo che avrebbe dovuto piacerle? Nel caso perché non parlargliene?

Un problema a casa? Non avrebbe avuto senso, Retasu aveva degli ottimi rapporti coi suoi genitori e con il fratellino, se fosse successo qualcosa di grave gliel'avrebbe di certo detto.

E a scuola sapeva che non c'erano guai, insufficienze o chissà che altro, quindi Ayumi non trovava assolutamente cosa potesse angustiare la sua amica.

Era preoccupata, ma ancor di più era triste perché Retasu non si stava confidando con lei, quasi che la loro amicizia avesse un limite oltre cui la verde non poteva spingersi.

« Detesto i segreti. »

Trattenendo un singulto sordo diede un altro calcio al sasso che uscì dal sentiero e finì in mezzo al prato. Ayumi rimase ferma e  lo guardò rotolare pigramente e fermarsi davanti ad un cespuglio isolato; non le parve troppo strano un arbusto così malconcio sbucato in mezzo al nulla.

Finché non capì che era un po' troppo grosso per essere un cespuglio selvatico. Che il colore giallastro era troppo fuori stagione a maggio inoltrato. Finché non si rese conto che non era il vento a muoverlo, e che quelle che si muovevano non erano foglie.

Era già troppo tardi quando capì che quel cespuglio respirava.

 

 

***

 

 

« Chimero! Chimero! C'è un chimero! Pii! »

« Cosa?! »

Alla domanda di Ichigo il piccolo Masha prese a svolazzare come un matto per tutta la cucina, già stipata di gente, contento di poter tornare al lavoro e ribadendo a gran voce:

« Chimero! Chimero! C'è un chimero! »

« Che ci siano Toyu e gli altri nei paraggi? »

Domandò preoccupata Minto.

« Non credo – rispose Taruto – Non avrebbero motivo di attaccarci con un chimero, se fossero già in grado di muoversi. Ma potrebbe essere un loro pensierino. »

Retasu guardò Ichigo riagguantare Masha prima che attirasse l'attenzione di qualche cliente e poi si voltò verso Eyner:

« Quella che abbiamo visto prima… »

« Dalle dimensioni credo fosse una sonda ricognitiva. – riflettè tra sé e sé – Però potrebbe essere stato qualunque cosa. »

« Rimuginarci sopra non serve. – fece Zakuro – Chiamiamo gli altri e andiamo a vedere immediatamente che succede. »

Le ragazze si scambiarono di posto con i loro schermi e si fecero teletrasportare fuori dalla cucina direttamente nel parco; contattarono gli altri alieni e dopo due minuti erano già al punto segnalato da Masha assieme a loro, compresi Sando e MoiMoi.

« Tu ora hai intenzione di venirci dietro ogni volta? »

Mugugnò Kisshu vedendo Ryou.

« Preoccupati della tua vita, non della mia. »

Gli rispose quello con una sferzata gelida degli occhi celesti, intanto che si trasformava in pantera argentata.

« Figurati – rise Kisshu facendo spallucce – al massimo ci guadagno uno scendiletto color topo. »

E un bastardo in meno che ronza attorno alla mia gattina.

« Piantatela voi due. – li rimbrottò MoiMoi – Ichigo-chan, dov'è il c- »

Le grida terrorizzate dei cittadini che si davano alla fuga risposero prima della rossa. Masha volò davanti a tutti indirizzandosi alla zona da cui la gente stava scappando e mandò uno strillo, scartando di lato prima di venire colpito da una raffica di quelli che parvero proiettili.

« Masha! »

Il robottino piò acuto e compì una capriola all'indietro nascondendosi dietro la schiena di Ichigo e prese a squittire terrorizzato:

« Chimero! Chimero! Che paura! Pii! »

« Non ce n'eravamo resi conto. »

Soffiò con sarcasmo Kisshu.

Il povero passerotto intercettato dalla sonda si era trasformato in un orrido volatile con tre zampe e sei paia di ali color giallo veleno; il becco aguzzo in cui schioccava una lingua cianotica emetteva altissime grida frastornanti e gli occhi, diventati rossi e triplicati di numero, si aprivano e chiudevano ognuno per conto suo sulla testa bitorzoluta. Il chimero sbattè le ali e un'altra raffica di proiettili, nient'altro che le sue piume pesanti come piombo e affilate come lame, sferzarono il terreno a meno di un centimetro dai piedi di chi si trovava in testa al gruppo. Ichigo mandò un urletto mentre Kisshu l'afferrò per la gonna del costume indietreggiando, salvando se stesso e lei dalla mitragliata, Purin fece un salto all'indietro così alto da atterrare in piedi sulle spalle di Sando:

« Ho trovato un appoggio! »

« … Sono quasi commosso dalla mira. – fece cupo – Potrei scendere e non usarmi come trespolo? »

Finì di pronunciare la frase e il chimero lanciò un'altra sferzata; Sando non ebbe tempo di riflettere e, afferrata con una mano la gamba della ragazzina perché non cadesse, generò delle liane che trafissero le piume-proiettile a metà e saltò indietro schivando quelle che non aveva intercettato.

« Senpai! State bene?! »

Sando si limitò a rispondere a Taruto con un grugnito e un cenno del capo. Purin guardò ammirata l'uomo e sorrise grata scendendogli dalle spalle:

« Grazie Sando nii-san. »

Lui accennò un sorriso, le diede un buffetto e si teletrasportò più vicino al chimero cercando di immobilizzare almeno un paio delle ali con le sue armi vegetali. MoiMoi gli fu subito dietro:

« Kame no hama(*)! »

L'enorme martello quadrato si abbatté contro la testa del grosso pennuto strappandogli un pigolio strozzato, ma l'animale si limitò ad arrancare goffo sulle sue tre zampe e a rispondere con altre raffiche in serie delle sue piume; MoiMoi si difese con i suoi serpenti di terra e saettò via, coperto da una parte da Pai dall'altra da Zakuro, che falciarono le ultime munizioni prima che colpissero i loro obbiettivi.

« Quant'è fastidioso questo coso! »

Sbottò Ichigo.

« Non ha nemmeno un punto cieco – bofonchiò Minto svolazzando attorno alla testa della creatura – quegli occhi sono una rottura. »

Cercò di colpirlo con uno dei sui dardi, ma il chimero piegò di lato il testone all'ultimo secondo e per ripicca tentò di acchiapparla schioccando più volte il becco.

« Che ne dite se ci facciamo un arrosto di tacchino gigante? »

Suggerì Kisshu. Pai ed Eyner annuirono e le loro armi iniziarono ad emettere fulmini e fiamme.

« Micetta, giocate un po' con il nostro amico, così ce lo leviamo dai piedi. »

Ichigo fece comparire la sua campanella e si scambiò uno sguardo d'intesa con le compagne, pronta ad attaccare.

« Fermi! – ruggì Ryou – Ha qualcosa… Tra le zampe! »

Puntò il muso tra gli artigli del chimero, che tenuti i nemici a distanza li osservava tubando cavernoso e muovendo la testa a scatti. Spostò le zampe e Retasu si chiuse le mani sulla bocca per soffocare un urlo:

« Ayumi…! »

La ramata era riversa sul fianco, immobile, pallidissima e con gli occhi chiusi, la divisa scolastica sporca di terra come se ci fosse rotolata o, più probabilmente, avesse tentato di scappare dagli artigli del chimero; lui la teneva sotto di sé senza toccarla, stando attendo a non schiacciarla, quasi fosse un bottino di guerra.

« Se fate arrosto lui prenderete anche la ragazza. »

« Ayu-chan…! »

« Reta-chan, ferma! »

Ma la verde si era già lanciata dritta contro il chimero senza neppure sentire la voce di Eyner. Con un balzo cercò di colpire con il Ribbon Lettuce Rush il chimero da sotto la gola, ma quello appena capì che stava mirando al suo trofeo cacciò uno strillo da rompere i timpani e le tirò una zampata, prendendola di striscio.

Retasu fu spinta di lato e il chimero tentò di beccarla, ricevendo un fendente incandescente alla nuca e vedendosi soffiare la preda da Eyner, che si teletrasportò di nuovo dai compagni.

« Tutto a posto? »

La mewfocena non gli rispose guardando stordita il chimero che si agitava disperato tentando di spegnere le fiammelle che gli bruciacchiavano il manto.

« Sembra intenzionato più a difendere lei che ad attaccare noi. »

« Non penso sia un buon segno, Kisshu. »

Sentenziò Pai. Retasu allontanò intontita Eyner cercando di tornare indietro:

« Ayu-chan… Devo…! Devo…! »

« Ora calmati. – le ordinò Zakuro – Dobbiamo immobilizzarlo. »

La sua frusta schioccò nell'aria serrandosi attorno ad un'ala dell'animale e Sando e Taruto le andarono in aiuto con i loro chimeri-pianta. In pochi istanti il chimero non potè muovere altro che la testa, sebbene tirasse e si dimenasse come un ossesso. Zakuro cercò di ignorare la fitta del taglio alla gamba, non ancora guarito del tutto, e puntò i tacchi venendo trascinata di qualche metro; fu Purin ad aiutarla sfruttando la sua forza non da poco, afferrandole la vita tra le braccia e puntando anche lei i piedi.

« Ichigo! Dai andiamo! »

La rossa annuì e lei e Minto saltarono contro il chimero pronte a colpire. Non aveva scampo.

E il chimero lo capì.

Appena scorse il brillio delle loro armi, spalancò il becco e tirò indietro la testa: mandò un altro strillo, diverso dai precedenti, forte e vibrante al punto che nessuno nei presenti potè evitare di portarsi le mani alle orecchie per il dolore. Ichigo credette di stare per esplodere dall'interno tanto le rimbombò il suono nella cassa toracica; frastornata, accecata dall'onda d'urto, le parve di scorgere Ryou rannicchiarsi nella sua forma animale e ruggire di dolore, incapace di ripararsi, ma lei potè solo inginocchiarsi a terra senza reagire.

Il ruggito durò alcuni secondi, poi il chimero afferrò la sua preda negli artigli e spiccò il volo.

« Ayumi! »

Retasu si alzò in piedi caracollando, l'orecchio interno che rimbombava mandandole alle ortiche l'equilibrio, ma accelerò l'andatura lo stesso sbandando da una parte all'altra senza fermarsi, inseguendo il chimero. Non badò che gli altri la seguissero, voleva solo raggiungere la sua amica.

Aveva cercato in tutti i modi di proteggerla da quel mondo in cui lei era stata trascinata contro la sua volontà, invece eccola lì, tra le grinfie di un mostro alto dieci metri.

Continuò a correre senza nemmeno badare a dove stessero andando, preoccupata solo di restare troppo indietro e perdere di vista il chimero; ormai non aveva più fiato nemmeno per respirare, ma corse ancora, gli occhi puntati sul corpicino di Ayumi, il resto del gruppo sempre dietro di sé, finché non dovette fermarsi schiantandosi contro la ringhiera che circondava il laghetto al centro del parco. La verde si accasciò sul metallo, accorgendosi che le gambe non volevano più reggerla, e guardò afflitta il chimero appollaiarsi su una piccola zolla di terra sporgente in mezzo all'acqua con il bottino sempre stretto nelle grinfie.

« Ayu-chan… »

« Ora si che è merda. »

« Se si muove troppo potrebbe farle male, grosso com'è. Dobbiamo allontanarlo… – soppesò MoiMoi – Ma se provassimo a immobilizzarlo potrebbe spaventarsi e rifare l'attacco di prima… Non credo resisterei un'altra volta. »

Kisshu tentò di far sparire il fischio alle orecchie battendosi n palmo sul lato della testa e lo guardò concorde. Purin strinse i pugni frustrata:

« Come possiamo fare?! »

« Proviamo a costringerlo ad alzarsi in volo – suggerì Minto – quanto basta perché si allontani un po' da Ayumi. »

« Sempre che non la faccia cadere in acqua. »

Ichigo gettò un'occhiataccia a Ryou e guardò in tralice Retasu: era certa che la verde non si fosse ancora gettata nel lago solo perché troppo sfinita dalla corsa.

Gli alieni si alzarono in aria assieme a Minto e iniziarono a infastidire il chimero, termine più che adatto visto che i loro attacchi erano molto ridotti nel timore di colpire Ayumi e loro parevano mosche contro un rapace famelico; da terra Purin, Ichigo, Zakuro e Retasu non sapevano come essere d'aiuto, non potendo avvicinarsi nel timore di far scappare ancora la creatura, e lanciavano attacchi da distanza con ben poca efficacia.

Il chimero si agitò e grugò roco e nervoso, zampettando intorno al suo trespolino con Ayumi sempre pericolosamente nel mezzo, gettando nerbate di piume in ogni direzione. Quando un Fuu Rai Sen gli passò troppo vicino alla testa sembrò stufarsi e spalancò le sue dodici ali gridando forte: una tempesta di lame piombò sui suoi nemici scacciandoli e costringendoli a ripararsi indietreggiando.

Retasu sentì le lacrime per il bruciore dei tagli farsi strada agli angoli degli occhi ma le ignorò, pensando solo a coprirsi il viso; fece due passi indietro, incespicando, e il suo tallone s'incastrò in una crepa della pavimentazione: allungò le mani indietro d'istinto per pararsi la caduta e avvertì una piuma sferzarle la pelle del collo.

Il dolore acuto del piccolo taglio si accompagnò al senso di fresco del collarino che veniva strappato. Retasu gemette di dolore finendo di schiena nell'erba alta e udì un tintinnio cristallino, seguito da un piacevole calore che svanì in pochi secondi. Aprì gli occhi e si rese conto di avere di nuovo gli occhiali; si tastò la gola, bagnandosi appena la punta delle dita con qualcosa di tiepido, e capì di aver perso il suo ciondolo e sciolto la trasformazione.

Gli altri erano troppo occupati per rendersi conto di quello che le stava succedendo o per aiutarla e lei prese a cercare allarmata tra l'erba, pregando di essere abbastanza distante per non venire colpita. Avvertì un sibilo e abbassò la testa, evitando Ichigo che per poco non le balzò sulla schiena.

Maledizione, devo trovarlo…! Dov'è, dov'è?!

Alzò lo sguardo disperata, scorgendo il chimero che iniziò a fare piccoli balzelli cercando di acchiappare al volo i disturbatori della sua quiete; saltellò da una parte e poi dall'altra, troppo concentrato per badare a dove metteva le zampe.

Fu un secondo e Ayumi piombò in acqua.

Prima ancora che Retasu muovesse un passo il chimero si accorse della sua preda che affondava rapidamente e, incapace di recuperarla, si alzò in volo e prese a girare in tondo mirando ad ognuno dei suoi assalitori, furioso. Nessuno potè badare cosa fosse successo ad Ayumi né andare in suo soccorso.

Retasu non pensò più al suo ciondolo, né di non trovarsi nella sua mewform. Né che Ichigo l'avesse vista, nell'instante in cui scattò verso il lago.

Senza voltarsi la verde corse alla ringhiera, vi posò entrambe le mani e la scavalcò in un colpo, tuffandosi in acqua.

 

 

« Retasu! »

Ichigo si sporse oltre la ringhiera e guardò nel lago, non molto grande ma profondo, senza scorgere traccia dell'amica: l'acqua era scura e torbida, e l'agitarsi del chimero che generava onde su tutta la superficie rendeva impossibile vedere qualcosa.

« Retasu! »

« Cos'è successo? »

« Eyner…! Retasu…! Si è gettata in acqua! »

« Non è un problema – disse con calma Pai, confuso dalla sua agitazione – con quest'acqua il chimero non la vedrà. »

Da che ricordava Retasu non aveva alcuna difficoltà a muoversi e combattere in acqua(**) e per giunta era ibridata con un mammifero marino, non vedeva perché agitarsi.

« Non capisci…! – gemette la rossa – Non era trasformata…! Era nella sua forma umana! »

Eyner la fissò confuso:

« E allora? »

« Retasu non sa nuotare! »

 

 

***

 

 

Fu molto peggio di quando si gettò in mare per salvare la piccola Iruka(***). Lì l'acqua non contrastava il suo spingersi in basso, sollevandola verso la superficie, ma scivolava via senza resistere alle sue timide bracciate; Retasu sentiva il peso di quella massa scura che le si chiudeva attorno, la sua densità, e al contempo non trovava appigli per muoversi: il suo corpo scivolava sempre più in basso, impotente, i vestiti già zuppi e pesanti, tremando per la temperatura che si abbassava rapidamente verso il fondo a discapito del caldo esterno.

Ayumi… Devo trovarla, dove sei?!

Retasu tentò di spostarsi in avanti e si mosse appena di qualche metro. Scrutò attorno, abbattuta e spaventata, cercando un segno dell'amica: poi lo vide, un riflesso rossastro nell'acqua verdastra, e la sagoma di Ayumi che ciondolava lentamente verso il fondale.

La verde diede altre due poderose bracciate senza muoversi che di pochissimo. Insisté al colmo della frustrazione, centimetro dopo centimetro, un secondo dopo l'altro, osservando con terrore le piccole bollicine d'aria che uscivano dalla bocca e dal naso di Ayumi con sempre meno frequenza. Ebbe l'impressione di aver impiegato ore quando finalmente potè afferrare la spalla della rossa: lei era pressoché senza fiato e Ayumi, cinerea sotto le ombre bluastre dell'acqua, non emetteva quasi più bollicine.

Nel panico Retasu la prese sotto le ascelle con le braccia e cercò di risalire, non alzandosi che di mezzo metro; provò a reggere l'amica con un solo braccio, dandosi la spinta con l'altro e sbattendo i piedi, ma il risultato non cambiò.

No… No, no, no! Ti prego, Ayu-chan…! Resisti, resisti!

Lo gridò dentro se stessa con tutta l'anima, proibendosi anche solo di socchiudere le labbra per non fare uscire anche la più piccola particella d'aria, e si agitò disperata anelando alla superficie, così lontana dalle sue dita tese.

Si sentì inutile e sciocca. In quel momento era sono una comunissima ragazza, imbranata e incapace di nuotare, che stava stupidamente cercando di trascinare fuori dall'acqua se stessa e un corpo inerme.

Perché…?! Perché?! Perché non posso salvare la mia amica?!

Lei era una MewMew, una salvatrice del pianeta. Per giunta, era la MewMew con  i poteri dell'acqua. E stava per morire annegata.

Non è giusto!

Ayumi era la sua più cara amica. La più importante, la prima che, senza essere legata a lei da qualcosa di più grande: l'amica non di Retasu la MewMew, ma solo di Retasu. Ayumi l'aveva accettata per com'era, imbranata, timida, insicura e spesso disfattista, troppo buona, troppo onesta; mai avrebbe potuto ripagarla o spiegarle cosa significasse per lei averla accanto, quanto felice la rendesse il suo affetto.

Ma tutto ciò non bastava per salvarla.

Non è giusto! Non voglio!

Forza…! Forza! Devo…! Devo salvarla…!

Ce la farai.

Per un secondo Retasu credette di esserla immaginata. Poi la sentì di nuovo.

Forza. Tu sei in grado di farcela, non ti arrendere

Conosceva quella voce, la conosceva bene. Avvertì la pelle incresparsi dai brividi.

Tu…? Come…?

Concentrati. Tu hai tutto il potere che ti serve.

Poteva trattarsi della scarsità di ossigeno, ma Retasu non fece altre domande.

Sì, poteva farcela. Doveva farcela. Voleva salvare Ayumi, e lo avrebbe fatto. A qualunque costo.

Il suo corpo mandò un delicato bagliore e all'improvviso non provò più freddo, solo un lieve tepore; ebbe appena il tempo di rendersi conto di essere tornata nella sua mewform che una sensazione piacevole e inesplicabile, che aveva già avvertito tempo prima, non le scivolò nelle vene fino alle gambe e una misteriosa luce gliele avvolse: aveva riottenuto la coda da sirena.

Come…?!

Non era il momento di chiederselo e Retasu era troppo confusa e stremata per farlo. Prese Ayumi di nuovo tra le braccia e diede un paio di forti colpi di pinna, divorando la distanza verso la superficie.

Sì!

Era lì, c'era riuscita!

Ancora un paio di metri…

Avvertì il cuore emettere due battiti prepotenti nel petto e rallentare. La vista le si oscurò e le forze le mancarono, i suoni si fecero sempre più distanti e confusi; la coda da sirena scomparve così com'era apparsa.

Aveva finito l'ossigeno. Presto avrebbe perso i sensi.

No…

Allungò una mano in alto, ma la luce la ingannò e invece di trovare la superficie non sfiorò che acqua.

Lei e Ayumi ricominciarono a scendere. Non aveva più forza per contrastare la caduta e smise anche di muovere le gambe, esausta.

No…

Intravide qualcosa comparire sopra di lei. All'inizio temette si trattasse del chimero, che le avesse viste da sopra l'acqua, ma intuì si trattasse di una persona; gli altri dovevano essersi accorti di quanto stava succedendo.

Chi è?

Ormai non vedeva più niente e pensava solo a non lasciare andare Ayumi. Il braccio che teneva inerme verso l'altro fu preso dalla figura con forza e lei si sentì tirare con l'amica verso l'altro.

Aveva già preso due boccate d'acqua quando al naso le arrivò un sentore di aria: tossì e sputacchiò respirando affannosamente, la testa che rintronava e tutti i sensi che faticavano a lavorare per l'ipossia, e capì di venire sollevata in braccio e fatta stendere sull'erba.

Si abbandonò dov'era stata lasciata, esausta, capendo soltanto di stringere ancora a sé Ayumi e sentendo il suo torace tornare ad alzarsi e abbassarsi, emettendo gorgoglii e colpi di tosse rauchi.

Ce l'ho fatta.

 

 

« Ichigo! Eccole! »

Gridò Purin al colmo della gioia, indicando le due riesumate dal lago. La rossa balzò in piedi sulla ringhiera:

« Allora facciamolo fuori questo qui…! »

Spiccò un salto verso il centro del lago e brandì la sua campanella mirando al chimero: l'animale era troppo distratto per badare a lei e fu investito in pieno dal colpo luminoso della rossa, svanendo in un turbinio di luce. Ichigo atterrò un paio di metri più in là facendo un bel tuffo in acqua, con Masha che orgoglioso le svolazzò vicino inghiottendo il para-para.

« Eliminato! »

« Già, Masha… Bravo… »

Si lamentò lei fradicia.

« Voglia di un bagnetto, micina? »

Lei evitò di replicare in malo modo alla battuta di Kisshu e accettò la mano che gli porgeva, ringraziandolo.

« Ti porto in braccio? »

« Ti prego, portami a riva e basta – protestò stancamente – voglio andare da Retasu. »

Lui non smise di sorridere furbo, ma l'assecondò senza altri trucchetti.

La verde era ancora stesa sull'erba ad occhi chiusi: respirava forte e in modo irregolare e, accanto a lei, Ryou valutava rapidamente le condizioni di Ayumi.

« Non è in pericolo di vita. – fece con un sospiro – Ma sarà meglio portarla all'ospedale. »

« Ti ci porto io. – disse MoiMoi deciso – Reta-chan come sta? »

La mewfocena nello stesso istante strizzò gli occhi e gli aprì piano piano; le palpebre le sembrarono di piombo.

« Ben svegliata principessa. »

Sentì scherzare.

« Eyner… san… »

Lui le rivolse un sorriso preoccupato; Retasu provò a mettersi seduta, la testa che le girava, e guardò di sottecchi il ragazzo cercando di mettere a fuoco gli ultimi momenti in cui si trovava in acqua.

Allora è stato Eyner a salvarmi?

Ricambiò il sorriso impacciata, ma si accorse che i vestiti del ragazzo erano asciutti.

« Hai fatto una cosa folle. »

La sgridò bonariamente. Qualcuno grugnì in assenso e Retasu si girò, vedendo un Pai seccato e bagnato come un pulcino proprio dietro si sé.

Era Pai…?

Ringraziò la pressione bassissima per lo svenimento che le impedì di arrossire di vergogna, ma abbassò comunque lo sguardo: sapeva che avrebbe letto a chiare lettere sul suo viso quanto la ritenesse sciocca e incosciente, e la cosa la spaventava.

Portò lo sguardo su Ayumi che iniziò a muovere poco a poco la testa e a mugolare, rinvenendo:

« Ayu-chan…! »

La rossa socchiuse appena le palpebre, gli occhi vitrei, e parve voler dire qualcosa; Retasu vide però Pai allungare una mano sul viso di Ayumi e questa perdere nuovamente i sensi.

« N-no, aspett- »

« Se ti riconoscesse non sarebbe un problema? – domandò piatto – È viva e tanto basta. Ci penseranno i vostri dottori a curarla. »

La verde ritrasse la mano con cui voleva fermarlo e si morse il labbro, annuendo mogia. MoiMoi le diede un pizzicotto affettuoso sulla guancia:

« Stai tranquilla. Porto subito lei e Shirogane all'ospedale. »

Il biondo annuì e prese Ayumi in braccio.

« Quel chimero non può essere comparso dal nulla da solo. – disse con tono tetro Sando – Se hai visto giusto, Eyn, e c'era una sonda esplorativa, ci conviene trovarla. Potrebbe aver registrato dei dati importanti. »

« Se è ancora qui intorno la troveremo – replicò Minto – vi daremo una mano. »

Mentre MoiMoi e Ryou portavano Ayumi all'ospedale, il resto del gruppo si mise alla ricerca della sonda nella speranza non si fosse già dileguata.

Pai, invece, accompagnò Retasu di nuovo al Caffè, o per meglio dire le impose con fare brusco di seguirlo e lei obbedì affranta, incapace di guardarlo in faccia nel timore che la sgridasse come una ragazzina. Mentre il giovane aggiornava Keiichiro su quanto accaduto e assieme analizzavano lo scontro e i dati raccolti dal bruno con i suoi computer, Retasu si cambiò i vestiti fradici con la divisa da cameriera, prese un asciugamano con un tamponarsi i capelli e si sedette su una sedia in silenzio. Ogni muscolo era pesante e difficile da muovere e il corpo le tremava lievemente senza posa, intanto che la pelle gelata si scaldava sotto la stoffa tiepida del suo completo bianco e verde. Sentì le voci ovattate dei due al piano di sotto interrompersi e poi i loro passi su per le scale; quando incrociò gli occhi di Pai si irrigidì un poco sulla sedia, a disagio, pronta a sentirsi fare il terzo grado.

Invece lui proseguì dritto e le andò vicino Keiichiro, sorridendole:

« Ryou mi ha telefonato,  Kotegawa-san sta bene. »

La verde si sciolse in un sospiro di sollievo.

« I medici credono abbia avuto un malore e sia caduta nel laghetto. Starà in osservazione per la notte, i suoi genitori sono già con lei. »

« Meno male… »

Lui sorrise ancora e cavaliere propose:

« Che ne dici di una bella tazza di the? Sembri congelata. »

Lei annuì e l'uomo andò in cucina. Retasu non fu troppo contenta di trovarsi sola con Pai, specie visto il suo umore apparentemente nero; si accorse che anche lui aveva in mano un asciugamano – probabilmente datogli da Keiichiro – e si strinse nelle spalle:

« Scusami per averti coinvolto, i- »

« Ti rendi conto di aver fatto una sciocchezza? »

Eccolo, in perfetta battuta. Retasu non lo guardò e corrugò la fronte:

« Non potevo fermarmi, Ayumi poteva affogare. »

« Anche tu se è per questo. »

Lei strinse le labbra, pensando a come replicare; avevano ragione entrambi, ma se lui la incolpava di incoscienza non aveva di che rispondergli a tono.

Restarono in silenzio. La ragazza si frizionò un altro poco i capelli, senza aggiungere altro, ascoltando Keiichiro armeggiare in cucina e raggiungerli dopo pochi minuti con due tazze fumanti tra mani.

« Per te mia cara. »

Retasu, asciugamano sempre in testa, lo ringraziò e bevve bramosa una lunga sorsata gustandosi il calore che le si irradiò dal petto.

« Pai-san? »

Gli fece un sorriso eloquente osservando i suoi vestiti umidi e Pai ringraziò con un cenno del capo, prendendo la tazza senza ulteriori proteste; Kei sorrise ancora e tornò al suo regno e i due rimasero ancora qualche minuto in silenzio: Retasu pregò solo di bere il meno rumorosamente possibile, o che gli altri tornassero presto dalle ricerche della sonda.

« Così non sai nuotare? »

La ragazza strinse la tazza tra le dita e lo guardò a disagio:

« Già. – borbottò – Puoi dirlo, è ridicolo. »

« È un po' assurdo – ammise – ma considerando che la vostra leader di quando in quando spuntano le orecchie da gatto… »

Mandò un lieve risolino e bevve un altro sorso di the. La guardò con espressione indecifrabile:

« Non hai perso il vizio di lanciarti in situazioni pericolose. »

« Cosa intendi? »

« Eri tu che cercavi di dialogare durante le battaglie. »

Lei realizzò che la stava prendendo in giro e si corrucciò arrossendo:

« Era… Una situazione diversa. »

« Io non credo. »

Retasu si sorprese capendo che stava sorridendo, seppur poco:

« Hai sempre cercato di trovare la soluzione più felice, anche quando gli altri non la vedevano. »

Vuotò la tazza e la posò sul tavolino alle sue spalle; la mewfocena continuava a osservarlo senza una parola da sotto il suo cappuccio di spugna.

« Cerca di far sì che il tuo coraggio non ti cacci nei guai. Farai preoccupare le persone che hai vicino. »

Si girò sentendo dei rumori e la porta si aprì, facendo entrare gli altri. Retasu non replicò alle sue parole né si mosse, nascondendo il viso sotto all'asciugamano incapace di guardare il ragazzo in faccia.

Ma non perché avesse paura di quello che pensava di lei.

 

 

***

 

 

La sonda si mosse nel prato umido di rugiada saettando senza una meta precisa, in attesa che il segnale di rientro giungesse alla base e potesse fare ritorno; aveva dati da riportare e bisogno di un nuovo alieno parassita.

Al settimo tentativo fallito il suo cervello elettronico analizzò l'inutilità di continuare a sprecare energie. Non potendo completare la missione primaria, avrebbe proseguito con quella di raccolta informazioni: avrebbe atteso lo spostamento dei soggetti e poi avrebbe riportato il tutto.

Si allontanò dall'erba e raggiunse una serie di palazzi poco oltre il parco, nascondendosi in un angolino buio e riparato dietro ad un vicolo.

I suoi sensori e le sue antenne erano pronti e ricettivi. Avrebbe atteso, lontano da chi impediva il corretto svolgimento delle sue funzioni.

Avrebbe atteso.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) mi sono resa conto di non aver mai messo la traduzione ^^""! Dal mio giapponese elementarissimo, kame no hama è il nome dell'arma e significa martello tartaruga (kame e hama, la traslitterazione dall'inglese di hammer – una delle tante parole che i giapponesi preferiscono prendere a prestito, in kanji era troppo difficile da traslitterare il suono ed era bruttissimo ç_ç) hama do sen è martello di terra (do è terra, sen sta per colpo e si usa per definire il termine). *jingle di chiusura* avete assistito all'angolo del Giapponese dei Beoti o Giapponese di Ria, fate finta di niente *jingle*

 

(**) ok, dubbi fatevi avanti… Sia nell'anime che nel manga puntualizzano + volte che Retasu non sia in grado di nuotare, DNA della neofocena o meno (e infatti la prima volta che finisce in mare da trasformata per poco non affoga ^^""!). Per il resto della serie, però, e in altre occasioni in cui si ritrova nella mewform in mezzo a grandi masse d'acqua (ep. 21, quando un chimero distrutto diventa un'inondazione in pieno centro ;P, o quando combatte contro Pai nel mare) si muove tranquillamente e nuota benissimo -.-""!
Prendiamola così allora: Reta normalmente è un piombo incapace di nuotare, nella sua mewform invece sì! Punto! xD facciamo delle incongruenze una realtà di fatti e fine -w-!

 

(***) episodio 19 sopracitato ;)

 

 

 

 

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Ok gente tirando le somme: Ichigo non ha ancora capito un tubo di quanto sta accadendo nel mondo xD, Minto nemmeno ^^", Taruto ha tendenze psicotiche nonché aggressive, Retasu è masochista e io sto seriamente pensando di togliere Eyner dalla storia e di sposarmelo

Eyner: ma anche no ^^""!

Vi giuro che far parlare Pai è un calvario…! A sto ragazzo devo aumentargli il vocabolario -.-""!

Kisshu: o fallo sbilanciare nelle opinioni?

Mi basti te che sei già fin troppo sbilanciato, prima della fine ti arriveranno altre sberle!

Kisshu: è una predizione o una minaccia -.-"?

Qui mi sta partendo la fiera dei parings xD! Io l'avevo detto che avrei complicato la situazione ma non mi crede nessuno :P… Tutto è ancora in gioco cari miei! Chi indovina ogni possibile paring che vi sto lanciando sul fuoco?

Non do anticipazioni sul prossimo cap, ho alcune cose da spiegare (compreso quel qualcosa di cui si sta parlando da qualche capitolo) e poi l'inizio del nuovo viaggio… Estremamente paradossale *trattiene risatine*, e non so quanto riuscirò a insteccare. Già ho allungato questo cap… Temo che andando avanti sarò costretta ad allungarli ^^", vedremo.

Mando un oceano di bacioni a Danya, Hypnotic Poison e mobo che hanno commentato, tantissimi grazie a chi legge e chi mi segue e sempre il mio invito a darmi tanta energia e lasciarmi almeno un commentino-ino-ino :3. Ci si vede tra due settimane (stavolta per davvero), mata ne~♥!

 

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Capitolo 19
*** Toward the crossing: fourth road ***


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Shialve a tutti J!  Vi saluta la neolauretata *stappa champagne* che finalmente può iniziare il su lungo percorso di nullatenenza xD! Disegnerò e scriverò come una pazza conoscendomi, e sono troppo felice di questo!  Sarà per la gioia o per gli occhioni dolci di qualcuno (sei sempre tu la responsabile :P!!) ma aggiorno con una settimana di anticipo ^^""! E vabbè… Solo perché sono in "vacanza" (= in casa a non fare assolutamente nulla di nulla).

Non avete idea da quanto volevo iniziare questa parte della storia *ride*! È fantastico, sto già morendo *ride*

Kisshu: dovrei scotennarti -.-**

Non posso e non voglio fare anticipazioni di alcun genere! Vi lascio leggere, a dopo!

 

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Cap. 19 – Toward the crossing: fourth road  

                 Switch between me and me

 

 

 

 

 

Il sole che entrò da dietro le tende non la svegliò, lei aveva aperto gli occhi da quando l'alba aveva ingrigito i muri della città. Non era strano, difficilmente ormai dormiva poco più di quattro ore per notte.

Se dormissi lo sognerei.

Il dottore la sgridava, diceva che "nelle sue condizioni non era salutare", ma a lei non importava nulla. Le sfuggì un sogghigno aspro.

Come può andare peggio di così?

In silenzio Lenatheri si tirò a sedere, digrignando i denti seccata sentendo l'irrilevante suono metallico della sua gamba. Si alzò guardando ostinatamente ovunque tranne che alla sua sinistra, andò di fronte al lungo specchio a figura intera sulla parete e si sistemò alla bene e meglio i corti capelli ebano. Come ogni buon soldato impara a fare a ciascun risveglio, controllò che tutto nel suo aspetto fosse in regola, che non ci fossero anomalie nelle sue condizioni fisiche o di salute e ispezionò il suo corpo nudo riflesso, facendo vagare distratta la punta delle dita sulle sue forme snelle. Non appena l'indice sfiorò il bordo freddo sotto il fianco ritrasse la mano quasi si fosse scottata. Guardò il suo corpo con disprezzo.

Né soldato né donna… Solo un'orrenda bambola rotta.

Non sopportò oltre la vista e si vestì di furia pur di nascondere il tutto. La stoffa alleviò la sua rabbia il tanto che serviva ad affrontare la giornata, ma le sue orecchie non l'abbandonarono dal tormento di recepire il rumore che nessun altro sentiva.

Prese un bel respiro, controllò ancora di essere impeccabile e poi, petto in fuori e testa alta, si avviò a passo marziale agli alloggi di Teruga. L'alba era spuntata e aveva lasciato posto al giorno appena nato e quando lei arrivò di fronte alla dimora del consigliere questo uscì dopo pochi istanti. Le sorrise con garbo:

« Impeccabile come sempre Inetaki-san. »

Lei rispose con un inchino e un sorriso di rigore.

« Oggi, dopo la seduta del mattino, vorrei andare in visita non ufficiale al reparto di sanazione dei veleni. – disse l'uomo avviandosi nel corridoio – Voglio vedere come procede il contenimento, e ho alcune persone da salutare. »

« Certo signore. »

« Poi… Mmm… Vediamo, cos'altro dovevo… »

« C'è una seduta alla scuola del settore yorkon, signore. – fece la giovane – Per illustrare ai bambini la situazione… »

Teruga finse di illuminarsi e rise basso, strappando anche a Lena un piccolo sorriso sincero. In realtà sapeva già perfettamente tutti gli spostamenti del consigliere e gli impegni della giornata, ma a lui piaceva conversare e a lei faceva bene allo spirito passare le ore con una persona così posata; soprattutto, faceva bene trascorrere il tempo con una persona che non la guardasse dall'alto in basso o la fissasse con disgusto.

« Le chiedo ancora scusa per l'incomodo a cui l'ho costretta coi miei piani, sergente. Molte delle cose che faccio sono estremamente noiose. »

« Non lo dica nemmeno, signore. »

« Immagino però che sia più divertente partecipare agli allenamenti delle reclute, che sentirmi blaterare tutto il santo giorno! »

Il sorriso della mora si spense un poco e la gamba, quasi reagisse al suo umore, o forse facendolo solo nella sua testa, le diede una fitta:

« Non ne sia così certo. »

Teruga la guardò e sorrise comprensivo.

« Teruga! »

La voce potente che tuonò nel corridoio non scompose il consigliere, che sorrise cordiale, mentre i pochi inservienti che avevano preso a svolgere le loro mansioni sobbalzarono e si appiattirono contro le pareti per lo spavento; Lena s'irrigidì e si mise sull'attenti.

« Buongiorno nobile Ron. Di buon umore oggi? »

Ron stese un ghigno soddisfatto più che un sorriso e guardò Lena con le penetranti iridi metalliche; lei contrasse la mascella:

« Buongiorno signore. »

Lui allargò il sorriso – ghigno – e le frizionò di malagrazia i capelli. Lena avrebbe voluto chiaramente protestare, ma per rispetto si morse la lingua, anche perché la mano di Ron avrebbe potuto spiaccicarle il cranio se si fosse mosse malamente.

« Hai cambiato cane da guardia. »

« Potrebbe essere più garbato con i miei collaboratori? »

Al tono pacato ma deciso dell'altro Ronahuge alzò le mani:

« Vero. Vero, le mie sentite scuse. »

Continuò a ridacchiare divertito da qualcosa. Teruga alzò un sopracciglio:

« Allora Kiddan-san ha finito? »

Ron scoprì i canini candidi:

« Già. E quel tacchino di Ebode sembra abbia preso la scossa. – rise sguaiato – Ma non ti aveva dato l'appoggio?! »

« Chissà. – rispose Teruga misterioso – Purtroppo non sono nella mente di Ebode-san per capire cosa stia pensando. »

« Insomma, sei sempre così politico! – protestò Ron sbuffando – Non è divertente! »

L'uomo fece un sorriso come a dire che gli dispiaceva e Ron si massaggiò il collo:

« Ho avvertito Luneilim, presto i terrestri arriveranno. »

Teruga annuì e si fece più serio.

« Meglio che tieni d'occhio la situazione, Teruga. Inetaki! »

« Sì! »

Ron la guardò intensamente e i suoi occhi si accesero fiduciosi:

« Se qualcuno fa qualche stronzata, spaccagli il culo come solo tu sai fare. »

Lena si trattenne dal sorridere:

« Certo signore. »

 

 

***

 

 

Quando il cellulare le vibrò tra le mani per poco non lo fece cadere per la sorpresa.

 

FROM: Ayu Pepper Head         

Ciao , scusa se non ti ho più rx ma i miei hanno preteso facessi un sacco di esami :P.

Mi riposerò ancora 1 gg, ci vediamo a lez. 

 

Retasu sorrise più tranquilla leggendo le poche righe sulle schermo del telefono, erano passati due giorni dopo l'attacco del chimero-uccello e lei non era più riuscita né a vedere né a sentire decentemente Ayumi: sapere che comunque stava bene la rilassava e non poco, considerando cosa l'attendeva. Terminò di scrivere la risposta e si rimise in tasca il cellulare raggiungendo le altre nel salone principale del Caffè.

Quella domenica c'era un bel sole tiepido che irrorava la stanza e l'aria profumava già d'estate; molti clienti erano rimasti delusi leggendo che il locale sarebbe rimasto chiuso in un giorno così rilassante, ma Keiichiro e Ryou avevano deciso di concedere l'intera giornata alle ragazze dopo la lunga settimana trascorsa.

MoiMoi era seduto al tavolo con le terrestri a chiacchierare e spiluccare dolcetti: aveva annunciato che finalmente era pronta una "sorpresa" per loro e che doveva portarle a Jeweliria, ma ne aveva anche approfittato per gustarsi i manicaretti di Keiichiro e scambiare quattro chiacchiere in santa pace tra donne.

« Allora Purin-chan – sorrise furbo addentando un biscotto con la marmellata – com'è andata l'altro giorno con Taruto-chan? »

La biondina rimase con il bignè al cioccolato a metà strada tra il piatto e la bocca:

« Sei stata tu nee-chan? »

« Gli ho solo suggerito di venire a prenderti – ridacchiò – come stratega love love sono per "meglio semplice, ma efficace". »

« Approvo MoiMoi-chan. »

Lui studiò Ichigo senza capire il perché del suo sorrisetto compiaciuto, ma lei fece segno che avrebbe rimandato le spiegazioni e salutò innocentemente Retasu che si sedette e si servì una crostatina alla frutta e crema.

« Allora – riprese il violetto – com'è andata? »

Purin fece una faccia buffa, gonfiando le guance e aggrottando le sopracciglia ma al contempo arrossendo appena, ingoiando il pasticcino in un boccone: spiegò in breve cos'era successo e man mano il sorriso di MoiMoi fece spazio ad un'espressione allibita.

« Cioè, fammi capire – mormorò infine – cos'ha fatto al tuo amico? »

« Lo ha lanciato a destra e a manca con le sue piante, lo stupido – brontolò la biondina – e mi ha sgridata perché perdevo tempo. »

Le ragazze e MoiMoi si scambiarono occhiate attonite incapaci di dire qualunque cosa. Lui si passò una mano sulla fronte e sospirò forte, sapeva bene che Taruto era molto infantile su certe cose, ma il suo modo di dimostrare gelosia sfondava ogni previsione.

Lo so che è un po' scemo… Non avrei pensato così scemo…!

Studiò ancora Purin che giocava con la sua tazza di the dolce e sorrise intenerito:

« Dagli tempo vedrai che si scuserà. »

Purin rispose con un grugnito poco incline a proseguire il discorso.

« Piuttosto MoiMoi-san, di cosa dovevi parlarci? »

Lui guardò sorridendo la mewwolf, arraffò un mini muffin e gustandoselo esclamò:

« Abbiamo preparato una bella cosina per voi! Un regalino prima della partenza. »

Non sembrò intenzionato a dire altro, ma il suo tono allegro convinse le ragazze che non si trattava di nulla di pericoloso e lo assecondarono.

« Ichigo-san? »

La rossa guardò Keiichiro e gli sorrise aiutandolo con la teiera che servì al tavolo.

« Potrei chiederti Masha per un po'? »

A sentirsi nominare il robottino riacquistò le sue dimensioni e svolazzò sulla sua spalla tutto contento; Ichigo lo guardò preoccupata:

« Certo… Ma perché? Ha qualcosa che non va? »

« Assolutamente no! – la rassicurò – Tranquilla, ci vorrà poco. »

Lei non era proprio serena, per di più che non le aveva davvero risposto, ma si fidava di Keiichiro quindi annuì e lo lasciò tornare in cucina scortato da Masha.

Una decina di minuti dopo aver banchettato con un altro vassoio di dolcetti il gruppetto si avviò verso Jeweliria; Ichigo non aveva ancora riavuto il suo Masha, ma Keiichiro sorrise così candidamente accompagnandoli alla porta che non osò domandare niente. Prima di uscire MoiMoi si voltò verso il bruno e chiese:

« Shirogane non viene? Era una cosa anche per lui. »

« Abbiamo delle cose urgenti da sistemare in laboratorio – si scusò il bruno – vi chiedo di redarguirci al ritorno, per favore. »

MoiMoi sorrise deliziato dai modi cavallereschi di lui e annuì scortando le ragazze fuori.

Appena furono usciti Keiichiro sospirò preoccupato, salì le scale e andò fino in camera di Ryou.

Il biondo era riverso sul suo letto, ansante, madido di sudore e pallido in volto; nel vederlo Kei avvertì una morsa al petto.

« Sono andate. »

Ryou emise un flebile e cercò di mettersi seduto, bloccato immediatamente dall'amico:

« Non fare sforzi. »

« Guarda che non sei più il mio tutore, ormai sono maggiorenne… »

« Per il Giappone lo sarai l'anno prossimo. »

Sorrise lui e Ryou, troppo stanco per protestare, si lasciò ristendere e tergere la fronte madida con un panno bagnato d'acqua fresca. Keiichiro vide con sollievo che la cosa faceva un po' d'effetto. Quando Ryou voltò la testa, cercando una posizione in cui i muscoli non gli urlassero di dolore, l'attenzione dell'amico fu catturata dalla parte destra del suo collo: dove fino ad una settimana prima riposava la cicatrice dell'esperimento finale del proget m, c'era una strana voglia appena percettibile sulla pelle abbronzata, color argento, che ricordava il muso di un felino.

Keiichiro lavorò in silenzio per alcuni minuti e poi, grave, sentenziò senza giri di parole:

« Potrebbe essere una reazione agli sforzi che hai fatto; oppure uno sfogo del veleno che avevi in corpo. O potrebbe essere un effetto collaterale permanente. »

La sua voce si incrinò sul finale. Ryou non disse nulla.

« Se così fosse potresti rischiare la vita, la prossima volta. »

« Non rischierò nulla – tagliò corto Ryou – ho già fatto delle analisi. Il mio corpo deve abituarsi. »

« E se non lo facesse? »

Ryou non rispose di nuovo e si voltò su un fianco dandogli le spalle.

 

 

***

 

 

Appena fuori dal portale trovarono tutto il gruppo dei ragazzi ad attenderle; dopo i giorni precedenti era piacevole vedere che nessuno di loro aveva espressioni tese o preoccupate in volto.

« Buongiorno micetta. »

« Sì, buongiorno anche a te Kisshu nii-chan. »

Protestò ridendo Purin e lui le fece un sorrisetto sghembo:

« Chiedo scusa, buongiorno a lei principessina. »

« Eddai Kisshu piantala… »

Lui guardò il fratellino maligno:

« Sto solo giocando, non fare il gelosone . »

« Chi sarebbe geloso di chi? »

Sbottò. MoiMoi non si trattenne dallo sbuffare e fare una smorfia.

Irrecuperabili.

« Se avete finito con le stupidaggini – borbottò Pai – avremmo da fare. »

MoiMoi sospirò e si portò in testa al gruppo, conducendoli oltre la città.

Camminarono per una decina di minuti allontanandosi dal folto del bosco attorno a Jeweliria e raggiungendo una vasta radura di erba rada, che si allargava fino ad perdersi un una lontana pianura. L'altissimo mare verde e ondeggiante si estendeva tranquillo e sinuoso, spezzandosi solo in un punto a una trentina di metri dal limitare del bosco: lì  l'erba si ritirava improvvisamente su uno straccio di terra battuta e secca, con una grossa venatura nel suolo che si allargava verso il basso.

« Cos'è quello? »

La voce di Ichigo suonò inquieta, ma MoiMoi le sorrise:

« Non c'è niente di cui preoccuparsi. »

Il ragazzo alzò la mano di fronte a sé e nell'aria vibrò un baluginio di pochi decimi di secondo, come la barriera che circondava il centro ricerca. MoiMoi premette l'indice sull'invisibile superficie e rapidissime scritte sconosciute apparvero e scomparvero in sprazzi di luce, accompagnate da un basso sibilo elettronico; l'alieno pronunciò alcune rapide parole che le ragazze non capirono, poi udirono un fischio e i loro bracciali schermanti s'illuminarono.

MoiMoi sorrise e Ichigo intuì che la barriera andava dissolvendosi; soddisfatto il ragazzo si girò di nuovo, proseguì baldanzoso fino alla fenditura e vi sparì dentro. Le cinque MewMew si guardarono confuse, ma seguendo gli altri quattro ragazzi videro che in realtà, su una delle pareti della fessura, era scolpita rozzamente una sottile scala di pietra che scivolava nel buio sottostante.

Cominciarono a scendere, lentamente, sollevando grosse nuvole di polvere e terra. A destra una parete di fredda pietra grigia, a sinistra il vuoto, la scala si inoltrava a fondo per metri e metri, zigzagando verso le viscere del pianeta: man mano che scendevano la cavità si ingigantì fino a trasformarsi in una caverna i cui confini si smarrivano nell'oscurità trafitta in lontananza da diversi raggi di sole, che filtravano dai buchi aperti tra il terreno e le radici che s'introducevano sotto la superficie.

Quando gli occhi delle terrestri si abituarono al buio iniziarono a distinguere dei pannelli artificiali, di lucido acciaio, affissi qui e là su ciò che restava integro del soffitto, ma che un tempo dovevano ricoprirlo interamente; in basso sul fondo della gola, un centinaio di metri sotto di loro, videro edifici e case malandate che sorgevano dal suolo appena intuibili nella tenebra. Ichigo sdrucciolò di lato e si gettò sulla parete, in quell'istante alla sua sinistra, capendo con un nodo al cuore cosa stava vedendo: il luogo dove il popolo di Jeweliria aveva vissuto protetto dal gelo per quasi trecento milioni di anni.

La scala continuò a scendere fino a raggiungere il livello dei tetti, quindi scomparve sotto lo sportello aperto nel tetto di un capannone; all'interno erano allestiti tornelli, banconi e schermi, come ad un terminal dell'aeroporto, ma lo strato di polvere era così alto da ricordare di più un magazzino di farina. MoiMoi trotterellò all'ingresso e uscì sulla strada che attraversava la città senza che nessuno proferisse parola.

Gli edifici attorno avevano un aspetto moderno e essenziale, malandato dagli anni di abbandono che lentamente si andavano ad incidere sui muri venati e sui vetri sporchi e opachi. Il vento fischiava dai buchi sul soffitto della caverna e l'umidità gocciolava in echi distanti da punti sconosciuti, accentuando l'idea di miseria che sembrava esalare  dal luogo e che s'insinuava gelida nelle ossa. Il loro camminare echeggiava nel silenzio ovattato come passi d'insetti e Minto fu tentata di trasformarsi solo per poter alzare i piedi da terra e far smettere quella cupa cantilena; cercò lo sguardo di Zakuro, ma la scorse scrutarsi attorno guardinga e curiosa e non osò chiamarla, per paura che la sua voce rimbombasse tra le case malconce fino a farle crollare.

All'improvviso MoiMoi svoltò in una via laterale e si diresse verso una piazza addossata ad un costone roccioso. Proprio contro la parete un grosso schermo trasparente si stagliava per sei metri quadri, circondato da macchinari indefiniti sommersi da lunghissimi cavi aggrovigliati su se stessi più e più volte, in un confuso ammonticchiarsi di ciarpame grigio e ronzante; sotto allo schermo era disposta una pulsantiera e qualcuno vi sedeva davanti, armeggiando concentrato.

Le MewMew si scambiarono alcune veloci occhiate, chiedendosi – visto che nessuno sembrava scendere dalla strada che avevano percorso da molto tempo – chi potesse lavorare in un antro così spettrale in totale solitudine.

La figura al quadro comandi era curva sulla schiena e impastranata in un grosso sacco di stoffa verde sudicio, stretto in vita con una cinta e usato come indumento; il braccio che usciva dalla manica risvoltata era magro e rugoso, dotato di dita nodose, lunghe e pallide, ed era incartapecorito come le orecchie ferine che sbucavano dagli irsuti capelli sparpagliati a ciuffi sulla testa calva. La figura indossava grossi occhiali che si aggiustava ogni minuto, emettendo ticchettii di ingranaggio che intervallavano il picchiettio sulla tastiera.

« Kiddan-san? »

L'interpellato si girò così di scatto che Ichigo temette di vedergli scappare la testa dal suo supporto. Il vecchio che si mostrò loro  restò immobile nella posa di un gufo e si aggiustò di nuovo gli occhiali, invero due grosse lenti telescopiche allungabili in fuori o indietro a seconda di quanto e come lui ruotava la manopolina su una delle astine. Nei riflessi ingranditi dal vetro due occhi color cenere, vivaci e guardinghi a discapito delle rughe sulle palpebre, studiarono a fondo le terrestri; l'uomo mugugnò a labbra strette qualche momento, riflettendo, si grattò il cranio spoglio e il mento appuntito e gracchiò:

« MoiMoi-chan…! Quanto tempo! »                                      

La sua voce era arrochita e sottile, usurata dall'età e ormai utilizzata di rado tanto che dovette tossicchiare e schiarirsi un po' la gola per articolare meglio le parole:

« E… Pai? »

Posò sui suoi binocoli la mano sinistra, che emerse meccanica e lucente come la gamba di Lenatheri. il vecchio aggiustò ancora la visione, sbattè le palpebre e rise asmatico:

« Il piccolo Pai, allora sei ancora vivo eh? »

Il ragazzo non fece commenti e accennò con il capo in segno di saluto:

« Potrei chiedervi la stessa cosa. »

L'altro affannò ulteriori risa e scese claudicando dalla sua sedia salutando anche gli altri ragazzi proprio come un vecchietto avrebbe potuto salutare i nipotini, aggrappandosi per le spalle e pizzicando guance quando riusciva ad acchiapparle. Si interruppe solo una volta raggiunte le terrestri, di fronte alle quali si bloccò come un elettrodomestico spento di colpo: le ragazze lo guardarono stendere il collo magro e regolare più volte i suoi visori, allungandoli tanto da cozzare lente contro lente sugli occhiali di Retasu.

« E queste? »

Girò loro attorno afferrando lembi di maglie, bordi di gonne e ciuffi di capelli e tirando con piccoli scatti delicati senza curarsi delle loro impacciate proteste:

« Non hanno l'odore di qui. »

Ichigo d'istinto si portò un codino sotto al naso ma sentì solo il profumo dello shampoo.

« Io non ho alcun odore. »

Sentenziò dura Minto. Kiddan si fermò proprio accanto a lei, la osservò facendo ronzare le lenti e scoppiò ancora a ridere sincopato:

« La ragazzina ha un bel caratterino…! »

« Non parliamone. »

La battutina di Kisshu ricevette un'occhiata talmente truce dalla morettina che nessuno potè non notarla.

« Kiddan-san. »

Il vecchio emise un altro mugugno di curiosità e ruotò la testa all'insù cercando lo sguardo di Pai.

« Siamo qui per i dispositivi. »

Kiddan distese un sorriso e fece ondeggiare l'indice – quello non metallico – emozionato:

« Giusto, giusto! »

Zoppicando tornò al suo quadro comandi e frugò nella confusione di fogli e cianfrusaglie ammonticchiate:

« Su, su. »

Fece con un cenno incoraggiante della mano meccanizzata alle terrestri, emettendo fischi e fregamenti tali da ricordare ruote di treno sulle rotaie.

« Non mordo sapete? »

Rise una terza volta scoprendo un sorriso a cui mancavano tutti e quattro gli incisivi e anche altri denti posteriori:

« Anche volendo non potrei! »

Loro ricambiarono con timidezza e si avvicinarono. L'uomo trafficò ancora un paio di minuti, quindi estrasse cinque oggetti che alle ragazze risultarono subito familiari; Zakuro lo guardò inespressiva:

« Dei cellulari? »

Kiddan scosse il dito e rise; digitò dei comandi che apparvero in una lingua sconosciuta sul monitor  e attese. Quando si udì un frazionario bip elettronico, il vecchio afferrò uno dei telefonini e aprì la tastiera, porgendolo ad Ichigo:

« Premi quel pulsante. »

Sulla tastierina, accanto ai noti di numeri e di attivazione delle chiamate, c'era un piccolo pulsantino blu che Kiddan stava battendo piano con l'unghia. Ichigo osservò insicura l'uomo e cercò con la coda dell'occhio MoiMoi; vedendolo ammiccare, ubbidì.

Per un secondo Ichigo scomparve. Le amiche sobbalzarono spaventate, respirando solo quando lei riapparve il secondo successivo, ad una ventina di metri da loro.

La rossa si guardò attorno sbigottita e il sorriso di Kiddan si allargò:

« Davvero dei begli oggettini. »

Ichigo si tastò veloce verificando di esserci per davvero e guardò attonita il cellulare:

« Ma che ho fatto? »

« Estensione di permesso di accesso e apertura dei ponti di emergenza. »

Le ragazze si voltarono confuse verso Kiddan che fece comparire sul suo enorme monitor una mappa stilizzata: riconobbero subito Tokyo e non fu difficile intuire Jeweliria, disegnata dal lato opposto dello schermo, e in mezzo alle due città un paio di puntini pulsavano piano rappresentando il passaggio della MewAqua.

« Dilazionare le nostre forze per esservi sempre di appoggio è dispendioso a livello di energie, complicato e decisamente poco utile. – continuò l'uomo rauco – Ovviamente abbiamo già appurato che i piccoli Ancestrali possono venire a farvi visita… Quei giocattoli dimezzeranno i tempi di intervento e comunicazione. »

Ichigo aggrottò le sopracciglia senza averci capito molto e neppure le amiche parevano delucidate più di tanto. MoiMoi ridacchiò:

« Non siamo la sola razza nell'universo che può teletrasportarsi da un posto all'altro schioccando le dita; se lasciassimo che chiunque possa entrare a Jeweliria così, correremmo dei rischi. »

Prese il cellulare dalla mano di Ichigo e ripremette il pulsante blu: sul monitor di Kiddan comparve un piccolo segnale e, sopra di esso, la rossa lesse il proprio nome.

« Gli estranei non possono accedere a Jeweliria senza essere visti, come abbiamo fatto con gli Ancestrali. E alcune aree sono schermate e inaccessibili senza permessi. – ticchettò con l'indice sul bracciale di Ichigo – Come prima: ho dovuto estendere i nostri permessi di accesso o non sareste potute entrare. »

« E questi cellulari che farebbero? »

« Innanzitutto risintonizzano i vostri schermi per accedere a quasi tutti i luoghi di Jeweliria senza bisogno di essere accompagnate – riprese il ragazzo – inoltre, le loro frequenze vi permettono di usufruire di particolari canali di emergenza, che usiamo per teletrasportare le persone quando sono incapaci di farlo da sole. »

« Cioè sono dei mini teletrasporti?! »

Al sorriso di MoiMoi, Purin rise deliziata e prese ad ispezionare centimetro per centimetro il cellulare.

« Potrete raggiungere Jeweliria da ogni luogo in cui vi trovate a Tokyo, in caso di emergenza, senza bisogno del loro aiuto – il dito meccanico di Kiddan indicò i ragazzi vicino a lui – e servono anche come i vostri… Com'è che li chiamate…? Ah già, telefoni. »

Ichigo riprese il cellulare e aprì lo schermo; le funzioni erano uguali a quelle di un comune telefonino e trovò presto la rubrica, dove erano già memorizzati dei numeri: alcuni non riportavano altro che il numero del cellulare, pure se la sequenza di cifre non le ricordava alcuna compagnia telefonica, altri invece erano intestati con nome e cognome delle sue amiche. Alzò lo sguardo e vide Kiddan distribuire altri cellulari, stavolta ai ragazzi.

« E che dovremmo farci? »

« Kisshu, a volte non capisco se fingi solo di essere scemo o se lo sei per davvero. – si lasciò scappare Eyner – Secondo te a cosa potranno servire? »

Kisshu lo guardò torvo. Pai, vicino a lui, aveva intanto preso ad armeggiare con la tastiera, quando di colpo il cellulare che Retasu aveva tra le mani suonò allegro rimbombando per tutta la caverna. La verde, dopo un lancio involontario e un rocambolesco riacchiappo, aprì lo schermo e vide una chiamata persa da uno dei numeri senza nome della rubrica; per poco non le venne un colpo.

« Allora funzionano. »

Disse semplicemente il ragazzo riprendendo a giocare con il telefono.

« Non lavorano certo sui sistemi terrestri – rise gracchiando Kiddan – le comunicazioni agiscono sulle stesse frequenze dei trasmettitori, perciò non hanno limitazioni. »

Kisshu sorrise malizioso teletrasportandosi dietro ad Ichigo:

« Vuol dire che possiamo sentirci quando vuoi, micina. »

Fece soffiandole sul collo; lei scattò arrossendo e lo guardò male:

« Non farti venire strane idee! »

Kiddan emise un'altra serie di respiri rochi alla scena e tornò ad armeggiare con la sua tastiera, reimpostando le funzioni del teletrasporto. Spiegò alle ragazze che sarebbe bastato loro digitare il nome del luogo dove avrebbero voluto andare e poi premere il pulsante blu per spostarsi; in caso di emergenza, spingendo solo il pulsante avrebbero mandato un segnale d'emergenza e si sarebbero ritrovate in una zona sicura vicino al centro di ricerca.

« Funziona anche con i vostri cellulari terrestri – disse infine con aria soddisfatta – così potete continuare a chiacchierare con le vostre amichette da brave bambine. »

Rise divertito, ma nessuna di loro si offese.

« Sono una gran figata nonnino! »

« Purin! »

La sgridò Retasu, ma Kiddan rise ancora dandole un buffetto con la mano sana.

« Sono davvero oggetti incredibili. – ammise Zakuro – La ringrazio, Kiddan-san. »

Lui scosse la testa:

« Non è che abbia così tanto da fare. »

Purin, ormai incuriosita dallo strano vecchietto, trotterellò vicino alla plancia di comando e lo guardò lavorare:

« Che fai di preciso nonnino? »

Lui schioccò la lingua e allargò uno dei suoi sorrisi sdentati:

« Controllo solo la situazione degli schermi periferici, stato del sistema idrico e cose così… Sono l'inserviente di Jeweliria. »

« Non dica così Kiddan-san – lo lusingò Eyner – Non fosse per lei… »

« Non vi sareste accorti che mezzo pianeta marciva? Andiamo, non scherzare! – continuò a ridere – Intuisco prima certe cose solo perché ho il naso sempre davanti al monitor. E infatti… »

Battè l'indice metallico sui suoi occhiali e rantolò altre risa. Eyner sospirò, ma sorrise e non aggiunse altro.

« Beh, voialtri non avreste da fare? – brontolò Kiddan  di colpo – Su, andatevene. Che mi fate venire mal di testa con tutto il rumore che portate. »

I ragazzi si scambiarono alcuni sguardi divertiti e annuirono, avviandosi di nuovo verso le scale.

« G-grazie mille, Kiddan-san! »

Gli urlò Ichigo prima di svoltare l'angolo.

« Stammi bene nonnino! »

« Purin…! »

Kiddan non rispose, stanco di parlare, ma sorrise stendendo una tela di rughe sul viso magro e fece un cenno di saluto con le dita metalliche, tornando al suo lavoro.

« Il vecchio è sempre arzillo. »

Commentò Sando mentre rientravano; MoiMoi ridacchiò:

« Meno male! »

« È un signore un po' strano. – puntualizzò Minto – Come fa a starsene qui da solo? »

« La maggior parte dei sistemi di mantenimento si basano sulle strutture che avevamo quando abitavamo sottoterra. – spiegò con distacco Pai – Sarebbe stato inutile e macchinoso spostarli in superficie, e Kiddan-san ha sempre preferito lavorare qui. »

Retasu fu tentata di chiedere il perché, ma Eyner la precedette dandole un colpetto affettuoso sulla nuca:

« Ora non pensarci – le sorrise – su, andiamo a recuperare Shirogane e partiamo. »

 

 

***

 

 

Al Caffè, Keiichiro cercò di convincere Ryou a restare indietro, ma il biondo non volle saperne: prese il prodotto per abbassare la febbre più potente dall'armadietto dei medicinali, bevve due tazze di caffè nero e annunciò al gruppo di aspettarlo mentre si preparava. Kisshu protestò a voce non troppo bassa seccato di stare ai comandi dell'americano, invece Sando mormorò:

« Quello si farà uccidere, conciato com'è. »

« Non credo che se provassimo a parlargli ci darebbe retta, senpai – sospirò Eyner – non ascolta neppure i suoi amici… E noi non gli siamo nemmeno molto simpatici. »

« Per me – fece Pai glaciale – basta che non mi dia problemi, se vuole ammazzarsi è liberissimo di farlo. »

« Pai-chan, non essere così cattivo! »

Il tentativo di MoiMoi di blandirlo non lo scalfì nemmeno.

Su una sedia Retasu guardò lo schermo del suo nuovo cellulare, per provarlo aveva inviato un messaggio ad Ayumi per avvertirla che il giorno dopo non si sarebbero viste; lei e le altre preferivano assentarsi un giorno piuttosto che mandare immediatamente le loro "sostitute" – soprattutto dopo che proprio Ayumi aveva notato qualcosa di strano con gli schermi – così la verde aveva avvisato l'amica che avrebbe fatto assenza, ma non le aveva ancora risposto.

Magari non ha sentito…

I suoi pensieri furono interrotti da Masha che comparve dalle scale e prese a svolazzare più agitato del solito nel locale, canticchiando un motivetto incomprensibile. Ichigo lo prese e se lo strusciò sul viso guardandolo impensierita:

« È tutto a posto piccolo? »

« A posto! A posto Ichigo! Pii! »

« E allora perché Akasaka-san ti ha…? »

« Ho preparato una cosa per voi. »

Le spiegò sorridendo il bruno, comparendo anche lui dalle scale e avvicinatosi alla rossa:

« Masha ha una buona memoria e buoni occhi – disse facendo una carezza al robottino – l'ho predisposto perchè possa inviare immagini in diretta durante le vostre prossime missioni. »

« Un'idea favolosa Akasaka! »

Trillò MoiMoi e allungò le mani su cui Masha si posò, felice di ricevere altre coccole.

« Mi sono permesso di settare le sue trasmissioni sul canale dei comunicatori che ha creato, MoiMoi-san. Spero non vi dispiaccia. »

« Naah! – rise lui – Forse Pai-chan potrebbe fare un po' il geloso, ma non preoccuparti! »

Keiichiro rise con discrezione alla battuta, invece Pai rivolse ad entrambi un'occhiata poco convinta.

Mezz'oretta dopo – e un Kisshu pronto a friggere a saette chiunque lo avesse guardato storto – Ryou degnò gli astanti della sua presenza: fingeva tranquillità e indifferenza, ma il viso proseguiva ad essere pallido e di quando in quando i suoi respiri si facevano più pesanti e affannati.

MoiMoi sospirò, mugugnando qualcosa circa la testardaggine, e gli diede il cellulare fatto per lui da Kiddan.

Senza più interruzioni il gruppo tornò a Jeweliria dirigendosi al nuovo portale, comparso in un giardino poco lontano dalla via principale; Minto riconobbe la zona, l'aveva visitata il primo giorno in città assieme a Kisshu.

« Ho già controllato temperatura, clima e scorrimento temporale – iniziò MoiMoi per rassicurare tutti – è tutto nella norma. »

Ichigo non nascose un forte sollievo.

« Dove si è aperto stavolta? »

« Su Belia. »

Le ragazze fissarono Sando ed Eyner interrogative e MoiMoi sorrise:

« Si tratta di un pianeta un po' distante da qui, ma tranquillo. »

« Oh sì. »

Kisshu sorrise con un'espressione gongolante e Pai sbuffò seccato:

« Per piacere… »

« Che c'è? »

Eyner guardò Ichigo alzando gli occhi al cielo:

« Su Belia il 90% della popolazione è femminile. »

« Oh per l'amor del cielo… »

« Hai qualcosa da ridire cornacchia? »

Lei, che si era già pentita di essersi lasciata scappare anche solo quel breve e acido commento, fece spallucce e lo guardò a malapena, tornando ad ignorarlo gelidamente.

« Già. – disse MoiMoi e nessuno colse la strana espressione del suo viso o il suo tono vago – Comunque stavolta, per precauzione, chiuderemo il passaggio artificialmente dopo che sarete passati. Si riaprirà solo con la vicinanza del Dono, o in caso di emergenza. »

Si sistemò il bracciale schermante sul polso:

« Io verrò con voi. »

« E tu senpai? »

Sando guardò Taruto e anche lui fece una smorfia strana:

« No. Rimarrò a monitorare la situazione da qui. »

Taruto sembrò deluso ma lasciò cadere il discorso.

« Su – incalzò Pai – muoviamoci prima che faccia buio. »

Il passaggio era piccolo, ma compiuto il primo passo all'interno si allargò tanto che riuscirono ad attraversarlo tutti insieme. Ichigo fece bene attenzione al punto dove il corridoio di luce e il pianeta si interallacciavano, per essere pronta e non venire accecata, ma dovette comunque coprirsi il viso con la mano per mitigare la diversa luminosità che la investì.

Erano comparsi su una collinetta da cui si aveva una visuale perfetta della città sottostante. Adagiata in una gola di boschi di alberi simili a betulle, la cittadina si arrampicava sul fondovalle e accanto alle coste delle colline con edifici lindi, alti ed estremamente lavorati; le decorazioni e le guglie eleganti splendevano candide nel sole pallido e biancastro, che inondava giardini curati e colorati e strade brulicanti di gente; anche dalla loro posizione, Ichigo potè intuire alla prima occhiata che erano quasi  tutte donne e bambine.

« Bene! – fece allegro Kisshu schioccando le dita – Andiamo. »

Ma MoiMoi lo bloccò agguantandolo per il colletto:

« Non così di corsa…! »

Tutti lo guardarono confusi, Kisshu e i compagni in particolare perché non vedevano il motivo di tanta tensione, ma lui non spiegò e corrucciandosi fece segno di seguirlo.

Muovendosi alla chetichella il gruppo scivolò fino in fondo al crinale raggiungendo le mura che circondavano la cittadina; MoiMoi intimò a gesti di acquattarsi dietro un riparo di cespugli accuratamente potati, ai lati del sentiero che portava al cancello d'ingresso, da cui con regolarità entravano ed uscivano persone incuranti delle due sentinelle in custodia dell'arco aperto: anche loro erano donne, ma il loro aspetto era tutt'altro che femminile o rassicurante.

« Come mai tanta sorveglianza? »

Dalla domanda di Eyner i terrestri dedussero che non era una cosa normale. Il trasmettitore di MoiMoi prese a gracchiare:

« Pare ci siano stati dei problemi con alcuni visitatori esterni negli ultimi anni – sentirono la voce di Sando – Ora l'accesso è consentito solo alle donne, mentre gli uomini possono passare solo se nativi di Belia. »

« Uh, interessante. E noi come entriamo? »

« Prima di fare l'acido rifletti, Taruto. – lo rimproverò il fratello più grande – Abbiamo gli schermi. »

Il brunetto incassò il rimprovero arrossendo indispettito. MoiMoi però scosse la testa:

« Temo non sia così semplice. »

Proprio in quel momento ci fu una certa agitazione di fronte all'ingresso. Le sentinelle fermarono e presero a confabulare con una donna che parve scandalizzata dal loro impedirle di accedere; ci furono alcuni minuti di discussione, poi le guardie la fecero passare: non appena la donna mise il piede oltre la soglia delle mura una barriera d'energia la bloccò fulminandola sul posto e scagliandola indietro nello sbigottimento generale.

« C-che cavolo era?! »

« Lo vedrai, Taruto-chan… »

MoiMoi fu l'unico a non stupirsi quando la donna, per effetto della scarica, si tirò a sedere gemendo e mostrandosi come un uomo.

« Ok, chi mi spiega cos'è successo? »

Sibilò Ryou brusco guardando le guardie che finivano di mettere in fuga il malcapitato.

« Credete che siano così scemi da 'ste parti a non aver pensato a schermi mimetici? »

Sbuffò Sando e, sebbene gli altri non potessero vederlo, studiò attraverso il piccolo Masha uno strano strumento apposto sotto l'arco d'ingresso; Ichigo udì chiaramente un rumore di obbiettivo in movimento, oltre al consueto cigolino delle alucce del robot.

« Quel coso non si fa sfuggire nulla. Penetra sotto qualunque tipo di schermatura visiva. »

« Abbiamo appurato che non analizza il DNA – disse di colpo MoiMoi – quindi una modifica momentanea della struttura molecolare sarà sufficiente a farci entrare. »

E si girò verso i ragazzi alle sue spalle. Kisshu divenne pallido:

« Stai scherzando senpai?! »

« Ehi, ehi! Non ci sarebbe un altro modo?! »

« Se ci fosse l'avrei trovato, Eyn-chan… »

« Di che cavolo state parlando?! »

« Del motivo per cui Sando non è venuto – fece lugubre Pai – e di quello per cui tu non mi hai detto niente sulle analisi che hai fatto senza di me. »

Guardò storto MoiMoi che fece un timido sorriso colpevole. Taruto mandò uno strano pigolio strozzato:

« Non ci penso neanche! »

« Ok, io vi aspetto a casa – proclamò Kisshu – senpai mi fai tornare indietro? »

« Guarda che non sono San Pietro, non posso aprire il passaggio come cavolo mi pare. »

« Ma se sei tu al quadro comandi! E poi chi sarebbe San Pietro?! »

« Aprire "solo per emergenze" ti dice qualcosa? »

« Beh questa è un'emergenza! »

Sando si rifiutò di rispondergli.

Pai si alzò in piedi e si nascose meglio dietro la vegetazione, visibilmente seccato, ma rassegnato.

« E-ehi, non vorrai farlo davvero…?! »

« Vedi altre soluzioni Kisshu? »

L'altro gemette abbattuto e fu costretto ad acconsentire mogio. Anche Eyner si accostò a loro arrendevole e Taruto, dopo aver cercato sostegno attorno a sé e aver solo trovato le terrestri che o si stavano trattenendo dal ridere – come Ichigo – o avevano strane facce miste di imbarazzo e curiosità – come Retasu e Minto – oppure erano Purin e lo fissavano con gli occhi lucidi curiosissime di qualunque cosa stesse per succedere, potè solo cacciare la testa indietro e mandare un lungo verso frustrato.

« Piantala di ridere vecchiaccia! O giuro che ti appendo ad un albero! »

La rossa si trattenne a stento, più per l'occhiataccia in cui leggeva sei insensibile!  lanciatale da Retasu che per le minacce del ragazzino.

« Prima troviamo la goccia prima torniamo a casa. »

Sorrise MoiMoi, il solo che non pareva così abbattuto dal piano in esecuzione:

« Forza, anche tu Shirogane! »

Come risposta ricevette un basso ruggito; Ichigo per poco non saltò in braccio a Minto per la sorpresa di ritrovarsi la pantera argentata accanto.

« Per gli animali non ci saranno problemi, immagino. »

Ringhiò cavernoso; MoiMoi non potè non ridere. Kisshu invece fu seriamente tentato di compiere un omicidio.

Brutto bastardo…

« Andiamo allora. – insisté il violetto posando le dita sul suo bracciale – Uno, due… »

 

 

***

 

 

Uno strano oggetto a sfera sgusciò fuori dal portale per Tokyo guizzando nell'erba diretto alla città di Jeweliria; le sue strumentazioni lo condussero attraverso giardini e case ben curate, fino ad uno spiazzo apparentemente vuoto in cui due strane scatole triangolari emettevano pulsazioni d'energia.

La sonda tentò di valicare il passaggio, ma era chiuso. Provò ancora e ancora, incapace di analizzare il perché del suo insuccesso e decisa solo a completare la sua missione di monitoraggio.

Perciò non prestò attenzione al paio di mani che la sollevarono e la bloccarono:

« E tu cosa saresti di bello? »

 

 

***

 

 

« Uff, non ne posso più! A che ora arriva il cambio? »

« Piantala di lamentarti Ui. Ti ho detto allo scoccare della quinta, datti un contegno. Sei un membro dell'Arma Pura, non puoi sdraiarti sul tuo scudo come un volgare Animale carico di birra! »

La guardia si corrucciò e sbuffò verso la compagna, ma si rimise dritta. L'altra donna la guardò sospirando e tornò immediatamente al suo lavoro, studiando severa il folto gruppetto che si stava avvicinando. Il sensore sopra l'arco d'ingresso non reagì, il che era un buon segno.

« Buongiorno straniere. – disse ferma – Provenienza? »

« Beh non è ovvio? »

Scherzò la giovane in testa, capelli violetti e fisico minuto; si portò proprio vicino alle due guardie e il sensore non diede segno di vita. La guardia si rilassò un po':

« È strano vedere delle jeweliriane da queste parti. – riprese ancora con fare cauto – Motivo della visita? »

« Curiosità – trillò ancora la ragazza – non avevamo mai visto Belia…! »

E fece un rapido cenno alle altre quattro jeweliriane alle sue spalle e alle cinque terrestri, che sorrisero innocenti pregando in cuor loro di passare oltre quel blocco prima di fare o dire qualcosa di stupido.

« Loro non sembrano jeweliriane però. »

Insisté la guardia accennando alle MewMew e la violetta s'irrigidì appena, dissimulando prontamente:

« B-beh, loro… »

« Siamo di Glatera. – intervenne Zakuro piatta – MoiMoi-san ci ha invitate a questo viaggetto e ne abbiamo approfittato per cambiare aria. »

« Già, proprio così! – rise nervosamente MoiMoi – Un bel viaggio tra amiche. »

La guardia le fissò ancora un poco e poi sorrise, facendo loro segno di procedere; quando anche l'ultima oltrepassò l'arco senza alcun intoppo si concesse di sorridere:

« Benvenute a Loonare. Buona permanenza. »

 

 

« Oddio, sento che sta per esplodermi il cuore! »

« Con tutto l'affetto, pesciolina, ma non eri tu che rischiavi di essere fritta e poi impalata su una picca! »

Protestò tragico Kisshu. Nonostante il bracciale settato sul livello 3 ne avesse modificato l'aspetto si intuiva ancora la sua identità, specie nel viso, sebbene fosse più morbido, e nei brillanti occhi dorati; i capelli verdi erano diventati lunghi fin in fondo alla schiena e i suoi abiti, forse per adattarsi alle nuove curve del corpo, si erano accorciati lasciandolo a pancia scoperta e braccia nude. Appena ebbe finito di parlare con Retasu emise un altro paio di monosillabi infastidito dalla sua voce, divenuta così stranamente sottile.

« Su Kisshu, è andata bene. Viviamola così e andiamo avanti. »

Tentò di sdrammatizzare Eyner. Lui pareva decisamente più a disagio del compagno nelle nuove sembianze, e continuava ad aggiustarsi nervoso la maglia diventata perfino troppo aderente – e che non lesinava a mostrare un bel seno florido – e stuzzicarsi di quando in quando la treccia in cui gli si erano legati i lunghi capelli scuri.

Pai grugnì sorpassandolo:

« Troviamo la Goccia e torniamo indietro, per piacere… »

Pareva più scocciarlo tutto il muoversi in segreto che l'aver assunto l'aspetto di una donna; non che fosse cambiato così tanto, anche se ovviamente aveva perso la struttura mascolina per una decisamente più aggraziata e qualche abitante di Loonare, specie bambine e ragazze poco più grandi, l'avevano indicato – indicata – bisbigliando ammirate.

Dietro di lui Taruto camminava impacciatissimo, continuando a tirarsi da ogni parte la gonnellina che aveva preso il posto dei suoi pantaloni e rannicchiandosi con le mani sull'inguine:

« Mi sento troppo strano… Senza. »

« Avanti, noi ci siamo nate senza. Non siamo ancora morte. »

« Vecchiaccia – sbottò lui – se non la pianti di prendermi in giro mi arrabbio sul serio! »

Ichigo rispose con un ghigno perfido. Non riusciva a non trovare divertente quella situazione, e in ogni caso un po' di vendetta se la doveva concedere. Tra tutti loro, come femmine facevano a gara di bellezza con Zakuro; Taruto restava piccolino, con un'aria da ragazzetta pestifera che inteneriva, ma gli altri quattro erano da denunciare per oltraggio all'altrui orgoglio.

« Comunque un po' ti capisco ora, lattughina. »

Riprese Kisshu, intendo a ispezionarsi la bella linea dell'ombelico e il limitare del fondoschiena come a sincerarsi che fossero effettivamente i suoi:

« Queste sono decisamente ingombranti! »

Ichigo lo fissò stizzita palpeggiarsi senza grazia un seno che ad occhio doveva essere il doppio del suo; Retasu divenne scarlatta:

« C-c-c-che intendi? »

« Ti prego Kisshu, lasciala stare. »

Lo sgridò MoiMoi senza troppa energia saltellando in giro e fischiettando.

« Come fai ad essere così contenta, senpai? »

La domanda lugubre di Taruto non fu nemmeno calcolata e MoiMoi continuò a camminare allegro, studiando il modo in cui gli si erano assottigliata la vita e incurvati i fianchi.

« Fate abbastanza una bella figura comunque. »

Sentirono ridere Sando; Kisshu puntò il dito verso le telecamere del piccolo Masha intento a svolazzare:

« Senpai, non osare dire una parola a qualcuno…! »

« Dai, siete carini! »

Fece Purin allegra e si attaccò al collo di Taruto facendolo diventare violaceo. MoiMoi rise e si voltò verso la telecamera:

« Siamo carine vero? »

Dal trasmettitore si sentì solo un silenzio esitante; MoiMoi gonfiò le guance:

« Beh mica è colpa mia se sono bassa e anche così rimango piatta come una tavola…! »

« Ma sei carinissima MoiMoi-chan! – trillò Ichigo abbracciandola – Sei troppo carina! »

Lui si lasciò spupazzare gongolando con Masha che si unì alle feste, sotto le proteste di Sando:

« Guardate che il monitor mi sta dando la nausea. Vi decidete a muovervi? »

 

 

Mimetizzato in quel super popolato reame femminile il gruppo potè iniziare a perlustrare con calma, mentre MoiMoi spiegò in breve alle terrestri alcune cose su Belia.

L'altissima percentuale di individui di sesso femminile era, scoprirono, un curioso fenomeno biologico: non c'era una particolare selezione degli abitanti o cose analoghe, semplicemente il DNA dei beliani propendeva per riprodurre delle femmine. Il fatto aveva generato la credenza su Belia che le donne fossero elette e le vere portatrici di ordine e sapienza a livello universale, poiché scelte dalla natura stessa. Ogni abitante era istruita fin dalla più tenera età in ogni ambito accademico, forgiata nel culto della supremazia femminile; i ruoli più importanti al governo e alla protezione della città erano affidati esclusivamente a donne, così come la gestione delle ambascerie presso gli altri pianeti. La loro idolatria della donna si espandeva ad ogni essere di genere femminile, non avevano discriminazioni verso le straniere, al contrario di quelle che avevano verso gli uomini, considerati stupidi e gretti. La sola eccezione erano i maschi nativi di Belia, cresciuti e forgiati in ciò che la popolazione definiva unicamente come credo; ricevevano trattamenti equi alle loro controparti, ma dovevano inoltre imparare e assimilare visceralmente l'amore verso le donne e trasmetterlo in ciascun gesto e momento quotidiano, tant'è che la maggior parte delle loro occupazioni una volta divenuti adulti consisteva nell'affiancare, aiutare, intrattenere e conversare con le compatriote. I beliani difficilmente ricoprivano ruoli politici importanti, anzi era difficile trovarli tra i componenti del governo, pochissimi avevano un'attività propria e, seppur educati all'uso della spada, a nessuno di loro era permesso entrare nel corpo d'armata – l'Arma Pura – se non sotto diretta minaccia al pianeta. Eppure sottostavano a quelle regole senza troppi problemi, visto che la loro situazione imponeva che avessero rigorosamente uno status sociale elevato in cui potevano crogiolarsi nei divertimenti e nell'ozio senza remore; e non lesinavano di impegnarsi per elevarlo sottostando ai leziosi capricci delle beliane, poiché un status più alto donava maggiori occasioni di matrimonio: su Belia infatti gli uomini potevano sposarsi più volte e avere più mogli allo stesso tempo, a patto che non tradissero mai i principi del credo.

Più MoiMoi proseguiva nel suo discorso più le ragazze notavano l'effettiva assenza di uomini e l'atmosfera sospesa e raffinata, quasi mistica, che aleggiava per le vie. Loro a confronto, seppur come tutte donne, spiccavano molto tra le loonariesi, vestite elegantemente con abiti semplici, lunghi, fruscianti, dalle tinte pastello le più giovani e con indumenti appena più elaborati dai colori scuri, cosparsi di cinte e lacci le più anziane.

Loro cercarono di farsi notare il meno possibile, evitando perfino di chiedere informazioni o di guardarsi attorno troppo di frequente, ma a quel modo capirono ben preso che non avrebbero ottenuto nulla.

« Dobbiamo correre il rischio e chiedere in giro – proruppe infine Minto stufa del girare a vuoto – non possiamo perlustrare tutto il pianeta! »

« Se vi occorre sapere qualcosa, non dovete far altro che chiedere. »

Si fermarono di colpo, cercando di nascondere lo scatto sorpreso, e studiarono cinque ragazze che si spostavano nella loro direzione.

« Ogni ospite deve essere a suo agio. È questa l'educazione di Loonare. »

Si fece avanti una giovane donna con boccoli dorati e un abito celeste pallido come i suoi occhi; era riccamente ingioiellata, a partire dal fermaglio che le acconciava i riccioli perfetti fino ai bracciali ai polsi, ed era evidente che lo stuolo dietro di lei la trattasse e la considerasse una figura di alto rango.

Si avvicinò impettita a Minto, di cui aveva sentito il discorso, e sorrise con aria superba:

« Se avete bisogno non avete di che chiedere. »

A discapito dei modi il suo tono era molto gentile e Minto rispose con un garbato cenno del capo:

« Ve ne saremmo eternamente grate. »

« Ti prego, dammi pure del tu. – sorrise – Sono Lia. Siete qui in gita turistica? »

« In un certo senso – disse Minto con naturalezza – stiamo cercando una cosa… E intanto visitiamo le bellezze di questo luogo stupendo. È assolutamente una città incantevole! »

Lia e il suo entourage si lusingarono dei complimenti e si avvicinarono per ascoltare le parole della mora. Kisshu dovette ammetterlo, la cornacchietta era brava quando si trattava di dimenare la lingua non solo per dire cattiverie.

Non è male anche in altro ambito, a dire il vero…

Forse fu un caso, ma la mewbird si voltò un secondo a guardarlo malissimo, nemmeno fosse capace di sentire i suoi pensieri. Nel dubbio lui li scacciò, tornando a concentrarsi sulla situazione presente. E sul non trascurabile problema di avere due tette al posto del suo compagno d'armi.

Lia e le sue accolite iniziarono a scortarli lungo l'arteria principale di Loonare. Lia faceva domande di rito su di loro, da dove venissero e quando fossero arrivate, per fare conversazione, mentre le altre scambiavano solo poche parole di circostanza, lasciando spazio alla loro signora. La sola cosa per cui si agitarono, mandando urletti e versetti deliziati, fu la pantera argentata che camminava a fianco a loro: non smettevano di chiedere ad Ichigo, che avevano stabilito – senza chiedere nulla – fosse la padrona dell'animale, se potevano accarezzarlo, quanti anni avesse e come si chiamasse; la rossa ebbe serie difficoltà a rispondere, ma a quelle non parve importare troppo prese com'erano dall'accarezzare Ryou sulla testa.

« Come hai detto che si chiama? »

« Non l'ho detto – bofonchiò lei seccata dal loro pigolare – comunque è Ryou, e non… Credo che sia… »

Stava per dire non credo sia il caso continuiate, lo infastidite, ma la pantera mandava fusa baritonali dando leggere testaste giocose alle braccia delle giovani, che strillacchiarono compiaciute. Ichigo assunse un'espressione imbestialita, Shirogane faceva sempre il sostenuto ma, da quanto vedeva, nemmeno lui si risparmiava nell'approfittarsene quando conveniva.

« È così bravo! – squittì una morettina grattandogli la cima del testone – Una vera guardia del corpo, non come un volgare Animale! »

Ichigo ringhiò qualcosa in assenso e camminò senza più guardare la scenetta patetica.

Sei un idiota!

« Animale? »

« Qui su Belia è così che chiamano i maschi Reta-chan – le sussurrò pianissimo MoiMoi – gli unici che vengono definiti uomini sono i nativi di Belia. »

Retasu annuì. Avrebbe voluto chiedere qualcosina di più, ma le ancelle di Lia facevano tanto chiasso che cambiò idea.

« Ragazze, suvvia. – le ammonì dolcemente la bionda – Lasciate stare quella nobile creatura, le starete dando fastidio. »

Loro obbedirono allontanandosi e lasciando di sfuggita altre carezze sul muso di Ryou. Kisshu assisté alla scena roso dall'invidia.

Questo si prende le moine di tutte e a me tocca andare in giro conciato così.

Vide la coda della pantera che spazzava pigra la via. Non resistesse e con innocenza gliela pestò con tutta la forza, strappando a Ryou un ruggito furioso.

« Ops, scusa . Non l'avevo vista . »

« Questa me la paghi. »

Kisshu ignorò la minaccia; si accorse che Ichigo, ancora arrabbiata, stava ridendo della scena, e le fece l'occhiolino.

« Cosa cercate di preciso? »

Chiese intanto Lia proseguendo lungo la strada.

« A dire il vero si tratta di una cosa curiosa – fece Minto, tirando fuori tutta l'etichetta da signorina di buona famiglia che possedeva – abbiamo saputo che qui su Belia si sta manifestando uno strano fenomeno… »

Lia e le altre loonariesi ascoltavano attente e nessuno degli altri presenti osò mettere becco nel discorso: sembrava che Minto sapesse perfettamente cosa dire e come dirlo.

« Pare che di quando in quando appaia una strana luce. Noo è grande, anzi, pare una sfera, poco più di un'arancia, che emana riflessi arcobaleno. »

Lia era affascinata dal discorso e quando scosse la testa la sua espressione parve ancora più dispiaciuta:

« Non so nulla riguardo una cosa simile… »

Neppure le sue compagne sembrarono sapere qualcosa e presero a confabulare tra loro:

« Che peccato… »

« Una cosa del genere sarebbe meravigliosa…! »

« Che sia una luce divina? O un qualche essere fatato…! »

Il gruppo di Minto fu palesemente deluso dalla risposta, ma dissimularono bene e la mewbird, dopo un sospiro rammaricato, riprese allegra:

« Non importa, grazie comunque. »

« Cercherò informazioni, se questo potrebbe esservi utile. »

« Ci sarebbe di grandissimo aiuto Lia – la ringraziò Minto – ma non angosciarti per noi. Abbiamo tutto il tempo che vuoi, abbiamo ancora così tanto da visitare…! »

Taruto fece per protestare e Pai gli mollò un calcio negli stinchi:

« Sta zitto. »

Era ovvio che in realtà non ne avessero, di tempo, ma sarebbe risultato meno sospetto se le loonariesi avessero pensato il contrario.

Nel frattempo si era fatta sera e ombre lunghe iniziarono a fendere la strada mentre la folla si faceva via via più rada, e luci e rumori invadevano l'aria da dentro gli edifici; Ichigo rabbrividì appena al venticello fresco che le sfiorò le gambe nude, si domandò come le donne potessero girare con abitini tanto impalpabili quando lì la temperatura non era così mite.

Arrivarono ad una svolta secca della strada che si allargava in una piazzetta, costruita attorno ad un'elaborata fontana con decine di zampilli che danzavano incrociandosi tra loro.

« Dove alloggiate? »

Minto non potè trovare una scusa abbastanza in fretta e fu costretta a mormorare:

« A dire il vero non abbiamo ancora cercato. »

« Speravamo di poter ammirare la città di sera… »

Ridacchiò con fare ingenuo Eyner; cercò di non strozzarsi quando bloccò l'istintivo schiarirsi la gola, udendo la vocetta che gli uscì dalla bocca.

Lia li guardò severa:

« Non è possibile girare per Loonare di notte. È troppo pericoloso. »

Le altre ragazze bisbigliarono agitate.

« Come sarebbe pericoloso? »

Una brunetta si accostò a Zakuro e sussurrò tetra:

« Ci sono creature che nemmeno le mura possono trattenere. »

« Ormai è un mese che arrivano… »

Le parole di Lia si persero nel vuoto e le sue compagne si strinsero tra loro, angosciate

« Vi prego – singhiozzò una rossa dall'aria timida – basta con questi discorsi! »

« In ogni caso – insisté Lia – non avete di che preoccuparvi. Abbiamo decine di magnifiche locande e non potrete annoiarvi. »

Minto potè solo ringraziarla poco convinta. Il fatto che non potessero perlustrare dopo il calar del sole era una pessima notizia, sarebbero rimasti bloccati fino all'alba.

« Anzi, farò di più! – insisté Lia con atteggiamento munifico – Vi condurrò immediatamente nella locanda migliore di Loonare! Che poi sarebbe la mia… »

Le sue ragazze ridacchiarono.

« Non è il caso di darsi tanto disturbo… »

« Nessun disturbo! – proseguì immune alle timide proteste di Retasu – Abbiamo camere per tutte, e voi sembrate provate dal viaggio. »

La verde stava per risponderle che non era così, quando notò le facce visibilmente stanche di Kisshu e degli altri.

« Dev'essere l'influsso della schermatura – bisbigliò Pai, anche lui più pallido del solito – stanno sottoponendo il nostro corpo ad uno sforzo più lungo del normale. »

« Che facciamo? »

« A questo punto non credo sia una cattiva proposta Ichigo-chan. – ammise MoiMoi – Negli edifici è improbabile abbiano sistemi di sicurezza come quello all'ingresso, dato che ci sono anche i loro uomini: potremmo riposarci, raccogliere le idee e magari qualche altra informazione. »

« Sicuramente farebbe meno strano se facessimo domande in mezzo ad una locanda  e, se facciamo attenzione, potremmo dare un'occhiata in giro anche stanotte. »

Finito di parlare Pai prese un respiro profondo, iniziando anche lui a sentirsi esausto. Minto si voltò verso Lia e sorrise umilmente:

« Se allora… Possiamo approfittarne… »

Lia orgogliosa si ravvivò la chioma e a passo di marcia aprì la strada:

« Preparatevi a gustare la magnifica ospitalità di noi beliani. »

 

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~

 

Io lo so che mi state odiando, mi state guardando male e odiando perchè ho lasciato suspence ^w^""! se vi prometto che nel prossimo le cose diventeranno sempre più assurde?

Ichigo: non è che così tu sia molto rassicurante *brivid*!!

Mi sto divertendo un sacco e si sa, quando qualcuno si diverte… Le cose possono assumere brutte pieghe

Ichigo: ora sono nel panico!! *piange*

Finalmente ho tempo di tornare a disegnare oltre che scrivere ! Visto che (ammetto spudoratamente) sono stata pigrissima in questa settimana non ho quasi preso la matita in mano, peace and love xD! Con il prossimo cap metterò un bel po' di chara arretrati e qualche schizzetto dei pg secondari, così giusto perché mi va :?

Mando un oceano di bacini a modo, Danya e Hypnotic Poison, che hanno lasciato i loro amorevoli commentini , abbraccio tutti coloro i 136 lettori con l'augurio che un giorno vogliate lasciarmi anche un commentino e vi dico "aspettatemi tra due settimane"!

 

Mata ne~♥!

Ria

 

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Capitolo 20
*** Toward the crossing: fourth road (part II) ***


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Ciauz J

Come butta? Qui la vita scorre come al solito, io ormai ho orari da vera mangaka, completamente invertiti, oppure con giornate da 3 ore di sonno o giorni di letargia xDD! E ovviamente di sabato sera non ho nulla di meglio che aggiornare il capitolo :P. Vi ho già detto che mi sto divertendo un mondo con questi cap? Se non l'ho detto lo ripeto, MI DIVERTOOO! *evilgrin*

Prima di cominciare… Diciamo che qui c'è un pochino di spoiler :P, ma volevo rendervi partecipi della mia "colonna sonora mentale". Stavolta le note vanno al contrario xD, quando le trovate nel testo fate partire i link ;) giusto nel caso le mie descrizioni incomprensibili non rendano l'atmosfera… La musica parla meglio di me J.
(*) http://www.youtube.com/watch?v=ewI2EMfSyi0

     http://www.youtube.com/watch?v=HgGAzBDE454

     http://www.youtube.com/watch?v=zsewvO75Mgw  

(**) http://www.youtube.com/watch?v=PjdKojawvW4

Ok io amo lievemente la musica irlandese (noooo!! :P) e mentre scrivevo il capitolo avevo le Celtic Women tutto il tempo sparate nelle orecchie… Non commentiamo :P.

Ok ho sproloquiato abbastanza, è già lunghissimo, buona lettura :D!

 

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Cap. 20 – Toward the crossing: fourth road (part II)  

                 Girls are all princesses, but chivalry is dead

 

 

 

 

 

La locanda di Lia si trovava nell'angolo della piazza e si sporgeva proprio sulla maestosa fontana al centro dello slargo, permettendo una visuale panoramica di tutta la città, mentre dal retro affacciava su un boschetto rarefatto che saliva dolcemente la collina.

Dentro l'ambiente era elegante e molto accogliente, tutto in legno, con decorazioni non ostentate che donavano un grande tocco di classe; l'ingresso si apriva su un disimpegno da cui partivano le scale per le camere e, sulla sinistra, un ampio salone era costellato di tavolini da tre e da cinque persone e da alcune tavolate angolari, tutti coperti con tovaglie bianche e corredati di centrotavola floreali.

Quando il gruppo di terrestri e alieni fu scortato all'interno c'erano almeno una cinquantina di donne, dai sedici ai quarant'anni – qualcuna, adocchiò Zakuro, anche un poco più attempata – e tutte circondavano un tavolo in penombra a cui erano sedute tre persone; una di queste in particolare attirava l'attenzione scatenando grida isteriche e risate euforiche: sembrava stesse facendo qualcosa di specifico, ma era impossibile capire cosa dato l'assiepamento che copriva la visuale.

Lia sospirò alla vista e si scusò con le sue ospiti andando verso il tavolo, seguita dalle sue ragazze che presero a parlottare eccitate; nel vederla arrivare la folla si divise permettendole di avvicinarsi e svelando, dietro il muro umano, che i commensali accerchiati erano tre uomini. Di certo beliani, pensò Ichigo: erano abbigliati in modo assurdo rispetto alle conterranee, con elaborate marsine zeppe di ornamenti su maglie bianche di stoffa sottile, ed era evidente l'incredibile cura spesa per il loro aspetto a partire dai capelli, talmente lucidi e setosi che la rossa credette potessero essere finti; non erano brutti, ma neppure così belli, anzi erano abbastanza scialbi, eppure si atteggiavano a sovrani e dispensavano a destra e a sinistra occhiate e ammicchi che facevano sciogliere le spettatrici in gridolini incontrollati. L'unico davvero di bell'aspetto era il giovane con cui Lia stava parlando, capelli color miele e occhi scuri, che sembrò scusarsi di qualcosa e afferrò la mano della bionda per un elegante baciamano, facendola diventare scarlatta. La cosa generò un'altra ondata di urletti e Taruto si tappò le orecchie con le mani:

« Ma comunicano ad ultrasuoni queste? »

« Ecco, vedi Ichigo? Poi ti chiedi perché tu faccia la figura della scema con Masaya-kun… »

« Io – contestò la rossa – non ho mai fatto come quelle galline laggiù! »

Kisshu e Ryou all'unisono la zittirono con un verso inequivocabile, anche da parte del felino, e la mewneko serrò i pugni stizzita. Prima che potesse protestare Lia tornò indietro da sola, perché le altre giovani erano rimaste nel marasma ad adorare i tre uomini. La bionda era ancora un po' rossa in viso e tossicchiò prima di parlare:

« Scusate, lo spettacolo del signor Ren è terminato per stasera… Mi sarebbe piaciuto che anche voi poteste ammirarlo. »

Sospirò trasognata, perdendosi un momento in pensieri fin troppo evidentemente rivolti all'uomo, poi tornò sui suoi passi e cercò di ricomporsi:

« Vi accompagnerò alle vostre stanze, così potrete riposarvi prima della cena. »

Tutti approvarono, specie i ragazzi che avvertirono la stanchezza aumentare di minuto in minuto. La padrona di casa fece strada al piano superiore e percorse tutto il corridoio fino in fondo, dove indicò quattro stanze sui due lati:

« Ho libere due triple e due doppie. Disponetevi come più vi aggrada. – fece zelante –  La cena sarà servita nella sala comune tra un paio d'ore, approfittatene per rilassarvi. Al primo piano, a destra delle scale, ci sono vasche comuni con l'acqua calda se volete approfittarne. »

« Io mi metto in fila! »

Esclamò Ichigo alzando la mano; Lia sorrise gentile, li salutò e tornò di sotto, dove la folla iniziava a fare una discreta confusione.

Senza decidere niente il gruppo entrò in una delle triple e finalmente i ragazzi riassunsero il loro vero aspetto, accasciandosi qui e là sui letti e sul pavimento.

« Mi sembra di aver corso per ore… »

Mormorò Kisshu grondante di sudore posando la testa contro il muro.

« Che bello essere tornato me stesso! »

La voce di Taruto, steso a stella su uno dei materassi, fu ben poco energica per l'entusiasmo delle sue parole.

« Non penserete mica di poter gironzolare così ora? – gli rimbrottò MoiMoi seduto su una sedia, intento ad asciugarsi la fronte madida – Approfittiamone per riposarci, ma se vogliamo mangiare (e magari dopo ficcanasare in giro) non possiamo rischiare di farlo con il nostro aspetto normale. »

« Cheee?! »

« Ha ragione, se ci scoprissero sarebbe meno peggio come donne, che come uomini… Se venissero a sapere che siamo maschi e per giunta entrati illegalmente, nel migliore dei casi ci sbatterebbero in una delle prigioni con l'accusa di essere dei guardoni, nel peggiore potremmo doverlo restare a vita, donne. Almeno in parte. »

Ed Eyner emise un sibilo raccapricciante tra i denti, facendo un cenno eloquente che spinse Taruto a stringere protettivo le gambe.

Decisi ad assecondare gli eventi si divisero le stanze, approfittando dello stallo per rilassarsi. Le ragazze si appropriarono di una tripla e di una delle doppie, lasciando l'altra a Pai ed Eyner, così Kisshu finì in camera con Taruto e Ryou, cosa che non fece piacere né a lui né al biondo:

« Perché devo dormire nella sua stessa stanza? »

« Perché ci sono solo dieci letti e ti ricordo che qui pensano che Shirogane sia un gatto fuori taglia. »

Puntualizzò supponente Minto.

« Starete più comodi, voi, con tre letti, noi possiamo anche stringerci. »

Cercò di recuperare Retasu sorridendo gentile e accennò alla mewbird e Ichigo, con cui si sarebbe divisa la doppia rimanente.

« E dato che non è il caso di fare stanze miste, noi prendiamo la tripla. »

Concluse pacatamente Zakuro e aprì la porta della sua camera facendovi entrare MoiMoi e Purin. Kisshu non si convinse del discorso e borbottò proteste a mezza bocca, meditando vendette notturne.

« Puoi sempre dormire sul terrazzo se preferisci. »

« Dormici tu, tappeto da salotto spelacchiato. »

Ryou guardò l'alieno con aria superiore e si sedette pesantemente sulla sedia lasciata libera da MoiMoi: gli stava tornando la febbre, ma non aveva intenzione di dirlo a nessuno, specie di fronte a Kisshu. La voce di Sando dai trasmettitori fu parecchio esasperata:

« Cercate di non fare casiniVorremmo evitare incidenti diplomatici. »

Il verde incrociò sbuffando le braccia, stufo delle prediche, e Ryou non rispose neppure.

« Beh, voi fate come volete – disse Ichigo sgranchendosi – a me continuano a ronzare in testa le parole di Lia, quindi… Vi dico ciao ciao! mi aspetta un fantastico bagno caldo! »

Affidò Masha a MoiMoi e galoppò baldanzosa lungo il corridoio.

Ma la rossa avrebbe dovuto imparare a non sbandierare ai quattro venti tutto ciò che le passava per la testa.

 

 

***

 

 

« Ha scovato un oggetto davvero interessante. »

La voce melliflua di Ebode non scompose il suo interlocutore, che riprese la spiegazione:

« La sonda che ho scovato era di certo manodopera del nostro esercito, ma è stata modificata; inoltre era malconcia, come se qualcuno l'avesse colpita. »

« Vorrebbe dire che sono stati gli Ancestrali a inviarla? »

« Ne ho quasi la certezza – disse con tono asciutto – immagino per spiare le terrestri. »

« M-ma poteva esserci utilissima! Perché l'ha lasciata andare?! – proruppe scandalizzato l'uomo – Avremmo carpito chissà quali informazioni…! »

« E la sua testa sarebbe stata la prossima sulla lista di Arashi e della sua compagnia. »

Ebode si zittì con un singulto secco. Il suo interlocutore gli mostrò una piccola scatola che emetteva un segnale di localizzazione:

« Un oggettino utile progettato dal capitano Luneilim. Lascerò che la sonda compia il suo dovere, la terrò d'occhio con questo. »

« Ah, e quando sarà l'occasione potremmo favorire dei dati registrati…! »

Ebode si fregò le mani felice:

« Meraviglioso… Davvero meraviglioso! »

L'altro gli rivolse un'occhiata sprezzante:

« Uno di noi dovrà pur assicurarsi che siano solo quelle ragazzine a sparire prima di causare problemi, e non che ne soffrano anche i nostro compatrioti. »

Ebode sorrise falso e annuì servile. Gli conveniva tacere dopo quanto successo l'ultima volta, ma i suoi piani non cambiavano.

Che tu lo voglia o no.

 

 

***

 

 

La stanza delle vasche d'acqua calda era molto più grande di quanto Ichigo immaginasse; c'erano ben cinque scomparti con dentro altrettante piccole piscine, dove era possibile o meno oltre a godere del calduccio dell'acqua immergersi in un bel bagno di bolle.

La rossa rimase un paio di minuti a picchiettare con il dito sulle targhette di due stanze adiacenti, facendo la conta per decidere dove andare.

« Deciso! – esclamò infine – Acqua calda e schiuma! »

Gongolando prese un asciugamano dall'armadio di servizio, si spogliò lasciando i vestiti su una mensola vuota e dopo essersi avvolta nel panno spugnoso, tiepido e morbido, entrò nel locale. Non c'erano clienti al momento e lei sorrise più a fondo, studiandosi in giro. Il pavimento era di una pietra bianca, liscia, che tratteneva il calore della stanza; il vapore aleggiava a pelo dell'acqua e lasciava appena intravedere le colonne della stessa pietra del pavimento che arredavano l'ambiente, e i piccoli bacini di acqua fredda disposti lungo i muri. La vasca principale, in cui sarebbero potute stare comode una decina di persone, era tonda e profonda abbastanza da immergersi fino alle spalle; sul suo bordo contenitori scolpiti nella pietra con forme di leoni, aquile e cervi dispensavano saponi dagli odori più intriganti che Ichigo avesse mai sentito.

La mewneko strinse le labbra deliziata e si tuffò nella vasca. Si abbandonò immediatamente al rammollimento dell'acqua tiepida, immergendosi fin oltre la testa, poi nuotò a cagnolino fino ai contenitori del sapone: prese a giocare e analizzare ogni essenza, impazzendo per una e adorandone un'altra, e alla fine fu incapace di scegliere tra due e le lasciò entrambe inondare la piscinetta. In pochi minuti sulla superficie dell'acqua torreggiavano montagne di schiuma colorata e un aroma di fiori aveva invaso la stanza.

Ichigo si abbandonò con la testa sul bordo vasca e si rilassò con un sospiro beato. Respirò piano piano e distese le spalle, ascoltando il leggero sciabordio che produceva muovendo le ginocchia dentro e fuori dall'acqua; era una vita che non si concedeva una coccola o un gesto carino, aveva quasi scordato quanto fosse terapeutico per l'umore oltre che per il fisico.

Nelle ultime settimane ne aveva vissute di tutti i colori. Non dimenticava certo cosa l'aspettasse fuori di lì, ma il cielo non l'avrebbe punita per mezz'oretta – magari un'oretta – di relax.

« Sembra davvero piacevole! Ti spiace se ti faccio compagnia? »

Lì per lì Ichigo non focalizzò la voce femminile che disturbò il suo attimo zen. Non appena socchiuse gli occhi per vedere, però, rimase paralizzata e divenuta rossa come un pomodoro si nascose dietro ad un mucchio di schiuma, tartagliando con l'indice puntato verso l'intrusa:

« K… K… K-K…?! »

Quella se ne stava avvolta nel suo asciugamano e le sorrideva innocente, divertita dal suo imbarazzo che le appariva incomprensibile.

« Chediavolocifaituqui?! »

« Come? »

« Ho… Detto, che diavolo ci fai tu qui, Kisshu…! E non toglierti l'asciugamano! »

Lei – o meglio lui – rise:

« Ma che problema c'è? Ora sono una donna, no? »

Ichigo non seppe come replicare, pur escludendo i capelli lunghi era evidente che dietro l'involto di stoffa non ci fossero forme maschili, ma curve femminili perfino troppo chiare.

« S-sarà, ma sei sempre tu! »

Kisshu rise:

« Ti vergogni a farti vedere nuda? »

Con nonchalance abbandonò l'asciugamano ed entrò con un tonfo leggero nella vasca, facendo indietreggiare la rossa di un altro metro; rise ancora intenerito:

« Guarda che non siamo così diverse come donne. Ho visto le mie di tette, saranno tanto diverse le tue? »

Ichigo continuò a guardarlo sospettosa, ma pensò che il suo ragionamento non fosse del tutto sbagliato e fece capolino da dietro il suo scudo spumoso.

« Perché diavolo sei venuto? »

« Micetta, ti è entrata la schiuma nelle orecchie? – la canzonò teneramente – Cosa fai tu di solito in una vasca da bagno? »

« Non potevi aspettare? »

« Tutte le altre vasche sono occupate, è pieno di gente – replicò avvilito – e se lo scudo desse dei problemi? »

« Perché, pensi che non ce ne siano se succede qui di fronte a me?! »

« Puoi sempre chiudere gli occhi. »

La naturalezza con cui sorrise convinse quasi la rossa che non avesse secondi fini. Rimase immersa fino al collo, ma si concesse di ridurre un pochino la distanza tra sé e la ragazza – no, ragazzo! Ragazza   tra sé e Kisshu. Lei – lui – iniziò ad insaponarsi con noncuranza, fischiettando come se fosse davvero una donna da quando era nato e la mewneko, dopo averlo studiato per un paio di minuti, azzardò a voltarsi pre prendere un altro po' di sapone e lavarsi per bene. Due mani non troppo sconosciute le afferrarono le spalle con la velocità di un rapace:

« Ti aiuto a lavare la schiena micetta? »

Lei scattò quasi in piedi, stringendo le braccia attorno al petto, e pigolò strozzata:

« Non pensarci nemmeno! »

Lui continuò a sorridere, da ragazza sfoggiava un ghignetto ancor più finto ingenuo di quanto non facesse normalmente e Ichigo avvertì un brivido lungo la schiena.

« Non agitarti tanto. Siamo ragazze no? »

« Il problema c'è, eccome! »

Indietreggiò finendo addossata al bordo vasca e Kisshu ne approfittò per aggrapparsi al suo braccio:

« Su, ti aiuto. »

Sussurrò e iniziò a frizionarle il braccio insaponato. Ichigo non riuscì più nemmeno a respirare, non capì se fosse lei o l'acqua della vasca, ma avvertì salire talmente caldo da farle girare la testa.

Era imbarazzante, tremendamente imbarazzante che una ragazza le stesse così appicciata, nuda nella stessa vasca cercando di lavarla.

Ragazza un cavolo, questo è Kisshu!

L'idea la mandò ancora più nel panico. L'obbiettivo del ragazzo non diventava meno inquietante né la faceva rimestare meno nelle sembianze femminili, anzi tutto il contrario. Incrociò le maliziose iridi dorate, tanto più grandi e dolci ma sempre lascive, il sorrisetto divertito che increspava due labbra rosee e carnose mentre lui – lei… No! – passava senza resistenza dal braccio alla schiena, avvertì la pelle delle spalle venire sfiorata dal suo seno e poco mancò svenisse. Si stava agitando parecchio, troppo, e il peggio era che non capiva se fosse per la situazione imbarazzante, perché fosse Kisshu o perché fosse Kisshu nelle sembianze di donna.

Ok, qui la cosa prende una brutta piega!!

« Perché ti agiti tanto? »

Domandò Kisshu con candore, ma la sua voce si era abbassata sensualmente di qualche tono:

« Ti intrigo anche così? »

« Imbecille piantala immediatamente! »

« Scherzavo! – disse ridendo – Come sei permalosa! »

Le fece il solletico sulle anche e Ichigo scattò a ridere senza controllo, bloccandosi solo quando sentì le mani affusolate prendere ad accarezzarle i fianchi e muoversi sospette verso il basso:

« N-no, aspett-! »

Udì un colpo sordo e Kisshu emise uno strano verso di naso, finendo giù di faccia nell'acqua. Ichigo guardò spaesata prima lui poi Zakuro, in piedi fuori dall'acqua e con ancora in mano l'arma del delitto, una ciotola di ceramica ad uso di chi volesse usare le vasche più piccole.

Ichigo era ancora scarlatta in volto quando si rese conto che oltre a Zakuro c'erano Retasu e Minto, che fissavano la scena impietrite; la mewneko affondò fino al naso nell'acqua opaca di sapone, le s'infiammarono perfino i lobi delle orecchie. Si sforzò di non incrociare lo sguardo della mewwolf che però non disse una parola né di rimprovero né di domanda e, sistematasi l'asciugamano attorno alla vita, raccolse il semisvenuto idiota prima che annegasse.

 

 

***

 

 

MoiMoi ringraziò la cameriera con cui stava parlando e prese tra le braccia l'involto che le porgeva, tornando fischiettando in camera.

Dentro non c'era nessuno, ma sentì Purin canticchiare da dietro una porta: ogni camera aveva delle docce rudimentali e la biondina aveva preferito quella ad andare a crogiolarsi nel vapore con le altre, così a MoiMoi era venuta un'idea carina da sfruttare nell'attimo di pace.

« Si può sapere che hai in mente? »

Il violetto guardò Masha che gli svolazzava attorno in attesa del ritorno della sua padroncina e sorrise alla videocamera:

« Vedrai! »

Sentì Sando sospirare con rassegnazione.

« Che fai onee-chan? »

Il violetto ridacchiò intenerito vedendo Purin infagottata in un enorme asciugamano bianco, con tutti i ciuffi biondi scompigliati dallo strofinamento fatto per asciugarli.

« Ho chiesto a Lia una cosa che mi sarebbe piaciuto provare. »

Fece l'occhiolino misterioso e srotolò il fagotto, mostrando alcuni abiti tipici di Belia nuovi fiammanti.

« Non sono adorabili? »

Sospirò contento. Purin, che in genere non amava troppo cose così femminili, rimase a labbra socchiuse e annuì timidamente, incantata dalle stoffe pastello.

« Visto che siamo bloccate qui, ho pensato di rendere la cosa più divertente. »

Ammiccò ancora e prese dal mucchio un abito albicocca:

« Dai, provatelo! »

« Io? »

Purin ammirò i dettagli di frappe sulle maniche cortissime, lo scollo leggero e i nastrini sulla vita e scosse la testa:

« No… Non mi starebbe bene, onee-chan, è troppo… »

Non seppe come finire. Lo ammirò di sottecchi e le sembrò che fosse tutto troppo. Troppo carino, troppo femminile, troppo per le sue forme che in realtà non c'erano, troppo corto…

Scosse la testa così forte da darsi il capogiro e insisté imbronciata:

« Meglio di no. »

Detestava sentirsi insicura, specie per una cosa sciocca come l'abbigliamento, ma non riuscì a non pensarci. MoiMoi la guardò fraterno e insisté:

« Ma saresti carinissima! Coraggio, fidati! »

E le infilò il vestito tra le braccia; Purin era ancora poco convinta, ma annuì e tornò in bagno per cambiarsi.

MoiMoi ridacchiò in brodo di giuggiole:

« È troppo tenera…! »

« Io davvero non vi capisco a voialtre…  borbottò Sando – Ma perché fate sempre tante storie per cose come i vestiti? »

« Già, non capisci proprio! – gli rimbrottò l'altro squadrandolo male attraverso la telecamera – Secondo te perché, anzi per chi le ragazze si impegnano così tanto per essere belle? »

Lui non rispose.

« Purin-chan poi è in un momento particolare, è alla sua età che il cuore delle fanciulle è più fragile. Ancor di più se sono innamorate. »

« Quanto sei teatrale… »

« Tu invece sei un insensibile! – s'infiammò – Guai a te se non dici qualcosa di carino, o…! »

S'interruppe udendo la porta aprirsi. Rimase sorpreso lui stesso del risultato e guardò Purin con gli occhi che brillavano:

« Ma stai benissimo! »

Purin fece un sorrisino imbarazzato e girò appena la testa sbirciando il suo riflesso nello specchio del bagno. Non avrebbe mai creduto che un abito simile le potesse stare così bene: si vedeva che non era più una bambina e la stoffa mostrava con delicatezza la linea del seno e della vita, il colore caldo e allegro era perfetto su di lei e aveva l'impressione, con quello indosso, che le sue gambette da grillo sembrassero un poco più lunghe e più belle.

« Sei carina, sei carina! Pii! »

Purin ridacchiò lusingata e fece una carezza al robottino.

« Dai, dai, vieni qui! »

Riprese MoiMoi su di giri e la fece sedere sul letto, agguantò dal comodino vicino una spazzola fornita dalla locanda e iniziò canticchiando a pettinarle e acconciarle i capelli. Purin lo lasciò fare, incuriosita e un po' ritrosa, ma godendosi il piacere di qualcuno che le spazzolava i capelli: era da quando sua madre era scomparsa che non succedeva.

Per un po' nella stanza si sentì solo lo strofinio sulla chioma della biondina, poi MoiMoi esclamò:

« Sono corti, ma ne hai davvero tanti! – fece con ammirazione e poi aggiunse – Vedrai come te li sistemo bene, sarai ancora più graziosa. »

La biondina non rispose e MoiMoi sussurrò, così da non farsi sentire da Sando:

« Vedrai che Taruto-chan ti troverà carinissima. »

Purin arrossì a quella frase, ma fece una faccia contenta; lo ascoltò ridere gentile e si rilassò del tutto sciogliendosi in un gran sorriso:

« Poi mi spieghi come hai fatto? A sistemarli intendo. »

La domanda parve deliziarlo e trattenne un sorriso a trentadue denti con una strana smorfia, annuendo felice.

Terminò la sua opera e lasciò che la mewscimmia si guardasse allo specchio; Purin vi rimase un paio di minuti mentre sul suo viso si allargava un'espressione radiosa, quando un fracasso proveniente da fuori non li distrasse entrambi. MoiMoi tese l'orecchio cercando di capire:

« Veniva dalla camera delle ragazze… »

« Vado a vedere io. – fece baldanzosa la ragazzina – Voglio mostrare alle altre il mio nuovo look! »

MoiMoi ghignò contento e ammiccò.

« Onee-chan, provatene uno anche tu! »

Sterzò bruscamente dalla traiettoria per la porta, si scagliò sul letto e frugò rapidamente tra i tessuti afferrando un abito color giada, con spalline sottili e scollo quadrato, e lanciandolo verso MoiMoi gli intimò allegra di indossarlo, spalancò la porta e uscì come un fulmine.

« Quella mocciosa ha qualche problema. »                                                                              

MoiMoi replicò con un grugnito e studiò l'abito, non aveva pensato di indossarne uno lui; ci pensò qualche istante e poi andò a chiudersi in bagno, sentendo la voce di Sando che gracchiava borbottando dal trasmettitore.  

Quando uscì dalla porta aveva disattivato lo schermo: la forma dell'abito non lasciava adito a dubbi che fosse un uomo, tuttavia gli donava una tale grazia da rendere  la cosa solo un dettaglio marginale; la pelle diafana era risaltata dalle pieghe verdi e la gonna a ruota ingentiliva tutta la figura, presentando il ragazzo quasi come un delicato spiritello. Masha gli saltò al collo:

« Stai bene, stai benissimo! Pii! »

MoiMoi lo ringraziò e sorrise, aspettando un giudizio anche dal brontolone dall'altra parte del monitor che, sapeva benissimo, lo stava ancora guardando:

« Allora? »

Silenzio.

« … Allora che? »

L'altro fece una smorfia offesa e s'imbronciò; Sando non parve considerare la cosa e disse burbero:

« Per il momento io vado. Contattatemi appena ci sono novità. »

MoiMoi sospirò rassegnato mugugnando un scocciato e ascoltò il rumorino elettronico della comunicazione che s'interrompeva; guardò Masha scuotere la testa, intontito dalla procedura, e poi tornare a fargli le feste e lo accarezzò amorevolmente uscendo per raggiungere le altre:

« Almeno tu hai un minimo di carineria verso le ragazze. »

 

 

***

 

 

Sando spense i monitor e si appoggiò stanco allo schienale della sedia, sbuffando. Non badò alla porta che si apriva né alla voce di Lenatheri che lo chiamava:

« Senpai, Teruga-san ti… Ehi, stai bene? »

Non rispose mentre la mora piegava la testa confusa e un poco preoccupata dalla sua faccia. Lui si premette forte una mano sulla bocca, avvertendo con chiarezza tutto il calore che gli stava incendiando le guance:

« Quella cretina mi vuol vedere morto. »

 

 

***

 

 

Taruto si svegliò sentendo un vociare dal corridoio e si mise a sedere sul letto, la testa pesante e confusa; gli ci vollero un paio di minuti di studio dello strano orologio alla parete, di cui non afferrava appieno il sistema di misurazione, prima di capire che aveva dormito per più di un'ora e mezza.

In stanza non c'erano né Kisshu né Ryou, ma era quasi sicuro di sentire la presenza di qualcuno nel bagno, e visto che quel qualcuno non stava usando acqua a secchiate facendo rumori di cascata com'era tipico del fratello, immaginò che dentro ci fosse Ryou.

Si fregò la faccia cercando di tornare lucido, era come avere il cervello imbottito nella lana eppure doveva riprendersi se voleva andare a mangiare.

Sbuffò e scese dal letto strofinandosi i capelli e si guardò nell'enorme specchio appeso alla parete.

Dovrò tornare a fare la ragazza…

Che poi, si chiese, chissà com'era lui da ragazza.

Lo era stato per un pomeriggio intero, eppure non riusciva a visualizzarsi sotto quelle sembianze; probabilmente era dovuto al fatto che non aveva mai avuto figure femminili della sua età vicino, erano quasi sempre più grandi di lui o più piccole e non aveva mai prestato attenzione alle differenze fisiche tra loro e se stesso.

Un po' di curiosità però ce l'aveva. Del resto aveva quasi quattordici anni, era normale.

Soppesò ancora un istante la sua immagine imbronciata che lo guardava dallo specchio: tese l'orecchio, nessuno fuori dalla porta e chiunque fosse nell'altra stanza non sembrava intenzionato ad uscire.

La curiosità vinse sull'idea che fosse una stupidaggine e il brunetto selezionò il livello 3 sul suo bracciale, avvicinandosi alla superficie riflettente e guardandosi con un leggero imbarazzo.

Si passò una mano sui capelli, poco convinto del corto taglio a cuore da cui erano scomparsi i codini, andando poi ad analizzare con sospetto la pancia piatta e quella bizzarra curva che scendeva verso le gambe e si allargava un poco sul petto.

« … Sono troppo strano. »

La porta del bagno si aprì senza preavviso e lui a stento trattenne un grido.

« Che ti prende? »

Gli domandò Ryou svogliatamente e poi lo studiò sospettoso:

« Che stavi facendo? »

Taruto, nel suo aspetto consono e con le braccia tese lungo i fianchi, rise nervoso:

« Io?! – replicò con un sorriso storto e la voce un po' stridula – Niente! »

Il biondo lo fissò per un po', quindi fece spallucce e si chiuse la porta alle spalle:

« Dov'è il cretino? »

« Boh… Mi sono addormentato, non l'ho vedo da quando gli altri sono andati nelle loro stanze. »

L'americano annuì e si scostò la frangia sentendo la fronte scottare sotto le dita: non gli piaceva stare nella stessa camera di Kisshu, ma era un modo per tenerlo sempre d'occhio, se non ci riusciva quella sofferenza era del tutto inutile.

Bussarono e Taruto sbirciò da uno spiraglio della porta per controllare se avessero dovuto mascherarsi, ma MoiMoi rise dietro il legno:

« Sono io Taruto-chan. »

Il brunetto aprì e l'altro entrò baldanzoso sfoggiando l'abitino verde facendo la ruota con la gonna; guardò Ryou con un sorrisetto malizioso:

« Chi cerchi di sedurre andandotene in giro così? »

Lo canzonò indicando il suo petto nudo e il biondo si limitò ad un sorriso furbo stando al gioco:

« Credo che tu farai più stragi di cuori di me MoiMoi-san. Così graziosa, poi. »

« Guarda che con me non attacca. »

Ryou fece spallucce fingendosi rassegnato e il violetto rise di gusto.

« Che c'è senpai? »

« È quasi ora di cena, volevo vedere se voi scendevate. Io ho una fame da lupo! »

I due ragazzi concordarono affamati. MoiMoi fece per spostarsi alla stanza accanto a parlare con Pai ed Eyner quando Purin gli arrivò addosso trottando:

« Onee-chan, le altre hanno detto che ora scendono. – disse aggrappandosi al suo braccio – Hanno detto di andare e… »

Si fermò accorgendosi di Taruto in mezzo alla stanza, che la fissava con aria inebetita. MoiMoi sogghignò furbo, facendosi da parte, e si scambiò un impercettibile cenno d'intesa con Ryou che sorridendo sparì di nuovo in bagno. Purin fece qualche ritroso passo nella stanza sorridendo timida al brunetto che non le aveva ancora tolto gli occhi di dosso, scrutandola da capo a piedi incantato.

Sembrava una bambolina, una bellissima bambolina con la pelle ambrata e stupendi capelli biondi che le avevano sciolto e pettinato in un caschetto morbido e ondulato, e che le incorniciava armoniosamente il viso tondo; la guardò giocherellale impacciata con l'orlo del vestito e sorridergli, le guance velate di rosa, e avvertì un chiarissimo sfarfallio nello stomaco.

« … C… »

MoiMoi ghignò contento della riuscita del suo piano e s'addolcì alla vista di Purin, trepidante in attesa delle parole del brunetto.

« … C-che è quel coso? »

Taruto si morse la lingua appena ebbe emesso l'ultima sillaba.

Ma ormai aveva parlato. MoiMoi per poco non cadde per terra nel sentirlo e si affacciò alla porta sibilando scandalizzato:

« Ma che cavolo dici?! »

Taruto cercò di correggersi farfugliando qualcosa di incompressibile, ma le parole gli morirono in gola vedendo l'espressione triste della biondina.

« Cioè… Intendevo… »

« Scemo! »

Non aspettò neppure che lui reagisse e, dopo avergli sbraitato in faccia, scattò a passo marziale verso le scale continuando a inveirgli contro tra i denti. MoiMoi cercò inutilmente di fermarla e scoccò un'occhiataccia rovente al brunetto, tornando con un sospiro a quanto stava facendo.

Ryou, che da dietro la porta aveva assistito a tutto, se ne uscì infilandosi la maglia e guardando Taruto con uno strano sorrisetto di scherno:

« Se volevi farti detestare, complimenti, ti sono bastate meno di cinque parole. »

 

 

***

 

 

Ci mise un po' a riconnettere come e perché fosse finito lì. Altrettanto impiegò per capire che non lo ricordava, come fosse finito lì e perché. E anche il era abbastanza relativo.

Era in un letto e questo poteva essere confortante. Che fosse completamente nudo e soprattutto con l'aspetto di una donna, un po' meno.

« Che caz…?! »

« Ah, sei sveglio. »

Riconobbe immediatamente la voce aspra perfino senza vederne la proprietaria:

« Che cavolo è successo, cornacchia? »

Minto lo fissò di sbieco, seccata del nomignolo, ma nella sua decisione di non dargli corda tornò imperturbabile a guardarsi allo specchio, sistemandosi l'abito malva che MoiMoi le aveva dato.

« Zakuro ti ha impedito di commettere un mezzo stupro… O qualsiasi cosa stessi cercando di fare. – replicò gelida, aggiuntandosi la spallina singola del vestito – Hai perso i sensi e visto che avevi quest'aspetto ed eri senza vestiti, abbiamo pensato fosse meglio rinvenissi lontano dagli altri. »

« Ma rivestirmi o farmi tornane normale no, eh? »

Sbottò Kisshu notando la pila dei suoi indumenti in un angolo del letto.

« Avevamo altro da fare che badare a te. – puntualizzò lei – E nessuna di noi ha così tanta aspirazione di vederti senza mutande. »

« Ne sei proprio sicura? »

Lei non abboccò alla provocazione e finì di prepararsi in silenzio.

« MoiMoi-chan ha detto che di sotto è pronta la cena. – disse avviandosi alla porta – Se vuoi mangiare ti conviene ricomporti e scendere. »

Lo lasciò solo senza dire altro e lui scrutò torvo la porta, la cornacchietta era più sostenuta del solito.

« Accidenti a lei e a quella ficcanaso di donna lupo. »

S'infilò la maglia sbuffando, avesse avuto più tempo avrebbe avuto una ghiottissima occasione per spingere un po' sull'acceleratore con Ichigo. E non in sembianze femminili.

Cercò di non pensarci e di concentrarsi sul lavoro che li aspettava e, soprattutto, sul cibo che il suo stomaco reclamò con prepotenza. Nel mentre, avrebbe appurato i risultati della sua mossa e deciso la successiva verso la sua gattina.

 

 

***

 

 

La locanda era animata da un allegro brusio mentre tutte le commensali avevano già affollato i tavoli; le cameriere, in abiti rosa antico con minigonne vaporose e maniche corte per non intralciare il lavoro, passeggiavano frenetiche da un tavolo all'altro quando Ichigo e gli altri scesero. Si guardarono attorno e immediatamente andò loro incontro Lia, che stava girando tra le sue ospiti per valutare la piacevolezza della loro permanenza:

« Ben arrivate, siete giusto in tempo. Abbiamo appena iniziato a servire… Oh! – esclamò contando velocemente – Mancano tre persone, è tutto a posto? »

« Milin e Lena hanno deciso di riposarsi ancora – rise vezzoso MoiMoi – Lasa scenderà tra pochino. »

Lia sorrise soddisfatta della spiegazione e condusse i presenti ad una tavolata d'angolo. Ryou, nelle sue sembianze animali e un po' infastidito dal fracasso contro le sue sensibili orecchie, si accucciò di fianco alle sedie: non aveva altro modo di mangiare se non di straforo tramite gli altri al tavolo, inoltre la febbre da stanchezza che andava e veniva lo intontiva troppo per pensare ad una strategia più efficace.

« Milin, Lena e Lasa? »

« Cosa potevo dirle Taruto-chan? – ribattè in un soffio MoiMoi alla sua faccia scettica – Se usassimo i vostri nomi capirebbero che c'è qualcosa di strano. Anzi, ti conviene pensarne uno anche tu, prima che qualcuno te lo chieda e tu rimanga a fissarlo come uno stupido. »

« Ma lui è stupido. »

Nessuno si sarebbe mai aspettato un commento del genere da parte di Purin. Taruto scattò sull'attenti soffiando irato:

« Che hai detto, scimmietta da circo? »

« Che sei stupido! Stupido, stupido, stupido! »

Per tutto il tempo in cui aspettarono la cena i due ragazzini si lanciarono occhiatacce e si provocarono ad insulti e invettive infantili, incuranti di mezza sala che li osservava senza parole; MoiMoi roteò gli occhi:

« Gli dei ci proteggano… »

« Che è successo ad Eyner-san e Pai-san? »

MoiMoi fece spallucce:

« Mi hanno detto di scendere e di non pensare a loro, che ci avrebbero raggiunto dopo. – stiracchiò un sorrisetto – Temo che non la stiano vivendo molto bene questa cosa del fare le donne. »

Retasu sorrise comprensiva.

« Kisshu-chan piuttosto? »

« Quando sono uscita era sveglio – rispose Minto – Poi non… Ah, eccolo lì. »

Accennò con la testa alle scale e videro i tre che arrivavano nel salone, Kisshu in testa intento a massaggiarsi sovrappensiero il punto dove Zakuro lo aveva colpito con la bacinella di ceramica.

« Alla buon'ora – scherzò MoiMoi – vi davo per dispersi. »

Eyner sorrise con gentilezza, né Pai né Kisshu badarono al loro senpai. Il primo aveva un'espressione tetra e gli si leggeva in faccia che non vedeva l'ora di mettere qualcosa nello stomaco e allontanarsi dalla bolgia che aveva attorno, specie dopo che, come durante il pomeriggio, il suo arrivo aveva scatenato mormorii e occhiate ammirate; il secondo si sedette sospirando, perso nei suoi pensieri, e cercò subito Ichigo seduta dalla parte opposta del tavolo che si contrasse su se stessa vedendolo salutarla.

« Mi vuoi dire che è successo tra voi due prima? »

« Ti prego Minto, non chiedermelo… »

La mora incrociò le braccia sbuffando altera:

« Non capisco cosa diavolo tu stia combinando. »

« Io proprio niente! – protestò – È lui che…! Che… »

Minto aspettò una conclusione che non venne e lasciò cadere il discorso.

« Ah, a proposito! – esclamò MoiMoi allungandosi sul tavolo e puntando il dito verso gli ultimi tre arrivati – Prima vi ho trovato dei nomi da dire, se ve lo chiedessero. »

« Cioè dei nomi da donna? »

« No, da ramarro Kisshu. – sbottò esasperato dal suo pletorico senso dell'umorismo – Giusto in caso… Lena, Lasa e Milin. »

E indicò prima Pai, poi Kisshu e infine Eyner.

« Io prendo Lasa! »

Rincarò lesto il verde. Gli altri due fissarono MoiMoi in silenzio, Eyner con un mezzo sorriso e Pai con espressione furente:

« Non avevi niente di meglio? »

MoiMoi si bloccò accorgendosi dell'errore commesso e chinò la testa mortificato:

« Sono i primi che mi sono venuti in mente. »

Lui sbuffò e annuì, ormai rassegnato alle onte e alle beffe future che gli avrebbe portato Belia.

« Visto che ci siamo tutti vado a chiedere se possiamo avere da mangiare. »

Zakuro non aspettò risposta e si alzò raggiungendo la cameriera più vicina al loro tavolo. Mentre attraversò la sala tutte le teste delle presenti si voltarono a contemplarla passeggiare nel lungo abito zaffiro che le aveva dato MoiMoi, bisbigliando e adulandola con aria di venerazione.

« Avete visto? »

Colse Retasu nel mormorio.

« Che bellezza…! »

« Che gambe meravigliose! Che stupendi capelli neri! »

« È una musa… »

« Ah, questa l'ho già sentita! »

Sibilò Ichigo con fare antipatico verso Minto ma lei si limitò ad un'occhiataccia.

« Cos'è passerotto, hai un passato sull'altra sponda? »

Lei fece una grande, grandissima, enorme fatica a rimanere stoica e a non infilzarlo in mezzo agli occhi con il coltello.

« Di che state parlando? »

« Del fatto che la cornacchietta abbia avuto una sbandata per la lupa con lo sguardo assassino. »

La faccia di Eyner si congelò in uno strana smorfia storta:

« Eh? »

« La mia era pura ammirazione, e non a torto. »

Bofonchiò più fredda possibile, ma Kisshu continuò a sogghignare:

« Hai la faccia rossa, cornacchia… »

Solo l'arrivo di Zakuro e della cameriera con la prima parte della cena permise alla mewbird di controllarsi e tenere saldo il suo obbiettivo di un atteggiamento superiore, ingoiando gli insulti e togliendo la mano dal manico della forchetta; Kisshu non sembrò soddisfatto della cosa, ma aveva troppa fame per stare dietro a lei.

Si gettarono tutti sulla cena e per un po' si sentì solo il rumore delle posate sui piatti, dalla loro tavolata. Il cibo, per le ragazze dal sapore occidentale, con tantissime verdure e carne di cacciagione, era ottimo e abbondante e nessuno si sprecò nel fare onore alla cucina.

Quando le cameriere servirono la seconda portata il resto delle clienti aveva o stava finendo la cena; da un angolo della sala iniziò ad espandersi una musica frenetica e trascinante fatta di percussioni, pizzichi di corda e flauti(*) dal sentore vivace e antico. Moltissime donne appena udirono le prime note si alzarono entusiaste e presero a trascinare amiche e vicine nello spiazzo più in fondo, lasciato libero dai tavoli, e iniziarono a danzare tutte assieme cantando a tempo e ridendo; qualcuna cercò di portare nella mischia anche i tre uomini che i terrestri e gli altri avevano visto entrando, ancora seduti allo stesso tavolo, ma il giovane dai capelli miele rifiutò con un sorriso contrito indicando il proprio piatto ancora mezzo pieno.

Una ragazza sui quattordici anni, il viso baffuto zeppo di lentiggini e un'alta coda di arruffati ciuffi castano slavato, si avvicinò titubante anche al tavolo di Ichigo e della sua comitiva: posò due dita sulla spalla di Zakuro per attirarne l'attenzione, divenendo scarlatta quando lei si girò a fissarla dritta negli occhi; si rese conto che accanto alla mora c'era Pai, o meglio la versione donna di Pai, e parve pronta per collassare.

« Dimmi. »

La incoraggiò piatta la mewwolf; la brunetta deglutì e farfugliò:

« Ehm… Ecco… Per caso vi… Vi andrebbe di unirvi a noi? »

Divenne più rossa ad ogni lettera pronunciata tanto che, a frase conclusa, le sue lentiggini erano scomparse nel colorito fiammante della sua pelle. Altre due ragazze, appena più grandi, le arrivarono in soccorso cingendole le braccia da dietro e ammiccando ai presenti:

« Venite, è davvero divertente! »

Disse una rossa con il caschetto; una mora dai capelli lunghissimi le fece eco ridendo:

« Non preoccupatevi se non conoscete i passi, sono semplicissimi. »

Ichigo scosse la testa con un sorriso tirato:

« Io passo, ma vi ringrazio… »

Non aveva proprio voglia di fare baldoria; non aveva neppure indossato il vestito che MoiMoi aveva preso per lei: dopo quella giornataccia, voleva solo finire la cena e buttarsi a letto per qualche ora cercando di dimenticare. Retasu sorrise soltanto scuotendo timida la testa.

« Credo che passerò anch'io. »

Sorrise gentile Eyner e le loonariesi parvero molto dispiaciute; Kisshu non rispose neppure.

« Io vengo volentieri. »

Sorrise Minto e sì alzò.

« Vengo anch'io, vengo anch'io! »

Fece entusiasta Purin e le tre loonariesi risero. La ragazza con le lentiggini guardò in tralice prima Pai, che non accennò nemmeno a ponderare la cosa con delusione di lei, e poi su Zakuro ancora impassibile.

« Se venissi anche tu – insisté la sua amica mora strizzandole l'occhio – sarebbe stupendo. Sai, la piccola Isa ci tiene tanto… »

La ragazza dalle lentiggini boccheggiò in imbarazzo:

« Cosa dici, Wada…?! »

Arrossì colpevole e le amiche la presero bonariamente in giro. Zakuro non disse niente, ma si alzò anche lei seguendo le amiche e le tre loonariesi; sul viso della brunetta si leggeva con chiarezza l'imbarazzo e la contentezza, ma ciò non le impedì di lanciare un'altra scorsa triste verso la schiena di Pai.

Ad assistere alla scena Retasu sorrise: era una situazione strana ma potè immaginare che, in un mondo di sole donne, i canoni di bellezza per eccellenza fossero quelli femminili e Zakuro ne fosse una somma messaggera; e non le fu difficile intuire che Pai, che come donna aveva una fisicità molto simile alla mewlupo, con la sua figura alta, le forme ben disegnate, la pelle diafana e l'espressione serafica dei suoi occhi scuri, fosse considerato – e a conti fatti, era – decisamente una bella donna.

« Guarda che so cosa stai pensando. – le bofonchiò torvo scrutando il suo sorrisino a mezze labbra – Ma non è che la cosa mi faccia piacere. »

Lei arrossì un pochino colta in flagrante ma non smise di sorridere:

« In fondo ti stanno facendo dei complimenti… »

« Ti assicuro che gradirei di più se li tenessero per loro. »

Borbottò e si appoggiò meglio allo schienale della sedia con un sospiro, cercando di non pensare alla cosa e di concentrarsi sulla sua cena. Retasu si tormentò il labbro a disagio, per lui doveva essere proprio una fatica immane andarsene in giro sotto quelle sembianze:

« Beh, comunque… Credo che tu sia più attraente come uomo, in ogni caso… »

Ringraziò il fracasso della musica e le buone orecchie di lui che le consentirono di non farsi sentire dal resto del gruppo; ma ciò non le impedì di tapparsi la bocca con le dita e di divampare, quando si rese conto di quanto che aveva detto.

Mi è scappato…!

« Cioè, intendevo… Ecco, non so come spiegare. »

Sì odiò per quel suo tartagliare sciocco; le parve che le iridi viola di lui le stessero penetrando nella testa, dal preciso punto della fronte che lei gli stava rivolgendo col suo sguardo basso, e peggiorassero la situazione bloccandole gli input della parola.

« Voleva essere solo… Un… Ehm, solo un… Comp- »

« Grazie. »

La interruppe lui e Retasu lo vide distintamente sorriderle. Qualcosa nella sua pancia si strinse con un piacevole pizzicore.

« Senpai, guarda che così finirai per strozzarti… »

« Voglio andare a divertirmi anch'io! – fece MoiMoi con la bocca mezza piena – Non fare il brontolone Kisshu! »

Lui lo studiò scettico bere una lunga sorsata d'acqua per non soffocarsi con un boccone più grande della sua testa e, terminata la cena, scattare in piedi saltellando euforico:

« Dai Eyn-chan, vieni anche tu? »

« Non credo sia il caso sen- »

Lui non lo sentì neppure, lo artiglio per un braccio e lo costrinse a seguirlo.

« Almeno vieni a farti due risate! »

« E va bene, ok ok… Ma non ballo, sia chiaro! »

La danza ormai aveva conquistato quasi tutte le astanti e chi non si era unita aveva spostato la propria sedia attorno alla pista e batteva le mani a tempo o faceva da controcanto. I balli cambiavano ogniqualvolta terminava un brano ed erano tutti di gruppo: le danzatrici si muovevano in cerchio, tenendosi per mano e incrociandosi, creando ponti con le braccia sotto cui passavano una ad una senza fermarsi, per poi disporsi su due file e seguire una serie precisa di incroci e scambi di posto ascoltando le diverse melodie.

Kisshu giocherellò annoiato con un pezzo di verdura e guardò verso il fondo del salone. Anche con gli abiti locali le terrestri spiccavano tra le loonariesi, specie Purin che sebbene andasse a tempo si agitava e dimenava facendo un gran chiasso, ma la cosa non disturbava le sue vicine che ridevano e stavano alle sue strambe variazioni sui passi; Zakuro seguiva le direttive delle altre senza apparire troppo coinvolta, ma un lieve sorrisino le increspava le labbra segno che in fondo si stava divertendo. Minto era quella che appariva più a suo agio: aveva assimilato all'istante lo spirito e il ritmo della musica di Belia e le bastava scorgere i primi momenti di una sequenza che immediatamente si accodava alla perfezione alle native, danzando e fluttuando sulla pista come se non fosse nata per fare altro. I suoi passi erano naturali ed eleganti ed era chiaro quanto le piacesse trovarsi lì, quanto le piacesse la musica e muoversi al suo ritmo che rendeva proprio come il respiro.

Kisshu sogghignò maligno, da ragazzetta spocchiosa con la rigidità da manico di scopa appariva morbida e sinuosa, potè osare nel definirla quasi graziosa; avrebbe addirittura potuto trarre in inganno e spacciarsi per una persona amabile:

« Se sorridesse sempre a quel modo la darebbe a bere a tutti. »

Rise beffardo senza ammettere che il sorriso della mewbird era davvero accattivante.

« Tu scherzi con il fuoco, è un tuo brutto vizio. »

« Fuoco? Quella? – indicò la morettina con un cenno sgarbato del pollice e rise – Al massimo una ventata di supponenza. »

« O una freccia nel didietro. »

Insisté piatto Pai. Kisshu non si scompose e continuò a sogghignare irriverente, era già una possibilità più concreta.

« Omaggi alle nostre nuove e gradite ospiti. »

La voce maschile li colse alla sprovvista nel frastuono e si voltarono tutti verso il proprietario; Ichigo e Retasu scattarono un poco sulle sedie, era il ragazzo dai capelli color miele che faceva tante stragi di cuori e, a vederlo bene in viso, nessuna delle due dava torto alle beliane. Con lui c'era un ragazzetto con qualche anno in più di Taruto, dai capelli neri tirati da una parte e l'aria antipatica che squadrò nella sua direzione con fare critico, evidentemente non troppo colpito dalla magra brunetta che vedeva imbronciata sulla sedia; Taruto gli rispose schioccando la lingua irritato.

« Vi state divertendo? »

Pai, loquace ancor meno del solito, rispose con un freddissimo ; Taruto stava ancora squadrando male il ragazzino moro e Ichigo fissava imbesuita il viso assolutamente perfetto del biondo, quindi fu Retasu che si prese la briga di rispondere più decentemente:

« Sì, grazie mille. – sorrise cordiale – Siete molto gentile. »

Lui fece un cenno con il capo rigoroso come un soldatino:

« Datemi pure del tu, se la cosa vi fa piacere. – recitò melenso – Ma non mi sono ancora presentato! Mi chiamo Ren. Il mio giovane amico è Elsk. »

E ostentarono entrambi un mezzo inchino con il capo.

« Io sono Retasu. »

« Piacere nostro… Io sono Ichigo. »

« Io, ehm… »

Taruto biascicò una manciata di secondi, mandando insulti mentali a MoiMoi che gli aveva tirato la iella:

« Sono… Sury. »

« Lena. »

Pai parve ringhiare più che presentarsi. Kisshu alzò una mano senza smettere di comporre strani disegni con gli avanzi della sua cena:

« Lasa. 'cere… »

« Piacere nostro, principesse. »

Rise dicendolo e le due terrestri sorrisero scioccamente.

« Femmine. Tutte uguali. »

Anche se sussurrò Ichigo sentì le parole cattive di Kisshu e gli lanciò un'occhiataccia. Lui intanto studiò Ren seccato da tante smancerie e notò che osservava meticolosamente tutte le – presunte – ragazze sedute al tavolo, valutandole con discrezione: "Sury" non parve riscontrare il suo interesse, forse perché troppo piccola per lui, e "Lena" aveva una faccia così assassina che passò subito da un'altra parte; su Ichigo già la sua espressione si fece più viva e interessata – cosa che fece riflettere Kisshu se estrarre o no i suoi sai – per sorridere quasi trionfante quando passò a valutare Retasu, sempre sorridente e timida.

Altro che cavalieri, questi sanno benissimo dove andare a parare…

« Lia-san mi ha detto che provenite da Jeweliria e Glatera. Come vi sembra Belia? »

« È un posto magnifico. »

Dichiarò sincera Retasu e Ren continuò a sorriderle stucchevole. La chiacchierata andò avanti per un po', per lo più di sciocchezze sulle loro impressioni della città, e più lui parlava più il suo tono e i suoi modi costruiti si fecero sempre più irritanti; perfino Ichigo, smarrito l'iniziale intontimento, iniziò a mal sopportare le sue frasi sontuose e i sorrisetti melensi e presto il seducente Ren le apparve unicamente come un tontolone dal bel faccino. Retasu resse lo scambio di battute con grande maestria e gentilezza, ma anche lei fu subito esasperata dalla svenevolezza del biondo e si chiese come potessero le donne di Belia pendere dalle sue labbra come aveva visto quel pomeriggio.

Stava seriamente pensando a come liberarsi della sua presenza con educazione quando gli altri tornarono indietro dalla pista. Ren e Elsk salutarono prontamente le nuove venute, ricevendo messaggi secchi e contrastanti: Zakuro li ignorò e tornò a sedersi in silenzio al suo posto, scoccandogli appena un'occhiata con la coda dell'occhio; Eyner e Minto salutarono senza entusiasmo, lui perché non gli piacque affatto come Ren lo studiò da capo a piedi soffermandosi in posti che non era abituato ricevessero attenzioni, lei perché era ancora euforica dal giro di ballo ed era troppo abituata a gente dai modi affettati, per rimanere impressionata da quelli di Ren; MoiMoi salutò lusingato delle moine del biondo, mentre Purin dopo un rapido cenno con la mano saltò sulla sua sedia per afferrare un bicchiere e bere due bei sorsi. La ragazza sbagliò di poco la mira e agitò le braccia nel vuoto per tenere l'equilibrio sulla seduta, finché una presa salda non la fermò:

« Attenta. »

Elsk l'aiutò a rimettersi dritta e le sfiorò elegantemente la mano:

« Ti sei fatta male? »

Sfoggiò un sorriso dolce che fino ad un secondo non sembrava in grado di fare, e Purin arrossì un pochino scuotendo la testa; sulla sua sedia Taruto si mise dritto come un fuso e lo guardò male.

Dal fondo della sala la musica s'interruppe per un intervallo più lungo del solito. Quando ricominciò(**) alcune delle donne in pista si allontanarono, quelle rimaste si divisero in coppie e iniziarono a seguire una serie di passi più calmi e studiati; da un lato della sala ci fu una certa agitazione e il terzo uomo, seduto prima al tavolo con Elsk e Ren, si avviò al centro della pista scortando una ragazza estasiata delle sue attenzioni.

« Una di voi vorrebbe farmi l'onore di accompagnarmi? »

La domanda era rivolta a tutta la tavolata, ma per un secondo – chissà come mai – Kisshu ebbe l'impressione che Ren si fosse fermato con lo sguardo su di lui un istante di troppo.

Il biondo non si offese nel non vedere nessuna – nessuno – di loro smaniare per seguirlo e ai loro rifiuti garbati sorrise intenerito credendole solo timide.

« Un altro giro? »

Purin studiò la mano che Elsk le porgeva senza rispondergli, incerta se avesse capito, e quando lo vide sorriderle arrossì ancora un po':

« Non so se sono capace… »

Ammise; non era decisamente il suo genere quel muoversi composti ed eleganti, forse Minto sarebbe stata più adatta di lei.

« Di sicuro no. »

Scrutò torva Taruto che fissava ostinato un punto indefinito fuori dalla finestra, senza nascondere minimamente l'aria schifata che aveva accompagnano il commento velenifero; Elsk gli studiò stuzzicarsi e rise:

« La tua amica ti prende solo in giro, immagino. »

Il brunetto schioccò ancora la lingua e Elsk continuò sorridendo a Purin:

« Non preoccuparti, neppure io sono così bravo. – disse con studiata modestia – Ma sarebbe un peccato non sfoggiare ancora un po' questo vestito, sei così graziosa! »

MoiMoi fu certo di udire rumore di legno spaccato, dalla faccia di Taruto intuì fosse stato il fondo della sua sedia che stava stritolando tra le dita:

« Quante stronzate che dice questo… »

Sibilò astioso senza farsi sentire, ma Purin colse con la coda dell'occhio la sua bocca muoversi  e la sua espressione mortifera: alzò il mento seccata e vide con una certa soddisfazione Taruto sgranare gli occhi allibito, mentre lei accettava la mano di Elsk e si faceva condurre galantemente sulla pista.

Anche Ren fece per andarsene, richiamato da alcune ragazze frementi a bordo pista:

« Allora vi auguro una buonanotte signorine. – salutò svenevole – Spero ci sarete domani per il mio spettacolo, per me sarebbe una gioia potervelo mostrare prima che ripartiate. »

Fece un cenno elegante al tavolo e – stavolta ne fu sicuro – Kisshu lo vide di nuovo fissare dalla sua parte.

« È una mia impressione o mister smancerie ha scannerizzato Kisshu da capo a piedi? »

« No, no, non sbagli Eyn-chan! »

« Allora gli idioti attirano altri idioti? »

« Cornacchia, stai attenta perché potrei spennarti. – sibilò Kisshu minaccioso e guardò MoiMoi spaventato – Scherzate, vero?! »

« O hai fatto colpo, oppure aveva fame e i tuoi capelli gli hanno ricordato dell'insalata. »

Ribattè MoiMoi finto serio. Zakuro si lasciò sfuggire uno sbuffo derisorio:

« Congratulazioni. »

« Kisshu che si fa fare il filo da un ragazzo! È il colmo! »

Il verde squadrò Ichigo sganasciarsi dal ridere e soffiò malizioso:

« Tu sei l'ultima che può atteggiarsi ad integerrima, micetta. »

Lei colse l'allusione e la sua risata le morì tra le labbra, intanto che la sua faccia diventava violacea; accanto ai suoi piedi udì Ryou ruggire in disapprovazione.

Kisshu infilzò la forchetta nella sua opera di cibarie rabbrividendo:

« Vi avverto, se quello là mi si avvicina a meno di due metri lo apro dal bacino fino alla gola. »

« Da quando in qua hai tanto rispetto dell'altrui fisicità? »

Insisté Minto in barba ai suoi propositi d'impassibilità, troppo divertita per non stuzzicarlo; Kisshu agitò intimidatorio la vittima della sua furia verso il ghigno beffardo della mora, i rebbi metallici che spuntavano macabri dal cadavere vegetale.

Due posti più a destra, Taruto se ne stava con il mento appoggiato al tavolo, lo sguardo cupo piantato sulla pista da ballo così distante.

« È inutile che ora metti il muso. Dovevi pensarci prima di sparare cattiverie. »

Lui guardò MoiMoi da sotto in su per nulla soddisfatto del commento.

« Sei stato davvero antipatico. Purin-chan ci è rimasta male. »

Non gli rispose ancora corrucciandosi sulla figurina gialla in lontananza:

« A me non sembra proprio che sia depressa. »

« Si vede proprio che sei allievo di Sando…! »

Sospirò rassegnato e gli andò più vicino per non dover parlare forte:

« Scemotto, non capisci che è arrabbiata? Voleva che le facessi i complimenti invece niente. »

Lui lo guardò storto arrossendo:

« E perché cavolo avrebbe voluto una cosa del genere da me? »

MoiMoi si premette forte le dita sulla fronte, stressato:

« Secondo te?! Non te ne sei accorto? »

Taruto alzò un sopracciglio. No, evidentemente non se n'era accorto e non stava capendo una virgola del discorso del suo senpai. MoiMoi si trattenne dal mettergli le mani al collo e scuoterlo forte: non poteva fare da portavoce a Purin più di così, ma non si capacitava di quanto Taruto fosse cieco da non rendersi conto dei sentimenti della biondina.

« Davvero, sei proprio come lui, completamente impermeabile…! »

« Ma di che parli? »

« Lascia perdere. – prese un bel respiro e cambiò tattica – Comunque… Per essere così geloso, non potevi semplicemente essere più gentile? »

L'altro divenne scarlatto e sbottò arrabbiatissimo:

« Io non sono geloso! »

« Taruto-chan, se la tua testa non raggiungesse il bordo del tavolo probabilmente lo staresti mordendo. Questo si chiama essere gelosi. »

« Perché dovrei essere geloso di Purin?! – insisté seccato per non capire il senso delle sue parole – È mia amica. Cosa mi frega?! »

La tentazione di mettergli le mani al collo fu così forte che MoiMoi stritolò i lembi del suo vestito; era davvero convinto di quel che stava dicendo, o era così testardo da non ammetterlo neppure a se stesso.

« Senti – fece infine con più calma che potè – perché non ci riflessi su, uh? In ogni caso, se siete amici, penso che tu le debba comunque delle scuse. »

Taruto non replicò, un po' offeso, detestava ricevere prediche da tutti quanti solo perché era uno dei più giovani. Tornò con il mento sul tavolo borbottando frasi incomprensibili, gli occhi ancora puntati sulla macchia color del sole in fondo alla sala.

 

 

 

Un'oretta più tardi il gruppo si ritirò al piano di sopra. Mancavano ancora parecchio all'alba e avevano stabilito di dormire per alcune ore, aspettando che tutti fossero a letto, e poi perlustrare la città con calma.

« Sei anche ballerina, allora. »

Zakuro vide Eyner sorriderle divertito.

« Me la cavo. – replicò piatta e poi sorrise impercettibilmente, sorniona – Avresti potuto unirti anche tu alle danze. »

« Non credo proprio. »

Lei sogghignò prendendolo in giro:

« Saresti stato la più leggiadra delle danzatrici. »

« Guarda che non fai ridere. »

Però si lasciò sfuggire una risatina mentre Zakuro manteneva l'espressione divertita. Eyner si concentrò quanto più possibile su quell'insolito riso, cercando di non studiare l'elegante silhouette della mora dietro la stoffa più in dettaglio di quanto già non avesse fatto mentre ballava.

« Magari alla prima occasione in cui sarà solo uno dei due a dover portare la gonna. »

Lei gli rivolse lo stesso sguardo del giorno in cui le aveva offerto il caffè:

« È una proposta? »

Lui fece spallucce ridendo e lei sorrise appena senza rispondere.

 

 

« Finalmente potrò andarmene a dormire, sono esausto. »

Il ruggito di Ryou arrivò basso e impiastrato alle orecchie di Ichigo. La rossa lo studiò un poco, non aveva fatto granchè notare la sua presenza per tutta la serata, steso come un gigantesco peluche ai loro piedi, e aveva anche mangiato poco; nulla le toglieva dalla testa che il ragazzo avesse qualcosa che non andava, ma era certa che se glielo avesse chiesto non le avrebbe risposto.

« Forse sarebbe il caso che rimanessi qui, a sorvegliare le camere. »

Propose timidamente. Ryou la scrutò con gli intensi e rotondi occhi da felino:

« Non sono venuto qui per starmene in camera. »

« È solo che… Non mi sembri in forma – insisté provando a rimanere calma, ignorando la risposta antipatica – forse sarebbe meglio non esagerassi. »

« Pensa agli affari tuoi. »

Ichigo serrò i pugni sui fianchi e lo squadrò offesa:

« Mi preoccupavo solo per te, deficiente! Ma immagino che se tu avessi bisogno, chiederai ad una delle galline al piano di sotto, no?! Sembravano entusiaste all'idea di avere un gattaccio formato extralarge a girargli tra le gambe! »

Sfogò l'invettiva in un paio di secondi e accelerò il passo fiondandosi in camera, ignorando sia le occhiate degli altri che il saluto della buonanotte di Kisshu.

Shirogane sei un cretino!

 

 

« Purin, ma zoppichi? »

« Il mio "cavaliere" aveva la grazia di un elefante – borbottò alla mewbird – e poi era insistente. »

La ragazza aveva il broncio fin da quando aveva sbolognato Elsk ad un'altra sospirante fanciulla e saltellava nel corridoio tentando di camminare e massaggiarsi la punta dei piedi allo stesso tempo.

« Che intendi? »

« Voleva ballassimo appiccicati, ma non aveva senso! – sbottò la biondina scandalizzata – Non lo faceva nessuno, e poi non si riusciva a muoversi! Ma lui ha rotto le scatole tutto il tempo. »

Retasu sorrise tirata chiedendosi se Purin avesse capito i motivi dell'insistenza di Elsk. Subito dietro di loro MoiMoi studiò di sottecchi Taruto, imbronciato e con le mani incrociate al petto, e fu tentato di tirargli una gomitata e costringerlo a chiedere scusa alla mewscimmia.

Con sua sorpresa il brunetto si mosse da solo  afferrando piano Purin per una spalla; lei si fermò e lo scrutò corrucciata e avvilita, e MoiMoi senza pensarci doppiò entrambi e trascinò via le altre due ragazze lasciandoli soli nel corridoio.

« Ciao… »

Borbottò lui e Purin rispose fissandosi la punta delle scarpe.

« Senti… Volevo… Scusarmi per prima. Solo quello. »

Fece grattandosi la guancia e Purin scosse la testa come a dirgli di lasciar perdere, ma non smise di tenere il muso. Taruto armeggiò un poco con la sua gonna, sentendosi davvero a disagio a parlare con quell'aspetto, inspirò forte e disse d'un fiato:

« Ti sta bene questo coso… »

La vide spalancare gli occhi e tornare a sorridergli di colpo:

« Davvero? »

Lui annuì impacciato, ma non si trattenne dal punzecchiarla:

« Sembri quasi una ragazza. »

« Sei davvero antipatico! »

Sbottò con un sorrisetto che le piegava gli angoli della bocca, intuendo la presa in giro, e prontamente rispose con uno sberleffo:

« Comunque anche a te dona la gonna. »

« Cretina. »

Risero spintonandosi giocosi mentre tornavano in camera e Purin si domandò se avrebbe potuto tenerlo, quel vestito.

 

 

***

 

 

Quando arrivarono a svegliarla e vide il buio denso fuori dalla finestra Ichigo ebbe voglia di piangere; non era mai stata una tipa mattiniera e quattro ore di sonno per lei non erano affatto sufficienti nemmeno per rilassare i neuroni periferici.

Seguì gli altri nella camera di Kisshu che si affacciava verso il boschetto sul retro, il punto migliore per passare con discrezione; si sorprese quando scorse Ryou steso su uno dei letti con la luna storta e intento a fissare la parete, all'apparenza non intenzionato a seguirli.

« È meglio se qualcuno resta qui, per emergenza. – le aveva sorriso MoiMoi seduto su un altro letto – Io e Ryou-kun vi aspettiamo qui. »

La rossa si era limitata ad annuire, ma si era sentita sollevata: era chiarissimo ormai che il biondo non stesse bene e stava meglio all'idea che non fosse fuori in cerca di guai con loro.

Uscirono tutti rapidamente scomparendo nell'oscurità e Ryou trucidò MoiMoi con un'occhiata al vetriolo, lo sguardo appannato dalla febbre:

« Sei un'impicciona. »

« Tu un aspirante suicida. Non puoi sforzare a questo modo il tuo fisico. – lo rimproverò dolcemente – Ora dormi e stai tranquillo, non sarai utile a nessuno se barcolli in giro febbricitante. »

L'altro emise un sibilo tra i denti e si girò sul fianco.

« Sono certa che il tuo corpo si abituerà alla modifica genetica che gli hai imposto. »

Lo confortò, senza nascondere quanto trovasse assurdo e coraggioso il suo gesto:

« Ma se lo sforzi senza lasciargli possibilità di riprendersi, rischi davvero di farti del male. »

Ryou rimase ancora in silenzio, l'orgoglio che bruciava sapendo perfettamente quanto MoiMoi avesse ragione. Chiuse gli occhi e si addormentò in pochi istanti, con il violetto che posava il mento fra le mani e sospirava:

« I cavalieri di oggigiorno sono proprio degli impediti. »

 

 

Fuori dalla locanda la temperatura era molto più bassa e un'arietta autunnale s'insinuava fin nelle ossa. Ichigo ringraziò che, nonostante tutto, il suo abito coprisse più pelle di quelli delle sue compagne.

Belia era buia e silenziosa; stelle familiari e sconosciute splendevano assieme in un cielo nero velluto e una penombra bluastra data dalle quattro minuscole lune, che solcavano in zone diverse la volta celeste, regalava un senso spettrale agli edifici. Non c'era alcun rumore, solo qualche luce tardiva dietro a qualche finestra; sulle mura non si vedevano sentinelle né guardie, ma torrette intervallavano il cammino sopraelevato e piccoli lumi facevano capolino dalle finestre vuote, segno che dentro c'era qualcuno.

« Allora è vero che nessuno gira per Belia di notte. »

Pai era sorpreso e turbato nel vedere anche le difese della città sguarnite: pareva che chiunque, dopo il calar del sole, ritenesse più saggio starsene dietro a delle pareti.

Si mossero lentamente nelle vie deserte stando comunque attenti a camminare nell'ombra e lontano da possibili sguardi indiscreti; i ragazzi stavano evitando di volare, seppur non tutti con l'obbiettivo della discrezione:

« Perché cavolo devono cambiare anche i vestiti?! »

Ichigo ridacchiò nel vedere Taruto insistere cercando di abbassarsi la gonna.

« Ichigo! Ichigo! Pii! »

« Shhht, Masha fai piano! – sussurrò – Che succede? »

La domanda spaventata di lei non ebbe risposta e il robottino girò la testolina più e più volte intorno a sé; la voce di Sando seguì il rumorino metallico delle telecamere in movimento:

« Mi sembra di vedere qualcosa, ma è troppo buio… »

Masha ondeggiò ancora spaventato e alla fine emise un altro acuto pigolio:

« Pericolo! Pii! »

Gli altri impiegarono ancora qualche frazione di secondo per capire. Sopra le loro teste si stava addensando una strana nube nera che, presto, capirono fosse in realtà uno stormo di animali: squittivano e sbattevano le ali, scuri contro il cielo nero, e all'inizio le ragazze li scambiarono per pipistrelli. Finché non furono abbastanza vicini per capire che erano un po' troppo grandi e dotati di troppi denti per esserlo.

« Giù! »

Ichigo si sentì spingere a terra e lo stormo le sibilò a cinque centimetri dalla testa, sgusciando nella via alle sue spalle:

« Grazie Kisshu… »

Lui le sorrise e lei scostò subito lo sguardo.

Gli esseri non parvero troppo interessati alla loro presenza, saettando per le strade come alla ricerca di qualcosa, forse del cibo, ma di certo il loro muoversi ad ondate su e giù per i palazzi e rasenti le strade non era casuale.

Cercarono e cercarono per lunghi minuti, aumentando il fracasso delle mandibole che schioccavano ad ogni secondo di ricerca infruttuosa; compirono un giro di tutta Loonare e quando curvarono in su schivando le mura e virarono in basso, puntarono rabbiosi verso il gruppo di clandestini.

« Ok, credo che non gli stiamo più simpatici. »

Si scostarono all'ultimo per non venire travolti dall'orda, ma gli esseri non gradirono la cosa e sterzato in massa si gettarono ancora su di loro.

In un istante furono circondati. Gli esseri squittivano e strillavano sbattendo le ali freneticamente provando ad agguantare gli intrusi con i due grossi unghioni che erano le loro zampe. Ichigo evitò per un pelo che uno la mordesse al volto e indietreggiò, l'animale a poca distanza da sé bloccato dalla sua campanella: il suo muso assomigliava a quello di un pipistrello in effetti, ma era più lungo, quasi lupesco, e l'armamento che luccicava sulle gengive non era certo per mordicchiare della frutta o teneri insettini; le ali nere erano enormi, mezzo metro l'una, ma così sottili che la rossa riuscì a vedere attraverso di esse i compagni che lottavano. Ichigo cercò di allontanare il suo persecutore, cosa per nulla semplice data la forza e la foga con cui la puntava coi cattivi occhi blu elettrico, e alla fine tentò di coglierlo di sorpresa scattando di colpo di lato e lanciandosi in aiuto di Eyner, vicino a lei.

« Tutto a posto?! »

Gridò calciando via due creature.

« Abbastanza – fece lui poco convinto – ma questi cucciolotti sono decisamente troppi! »

La mewneko vide il jitte nella sua mano brillare e si avvicinò al bruno per evitare di essere avvolta nel vortice di fuoco, che di lì a pochi secondi allontanò moltissime bestiacce in un rombo fiammeggiante e di guaiti striduli.

« Pudding Ring Inferno! »

« Bel colpo scimmietta! »

Con una piroetta all'indietro Kisshu fendette in quattro il gigantesco budino in cui la mewscimmia aveva imprigionato un gran numero di pipistrelli giganti.

Aveva ancora un po' di difficoltà a muoversi in combattimento con il nuovo aspetto, perché era proprio come avere un corpo diverso: aveva il baricentro un po' spostato perché era un po' più basso del solito – e un po' più pesante sul davanti – ma in compenso si sentiva più leggero e veloce.

« Allora forse c'è una spiegazione alle vostre vittorie. »

Vide la frusta di Zakuro schioccare a poca distanza da sé, eliminando una ventina di creature, e la mewwolf squadrarlo con superiorità:

« Non cercare scuse. Avreste perso comunque. »

Un rombo d'acqua alle loro spalle fu il segno che anche Retasu aveva attaccato i piccoli mostri; Pai ne respinse altri che tentarono di colpirli da dietro con una raffica di proiettili ghiacciati e Minto rincarò la dose, centrandone un paio coi suoi dardi.

« Giuro che ora torno normale! Sembro scemo! »

L'unico a lamentarsi fu Taruto, una mano che tentava di tenere ferma la gonnellina che si alzava in tutte le direzioni, e rabbioso scagliò i suoi pugnali contro una decina di pipistrelli centrandoli tutti in mezzo agli occhi. Kisshu fece una smorfia ammirata:

« Comincio a pensare di non doverti più prendere troppo per il naso. »

Gli esseri protestarono più forte, furiosi per i loro compagni caduti, e si ritirarono in uno stormire stridulo.

« Ma cos'erano quegli affari? – sbottò Minto senza fiato – Ora capisco perché non si possa girare la notte! »

Pai la zittì con un cenno della mano e restò in ascolto: con il rumore dei pipistrelli sempre più distante udì bene un certo trambusto provenire da una delle torrette di guardia, segno che il loro fracasso aveva attirato l'attenzione e le soldatesse sarebbero piombate lì da un momento all'altro.

« Torniamo indietro. Svelti! »

Scivolarono sotto gli edifici nascondendosi nell'oscurità e tornarono velocemente indietro, senza aver ottenuto altro che un pugno di mosche, graffi sulle braccia e orecchie che fischiavano per gli strilli delle creature.

« Dovremo sperare di trovare qualche informazione domani. »

Sospirò Eyner aiutando Retasu a riarrampicarsi lungo il muro. Pai restò indietro fissando il cielo scuro che si nascondeva dietro le colline, seguendo l'ombra dei mostri che svanivano oltre il profilo dei monti.

Gli esseri che li avevano attaccati non erano solo animali in cerca di cibo; erano organizzati e stavano cercando qualcosa, Pai dubitava si trattasse di una mera ricerca di provviste.

Gli risuonarono in testa le parole vaghe di Lia e delle sue ragazze e strinse gli occhi in due fessure:

« Che cercassero… »

 

 

 

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Sento del gelo arrivare alla schiena ^^""…

Kisshu/Ichigo/Ryou/Pai/Taruto: Riaaaaa +___+***

Iiiih non ammazzatemi xD!! È lunghissimo, qui c'è davvero un sacco di roba *aria contenta* ma quante scemenze che scrivo ^-^!

Kisshu: e non fare quella faccia felice -.-""!

Ihhh, sono una pallonara ç_ç, niente bozzetti! Perdonnnoooo! Sto riprendendo la mano dopo due mesi di stop (ORRORE!!) e ho dovuto dare la precedenza alle tavole pena il (giusto) linciaggio da parte del mio sceneggiatore ç_ç"", but I'm working TT-TT! Per la prossima volta, sperando…

Kisshu: contaballe.

PAM! *Ria gli tira una mazzuolata e lo abbandona in un vicolo*

Prima di salutarvi ringrazio come sempre Hypnotic Poison, Danya, mobo e AngeloBiondo99 per i loro strafichissimi commenti (vi adoro ) e ringrazio tutti i lettori, ci si vede tra un paio di settimane (giorno più giorno meno).

 

Mata ne~♥!

Ria

 

 

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Capitolo 21
*** Toward the crossing: fourth road (part III) ***


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Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro recensioni. 
Farai felice milioni di scrittori. 

 

Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: Non essere indifferente!
Salva anche tu una tastiera da pazzoidi che le massacrano scrivendo come disperate! Non chiudere gli occhi, puoi salvare milioni di vite elettroniche.

 

 

 

 

 

 

Bonjour a tout le monde :D!

No scusate davvero il ritardo gente… Queste vacanze sono state tutto tranne che rilassanti. E diciamo che non vengo fuori da un gran periodo. All'orizzonte ci sono un sacco di cose belle (♥♥♥♥♥♥♥) ma allo stesso tempo stanno succedendo cose che non mi sarei mai aspettata e che fanno davvero molto male… Come dire, sono davvero esausta. Non avevo né le forze né la testa per scrivere, e questo mi dispiace perché metà delle mie energie quotidiane vengono da voi e dai follower dei miei lavori manga e di illustrazione, non avete idea della carica che mi donate . Con questo 2015 voglio cambiare tante cose, non so se ci riuscirò ma vorrei davvero tanto, quindi mi sono imposta di tornare :3. Anche perché mi mancavano le vostre vocine dolci ♥♥♥ (cacchius, sono indietrissimo anche coi commenti °_°""… Sono un essere indegno ç_ç"!)

 

Uah, che bello, la saga di Belia continua, sono troppo contenta anche se si sta dimostrando molto più lunga del previsto ^^""… Mi amate lo stesso *w*?

Cast: NO!

Brutti antipatici ç_ç""… Vi lascio alla lettura, vado a piangere sul mio cuscinone morbidone TT-TT…

Kisshu: e che diavolo sarebbe -.-""?

Sparisci, insensibile ç_ç!

Kisshu: … ma perché non c'è almeno un'autrice normale -.-""?

 

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Cap. 21 – Toward the crossing: fourth road (part III)  

                 One Drop, two Drops, three are rocks and caves

 

 

 

 

 

Il mattino successivo arrivò pigramente portando tutto il chiacchiericcio di Loonare come sottofondo dalle finestre aperte. Ryou si svegliò presto, infastidito dalla luce, accorgendosi di non avere più né febbre né debolezza, solo un leggero intorpidimento dovuto alla dormita profondissima; sarebbe stato quasi di buonumore, se il russare di Kisshu nel letto accanto al suo non avesse stonato il dolce spartito della mattinata.

Il biondo schioccò la lingua irritato, saltò giù dal letto e andò a lavarsi il viso mentre cercava di ricollegare gli avvenimenti della notte precedente.

Gli altri dovevano essere tornati molto presto dopo che lui era crollato addormentato, almeno a giudicare da come MoiMoi si era agitato nel rivederli; all'apparenza nessuno doveva essersi fatto male o altro e aveva sentito Eyner riferire di strani esseri che pattugliavano la città di notte, ma lui era troppo intontito ed era a malapena riuscito a scorgere Ichigo, graffiata ma illesa, spuntare dalla finestra prima di ricadere in un sonno di marmo.

Uscì dal bagno, si vestì e chiamò Taruto scrollandolo per una spalla; stava per fare lo stesso con Kisshu, che altrimenti aveva l'aria di chi avrebbe ronfato per tutto il giorno, ma cambiò idea: alzò la gamba e presa bene la mira gli tirò un calcio dritto nel fianco, spedendolo giù dal letto. L'urlo e l'imprecazione che lanciò sbattendo sul pavimento furono stranamente melodiosi per l'americano:

« È ora di alzarsi. »

« Shirogane…! Bastardo! »

Ryou sorrise malevolo, vedendolo di sbieco riarrampicarsi sul materasso lanciandogli i peggiori improperi, e soddisfatto riprese il suo aspetto animale e uscì dalla stanza ondeggiando tronfio la bella coda argentata:

« Te ne dovevo una. »

« Non sperare di cavartela perché non capisco un cazzo di quello che dici, dannato…! Appena ti acchiappo ci faccio un manicotto con quella tua pellaccia! »

« Kisshu, ti prego… Sono sveglio da cinque secondi, non gridare… »

Nonostante le proteste di Taruto, il verde continuò a inveire contro Ryou anche quando questo fu fuori dalla porta; Eyner, che uscì nello stesso momento dalla sua camera, fissò la pantera con una smorfia rassegnata:

« Iniziate già a scannarvi appena svegli? »

La pantera ruggì piano ed Eyner, che ovviamente non capì, potè solo fare spallucce:

« Prima che scateniate una guerra e distruggiate tutto il piano, sarà meglio andare a mangiare. »

 

 

 

Il salone rispetto alla sera passata era molto tranquillo e non c'erano ancora tutte le clienti; al loro tavolo le ragazze avevano già iniziato a mangiare con l'aria di chi vorrebbe solo tornare sotto le coperte, a parte Purin che divorava allegra la sua colazione e Zakuro, distaccata mentre beveva un the scuro e profumato.

« Buongiorno Eyner-san, Shirogane-san. »

« Non perdi il vizio, eh Reta-chan? »

La verde arrossì un pochino e il bruno rise, sedendosi e afferrando una pagnottella dolce appena sfornata e facendola sparire in pochi morsi. La pantera ringhiò bonaria e si accucciò nella stessa posizione della cena, acchiappando con soddisfazione la pagnotta salata farcita con prosciutto che Purin gli lanciò al volo.

« Noto con piacere che siamo tutti in coma – bofonchiò Eyner ammirando le facce sconvolte – beh, a parte Purin-chan… »

« Io sono abituata ad alzarmi presto! »

Esclamò orgogliosa e divorò un altro panino, che s'imbottì di una sostanza simile a burro e a un generoso strato di zucchero:

« È fantastico poi non dover preparare la colazione! »

« Purin, sono felice del tuo entusiasmo, ma ti supplico… Non parlare così forte… »

La voce funerea di Ichigo si affievolì fino a diventare un sospiro e lei affondò il viso tra le mani, fregandosi gli occhi nella speranza di tenerli aperti. Aveva dormito a malapena sei ore nell'arco dell'intera nottata e per la maggior parte aveva sognato pipistrelli dagli occhi blu che danzavano a ritmi irlandesi e strane ed equivoche situazioni con ragazze che avevano tutte la faccia di Kisshu, intervallati da improbabili immagini di un harem femminile con una pantera argentata come sovrano.

« Mi serve una vacanza…! »

« Non fai altro che lamentarti, gattina. »

La rossa sbirciò appena oltre la punta delle sue dita e fissò torva Kisshu, anche lui parecchio di malumore ma non abbastanza da non provocarla.

« È soprattutto colpa tua se ho da lamentarmi! »

« Insomma Ichigo, sei proprio una lagna. »

Fulminò Minto con un'occhiataccia ma quella continuò a gustarsi il suo pane con la marmellata e il suo the in assoluta tranquillità.

Pai, sceso con il verde e Taruto, sbuffò non potendo capacitarsi dell'energia che avevano per battibeccare a quel modo e sprofondò sulla sedia, con l'aria torva di quand'era appena sveglio:

« Dov'è la senpai? »

Retasu si rese conto un po' troppo tardi che lo stava domandando a lei; come capì tardi che lo aveva fatto perché lei lo fissava da un minuto intero. La verde rimase a bocca semiaperta, imbarazzatissima, e Zakuro rispose al posto suo:

« Credo sia andata a chiedere alcune cose a Lia. »

Non aggiunse altro, forse perché non ritenne necessario fare anticipazioni; Retasu ringraziò in silenzio il suo intervento e riabbassò gli occhi sulla sua colazione dandosi della stupida.

MoiMoi arrivò un minuto dopo gesticolando allegro:

« Buongiorno a tutti! Wow… Kisshu-chan, che faccia scura…! Ti sei alzato con il piede sinistro? »

« Di pure con una pedata nel culo, senpai. »

« Cioè come bisogna svegliarti tutte le mattine? »

Taruto sghignazzò della sua battuta e si beccò un proiettile di mollica dritto sul naso.

« Su bambini, state buoni, la sorellona deve parlarvi. »

Li canzonò stancamente MoiMoi e si sedette nel posto più centrale perché tutti lo sentissero.

« Ho saputo da Lia-san che il vostro spettacolino di ieri notte è la notizia del mese. – sussurrò cospiratore – Quei mostri che avete preso a calci… Li chiamato djonk, pare che ci siano da sempre a Belia e siano abbastanza pericolosi, ma di solito restano sulle montagne. »

« E allora cosa ci faceva in città? »

« Domanda giusta Purin-chan. Pare che qualcosa attiri la loro attenzione, ma non hanno scoperto cosa: sanno solo che girano in stormi più grandi della norma e che sono estremamente nervosi, attaccano anche le persone se ne trovano nella loro traiettoria. »

« Me n'ero accorta. »

Sospirò mesta Ichigo; MoiMoi continuò:

« Non so molto altro, anche perché come unica soluzione hanno imposto un coprifuoco cittadino e nessuno è andato a controllare alle tane dei djonk. Ma tutto è iniziato all'incirca un mesetto fa. »

Guardò furbo verso Pai che annuì immediatamente:

« Pensi che possa trattarsi del Dono degli Avi? »

MoiMoi ammiccò trionfante.

« In effetti il merkv a Glatera era mezzo impazzito per il contatto con la Goccia. »

« Probabilmente gli animali sono più sensibili alle sue emanazioni, Ichigo-chan. »

« Rimane il problema di dove sia la Goccia, di preciso. »

Si crucciò Minto posando la sua tazza con un tintinnio.

« Credo che la cosa migliore sia approfittare della luce per cercare alle tane dei djonk – riflettè Zakuro ad alta voce – sono il nostro solo legame con il Dono, tanto vale partire da lì. »

Tutti approvarono, una misera pista era sempre meglio che non averne nessuna.

« Di cosa discutete così animatamente di buon mattino? »

Kisshu rabbrividì dal ribrezzo alla voce stucchevole che li salutò. Sollevò appena lo sguardo di lato e incrociò i languidi occhi scuri di Ren, a cui rispose voltandosi immediatamente nemmeno avesse visto un orco; non gli sfuggirono le risatine di Taruto, Eyner, Ichigo, Purin e Minto e li squadrò immaginandoli puniti da castighi atroci.

« Nulla di particolare Ren-san – sorrise MoiMoi prontamente – cercavamo di decidere dove passare la giornata. »

Lui, con Lia artigliata ad un braccio, sorrise e annuì, lanciando un altro paio di sguardi a "Lasa" che per tutta risposta ammirò intensamente il piatto, pregando la smettesse prima di farsi uccidere.

« Ora che ci penso, voi non avete ancora assistito allo spettacolo di Ren-san! – trillò Lia roteando giuliva sul braccio di lui – Ren-san, che dice è possibile una piccola anticipazione prima di stasera? »

Il giovane fece finta di essere restio all'idea e Lia insisté cinguettando, prorompendo in un breve battimani quando alla fine lui accettò; il biondo cercò lo sguardo della ragazza dai capelli verdi al tavolo, aspettandosi che l'entusiasmo fosse condiviso, ma Kisshu era estremamente concentrato a girare lo zucchero nel suo the e non si curò nemmeno di cosa facesse. Ren ne fu davvero deluso, evidentemente non era troppo abituato all'indifferenza.

« Ren-san? »

Il biondo si riscosse quando Lia lo chiamò e, sfoggiato il suo consueto e principesco sorriso, si mise in posizione con fare teatrale:

« Preparatevi ad assistere ad una magia. »

Da una tasca interna della marsina estrasse un bocciolo ormai appassito, con il gambo nero e il fiore incartapecorito. Agitò il fiore melodrammatico, facendo un sacco di smorfie patetiche e declamando con ardore frasi sconclusionate sulla vita e la bellezza che fecero raggelare vivamente il gruppo al tavolo, mentre le loonariesi seguivano il discorso incantate; ad un certo punto Ren passò l'altra mano sul fiore, nascondendola leggermente dentro la manica.

Le loonariesi trattennero il fiato entusiaste, ma le terrestri e i jeweliriani lo fecero per tutt'altro motivo.

Dalle dita di Ren s'intravide un bagliore bianco iridescente e dopo un istante il fiore era rinato.

 

 

***

 

 

« È l'idea più idiota che ti potesse venire in mente. »

« Parole grosse da una che ha una spalla ridotta in coriandoli. »

Lindèvi si tese indispettita, incapace di ribattere, e lasciò che la stanza fosse invasa dal rumore del macchinario che stava analizzando la sua scapola maciullata. Toyu osservò i dati comparire sullo schermo e cambiò postazione:

« Avrai una lunga convalescenza – le disse – ci vorranno almeno altre due sedute di rigenerazione e alcuni giorni di riposo. »

« Potresti uccidermi faresti prima. »

Toyu le rivolse un sorriso gelido:

« Chiedi e ti sarà dato. »

Lindèvi replicò sollevando il naso imperiosa e l'altro rise malevolo:

« Ringrazia che non sei messa come lui. Non potrò svegliarlo per un bel pezzo, mi chiedo se sarà in grado di parlare ancora quando uscirà. »

Ed accennò con il capo ad una vasca rigenerante in cui dormiva Zizi. Lindèvi piegò le labbra in un ghigno:

« Potrebbe non essere una brutta cosa. Il mio apparato uditivo ringrazierebbe a non sentirlo più sparare oscenità. »

Toyu annuì e terminò la sua ricerca; il segnale della sonda esplorativa lampeggiò, ma non fu in grado di capire la posizione:

« Deve essere a Jeweliria… Probabilmente li stava seguendo. »

« Non puoi riportarla indietro? »

Lui digitò rapido sulla tastiera impostando un codice specifico e inviò il segnale:

« Non posso entrare né portare via nulla da lì, lo sai anche tu. Luneilim ha fatto un ottimo lavoro… Posso solo inviare un comando alla sonda perché si sposti nel punto in cui l'ho teletrasportata. »

« Ripeto, è stata un'idea cretina. »

« Solo una scelta sbagliata di tempistica. – la corresse – Mi sono immerso nella vasca prima di controllare possibili problemi; la richiamerò in base, esporterò i dati che ha ricevuto, ricaricherò un parassita e provvederò perché possa rientrare da sola. »

Scattò un secondo e si sfiorò lievemente la schiena che, di quando in quando, mandava ancora accecanti fitte di dolore.

« Così noi potremo concentrarci unicamente sulla totale guarigione, e intanto avremo un bel po' di informazioni succulente. »

Lindèvi emise un verso muto, non volendo dargli la soddisfazione di assecondarlo seppure il suo fosse un buon piano. Vide Toyu richiamare la sonda e questa comparire tra le sue mani poco dopo, ammaccata e un po' sporca ma ancora attivissima.

« Ci vorrà solo un momento. »

Disse accarezzandole l'involucro metallico amorevolmente:

« Abbiamo ancora tanto bisogno di te. »

 

 

 

Il bianco assoluto attorno. Non bianco di luce, ma bianco di nulla, di gelo, di oblio. Bianco senza sopra né sotto.

Lui si studiò le mani, bianche anch'esse, pallide come morte, e prese una lunga ciocca dei capelli neri come l'oscurità; gli scivolarono dalle dita prive di forze, tornando pigramente a sfiorargli la schiena e le caviglie, e Lui sbuffò:

« Non basta ancora. »

Lo sentì arrivare, anche se nulla aveva scosso il silenzio da sonno eterno che soffocava l'aria. Lo guardò sprezzante:

« Non basta, ma presto sarò di nuovo completo. »

« Non ci riuscirai. »

Lui sogghignò squadrando l'Altro. Il bianco di quella dimensione fagocitava anche i suoi colori e gli abiti blu apparivano nulla più che veli azzurro spento, quasi grigi. Eppure gli occhi e i capelli splendevano come un fiore e la sua corolla in un campo deserto.

Il cielo e il sole.

Come sempre Lui li odiava, li disprezzava. Li arrideva crudele. Li amava con ferocia. Come il primo giorno.

« Speri di fermarmi? – sussurrò velenoso – Questa volta ho dei sottoposti molto più motivati. »

« Questa volta hai dei poveri illusi plagiati dal tuo potere. – replicò l'Altro – Nessuno che possegga un cuore o una mente liberi. »

« Vieni a farmi la predica? – rise sguaiatamente, ma la sua risata fredda non si espanse nell'aria rinsecchita – Come se avesse mai funzionato! Come se ne avessi il diritto! »

Per un po' l'Altro non rispose.

« Loro ti fermeranno, come hanno già fatto. »

Lui sorrise feroce:

« Pensi che il tuo aiuto possa bastargli per farlo? »

Lo vide irrigidirsi e rise più forte:

« Hai parlato anche con quella ragazza, quella dell'acqua. Ammetto di essere stupito, credevo avessi un legame privilegiato solo con quell'altra. »

L'Altro strinse le labbra per lo sprezzo con cui Lui la nominò:

« Non solo lei. Tutte loro… Le proteggerò, a qualunque costo. »

Lui continuò a sorridere con un ghigno da bestia selvaggia:

« No. Non puoi. Non hai tanta forza. – soppesò la questione studiandolo attentamente – Qualcosa ti ha permesso di salvarla dal lago. Non so cosa, ma posso intuirlo. »

L'Altro divenne ancora più rigido.

« Ma sarà la prima e ultima volta. Arashi ora sta dormendo, e io riprenderò il controllo. Hai finito di fare il cavaliere. »

« Non ti lascerò tornare! »

Urlò con tutto il fiato che aveva:

« Lotterò! Finché avrò solo un briciolo di coscienza, lotterò! Lotterò fino a scomparire. »

« So che lo farai. – il suo sorriso divenne di gelida commiserazione – Ma alla fine, scomparirai. Non potrai fermarmi. »

L'Altro tornò composto e Lui vide sul suo viso evanescente la paura.

« Ti ho tolto la vita, una volta. Ti ho rubato la coscienza e il potere, e ti ho tolto di nuovo la vita. Ora ti ho rubato anche l'ultimo nome che avevi. »

Le sue labbra sottili si tesero orrendamente all'insù:

« Sei solo Primo, un'inutile esperimento per la mia rinascita. Non sei nulla. »

Primo lo fissò duramente. Lui gli lesse odio, sofferenza e rammarico nello sguardo offuscato dal biancore.

« È vero. Non sono più nulla. Ed è solo per questo che continuerò a macchiarmi del peccato di ucciderti. »

 

 

 

 

 

***

 

 

Ichigo e gli altri erano fermi ad un angolo di Loonare, su un'aiuola ben curata e circondata da panchine dove si erano rifugiati per poter parlare senza destare troppa curiosità.

« Se è in mano a Ren è un bel problema. – sospirò MoiMoi preoccupato – Come facciamo a farci restituire la Goccia? »

« Se provassimo a rubargliela? »

« Ci vorrebbe troppo. – bocciò Pai – Dovremmo studiare una strategia efficace, scoprire i suoi movimenti per trovare un momento in cui non abbia ammiratrici tra i piedi… Non abbiamo tutto questo tempo. »

Taruto sbuffò e affondò il viso tra le mani riflettendo su un nuovo piano.

« Se confermassimo che c'è un legame tra gli attacchi dei djonk e la Goccia posseduta da Ren-san, forse lo persuaderemmo a darcela. »

« Ma come Retasu? – Minto sospirò e si attorcigliò un ciuffo tra le dita – Quei cosi pare girino di notte e di notte i beliani se ne stanno chiusi in casa. »

« Potremmo provare a fargli fare il suo spettacolo qui e ora. Se davvero i djonk sono attratti dal Dono, farglielo usare all'aperto e in pieno giorno li indurrà ad attaccare. »

« Potrebbe essere un buon piano. »

Ammise Eyner e Purin sorrise soddisfatta.

« C'è solo da pregare che quello stupido non abbia già usato tutto il potere del Dono per i suoi inutili show. – fece Pai cupo – Comunque, può essere un tentativo. »

« Ma come lo convinciamo? – insisté Minto – Dai discorsi di Lia-san svolge sempre il suo spettacolo di sera e al chiuso. Dovremmo trovare un grande incentivo per convincerlo a darci un'altra anteprima… »

Ci furono alcuni secondi di silenzio finché Kisshu non si rese conto che lo stavano fissando tutti. La sua smorfia disgustata fu quasi comica:

« Potete anche scordarvelo. »

« Eddai, Kisshu-chan! Devi solo fargli una domanda con gentilezza. »

« Piuttosto che trovarmi ancora vicino a quel tizio resto donna a vita. »

« Quel Ren ne sarebbe contento. »

La risata di Taruto si spense in un rantolo soffocato mentre Kisshu lo bloccava con una presa al collo, apparentemente intenzionato a spezzarglielo.

« Su Kisshu, si tratta di fare due moine e sbattere le ciglia. Ci riesce Ichigo, puoi farcela anche tu. »

« Sempre una parolina dolce per me, Minto, ti ringrazio… »

Mugugnò cupa la mewneko.

« Non è evidente che non voglio nemmeno contemplare di fare una cosa simile?! »

« Avanti, non è la fine del mondo! »

« Se ti sembra tanto divertente fallo tu Eyn! »

Il bruno si massaggiò il collo cercando di apparire dispiaciuto, ma era chiaro l'impegno che stesse prodigando per non ridere:

« Non credo di essere molto il suo tipo, si vede che gli piacciono coi capelli lunghi. »

« Fai meno lo spiritoso… »

« Su, allora andiamo a cercare Ren-san? »

« Hai le orecchie foderate di cerume, scimmietta? – sibilò ancora il verde – Ho detto che non farò una cosa simile! Scordatevelo! Non ci penso nemmeno! »

 

 

 

Non fu difficile rintracciare Ren, che si trovava nel periodo di massima popolarità ed era sempre circondato da uno stuolo di fanciulle pigolanti. I loro discorsi inutili si udivano per tutta la via data la massa  che costituivano attorno al giovane, che si zittiva all'improvviso appena lui apriva bocca.

« E… Dimmi Ren-san – disse con voce setosa una mora riccioluta, chiaramente più grande del biondo – Hai già programmi per la prossima Cerimonia delle Unioni? »

Visto il grande numero e la frequenza dei matrimoni a Belia, era tradizione celebrarli tutti in una serie di eventi pubblici, circa tre volte l'anno. Alla domanda tutte le presenti trattennero il respiro guardando Ren adoranti e lui sospirò con un sorriso timido:

« Non saprei Mae-san… Temo che i dardi dell'amore non mi abbiano ancora trafitto il cuore con la fanciulla predestinata… »

Si tenne la fronte con due dita guardando un punto lontano, melodrammatico, e quasi tutte le presenti cercarono nello stesso momento di intervenire per proporsi come predestinate facendo un chiasso infernale.

Dalla parte opposta della strada Kisshu deformò la mascella in una smorfia nauseata e girò sui tacchi:

« Arrivederci. Trovatevi qualcun altro. »

« Kisshu-chan…! »

MoiMoi lo agguantò per i  capelli lunghi senza troppa eleganza e lo costrinse a tornare indietro e incamminarsi con tutti loro verso Ren. Il verde teneva il broncio e il senpai dovette spingerlo più volte, perché ogni tanto si impuntava di non muoversi più.

« Perché mi state facendo una simile crudeltà? »

« Non ti abbiamo mica chiesto di andarci a letto, Kisshu. Per l'amor del cielo! Devi solo parlargli! »

« Non ce la faccio! Non ce la posso fare! – piagnucolò disgustato – Guardalo che faccia da ebete! »

Pensò con orrore che, oltre ad essere svenevole da dare allo stomaco, il sorriso principesco di Ren fosse identico a quello di Aoyama.

« Kisshu, metti immediatamente via quel sai! »

« È giusto una precauzione, senpai… »

Mormorò funebre solleticando con l'indice il manico dell'arma che nascose dietro la schiena.

« La tua faccia indica più un intento omicida – ribattè Eyner, sinceramente preoccupato che l'amico desse in escandescenze – ti prego metti via quello stuzzicadenti extralarge, prima che ci arrestino. »

Kisshu gemette dall'esasperazione e obbedì, ormai erano troppo vicini perché potesse scappare.

Appena Ren vide la combriccola, "Lasa" in testa, s'illuminò in viso e congedò le sue ammiratrici camminando spedito verso il gruppetto.

« Wow, gli piaci proprio! »

Sogghignò Taruto dando di gomito al verde. Kisshu gli sussurrò furibondo minacce di morte alquanto plausibili e il brunetto si ritrasse, senza smettere di ridacchiare.

« Salve, signorine. Vi state godendo la giornata? »

Come la sera prima e come a colazione si rivolgeva a tutti, ma il suo sguardo era puntato sulla giovane dai capelli verdi. Kisshu strinse le labbra cercando, se non di sorridere, almeno di non sputargli in un occhio.

« Tantissimo! – trillò MoiMoi più avvezzo – Loonare è davvero magnifica! »

Lui sorrise compiaciuto. MoiMoi diede un'occhiata a Kisshu perché continuasse la conversazione, ma visto che lui si limitava a tacere deformando un brutto sorriso infastidito, gli diede un discreto e potente pizzicotto proprio nel punto più tenero del braccio.

E di qualcosa!

Kisshu serrò ancor di più la bocca per non gridare, scambiandosi occhiatacce con il violetto.

Cazzo, senpai, mi hai fatto male!

MoiMoi ricambiò con un cenno allusivo.

Ti decidi a parlare o no?!

Il verde deglutì forte, disperato. Ren continuava a sorridere radioso e Kisshu si ritrovò a parlare a denti serrati pur di contenere la voglia di tirargli un pugno:

« Ssssì, è davvero un bel posto. – provò a sorridere per bene e sentì la faccia tirare da tutte le parti nemmeno l'avesse di cera – Ma un pochino noioso. »

Ren lo guardò affranto:

« Com'è possibile? Solo la bellezza della nostra città dovrebbe bastare ad emozionarvi. »

A Kisshu si accapponò la pelle al suo tono melenso e MoiMoi gli artigliò il braccio prima che si teletrasportasse via:

« Oh, non prendetela come un'offesa, Ren-san! – cinguettò – Credo che la mia amica stia ancora rimuginando sul vostro spettacolo di stamattina. »

Ren sorrise sorpreso e lusingato e fissò Kisshu, che storse una boccaccia interpretata come sorriso imbarazzato dall'ottuso beliano. MoiMoi ammiccò sussurrando:

« Sa, è rimasta molto colpita… »

Kisshu fu seriamente tentato di strozzarlo per il tono evocativo e l'occhiata maliziosa che passò da Ren a lui e poi al contrario, ma potè solo perseverare con il suo sorriso paralizzato; avvertì dietro le sue spalle gli altri soffocare le risate e giurò a se stesso che non li avrebbe fatti tornare a casa.

Chissà se i djonk mangiano anche carne tritata.

Ren sembrava molto contento delle parole di MoiMoi e afferrò galantemente la mano di "Lasa" – che desiderò ardentemente potersela mozzare – guardandola languido:

« Sono desolato di avervi creato dei fastidi. »

Kisshu resistesse a malapena, finché non avvertì il calore della punta del naso vicino alla sua mano e la ritrasse schifato:

« Vacci. Piano. Amico. »

Sillabò. MoiMoi lo squadrò dandogli un altro pizzicotto, ma il verde rimase imperturbabile. Se proprio doveva soffrire, valeva farlo in modo proficuo: visto che aveva cercato di ignorare Ren dal momento in cui l'aveva visto, attirando solo di più la sua attenzione, forse quella di essere scostante era la strada giusta. Incrociò le braccia e si finse in imbarazzo per il gesto – cosa che gli costò un'enorme dose d'orgoglio oltre che di bile – e borbottò:

« Stavo solo cercando di capire dove fosse il trucco. »

Ren si risentì:

« Non c'è alcun trucco! – esclamò premendosi una mano al petto – Ho ricevuto un dono che desidero condividere con tutte le fanciulle, per far splendere i loro sorrisi. »

Kisshu avvertì le sue motivazioni sgretolarsi e si piantò le unghie nei palmi, pensando a qualunque cosa, dalle filastrocche che sua madre gli insegnò da bambino alle narcotizzanti lezioni all'Accademia dell'Armata, pur di far defluire dalle sue orecchie le parole stucchevoli del biondo; prese con discrezione un bel respiro e ostentò ancora un'aria annoiata per i discorsi di lui, ravvivandosi indietro i capelli.

Zakuro nascose un sorriso dietro la mano guardandolo, si stava impegnando parecchio a replicare atteggiamenti femminili che le risultarono familiari per la loro rigidità e alterigia e gettò una rapida occhiata al suo fianco.

« Uh? Che c'è onee-sama? »

La mora non rispose sorridendo sibillina alla mewbird. Le circostanze erano comiche, tra l'altro era evidente che Ren diventava sempre più turbato per quell'atteggiamento freddo e scorbutico di "Lasa", affascinato da qualcuno che lo scacciava senza troppi giri di parole.

« Sarà. – fece Kisshu perplesso – Non l'ho trovato molto convincente. »

La mewwolf studiò la scena divertita, poteva quasi sentire gli ingranaggi nella testa di Ren al lavoro per trovare le giuste parole con cui rispondere.

Immaginò che ci sarebbe voluto ancora parecchio e decise che sia lui che Kisshu avevano sofferto abbastanza.

« Saremmo presuntuose – intervenne la mora sfoggiando il suo miglior sorrido da modella – a domandarle un altro assaggio delle sue abilità? »

Il suo viso smagliante e la – finta – espressione incuriosita di "Lasa" convinsero immediatamente Ren ad accettare, sordo alle basse e rombanti proteste delle ammiratrici lasciate indietro. Tirò fuori dalle tasche della marsina altri tre boccioli rinsecchiti e Kisshu di domandò quanti ne avesse, di quei cosi, dentro la giacca. Gesticolò con l'altra mano; il verde vide distintamente il punto da cui proveniva la luce iridescente, un bracciale appuntato al polso: in cima ad esso c'era una piccola pietra bianca che brillò quando Ren agitò le dita, e Kisshu sentì la pelle formicolare gentilmente per le irradiazioni della Goccia.

Poco alla volta tutti e tre i fiori si rianimarono e sbocciarono scatenando gli urletti delle spettatrici. Kisshu rilassò le labbra in un ghigno soddisfatto, fregandosene tanto dell'eccitazione delle loonariesi quanto di Ren che lo guardò dal basso con fare trionfante: c'erano voluti cinque minuti interi prima che l'esibizione terminasse e quando Masha iniziò a pigolare frenetico, mentre il terzo bocciolo si schiudeva, Kisshu capì che avevano azzeccato l'idea giusta.

Lo squittire del robottino fu coperto in pochi istanti da uno stormire sordo e dai gridi acuti dei djonk. Storditi dal sole e inferociti gli esseri si precipitarono dalle montagne in massa oscurando il cielo e gettando lo scompiglio tra gli abitanti: le civili fuggirono urlando, rintanandosi in casa, e le guardie sulle mura tentarono di fermare quante più creature possibili da distanza; pochi bersagli furono abbattuti, e qualche soldatessa troppo temeraria che aveva deciso di avanzare fu travolta dall'ondata precipitando dalle mura. La scaramuccia tra djonk e Loonare durò pochi istanti, poiché le creature puntavano solo ad una cosa.

Ren sbiancò accorgendosi che i djonk lo stavano accerchiando, volando in tondo come nubi di un temporale, ed estrasse una piccola spada che portava sul fianco destro:

« Com'è possibile…?! Perché in pieno giorno?! »

Gettò un'occhiata a MoiMoi e Kisshu, assolutamente impassibili mentre si studiavano a vicenda con gli animali, e proruppe forte:

« Non temete! Non permetterò che vi facciano del male! »

Agitò la lama verso le creature che gli gridarono contro battagliere; portò indietro il braccio per lanciarsi all'attacco, quando qualcuno gli tirò una decisa pedata nei reni mandandolo lungo disteso a terra, ed evitando che un djonk gli staccasse dalla mano spada e dita.

« Non saresti capace nemmeno di uccidere un arrosto – sbottò Kisshu, la gamba ancora piegata a metà strada da dove lo aveva calciato – stai a cuccia, non ho voglia di occuparmi del tuo cadavere. »

MoiMoi sospirò rassegnato alla vista del suo malcelato sorriso soddisfatto.

« Temiamo di sapere perché sono qui – accennò al biondo con un sorriso – poi le spiegheremo. Ora però stare qui è pericoloso. Taruto-chan… Accompagneresti Ren-san al sicuro? »

Il brunetto annuì e afferrò con poco garbo un attonito Ren per la collottola, trasportandolo fino al gruppo di loonariesi con cui l'avevo incontrato, nascoste sotto l'arco d'ingresso di un palazzo vicino ad osservare la scena.

« Sei stato un po' cattivo con lui, povero! »

Rise MoiMoi guardando il poveretto venire sbattuto fuori dal campo; Kisshu non smise di ghignare malevolo:

« Dovevo sfogarmi. »

« Fammi indovinare – fece agguantando il suo martello – non è bastato? »

« Ovviamente no. »

Il verde si gettò nella mischia più infervorato che mai, saltando da una parte all'altra e fulminando un djonk dietro l'altro; i suoi compagni e le MewMew non ebbero quasi da intervenire, cercando solo di impedire alle creature di allontanarsi per attaccare i beliani.

« WOAH! Ehi Kisshu! Divertiti pure, ma stai attento! A momenti friggi anche me! »

Il verde rivolse a Eyner un sorriso antipatico:

« Ops, scusami ! »

« Si sta vendicando, vero? »

Retasu gli sorrise impacciata e fece un timido cenno d'assenso, prima di chinare la testa con un urletto e schivare un fulmine che incenerì due djonk alle sue spalle.

« Kisshu, piantala di fare l'idiota! »

Imbronciandosi come un bambino il ragazzo obbedì ai richiami secchi di Pai, ma non trattenne un ghignetto pensando che, di recente, l'altro si scaldasse più del solito. In determinate occasioni.

La lotta durò un paio di minuti prima che i djonk, confusi dalla luce e infuriati per le scariche e i fendenti, se ne tornassero svolazzando  ubriachi alle loro tane nelle montagne. Kisshu scese a terra e si stiracchiò pacifico, stava decisamente meglio dopo aver arrostito un paio di mostri.

Non ci volle molto perché, scomparsa l'ombra delle creature, le loonariesi, civili e guardie, si riversassero in strada circondando il gruppo di terrestri e jeweliriani chiedendo come e perché di quanto successo.

MoiMoi tentò di tralasciare i veri motivi della loro visita o cosa sapessero dell'oggetto posseduto da Ren e concentrò l'attenzione di tutte sugli attacchi dei djonk, dicendo semplicemente:

« La pietra che avete, Ren-san…  È molto potente, ma abbiamo ragione di credere che li attiri. »

Il giovane, scioccato per la lotta a cui aveva assistito, tentennò a rispondere:

« Come sarebbe? – mormorò sfilandosi il bracciale e studiandolo – È solo una pietra… Sì, i suoi prodigi sono inequivocabili, ma… »

« Da quant'è che la possiedi? »

Lo interruppe Pai stufo delle sue chiacchiere. Ren ci pensò su:

« Da circa un mese, p- »

« Da quando hai iniziato a fare il tuo numero? »

Le ragazze assiepate attorno a Ren, preoccupate per lui e intente a sostenerlo, scoccarono a Pai occhiate sconvolte per il suo tono brusco verso il loro eroe; Ren corrugò la fronte riflettendo e rispose:

« Da poco meno di un mese, m- »

« E da quanto i djonk hanno preso ad attaccare Loonare? »

Sia le donne che Ren si zittirono guardandosi a vicenda preoccupati; il biondo ammise sconfortato:

« Da circa un mese. »

Pai fece un cenno con le mani sottolineando l'ovvietà della situazione e allungò imperioso la mano verso il biondo:

« Quello è meglio non lo usi più. »

« P… Lena-chan! »

MoiMoi gli spostò il braccio con fare di rimprovero e guardò Ren con un sorriso, pregando che le sue ammiratrici non saltassero al collo di tutti loro.

« Siamo venute apposta a cercare quella Goccia, e pare che per voi sia pericolosa. A noi occorre, se poteste darcela sarebbe magnifico. »

Le donne di Loonare ebbero reazioni contrastanti: presero a parlottare tra loro, chi dicendo che era evidente la pericolosità del ninnolo e di darlo pure alle straniere, soprattutto le più anziane, e chi dicendo, in particolare le giovani, che le jeweliriane volevano solo impossessarsi di un oggetto di Ren-san e che dovevano essere cacciate. Il diretto interessato si girò per un po' il bracciale tra le dita finché Kisshu non si fece prepotentemente avanti, la stessa grazia del fratello:

« Ti vuoi decidere? »

Ren sobbalzò e fissò in silenzio la ragazza dai capelli verdi, una strana espressione incantata che Kisshu non riuscì ad interpretare, e poi gli passò il bracciale. Kisshu e gli altri lo analizzarono attenti e si preoccuparono, la Goccia sulla cima era davvero minuscola, forse poco più piccola di una nocciola.

« Tutta l'energia sprecata…! »

Eyner afferrò Taruto per un braccio prima che saltasse addosso a Ren:

« Non poteva saperlo – lo blandì, sebbene la sua voce fosse piegata dall'irritazione – è inutile sfogarsi su di lui. »

« Ogni Goccia è una vittoria però, no? – mormorò Retasu – Non è molto, ma… »

Nessuno le rispose e lei ricevette appena qualche sorrisino poco convinto.

« Scusate…? »

Si voltarono sopresi di sentire la voce di Ren, specie così intimidita:

« A dire il vero… Quella pietra è sempre stata così, ma dove l'ho trovata ce n'era una molto più grande. »

Kisshu gli planò a mezzo metro dalla faccia squadrandolo assassino:

« E non potevi dirlo tipo immediatamente?! »

Lui non rispose e rimase ad occhi spalancati contemplando la ragazza dai capelli verdi, perduta tutta la sua verve linguistica:

« Io… »

« Dove l'hai trovata? »

Fece Minto concitata.

« Sulle colline… Poco distante da qui. – disse piano – Non ci vuole molto ad arrivarci. »

« Per favore! – esclamò Ichigo contenta – Dicci dove! »

Ren spiegò meglio che potè la strada che aveva fatto il giorno in cui aveva trovato la Goccia, indicando il sentiero visibile anche dalla loro posizione che serpeggiava su tra i declivi man mano più scoscesi.

Il gruppo lo ringraziò frettolosamente, si scusò con Lia e le altre donne e fece per avviarsi verso le porte di Loonare, quando Ren esclamò:

« Forse…! Forse se venissi con voi, vi sarei d'aiuto! »

Kisshu fece una smorfia del tutto scettica:

« Non ne sono convinto… »

« Vi prego! »

Era irriconoscibile dal Ren di pochi minuti prima; li scrutò senza dire altro, in trepidante attesa, con le ammiratrici alle spalle che si rodevano il fegato nel vederlo così inspiegabilmente agitato e desideroso di aiutare le straniere. MoiMoi fece  spallucce:

« La strada la conosce meglio di noi. Facciamolo venire. »

« In fondo vuole aiutarci – fece Purin allegra – e a me è simpatico! »

« Che strano, eh scimmietta? »

Lei non smise di sorridere e Taruto si premette una mano sul viso:

« Sei senza speranza… »

Nessun altro protestò, tranne Kisshu che non aveva tantissima voglia di ritrovarsi ancora quell'appiccicoso tra i piedi. Ren però non disse una parola a parte qualche ringraziamento e si avviò con loro fuori città, il viso steso in un sorriso emozionato.

« Ma che avrà da fare quella faccia cretina? »

Zakuro sorrise sorniona:

« Chissà… »

 

 

 

La prima parte di sentiero la percorsero senza problemi, esso serpeggiava placido tra collinette d'erba scura e saliva senza fatica sulle minime pendenze, accompagnando i passi del gruppo; all'improvviso la salita si fece più ripida, il terreno meno compatto, secco e disseminato di piccole rocce, e il sentiero si restrinse divenendo una minuscola lingua di terra marroncina sulle montagne grigioverdi, battute da un vento freddo e umido. Retasu si strinse nelle spalle rabbrividendo e si chiese perché qualunque altro supereroe avesse almeno una o due divise per affrontare il freddo, mentre loro dovevano sempre girare mezze nude.

« Manca ancora molto? »

Fumò Minto stanca per la camminata, nemmeno le loro scarpe erano l'ideale per la vita da eroine, specie lei e Zakuro coi tacchi, anche se la modella non mostrava tutto il fastidio della mewbird. Ren non le rispose, incantato a guardare la testa del gruppo a cui indicava il percorso man mano, in particolar modo su una chioma verde molto seccata dalla sua presenza.

« No – rispose con garbo – poco oltre quel crinale, subito fuori dalle tane dei djonk. »

Si arrampicarono su per un tratto di una decina di metri e poi la strada ridiscese con più dolcezza, mostrando un piccolo avvallamento circondato dalle pendici dei monti; una serie di grotte e cavità scure si apriva minacciosa verso l'oscurità.

« Allora? – sbuffò Kisshu scostandosi infastidito i capelli lunghi, impaziente di tornare al suo aspetto – Dov'è? »

Ren superò la testa del gruppo e mirò ad una serie di rocce disposte a cerchio appena fuori da una delle grotte più grandi, allungando fiducioso la mano; la ritrasse immediatamente diventando pallido:

« Ma dov'è…? »

Girò attorno alle rocce due o tre volte, agitatissimo, frugando con le dita in ogni minima sporgenza e spostando sassi, ma alla fine si dovette arrendere:

« Non c'è… Non c'è più, non capisco… »

« Come sarebbe a dire non c'è più? »

Sbottò Pai; Ren non potè far altro che abbassare lo sguardo mortificato e confuso:

« Era qui, ne sono certo. Non capisco perché… »

Si alzò in piedi e colpì per errore un sasso, che rotolò dentro ad una delle grotte. Un piccolo stormo di djonk, disturbato dalla pietra, uscì dal suo covo per spaventare gli intrusi e iniziò a svolazzare loro attorno perché se ne andassero. Minto si coprì il viso con le mani e indietreggiò provando ad allontanarli, inciampò e per poco non precipitò nella caverna alle sue spalle; riuscì a tenersi ad una sporgenza e cadde solo a terra, ma ciò non impedì al suo cuore di partire a battere come un forsennato.

Dovette essere la sua paura a farla reagire e mentre i djonk tornavano nella loro casa, il corpo della mewbird risplendette di azzurro.

Ren mormorò un'ambigua esclamazione in beliano e Kisshu lo squadrò con sufficienza:

« Tranquillo, non esploderà – fece schioccando la lingua – lo so, fa un po' impressione, ma alla lunga ci si abitua. »

« Minto-chan, stai bene? »

« Sì – rispose prendendo la mano di MoiMoi – mi sono solo spaventata un po'. »

Guardarono tutti alle spalle della mora la grossa cavità scura che scendeva ripida nelle viscere di Belia. Ichigo e Retasu deglutirono forte, a nessuna delle due piaceva il buio.

« Se quelle creature cercavano la Goccia – gracchiò la voce di Sando dai trasmettitori – può darsi che abbiano portato quella che si trovava qui nelle loro tane. »

« Non dirmi che dobbiamo pure scendere là sotto…! »

Gemette Ichigo.

« Hai idee migliori? »

« A-aspettate! – li bloccò Ren – È pericoloso…! Laggiù è un labirinto ed è troppo buio, vi perdereste! »

Come a rispondergli Masha volò pigolando verso l'ingresso della grotta e due grossi fasci luminosi si accesero dai suoi occhi rischiarando un percorso tra le rocce:

« Luce, luce! Pii! »

Sando dai microfono imprecò forte:

« Cazzo di aggeggio, almeno avverti! Sono diventato mezzo cieco! »

« Ops! Scusa! Scusa, pii! »

« Riesci a riprendere, senpai? »

« Sì… – bofonchiò lui – Piuttosto, vedete di stare tutti vicini e di non perder- »

Non terminò le raccomandazioni che all'entusiastico grido di andiamo! Purin si era già lanciata nella caverna.

« E ti pareva. »

« Purin, dove vai?! »

Taruto le corse dietro e gli altri subito dopo, Ren compreso, arrancando tutti nell'oscurità che li accecò; Masha li precedette e all'inizio le sue torce puntarono confusamente prima da una parte poi dall'altra, finché non trovò l'assetto giusto per volare e illuminare i loro passi.

« Ahi! »

« Purin! »

Taruto sorpassò di nuovo Masha e trovò la biondina, un paio di metri avanti, abbracciata ad una stalagmite più alta di lei e intenta a massaggiarsi il viso:

« Sto bene – lo rassicurò con tono nasale – però non l'avevo vista. »

« Questo perché fai le cose senza pensare, scema! »

Le sorrise nonostante il tono brusco e lei ricambiò allegra, il naso rosso e lucente per la botta.

« Che posto enorme… »

Sussurrò Retasu e la sua voce echeggiò lo stesso negli anfratti contorti, di cui era impossibile vedere la fine.

« Cerchiamo di restare il più vicini possibile – bisbigliò MoiMoi guardingo – è troppo buio per vedere bene dove mettiamo i piedi, potremmo finire in qualche buco; poi qui c'è poco spazio per lottare, se infastidissimo i djonk… »

« Infatti! Vi ho detto che qui è pericoloso! – fece Ren a gran voce – Vi prego, torniamo indietro! »

« Guarda che tu puoi anche restartene fuori. »

Ribattè Kisshu sferzante. Ren si ritrasse con una smorfia mista di preoccupazione e di indecisione e il verde sbuffò:

« Grazie dell'aiuto – gli concesse – ma ora ce la caviamo da sole. Tornatene pure a Loonare. »

Lui parve ponderarci qualche secondo e scosse la testa:

« No. Non posso lasciarvi sola signorina. »

« Oh, tranquillo! Me la cavo molto meglio di te! »

Replicò malevolo, ma quello non si scompose.

Restarono tutti in silenzio qualche istante, decidendo da che parte provare ad andare, quando Ryou emise un basso ruggito infastidito.

« Che succede? »

« Non lo sentite? »

Ichigo lo studiò senza capire e poi il suo orecchio destro pizzicò, stuzzicato da un basso rumore molto inquietante; fu una frazione di secondo e non fu sicura di averlo sentito, finché Kisshu non chiese:

« Chi è che sta facendo crick? »

« Che rumore sarebbe crick? »

« Questo. »

Replicò al fratello minore sollevando l'indice e anche Taruto lo sentì; dapprima uno ogni tanto, poi sempre di più e a maggior velocità.

« Cos'è che fa crick? »

« Purin-chan, se parli non si sente… Non è quella roccia che fa crick? »

« Quella è la goccia dalla stalattite, MoiMoi. Da quando le gocce fanno crick? »

Borbottò Sando.

« C-comincio a sentirlo anche io… »

« Ma da dove viene?! – sussurrò allarmata Ichigo – Non sono mica i djonk vero?! »

Infatti il rumore pareva tanti piccoli dentini battuti tutti assieme; Pai scosse la testa corrucciato:

« No… Sembra più… »

« Della roccia che si sgretola. »

Alle parole di Eyner tutti puntarono i loro piedi. Un secondo dopo il pavimento calcareo franò, troppo sottile per l'erosione e incapace di reggere tutto il loro peso.

Ichigo vide gli altri sparire inghiottiti dalla terra. Lei ammirò per un momento il bordo di una voragine e la sua parete, ma Kisshu le afferrò prontamente il braccio; la rossa tentò di fare presa coi piedi e risalire, sentendo il peso di entrambi scivolare verso il basso, quando vide la chioma bionda di Ren avvicinarsi e afferrare Kisshu per la vita, tirandoli al sicuro.

La mewneko rimase immobile finchè non sentì più alcun rumore e la terra sotto di lei smise di sbriciolarsi. Kisshu sospirò forte:

« Grazie amico. »

Il ringraziamento di "Lasa" accese in Ren un sorriso raggiante:

« Per lei q- »

« Ora però toglieresti la mano? »

Il biondo divenne scarlatto rendendosi conto che nella foga non aveva prestato attenzione a cosa si stesse aggrappando per tirare su le due ragazze; Kisshu continuò a fissare malissimo prima lui e poi le sue dita sul suo seno e Ren nascose la mano dietro la schiena, viola in volto:

« M-mi spiace… »

Kisshu replicò con un altro sospiro seccato, più infastidito dal fatto che lo avesse toccato che dal principio di essere stato palpato; del resto, lui non era abituato ad avere il seno.

« Tutto a posto micina? »

Ichigo era tra le sue braccia, dove l'aveva raccolta mentre venivano issati, e lui le sorrise contento di vederla incolume. Lei si ritrasse un po', a disagio, ma si dimenticò presto di dove si trovasse e guardò terrorizzata le voragini da cui erano circondati.

Si affacciò di sotto e chiamò con foga gli altri uno per uno: qualche voce gli rispose, confusa nell'eco che seguì, qualcun'altra no. Si guardò attorno disperata e Kisshu le mise una mano sulla spalla:

« Calmati. Respira. »

Anche nella sua voce c'era una certa angoscia, ma il vederlo così calmo la tranquillizzò. Inspirò ed espirò a fondo e gli annuì lentamente.

« Prendi il trasmettitore e vediamo se sono tutti sani e salvi. »

 

 

***

 

 

« C'è nessuno?! Ragazzi ci siet- Ahi…! »

« Minto nee-chan! Sono qui! »

La mewbird si tolse la mano dal ginocchio bruciante e mosse qualche passo a tentoni con le mani protese avanti: non vedeva assolutamente nulla, né davanti né dietro, né di lato, neppure le sue mani; sentiva lo sdrucciolare di qualche sassolino riecheggiare attorno a sé, i suoi passi ovattati, e Purin che si agitava in un punto non meglio definito se vicino o lontano da lei.

La udì mandare uno strillo di sorpresa e poi la voce di Taruto la zittì:

« Calmati scimmietta da circo, sono io! »

La mewscimmia sospirò sollevata e Minto sentì Taruto protestare, con ogni probabilità la biondina lo aveva abbracciato o cose simili.

« Aspetta Minto! Non muoverti, resta ferma! »

« O-ok – mormorò stupita dell'ordine – ma non parlarmi più con quel tono, ragazzin- »

Pure a lei sfuggì un urletto quando di colpo avvertì qualcosa serrarsi sul suo polso; capì che era una mano e, dato che Purin si trovava nella sua mewform e quella mano non era guantata, immaginò fosse Taruto.

« Ma tu ci vedi? »

« Un pochino – rispose un po' mortificato – voi due proprio niente? »

« Non vedo nemmeno la punta del mio naso. »

Mugugnò la mora. Mosse un passo verso di lui che la spinse indietro e tuonò:

« Ti ho detto di non muoverti! »

Lei indietreggiò mansueta, per un istante aveva sentito la punta del piede oscillare nel vuoto.

« C'è un buco qui davanti a te e non so quanto sia profondo. Vola finché non te lo dico io. »

Obbedì, un brivido gelido che le attraversò la schiena, e si sollevò un poco da terra seguendo il braccio che Taruto le tirava con gentilezza finché non le disse di posare i piedi a terra. Lui rilassò le spalle ma era preoccupato: non vedeva quasi nulla, forse se fossero stati solo in due sarebbe riuscito ad uscire incolume, ma in tre con solo lui a fare da occhi era impossibile.

I ciondoli delle due ragazze trillarono argentini e per poco tutti e tre non furono assordati dal rimbombo del rumore nella gola. Fu Minto a rispondere:

« Ichigo? Stai bene? »

« Io sì. Qui con me ci sono Lasa – fece pronta – e Ren-san… Minto sei sola? »

La mewbird emise un muto verso di assenso:

« Ci sono Sury e Purin con me. Ma non capisco dove siamo, anzi, non vedo dove siamo. »

Fece affranta.

« Non muovetevi, resistete un minuto. – gracchiò lontana la voce di Sando – Questo cosetto sta elaborando la piantina delle grotte… Vediamo come uscirne. »

 

 

***

 

 

Solo lei poteva ritrovarsi dall'interno di una grotta dentro ad un fiume; ringraziò di essere già trasformata, così non sarebbe potuta annegare prima di capire cosa fosse successo.

Perfino così, però, la corrente era forte, l'acqua gelida, e lei ne aveva bevuto due buone sorsate prima di uscirne; sbracciò per rimanere il più possibile fuori, cercando un punto per tornare a terra, ma era troppo buio.

« Dammi la mano! »

Sobbalzò alla voce di Pai e obbedì, lo sguardo in alto cercando di capire dove fosse e non vedendolo, e si sentì teletrasportare all'asciutto.

« Grazie… »

« Ti sei fatta male? »

Lei scosse la testa, immaginando che lui la vedesse nonostante il buio, e si strizzò un poco gli abiti zuppi d'acqua ghiacciata.

« Cos'è successo? Dove sono gli altri? »

Lo sentì frugarsi nelle tasche e sospirare:

« Non lo so. »

Il rumore di qualcosa che si rompe e dalle mani del ragazzo iniziò a fluire una luce fredda; Retasu lo guardò posizionarsi sulla spalla un curioso oggetto sferico, che le ricordò uno starlight sebbene la forma fosse molto diversa e la luce emessa molto più potente. Distinse finalmente il piccolo fiume limpidissimo in cui era precipitata, la grotta sottostante a quella da cui erano entrati che li circondava e  il buco sul soffitto da cui erano caduti; non c'era nessun altro con loro, ma le sembrò di udire delle voci lontanissime risuonare nel buio.

Quando il suo ciondolo trillò sopra lo sciabordio del fiume lo afferrò con tale foga da staccarselo dal collo:

« Ichigo? »

 

 

***

 

 

Non era stata una delle sue cadute migliori, lo doveva ammettere. Era caduta così malamente da avere difficoltà a capire dove fosse il sopra e dove il sotto, ma almeno non le sembrava di avere ferite o contusioni gravi. Era stata anche fortunata, era caduta sul morbido, ma non capì dove perché neppure con i suoi occhi da lupo distinse qualcosa nel buio denso come pece.

« Zakuro… Stai bene? »

« Eyner… – lei si massaggiò frastornata le tempie – Sì, non credo di essermi rotta niente. »

Lo sentì sorridere:

« Ora, non sei pesante, però… Ti dispiacerebbe scendere dal mio stomaco? »

Aveva una spiegazione per l'arrivo morbido. La mora balzò immediatamente in piedi e lui tossicchiò un poco ridendo:

« Complimenti per l'atterraggio. »

« Scusa. »

« A posto, a posto! – sdrammatizzò subito – Il salto sullo stomaco è lo sport preferito di Sury per darmi la sveglia, sei stata quasi più delicata. »

Zakuro emise un sospiro divertito. Eyner creò una piccola fiamma che illuminasse la gola dov'erano caduti, deserta eccetto che per loro due; prima ancora che si domandassero dove fossero gli altri il ciondolo della mewwolf squillò.

 

 

***

 

 

All'iniziò fu più forte la paura. Era in uno spazio stretto, troppo stretto, pareti e rocce gli impedivano di muoversi e non capiva dove fosse l'alto e il basso; i suoi occhi animali si spalancarono, bramando un minuscolo bagliore di luce, e ottennero solo ombre; il suo respiro si fece irregolare per il tempo in cui ruggì pregando che qualcuno rispondesse, ma il suo richiamo echeggiò sordo tra le pareti morte.

Sono solo. Sono da solo.

« Ryou-chan…! Ti prego spostati, o torna normale! Sei pesantissimo! »

Lui emise un astruso uggiolio e udì il rumore di qualcosa che veniva rotto; tornò alla sua forma umana mentre uno strano starlight rotondo si illuminava nella mano di MoiMoi, steso sotto di lui:

« Stavo soffocando…! »

« Scusa MoiMoi-san – bofonchiò il biondo alzandosi – ti ho fatto male? »

« No… »

Si fermò a guardarlo e ridacchiò prendendolo in giro:

« Sei troppo irruento! Ci conosciamo da troppo poco. »

« Per favore MoiMoi-san. »

« Uff, non hai senso dell'umorismo! – protestò alzandosi – E nemmeno della strategia! Guarda che fare gli indifferenti non sempre paga. »

« Come? »

L'altro lo zittì con un cenno portandosi una mano all'orecchio e allungandosi verso l'alto, dove una luce artificiale rischiarava un'apertura del soffitto; si frugò in tasca e prese il suo trasmettitore.

 

 

***

 

 

« Kisshu-chan? State bene? »

Il verde agguantò rapido il suo trasmettitore dalla tasca dei pantaloni e cinguettò con voce più acuta possibile:

« MoiMoi-chan?!  Sìì , qui tutto bene! »

Qui c'è ancora l'idiota! Non farci scoprire, è capace di denunciarci! E io ci tengo al mio compagno d'avventura!

Pregò silenziosamente e strinse le cosce dal terrore all'idea di un'evirazione non richiesta. Per sua fortuna MoiMoi colse al volo ed emise una serie di strani rumori d'interferenza per mascherare la sua svista prima di esclamare sollevato:

« Lasa! Tutto a posto?! »

« Qui stiamo bene, diciamo. – sospirò il verde – Lì? »

« Ci siamo io e Ryou. Sembra che siamo precipitati in una piccola caverna sotto la principale… Ma stiamo bene. »

« Anche noi… Io sto bene – si corresse Retasu – c'è Lena-san qui con me. C'è una grotta enorme, e c'è un fiume... Sembra che vada ancora più in basso di dove siamo noi. »

« Qui tutto a posto, sono con… Milin – si aggiunse Zakuro – stessa situazione. Vedo un sentiero laggiù… Ma non so dove porti. »

« Sei fortunata onee-sama, qui non vediamo neppure dove siamo! »

Gemette Minto.

Di sopra, Masha svolazzò vicino a Ichigo e mandò la voce di Sando:

« Ora state zitti. Cavolo, questo piccoletto ne ha di circuiti sotto tutto quel pelo…  borbottò tra sé e sé e poi riprese – Sembra che le gallerie di questa grotta convergano tutte in una più grande, duecento metri più giù in linea d'aria. Se fate attenzione e le percorrete senza farvi crollare le pareti addosso, dovreste uscirne incolumi. »

« Sei sempre molto rassicurante! – sbuffò MoiMoi – Invece di fare il disfattista, vedi se riesci ad inviare le mappature di Masha ai nostri trasmettitori, così magari evitiamo di morire qui sotto. »

Nello sfrigolio delle comunicazioni si udì un piagnucolio strozzato di Retasu e Ryou fece laconico:

« Frase sbagliata MoiMoi-san. »

 

 

***

 

 

Taruto, spenta la schermatura e tornato alla sua forma normale, prese in mano il suo trasmettitore che emise un bip sordo e una rozza mappa del dedalo di gallerie illuminò a malapena la gola in cui lui e le due ragazze erano precipitati; Purin, abbracciata alla sua schiena, borbottò mogia:

« Però continuiamo a non vedere niente… »

« Se mi molli trovo una soluzione. »

Mugugnò arrossendo e tese la mano libera verso il terreno: una serie di enormi fiori bianchi, con il centro che emetteva una rassicurante luminescenza verde acqua, emersero tra le rocce illuminando un preciso percorso come lampioni su una strada.

« Beh, niente male. »

Ammise Minto e gli sorrise ammirata; Taruto ricambiò con un ghignetto compiaciuto.

« Sei bravissimo Taru-Taru! »

« E-ehi, scendi immediatamente! – protestò divampando mentre lei era aggrappata alle sue spalle – Sei pesante! »

Minto sbuffò al loro spettacolino e iniziò ad incamminarsi sul sentiero fiorito: nonostante stessero tutti bene continuò a sentirsi angosciata, quel posto pareva enorme e la sua mente razionale non smetteva di porle di fronte tutti i possibili pericoli, incidenti, errori nonché le scarsissime probabilità di trovare la Goccia in tempi brevi. Prese un fondo respiro per calmarsi e proseguì, seguita dai due ragazzini che non avevano ancora smesso di punzecchiarsi come una coppietta di sposi novelli.

 

 

***

 

 

L'aria laggiù era ferma e bagnata, rarefatta al punto che Retasu, non proprio un'amante degli spazi chiusi, iniziò ad avere dei giramenti di testa; tentò di darsi un contegno, di respirare con la massima calma e mantenere la lucidità, le orecchie otturate dallo sciacquio del rigagnolo al loro fianco divenuto solo un filo trasparente tra le rocce rossastre: vedeva degli esserini bianchi, piccoli pesci e granchietti, che sbucavano di quando in quando tra un guizzo e l'altro, per nulla preoccupati o interessati alla loro presenza ma infastiditi dalla luce che Pai portava e nascondendosi alla sua vista. Lui, che aveva ripreso il solito aspetto, non era minimamente interessato all'ambiente circostante che aveva degnato solo di una rapida scorsa quando aveva fatto luce, e camminava a passo spedito indifferente sia che ci fosse poco ossigeno sia, apparentemente, che la sua compagna di viaggio arrancasse goffa sui sassi per star dietro alle sue falcate.

Per lo meno è così buio che non può volare.

Pensò lei sconfortata mentre i polmoni la obbligarono a fermarsi e accasciarsi con le mani sulle ginocchia.

« Vuoi riposarti un po'? »

La verde alzò confusa lo sguardo incrociando quello di Pai, inginocchiato di fronte a lei, e avvertì le guance diventare caldissime nell'ambiente umido.

« N-no… Solo un momento – sorrise impacciata – qui c'è poco ossigeno… E io non sono proprio una sportiva. »

Lui mandò un verso d'accordo. Si rialzò, non prima di averle portato due dita sotto il mento e averle alzato il viso – cosa per cui lei rischiò di morire per colpo apoplettico fulminante – sentenziando:

« Siediti, piuttosto, non stare così ammucchiata. Se fatichi a respirare peggiori le cose. »

Si accomodò sui resti di una colonna calcarea distrutta incrociando le braccia e guardandosi attorno pensieroso. Retasu si aggiustò in ciuffo dietro l'orecchio e si sedette ubbidente poco lontano, sospirando profondamente.

Per un secondo aveva creduto che Pai la stesse per…

Fece finta di doversi strizzare un altro po' un lembo del costume pur di nascondere il viso arrossato.

Ma che sto pensando?! Sono impazzita?!

« Scusami. »

« C-come? »

« Passeggiare con calma non è il mio forte. »

Retasu impiegò un minuto per capire che si stava riferendo a lei che faticava a stargli dietro per la sua camminata da maratoneta; scosse frenetica la testa:

« Figurati! Sono io che sono una lumaca…! »

Le accennò un sorriso e Retasu sentì ancora una stretta allo stomaco che le fece chinare la testa. Lo studiò alzarsi con la coda dell'occhio e andare verso il ruscelletto, immergere due dita in acqua(*) e poi chinarsi per bere un po'. Lei si stropicciò i ciuffi verdi che rimanevano libero dalla lunga coda e si mordicchiò le labbra, chiedendosi mesta per qual motivo fosse dovuta capitare proprio con Pai: non riusciva più ad ignorare ciò che accadeva quand'era in sua presenza, però non voleva pensarci.

Era troppo strano. Troppo improvviso, troppo incomprensibile. Insomma, era troppo…

Complicato.

« È buona. – le disse lui alzandosi e asciugandosi il mento – Bevi un po'. Non abbiamo né mangiato né bevuto niente da stamattina. »

Retasu si accorse solo in quel momento di quanta sete avesse e andò ad inginocchiarsi accanto la fiume. Ne approfittò per sciacquarsi per bene il viso, perché tutta la nebbia della stanchezza e tutti i suoi inappropriati pensieri venissero lavati via.

 

 

***

 

 

La galleria dove stavano camminando Eyner e Zakuro si trovava subito sopra il fiume sotterraneo: larga appena a sufficienza per passarci in due affiancati, la galleria trasudava dell'umidità sottostante e dell'aria stantia e le fiamme che Eyner, tornato uomo, muoveva sopra di sé non aiutavano a stare più freschi; per lo meno vedevano a più di un metro dai loro piedi e la luce rossastra dava alle pietre un aspetto meno spettrale.

La cosa non tranquillizzò troppo la mewwolf, che non vedeva l'ora di tornare alla luce del sole.

Non era solo per l'ambiente ostile, ormai da parecchi minuti aveva avvertito dei picchiettii e dei passettini di minuscole zampette che la innervosivano moltissimo, stuzzicando senza interruzione i suoi sensi animali.

Spuntò all'improvviso. Sul suo stivale sinistro passò un piccolo millepiedi, rapido come un fulmine e terrorizzato dall'invasione della sua casa, che cercò riparo dalla luce insinuandosi sotto una roccia. La mora si contrasse come avesse preso la scossa.

Maledizione.

« Zakuro…? »

« Sì? »

Eyner la studiò attento, per un secondo aveva avuto l'impressione che qualcosa la turbasse, ma lei lo fissò di rimando pacata e tranquilla come d'abitudine e lui scrollò le spalle:

« Niente. Lascia perdere. »

Svoltarono un angolo incappando in un grosso masso che ostruiva metà passaggio. Eyner si fece avanti gentile per spostarlo almeno un po' e permettere ad entrambi di non strisciare tra la roccia e il soffitto, e l'addossò alla parete rivelando il terreno nero e umidiccio brulicante di insetti.

« Ops. Scusate. – ridacchiò alla vista delle bestiole che scappavano in tutte le direzioni – Trasloco non richiesto. »

Girò la testa e fu certo di non sbagliarsi: appena lo sguardo zaffiro si era scostato verso il basso Zakuro si era irrigidita, diventando più smunta del dovuto, e non sembrò propensa a muovere neppure un passo oltre il nugolo di scolopendre, centopiedi e vari cugini che si ammucchiavano uno sull'altro nella fanghiglia.

« Zakuro? »

Lei si scosse un poco, gli occhi puntati sul cerchio irregolare di terra umida, e allungò titubante un piede oltre il mucchio di insetti; quando un paio di esserini le passarono vicino al piede  il pelo della coda le si drizzò mentre bruciava l'ultimo mezzo metro oltre l'ostacolo praticamente correndo.

Eyner la studiò muovere un paio di passi incerti mentre rilassava le spalle, rigide come piombo, e titubante chiese:

« Tu… Hai paura degli insetti? »

La mora lo fulminò con un'occhiataccia muta e riprese a camminare con più foga, irritata come non mai.

Paura? No, lei ne era terrorizzata(**), e non riusciva a pensare a qualcosa di più umiliante e stupido: affrontava mostri alti dieci metri, alieni e pericoli di ogni sorta, e poi le tremavano le ginocchia di fronte a creaturine grandi quanto il suo dito indice e che avevano molta più paura di lei che il contrario. Eppure non riusciva a farne a meno, le bastava captare il sentore di un essere con più di sei zampe per inorridire; inoltre, da quando era diventata una MewMew, non le sfuggiva la presenza di nemmeno il più piccolo insetto, cosa non poco demoralizzante per qualcuno che ne avrebbe visti il meno possibile.

Si fermò poco più avanti in attesa che Eyner la raggiungesse con la luce. Lui non le disse niente, riprendendo a camminarle a fianco, e lei sfogò con discrezione la frustrazione sui sassolini che incappavano negli stivali, trattenendosi a viva forza dal sobbalzare quando altri insetti sempre più frequenti le zampettarono vicino all'orecchio. Il bruno non capì perché arrabbiarsi tanto, le fobie delle persone non erano qualcosa di razionale o controllabile, ma forse lui era di parte: Zakuro gli era sembrata molto meno distante, seppur spaventata, affabile e quasi dolce, e per un delirante secondo aveva pensato di abbracciarla per tranquillizzarla; si era trattenuto immaginando una reazione non poco violenta e il suo corpo abbandonato esamine in una galleria.

Avanzarono ancora una decina di metri e gli insetti aumentarono di numero ad ogni passo, diventando una preoccupazione anche per lui; Zakuro era sempre più a disagio, ma si ostinò a camminare a testa alta ripetendosi di scacciare quella sciocca paura. Di colpo non solo le pareti, ma anche il pavimento e il soffitto furono ricoperti da esserini striscianti che puntarono nella direzione opposta alla loro correndo terrorizzati.

Aumentarono, aumentarono e aumentarono, finché non furono così tanti che iniziarono a camminare uno sull'altro raggiungendo il livello delle loro tibie e nemmeno Eyner trattenne un brivido schifato al sentore freddo e viscido della marea.

Zakuro si congelò in mezzo alla galleria e divenne così pallida che parve svenire. Si sentì accapponare la pelle mentre zampettine acuminate le graffiavano la pelle delle gambe arrampicandosi sui suoi stivali, antennine fragili come vetro le stuzzicavano le braccia e chelette schioccavano sopra la sua testa; avrebbe voluto retrocedere o almeno scappare più avanti, ma quelle bestiacce erano ovunque e lei avvertì il pelo delle orecchie e della coda rizzarsi in segno di pericolo e lo stomaco rovesciarsi dal disgusto.

Non si rese conto del braccio attorno a sé finché non posò la spalla contro il petto di Eyner: vide il ragazzo generare una lunga fiammata che invase tutto il corridoio di fronte a loro, causando un fuggi fuggi generale di tutti gli invadenti inquilini. Lei rimase immobile e in silenzio e si sentì stranamente più calma in quella stretta discreta.

« Ma che razza di insetti sono? – protestò il bruno vedendo che il suo attacco li aveva solo allontanati – Sono ignifughi?! »

Tornata più lucida la mewwolf si permise di sbirciare le odiate creature e, in effetti, non vide nessuna rimanere ferita dalle fiamme di Eyner; a ben guardare, però, non era perché fossero a prova di fuoco.

« Guarda bene. »

Sussurrò indicando una parete ed Eyner si rese conto che le fiamme passavano attraverso gli insetti come se non avessero consistenza.

« Non… Sono veri? »

Si domandò incerto. Zakuro cercò una spiegazione, ma non trovandola provò a fare ciò che stava facendo da un paio di minuti, ossia calmarsi. Ancora ferma con il braccio di Eyner attorno alle spalle chiuse gli occhi, respirando lentamente, pensando a tutto tranne che ai disgustosi esserini che le gelavano il sangue e intuì il ragazzo bloccarsi per lo stupore:

« Sono spariti… »

La mora, per nulla allettata all'idea di rivedere il fiume di centopiedi, socchiuse un occhio solo: le pareti erano nude e spoglie come quando erano partiti.

« Erano illusioni… – riflettè lei ad alta voce – Più mi impressionavo, più aumentavano, ma appena mi sono calmata… »

« Si è scoperto l'inganno. »

Concluse Eyner annuendo. Ritrasse di scatto la mano che aveva ancora posata sulla spalla di Zakuro e guardò sulla parete opposta: immaginò che fosse molto arrabbiata per l'invasione del suo spazio, ma l'aveva vista così atterrita che non era riuscito a non stringerla.

La mora non disse nulla né dimostrò interesse per il suo gesto e lui, un po' scoraggiato, riprese:

« Era quasi un… Meccanismo di difesa. Per allontanare gli intrusi. »

« O una trappola. »

Si scambiarono un'occhiata.

« Parli di Zizi e degli altri? »

« Potrebbero farlo? »

« Non lo so – ammise scuotendo la testa – non hanno mai mostrato tutti i loro poteri, dopo essere diventati Ancestrali. »

Zakuro annuì e ripresero a camminare guardinghi, il corridoio divenuto all'improvviso molto più ostile.

« Eyner? »

« Sì? »

« Grazie. »

 

 

***

 

 

« Voglio che ti spieghi per bene. »

« Insomma, Ryou-chan, come sei noioso! Mi hai capita benissimo! »

« Preferirei evitassi il chan… »

« Ok Ryou-chan. »

« Oh my God… »

Il violetto trotterellò davanti a lui fischiettando tranquillo, nemmeno fossero ad una scampagnata. Ryou era molto contento di poter finalmente tornare a parlare e muoversi sulle proprie gambe, ma i discorsi di MoiMoi non gli erano piaciuti affatto.

« Non puoi continuare ad essere così ambivalente con Ichigo-chan – sospirò dopo un po' l'alieno – la manderai al manicomio! »

Ryou non rispose.

« Ichigo-chan è… Un po' tonta per certe cose – ammise con tenerezza – se insisti a fare l'indifferente per poi cedere quando non ne puoi più, non capirà mai. »

« … E cosa dovrebbe capire? »

MoiMoi si fermò incrociando le braccia e guardandolo con sufficienza:

« Caro mio, pensi che sia cieca? Hai scritto in fronte a caratteri cubitali "Ichigo sono innamorato di te". »

Lui lo squadrò superiore e proseguì senza replicare.

« Cos'è ti da fastidio che si capisca o che un'aliena ti stia dando consigli? »

Il biondo si fermò guardandolo da oltre la spalla, erano evidenti entrambe le cose. MoiMoi sospirò seccato, l'onestà doveva essere morta e sepolta da un pezzo dentro al ragazzo; ci pensò un poco sul se e come dire la frase successiva:

« Senti… Ichigo-chan è preoccupata, ha tanti pensieri con il suo f- »

« Chiudi il becco brutta checca! »

Il violetto si raggelò dove si trovava e soffiò furioso:

« Scusa come hai detto?! »

Ma Ryou non parve capire:

« Cosa? Non ho detto niente. »

« Non prend- »

« Parli ancora?! Devi stare zitto, checca schifosa! »

Le parole gli morirono in gola, non era Ryou a parlare. Il biondo lo vide diventare cereo e guardarsi freneticamente attorno, spaventato, e gli andò vicino:

« Ehi, stai bene? »

« Io… Io non… »

Emise uno squittio impaurito e si accucciò a terra coprendosi le orecchie con le mani; il ragazzo gli mise due dita sulla spalla, preoccupato, e anche lui iniziò a percepire uno strano mormorio, una sorta di nenia malevola, che invece a MoiMoi giungeva chiara e nitida. Si rannicchiò di più, le mani serrate sulla testa come a volerla schiacciare, e presto anche Ryou vide e sentì ciò che sentiva lui: ombre oscure, confuse e spaventose, con le vaghe sembianze di anonimi soldati di Jeweliria, parlavano a gridavano insulti in direzione di MoiMoi con un tale sprezzo che al biondo si ritorse lo stomaco.

Sparisci checca schifosa!

Fai schifo!

Speravi di divertirti unendoti all'esercito eh?!

I mezzi uomini non hanno diritto di parlare!

« Fuck! »

Non seppe cosa dire né cosa fare, di secondo in secondo MoiMoi appariva più terrorizzato e le voci crudeli diventavano più distinte. Disgustato, bloccato dall'ormai nota e odiata sensazione d'impotenza, se ne restò con le mani porte verso il violetto finché questo non gliene afferrò una, stringendola così forte che Ryou temette gli avrebbe rotto le dita. L'istinto fu di ritrarsi, eppure la minuta mano di MoiMoi tremava tanto che Ryou cancellò l'atavica antipatia per la razza aliena: ricambiò la presa mandando un altro paio di parolacce in inglese per la forza con cui l'altro gli artigliò il palmo,  e cercò di non lasciarsi incantare dal frastuono di insulti e veleno delle ombre attorno a loro.

Non sono vere. Non possono essere vere.

Andò avanti per minuti, ore, Ryou non seppe dirlo con certezza. Udì MoiMoi mormorare a denti stretti di calmarsi con ansia spasmodica, ma la cosa che parve confortarlo di più fu avvertire la presenza dell'americano lì vicino. A poco a poco, con lo stesso mormorio inquietante di quando erano arrivate, le ombre scivolarono via e attorno ai due ragazzi  ricomparve la galleria scura e tranquilla illuminata dalla luce verde pallido creata da MoiMoi.

« What fuck was that…?! »

Il violetto, sempre rannicchiato a terra, non rispose scuotendo un po' la testa e lo lasciò andare; Ryou lo fissò a lungo senza trovare qualcosa di intelligente o pregante da dire. MoiMoi si fregò le mani sul viso, chinato verso il basso, e con un sospiro tremulo si costrinse a rialzarsi: aveva le guance rosse ed era chiaro che avesse pianto nonostante il sorriso che gli rivolse.

« Questa è stata una cosa inquietante! »

Ridacchiò con scarso entusiasmo. Ryou rispose con un monosillabo sordo:

« Cos'era? »

« Non ne ho idea. »

« … Se non sapessi che non possono essere qui – disse piano il biondo – darei la colpa ai vostri amici ossigenati. »

MoiMoi scosse la testa:

« Toyu, Zizi e Lindèvi non sono capaci di attacchi così raffinati. Forse un loro chimero, ma avrebbero potuto colpirci molto prima se sapevano che ci trovavamo a Belia. »

« Pensi che centrino i djonk? »

« Non sono animali troppo intelligenti, né con particolari poteri a quanto mi ha detto Lia-san – replicò – ma erano interessati alla Goccia, forse è scattato qualcosa… Come la ragazza a Tokyo. »

« Dici che si è fusa con uno di loro? »

« Potrebbe… Sono animali territoriali, forse il Dono ha sviluppato in loro uno strano sistema di difesa della tana. »

Ryou annuì pensoso, il solo modo per saperlo era rintracciare la Goccia. MoiMoi, più tranquillo dopo aver riflettuto su altre cose, riprese a marciare con la luce sferica poggiata su una spalla.

« … Mi dispiace che tu abbia assistito ad una cosa simile. »

Non udì alcuna risposta dall'americano e continuò:

« Era… Tantissimo tempo che non pensavo a… »

S'interruppe un istante perdendosi nei suoi pensieri:

« Deve essere per questo… Mi è preso un colpo! »

Rise forzatamente. Ryou non rispose ancora per un paio di minuti.

« … Quand'ero piccolo venivo spesso preso in giro e malmenato da ragazzi che avevano almeno il doppio dei miei anni, solo perché avevo la capacità di studiare al loro livello. »

Dal tono MoiMoi intuì che non sperava neppure di paragonare qualunque tormento avesse patito lui con il suo bullismo, ma era un tentativo di confortarlo in qualche modo:

« Evidentemente le persone intelligenti danno noia agli idioti. »

Gli rivolse un mezzo sorrisetto strafottente e MoiMoi rise di gusto sentendosi davvero meglio.

« Allora sei capace anche di dire cose gentili, uh? »

Lo canzonò dopo un po'  il violetto e Ryou replicò con un sorrisetto furbo. MoiMoi lo studiò ancora un poco, ponderando divertito:

« Quasi quasi… Non sei nemmeno da buttarvi via, anzi… »

« Come? »

MoiMoi non rispose e insisté a borbottare tra sé e sé:

« Mmm, no, mi sa che non funzionerebbe. – concluse infine e gli ammiccò – Sei carino, ma non il mio tipo. Sei troppo mingherlino. »

« Io sarei… Cosa? »

Il violetto fece un cenno di superiorità con la mano e riprese a camminare fischiettando; Ryou si scompigliò i capelli, gli occhi spalancati in un'espressione frastornata, e sbuffò stremato.

Sono sicuro che, prima che finisca questa storia, dovrò tornare dall'analista.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) Pai lo fa anche nell'episodio 12, dove analizza la composizione chimica di un fiume solo immergendovi la mano ( °-°?!?!?)

(**) episodio 44

 

 

 

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Uhuhuhu… Yes, i'm baaad! *tono da supercattivo* gente sono ben 22 pagine, il buon senso mi ha imposto di fermarmi xkè altrimenti per uno stacco decente sono quasi sicura saremmo arrivati alla 30ina o anche + ^^"!

Kisshu: a te dovrebbero internarti…

Che ne dite J? In tutta sincerità mi piacciono un sacco le parti di Zak ed Eyn e quella di MoiMoi-chan e Ryou x3… Nessuno sfrutta mai la fobia della mora per gli insetti (cioè in effetti… E chi ci pensa °-°""?) ho colto la palla al balzo (muhahahahaaa +w+!). Non so se nella trama principale ci sarà abbastanza spazio per parlare del passato di MoiMoi, anche se ce l'ho tutto in testa e ho qualche bozza: è triste, ma mi piacerebbe scriverne… Vedremo, + che altro sempre per problemi di spazio, magari inserirò un cap extra :P

Pai: certo, perché non basta già tutto il resto -.-“!!

Ma che ti lamenti tu, che ti sta andando pure bene!

Pai: ????

Scemo -__-""…

Avevo promesso i bozzetti, ma ne ho così pochi che da mentitrice qual solo dovrò slittare -.-""… Fate con me scongiuri per i prossimi giorni, che siano davvero di vacanza çwç!!

Ringrazio con millemila baci a Hypnotic Poison, Danya, mobo e Allys_Ravenshade Spero abbiate gradito :3. Mando un bacissimo e un grazie enorme a  che hanno commentato, abbraccio i lettori e vi dico ALLA PROSSIMA!

 

Mata ne~♥!

Ria

 

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Capitolo 22
*** Toward the crossing: fourth road (part IV) ***


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Sn un po' in anticipo, mi perdonate le settimane di ritardo? *ride*

Seriamente, queste due settimane sn state un incubo… Prima mio (quasi) marito si prende un febbrone di 5 giorni astronomico e io gli do il cambio al lavoro… Poi me lo becco io! Vi giuro che sono una pezza ç__ç mocciolante e tossicchiante. Finalmente però non ho + febbre, e visto che ho dovuto rimandare una settimana di lezioni (mi viene da piangere TT-TT) e avrò una settimana in cui dovrò farmi un sedere a stelle e strisce come lo scudo di Capitan America molto intensa, ho deciso almeno di pubblicare il capitolo che in qualche modo (non ho idea di come °-°"!) ho terminato :P.

Ok gente ci siamo, siamo arrivati in fondo! Il gran finale di Belia! *ride*

Kisshu: ti odio -.-**

A dopo!

 

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Cap. 22 – Toward the crossing: fourth road (part IV)  

                 My sweet golden-eyed lady

 

 

 

 

 

Non aveva idea di quanto tempo avesse passato là sotto, ma ormai  la situazione l'aveva esasperata; avrebbe resistito ancora poco, lo sapeva, molto poco prima di dare di matto e fare una strage.

« Taru-Taru, puoi farne altri così? Sono così belli! »

« Certo che posso. – ghignò orgoglioso – Quello che ti sto chiedendo è il motivo. »

« Ma per me, no? »

Sorrise amorevole Purin e il brunetto divenne rosso:

« E perché mai dovrei farne per te?! »

« Per farmi felice ovvio. »

« Ma sei scema?! »

Lei ridacchiò contenta nonostante il suo broncio e gli si avvinghiò al braccio, cosa che malgrado le proteste a Taruto non parve dispiacere.

Minto strinse i pugni al limite della sopportazione.

Prima Ichigo con Masaya. Poi Kisshu che si attaccava come la carta moschicida sempre ad Ichigo. E le pigolanti donne di Belia. Ora pure Taruto e Purin!

Possibile che tutti quanti avessero la stramaledetta propensione di scambiarsi moine e sguardi languidi da cerebrolesi? Che nessuno paresse in grado di non rincretinirsi alla presenza di determinate persone?

I due ragazzini inoltre, almeno per i suoi gusti, le urtavano particolarmente i nervi con il loro sciocco stuzzicarsi a vicenda, che trovava davvero infantile: Purin che si perdeva in slanci affettuosi e Taruto che la scacciava a brontolii accesi e inutili, quando gli si leggeva in faccia che era cotto come una pera.

La morettina sbuffò e accelerò il passo per allontanarsi da quel caramelloso quadretto, svoltando un angolo; avvertì il vociare dei due sempre qualche metro dietro di lei mentre seguiva il cammino di fiori luminosi, quando all'improvviso la scia s'interruppe dopo pochi metri di una biforcazione.

Non era in grado di proseguire oltre, era troppo buio. Fu pronta a girare sui tacchi e ripercorrere un bivio a rovescio, fermandosi immediatamente nel momento in cui scorse qualcuno a bloccarle la strada. Il primo istinto fu di attivare il suo Tone Arrow, ma la sagoma le sembrò famigliare e strizzò gli occhi per capire, sobbalzando confusa:

« Kisshu! Ma come sei arrivato qui? »

Era proprio il ragazzo e lei si stizzì nel vederlo sogghignare come di consueto; drizzò le spalle imperiosa e gli andò incontro seccata scrutando da una parte all'altra:

« Ichigo e Ren-san dove sono? Erano con te, no? »

Lui non le rispose e Minto iniziò ad irritarsi davvero.

Tra l'altro perché se ne va in giro come uno stupido con la schermatura spenta? Vuole farsi scoprire?!

Fissò da capo a piedi in attesa di una spiegazione del perché non fosse nell'aspetto femminile e lui proseguì a sorridere irriverente.

« Purin e Taruto-kun sono qui vicino. »

Borbottò a denti stretti, forte nel suo proposito di essergli superiore seppur le desse ai nervi con il suo atteggiamento da perenne presa in giro, e gli diede le spalle per tornare indietro:

« Sarà meglio raggiungerli, qui non si vede nulla sen… »

Si sentì afferrare con forza e dolcezza per il polso e tirare contro il verde, che le passò un braccio attorno alla vita. Minto mandò al diavolo l'autocontrollo imposto e lo squadrò assassina dimenandosi:

« Cosa stai facendo pezzo di cretino?! »

Lui stiracchiò per l'ennesima volta quel suo sorrisetto malizioso e le posò il mento su una spalla:

« Io? – sussurrò roco – Proprio niente. »

Lei si sentì rabbrividire, ma non capì bene perché.

Le dita di Kisshu le sfiorarono leggere il polso e l'altra mano scivolò da un fianco all'opposto con movimenti morbidi e misurati; non disse ancora una parola e Minto lo percepì sogghignare, il respiro che le solleticava il lobo, e si diede dell'imbecille sentendosi divampare le guance.

Voleva – doveva! – liberarsi, ma per quanto si dimenasse lui non mollava la presa; cercò di protestare, Kisshu però sembrava divenuto sordo e quando le sfiorò appena l'orecchio con il profilo delle labbra il cuore di Minto perse un battito.

Che gli è preso?!

Era tutto troppo strano, non aveva alcun senso. Non seppe dove trovò la forza per divincolare il braccio dalla sua mano; lo caricò all'indietro e mirò con il palmo aperto alla guancia di Kisshu, strillando a pieni polmoni:

« Ora piantala!!! »

Il rumore secco dell'impatto e il bruciore alla mano le diede una certa soddisfazione. La voce che si lamentò per il colpo, un po' meno.

« Ahioo… Ehi, ma che ti è preso, brutta vecchiaccia pennuta?! »

« T-Taruto?! »

Minto si convinse di aver perso completamente la ragione. Sbattè le palpebre un paio di volte per riprendere lucidità e capire cosa fosse successo: era nel mezzo del bivio dove si era fermata, i fiori che terminavano a poca distanza da lei, completamente sola, riversa a terra e coperta di polvere.

« Onee-chan, stai bene? »

Mormorò preoccupatissima Purin. Minto annuì lentamente, stordita, e si alzò spazzandosi la terra dai vestiti:

« Cos'è… Successo? »

« È quello che dovremmo chiederti noi. – borbottò Taruto e si massaggiò la guancia colpita – Maledizione, che mano pesante hai! »

« Scusa… »

Disse dispiaciuta.

« Ti abbiamo persa di vista. – riprese Purin – Ti chiamavamo, ma non rispondevi, e poi… »

Fece una strana smorfia, quasi fosse a disagio; Minto corrugò la fronte e chiese con tono incerto:

« Poi? »

« Facevi facce astruse – spiegò Taruto brusco, mentre muoveva la mascella per togliersi l'indolenzimento della cinquina – ti contorcevi a terra da sola e ti lamentavi, diciamo. »

« Diciamo? »

Purin rispose con un sorrisino storto:

« Avevi la faccia tutta rossa… Ed erano lamenti un po' strani… »

« Non sembrava proprio che ti stessi lamentando. – tagliò corto il brunetto velenoso – Ho provato a chiamarti e quando ti ho toccato la spalla… Splat. »

E concluse picchiettandosi l'indice sulla gota gonfia e squadrando la mewbird parecchio incavolato. Lei sentì il caldo diffondersi fino al collo e sibilò con tono funebre:

« Tranquillo, erano lamenti di sofferenza! »

« Ti sei addormentata? »

« Non credo Purin – sospirò la mora spazzandosi le ginocchia – era troppo realistico per essere un sogno. »

E digrignò i denti stringendosi nelle spalle mentre inorridiva.

« Un'illusione? »

« Non sapevo che quei pipistrellacci potessero fare cose simili. »

Fece Taruto poco convinto. Purin si prese il mento tra due dita e riflettè mandando chiari suoni di concentrazione:

« Aspetta! – esultò di colpo schioccando le dita – Vi ricordate quella ragazza allo Yakori? E se la MewAqua avesse fatto qualche nuovo scherzetto? »

« Intendi dando strani poteri ai djonk? »

« Come scherzo l'ho trovato anche troppo pesante – sbottò Minto – ma ho capito che intendi. Non vedo perché no. »

« C'è solo un modo per scoprirlo. »

Taruto indicò la strada imboccata da Minto in cui stava generando nuovi fiori luminosi: il sentiero di inclinava con decisione verso il basso e si allargava verso una grotta, da cui si udivano leggerissimi squittii animali.

« Mi sa che stavi imboccando la strada giusta. »

 

 

***

 

 

Retasu era rimasta un po' indietro rispetto a Pai, che esplorò qualche metro più avanti mentre lei beveva un altro paio di sorsi d'acqua.

Camminavano da tempo lungo il corridoio senza sbocchi e tutti e due i giovani cominciavano ad essere molto stanchi. Perfino Pai iniziava a respirare con difficoltà la scarsa aria satura d'acqua.

Girò appena la testa guardando la verde portarsi alla bocca le mani a coppa e bere con soddisfazione, prima di alzarsi e zampettare con un leggero sorriso verso di lui.

Un paio di settimane prima, quel pomeriggio che l'aveva pizzicata a leggere nel cortile della Yakori, aveva riflettuto sul fatto che il sorriso della ragazza gli apparisse nuovo, sconosciuto rispetto ad altre espressioni, più consone a due nemici: era strano capire che si era sbagliato, strano accorgersi che pure quel sorriso era familiare, forse in qualche modo più del resto. O magari rimaneva solo meglio impresso di altro.

« Scusami, sono davvero lenta. »

Lui si lasciò sfuggire uno sbuffo divertito:

« Hai il vizio di chiedere scusa, noto. »

Lei divenne rossa e abbassò lo sguardo sorridendo:

« Sono così disastrosa? Anche Eyner mi ha detto la stessa cosa. »

Pai non rispose e guardò avanti mandando solo un monosillabo incolore. Retasu avrebbe voluto scusarsi, forse aveva ribattuto male a quella che era una constatazione e lei aveva scambiato per una battuta, ma strinse solo le labbra in silenzio.

Lui avanzò a larghi passi, solo il rumore basso del rigagnolo al loro fianco che accompagnava il loro camminare, quando di colpo qualcosa gli annebbiò la vista e fu costretto a fermarsi.

Credette si fosse trattato di un calo di ossigeno che gli aveva causato un leggero capogiro, ma subito un nuovo lampo gli coprì lo sguardo.

« N-non mi piace più questa cosa. Non voglio più lottare contro di loro…! »

« … Sciocco. »

Era stato lui a parlare? Ma le sue labbra erano immobili…

Lacrime e un grido disperato, famigliare, che gli straziò le orecchie. La sua mano che portava indietro il ventaglio…

« Pai-san? »

Sobbalzò sgranando gli occhi e si girò lentamente, Retasu lo fissava preoccupata con una mano stretta sul suo braccio destro, i grandi occhi color del mare tremuli:

« Stai bene? – gli domandò piano – Non mi rispondevi… »

Lui si rese conto di respirare con molto affanno e di avere la fronte  solcata da sudore gelido; le dita gli tremavano.

« Ti sei fermato e fissavi laggiù – continuò vaga la verde – e sembravi… Spaventato… »

Disse l'ultima parola con il timore di farlo innervosire, ma Pai non replicò. Ciò che sentiva scuoterlo da capo a piedi era senza dubbio paura, ma non seppe spiegare il motivo: la mente gli si era annebbiata per alcuni secondi, però non capì per quale motivo fosse rimasto paralizzato da quei dolorosi ricordi così di colpo.

Restò in silenzio a calmare il respiro. La mano di Retasu era sempre sul suo braccio, una presa gentile e ferma.

« Sto bene. »

Disse semplicemente alla fine e le fece un cenno di ringraziamento. Lei sorrise rincuorata di vederlo riprendere colore e nascose la mano dietro la schiena, arrossendo un poco:

« Meno male. »

Vide Pai studiarla, quasi valutando la sua reazione. Cercò di non incrociare il suo sguardo, a disagio, e quando aprì la bocca per dire qualcosa, qualunque cosa, sentì lo squittire dei djonk rimbombare dal fondo della galleria. Si morse il labbro inferiore:

« Li abbiamo trovati. »

Pai annuì in silenzio e fece comparire il suo ventaglio nella mano. Proseguirono attenti ad ogni movimento nella semioscurità, con Retasu che si sforzò di scacciare la sensazione che lui continuasse a fissarla con la coda dell'occhio. Sebbene non fosse solo un'impressione.

E se Retasu…

 

 

***

 

 

« Non dovete preoccuparvi. – disse Ren con tono rassicurante – Vedrete che le vostre amiche stanno benissimo. »

Kisshu lo guardò scettico:

« Io a dir la verità sono tranquillissima. »

Il biondo sorrise un po' deluso, sperava di poter confortare la bella jeweliriana o almeno di ricevere un minimo cenno di ringraziamento per il tentativo.

« Se vuoi tranquillizzare qualcuno, prova con lei. »

E accennò verso Ichigo che camminava un metro di fronte a loro. La rossa continuava a tormentarsi i guanti rosati e fissare in ogni anfratto un po' più scuro sperando di incappare in uno degli altri, ma Masha illuminava solo nicchie vuote.

« Cerca di calmarti rossa – mugugnò Sando – se questo cosetto continua ad agitarsi così tanto mi verrà da vomitare. »

Ma anche la sua voce era preoccupata. Ichigo rispose con un monosillabo d'assenso e fece una carezza a Masha, che riprese a svolazzare più dritto.

La campanella sulla sua coda tintinnò un paio di volte. Ichigo aveva davvero paura. Le ombre che si allungavano lontane dalla luce, tremule e sfuggenti, le donavano la sensazione di creature oscure pronte a ghermirla alla prima distrazione; avrebbe voluto avere le sue amiche vicino, sarebbe stata in grado di affrontare i draghi al loro fianco, ma saperle lontane e sperdute la rendeva fragile.

« Se avete affrontato noi non saranno due topastri con le ali a darvi filo da torcere. »

Lei girò appena la testa e sorrise malinconica verso Kisshu. Tutta la galleria rimase sospesa un istante nella penombra e nel cigolio delle alucce di Masha prima che un crepitio precedesse il foro che si squarciò sotto i piedi di Ichigo, inghiottendo lei e le sue urla.

Ren e "Lasa" si gettarono verso il buco e il biondo dovette afferrarla per la vita prima che si lanciasse dietro la rossa.

« Ichigo!!! »

 

 

Il buio totale e il rimbombo del grido mentre sbatacchiava lungo lo stretto condotto le strinsero di terrore lo stomaco più della terribile sensazione della caduta nel vuoto. Non seppe per quanto cadde, ma l'impatto con il suolo fu duro e improvviso e le strappò un piccolo strillo acuto mentre si accasciò sul fondo; la fronte strusciò sulla parete e lei si ritrovò ammucchiata in un buco stretto e claustrofobico.

Sentì la voce di Kisshu chiamarla, lontana, ma lei non potè muoversi né rispondere.

Non posso spostarmi. È stretto, troppo stretto…!

Ho paura…!

Cercò almeno di girarsi sulla schiena per respirare meglio, ma fu inutile.

Non ce la faccio!

Non riesco a respirare… Non respiro!

Ho paura! Ho paura!

Cal… Ti… Ichigo…

La rossa trattenne il fiato capendo che non si trattava della voce di Kisshu o di Ren. Tese l'orecchio per captare il flebile respiro che le sembrò chiamare il suo nome.

Calmati… Ichi…go…

« Tu? »

Non capì perché la voce di Ao No Kishi fosse così distante e debole e la cosa la rassicurò e la inquietò.

Devi calmarti… Ic… go… È solo…

« Calmarmi?! Non posso calmarmi! »

Pianse lei strozzata e il panico tornò a soffocarla.

E' solo un incubo… Calmati… Calmati

La rossa inspirò tremula un paio di volte e si sforzò di ascoltarlo; lasciò che il suo sussurrarle confuso la avvolgesse, che il tono famigliare le scaldasse il sangue congelato nelle vene per il terrore.

E' solo il…. Solo… Dono… Calmati… Sono… sono qui…

Inspirò ed espirò più ritmicamente che potè una, quattro, dieci volte finché non ebbe ripreso il controllo. Fu allora che si rese conto di non essere compressa in una buca, ma caduta da una spaccatura in un intrico di piccoli cunicoli secondari; c'era luce, seppur lieve, c'era aria, e aveva abbastanza spazio per allungarsi in tutta la sua altezza anche se doveva stare accucciata per non picchiare di testa contro il soffitto.

Va tut… to bene… Ichigo… È solo… un in… cubo…

« Ao No Kishi… »

Le sembrò che la voce di lui provenisse dalle sue spalle; ruotò faticosamente su se stessa puntando al cunicolo che aveva dietro: era buio, ma sul fondo vedeva un impercettibile bagliore che lasciava intuire il movimento della galleria e un suo arrivo in un ambiente più grande.

« Che mi è successo? »

Lo sentì rispondere ma non capì le sue parole, troppo sottili per avere un senso compiuto.

« C'è la Goccia laggiù? »

Sussurrò piano e lo sentì emettere un impercettibile .

Seguila… Hai un compito…

Presto… Ichigo… Questa sarà l'ult

« Cosa? »

Il nostro legame… È il nostro… nos… Legame…

Non potrò più… Non…

« Ao No Kishi? »

Vai Ichigo… Vai…

Lo chiamò ancora ma non ottenne risposta. Rimase immobile ancora un po', non poteva risalire e dubitava che sarebbe stato saggio per Kisshu o Ren provare a raggiungerla, era troppo stretto là sotto per più di una persona.

Fissò la galleria e deglutì forte, iniziando a strisciare. La gonna si impigliò più volte nelle piccole rocce del tunnel e udì la stoffa lacerarsi in più punti mentre le rallentava l'avanzata, finché finalmente il passaggio non divenne sufficientemente largo per poter procedere gattoni con comodità; la luce fece spazio all'oscurità che trapassò con gli acuti occhi felini e poi tornò di nuovo a vedere.

 

 

***

 

 

« Ichigo!!! »

« Ferma! »

Con un colpo di reni Ren trascinò via Kisshu dalla voragine in cui era precipitata la mewneko; non lasciò la presa fintanto che Kisshu non lo centrò con un destro alla mascella inveendogli contro:

« Devo andare a riprenderla! »

« È troppo pericoloso! – obbiettò con forza lui – Non si vede nulla, e il passaggio è troppo stretto. Potremmo restare bloccati, o schiacciarla scendendo in queste condizioni. »

Concluse più calmo e Kisshu schioccò la lingua furioso, ma non replicò oltre.

« Cerchiamo un altro passaggio, magari più in basso. »

Continuò a rassicurare Ren e cercò di afferrare la mano di "Lasa", che la ritrasse con una smorfia seccata.

« Guarda che col prossimo ti rompo tutti i denti. »

« Se avete finito con questo spettacolino – gracchiò nervoso Sando dal microfono – vi informo che sta arrivando qualcosa. »

Masha mandò un pigolio acutissimo e uno stormo di djonk invase la galleria svolazzando frenetico attorno a Ren e Kisshu. Il biondo estrasse goffamente la sua spada e finì subito travolto alle spalle, cadendo di faccia in una depressione del terreno; Kisshu imprecò furente:

« Non ho tempo di giocare con voi. »

I sai del ragazzo guizzarono in tutte le direzioni, centrando un bersaglio dopo l'altro con precisione chirurgica. Ren, ancora accucciato nel suo buco, osservò rapito i movimenti perfetti dell'aliena dai capelli verdi:

« Magnifica… »

Guardò "Lasa" scattare verso di lui e si ritrovò a baciare il pavimento: avvertì un gruppo di djonk sfiorare l'aria sopra di lui, e la mano dell'aliena premuta sulla sua testa; la scrutò con la coda dell'occhio fare perno sulla sua nuca e compiere una capriola per evitare l'assalto, colpendo le creature alle spalle con una scarica.

« Wow. »

« Hai intenzione di lucidarti gli occhi ancora per molto o vuoi renderti utile? »

Con aria ebete Ren, il naso e i capelli sporchi di terra, fissò il robottino e Sando sospirò seccato, avevano già abbastanza problemi senza la sua inutile presenza.

« Attento! »

Il biondo sollevò appena in tempo la spada per impedire che un djonk gli strappasse un occhio. Lo allontanò malamente e si rimise seduto, venendo immediatamente dopo afferrato per il colletto da Kisshu e sollevato di peso:

« Muoviti, maledizione! »

Per qualche metro Ren fu trascinato a mezz'aria da Kisshu in levitazione, evitando a fatica le rocce contro cui rischiò più volte di schiantarsi, poi il verde si stufò di trascinarlo e lasciò sgarbatamente la presa; Ren gli arrancò dietro senza che Kisshu controllasse se manteneva il passo.

I suoi unici problemi in quel momento erano seminare i djonk alle loro spalle e ritrovare Ichigo.

 

 

***

 

 

Un'ampia grotta si aprì di fronte alla rossa, e appena le pupille ferine si ridussero a sufficienza individuò le sagome scure dei djonk appesi al soffitto; si acquattò sul pavimento, immobilizzandosi, ma le creature non parvero interessarsi a lei. Ichigo mosse qualche incerto movimento più avanti e capì che quei djonk erano molto più piccoli dei simpaticoni che li avevano colpiti a Loonare. Guardò più attentamente, non erano solo più piccoli, anche i loro denti erano meno evidenti e gli occhi chiusi parevano cisposi, quasi sigillati.

Sono cuccioli…?

In una nicchia protetta c'era l'unico djonk abbastanza enorme da essere un adulto. Aveva dozzine, se non centinaia di uova attorno alle sue zampe, accatastate su morbidi cuscinetti di erba secca e fanghiglia, e a poco meno di un metro da esse c'era la Goccia: era grossa più di Masha e pulsava forte, ma pareva in parte cristallizzata, come la pietra sul bracciale di Ren. Il grosso djonk si accorse di Ichigo appena lei si mosse e spalancò le ali mostrando le zanne aguzze; la rossa s'irrigidì pronta al contrattacco, ma l'animale non si spostò: capì che non si sarebbe mosso quando notò che aveva un grosso taglio su una delle ali e che non avrebbe lasciato la custodia delle uova in simili condizioni.

Ichigo si mise in piedi e si avvicinò con cautela, sperando di non irritare il djonk più di quanto già non fosse. Quello urlò, strillò, sbattè le ali minaccioso, ma la mewneko non retrocesse e quindi l'essere mandò uno strano e basso gemito, e la MewAqua splendette.

La rossa cadde in ginocchio, atterrita dalle immagini che le invasero la testa in poche frazioni di secondo.

Tokyo distrutta. Taruto… E poi Kisshu… Masaya e Deep Blue…

Calmati.

Calma… È solo…

« Un brutto sogno. »

Sospirò a fondo cercando di ignorare le ginocchia che tremavano e strinse gli occhi: quando li riaprì, vide solo la caverna, le uova e il grosso djonk ferito che cercava scoraggiato un modo per allontanarla.

« Sei stato tu vero? A farmi vedere quelle cose… »

L'animale le rispose ruggendo stridulo e Ichigo lo ignorò muovendosi quanto più calma possibile; il djonk continuò ad agitarsi e la Goccia emise altri bagliori, ma la rossa non si arrestò: un paio di volte i ricordi della battaglia contro Deep Blue le appannarono la vista, impercettibili lampi di cui non si curò.

Vuole solo proteggerli. Non ti… colpirà…

Ichigo raggiunse la Goccia dopo interminabili minuti. Il djonk parve pronto a saltarle addosso continuando però a serrare gli artigli sul suo trespolo per restare vicino alle uova; la ragazza afferrò la boccetta per custodire il Dono che aveva in tasca, allungò la mano e la bolla luminescente si animò divenendo liquida ed entrando dentro il contenitore. Il djonk urlò rabbioso, ma Ichigo riuscì a restare calma e mosse lenti passi all'indietro senza mai distogliere lo sguardo dalla creatura.

Aveva quasi raggiunto il cunicolo quando un grido familiare trapassò la caverna; i djonk cuccioli si innervosirono di colpo e presero a sbatacchiare le alucce e a strillare, mentre il custode delle uova sgranò i cattivi occhi blu e gridò sopra di loro con tono basso e spaventoso.

« E quello che cavolo è?! »

Le parole di Taruto si spensero tra le grida dei djonk e lo sbuffo che fece la sua bocca quando Minto gli serrò entrambe le mani sulla faccia per farlo tacere. Ichigo guardò loro due e Purin nascondersi oltre l'ingresso del cunicolo da cui erano sbucati, perché il djonk più grosso perdesse interesse; poi sentì altri passi e sdrucciolare di pietre: Retasu si acquattò con uno squittio sulla parete spinta indietro da Pai, abbastanza pronto da occultare entrambi, ma il djonk ormai era in fibrillazione e disposto anche ad allontanarsi dalle preziose uova pur di scacciare gli intrusi.

« Ichigo, hai il Dono con te? »

La rossa, pelo irto sulla coda e viso pallido, annuì in silenzio alla domanda di Pai guardandolo con la coda dell'occhio: il ragazzo restò completamente immobile e mosse solo gli occhi per indicare una galleria, poco alla sinistra della rossa, più facile da raggiungere e in cui entrare rispetto al buchino da cui era sgusciata.

Doveva allontanarsi dal djonk prima che decidesse di scagliarsi su di loro, e il misterioso passaggio era la via di fuga più vicina.

Ichigo si mosse lentamente di lato mantenendo le iridi rosate fisse in quelle lucenti della creatura che si era fermata alcuni secondi, squadrandola immobile; dal loro cunicolo Minto, Purin e Taruto scivolarono verso la mewneko, la mora volando assieme al brunetto che teneva Purin sulle spalle; Pai e Retasu, lei con le mani serrate sul viso pur di non emettere nemmeno un sibilo, erano due statue di sale. Il djonk mandò un grido secco e la mewfocena si strinse nelle spalle per soffocare uno strillo di paura arretrando di mezzo passo, senza guardare dove posava i piedi. Non cadde sdrucciolando sul mucchietto di sassolini su cui si era mossa, ma non trattenne nemmeno l'urlo, breve ed acuto, che echeggiò per la grotta come un trillo di campanella.

Il djonk scattò lanciando un ululato ferino e si gettò di testa verso i più vicini a sé, Minto e i due ragazzini. La mewbird fu abbastanza pronta da retrocedere e Taruto si teletrasportò un secondo prima che le zanne del mostro gli portassero via un braccio, ma il djonk non perse tempo e strusciando sulla parete e sbatacchiando in uno svolazzo malfermo, con l'ala ferita che non lo aiutava, si buttò su Retasu e Pai. I due scattarono fuori appena l'animale cozzò contro la parete facendo franare mezza galleria alle loro spalle, e saettarono immediatamente dietro agli altri su per il corridoio imboccato da Ichigo.

Il djonk era ormai fuori di sé e continuò ad inseguirli. Il passaggio era stretto per la sua enorme mole e il volare in modo così scomposto come stava facendo lo mandava a sbattere in continuazione contro le pareti, facendole tremare pericolosamente e rendendo lui ancora più feroce per la rabbia.

Un pezzo di roccia centrò Pai sul braccio ferito da Lindèvi a Glatera e lui sbandò pericolosamente verso il muro accecato da una fitta atroce.

« Pai-san! »

« Pai! »

« Sto bene…! »

Sbottò lui e ribattè al richiamo preoccupato di Taruto con un secco gesto dell'altra mano. Si costrinse a scacciare il dolore, doveva restare concentrato e trovare una soluzione, il passaggio si stava restringendo: presto loro non avrebbero più avuto spazio per volare e nemmeno il djonk, ma dubitava che questo lo avrebbe fermato prima che fosse crollato tutto.

« Ora mi ha stufato! »

Di colpo Taruto si bloccò per voltarsi ad affrontare la creatura. Con incredibile velocità i suoi chimeri-pianta si avvolsero prima attorno alle zampe del djonk, quindi sulle sue ali e attorno al suo collo, schiantandolo al suolo: la caverna tremò da cima a fondo e dal soffitto cadde una pioggia di pietrisco, ma il brunetto creò in un istante una fitta rete di sottili radici che sostennero la volta, mentre finiva di bloccare la strada alle loro spalle intrecciando rami nodosi grossi come monovolume.

« D'accordo, questo è incredibile sul serio. »

« Zitta vecchiaccia blu e corri, prima che scappi! »

Le urlò contro il ragazzino con un ghignetto soddisfatto nascosto dietro l'affanno.

Le grida del djonk continuarono a far sussultare ogni sassolino attorno a loro, ma riuscirono a macinare un centinaio di metri prima che il secco fracasso di legno spezzato attraversasse tutto il corridoio.

« Merda! »

« Vi prego ditemi che qualcuno ha un altro piano! »

Quasi a rispondere alla rossa si udì in lontananza un basso rombo e il djonk uggiolò di dolore; tre secondi dopo al loro fianco si teletrasportarono Eyner e Zakuro.

« Onee-sama! Stai bene! »

« Denoto che dispensi gentilezza a tutti equamente Minto-chan, sono commosso. »

Il delicato sarcasmo del bruno fu accolto con un imperioso sbuffo da parte della mewbird, ormai a volo radente per non finire contro una roccia sporgente del soffitto sempre più basso.

« L'avete fermato? »

« No – ammise Eyner guardando serio Pai– ma spero che questo lo rallenti abbastanza perché troviamo l'uscita. »

« Oh, certo! – sbottò Ichigo – E chi sa di grazia dov'è, l'uscita?! »

Il djonk urlò più vigoroso e lo si sentì sbattere con tutta la forza contro un lato del passaggio; il soffitto crepitò spaventosamente e la rossa soffiò di terrore scattando indietro a quattro zampe, per evitare l'ammasso di detriti che per poco non la spiaccicò. Stava già per ricominciare a correre se un lamento acuto e un pallido braccio non avessero fatto capolino dal polverone:

« Ohi, che male…! »

« What the hell…! This fucking place it's just-! »

« Ok Shirogane, vacci piano. Ci sono dei minorenni. »

Per una volta, complici la caduta e la situazione, Ryou non riuscì a ribattere neppure con un sorrisetto sarcastico alla battuta di Zakuro.

« Dei del Cielo, siete voi! »

Con un balzo MoiMoi scattò in piedi e abbracciò Ichigo, visibilmente sollevato:

« Che sta succedendo? »

La rossa aprì la bocca per parlare, ma le grida del djonk la paralizzarono per potenza e vicinanza, e le pareti si scossero così forte che sembrarono sul punto di crollare del tutto. Spaventata afferrò il polso di MoiMoi ed esclamò:

« Non c'è tempo adesso! Abbiamo la Goccia! – lo rassicurò – Corriamo via! »

Il violetto la fermò con un cenno  prima che facesse un altro passo:

« Taruto, blocca la strada. Veloce! Voialtri, tutti qui vicino. »

Il brunetto non se lo fece ripetere. Il tono perentorio da militare di MoiMoi non si discuteva mai.

« Ragazze, voi sapete creare uno scudo, vero? »

Le cinque MewMew si scambiarono rapidi sguardi prima di annuire; Retasu provò a ribattere per avere delucidazioni ma MoiMoi la zittì e le incitò a sbrigarsi. Intanto anche il djonk li aveva raggiunti e si stava avventando sulla barriera di tronchi creata da Taruto, la bava alla bocca e gli occhi fuori dalle orbite.

MoiMoi tracciò in aria un cerchio e la terra attorno ai loro piedi si spaccò in una piattaforma che oscillò sollevandosi. Ryou soffocò l'ennesima imprecazione mentre attorno a lui e gli altri prendeva a brillare una lucida parete trasparente.

« Non so cosa tu voglia fare senpai – fece Eyner – ma so già che non mi piacerà! »

« Concordo. »

Gemette Retasu. Il violetto sorrise furbo:

« Tenetevi forte! Prossima fermata, piano terra! »

 

 

 

La sensazione fu quella di trovarsi su un enorme ascensore. Un ascensore senza pareti, con un fondo spesso nemmeno una trentina di centimetri e che andava ad una velocità improponibile.

Ichigo si aggrappò con entrambe le mani alla sua campanella e non trattenne un grido, nello strenuo tentativo di rimanere concentrata perché la barriera non cedesse. Riuscì a malapena a distinguere il djonk che profanava l'ultimo ostacolo e si gettava sul cerchio vuoto dove loro si trovavano pochi istanti prima, guardando in alto con un latrato cavernoso. MoiMoi guidava il loro mezzo di fortuna con il semplice movimento delle mani, fischiettando tranquillo e incurante come se lo avesse fatto migliaia di volte, anche quando la piattaforma fracassò il terzo livello di rocce e minacciò seriamente di collassare su se stessa.

« MoiMoi, giuro che se ci ammazziamo io ti uccido! »

Lui ignorò le minacce di Minto e le sue grida quando finalmente raggiunsero il piano più alto della caverna. La piattaforma cedette infine sotto i colpi e si frantumò assieme allo scudo delle ragazze, ma MoiMoi fu pronto e chiuse immediatamente il buco da cui erano usciti: il loro atterraggio fu solo di un paio di metri – un po' meno aggraziati per chi non sapeva volare – e in lontananza si avvertì il flebile ringhio di disappunto del djonk.

« Benvenuti signori. Sul piano: abbigliamento, giocattoli e l'uscita. »

« Senpai, sinceramente non so se picchiarti o ringraziarti. »

« Pai-chan, sei sempre polemico…! Ha funzionato, no? »

« Avvisa alla prossima idea geniale, ti prego… »

Sbuffò e si abbandonò contro una stalattite completamente esausto. Purin stava abbracciando una roccia in preda alle lacrime:

« Terra! Dolce terra! »

« Ora non esagerare Purin… »

La biondina scoccò un'occhiataccia alla mewlupo, nemmeno lei così colorita come voleva ostentare.

Per qualche secondo ci furono solo i loro sospiri, poi un rumorino metallico e un acuto cinguettio risuonarono accompagnando passi frettolosi; Masha si schiantò sul viso di Ichigo pigolando come un forsennato e strusciandovisi contro, incurante che la padroncina fosse ancora in ginocchio nella polvere, finché le proteste di Sando non lo costrinsero a rimettersi dritto per riprendere decentemente.

« Si può sapere cosa cavolo avete combinato?! »

MoiMoi scrollò le spalle sorridendo radioso:

« Ristrutturazioni interne? »

« Fai meno la spiritosa tu! – berciò il suo vocione dal corpicino del robottino – Pareva dovesse venir giù tutto… Che hai combinato razza di cretina?! »

L'altro fece una linguaccia offeso:

« Ma perché dev'essere per forza colpa mia?! »

E mentre lo disse si ondeggiò sulle punte dei piedi, facendo lo gnorri sull'evidente stato malconcio dei presenti. Intanto anche Ren e Kisshu li raggiunsero; il verde si gettò in ginocchio di fronte ad Ichigo e l'afferrò per le spalle pallido come un cencio:

« Stai bene? Che diavolo è… Non importa, non ti sei fatta male vero? »

Lei rimase in silenzio squadrandolo da capo a piedi. Era quasi certa che parte del suo intontimento fosse dovuto al simpatico viaggetto offerto dal MoiMoi express, ma dovette ammettere che l'agitazione di Kisshu dava il suo contributo.

« Credevo che sarei morto…! »

Ichigo si addentò l'interno della guancia. Lo vedeva sinceramente preoccupato e sollevato di vederla di nuovo lì e non le piacque come il rendersene conto le stringesse lo stomaco.

« Non farmi mai più uno scherzo del genere micetta, siamo intesi? »

Ghignò come al solito, ma lei sentì comunque la presa sulle sue braccia tremare. Si ritrasse di scatto e cercò di esibire un sorrisino anche minuscolo, e ottenne solo una strana smorfia seguita da un impacciato verso atono.

Ren arrancò verso di loro un secondo dopo; per fortuna avevano avuto tutti la prontezza di riattivare gli schermi prima che il bel biondino comparisse domandando teatrale:

« State tutte bene? Cos'è successo? L'avete trovata? »

« Tranquillo Lancillotto, stiamo meglio di te. – soffiò Pai caustico, ormai troppo stanco per sopportare lontanamente il ragazzo – Andiamocene però, prima che crolli qualcos'altro. »

 

 

 

« Questo è tuo Ren-san. »

Con gentilezza MoiMoi porse al biondo il suo bracciale, privato della Goccia. Lui ringraziò stentatamente guardando tutti i presenti senza sapere bene cosa fare, cosa chiedere, o cosa dire.

« Mi spiace per tutti i problemi che ti abbiamo causato. – sorrise il violetto – E grazie dell'aiuto. »

Pareva l'unico a pensarlo, tanto per le scuse quanto per l'aiuto; Kisshu in particolare si dovette trattenere dall'emettere qualunque suono potesse apparire sarcastico, e non fu cosa semplice. Nessuno però replicò alle parole di MoiMoi e si avviarono tutti verso il passaggio per Jeweliria.

« A-aspett… Aspettate! »

Annaspò qualche frettoloso passo dietro al gruppo e raggiunse a fatica "Lasa", afferrandole il polso per fermarla. Ricevette una tale occhiataccia da non trattenere uno singhiozzo spaventato ma non si allontanò.

« Dieci a uno che ora lo fulmina. »

« Taruto-chan! »

« Io dico cinque a uno e gli pianta un sai in testa. »

Sussurrò di rimando Eyner e MoiMoi squadrò entrambi con aria severa.

Kisshu dal canto suo scacciò in malo modo il biondo e cercò di trattenersi dal picchiarlo digrignando tra i denti:

« Che cavolo vuoi? »

« Io… Io devo dirvi una cosa. »

L'espressione trepidante fu inequivocabile e Kisshu avvertì un brivido gelido su tutta la spina dorsale:

« Spiacente, non sei il mio tipo. »

Ren non incassò troppo bene il repentino rifiuto senza aver neppure aperto bocca e tartagliò ancora:

« Potrei… Forse se io… »

« Tranquillo, anche se cambiassi dalla testa ai piedi non saresti il mio tipo! – insisté lapidario – E ti assicuro che io non sono il tuo. »

« Oh, voi…! Tu! Tu sei perfetta! »

« Ecco, e già sul perfetta avrei da ridire… »

Borbottò schifato. Ren guardò alle spalle di "Lasa" verso Ichigo e si strinse un pugno al petto:

« E credo di comprendere. »

« Non così tanto come immagini. »

Replicò pungente il verde e si concesse un ghignetto prima di voltarsi di nuovo. Ren però lo afferrò ancora per entrambe le mani e stavolta Kisshu meditò seriamente di ucciderlo.

« Ok, mi aggrego, lo fulmina. Ma punto sempre sul cinque a uno. »

« Ragazzi per l'amor del cielo la piantate? »

Sussurrò MoiMoi seriamente preoccupato che le scommesse si realizzassero, visto l'aria feroce del suo kohai.

« Cosa della parola no non ti è entrato in testa? »

« Da che pulpito… »

« Ichigo-chan, smettila anche tu! »

« Lo… Lo so! – farfugliò Ren concitato – Però…! Però io…! »

Parve volersi ritrarre e poi corrugò la fronte con decisione afferrando la ragazza dai capelli verdi per le spalle e, approfittando della loro differenza di altezza, la tirò a sé baciandola con ardore.

« Oh porca…! »

« Ok, è morto! »

Tutti fissarono attoniti i cinque secondi in cui Kisshu, troppo sconvolto e con un curioso colorito verdastro in viso, non riuscì a reagire. Ren fece il madornale errore di lasciare la presa, forse aspettandosi una qualche reazione da film sentimentale, e non riuscì a bloccare il poderoso calcio che "Lasa" gli tirò dritto sul cavallo dei pantaloni.

« Tu brutto…! »

« No Kisshu, fermo! »

MoiMoi saltò alla vita del suo kohai, i sai già tra le mani e l'espressione di pura furia, un istante prima che questo si avventasse sul rantolante Ren. Eyner e Pai dovettero andargli in soccorso e trascinare via Kisshu di peso intanto che lui non smetteva di scalciare e a lanciare le peggiori esecrazioni concesse nella sua lingua madre.

« Lo ammazzo! Mollatemi, io lo ammazzo! Brutto pezzo di str- »

« Dai calmati! »

« Lo strozzo! Maledetto bastardo, giuro che questa me la paghi! Razza di…! »

Ogni altro insulto Ren, ancora rannicchiato a terra con le mani sull'inguine, non potè sentirlo mentre loro fuggivano nel passaggio e questo si chiudeva alle loro spalle.

Kisshu fu lasciato andare solo quando rimise i piedi a Jeweliria. Nello stesso momento tutti gli altri scoppiarono a ridere senza alcun ritegno.

« Senpai, ti supplico, dimmi che hai ripreso tutto! »

« Dall'inizio alla fine. »

Rise Sando dal trasmettitore e Taruto non riuscì a rispondere, rotolandosi a terra con le mani sulla pancia.

« Siete dei bastardi. »

Borbottò Kisshu lugubremente fregandosi le braccia intirizzite dal ribrezzo.

« Scusa… Scusa Kisshu-san… »

« Non sei credibile lattughina. »

Squadrò con odio Ryou che non la smetteva di scrollare le spalle in un insopportabile accesso di sghignazzamento, e le sue guance diafane si tinsero di un rosso acceso tra la rabbia e la vergogna.

« Dai non è stata una cosa così terribile. »

« Vuoi provarci tu Eyner?! – gli berciò contro – E poi…! Che stronzo, stai ridendo anche tu! »

Il bruno cercò di chiedere scusa ed esplose in altre risate.

« Scusa Kisshu-chan, ma la tua faccia è stata impagabile! »

Pai non potè nemmeno commentare nel tentativo di darsi un contegno tenendosi una mano sulla bocca per soffocare le risa.

« Quando si dice il karma. »

« Questa è sorte sadica, cornacchia, altroché. »

Sospirò Kisshu cupo e si avvicinò con aria da cucciolo ferito ad Ichigo, che si stava asciugando le lacrime dal troppo ridere.

« Mi purifichi tu micina? »

« Manco per idea. »

Lui mise il broncio e Ichigo replicò divertita con una linguaccia, pentendosi del gesto subito dopo; avrebbe dovuto mettere le distanze da Kisshu, non scherzarci assieme se le chiedeva di baciarla. Si girò sciogliendo la trasformazione e avviandosi con MoiMoi verso il laboratorio, pregando che il verde non si fosse accorto del suo insolito disagio.

Si incamminarono lungo il vialetto e Kisshu si fregò forte le mani sugli occhi: non avrebbe dimenticato molto presto l'orrore che aveva dovuto subire, e temeva che gli altri non avrebbero avuto scrupoli nel ricordarglielo fino alla sua morte.

« Hai da sghignazzare ancora per molto corvaccio in miniatura? »

Minto scoccò una divertita occhiata superiore per il suo squadrarla malevolo.

« Chi la fa l'aspetti. »

« Vorresti paragonare? »

Cercò di punzecchiarla, ma lei gongolava troppo per abboccare e si incamminò pian piano dietro agli altri assieme a lui.

« Guarda che mi offendo. »

Sbuffò Kisshu e si sfregò la bocca con il dorso della mano:

« Non mi leverò mai più quel saporaccio d'in bocca. »

« Che strano, io avevo pensato la stessa cosa. Poi invece è passato. »

La faccia offesa del ragazzo era così divertente che avrebbe continuato fino al laboratorio, ma si costrinse a chiudere lì le frecciatine e a mantenere un distaccato contegno. Ciò non cancellò l'irriverente sorrisetto di soddisfazione che le incurvava le labbra, e che a Kisshu dava quasi più fastidio dell'essersi scambiato un bacio con un uomo.

« Se almeno la mia micina mi avesse disinfettato, potrei farmene una ragione. »

Sperava di poter sfogare un po' la frustrazione scatenando qualche sano sbuffo da parte della mewbird, che, invece, continuò imperterrita a passeggiare senza degnarlo di attenzione. Lui fece una smorfia imbronciata da bambino prima di ghignare maligno:

« Ci pensi tu al posto suo? »

Con aria subdola le planò davanti al naso e le rubò un morbido bacio, con abbastanza calma perchè potesse reagire; la guardò divertito in attesa della sua furia, ma Minto invece sollevò un sopracciglio e lo apostrofò sospirando:

« Se hai finito, vorrei raggiungere gli altri. »

Lui scivolò a terra aspettandosi uno scoppio d'ira ritardato, invece Minto lo doppiò tranquillissima e proseguì dietro al resto del gruppo, già scomparso oltre la curva. Kisshu si mise le mani sui fianchi e fumò insoddisfatto:

« Ma se non ti arrabbi non è divertente! »

Lei si dileguò senza dare l'impressione di averlo sentito e il verde si massaggiò il collo sbuffando per poi accodarsi, la giornata protraeva a dargli solo delusioni.

Se non altro il gusto che aveva sulle labbra era diventato decisamente migliore.

 

 

***

 

 

MoiMoi e Pai inserirono gli ultimi dati registrati da Masha nel computer centrale e il violetto si stiracchiò pensieroso ruotando sulla sua sedia:

« Il Dono riesce a sorprendermi ogni volta. Chi immaginava potesse essere usato da degli animali come arma? »

« Più che altro io vorrei capire come abbiamo fatto a vedere quelle cose. »

Domandò Zakuro. MoiMoi incrociò le gambe sul sedile e si prese il mento tra le dita:

« Non riesco proprio a spiegarmelo – concesse – i djonk non hanno capacità mentali così alte, e in ogni caso come avrebbero potuto essere a conoscenza di certi eventi? »

Guardò un secondo di sottecchi Pai e gli intravide contrarre la mascella, perso nei suoi pensieri. Il moro si ricompose con disinvoltura e riflettè:

« Inizio ad avere il sospetto che le tue teorie non fossero così assurde. »

MoiMoi strinse gli occhi mugugnando e Purin alzò pronta la mano:

« Di che parlate? »

« La MewAqua… Da quando è stata riportata al suo stato primigenio si comporta in modo strano. – rispose lentamente il violetto – Sembra quasi… Viva. »

« Ma la MewAqua è solo un cristallo. »

« Lo so anch'io Ryou-chan –  replicò – ma qualcosa non quadra. Posso concepire che la territorialità dei djonk abbia reagito al potere del Dono per creare illusioni che spaventassero i nemici, ma quelle erano troppo personali. »

Il biondo ci pensò su e dovette annuire.

« E anche il rapporto tra essa e Ao No Kishi… »

« Sempre che sia lui. »

« È lui, Pai. »

Gli rimbrottò Ichigo fredda; Pai non le era mai piaciuto, e anche trovandosi dalla stessa parte faticava a renderselo simpatico.

Si mordicchiò il labbro ripensando ad Ao No Kishi. Non ne aveva parlato con gli altri, ma il loro ultimo dialogo l'aveva spaventata: aveva avuto l'impressione che non avrebbe più sentito la sua voce.

« Comunque sia, pare esserci un legame diretto tra lui e il Dono. – riprese MoiMoi – E, insomma, dato che lui dovrebbe essere… Morto… Non so, manca qualche tessera del puzzle. »

« L'unica certezza che abbiamo è che, a seconda dell'atmosfera dove si trova, il Dono può tendere a tornare allo stato cristallizzato. »

Bofonchiò Pai tra sé e sé e digitò nuovi dati sul computer, estraendo poi dalla tasca una pietruzza color malva lucidata e lisciata dal tempo:

« C'era questa tipo di pietra nella tana dei djonk e non ne ho viste da altre parti mentre scendevano nella caverna. »

Mise la pietra su un piccolo scanner e MoiMoi alla vista battè le mani entusiasta:

« Grande! Allora ne hai presa una? »

« È un campione piccolo, ma spero sia meglio di niente. – ammise intanto che lo scanner terminava il lavoro – Siamo fuggiti di corsa, non ho avuto tempo di raccogliere altro. »

Ryou si avvicinò ai due e prese la pietra dal ripiano, studiandola serio:

« Ho l'impressione di averla già vista. – la porse in direzione di Ichigo – Non c'erano pietre del genere su quella torre? »

« Già! – esclamò la mewneko avvicinandosi – Ma com'è possibile? Eravamo in un'altra dimensione! »

« Potevamo respirare e mangiare il cibo, bere l'acqua, e gli alberi erano normali. – spiegò spiccio – La composizione chimica di quell'universo non doveva essere molto diversa da quella del nostro. Forse questa pietra è come quelle che abbiamo visto. »

Sollevò il ciottolo controluce e lo analizzò sovrappensiero. MoiMoi schioccò le dita allegro:

« Presto lo sapremo. Per il momento, siamo tornati a casa e abbiamo un altro frammento del Dono in saccoccia. »

Ridacchiò balzando giù dalla sedia:

« Direi che stiamo andando b- »

Un trillo elettronico lo fece sobbalzare preoccupato; i terresti si guardarono confusi e videro Kisshu tirare fuori dalla tasca un piccolo dischetto nero, che si mise dall'orecchio e in cui prese a parlare:

« Capitano Ikisatashi. Cosa… »

Non piacque a nessuno come gli morirono le parole sulle labbra:

« Papà? »

 

 

***

 

 

Ichigo non seppe bene come tacere le proteste di Ryou, che non aveva trovato educato seguire con Eyner i tre Ikisatashi fino all'ospedale dove gli attendeva il padre; così fu senza dare una spiegazione plausibile che le cinque ragazze lasciarono l'americano con MoiMoi e Sando e andarono dietro agli altri. Taruto apriva il gruppo agitandosi da una parte all'altra con Kisshu alle costole ad indirizzarlo dal lato giusto, e Pai che li seguiva in silenzio e composto, ma angosciato quanto loro.

Trovarono Iader poco dopo essere entrati. Se ne stava seduto coi gomiti raccolti sulle gambe fissando a terra e appena intravide i figli scattò in piedi come una molla.

« Dov'è mamma? »

« Dentro. – rispose semplicemente – Aveva di nuovo un po' di febbre ieri, ma aveva detto di stare bene… Oggi è svenuta durante i giri di controllo. »

Kisshu serrò la mascella mentre Taruto mandò un sospiro tremante:

« E… E allora? »

« Non so ancora niente – fece Iader stanco e si fregò il viso con la mano – sto aspettando. »

Si risedette pesantemente cacciando indietro la testa con un sospiro, imitato dai due più giovani. Ichigo giocherellò con uno dei suoi codini a disagio:

« Forse è meglio se andiamo… »

« Shirogane l'aveva detto. »

Retasu diede una leggera gomitata a Minto per il suo sussurro fin troppo udibile e Iader sorrise loro confortante scuotendo la testa.

« Magari non si è ancora ripresa completamente da prima. – suggerì incoraggiante Eyner – Lasa-san si strapazza sempre troppo, e- »

« E se fosse splin(*)? »

A quella frase Taruto si alzò coi pugni serrati lungo i fianchi e sbottò stridulo:

« Non dirlo manco per scherzo! »

« Pai, non è possibile. »

Le ragazze capirono subito che nello scetticismo di Iader vi era una nota d'ansia, più concreta di quanto lui stesso avrebbe voluto; Taruto smise di respirare e Kisshu divenne molto più pallido del normale.

« Cerchiamo di non i- »

« Eyner tu li hai visti i sintomi. – insisté Pai con voce dura – Vorresti dirmi che non sono gli stessi? »

Il bruno non rispose e la sua bocca divenne una perfetta riga dritta. Pai sostenne il suo sguardo rigido come una statua, ma i suoi occhi scudi dardeggiavano di una certezza che lo faceva infuriare.

« Lei è stata abbastanza a contatto… Per essere contagiata. »

Kisshu si alzò lentamente con fare minaccioso, scuro in volto:

« Avanti, dillo. »

Di colpo nel corridoio scese il gelo. Taruto guardava i due fratelli maggiori spaventato e loro si studiavano a vicenda, con un astio lontano e bruciante che dovevano aver dimenticato. Eyner li guardò male entrambi:

« Sono passati quasi quindici anni. »

Pai parve riscuotersi e prese un profondo respiro, abbassando l'ascia di guerra. Kisshu no:

« Ad alcuni si è risvegliato anche dopo vent'anni. Non è vero? – fece acido squadrando il fratello – Ammettilo che lo stavi pensando. »

Lui non rispose, ma la sua gola si mosse colpevole. Kisshu gli fu di fronte con una falcata e prese ad urlargli addosso:

« Se vuoi darmi la colpa basta che parli! »

« Non è quello che ho detto. »

« Oh, piantala! Non sono scemo! »

Pai insisté nella sua aria compassata ma era palpabile che avesse qualcosa contro Kisshu:

« Potrebbe essere e tu lo sai meglio di me. »

Soffiò alla fine. L'altro inveì più forte:

« Sarebbe stato meglio se non mi avesse salvato, vero? Nessun contatto, nessun rischio. »

« Avrei un idiota in meno a cui badare. »

« Ti avrebbe fatto piacere vero?! Non l'ho chiesto io! »

« E lei non ha chiesto questo! »

« Ragazzi, ora fatela finita! State esagerando. »

« Chiudi il becco Eyner! »

« Forse sei tu quello che dovrebbe stare zitto Kisshu. »

« Pensa un po' che sfiga! – sbottò sprezzante – Se Lasa non mi avesse preso non avresti questo pr-! »

« Ora state zitti, razza di deficienti! »

Iader si alzò e investì i due ragazzi come un bufalo, afferrandoli entrambi per il bavero e scuotendoli con la stessa facilità che avrebbe avuto con due bambini:

« Vostra madre ha bisogno di voi e litigate come dei mocciosi. – li tirò più vicini fissandoli duramente uno ad uno, gli occhi dorati che vibravano – Sarete anche due adulti, ma non tollero una cosa del genere dai miei figli. Sono stato chiaro? »

Nessuno dei due gli rispose e Iader allentò la presa continuando a fissarli severo. Kisshu digrignò i denti in una strana espressione colpevole e schioccando la lingua si teletrasportò via, mentre Pai incrociò le braccia e si allontanò nella sala d'attesa a fianco, sedendosi da solo in silenzio.

Iader sospirò flebilmente e si voltò apprensivo verso Taruto che si mordeva nervoso il labbro inferiore, gli occhi fissi sul fratello nell'altra stanza.

« Scusateli. Sono degli idioti. »

Ichigo e le altre sobbalzarono alle parole dell'uomo e Retasu si scusò mormorando:

« N-no, siamo noi che… »

« Siamo state inopportune. »

Ammise Ichigo piano e Minto le fece eco con un cenno di disagio. Iader scosse ancora la testa e sorrise:

« Vi ringrazio del vostro interesse. A Lasa farà piacere saperlo. »

Diede un buffetto sulla testa a Purin, che gli sorrise un pochino e poi cercò in tralice Taruto da sotto il braccio dell'uomo, gettando al brunetto uno sguardo incoraggiante; Taruto replicò con il suo stesso sorriso poco convinto.

Iader si girò un momento verso Pai e sorrise ancora alle ragazze, un po' sfiancato:

« Ma ora andate. Qui sarà lunga… E voi sembrate molto stanche. »

Concluse e indicò paternamente la guancia di Minto graffiata e impolverata.

« P-però… »

Zakuro interruppe Retasu prima che dicesse altro e fece un cenno d'assenso all'uomo guidando le altre all'uscita; Eyner andò con loro gettando uno sguardo veloce all'amico due porte più in là:

« Andrà tutto bene Iader. »

Il sorriso dell'uomo fu meno entusiasta del solito.

 

 

***

 

 

« Ahi! »

Con uno scatto Ichigo ritrasse l'indice dalla fronte e poi tornò sui suoi passi, scostando con massima attenzione la frangetta per vedere bene la pelle sottostante. Aveva una gran bella escoriazione per la caduta nella voragine, decine di capillari si erano rotti in puntini minuscoli e impossibili da mascherare anche con il fondotinta più denso, e un grandioso livido violaceo pulsava sotto la radice dei capelli. Era stata un'impresa nasconderlo a Shintaro – ed evitare una delle tirate alla super papà iperprotettivo che lo contraddistinguevano – e Masaya le aveva chiesto almeno venti volte se stesse effettivamente bene.

La rossa sospirò forte, le avevano fatto piacere le sue premure, eppure continuava a sentirsi giù di morale. Si sistemò la frangia con una forcina e malinconica si spalmò la pomata sul livido con piccoli centri concentrici.

L'atmosfera mentre Eyner le riaccompagnava a casa era stata davvero pesante e nessuna aveva avuto il coraggio di chiedere delucidazioni su quanto successo all'ospedale. Avevano avuto l'impressione di aver ascoltato cose che non avrebbero dovuto sentire, e che non erano riuscite a capire fino in fondo, ma il volto del bruno lasciava intendere che pensieri troppo cupi gli affollassero la testa, per trovare la voglia o l'energia di rispondere ai loro quesiti, e loro avevano taciuto. Nemmeno i tentativi di Retasu di dire qualche parola gentile avevano avuto esito e l'alieno era tornato indietro lasciandole con una brutta sensazione di inquietudine.

Ichigo chiuse la pomata e si pulì le mani con un fazzolettino: si domandò se fosse solo lei a sentirsi così a disagio, così confusa nello scontrarsi con la realtà di Kisshu e degli altri e vederla così concreta, vera esattamente come la sua. Si era ritrovata completamente impreparata, non aveva mai considerato tutta la faccenda degli Ancestrali, la sua vita e quella degli alieni come elementi coesistenti.

Un po' come durante gli scontri con Kisshu tre anni prima, quando non vedeva gli alieni come persone con una famiglia, dei cari e degli ideali per cui lottavano.

Mi mordicchiò le labbra rosee preda di un amaro senso di colpa e sospirando finì di spazzolarsi i capelli, quindi afferrò sovrappensiero il cellulare speciale datole da Kiddan. Le sue dita corsero sulla tastiera senza che ci pensasse troppo.

 

Sono sicura che Lasa-san

starà bene.

                                         Ichigo

 

Premette invio e respirò più forte del dovuto, capendo di aver trattenuto il fiato per tutto il tempo. Posò il cellulare al suo posto e si decise ad aprire almeno il libro di storia, forse anche per soffocare quel campanellino d'allarme nella sua testa che le urlava che non avrebbe dovuto inviare quelle otto, piccole paroline.

 

 

***

 

 

Era già tardi quando sentì suo padre rientrare, ma non scese comunque dal tetto e nessuno andò a chiamarlo. C'era una sorta di regola non scritta in casa Ikisatashi che lo riguardava: nessuno poteva disturbarlo quando si trovava lassù.

Kisshu immaginò che Lasa l'avesse progettata per evitare che lui e Pai si friggessero a vicenda a suon di fulmini, quand'erano due adolescenti.

Il sentire la voce di suo padre che usciva ferma e serena dalla finestra aperta, annunciando che la madre era sveglia, gli tolse un po' di peso dallo stomaco; eppure non si mosse e continuò a fissare un punto imprecisato oltre l'orizzonte.

 

« … Mamma…! Mamma…! »

« Stai tranquillo. Sono qui. »

 

La tasca destra dei suoi pantaloni vibrò così di colpo che lui sussultò e per poco non cadde dal tetto. Tirò fuori lo strano aggeggio che alle terrestri piaceva tanto e, dopo tre tentativi, riuscì ad aprire il messaggio che gli era stato inviato.

Sorrise e si diede dello stupido, era consapevole che non era arrivato per il motivo che lui credeva. Eppure si sentì abbastanza contento da accettare che avrebbe rivisto la faccia del fratello, e abbastanza sereno per sorridere tranquillo quando avrebbe visto il padre.

« Solo tu puoi farmi questo, micetta mia. »

 

 

***

 

 

« Eyn. Eyn? »

« Uh? Scusa Sury – sorrise il bruno – stavo pensando. »

La sorellina non si convinse delle sue parole e lo guardò un po' preoccupata; mise le posate nel piatto vuoto, scese dalla sua sedia e si inerpicò sulle ginocchia del fratello maggiore, sedendosi composta. Eyner rise piano con fare scettico:

« Embè? »

« Sei giù? »

« Non sono giù. »

La rassicurò accarezzandole la testa e Sury insisté:

« Sei preoccupato per Lasa-san? »

« Starà bene. »

Disse ancora e la bambina mandò un piccolo grugnito senza rispondergli e lasciandosi lisciare i capelli. Rimasero così per un po' finché Eyner non abbracciò la piccola, dandole un lieve bacio sulla testa; Sury non disse una parola e si appoggiò a lui stringendo il pugnetto sulla stoffa della sua maglia.

« Mi è tornato in mente papà. »

Confessò infine. La bambina annuì in silenzio ed Eyner continuò ad abbracciarla per qualche minuto.

« Lasa-san è una tosta. – mormorò la piccolina allontanandosi – Lei sta bene. »

Eyner le sorrise annuendo e Sury gli scese dalle gambe portando un po' per volta i piatti della cena nel lavello; il fratello rimase dove si trovava affondando il viso nella mano:

« Prego gli dei. Con tutto il cuore. »

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) da spleen, la melanconia descritta da Baudelaire

 

 

 

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Ta-ta-taaaah! E mo? Ahah… Non avete idea della fatica che ho fatto, sono stata incerta fino all'ultimo di come disporre cosa. E di cosa dire e cosa no (tranquilli, vedrete che io prima o poi risolvo tutto… Lo sapete ;))

Kisshu: ti odio. Tu sappi che ti odio e troverò il modo di vendicarmi, da qui nei secoli dei secoli -.-***

Cos'è mi stai minacciando o benedicendo ^^""?

Minto: la benedizione ultima, con acido solforico -___-**

Kisshu: cornacchietta maniaca

Minto: IO TI AMMAZZO!!!

Ok va bene questi due devo legarli…

Sono riuscita a produrre poco di disegno in queste due settimane (sapete, a fare due lavori non è che si riesca molto bene -.-""), però qualcosina c'è :3: vi linko qui la mia pagina, dove troverete gli sketch di Kisshu, Pai e Taruto al femminile :P (Eyner poverino l'ho abbandonato… Con la febbre a 38,5 proprio non ci sono riuscita ^^"")

https://www.facebook.com/media/set/?set=a.877675855585978.1073741840.369088309778071&type=3
Ci sono anche gli schizzi vecchi, se non avete ancora sbirciato me lo date un giudizietto :3?
Ringrazio Hypnotic Poison, Danya, mobo e Allys_Ravenshade per i commenti :3, grazie mille mi date tutta la carica ♥ ! Ci viediamo tra un paio di settimane!

Mata ne
~♥ !

Ria

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Capitolo 23
*** Toward the crossing: in the middle of two roads ***


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Sono sfiancata da questo capitolo! Ho dovuto mettere alcuni puntini sulle I e aspettare per il proseguire degli eventi, mi spiace se sarà un po' noiosetto ç_ç… Ci ho messo un sacco a scriverlo, ho tolto e spostato parti che verranno (forse) messe nei prossimi cap, un pasticcio!
Se non vi addormentate vi aspetto in fondo :3

Ps visto che mi scervello a trovare titoli decenti, ho iniziato a sbirciare i modi di dire inglesi xD… "a stormi in a teacup" corrisponde al nostro "tanto rumore per nulla" :P

 

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Cap. 23 – Toward the crossing: in the middle of two roads  

                 A storm in a teacup

 

 

 

 

 

« La ringrazio Meryold-sama. Può rivestirsi. »

La donna sorrise con educazione al giovane infermiere che le aveva medicato il braccio e indossò con cura la toga del Consiglio, coprendo l'arto per bene.

« Vedrà che presto starà meglio. Abbiamo avuti grandi miglioramenti tra i pazienti del reparto sanazione veleni. »

Lei lo ringraziò con un cenno ed uscì, conscia che si trattasse di una bugia. La sola ragione per cui le persone come lei, colpite dalle esalazioni velenifere della zona morta, erano migliorate era la presenza sempre maggiore del Dono custodito al laboratorio di ricerca, le cui emanazioni contrastavano il progredire della putrescenza. Era frustrante dover sottostare ad un simile teatrino, ma in quanto portavoce del Consiglio Maggiore non poteva permettere che si diffondessero altre notizie sul Dono, i suoi effetti e la missione che si stava svolgendo, per evitare voci avventate; né poteva lasciare che alla popolazione nuovamente colpita da una situazione critica venisse tolto il solo conforto che aveva.

La sua scorta la raggiunse appena fuori dall'ospedale e la ricondusse al Palazzo Bianco perché potesse svolgere le sue attività quotidiane. Non fece in tempo ad attraversare l'ingresso che una voce per nulla melodiosa la chiamò perentoria, facendo scattare le sue guardie alla vista dell'enorme sagoma che andava loro incontro.

« Delizioso profumo di erbe, mica male. »

« Voleva essere un complimento nobile Ron? »

Domandò divertita Meryold sollevando un sopracciglio e lui rise rasposo:

« Mi domandavo solo quale altra poltiglia ti avessero propinato. »

Lei scosse la testa continuando a sorridere, ma si strinse il braccio sinistro protettiva:

« Non ne ho la minima idea. »

Ronahuge rise. Quando smise si guardò intorno e, appurato che non vi fosse eccessiva calca, comandò con un cenno brusco del pollice alle due guardie di allontanarsi:

« Serve privacy. Fuori dai piedi. »

Loro titubarono, incapaci di decidere se fosse peggio disertare le proprie direttive o contravvenire ad un ordine diretto di Ron, e Meryold confermò con un sorriso.

« Novità dal capitano Luneilim? »

Chiese spiccia una volta che furono soli.

« Tabula rasa – ammise l'uomo con uno sbuffo – non riesce ad identificare il nuovo passaggio. Paiono scomparsi. »

Meryold annui sospirando. Il gruppo era rientrato da Belia da meno di un giorno, ma MoiMoi si era rimesso immediatamente al lavoro: non sapeva il motivo del silenzio degli Ancestrali, dopo i loro attacchi così incessanti, ma bisognava approfittarne.

« La situazione è stabile. Io le ho detto a quella testa cava che potrebbero respirare, ma non mi ascolta. »

« Nessuno dei tuoi allievi ti ha mai ascoltato per più di cinque minuti, Ron. Ecco perché hai imparato ad urlare. »

Lui ghignò sarcastico, per nulla divertito della battuta, e Meryold restò composta a sorridergli sottile.

« Il colonnello Okorene ha imparato bene su questo punto. Le sue grida durante l'addestramento si sentono fin dall'altra parte del Palazzo. »

L'uomo e la donna si voltarono e incrociarono il viso rugoso e sorridente di Teruga, scortato come nei giorni precedenti da Lena.

« Bene Teruga, tanto sarei venuto a cercarti – tagliò corto Ron – ho bisogno di aggiornarti. »

Lenatheri si fermò un paio di metri prima di Meryold e Ronahuge, per lasciare spazio, ma Teruga le sorrise e le fece segno di avvicinarsi a portata di orecchio.

« Per quanto riguarda il Dono… Luneilim non ha ancora individuato il nuovo passaggio, ma la zona morta è retrocessa di mezzo metro e sembra continuare su quella strada. »

Teruga battè le mani e gioì:

« Splendido…! »

« Invece non ci sono alcune notizie sul sabotatore. – fece seccato – Ci aspettavamo che avrebbe colpito nuovamente alla loro partenza, invece è stato tutto tranquillo. »

« Capisco. »

« Questa tranquillità mi preoccupa – continuò – so che gli Ikisatashi hanno problemi in casa. »

Teruga rispose con un cenno d'assenso mugugnando a labbra chiuse.

« Temete che possano colpire in una simile situazione? »

« Io lo farei. – ammise Ron con rudezza – Contando anche che i nostri alleati sono lontani. »

« Ma Kiddan-san ha già fornito i terrestri dei permessi . »

Disse Teruga e Ron schioccò la lingua soddisfatto.

« Per il momento non riferiamo nulla. – ordinò piano Meryold – Meglio valutare i prossimi sviluppi e vedere se, nel frattempo, riuscissimo ad individuare il traditore. »

I due uomini annuirono e Meryold richiamò le sue guardie, salutando Teruga e Ronahuge con brevi cenni del capo.

« Per essere esatti, comunque, nobile Ron – sorrise ancora – il profumo di erbe sarebbe il mio. »

Se ne andò con un'aria stranamente divertita in volto.

« Questa gliel'ho servita su un piatto d'argento. »

« Dovrebbe cercare di avere più garbo almeno con le signore, nobile Ron. »

« Vacci piano Teruga. »

L'uomo rise discretamente e Ron bofonchiò un paio di insulti a bassa voce; Lena, sempre immobile dove Teruga le aveva chiesto di arrivare, stette rigida sull'attenti e non disse una parola, fissando il pavimento nervosa.

« Va tutto bene Inetaki? »

Alla domanda di Ron lei s'impettì prontamente:

« Certo signore. »

Il suo viso diafano rimase teso. Teruga sospirò comprensivo  e chiese:

« Potrei concederle un giorno di permesso. Magari il nobile Ron ha voglia di fare altre quattro chiacchiere, potrebbe farmi compagnia per oggi. »

Ron emise un troppo ostentato verso di stizza e poi annuì. Lena, contrariamente alle previsioni dell'anziano, guardò entrambi con occhi duri e impassibile rispose:

« Non ho alcun motivo di chiedere un permesso, signore. »

Teruga la studiò sorpreso rimuginando sulle sue parole e poi annuì lentamente; Ron la fissò a lungo prima di allontanarsi.

« Molto bene allora. – riprese Teruga sorvolando sulla questione – Andiamo. Abbiamo moltissimo da fare oggi. »

 

 

***

 

 

Retasu picchiettò sospirando con la punta della matita sul blocco per appunti, cercando di capire a senso quale fosse la parola da inserire in quella stupidissima filastrocca inglese. Si prese la fronte tra le mani e battè la matita più forte, mormorando a mezza voce:

« Ehy diddle, diddle, the cat and… »

Sbuffò controllando la traduzione e si esasperò ulteriormente:

« Vuoi vedere che ho scritto male anche questa…! Cos'aveva questo gatto?! Ehy diddleDiddleCat and… »

« The fiddle. »

La verde guardò sbuffando l'amica che le sorrideva allegra:

« Ma la traduzione dice "il gatto e il violino". Violino non si dice violin in inglese? »

« E fiddle è il nome di un tipo di violino. »

Le sorrise Moe e poi canticchiò:

« Hey diddle diddle, the cat and the fiddle
The cow jumped over the moon
The little dog laughed to see such fun
And the dish ran away with the spoon!
»

Retasu guardò di nuovo il suo foglio e scrisse il testo giusto sconfortata. Moe le si appoggiò al banco scostandosi i capelli biondi e le chiese:

« Va tutto bene? Mi sembri distratta in questi giorni. »

La verde sorrise quanto più incoraggiante potè e scosse la testa dicendo di stare benissimo. In realtà la torturavano tanti di quei pensieri che se si fosse distratta un attimo probabilmente sarebbe crollata.

Erano rientrate da quasi una settimana. MoiMoi le aveva contattate per raccontare gli sviluppi – e i non-sviluppi – sulla ricerca della MewAqua, appena accennando alla situazione della famiglia Ikisatashi dicendo che era tutto tranquillo: Lasa stava ancora facendo degli accertamenti, ma la cosa andava a rilento per via del gran numero di ricoverati colpiti dal veleno della zona morta. Le sue rassicurazioni non avevano spento la sottile apprensione che aleggiava sulle ragazze, ancor meno che eccetto gli sporadici messaggi del violetto non avevano più ricevuto alcuna notizia da nessuno di loro, e universalmente non era un buon segno.

Purin era la più nervosa e si stava contenendo a fatica dal comunicare ogni dieci minuti con Taruto, mantenendo un autocontrollo ammirevole; anche se l'avevano beccata spesso a sospirare di fronte al nuovo telefonino con aria mogia.

Le altre cercavano di mantenere un certo distacco, distraendosi con la loro quotidianità e comportandosi normalmente, ma ad eccezione di Zakuro che aveva una certa esperienza ad ostentare calma, nessuna di loro ci era riuscita troppo bene. Ichigo passava in due minuti dal buon umore, parlottando all'orecchio di Purin e Minto e ridacchiando su chissà quali argomenti che Retasu non riusciva – o non voleva – immaginare, alla malinconia; quando Ryou era più in giro del solito, poi, dava il via ad una serie di scatti d'ira degni di Minto. La mewbird, dal canto suo, di quando in quando sbottava tra sé e sé, come ricordando un avvenimento fastidioso che le altre non arrivarono ad intuire.

Retasu non era granchè più brava. Doveva centrare anche il ritorno a scuola di Ayumi, diventata taciturna e indaffarata: la si vedeva spesso al cellulare o al computer a trafficare, ed erano parecchi giorni che lei e la verde non rientravano assieme.

E poi c'era anche quell'altra cosa.

La mewfocena sospirò arrossendo un poco e mise via il blocco appunti, ormai arresa all'evidenza che l'inglese non fosse proprio il suo campo.

Perché penso a cose simili adesso? Sono un disastro.

Non riusciva a togliersi dalla mente il litigio tra Kisshu e Pai. L'espressione rabbiosa e tormentata del moro pareva essersi incisa a fuoco nella sua testa e lei non riusciva a smettere di rimuginarci sopra preoccupata, tendando di decifrare il vortice che aveva visto agitarsi nei suoi occhi scuri.

« Ma che mi passa per la testa? »

Cercò di cambiare il corso dei suoi pensieri e frugò nella borsa cercando il cellulare di Kiddan: magari giocarci un po' e studiare bene come funzionava l'avrebbe distratta.

Aprì lo schermo e lo richiuse immediatamente dopo mandando un singhiozzo strozzato. Il sangue le fluì alle guance così di colpo che per poco non le venne un capogiro.

Pregando che nessuno avesse visto la scena fece un secondo tentativo, stavolta socchiudendo lo schermo poco per volta, e lo richiuse ancora di scatto saltando sulla sedia.

Perché diavolo c'è una foto di Eyner come sfondo del mio telefono?!

Nascose il cellulare sotto la linea del banco e lo aprì con discrezione. Era proprio Eyner quello che spuntava dietro alle icone della rubrica e dei messaggi: sembrava una foto scattata di nascosto, o presa quasi per caso, ma non abbastanza perché il ragazzo apparisse male o sfocato.

Retasu cercò di riflettere. Forse aveva scattato una foto per sbaglio? Con il vecchio cellulare accadeva spesso, a volte lo controllava tornata a casa ed era zeppo di immagini della sua tasca o dell'interno della borsa. Sebbene quella foto fosse venuta un po' troppo bene per essere uno scatto casuale. Metterla come sfondo, poi… Per assurdo, pasticciona com'era, avrebbe potuto farlo, ma diventava una sequela di coincidenze un po' strane.

« Un momento… »

La campanella suonò annunciando la fine della ricreazione e impedendole di riflettere oltre. Lasciò cadere il telefono in borsa con aria corrucciata, il sospetto che non smetteva di ronzarle nelle orecchie.

 

 

***

 

 

« Insomma Ichigo, la smetti di perdere tempo? Doppiamo ancora preparare tutto! »

« Come sei noiosa Minto. – borbottò la rossa – Non abbiamo ancora aperto, lasciami respirare. »

Minto le scoccò un'occhiata di sufficienza e tornò a sistemare i suoi tavoli, con Ichigo che puliva per la quarta volta il ripiano della cucina in piena fase depressa. Keiichiro, impegnato a preparare un impasto, sospirò paterno guardando lei e Purin, che gironzolava per la sala portando i centrotavola e i menù mettendo tutto l'impegno concessole per sorridere.

All'improvviso la porta d'ingresso tintinnò e si aprì. Zakuro, la più vicina, sollevò la testa pronta a rammentare con garbo – per quanto le era possibile – che erano ancora chiusi, ma si dovette corregge subito.

« Ciao. »

Eyner apparve stanco quando la salutò mentre la piccola Sury aveva il viso illuminato di curiosità. La mewwolf gli rivolse un piccolo sorriso di saluto.

« Eyner…! »

« Eyner nii-san! »

Le ragazze corsero immediatamente alla porta; Purin guardò il bruno carica di aspettative e lui si dispiacque di dover scuotere la testa:

« Non ho ancora notizie. »

Purin chinò lo sguardo mogia.

« Ma so che oggi finalmente termineranno gli esami. – la rincuorò scompigliandole la frangetta – Non preoccuparti. »

Lei si risollevò un poco e Retasu le strinse la mano incoraggiante.

« Grazie Eyn. – gli sorrise Ichigo – Ma allora cosa ci fai qui? »

Lui fece un sorriso storto e indicò teatrale Sury. La piccina, un braccialetto schermante su misura al polso, appariva con indosso un abitino viola di frappe e si dondolava sui talloni chiusi in sandaletti bianchi, guizzando colpevole con gli occhi ovunque attorno a sé tranne che verso il fratello.

« Sono stato costretto. »

« Ogni nostra nuova ospite è la benvenuta. »

Replicò la voce garbata di Keiichiro, che si avvicinò e fece un inchino alla bambina:

« Che dolci vi piacciono, piccola principessa? »

« I dolci mi piacciono tutti. »

Sorrise lei timida; poi esclamò:

« Mi piacciono le more! »

« Allora le verrà offerto il nostro miglior dolce alle more. »

Con fare elegante le porse la mano invitandola a sedersi ad un tavolino; lei girò appena la testa cercando il permesso del fratello e appena lo vide annuire seguì Keiichiro, zampettando felice come un coniglietto.

« Siamo diventati anche un asilo. Non lo sapevo. »

La voce di Ryou non nascose un velato sarcasmo ed Eyner sospirò stanco:

« Scusa Shirogane. Lo so che non stravedi per noi – puntualizzò un po' aspro – ma abbi pazienza: avevo bisogno di staccare un po' e Sury… Beh, ultimamente non mi abbandona per più di dieci minuti, non potevo lasciarla da sola. »

Ryou studiò la bambina sgambettare sulla sedia e rimirare estasiata la fetta di crostata alle more che Keiichiro le servì; fece diversi cenni muti al fratello perché notasse quella meraviglia prima di avventarcisi sopra soddisfatta.

« Mi ha fatto una testa così per vedere questo posto. »

Ridacchiò intenerito. Il biondo sospirò e annuì:

« Capisco. »

Si rese conto da solo di stare esagerando con le sue riserve. Sury, aliena o meno, non gli aveva fatto nulla, e lui doveva imparare ad accettare che non erano più in guerra contro Eyner e la sua gente, indipendentemente dagli eventi del passato. E in fondo il bruno era uno di quelli che riusciva a sopportare, avrebbe osato dire che gli era simpatico. Gli battè una mano sulla spalla e più calmo aggiunse:

« State pure quanto vi pare. Ma cercate di non farvi scoprire. »

Eyner lo guardò divertito andarsene in cucina, doveva essere il massimo di cortesia che avrebbe concesso ad uno della sua razza, e si limitò a ricambiare ringraziandolo.

« Non pensavo di sollevare tanta agitazione. – scherzò forzatamente e agli sguardi indagatori delle ragazze confessò – Di là l'atmosfera non è il massimo. »

« Non ci sono ancora notizie sul nuovo passaggio? »

La mewwolf lo vide fare un cenno di diniego:

« Ma non è per quello. Sono i ragazzi, sono tesi come corde di violino, e neppure i senpai riescono a stemperare la cosa. »

« Certo. E immagino che non abbiate solo questo compito… Avrete altri incarichi come soldati, non sarà semplice. »

« Diciamo che c'era occasione di prendere una boccata d'aria, e l'ho colta. »

Ammiccò il bruno a Minto.

« Hai fatto bene. »

Ichigo sorrise al ragazzo e lo incoraggiò a sedersi ad un tavolo:

« Vedrai che avrai un po' di tranquillità qui. »

 

 

 

Anche se tranquillità non era proprio la parola adatta all'atmosfera del Cafè.

Eyner guardò le ragazze finire di preparare il locale seduto al tavolo più appartato della sala, giocando con il bicchiere d'orzata offertogli da Keiichiro. Di quando in quando buttava un  occhio in cucina, dove Sury stava seduta su un ripiano e martellava di chiacchiere e domande il pasticcere: lui non pareva minimamente infastidito e rispondeva con gioia, e tra un dolce e l'altro faceva assaggiare alla piccina un pasticcino o un ripieno per qualche torta.

« Sembra che Akasaka abbia una nuova ammiratrice. »

« Non è giusto – fumò Eyner teatrale – fino a mezz'ora fa ero io il suo preferito. »

Zakuro mandò uno sbuffo divertito e si sedette al tavolo del bruno. Per un po' nessuno dei due parlò finché la mora chiese pacata:

« Tutto a posto? »

Eyner capì subito che non si sarebbe bevuta una frase di circostanza e sospirò:

« Non proprio. »

Lei incrociò le braccia sul tavolo:

« Riguarda quello che è successo a Lasa. »

Non era una domanda e lui non rispose.

« La tua famiglia? »

La voce soffice di Zakuro si era ridotta ad un soffio inudibile.

« Conosco quello sguardo. »

Non era intenzionata a dare maggiori spiegazioni, ma Eyner capì lo stesso. La fissò a lungo negli occhi zaffiro e gli parve che anche se fosse stato zitto, si sarebbe risposta da sola; gli sfuggì una risata leggera prima di sorridere arrendevole:

« Mio padre. Avevo quindici anni. »

La semplicità con cui lo disse confermò un qualche pensiero nella mewwolf, che si adombrò un poco. Eyner credette, solo per un momento, di udire una lieve indecisione nella domanda successiva:

« Cos'è lo splin? »

Le urla di rimprovero di Minto e le proteste di Ichigo tuonarono nella sala; Eyner sorrise aspettando che i loro toni si placassero.

« Un batterio. »

Prese a dire lentamente:

« Non sappiamo se sia originario di Jeweliria o se per caso lo abbiamo portato noi dalla Terra, e non abbiamo mai trovato un vaccino definitivo. Pare che prolifichi a temperature estremamente basse… E fino a tre anni fa il freddo non mancava da noi. »

Cercò di stemperare con un sorrisetto senza confortare neppure se stesso.

« Ormai non ci sono più stati nuovi casi accertati visto l'aumento di temperatura e le condizioni migliori, ma lo splin può rimanere in incubazione per anni, ed avere un'impennata in poco tempo come consumarsi per mesi. »

Deglutì un momento e bevve un sorso.

« Ma non è facile individuarlo. – concluse – I sintomi sono molto vaghi, febbre, debolezza… »

« Per questo Pai ha valutato l'ipotesi. »

Lui annuì. I due tacquero di nuovo, con solo il chiacchiericcio delle ragazze e il rumore del ghiaccio che sbatacchiava nel bicchiere come sottofondo.

« Scusa l'interrogatorio. »

Così com'era arrivata la mewwolf si alzò per accogliere i primi clienti che entravano, lasciando Eyner nel dubbio del perché gli avesse posto quelle domande.

 

 

***

 

 

La calma nella sala d'attesa era ferma e sottile, screziata dai passi dei medici nei corridoi oltre l'ingresso chiuso. Taruto si alzava e sedeva sulla sedia innervosito dal silenzio; Kisshu passeggiava su e giù di fronte alla porta con lunghe pause tra una marcia e l'altra; Pai era seduto così immobile che si intuiva a malapena respirasse.

Iader era entrato oltre l'altra porta della stanza da quelle che parevano ore e loro non sapevano ancora nulla.

Incapace di restare ancora a fare la stessa cosa degli ultimi venti minuti, Kisshu si sedette pesantemente su una sedia prendendosi il viso tra le mani e sbuffando.

« Non ci sono abbastanza medici per gestire quelli colpiti dalle esalazioni. Controlli generali come per nostra madre hanno priorità secondaria e richiedono tempo. »

Kisshu sollevò appena lo sguardo rimirando il profilo serio del moro.

« Ma è passata una settimana! »

Proruppe Taruto; la sua voce voleva suonare scocciata e autoritaria ma tremò sulle ultime sillabe.

« Quanto ci può volere per dimetterla e dirci qualcosa?! »

Gli altri due non risposero e Taruto riprese il suo salire e scendere e poi passò a passeggiare in tondo. Kisshu si massaggiò il viso e si appoggiò allo schienale riprendendo a guardare Pai, ancora immobile con gli occhi persi nel vuoto.

« Pensi davvero quello che hai detto? »

Pai lo fissò in silenzio.

« Siamo in attesa da sette giorni. – fece piatto – Mi sembra evidente. » 

« Non intendevo questo. »

Pai restò ancora in silenzio.

« Non avrei dovuto parlarti così. »

Ammise lentamente dopo un po'.

« … Non importa. È normale – le labbra di Kisshu si piegarono in un sorrisetto furbo – sei un idiota. »

Pai lo guardò impassibile alzando un sopracciglio.

« Tuo degno compare. »

Replicò e abbozzò un sorriso. Il verde sbuffò divertito.

Furono tutti e tre colti di sorpresa quando la porta si spalancò. Lasa, il viso lievemente tirato, sorrise con dolcezza appoggiandosi al braccio di Iader, l'espressione raggiante, mentre entrava.

« Mamma! »

Taruto abbandonò la sua aria sostenuta e cinse con slancio la vita della donna, che lo abbracciò per le spalle e gli baciò i capelli. Kisshu fece quasi per imitarlo, ma si fermò appena fu in piedi e rimase immobile studiando la donna; Lasa gli sorrise inclinando un poco la testa, quasi domandandogli il perché dell'esitazione, e allungò la mano afferrando la sua che aveva lasciato abbandonata lungo il fianco. Kisshu sorrise in silenzio.

« Ragazzi, avete delle facce spaventose. – rise piano – Ero io quella in ospedale. »

Guardò divertita il suo primogenito che ricambiò con aria affettuosa.

« Allora? – domandò ansioso Taruto – Che hanno detto? »

Lasa s'irrigidì lievemente assumendo una strana espressione. Iader invece prese a sorridere di più.

« Che sto bene. »

Cercò di tagliar corto la donna e tutti e tre i ragazzi la guardarono scettici.

« Certo, chiunque sia in salute sviene. »

Lasa fece una smorfia sapendo bene che il sarcasmo di Kisshu non era sbagliato.

« Non sono malata. »

Insisté. Il sorriso del marito non si smorzò e lei sospirò rassegnata con le guance che si rosarono appena:

« Sono incinta. »

« Cheee?! »

Annuì impicciata a Taruto e Iader rincarò:

« Diventerò papà. Di nuovo. »

Gorgheggiò allegro e Kisshu replicò intervallando risate e cenni d'assenso.

« Avevo dei sospetti – borbottò Lasa – ma non ho avuto tempo di fare dei controlli e togliermi il dubbio, e- »

« Wow, sarò un fratello maggiore? »

« Non è fantastico, Taruto? »

Lasa guardò storto Iader che ridacchiava come un bimbo a Natale:

« È imbarazzante… »

Sussurrò.

« È bellissimo. – sospirò Pai sollevato – Anche se sono un po' sorpreso. »

« Ehi, non sono ancora imbalsamato! »

« Iader! »

« Non voglio sapere… »

« Per l'amor del cielo Taruto… »

« E bravo pa'. »

« Oh, non osate fare comunella voi due! »

Lasa guardò malissimo il marito e Kisshu che misero su lo stesso ghignetto divertito.

« Vi prego, ora andiamo a casa. Vorrei dormire nel mio letto stanotte. »

La donna si trovò scortata dai due lati dai suoi uomini e Taruto apriva la strada tenendole la mano e canticchiando a labbra chiuse.

« Ah! – esclamò di colpo – Aspetta…! »

Si frugò in tasca afferrando il cellulare di Kiddan:

« Altrimenti non mi lascia più in pace. »

 

 

***

 

 

Purin impiegò qualche secondo a riconoscere la musichetta che le proveniva dalla tasca; corse in cucina per poter sentire e il suo urlo per poco non fece cadere a Keiichiro il Pan di Spagna appena uscito dal forno.

« Ragazze! Ragazze! Eyn nii-san! Venite qui! »

Loro smisero all'istante di riordinare dopo la fine del servizio e scattarono verso la stanza stipandovisi dentro.

« Che succede?! »

Mormorò Retasu allarmata.

« Spero sia importante, mi hai fatto prendere un colpo! »

Sbottò Minto e la piccola, la mano ancora serrata sul cellulare, la guardò elettrizzata:

« Lasa-san! Aspetta un bambino! »

Per loro fortuna Eyner e Keiichiro ebbero la prontezza di tapparsi le orecchie perché il grido che le ragazze lanciarono in contemporanea gli avrebbe perforato i timpani.

« Ma è stupendo! »

« Retasu, non ti commuoverai mica? »

« Solo perché il tuo cuore è di ghiaccio, Minto, non vuol dire che tutti siano come te! »

Le rimbrottò Ichigo, incurante che anche la mora avesse gli occhi lucidi. Purin saltellò sul posto trattenendo altri urletti di gioia e dal telefono si sentirono una serie di brontolii e lamenti:

« Porca miseria scimmia da circo! Vuoi rendermi sordo? »

« Scusa, scusa… »

Ridacchiò riportandosi il cellulare all'orecchio:

« Come sta ora? »

« Stiamo andando a casa. Sta bene. – poi tossicchiò e si ostinò a dire con tono antipatico – Visto che mi hai stressato per giorni, volevo avvisarti. Tutto qui. »

« Grazie Taru-Taru. »

« Hmp… »

Purin sapeva che era contento a dispetto della voce e continuò a sorridere:

« Possiamo venirti a trovare? »

« Guarda che non sono io quello "incinto". »

« Allora ci vediamo! – trillò felice ignorando i suoi commenti – Ciao ciao! »

Chiuse la comunicazione e le ragazze emisero altri gridolini estasiati.

« Lasa-san avrà un altro bimbo? »

Chiese Sury tirando insistente la manica del fratello.

« Proprio così. »

« Spero sia una femminuccia. – disse fiduciosa – Così potrà giocare con me. »

« Io gioco sempre con te. »

Replicò lui finto offeso e lei fece spallucce unendosi alle ragazze, perse in congetture sul nascituro. Eyner si abbandonò contro lo stipite della porta e prese un profondo respiro.

« Ti senti meglio? »

Il bruno guardò di sottecchi Zakuro, uscita un minuto prima dagli spogliatoio e già cambiata, che aveva preferito lasciare le chiacchiere sul bambino alle altre e sorrideva tra sé e sé dell'atmosfera; lui ci riflettè su prima di annuire:

« Sì. Molto meglio. »

Lei sorrise ancora serafica e discreta. Eyner si domandò per quanto tempo si fossero guardati a vicenda quando Ryou, attirato dal baccano, era spuntato chiedendo delucidazioni alla mora: Zakuro aveva l'abitudine di guardare la gente dritta negli occhi senza mai distogliere per prima lo sguardo, e per Eyner era estremamente difficile smettere di restare fisso dentro quelle iridi celesti.

Nella confusione non sentirono la campanella della porta suonare per l'ennesima volta e il nuovo consumatore dovette richiamare l'attenzione delle cameriere con un colpo di tosse eccessivamente deciso. Fu Retasu ad affacciarsi per prima e corse subito incontro al cliente.

« Mi sa che sono arrivata troppo tardi. »

« No, tranquilla Ayu-chan – sorrise, contenta di vedere l'amica – abbiamo appena chiuso. »

Si aspettò che Ayumi facesse un qualche genere di battuta, invece si limitò ad un sorriso storto:

« Volevo chiacchierare un po'. »

Il suo sguardo perso lasciò Retasu confusa, incapace di replicare, e in suo aiuto arrivò Keiichiro:

« Kotegawa-san. Erano giorni che non ti si vedeva. – sorrise pulendosi le mani nel grembiule – Ci sei mancata. »

Ayumi rispose con un grugnito, ma l'uomo non si scompose e ammiccò:

« Ho preparato un dolce speciale che sono certo ti piacerà. Accomodati, così potrete parlare con calma. »

La rossa si sedette al tavolo e Keiichiro le fece portare con fare cerimonioso una sponge cake con doppia porzione di fragole e panna; Ayumi ringraziò con un monosillabo, l'espressione sempre persa nel nulla, e Retasu le si sedette vicino sorridendole preoccupata. Cercò di intavolare una conversazione a cui Ayumi rispose senza il solito estro e Retasu insisté, sempre più turbata, provando ad essere naturale:

« Quella fetta sembra davvero gustosa! – ridacchiò forzatamente – Me la fai assaggiare? »

Prese il cucchiaino che Ayumi non stava adoperando e le rubò un infinitesimale angolo di torta, sicura che la rossa sarebbe scattata vedendole trafugare il suo amatissimo dessert. La leccornia era già nella sua bocca quando la rossa parlò:

« Senti Reta-chan… »

« Sììì? »

Sorrise innocente la verde continuando a giocare, ma Ayumi era sempre seria:

« Tu conosci le MewMew? »

Per poco Retasu non si strozzò con il boccone e tutti gli altri presenti si raggelarono. Calò il silenzio nel locale e, mentre le altre si sforzarono di terminare il loro lavoro senza tendersi con tutto il collo per sentire il resto del discorso, la mewfocena tentò di dissimulare ridacchiando innocente:

« Beh certo. Chi non le conosce? Ma p- »

« Sai che ci sono un sacco di siti su di loro? »

Retasu mormorò un imbarazzato no, in effetti non lo sapeva e non era proprio una notizia che la facesse gioire. Provò a chiedere ancora il perché dell'argomento e Ayumi proseguì imperterrita:

« Hanno davvero di tutto sai? Specie un sacco di foto e di filmati amatoriali… Alcuni sono fatti proprio bene, si vedono benissimo. »

La mewfocena non rispose sentendo una strana morsa allo stomaco. Ayumi parlava meccanicamente tormentando il suo dolce senza mangiarlo e alla fine sentenziò cupa:

« Se li guardi attentamente noti dei dettagli davvero interessanti. »

Infilzò la forchettina in una fragola e poi la poggiò rumorosamente sul piatto voltandosi di scatto verso Retasu: lei sobbalzò e la guardò studiarla duramente dalla testa ai piedi, quindi la rossa scostò la sedia e le saltò al collo.

La verde mandò uno strillo e tentò di fermarla farfugliando frasi sconnesse e domandandole se fosse impazzita, ma Ayumi non le diede retta accanendosi sul fiocchetto e sui bottoncini della divisa, finché sotto lo sguardo attonito dei presenti alla fine la camiciola di Retasu fu aperta e Ayumi urlò trionfante:

« Lo sapevo! »

Guardò furente, con Retasu che tentava in tutti i modi di non rimanere denudata, la voglia rosa che faceva capolino sul petto dell'amica.

« Ah, io…! Maledizione! Lo sapevo di averla vista, lo sapevo! »

Strillò indicando con fare accusatorio le due piccole focene che s'intravedevano sul decolté chiaro. Si voltò e allungandosi afferrò per un braccio Purin sollevandole la frangetta; le deboli proteste della biondina furono soffocate dal nuovo grido della rossa, sempre più furiosa:

« Lo sapevo! »

Ichigo guardò con terrore Ayumi fissarla in maniera spaventosa e cercò di scappare, ma l'altra la placcò immediatamente per un piede e approfittò della rovinosa caduta della mewneko per balzarle addosso, dando il via ad un'assurda lotta in cui Ichigo strillava e sbracciava in tutti i modi per allontanarla: la sua voglia non era in un punto adatto alla visione di tutti.

« Ayu-chan, piant-! Ah, non ti azzardare! Tieni giù le mani! »

Dovette intervenire Zakuro per fermarla afferrandola per la vita e sollevandola di peso, ma la furia Ayumi diede gli ultimi botti e lei si divincolò dalle braccia della mewwolf sollevandole senza garbo la maglietta e rimanendo ammutolita a studiare le due code di lupo sulla pelle nivea della giapponese, intenta ad impedire che la lasciasse in reggiseno.

Spompata la rossa squadrò ancora la mewwolf, poi il resto dei presenti e infine Retasu, che tentava invano di riallacciarsi la camicetta.

« Credevo di essermelo sognato… »

« Ayu-chan, i- »

« Mi ero detta "un mostro che tenta di mangiarmi, è impossibile – continuò a mormorare – e quella che ho visto non può essere"… Invece eri tu… »

« Ayumi… »

« Sei una MewMew. – sbottò di colpo – Siete le MewMew! »

I suoi occhi dardeggiarono furenti verso le amiche che non riuscirono a dire una sola parola; Retasu cercò di avvicinarsi a lei con aria mortificata ma lo sguardo ferito che le venne rivolto la fece indietreggiare.

« Pensavo mi avessi detto una bugia… Invece mi hai sempre detto bugie. »

« No, Ayu-chan! Ascolta, io n- »

La rossa le schiaffeggiò la mano che le stava tendendo e fece per uscirsene dal locale; stringeva già il pomello della porta quando Eyner le si teletrasportò accanto afferrandola per un braccio, e strappandole una folta sequela di parolacce per cui Keiichiro dovette coprire le orecchie a Sury.

« Modera il linguaggio. »

« C'è un ragazzo che mi è appena comparso davanti fluttuando e io dovrei moderare il linguaggio? »

Replicò sferzante scacciando la mano dell'alieno.

« Ti prego Ayu-chan! – gemette Retasu – Lo so che avrei… Ma non potevo! »

« Perché no?! »

« Era troppo pericoloso! »

Ayumi rise sprezzante:

« Per poco non divento mangime di un tacchino gigante! »

Retasu tacque e Ayumi vide i suoi occhi riempirsi di lacrime; abbassò la voce, seppur restasse adirata:

« Scusa. Quello non centra. »

Restarono in silenzio senza sapere bene cosa fare nessuna delle due, finché Ryou si avvicinò loro e propose:

« Andate di sopra. Parlatene con calma. »

La rossa lo fissò per alcuni secondi e poi annuì, seguendo lui e la verde su per le scale. Ichigo avrebbe voluto seguirle, ma Zakuro la fermò:

« È meglio se parla Retasu con lei. »

La mewneko chinò la testa acconsentendo; non era nella sua indole non parlare ad un'amica, ma sapeva che il legame tra Ayumi e Retasu era diverso che con chiunque di loro, la rossa non avrebbe voluto ricevere spiegazioni da nessun'altro se non dalla verde.

Al piano superiore Retasu accompagnò Ayumi fino nella spoglia camera di Ryou; lei titubò incerta su come comportarsi, per quanto anonima restava lo spazio privato di un amico, invece la rossa entrò spedita e si accomodò sul letto accavallando le gambe. Retasu sospirò e le si sedette accanto. Le sue dita presero a martoriare il grembiule bianco della divisa:

« Potrebbe volerci un po'. »

« D'accordo. »

Retasu la guardò, si sistemò gli occhiali e sospirò ancora profondamente:

« Prima di dirmi che sono impazzita… Ascoltami fino in fondo, ok? »

« Reta-chan, ho appena avuto conferma che le mie amiche combattevano alieni e mostri in costumi colorati. – puntualizzò sarcastica, e la verde la vide sorridere appena – Non credo che ci sia molto altro che possa stupirmi. »

 

 

Quando le due ragazze scesero per via del cielo scuro fuori dalla finestra, le altre erano già state mandate a casa, seppur con reticenza, e anche Eyner e Sury erano tornati a Jeweliria.

Le cose da dire si erano accumulate l'una sull'altra man mano che Retasu raccontava e si erano rivelate molte più di quante ne ricordasse; era a metà del racconto quando fu l'ora di rientrare e la verde invitò Ayumi a cena da lei, perché potessero parlare tranquille.

Ayumi era sempre la benvenuta a casa Midorikawa perfino con un preavviso minimo e la madre di Retasu accolse la rossa con un gran sorriso proprio come il marito e il fratellino della verde. Cenarono tutti e cinque in serenità, senza che dalle due ragazze trasparisse l'urgenza di rintanarsi in camera della mewfocena per terminare una certa faccenda, e appena la signora Midorikawa spense i blandi tentativi della figlia di aiutarla a riordinare lei e Ayumi corsero al piano superiore come due fulmini. Le chiacchiere proseguirono fino a tarda sera, anche dopo che il signor Midorikawa ebbe bussato sulla porta intimando gentilmente di spegnere le luci, e mentre Retasu stendeva un futon sul pavimento, Ayumi indossò un bel pigiama azzurro prestatole dall'amica e si sedette sul suo letto sbuffando:

« Ma come diavolo hai fatto a tenerti tutta 'sta roba dentro? Io sarei impazzita. »

Retasu sorrise timidamente accomodandosi sul futon e scrollò le spalle.

« Mi spiace di non avertelo mai detto. »

Ayumi le fece segno di non dire altro:

« Lo posso capire… Ma sono ancora arrabbiata. – borbottò – Quindi non farmi aggiungere altro. »

Retasu annuì colpevole e rannicchiò le gambe al petto. Ayumi sospirò, si spostò sul materasso e battè con il palmo per dirle di raggiungerla; Retasu obbedì timidamente sedendosi il più vicino possibile ai piedi del letto e per almeno dieci minuti nessuna delle due disse più niente.

« Sai tu… Non hai mai tradito la mia fiducia da quando ci conosciamo. Mai. Nemmeno una volta. »

Retasu non rispose fissandosi le mani giunte in grembo.

« Però questa – Ayumi soffiò esagerata – è grossa. Davvero! »

Retasu fece un timido segno d'assenso avvertendo il petto diventare pesante:

« Quindi… Non ti fiderai più di me? »

« Non lo so. »

Quel sussurro parve voler schiaffeggiare la povera mewfocena che però non fece altro che stringersi forte nelle spalle.

« Innanzitutto, d'ora in poi se mi dirai altre frottole su questa cosa potrei non rispondere più di me. »

« Lo so. »

Rispose tremula cercando di sorridere.

« Perché è vero, non posso fare un accidenti, ma vuoi mettere il poter raccontare tutte le tue avventure fichissime a qualcuno? »

Retasu non capì se stesse scherzando o meno, ma le sfuggì comunque una risata nervosa.

« E almeno così non morirò di preoccupazione. »

La verde non disse niente e la guardò. L'espressione di simpatica malignità, quella che metteva su solo per stuzzicarla, sembrava risplendere sul viso di Ayumi mentre elencava le sanzioni per le sue bugie:

« D'ora in poi ho un conto aperto (e pagato) al Cafè. »

Retasu ridacchiò piano:

« Veramente non decido io… »

« Sono sicura che Shirogane sarà comprensivo. Se non vuole che lo picchi per aver trasformato le mie amiche in guerriere miagolanti. »

« A dire il vero è Ichigo il gatto. »

« Dettagli.

« Poi mi devi almeno tre appuntamenti di gruppo. E non voglio sentire storie come "ho da studiare" o "mi vergogno", non devi ammogliarti! Mi accompagni con le altre, punto e basta, mi serve il quarto uomo. »

« Volevi dire donna vero? »

« Vuoi smetterla di fare la pignola?! – la sgridò sorridendo – Guarda che sono ancora arrabbiata! »

Ma Retasu non riuscì a smettere di ridere e Ayumi l'attaccò con il cuscino, facendola solo piegare sul materasso in un accesso di ridarella. Lottarono e giocarono, Retasu non seppe se per la contentezza di avere ancora la sua amica o solo per sfogare lo stress di quel pomeriggio di rivelazioni scottanti, finché entrambe non si arresero sfinite. La verde, stesa al contrario sul letto con le braccia spalancate e il respiro grosso, guardò di sottecchi Ayumi che era collassata di schiena sopra la sua pancia e stava con la testa e le gambe penzoloni fuori dal letto.

« Un momento…! – riflettè con il fiato corto – Ma allora quel gran figo dell'altra volta è un alieno?! »

« Chi? »

« Oh, dai! – esclamò balzando seduta, con poca gioia dello stomaco della mewfocena – Quello carino coi capelli scuri, alto alto… Pai si chiamava se non sbaglio. »

Pure Retasu si alzò e sentì lo stomaco fare una strana capriola:

« Sì, è un alieno anche lui. »

Ayumi si premette le mani sul viso e si lasciò cadere a peso morto con un lamento:

« Cavolo…! Ma non è possibile! – ci pensò su e si protese a gattoni verso la verde – Dici che avrei qualche possibilità anche se è alieno? »

« Ecco… Io, a dire il vero… »

« Immagino di no, eh? – sospirò – Ma che palle! Dovrò farmi un'altra estate senza un ragazzo?! Non è giusto! »

Prese a sproloquiare sui suoi programmi estivi infilandosi nel futon e Retasu la imitò entrando sotto le coperte lasciando che Ayumi parlasse fino ad addormentarsi, e lei la seguì poco dopo con una strana sensazione di pesantezza nel petto.

 

 

***

 

 

Pai si fregò il viso con due dita e si abbandonò sulla sedia facendola cigolare prepotente. Fissò lo schermo e i dati che stava ricontrollando per la decima volta, quindi guardò il piccolo quadrante su un lato della pulsantiera che gli indicava da quante ore si trovasse lì di fronte e perché, di conseguenza, gli occhi gli bruciassero come il fuoco.

Respirò profondamente. Non riuscendo a dormire – per via dell'adrenalina delle ultime notizie e il suo successivo crollo – aveva pensato di sfruttare il tempo per far luce circa punti ancora oscuri sul Dono e tutto il resto, ma i risultati erano stati decisamente scarsi. Neppure sul sabotatore che li aveva quasi uccisi c'erano novità: il congegno che aveva usato era uno di centinaia e ogni singolo soldato di Jeweliria, dai cadetti ai generali, poteva utilizzarlo; c'era perfino la possibilità, seppur remota, che un civile fosse riuscito a procurarsene uno. Doveva trovare un modo per scremare il numero dei sospetti, ma era troppo stanco per stilare anche una lista delle differenze e delle attività di metà degli abitanti del pianeta.

Aveva ormai deciso di arrendersi, se non ci fosse stata l'ennesima nota in calce a punzecchiargli il cervello.

Il giorno che avevano salvato la ragazza umana dai capelli rossi dal chimero, Eyner aveva detto di aver visto una sonda nascosta nell'erba: con MoiMoi avevano individuato un vago segnale nelle registrazioni dei sonar di sorveglianza, che poi era scomparso per ricomparire alcuni secondi a Jeweliria; quindi più nulla.

Una sonda del genere non può scomparire nel nulla. Dove diavolo è finita?

Sbuffò, non riusciva più a pensare; forse era il momento di prendere l'esempio di MoiMoi e andarsene a dormire almeno un paio d'ore. O almeno stendersi su qualcosa di comodo e tenere gli occhi chiusi e il cervello libero da stimoli esterni.

Azionò gli scudi difensivi aggiuntivi e spense gli schermi uscendo nella notte afosa e umida, senza accorgersi dello zampettare metallico che dieci metri più in là si allontanava un poco nel sottobosco dirigendosi verso Tokyo.

 

 

***

 

 

« Sei sicura di non voler venire Ichigo? »

« Sì, sicurissima. – confermò lugubre – Portate i miei saluti a Lasa-san… »

Retasu e Purin fecero spallucce e andarono in cucina a prendere il pacchetto che Keiichiro stava finendo di confezionare. Ichigo sospirò e continuò a spazzare il pavimento mogia, per lo meno quel sabato – vista l'insistenza martellante di Purin di voler andare a Jeweliria – Keiichiro aveva convinto Ryou a tenere chiuso il locale: con le ragazze che non c'erano e Zakuro impegnata in un'intervista, Ichigo era certa che sarebbe morta di lavoro.

« Ora è l'ultimo dei miei problemi. »

Borbottò salutando le altre tre ragazze che uscivano dalla porta.

Al mattino aveva provato un piccolo test del libro assieme a Moe e Miwa, per vedere a che punto fossero i suoi progressi con chimica.

Non ne aveva azzeccata una.

0 su 30 domande e pure a scelta multipla, quante possibilità ci sono?

Doveva approfittare delle preziose ore della giornata libera  e trovare una soluzione per la questione. Una che possibilmente non contasse più Ryou Shirogane nel prospetto.

Non dopo quello successo l'ultima volta.

Forse avrebbe dovuto girare con uno spray al peperoncino in tasca visti gli avvenimenti dell'ultimo mese.

Scosse la testa così forte da picchiarsi la punta del naso coi codini, non aveva tempo né voglia di pensare a nulla di quanto successo, che inquadrasse Ryou oppure Kisshu. In fondo era diventata esperta nel nascondere ogni argomento scottante dove non potesse turbare la sua tranquillità, senza preoccuparsi di doverlo affrontare o meno.

Mise via la scopa odiandosi per quella consapevolezza, richiuse la porta del ripostiglio e con un bel respiro si girò e tornò in salone con in mente il solo pensiero dell'esame di recupero; aveva già trovato una probabile e ben più saggia soluzione di avere Shirogane come insegnate: del resto, gli scienziati esperti mondiali di biologia che conosceva erano due.

« Akasaka-san? »

« Ichigo-san, sei ancora qui? – le sorrise dolce l'uomo – Ryou brontola un po', ma vai tranquilla a casa. »

« A dire il vero avrei bisogno di chiederti un favore. »

« Certo! Dimmi. »

« Ecco io… Avrei qualche problema con chimica. Qualche grosso problema – ammise con una risatina imbarazzata – e tra appena un mese avrò un esame di recupero. Non è che potresti darmi delle ripetizioni, così, a tempo perso? »

« Non c'è alcun problema. »

Sorrise smagliante e Ichigo fu tentata di mettersi a saltellare per la gioia, finché lui non la interruppe:

« Con tutto quello che c'è da fare, però, non credo che potrei dedicarti il tempo necessario anche volendo… »

« Oh. »

« Ryou, perché non le dai una mano tu? »

Il biondo si bloccò nel mezzo della sala a guardare Keiichiro e Ichigo con aria di vago stupore. La rossa invece sentì il viso paralizzarsi in una smorfia e un'imprecazione, come mai avrebbe pensato di poterne formulare, le salì in gola cadendo ad un passo dalla lingua e uscendo come un rantolo.

Devo andare a farmi esorcizzare.

 

 

***

 

 

Lasa sospirò annoiata, detestava quando era costretta a restare a casa senza nulla da fare, ma non c'era stato verso: Iader – che di colpo si era ricordato per filo e per segno come erano state le precedenti gravidanze di lei – le aveva imposto di rimanere tranquilla almeno un paio di giorni.

« Lo sai che poi vai come se nemmeno ci fosse. – le aveva detto indicandole la pancia ancora piatta – Con Taruto sei stata in servizio fino al giorno prima. »

Lasa aveva borbottato in assenso con poca energia, facendo spallucce e si era rassegnata a fare l'adulta responsabile e attenta.

Smise un istante di cucire guardando il pezzo di stoffa ancora informe tra le sue mani: era tradizione a Jeweliria cucire un abito per un bambino non appena si veniva a conoscenza della gravidanza, come buon auspicio, un invito al piccolo a venire al mondo sano e forte per indossarlo. Per abitudine Lasa stava seguendo l'usanza, anche se ormai non vivevano più in condizioni tali da temere per la vita del nascituro; lei poi non aveva mai avuto gravi problemi ed era abbastanza in salute. Guardò di sottecchi Pai, l'aria fin troppo nota di quando dormiva poco, intendo a prepararsi del paina e Taruto che sfogliava un libro seduto a gambe incrociate sullo schienale della sedia, come un pappagallo sul trespolo; le venne da sorridere e fu tentata di far sparire l'ago.

Ma qualcuno, se non andava errata era stato un terrestre, una volta aveva detto essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male(*), quindi meglio darsi da fare; almeno poteva tenersi occupata senza incorrere nelle occhiatacce di Pai o nei borbottii di Taruto e Kisshu. 

Aveva appena ripreso a cucire quando bussarono alla porta. Taruto andò ad aprire e fu investito da un saluto a parecchi decibel sopra il normale replicando a parolacce.

« Purin, non dovresti urlare così… »

« Ho solo detto ciao! nee-chan! »

Protestò gonfiando le guance e Retasu sorrise poco convinta.

« Mi hai rotto un timpano, altroché. – borbottò Taruto cupo – Che ci fate voi qui? »

« Veniamo a festeggiare. »

Sorrise la mewscimmia e protese fiera le braccia gettandogli un pacchettino rettangolare sotto il naso. Lui fece una smorfia.

« Taruto, non lasciarle sulla porta – lo ammonì la madre – entrate pure. »

Le tre ragazze ringraziarono e si fecero avanti, incuranti di Taruto che alzava gli occhi al cielo continuando a mugugnare. Pai non disse niente e le guardò sedersi composte vicino a Lasa, porgendole il pacchettino che conteneva una piccola torta alla crema.

« Congratulazioni Lasa-san. »

« È una notizia meravigliosa! »

La donna sorrise gentile:

« Non dovevate disturbarvi. »

Minto scosse la testa:

« Ah, ovviamente è da parte anche di Zakuro nee-sama – precisò – e di quella debosciata di Ichigo. »

« Poi non ti offendere quando ti danno della acida, però. »

Minto squadrò Taruto che replicò scrollando le spalle, quasi a dirle è vero, e studiò sua madre prendere un coltello e tagliare la torta per tutti.

« Sarai contentissima Lasa-san. »

Esclamò Purin sbranando la fetta che le venne servita e Lasa annuì con un sorriso impacciato:

« È stato un po' inaspettato… »

« Non scendere nei dettagli ti prego, sono ancora minorenne. »

La scarsa battuta di Taruto fu zittita da uno scappellotto di Pai, che lo guardò assassino; Minto non potè non notare la pessima influenza che si rifletteva da Kisshu al fratello minore e schioccò la lingua infastidita.

« Taru-Taru, sei antipatico! Lasa-san è bella e giovane, che male c'è? »

« Non so nemmeno se hai capito la metà del mio discorso… E comunque non chiamarmi Taru-Taru. »

« Ti ringrazio Purin-chan. – le sorrise dolce la donna, ignorando il figlio – Però, sai, anche se non è così raro, è un po' imbarazzante alla mia età essere incinte. »

« Beh, in fondo hai sol- »

Per la terza volta Taruto si beccò un'occhiataccia, stavolta dalla madre, che non era molto contenta di rilevale la sua età. Le tre terrestri la guardarono, Lasa appariva loro abbastanza giovane; Retasu passò lo sguardo prima su di lei e poi su Pai e iniziò a riflettere, contando sotto al tavolo con le dita: il ragazzo doveva essere un po' più grande di lei, mentre Lasa era più giovane di sua madre.

« Che sciocca! – esclamò di colpo la donna – Non vi ho offerto niente…! »

Si girò un secondo verso Pai, già con la sua tazza in mano pronto a filarsela, che dopo un paio di istanti a sostenere lo sguardo di lei roteò gli occhi e mise su altro paina. Sbuffò rassegnato ascoltando distrattamente le chiacchiere che avevano riconquistato la madre e le ospiti e si sorprese quando sentì qualcuno picchiettargli con l'indice sulla spalla.

« Posso darti una mano? »

Retasu gli sorrise sussurrando esitante la proposta e Pai la fissò in silenzio, chissà perché la scena gli apparve scontata. Scrollò le spalle e le indicò con un cenno uno strano bollitore di metallo sul ripiano del lavabo, uguale a quello che lui già teneva in mano; Retasu lo prese, lo riempì quasi all'orlo e lo porse al ragazzo perché lo mettesse sul fuoco. Pai la vide con la coda dell'occhio cercare di aiutarlo a prendere delle tazze cilindriche per la bevanda, in uno stipite decisamente troppo in alto per lei, e con l'ennesimo sospiro un po' insofferente le rubò i contenitori da sotto le dita posandoglieli di fronte senza troppe cerimonie.

« Mi spiace… Non sono stata di grande aiuto. »

Disse lei sistemandosi gli occhiali sul naso. Pai scrollò la testa:

« Va bene. »

Restarono in silenzio, il rumore dell'acqua che bolliva appena udibile e il fracasso delle ciarle e delle risate di Purin che echeggiavano nella stanza.

« Lasa-san mi sembra proprio in forma. »

Sorrise guardando la donna ridere, mentre la mewscimmia diceva qualcosa che fece scattare sull'attenti Taruto, ruggente d'imbarazzo.

« È un sollievo. »

« Mi spieghi perché? »

La verde sbattè le palpebre studiando Pai frastornata dalle sue parole criptiche.

« Siamo stati nemici. Vi abbiamo praticamente trascinate in quest'alleanza, e sono il primo a dire che è una delle collaborazioni più traballanti mai assemblate. »

Il suo tono calmo si accompagnò ad uno sguardo di pacata curiosità, che passò la mewfocena dalla testa ai piedi; Retasu si obbligò a sostenerlo senza abbassare la testa o arrossire.

« Non abbiamo niente da spartire. Nessun legame profondo. »

Non c'era ostilità nella sua voce e lei si sforzò di capire dove volesse andare a parare.

« Perché vi comportate così? »

Accennò alle altre due ragazze, sedute tranquille al tavolo accanto a Lasa a mangiare torta e chiacchierare, e poi tornò a guardare lei in silenzio:

« Come mai sei sempre così? »

Neppure quella fu una critica, ma più una strana curiosità. Retasu giocherellò con le dita e sorrise impacciata facendo spallucce:

« Non te lo saprei spiegare. È… normale. – disse piano – Credevamo fosse successo qualcosa di brutto, invece non lo è, ed è bello festeggiare una buona notizia. »

Lui non parve soddisfatto della risposta finché Retasu non concluse:

« Non importa il prima, ora lavoriamo assieme. Siamo amici. »

Gli rivolse un sorriso gentile e Pai sollevò un sopracciglio:

« La parola che cercavi non è "alleati"? »

« Perché? »

« Gli amici devono conoscersi. »

« Non credi di scervellarti un po' troppo sulla cosa? »

Azzardò e lui replicò a braccia conserte:

« Magari invece siete voi che ci riflettete troppo poco. »

« Certo che sei proprio polemico! »

Lui la guardò sorpreso del commento spontaneo e Retasu si tappò la bocca con due dita, temendo di aver esagerato; Pai però le rivolse un sottile sorrisetto, versando il paina pronto nelle tazze:

« Forse hai ragione tu. »

 

 

***

 

 

Cercò di chiamare Ichigo. Nulla accadde. Provò con l'altra ragazza e pregò nel legame che ancora lo teneva ancorato a loro. Ancora nulla.

« Taiyou, ti prego, smettila! »

Lui insisté finché una terribile fitta di dolore non gli piegò le membra e la sensazione di svanire nel nulla non lo fece inginocchiare a terra.

« Taiyou! »

Si sforzò di restare almeno con la schiena dritta, prendendo grossi respiri affannati. Era ridicolo considerando da quanti secoli era morto, ma il suo petto continuò ad alzarsi ed abbassarsi a lungo.

« Non riesco più a sentirle… »

La voce che lo aveva chiamato tacque angosciata.

« Non mi sentono, Luz. »

Sapeva che, potendo, lo avrebbe toccato per rinfrancarlo. Udì un sospiro tremulo e rimase solo nella dimensione bianca e vuota.

« Troveranno da sole altri frammenti. »

« Devono trovare prima quello… È molto pericoloso. – sussurrò alzandosi – E più frammenti trovano, più è facile per loro trovare gli altri. »

La sentì tacere.

« Speri ancora di fermarlo? »

Lui sorrise triste. Dopo 300 milioni di anni, non aveva ancora smesso di sperare.

Sebbene non potesse vederla fu certo che gli sorridesse grata.

« Prova ancora Taiyou. »

La voce di lui tremò un istante:

« E se continuando così scomparissi? »

« Finché ci sono io non ti lascerò scomparire – disse ferma – e finché esisterà il Dono, io non scomparirò. »

La voce sottile di Luz si spense dolorosamente. Lui prese un profondo respiro, e provò ancora.

 

 

 

 

(*) una frase di Eduardo de Filippo J

 

 

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Uff e siamo in fondo! Spero che vi sia piaciuto anche se è così, io sinceramente non vedo l'ora di aggiornare per mettere altre cose succose sul fuoco xDD! (sono sadica?)

Ringrazio un cashino Hypnotic Poison, Danya, mobo, Allys_Ravenshade e AngeloBiondo99 per le recensioni :3 e tutti i lettori che continuano a seguirmi e che spero mi lascino tre righe ^w^, per stavolta niente schizzi (troppo lavoro :P), ma visto che voglio aggiornare presto spero di poterli inserire nel prossimo ;). Bacioni a tutti


Mata ne
~♥ !

Ria

 

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Capitolo 24
*** Toward the crossing: in the middle of two roads (part II) ***


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Gente sono distrutta, questo capitolo è INFINITO @_@""! avevo sperato di metterci un po' più d'azione, ma come al solito le mie dita e il mio encefalo vengono guidati da forze mistiche *idiozia* ed è uscita sta cosa :P. Un po' di punti prendono nuovi assetti e altre cose si agitano nell'ombra, cosa accadrà? Mah… xD

Sempre in tema "titoli a caso" xD… Spero di non aver fatto casini col gioco di parole :P.

 

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Cap. 24 –  Toward the crossing: in the middle of two roads (part II)

                 Emotional covalent bond

 

 

 

 

 

MoiMoi accostò a sé il grosso mazzo di fiori, ponendo attenzione a non danneggiare un solo petalo, e proseguì nel bosco canticchiando, un venticello dispettoso che fischiava a tratti nelle orecchie. L'aria era tiepida e profumata e l'erba aveva preso il colore luminoso e pieno che aveva nelle stagioni più calde, e il ragazzo ciondolò volentieri in mezzo ai fili smeraldini che gli solleticavano le gambe snelle.

Arrivò al Santuario con una certa rapidità nonostante avesse passeggiato con calma: fu con un sorriso che notò l'edera e le altre piantine non proprio domestiche che avevano invaso in così breve tempo la pietra bianca del colonnato, privo di pavimento e pareti, aperto verso il cielo terso, e lui ebbe l'impressione che il pianeta e quelle pietre cercassero di unirsi, concatenarsi in un unico paesaggio. Compì solo un passo verso il piccolo avvallamento circondato da alberi e le fronde iniziarono a frusciare leggere; MoiMoi ammirò in silenzio lo stormo di minuscole rêves che agitando le meravigliose ali spesse come carta si alzarono e abbassarono in circoli di fronte a lui, tornando poi a poco a poco a posarsi sui tronchi e sulle colonne come fiori sbocciati in una sola notte.

Le rêves erano le uniche creature, oltre alla sua gente, giunte dalla Terra. Una sorta di farfalle dalle ali dorate ricamate di arabeschi bianchi, forse imparentate con delle lucciole per via della loro luminescenza naturale; nessuno degli studiosi di Jeweliria era però riuscito a classificarle e studiarle in toto. All'apparenza il loro ciclo vitale era lungo quanto quello di una persona, non soffrivano i cambi di clima, e nessuno era mai stato in grado di capire di cosa, e se, si cibassero.

Le leggende le descrivevano come la forma tangibile delle anime dei defunti, costantemente in veglia dei loro cari nei luoghi dove venivano commemorati. Pai lo sgridava spesso dicendo che una persona del suo intelletto non avrebbe dovuto credere a sciocchezze simili, ma MoiMoi gli rimbrottava che l'immaginazione era il più grande dono di uno studioso, ciò che gli permetteva di vedere oltre le sue conoscenze e scoprire cose nuove: non trovava nulla di male nel credere nell'aldilà, e poi gli donava un certo conforto pensare che la sua famiglia fosse ancora al suo fianco.

Il ragazzo giunse in mezzo al porticato che le rêves  avevano affollato in piccoli gruppi tutte le colonne. Sul fondo di esse c'era una grossa pietra bianca, vecchia molto più del resto e con la superficie incisa da caratteri minuscoli; se si osservava bene si potevano intuire indizi del fatto che quello non fosse il suo luogo d'origine, come l'erba gialla impastata nel fango che spuntava a stento da sotto il mastodontico peso, o i solchi nel terreno ormai ricoperti di germogli nuovi.

MoiMoi sfiorò con le dita la superficie della roccia rudemente levigata dal tempo. Da piccolo odiava la pietra del Santuario; nei bassifondi di Jeweliria, al freddo, gli aveva sempre ricordato la neve che li teneva imprigionati: il suo biancore, lì al sole così etereo e pacifico,  laggiù nella penombra sotterranea era quello della morte e più volte si era stretto a sua madre, scorgendolo in lontananza lungo la via, come se vedesse per davvero la cupa mietitrice.

Il ragazzo posò i fiori ai piedi della pietra e giunse le mani in grembo:

« Padre, madre… Scusate se è così tanto che non passo a trovarvi. – vagò con lo sguardo sulle ali frementi delle rêves e sorrise con un sospiro liberatorio – Ultimamente sono successe così tante cose…! »

Si inginocchiò pigramente nell'erba constatando quanto ormai fossero vicini alla bella stagione, e avvertì un moto d'ansia.

« Sono due settimane che tento di triangolare il segnale di altri passaggi – disse piano – ma non ho ancora trovato nulla. Pai-chan inizia ad esasperarsi e anche io sono un po' frustrata. »

Si attorcigliò uno dei ciuffi viola attorno all'indice:

« La zona avvelenata non è più progredita, per fortuna, però da l'altro ieri ha smesso anche di retrocedere. »

S'interruppe e guardò sovrappensiero una piccola rêves sollevarsi da una colonna alla sua sinistra e dopo un breve voletto posarsi sulla pietra bianca. Strinse il labbro inferiore sospirando ancora:

« Temo che riprenda il processo inverso. Se le altre Gocce poi… »

Preoccupato si fermò di nuovo e ascoltò il silenzio del bosco attorno a lui; alla fine inspirò a fondo per calmarsi:

« Per ora continuiamo a cercare. – fece con tono rassicurante guardando la pietra – In fondo sono contenta, queste due settimane mi hanno fatto quasi dimenticare i nostri problemi. Pai-chan a parte che non fa che borbottare, ma me ne faccio una ragione. »

E ridacchiò studiando la rêves volarsene via.

I quindici giorni appena trascorsi avevano dimostrato la straordinaria capacità di adattamento delle terrestri, a cui a dire il vero i suoi kohai non erano molto da meno. Né a Pai né a Sando piaceva molto la loro eccessiva rilassatezza – come sibilavano nella speranza di una reazione, mai riscontrata – ma il moro trovava il modo di calmarsi gettandosi a capofitto nella ricerca dei passaggi e continuando le indagini sul sabotatore, attività che svolgeva sforando ampiamente le ore massime di lavoro stabilite dalla sua salute mentale. Sando invece perdeva le staffe più del solito, tediato dalla mancanza di attività per non essere più al servizio di Teruga e libero di mantenere molto meno spesso un contegno adeguato, non essendoci consiglieri o superiori schizzinosi da dover gestire; MoiMoi sarebbe stato più felice se avesse passato le giornate a sfogarsi al campo di allenamento con i cadetti, alcuni pomeriggi lo avrebbe seppellito volentieri sotto mucchi di terra pur di farlo smettere di brontolare.

Kisshu era la più alta fonte di stress di Sando: non riusciva a sopportare di vederlo bighellonare in giro tutto il giorno, spesso fuggendo i suoi doveri di capitano e imboscandosi alle esercitazioni dei cadetti o al suo turno di guardia svanendo nel nulla. Per Sando e per Pai erano tutti atteggiamenti esempio del cervello da ragazzino del verde – che il più anziano dei due, a dirla tutta, definiva con termini molto meno eleganti – ma MoiMoi era certo che Kisshu avesse qualcosa che lo impensieriva: lo aveva pizzicato più volte a fissare il vuoto con espressione mogia e si sarebbe giocato un dito che i suoi sospiri derivassero dai pensieri su una certa testolina rossa.

Taruto aveva colto la pausa imprevista con filosofia e profitto, facendo enormi progressi con la sua tecnica di creazione delle piante; MoiMoi lo canzonava spesso dicendogli che il merito era del tifo di Purin, ma il brunetto gli rispondeva digrignando insulti tra i denti e mentendo caparbiamente. Era comunque vero che la mewscimmia fosse diventata una frequentatrice fissa degli allenamenti di Taruto, nonché delle strade di Jeweliria: aveva imparato ad usare bene il permesso di accesso fornitole da Kiddan, e non c'era un giorno che non la si scorgesse in giro alla ricerca del più giovane Ikisatashi o a casa di lui; le piaceva molto Lasa e coglieva ogni occasione per salutarla, e non mancava mai di passare qualche istante a trovare MoiMoi, per la disperazione di Pai che alla fine si era arreso a pregare che il chiasso si limitasse quantomeno alla dirompente biondina, senza la coalizione involontaria di Taruto.

Nemmeno Eyner appariva troppo rammaricato di quella pausa; seppur nervoso per la situazione del pianeta non era mai stato un amante spassionato del cercar guai, e la quiete non gli dispiaceva. La sua unica preoccupazione era la nuova passione della sorella minore, cioè passare le giornate al Cafè MewMew: che fossero i dolci di Akasaka, lo stesso cuoco – che Sury guardava con l'adorazione per un principe azzurro – o le ragazze, più felici di lei alla sua presenza, la comparsa della bimba era diventata un fatto quotidiano al locale quasi quanto quella di Eyner. Per la maggior parte del tempo lui, trascinato lì a forza dalla sorella che lo scrutava di quando in quando quasi temesse di vederselo scomparire sotto il naso, se ne stava tranquillo in disparte ad osservare divertito – e un po' spaventato – il turbine che le ragazze creavano per la sala distraendosi solo per chiacchierare con Sury, sempre al suo tavolino con un nuovo dolce per le mani, ed Eyner ringraziava ogni volta che Keiichiro ponesse una certa attenzione e desse alla bambina quasi solo composizioni di frutta con poco zucchero, altrimenti a lui sarebbero toccate nottate insonni per l'iperattività della piccola.

« Sono felice che i due gruppi non si siano isolati – continuò a raccontare MoiMoi guardando il cielo – lavoreremo meglio se ci saranno buoni legami. »

Rise malizioso: credeva davvero in ciò che aveva detto, ma non poteva negare di fare scongiuri su scongiuri perché alcuni "buoni legami" diventassero "ottimi". Per così dire.

« A proposito… Chissà se verrà oggi. »

Si alzò spazzolandosi le ginocchia e disse con tono più alto:

« Scusatemi, ora devo andare. »

Sfiorò di nuovo la pietra con l'indice, raccolse le mani al petto e chinando il capo rimase in silenzio alcuni istanti, gli occhi chiusi; quindi se ne tornò indietro, lasciando i fiori alla base del Santuario. Una rêves lo scortò fino al limitare del bosco dove, accortosi dell'orario, il violetto scattò di corsa lamentandosi.

Aveva appena dato a Pai e Sando un nuovo motivo per borbottare.

 

 

***

 

 

« Grazie di essere venuti a trovarci, tornate presto! »

« Ichigo, sbrigati, hanno chiamato già due volte dal tavolo 7. »

La rossa richiuse lo sportello di metallo in un tintinnio di monetine e squadrò Minto seccata:

« Fammi almeno chiudere la cassa! »

Non ebbe nemmeno la soddisfazione di sgridare la mewbird per il suo ozio, visti i due portavivande che teneva tra le mani, e sbuffando corse alla finestra della cucina afferrando un altro vassoio carico di coppe trasparenti stracolme e partendo di corsa, cercando di non uccidere né le amiche né i clienti.

« Ichigo nee-chan oggi è agitata. »

« Quando non lo è? »

Sury si girò verso Eyner che la osservò divertito e fece spallucce, limando il bordo di gelato alla vaniglia che andava sciogliendosi e leccandosi soddisfatta il cucchiaino.

« Ichigo non sa far altro che lamentarsi, te lo dico io. »

Sbuffò Minto avvicinandosi. Si massaggiò una spalla sospirando stanca e Sury agguantò la ciliegia candita che stava iniziando a scivolare sulla panna mezza squagliata:

« Non arrabbiarti di nuovo nee-chan, che poi fai una faccia brutta. Ti do questa. »

Eyner cercò in tutti i modi di nascondere la risata che gli esplose sulla faccia per la tenerezza della sorella – e per la sottile allusione che Minto fosse un tantino irascibile – e la mora arrossì lievemente piccata, accorgendosene, ma si sforzò di sorridere accettando il regalino della bambina.

« Non sei divertente. »

Sussurrò irritata al bruno.

« Scusa, ma l'ha detto troppo bene. »

Minto sbuffò addentando la ciliegia; guardò Sury, felicemente intenta a sgranocchiare una scaglia enorme di cioccolato dalla stracciatella e come non si fosse mai indispettita le fece una carezza sulla testa:

« Te ne porto un'altra per ridecorarti il gelato, ti va? »

Lei sorrise smagliante e riassestò la panna in decadimento, così da lasciarne un po' su cui posare la ciliegia.

La piccola di casa Toruke era stata eletta all'unanimità mascotte del Cafè MewMew; perfino Masha, che non aveva gradito la perdita del titolo, era diventato pronto a condividerlo dopo una buona dose di coccole da parte della bambina. Sury aveva da parte sua adottato tutte le ragazze come sorelle maggiori ufficiose e non perdeva occasione per stare loro attorno, incurante dei rimproveri di Eyner; nemmeno Ryou protestava più quando lei si metteva a gironzolare per il locale, onde evitare di essere mangiato vivo dalle sue cameriere giunte in strenua difesa della piccola.

« Se poi stai male non voglio saperne niente. »

La canzonò Eyner vedendola mettersi in ginocchio sulla sedia per raggiungere meglio il tavolo e ripulire la sua coppetta. Sury scavò sul vetro per raccogliere il gelato ormai liquido e non lo guardò nemmeno:

« Mi faccio portare altro gelato. »

« E allora dovrà essere Akasaka a curarti – replicò – perché se ti lamenti ti lascio fuori dalla porta stasera. »

Lei gonfiò le guance sedendosi accigliata, nell'inutile sforzo di corromperlo, e fallito il tentativo gli fece una linguaccia incrociando le braccia offesa.

« È dura dover fare il fratello cattivo. »

A quella voce Sury si drizzò sulla sedia come punta da una vespa, gli occhi luminosi di aspettative. Zakuro fece un sorriso condiscendente verso il bruno che la guardò allusivo, e lei si girò verso la morettina:

« Ha ragione a preoccuparsi Sury-chan, potrebbe venirti mal di pancia se esageri. »

La bambina abbassò lo sguardo a disagio e gettò un'occhiata mortificata al fratello:

« D'accordo… »

« Potrai mangiarne un altro domani. »

« Non farle promesse che poi io dovrò mantenere. »

Borbottò Eyner con un mezzo sorriso e la mewwolf lo fissò divertita.

Doveva ringraziarla dell'intervento, sebbene la mora giocasse sporco. La sola cosa per cui Sury aveva perso la testa più di Keiichiro e le sue creazioni, era Zakuro: la affascinava il suo atteggiamento, il suo aspetto e il suo essere disponibile, anche se taciturna, nei suoi confronti, dimostrando una pazienza impensabile anche quando Sury la tormentava con domande sul lavoro da modella, attività assurda e magnifica ai suoi occhi. La mewwolf aveva blandito i nervosismi di Eyner sui fastidi che poteva darle la sorella, dicendo che era un comportamento normale per una bambina e che a lei faceva piacere la sua curiosità, e lui si era sentito sciocco quando aveva capito che metà della sua ansia derivava da una lieve gelosia: lui e la mora non avevano mai parlato quanto Sury e Zakuro, ma almeno i tentativi della piccola di trascinare la ragazza al suo cospetto alla minima occasione aveva aumentato il loro tempo trascorso assieme.

Inutile dire che la constatazione lo avesse fatto sentire ancora più stupido.

« Vai via onee-san? »

Chiese Sury notando il grembiule e la crestina che Zakuro reggeva tra le mani e questa annuì:

« Ho un servizio qui vicino. Un paio d'ore. »

« Posso accompagnarti?! »

« Sury… »

La bambina ripeteva quel ritornello fin dalla prima volta che Zakuro si era allontanata dal Cafè per lavoro; non aveva mai avuto successo, eppure non smetteva di chiederlo guardando con occhioni speranzosi la bella giapponese. Che incredibilmente scosse le spalle e le sorrise.

« Scherzi? »

« È una cosa piccola, ci sarà poca gente. – spiegò spiccia – Mi fa piacere accontentarla per una volta. »

Sury saltò giù dalla sedia trattenendo gridolini di gioia e invase la cucina alla ricerca di un lavandino per pulirsi le dita appiccicose di gelato.

« Non dovevo? »

Eyner fece spallucce, ancora sorpreso e divertito, e la mora con un sorrisetto sornione andò negli spogliatoi. Quando si rese conto di averla seguita con gli occhi anche dopo che era sparita oltre la porta, Eyner affondò la fronte nella mano:

« Stai un po' esagerando. »

« Su cosa, Eyner-sa… Eyner? »

« Niente. – rispose pronto – Coraggio Reta-chan ce la puoi fare. »

La verde fece una smorfia allegra sistemandosi i capelli dietro l'orecchio:

« Molto divertente. »

Lui rise e notò che la ragazza si era cambiata:

« Te la squagli anche tu? »

« Devo prendere una cosa per Akasaka-san – spiegò – e devo anche sbrigarmi, o le ragazze potrebbero uccidermi. »

Mentre parlava alle loro spalle passò Ichigo. I suoi occhi si illuminarono di una luce furbetta ascoltando la conversazione e si acquattò veloce nell'angolo tra la cucina e la sala mentre faceva segno alle altre di raggiungerla. Studiò le amiche con un ghigno diabolico: Minto potè sentire gli ingranaggi nel cervellino della mewneko lavorare come dei disperati sotto la sua chioma ardente.

« Ho un'idea. »

Minto seguì il suo sguardo, posato su Retasu ed Eyner, e sbuffò incrociando le braccia:

« Non vorrai insistere con questa stor- »

Ichigo le puntò l'indice sulle labbra e si scambiò un'occhiata d'intesa con Purin e fianco a fianco si avvicinarono agli altri due ragazzi.

« Eyn nii-chaaan ♪! »

« Purin, sai che ho una sorella più piccola? Sentirmi chiamare così è una cosa che mi mette immediatamente sul chi vive. »

Puntualizzò il ragazzo guardando la biondina. Lei sorrideva innocente assieme a Ichigo e il bruno avvertì il tipico brivido d'allarme che aveva quando Sury combinava un guaio e glielo nascondeva.

« Devo aggiungere un paio di cose alla lista di Retasu – disse Ichigo con aria avvilita – non è che l'accompagneresti per darle una mano? È un sacco di roba! Mi sento in colpa a farla andare da sola…! »

Minto si premette forte l'indice sulla fronte intanto che Retasu e il bruno soppesavano il terzetto confusi; nel suo geniale piano Ichigo aveva dimenticato di utilizzare una scusa decente.

Con immenso stupore della mewbird Eyner annuì e si avviò all'uscita con passo baldanzoso; Retasu, ancora un po' frastornata, si vide infilare tra le dita da Ichigo un fogliettino stropicciato e poi fu spinta fuori dal locale dalle due soddisfattissime amiche, che si schioccarono un fragoroso cinque appena chiusa la porta.

« Grande mossa. »

« Lo so, Purin, lo so… »

« Sì, sicuramente. – sospirò Minto sarcastica –  Un vero genio dello spionaggio industriale. Non è che l'accompagneresti per darle una mano?, già che c'eri potevi chiedergli se la invitava ad uscire per un appuntamento galante. »

« Ok, ammetto che non è stato limato fin nei dettagli – borbottò cupa la rossa – ma ora Eyner e Retasu avranno un'altra occasione per stare un po' da soli. »

« Mamma mia… »

Nelle ultime settimane uno dei pochi argomenti che teneva allegra la mewneko era il tentativo di far sbocciare l'amore tra Retasu ed Eyner – che da come li descriveva la ragazza parevano uniti dal destino – ma non aveva avuto grandissime occasioni per attuare le sue strategie. Il cacciare fuori a calci entrambi per avere un momento di intimità era chiaramente un sintomo della frustrazione accumulata per gli insuccessi.

Povera Retasu.

« Batti ancora su questo discorso? »

Ichigo s'impettì assumendo un'espressione torva:

« Non sono fatti tuoi, Shirogane. »

Replicò gelida. Lui non si scompose, ma Minto e Purin si lanciarono un'occhiata: non era sfuggito a nessuno che negli ultimi tempi Ichigo e Ryou fossero ai ferri corti in una stasi da Guerra Fredda, sebbene nessuno fosse riuscito ad scoprirne il motivo. Il ragazzo resse lo sguardo della rossa per un po' e infine scrollò le spalle tornandosene in laboratorio.

« Sia come sia – si limitò ad aggiungere – visto che anche Zakuro sta uscendo, siete in tre. Vi consiglierei di rimettervi al lavoro. »

I volti di Ichigo e Purin si deformarono in una smorfia al constatare la mole di consumatori. Tre clienti si voltarono in rapida successione verso di loro per attirare l'attenzione e Minto squadrò le amiche assassina:

« Complimenti per la tempistica! »

 

 

***

 

 

Lenatheri si stiracchiò con poco garbo, contenta che Teruga si fosse ritirato nei suoi alloggi e le avesse concesso un pomeriggio libero; fare la guardia del corpo ad un consigliere era un lavoro tedioso e ripetitivo, aveva bisogno di sfogarsi un po' al campo d'allenamento. Ispezionò distrattamente l'arsenale cercando un'arma che potesse stuzzicare il suo interesse, tra quelle che non aveva in dotazione, e prese una bella spada lunga e sottile; non era il genere di armamento che maneggiava meglio, ma cercare di ricavarne tutto il potenziale sarebbe stato un piacevole diversivo dalla noia.

« Che fai qui Lena-chan? »

La ragazza fece un cenno a MoiMoi che, un plico di documenti tra le mani e l'espressione scocciata, le andò incontro rivolgendole un piccolo sorriso.

« Teruga-san? »

« La riunione del Consiglio è stata aggiornata e lui è andata a riposare. Ultimamente non si è fermato un attimo – commentò la mora – credo che per lui sia stato più faticoso di quanto immaginasse. »

Studiò la lama ammirandone il bordo affilato ad arte:

« Invece come mai sei da queste parti senpai? Credevo stesse ancora lavorando sulla ricerca di un nuovo portale. »

MoiMoi fece una smorfia e le mostrò le carte:

« Sando mi ha gentilmente ricordato che dovevo consegnare il rapporto al Corpo Disciplinare. »

« Ah. »

Non riuscì ad evitare di ridacchiare un poco.

« Quando vuole essere antipatico, sa che fare per punirmi. »

Lena sorrise con dolcezza, consapevole di quanto MoiMoi detestasse le regole burocratiche del loro esercito:

« Ognuno ha i suoi punti deboli. »

Vide MoiMoi irrigidirsi appena senza ribattere e il suo sorriso si allargò. Si allacciò la lama alla cinta e fece per salutarlo e andarsene quando lui la fermò:

« Hai saputo di Lasa-san? »

La mora si limitò a scuotere la testa in un gesto di sufficienza:

« Qualcosa ho sentito. »

MoiMoi aspettò continuasse in qualche modo, cosa che non avvenne.

« Temevano fosse splin. »

« Non lo è. – assodò pacata – Nulla meglio di quanto si potesse sperare. »

Lena lo sorpassò per andare al campo d'allenamento e il violetto l'afferrò per un polso.

« Cosa c'è? »

« Perché non sei andata a trovarlo? »

Lei spalancò gli occhi color rame senza dire una parola. MoiMoi la lasciò andare poco a poco senza smettere di guardala fisso e Lena si sentì costretta a chinare la testa.

« Almeno questo glielo dovevi. »

La ragazza lo guardò male, le iridi rossastre che vibrarono colpevoli, e strinse la mano sull'elsa della spada andandosene sbattendo i piedi.

 

 

***

 

 

« È una mia impressione o le tue amiche stanno cercando in tutti i modi di "ammogliarci"? »

« C-come? »

Si erano da poco allontanati dal Cafè e Retasu non aveva ancora neppure letto il bigliettino datole da Ichigo, che Eyner proruppe con quelle parole lasciandola totalmente basita in mezzo al sentiero.

« Finché restavamo io e te a chiacchierare, potevo ancora dire di sbagliarmi – spiegò muovendo l'indice con fare allusivo – non pensare male sul fatto che lo facessero apposta, a dileguarsi come il vento. Ora però mi sto insospettendo. »

La verde lo osservò allibita.

« Non dirmi che hai creduto alla scusa di Ichigo. Era ovvio fosse una balla. »

Lei restò zitta ancora un istante e sospirò a disagio, ormai non poteva più rinviare la questione:

« Speravo che non te ne fossi accorto. »

« Lo sapevi? »

Abbassò lo sguardo timida e tirò fuori il cellulare di Kiddan; aveva già cambiato lo sfondo per evitare le domande di qualcuno che l'avesse notata, ma la foto non era stata cestinata. Eyner studiò lo schermo e si concesse un ghignetto per sdrammatizzare:

« Non sono venuto male. »

« Non l'ho fatta io. – si giustificò la verde imbarazzata – Me la sono ritrovata. Credevo fosse uno scherzo… »

Sospirò, evidentemente non era così; cancellò la foto e si voltò esitante verso di lui che aveva alzato gli occhi al cielo:

« Beh, almeno ho potuto evitare di trovare un modo per continuare il discorso. »

Retasu si concesse un sorrisino stentato. Camminarono in silenzio mentre lei giocherellava con la tracolla della borsa:

« Mi dispiace. »

« E perché scusa? – ridacchiò – Non è che per il tuo silenzio ci siamo ritrovati chiusi dalle ragazze in un armadio al buio. »

Si fermò a fissarla:

« Non vogliono chiuderci in un armadio al buio, vero? »

A lei scappò da ridere:

« Volevo dirtelo – si scusò ancora – ma non sapevo come. Temevo potessi fraintendere alcune cose se te ne parlavo. Come hanno fatto loro. »

Arrossì lievemente:

« Non è che tu non mi piaccia, ma non come pensi…! – aggiunse immediatamente – Sono felice che siamo amici, tutto qui. »

Gli vide alzare un sopracciglio divertito e farfugliò impacciata:

« O saremo. Potremmo? »

Eyner rise e Retasu incassò il mento tra le spalle:

« Scusa, Pai-san ha ragione, uso questa parola un po' a casaccio. »

Il bruno scosse la testa ridendo e le scompigliò la frangetta:

« Ho un'amica un po' ansiosa. »

Lei si mordicchiò il labbro inferiore e gli sorrise.

« In ogni caso non avrei frainteso. – la rassicurò ammiccando – Non sono il tuo tipo. »

Retasu lo guardò senza capire.

« A te piace più un tipo come Pai. Meglio… Il tuo tipo è Pai. »

Per un paio di secondi Eyner temette che Retasu sarebbe collassata di fronte a lui per come smise di respirare; il suo successivo tartagliare incomprensibile e il repentino cambio cromatico della carnagione, però, lo rassicurarono.

« T-t-t-t-?! Co…?! Co-co…? »

« Ho indovinato. »

Fece mostrando i denti con aria smagliante.

« Come ti è venuto in mente? »

Riuscì ad espirare alla fine lei in un rantolo. Eyner ci pensò su:

« Non so. Un po' di cose. Come lo guardi… Come gli parli. Mi sono detto e se…? poi ti ho vista nelle ultime settimane. »

Fece un cenno con la mano evidenziando la semplicità dell'equazione e Retasu affondò il viso incandescente tra le mani:

« Ti giuro che stai sbagliando…! »

« Sul fatto che ti piace o che ti piace molto? »

Rise affettuosamente e la verde assunse un'espressione disperata, gemendo d'imbarazzo.

Non aveva pensato, all'inizio, quanto potesse essere rischioso continuare a fare semplicemente finta che fosse tutto normale, che nulla l'agitasse o la turbasse; invece si era voluta convincere che fosse solo un'emozione passeggera, permettendo che iniziasse quella strana routine.

Avevano lasciato Purin a casa Ikisatashi, il pomeriggio dopo aver portato le felicitazioni a Lasa, e lei e Minto stavano rientrando quando avevano incrociato MoiMoi per strada; il violetto aveva proposto loro di fargli un po' di compagnia, ma Minto aveva declinato per gli allenamenti di danza, mentre lei aveva alzato abbacchiata la cartella:

« Devo finire di studiare, sono indietro con matematica. – aveva sospirato – Ci sarà un esame tra pochi giorni e c'è un argomento che non capisco molto bene, devo ripassare. »

MoiMoi aveva annuito deluso, schioccando poi le dita con aria luminosa:

« La matematica è una legge universale, posso aiutarti io. »

La verde aveva sorriso colma di gratitudine: i sistemi lineari di due equazioni in due incognite le erano parecchio ostici e non sprizzava gioia all'idea di lezioni di recupero estive. Aveva avuto qualche riserva, temendo di disturbare, ma MoiMoi aveva insistito:

« Posso benissimo lavorare mentre tu studi e quando non capisci ti spiego. »

Retasu aveva infine accettato contenta e, salutata Minto, aveva seguito MoiMoi al centro ricerche, connettendo solo quando fu ormai all'interno e fu troppo tardi per rifiutare che il violetto non lavorava da solo.

Pai non aveva avuto grandi reazioni all'arrivo della mewfocena, né buone né cattive, e lei aveva vivamente ringraziato accomodandosi in un cantuccio su una serie di strumenti in disuso riadattati a scrivania. Si era sentita una sciocca e aveva provato vergogna guardando gli indecifrabili – almeno per lei – calcoli che scorrevano sullo schermo di fronte al moro, al confronto con le sue equazioncine con solo due lettere. Abbattuta si era messa al lavoro, senza chiedere l'aiuto per cui era arrivata, fissando il libro degli esercizi finché il lieve rumore di ceramica su metallo non le fece alzare gli occhi stanchi dal foglio.

« Non fa bene non fare pause per più di due ore. »

Retasu aveva sentito le guance scaldarsi velocemente e aveva afferrato la tazza nella speranza che il caldo del paina nascondesse il tutto, ringraziando Pai con un sorrisino.

« Da che pulpito viene la predica! »

Il commento di MoiMoi non aveva ricevuto risposta mentre Pai aveva scorso distrattamente il libro che Retasu aveva lasciato aperto. La verde era diventata paonazza e aveva cercato impacciata di toglierli il volume da sotto le dita, posate proprio sotto l'equazione che le aveva prosciugato l'ultima mezz'ora di vita.

« Non riesci a risolverla? »

« N-no. – aveva ammesso a disagio, nascondendo la matita che aveva mangiucchiato sovrappensiero – Ora chiederò a MoiMoi-san di aiutarmi. »

« Credi che io non sia capace? »

L'aveva studiata lievemente divertito e Retasu si era morsa la lingua:

« No! No, assolutamente, solo… MoiMoi-san si era proposta di aiutarmi… »

Aveva così gettato una scorsa impercettibile al violetto, tanto concentrato su una qualche ricerca da non aver sentito nulla del discorso, e lei non aveva saputo cosa fare. Senza dire niente Pai si era intanto avvicinato il libro e il quaderno della ragazza, leggendo velocemente i suoi vani tentativi di soluzione.

« Non stai sbagliando metodo(*) – aveva detto piatto – ma quello della sostituzione è complicato da mettere in pratica. Conosci il metodo di addizione? »

Lei lo aveva guardato stranita e aveva solo annuito:

« Ma non ho capito molto bene… »

« Difficile da spiegare, facile da fare. – aveva tagliato corto lui – Provo a rispiegartelo. »

Retasu aveva sentito lo stomaco attorcigliarsi, ma aveva ringraziato in un soffio e si era seduta un po' più vicina al ragazzo benedicendo il ronzio di sottofondo del computer che mascherava i suoi respiri veloci.

La spiegazione di Pai era stata chiara e veloce e Retasu era riuscita a finire tutti gli esercizi che si era programmata di fare. Sarebbe potuta finire così, con lei che sgattaiolava via tenendo per sé i sentimenti che le si agitavano dentro, senonché MoiMoi le aveva detto ridendo:

« Vieni quando vuoi, ok? Porti un po' di allegria! »

« Il lavoro non dovrebbe essere allegro. »

« Polemico. Polemico. Polemico. »

Pai aveva sorriso condiscendente continuando a punzecchiarsi con il suo senpai e Retasu si era fatta corrompere da quelle parole e dal pizzicore incantevole che le aveva preso il petto, sorridendo in assenso mentre tornava a casa.

Un pomeriggio, due, tre… Con la scusa di studiare tranquilla andava al centro ricerche quasi tutti i giorni almeno un paio d'ore. Perfino in quel momento, tentando di smentire tutto di fronte ad Eyner, era cosciente di avere nei programmi di andare a Jeweliria finito il turno al Cafè, anche se la data del test era già passata e lei lo aveva superato egregiamente. 

Non faceva nulla di particolare al laboratorio, si sedeva nell'angolo che si era riservata e studiava per davvero, chiedendo di quando in quando aiuto ai due ragazzi; qualche volta chiacchieravano di cose inutili, un paio di volte aveva anche condiviso con loro i dolcetti di economia domestica sopravvissuti alla golosità di Ayumi.

Era felice semplicemente di trovarsi lì, di scorgere la figura alta e taciturna di Pai con la coda dell'occhio, di poterci parlare anche se per poco.

Sono diventata tutta scema.

« Guarda che ti stai sbagliando. »

Mormorò ed Eyner schioccò la lingua.

« Davvero! – insisté lei disperata – Io e Pai-san, insomma…! Non abbiano niente in comune! »

« E questo che vorrebbe dire? – fece il bruno noncurante – Di solito non ti innamori di chi è identico a te. »

« Inn…?! Nonononono! – proruppe d'un fiato – Non…! Sbagli! Sbagli tutto! »

« Reta-chan. »

La sgridò fraterno e la verde restò poco a poco in silenzio rossa come un gambero.

La sua sfortuna in amore era direttamente proporzionale a quanto la persona fosse impossibile, e pareva proprio non ci fosse verso che potesse piacerle qualcuno adatto a lei.

« Non so nemmeno perché mi piace… »

Bisbigliò dopo un po', sconfitta. In quelle settimane non si era mai data una risposta, si era soltanto resa conto di essere felice della presenza di Pai; così assurdo quando forte, e non trovava spiegazione alcuna.

« Si nota sul serio? »

Bisbigliò affranta fissandosi le punte delle scarpe e avvertì il suo cuore dare uno strano sussulto asincrono.

« Non così tanto come temi tu. »

Le ammiccò Eyner. Lei sospirò stanca ascoltandolo ridacchiare affettuoso mentre le batteva l'indice sulla tempia:

« Non prendere le sue cattive abitudini, non credo tu debba pensarci troppo. »

« Che vuoi dire? »

« Non cercare di trovare un motivo. È così e basta, no? Quando verrà il momento capirai i perché. »

« Lo dici solo per consolarmi per il guaio in cui mi sono cacciata o per saggezza infusa? »

Fece abbacchiata.

« Fidati. – sospirò lui – Parlo per esperienza. »

Retasu non capì cosa intendesse, ma sorrise con dolcezza e riprese a poco a poco il suo colorito.

« Ovviamente tu… »

« Sarò muto come una tomba, ma se vuoi parlare sono qui. – le sorrise – Anche se credo tu debba parlare con la senpai MoiMoi… Ho il vago sospetto che sappia qualcosa. »

La verde arrossì un'altra volta. Eyner era una persona discreta su certe cose, MoiMoi decisamente no: tremava all'idea dell'esuberante reazione alla sua ammissione della cotta per Pai.

« Deduco perciò che non hai intenzione di confessarglielo? »

« Non ci penso neanche! – proruppe avvampando lei – Spero anzi che non se ne sia accorto…! »

Se non se ne accorto, o è diventato scemo di colpo oppure gli piaci e non vuole vederlo.

Il bruno sospirò cercando di mantenere tono ed espressione il più pacati e tranquillizzanti possibile:

« Perché no? »

« B-beh… Non saprei nemmeno che dirgli. E non mi va di combinare guai. »

« Secondo me sei solo fifona. »

Retasu aggrottò la fronte arrossendo ed Eyner si arrese con un cenno:

« Non insisto. »

In fondo lui era probabilmente uno degli ultimi a poterle fare la predica. Retasu sospirò per l'ennesima volta, e avvertì ancora un battito profondo e irregolare risuonarle fino alla gola; non si angustiò troppo, con le ultime confessioni era già tanto che non fosse morta d'infarto.

« Cambiando discorso – disse Eyner sgranchendosi – cosa ti ha dato Ichigo-chan? »

Retasu sbattè un paio di volte le palpebre ricordando e prese il foglietto che ormai aveva triturato tra le dita: era completamente in bianco.

Eyner scoppiò a ridere mentre lei sbuffò esasperata.

« Nessun dubbio sul fatto che avresti potuto aprirlo appena uscita dal Cafè? »

« Giuro che quando torniamo indietro mi sentono. »

 

 

***

 

 

Ichigo si appoggiò sulla balaustra della scala del locale e prese un profondo respiro, finalmente la calca di clienti era defluita e lei aveva potuto prendersi cinque minuti di pausa. Le sue giornate si stavano facendo molto pesanti, sia per il suo fisico sia per la sua mente, ed era sempre più raro che avesse anche solo pochi minuti per poter restare tranquilla senza pensieri.

Le dita scivolarono in tasca sul cellulare e rilesse l'ultimo messaggio di Masaya, richiudendolo subito dopo e rimettendo a posto il telefono.

Era più di una settimana che le loro comunicazioni si erano ridotte all'osso: lei era occupata nel disperato tentativo di non trascorrere l'estate in aula, lui si era integrato nell'affollato orario scolastico di Oxford e spesso era troppo impegnato o stanco per intrattenersi a lungo in chat; si vedevano poco e per poco tempo, durante il quale Masaya parlava carico d'entusiasmo e lei annuiva, sforzandosi di concentrarsi sull'essere felice per la sua eccitazione e non pensare alla rabbia sorda che provava.

Era frustrante e doloroso accorgersi dell'irritazione che le montava dentro ogni volta che pensava a dove lui si trovasse, al fatto che fosse partito senza consultarla e l'avesse lasciata sola e dubbiosa.

Una volta la sola vista del moro e la sua voce bastavano a quietare ogni tempesta che si agitasse nel suo animo. Ora ne erano la principale causa scatenante.

Senza contare che Masaya pareva diventato cieco a quelli che lei riteneva evidenti stati emotivi anomali, non pensando minimamente che una parte di colpa potesse essere nel suo mutismo.

« Che ti prende micetta? Perché quella faccia? »

La rossa scattò indietro voltandosi verso l'altro lato della balaustra, dove Kisshu stava appollaiato come un gufo, la testa reclinata di lato, fissandola preoccupato.

« Ciao… No, niente di che. »

Mentì e gli sorrise stentata; Kisshu la guardò allusivo, ma lei insisté a fare finta di niente.

Esattamente come era successo per il bacio tornati da Glatera nessuno dei due aveva minimamente accennato all'episodio nella vasca a Belia. Minto aveva suggerito di classificarlo come l'ennesimo scoppio ormonale di Kisshu, difetto che sembrava patologico, e Ichigo aveva pensato fosse una buona idea: certo non era semplice, quando si ritrovava il verde di fronte che la osservava reverente e che coglieva preoccupato ogni suo malumore.

« Come bugiarda dovresti migliorare. »

Scese con un saltello dalla balaustra ma si tenne ad una distanza di sicurezza notando come la rossa si mettesse sulla difensiva; le continuò a sorridere e Ichigo abbassò un poco la guardia.

« Non ti va di parlarne? »

« Non credo proprio che sia qualcosa di cui potrei parlare con te. »

« Riguarda il tuo merluzzo? »

« Masaya-kun non è un merluzzo! »

Protestò calorosa e Kisshu sogghignò:

« Lo sapevo. »

La mewneko arrossì offesa per essere caduta nel trucchetto e abbassò lo sguardo avvilita:

« Fatti gli affari tuoi. »

« Dai micina non volevo stuzzicarti. – la blandì – Che il tuo umano non mi piaccia per niente lo sai, ma mi fa male vederti triste. »

Ichigo rispose con un grugnito, sforzandosi di ignorare il battito che il suo cuore perse per strada:

« Lo so. »

Lo ammise lentamente, quasi avesse paura delle sue stesse parole; gli concesse un lieve sorriso:

« Grazie. »

Scese uno strano silenzio, né teso né carico di aspettative, un silenzio tranquillo e sereno. Ad Ichigo non piacque per nulla il sentirsi di colpo così bene e si girò di scatto verso la porta:

« È meglio che rientri prima che Minto mi sbrani. »

« Dovreste sedarla quella cornacchietta. »

Alla rossa sfuggì un risolino e le viscere le si contrassero ancora di un'indefinibile agitazione. Mentre il ragazzo entrò dalla porta lasciatagli aperta salutando Purin, Ichigo corse in cucina e si rimise al lavoro senza voltarsi a guardare nessuno, sforzandosi di non pensare a niente.

 

 

***

 

 

Sury, immobile come una bambola di porcellana, sedeva sullo sgabello dove Zakuro le aveva chiesto di aspettare e da dove aveva una visione perfetta della zona trucco e del set fotografico.

Non aveva mai visto tante persone affaccendarsi attorno a qualcuno, a Jeweliria, forse nemmeno per le celebrazioni del nuovo anno al Santuario o per un matrimonio. Rapita osservava Zakuro cambiare incarnato, trucco, acconciatura, abiti e dopo quel turbinio mettersi di fronte all'obbiettivo fresca come una rosa sfoggiando un sorriso ammaliatore.

Era un piccolo servizio per una pubblicità di gelati e altri prodotti estivi. Zakuro era già al quinto cambio di mise quando il gelato che fingeva di mangiare cedette sotto il calore dei faretti, e il direttore battè le mani per concedere a tutti una piccola pausa:

« Cinque minuti Fujiwara-san, sei stata perfetta. »

« La ringrazio. »

La mora fece un inchino e si andò a sedere di fronte allo specchio, sudata e stanca. Restò qualche momento con gli occhi chiusi e la testa riversa sullo schienale prima di sollevare mezza palpebra e, sorridendo, fare segno a Sury di andarle vicino:

« Tutto a posto? Abbiamo quasi finito. »

« Ok. »

« Mi dispiace, ti starai annoiando. »

La bambina scosse la testa come una girandola:

« È divertentissimo! »

Zakuro sorrise materna. Notò subito come Sury studiasse l'elaborato chignon in cui le avevano legato i capelli e nel frattempo si arricciasse i suoi tra le dita, ammucchiandoli distrattamente in una goffa imitazione dell'acconciatura della mora; il sorriso della mewwolf divenne un lieve risolino.

« Se chiedessimo ad Hasemi-san di vedere se può sistemarteli? »

Si voltò verso il parrucchiere che la stava raggiungendo per le foto successive e questo ammiccò allegro. Gli occhi grigio-lilla di Sury s'illuminarono come un albero di Natale:

« Oh sì! Per favore! »

Aggiunse con aria speranzosa all'uomo che ridacchiò e annuì.

 

 

***

 

 

La chiusura del Cafè si stava avvicinando e il locale andava pigramente svuotandosi. Ryou studiò l'orologio sulla parete della cucina con un nodo allo stomaco, poco più di un'ora e sarebbe cominciata l'ennesima lotta tra i suoi desideri e l'istinto contro il buon senso.

Sbirciò con la coda dell'occhio le ragazze intente nel lavoro, tre delle quali operavano ancora con occhi bassi e sorrisi colpevoli. Retasu era rientrata dalla sua commissione torva in volto e aveva riunito tutte per una sonora lavata di capo: a quanto pareva – proprio come immaginava Ryou – le certezze di Ichigo e delle altre sull'infatuazione della verde per Eyner erano una grossa cantonata, e la ragazza non aveva gradito molto i loro tentativi di farla accasare.

« Non cedi di un millimetro, uh? »

« Questa volta hanno esagerato Shirogane-san. »

Disse seria la verde allungando il vassoio vuoto a Keiichiro attraverso la finestra della cucina:

« Mi hanno anche preso il cellulare di nascosto! Beh, non è proprio il mio… – pensò e scosse la testa decisa, non aveva bisogno di trovare loro giustificazioni – Ma in ogni caso non avrebbero dovuto ficcare il naso in certe cose e decidere tutto senza chiedermelo. »

Il biondo fece un cenno d'assenso con aria divertita.

« Vedere la pesciolina che si arrabbia mi fa strano. »

Ridacchiò Kisshu e Ryou trattenne uno sbuffo: la tranquillità di quei giorni aveva fatto diventare l'alieno troppo invadente per i suoi gusti e ormai se lo ritrovava ogni santo giorno a bazzicare il locale.

« Potrei insospettirmi anch'io. »

Riprese il verde punzecchiando la ragazza e Retasu spiegò gentile:

« Vorrei solo che la mia amicizia con Eyner non si guastasse per qualche pasticcio combinato dalle ragazze, specie ora che l'affiatamento tra terrestri e jeweliriani si può rafforzare. – poi gli sorrise – Ovviamente vale anche per te Kisshu-san. »

Lui la fissò in silenzio spalancando gli occhi dorati:

« Non ce la faccio, è impossibile. – stese un ghignetto intenerito voltandosi verso Keiichiro e indicando la verde – Mi dite come si fa a prenderla in giro, quando ti guarda con questi occhioni? »

« P-prendermi in giro? »

Il ragazzo ridacchiò mostrando un sorriso a trentadue denti:

« Per me può andare pesciolina – ammiccò – anzi, ho proprio le tue stesse speranze. »

Retasu ricambiò più serena sorridendo innocente.

Ryou corrugò la fronte senza commentare. Sapeva bene che non c'erano significati reconditi nelle parole di Retasu, e la cosa non gli piacque; allo stesso modo, sapeva che invece nelle parole di Kisshu c'era una lunga lista di secondi fini, e ciò gli piacque ancora meno.

Era chiaro che la presenza dell'alieno in quegli ultimi giorni fosse per Ichigo, ma nonostante gli sforzi ripetuti di attaccare bottone con la rossa, Kisshu era rimasto su una posizione tranquilla, senza tartassarla; Ryou aveva l'impressione che l'attuale atteggiamento più serio del verde ponesse tante domande nella testolina della mewneko, che ancor meno di prima reagiva male alla sua presenza.

« Bene – si stiracchiò Kisshu sbadigliando – sarà meglio che torni indietro, o Sando potrebbe staccarmi la testa dal collo. »

Ryou lo osservò uscire pacifico salutando le ragazze e quando colse Ichigo replicare al ghignetto irriverente dell'alieno con un sorriso di divertita rassegnazione, si costrinse a salire le scale prima di fare gesti inconsulti.

Se non te la stacca lui, la testa, alla prossima occasione ti sbrano io.

 

 

 

La sonda ronzò silenziosa in un angolo nascosto dietro ad alcuni cespugli accuratamente potati, attorno ai muri del Cafè. Nelle ultime settimane i suoi circuiti avevano sondato, analizzato e raccolto moltissimi dati; essa non era in grado di stabilire cosa fosse o no interessante per i suoi padroni, ma aveva catalogato tutto con precisione. I suoi circuiti logici avevano stabilito che tra non molto avrebbe dovuto concludere la sua missione, ma i dati analizzati la facevano tergiversare: le ricerche sui soggetti mancavano di elementi essenziali sulle capacità difensive.

Era giunto il momento di vederle nel loro complesso.

Un rumore e la sonda si acquattò maggiormente nell'erba zoomando con la telecamera sul suo disturbatore. Kisshu si era teletrasportato un istante fuori dal locale e si guardò attorno torvo e sospettoso: non c'era nulla di anomalo attorno a lui, eppure era convinto di aver sentito un rumore singolare ripetersi nel corso della giornata, le volte che si era avvicinato alla finestra; un rumore meccanico che, aveva già appurato, non si trattava di Masha o di qualcosa che avrebbe dovuto trovarsi lì attorno.

« … Forse mi sono sbagliato. »

Poco convinto svanì con uno schiocco. La sonda restò ancora a lungo nell'erba, attenta, e poi alzandosi lentamente si diresse un'altra volta verso Jeweliria.

 

 

***

 

 

Le vide in lontananza mentre si avviavano verso il Cafè e agitò la mano per farsi notare; Sury lasciò subito la mano di Zakuro e gli corse incontro abbracciandolo.

« Siamo agitate uh? »

Scherzò Eyner alla vista del suo viso stanco e luminoso e Sury ridacchiò. Il ragazzo studiò divertito la coda laterale con un complicato nodo in cui la sorella aveva acconciati i capelli, alla stessa maniera di come li stava portando Zakuro; la mewwolf lo guardò e accennò un sorrisetto.

« È stato fichissimo! – trillò Sury – Posso tornarci? »

« Chissà. »

La provocò lui e la bambina mise un piccolo broncio.

« Si può sapere cosa mi hai spiaccicato addosso? »

Sospirò Eyner posandola a terra e notando la macchia umidiccia e appiccicosa sulla maglia; fissò accigliato ciò che la sorella sgranocchiava, arma colpevole della chiazza sulla stoffa, e che appariva in tutto e per tutto come un dolce.

« Ghiacciolo. »

Rispose lei contenta succhiando un po' dello sciroppo alla fragola dal ghiaccio:

« Non è tanto dolce. »

Aggiunse mogia all'occhiata allusiva del fratello ed Eyner sospirò alzando gli occhi al cielo:

« Mi arrendo. »

Sury addentò soddisfatta il suo ghiacciolo trotterellando verso il locale. Il bruno sospirò ancora e si voltò un po' esausto Zakuro, evidentemente divertita dal tutto, che sbocconcellando un ghiacciolo all'arancia proseguì a camminare subito dietro alla bambina.

« La produzione mi ha lasciato tutti i ghiaccioli e i gelati che non abbiamo utilizzato. Li porterò alle ragazze, magari Purin farà scorta per i suoi fratelli. »

Spiegò spiccia e aprì la grossa borsa frigo in plastica, che Eyner non ricordava di averle visto mentre usciva, e vi frugò dentro rabbrividendo; cercò alcuni istanti e gli porse un ghiacciolo alla menta:

« Non sono riuscita a negarglielo, e praticamente è solo acqua. »

Puntualizzò in segno di pace accennando alla bambina. Eyner tergiversò un istante prima di afferrare il legno dello stecco.

« Sury ha fatto la stessa faccia. »

Disse con uno sbuffo divertito Zakuro notando come lui studiasse il dolce, che doveva essere sconosciuto agli alieni:

« Guarda che ci mette poco a sciogliersi. »

« Come si mangia? »

« È facile! »

Esclamò Sury, che aveva sentito il discorso, fece qualche passo indietro e fiera mostrò il suo stecco:

« Un po' lo mastichi – addentò un gran pezzo di ghiaccio – e un po' lo puoi ciucciare. »

E con un terribile rumore di risucchio sorbì un altro po' di sciroppo lasciando il ghiacciolo vuoto e frantumabile pronto a crollare dal suo sostegno e spappolarsi a terra.

Eyner seguì le istruzioni della sorella e iniziò a mangiare, felicemente sorpreso del sapore fresco e dolce del ghiacciolo.

« Quanto ti sei pentita di essertela portata appresso? »

Scherzò dopo qualche minuto e Zakuro scosse la testa:

« È stata bravissima. Mi sono divertita un po' anche io. »

E osservò Sury scuotere e toccarsi i capelli, soddisfatta ed eccitata della novità. Eyner fece lo stesso con un sorriso affettuoso e si soffermò poi sul lieve sorriso della mewwolf; addentò il ghiacciolo due volte di fila implorando non l'avesse notato.

« Ahi! Che male…! »

« Se lo mangi troppo in fretta ti congeli il cervello. »

Fece piatta Zakuro guardandolo reggersi la fronte.

« Si può sapere che razza di cibi fate voi umani? »

Lei rise un poco del suo sincero stupore ed Eyner si domandò quanto ancora a lungo sarebbe riuscito a fare finta di niente, con simili gesti che gli causavano dei micro arresti cardiaci.

« Onee-san! Onee-san! »

Sury corse tutta trafelata verso la mora e sollevò il suo stecchino del ghiacciolo, ormai ripulito, indicandolo sorpresa:

« Guarda, c'è una scritta! »

Zakuro afferrò lo stecco girandolo così da vedere bene.

« Cosa dice? »

« Hai vinto. – lesse ad alta voce – Significa che puoi avere un altro ghiacciolo. »

La bambina trattenne il respiro per la felicità, ma Eyner le scoccò un'occhiataccia severa e lei strinse le labbra, obbediente:

« Posso tenerlo per un altro giorno? »

« Certo. »

Gongolando Sury riprese lo stecchino e lo infilò con cura in tasca, correndo fino in fondo al sentiero e fermandosi sull'ingresso del locale. Anche Zakuro finì il suo ghiacciolo e guardò sovrappensiero il legnetto, gettandolo poi nel bidone:

« Niente. Sarà per la prossima. »

Eyner rispose con un cenno muto e diede gli ultimi morsi, soddisfatto e rinfrancato dal caldo, e le sorrise:

« Io invece sono fortunato. »

Si leccò le labbra appiccicose di zucchero e le mostrò lo stecco su cui era inciso hai vinto; lei sorrise discreta:

« Ne vorresti un altro? »

« Basta una persona, in casa, sovrastimolata di zuccheri. »

Scherzò lui e fece per buttarlo, ma cambiò idea.

Zakuro osservò enigmatica lo stecco che le porse e lo prese piano tra le dita:

« Un caffè e un ghiacciolo. – disse divertita – Inizio a pensare che mi toccherà ricambiare. »

Eyner la fissò in silenzio per un minuto intero, uno strano sorriso in volto, ma non le rispose e raggiunse Sury per tornare a casa.

 

 

***

 

 

Riuscì ad aprire gli occhi nonostante il fastidio della luce; il destro vedeva male, come se fosse appannato, e lui cercò di alzare la mano pre fregarselo e togliere l'impurità che lo offuscava. Non potè muovere nulla dal collo in giù.

Devo dormire ancora.

« Arashi-san. »

« Lindèvi… »

L'uomo faticò ad inquadrare la ragazza finché questa non si spostò abbastanza per essergli di fronte.

« Di che colore è il mio occhio destro? »

« Arashi-san..? »

Lindèvi si sporse titubante verso l'uomo, spaventata nel vederlo già sveglio e confusa dalla domanda:

« È… Azzurro. »

Lui grugnì in assenso:

« Di che colore sono i miei capelli? »

« Biond- – vide Lindèvi interrompersi di colpo – Neri…? »

Scosse la testa in segno di diniego; la cima della chioma di Arashi era sì color dell'oro, ma verso le punte i capelli parevano sporcarsi come immersi nella pece. Arashi mandò un altro verso muto per farla tacere:

« Non è ancora il momento. Devo riposare ancora. – s'interruppe e la squadrò da capo a piedi, per quanto concesso dalla sua immobilità – Cos'è successo alla tua spalla? »

Lindèvi scattò sull'attenti terrorizzata, incapace di rispondere. Arashi chiuse gli occhi stancamente:

« Lo scoprirò da solo. »

Lindèvi osservò senza respirare la parete di vetro dietro alla vasca di rigenerazione illuminarsi di brevi spasmi; intuì l'ombra del loro signore baluginare nella superficie trasparente e squittì, rimpicciolendosi su se stessa.

Si domandò cosa avesse fatto di così orrendo per dover essere lei, a trovarsi da sola con Arashi a metà risveglio.

« Capisco. – disse dopo un po' lui, aprendo lentamente gli occhi – Siete degli sciocchi… Ma Toyu è stato intelligente. »

La bionda riprese ad inspirare con regolarità e riuscì a trattenere il pigolio spaventato quando Arashi ruotò le iridi su di lei:

« Il legame è ancora instabile. Non ho il controllo totale di questo corpo, e Deep Blue-sama mi concede solo una parte della forza. »

Prese un lungo respiro sentendosi esausto:

« Torna nella vasca anche tu. Guarisci. Seguiremo il piano di Toyu finché la sonda non libererà il parassita. »

« E poi? »

Arashi tacque alcuni secondi:

« C'è qualcosa… Un frammento. Molto vicino. »

La ragazza trattenne un sorriso, se il legame tra Arashi e Deep Blue si rafforzava al punto di permettergli di percepire il Dono, presto avrebbero concluso il loro piano.

« Loro non lo sanno ancora. Sarà una buona occasione. »

La sua voce si abbassò, mentre lui scivolava di nuovo nel sonno indotto dalla macchina :

« Quando saranno a tiro, li attaccherete e prenderete il frammento che ora si trova con loro. Non siate sciocchi, non tentate di colpirli a Jeweliria – precisò intuendo la sua obiezione – nemmeno voi potete violare gli scudi esterni; aspettare siano sulla Terra. Se procederete bene, non avranno tempo di portarlo via… »

« Sì. »

« Dobbiamo prenderlo… Per attivare la Chiave… E ricomporlo… »

Lindèvi percepì il tremolio nella parete accentuarsi mentre Arashi riprendeva a dormire, e si allontanò di corsa fino ai suoi alloggi con le ginocchia che tremavano.

 

 

***

 

 

« Toc-toc. »

« Reta-chan! Vieni, vieni! »

Con un gran sorriso MoiMoi fece cenno alla verde che entrò con attenzione nel laboratorio, salutando i due presenti intenti in assidue ricerche. Le venne da sorridere più impacciata incrociando lo sguardo di Pai e sentì ancora il curioso battito fuori tempo rimbombare sordo nella cassa toracica: se era un segnale allusivo del suo cuore, decisamente aveva trovato come farsi sentire forte e chiaro.

« Ti aspettavamo. – trillò il violetto e studiò speranzoso la borsa che Retasu aveva tra le mani – Non è che…? »

La verde ridacchiò e aprì la borsa estraendone due pacchetti:

« Zakuro-san li ha portati oggi. A quanto ho capito, voi non li avete mai mangiati. »

MoiMoi rise deliziato e agguantò il ghiacciolo dalle mani della mewfocena scartandolo in un frastuono di cellophane squarciato; addentò mugolando la tavoletta gelata e gemette a labbra strette per l'emicrania da freddo che lo colpì, saltellando sul posto in preda all'euforia:

« Come adoro le merende che ci porti Reta-chan…! »

« Senpai, direi che siamo un po' grandi per le merende. »

Chiarì Pai pacato ma MoiMoi non lo considerò, continuando a godersi il suo ghiacciolo. Il moro sbuffò rassegnato e si voltò verso Retasu, la borsa tra le braccia timidamente protesa verso di lui:

« Preferisci più o meno dolce? »

« Dolce. »

Lei rimase un secondo con la mano sospesa nella borsa:

« Credevo fossi un tipo a cui non piacciono i dolci. »

« Ah sì? – la studiò alzando un sopracciglio – E che tipo sarei? »

Retasu non rispose e arrossì lievemente porgendogli uno stecco alla ciliegia.

« Un tipo antipatico che mangia solo roba amara o aspra, tipo i limoni – bofonchiò MoiMoi con il ghiacciolo in bocca – ecco cosa sembri. »

Pai passò una scorsa prima al suo senpai e poi a Retasu, che teneva le testa incassata fra le spalle senza guardarlo negli occhi, assaggiando distratta il suo ghiacciolo all'anice.

« Do davvero l'impressione di qualcuno che si nutre solo di limoni? »

Il tono scherzoso che usò sorprese e piacque tanto alla verde che osò sollevare lo sguardo e mormorare quasi senza più fiato:

« Forse. »

Pai sorrise lievemente scartando il ghiacciolo e Retasu percepì l'ennesimo battito solitario.

« Ehi Reta-chan, ma in questo c'è qualcosa…! – esclamò MoiMoi – Scrocchia! »

« Ah, devi aver preso un gari gari(**) MoiMoi-san. – disse la verde andandogli vicino –Vedi? Dentro ha dei cristalli di ghiaccio più duri e scrocchiano quando lo mastichi. »

MoiMoi spalancò gli occhi e la bocca compiaciuto:

« Dove ve le inventate cose del genere?! »

E si avventò su ciò che restava del ghiacciolo rosicchiandolo soddisfatto dello scoppiettio prodotto sotto i denti; Pai scosse la testa e Retasu sorrise piano. Il moro rimase in quella posizione anche dopo che lei si fu voltata, finendo il suo ghiacciolo seguendo il profilo della ragazza che si perdeva in una dettagliata descrizione di quello strano dolce.

Aveva quasi finito il ghiacciolo quando Retasu alzò senza pensare lo sguardo, incrociando il suo, e con espressione senza dubbio felice lo riabbassò quasi immediatamente, timida. Pai non riuscì a fingere di non vederlo e si corrucciò un poco, un insolito quanto stuzzicante spasmo dietro all'ombelico.

E se Retasu…?

« No. È impossibile. »

 

 

***

 

 

Il rumore proveniente dalla cucina, segno dell'affaccendarsi di Keiichiro, e il picchiettio dell'orologio erano uno stentato sottofondo all'ennesima lezione di Ryou per Ichigo, lezioni che si svolgevano nel tentativo quotidiano di raggiungere la minor emissione di sillabe possibili.

La rossa non era riuscita a trovare una scusa decente per rifiutare l'invito di Kei, quando le aveva proposto – a sua insaputa per la seconda volta – di avere Ryou come insegnante privato; il biondo non era neppure stato di aiuto, accettando la cosa con una scrollata di spalle, e Ichigo si era ritrovata con i suoi libri e il terrore per la presenza dell'americano, poco e niente pronta ad affrontare la chimica. A conti fatti non solo quella dei suoi libri. La sola cosa che era riuscita a strappare dalla congiura celeste nei suoi confronti era di praticare le lezioni al Cafè, con la discreta eppure vigile presenza di Keiichiro che – forse – avrebbe fatto desistere Ryou da altri inspiegabili gesti di affetto.

Le preoccupazioni di Ichigo si rivelarono, ovviamente, infondate. Così come si rivelò infondata l'ansia su come e di cosa parlare oltre alla chimica.

Ryou le rivolgeva a stento la parola; anche quando doveva spiegarle qualcosa, non si avvicinava neppure per farle vedere meglio il libro, ma la teneva a debita distanza e indicava ciò che serviva con una matita.

Tenersi entro precisi limiti di confidenza andava bene, ma così era eccessivo.

L'atmosfera in quei pomeriggi era pesante e gelida, e i minuti cadevano con una lentezza tale che Ichigo aveva la sensazione di sassi nello stomaco ad ogni scoccare dell'ora. Ryou dava tutta l'impressione di essere arrabbiato con lei, anzi di trovare fastidiosa la sua presenza: già la cosa in sé le dispiaceva, screzi o meno credeva che loro due avessero un rapporto di amicizia ben solidificato, se aggiungeva al tutto che non trovava alcun nesso tra il loro abbraccio al fiume e quell'atteggiamento così distaccato, sentiva di perdere del tutto il senno.

Da parte sua Ryou non avrebbe potuto fare altro. Il solo fatto di essere praticamente da soli era già frustrante, ma – non sapeva se per il potenziamento dei geni felini, o per averla stretta tra le braccia tanto a lungo – riusciva a sentire il profumo della rossa, dei suoi capelli, di lei, anche seduto dall'altro capo del tavolo; era quasi in grado di percepirne il calore sulla pelle e sulla punta delle dita.

La sua era la distanza minima per non perdere del tutto la ragione.

« Ora qui abbiamo KMnO4 + Ca3(PO4)2 → K3PO4 + Ca(MnO4)2. »

La ua voce era monocorde e bassa, fredda come metallo mentre parlava:

« Bilanciala. E dimmi i passaggi, così vediamo cosa ricordi. »

Ichigo strinse la matita con un po' troppa forza e sentì le dita tirare nello sforzo:

« Allora… Inizio a bilanciare i metalli, potassio e calcio. Quindi KMnO4 diventa 3KMnO4 e Ca(MnO4)2 diventa 3Ca(MnO4)2… »

Lei spiegò pian piano, un pezzo alla volta, con Ryou che non emetteva suono, e avvertì uno strano sapore amaro salirle in bocca.

« Quindi il risultato è 3KMnO4 + Ca3(PO4)2 → 2K3PO4 + 3Ca(MnO4)2. »

Ryou non rispose; guardò il foglio, tirandoselo vicino con la parte posteriore della sua matita, e Ichigo avvertì la rabbia divampare.

« Hai dimenticato di ribilanciare il potassio, non è 3KMnO4  ma 6KMnO4. Comunque, molto brava. »

Allontanò il quaderno con lo stesso gesto. La rossa esplose:

« Ok, perché diavolo ce l'hai con me? »

« Come? »

« Ti ho chiesto perché ce l'hai con me! – fece più forte – Mi ignori! Mi tratti con sufficienza e a stento mi parli! Cosa ti ho fatto?! »

Ryou la guardò inespressivo e Ichigo fu tentata di lanciargli l'astuccio in faccia.

« Non ho assolutamente nulla contro di te. Sono come sempre. E non immaginavo tenessi tanto a conversare con me. – disse con malcelata acredine – Avevo capito che non gradissi la mia presenza. »

« Quindi ora è colpa mia?! »

Ryou non rispose di nuovo, gli occhi chiusi e la testa abbandonata nel palmo della mano, e Ichigo sbattè i piedi esasperata:

« Come ti pare! »

« E ora cosa fai? »

Sbuffò con sufficienza.

« Vado a casa. – sbottò lei sbattendo la cartella sul tavolo e lanciandoci dentro le sue cose – Per oggi di sarcasmo e silenzi ne ho avuti abbastanza. »

Ryou sapeva che si sarebbe dovuto fermare. Che avrebbe dovuto tacere, come era sempre stato in grado di fare. Ma anche lui aveva un limite di sopportazione:

« Allora sei in grado di cogliere i segnali delle persone. »

« Tu parli di segnali?! Caro mio, fai pace col cervello, perché i tuoi confondono! »

Ryou si alzò in piedi rabbioso, il limite di sopportazione era stato ampiamente superato:

« E tu ascolta le persone! Specie in certe situazioni quando ti parlano, potrebbe essere importante! »

« Di cosa stai parlando?! »

« Oh, Momomiya, For crying out loud! You can speak cat's language like Japanese! »

Ichigo lo squadrò arrabbiata e confusa e a Ryou sembrò impossibile non capisse, o quantomeno intuisse, cosa aveva scatenato quella sera nell'acqua del fiume. Rise aspro:

« Quasi quasi provo pena per Ikisatashi. »

« Ora questo cosa c'entra? »

« Non mi dirai che non cogli nemmeno i suoi, di segnali. »

Fece sferzante e Ichigo serrò i pugni lungo i fianchi:

« Sai che c'è?! Almeno lui è meglio di te! – urlò a pieni polmoni – Non mi tratta a seconda del suo umore, né mi caccia via per poi tornare indietro! »

Il fracasso fu tale che Keiichiro uscì impensierito dalla cucina, ma nessuno gli diede alcuna spiegazione. La rossa vide Ryou fissarla apparentemente senza reazione e non capì perché gli occhi le pungessero:

« Anche se non lo ricambio, lui è li per me in ogni caso, e me lo dimostra. Tu invece dovresti essere mio amico, e non fai che trattarmi male e snobbarmi, passando poi a preoccuparti per me! Sei un ipocrita! »

Si aspettò dicesse qualcosa, qualunque cosa, ma Ryou rimase muto. Ichigo ebbe la sensazione di ricevere una pugnalata dritta nel petto:

« Ti detesto, Shirogane. »

Si caricò la cartella tra le braccia e salutato frettolosamente Kei uscì a passo di marcia dal Cafè, nascondendo lacrime traditrici di cui non capiva la provenienza.

« Si può sapere cosa è successo? – domandò preoccupato Keiichiro – Ryou… »

L'americano si lasciò sfuggire uno sbuffo amaro e si sedette di peso sulla sedia, la fronte tra le mani:

« "Ti detesto"… Grandioso… »

Il bruno sospirò lentamente:

« È il caso di dire il lupo perde il pelo, ma non il vizio, uh? »

« Sì, and the leopard never changes his spots. »

Borbottò il biondo:

« But we aren't leopards, we're cats. »

Keiichiro non replicò sospirando di nuovo e tornò in cucina, lasciando Ryou ai propri pensieri come desiderava.

 

 

***

 

 

« Voleva vedermi? »

« Altrimenti non l'avrei chiamata. »

Ribattè mordace Ebode. Il suo interlocutore non si scompose e incrociò le braccia:

« Dunque? »

« Sono settimane che attendiamo – soffiò l'uomo esasperato – al Consiglio ho sempre meno sostenitori, e quelle terricole insistono a fare il bello e il cattivo tempo gironzolando per Jeweliria come in un parco giochi! »

« E io cosa dovrei fare secondo lei? »

« Si attivi! Scuota le acque! – replicò – La sonda…! La sonda esplorativa degli Ancestrali! Utilizziamo quella! »

« Non ho intenzione di farmi uccidere per aver interferito nei loro piani. – fece lapidario l'altro – Ne sto seguendo i movimenti, sembra molto impegnata a viaggiare tra Jeweliria e la Terra, probabilmente raccogliendo informazioni. Al momento opportuno me le procurerò. »

« E quando sarà il momento opportuno secondo lei?! – esplose Ebode – Quando ormai le terrestri ci avranno sottratto il Dono?! O quando avrò perso la mia credibilità al Consiglio?! »

Il suo interlocutore lo fissò con sufficienza ed Ebode digrignò i denti: gli leggeva in faccia lo sprezzo che provava per lui e quanto piccolo e meschino considerasse il suo desiderio di potere e la collera lo soffocò:

« Forse capisco… Avete avuto dei ripensamenti? – la sua voce untuosa era sgradevole e al contempo stregante – Vi siete fatto venire sensi di colpa? »

L'altro gli scoccò un'occhiata velenosa:

« Io, al contrario di voi, riesco a mantenere i miei desideri al di fuori dei miei compiti. »

Il ghigno di Ebode storse ancora di più il suo volto:

« Eppure mi pare che siano proprio i suoi desideri a farla collaborare con me. »

Puntualizzò mefitico ma quello non reiterò.

« Controllerò le intenzioni di Luneilim e la informerò non appena ci saranno novità. – sentenziò – Lei veda di calmarsi un po'. »

Lasciò Ebode da solo a guardarlo con rabbia; l'uomo si morse nervoso il pollice, non poteva aspettare, doveva trovare il modo perché non si stabilisse fiducia ulteriore verso le terrestri e i loro soci. Arrivò ad aprirsi lievemente la pelle con i denti prima che un'idea lo colpisse all'improvviso: era buona, molto buona, e abbastanza ambigua da far chiacchierare il Consiglio ancora per un po'.

« Ma devo procurarmi la prova. »

 

 

***

 

 

Sentiva quel battito con sempre maggior chiarezza. Un tamburellare cupo, lento, un cuore pulsante che si avvicinava man mano a lui.

Era pericoloso. Molto pericoloso. Doveva avvertirle

« Devo… »

Le sue mani si ritrovarono a poggiarsi contro la parete di freddo vetro e la gola non emise un suono.

« Non te lo lascerò fare. »

Primo si voltò con odio a guardare Lui che ghignava feroce:

« Quel frammento mi serve. Lo voglio. »

« Non ti farò avvicinare a quella ragazza. »

Lui esplose in una risata:

« E come speri di riuscirci? »

L'espressione frustrata di Primo fu sufficiente per Lui, che scomparve nel bianco senza aggiungere altro. Primo picchiò i pugni sulla parete gemendo disperato:

« Ti prego… Ti prego, controllalo. Controllalo… O potrebbe ucciderti. »

 

 

***

 

 

« Non è giusto! Per te è facile arrivare lassù, tu voli! »

Soddisfatto di vedere Purin così indispettita Taruto si appese con le braccia ad un ramo bello spesso, dondolando avanti e indietro, e con un colpo di reni saltò su e poi si arrampicò ancora più in alto, fermandosi alcuni metri oltre dove si trovava:

« Forza di braccia, scimmietta. »

Purin gonfiò le guance irritata e prese una bella rincorsa; atterrò senza troppe difficoltà sul primo enorme ramo dell'albero e poi iniziò a saltellare e piroettare sui suoi vicini, salendo di passo in passo fino a raggiungere il brunetto e piombare con una capriola accanto a lui.

« Ne hai di forza anche se è mattino presto…! »

La stuzzicò e lei gli fece una linguaccia:

« È troppo figo! – rise senza fiato – Non immaginavo sapessi fare cose simili, sei grande. »

Taruto allargò il petto orgoglioso. Aveva mostrato il suo piccolo giardino personale per fare un po' lo sbruffone, ma doveva ammettere che i complimenti di Purin lo mandassero in brodo di giuggiole.

« Perché non riempi il pianeta da solo? Sono sicura che ne saresti capace. »

« Scherzi?! Non sono ancora così bravo. – bofonchiò – Mi alleno anche per questo… E poi, sarebbe troppo per me da solo. »

La capacità di creare vegetali senza utilizzarne di esistenti era una dote molto rara anche tra i jeweliriani, e Taruto aveva capito fin da piccolo l'importanza del suo dono: avrebbe potuto sfruttarlo per la ricrescita del pianeta, ma nonostante le doti da soldato non era ancora addestrato per lavorare a lungo e con metodicità.

« Per ora mi alleno con il senpai. – sospirò incrociando le braccia – E vedo fin quanto riesco a far crescere una pianta. »

Con un ghignetto battè il palmo sull'immenso albero dove erano seduti.

Il campo di allenamento al Palazzo Bianco non era sufficiente per poter manifestare tutto il potenziale acerbo del brunetto, così si era trovato uno spazio disabitato in cui avesse la possibilità di allenarsi senza pensieri. Purin fissò distratta attorno a sé, sebbene riuscisse ad intravedere le colline e il bosco di alberi giganti in lontananza tra i tronchi contorti, il giardino personale di Taruto era enorme: intorno non avevano che alberi grossi almeno il doppio di quelli che circondavano Jeweliria, storti e colmi di bozzi e rami nodosi. Il ragazzo aveva detto che dare pieno sfogo alla sua forza era un buon metodo per vedere fin dove poteva spingersi, ma così i primi risultati non erano proprio pregevoli; l'albero su cui sedevano ad esempio, uno dei più interni, era particolarmente grosso e brutto, quasi avesse continuato a crescere su se stesso attorcigliando le fronde e stratificando la corteccia, una sorta di vegetale da film dell'orrore, mentre i più esterni nonostante le dimensioni erano più belli. Purin li trovava comunque tutti meravigliosi.

« Anche Sando nii-san è molto bravo. »

Sorrise la biondina ricordando il suo primo scontro con Zizi e Taruto esclamò colmo di ammirazione:

« È un grande! Erano almeno tre generazioni che non nasceva un manipolatore vegetale come lui! Mi ha insegnato tutto. »

Purin lo studiò intenerita del suo entusiasmo; aveva intuito che Taruto provasse una sorta di venerazione nei confronti di Sando da come rimaneva deluso quando non andavano in missione insieme, e ora poteva capire il perché.

« Quindi Sando sarebbe un genio? – fece lei inclinando la testa poco convinta – Credevo fosse Pai nii-san il genio. »

Alle sue parole Taruto s'irrigidì un poco e abbassò la testa:

« Infatti lo è. – fece cupamente – Nessuno è in grado di manipolare tre elementi contemporaneamente. Mio fratello ha un talento unico. »

La sua faccia però non parve entusiasta. Purin gli si avvicinò rapida saltellando sul sedere:

« Taru-Taru? – lo guardò preoccupata – Ho detto qualcosa di male? »

Lui scosse la testa. Non aveva molta voglia di rispondere, ma Purin non smetteva di fissarlo in ansia e sospirò:

« Sono solo ancora arrabbiato con lui. Tutto qui. »

Fu il massimo che volle formulare.

Da bambino adorava suo fratello: era intelligente e forte, uno dei migliori dell'Armata; non avrebbe potuto essere più orgoglioso che di combattere al suo fianco per salvare la sua gente. Poi le cose erano cambiate, grazie anche ad una ragazzina che ora lo studiava apprensiva, e lui si era posto delle domande, molte domande.

Pai no.

Taruto si passò sovrappensiero una mano sull'addome. Non avrebbe mai potuto immaginare, allora, che Pai sarebbe stato in grado di volgere un'arma contro di lui. Eppure lo aveva fatto.

In qualche modo lo aveva perdonato, forse perché alla fine la sua caparbietà aveva ceduto al punto di dare anche lui la sua vita per le vecchie nemiche; eppure, una parte del suo animo non riusciva a dimenticare la freddezza con cui lo aveva colpito, e la stima verso di lui si era inesorabilmente sciupata.

« Pai nii-san ha fatto tante cose terribili – disse lentamente la mewscimmia – ma io gli devo la vita e quella delle mie amiche. Come la devo a te. »

Taruto si voltò imbronciato e lei sorrise smagliante. Si sentì immediatamente meglio:

« Lo so. »

« Ma non devi farlo mai più! – aggiunse Purin calorosa – Non devi farti male. »

« Per chi mi hai preso, per un moccioso di sei anni? – borbottò sdegnato – E poi perché pensi che mi alleni tanto? Non ci tengo a morire un'altra volta! »

« Non dirlo nemmeno per scherzo. »

Sentenziò seria e Taruto si stupì della sua espressione triste; avvertì una stretta al petto e voltò la testa a disagio grattandosi la guancia con l'indice:

« Dai non fare quella faccia… Sembra quasi che tu stia per piangere. »

« Io non piango. »

Mormorò e si fregò di nascosto l'angolo di un occhio.

« Bene. Tu devi sorridere. »

Si girò per darle le spalle ma Purin capì lo stesso che arrossiva:

« Se tu smettessi di sorridere sarebbe la fine del mondo. »

La tristezza scomparve dal volto della biondina con la stessa rapidità con cui era arrivata: sorrise radiosa e Taruto prese altrettanto velocemente un nuovo tono di colore, molto vicino all'amaranto, mentre Purin gli gettava le braccia al collo.

« Scema! Mollami! »

« Ti voglio tanto bene Taru-Taru! »

« Non dire stupidaggini che poi potrebbero venire fraintese, cretina! »

Berciò con il cuore che rischiava di trapassargli la cassa toracica. Purin rise gli lasciò un bacio sulla guancia prima di alzarsi e correre un po' troppo di fretta di nuovo a terra:

« Dai muoviti! – rise nervosamente con le guance rosate – Ho una fame…! Voglio fare colazione. »

Corse via verso la città senza voltarsi mentre Taruto la seguiva con lo sguardo, completamente ammutolito, e iniziava a scendere intontito toccandosi la guancia; ringraziò che il rientro fu lungo abbastanza per calmare la sua tachicardia, o sarebbe morto d'infarto.

 

 

***

 

 

Retasu si svegliò piagnucolando infastidita, domandandosi se era possibile a diciassette anni soffrire d'infarto.

Dalla sera prima il suo petto mandava ad intervalli inspiegabili battiti irregolari, forse più simili a colpi di tamburo che a pulsazioni cardiache. Aveva incolpato della cosa la giornata lunga e  le ammissioni a cui era stata obbligata, che avevano reso la sua veloce visita a Jeweliria un po' più entusiasmante del previsto, e si era detta che una buona dormita l'avrebbe distesa. Invece si era svegliata così, crudelmente ben prima che la sua sveglia la chiamasse, a mattina inoltrata come ogni domenica, con il cuore che martellava.

« Insomma… »

Si alzò borbottando e continuando a ripetersi a mezze labbra che il giorno dopo avrebbe dovuto provvedere a fare qualche analisi, per sicurezza, magari era solo uno dei tanti scherzi della pubertà.

Eppure ciò non zittì il suo sesto senso che pizzicava allarmato.

Tu-tum. Tu-tum.

Per un breve istante ebbe l'impressione che non si trattasse del suo cuore che batteva. Era come se ci fosse qualcos'altro, nascosto nel profondo del suo petto, che mandava pulsazioni lente e fonde come respiri.

Tu-tum. Tu-tum.

La verde si tuffò in bagno infilando il viso sotto l'acqua del lavello, e lì rimase finché non avvertì più quel battito, ma solo il normale pulsare del cuore nel torace. Sospirò rilassandosi e andò con calma in camera decisa a infilarsi di nuovo sotto le coperte, acciambellarsi sul cuscino e magari leggere un paio di capitoli del libro sul comodino alla luce chiara e fresca della mattina, quando un noto gracchiare proveniente dalla sua divisa le strappò un lamento sordo:

« Oh, basta, non a quest'ora. »

Prese il suo ciondolo mew dalla tasca della gonna e la voce di Keiichiro l'accolse:

« Ragazze, dovreste venire qui immediatamente. »

La risposta in monosillabo di Ichigo, ancora profondamente addormentata, ripagò quantomeno Retasu del mezzo gaudio del mal comune.

« Stiamo rivelando qualcosa. »

« Come? – chiese confusa la verde infilandosi gli occhiali – Cosa di preciso? »

L'uomo tacque un momento, incerto su come rispondere; quando aprì bocca, la vocina sincopata di Masha trapanò i timpani delle ragazze con un arcinoto segnale:

« Chimero! Chimero! C'è un chimero! Piii! »

 

 

***

 

 

« Forse avremmo dovuto aspettare gli altri… »

« Retasu, abbiamo sempre affrontato i chimeri di ogni forma e dimensione senza bisogno di alcun aiuto. – puntualizzò Minto lievemente scocciata – Se arriveranno quei simpaticoni di pazzoidi ossigenati, non credo che Kisshu e compagnia avrebbero troppi problemi a raggiungerci, sanno teletrasportarsi. »

Retasu annuì seguendo le amiche con scarso entusiasmo; il petto continuava a batterle senza sosta e la terribile sensazione che ci fosse qualcosa di anomalo non la rendeva molto energica o desiderosa di lottare.

La scena che si presentò loro di fronte era abbastanza consueta, almeno per i loro standar. Un orrido mostro, una sorta di drago bicefalo dall'aspetto bitorzoluto, si agitava per il parco facendo fuggire tutti i presenti nel raggio di chilometri in una bolgia di panico; non pareva granchè interessato a loro, ma la presenza di quegli esserini lo infastidiva, e continuava a ruotare le teste sputacchiando bava corrosiva nel tentativo di liberarsi la zona.

« Ma perché devo essere sempre così brutti?! – gemette Ichigo – Non potrebbero, che so, fare un chimero dall'aspetto più piacevole? »

« Ah, sì. Sarà molto meglio venire sbranate da un meraviglioso cucciolo di quindici metri che da un lucertolone, di gran lunga. »

Purin rise alla battuta acida della mewbird e Ichigo si accigliò:

« Era per dire. »

Ruppero di colpo la formazione per evitare una massa di saliva acida e lo attaccarono rapidamente. Purin gli immobilizzò le zampe con i suoi budini e la frusta di Zakuro si avvolse attorno alle sue ali per impedirgli di spiccare il volo; il chimero gridò rabbioso e sputò in tutte le direzioni per disfarsi delle scocciatrici, ma Retasu fu più svelta e intercettò i colpi con il suo Ribbon Lettuce Rush.

« Non si sputa, è maleducazione! »

La bestia girò di scatto la testa, rabbioso, e per poco non divorò Minto in un boccone.

« Neppure lui apprezza il tuo umorismo. »

La canzonò Ichigo evitando la coda dell'animale sulla testa. La mewbird schioccò la lingua superba e scagliò il Mint Echo attirando tutta l'attenzione della creatura, e lasciando campo libero alla rossa:

« Ichigo, vai! »

« Ce l'ho! Ribbon Strawberry Surprise! »

Il chimero gridò di dolore nella luce abbagliante del colpo e, per alcuni secondi, i sensori visivi della sonda nascosta tra l'erba non recepirono più nulla; chiuse i filtri per migliorare la ricezione e quando capì che l'attacco si era concluso, si allontanò rapidamente per mettersi al sicuro.

« Yeah! Ce l'abbiamo fatta! – gongolò Purin mentre la luce scemava – Siamo sempre troppo forti! »

Le amiche però non condivisero il suo entusiasmo.

« È stato facile… »

« Troppo. »

Concluse fredda Zakuro e Ichigo dovette annuire. Colsero la sagoma scura del chimero, ancora stesa sul prato, troppo tardi per reagire al lampo successivo.

L'esplosione non fu così dirompente come si aspettarono, ma loro erano troppo vicine. Ichigo potè solo coprirsi il viso con le braccia e avvertì la spinta dello scoppio premere contro la sua vita, una spinta perfino delicata dovette ammetterlo.

« Micina, e dire che hai i riflessi di un gatto! Vuoi finire arrosto? »

La mewneko sbattè gli occhi un paio di secondi e divenne scarlatta. La tempistica di Kisshu era così millimetrica da essere seccante.

« G-grazie. »

Tartagliò solo scostandogli il braccio che teneva attorno alla sua vita; lui sorrise compiaciuto del suo imbarazzo e non aggiunse niente.

« Insomma, vuoi lasciarmi?! »

« In questi casi si dice "grazie di avermi salvato il culo a mandolino" – ghignò sarcastico – prendi esempio da lei, cornacchietta. »

Minto lo squadrò feroce e scacciò in malo modo il braccio che le cingeva le spalle:

« Onee-sama, stai bene? »

Zakuro le rispose con un cenno e ringraziò Taruto, la mano ancora attorno al suo polso e a quello di Purin.

« Abbiamo fatto in tempo. »

Sospirò Eyner sollevato e ringraziò mentalmente il brunetto per il suo soccorso tempestivo.

« Per fortuna! – protestò MoiMoi guardando severo le ragazze – Perché non ci avete chiamati?! »

« Non è la prima volta che affrontiamo chimeri – fece notare la mewwolf – ma ammetto che è la prima volta che ce ne troviamo uno che esplode. »

« Errore. – ribattè Purin allegra – C'è quello che è esploso inondando d'acqua una strada intera, ve lo ricordate(***)? »

« E come no… »

Sospirò Ichigo tetra. Eyner sbuffò divertito della sua faccia e si rese conto che Zakuro lo stava guardando:

« Grazie. »

Rispose solo con un cenno del capo per non farsi sfuggire espressioni troppo felicemente idiote:

« Reta-chan tutto a posto? »

La verde annuì freneticamente ringraziando con un soffio Pai, e la sua discrezione nell'abbassare la mano dalla sua spalla dopo averla messa al sicuro. Avvertì l'ennesimo colpo risuonarle tra le costole e sperò che nessuno notasse il suo viso arrossato.

« Senpai, hai visto niente? »

Chiese Pai ma MoiMoi scosse la testa:

« Niente. Eppure il segnale della sonda era chiaro. »

« Ed è sicuramente quella ad aver liberato il para-para. »

Concluse il moro piatto.

« Che senso ha? – sbottò Minto – Attaccarci con un chimero simile? »

Gli alieni non le risposero, era evidente che anche loro si ponessero la stessa domanda e che la cosa non gli piacesse per nulla.

« Cerchiamola immediatamente allora! – proruppe Purin infilandosi di testa in un cespuglio – Non sopporto l'idea che quelli la mi spiino! »

« Per una volta condivido il suo entusiasmo. »

Disse Pai divertito e tutti si misero alla ricerca della misteriosa sonda, nella speranza non fosse già scomparsa; il moro intanto fece scomparire il ventaglio con cui aveva parato parte dell'esplosione e si fece sfuggire un sibilo di dolore tra i denti.

« Ti fa ancora male il braccio? »

Domandò Retasu premurosa. Fece una gran fatica a non scostare lo sguardo quando Pai si girò, complice quel martellio al cuore, ma restò ferma:

« Quello che ti ha ferito Lindèvi. Non credo sia ancora guarito del tutto… »

« Mi formicola solo un po'. »

Replicò piano, ma Retasu non parve convinta e insisté a studiarlo ansiosa.

« Sto bene. – insisté con più gentilezza – Davvero. »

« … Ti sanguina la mano…! »

Lo corresse lei e Pai si accorse che le nocche non avevano gradito di essere esposte alla detonazione del chimero.

« Non è niente. »

« Pai-chan sottovaluta sempre tutto. – borbottò MoiMoi guardandolo severo – Perché non te la vai a fasciare? Ci vogliono due minuti. »

« Non mi pare proprio il caso, senpai. »

« Il Cafè è qui – insisté sorridendo – Reta-chan ti aiuta e torni qui, dov'è il problema? »

Pai lo fissò speranzoso che scherzasse ma MoiMoi continuò:

« Siamo in otto a cercare quella sonda, vuoi che non la troviamo? »

« Visti i precedenti, direi di no. »

Non ci fu verso e il moro si teletrasportò al Cafè con la verde, che notò arrossendo la strizzatina d'occhio che MoiMoi le lanciò prima di scomparire.

 

 

***

 

 

La sonda corse quanto più possibile per allontanarsi dai suoi inseguitori, ma non riusciva a trovare una via di fuga sicura. Inviò un'altra volta il segnale di allarme alla base e trovò un angolino nascosto dietro una panchina, forse da lì sarebbe riuscita a rientrare in sicurezza.

Due mani la sollevarono prima che potesse fare alcunché. La voce, già registrata nella sua banca dati, sbuffò irritata:

« Li stai chiamando qui? Non potevi aspettare un attimo che ti recuperassi? »

La spia di Ebode cercò il rilevatore che aveva nascosto sotto le gambe della sonda e lo estrasse:

« Non ho proprio voglia di scontrarmi con i tuoi amici. »

La sonda si agitò tra le sue braccia goffamente e quello toccò e studiò tutta la sua superficie, trovando infine il vano principale di memoria:

« Tranquillo, non te li ruberò. – fece piatto – Fammi solo copiare le cose interessanti. »

 

 

***

 

 

Retasu non seppe se ringraziare il misterioso ascendente che MoiMoi aveva sui suoi kohai, l'inspiegabile mansuetudine di Pai o il chimero che si era fatto esplodere. Medicò quanto più velocemente potè la mano del moro, evidentemente insofferente alle cure non richieste, e si sentì sciocca per essere così contenta di trovarsi sola con lui.

« Scusami, non sono molto veloce. – disse finendo di disinfettargli i tagli – Ma ho quasi finito. »

Pai grugnì una risposta non ben definita. Retasu si era accorta subito che non smetteva di fissarla dal momento erano spuntati sulla soglia del Cafè, nemmeno quando avevano velocemente spiegato a Ryou e Keiichiro cosa stesse succedendo, ma non aveva assolutamente il coraggio di chiedergli il motivo. Il risuonare del suo petto si era intanto fatto più veloce e profondo, facendole temere di poter essere sentito nel silenzio della stanza.

« Retasu. »

Dopo il silenzio interminabile si sorprese al punto che per poco non le cadde la boccetta di acqua ossigenata dalle mani:

« S-sì? »

Lui tacque di nuovo e la verde temette di evaporare sotto lo sguardo indaco penetrante che la fissava.

E se Retasu…?

« Non è che tu… Sei innamorata di me? »

 

 

 

 

 

 

 

(*) premettendo che sono dovuta andare a scovare appunti online per codesto argomento totalmente rimosso dalla mia memoria xD… Ci sono 4 metodi per risolvere questo tipo di equazioni, e visto che si tratta di semplice calcolo con i primi tre, immagino che ipoteticamente gli alieni possano saperli. 2+2 dovrebbe fare sempre 4 in tutto lo spazio x°D

(**) esiste davvero :D! e si chiama gari gari (cioè l'onomatopea corrispondente al nostro crunch) che indica proprio lo sgranocchiamento… Il gari gari di solito è alla soda o alla cola, ma si trova anche in altri gusti :3: sa di poco xD ma disseta ed è molto divertente :P

(***) episodio 21 yeah che memoria :D! xD

 

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Ta-ta-taaaah! Sì ok sono una b******a e il finale è cattivissimo! Io stessa vi consolo ho urlato "che faiii?!?!" in modalità isterica xD!

Quanti sono sopravvissuti? Vi siete goduti la quiete? Bravi, perché d'ora in avanti saran lacrime…

Tutti: MOOOOLTO confortante °-°""!

Voglio ringraziare con tutto il mio cuoricino Allys_Ravenshade, mobo, Danya, Hypnotic Poison e AngeloBiondo99 per i commenti :3, ma anche voi tesori fate sentire le vostre vocine x3! Mi rendereste tanto felice (e tanto più produttiva *w* <- velate minacce)

Niente sketch per questo giro, sono in arretrato con altri lavori ;), al prossimo sperando nella mole più umana!


Mata ne
~♥ !

Ria

 

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Capitolo 25
*** Toward the crossing: fifth road ***


Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: 
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Farai felice milioni di scrittori. 

 

Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: Non essere indifferente!
Salva anche tu una tastiera da pazzoidi che le massacrano scrivendo come disperate! Non chiudere gli occhi, puoi salvare milioni di vite elettroniche.

 

 

 

 

 

 

… *si acquatta dietro un cespuglio*

Kisshu: autrice, dove sei +__+?

*scappa*

Vado a chiudermi in un bunker prima che arriviate alla fine ^^"", ciao a tutti *fugge nel deserto dei Gobi*

 

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Cap. 25 – Toward the crossing: fifth road

                               The Consequences

 

 

 

 

 

L'unico suono che potè sentire era quella pulsazione sorda nel torace che scortava il suo cuore martellante. Per il resto la stanza era congelata, così il suo respiro e lo sguardo indecifrabile di Pai fisso su di lei.

Cosa aveva detto?

« … Eh? »

Il ragazzo tacque esaminandola.

Non aveva mai affrontato quel dubbio da quando aveva iniziato ad insinuarsi dentro di lui. Si era detto che non era una cosa fondamentale, che non era qualcosa per cui preoccuparsi; c'erano necessità impellenti, cose di maggior importanza a cui badare che perdersi in sciocchezze come i dubbi sentimentali altrui.

Ma alla fine lo sguardo che scorgeva lanciargli la verde, di tanto in tanto, lo aveva forzato a chiedere.

Aspettò che Retasu ribattesse o reagisse, in qualche modo, le mani piccole e delicate che ancora stringevano la sua e la benda mezza sfasciata sulle sue nocche sbucciate.

La mewfocena non riuscì a respirare. La bocca secca, fissò Pai incapace di scollarsi dalle sue iridi scure e al contempo di tollerare l'intensità con cui la studiavano.

« I-io… »

Chinò il capo all'improvviso divampando in volto. A Pai bastò come responso.

Scostò la mano, lentamente ma con decisione, e finì di sistemarsi sbrigativo la fasciatura da solo. A lei parve di colpo diventato cupo, quasi arrabbiato:

« Torniamo dagli altri. Non voglio che perdiamo di nuovo le tracce di quella sonda. »

Retasu rimase immobile. Il tono gelido con cui le si rivolse, senza guardarla in volto, la colpì come una pugnalata; alle sue orecchie parve una risposta fin troppo chiara.

Non mosse un muscolo mentre Pai si alzò e la superò raggiungendo la porta del locale, destandosi solo quando lui si fu teletrasportato via.

Si alzò lentamente, mise via la cassetta del pronto soccorso, si aggiustò gli occhiali sul naso e si diresse all'uscita, quasi non notando Keiichiro che fece capolino dalle scale:

« Avete fin… Retasu-san, tutto bene? »

« Sì certo. »

Sforzarsi di sorridere per non preoccupare gli altri per lei era un'abitudine; ebbe però l'impressione che il bruno avesse intuito il suono della bugia, può darsi dal tono tremulo della sua voce:

« È meglio che anch'io raggiunga gli altri, Akasaka-san. A dopo. »

Uscì con molta calma, mandando un sospiro.

In fondo me l'aspettavo.

Era una possibilità che aveva messo in conto dal primo istante in cui si era resa conto dei propri sentimenti. Anzi, sapeva che era quasi una certezza; del resto non c'era motivo per cui fosse ricambiata.

Allora perché mi fa così male? 

Sentì gli occhi bruciarle dietro gli occhiali, ma non riuscì a piangere o sfogarsi, come se una morsa le togliesse il fiato necessario per farlo, e il poco che le rimaneva le sfuggiva a fatica dalla bocca. Il petto aveva preso a risuonare e la paura che la colse, capendo che non era il cuore che batteva disperato, fu pari solo alla confusione.

Calmati.

Come poteva? Aveva sperato, per alcuni vani istanti, non lo negava, sperato che per una volta sbagliasse le sue aspettative sentimentali, ma un rifiuto così duro e freddo le faceva troppo male.

Avrebbe voluto urlare per la frustrazione ma non le uscì la voce.

Il battito aumentò l'andatura.

Ti scongiuro calmati.

L'occhiata che Pai le aveva scoccato le sarebbe rimasta incisa nella memoria. Gelida e ostile, così simile a come guardava lei e le amiche tre anni prima, quasi che lei – o ciò che provava più probabilmente – lo infastidisse.

Calmati.

Era un po' troppo da sopportare.

Calmati.

Non aveva nemmeno più il diritto di avere dei sentimenti per qualcuno, indipendentemente che desiderasse di essere ricambiata o meno?

Il battito ormai era così veloce da mozzarle il respiro.

Per favore calmati.

« Calmati tu! »

Non seppe nemmeno a chi lo urlò. Finalmente due lacrime le scivolarono sulle guance e lei le asciugò stizzita e triste: si rese conto di avere l'affanno, troppo, così tanto che iniziò a girarle la testa, e il battito ormai le doleva in petto.

« Che cos'è…? »

No…

Retasu si dovette fermare per non cadere stringendosi le mani sul cuore; avvertì la pelle vibrare sotto i palmi e cercò di gridare, stavolta per chiedere aiuto, senza che le uscisse la voce. Ormai ogni pulsazione le causava uno spasimo che aumentava di colpo in colpo.

Perdonami.

La verde si lasciò cadere in ginocchio gemendo. Un lampo bianco, e poi il buio.

 

 

***

 

 

Il fatto di trovarsi tutte così vicine rese la cosa in sé già eccezionale ancora più inquietante. I cinque alieni assieme a loro le guardarono allarmati e Kisshu si concesse un fischio:

« Un modo creativo per farvi notare? »

Nessuno rise o commentò il suo sarcasmo e le ragazze si guardarono tra loro, mentre i loro corpi brillarono contemporaneamente come luminarie di Natale.

« Co… Cos'è successo? »

« Non lo so, Purin… »

Ammise Ichigo sottovoce. Zakuro si guardò le mani tornare normali e strinse i pugni:

« Dov'è Retasu? »

Le sue amiche alzarono di scatto la testa impallidendo per il tono ansioso che venava la sua voce.

Pai comparve lì accanto appena la mewwolf ebbe formulato la domanda e subito lei gli fu di fronte squadrandolo severa:

« Dov'è? »

« Cosa? »

« Pai-chan, dov'è Retasu-chan? »

Il moro non rispose vedendo confuso le facce allarmate di tutti.

« Dove accidenti hai lasciato Retasu?! »

Sbottò Ichigo furiosa. Pai non si lasciò intimidire dall'occhiataccia della rossa e replicò duramente:

« Era al vostro locale con me. Mi ha aiutato, siamo usciti. »

« Ah sì? E dove sarebbe ora?! »

Se Ichigo mal sopportava Pai, la cosa era reciproca. Lui aveva più di un motivo per serbare rancore verso la mewneko, ma ancor più che i passati scontri – o che lei fosse la causa per cui il cervello di Kisshu era finito in pappa – lo irritava quel suo atteggiamento ostile che pareva volerlo rimproverare in continuazione.

Si rifiutò di giustificarsi e le rispose un po' troppo acido:

« Non è mio compito occuparmi di cosa faccia la tua amica. »

Ichigo fu sul punto di urlargli ancora contro quando Purin esclamò:

« Di là! »

Il nasino all'insù a fiutare l'aria la biondina filò via verso il locale con gli altri in coda, trovando Retasu a poca distanza da esso. Era stesa nell'erba e pareva svenuta. Le amiche le corsero subito incontro e si bloccarono: la verde aveva emesso un lieve gemito e i loro corpi avevano brillato di nuovo con maggior vigore.

« No, è impossibile. »

Il bisbiglio di MoiMoi venne accolto da parecchi cenni del capo, anche dalle ragazze nonostante il barlume azzurrato delle loro pelli.

« Come potrebbe…? »

Il violetto cercò di rassicurare Ichigo stringendole la spalla e si avvicinò con cautela a Retasu:

« Portiamola via di qui, adesso. »

Si voltò verso Eyner che annuì e prese con gentilezza in braccio la mewfocena. Dietro di lui, Pai seguì per tutto il tempo la chioma smeraldo incapace di comprendere la stretta che gli attanagliò lo stomaco.

 

 

 

MoiMoi propose di portare Retasu nei sotterranei del Cafè. Non avevano un'idea precisa di cosa sarebbe potuto succedere trasportandola attraverso il passaggio per Jeweliria; inoltre il sotterraneo del locale era un bunker di cemento armato ben nascosto sotto metri di terra, avrebbero contenuto eventuali incidenti molto più che nel centro ricerche.

« Che genere di incidenti? »

Aveva mormorato Ichigo terrorizzata e il violetto aveva mostrato un sorriso teso:

« L'ultima volta che la Goccia è esplosa ha creato un labirinto di varchi dimensionali… Non saprei proprio. »

La rossa aveva deglutito a vuoto, stringendo la mano di Retasu che pendeva oltre il braccio di Eyner.

Keiichiro e Ryou li accolsero sulla porta, già allarmati dai sensori del laboratorio, e li condussero immediatamente di sotto.

« Cosa diamine è successo? »

Domandò il biondo mentre faceva stendere Retasu su una brandina in fondo alla stanza.

« Non lo so Ryou-chan. »

« Il computer ha segnalato della MewAqua, come… »

Keiichiro s'interruppe guardando prima il violetto e poi Ryou, cereo in volto.

« Non ve ne siete accorti finora? »

« Nemmeno voi se è per questo, biondo. »

Puntualizzò brusco Kisshu. L'americano lo squadrò velenoso.

« Chi se ne frega! – sbottò Ichigo – Non è importante adesso! »

Lei e le altre circondarono il lettino dove era sdraiata Retasu, il viso pallido e il respiro flebile. Ichigo le tolse premurosa gli occhiali, chiudendoli e allungandosi per posarli sulla scrivania lì vicino, quando all'improvviso sobbalzò cacciando un gridolino e si ritrovò a fare il giocoliere pur di non farli cadere a terra.

« Che c'è ora? – sbuffò Minto – Si può…? »

Si zittì e sgranò gli occhi convincendosi di essere impazzita.

In piedi in fondo alla branda, avvolto da una tiepida luminescenza, c'era Ao No Kishi.

 

 

***

 

 

Ebode ignorò gli sguardi dei soldati, incuriositi per la sua presenza nello sale del Corpo d'Armata. Camminò a passo spedito, fregandosi le mani nascoste nelle lunghe maniche della tunica, diretto con decisione agli alloggi del generale di divisione; le sue labbra tremarono per tendersi in un ghigno soddisfatto che lui si sforzò di trattenere, limitandosi ad un affettato sorriso di cortesia mentre battè le nocche sulla porta.

Ad aprire, chiaramente seccato della visita, fu il raggrinzito ufficiale che aveva presenziato alla seduta dei Membri Ristretti.

« Salute nobile Stahl. »

« Ebode. Cosa desidera? »

L'uomo fece un palese forzo per essere cordiale, almeno nei limiti dell'etichetta, ed Ebode non tergiversò:

« Riguardo le indagini del Corpo sul terribile tentativo di colpire i nostri soldati… »

« Le indagini procedono. – rispose spiccio l'uomo, per nulla desideroso di diffondere altri particolari – Cosa vuole? »

Ripetè. Ebode sorrise allusivo e si frugò in tasca estraendo un piccolo quadrato d'acciaio, alla cui vista Stahl s'incupì dubbioso, ma decisamente più propenso ad ascoltare il consigliere. Gli occhi di pietra dell'uomo brillarono di maligna soddisfazione:

« Credo che questo potrebbe esservi utile. »

 

 

***

 

 

Ichigo pensò di avere le traveggole, ma visto che tutti guardavano nella sua stessa direzione con le mascelle a mezz'asta immaginò di avere ancora qualche neurone sano.

Si fregò gli occhi, eppure Ao No Kishi rimase dritto in piedi a un metro da lei sorridendo triste. La rossa impiegò qualche secondo a capire che riusciva ad intravedere il resto della stanza attraverso di lui, quasi fosse stato un disegno sbiadito o una pellicola logora. Alzò titubante la mano e fece un passo avanti, sentendosi però afferrare per l'altro braccio:

« Ichigo, no…! »

Allontanò senza fatica l'impacciata presa di Purin e tese la mano verso il biondo; le sembrò che cercasse di parlarle, ma le sue labbra si mossero silenziose.

Appena la punta delle dita sfiorò Ao No Kishi davanti ai suoi occhi riapparve il sogno che aveva fatto alla fine della primavera: la MewAqua che si sollevava sopra di lei, lucente, e di colpo si scindeva in frammenti che schizzavano in ogni direzione; la luce intensa la costrinse a strizzare gli occhi, ma fu meno intensa di quanto ricordasse e riuscì a vedere una delle gocce che si conficcava dritta nel suo petto. Lanciò un urlo di stupore, retrocedendo, e si accorse che la frangia che si mosse di fronte ai suoi occhi non era più rossa, ma verde.

Batté le palpebre confusa e capì di aver avuto una sorta di allucinazione. Guardò Ao No Kishi, sempre silenzioso, voltarsi verso Retasu, e lo imitò lentamente:

« Non era il mio… »

Lui annuì.

« Quindi Retasu ha davvero una Goccia dentro di sé? »

Un altro cenno di assenso.

« Com'è…? Come? »

Mormorò Minto.

« Perché lei sì e noi no? »

Domando brusca Zakuro, le dita serrate sul manico della sua frusta.

« Perché Retasu ha assorbito fisicamente la MewAqua, una volta(*)… »

Propose Ryou incerto e Ao No Kishi annuì di nuovo.

« No, due volte. »

Solo Eyner sentì la correzione di Pai perché gli era vicino, ma non capì lo stesso perché il moro si fosse così accigliato.

Ao No Kishi si voltò ancora verso la mewfocena e distese l'indice verso di lei; ci fu un lampo e senza altro preavviso il cerchio bianco di un passaggio spuntò in mezzo alla stanza. Tutti rimasero in silenzio, confusi, e Ichigo guardò Ao No Kishi scuotendo la testa:

« Vorresti dirmi che il passaggio è…?! Oh, no! Non è…?! »

« Cos'è, Asimov ha scritto un nuovo Viaggio Allucinante? – soffiò Ryou acido – Non ha senso! »

Ao No Kishi lo fissò inespressivo: si portò una mano al petto, indicò Retasu, poi il passaggio e ripetè l'operazione un'altra volta.

Ichigo lo seguì per tutto il tempo e quando l'alieno biondo si fermò gli rivolse un sorriso stanco, che ricambiò con la medesima espressione.

« Mai che tu sia più loquace, uh? »

Lei tentennò un momento e provò a toccarlo una seconda volta, come per accertarsi che stesse succedendo tutto per davvero. Lo vide corrucciarsi e lasciarla fare, poi all'improvviso voltò la testa guardando chissà cosa e scosse il braccio per scacciarla.

Ichigo lo vide scomparire e ritrasse la mano con un grido, cadendo a terra, un secondo prima che le dita magre e pallide di un'orrida figura dai capelli neri le si serrassero attorno al polso.

Kisshu imprecò così forte che la sua voce rimbombò sulle pareti metalliche:

« Ditemi che l'ho visto solo io. »

« Allora io e te conosciamo molte persone con la stessa faccia. »

Mormorò Taruto senza fiato, i pugni stretti.

« Non può essere, lui è morto…! »

Protestò Purin con calore, ma nessuno le diede man forte. Ichigo si alzò cercando di calmare il respiro e studiò il piccolo passaggio che brillava.

« Dove pensi di andare? »

« A prendere la Goccia. »

Ryou la squadrò severo sforzandosi di mantenere un tono calmo:

« Abbiamo appena visto Ao No Kishi, che non dovrebbe più esistere, aprire questo coso e cinque secondi dopo per poco non venivi aggredita da qualcosa che – prego solo vagamente – somigliava a Deep Blue. »

Lei non battè ciglio e lui indicò il passaggio con eloquenza:

« E tu vorresti entrare lì dentro? »

Ichigo insisté ad osservalo impettita, una minuscola ruga in mezzo alla fronte, non disposta a cedere di un millimetro. Passarono cinque minuti buoni prima che il biondo abbassasse il braccio:

« Sei completamente pazza. »

« Me ne farò una ragione. »

Aveva già un piede oltre il varco quando Kisshu la bloccò:

« Ehi, ehi! Non vorrai mica entrare da sola?! »

« Se davvero sto entrando nella testa di Reta, l'ultima cosa che voglio è portare uno di voi con me. »

E scoccò un'occhiata attorno a sé sui sette ragazzi ivi presenti, non sarebbe stato molto carino permettergli di frugare nei pensieri della verde.

« Allora vengo io! »

Esclamò Purin ma Ichigo scosse ancora le testa:

« Non sappiamo bene cosa ci sia lì, non possiamo andare in tanti. »

« Stessa ragione per cui non puoi andare da sola Ichigo-chan. »

« Giusto. – insisté la mewscimmia posando le mani suoi fianchi – Quindi ti accompagno. »

« No. »

La biondina si girò confusa verso MoiMoi, che corrucciato disse:

« Vai tu Pai-chan. »

Silenzio.

« Come? »

« No, senpai, ci vado io. »

Il violetto bloccò Kisshu con un cenno della mano e insisté a fissare Pai torvo:

« Vai tu. »

« Senpai, non credo sia una buona idea… »

Per Eyner non era una decisione saggia, specie dopo quanto Retasu gli aveva detto, ma MoiMoi lo scrutò irremovibile; anzi, il bruno capì che era proprio quello, il motivo per cui doveva andare Pai.

« Sei stato tu l'ultimo a parlare con Reta-chan. »

Eyner aggrottò un momento le sopracciglia su quelle parole e sgranò gli occhi guardando Pai severo:

« Oh, ti prego, non dirmelo. »

« Mi state accusando di qualcosa? »

« Ci puoi giurare! »

Proruppe il violetto indicandolo.

« Scusate, qualcuno traduce? »

Esclamò Minto esasperata; Zakuro le mise la mano di fronte per fermarla, cupa in volto.

« Una campagna di boicottaggio nei miei confronti, mi pare di capire. »

Sibilò gelido il moro guardandoli uno per uno, ma non ci furono altri commenti, probabilmente per l'espressione assassina di MoiMoi che tacque ogni domanda di chi non era riuscito a seguire il discorso.

« MoiMoi-chan, posso andare da sola. »

« No. »

Ribadì e la potenza della sua voce ricordò di colpo alla rossa che in realtà lui non era una donna.

« È troppo rischioso. »

Pai provò ancora a protestare irritato:

« Dammi una buona ragione… »

MoiMoi non si mosse, rabbioso, ma tutti sentirono la terra sotto i piedi dare un preoccupante tremito e il bicchiere di Keiichiro sulla scrivania tintinnò paurosamente.

« Perché Ichigo non può andare sola. Perché lo sai. – ringhiò il violetto – E perché te lo dico io. »

Fece un cenno a Taruto che annuì deglutendo. Piccolissime e robuste liane comparvero da crepe impercettibili nelle lastre del pavimento intrecciandosi tra loro come una grossa corda e poi si legarono saldamente, ma con garbo, alla vita della rossa.

« Non si possono spezzare né bruciare. – la rassicurò – Se hai guai, basta che dai qualche strattone, e io ti tiro fuori. »

« Grazie Taruto. »

Lui ricambiò con un mezzo sorriso.

Un minuto dopo, entrambi con corda vegetale alla vita, Ichigo e Pai erano passati oltre il varco.

 

 

***

 

 

« Aoyama? Are you ok? »

Il moro non rispose immediatamente, osservando in silenzio il cielo terso puntellato di nuvolette vaporose. Era una giornata pressoché perfetta, l'estate inglese si annusava nell'aria, il sole splendeva placido, e una curiosa energia che portava ad impegnarsi in egual misura con il divertirsi sembrava essere scesa tra gli studenti del campus. Perciò sembrò molto strano ai ragazzi della classe di scambio vedere uno dei più chiacchierati alunni esteri, Japanese boy come lo appellavano scherzosi, sempre così entusiasta e attivo, perdersi in un lungo silenzio con espressione lugubre.

« Aoyama? »

« Oh… Yes, sorry. – sorrise cordiale – I'm just thinking about… Something. »

Aveva sentito uno strano brivido, impossibile con il gradevole tepore che avevano attorno, e gli era venuta in mente Ichigo.

Chissà cosa sta facendo.

« Sure. »

Sogghignò un ragazzo bruno alto almeno cinque centimetri più di Masaya e gli cinse le spalle con un braccio, ridendo del suo disagio: gli studenti inglesi avevano fatto presto a capire la difficoltà tipicamente giapponese del moro a contatti fisici ed eccessiva confidenza, e non perdevano occasione per torturarlo.

« Are you thinking about a girl, uh? »

« W-what? »

« Uuuh, maybe I'm right! »

« Really, you d-  »

« It's someone from our literature class, isn't it? »

Masaya divenne color ciliegia e i compagni risero forte.

« Yeah, Rick, you hit it! »

Rise un ragazzo coi capelli biondi.

« Ah, maybe it's Emily! »

« Who? »

« You know. – sospirò il brunoThat redhead… She's a ten! »

« You are all wrong! »

Esclamò Masaya sciogliendo la stretta con un sorrisino tirato:

« I already have a girlfriend in Tokyo. »

Le sue parole non spensero le prese in giro che se mai si alzarono di tono.

« How sweet! He dreams about his chick! »

Risero più forte e Masaya li lasciò fare con un sorriso condiscendente. Guardò ancora di sfuggita il cielo, verso oriente, e sospirò con una cattiva sensazione nello stomaco.

Mi sarò sbagliato.

 

 

***

 

 

Ichigo non aprì gli occhi finché non fu sicura di essere arrivata oltre la soglia del passaggio ed essere ancora tutta intera.

L'atmosfera attorno era tersa, ma la luce scarsa, quasi azzurrognola; la rossa ebbe l'impressione di trovarsi sul fondo del mare, o avvolta dall'acqua, e la sensazione aumentò quando scorse le strane increspature che si formarono attorno ai punti dove posò i piedi.

« Cerchiamo di sbrigarci – bofonchiò Pai – questo posto non mi piace. »

Ichigo lo guardò storto e gli camminò rapidamente a fianco, pur mantenendo una distanza di un paio di metri da lui: la infastidita trovarselo anche solo nel raggio visivo.

« Saresti così gentile da non fare commenti a caso? – chiese brusca – Ti ricordo che ci troviamo nei pensieri di una mia amica. »

« Che siano i pensieri, il cuore o qualcosa creato su di essi, siamo in una dimensione sconosciuta di cui non conosciamo nemmeno le leggi fisiche. – replicò atono – Saresti così gentile da restare concentrata? »

Ichigo strinse i denti per non insultarlo e inspirò a fondo:

« Ceeerto. Beh, allora proposte di azione? »

La squadrò scettico; una simile domanda era decisamente assurda  quando era stata proprio lei a lanciarsi li dentro senza pensare, e la rossa arrossì indispettita:

« Cosa dovevo aspettare, che la Goccia uscisse magicamente da sola?! »

« Potresti riflettere ogni tanto. »

Fece piatto e la vena sulla fronte di Ichigo pulsò in modo inquietante.

« Proseguiamo dritti di qua. »

« Ok, ma qua dove? »

La mewneko indicò con un cenno di fronte a loro lo spazio vuoto che si apriva oltre il passaggio, così simile al fondo dell'oceano.

« Non vedo nient… »

Si fermò di colpo ed entrambi estrassero le rispettive armi; avevano sentito dei rumori, come mormorii, provenire da dietro, ma non videro nulla se non un leggero tremolio dell'aria. Ichigo abbassò la campanella e strizzò gli occhi, non era un semplice tremolio:

« C'è qualcosa lì. »

« Aspetta. Dove pensi…? »

Il richiamo di Pai fu inutile e la mewneko si avvicinò al punto dove, lo vedeva con chiarezza, l'aria e la luce mutavano.

Bastò un passo e i suoi occhi furono colpiti da un brusco cambio di luminosità. Si mise le mani sugli occhi con un piccolo lamento, avvertendo sulla pelle un venticello freddo, e riaprendoli poco a poco si ritrovò in un parco giochi per bambini, come tanti ce n'erano a Tokyo.

« Ragazzina, se non la pianti di lanciarti dove ti pare senza connettere il cervello ti lego a queste liane mani e piedi e ti porto in spalla. »

La cavernosa minaccia di Pai non smosse Ichigo nemmeno quando se lo trovò torreggiante e furente accanto:

« Pensi mai prima di fare le cose?! »

Lei sostenne la sua occhiataccia mettendo il broncio, ma ebbe la decenza di non replicare sapendo che aveva perfettamente ragione.

« Piuttosto, dove siamo? »

La rossa scosse la testa guardandosi in giro. Non solo il luogo, ma anche l'ora e perfino la stagione non erano gli stessi; dovunque di trovassero pareva autunno ed era pieno pomeriggio. C'erano bambini ovunque che si arrampicavano sui giochi, ridevano e si spintonavano, e un terzetto corse proprio incontro a Ichigo e Pai senza che loro riuscissero ad evitarli: la mewneko rabbrividì soffocando un pigolio di terrore nell'istante della collisione, perché i bambini li passarono attraverso quasi fossero privi di consistenza.

« Non dirmi che sono fantasmi, potrei urlare…! »

« Che senso avrebbe? »

Chiese il moro al limite della pazienza. Ad un certo punto la sua faccia esasperata parve addolcirsi ed indicò a poca distanza da sé.

Intenta a giocare nella sabbia c'era una bimba con i capelli smeraldini e grandi occhiali tondi sul naso, che canticchiava una filastrocca di cui ricordava metà delle parole. Ichigo spalancò la mascella e sorrise:

« Retasu… »

Conscia che Pai fosse già pronto a tirarla indietro usando le liane come guinzagli, se si fosse lanciata sull'amica d'impulso, Ichigo fece delle prove mettendosi di fronte agli altri bambini, chiamandoli e facendo boccacce; loro non ebbero la minima reazione e lei, soddisfatta, si avvicinò cauta alla piccola Retasu.

« Secondo te questo era un metodo d'indagine. »

« Non ci vedono e non ci sentono, lo sappiamo no? – rimbrottò con noncuranza – Tanto basta. »

Pai si chiese se i ragazzi gli avrebbero mosso ancora guerra, se magari – solo per caso – avesse provveduto ad imprigionare nel ghiaccio la mewneko per un'oretta o due.

Ichigo si accucciò accanto alla bambina. Lei era impegnatissima nella sua costruzione creando porticine e finestrelle con le dita; di quando in quando smetteva di canticchiare afferrando un pupazzetto grosso poco più della sua mano, fatto di pezze e cucito in modo orrendo, probabilmente uno dei suoi primi tentativi, e gli indicava l'opera:

« Il suo palazzo sarà pronto tra poco principessa. »

E ridacchiava ogni volta. Ichigo si premette le mani sulla bocca soffocando un gridolino intenerito:

« Com'è carina! »

Pai si trovò fin troppo d'accordo per i suoi gusti e non disse niente. Cercò invece di riflettere sulla situazione, cosa per cui Ichigo era troppo presa ad ammirare la versione in miniatura della sua amica: il cambio improvviso di luogo e la loro presenza, nulla più che ombre, gli diede le ultime certezze che si trovassero a vagare nella mente della verde e tra i suoi ricordi; ciò non lo aiutò molto né a capire come uscirne, né come trovare la Goccia.

Perso nelle sue elucubrazioni si accorse tardi delle proteste di Ichigo e del vociare di bambini alle sue spalle. Si voltò esasperato, sì, l'avrebbe surgelata. Almeno sarebbe stata buona per un po'.

« Maledetti mocciosetti…! »

Un terzetto di bambini rideva malignamente mentre uno di loro, quello con la faccia più stupida, finiva di calpestare il povero castello di Retasu riducendolo ad una montagna di polvere. Retasu pianse disperata:

« Cattivi! »

« Guardatela ora piagnucola! »

La canzonarono e iniziarono a fare un sacco di versi e smorfie prendendola in giro; la bambina non reagì singhiozzando e Ichigo prese a dimenarsi:

« Brutti microscopici…! »

« Ti rendi conto che sensi tratta di un ricordo non puoi fare nulla? In ogni caso hai appurato che né ti sentono, né ti vedono, né puoi toccarli. »

Nonostante il tono di sufficienza Pai avvertì il forte desiderio di generare qualche scarica elettrica qui e lì, giusto per vedere se i piccoli debosciati reagivano ad una scossa sulle loro teste vuote.

Ichigo osservò furente uno dei bambini rubare il pupazzetto a Retasu e squagliarsela e senza pensarci gli balzò dietro. Quando atterrò, il bambino era scomparso: la rossa si studiò attorno allarmata, erano sempre nel parco ma il sole era abbastanza basso sull'orizzonte, vicino al momento del crepuscolo, come se il tempo fosse accelerato di colpo.

« Ci siamo spostati? »

Pai non le rispose, irritato della propria confusione.

« Ah! Eccolo lì, dannatissimo pidocchio…! »

La mewneko si acquattò dietro uno scivolo sbirciando il terzetto di bimbetti occupati a rincorrersi. Vide il loro capo spintonare gli altri due con cattiveria, poi voltarsi per scappare ma inciampare: cadde lungo disteso sul cemento del parco e scoppiò in lacrime tenendosi il ginocchio sbucciato.

« Ben ti sta! »

« Ichigo, è un bambino. »

« Oh, insomma, piantala di fare l'adulto! – sbottò esasperata – Se lo meritava, anzi! Ad uno così dovrebbe succedere più spesso. »

« Kami-sama… »

La rossa guardò ancora una volta il bambino frignare e fece per alzarsi, quando vide qualcuno avvicinarsi:

« Ti sei fatto male? »

La piccola Retasu guardò con sincera preoccupazione l'altro bambino che le berciò contro:

« Secondo te?! »

Lei non si scompose e aprì la borsettina giocattolo che portava a tracolla: quasi tutto il contenuto erano fazzolettini, più una minuta scorta di cerotti; la bambina bagnò il fazzoletto alla fontanella lì accanto, aiutò il brunetto a pulirsi la sbucciatura e poi ci applicò sopra un simpatico cerotto con le paperelle.

« Ecco fatto! – disse garbata – Tutto a posto. »

Il bambino la fissò ad occhi sgranati rosso come un pomodoro; Retasu gli sorrise gentile e quindi trotterellò dalla madre che la chiamava, salutando appena il bambino che continuò a guardarla smarrito.

Ichigo non riuscì a non ridere a labbra chiuse.

« Noto che ha sempre avuto gli stessi vizi, anche da bambina. »

La rossa si girò pronta ad inveirgli contro per la presunzione con cui di certo stava studiando la scena, invece lo scoprì fare un lieve sorriso.

Fece per aprir bocca ma, con la stessa rapidità di quando erano entrati, il ricordo scivolò oltre e loro si ritrovarono ancora nello spazio vuoto; la sola differenza, notò la rossa intontita, era che si trovavano molto più distanti dal passaggio rispetto a prima.

« Proseguendo avanti ci siamo spostati più in profondità. »

Pensò il moro ad alta voce e Ichigo annuì:

« Potremmo cercare così. Cioè, proseguire nei ricordi di Retasu per vedere dove si nasconde la Goccia. »

Lui fece un cenno con scarso entusiasmo. Gli eventi della giornata non lo invogliavano molto a frugare nei ricordi recenti della verde.

« Guarda là! »

La rossa indicò un paio di metri di fronte a loro dove l'aria aveva ripreso a tremare; riuscirono addirittura a distinguere delle immagini sfocate di una Retasu decisamente più grande. Ichigo strinse i pugni trionfante:

« Andiamo! »

Pai la seguì, pregando in cuor suo che trovassero il Dono prima di raggiungere i ricordi di quella giornata.

 

 

***

 

 

La sonda finì di inviare i dati al sistema di archiviazione principale, che poi ritrasmise agli elettrodi collegati ai cervelli dei tre dormienti nelle vasche di generazione. Il lavoro fu lungo, silenzioso, rotto di quando in quando da lievi suoni metallici che si spansero per tutta la dimensione degli Ancestrali come sussurri sintetici, finché il fracasso di vetri infranti contro la pietra e un urlo da bestia selvaggia non infransero la quiete con la dolcezza di uno sparo.

« Accidenti che risveglio… »

Toyu grugnì in assenso al borbottio di Lindèvi e si stiracchiò, libero dalla vasca, disfacendosi degli ultimi sensori aderiti alla sua pelle:

« Zizi mi sembra nervosetto. »

Sentirono il compagno lanciare altre grida rabbiose finendo – da quanto captarono le loro orecchie – di distruggere la cupola della vasca rigenerante. E probabilmente anche il resto della vasca.

« Se ne avrà di nuovo bisogno chiederà aiuto ai jeweliriani – puntualizzò la bionda – io la mia non gliela cedo! »

Toyu rise senza calore e controllò le sue condizioni muovendo le braccia, sorridendo quando non avvertì dolore.

« Kami-sama, che diavolo ha?! »

Sbottò ancora la ragazza e sentirono Zizi emettere inquietanti grida lamentose ad intervalli con strani tonfi.

« Andiamo a vedere prima che distrugga il resto della dimensione. »

Svoltarono l'angolo della sala e trovarono Zizi in piedi tra i resti della capsula; aveva graffi sulle mani e sulle braccia fatti con il vetro e un taglio sulla fronte, e Lindèvi spalancò la bocca capendo che il rumore che avevano sentito poco prima era indice di come se l'era procurato, ossia prendendo a testate il muro.

« Vuoi fare un cambio di arredo? »

Scherzò Toyu e Zizi digrignò i denti. Aveva gli occhi fuori dalle orbite, la bocca tesa in una smorfia orrenda, e ogni muscolo era tirato allo spasmo; riuscì a parlare – con delusione di Lindèvi – ma le parole uscirono a fatica, come se non arrivasse a rilassare abbastanza la gola e la bocca per emettere suoni decifrabili:

« Mm-mma-aleFf-fa mmma-al-lle-e…! »

Gridò di nuovo con tutto il fiato che aveva il corpo e con il braccio destro, quello che Eyner gli aveva carbonizzato, tornato alla forma originale creò un altro cratere nella parete accanto a quello della sua testa.

Toyu sospirò seccato. Sapeva che sarebbe potuto succedere qualcosa del genere: le vasche rigenerative non erano adatte per cure continue, né per fare cose che manipolassero all'eccesso il naturale processo di malattie o ferite; sebbene avessero le potenzialità per rigenerare anche un braccio troncato, il loro influsso sul metabolismo poteva essere molto violento e nocivo. Chi le aveva usate senza alcun criterio aveva perso l'uso della parola, o degli arti rigenerati, aveva avuto problemi nella gestione del proprio corpo, qualcuno aveva subito anche danni permanenti a livello neurologico.

Certo, Zizi non era mai stato una cima, e il fatto che li riconoscesse – oltre a mettere insieme frasi di minimo senso compiuto – era già un enorme traguardo.

« Fa-a-a male-e, cazzo! »

« Sì, sta benissimo. »

« Cos'è che fa male? »

Domandò Toyu stancamente e Zizi si prese la testa tra le mani mugolando di dolore.

« Oh, ha scoperto di avere un cervello! »

« Lindèvi…! B-brutta puttana-a-a-ah…! Ti ammazzo! »

« Calmati, Zizi. E tu Lindèvi, chiudi il becco. »

Lei incrociò le braccia offesa e Toyu si avvicinò con cautela al compagno, le dita strette attorno ai capelli:

« La sonda ha inviato le informazioni direttamente alla nostra memoria, e tu eri nella vasca da giorni… È normale che tu sia infastidito. »

« Infa-a-a-ssstidito?! »

E randellò un pugno a terra. Toyu contrasse la mascella e inspirò per calmarsi:

« Prendi qualche bel respiro, vedrai che piano piano starai meglio. »

Zizi ringhiò basso ma obbedì, calmandosi a poco a poco. Lindèvi si concesse di avvicinarsi, visto che fino a quel momento nonostante la spavalderia non aveva osato trovarsi nel raggio d'azione del compagno, e Toyu sospirò:

« L'idea di quella sonda non è stata niente male. Quante informazioni interessanti… – il suo bel viso si deformò maligno – Direi che ci siamo fatti attendere a sufficienza. »

Zizi prese a ridere isterico e Lindèvi lo segui sorridendo malevola:

« Se Arashi-san ha avuto ragione, avremo anche modo di ricaricare la Chiave. »

Toyu le sorrise annuendo e poi parve illuminarsi:

« A proposito… Ho un regalino per te prima di partire. Dammi le tue lame. »

Lei lo guardò deliziosamente incuriosita e obbedì.

« A-andiam-m-mo! »

« Ci metterò solo un secondo – lo rassicurò l'altro – e poi andremo a fare un salutino ai nostri amici. »

Sogghignò terribile scostandosi la frangia pensieroso:

« È un po' che non do un bel saluto alla mia leggiadra lupetta. »

 

 

***

 

 

L'atmosfera nel laboratorio era irrespirabile. A parere di Eyner già il posto non era di aiuto, così cupo e rischiarato solo dalle luci fredde dei monitor, ma aggiungendoci Ryou, Keiichiro e MoiMoi impegnati alle tastiere in un silenzio di tomba, veniva davvero voglia di darsela a gambe.

« Detesto non poter fare niente. – proruppe Minto cupa – Vorreste spiegarci cosa succede? »

« Stranamente mi trovo d'accordo con la cornacchietta. Avete deciso tutto voi, non farebbe così schifo sapere perché. »

Né Ryou né MoiMoi risposero, continuando a ticchettare sui tasti, e fu Keiichiro a girarsi sospirando:

« Abbiamo solo teorie. »

« Ora le teorie ci servono a poco – troncò aspro Ryou – la cosa fondamentale è che quei due si sbrighino a tornare indietro. »

Esaminò in tralice Retasu. La ragazza non aveva ancora aperto gli occhi e aveva iniziato a sudare, il volto sempre pallido, respirando pesantemente.

« Non mi piace la cera che ha. »

Il biondo scrutò l'espressione insofferente di Eyner e provò un pizzico di invidia, lui non era capace di esternare appieno la preoccupazione rimanendo lucido.

« Piuttosto senpai… »

MoiMoi non si scompose sentendo Kisshu chiamarlo, in fondo era sorpreso non avesse ancora protestato.

« Perché cavolo hai fatto andare Pai? »

« Credo che sia perfettamente in grado di aiutare Ichigo-chan. »

« Non sto parlando di questo. »

Il violetto si rifiutò di dare altre spiegazioni e Ryou schioccò la lingua velenoso:

« Su, credo che Momomiya possa resistere cinque minuti senza la tua presenza. »

Fu solo uno spunto per Kisshu per alzarsi e squadrarlo feroce:

« Senti tu, stronzetto che n- »

I suoi insulti furono soverchiati da uno strillo acuto mentre Masha, appollaiato con aria triste in fondo alla brandina, balzò in volo spalancando gli occhioni rosa:

« Alieni! Alieni! Ci sono gli alieni, piii! Alieni! »

Scattarono tutti in piedi come pupazzi a molla e Taruto imprecò forte:

« Merda! »

« Proprio adesso?! »

MoiMoi osservò angosciato il passaggio aperto e Retasu stesa sul lettino. Serrò i pugni con rabbia:

« Se scoprono di Retasu-chan…! »

« Forse lo sanno già – suggerì sconfortato Kisshu – per quale motivo se no sarebbero qui? »

MoiMoi si morse il labbro nervoso. Zakuro strinse la sua frusta con decisione:

« Dobbiamo allontanarli. Subito. »

« Facciamoli neri! »

« Tu no, Purin. »

« Cheee?! »

La mora le posò una mano sulla spalla:

« Devi rimanere qui a proteggere Retasu e il passaggio finché non tornano Ichigo e Pai. »

La ragazzina mise su un'espressione poco persuasa, ma annuì.

« Chiudi l'ingresso alle scale con il Ring Inferno. »

« D'accordo. »

« Rimango io con lei. »

Fece Taruto. Zakuro annuì sbrigativa e lei e gli altri si teletrasportarono fuori dal sotterraneo lasciando i due ragazzi a guardia di Keiichiro e della mewfocena.

« Grazie Taru-Taru. »

Lui scostò lo sguardo facendo il sostenuto:

« Devo essere pronto a ritirare i chimeri-pianta, se avessero bisogno. »

L'aria felice di Purin non vacillò:

« Certo. »

 

 

 

Minto lasciò il braccio di Eyner scossa da un tremendo capogiro nauseante. Capacitarsi di come lui e i suoi amici si teletrasportassero ogni santo giorno e più volte di fila per lei restava impossibile.

Si sforzò di rimanere dritta e rabbrividì alla vista delle tre sagome che svettarono al sole.

« Quanto tempo. – Toyu si inchinò teatrale e sorrise – Vi siamo mancati? »

« Come un calcio nei denti. »

Kisshu non aspettò una replica e sciolse immediatamente gli indugi tentando di infilzare Toyu con i suoi sai. Il biondo schivò e dalle sue spalle piombò Zizi, veloce e feroce più che mai, avventandosi sul verde con un poderoso destro che rischiò di farlo precipitare; invece di concludere il lavoro l'Ancestrale scartò di lato e mirò con rabbia verso Eyner, che scattò in volo schioccando la lingua:

« Quante volte devo tagliartelo il braccio perché non ti rispunti? »

Zizi gli gettò un'occhiata assassina, tirandosi in piedi nel buca appena formato a terra dal suo gancio, e gli si gettò di nuovo addosso.

« Hama Do Sen! »

« Ribbon Mint Echo! »

L'enorme serpente di terra e le frecce d'energia che lo investirono non parvero turbare minimamente il biondo; non si curò dei colpi della mewbird che gli lambirono la testa e fracassò come fosse vetro la colonna rocciosa, proseguendo incurante del brutto rumore delle nocche contro la pietra.

« Datti una calmata! »

Kisshu gettò una scarica tra Zizi e l'amico, costringendo il primo a fermarsi e a fare dietrofront verso di lui.

« Eyn, credo che non gli siamo simpatici. »

« Ma-a-agari da morti, str-ronzi. »

« Ah, ma allora parli ancora! »

L'Ancestrale rispose caricando il suo tirapugni, e un bell'alberello innocente finì in un mucchietto di cenere al posto di Kisshu.

I tre ragazzi iniziarono ad affrontare insieme Zizi, spalleggiati da Ryou in versione pantera che tentava di azzannare il biondo e bloccarlo al suolo, mentre MewZakuro e MewMinto si occuparono di Toyu: il giovane ondeggiava il fioretto con abilità tenendo a distanza la mewbird e i suoi dardi, e al contempo affrontava a distanza ravvicinata la mewwolf impedendole di usare la sua frusta al meglio. Zakuro non si dispensò in calci e pugni ma Toyu pareva in grado di prevedere ogni mossa quei decimi di secondo sufficienti a schivarla, scivolandole attorno con una vicinanza indecente.

« Mi sei mancata, sai dolcezza? »

Le sussurrò maligno all'orecchio e Zakuro per poco non lo centrò con un sinistro alla mascella, ringhiando sottovoce.

« Mi sembri dimagrita – bisbigliò riuscendo a sfiorarle la schiena con l'indice – ma devo dire che non mi dispiace. »

La mora scartò all'indietro scossa da un brivido di disgusto e si allontanò pronta a schioccare la frusta:

« Chiudi quella bocca. »

Lui rise divertito dal suo fastidio e la incalzò schivando senza fatica tutti i suoi colpi e quelli di Minto.

Sull'altro fronte Kisshu lasciò qualche minuto Eyner, Ryou e MoiMoi alle prese con Zizi, cercando di fare il punto della situazione: aveva una strana sensazione, i due gli parevano troppo tranquilli, come se giocassero con loro.

Un momento, dov'è Lindèvi?

La bionda, sospesa sopra la battaglia, sospirava annoiata facendo oscillare pigramente le lame della sua mano destra:

« Mmm, chi non è venuto a salutarci? »

Tese la lama dell'indice, la punta stranamente nera e lucente, e contò veloce:

« Uno, due, tre… Ah, non vedo Pai-san e Taruto. E… »

Guardò le due MewMew intente a lottare e sogghignò:

« Dove sono gialla, verde e rosa? »

Scorse con la coda dell'occhio Kisshu gelarsi alle sue parole, volutamente dette a volume più alto, e sorrise maligna girandosi con noncuranza verso il Cafè:

« Saranno lì? »

Guardò distante ben sapendo di avere tutta l'attenzione del verde su di sé:

« Chissà se la micia ha voglia di giocare un po' con me. »

Si scambiò un'occhiata con il verde e accennò a dirigersi verso il locale.

« No! »

Come da programma lui cercò di raggiungerla, volando una decina di metri sotto di lei, e Lindèvi sospirò soddisfatta:

« Scemo. »

Di colpo la ragazza si arrestò e fece marcia indietro allargando le dita in un ventaglio di lame. Kisshu arretrò a rilento e in modo scomposto, colto alla sprovvista dal gesto e dalla velocità della bionda, e fu solo grazie a Minto che si trovò a volare li vicino e che lo placcò bruscamente al fianco spingendolo fuori dalla sua traiettoria, se Lindèvi non ne fece un guancialetto. Eyner gli arrivò in aiuto bloccando l'attacco successivo della bionda con una fiammata e i due rotolarono sul prato un po' più lontani dalla lotta; la mora soffiò tra i denti reggendosi la spalla sinistra, non era riuscita ad evitare che una lama la graffiasse.

« Ahio… Maledizione, cornacchietta…! »

« Sei un emerito imbecille! »

La solita risata beffarda di lui si spense vedendola alzarsi e gridargli contro furiosa:

« Per una volta nella tua vita pensa, prima di fare le cose! »

Kisshu non potè ribattere perché in mezzo a loro si schiantò MoiMoi con Zizi a sovrastarlo; il violetto era in chiara difficoltà, tenuto a terra per la gola, e quando gli altri due cercarono di scacciare Zizi lui menò due colpi in rapida successione investendoli con la potenza di un tram in corsa. La stessa sorte toccò a Ryou che, sperando di coglierlo di sorpresa, gli era balzato alle spalle mirando alla nuca, ritrovandosi travolto dalla potenza dell'Ancestrale e finendo a guaire contro un tronco.

Frastornato Kisshu vide Zizi sbattere con violenza la testa di MoiMoi al suolo, strappandogli un lamento sordo, e lasciatolo lì si voltò verso Lindèvi:

« Trova-ata? »

Lei annuì con un ghigno. Toyu sospirò soddisfatto:

« Bene. »

Accelerò i movimenti e colpì Zakuro al fianco con una tibiata facendola rotolare malamente a terra.

« Onee-sama! Ah…! »

Minto cercò a fatica di alzarsi e vide terrorizzata una luce feroce nello sguardo dell'Ancestrale:

« Finiamo in fretta. »

 

 

***

 

 

« Oh, mi dispiace! Davvero, mi dispiace! Mi dispiace! Non ti sei fatta male da qualche parte vero? Questo non sarebbe successo se avessi guardato dove andavo! »

« Ah, sto bene! Tutto a posto. »

Ichigo sbuffò alla scena e si toccò distrattamente i capelli:

« Ma sembro davvero un ananas vista da dietro? »

Pai roteò gli occhi rifiutandosi di darle corda. Era già troppo per la sua pazienza sopportare una mewneko, vederne due iniziava ad essere insopportabile.

Avevano proseguito nelle memorie di Retasu, camminandovi in parte in mezzo e in parte nello spazio vuoto della dimensione, e man mano che proseguivano i ricordi avevano cominciato a farsi più numerosi e vicini. A detta della rossa avevano raggiunto all'incirca il periodo in cui Retasu era diventata una MewMew e quello era il suo primo incontro con la verde.

Pai pensò immediatamente che la ragazza avesse all'epoca ancora di più il vizio di giustificarsi per ogni cosa; nel giro di trenta secondi dal suo incontro – o meglio scontro – con Ichigo doveva essersi scusata almeno cinque volte. Le parve ancora più introversa del solito, con le spalle curve e lo sguardo basso, e anche più triste mentre si caricava in braccio quattro cartelle e trottava diligente verso tre studentesse con la sua stessa divisa e le espressioni malevole.

Ichigo strinse i pugni alla scena e proseguì. Lei e Pai passarono velocemente al secondo incontro tra la rossa e Retasu, al Cafè, quando la prima aveva versato tre coppe gelato zeppe di schifezze addosso alle presunte amiche della verde; la mewneko non si fermò e il ragazzo colse solo una parte della loro conversazione mentre passarono al ricordo successivo.

« … Ma se passo del tempo con loro e ci parlo, potremmo diventare amiche. – perfino la voce gli parve più titubante del normale mentre si rivolgeva a Ichigo – Perciò… Voglio provare a sforzarmi ancora un po'. »

Riapparvero nell'oceano vuoto senza che nessuno dei due dicesse alcunché.

« Io non riesco a capirla. »

« Che intendi? »

Come era successo prima Ichigo non vide ostilità sul viso di Pai, piuttosto uno stupore in cui intravedeva una nota di gentilezza.

« Che senso ha sforzarsi tanto per piacere alle persone? »

« Non hai capito proprio niente. »

Guardò sorpreso Ichigo per la durezza del suo tono:

« Retasu vede il buono in tutti e crede che tutti siano in fondo brave persone. Non importa che lei piaccia loro o meno. »

Pai non cambiò espressione chiudendosi in un pensoso silenzio.

Lo so benissimo.

Ormai i ricordi attorno a loro avevano preso ad affollarsi al punto da creare un corridoio in cui i due ragazzi poterono passare, raccogliendo stralci di immagini e frasi inoltrandosi sempre più a fondo; Pai cercò di non badarci, ma fu inutile.

« Anche loro hanno dei sentimenti… Anche loro si preoccupano delle persone care… Sarà davvero così? Siamo noi degli egoisti? »

« Ma anche loro hanno dei sentimenti! Anche loro hanno un cuore…! Io sono certa che se parlassimo, potremmo capirci. »

« Esattamente come per te, anche tu hai qualcosa d'importante, qualcosa che vuoi proteggere! »

« Perché? Perché noi che siamo nati sullo stesso pianeta, dobbiamo ucciderci l'un l'altro? »(**)

Lei avrebbe scelto una via pacifica dall'istante in cui aveva intravisto uno spiraglio di umanità nei suoi nemici; anzi, probabilmente fin dall'inizio combattere non era qualcosa a cui ambiva.

E per tutto quel tempo non aveva fatto che cercare di parlare con loro, di parlare con lui. Lui invece aveva ciecamente chiuso gli occhi e le orecchie, incaponendosi e andando avanti senza chiedersi nemmeno perché.

Come aveva fatto quel pomeriggio.

L'aveva costretta a parlare quando voleva lui e non le aveva poi dato il tempo nemmeno di capire cosa stesse succedendo, andandosene e decidendo per entrambi.

Stai scappando?

« Non lo so. »

« Come? »

« Niente. – rispose prontamente  – Pensavo ad alta voce. »

« Forse, se ci fossimo nati in un'epoca diversa… »

« Uh? »

« Lascia stare. Pensavo a voce alta. »

Anche lui in quanto a vizi era recidivo.

A ripensare al loro rapporto dal principio era sempre stato assurdo.

Retasu non lo aveva odiato nemmeno allora, nemmeno fino all'ultimo momento; per quanto avesse voluto, per quante cose avesse fatto, lei non lo aveva odiato. Aveva desiderato tanto lo facesse, che provasse lo stesso sentimento feroce e desolante che lui provava per gli esseri umani, ma non c'era stato verso.

Se lo avesse fatto sarebbe stato tutto più semplice, per lui.

Forse ora ci sono riuscito.

L'ultimo pensiero gli risultò più amaro di quanto avrebbe immaginato e voluto.

L'affollamento di pensieri aumentò ancora e per i due divenne sempre più difficile passare; alcuni ricordi si mostravano solo come immagini su una parete, ostruendo il passaggio, altri si concatenavano fra loro con tanta velocità e in modo così disordinato da frastornarli. Pareva avessero preso ad affiancarsi non solo più per ordine temporale, ma per il filo conduttore che li accomunava: i giorni al Cafè da una parte, le lotte come MewMew dall'altra, la scuola da un'altra parte ancora; un dedalo di sentieri che s'insinuava sempre più in profondità.

Ma quale seguire?

« Non possiamo procedere così. »

Pai afferrò senza garbo il braccio di Ichigo:

« Dobbiamo spostarci senza più scontrarli. »

« Ma da che parte andiamo? – puntualizzò lei, scostando il braccio irritata dal suo fare di comando – Quale direzione è quella giusta? »

Lui tacque riflettendo sulla risposta e Ichigo non notò l'ondata di pensieri che le arrivò dalle spalle. Fu inghiottita quasi senza accorgersene, ruzzolando su quello che riconobbe all'istante come il pavimento del Cafè.

« Oh no, e ora dove sono finita? »

Quando sarebbe stata la domanda più giusta.

Alzò lo sguardo scorgendo se stessa e Minto ad uno dei tavoli, lei molto preoccupata e la mora con la faccia di chi aveva succhiato un limone. Si girò e vide Kisshu, Taruto, Eyner e Pai dalla parte opposta della stanza, squadrati con odio inconfessato da Ryou, e quando la porta si spalancò di colpo fu sicura di trovarsi al giorno in cui era iniziata la loro improbabile alleanza.

« Ciao. »

« P… Pai-san… »

Magari era entrata nel tunnel dei ricordi sul Dono.

Non badò più alla scena alle sue spalle, cercando il Pai reale e senza vederlo; emise un gemito frustrato, se si erano persi lì dentro era davvero un bel pasticcio. La rossa prese un bel respiro e tentò di riflettere, si diceva che quando ci si perdeva la soluzione migliore era andare dritti, in quel caso proseguire sul flusso temporale in avanti: forse anche Pai, non riuscendo a raggiungerla, si sarebbe diretto verso il centro della dimensione.

Notò il baluginio del ricordo successivo e ci si gettò dentro. Vide Jeweliria, lo stesso giorno, e vide Retasu che ammirava le bancarelle del mercato con Pai a poca distanza a sorvegliarla:

« Guarda che ti conviene accelerare, rischiamo di perderli. »

« C-come? »

« Ho detto che dobbiamo aumentare il passo o li perdiamo. »

Ichigo si accorse poco lontano anche di Purin e Taruto, che svanivano dietro un angolo, e gli altri due ragazzi gli andarono dietro; Retasu arrancò nella folla nel disperato tentativo di non restare indietro al passo marziale del moro, finendo poi a sbattere di naso contro di lui.

« Oddio, mi dispiace, scu- »

« Dovresti smettere con questa tecnica del "mi butto ad occhi chiusi". »

« P-Pai-san! N-non mi ero accorta di averti raggiunto »

Ichigo la vide diventare color pomodoro e passò bruscamente al ricordo successivo. Impiegò qualche istante a connettere l'anomala divisa indossata dalla verde, il corridoio quasi sconosciuto e gli eventi allo Yakori, guardando nel frattempo Retasu, un bento tra le braccia, che attirava l'attenzione di qualcuno dentro una stanza; fu Pai ad uscire dalla porta e a seguirla un po' scocciato, mentre lei chinava la testa arrossendo:

« Ecco… Ho pensato che voi… Tu, e Taruto-san e Kisshu non… Non aveste da mangiare, così… »

Ichigo la osservò porgere il bento e pentirsi del gesto quasi contemporaneamente, stendendo poi un piccolo sorriso quando il ragazzo lo prese ringraziandola.

Un altro ricordo, sempre lo Yakori, nel cortile. Ichigo vide Retasu su una panchina, un libro in mano, ed ebbe l'impressione che Pai la stesse sgridando dal disagio della verde.

« Non hai letto abbastanza stamattina in biblioteca? »

« Non ho letto tutta la mattina! – protestò lei – Ho ispezionato! Poi sì, mi sono soffermata nella biblioteca, ma non ho perso il tempo a leggere! »

La studiò inespressivo.

« So perfettamente che abbiamo una missione importante! – insisté agitata – Mi sono solo… Presa una pausa, ecco. »

Retasu divenne così rossa da risultare tenera e Ichigo, sorpresa, vide Pai trattenere una risata:

« Ok, ok ho capito. »

Diede quindi un leggerissimo colpetto con il registro sulla testa della mewfocena facendole sfuggire un urletto.

« Che bel verso. »

Stupefatta Ichigo aumentò l'andatura proseguendo sul sentiero di memorie; non riuscì a capire cosa le legasse, a parte che fossero tutte molto recenti e che in ognuna ci fosse la presenza costante di Pai. Attraversò rapidamente un momento di cui non si ricordava, dove adocchiò Retasu acquattarsi in un angolo del centro ricerche e Lenatheri dalla parte opposta, la gamba finta scoperta, con MoiMoi impegnato nelle sue catalogazioni e Pai intento a controllare la gamba della mora.

« Sc-sc-scu-scu…! N-n-n-n….! »

Mentre MoiMoi tranquillizzava la verde sull'innocenza della situazione, Ichigo si concentrò un istante sul suo viso che avvampava e si illuminò:

« Forse questi… »

Si spostò ancora prima che potesse razionalizzarlo e si ritrovò di nuovo al Cafè, e di nuovo intravide Retasu vicino a Pai, in un angolo vicino alla cucina:

« Come va il braccio? »

Lui non rispose guardandola in silenzio.

« Va… Meglio? »

« Mi è stato medicato. – replicò pacato – Per il momento, sono a posto. »

Ichigo grugnì infastidita e Retasu chinò la testa a disagio:

« Capisco… »

« Grazie. »

Il sorriso accennato di lui stupì entrambe le ragazze. Retasu scosse la testa:

« Nulla, sono contenta. »

Il viso felice e impacciato che mostrò  tolse alla rossa ogni ultimo dubbio. Questa si chiuse le mani sul viso sgranando gli occhi per la sorpresa:

« Non ci credo…! »

Si diede della sciocca per aver anche solo pensato che all'amica piacesse Eyner.

Avanzò trovandosi nei ricordi della dimensione sconosciuta, in cui avevano trovato la Goccia sulla torre; Retasu era a terra, dolorante, e sempre Pai le stava controllando la caviglia con leggera agitazione di lei.

« Credo sia lussata. Non puoi camminarci. »

Retasu lo guardò chiedendo in silenzio come risolvere la situazione e sbarrò gli occhi vedendogli porgere la schiena.

« N-no, davvero! Non è necessario, ce la faccio! »

« Non puoi posare il peso sulla caviglia – le rimbeccò severo – rischi solo di peggiorarla. »

« No, ce la faccio. »

Ichigo vide il moro seccarsi alle sue proteste e sollevarla tra le braccia, rischiando di farle venire un infarto; bastarono un paio di metri perché la verde si arrendesse pregandolo di farla scendere e di farla salire sulla sua schiena, e la mewneko non riuscì a non sorridere proseguendo.

I gusti dell'amica proprio non riusciva a capirli, ma era fin troppo evidente che avesse un debole per l'alieno dagli occhi indaco:

« Ho preso proprio una cantonata! »

Uscì per un istante dal flusso di ricordi e cercò il diretto interessato, impegnandosi per non sorridere connivente, ma non lo vide; in compenso, poco lontano, vide un famigliare bagliore iridescente:

« La Goccia! »

Accelerò l'andatura trovando la strada sbarrata da una nuova memoria, ma non rallentò saltandoci dentro baldanzosa.

« In ogni caso non avrei frainteso. Non sono il tuo tipo. »

Erano Retasu ed Eyner che camminavano nel parco e Ichigo capì che doveva trattarsi di quanto successo appena il giorno prima.

« A te piace più un tipo come Pai. Meglio… Il tuo tipo è Pai. »

La rossa mise su la stessa faccia di Eyner, preoccupata di veder collassare la mewfocena da un momento all'altro.

« T-t-t-t-?! Co…?! Co-co…? »

« Ho indovinato. »

Le sorrise lui e Ichigo sbuffò intenerita.

« Non so nemmeno perché mi piace… »

Bisbigliò dopo un po' la verde. Ichigo si sentì un pochino in colpa, pensando che nello stesso momento lei era al Cafè a gongolare degli intrallazzi amorosi supposti e presunti.

« Deduco perciò che non hai intenzione di confessarglielo? »

« Non ci penso neanche! – proruppe avvampando Retasu – Spero anzi che non se ne sia accorto…! »

Ichigo ridacchiò tra sé e sé, era sempre la solita.

Uscì dal ricordo, se apparteneva al giorno prima ormai doveva essere arrivata al limitare della dimensione. Almeno, era quello che sperava.

Infine la vide la Goccia, come una luce splendente in fondo alla dimensione d'acqua. La rossa soddisfatta coprì gli ultimi metri che la separavano dal Dono senza badare al resto, ignorando il ricordo che le scivolò a fianco.

« Non è che tu… Sei innamorata di me? »

La rossa si bloccò spalancando gli occhi. Non poteva aver sentito chi credeva fare una simile domanda.

Pai – quello vero – arrivò alle sue spalle un secondo troppo tardi. Vide anche lui con la coda dell'occhio quel momento al Cafè e sfregò distrattamente con il pollice la fasciatura sulla sua mano. Ichigo restò immobile finché il ricordo non fu scorto alle sue spalle e si voltò, squadrando il moro inviperita:

« Tu…! »

Il lampo alle sue spalle le ricordò che non aveva tempo di insultarlo. Doveva recuperare la Goccia prima che facesse male alla sua amica, e doveva farlo in fretta.

Prese la sua fiala dalla tasca e si avvicinò; la Goccia tremò come gelatina, ma rimase ferma al suo posto e Ichigo tese la fiala: il frammento, come le altre volte tremò più forte e, infine, cedette scivolando senza opporsi nel collo trasparente della boccetta. La rossa posò anche il tappo al suo posto, sospirando stanca, e lanciò un grido.

Una mano, piccola e trasparente, era apparsa dal nulla chiudendosi sulla sua; alla mano si aggiunse velocemente un braccio, una spalla, e poi un corpo di donna che la mewneko non riconobbe.

Pai fece comparire il suo ventaglio e colpì ancor prima di parlare, ma le schegge gelate del Fuu Hyou Sen rimbalzarono mezzo metro dietro le spalle di Ichigo come schiantate contro una parete invisibile.

Ichigo era terrorizzata e non riuscì a muoversi. La giovane donna evanescente che la fronteggiava sembrava jeweliriana per il pallore della pelle e le orecchie ferine; la carnagione di alabastro era un tutt'uno con i capelli lunghi, fili di fieno pallido che le cadevano sulle spalle, e gli occhi azzurro cielo con cui la fissò implorante.

La mewneko si contrasse per la paura, temendo per la sua vita e quella di Retasu, ma la donna sussurrò:

« Ti prego, non portarlo via! »

Ichigo non capì il senso delle sue flebili parole. Quella insisté:

« Sono qui…! Non devon-  non deve riaverlo! – si corresse con un singhiozzo – Non deve tornare! »

La rossa impallidì trattenendo il fiato.

« Sono qui… Non portarlo via! Qui è al sicuro! »

« Gli Ancestrali. »

Le parole di Pai colpirono Ichigo come uno schiaffo e appena ebbe processato anche la frase della donna ritrasse bruscamente la mano con l'ampolla:

« Dobbiamo tornare subito indietro! »

Si voltò e la dimensione divenne solo un antro vuoto e desolato, collassando su se stessa in pochi secondi per la perdita del nucleo che l'aveva generata. Pai non accettò proteste dalla rossa e le agguantò il braccio per trascinarla fuori, ma lei ebbe il tempo di voltarsi ancora una volta. Le parve che la donna annuisse, celando una lacrima sulla guancia:

« Non lasciare che lo prendano. »

 

 

 

Il ritorno alla loro dimensione fu repentino e Ichigo non riuscì a dare il meglio nell'atterraggio, rotolando a terra e sbattendo di testa contro la parete.

« Nyah, che male! Accidenti a te! – gemette liberandosi dalle liane di Taruto, che scomparvero appena cercò di sciogliere il nodo – Sei l'essere più antipatico di tutto l'universo, sappilo! »

« Potrei conviverci. »

Tagliò corto Pai, troppo interessato al perché nella stanza fosse rimasto solo Keiichiro con Retasu, che stava aprendo gli occhi mugolando:

« Cosa… Dove sono…? »

« Retasu! »

Ichigo gattonò fino all'amica con occhi colmi di sollievo. Pai si voltò solo un secondo prima di guardare Keiichiro grave:

« Dove sono gli altri? »

Bastò l'occhiata angosciata del bruno perché Ichigo ricordasse cosa stesse succedendo, e scattasse in piedi correndo su per le scale.

Pai non fece in tempo a bloccarla e imprecò a bassa voce: se ciò che avevano sentito era vero là sopra c'erano Zizi e gli altri, andare con un frammento del Dono in tasca era la più grande idiozia che potesse concepire.

« Brutta stupida! »

Sul suo lettino, Retasu riuscì ad intuire a fatica cosa stesse succedendo. La sola cosa che le fu chiara era che gli altri fossero in pericolo e tentò di raggiungerli, alzandosi; il suo corpo però era privo di forze e l'abbandonò rischiando di farla cadere sul pavimento, sennonché Keiichiro l'agguantò per le spalle sorreggendola e rimettendola seduta. Senza occhiali percepì a malapena la figura di Pai che si teletrasportò fuori senza una parola.

Sapeva che non sarebbe riuscita nemmeno a reggersi in piedi, almeno per qualche minuto ancora. Ciò non la fece sentire meno in colpa e spaventata.

Ragazzi…

 

 

 

« Iniziate ad essere patetici, sapete? – disse Lindèvi posando il mento sulla mano, tediata – Toyu, possiamo smettere di scherzare? »

« Ancora un momento. »

L'aspetto dei loro fastidiosi oppositori era molto divertente e, lo ammetteva, non gli dispiaceva gustarselo ancora un po'.

Zizi aveva dato libero sfogo alle settimane di riposo forzato. Eyner, Kisshu e MoiMoi, ancora costretti ad affrontarlo, erano ridotti molto male: il violetto aveva brutti tagli sul labbro, sulle braccia e sulle gambe, oltre alle ecchimosi procurate dal suo vis a vis con il biondo, di cui il rivolo di sangue proveniente dalla sua nuca era un altro regalino; Kisshu teneva inerme lungo il fianco il braccio destro, che dallo squarcio nella manica appariva gonfio e rosso, permettendogli di usare un sai soltanto e anche con difficoltà, visto lo spacco sul sopracciglio che gli impediva di vedere bene. Eyner aveva graffi ovunque per essere finito nella trappola di fili di Lindèvi, e i suoi abiti gridavano agli impatti diretti con i colpi di Zizi, ma lo stesso il bruno pressava senza posa tentando si sbarazzarsi dell'avversario e raggiungere gli altri.

Lontano, sotto le occhiate derisorie di Lindèvi e Toyu, Zakuro giaceva a terra priva di sensi; Toyu l'aveva colpita con forza alla testa e i capelli glicine della mewwolf avevano preso una terrificante sfumatura porpora, appena oltre l'attaccatura della fronte che, invece, brillava come una ciliegia. Ryou e Minto, entrambi senza fiato né forze, sferzati a più riprese dai fili d'acciaio di Lindèvi, si frapponevano tra la mora e i nemici, per nulla intenzionati a farli muovere un passo oltre.

« Ecco, bravo, resta lì. – sibilò furiosa la mewbird contro il biondo – Ti prendo meglio in testa. »

Tese il suo armo, minacciosa, ma lui sorrise solo più a fondo. Nonostante la spavalderia Minto avvertì il cuore tremare di paura: non sapeva dove avessero preso quella forza in così poco tempo, ma la potenza degli Ancestrali li aveva soverchiati. Nemmeno con l'aiuto di Taruto e Purin, che sentito il frastuono della lotta non si era trattenuta ed era scappata fuori, avevano ottenuto migliori risultati.

Gettò un'occhiata alla biondina, che aveva ricevuto un colpo in pieno viso da Zizi e ora rantolava a poca distanza da loro, ancora stordita, e poi a Taruto, crivellato anche lui dai colpi del biondo, ma cosciente, che li spalleggiava con le sue piante pronte a colpire; probabilmente, era il solo motivo per cui Lindèvi non si fosse ancora gettata su di loro.

« Dai Toyu, andiamo noi! – sbuffò la bionda – Ce la prendiamo da soli…! »

Fece tintinnare le sue lame dalle punte nere e piagnucolò:

« Posso almeno provare un'altra volta il tuo regalo? Non è molto efficace… »

Puntualizzò contrariata e Toyu fece spallucce:

« Perché sei impaziente. Come vuoi comunque… »

Lei sorrise compiaciuta e si mise a scegliere chi colpire per primo, i suoi tre sfidanti rigidi e pronti al contrattacco.

« … Anzi no. »

Invece che essere delusa, Lindèvi guardò l'espressione trionfante di Toyu e sorrise.

« È ora. Zizi! »

Con la velocità di un fulmine, all'ordine il biondo agguantò MoiMoi per la gola e si lanciò una seconda volta a terra; stavolta il violetto restò immobile nel solco del prato che aveva formato dopo l'impatto, senza emettere un solo gemito.

Kisshu quasi non si accorse del calcio che Zizi gli riservò circa due decimi di secondi dopo, ma avvertì chiaro il rumorino inquietante delle vertebre del collo all'impatto con la sua tibia e poi con il terreno.

Prima ancora che Eyner potesse aiutare lui o chiunque degli altri, Toyu gli apparve alle spalle; riuscì appena a sentire le sue parole:

« Ti devo ancora un favore. »

Lo centrò alla schiena con inaudita potenza e l'impatto con il suolo, così vicino, mozzò il respiro del bruno e gli incendiò di dolore ogni singolo nervo, bloccandolo per qualche minuto.

Zizi intanto terminò l'opera e abbatté con i colpi dei tirapugni anche Minto e Taruto; Ryou riuscì a schivare e provò a balzargli addosso, ma quello non si curò delle zanne sul suo braccio e sbattè l'animale a terra, che uggiolò soffrente e rimase immobile.

« Prendetela. »

Al comando di Toyu gli altri due Ancestrali si diressero verso il Cafè.

Pai, che aveva ovviamente intuito le intenzioni di Ichigo, di corsa e in rotta di collisione con i nemici, le si teletrasportò davanti, ma fu travolto da con tale furia da potersi solo difendere e presto fu al suolo a contrattaccare con fatica; la rossa si ritrovò così alla mercé di Lindèvi, che le avvolse la gola con i suoi cavi sollevandola da terra.

Ichigo provò a liberarsi, ma riuscì solo a tagliarsi le dita sul filo; scalciò e si dimeno, con enorme disappunto della ragazza che schioccò la lingua sbuffando:

« Insomma, datti una calmata. »

Mosse le altre dita e la mewneko si ritrovò avvolta nella sua arma. Gridò di dolore mentre i fili le aprirono la carne e sentì gli altri chiamarla, incapaci di soccorrerla. Però continuò a tentare di difendersi e di scacciare l'avversaria, che con noncuranza le frugò tra le pieghe dell'abito e infine urlò al colmo della gioia:

« Eccola! »

Ichigo impallidì alla vista della boccetta rilucente di MewAqua:

« No! Ferm-ah! »

Schifata Lindèvi lanciò la rossa lontano da sé e centrò Pai, ancora subissato da Zizi, in pieno stomaco schiacciando entrambi i ragazzi a terra.

Zizi abbandonò lo scontro ghignando tronfio e lui e la bionda scomparvero. Solo Toyu restò indietro, ammirando la disfatta dei terrestri e dei jeweliriani, e in ultimo si girò ancora verso Eyner che tentava di alzarsi. Si abbassò fino ad averlo al livello delle scarpe e si rallegrò dell'astio con cui fu guardato:

« Ho pensato a molti modi per ripagarti – bisbigliò rancoroso – visto il regalo che hai lasciato sulla mia schiena. »

Calciò il bruno dritto nella mascella beandosi del lamento sommesso che gli strappò:

« Ma ho trovato qualcosa di molto più interessante che farti fuori. »

Guardò divertito il resto degli sconfitti e disse a voce più alta:

« Il nostro esercito ha sonde-spia davvero efficaci! Si scoprono molte cose interessanti, se uno ha la pazienza di guardarle. »

Si allontanò pigramente ed Eyner sentì un peso gelato piombargli nello stomaco.

Con aria compiaciuta Toyu si avvicinò Zakuro, ancora priva di sensi, e si allungò su di lei.

« Non avvicinarti! »

Sembrò trovare divertenti le proteste di Ichigo, che tiratasi su a fatica cercò di caracollare verso di lui. Minto gli agguantò la caviglia, incapace di alzarsi, e lo fissò feroce:

« Non ti azzardare a toccarla! »

Lui sorrise e le pestò la mano con tutta la sua forza, quindi si caricò in spalla la mewwolf. Le facce terree di Eyner e della mewbird furono il culmine della soddisfazione:

« Un regalino per te, amico mio. »

« No…! »

Ichigo tese la mano verso l'alto come se potesse fermarlo e li vide entrambi scomparire oltre le sue dita. Rimase in quella posizione, le lacrime agli occhi e il respiro mozzato, e riuscì solo ad urlare:

« Zakuro! »

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) episodio 19, sempre quello, che due scatole xD!

(**) queste frasi (usate con i dialoghi originali, che cmq sono quasi uguali ai nostri ma mi piacevano di più :P) sono degli episodi 39, 41e 46. E ovviamente il fantomatico dialogo dell'episodio 51 ("se…" cosaaa?!?! Voglio saperlo, maledetti produttori dell'anime ç_ç!)

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~

 

Iiiih, lo so non uccidetemiiii! Era programmato da un sacco di tempo ^^""!

Tutti: ti sembra una giustificazione?!?

Zakuro: …… +__+***

Minto: lasciala a me onee-sama +.+**!

Eyner: mettiti in fila +___+***…

Hiii, 'iutooo!

Keiichiro: ook ^___^""… Mentre gli altri si adempiono per massacrare la "povera" autrice, vorremmo ringraziare dei loro commenti le dolcissime Danya, Hypnotic Poison, Rin Hikari, mobo, Yoake e Ally_Ravenshade, che spero vogliano continuare a starci accanto ^-^

Alla prossima (sempre che non sia troppo morta) arrivederci .

Ciao a tutti ç__#... Ah, sì, niente sketch (ah ma va -.-""?) per motivi seri… Ossia che non dormo decentemente da settimane e lavoro solo quelle due ore al giorno che il mio cervello collabora… Pregate per me che la mattinata di domani mi sia propizia!


Mata ne
~♥ !

Ria

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Capitolo 26
*** Toward the crossing: no way road ***


Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: 
Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro recensioni. 
Farai felice milioni di scrittori. 

 

Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: Non essere indifferente!
Salva anche tu una tastiera da pazzoidi che le massacrano scrivendo come disperate! Non chiudere gli occhi, puoi salvare milioni di vite elettroniche.

 

 

 

 

 

 

Un parto. Questo capitolo è stato un parto, una fatica che non vi dico… E siccome mi sento una cacca, io ora mi armo di nachos e formaggio, una vaschetta di gelato al fiordilatte e mi chiudo nella stanza antipanico a piangere TwT… Ci si vede in fondo

 

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Cap. 26 – Toward the crossing: no way road

                 Guilt-feelings. Power play

 

 

 

 

 

Il gridolino eccitato di Lindèvi li annunciò meglio di una fanfara, con lei che gongolando agitava l'ampolla della Goccia come uno sbandieratore l'asta del vessillo:

« È stato fantastico! Erano settimane che non mi divertivo tanto! »

« Mi ci voleva propri-i-io. – disse Zizi notando soddisfatto di parlare più fluentemente – Così mi sono… Mi sono… Ehm, come cazzo si dice… »

« Sgranchito. »

Lo aiutò Toyu e lui schioccò le dita ammiccando. L'altro sospirò, se la capsula rigenerativa aveva menomato anche solo di poco le già esigue capacità dialettiche del compagno, lui e Lindèvi sarebbero dovuto andare in analisi.

« Vedo che siete tornati. »

La voce di Arashi fu incolore ma tutti e tre, più che soddisfatti del loro operato, non ci badarono e fecero un cenno di reverenza con il capo.

« Avete ottenuto il Dono? »

Lindèvi lo mostrò tronfia e l'uomo accennò un sorriso.

« Riesci già a muoverti. »

Notò Toyu compiaciuto vedendolo in piedi di fronte a sé, ma Arashi scosse la testa:

« Ben poco. Devo riposare ancora. – fece piatto – Avevo bisogno di distendermi. »

Soppesò in silenzio il corpo inerme che Toyu aveva sulla spalla e lo guardò scettico:

« Da quando in qua prendiamo prigionieri? Non credo ci occorra. »

« Un piccolo pensiero per i nostri compatrioti. – sorrise Toyu malevolo – E ad essere onesti… Un piccolo premio per me. »

Arashi sospirò rassegnato e annuì; Zizi rise come una scimmia sdentata, mentre Lindèvi emise un verso di repulsione.

« Merce tua, responsabilità tua. – sentenziò Arashi – Sia chiaro. »

« Non mi permetterei mai. »

Arashi annuì senza sorridere. Sospirò, molto più stanco di quando erano arrivati, e si accinse a tornare indietro:

« Con i nostri tre frammenti la rinascita del nostro sommo signore è infattibile. – fece pensoso. – Ricaricate la Chiave. Appena sarò in forze, proseguiremo con le ricerche. »

Tutti e tre s'inchinarono in assenso e rimasero fermi mentre la figura di Arashi si allontanava frusciando ovattata nel corridoio.

« Hai davvero intenzione di… Toccarla? »

Il tono nauseato di Lindèvi non sorprese Toyu che sorrise lascivo:

« Ti fai troppo problemi. È umana, è vero, ma è anche diversa da qualunque umano. Si potrebbe dire un'esperienza esclusiva. »

« Che gusti orrendi! »

« Esperienza? La chiami così adesso? »

Rise Zizi e Toyu stese un ghigno animalesco.

« Non credo che la tua amichetta si farà scopare senza resistenza. »

« Chi ha detto che non voglio faccia resistenza? »

« Sei un porco. »

Fece Lindèvi con un brivido e Zizi rise più sguaiato.

« Dovresti provare ad andare a letto con qualcuno, invece di fare tanto spirito, – replicò Toyu pacato studiando l'altro con sufficienza – Sarebbe più salutare che imprecare ogni cinque minuti. »

« Le umane te le lascio volentieri. »

Toyu fece spallucce e scomparve, con Lindèvi che  insisté ad emettere suoni di disgusto.

« Nemmeno a te farebbe male, sai? »

« Al contrario di voi due – s'impettì la ragazza offesa – io riesco a gestire i miei istinti più bassi! Non ho bisogno di accoppiarmi come un animale! »

Zizi grugnì senza rispondere e la seguì borbottando:

« Di sicuro saresti meno isterica, stronzetta. »

Lei gli scoccò un'occhiataccia e alzò gli occhi al cielo, studiando poi delusa le punte nere delle sue lame:

« Non sono nemmeno riuscita a vedere cosa succede se ti colpiscono, che barba! »

 

 

 

Toyu non era mai sceso al piano sotterraneo della dimensione; era stata di Arashi l'idea di creare quell'ala dotata di celle, quando ancora era quasi normale, ma aveva perso rapidamente la voglia di fare prigionieri.

Il corridoio senza uscita aveva alcune cavità aperte sulla parete sinistra, senza finestre né luci, e senza sbarre. Toyu entrò nella prima e avvertì il pizzicore della barriera della cella sulla pelle, mentre lasciava cadere a terra senza troppe cerimonie la mewwolf.

« Benvenuta nel suo alloggio, principessa. »

Le sussurrò. Zakuro mandò un lieve mugolio con gli occhi chiusi, priva di sensi, e Toyu si accucciò per scostarle qualche ciuffo che le era andato a coprire il viso:

« Una cella senza porte da cui però non potrai uscire. – continuò a bisbigliare velenoso – Sarà molto divertente vedere come ti dispererai. »

Mosse l'indice destro e due corde sottili comparvero dal nulla. Le direzionò senza toccarle e queste come serpenti si avvinghiarono ai polsi e alle caviglie della mora bloccandole le gambe, e le braccia dietro la schiena.

Vederla combattere contro di lui poteva essere piacevole, ma non era così stupido da rischiare gli incisivi.

Si alzò e rimase fermo a rimirarla. Chiunque avesse deciso i completi che assumevano quelle umane durante le battaglie aveva tutta la sua stima.

Le gambe lunghe della ragazza erano perfettamente sagomate negli alti stivali, così predatori, e la pelle chiara risaltava sul loro colore così che risultava impossibile non ammirarle le cosce, tornite, morbide, quasi un ordine ad essere morse. La voglia rosata svettava sulla curva dell'addome, tonico eppure invitante, che pregava di risalire fino al top, nulla più che un accenno di stoffa dietro a cui si nascondevano le forme piene dei seni.

La visione di quel corpo così sensuale, e la consapevolezza della riottosità della mora, furono un invito parecchio forte a soddisfare il suo desiderio. Si contenne, sarebbe stato molto più piacevole con la ragazza sveglia, anche se avrebbe dovuto subire di certo le sue zanne.

Ma in fondo è questo il divertente.

Se ne andò ghignando e scomparve nel corridoio.

Passarono lunghi minuti di silenzio senza che non ci fosse altro nelle celle che il respiro lieve di Zakuro.

Solo quando fu certa che Toyu fosse andato via, la ragazza spalancò gli occhi e attivò il suo ciondolo.

 

 

***

 

 

« Niente! Non riesco a rintracciarli, non li trovo! »

Il tono rabbioso di MoiMoi non coprì il colpo che diede alla tastiera, né il frenetico lavorio del computer. Pai, accanto a lui, non alzò gli occhi dal monitor:

« La loro dimensione è schermata – gli ricordò – ma i sensori di Shirogane sono migliori dei nostri. Continuiamo a provare. »

Il violetto guardò in tralice lui e poi Ryou, seduto su una sedia con il portatile in braccio, e annuendo deciso si rimise al lavoro.

Non appena erano riusciti a rialzarsi, dopo che Toyu era scomparso con Zakuro, gli alieni avevano trasportato tutti al laboratorio: non erano mai riusciti ad individuare la dimensione dove si nascondevano gli Ancestrali, ma la loro strumentazione era più sensibile di quella terrestre e avrebbero – anzi dovevano – tentare per l'ennesima volta. Di contro, i programmi realizzati da Ryou e Keiichiro erano migliori per rintracciare i segnali dei ciondoli delle ragazze, e il biondo aveva sperato che incrociando i due sistemi di ricerca avrebbero avuto maggiori possibilità di trovare Zakuro.

Dopo più di mezz'ora, però, non c'erano ancora risultati, e il radar del computer non faceva che emettere segnali muti.

« Dovresti farti curare. »

Sando, già irritato per non essere riuscito a raggiungerli in tempo, guardò preoccupato la macchia scura che MoiMoi aveva sulla nuca; lui scosse la mano come a dirgli di stare zitto.

« Nemmeno voi siete messi molto bene. »

Insisté l'uomo e scorse velocemente le facce dei presenti, che tra le ferite e l'ansia, erano peste e ceree.

« Piantala Sando – sbottò il violetto – non c'è tempo ora! »

« Spiegami come pensi di essere utile con un trauma cranico. »

« Sto bene! »

Sando gli passò una mano sul collo mostrandogli irato il sangue sulle dita:

« Questo non è stare bene! – berciò – E nemmeno quello. »

Fulminò con un'occhiataccia Ryou che si sforzava di rimanere concentrato sul monitor, nonostante le ferite che protraevano a fargli  stringere i denti di soppiatto.

« Ragiona cinque secondi… »

« Non abbiamo tempo! »

Il grido di Minto fu secco e stridulo. Sando sostenne il suo sguardo, così arrabbiato, preoccupato, deluso di sé. Le altre ragazze si sbirciarono, colpevoli, sapevano che l'uomo aveva ragione, ma al contempo non riuscirono ad appoggiarlo: pregarono solo che il radar desse un segno di vita, e che potessero riportare Zakuro a casa.

« Non c'è tempo adesso. – riprese Minto con tono lugubre – Potrebbe… Potrebbe… »

Si morse il labbro per impedirsi di continuare.

« Non lo dire. »

Il sussurro grave di Eyner  le fece sollevare piano la testa. Si scambiarono un'occhiata. Lei si vide sul punto di piangere, riflessa nelle iridi grigio-blu, e lesse una collera molto simile alla sua sul volto teso del bruno.

Quando i pendenti delle MewMew tintinnarono all'unisono nessuna fu in grado di rispondere. Dovettero ascoltare un paio di trilli prima di elaborare cosa stesse succedendo e Ichigo strinse il suo ciondolo fin a farsi sanguinare di nuovo i tagli freschi delle dita:

« Zakuro! »

« Nee-chan! »

« Onee-sama, stai bene?! »

« … Sì. »

Le ragazze si sciolsero in sospiri di sollievo e Minto si lasciò sfuggire un gemito di gioia; Eyner dovette appoggiarsi alla parete, perché per poco non gli cedettero le ginocchia.

« Zakuro, dove sei adesso? – domandò Ryou digitando più concitato sulla tastiera – MoiMoi-san, cerca di triangolare il segnale del trasmettitore. »

« Sì! »

« Fermo. »

« … Come? »

« Ascoltatemi, ho poco tempo. »

La voce della mewwolf fu calma e chiara come sempre e nessuno contestò oltre.

« Qui sta succedendo qualcosa. Qualcosa di grosso. – disse veloce – Uno di loro… Non l'ho mai visto, credo sia il loro capo. »

« Arashi. »

Lei replicò a Taruto solo con un brontolio:

« Sta subendo qualcosa. Non ho ancora capito molto bene, ma credo riguardi lui e Deep Blue. »

Nel laboratorio le ragazze si strinsero un po' tra loro; Ichigo deglutì a fatica.

« Hanno parlato di una Chiave per cercare le Gocce e vogliono usare il frammento di oggi per attivarla; per il momento ne hanno già tre. »

MoiMoi gemette sottovoce:

« Hanno trovato tre frammenti e noi non ce ne siamo accorti?! »

« È l'occasione per capire cosa sta succedendo. »

Le ragazze si guardarono confuse tra loro, certe di non aver capito le sue parole.

« Cosa diavolo vorresti fare? »

Ci fu un secondo di calma dall'altra parte alla domanda di Eyner, un po' più lungo del solito, e la mora riprese adagio:

« … Posso recuperare la Goccia che hanno preso oggi e le altre in loro possesso. Senza più un frammento non potranno trovare gli altri.

Non dovete venirmi a prendere. »

« Onee-sama, ma cosa stai dicendo?! »

Ryou soppesò le parole di Zakuro e divenne pallido:

« Zakuro, tu non ti sarai… »

« Vi richiamerò appena potrò. – lo interruppe – Non-dovete-venirmi-a-prendere. »

« Zak-! »

Il richiamo di Eyner si spense nell'istante in cui udirono lo sfrigolio della comunicazione interrotta.

Scese di nuovo il silenzio. Pai trattenne un'imprecazione, alzando le dita dalla tastiera, e MoiMoi si voltò avvilito verso gli altri:

« Mi dispiace… Non, non abbiamo… »

Eyner abbassò lentamente la mano che aveva stretto d'istinto sul pendente di Ichigo, incapace di fare altro. Minto si voltò irosa verso Ryou:

« Che cosa significa?! »

« Non chiederlo a me. – replicò con più freddezza possibile – Cosa le è saltato in mente…? »

« Dobbiamo trovarla! Subito! »

« Se potessi l'avrei già fatto! »

Sbottò di rimando. Minto si strinse di più il taglio sul braccio; avvertì la testa rimbombare sorda e una pesante stanchezza piombarle nelle membra, ma immaginò fosse tutta l'orrenda situazione ad averla sfibrata.

« Beh, continuiamo a cercare! »

Fece con più calma e si dovette sostenere un poco al corrimano dietro di lei, avvertendo un lieve capogiro. MoiMoi le sorrise più incoraggiante che potè:

« Certo. Stai tranquilla, la troveremo presto. »

Si voltò verso Eyner, ma lui rimase a fissare il pavimento in silenzio.

« E se… »

MoiMoi guardò Pai fermarsi un momento e poi riprendere.

« Cosa? »

Il moro prese un lungo respiro:

« È una follia, ma il suo piano potrebbe avere un senso. »

« … Pai-chan che stai dicendo? »

Lo guardò allibito e così gli altri. Ichigo si sollevò immediatamente:

« Non penserai di lasciarglielo fare…! È un'assurdità! »

« Non ho detto di non continuare a cercare. Né di trovarla quanto prima. – la bloccò brusco – Sto dicendo che il suo piano, per quanto avventato, potrebbe esserci molto utile. »

« Stai scherzando spero. »

« Kisshu, lo sai benissimo anche tu che non saremmo mai riusciti a trovare Arashi e gli altri. – insisté – Ora possiamo tentare di rintracciare il suo segnale e scovarli. »

« Ci vorranno giorni! »

Obbiettò MoiMoi.

« Forse meno. – fece l'altro – E poi, hai visto con quanta poca difficoltà ci hanno sopraffatti? Chissà quante informazioni ha registrato quella maledetta sonda. »

Strinse il pugno sulla console aggrottando la fronte:

« Se ottenessimo più dati su di loro, giocheremmo ad armi pari quantomeno. »

« Ma Zakuro nee-chan è laggiù da sola! »

Lui rivolse appena un'occhiata a Purin e disse piano:

« … È stata una sua decisione. »

Minto si tirò dritta volendo solo stampare un cinque sulla guancia del moro, ma non ebbe abbastanza energie ed Eyner la precedette.

« Eyn-chan, no! »

Il bruno aveva già afferrato Pai per il bavero e MoiMoi serrò gli occhi pronto al colpo. Eyner rimase con il pugno tirato indietro, a fissare l'imperscrutabile volto dell'altro. Schioccò la lingua con disprezzo, forse più per se stesso, e lo lasciò andare senza una parola. La lamiera del muro che centrò con un diretto mentre usciva si piegò con uno botto violento.

« Eyner! »

Retasu lo seguì preoccupata, gettando una fugace occhiata di rimprovero a Pai che tossicchiò massaggiandosi il collo; fu difficile dire se gli avesse fatto più male la presa dell'amico o quello sguardo deluso.

« In ogni caso ora è inutile stare qui. »

Il tono di Sando fu stranamente pacato mentre spingeva tutti tranne Pai, che non aveva ferite significative, verso l'uscita:

« Voi due fatevi controllare – fece severo rivolto a MoiMoi e Ryou – e poi tornate qui. Voialtri, vedete di rimettervi un po' in sesto. »

 

 

 

L'aria fuori risultò fresca come acqua sul suo viso inspiegabilmente rovente, eppure Minto non stesse per nulla meglio.

Ichigo cercò attorno tracce di Eyner e Retasu, ma non li trovò; sospirò guardando gli altri e si torturò nervosa l'unghia del pollice:

« … Sando-san ha ragione. – fece debolmente – Dobbiamo farci medicare. È la sola cosa che possiamo fare, adesso. »

Minto scostò lo sguardo da lei, inconsolabile e afflitta, ma annuì. Le sue dita si chiusero ancora attorno al taglio sul braccio, il bruciore divenuto un pulsare ritmico.

« Direi. – cercò di stemperare Kisshu – Sembriamo tutti passati in un tritacarne, uh? »

« Oh, per favore stai zitto. »

Lui fissò torvo Minto, l'espressione corrucciata ed esausta, e per una volta cercò di non reagire troppo d'impulso:

« Senti uccellino – fece con più calma possibile – capisco che stai abbastanza in paranoia, ma n- »

« E giustamente bisogna fare dello spirito! – gli inveì contro – Non riesci mai ad usare il cervello cinque secondi e a capire quando sei inopportuno?! »

« Minto, ora non esagerare… »

« Non fare l'avvocato delle cause perse, Purin! »

La mora tacque un secondo prendendo fiato, aveva l'impressione che la testa stesse per esploderle e faticava a riflettere:

« Anche prima, dovresti ringraziare che ho avuto la bontà di aiutarti, se no saresti caduto nel trucchetto di Lindèvi come un fesso! »

« Come scusa?! »

« Oh, andiamo! – rise sprezzante – Quella ti ha preso in giro e tu le sei corso incontro come un pesce sull'amo! Idiota! »

Kisshu fece una smorfia, a disagio, consapevole di essere stato sciocco proprio come diceva Minto, ma non per questo incassò le invettive in silenzio:

« Nessuno ti ha chiesto di darmi una mano, sai? »

« Hai ancora il coraggio di protestare?! »

« Ragazzi, per favore, smettetela! – sbottò stanco MoiMoi – Non è il momento. »

Loro non lo ascoltarono. Minto si sentì sempre più stordita e accaldata, e la frustrazione per la sua impotenza nell'aiutare Zakuro la soffocò; Kisshu era un'ottima valvola di scarico.

« Perché prima di pensare ad Ichigo non pensi un microsecondo a dove ti trovi?! – si sfogò esasperata – Quella ti ha menato per il naso e tu a momenti diventavi uno spiedino! »

A sentirsi nominare la mewneko ebbe un lieve sobbalzo e abbassò lo sguardo a terra, il viso che si adombrò colpevole:

« Minto… Non credo che… »

« E non provare a difenderlo, maledizione! – esplose la mora – Tu sei un'altra di quelle che agisce senza riflettere! Qui non lo fa nessuno, siete un branco di irresponsabili, fate solo come vi pare! »

Una piccola ruga affranta le si disegnò sulla fronte e il suo tono si abbassò bruscamente:

« Anche l'onee-sama, perché agite solo di testa vostra tutti quanti?! »

« Minto nee-chan… »

Scoccò un'occhiataccia alla mewscimmia zittendola e squadrò tutti uno ad uno, gli occhi lucidi, finendo poi ancora su Kisshu:

« Siete solo…! Una manica di stup- »

La voce svanì all'improvviso e le gambe le cedettero, come una luce a cui viene spento l'interruttore. Piombò nell'erba con un tonfo e le sue amiche le corsero accanto, spaventate, ma lei non riuscì a capire cosa le domandassero.

La testa batteva a mo' di martello e ogni muscolo, ogni giuntura, perfino ogni osso doleva sordo; l'aria usciva dalla gola bollente, arida, a brevi quantità, perché ogni respiro le provocava spasmi.

« Kami-sama, ma tu scotti! – esclamò MoiMoi all'armato sfiorandole la guancia – Minto-chan, da quando stia male? »

« N-no… Non… »

Ichigo sollevò la testa della mewbird, per evitare almeno che rimanesse riversa nel fango, e colse uno strano odore nauseabondo; un brivido familiare le salì lungo il collo.

« Ichigo, lo senti? »

Ryou si accucciò accanto a Minto, anche lui tendendo il naso, e studiò la mora scoprendole poi la spalla. Ichigo si coprì la bocca con una mano.

Il taglio che si era procurata a causa di Lindèvi, così piccolo e innocuo, era diventato torbido e infetto; un leggero olezzo di putrescenza si alzava dalla piaga, le cui estremità perdevano rivoli di una vischiosa sostanza violacea.

« Shirogane, questo…! »

Lui non rispose accigliandosi preoccupato e si caricò Minto in braccio:

« Portiamola subito all'ospedale. »

 

 

***

 

 

Una delle cose che la irritavano di più erano i mal di testa. Che fossero per stanchezza o malattia, non erano nulla più che fastidi, piuttosto che dolori, e al contempo impedivano di svolgere le proprie attività in pace e, quando volevano, perfino di pensare.

Toyu le aveva di certo regalato il peggior mal di testa della sua vita. Un'aggiunta alla lista di cose che avrebbe dovuto scontare.

Si sforzò di concentrarsi nonostante la tempia che pulsava; il sangue ormai si era fermato, ma doveva averne perso un discreto quantitativo perchè quando provò a mettersi dritta ebbe un forte capogiro. Si trascinò con cautela verso la parete e si tirò su appoggiandosi ad essa, respirando con più calma possibile e mettendo a fuoco gli eventi.

Farsi rapire non era stato programmato a tavolino. Il colpo ricevuto l'aveva, seppur le costasse ammetterlo, davvero messa fuori gioco, e aveva impiegato alcuni minuti a riprendersi e capire cosa stesse succedendo. Quando era tornata del tutto in sé Toyu l'aveva già presa in spalla.

Avrebbe potuto tentare di fuggire, ma dubitava che sarebbe riuscita nell'intento. Era bastata una manciata di secondi, mentre sciorinava ogni opzione, che il folle piano aveva fatto capolino.

Quale occasione migliore per ottenere informazioni sui loro avversari che intrufolarsi apertamente nella loro tana?

« Ah…! »  

Cercò istintivamente di toccarsi la testa e i suoi polsi sfregarono contro la corda. Sbuffò, sforzandosi di ignorare il dolore e alzando lo sguardo al soffitto.

Immaginava che Toyu si sarebbe preso tutto il tempo per divertirsi, ma che le impedisse tanto il movimento era una seccatura. Sarebbe stato molto più complicato indagare dovendo strisciare come un verme.

Studiò l'ingresso della sua cella, nulla più che un arco in una rozza parete di pietra senza qualcosa che potesse impedire la sua fuga. Prudente, Zakuro tastò il terreno dietro di sé, sfiorando con le dita un sassolino; lo prese a fatica e si torse quasi completamente per riuscire a lanciarlo contro il varco: il sasso rimbalzò contro una superficie invisibile, sfrigolando, e fu sbalzato indietro come un proiettile fischiando sopra le orecchie animali della mora.

« Perfetto. »

Sbuffò irritata.

Come inizio non è proprio roseo.

Aveva un primo problema, capire come poter uscire. Sarebbe servito a poco ottenere tutte le informazioni del mondo, se poi non fosse stata in grado di scappare.

Inspirò un paio di volte e strinse i denti, nemmeno il resto del suo corpo era troppo in forma.

Secondo problema, la fantomatica Chiave.

Ichigo aveva raccontato loro dei suoi colloqui con Ao No Kishi e ricordava che, in modo vago, lui avesse nominato una certa chiave non meglio identificata in possesso degli Ancestrali; dalle sue parole s'intuiva che grazie a quella i quattro avessero trovato i frammenti il loro possesso, e si era ricordata di quando lottavano con Kisshu e gli altri per trovare la MewAqua. Il verde si portava sempre appresso una piccola fiala trasparente con all'interno una Goccia, che usava per verificare la purezza di un cristallo: forse Toyu e i suoi avevano qualcosa di simile.

Terzo problema, le Gocce in possesso degli Ancestrali.

Per sua fortuna Toyu non si era premunito di perquisirla e lei aveva ancora in tasca una delle fiale per contenere il Dono; forse il biondo non aveva ritenuto necessario prendergliela o forse, come Zakuro sperava, non sapeva della sua esistenza. Trafugarle e portarle via sarebbe stato semplice, se fosse riuscita a trovarle.

Fino a quel momento il suo corpo, però, non aveva dato segnali della presenza della MewAqua.

Al solito.

Il tutto sempre, ovviamente, se fosse riuscita ad uscire.

E torniamo al problema uno.

Dulcis in fundo, il problema più arduo.

Toyu.

Zakuro rabbrividì disgustata al pensiero della sua voce e delle sue mani su di sé. Le intenzioni del ragazzo erano più che palesi e deleterie, potevano essere la sua condanna, ma potevano dimostrarsi la sua via d'uscita se avesse giocato bene le sue carte. Era una scommessa, e per giunta molto rischiosa: lei era in svantaggio a partire dalla sua posizione, fisica e teorica, e la sua forza era ben poca cosa rispetto a quella del biondo.

« … Le ragazze saranno preoccupate… »

Sospirò in silenzio. Nella testa le risuonò la voce di Eyner che la chiamava mentre chiudeva la comunicazione e avvertì il bisogno di rannicchiarsi un poco su se stessa, come da bambina nelle notti burrascose per darsi coraggio in assenza dei genitori.

Sentì un rumore non identificato e si drizzò immediatamente, senza che accadesse nulla.

Si mise seduta composta, scacciando la paura dallo sguardo e dal cuore, e restò in attesa di visite fissando battagliera l'ingresso della sua prigione.

Dopo tanto tempo, avrebbe di nuovo combattuto da sola.

 

 

***

 

 

Ichigo tenne le mani premute sul vetro per tutto il tempo in cui il dottore di turno spiegò ai presenti la situazione di Minto, ascoltando le sue parole senza davvero badarci: tutta la sua attenzione era per l'amica, stesa sulla brandina bianca nella camera oltre il vetro con una flebo nel braccio.

« Non possiamo intervenire finché non siamo certi del tipo di veleno che è entrato in circolo – disse il medico – per il momento le abbiamo dato qualcosa per abbassare la febbre, ma senza le analisi della sostanza che ha assunto… »

« Ma voi dovete aiutarla! – esclamò Purin disperata – Non potete lasciarla così! »

« Faremo il possibile – tentò di calmarla lui con poco slancio – non appena sapremo… »

La biondina fece per ribattere ma Taruto la trattenne afferrandola per le spalle; nemmeno a lui piaceva come risposta, ma non sarebbe servito prendersela con quell'uomo.

Ryou guardò la ragazza stesa sul lettino e avvertì un gusto amaro sulla lingua. La ferita di Minto era gemella di quelle che si era procurato lui, nella dimensione della torre, lottando contro la creatura dai denti neri. La consapevolezza gli impastò la lingua come un impasto irrancidito: se non si fosse immerso nell'acqua contaminata dal Dono, anche lui si sarebbe trovato svenuto con una flebo nel braccio. Probabilmente, non avrebbe più aperto gli occhi.

Il dottore si scusò e tornò al su giro, lasciandoli al loro silenzio.

« E ora? »

Ichigo si voltò appena a guardare i pochi di loro rimasti, gli occhi color cioccolato che tremavano disperati; perfino MoiMoi era scomparso, nella confusione di infermieri che alle richieste sue e dei ragazzi avevano preso Minto e l'avevano portata d'urgenza in reparto. Lì c'era solo Purin, le labbra strette in una brutta smorfia cercando di non piangere e il viso gonfio dai colpi di Zizi, con accanto Taruto che appariva ben più malconcio di lei, ma si preoccupava di tranquillizzarla; Kisshu sembrava una bambola rotta con il braccio destro impotente lungo il fianco, e non faceva che fissare un punto indefinito per poi gettare occhiate stranite attorno a sé e verso la stanza di Minto, con la mortificazione di un bambino a cui avevano tirato uno schiaffo per la prima volta. Poi c'era lei, un nodo in gola mentre cercava un sostegno in chiunque li attorno, rivelando solo espressioni smarrite, e Ryou che voleva solo trovare una parola, una qualunque parola per alleviare la sua confusione. Rimase in silenzio a guardarla, sentendosi troppo inutile per consolarla.

Ichigo deglutì a fatica e guardò ancora Minto, battendo piano la fronte sul vetro e singhiozzando:

« Che si fa ora? »

Nessuno seppe cosa dirle.

La rossa avvertì la frustrazione rimontarle dentro e minacciare di farla scoppiare in lacrime, finché non sentì di nuovo la voce di MoiMoi. Si fregò di soppiatto gli occhi per asciugarli e vide il violetto camminare a passo spedito verso di loro assieme a Lasa e ad un'infermiera dai capelli ciliegia legati in una treccia ordinata.

« Mamma… »

« Che ci fai qui? »

« MoiMoi-chan mi ha cercata appena siete arrivati. – sorrise la donna dando un colpetto affettuoso sul naso di Taruto con l'indice – E ha fatto bene. »

Fece un cenno all'infermiera porgendole una cartelletta:

« Obena-san, falla spostare al reparto 5. Prendi tutta la documentazione. »

« Certo. »

La giovane entrò nella stanza e diede un paio di rapide indicazioni ai colleghi, mentre fuori Lasa proseguì:

« Se è vero quello che mi ha detto MoiMoi-chan, ci vorrà troppo tempo per gli esami e Minto potrebbe essere in pericolo. »

Ichigo strinse i pugni sul vetro diventando pallida.

« La prenderò in custodia io, farò passare il suo caso come prioritario. »

« Non si dovrebbero fare queste cose. »

Ribattè Ryou, ma sorrise colmo di riconoscenza e Lasa si concesse un risolino.

« Ma Lasa-san… E il tuo lavoro? »

« Questo è lavoro – ammiccò a Purin – con priorità assoluta richiesta dal capitano Luneilim. »

MoiMoi mostrò una strana faccia soddisfatta:

« Mi occuperò di trovare un antidoto. – proruppe con decisione – Ryou-chan, posso affidarti il compito di aiutare Pai per trovare Zakuro-chan? »

Lui annuì, troppo stanco per fingere di non essere grato del loro appoggio, e Ichigo prese le mani di entrambi piangendo sfinita:

« Grazie… Lasa-san, MoiMoi-chan, grazie… »

La donna sorrise e le diede un buffetto sulla guancia. Alle loro spalle la porta della stanza si aprì e due infermieri trasportarono Minto in un altro settore seguendo le istruzioni di Lasa; la donna impartì istruzioni con tono fermo e poche parole calme e autoritarie, e gli infermieri scattarono ad ogni comando come soldatini.

« Inizierò io il primo turno di controllo – fece quindi rivolta all'infermiera dai capelli ciliegia – tu sistema le cose qui per favore. »

Lanciò un'occhiata allusiva a MoiMoi e alla ferita alla sua testa e il violetto stese un sorriso sghembo:

« Ci faremo curare, prima di tutto. »

Lasa annuì compita. Alzò lo sguardo e non le sfuggì l'espressione rea di Kisshu, sebbene non ne capisse il motivo, ma si limitò a fare un lieve sorriso di circostanza avviandosi dietro la barella senza domandare nulla:

« Raggiungimi appena hai finito, Obena-san. »

 

 

***

 

 

« Eyner! Eyner! »

La voce di Retasu si perse fra le fronde degli alberi giganti, sollevando gli indispettiti strilli degli uccelli. La verde si asciugò la fronte e si sistemò gli occhiali sul naso, allarmata, ormai cercava il bruno da un po' ma non lo vedeva da nessuna parte. Sospirò, Eyner non era il tipo da fare cose avventate ma la sua reazione contro Pai l'aveva messa in allerta, e il non riuscire a trovarlo non migliorava le cose.

Si sentì sciocca. Aveva notato come il bruno passasse molto tempo in compagnia di Zakuro, ma aveva sempre pensato fosse per via di Sury; loro inoltre erano molto più adulti rispetto a lei, e aveva immaginato che anche il loro rapporto fosse adulto, e che quindi non ci fossero congetture da fare.

Non aveva idea di cosa ne pensasse Zakuro, ma il pugno che Eyner aveva tirato superava di gran lunga il concetto di supposizione.

Prese il cellulare di Kiddan e frugò nell'agenda. Fu di conforto ascoltare il tu-tuu della chiamata in corso e lei si concesse un risolino:

« Sto chiamando un alieno con il cellulare. Assurdo. »

« Dimmi che esiste un modo per spegnere questo coso. »

« Eyner! »

Il suo tono sollevato dovette colpire il ragazzo che cedette un po' e addolcì il tono.

« Stai bene? »

« Perché dovrei stare male? »

Lei tacque e lui sospirò arrendevole:

« Fisicamente sto bene – si corresse – non ho ancora compiuto gesti inconsulti se mi stavi per chiedere questo. »

Retasu emise uno strano verso e ad Eyner scappò da ridere, consapevole che stesse arrossendo colta in flagrante.

« E per il resto? »

Lui rimase in silenzio a lungo come se stesse scegliendo cosa dirle:

« … Ho bisogno di calmarmi un po'. – ammise – Poi andrò ad aiutare i senpai. »

Retasu rispose con un verso muto, per nulla persuasa, ma evitò di insistere.

« Tu vai dalle altre, saranno preoccupate. »

« Eyn- »

Chiuse la comunicazione senza darle il tempo di fare alcunché.

Retasu sospirò mogia e studiò sovrappensiero la foto di sfondo del cellulare, una delle sue preferite assieme alle ragazze; si strinse il labbro inferiore avvertendo il magone salire e chiuse lo schermo stringendosi il telefono al petto:

« Zakuro-san… »

 

 

***

 

 

« Hai aperto gli occhi mia cara, ne sono lieto. »

Il compiacimento nelle parole di Toyu fu fastidioso per le orecchie come il ronzio di una mosca, ma Zakuro rimase imperturbabile, seduta con eleganza con le gambe piegate malamente di lato, la schiena appoggiata al muro e lo sguardo apertamente ostile.

« Sei pallida – le fece notare divertito – ti fa ancora male la testa? »

« Se continui a parlare penso che presto tornerà a tormentarmi. »

Lui rise soddisfatto ed entrò nella cella. Zakuro non diede segno di trovare interessanti le sue intenzioni, ma i suoi occhi registrarono un cambio di luminosità sotto l'arco, dopo l'ingresso del biondo; le sue dita cercarono un nuovo sassolino.

« Non mi sembri seduta molto comoda. »

Constatò, un ghigno sprezzante che gli piegava la bella bocca, e Zakuro diede fondo a tutta la sua abilità nel fingere con le persone:

« È difficile sedersi quando hai le gambe legate – sibilò velenosa, ma calma – come se potessi andarmene in giro. »

« Non fare la furba con me – sussurrò – il fatto che ti trovi interessante non significa che mi fidi. »

Le andò vicino e Zakuro si ritrasse contro la parete. Toyu rise:

« Ti faccio paura? »

« Mi fai ribrezzo. »

La cosa non sembrò tangerlo troppo, ma la mora notò un velo di delusione negli occhi azzurri. Il biondo si ricompose immediatamente e sempre con aria compiaciuta si accucciò al suo livello; si mosse piano, gongolando di come la sua vicinanza increspasse di repulsione la pelle della mora, esplorandola con lo sguardo centimetro per centimetro e rallentando ancor di più ogni volta che l'avvertiva irrigidirsi maggiormente: era un gioco maledettamente divertente, respirare con tutta calma l'odore della sua rabbia così stoicamente trattenuta, con l'inebriante retrogusto del suo profumo, così intenso e allettante. Il pensiero di sentirsi avvolto da quella fragranza e di avvertirla mentre si arricchiva di paura, di vergogna finché lei non si sarebbe arresa, lasciandosi dominare, lo travolse al punto che fu quasi tentato di dare già un assaggio al suo premio.

Inspirò a fondo facendo scricchiolare le spalle. Calma, con calma. Aveva tutto il tempo.

Sorrise feroce e allungò la mano sulla coscia di Zakuro. Lei reagì all'istante tentando di colpirlo in fronte, ma lui fu più svelto e la bloccò al muro stringendole la gola:

« Vedi di non esagerare con l'insolenza. »

Sibilò più iroso; poi tornò a sussurrarle:

« Voglio solo farti stare più comoda. »

Senza lasciare la presa sul suo collo le tirò avanti le gambe cosicché restasse seduta più composta, afferrandole lascivo la pelle scoperta della coscia. Parve trovare divertente lo sguardo furente che Zakuro gli scoccò e il suo digrignare i denti:

« Hai intenzione di mordermi, piccolo glicine(*) selvatico? »

La sua risata allusiva contorse il viso della mora in una boccaccia disgustata.

« Un'altra volta. »

La mano destra continuò ad artigliarle la gola e Zakuro si sforzò perfino di non deglutire, sebbene la sua bocca pregasse saliva e il respirare fosse difficoltoso con la morsa sulla trachea; il suo orgoglio non le permetteva altri segni di cedimento, non poteva sopportarlo.

« A proposito… »

L'impegno di Zakuro per rimanere impassibile triplicò mentre lui prese a tastare attorno alle tasche dei pantaloncini cercando qualcosa. Recluse l'istinto di addentargli la giugulare per il modo osceno in cui indugiava sui suoi fianchi, preoccupandosi invece che non fosse alla ricerca della fiala.

« Ah-a. E questo cos'è? »

Scherzò seccante. Zakuro si morse il labbro inferiore per fingere paura e nascondere il sollievo, perché nella mano di Toyu c'era soltanto il cellulare di Kiddan. Lui lo studiò, girandolo più e più volte con un ghigno:

« Credo che possiamo disfarcene. »

Frantumò l'oggetto tra le dita con chiaro disappunto della mora, ma meglio quello dell'unico mezzo per trasportare la Goccia che aveva in suo possesso. Inoltre, fosse stato necessario comunicare, il suo ciondolo era ancora funzionante.

Toyu la osservò, in attesa di un tremito di terrore o di sconfitta, ma non arrivò nessuno dei due. La cosa lo irritò e il suo sguardo si fece più duro:

« Ora ti lascio andare – spiegò freddamente – se ti azzardi anche solo a tentare, di affondare quei bei dentini nelle mie dita, io ti spacco le vertebre del collo come stuzzicadenti. »

Zakuro non mosse un muscolo.

« Non ho sentito sì, signore. »

La mewwolf lo trucidò con lo sguardo e soffiò con lui che si accontentò maligno e la lasciò andare.

« Immagino che tra un po' avrai fame. – le disse tranquillo alzandosi – Da queste parti cibo non ce n'è, ma vedrò di procurarti qualcosa. »

Le scivolò con due dita lungo il collo e le sollevò il mento:

« Sarebbe un peccato se deperissi troppo. »

Zakuro non replicò continuando a sfidarlo e Toyu si corrucciò, afferrandole il viso tra le mani con rozzezza e sbattendola poi contro il muro come un bambino stufo di un giocattolo. La mora avvertì un acuto dolore risuonarle tra le tempie e per un secondo fu quasi cieca, riuscendo a scorgere a fatica il biondo che usciva:

« Fatti un altro pisolino. Magari sarai più accomodante con chi cerca di essere gentile con te. »

 

 

***

 

 

Ichigo soffiò tra i denti al contatto dei graffi con il batuffolo gonfio di disinfettante e l'infermiera ridacchiò materna:

« Tranquilla. Pizzica un po', ma è un buon segno. »

La rossa rispose con un cenno, poco entusiasta comunque di farsi torturare:

« Per fortuna le tue ferite sono leggere. Un paio di giorni e saranno scomparse. »

Lei si sforzò di sorridere, sfiorandosi sovrappensiero i tagli sul collo e guardando il suo riflesso nel metallo dell'armadietto poggiato contro il muro: avrebbe comunque dovuto dar fondo a tutta la sua scorta di trucchi, per coprire i segni e non destare troppe domande.

In compenso il suo umore non si sarebbe risollevato troppo facilmente.

Tutto sembrava studiato per distruggere quel poco di forza che le era ancora rimasta. MoiMoi e Ryou si erano fatti medicare alla svelta, tanto che non era riuscita nemmeno a capire cos'avesse il biondo – anche se non le era piaciuto molto come l'infermiere che l'aveva aiutato si fosse munito di un arsenale di fasciature – e poi erano spariti entrambi per rimettersi al lavoro. Perfino Kisshu, sistemata la questione più grave su di sé ovvero il braccio destro, si era allontanato senza una parola, scuro in volto. Purin e Taruto erano ancora a fare degli esami di controllo in una stanza vicina, così Ichigo era rimasta completamente sola.

S'impegnò per essere educata e grata ad Obena del suo lavoro, sorridendole gentile, ma seppe di non poterla guardare in faccia o sarebbe nuovamente scoppiata in lacrime.

Zakuro era scomparsa; Minto era in pericolo di vita; loro erano ridotti a stracci vecchi e non sapevano, né potevano, fare altro che aspettare. Non sapeva molto bene cosa.

Quella situazione la soffocava, la faceva sentire debole: avrebbe voluto che almeno rimanessero uniti, invece erano tutti spariti per un motivo o per l'altro, e lei avvertì il peso di tutto schiacciarle il petto.

Obbedì ad Obena togliendosi la maglia della divisa e permettendole di medicarle il resto del braccio sinistro. Con l'altra mano scivolò nella tasca della gonna, sfiorando il cellulare con le dita.

« Per favore, non muoverti ho quasi finito. »

« Ah. Sì, scusi. »

Ritrasse la mano e si morse il labbro, tanto di certo non le avrebbe risposto.

Si asciugò di nascosto l'angolo dell'occhio sperando che Obena non l'avesse vista.

 

 

 

« Ecco, ora stai ferma… »

« Ahi! »

« Scusa. »

« No… Niente, Taru-Taru… »

Il brunetto sospirò sistemando meglio la busta fredda sulla guancia di Purin:

« Ecco, tienila così. – fece lasciando con attenzione il sacchetto nella sua mano – Vedrai che starai meglio. »

Lei annuì con lo sguardo basso senza sorridere.

Gli infermieri avevano fatto presto ad occuparsi di Taruto, preparandolo psicologicamente per il giorno dopo alla lunga lista di dolori sparsi e lividi che sarebbero spuntati più o meno ovunque; in generale lui si era dimostrato più coriaceo del previsto e non aveva ferite gravi. Per Purin invece erano preoccupati che il pugno di Zizi le avesse provocato danni all'osso della mascella, cosa che per fortuna non era: la guancia aveva già assunto le dimensioni di una mela e il solo tenerci un oggetto sopra strappò un bel po' di sibili lamentosi alla biondina, ma sarebbe guarita in un paio di giorni.

« Incassare un simile cazzotto e cavartela con un livido, io l'ho sempre detto che non sei una scimmia, ma un gorilla! »

Taruto sghignazzò sperando in una replica; Purin invece restò a tenersi la busta fredda e a guardare per terra con aria triste.

« Ehi scimmietta guarda che scherzavo. »

Le si avvicinò facendo strisciare lo sgabello sul pavimento e Purin scosse la testa con un sorriso stentato:

« Non ce l'ho con te. »

Il brunetto la sentì tirare su con il naso e poi grossi lacrimoni le sfuggirono dagli occhi nocciola:

« Sono… Preoccupata per Minto nee-chan – pianse – e… Mi fa arrabbiare Zakuro! Perché non ci permette di aiutarla? »

Si fregò gli occhi con il braccio e le sfuggì un singhiozzo più forte, accigliandosi:

« E poi Pai nii-chan che fa lo stupido! »

Insisté a provare ad asciugarsi il viso senza successo:

« Le mie amiche hanno bisogno di me e io non…! »,

Taruto non le rispose. Le si avvicinò un altro poco e allungò titubante la mano:

« Purin… »

Le sfiorò appena la frangetta con la punta delle dita e si ritrasse di scatto, a disagio.

La biondina rimase a capo chino a lungo, le spalle scosse dai singhiozzi che cercò di trattenere. Poi si protese in avanti, quel poco che le bastò per posare la fronte sulla spalla di Taruto. Lui s'irrigidì diventando paonazzo:

« E-ehi…! »

« Scusami Taru-Taru – mormorò – non dovrei, però… Mi sento così arrabbiata…! Che mi viene solo da piangere… »

Emise una risatina amara:

« Sono un disastro… »

Inspirò rumorosamente e fece per allontanarsi, ma il brunetto le cinse le spalle stringendola forte. Purin spalancò gli occhi sorpresa, arrossendo, e non vide la smorfia imbarazzata sulla faccia scarlatta di lui:

« Non sei un disastro. – farfugliò con dolcezza – Stai tranquilla. Andrà tutto a posto. »

Lei trovò difficile stare calma con il batticuore che le stava causando. Eppure la stretta di Taruto era decisa e gentile, e la sua voce la rassicurò al punto che smise di piangere senza accorgersene. Si rilassò e appoggiò il naso sul suo torace chiudendo gli occhi ancora umidi; sorrise e annuì, ricambiando indecisa l'abbraccio:

« Grazie Taru-Taru. »

 

 

 

Il reparto 5di solito era riservato ai militari di alto rango, o a persone gravi con malattie ancora in analisi, ma più in generale era dove i medici di Jeweliria ospitavano i pazienti a lunga ospedalizzazione.

Non essendoci altri degenti, in quel momento la stanza di Minto era il solo quadrato chiaro in un corridoio buio e ciò gli donava un'atmosfera inquietante da film dell'orrore. Lasa e gli infermieri che aveva con sé erano riusciti a contenere il propagarsi dell'avvelenamento nella mewbird e ad abbassarle la febbre: in quel momento la ragazza era stesa tranquilla sulla sua branda circondata da strumentazioni mediche e dal piccolo team che prendeva appunti, annotava dati e valutava ipotesi; solo MoiMoi, l'intruso dell'entourage, era sparito, dopo essersi fatto dare un campione della sostanza velenosa, ed era andato a rintanarsi nelle stanze più in fondo del reparto per analizzarlo accuratamente.

Kisshu era in piedi in un angolo buio del corridoio ormai da almeno un quarto d'ora, sempre con gli occhi fissi sulla stanza illuminata.

Una fitta sorda di dolore gli tamburellò dal braccio destro, che i medici gli avevano legato al collo, e si diede un po' di sostegno con l'altra mano. Qualcuno gli aveva detto scherzando che aveva la pelle dura, per aver affrontato gli Ancestrali ed essersela cavata con una semplice incrinatura dell'osso che sarebbe guarita in una ventina di giorni, ma il dolore che gli provocava il braccio e l'impossibilità di usarlo erano sufficienti per trucidare con lo sguardo chiunque tentasse di fargli valutare l'ipotesi. Non vedeva proprio 'sta gran sorte positiva a non poter combattere.

L'unica fortuna a cui riusciva a pensare era l'aiuto riluttante di Minto. Se non fosse intervenuta, seppur di malavoglia e a insulti e strilli, per salvargli il posteriore ad essere colpita dalle lame di Lindèvi non sarebbe stata lei.

Kisshu strinse il pugno del braccio sano piantandosi le nocche nel palmo.

… Razza di stupida cornacchia.

 

 

***

 

 

Il sole che tramontava inondò di una brillante luce arancione la sala vuota del Cafè. L'aria era tiepida, gli uccelli cinguettavano in lontananza, la fine di una giornata deliziosa che sicuramente in molti avevano trascorso nel migliore dei modi.

Ichigo se ne stava seduta con il viso sul tavolo, nascosto tra le braccia; accanto a lei Masha svolazzava preoccupato, ma non diceva niente dando lievi capocciate contro la sua padroncina come un gatto affettuoso.

« Ichigo? »

Sollevò appena lo sguardo oltre la manica. Retasu la guardò con un sorriso triste e forzato, quasi bisbigliando:

« Abbiamo sistemato tutto. »

La rossa annuì e strinse il pugno, vedendo uscire dalla cucina Keiichiro e lo schermo di Minto: la finta mewbird camminò altera verso l'uscita salutando distratta con la mano, e Ichigo avvertì il forte desiderio di vomitare.

« Sarà più semplice occuparci delle nostre faccende se la famiglia di Minto-san penserà che è tutto nella norma. »

Le parole di Keiichiro suonarono inevitabili e pratiche, eppure così distanti nonostante il tono garbato:

« Chiuderemo il Cafè fino a nuovo ordine. »

« … Dov'è Shirogane? »

Il bruno fissò un secondo Ichigo e sorrise serafico:

« Ci vuole troppo tempo per spiegare come utilizzare la nostra strumentazione di ricerca – disse – si coordinerà con Pai-san direttamente dal centro ricerche. Io cercherò di combinare ciò che posso da qui. »

Ichigo non replicò in alcun modo.

« Purin…? »

« Sarebbe rimasta, ma è dovuta andare a prendere la sorellina. »

La rossa annuì appena.

« Coraggio, siete esauste. »

Keiichiro guardò con gentile apprensione prima lei e poi Retasu, che aveva scoperto solo dopo essere tornata dall'inutile ricerca di Eyner cos'era successo a Minto, e aveva ancora gli occhi gonfi e tristi.

« Andatevene a casa. Riposate. Domani sarà una nuova giornata. »

Le due obbedirono senza dire niente e uscirono pian piano dal locale. Camminarono in silenzio, senza avere la minima idea di come stemperare l'atmosfera soffocante, e arrivarono al bivio dove si sarebbero dovute salutare senza essersi quasi guardate negli occhi.

« Allora… Ci vediamo domani. »

« Sì… Certo. »

Retasu mise tutto il suo impegno per ottenere almeno un sorrisino tremante e si avviò verso casa. Ichigo la imitò, l'aria assente, e provò ancora a prendere il cellulare. Le sue dita composero il numero di Aoyama senza che lei riflettesse a cercarlo nella rubrica o nelle chiamate recenti, e si portò il telefono all'orecchio continuando a camminare per la strada come uno zombi.

Le lacrime che le sfuggirono scesero sulle guance e rimasero a oscillare sotto il mento senza che lei facesse nulla per asciugarle, una mano sulla cartella e l'altra a stringere il cellulare, che non riuscì ad abbassare nemmeno dopo che per cinque minuti ebbe suonato a vuoto; chiuse la chiamata e digitando i tasti a memoria. ricompose il numero. Ancora. E ancora. Ancora. Ancora, ci fu solo il suono ritmico della chiamata che andava perdendosi.

 

 

***

 

 

In quella cella senza finestre e in quel luogo isolato Zakuro fece molta fatica a tenere la nozione del tempo; il solo aiuto glielo davano i limitati sforzi di Toyu di portarle qualcosa che assomigliava a cibo, una volta al dì, e la mewwolf aveva contato fossero passati all'incirca cinque giorni.

Guardò con un sospiro il suo magro pasto, una pagnotta informe, incolore e insapore. Almeno, si consolava, le riempiva lo stomaco abbastanza da non svenire. Si decise a finirla: era una sofferenza inutile se si lasciava sconfiggere dalla sua stessa fame, e aveva bisogno di nutrimento per pensare.

Zizi, né Lindèvi o il loro capo Arashi si erano mai fatti vivi. Zakuro aveva avvertito le loro voci e i loro passi con le sue acute orecchie animali provenire dal piano superiore, ma nessuno dei tre aveva mostrato alcun interesse per la sua esistenza; anzi, aveva creduto di sentire Lindèvi protestare con Toyu per qualcosa, e le era parso di cogliere parole come sudicia umana o inutile mutante. Poteva volgere quell'indifferenza a suo vantaggio, se fosse riuscita a passare inosservata.

Uscire dalla cella era impossibile al momento: nei suoi esperimenti con i sassi aveva notato che niente riusciva a passare oltre l'ingresso, tranne quando all'interno della cella c'era anche Toyu. Forse la prigione riconosceva il suo padrone e lasciava aperta l'uscita, o forse si apriva quando all'interno c'erano due persone; in ogni caso la mora sarebbe rimasta bloccata, a meno che non fosse riuscita a sopraffare Toyu mentre si trovava lì dentro con lei.

Cosa ben più facile a dirsi che a farsi.

Toyu era un arrogante, ma non era stupido. Non abbassava mai la guardia nei suoi confronti ed era sempre ben attento a non lasciarle alcuna possibilità di reagire e affrontarlo. Ma Zakuro non si arrendeva allo snervante scorrere del tempo e aveva catturato ogni comportamento del biondo, pensando e ripensando come usarli a proprio vantaggio.

L'interesse morboso che aveva per lei era palpabile, e non solo dalle chiacchierate a cui la costringeva a partecipare, passando il tempo a minacciarla mentre le sfiorava il profilo del volto e delle gambe con teatrale autocontrollo. Zakuro gli leggeva negli occhi il desiderio di dare sfogo ai suoi istinti, e pur ringraziando di non aver ancora dovuto affrontare il problema, non riusciva a chiedersi cosa lo trattenesse.

Aveva dovuto aspettare l'arrivo del pasto al terzo giorno per intuire.

Toyu era un bambino capriccioso. Trovava divertente vedere l'ira repressa e l'insofferenza di una persona dal carattere forte come lei, ma allo stesso tempo non riusciva a tollerare che perseverasse nella resistenza: la sua superbia gli rendeva insopportabile vedere qualcuno che non si piegava a lui, che non cedeva come l'essere inferiore che lui riteneva che fosse, che dopo strenua lotta alla fine non lo pregasse e supplicasse di lasciarla stare.

Era quello il suo obbiettivo, piegarla e sottometterla. Solo allora avrebbe trovato e assaporato il gusto che tanto anelava.

Si presentava a lei con aria da seduttore, parlando sottovoce con fare suadente e rimirandola predatore, ma se vedeva che Zakuro non aveva altra reazione che una gelida ostilità perdeva tutta la sua compostezza: diventava aggressivo e si sfogava su di lei, spingendola a terra o contro i muri, schiaffeggiandola, o tirandola su di peso e poi lanciandola per la stanza. Ormai non c’era un punto che la mora non sentisse contuso o graffiato dai suoi abbracci con il pavimento. Se al contrario, per una qualunque ragione, Zakuro appariva anche solo lievemente smarrita, stanca, sul punto di cedere, lo sguardo di Toyu brillava di soddisfazione: allora abbassava ancora la voce, diventando quasi carezzevole, e le sfiorava le guance con le dita come a volerla rassicurare; quindi si alzava e le sorrideva come il più premuroso e rapito degli amanti, nonostante il suo sguardo carico di feroce bramosia e il sorriso malizioso, e dopo averle fatto noto per la centesima volta dell'impossibilità della fuga e della sua permanenza vitalizia lì dentro, usciva promettendo di tornare presto.

Quell'assurdo conflitto mentale del biondo era la sola spirale di debolezza su cui Zakuro poteva contare, e avrebbe dovuto sfruttarla in fretta.

Sentiva di stare per avvicinarsi al suo limite fisico e mentale. Toyu non aveva certo una mano leggera quando si trattava di picchiarla, e lei non mangiava né beveva abbastanza per il suo corpo che chiedeva di recuperare energie. Restare sempre calma e lucida in una simile situazione andava ben oltre a quello che era il suo margine di sopportazione, e non faceva che domandarsi come stessero gli altri e se la stessero cercando.

Le vennero in mente i visi delle ragazze. Sicuramente erano molto arrabbiate con lei per la sua scelta, e molto preoccupate. Abbandonò la testa contro il muro rabbrividendo alla sensazione appiccicaticcia e viscida del sangue che non aveva potuto togliere dai capelli, e che li teneva impastati in una massa marrone e sporca.

Doveva agire. Non poteva aspettare oltre.

Il solo modo che aveva per uscire di lì era Toyu: doveva riuscire a trattenerlo li dentro abbastanza a lungo perché potesse atterrarlo, e poi fuggire.

Le scelte erano poche.

Chiuse gli occhi. Si sarebbe potuta concedere un po' di riposo prima dell'ennesimo salutino dell'Ancestrale, per essere al massimo delle forze concessele.

Ichigo di certo sarebbe arrossita scandalizzata al suo piano, magari poi cercando di fermarla spaventata.

Minto avrebbe strillato e piagnucolato nel vano tentativo di persuaderla a non provare un simile rischio.

Retasu probabilmente non sarebbe riuscita a dire niente, boccheggiando.

Purin forse non avrebbe nemmeno capito fino in fondo.

Ryou non avrebbe detto una parola. L'avrebbe guardata come se fosse impazzita, ma consapevole che tanto avrebbe fatto di testa sua.

Che sciocchezze. Se fossero qui, non mi troverei a dover sfidare così la sorte.

Le venne in mente il giorno in cui aveva affrontato Sando e si rimirò sovrappensiero il braccio destro: per quanto fosse assurdo, per un secondo desiderò che accadesse come quel pomeriggio, quando cinque dita gentili avevano fermato il suo braccio dall'affondare il colpo.

 

 

***

 

 

« Non avete ancora notizie? »

Ayumi guardò preoccupata Ichigo e Retasu; la verde cercò appoggiò nella rossa, lo sguardo fisso sul banco, e scosse la testa mogia:

« Nessuna… »

Ayumi sospirò annuendo:

« Non c'è… Proprio modo che io…? – domandò incerta per l'ennesima volta – Almeno a visitare Minto. »

« Ecco… Non credo sia una buona idea. »

La mewfocena le rispondeva sempre così; lei e Ichigo le avevano spiegato la situazione non proprio serena tra loro e il governo di Jeweliria, e non credevano che la presenza dell'ennesima terrestre, seppur un'amica priva di qualunque capacità combattiva, sarebbe stata ben tollerata anche solo per visitare un ammalato. Ayumi protestava sempre le prime volte, furibonda, doveva vedere come stava Minto e doveva assolutamente sapere se avessero rintracciato Zakuro, ma le loro facce ceree l'avevano convinta a smettere di insistere troppo.

« D'accordo. »

Sospirò mentre suonava la campanella e vide con la coda dell'occhio Moe e Miwa, delle quali aveva approfittato dell'uscita al bagno per parlare in pace con le altre due. Fece finta di niente e tornò al suo posto ridacchiando, lanciando un messaggio con il labiale ad Ichigo e Retasu che l'avvisassero, se ci fossero state novità.

Il resto della mattinata passò con una calma disarmante, e Ichigo fu estremamente grata quando si annunciò la fine delle lezioni. Moe e Miwa protestarono perché, libera da ragazzo e lavoro, non volle andare a fare shopping con loro, ma non era decisamente dell'umore giusto; lasciò Retasu al club e si avviò da sola verso il parco, non era nemmeno dell'umore adatto per tornare a casa, sarebbe impazzita a starsene ancora a fissare il soffitto.

Nemmeno contattare Masaya era un'opzione, in Inghilterra erano le sei del mattino… Ed erano già cinque giorni che il cellulare del ragazzo suonava senza ricevere risposte. Aveva pensato lo avesse perso, o gliel'avessero rubato, ma non era nemmeno riuscita a contattarlo per chat: lui le aveva solo inviato un'e-mail il mattino dopo la scomparsa di Zakuro, con poche righe sbrigative.

Scusami. Ho dei problemi con il telefono, ti ricontatterò appena possibile.

La cosa la feriva, ma non aveva né voglia di arrabbiarsi né spazio nella sua mente per preoccuparsi.

Arrivò al Cafè dopo un'eternità. Il cartello CHIUSO con la sua dolce o a forma di cuore bloccava l'ingresso, lei girò sul retro e aprì la porta con le chiavi d'emergenza.

La sala vuota echeggiava del lavorio di Keiichiro al piano inferiore e della luce che veniva dalle finestre. Ichigo passò veloce di fronte alla cucina, scorgendo le poche pentole e i resti dei pasti che il bruno aveva consumato, e scese di sotto battendo contro lo stipite della porta per annunciarsi:

« Akasaka-san? »

« Ichigo-san, sei venuta anche oggi? »

Lei sorrise lievemente e gli si avvicinò, dato che lui non sembrava aver intenzione di alzarsi dalla sedia:

« Non dovresti riposarti? »

« Stai tranquilla – le sorrise – a dispetto di quanto sembra, non ho più l'età per fare tanto le ore piccole. »

« Ma cosa dici… »

Lui rise piano.

« … Ci sono novità? »

« In parte sì. »

La rossa si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo e lui sorrise ancora:

« Siamo riusciti a restringere ulteriormente l'area di ricerca, ormai manca poco. – la rassicurò – Non appena avremo isolato la posizione della dimensione, mancherà solo di individuarne l'ingresso. »

Ichigo annuì con un sorriso. Le parve sempre un'enorme mole di tempo e lavoro, ma le possibilità di rintracciare Zakuro almeno diventavano un po' meno esigue.

« Vai a trovare Minto-san? »

« Sì… »

Rispose vaga mentre il suo sguardo cercava in giro segni di un'altra presenza. Keiichiro sorrise velato e preoccupato:

« Non rientra dall'altro ieri. »

Il suo tono fu così garbato che Ichigo non reagì strepitando sul fatto che non si stava preoccupando per Ryou, come avrebbe fatto con qualcun altro, semplicemente perché non si rese conto dell'allusione del bruno.

Afferrò più saldamente la cartella, Shirogane non sapeva far altro che far preoccupare le persone.

« Akasaka-san… Posso usare qualche minuto la cucina? »

 

 

***

 

 

Ritrovarsi da solo a lavorare non era una novità, però doveva ammettere che dopo giorni ad operare fianco a fianco con gli alieni – ancora non riusciva a chiamarli se non così – Ryou si sentiva un po' strano. Era sorpreso della sua tolleranza, specie nei confronti di Pai verso cui non aveva un'opinione così buona, così come della sua resistenza: aveva perso il conto delle ore ininterrotte di lavoro e non aveva toccato quasi nulla di quello che MoiMoi aveva portato loro; perfino Pai ad un certo punto si era arreso al suo stomaco e se n'era andato per qualche minuto a mangiare, magari alla luce del sole.

Lui non ci riusciva. Aveva promesso a se stesso che non avrebbe più lasciato che le ragazze combattessero da sole, che si sarebbe assunto ogni responsabilità di non poter affrontare il proget m con le sue sole forze. Aveva eseguito ulteriori esperimenti su di sé proprio per questo, trasformandosi in un mutante animale per poter combattere e proteggere.

Ma aveva fallito. Un'altra volta.

La sola cosa che poteva fare per rimediare era non fermarsi finché Zakuro non fosse tornata al sicuro.

Quindi vedi di non cedere.

Il suo corpo non pareva dello stesso avviso, ma lui insisté con lo sguardo fisso sul monitor e sul radar che andava delimitando l'esatta posizione della dimensione degli Ancestrali.

Concentrato non si rese conto immediatamente di chi stesse scendendo le scale. La presenza di Ichigo lo sorprese al punto che, complice la stanchezza, non potè evitare di studiarla allibito:

« Che ci fai qui? »

« Sono venuta a vedere come sta Minto. »

Fece sbrigativa guardandolo severa, ma tra le braccia portava un piccolo vassoio avvolto nella pellicola di cui Ryou non spiegava la natura, se doveva solo vedere le condizioni della mewbird. Ichigo scostò lo sguardo e borbottò:

« Akasaka-san mi ha detto che non rientri da giorni – disse senza girarci attorno – conoscendoti non avrai nemmeno mangiato! »

Gli porse brusca il vassoio carico di onigiri e lui restò a contemplarlo senza battere ciglio. Ichigo arrossì indispettita:

« Lo prendi o no? Mi si stanno addormentando le braccia. »

Ryou lo prese lentamente e alzò un sopracciglio scettico:

« C'è almeno un ripieno o sono bianchi? »

« Certo che c'è il ripieno! – sbottò offesa – D'accordo in cucina sono un disastro, ma riesco ancora a mettere del salmone in una polpetta di riso! »

Lui sorrise divertito, posò il vassoio e lo scartò incapace di forzare oltre il suo nervo del selfcontrol, già massacrato da quel gesto inaspettato e premuroso della rossa. Lei restò con le braccia dietro la schiena studiandolo, in attesa del giudizio e pronta a reagire, quando nella stanza rientrò Pai; lei gli scoccò un'occhiata omicida.

Il moro non si interessò della cosa e si rimise al lavoro, con Ryou che potè solo sospirare.

« Hai finito di studiarli per capire cosa sono? »

« Controllavo che non ci avessi messo nel mezzo qualche pillola di cianuro. »

« Ah ha, divertente. »

Ichigo si ostinò con il cipiglio arrabbiato, rifiutando di domandarsi cosa stesse passando per la testa del biondo per essere tornato a trattarla in maniera decente.

« Gli altri come stanno? »

Chiese giochicchiando con un cavo abbandonato. Ryou addentò un boccone cercando di non rispondere in maniera troppo brusca, dandosi del cretino per aver pensato che la rossa si fosse preoccupata per lui per più di due minuti:

« Credo stiano tutti bene. »

Lei si corrucciò:

« Illuminante. »

« Sono qui da un po', non so niente. »

« MoiMoi-chan? »

« Sta continuando con la ricerca di un antidoto. »

Rispose per lui Pai, esasperato dal suo ostracismo. Ichigo grugnì in risposta ma non si arrese:

« Taruto? Ed Eyner? »

« Ti ho già detto che non lo so. Vai a cercarli. »

« Taruto s- »

« Potresti essere un po' meno acido? – sbottò la mewneko, ignorando i tentativi di Pai di farli stare zitti – Sono solo preoccupata. »

Lui addentò il ripieno dell'onigiri quasi con cattiveria; fu difficile spiegare il perché della frecciatina che gli scappò dalle labbra:

« Non so dove sia Kisshu. »

Lei lo fissò attonita infilarsi l'ultimo pezzo di onigiri in bocca e afferrarne un altro senza guardarla. Le orecchiette nere e pelose spuntarono non appena lei ebbe colto il senso delle sue parole, il pelo gonfio e minaccioso:

« Ancora con…?! Sentimi bene non so quale sia il tuo problema, ma vedi di finirla! »

« Io non ho detto niente. »

« Sei insopportabile! »

« Prima ancora che iniziate… Se volete a tutti i costi litigare, andatevene. Non ho intenzione di tollerarvi. »

Il tono gelido di Pai mandò alle ortiche la poca pazienza della mewneko rimasta che strepitò irosa:

« Se voglio litigare con qualcuno lo faccio dove mi pare e piace, non ho certo intenzione di spostarmi per compiacere te! – strillò tutto d'un fiato soffiando – Ma stai anche tranquillo, non mi va proprio di sprecare energie! Con nessuno di voi due! »

Si caricò in braccio la cartella e li fulminò entrambi con occhi roventi, mortalmente pentita di aver concesso un solo spiraglio di apprensione nel suo cuore per quell'orco pettegolo di Shirogane.

« E vedi di non toccare il frutto della mia fatica! »

E dopo quell'ultima, inutile precisazione puntato il dito contro Pai, Ichigo sparì con passi da dinosauro su per le scale.

« … Devo farti i miei complimenti, ottima strategia. »

« Parlando di strategie tu hai dei pessimi risultati a carico. »

Borbottò Ryou. Pai sollevò un istante le mani dalla tastiera e sospirò:

« Non so di cosa tu stia parlando. »

Il biondo non criticò la sua frottola, prese un terzo onigiri e se lo mise in bocca rimettendosi al lavoro.

 

 

***

 

 

Fu indecisa fino all'ultimo momento se bussare o meno e quindi ebbe un lievissimo sobbalzo quando le sue nocche risuonarono secce sul legno della porta. Una vocina le diede il permesso di aprire e Retasu sospirò, non era da lei che sperava di venire accolta.

« Sury-chan? »

« Ciao. »

La piccola sedeva su una delle sedie della cucina, sfogliando un libro di favole illustrate; la mewfocena lo conosceva bene, era stato suo un tempo e poi di suo fratello e aveva un grande valore affettivo, e dato che ormai da anni restava sullo scaffale a prendere polvere aveva pensato che fosse il momento di dargli un nuovo proprietario. Sury ne era rimasta ammaliata, non conosceva le favole terrestri e non erano poche le volte in cui era spuntata al locale con il tomo cartonato sotto il braccio.

In quel momento girava le pagine con poca convinzione e Retasu colse subito la scarsa energia con cui la salutò. Tentò di non rincarare la dose e le sorrise più sfavillante e affettuosa che potè:

« Sei da sola? »

« Mema-san è uscita un attimo – spiegò distratta – io mi annoiavo un po'. »

Retasu annuì in silenzio. Aveva incontrato il giorno prima la giovane vicina dei Toruke, una ragazzetta dai capelli carta da zucchero che di quando in quando si occupava di far compagnia a Sury.

« Eyner non c'è. »

Il tono preoccupato con cui lo fece notare angosciò la mewfocena, che superò spedita la soglia e si sedette accanto alla bambina. Sury tirò in un broncio il labbro inferiore e strinse le mani sulla copertina spessa e Retasu le accarezzò la testa, cercando di consolarla.

« Va là quasi tutti i giorni. – mormorò la bambina e poi guardò Retasu speranzosa – Pai nii-chan e Shirogane nii-chan hanno trovato…? »

La verde scosse la testa mortificata e Sury abbassò la testa:

« Minto nee-chan? »

Retasu si limitò ad un sorriso teso e la piccola tornò ad occuparsi del suo libro accarezzandone la copertina con il pollice.

« Zakuro-san è forte. – la rassicurò Retasu – Anche Minto lo è. Andrà tutto a posto. »

« Uhm. »

La mewfocena non aggiunse altro e le rimase accanto per un po', cosa che sembrò tranquillizzare la piccola.

« Nee-chan… »

« Dimmi. »

« Prepariamo assieme la merenda? »

« Certo. »

Studiò la piccola chiudere il libro e rimetterlo al suo posto con una smorfia curiosa sul viso e sorrise dolcemente:

« Ne facciamo un po' di più per Eyner? »

La bambina annuì timida e Retasu trattenne un risolino.

 

 

***

 

 

« Termine sessione: 15 secondi. Ricalcolo impostazioni… »

Il ragazzo allungò la mano sulla tastiera e bloccò il riavvio automatico; la voce metallica del simulatore riformulò:

« Avvio sessione. Durata prevista: 2 ore. Inizio sequenza rilascio bersagli. »

Altri para-para vennero liberati dai contenitori ermetici sotto il pavimento e si agglomerarono in corpi biologici informi, di cui si distinguevano a malapena famelici occhi gialli e zanne e artigli ricurvi, disseminati negli orefizi e sulle zampe.

Le bestie si gettarono subito su Eyner, che ne tranciò tre con un singolo fendente infuocato del jitte, riducendo i corpi a brandelli bruciacchiati per i pochi secondi in cui non si scissero nuovamente in parassiti.

… Ho bisogno di calmarmi un po'.  Poi andrò ad aiutare i senpai.

Così aveva detto a Retasu, ben consapevole che in realtà non ci fosse nulla che potesse fare in concreto. Non era abbastanza intelligente né pratico dei macchinari di ricerca per poter essere di una qualche utilità, e gironzolare per il laboratorio come un'anima in pena avrebbe potuto causargli la morte per esasperazione da parte di Pai. O viceversa.

Amareggiato e furente non aveva fatto altro che rinchiudersi nella sala di simulazione, nel livello due sotto al campo d'addestramento dell'Armata. Era lì che i soldati acquisivano i gradi, dove potevano dare libero sfogo ai loro poteri senza alcun limite: doveva ringraziare che i para-para non portassero rancore, perché dopo cinque giorni li aveva percossi un bel po'.

Ruotò il jitte sulle dita con leggiadria e rapidità, quasi non avesse peso, e colpì altre sei creature in rapidissima successione. Ci mise un po' troppa energia e il manico scivolò nel palmo sudato, ma non smise.

Avvertiva un brivido ogni volta che una delle creature gli passava un po' troppo vicino muovendo l'aria, congelandogli il sudore. Ormai era così fradicio che i vestiti gli si appicciavano addosso; aveva una sete terribile, il respiro sempre più pesante, e i muscoli gli bruciavano come le fiamme che gli danzavano attorno.

Eppure non avrebbe smesso finché non fosse stato troppo stanco per pensare.

Se si fosse messo a pensare, avrebbe perso la ragione.

« Merda! »

Ruotò il jitte in orizzontale, disegnando un otto nell'aria che sfoltì la maggior parte dei chimeri e con un urlo frustrato fece marcia indietro e ricominciò.

Quando da fuori attivarono l'arresto di emergenza lui era ancora con la testa nell'allenamento e poco mancò che centrasse il visitatore con una fiammata.

« Ehi, non sono un chimero! »

Eyner sbuffò e prese due profondi respiri, troppo senza fiato per trovare un modo di commentare l'arrivo improvviso di Kisshu; si asciugò la fronte madida e guardò distratto i para-para addentare le piante di paina che il sistema di controllo fece risalire dal pavimento, facendo svanire l'arma rassegnato a doversi fermare.

« Sei diventato stacanovista? »

« Mi distraggo. »

« Questo io lo chiamo masochismo, non distrazione. »

Puntualizzò il verde. Eyner non disse niente, per non sprecare il prezioso ossigeno che i suoi polmoni bravavano, e si accorse che entrambe le mani tremavano per gli sforzi eccessivi.

« Non credo di averti mai visto così in ansia. »

« Kisshu, non mi va di sopportare battute… »

« Non era una battuta. – ammiccò con sincerità – Giusto una constatazione. »

Eyner sbuffò in imbarazzo e si avviò con lui all'uscita, caracollando incerto sulle gambe; quando esasperato si tolse la maglia ormai zuppa Kisshu fischiò idiota, dandogli di gomito mentre costeggiarono un terzetto di cadette abbastanza impacciate e compiaciute:

« Sexy. »

« Imbecille. »

« Era per sdrammatizzare. »

Sogghignò. Il bruno lo fissò da capo a piedi, poco convinto della suo buon umore:

« Sembra che ti abbiano appena riesumato da una bara. – constatò alla vista del suo incarnato di gesso – Che hai? »

Kisshu non si sorprese troppo del suo intuito e si grattò la nuca:

« È questo braccio. – bofonchiò – Sono così imbottito di antidolorifici che presto avrò le visioni… »

Lasciò la frase in sospeso ed Eyner continuò:

« Sei andato a vedere come sta Minto? »

La domanda colpì nel segno e Kisshu si sistemò la fascia del braccio, un po' a disagio:

« Non che ci sia molto da dire, è sempre lì. – fece vago – Per la maggior parte del tempo dorme. »

« … Guarda che sentirti in colpa non la farà stare meglio. »

Kisshu rallentò il passo scurendo in volto:

« Quel colpo doveva toccare a me. »

« In battaglia ci si ferisce. »

« Vaffanculo Eyn, non farmi la paternale filosofica – lo bloccò – perché ce ne sarebbe da dire anche per te. »

Il bruno si corrucciò gettandosi la maglia sulla schiena:

« È diverso. Molto diverso. »

« Esatto – fece con trasporto – anche questo. »

Eyner sospirò, costretto a cedere, e Kisshu soffiò tra i denti:

« Se la cornacchietta non stesse lottando tra la vita e la morte non mi sentirei così di merda. »

L'amico lo studiò con attenzione senza una parola e avvertì l'impotenza incendiargli le viscere:

« Toyu l'ha presa per colpa mia. »

Kisshu lo guardò processando a lungo le sue parole e scosse la testa:

« È da Glatera che ha messo gli occhi addosso alla lupa. »

Gli vide stritolare la stoffa tra le dita:

« Non c'entri tu. »

« La sonda. »

Si passò una mano sul viso esausto:

« Ci hanno spiato, e lo sai. Toyu ha visto che… Io… »

Kisshu non gli rispose.

« Forse avrei dovuto… »

« Cosa? »

« … Non lo so. »

Kisshu sospirò con un sorriso storto:

« Pai e Shirogane sono a buon punto… Direi che tu ti sei allenato a sufficienza, ora metti da parte un po' di energie, o non sarai utile a nessuno. »

Gli battè una mano sulla spalla, lamentandosi schifato del sudore, ed Eyner si concesse uno sbuffo divertito:

« Ha parlato quello con un braccio bloccato. »

« Sono stato ferito lottando strenuamente. »

Il bruno alzò gli occhi al cielo.

« Poi non vorrei mai rubarti la scena. »

« Di che parli? »

« Prova solo ad immaginare – gli ammiccò furbo – un salvataggio in grande stile, magari sfoggiando con nonchalance l'addominale come stai facendo adesso… La tua lupetta ti mangia vivo. »

Eyner non fu pronto per incassare la battuta maliziosa a dovere e rimase a fissarlo inebetito, gli occhi spalancati e le guance arrossate, facendolo piegare in due dalle risate.

Fu il turno di Kisshu di essere colto alla sprovvista e mandò gemiti di disgusto, mentre si toglieva a fatica la maglia zuppa di sudore dell'amico dalla faccia.

 

 

***

 

 

Il corridoio del reparto era sempre angusto e poco confortevole, e Ichigo fu più che sollevata di poter entrare nella stanza di Minto. Dal ritorno sulla superficie i jeweliriani avevano assunto la cultura delle finestre, che inserivano ovunque ci fosse la possibilità, e se non c'era allestivano un affascinante sistema di proiezioni olografiche e di luci, per rendere l'ambiente più confortevole.

La camera di Minto, con le sue pareti bianche, il lettino bianco e le lenzuola bianche, era avvolta in una pallida luce primaverile; una finta finestra si affacciava su un giardino non diverso da quelli alla periferia della città, ordinato e carico di fiori, e Ichigo ebbe l'impressione di sentire lievi cinguettii e frinire di insetti.

« Ciao… »

« Ciao Minto. »

Si accomodò sulla sedia accanto al letto dell'amica, contenta di vederla sveglia. La mora non ne voleva sapere di passare il tempo a dormire, ma in alcuni momenti le se forze l'abbandonavano completamente e lei crollava priva di sensi, anche per lunghe ore.

« Come stai oggi? »

La mewbird sorrise superba:

« Bene. Non è certo un po' di febbre che possa sconvolgermi. »

Ichigo studiò il suo viso pallido, il sudore sotto la frangia e le occhiaie sotto gli occhi stanchi e lucidi; non disse nulla deglutendo a vuoto.

« Sei la solita sempliciotta. Ti agiti per nulla. »

« Tu hai la solita linguaccia. »

Il suo tono ebbe molto meno mordente del solito, ma Minto fece finta di non accorgersene. La faceva sentire meno male il pensiero di non essere così grave come tutti le davano a vedere.

« Ci sono notizie di Zakuro? »

La rossa sospirò costringendosi a non scuotere la testa:

« Pai e Shirogane hanno ristretto ancora l'area di ricerca. – la rassicurò – Manca poco ormai. »

Minto sorrise e si abbandonò sul cuscino, già esausta della chiacchierata. Ichigo spremette tutto il suo coraggio per continuare a sorriderle e le afferrò la mano, gelida al tocco:

« Sono sicura che Zakuro sta bene. »

« Certo che sta bene. – proruppe orgogliosa l'altra – Figurati se quei quattro possono sconfiggerla! »

Ichigo annuì con decisione, ma Minto non se ne accorse perché scivolò senza rumore ancora nel sonno. La mewneko restò tuttavia lì al suo fianco, stringendole la mano.

 

 

***

 

 

Le sue orecchie si tesero udendone i passi quando ancora Toyu si trovava in cima alle scale. Il pelo della coda divenne irto come spine e Zakuro inspirò ed espirò più e più volte, centellinando tutto l'autocontrollo che possedeva.

Quella era una platea dove il pubblico non avrebbe fatto sconti nelle critiche, né le avrebbe concesso seconde possibilità.

Si va in scena.

« Buonasera mio piccolo glicine, siamo più di buon umore? »

« Risparmiami i convenevoli. »

Lui si stupì del suo tono, così astioso e gutturale, e si avvicinò per guardarla; gli fu difficile trattenere un sorriso di puro compiacimento scorgendo i segni umidi sulle guance di lei e le gocce lucenti ai bordi degli occhi.

La specialità della mewwolf erano i sorrisi finti, ma anche con le lacrime aveva una certa abilità.

« Mi sembri giù di corda. »

Lei schioccò la lingua e nascose il viso, proprio come se si vergognasse ad essere scoperta debole e scoraggiata.

« Cosa te ne importa? »

« Molto più di quanto immagini. »

Le voltò con delicatezza la testa per guardarla in faccia e Zakuro lo scacciò scoprendo i canini ferini:

« Smetti di giocare, è insopportabile. »

Ringhiò a bassa voce  e chiese spazientita:

« Cosa diavolo vuoi da me? »

Il ghigno di Toyu fu terribilmente bello e spaventoso, tanto che Zakuro non dovette fingere troppo la paura che le attraversò gli occhio chiari, né il sudore freddo lungo il collo.

« Lo sai, dolcezza. »

Mentre le prese il viso tra le dita, lei si sforzò di non reagire, sgranando gli occhi di terrore; si sforzò per rimanere così, arrabbiata e spaventata, vedendo che il sorriso del biondo diventava più largo, e quando lo avvertì sfiorarle la bocca con la sua domò a viva forza l'impulso di morsicarlo e si contenne a scuotere la testa, indietreggiando:

« No…! »

Toyu esplose in un secondo in una furia violenta e la centrò con un pugno, scaraventandola a terra. Pure la sua tolleranza aveva raggiunto il limite.

La sola cosa che Zakuro non aveva messo in conto.

Non così.

Non con quella forza.

L'orecchio sinistro fischiò forte e il labbro inferiore bruciò spaccandosi, sbattuto contro i suoi denti. Gemette cupa alzando la faccia dal pavimento e sentì il peso del ragazzo su di sé a schiacciarle i fianchi e l'addome, troppo velocemente perché potesse opporsi. Il bacio del biondo fu brusco e violento e un conato le risalì dalla gola all'avvertire quella lingua invaderle la bocca, fin quasi ad impedirle di respirare; dimenò la testa tentando di divincolarsi, nauseata, trovando per miracolo il minuscolo spiraglio che le consentì di aprire la mandibola e azzannare la viscida intrusa.

Toyu cacciò un'imprecazione irripetibile e le agguantò una seconda volta la gola, premendo con forza. Zakuro spalancò la bocca e lo lasciò andare nel tentativo di respirare, e si ritrovò a boccheggiare verso il soffitto con gli occhi sempre più annebbiati e l'acuto dolore della morsa sulla sua trachea.

« Sei una puttanella cocciuta. »

Allentò appena le dita e la mora tossì e ansimò, mezza soffocata, squadrandolo furibonda malgrado lo sguardo ancora velato. Lui si asciugò con divertita superiorità il rivolo di sangue che gli colò sul mento e Zakuro lo fissò minacciosa, a dispetto dello svantaggio: i polsi incatenati e le braccia, bloccate tra la sua schiena e il pavimento, non erano di altra utilità se non renderle insopportabile stare sdraiata, e la forza di Toyu era tale che gli bastava stare a cavalcioni su di lei per impedirle di muoversi; solo le gambe avevano più libertà, ma con le caviglie legate non poteva fare molto.

« Questo gioco può finire molto male, oppure un pochino bene anche per te. – le sussurrò con velenosa dolcezza – Dipende cosa scegli. »

Scoprì i denti candidi e alla mewwolf, sotto l'orgogliosa maschera di forza, gelò il sangue nelle vene.

Toyu serrò le cosce premendo con arroganza la sua virilità contro di lei e replicò divertito ai tentativi furiosi della mora di azzannargli un orecchio chiudendo i canini sul suo collo. Zakuro provò invano a non gridare sentendo la pelle lacerarsi sotto quei baci violenti e rivoltanti, sulla mascella, sulle spalle, sulla gola, disgustata dalla mano che accarezzandola eccitata le graffiava la clavicola, scorrendo sulla pancia e sul fianco.

« Bastardo! Lasci- ah! »

Toyu rise strappandole un lamento mentre le bloccava a terra una spalla, infastidito dal suo dimenarsi, e con orrore della ragazza passò la sua attenzione al di sotto del suo collo; la mano libera risalì infilandosi senza troppe cerimonie sotto la stoffa della sua divisa, facendo contorcere la mora di ribrezzo e di livorosa mortificazione, e lui posò con un'insensata delicatezza il naso sul punto morbido che faceva capolino dallo scollo a cuore.

« Hai lo stesso profumo che immaginavo. »

Stritolò il seno nella mano disegnando sopra l'areola brevi cerchi con l'indice e rise, mentre il tentativo di calciarlo nelle parti basse della mewwolf si risolse con un inutile sgambettare. Alzò la testa gioendo alla furia cieca che leggeva nel suo sguardo umiliato e lucido:

« Vogliamo continuare a modo tuo? »

Lasciò la spalla e scese più in basso tracciando una linea con l'indice dallo sterno alla voglia sotto all'ombelico di Zakuro, che reagì dimenandosi come una tigre in gabbia e ricevendo il braccio di Toyu dritto sul petto; visto dall'esterno sembrava solo che lui tenesse appoggiato gomito e polso sulle sue clavicole, ma Zakuro aveva la sensazione di avere un masso sui polmoni.

« Vuoi continuare a modo tuo. »

Intese. Scese da sopra di lei tenendole ferme le gambe con l'altro braccio e Zakuro lo vide orripilata affondare con il viso sulla sua coscia destra. Urlò di dolore mentre lui le addentava l'interno morbido e sentì il sangue bagnarle la pelle:

« Scusa. – sussurrò – Sei così bella che non riesco a trattenermi, voglio mangiarti da cima a fondo. »

Zakuro scacciò il desiderio bruciante di tentare ancora ad alzarsi e balzargli alla gola, doveva trovare il modo di toglierselo di dosso. Ma la mano sul suo torace e sulle gambe pesavano come macigni, non riusciva a far altro che agitarsi come un pesce fuori dall'acqua.

Cosa faccio?

Il respiro si fece più irregolare e non riuscì a calmare i battiti del suo cuore, nemmeno imponendosi di inspirare più volte.

Cosa faccio?

Cosa faccio?

L'ultimo morso doveva averle esposto la carne viva e un bruciore lancinante le risalì lungo la gamba, facendole strizzare gli occhi.

« Allora, stai cambiando idea? »

Le lasciò le gambe, stravaccandovici sopra con il gomito appoggiato alla pancia di lei. Zakuro lo vide sorridere conquistatore e si rese conto che qualcosa di umido le stava scivolando dall'occhio. Non era paura, ma Toyu doveva essere convinto di ciò; Zakuro sentì di perdere un battito.

Forse poteva ancora vincere.

Lui le accarezzò con l'indice il profilo del ginocchio salendo verso il bacino, e lei mandò un lungo e ostentato gemito gettando il viso di lato, in segno di resa. Toyu s'illuminò trionfante:

« Brava. »

Tolse il peso dal suo petto e Zakuro non si mosse. Si alzò anche dalle sue gambe, e lei restò ferma. Il suo sorriso grondava soddisfazione:

« Sarà molto piacevole, mia cara. »

Le si portò di fronte rimirando la sua figura abbandonata a terra e si leccò le labbra. Le accarezzò ancora le gambe, appagato nel sentirla irrigidirsi infastidita della cosa, ma senza far altro che tremare, e si fermò a giocare annoiato con la corda in fondo alla tibia:

« Questa ora diventa una noia anche per me. – le sfiorò allusivo l'interno della coscia che aveva morso – Che dici? »

Zakuro non diede segno di voler partecipare alla decisione che la fece contrarre nelle spalle e Toyu sospirò, tagliando la corda.

Le orecchie ferine della mora scattarono sull'attenti.

Idiota.

Il tacco dello stivale della ragazza lo raggiunse così di sorpresa che Toyu si lasciò sfuggire solo un uh finendo lungo disteso. Zakuro richiamò ogni grammo di forza rimastole e saltò in piedi con un colpo di reni, un secondo dopo che lui fu a terra, e continuò a colpire.

Erano molto più forti, ma da quanto aveva visto gli Ancestrali si ferivano come tutti loro.

Sfogando tutta se stessa calciò il biondo alla testa, ancora e ancora, finché non lo vide rimanere immobile a rantolare. Non aspettò di controllare se fosse effettivamente fuori combattimento e si lasciò contro l'arco della cella, caracollando nel vuoto senza resistenza e finendo a sbattere contro il muro.

Sobbalzò vedendo il ragazzo alzare il capo, il viso livido, graffiato e contuso, un taglio sul sopracciglio che sanguinava copioso, trascinarsi stordito verso di lei. La sua mano battè inutilmente contro una parete trasparente che non si sarebbe aperta e il suo urlo belluino suonò nulla più che un rantolo, soffocato dalla barriera.

Zakuro riprese a respirare, seppur discretamente; si accucciò a terra e a fatica fece passare i polsi sotto al sedere – quando avrebbe dovuto ringraziare sua madre per tutte le ore di ginnastica artistica, da bambina! – e ancora in parte legata, ma finalmente con le mani servibili, corse via senza più voltarsi indietro.

 

 

 

 

(*) il fuji di Fujiwara significa glicine.

 

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*si rintana dietro uno scudo antiradiazioni* non ammazzatemi…! Vi consola un po' sapere che ho patito pure io? La mia coscienza da fan mi urlava "sei scemaaaa?!?", ma ormai sono troppo abituata a scrivere trame per manga originali çwç"", va contro il mio essere forzare la storia in modo che non accada niente; e visto la situazione, poteva anche finire peggio!

Tutti: questo non ti salverà da una morte lenta  e dolorosa +___+***!!

Hiiiii °-°"!! no vi prego pietà! Per stavolta, domani mi sposo!
BABAM! E’ proprio cosììì! Gente domani mi sposo, ho una fifa boiosa! xD ho corretto il capitolo velocissimo perché non riuscivo a dormire :3
Mi scuso per non aver risposto alle recensioni (sono state settimane impegnative :P) prometto che mi farò perdonare i prossimi giorni, ringrazio tantissimo tutti e vi mando tanti tanti tanti tanti bacini! La futura sposina vi saluta al prossimo aggiornamento ♥


Mata ne~♥ !

Ria

 

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Capitolo 27
*** Toward the crossing: no way road (part II) ***


Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: 
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Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: Non essere indifferente!
Salva anche tu una tastiera da pazzoidi che le massacrano scrivendo come disperate! Non chiudere gli occhi, puoi salvare milioni di vite elettroniche.

 

 

 

 

 

Hahahha, pensavate fossi morta?! E invece noooo! Sono ancora qui!

Tutti: eccecc****!

-.-** mi dispiace tantissimo del ritardo >.<"! purtroppo questo capitolo mi ha dato un sacco di punti di blocco (che fatica ç_ç") e poi ho dovuto risolvere un bel po' di lavoro arretrato… Ho dovuto spostare le precedenze, e la mancanza di ispirazione non ha aiutato :(.

Ora sono di nuovo qui! Pronta per ricominciare a sfornare altro delirio!
Kisshu: ma che bello -.-""…

Se sento un altro po' di sarcasmo ti faccio rompere anche l'altro braccio!

Kisshu: ma perché solo io?!

Ok, in questo cap succede di tutto. Di tutto. Un sacco di legnate xD e spero un bel finale… A dopo, besos!

 

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Cap. 27 – Toward the crossing: no way road (part II)

                 Rescue

 

 

 

 

 

Riuscì a salire le scale del piano interrato e a raggiungere il superiore, correndo alla ricerca di un posto tranquillo dove poter prendere fiato e riflettere. La sua resistenza terminò dopo una decina di metri. Si accasciò contro il muro di un corridoio laterale e diede di stomaco.

I conati non cessarono neppure dopo che ebbe buttato al vento i suoi ultimi magri pasti. Senza fiato si ritrovò ad ansimare piegata in due, scostandosi con mani tremanti le ciocche dal viso madido di sudore freddo; tutto il suo corpo era scosso da brividi e per alcuni minuti riuscì a malapena a stare in piedi. I muscoli urlavano di dolore per le percosse e le strette subite, incuranti del suo desiderio di continuare a muoversi ed avanzare. Avvertì la pelle bruciare dove i denti e le mani di Toyu erano passati. La puzza della sua saliva e del suo sudore le si erano impregnati addosso, come un vestito fradicio di acqua putrida.

Fu scossa da un altro conato e si appoggiò con le mani alla parete, respirando a fondo. Il brivido che provò al contatto dei palmi sudati sul muro spoglio la riscosse un poco.

Calmati.

Si sforzò di drizzare la schiena.

Non era il momento di lasciarsi sconvolgere.

Era solo alla prima tappa del percorso, il difficile l'aspettava da lì in avanti.

Doveva trovare la MewAqua.

Iniziò a mordere le corde ai polsi coi canini da lupo, sfilacciandole finché non fu in grado di romperle, e prese tra le dita il suo pendente. La sua voce le apparve affannosa e roca mentre sussurrava nel microfono:

« Sono qui. »

 

 

***

 

 

I segnalatori presero a risuonare tutti allo stesso tempo come impazziti. Kisshu ed Eyner, che avevano appena messo piede in laboratorio, furono investiti dal fracasso e il bruno si fiondò allo schermo accanto a Ryou, afferrandogli un braccio. Il biondo sorrise:

« L'abbiamo trovata. »

Eyner spalancò gli occhi osservando il puntino luminoso sul monitor e Pai che richiamava tutti al centro ricerche. Si armò del jitte ancor prima che Kisshu riuscisse a formulare le parole per fermarlo e scomparve subito dopo.  

Pai roteò gli occhi seccato:

« Muoviamoci. »

 

 

***

 

 

Zakuro si massaggiò i polsi brucianti  e arrossati dalla corda camminando in silenzio a passo spedito, nel tentativo di orientarsi.

La dimensione appariva come una grotta scavata artificialmente, senza niente altro che corridoi di cui non si scorgeva la fine e scale che non sembravano portare da nessuna parte.

Le pareti erano rugose e friabili, ma non c'era pietra che Zakuro ricordasse aver mai visto di un simile colore o di una tale consistenza; non aveva alcun odore, né aveva una particolare temperatura come il marmo. Passeggiando tra di esse non si avvertiva aria, né correnti che facessero intuire aperture o condotti nei corridoi, e non c'era alcun sentore di umidità o di luce per capire dove fosse il sopra e il sotto, o se ci fosse un fuori e un sopra. La dimensione era solo una sfera chiusa senza un preciso punto di inizio o fine, ma del resto gli alieni non avevano bisogno di porte per entrare da qualche parte.

La mewwolf cercò di concentrarsi, forse il suo corpo avrebbe reagito in maniera tempestiva alla Goccia e avrebbe avuto una bussola per orientarsi.  La cosa, come temeva, non funzionò, ma uno dei passaggi alla sua sinistra le parve meno angusto. L'impressione era di un corridoio principale con una funzione particolare o preminente, creato con una cura scrupolosa. La mora studiò il pavimento, più pulito rispetto al resto, segno che veniva percorso spesso, e tese le orecchie: nessun rumore, nessuna voce, nessun movimento.

Imboccò il corridoio rapidamente e sorrise di soddisfazione percorrendolo tutto in poche falcate.

Di fronte a lei si allargò una parete liscia e perfetta del colore del ghiaccio, in cui vide vagamente il proprio riflesso. Fece un passo avanti e subito dopo indietreggiò, pronta a colpire.

Un trono reclinato si ergeva di fronte alla parete, e qualcuno ci era steso sopra.

Arashi dormiva in una capsula scoperta, piccole sonde nelle vene dei polsi e della gola. Zakuro si accucciò a terra quasi a quattro zampe, guardinga, la sua arma nella mano, e si avvicinò con la massima circospezione pronta a combattere; silenziosa come un'ombra si accostò alla capsula fin al punto in cui chiunque avrebbe finito per accorgersi di lei. Arashi non si svegliò, né sembrò in grado di farlo nell'immediato futuro: il suo respiro regolare era flebilissimo, quasi inesistente, e il volto pallido era rilassato e freddo come quello di un cadavere.

Zakuro si arrischiò a tirarsi dritta e si avvicinò alla parete.

Fece un passo e si arrestò, non aveva motivo di avvicinarsi a quella cosa, eppure prese un lento respiro e fece un altro passo fin quasi a toccarla.

Non seppe bene spiegare il motivo, ma doveva toccarla.

Posò con attenzione le dita sul muro. Era al contempo arroventato e gelido e così liscio da ricordare più la seta del ghiaccio o del vetro: Zakuro l'accarezzò con il garbo riservato ad una scultura di cristallo, studiando rapita i riflessi e le crepe delle lastre oltre la superficie.

Restò così alcuni minuti senza sapere perché. Non vi erano tracce del Dono e la ragione le disse di proseguire, eppure rimase ferma.

Avvertiva qualcosa. Un lieve brivido sulla pelle, la sensazione di essere osservata. E attese.

Scorse un'ombra con la coda dell'occhio e sussultò, schioccando la frusta. Non vide nessuno e Arashi non si era mosso; fu una macchia scura che si delineò oltre la parete e le si avvicinò con lentezza: era una sagoma confusa, distorta, e molto vaga, ma Zakuro riconobbe l'abito blu e l'oro dei capelli sulla pelle diafana.

« Ao No Kishi. »

La figura si mosse e lei intuì le stesse chiedendo di tacere. Soffocò il mite sussurro che aveva formulato e lo guardò sospettosa fare vaghi cenni con la mano, allungando e ritraendo il braccio.

Seguimi.

L'ombra tremò e ricomparve dalla parte opposta della stanza. Restò ferma e ripetè il gesto del braccio.

Zakuro lo studiò corrucciata, minacciandolo con lo sguardo di non provare a prenderla in giro; lo seguì con la frusta ben in mostra lungo il fianco, pronta a colpire la parete e mandarla in frantumi se necessario. Il muro di vetro svoltò a destra in un minuscolo corridoio, invisibile a chi non conoscesse il posto, e Ao No Kishi guidò la mora attraverso di esso; sprazzi della sua immagine rimbalzarono sulle pareti a destra e a sinistra come pulsazioni di un faro.

Il passaggio si aprì in un angusto ambiente circolare, le pareti sempre di ghiaccio: al suo centro un minuscolo altare molto semplice reggeva una bacinella di acqua limpida, che zampillava senza alcun dispositivo meccanico o di pompaggio creando un sottile anello guizzante; e sopra di esso, a ruotare in circolo, fluttuavano le Gocce di MewAqua.

Zakuro si concesse di esultare sottovoce e afferrò la boccetta nella sua tasca. Le piccole sfere luminose vibrarono bruscamente quando lei tolse il tappo, compirono ancora un giro e poi sfuggirono dall'altare come meteoriti da un campo gravitazionale, precipitando nel collo del contenitore. Zakuro sentì l'ampolla agitarsi in modo incontrollato tra le sue mani; dovette tenerla a forza nel taschino dei pantaloncini e temette che le sarebbe esplosa una bomba di frammenti fra le dita, mentre tratteneva a fatica il piccolo terremoto sotto la stoffa.

Rimase immobile con il palmo stretto sulla tasca. Il respiro pesante si acquietò dopo lunghi minuti, ma le orecchie non smisero di fischiare sommessamente.

Era fatta.

Ci era riuscita.

Posò la fronte contro la parete e si rese conto di averla bollente. Voleva restare lì ancora per un po', finché la sua pelle non avesse ripreso una temperatura normale e quel fischio fosse scomparso.

Non puoi. Muoviti.

Avvertì un capogiro vigoroso alzandosi e trattenne un conato.

Forza.

Doveva ancora trovare la Chiave, qualunque cosa fosse.

Ora vattene.

Vattene.

Non comprese subito il tono allarmato di Ao No Kishi. Sollevò lo sguardo confusa e non riuscì più ad intuire il volto di lui dietro la parete trasparente.

Scappa. Adesso.

La sua voce e la sua immagine svanirono come una bolla di sapone. Zakuro scorse il vuoto e poi, impallidendo, un'ombra ben più nitida stagliarsi di fronte a sé; ne percepì la potenza e la rabbia appena oltre la barriera di vetro e l'aria le evaporò dai polmoni.

« Ridam… melo… »

La figura emaciata, nuda, avvolta da lunghissimi capelli color pece, protese le mani scheletriche verso di lei fulminandola con occhi azzurro veleno.

L'urlo di Deep Blue tuonò stridulo e potente attraverso le pareti strette:

« Ridammi… Il mio… Dono! »

 

 

***

 

 

Maledette quelle celle inutili.

Maledette le barriere di Lindèvi così efficienti.

Maledetta quella bastarda di ragazza lupo.

Toyu di rado dava sfogo a tutto il suo potere. Era conscio dell'instabilità che il Risveglio aveva portato in lui, almeno su quel versante, e trovava assolutamente inopportuno imbufalirsi, sbraitare e dimenarsi come la bestia che era Zizi, senza il minimo ritegno a distruggere tutto come uno schiacciasassi impazzito.

Era decisamente l'ora che la sua buona creanza se ne andasse alle ortiche.

Caricò contro la barriera un destro tale che questa prese ad espandersi in fuori come della plastica al fuoco, tendendosi in una bolla per poi cedere frantumandosi all'improvviso con uno scoppio fragoroso. Il grido di frustrazione del biondo riecheggiò per le celle e con sguardo allucinato sbraitò più forte:

« Dove sei… Dove sei?! »

Non ci fu risposta, ma percepì appena in tempo qualcuno teletrasportarsi alle sue spalle e il sibilo di una lama contro la sua testa. Si spostò quel tanto per evitare la punta arroventata del jitte sul suo occipitale e la fiammata che invase il corridoio.

« Dov'è Zakuro?! »

L'espressione furente di Eyner avrebbe gelato le più temerarie intenzioni, eppure Toyu si limitò a sogghignare:

« Strano, mi stavo chiedendo la stessa cosa. »

 

 

 

« Eyner! Dove sei?! »

« Lascia perdere Taruto – lo fermò Pai – sarà qui attorno. Non fare tanto chiasso, quei quattro non hanno bisogno che suoni le trombe per annunciarci. »

Il brunetto sbuffò seccato. Pai si guardò attorno brandendo il suo ventaglio con fare minaccioso, il luogo gli dava i brividi: non riusciva a capire l'esatta conformazione della dimensione ed era difficile orientarsi, come se i suoi sensi fossero ottenebrati. Vista la situazione, gli parve meno sorprendente – ma ugualmente irritante – che si fossero teletrasportati nella medesima dimensione tutti assieme, ma in luoghi diversi. C'era da chiedersi quanto fossero arrivati lontano da Eyner, o quanto vicini si trovassero a Zakuro.

Su che razza di energia è plasmato questo posto?

« Dobbiamo trovare Zakuro! – proruppe Ichigo correndo sul pavimento irregolare – E raggiungere Eyner, subito! »

Si scambiò un'occhiata con Retasu e Purin, che sorrisero, e tutte e tre scattarono nel corridoio senza voltarsi indietro.

 

 

 

Zakuro corse a tutta velocità indietro nel corridoio e curvò a gomito nella stanza dove riposava Arashi. Non contemplò neppure l'idea di controllare se si fosse svegliato o meno, e accelerò il passo traballante avvertendo la voce di Deep Blue, distorta e stridula, un millimetro più distante da sé.

Il tacco le scivolò su un sassolino e lei, stremata, andò a sbattere contro la parete mandando un lamento sordo. Il suo ciondolo gracchiava con difficoltà; non sapeva se gli altri l'avessero raggiunta o meno, ma non poteva aspettarli oltre: il pianto furioso di Deep Blue avrebbe di certo attirato i suoi servi, doveva trovare una via d'uscita.

Si spinse in piedi con entrambe le braccia e caracollando tornò nel corridoio principale da cui era arrivata. Puntò con decisione dalla parte opposta, incapace di stabilire se si stesse dirigendo nel ventre del nemico o verso la salvezza, e ancor prima che la sua mente razionalizzasse il gesto istintivo il braccio aveva già fatto schioccare la frusta parando una scudisciata dei fili metallici di Lindèvi.

Merda.

« E tu dove vorresti andare, miss gambe-lunghe? »

 

***

 

 

« Ti ho fatto una domanda. »

« Io ti ho risposto. »

Eyner fece una smorfia e strinse più saldamente il manico del jitte, ruotandolo sul polso con aria minacciosa:

« Dimmi dov'è. »

Il volto del biondo si deformò in un sorriso. Rise piano scuotendo la testa:

« Scusa, ma la tua faccia così disperata è troppo soddisfacente. »

Il bruno spalancò gli occhi furenti e affondò. Toyu schivò il colpo scostandosi di lato e replicò la gentilezza dell'altro incrociando il fioretto con il jitte; sorrise ancora e brevi e potenti scintille pallide guizzarono sulla lama avvolgendo l'arma e il braccio di Eyner, che fu costretto a retrocedere trattenendo un lamento secco.

« Non so dove sia la tua puttanella. »

Sibilò continuando a sorridere, tracciando cerchi di fulmini con la punta della spada:

« Ma tu ti fermi qui. »

 

 

***

 

 

Ogni contraccolpo sull'elsa le vibrava lungo il braccio con la violenza di una fucilata. Zakuro restò ferma, caparbia nonostante le perle lucide di sudori freddi che le scendevano fino alla zigomo e i dolori che il suo corpo non tollerava più; evitò la lama di Lindèvi diretta alla sua gola e parò un'altra sferzata dei fili d'acciaio, mordendosi l'interno di una guancia perché neppure un lamento uscisse.

« Che brutta cera che hai. »

Scoccò un'occhiata di poca sopportazione verso la bionda e balzò oltre il suo raggio d'azione correndo lungo l'ennesimo corridoio.

« Scappare non ti servirà, cagnolino! »

Lo sapeva bene anche lei, ma aumentò la falcata.

« Tanto ti prendo! »

« Su questo avrei da ridire. »

Ruotò su se stessa facendo compiere un ampio arco alla frusta e sbarrando la strada a Lindèvi; velocemente fece ruotare l'arma in su e in giù, impedendo ogni movimento dell'aliena che non fosse il difendersi, e quella non sembrò apprezzare la fatica a cui era costretta. Ritrasse il braccio bruscamente e lo spinse in avanti, spalancando le dita. L'impatto dei cavi metallici fu improvviso e violento e Zakuro fu sbalzata indietro finendo di schiena contro una parete, che andava a restringere il passaggio: un gemito sordo esploso sulle sue labbra si affievolì lentamente, mentre lei si inginocchiava a terra; la frusta, perduta, giaceva a dieci metri dalla sua mano, sotto il tacco di Lindèvi.

La ragazza si aggiustò un ciuffo attorno al viso e sorrise, una feroce rabbia che le accendeva le iridi azzurre:

« Hai qualcosa che non ti appartiene. – sibilò carezzevole – Ridammi il Dono. Adesso. »

Zakuro rispose squadrandola con fare di sfida. Lindèvi premette con tutto il proprio peso sul manico della frusta e la mewwolf sentì il secco rumore di un'incrinatura prima che l'altra riprendesse ad avanzare, il guanto dai lunghi artigli alto e minaccioso:

« Come preferisci. »

Tese l'indice all'indietro pronta a scoccare. Prima che muovesse solo un'altra falange, una macchia gialla e urlante le si sfracellò addosso scagliandola come un proiettile dal punto da cui era provenuta.

« Onee-chan! Stai bene?! »

La mewwolf guardò MewPurin senza rispondere. Due prese gentili l'aiutarono a mettersi dritta e incrociò lo sguardo umido di MewRetasu intanto che la mano guantata di MewIchigo le sfiorava il volto per controllare il suo stato di salute. La mora non disse nulla: la tensione che l'aveva retta fino a quell'istante era scesa all'improvviso con il contrattacco di Purin e dovette utilizzare le energie rimaste per non crollare sulle gambe, a discapito della sua attenzione verso le azioni o i discorsi delle ragazze e della sua capacità di replica.

« Questo deve fare male. »

Le sussurrò la mewscimmia preoccupata; le sfiorò la guancia e Zakuro voltò la testa soffiando tra i denti al contatto delle sue piccole dita con il brutto taglio sulla gota.

« Scusa. »

« Che ti hanno fatto? »

Chiese angosciata, forse per la terza o quarta volta, Ichigo senza attendere risposta.

« Sei sola? – mormorò Retasu guardandosi attorno ansiosa – Non hai visto Eyner? »

« Come…? »

Prima che la mora potesse formulare altro, Ichigo la tirò per un braccio e tutte e quattro saltarono di lato. Il sibilo dei fili metallici che sfregiò la roccia lo sentirono risuonare fin nelle ossa.

« Maledetta mocciosa…! »

Appena l'ombra di Lindèvi comparve di fronte a loro il Lettuce Rush la investì: le tre soccorritrici colsero l'occasione, presero Zakuro a braccetto e fecero dietrofront verso gli altri, ma Zizi tagliò loro la strada ridendo a pieni polmoni; la mewwolf sentì Ichigo stringere le dita attorno al suo gomito.

Zizi non parve disposto a divagare in convenevoli e si lanciò contro le terrestri. Tutto l'impeto però si sciolse balbettanti imprecazioni strozzate e in un lamento fioco, mentre un tronco verde sbucò per incanto dalla parete schiantando il biondo sul lato opposto del corridoio. Taruto lanciò i suoi pugnali tranciando i fili dell'arma di Lindèvi e subito generò dei chimeri pianta che riuscissero a trattenerla almeno per un po'; Pai puntò il ventaglio verso Zizi, ancora incastrato tra il tronco e la parete rocciosa a bestemmiare.

« Ce l'hai? »

Al lieve cenno di Zakuro il moro rilassò appena le spalle e indicò le quattro ragazze al fratello:

« Andiamo. »

« …Eyner. »

La lapidaria constatazione della mewwolf, che lo studiò cupa, ricevette un'occhiata altrettanto seccata:

« Non abbiamo… »

S'interruppe e ruotò il ventaglio di novanta gradi bloccando il colpo di Zizi con una scarica elettrica dirompente; le scintille serpeggiarono sul soffitto e sul pavimento incuranti di chi o cosa incrociassero e Purin gettò un grido, tenendosi la punta della coda bruciacchiata dall'elettricità.

« Se la sa cavare. Gli invieremo un segnale. »

« Oh, non dirai sul serio! »

« Non c'è molto tempo. »

Fece Taruto a malincuore, conscio dell'urgenza e di non poter trattenere Lindèvi oltre. Con sua sorpresa fu Retasu, lasciando brusca il braccio di Zakuro, a fronteggiare Pai:

« Non lo lasceremo qui! Ora lo andremo a cercare e andremo via tutti assieme, punto e basta! »

Sbottò guardandolo fisso. Lui ricambiò con l'aria severa e inflessibile del soldato di cui pareva essere emblema vivente, ma la verde non si smosse di un millimetro: il labbro stretto e gli occhi adombrati restò immobile a testa alta e fu chiaro come il sole che se non avesse voluto lui, loro sarebbero andate comunque. Pai contrasse la mascella:

« Siete delle… »

Retasu lo vide abbassarsi di colpo e contemporaneamente posarle una mano sulla nuca costringendo anche lei a chinarsi, mentre i chimeri pianta di Taruto sibilavano sopra le loro teste sfracellandosi poco oltre. Ichigo avvertì un paio di rami sfiorarle la coda e le pietre del pavimento graffiarle la scollatura, e con la coda dell'occhio intravide la capigliatura bionda di Zizi; fu solo una frazione di secondo, e prima che reagisse in alcun modo una mano le cinse il polso e lei avvertì la pressione sullo stomaco e la terra mancarle da sotto i piedi. Teletrasporto.

L'atterraggio non fu uno dei peggiori della sua vita, ma la caduta sulle ginocchia bastò ad Ichigo per ritrovarsi a quattro zampe con la testa che girava, incapace di sapere perfino da che parte fosse rivolta. Sentì Taruto chiedere a Purin se stava bene e la ragazzina rispondere di sì, poi lui imprecò a bassa voce e lei capì che non c'era nessun altro con loro nella stanza.

« Dove sono gli altri? »

Taruto scosse la testa:

« Questa dimensione è strana, ho perso Pai a metà passaggio – spiegò – non so se… »

La sua voce si spense in un pigolio. Ichigo si rese conto di avere una grossa struttura vicino alla spalla destra e si alzò lentamente, scorgendo a poco a poco la sagoma di un uomo e poi il volto di Arashi, teso e con gli occhi spalancati e vitrei. Che la fissava immobile.

La rossa non riuscì a muoversi, temendo che il minimo respiro avrebbe scatenato qualcosa di irreparabile. Azzardò dopo secondi interminabili muovere mezzo passo indietro e Arashi scattò a sedere come una molla, afferrandole il polso. Non emise un suono, gli occhi carichi di odio fuori dalle orbite e i denti stretti che colavano saliva, e Ichigo strillò con quanto fiato aveva. Spinse, picchiò e morse l'artiglio pallido che le stava rendendo insensibili le dita, ma Arashi non cedette per quanto lei si sforzasse o urlasse. Poi ci fu un sibilo e con uno squittio Ichigo vide uno dei coltelli di Taruto ficcarsi da parte a parte nel polso del biondo, recidendogli di netto i tendini; la mano di Arashi si afflosciò come quella di un burattino senza fili. Ichigo cadde all'indietro vittima della sua stessa spinta e Arashi scostò il braccio dall'appendice ormai inservibile; si sollevò lentamente in piedi continuando a guardarla folle. La rossa vide la sua faccia attraversata da uno strano baluginio, quasi un riflesso di luce sull'acqua, e i tratti divennero quelli di Deep Blue.

I tre presenti restarono immobili, attoniti: Ichigo avrebbe voluto continuare a gridare, o chiudere gli occhi per non vedere, ma le iridi rosate puntavano come calamite sul volto di Arashi che diventava a poco a poco quello del suo peggior incubo, poi tornava quello dell'Ancestrale, e infine diventava un'indefinita miscela dei due.

« Dov'è…?! Dov'è…?! »

« Ichigo, alzati… Dobbiamo andarcene…! »

L'esortazione di Taruto fu appena un sussurro e nemmeno lui si mosse alle proprie parole. Rimasero tutti in un attimo sospeso per secondi, minuti, forse ore, Purin e Taruto pronti a fuggire eppure con i piedi saldati al pavimento, Ichigo a terra e Arashi in piedi di fronte al suo trono con il respiro pesante e le labbra strette.

All'improvviso l'Ancestrale emise un ringhio ferino e si allungò verso la rossa pronto a ghermirle la gola. Lei riuscì appena a reagire frapponendo tra loro la sua arma e chiuse gli occhi, preparata ad un impatto che non avvenne. Alzò lo sguardo e vide l'uomo immobile e tremante, che tentava invano di raggiungerla restando invece immobile, teso in avanti, trattenuto da qualcosa che non riusciva a vedere.

La mewneko scorse un tremito dell'aria e apparvero due braccia invisibili oltre le quali poteva vedere il muro dall'altra parte, che tenevano Arashi per il torace.

La pallida ragazza dai capelli biondi che aveva visto giorni prima si materializzò in un impalpabile velo che bloccava il biondo. Sollevò appena il volto magro con occhi stanchi e spaventati:

« Scappa. »

Arashi gridò di nuovo mentre la ragazza evanescente diede uno strattone indietro prima di scomparire: Arashi sussultò alla spinta e le sue urla si arrestarono. Gli occhi azzurri si rovesciarono, e lui crollò pesantemente sullo scranno, la testa ciondoloni e il polso con ancora la lama argentea conficcata dentro, inerme oltre il bordo.

Nessuno osò fiatare. Purin mandò un lungo respiro misto ad un'esclamazione non definita, saltò in piedi e afferrò Ichigo e Taruto per le braccia, correndo nel corridoio. Lui la seguì lesto, non provando neppure a teletrasportarsi nel timore di dove sarebbero potuti finire; Ichigo arrancò dietro di loro strattonata dalla biondina, le iridi cerulee della figura trasparente scolpite negli occhi.

« Andiamo! »

Purin le lasciò il braccio e Ichigo arrancò indietro. Il campanellino sulla sua coda tintinnò rassicurante e lei riprese un passo spedito, raggiungendo i due nella loro corsa alla cieca.

 

 

***

 

 

Ogni colpo tra Eyner e Toyu generava scintille e fiamme che sprizzavano attorno ai due; Eyner avvertiva il calore delle vampe con troppa intensità in quello spazio angusto e le faville del fioretto gli ustionavano la pelle a piccoli bocconi, ma insisté a pressare Toyu con rabbia. Il biondo sembrava resistergli con difficoltà ed Eyner si era accorto del suo volto tumefatto e del rivolo amaranto che gli colava dietro l'orecchio sinistro e sul collo, eppure l'Ancestrale gli sorrise malizioso e soave come se stesse chiacchierando con un amico:

« Mi sembri suscettibile oggi. La tua amica deve averti preso parecchio. »

Scartò di lato un affondo che per poco non si portò via metà del suo fegato e il suo sorriso divenne ancora più largo e feroce. Eyner era come un libro aperto e ogni singola riga portava il nome della mewwolf: giocare con la sua frustrazione e la sua inquietudine era fin troppo facile. E maledettamente divertente.

« Ci hai messo un po' a venirtela a prendere. »

« Chiudi quella fogna. »

« Oh, non volevo rimproverarti! – lo rassicurò – Tranquillo, non si è annoiata. »

L'affondo alla spalla di Toyu da parte del bruno mancò il bersaglio di parecchi centimetri. Eyner vacillò goffamente in avanti per qualche metro, esaminando Toyu con sguardo atterrito e il viso di colpo pallido; quello assunse l'espressione di un predatore:

« Mi ha fatto sudare all'inizio. – disse piano agitando allusivo la spada, e ridacchiò tra sé – Anche dopo a dire il vero. »

Eyner aveva smesso di attaccarlo. Lo fissava con il jitte nella mano, mascella a mezz'asta e gli occhi grigio-blu spalancati, come se non volesse rendersi conto di quanto gli sentiva uscire dalla bocca. Toyu si leccò le labbra con crudele soddisfazione:

« Sentirla piangere era così eccitante che avrei continuato all'infinito. »

« Figlio di puttana! »

Gli balzò contro e una vampata di fiamme bianche esplose nel corridoio come un lampo.

 

 

***

 

 

Zakuro avvertì la fastidiosa sensazione del teletrasporto che la sollevava e la teneva sospesa, mentre le saliva in bocca un gusto acido e le orecchie si tappavano per il cambio di pressione; le era impossibile capire come gli alieni lo usassero per spostarsi quotidianamente. La tortura terminò in un battito di ciglia, ma lei era molto più stanca di quanto potesse ammettere e si lasciò appoggiare alla parete, sforzandosi solo di restare in piedi. Vide Retasu di fronte a lei, agitata, cercando gli altri e chiedendo inutilmente a Pai dove fossero. La verde si tenne le mani sul viso cereo e si azzittì all'improvviso: anche la mewwolf udì il cupo rimbombo che vibrò poco lontano e dovette coprirsi il viso con le mani, nel momento in cui una vampa di fiamme bianche fece capolino e si ritrasse da un piccolo corridoio laterale. Retasu sospirò di sollievo:

« Eyner-san! »

« Ferma. »

La verde fulminò Pai con severità e fece per scostargli la mano che le aveva cinto il braccio. Sul viso serio di lui però non scorse rimprovero, solo una sincera preoccupazione mentre teneva gli occhi fissi sulle ultime fiammelle che svaporavano attorno alla pietra.

« Fiamme bianche. – si rivolse più a se stesso che a lei – Non avvicinatevi. »

Anche le sue ultime parole parvero più una richiesta che un ordine. Retasu, confusa, annuì scostando il braccio con delicatezza. Zakuro cercò di capire, ma ormai il suo fisico reclamava pace e si resse a viva forza alla parete senza porre domanda alcuna; Retasu le corse accanto passandosi un suo braccio attorno alle spalle per sorreggerla, e dopo guardò Pai che si avvicinò con cautela al corridoio.

Ci fu un'altra vampa. Pai creò uno scudo di ghiaccio che si sciolse in lacrime di vapore e vide una massa indefinita sbucare dal passaggio avvolta nelle fiamme accecanti. Toyu si mosse sul pavimento rantolando, il corpo che fumava e gli abiti bruciacchiati, ed Eyner lo seguì un istante dopo. Rimase in piedi sulla soglia del corridoio, il fiato grosso e il viso contratto in una smorfia di rabbia, e guardò la sua arma: le fiamme lattescenti danzavano ancora sul filo, e lui schioccò la lingua offeso da se stesso; scostò il braccio e il jitte tornò una comune e fredda sbarra di metallo.

« Devi andarci piano, con quello. »

A sentire la voce di Pai il bruno alzò la testa come un gatto sorpreso da un rumore nuovo; lo fissò sforzandosi di calmarsi e scorse l'espressione sollevata di Retasu, che contraccambiò con un lieve cenno. Il timido tentativo divenne per un momento un vero sorriso quando si accorse che la verde stava sostenendo Zakuro, ma appena incrociò il suo sguardo zaffiro s'incupì in volto.

Si voltò come incapace di posare gli occhi su di lei, squadrando Toyu con odio.

« Ce l'abbiamo. »

Lo fermò Pai afferrandogli una spalla. Eyner sembrò pronto a elargirgli il destro che gli aveva risparmiato giorni prima, il moro però continuò:

« Cerchiamo gli altri e andiamocene. »

Il bruno annuì a labbra strette.

Si udì un lamento rasposo e Toyu si tirò su pronto a fermarli  sproloquiando con una delle sue frasi pungenti, ma gli morirono di colpo le parole in gola.

Il fioretto gli cadde dalle dita.

Il giovane si studiò la mano, terrorizzato, e iniziò ad accarezzarsi il viso diventando color della calce.

Eyner e Pai videro svanire la forma dell'Ancestrale e tornare quella del soldato che conoscevano: lo stesso bel viso era segnato da brutte cicatrici, come i palmi delle mani, e occhi pervinca sbirciavano orripilati i ciuffi castani attorno al viso.

La cosa non durò che pochi istanti e Toyu riprese i capelli biondi e gli occhi azzurri. Si tastò ancora il volto, angosciato, e si voltò adagio verso il gruppetto. Il suo sguardo s'incendiò di odio e puntò il dito contro Zakuro:

« Tu…! »

Ichigo e gli altri sbucarono da un angolo nello stesso momento in cui lui si avventò sui primi quattro. Una coltre di saette si frappose fra il biondo e le sue prede appena prima che loro scomparissero: l'ultimo suono che Ichigo sentì mentre si teletrasportarono fu l'urlo inferocito del ragazzo che gli ordinava di restituire il Dono, e poi fu tutto nero.

 

 

 

Spuntarono in una stanza del laboratorio che nessuna delle terrestri aveva mai visto. Riconobbero l'arredamento meccanico e spartano in un ambiente spazioso, illuminato da una grata che girava in tondo lungo il soffitto a cupola, affacciato verso il cielo; teche vuote e marchingegni in stato di abbandono tappezzavano le pareti, e due porte che collegavano la stanza al resto della struttura: MoiMoi, che fece capolino subito dopo il loro arrivo, faticò non poco ad aprire la porta che conduceva alle sale inferiori, litigando con un mucchio di tubi e con un piedistallo d'acciaio con un lato squarciato che occludevano l'apertura.

« Che gli dei mi aiutino…! Come accidenti…?!? »

Il violetto aveva l'espressione stravolta e due occhiaie così grosse da sembrare disegnate. Inciampò in un tubo, arrancò un paio di metri e si gettò al collo di Zakuro prendendole il viso tra le mani e girandoglielo da tutte le parti; non faceva che farfugliare frasi di sollievo alternandole a lamenti angosciati per ogni graffio che individuava sulla ragazza, guardando Pai in tralice per ricevere spiegazioni che lui non si disturbò a dare.

« Sto bene. – cercò di rassicurare la mewwolf – È tutto a posto, davvero. »

« Non si direbbe proprio. »

Il tono aspro di Eyner mal di addiceva alla sua espressione da cane bastonato.

Zakuro sollevò la testa punta sul vivo dal celato rimprovero, forse più di quanto si aspettasse, e lo scrutò dritto negli occhi con aria torva; Eyner scostò lo sguardo stringendo le labbra in una linea dritta.

« Hai qualcosa da dire? Allora dilla e basta. »

Nessuno intervenne con un fiato. Retasu studiò Eyner, gli scorgeva in volto una collera cupa e un enorme sollievo, e qualcosa di terribilmente simile al senso di colpa che gli rendeva impossibile affrontare a viso aperto la mewwolf per più di cinque secondi.

« A parte che sei stata un'incosciente? »

Zakuro strinse i pugni e sibilò:

« Non l'ho chiesto io. »

« Tu sei voluta restare là. »

Sbottò in un soffio avanzando di un passo verso di lei. Zakuro incassò l'accusa serrando la mascella e lo squadrò con occhi torbidi:

« Nessuno ti ha chiesto di venirmi a riprendere. »

« Zakuro-chan! »

Eyner rimase pietrificato, e Retasu gli vide il poco colore rimasto svanire dal volto; lui aggrottò la fronte, deglutendo, la stessa faccia di chi fosse appena stato preso a pugni:

« Già. Hai ragione. Non sono affari miei. »

Imboccò spedito il corridoio da cui era arrivato MoiMoi senza dire un'altra parola. Fu una delle rare volte nella sua vita in cui Zakuro, vedendolo sparire oltre la porta, si pentì di aver dato fiato alla bocca.

Il silenzio che scese nella stanza era vischioso come gelatina. Pai, troppo stanco per rimproverare chicchessia o dire anche solo di non perdersi in discorsi inutili in quel momento, si voltò verso Zakuro porgendole la mano; lei lo studiò in silenzio e gli passò l'ampolla con il Dono, che il moro contemplò con una certa ammirazione:

« Quando decidi una cosa è quella. »

Doveva essere un complimento. Zakuro si limitò ad annuire con scarsa energia.

MoiMoi mise una mano sul braccio del ragazzo, gli fece un cenno e lui si teletrasportò via. Taruto fissò qualche secondo il violetto e le ragazze, l'espressione confusa e piena di domande che era troppo frastornato per formulare; si fermò su Ichigo che scosse la testa:

« Ne parliamo… Tra un po', uh? »

Lei e Purin si scambiarono un timido cenno d'intesa e il brunetto sbuffò, sparendo anche lui, non seppero se per andare ad aiutare Pai o per cercare Eyner. Subito dopo la porta, un po' liberata dagli ingombri, si aprì di nuovo e Ryou si affacciò con troppo entusiasmo nella stanza. Ichigo lo vide sospirare sollevato verso Zakuro e poi rivolgerle un accenno di sorriso, che lei nonostante tutto non riuscì ad evitare di ricambiare, seppur lievemente.

« Ora tu te ne vai di corsa all'ospedale. »

Sentenziò di colpo MoiMoi nell'assenza di rumore, puntando l'indice sul naso della mewwolf:

« Devi farti visitare. »

Lei sembrò sul punto di annuire. Restò con le labbra socchiuse e guardò le amiche preoccupata:

« Dov'è Minto? »

 

 

 

Entrò nella stanza candida in punta di piedi, le iridi zaffiro piantate sulla sagoma di Minto che si intravedeva sotto il lenzuolo. La morettina dormiva e non si rese conto dell'arrivo della senpai finché questa, sedutasi con garbo sulla sedia accanto al letto, non le prese la mano e la chiamò piano:

« Minto? »

La mewbird aprì gli occhi con un lamento. Sbattè le palpebre diverse volte prima di focalizzare chi l'avesse chiamata e allora, risplendendo in volto, si tirò a sedere gettando le braccia al collo della mewwolf con un singhiozzo:

« Onee-sama! Stia bene! »

« Certo. »

Mentì lei, trattenendo stoicamente il lamento generato dall'impeto della mewbird contro i suoi lividi.

« Quando sei tornata? Cosa ti hanno fatto? – gemette guardandole il volto – Il tuo viso! Kami-sama, come hanno potuto…?! »

« Calmati. »

La blandì lei con un sorrisino. La mora obbedì e Zakuro avvertì salire il groppo alla gola notando come quel piccolo sfogo l'avesse sfinita.

« Io sto benissimo. »

Insisté. Minto annuì sorridendole, la testa riversa sul cuscino e le palpebre basse che faceva già fatica a tenere aperte.

« Sei tu quella che ora mi preoccupa. »

« MoiMoi-chan e Lasa-san troveranno la soluzione. – disse convinta la mewbird – Ho solo bisogno di una piccola vacanza. »

« Sì. In effetti tendi a strapazzarti. »

La canzonò. Minto ridacchiò, una nota d'ansia nella voce, e si riaddormentò lentamente stringendo la mano della mora.

Zakuro uscì in silenzio. Nel corridoio c'erano solo Ryou, le braccia conserte e la schiena contro la parete, e MoiMoi con le mani al petto e l'aria afflitta:

« È difficile trovare la giusta combinazione chimica per neutralizzare quel veleno – spiegò a bassa voce – ma abbiamo ancora tante opzioni davanti. Deve solo resistere. »

Si morse il labbro e Zakuro gli strinse la spalla con fare confortante:

« Risolveremo. Risolverai; ne sono certa. »

« Per il momento, dovresti pensare a te stessa. »

Lei sollevò appena lo sguardo verso Ryou; non aveva voluto che le ragazze l'accompagnassero fin lì per evitare le loro soffocanti premure, se il biondo le sostituiva era un problema. Il ragazzo la fissò intensamente, apparentemente pacato, consapevole che lei gli leggesse con chiarezza ogni pensiero nella più piccola ruga del viso.

« Non ho bisogno di visite. »

Sentenziò alla fine allusiva. Lui non cedette. MoiMoi tossicchiò:

« Se vuoi, noi andiamo via… »

« Sul serio. »

Fece la mewwolf con tono più secco. MoiMoi si ritrasse un poco temendo di aver detto più di quanto gli fosse permesso e lei gli sorrise affabile:

« Davvero. Sto bene. Se vuoi – gli concesse – Posso farmi controllare la testa. Toyu e compagnia hanno una certa mira. »

« Non me lo ricordare. »

Le sorrise sghembo, massaggiandosi le costole pensando al destro di Zizi:

« Buona idea. »

« Solo quello. – precisò Zakuro con tono più leggero – Cerotti e bende so mettermeli da sola. »

Lui annuì ancora, non del tutto convinto che gli avesse detto tutto ma sicuro che non avrebbe detto altro; si scambiò un'occhiata con Ryou che fece spallucce.

Zakuro si lasciò visitare sommariamente da uno dei medici di turno del pronto soccorso, che rassicurò che tanto la testa della ragazza quanto il resto non necessitassero di passare sotto i ferri. Il buon dottore non fu molto contento di farla uscire senza aver potuto disinfettare uno dei graffi o medicare le brutte contusioni, o controllare che non ci fossero fratture sotto gli arti tumefatti, eppure le esili scuse del capitano Luneilim – e l'occhiata gelida che la mewwolf gli scossò – bastarono per fargli desistere dal protestare.

« Andrai a casa tua adesso? »

Zakuro si sorprese un poco della domanda di MoiMoi e annuì. Lui fece una strana smorfia:

« Te la senti di stare da sola? »

Il violetto non le aveva più chiesto nessun altro dettaglio di quanto successo in quei cinque giorni nelle grinfie degli Ancestrali; eppure l'occhiata che le diede, così intensa, fece intuire alla mewwolf che qualunque cosa lei avesse provato, qualunque cosa non avesse detto o su cui avrebbe potuto mentire, lui riusciva in una certa misura ad intuirla.

Zakuro fu tentata di chiedergli cosa gli fosse successo, ma le bastò vedere sul fondo delle sue iridi dorate la stessa paura che aveva provato lei, nei brevi istanti in cui non era riuscita a nasconderla a se stessa, e non disse niente.

Pensò addirittura di parlargli, ma si rese conto di non sapere bene cosa dire:

« … Forse è meglio di no. »

Ammise.

Temeva che presto, acquietato il tutto e arrivati addosso tutti i dolori fisici, la sorda angoscia che aveva soffocato avrebbe fatto capolino.

Non era sicura di volerla affrontare tra le mura del suo solitario appartamento.

« Se vuoi puoi farmi compagnia. – le propose MoiMoi gentile – Casa mia non è un albergo di lusso, ma è pulita e confortevole; e siccome io sono formato mignon, non ho né problemi di spazio né di russamento. »

Zakuro si lasciò sfuggire un risolino e scosse la testa:

« Grazie. »

Si voltò appena verso Ryou che fece cenno di .

« Ma ho un posto prenotato. »

 

 

***

 

 

Purin si fermò di fronte al passaggio per la Terra, strinse le braccia lungo i fianchi e battè il piede a terra:

« Basta! Ora vado da lei, cazzo! »

« Purin! »

« Non è giusto, nee-chan! – sbottò scostando la mano di Ichigo – Voglio sapere come sta Zakuro! Cosa le hanno fatto! »

Ichigo ritrasse la mano e abbassò gli occhi.

« E poi voglio che si scusi! – continuò Purin furiosa – Per averci fatto preoccupare! E voglio sapere chi diavolo era quella che abbiamo visto, e…! »

« Purin. »

Retasu le si avvicinò piano e la guardò fissa negli occhi, traendo da dentro tutta la calma che possedeva per placare la biondina:

« Lo so che sei arrabbiata. »

Lei schioccò la lingua.

« Lo sono anch'io. »

« Ma mi stai facendo la predica. »

Puntualizzò l'altra acida. Retasu scosse la testa:

« No. Voglio solo che tu mi dia retta, perché in questo momento anche se lo vorrei non riesco ad arrabbiarmi come stai facendo tu, e forse posso sforzarmi di capire meglio. »

A Purin sembrò comunque una predica, ma annuì grugnendo. Retasu sospirò cercando le parole meno da paternale che poteva trovare, era difficile discutere con un'adolescente, specie se con qualcuno così irruento e poco portato per le contorte strategie mentali degli adulti come Purin:

« Siamo tutti stravolti, e confusi. Zakuro ha bisogno di riprendersi, di curarsi e di farsi una bella dormita in un letto decente. »

La biondina la guardò alzando un sopracciglio poco convinta.

« Domani, come prima cosa, andremo da lei e le parleremo. Ma domani. »

« Sì, certo. »

Purin borbottò qualcosa sull'essere trattata come una bambina sciocca ed entrò nel passaggio senza più voltarsi. Retasu sospirò e guardò Ichigo, persa in chissà quali pensieri e intenta a giochicchiare con il suo cellulare senza usarlo per fare alcunché.

« Andiamo a casa? »

La rossa la guardò qualche secondo confusa; si rimise il telefono in tasca senza averlo usato e sospirò:

« Andiamo a casa. »

 

 

***

 

 

Negli anni Ryou aveva dovuto ammettere una cosa: per ciò che era quotidianità, dalla scelta di una casa ad una tazza per la colazione, lui era abile come un dodicenne asmatico in una squadra di rugbisti ventenni. L'appartamentino dove aveva deciso di andare a vivere abbandonando la sua stanzetta al primo piano del Cafè, prima di pentirsene amaramente,  era piccolissimo e come bagno e cucina aveva dei residuati bellici, ma il ragazzo aveva fatto finta di essere cieco e sordo alle puntualizzazioni di Keiichiro sulla pessima scelta, e se l'era tenuto. Nonostante il patrimonio in suo possesso lui non era esattamente uno spendaccione ed era stato molto severo sulle spese necessarie – o presunte tali, come le definiva – richieste dal suo angolo di indipendenza, ma alla fine era riuscito a ritagliarsi un comodo nascondiglio. Rispecchiava i suoi gusti, anche se molta scelta del mobili aveva l'evidente zampino delle ragazze, che aveva dato – imposto – i loro consigli, e nonostante non fosse molto adorno lui lo sentiva come casa.

Ci andava ancora poco spesso, in particolare dopo la scoperta dei passaggi e del Dono, ma era sempre piacevole sapere di avere un posto dove poteva estraniarsi per qualche ora da tutto e dove nessuno poteva entrare senza permesso. E in quel periodo lui ne aveva bisogno anche più di quanto volesse ammettere.

Aprì le ante dell'armadio, il cui contenuto si limitava a pochi abiti piegati e a tanti ripiani e grucce vuote, e prese il futon dal vano più alto stendendolo nel salotto che faceva anche da sala da pranzo e angolo cottura; dopo tanto tempo avrebbe avuto la televisione a tentarlo di passare la nottata in bianco.

Tese l'orecchio distrattamente, poco abituato a sentire lo scorrere dell'acqua in bagno quando lui era in un'altra stanza. Zakuro era ormai là dentro da più di quaranta minuti: dubitava fosse riuscita ad annegarsi nella sua misera doccia, ma gli venne da piangere pensando alla futura bolletta dell'acqua calda.

Quando la mora aveva tacitamente annunciato che avrebbe chiesto asilo politico a lui, MoiMoi li aveva fissati entrambi a bocca aperta; per loro fortuna si trattava di MoiMoi, dotato di una certa elasticità mentale per cui, al cenno di diniego di Ryou su qualunque congettura stesse per fare, il violetto aveva sorriso comprensivo senza aggiungere commenti o allusioni.

I brevissimi dubbi dell'alieno non avevano stupito Ryou più di tanto. Lui e Zakuro avevano sempre avuto un rapporto strano quanto solido. Forse era la somiglianza di carattere che li permetteva di capirsi con estrema facilità, o quel senso di familiarità di due persone che avevano perso qualcosa e si erano ritrovati adulti molto prima di quanto si potesse pensare. Qualcuno tempo prima aveva detto che loro due avrebbero potuto essere un'ottima coppia, e lui ammetteva di averci anche pensato, seppur nella pura teoria.

Del resto Zakuro era la persona a lui più affine, molto più di chiunque altro avesse mai incontrato nella sua vita. Si fidava di lei e dei suoi giudizi e in più occasioni il sostegno della mora, anche con la sua sola presenza, era stato fondamentale; senza contare che, nonostante i suoi gusti vertessero su ideali di bellezza diversi, Zakuro aveva un fisico su cui – innocentemente e in modo del tutto involontario, in alcuni momenti bui del suo ego maschile – aveva fatto scivolare un paio di occhiate.

Magari, se certe cose fossero andate diversamente, si sarebbe innamorato di lei.

Chissà, forse in un'altra vita. In quella, aveva guadagnato un'amica.

Si grattò la nuca e prese il borsone che la mora aveva gettato fuori dalla porta del bagno, abbandonato come un sacchetto di rifiuti. Era stato assurdo vedere un'altra Zakuro, lo scudo che Keiichiro aveva attivato giorni prima per evitare future domande scomode, presentarsi alla sua porta con il bagaglio di effetti personali e cambio di abiti e intimo della mewwolf: MoiMoi aveva riprogrammato in remoto lo scudo perché provvedesse a portare tutto il necessario e così, mentre una Zakuro torva e pesta rubava a Ryou l'accesso alla zona doccia, una seconda sorridente e smagliante gli mollava tra le braccia il suo carico per allontanarsi poi sculettando e inforcando gli occhiali da sole. Il biondo aveva ringraziato che la mora non avesse assistito allo spettacolo, probabilmente avrebbe preferito la dessero per dispersa che vedersi in simili atteggiamenti.

Ryou sbuffò, posò la borsa sul suo letto e se ne andò in cucina, sperando di non aver ancora esaurito quella miscela speciale del discount: come caffè aveva zero aroma e zero qualità, ma era così forte da svegliare un toro sotto sedativi.

 

 

 

Zakuro tenne ancora gli occhi chiusi sotto il getto dell'acqua, lasciandosela scivolare addosso come il più dolce dei balsami e il più soffice dei veli. Avvertiva i capelli fradici picchiettarle con le punte l'incavo della schiena e tutto il dolore dei colpi subiti era diventato, sotto le carezze dell'acqua, un rimbombo diffuso che martellava dalla testa alla punta delle dita, misto al bruciore quasi scomparso dei tagli.

Sbuffò rassegnata e chiuse il rubinetto; appena fuori dalla doccia l'attendeva un caldo asciugamano di spugna che lasciò a penzolare sul lavello, limitandosi a non sgocciolare oltre il tappetino che aveva sotto i piedi.

Scrutò la sua figura nuda allo specchio, tolta la polvere poteva vedere chiaramente i segni di quei cinque giorni su di sé.

Sulla guancia destra un taglio lungo lo zigomo sovrastava la gota gonfia e tumefatta, solo il più evidente dei ematomi che aveva collezionato; altri tre sbucavano come margherite sulla fronte e sul collo, dove riusciva a scorgere l'impronta della mano di Toyu. Il labbro era spaccato, anche se aveva già iniziato a sgonfiarsi; aveva lividi a diversi stadi di guarigione, rossastri e violacei, sparsi un po' ovunque tra le braccia e le gambe, più evidenti dove Toyu aveva premuto e tirato per poterla sovrastare. I segni delle sue mani le marcavano senza alcuna pietà il decolté e l'interno delle cosce, il collo, la mascella. Potevano esserci altri cento colpi che non vedeva o che non erano ancora maturati da essere visibili, tanto si sentiva a pezzi; il solo punto che doleva più degli altri era il taglio sulla nuca, ricucito con cura e nascosto dai capelli: ci passò due dita sovrappensiero controllando di essere riuscita a ripulirli per bene dal sangue raggrumato e le sfuggì un singhiozzo roco che parve più un ringhio.

Strinse i bordi del lavello per non iniziare a tirare calci al resto del mobilio. Riconobbe un peso sul fondo dello stomaco che aveva il sapore freddo della paura e la collera minacciò di soffocarla; l'idea di perdere un solo minuto di sonno o spendere un solo brivido per una bestia come Toyu era insopportabile, eppure il suo corpo si tese congelato sotto le sue mani mentre tentava di scaldarlo frizionandosi la pelle irritata, mani che presto iniziarono a tremare di rabbia. Battè il pugno sul lavello più e più volte, cercando di concentrarsi sul rimbombo sordo della porcellana e non sui singhiozzi rabbiosi che le esplosero in gola, provando a non vedere le piccole e traditrici lacrime d'umiliazione che le rigarono le guance.

 

 

 

Passarono almeno altri venti minuti prima che la porta del bagno si aprisse. Zakuro si era asciugata velocemente, si era medicata e incerottata lividi ed escoriazioni e si era gettata addosso un paio di jeans firmati e una maglietta che appariva costosa dalle sole cuciture. Non fosse stato per l'aria di amara sconfitta e medicamenti e bende sparse, Ryou avrebbe detto che si trattava della solita, impeccabile e impassibile Zakuro: il constatare il contrario lo preoccupava più di quanto la mora potesse leggergli in volto.

« Temo dovrai accontentarti per la cena. »

Lei non lo degnò di aver sentito.

« Purtroppo non ho grandi provviste. Sia lodato l'inventore dei combini(*). »

Lei semplicemente si sedette in silenzio al tavolo mentre il microonde emetteva un tintinnio rassicurante. Studiò distratta il bicchiere e la caraffa d'acqua che aveva di fronte, e vide Ryou tirare fuori dal fornetto un vassoio con un bento preconfezionato e spegnere il gas sotto il bollitore che fischiava; prese una confezione di ramen istantanei che aveva già aperto e vi versò dentro l'acqua, poi le porse il bento e il contenitore ancora fumante, chiudendone il coperchio di alluminio:

« Tre minuti. »

Zakuro rispose scrollando le spalle. Prese le bacchette fornite con il bento e iniziò a rovistare nel riso senza aver davvero voglia di mangiare, ma quando le salì al naso l'odore invitante della cotoletta scoprì di avere la fame di un rinoceronte. Iniziò a divorare con la sua emblematica flemma il riso, la carne e le verdure ripulendo la confezione di plastica e poi passò ai ramen, gustandosi incantata il calore del brodo e il retrogusto saporito della pasta; gli spaghetti istantanei migliori di tutta la sua vita. Ryou le fece compagnia senza toccare cibo, rigirando tra le dita la tazza semivuota di caffè.

« È la prima volta che ti vedo mangiare così di gusto. »

« Non sono stata proprio al Ritz. »

Scherzò con tono tagliente. Ryou sorrise triste:

« Ne vuoi parlare? »

Zakuro bevve una sorsata di brodo e si servì dell'acqua. Ryou continuò a fissarla intensamente e lei si trovò costretta ad alzare la testa; ricambiò con un'occhiata impassibile e categorica, intuendo la sua ennesima domanda:

« No. »

Ryou squadrò scettico la sua guancia gonfia, i cerotti e i lividi:

« Davvero? »

« Davvero. »

Terminò la sua cena velocemente e si alzò facendogli un segno di ringraziamento:

« Sinceramente, ora la sola cosa che vorrei è andarmene a dormire. »

« Certo. »

Lo salutò con un cenno della mano e si avviò nella camera di lui senza chiedergli nulla, trovando la sua borsa in mezzo al materasso. La spostò a terra quasi lanciandola, si sfilò i jeans abbandonandoli sul pavimento e si stese sotto le coperte incurante della serata tiepida.

Avvertiva il corpo come una massa indefinita di carne fredda e pulsante; lasciò che la stanchezza l'avvolgesse, un sonnifero lento e gelido, e sprofondò in un sonno nervoso senza sogni.

 

 

***

 

 

Fu una domenica limpida annunciata da un'arietta frizzante, non proprio la migliore amica delle gonne corte. Ichigo si affrettò al Cafè con l'intenzione di affondare i denti in una seconda colazione e in una tazza del the alla menta non troppo caldo che Keiichiro proponeva alle clienti in quella stagione. Si accorse di essere arrivata per prima e restò a ciondolare nell'ingresso ascoltando Keiichiro trafficare in cucina, quando colse Ryou scendere dalle scale con la coda dell'occhio: lui fece dietrofront appena si rese conto che era arrivata la rossa e lei, seccata, non aspettò un secondo per seguirlo su al secondo piano.

Le suole dei suoi sandali batterono come tamburelli sui gradini mentre lei si avventò sul ragazzo, agguantandogli in malo modo la maglietta:

« Insomma, vuoi fermarti o no?! »

Lui le scoccò un'occhiataccia e obbedì di malavoglia. Ichigo sentì le orecchie da gatto prudere per uscire, intanto che scorgeva la sua mano complice di un mezzo tentativo di denudare l'americano, e corrucciandosi scostò schifata la maglietta e tossicchiò:

« Cosa c'è, hai paura che ti morda? »

« No. Volevo evitare una scena simile. »

Ribattè stanco. Ichigo incrociò le braccia sbottando:

« E il modo migliore era trattarmi come se fossi appestata?! Senti un po', non mi interessa che paturnie hai- »

« … Hai ragione. Scusami. »

« Né ti permett… Come hai detto? »

Lo vide sospirare e chinare lo sguardo:

« Perdonami. Sono stato… Insopportabile ultimamente. Scusa. »

Ichigo aveva gli occhi grandi come uova al tegamino, ed era certa di essere diventata sorda. Ryou sospirò più a fondo, il peso di quei giorni che gli massacrava la schiena. Non aveva più le energie per contrastare un'Ichigo furiosa con lui, né per essere impassibile alla sua presenza.

Lei non respirava quasi, concentratissima a studiarlo in attesa forse di una qualche rivelazione celeste sulle sue parole. Ryou era sicuro che neppure se si fosse dichiarato in quello stesso istante l'avrebbe vista più sorpresa.

Puoi sempre provare.

Al piano di sotto la porta si aprì tintinnando e le voci delle ragazze salirono ovattate per le scale. Ichigo pensò che sarebbero dovuti scendere, ma rimase ferma. Si era preparata a dare battaglia all'ostinazione e ai modi bruschi di Ryou per trovarsi invece di fronte alla sua espressione contrita, e quel mezzo sorriso che le fece stringere lo stomaco in un assolo di charleston.

« E… Ok, comunque… Zakuro? »

« Stava riposando. »

« … Capisco. »

Aveva sperato in almeno altre cinque sillabe per sciogliere l'atmosfera elettrica, ma o il biondo non si era reso conto di nulla o la cosa non lo scalfiva abbastanza.
« Arriverà tra un po', ho preferito non svegliarla. »

« Certo. »

Lui sospirò e le battè per gioco l'indice sulla fronte:

« Avanti, scendiamo. »

Ichigo mandò un muto verso per annuire e lo guardò andarsene di sotto. Lei invece rimase sulla soglia, domandandosi se anche gli uomini fossero soggetti alla luna e accarezzandosi la fronte; decise che lo sfarfallio alla pancia era solo dovuto al languorino e trottò di sotto, mordendosi nervosa l'interno della guancia.

 

 

 

Erano tutte sedute attorno ad un tavolo traboccante di dolcetti freschi alla frutta e the, mangiucchiando e bevendo svogliate scambiandosi poche parole, quando il campanello d'ingresso trillò a dispetto del cartello di chiusura.

Zakuro apparve come un fantasma richiudendo l'ingresso con il minimo rumore indispensabile. Le altre la fissarono rigide e silenziose avvicinarsi a loro e fermarsi a debita distanza; fece un cenno contrito con il capo, senza guardarle.

« Mi dispiace. »

Le ragazze erano statue di marmo.

« Ad essere sincere non avrei pensato potesse succedere una cosa simile. Mi sono comportata in modo troppo avventato, lo so, e immagino che non mi crederete molto se vi dico che non ho pensato fin da principio di farmi portare via. »

La sua voce calma e rassicurante tradiva una sincera mortificazione, e le altre continuarono a restare ferme ascoltando ogni sillaba.

« E anche se alla fine tutto si è risolto per il meglio, ho agito senza pensare a voi. »

Ci fu un tintinnare di piattini mentre Purin si alzava, i pugni e le labbra strette. Zakuro la fissò senza scomporsi, lo sguardo triste:

« Mi dispiace di avervi fatte preoccupare. »

La biondina rimase dov'era, iniziando a tremare sempre più forte, e con un balzo di avvinghiò alla vita della mora scoppiando in lacrime:

« Stupida onee-san!! »

Zakuro si lasciò stritolare stoicamente, non nascondendo un sorriso mentre accarezzava leggera le spalle della mewscimmia e la sentiva passare dal pianto al riso in pochi secondi. Ichigo fu più delicata quando le mise le braccia al collo sorridendo con gli occhi lucidi, e Retasu nella sua compostezza si limitò a stringerle la mano libera, le iridi lucide dietro le lenti.

Ryou e Keiichiro le lasciarono stare per un po', in quell'abbraccio e in quei sorrisi, finché non fu la stessa mewwolf, a malincuore, ad allontanare le sue care amiche e a sentenziare piano:

« Ci sono cose di cui dobbiamo parlare. Anche con gli altri. »

« Sei sicura di volerlo fare adesso? »

Lo sguardo di Ichigo tradì una preoccupazione profonda e una domanda che non osò esternare, la stessa che Zakuro non aveva permesso a Ryou di formulare la sera precedente.

« Certo. »

La rossa studiò il viso della mora nella ricerca di un qualche sentore di bugia, di un segno rivelatore su cosa le avessero fatto in quel luogo orrendo, ma vide solo la pacata e adulta Zakuro di sempre.

« D'accordo. »

Fu Ryou a contattare MoiMoi e il gruppo si riunì a Jeweliria; furono presenti anche Sando e Teruga, accompagnato da Lenatheri che, dopo un paio di rapidi convenevoli, attese fuori dalla porta in rispettoso riserbo. Perfino Minto, sforzandosi fin quasi al ridicolo nonostante il pallore del suo viso, partecipò in conferenza video dalla sua stanza nel reparto 5.

L'unico ad essere assente era Eyner.

« Era al turno di guardia al corpo principale – lo giustificò MoiMoi – poi gli riferiremo tutto… »

Mandò un'ultima occhiata alla mewwolf come se si stesse rivolgendo direttamente a lei e non a tutti i presenti; questa lo fissò inespressiva e scrollò le spalle, doveva importarle forse?

Non si permise di rispondere alla domanda e si sedette il più al centro possibile della stanza, poi cominciò.

Non tralasciò nulla di quanto aveva visto e sentito, ogni dettaglio poteva essere fondamentale. Scorse le ragazze che la studiavano cariche d'angoscia, Teruga con il mento tra le mani che annuiva sporadico con aria greve, Pai che annotava ogni sua sillaba e prendeva appunti in uno snervante tintinnio liquido della tastiera olografica. Ad ogni propria parola Zakuro rimaneva impassibile, calma, ma la sua mente non faceva che tradirla: la voce di Toyu, i suoi occhi, ogni secondo trascorso con quella bestia bionda le si accendevano in testa a lampi, cercando di trascinarla in un vortice di paura e vergogna che lei voleva ignorare e a cui non avrebbe mai permesso di sconvolgerla, ma che le faceva contorcere lo stomaco.

« … Poi ci siamo divisi per qualche minuto. – concluse lentamente la mewwolf – Prima di ricongiungerci con Eyner e tornare indietro, non so cosa sia successo. »

« Io sì. »

Purin, il braccio sollevato come a scuola, prese parola:

« Siamo capitati in un posto strano, quello dove dormiva quell'Arashi coso. »

« Sì, sembrava uno zombie – fece Taruto – ha cercato di prendere Ichigo, ma non ha reagito nemmeno quando l'ho preso nel polso. »

« Zac! »

Ridacchiò Purin.

« Ah, e c'era… »

Le parole di Ichigo si spensero, mentre la ragazza riflettè solo in quel momento cosa effettivamente avesse visto, laggiù assieme ad Arashi:

« Una ragazza bionda… »

Pai sollevò lo sguardo dalla tastiera e la fissò; Ichigo annuì lievemente.

« Una ragazza? »

« Cioè… Non proprio… »

« Era come una medusa. – si sforzò di spiegare Purin – Le vedevi attraverso. »

« Uh, sì… Non è che avete picchiato di testa? »

« Tutti e tre, Kisshu? »

Sospirò MoiMoi.

« C'era una ragazza bionda, nella dimensione creata sui ricordi di Retasu. »

« C-come? »

La verde guardò Pai un istante, sbattè le palpebre e tentò di riflettere:

« Non… Non conosco molte ragazze bionde, c'è Moe e quella mia compagna delle medie c- »

« Non era terrestre. »

La interruppe il moro. Completamente confusa la mewfocena si voltò su Ichigo:

« Credo… Sono quasi certa fosse jeweliriana. Aveva la pelle chiara, e le orecchie lunghe… »

« Non so perché suona sempre come un insulto. »

La mewneko abbassò le mani con cui stava imitando la tipica forma dei padiglioni alieni, arrossendo scocciata della puntualizzazione di Kisshu, e continuò più piano:

« Solo che era bionda, e con gli occhi azzurri. »

Da come MoiMoi, Pai e Teruga si guardarono tra di loro, Ichigo avvertì un tonfo gelido in gola:

« Devo preoccuparmi? »

Nessuno le rispose. Solo Teruga, le rughe sulla fronte più accentuate del solito e lo sguardo tormentato, mormorò tra sé e sé:

« La casa Melynas… »

« Eh? »

« Non ne so molto – ammise MoiMoi – non è una cosa molto importante da sapere. »

« Roba vecchia, di famiglie e casate… Roba ancora del tempo terrestre. »

Tagliò corto Sando rivolto alla rossa, che si sentì solo più confusa.

« Teruga-san? »

« Solo cose vaghe. – fece spiccio – Bisogna ricercare negli archivi, e probabilmente Kiddan-san è più informato. »

« Probabilmente. – rincarò Pai – Sarei in grado di identificarla, se la rivedessi. »

Il consigliere annuì lentamente:

« Momomiya-san? »

« Sì? »

« Anche tu riusciresti a riconoscere ciò che hai visto? »

« Sì… Sì naturalmente. »

L'uomo le sorrise confortante e sospirò, appesantito dai pensieri come da cinque anni in più.

« Sia come sia, oggi siete riusciti a sferrare un colpo magistrale. »

Sorrise benevolo e diede un colpetto gentile sulla spalla di Zakuro, che contraccambiò con aria cordiale:

« Per un po' non credo che i nostri nemici potranno avanzare, non crede capitano? »

MoiMoi sorrise con quanta energia poteva:

« Zakuro gli ha sottratto tutte le Gocce che avevano raccolto finora. Non potranno trovarne altre! »

« Certo, dovremo capire come siano riusciti ad ottenere la prima; cosa significhi ciò che sta succedendo ad Arashi, nonché tutte le apparizioni di Ao No Kishi e di quella ragazza… »

« Pai-chan, questo è uno di quei momenti in cui ci vuole entusiasmo! Entusiasmo! Risollevare il morale! »

Il violetto lo squadrò imbronciato e nella stanza l'atmosfera tesa si spezzò di colpo, sciogliendo i presenti in lievi risate.

« Ogni cosa a suo tempo, colonello. – sospirò Teruga – Ora ciò a cui bisogna pensare è a recuperare le forze, e se possibile godersi un minimo di tregua. »

Nonostante la calma che ostentava tutti intuirono una forte preoccupazione agitare l'animo di Teruga, ma non ci furono altre domande e il consigliere li congedò tutti per avviarsi alle sue altre occupazioni. Lenatheri, che aveva atteso paziente fuori, gettò uno sguardo indecifrabile ai presenti, stese un sorriso affettato e fece un cenno di saluto per nulla convinto, seguendo poi l'uomo per i corridoi.

« Quella tipa mi sta sempre più antipatica. »

« Ichigo-san, shhht! »

Ma nonostante il rimprovero e l'occhiata in tralice che scoccò ai membri alieni del gruppo, Retasu nel suo intimo fu più che d'accordo.

Si avviarono fuori; dopo quei cinque lunghissimi giorni, ai terrestri parve che il sole tiepido sorridesse, e presto la piccola folla fu accompagnata da una colonna sonora di chiacchiere e voci allegre.

« Io torno subito ad occuparmi dell'antidoto per Minto-chan. »

« D'accordo – rispose Pai piatto – cercherò di mettere assieme i dati che abbiamo raccolto, per impedire altre sorprese. Poi porterò Momomiya da Kiddan e cercheremo informazioni sulla ragazza bionda. »

MoiMoi si trattenne dal ridere per l'evidente fastidio nella sua voce; gli posò una mano sul braccio e scosse la testa:

« Ora lascia stare. »

Il suo sguardo dolce passò sul chiassoso gruppetto delle terrestri, che cercavano di attingere ogni grammo di forza da ciò che di buono era successo in quelle ultime, faticose ventiquattro ore.

« Lascia che si riposino un po'. »

Pai sbuffò poco incline all'attesa, ma annuì più docile.

Più avanti, le ragazze stavano iniziando a fare sempre più chiasso, un corteo riunito attorno a Zakuro che le seguiva con passo lento e distratto.

Si sentiva esausta. Il suo unico desiderio dopo aver salutato la mewbird era tornarsene a casa e dormire per un giorno intero. Non avrebbe neppure ripreso il posto del suo scudo prima che i tagli e lividi sul suo corpo non fossero scomparsi del tutto; in tutta onestà, l'idea di tornare troppo velocemente sul palcoscenico non la solleticava, nell'immediato futuro.

Uscirono sul porticato interno, posto immediatamente dietro le mura del palazzo bianco, e si fermarono di colpo.

Vicino all'ingresso la piccola Sury dondolava nervosissima sui talloni, incapace di stare composta e tuttavia diligentemente ferma accanto al fratello, torvo contro una colonna e lo sguardo perso nel vuoto. Appena scorse il gruppo la bambina si illuminò in volto e fece un cenno timido ad Eyner, che le sorrise stanco e la invitò ad andare; lui non si mosse mentre la bambina scattava verso le terrestri, né si voltò a guardarle un solo secondo.

« Nee-san! Come stai?! Ti hanno fatto male? »

Zakuro scosse la testa, la piccola avvinghiata alla sua vita in punta di piedi pur di arrivarci.

« Sto bene. »

Sury corrugò la fronte fissando severa i lividi e le fasciature che la mora si era fatta e questa sospirò intenerita:

« Lo giuro. »

La bambina fece la sostenuta ancora pochi istanti, sorrise e affondò il viso sul ventre della mewwolf strusciandosi come un gattino.

« Guarda che a nessuno piacciono i bambini appiccicosi. »

« Lasciala in pace Kisshu-chan… »

« Sei solo geloso, nii-chan! »

Borbottò Sury con una linguaccia e Kisshu le diede un buffetto sulla guancia:

« Non sono più il tuo preferito? »

« MoiMoi-san è la mia preferita. »

« Adoro questa bimba . »

« Oh, approvo. »

« Assolutamente. »

« Ah, ah, ah, siete simpatiche come una spina nel didietro. – sibilò lui – Pesciolina, è inutile che sorridi così, sei fetente anche tu. »

« Dai Kisshu-san, scherzavamo. »

« E lavati quella bocca ogni tanto, di fronte ad una bambina. »

« Biondo, posso staccarti la lingua anche con un braccio solo, sappilo… »

Sando prese senza altre cerimonie i due litiganti per la collottola prima che continuassero a battibeccare e li spintonò in avanti nelle risa generali. Sury tutta contenta prese la mano di Zakuro e fece tronfia da apripista del gruppo, avviandosi fuori, e Zakuro notò con la coda dell'occhio che Eyner non aveva aspettato nessuno ed era sparito.

« Ahi… »

« Cosa? »

« Hai notato, senpai? »

MoiMoi guardò il punto in cui aveva visto Eyner completamente deserto e gli sfuggì un sospiro.

« Insomma… »

« Forse dovrei parlarci. »

« Dipende, Kisshu-chan… Vuoi parlargli davvero, da amico, o hai solo intenzione di farti arrostire le sopracciglia? »

« … Per l'umore che deve avere, credo che rischierei in ogni caso. »

 

 

***

 

 

« Una cosa del genere non può essere presa sottogamba! »

« Sono insinuazioni prive di alcun senso. Per quale ragione avrebbe dovuto fare una cosa del genere? »

« È proprio su questo che dovremmo indagare! – il pugno contro il tavolo tuonò sordo – Se fosse proprio lui il traditore e avesse inscenato tutto per depistarci? »

« Signori, ora basta. »

La voce di Stahl suonò angustiata e nervosa mentre mostrava il quadratino metallico passatogli in via confidenziale da Ebode:

« Qui ci sono prove che paiono inconfutabili. Paiono, voglio sottolineare – si affrettò ad aggiungere – e proprio per questo dobbiamo verificare se sia effettivamente così oppure no. »

« … Cosa decidete di fare dunque? »

« Formate una squadra di tecnici per verificare il contenuto di questo. – fece posando l'oggetto metallico – Informate il nobile Ronahuge ed emettete un mandato di arresto. Procederemo come si conviene. »

 

 

***

 

 

« Bene, è l'ora che torni a casa. I miei fratellini mi staranno dando per dispersa. »

« Aaah, di già? »

Piagnucolò Sury, che aveva costretto le ragazze non solo a portarla con loro in visita da Minto, ma anche a farsi trascinare per il resto della giornata per tutta Jeweliria. Loro nonostante tutto l'avevano assecondata di buon grado, felici di un pomeriggio qualunque senza pensieri.

« Mi dispiace. »

Sospirò Ichigo e Retasu le sorrise:

« La prossima volta vieni al Cafè e facciamo quattro passi in città. »

« Ok, affare fatto. »

Le ragazze risero e Ichigo sbadigliò:

« Uffa, devo ancora finire dei compiti… Andiamo a casa? »

« Io se non vi spiace andrò a farmi ancora due passi. »

« Allora vieni con me, nee-san? »

Zakuro scompigliò la frangetta della bimba ma scosse la testa, senza darle altre spiegazioni. Per i suoi standar aveva abbondantemente superato la quota giornaliera di presenze altrui.

Sury non parve convinta e Retasu le prese la mano:

« Dai, ti accompagno io. »

Le ragazze si salutarono di fronte al portale e Zakuro indugiò lì per qualche minuto. Sospirò a lungo, era stata contenta alla fine di come si era svolta la giornata, le era difficile in genere non rimuginare sulle cose da sveglia; rimasta sola, però, la sua testa aveva ripreso velocemente a lavorare, e non le avrebbe facilmente permesso di rilassarsi abbastanza da dormire.

I boschi di Jeweliria erano puliti e limpidi, sotto un cielo che si accendeva per il sole sempre più basso, e non c'era nessuno da poter incrociare: una passeggiata solitaria le avrebbe schiarito le idee.

Camminò a lungo, senza una vera meta, costeggiando gli alberi e seguendo il crinale delle colline lungo il profilo della città, che divenne man mano sempre più distante; la pendenza del sentiero aumentò lievemente, e mentre cespugli di fiori rossi come ciliegie si aprivano circondati da una danza di piccoli insetti, il bosco si fece leggermente più rado. La collina si interrompeva pochi metri più in là con uno scarto secco verso destra e un lato scosceso che poi diventava un dolce declivio verso valle; si riusciva a vedere tutta Jeweliria da là, e allo stesso tempo era un luogo silenzioso e appartato. Il punto ideale per starsene da soli.

Qualcuno doveva pensarla come lei.

Gli si avvicinò senza una parola. Eyner si accorse immediatamente della presenza di un estraneo e quando si rese conto che era lei, tornò a fissare cupo la linea del tramonto sempre più sottile.

« Quindi hai intenzione di non rivolgermi più parola. »

Eyner sembrò non averla sentita. Zakuro provò il fortissimo istinto di tirargli un pugno.

« Talmente disgustato da non guardarmi? »

« Non ho detto questo. »

« No. Invece è proprio quello che hai detto. – puntualizzò severa – Se hai qualcosa da dirmi, fallo; poi puoi anche ignorarmi se è questo che vuoi. Ma non provare a trattarmi con sufficienza! »

Lui replicò molto lentamente, la voce roca come se stesse trattenendosi dall'esplodere; o non riuscisse a trovare la forza di risponderle:

« Non ti sto ignorando. »

« Mi stai evitando. »

« Mi sto facendo i fatti miei come mi hai chiesto. »

« Stai facendo lo stupido. »

Lui replicò grugnendo e lei perse il solito tono pacato:

« Guardami in faccia quando mi parli. »

« Zakuro, vai a casa. »

Fu difficile reprimere l'istinto del lupo che la incitò ad azzannargli l'avambraccio solo per avere una reazione; per fortuna del bruno la mewwolf si limitò ad agguantarlo per la spalla e costringerlo a girarsi.

Ritrasse la mano, pentendosi del suo gesto una frazione di secondo dopo: le iridi grigio-blu di Eyner si spalancarono nel guardarla e sul viso di lui passò una smorfia sofferente e colpevole, una totale incapacità di sopportare un altro secondo di vederla in quelle condizioni.

« Quel bastardo… »

« Guarirò. »

Fece spiccia lei.

« Avrei dovuto arrostirlo del tutto. »

« Non ne saresti capace. »

« Tu non hai la minima idea di cosa sarei capace di fare. »

Replicò aspro.

« Si può sapere che ti prende? – riprese lei sottovoce – E non mi stai di nuovo guardando. »

« … Mi dispiace. »

La mora lo fissò interrogativa.

« Mi dispiace. Per tutto… »

« Non è stata certo colpa tua. »

Lui schioccò la lingua irato. La voce di Zakuro si abbassò un poco, mentre tentò ancora di farlo voltare:

« Eyner, tu non c'entri niente. Non è colpa di nessuno, mia al massimo. »

« Sarei dovuto arrivare prima. »

Tentò di mordersi la lingua per non dire altro, invano; Eyner non capì se Zakuro stesse intuendo qualcosa dalle sue parole oppure no, il suo tono calmo era indecifrabile. In ogni caso non voleva dirle altro, non in quel momento e non così, quando non riusciva neppure a sostenere il suo sguardo per quanto si sentiva in colpa.

« Se fossi arrivato prima, Toyu… »

« Cosa? »

« Lui… Non avrebbe… »

Zakuro gli vide la ella stessa espressione dolente di Ryou ed Ichigo ed emise uno sbuffo esasperato:

« Ho detto che non è successo nulla. »

« Stai mentendo. »

« Ora sono anche una bugiarda? »

Fece più concitata ed Eyner non le diede risposta.

« Siete tutti esperti nel leggere la verità, dunque. »

« Zakuro i- »

« Oh, stai zitto. Continuate a guardarmi come se dovessi scoppiare in una crisi isterica da un momento all'altro. »

Sbottò cupamente:

« Detesto essere compatita. »

« Son… Siamo solo preoccupati. »

« Piantatela di pensare che sia una povera vittima di stupro. – soffiò furente – Vi ho detto che non è successo niente. »

Ad Eyner parve si stesse per squarciare lo stomaco, e connesse solo dopo alcuni secondi le sue parole:

« Come hai detto? »

« Non che non ci abbia provato, se è questo che intendi. »

Aggiunse amara e per un secondo avvertì la gola stringersi:

« Dovrei avergli fatto passare la voglia con il quinto calcio in testa. »

Eyner era finalmente tornato a guardarla, ma con un'espressione talmente attonita da sembrare di pietra. Zakuro lo studiò corrugando la fronte, e lui si passò entrambe le mani sul viso sospirando di sollievo:

« Quel brutto…! Oh, stavo impazzendo…! »

« …Uh? »

« Quel bastardo di Toyu mi aveva detto che… Io sono un idiota, gli ho creduto subito, ma… Era possibile che quell'animale… »

Zakuro parve sinceramente stupita:

« È per questo che hai pensato c-? »

« È stato lui a dirmelo. Gli ho creduto come un'imbecille. »

Lei non rispose continuando a guardarlo in silenzio. Gli posò sue dita sulla spalla e stavolta lui si voltò docilmente, mentre lei sussurrò:

« È per questo che non mi guardi. »

« Dovresti fare la psicologa. »

Mormorò sarcastico.

Passò uno sguardo crucciato sulle ferite della mewwolf e lei gli vide contrarre la mascella amareggiato:

« Sei stata troppo avventata, almeno questo lo sai. »

« Lo so. – ammise con fatica – Se potessi evitarmi la predica… »

« Non voglio farti la predica. – sospirò – Ma penso di aver perso quindici anni di vita! »

Zakuro tacque di nuovo. Eyner, tolto il masso che gli pesava sullo stomaco, riflettè poco su quali parole gli stessero uscendo dalla bocca:

« Quando sei sparita e hai detto di lasciarti là… Ho creduto che sarei morto. »

« … Eri preoccupato. »

« Certo che ero preoccupato! Tengo troppo a te, per vederti correre simili rischi senza diventarci matto! »

Si bloccò appena ebbe emesso l'ultimo fiato. Dal viso della mewwolf non trasparve nulla e lui si sentì completamente scoperto, alla mercé del suo sguardo zaffiro.

Trattenne silenziosamente il fiato e Zakuro restò esattamente come si trovata, senza muoversi e senza reazioni di alcun genere. Eyner si sentì così stupido da desiderare l'autocombustione.

Deficiente.

« No… Senti, cancella, d'accordo? Come se non avessi detto niente. »

« Eyner… »

« No, sul serio. Ti prego. »

Era stata sufficiente l'espressione indifferente di lei come risposta, non avrebbe tollerato di sentirgliela uscire dalle labbra.

« Ho capito. »

Stese un sorriso così scoraggiato da risultare deprimente a guardarsi:

« La cosa importante è esserci… Chiariti. Scusami per il resto. »

Girò sui tacchi ben deciso a darsela a gambe, lei però lo riagguantò per il braccio. Eyner non reagì, immobile, supplicando tutti gli dei in sua conoscenza di farlo diventare immediatamente cieco e sordo.

« Dovresti lasciar finire di parlare le persone. »

Lui si girò lentamente senza aver capito e la vide distendere un discreto, dolce sorriso. Gli ingranaggi tra le tempie del bruno si bloccarono all'istante.

Si voltò indietro senza più riflettere.

Nel momento in cui strinse le dita attorno alle sue spalle si rese conto che era molto più minuta di quanto si aspettasse. Perfino la schiena che all'apparenza poteva sorreggere le montagne era esile, una volta cinta tra le sue braccia. Lei  non si scostò né irrigidì intanto che la baciava delicatamente sulle labbra dischiuse; invece lo assecondò, reclinando appena la testa, mandando un grosso sospiro quando lui a stento la lasciò tornare indietro:

« … Possibile che non ci sia razza maschile nell'universo che conosca il termine "calma"? »

Lo guardò ritrarre le braccia lungo i fianchi di scatto nemmeno fossero due molle.

« Stavo scherzando. »

« Ah… Sì? – borbottò– E da cosa avrei dovuto capirlo? »

Zakuro mandò uno sbuffo divertito e si massaggiò sovrappensiero le braccia infreddolite. Eyner corrugò la fronte:

« Non è spiritoso. »

« Dici? Invece trovo che prenderti un po' in giro sia molto piacevole. »

Lui fece una smorfia infastidito voltando la testa. Si erano appena baciati e lei lo punzecchiava come un moccioso.

« Sei contorta, lasciatelo dire. »

« Tu invece trasparente, alle volte. »

Gli tornò vicino e lo fece girare di nuovo verso di sé, baciandolo a sua volta. Eyner non riuscì a fare oltre il sostenuto, troppo sollevato che fosse di nuovo lì, la solita Zakuro, e felice e incredulo di averla tra le braccia.

« Eyn-chan, meno male ti ho trovato! È success- cacchio! »

I due ragazzi non si accorsero minimamente dell'arrivo di MoiMoi finché questo non mandò uno strillo di sorpresa. Eyner ritrasse di nuovo le braccia da Zakuro irrigidendosi come uno stoccafisso.

« Scusate! Scusate! Io…! Io non ho visto niente…! »

« … Che succede MoiMoi-san? »

« Ma come diavolo fai ad essere così impassibile? »

Zakuro guardò di sottecchi il bruno, l'espressione irritata e parecchio in imbarazzo, e le sfuggì uno sbuffo divertito:

« Tutta pratica. »

« Oooook, per favore fermatevi prima di dire qualcosa di strano! »

Supplicò il violetto arrossendo, quindi tossicchiò e riprese preoccupato:

« Eyn-chan, si tratta di Pai. »

« Oh, bene. Non potevi nominare persona migliore adesso. »

Sbottò acido.

« Non capisci… Lo hanno arrestato! »

« Puoi ripetere prego? »

« L'Armata ha messo agli arresti Pai-chan! »

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) contrazione di convenience store, negozietti fornitissimi di ogni cosa aperti 24h, 7/7 (voglio tornare a Tokyoooo ç__ç""!)

 

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Evvaiiiiii! Sìììì! *stappa champagne* e ce l'ho fatta, ce l'ho fatta! Vai i due spupazzoni!

Eyner: autrice deficiente…

Dai che sei contento!

Eyner: -\\-…

Ahah sono malefica, vi lascio con il suspense! Giusto per non togliere la tensione… E aggiungere altra roba come se ce ne fosse poca xDD

Kisshu: poi voglio vederti a spiegare tutto quanto…

Tu stai buono, che mi complicherai già la vita! Te e i tuoi triangoli amorosi! Ragazze giuro nella prossima storia Zak rimarrà single xD manovrarla è un casino cosmico! Avrò riscritto il pezzo con Eyn almeno 10 volte perché temevo l'OOC, a momenti chiedo anche aiuto a due lettori beta extra xD! Alla fine mi sembra vada abbastanza bene, in fondo un pochino potrebbe sciogliersi la lupotta in un simile frangente no ?

Iiiih, come sono belliiih! Voglio fanartare *crisi mistica perché delle mie storie manga non c'è nemmeno una coppietta che sia degna di questo nome* sìsìsì ora li disegnerò, sbaciucchioni ♥♥♥

Eyner: fermatela vi prego –w-""

Zakuro: -.-…

Voglio ringraziare tanticcimiccimo tutti coloro che hanno commentato, Danya, Hipnotic Poison, Sonrisa_, Allys_Ravenshade, mobo, Rin Hikari e Jade Tisdale, chi ha letto e non recensito e chi ha solo letto… Ma lasciatemi un commentino su >w< I need your opinion ! (io sono sparita dal fandom TwT prometto che ora mi rimetterò in pari con tutte le recensioni che devo fare :3)

Sono tornata in carreggiata, quindi ci vedremo tra 2 settimane. Una bacio a tutti quanti!


Mata ne
~♥ !

Ria

 

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Capitolo 28
*** Toward the crossing: sixth road (intro) ***


Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: 
Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro recensioni. 
Farai felice milioni di scrittori. 

 

Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: Non essere indifferente!
Salva anche tu una tastiera da pazzoidi che le massacrano scrivendo come disperate! Non chiudere gli occhi, puoi salvare milioni di vite elettroniche.

 

 

 

 

 

Questo lo ammetto l'ho scritto a velocità ultrasonica, incredibile anche perché è un cap molto molto tranquillo… Sarà stata la luna positiva. Aggiorno un pochino prima pure, vedete come sono brava :3?

Kisshu: che culo -.-"!

*SBADADENG!*

Ritroveremo il cadavere di Kisshu nel canale di scolo ^^+… Sorvolando sulla cosa io, con il mio patatino peloso dolcemente steso a farmi da copertina tra me e la tastiera, vi sbaciucchi e vi saluto, a dopo!

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~

 

 

 

Cap. 28 – Toward the crossing: sixth road (intro)

                Of Prison and Poison

 

 

 

 

La voce autoritaria di Ronahuge vibrava talmente forte che si sentiva chiaramente ogni sua parola, perfino dietro la porta chiusa. Potevano sentire Teruga tentare di blandirlo, sebbene non capissero cosa dicesse, e un'altra voce, più vecchia, che rispondeva qualcosa, ma ad ogni risposta le parole di Ron tuonavano cristalline come se si fosse trovato in mezzo al corridoio.

« Quando si dicono i polmoni. »

« Non hai visto ieri quando hanno annunciato l'ordine del Corpo Disciplinare. – sospirò Kisshu sturandosi l'orecchio assordato dalle urla – Lo hanno sentito perfino le guardie all'ingresso. »

Zakuro alzò un sopracciglio con fare divertito.

« Il nobile Ron è sempre lo stesso… »

« Quanti ricordi in queste urla, vero Sando? »

« Uhu… »

« Nee-chan, perché tu e Sando siete sbiancati? »

« Niente, Purin, niente. »

Ridacchiò nervosamente il violetto. Lui e Sando si scambiarono una strana smorfia, e quando da dentro Ronahuge mandò l'ennesimo ringhio, interpretabile come un siete una manica di imbecilli, si irrigidirono entrambi sull'attenti pallidi come cenci.

« Maledizione, è come essere tornato cadetto. »

Sospirò l'uomo cercando di darsi un contegno.

« Già. – squittì MoiMoi – Speravo di averla sup- »

S'interruppe con un gridolino strozzato e nello stesso momento la porta si spalancò, così di botto da minacciare di saltare via dai cardini. Ronahuge uscì sbuffando dalle narici come un toro, fulminò ad uno ad uno tutti i presenti e si avviò a passo di marcia nel corridoio, facendo scostare terrorizzati al suo passaggio inservienti e soldati nemmeno fosse Mosè con le acque del Mar Rosso. MoiMoi non si mosse, voltando solo gli occhi sgranati di terrore verso Sando e mormorando acuto:

« Credevo mi avrebbe mangiato la testa! »

« … Ma che razza di addestramento avete fatto voi due? »

« Non fare domande di cui non vuoi sapere la risposta Kisshu. »

Si limitò a bofonchiare Sando. Il ragazzo non parve convinto, e dalla stanza finirono di uscire anche Teruga e il capo del Corpo Disciplinare, generale di divisione Stahl. D'istinto i soldati presenti fecero il saluto, a cui Stahl si replicò con scarso entusiasmo per poi ignorarli e, congedatosi da Teruga, sparì dalla parte opposta del corridoio borbottando frasi sconnesse.

« È andata male? »

« Né l'una né l'altra capitano Toruke. – sospirò il consigliere – Stahl non può contravvenire alla procedura del Corpo, tuttavia ritiene che sia tutta una farsa montata ad arte. »

Eyner fu chiaramente deluso.

« Il nobile Ron si è trovato d'accordo, ma ha sottolineato enfaticamente l'inutilità di sottrarre tempo prezioso ad un ufficiale. »

« Ho come l'impressione di essermene accorto… »

Seguirono tutti Teruga che riprese il proprio giro, molte facce confuse nel gruppo.

« Taru-Taru? »

« Uh? »

« Che intende Teruga-san con "inutilità"? »

Chiese pianissimo e lui le rispose all'orecchio:

« A meno di cose estremamente gravi i processi agli ufficiali sono una pura formalità. Si pongono alcune domande e se non saltano fuori nuove prove contro l'accusato prima della fine… »

« L'amico se ne torna a casa bello tranquillo. »

Concluse Kisshu con uno schiocco di dita.

« Non mi sembra un gran sistema. »

« Le accuse che hanno fatto a Pai hanno la stessa densità del fumo – spiegò brusco Sando alla mewneko – infatti se ne sta occupando solo il Corpo Disciplinare. Se si fosse trattato di accuse gravi, avrebbero coinvolto anche il Consiglio. »

Alle sue parole Kisshu e Taruto tossicchiarono con indifferenza.

« Ma allora perché arrestarlo? »

Domandò Lenatheri. Teruga sospirò:

« Evidentemente qualcuno del Corpo Disciplinare non è così convinto che siano stupidaggini. Forse perché hanno ricevuto queste "prove" da qualcuno di affidabile. »

Le iridi rame di Lena divennero due spicchi di metallo lucente:

« Ebode… »

« Ma non ha senso! – sbottò esasperata Ichigo, un'emicrania incombente solo per capire l'arzigogolata divisione di potere a Jeweliria – Perché far arrestare Pai? »

Teruga si limitò ad alzare lo sguardo. Proprio nello stesso momento un consigliere di mezza età si ritrovò a passeggiare nella loro direzione sul lato destro del corridoio; Teruga lo salutò cordialmente e lui invece rispose sbrigativo e a disagio, dandosela letteralmente a gambe.

« Era Icid-san? »

Teruga annuì lentamente e Lenatheri si adombrò di più:

« Fino a ieri vi appoggiava completamente… »

« E oggi, con uno degli ufficiali assegnati a questo progetto sottoposto ad indagine, si è posto delle domande. – sospirò l'anziano annuendo di nuovo – Ebode voleva questo. Che perdessimo fiducia tra i Consiglieri, e la fiducia è difficile da riconquistare. »

« Specialmente se ad essere sotto esame è un ufficiale già finito a processo di fronte al Consiglio. »

« Ok, Sando-san, abbiamo capito, siamo dei pericolosi delinquenti. – batté seccato la lingua Kisshu – La smettiamo di rinvangare la cosa? »

Teruga mandò uno sbuffo divertito. Si fermò sull'incrocio di due corridoi, accennando a lasciarli e proseguire con le sue faccende e sorrise:

« Vedrete che si risolverà. Il colonnello Ikisatashi saprà gestire senza alcun problema le sedute del Corpo Disciplinare, e io sfoggerò qualche mio vecchio trucchetto alla prossima riunione del Consiglio. »

« Lei ha sempre una soluzione Teruga-san. »

L'uomo rise piano:

« Beh, non posso fare molto altro purtroppo, capitano Luneilim. Portate i miei saluti al colonnello. »

« Sarà fatto, signore! »

MoiMoi fece un teatrale saluto militare, strappando un'altra risata all'uomo, e lui e Lenatheri se ne andarono via rapidi.

« Bene! – esclamò Ichigo allegra – Andiamo a vedere come sta Pai-san? »

« Ichigo-chan, potresti almeno non gongolare così. »

« Io non sto gongolando! »

« Nee-chan, hai gli angoli della bocca che tremano. Sembri il Joker. »

« Nyah, non è vero. »

« Credo che d'ora in avanti sia meglio tenere te e Pai ad almeno cinque metri di distanza. Per evitare vi ammazziate, sai… »

« Concordo, Eyn. »

Veloce come un lampo Kisshu scivolò alle spalle della rossa, fermandola con una mano sulla spalla:

« Iniziamo da subito, gattina. »

« Come? »

« Non ricordi? Kiddan-san, ricerche, fantasmi di strane tipe bionde… »

Lei sbattè gli occhi senza capire.

« Ha ragione. Visto che non sappiamo quanto Pai dovrà restare sotto la custodia dell'Armata, è bene che inizi le ricerche Ichigo-chan. »

« Eeeeh?! – gemette la rossa – Ricerche? Io? Da sola?! Nyaaah! »

« Buon lavoro nee-chan! »

« Coraggio. »

« Belle amiche che siete! Mi abbandonate così! »

« Su micina non stai mica arruolandoti come militare. »

Il verde le prese il braccio per teletrasportarsi ed Eyner gli puntò il dito contro, severo:

« Kisshu. »

« Ehi, l'accompagno e basta. – si difese – Sarò bravo come un angioletto. »

Salutò con un ghignetto e si teletrasportò mentre la rossa continuava a lamentarsi.

 

 

 

A volte pensava di aver sbagliato mestiere; con la sua intelligenza e la sua calma forse avrebbe dovuto seguire le orme della madre e diventare medico. Di certo, si sarebbe risparmiato una buona dose di mal di fegato.

La calma in ogni caso tornava utile non solo per tenere un bisturi, ma pure per non folgorare sul posto la povera truppa di soldati semplici venuto ad arrestarlo sulla soglia di casa.

Lui in arresto per tradimento e complotto. Quelli del Corpo Disciplinare si erano fusi del tutto il cervello.

Si era imposto di non uccidere nessuno – cosa di cui i soldati non erano stati informati, da come avevano tenuto prudenti le armi in bella vista sotto la sua aria furente – e si era sforzato di capire il perché del teatrino: aveva fatto in fretta a vagliare tutte le opzioni, e appena il nome di Ebode aveva fatto capolino nella sua mente, aveva seguito i soldati mansueto come un agnellino, mal celando il fastidio e la noia che avrebbe dovuto subire nei giorni successivi. Sul punto non era così abile e i soldati se n'erano di certo resi conto, almeno da come tenevano una distanza di sicurezza da lui per evitare di finire a sfavillare di elettricità in stile luminarie di Natale.

Non era nelle abitudini di Pai rimanere in ozio, ma doveva ammettere che le celle per gli ufficiali erano sufficientemente comode da concedersi qualche giorno di riposo in tranquillità senza prendere a testate il muro dall'esasperazione.

Almeno lo spero.

Sentì un trambusto lieve fuori dalla porta, poi qualcuno la aprì e un ciuffetto viola fece capolino dallo spiraglio, annunciando la vocetta squillante che lo salutò:

« Buongiorno Pai-chan. »

« Dunque è già finita la quiete… »

« Sei il solito antipatico. »

Lui sospirò divertito e il resto del gruppo si fece avanti; fu molto contento di non vedere né Ichigo né Kisshu e passò del tutto in secondo piano cosa avrebbe potuto combinare il fratello di stupido nei confronti della mewneko: la cosa importante era non vedere le loro espressioni divertite.

« Sembra quasi una stanza d'albergo. »

Constatò Purin curiosando in giro. In effetti nella camera c'era un letto dall'aria confortevole, una scrivania con uno dei bizzarri computer jeweliriani, uno scaffale con dei libri e perfino una finestra senza alcun tipo di sbarra.

« Ma è davvero una cella? »

Taruto annuì e tese la mano per richiamare i suoi pugnali; Purin scorse la lama apparire e scomparire ad un centimetro dal palmo di lui, come l'immagine su un televisore senza segnale.

« Niente armi, non ci si può teletrasportare fuori, non si può volare e non si può uscire. – aggiunse MoiMoi ed indicò la porta – Non senza passare davanti ai due simpaticoni la fuori. »

La biondina fece cenno di sì, più convinta.

« Allora? Come va? »

Pai fu lievemente sorpreso dalla domanda di Eyner e i due ragazzi si scrutarono un istante.

« Ne ho passate di peggiori. »

Rispose calmo. Eyner si limitò ad annuire.

« Al momento, muoio di noia. »

« La peggior punizione da affibbiarti. »

Replicò il bruno un po' più tagliente. Pai incassò senza colpo ferire e il sorrisetto di Eyner divenne meno astioso: era disposto a seppellire l'ascia di guerra, ma avrebbe dovuto fargli digerire ancora per un po' le sue parole al laboratorio.

« Ho già chiesto un permesso per occuparmi delle analisi al centro da qui. – fece poi il moro rivolto a MoiMoi – Ma Momomiya dovrà arrangiarsi: non ho intenzione di rimanere più a lungo qui dentro per scontare uscite all'archivio. »

« Credo che Ichigo-chan saprà cavarsela – ammiccò il violetto – e Ryou-chan ti darà una mano dalla base. »

La vena sulla fronte di Pai ebbe un guizzo:

« Shirogane? »

« Su, non fare il difficile, io devo occuparmi di Minto-chan. »

Lo rimproverò.

« Credo ti abbia già dimostrato la sua bravura. »

Aggiunse Zakuro, abbastanza divertita nel vedere l'alieno così seccato. Pai grugnì una risposta muta squadrandola velenoso.

« Bravissimo. Oltre che carino. »

Scese il silenzio. MoiMoi studiò tutti guardarlo fisso.

« Beh che c'è? – fece innocente di fronte alla mascella cascante di Sando – Gli occhi ce li ho attaccati alla testa, e funzionano anche bene. Ahio! »

« Usali per lavorare invece che per fare l'imbecille. »

Bofonchiò il verde dandogli uno scappellotto.

« Che male…! Manesco! »

Ci fu un leggero bussare e una delle sentinelle si affacciò per controllare la situazione. Sando grugnì di non preoccuparsi, e mugugnando che doveva conferire con Ronahuge se ne uscì con passo pesante; MoiMoi, ridacchiando, lo seguì allegro tornando al reparto 5 e gli altri lo imitarono, lasciando la stanza.

Fuori, Retasu si allontanò con loro di appena qualche metro e poi si fermò, scrutando apprensiva la porta chiusa e le due guardie di fronte ad essa.

Si diede della stupida. Lei era arrabbiata con Pai per come si era comportato, con Eyner, con Zakuro, con lei; molto, molto arrabbiata. Eppure non riuscì a non fissare quella porta e a sentirsi in ansia: per quanto confortevole, una prigione restava una prigione; Pai era sempre tranquillo e impassibile, ma sarebbe stato bene?

« Nee-chan! Guarda che ti lasciamo qui! »

« Eh? S-sì… Arrivo! »

Diede un ultimo sguardo oltre la spalla e trottò dietro al gruppo scuotendo la testa.

Sono una povera idiota.

 

 

***

 

 

Il sole era alto in cielo e la sua luce riusciva a penetrare le tenebre della vecchia Jeweliria, coprendola con una polverosa luminescenza dorata. Ichigo si sentì molto più allegra alla vista della città in rovina rivestita di luce e seguì Kisshu andare incontro al vecchio Kiddan con il cuore più leggero; l'uomo era nella stessa posizione dell'ultima volta in cui l'avevano visto, quasi non si fosse mosso.

« Ultimamente ricevo davvero parecchie visite, come mai tanta voglia di tornare alle origini? »

« Bisogno di consulenza. – sorrise Kisshu – Potrebbe accompagnare Ichigo al vecchio archivio? »

Kiddan smise di digitare sulla tastiera e si voltò circospetto. Mosse qualche claudicante passo e giocherellò con le lenti dei suoi occhiali, allungandole in modo da vedere Kisshu ben da vicino:

« Conciso e veloce. »

Da come la sua voce sottile si incupì l'idea di andarsene a spasso non lo allettava.

« Cerchiamo una ragazza, qualcuno della casa Mevynas, o una cosa del genere… »

« Melynas. »

Lo corresse e Kisshu ammiccò affermativo.

Kiddan riflettè sulla cosa e si avvicinò lentamente ad  Ichigo:

« Dove l'avresti vista? »

Lei non seppe bene cosa rispondere, a disagio:

« Ecco… È una storia un po' lunga… »

« Per arrivare all'archivio ci vuole tempo, visto che ci si può accedere unicamente a piedi; anche con le tue gambette. – tagliò corto lui – E io sono paziente. »

Senza aggiungere altro iniziò a incespicare lungo una strada che costeggiava la città fin oltre i limiti della caverna, facendo un vago cenno con la mano metallica perché la mewneko lo seguisse.

« Allora tu non vieni? »

« Mi dispiace micetta, se salto il controllo per il braccio rischio io, l'incarcerazione a vita. Dovrai resistere senza di me. »

« Era solo una domanda. »

Sbottò lei, infastidita dal suo tono allusivo. Kisshu ridacchiò:

« Su, non fare la permalosa. Ci vediamo dopo. »

Si schioccò un bacio su indice e medio e li posò sulla bocca di lei, evitando di un soffio con il teletrasporto che Ichigo gli portasse via il naso. Kiddan ridacchiò stentato vedendo la ragazza gesticolare nevrotica al vuoto, le orecchie nere da gatto e la coda che si muovevano arruffando il pelo.

« Quel ragazzo non è contento se non rischia la pelle. »

« Prima o poi lo faccio a sashimi! »

Sbottò lei arrossendo indispettita.

« Cerca di portare pazienza. – la blandì Kiddan, riprendendo a camminare – È un idiota e un prepotente, ma in fondo è la persona più sincera che conosca. »

Ichigo sospirò, seguendolo lungo il sentiero:

« Lo so. »

E questo rende tutto più complicato.

 

 

 

Durante il tragitto Ichigo tentò di spiegare nel modo più chiaro possibile ciò che aveva visto sulla misteriosa jeweliriana bionda, senza magari apparire completamente pazza come immaginava. Il fatto che anche altri avessero avuto le sue visioni, non la induceva molto a dubitare di avere delle crisi psicotiche.

Kiddan non disse una sola parola, annuendo accompagnato costantemente da un lieve cigolio metallico. La condusse lentamente lungo la città, costeggiando case e palazzi, fino ad arrivare ad una piazza che sembrava ritagliata a viva forza tra gli edifici. Sulla parete della grotta opposta alla piazza una scala, più nuova del resto delle costruzioni, saliva incastonata del muro come quella con cui si accedeva alla caverna, finendo in una botola proprio sul soffitto. Attorno ad essa giganteschi pali metallici sorreggevano una parte del soffitto, che ad un occhio attento appariva diverso dal resto: li i pannelli che costellavano la grotta non c'erano, ma solo quelle che sembravano colature di una sostanza simile al cemento; per un solo istante, Ichigo le scambiò per fondamenta di un edificio.

Kiddan salì la scala poco alla volta, sbuffando affaticato, e bussò alla botola in un clangore di metallo e legno: il portello restò chiuso finché non si udì un cigolio di chiavistelli e la caditoia si aprì di scatto verso l'alto, inondando la scaletta della pura luminosità del giorno. Ichigo si coprì gli occhi con la mano, accecata, e sentì una voce giovane ridere con garbo:

« Kiddan-san, quanto tempo! Come mai questa visita? »

« Cosa potrò mai voler fare all'archivio, Merurk, una ricerca. »

Il giovane rise ancora comprensivo:

« Certo. Mi scusi. »

« Ora basta chiacchiere e tiraci su, questo trabiccolo è terrificante per la mia gamba sana. »

Una mano si sporse oltre la botola e tirò su senza fatica l'anziano; Ichigo si affrettò a raggiungere gli ultimi scalini e afferrò la mano che nuovamente si era affacciata nel buco angusto, sollevandola come se fosse fatta di piume. Quando ebbe abituato la vista alla luce, Ichigo ebbe la conferma che ciò che aveva visto spuntare dal soffitto era davvero la base di un edificio: i jeweliriani non avevano ricostruito l'archivio, lo avevano interamente trasportato in superficie così com'era nel sottosuolo.

« Un'ospite! Questa è una vera novità. »

Ad accoglierli fu una guardia, un giovane che non doveva essere tanto più grande di Ichigo con un volto dolce e perfetto da modello; aveva occhi dello stesso tono del lime e capelli rosati, tenuti ordinatamente corti, e appariva minuto e non molto alto per un soldato. Passato il primo attimo di smarrimento di fronte al bel faccino, Ichigo notò che aveva la stessa divisa indossata da Iader, ma di foggia più curata, e sui toni più del nero con rifiniture marroni.

« Momomiya, ti presento Merurk, è a capo della guardia dell'archivio. »

« Diciamo che sono più un custode con il permesso di portare una spada alla cintura. – minimizzò il ragazzo ridendo – Piacere Momomiya-san. »

« P-piacere mio. »

« Kami-sama, Merurk, potresti girare con un sacchetto sulla faccia? La ragazzina deve lavorare di cervello, limitati a rincretinire le archiviste per favore. »

Ichigo si mise pronta una mano sulla testa, avvertendo le orecchie feline spuntare per l'imbarazzo, e Merurk sorrise a disagio:

« La smetta Kiddan-san… Cosa vi serviva? »

« Notizie sulle vecchie casate. »

Replicò il vecchio spiccio. Merurk annuì, sorrise gentile a mo' di scuse verso la rossa e fece cenno ad entrambi di seguirlo.

L'edificio in cui si trovavano appariva estremamente curato nei dettagli. Aveva alti soffitti ogivali e pareti chiare ricolme di libri, inondati dal sole attraverso finestre dai vetri intarsiati con immagini floreali; Ichigo ebbe l'impressione di un luogo creato per custodire, per emanare sensazioni di pace e bellezza, e forse era il motivo per cui non avevano pensato a ricostruirlo da capo, dopo essersi trasferiti all'esterno. Lungo i corridoi stanziavano poche guardie dall'aria assonnata e dall'aspetto meno aitante dei soldati visti attorno al Palazzo Bianco, e alcune persone intente a consultare e spostare mucchi di tomi alla volta con la devozione riservata ad opere d'arte od oggetti fragili.

« Sono veri libri? »

Domandò la mewneko stupita.

« Esatto. Sulla Terra li utilizzavamo moltissimo – le spiegò Merurk – molti di questi sono solo copie dei nostri primi anni su Jeweliria, ma alcuni vengono direttamente da là. »

La rossa lo guardò un po' confusa.

« Usiamo un impasto con alcuni additivi speciali – continuò lui ammiccando – non ci occorre abbattere più di un solo albero per almeno un migliaio di copie. Inoltre, moltissimi sono riciclati più volte, anzi ormai credo che quasi tutto l'archivio sia stato giù riciclato almeno una decina di volte. »

« Su, su, non perderti a fare la guida turistica. – ridacchiò asmatico Kiddan con impazienza – Voglio tornarmene al lavoro prima possibile, muovi quel sedere rachitico invece di chiacchierare. »

Merurk sorrise di nuovo condiscendente e accelerò il passo; il corridoio si riempì dei passi sonanti e scombinati di Kiddan, che nonostante la fatica non emise un verso di disapprovazione nell'arrancare dietro i due giovani.

Proseguirono per alcuni minuti e Ichigo iniziò a capire il senso della battuta di Kiddan. Le persone che aveva intravisto armeggiare con i libri, tutte vestite senza particolari divise eccetto uno stemma sempre uguale cucito sulla spalla, erano per la maggior parte donne e ogni volta che una di loro incrociava lo sguardo di Merurk, il quale rispondeva con il suo sorriso gentile da divo, bisognava solo allontanarsi di qualche metro per sentirla sciogliersi in risatine stupide. Il ragazzo non sembrava interessato, o forse non se ne rendeva conto, e continuò spedito fin a voltare a destra in un corridoio secondario e fermarsi di fronte ad una delle altissime porte decorate:

« Se volete cercare qualcosa del vecchio governo terrestre, può aiutarvi solo Kilig(*). »

La porta si aprì pesantemente con uno scricchiolio su una sala alta e stretta stipata di cartacce e libri, alcuni dei quali ancora in bianco o riempiti solo per metà. L'udito felino di Ichigo captò la presenza di qualcuno intento a sfogliare la carta, ma nell'accatastamento non riuscì a scorgere anima viva.

« Kilig-san è la nostra archivista più esperta, vi aiuterà di sicuro. »

Il ragazzo battè un paio di volte contro lo stipite della porta, facendo risuonare i colpi bassi e secchi. Il frusciare di carta si interruppe di colpo e si sentì un tramestio e dei passi, e dalla massa di oggetti spuntò una giovane jeweliriana. Non si poteva davvero definire bella: magra come un chiodo e sgraziata, stava infagottata in abiti informi grigio topo, che ne mortificavano le forme ed evidenziavano un pallore malaticcio; occhi color dell'oro invecchiato brillavano in uno sguardo un po' annoiato, sotto una fronte resa ampissima dalla frangia tirata all'indietro e dalle strettissime treccine in cui erano tenuti i lunghi capelli petrolio; un oceano di efelidi punteggiavano il viso affilato e poco elegante, risaltando nel leggero rossore che tinse le guance quando la giovane focalizzò tutti i presenti.

« Merurk-san. »

« Buongiorno. – fece lui con dolcezza – Sempre indaffarata? »

Kilig, timidamente, non rispose facendo solo un cenno con il capo e stringendosi al petto i libri che aveva con sé come fossero uno scudo.

« Kiddan-San e questa signorina avrebbero bisogno di svolgere una ricerca. »

Lei parve lievemente delusa che si trattasse di una richiesta di lavoro, ma sospirò quasi subito come se la cosa fosse un'ovvietà e guardò annoiata l'anziano uomo.

« Sulle famiglie della Terra. – disse lui con un cenno di cortesia – La famiglia Melynas. »

Kilig corrugò la fronte e studiò Ichigo, dubbiosa sulla richiesta, ma poi fece spallucce e scomparve tra gli scaffali. Tornò poco dopo, un tomo così grande in braccio che se le fosse caduto su un piede glielo avrebbe rotto di sicuro. Si appoggiò sull'unico angolino del tavolo non sommerso di scartoffie, cercando di fare posto, e Merurk le andò in aiuto prendendole il libro dalle mani; Ichigo pensò che si sarebbe incendiata la stanza da tanto la ragazza era arrossita. Ringraziò con un mugugno passo e un mezzo sorriso, terminò di fare posto e riprese il libro tenendo sempre lo sguardo basso, posando quindi l'enorme volume sullo spazio ottenuto.

« Se vi serve aiuto – bofonchiò – io sono qui dietro… »

Kiddan le rivolse un altro cenno di ringraziamento, imitato da Ichigo, e Kilig scomparve nella sua tana con la rapidità di un topolino. Anche Merurk si congedò e Kiddan invitò Ichigo a sedersi su uno degli sgabelli che, dopo difficile ricerca, ritrovarono sotto il tavolo, e si mise a sfogliare il libro velocemente. Si fermò dopo una decina di minuti, lasciando frusciare la carta tra le mani:

« Assomigliava per caso a lei? »

Ichigo guardò il dito metallico che picchiettava sulla carta e rimase stupefatta.

La pagina di destra riportava una serie di scritte in jeweliriano che non capì, quella di sinistra una stampa in bianco e nero poi colorata con degli inchiostri, che ritraeva una ragazza forse appena ventenne.

La giovane era magra, fasciata in un lungo e semplice abito giallo pastello senza maniche e con scollo a cuore che donava grazia alle sue forme minute, e agghindata con due collane di pietre bianche e nere attorno al collo; quasi esangue nell'incarnato appariva come una persona malaticcia, o che aveva passato molti anni di malattia, ma le gote erano delicatamente rosee come le labbra sottili. Gli occhi azzurri ricordavano un cielo estivo, brillanti, puliti, seppur un po' stanchi; aveva lunghi capelli biondo grano tenuti in una coda alta, legata sulla nuca con una treccina, e due ciocche attorno al viso, tutto ordinato e curato a dispetto della frangia un po' troppo lunga e arruffata.

Ichigo stette con la bocca semiaperta a sfiorare il libro con le dita, era sicuramente la ragazza che aveva visto.

« Chi è? »

Chiese debolmente. Kiddan allungò il braccio meccanico e lesse la scritta in grande stampata sopra l'incisione:

« Luz Melynas(**) – fece scorrendo l'indice acuminato sotto il testo – detta Luz la Soave, 48esima erede della casata Melynas. »

Ichigo annuì appena.

« Era la famiglia che governava la nostra gente millenni fa, quando vivevamo sul Pianeta Azzurro. »

Aggiunse l'anziano e Ichigo annuì più sicura; a guardare quel ritratto la giovane le apparve più che degna del suo titolo e della nobiltà che avvertì nel suo nome.

Si rese conto che Kiddan era rimasto in silenzio con espressione greve e sollevò lo sguardo dal libro senza capire. L'uomo sospirò profondamente:

« Colui che conosciamo come Deep Blue apparteneva alla casa Melynas. »

 

 

***

 

 

La sua tazza di caffè nero bollente sul comodino, il letto pulito ma disfatto dalla notte prima che diveniva un accogliente cantuccio e il suo libro tra le mani dopo un paio d'ore di giri in moto.

Quella era decisamente la sua idea di pomeriggio rilassante. E solo il cielo sapeva quanto ne avesse bisogno.

L'ultima settimana era stata sfibrante; catalogare ancora tutte le informazioni raccolte assieme a Pai, per giunta in differita – e con il moro che, giorno dopo giorno passato in gattabuia, diventava sempre più scontroso – era un lavoro lungo, faticoso e tedioso quanto riordinare un sacchetto di spilli per colore di capocchia.

In aggiunta, le poche ore che trascorreva al Cafè non erano delle migliori. Nella sua stanzetta di ospedale Minto alternava momenti di stabilità ad improvvise crisi di rigetto, cosa che lasciava le ragazze nello sconforto più totale e senza poter fare nulla di concreto: le si vedeva sorridere con sommo sforzo alle clienti e poi vagare sospirando con gli sguardi angosciati, senza quasi spiccicare parola; la presenza dello schermo della mewbird, quella sorta di fantoccio meccanico con le sembianze della loro amica, non era di aiuto, e un paio di volte Ryou aveva beccato Purin nel tentativo di manometterlo e farlo sparire. Non c'era neppure la presenza rassicurante di Zakuro, che seppure uscisse ogni giorno da casa dell'americano, non restava troppo al locale, e ormai MoiMoi non riusciva più a tenere nascosta la lista sempre più esigua di soluzioni da vagliare; perfino Ryou, nei ritagli di tempo in cui non crollava sulla tastiera, si era messo alla ricerca di un antidoto, fino ad allora invano.

La cosa che lo tormentava di più era, sempre, Ichigo. La ragazza lo stava preoccupando, passava metà delle giornate all'archivio di Jeweliria e l'altra metà tra scuola e Cafè, infilando nel mixer le visite sempre più preoccupate al capezzale di Minto; di quando in quando la si scorgeva ammirare per minuti interi il telefonino senza digitare nulla, sospirando, e poi metterlo via mordendosi il labbro sul punto di piangere.

I suoi nervi erano sul filo di un rasoio, ma Ryou non osava intromettersi: avrebbe scommesso la sua moto che gran parte dei pensieri della rossa fossero rivolti al noto merluzzo ecologista – argomento su cui lui non sarebbe stato molto obbiettivo – e per il resto, ormai lui era così sfinito nel suo tenere le dovute distanze, che se Ichigo avesse versato una sola lacrima in sua presenza, avrebbe compiuto qualche gesto inconsulto come la sera al fiume.

Sì, aveva decisamente bisogno di un paio d'ore di isolamento e quiete.

Quando aprì la porta udì immediatamente il movimento lieve dalla cucina, si affacciò e Zakuro gli fece un lieve cenno con il capo, finendo di versarsi il suo caffè. La mora aveva iniziato da qualche giorno a fare la spola tra casa sua e l'appartamentino, ancora titubante a tornare nella sua abitudinaria solitudine.

« Sei rientrata. »

« Anche tu. »

Constatò la mora con un'occhiatina allusiva e lui mosse la mano per zittirla; non aveva battutine di risposta per difendersi, essendo scomparso sulle strade per quasi tutto il pomeriggio.

Entrò in cucina e si servì anche lui una tazza di caffè, mentre lei stiracchiandosi si allungò sul pouf verde acido nell'angolo della camera sotto la finestra. Un dono di Keiichiro; il bruno era un fervido sostenitore della comodità domestica e quella poltrona era per lui la massima espressione del rilassarsi in casa, così non aveva visto perché non contribuire all'arredo dell'appartamento con il piccolo gioiellino. Avesse scelto un colore meno allegro Ryou sarebbe stato più felice.

Zakuro sospirò stancamente e tirò fuori dalla borsa un libro in edizione economica, un romanzo che si stava portando dietro da settimane; Ryou lesse distrattamente per l'ennesima il titolo in spagnolo La sombra del viento(***), e non seppe se sentirsi più stranito della ragazza che sfogliava letteratura in lingua o che per lui fosse diventata un'immagine normale il vedersela sulla poltrona.

Si risedette sul letto con nonchalance agguantando il proprio volume, consapevole che  la mora aveva intuito il suo umore appena aveva varcato l'ingresso. Gliel'aveva letto negli occhi e nel sorrisetto che gli aveva scoccato entrando, ma lui continuò a far finta di nulla.

« Come stai? »

Gli chiese infine sorseggiando il caffè e lui scrollò le spalle.

Come poteva stare? Da schifo.

« La domanda sarebbe più lecita da parte mia. »

Lei lo studiò divertita. Con il modo assurdo che aveva Ryou di ringraziare chi si preoccupava per lui, non si sorprendeva molto delle difficoltà nel suo rapporto con Ichigo.

« Bene. – replicò svelta – Sono in via di guarigione, e più in fretta di quanto pensassi. »

« Me ne sono accorto. »

In tutta onestà, Ryou avrebbe detto perfino troppo. La capacità fisica della mora era notevole, certo, ma era il suo umore ad aver avuto un picco di miglioramento improvviso, ed era una cosa per cui riuscire a trovare risposta stava diventando immensamente complicato.

« Centra qualcosa il fatto che tu vada in giro chissà dove ogni giorno? »

« Mi piace passeggiare. »

Replicò pacata.

« Con i tacchi. »

« Dovresti cambiare le ruote alla moto, immagino avrai consumato tutto il battistrada. »

Ryou si zittì punto sul vivo e lei non chiese altro, vendendolo concederle un lieve sorriso. Sapeva perfettamente che, anche se il biondo non voleva parlare, avere la certezza della possibilità di farlo quando avesse voluto lo faceva sentire un poco più in pace.

Zakuro posò la tazza vuota per terra, insistendo nel suo tranquillo mutismo, e rannicchiò elegantemente le gambe aprendo la pagina sul segnalibro. Ryou la sentì mandare un sospiro divertito e la scorse giocherellare con qualcosa.

« Da quando gli stecchi da gelato si usano per tenere il segno? »

Zakuro prese il pezzetto di legno posandoselo in grembo.

« Non è da gelato, è da ghiacciolo. Rovinano meno le pagine. »

« Ovviamente. »

Lei iniziò a leggere senza neppure dare adito ad aver notato il suo tono sarcastico e senza dare segno di voler continuare la conversazione, rigirandosi sovrappensiero con un sorrisetto lo stecco tra le dita.

 

 

***

 

 

Sei scema. Completamente scema.

Retasu fissò la porta ad un metro da lei con le labbra strette in una morsa e le dita calcificate sul sacchetto che portava.

O bussi o non bussi. Su.

Nulla da fare, era una statua di sale.

Si domandò cosa le fosse passato in testa per fare una cosa simile. La sua indole da crocerossina l'avrebbe portata al manicomio prima o poi.

Ma il motivo era stato unicamente quello, vedere Lasa così in ansia. Dopo una settimana il processo a Pai procedeva con una lunghezza disarmante, e nonostante i benefici accordatigli il ragazzo non poteva quasi comunicare con nessuno, né avere contatti con i familiari o con gli altri membri dell'equipe scientifica con cui lavorava; la donna era sempre più turbata ogni volta che loro andavano a trovare Minto, e Retasu aveva semplicemente pensato che, dato che su di lei e le amiche non erano state imposte restrizioni…

In fondo lo faceva solo per farla stare meglio. Con tutti i pensieri che aveva, non facevano bene alla sua gravidanza…

Si sistemò mogia gli occhiali sul naso, neppure a se stessa dava a bere le sue bugie.

Scema. Sei scema, scema, scema!

Inspirò a fondo facendo un gran fracasso, ormai era in ballo, tanto valeva ballare; non aveva molto senso sostare in piedi come un baccalà per altri dieci minuti.

Le sue braccia restarono tese lungo il busto a stringere il suo pacchetto e lei mosse appena un paio di passi, fermandosi con la porta a dieci centimetri dal naso.

Su, bussa. Dai. Bussa. Coraggio, bussi o no?(****)

Le prese un colpo quando la porta si aprì da sola di botto e lei si ritrovò di fronte l'espressione sorpresa di Eyner:

« Ciao Reta-chan! – esclamò allegro – Che fai qui? »

Lei non fu in grado di fare altro che tartagliare monosillabi senza senso, rossa come un ravanello, e starsene con lo sguardo rivolto sempre più in basso a giochicchiare con il suo sacchetto.

Una delle due guardie, che di norma sostavano sulla porta, uscì dalla stanza dove probabilmente aveva tenuto d'occhio la situazione, l'altra rientrò dal giro di ispezione del corridoio, ed entrambe si rimisero alle loro postazioni scrutando la scena dubbiosi; la faccia della verde divenne una sorta di catarifrangente ed Eyner sospirò con dolcezza.

Retasu era troppo concentrata a mantenere un briciolo di apparente sicurezza e non ascoltò cosa disse il bruno alla guardia: poi lui le posò una mano sulla spalla e la tirò dentro affacciandosi con lei, e nonostante il cervello le ordinasse di darsela a gambe potè solo ad assecondarlo docilmente.

« Pai, hai altre visite. »

Fece posto alla verde spingendola all'interno; lei incassò la testa tra le spalle nella speranza di farla sparire e mormorò un inudibile ciao a cui Pai non rispose, decisamente sorpreso della visita.

« Oggi c'è folla da queste parti. »

Il moro emise uno strano monosillabo non ben definito.

Retasu aveva visto giusto il giorno dell'arresto, per quanto graziosa la stanza restava in tutto e per tutto una cella e Pai ne portava i riflessi addosso. Le apparve un pochino sciupato e più pallido del solito, o magari era la luce scarsa, e gli si leggeva in volto l'insofferenza e l'irritazione di essere confinato tra quattro mura in un quasi totale isolamento; dai capelli e dai vestiti sembrava avesse tentato di mantenere l'aspetto decoroso, riuscendo unicamente a stemperare l'aria del naufrago dai capelli scompaginati, con un velo di barba evidente che causò alla mewfocena una piccola caduta gravitazionale del muscolo cardiaco fino al diaframma.

Il ragazzo non diede adito a voler rispondere alla ragazza, gelando le poche parole di Retasu in un mutismo imbarazzato. Eyner, poco desideroso di trovarsi lì in mezzo, tossicchiò e salutò entrambi uscendo e chiudendosi la porta alle spalle. Retasu maledisse la sua mancanza di reazione immediata agli stimoli o lo avrebbe placcato sull'uscio pur di andarsene.

Se ci fosse stato il sottofondo di un ticchettio d'orologio la scena sarebbe stata pateticamente perfetta.

Perché non ti inghiotte mai il pavimento quando serve?

« … Che ci fai qui? »

« I-io… Ecco… »

Sollevò di scatto il pacchetto come a rispondergli e seppe da sé di avere l'aspetto di una marionetta tanto era rigida, e pregò solo che lui le desse una scusa per darsela a gambe. Pai non collaborò; si alzò lentamente in silenzio, afferrando il pacco abbastanza confuso, e si risedette scrutando la verde tutto il tempo. Per lei era come trovarsi di fronte ad una macchina dei raggi X.

« Oggi a lezione… Ne ho fatti di più. Pensavo che… Non so… »

Pai avvertì un lieve tepore mentre apriva il pacchetto e sollevando il coperchio della scatola che conteneva, un fragrante odorino di carne e verdure invase la stanza; lui non disse una parola, ma il suo stomaco rombò di contentezza.

Retasu trattenne una risatina irrequieta, non poteva andarsene a quel punto; cercò con la coda dell'occhio un punto dove sedersi, individuando la minuscola sedia sgangherata della scrivania, e si accomodò mentre di sottecchi scorgeva il ragazzo incominciare a dare fondo con tutta calma al contenuto del bento.

« I baozi(*****) non sono il mio forte – mormorò tra sé e sé la verde, aggiustandosi nervosamente un ciuffo dietro l'orecchio – così ho provato più volte, ma alla fine ne ho fatti troppi… »

Pensò che Pai non la stesse sentendo o non la stesse considerando, poi però lo vide interrompere il pasto posando un baozi mangiucchiato nella scatola e guardarla fisso; si risultò ridicola da sola, ascoltando la sua bocca continuare a parlare e le parole diventare sussurri sempre più lievi.

« Perché sei venuta? »

La domanda a bruciapelo non fece che serrarle ancor di più la voce in gola. La verde deglutì non sapendo più dove posare lo sguardo pur di non incrociare direttamente quello dell'alieno:

« No, solo che… Ho parlato un po' con Lasa-san, diceva che qui, anche se sei agevolato, in fondo… E l'ho pensato anch'io, così oggi io… Non ci ho riflettuto. – ammise sospirando – Mi… »

Stava per dire mi sei venuto in mente, ma si morse le labbra per non finire la frase. Immaginò che sulla sua testa lampeggiasse a caratteri cubitali la scritta patetica, e il ricordo dell'ultima volta che avevano parlato da soli le trapanò le tempie: non sarebbe stata in grado di reggere una risposta peggiore del silenzio seccato che le aveva concesso.

« Non dovevi. »

Tutto il corpo della verde si teste alle sue parole:

« Lo immaginavo. – sussurrò e poi fece più forte – M-mi dispiace, io n- »

« No, davvero. Non dovevi. »

Il tono di Pai non era né di rimprovero né scocciato. Retasu non fu in grado di definirlo, ma le sembrò di scorgere un cenno di ringraziamento, scomparso nell'istante in cui aveva sollevato lo sguardo; era rimasto solo il ragazzo, inespressivo, intento a mangiare piano.

« Mi dispiace per l'altro giorno. »

La verde processò per cinque minuti buoni ciò che aveva sentito. Gli occhi azzurri si spalancarono diventando enormi dietro le lenti.

« Mi sono comportato male con te. »

Affondò un morso nel baozi e per un po' il suo leggero masticare fu il solo suono che si udì. Pregò in cuor suo di essere stato sufficientemente neutro da mandare scuse sincere e al contempo prive di ogni possibile doppio senso – cosa di cui, in fondo, non si doveva preoccupare, no? – maledicendo Eyner di cui non solo si era dovuto sorbire l'interrogatorio e poi la predica per il suo comportamento, ma che aveva profetizzato un prossimo incontro con la mewfocena giunto troppo presto per prepararsi psicologicamente.

Lui doveva delle scuse; che credesse o meno – e perché non avrebbe dovuto? – su quanto aveva detto e non detto, aveva comunque sbagliato i modi: era abbastanza adulto e robusto da prenderne coscienza e fare le scuse a chi di dovere. Ma temeva di smuovere cose che avrebbero dovuto restare dov'erano, non era sicuro di reggere un altro eventuale pianto di Retasu.

Invece la vide distendere il più dolce dei sorrisi e scuotere appena la testa:

« Non importa. »

Appariva così felice di una scusa così banale, che Pai non osò replicare che non credeva non le importasse davvero. Si limitò a riprendere il pasto e a rivolgerle un cenno:

« Grazie. »

« Di niente. »

Era inutile essere tanto contenta, però non potè impedirselo:

« Mi fa piacere. »

Pai di domandò se lei fosse cosciente che quel suo sorriso era più letale di una pugnalata nel fianco, e riusciva a colpire con altrettanta precisione.

« Come… Sta andando? Con l'indagine, intendo. »

« Una noia burocratica. »

Replicò pragmatico e sospirò vedendola tendersi sulla sedia in cerca di dettagli.

« Il Corpo Disciplinare si riunisce e l'imputato si presenta, da solo, con un solo altro membro dell'esercito esterno alla questione come testimone.  Poi pongono alcune domande di rito ed espongono le "prove" da giudicare. »

« Domande di rito? Del tipo? »

« "È colpevole? O non lo è?" »

Le vide spalancare la bocca attonita.

« Scherzi? »

« Di norma, conviene rispondere che non lo sei. »

A lei scappò da ridere:

« Ma se è così, e tu inoltre sei innocente per davvero, come mai…? »

« Vengono messe al vaglio le prove. – sbuffò finendo l'ultimo boccone – Il problema è che nessuno dei tecnici che hanno interpellato è stato ancora in grado di stabilire se le prove siano contraffatte o meno. »

« Davvero? »

« Hanno selezionato degli idioti incapaci. Non so se apposta o meno. – fece seccato – È ovvio che sono false, anche uno scemo lo vedrebbe. »

Retasu si limitò ad annuire, non sapendo bene cosa dire per essere di conforto.

« Ormai in ogni caso le cose si stanno risolvendo – sospirò lui più calmo – potrebbe protrarsi ancora qualche giorno, ma è quasi finita. »

La mewfocena intuì dal tono che riteneva di essersi dilungato già in troppi dettagli su una faccenda che gli dava così fastidio, e non insisté con altre domande.

« Beh, meno male. »

Si limitò a dire.

Pai la fissò con la sua aria assente e indagatrice, e le porse uno dei suoi stessi panini; Retasu lo accettò e rimase ancora lì per un po', scambiandosi qualche convenevole senza troppe pretese.

Nonostante la leggerezza che avvertì nel petto, la verde era consapevole dell'inutilità dei propri sentimenti, e mai come in quell'istante desiderò, almeno per una volta, la capacità di detestare le persone che la ferivano come facevano tutti.

La contentezza che provava era l'amara prova che lei proprio no, non ne era capace.

 

 

***

 

 

Ichigo trovò davvero affascinanti i modi in cui potevano disegnarsi le venature del legno. Con la testa poggiata sul tavolo, riusciva a scorgerne ogni più piccolo dettaglio, una massa di onde e pieghe bellissime e, incredibilmente, meno noiose di quanto lei stesse facendo.

Percepì l'ombra immobile di Kilig alla sua destra e si costrinse ad alzarsi, ringraziandola in anticipo ma rassicurandola che non aveva bisogno di aiuto e stava solo riposando gli occhi; la ragazza fece spallucce e riprese a mettere via i libri che la rossa aveva definitivamente scartato, lasciando la poveretta al suo oceano di tediosa disperazione.

Sette giorni. Sette, lunghissimi, noiosissimi, interminabili, giorni, e lei non aveva cavato assolutamente un ragno dal buco, nonostante i quintali di libri che aveva sfogliato. A furia di leggere il jeweliriano, che come scrittura aveva un alfabeto abbastanza semplice, iniziava a non avere neppure più bisogno dell'aiuto di Kilig o Kiddan per tradurre.

Se non altro diventerò bilingue.

Si prese la testa tra le mani avvertendola evaporare.

Più ci pensava più non trovava un senso.

Perché aveva visto una parente di Deep Blue? E per giunta che le chiedeva cose di cui non comprendeva la ragione?

Aveva cercato di saperne di più sfogliando ogni volume che Kilig aveva recuperato sull'argomento, compreso più e più volte l'enorme tomo consegnatole il primo giorno, invano. Già in sé era difficile per lei capirci qualcosa, il libro non era altro che un noiosissimo elenco di membri della famiglia Melynas da quando si aveva memoria, passando dal ramo principale a tutti i rami cadetti; la sola cosa che aveva assimilato era come distinguere la linea di sangue più diretta dalle altre, cosa per nulla semplice perché da quanto si intendeva la famiglia Melynas non ammetteva immissioni di sangue "impuro" ed era normale sposarsi tra cugini.

« Queste cose da telenovela… Io i nobili proprio non li capisco. »

C'erano due cose interessanti che aveva notato. La prima, è che da nessuna parte compariva l'immagine o il nome di Deep Blue, cosa che non le sarebbe mai sfuggita dato che, tra i Melynas, i tratti distintivi erano i capelli biondi e gli occhi celesti. La seconda riguardava la sua misteriosa amica, Luz, nominata come quarantottesima discendente; eppure, le pagine si troncavano senza ragione dopo il quarantaquattresimo discendente riprendendo poi alla ragazza, senza che si riuscisse a capire il legame parentale diretto tra lei e i predecessori.

« Questi libri sono copie delle versioni ereditate dalla generazione terrestre – le aveva spiegato Kilig – se qualcuno abbiamo perso per errore delle parti, ormai sono irrecuperabili. »

Tradotto, non avrebbe mai scoperto i soli misteri che la intrigavano più che tutta la faccenda in sé.

Iniziava a pensare di essersi immaginata tutto. O che la visione fosse un altro inganno di Deep Blue, o un qualche strano effetto dell'esposizione alla Goccia. Non aveva modo comunque di scoprire quale fosse la verità.

Sospirò stanca. Gli occhi le caddero sulla sua cartella, riversa sul tavolo, e il cellulare che faceva capolino da sotto il fazzoletto.

Erano quasi quattro giorni che non sentiva Masaya. Sommandoli, nelle ultime tre settimane si erano sentiti a malapena ogni due giorni.

La cosa che le sarebbe dovuta sembrare più terribile, era che con il peso, le preoccupazioni e la stanchezza che si trascinava sullo stomaco, non avrebbe dovuto avere altro desiderio che sentire la sua voce. Di potersi sfogare con lui.

Ma non lo faceva. Mai. Né voleva.

Sentirlo iniziava a diventare esasperante, e la conversazione languiva in stupidaggini. Non aveva sufficiente forza mentale per reggere la situazione, né per chiarirla; non avrebbe sopportato altre chat o telefonate in cui lui la guardava senza accorgersi del marasma emotivo dietro il suo solito sorriso.

Scrollò la testa e battè piano la fronte sul tavolo.

Ora non è il momento di pensarci.

Chiuse l'argomento in un angolino della sua testa, a quel punto era una manovra estremamente semplice da compiere.

Rise di se stessa, un tempo non c'era secondo che il pensiero di Masaya non gliel'annebbiasse completamente, la testa.

Un tonfo leggero la riscosse e Kilig aspettò, il braccio teso verso alcuni libri dall'aria vecchissima e mal rilegati che aveva appoggiato accanto al gomito della rossa, finché lei non parve lucida a sufficienza da seguire le sue parole:

« Sono vecchi diari personali di alcuni inservienti di corte. – bofonchiò – Sono stati conservati per ricerche di costume, ma… Forse trovi qualcosa di utile. »

La mewneko le sorrise gentile, la ragazza doveva aver scavato nel più angusto angolo di biblioteca a giudicare dalle condizioni dei suoi abiti e dei suoi capelli.

« Ti ringrazio davvero. »

L'aliena si prese tra le dita una delle trecce e rispose un po' brusca, ma Ichigo continuò a sorriderle. La giovane ricercatrice era stata la sua sola compagnia in quei giorni, un'ombra timida che reagiva alla cosa con mutismo caparbio e atteggiamenti scontrosi; eppure, silenziosamente, la ragazza aveva passato tutta la settimana ad aiutare la rossa, procurandole i libri più disparati, frugando negli archivi senza che le venisse chiesto, riemergendo da antri nascosti come catacombe ricoperta di polvere, facendo sentire semplicemente la sua presenza quando si accorgeva dello sconforto che coglieva la mewneko. Ichigo provava uno strano affetto per i suoi goffi moti di cortesia che le alleggerivano le giornate, e tentava di ricambiare con la medesima gentilezza. Ne riceveva tuttalpiù sorrisi sghembi e alzate di spalle, mentre il volto malaticcio dell'aliena si tingeva di un curioso rossore di contentezza.

Ci fu un impercettibile cigolio e Kilig scattò sull'attenti. Si agitò sul posto cercando una via di fuga, ma parve non trovarne e si accucciò nell'angolo opposto del tavolo dietro una catasta di libri scartati dalla mewneko, riordinandoli con le coste a rovescio.

« Scusate, vi ho disturbate? »

« Affatto. »

Sorrise Ichigo a Merurk e Kilig mandò un rantolo di risposta. Incredibile, alla presenza del giovane soldato l'aliena diventava ancora più taciturna.

« Momomiya-san, è l'ora. Devo riportarla in città. »

Con un gemito Ichigo guardò l'ora e iniziò ad infilare alla rinfusa le proprie cose nella borsa, l'idea di avere anche le ripetizioni di chimica – e il ricordo che dopo cinque giorni avrebbe avuto la prova definitiva – la fece quasi scoppiare a piangere.

« Grazie di avermi chiamata! »

« Nessun problema. »

Sorrise il soldato e le mostrò l'uscita, avviandosi davanti a lei.

« Arrivederci Kilig-san. »

La ragazza sentendolo salutarla fece cadere due libri sul tavolo e farfugliò qualcosa di non meglio definito. Lui non disse nulla, incurante della cosa, e Ichigo sospirò facendole un cenno di saluto:

« A domani! »

L'aliena, con suo grande piacere, replicò con la mano e sulle sue labbra nivee si disegnò un piccolo sorriso.

 

 

***

 

 

MoiMoi si tenne il viso tra le mani studiando i dati e avvertendo il cuore ridursi alle dimensioni di una nespola.

Era una delle rare volte in cui avrebbe voluto poter dire con leggerezza che si stava sbagliando.

« Ti prego fammi trovare un errore. Uno piccolino. »

Ricontrollò il responso partendo dal primo inserimento del campione estratto dalla ferita di Minto, quasi venti giorni prima.

Non stava sbagliando.

Si lasciò cadere contro lo schienale e desiderò ardentemente di fondercisi contro, di svanire e non apparire mai più.

« Che hai da fare quella faccia? »

« Tu non hai una casa dove andartene a dormire? »

Sando fu leggermente sorpreso del tono aspro, ma l'espressione stanca e tesa del violetto risposero per lui.

« Insonnia. »

« Bugiardo. »

« Giro di ronda, idiota. »

« Ah sì? »

« Se tu non dormi… »

MoiMoi grugnì come a dire che non era colpa sua se il suo lavoro era fargli fa cane da guardia; Sando sorvolò la questione.

« Invece inizio a sospettare che ne soffra tu. »

« Di che? »

« Di insonnia, cretina. »

Gli afferrò una guancia per dispetto, il viso del violetto era teso e sciupato e le occhiaie che aveva sembravano due sbavature di trucco mal lavato.

« Che succede? »

« Il nuovo isotopo non riesce a disfare il legame chimico, le molecole polarizzate si legano troppo all'emoglobina nel sangue e… »

« Traduci per gli imbecilli. »

« L'antidoto non funziona. – sospirò pesante – La tossina che sta divorando Minto è troppo complessa, non riesco ad individuare parte degli elementi di cui è composta e non trovo niente per farla rigettare al suo organismo. »

Si massaggiò gli occhi brucianti:

« Reggerà ancora per poco. E io ho finito le opzioni. »

« Tu? »

« Mi occorrerebbe più tempo. – gemette piano – Ma Minto-chan non ne ha quasi più; ha resistito finora, però è sempre più debole… Il suo organismo non reggerà per molto, bisogna trovare una soluzione. »

« Calmati. »

Protestò l'altro e gli premette con brusca gentilezza la mano sulla testa:

« Hai il cervello fuso. Devi pensarci a mente fredda. »

« Temo di non avere tutto quel tempo. »

Sando non gli rispose. Fissò lo schermo pieno di grafici e numeri e il pulsante segnale dell'elettrocardiogramma della mewbird che MoiMoi riceveva direttamente sul suo computer.

« Ne ha di energie, in ogni caso, la piccoletta. »

« È solo grazie al DNA modificato – spiegò svogliato il violetto – i Red Data Animal inseriti nel loro codice genetico sono portati alla preservazione, quindi il loro corpo… »

Sando lo sentì emettere uno strano verso gutturale e zittirsi all'improvviso, sgranando gli occhioni dorati.

« Beh, che c'è? – gli chiese un poco in ansia – Ti si è fuso del tutto l'encefalo e ti sei bloccat- »

« Ma certo! Fantastico Sando! »

Il verde non seppe rispondere e lo vide saltellare come un folletto lungo la tastiera, sciorinando dati ad una tale velocità da dargli la nausea guardandoli.

« Sei impazzita del tutto. »

Constatò rassegnato.

« È geniale! Una follia probabilmente, ma…! Devo chiamare Ryou-chan! »

Mollò la tastiera e fece per schizzare al piano superiore, voltandosi all'ultimo secondo con un sorriso da un orecchio all'altro:

« Sei un genio! Ti amo! »

« C…?!? Non dire cretinate fraintendibili, brutta deficiente!! »

Ma l'altro era già scomparso su per le scale con il dolce frastuono di una mandria di bisonti, incurante dell'infarto causato al commilitone.

« Sì, se non mi vede morto questa non è contenta! »

 

 

 

Ryou si definiva tutt'altro che un tipo mattiniero, ma pensò gli sarebbe stato concesso di inalberarsi ad essere sbattuto giù dal letto alle tre del mattino. L'elevato tasso di decibel della voce di MoiMoi contribuì a farlo uscire rapidamente dalla fase rem, ma fu la sua proposta a riportarlo del tutto nel mondo dei vivi.

« Sei impazzita, è un'idea… »

« Geniale! – ansimò senza fiato – Ma solo tu ce la puoi fare. »

« È una follia. »

Ribadì sebbene nella sua testa gli ingranaggi già ronzassero nella direzione indicata dal violetto; sospirò pettinandosi la frangia scomposta con le mani e tentò di trovare una soluzione senza possibili risvolti drammatici, e non ne trovò.

« Abbiamo un 60% che fili tutto liscio. »

« Non è una gran percentuale. »

« Meglio del 12% di tutte le altre mie proiezioni. – sospirò l'alieno – Ryou-chan, ti prego. »

Il biondo tacque di nuovo. Abbandonò il braccio con il telefono lungo il fianco e si appoggiò al muro, guardando distratto la Tokyo sonnolenta; avvertì il leggero movimento alle sue spalle e seppe subito dello sguardo di Zakuro piantato tra le sue scapole.

« Ryou-chan? »

« Sveglia Keiichiro e raggiungilo. – bofonchiò avviandosi in bagno – Tra dieci minuti sono lì. »

 

 

***

 

 

Finì di allacciarsi la divisa con la consapevolezza di non ricordare assolutamente nulla di quel che aveva studiato.  Non avrebbe saputo distinguere un atomo da un protone.

« Calmati. È solo ansia. Solo. Ansia. »

Inspirò ed espirò più volte, si sistemò i codini con i nastrini regalati da MoiMoi e si diede due colpetti sulle guance:

« Coraggio. »

« Ichigo! Forza, forza. Piii! »

Lei accarezzò il robottino, che si ridusse alle dimensioni minime e si attaccò al suo cellulare, e uscì di casa di corsa. Fece appena duecento metri e sentì un'altra ondata di panico prenderle lo stomaco.

Dai, piantala. È solo un test di chimica.

Sapeva però di essersi impegnata davvero molto per superarlo e l'idea di vedere gli sforzi vanificati era peggiore delle conseguenze dirette. Prese il telefono e aprì la rubrica, girandola da in cima a fondo per tre volte; alla fine scelse la voce e pigiò il tasto di chiamata .

« Pronto, qui Shirogane. »

« … Lo so che sei tu, è il tuo telefono. »

« … Momomiya…? »

« No, il Grillo Parlante. »

« È troppo presto per il sarcasmo. – le fece notare sbadigliando – Che vuoi? »

Lei borbottò qualcosa sulla mancanza di buone maniere e poi rimase in silenzio.

« Beh, che succede? »

« … No, niente… »

« Ti sta crescendo il naso, Momomiya. »

« Guarda che so come mi chiamo. – ribattè seccata – Piantala di ripeterlo! »

Ancora per un minuto sentirono entrambi solo il respiro dell'altro.

« Oggi hai il test? »

« … Sì. »

« Sei diventata fifona. »

« Non sono fifona. – replicò con meno veemenza – È solo che… »

Lo ascoltò attendere paziente una replica, ma le ci volle un po':

« Ho troppe cose a cui pensare. Questo test mi sembra solo una stupidaggine adesso. »

« Fa parte della scuola. – sottolineò calmo – Della tua vita. »

« Al momento, la scuola è solo un'appendice molesta della mia vita. »

Non lo sentì rispondere e si pentì un poco delle proprie parole. Ryou prese un lungo respiro:

« Lo so. »

« Dovrei darle la priorità. »

« Stanno succedendo un po' troppe cose, non credo che tu possa pretendere tanto da te stessa. »

« Voleva essere un insulto? »

« Era una constatazione. »

Il suo tono era piatto come sempre, ma tranquillizzante, e Ichigo evitò di inveirgli contro e lo lasciò finire:

« Quando sarà tutto finito sarà quella, la tua vita. – la incoraggiò – Non puoi lasciare andare tutto solo perché adesso c'è un'inaudita confusione. »

« Il rischio di un collasso universale lo definisci confusione? »

Rise e sentì che anche lui si concedeva un sospiro divertito.

« Un gran casino? »

« Immenso, direi. »

« Tutto tornerà come dovrebbe essere, e tu avrai la tua vita. Una comune vita di una persona normale. »

« Shirogane, mi spuntano delle orecchie da gatto e una coda. »

« Una vita normale con risparmio di accessori sul cosplay. »

Lei rise ancora e le parve di essere più leggera.

« Ho la testa vuota. »

« Quando mai è piena, Momomiya? »

« Ma sai che ti meriteresti un bel vaf-! »

« Sei preparata. – insisté ridendo – Andrà bene. Concentrati e non pensarci. »

Lei sbuffò cercando di non fomentare oltre la discussione.

« Sappi che mi dovrai un enorme favore, se fila liscio. »

« Filerà di sicuro – protestò – e non ti dovrò un bel niente, con quello che ho dovuto sopportare e tutti i miei pomeriggi rovinati. »

Ryou rise lievemente. Le sembrò che titubasse un istante senza parlare, quasi dovesse dirle qualcosa, poi cambiò idea:

« Vedi di non fare tardi. »

« Sei sempre gentile! Antipatico borioso! »

Lui aveva già chiuso la comunicazione, e lei si ritrovò ad inveire ad uno schermo. Sbuffò e stava per mettere via il telefono, quando si ritrovò ad ammirare la schermata messaggi; digitò senza pensare, lesse quello che aveva scritto e lo cancellò immediatamente. Se il chiamare senza motivo l'americano non era stato un altro sintomo del suo totale crollo psichico, quelle poche righe sarebbero state la prova definitiva.

 

Se prenderò un bel voto

sarà ancora valido l'invito fuori

per sfoggiare il mio vestito?

 

 

 

« Sei sicura che vada bene così? »

La morettina annuì stancamente.

« Posso richiamarla, se vuoi parlarle. »

« Va bene così. – insisté con poca energia – Farla preoccupare ora sarebbe inutile. »

Lui annuì inespressivo. Minto si lasciò andare meglio sui cuscini, esausta: la febbre era di nuovo salita nella notte e ormai il suo corpo non aveva più forze; la soluzione di Ryou e MoiMoi la terrorizzava, ma preferiva rischiare che lasciarsi morire come un fiore senz'acqua.

« Dico a MoiMoi-san che iniziamo. »

Lei fece un lieve cenno di sì, sentendo lo stomaco sprofondare.

In corridoio Lasa discuteva di alcuni dettagli con il violetto, e dalla sua faccia il piano dei due ragazzi non la convinceva per nulla.

« Non si potrebbe continuare con la terapia? »

« Lasa-san, è evidente che non funziona. – insisté lui – Non abbiamo molti altri tentativi a disposizione. »

La donna si strinse le braccia al petto, angosciata, ma annuì e finì di dare istruzioni agli infermieri perché seguissero le direttive di MoiMoi e di Ryou. Eyner, seduto su una panca lì vicino, studiò in silenzio l'aria tesa come un filo di metallo e trovò un'ottima idea non aver chiamato nessuna delle ragazze: da dietro il vetro si vedeva con chiarezza il volto terreo di Minto, la loro agitazione non l'avrebbe aiutata.

Si voltò udendo un tacchettare leggero; sorrise lievemente, immaginando di non doversi più tanto sorprendere che sapesse sempre tutto di tutti, e andò incontro a Zakuro, la mano ancora con il pollice sul pulsante di teletrasporto del telefono.

« Ehi… »

« Ciao. »

« Credevo che Toyu lo avesse distrutto. »

Disse distrattamente indicando il cellulare.

« MoiMoi-san mi ha dato in prestito il suo – spiegò lei – finché Kiddan-san non me lo ricostruisce. Per ogni evenienza. »

La mewwolf fece un altro passo così da sbirciare con discrezione nella stanza di Minto. Eyner le andò più vicino, posandole una mano sul braccio.

« Ho sentito i loro discorsi stamattina. – disse piano la mora – Quando sono andata al Cafè, ho trovato solo Keiichiro. Ha detto che erano qui. »

Lui annuì dolcemente:

« Te la senti di entrare? »

« Sì. »

Un moto d'ansia le velava gli occhi chiari, ed Eyner le cinse appena la vita con il braccio con fare rassicurante; lei rispose con un lieve sorriso.

La porta della stanza si aprì e Ryou si affacciò per chiamare MoiMoi; scorse Zakuro con la coda dell'occhio e per la prima volta da quando lo conosceva – doveva ammetterlo, con una vena di divertita soddisfazione – la ragazza lo vide sgranare gli occhi sconvolto.

« Minto-chan è pronta? »

« Uhu… »

Il biondo sollevò il mento in direzione degli altri due con aria da Inquisizione Spagnola:

« E quello che vorrebbe dire? »

« Credo non sia il momento di parlarne – cercò di fermarlo subito MoiMoi con un sorriso tirato – abbiamo da fare. »

Lui annuì torvo, continuando a scrutare il braccio dell'alieno stretto attorno a Zakuro; lei non si curò dell'occhiataccia che le venne scoccata ed entrò con l'americano e il violetto, facendo un cenno ad Eyner che si massaggiò il collo con un sospiro.

« Ehi, che è questa folla? »

Il bruno ebbe un piccolo sobbalzo sentendo la voce di Kisshu, e ringraziò quei due secondi di ritardo che gli avevano concesso qualche altro giorno senza battutine allusive o prese in giro.

« Sono qui per Minto. »

La baldanza del verde scemò via all'istante intanto che si voltava verso la stanza:

« Che vorresti dire? »

Eyner lo vide accigliarsi, passando nervosamente lo sguardo sulla morettina che veniva stesa sul letto e disposta come se dovessero operarla, alla microscopica e disarmonica equipe di scienziati. Le lievi proteste di Eyner su quanto non fosse il caso di entrare gli scivolarono addosso mentre spalancò la porta.

« Che stai facendo, Shirogane? »

« Sto tentando di salvare una persona. – rispose senza voltarsi, evidentemente seccato dalla sua presenza – Se Eyner era fuori, c'era un motivo. »

Il verde replicò con un basso ringhio roco.

« Cos'è quella roba? »

« La stessa cosa che ha bilanciato la modifica genetica di Ryou-chan. Più o meno. »

Ryou prese in mano una grossa siringa piena di un liquido bluastro. Minto nel vederla serrò la mascella e la mano su quella di Zakuro, stesa accanto alla sua sul lenzuolo candido.

« DNA di vini ultramarina concentrato con una base di tiosolfato. La sostanza velenosa ha molti elementi in comune con il cianuro, dovrebbe essere sufficiente per far precipitare la tossina. »

« Sì, hai usato cinquanta parole per dire che è un antidoto ma ci ero arrivato. – sbuffò – È la parola DNA che mi fa rizzare i peli sul collo. »

Ryou non lo degnò di attenzione, finendo di preparare l'iniezione, e MoiMoi voltò la testa colpevole.

« Ti stai facendo sparare una fiala della stessa porcheria che vi ha rese delle mutanti direttamente in vena, cornacchietta?! »

« Non sono affaracci tuoi, Kisshu. »

« Poi dite sempre che sono io l'incosciente! »

« Il DNA dei Red Data Animal le rende più forti dei normali esseri umani. – cercò di spiegare velocemente MoiMoi – Intensificare l'influenza del lorichetto sul suo organismo potrebbe aiutarla a rigettare il veleno. »

« Iniziano ad esserci troppo condizionali per i miei gusti. – mormorò Minto con l'affanno per la febbre in aumento – Potreste piantarla? »

« Vi è partito a tutti il cervello. »

« Kisshu, non c'è più molto da- »

« Ora basta! »

La voce di Ryou tuonò nell'ambiente angusto. Guardò i presenti stringendo la siringa nella mano per non farla tremare; gli si leggeva negli occhi che il più piccolo fallimento, una volta spinto lo stantuffo, non se lo sarebbe mai perdonato.

« Uscite. Per favore. »

Kisshu insisté a guardarlo storto, ma MoiMoi lo spinse via con garbo fino alla porta; fece cenno anche agli infermieri, e loro e Lasa e se ne uscirono in silenzio.

« Tu resta, onee-sama. »

Zakuro annuì e strinse le dita della mewbird anche con l'altra mano. Un brividino risalì lungo la schiena di Minto mentre le inumidivano l'incavo del braccio, poi fu la volta del metallo che le forò la pelle. Trattenne istintivamente il respiro: fu in grado di avvertire il liquido fresco risalirle per le vene, su fino al collo, e poi scendere al cuore dove – ne fu certa – il muscolo saltò un battito appena la sostanza lo raggiunse.

Gli attimi successivi furono troppo confusi. La prima cosa che percepì fu una scarica di dolore freddo irradiarsi dal petto fino alla punta delle dita, poi il cuore accelerò con una tale violenza da farle girare la testa; avvertì l'agitazione degli altri, ma la sua fronte scottava intorpidendole i senti, finché di colpo fu tutto nero.

Le voci degli altri erano scomparse. Il bianco della stanza, il caldo, tutto svanito.

Dove sono?

La risposta la spaventò, quando udì una sorta di cinguettio.

Un uccello?

Si accorse di vedere in lontananza una piccola massa scura. Le si avvicinò e riconobbe un piccolo uccellino blu con il becco nero.

Ah, sei tu.

Il lorichetto cinguettò nella sua direzione, svolazzò fin nelle sue mani e lasciò che Minto se lo portasse al petto. L'uccellino sfregò la testolina contro di lei, all'altezza del cuore, e scomparve in un fiotto di luce, lasciando sulla ragazza una magnifica sensazione di tepore già provata tanto, tanto tempo prima.

Minto si sentì improvvisamente meglio: il corpo le bruciava ancora, ma la temperatura andava abbassandosi e avvertì le membra irrigidite distendersi mentre il dolore scompariva. Intontita iniziò pian piano a distinguere i visi pallidi di Zakuro e degli altri, ad udire le loro voci sempre più chiaramente; le parve di vedere molta altra gente affollarsi attorno al suo letto, forse Kisshu e gli altri che erano usciti. Ci volle qualche altro istante finché il volto preoccupato e attonito di MoiMoi non prese definitiva forma di fronte a lei.

« Uh oh. »

La quiete beata che aveva colto la morettina scomparve come fumo al vento:

« Che vuol dire "uh oh"? »

L'alieno non rispose e fece uno strano sorriso imbarazzato. Minto si allarmò indiscutibilmente e si rese conto che la prospettiva tra sé e il ragazzo era strana, come se lei si trovasse più in basso. Nessuno rispose alla sua domanda e chiese con più foga:

« Che vuol dire "uh oh"?! »

Ancora nessuna risposta, solo MoiMoi che mandò un basso verso nasale e proseguì  a sorridere sghembo. Minto, che non sentiva più alcun dolore, posò le mani sul lettino e fece per tirarsi su, ma si fermò rendendosi conto che perfino il materasso appariva più grosso: si guardò meglio attorno e sbiancò alzandosi in piedi sulla brandina. Zakuro, accanto a lei, non aveva parole.

« Temo… Ci sia stato un… Piccolo effetto collaterale con l'antidoto. »

La mewbird guardò MoiMoi allibita e strillò:

« Piccolo?!? »

« Quasi quanto te. »

Minto squadrò Kisshu con odio e tentò di colpirlo con un pugno, finendo solo goffamente a sedere sul lettino e lasciandosi sfuggire un singhiozzo:

« Sei davvero uno…! »

Cacciò indietro la lacrima che faceva capolino dall'occhio destro e lo guardò rabbiosa e ferita cercando di mantenere il minimo contegno da non offenderlo crudelmente. Eyner diede all'amico una gomitata nelle reni:

« Hai il tatto di una valanga! »

« Volevo solo sdrammatizzare. »

Fece sincero, ma le sue deboli scuse non scalfirono la mewbird che si rifiutò finanche di guardarlo.

« Oh Minto-chan! »

MoiMoi guardò la morettina affranto:

« Mi dispiace così tanto…! »

Ryou non fu in grado di spiccicare una sillaba, l'espressione da colpevole passata all'attonito e, con un pochino di vergogna, al divertito. La mewbird non seppe come replicare e guardò il suo riflesso sulla finestra finta, che non stava più diffondendo alcuna immagine.

Nulla nel suo aspetto avrebbe denotato qualcosa di strano, senonché da non trasformata dalle scapole e dal fondo della schiena sbucavano un paio di alucce setose e una piumata coda blu.

Senza contare che era alta quindici centimetri.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) parola della lingua tagalog, parlata nelle Filippine, che descrive quella sensazione universale di “farfalle nello stomaco che provi quando sei innamorato”

(**) in lituano mélynas significa blu (eheheh ho aspettato a dirvelo, sai mai che si intuisse troppo ;)) oggi si va di lingue straniere.

(***)  vi ricordo che la nostra lupetta parla 5 lingue :P spagnolo compreso. Il libro esiste in italiano, è L'ombra del vento di Carlos Ruiz Zafon, un libro che adoro e consiglio a tutti :D (come ogni libro di quest'uomo, sono bellissimi ♥ )

(****)  « Perché non bussa? … Secondo te sa bussare? »

XD no ignoratemi è Olaf e la mia stupideira

(*****) aaargh non se ne può +!!! Ok, i baozi sono dei panozzi cinesi, sofficiosi, morbidosi, caldi e ripieni di ogni cosa ti venga in mente, in genere carne e verdure, e sono una goduria astronomica . In Giappone si trovano nei combini direttamente su grigliette alla cassa, uno può vivere solo scofagnandosi di quelli (parlo per esperienza).
… Ok, ora ho fame e sono triste T-T datemi un aereo!

 

 

 

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Amo la mia malvagità *ghigno * questa non ve l'aspettavate, dai che sono stata brava! Giusto perché il gruppo non era stato sufficientemente decimato x°°D!

Ora?

Tutti: ridiamo…

Bravi, le esatte parole ^w^!

Tutti: -.-""

Ahahha lo so che qualcuno mi dirà "ma come! Altri personaggi!" scusate, ma io sono della filosofia del romanzo: se sei in un posto, è quasi impossibile tu sia da solo. State tranquilli :P sono personaggi di sfondo
Kilig: -.-***…

Merurk: non sei molto gentile ^^""…

Insomma, però ci vogliono! E non voglio sentire proteste (tanto ve li cuccate lo stesso :P)

Finalmente ho un po' di schizzi e doodle da mostrarvi! Vi va? Siccome almeno per questo sono buona vi metto il link uno per uno, dai ;)

Bacioh cacioh (che voglia di far correre la storia solo per disegnarne altri, cacchio non ho romanticismo da nessuna parte xDD)!

 https://www.facebook.com/dreammarti/photos/pb.369088309778071.-2207520000.1436913504./961957517157811/?type=3&theater

Doodle a caso https://www.facebook.com/dreammarti/photos/a.877675855585978.1073741840.369088309778071/964778266875736/?type=1&theater
                         https://www.facebook.com/dreammarti/photos/pb.369088309778071.-2207520000.1436913504./966575463362683/?type=1&theater

Doodle a caso 2 – scene sparse (uahahahaaaa   !!)
https://www.facebook.com/dreammarti/photos/pb.369088309778071.-2207520000.1436913504./964796120207284/?type=1&theater

https://www.facebook.com/dreammarti/photos/pb.369088309778071.-2207520000.1436913504./965838870103009/?type=1&theater

https://www.facebook.com/dreammarti/photos/pb.369088309778071.-2207520000.1436913504./966539683366261/?type=1&theater

Chara, Lasa e Iader (adoro troppo disegnarli) https://www.facebook.com/dreammarti/photos/pb.369088309778071.-2207520000.1436913677./966535090033387/?type=3&theater

Se siete su faccialibro, lasciate un commentino :3 questi sono allenamento per i manga :D. e vi ricordo che ogni martedì mi rimpilzerò la pagina di ste scemate, rimanete sintonizzati ;)!

Un bacio gigantesco a chi ha lasciato il suo commento! Danya, Ally_Ravenshade, modo, Rin Hikari, Hypnotic Poison, Jade Tisdale, Capellibiondiocchineri

Ci si rivede presto :*


Mata ne
~♥ !

Ria

 

 

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Capitolo 29
*** Toward the crossing: sixth road ***


Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: 
Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro recensioni. 
Farai felice milioni di scrittori. 

 

Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: Non essere indifferente!
Salva anche tu una tastiera da pazzoidi che le massacrano scrivendo come disperate! Non chiudere gli occhi, puoi salvare milioni di vite elettroniche.

 

 

 

 

 

Ola gente! Dai vi ho fatto aspettare troppo? Naah :P Pochino in anticipo, visto che ho la settimana del corso estivo di manga e dopo la prima mezza giornata sono già distrutta x°°D non so se avrò la forza mentale le prossime sere :P.
Non ho molto da dire, si prosegue da dove abbiamo lasciato! Let's go together :D!

 

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Cap. 29 – Toward the crossing: sixth road

                Separated

 

 

 

 

« Quindi centimetri…! – gemette ancora Minto – Sono alta quindici centimetri! »

Gesticolò per altri tre minuti con i pugnetti chiusi girando in tondo sopra lo scanner medico che Lasa stava azionando; la pedana dove di norma si stava seduti per la scansione per lei era diventata un microscopico palco, e il ronzio basso del macchinario equivaleva al rombo di una moto per le sue ridotte orecchie.

« Ti prego Minto – sospirò Lasa – se ti agiti così non riesco a terminare l'analisi. »

La mewbird alzò lo sguardo mogia e obbedì, fermandosi al centro della pedana. Intanto che la lucina azzurrognola pulsava sopra la sua testa si stuzzicò le ali e la coda che non riusciva a far scomparire: avevano lo stesso colore di quando era nella sua mewform, ma le piume erano più definite, più reali, e lei riusciva a percepire tanto le sue dita che sfioravano il piumaggio sottile quanto il sangue che scorreva sotto le piccole venature blu del manto.

Gettò un'occhiata sconfortata alle sue amiche, in piedi a poca distanza, ancora confuse. Nessuna di loro aveva voluto credere a quanto aveva raccontato Zakuro per telefono, e neppure trovarsi una Minto in formato tascabile era stato sufficiente a convincerle appieno di cosa fosse accaduto.

Lo scanner terminò il lavoro con un tintinnio elettronico. Lasa guardò i risultati seria e concentrata, per il tempo in cui MoiMoi, un secondo macchinario collegato al server interno dello scanner, li rianalizzava e confrontava con i dati raccolti sulle terrestri.

« A livello medico non hai nulla. – disse con dolcezza Lasa guardando la mewbird – Anzi, sembra quasi che tu non sia stata così male come… »

« Non ho nulla?! »

La vocina della mora risultò più acuta nello strillo:

« Sono alta meno di una lattina! E ho una stramaledettissima coda che mi esce dal…! »

Si fermò, prese un bel respiro e chinò il capo:

« Scusami Lasa-san. »

La donna le sorrise gentile e scosse la testa. MoiMoi guardò Minto a testa bassa e mormorò:

« Credo che il nostro antidoto abbia fatto leva sul DNA del lorichetto in maniera più incisiva del previsto. »

Ryou, che ritrovata la calma osservava metodico le analisi dell'altro ragazzo, annuì e si avvicinò a Minto studiandola in silenzio:

« Incentivare il potere che ti dona il vini ultramarina ti ha salvato la vita, ma deve aver sballato la tua struttura interna. »

« Che vorrebbe dire? »

Mormorò Ichigo preoccupata; Ryou incrociò le braccia e sospirò:

« Che il suo corpo ha preso caratteristiche fisiche più vicine a quelle del lorichetto: in primis le ali e poi… Beh… »

Fece un cenno con la mano sopra la testa di Minto segnando le sue nuove dimensioni:

« Come succede a te quando ti emozioni troppo e diventi una gattina nera. »

« Una cosa? »

La mewneko scosse la mano in segno di diniego:

« Ehm, niente Kisshu, meglio lasciar perdere(*). »

« Vuoi dirmi che rimarrò così adesso?! »

« On, no, no! – incalzò confortante MoiMoi – La reazione è dovuta all'antidoto al veleno. Non appena il tuo corpo lo avrà metabolizzato completamente, tornerai come nuova. »

La mewbird sospirò e gli concesse un sorrisino. Ryou  non disse una parola.

« Ma fino ad allora? »

Domandò Retasu preoccupata; Minto si guardò affranta:

« Già… Non posso certo presentarmi a casa così. »

« Potresti sempre provare il metodo di Ichigo per tornare normale. »

« Piuttosto rimango un volatile a vita. »

Tuonò la vocetta acuta della mora e non riuscì a nascondere di arrossire nonostante l'espressione truce.

« Proponevo. »

Lei insisté a fissarlo male e si sedette sullo scanner, amareggiata.

« Tranquilla Minto – ammiccò Ichigo incoraggiante – ho un'idea. »

 

 

« Ecco. Così è perfetto. »

Sorrise soddisfatta la rossa. Minto, che aveva aspettato annoiata sulla sua scrivania facendo le coccole a Masha – per lei diventato un orso rosa e tenerone – svolazzò sul piano dove Ichigo batteva tutta contenta le dita.

La morettina sospirò tentando di vedere il lato positivo: con quelle dimensioni, almeno volare le risparmiava della fatica in più.

« Allora? – insisté la rossa allegra – Che te ne pare? »

La mewneko aveva tirato fuori dal fondo del suo armadio una vecchia casetta per le bambole che usava da bambina e non aveva mai avuto cuore di dare via. Si trattava della classica casetta su due piani da negozio di giocattoli di quartiere, senza grandi marche né grosse pretese, realizzata con semplicità in plastica e abbastanza graziosa da far impazzire una bambina; Ichigo aveva sistemato il letto con un piccolo cuscino vero per realizzare un materasso, coprendolo con un fazzolettino di cotone come coperta, aveva messo una ciotola di acqua nel bagno e sistemato nel salottino qualche provvista sgraffignata dalla cucina: aveva addirittura riesumato qualche vestito abbandonato dalle bambole ormai scomparse, perfetto per le dimensioni dell'amica. Di norma Minto avrebbe chiesto acidamente cosa fosse quella plebea scatola da scarpe, pensando alla sua di casa delle bambole – che anche lei, sì, conservava in fondo all'armadio – realizzata a mano da un artigiano inglese, con interni realistici e mobili scolpiti a mano, perfino con la luce elettrica e alta al tetto quasi quanto un bambino, ma l'amica si era davvero impegnata e per una volta non ebbe cuore di punzecchiarla.

« Sembra che potrò viverci. »

« Che entusiasmo. – sbuffò la rossa – Almeno qui potrai startene tranquilla finché la situazione non migliora. »

« Lo so. »

Si accomodò sul minuscolo lettino e le sorrise:

« Grazie. »

Ichigo ricambiò entusiasta.

« Te lo lascio qui se avessi problemi – le disse posandole il telefono nell'ingresso della casetta – io ora devo tornare al Cafè. Ci vediamo più tardi. »

Corse di sotto e Minto la salutò distrattamente con la mano; il piccolo Masha le svolazzò vicino, le diede un bacino – rischiando di ribaltarla nell'impeto con la sua mole – e scivolò fuori dalla finestra raggiungendo la padroncina in strada.

Minto si abbandonò sul suo nuovo letto e sospirò, la giornata non si prospettava ricca di eventi entusiasmanti.

Cosa mai avrebbe potuto fare grande quando un topolino?

Verso le quattro del pomeriggio si arrese all'evidenza che sarebbe morta di noia e le sue amiche l'avrebbero rinvenuta incartapecorita come una mummia e con gli occhi riversi, leggendo disperate la scritta incisa sul muro di plastica della camera da letto rosa al mio cervello: perdonami per questa agonizzante morte.

Doveva muoversi. Immediatamente.

Titubò solo un paio di minuti prima di decidersi ad esplorare la camera di Ichigo, in barba alle remore sul violare la sua privacy. Il primo obbiettivo – e forse il meno impiccione – sarebbe stato di norma sfogliare gli album di foto, ma era troppo piccola per sollevarli dai loro ripiani; iniziò così a vagare senza meta per la camera, scrutando foto, accarezzando peluche disseminati un po' ovunque, studiando i nastrini e la bigiotteria traboccanti dalla scatola lasciata aperta e tutti i vari ninnoli disposti sulla scrivania e sulle mensole. Sorrise tra sé scorgendo qualcuno dei suoi regali sistemato con cura, tra cui un paio di graziosi orecchini acquistati in un viaggio a Parigi e che facevano bella mostra su un manichino porta bijoux, e non si accorse in tempo della porta che si apriva.

Si acquattò d'istinto dietro una cornice pregando si trattasse di Ichigo, e in effetti fu una chioma rossa a fare capolino, ma purtroppo non della mewneko.

Sakura entrò canticchiando armata di aspirapolvere, lo mise nella presa vicino alla scrivania ed iniziò a pulire, alternando le note mute a stralci di canzoni.

Minto sbuffò, non aveva modo di tornare a nascondersi nella casetta per le bambole, la signora Momomiya le tagliava ogni via di fuga. Si rassegnò a dover aspettare l'istante giusto: lentamente, sempre rannicchiata, scivolò dietro a portapenne e libri fino a raggiungere il bordo della scrivania, lo sguardo sempre puntato su Sakura; la donna continuò a pulire, ignara della presenza di Minto, e finalmente si voltò verso la finestra dedicando la sua attenzione al pavimento nascosto dall'armadio.

Ora!

Minto spiccò un balzo a terra, temendo di destare troppa attenzione volando, e corse con quanta forza aveva puntando un rassicurante nascondiglio dietro la pediera del letto, da cui poi avrebbe potuto salire fino alla sua mensola. Era a metà strada quando udì un urletto strozzato e si gelò dove si trovava, voltando piano la testa.

Sakura la stava guardando terrorizzata, stringendosi al petto il collo dell'aspirapolvere con entrambe le mani.

« Un… Un… »

Minto quasi non respirò, temendo di spezzare la stasi in cui era crollata la donna. Un terribile, impercettibile frullio involontario le scappò dalle ali, e Sakura esplose urlando:

« Un topo! »

Con scatto felino la donna accese l'aspirapolvere e lo puntò contro Minto come un fucile, gettandosi nella sua direzione ad occhi chiusi. La mewbird non si fece più scrupoli e spiccò il volo.

Il risucchio della macchina le strappò brandelli delle fragili piumette e lei le sbattè ancora più forte, tentando di raggiungere un punto sicuro della stanza in cui scomparire alla vista, ma la donna non la perdeva di un millimetro; l'aspirapolvere arrivò troppo vicino, Minto avvertì la coda tirare dolorosamente fin a volersi staccare, e non trovò altra via di fuga.

Una sterzata e fu fuori dalla finestra.

« Sakura?! Tesoro, che hai?! »

Shintaro spalancò la porta spaventatissimo e vide la moglie ancora con l'aspirapolvere tra le braccia, il fiato grosso e i capelli scompigliati:

« C'era… C'era un topo! »

« Un topo? »

Lui spense la macchina e le strinse le spalle:

« Dov'è? »

« Non… So… »

Passato lo spavento la donna riflettè meglio sull'accaduto e sbiancò:

« Aspetta, i topi non volavo vero?! Oh no, ho terrorizzato un povero uccellino! »

« Perché, terrorizzare un topolino non è la stessa cosa? »

La moglie lo guardò storto sottolineando l'abissale differenza tra le due specie, e si affacciò preoccupata dalla finestra: non c'era nulla, solo l'albero del giardino e la strada quasi deserta.

 

 

 

 

Minto non smise di volare finché non fu sicura di aver messo una distanza sufficiente tra se stessa e il mostro risucchiatutto della signora Momomiya. Si posò dietro l'angolo di un marciapiedi, senza fiato, e provò a calmarsi: non poteva rimanere per strada, ma le conveniva aspettare un po' prima di tentare il ritorno al suo piccolo nido di plastica.

Un basso ringhio gutturale le fece rizzare capelli e piume. L'ombra di un grosso cane, dal colore un rottweiler, le incombette addosso simile ad una nuvola tempestosa, e alla prima goccia di bava canina che le esplose vicino alla caviglia Minto spiccò di nuovo il volo: avvertì le fauci del cane chiudersi a qualche millimetro dai suoi piedi e accelerò, terrorizzata, ritrovandosi a librare in mezzo alla strada trafficata. Cercò disperatamente un semaforo, o la sagoma di un marciapiedi, un'isola sicura dove sottrarsi alle rombanti monovolume e ai camion che le sfrecciavano ai lati da ogni direzione, ma la prospettiva in quelle dimensioni non l'aiutava, e c'era troppa confusione. Alla fine non capì più nemmeno da che parte stesse volando, schivando di fila il ginocchio di un passante o la ruota di un'auto.

Sbandò in ogni direzione per non seppe quanto tempo, accecata dai riflessi del sole sui parabrezza e soffocata dai fumi di scarico, e non si rese conto quando di colpo si trovò troppo vicina al suolo. Sbattè sul cemento della strada e rotolò malamente di lato, finendo dritta dritta in traiettoria con un mucchio di impiegati e studenti diretti a casa.

Vide la suola di una scarpa già pronta a schiacciarla, quando qualcosa che assomigliava ad una mano la sollevò da terra mettendola al sicuro.

« Per un secondo credevo fosse un uccellino caduto dal nido. »

Udì ridacchiare una voce familiare:

« Ci sono andato vicino. »

« Eyner! »

La morettina non si domandò cosa ci facesse l'alieno a passeggio per Tokyo, ma di sicuro non era mai stata tanto felice di vedere una faccia conosciuta.

 

 

 

« Hai intenzione di farmi lavorare parecchio, uh? »

« Perdonami Lasa-san… »

La donna sorrise dolcemente e le diede un buffetto sulla testa con l'indice, riprendendo poi a medicarle i graffietti e le escoriazioni che si era causata fuggendo.

« È stata molto gentile a venire fin qui. »

Sorrise Keiichiro e la donna alzò le spalle con allegra noncuranza:

« Il mio turno inizierà tra un bel po' e non avevo nulla da fare. »

Terminò di controllare Minto, facendo girare e rigirare la ragazza sotto la lampada da estetista procurata dal bruno per vedere bene lo stato del suo fisico, quindi la spense e sorrise incoraggiante:

« Tutto a posto cara. »

La morettina ringraziò con un cenno del capo, ancora mogia.

Quando Eyner l'aveva recuperata era scoppiata in una mezza crisi di nervi, finanche per lei era successo un po' troppo in meno di quarantotto ore per mantenere la calma. Il bruno così aveva pensato fosse meglio portarla in un luogo conosciuto ed erano arrivati al Cafè; la mewbird si era ritrovata circondata dai visi preoccupati delle amiche, comprese Zakuro e MoiMoi, e aveva velocemente ripreso il controllo di se stessa, giusto in tempo per rendersi conto di avere dolori un po' ovunque. MoiMoi aveva chiesto a Lasa di raggiungerli, preferendo tenere la morettina tranquilla, e la donna si era presentata quasi subito.

« Posso offrirle una tazza di the? »

« Volentieri. »

Keiichiro fece galantemente strada a Lasa verso la cucina e Minto si sedette sospirando sulla base della lampada.

« Come va nee-chan? »

« Sto bene Purin. »

Mentì la ragazza. Le altre la osservarono preoccupate, era difficile vedere la sconfitta su di lei e in quel momento aveva stampato in viso a chiare lettere quanto si sentisse scoraggiata, umiliata e inutile.

« Dopo una giornata del genere, se non torno normale impazzisco. »

« Potrei cercare degli stimolanti per aiutarti – fece MoiMoi cauto – ma è rischioso, potremmo peggiorare la situazione. »

Minto non lo guardò e annuì torva. Sapeva benissimo che non poteva incolpare né il violetto né Ryou per la sua situazione, in fondo era stata lei ad accettare, ma provava un vago rancore e preferiva tenerlo per sé.

« Ora pensiamo ad un posto dove potresti stare. »

Propose Zakuro affettuosa:

« Devi startene tranquilla. Non sei ancora nel pieno delle forze. »

« Già… Ma dove potrei stare, onee-sama? »

« Casa mia pare sia fuori questione. »

Sospirò Ichigo.

« Più o meno le case di tutte noi. – annuì mesta Retasu – Da me ci sono i miei genitori e Uri(**), è difficile che entrino nella mia stanza, però… »

« I miei fratellini la troverebbero dopo cinque minuti – disse Purin grattandosi la nuca – e cercherebbero di ingabbiarla dopo due. »

« Che bei pensieri rassicuranti! »

« Da te, Zakuro-chan? »

« Spesso quando non ci sono la mia manager da un occhio alla casa – fece scuotendo la testa – è troppo rischioso. Non può passare il tempo a nascondersi. »

Ci fu un leggero colpetto di tosse. Il gruppo si voltò interamente verso la cucina e Lasa sorrise:

« Potrei proporvi io una soluzione? »

 

 

***

 

 

« Sperava di fregarmi? »

Ebode sorrise come un lupo scoprendo i canini aguzzi:

« Io? Perché mai? »

« So perfettamente qual è il suo gioco – fu la risposta velenosa – e non sono questi gli accordi. »

« Un imprevisto, insignificante effetto collaterale. – fece il consigliere con tono rammaricato – Vedrà che presto il colonnello sarà scarcerato. »

« Me lo auguro per lei. »

Ebode si ritrasse vedendo la sua spia protendersi su di lui, l'indice che gli picchiettò minaccioso sullo sterno:

« Sono i terrestri che devono sparire. Punto. Non i nostri soldati. »

« Come d'accordo, come d'accordo. »

Rassicurò. Ebode studiò la figura di fronte a lui muoversi nervosamente in cerchio e temette potesse voltargli le spalle, così cercò di addolcire la situazione:

« Ora tutti i frammenti finora ritrovati sono in possesso della squadra di Luneilim e Ikisatashi. Per qualche tempo gli Ancestrali saranno bloccati. »

« Stando alle informazioni, sì. »

Fu la replica atona.

« Bene. – sorrise Ebode mellifluo – Abbiamo tutto il tempo perché la situazione si ristabilizzi. Una volta fatto ciò, ci premuniremo di impossessarci del Dono. »

« … Ebode, è impazzito? »

« Ci rifletta – insisté – chi sarà il primo ad essere accusato del furto? »

« Gli Ikisatashi, Luneilim, Okorene e Toruke. »

« No, se proprio uno di loro è stato da poco scagionato dall'accusa di tradimento! – fece con veemenza – Ci rifletta, quante probabilità ci sono che un non colpevole commetta proprio il crimine per cui è stato appena accusato? »

Ebode vide il complice riflettere mormorando tra sé e sé e si fregò con discrezione le mani.

Era perfetto.

Assolutamente perfetto.

Seppur Pai fosse uscito di prigione e il Consiglio avesse dato nuova fiducia a Teruga, lui aveva già iniettato il veleno del dubbio. La sua spia aveva i dati sottratti alla sonda degli Ancestrali. Se fosse riuscito ad entrare in possesso del Dono, nulla avrebbe più potuto ostacolarlo.

« Allora? Che ne pensa? »

Tese il palmo ossuto davanti a sé. La stretta di mano che ricevette aveva il sapore dolce del trionfo senza macchia.

Perfetto.

 

 

***

 

 

L'appartamento di Zakuro si trovava all'ultimo piano di un grattacielo ultramoderno, incastrato in una linda e tranquilla via dell'elegante quartiere di Ebisu(***). Grande e confortevole anche per un'occidentale, la casa si affacciava sulla città con una lunga vetrata a specchio, che spandeva caldi raggi sul parquet del pavimento; l'ingresso si apriva direttamente sul salotto e alcuni alti mobili bianchi dividevano l'area con il divano e un basso tavolinetto di vetro dall'angolo cucina, mentre delle porte sul lato sinistro facevano intuire l'esistenza di perlomeno due altri ambienti.

Zakuro si tolse le scarpe, le poggiò oltre lo scalino d'ingresso e fece cenno ad Eyner di aspettarla dove voleva, dirigendosi poi oltre una delle porte. Il bruno si mise a curiosare in giro, non capiva un accidenti di case terrestri ma poteva intuire che quella doveva essere considerata un'abitazione di lusso, valutando che ci viveva una sola persona e che le dimensioni dovevano essere poco inferiori a quelle di casa sua, dove erano vissuti in quattro; la temperatura interna era regolata alla perfezione, così nonostante i fiotti di luce da fuori si avvertiva solo un rilassante tepore, e ogni elettrodomestico aveva l'aria scintillante di quando era uscito dalla sua scatola. Sfiorò sovrappensiero un ripiano di un mobile, era pulito come fosse esposto in un negozio.

« Non mi piace la polvere. »

Lo sorprese la voce della mewlupo. Lui si girò e la guardò uscire, suppose dalla sua camera, visto che si era cambiata e indossava pantacollant e una t-shirt larghissima sulle spalle sotto la quale, con un pochino di disappunto, il bruno vedeva comparire una canotta nera; la studiò passeggiare a piedi nudi verso di lui finendo di annodarsi i capelli in una coda alta e fece un po' ammirato:

« Fai tutto tu? »

« Preferisco non avere gente estranea per casa, ne ho a sufficienza al lavoro. Viene la mia manager quando può – ammise – ma se posso voglio occuparmene io. »

Lui annuì senza domandare altro.

« Grazie di avermi accompagnata. »

Le sorrise e la guardò studiare attorno a sé, come un animale che esplorava un territorio ignoto. Già nelle due settimane precedenti, dopo essere stata tratta in salvo dalla dimensione degli Ancestrali, Zakuro aveva visitato varie volte il suo appartamento, senza fermarcisi mai oltre il dovuto; aveva deciso che era il momento di tornare all'ovile, ma doveva ammettere che era stato molto più semplice con la presenza di un'altra persona.

« Potevi passare un'altra notte da Shirogane, se preferivi. »

Lei fece un sorrisetto divertito al suo tono asprigno:

« Non dirmi che sei geloso. »

« Solo un pochino. »

Ammiccò facendo il segno della quantità con le dita. Zakuro sbuffò divertita:

« Lo sai che è un mio amico. »

« Infatti non ho detto una parola. »

Lei lo fissò allusiva e si avviò in cucina, accendendosi il bollitore del caffè solubile.

« Mi sembra strano che non abbia detto ancora niente. »

Pensò il bruno a voce alta.

Lui e Zakuro non avevano deciso dal principio di nascondere la questione fra di loro, ma non ritenevano in ogni caso necessario sbandierarla ai quattro venti; al momento ne erano a conoscenza solo MoiMoi – che aveva impiegato quattro giorni a parlare ad entrambi senza voltare la testa a disagio, e già passava il tempo ad esplodere in risatine di giubilo incontrollate – e Ryou, che non era sembrato troppo entusiasta della cosa.

« L'altra volta credevo mi avrebbe sbranato sul posto. »

« Sta solo aspettando il momento opportuno. »

« Poi non devo essere geloso? »

Scherzò e Zakuro gli sorrise divertita. Eyner sapeva benissimo che il motivo per cui Ryou si era così arrabbiato era la sua origine aliena; non che la cosa gli desse meno fastidio.

« Mi sono stupito di Minto, piuttosto. »

« Che intendi? »

Chiese mentre il bollitore si riempiva di liquido nocciola.

« Oggi quando l'ho incontrata. Non si è neppure domandata perché mi trovassi lì. »

« Probabilmente non ha focalizzato, era spaventata. »

« Immagino di sì. »

Sospirò intanto che il bollitore finiva il suo lavoro. A ben pensarci forse era stato meglio così, spiegare alla mewbird che la sua adorata onee-sama frequentasse qualcuno si sarebbe potuto rivelare molto complicato. Almeno senza rischiare una freccia in mezzo agli occhi.

La mora prese due mug asciutte disposte nello scolapiatti sul lavello, le riempì entrambe per metà, le zuccherò e ne porse una al ragazzo:

« Due cucchiaini vanno bene? »

« Ah non lo so, mai assaggiato. In ogni caso ce li hai già messi, perciò vanno bene. »

Lei sogghignò e girò un paio di volte il cucchiaio nella tazza prima di berne un sorso. Eyner la imitò e dovette ammettere che la ragazza aveva azzeccato, intanto che un piacevole sapore amarognolo venato da una nota dolce gli invadeva la lingua. Vuotò la tazza in pochi sorsi, la posò sul lavello e studiò la mewwolf: all'apparenza, intenta a sorseggiare la sua dose di caffeina, era tranquillissima e a suo agio, come sempre ovunque si trovasse, ma lui restava preoccupato.

« È tutto a posto? »

« Sì. Sto benissimo. »

Lo rassicurò con dolcezza; finì il suo caffè e fece per accompagnarlo fuori, evidenziando quanto non ci fosse nulla di cui angosciarsi, eppure lui tenne lo sguardo perplesso:

« Se preferisci, resto qui per stasera. »

Si rese conto di quanto aveva detto scorgendola rallentare e lasciarlo andare avanti.

« Giuro che non voleva essere quello che è sembrato. – si difese all'istante con un sorrisetto nervoso – Scelta sbagliata delle parole. »

« Uhu. »

Zakuro alzò un sopracciglio divertita appoggiandosi con entrambe le mani agli stipiti della porta, intanto che Eyner si fermò appena oltre la soglia.

Sebbene avessero trascorso le ultime settimane quasi sempre insieme, lui non aveva mai provato a varcare una certa soglia di contatto fisico: in parte per il pensiero di cosa avesse passato prigioniera per cinque giorni, e temendo di smuovere cose che era meglio lasciare com'erano, in parte perché aveva capito che la mora dava poche concessioni all'invasione del proprio spazio, ed Eyner si sforzava di rispettare la cosa.

Certo, se Zakuro gli restava in pantacollant e canotta – la maglietta sopra non aiutava a mascherare il contenuto sottostante – a guardarlo con quell'espressione un po' maliziosa, la tentazione di osare e rischiare un calcio nelle zone nobili era tanta.

« Poi c'è Sury. »

Bofonchiò per convincersi, con ben poca efficacia.

« E poi c'è Sury. »

Rincarò la mora furbetta, incurante del fatto che lui fosse già ad una distanza pericolosamente ravvicinata.

« Devo andare, eh? »

« Vai. »

Lo spinse con due dita contro la fronte per allontanarlo, ridacchiando a labbra strette, e lo salutò serrando lentamente la porta.

Eyner si trattenne un altro paio di minuti, le immagini del viso di lei e la curva della sua schiena dallo spiraglio dell'ingresso che si chiudeva incise nella testa. Sollevò il pugno per bussare, fece leva sul suo buonsenso e girò i tacchi:

« La prossima volta. »

 

 

***

 

 

« Ecco qui. Così dovresti stare comoda. »

Minto osservò la mensola circospetta, spiccò un voletto fin su di essa e passeggiò attorno al suo nuovo giaciglio.

« È perfetto. »

Sorrise grata:

« Grazie mille Lasa-san. »

La donna sorrise radiosa.

« Purtroppo con tre maschi non avevo niente di utile come Ichigo-chan – sospirò rammaricata – spero sia comodo comunque. »

Minto sorrise. Il letto improvvisato da Lasa, con un cuscino cucito sul momento e una ciotola di legno, per le sue dimensioni era grande quanto un letto matrimoniale, di sicuro sarebbe stata più comoda che nel lettino di plastica della casa delle bambole.

« Mi dispiace darle tanto disturbo. »

« E di cosa? – le sorrise – Tra l'altro, ora che sono ufficialmente in maternità, all'ospedale mi hanno ridotto i turni, così avrò qualcosa da fare. »

Le ammiccò divertita:

« E non sia mai che non segua un paziente fino alla fine della degenza. »

Andò a procurarsi altre cose utili nella credenza della cucina e la porta si aprì, mostrando a Minto il solo motivo che avrebbe dovuto farle declinare la proposta di Lasa e che, purtroppo, era l'unico che non aveva focalizzato.

« Che ci fa la cornacchietta tascabile qui? »

Fece Kisshu lugubre indicando la morettina con il braccio sano e la madre gli scoccò un'occhiataccia; Taruto, dietro di lui, entrò come un fulmine e si inerpicò fino alla mensola per guardare la mewbird:

« Wow, Purin non scherzava! Sei diventata un fagiolo! »

« Taruto! »

« Beh, è vero. »

« Sei cafone proprio come Kisshu. »

Sibilò la morettina. Lasa roteò gli occhi seccata:

« Per Minto-chan è troppo complicato ora rimanere nel mondo degli umani. – spiegò spiccia, riempiendo un bicchierino d'acqua – Qui potrà stare tranquilla e andare dove vuole, finché non torna alle sue dimensioni originali. Inoltre potrò tenerla d'occhio: visto che non sono stata di alcun aiuto per disintossicarla, posso controllare che torni come prima senza intoppi, adesso potrebbe essere pericoloso anche un raffreddore, piccina com'è. »

Posò il bicchiere sulla mensola della mewbird e si voltò di scatto verso il figlio maggiore puntandogli contro l'indice minacciosa:

« Quindi è nostra ospite, e guai a voi due se non sarete educati. »

« Ma', non ho mica cinque anni. »

Sbottò il verde e la madre lo guardò severa:

« C'è da chiedersi ogni tanto chi sia il più piccolo. »

Lui bofonchiò irritato e scomparve nelle stanze al piano di sopra, aveva davvero poca voglia di trovarsi nella stessa stanza con la morettina e di sentire ramanzine a destra e a manca. Taruto, dal canto suo, non vedeva come la presenza di Minto potesse infastidirlo più di tanto; si prese un panino color ocra da un cesto sul ripiano del lavello, gli diede due morsi veloci e con ancora il pezzo in bocca uscì di nuovo.

« Dove vai? »

« MoiMoi-fan dife che forfe c'è un nuofo paffaggio – biascicò e ingollò rumorosamente il boccone – vado a vedere se ha scoperto qualcos'altro. »

Salutò velocemente e sparì con il suo bottino tra i denti. Lasa terminò di sistemare la stanzetta improvvisata di Minto e sospirò:

« Ecco perché… »

« Come? »

« Credo che Kisshu sia nervoso perché non può andare con loro. »

« Per via del braccio? »

La donna annuì:

« Quando sono andati a prendere Zakuro-chan sentiva ancora troppo dolore, e non ha seguito gli altri. – le chiarì – Ora non sente quasi più niente, ma deve rimanere a riposo ancora qualche giorno: un'incrinatura non va sottovalutata. »

Le sorrise un po' a disagio:

« Mio figlio non è fatto per stare troppo fermo. »

Minto annuì senza aggiungere altro. Lasa finì di sistemarle la stanza, ora aveva perfino un piccolo lavabo fatto con il bicchiere e un mini-paravento dove cambiarsi i vestititi da bambola superstiti di Ichigo, indiscutibilmente non le cose più comode del mondo realizzati in elastane e nylon, e sperò che Retasu mantenesse la sua promessa di realizzarle qualche completo. Lasa le aveva per di più fornito del cibo e dell'acqua che potesse servirsi da sola, senza dover compiere scalate al cesto del pane o alla credenza.

Minto la ringraziò e si mise a studiare il suo guardaroba da discount intanto che la donna si occupò di alcune faccende domestiche; la conversazione languì tutto il tempo, sebbene la mewbird sentisse di tanto in tanto lo sguardo della donna su di sé e, dopo aver valutato che la morettina non era di gran compagnia per la giornata, la ascoltava sospirare e rimettersi all'opera.

Dopo un po' la vide prendere una grossa borsa scura da una panca e avviarsi alla porta:

« Puoi andare dove vuoi, esplora pure – le disse gentile – fai solo attenzione a non farti male. Ci rivedremo per cena. »

La salutò e si diresse all'ospedale. Minto si lasciò cadere sul letto, esausta, gustandosi il silenzio ovattato e la pace della casa vuota.

Quasi vuota.

L'occhio le scappò verso le scale, ma si rigirò subito nel letto e si appisolò, sfatta della giornata. Se lo stupido aveva problemi con la sua presenza, non era una cosa di cui doveva preoccuparsi.

 

 

***

 

 

« Allora è andata bene? »

« Ad essere sincere non lo so – sospirò Ichigo miagolando – ricordo di aver scritto delle cose e controllato le risposte, ma una volta consegnato il foglio… Vuoto totale. Non mi ricordo niente. »

« Ichigo-san, non è eccessivo andare in stato di stress post traumatico per un esame? »

« Parla per te Retasu. – bofonchiò – Non sono tutti intelligenti come te! »

« Ma davvero? »

Lei scagliò un'occhiataccia a Ryou e al suo sorrisetto sardonico:

« Ringrazia che sono di buon umore. »

Lui non ci avrebbe giurato, dato che fu certo di averla sentita soffiargli contro irosa.

« Te la senti già di venire Zakuro-san? »

« Non preoccuparti. »

La mora sorrise discreta verso la mewfocena:

« Sono in piena forza. »

Vedere tutta l'apprensione nei suoi confronti non era troppo piacevole, ma si era arresa al fatto che le sue amiche avessero tutto il diritto di preoccuparsi eccessivamente per lei. Retasu le sorrise con dolcezza e annuì.

« Allora, ci siamo tutti? »

MoiMoi guardò distratto tutti i presenti e si massaggiò un braccio preoccupato: contando Kisshu, Minto e Pai, che era ancora in custodia dopo oltre quindici giorni, erano rimasti in sette; malgrado gli Ancestrali fossero fuori gioco, almeno in teoria, aveva ormai imparato che potevano svelare nuovi trucchetti ogni volta, e sarebbe stato meglio che lui e Sando si fossero uniti al gruppo. Aveva solo da sperare che non accadesse nulla in sua assenza, con il laboratorio incustodito.

« Mohéki, il pianeta dove si è aperto il passaggio, è un posto davvero molto tranquillo. – li incoraggiò sorridendo – Purtroppo non h avuto notizie sulla Goccia… »

« È tutto a posto. – sorrise Purin – La troveremo subito, vedrete! »

Il violetto ricambiò il sorriso gentile.

Il passaggio si era aperto non lontano dal varco sulla grotta della vecchia Jeweliria. Fu molto lungo attraversarlo e sbucarono oltre esso con più dolcezza di altre volte. Di fronte a loro si dispiegò una foresta di alberi giganti, simile a quella che circondava la città aliena, ma il bosco in cui passeggiarono doveva essere antico di migliaia di anni; alberi dai tronchi così spessi che ci sarebbero voluti tutti loro a braccia spalancate per cingerli, ricoperti di muschi ed edere così vecchi da essere morti e cresciuti su loro stessi, creando una sorta di alto tappeto verde scuro sulle cortecce; le fronde spesse oscuravano il cielo che a tratti si riusciva ad intravedere, color acquamarina, e lasciavano filtrare sprazzi di una luce rosata che disegnava bizzarri giochi di pulviscolo bianco e ocra. La quiete della foresta non strideva con l'animosità dei suoi occupanti: gli abitanti di Mohéki, animali dai tratti umanoidi, davano l'idea di gente industriosa, impegnata a lavorare e inerpicarsi per la città. Inerpicarsi, pensò Ichigo, era di sicuro il termine più appropriato, perché gli edifici erano costruiti attorno, sopra gli alberi e con essi attraverso: letteralmente attraverso, da alcune case si vedevano chiaramente spuntare rami e frasche; qualcuna dall'aria più vecchia aveva finito per essere inglobata dalla vegetazione e abbandonata per una gemella, edificata a poca distanza senza la benchè minima piega da parte dei suoi inquilini.

« Questo posto è enorme. »

Disse Retasu guardandosi ammirata attorno.

« Proprio così – borbottò Sando, con l'aria di chi è già stanco e vorrebbe tornare a casa – Mohéki non ha vere e proprie città, solo agglomerati di persone che si disseminano per le foreste del pianeta. »

« Sembra già allettante. »

« Non è minuscolo se è questo che speravi, ragazza lupo. »

« Su, non iniziamo già con il pessimo umore! – esclamò MoiMoi imperioso – Basterà dividerci, troveremo tutto più in fretta. »

« Sarà una buona idea? »

« Ma sì, sarà divertente Taru-Taru. »

« Intendevo un'altra cosa. »

Sbuffò il brunetto.

« Siamo circondati dalle piante, siamo in una botte di ferro. – lo rassicurò Sando e gli sorrise sbruffone – In caso di emergenza, Eyner può accendere il barbecue. »

« Senpai, hai la minima idea di cosa sia un barbecue? »

« Una specie di grossa grigliata, e sarebbe preferibile evitare. Noi siamo nel mezzo. – si intromise MoiMoi tagliando corto – Bene. Taru-chan, ti affido Purin. Voi due siete più svelti di noi e più leggeri, riuscirete ad arrivare in alto senza intoppi. »

« Come se tu fossi un paranc- »

Sando strinse i denti, zittito dal tacco nel ginocchio del violetto. Purin alzò il pugno energica:

« Capito! »

« Eyn-chan, tu e Zakuro siete bravi a passare con discrezione. »

« Giro turistico in paese? »

Scherzò il bruno rivolto alla mewwolf; lei mosse appena un angolo della bocca con aria divertita.

« Ichigo-chan, tu e Ryou-chan siete due felini, neppure voi dovreste avere problemi ad arrampicarvi. »

Il violetto sorrise, ma la mewneko non fu entusiasta del suo piano.

« Non potete levitare o teletrasportarvi? »

Domandò Ryou piatto e MoiMoi scosse la testa:

« I mohékiniani sono un popolo pacifico e non hanno grandi problemi con gli stranieri, ma è meglio non farsi notare: non sappiamo dove si trovi la Goccia, o in mano di chi. »

Il biondo annuì, le ultime due esperienze che aveva avuto confermavano il peggio di entrambe le opzioni.

« A proposito, noi è meglio se ci camuffiamo un pochino. »

Lui e gli altri alieni settarono i loro schermi e le ragazze, nonostante la trasformazione, li imitarono; Ryou si domandò come dovessero apparire agli occhi dei mohékiniani: lui vedeva solo le ragazze in uniforme e quattro dei soliti alieni con cui – incredibile a dirsi – stava imparando a convivere.

« Reta-chan, tu vieni con me e il bestione noioso. »

« Mi sale la tentazione di abbandonarti su un ramo sperduto appesa per i piedi… »

MoiMoi non si curò della minaccia e Retasu ridacchiò nel vederli bisticciare. Purin, considerate concluse le raccomandazioni, agguantò Taruto per un braccio e puntò decisa un grosso albero un po' nascosto da un gruppo di case, un ottimo posto per iniziare a salire senza farsi notare. Zakuro ed Eyner fecero per imitarli avviandosi per il sentiero che passava più o meno al centro dell'agglomerato civico, ma prima di mettersi in moto Ryou richiamò l'attenzione del bruno con un colpetto di tosse. L'occhiata che gli lanciò profetizzava vendette atroci:

« Mi raccomando. »

Si girò senza aspettare risposta, si trasformò e puntò la zona di alberi opposta ai due ragazzini, con Ichigo che lo seguì completamente allibita e confusa. Eyner fece una smorfia spalancando le braccia:

« E quello che avrebbe voluto dire? »

 

 

***

 

 

Nessuno di loro tre osava respirare. Arashi se ne stava riverso sul suo scranno, lo sguardo vitreo in avanti e la mano ferita da Taruto ancora penzolante nel vuoto; si era fasciato, in un istante di lucidità, senza riuscire a fermare il gocciolio dalla ferita, ma nessuno dei suoi subalterni si sarebbe mai avvicinato al suo raggio d'azione per terminare la medicazione.

Avevano fallito.

Avevano permesso che il Dono venisse rubato.

I loro sforzi, vanificati.

La sorte gli aveva concesso di trovare una Goccia dopo la rottura del Dono e ora non c'era più. Non potevano più rintracciarlo.

Era finita.

Toyu, il corpo coperto di ustioni e vesciche, si guardò distrattamente riflesso nel metallo della capsula: non sapeva per quanto tempo ancora avrebbe visto nel suo riflesso i segni della propria discendenza, e quando il momento fosse giunto, tornando ad essere un misero, inutile Impuro, la sua speranza sarebbe evaporata assieme alla sua vita.

Arashi rimase immobile. I tratti del volto avevano perduto quasi del tutto gli elementi del Primo e il suo viso color calce era ormai quello di Deep Blue; tuttavia solo una sfumatura grigio argentea venava i capelli ancora biondi.

Arashi aprì la bocca per parlare e non ne uscì la sua voce. Le parole calme di Deep Blue scossero di brividi gli altri tre Ancestrali fin nelle viscere:

« Il Dono è nelle mani degli Impuri. »

Lindèvi squittì di terrore e si rannicchiò al suolo. Zizi iniziò a tremare quasi avesse le convulsioni.

« … Purtroppo, mio signore – sussurrò Toyu con voce arrochita – noi… »

Deep Blue sollevò la mano sana di Arashi e Toyu si zittì all'istante.

« Non tutto è perduto. »

Tutti e tre sollevarono lo sguardo, non comprendendo il senso delle sue parole.

« Il Dono ora è quasi ricostruito. È al sicuro, ben protetto. E io ormai non ho più bisogno di averlo accanto a me. »

Toyu, Zizi e Lindèvi si scambiarono occhiate perplesse.

« Ormai Primo non può più ostacolarmi. La sua coscienza è svanita, divorata. – il tono calmo e dolce si intorbidì di crudele soddisfazione – Quest'esistenza è nuovamente mia. »

Chiuse gli occhi e inspirò a fondo, avvertendo la fatica sul corpo già provato di Arashi:

« Fate in modo che torni in forze. – ordinò – Il mio prescelto non può possedere un corpo che non sia in grado di contenermi. »

Tutti e tre abbassarono all'unisono il capo in segno affermativo.

« E vedete di darvi una sistemata anche voi. »

Incassarono lo sprezzo dell'ultima frase con l'espressione umile e contrita, temendo che alla successiva sarebbero morti senza più tanti discorsi.

« Sappiamo che gli Impuri hanno un traditore. »

Toyu alzò la testa illuminandosi.

« La sonda…! »

Il piccolo omuncolo che era Ebode non immaginava di certo che, se lui e la sua spia potevano sottrarli informazioni, a loro volta gli Ancestrali potevano vedere tutto ciò che la sonda aveva registrato: compresi i suoi rapitori, il loro furto e qualsiasi cosa avvenuta nel mezzo.

« Ebode è un uomo insignificante e meschino, i suoi piani sono gretti. – continuò Deep Blue, e la voce per qualche minuto tornò quella di Arashi – È semplice capirli. »

Lindèvi inclinò la testa leggermente confusa, ma annuì; Zizi ritenne saggio evitare di chiedere qualsiasi spiegazione e di avere chiarire tutto più tardi, con parole comprensibili e possibilmente da qualcuno che non avrebbe potuto staccargli di netto la testa dal collo.

« Ma crede nella nostra superiorità. – insisté il loro capo – Lui è inutile, ma… »

« Dite che potremmo sfruttare la cosa? »

« È ciò che voglio. Toyu. »

« Sissignore. »

« Seguite i loro movimenti. Non intervenite, sarebbe inutile adesso. – sul viso latteo si disegnò un ghigno orrendo – Aspetteremo, e ci impossesseremo del Dono completo. »

 

 

 

 

Sentiva lo sguardo di Luz su di sé, le lacrime che le rigavano il volto.

« Vincerà. – gemette – Stavolta, avrà ciò che desidera. »

« No. »

Le sembrò davvero convinto di ciò che diceva. Fin troppo.

« Tayou… »

« Posso lasciargli il corpo di Arashi. »

« E come… »

« Ho altri modi. »

Le posò una mano sul viso accarezzandola affettuoso:

« Lui dimentica che non è il solo legato a quella pietra. – la rassicurò – Lo sei anche tu. E lo sono io. »

La giovane spalancò gli occhi celesti.

« So come comunicare con loro. »

 

 

***

 

 

Purin stese le braccia in fuori respirando a pieni polmoni, l'aria a Mohéki era fresca e pulita, ma aveva un odore che non aveva mai sentito da nessuna parte: sapeva di legno, di terra, di acqua, di polvere e di caldo, e una nota dolce, come cannella, tutto insieme; le batteva il cuore così forte da iniziare a correre lungo i rami giganti che si toccavano e intrecciavano tra loro, come pontili di legno sospesi nel vuoto, incurante dell'altezza o di non essere sola.

« Insomma, scimmietta da circo, vuoi aspettarmi?! »

Lei inchiodò di colpo nel modo in cui aveva iniziato a correre e si voltò, centrando Taruto ancora in volata con la propria fronte. Caddero lunghi distesi entrambi con un sonoro clock di cocchi sbattuti.

« Ahiooo! Che testa dura che hai! »

Protestò lui mezzo accecato reggendosi la fronte.

« Perché la tua è tanto più morbida, ahi… »

Taruto le fece il verso e si mise più dritto, guardando di sotto. Erano saliti di almeno una ventina di metri dalla strada principale e già rimaneva difficoltoso mantenere un punto di orientamento: gli edifici si affollavano e scomparivano seguendo l'andamento della foresta, senza una distribuzione regolare, e le fronde fitte coprivano intere zone tanto che non si vedevano altro che foglie e rami ovunque ci si voltasse.

« Non riesco a capire da dove siamo venuti. »

Ammise Purin, pentendosi della sua sgambata arborea.

« Sono quasi certo da di là. – replicò vago il brunetto con un cenno del pollice alle sue spalle – È uguale, cerchiamo di capire almeno dove stiamo andando ora. »

Taruto posò entrambi i palmi delle mani sul grosso tronco sotto di sé. Con un chimero sarebbe stato molto più semplice, ma non aveva il tempo e non era certo di come avrebbero reagito le piante di Mohéki all'inserimento del parassita.

« Proviamo così. »

Purin lo vide concentrarsi e fissare la volta verso cui si stavano dirigendo. Dopo un minuto di silenzio da parte del ragazzo, si udì un leggero scricchiolio, poco a poco sempre più deciso, infine con uno schiocco secco e un frusciare di risacca i rami nella loro traiettoria si fecero leggermente di lato, tracciando un sentiero sgombro e con buona visibilità.

Taruto si lasciò sedere qualche momento, spossato, se pensava che Sando faceva apparire cose simili tanto semplici… Purin intanto era rimasta a bocca aperta, in punta di piedi per vedere fin dove avesse funzionato la strategia del brunetto.

« Così almeno dovremmo riuscire a vedere dove stiamo andando. »

« Sei fantastico, Taru-Taru…! »

« Tu invece dovresti cercare di non dire ogni cosa che ti passa per la testa così, perché ti va. »

Borbottò in imbarazzo. Purin gli fece la linguaccia:

« Me l'hai già detto. Ma io lo penso sul serio. »

Lui si tirò in piedi sbuffando, non aveva proprio voglia di ribattere e Purin saltellò per gioco all'indietro avviandosi sul sentiero.

Fu un secondo e mise il tacco in fallo, sparendo oltre il ramo.

Taruto si lanciò verso di lei quasi nel medesimo istante, afferrandole una mano e aggrappandosi con l'altra al legno rischiando per poco di finire con lei di sotto.

« Stai bene?! »

Lei lo fissò tranquillissima e sorpresa dal suo gesto:

« Certo, perché non dovrei? »

Taruto fu lì per inveirle contro con quanto fiato aveva, e solo in quel momento notò la matassa marroncina che si intrecciava attorno al ramo, proprio vicino al suo braccio destro. Una coda.

Ah già… Una scimmia.

La biondina inarcò la schiena e si tirò su con l'appendice pelosa atterrando in un balzello; Taruto le lasciò il polso, scuro in volto per la figura da stupido appena fatta, e si guardò l'altra mano sibilando tra i denti.

« Ahi! Deve farti un male cane. »

« Ah, ma va? »

Ringhiò studiandosi il palmo grattugiato sulla corteccia. Purin lo prese amorevolmente tra i suoi, si frugò nelle tasche della divisa e tirò fuori una boccettina di plastica trasparente e un fazzolettino, incurante che Taruto fosse diventato rigido come un sasso e sembrasse indeciso se stringerle la mano nella propria o ritrarla all'istante.

« Ho cinque fratelli minori. Sono sempre attrezzata. – ammiccò alla sua faccia stranita, cogliendone il senso sbagliato – Ora, scusa ma brucerà un po'. »

Lui strinse i denti mentre gli innaffiava i graffi di ciò che gli parve fuoco liquido, gli tolse i residui di corteccia e gli fasciò rapida la mano. Taruto la guardò sorridergli e si ritrasse lentamente a disagio:

« Forse hai esagerato. »

« Purtroppo non ho niente di più piccolo. – replicò tranquilla – Però così rimarrà coperto finché siamo qui. »

Taruto annuì con un verso nasale e restò seduto.

« Su, andiamo! »

La biondina lo afferrò per il braccio e lo costrinse a tirarsi su di scatto, ma sbagliò i calcoli e si ritrovò inaspettatamente a sfiorargli il naso con il proprio.

Fu strano e bello, una quiete totale attorno e un silenzio morbido in cui poteva sentire ogni respiro che mandavano entrambi, e riuscì solo a restare dove si trovava, un mezzo sorriso sul viso e il cuore che ricominciò ad accelerare nonostante fosse ferma.

A Taruto venne il panico. Erano decisamente troppo vicini, ma la sola cosa che fu in grado di fare fu fissarla dritta negli occhi e deglutire a vuoto, la sensazione che lo stomaco e il braccio stretto ancora nella mano della biondina si stessero incendiando.

Purin ebbe l'impressione che fosse trascorsa un'eternità. Di colpo Taruto alzò le mani e l'afferrò per entrambe le spalle e la biondina si rese conto di trattenere il fiato e arrossire, tenendo d'occhio ogni singolo movimento del ragazzo.

Non nascose una certa delusione quando lui, gli occhi bassi e le guance scarlatte sul volto torvo, la scostò di peso e riprese a camminare senza una sola parola. Sospirò con forza, evidentemente il romanticismo funzionava solo a tempo limitato:

« Ehi, aspettami! »

 

 

 

 

La città si riversava attorno a loro chiassosa e caotica, ma al contempo accogliente e familiare; gli abitanti si salutavano tra loro con l'allegria di un paesello in cui tutti sapevano di tutti, ma non sdegnavano nemmeno i due sconosciuti di cui incrociavano lo sguardo di tanto in tanto, rivolgendogli cenni di cortesia e augurando il buongiorno solo per il piacere di farlo. Eyner rispondeva con la maggior naturalezza possibile e senza sembrare impegnato nella ricerca di qualcosa, mentre di quando in quando con la coda dell'occhio scrutava la sua immagine nei vetri delle case: a rimirarlo dall'altra parte un grosso cane castano maculato di nero che camminava eretto come un uomo, accanto ad una lupa con gli stessi capelli glicine di Zakuro.

« Che stai facendo? »

Vide nel riflesso la mewwolf muovere ritmicamente in tondo le orecchie animali e quando lui le fece la domanda quelle scattarono sull'attenti:

« Sto cercando di capire qualche frase interessante. »

Replicò piatta, leggermente seccata da come lui trovasse tenere e divertenti le sue orecchie; Eyner mosse la mano con noncuranza per sorvolare sulla questione e annuì.

« Cento volte meglio che fare domande. »

« Non riesco proprio ad immaginare dove potrebbe trovarsi la Goccia in un posto simile. – sospirò lui – Questa gente mi da quasi da pensare che potremmo trovarla abbandonata in un cesto di verdure, e se chiedessimo ce la consegnerebbero sorridendo. »

Camminarono per un po' in silenzio, perlustrando con la coda dell'occhio ogni singolo anfratto ai margini del loro campo visivo nella speranza di scorgere luccichii rivelatori. La mora scivolava tra la folla ben allenata a schivare i passanti, Eyner invece tendeva a rimanere indietro: tentò di non perderla di vista, all'inizio pensò semplicemente per non doversi cercare lì in mezzo, ma quando le scomparve per più di un paio di secondi dal campo visivo avvertì uno strano moto di paura sul fondo dello stomaco e accelerò il passo; si vergognò di se stesso, seppur sapesse di avere una valida ragione per la cosa, e si imbarazzò pensando che forse avesse fatto qualche calcolo sbagliato sul livello dei propri sentimenti. Pregò che Zakuro non se ne fosse accorta – aveva un occhio più da lince che da lupo – e continuò ad avanzare con noncuranza finché non furono di nuovo abbastanza nel largo per camminare vicini. L'occhiata obliqua che avvertì pizzicargli la carotide fu un segno che no, alla mora non l'aveva data a bere, ma lei non disse nulla e proseguì.

« Quante possibilità ci sono che questa divisione di coppie non c'entri nulla con i tuoi poteri? »

Domandò di colpo la ragazza. Eyner sorrise sotto i baffi:

« Intendi se c'è qualche contorto piano della senpai? – ridacchiò – Direi quindici su dieci. »

Zakuro sorrise divertita.

« Credo che sia un suo modo di affrontare le situazioni un po' pesanti – riflettè lui – sai, fingere che sia un'uscita normale. »

« E comportarsi da sorella maggiore che tenta di essere Cupido? »

« Ognuno si diverte come può. »

Rispose facendo spallucce con tono intenerito.

« Ad essere onesti a me non dispiace. »

« Che sia così o ritrovarti qui con me? »

Chiese con tono furbo ed Eyner avvertì lo stomaco girare piacevolmente su se stesso; la sua smorfia colpevole fu chiara alla mewwolf che allargò il sorrisetto e continuò a camminare senza aggiungere altro, con il bruno che si scostava i capelli dal collo sospirando:

« Questa me la sono cercata. »

 

 

 

 

Ichigo seguiva Ryou a distanza ravvicinata, saltando da un ramo ad un altro con tutta l'agilità felina di cui disponeva. Non avevano parlato moltissimo, ma l'atmosfera tra loro era molto diversa dai giorni passati: la tensione gelida era scomparsa, ripresentando la fastidiosa e preoccupante sensazione di circuito elettrico incompleto che tanto aveva angosciato la rossa prima dell'inizio di tutta quella storia.

In un modo o nell'altro, non c'era verso che riuscisse a stare tranquilla.

La pantera argentata balzò su una grossa sporgenza da cui vedevano dei mohékiniani raccolti ad una fonte e si accucciò con il ventre a terra annusando l'aria.

« Che succede? »

« L'ambiente attorno a cui si trova la MewAqua ha un odore particolare. – spiegò senza troppi giri di parole e Ichigo lo sentì mandare un lungo sospiro dal suo muso felino – Ma è flebile… E qui c'è un'aria così pulita che mi sta lavando i polmoni dai gas di scarico. »

Ichigo ridacchiò stentatamente, ringraziando il cielo che almeno il biondo si trovasse nella sua versione a quattro zampe. Si rannicchiarsi vicino a lui tenendo il naso, inutilmente, e quando sentì il pelo argenteo del fianco dell'animale sfiorarle la spalla si contrasse istintivamente di lato: il ricordo di quella sera al fiume le ritornò addosso più vivido che mai, nel cervello, sulla pelle, e si strinse le labbra così forte da renderle insensibili. Si sentì in colpa verso Masaya e perfino verso Ryou e avrebbe solo voluto incrociare gli altri, vergognandosi troppo di quanto fosse ancora nitida quella memoria che avrebbe dovuto cancellare.

In suo soccorso per una volta il suo corpo reagì alle emanazioni della Goccia, spandendo un lieve baluginio; vedendola Ryou si allungò ancor di più con il muso, mosse il tartufo attorno captando ogni traccia odorosa e poi balzò in avanti di scatto:

« Forse… Andiamo. »

Ichigo lo seguì senza rispondere. La sua mano guantata si era nascosta nella tasca e stringeva il cellulare come un amuleto portafortuna, o un monito a mantenere la ragione fatto di plastica e circuiti.

 

 

***

 

 

Si domandò ancora se stesse facendo la cosa giusta. Se in fondo importasse davvero così tanto che la loro salvezza dipendesse dalle terrestri, se avesse un così grande significato.

Un moto amaro di umiliazione invase la sua gola.

Sì, aveva un significato immenso. Orrendo. Avvilente. Vergognoso.

Si aggirò attorno al centro ricerche con la certezza che nessuno avesse notato la sua presenza o la sua scomparsa.

Secondo Ebode si trattava di un ottimo momento per attaccare. Che stupidaggine. Si sarebbero fatti scoprire all'istante.

Ebode credeva di riuscire a farla da furbo, ma era chiaro che non gli importasse né delle terrestri, né del gruppo di jeweliriani che avevano attorno, né di altro se non il suo piccolo misero scranno; anelava alla presa di potere degli Ancestrali come ad una rinascita del vecchio ordine, un ritorno di caste e nobiltà più puzzolenti di muffa e vecchiume del suo alito mefitico.

Sinceramente non erano cose negli interessi della sua spia.

Che la città vivesse, si fossilizzasse su se stessa, tornasse agli anni lucenti del Pianeta Azzurro, erano la medesima cosa. Nulla aveva qualche importanza.

Si riscosse dai propri pensieri e tese la mano distrattamente, ritraendola quando il campo di forza mandò scariche elettriche azzurre nella sua direzione.

Sbuffò, Luneilim era più previdente di quanto si potesse pensare, ma già lo sapeva. Avrebbe dovuto trovare un altro momento per colpire, e temeva che avrebbe dovuto avere un incontro con il capitano.

 

 

***

 

 

MoiMoi starnutì sonoramente tirando su col naso e Sando grugnì schifato:

« Vent'anni suonati e giri con la candela al naso. »

« Non ho la candela al naso! – protestò – Era solo uno starnutino. »

« Hai preso freddo MoiMoi-san? »

Lui rabbrividì lievemente ma scosse la testa ammiccandole:

« Qualcuno mi pensa. »

« Sarà la gente qui che penserà ti sia rincretinita del tutto. – sbuffò Sando – Perché contVuoi piantarla?! »

Per la millesima volta da quando avevano iniziato a perlustrare, MoiMoi si era accostato ad uno dei tanti laghetti, stagni e pozze che disseminavano il terreno rimirandosi nel suo aspetto animale. Gli sorrise con aria da monello:

« Sono una bella volpina. »

« E ti renderò pelliccia. – lo minacciò lui costringendolo a rimettersi in viaggio – Kami-sama sarai cambiata tanto da cinque minuti fa?! »

« Ma sono carina! – trillò gongolando e giocando con le orecchie animali in realtà inesistenti – Tu invece sei un orso anche così. »

Lui lo squadrò acido e MoiMoi se la rise, pensando alla reazione offesa del verde quando si era visto riflesso con le fattezze di un grizzly; Retasu osservò la scena in silenzio ridacchiando.

« A che pensi Reta-chan? »

« Eh? – lei sbattè gli occhioni azzurri e scosse la testa nervosa – No, niente, niente. Mi ero incantata. »

Il violetto le sorrise gentile.

« Come stai? »

« Uh? »

« Con tutto quello che è successo non abbiamo avuto cinque minuti per parlare un pochino. – le disse fraterno – Va tutto bene? »

« Sì, benissimo. – rispose sorridendo dolcemente – Mi preoccupa solo un po' Ayumi-chan. Vorrebbe venire a trovare Minto, ma le ho spiegato che sarebbe un problema… »

« Dobbiamo provvedere allora – replicò furbetto schioccando le dita – tranquilla ci pensiamo appena torniamo. »

Retasu sorrise e annuì ringraziandolo.

« E… Per il resto? »

Retasu lo studiò un pochino confusa e MoiMoi cercò le parole meno dirette:

« So che sei andata a trovare Pai-chan l'altro giorno. »

La verde non disse niente. Si rimirò nello sguardo dorato del ragazzo, intuendo che avesse capito ogni cosa, e vide Sando che studiò entrambi con la coda dell'occhio e si allontanò di qualche metro; la ragazza sospirò arrendevole:

« Sì. »

« E…? »

« Mi ha chiesto scusa. »

Lui sgranò gli occhi:

« Come? »

« Sì, per… Come mi ha parlato, insomma. »

Fece vaga la verde. MoiMoi aggrottò la fronte:

« E… Non ha detto altro? »

La mewfocena apparì confusa e fece un cenno di diniego:

« No, perché? »

Il violetto rispose digrignando i denti e scuotendo la mano lasciando cadere il discorso. Retasu però avvertì un lievissimo tremore del terreno sotto di sé, quasi una minuscola scossa di terremoto, intanto che il violetto riguadagnava spazio tra loro e Sando prima di dire parole di cui pentirsi.

Avevano raggiunto una zona molto isolata, dove la sola compagnia dei loro passi era il frusciare delle foglie e qualche strano verso di insetti, e MoiMoi serrò i denti per non farsi sentire:

« Giuro che quello stupido lo seppellisco sotto una montagna. »

« Perché invece non impari a farti gli affari tuoi? »

« Solo perché tu hai l'empatia di un pesce bollito – gli rimbrottò – non significa che tut- »

La terra tremò di nuovo e il violetto si zittì guardando gli altri preoccupato:

« Non sono stata io. »

Poi si accorsero che non era la terra a tremare.

Sando afferrò di scatto MoiMoi e Retasu teletrasportandosi al sicuro un istante prima che un grosso tentacolo – o qualcosa di estremamente vicino ad esso – riducesse tutti e tre a marmellata.

Retasu rimase basita capendo che non li aveva aggrediti un animale, ma una pianta. Una gigantesca pianta dotata di foglie lunghe e sottili, color amarena, puntellate da graziose gocce trasparenti che, si rese conto, erano estremamente appiccicose; nulla di grave, se un paio di poveri giovani tronchi rimasti invischiati dalle perle collose non fosse stati divelti come erbaccia e triturati nella bocca – kami-sama, quel coso aveva una bocca! – della pianta alla stregua di patatine.

« Siamo quasi diventati concime. »

Esalò MoiMoi tremulo.

« Ma Mohéki non era un pianeta tranquillo? »

Gemette Retasu e la risposta l'accecò. Letteralmente. Sulla cima di una delle foglie, ben visibile nonostante il viscidume che l'avvolgeva, brillava la Goccia di MewAqua. Sando schioccò la lingua:

« Oh, fantastico, nessun posto più sicuro delle fauci di una pianta carnivora. Che bello! »

L'uomo balzò giù seguito a ruota dagli altri. Lui e MoiMoi non si parlarono scambiandosi un cenno d'intesa: ad un gesto del violetto grossi costoni di roccia si sollevarono tra gli alberi, intrappolando la pianta carnivora e lasciandole solo una via di fuga dritta nelle braccia di Sando, e il verde richiamò delle liane dal terreno per bloccarla definitivamente, ma quelle rimanevano intrappolate dalle lacrime vischiose, venendo strappate dal suolo.

Retasu pensò velocemente a cosa potesse fare e indirizzò tre scariche del suo colpo contro la cima della pianta; questa non fece che scuotersi infastidita, ma l'impiccio appiccicoso prese a colare inerte dalle sue foglie, impiastricciato con l'acqua.

« Buona idea ragazzina. »

Sando lasciò che una delle foglie scarlatte lo avvolgesse, ormai priva della sua arma collosa, e approfittando dello slancio ricevuto si liberò dalla stretta con uno scatto di braccia gettandosi contro la cima della pianta: la spinta e il suo salto furono sufficienti a far caracollare la creatura fin quasi a divellere le radici dal terreno, e lui completò l'opera evocando liane di spine che la circondassero e bloccassero. Il povero essere rimase immobilizzato, muovendo le sue foglioline come tentacoletti.

« Scusa dolcezza, ma hai una cosa che mi serve. »

Si protese verso la goccia aprendo la boccetta che aveva in tasca e quella scappò dal suo appiccicaticcio nido con un risucchio secco. L'uomo si voltò verso i due di sotto facendo un ghigno e un segno di vittoria, per una volta le cose erano filate veloci e lisce.

« Attento Sando! »

La pianta si contorse così di colpo che Sando fu sbalzato a terra e le liane strappate di netto. La pianta carnivora emise un curioso verso stridulo, di unghie sulla lavagna, si inarcò per tutta la sua lunghezza e si schiantò volontariamente al suolo. Retasu riuscì a distinguere le nervature del suo corpo calloso, paralizzata, e uno spintone la fece rotolare contro un albero un secondo prima del fragore finale.

« MoiMoi-san! »

Il violetto digrignò i denti dolorante, schiacciato dalla creatura ma ancora intero, e tentò di sollevare il suolo abbastanza da spostare il peso e poter scappare; gli alberi attorno a loro tremarono in protesta per lo smuoversi del terreno, minacciando di cedere, e lui cercò di pensare in fretta una soluzione prima che gli si spappolasse la milza.

Sando fu più pragmatico.

Nuove liane dai corpi legnosi strinsero la pianta carnivora alla base, togliendo un po' di peso e impedendo che l'essere desse ulteriori segni di mobilità; Sando le imitò e fece leva con le braccia, sradicando la creatura ululante con un ringhio feroce:

« Levati…! Dalle palle…! »

Retasu vide unicamente il grosso corpo carnoso sollevarsi come una gigantesca onda solida e venire lanciato ad una decina di metri di distanza, scatenando i lamenti di poveri alberi innocenti e di decine di insetti infastiditi, e poi Sando e le sue amabili piantine rimasti con braccia – e rami – tesi nella direzione del colpo. Si lasciò in ginocchio un po' sconvolta:

« A-accidenti… »

Il tossicchiare di MoiMoi la riscosse e gattonò spaventata in direzione dell'amico, coperto di terra e senza fiato.

« MoiMoi-san, stai bene?! »

« Più o meno (ahi!)… Credo di aver perso un pezzo di polmone e qualche costola. »

« Mai che la cosa aiuti a farti chiacchierare di meno, uh? »

Il violetto guardò da sotto in su l'espressione derisoria di Sando, intento a scricchiolarsi le spalle indolenzite, e gli sorrise.

« Mai presa una Goccia tanto in fretta! »

« Forse dovremmo portare Sando-san con noi più spesso. »

« Lo prenderò come un complimento signorinella. »

Lei e MoiMoi si alzarono, spazzolandosi le ginocchia impolverate.

La voce di Ichigo gli raggiunse mentre la pianta carnivora emetteva i suoi ultimi lamenti. Ryou osservò la scena senza commenti, facendo una rapida supposizione degli eventi e decidendo che non avrebbe mai tentato di stuzzicare Sando in alcun modo.

« State bene? – esclamò Ichigo prendendo le mani di MoiMoi, preoccupata del suo aspetto sbattuto – Cos'è quell'affare? »

« La mia nuova preda. »

« Non pensarci nemmeno Sando. »

« Perché no? Me l'appendo in salotto. »

« Ho seri dubbi sul fatto che passi dal portale. »

« Anche se ci passasse un tir lo vedo pure io che è un'idea imbecille trascinare un essere morto di trenta metri fino a casa. »

Rincarò Ichigo lugubre.

« Attenta mocciosa, potrei perdere la pazienza. »

Lei replicò con una smorfia irriverente, conoscendo il vero carattere del verde quel suo atteggiamento cupo e severo non la inquietava nemmeno un pochino. Le fu chiaro come il sole, nonostante la sua espressione accigliata, che la cosa ferisse parecchio il suo orgoglio.

« Tanto vale cercare gli altri. – MoiMoi si stiracchiò intorpidito – Ehi, forse torniamo in tempo per cena! Non avete fame? »

 

 

***

 

 

Minto si svegliò lentamente, stropicciandosi gli occhi con entrambe le mani; il tramonto inondava di arancione la sala di casa Ikisatashi e per un paio di minuti lei rimase sdraiata con le palpebre socchiuse domandandosi il dove, il quando e il perché.

Quando connesse tutto, stranamente si sentì abbastanza serena. Dopo un buon pisolino le cose assumevano un'altra prospettiva: non era in una bella situazione, ma agitarsi o disperarsi non l'avrebbe migliorata, né avrebbe giovato alla sua reputazione; doveva rimanere calma, le cose si sarebbero sistemate.

La casa era ancora silenziosa, e dai gorgoglii del suo orologio interno – stomaco – probabilmente era quasi ora di cena. Prese un biscotto dal sapore fresco tipo zenzero dalla sua provvista personale e decise di fare un voletto in giro per l'abitazione, in fondo temeva avrebbe comunque dovuto approfittare dell'ospitalità per un po' e tanto valeva iniziare ad orientarsi.

Passeggiò lungo il bordo del tavolo, sul lavello, sulle mensole, sempre sbocconcellando il suo enorme spuntino stretto  tra le braccia, ammirando l'ordine e l'intimità di quella casa, e poi sfarfallò verso il piano superiore.

C'erano cinque stanze, tre a destra e due a sinistra, disposte su un corridoio cieco. Fu un pochino delusa nel vedere che quasi tutte le porte erano chiuse e proseguì a svolazzare pigramente senza una vera ragione, pensando di arrivare comunque in fondo e poi tornarsene indietro.

Fu all'ultimo momento, distrattamente, che si accorse che la seconda porta a sinistra era a malapena accostata.

Altrettanto distrattamente rispose alla sua occhiata allibita Kisshu, incurante di cambiarsi alla bella vista di chiunque passasse.

Che fosse dalla vita in giù o meno.

Minto smise di respirare, diventando violacea, e i resti del biscotto divennero una sorta di disco da lancio del piattello.

 

 

 

 

« Avresti dovuto vedere quanto era grosso quell'affare! – continuò concitato Taruto con lo sguardo limpido di ammirazione – Sando senpai la rivoltato come se fosse di carta! »

Lasa sorrise dolcemente e Iader rise forte:

« Scommetto che tu avresti fatto di meglio. »

Taruto borbottò con sufficienza, gongolandosi però del complimento e della mano che gli frizionava la frangia, e Lasa aprì la porta di casa per farli entrare.

Li accolse una serie di strilli e improperi degni di camionisti, mentre la minuscola figura di Minto fluttuò nel salotto strepitando a pugni stretti e Kisshu dietro di lei, sistemandosi la maglietta con il braccio fasciato e coprendosi l'occhio con l'altra mano.

« Sei una cazzo di isterica! »

« Razza di debosciato, impara a chiudere le porte! »

« In casa mia sarò libero di girare come mi pare o no?! Anche in mutande se volessi! »

« Abbi la decenza di pensare almeno se ci sono estranei in casa, pezzo di esibizionista! »

I tre sulla soglia non vennero nemmeno considerati, e Iader si lasciò sfuggire un lungo fischio:

« Questa convivenza si prospetta grandiosa. »

 

 

 

 

 

 

 

(*) se non sbaglio (e sono quasi sicura di no) gli alieni non hanno mai visto Ichigo trasformarsi in gatta.

(**) giuro che non me n'ero mai accorta °-°", così si chiama il fratellino di Retasu nella serie (scoperto guardando per la 15sima volta un episodio, sarò tanarda?!)

(***) quartiere di Tokyo molto rinomato :3 https://en.wikipedia.org/wiki/Ebisu,_Shibuya

 

 

 

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Scusate non dovrei ma io sto ridendo come una pazza… Sarò cattiva xD?
Kisshu: il termine esatto è ba****** -_#**

Ci sono un po' di cosine che devono accadere quindi penso ci sarà qualche capitolo così, con azioni molto rapide (penso :P) ma nel prossimo di sicuro mi farò tanto ridere :3
Tutti: ora siamo più tranquilli, davvero -.-""!

Avete seguito il #martedìfangirl? Se sì bene :P se no siete brutte persone :(. Se sì ma non avete commentato siete brutte due volte xDD

Sketches various  

MoiMoi Dresses https://www.facebook.com/dreammarti/photos/a.877675855585978.1073741840.369088309778071/969923969694499/?type=1&theater

Eyner donna (era il solo ad essersi risparmiato il trauma xDD) https://www.facebook.com/dreammarti/photos/a.877675855585978.1073741840.369088309778071/970030913017138/?type=1&theater

Request

Tutti con gli occhiali ♥  (io finisco di avere un infarto e torno ♥ ) https://www.facebook.com/dreammarti/photos/a.877675855585978.1073741840.369088309778071/969929366360626/?type=1&theater

Tutti con la barba *muore* ♥  https://www.facebook.com/dreammarti/photos/a.877675855585978.1073741840.369088309778071/969993213020908/?type=1&theater

Minto rimpicciolita https://www.facebook.com/dreammarti/photos/a.877675855585978.1073741840.369088309778071/969919179694978/?type=1&theater

Doodle time – NSFW (NON RISPONDO DEL CONTENUTO >\\\< ufficialmente solo per maggiorenni, ma la tastiera è vostra *si nasconde*) https://41.media.tumblr.com/dd6857904a8bd1435ba0ff686a69b900/tumblr_nryehr7Fxq1s0u3yzo1_540.jpg

 

[ANGOLINO DELLO SPAM]

Non conoscete ancora The Three Mewsketeers? Dove vivete, su Marte :P? non potete perdervi i nostri deliri, suuu! E ricordatevi che ora – sì, siamo come un virus xDD – siamo anche su FB! https://www.facebook.com/the3mewsketeers ai 100 mi piace realizziamo qualcosa di superspeciale! (no, non è vero, non credetemi xDD! Deliro da sola :P)

Qualche ringraziamentoooo ♥ ! Hypnotic Poison, Danya, Rin Hikari, jow, mobo e Ally_Ravenshade, con le vostre recensioni potrei cucirmici una trapunta ♥  che bei lenzuolini di parole ♥    ♥ !

Nella speranza di sopravvivere a questa settimana, vi mando un'orda di bacini! Alla prossima gente!


Mata ne
~♥ !

Ria

 

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Capitolo 30
*** Toward the crossing: between six and seven ***


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Questo cap è moooolto tranquillo, tanto che l'avrò riletto cinque volte perché temevo fosse troppo soporifero -.-". i capitoli quieti mi fanno quest'effetto…
Non mi prendo responsabilità per ciò che leggerete ^w^ io sono spettatrice innocente e vi lascio alla lettura (il titolo ve lo dico già, mi fa venire il latte alle ginocchia, ma it's the same :P)

 

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Cap. 30 – Toward the crossing: between six and seven

                Compliments, fears, shame. And Shopping

 

 

 

 

Pensare che in una casa al mattino la conversazione non fosse delle più vivaci era abbastanza normale. Ritrovarsi sveglio da dieci minuti e accedere ad una stanza in stasi da preludio di battaglia, un po' meno.

Eppure a Iader venne solo da sorridere vedendo i due contendenti al tavolo in perfetto mutismo, esattamente come la sera precedente; baciò Lasa, arrivata ad uno stadio di rassegnata condiscendenza, salutò con un buffetto Taruto che si stava strozzando pur di filarsela da lì e si sedette al suo posto tranquillo, così divertito da un simile comportamento infantile che la tentazione di gettare benzina sul fuoco fu tanta.

« Buongiorno a tutti. »

« Buongiorno Iader-san. »

Rispose Minto sorridendo cordiale; Kisshu emise un grugnito tombale, l'occhio destro che faceva bella mostra di un cerchio leggermente bluastro attorno alla palpebra. A quella fantastica dicotomia d'atteggiamento la resistenza di Iader terminò di colpo e gli scappò da ridere:

« Hai una mira spaventosa Minto-chan. »

Lasa girò la testa di scatto squadrandolo malissimo e Kisshu soffiò:

« Come il suo pessimo carattere. »

« Se tu non mostrassi tutto come se niente fosse… »

« Sarai anche un ospite, ma in casa mia (in camera mia! Siamo più precisi!) ho il diritto di stare come cazzo mi pare. Perfino mettere all'aria l'uc- »

« KISSHU! »

« Io devo andare. »

Taruto ingollò tutto il contenuto della sua tazza e si fiondò giù dalla sedia per darsi alla fuga, incapace di capire come facesse suo padre a ridersela tanto di gusto. Spalancò l'ingresso e per poco non si schiantò per la millesima volta contro Purin, che non fece caso al suo bisogno di uscire e saltellò dentro allegra:

« Buongiorno Taru-Taru! »

Lui, memore del giorno prima, arrossì di una tacca e fece presto a togliersi dalla sua traiettoria, lasciandole spazio e rimanendo con la mano sulla porta aperta.

« 'Giorno Purin-chan. »

Lasa diede un'altra occhiata storta al marito, che salutò la ragazzina incurante dell'ennesima discussione accesa, e sospirò sorridendo:

« Buongiorno cara. Fai colazione? »

« Mamma, non farla scroccare in continuazione. »

« Voi due vi devo rieducare. »

Sibilò arrabbiata squadrando il suo ultimogenito.

« No grazie Lasa-san, sono a posto. – sorrise la biondina – A dire il vero stamattina sono passata per Minto nee-chan. »

« Fate quello che vi pare basta che me la togliate dai piedi immediatamente. »

Minto evitò di replicare squadrando Kisshu con malcelato fastidio; ringraziò i signori Ikisatashi del pasto e volò posandosi sulla spalla della mewscimmia:

« Un passaggio. Facciamo prima. »

Lei mostrò un sorriso a trentadue denti; tentò di afferrare Taruto per un braccio, che svicolò con la scusa di allenarsi, e dopo il primo secondo di delusione salutò tutti e scappò via allegra. La porta si chiuse sul silenzio quieto del salotto, con Kisshu e il suo malumore come unica nota stonata.

« Tosta la morettina. »

Lui studiò il padre con occhi omicidi:

« Fai lo spiritoso? »

« Di sicuro è tosto il suo lancio. »

Il ragazzo ringhiò che andava a fare due passi ed uscì sbattendo la porta. Iader continuò a ridersela tra sé e sé e vide Lasa corrucciarsi con aria di rimprovero:

« Beh? Che ho detto? »

« Tutto e troppo. Vedi bene di smetterla, o finché non nascerà il bambino dormirai sul divano. »

 

 

***

 

 

Minto cercò di trattenersi dal gettare il cucchiaino da the posato sul tavolo dritto in testa ad Ayumi, che non aveva ancora smesso di ridere dopo averla vista. Scosse le ali risentita e borbottò a denti stretti:

« Come sei gentile. Bell'amica, davvero. »

« Scusami, è che sei così carina…! – rise ancora – No, davvero, scusami! »

Si sedette al tavolino e la guardò affettuosamente:

« Sono felice di sapere che finalmente stai bene. »

L'altra la studiò scettica alzando le sopracciglia.

« Quasi. »

La mora sospirò e le diede due colpetti con la mano sull'indice gigantesco, sorridendole.

« Mi spiegate solo perché ci siamo dovuti riunire qui? »

Rumoreggiò Sando e diede un'altra occhiata intorno con espressione disgustata, quel posto era così lezioso da dargli l'orticaria.

« Dai Sando-san, smettila di lamentarti sempre. »

« La fai facile tu Eyn – gli rimbrottò – tu hai almeno un motivo. »

Il bruno fece una strana smorfia a cui l'altro rispose facendo spallucce, senza capire il suo disagio:

« Il babysitter. »

« Certo. » esalò lui con un sorriso storto.

« Io non ho bisogno del babysitter! »

Protestò Sury – che aveva quasi costretto Eyner a portarla al Cafè fin trascinandolo giù dal letto – facendo tintinnare il bicchierone di latte e il piattino di pancake strabordanti sciroppo. Sando le fece uno sberleffo con fare di superiorità a cui Sury replicò facendo boccacce. MoiMoi sbuffò con l'irritazione degli adulti verso i bambini pestiferi:

« Siamo qui – spiegò pacato – perché le ragazze avevano il diritto di vedersi e discutere un po' con calma, e già che c'ero volevo approfittarne per aggiornarle sulla situazione. Questo era il posto migliore per fare velocemente entrambe le cose. »

« Sì – lo squadrò scettico il verde – e quello, con l'essere qui, non c'entra niente. »

E indicò la ghiottoneria che il violetto stava accuratamente divorando, un parfait con così tanti strati di frutta e creme da temere collassasse su se stesso.

« Se non volevi potevi non venire. »

MoiMoi vide chiaramente la contrazione della mascella nella frazione di secondo prima dell'esplosione in infettive e – probabilmente – in ritorsioni fisiche, e in suo soccorso spuntò Keiichiro:

« Suvvia, Sando-san, gli zuccheri aiutano il lavoro mentale. Nessuno quanto MoiMoi-san potrebbe averne bisogno. »

« Ecco! Diglielo Akasaka. »

Sospirò il violetto deliziato dall'ennesima cucchiaiata. L'istinto di Sando fu quello di rispondere a male parole, ma il sorriso dell'umano fu così spiazzante ed onesto che riuscì solo a borbottare:

« Uh… Sarà… »

Keiichiro non si scompose minimamente, il ritratto della serenità, e andò a fare altra scorta di the freddo che le ragazze, assetate, avevano già spazzolato via.

« Ma che ha quell'umano, poteri psichici? »

Chiese incerto l'alieno svuotato di ogni intenzione bellicosa.

« E dovevi vederlo quando abbiamo acquistato questo posto – Ryou stese un sogghigno – mentre parlava con l'agente immobiliare. »

Sando sbuffò mugugnando da solo e per un po' lasciò che le ragazze si perdessero in chiacchiere e MoiMoi si dedicasse al suo dolce. Il violetto però lo tenne d'occhio e quando vide l'ultima vena disponibile sulla sua fronte pulsare pronta ad esplodere, battè le mani per richiamare l'attenzione:

« Ok, facciamo un secondo il punto della situazione! »

Lasciò ciò che restava della sua lauta colazione e poggiò una piccola sfera d'acciaio sul tavolo. Sando lo guardò storto e lui, prima di continuare, roteò gli occhi esasperato e disse:

« Ayumi-chan, ovviamente tu non dirai nulla di quello che vedrai/sentirai/percepirai anche vagamente…? »

« Grazie, non ci tengo a farmi rinchiudere in una clinica psichiatrica. »

Quello si voltò verso Sando con fare allusivo, ma lui incrociò le braccia irremovibile.

Il violetto toccò la sfera d'acciaio che proiettò alcune immagini prese dal suo computer; le ragazze riconobbero le figure che avevano visto quando fu spiegata la storia dei passaggi, solo che in quelle proiezioni c'erano molti più varchi.

« Questi sono i passaggi che abbiamo chiuso – disse MoiMoi indicando i segni più evidenti, poi passò a quelli tracciati con linee spezzate – questi tre sono di passaggi ancora da condensarsi. »

« Vuoi dire che ora sappiamo addirittura quante Gocce mancano? »

« Esatto. – rispose trionfante alzando il pollice verso Eyner – Però non riesco ad individuarne le coordinate precise ancora, né quando compariranno i passaggi. »

Sospirò, spegnendo le immagini e incrociando le braccia:

« Forse se Pai-chan mi desse una mano… Ma a quanto pare la tireranno avanti ancora un paio di giorni. »

Retasu si stropicciò sovrappensiero il bordo della maglietta, erano due settimane che dicevano "un paio di giorni".

« Sia come sia, stavolta sarà un verdetto definitivo. – fece Sando – Teruga-san ha coinvolto direttamente Meryold-sama. »

Purin fischiò piano:

« Ci sarà stato un bel trambusto. »

« Stamattina dalla sala del Consiglio sembrava uscissero petardi dal casino – ghignò il verde – ma noi possiamo solo pazientare. »

Ci fu un sospiro generale e scese il silenzio. Ad interromperlo solo il tintinnio della forchettina nel piatto di Sury, che smangiucchiando una scaglia gigante di cioccolato  disse:

« Beh, almeno siete un po' in vacanza, no? »

Tutti la guardarono e lei scrollò le spalle:

« Finché Pai nii-chan non torna e non spunta un'altra di quelle palline luminose, potete riposarvi e stare a casa. »

Disse le ultime parole più timidamente, giocherellando con la forchetta e sbirciando di soppiatto il fratello, che sorrise affettuoso e le accarezzò la testa.

« Hai proprio ragione. »

Le sorrise MoiMoi caloroso e si mise le mani suoi fianchi sbuffando:

« Ma io mi annoio se non ho niente da fare! »

Ad ascoltare quelle parole Ayumi si illuminò di una lucina furbetta.

« Reta-chaaan – cantilenò pizzicandole le guance – tu mi devi ancora un favore, giuuusto? »

La verde mise in atto uno dei suoi soliti cambi di colore facciale, diventando prima bianca e poi arrossendo colpevole fino a prendere una tenue sfumatura bluastra di preoccupazione:

« Già… »

Mormorò. Ayumi stese un sogghigno e si allungò verso MoiMoi, con cui aveva già intuito di poter andare d'accordo:

« Per una cosa speciale ci vuole un look speciale – ridacchiò – e visto che noi siamo a casa per l'uscita dei voti degli esami di recupero… Shopping! »

Il violetto la guardò stranito e quando connesse sgranò gli occhi:

« Anche io? »

Ayumi annuì e il viso di lui s'illuminò a giorno. Sando storse la bocca seccato:

« Sei irrecuperabile. Dovresti lavor- »

« Oggi ferie, oggi ferie, oggi ferie! – mitragliò entusiasta schizzando in piedi – andiamo andiamo andiamo! »

Retasu cercò un modo di scappare dalla cosa, ma i due l'avevano già placcata a braccetto pronti a trascinarla fuori.

« Ci fai compagnia Minto? »

« Purin, non ti ricordi che sono alta meno di una borsetta? »

Sospirò l'altra e la biondina di morse la lingua pentita, ma la mewbird ammiccò noncurante:

« Mandatemi le foto mi raccomando. »

« Minto-san, non lasciarmi sola! »

Supplicò la mewfocena tra il disperato e il riso e le amiche la spinsero fuori di peso.

« Bello, mi trascina dove vuole e poi mi molla qui. »

« Potevi dirle che avevi altro da fare. »

Eyner scostò con nonchalance lo sguardo, divertito dall'occhiataccia di Sando, e lui borbottò qualcosa circa le stupidaggini inutili e il mettersi in mostra come animali da concorso, teletrasportandosi via. Il bruno invece restò vicino alla sorella, indecisa se finire il suo gelato o porre la domanda che tanto le premeva a Zakuro, che protraeva a fissare di sottecchi trepidante.

« Non vai con loro onee-sama? »

« Aspetto Ichigo. – disse pacata – È a scuola per controllare il risultato dell'esame. Intanto ti faccio compagnia. »

Minto sorrise radiosa, la sua senpai era sempre la migliore del mondo.

« Tu invece dopo ti unisci a noi? »

Sury spalancò la bocca come non aspettasse altro che quella proposta. Guardò il fratello supplichevole, che annuì ridacchiando, e lei esplose in uno strilletto di gioia.

 

 

***

 

 

Ichigo guardò terrorizzata la gente allontanarsi e avvicinarsi al tabellone appeso al muro come una marea; qualcuno esultava, qualcun altro imprecava a bassa voce, qualcuno poggiava la testa al muro in piena disperazione.

« Dai Ichigo, vai! »

La supplicò Moe, più in ansia di lei.

« Ragazze, guardate questi benedetti risultati e basta. – sospirò Miwa esasperata – Non cambieranno se impiegherete due ore per leggerli. »

Le due amiche si fissarono l'un l'altra, deglutendo, e si fecero spazio nell'accalcamento di studenti. Ichigo cercò il nome della sua classe, trovandolo con la precisione di un falco, e poi scorse l'elenco dei nomi e delle materie.

« Aaah, ho preso 58 su 100! – si lagnò Moe – Sto già male…! Come farò a resistere a lezione di recupero per tutta l'estate?! E di matematica per giunta! »

« Dai – la rassicurò Miwa – vedrai che la Hasekawa sarà clemente, per soli due punti. Magari ti darà qualche compito in più. »

« E tu credi che sia meglio? »

Miwa fece un sorrisetto poco convinto:

« Su… E a te, Ichigo? Com'è andata? »

La rossa non le rispose, gli occhi fissi sul tabellone. Le amiche l'avvicinarono, temendo il peggio, e lei fece un tale salto di gioia che loro per poco non caddero a terra.

« 79 su 100?! »

« Ichigo, ma è grandioso! »

« Sììì! Sono un genio! – trillò improvvisando un balletto – Un genio, un genio! Sono un genietto! Niente scuola estiva! »

« Non sei tu il genio, ma Shirogane-san. »

Puntualizzò Moe prontamente e Miwa dietro:

« Già, credo che dovrai ringraziarlo almeno per tutta l'estate. »

A quelle parole Ichigo smise subito di ballare avvertendo una strana stretta al petto. Ascoltò distratta le amiche che presupponevano i suoi futuri tripli turni al Cafè – e il loro conseguente permesso di accedervi e consumare a prezzi scontatissimi – la testa che ronzava con una sola frase.

« …Potremmo fare in modo di non sprecare quel vestito. Se il compito andrà bene, ti porterò fuori a sfoggiarlo. »

 

 

***

 

 

Le strade assolate di Tokyo erano afose e trafficate, ma a MoiMoi non sembrava importare tanto; a differenza degli altri alieni, nonostante il sudore sotto la frangetta, doveva avere maggior resistenza o almeno più tolleranza al clima fastidioso.

« Quindi cosa sarebbe un appuntamento di gruppo? »

« In sostanza un modo per conoscere altri ragazzi o ragazze. – spiegò Ayumi con fare cospiratore – Trovi qualcuno che faccia da organizzatore e cerchi chi, come te, sta cercando un ragazzo o ha voglia di incontrare qualcuno di nuovo; si sceglie un posto e ci si incontra, si chiacchiera, si beve qualcosa. »

« Mi sembra semplice. »

Ayumi sorrise furba:

« Ovviamente numero pari, maschi e femmine, o è un casino. »

« Posso chiedere almeno chi hai invitato? »

Domandò Retasu un po' sconfortata e Ayumi fece spallucce:

« Ha organizzato Yanagida-chan. Saremo te, io, lei e Honjo-chan e dei ragazzi del Tsubasa. »

Retasu si mordicchiò un pochino il labbro inferiore, lo Tsubasa era un liceo maschile; l'idea di uscire per un appuntamento con un gruppo di ragazzi che vedevano il sesso femminile solo nei giorni liberi la innervosiva.

« Credo che siamo riusciti ad invitare anche qualche senpai. »

Ammiccò Ayumi, e Retasu si sentì molto innervosita.

« Quindi dobbiamo cercarti qualcosa di spUaaah, guardate che carino quello! »

La rossa si appiccicò ad una vetrina eccitatissima ammirando un abitino celeste al cui pensiero di indossarlo Retasu si sentì morire di vergogna:

« Non è… Un po'…? »

« Ma no sciocchina, quello è per me. »

Ammiccò e trascinò tutte dentro:

« Dai, diamo una bella sbirciata prima di farci raggiungere dalle altre! »

 

 

***

 

 

Ichigo aprì la porta del Cafè con circospezione, non sapendo chi l'avrebbe accolta, e sbirciato dentro finì di aprire più baldanzosa. Ryou non sembrava nei paraggi.

Salutò tutti allegra e si fermò a fare due chiacchiere con Minto e Zakuro prima di raggiungere le ragazze, mentre Sury tentava invano di convincere il fratello ad andare con loro.

« Sury, sarei di troppo, e queste cose non fanno per me. »

« Ma dove devi andare? »

Fece imbronciata e lui le accarezzò una guancia con l'indice:

« Niente di cui tu ti debba preoccupare, giuro. Stai tranquilla. »

Zakuro sollevò appena lo sguardo dalla sua conversazione captando il tono vago, ma non disse niente. Sury invece strinse i pugnetti e gonfiò le guance irritata, studiandosi mogia le punte dei piedi; Eyner rise amorevole:

« E se stasera ti preparo gli zenko che ti piacciono tanto? »

« E i mimeri! »

« Ehi, vuoi farmi spaccare la schiena? – scherzò e rise di gusto vedendola arrabbiarsi di nuovo – Certo. »

Lei parve soddisfatta dello scambio e tornò allegra ed eccitata dalle altre, pronta all'avventura.

« Faccio giusto una capatina in bagno – disse Ichigo mentre si alzavano – ci metto un secondo. »

Andò a sciacquarsi il viso, già dimentica del test e delle sue preoccupazioni e decisamente contenta di godersi un pomeriggio con le altre. Dal bagno sentì distrattamente la voce di Ryou – e pensò un po' innervosita da dove spuntasse come un ninja ogni volta che credeva non fosse al locale – che parlava in inglese e con lunghe pause, probabilmente al cellulare. Lo ascoltò finire la conversazione e sbuffare seccato:

« That's all we needed… » 

« Era di nuovo Cooper? »

Sentì domandare Keiichiro e Ryou rispose sbuffando in assenso.

« Ryou, devi andare – sospirò il suo tutore – sai bene che queste riunioni sono metà dei rapporti di affari. »

« Lo so benissimofumò I'm not in the mood. »

« Già, come nell'ultimo anno e mezzo. – puntualizzò paterno – Mi stai diventando un recluso. »

« Abbiamo delle cose più importanti. »

« Non secondo quanto dice MoiMoi-san. »

Ichigo sbirciò dalla porta del bagno e vide Ryou guardare Keiichiro con insofferenza, conscio di non avere quasi più scappatoie.

« Non posso andare da solo – precisò di colpo – e ho perso l'accompagnatrice. »

« Zakuro-san aveva detto che sarebbe venuta. »

« Yes, but she's a bit distracted. »

Ichigo non capì bene cosa avesse detto, ma a quanto pareva il motivo dell'assenza della mora lo irritava parecchio. Keiichiro sorrise condiscendente e tornò in cucina:

« Trova una soluzione, perché devi andare comunque. Le ricerche scientifiche portano soldi solo quando trovano nuovi farmaci o armamenti, e i dolci non bastano per sei stipendi. »

« … Un momento… Ti sei contato anche tu?! »

Il bruno si dileguò e Ryou si fregò nervoso la frangetta, mandando basse imprecazioni in inglese. Ichigo aspettò ancora qualche secondo, chiuse il rubinetto dell'acqua e uscì con nonchalance, facendo finta di non aver sentito nulla.

« Ciao, allora c'eri. »

« E dove vuoi che sia? »

Fece spallucce e studiò prima lui poi verso la cucina, dove il biondo puntava uno sguardo torvo:

« Che succede? »

« Momomiya ti sei lavata le mani per dieci minuti – notò sarcastico – o mi sei diventata patita dell'igiene o origliavi. »

« Io non origliavo. – ribattè arrossendo colpevole – È capitato… Che ascoltassi qualcosina. »

« Sicuro. »

« Fai meno il sarcastico Shirogane. »

Lui sogghignò divertito.

« Beh, volevi dirmi qualcos'altro? »

Le chiese dopo un minuto buono che lei aveva passato muta a giocare con i suoi capelli. Ichigo si ripetè all'infinito che lo stava chiedendo solo perché lui aveva bisogno e lei doveva ricambiare il suo aiuto, e alla fine proruppe nervosa:

« Visto che ti devo un favore dopo l'esame, potrei venirci io. »

« Excuse me? »

« Lì al… Dovunque tu debba andare. »

Borbottò. Il biondo non smetteva di fissarla nel dubbio di essere diventato sordo e lei attinse a tutta la superiorità assorbita indirettamente da Minto negli anni:

« Solo perché l'esame è andato bene! – puntualizzò – E non voglio perdere lo stipendio. »

« Non dovresti credere a tutto quello che dice la gente, Kei direbbe ogni cosa per mandarmi là. »

« Ti servo oppure no?! »

No, probabilmente sarebbe potuto andare anche da solo, ma al diavolo le probabilità e le cose sensate.

« Certo. Grazie. »

Ichigo si sorprese del suo tono sincero e farfugliò un va bene con un mezzo sorriso, decidendosi finalmente a raggiungere le altre con passo spedito.

 

 

 

***

 

 

 

« È permesso? »

« Minto-chan. Vieni, entra. »

La morettina spinse con tutta la sua forza la porta d'ingresso e la richiuse faticosamente , raggiungendo il tavolo; Lasa, impegnata a cucire, le sorrise:

« Hai fatto presto. »

« Le altre avevano degli impegni. – rispose vaga – Ah, mi ha accompagnata Eyner-san. »

La donna sorrise più a fondo, rincuorata per la sicurezza della sua piccola ospite, e si rimise all'opera; Minto andò a prendersi da bere nel suo rifugio, si sedette accanto alla scatola da cucito della donna e la studiò in silenzio per un po'.

« Sei bravissima. »

« Sono arrugginita. – replicò modesta – Ultimamente non ho né il tempo né le occasioni. E dire che con tre figli maschi ho cucito quasi più pantaloni che pazienti. »

Alla mewbird la battuta suonò un pochino macabra, ma rise comunque.

« Sai cucire Minto-chan? »

« Mi stupirei a sapere che la cornacchietta sia in grado di fare altro che sputare sentenze e bere the. »

Minto scattò in piedi con aria feroce e Lasa si corrucciò:

« Kisshu, insomma! »

« Stavo scherzando. »

Mugugnò. Minto lo vide riemergere oltre il bordo del divano, l'aria assonnata e insofferente di chi relegato in casa muore di noia, e poi appoggiarsi alla testata con il mento:

« Solo che mi sembra strano, non hai proprio l'aria di chi si occupa di certe cose. »

Il sorrisetto malizioso che emise le falsissime scuse era il chiaro segno che il lancio di biscotti non sarebbe stato argomento dimenticato troppo facilmente e, anzi, era stato catalogato come ennesima dichiarazione di guerra. Lasa fu sul punto di rimproverarlo ancora, ma Minto la precedette rispondendo altera:

« Ho semplicemente imparato per non dover sempre contare sulla mia balia, prima degli spettacoli. »

« Spettacoli? »

Vide Lasa guardarla confusa:

« Ah, di balletto. – spiegò – A volte capita che ci siano delle riparazioni dell'ultimo minuto da fare sui costumi. »

« Balletto, uh? Sarei curiosa di vedere. »

« Perché no? »

Sorrise Minto, ma quando vide la donna stringere le labbra in un sorrisetto e capì che glielo stava chiedendo in quel momento, si sentì un pochino a disagio:

« Beh, non so… »

« Scusami, è che ora mi hai incuriosita…! »

« Oh, sì, siamo tutti molto curiosi. »

Alla mewbird fu subito evidente dalla smorfia sulla sua faccia che Kisshu non vedeva l'ora di trovare nuove scuse per prenderla in giro, nonostante il sorrisino angelico. Lasa lo trucidò in silenzio intimandolo di mordersi la lingua, ma Minto si era già alzata, l'orgoglio che sfrigolava come olio bollente. Se non trovava la maniera di zittirlo una volta per tutte gli avrebbe rotto il naso.

Stese il sorriso più smagliante e battagliero che fosse in grado di fare:

« D'accordo. »

Nello stupore degli altri due frugò tra le cose che Ichigo le aveva dato, tra cui c'era anche il suo MP3: l'oggetto si rivelò abbastanza pesante da trascinare fino al tavolo, ma la mewbird riuscì nell'impresa, incurante della risatina di Kisshu nel vederla caracollare abbracciata alla lamella di plastica cromata.

« Ma', non guardarmi così ti verrà una ruga gigantesca in mezzo alla fronte. »

« Se invece tu non la smetti di occhi neri te ne ritroverai due. »

Sussurrò minacciosissima la donna e Kisshu preferì aspettare la fine della breve esibizione di Minto per darsi ancora alle battute cattive, così da non istigare la madre a zittirlo fisicamente; magari con due punti di sutura alla bocca.

Minto si fece un pochino di spazio sul tavolo, sistemò l'MP3 meglio che potè e ne alzò il volume al massimo perché si sentisse nonostante le cuffie come unica uscita del suono; trovò il brano quasi subito, era stata una delle ultime rappresentazioni a cui aveva partecipato e non era molto che non ascoltava più la playlist che si era creata per l'occasione. La variazione della Fata dei Lillà da La Bella Addormentata era una delle sue parti preferite; probabilmente ne prediligeva solo un'altra, decisamente più divertente, ma non poteva fornire a Kisshu un preteso per provocarla così succulento come danzare il Canarino Canterino(*).

Perfino senza un vero palco e la platea, per di più a piedi nudi – le scarpe di plastica delle bambole erano impossibili da indossare – quei cinque minuti di danza le irrorarono il corpo di nuova energia. Riconobbe finalmente se stessa, per la prima volta da quando era rimasta inchiodata ad un letto e poi era diventata in formato tascabile, alucce o meno, e si sentì felice.

Il brano terminò e la mora si fermò in posizione sorridendo come si conveniva ad una ballerina. Lasa si sciolse in un piccolo applauso entusiasta:

« Non ne capisco molto ma… Era bellissimo! Davvero! »

Minto sorrise compiaciuta. Kisshu non disse niente, e la mewbird si rese conto che la scrutava con una strana espressione sorpresa.

« Mi piacerebbe vedere uno spettacolo adesso. »

Proseguì la donna infervorata.

« Spero per allora di non avere più queste. – sospirò la morettina fiorandosi le piume dietro le scapole – È stato complicato muoversi con quest'ingombro. »

« Invece dovresti pensare a sfruttarle. »

Fece Kisshu malizioso, già ripresosi  dal suo inspiegabile mutismo:

« Sembri quasi una graziosa fatina. »

« Grazie per aver sottolineato il quasi. »

Brontolò lei.

« Credo fosse un complimento Minto-chan. »

Sospirò Lasa con rassegnazione.

« Che io ricordi dire ad una ragazza che è carina dovrebbe essere un complimento. »

« Suonava molto più come una presa in giro. »

Delucidò acida, imponendosi di eliminare gli aggettivi graziosa e carina dalle proprie orecchie.

« Sei minacciosissima in miniatura. – sogghignò – Però non viene voglia di staccarti quel nasino supponente. Forse ti conviene restare sotto la scala dei metri. »

L'atmosfera si gelò di colpo. Minto divenne terrea in volto e lo fissò con sguardo ferito:

« Certo. È il massimo della vita essere alti quanto il palmo di una mano. »

La voce le tremò un poco e gli diede le spalle, dandogli il definitivo segno di aver detto due parole di troppo.

« Ehi, passerotto, guarda che scherzavo. »

« Non osare mai più chiamarmi così. »

Sussurrò funerea e uscì in volo dalla finestra. Il salotto piombò nel silenzio e Lasa posò di scatto stoffa e aghi, andando a cercarla.

« Giuro, stavo scherzando. »

Lei non si scompose al tono pentito del figlio, scrutandolo severa:

« Tu e tuo padre dovreste cucirvi la lingua. »

 

 

***

 

 

« Hai visto questo? »

« Dai, prendilo, prendilo! »

« Reta-chan, provalo, dai! »

La verde si sentiva stanchissima, quello doveva essere il sesto negozio che le ragazze la costringevano a pattugliare, ma ancora non si davano pace. Sbucò con la testa dalla tenda del camerino, sospirando, e prese i vestiti che le altre avevano scelto dagli scaffali.

« Sei più accondiscendete del solito. »

Retasu sbirciò da uno spiraglio del telo Zakuro, seduta sul pouf  con espressione sorniona a sorvegliare Sury che, incurante della loro presenza, girava nel reparto bigiotteria con gli occhi colmi di meraviglia.

« Se ne stanno approfittando impunemente. »

Concordò al suo sguardo allusivo.

« Se sei stanca puoi dirlo. »

« Lo so… – mormorò la mewfocena sfilandosi la quindicesima maglietta – Poi mi vengono in mente le bugie che ho detto ad Ayumi e che le avevo promesso di partecipare all'appuntamento… »

« Ti vengono i sensi di colpa. »

« Sì. »

Piagnucolò disperata e Zakuro sorrise divertita:

« Non hai via di scampo. »

« Lo so…! »

Ichigo, che aveva già provveduto a setacciare ogni articolo in saldo di ogni negozio visitato e aveva sottobraccio una sostanziosa dose di sacchetti – oltre ai pezzi ancora da portare in cassa – spuntò in quel momento con un vestito che Retasu non avrebbe indossato neppure sotto tortura, ma la mewfocena era ormai alla resa e lo prese comunque per provarlo.

« Secondo me quello non è adatto. »

Puntualizzò Ayumi e Ichigo replicò acuta:

« Ma è carinissimo! Sarà una meraviglia. »

« Per te forse. – disse con sufficienza squadrandola – Senza offesa Ichi, ma sia io che te abbiamo un po' troppo poco giro petto rispetto a Reta-chan. »

La rossa arricciò il naso offesa e andò a sbirciare un paio di scarpe abbinabili con l'abito – incurante che Retasu si fosse affacciata dal suo varco e, tenendosi in ogni modo l'abito perché non scoprisse oltre la biancheria, avesse mormorato un secco assolutamente no! – e Ayumi sospirando riprese la ricerca.

« Niente male questa…! – fece scorrendo le grucce su un appendiabiti – Che dici Purin-chan? »

« Davvero carina. »

« Se trovassi la gonna da abbinarci… MoiMoi-san, li com'è? »

Il violetto, immerso nel reparto accanto, non rispose troppo occupato a fissare estatico un completo su un manichino: la parte superiore aveva la foggia di un qipao bianco con bordi blu notte e scendeva oltre la vita con un taglio obliquo, cadendo sopra una vaporosa gonna a pieghe sempre dello stesso blu. Era evidentissimo che Retasu non avrebbe mai potuto indossare un modello del genere con le sue forme, ma MoiMoi non faceva che girarci intorno adorante.

« Com'è carino onee-chan! »

« Lo sooo! – esclamò lui – Perché non abbiamo cose così carine a casa…?! Devo assolutamente lanciare qualche moda! »

« Prendilo se ti piace tanto – lo incoraggiò Ayumi – con il fisico che hai ti starà di sicuro. »

Lui scosse la testa dispiaciuto:

« A meno di rubarlo, non penso di poterlo portare via. »

Il violetto fece un cenno con la mano come a dire che era lo stesso e si mise di nuovo a frugare distratto tra le grucce. Ichigo curiosò il prezzo del completo, impallidendo, e si scambiò un'occhiata con le altre MewMew, compresa Retasu che spiava dal camerino; tutte annuirono.

« Te lo compriamo noi. »

« Cosa?! »

« In quattro ci riusciamo – sorrise Purin allegra – prendilo come un nostro regalo di compleanno. »

« Avete la più pallida idea di quando sia il mio compleanno? »

Replicò lui cercando di non sorridere troppo e Purin scrollò le spalle.

« O siamo in anticipo o in ritardo. – disse Zakuro – Scegli tu. »

« Un regalo di non-compleanno! »

« Non credo sappia minimamente a cosa tu ti stia riferendo. »

Il violetto cercò ancora di dissuaderle, ma loro sorrisero irremovibili, allora lui strinse le labbra contento e saltò al collo di Ichigo, stritolandola:

« Graziegraziegraziegraziegrazie! »

« Così mi soffochi…! »

Scoppiarono tutte a ridere. Purin fece un cenno alla commessa – mentre Ichigo cercava di reggere il peso di MoiMoi con la sola forza delle vertebre cervicali – le fece togliere l'abito dal manichino e lo piazzò tra le braccia del violetto, un sorriso spalmato da un orecchio all'altro.

« Oh mio…! Ragazze, ci siamo! »

Ayumi richiamò tutte mostrando fiera due grucce; le ragazze si trovarono d'accordo appena le videro.

« Reta-chan, provali subito. »

La verde obbedì, studiando piacevolmente sorpresa i due indumenti, li indossò e aprì la tenda. Ci fu un silenzio tale che la mewfocena temette di apparire inguadabile, ma gli occhi incantati delle amiche la smentirono.

« È perfetto. »

Sorrise Ayumi soddisfatta. La verde si rimirò allo specchio un pochino a disagio:

« Non è… »

« È fantastico nee-chan, sei matta?! Non pensare di prendere altro! »

« Stai davvero bene Retasu. »

« Sei carinissima! »

Concluse Ichigo sorridendo e l'amica arrossì, sbirciandosi un pochino compiaciuta. MoiMoi vedendola si trovò d'accordo con le ragazze, però non disse niente: era altro a cui stava pensando, e il suo viso dolce si piegò in un ghigno furbetto.

« Ayu-chan. Senti, senti! »

« Uh? »

« Ti devo chiedere un favore. »

Uscirono dal negozio che i due confabulavano ancora. Ichigo fu quasi certa parlassero di qualcuno e, non seppe il perché, provò un brivido e una gran compassione per la vittima dei loro futuri piani.

Quelle hanno intenzioni diaboliche.

 

 

 

 

Il loro chiacchiericcio si diffuse morbidamente per la sala della tavola calda, strappando qualche sorriso alle cameriere nel vedere una combriccola così vivace.

« Sono sicuro che quella mise sarà un gran successo Retasu-chan. »

« Anche il tuo vestito MoiMoi-san. »

Sorrise Ichigo mangiucchiando delle patatine.

« Ah, al massimo posso aspettarmi complimenti da voi. »

Sospirò il violetto dondolandosi sulla panca e diede un morso all'hamburger ordinatogli da Purin con grande gusto.

« Io ti trovo molto carina onee-san. »

« Grazie Sury-chan! »

« Parlavi dei ragazzi? »

« Quel branco di noiosi non mi darebbe la soddisfazione nemmeno se li pregassi – sbuffò – credimi Zakuro-chan, hanno intuito per queste cose quanto un batterio. »

« Se il fratellone non te li fa lo sgrido. »

« Eyn-chan forse è il solo da cui potrei aspettarmeli. »

« Sono proprio un branco di deficienti, allora. »

Constatò Ayumi tirando una gran sorsata della sua bibita.

« Magari te li farà Sando-san. »

« Quello lì poi, Purin… »

Afferrò una manciata di patatine sospirando con aria assorta e le ragazze si scambiarono qualche occhiata.

« Tu e Sando-san vi conoscete da tanto tempo? »

« Da quando eravamo bambini – disse inspirando rumorosamente dalla cannuccia – perché? »

Vide le ragazze fare dei sorrisetti maliziosi ed Ichigo accostarsi con fare cospiratore:

« A te piace, vero? »

« Eh?!! »

Lo videro diventare rosso fino al collo e ghignarono soddisfatte; lui tentò di divagare, ma dalla sua bocca non uscirono che rantoli sconnessi e infine, timidamente, raccolse una mano davanti alle labbra:

« … Sì… »

Bastarono quelle due letterine a scatenare sorrisini compiaciuti e risatine. Le ragazze lo circondarono e presero a fargli il terzo grado tutte eccitate.

« Vogliamo dettagli! »

Cantilenò Ichigo.

« Certo che hai dei gusti strani! – riflettè Purin a voce fin troppo alta – Ma che ti piace di lui? »

Le altre la guardarono rimproverandola, mentre Zakuro le diede un colpettino sulla nuca. MoiMoi non parve dar peso all'innocente cattiveria della domanda e si prese il viso tra le mani con aria incantata:

« Beh… Fa tanto il duro e il distaccato, ma in realtà è timido, un brontolone e perde subito la pazienza. Poi è permaloso, goffo oltre l'immaginabile, e anche un po' infantile. E- »

« Ma questi non sono difetti? »

« Lo so, ma li trovo adorabili! »

Ichigo prese un'espressione stranita:

« Sarà… »

« Ok, sì hai dei gusti un po' strani. »

Annuì Retasu con un sorriso storto.

« Però – MoiMoi fece un sorriso dolcissimo – è anche un amico sincero e cerca sempre di esserti di conforto in ogni situazione, e quando si scioglie un po' sa essere molto dolce… »

Ayumi fece un sorrisetto malizioso stringendo la cannuccia tra i denti:

« Datti una calmata, rischi di accecare qualcuno coi cuoricini che ti escono dalla testa. »

Il violetto serrò gli occhi teatrale:

« Ditemi che non si nota così tanto…! »

« Non più del dovuto. »

Le sorrise Zakuro.

« E – Retasu la guardò con aria appena preoccupata – non lo sa? »

MoiMoi s'incupì un poco e scosse la testa, facendo ondeggiare i codini. Ichigo gli prese una mano e si fece più seria:

« Non è perché siete due ragazzi, vero? »

MoiMoi scosse la testa con più forza:

« Non mi sono mai preoccupata della cosa, Sando neppure. »

Lo videro riflettere con aria nostalgica:

« Se sono sempre stata tranquilla nei panni di donna, è anche merito suo. Non penserei mai di sentirmi a disagio o vergognarmi per come sono. »

Loro si sporsero verso di lui smaniose di altri dettagli e il violetto riprese con un sospiro nostalgico:

« Quand'eravamo piccoli giocavamo spesso assieme, ma all'epoca avevo paura di dire di essere un ragazzo, sapevo già che per molti sarebbe stato strano e difficile da capire; di solito, comunque, non se ne accorgeva nessuno. »

« Ma Sando sì? »

MoiMoi guardò Retasu sorpresa, ma continuò a sorridere annuendo.

Era raro raccontasse di quell'episodio, anche perché era difficile saltasse fuori l'argomento. Eppure ricordava benissimo ogni cosa, sebbene non dovessero aver avuto più di sette anni all'epoca.

Sando non aveva mai avuto mezze misure per parlare e il suo tatto aveva proporzioni elefantiache perfino all'epoca, così alla sua domanda MoiMoi era rimasto unicamente basito.

« Tu sei un maschio, no? »

« Eh? »

Dopo lo stupore la paura della verità, sotto l'occhiata indagatrice che il verde gli mandò da dietro la frangia lunga. Rammentava perfettamente come si fosse irrigidito e l'avesse aggredito, la voce più acuta che poteva fare:

« Ma cosa dici?! Sei un cafone, io son-! »

Aveva cacciato un urletto strozzato quando, senza troppe cerimonie, Sando aveva deciso di smascherarlo in modo definitivo e gli aveva alzato la gonna controllando sotto:

« Mmm… Sì, sei un maschio. »

« Sei cattivo! »

MoiMoi era arrivato sull'orlo delle lacrime. Si era premuto la gonna contro le gambe e lo aveva guardato male, umiliato e deluso:

« Perché fai così?! »

« Perché non mi piace che tu non mi dica la verità. »

Aveva borbottato arrabbiato. MoiMoi lo aveva studiato per un po' senza capire, a disagio.

« Siamo amici, perché mi hai detto una bugia? »

« N-non… Non è strano? – aveva mormorato, rannicchiandosi su se stesso – Che mi vesta da ragazza? »

Sando lo aveva fissato facendo spallucce:

« Tu ti trovi bene così. Non hai deciso tu di nascere maschio, se ti trovi meglio come femmina va bene, no? »

MoiMoi aveva sgranato gli occhi arrossendo di contentezza:

« Sul serio? »

Sando aveva annuito e poi aveva girato la testa, le guance appena rosate:

« E poi sei carina così, quindi va bene. »

MoiMoi non era stato in gradi di replicare, il cuoricino che batteva all'impazzata, e si era limitato a riprendere a giocare da dove si erano interrotti come se non fosse mai successo niente.

Era una storia così, né più né meno. Le ragazze ascoltarono il violetto fino alla fine in silenzio, incapaci di immaginarsi un Sando gentile come veniva descritto.

« Che cosa dolce. »

Sospirò Retasu quando MoiMoi ebbe finito; lui arrossì un poco sorridendo.

« E dopo? »

« Dopo cosa? »

« Che cos'è successo dopo? »

Insistè Ichigo bramosa di sapere, ma MoiMoi la fissò intontito:

« Niente. Che doveva succedere? »

« Ma come?! »

« Neanche uno sviluppo? »

MoiMoi guardò scettica l'aria inquisitrice di Purin:

« Ragazze, ve l'ho già detto. E poi non… –  sembrò diventare un po' triste – Sando non… »

« Non ne sarei tanto certa. »

Alzò lo sguardo incontrando quello di Zakuro, che le ammiccò appena.

« Dai, insomma! »

Esclamò agitato e imbarazzato agitando la sua bibita fin a scoperchiarla:

« Lasciatemi stare! Brutte impiccione! »

Ci fu un'altra esplosione di risa mentre lui, vendicativo, dava l'assalto a tutte le patatine e ai panini delle altre.

 

 

***

 

 

Aveva ricevuto molte occhiate stupite quando aveva varcato la soglia del campo addestramento, ma non ci aveva badato molto; si era imposto di mantenere la mente il più lucida possibile e di concentrarsi solo sul combattimento, per vedere se i suoi timori fossero fondati.

Eyner estrasse il jitte e iniziò a compiere semplici sequenze di movimento, nemmeno fosse un cadetto alle prime armi. Poco a poco il fuoco iniziò a ricoprire la lama e a seguirlo nelle sue mosse, accerchiandolo quasi fosse uno spettacolo di mangiafuoco, ma Eyner concluse il tutto dopo pochi istanti con un affondo rabbioso.

Fissò le sue mani sull'elsa, le dita che tremavano lievemente.

Poteva essere affaticamento.

Sì. Era semplice stanchezza, si disse.

Il peso sulle viscere non c'entrava nulla.

Le fiamme si spensero sulla lama e lui le osservò finché l'ultima lingua color sangue non svaporò di fronte ai suoi occhi.

Fiamme amaranto.

Maledizione.

 

 

***

 

 

Bussò alla porta dell'archivio aspettando risposta e udì solo un vago mugugno dall'interno. Ichigo ridacchiò e aprì il pesante battente, cercando con lo sguardo un paio di ciuffi petrolio:

« Kilig-san? Sei qui? »

L'aliena comparve da dietro un cumulo di scartoffie sparse, il viso macchiato d'inchiostro, e la studiò tra il sorpreso e l'allegro:

« Momomiya-san. Oggi non ti aspettavo. »

« Sono venuta solo a salutarti. »

La ragazza annuì timida.

« E a portarti una cosina. »

Kilig la guardò frugare tra i sacchetti e tirare fuori un fagottino di carta, con dentro due bei fermagli a forma di fiori azzurri ricoperti di brillantini; l'aliena sgranò gli occhi e scosse la testa:

« Non posso mettermi una cosa del genere. »

« Ma certo che sì! – insisté la rossa sorda alla sua modestia – Dai, vieni qui. »

Kilig l'assecondò borbottando e si irrigidì avvertendo le sue legatissime e inviolabili trecce venire sciolte:

« Che fai…?! »

« Dai, poi te li rilego. Giuro. »

La ragazza non era abbastanza abituata ad alzare la voce per protestare e si arrese. Ichigo disfece i codini, tanto stretti che temette di tirarle i capelli, li spazzolò – mai girava senza l'occorrente per un'aggiustatina veloce nella borsa – e poi li legò in un'unica treccia morbida, con leggero disappunto della sua modella:

« Li sento che scappano… »

« Ma dai, stai benissimo. »

Quella non sembrò convinta, tastandosi la cima e la fine della treccia tenute dai fermagli e controllando insistentemente la struttura della stessa, nel timore di vederla crollare da un secondo all'altro.

Sentirono la porta aprirsi e Kili scattò sulla sedia nascondendosi dietro al primo libro che la sua mano rintracciò sul ripiano vicino, incurante che fosse tenuto a rovescio.

« Momomiya-san? Ho fatto troppo presto? »

« No, grazie Merurk-san, dovevo solo dare una cosa. »

Si girò verso Kilig, che borbottò un ringraziamento, e sorridendo si rimise la borsa a tracolla.

« Kilig-san? »

« Uh… Hmh? »

« Hai fatto qualcosa ai capelli? »

Ichigo osservò la scena di sottecchi, in perfetto silenzio, raccogliendo tutti i suoi acquisti dalla sedia con le movenze di un ninja. Le fu difficile non scoppiare a ridere intenerita vedendo Kilig grugnire e scuotere la testa in su e in giù agitata.

« È graziosa, vero? »

« Molto. »

Sorrise il ragazzo ad Ichigo e questa vide l'altra passare da un'espressione omicida, per il commento non richiesto, ad una da arresto cardiaco. Il giovane fece un cenno di saluto con la mano e si avviò fuori; un momento prima di seguirlo, Ichigo fu tirata per la spalla e Kilig, la treccia stritolata nervosamente tra le dita, borbottò:

« Volevo darle questo, domani, ma già che la vedo… »

Ichigo spalancò gli occhi sorpresa, che sapesse non era possibile portare fuori i libri dall'Archivio, ma Kilig insisté infilandole il plico di carta nelle mani; solo allora la rossa si rese conto che non sembrava un libro, ma più un taccuino di appunti.

« Forze le servirà. »

Ichigo lo sfogliò rapidissima, sentendo Merurk che la chiamava ancora, e riconobbe la calligrafia elegante dell'aliena che aveva già sbirciato su altri tomi. Le sorrise colma di gratitudine, sebbene non avesse idea del contenuto:

« Sei straordinaria. Ne farò tesoro. »

La ragazza chinò il capo borbottando e Ichigo sorrise. Tornò a girarsi, Kilig però la trattenne ancora, le dita intente a giocare con la nuova acconciatura, e le sussurrò all'orecchio:

« Momomiya-san…  Domani… Potrebbe insegnarmi come rifare questa? »

 

 

***

 

 

Forse perché lei non era abituata allo shopping, ma non potè evitare di domandarsi come facesse certa gente a dedicarci intere giornate intere: lei non vedeva l'ora di arrivare a casa e gettarsi sul materasso, oltre a nascondere il contenuto di quei sacchetti che aveva in mano e che, piena di vergogna, sperava di non dover mai effettivamente usare.

Retasu sospirò, in qualche modo era sopravvissuta; le restava solo una cosa da fare prima di rientrare.

Ormai conosceva perfettamente la strada e non ebbe esitazioni attraversando il Palazzo Bianco, puntando dritta al suo obbiettivo. Mancavano appena un centinaio di metri quando per poco non sbattè contro una persona; ammutolì le scuse appena l'ebbe riconosciuta e spalancò gli occhi:

« Inetaki-san. »

« Oh. Sei tu. »

La mora sorrise cordiale e Retasu cercò di ricambiare, con scarso entusiasmo. Per quanto tempo passasse Lenatheri non le piaceva: sorrideva e parlava gentilmente, ma la sensazione che le lasciava era di ambiguità e, in una certa misura, di fredda ostilità; era sgradevole, ma per qualche assurda ragione non riusciva mai a individuarne un motivo.

« Come mai da queste parti? »

Retasu non riuscì a rispondere subito e istintivamente si nascose dietro la schiena l'altro pacchetto che aveva con sé, sentendolo all'improvviso pesante e ingombrante.

« Sono… Venuta a vedere come sta Pa… Ikisatashi-san. »

Lena annuì e la fissò in silenzio dalla testa ai piedi, una leggera allusione poco benevola nello sguardo. Retasu sperò vivamente di esserselo sognato e che se ne andasse, risposto alla sua domanda, invece lei sorrise ancora:

« Vado dalla stessa parte. Ti accompagno. »

La verde mormorò un grazie e la seguì docilmente sospirando tra sé e sé.

Lungo il breve tragitto tentò di intavolare minimi convenevoli a cui Lena rispose in modo secco e conciso, tagliando ogni possibilità di discorso. Alla fine Retasu preferì stare in silenzio e ringraziò il cielo quando giunsero di fronte alla porta della cella di Pai.

« Sergente, sa bene che i militari non hanno accesso qui – le fece notare una delle guardie sull'ingresso – ha il permesso del Corpo? »

« Io non devo entrare. – precisò la giovane stancamente – Lei. »

La guardia studiò Retasu scettica e poi sorrise maliziosa:

« Ehi, ti ho già vista. Sei la terrestre che passa sempre. »

Retasu avvertì le orecchie andare a fuoco; cercò di annuire noncurante ed entrare velocemente per farlo stare zitto, ma la guardia non si spostò trovando divertente il suo disagio quanto il suo collega, che rincarò fischiando:

« Il colonnello ha fatto un gran bel centro! »

La rimirò da capo a piedi dandosi di gomito con l'altro e Retasu desiderò sparire nello stesso istante:

« V-vi sbagliate. »

Ogni loro allusione era come una pugnalata al cuore. Ogni volta risentiva la domanda che Pai le aveva fatto al Cafè e rivedeva la schiena che le aveva voltato senza aspettare ulteriori conferme., né volendo riprendere la conversazione.

Voleva solo andarsene.

Ma non poteva tornare indietro così, dopo essere arrivata senza fare nulla, e la porta era occupata dai due che non volevano saperne di spostarsi.

« Ora fatela finita. »

Ordinò Lenatheri secca:

« La mettete in imbarazzo. Piantatela. »

La mewfocena la guardò colma di gratitudine e sorpresa e Lena le sorrise: un sorriso così freddo che Retasu avvertì la pelle del collo incresparsi.

« È solo gentilezza la sua. Non vedo come siate arrivati a tante stupide conclusioni. »

Alla verde non piacque il suo tono, sebbene così calmo, né le sue parole, così banali eppure con una nota, indefinibile, di antipatia.

« I soldati di Jeweliria si piegano ai desideri di ragazzine ancora odorose di latte, ringraziarli per ricevere tutti i danni è il minimo. »

« N-no, si sbaglia! »

« Non è forse così? »

« Certo che no! »

Replicò con calore. Il sorriso di Lena le ricordò la bocca di uno squalo mentre le si rivolse più maliziosa:

« Sei proprio un'ingenuotta. »

Rise e la verde non riuscì a risponderle a tono, scherzava o era seria? La sensazione generale era che la stesse gratuitamente prendendo per i fondelli con cattiveria.

« Eppure è proprio così che appare, sai? »

Retasu avvertì il calore svanirle dalle guance. Le parole di Lena le scivolarono dalle orecchie fin nei più profondi recessi della mente e gli ingranaggi nella sua testa iniziarono a vorticare impazziti.

Le venne da vomitare, non si era mai sentita tanto mortificata e meschina.

Avrebbe voluto solo poter trovare parole per farla stare zitta e invece chinò la testa:

« Non è… Non è così… »

« O magari hanno ragione i miei colleghi e stai solo cercando di ingraziartelo. »

La verde non riuscì a rispondere, se avesse emesso una sola sillaba sarebbe scoppiata in lacrime.

« Su, ragazzina, scherzavamo. – intervenne una delle guardie mossa a compassione – Inetaki-san, credo stia esagerando. »

« Ehi. »

Retasu riconobbe immediatamente la voce alla quale le due sentinelle fecero l'attenti, ma impiegò un sacco di tempo per voltarsi pure lei e nascondere il magone che la soffocava.

« Retasu-san – fece Taruto sorpreso – credevo fossi con… »

Il ragazzino s'interruppe e squadrò male Lena; lei replicò con un sorrisetto compiacente, come fosse abituata al suo modo di studiarla.

« Che è successo? »

La mora allargò il sorriso con fare innocente:

« Niente, un piccolo battibecco. »

Diede due amichevoli pacche sulla spalla della verde che fu tentatissima di scacciarla, ma non riuscì a muovere un muscolo.

« Ho esagerato nel punzecchiare la signorina. Su, non guardarmi così, scherzavo. »

Retasu continuò a guardare in basso mordendosi e labbra e non replicò.

« Stammi bene Midorikawa-san, alla prossima. »

Salutò come se nulla fosse accaduto e proseguì per il corridoio senza voltarsi. Taruto non le tolse gli occhi di dosso, cupo, e gettò un'occhiataccia alle guardie che per tutta risposta si misero semplicemente sull'attenti al massimo dell'omertà.

« Retasu-san, tutto ok? »

« Sì. Certo. – mentì lei spudoratamente – Ero solo… Venuta a vedere come stava Pai-san. »

Taruto, che non credette un secondo ad una sola sillaba delle sue rassicurazioni, le sorrise:

« Anche io. »

Mostrò alla guardia il permesso del Corpo Disciplinare per accedere, un segno luminoso sul palmo della mano che il soldato fece scomparire toccandolo, voltandosi poi per aprirgli la porta.

« Vieni. »

« Ah, no! No, Taruto-san, tranquillo. »

La ragazza iniziò a retrocedere sorridendo, con la certezza di dover scomparire prima di perdere il poco autocontrollo mantenuto:

« Se vai tu… Va bene comunque. Ci vediamo. »

Fuggì letteralmente incurante dei richiami del brunetto e del pacchetto che stringeva ancora tra le dita, asciugandosi di nascosto due lacrime amare.

 

 

***

 

 

Sury entrò in casa contentissima dell'odorino che si spandeva per il salotto e che respirò a pieni polmoni , fiondandosi dentro senza nemmeno preoccuparsi di chiudere la porta; Zakuro la lasciò fare accostandola per lei e quando Eyner la vide, riemergendo dall'abbraccio della bambina che per poco non lo fece crollare sulle pentole accese, le sorrise sorpreso:

« Ciao… »

« Ciao. »

« Fratellone! Guarda, guarda! »

La piccola trotterellò verso Zakuro infilandosi quasi con tutto il busto nel sacchetto che portava e riemergendo con un paio di braccialetti e una collana, i più grossi, colorati e pacchiani che Eyner avesse mai visto; Sury li indossò pavoneggiandosi al colmo della gioia:

« Sono bellissima! »

« Vanitosa di sicuro. »

Lei lo squadrò offesa ed Eyner rise, scompigliandole i liscissimi capelli e riempiendola di complimenti.

« Sono come la sorellona. »

Disse fiera e lui fu sicuro si riferisse alla mora seduta al tavolo alle sue spalle; sperò che non avesse sentito la sorella, o almeno che non lo vedesse sorridere:

« Hai proprio ragione. »

Lei annuì raggiante e si apprestò a sedersi in attesa della cena, ma Eyner la richiamò tossendo:

« Per chi non mette a posto la sua roba e non si lava le mani, niente cena. »

« Vado! »

La piccola schizzò come il vento nella sua stanza accompagnata dalle risate del fratello, che ne approfittò per sedersi accanto a Zakuro.

« Ve la siete spassata a quanto vedo. »

E mentre lo disse notò con un sorriso tirato che nel sacchetto che la mewwolf teneva ancora in mano c'erano altre cose dall'aspetto opulento e inutile. Zakuro ricambiò con uno sguardo innocente:

« Si divertirà per un po'. »

Lui alzò le sopracciglia, non mettendo minimamente in dubbi l'affermazione, e aspettò; aveva capito da come lo stava studiando che aveva qualcosa da chiedergli.

« Cos'hai fatto oggi? »

La domanda non era di circostanza, ma Eyner tentò lo stesso di aggirarla:

« Un po' di allenamento. »

Zakuro si mise più dritta sulla sedia senza staccare gli occhi dai suoi e lui si passò una mano sul viso, sospirando.

« C'entra quello che è successo due settimane fa? »

« Sei sensitiva per caso? »

Rise debolmente.

« Intuisco. »

Rimase nella posizione in cui si trovava, nel tentativo di capire quanto potesse insistere o meno; Eyner sospirò ancora pesantemente:

« Lo sai che le fiamme di diverso colore hanno anche temperature diverse? »

Lei annuì decisa.

« Di solito le mie fiamme sono rosso arancio. »

« L'altra volta erano bianche. »

Gli fece notare e lui sorrise mesto, aveva centrato il punto:

« Per usare una vostra scala di misura, una fiamma aranciata brucia tra i 600 e gli 800 gradi Celsius. Una bianca brucia ad almeno il doppio della temperatura. »

Zakuro non parlò, allungando d'istinto sul tavolo una mano verso il ragazzo. Eyner gliel'afferrò e la strinse forte, preoccupato più di quanto desse a vedere:

« Un fuoco del genere… Non sono in grado di controllarlo. »

« Perché dici così? »

Lo vide aprire la bocca per rispondere e poi ingoiare le parole, lo sguardo perso sulle dita candide di lei che stringeva ancora. La casa si immerse nel silenzio, solo i leggeri movimenti di Sury dalla sua camera.

« Io parlo poco. »

Ammise la mora di colpo e ad Eyner parve quasi si scusasse un poco per il suo essere criptica:

« Tu però non è che parli tanto più di me. »

La sua voce suonò solo un leggero rimprovero. Lui si massaggiò il collo e scosse la testa:

« Oggi non sono riuscito a crearle. Avevo… »

Non si dilungò in maggiori spiegazioni rimirandosi il palmo della mano con rabbia, negli occhi le fiamme color del sangue che l'avevano accompagnato per tutto il pomeriggio:

« Fiamme come quelle… – schioccò la lingua amaro – sarei in grado a stento di proteggere me stesso. »

Zakuro si corrucciò, irritata del suo parlare unicamente per mezze frasi, ed Eyner fece un cenno irritato per chiudere il discorso:

« Lascia perdere. Non è bello fare il patetico. »

« Non è questo che sto pensando. »

Lo corresse con maggior veemenza.

« E detesto le frottole. »

Sentirono i passetti di Sury nel corridoio andare da una stanza all'altra. Zakuro, un po' accigliata, scostò la sedia ma Eyner la trattenne, stringendosi la sua mano contro la guancia:

« Scusami. »

La ragazza sospirò, risedendosi e avvicinandosi a lui che, però, non scucì comunque una parola.

« Ne riparliamo con più calma? »

La concessione doveva essere portata solo dalla sua tendenza a non essere invasiva con gli altri, come non voleva si fosse invasivi con lei, ma Eyner seppe immediatamente che la questione era tutt'altro che chiusa.

« Promesso. »

« Non mi piace chi fa promesse senza pensarci. Poi non le mantiene. »

« Tu sei una che mantiene le promesse. Perfino se si tratta di minacce fisiche. »

« Doveva essere una battuta? »

Fece cupa, ma la sua voce fu lievemente più dolce ed Eyner si azzardò a prenderle il mento fra le dita per baciarla; il peso sul cuore svaporò in pochi istanti e la tenne lì con sé finché lei non si allontanò. Non fu molto piacevole vedere il suo volto sibillino ancora teso d'irritazione.

« Ti fermi? »

« Devo tornare. »

« Poi parliamo. »

« Non ci credo nemmeno se succede. »

Replicò e lui mandò un muto verso di assenso, girandole sovrappensiero un ciuffo dietro l'orecchio, probabilmente aveva ragione lei

« Voglio sapere se stai bene. »

Sussurrò alzandosi ed Eyner avvertì il petto affossarsi:

« Lo so. »

La tirò piano un'altra volta verso di sé, riuscendo a rubarle appena un bacino a fior di labbra prima che lei uscisse definitivamente. Sbuffò affondando la testa sul tavolo, aveva ragione.

Erano uguali.

Il pensiero li lasciò una sensazione fastidiosa in bocca, fino ad allora aveva creduto che almeno uno dei due – cioè lui – fosse quello comunicativo tra loro; se pure lui si chiudeva a riccio, le cose non davano l'idea di poter proseguire molto.

La magra consolazione era che, forse, il suo mutismo non seccasse la mewwolf solo di principio, ma per ragioni più personali che lo resero un po' felice.

« Tu e la sorellona vi sposerete? »

Sovrappensiero per poco Eyner non cadde dalla sedia:

« Da quanto sei li? »

Sury replicò a spallucce.

« Stai diventando una delinquente, ora origli pure? »

« Non ho origliato. »

Gli si sedette accanto e lo guardò attenta:

« Allora? Vi sposerete? »

« Credo che tu corra troppo. »

« Io l'approverei. »

« Grazie tesoro, è bello sapere che nel caso avrei la benedizione della famiglia. »

Rispose ridendo e Sury, considerato chiuso il discorso, sorrise soddisfatta e si sbrigò a dare una mano  per apparecchiare.

« Ah, ovviamente, con Kisshu… »

« Non dirò una sola parola. – fece la bambina posando i piatti sul tavolo e alzando la mano per la promessa solenne – A meno che lui non mi spieghi qualche altra parola. »

« A meno che di… Cosa? »

Gli bastò il suo sguardo sfuggente per capire che erano parole di cui Sury non avrebbe dovuto sapere l'esistenza. Almeno fino ai diciott'anni.

« Tu non mi volevi spiegare cosa vuol dire pomiciare. »

Protestò ed Eyner si prese il viso nella mano:

« Giuro che lo uccido. »

 

 

***

 

 

« Dai hai ancora intenzione di restartene lassù? »

Minto non rispose fissando con una tale intensità il giardino di fronte a sé da farsi venire mal di testa. Kisshu, mostrato con prudenza il naso pronto ad una fuga sotto un nuovo lancio di oggetti, dedusse che ostilità a parte la strada fosse libera e si inerpicò sul tetto con aria di pace.

« Ma' dice che dovresti mangiare. »

Lei non emise un suono.

« Mi hai fregato il posto. »

Tentò di scherzare indicando l'angolino di tetto a sud, coperto dall'ombra piacevole di un albero, e la mewbird soffiò rancorosa:

« Non è che avessi grandi posti dove andare. »

E indicò con un cenno evidente se stessa.

« Dove volevi andassi? Se non sto attenta e, che ne so, scivolassi nel ruscello come quella volta, grande come un topo rischierei di annegare. »

Sbottò con amarezza:

« Se non faccio attenzione alle persone potrebbero spiaccicarmi come una formica! »

« Su, cornacchietta, ora la vedi troppo catastrofica. »

« Per te forse! Tu lo trovi divertente! – esplose – Non è divertente invece. Non lo è! »

Affondò il viso tra le ginocchia e Kisshu la sentì trattenere con rabbia un singhiozzo.
Per tutta la giornata avrebbe solo voluto poter fare due passi. Solo quello, non avrebbe chiesto altro; due passi per rilassarsi e scacciare le battute del ragazzo dalla sua testa, Invece si era ritrovata a fare pochi giretti a nemmeno una ventina di metri da casa Ikisatashi al colmo della frustrazione, incapace di esplorare da sola un mondo ignoto in quella nuova forma.

Kisshu non le rispose. Sapeva benissimo di avere la tendenza ad esagerare con le battute, ma di solito ne era consapevole; ferire qualcuno senza volerlo era una sensazione abbastanza nuova, e davvero poco piacevole.

« Ho paura, d'accordo? »

Minto non alzò lo sguardo dalle proprie ginocchia, ma fu sicura che lui avesse sgranato gli occhi scioccato da una simile onestà.

« Non so se tornerò come prima tra due giorni, una settimana, un mese, o se non lo tornerò mai. Non so se potrò stare ancora al fianco delle mie amiche, se rivedrò mio fratello, non so se potrò riavere la mia vita. »

Kisshu strinse la bocca per non rispondere, continuando a pensare che la mewbird fosse decisamente apocalittica. Ma forse, si disse, era perché lui vedeva la cosa dall'altezza del suo metro e settanta, mentre Minto da dov'era a malapena poteva ammirargli le caviglie.

La prospettiva era certamente meno di conforto.

« Per quel che ne so, stanotte potrei rotolare giù dalla mensola nel sonno e spiaccicarmi sul pavimento. »

« Ora esageri un po'. »

La interruppe con una risata nervosa. Minto lo guardò storto, gli occhi umidi, e Kisshu sospirò:

« Senti cornacchietta, mi dispiace ok? Ho scelto le parole sbagliate. »

« Grande epifania. »

« Però tu vedi troppo nero. – insisté, cercando di non replicare al suo sarcasmo – Lo capisco che tu sia spaventata, ma non è proprio da te fare così. »

Lei si strinse le ginocchia al petto con un verso di sufficienza, come consolazione era parecchio stentata.

« Dovrò iniziare a preoccuparmi. »

« E come sarebbe "da me" secondo la tua personalissima opinione? »

Lui si sdraiò sulla schiena sospirando, storse la bocca in una smorfia così esagerata da risultare ridicola e prese ad elencare sulle dita:

« Andare da Shirogane e costringerlo a farti tornare come prima. O forse ancora più probabile sederti al tuo strabenedetto tavolo ingurgitando ettolitri della tua brodaglia marrone, facendo notare quanto sia poco elegante per una come te agitarsi per un misero problema. »

Per una volta Minto capì che stava parlando in modo bonario, ma lo fece con un tono talmente serio e convinto che le scappò da ridere.

« Ecco, adesso dovresti darmi del cretino, non ridere. – notò con un ghignetto – Sì, mi sta tornando l'ansia. »

« La tua gentilezza ha una durata massima di cinque minuti? »

« Aaaah, eccola la cornacchietta! – rise – Bentornata. »

« Giuro che la prossima volta ti centro nelle parti basse, non nell'occhio. »

« Ci tieni così tanto a sbirciare di nuovo? »

« Sei un pervertito e basta. »

Ringhiò alla sua occhiata maliziosa e lui rise di gusto rotolandosi sulla schiena.

« Grazie. »

« Ansia, ansia! »

« Ma devo per forza insultarti di continuo?! »

Sbottò e Kisshu rise più forte soddisfatto che le sue frecciatine centrassero il colpo:

« Ti stuzzico solo un pochino, passerotto. »

« Guarda che su questo non ho cambiato idea, piantala di chiamarmi così. »

« Abbastanza difficile… »

E indicò allusivo le alucce e la coda piumata, facendo poi uno strano movimento con l'indice e sogghignando malizioso:

« Un bel culo in miniatura. »

« Progredirai molto con Ichigo se continui a fissare ogni essere dotato di attributi femminili che respiri. »

Gli fece notare caustica e lui ridacchiò:

« Sono obbiettivo. E visto come ti arrabbi, è troppo divertente provocarti. »

Lei scosse la testa senza trovare altri insulti con cui inveirgli contro. Si alzò per scendere, non prima di avergli tirato un pestone con il piede dritto sul dorso della mano e avergli strappato un secco gemito tra i denti.

« Cosa si ottiene a fare complimenti…! »

 

 

 

 

 

(*) sono entrambe due variazioni del pas de six dall'opera, appunto, la Bella Addormentata https://en.wikipedia.org/wiki/The_Sleeping_Beauty_(ballet) qui se volete vederveli e sentirli :3 https://www.youtube.com/watch?v=Et31LySAxf0 (il Canarino 3.28, la Fata dei Lillà 5.35 ) onestamente mi piaceva più il canarino, ma era come dare ad un lupo un branco di agnelli xD povera Minto!

 

 

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Uff, quanto fluff! Shiiip lo ship sale sale e sale, sento le vostre testoline sclerare con me *ok calmiamoci, posso farcela!*.

La cosa che mi diverte di più è mettere tutti i tasselli di tante cosine qui e lì :3 che poi si riassemblano tutti dopo ♥  che bello!

Kisshu: odora di sadismo -.-

Cap cortino, il prossimo se segue i piani sarà parecchio più lungo… e interessante *musichetta della morte nera* ma dai, ho messo delle cose interessanti anche in questo, no? Ditemelo che siete felici *lato fangirl che merge* io rotolo di gioia e poi torno eh!

Minto: sei psicopatica

Ahaha ora mi lancio sul prossimo, si necessita movimiento!!!

Tutti: ragazzi siete pronti alle legnate?

Il #martedìfangirl continua, anche se l'ultima settimana la sottoscritta se l'è dimenticato x°°DD (troppo lavoro, troppo stanca!) in compenso si sta allargando (me felice x3) e mi arrivano richieste anche per asltri fandom… Ma voi ricordatevelo, se volete qualcosa di particolare, basta lasciare un commy sulla mia pagina :D!
settimana prossima ho un po' di richieste, ma voi sfornate ;)… Intanto la request di mobo, tutte le ragazze "3 anni dopo" :D! https://www.facebook.com/dreammarti/photos/a.877675855585978.1073741840.369088309778071/972534896100073/?type=3&theater

 

Devo mandare tantissimi bacioni a Hypnotic Poison, mobo, Sonrisa_, Rin Hikari, Merion Selene (uaaaah che bello grazieee x33!!) e Jade Tisdale, devo ancora rispondere a tutte promesso che lo faccio :P  sta settimana mi sono dovuta riprendere e sono parecchio svalvolata ^^""
Kisshu: come al solito
*Ria lo imbavaglia*

Ringrazio tutti i lettori e tutti coloro che mi dedicano un pensiero, recensite e seguitemi che vi voglio bene :D! A tra due settimane!


Mata ne
~♥ !

Ria

 

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Capitolo 31
*** Toward the crossing: between six and seven (part II) ***


Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: 
Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro recensioni. 
Farai felice milioni di scrittori. 

 

Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: Non essere indifferente!
Salva anche tu una tastiera da pazzoidi che le massacrano scrivendo come disperate! Non chiudere gli occhi, puoi salvare milioni di vite elettroniche.

 

 

 

 

 

Salve a tutti :3 questi ultimi capitoli mi stanno facendo penare -.-"" troppa calma!

Kisshu: ma non doveva essere movimentato?

Invece succedono cose interezanti, kiaro?!?

Kisshu: ti prego, l'accento tedesco no -.-""…

Due cap tranquilli, mi odiate o mi amate? *rotola* uhuuuu c'è qualcuno che risorge dalla tombaaa!

Pai: e sia lode ca…! -.-**

Tra domande e risposte, chiacchiere equivoche e appuntamenti, lanciamoci che qui se no andiamo a rilentissimo!! VIA!!

Oggi c'è una cosa speciale, data una particolare scena nel capitolo, oggi allego a questo un omake tutto per voi :3! Maggiori notizie in fondo. A voi!

 

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Cap. 31 – Toward the crossing: between six and seven (part II)

                Stupid Cupid, Gentle Cupid

 

 

 

 

« Dichiaro aperta la seduta. »

Pai si alzò come da copione, i polsi di fronte a sé tenuti stretti da un laccio di energia, pregando con tutto se stesso che si decidessero ad accelerare; i vari convenevoli e le sequenze burocratiche richieste dall'Armata gli avevano già portato via un'altra mezz'ora di vita, e dopo venti giorni lui era talmente esasperato che avrebbe potuto sgozzare qualcuno.

Ascoltò diligente e in silenzio l'elenco di tutti i capi d'accusa, le prove a suo carico e quelle che lo assolvevano, le valutazioni fatte e un mucchio di altre baggianate ridondanti per cui contrasse la mascella fin a sentir dolere le giunture. La voce di Stahl, a capo dell'udienza, suonò annoiata quasi quanto lui e dei sei generali a presiedere era chiaro che quasi tutti non vedessero l'ora di rispedirlo a casa; solo un paio di loro gli scoccavano occhiate torve, convintissimi che nel comportamento del colonnello Ikisatashi ci fosse un sentore di torbido e che, invece di chiudere l'indagine, avrebbero dovuto sbatterlo in una cella vera per qualche mese, in attesa che gli si sciogliesse la lingua.

« … Alla luce di quanto ivi riportato, come si dichiara colonnello Ikisatashi? »

« Non colpevole. »

Per la milionesima volta.

Trattenne uno sbuffo seccato, i piedi mezzi addormentati a furia di stare dritto. Stahl, con un sospiro soddisfatto, annunciò ufficialmente:

« A fronte di quanto visto, il Corpo Disciplinare d'Armata l'assolve da tutte le accuse. »

Il senso di liberazione per poco non lo fece gettare la testa indietro mandando un lungo sospiro di gioia, ma al suo sguardo non sfuggirono le occhiate degli ufficiali in disaccordo con la decisione del Corpo.

Forse non era ancora chiuda del tutto.

 

 

 

Sando sbadigliò sonoramente fregandosi la fronte, annoiato a morte fuori dalla sala riunioni del Corpo e in attesa del rilascio del loro fringuello. Se almeno MoiMoi si fosse presentato avrebbe potuto chiacchierare con qualcuno, ma il violetto era in spaventoso ritardo e lui si stava slogando la mascella nella scarsa imitazione di un ippopotamo.

« È ancora dentro? »

Il verde stava mandando l'ennesimo sbadiglio quando lo raggiunsero i passi e la voce dell'amico. Grugnì con voce strascicata:

« Già. Se la prendono davvero comoda. Non che sia un problema – lo rimproverò voltandosi – quanto diavolo c- »

Gli si strozzarono in bocca le parole vedendolo e mandò uno strano verso di gola. Il violetto lo studiò senza capire:

« Uh? Che hai? »

« Come ti sei conciata? »

Esalò e MoiMoi gongolando mise in bella mostra l'abito bianco e blu:

« Me l'hanno regalato le ragazze. »

« Che passa per la testa di quelle là…?! »

Continuò a protestare senza voce e MoiMoi chinò la testa mogio; non si aspettava che si sciogliesse in complimenti, ma almeno che non facesse simili smorfie – almeno a suo avviso – disgustate.

« Beh, potresti tenerti le cose per te se non sei capace neppure di fare un apprezzamento di circostanza. – puntualizzò offeso – O cercare di non commentare. »

« Vorrei solo sapere come ti è venuto in mente di presentarti così. »

« A me piace. »

Protestò cupo, incurante che Sando sembrasse ritrovarsi con due palloncini di plastica al posto dei polmoni:

« Come vuoi, ma la prossima volta avvisa. »

Non capendo il senso della frase MoiMoi alzò lo sguardo; non riuscì a vedere la faccia dell'altro, sprofondata nella mano, ma la punta delle sue orecchie era praticamente scarlatta.

« Rischi di farmi venire un colpo, a presentarti così! »

Il violetto si chiese se lo avesse detto con cognizione di causa o solo per errore, ma non osò replicare né togliersi l'illusione di quanto sentito. Strinse le labbra trattenendo un risolino contento e si mise sull'attenti accanto al verde, che borbottò ancora per molto tempo fissandosi le scarpe.

« Sei tu quello che un giorno mi farà prendere un colpo. »

Sospirò giocherellando con il bordo blu della gonna.

« Che hai detto? »

« Niente – rispose pronto nascondendo un sorriso – parlavo tra me e me. »

 

 

***

 

 

Il locale era chiuso per il pomeriggio e Keiichiro stava finendo di sistemare bibite e cibarie per tutti su un paio di tavolini affiancati nella sala sgombera, aiutato da Purin e Ichigo.

« La ragione della festa nel localino dei confetti mi è ancora difficile da capire. »

« È stata un'idea della senpai – sorrise Eyner – credeva fosse una cosa carina per Pai, dopo più di due settimane chiuso in una stanza. »

Kisshu studiò con divertito scetticismo l'ambiente:

« Se lo conosco, reggerà solo per amor di quieto vivere. »

« Certo che è davvero insopportabile! – sbottò Ichigo – Ma sa godersi la vita quella specie di frigorifero con le gambe?!? »

Kisshu rise e il suo sguardo seguì per qualche passo la figura di Retasu; sorrise malizioso:

« No, credo non ne abbia la più pallida idea. »

« Kisshu, non tirarla in ballo. »

Lo sgridò Eyner.

« Era una constatazione. »

« Perché le tue constatazioni suonano sempre come commenti pervertiti? »

« Perché io dico la verità che gli altri non hanno il coraggio di dire, cornacchietta. »

Rispose con fare superiore a mento in su.

« Ti avevo chiesto di smetterla. »

« Innanzitutto, non mi hai chiesto, ma ordinato; poi, non ti ho chiamata passerotto. »

« È uguale. – fece la mewbird lugubre – Ho un nome. »

« Infine – insisté lui – ti ho accompagna impedendoti di stancare quelle graziose alucce, non… Ahia! »

Minto gli tirò con tutta la forza il codino sull'orecchio sinistro:

« Non si rinfacciano i favori, razza di cafone. »

« Cornacchia permalosa. »

Stranamente Minto era abbastanza di buon umore da cogliere l'innocuità del suo pessimo umorismo, e si limitò a raggiungere in volo il tavolo con il cibo per non dargli ulteriore corda.

« Almeno stavolta non ti ha fatto un occhio come una zucca marcia. »

« Grazie del paragone Eyn. – borbottò l'altro risistemandosi il laccio – Piuttosto, che è quest'atmosfera pesante? »

Accennò con la testa un'altra volta verso Retasu, che appariva molto nervosa e stanca, oltre ad avere l'espressione di chi non vede l'ora di sparire; anche Taruto era sulle sue, ma tentava quantomeno di dissimulare.

« Tu ne sai qualcosa? »

« Non ne ho davvero idea. »

Replicò il bruno dubbioso. Per il resto il clima nel Cafè era rilassato e vivace ed eccetto i due ragazzi nessuno sembrò essersi accorto dell'umore della verde.

I preparativi erano quasi completati e mancava poco all'arrivo dei tre assenti. Il lavorio nella sala si accompagnò al chiacchiericcio sereno di tutti, a cui solo la voce della mewfocena non faceva appello. Retasu gettò una scorsa rapida ai presenti e i cupi pensieri che l'avevano accompagnata dalla sera precedente le strinsero nuovamente lo stomaco; non avrebbe retto ancora per molto la sua recita, e con la scusa di aiutare Keiichiro sistemando la cucina scappò nell'altra stanza, tranquilla e solitaria.

Le voci degli altri arrivavano distorte e lei si appoggiò sospirando al lavello.

Si stropicciò gli occhi, assonnata, aveva dormito malissimo. Le parole di Lenatheri, vere, false o cariche di sottintesi che fossero, le avevano ronzato in testa tutta la notte e lei ci aveva rimuginato perfino nei sogni.

Era pur vero che erano stati gli alieni a chiedere il loro aiuto per risolvere il problema della MewAqua, ma a pensarci in modo obbiettivo fino ad allora Pai e tutti gli altri sembravano pagare le conseguenze della loro scelta.

Richiamati dal Consiglio Maggiore. Sperduti in foreste, costretti a vestirsi da studenti e da donne. Eyner rimasto ferito per proteggere lei e Zakuro, Pai ferito ad una spalla e Kisshu ad un braccio. Pai accusato e sbattuto in carcere.

Più della metà dei loro problemi erano scatenati dalla sola presenza dei terrestri a Jeweliria. Forse Lenatheri aveva ragione, forse iniziavano anche loro a pentirsi della loro decisione. Forse era vero che iniziavano a sentirsi solo i custodi di mocciose più fastidiose che altro, forse era vero che vedevano i loro gesti di amicizia solo come vani ringraziamenti per un servizio non richiesto.

Forse aveva ragione su ciò che Pai pensava di lei.

Il pensiero le strinse la gola, ma non aveva assolutamente idea di come dissimulare i dubbi, né ovviamente il coraggio di affrontare l'argomento con qualcuno dei ragazzi.

« Retasu-san? »

Sobbalzò sentendosi chiamare mandando uno squittio. Taruto la osservò con aria mogia dall'ingresso della cucina, la testa reclinata di lato:

« Stai bene? »

« S-sì… Sì sto bene. – tentò di sorridere, passandosi l'indice sugli occhi umidi – Ero solo… Solo… »

Non trovando una scusa accettabile si limitò a sorridere e a chinarsi un pochino in avanti per guardarlo bene in viso:

« Avevi bisogno? »

Lui la studiò poco convinto:

« Ieri sei scappata via – disse senza girarci troppo attorno – È successo qualcosa? »

La verde cambiò espressione dandogli ragione, ma sorrise stentata e si girò per sciacquare i piatti prima di metterli in lavastoviglie:

« Proprio nulla, tranquillo. – lo rassicurò con voce più acuta del dovuto – Ero solo di fretta, e- »

« Qualunque cosa Lenatheri ti abbia detto, è una bugia. »

La mewfocena si irrigidì all'istante, rimanendo con un  piatto gocciolante in mano. Non lo posò, girandosi verso di lui con aria triste e per nulla persuasa.

« Lenatheri a me non piace – ammise il brunetto a bassa voce – perché fa così, se è irritata per un motivo che sa solo lei si sfoga sulla gente e dice un sacco di cattiverie. »

« Sarà… Però non è una scusa. »

Replicò lei cupamente e Taruto scosse la testa:

« Non la voglio giustificare, te l'ho detto, non piace nemmeno a me; però lo so che di sicuro è successo qualcosa. »

La verde si decise a posare il piatto e sospirò:

« Però… »

« Se ti ha detto qualcosa di strano, è una bugia. – continuò – Ce la vedo quella là che dice cattiverie e tu che non rispondi e ci resti male. Sei fatta così. »

Retasu immaginò che le stesse facendo un complimento e lo vide grattarsi la guancia con l'indice, a disagio.

« Sei buona e non riesci a rispondere a una persona che ti aggredisce a parole – continuò e scostò lo sguardo in imbarazzo – però fidati, non credere ad una sillaba. »

Alla verde venne da sorridere per il suo tentativo di rincuorarla, ma si incupì ancora:

« No, aveva ragione. Da quando abbiamo iniziato a collaborare non vi abbiamo portato che guai. »

Il brunetto schioccò la lingua con superiorità:

« Fammi fare un ricalcolo. Ichigo per poco non viene mangiata da un merkv impazzito, tu ti sloghi una caviglia e rischi di annegare, Zakuro viene rapita, Minto viene avvelenata e quando guarisce assume le dimensioni di un piccione. »

Retasu lo studiò ammutolita, non aveva tutti i torti.

« Mi sono dimenticato qualcosa? »

« Però n- »

« Niente però. – sbottò – Retasu-san, vi abbiamo chiesto noi di aiutarci e voi non c'entrate niente con i problemi di politica e tutte quelle altre stronzate che abbiamo a casa. »

Lei s'impettì un poco per il linguaggio, ma evitò di sgridarlo e gli lasciò terminare il discorso.

« Se succede qualcosa siamo tutti sulla stessa barca. Non è colpa vostra di niente, d'accordo? »

La verde annuì obbediente. Taruto le sorrise furbetto e lei ricambiò con dolcezza, sentendosi decisamente meglio.

« Grazie Taruto-san. »

Lui ghignò soddisfatto. La mewfocena sospirò sollevata, anche se l'ultimo commento di Lena, con il suo sorriso malizioso, le annebbiava la mente tentando con prepotenza di prendere il dominio.

Poco importava, si disse mesta, visto che Pai le aveva già dato una risposta non era così fondamentale che avesse o meno una buona opinione di lei.

« Toc, toc. »

Kisshu comparve dalla finestra con aria giuliva picchiando il pugno sulla passatoia:

« Mi dispiace interrompere il ritrovo amoroso, ma abbiamo ospiti. »

Taruto gli sibilò contro di andarsene a quel paese, uscendo con passo pesante, e Retasu ridacchiò ormai abituata all'umorismo del verde.

Uscì dalla cucina sentendosi pronta ad affrontare il resto della giornata con un po' più di energia e la voce squillante di MoiMoi la investì senza alcun garbo:

« Abbiamo riportato il figliol prodigo! »

Annunciò trionfante stendendo le braccia melodrammatico e mise in mostra Pai che, evidentemente, non protestava sul teatrino in corso – e sulle frecciatine e le risatine di Kisshu e degli amici – solo perché troppo stanco e troppo contento di non respirare più aria viziata.

Retasu ringraziò che il moro fosse occupato a tenere tranquillo il suo senpai e a non rigirare la prima sedia disponibile sulla testa del fratello solo per farlo tacere; nel vederlo tutta la sua baldanza si era cancellata, e per nulla fu d'aiuto la barba ormai evidente – da quando era affascinata dal dettaglio? – che unita alla classica espressione cupa del moro gli donava un'aria quasi selvatica e affascinante.

Così non è giusto, però

Dire a se stessa di metterci una pietra sopra diventava un'impresa ardua, se rischiava l'infarto ogni volta che incrociava il profilo del ragazzo.

« Qual è dunque il verdetto? »

Scherzò Eyner e Pai fece spallucce:

« Sono qui. – poi il suo sguardo divenne più duro – Ma se l'idea di Ebode era metterci contro gli ufficiali del Corpo, c'è quasi riuscito. »

L'ambiente si rabbuiò all'improvviso e MoiMoi intervenne svelto:

« Su, ne parleremo più tardi! – rise – Ora rilassiamoci, beviamo e divertiamoci. »

« Tu non provare ad avvicinarti all'alcool, mi sono spiegato? »

« Nessun problema, qui sono tutti minorenni e di alcool non ce n'è. »

Sorrise Keiichiro confortante, anche se non capì il perché delle parole di Sando; MoiMoi gemette deluso, ma trovò subito di che confortarsi attaccando un vassoio di tramezzini morbidi e ripieni di cremine e altre delizie. I presenti lo seguirono di slancio e la sala si rianimò subito; solo Eyner prese Pai un po' in disparte, guardandolo serio:

« Dici che avremo problemi? »

« Chissà – fece il moro con un sospiro – le facce che ho visto non erano molto confortanti. »

Eyner mandò un muto verso di assenso; sospirò e gli diede una pacca sulla schiena, cercando di sorridere convinto:

« La senpai ha ragione, per adesso è meglio rilassarsi. E poi – lo squadrò da capo a piedi divertito – mamma mia, che brutto aspetto che hai! »

« Fai meno lo spiritoso. »

« Ti manca proprio il senso dell'umorismo… Soffri di carenza di zuccheri? »

« Di carenza di pazienza. »

« Non l'avrei mai detto. – replicò il bruno sarcastico – Su, mangia qualcosa, almeno possiamo toglierti l'aria di chi sta per svenire. »

Pai sbuffò e lo seguì, senza voglia di reiterare, e lo guardò mentre scrutava il banchetto sul tavolo decidendo su cosa avventarsi.

« Kisshu, potresti lasciare qualcosa anche a noi? »

Borbottò scorgendo con la coda dell'occhio il verde strozzarsi di tramezzini e quello replicò a bocca piena:

« Prenditela con la pesciolina – fece soddisfatto deglutendo – non so cosa ci abbia messo dentro, ma questa roba ti fa risorgere dai morti. »

Retasu, lì vicino, divenne viola:

« Ora esageri Kisshu-san… Sono solo dei tramezzini. »

« Sarà, ma io potrei viverci. »

La ragazza fece un timido sorriso e ringraziò, tentando – e miseramente fallendo – di non dare peso alla mano di Pai che per prima cosa ispezionò e poi si servì dal vassoio di cibarie che aveva preparato lei.

« Insomma, Kisshu-chan, lasciamene un po'! – insorse MoiMoi – Voglio fare il bis! »

Si fece spazio e Kisshu protestò spostandogli la voluminosa gonnella blu:

« Oggi sei più ingombrante del solito. Che è questa cosa? »

« Un  bellissimo regalo, e attento a quello che dici – rumoreggiò il violetto puntandogli minaccioso l'indice sul naso – perché potrei arrabbiarmi. »

« Secondo me stai molto bene, senpai. »

« Visto? Visto?! – rise rivolto ad Ichigo – Io l'avevo detto che sarebbe stato Eyn. »

« Io ho detto che ingombra, non che non ti stia bene. »

Puntualizzò Kisshu divertito. MoiMoi alzò il mento fingendosi offeso e sbirciò le reazioni di Pai e Taruto; il brunetto fece spallucce troppo occupato a bere un frullato con fare avido e l'altro si limitò ad un sorrisetto, e il loro senpai sbottò:

« Siete dei cretini insensibili, ecco qual è la verità. – proruppe esageratamente con un mezzo risolino – Guardate che alle ragazze bisogna farli i complimenti, o non vi filano! »

« Io li faccio e si arrabbiano. »

« I tuoi non sono complimenti, Kisshu. »

« Come ho già detto, i più sinceri. »

Ghignò ed Eyner alzò gli occhi al cielo.

« Aaah, basta! Non date alcuna soddisfazione! – protestò ancora MoiMoi giocando – Vado da Ryou-chan, magari è più gentile. »

« Sprechi il tuo tempo. »

Fece Ichigo malevola; invece vide confabulare il biondo e il violetto e da come il secondo rispose felice alle parole del primo, fu chiaro che l'americano i complimenti sapeva farli.

Zakuro passò vicino ai due e sorrise vedendo MoiMoi particolarmente allegro:

« A quanto pare abbiamo fatto una buona scelta. »

Lui sorrise smagliante, si ricordò di qualcosa e stringendo eccitato il labbro inferiore le fece segno di avvicinarsi, sussurrandole qualcosa all'orecchio; la mora spostò un istante lo sguardo sulla figura di Sando – ancora più imponente nel locale e con tutta quella gente – e sorrise al violetto con dolcezza:

« Mi fa piacere. »

Lui trattenne uno squittio felice a labbra strette e tornò a riempirsi il piatto di cibo, decisamente euforico.

 

 

***

 

 

Ichigo si sedette sospirando alla scrivania. La giornata era volata via in un lampo, come tutte le giornate tranquille, lasciandola in uno stato di quiete sonnolenta con un venticello tiepido che pizzicava le tende dalla finestra e le cicale che lasciavano posto ai grilli.

Mise via sospirando i suoi nastrini e tirò verso di sé l'invito che aveva posato sul ripiano, studiandolo con più attenzione.

Ryou l'aveva trattenuta prima che andasse via e gliel'aveva passato senza troppi convenevoli. La carta color panna, con scritte delicate e in rilievo, era bordata con un elegante filigrana argentata e recava scritto la data, l'indirizzo e un'inutile serie di spocchiosi convenevoli per l'invito all'evento a cui il biondo sarebbe stato costretto ad andare. Nel scrutare il biglietto – che appariva costosissimo solo a vedersi – Ichigo si era sentita lievemente a disagio.

« Se non ti va più, puoi sempre cambiare idea. »

Le aveva detto l'americano con tono incolore. Lei aveva scosso la testa:

« Potresti anche dire che mi offrirai un passaggio. »

« Vado con la moto. »

« Ci vediamo direttamente là. »

Chiuse lei imperiosa ed uscì, un po' per non vedere l'aria divertita di lui alla sua faccia spaventata – la motocicletta del biondo non era un mezzo che le avesse mai ispirato sicurezza – un po' per non dargli ad intendere che l'argomento, nonostante la sua ostentata indifferenza, l'agitasse e non poco.

Studiò il suo abito nuovo, ancora appeso mestamente alla sua gruccia, e si domandò perché essere tanto agitata. Non seppe rispondere e rimirò ancora l'invito, pensando che dal tono che emanava raffinatezza avrebbe dovuto mettersi molto in tiro per l'occasione; tornò ad agitarsi e si confortò leggendo la data, aveva ancora tempo per non dover pensare alla cosa.

Sempre di non morire d'infarto prima.

Si alzò scostando la sedia così di botto da far sobbalzare il robottino che sonnecchiava accanto alla sua mano:

« Basta! Masha! Andiamo a farci un bagno! Se non mi calmo, esplodo! »

« Bagno, bagno, pii! »

 

 

***

 

 

Fu la prima volta che Minto si rese conto di quanto potesse essere affollata casa Ikisatashi con tutta la famiglia a rapporto.

Appena ebbe focalizzato che da settimane i presenti non erano tutti riuniti, il suo istinto fu di lasciare loro spazio e di scomparire per un po' – cosa poco difficile data la sua limitata altezza – ma Lasa non aveva nemmeno ponderato la cosa e le aveva preparato il suo spazietto sul tavolo per cenare con loro.

« Sembri quasi un folletto. »

L'aveva malignata Kisshu divertito vedendo il tavolinetto personale della ragazza, improvvisato da Lasa con una scatola e un tovagliolo; la mewbird lo aveva squadrato scettica:

« Senti chi parla, Legolas. »

« Chi? »

Per evitare di ascoltare ulteriormente il verde e sentire quelle due parole di troppo che l'avrebbero fatta esplodere – nonostante tutto, aveva ancora chiaro in mente il suo monito di ignorare le sue provocazioni nella speranza che la lasciasse in pace – Minto prese a parlare con Iader, dispensato dalla moglie e dai due figli più giovani da qualsiasi faccenda domestica dove, a quanto dicevano, faceva più danni e perdeva più tempo che altro. L'uomo era affabile e la mewbird riuscì a chiacchierarci volentieri, nonostante anche lui avesse il vizio di lanciare qualche battutina di quanto in quando, ma sempre cose simpatiche e mai come Kisshu.

Parlarono per un bel po', per lo più di sciocchezze, ma Minto parve che tutto fosse nella norma e non ci fosse nulla di strano o sbagliato in lei – sebbene guardasse Iader da dieci centimetri sopra il tavolo – e continuò più che felice. Intanto gli altri membri della famiglia si erano seduti a tavola, compreso Pai che, felice di essere fuggito dalla festa indesiderata di MoiMoi, aveva potuto chiudersi nella sua stanza qualche ora, riposarsi e darsi una sistemata; si era cambiato e tolto la barba e finalmente appariva composto come suo solito, e non un poveretto recuperato da un relitto.

« Oh, rieccolo qua il mio bel ragazzo. – scherzò Lasa guardandolo sedersi – Riemerso da una coltre di peluria. »

« Mi risulta che la barba non ti dispiaccia. »

Le fece notare malizioso il marito e lei non rispose guardandolo divertita.

« Datevi una calmata voi due, per piacere. »

« Dovresti essere contento che mamma e papà vadano così d'accordo . »

Sogghignò l'uomo a Taruto.

« E dovete per forza mostrarlo pomiciando davanti a tutti? »

Lasa lo guardò condiscendente e Iader rise incurante.

« Innamorati come il primo giorno. »

« A me risulta che ma' ti abbia dato il due di picche più o meno una ventina di volte… »

« Ventiquattro ad essere precisi. – sorrise trionfale – Ma sotto sotto sapevo di spuntarla. »

Ammiccò divertito verso Minto:

« Sono un tipo caparbio. E alla fine ho vinto io. »

Lei rise discreta, spiegandosi con le sue parole la cocciutaggine di uno dei suoi ragazzi.

« Già. Ho ceduto per disperazione. »

« No, hai ceduto perché sono irresistibile. »

Lasa sollevò un sopracciglio scettica.

« Dai che lo sai che è vero. »

« Non mi risulta. »

Fece divertita tornando a badare alla cena.

« Crollata al mio fascino. »

« Ci crediamo tutti, pa'. »

« Continua a ripetertelo, tesoro. »

Lo prese in giro la donna; Iader tacque alcuni istanti, sorrise furbo e si alzò.

« No, non lo fa. »

Gemette Taruto e il padre intanto iniziò a ronzare attorno alla moglie con espressione divertita.

« Lo fa, lo fa. »

Diede grave conferma Kisshu, indeciso se ridere o disperarsi. Iader intanto prese a cantare a mezza voce, con Lasa che tentava invano di filarsela:

« No, non ci provare! »

« Nuoterò e solcherò mari selvaggi senza paura di annegare, e con piacere affronterò le onde di questa vita… »

« Dai Iader, basta! »

« Se mi sposerai. »

« Sei un cretino. »

« Padre, ti prego. »

Lui non sentì nemmeno Pai e perseverò. Di certo la sua voce non era melodiosa e Minto ebbe l'impressione che sbagliasse spesso il tempo, ma insisté con Lasa che tentava di imporgli di tacere, con risultati inesistenti dato che non faceva che ridere in imbarazzo e lasciarsi trascinare in un paio di goffi passi di danza improvvisati.

« Né sole rovente né ghiaccio gelido fermeranno il mio viaggio, se mi prometterai il tuo cuore. »

« Per piacere, è stomachevole! »

Taruto cercò sostegno nei fratelli, ma Kisshu se la rise di gusto e Pai si limitò a reggersi la fronte con la mano, nascondendo un mezzo sorriso. Alla fine anche Lasa improvvisò un paio di strofe di risposta, nelle lamentele esagerate dei figli, e Minto non riuscì a non osservare la scena e ridacchiare.

« Mamma non dargli corda! »

« … Ma non ho bisogno di miracoli, se sento le tue braccia attorno a me. »

Finita la strofa Lasa rise nervosamente senza più fiato e Iader le cinse la vita baciandola. Taruto sbuffò per l'ennesima volta con una smorfia disgustata.

« Non potreste aspettare che nasca il bambino, prima di metterne un altro in cantiere? »

« Kisshu, piantala. »

Lo seccò Pai e l'altro fece spallucce:

« Se vanno avanti così Taruto si chiude in camera fino a nuovo ordine. »

« Non sono un moccioso. »

« Dalle facce schifate che fai, direi di sì. »

« Non è colpa mia se tubano come due adolescenti. »

« Tesoro, sarei qui – puntualizzò Lasa guardandolo storto – e ti sento. »

« Quando scoprirà le ragazze cambierà idea. »

Sorrise Iader continuando ad abbracciarla e Lasa sospirò annuendo. L'uomo sbirciò oltre la sua spalla ammiccando verso il tavolo e stendendo un ghignetto, incrociato lo sguardo di Minto:

« Ho vinto di nuovo io. »

Per tutta risposta Lasa lo spinse via schiaffeggiandogli un braccio e strappando al marito un lamento esagerato.

 

 

La cena trascorse piacevolmente e Minto, seduta nel suo spicchio di tavolo, sebbene non parlasse più di tanto ascoltò e sorrise a quell'atmosfera rilassata e familiare. Pensava di trovarsi a disagio, così poco avvezza a una simile intimità, invece per una ragione insondabile la cosa la fece stare bene.

Finito di mangiare la sala si svuotò velocemente. Pai, che non poteva più nascondere di essere sfibrato dalla detenzione e desideroso solo di una notte nel proprio letto, scomparve quasi subito e Taruto lo seguì dopo alcuni minuti, quando insonnolito rischiò un paio di volte di centrare il tavolo con il naso; anche Kisshu era uscito sbadigliando a fare chissà cosa e Minto, scorgendo Iader e Lasa che iniziavano a sussurrarsi complici all'orecchio, pensò ridendo che era davvero il momento di lasciargli spazio e se ne uscì pure lei.

L'aria fresca le lavò di dosso la pesantezza della cena luculliana e si stiracchiò soddisfatta, quasi dimentica dei suoi problemi.

« Che fai, mi pedini cornacchietta? »

« Devo stamparti il mio nome nella retina con una freccia perché ti ricordi di usarlo? »

Ribattè gelida alzando lo sguardo verso il verde appollaiato sul tetto. Kisshu si mise le braccia dietro la testa:

« Così evitiamo di sciuparlo. »

« Non è divertente. »

« Da come ti arrabbi invece direi di sì. »

Lei scosse la codina piumata e svolazzò lungo il sentiero che girava fra le case vicine, imponendosi di non rispondergli oltre. Come temeva il ragazzo, che probabilmente si stava annoiando, la seguì con noncuranza ricominciando a darle fastidio:

« Ehi, non ti sarai di nuovo offesa. »

« Sto solo evitando di dare risposte agli stupidi. Ci si abbassa la loro livello e ti battono con l'esperienza. »

« Questa è cattiveria! – fece offeso – Ti stuzzico solo un po'. »

« Lo so – rispose piatta – ecco perché ti ignoro. »

« Come sei noiosa. »

Lei continuò a fluttuare tralasciando la sua presenza con superiorità, ma le sfuggì un sorrisetto. Kisshu era irritante, eppure quel gioco del punzecchiarla – a cui aveva imparato ormai a rispondere a tono – iniziava a divertirla.

« Sono monotono, mi spaventi. Che ti sorridi? »

Si pentì immediatamente di essersi rilassata, non doveva divertirla, doveva farlo smettere; doveva capire che lei non era il giocattolino contro la noia.

La mora fece spallucce:

« Pensavo tra me e me. »

« Male. Pensare fa malissimo. »

« È per questa convinzione che tu non usi mai il cervello? »

« Io ragiono di pancia. »

« Oserei dire più sotto la cintura. »

« Come sei ripetitiva! »

Minto roteò gli occhi sospirando:

« Tipo adesso… Non ti è venuto in mente che magari volessi farmi due passi da sola? »

« "Passi" sarà difficile. »

Lei gli scoccò un'occhiata più torva e Kisshu alzò le mani in segno di scuse:

« Ok, capito, non esagero. »

La mora sbuffò e si allontanò un poco.

« Comunque no, tanto ti annoieresti senza niente da fare. »

Lei schioccò la lingua esasperata:

« Sai, ci sono persone a cui piace stare da sole. »

« A nessuno piace stare solo. – la corresse – Tu sei acida, però. »

« Che vorrebbe dire? »

« Questo. »

Ghignò e le battè piano l'indice sulla fronte:

« Risposte acide da acida scorbutica. »

« Dici cose senza senso. »

Decisa a non dargli altre rispose, dato che pareva unicamente deciso a farla diventare matta, iniziò a volare più veloce. Kisshu la seguì divertito, le mani intrecciate dietro la testa.

« Pensavo che saresti scappata scandalizzata stasera. »

Notò dopo un po'. Minto rallentò l'andatura fissandolo senza capire.

« Tu sei abituata ad atmosfere sofisticate. »

Si aspettò di offendesse per davvero, invece la vide mettere su uno strano sorriso scuotendo il capo:

« La tua famiglia è molto bella. »

« Devo essere diventato sordo – fece stupidamente sturandosi l'orecchio – suonava come un complimento. »

« Infatti. E non era rivolto a te. »

Gli fece notare lei con un sorriso malevolo.

« Perché devi sempre puntualizzare cattiverie contro di me? »

« Perché sei irritante. – rispose con assoluta tranquillità – Sei indisponente, impulsivo, fastidioso e linguacciuto. Oltre che volgare e maniaco. »

« Ma che gentile. »

Sibilò lugubre e Minto scrollò le spalle:

« Cos'era quella… Cosa che cantava tuo padre? »

Ridacchiò piano e Kisshu sospirò ostentando insofferenza:

« Ma che ne so. Dice che è una cosa vecchia, la sentiva da suo nonno e suo padre, credo qualcosa riguardante vecchi riti di matrimonio… So solo che quando inizia a gracchiare, mia madre diventa scema di colpo. »

Rise maligno e Minto lo squadrò con aria divertita:

« Almeno qualcuno in famiglia sa cosa sia il romanticismo. »

« Battiamo sempre sul tasto del "sei un pervertito"? »

« Tu l'hai detto, non io. – gli fece notare sottile – E non è colpa mia se ci provi anche con le donne che non ti interessano. »

« Innanzitutto, il plurale suona un po' troppo libertino, inoltre… Stai insinuando qualcosa? »

Lei lo squadrò torva e sollevò allusiva tre dita della mano.

« Due sono stati dei favori. »

« In quale universo? »

Sbottò cupa.

« Tu non sei più novellina e io mi sono disinfettato dal beliano deficiente, do ut des. »

« Ma anche no. »

Replicò lei scuotendo le ali:

« E cosa avrei ricevuto in cambio? Un travaso di bile? »

« Secondo me non ti sono dispiaciuti più di tanto. »

Ridacchiò e immaginò che se la mora avesse avuto le dimensioni appropriate per afferrare uno dei sassi sul sentiero, lui se ne sarebbe ritrovato uno stampato in fronte.

« Non è che invece sei recidivo perché è a te, che piace? »

Non si sarebbe mai aspettato una simile risposta e restò ad occhi spalancati a fissarla senza replicare. Minto drizzò le spalle, appagata di averlo zittito, e lo lasciò li in mezzo al sentiero – pregando in cuor suo di avere campo libero in casa – prima di scoppiare a ridergli in faccia dalla soddisfazione.

 

 

***

 

 

Amava andare al campo di allenamento il mattino presto; era un ottimo modo per svegliarsi e per far fruttare il tempo in pace, visto che ben pochi soldati erano molto mattinieri se non erano i loro superiori a buttarli giù dalle brande.

Aveva iniziato che il cielo sopra la cupola del cortile interno era di un gelido blu chiaro e l'aria era fredda, e già il sole faceva capolino oltre il vetro, e sopra di esso si stendeva una frizzante coltre celeste; soldati, ufficiali e inservienti avevano cominciato ad apparire lungo il porticato, ma pochi parvero interessati alla sua presenza o a ciò che stava facendo, tantomeno emularlo. Le fiammate che mandavano in cenere i poveri chimeri ragno che lo stavano affrontando erano un ottimo deterrente.

Eyner aveva il fiato corto, ma non smise di colpire. I movimenti delle sue braccia erano rapidi, veloci, precisi, eppure lui non era soddisfatto: per quanto si concentrasse attorno a sé non scorgeva altro che lapilli del colore del sangue ed era conscio, nonostante la tenacia e la caparbietà, che fosse il suo cuore ad essere indeciso più che la sua mano.

« Esagerare con lo sforzo fisico fa male alla salute. »

Eyner tranciò l'ultimo chimero con un fendente e si voltò di scatto. Zakuro stava in piedi sotto il portico, sebbene a distanza di sicurezza e con una strana espressione tesa che si rilassò solo quando l'ultimo ragno mostruoso finì in cenere. Il bruno digitò sulla tastiera della barriera protettiva e fece spuntare velocemente le piante di paina, così che i parassiti avessero di che occuparsi e se ne tornassero tranquilli a casa, e a quel punto la mora gli si avvicinò lentamente, ancora un po' scura in volto.

Iniziamo male.

« Che ci fai qui? »

« Mi sono alzata presto. – fece spiccia – Non avevo niente da fare. »

Eyner piegò appena la testa interrogativo e non gli piacque per niente l'occhiata allusiva che ricevette.

« … Da quanto sei arrivata? »

« Abbastanza. »

Tagliò corto ed Eyner sospirò a fondo:

« … E se ti dicessi che non mi va di parlarne? »

« Potrei arrabbiarmi. »

Ribattè secca. Niente da fare, che avesse capito fino in fondo o meno alla mewwolf non bastavano oltre le sue parole lasciate a metà.

Eyner si massaggiò il collo sospirando:

« Era una minaccia? »

Zakuro fece spallucce, le braccia conserte. Eyner si lasciò sfuggire un risolino divertito, si asciugò un po' il sudore dalla fronte e le fece cenno di andargli dietro, rassegnato al fatto che la mewwolf non avrebbe gettato la spugna, a costo di litigare per davvero. E lui non era sicuro di spuntarla in una vera discussione.

La mora lo seguì lungo il portico sbucando in un giardino limitrofo, decisamente meno elegante. Molti soldati e cadetti si stavano allenando, chi in coppia chi da solo, in un'atmosfera concentrata ma rilassata; le fu impossibile non notare che, tra coloro che apparivano di grado di più alto, non ci fosse la testa verde prato di Sando, e la cosa influiva enormemente sull'atteggiamento delle reclute.

Eyner si fermò su un lato del campo, in silenzio; Zakuro potè sentire il suo cervello ronzare cercando le parole per spiegare tutto.

« Ti ricordi quando ti sei sorpresa perché utilizzavo le fiamme, e non i fulmini in combattimento? »

Lei annuì:

« Hai detto che è questione di predisposizione; poi, di capacità. »

La mora non seppe dove volesse andare a parare il suo discorso, anche se riuscì ad intuirlo, e lo lasciò proseguire docile. Lui fece un cenno d'assenso ed indicò i soldati impegnati nell'allenamento; a quasi tutti loro Zakuro vide scintille di luce e saette sui fili di lame e sulle armi.

« È semplice generare l'elettricità, seguiamo lo stesso principio dei fulmini in un temporale. Compensazioni di cariche elettriche e cose così. »

Scosse la mano per chiudere la spiegazione e non perdersi in dettagli tediosi, e continuò:

« Vento e acqua sono ugualmente semplici da padroneggiare, difficilmente esistono pianeti privi di un'atmosfera e di venti o di particelle di acqua dentro di essa; una volta che si ha l'acqua poi, chi ha le doti deve solo ghiacciarla. »

« Detta così suona molto banale. »

Notò lei con aria un po' divertita ed Eyner sorrise storto:

« Solo in teoria. Beh, se poi provi ad adoperarli tutti e quattro, la questione diventa ancora più complicata. »

Lei annuì in silenzio.

« Non dire a Pai che l'ho messa giù così facile. »

Provò a scherzare e ottenne solo un lieve alleggerimento dell'umore di lei. Sospirò per l'ennesima volta e riprese, camminando di nuovo lungo il perimetro del prato:

« Manovrare le piante e crearle è difficilissimo, ma è una questione genetica; nascono pochissime persone in grado di usare quest'abilità, e le tecniche per adoperarla al meglio si sono perse negli anni. »

« Quindi Taruto e Sando sono particolari. »

« Gli unici due delle loro generazioni, che io sappia. – confermò il bruno – È una fortuna che Taruto sia vissuto così vicino a qualcuno che potesse prenderlo come allievo, il senpai ha dovuto allenarsi parecchio e da solo, non è stato facile. »

« Fammi indovinare – fece con una punta d'ironia lei – metà delle sue capacità è istinto per attaccare briga? »

Ad Eyner venne da ridere, ma era teso e gli uscì uno strano singulto di naso:

« Più o meno. Quasi come la senpai. »

Zakuro lo studiò confusa:

« MoiMoi-san e Sando non hanno lo stesso potere? »

« No, manovrare la terra è diverso. »

S'interruppe un istante. Avevano quasi raggiunto la fine dello spiazzo e il bruno restò a studiare sovrappensiero un piccolo gruppo di cadetti, forse sui dieci o undici anni, intenti più a giocare che ad esercitarsi.

« Quasi tutti noi nasciamo in grado di manovrare rocce e terreno, ma quasi nessuno sviluppa la dote. Se non erro, la senpai è la prima da almeno trent'anni. »

« Si può non sviluppare un potere innato? »

Eyner scrollò le spalle:

« Se non lo si allena, crescendo sì.

« Una volta qualcuno mi disse che il principio di chi manovra la terra è "accettare". Ciò che viene genericamente chiamato "terra" o "roccia" è un miscuglio di sostante diverse non solo da pianeta a pianeta, ma anche da continente a continente e perfino tra zone distanti poche centinaia di metri. Riuscire ad utilizzare come arma una cosa così variegata e complessa richiede un'indole capace di accettare ogni cosa ci si trovi di fronte, esattamente com'è. »

« Suona molto zen. »

Eyner si passò una mano sulla fronte ridendo stentato:

« Trovi anche tu? »

« È proprio come MoiMoi-san. »

Sorrise discreta ed Eyner ricambiò con aria affettuosa.  Rimasero in silenzio per un po', osservando senza vederli veramente i soldati che iniziavano a ripetere sequenze di gruppo sempre più numerose, appoggiati alla ringhiera che circondava il prato.

« Acqua, ghiaccio, fulmini, vento, terra, piante. »

Elencò la mora e tornò a guardarlo allusiva. Eyner sospirò ancora, cacciando la testa indietro:

« Fuoco. »

« Quello in natura non si trova. »

« Direi che è più simile al potere di Taruto e del senpai – ammise lui piano – creare qualcosa dal niente, o quasi; inoltre, riflette molto non solo l'allenamento, ma anche il proprio stato d'animo. Pochi lo possiedono, e quasi nessuno lo allena. »

Il jitte ricomparve nella sua mano destra e il ragazzo lo roteò distrattamente in tondo, fissandone la cima come incantato.

« Ero già grandicello quando ho creato una fiamma per la prima volta. Sapevo che nessuno all'Accademia era in grado di farlo, nemmeno tra i miei superiori, e ne fui subito orgoglioso. »

Dimenò la lama in avanti affondando nell'aria e tornò a guardarla assorto.

« Mi allenavo da solo, gli ufficiali non avevano idea fino a che punto mi spingessi o cosa fossi in grado effettivamente di fare o controllare; devo ammetterlo, ero bravino, ma non pensavo minimamente a cosa davvero stessi facendo.

« Un ragazzino ci mette poco a montarsi la testa.

« Divenni superbo. Incauto. Non avevo un vero controllo sul mio fuoco, e a nessuno sembrava importare granchè. »

Concluse per un minuto e fece scomparire il jitte con una smorfia.

« La prima volta che mi mandarono in battaglia avevo appena compiuto tredici anni. Puzzavo ancora di latte, e non avevo la minima concezione che chi stavo affrontando fossero persone che respiravano ed erano vive, non chimeri che si limitavano a disfarsi per poi ricomporsi su una nuova vittima. »

Tacque ancora per qualche minuto, il capo chino e i pugni serrati sulla ringhiera. Zakuro non disse niente, né per farlo smettere né perché continuasse; aveva l'impressione di aver aperto una porta che Eyner avrebbe voluto sigillare, ma ormai era tardi per non fare uscire il suo contenuto.

Eyner si guardò le mani e provò una fitta di disgusto ben nota, che sperava di aver dimenticato.

« Non li vedevo nemmeno in faccia. »

« In battaglia un soldato uccide. »

Puntualizzò Zakuro con tono grave, quasi sussurrando. Eyner fece un sorriso triste:

« Non così. »

La mewwolf fu tentata di dirgli di lasciar perdere, come la sera precedente, invece rimase zitta.

« Ero un moccioso arrogante che si credeva invincibile. Credevo di avere un potere che fosse come una qualunque spada, o una pistola, inutile se non ero io a comandarlo. »

« Invece è parte di te. »

La fissò un istante e Zakuro si passò istintivamente una mano sull'ombelico:

« Credo di poter capire. Quando combatto mi spunta una coda. – aggiunse con una punta di amarezza – Il lupo è parte di me… E non solo fisicamente. »

Eyner sorrise un poco. Tornò a perdersi nei suoi pensieri, e Zakuro giurò di vedere sul suo viso ombre di tristezza e vergogna.
« Mio padre morì poco prima che nascesse Sury. Avevo sedici anni. »
Disse di colpo, e la mora si fece ancora più silenziosa, fissandolo intensamente.
« Fu improvviso, si ammalò così, di botto. Non facemmo nemmeno in tempo a renderci conto, a entrare nell'ottica che se ne sarebbe andato. Poco meno di un mese, e… Non c'era più. »

Inspirò a fondo, era chiaro che gli costasse fatica:

« Ero arrabbiato, triste, e frustrato. Ce l'avevo con mio padre che se n'era andato, con mia madre che era incinta, con il mondo intero.

« Ero solo un adolescente viziato, e per giunta pericoloso. »

Tacque ancora. Zakuro non si mosse, studiandolo imperscrutabile, ed Eyner ebbe l'impressione che fosse in grado di leggere ogni pensiero che gli passasse per la testa.

« Fui più volte sospeso perché, in allenamento, iniziai a sfogarmi sui miei compagni; ci furono anche conseguenze pesanti… »

Non terminò e contrasse la mascella:

« Ma i superiori preferivano quello, che cacciarmi. Gli servivo. »

Fece amaro. Inspirò per calmarsi e rilassò i palmi sulla balaustra, abbassando ancora la voce:

« Doveva… Essere un anno e mezzo dopo che era nata Sury, più o meno.

« Non parlavo quasi più con mia madre, e la vedevo poco; ogni volta che ero a casa lei era appiccicata a mia sorella, e io le scagliavo addosso le parole peggiori. Eppure… Mi voleva bene comunque. Non sembrava importargliene molto. Né a Sury, che già allora mi seguiva gattonando per tutta casa. »

Zakuro lo vide sorridere nostalgico e malinconico, fermandosi e riprendendo di nuovo:

« Una sera rientrai, sospeso per due settimane perché avevo quasi dato fuoco ad un membro della mia truppa. C'era freddo… Mia madre era fuori, al controllo dei sistemi di riscaldamento.

« Sury piangeva come un'ossessa, aveva troppo freddo. Io pur di farla stare zitta me la misi in letto, anche se con fastidio… »

Sospese la frase e si morse il labbro nervoso.

« Credo… Di aver avuto un incubo. Non ricordo. – borbottò – So solo che di colpo mi sono svegliato, con Sury che strillava disperata e il mio letto che bruciava. »

Osò sollevare lo sguardo verso la mewwolf, seppur piano in modo esasperante. Lei non aveva cambiato espressione, ma lui lesse nei suoi occhi uno stupore che non seppe calcolare, e gli si strinsero le viscere.

« Allora… Solo allora capii cosa potevo fare, e me ne spaventai a morte. »

Zakuro persisteva nel mutismo, e il suo viso divenne più malinconico.

« Io… Non sono come Pai. O i senpai. Non sono diventato forte e controllato perché ne ero in grado. Sono diventato forte perché ero terrorizzato da me stesso: avevo paura per mia madre e mia sorella, avevo paura perfino di addormentarmi. Sarei potuto morire carbonizzato da solo, e per colpa mia. »

Sorrise amaro e la guardò:

« Con Toyu, dopo tanto tempo… Ho perso la padronanza sul fuoco, e ora… La cosa mi spaventa. Non posso non avere il controllo, non adesso. Non contro di loro. Ma più mi sforzo, e più mi blocco. »

Lei non rispose ancora.

« Puoi ridere, non mi offendo. »

« Cosa? »

« Sono penoso. »

« Non penserei mai una cosa simile. »

Replicò sottovoce, quasi offesa. Eyner ridacchiò aspro:

« Tu non sei debole come me. »

Si sentì l'uomo più piccolo e misero del mondo. La sagoma indomita della mewlupo gli invase tutto il campo visivo e pensò di apparire un povero bugiardo, un vigliacco, e non si sarebbe stupito se lei avesse girato i tacchi scomparendo dalla sua vista, o quantomeno lo avesse strigliato perché si ricomponesse.

« Anche io ho avuto paura. »

Eyner spalancò gli occhi studiandola, incerto se avesse sentito bene. Zakuro ricambiò l'occhiata, ferma, eppure con voce lieve e sguardo tremulo:

« Un giorno, ho visto una luce… E mi sono risvegliata con uno strano simbolo sulla pancia. Con strani poteri.

« Ho avuto paura. Ho continuato ad avere paura, sempre. Anche se mi ero decisa a combattere. Non sapevo niente di quello che mi stava succedendo, non sapevo cosa fossero i mostri che vedevo.

« Ho deciso di affrontarli, solo questo. »

Alzò lo sguardo verso la seconda cupola, gemella a quella del cortile principale, sovrastante il cortile:

« Credevo di poter lottare da sola, ne sono stata convinta per così tanto tempo, che nell'istante in cui ho avuto delle compagne, tante volte… Ho preferito metterle alla prova, più che fidarmi di loro. »

Ricordò quella lotta con Minto in mezzo agli acquitrini(*), anni prima, il male che aveva causato alla morettina e la fiducia che aveva perduto verso le compagne, e strinse un poco le labbra:

« Ho fatto davvero fatica a capire ed ammettere il mio errore. Ci vuole molta più forza in questo, che per affrontare il nemico. »

Concluse con più decisione e gli concesse un sorriso:

« Non sei debole. Sei la persona più forte che conosca. »

Eyner rimase immobile e alla fine fece uno strano sorriso impacciato:

« Era un complimento? »

Zakuro alzò le spalle con aria maliziosa:

« Denunciami. »

Lui rise abbandonando la testa in basso, il sollievo dipinto in faccia:

« Hai un futuro da psicologa. »

« Siamo ancora in fase di rodaggio con te, invece, come complimenti vero? »

Il bruno rise più forte vedendola studiarlo divertita e le accarezzò una guancia:

« Dovrò fare allenamento. »

Zakuro sorrise più dolce ed Eyner si obbligò calma, tirarla a sé e baciarla contento non era un'idea eccezionale di fronte a tutti i presenti a Palazzo; almeno, senza essere discreti.

Accennò appena a chinarsi verso di lei quando un tossicchiare familiare lo riscosse, gelandogli il sangue.

« Scusate se m'intrometto. »

Il sorrisino di Kisshu non lasciò dubbi al bruno, che trattenne un gemito. Aveva visto tutto la scena.

« Stanno chiedendo di te di là, capitano, se potessi… »

« Ho capito, ho capito. – lo interruppe immediatamente Eyner già irritato dal suo tono sarcastico – Vengo. »

« Con comodo. »

Trucidò Kisshu per l'atroce doppio senso – c'era, sì che c'era! Glielo leggeva in quella faccia da bambino di due anni – fece un cenno veloce a Zakuro e si allontanò seguito dal verde, che salutò la mora con aria beatamente innocente.

Eyner sospirò pesantemente sentendolo trottare alle sue spalle giulivo.

E ora chi lo zittisce più?

 

 

***

 

 

MoiMoi gemette deluso, fissando il proprio monitor che dava notizie:

« Ne ha già individuato un altro?! »

« Sarò poco furbo, ma questa non dovrebbe essere una bella notizia? »

MoiMoi gonfiò le guance sbuffando:

« Lo so… Ma avevo promesso alle ragazze e agli altri che si sarebbero potuti riposare un po'… »

Sando sospirò e gli sorrise un poco.

« Non abbiamo certo tempo per riposarci. – puntualizzò Pai spiccio – Grazie alla decisione di Zakuro la zona morta è retrocessa a limiti tollerabili senza più avanzare, ma non abbiamo idea di quanto tempo rimarrà così. »

MoiMoi lo guardò storto:

« Poi ti chiedi perché non hai una ragazza…! »

« Io non mi chiedo proprio niente. »

Ribattè lapidario e il violetto lo scrutò male. Di recente, l'inflessibilità – e la cecità – del suo kohai lo irritavano molto, sperava di potergli dare presto modo di rimettersi in carreggiata o almeno di darsi una svegliata, prima che provvedesse a farlo lui con un masso in testa.

« Ad ogni buon conto registro un'anomala espansione del campo energetico – continuò il moro – c'è un 90% di possibilità si tratti di una distorsione dimensionale; occorrerà ancora qualche giorno per stabilizzarlo e valutare che sia tutto sicuro dall'altra parte. Non voglio ripetere l'ultima esperienza. »

MoiMoi annuì, per lo meno su quel punto aveva ragione.

Chissà, forse sarebbe stato fortunato e avrebbe scoperto cose interessanti.

La calma del laboratorio fu interrotta da un allegro motivetto elettronico. MoiMoi impiegò una manciata di secondi a connettere che si trattava del suo cellulare – riavuto da Zakuro in cambio del suo, nuovo fiammante realizzato a tempo record da Kiddan – che aveva ricevuto un messaggino. Avvertì l'irritazione di Pai anche senza guardarlo:

« Che cos'è? »

« Ne hai uno anche tu se non sbaglio. »

« Sì, ma io non ho motivo di usarlo. »

Puntualizzò vedendolo digitare furiosamente sulla tastiera, come se fosse ovvio che qualunque cosa stesse facendo il suo senpai era, di certo, uno spreco di tempo a cui lui non avrebbe mai ceduto.

Sando guardò in un misto di ammirazione e ansia il violetto digitare come un forsennato:

« Ma che combini? »

« Rispondo ad un messaggino. »

« Kami-sama, devi passare meno tempo al Caffè, ti stai intossicando! – lo rimproverò il moro – Sembri quasi un'umana. »

« Dovrebbe essere un insulto? »

Lo fulminò malamente e inviò. Dopo poco gli arrivò la nuova risposta e sorrise con aria furbetta:

« Vabbè, Pai-chan, ascolta. Raccogli tutto, portiamo immediatamente queste cose a Ryou-chan e Akasaka. »

Il moro lo studiò scettico e MoiMoi insisté con aria smagliante:

« Così anche le ragazze si prepareranno psicologicamente. »

L'altro non smise di fissarlo per nulla convinto e lasciò sospirando la tastiera:

« Forse dovrei preoccuparmi di più dei tuoi sbalzi d'umore. »

 

 

***

 

 

Le ragazze stavano riassettando il Cafè appena giunta la chiusura e salutarono in coro MoiMoi, comparso improvvisamente assieme a Pai; lì per lì si allarmarono, dopo alcuni giorni tranquilli senza particolari notizie da Jeweliria, ma il violetto le rassicurò subito e si mise a parlottare con Keiichiro e Ryou, incurante che sulla fronte di Pai fosse incisa a chiare lettere la domanda su perché fosse dovuto andare anche lui, e l'inutilità della cosa.

Il moro diede rapidamente segni di impazienza e fastidio, la fronte aggrottata, e iniziò a sospettare che il suo senpai volesse solo fargli un dispetto, sebbene non capisse perché. Vagò con gli occhi per il locale in cerca di qualsiasi cosa potesse distrarre la sua attenzione dal desiderio di fulminare MoiMoi tra capo e collo, e non si spiegò perché colse subito due ciuffi verdi che trottavano fuori dalla cucina. Retasu incrociò il suo sguardo e lui le fece un cenno lieve, sorprendendosi quando la vide abbassare di colpo la testa mogia e ricambiare fissandosi le dita che si trastullavano con il vassoio vuoto.

Si era aspettato che la mewfocena cambiasse atteggiamento nei suoi confronti o fosse a disagio dopo la chiacchierata – se aveva il coraggio di definirla tale – fatta prima del rapimenti di Zakuro.

Ma nell'immediato futuro. Non dopo tre settimane.

Specie se in quelle tre settimane lei si era dimostrata sorridente e gentile come sempre.

Retasu raccolse i bicchieri e le coppette vuote da un tavolo, cercando in ogni modo di concentrarsi e di non girarsi verso Pai, cosa che pareva impossibile e che, ogni volta, la costringeva a bloccare la testa a metà percorso riabbassandola in fretta. Il cellulare suonò in suo soccorso e lei rispose farfugliando, sollevata di avere una scusa per dare la schiena al moro. Pai la sentì chiamare il nome di quell'umana dai capelli rossi che aveva la strana abitudine di abbracciare la mewfocena – in modo abbastanza ambiguo, doveva dirlo – poi la verde di nuovo a disagio scappò in un'altra ala del locale. Il ragazzo alzò un sopracciglio confuso:

« È strana, davvero… »

« Che dici Pai-chan? »

« Ho detto, quanto ci metti ancora? »

« Dai rilassati, non ti fa bene essere sempre così nervoso! »

Le parole di MoiMoi non lo blandirono e una venuzza d'irritazione gli pulsò sulla tempia, specie quando si rese conto che il violetto aveva in mano lo stramaledetto cellulare.

Il moro non prestò attenzione al tintinnio dell'ingresso né alle chiacchiere delle terrestri finché Ayumi – della serie parlare del Diavolo – sbucò vicino a lui abbarbicandosi a MoiMoi stile lucertola su un muro.

La sua doveva essere una qualche strana mania recidiva.

« Come stai MoiMoi-san? »

« Bene, benissimo. »

Ridacchiò e i due si scambiarono un'occhiatina complice che a Pai non piacque affatto:

« Non dirmi che mi hai trascinato qui solo perché volevi fare comunella. »

Sibilò minaccioso e il suo senpai ridacchiò dicendogli che stava farneticando, ma intanto seguì Ayumi negli spogliatoi delle ragazze. Pai fu seriamente tentato di prendere il ventaglio e riportare MoiMoi a casa di peso, sotto forma di cubetto di ghiaccio.

« Una nuova dimensione, uh? »

Il moro si sforzò di concentrare le sue attenzioni sulla domanda di Ryou e non sui giri mentali insensati di MoiMoi, inspirò a fondo e annuì:

« Per il momento il passaggio è fermo. Provvederemo subito a bloccarlo, in ogni caso, e poi manderemo delle sonde esplorative che valutino a fondo clima, pericoli e altro. »

Il biondo fece un cenno d'assenso poco entusiasta.

« Se dovrò muovermi sulle mie gambe, mi piacerebbe saperlo prima di piombare in una giungla, stavolta. »

« Se fosse possibile, eviterei anche di precipitare. »

Puntualizzò asprigno l'americano e i due si fissarono in silenzio. Keiichiro li vide e stese un sorrisetto rassegnato, probabilmente l'acido scambio di convenevoli e battutine antipatiche sarebbe stato il massimo di tolleranza raggiungibile tra il suo protetto e l'alieno moro; erano troppo simili per andare d'accordo, e troppo testardi per ammettere e sopportare uno l'intelligenza dell'altro.

I due rimasero a squadrarsi un paio di minuti. Pai sentì distrattamente le voci di MoiMoi e dell'umana avvicinarsi alla sala e delle esclamazioni da parte delle altre ragazze, finché Ichigo non proruppe a dieci centimetri dal suo sensibile orecchio crivellandoglielo con un gridolino:

« Retasu, ma sei fantastica! »

La verde sorrise appena in imbarazzo, diventando più rossa ad ogni commento positivo delle ragazze e di Ryou – che aveva deciso di aver dedicato già fin troppa attenzione a Pai – da cui venne pressoché circondata.

« Ammettiamolo – fece Ayumi trionfante prendendosi il mento tra le dita – ho un gusto favoloso. »

« Hai certamente azzeccato. »

« Ryou-chan, non sforzarti troppo, eh? »

MoiMoi lo guardò divertito e il biondo ricambiò sornione:

« Davvero. – poi si girò verso la verde – Stai davvero bene. »

Lei giocò nervosamente con gli occhiali e ringraziò piano.

Era raro vedere addosso a Retasu delle camice, ad esclusione della divisa scolastica, sosteneva le risultassero volgari addosso perché, per la maggior parte, facevano difetto sul davanti; la camiciola bianca che invece le ragazze l'avevano convinta a comprare  era morbida, forse un poco più scollata di quanto fosse abituata, eppure elegante e le scendeva addosso senza tirare da nessuna parte, né ammucchiarsi. La mewfocena la teneva sblusata dentro una gonna scura, a vita alta, che finiva magari un po' più sopra il ginocchio dei suoi standard, ma evidenziava le gambe chiare – le ragioni più lampanti della sua altezza, un bel paio di ragioni – slanciate dal tacchetto basso delle scarpe crema. Con qualche sotterfugio l'avevano convinta a disfarsi delle sue amate trecce e a legarsi i lunghi capelli in una coda, tenuta leggermente di lato e che scendeva lungo la schiena con onde ampie e morbide, sapientemente acconciate dalle mani delle amiche.

Retasu era davvero bella con quel look, appariva adulta ed raffinata, e MoiMoi vide con un ghigno di malevolo compiacimento che non erano solo lui e le amiche della ragazza a pensarlo.

Pai non riuscì a scostare l'attenzione dalla verde; le braccia conserte e il volto all'improvviso disteso la fissava senza bene comprenderne la ragione, ma incapace di distoglierla, sorpreso di come l'immagine della ragazzina che aveva nella memoria fosse stata spazzata via di colpo da una più matura e quasi altrettanto, se non di più, piacevole.

Connesse i suoi pensieri un istante prima che Retasu  si voltasse nella sua direzione, e scosse la testa. Era diventato scemo?

Sospirò, non aveva motivo di irritarsi, non c'era alcun significato recondito nelle sue riflessioni. Era un uomo, e checché ne dicesse Kisshu i suoi occhi funzionavano e bene, era in grado di riconoscere una persona attraente, ancor più una ragazza, e non aveva bisogno per un simile motivo di ricamare troppo sulla questione.

« Sei davvero affascinante Retasu-san. »

Sorrise cordiale Keiichiro e poi spostò l'attenzione su Ayumi, pure lei in ghingheri:

« Andate da qualche parte in particolare? »

Ayumi mise su un sogghigno da diavoletto:

« Porto Reta-chan ad incontrare qualche bel ragazzo. »

MoiMoi scorse soddisfatto l'impercettibile irrigidirsi delle spalle di Pai e incrociò le braccia dietro la schiena gongolando.

« Alla fine ti ha convinta? »

Domandò Ryou divertito e Retasu abbassò il capo:

« È… Solo un'uscita di gruppo, nulla di particolare… »

Ma dalla faccia violacea della ragazza la cosa appariva particolare eccome. Quantomeno, molto meno innocente di quanto volesse dare a vedere la verde.

« Prometto di riportarla solo dopo che avrà rimorchiato almeno due  bei giovanotti. »

« Ayu-chan!!! »

La rossa non si curò dell'infarto in corso provocato all'amica, la prese sottobraccio e la trascinò via salutando giuliva tutti i presenti. MoiMoi si unì ai saluti con espressione innocente, la coda dell'occhio sempre puntata su Pai che, silenzioso come una tomba, appariva chiaramente seccato; il violetto sospettò che metà del nervosismo fosse dovuto al fatto che Pai non capisse il perché di quello stesso nervosismo, ma anche così la situazione gli lasciava parecchie soddisfazioni.

« Lo avete pianificato? »

MoiMoi guardò Zakuro senza smettere di sorridere.

« Tu e Ayumi. »

« Non ho idea di cosa tu stia parlando Zakuro-chan. »

« Sei terribile. »

« La strada per la consapevolezza inizia con un piccolo indizio. »

Disse il violetto filosofico e mostrò un sorriso a trentadue denti, incitando Pai a tornare a casa avendo concluso il loro compito. Il moro lo seguì trincerato nel silenzio, irritato come non mai senza sapere bene perché.

 

 

***

 

 

Era la prima volta che Retasu partecipava ad un appuntamento di gruppo.

Come aveva temuto, fu un discreto trauma.

Si incontrarono con Moe, Miwa e i quattro ragazzi in una piccola tavola calda della zona; lì per lì non fu così difficile, pochi cenni e convenevoli, tutti seduti ad ordinare un boccone, e velocemente le presentazioni. Appena si fu rotto il ghiaccio con qualche sorso di the d'orzo e un paio di patatine, uno dei ragazzi – un brunetto dall'aria vivace che doveva avere all'incirca l'età di Retasu – attaccò a mitragliare tutte le presenti di domande. Che scuola facessero, di che anno fossero, che musica ascoltassero, che film li piacessero, cosa facessero nel tempo libero, e ogni declinazione che poteva portare ad un avvicinamento tra lui e una delle papabili ragazze.

Era normale, ma Retasu non era in grado di far fronte ad una mole simile di interrogativi personali, soprattutto di fronte al sorriso e alla spigliatezza del ragazzo che la metteva ancor più a disagio, spalleggiato dal moro al suo fianco che, sebbene parlasse meno, doveva aver scannerizzato lei, Moe e Ayumi almeno una decina di volte da quando si erano incontrati, e da un biondo – evidentemente ossigenato – che aveva perso la testa per Miwa appena arrivato e interrompeva in continuazione il compagno, nel tentativo di porre l'accento della conversazione sulla ragazza.

Per sollievo della verde presto i ragazzi persero del tutto interesse nei suoi confronti, più intrigati dalle altre, e lei potè rilassarsi e godersi il pomeriggio come un'uscita come tante altre con le sue amiche; certo, un pochino si sentì esclusa, ma immaginò fosse inevitabile vista la natura dell'incontro e prese la cosa con filosofia.

Dopo aver mangiato qualcosa ed aver passeggiato per un po' andarono al karaoke. Retasu non era eccellente a cantare, ma si divertì lo stesso vedendo gli altri gracchiare al microfono e ridere come matti. Restò nella sala finché non scorse con la coda dell'occhio Ayumi parlottare fitto fitto con il brunetto allegro, e visto che Moe era parecchio affascinata da come l'altro ragazzo, quello moro, cantasse con enfasi un pochino troppo pronunciata una ballad parecchio melensa storpiando totalmente l'inglese, sotto gli applausi di Miwa e dell'amico ossigenato, Retasu decise che era il momento di salutare.

Alla chetichella, approfittando del fracasso che rimbombava nella piccola stanza, la mewfocena sgusciò fuori nella tranquillità del corridoio e inspirò a fondo, era sopravvissuta. Frugò in borsa in cerca del cellulare, avrebbe almeno mandato un messaggio ad Ayumi dicendole che tornava a casa; iniziò a digitare camminando e per poco non franò addosso a qualcuno in piedi subito fuori dalla porta.

« Mi scusi, ero distratt… Oh? »

« Oh. Ciao. »

La verde si riassestò gli occhiali e mise il cellulare in borsa lasciando il messaggio a metà. Aveva urtato contro il quarto ragazzo del gruppetto, che a dire la verità non aveva spiccato molto nella confusione; era rimasto sempre in disparte parlando poco, e Retasu con vergogna si accorse di aver quasi dimenticato la sua presenza e non aver notato che avesse lasciato la sala.

Lui la guardò in silenzio, la indicò e mandò qualche monosillabo stringendo gli occhi e schioccando le dita, nel tentativo di ricordare:

« Mi… Midorikawa-san, giusto? Primo anno. »

« Midorikawa Retasu. »

Annuì lei e il suo sorriso tentennò, non ricordava minimamente il suo nome:

« Ehm, ecco… »

« Koichi Nakayama. – rispose con un sorrisetto – Terzo anno. Tranquilla, dopo una volta uno si scorda. »

Retasu fece una risatina forzata e chinò il capo in segno di saluto.

« Sei fuggita anche tu, uh? »

« Cantare non è la mia aspirazione. »

Ammise un po' a disagio e lui la guardò serissimo:

« Io sono stonato come una campana, ma si vede che sono l'unico dei miei amici ad avere la decenza di non mostrarlo in pubblico. »

Lo disse con una tale naturalezza che la verde scoppiò a ridere, rilassandosi di colpo dopo la presentazione stentata e la soggezione di trovarsi di fronte ad un senpai.

« Era il tuo primo appuntamento di gruppo? »

« È così evidente? »

Domandò timidamente e lui rise piano:

« Intuizione. »

Lei gli concesse un sorriso più energico e Koichi si massaggiò il collo:

« Come prima esperienza deve essere stata traumatica, mi scuso per i due deficienti – fece con tono mortificato indicando la sala da cui provenivano i lamenti dei compagni – Yamada-kun e Saito-kun dimenticano di colpo di aver mai visto una ragazza a simili uscire, e Maeda-kun fa domande così a nastro da esser peggio di un trapano nelle tempie. »

« No, no! – lo rassicurò lei – È stato divertente. »

Koichi la studiò divertito e scettico.

« Un po' imbarazzante. »

« Ah ecco. »

A Retasu venne di nuovo da ridacchiare.

« Come ti hanno trascinata…? »

« Dovevo un favore ad un'amica. »

Per così dire, si disse.

« Colpito e affondato. – replicò lui lasciando cadere teatrale le braccia lungo i fianchi – Mai arrivare impreparato al compito di giapponese e farsi passare le risposte. È un'arma letale. »

Retasu si coprì la bocca con le dita soffocando un'altra risata, nel timore di sembrare una sciocca con la ridarella, ma Koichi apparve soddisfatto e la seguì con fare distratto mentre lei si avviava all'uscita. Presero a chiacchierare senza troppi pensieri, un po' come sarebbe dovuto succedere nel pomeriggio, ma sia lei che Koichi furono più a loro agio con quei pochi passi casuali che seduti ad un tavolo con attorno coetanei alla smaniosa ricerca di un fidanzato o di una nuova uscita.

Retasu lo studiò di sottecchi. Koichi la superava di almeno una spanna e non riusciva a domandarsi come non si fosse accorta fino a quel momento della sua presenza; certo, aveva modi discreti, sia quando camminava, sia quando parlava, o muoveva le mani risultava sempre misurato – a differenza dei suoi amici che invece si agitavano come bambini dell'asilo – e da buon giapponese non aveva un fisico particolarmente prestante, anche se appariva in forma e ben fatto. Aveva i capelli castano chiaro scalati sul collo, appena più lunghi, e una frangia scombinata da cui le sorridevano due occhi di un tono più scuro. Neppure i suoi abiti, per quanto curati, avevano granchè di particolare, comuni jeans blu slavato e una t-shirt nera morbida che si combinava coi polsini. Retasu rimase comunque sorpresa di non aver focalizzato la sua immagine in tutto il pomeriggio, perché Koichi era davvero un bel ragazzo.

Un ragazzo bello e normale.

Cercò di ignorare quel pensiero, e soprattutto il suo perché.

Koichi l'accompagnò fino all'uscita, che Retasu non varcò restando a poca distanza a parlare con lui. La conversazione era trascinata quasi solo dal bruno ed era unicamente su cose banali come la scuola e gli amici che li avevano trascinati lì, ma la verde lo assecondò colpita da come lui le lasciasse tutto il tempo e lo spazio per rispondere, che fosse solo un cenno o un monosillabo; a poco a poco Retasu iniziò a partecipare attivamente e non si accorse di quanto si fosse trattenuta con Koichi fino allo scadere dell'ora pagata al karaoke, cioè quando Ayumi e gli altri uscirono dalla stanza.

La mewfocena giocò un po' a disagio con gli occhiali, avevano parlato per almeno quarantacinque minuti e non se n'era resa conto.

« Credo che mi tocchi andare. »

Sospirò Koichi fissando rassegnato i suoi compari che apparivano particolarmente agitati per la fine dell'evento.

« Meglio raccoglierli prima che dicano qualcosa di imbarazzante. »

Retasu sorrise appena; lo salutò guardandolo andare dai suoi amici e sgusciò fuori prima che le ragazze la vedessero, dimentica di non aver inviato il messaggio in cui diceva di andare via.

Se ne accorse a metà strada da casa quando la suoneria l'avvertì di un nuovo messaggio.

All'inizio pensò si trattasse delle proteste di Ayumi per essere scomparsa, all'apparenza, senza una parola, ma vide che il numero sul display non era memorizzato.

 

FROM: kogoran@atom86         

Ho chiesto il tuo numero alla tua amica dai capelli rossi.

Scusa >.< "!

Volevo ringraziarti, oggi almeno non ho sprecato un pomeriggio ;)

Mi piacerebbe parlare di nuovo con te.

Quando ci possiamo rivedere?

 

 

 

***

 

 

« Devo venire proprio? »

« Non fare domande sciocche – lo rimproverò Pai – l'ordine di stilare rapporto non è un suggerimento. E non siamo nella situazione di poter svicolare, non dopo le ultime settimane. »

Taruto sbuffò e si massaggiò la nuca. Sapeva bene che Pai aveva ragione, ma non aveva gran voglia di assecondarlo; escludendo la noia del rapporto a voce al loro diretto superiore in comando, per cui non bastava riportare i fatti, ma si doveva anche mantenere un certo tono e vocabolario che a lui faceva venire sonno anche solo pronunciandolo, Pai era di quell'umore per cui bisognava mantenere una distanza di sicurezza: dal pomeriggio precedente era rientrato con una faccia parecchio irritata e figurarsi se uno solo di loro fosse riuscito a capirne il motivo, eppure la cosa doveva essere stata grave perché non aveva smesso di aggrottare la fronte per tutta la sera e nemmeno la mattina.

Il brunetto sospirò, sperando di impiegare poco tempo e lasciare Pai alle sue ricerche e alla compagnia di MoiMoi e Sando, lui non aveva davvero voglia di sorbirselo.

Voltarono per raggiungere le sedi ufficiali del comando e Taruto si fermò di colpo, accigliandosi. Magra consolazione che la reazione di Pai fosse identica, si sapeva bene che alla vista della mora lui prendeva automaticamente a ringhiare.

« Buongiorno. »

« Buongiorno un corno. »

Sbottò il brunetto puntando il dito contro Lenatheri che roteò gli occhi condiscendente:

« Ora mi fate la guerra in due? »

« Che stupidaggine. »

Sentenziò duro Pai e studiò sorpreso il fratello, che invece insisté arrabbiato:

« Voglio sapere cosa accidenti hai detto a Retasu-san. »

La mora sbuffò e rise a mezza bocca:

« Ancora con quella scemenza? »

« Scemenza un cavolo! – berciò – Ti conosco, so quanto sai essere stronza a gratis. »

« Dovresti lavarti la bocca con il sapone. »

Ribattè lei tranquillissima con un lieve sorriso. Pai si accigliò di nuovo, faticando a seguire il discorso:

« Di cosa stai parlando? »

Lena irrigidì appena le spalle infastidita dell'intervento del moro e Taruto la indicò spalancando i palmi delle mani:

« L'altro ieri questa ha parlato con Retasu-san, stava venendo da te… Non so che le abbia detto, ma è scappata a gambe levate e sono quasi sicuro stesse per piangere. »

« Povera creatura! »

Sputò Lena con voce un poco stridula e si morse l'interno della guancia, la faccia scioccata e via via sempre più cupa di Pai non le piacque per nulla.

« Retasu-san non me la voluto dire cosa le hai detto – brontolò Taruto minaccioso – mi ha fatto dei discorsi assurdi… »

S'interruppe scorgendo Pai voltarsi e puntare in avanti in modo da fissare Lena dritta negli occhi:

« Cosa le hai detto? »

« Ma come siamo protettivi tutti quanti. »

Sibilò acida e si sforzò di mantenere un'espressione calma e divertita nonostante la morsa alla gola.

« Cosa le hai detto, Inetaki. »

« Insomma, quante storie…! L'ho solo punzecchiata un po', con quel faccino ingenuo non ho resistito. »

« Io l'ho detto che sei stronza. »

« Forse invece è la tua nuova sorellona ad essere delicatina? – fece lei sprezzante – Che caruccio questo cavalier servente. »

« Inetaki, vedi di chiudere la bocca. »

Prima che Taruto le si avventasse contro Pai lo fermò con un braccio. Lena avvertì le sue brucianti iridi ametista scrutarla severe e si passò nervosa un ciuffo dietro l'orecchio:

« L'ho presa solo un po' in giro. – ripetè con meno astio – E ho detto la verità. Lei e quelle terrestri ci staranno anche aiutando, ma sono un problema non da poco. »

« Dici solo un sacco di cretinate! »

« Non ero io quella sbattuta in cella per due settimane. »

« Ci finirai tu in cella più veloce di un galoppino, tenente, e di rigore – annunciò Pai funereo – se non impari a darti una regolata con le parole.

« L'alleanza con le terrestri non è affar tuo; se ci sono problemi, gli unici occupati a gestirli siamo noi. »

Lena lo scrutò torva provando per una frazione di secondo compassione per quelle ragazze, Pai analizzava tutto con il distacco di un robot.

« Inoltre ti ricordo che sono sotto la protezione del Consiglio Maggiore. »

« Non l'ho mica picchiata! – rise lei sdegnosa – Taruto testimone, le ho solo dato un paio di pacchette amichevoli sulla spalla. Penso possa sopravvivere. »

Si girò pronta ad andarsene ma Pai la riagguantò per un polso. Lui non aveva cambiato espressione, ma a Lena non sfuggì la ruga di rabbia che gli attraversava la fronte né il suo tono decisamente seccato:

« Le tue antipatie tienile per te. Non m'interessa cosa ti infastidisca di lei, ma l'hai già fatto un paio di volte, e sempre a Retasu. »

Lena scostò il braccio ricambiando la sua occhiata astiosa, ormai stava mordendo così forte l'interno della guancia che il sapore metallico del sangue era in tutta la bocca.

« Vedi bene di lasciare in pace quella ragazza, mi sono spiegato? »

« Agli ordini, colonnello. »

Ostentò un battito di tacchi irritante e se ne andò a passo di marcia mugugnando tra i denti; Pai sbuffò forte, ricomponendosi, e riprese a camminare come se non fosse successo niente.

Taruto lo seguì senza una parola, soddisfatto della strigliata che quell'insopportabile di Lena si era dovuta sorbire, ma non si toglieva di dosso la sensazione che la reazione di Pai fosse stata un po' troppo sentita. Scosse le spalle, non era una novità che il moro non tollerasse la presenza della ragazza, e tornò a concentrarsi sul suo prossimo urgente problema senza porsi ulteriori domande sull'irritabilità fraterna.

 

 

***

 

 

« Su, non perdiamo altro tempo. »

Indicò la strada con un cenno ai suoi compagni e si avviò con fare deciso. Toyu, Zizi e Lindèvi faticarono a riconoscere Arashi nella figura che li precedeva, dopo tante settimane in stasi nella vasca rigenerativa e fasi di incoscienza.

Il suo aspetto pareva essersi stabilizzato in una forma definitiva. Il volto, per suo dolore ancora così simile a quello di Primo, era rigido, impassibile, di un biancore etereo e spaventoso; i capelli biondi avevano assunto un tono molto vicino al bianco, più che al biondo, e se colpiti dalla luce davano strani riflessi iridescenti diventando bluastri e neri. L'abbigliamento, la camminata, perfino i gesti erano quelli a cui i suoi subalterni erano abituati, ma la consapevolezza della cosa non li preparava mai per la voce che, di quando in quando, sostituiva quella di Arashi e tuonava cupa.

Il biondo accarezzò lentamente la parete di vetro della camera dove Zakuro aveva trovato il Dono degli Avi; dalle sue labbra la voce di Deep Blue sussurrò:

« Questo luogo non è più sicuro. »

« Se anche tornassero – azzardò Zizi a bassa voce – quelli là non sarebber… »

Si ammutolì vedendo Arashi sollevare la mano, medicata, che Taruto gli aveva tranciato con un coltello; non ne aveva ancora riacquistato la mobilità, e potè a malapena sollevarla:

« La superiorità non ci autorizza a commettere atti sciocchi. »

Zizi chinò la testa avvertendo gli sguardi dei compagni, non seppe se semplicemente terrorizzati dalla sua audacia nel parlare o furenti per il tentativo di scatenare le ire di Deep Blue. Il loro signore riprese lentamente:

« Creeremo una nuova dimensione, e rimarremo in attesa. »

Tenne il palmo steso sulla superficie trasparente e piegò le labbra in un sorriso crudele, scorgendo le due ombre vane che si trascinarono dietro il cristallo.

I tre Ancestrali lo videro ritrarre la mano e portarsela dietro la schiena, quindi sospirare a fondo e rilassare le spalle; quando riaprì bocca, la voce fu nuovamente quella di Arashi:

« Avete sentito? Diamoci una mossa. – fece autoritario – Sarà un lungo lavoro. »

 

 

***

 

 

A furia di lavorare come cane da guardia al centro ricerche si imparava a stabilire "l'atmosfera". Quando insomma si poteva essere tranquilli, oppure quando temere che a uno dei due scienziatucoli andasse in pappa il cervello e facesse un gesto sconsiderato come compiere una strage o far saltare tutto manco un fuoco d'artificio.

Se MoiMoi era allegro e Pai serio e taciturno, lasciando uscire di quando in quando monosillabi criptici, era tutto nella norma.

Se Pai si limitava ad un silenzio tombale e MoiMoi appariva agitato, era anche quello abbastanza in regola.

Se era Pai ad essere nervoso, ma da fuori appariva più pacato e rilassato del solito, e a MoiMoi uscivano saette dalla testa per la rabbia – di qualunque genere – bisognava sperare di placarlo prima che un movimento sismico facesse crollare il tetto.

Se MoiMoi ridacchiava e canticchiava a mezze labbra e Pai aveva uno sguardo omicida…

Sando non aveva idea del significato della cosa, ma brividi di puro terrore gli divorarono la schiena.

« Che hai da essere tanto contenta? »

Il violetto non rispose persistendo nella sua aria giuliva e gli fece segno di abbassare la voce, indicando il suo kohai. Sando seguì il gesto scrutando il moro e fu certo che se gli avessero avvicinato un foglio di carta, lo avrebbero visto incenerirsi in pochi secondi.

« Che gli prende oggi? »

« Sarà l'età dello sviluppo. »

« Quella ormai è passata da un pezzo. »

Puntualizzò cupo il verde e MoiMoi scrollò le spalle:

« Avrò mangiato male. »

« Mi prendi in giro? »

L'altro non rispose e continuò il suo lavoro, la soddisfazione dipinta in volto. Sando si preoccupò ancora di più:

« Sento i topi nel tuo cervello che si stanno per ammazzare dallo sforzo. »

« Sono i criceti, Sando. »

« È uguale. Sempre rosicchiare rosicchiano. »

« Intendi "sono sempre dei roditori"? »

Domandò l'altro divertito e Sando gli afferrò la testa nella mano grugnendo e spingendo il violetto contro la seduta della sua sedia, incurante dei suoi lamenti troppo esagerati:

« Secchiona petulante che non sei altro…! »

MoiMoi ridacchiò scacciandolo e protestando poco convinta dandogli del gorilla permaloso e premette un pulsante sulla tastiera:

« Fatto. »

« Fatto cosa? »

Il tono lugubre di lui fu una sfida per il violetto a proseguire con il suo giochino, ma preferì non provocare oltre la sorte ed evitare di ritrovarsi avvinghiato in una lotta all'ultimo pizzicotto con il suo armadio ambulante preferito:

« Le ultime analisi sono completate. – disse trionfante – Abbiamo tutto quello che ci serve sulla nuova dimensione. »

« Bene. »

Pai, irritato ancora dall'ultimo pomeriggio passato al Cafè e stanco nottata in bianco, lasciò la sua postazione di scatto e sbottò torvo:

« Muoviamoci. »

« Pai-chan, è notte fonda, ti sembra il caso? »

Pai non rispose, sapendo perfettamente la cosa giusta da dire eppure volendo solo tirare tutti giù dal letto; era raro che avesse così tanto desiderio di uscirsene dal laboratorio.

« E comunque non possiamo. »

« Perché scusa? »

MoiMoi guardò Sando con aria superiore e proclamò grave:

« Non possiamo permetterci nessun rischio, non come l'ultima volta! Dobbiamo partire adeguatamente attrezzati, e prepararci nell'eventualità di dover aspettare qualche giorno per trovare la Goccia. »

I due ragazzi lo studiarono a fondo. Le sue parole suonavano sensate, anzi, perfettamente logiche, ma il suo tono e la posa esagerata li misero in allarme.

Ha in mente qualcosa di strano.

Capirono con un'occhiata di aver pensato la stessa cosa.

« Ho già pensato a tutto. – ammiccò il violetto – Per fortuna il nostro esercito non manca di attrezzature… Mi rimane solo una domanda. »

Sando lo vide sorridere e avvertì tutta la malvagità concepibile fuoriuscire dal corpicino dell'amico. Pai si sforzò di rimanere impassibile:

« E cioè? »

« Nessuno di voi due è allergico alla sabbia o all'acqua salata, vero? »

 

 

 

 

 

 

(*) episodio 43 (shoujo-ai fan, riunitevi! xD)

 

 

 

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Eccoci qui :3, quanti sopravvissuti? Ahaha ho ancora così tante cose da raccontare, Crossing sta venendo lunghissima… Ma arriva sempre gente nuova a leggere e io rotolo nelle giuggiole, quindi va bene così :3
Ichigo: no che non va bene!

Kisshu: taglia!

Pai: chiudi baracca.

Taruto: lasciaci liberi!

Non sperateci ^^+!

Eheheh ovviamente la canzone che canta Iader non è mia (e quando mai xP?) ma la traduzione "abbastanza" letterale di For the dancing and the dreaming da HTTYD2 (sì c'è la versione italiana, no non mi andava di cercare il testo perché in inglese anche se si assomigliano moltissimo sono un po' diverse, sì anche se sono quasi uguali quella inglese mi piaceva di più, no non l'ho messa tutta perché poi si perdeva il filo, non c'entra niente che la canti Gerard Butler amore mio della mia vita mammina santissima quanto è figo quell'uomo)

Kisshu: pervertita che non sei altro

Tutti: DA CHE PULPITO!!

Boh non chiedete, l'ho sentita e mi sono detta "Sono loro O.O!" e via, lo piccicata xD

 

#martedìfangirl sempre attivo sempre a rapporto! Aggiornerò martedì quindi se non volete perdervi niente seguitemi :3! Chi è de-Facebookato aspetto giudizi qui, mi raccomando :D!
Doodle - scene sparse
https://www.facebook.com/dreammarti/photos/a.369205199766382.83624.369088309778071/979842128702683/?type=1&theater
Doodle 2 (a caso e richieste :P)

https://www.facebook.com/dreammarti/photos/a.369205199766382.83624.369088309778071/979838758703020/?type=1&theater

 

Ringrazio tantissimissimo i miei amori Rin Hikari, mobo, Hypnotic Poison e Danya che non si scordano mai di me  anche se è Agosto ♥  e invito tutti a mettere sempre un commentino :3 che mi fate felice.

 

Tornando a tema genitori pomicioni :P prima di lasciarvi, vi mando un piccolo omake (come sono professshional xDD!) un pezzettino su Lasa e Iader da giovani (li adorooo!) che purtroppo ho capito non avrò mai modo di mettere nella storia principale çwç, quindi dato che è proprio corto corto, lo lascio qui :3 giusto perché il capitolo non è sufficientemente lungo! xD
Voglio commenti anche su questo, eh ;)? (se volete vedere Lasa e Iader da giovani, beccatevi lo sketchino se ve lo siete persi -> https://www.facebook.com/dreammarti/photos/a.877675855585978.1073741840.369088309778071/966535090033387/?type=3&theater )


Mata ne
~♥ !

Ria

 

 

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Omake: before the Crossing

             Iader & Lasa

 

« Di nuovo qui, Ikisatashi? »

Il ragazzo rise forzatamente mostrando il taglio sulla mano:

« Ci metto troppo entusiasmo. »

La ragazza roteò gli occhi irritata e gli indicò lo sgabello; lei si sedette su quello di fronte e posò gli attrezzi del primo soccorso sul tavolino vicino, iniziando a medicarlo senza guardarlo.

Aveva scelto il tirocinio nell'infermeria dell'Accademia dell'Armata perché dava maggiore esperienza e permetteva un rapido accesso ai reparti dell'ospedale, ma non aveva tenuto conto della reazione dei cadetti suoi coetanei alla presenza di un raro esemplare di fauna femminile.

Iader Ikisatashi, nello specifico, era particolarmente ostinato.

« Oggi sei più silenziosa del solito Iwaze. »

« Cercare di ucciderti per costringermi alla tua presenza non è una mossa che mi faccia diventare granchè loquace… Né una mossa molto intelligente in generale, si può dire. »

« Ehi, mi sono fatto male per davvero! – si lamentò – Se voglio invitarti ad uscire posso aspettare che tu esca da qui dentro. »

« … E venire rifiutato per la ventesima volta. »

« Ventiduesima ad essere precisi. – aggiunse con un sorrisetto – Penso che ormai tu stia per cedere. »

Lei si concesse uno sbuffo divertito. Gli disinfettò il taglio, controllò che non servissero punti e glielo fasciò, sempre in silenzio, sentendo le iridi dorate di lui fisse su di sé.

« Cosa c'è di così interessante da riuscire a zittirti Ikisatashi? »

« Niente di che. »

Sollevò un momento lo sguardo e dovette ammettere di sentire una leggera agitazione sotto quel sorriso.

« Potresti piantarla allora? Detesto quando la gente mi fissa. »

« Scusa. – rise piano – È solo che, sai Lasa… L'unica cosa positiva di venire in infermeria è vederti così concentrata. Sembri ancora più bella. »

Lei si bloccò a metà del nodo che stava facendo alla fasciatura.

« Ehi, che ho d- Ahi! »

« Non prenderti troppe confidenze. E non chiamarmi per nome. – borbottò chiudendogli la medicazione bruscamente – Su, ora vai, ho altro da fare. »

Si alzò stizzosa cercando di nascondere il velo di rossore assunto dalle sue guance, mettendosi a riordinare la roba negli armadietti appesi al muro. Iader sorrise con l'aria scanzonata che tanto gli dava il sentore dell'idiota, e battendo i tacchi teatrale se ne uscì ringraziandola delle cure; Lasa sbuffò esasperata, ma un leggero sorriso compiaciuto le rimase sul volto per il resto della giornata.

 

 

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Capitolo 32
*** Toward the crossing: seventh road ***


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Shialve popolo!

Aggiornamento a mio dire… Esilarante. Vi giuro non avete idea di come mi sono impegnata per spremere ormoni ovunque xDD aggiorno ormai con stacchi di una decina di giorni, perché? Bah, piglia così xD

Vi lascio e ne riparliamo a fondovalle ok? Baciii!

 

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Cap. 32 – Toward the crossing: seventh road

                When Taruto discovered the girls

 

 

 

 

« Il mare! Questo è il mare! Sando! Sando! Guarda! »

« Ho capito, che ti starnazzi?! Lo vedo anche io non sono cieco! »

Il violetto ruotò su se stesso in preda all'eccitazione e sbandierò in tutto il suo splendore il due pezzi arancio fiammante – prima misura, essendo biologicamente piatto come un'asse da stiro, e con strategica gonnellina mimetica per sotto l'ombelico – prendendo poi a correre senza alcuna ragione lungo la battigia con Purin al seguito.

Sando si premette forte due dita sulla tempia:

« Vi prego spiegatemi ancora perché siamo qui prima che mi impicchi ad un albero. »

« Perché siamo tutti esausti, nervosi e non facciamo altro che correre da una dimensione estranea ad un pianeta da settimane, no mi correggo mesi. »

Sentenziò Ichigo stiracchiandosi.

« E dato che i rilevamenti di Pai e MoiMoi-san non hanno dato problemi – intervenne Zakuro pacata, divertita nel vedere il verde così astioso – potremo unire l'utile al dilettevole e cercare la Goccia in questa dimensione senza troppi pensieri. »

Sando grugnì squadrandola male. Sbuffò e scrutò l'orizzonte, un'enorme distesa d'oceano limpido e cristallino sormontato da un cielo color ghiaccio, sabbia candida sotto i loro piedi e una foresta tropicale alle loro spalle così tranquilla e silenziosa da apparire finta, tutto irrorato dai raggi di un minuscolo ma rovente sole verde limone.

Lui e Pai avevano avuto la giusta intuizione, MoiMoi li aveva fregati entrambi.

Il violetto aveva piantonato gli schermi collegati alle sonde di segnalazione, in un vago ma deciso piano per mantenere la promessa fatta ai ragazzi – e a se stesso – di giorni di pausa. Nell'istante in cui aveva scoperto l'aspetto della nuova dimensione si era messo ancor più tenacemente al lavoro, valutando ogni possibile rischio non solo dello scorrere del tempo, ma anche dell'acqua, del cielo, del terreno, della foresta, perfino degli insettini che girovagavano tra le fronde.

Ne risultò che la dimensione invasa dal Dono fosse una dimensione vuota: i suoi unici inquilini erano miti volatili e qualche pesciolino, e per quanto in là avessero viaggiato le sonde non avevano rilevato altro che l'enorme zolla di terra su cui si trovavano e chilometri e chilometri d'oceano.

Una dimensione che era un'isola tropicale deserta. Un invito a nozze con tanto di buffet e open bar.

MoiMoi non avrebbe potuto sperare di meglio. Aveva lavorato in sordina per quasi quarantotto ore, programmando ogni dettaglio e presentandolo poi agli occhi di Pai e Sando con un'ovvietà e una calma, che loro avevano solo potuto accodarsi all'entusiasmo delle ragazze e alla curiosità degli altri e seguire le istruzioni del violetto, innegabilmente sensate e logiche.

Ci avrebbero anche creduto fino in fondo, se le ragazze il mattino della partenza non si fossero presentate con tutta l'attrezzatura per la spiaggia come dirette in villeggiatura, con MoiMoi soddisfattissimo della loro decisione nonostante fingesse ostinato di non saperne nulla.

È un cavolo di folletto maligno, altroché.

« Come è riuscito a portarsi dietro quella? »

Tuonò basso l'uomo e fissò la struttura una decina di metri alla sua destra, tra il mare e le palme, e che appariva in tutto e per tutto una casa su due piani.

« Se non ricordo male avevo visto un prototipo al settore armamenti… Dovrebbe essere una struttura di emergenza per le truppe a stanziamento lungo, un mix di tecnologia e distorsione dimensionale facilmente trasportabile. »

Spiegò Pai spiccio. La sua faccia tetra era il risultato della consapevolezza che MoiMoi si fosse portato dietro un simile trabiccolo non solo per praticità, e la frustrazione per non trovare il contorto secondo fine.

Il moro si massaggiò ferocemente la fronte:

« Gli dei mi diano la forza… »

Se non era ancora esploso era un miracolo proprio degli dei, Sando ne fu certo.

Il verde sbuffò e guardò distratto il violetto in lontananza che si gettava di schiena in acqua ridendo come un matto.

« Ora ricordo come mi hai convinto. »

« L'allettante prospettiva di MoiMoi-chan in bikini? »

« La prospettiva di non doverla sentire lamentarsi tutto il santo giorno. Che cavolo di cretinate spari? »

Sibilò trucidando Minto con lo sguardo:

« Stai attenta con quella lingua ragazzina, guarda che non me ne frega niente se sei alta uno sputo e mezzo, ti affogo. »

La morettina lo squadrò offesa e si sistemò meglio sulla spalla di Retasu dove stava seduta, muovendo seccata le piume del porta coda.

« Dai senpai, prendila con filosofia – tentò di blandirlo Eyner – almeno possiamo cercare con comodo. »

« Io sono già contento della decisione. »

Fece Kisshu piano e sbirciò malizioso le curve di Ichigo fasciate nell'abitino estivo fin troppo leggero.

« Invece di dire cretinate ci muoviamo? Prima si comincia prima la facciamo finita. »

Sbottò Ryou e si aprì la strada verso la casa.

Si chiese come avesse fatto MoiMoi a convincerlo ad accettare il suo strambo progetto esplorativo. La capacità persuasiva dell'alieno eguagliava Keiichiro, forse il violetto però aveva davvero un qualche potere segreto, sviluppato in anni di convivenza con quei quattro decerebrati dei suoi kohai e di Sando con i quali occorrevano elevatissime capacità oratorie, e che gli permetteva di farsi dire sempre di sì.

« A Jeweliria non c'è il mare? »

« No. Ma stanno lavorando per costruirne uno artificiale, che possa poi svilupparsi da solo. »

Ichigo annuì ammirata ed Eyner prese una profonda boccata d'aria salina:

« Anche se non so se potrà mai essere come quello terr- »

« Schizzetto! »

Taruto e Ichigo strillarono in coro mentre MoiMoi e Purin, fradici come pulcini, li assalivano alle spalle armati di un secchiello – parte fissa del set da mare della mewscimmia – colmo di acqua salmastra.

« Oddio, ma è ghiacciata! »

« Scimmietta, ti ammazzo! »

« Prova a prendermi! »

Purin si diede alla fuga ridendo come una matta con Taruto alle calcagna; MoiMoi rise, Ichigo che lamentandosi cercò di sgocciolarsi un po' d'acqua di dosso, e Sando si premette la mano sul viso:

« Vi prego ditemi che torniamo a casa. »

 

 

 

Nel giro di un'ora erano entrati tutti nell'atmosfera rilassata, dimenticandosi senza troppo sforzo della Goccia e di ogni altra cosa; ovviamente nel conteggio non rientravano né Pai né Sando, dei quali quest'ultimo se ne stava seduto sulla sabbia in un angolo ombreggiato dalla casa con l'espressione assassina. Pai non aveva nemmeno fatto lo sforzo di assecondare gli eventi e se n'era rimasto coi suoi vestiti addosso: Taruto poteva ancora capirlo, specie perché aveva bermuda poco sopra al ginocchio e quindi ancora decorosi, ma uomini adulti con quei pantaloni larghi e corti e che a stento scendevano sopra metà coscia, che erano i costumi da bagno, per lui erano ridicoli.

Caparbio fino all'eccesso passeggiava per la spiaggia maledicendo il caldo e fissando torvo i suoi fratelli, intenti a giocare e a spruzzarsi d'acqua con le terrestri come due mocciosi.

« Pai, la temperatura attorno a te è ancora più alta che in giro. Rilassati per l'amor del cielo. »

Il moro squadrò Eyner da capo a piedi, non capacitandosi che avesse ceduto anche lui ad indossare quei cosi da bagno, e schioccò la lingua:

« Basti te per tutti e due. »

Il bruno sospirò rassegnato, non riusciva proprio a capire la sua ostinazione su certe questioni.

« Se foste appena più rilassati vi squagliereste come budini. »

« Tu non credo possa fargli tanto la predica senpai – bofonchiò Pai tombale – conciato a quel modo. »

Sando si corrucciò piccato e tentò invano di sfoggiare con noncuranza il costume taglio slip che portava, che per quanto glielo permettesse il fisico tutto gli donava tranne un'aria sobria.

« Questo coso è fresco. Fa un caldo di merda. »

« E io che ho detto? »

Pai si rifiutò di rispondere ad entrambi.

Eyner scosse la testa divertito e decise di lasciarli ai loro brontolii dirigendosi verso lo slargo dove le ragazze avevano steso gli asciugamani e piazzato un ombrellone, incuranti dei due bisbetici e intente a godersi il sole e il venticello.

« MoiMoi-chan, ma li hai settati tu gli schermi? »

Ridacchiò Minto ascoltando la diatriba a poca distanza. Il violetto, che si stava crogiolando sull'asciugamano accanto, si mise seduto e scosse la testa:

« Sono automatici. Accostano i dati raccolti sul luogo di attivazione a informazioni basilari che vi abbiamo inserito dentro su ciascuno di noi, così da adattarsi al meglio al proprietario. »

Girò un poco la testa verso la casa facendo una strana espressione mista di disagio e contentezza:

« Diciamo che ha fatto un bel lavoro stavolta. »

« Sì, lo notavo dalla tua faccia. »

Scoccò arrossendo un'occhiataccia colpevole a Zakuro e la mewwolf rise a labbra chiuse.

« Questi cosi sono un gran bel lavoro. »

Kisshu, che aveva abbandonato per un paio di minuti la zona di battaglia del mare – dove Ichigo stava sfogando tutta l'irritazione repressa su Taruto per i dispetti passati – sbucò come suo solito dal nulla, grondante acqua, gettando una generale occhiata compiaciuta a tutta la presenza femminile:

« L'inventore dei costumi da bagno ha tutta la mia stima. »

« Oh, per favore…! »

« Invidiosa di restartene a bocca asciutta di complimenti, cornacchietta? »

« Io non li vedrei proprio come complimenti, razza di maniaco. – sibilò Minto – E figurati se vorrei riceverli proprio da te. »

La morettina si mise seduta impettita all'ombra  sprimacciando la borsa di Ichigo che era diventata il suo trespolo. Tra i vecchi abiti delle bambole non c'erano costumi da bagno, che in ogni caso sarebbero stati di materiali a caso e non adatti ad un tuffo vero, così lei aveva scelto tra i vestiti che Retasu le aveva cucito in quell'ultimo paio di giorni – di cotone e tessuti decenti, oltre che carini, aveva pensato sollevata la morettina – un abito adatto a passare una giornata sulla spiaggia senza bagnarsi. Il prescelto era stato un bell'abitino celeste di cotone sottile, provvisto addirittura di spazio per le ali e la coda. Kisshu la studiò senza togliersi l'espressione cattiva dal volto, ma dopo averla vista ballare sul tavolo di casa sua non riuscì a non pensare che Minto, con la leggera stoffa attorno, sembrasse davvero una fatina graziosa; la cosa, non seppe la ragione, lo innervosì un po', specie quando per una frazione di secondo avvertì uno strano pizzicore all'altezza dell'ombelico, e decise che era stato a sufficienza fuori dall'acqua.

« Goditi il tuo relax come pollo nel forno. »

Le rivolse un gesto di sufficienza e ridacchiando antipatico si lanciò in mare con la grazia di un bisonte, innaffiando Taruto da capo a piedi e strappandogli improperi d'ogni sorta. Minto lo fissò trucemente sparire tra le onde:

« Ha il solito tatto da scimmia ubriaca. »

« Ti faccio compagnia io. – le sorrise Retasu tentando di distrarla – Tanto non farei il bagno comunque. »

La morettina sospirò imponendosi mentalmente di non uccidere il ragazzo, almeno nell'immediato futuro, e sorrise all'amica:

« Grazie… Ma ora penso che due passi là sulla battigia me li farò. Almeno prendo un po' di fresco. »

E così dicendo si alzò e svolazzò verso la spuma a debita distanza dalla massa chiassosa che erano gli altri, che con qualche involontario tuffo avrebbero potuto annegarla.

« Se vuoi resto io a farti compagnia, Reta-chan. »

« No, vai tranquilla – sorrise la verde al violetto – c'è un bel venticello, si sta bene. »

« Però dovresti cambiarti. – le fece notare Zakuro piatta – C'è abbastanza caldo per stare male, meglio se ti metti in costume. »

La mewfocena mise su una strana smorfia e annuì lentamente. Sperava che gli altri non facessero caso al fatto che avesse ancora i vestiti addosso.

Si cambiò ben attenta che nessuno la guardasse vergognandosi ad ogni centimetro di pelle più scoperta: tutto perché non aveva controllato il suo costume dall'estate precedente, lo avesse fatto avrebbe potuto acquistarne uno nuovo quando era andata a fare shopping con le ragazze.

E dire che quel costume lo aveva comprato proprio perché era sobrio!

Dopo anni si era decisa a passare dall'intero al due pezzi, ma era troppo in imbarazzo con il semplice slip; alla fine aveva scovato felice un costume con la gonnellina, il peggior nemico dell'abbronzatura ma perfetto per lei. Peccato che nel giro di un inverno avesse preso molti centimetri sulle forme, sia sopra che sotto, e ormai la gonna invece di scenderle sulle cosce coprendola si arricciava e saliva sui fianchi non solo mostrando il pezzo sottostante, ma dando un'illusione di malizioso vedo e non vedo del tutto opposta a quella discreta che necessitava la verde.

Finì di spogliarsi e si risedette sull'asciugamano alla velocità della luce, rannicchiandosi quanto più possibile e ringraziando che l'ufficiale dispensatore di battutine maliziose del gruppo fosse a fare l'alga in mare.

Un gridolino di Purin e il fracasso più forte dall'acqua la distolsero dalle sue angosce e strapparono uno sbuffo a Ryou, ancora in piedi accanto all'asciugamano senza decidersi a sedersi o fare altro. Si chiese se la giornata fosse un sordido piano di MoiMoi e Ichigo per ucciderlo, perché lui era certo che se non l'avesse fatto il fegato esplodendogli, sarebbe stato il cuore per infarto.

Quando si era perso il passaggio al cambio di gusto estetico della rossa? Un tempo portava solo completi interi, o due pezzi alti sulla vita che avevano un lieve sentore anni Cinquanta e che tutto facevano tranne risaltarne le forme – che lui vedeva lo stesso – com'erano arrivati a quel punto?

Ichigo riemerse dall'acqua prendendo un rumoroso respiro e ridendo, mettendo in bella mostra il bikini a triangolo nero decorato con frappe azzurre, che nulla lasciava all'immaginazione maschile né tantomeno a quella di Ryou. Avvertì il bisogno urgente di deglutire, mentre la parte razionale che tanto pareva godere della sua sofferenza gli dava del maniaco, tuttavia non distolse lo sguardo da Ichigo seguendola come se fare il contrario avesse potuto scatenare uno tsunami. Il viso sorridente e i capelli luminosi tra spruzzi e sole, l'acqua che scivolava sulla pelle chiara, e lo stomaco del biondo si strinse mentre il ricordo dei pochi, magnifici minuti in cui aveva stretto la rossa tra le braccia gli attraversò bruciante ogni centimetro di pelle.

« Io vado a farmi un bagno. »

Sentenziò cupo e corse via a passo spedito incurante che gli altri avessero risposto o meno, bisognoso di scovare il punto di corrente più freddo esistente. Zakuro lo studiò di sottecchi e sospirò rassegnata, alzandosi:

« Andiamo anche noi MoiMoi-san? »

Il violetto le sorrise e annuì. Eyner, pure lui con un occhio comprensivo sulla sagoma di Ryou che puntava all'acqua, fece per seguirli ma il suo sorriso si congelò in una strana smorfia mentre Zakuro, slacciandosi il pareo e posandolo sulle stecche dell'ombrellone, si avviava sulla spiaggia: il costume che portava, senza spalline con l'accattivante scollo tra le coppe la parte sopra, e la brasiliana del pezzo di sotto, era cucito unicamente per valorizzarla coprendo lo stretto necessario, e far morire lui di epistassi fulminante.

« Eyn-chan, vieni? »

« Eh? Ah, sì, certo arrivo. »

Pregò che quello che scorse sul viso della mewwolf prima che si girasse non fosse un sorrisetto acuto, e andò con i due verso la battigia, ponderando intanto se fare un regalo a MoiMoi o affogarlo di nascosto mentre gli altri non guardavano.

A pochi metri dalla riva Taruto, Purin e Ichigo avevano preso a giocare a palla facendo un chiasso infernale, con buona gioia dei timpani degli altri ormai pronti alla pensione.

« Dai Kisshu, vieni anche tu. »

« Nah, grazie micetta sto bene qui. – fece lui standosene a mollo a mezzo metro dal fondale – Ma quando finite la partita potremmo farci un bel giretto al largo io e t- »

Soffocò un lamento finendo a faccia in giù nell'acqua, colpito alla nuca da una ginocchiata di Ryou:

« Scusa. Non ti avevo visto. »

« Ah. Ah. Ah. »

Soffiò squadrandolo assassino:

« Io potrei non vederti la prossima volta che creo un fulmine, biondino bastardo… Sai, magari sbaglio mira… »

« Kisshu-chan, a cuccia! »

« Ehi, non ho cominciato io! »

Il verde guardò imbronciato Ryou iniziare a spingersi al largo per farsi una nuotata e non gli sfuggì la rapida scorsa che Ichigo gli buttò contro.

« Fanculo. »

« Non c'è proprio verso di placare i tuoi ormoni da maniaco? »

Squadrò seccato Minto che passeggiava appena sul limitare delle onde bagnandosi i piedi minuscoli. Lei lo scrutò con un sorrisetto altezzoso e lo sguardo rassegnato e il verde replicò con altrettanta supponenza:

« Imparate ad indossare cose che scoprano meno pelle e ne riparliamo. »

« Porco. »

Lui grugnì infastidito dal suo tono di superiorità e le spruzzò un po' d'acqua addosso, che per quanto poca inzuppò la morettina da capo a piedi.

« Sei un cretino! – strillò lei tossicchiando e togliendosi dagli occhi la frangia fradicia – Razza di bambino deficiente…! »

« Tu non sputare sentenze a caso – le ammiccò maligno – cornacchietta bisbet… »

Lei, intenta a strizzarsi l'acqua dai capelli e detergersi la faccia, non capì perché si fosse azzittito finché non passò le mani sulla gonna nel tentativo di asciugarla un po'.

Avrebbe dovuto saperlo per esperienza, acqua e tessuti chiari non andavano d'accordo. Specie nel suo caso, dove il guardaroba non contemplava purtroppo un settore intimo.

« Io sarei il porco? Esibizionista in miniatura. »

Minto si raggomitolò su se stessa squadrandolo furiosa, scarlatta in volto, e non badò che nonostante le parole acide la voce di Kisshu fosse stranamente bassa.

« Brutto cafone maniaco pervertito e stronzo! »

Berciò e dopo averlo centrato in fronte con una pallina di sabbia melmosa, schizzò in volo verso il rifugio alla ricerca di un angolino dove nascondersi mentre il vestito si asciugava. Kisshu ebbe l'impressione di sentirla strillare un me la paghi!, soffocato dalla risacca, e il suo occhio ancora dolorante gli fece sperare di essersi sbagliato.

 

 

« Lo sapete che mancate solo voi due musoni? »

Pai, rassegnato al caldo, si era seduto a braccia conserte sull'uscio della casupola disperando un po' d'ombra e non aprì nemmeno gli occhi sentendo la voce del suo senpai, mentre Sando grugnì irato.

« Guardate che ci stiamo divertendo un sacco! »

Rincarò il violetto stringendo tra le mani la palla, sottratta al gruppetto che, in assenza del suo ruolo di giocatore e arbitro, avrebbe potuto scatenare una guerra.

« MoiMoi, non ci vengo, puoi sgolarti fino a domani. – ringhiò il verde lugubre – Ma come sei conciata? Sembri un pulcino fradicio. »

Il violetto arricciò le labbra in una smorfia affondando i piedi bagnati nella sabbia tiepida, e gli schiantò il pallone dritto in faccia.

Sando cadde lungo disteso come un pupazzo di gomma e MoiMoi ridacchiò soddisfatto correndo dagli altri, un istante prima che l'amico si alzasse furioso:

« Ok, ora ti ammazzo! »

Il verde scattò goffo e veloce nemmeno una locomotiva lanciata a tutto vapore, sollevando chili di sabbia, e placcò MoiMoi quando già fu trenta centimetri in acqua, prendendolo di peso e facendogli fare un tuffo a palombella ruggendo:

« Cazzo che freddo! Ma è acqua o ghiaccio liquido?! »

MoiMoi riemerse ridendo:

« Sei tu che ti sei gettato, scemo. »

Sando starnutì rabbrividendo e sorrise feroce:

« Me la pagherai, piccola pidocchia cervellotica! »

Il violetto cacciò uno strillo ridendo e tentò di darsi alla fuga nascondendosi dietro ad Ichigo, che finì travolta da Sando bevendo un gran mucchio d'acqua e risputandola poi ovunque; non capì bene le dinamiche, ma un minuto dopo si ritrovò con gli altri al salvataggio di MoiMoi, cercando inutilmente di trascinare Sando a bagno aggrappata al suo enorme braccio neppure una scimmia su di un tronco.

 

 

Dalla spiaggia Pai fissò la scena rabbioso. Sapeva bene che MoiMoi non era, al contrario di lui, una persona molto rigida nei modi di fare, né ligio al dovere all'eccesso, ma iniziava ad esagerare: la sua condotta stava diventando irresponsabile, infantile,  fuori controllo. Pai si era scervellato nel tentativo di capire il motivo del suo rincretinimento senza trovarlo, dubitava che la pessima influenza di Kisshu avesse attecchito di un botto sul senpai, e le terrestri per quanto fossero immature non avevano comportamenti così sconclusionati; solo un pessimo modo di valutare seriamente le cose, a suo dire.

Si alzò sbuffando e, asciugatosi il sudore dal viso accaldato, ricominciò a camminare alla ricerca di un refolo più deciso d'aria, finché non fu attirato dal colore acceso degli asciugamani; Retasu era seduta sotto l'ombrellone con le braccia raccolte attorno alle ginocchia, osservando con un sorriso gli altri che nuotavano e giocavano e sistemandosi distratta i ciuffi che il vento le portava sul viso.

Il ragazzo le andò incontro e si sedette nell'unico spicchio d'ombra libero dagli asciugamani sospirando soddisfatto dell'arietta che finalmente lo liberò dell'afa. Retasu al vederlo poco mancò saltasse da seduta, Pai si era piazzato sul lato opposto rispetto a lei, ma fu comunque troppo vicino. La verde si rannicchiò un pochino sul fianco libero, tentando inutilmente di nascondere le forme che spuntavano dal costume, e avvertì Pai fissarla in silenzio:

« È tutto a posto? »

Retasu si domandò disperata perché avesse il maledetto vizio di iniziare le conversazioni così, a bruciapelo; stese un sorriso impacciato:

« Certo. Si sta bene, non c'è tanto caldo. »

Il moro mandò un sospiro per nulla d'accordo, ma la ragazza aveva a suo vantaggio molta meno stoffa addosso di lui.

« Intendevo se stai bene. »

La verde lo guardò contenta della domanda e confusa allo stesso tempo, non capendone il senso.

« Taruto mi ha detto una cosa. »

Retasu ebbe l'istinto di correre verso l'acqua e gettarsi di testa, per vedere che succedeva.

Sperò che Taruto l'avesse fatto per caso e non come sgarbo, e si stese con il petto sulle cosce giocando con le dita abbandonate lungo le gambe:

« Di… Preciso? »

« Che hai avuto una… Discussione con Inetaki. Nient'altro. »

Fece vago e Retasu si sentì avvampare di vergogna al ricordo:

« Non proprio… »

Pai sospirò incrociando le braccia e non disse niente per un po', fissando assorto di fronte a sé. Retasu lo sbirciò di sottecchi, notando che perfino da seduto aveva la tendenza a tenere dritta la schiena, senza rilassare mai le spalle.

In mare il chiasso diede un altro picco, mentre Ichigo e Sando si caricarono rispettivamente Purin e Taruto sulle spalle e iniziarono a lottare a chi spingeva giù la torre avversaria per primo; Sando superava Ichigo di due teste buone, ma per cose simili la rossa era tanto infantile quanto tenace, e la battaglia proseguì accanita nel fracasso totale.

Pai mandò un altro lungo sospiro, arreso ormai all'evidenza di non poter contrastare l'onda di follia che pareva aver colpito tutti.

« Inetaki ha la lingua velenosa. – fece dopo qualche minuto – Ed è stupida e puerile. Sfoga sugli altri la propria irritazione. »

« Sì, lo so. »

Bofonchiò Retasu un po' seccata.

« Inoltre, credo che tu non le piaccia proprio. »

« Come? M-ma io non le ho fatto niente! »

Protestò alzando la testa agitata:

« Le avrò parlato tre volte in tutto…! »

« Dai suoi discorsi – continuò Pai imperturbabile, nemmeno parlasse del tempo – la infastidisce la tua ingenuità. »

Lei si sentì mancare e divenne rossa dalla fronte al collo:

« I-io non vedo come dovrebbe importarle! – protestò mortificata – E non accetto simili commenti da qualcuno che… Si comporta come lei. »

Strinse le mani sulle ginocchia non riuscendo a guardarlo in faccia. Poco importava cosa pensasse di lei Lenatheri, ma le parole di Pai, unite alla consapevolezza di esserlo sul serio, molto ingenua, le fecero tornare alla mente le occhiate oblique del ragazzo e le sue frasi velate; temette davvero che lui la pensasse allo stesso modo della mora, e anche se si ripeteva che non era una cosa così importante – aveva già ricevuto il suo due di picche – l'idea le fece male.

Ci fu silenzio. In acqua Purin, con un colpo di gomito, riuscì a far perdere l'equilibrio a Taruto, ma lui le diede pan per focaccia agguantandole il braccio all'ultimo secondo ed entrambi caddero a mollo; riemersero allo stesso tempo e Purin decise di doversi vendicare saltando addosso al brunetto senza alcuna pietà.

Retasu cercò di concentrarsi su di loro e scacciare i cattivi pensieri senza riuscirci, sorridendo appena quando la mewscimmia atterrò Taruto sulla battigia, saltandogli a cavalcioni sopra la pancia e causandogli uno sbalzo di pressione acuto: la verde vide il ragazzino diventare violaceo, fissando imbambolato la biondina a dieci centimetri dal suo naso, ribaltarla strepitando furioso e  poi lanciarsi in una lunga nuotata al largo, la faccia sempre a pelo della superficie forse per farla tornare ad una temperatura idonea alla sopravvivenza.

Nonostante trovasse la scena divertente, Retasu sorrise a stento. Pai la studiò premere le dita sulla pelle delle cosce fino a lasciarci addosso impronte rosse.

« Nessuno ha mai detto che Inetaki abbia ragione. »

Retasu sollevò appena lo sguardo, smarrita.

« È vero che sei ingenua. Ti fidi troppo delle persone e perdoni con troppa facilità. »

Il moro pose un accento di velata amarezza sull'ultimo punto, ricordando un secondo il passato, e pentendosi un poco delle scuse che le aveva rivolto settimane prima, ma Retasu non colse minimamente. Lo guardò ad occhi e bocca spalancati, le guance che persero il colore: se era un tentativo di consolarla non stava riuscendo bene per niente, anzi, pareva più che altro volerla offendere e rigirare il coltello nella piaga.

« Io non…! Non…! »

« Però… Quando si parla di te, non credo che questi siano considerabili difetti. »

Retasu trattenne il respiro e lo fissò basita; divenne un'altra volta rossa come un papavero quando capì che non era una frase detta per dire, che – sebbene non ne capisse fino in fondo il senso – Pai ci credeva sul serio, e tornò a torturarsi gli indici con un sorrisino contento.

Non riuscì a rispondergli, e in fondo non avrebbe saputo bene come farlo. Si diede della sciocca per essere così felice, ma temeva le ci sarebbe voluto del tempo perché tali constatazioni da parte del moro non le dessero palpitazioni.

La piccola ma gelata secchiata d'acqua che le rovesciarono in testa la distolse bruscamente dal suo rimuginare e le strappò uno strillo acuto.

« Purin…! Sei impazzita?! – gemette rabbrividendo – È freddissima! »

« Dai onee-chan, c'è così caldo! – ridacchiò la mewscimmia – Asciugherai in un lampo. »

Retasu sospirò, ringraziando tra sé e sé l'amica per averla fatta tornare coi piedi per terra, e si strizzò la frangia zuppa mentre le altre si stendevano ad asciugare.

« Appena siamo pronte ci mettiamo al lavoro. »

Sorrise ancora la biondina e guardò Pai  con aria giuliva e incoraggiante. Lui non replicò, facendole appena un cenno mansueto.

Scorse sovrappensiero le terrestri che parlottavano tra loro, rilassate ed energiche, come se la tensione che aveva caratterizzato le loro giornate nell'ultimo mese non fosse mai esistita; sospirò con un lievissimo sorriso, poteva darsi che MoiMoi non avesse fatto una brutta mossa.

Anche se continuo a non capire cosa le stia passando per la mente…

Non emise un suono né un verso, ma dovette trasfigurare in volto perché perfino nel ragazze se ne resero conto. Retasu finì di asciugarsi gli occhiali schizzati d'acqua e lo studiò a disagio:

« Pai-san? »

Lui non le rispose corrucciandosi all'improvviso e voltando la testa, prima che il suo sguardo fosse attirato un ulteriore secondo dalle piccole gocce sulle spalle e sulle clavicole della verde.

« Vado a tirare fuori dall'acqua quegli altri deficienti. »

Ho preso decisamente troppo sole.

Si alzò di scatto e partì a passo rapido, la mewfocena che lo seguì con gli occhi frastornata:

« Ho… Detto qualcosa? »

« Mah. »

Ichigo scrollò le spalle e frugò nella borsa frigo dando una bella sorsata ad una bottiglietta d'acqua:

« Sarà tanto intelligente, ma mi sembra più fuori di tutti gli altri. »

Zakuro non rispose, mettendosi la crema solare con un sorrisino divertito.

 

 

« I costumi da bagno sono un'arma letale… »

« Kisshu, sembri un disco rotto. »

Sbuffò Eyner guardandolo scettico, ma Kisshu non lo calcolò e fece imperterrito:

« Vuoi negarlo? »

Il bruno roteò gli occhi al cielo e piegò la testa verso la spiaggia trovando in un istante una chioma glicine e, con una morsa allo stomaco, scivolando l'istante dopo sulle sue spalle, sulla linea della schiena, e…

« Certo che la lupa ha un gran bel cul- »

« Dove diavolo stai guardando?!? »

Ringhiò minaccioso e Kisshu sorrise maligno:

« Quello che stavi guardando tu. »

Eyner rimase con la mascella a mezz'asta e una strana smorfia imbarazzata, colto in fallo, e il ghigno del verde si fece più largo.

« Sei un imbecille. »

« Hai proprio ragione, ma ce l'ho anche io. »

« Di che parlate? »

« Del fatto che io ed Eyn siamo della stessa scuola. »

Taruto fece due bracciate guardandolo senza capire.

« Scuola del lato B. »

« Kisshu, vattene a fanculo. »

Taruto emise un singulto sordo arrossendo un poco e Kisshu se la rise.

« Per lo meno hai buoni gusti. »

« Giuro che se non la pianti…! »

« Fatti una nuotata, stai iniziando a diventare bordeaux. »

Eyner tentò di afferrargli la testa passando dalle minacce ai fatti, ma Kisshu più svelto e si spinse indietro sorridendo sempre sornione.

« Kisshu-chan, dai… »

« Se i presupposti sono loro – proseguì invece il verde indicando la spiaggia – c'è pure da ben sperare per la scimmietta. »

Sentendo le sue parole Taruto tentò di mettersi in piedi e sbraitargli contro, ignorando di essere in un punto dove non toccava, e come risultato bevve una bella sorsata d'acqua salmastra prima di riuscire, sputacchiando e tossicchiando, a squadrare il fratello sconvolto:

« Di che accidenti parli?! »

« Guarda che non sono mica imparentate. »

Gli rimbrottò Ryou passandogli accanto, troppo amante della propria immagine flemmatica per rimanere vicino un minuto di più al ragazzo – e rischiare di sentire commenti diretti su Ichigo – ed unirsi al gruppo sempre più folto di gente decisa a massacrarlo.

« Beh, per me è un po' piccina, ma fidati, la struttura c'è tutta. »

« Non riesco a trovare parole per definire quanto tu sia deficiente. »

Sospirò Eyner lugubre e vide Taruto, l'espressione furente e le guance scarlatte, tentare di trovare le parole per zittire il fratello, restando solo con la bocca semiaperta.

MoiMoi, accucciato a cercare sassolini colorati con i piedi sul bagnasciuga, sollevò la testa e sospirò certissimo che avrebbe dovuto riportare a casa il corpo di Kisshu carbonizzato o elettrificato. Sando, a poca distanza con i piedi a mollo, era della stessa opinione, ma evidentemente Kisshu si divertiva troppo per vedere il pericolo:

« Dimmi, Taru-Taru, tu che hai avuto recentemente un "incontro ravvicinato", che mi dici? »

Il brunetto divenne un fanale e scoprì i canini ferini:

« Giuro che ti strozzo! »

Gli balzò sulla schiena cingendogli il collo con il braccio, viola per l'imbarazzo, e Kisshu tentò vanamente di toglierselo di dosso dimenandosi come un'anguilla:

« Ehi, così me lo spezzi…! Eyn…! »

« Col cavolo. – sentenziò funereo uscendo dall'acqua e abbandonandolo – Taruto, vai, finiscilo. »

« Siete degli stronz- ahi! Cacchio, e non mordere! »

MoiMoi sospirò a fondo e alzò gli occhi al cielo:

« Kami-sama… »

« E ora che diavolo stanno combinando? »

« Non ho ben capito – fece Sando aspro, guardando Pai avvicinarsi – ma credo riguardi fondoschiena e costumi da bagno. »

Pai sgranò gli occhi allibito prima di dare di nuovo sfogo al nervosismo contro la radice del naso, che stritolò tra le dita fin a farsi male:

« Prima che venga a recuperarvi io, razza di mocciosi cretini, vedete bene di finirla ed uscite, non siamo qui in vacanza. E datevi anche una mossa, l'acqua salata vi danneggia chiaramente il cervello. »

 

 

***

 

 

Ebode si torturò il pollice eccitato, finalmente la ruota della buona sorte stava girando a suo favore. Cercò di mantenere l'aria compassata e raggiunse il piccolo prato fuori dalla dimora del colonnello Opurh con assoluta innocenza; l'uomo lo aspettava seduto sul suo portico privato, le braccia conserte nella divisa tagliata perfettamente a misura e che pareva sul punto di strapparsi solo per l'insignificante torsione delle maniche.

« Nobile Opurh. »

L'uomo, la mascella squadrata e l'espressione insofferente scolpita nei tratti, si tirò in piedi di scatto e lo guardò da capo a piedi seccato:

« L'aspettavo prima. »

« Mi perdoni… »

Il colonnello bofonchiò e socchiuse gli occhi indaco:

« Ovviamente nulla di ciò che diremo uscirà da questo ingresso. »

Premise ed Ebode annuì più volte affettato:

« Certo. Certo. »

Il colonnello sospirò grave:

« Questa sciocchezza di collaborare con le terrestri sta diventando una seccatura. Non possiamo fidarci di loro, e personalmente non mi fido neppure del colonnello Ikisatashi. »

Ebode annuì con fare solenne e nascose il sorriso arcigno, cogliendo la frustrazione dell'uomo che aveva votato per l'effettiva incarcerazione di Pai ed era rimasto amaramente deluso dal verdetto.

« La sua spia… È abile? »

« Molto. »

Sussurrò carezzevole il consigliere. Opurh annuì:

« Badi, non voglio colpi di stato o sciocchezze di questo genere. Solo che scavi un po' a fondo e tiri su il marcio che c'è in questa storia. Dobbiamo avere prove vere, concrete, delle intenzioni del colonello e della sua cricca, non le sciocchezze confutabili dell'ultima volta. »

Ebode annuì ancora chinando il capo, cosicché l'altro non vedesse la sua espressione soddisfatta; per quanto fasulle e raffazzonate, le sue prove avevano scosso qualche pensiero attorno a lui, e tanto gli bastò.

« Mi affido a lei. Sono troppo direttamente collegato con il Corpo per non destare sospetti… Ma se occorrerà, l'aiuterò. »

Concluse con più gentilezza e le iridi di pietra di Ebode vibrarono di gioia:

« La ringrazio infinitamente. »

 

 

 

« … Quindi, vede, ormai è quasi fatta. »

Ebode guardò la spia sospirare e camminare in avanti, ancora poco persuasa:

« Non potrei comunque intervenire adesso. – fece notare – Quando il laboratorio è incustodito, la barriera è impenetrabile ad eccezione di chi ha permessi d'accesso illimitati. »

« Ah! – Ebode sollevò l'indice con fare furbo, facendo segno di silenzio – Ma possiamo valutare un modo sicuro di entrare. »

« Posso valutare. »

« Non sia così… »

« Pedante? »

Ebode sorrise stentato, non aveva più molta pazienza per quell'insolenza, ma dovette resistere.

« Valuti e giudichi, e appena sarà possibile, intervenga. »

Incitò e si frugò sotto la tonaca prendendo una sfera di acciaio lucente, grossa quanto una biglia. La spia la prese tra le dita, riconoscendo una bomba stordente.

« Mi sono procurato un piccolo diversivo – blandì ancora l'uomo – in caso di emergenza. »

« Le armi del nostro esercito sono tutte catalogate. – ribattè – Se usassi una cosa simile… »

« Non si preoccupi, non si preoccupi. – insisté – Ricevuta tramite conoscenze, siamo al sicuro. »

La spia non parve persuasa all'inizio, ma poi infilò l'oggetto in tasca. Ebode stese un ghigno lupesco, presto avrebbe trionfato.

 

 

***

 

 

Le infradito non erano quasi mai la scelta migliore di scarpa, specie se si doveva camminare nella giungla. Ichigo gemette e barcollò su un piede, inciampando e cadendo dritta contro Ryou.

« Oufh, sei pesante…! »

« Scusa… Ahi… »

« Ti sei fatta male? »

« No… Devo aver incastrato la ciabatta in una radice... »

Le sue parole si chiusero con un mormorio mentre lentamente scostava i palmi dalla schiena del biondo, i muscoli tesi scaldati dal sole sotto le sue dita. Evitò lo sguardo di Ryou con la scusa di sistemarsi la ciabatta, nascondendo il disagio per la violenta stretta dietro l'ombelico, e supplicò che il rossore della futura abbronzatura nascondesse quello delle guance quando, senza alcun preavviso, lui le cinse il polso guidandola in avanti:

« Guarda che c'è un sentiero – la rimproverò piano – su, ti sorreggo io, ma spicciati. »

« S-sì… »

« E alla prossima uscita, scarpe che non ti restino per strada. »

Lei ribattè con un grugnito sordo e accelerò il passo, la borsa frigo a tracolla che sbatacchiava, attaccandosi al braccio di Retasu con il cuore che minacciava di andarsene via per i fatti suoi da quanto batteva.

Che Ryou fosse un bel ragazzo era un fatto comprovato, ma non spiegava perché lei non riuscisse a scollargli gli occhi di dosso. Non era nemmeno la prima volta che lo vedeva in costume, eppure era tutto il giorno che si ritrovava il biondo costantemente nel campo visivo, seguendo con la coda dell'occhio la sagoma atletica quando invece non c'era, un brivido rovente che vibrava dal petto fino alla punta delle dita.

Strinse con più decisione il braccio di Retasu strappandole un leggero lamento. Chiuse gli occhi ignara delle proteste dell'altra e delle sue raccomandazioni per non inciampare di nuovo, era una stupida. Scosse la testa, ma non c'era nessun significato, no, si disse, forse… Era solo un po' – kami-sama, com'era giunta ad un punto simile?! – troppo tempo che non passava qualche ora con il suo ragazzo, quindi poteva anche essere che fosse più "sensibile" al fascino maschile.

Già, come una quattordicenne in calore.

Sospirò amareggiata, appena Aoyama fosse tornato avrebbe usato il fondo speciale dei regali di Natale per farsi un week-end al mare loro due soli.

Già, ma Masaya non aveva gli addominali di Ryou…

« Ma che ti costa mettere una maglietta…?! »

La risposta erano nei trentacinque gradi all'ombra e nella percentuale di umidità che non aveva mai avvertito neppure ad Agosto a Tokyo. Del resto nemmeno lei aveva osato tenersi addosso altro eccetto il costume, con buona pace della salute mentale dell'americano.

« Ichigo-san, non mi sento più il braccio…! »

Ichigo si scusò, allentò la stretta su Retasu e prese una bottiglia dalla borsa bevendo una lunga sorsata d'acqua, e sforzandosi di pensare che fosse la sete a seccarle così la gola. Né Ryou, né la sensazione rovente di un paio di occhi celesti fissi su di sé.

La rossa cacciò un altro strillo inciampando ancora, e mentre l'infradito piroettava alle sue spalle lei finì ad abbracciare un tronco carico di piccoli insetti e funghi viscidi, mandando un lamento schifato.

« Riesci a stare dritta sulle tue gambe per cinque minuti? »

Sbucò da dietro il tronco con la testa piena di foglie, squadrando Pai rabbiosa.

« O bisogna portarti in braccio? »

« Piuttosto che farmi sfiorare da te con un'unghia, cammino in bikini in mezzo ai rovi. »

« Non ho detto che lo farò io. Per me puoi anche restare qui. »

Ichigo strinse i denti mandando un acuto fischio come un bollitore e Retasu la placcò per la vita prima che sfogasse l'infettiva, magari saltando alla gola dell'alieno.

« Avremmo fatto bene a dividerci? »

Minto, incurante della belva dai capelli rossi che il suo trasporto stava trattenendo, si sporse dalla spalla di Retasu e guardò attorno la giungla tutta uguale:

« Non vedo gli altri, né l'onee-sama da un po'… Starà bene? »

« È con Eyner – la rassicurò Retasu, lasciando Ichigo – stai tranquilla. »

La mewbird si mordicchiò la punta dell'indice:

« So che è uno a posto, ma sono preoccupata comunque. Dopo l'ultima volta… »

La mewfocena fece un mezzo sorriso, sorpresa quando capì che Minto non sospettava minimamente alcunché tra la mora e l'alieno, ma pensò fosse meglio non tirare in ballo la questione e si limitò ad annuire in silenzio.

« Abbiamo controllato i trasmettitori prima di iniziare – la rassicurò Ryou con tono incolore – funziona tutto. Tu ora pensa solo a tenere gli occhi aperti. »

Minto strinse le labbra e annuì, poco convinta.

 

 

***

 

 

Alla prima occasione avrebbe legato la lingua di Kisshu con del filo spinato. O gliel'avrebbe sigillata con colla a presa ultrarapida.

Era da quando avevano preso a camminare nella giungla in cerca di notizie della Goccia che le parole del verde gli ronzavano in testa, intanto che un'illuminazione alquanto inopportuna gli manteneva viva la tachicardia.

« Taru-chan, guarda dove metti i piedi. »

Il brunetto si ritrasse con un verso schifato, la caviglia sinistra quasi del tutto immersa in una strana pozza viscida, e scrollò in giro mucchietti di melma borbottando e poi rimettendosi mesto in marcia, lo sguardo di nuovo fisso sulla schiena di Purin.

Per la prima volta si era reso conto che la biondina era una ragazza, mentre lui un ragazzo, e del senso effettivo che aveva per lui la cosa.

Non faceva che fissarla, quasi la vedesse per la prima volta, chiedendosi come potesse non aver ancora dato di matto nell'averla di fronte così poco vestita. Una strana sensazione lo prese dallo stomaco in giù facendolo avvampare in viso mentre, vergognandosi come un ladro, si accorse di sbirciare i punti che il costume di Purin metteva in evidenza, e nella testa non smetteva di agitarsi imperterrita l'immagine dei pochi secondi in cui l'aveva avuta – per l'ennesima volta – a cavalcioni, la sensazione della pelle tiepida contro la sua che mai aveva avvertito così chiaramente.

Più sbirciò il suo profilo sotto le ombre della volta vegetale più Purin gli apparve carina, così carina da farlo smettere di respirare; ricordò le ultime settimane e avvertì caldo alle orecchie, si era ritrovato con la biondina in situazioni decisamente imbarazzanti – bastò ricordare il loro primo incontro dopo tre anni e l'atterramento da lottatrice della mewscimmia, o quando le era spuntata in camera, o perfino pochi giorni prima a Mohéki – ma la cosa davvero assurda era capire che avrebbe dato più di un dito pur di ritrovarsi così accanto a lei. Magari, per una volta, non per uno slancio di gioia della biondina, ma per sua decisione, perché voleva averla vicino e poterla stringere.

« Ehi, hai la faccia porpora, non è che ti sei preso un colpo di sole? »

« Sto benissimo. »

Latrò allontanando la mano del fratello diretta alla sua fronte:

« E non sono un ragazzino. »

Kisshu cercò sostegno nei senpai mentre il brunetto lo aggirava:

« Ma che ho fatto stavolta? »

Sando e MoiMoi scrollarono le spalle.

« Stai davvero bene Taru-Taru? »

« Sto benissimo. »

Mormorò lui cupo, tentando in ogni modo di non fissare le labbra della biondina piegate in un broncetto preoccupato, quelle piccole labbra che parevano più dolci di qualunque caramella avrebbe mai potuto mangiare. Purin piegò la bocca poco convinta e si allungò per misurargli la temperatura, fronte contro fronte, e Taruto digrignò i denti soffocando un verso stridulo. Fu come prendere una boccata unica di aria incandescente, di salsedine e di profumo della biondina, e poco mancò che svenisse.

« Per fortuna non hai febbre. Sarà solo il caldo. »

« Ho detto che sto bene, la piantate di trattarmi manco avessi tre anni?!? »

Fece con voce strozzata tutto in un fiato. Purin si ritrasse aggrottando la fronte:

« Mi preoccupavo solo. »

« Chiudete il becco, tutti e due. »

Li sgridò Sando e tese l'orecchio. MoiMoi gli si accostò cercando con gli occhi qualcosa di insolito e fissò in tralice l'amico, in attesa.

« Non avevi detto che in questo posto c'erano pesci e uccelli? »

« Sì… Non c'è nient'altro, qualche insetto. »

Sando mise una mano accanto all'orecchio per sentire meglio e grugnì, cogliendo solo silenzio:

« E allora dove sono finiti gli uccelli? »

 

 

***

 

 

La foresta era silenziosa come una tomba, ma Eyner se ne accorse a stento, troppo impegnato a seguire il minimo sentiero tra gli alberi e a non fissare il punto in cui il pareo di Zakuro si posava sui suoi fianchi.

Sospirò e si massaggiò il collo, le frecciatine idiote di Kisshu avevano solo portato fuori un pensiero che  soffocava da giorni e nemmeno lontanamente avrebbe dovuto distrarlo in una situazione del genere. Ma del resto, probabilmente non avrebbe dovuto nemmeno pensare ad avere una relazione con un'umana, per cui…

Immaginava che Zakuro non si sarebbe messa a sbaciucchiarlo in ogni angolo, né si sarebbe lasciata andare ad effusioni in pubblico;  la cosa sarebbe stata oltremodo inquietante e lui non voleva, non ritenendo che le sue relazioni personali fossero fatti altrui.

Quello che c'era tra lui e Zakuro, però, era così discreto da essere di difficile definizione: era vero che lei parlava più spesso ed era più dolce quando lo faceva, ma non c'era nient'altro. Non dava segno di volere un po' di tempo per loro, né di cogliere i suggerimenti sull'argomento da parte di Eyner; non cercava i suoi abbracci, non gli diceva mai nulla su quel che provava, come invece lui cercava di fare, sussurrandole all'orecchio in quei rari, brevi istanti in cui non avevano nessuno attorno.

Cercava di non farlo, ma gli era difficile non arrovellarsi sull'argomento. Non era sicuro da che parte prendere il discorso con la ragazza e non era nemmeno certo di poterlo fare, forse i suoi tormenti erano solo suoi. Forse era lui che era troppo coinvolto, troppo preso come un ragazzino. L'idea lo faceva sentire un idiota e la sensazione si acuiva ogni volta che, sorridendo come un ebete, si rendeva conto di essere felice per un momento che riusciva a ritagliarsi per sé e la mewwolf.

Senza contare l'altra piccola, insignificante questione, di cui un sintomo era l'irresistibile continuo guardare dietro la stoffa per nulla coprente del pareo – e maledizione agli umani che si scervellavano per creare cose simili! – la silhouette delle gambe e del fondoschiena della mora.

Eyner amava Zakuro, la sua fermezza, i suoi modi distaccati, la sua forza e la sua nascosta ma grande premura. E ovviamente gli piaceva, Zakuro.

Il viso fiero e al tempo stesso delicato, i profondi occhi indaco, le labbra perfettamente disegnate, piene, morbide, rosee e inebrianti. La pelle chiara da cui, quando riusciva ad abbracciarla, avvertiva un profumo solo suo, fatto dei prodotti che usava, dell'odore della sua pelle e di un ricordo vago di foresta, di libertà selvaggia, come il lupo che condivideva i suoi geni e il suo animo. Il fisico snello e forte, per nulla privo delle giuste grazie femminili che lo rendevano irresistibilmente provocante; le sue gambe affusolate, i fianchi morbidi.

Era abbastanza adulto da capire e abbastanza intelligente da non fare cose troppo impulsive, pensando anche a chi erano rivolti i pensieri sempre più fitti della sua testa, ma non poteva certo resistere in eterno.

Finirò per diventarci matto.

Zakuro, come d'abitudine, proseguì tranquilla apparentemente  ignara dei suoi tormenti, attenta ad ogni movimento attorno a sé, quando scostando un ramo questo le si ruppe tra le dita e lei perse di colpo l'equilibrio; Eyner l'acchiappò subito per il fianco e la tirò dritta, avvertendo un tremito guizzargli lungo la schiena intanto che il suo braccio le si posava sulla vita.

Come sono messo male…!

Zakuro lo ringraziò con un cenno. Il bruno si allontanò un poco, irrigidito, prima che il suo istinto facesse un disastro e la sua mano scivolasse dove non doveva, e lei sorrise divertita:

« Che succede? »

« Niente. Perché? »

« Maniaco. »

Dovette trattenerlo perché non si ritraesse del tutto e rise piano:

« Stavo scherzando. »

« Non è divertente…! »

Lei continuò a ridacchiare ed Eyner sospirò appoggiandosi ad un albero:

« Perché mi fai sempre fare la figura del cretino? »

« Scusa… »

Sorrise sorniona ed Eyner avvertì lo stomaco stringersi nel modo più piacevole mai provato, mentre la mora gli si avvicinò abbastanza da iniziare a giocare distratta con il codino che gli sfiorava le spalle.

« Sei discreto. – gli disse divertita – Ma non abbastanza. »

Lui piegò la bocca in imbarazzo:

« Sai che la colpa è anche tua, uh? »

Zakuro rise a labbra strette passando distratta l'indice dal codino alla spalla:

« Colpa mia? »

« Osa dirmi che questo coso – fece sospirando e tirando senza forza il fiocco del pareo – è considerabile indumento, e dovrò rivalutare certe definizioni nel mio vocabolario. »

« È un indumento da spiaggia. »

Puntualizzò e lui spalancò la bocca sarcastico:

« Oh. Certo. Chiarissimo. »

L'ascoltò mandare ancora quello sbuffo divertito che solo lei era in grado di fare, l'altra mano che gli scivolò attorno al collo:

« Sei un uomo. »

Disse combaciando languida al suo petto.

« Suona come un insulto. »

« Ed è normale – lo corresse con un sospiro – mi offenderei se fossi trasparente. »

Tornò a sfiorargli il profilo del viso e soffiò:

« Del resto mi piaci anche tu. »

Il mormorio accattivante con cui pronunciò l'ultima frase era chiaro e inebriante alle orecchie di Eyner, che tornò a stringerla sfiorandole distrattamente la curva della vita:

« Ah sì…? »

« Direi che sono grandicella per l'amore platonico. E ti assicuro che ho le stesse reazioni di chiunque. »

Sollevò un sopracciglio allusiva ed Eyner chiese divertito:

« È un complimento sul mio aspetto o sbaglio? »

Zakuro lo studiò complice:

« Ti sto dando adito a capire il contrario? »

Eyner ridacchiò e annullò l'ultimo millimetro tra loro. La percepì trattenere appena il respiro mentre le schiudeva le labbra.

Zakuro scivolò piano con le dita lungo la sua clavicola e sul torace robusto, fermando un secondo sul lato sinistro e sorridendo con una lieve stretta allo stomaco, avvertendo il ritmo rapido sotto il palmo. Si rese conto di essere ben più agitata di quanto si aspettasse mentre percepiva la sua pelle contro quella del bruno, la cui mano scendeva con lenta e meticolosa dolcezza lungo la linea centrale della sua schiena, sul suo fianco, spostando con un leggero fastidio lo spacco del pareo e giocando distrattamente coi laccetti del costume, fiorandole con decisione la coscia. Sorpresa sentì il proprio petto dare un sussulto mentre si strinse un altro po' al ragazzo, e le venne da sorridere, iniziò a temere che con Eyner fosse una cosa molto più seria di quanto avesse pensato…

Eyner invece trovò difficoltà a pensare. Per un paio di secondi gli erano apparsi in mente la situazione – se si voleva essere pignoli, non molto consona – e il fatto che ci fosse un compito da svolgere e tutto il resto, ma al diavolo.

Stringere Zakuro così, senza timore di occhiate o limiti da ricordare, era più bello di quanto avesse immaginato. La mora pareva incastrarsi alla perfezione tra le sue braccia, era morbida e tiepida per il sole preso in spiaggia e non seppe perché iniziò a sfiorarla con maggior audacia vicino a zone che, di sole, non ne avevano visto; titubò all'inizio, temendo che lei si ritraesse, invece Zakuro emise un lieve sospiro vibrante mentre lui scivolò sotto la linea del pareo sulla schiena, e il cervello del bruno andò felicemente alle ortiche. La strinse a sé con più decisione costringendola a mettersi un poco sulle punte dei piedi, sebbene fossero quasi alti uguali, e nel sentire tutta la curva del suo corpo contro di sé Eyner capì che era su un limite da non dover superare. Si allontanò il poco che gli permise di darle un paio di baci leggeri sulla bocca, i volti accostati che si sfioravano e i respiri veloci, e pensò che sulla spiaggia c'era una casa in quel mentre completamente vuota e lui il limite doveva superarlo, o avrebbe perso del tutto la testa…

Ad entrambi sfuggì un verso di stupore quando un piccolo uccellino schizzò a volo radente tra i loro volti rischiando di portarsi via un occhio del bruno. Zakuro si mise d'istinto una mano al cuore e tutti e due fissarono sospirando il volatile fermarsi ad un paio di metri di distanza su un ramo.

« Che infarto…! – sbuffò Eyner gettando la testa all'indietro – Mi è quasi preso un colpo. »

Zakuro emise un verso muto come risposta. Eyner notò con disappunto che stava tornando se stessa, lo sguardo prima così meravigliosamente languido via via più lucido e corrucciato, e pure lui controvoglia iniziò a percepire qualcosa di strano nell'aria che lo costrinse a tornare coi piedi per terra.

Sospirò e tese le orecchie, il dolce ottundimento che faceva spazio ad una tensione guardinga; lo aveva notato distrattamente mentre camminavano, ma era ormai evidente: man mano che si erano inoltrati nella boscaglia i rumori della giungla, gli uccelli che cinguettavano e il frinire degli insetti, si erano ammutoliti fino a scomparire. La mewwolf gli scivolò lentamente via dalle sue braccia, gli occhi fissi sull'uccellino ancora fermo sul ramo.

« Non ho mai visto un volatile fare così. »

Focalizzò cupa e il bruno annuì prudente. L'uccellino che li aveva disturbati era sempre al suo posto, ma non era così strano se non era abituato a vedere altre persone; la cosa inquietante era che non li studiava come fanno di norma gli uccelli, piegando il testino di lato per vedere meglio, né tantomeno lo muoveva in alcun modo com'era tipico della specie. Se ne stava semplicemente immobile a fissarli, senza nemmeno cinguettare o mandare un suono.

« Ce l'ha proprio con noi. »

Fece Eyner a bassa voce nel timore di scatenare una reazione che neppure lui riusciva ad immaginare. Zakuro annuì impercettibilmente.

L'animaletto non fece una piega, arruffando solo un istante le alucce azzurro elettrico. Dopo un paio di secondi un altro uccellino, identico al primo, svolazzò sullo stesso ramo accanto al compagno; poi un altro, un altro, e un altro, nel giro di cinque minuti almeno una ventina di volatili azzurri era schierata sui rami di fronte ai due ragazzi a sbarrargli la strada. Loro non dissero niente ne si mossero; Eyner si passò appena la lingua sulle labbra, all'improvviso così secche:

« È un po' inquietante. »

« Uccelli di Hitchcock. »

« Che? »

Zakuro scosse la testa e retrocesse prudente di mezzo passo, inquietata dagli occhietti neri che la scrutavano immobili.

Il fruscio sul terreno dei suoi passi scatenò lo stormo. In sincrono tutti gli uccelli, come ballerini sul palco, iniziarono a piegarsi in avanti verso di loro spalancando le ali ed emettendo uno stridulo grido ritmico, una nenia che gelava il sangue.

Eyner prese con movimenti lentissimi il polso della mora e la tirò poco a poco indietro, senza mai dare le spalle allo sciame, ma i volatili continuarono e continuarono alzando sempre di più il volume e gracchiando più veloci. Il bracciale schermante sul polso della mewwolf traduceva a fatica i loro versi trasmettendo solo un insieme di sillabe confuse finché, con enorme sforzo, alle orecchie di lei giunse una frase compiuta.

Via! Andate via! Dal Re non potete andare!

Le voci degli uccellini iniziarono a soprapporsi una all'altra in un'incessante cantilena minacciosa finché uno di loro si staccò dal gruppo e mirò alla guancia della mora con il beccuccio affilato. Zakuro si scostò all'ultimo con un sibilo tra i denti, trasformandosi d'istinto, e immediatamente il suo corpo mandò un baluginio celeste. La tiritera s'interruppe e gli uccelli, dopo un paio di secondi in silenzio, strillarono in coro agitatissimi.

Eyner schioccò la lingua facendo comparire il jitte:

« Mi sa che li abbiamo infastiditi. »

I volatili si gettarono su di loro come una pioggia di frecce. Eyner mosse la sua arma generando una lingua di fuoco color sangue che fece sterzare gli animali per non finire arrosto, prese Zakuro per la vita e si teletrasportò via, al sicuro sul litorale.

Rimasero fermi ascoltando distratti la risacca sorda, e Zakuro sospirò sciogliendo la trasformazione:

« Dovremmo considerarci fortunati? »

« Almeno sappiamo dove andare domani. »

Ribattè lui con un mezzo sorriso studiando il sole verdognolo che andava a baciare l'orizzonte. Zakuro si scostò i capelli dal viso, accaldata dalle ore di cammino, e osservando preoccupata la foresta diventare scura e impenetrabile ai suoi occhi.

Indagare su quanto successo sarebbe diventato complicato con il buio e, per esperienze passate, era meglio non lanciarsi a testa bassa ad inseguire i segnali del suo MewPower a contatto con la MewAqua; sarebbero potuti finire in qualche trappola, o rimanere bloccati dove non sarebbero più stati in grado di comunicare con gli altri né scappare.

Si scambiò un'occhiata con Eyner, era della sua stessa opinione. Gli sarebbe toccato attendere il giorno.

« Su – fece lui con aria stanca – rintracciamo gli altri. »

 

 

***

 

 

Il prototipo di edificio che MoiMoi aveva preso in prestito dal laboratorio si dimostrò spartano come suggeriva l'esterno; del resto, in quanto materiale militare, non ci si poteva certo aspettare avesse molti fronzoli. Almeno alla lunga tavolata riuscirono a stare comodi, intanto che Retasu si fece aiutare per recuperare l'enorme borsa che aveva lasciato nella casa appena arrivata, e che aveva bento con sufficiente cibo per un reggimento.

« Non avrai fatto tutto da sola, voglio sperare. »

« Le altre mi hanno aiutata. »

Sorrise a MoiMoi passando una delle scatole.

« Tutte? »

Ryou guardò verso Ichigo e Zakuro con aria divertita; la mora scrollò le spalle:

« Il fatto che sia capace non significa che mi piaccia farlo spesso. »

Notò pacata e il biondo sorrise sotto i baffi.

« Che vorresti insinuare con 'sta domanda?! »

Sbottò Ichigo e Ryou per tutta risposta scostò il cibo negli scomparti, studiando scettico le verdure grigliate un po' bruciacchiate e tagliate storte e guardandola allusivo. La mewneko arrossì indispettita:

« E chi ti dice che siano mie? »

Lui la fissò con aria sorniona:

« Me lo sta dicendo la tua faccia ora. E comunque, riconosco il tocco, come per la cioccolata di San Valentino(*). »

« Non sei obbligato a mangiarle! »

« Beh… Non sono male… »

« Se le mangiassi con una faccia più convinta potrei anche crederci, Kisshu! »

Proruppe lei; lui ingollò il boccone tentando la faccia più convincente che potè fare per blandirla, ma ottenne solo una strana smorfia.

Ichigo strinse i pugni facendo tintinnare il campanellino della coda nera, e con incredibile abilità rubò la parte di cena preparata da lei dai bento dei due ragazzi e se la mise nel suo, fumante di rabbia:

« Ingozzatevi con il resto, razza di cafoni! »

« Dai Ichigo-chan calmati. »

Lei restò impettita sul suo posto, mandando giù caparbia le verdure amare senza quasi masticarle, e MoiMoi pensò fosse inutile tentare di dire altro.

« Ehi, guarda che io ho fame! »

« Kisshu-chan, ti prego lascia perdere! – rise nervoso il violetto – Toh, ti do un po' del mio. »

La cena proseguì tranquilla. Tutti erano abbastanza affamati e assetati per dedicarsi per un po' al cibo, lasciando la rossa a sbollire per i fatti suoi, e intanto si organizzarono su come procedere appena fosse spuntato il giorno.

« Visto che non c'è anima viva in questo posto – disse Kisshu – credo non convenga tornare là dentro e fare una grigliata di volatili. »

« Dici? »

« Feriremmo i sentimenti della cornacchietta. »

Minto non si degnò neppure di rispondergli e Taruto alzò gli occhi al cielo.

« Quegli uccelli sono le sole creature che possono sapere dove sia la Goccia – spiegò Eyner per lui prima che dicesse altre stupidaggini – dovremmo prima vedere se sono disposti a dircelo. »

« Sono solo dei volatili – borbottò Sando ingoiando un grosso boccone di riso – al massimo rimediamo la cena. »

« Visto cos'è successo con il merkv e a Belia con i djonk, starei in guardia. »

Ribattè Pai e Sando replicò con un grugnito ripulendo il piatto.

Terminarono la cena e una rilassata sonnolenza iniziò a scendere sui presenti; le ragazze presero a chiacchierare del più e del meno e Minto, intenta a terminare la sua cena sbocconcellando un pezzo di pesce grigliato, uno stuzzicadenti come forchetta, mise su un sorriso sornione:

« Cambiando argomento… »

Studiò Retasu con aria sottile:

« Com'è andato l'appuntamento? »

La verde per poco non si rovesciò addosso il bicchiere d'acqua che stava sorseggiando. Lo posò rossa come un papavero e vide che tutte le avevano puntato gli occhi addosso, incuriosite.

« Detta così sembra che avessi un appuntamento solo io – rispose a disagio – ero con Ayu-chan e le altre… »

« Hmh – sorrise furbetta Ichigo – ma un uccellino mi ha detto che qualcuno ti ha chiesto il numero. »

Retasu sgranò gli occhi in imbarazzo e si mise a stuzzicare le posate senza guardare le altre. Loro ridacchiarono.

« La pesciolina fa conquiste. »

« Lo dici come se fosse una sorpresa. »

« Ehi, non mettermi in bocca parole che non ho mai pronunciato cornacchietta – protestò il verde – io l'ho sempre detto che la pesciolina ha un ottimo potenziale. »

Ammiccò alla mewfocena che gli sorrise, impacciata ma lusingata.

« C-comunque non vuol dire… »

« Dai nee-chan, ti ha chiesto il numero, qualcosa vorrà dire! »

« Retasu è troppo critica su se stessa. – spiegò Eyner fraterno – Sei una persona speciale e una bella ragazza, abbi più fiducia. »

« Uuuh, qui ci sbilanciamo parecchio. »

Il bruno scoccò a Kisshu un'occhiataccia notando il suo sorrisetto allusivo mentre rideva.

« Sei proprio scemo. »

Ichigo finì di mangiare, ripulendosi finalmente il saporaccio delle sue verdure dalla bocca, e si allungò verso la mewfocena sogghignando:

« Allora? »

Retasu farfugliò qualcosa di sconclusionato, un sorrisetto che non le lasciava il volto rosso, e le amiche imitarono Ichigo stringendola all'angolo.

« A dire il vero… Mi ha chiesto se possiamo vederci un'altra volta… »

La mewneko mandò un grido di trionfo, lanciando di nascosto un'occhiata ostile a Pai dall'altro capo del tavolo; lui, invece, parve non considerare degne di attenzioni tali chiacchiere e controllò concentrato un display trasparente su cui scorrevano chissà quali dati fondamentali.

« E tu che gli hai detto?! »

« Non… Non lo so. »

Balbettò la mewfocena a disagio, con Purin che la guardava minacciosa come un falco:

« Non sapevo quando saremmo dovuti partire e… »

« Tu ora gli mandi un messaggio e lo inviti, subito! – esclamò la rossa mostrando il suo telefono – Appena rientriamo! »

« Appena rientriamo. – annuì MoiMoi, coinvolto dal discorso – Dobbiamo sbrigarci a trovare la Goccia, allora. »

Le strizzò l'occhio e Retasu si rannicchiò su se stessa sorridendo impacciata.

« Allora muovetevi e andatevene a dormire tutti quanti. – ordinò Pai gelido – Sperate che la notte duri qui, perché al primo raggio di sole dovremo essere tutti fuori. »

Ichigo gli fece il verso infastidita, il moro era davvero una spina nel fianco; specie quando, come in quel momento, aveva l'espressione di chi è davvero seccato.

« Diamo retta a papino, va. – sospirò MoiMoi tentando di mantenere la pace – Comunque anche io sono cotta. »

Le altre annuirono, sparecchiando per la nanna, ma non per questo smisero di confabulare complici attorno alla povera mewfocena che non aveva più idea di dove nascondersi per farle smettere.

« Come hai detto che si chiama? »

« Non l'ho detto – mormorò, guardando disperata Zakuro che sorrideva sorniona incurante della sua disperazione – si chiama Koichi Nakayama… »

« Ed è un senpai. »

Ridacchiò Ichigo mettendo i bento vuoti nella borsa.

« Quante cose hai chiesto alle ragazze?! »

« E brava la pesciolina…! »

« Kisshu-san, ti prego. »

« Ma almeno è carino? »

« Purin! »

La rossa prese il telefono e scorse tra i messaggi con aria maliziosa:

« Dimmi te. »

« Ichigo…! »

« Me l'ha mandata Ayu-chan. »

« Ma che messaggi vi mandate?! »

Gemette Retasu scarlatta; MoiMoi fischiò piano:

« Carino! Che bel brunetto! »

« MoiMoi-san, per favore! »

I lamenti della verde furono coperti dalle risate delle amiche e lei se ne andò in camera con loro al seguito sbuffando su quanto fossero impiccione. Gli altri le imitarono poco alla volta, alzandosi pigramente da tavola, tranne Pai che pareva intenzionato a fondere le dita sul suo display portatile tanto picchiava forte coi polpastrelli.

« È inutile che ora ti arrabbi. »

« Come scusa? »

Fissò Eyner alzarsi da tavola e guardarlo condiscendente:

« Hai dato una risposta a Retasu-chan, e sinceramente non mi interessa sapere se fosse ponderata o meno. »

« Non capisco di cosa tu stia parlando. »

Ribattè piatto. Eyner lo fissò a lungo, un piede sulle scale:

« Ti avverto solo, vedi bene di non intrometterti adesso. »

Pai mantenne l'espressione torva, fermo su quanto aveva detto che fosse la verità o solo un modo per non rispondere alle domande di Eyner, e il bruno non disse altro scomparendo di sopra.

La zona notte era solo un corridoio con quattro porte, due per le docce e due per le camerate; si diresse a quella stabilita per gli uomini e incrociò a metà corridoio Zakuro, uscente dal bagno. La ragazza lasciò cadere sulle spalle l'asciugamano con cui si stava frizionando i capelli e raggiunse il bruno, fermandoglisi di fronte.

« Non abbiamo più finito il discorso. »

Le sorrise lui, gli occhi puntati sul suo viso arrossato dalla doccia. Zakuro sorrise appena:

« Era un discorso semplice. »

« Vorrei riprenderlo lo stesso. »

Ammise sottovoce, sfiorandole sovrappensiero un ciuffo gocciolante. La mewwolf lo guardò maliziosa:

« Adesso lo vedo complicato. »

Accennò allusiva alla stanza da cui sentivano il vociare delle altre. Si allungò verso di lui e gli diede un bacio, prima di fuggire lentamente verso la propria camera:

« Buonanotte. »

« 'Notte. »

Eyner la seguì con lo sguardo finché non varcò la porta.

Mai come allora detestò la divisione in camerate.

 

 

 

Pai non riuscì a chiudere occhio. Era nervoso per le chiacchiere sciocche in cui si perdevano in continuazione le terrestri, per le allusive parole di Eyner a cui non voleva dare alcun peso, e aveva dimenticato quanto Sando potesse russare forte.

Si alzò seccato gettando via le coperte e scendendo di sotto, avrebbe potuto perlustrare la foresta dall'alto e valutare la situazione finché non fosse arrivata l'alba.

Era ancora buio. Girò verso le scale ed era appena a metà quando scorse una luce da sotto.

Si affacciò guardingo e vide una chioma violetta in controluce; sul tavolo vuoto splendeva una sfera dati che MoiMoi digitava senza sosta, sbadigliando sonoramente, e senza accorgersi dell'arrivo del kohai finché questo non gli toccò la spalla. Mandò un grido che soffocò con entrambe le mani, saltando sulla sedia.

« Credevo dormissi. »

« Volevo… Solo controllare una cosa. »

Rispose a disagio. Pai osservò la sfera: i dati sugli Ancestrali e sulla loro dimensione scorrevano su una finestrella trasparente in alto a destra, mentre un algoritmo complicatissimo si riscriveva in continuazione sul segnale di un trasmettitore, che non rivelava nulla.

« Li stai cercando. »

Constatò solo il moro e MoiMoi grugnì in imbarazzo.

Dopo il ritorno di Zakuro avevano perso ogni segnale della dimensione degli Ancestrali; avevano tentato a triangolarla in ogni modo, ma era sparita. Scomparsa come non fosse mai esistita.

Pai osservò più da vicino i dati sulla sfera. Li avevano inseguiti nelle settimane passate, sebbene lui fosse incarcerato, ma dai dati che leggeva era evidente che il violetto avesse trascorso molte, molte più ore di quante lui pensasse a cercarli.

« La smetti di guardarmi così? Ho qualcosa in faccia? »

Pai sospirò divertito:

« Credevo fossi entrata nel circolo degli sfaccendati senza ritorno. »

« Sei sempre antipatico, e offendi. »

Sbottò il violetto. Sospirò un poco e si appoggiò alla sedia, fregandosi gli occhi stanchi:

« Sto solo cercando di non farla sembrare più preoccupante di quanto sia. »

Pai lo guardò in silenzio e si sedette sulla sedia vicina, leggendo i dati distratto senza memorizzarli.

« L'ultima volta che abbiamo combattuto contro Toyu e gli altri, a Tokyo… Ci hanno soverchiati. – proseguì piano il violetto – Hai visto anche tu come eravamo conciati. »

Il moro annuì in silenzio.

« So bene che sono diventati altre persone dopo il risveglio, ma così… »

Strinse i pugni sul tavolo e i suoi occhi si incupirono:

« Ma non voglio che gli altri vivano con l'ansia di girare ogni angolo. Diventa tutto molto più complicato, e lo sai anche tu. »

« Credo che stia cercando di rilassarli troppo, però. »

Puntualizzò Pai incolore.

« O forse sei tu che non riesci a farlo minimamente? »

Pai scosse la testa tornando poi a fissare severo la sfera.

« Loro non sono soldati, Pai-chan. Non voglio che vivano in allarme costante come su un campo di battaglia. – MoiMoi toccò la sfera sulla cima rimettendosi al lavoro – Ed è per questo che devo trovare quelli la. »

Pai annuì con un leggero sorriso, tutto aveva un senso, e finalmente riconosceva l'amico e quel miscuglio di senso del dovere, allegria e premura che lo contraddistingueva.

« Dovresti dormire comunque. – disse alzandosi – Stare sveglie di notte non giova all'aspetto. »

« Sentì chi parla! Fila a letto, subito! »

« Con Sando che russa a quella maniera, non ci riuscirei mai. E comunque, per chi mi hai preso? »

« Per un moccioso che deve ancora entrare nella pubertà – ribattè, con una lieve nota di rimprovero che Pai non capì – fila via. »

Il moro non aveva altra forza per discutere e se ne andò alla chetichella fuori dalla porta lasciandolo lavorare.

 

 

***

 

 

Il cinguettio si era affievolito, mentre tutti i presenti lisciavano le piume per calmarsi e aspettavano che il Re parlasse. La grossa ombra scura si mosse spalancando sul terreno le pesanti zampe, girando il testone con i suoi occhi rotondi da rapace:

« Gli intrusi sono ancora qui? »

« Sì, sì, sì! – pigolò qualcuno – Sono tanti! Sono grossi! »

« Sono sulla Terra che Frana, vicino alla Grande Acqua. – gracchiò qualcun altro meno concitato – Con un nido di pietra. »

« Ma qualcuno è come noi. »

Tutti si zittirono e il Re mosse il lungo becco nero verso un uccellino color glicine che si appiattì sul suo trespolo, muovendo nervoso il capo.

« Non sono come noi. »

Protestò il Re e l'altro pipiò acutissimo:

« C'è qualcuno. L'ho visto! – esclamò alle proteste generali – Ha le ali. »

Il cinguettio aumentò di volume finché il Re non sollevò la testa emettendo un basso strillo baritonale. Fu di nuovo silenzio e la creatura, dopo aver girato in tondo per alcuni minuti, sentenziò:

« Se esiste voglio vederlo. »

Un cicaleggio assordante e un altro suo richiamo all'ordine, e di nuovo silenzio.

« Portatemi lo straniero con le ali. Che parli per loro. Voglio capire cosa vogliono… O li getteremo nella Montagna Rossa. »

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) episodio 45

 

 

 

 

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Avanti potete dirlo: uno due tre…

Tutti: sei una BEEEP!

Yes lo soooo ^w^

Eyner: autrice ç___-**…

Dai di che ti lamenti? Finora sei quello a cui è andata meglio sei in una seconda base quasi terza :3!

Eyner: è il "quasi" che mi da fastidio -__-""…

Zakuro: … +__+***

Kisshu: come cosa chi dove?!? Ehi, ma non è giusto!!

Tempo al tempo bambolo.

Kisshu: ma io ho più diritto! Patisco da più tempo T_T!

*Ria lo ignora*

Ormoni, ormoni, ormoni a palla! *rotola* come minimo dovrò compensare con sangue e squartamenti sparsi -.-

Tutti: ma anche no °-°"!

A dire il vero non avrei voluto fare un capitolo in spiaggia, mi sapeva troppo cliché, poi ho trovato il modo di incastracelo e con fine utile :P che fortunella, eh ^w^?

Taruto: autrice ti odio ç___ç***…

Tu stai lì buono rannicchiato altri dieci o venti minuti, o rischi di esplodere e morirmi dissanguato dal naso.

Questo cap tra l'altro è stato forgiato sulla base di una cosuccia puramente fangirlosa (tradotto: qualcosa che NON mi vedrete mai fare in una long o in una OS semidecente x°°D) in cui mandavo a bosco ogni discorso di trama e fantasia e piombavo nelle peggiori banalità di situazioni lovvose, una cosa oscena che avevo scritto per dirvertirmi con le mie due pazzoidi xD. Il risultato è passato ora sotto i vostri occhi, e significa che io ho una OS per With a little help from my friends da riscrivere *piange* ispirazioneeee!!

 

*angolino dello spam*

 

1 - Seguite sempre il #martedìfangirl? Mi dispiace di essere stata poco produttiva negli ultimi due martedì, il mio umore non ha aiutato, comunque andate sulla mia paginetta per ogni aggiornamento :D!

Doodle – time: scene a casissimo :3
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2 – ricordatevi dei Moschettieri e del loro delirio :D https://www.facebook.com/the3mewsketeers

 

Voglio fare un grazie immenso a Danya, Hypnotic Poison, mobo, Rin Hikari e Fair_Ophelia (uaaah >w<  benvenutissima!!) per i loro commenti e il loro sostegno :3 un bacio a tutti voi!!

Ci vediamo tra due settimane ♥ 

 


Mata ne
~♥ !

Ria

 

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Capitolo 33
*** Toward the crossing: seventh road (part II) ***


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Ma ciao :D!

Mmm come potrei spiegare? Niente, oltre a risolvere la questione Goccia, ora dovrebbero accadere tante piccole cosine… Quindi in questo cap c'è DI TUTTO. Giuro. È lunghissimo! Un calvario xD

Tutti: e tu ridi?!?

Sorvoliamo, a dopo!

 

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Cap. 33 – Toward the crossing: seventh road (part II)

                Blue Bird

 

 

 

 

L'aria del mattino riempì le narici di fresco e sapore di sale, stuzzicando i cervelli insonnoliti del gruppo che, dopo una colazione spartana e silenziosa, iniziò ad uscire a passo da tartaruga sulla sabbia ancora fredda.

Eyner e Zakuro condussero gli altri vicino al luogo dove erano stati aggrediti il giorno precedente, proseguendo poi fino al punto esatto a piedi, e con cautela. La foresta, che stava passando dai rumori notturni a quelli del giorno, era diventata un'altra volta silenziosa come il pomeriggio prima, lasciando che solo i loro passi scricchiolassero sul terreno. Ichigo tentò di non far trillare nervosa il campanello sulla coda e di non fare troppo rumore con gli stivali, cogliendo nel fogliame leggerissimi movimenti.

« Sbaglio o ci stanno osservando? »

Sussurrò Minto stringendo il collarino di Retasu e lei emise un muto verso d'assenso, terrorizzata dalla tensione nell'aria sempre più calda.

All'improvviso si udì uno stormire d'ali e su di loro piombò uno nugolo di volatili, che sfiorò le loro teste e poi li si dispose a semicerchio attorno, impedendogli metaforicamente il passaggio. Un uccellino grande a stento un pugno si portò più avanti e pigolò minacciosamente, spalancando la grande coda amaranto e le alucce verde bosco per apparire più grosso. Kisshu emise un risolino sarcastico:

« Sono terrorizzato. »

Le terrestri non furono d'accordo, gli occhietti rotondi che le scrutavano dalle fronde erano abbastanza sinistri da far tremare le ginocchia. Fu Minto a prendere l'iniziativa, immaginando che la sua statura risultasse meno minacciosa di quella degli altri, e svolazzò su un ramo a debita distanza dall'uccello dalle ali verdi, ma ad altezza sufficiente per guardarlo sul musetto:

« Non vogliamo fare niente di male – rassicurò lentamente, sperando la capissero – stiamo solo cercando una cosa. »

« Pssst, Taruto-chan! Metti via quei cosi! »

Il brunetto guardò appena MoiMoi e nascose di corsa i pugnali che aveva d'istinto estratto, sorridendo innocente.

L'uccello dalle ali verdi mosse il capino e mandò un pigolio, studiando Minto, e le zampettò più vicino; lei cercò di rimanere impassibile, sebbene l'animale le risultasse tutt'altro che tenero o innocuo dall'altezza con cui la sovrastava, e lo sentì cinguettare:

« Sei una strana creatura. Hai lei ali, ma non il becco; come fai a mangiare? »

« Io non sono un uccello. »

Spiegò garbata e l'animale piegò la testa più volte, poco convinto.

« Come fa a capirli? »

Borbottò Kisshu e scrollò il suo bracciale schermante poggiandoci poi sopra l'orecchio, come per accertarsi che funzionasse:

« Io prendo due sillabe su cinque. »

« Il bracciale si starà ancora settando per questa dimensione – sussurrò Pai spiccio – e Aizawa ti ricordo che è ibridata con un volatile. »

Kisshu grugnì poco convinto.

« Non sei un uccello e voli. »

Constatò scettico l'uccellino dalle ali verdi continuando ad analizzare Minto e arruffò le penne sulla testa:

« Sei stata saggia a venire di tua spontanea volontà. »

Sentenziò. Minto non fece una piega, non capendo, avvertendo però una vaga minaccia nelle sue parole e deglutendo forte.

« Il Re vuole parlare con te, creatura con le ali. »

L'uccellino si fece da parte e dai rami più all'interno proruppe uno scalpiccio deciso, prodotto da qualcosa di parecchio più grosso dei teneri volatili appostati a loro guardia. Minto irrigidì la schiena e sollevò il mento altera, cercando di non apparire spaventata, e con un cenno scacciò il tentativo delle amiche di andarle vicino.

Dalle fronde spuntò una creatura grande quanto un bambino. Grosse zampe nere con tre dita, simili a quelle di un airone, sostenevano un corpo robusto coperto di piume blu venate di verde rame; la testa enorme da rapace aveva due occhi tondi del colore del mare, vivaci e attenti, spaventosi quanto il grosso becco nero. Il Re alzò il testone mandando uno strillo cupo, che si spense nel secondo in cui notò l'aspetto dell'ambasciatrice al suo cospetto.

« Cosa sei tu…? »

« Un… Essere umano, maestà. »

Rispose piatta. L'etichetta insegnata negli anni parve funzionare anche per sovrani dotati di piume, perché lo sentì emettere un versetto compiaciuto.

« Non so cosa sia un essere umano – gracchiò il sovrano studiandola da un lato all'altro – da dove vieni? »

« Molto… Molto lontano da qui. Oltre il mare. »

E indicò alle sue spalle. Il Re reclinò il testone e strepitò più nervoso:

« Non c'è nulla oltre la Grande Acqua. Non mentire di fronte a me. »

Gli uccelli attorno proruppero in proteste che il sovrano placò con un unico cinguettio tombale, tornando a fissare Minto penetrante.

« Non ha importanza se non vuoi dirlo. – tagliò corto, molto più interessato alla curiosa forma della sua interlocutrice – Ciò che voglio sapere è cosa siete venuti a fare qui, nel mio regno, tu e i tuoi compagni spennati. »

« Dite che era un insulto? »

« Oh, for God's sake, Ichigo, non dire una parola. »

Il grosso uccello non ascoltò e si chinò verso Minto che inghiottì a stento un po' di saliva, vedendosi riflessa per intero nell'enorme pupilla rotonda.

« E perché mi somigli tanto. »

La morettina sbattè le palpebre, pensando seriamente di doversi offendere, e con un gesto dell'ala il Re si avvolse in un turbinio della livrea; in un istante la mewbird vide il vortice di piume ridursi alla sua altezza e quando il Re scostò di nuovo le ali, lei di fronte non si trovò più un uccello.

« Sei quasi come me. »

Ripetè lui. Minto non potè replicare, ancora troppo stupita.

Il Re era diventato alto forse una ventina di centimetri e aveva assunto un aspetto a metà tra un uomo e un volatile: sotto la vita aveva mantenuto le grosse zampe nere con tre dita e una lunga coda di penne blu, dall'addome al volto aveva le fattezze di un uomo; il torace robusto era glabro, mentre dalle spalle e lungo le braccia muscolose c'erano in gruppi piume verdi e azzurre, fino alle mani dotate di tre piccole dita unghiute come le gambe; aveva penne anche sul collo e ai lati del viso, su cui brillavano le due iridi marine in un paio d'occhi leggermente più ovali di prima, ma ugualmente intensi e vivaci.

Il Re sbattè le ali che gli sfioravano le caviglie, enormi rispetto a quelle di Minto, e prese a girare attorno alla morettina studiandola palmo a palmo con un'intensità tale da farla arrossire.

« Perché sei così? »

« Perfino un sovrano dovrebbe avere la buona educazione di presentarsi, prima di tartassare una persona di domande. »

Ribattè lei ricomponendosi, calma ma severa, stufa del suo passeggiare. Il Re spalancò gli occhi chiari senza mutare espressione e Minto insisté con un cenno del capo:

« Mi chiamo Minto. »

Data la situazione poteva saltare le puntualizzazioni sul cognome. Il Re accennò a ripetere il suo gesto, inespressivo:

« Puoi chiamarmi Papageno(*), se è un nome che ti serve. – disse senza particolare inflessione – Governo ciò che c'è sopra la Grande Acqua. »

Minto si rese conto che i suoi amici avevano difficoltà a stare dietro a ciò che diceva il sovrano, perché sebbene alle sue orecchie non fosse, non aveva mai smesso di parlare per cinguettii e brevi note di canto tipo un canarino.

« Ora voglio sapere. »

Le andò più vicino e Minto si ritrasse un po' a disagio:

« È una storia molto… Complicata. »

Papageno tacque e strinse gli occhi chiari, frullando un poco le ali come a scacciare qualcosa di invisibile.

« Puoi non dirmelo, se è ciò che vuoi. – disse dopo averla osservata a lungo – Cosa sono quelli? »

Accennò con il capo agli altri alle spalle della morettina e il suo sguardo divenne più feroce. Minto non riusciva a seguirlo, pareva porle le domande più per circostanza che per volontà delle risposte, la sua unica preoccupazione erano gli accoliti che la mewbird aveva con sé.

« Sono miei amici. »

« I tuoi amici sono goffi, distruttori. – ribattè aspro Papageno – Passano per il mio regno come la Grande Acqua quando s'infuria. Rompono gli alberi e schiacciano la terra, e fanno scappare il cibo. »

« S-scusi – mormorò Retasu sperando di aver capito le sue polemiche – è che siamo un po' ingombranti… »

Papageno ignorò le scuse:

« E sono orrendi. »

Gli uccelli attorno a loro gli fecero coro cinguettando giulivi e Ichigo sibilò acida:

« Ok, questa l'ho capita. »

Papageno non la degnò di attenzione e svolazzò su un ramo accanto a Minto, all'incirca all'altezza della sua testa, e si piegò in avanti per vederle da vicino il viso:

« Tu invece sei bella. »

Inclinò la testa da una parte e dall'altra analizzando la morettina che retrocesse di un passo, riacquistando la sicurezza del suo spazio personale e sperando di non apparire imbarazzata.

« Cosa siete venuti a fare qui? »

« N- »

« Che cantilena! Sei proprio un rompipalle principino del pollame. »

Sbottò Kisshu stufo e fece per avvicinarsi, allungando la mano verso Minto per scostarla:

« Senti un po', cosetto di penne… »

Appena Papageno lo vide scattò. Si piazzò di fronte al verde e mandò uno strillo secco, spalancando le ali e gonfiando il petto per apparire più intimidatorio; lo squadrò facendo scattare minaccioso gli artigli di mani e zampe e scoprì una fila di denti acuminati poco adatti a mangiare insettini e semi, piuttosto utili a tranciare la carne.

Papageno schioccò le mascelle feroce, era chiaro che non gli importava nulla di quanto fosse grosso Kisshu rispetto a lui; anzi, dava l'idea di sapere benissimo dove colpirlo in maniera letale, prima ancora che lui potesse acchiapparlo. Tutt'attorno, i suoi sudditi cinguettavano e stridevano come matti.

« Non ti ho dato il permesso di muoverti! Né di avvicinarti. »

Kisshu schioccò la lingua infastidito, restando immobile solo perché Pai gli afferrò pronto la spalla. Papageno non ci badò, invece, decidendo di aver a sufficienza definito il suo territorio e se ne tornò a parlare con Minto, allontanandola dal verde come se fosse un animale pericoloso.

« Possiamo tornare all'opzione B, grigliata di pollo e cercare da soli? »

« Kisshu-chan, piantala. »

Minto scostò con garbo la mano da quella del re, aspettando le domandasse altro, e per l'ennesima volta lo sentì ripetere:

« Cosa siete venuti a fare? »

« Cerchiamo una cosa. – rispose rapida lei prima di altre interruzioni – Una cosa che abbiamo perso. »

Papageno piegò la testa e aspettò zitto.

« Ha questa forma, ed è grande più o meno così – continuò Minto mimando con le mani – e manda luce. »

Vide Papageno corrucciarsi e gli uccelli attorno tornare ad agitarsi prima che lui li zittisse di nuovo:

« Da quando è arrivata quella cosa la Montagna Rossa non fa che gridare. »

« Allora è qui…! »

Minto sospirò di sollievo, ma si sforzò di contenere l'entusiasmo perché il sovrano non fu decisamente partecipe:

« Possiamo portarla via? »

« Devi. Se ci riesci. »

Non spiegò oltre e indicò il fitto della foresta alle sue spalle:

« Ad un giro del sole, quando arriva luna. »

Pai trattenne una protesta; aveva tenuto il conto della durata della notte in quel mondo, all'incirca otto ore, e vista la posizione del sole quand'erano arrivati rispetto a quando era giunto il tramonto, il giorno doveva essere di poche ore di più. A conti fatti ci avrebbero messo un'altra mezza giornata.

Minto strinse umile le mani al petto e chinò la testa:

« Dunque possiamo andare a prenderla? »

Le piume sulla testa di Papageno si mossero lievemente:

« Ti permetto di passare, se è questo che mi chiedi. – poi allungò inquisitore un dito della mano – Ma loro no. Non passeranno nella mia casa. »

« Cosa sono tutte queste discriminazioni?! »

Eyner diede di gomito a Kisshu senza che questo cedesse e insisté nelle proteste, e Papageno sentenziò cupo:

« Non mi fido di loro. »

« Le prometto che non accadrà nulla! – insisté Minto, non sapendo cosa dire e cosa non per ingraziarsi l'insolito regnante – Ha la mia parola. »

Papageno non apparì convinto. MoiMoi allora prese per il colletto Kisshu e Taruto, accanto a lui, e li costrinse a chinarsi in segno di rispetto; fece segno agli altri di imitarlo e più umilmente possibile disse:

« Seguiremo tutte le regole che ci dirà! »

« E vorrei sapere perché – stridette Kisshu inudibile – visto che è uno stronzetto che potrei schiacciare sotto la scarpa. »

« Perché lo stronzetto che potresti schiacciare – gli sibilò Pai nell'orecchio – è il solo che possa portarci alla Goccia senza perderci. Non ho intenzione di vagare per giorni. E visti i suoi amichetti, io vorrei tenermi tutte e due gli occhi per la fine di questa storia. »

Papageno li osservò freddamente senza dire niente. Dopo un minuto emise uno strano richiamo rauco e un piccolo stormo si levò dalle fronde più alte: uccelli bianchi con le piume sul capo rosate si posarono uno ad uno su una spalla di ciascun terrestre e ciascun jeweliriano, senza un verso, fissandoli con crudeli occhi color ebano.

« Questa è la mia prima regola. – disse Papageno lentamente – Loro saranno la vostra guardia. Disubbidite, e sarà l'ultima cosa che farete. »

Ichigo sentì con terrore gli artigli acuminati dell'animale sulla sua spalla destra graffiarle la pelle, e il becco aguzzo schioccarle nelle orecchie; deglutì forte, non sembravano parole molto vane.

« Yo-ho-ho, and a bottle of rum. »

« Non fa ridere, nii-san. »

Purin tremò un secondo quando Papageno, senza preavviso, le volò davanti e le scostò il labbro superiore studiandola:

« Voi mangiate carne. »

Constatò torvo battendo un'unghietta sul canino sinistro della biondina:

« Seconda regola. Sfiorate uno degli Alati solo con un dito, e sarete puniti. »

« Cioè… Intende mangiarli?! Loro?! »

Le orecchie di Ichigo scattarono sull'attenti mentre indicava a caso gli uccelli nella radura:

« No! No, no, mai! Non potremmo mai! »

« Questo disse il gatto… »

« Taruto non sei di aiuto! »

« Se distruggerete la foresta o il nostro cibo, sarete puniti. »

Continuò il piccolo re e guardò severo la mano che Sando teneva appoggiata ad un tronco carico di insetti; l'uomo la ritrasse tossicchiando noncurante, sperando che Papageno non avesse visto le povere formichine morte che si spalmò di nascosto sul retro dei pantaloni.

« Ovviamente, se disubbidirete ad una singola cosa che vi dirò, sarete puniti. »

Nessuno replicò e Kisshu fece un madornale sforzo per non estrarre un sai ed infilzare il volatile parlante. Si disse che dovevano pensare solo al Dono, recuperarlo velocemente e rientrare, poteva sopportare di essere docile ai comandamenti di un borioso da un palmo.

Dettate le regole Papageno tornò a guardare Minto, che si stava sforzando in ogni modo di non mostrarsi turbata, e le tese la mano:

«  Ora posso condurvi alla Montana Rossa. »

 

 

 

 

Taruto immaginò che, dato l'aspetto delle loro guide, avrebbero volato per risparmiare tempo, ma la giungla era così fitta che per loro sarebbe stato impossibile muoversi velocemente contravvenendo alle regole di Papageno. Si ritrovarono quindi a camminare al passo più svelto concesso dalla vegetazione selvaggia e tentando di schivare gli Alati che zampettavano sui rami accanto alle loro teste e sul terreno, e che svolazzavano canticchiando tenendoli sempre al centro dell'eterogeneo stormo.

« Messo in scacco da dei tacchini colorati… È il colm- ahi! »

Sando soffocò un'imprecazione mentre il suo custode, per dispetto, gli pizzicò la pelle del collo con il becco e lo scrutò tronfio.

« Guarda che capiscono quello che dici. »

Lui squadrò MoiMoi minaccioso e borbottò maledizioni in lingua aliena, che gli garantirono un altro pizzicotto dal suo guardiano.

Il gruppetto bipede proseguì a fatica nella selva; ad un paio di metri da loro, invece, Minto fu invitata con poche scelte a viaggiare accanto a Papageno sul dorso di un altro volatile: questo assomigliava al sovrano nel suo altro aspetto, pure come dimensioni, ma il suo piumaggio era rosso e rosato e il becco giallastro. Loro due avanzarono senza fatica in groppa al goffo destriero, ma Minto fu poco contenta di trovarsi lontana dalle amiche.

Papageno non faceva che tormentarla di domande a cui ne intercalava altre senza lasciarla rispondere, insistendo per volerla studiare più da vicino incurante dei tentativi di lei di scacciarlo con il maggior garbo possibile; era affascinato dal suo aspetto e la fissava con caparbietà da rapace, probabilmente senza capire che il posare lo sguardo in certi punti era maleducato per non dire sconveniente.

Minto tentò di coprirsi come riuscì e al contempo di fermare il flusso cinguettante del re che, purtroppo, mancava del senso comune su alcune cose e non capiva le sue risposte in toto.

« Quindi discendi da un Alato e un… Umano, come li chiami tu? »

« No. – sospirò per la millesima volta la morettina, scostando l'ala che Papageno le stava pizzicando con le unghie – Sono… Diversa. Sono modificata, dentro. »

E si battè sul petto. Papageno inclinò la testa protendendosi in avanti, così vicino che Minto riuscì a vedere le nervature delle penne attorno al suo volto:

« Non riesco a comprendere. »

« Me ne sono accorta… Non saprei come spiegarlo meglio. »

« E quella cosa che luccica – continuò il sovrano – la vuoi per tornare come quelli? »

Battè i denti acuminati con fastidio indicando sdegnoso il gruppo dietro di sé, che davvero appariva brutto, sgraziato e stupido intento ad arrancare nel sottobosco. Minto fece fremere le alucce e sollevò il mento fiera:

« Certo. Io sono così. »

Papageno piegò ancora la testa più e più volte:

« Che cosa assurda. »

« Tu… Lei vive con i suoi Alati – spiegò, correggendo le parole e calmando il tono iroso – io vivo con loro. Sono loro la mia gente. »

« È una sciocchezza. »

Minto rabbrividì un poco avvertendo l'artiglio grattarle la pelle della gola mentre Papageno le prese il mento tra due dita; si ordinò di non reagire bruscamente, non le era sembrato il tipo che accettasse troppo le cose non gradite ed era un po' troppo vicino ad un suo punto vitale, per stuzzicarlo. Restò immobile, la mascella contratta e l'espressione superba, mascherando l'ansia e il disagio: Papageno non era molto espressivo e per la maggior parte del tempo a stento lo si intuiva muovere la bocca, ma i suoi occhi vibravano ad ogni frase, ad ogni cosa che stuzzicava il suo interesse, sinceri e schietti fino all'indecenza. A Minto ricordarono molto lo sguardo di qualcuno e si irritò, sia per il paragone sia per il capire che quelli del re volatile le risultarono molto più fastidiosi.

« Perché rinunciare a questa forma meravigliosa? »

« Perché non sono io, così. »

Rispose piatta, allontanando la zampa. Papageno non smise di rimirarla, il volto sempre di pietra:

« La tua gente non ti accetta così? »

Minto si irrigidì alla domanda e scostò lo sguardo:

« No… È che… »

« Puoi restare, se lo desideri. »

Le disse a bruciapelo e Minto sperò di aver sentito male.

« Avresti tutto il cibo che vuoi, non dovresti più cacciare da sola; avresti un rifugio, saresti una regina in mezzo agli Alati. »

Probabilmente puntualizzare che tutte le allettanti prospettive, per un uccello, non solleticavano il suo desiderio umano sarebbe stato poco garbato. Papageno si alzò in piedi non aspettando che Minto dicesse alcunché e volò in avanti alla cima dello stormo, lasciando la morettina a prendersi il viso tra le mani.

Ringraziò il cielo che nessuno avesse sentito un pennuto farle una sorta di proposta di matrimonio, l'avrebbero presa in giro per settimane:

« Ma quanto manca ancora per la Montagna Rossa? »

Proseguirono per altre due ore, incuranti della fatica di Ichigo e degli altri; questi bevevano ad ogni occasione, ringraziando silenziosamente Sando che si era sobbarcato l'onere di trasportare la borsa fredda carica di litri d'acqua, ma c'era caldo e afa, camminare era sfiancante, e preso nemmeno i ristori liquidi furono di aiuto per alleviare le loro fatiche.

Minto avrebbe almeno voluto stare loro accanto, ma il suo trasporto le impedì di muoversi agguantandole la gonna del vestito con il becco ad ogni nuovo tentativo di volo. La sola consolazione fu che Papageno fu trattenuto sull'avanguardia e Minto non lo rivide per il resto del viaggio.

La luce del sole che filtrava dagli alberi perse poco a poco di forza e dovette essere già tardi, sebbene non così tanto da far calare la notte,  perché sopra di loro il cielo era scuro e incombente.

« Dite che pioverà? »

« Quelle non sono nuvole da pioggia, nee-chan – rettificò Purin annusando l'aria – non c'è umidità. »

« Già – constatò Retasu sfiorandosi il braccio – anzi, l'aria è così secca… »

Ichigo rabbrividì gonfiando il pelo della coda, tutta la situazione la rendeva tesa come una corda di violino; inspirò più volte e continuò a camminare in silenzio, le labbra strette, ascoltando un cupo borbottio sempre più vicino a loro e il caldo farsi arido e soffocante.

« Beh – tentò di stemperare parlottando tra sé e sé – almeno la foresta si è apert- »

Cacciò un grido sentendo il tacco dello stivale premere nel vuoto. Rotolò a peso morto lungo un improvviso crinale, la sua guardia alata che intanto se la squagliava, e sbatacchiando tra cespugli e alberi si domandò come avrebbe potuto rispondere a tono al successivo rimprovero di Pai sulle sue gambe di burro.

Arrivò in fondo in una manciata di secondi, coperta di terra dalla testa ai piedi. Fu strano accorgersi della poca vegetazione che aveva attorno – ma ringraziò per essersi evitata la fine di una pallina da flipper – anzi, che sul fondo del crinale non c'era quasi nulla di vivo. Si passò il guanto tra i capelli, non era terra quella che aveva addosso, era cenere nera.

Il rimbombo scoppiò più forte e la mewneko si sentì investire da una vampa rovente. Miagolò terrorizzata e scattò in piedi, coprendosi gli occhi con le mani per il caldo e la luce.

« Ichigo! Stai bene?! »

Minto avrebbe voluto correre dall'amica, esattamente come gli altri, ma tanto il suo quanto i loro custodi non erano dell'idea di proseguire così in quinta. Papageno ricomparve con un battito d'ali accanto alla morettina, indicando di fronte a sé:

« La Montagna Rossa. »

« Temevo l'avresti detto. »

Gemette Taruto sottovoce. Lo sguardo di tutti frugò lungo il profilo scarlatto e nero della montagna e su uno dei costoni intravidero un piccolo punto di luce palpitante circondato da colate di lava.

« Oh, sì, non chiedevo di meglio. Un vulcano! – proruppe Kisshu imprecando – Altroché, qui finiamo noi come polli arrosto. »

In basso Ichigo piombò nel panico.

Nemici, mostri, animali, quelli poteva provare ad affrontarli, ma come faceva ad affrontare un vulcano?!

La Goccia vibrò un secondo con più vigore e il vulcano rispose. Ruggì cupo e una nuova onda di magma esplose dalla sua cima precipitando nella valle ai suoi piedi; la pioggia di lapilli battè senza pietà il terreno, incendiando la poca vegetazione rimasta e minacciando di raggiungere quella oltre, al sicuro sulla cima della gola. Ichigo strillò, ritrovandosi sulla linea di tiro dell'esplosione, e provò invano a risalire: la parete era ripida, ricoperta di cenere e detriti che la facevano scivolare in basso ad ogni tentativo, e lei soffocò un urlo quando la mano che allungò in cerca dell'appiglio di una roccia per poco non finì in fiamme, sfiorata da un fiotto di lava.

« Ichigo! »

La rossa iniziò a correre da una parte all'altra schivando i detriti, senza sapere cosa fare. Colse con la coda dell'occhio l'agitazione degli altri, le loro grida di protesta, e le sembrò di vedere il profilo di un animale grigio iniziare a scivolare per la gola, ma era troppo impegnata a non morire per badarci.

La paura le stava facendo rimbombare il cuore nelle orecchie. Scattò indietro evitando un fiotto rovente per un soffio, poi sterzò trovandosi la via opposta chiusa da una colata di fuoco, e sentì il sibilo di qualcosa arrivarle sempre più vicino…

« Ichigo! »

Chiuse gli occhi. La pressione del colpo che si sfracellò alle sue spalle – non seppe per quale sorte fortunata, perché era certa l'avrebbe centrata in pieno viso – la spinse ancora verso il fondo della scarpata, facendola ruzzolare nella cenere, un po' troppo forte per le sue dimensioni. Non ebbe il coraggio di guardare e avvertì un paio di mani stringerla – no… prenderla in braccio?! – e poi la fastidiosa sensazione del teletrasporto.

« Nee-chan! Tutto bene?! Sei ferita?! »

Ichigo, intontita, provò a rispondere ed emise un miagolio. Si accorse di essere tra le braccia di Ryou e capì come la bolla di lava esplosa l'avesse evitata, limitandosi a scagliarla via con il contraccolpo: era diventata un gatto.

« Shirogane-san…! Tutto a posto? »

Il biondo annuì mandando un lungo sospiro, coperto da capo a piedi di fuliggine.

« Qualcuno mi spiega per piacere? »

Sbottò Kisshu, lasciando bruscamente la presa sulla spalla del biondo:

« Tu saresti Ichigo? »

Esclamò indicando la pallina di pelo e quella miagolò muovendo la codina.

« Devi esserti agitata troppo – spiegò Ryou pulendosi il viso nero, rivolto alla gattina – era parecchio che non succedeva. »

Lei emise un miagolio basso, essere circondata dalla lava poteva essere considerato un motivo di stress non proprio comune.

« Peccato – la canzonò il biondo – hai interrotto la striscia positiva. »

La gattina nera soffiò irritata, non era divertente come battuta. Ignorò bellamente che, nonostante la volontà di scherzare, il tono di Ryou fosse enormemente sollevato nel vederla viva e vegeta, anche se come felino.

« No, un momento, non ci sto capendo niente – insisté Kisshu irritato – come è successo?! »

« Guarda che i dati che ci passiamo con Shirogane e Akasaka non dovrebbero essere solo da collezionare. Dovresti guardarli. »

Lo rimproverò Pai e prima che il verde replicasse MoiMoi spiegò:

« Il DNA del gatto selvatico Iriomote è un pochino instabile, se Ichigo-chan si emoziona troppo diventa un gatto. »

Il verde sgranò gli occhi fissando la gattina che abbassò le orecchie e miagolò tetra.

« E per quanto resterà così? »

« Può tornare umana anche subito – ridacchiò Purin – basta che le… »

Ichigo soffiò furente rizzando il pelo per farla tacere, l'ultima cosa che le serviva era dire a Kisshu il solo sistema che aveva mai scoperto per tornare umana.

« Ora non c'è tempo. »

Tagliò corto Ryou. Posò la gattina ai piedi del volatine-carrozza di Papageno e domandò:

« Posso chiederle di badare a lei? »

Il sovrano lo squadrò indifferente:

« Noi non andiamo oltre verso la Montagna Rossa, non quando urla così. Se andare là è quello che volete, siete liberi di farlo. »

Le guardie sulle loro spalle volarono via tornando a colonizzare gli alberi dietro di loro. Ichigo miagolò poco entusiasta di quanto aveva sentito e Ryou le premette un poco sulla schiena perché si accucciasse ai piedi del volatile:

« Stai qui. »

« Fai compagnia alla cornacchietta. »

« Ehi, no! – protestò Minto – Aspettate, i- »

Scivolarono tutti nella gola e la mewbird strinse le labbra, cosciente di poter fare solo da spettatrice.

« … Dannazione… »

L'eruzione aveva rallentato il ritmo e solo lente colate di lava scivolavano dalla bocca del vulcano. I ragazzi ne approfittarono per avvicinarsi il più possibile alla Goccia rimirando sconfortati il perfetto anello di magma e fiamme che la circondava.

« Mamma mia, fa un caldo pazzesco!! »

« Che mi risulti la lava non è mai stata fredda, scimmietta. »

« Invece di dire scemenze, pensiamo ad un piano. »

Sbottò Pai infastidito dalla sensazione del calore cocente sul volto.

« Io e Taruto ora possiamo aiutarvi poco – sbuffò Sando – daremmo solo di che bruciare al nostro simpaticone. »

« Potrei provare a creare un punto rialzato per la Goccia, o una strada sopra la lava – proposte incerto MoiMoi – ma rischieremmo di spalancare un nuovo punto di scolo della lava. »

« Basterebbe aprire il passo a sufficienza perché uno solo ci arrivi vicino – riflettè Ryou – non serve bloccare l'eruzione. »

« Non era nei piani, biondo. »

« E se io e Pai-san provassimo a solidificare la lava? – fece Retasu – Con acqua e ghiaccio, dovremmo farcela. »

Si voltò con un sorriso incoraggiante verso il moro che, non seppe la ragione, annuì gelido voltando la testa sdegnoso e non la guardò. Retasu si sentì confusa, fino al pomeriggio prima era stato gentile, a modo suo, non le pareva di aver fatto qualcosa per irritarlo.

« Andiamo. »

Scattò in avanti senza aspettarla. Retasu gli caracollò dietro spaesata, sforzandosi di mantenere l'attenzione sulla missione: iniziò a generare il Ribbon Lettuce Rush mirando alla parte opposta di Pai, creando rapidamente un cerchio di roccia; ma il ghiaccio di Pai si scioglieva al solo contatto con il magma, compiendo a stento metà del lavoro, e anche se l'acqua di Retasu induriva la roccia questa rimaneva rovente, e per poco lei non si diede fuoco alle scarpe tentando di posare un piede sulla superficie solida.

« Maledizione, non basta…! »

Quasi avvertendo le parole di Pai, la Goccia vibrò di nuovo e il vulcano eruttò una seconda volta. La lava iniziò a scorrere copiosa rovinando quasi tutta la loro fatica, e tornando ad avvolgere il Dono con una barriera invalicabile.

« Forse è rimasto un po' di posto! »

Purin, fiduciosa, saltò un piccolo rivolo di magma puntando ad un minuscolo sentiero di roccia, sopravvissuto alla nuova colata, e lo centrò con il Pudding Ring Inferno; se avesse resistito, avrebbe avuto un percorso su cui poter camminare, lontano da lava e roccia bollente.

Fece un paio di passetti sul sentiero gelatinoso e la sua caviglia affondò di colpo nella sostanza budinosa, il caldo era stato troppo e la coesione della struttura non potè resistere; la mewscimmia perse l'equilibrio e avvertì il caldo della lava arrostirle i peli del braccio, un istante prima che Taruto l'agguantasse e la riportasse al sicuro, il fiato grosso e la faccia spaventata.

« Valuta le cose prima di lanciarti, insomma! »

Protestò tenendola stretta. Purin si scusò e sorrise, per nulla dispiaciuta di dove si trovava, ma Taruto scostò le braccia di scatto incupendosi, a disagio nell'avvertire la silhouette della biondina così contro di sé; lei mise il broncio e il rombo del vulcano la riportò alla realtà, non aveva tempo di pensare a cose del genere.

« Gente spremete le meningi in fretta. – fece Kisshu e schivò protestando uno schizzo di lava che fischiò troppo vicino alla sua gamba – Qui finiamo cotti. »

Dall'alto della cresta Minto osservò la scena mordendosi le mani. L'eruzione non accennava a diminuire e tutte le idee che gli altri tentavano fallivano una dopo l'altra.

Strinse i pugni sulle gambe e si alzò.

« Cosa fai? »

« Aiuto i miei amici. »

Sentenziò semplicemente e si gettò a volo radente sul crinale ignorando le proteste di Papageno e i miagolii di Ichigo.

Il caldo che aveva avvertito sul limitare della giungla non fu nulla a confronto di quello che la investì quando raggiunse le radici del vulcano. Ebbe l'impressione di asfissiare mentre lapilli roventi le guizzavano accanto, insopportabili; accelerò l'andatura, coprendosi gli occhi con una mano per non essere accecata dalla cenere, e guizzò oltre il gruppo puntando alla Goccia come una falena sulla luce.

Dovette solo pregare che la Goccia fosse abbastanza solida da non inglobarla in una gelatina luminescente.

Kisshu imprecò tra i denti:

« La cornacchietta ha perso il cervello…! »

« Minto! »

Nemmeno le proteste di Zakuro la fermarono. La mewbird zigzagò tra le rocce e la lava, l'impressione di stare già bruciando e la fatica nel respirare, tra l'aria arida e il sudore che le colò lungo il collo, ma non si fermò; sentì un lapillo accarezzarle il braccio e soffocò un grido di sofferenza, avanzando ancora, ignorando la cenere e le altre fiammelle che le lambirono feroci gli orli dell'abito e la carne. Davanti ai suoi occhi ebbe solo la Goccia, sempre più grande e lucente, e caccio indietro i lamenti e le lacrime di dolore.

Si schiantò contro il Dono nemmeno un lottatore di lotta libera sul suo avversario. Non provò neanche a frenare, anzi accelerò, e strinse i denti all'impatto secco con la superficie fresca.

Fu impreparata alla mancanza di resistenza che ricevette. Lei e la Goccia schizzarono oltre la coltre di lava che la proteggeva e ruzzolarono una ventina di metri più in là su un mucchio di detriti. Minto sputò cenere ovunque, la bocca già torrida che si seccò ulteriormente e tentò di deglutire, la gola riarsa che le impediva di respirare; cercò la Goccia con la punta delle dita, mezza affogata nella montagnola polverosa, e vide qualcuno afferrare la sfera con una mano. Un'altra mano affondò nella cenere sotto le gambe della mewbird e la sollevò prima che la fuoriuscita lavica la raggiungesse.

Si alzarono sopra alla nebbia e ai vapori del vulcano, e Minto riprese a respirare meglio. Si rese conto di avere accanto Papageno che le stava tenendo con decisione un braccio, però non era stato lui a trarla in salvo; il piccolo re allontanò la mano quando si ritrovarono in sicurezza e guardò verso l'alto, stizzito.

« Dovrò fare un elenco delle volte che ti ho salvato il didietro, cornacchietta. »

« Nessuno… Ti ha obbligato… Sai? »

Protestò lei senza fiato e strinse la presa sulla mano di Kisshu su cui era accovacciata, la testa che le diede il capogiro per i residui di fumo.

« Scusa, mi serve spazio. »

Vide il verde posare la Goccia sullo stesso palmo con cui la teneva e prendere la boccetta da una tasca dei pantaloni; aprì il contenitore e il Dono vi scivolò dentro placido, poi il ragazzo le ammiccò furbo:

« Adoro gli aspiranti suicidi. »

« Se era un complimento, era davvero pessimo. »

Borbottò la mewbird lasciandosi sfuggire un mezzo sorriso.

Il vulcano emise altri gorgoglii sempre più fievoli e la lava rallentò la sua corsa, iniziando ad addensarsi in piccoli avvallamenti lungo le pendici della montagna. Minto non ebbe la forza per tessere altre proteste, completamente senza fiato, e poco badò a cosa le accadde attorno; seppe solo che lei e Kisshu tornarono indietro e gli altri li raggiunsero sul crinale, accanto ad Ichigo che zampettava attorno alle gambe del verde puntando l'amica e protestando con miagolii lamentosi. Retasu frugò veloce nella borsa termica e aiutò Minto a bere un paio di sorsi d'acqua: la mewbird sorseggiò smaniosa e sollevata avvertendo la frescura lungò la gola, e tornò poco a poco a respirare e ragionare normalmente.

« Tieni davvero tanto ad aiutate questi umani. »

La voce cupa di Papageno non la sfiorò e lei si limitò a sorridere appena:

« È per una cosa che ho promesso di fare. Non mi piace lasciare le cose a metà. »

« Sentite la spocchiosetta. »

« Kisshu, il fatto che ti debba un favore non significa che tu possa fare tanto il furbo. »

« Ammissione in pubblico. – rise lui indicandola – Avete sentito no? »

« Con quelle che mi devi tu, stai fresco. »

Ringhiò più torva e Kisshu la fissò divertito.

Papageno fremette le ali infastidito e cinguettò qualcosa al suo stormo, che si ritirò volando in alto oltre la volta arborea.

« Trovo sciocco voler tornare ad assomigliare a queste stupide creature. »

Ichigo miagolò cupa in braccio a Purin, squadrando Papageno con la forte tentazione di mettersi ad inseguirlo, era stufa degli insulti di quell'uccellaccio.

« Voglio tornare com'ero prima. »

Chiuse Minto decisa. Papageno non le rispose e guardò gli altri con sufficienza:

« Tornerete da soli. State tranquilli, vi siete comportati bene, nessuno vi infastidirà. »

« Che grande concessione… »

Kisshu sigillò la bocca strozzandosi con un lamento per il calcio nel ginocchio di Eyner.

« Ovviamente le mie regole valgono ancora. E non sperate di non essere visti… »

« Avevo il sospetto. »

Fece Zakuro truce.

« Quando torniamo mi metto a dieta di karaage(**) e cosce di pollo. That's bastard… »

« Ryou-chan, almeno tu! »

Papageno li studiò uno per uno con i suoi occhi penetranti, guardingo, e si avvicinò a Minto farfugliandole qualcosa nell'orecchio. La mewbird sgranò gli occhi in imbarazzo senza rispondere e con un grido stridulo il re riprese il suo aspetto e volò via, lasciandoli soli con il vulcano assopito come sfondo.

« Ok, ora posso sfogarmi e cercare qualche pennuto da mangiare? »

« Guarda che ci stanno ancora tenendo d'occhio – gli rimbrottò Ryou – e quei becchi tagliano. Parecchio. »

« Concordo. »

Ringhiò Sando lugubre.

« Ora torniamo a casa, Kisshu, e di corsa – bofonchiò Pai – ho già esaurito la mia dose di pazienza per la giornata. »

Ci fu un assenso generale.

« Che cosa ti ha detto? »

Domandò Retasu porgendo altra acqua a Minto e lei scosse la testa con violenza, a disagio:

« Sorvoliamo. Torniamocene a casa, vi prego… Ho cenere ovunque. »

 

 

***

 

 

Riusciva ad avvertirlo.

Era sempre più forte.

Più potente.

Riprendeva sempre più concretezza. E loro con lui.

Perso nel limbo in cui era caduto vide a malapena la sagoma di Luz che vagava accanto a lui, ma seppe che se avesse aperto di più gli occhi avrebbe potuto vederla interamente.

Mancava poco. Troppo poco.

C'erano così tante cose che… Doveva spiegare…

Sperò con tutto il cuore che Ichigo capisse presto.

Doveva dirle tante cose.

Presto… Molto presto…

« Ormai manca poco. »

 

 

***

 

 

Ichigo zampettò sul quadro comandi schivando i pulsanti come solo la sua forma felina le consentiva, felice di essere tornata al fresco e di essersi potuta ripulire con calma dalla cenere.

Ma che dico?! Non è il momento di rilassarsi!

Doveva tornare in fretta a casa e cercare un animaletto – vittima – da usare e tornare al suo aspetto normale, era già insopportabile essersi fatta scarrozzare in braccio, non ne poteva più di fissare gli altri da livello terra.

« Ora sai come ci si sente. »

La canzonò Minto e lei soffiò irata, a conti fatti era lei quella che si era ritrovata più volte a passeggiare sul pavimento.

« Dai, anche stavolta abbiamo fatto in fretta. »

« Oh, certo! – rise Sando tagliente – Se l'escalation è così, la prossima volta cosa succederà? Finiremo divorati da margherite giganti e da coccinelle? »

« Non sei di aiuto. »

Lo sgridò MoiMoi.

« Io mi sono divertita. »

« Che strano! »

« Abbiamo preso un'altra Goccia, no? È stato divertente andare al mare tutti insieme! – sorrise Purin ignorando il sarcasmo di Taruto –Sarebbe bellissimo tornarci, non trovate? »

Kisshu, Eyner e MoiMoi si guardarono un istante e non le risposero. Pai schioccò la lingua, seccato, e Sando sbuffò massaggiandosi il collo:

« La vedo difficile, ragazzina… »

« Quando tutto sarà finito! – insisté lei ridendo, non accorgendosi della strana atmosfera che era calata – Il mare sulla Terra è ancora più bello. »

MoiMoi sospirò scambiandosi un'altra occhiata con gli altri e sorrise un po' triste:

« Sarebbe bello Purin-chan. »

Taruto, seduto sulla sedia del senpai, strinse lo schienale corrucciandosi.

« C'è ancora un problemino. »

Notò Kisshu cambiando argomento e indicò Ichigo, intenta a lavarsi il musino con la zampa. La gattina rizzò le orecchie e miagolò scuotendo irritata la codina.

« Che bisogna fare? »

Alla domanda del verde la gattina miagolò con forza, scattando in piedi, e corse fuori dal laboratorio a tutta velocità diretta a Tokyo. Retasu la chiamò allarmata e le corse dietro, seguita a ruota da Purin e Minto in volo, poi anche Ryou si accodò a loro sospirando stanco morto:

« Tranquillo, se la caverà da sola… »

Kisshu fece una strana smorfia poco convinto, protestando, e Zakuro uscendo rassicurò ancora:

« Non è la prima volta. Ormai è diventata brava. »

« Sì, e in cosa? – sbottò lui – Cento metri felini? »

Zakuro iniziò a salire le scale e si girò, soppesando se rispondergli:

« A trovare qualche animaletto da baciare. »

L'espressione del verde fu così esilarante che la mewwolf si convinse:

« Ichigo deve baciare qualcuno per tornare umana quand'è un gatto. »

Uscì senza badare alla reazione di Kisshu, che rimase paralizzato una manciata di secondi metabolizzando:

« Che… Cavolo, perché nessuno mi ha mai detto questa cosa?! »

Fece appena il gesto di correre dietro alla rossa ed Eyner l'agguantò per il colletto:

« Lascia perdere. »

« Ma anche no! Tanto sbattersi, sono disponibile all'istante. »

« Devi lasciarla in pace, Kisshu – gli rimbrottò fraterno – e poi non credo sia il caso. »

L'altro gli scoccò un'occhiataccia scrollandoselo di dosso:

« Già, perché pomiciare con la lupa sarebbe il caso? »

Il bruno s'irrigidì ritraendo il braccio. Sentì immediatamente lo sguardo sconvolto e feroce di Pai in mezzo alle scapole e quelli attoniti di Taruto e Sando che aspettarono replicasse, e lui grugnì solo in silenzio. MoiMoi si morse il labbro inferiore:

« Ahi… »

« Di che stai parlando? »

« Del fatto che il signorino integerrimo se la intende con Zakuro. »

« C…?! Come?! Da quando?! »

« Taruto, non dargli spago. »

Supplicò torvo Eyner e Kisshu insisté con aria maligna:

« A protestare fai la figura del bugiardo. »

« Di che sta parlando? »

Insisté Pai più duro ed Eyner lo guardò male:

« Non sono fatti tuoi. »

« Forse allora dovresti evitare le prediche agli altri. »

« Kisshu, tra te e Ichigo è decisamente diverso. – protestò seccato – Lei non ti ricambia, la mandi solo ai pazzi. »

« Siamo belli presuntuosi…! »

Sibilò più aspro e Pai s'intromise brusco:

« State scherzando, spero. »

« O era la lupa quella con cui stava limonando o una che le somiglia molto. »

MoiMoi gli tirò una gomitata e lo studiò severo:

« Kisshu, insomma smettila. »

« Eyner, sei per caso impazzito?! »

« Che vorresti dire? »

« È un'umana. – ringhiò furente il moro – Sotto la protezione del Consiglio, e per giunta un'ex-avversaria. »

« Una tua ex-avversaria – precisò l'altro – e questo poi cosa importa? »

« Sorvolando sul fatto che sia un atteggiamento da irresponsabili e che sia assolutamente idiota pensare a stupidaggini simili e… Bisogni del genere in questo momento? »

Eyner strinse i pugni minaccioso:

« Non mi piace quello che stai sottintendendo. »

Pai lo fissò allusivo ed Eyner replicò feroce:

« Zakuro non è quello che stai pensando. »

« Se è una cosa seria temo sia anche peggio. »

« Sando! Non ti ci mettere anche tu! »

MoiMoi temette di vedere i due compagni esplodere e prendersi a pugni, ma Eyner per fortuna si limitò a ringhiare:

« Vedi di starne fuori. Non sono affari tuoi. »

« Ti brucia quando sei tu quello additato, uh? »

Eyner squadrò Kisshu rabbioso, conscio che avesse spifferato solo per infastidirlo, e con un sorrisetto acido sibilò:

« Quasi quanto a te brucia andare in bianco. »

Il ghigno di Kisshu rimase congelato ed Eyner se ne andò furioso, sordo al rimprovero di Pai che battè il pugno sulla tastiera reggendosi la fronte:

« Siete davvero una manica di stupidi…! »

« Dai, Pai-chan, non vedo cosa ci sia di male. »

Pai si limitò a mettere su un'espressione furente, non trovando che servissero spiegazioni per la sua giusta rabbia, e sospirò pesantemente:

« Dovreste fare una cura, sembrate gatti in calore. »

« Insomma, non è che tu possa fare tanto il santarellino, sai? »

Il moro fissò Kisshu senza capire.

« Sbaglio, o anche tu hai apprezzato i costumi da bagno delle ragazze? La pesciolina stava particolarmente bene. »

« … Sbaglio, o hai respirato troppe ceneri vulcaniche e il cervello ti è andato definitivamente in pappa? »

« Il sarcasmo non ti si addice. Ed è un primo sintomo di negazione. »

Sorrise soddisfatto. Taruto fissava entrambi frastornato, ma pensò bene convenisse restare muto.

« Sei solo un idiota. »

« Tu sei cieco, tonto e sordo. Ognuno ha le sue. »

Pai sembrò sul punto di sgozzarlo lì dove si trovava, le nocche del pugno bianche dalla stretta. MoiMoi era pronto a bloccarli entrambi, quando Minto sospirando rientrò e si stiracchiò stanca; voleva solo rassicurare il violetto sulle condizioni di Ichigo – ritornata alla luce dopo aver aggredito passionalmente un povero passerotto che becchettava fuori dal portale – ma appena varcò la soglia rimase in silenzio e confusa:

« Che succede? »

Kisshu non rispose, fissando con un ghigno sprezzante il fratello, e scomparve; Pai lo imitò scendendo a passo pesante nelle viscere del laboratorio, e MoiMoi sospirò sollevato e rassegnato:

« Niente, Minto-chan… Sono due stupidi. »

« Direi che da queste parti sembriamo collezionarli a mazzi. »

Soffiò Sando ironico e MoiMoi lo guardò in tralice, chiedendosi se avesse la minima idea che tanto lui quanto Taruto, che annuiva convinto, facessero parte della stessa categoria.

« Che pazienza…! »

 

 

***

 

 

Minto sbadigliò e fissò assonnata fuori dalla finestra il cielo scuro; era già notte quando avevano lasciato la dimensione tropicale, ma nella loro era a stento pomeriggio. Era stata lunga arrivare alla sera, anche occupando le ore lavandosi con tutta calma la cenere di dosso e dai vestiti, e medicandosi le piccole bruciature, e finalmente poteva coricarsi e dormire sonoramente.

Svolazzò fino al lavello per bere qualche goccio d'acqua fresca, ancora assetata, e sospirò in silenzio sentendo i passi sulle scale; chissà perché iniziava a diventare scontato.

« Sei ancora sveglia? »

« Avevo sete. – disse semplicemente asciugandosi le mani sulla gonna – Tu? »

« Non ci riuscivo – rispose Kisshu con una smorfia dolente – il braccio mi formicola tutto, fa un male cane. »

Si sedette al tavolo massaggiandosi l'arto e piegandolo su e giù, aprendo e chiudendo le dita della mano.

« Sono ancora in rodaggio post-convalescenza. »

Minto si posò sul tavolo seguendo distratta l'operazione, poco incline a coricarsi con un "intruso" vicino al suo letto.

« Che ti ha detto poi, il principino Pippiruppo, prima che andassimo via? »

Le domandò a bruciapelo.

« Papageno – lo corresse lei stancamente e le sue guance si velarono di rosa – non ho ben capito, ma sembrava una proposta di matrimonio. »

Mentì facendo la vaga. Kisshu sgranò gli occhi e ghignò perfido:

« Fai conquiste, cornacchietta. »

« Si vede che il primo no non l'aveva capito. »

Kisshu continuò a sogghignare, ma si sentì stranamente infastidito.

« In ogni caso non ci tenevo molto a diventare la consorte di un re pennuto. »

« Vi sareste trovati. I due mostriciattoli. »

« Sei un insensibile maleducato. »

Sibilò sforzandosi di limitare l'ira, non doveva incoraggiarlo, e alzò il mento sprezzante:

« Evidentemente ai suoi occhi non ero un mostriciattolo. »

« Sì, sì, lo sappiamo. »

Bofonchiò lui facendo compiere al braccio piccole rotazioni per distenderlo:

« Ti avrà detto che sei bella almeno cento volte, era più irritante del suo cinguettio. »

Minto chinò la testa torva nascondendo un leggero rossore:

« Sei un impiccione. »

Kisshu scrollò le spalle e finì la sua riabilitazione casalinga, con Minto che mogia sperò se ne andasse alla svelta.

« Cambiando discorso… »

« Kisshu, voglio andarmene a dormire. »

« A che quota siamo? »

Minto sentì il cuore saltare un battito e si sforzò di chiedere pacata:

« Che intendi? »

« Mi sono fatto i conti – fece elencando sulle dita – sono a quota sei. »

Lei sollevò un sopracciglio non riuscendo a seguirlo e lui aggiunse:

« Salvataggi del tuo piumato posteriore. »

« Non credo proprio. »

« Ho impedito cadessi nel fiume, quando sei arrivata qui la prima volta. »

« Era un ruscello – puntualizzò lei roteando gli occhi – e al massimo mi sarei lavata i calzini. »

« Ti ho ripescato dalla piscina della scuola. »

Minto mandò solo un verso e annuì, la sera allo Yakori lo poteva concedere.

« Ti ho salvata da Zizi a Glatera. »

« Solo perché ero vicino ad Ichigo… »

« … E dallo spiaccicarti. »

« Eri solo nella traiettoria della mia caduta. »

« No, no, ti ho presa al volo. »

Minto lo squadrò poco convinta, cercando di non dare credito alle sue parole né al nuovo battito vacante che la colpì.

« Ti ho recuperata dal limbo delle zitelle vitalizie. »

« Cosa che nessuno aveva chiesto! E… Mi hai dato della zitella?! »

« Acida, per di più. »

Aggiunse e proseguì prima che lei protestasse:

« E oggi non ti ho fatto diventare un arrosto di pappagallo. Sono sei tondi. »

« Il primo non puoi considerarlo, e sono cinque – protestò lei gelidamente – né tantomeno il bacio (se così vuoi chiamarlo), e siamo a quattro. Inoltre, ti ricordo che mi hai usata per lenire i dolori dei tuoi disastri amorosi dopo Belia. »

« Suona più grave di quanto non sia, e ti pregherei di non fare allusioni su di me e quel celebroleso di Ren. »

Lei sorrise soddisfatta; aveva tralasciato volontariamente quello che era successo nel bosco con la torre, ma non voleva in effetti sapere perché Kisshu allora l'avesse baciata. Aveva poca importanza, in fondo, lui non dava l'impressione di ricordarselo.

« Quindi siamo a tre. »

« Sempre tre a zero. »

« Tre pari, anzi tre a quattro – lo corresse – chi ha rischiato di diventare un puntaspilli di Lindèvi? »

Kisshu divenne di colpo serio. Minto capì con sorpresa che fosse un tasto dolente e lo vide sospirare:

« Già, hai ragione. E direi che con quella tu vai in bonus di almeno cento punti. »

La studiò con aria pentita e Minto si sentì a disagio. Non aveva immaginato che Kisshu si sentisse in colpa per quello che era successo.

« Guarda che… Non è mica un problema. – lo rassicurò borbottando – Certo, mi scoccia essere così e… Tu sei stato stupido, ma non importa. »

« Come sei gentile! »

Protestò, ma parve essere più sereno. La fissò in silenzio per un po' e Minto iniziò a tormentarsi nervosa le mani dietro la schiena, avrebbe tanto, tanto voluto la smettesse e in fretta.

« Quindi tre a quattro, uh? Però non va mica bene, io o vinco o al massimo pareggio. »

« Non è una gara. »

Sbuffò lei. Kisshu sorrise e si appoggiò al ripiano del tavolo:

« Stavo pensando… »

« Che novità! »

« Non è che quella cosa di Ichigo per tornare umana funzionerebbe anche con te? »

Minto sperò non avesse notato che trattenne il fiato:

« Chi te l'ha…? »

« Zakuro. »

Per forse la seconda volta in vita sua Minto si ritrovò a dare della stupida alla sua onee-sama.

« E che ne so? – ribattè seccata – Non mi metto certo a baciare volatili e insetti così, per provare. »

« Già, oggi hai perso un'occasione. »

Lei lo fulminò feroce e fece per andarsene, ma Kisshu l'afferrò delicatamente per il lembo della gonna.

« Facciamo per andare in pari? »

Minto si voltò severa con lo stomaco che si ripiegò cinque volte su se stesso.

Era una scommessa. Se diceva di no, lui poteva non lasciarla più in pace, ma se diceva di sì poteva tormentarla ugualmente.

È questo il problema che ti poni?!?

Ovvio.

Non aveva nient'altro da porsi.

« … Falliresti miseramente. »

« Uno più uno meno, che ti costa? »

Sogghignò. Minto inspirò più forte del normale, lo sguardo piantato nelle iridi dorate di lui che ridevano maliziose:

« Sei troppo grosso. »

Fece notare con voce più bassa di quanto avrebbe voluto.

« Fai tu allora. »

« Non ci penso nemmeno. »

Lui continuò a sorridere e le fece segno di avvicinarsi, chiudendo gli occhi:

« Sono un umile strumento, una povera cavia. »

« Come se ci credesse qualcuno. »

Kisshu rimase immobile dove si trovava, un sorrisetto a fior di labbra mentre canticchiava, e Minto si avvicinò a passi leggeri. Forse aveva respirato anche lei troppe esalazioni di lava.

Si allungò verso il ragazzo e posò un bacio lieve sulla sua bocca, un secondo nemmeno; fu sufficiente a capire che ne ricordava la consistenza e il sapore, alla perfezione, e la cosa la irritò a morte. Gli diede le spalle, mentre Kisshu aprì piano un occhio solo, per non fargli vedere il fastidio sul suo viso e le guance scarlatte:

« Visto? Sono sempre uguale. »

« Tentativo fallito. »

Rispose lui con un sorrisetto notando, suo malgrado, che il colorito della mora gli fece tenerezza. Lei non si girò, scuotendo la coda, e Kisshu sussurrò malizioso:

« La vista extra di ieri sotto al vestito la contiamo per te o per me? »

Minto scattò furente e gli calciò il gomito strappandogli un lamento, e se ne volò nel suo letto infilandosi sotto le coperte stizzosa. Lo sentì ridere tra sé e riavviarsi su per le scale:

« 'Notte 'notte passerotto. »

Lei non rispose, raggomitolata nel suo giaciglio quasi fosse un bozzolo, e si sforzò di concentrarsi per elaborare future vendette contro il verde.

« Idiota. »

 

 

 

 

Il mattino dopo Lasa si alzò più presto del solito per una lieve nausea; uscì dal bagno rassegnata ai successivi eventi, ai dolori alla schiena e alle gambe e tutto il resto che avrebbe causato la gravidanza. Nemmeno al terzo tentativo gli effetti collaterali erano tanto sopportabili.

« Speriamo solo che tu non sia un campione di pesi come Taruto – sussurrò accarezzandosi il ventre – non so se sopporterei un altro piccolo titano. »

Ascoltò la casa silenziosa, i respiri quieti che intuiva dietro le porte chiuse, e sorrise. Era consapevole che i problemi di Jeweliria non fossero terminati, ma aveva l'impressione che i suoi ragazzi fossero più sereni, e la cosa la tranquillizzò.

Scese di sotto per preparare una colazione bella abbondante e si inchiodò in cima alle scale, soffocando l'istintivo richiamo con la mano. Finì i gradini svelta e silenziosa, temendo di svegliare Minto di colpo, e la osservò allibita: era rannicchiata sulla mensola che la reggeva ormai a stento, scricchiolando funerea, le dimensioni divenute quelle di una bambina di quattro o cinque anni.

« Minto-chan… »

Il sussurro svegliò lentamente la mewbird, che tentò di focalizzare gli eventi, ma la mensola non aspettò oltre. Con un gemito di legno rotto si spaccò a metà e si staccò dal muro, trascinando una Minto ancora mezza addormentata al suolo.

Lasa si gettò d'istinto verso di lei acchiappandola al volo e cadendo seduta con un lamento, tossicchiando per la polvere che le circondò.

« Stai… Stai bene?! »

« Sì… – farfugliò la morettina spaventata – Ma cosa…? Cos'è…? »

Dalle scale si sentirono porte spalancate e passi veloci e  i quattro uomini Ikisatashi trottarono di sotto come dei bufali, le espressioni sbigottite e le facce stropicciate dal risveglio brusco.

« Mamma, che cavolo?!? »

« Lasa, stai bene?! »

Iader gettò la mensola rotta dalla parte opposta della stanza aiutando preoccupato la moglie, che sorrise rassicurante:

« Sto benissimo… Penso che non morirò per un colpetto al sedere. »

Pai grugnì sollevato e studiò il legno rotto passandosi la mano nella frangia scompigliata.

« Ma com'è successo? E la cornacchietta dov'è? »

« Ecco... »

La donna si guardò tra le braccia, sorpresa, e le richiuse velocemente.

« Ma'? »

« Stiamo bene entrambe – ribattè veloce – ora andate di là. Sciò, tutti quanti. »

I figli si guardarono confusi, ma Lasa insisté ed obbedirono.

« Anche tu Iader. »

« Ma- »

« Vai. »

Lui scrollò le spalle, se era così energica di sicuro stava bene. Lasa aspettò fossero a distanza di sicurezza, la stoffa della gonna un po' raccolta per coprire il contenuto delle sue braccia, e la scostò sospirando.

Minto se ne stava rannicchiata contro di lei, colma di vergogna, il vestito stracciato che le cadeva da tutte le parti lasciandola nuda mentre il suo corpo era tornato alle dimensioni di un pappagallino.

 

 

***

 

 

« Può esserci una sola spiegazione. »

« Davvero? »

Sospirò Minto, stanca dopo una mattinata di analisi; le caddero gli occhi sui tre alieni di cui era ospite, intenti a seguire i ragionamenti di Ryou e di MoiMoi, e si contrasse su se stessa a disagio: era sicura di essere stata coperta da Lasa tutto il tempo, ma l'idea di essere stata seminuda di fronte a loro non le pesava meno, anche sapendo di aver avuto un paravento davanti.

« Stai iniziando a metabolizzare la soluzione. – la rincuorò MoiMoi pieno di gioia – Presto tornerai come prima! »

La mewbird si mise seduta dritta spalancando gli occhi:

« Come prima…? »

« È fantastico, nee-chan! »

Trillò Purin stringendola tra le mani e saltellando euforica.

« Ma come mai…? – Taruto simulò con le mani una linea verticale che allungò e strinse più volte – Eh? »

« Il DNA del vini ultramarina impiantano in Minto quattro anni fa e quello dell'antidoto di influenzano a vicenda. – fece Ryou osservando i grafici incomprensibili a metà dei presenti – Probabilmente da sveglia, con tutte le funzioni corporee in attivo, il corpo smaltisce più lentamente. »

« Cioè? »

« Cioè gli effetti, almeno finché non sarà metabolizzato tutto l'antidoto, potrebbero vedersi solo mentre dorme. – spiegò Pai piatto – Un fastidio non da poco, quest'enorme influenza sul vostro umore e la vostra quotidianità da parte della modifica genetica… »

« Ma cosa importa? »

Sorrise Ichigo e strinse la manina di Minto tra le dita:

« Presto riavremo la nostra acidona preferita tra di noi. »

La morettina sorrise felice e mise il naso all'insù ostentando la sua solita altezzosità:

« Sei davvero pigra, non riesci a lavorare qui dentro senza il mio aiuto? »

« Quando mai hai lavorato? »

« Al contrario di te, io riesco a gestire i miei tempi. »

« Ma se non fai che ingozzarti di the dalla mattina alla sera! »

Le due si stuzzicarono amichevolmente tra le risate delle altre, mentre Pai studiò i dati che Ryou riportò sul suo database:

« Se non fosse stata modificata geneticamente non sarebbe mai stata possibile una cosa del genere. »

Disse quasi sovrappensiero. Il biondo smise di digitare e lo guardò male un istante; MoiMoi ridacchiò piano:

« Credo stia cercando di rassicurarti, Ryou-chan. »

« Io constatavo. »

Replicò piatto il moro.

« Infatti. »

Il violetto sorrise ancora e l'americano non rispose, rimettendosi all'opera con una strana espressione serena.

« Direi che è il caso di festeggiare. »

Sorrise Keiichiro e Ichigo – sebbene fosse senza coda da gatto – scodinzolò per la contentezza:

« La cheesecake al limone! »

« Insomma, Ichigo, ma sei un'ingorda. »

Nonostante il rimprovero Minto rise affettuosa e salì di sopra con le amiche, il sorriso che arrivò da un orecchio all'altro.

« Quindi siamo ancora tre a quattro? »

Il sussurro dispettoso di Kisshu non smorzò il suo spirito, eppure Minto si corrucciò: non le piacque per niente il nervosismo che la stava cogliendo negli ultimi giorni alla presenza del verde, visto e considerato che lui tutto pareva intenzionato a fare tranne smettere di ronzarle attorno e darle fastidio.

« Speravo di essere stato d'aiuto, almeno. »

« Ti ho già detto che non m'interessa. E comunque non è una gara. »

« Ma a me non piace perdere, anche se non è una gara. »

Minto lo squadrò con sufficienza sforzandosi di fare la sostenuta e non dandogliela a bere nemmeno un minuto, facendolo sorridere di più. Era divertente ammirare quella faccia carina e imbronciata.

La mewbird lo vide incupirsi un secondo e poi sorridere di nuovo, dandole un buffetto antipatico sulla testa e salendo al piano superiore: era come se gli fosse venuto in mente qualcosa che lo avesse innervosito.

Fece spallucce, in fondo non erano affari suoi, lei doveva pensare che presto sarebbe tornata a dormire nella sua camera e ad indossare i suoi fantastici vestiti d'alta moda francese; sarebbe tornata a ballare, a lavorare, al suo amato the pomeridiano, finalmente. Tutto senza coda né ali.

« Intanto, credo che una fetta di cheesecake me la concederò anch'io. »

« Cosa? »

« Niente, Purin – sorrise – dai, andiamo o Ichigo spazzolerà tutto. »

Di sopra era già tutto allestito per il turno giornaliero e Keiichiro stava distribuendo torta dalla cucina a tutto spiano, passando piatti su piatti. Anche gli alieni ne poterono favorire, e qualcuno riuscì pure ad accaparrarsi un bis.

« Ma quanto l'hai fatta grande? »

« Il necessario. »

Sorrise l'uomo e Ryou sospirò per niente convinto. Keiichiro andò fuori per mettere il cartello d'apertura, lo posizionò sull'arco di entrata e subito una figura lo raggiunse alle spalle, a disagio:

« Scusi… È già aperto? »

L'uomo studiò il suo interlocutore e sorrise incoraggiante tendendo in là la mano:

« Certo. Prego. »

Le ragazze videro rientrare il pasticciere con la sua tipica aria soddisfatta e dietro di lui subito qualcuno. Retasu ebbe appena il tempo di posare il suo piattino e non farselo cadere dalle mani che scorse il presunto cliente, arrossendo un poco per lo stupore.

« Ciao Midorikawa-san. »

« Nakayama senpai. »

Ichigo e le altre le furono alle spalle nel giro di una frazione di secondo, ghignando maliziose, e lei guardandole male andò incontro al ragazzo intercettandolo a distanza di sicurezza dalle loro orecchie pettegole.

« Fai pure con calma – le sorrise Keiichiro – tanto non c'è ancora nessuno. »

Lei lo ringraziò con un cenno e gli fu immensamente grata quando lo vide costringere le ragazze ad altre faccende,  che le portarono alla larga dall'ingresso lasciandola in pace.

« Scusami, ti ho disturbato? »

Lei scrollò la testa più agitata di quanto pensasse:

« Abbiamo appena aperto. »

Koichi sorrise più sereno e Retasu si sistemò irrequieta il nodo del grembiule:

« Come... Come mai sei venuto? »

« Mi hai parlato del tuo lavoro l'altro giorno – rispose noncurante – ero curioso di vedere il posto. »

Si grattò nervoso la guancia con l'indice:

« Poi, insomma… A me non piace troppo parlare per messaggini, preferisco farlo di persona. »

La verde intuì l'allusione a volerla rivedere e arrossì un po', sorridendo a capo basso.

Dalla cucina le altre li tenevano d'occhio come dei falchi.

« Allora è lui, uh? Ichigo-chan? »

« Già, pare proprio di sì. »

Sogghignò la mewneko.

« Però. Ha buon occhio la pesciolina. »

« Già, è proprio carino, vero? »

« Purin, ma se ha almeno quattro anni più di te. »

« Era solo un'opinione Minto. »

Ribattè calma; accanto a lei Taruto la fissò turbato e trucidò con un'occhiataccia il bruno sull'ingresso:

« A me sembra scemo. »

« Solo perché qualcuno sorride ed è educato non vuol dire che sia scemo. »

Gli rimbrottò MoiMoi roteando gli occhi, la gelosia del brunetto era così lampante da essere ridicola.

Ryou osservò in disparte la mewfocena intenta a parlottare con Koichi e sorrise di nascosto. Una parte di sé era sempre rimasta in ansia per Retasu, sapeva di averla ferita molto rifiutandola e si era preoccupato di vederla poco incline a tentare ancora in amore, e la preoccupazione era aumentata con il tempo e l'isolamento di lei. Vederla sorridere così dolcemente e in imbarazzo ad un ragazzo – che, il biondo lo vedeva lontano un chilometro, aveva un evidente debole per lei – lo faceva stare più sereno.

Sentì un tintinnio di piatti e vide Pai posare la sua fetta di dolce sul bancone, mangiata solo per metà. Sembrò che il moro di colpo provasse nausea a finirla, quando fino a cinque minuti prima l'aveva divorata con calma e gusto.

Pai sbuffò irritato, l'espressione funebre, e tenne gli occhi ametista fissi sui due all'ingresso.

Avrebbe dovuto essere contento.

Lui, a differenza di – evidentemente – tutti i cretini di cui era circondato, sapeva bene che limiti ci fossero e cosa non andasse fatto. Aveva messo dei paletti per rimediare, seppur in modo brusco.

Anzi, ancor di più con Retasu, che era così ingenua e dolce, riteneva di essersi comportato nel modo più chiaro e netto che avrebbe potuto(***).

Era rimasto amareggiato nel vedere la verde così triste; sapere che le cose le andavano meglio, e stava evidentemente mettendo una pietra sopra su ogni sciocchezza coinvolgesse lei e lui, avrebbe dovuto fargli un minimo di piacere.

Invece aveva l'impressione che gli stessero lavando la bocca e lo stomaco con dell'acido.

L'ingresso accolse un paio di clienti, che Ichigo accompagnò solerte al tavolo ammiccando mentre passava accanto a Retasu, e la ragazza in imbarazzo si scusò con Koichi e fece per salutarlo. Pai lo vide farle cenni per non preoccuparsi, poi frugarsi in tasca e porgerle uno di due pezzettini di carta prima di uscire con un sorriso impacciato.

Il moro contrasse nervoso la mascella, in quella torta dovevano averci spremuto un intero albero di limoni acerbi.

Retasu tornò verso la cucina con aria trasognata rimirando più e più volte il foglietto, incerta se lo vedesse bene.

« Alloooora? »

La domanda di Ichigo non ebbe risposta e la mewfocena si limitò a guardarla imbarazzata; Purin le sgusciò alle spalle sbirciando quello che altro non era che un biglietto del cinema, e sorrise gongolante:

« Quand'è l'appuntamento? »

« Io non ho detto di avere un appuntamento! »

Esalò la verde.

« Retasu, ti ha dato un biglietto per il cinema e lui ne aveva un altro. »

Puntualizzò Zakuro con affettuosa pazienza. Retasu sembrò sul punto di emanare calore.

« E…?! »

Ichigo strinse i pugni trepidante e Retasu cercò di non stropicciare troppo il biglietto giocando nervosa con le dita:

« Domani… »

L'acuto della mewneko fu tale che Ryou temette esplodessero tutti i calici della sala. La rossa si era già lanciata sull'amica pronta a progettarle l'uscita a partire dall'abbigliamento, così l'americano andò in suo soccorso scaricando in braccio ad Ichigo le ordinazioni del tavolo arrivato.

« E ci sono altri clienti – puntualizzò indicando la porta che si era aperta tintinnando – non stare a perdere tempo. Vai. »

Lei gonfiò le guance indispettita e andò mesta a servire, intanto che Ryou, tornando di sotto, strizzò l'occhio alla mewfocena che si mise al lavoro con un gran sorriso.

Pai, il volto scuro, si stufò dello spettacolino e intimò ai fratelli e a MoiMoi di alzare i tacchi:

« Abbiamo del lavoro da fare. »

« Per te c'è sempre del lavoro da fare, Pai-chan. »

Borbottò il violetto, ma l'altro non sentì ragioni e uscì a passo marziale. Per la giornata voleva mettere quanta più distanza possibile tra sé e chiunque, le terrestri in particolare.

« Hmh, che profumino. »

« Di che stai parlando, Kisshu? »

Ringhiò basso il moro troppo insofferente per reggere il suo sarcasmo.

« Il tuo fegato che sfrigola. »

Pai non gli rispose trapassandolo da parte a parte con lo sguardo.

« Sei talmente geloso che per poco prima non ti facevi saltare i denti a forza di stringerli. »

Cercò MoiMoi per dargli man forte e lui scrollò le spalle con un sorrisetto.

« Kisshu, hai battuto la testa per caso? »

« Sto solo constatando – rispose con un ghigno – ma Eyner aveva ragione. Ora sono fatti tuoi. »

Pai insisté a non dargli alcuna risposta. Kisshu incrociò le braccia dietro la testa e lo guardò con sufficienza:

« Sei tu che hai rifiutato la pesciolina, e ti posso assicurare che deve averle fatto male, e parecchio. Aveva una cotta mostruosa per te. »

Pai strinse i pugni nervoso e la sua bocca divenne una linea scolpita nel marmo. Taruto, alle sue spalle, gridò di stupore per quanto detto e MoiMoi sbuffò rassegnato:

« Mamma mia se sei cieco! »

« Ma ora che lei prova a non pensarci più – insisté Kisshu – a te scoccia. Sei un egoista del cazzo, lasciatelo dire, oltre che deficiente. Prima scappi, poi te ne penti. »

« Sì, hai battuto la testa di sicuro. »

Soffiò il moro acre e lo squadrò gelido:

« Tu ed Eyner dite solo sciocchezze. »

« Almeno io e lui siamo onesti, a differenza di te. »

Lo doppiò con l'aria di chi la sapeva lunga e si voltò verso Taruto:

« Tu vedi bene di non imitarlo, sei già su una pessima strada. »

Li lasciò di fronte al centro ricerche allontanandosi con un sorriso pensieroso, con Pai che digrignò i denti infuriato.

 

 

***

 

 

« Oggi mi sembri in forma, Momomiya-chan. »

La rossa finì lo sbadiglio asciugandosi la lacrimuccia sull'occhio e sorrise a Kiddan:

« Le lezioni sono terminate, la scuola è chiusa… Sono molto più libera adesso. »

Lui riempì il proprio viso di rughe sorridendo e proseguì la sua claudicante camminata fino all'Archivio.

« Dev'essere una faticaccia tutte le volte accompagnarmi. »

Notò dispiaciuta la mewneko e Kiddan rise rasposo:

« Non ho molte occasioni per andarmene in giro, due passi fanno sempre piacere. Non ti far fregare da questa – e si battè la mano sulla gamba fasulla, metallo su metallo che rimbombò nella caverna – è solo difficile camminare dritto, ma non è faticoso. »

Ichigo sorrise un poco.

« È solo che non capisco perché tutto questo passare in segreto. »

« Pensavo lo avessi intuito. »

Fece l'uomo con tono più grave e si aggiustò ticchettando le lenti telescopiche:

« Stai frugando in cose particolari. Il nostro passato terrestre, le origini di Deep Blue… Qualche testa di cavolo griderebbe al complotto o a chissà che altro. »

Ichigo annuì e pensò con disgusto al sorriso untuoso di Ebode.

« È bene fare le cose alla chetichella. »

Concluse Kiddan ammiccando, e per un po' camminarono in silenzio. Ichigo osservò la figura curva dell'uomo, la mano rugosa e pallida e quella metallica, la testa calva e la pelle pallida, e sentì una leggera morsa al petto; voleva chiedere, ma temette di osare troppo.

« Sei pensierosa oggi. »

Le parole di Kiddan la riscossero di colpo.

« Qualcosa non va? »

« No… Ecco, io… »

Ichigo si rigirò un codino tra le dita e inspirò a fondo:

« Kiddan-san, posso farle una domanda? »

« Ma certo. »

« Anche se potrebbe sembrarle strana? »

« Ma sì, perché no? »

Ichigo titubò ancora:

« Anche se potrebbe essere inopportuna? »

L'anziano si fermò e la guardò con i suoi furbi occhi cenere, sorridendo gentile:

« Fammi la tua domanda. »

« Lei vive qua sotto non è vero? »

Kiddan rimase in silenzio alcuni istanti:

« Sì. »

La studiò tacere e mordersi il labbro ponderando come porre la successiva e ovvia domanda in modo meno diretto possibile. Ovviamente, non lo trovò:

« Ma perché? »

Kiddan chiuse gli occhi e inspirò a fondo senza smettere di sorridere, Ichigo che mormorava:

« Voglio dire, qui sotto… Non c'è nulla… Perché…? »

S'interruppe vedendo la mano metallica di Kiddan indicare il limite estremo della città e poi accarezzarne il profilo amorevolmente, un sorriso stanco che lo fece apparire ancora più vecchio:

« Io sono nato qui. Sono cresciuto qui. Ho amato, ho sofferto tra queste pietre; avevo una casa, una moglie, tanto tempo fa… La mia vita era qui sotto. »

Le sue parole fluirono lentamente e con dolcezza, mentre il suo sguardo si appannava un poco in ricordi forse ormai troppo vaghi:

« Non era la vita più facile né bella del mondo, ma era la mia vita.

« Ho… Sperato. Pregato per anni, che la mia gente smettesse di soffrire qui sotto, ma quando è arrivata la luce io… Non ho potuto. »

Ichigo lo guardò senza capire.

« Sono troppo vecchio. Ho troppe cose, con me, troppi ricordi, troppe cicatrici. Puoi chiamarla codardia se vuoi, o semplice paura. Non posso ricominciare da capo, non ne ho le energie, né il cuore. »

Ichigo non disse nulla. Kiddan le apparve più stanco di prima, piegato da un peso di una vita lunga che non avrebbe potuto capire ancora per molti anni, e le si seccò la gola.

« Non fraintendermi – le sorrise sdentato – la mia gioia per Jeweliria è infinita. Ma preferisco viverla da qui, dal sicuro della mia casa, sapendo che chi può sta ricominciando. »

Ichigo avrebbe voluto dirgli di non essere così negativo, ma in fondo non c'era tristezza nelle sue parole. Solo una velata malinconia.

« Un giorno, magari, salirò a vedere. »

Il volto magro si voltò un secondo verso la rossa, sorridente e nostalgico, e con un leggero colpetto di tosse Kiddan riprese la sua camminata senza più guardare altro eccetto il sentiero ai suoi piedi.

Ichigo lo seguì in silenzio e con il capo basso, avvertendo un vago senso di amarezza. Parlò poco anche dopo aver salutato Kiddan ed essere stata accompagnata da Merurk nella stanza di Kilig, tanto che l'aliena, nel suo solito modo burbero, le domandò preoccupata se andasse tutto bene.

La rossa non si tolse dalla testa neppure una virgola del discorso di Kiddan e iniziò a chiedersi se ce ne fossero altre, di persone come lui, che avevano fatto fatica a ricominciare dopo tanti secoli, o che avrebbero voluto un finale diverso da quello che aveva portato alla nuova Jeweliria. Si sentì in colpa, ma in fondo loro cosa avrebbero dovuto fare? Regalare la Terra? E i terrestri? Dove sarebbero andati?

Era un casi simili che le appariva tutta la complessità della faccenda di fronte agli occhi e ne avvertiva il peso direttamente sulle spalle. Si pentiva della sua esibizione al Consiglio e si domandava quante altre cose, consapevole o meno, avesse fatto o avrebbe potuto fare tali da scatenare altri disastri. Si sentiva sciocca per pensare a cose futili come i suoi problemi amorosi o quelli delle amiche, mentre c'era un pianeta che stava morendo; si sentiva in colpa per quello che era successo gli anni passati con Kisshu e gli altri, di non aver mai pensato che anche loro avessero un futuro da voler proteggere.

Sospirò affondando il viso tra le braccia. Aveva la continua sensazione di essere sospesa tra due vite, da persona comune e da eroina, ed esserle costretta a viverle entrambe e non come se fossero semplicemente la stessa cosa. Si sentiva sostenuta da un filo di seta sottilissimo, avrebbe voluto sapere di avere qualcuno che non dovesse aspettarsi nulla da lei, accanto, ma l'impressione – come le ripeteva il cellulare privo di messaggi o e-mail – era di essere completamente sola.

Strinse gli occhi fino a farsi venire mal di testa e allungò la mano nella borsa senza pensare davvero a cosa stesse facendo, prendendo il telefono e girando a vuoto per la rubrica messaggi e la galleria foto. Smise di digitare quando lo sguardo finì sulla foto di gruppo che aveva fatto con le altre il giorno delle cerimonie di ammissione all'anno nuovo; in un angolo, con le braccia conserte e un sorriso accennato, Ryou guardava verso di loro con affetto.

Ichigo sorrise inconsciamente e poi, arrossendo colpevole, chiuse il telefono di scatto e lo cacciò a forza nella borsa.

Non era nulla. Era successo solo perché era sovrappensiero.

Sì, solo questo.

Mettendo via il telefono un plico di fogli legati assieme, che la rossa non riconobbe, le capitò tra le dita. Lo tirò fuori e lo sfogliò, nascondendolo poi per la vergogna, era il blocco di appunti che le aveva fatto Kilig.

« Accidenti, come sono stupida…! »

Le era completamente passato di mente e non l'aveva più nemmeno toccato. Si sentì un verme per lo sforzo che l'aliena doveva aver prodigato in esso e che lei non aveva rispettato, e iniziò a leggere il plico con meticolosa cura pronta a prendere appunti.

In realtà non occorreva. Il blocco non era che un compendio delle ricerche effettuate fino ad allora dalla rossa, tutte catalogate per appunti e ricollegate in modo che fosse più semplice risalire alla fonte originale.

Ichigo volle sprofondare, chissà quante ore aveva sprecato Kilig per realizzare una cosa del genere.

Iniziò a leggere riga per riga con il doppio dell'attenzione che riservava ai testi scolastici. Lesse e nel frattempo frugò tra gli scaffali, prendendo libri già sfogliati e altri scartati, che però avevano notizie interessanti che non ricordava di aver letto e che voleva approfondire, laboriosa come un'ape mentre Kilig, dietro di lei, proseguì nelle sue faccende seguendola appena con la coda dell'occhio.

Ad un certo punto tra le mani di Ichigo capitò un libro di illustrazioni, schizzi ed incisioni. Bellissimo, ma poco utile al suo scopo, aveva pensato la ragazza; Kilig invece aveva annotato il titolo e, accanto aveva evidenziato le parole pagina 149. La rossa corse alla pagina, una minuziosa rappresentazione di un giardino lussureggiante e curato, immerso in un cortile di colonne bianche e fontane; in un angolo, un gruppo di persone erano intente a parlare e ridere, altre si affaccendavano per la scena curando l'erba e le aiuole…

« Un momento. »

Ichigo trattenne il fiato.

« Questa…! »

Corse con il libro in braccio spalancandolo sul tavolo e lo sistemò perché rimanesse ben aperto, quindi frugò nella pila di vecchi quaderni e diari che Kilig aveva scovato; era certa di aver letto qualcosa di importante, dei nomi da qualche parte.

« Tutto bene? »

L'archivista le spuntò dietro come un'ombra, studiandola incuriosita, ed Ichigo annuì concitatissima:

« Kilig-san, possiamo… Cioè, c'è qualcuno che può mettermi su carta questo disegno? Solo questo pezzo mi basta. – fece indicando il libro – Io non sono così brava, ma mi serve che si veda bene. »

Kilig sbattè le palpebre un paio di volte, stordita dalla sua agitazione, e annuì piano uscendo. Tornò dopo pochi minuti con un'altra giovane, capelli celestini arruffati come zucchero filato, che con vocina sottile chiese ad Ichigo cosa volesse e si mise all'opera riportando, con la meticolosità di uno scanner, ogni linea che la rossa le aveva indicato. Impiegò più di mezz'ora, nella disperazione della mewneko che non faceva altro che saltellare da un piede all'altro, e quando ebbe finito degnò di poca e nulla attenzione la terrestre scambiandosi qualche parola con Kilig.

Ichigo non ci badò. Rimirò un istante il disegno riportato, bene in grande, e sfiorò con le dita il viso che aveva attirato la sua attenzione.

La rossa non perse altro tempo, riprese i diari e lesse più velocemente che potè fino a trovare la pagina giusta; esultando prese la penna e iniziò a prendere appunti sul disegno, mentre leggeva attenta la calligrafia poco chiara della persona ormai trapassata da migliaia di anni.

 

"… Il nobile Gima è un uomo straordinario. A volte si raduna con tutti loro, solo per la gioia dei bambini che altro non vedono oltre le mura.

Quando succede i giardini si animano di vita. Da qualche settimana la figlia più giovane del nobile Gima sembra aver riscoperto un amore per Salto al Fiume; Nuvem e Tayou si aggregano volentieri, ma nulla supera il divertimento di vedere il sommo Kilguk trastullarsi in paramenti.

L'altra mattina pulivo il salone, ricordo che il piccolo Nuvem protestava con lui perché avrebbe voluto giocare con i fratelli, invece di studiare all'Archivio, ma il… "

 

Ichigo lesse con immensa fatica; a volte non capì le lettere, altre la pochissima grammatica jeweliriana in suo possesso non le permetteva di decifrare le frasi, concatenate in cinque o sei incisi uno dentro l'altro; c'erano parole di cui non capì il senso, altre che non seppe leggere senza che Kilig gliele traducesse. Ma proseguì, lettera per lettera, fino all'ultima nota della pagina e finì di scrivere. Prese un gran respiro rimirando il disegno con le piccole didascalie che aveva fatto, il cuore che batteva veloce.

Sul libro l'aveva vista in un angolino, nascosta nel mucchio di figure, ma nel disegno riportatole dall'archivista era ben visibile una Luz poco più che bambina, ma perfettamente riconoscibile, che giocava sul ricco pavimento di pietra ad una versione complessa di campana. Seduto su una panchina di pietra, decorata da colonne scolpite come alberi, un uomo osservava la scena amorevole; era vestito in modo sontuoso, con abiti simili a quelli che Ichigo aveva visto nel video sulla Terra al tempo degli alieni(****), una casacca con lunghe maniche stretta alla vita da una sottile cintura, tutto sopra morbidi pantaloni: l'immagine non aveva colori, ma Ichigo intuì la ricchezza del suo rango dai dettagli riportati, le decorazioni cucite con minuzia e sfarzo sui bordi delle maniche e sul drappo che gli scendeva lungo le gambe dalla cinta, la cintura intarsiata, bracciali e gioielli. Sopra la sua testa Ichigo aveva scritto il nome Gima, se aveva tradotto bene ed intuito l'immagine, il padre di Luz. Alle sue spalle, sullo sfondo del disegno, un uomo torreggiava sulla scena; i suoi abiti erano pregiati come quelli di Gima, ma al contempo più sobri, semplici, quasi spartani, alla rossa ricordarono gli abiti dei sacerdoti cattolici. La penna aveva scritto sopra la figura il nome Kilguk, e dalla somiglianza con Gima e dalla differenza di età che dimostrava immaginò fosse lo zio di Luz.

La mewneko s'illuminò un momento. Si alzò e prese il tomo con la storia della famiglia Melynas, lo aprì e guardò il volto del quarantaquattresimo discendente, l'unico esistente prima di Luz: era proprio l'uomo del disegno.

« Grande! »

A conti fatti Gima doveva essere il quarantacinquesimo per anzianità, da quel che aveva letto. Rimanevano solo due spazi vuoti.

Dopo l'iniziale entusiasmo, la ricerca della rossa prese ad arrancare. L'immagine non le permetteva di risalire meglio alle altre figure, per lo più bambini, che apparivano tutti uguali per gli abiti e i tagli di capelli; escluse le bambine con piccoli smarchi di penna, ma ugualmente non distinse nel gruppo i bambini citati nel testo, se poi si fosse trattato effettivamente di bambini e non di altri giovani, cosa che non restringeva il campo.

Dopo ore a riflettere e rileggere quel diario da cima a fondo per avere ulteriori notizie Ichigo si sentì di nuovo scoraggiata. Aveva scoperto troppo poco per capire il nesso tra Luz e Deep Blue, poteva essere chiunque riportato nell'opera, o nessuno; forse era uno dei nomi citati, o magari non c'entrava nulla con loro. Si stropicciò gli occhi, insonnolita e stancata dalla lettura e dalla luce giallastra della stanza e chiuse un po' le palpebre per riposare.

Crollò in pochissimo tempo, e lì per lì ebbe l'impressione di essere chiamata da qualcuno. Una voce conosciuta e distante, che invocava il suo nome come da un punto molto molto lontano.

Un sogno prese forma pigramente di fronte ai suoi occhi, prima con suoni vaghi. Frinire di insetti, vento tra gli alberi. Fruscio d'erba. Cinguettii distanti.

Vide lunghi corridoi. Passi che rimbombavano su pietra antica e fredda, il respiro affannoso di una corsa.

« Tayou! Tayou! Dove sei?! »

La voce proveniva dalla sua bocca, ma non era la sua. Continuò a correre, non spaventata, ma eccitata, e accelerò arrancando sul pavimento quando scorse una figurina oltre una curva di colonne.

« Fratellino! »

« Luz! »

Un bambino, quasi un ragazzo, le andò incontro preoccupato scrutandole il volto che lei avvertì accaldato e stanco.

« Non devi correre così! È pericoloso per te. »

Lei chinò la testa:

« Volevo giocare con te e Nuvem. »

Guardò il giovane sorriderle, grandi occhi celesti e i capelli biondi ordinati attorno al viso pallido,

e allungatale poi la mano la condusse verso un giardino interno.

Così com'era apparso il sogno sfumò velocemente e Ichigo riaprì gli occhi, intontita.

« Momomiya-san, credo che stiano venendo a prenderla. »

La voce di Kilig impiegò una manciata di secondi a raggiungerla:

« Il sole è già basso. »

La rossa si fregò gli occhi senza rispondere e annuì. La sua testa levitava ancora nel limbo sonnolento da cui si era risvegliata, e non si toglieva dagli occhi l'immagine che aveva visto.

« Aspetta… »

Il cuore le diede un tonfo. Smise di rimettere le sue cose nella borsa e riaprì il foglio con il disegno di Luz e di suo padre, che aveva ripiegato nel blocco di appunti di Kilig. Con l'indice seguì i volti di tutti i bambini finché non vide, meno incredula di quanto si aspettasse, il ragazzino che aveva sognato.

Grandi occhi azzurri, ordinati capelli biondi legati in un codino e due ciuffi attorno al viso.

Tayou.

Ichigo lo fissò per minuti interi, ignorando sia i richiami di Kilig che di Merurk. C'era qualcosa in lui, qualcosa che aveva già visto.

Dovette abbandonarsi contro la sedia per non cadere a terra quando finalmente riconobbe il viso, seppur più giovane.

« Ao no Kishi…! »

 

 

***

 

 

Kisshu tuffò il viso sotto l'acqua fredda per un po', sentendosi subito meglio. Si asciugò il volto lentamente, lasciando che il fresco rimanesse sulla pelle, e strinse la mano destra sul lavandino avvertendo piccole stilettate di dolore lungo tutto il braccio.

I medici avevano detto che era guarito, ma sembrava che il dolore faticasse a lasciarlo in pace e non faceva che impedirgli di dormire decentemente.

Ingoiò un antidolorifico – aveva perso il conto di quanti ne avesse già ingeriti, e iniziò a temere che sua madre avesse ragione, si stava assuefacendo – e rise tra sé, di sicuro Taruto che si agitava nel letto sopra il suo non era un incentivo a riposare tranquilli.

Avevano dovuto spartire la stanza per anni, con somma invidia per Pai che si godeva la sua singola da imperatore, e quando finalmente lui otteneva la libertà – e il dominio del posto di sopra nel letto a castello – doveva risgomberare il materasso in più dalla sua roba e farci dormire il fratellino.

Del resto Lasa era stata irremovibile. Se Ryou e MoiMoi avevano ragione, cosa probabile al novantanove per cento, Minto non poteva più dormire su una mensola, né in altri posti da "bambola", ma in un letto vero dove avrebbe evitato problemi di cadute e di… Vestiario: lui non aveva visto, ma dallo straccetto che la mewbird aveva mestamente cestinato, l'abito con cui aveva dormito la sera prima non era stato molto felice del suo cambio di dimensione.

Lui aveva proposto di far dormire Taruto sul divano, oppure Pai – senza contemplare se stesso, che il divano lo usava solo per pisolini momentanei – ma neppure su quello Lasa aveva ceduto. Intimando ai due più giovani di non fare i bambini, e ricordando con fare autoritario che non era la prima volta che condividevano la stanza, aveva traslocato momentaneamente Taruto nella stanza di Kisshu e Minto in quella di Taruto, così che fosse tranquilla.

« Sarà solo per un paio di giorni, tesoro – aveva rassicurato Lasa sorridendo – non farne una tragedia. »

« Speriamo. »

Fu il solo commento che Taruto, bofonchiando torvo, fece.

« Scusami, Taruto, prometto che mi farò perdonare per il disturbo. »

Aveva detto Minto mortificata.

« Ehi, e a me non pensi? »

« Occhio a non spezzarti la schiena dormendo, mi raccomando. »

Kisshu aveva fatto una smorfia e non aveva replicato, troppo divertito dalla risposta così cattiva della mora.

Uscì dal bagno sbadigliando, era troppo buio per osare chiedersi che ore fossero, e lui sperò solo che Taruto fosse piombato in fase rem e che avesse smesso di dimenarsi per il materasso così da concedergli più di quattro ore di sonno.

Un cigolio attirò la sua attenzione, la finestra del bagno aveva fatto corrente e aperto la porta della camera di Taruto, che Minto doveva aver chiuso male.

Si appoggiò allo stipite dell'ingresso studiando l'interno della stanza sovrappensiero. Le previsioni del biondino saccente erano degne di uno stregone.

Minto dormiva tranquilla e non si accorse del verde che compì qualche passo nella stanza. Era tornata delle sue normali dimensioni, anche se sotto il lenzuolo leggero, che ne segnava minuziosamente la sagoma delicata, s'intravedevano ancora le forme della coda e delle ali. A Kisshu sfuggì un risolino, pareva proprio che la mewbird dovesse ballare o dormire per vedere il suo bel faccino disteso e sereno.

« Come diavolo fa a sfornare tanta cattiveria con questo musetto? »

Gli venne voglia di darle noia e le prese qualche ciuffo della frangetta tra le dita, spostandoglielo, arruffandoglielo e attorcigliandoselo attorno all'indice, e strappò alla morettina a stento qualche lamento di fastidio.

« Ha un sonno di marmo il passerotto. »

Minto mugugnò senza svegliarsi e si girò sulla schiena tirandosi il lenzuolo fino alla gola.

La sensazione che quella mattina lo aveva sorpreso sulle scale nel sotterraneo del Cafè si riaffacciò prepotente e Kisshu divenne più serio.

Era normale negli ultimi tempi che si ritrovasse tra i piedi la mewbird in continuazione, vivevano sotto lo stesso tetto, e non era nemmeno così strano che la cercasse tanto solo per stuzzicarla, con lei era semplice farla abboccare all'amo e farsi due risate. Era il massimo vedere quando perdeva del tutto la pazienza, rossa di rabbia, o smontarle i tentativi di fare la sostenuta e l'indifferente, cosa che iniziava a fare con una precisione chirurgica.

Il problema era avrebbe dovuto aspettare che il gioco gli fornisse nuovi spunti, non essere lui a cercare con così tanto zelo l'occasione di scherzare con il fuoco.

A proposito di fuoco…

Inclinò la testa perché la penombra mettesse più a fuoco il viso della morettina e sbuffò sottovoce, nonostante la sua aria compassata Minto sapeva dimostrarsi più incosciente di lui. Il braccio nudo che stringeva il lenzuolo da sopra, la spalla e perfino il viso portavano i segni del suo volo a pelo di lava, piccole bruciature e graffi che lei aveva ricoperto con chili di pomate nella speranza non rimanessero cicatrici.

Kisshu riprese ad accarezzare la frangetta di Minto, sistemandola con la punta delle dita, e lei abbozzò un sorriso nel sonno. Le sfiorò con delicatezza una scottatura sopra il sopracciglio, lambendo appena con il polpastrello il profilo della tempia e dello zigomo e fermandosi poco prima di raggiungere la bocca.

Minto non si svegliò. Kisshu si chinò su di lei per pochi istanti, sfiorandole le labbra con le proprie, e lei mugolò appena girandosi su un fianco.

Kisshu uscì veloce com'era entrato chiudendosi la porta alle spalle. Vi si appoggiò contro, passando una mano sul viso, e sospirò a fondo posandosi due dita sul punto in cui sentì formicolare il sapore della ragazza.

Ma che diavolo sto facendo…?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) un omaggio ad uno dei miei personaggi (e all'opera) di lirica preferiti, Papageno l'uccellatore (cioè addestratore/cacciatore di uccelli) dell'opera il Flauto Magico di Mozart

(**) pepite di carne (generalmente, appunto, pollo) disossate, fatte a bocconcini, marinate, impastellate e deep fry, gnammy  (sullo stile dei nuggets, ma 100 volte + buone =ç=)

 

(***) su, unitevi al coro: uno, due…

Tutti: MA QUANDO MAIIII?!?!? (scusate lo sfogo, ogni tanto anche l'autrice sclera)

 

(****) episodio 17 :3

 

 

 

 

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*respiro affannoso* ok ce la faccio *bomboletta di ossigeno*
*muore*

Sono distrutta! E il mio lato fangirl sta rotolando oltre i confini della Galassia, ma che sto scrivendo?!?

Ichigo: e se non lo sai te…

Taci, pervertitella!

Ichigo: c-che °\\\°?!?

Siccome qui dentro sono tutte persone mature che sanno gestire i propri impulsi e i propri sentimenti, è facilissimo gestire le loro relazioni (si sente che sono sarcastica)? Non so più come lavorarmeli sono una manica di disgraziati! xD vede come poi non posso seguire i suggerimenti dei conigli? E come si fa?

Kisshu: ma di che sta parlando?

Pai: ho l'impressione sia meglio non sapere -.-

Ahah mi dispiace di non poter far vedere oltre Papageno, mi piaceva moltissimo (anche se è un po' inquietante, e nella mia testa continua ad assomigliare a Dentolina di ROTG *amore sviscerato per quel film* anche se non vorrei xDD) ma vabbè :P.

Temo di stare diventando sadica con Pai, ma un pochino se lo merita -.- non trovate?

Pai: -.-**

Si sta capendo qualcosa di più sulla spia di Ebode? Su Luz? Nooo?! BENE! X°°D è così che deve essere! Soffrite xD! *vi amo ♥ * vi state abituando ai capitoli tranquilli e shipposi eh?...
… Bene, godetevi finché durano *musichetta oscura, con aura nera e risata malefica* riflettevo l'altro giorno, a conti fatti Crossing finora è diviso in 3 parti. La prima in cui si sono dati un sacco di botte, circa fino al capitolo 23, poi questa che sono capitoli tranquilli sereni e shipposetti, e poi di nuovo il baratro del delirio.

Kisshu: … Ma hai una minima idea di quanti capitoli farai?

* si mette le dita nelle orecchie e canta* LALALALAAAAH non ti sentoooo~♪! *sguardo vacuo perso nel vuoto*

Kisshu: … poveri noi.

Raguazzuolli, il #martedìfangirl vive e prolifera. Volete partecipare anche voi :3?

E se volete unirvi alla follia basta che veniate qui :D diffondente il verbo del delirio!
ringrazio enormemente, dal profondissimo del mio cuoricino Danya, Hypnotic Poison che persiste anche oltre Atlantico xD, Rin Hikari, Allys_Ravenshade ma ben tornata :*!, mobo e Fair_Ophelia per i loro commentini prometto che appena proseguo un po' con le tavole rispondo ;) voi intanto continuate a seguirmi ♥  e grazie anche a tutti i lettori e coloro che mi lasciano commenti e mi piace sulla mia pagina FB ♥  
Vado che ho ancora del lavoro da finire (TTwTT) ci si vede tra un paio di settimane!

 


Mata ne
~♥ !

Ria

 

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Capitolo 34
*** Toward the crossing: seventh road (part III) ***


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Hora hora!

Beh, che dire? Un titolo esplicativo… Vamonos!

 

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Cap. 34 – Toward the crossing: seventh road (part III)

                You're so stupid, my love. My love, I'm so jealous

 

 

 

 

« Uffa, mi scoppia la testa…! Non ci capisco più niente! »

« Dai Ichigo-chan, vedrai che piano piano capiremo. »

La rossa sollevò il viso dal tavolo per niente convinta e lasciò che il venticello le passasse dolcemente tra i capelli per distendersi.

« Certo che è strano – fece Purin tenendosi la guancia con l'indice – io credevo che Ao no Kishi nii-chan fosse la versione a metà tra Deep Blue e Aoyama nii-chan, invece era una persona vera? »

« Forse è collegato all'atavismo di Aoyama-kun – propose titubante Retasu – potrebbe avere preso un aspetto somigliante a qualcuno del passato… »

« Vi prego, basta. »

Gemette Ichigo e le amiche si guardarono con un lieve sorriso, sospirando pensierose.

MoiMoi rimuginò tra sé e sé, intanto che controllava la crescita delle piccole piante dietro le teche che puntellavano il giardino sopraelevato.

Era stata Purin a condurre le ragazze lì da lui, sapeva già dove trovarlo e come raggiungerlo: le incombenze della missione non toglievano al violetto l'onere dei suoi compiti quotidiani, tra cui il controllo saltuario dei semi e delle piante che avevano conservato per secoli nei laboratori della città, in attesa di miglioramenti del clima, e che stavano rafforzando con piccoli innesti di chimeri parassita per renderli più robusti e più prolifici. Purin lo aveva seguito una mattina in cui Taruto, brontolando, l'aveva bandita dal campo di allenamento accusandola di distrarlo con il suo chiasso, e ormai capitava spesso che MoiMoi se la trovasse a fargli compagnia, specie da quando era terminata la scuola e i fratellini della mewscimmia erano partiti per andare a trovare il padre alla sede della loro palestra, in Cina.

La mewscimmia adorava quel posto. Il piccolo spazio ritagliato in un terrazzo, all'interno del Palazzo Bianco, ricordava un giardino pensile ricolmo di piante e fiori, popolato di insettini colorati che ronzavano confortanti; qui e lì le teche con i germogli ibridati brillavano al sole, mandando i colpetti delle piante all'interno che, talvolta, a causa della modifica genetica assumevano coscienza e movimento, imprevisti di sviluppo; erano comunque del tutto innocue, le aveva assicurato MoiMoi, e a vedere le corolle e gli steli che ondeggiavano lenti cercando la sua presenza Purin aveva l'impressione di avere a che fare con strani cuccioli vegetali.

Quella mattina era il loro giorno libero e Purin aveva programmato di trascorrere l'intera giornata a Jeweliria, quando aveva ricevuto il messaggio di Ichigo. La rossa chiedeva di parlare solo tra loro ragazze, così da evitare contorti ragionamenti da parte di Ryou o pretese da parte di Pai di rintanarsi di nuovo in Archivio, e aveva convocato un'assemblea generale. Purtroppo, il Cafè era inagibile, visto che Ryou e Keiichiro avevano insistito per tenere un'altra giornata Minto sotto controllo; Zakuro era ad un servizio, e le restanti tre non sapevano dove poter stare tranquille.

Purin perciò aveva proposto il vivaio. Così, mentre MoiMoi lavorava, loro poterono lasciare Ichigo a sfogarsi cullate nella serenità e nella sicurezza del riservato giardino, lontano da orecchie indiscrete e da chiunque, compresi i loro soci, troppo inclini a voler spiegazioni immediate.

« Credo che non dovresti pensarci così – la blandì MoiMoi –più ti sforzi, più ti confondi. Lascia che le idee si calmino, e poi rivedile per bene. »

Ammiccò ad Ichigo e poggiò sul piccolo tavolo attorno a cui erano sedute le ragazze un bricco caldo che profumava di erbe. Ichigo e Purin ne inspirarono sonoramente il profumo, rilassandosi di colpo.

« Non è paina, vero? »

Domandò Retasu annusando il contenuto della tazza che MoiMoi riempì e lui annuì:

« È una miscela che dovreste usare ancora anche voi umani, passiflora e melissa – fece colmando le tazze rimanenti – aiuta a calmarsi. Ne sto facendo una cura. »

Ridacchiò e alle sue spalle, dietro una teca, una piccola pianta di passiflora sollevò i fiorellini stellati e li agitò battendo con lo stelo cavo contro il vetro.

« Oh, non preoccupatevi – rassicurò il violetto vedendo le facce delle tre – a lei non dispiace. Anzi, è contenta che apprezziate i suoi sforzi. »

Ichigo fece una smorfia stentata e sorseggiò faticosamente la bevanda; il sapore era buono e avvertì l'effetto rilassante solo dal suo tepore, ma non fu d'aiuto la mostruosa piantina che si agitava come un cagnolino a pochi metri dal suo campo visivo.

Ci furono dei passi dalle scale e Retasu dovette posare di corsa la sua tazza mordendosi di nascosto il labbro inferiore. Lenatheri, uscendo dall'ingresso, fece appena un cenno ed un sorriso tranquillo a lei e alle altre due, avviandosi verso MoiMoi e porgendogli un oggetto trasparente come quello usato da Pai nella casa sul mare.

« Teruga-san mi ha chiesto di portarti questo – disse, non curandosi delle altre presenti – sono i resoconti delle ultime due riunioni. »

MoiMoi sfogliò velocemente i dati mugugnando a labbra chiuse e Lena, sovrappensiero, incrociò lo sguardo di Retasu. La verde non le sorrise, irrigidita, e la mora accennò con il capo:

« Buongiorno. »

« Buongiorno. »

La voce della verde fu fioca nel tentativo di non suonare irritata, decisamente Lenatheri era la persona che meno aveva voglia di vedere. La mora sorrise contrita:

« Volevo ancora scusarmi per l'altro giorno. »

« Non importa. »

Mentì la mewfocena pur di chiudere la conversazione. Ichigo e Purin si guardarono e poi si girarono verso di lei, che ignorò le loro occhiate.

« Mi è stato fatto notare che potrei aver esagerato. »

« Ho detto che non importa. – ripetè fredda e dopo, sospirando, aggiunse con più garbo – È tutto a posto Inetaki-san. »

La giovane sorrise, ma Retasu non si fece ingannare dalla sua aria apparentemente docile.

« Mi hanno strigliata per bene. Era come vedere le frotte di cavalieri al salvataggio della principessina. »

Per l'appunto.

« Lena-chan, smettila. – la rimproverò MoiMoi ridandole il dispositivo – Quest'umorismo non diverte nessuno. »

« Scusa senpai, ma era davvero buffo Taruto-kun l'altro giorno. »

Ridacchiò e sebbene suonasse affettuoso il sibilo acido dell'ironia nel suo tono stridette nelle orecchie di Retasu.

« Taru-Taru è una persona gentile, anche se borbotta – intervenne Purin irritata dalla mora – quindi se si è arrabbiato aveva una ragione valida. »

Lena non le rispose e sorrise dispiaciuta:

« Sì, infatti. Ho davvero esagerato. »

La biondina incrociò le braccia soddisfatta e MoiMoi sospirò, concedendosi un sorriso, ma Retasu rimase cupa e sul chi va là.

« Era Ikisatashi che mi ha sorpresa, così arrabbiato. Faceva più paura del solito…! »

Retasu sentì il cuore dare un'accelerata improvvisa. Alzò gli occhi verso Lena per accertarsi che non stesse mentendo e fu sicura di arrossire un po'. La mora ridacchiò a labbra strette:

« Ah, allora avevo ragione. »

Retasu desiderò sprofondare, colta in fallo,  e Lena mise su il sorrisetto dolce e maligno che pareva dover trapassare la verde da parte a parte.

« Su Pai. »

« No. »

Fu l'unica cosa che Retasu potè risponderle con tono funebre per mantenere un contegno.

Lena piegò la testa studiandola in silenzio e sospirò:

« Beh… Allora ho sbagliato io. »

« Proprio così. Si è sbagliata. »

Ribattè abbassando la testa; cercò di non far tremare la voce, ma fu inutile. Lena sospirò divertita:

« Ma sì… Del resto, non può aver cambiato tanto i propri gusti. »

« Lena, ora smettila. »

MoiMoi la guardò più severo e Lena rise argentina:

« Su, scherzavo. »

Salutò le terrestri cordiale e sparì di sotto, un secondo prima che Ichigo scattasse in piedi furente:

« Ora gliene dico quattro a quella là…! »

« Fatti da parte. »

« Ragazze, per favore. »

Chiese MoiMoi sbuffando e fissò torvo l'uscita delle scale:

« Lasciate perdere. »

Si girò preoccupato verso Retasu, che sorrise a fatica e si rimise a bere la sua tisana per evitare ogni tipo di domanda. Pai aveva ragione, Lena ce l'aveva proprio con lei e non sapeva il motivo; però non era ciò a turbarla, bensì le ultime parole della mora, di cui intuiva un significato senza comprenderlo.

Posò la tazza sospirando, con Ichigo e Purin che in sottofondo inveivano contro Lena, e incrociò il viso di MoiMoi per un secondo. Lui scostò subito la testa a disagio e la mewfocena fu sicura di avere ragione.

Fece per alzarsi e chiedere, ma riconobbe nuovi passi sulle scale e rimase di ghiaccio.

« Ho visto Inetaki – disse Pai senza preamboli, rivolto a MoiMoi – che voleva? »

« Darmi solo i resoconti di Teruga. »

Rassicurò il violetto, ma sbirciò ancora in tralice la mewfocena. Retasu fissò dalla parte opposta del tavolo per non incrociare nemmeno la sagoma del moro, e a lui fu chiaro che fosse successo qualcos'altro.

« Cosa ha fatto? »

Retasu si rannicchiò di più su se stessa con il cuore che battè più forte ascoltando il tono piatto, ma sinceramente inquieto, con cui le pose la domanda.

« Niente… Davvero. »

Rispose sorridendo stentata, ma non riuscì ad alzare la testa.

« Ha detto qualche altra sciocchezza. »

Retasu arrossì colma di vergogna e per Pai fu come dire di sì.

Prima che aggiungesse altro MoiMoi lo trascinò a controllare alcune analisi che aveva fatto sperando di distrarlo e Retasu prese un respiro di sollievo.

« A quella Lena-cosa là dovrebbero cucire la bocca! »

Borbottò Purin e Ichigo asserì con un cenno della testa. I suoi occhi nocciola, torvi, erano piantati su Pai: non le piacque per nulla l'atteggiamento gentile verso la sua amica, non dopo il comportamento avuto verso i suoi sentimenti; aveva l'impressione fingesse che non fosse accaduto nulla tra lui e la mewfocena, e la cosa non le andava proprio giù.

« Dai, andiamo… Sono già stravolta e devo ancora fare un sacco di cose. »

« Ah, io… Voi andate pure ragazze – sorrise Retasu poco più convinta – io resto qui ancora un po', non ho grandi impegni. »

Purin annuì, le diede un abbraccio e trotterellò giù per le scale; Ichigo invece le sorrise, scoccò un'altra occhiataccia verso Pai e mentre iniziò a scendere disse a voce ben alta:

« Non dimenticarti il tuo appuntamento, però. Non fare tardi! »

Retasu arrossì di botto e la rossa scese di sotto con aria innocente. Non prima di aver intercettato Pai girarsi ed avergli scoccato un'occhiataccia e un sorrisetto velenoso. Il moro, arrabbiato all'improvviso, si mise a controllare una per una le teche, lanciando un'occhiata penetrante alla verde che, ignara, aveva ripreso a bere piccoli sorsi dalla sua tazza nel vano tentativo di distrarsi.

Doveva sapere, doveva assolutamente sapere, togliersi il dubbio…

Pai scomparve dietro le ultime vetrinette e Retasu, esasperata, posò il bere e agguantò MoiMoi per una manica.  Lui fece una smorfia, era chiaro che sapesse già cosa la verde volesse chiedergli e avrebbe preferito non dare risposta:

« Che succede? »

Domandò comunque con un sorriso forzato.

« MoiMoi-san… Ecco… – la ragazza inspirò ed espirò in un solo fiato – Che rapporto c'è tra Inetaki-san e Pai-san? »

« Ah, una reazione spontanea! – esclamò teatrale lui, guardando un punto imprecisato con grande interesse – Devo assolutamente- »

« MoiMoi-san, ti prego. »

Retasu tirò la manica ancora più forte e lo costrinse a voltarsi verso di lei. MoiMoi cercò di non guardarla, ma era già bloccato dai supplicanti e dolci occhioni della verde e sbuffò:

« Reta-chan, non credo… »

« Per favore! »

Sussultò pensando che Pai stesse tornando indietro, ma era ancora concentrato sulle teche in fondo al terrazzo. MoiMoi tentò di svicolare senza successo e sospirò rassegnato:

« Sono… Si sono frequentati, per un po'. – rispose vago – Tempo fa. »

Retasu avvertì la terra mancarle sotto i piedi.

« Ma non si sono lasciati bene – si sbrigò a precisare sottovoce – quindi per favore non tirare fuori l'argomento, nemmeno per sbaglio! O Pai-chan va in escandescenze… »

Si zittì squittendo, percependo l'ombra incombente del kohai ancor prima di vedere Retasu impallidire e poi arrossire a disagio.

« Di che stai parlando? »

« Io? – trillò il violetto con un sorriso storto – Proprio di nulla! »

Lui strinse gli occhi furioso:

« MoiMoi. »

« Era solo una curiosità – cercò di placarlo il violetto – in fondo non è un segreto, e- »

Il moro non lo ascoltò finire e guardò rabbioso Retasu sbottandole contro:

« Queste sono cose di cui non devi impicciarti, razza di ragazzina ficcanaso! Sono stato chiaro?! »

« Pai! »

La verde rimase pietrificata. Lesse una furia spaventosa negli occhi del ragazzo, per un secondo tornò ai suoi vecchi scontri con lui e temette quasi la potesse colpire.

Lui strinse i denti rabbioso, come se lo infastidisse la sua vista, e girò sui tacchi andandosene via.

« Eh, no! Pai! Torna subito qui! »

MoiMoi gli corse dietro furibondo e Retasu rimase congelata dove si trovava. Avrebbe voluto sparire.

Si alzò con esagerata lentezza e scese le scale a passo pesante, sentendo le grida arrabbiate di MoiMoi allontanarsi da lì, e sperando di non incrociare né lui né il moro si avviò verso casa con un groppo alla gola.

Si sentì una stupida. Aveva pensato che Pai, pur non ricambiandola, avesse un minimo di riguardo nei suoi confronti, però era evidente che sbagliasse; non era per lei che si era arrabbiato con Lenatheri, era solo perché non aveva un trascorso felice con la mora e mal tollerava la sua presenza.

Tra loro doveva esserci ancora qualcosa, Retasu ne fu sicurissima.

Deglutì forte, aveva capito il senso delle parola dell'aliena e il suo umore era sceso di un'altra tacca. Decisamente lei non assomigliava a Lenatheri, dalla cima della testa alla punta dei piedi non avevano in comune una virgola; per non parlare del carattere.

« È vero che sei ingenua. Ti fidi troppo delle persone e perdoni con troppa facilità. Però… Quando si parla di te, non credo che questi siano considerabili difetti. »

« … Che razza di bugiardo. »

Retasu fu certa che Pai non avesse creduto ad una sola parola pronunciata, i fatti le dicevano che erano altri caratteri  che apprezzava. Probabilmente ai suoi occhi lei era solo una sciocca ragazzetta pettegola, un fastidio appena sopportabile.

Altrimenti lei non si spiegava gli scatti d'ira nei suoi confronti, il suo bistrattarla dopo che un secondo prima l'aveva trattata gentilmente.

Strinse i pugni sentendo gli occhi riempirsi di lacrime:

« Sei… Uno stupido, Pai… »

 

 

***

 

 

Arashi ammirò sovrappensiero la nuova maestosa dimensione che avevano creato. Avevano speso tempo e fatica, ma il danno era stato riparato.

Ora dovevano solo attendere.

La coscienza del loro signore albergava in lui come un compagno fedele, lo rendeva forte, sicuro, indomito.

Guardò la sua immagine nello specchio. Nulla di c'ho che era stato, del debole, patetico, gretto soldatucolo che aveva personificato la sua essenza esisteva più; solo la rabbia e il livore, gli stessi di tutta una vita, luccicavano nelle iridi gelide.

Aveva pensato di non valere nulla. Di essere solo uno degli inutili e stupidi membri della sua morente stirpe, relegata a vivere da reietta su un sasso sperduto nel cosmo, una discarica per rifiuti indesiderati mentre la loro vera dimora marciva, imputridita dai veleni degli uomini. La rinascita del suo angolo di inferno non lo aveva illuso né fuorviato un istante, accendendo solo di più il rancore sotto la cenere.

Poi il cambiamento. Una forza nuova, un volto nuovo. La voce del suo signore che gli chiedeva aiuto e la scoperta, anzi, il ritrovare le sue discendenze nobili.

Era ovvio. Lui non poteva essere uno dei tanti sciocchi.

Mai avrebbe sperato però che il suo sangue fosse così vicino alla nobiltà della famiglia Melynas, tanto da essere scelto come portavoce del nuovo ordine.

Aveva pianificato. Cercato i compagni, studiato il piano d'azione, atteso.

La sconfitta recente, dopo tanta preparazione, era stata accettata a fatica, ma rimanere accecati dall'orgoglio non li avrebbe fatti trionfare. Avevano ricominciato, e sebbene i nemici pensassero di averli di nuovo sconfitti, lentamente loro si avvicinavano al traguardo.

I prescelti della stirpe. Coloro il cui sangue risplendeva di nobili antenati.

I frammenti mancanti erano ormai pochi. Deep Blue lo avvertiva e Arashi di riflesso, vivendo in uno stato di perenne fervore.

Passeggiò per i corridoio trovandosi distrattamente nella sala più interna della dimensione. Grosse teche cilindriche trasparenti erano oscurate da ombre indistinte, mentre mucchi di para-para venivano fusi a forza assieme con un soffocante baluginio di luci rosse.

« Presto saremo pronti. »

 

 

***

 

 

Retasu bevve un bel sorso del suo frullato godendosi il gusto dolce della fragola, era sorpresa delle proprie capacità. Era rientrata a casa, dopo il litigio a senso unico con Pai, avvilita come non mai e sicura di passare con quell'umore il resto della giornata, ma si era imposta di passarci sopra; in fondo, lei non aveva fatto nulla, non era un suo problema se il moro aveva una pessima gestione della rabbia e dei rapporti con gli altri. La malinconia aveva lasciato posto ad una vivace irritazione ed era stato ben più semplice accantonarla perché non le guastasse il pomeriggio.

Così, quando si era presentata all'appuntamento con Koichi di fronte al cinema, era stata serena nonostante il leggero imbarazzo; dopo lo spettacolo erano andati a bere qualcosa in uno dei baretti al piano superiore senza che alla verde mancasse mai il sorriso.

Bevve un altro sorso e sbirciò il bruno da sopra gli occhiali, le era parso a disagio da quando avevano lasciato la sala e giocava con la sua cannuccia senza bere un goccio dal bicchiere.

« Lo spettacolo è stato… Hmh… »

Pessima scelta di argomento, lo vide sul volto del ragazzo che le apparve mortificato:

« Dillo pure. »

Retasu arrossì un poco:

« Ecco… »

« Era terribile. »

Lui fu davvero dispiaciuto e quando vide Retasu trattenere una risatina si soprese come un bimbo:

« Non dirmi che ti sei divertita…! »

« Purtroppo no, però… Era talmente assurdo, che a ripensarci mi viene da ridere. »

Scoppiarono a ridere all'unisono. I biglietti che aveva preso Koichi avrebbero dovuto essere per un film di fantascienza sofisticato, tratto da una famosa serie televisiva – che, nei suoi programmi, avrebbe dovuto avere la giusta profondità per la ragazza e abbastanza esplosioni per lui – ma i risultati sullo schermo erano stati così deludenti da essere comici.

« … E quando è passato il tizio con la muta spaziale? »

« Sì, è vero! – esclamò la verde soffocando una risata più acuta – Il green screen risaltava tantissimo. »

« Ma il filo! Hai visto che c'era il filo?! »

« Sulla sua cintura? »

« Sì, si intravedeva il profilo dell'imbracatura! – esplose lui sghignazzando nervoso – Era come un film degli anni Quaranta con il filo da pesca! »

Risero per una decina di minuti buoni in un botta e risposta trovando scene su scene assurde, dettagli trash e ripetendo a pappagallo le battute più stupide – nemmeno la recitazione degli attori era stata eccelsa – e alla fine Retasu dovette fermarsi dal male agli addominali.

Dopo che si furono calmati Koichi la guardò dispiaciuto:

« Mi dispiace. »

Fece sospirando:

« Aspettavo questo film. Speravo fosse una cosa decisamente diversa. »

« Stai tranquillo – lo rassicurò lei con dolcezza – io mi sto divertendo un mondo. »

Lui sorrise contento e un po' a disagio e diede un rumoroso sorso alla sua bibita.

Passarono il resto del pomeriggio a parlare del più e del meno e Retasu a stento si rese conto del tempo che passava. Era piacevole passare le ore con Koichi, si sentiva bene a condividere con lui i suoi gusti, le sue passioni, e a sentirlo di rimando, colmo di progetti per la successiva primavera in cui avrebbe finito le superiori e iniziato l'avventura universitaria. A Retasu appariva come un mondo lontanissimo, non solo per il tempo che ancora l'aspettava prima di quella data, ma Koichi lo faceva apparire più vivo e reale, così reale che lei, spogliata del suo essere "speciale" non potendo parlare delle MewMew e tutto il resto, si sentì piccola e goffa: Koichi però ascoltò tutto ciò che lei disse su di sé con curiosità ed entusiasmo, interessandosi con domande a volte un po' sciocche che fecero solo sorridere di più la verde, che iniziò a studiare il profilo del moro con una strana e piacevole agitazione.

Il pomeriggio passò in un lampo. Koichi  accompagnò Retasu fin sotto casa sua, studiando con un sospiro l'orologio del cellulare:

« Devo proprio scappare. Il capo se non mi vede in orario per il part-time si mette a tirarmi i fusti di birra vuoti in testa. »

« Lavori in un pub, giusto? »

« Sì – sospirò lui, e dalla sua faccia parve il lavoro più faticoso del mondo – al magazzino, visto che sono minorenne(*) il capo non mi fa nemmeno sfiorare una bottiglia se sa che potrebbe essere aperta. »

Retasu sorrise divertita. Koichi si massaggiò la nuca:

« Mi dispiace ancora per il pessimo film. »

« Nakayama senpai, ti ho già detto che non importa. »

« Guarda che va bene senza il "senpai". »

La mewfocena emise un piccolo sbuffo imbarazzato:

« Sì… Nakayama-san. »

Lui fece un mezzo sorriso consapevole, in apparenza, che quello fosse il massimo concesso dalla verde.

« Spero almeno la prossima volta di non portarti in un posto in cui tu debba sbadigliare tutto il tempo! »

Rise un po' nervoso e Retasu avvertì un lieve batticuore.

« Perché… Ci sarà una prossima volta? »

Chiese piano e lei iniziò a tormentare il laccetto della borsa senza rispondergli, annuendo irrequieta. Koichi sorrise luminoso:

« Allora alla prossima. Ti telefono. »

Retasu intravide senza respirare il bruno tendersi un poco verso di lei, ma – per fortuna – si limitò a darle un buffetto affettuoso sulla frangetta con l'indice, e dopo corse via girandosi a salutarla ogni tre metri, rischiando di centrare dei sostegni per il parcheggio bici con le ginocchia.

 

 

 

***

 

 

« Ahiii, che male al collo! »

« È la vecchiaia che avanza? »

MoiMoi alzò lo sguardo sul ghigno di Sando e borbottò:

« Spiritoso. »

Il violetto si massaggiò ancora il collo e si stiracchiò con inquietanti scricchiolii delle giunture, tenendo sempre sotto controllo con un occhio socchiuso il monitor di fronte a sé.

« Stai ancora cercando quegli squilibrati? »

MoiMoi si stupì dell'osservazione e sorrise sotto i baffi:

« Non mi piace l'idea che siano in giro a programmare chissà che. »

Sando annuì sbuffando e la sua attenzione cadde su un secondo monitor, dove intravide la pianta esterna del centro ricerche.

« E quello? »

MoiMoi guardò lo schermo che splendeva tranquillo e sospirò:

« A dire il vero… Non sono sicura, però… »

« Che? »

Il violetto lo guardò serio e abbassò la voce:

« È come se qualcuno pattugliasse qui attorno. »

« Lo hai visto? »

Chiese più cupo il verde facendosi spazio per vedere lo schermo, ma MoiMoi lo spinse via scuotendo la testa:

« Ho controllato e controllato, ma niente. Solo poche vibrazioni dalla barriera, ma potrebbero essere anche delle foglie. »

Gli occhi di Sando divennero due fessure studiando il monitor deserto e MoiMoi si lasciò andare sulla sua sedia:

« Forse sono solo paranoica. Aah, il collo! Che dolore…! »

Sando sospirò, probabilmente anche lui era troppo teso e vedeva nemici ovunque; si rimise dritto guardando distratto il violetto passarsi la mano sul collo per distenderlo e rimanendo imbambolato sulla nuca candita, scoperta dai capelli chiari.

« Ahio! »

MoiMoi si tenne due dita sulla testa e si girò allibito verso l'amico che, grugnendo, usciva nascondendo la mano con cui gli aveva appena tirato uno scapaccione.

« M-m-ma sei deficiente?!? »

« Piantala di startene lì a mugugnare, che il tuo collo sta benissimo – gli ringhiò in risposta – vedi di rimetterti al lavoro. Io controllo in giro. »

MoiMoi continuò a fissarlo ammutolito e protestò tra i denti rimettendosi a digitare furiosamente sulla tastiera, mentre Sando uscì con la testa che andava in fiamme.

 

 

***

 

 

Taruto arrivò agli allenamenti del mattino sbadigliando come un ippopotamo. Era da quando erano rientrati dal portale che non faceva che pensare e pensare, il suo cervello non era disposto a lasciarlo in pace nemmeno quando crollava nel mondo dei sogni.

Le parole che Kisshu aveva lanciato contro Pai – e contro di lui – gli avevano riportato alla memoria quelle di MoiMoi a Belia, la sera alla locanda, e dopo la sua nuova visione delle cose durante il pomeriggio al mare, aveva iniziato a riflettere seriamente sulla questione Purin.

Che le volesse bene non lo negava. Era una persona preziosa, conoscerla aveva cambiato tantissime cose, era innegabilmente una delle amiche più care che avesse mai avuto.

Ma era solo quello?

Era solo per le vicende che li legavano, che Purin era così presente?

Certo la biondina sapeva rendersi amiche le persone. Era fin troppo esuberante, vero, ma la sua allegria, la sua spontaneità, il suo vedere positivo, erano la chiave del cuore di chiunque. Poi era dolce, affettuosa, generosa, buona e sincera.

Nel pensarci Taruto avvertì un feroce batticuore.

Sì, Purin era speciale.

Ed era carina. Maledettamente carina.

Probabilmente per lui sarebbe stato meglio definirla bella. Sì, Purin per lui era bella, davvero bella, e l'epifania rischiò di fargli venire un infarto ricordando la scossa che aveva provato l'ultima volta che l'aveva toccata.

Ma se a lui Purin piaceva, se la considerava speciale, forse lui…

Dovette fare un'espressione parecchio strana perché tutti i soldati che lo videro si misero a parlottare tra loro, confusi. Taruto si nascoste in un angolo riparato tra alcune colonne, il volto in fiamme e il cuore veloce come un colibrì.

« Sono innamorato di Purin…? »

Si accucciò a terra con le mani nei capelli per nascondere la faccia, probabilmente più luminosa di un falò, e soffocò un gemito frustrato.

Quanto sono… Deficienteee!

Come aveva fatto a non accorgersene prima(**)?

Piuttosto, come aveva fatto a sopravvivere con la biondina spalmata addosso ogni giorno, sentendola dirgli che gli voleva bene e che gli piaceva, senza farsi venire un colpo?

Gli tornarono alla mente un sacco di cose, com'era successo nella giungla. e divenne per l'ennesima volta scarlatto.

Inspirò a fondo, doveva darsi una calmata o gli sarebbe venuto per davvero un coccolone. Si mise in piedi e, seppur si sentisse un po' stupido, fu felice all'improvviso; gli venne da sorridere e ridacchiò tra sé contento.

A lui piaceva Purin e a lei piaceva lui. Era fantastico.

Si girò per tornare indietro e rimase congelato:

« Già, ma quindi adesso… Dovrei dirglielo? »

Avvertì il calore salirgli dal petto e arrivare fino alle orecchie e si passò le mani in testa isterico.

No, non era contemplabile! Non poteva assolutamente fare una cosa simile! Non era pronto psicologicamente!

Non riusciva nemmeno ad immaginarsi a fare una cosa così imbarazzante. Una dichiarazione sarebbe dovuto essere un momento particolare, lui aveva impiegato mesi a capire di essere innamorato di Purin, figurarsi mettere in riga soggetto, predicato e verbo adatti a farle la confessione.

E se poi mi sbaglio io?

Lo stomaco gli si contrasse di freddo. Purin diceva in continuazione di volergli bene, ma all'improvviso non fu così sicuro che fosse lo stesso che provava lui.

Cosa faccio?! Cosa faccio?!

« Ehi, senpai! Buongiorno! »

Ancora agitato per i suoi tormenti Taruto scattò sull'attenti sentendosi chiamare e stese un sorriso sghembo al gruppetto diretto verso di lui:

« Ehi – tossicchiò per darsi un tono – come va? »

« Credevamo di non vederti oggi. »

« Scherzate? – pregò con tutto se stesso che la voce non gli fosse uscita stridula come gli sembrò – Me la stavo solo prendendo comoda. »

« Già – fece ammirato un bimbetto sui dieci anni – il senpai può anche divertirsi, lui è troppo forte! »

Taruto mise il petto in fuori con l'ego che lievitava, distogliendolo un po' dai suoi pensieri:

« Come se non lo sapessi già. »

Il gruppetto rise e si avviò al campo tenendo Taruto al centro, scherzando e chiacchierando.

Tra i cadetti il brunetto era considerato una sorta di eroe: era uno dei più giovani soldati con il grado di tenente, tanto che alcuni suoi coetanei lo chiamano "senpai" nonostante non fosse più vecchio, e la sua abilità nonché le peculiarità dei suoi poteri lo rivestivano di un'aura di venerazione per i più giovani. Nel suo plotone in particolare il gruppetto con cui stava camminando lo attorniava spesso: erano in cinque, tre cadetti di dieci e undici anni che seguivano i suoi passi quasi adoranti, e due della sua stessa età – uno, se Taruto non sbagliava, doveva avere un anno più di lui – che lo trattavano con più confidenza senza nascondere l'ammirazione e il pizzico d'invidia nei suoi confronti.

Arrivarono sul prato e iniziarono a parlottare su cosa fare, e uno dei più giovani guardandosi attorno si girò verso Taruto:

« Oggi non è venuta. »

« Chi? »

Uno dei più grandi gli diede una spallata ridacchiando:

« La tua ragazza, la biondina carina. »

Taruto sgranò gli occhi e rimase con la bocca semiaperta senza rispondere.

« È la tua ragazza? – domandò curioso uno dei più piccoli – È una super forte, me l'ha detto Roovy senpai. »

« Ci ha combattuto insieme tempo fa vero? »

« Sì, diceva che la mascella gli ha fatto male per giorni dopo il calcio che si è preso. »

I più piccoli confabularono ammirati, scambiandosi dettagli dello scontro tra la mewscimmia e il soldato dai capelli rossi in cui la biondina aveva fatto da portavoce per le compagne, e intanto uno degli altri guardò Taruto allusivo:

« Cos'è, avete litigato? »

« Figurati. Solo non è che posso sempre sapere dove si trovi quella scimmietta rompiscatole. – borbottò il brunetto cercando di fare l'indifferente –  E poi non stiamo assieme. »

« Davvero? »

« Già, davvero. »

Replicò cupo.

« Secondo me sta mentendo. »

Ridacchiò uno dei più piccoli e Taruto gli soffiò contro:

« Datti una regolata, nanerottolo. »

Taruto strinse i pugni lungo i fianchi a disagio per le loro battutine e sicuro che, dopo le sue riflessioni, gli si leggesse in faccia che diceva una bugia; quello più grande insisté:

« Quindi non è la tua ragazza? »

« No, non è la mia ragazza! – sbottò stufo – Non lo è e non m'interessa! Piantatela di rompere! »

Si girò rabbioso e avvertì un peso gelido piombargli nello stomaco. Purin era in piedi a due metri da lui, perfettamente a portata d'orecchio, e li stava fissando con un misto di sorpresa e delusione.

« Buongiorno Taru-Taru! »

Come se nulla fosse sorrise e salutò prima lui e poi il resto dei ragazzi, che conosceva di vista, e come sempre non badò al rimprovero del brunetto circa il suo nomignolo; Taruto però era confuso dal suo atteggiamento, ed ebbe la sgradevole sensazione che Purin sorridesse un po' con sforzo.

« Oggi siete pigri? Dai che sono curiosa! »

Come un entusiasta portabandiera la biondina fece da apripista e lasciò i ragazzi finire di prepararsi e iniziare l'allenamento. Lei si accomodò sul bordo del prato, sedendosi sul muretto del colonnato con le gambe al petto e le braccia sulle ginocchia, e Taruto non fece che sbirciarla distraendosi dall'esercizio e domandandosi se i piccoli sospiri che le scorgeva fare fossero dovuti a quanto aveva detto prima.

« Guarda quello che fai, senpai! »

Il più grande del gruppo colpì con una scarica il terreno in mezzo ai piedi di Taruto: la terra esplose con uno scoppio e il brunetto fu sbalzato con un ruzzolone poco lontano, reggendosi la nuca tra le dita lamentandosi.

« Ah, ti ho fregato! »

Taruto non rispose, sibilando ancora tra i denti per il bruciore alla testa; i suoi compagni lo circondarono prendendo a punzecchiarlo, ma la sua attenzione di nuovo finì su Purin che, ridacchiando un poco per la caduta assolutamente ridicola che gli aveva visto fare, veniva avvicinata dal cadetto più grande: questo sogghignò con fare smargiasso indicando Taruto di soppiatto e facendo, probabilmente, qualche battutina a cui la mewscimmia non partecipò con troppo entusiasmo, e continuò poi a chiacchierare con un'aria che Taruto conosceva fin troppo bene.

Si tirò su di scatto corrucciato e scostò gli altri ragazzini, raggiungendo i due con poche falcate. Non diede peso al fatto che il suo compagno stesse ancora parlando né che Purin lo avesse guardato un po' male per la sua interruzione: prese la biondina per un braccio e tirandola con decisione la trascinò via senza spiegazioni.

Purin, confusa, lo seguì caracollando finché gonfiando le guance arrabbiata non puntò i piedi e lo scacciò sbottando:

« Che ti prende?! »

« Te ne sei accorta che quel cretino stava facendo lo splendido con te?! »

« Non sono stata io a farmi frullare da quello lì – gli rimbrottò – e comunque gliel'ho detto, che le sue battute non erano divertenti. »

« Non me ne frega un'accidenti di quel che dice di me! »

Mentì, meditando in parte future piccole e sadiche vendette per la linguaccia del cadetto, e poi borbottò:

« Ci stava provando con te, deficiente. »

Purin sgranò gli occhi, quindi arrossì un pochino, e infine lo guardò cupa:

« E a te che importa? »

Taruto non seppe risponderle. Si morse il labbro e guardò da un'altra parte a disagio:

« Niente. »

Purin corrugò la fronte, tra il mogio e l'arrabbiato, e Taruto infilò le mani in tasca:

« Mi da solo… »

Purin inclinò la testa e strinse le labbra in attesa:

« Solo? »

Taruto grugnì senza rispondere di nuovo; Purin gli andò più vicino, studiandolo a metà tra l'aspettativa e l'arrabbiatura e arrivò abbastanza vicino al brunetto che, se avesse sollevato un poco la testa, lo avrebbe raggiunto. Taruto deglutì a vuoto e come a Mohéki non riuscì a non fissarla, terrorizzato dallo sguardo umido della biondina.

Non gli piaceva. Non gli piaceva per niente. Era troppo veloce.

Purin ripetè a bassa voce:

« Solo…? »

Taruto arrossì colpevole provando a schivare i suoi occhi e trovandosi sempre ad averli di fronte. Purin sorrise impacciata.

No. No, no, no, non andava bene. Non era il momento. Non poteva… Non era pronto.

Piantò lo sguardo sulle labbra dischiuse della biondina e ingoiò a vuoto con un tamburo nel petto.
Però… Però…

Purin si allungò sulle punte dei piedi: Taruto non ebbe il tempo di ritrarre la testa e avvertì il naso della biondina sfiorare il suo un secondo dopo che ebbe chiuso gli occhi, e un piccolo bacio sulle nocche.

La mewscimmia si ritrasse di scatto con un singhiozzo. Quando Taruto aprì gli occhi e capì, desiderò tantissimo avere il potere di aprirsi un buco sotto i piedi.

Con un precipitoso, vigliacco gesto istintivo aveva messo le mani tra la sua bocca e quella di Purin, impedendo alla biondina di baciarlo.

Purin era impallidita. Abbassò lo sguardo mortificata e il ragazzo fu certo, con una morsa al cuore, che l'avrebbe vista scoppiare in lacrime:

« A… Aspetta… I… »

Con un certo stupore di lui, Purin alzò la testa e lo squadrò furiosa nonostante gli occhi carichi di lacrimoni, lo spintonò di lato e se ne andò di corsa dandogli a pieni polmoni dell'idiota.

 

 

***

 

 

« Se ti si cariano i denti, io dopo non voglio saperne proprio niente. »

Sury sorrise con la bocca colma di sciroppo al lampone e finì il suo waffle trotterellando con il piatto pulito in cucina da Keiichiro, dove l'uomo l'aspettava paziente con un posto a sedere riservato sul ripiano accanto al lavello.

Eyner mangiucchiò uno dei biscotti che il cuoco, gentile, gli aveva offerto e fu grato dell'amore incondizionato della sorellina per Keiichiro e i suoi dolci. La settimana era trascorsa tranquilla, in attesa che MoiMoi e Pai identificassero le coordinate del nuovo passaggio, ma per lui era meglio passare le giornate alla larga da Jeweliria quando non era di turno al Palazzo Bianco.

Pai era entrato in piene ostilità. A stento gli rivolgeva parola, e sebbene la cosa dopo l'ultimo litigio si sarebbe potuta considerare un gradevole cambiamento, era difficile restare con il moro nella stessa stanza con le occhiate di biasimo che gli scoccava in continuazione; Pai dava tutta l'impressione di considerare la sua infatuazione per Zakuro – dubitava le donasse un titolo più altolocato – quasi un'offesa personale, e sfogava la cosa appena poteva. Non era d'aiuto, poi, il fatto che Pai fosse parecchio seccato già per i fatti suoi.

Gli verrà un'ulcera di questo passo.

Sia Eyner che MoiMoi avevano una vaga idea del motivo di tanta acidità, di cui un sintomo poteva essere il gelo piombato tra il moro e Retasu, gelo a cui Pai reagiva diventando ancora più torvo. La verde non aveva dato alcun dettaglio ad Eyner, ma da come, l'unica volta che il bruno aveva provato ad aprire il discorso, lei si era irrigidita abbassando gli occhi avvilita, a parer dell'amico Pai si meritava ogni buco che gli si stesse aprendo nello stomaco.

Per lo meno quando era lontana dal raggio d'azione di Pai, Retasu appariva molto allegra e pimpante; le altre ragazze avevano bisbigliato qualcosa, complici, ma Eyner aveva deciso che sarebbe stato meglio lasciare spazio alla verde per parlare quando avesse voluto, di pettegole ce n'era a sufficienza senza che lui aggiungesse il carico.

« Sury-chan dov'è? »

Eyner sollevò un poco gli occhi verso Zakuro, le braccia intrecciate sotto il seno mentre si guardava attorno; lui indicò con un cenno della testa la cucina:

« L'altra sera mi ha chiesto se secondo me Akasaka sposerebbe una "ragazza tanto più giovane di lui". »

Fece con tono vagamente disperato scimmiottando la vocetta della sorella. Zakuro alzò un sopracciglio:

« Tu che hai risposto? »

« Se mi batte in un combattimento, è tutta sua. »

« Giochi scorretto. »

« Sury ha detto la stessa cosa, e mi ha chiesto di non arrostirlo. »

Zakuro sospirò divertita e si avviò in cucina, dove il terribile pretendente alla mano della piccola dei Toruke stava assemblando un vassoio colmo di nuove ordinazioni; passando sfiorò con la mano la spalla di Eyner per poi allontanarsi senza dire niente.

Il bruno la seguì discreto con lo sguardo intanto che raccoglieva le ordinazioni, le consegnava al tavolo designato con faccia scontrosa e indifferente e poi passava ad un altro per prendere nuovi ordini.

Lui e la mewwolf non avevano più avuto molte occasioni per rimanere da soli, lei aveva terminato la convalescenza in toto e si era rigettata in un lavoro dopo l'altro, forse per riprendere il ritmo; nemmeno al Cafè riusciva a incrociarla, spesso la ragazza non c'era, e se c'era la mole di lavoro nel locale era tale che si riuscivano a scambiare a stento qualche parola.

Zakuro gli passò a mezzo metro un altro paio di volte. L'olfatto alieno di Eyner, più affilato di quello umano, colse con chiarezza la scia di profumo della mora e qualcosa si contrasse all'altezza del suo addome.

Erano appena rientrati dal passaggio, giorni prima. Lui era tornato a casa, un diavolo per capello, furioso con Pai, e aveva visto la sagoma della mewwolf un paio di metri da casa sua per mano a Sury; Zakuro gli aveva fatto un lieve cenno di saluto, lasciando che la bambina andasse a salutarlo, e quando Eyner le aveva chiesto in silenzio perché, lei aveva risposto monocorde:

« Ho parecchio da fare nei prossimi giorni. »

Il bruno era parso ancora dubbioso e lei aveva sorriso appena:

« Era giusto un saluto. »

« Oh. »

Lui aveva fatto scendere Sury che era filata in casa allegra e si era avvicinato alla mora, studiandola in silenzio:

« Ti fermi? »

Lei aveva solo sorriso ed era entrata seguendo il comando agitato di Sury.

Non aveva programmato niente, né riflettuto su grandi cose. Avevano mangiato, parlato, e una volta che lui aveva messo – costretto – a letto la piccola, e certo che si fosse addormentata, lui e la mewwolf avevano ripreso quel famoso discorso interrotto sotto le palme.

Aveva sentito Zakuro soavemente tesa tra le sue braccia, sotto le sue mani, ma anche sicura, senza titubanze, consapevole, e aveva avvertito una punta di gelosia all'idea che qualcun altro avesse baciato la sua bocca e sfiorato la sua pelle: era una cosa sciocca, nemmeno per lui era la prima volta che aveva un'ospite nella sua piazza e mezza, ma in fondo quando si trattava della mewwolf iniziava a sospettare che tutto fosse diverso dal solito.

Aveva avuto il timore di essere troppo brusco nell'impazienza che lo aveva fomentato nelle ultime settimane; quando si parlava di andare a letto, era molto meno gentile e più egoista che alla luce del sole. Ma Zakuro pareva sapere bene come adattare il proprio ritmo al suo, seguendolo con dita più nervose di quanto Eyner immaginasse, all'occorrenza rallentandolo con un cenno muto, un gesto, una stretta, guidandolo con una leggera arroganza lungo il suo corpo perfetto e mandando leggeri sospiri divertiti, tremuli, ardenti, quando grugnendo Eyner protestava stringendole la mano e imponendosi lui. Eyner aveva pensato che l'indomita mewwolf avesse lo stesso istinto guerriero sotto le lenzuola e fu strano, piacevole oltre ogni previsione, vederla più incline ad una resa che alla lotta contro di lui.

Nella penombra scura della sua camera Eyner aveva ammirato senza fiato il profilo della ragazza, inebriato dal suono roco del suo respiro veloce e del proprio nome che le sfuggiva in sussurri dalle labbra. Era scivolato dentro di lei sorprendendola un istante e rischiando di perdersi del tutto con il leggero sospiro che la mora gli lasciò a fior di labbra: aveva intrecciato le dita alle sue baciandola e l'aveva scrutata nei suoi occhi chiari socchiusi, languidi nel buio, e l'aveva baciata ancora posando il viso contro il suo, emozionato come un novellino.

« Ormai… È fatta… »

« Come? »

« Temo di essere proprio… Innamorato di te… »

Zakuro aveva ricambiato il suo sguardo acceso con aria stupita e aveva sorriso in silenzio, cingendogli il collo con le braccia prima di perdersi insieme.

Aveva parlato poco pure dopo, stesi uno accanto all'altra dove lei era rimasta fino al primo sole, quando era scivolata via e si era rivestita. Era meglio, lo sapeva anche Eyner, specie dopo quanto le aveva detto delle discussioni nel gruppo, e con la piccola Sury nella stanza accanto nessuno dei due aveva voglia di domande di alcun genere, né di sorbirsi rimproveri di sorta o replicarli a fendenti, ma lui aveva allungato lo stesso la mano fuori dalle coperte prendendo quella della mora:

« Resta ancora un po'. »

« Devo andare. »

« Se dicessi che mi sento un po' usato? »

Zakuro l'aveva studiato divertita, si era riseduta un momento sul letto e lo aveva baciato per poi andarsene con un sorrisetto sornione senza una parola. Né su quell'argomento, né su quanto Eyner le aveva confessato.

Il bruno si era un po' pentito delle sue parole. Erano state più che oneste – e l'idea lo aveva messo molto a disagio – però temeva di aver prevaricato un punto che Zakuro non avrebbe voluto; ma in fondo, lei  non era scappata, seppur non gli avesse risposto, e persisteva serena nel suo discreto atteggiamento fatto di occhiate, sfiorarsi e poche parole cariche di significati.

« 'Giorno. Siamo già persi nei pensieri sconci a quest'ora? »

Gli occhi grigi di Eyner, roventi come tizzoni, fulminarono Kisshu che si appoggiò al tavolo sorridendo, ma il verde non se ne curò cogliendo subito su chi fosse posato fino un secondo prima lo sguardo del bruno e sorridendo più divertito.

« Tu devi startene zitto. – stridé Eyner – Ne hai combinate abbastanza. »

« Parli di Pai? – scrollò le spalle sedendosi e continuando a guardarsi attorno – Ho solo detto la verità. »

« Davanti a lui. Apposta. – gli fece notare l'altro arrabbiato – Kisshu, non m'interessa di cosa pensi Pai, ma è spiacevole sentirlo borbottare senza sosta alle mie spalle ed essere aggredito a caso. »

Il verde lo indicò corrucciandosi un poco:

« Hai iniziato tu. »

« Ho detto anche io la verità. – ribattè con meno astio – Far passare le nevrosi di tuo fratello sulle mie questioni private perché non stressi te o per vendicarti, non renderà le cose diverse. »

Kisshu non gli rispose. Per un attimo osservò cupo Ichigo dalla parte opposta della sala che sorrideva ai clienti e prendeva ordinazioni, ma con stupore di Eyner si girò quasi subito come infastidito.

« Non sono fatti tuoi. »

Nelle ultime settimane il suo rapporto con la rossa era rimasto al contorto stallo che tanto odiava; in un certo modo Ichigo pareva aver abbassato l'ascia di guerra nei suoi confronti, ma nonostante le chiacchiere tranquille, i brevi momenti di complicità, lei manteneva una distanza che Kisshu non sapeva più come superare. La sgradevole sensazione era che non sarebbe potuto andare avanti più di così, e la cosa lo mandava ai matti.

Scosse la testa, stranamente – o fortunatamente, dipendeva dai punti di vista – riusciva ad accantonare il pensiero con facilità di recente. Inspirò a fondo e, rubati gli ultimi tre biscotti da Eyner e infilandoseli assieme in bocca, ricominciò a sbirciare per la sala innervosendo il bruno:

« Che stai cercando? »

Kisshu biascicò una volta la risposta, la bocca otturata dai biscotti, deglutì nemmeno fossero pietre e ripetè:

« Hai visto la pesciolina? »

« Era qui in giro a lavorare – rispose dopo qualche istante, sorpreso dalla domanda – perché? »

L'altro indicò allusivo le scale che scendevano al piano di sotto ed Eyner si corrucciò.

« Pai e la senpai dovevano mostrare non so che dati agli altri due cervelloni. – disse spiccio – Ultimamente la pesciolina va in paranoia quando incrocia la testa di marmo. Se non si vedono, è meglio. »

Eyner annuì in approvazione e sorrise appena, nonostante Retasu fosse una delle sue vittime preferite per le battute a causa dell'indole mansueta, Kisshu si dimostrava abbastanza affettuoso nei suoi confronti.

« Sei venuto solo per questo? »

« Ma va. – replicò schioccando la lingua – Ho dato il cambio al senpai. »

Eyner non capì.

« Ha detto di avere da fare, che doveva controllare certe cose attorno al laboratorio… Non ho ben capito. »

Eyner non rispose annuendo di nuovo, ma avvertì un senso di disagio. Non era un buon segno quando Sando diventava scrupoloso o sospettoso.

« T'oh, l'ho nominata. »

Sorridendo come un diavoletto Kisshu salutò con la mano Retasu; lei aveva puntato di gran carriera al tavolo di Eyner, ma rallentò in imbarazzo alla vista del verde:

« Kisshu-san, buongiorno. »

« Sei sempre formale con me, pesciolina. – si lagnò esagerato – Inizio a sentirmi discriminato. »

« S-scusa… »

« Reta-chan, ti sta prendendo in giro. »

Sospirò Eyner dando al verde uno scappellotto leggero e strappandogli una risata:

« Che succede? »

« Ecco… Io… »

Il sorriso della ragazza si era irrigidito e lei era arrossita leggermente. Avrebbe voluto parlare un attimo con Eyner di alcune cose, con calma e discrezione. Due vocaboli che non associava proprio a Kisshu.

« C'entra per caso il tuo appuntamento? »

La verde cambiò colore ed Eyner lo squadrò severo, mentre Kisshu ghignando si alzò:

« Dovresti dire alla tua amichetta Minto di parlare più piano al telefono, specie che così piccola copre a stento il microfono. »

Le disse ridacchiando e si stiracchiò avviandosi in cucina:

« Ora scusate, ma sento un odore di dolci mica male da di là. »

Retasu sospirò per calmarsi e lo studiò rassegnata sedendosi al suo posto. Eyner le sorrise fraterno:

« È scemo, lo sai. »

« Però mi ha smascherata subito. »

Replicò lei abbattuta con un sorriso sghembo ed Eyner posò la testa su una mano osservandola allusivo:

« Quindi siete usciti di nuovo, uh? »

Retasu sorrise arrossendo tutta.

« E domani. »

« Sembra seria come cosa – le ammiccò – sarebbe la terza volta? »

La mewfocena annuì in silenzio ed Eyner ripulì pensieroso le poche briciole superstiti del suo spuntino. Retasu intuì che stesse decidendo come proseguire la conversazione: in fondo Eyner sapeva tutto dei sentimenti della verde e lei aveva bisogno di sentire un po' l'opinione di qualcuno che vedesse la cosa da esterno, privo della tenera smania delle amiche di ammogliarla al più presto.

« Quel tipo lì… »

« Nakayama-san? »

Eyner annuì:

« Ti piace davvero? »

Retasu ci pensò su. Koichi era un ragazzo in gamba, gentile e simpatico, che la stava trattando bene e con dolcezza, ed era un bel ragazzo. Annuì piano:

« Credo di sì. »

Vide il bruno fissarla in silenzio:

« La reazione che hai avuto quando parlavamo di qualcun altro era stata un po' diversa. »

Le ricordò velato. Retasu arrossì violentemente, ma divenne cupa, il cuore che iniziò a martellarle e allo stesso tempo il freddo nello stomaco:

« Però… »

« È solo che non vorrei te la stessi dando a gambe. »

Eyner non lo disse, ma era proprio ciò che stava facendo un certo moro di sua conoscenza, e fu tentato di scendere di sotto a bruciargli il fondoschiena.

« Lo so cosa ti ha chiesto. L'imbecille, intendo. »

Retasu si morse forte il labbro e sospirò lentamente:

« È solo… Che è inutile. Pai-san è infastidito da me. »

« Cosa te lo fa credere? »

Lei strinse di nuovo le labbra e non rispose scuotendo la testa:

« Per una volta, io… Ho l'impressione di piacere ad una persona. – sussurrò timidamente – Quindi, visto come vanno le cose… Vorrei provare a farmi piacere qualcuno che mi dice la stessa cosa. »

Eyner non era convinto della sua strategia, ma le sorrise e dandole un buffetto sulla testa andò a recuperare la sorella, preoccupato dal chiasso in aumento costante che stava facendo con Kisshu al seguito.

« Stai solo attenta a non sforzarti troppo. »

Retasu gli lanciò un ultimo sorriso un po' costretto e sospirò di nuovo alzandosi anche lei.

Eyner aveva ragione, sebbene Koichi le piacesse era una probabile fuga, ma era difficile. Il rifiuto di Pai l'aveva ferita e quando aveva scoperto il suo rapporto con Lena era stato il colpo decisivo a rassegnarsi. Eppure, appena aveva deciso di tentare di scordarlo se lo ritrovava attorno di continuo: un momento era gentile, a modo suo, rendendole impossibile il proposito, un momento dopo diventava freddo e scostante; lei si scervellava ogni volta per capire cosa lo avesse spinto ad aggredirla, ma non otteneva soluzioni ritrovandosi solo ad avere ancora più spesso in mente il moro. Sbalzi d'umore così forti per lei erano difficili da sostenere.

Koichi per lo meno era diretto. Lei era lenta in certe cose, ma era evidente che il bruno fosse interessato a lei e non facesse mistero della cosa; aveva piacere a stare con lei e a vederla, e lei altrettanto.

Sì, ma Nakayama-san non è Pai.

Zittì con un grugnito la malefica vocina nella sua testa e sospirò ancora, avvilita, posando ciò che restava dello spuntino di Eyner e Sury sulla passatoia e girandosi senza guardare, ritrovandosi Pai a mezzo centimetro dal naso.

Divenne bianca come un lenzuolo, intanto che il moro la scrutava con la sua solita espressione impermeabile:

« 'Giorno. »

Lei non rispose e restò a fissarlo imbesuita, scostando poi la testa a disagio.

« Ciao Reta-chan. »

MoiMoi spuntò dietro al suo altissimo kohai come un folletto sorridendo allegro e la verde replicò con fatica, cercando di tenere Pai fuori dal suo campo visivo e dalla sua testa.

« Tutto a posto? »

« Sì, sì, MoiMoi-san… Ero sovrappensiero. »

Sorrise al meglio che potè e lui scrollò le spalle dirigendosi in cucina attirato da un invitante profumino di cioccolato. Retasu fece per imitarlo squagliandosela, con la scusa di avere delle cose da fare, ma Pai la fermò per una spalla.

La lasciò andare immediatamente eppure la mewfocena ebbe l'impressione che la pelle le bruciasse dove l'aveva sfiorata.

« Posso parlarti un secondo? »

Lei sgranò gli occhi mentre lui si allontanava un po' dalla bolgia di clienti e vari ospiti del locale, verso il piccolo terrazzo esterno; Retasu lo seguì titubante cercando vanamente di non far accelerare i battiti.

Pai si appoggiò di schiena alla ringhiera e incrociò le braccia al petto:

« Volevo scusarmi per l'altro giorno. »

Retasu si rannicchiò su se stessa stringendo le mani sul grembiule:

« Non serve. »

« Non mi ha chiesto la senpai di farlo. »

Puntualizzò lui cogliendo la sua occhiata torva e Retasu girò la testa colpevole.

« Ho voluto farlo io. »

« Un po' in ritardo. »

Lei stessa si sorprese dell'asprezza con cui lo disse, ma non se ne pentì e lo fissò duramente da sotto in su. Pai chiuse gli occhi incassando senza repliche e sospirò piano:

« Mi infastidiva riprendere l'argomento di cui stavate parlando. »

Retasu avvertì una seconda volta la fredda stretta alla pancia:

« MoiMoi-san me l'ha detto. »

Disse sottovoce e si trovò di colpo d'accordo con lui, non era sicura di avere voglia di sentire altro sul suo rapporto con Lenatheri. Pai da parte sua, tra le due, era più seccato dal distacco tra sé e la verde per come l'aveva trattata, che di rinvangare quella vecchia faccenda.

« Se posso evitare… Preferirei anzi dimenticarmi del tutto quella questione – ammise cupo – ma non dovevo aggredirti. »

Retasu continuò a tenere il capo basso, ancora un po' risentita, e annuì piano.

« Potevi chiederlo a me, comunque. »

« Non mi sembrava carino. – puntualizzò lei – E non credo che il risultato sarebbe stato migliore. »

Pai mandò uno sbuffo divertito:

« Temo tu abbia ragione. »

La guardò finalmente in faccia e, nonostante la calma del suo viso, a Retasu parve dispiaciuto per davvero:

« Scusami. »

Il cuore di Retasu partì al trotto come un forsennato e lei, per quanti buoni propositi si fosse imposta, non riuscì a non sorridere.

Pai ricambiò con discrezione rilassandosi di colpo.

Si era pentito immediatamente di come aveva aggredito la verde qualche giorno prima. Lei non poteva sapere quanto fosse tabù nominare Lena in sua presenza, né tantomeno rinvangare cose passate che per lui erano morte e sepolte.

« Perché hai chiesto una cosa del genere alla senpai? »

Retasu divenne di ghiaccio, non poteva certo dirgli delle frecciatine che Lena le scoccava, né del fatto che l'idea di lui con la mora fosse una pugnalata al petto:

« Solo… Inetaki-san ha fatto… Delle allusioni. – farfugliò tenendosi vaga – Ho avuto l'impressione che aveste un rapporto più stretto di quanto sembrasse… »

Pai contrasse la mascella nervoso, Lenatheri era una stupida, chissà cos'era andata a dire in giro.

« Eravamo due ragazzini che si sono frequentati per un po'. »

Buttò lì con un tono sprezzate e un fare di sufficienza che chiariva quanto della cosa non gliene importasse nulla:

« Una cosa ormai totalmente insignificante. Io e lei non abbiamo alcun rapporto di alcun genere. »

Retasu, pur tentando di nasconderlo, apparì sollevata e Pai si domandò perché sfiancarsi tanto di spiegare quando le scuse le aveva già fatte. La mewfocena non smise di sorridere, ma si sforzò di rimanere sulle proprie posizioni: per lei che Lena e Pai si frequentassero o meno non cambiava i sentimenti di nessuno, né del moro né suoi.

Si udì un gran trambusto nel locale e, con un grido, Retasu fu colpita dal pallone di Purin scagliato a tutta velocità verso di loro finendo quasi per terra; Pai fu abbastanza svelto da afferrarla con il braccio e tentò, senza successo, di ignorare il brevissimo sussulto alla stretta della verde su di sé, e di non scorgerle con un sorriso il rossore che le divampò in viso mentre lo lasciava andare.

« Grazie… »

Lui non rispose allontanandosi.

« Nee-chan! Stai bene?!? »

« Sì… Che è successo? – domandò la mewfocena spingendo la palla tra le braccia di Purin – Non cadi mai dal tuo pallone. »

Purin divenne cupa e scosse forte la testa:

« Mi sono distratta. »

Non sorrise né altro e recuperato il suo attrezzo tornò in sala rassicurando i clienti a gran voce. Retasu la guardò preoccupata:

« È strana, sono giorni che la vedo giù di corda. »

Pai non fu sicuro se parlasse a se stessa o a lui.

« Sto iniziando a preoccuparmi… »

« Anche Taruto è strano. »

« Cosa intendi? »

« Da qualche giorno non va altro che al campo di allenamento. – rispose Pai incolore – Se non è lì, credo che venga da queste parti, ma torna quasi subito indietro. È nervoso, però non so la ragione. Non ne parla. »

Retasu seguì amorevole la sagoma arancione della sua piccola amica e giunse le mani in grembo:

« Forse hanno litigato? »

Pai non seppe che dirle. La verde sospirò e si massaggiò la spalla contro cui la palla di Purin aveva cozzato soffocando un lamento.

« Ti sei fatta male? »

Retasu avvertì una nuova scossa al petto e si obbligò a calmarsi.

Ti ha solo fatto una domanda di cortesia. Festeggia l'evento e basta.

« È solo il colpo. – sorrise rassicurante – Non è niente, ormai sono abituata. »

Gli occhi ametista del ragazzo furono attraversati da un lampo di amarezza e lei si affrettò ad aggiungere:

« Ah, no…! Nel senso… Io inciampo spesso, Akasaka-san avrà ricomprato due interi set di bicchieri a causa mia! »

Si pentì delle proprie parole vedendo come Pai la guardasse basito e abbassò la testa vergognosa:

« È per quello… Non per battaglie o cos'altro solo che… Sono un po' goffa… »

Perché la sua bocca non si chiudeva? Più tartagliava per riparare più diceva cose imbarazzanti. Pai rimase a fissarla e si coprì la bocca con due dita soffocando un lieve scoppio di risa:

« Me n'ero accorto.  »

La verde strinse le labbra e divenne rossa fino alla radice dei capelli, non fu sicura se il cuore le stesse esplodendo per l'imbarazzo o perché stava vedendo il moro ridere.

« Sei tenera. »

Finse indifferenza anche se dentro si sé si diede dello stupido. Non avrebbe dovuto dire una cosa del genere. Le parole però gli erano sfuggite da sole dalla bocca e lui si ritrovò a guardare la mewfocena con dolcezza come la vedesse per la prima volta.

Rimasero immobili in un silenzio impaziente, il chiacchiericcio acceso del locale che sembrava distante anni luce, finché Retasu, meccanicamente e con le gambe molli, non mormorò che la chiamavano da dentro e scostò le due pozze d'oceano in cui Pai si era perso da quelle ametista di lui, arrancando dentro più velocemente possibile.

Pai si accorse di aver respirato al minimo per tutto il tempo e prese due profonde boccate, reggendosi la fronte.

Maledizione.

 

 

***

 

 

Quando Minto aprì gli occhi il sole era già parecchio alto nel cielo; sbuffò, era solo per la nottataccia in bianco che aveva passato se aveva fatto la pigra fino a mezzogiorno, non era abituata a poltrire e la cosa la infastidì.

Da un paio di giorni aveva iniziato a svegliarsi la mattina delle sue dimensioni originali, ma ancora con gli attributi da volatile, e dopo poco tempo tornava a rimpicciolire; altre volte era grande poco più di una bambina, ma senza le ali e la coda, e passava metà della giornata cercando di evitare Kisshu e le sue prese in giro finché, ancora, non tornava piccina. La notte prima era rimasta nervosamente a passeggiare lungo il profilo del letto, domandandosi come poter accelerare la guarigione ormai agli sgoccioli e senza riuscire a chiudere occhio, finché non era crollata a notte inoltrata.

Strinse il lenzuolo nel pugno, mogia, non aveva molta voglia di alzarsi per intravedersi e poi tornare ad essere uno strano scherzo della genetica. Restò a gironzolare tra le lenzuola per un po', poi irritata dall'inattività si alzò e prese a sistemare le sue cose, a giocare con il telefono, ad ascoltare musica; tutto pur di non uscire.

Poi si rese conto delle ore passate leggendo lo schermo sul display del telefono e scattò in piedi.

 

 

 

« La cornacchietta  è  in clausura fino a nuovo ordine? »

« Kisshu, lasciala stare – lo rimproverò dolcemente Lasa – lo sai meglio di chiunque altro, la fine della guarigione è il momento più difficile. »

Il verde non rispose fissando le scale con la coda dell'occhio, Minto era diventata molto cupa negli ultimi giorni e dalla sera prima si era praticamente chiusa in camera senza uscire più.

« Ha bisogno di starsene tranquilla. – disse Iader con fare da intenditore – In fondo passa la maggior parte del suo tempo a discutere con te, concedile di essere un po' esausta. »

« Perché in qualche modo è sempre colpa mia? »

Domandò Kisshu con un sorrisetto sghembo e il padre rise.

« È una tipetta in gamba. »

Disse ancora mentre Kisshu aiutava la madre.

« Lo so. »

Replicò piatto:

« Per una cosa del genere si rimetterà subito, è troppo testona per arrendersi. »

« Mi ricorda qualcuno. »

Lui ignorò il commento con aria monella, rubando a Lasa i piatti e mettendoli via. Il padre lo guardò divertito:

« Che buon osservatore. »

Kisshu si limitò a fare spallucce.

« In gamba e graziosa. »

« Ora non ti allargare pa'… »

« Sei il solito cafone. »

Si girarono tutti e tre e videro la mewbird scendere dalle scale fissando Kisshu con superiorità. Lasa sorrise sollevata:

« Minto-chan! Da quanto tempo sei così…? »

La morettina non trattenne un sorriso da un orecchio all'altro, sfoggiando uno dei suoi amati vestiti che finalmente le calzava a pennello e la schiena che, delle ali, conservava solo la piccola voglia rosa tra le scapole:

« Da ore. Credo… Ho perso il senso del tempo. »

Lasa sorrise di più e le andò incontro premurosa:

« Forse è il caso tu ti faccia vedere da Pai e dai tuoi due amici – puntualizzò innanzitutto frenando l'entusiasmo – ma è… Fantastico! »

« Sei rimasta comunque un tappetto, noto. »

La punzecchiò Kisshu dandole qualche buffetto sulla testa e Minto lo scostò seccata:

« Ti ricordo che tra i tuoi amichetti tu sei uno dei più bassi, quindi fai meno lo spiritoso. »

« Dov'è che sarebbe graziosa questa qui? »

Domandò acido, ma le sue labbra erano incurvate in un sorrisetto come quelle della mewbird.

 

 

 

Per quanto fosse macchinoso Minto convinse Ryou e Pai a visitarla nella sala dove l'avevano controllata subito dopo la sua mutazione; non voleva che le ragazze la vedessero, non ancora, non finché fosse sicura di tutto, e Lasa le aveva dato manforte con la scusa di controllare le sue condizioni di salute.

La morettina sedette con una certa soddisfazione sullo scanner, finalmente delle dimensioni giuste, e ascoltò senza chiedere il rumore dello stesso e delle strumentazioni dei ragazzi. Quando scese il silenzio aspettò un paio di minuti, guardandoli leggere dati e confabulare, quindi chiese un po' stizzita:

« E allora? »

Ryou si voltò e le sorrise posandosi una mano sul fianco:

« Bentornata tra noi, Aizawa. »

La mewbird sorrise radiosa e saltò giù dallo scanner finendo tra le braccia di MoiMoi:

« Meno male! Meno male…! »

« Così mi spaventi – disse con tono sostenuto – sembra che non fossi convinta che sarei tornata normale. »

« Sei mai stata normale? »

« Poi non lamentarti se ricevi proiettili nelle cornee, sappilo. »

Kisshu guardò Iader storto e Minto fissò entrambi divertita.

« Avvisiamo subito le ragazze – trillò MoiMoi allegro – saranno contentissime! »

Prese il telefono ma Minto lo fermò sistemandosi nervosa i capelli:

« A dire il vero… Preferirei aspettare domani. »

Tutti nella stanza la guardarono confusi.

« Ho bisogno di rendermi conto che non tornerò più in formato tascabile. – ammise – Vorrei farmi un bagno in una vasca per umani, dormire nel mio letto e… Riprendermi. Non so se avrei le forze di contenere il loro entusiasmo plebeo. »

Concluse alzando il mento altera e sbirciò Kisshu sogghignare furbo, per nulla convinto della sua presa di posizione. Ryou alzò le spalle e finì di raccogliere i dati con Pai e MoiMoi mentre Lasa si avvicinò alla mewbird e le sorrise:

« Sono d'accordo con te. »

Poi Minto la vide riflettere e proporle piano:

« Ti scoccerebbe fermarti un'ultima volta a cena? »

La morettina fu sorpresa della domanda e Lasa insisté con dolcezza:

« Un piccolo festeggiamento in casa per il tuo ritorno. Ti faccio riaccompagnare appena finito. »

Era un invito sincero, le avrebbe fatto piacere poter celebrare la sua guarigione, le piaceva quella ragazza. Inoltre il suo intuito materno aveva notato come Minto, nonostante il problema di dimensioni, apparisse più rilassata in casa loro di quando l'aveva conosciuta, meno sostenuta, anche se non sapeva la ragione e aveva pensato non fosse il caso di domandare.

Minto ci pensò qualche istante e sorrise vinta dal sorriso garbato della donna.

« Bene, avrai tempo di massacrarti con qualche improbabile e lunga cena più tardi. »

Fece Iader teatrale posando una mano sulla schiena della moglie e spingendola fuori:

« Mi ricordo che qualcuno deve andare in un posto. »

« Iader, ogni volta. – sospirò la donna, che però seguì i cenni del marito mansueta – Sono un medico, lo so che esami devo fare. E con questa siamo alla terza gravidanza, ormai sono abbastanza esperta non credi? »

Lui indicò perentorio la porta. Lasa alzò gli occhi al cielo ridacchiando e Kisshu la seguì facendo un cenno militaresco al padre:

« La sorveglio io. »

« Per l'amor del Cielo. »

Minto li guardò andarsene ascoltando la donna parlottare rassegnata dell'ansia di Iader e delle battutine che, immaginò dalle risate sempre più lontane, Kisshu le stesse lanciando. Uscì con il signor Ikisatashi lasciando gli altri a finire il loro lavoro e, per la prima volta dopo settimane, le tornò in mente una domanda che non era sicura si potesse fare.

« Il Consiglio tra un po' avrà una riunione – le disse l'uomo – ma se ti va ti accompagno indietro. »

Minto fece un cenno di diniego:

« Voglio camminare con le mie gambe, ora che posso farlo. – sorrise cordiale – Ti dispiace se ti accompagno io, per un tratto, Iader-san? »

« Ai vostri ordini principessina. »

Minto mandò un risolino di circostanza e iniziò a camminare in silenzio accanto all'uomo. Lo studiò di sottecchi, eccetto gli occhi dorati Iader non assomigliava per niente a Kisshu nell'aspetto, quasi quanto invece erano uguali nei modi, nel linguaggio e nella postura. Minto evitò di chiedersi come fosse così sicura dei dettagli e si girò tormentata dal dubbio, finché tirando un lungo sospiro osò:

« Iader-san, c'è una domanda che vorrei farti. »

Iader si passò una mano in qualche ciuffo disordinato e sorrise:

« Tutt'orecchi. »

« È una domanda su Kisshu. »

L'uomo fece un sorrisetto malizioso, ma Minto né si agitò né si offese persistendo a fissarlo nervosa. Iader allora sospirò grattandosi la nuca:

« Te ne sei accorta. »

Minto annuì quasi dispiaciuta.

« Io l'ho detto che sei in gamba. »

Le sorrise e aspettò che Minto lo chiedesse direttamente.

« Kisshu… Non è figlio vostro, di te e Lasa-san, giusto? »

Se n'era resa conto da tanti piccoli indizi e il sospetto era diventato poco a poco una certezza. La prima volta era stato quando Lasa era stata ricoverata; il litigio tra Pai e Kisshu era stato violento, ma alla mora non era sfuggito che il verde avesse chiamato la madre per nome di battesimo. Lo aveva fatto altre volte nelle settimane dopo, forse solo un paio, ma lo aveva fatto; poi altri piccoli segnali, atteggiamenti del verde. Minto, inoltre, aveva notato come Lasa parlasse sempre della sua gravidanza come la terza, eppure lei e Iader avevano tre figli, quindi a conti sarebbe dovuta essere la quarta; il sospetto sarebbe potuto ricadere su chiunque dei tre discendenti Ikisatashi, ma gli indizi precedenti la portavano a puntare sul mezzano di loro.

« Biologicamente parlando, no. »

Rispose piatto Iader senza girarci attorno. Minto temette di aver azzardato troppo e l'uomo le sorrise confortante:

« Non è un segreto, non devi preoccuparti. È solo una di quelle cose a cui non dai importanza, non le sbandieri ai quattro venti tutti i giorni. »

Minto annuì rammaricata della sua domanda.

« Come te ne sei accorta? »

La mewbird non seppe bene come rispondere:

« Tante cose… Un'intuizione. »

Fu pronta a nuove domande ma Iader non ne fece, lanciandole un'occhiata allusiva e continuando a camminare.

« Cosa sarò stato… Dieci anni fa? – riprese l'uomo quasi sovrappensiero – No, di più… Sì, sarà stato quindici anni fa. Pai avrebbe fatto sei anni quell'inverno, se non mi sbaglio, e Kisshu ne avrebbe fatti quattro in primavera. »

Minto non disse niente, ascoltandolo attenta.

« Era stato un anno difficile, focolai di splin da tutte le parti. Lasa era quasi sempre all'ospedale.

« Ne vedeva di ogni… Avevamo predisposto truppe di ricerca, c'erano famiglie intere falcidiate dall'epidemia che scomparivano e venivano trovate dopo giorni mezze congelate in casa. Ma lei è sempre stata più forte di me di stomaco. »

Minto avvertì il gelo piombarle nelle ossa e ridusse la bocca d una linea muta.

Iader ricordò con un brivido quei tempi e l'ammirazione per la forza della moglie, lui non sarebbe mai stato in grado di lavorare laggiù.

L'ospedale della Jeweliria del sottosuolo era un intrico di corridoi angusti e male illuminati a cui si univano le asettica stanze dei degenti e le sale operatorie. L'odore del metallo si mischiava ai disinfettanti e ai medicinali come un'esalazione velenosa, in un silenzio di attrezzi metallici e macchinari ronzanti.

Iader si frugò nelle tasche interne della sua divisa cercando qualcosa e ricominciò a parlare:

« Li avevano trovati quella mattina. Moglie, marito e il figlio piccolo. Sembrava che la malattia avesse avuto un picco improvviso sull'uomo, contagiando in pochi giorni la donna e il bambino. »

Trovò quello che stava cercando e lo mostrò a Minto:

« Questa la recuperò Lasa dalle loro cose, prima che le buttassero via. »

La mewbird prese con reverenza l'oggetto. Era una delle bizzarre foto che usavano a Jeweliria, incisa sul metallo, che lei aveva intravisto sugli scaffali di casa Ikisatashi. Al centro c'era un bambino di forse due anni che, dopo qualche minuto di studio, individuò come Kisshu, ma l'uomo e la donna accanto a lui non erano né Lasa né Iader.

Minto riconobbe nel sorriso dell'uomo l'espressione arrogante del verde e lo stesso taglio del viso; quello dell'uomo della foto era incorniciato da capelli mandorla un po' lunghi, con un pizzetto dello stesso colore, e sopra vi brillavano furbi due occhi dorati. La donna, gli occhi prato, piccola e magra in abiti gialli, aveva i capelli verdi del tono di quelli di Kisshu, raccolti in due anelli sulle tempie che risaltavano la carnagione di porcellana spruzzata elegantemente di lentiggini.

« Lui si chiamava Nuri – fece Iader indicando la foto – lei Lihm. »

Minto fece un cenno con il capo ipnotizzata dall'immagine.

« Quando li portarono all'ospedale per Nuri era già tardi – riprese Iader  con voce uniforme – Lihm era in condizioni disperate, e Lasa era certa che non avrebbe passato la notte. Quando le parlò, mentre tentavano di stabilizzarla, delirava, chiedendo disperatamente del bambino.

« Lasa ne aveva già viste, di scene simili; come aveva visto bambini, perfino più piccoli, colpiti e piegati dalla splin. Ma… »

Lasciò sospese le parole e poi sospirò:

« Non so se riesco a spiegarmi bene. »

Minto, alzando appena lo sguardo dalla foto, gli fece segno di continuare. Iader inspirò a fondo perdendosi a scrutare il cielo:

« Ce ne sarebbe voluto prima che uscisse da là dentro. Io lo vidi solo una volta… Era proprio un microbo Kisshu, su quel letto enorme. »

Sorrise tra l'intenerito e il malinconico e mandò un altro lungo sospiro:

« Lasa una volta mi disse di essere convinta che Lihm le avesse passato il testimone di madre del bambino, in qualche modo. Forse per come si parlarono prima che lei se ne andasse. Lasa è molto profonda. »

Aggiunse e scosse la testa divertito:

« Io sono più stupido, non trovo un motivo. So solo che nell'istante in cui ho visto quel piccolino, ho capito che aveva bisogno di me. E io volevo proteggerlo. »

Guardò Minto sorridendo e riprendendosi la foto e la mora gli vide un'espressione calorosa e amorevole in volto, un'espressione che poteva fare solo un padre.

« Credo che sia una cosa che si possa capire solo quando si hanno dei figli – riflettè lui ad alta voce – e io, te l'ho detto, sono pessimo a spiegarmi. »

Minto scosse la testa sorridendo e lo guardò rimettersi la foto con cura nell'interno della divisa. Iader se ne accorse e si battè la mano sull'esterno della tasca:

« Voglio ricordarmi sempre di chi devo ringraziare per il mio ragazzo. »

La mewbird gli sorrise con dolcezza e non replicò. Come non avessero toccato nessun argomento delicato Iader riprese a camminare e a parlare di stupidaggini, con Minto che sorridendo lo seguì in silenzio fino alla sua destinazione.

 

 

 

La cena la sera si svolse nella solita atmosfera animata, anche se Kisshu notò che Pai, finalmente dopo giorni, sembrò rilassato, mentre Taruto nonostante il suo solito atteggiamento si perdeva ogni tanto in brevi mutismi.

Non riuscì invece a spiegarsi le occhiate sorridenti che coglieva di nascosto scoccargli da Minto.  Lei fece finta di nulla tutta la sera, comportandosi come al solito, ma lui si era accorto di quell'espressione irritante simile alle facce idiote che si fanno guardando i bambini fare cose sciocche, e sperò la smettesse in fretta.

Quando finirono di mangiare e Minto, conclusi i convenevoli, fece capire di voler fervidamente andarsene a dormire nella sua camera, fu Kisshu ad offrirsi per riaccompagnarla a casa; non avrebbe potuto scappare oltre.

« Vienici a trovare qualche altra volta. »

Aveva salutato Iader prima che la morettina se ne andasse con un sorriso gentile e complice e lei aveva annuito. Kisshu la riportò senza altre cerimonie sul balcone di casa sua e prima che lei se la squagliasse dentro le puntò contro l'indice:

« Si può sapere che hai da guardare e ridere? »

« Io non ho guardato nessuno. – mentì a disagio – E non sto ridendo. »

L'ultima parte era vera, ma le sfuggì ancora un sorriso intenerito e Kisshu schioccò la lingua:

« Mi stai guardando come se fossi un bimbo di cinque anni. »

« Sei scemo. »

« E poi tu e papà fate un po' troppa comunella. Non è che ti ha detto qualcosa di strano, eh? »

La mewbird aprì la porta-finestra irrigidendosi lievemente, ma non come Kisshu si sarebbe aspettato; credeva che Iader avesse raccontato qualcosa di imbarazzante su di lui alla mora per prenderlo in giro, invece lei sembrò combattuta tra il sentirsi in colpa e un moto di tenerezza.

Appena la finestra fu aperta il piccolo Miki scattò sull'attenti abbaiando furioso e lo schermo di Minto, con l'aspetto della ragazza e steso nel suo letto, si alzò a guardare di due visitatori con indifferenza.

« Ciao piccolo mio. »

Con un nodo in gola la mewbird si accucciò a terra e porse una mano al cagnolino, che l'annusò un secondo prima di saltarle in braccio e prenderle a lavarle il viso a leccate. Lei rise accarezzandolo e stringendolo intanto che Kisshu spegnava lo schermo; non scollò gli occhi di dosso alla mora per tutto il tempo, serio e pensieroso.

Miki abbaiò forte e Minto rise con voce tremula:

« Oh, anche tu mi sei mancato tantissimo! »

« Credevo che parlassi solo con i volatili, non coi cani. »

Lei lo guardò storto e posò il cucciolo a terra, che per prima cosa si avvicinò allo sconosciuto e, sedendosi a distanza, lo puntò con un lieve ringhiare.

« Miki, stai buono. »

Minto fece per ringraziare Kisshu e congedarlo, ma lui fu più svelto:

« Di che hai parlato con mio padre? »

La mewbird si irrigidì di nuovo:

« Nulla di che. – tentò di svicolare – Gli ho fatto una domanda e lui mi ha risposto. Tutto qui. »

« Che genere di domanda? »

Domandò più brusco e Minto sperò di tagliare corto:

« Su di te e il fatto che non sei… »

S'interruppe di colpo.

Forse Kisshu non lo sapeva.

Il verde la studiò corrucciandosi e poi alzò gli occhi al soffitto:

« Ah, di quello! – appurò rilassandosi – Sì, non farti venire un colpo, lo so. »

Minto arrossì impercettibilmente colta in flagrante e Kisshu piegò la testa guardandola furbo:

« Sei una bell'impicciona. »

« Ho solo notato delle cose. – puntualizzò piccata – Ho fatto due più due e Iader-san mi ha tolto il dubbio. Tutto qui. »

« Impicciona. »

Ripetè divertito e Minto lo centrò con una scarpa sul braccio, infilandosi poi nella cabina armadio alla ricerca del pigiama più morbido, ricco e confortevole che avesse a disposizione.

« Guarda che puoi anche sparire. Non ho intenzione di fare la passerella in mutande per te. »

« Credevo ti piacesse. »

« Sei un cretino. »

Sibilò aspra da dietro un mucchio di vestiti. Kisshu rise e restò seduto sul bordo del suo letto, due dita abbandonate verso Miki che aveva iniziato ad annusarle guardingo valutando lo strano ospite.

« Il mio non voleva essere intromettersi. – specificò la mora uscendo dall'armadio con il pigiama tra le braccia – Detesto solo avere dei dubbi e non risolverli. »

« Perché sei giusto un poco maniaca del controllo, vero cornacchietta? »

Lei si rifiutò di ribattere andando alla sua toletta per disfarsi lo chignon e si sedette sospirando:

« Sai, ti invidio un po'. »

Kisshu alzò la testa smettendo di accarezzare Miki sul musetto e la fissò stupito.

« La tua famiglia è allargata, eppure così unita… »

Il silenzio di lui la riscosse. Capì di essersi sbottonata troppo, raddrizzò le spalle e si mise a sistemarsi i capelli per la notte senza finire la frase e intimandogli di andarsene. Kisshu invece levitò fin alle sue spalle guardandola dal riflesso nello specchio:

« Cosa vorresti dire? »

« I miei sono impegnati con il lavoro – rispose piatta – e mio fratello deve prepararsi per essere in grado di prendere le redini del patrimonio, un giorno. Non ci sono molte occasioni di frequentarci. »

Il tono con cui rispose fu gelido e distaccato, e le parole sarebbero state più indicate verso dei conoscenti che verso i propri familiari.

« Vorresti dirmi che passi il tempo in questa specie di reggia da sola? »

La mora posò lentamente la spazzola sul ripiano e s'impegnò come una disperata per non far tremare la voce:

« Ho la mia balia, e Miki. – fece spiccia con tono sottile – E appena posso vedo Seiji. Anche se è così occupato, trova sempre il modo di vedermi… »

Kisshu avvertì una morsa al petto. Minto di colpo gli apparve sola e ferita, se avesse continuato a parlare temette l'avrebbe vista crollare in pezzi.

Per una frazione di secondo Minto fu certa di vederlo sfiorarli una ciocca che le cadeva sulla nuca, ma quando si girò Kisshu aveva le braccia incrociate dietro la testa:

« Come cavolo fai a dire che ti piace stare sola? »

« A me non piace stare sola – lo corresse – amo starmene tranquilla in solitudine, è un concetto diverso. »

« Non ci vedo tutta 'sta differenza. »

Minto sbuffò sistemandosi la frangetta, la stretta alla gola di quando nominavano i suoi genitori che si alleggeriva distogliendo il pensiero da loro. Sentì Kisshu mandare un verso lamentoso:

« Potresti almeno ringraziare del passaggio. »

« Tu ti sei offerto – gli fece notare – io non ho chiesto niente. »

Lui mise su un ghignetto antipatico e si librò sopra lo specchio prendendole il mento su due dita:

« Premietto? »

Lei lo scrutò impassibile ritraendosi un poco infastidita quando la punta del suo naso sfiorò quella di lui:

« Sparisci, Kisshu. »

« Uffa, non ti fai più nemmeno prendere in giro. »

Deluso la lasciò andare e si riavviò alla finestra, accarezzando Miki che lo accompagnò festoso saltellandogli attorno alle tibie, quindi sparì con uno schiocco dando la buonanotte con vocina infantile. Minto non si voltò, spazzolandosi i capelli e cercando di rallentare i battiti che si erano impennati appena si era ritrovata il volto del verde così vicino.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) se siete stati attenti (e lo so, dai che lo so che siete attenti ;) ) Koichi ha 2 anni più di Reta, quindi 19, ma in Giappone la maggiore età è a 21 anni.

 

(**) bella domanda! Se lo stanno chiedendo tutti in sala.

Taruto: che?

No, niente, cit. ^w^

 

 

 

 

 

 

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mmm…. Questo cap è strano (se lo dice da sola, sorvoliamo va) le questioni sentimentali ormai sono ad un punto di crollo (che vorrebbe dire?!) e io mi limito a scrivere cosa fanno questi cretini senza alcun controllo sulle dita e sulla tastiera xD
Mi dispiace un mondo, avrei voluto mettere l'appuntamento di Ichi a questo punto, ma era già lungo così… Ho dovuto tagliare. Magari aggiorno prima? :3

K.i.S.: pensa a lavorare!

Upiii çwç""!

Sento le fan di Taruto e Pai che vogliono linciarmi ^^"" pietà! Pietà! Sono due imbecilli che volete farci?

Taruto: ma perché mi metti in situazioni simili -\\\-""?

Sei stato tu, non io bello -.-

Pai: …

Ecco taci, uomo dalle turbe psichiche!

Aaah erano settimane che volevo trovare un posticino per la scena di Sando che si perde in pensieri poco consoni, non è carino ^w^?
Sando: io ti ammazzo! Vieni qui che ti ammazzo!! +\\+** Maledetta ti uccido!!

Per Eyn e Zaku… Ecco ^^""… Non è che non volessi descrivere di +…

Kisshu: c'è gente che aspetta di vedere un po' di sana ******* da mesi e te niente? Brava, brava…

Eyner: pensa per te e non impicciarti dei fatti miei -\\-!!

Coomunque -.-" volevo metterlo, davvero! Ma già in questo cap succede di tutto, temevo che una scena simile proprio lì nel mezzo mi distogliesse l'attenzione.

Kisshu: parecchio… *legge capitolo* certo che la lupa dev'essere una gran gnocca, e pure un po' porc-

Eyner: ok, basta. Ora ti faccio arrosto -__-***!!

Però dai su, ho descritto anche parecchio per essere un flashback :) e poi così ho dato il via, no? *aria maniaca*

Retasu: Ria-san >\\< !

Beh, che c'è? Pensi che ora rimarranno in astinenza fino a nuovo ordine?

Ryou: bastardo +_+….

Sìsì ok ok, qui volete tutti uccidervi! Fate pure picchiatevi, ma di la che io ho da fare…

Come promesso, finita la pacchia! Con questo capitolo si chiude la dolcezza (o la psiche turbata dipende da come la si guardi :P) e si riparte con i casini.

Tutti: ma non c'è un appuntamento nel prossimo capitolo?

E perché, pensate che non sono in grado di far crollare il pianeta solo perché Ichi deve uscire a fare la civetta –w-?

Tutti: °-°" glom

Ichigo: io non sono una civetta >\\< ! sto facendo un favore!!

Ci crediamo tutti -..-

#martedìfangirl sempre e comunque!! Here per voi :3 e la pagina delle Moschettiere intanto cresce cresce cresce :D

Tantissimi abbracci, baci e onori a Danya, Hypnotic Poison, Fair_Ophelia, _cercasinome_, mobo e Rin Hikari (e ragazze so che sono una disgraziata, xP risponderò a tutti i commenti appena finisco di lavorare)

Ci vediamo tra due settimane ♥

 


Mata ne
~♥ !

Ria

 

 

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Capitolo 35
*** Toward the crossing: eighth road (prelude) ***


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Salve bella gente.

Siete sempre pronti alla calma e alla quiete eh? Bene.

Peggio per voi.

… a dopo va :P

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~

 

 

 

Cap. 35 – Toward the crossing: eighth road (prelude)

               « Do you understand English, Ichigo? »

 

 

 

 

Retasu studiò per la quinta volta le equazioni assegnate per le vacanze e tirò un lungo sospiro, ci fosse stato scritto in arabo avrebbe avuto la stessa capacità di concentrarsi. Era la prima volta in vita sua che viveva un conflitto così enorme tra ciò che voleva e ciò che provava.

La sua mente le mostrava senza pietà il giorno precedente e i pochi minuti che aveva trascorso sul balcone assieme a Pai, e il battito  nel suo petto non si decideva a calmarsi.

Per un istante era stato come se i loro cuori si fossero toccati, anche se non avevano detto una parola né avevano fatto altro che guardarsi.

Sospirò a labbra strette. Doveva smetterla, era una sciocchezza; era stata solo lei ad agitarsi come una stupida in barba a quanto aveva deciso.

In fondo Pai l'aveva rifiutata.

Nel pensarlo lasciò a metà il 2y-x che stava scrivendo.

A rifletterci Pai non le aveva mai detto no, o qualunque variante. Semplicemente, non le aveva risposto.

« Reta-chan, stai bene? Sei diventata tutta rossa. »

La verde rilasciò con una risatina nervosa il fiato che stava trattenendo e scosse la testa:

« Ah sì? Chissà… Starà iniziando a salire il caldo. – spiegò scioccamente con vocetta acuta – Ayu-chan, accenderesti il ventilatore? »

La rossa fece spallucce e si alzò dal tavolino per dare corrente al ventilatore, mentre Retasu si sforzò di calmarsi. Il cuore le battè tanto velocemente da darle il capogiro.

Cosa mi metto a pensare?!

Se pure non fosse stato un rifiuto Pai le aveva dimostrato a più riprese che…

Oh, ma che sto dicendo?

Pai non le aveva dimostrato proprio niente. Era solo ambiguo e contraddittorio, e lei non riusciva a darsi pace.

« Reta-chan, sei con me? – la canzonò Ayumi, sdraiata sui libri di testo – Siamo solo al terzo giorno e tu mi abbandoni? »

« Oh… No, scusami… È che stamattina sono… »

« Distratta. Me ne sono accorta. »

La rossa sbuffò sfogliando il quaderno senza vederlo. Non era stata molto entusiasta della proposta di Retasu di dedicare un paio d'ore ogni giorno di vacanza allo studio, ma forse così per un'estate sarebbe arrivata al primo di Settembre(*) non con l'acqua alla gola; ovvio che se la verde si dimostrava meno entusiasta di lei, avrebbero concluso decisamente poco.

« Pensavi a Nakayama senpai? »

La mewfocena arrossì un poco a disagio e l'amica lo interpretò erroneamente come un sì:

« Oggi avevate un altro appuntamento vero? »

« Già. Però… Dovrei sostituire Ichigo al lavoro. »

« Cosa?!? Ma no! »

Retasu fece spallucce. Ichigo in realtà aveva semplicemente detto che non ci sarebbe stata quel pomeriggio, ma la verde ne avrebbe approfittato per disdire l'appuntamento con Koichi; si sentiva troppo confusa per uscire con lui, aveva l'impressione di prenderlo in giro in simili condizioni emotive e non voleva.

« … Dove voleva portarti? »

« Eh? »

« Tu e Nakayama. Dove dovreste andare? »

La verde sorrise appena:

« Il club di fotografia dell'università sta allestendo una mostra. Lui ha i biglietti di ingresso tramite un suo senpai, e siccome gli ho detto che mi piace la… Sai, ci sono dei ragazzi davvero bravi, di qualcuno ho visto dei lavori su una rivista(**). »

Ayumi le sorrise complice e Retasu di rimando.

Si sentì ancora confusa, ma Ayumi aveva ragione. Koichi aveva fatto un gesto davvero carino e, a differenza di qualcun altro, era molto limpido in fatti e parole; forse non rifiutare l'avrebbe aiutata a fare chiarezza almeno dentro di sé.

Ayumi la guardò farle un cenno di assenso e battè più volte il palmo sul tavolo:

« Fantastico! Su, vieni che scegliamo il look. »

« Ayu-chan, dobbiamo finire qui. »

La rimproverò gentile.

« Non fare la schiavista! »

E aveva già la testa nell'armadio della verde a spulciare ogni gruccia.

 

 

***

 

 

Minto si sistemò la crestina sulla testa e si guardò nello specchio del suo armadietto. Faticava ancora a credere di essere finalmente tornata se stessa e non faceva che sbirciarsi nel timore di aprire gli occhi e riscoprirsi in versione da tasca.

Quella mattina aveva impiegato cinque minuti buoni a tirarsi giù dal letto e focalizzare dove si trovasse, sorridendo nello scorgere i profili dei suoi mobili. Si era cambiata, aveva giocato con Miki, aveva fatto colazione attorniata dalla balia e dalle cameriere che, grazie allo schermo attivato da Keiichiro, non dimostravano alcun atteggiamento diverso dal solito e si comportavano esattamente come l'ultima mattina che aveva mangiato tra le mura familiari. La cosa l'aveva resa felicissima, anche se si era sentita un po' infastidita dal tintinnio delle posate sui piatti di porcellana che rimbombarono nella sala mentre beveva il suo the; dopo tanto tempo, e dopo i giorni trascorsi con altre cinque persone, casa le era apparsa enorme e vuota.

Era andata al Cafè sforzandosi di non pensare oltre alla cosa e appena aveva varcato la soglia era stata accerchiata dalle altre. Dal sorriso che Zakuro le aveva rivolto immaginò che fosse evidente quanta gioia provasse nel poterle riabbracciare, ma la mewbird aveva iniziato comunque a protestare seccata per il chiasso e a tentare di scrollarsi di dosso Ichigo, stretta al suo collo e incurante dei suoi borbottii.

« Insomma, razza di troglodita, mi stai strozzando! Vuoi lasciarmi andare? »

« Che bello sentire di nuovo le tue dolci paroline, Minto! »

Aveva riso la rossa sarcastica stringendola di più e ridendo. Minto aveva fatto uno sforzo immenso per non ricambiare la stretta e scoppiare a ridere felice:

« Ma oggi tu non eri di riposo? »

« Akasaka-san mi ha detto di passare che ci sarebbe stata una sorpresa. »

Dalla coltre di braccia che la soffocavano Minto aveva intravisto il bruno ammiccarle; aveva sorriso e poi era passata a sgridare Purin e intimarle di scenderle dalla schiena prima che le provocasse un'ernia.

Quando tutte si erano decise a liberarla, Ichigo le aveva salutate ed era corsa via. Minto aveva sogghignato: la rossa le aveva spiegato in cosa consistesse la sua assenza e aveva tenuto a ribadire che lo faceva solo in via di favore personale, ma la mora aveva risposto guardandola con superiorità e un sorrisetto allusivo che aveva fatto soffiare Ichigo proteste e mugugni.

Essendo ormai periodo di vacanze il locale si stipò di gente alla velocità della luce. In parte per colmare l'assenza della mewneko – che, per quanto ne dicesse Minto, quando si trattava del Cafè lavorava sodo – in parte per tornare alla normalità, la mewbird s'impegnò seriamente nel servizio sorvolando perfino sul suo amato the. Era meraviglioso rivedere le cose dalla prospettiva giusta, portare gli oggetti senza temere di finirci schiacciata sotto, parlare con tutti guardandoli negli occhi.

Il caldo arrivò rapidamente e Minto si propose di occuparsi di spazzare il vialetto nella speranza di ottenere un po' di fresco in più. Attorno era silenzioso, solo le cicale frinivano insistenti gioendo dell'afa e del sole.

« La cornacchietta è di buon umore. »

Il sorrisetto di Kisshu si gelò in una smorfia ritrovandosi, nel tempo che finì la frase, la punta della scopa a mezzo millimetro dal naso:

« Rettifico. »

« Ero di buon umore fino a cinque secondi fa. – replicò fredda la morettina riabbassando l'arma – Che cosa vuoi? »

« Accidenti, passerotto, siamo proprio glaciali. – si lagnò lui – È così che tratti i vecchi coinquilini? »

« Non allargarti. »

Lo sgridò tetra e fece per tornare dentro. Aveva sperato davvero di non rivedere Kisshu troppo presto: la sera prima aveva impiegato una vita ad addormentarsi, non riuscendo a scrollarsi di dosso l'agitazione calata dopo il milionesimo tentativo di lui di infastidirla; agitazione che era ricomparsa puntuale come un orologio nel secondo esatto in cui aveva incrociato di nuovo il suo viso.

Così non andava bene. Che la innervosisse per via del suo essere fastidioso poteva ancora sopportarlo, ma che l'agitasse a quel modo il solo vederlo, no.

« Hai visto Ichigo? »

Minto, che gli dava le spalle, si accorse di stringere per un istante le labbra a quelle parole:

« Non c'è. – rispose atona – Aveva un impegno. »

Kisshu fu parecchio deluso, ma si grattò la testa sospirando e chiese ancora:

« Lo splendido stronzetto biondo? »

« Credo sia ancora di sopra. – fece sempre incolore lei, spazzando gli scalini dell'ingresso – Ma tra un po' uscirà anche lui. »

Il verde rispose con un monosillabo indefinito.

« Di cosa dovresti parlare tu con Shirogane? »

« Pai e MoiMoi hanno individuato un nuovo passaggio – spiegò spiccio, continuando a fluttuarle dietro la schiena – però oggi hanno ricevuto una chiamata al Consiglio non so perché, così è toccato a me fare da messaggero. »

Minto si girò preoccupata:

« È successo qualcosa? »

« Credo semplicemente vogliano sapere gli ultimi sviluppi. – replicò lui facendo spallucce – Altrimenti ci avrebbero convocati tutti. »

La mewbird annuì più rilassata e riprese il suo lavoro, ignorandolo.

« Guarda che dovresti evitare di svolazzare come un piccione – lo sgridò – se qualcuno ti vedesse? »

« Siamo proprio noiosi da queste parti. – borbottò lui posando i piedi a terra – Cos'è, ora non ti sono più simpatico? »

« Vorrei solo evitare di far scoppiare un'onda di panico. Ti ricordo che non avete una così grande fama da queste parti, visto quanto avete combinato l'ultima volta. »

Kisshu mise le labbra in fuori in un broncio da bambino e borbottò qualcosa a mezza bocca. Minto si concentrò sul suo lavoro senza guardarlo ancora, irritata dall'agitazione che le soffocava il petto, e continuò a fissare con attenzione ogni granellino di sabbia sollevato dalla scopa anche quando Kisshu le fluttuò davanti.

« Cosa del "non farti vedere" non capisci? »

Lui sogghignò e si allungò nella frazione di secondo in cui Minto alzò la testa, sfiorandole appena la bocca con la propria. Lei ebbe la sensazione che la colpissero al petto con una pallonata da come le si mozzò il respiro, ma lo guardò indifferente:

« Si può sapere che pensi di fare? »

La domanda lo colse un po' alla sprovvista e non seppe bene cosa rispondere; la guardò con il suo solito ghignetto e disse semplicemente:

« Darti noia. »

« A me sembra frustrazione. – ribattè aspra – Guarda che io non sono un surrogato di Ichigo. Rompi le scatole a lei, se hai tanta "passione" da dare. »

Lui la guardò divertito:

« E quindi? Tutto qui? – chiese stuzzicandole la cuffietta bianca – Niente proteste? Nessuna reazione? »

Lei continuò a spazzare l'ingresso come se nulla fosse, anche se aveva le guance un po' rosse:

« Se scappassi insisteresti, vero? Se proprio devi dare uno sfogo ai tuoi ormoni, meglio che sia qualcosa di breve, che stimolarti ad allungare le mani. »

« Cosa sarei, un cane in calore? »

Lei fece spallucce:

« Meglio non rischiare. »

« Sei proprio noiosa. »

Sbuffò incrociando le braccia dietro la testa e sparì con uno schiocco ridendo a bocca chiusa. Minto smise finalmente di spazzare per terra e si abbracciò alla scopa con il cuore veloce come un uccellino:

« Non va… Così non va proprio. »

 

 

***

 

 

« Senpai, la riunione sta per cominciare. Dobbiamo andare. »

MoiMoi non diede nemmeno risposta a Pai e continuò a studiare e lavorare sul misterioso progetto che lo intrigava da alcuni giorni; il moro sospirò seccato:

« Senpai. »

« Oh, insomma! Ma perché devo venire anche io?! – protestò – Ora sono occupata… Non basti tu per riferire tutto? »

L'altro sbuffò forte. Seccava anche a lui lasciare il laboratorio incustodito, ma temeva di più le rogne a dover riferire di fronte al Consiglio le spiegazioni valide per l'assenza del violetto.

« Sarebbe meglio non rimanessi qui da sola. »

Brontolò Sando cupo.

« Potrei venire divorata dalla polvere. – lo canzonò MoiMoi – Sando, abbiamo guardato da cima a fondo e pattugliato ovunque. Non c'è niente. »

Il verde e Pai si scambiarono un'occhiata e il primo sospirò pesantemente. Avevano ragione, ma lui non si sentiva tranquillo.

« È da quando mi sono alzato che ho un brutto presentimento. »

Sia MoiMoi che Pai lo guardarono seri. Sando era una persona pragmatica, detestava riflettere e credeva alle cose che poteva vedere e toccare più che a ragionamenti teorici o supposizioni; nonostante ciò confidava ciecamente nel suo sesto senso. Spesso MoiMoi lo canzonava dicendogli che, grezzo e orso com'era, il suo era quasi un senso animalesco, ma negli anni aveva avuto più e più prove di quanto la presa in giro fosse vicina alla verità: Sando non sapeva spiegarlo bene, era davvero come un animale che percepiva in anticipo un terremoto o un'inondazione, da come cambiava l'aria, da un rumore insolito, dall'odore del vento; tutti avevano imparato a scherzare poco quando il verde aveva uno dei suoi brutti presentimenti e, piuttosto, tendevano le orecchie pronti a ricevere qualcosa tra capo e collo.

« Sei solo paranoico. »

Tentò di sdrammatizzare MoiMoi incurante della lieve ansia che gli scivolò addosso.

« Mi chiedo solo perché debba partecipare anch'io a questa riunione del cavolo. »

« Lena-chan è al servizio di guardia a Palazzo – gli ricordò il violetto condiscendente – e perché hanno richiesto la presenza del nostro cane da guardia. Fai tu riferimento come sorveglianza. »

Sando grugnì poco convinto e sbuffò come un bisonte:

« Non mi piace. »

« Sei troppo devastante. Non c'è niente da preoccuparsi! – sorrise MoiMoi radioso – Su, su, muovetevi. Ah, Pai-chan? »

« Uh? »

« Appena finisci la riunione porteresti una cosa a Ryou-chan e Akasaka? »

Mostrò un campioncino rettangolare di un materiale scuro:

« Devo finire i test, ma credo che ne uscirà qualcosa di mooolto figo. »

« Non doveva farlo Kisshu? »

MoiMoi fece una smorfia:

« È andato… Ma questo se l'è dimenticato. »

Pai alzò gli occhi al cielo sbuffando, prese il campione e si avviò fuori:

« Senpai, scusati tu, faccio prima possibile. Ti raggiungo là. »

« Cioè, aspetta! Dovrei giustificarti io davanti al Consiglio?! – le proteste di Sando si persero contro le scale – Ehi, parlo con te! Porca miseria! »

 

 

***

 

 

Ichigo guardò l'orologio sulla parete e fece un ultimo rapido controllo dell'insieme.

La pomposa festa degli amici di Shirogane richiedeva una presenza impeccabile, e anche se il biondo non le aveva dato specifiche sul vestiario dicendole di indossare pure il suo completo nuovo, almeno al resto aveva provveduto a tirarsi a lucido. Si aggiustò i capelli freschi di shampoo che aveva acconciato con un ricciolo ben definito sulla punta e poi aveva lasciato sciolti, ricontrollò le unghie ovali ed eleganti di appena un giorno di manicure, si ispezionò il viso in cerca di sbaffi di trucco, fondotinta ammucchiato o imperfezioni di qualche tipo e appurato di avere un aspetto apprezzabile uscì di corsa.

Per i suoi standar era in perfetto orario. Doveva ancora prendere il treno e poi un autobus e quindi compiere un piccolo tratto a piedi prima di arrivare e l'agitazione iniziò a salire; accelerò l'andatura sperando di guadagnare qualche minuto sull'ora e mezza che la separava dall'inizio del ricevimento e avere un po' di sicurezza per non essere la solita ritardataria. Certo, avrebbe potuto accettare l'offerta di Ryou di un passaggio in moto, ma anche facendosi i conti del lungo tragitto aveva declinato: era già una situazione passibile di equivoci, non voleva certo che sembrasse in tutto e per tutto un appuntamento.

Ricontrollò nervosa di non aver dimenticato l'invito valido come biglietto d'ingresso e di avere con sé il kit di emergenza per sistemarsi – il caldo di Luglio non era mai stato amico del trucco perfetto – prese un lungo respiro e attraversò diretta alla fermata del treno con il cuore che batteva un po' più svelto del solito.

 

 

***

 

 

Keiichiro ammirò il pezzetto di metallo che Pai gli aveva consegnato, saggiandone la superficie con l'indice:

« Affascinante. »

« Lo abbiamo riprodotto da un campione trovato a Belia – spiegò Pai incolore – Shirogane ha detto di aver visto un materiale simile in una delle dimensioni che abbiamo visitato. Pare che questo metallo, in qualche modo, contenga il potere della MewAqua. »

« È incredibile. »

« Non sappiamo ancora quanto valga la cosa. – continuò il moro poco entusiasta – Siamo appena ai test preliminari. »

« Vedrò se io e Ryou riusciremo a scoprire altro. »

Gli sorrise il bruno:

« Ti ringrazio. »

« Kisshu avrebbe dovuto portarvelo. – sospirò seccato – Ha la memoria di un pesce rosso. »

Keiichiro rise discreto e fece per ringraziarlo offrendogli qualcosa, ma Pai se ne uscì dalla cucina senza finire di ascoltare la sua proposta. Aveva scorto un bel po' di umani più del solito, per il parco e attorno al Cafè, quando aveva varcato il passaggio e aveva pensato opportunamente a non teletrasportarsi né volare: il rischio che lo vedessero era concreto e preferiva sopportare qualche minuto con lo schermo alzato a camminare tra la ressa, che scatenare un putiferio. All'interno del locale la folla coincideva con un cospicuo fracasso e, per quanta pazienza portasse verso Keiichiro non ne aveva a sufficienza per sopportare la confusione.

Puntò con decisione alla porta sul retro deciso a squagliarsela con discrezione e ritrasse la mano appena prima di afferrare la maniglia, perché qualcun altro aveva avuto la sua stessa idea.

« Pai-san. »

Lui non riuscì a ribattere e si limitò a guardarla, innervosendosi un poco; l'incapacità di rispondere a dovere non gli era mai piaciuta e con Retasu stava capitando troppo spesso che rimanesse privo della parola.

« Scusa… Dovevi…? »

« Sì. – disse lui troppo di fretta e nascondendo la mano che aveva quasi sfiorato la sua – Anche tu. »

Constatò notando che non indossava la divisa. Retasu annuì impacciata e aprì la porta per togliersi da sotto lo sguardo insondabile del moro e uscì a passi rapidi sulle scale; Pai la seguì chiudendosi l'ingresso alle spalle e Retasu gemette in silenzio, colui che non faceva che teletrasportarsi da una stanza all'altra era diventato all'improvviso un passeggiatore.

« C'è troppa gente in giro. – replicò alla sua domanda muta – Meglio se raggiungo il passaggio a piedi. »

« Certo. »

Sorrise lei e si sforzò di non accelerare l'andatura. Memore del giorno prima aveva la sensazione che una sottile corrente le attraversasse i nervi rendendola legnosa e nervosa, doveva allontanarsi da Pai prima che il cuore le scoppiasse; all'improvviso, però, il tacco basso dei suoi sandali era un rialzo da trampoliere che non poteva sostenere le sue gambe irrigidite, men che meno reggere una camminata veloce sui gradini senza rischiare di farla precipitare e rotolare fino a terra. Pai studiò il suo profilo nascosto dietro la stoffa color pesca della gonna lunga e alla maglietta bianca, semplice ed elegantemente scollata; la vide agitata e non fare altro che sistemarsi l'astina degli occhiali con un lieve e familiare tic nervoso, per cui lui si chiese come diavolo facesse a riconoscerlo e a trovarlo così tenero.

Tutto questo è ridicolo.

Cose del genere non avrebbe dovuto neppure pensarle.

C'era una lotta da affrontare, una missione che aveva priorità su tutto. Non c'era tempo per perdersi in sciocchezze sentimentali di alcun genere.

Ecco. Non avrebbe dovuto esserci il dubbio su quel punto. Non avrebbe dovuto nemmeno ribadire una cosa del genere, avrebbe dovuto essere automatica e non turbarlo.

Eppure lui non faceva che dirsi che non si poteva perdere in problemi sentimentali, e non faceva che diventare una statua ogni volta che si ritrovava a parlare con Retasu.

« Sei un egoista del cazzo, lasciatelo dire, oltre che deficiente. Prima scappi, poi te ne penti. »

La vena sulla sua tempia ebbe un guizzo nervoso. Kisshu avrebbe scontato anche le sue prediche inopportune.

Contrasse la mascella consapevole che non era per colpa del fratello se in testa aveva un vespaio, ma sua che, tutto da solo, aveva chiesto e si era risposto imponendo dei paletti tra sé e Retasu, incurante che la sola presenza della ragazza fosse capace di destabilizzarlo.

Ma ormai le cose erano fatte. Non poteva cambiare niente.

E poi… Retasu era un'umana.

E lui non era il tipo da cose simili.

Lei, invece, era troppo per cose simili.

Semplicemente non poteva.

Perché…

Sì, perché?

Perché no.

Le scale finirono ed entrambi i ragazzi seguirono il piccolo sentierino nell'erba che portava dal retro alla strada principale. Pai connesse di colpo la stranezza dell'uscita di Retasu prima di chiusura e il suo abbigliamento delizioso, e una pessima sensazione lo prese allo stomaco. Avevano appena varcato i cespugli che recintavano il sentiero di fronte al Cafè quando una voce conosciuta – dannazione alla sua memoria – gli ferì le orecchie chiamando Retasu a gran voce.

« Midorikawa-san. Qui! Qui! – fece Koichi agitando il braccio – Scusa, sono in ritardo! »

« No, sei puntualissimo. »

Il sorriso della verde si pietrificò avvertendo la presenza di Pai subito dietro di sé farsi incombente e minacciosa. Ebbe l'impressione che l'aria fosse diventata pesante e a lei mancasse l'ossigeno, quello era di sicuro l'ultimo incontro a cui avrebbe voluto essere presente.

Koichi non si rese conto di nulla e si limitò a studiare i due a disagio:

« Mi dispiace… Stavate parlando? Ho interrotto qualcosa? »

« No! – esclamò Retasu nervosa – No, solo... Stavamo uscendo nello stesso momento, ecco... Ehm… »

Sorridendo gentile la verde indicò Pai e lo presentò, dato che lui non sembrava intenzionato a fare altro che starsene con le braccia lungo i fianchi e l'espressione di marmo:

« Nakayama-san, lui è Pai-san. Pai-san, lui… »

« L'ho capito. »

La interruppe brusco. Poco gli importava del nome del ragazzo, il sapere perché si trovasse lì era sufficiente per incendiargli il petto.

« Salve. »

Rispose Koichi con un piccolo inchino; Pai non capì se non avesse badato al suo pessimo umore e alle occhiatacce che gli scoccò, non sé ne rendesse conto o semplicemente se pensasse che fosse la sua espressione tipica:

« Sei un amico di Midorikawa-san? »

« Un conoscente. »

Rispose subito con tono freddo. Vide di sottecchi la verde abbassare lo sguardo, ferita dal distacco e dalla rudezza di quanto aveva pronunciato; si morse d'istinto il bordo della lingua, inutilmente, e Retasu strinse i pugni in grembo corrucciandosi avvilita.

Koichi iniziò ad apparire a disagio e tossicchiando nervoso disse:

« Ok. Se, allora, non dovete dirvi niente… »

« No. Nulla. – mormorò Retasu e si impegnò moltissimo per sorridergli – Andiamo? »

Il bruno annuì contento e le lasciò strada. Retasu si allontanò senza più voltarsi verso Pai, mentre Koichi gli rivolse un altro cenno di saluto:

« È stato un piacere. »

Pai non rispose. Dubitò ci credesse per davvero o che fosse solo possibile dare credito ad un'affermazione così stupida. Guardò il bruno affiancarsi a Retasu e rivolgerle entusiasta dei complimenti a cui lei replicò ringraziando timida e arrossendo adorabile, poi Koichi lentamente le posò una mano sull'incavo della schiena avvicinandola un po' a sé; Retasu sobbalzò visibilmente anche a distanza, ma non si allontanò e Koichi sorrise radioso accompagnandola gentile.

Pai non riuscì a togliere loro gli occhi di dosso finché non scomparvero oltre la curva e allora con uno scatto nervoso si avviò a grandi falcate verso casa.

 

 

***

 

 

Ichigo rimase di fronte al cancello aperto con aria attonita e ponderò seriamente di girare sui tacchi e correre a casa. La villa che aveva davanti, raggiunta dopo una passeggiata di cinque minuti dalla strada principale, lungo un elegante vialetto di acciottolato circondato da faggi potati con cura millimetrica, era un edificio sontuoso in stile occidentale con i muri ocra, balconi bianchi con colonne lavorate come gioielli ed enormi finestre rettangolari che, a contarle, dovevano corrispondere a chissà quante decine di stanze. Appena si fu avvicinata alla fine del sentiero d'ingresso Ichigo fu bloccata da un maggiordomo in livrea e dall'aria schizzinosa che la squadrò da capo a piedi, facendola vergognare perfino di tenere la testa dritta.

« Miss has an invitation? »

Ichigo emise uno sciocco eh? nel tentativo di rispondere e l'uomo, seccato, ripetè più lentamente; lei arrossì a disagio, annuendo più volte, e frugando nervosa in borsa gli porse l'invito. Il maggiordomo storse il naso notando il biglietto non più impeccabile com'era alla consegna, lo aprì con la punta delle dita come se temesse un contagio e lesse rapidamente.

« Oh, so, you're Mr. Shirogane plus one. »

« Ehm, yes… Mr. Shirogane. »

Farfugliò e l'uomo la fissò ancora storto infastidito dal suo pessimo accento. Impettito non mostrò alcun altro segno di turbamento e le fece un lieve inchino:

« Please follow me. »

Con passo rapido e allo stesso tempo fermo e composto il maggiordomo la condusse sul retro della villa. Ichigo lo seguì sempre più impacciata, dandosi della sciocca per non essersela filata in tempo, e trotterellò senza riuscire a regolare l'andatura con quella dell'uomo e sbirciando la sfarzosa dimora con adorazione. Era antica, probabilmente una delle dimore che alcuni benestanti costruirono durante l'occidentalizzazione(***), ma tenuta con enorme cura dal singolo mattone al filo d'erba dei giardini; si respirava un'aria molto diversa rispetto a casa di Minto, che nonostante il lusso ad Ichigo appariva confortevole, mentre lì tutto aveva un sentore austero e distaccato.

Svoltarono l'angolo e il maggiordomo si girò a malapena verso la rossa:

« Please wait a moment here, Miss. »

Si allontanò lasciandola sola a guardarsi in giro.

Sul retro il giardino si divideva in larghi spiazzi di erbetta verde recintati da cespugli dal taglio squadrato e ombreggiato da faggi e cipressi così belli da apparire finti. Sotto un pergolato di gelsomino fiorito era stato allestito, sopra tavoli bianchi, un buffet di leccornie su alzatine argentate con camerieri che riempivano flûte di bollicine dorate e altri aperitivi dai colori pastello; donne in corti e raffinati abiti da cocktail e uomini con camice e pantaloni eleganti parlottavano tra loro in inglese incuranti dell'esistenza della mewneko a pochi metri da loro, che iniziò a sentirsi sempre più a disagio.

Si studiò di sottecchi l'abito bianco, di colpo così scialbo e povero di fronte alle stoffe pregiate che indossavano le altre invitate – e che, se mai avesse deciso di acquistarne di simili, era chiaro che nemmeno due mesi di stipendio di Shintaro sarebbero stati sufficienti – si vergognò del suo misero taglio e dell'acconciatura fatta in casa e si sentì ridicola con i suoi sandali e il cardigan sottobraccio, quando non vedeva passeggiare altro che Veneri in tacchi a spillo con spacchi sulle cosce e sulle schiene da far venire le vertigini.

« Sei in orario. Non vorrai far piovere, spero. »

La presa in giro di Ryou le suonò familiare e confortante e, nascondendo un sorrisetto, fu pronta a rispondergli per le rime finché non lo vide e il cuore le si fermò in petto. Il ragazzo indossava un paio di pantaloni chiari, un po' aderenti come piacevano a lui, e una camicia bianca tenuta sbottonata che ne risaltava il fisico e la carnagione abbronzata.

Ichigo si morse il labbro sperando non avesse notato che aveva trattenuto il respiro.

« Allora? »

Prima che Ichigo rispondesse alcunché, una coppia spuntò quasi dal nulla al fianco dell'americano e si mise a parlare con lui fitto fitto in inglese strettissimo, badando poco o nulla alla rossa. Lei strinse la presa sulla sua borsetta guardando storto la donna della coppia, una mora dall'abito rosa antico che lasciava all'immaginazione quasi niente e che, con movenze da pantera, se ne stava abbarbicata al suo accompagnatore e allo stesso tempo ammiccava ridendo sottovoce a Ryou; Ichigo non riuscì a seguire il discorso, ma le fu chiaro dallo sguardo tagliente della donna e dal suo sorriso malizioso che stesse parlando di lei, e non positivamente.

La donna strinse ulteriormente il braccio del suo accompagnatore, che parve concorde con qualunque cosa stesse dicendo, e si allungò per afferrare il polso di Ryou. Lui lo scostò in malo modo e sorridendo si avvicinò ad Ichigo, le cinse la vita con il braccio e la trascinò verso il buffet lasciando i due chiacchieroni con un palmo di naso. Ichigo avvistò la panterona gettarle un'occhiataccia piccata e la soddisfazione le increspò le labbra, solo il tempo necessario perché focalizzasse le dita del biondo sul suo fianco e rischiasse l'ennesimo infarto; spinse un poco con il gomito per dargli un segno che poteva seguirlo anche se la lasciava andare, ma Ryou tenne salda la presa.

« Cosa… Cosa voleva quella lì? »

Mormorò tentando di distrarlo. Lui rispose ma non si smosse di un millimetro, lo sguardo pacato fisso in avanti:

« È la figlia di un vecchio conoscente di famiglia. Il tipo che l'accompagnava. – spiegò – È il proprietario di una piccola ma prolifica azienda di abbigliamento, lei gli fa da modella. »

Ichigo si corrucciò e sgranò gli occhi:

« Aspetta… Ma quanti anni ha?! »

Ryou scrollò le spalle:

« Credo abbia un anno meno di me – fece vago – da bambino la incontravo spesso. Ora era dall'ultima volta che sono stato a New York che non la vedevo. »

Ichigo grugnì in assenso, studiando la giovane che li doppiava a distanza sempre avvinghiata al braccio del padre, ancheggiando civettuola, e borbottò velenosa:

« Gliene davo almeno dieci in più. Sembra una vecchia, conciata a quel modo e con quel trucco pesante. »

Con sua sorpresa Ryou rise a fior di labbra:

« Concordo. »

La rossa, in cuor suo, pensò amara che allo stesso tempo la ragazza fosse sensuale e bella, come ogni altro essere femminile lì al contrario di lei. Si fermò riuscendo finalmente ad allontanare Ryou e mormorò:

« Forse… Non è stata una buona scelta. –fece mentre si attorcigliava nervosa un ciuffo attorno all'indice – Ho sbagliato del tutto abbigliamento. E qui parlano tutti inglese… »

Ryou la guardò e le rivolse uno dei suoi sorrisi sottili:

« Stai benissimo. »

Approvò sottovoce. Ichigo pregò che lo sballonzolio cardiaco che le contrasse la gola si fosse limitato all'interno e non fosse trasparito niente in viso, e sussurrò un ringraziamento.

« Per quanto riguarda l'inglese, non è mia intenzione rimanere così a lungo da coinvolgerti in alcuna conversazione: il tempo di mangiare qualcosa e assaggiare un paio di bicchieri e voglio filarmela. – ammise il biondo e alzò un sopracciglio irriverente – Con le tue capacità, rischierei di vedermi prosciugare il fondo bancario nell'acquisto delle Canarie. »

« Sei il solito maleducato! »

Gli sbottò contro cercando di non pensare al complimento che le aveva rivolto poco prima. Ryou non smise di sorridere e le afferrò il polso trascinandola sotto il pergolato:

« Dai, ho fame. »

 

 

***

 

 

MoiMoi si stiracchiò soddisfatto e rimirò i dati dell'ultimo test, salvandoli sul server principale. Non restava altro che provare sul campo la scoperta che avevano fatto lui e Pai, se tutto fosse andato come da progettazione avrebbero ottenuto delle armi davvero efficaci.

Prese la fialetta colma del liquido malva e se la nascose sotto i vestiti, era il solo flacone pronto che avevano e aveva impiegato giorni a sintetizzarlo dal blocchetto solido, di cui aveva inviato un campione ai terrestri: meglio tenerlo nel posto più sicuro che conosceva, addosso a se stesso.

Probabilmente sarebbe stato più protetto solo legato su Sando, ma aveva dei dubbi che il suo amico avrebbe accettato di fare da portavalori. Specie rientrando nervoso come sapeva sarebbe successo a seduta di Consiglio finita.

« Potrei andare a preparare uno spuntino, ho una fame…! »

Avrebbe potuto approfittare delle rare ore di libertà per prepararsi qualcosina di sfizioso, non aveva più avuto tempo. Magari qualcosa da far assaggiare alle ragazze e ad Akasaka e, se avanzava qualcosa, magari rifilarlo al suo brontolone preferito e ai suoi kohai.

« Però meglio niente dolci. »

Sospirò alzandosi la maglia e si toccò con due dita l'addominale piatto, decisamente l'opposto di una pancia che necessitava di limitare i vizi, e pizzicò fino a prendere tra due dita un insignificante rotolino:

« Qui finisce che divento piccola e rotonda come un comodino. »

Scese dalla sedia e scattò dritto, percorso da un brivido.

Sperò di esserselo sognato; che fosse solo un clic di qualche macchinario, un assestamento del metallo di una lamiera, un circuito che faceva i capricci.

Poi lo sentì di nuovo.

Giù, giù, giù, in fondo nei corridoi del laboratorio, impercettibile e leggero, era risuonato un rumore. Un rumore che normalmente, non c'era.

C'è qualcuno.

 

 

***

 

 

Ichigo trovò un'isola di salvezza di fronte al buffet; a differenza del maggiordomo, impettito e tetro, i camerieri e le cameriere di servizio erano gentili e cercarono di parlare meglio che poterono giapponese per farsi capire, e lei di rimando sentendosi più rilassata riuscì anche ad articolari frasi in un inglese abbastanza corretto da essere comprensibile. Inoltre le filiformi ospiti e i fascinosi invitati parevano più interessati all'alcol che al cibo, gironzolando nelle vicinanze solo quando era tempo di ricaricare i bicchieri.

Ryou, poco distante, catturato dal padrone di casa che quasi pianse di gioia alla sua vista, ascoltava a stento i discorsi dei presenti, gli occhi posati sulla rossa: lei, curiosa, si fece mettere mezzo dito di cocktail rosa pesca nel bicchiere e lo portò alla bocca, quindi tossì e strinse le labbra quasi avesse succhiato un limone facendo dei cenni di diniego al cameriere divertito e chiedendo un goccio di analcolico alla frutta.

L'americano sorseggiò un altro po' del suo cocktail. Era arrivato al party in anticipo e aveva già fatto fuori due bicchieri e mezzo di aperitivo prima dell'arrivo di Ichigo, attanagliato dal nervosismo. Quando l'aveva vista arrivare, fasciata nell'abito bianco che le calzava mille volte meglio di quanto avesse immaginato rimirandolo sulla gruccia, si sarebbe dato un pizzicotto per essere certo di non sognare.

Calmati, pezzo di idiota, calmati. Non farti il viaggio, ti ricordo che lei continua ad essere fidanzata.

E appena ebbe finito di pensarlo vuotò il quarto flûte avvertendo un prepotente calore al torace e un forte giramento di testa, il cameriere addetto alle bevande doveva essersi sbizzarrito con i superalcolici.

Era sicurissimo fosse il bere a parlare per lui, ma rimirando Ichigo provare con un sorrisetto beato un'elaborata tartina al salmone non potè che sorridere: al diavolo Masaya, al diavolo il fidanzamento o meno con la rossa, al diavolo tutto; per ancora un paio d'ore, un paio di misere, maledettissime, fantastiche ore Ichigo sarebbe stata lì con lui. Per lui.

E quindi vaffanculo.

Si fece riempire una quinta volta il calice e lo sorseggiò poco alla volta con buona gioia del suo orecchio interno e dell'equilibrio.

Un po' di benzina in più sarebbe stata utile a giustificare possibili stupidaggini, e lui si sentiva molto incline a farne a carrettate. Sempre per colpa dell'alcol, bel circolo vizioso; ma non era il caso di sottilizzare.

« Hai già dato fondo a tutte le scorte? »

Ichigo lo guardò male nascondendo protettiva il suo piattino colmo di stuzzichini e lo vide sorridere dietro l'orlo del bicchiere.

« Non avevo idea di come sarebbe stato qui e non ho pranzato – si giustificò impacciata – e poi non è colpa mia se sono l'unica che ha deciso di fare onore alla cucina! »

L'ennesimo gruppetto di ospiti ordinò un nuovo giro di bevande e le donne la guardarono sconvolte per il cibo che aveva deciso di ingurgitare. La mewneko arrossì e fece timidamente per posare il tutto e rinunciare, ma vide Ryou prendere un piatto vuoto e cominciare a fare incetta di tartine, vol au vent e quant'altro fosse sui vassoi; in effetti non era una brutta idea, non aveva nemmeno fatto colazione, e con la testa fluttuante nell'alcol mettere del cibo solido nello stomaco avrebbe potuto aiutarlo.

Era in vena di stupidaggini, ma meglio evitare di andare a cercarsele con il lanternino.

Ammutolita Ichigo lo guardò mettersi in bocca un fagottino intero decorato con sesamo e pulirsi il dito con la bocca, prima di imbracciare le sue scorte di viveri e il calice e spintonarla con la spalla sussurrando connivente:

« Andiamo più in là? Odio essere fissato mentre mangio. »

A lei venne da ridere e lo seguì concorde. Ryou si avviò verso la porticina sul fianco della casa da cui uscivano camerieri e vassoi di cibo, passò attraverso la cucina salutando un paio di cameriere confuse dell'intrusione e una cuoca corpulenta che lo apostrofò salutandolo e intimandogli di togliersi dalle scatole, con un pesante accento irlandese, e ridendo piano il biondo sgattaiolò lungo una scaletta a chiocciola che li portò al primo piano. Si ritrovarono in una bella sala luminosa con un grosso tavolo di legno scuro, scaffali colmi di libri e suppellettili di gusto vecchio e di aspetto pomposo e un tappeto così morbido che Ichigo fu tentata di levarsi le scarpe e passeggiarci sopra. Ryou puntò senza alcun timore al tavolo, scostò due sedie su un angolo e posò piatto e bicchiere – svuotato e riempito per la sesta volta prima della fuga – sedendosi poi a mangiare tranquillo; Ichigo lo imitò non riuscendo a non sorridere, sentendosi un po' complice in qualcosa che, data l'atmosfera del posto, le sembrò alquanto illecita.

« Non è che ci daranno una bella strigliata? – sussurrò mordendo una gustosa crespella al formaggio – Non mi sembra un posto in cui possiamo stare… »

« Il signor Cooper è un vecchio amico di mio padre, lo conosco da sempre. Basta che evitiamo di sporcargli il tappeto o distruggergli le sedie, non si scandalizzerà per qualche bricioletta sul tavolo. »

E con uno scrollo di spalle trangugiò soddisfatto una tartina con caviale e la mandò giù con un altro sorso di cocktail.

Ichigo riprese a mangiare sporgendosi quanto più potè sul tavolo, ma si sentì a disagio. Ryou non parlava mai dei genitori, perfino quando aveva scoperto i motivi che l'avevano spinto al m projet era stato Keiichiro a narrare della scomparsa dei coniugi Shirogane. Ichigo non disse niente, consapevole che Ryou detestasse si provasse pietà per il suo passato, ma avvertì comunque un groppo allo stomaco.

« Il signor Cooper era quel signore con i baffi e il completo grigio con cui parlavi? – chiese per stemperare il silenzio – Quello con quell'accento strano? »

« È scozzese. »

Le spiegò Ryou e annuì pulendosi le dita dal paté:

« È imparentato non so come con certe casate inglesi, tipo in quindicesimo grado. Si crede un nobile – scherzò con affetto – ma è un uomo colto e intelligente. Ha finanziato per anni le ricerche di mio padre, e in parte finanzia ancora le nostre. »

Ichigo avvertì una lieve suggestione alle sue parole e si guardò attorno affascinata. Finì la sua parte di cibo e scese dalla sedia iniziando ad esplorare attorno; lo sguardo di Ryou la seguì per tutto il tempo, sempre meno lucido, e nonostante lui si dicesse che era l'ora di smettere la sua mano continuava a stringere il calice e a portarglielo alla bocca.

« Credevo che dopo tutte quelle ore nascosta tra i libri non ti andasse più di vederli neppure dipinti. »

La canzonò con voce lievemente impastata. Ichigo gli fece una linguaccia senza smettere di sfiorare le coste spesse con la punta delle dita.

« Come sta andando la ricerca? »

« A dire il vero non bene.  »

Sospirò la rossa e studiò con una smorfia orripilata un grottesco angioletto ciccione di porcellana ad uso di ferma libro:

« Non ho trovato niente che confermi che Tayou sia Ao No Kishi, né altro su di lui, Luz o Deep Blue. – sospirò stanca – Inizio a pensare di aver preso un abbaglio. »

Appena aveva fatto la sua scoperta sul diario scovato da Kilig, Ichigo aveva riferito a tutti le sue supposizioni: tutti si erano innervositi e preoccupati, ma poi la rossa non aveva dato altre notizie e la questione era caduta nel silenzio.

« Ne dubito. – la rassicurò Ryou – You're a little dumb but you have good memory. »

« Cos'è, l'alcol ti fa scordare il giapponese? – lo rimproverò – Parla una lingua che capisca. »

« Fai almeno lo sforzo. – la canzonò – Comunque, dicevo solo che tu meglio di chiunque altro sapresti riconoscere Ao No Kishi. Se sei certa sia lui, è lui. »

Ichigo gli sorrise un po'. Ryou finì di svuotare il flûte e sospirò abbandonandosi contro la sedia, aveva raggiunto la saturazione: sentì i sensi annebbiati e la testa come un pallone e si massaggiò un po' la fronte, se Keiichiro lo avesse visto tentare di avviarsi sulla strada degli alcolizzati gli avrebbe fatto esplodere il dopo sbornia anticipato con gli ultimi due o tre anni di strilli mai sfogati.

« Stai bene? »

« I'm peachy. I'm only tipsy. »

Ichigo grugnì infastidita e interpretò dai gesti, accertandosi poi dallo sguardo lucido di lui che stesse tutto fuorché bene:

« Forse è meglio se ti porto un po' d'acqua. »

« I'm fine – ripetè più deciso – ho ancora due tartine. »

Ichigo sospirò e lo guardo mandare giù il restante spuntino in pochi morsi, forse aveva ragione: in fondo lui era giapponese solo in parte, probabilmente reggeva l'alcol meglio di quanto pensasse(****).

« Non ti ho ancora ringraziata. »

Disse all'improvviso il ragazzo:

« Mi sei stata di enorme aiuto, venendo. Cooper non mi avrebbe mai lasciato in pace. »

« Mi sembrava te la cavassi bene da solo. »

« " A guy can't show up to a party without someone to share the fun with." »

Scimmiottò con un terrificante accento:

« He pisses me off. »

Ichigo capì a grandi linee e ridacchiò.

« Spero di non aver fatto figuracce, almeno. »

Sorrise e si sistemò nervosa un paio di ciuffi dietro l'orecchio. Ryou si artigliò con la mano alla sedia, aveva decisamente bevuto troppo per farsi venire le palpitazioni ad un gesto così innocente.

« La gente qui sotto non sembrava così entusiasta di me. »

« Spocchiosi vecchi insopportabili. – sentenziò il biondo e posò la testa nell'incavo della mano, fissandola –  You're gorgeous. »

Ichigo si irrigidì un poco e lo ringraziò mormorando e mordicchiandosi il labbro inferiore. Ryou cacciò la testa sullo schienale e rise basso:

« Questi sono colpi sotto la cintura, lo sai? »

« C-cosa? »

Lui si sporse in avanti poggiando i gomiti sulle gambe e la guardò in silenzio. Ichigo sentì il cuore partirle nelle orecchie sotto lo sguardo azzurro un po' annebbiato e così intenso che la rimirava attento. Ryou non parlò nonostante lei ripetesse farfugliando la domanda e le passò con infinita delicatezza un pollice sulla guancia, pulendola da uno sbaffo di composta di frutta; Ichigo trattenne il fiato e quando lui, canzonandola, si pulì il dito sulle labbra, fu certa di morire stecchita sul posto.

Ryou continuò a tacere con un sorrisetto soddisfatto. Era chiaro che non fosse in condizioni normali, ma non gli importò niente: Ichigo era troppo adorabile così in imbarazzo e, in una parte recondita e folle di sé, si concesse il sospetto che non fosse solo il suo ardire ad innervosirla.

« …Let's get to the point, shall we, Ichigo? »

Lei non rispose. Non aveva capito una parola, ma le bastò vedere lo sguardo del biondo per intuire e avvertì il viso andare a fuoco:

« Di… Cosa? Di cosa vuoi parlare? »

Ryou si allungò un altro poco sistemandole un paio di ciuffi della frangetta e il cuore della rossa scalpitò forsennato.

« Era in disordine. »

Le spiegò e Ichigo non riuscì a rispondere, la bocca secca. Lui ridacchiò piano.

« Che hai da ridere? »

« Mi è venuto in mente che Cooper si è sorpreso a vedermi con te. »

Ichigo si impegnò per guardarlo seria, cercando di ignorare la sua voce bassa che le artigliava lo stomaco.

« He thinks you're my girlfriend. »

« Come ha fatto a pensarlo?! – ribattè lei con voce strozzata – Ehi, non avrai fatto qualche battuta strana! »

Lui rise ancora e Ichigo sentì il mordente svanire. Ryou era difficile sorridesse e ancor meno che ridesse, ma non avrebbe mai pensato che vederglielo fare potesse scuoterla tanto da sentirsi come ebbra.

« Yeah… I wonder how he could think that… »

Ryou riprese a sfiorarle la frangetta sebbene avesse finito di metterla in ordine, con Ichigo che a stento si muoveva; lui  vide il collarino con il campanellino che lei portava al collo e il decolté abbassarsi e alzarsi veloci per il respiro trattenuto e strinse un poco gli occhi, richiamando il minimo di lucidità che gli impedì di bruciare il palmo di distanza tra sé e la rossa.

« In your opinion? »

Ichigo si limitò a scuotere impercettibilmente la testa. Ryou abbassò il braccio e le prese senza riflettere due dita tra le sue, facendo brevi e leggeri cerchi con il pollice sulle nocche; un angolo della bocca gli si piegò in su, la mano morbida che stava stringendo non era ancora scomparsa dopo un minuto e la cosa lo soddisfaceva troppo per domandarsi se Ichigo fosse solo troppo sconvolta per reagire o se, in fondo…

Rise di se stesso, l'alcol lo rendeva davvero il più stupido dei sognatori.

Ichigo aprì appena le labbra senza emettere suono, la testa completamente vuota.

« Io… Io non… So… »

« "Se il compito andrà bene ti porterò fuori a sfoggiarlo." »

Le ricordò lentamente. Ichigo contrasse la mano ritrovandosi a stringere un po' di più quella di Ryou e il petto le mancò un battito.

« Do you remember the river in the forest…? »

Ichigo divenne scarlatta al ricordo e boccheggiò cercando di distogliere lo sguardo. Ryou, all'improvviso terrorizzato che il minimo movimento brusco distruggesse quell'attimo sospeso, si portò con lentezza esasperante la mano della rossa alle labbra; per Ichigo fu come se le si incendiassero le nocche all'avvertire il tocco umido sulla pelle.

« Non hai mai avuto nessun dubbio? Non ti sei mai chiesta niente? »

La mewneko mosse lentamente il viso a destra e a sinistra. Volle chiedere perché, ma non le uscì la voce.

« So, I'm a great actor. Or you're a bit dull. »

Il suo sorrisetto sarcastico l'aiutò, se non a capire le parole, a coglierne il senso e si corrucciò rabbiosa:

« Io non sono…! »

Ryou piegò la testa di lato rimirandola in silenzio e la protesta della rossa si spense.

« You really don't know why? »

Ichigo era sul punto di negare di nuovo con la testa. Poi si concentrò un secondo in più sul viso di Ryou.
La sua voce era sporcata dall'alcol e i suoi occhi lucidi, ma lei vi lesse con chiarezza ciò che voleva dirle; smise di respirare e di pensare, le labbra del ragazzo ancora ad accarezzarle le dita.

Non poteva essere quello che…

Ryou non poteva… Non era… Di lei…

« Se Aoyama non esistesse… Te lo avrei già detto. »

Ichigo sgranò gli occhioni cioccolato e tutto ciò che riuscì a udire nell'aria ghiacciata fu il cuore che martellava.

 

 

***

 

 

MoiMoi era rimasto per alcune ore dove si trovava. Aveva sperato che i rumori che aveva sentito fossero provocati da uno dei roditori che infestavano le grotte di Jeweliria e che, con il caldo, avevano iniziato a moltiplicarsi in colonie sulla superficie, ma il suono si era fatto via via più vicino e distinto: se fosse stato un roditore, come minimo avrebbe dovuto avere le dimensioni di un cane.

Qualcuno è entrato nel laboratorio.

Ci sarebbe stato da domandarsi come e perché. Grossomodo intuiva la risposta alla seconda domanda, per la prima sperò solo che i suoi sistemi di sicurezza si fossero chiusi un secondo di ritardo in più dopo che Pai e Sando se n'erano andati.

Il tempo era trascorso snervante. MoiMoi non aveva intenzione di lasciare il laboratorio incustodito con un intruso all'interno, nemmeno per andare a dare l'allarme e sigillandocelo dentro, ma non aveva nemmeno potuto avvisare qualcuno della minaccia né andare alla ricerca del clandestino: ogni manovra avrebbe potuto farlo dare alla fuga, e non sapendo com'era entrato non poteva correre il rischio di non scoprirlo. L'unica soluzione era impedirgli di fuggire e di fare danni, chiudendosi dentro con lui – o lei – e renderlo inoffensivo.

Ma non aveva ancora visto nessuno, e l'ospite inatteso ormai era nella sua stessa stanza.

Non poteva aspettare oltre.

Fece finta di non aver notato alcunché e premette un pulsantino nascosto sotto il quadro comandi. Attese in silenzio, ascoltando i movimenti dell'intruso che captava solo perché gli risultavano strani e anomali, decidendo di muoversi solo quando fu sicuro che quella procedura fosse stata completata. La teca delle Gocce fu racchiusa da un coperchio cilindrico e opaco che le nascose alla vista, e MoiMoi scese dalla sua sedia.

Si spostò lentamente verso il centro del laboratorio senza emettere il minimo suono. Sapeva esattamente dove si trovasse ogni filo e ogni vite nella stanza buia, così come sapeva quali piastrelle del pavimento fossero incrinate o quali negli anni avessero preso a fare strani rumori quando ci si appoggiava sopra il piede.

L'intruso non lo scorse, non subito. MoiMoi ebbe il tempo di vederlo dirigersi verso la teca delle Gocce, un istante prima che il ficcanaso lo intravedesse e si allontanasse con altrettanta rapidità sobbalzando.

« Non credo tu debba stare qui. »

Senza una parola l'intruso gli saltò al collo e MoiMoi assecondò il movimento, rotolando sulla schiena e scagliandolo via con una pedata nel plesso solare aiutato dallo stesso slancio avversario; l'invasore si schiantò malamente su un mucchio di macchinari in disuso con le mani sullo stomaco, boccheggiando, e rimase ginocchioni: indossava una grossa tuta d'assalto con schermo mimetico, quindi MoiMoi fu incapace di comprendere non solo chi fosse, ma pure se fosse uomo o donna.

« Ora io e te facciamo un discorsetto. »

Quello non era intenzionato a lasciarsi prendere e tentò di scappare scattando verso l'ingresso, ma MoiMoi gli tagliò la strada e lo agguantò per un braccio. L'avversario non demorse e approfittò della loro differente altezza per fare presa coi piedi e tirare MoiMoi verso di sé; il violetto emise un secco gemito quando fu centrato con una gomitata fra le scapole e si lasciò andare a terra, vedendo  con la coda dell'occhio l'altro correre verso l'uscita. Trovandola bloccata.

« Credi che sia scema? – fece MoiMoi cupo alzandosi – Non ti lascio certo scappare. Ed è inutile che provi a teletrasportarti. »

L'intruso, che tentava ancora inutilmente di ritirarsi, scattò con il capo verso di lui che lo scrutò severo:

« Finché la barriera è alzata, non ti teletrasporterai nemmeno a due metri da dove sei ora. Non finché non saprò cosa volevi fare. »

Lo sentì digrignare i denti e lo vide estrarre un pugnale. MoiMoi bloccò il fendente diretto al suo fianco con il suo martello e schioccò la lingua seccato, in uno spazio così stretto avrebbe avuto parecchie difficoltà ad usarlo senza distruggere tutto quanto.

L'avversario parve saperlo e incalzò con colpi rapidi e brevi, respinti goffamente dall'ingombrante martello di pietra. MoiMoi cercò di non indietreggiare, chiedendosi se i suoi fossero solo tentativi di coglierlo in fallo e riprovare a fuggire, quando capì che invece voleva sorpassarlo e puntare al fondo del laboratorio.

L'idea lo spaventò a morte.

Sa dell'uscita nel Palazzo Bianco!

Sollevò il martello respingendo bruscamente l'attacco e fissò con intensità l'altro in volto, nero e opaco dietro la schermatura:

« Ma chi diavolo sei?! »

 

 

***

 

 

Ichigo scese dalla limousine ringraziando con un inchino silenzioso l'autista del signor Cooper che ricambiò con la mano sul cappello della divisa e un cenno e se ne andò via sgommando.

La rossa ricordava poco e nulla di quanto successo alla villa, dopo le ultime intense parole di Ryou.

Per alcuni minuti nella stanza era calato un silenzio denso e teso e lei a stento aveva osato respirare, gli occhioni castani sgranati. Aveva visto Ryou, all'improvviso, lasciarle a malincuore la mano e alzarsi, andando ad una delle due porte che si aprivano sulla stanza; aveva riconosciuto l'accento del signor Cooper mentre Ryou parlava, ma non aveva afferrato una parola, troppo frastornata. Cooper, ridendo, l'aveva raggiunta poco dopo e si era offerto di accompagnare "anche lei" a casa, dato che Ryou "avendo favorito troppo dal buffet delle bevande non era in grado di guidare la moto". Lei aveva annuito meccanicamente e detto di sì avendo compreso metà del discorso, guardando fissa Ryou che invece tenne le braccia conserte e non fece che passarsi la mano sul viso accaldato dall'alcol.

L'autista riportò innanzitutto il biondo al Cafè, dove lui scese limitandosi ad un brevissimo ciao sempre dando le spalle alla rossa, quindi era toccato ad Ichigo rientrare.

Lei ammirò il profilo lucido dell'auto scomparire dietro l'angolo e prese un bel respiro profondo.

Ryou le aveva effettivamente detto ciò che pensava?

Le aveva confessato di…

E da quando?

Mai, mai avrebbe pensato che l'americano potesse…

Il piccolo Masha, attaccato come di consueto al laccetto del suo cellulare, riprese le sue dimensioni normali e iniziò a pigolare contentissimo:

« Ichigo! Ichigo! Ryou ti ama! Ti ama! Pii! – cinguettò al settimo cielo – Che bello! Che bello! Pii! »

Ichigo lo guardò senza rispondergli subito:

« La cosa ti renderebbe felice? »

« Io voglio bene a Ryou! A Ryou! Pii! – pigolò ancora – E a Ichigo! Voglio bene a Ichigo! Pii! Ti voglio bene! »

E si strusciò sulla sua guancia riprendendo a svolazzarle attorno alla testa:

« Ryou ti ama! Ti ama! »

Le sue parole le fecero saltare un altro paio di battiti.

« Però… In realtà non ha… »

Oh, per favore! Smettila!

Il suo petto si contrasse facendola rabbrividire da capo a piedi. Prese un altro bel respiro e come spinta da qualcosa, si diresse immediatamente al Cafè.

All'inizio a passo svelto, poi in una corsa a perdifiato, il cuore che batteva sempre più veloce e un sorriso di cui non capì la natura che le si formò sul viso man mano che raggiungeva la meta.

Non si chiese perché dovesse parlare con Ryou. Non le importò, ma doveva farlo. Subito.

I lacci dei sandali le divorarono la pelle delle caviglie ma lei continuò a correre, asciugandosi appena il sudore dalla fronte perché non le sbavasse il trucco rendendola una grottesca maschera da clown.

Quando arrivò al Cafè sul vialetto svettava già il cartello chiuso; si frugò nervosamente in borsa, ringraziando di avere un solo mazzo per tutte le chiavi, e con dita tremanti cercò la copia di emergenza che Keiichiro aveva dato a ciascuna di loro. Mai come allora il suono della serratura che girava le causò tali palpitazioni.

Con suo stupore c'era un solo ferro dato. Aprì la porta come a volerla buttare giù e il suo volto si illuminò vedendo Ryou, di spalle, proprio al centro del locale.

« S-Shirogane…! Ascolta, i- »

Le morirono le parole sulle labbra e capì, vedendolo, perché Ryou fosse pietrificato sull'ingresso.

Dentro Keiichiro aveva allestito un po' di the freddo e pasticcini ad un tavolino a cui sedevano le ragazze, esclusa Retasu che probabilmente era ancora fuori; nel gruppo solo una figura stonava, figura che appena la rossa ebbe varcato la soglia si alzò, colma di stupore e gioia, e le corse incontro abbracciandola e volteggiando con lei per la stanza:

« Sorpresa! »

Ichigo si lasciò sollevare da terra inerme. Fu come essersi svegliati in una mattina tiepida e luminosa, appagati da un sonno meraviglioso e ancora intontiti ma rilassati all'idea di godersi qualche altra oretta di ozio tra le lenzuola, per poi rendersi conto di essere in ritardo per mille commissioni e doversi tirare giù dal letto di corsa. L'incomprensibile agitazione e contentezza che l'aveva fatta volare fin lì era svanita e la rossa, incapace di seguire gli eventi, guardò confusa gli occhi castano chiari che la scrutavano allegri:

« Masaya… kun… »

 

 

***

 

 

Sando si voltò di botto corrucciandosi. Si guardò attorno con aria cupa cercando il minimo granello di polvere a sua norma insolito e vide solo gli scranni bianchi dei consiglieri, e iniziò a schioccare la lingua nervoso.

« Sando-san? È successo qualcosa? »

La voce di Teruga impiegò un paio di secondi a raggiungerlo. Sando lo guardò appena e scosse la testa, non c'era nulla che non andasse. Eppure lui sentì le braccia coprirsi di pelle d'oca.

Era stato un brivido, una sensazione di panico istintiva come di fronte ad un animale feroce. Solo che lui era nella sala del Consiglio Maggiore e la sola cosa feroce lì dentro era la voce stridula di Ebode, che per altro aveva lasciato il posto al monotono strascicare del segretario generale.

Che diavolo è stato?

Rimase rigido come una statua non riuscendo a far altro che guardarsi attorno: non c'era nulla di anomalo, nulla fuori posto, nessuno che non dovesse esserci. Si tormentò per diversi minuti prima che capisse cosa poteva aver infastidito il suo sesto senso e gli si ghiacciò il sangue nelle vene.

Scattò giù dal seggio come una molla e si lanciò fuori dalla sala incurante dei richiami di Teruga.

Doveva arrivare al laboratorio immediatamente.

Quella stupida ebete dalla testa viola…!

 

 

***

 

 

MoiMoi sbattè contro la parete e ripiombò a terra stordito; il suo avversario, anche lui il fiato corto, non sembrò sapere che altri pesci prendere per impedirgli di fermarlo. Il violetto si rialzò appoggiandosi al suo martello e si toccò un brutto taglio sulla spalla:

« Inizi a scocciami. »

L'altro parve della stessa idea.

Si gettarono uno sull'altro in contemporanea, ma l'avversario approfittò ancora della loro discrepanza di altezza e lo centrò in faccia con un calcio prima ancora che MoiMoi riuscisse a ruotare la sua arma. Il violetto si schiantò al suolo con un gemito, avvertendo un sapore metallico tra le labbra, e si tenne la mandibola dolorante aprendo mezzo occhio per capire cosa facesse l'intruso: quello si frugò allarmato in tasca ed estrasse un oggettino rotondo, che si lanciò dietro prima di rimettersi a correre.

MoiMoi all'inizio lo scambiò per una bomba fumogena e si tappò la bocca con una mano, alzandosi a fatica; fu il bip che gli risucchiò l'aria dai polmoni a donargli la consapevolezza di cosa fosse quell'oggetto. E di non poter scappare.

Il cielo di Jeweliria era terso quel giorno e la nube nera dell'esplosione che spazzò via il centro ricerche fu visibile anche da chilometri, mentre gli uccelli si levarono dai rami degli alberi vicini infastiditi dal boato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) le scuole in Giappone ricominciano precisamente il 1° settembre (come in Inghilterra :3)

(**) spiegone rapidissimo. All'università in Giappone, come al liceo, esistono i club e sono dei + svariati. Non è raro che i club organizzino eventi (a cui di norma accedono i parenti e gli amici, talvolta tramite biglietto per non avere un'invasione di gente agli eventi + grandi) per attirare nuovi iscritti o raccogliere fondi per il club; esistono anche riviste specializzate su ogni argomenti (ne esistono sul pachinko – è un tipo di gioco d'azzardo – dubito non ne esistano di fotografia :P) e i giapponesi tendono a fare poche discriminazioni su età o provenienza, ma esaltano le capacità di ciascuno.

Tutto sto pippone per dirvi che, anche se lavoro nell'ipotesi, non sto svalvolando :P

(***) durante l'epoca Meiji (1869-1912) in cui l'imperatore e tutto il Giappone si aprirono dopo secoli all'Occidente (more info ;) https://it.wikipedia.org/wiki/Periodo_Meiji)

(****) (yeeeh, un altro cap di noticine xDD) non è una presa in giro, i giapponesi reggono pochissimo l'alcol, il motivo è la mancanza di un enzima che assorba le bevande e impedisca all'alcol di entrare in circolo rapidamente.

 

 

 

 

 

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PAM! Ok potete dirlo, dai ditelo so che volete dirlo –w-

Tutti: [parolacce intraducibili e irriferibili]

C'è qualcuno ancora vivo? Qualcuno che voglia uccidermi? *orda di manine alzate* ok prego, i coltelli di qui e le armi da fuoco di là…

Ragazzi, non ho commenti da fare. Dice da solo, che posso aggiungere? Mi sto sentendo malissimo per tutti, non credo sopravvivrò ç_ç faccio giusto un ringraziamento a Hypnotic Poison che da brava anglofila ha avuto la pazienza di controllare il mio pseudo slang (che io mi incaponisco xké penso ci stia bene, ma sono tonna e spik inglisc comme una sciapre spagnol x°°D)

Ringrazio, bacio, abbraccio per il loro continuo sostegno e per i commentini :3 mobo, Fair_Ophelia, Hypnotiv Poison, LittleDreamer90, _cercasinome_ e Danya ringrazio i lettori e tutti coloro che passano e fuggono xD cento baci! Visto che il cap è un pochino più corto degli ultimi cercherò di aggiornare presto presto, alla prossima.


Mata ne
~♥ !

Ria

 

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Capitolo 36
*** Toward the crossing: eighth road ***


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Niente commenti, so che volete leggere (presuntuosa che non sei altro -.-"" ndKisshu – ehi, vacci piano che mi inquieti ^^"" l'ultima volta che hai detto questa frase è successo l'inferno.)

Andiamo! A dopo!

Ps *Ria ci riprova con l'inglese – parte 2* l'espressione be under the weather  in inglese si traduce nel senso di non sentirsi troppo bene (psicologicamente e/o fisicamente)

 

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Cap. 36 – Toward the crossing: eighth road

               Redhead's under the weather

 

 

 

 

Ichigo sedette al tavolo del Cafè stringendo la mano di Masaya e sorridendo, ma nella testa non aveva altro che il vuoto.

Cosa stava succedendo?

Perché il ragazzo era lì?

Captò a fatica stralci del suo discorso e di quello di Keiichiro, che le sorrise come sempre.

Vacanze… Sorpresa… Arrivo inaspettato… Tutti colti alla sprovvista dalla visita…

Lei sbirciò Masaya in tralice, di cosa stava parlando tutto contento? Non riuscì a capire niente. Le disse qualcosa e annuì senza rispondere, passando lo sguardo su Keiichiro che indicò il veloce rinfresco allestito in fretta e furia sul tavolo e, nel mentre, gettò occhiate preoccupate verso un punto che la rossa non individuò.

Lo conosceva abbastanza da sapere a chi indirizzò quell'espressione paterna e angosciata.

Già. Ryou…

Lei era… Doveva parlare con…

Con le dita chiuse tra quelle di Masaya quasi non fossero le sue la mewneko si guardò lentamente attorno, ma Ryou si era dileguato appena il fidanzato l'aveva stretta tra le braccia.

Era assurdo. Tutto assurdo.

Frastornata notò a stento Purin rispondere al telefono brontolando, ma la voce di Taruto, che si riuscì a sentire dal microfono per tutta la sala del Cafè, fece scattare la mewscimmia sull'attenti e abbassare l'ascia di guerra. Quando le altre la videro diventare pallida e trattenersi dal piangere spaventata si aggrapparono anche loro al cellulare pur di ascoltare e piombò il gelo.

Non si cambiarono neppure, limitandosi a rintracciare Retasu e teletrasportandosi all'ospedale di Jeweliria senza pensarci un secondo.

Trovarono Taruto ad aspettarle appena entrarono e lui le condusse rapidamente dalla parte opposta del complesso, cercando quanto più possibile di muoversi veloce senza correre nei corridoio silenziosi. Si fermò di fronte ad una stanza con un pannello luminoso, in quel momento acceso, che ad Ichigo ricordò con un moto di paura i segnali di terapia intensiva; Taruto aprì lentamente la porta facendoli entrare, venendo squadrato assieme alle ragazze e Ryou da un infermiere non troppo entusiasta del nugolo di persone che bighellonava da quelle parti.

Erano in uno stretto corridoio affacciato su una serie di stanze dalle pareti a vetri: Kisshu, Pai ed Eyner erano raccolti attorno alla terza dall'ingresso, i visi pallidi e furenti.

I terrestri guardarono oltre il vetro e avvertirono un orrendo morso nauseabondo chiudergli il respiro.

All'interno un dottore e quattro infermieri si affaccendavano attorno a MoiMoi, steso sul lettino su un lato della sala. Aveva una maschera sul viso e negli istanti in cui i medici liberavano la visuale era possibile scorgere il suo fiato appannare la superficie trasparente; il torace snello, intuibile in un pezzo di carne nerastro, si abbassava e alzava irregolare scosso da fremiti. I lunghi capelli violetto non c'erano più e su un contenitore d'acciaio si scorgevano le lunghe ciocche, bruciacchiate e rovinate, tagliate senza alcuna grazia perché non raggiungessero la testa. In un altro contenitore c'erano brandelli di vestiti, neri e stracciati anch'essi, in parte dalle fiamme in parte dagli infermieri che li avevano tolti prima che colpissero il resto del corpo, ma perfino da dove si trovavano le ragazze videro le ustioni impietose che affliggevano in più parti la sua pelle più pallida del solito, dilaniandola mettendo in mostra carne viva e divorata dal fuoco.

Retasu si chiuse una mano sulla bocca per non esplodere in singhiozzi, gli occhiali appannati per le lacrime; Purin fece per lanciarsi contro il vetro, ma Taruto la trattenne e lei soffocò il grido vedendo quanta fatica stesse impiegando il brunetto per rimanere calmo.

« Non… Non possiamo…? »

Ichigo con gli occhi lucidi allungò timidamente l'indice verso la porta, ma si rispose da sola e abbassò lentamente il braccio.

« Com'è successo? »

Sussurrò Zakuro, gli occhi fissi su MoiMoi.

« Qualcuno… Si è introdotto in laboratorio, crediamo cercasse il Dono. »

Rispose Eyner con lo stesso volume; la sua voce, più che dal dolore, era incrinata dalla rabbia:

« La sempai ha attivato una procedura di emergenza per mettere le Gocce al sicuro. »

« Vuol dire che non le hanno prese? »

Mormorò Minto. Il bruno tentò un sorriso rassicurante e stese solo le labbra all'insù in una smorfia triste.

« La procedura è stata completata, perciò sono al sicuro. »

La laconica risposta di Pai non soddisfò la morettina che lo fissò sollevando un sopracciglio allusiva.

« È meglio non parlarne. »

Lei squadrò Kisshu ancora più confusa ed irritata e lo vide stringere la bocca in una linea dura e sottile come acciaio:

« Chi è entrato… Sapeva come farlo. Sapeva dove passare e come scappare. »

Alla ragazza si gelò il sangue nelle vene.

« Non starete sospettando di noi, spero. »

Sibilò Zakuro imperturbabile.

« Figuriamoci. – sbuffò Taruto – Ma non sappiamo chi sia stato. »

L'espressione marmorea di Pai non parve concorde, non si capì con quale delle due affermazioni, ma il moro tacque.

« Meglio non parlare troppo in pubblico. »

I terrestri capirono che non era il caso di fare altre domande e si limitarono a guardarsi tra loro in silenzio, i più incapaci di posare una seconda volta gli occhi sul corpo straziato di MoiMoi. Fu solo a quel punto che Ichigo si rese conto che c'era qualcun altro, sprofondato in religioso silenzio su una delle sedie solitarie nel corridoio.

« Sando-san. »

Seduto con le braccia appoggiate alle gambe l'uomo fissava dritto nella stanza con l'impassibilità di una statua di cera. Ne aveva anche il colorito, probabilmente per via della mano destra, o ciò che ne restava: non appariva più nemmeno una mano, ma un mucchietto di carne straziata che perdeva grosse gocce di sangue sul pavimento nonostante la benda che lui vi avevano stretto attorno alla bene e meglio.

« Sando-san… »

Ichigo e Retasu, le dita ancora strette sulle labbra, si avvicinarono un poco all'uomo che non mosse un muscolo; gli occhi della verde furono calamitati dalla mano maciullata e non riuscì a non chiuderli singhiozzando soffocata.

« Aveva detto che c'erano strani movimenti attorno al laboratorio. Credeva che qualcuno stesse pianificando qualcosa. »

Borbottò lui senza controllare che lo stessero ascoltando.

« Non abbiamo trovato niente, però… Le avevo detto che non doveva restare sola. Mi ha dato dell'idiota e spedito via a calci. »

Lo sbuffo che emise dovette apparire come una risata amara, ma ad Ichigo sembrò più un singhiozzo sordo e avvertì la gola serrarsi.

« Non potevi… Non potevamo immaginare. »

Si corresse Pai. Sando soffiò sprezzante:

« Stronzate. »

Scosse la testa e oscillò malamente sulla sedia per il sangue perso. Retasu lo aiutò con garbo a risedersi dritto premendogli una mano contro la spalla ed osò:

« Sando-san, la tua mano… »

« Non ho niente. »

Sbottò con voce fievole. La verde deglutì, c'erano grosse schegge di vetro piantate nella parte di palmo scoperta dalla benda e l'odore della sua carne ustionata le diede un conato. Insisté afferrandogli con dolcezza il polso:

« Sando-san, d- »

Lui scostò il braccio senza curarsi di strattonarla e la fulminò assassino:

« Sparisci. »

« Sempai! »

« Datti una calmata Sando-san. »

« Stai zitto, Eyner! E tu fatti i fatti tuoi Pai! – berciò roco – Non ho bisogno di niente! Men che meno delle prediche di voi mocciosi, sono stato chiaro?! »

« Non servirà a molto se collasserai a terra, o se non potrai più usare la mano. »

« Già, perché il resto è servito a molto! Ma non sei tu quello che è saltato come un petardo! – urlò contro Pai con tutto il fiato rimasto – Vaffanculo! »

« Ora stai dicendo delle stupidaggini. »

Gli rimbeccò a voce più alta il moro, freddo. Sando emise un gorgoglio aspro:

« Quello che faccio sono solo affari miei, mi hai capito ragazzino?!? »

« Che diavolo è questo casino? »

La porta della saletta si era aperta e chiusa così rapidamente che si accorsero del nuovo arrivato solo quando questo proruppe severo per gli schiamazzi di Sando.

Ichigo riconobbe il dottore che stava operando MoiMoi. Era un uomo alto e dinoccolato, con fini capelli di un celeste così pallido da parer bianchi tagliati in modo scomposto, come se ci avessero passato le forbici a caso per un paio di minuti; era impossibile definirne l'età, anche se doveva essere sulla trentina: il suo viso era imberbe, ma aveva lo sguardo cerchiato, la pelle attorno agli occhi stropicciata dalla fatica e le guance incavate, quasi non dormisse da settimane, e appariva di certo più vecchio di quanto non fosse. Era un uomo abituato a parlare sottovoce e con calma, lo si capì dal tono, ma ciò non tolse né alle sue parole né al suo sguardo, fatto di un iride cobalto e uno nocciola, la collera con cui si rivolse a Sando:

« Siamo in una corsia di ospedale, non al mercato. »

« Tappati quel cesso di bocca, Ake. »

Il dottore non si scompose e continuò a fissarlo severo, passandosi due dita sulle labbra con un tic nervoso:

« Devi farti medicare quella mano. »

Le pupille di Sando divennero due spilli e lui digrignò i denti caricando un sinistro con tutto il proprio peso:

« Ti ho detto di stare zitto! »

Le ragazze sobbalzarono terrorizzate e pronte a vedere il povero dottore scagliato per il corridoio. Invece Ake si limitò a tracciare un piccolo cerchio con il palmo della mano e il pugno di Sando rimbalzò contro una superficie invisibile e infrangibile.

Il verde imprecò tra i denti cacciando indietro la spalla per il rinculo, retrocesse di un paio di passi e caricò di nuovo con un urlo da belva; Ake sporse in avanti il braccio e Sando si ritrovò con il pugno teso e l'arto che tremava fino alla cima, mentre il dottore gli si avvicinò senza toccarlo e l'altro si piegò in basso schiacciato da una forza incorporea.

« Guarda che io non sono calmo come la senpai. – gli sibilò minaccioso il medico – Poi ti rimetto a posto, ma prima il braccio te lo spezzo. »

Sando gemette sotto la spinta invisibile del palmo di Ake e finì in ginocchio ritraendo il pugno con un lamento di dolore. Ake lo squadrò inflessibile, calmissimo proprio come gli altri jeweliriani che si lasciarono giusto sfuggire qualche sospiro rassegnato e preoccupato; Taruto scrutò il suo ammirato mentore con le labbra strette e il volto angosciato.

« Vai a farti medicare quell'ammasso di carne trita, imbecille. »

Sando strinse i denti e imprecò a bassa voce, alzandosi a testa bassa; ringhiò sconfitto e si allontanò nel corridoio barcollando, la rassegnazione dipinta negli occhi blu.

I terrestri, ancora frastornati, lo guardarono chiudersi la porta alle spalle e subito dalla sala operatoria si udirono lamenti strozzati, voci concitate e macchinari impazziti. Ake guardò nella sala e nonostante l'agitazione uno degli infermieri gli fece un cenno, e lui non entrò; passando con un solo gesto il dito sulla superfice fredda rese i vetri opachi e inviolabili, neppure i rumori si udirono più e il corridoio piombò nel silenzio.

« Non è roba per bambini. »

Fece laconico agli sguardi attoniti delle ragazze. Il dottore ebbe l'impressione che quasi tutte, con Taruto a dare supporto, volessero inveirgli contro o più probabilmente saltargli al collo, e passò l'attenzione ai due terrestri che gli parvero più inclini a dialogare senza minacce:

« Ake Garuchi. Ake va benissimo. – si presentò a Zakuro e Ryou e si massaggiò gli occhi cerchiati – Potreste anche smettere quelle facce da funerale. Per il botto che l'ha presa, Luneilim  se l'è cavata alla grande. »

« Cavata alla grande? »

Ichigo si impose si rimanere calma e si conficcò le unghie nei palmi, squadrando rabbiosa il dottore con gli occhi colmi di lacrime; Minto indicò la stanza oltre i vetri opachi e sussurrò furente:

« Quella non è la definizione che darei io. Per niente! »

Ake le studiò troppo stanco per fingere di poter essere condiscendente:

« Preferivate la recuperassimo un pezzo qua e uno laggiù? »

Purin si lasciò sfuggire un gemito e fu certissima di prenderlo a pugni, ma Retasu l'afferrò e la trattenne cingendola con decisione e premura per le spalle che avvertì tremare.

Ake sospirò e tirò fuori dalla tasca un piccolo tubetto verde pallido arrotolato che odorava di erba, simile a una sigaretta; non vi diede fuoco, ma se lo portò alla bocca e lo mise tra le labbra iniziando a mangiucchiarne un'estremità con fare irrequieto.

« Quindi? »

Chiese Ryou più calmo che potè. Ake diede un altro paio di morsi e sospirò:

« Credo si sia protetta all'ultimo secondo, ma è servito a poco; qualunque cosa abbiano gettato era potente. »

Pai tenne le braccia incrociate e strinse le dita annuendo grave, ripensando alle misere macerie fumanti che rimanevano del centro ricerche. Ake mangiucchiò un altro paio di minuti il suo tubetto e si rivolse ai tre jeweliriani più grandi con tono più lieve:

« Per adesso ci occuperemo di contenere i danni delle ustioni e metterla in sicurezza, con quella merda di zona morta in stasi a cento metri da qui è un niente che si infettino le piaghe. – fece più distaccato che potè – Ma temo che dovremo metterla in rigenerazione. »

« Cosa… Cosa vorrebbe dire? »

Chiese Retasu con un filo di voce. Ake scrutò i grandi occhi sconsolati della verde e non seppe come risponderle:

« Verità nuda e cruda? »

Domandò semplicemente di rimando. La mewfocena sci cambiò un'occhiata con le amiche e annuì.

« Ci sono punti in cui non c'è rimasto molto. – disse Ake incolore – Normalmente possiamo fare in modo che si riformi l'epidermide, ma la pelle non attacca sulle ossa. Per non dire di quel che c'è dentro, o meglio, che è rimasto… »

Ichigo sbattè il piede a terra per zittirlo. Il colpo rimbombò nel corridoio, ma lei non disse nulla, i pugni tesi lungo il corpo, e corse fuori senza ascoltare altro; Minto la imitò nemmeno due secondi dopo, chiudendosi la porta alle spalle con un tonfo leggero e asciugandosi stizzita le guance umide.

« … Cosa intende per "rigenerazione"? »

Ake fissò inespressivo Zakuro senza rispondere alla sua domanda.

« Ricordate… Quando siamo partiti per Glatera? – intervenne Eyner al posto suo – Ho avuto quel problemino… »

Purin studiò confusa le altre due ragazze che invece annuirono e non le diedero spiegazioni.

« Lo stesso principio. »

« Accelereremo e stimoleremo la guarigione. – aggiunse Ake mettendo via il suo mozzicone – Di norma il corpo non può rigenerare parti troppo complesse; Luneilim ha un gran culo a non aver mai usato quell'aggeggio. »

Retasu e le altre apparvero confuse e fu Pai a chiarire atono:

« Il sistema di rigenerazione può essere usato solo per un tempo limitato durante tutto un arco vitale e con una calibratura ben precisa. Altrimenti gli effetti collaterali possono essere devastanti. »

Retasu annuì, ma appena incrociò lo sguardo ametista del ragazzo scostò la testa, ancora risentita dalla rudezza con cui si erano separati ore prima e troppo triste e sconvolta per fingere di sopportare il dispiacere che le provocava la sua presenza.

« Ah! – esclamò Purin – Ecco perché quello Zizi…! »

« Non crederai che il braccio gli sia rispuntato così, per magia vero? »

La canzonò Kisshu, eppure nonostante la volontà di scherzare il suo tono mancò del nerbo pungente e sembrò a malapena un borbottio seccante. Ake si massaggiò la tempia e schioccò le dita guardando tutti loro con fare scocciato:

« Su, via adesso. Aria. Tanto qui riuscite solo a rompere. – bofonchiò – Vi manderò a dire ogni novità. »

Purin gli scoccò un'occhiataccia e l'uomo tentò di rassicurarla ancora con fare più dolce:

« Lo prometto. »

La biondina non sembrò convinta ma annuì, e tutti uscirono mesti fino al cortiletto di fronte all'ospedale.

Di Ichigo non videro traccia. Ryou si sentì sprofondare: l'istinto gli gridò di andare a cercarla, per Jeweliria, a Tokyo, perfino sotto i sassi se necessario, ma una vocetta più vigliacca e maligna gli disse che, probabilmente, la rossa era corsa a consolarsi tra le braccia del suo sospirato Masaya, e tutto ciò che il biondo fece fu restare dove si trovava.

Minto era invece ad una decina di metri da loro, in piedi immobile con le strette mani attorno alle spalle mentre fissava il vuoto.

« Minto-san… »

« Le parlo io. »

Con un gesto deciso ma garbato Zakuro allungò il braccio e fermò Retasu dal tentativo di raggiungere la mewbird, avvicinandosi poi lei stessa con attenta accortezza. La mewfocena le studiò crucciata e cercò tracce di Ichigo, preoccupandosi ancora di più:

« Dove sarà andata? »

Ovviamente nessuno le rispose. Purin la prese per un polso e la tirò un poco per dirle di seguirla ed entrambe si allontanarono cercando la mewneko, mentre Pai si rivolse a Eyner:

« Voglio ispezionare il laboratorio. Prima che ci infili il naso il Corpo Disciplinare. »

Il bruno annuì soltanto.

« Taruto, tu vai a parlare subito con Teruga-san – ordinò ancora il moro – fai in fretta. »

Si scambiò appena un'occhiata d'intesa con Kisshu, visto quanto successo sarebbe stato meglio se lui ed Eyner fossero rimasti vicino alle ragazze, non sapevano se il colpo fosse solo diretto a recuperare le Gocce o contro di loro. Il bruno raggiunse velocemente Retasu e Purin intanto che gli altri due ragazzi si teletrasportarono via, e Kisshu rimase lì guardando Zakuro e Minto ancora impegnate in una fitta chiacchierata di sussurri. Lui e Ryou si avvicinarono un po', in tempo per cogliere la mewbird chinare la testa e avvilita annunciare di voler rimanere da sola, allontanandosi poi a passo marziale verso il portale per la Terra.

« Stai tranquilla – rincuorò Ryou notando l'aria inquieta di Zakuro – Minto è molto più forte di quanto sembri. »

« Lo so – sospirò la mewwolf – è proprio questo che ora mi preoccupa. »

 

 

***

 

 

« Ichigo. Ichigo. Sei triste? Sei triste? Pii? »

La rossa non rispose al robottino e gli accarezzò la testolina pelosa, continuando a camminare trascinando i piedi.

Le ragazze l'avevano raggiunta un secondo prima che varcasse il passaggio per casa e l'avevano seguita, anche loro stordite e incapaci di capire cosa potessero o dovessero fare; Masaya le stava attendendo subito oltre il portale e appena le vide corse loro incontro preoccupatissimo e strinse tra le mani il volto cereo e assente della mewneko, domandando spiegazioni. Ichigo aveva borbottato i fatti alla buona, sentendo la voce affievolirsi e gli occhi riempirsi di lacrime, e alla fine con il magone aveva declinato la proposta del moro di farle compagnia e sostenerla: la rossa aveva bisogno di quiete, di riportare il cervello su dei binari che non la costringessero ad un crollo definitivo, e Masaya in quel momento con la sua ricomparsa inaspettata era un elemento di grande scompenso. Non volle neppure la compagnia delle ragazze; lei era la loro leader, avrebbe dovuto sostenerle e rassicurarle positivamente, ma non sarebbe mai stata in grado di farlo così come si trovava.

Ignorò le raccomandazioni di Eyner sul rimanere da sola e raggiunse casa sua ringraziando che non ci fosse nessuno. Scrisse due righe in cui annunciava di essere stanca per la giornata e aver mangiato più che a sufficienza alla festa, corredando il messaggio di smile e stelline per apparire più tranquillizzante, e corse di sopra girando la chiave nella toppa.

Fuori. Doveva chiudere tutto fuori. Fosse entrato alcunché, fosse solo la voce di suo padre che le chiedeva con la sua solita simpatica invadenza come fosse andata la giornata, Ichigo non avrebbe retto.

La rossa affondò la testa sulla toletta e aprì distratta il suo scrigno di accessori per capelli. I nastrini di MoiMoi erano proprio in cima e lei ne prese uno con la punta delle dita, frizionandolo tra i polpastrelli ipnotizzata dal rosa acceso della stoffa.

Il giorno in cui li aveva visti tra le mani del violetto le parve lontano secoli. Lei aveva sorriso contenta per il gesto gentile di un estraneo appena conosciuto, e ora li rimirava carica d'affetto.

Strinse la strisciolina di stoffa tra le dita e nascose il viso tra le braccia. Masha le svolazzò attorno e proclamò deciso:

« MoiMoi è forte. È forte! Andrà tutto bene, pii! MoiMoi è forte! »

Sorrise soddisfatto della certezza delle sue affermazioni e Ichigo, singhiozzando, lo afferrò e lo strinse a sé nascondendo di nuovo il viso, le spalle scosse dal pianto.

Era lì con loro. Fino al giorno prima MoiMoi era lì con loro, ad aiutarle, a sostenerle, ad impegnarsi cuore e anima per la sua gente. E di colpo Ichigo non sapeva se avrebbe mai più sentito la sua voce.

« MoiMoi-chan…! »

 

 

***

 

 

Minto passeggiò in silenzio per il palco deserto, i tacchi bassi che riecheggiarono per l'acustica fino in fondo alla platea vuota; di norma nessuno sarebbe potuto entrare lì fuori dalle prove, ma con tanti anni di partecipazione al balletto era ormai una conoscenza degli addetti alla sicurezza e alle pulizie, le era bastato chiedere e loro l'avevano accolta.

« Solo una mezz'oretta. – le aveva raccomandato ammiccando l'inserviente dirigendosi ai camerini – Poi dobbiamo chiudere. »

Minto aveva sforzato un sorriso e annuito stringendosi le mani sulle braccia. Non era la prima volta che si ritrovava ad ammirare il teatro vuoto, le dava sempre una certa sicurezza prima degli spettacoli vedere che il luogo dove trasformava i suoi sforzi in realtà non era che un ammasso di legno, acciaio e cavi, era un modo per esorcizzare l'atavico terrore del palcoscenico. In quel momento, invece, era un luogo famigliare e accogliente in cui lasciare uscire lo sgomento che continuava a farle tremare le mani, ben più che la sua sontuosa stanza nell'enorme desolazione di casa.

« Cornacchietta trovata  . »

La morettina ruotò su se stessa di scatto e avvertì un piccolo battito asincrono mentre, corrucciandosi, squadrava la faccia strafottente che le fluttuava a mezzo metro dalla sua.

« Come accidenti mi hai trovata? »

« Scommessa. – sorrise lui – Non conosco tanti posti in cui potresti sparire. Visto che (dovrebbe esserlo, giusto? Se ricordo bene) è qui che vieni a dimenarti come un'ossessa… »

« Io ballo su questo palco. – lo sferzò severa – Comunque nessuno ti ha chiesto di trovarmi. »

Lui librò a terra e alzò un sopracciglio allusivo:

« Dopo oggi, non è molto intelligente che restiate da sole. »

Minto non rispose e gli diede le spalle.

« Sei sparita, non rispondevi al telefono e la lupa si è preoccupata. – continuò lui seguendola – Così ci siamo messi a cercarti. »

La mewbird si fermò e lo guardò da oltre la spalla:

« L'onee-sama… È arrabbiata? »

Il verde sorrise divertito della sua preoccupazione:

« Solo un po'. »

Minto strinse il labbro inferiore e si girò di nuovo, seccata; prese il telefono dalla tasca, ci dovevano essere almeno una decina di messaggi e non sapeva quante chiamate perse dalla mewwolf e da Ryou. Rimise il cellulare in tasca un po' stizzita:

« Non sono una bambina. Non mi serve il babysitter. »

« Su questo non ci piove. »

Lei roteò gli occhi infastidita e scosse la testa al suo ghignetto non capendo la battuta, e camminò fino a trovarsi ad un passo dal retropalco; sperò che Kisshu considerasse il suo lavoro concluso e se ne andasse, annoiato, invece ascoltò i suoi passi veloci seguirla con prudenza.

« Senti, non mi va di ascoltare le tue prese in giro. – gli disse lugubre – Non sono decisamente dell'umore. »

« Credo che nessuno lo sia. »

Le fece notare e Minto si voltò irritata:

« Tu mi sembri parecchio rilassato. »

Ribattè velenosa e lui fece un sorriso sghembo:

« Vedo che siamo sempre bravissime ad intuire le cose sbagliate. – disse pungente e il suo sguardo s'indurì – Sto solo cercando di mantenermi lucido. »

Strinse le nocche finché non divennero candide e scoprì i canini, la voce che si alzò di tono ad ogni parola:

« Se ora come ora avessi una minima idea di chi sia lo stronzo che ha ridotto a quel modo la senpai, ti assicuro che non ne ritrovereste abbastanza neppure per seppellirlo. »

Minto non ribattè e un lievissimo brivido freddo le attraversò la schiena per gli occhi feroci e spietati del ragazzo, ricordandole quanto poco campate per aria potessero essere le sue minacce. Kisshu prese un lungo respiro e rilassò le spalle ritornando più calmo:

« Ma… Visto che non abbiamo indizi, e che ci occorrerebbe abbastanza vivo da poter parlare, cerco di mantenermi calmo. Tutto qui. »

Minto tenne sempre le labbra strette fissando corrucciata i graticci bui sopra di sé:

« Beh, in questo caso complimenti. Hai la mia stima. »

« Eh? »

« Io ci sto provando da ore. »

La mewbird si strinse di nuovo le spalle:

« Lo so che Zakuro ha ragione e… E che non serve! Però…! – le dita e le braccia le rabbrividirono di rabbia – Non ci riesco. Sono furiosa! »

Si girò di scatto sbattendo il piede a terra, l'espressione irosa e frustrata:

« MoiMoi-san ha fatto i salti mortali perché non ci accadesse nulla, e quando ha avuto bisogno era da sola! Non ho potuto fare niente, e non posso adesso… Devo solo aspettare! – chinò lo sguardo avvilita – A che serve essere un mutante potenziato quando non posso proteggere chi mi sta a cuore? »

Strinse i denti e mandò un sospiro nervoso:

« Lo so anch'io che non cambierebbe niente, che non potevo prevedere le cose e che devo pensare a… Ma non ci riesco. Sono arrabbiata e basta. »

Chiuse la bocca e tornò a dare le spalle al ragazzo, doveva sembrargli stupida e infantile e si pentì dello sfogo, ma era troppo orgogliosa per darlo a vedere. Kisshu sospirò divertito:

« Incarognita o principessina supponente e acida. Mi sa che non c'è verso di vederti con una faccia un po' più carina. »

« Grazie, sei molto di aiuto insultando la gente. – berciò lei trucidandolo con un'occhiata – Te l'ho detto, se hai tempo per fare battutacce sparisci! »

Si girò per andarsene ed emise un singhiozzo strozzato trovandosi il naso a sfiorare la maglietta del verde; per un secondo temette volesse baciarla di nuovo e avvertì il cuore piombarle in fondo alla pancia, ma lui fece una strana smorfia e le accarezzò la cima della testa. Minto arrossì indispettita:

« Che diavolo fai? »

Gli schiaffeggiò la mano e Kisshu continuò a sorridere storto:

« Mi è venuta voglia di farlo. »

« Tieni a bada le tue "voglie" sono pericolose. »

La guardò malizioso:

« Preferivi un altro baci- ouf! »

Minto lo centrò con un pugno nello sterno e lo spinse via allontanandosi verso i camerini a larghe falcate:

« Idiota! »

« Ahi, manesca. – ribattè lui – Cacchio, che male! Penso di essere in arresto cardiaco. »

« Tu non hai un cuore – ringhiò la morettina – sei solo un ammasso di istinti perversi. »

« Cornacchietta insensibile! »

Minto cercò di non badare alla sua presenza che la seguiva, né al proprio cuore che non si era ancora calmato.

Insomma…!

« E ti ho già detto di non darmi nomignoli di sorta. »

Lo apostrofò rizzando il mento con passo marziale.

« Beh meglio cornacchietta di mutante. »

Lei si girò sorpresa.

« Non è un aggettivo molto carino. »

« … È quello che sono. »

« Nah. »

Le batte l'indice sulla fronte:

« Un petulante passerotto inacidito. »

Minto roteò gli occhi e fu lì per dirgli l'ennesima volta di stare zitto e lui le baciò la punta del naso; la mewbird si vergognò avvertendo il viso incendiarsi e gli battè il palmo contro la spalla:

« Stai alla larga da me, accozzaglia di libido senza cervello! »

« Non sai proprio stare agli scherzi. »

Lei ringhiò qualcosa e parve lo mandasse a quel paese. Kisshu ridacchiò e si ritrovò in dubbio, se esporsi al definitivo ceffone dalla mora seguendola o rischiare di essere sbranato da Zakuro per non averla riportata a casa.

 

 

***

 

 

Tutto il Palazzo Bianco era in subbuglio. I consiglieri si riunivano in gruppi parlottando gravi mentre si discuteva su indire una riunione di emergenza, i soldati circolavano a passo svelto per i corridoi con le mani sulle armi e i volti tesi e gli inservienti tentavano di svolgere le mansioni prestabilite alla chetichella guardandosi allarmati e sussurrando tra di loro. Tutti sapevano e nessuno diceva, angosciati dall'esplosione che aveva coinvolto il centro ricerche e dalle voci di corridoio che confermarono essere stato opera di un interno. Il ricordo di anni più bui e difficili, di fame, di freddo e di tumulti nelle strade, e quello ancor più vivido delle accese proteste contro l'esito della missione terrestre serpeggiarono nei pensieri di tutti senza venire nominati, ombre scure sul futuro pacifico e fragile di Jeweliria.

Ebode si era ritirato in un angolo più tranquillo e non faceva altro che torturarsi il pollice per non sorridere estasiato; il suo piano aveva preso una forma inaspettata e propizia.

Magnifico.

Avvertì una mano afferrarlo per il bavero della casacca da consigliere e trascinarlo in un angolo buio; l'uomo, più avvezzo ad usare la lingua del corpo, fu scrollato opponendo minima resistenza e fu sbatacchiato con un lamento contro la parete, due pugni che stringevano la stoffa dei suoi abiti sollevandolo.

« Mi hai ingannato… Vecchio bastardo!! »

« A-a-ascolti, si calm- »

La sua spia lo sbattè con maggior forza contro la parete e sbraitò sottovoce:

« Mi hai ingannato! »

« No si… Si sbaglia! – gemette strozzato – Mi lasci…! »

« Era una bomba! Una fottutissima bomba, stronzo! – continuò a sibilare senza mollarlo – Hai voluto fregarmi, vecchio porco viscido! »

Lasciò finalmente la presa ed Ebode si accasciò contro la parete tossendo. Nella penombra scorse un luccichio e un tintinnio metallico e sudò freddo.

« Dammi una sola ragione perché non dovrei aprirti la gola da una parte all'altra, proprio qui e adesso. »

« Non… Non la farebbe mai franca. – rispose l'uomo con voce tremante – Capirebbero! »

« Hai troppe speranze di avere qualcuno che piangerebbe la tua dipartita – lo canzonò – e stai certo che impiegherebbero comunque molto, molto tempo per trovarti. »

Ebode deglutì di terrore e sentì la lama tintinnare nuovamente.

« Non avevo idea che fosse una bomba…! »

« Porco bugiardo. »

Ebode strinse i denti e sentì il filo premere contro la giugulare.

« Non mi freghi con le tue paroline contrite. »

L'odio in quella voce diede a Ebode l'impressione di avere ghiaccio liquido nelle vene, eppure il rivoletto di sangue che gli scivolò sulla gola fu caldo e denso.

« L'ho quasi uccisa per colpa tua, vigliacco bastardo. »

« Glielo giuro, glielo giuro! – insisté l'uomo nel panico – Non avevo idea che fosse una bomba! Sono stato ingannato esattamente come lei! »

La sua spia avvicinò le dita sul bavero della sua tunica e rimase immobile, i denti stretti, e dopo interminabili secondi di terrore da parte di Ebode lo lasciò andare. L'uomo rimase a terra alcuni secondi prendendo respiri veloci e rumorosi, gocciolando sudore gelido dal naso adunco e spaventato all'idea di sbirciare il suo accolito per capire le sue future intenzioni.

« Le sue frottole le si ritorcono contro – gli soffiò sprezzante – il suo prezioso Dono è ancora in mano degli amici di Luneilim. »

« Ma non capisce…? – fece Ebode rialzandosi piano – Si guardi attorno. C'è il panico, tutti sospettato di tutti: tra non molto l'alleanza con i miseri terrestri verrà sciolta, non c'è altro modo per evitare rivolte interne che eliminare lo spettro dei nemici umani; il Consiglio capirà quanto è stato stolto a permettere a persone inadatte di toccare il lascito degli Avi. »

« Lei è un sognatore. – sospirò gelidamente – L'unica cosa che accadrà adesso sarà la mia ricerca su scala planetaria. »

« Ikisatashi non la troverà mai! – esclamò lusinghiero l'uomo – Siamo stati accorti. »

« Lei non ha idea di cosa sia capace di fare il colonnello Ikisatashi. – sentenziò – Smuoverà le montagne pur di scovare chi ha fatto tutto questo. »

Ebode squittì vedendo ancora la lama lambirgli il naso:

« E stia certo, che in quel preciso momento la porterò all'aldilà con me. »

Ebode fu lasciato solo e quando fu sicuro che la sua spia si fosse allontanata, e la paura lo ebbe abbandonato, il suo volto incartapecorito si tese in un ghigno: le minacce erano solo parole vuote, lui sarebbe uscito da tutto ciò immacolato, nella gloria di nobile sostenitore della nuova Stirpe Pura; ormai i pezzi erano al loro posto, doveva solo attendere.

 

 

***

 

 

Pai, Keiichiro e Ryou lavorarono tutta la notte per trasferire il poco materiale sopravvissuto dal centro ricerche distrutto e tutti i dati, salvati su un sistema sicuro da MoiMoi e dal moro, direttamente al laboratorio sotto al Cafè. Pai non trovò saggio fidarsi di altri all'infuori di loro, forse gli unici che non avevano ragioni sensate per tentare il furto della MewAqua, e sulla Terra avrebbero potuto continuare a lavorare senza paura che qualcuno carpisse informazioni.

« Sarebbe stupido vanificare gli sforzi fatti finora. Dobbiamo proseguire. »

Aveva detto laconico e Ryou, con sua sorpresa, per una volta lo appoggiò con calore. Seppur con la tacita tregua stabilita tra loro, Keiichiro non riuscì a non pensare che le ore di lavoro trascorressero molto più lente e silenziose e che fosse palpabile l'assenza dell'altra mente del quartetto, ad alleggerire l'aria immobile.

Il mattino successivo non furono solo le ragazze che, mogie e taciturne, varcarono la soglia del locale; tutta la combriccola aliena stava bazzicando per i tavoli quando arrivarono: scomparsa la loro base operativa e trasferita nei sotterranei del Cafè, non c'era ragione rimanessero a guardia di un edificio in rovina.

« Quindi bighellonerete qui attorno d'ora in avanti? »

« Sei dolce come un frutto irrancidito, cornacchietta – sbuffò Kisshu levitando a gambe incrociate – per il momento ci limiteremo a non sollevare troppe domande a Palazzo scomparendo in massa, faremo dei turni. »

« In ogni caso è bene che non rimanga nessuno da solo. »

Aggiunse Eyner e sfiorò discreto la schiena di Zakuro con la mano; lei lo guardò e annuì lievemente.

« La senpai è una tosta – fece Taruto cupo – chiunque l'abbia sconfitta deve aver fatto qualche vigliaccata sicuro…! Se siamo in gruppo non rischiamo ci colgano di sorpresa. »

Cercò appoggio in Purin con un mezzo sorrisetto tronfio, ma lei si limitò a incrociare le braccia dietro la schiena e girarsi imbronciata.

« Avete scoperto cos'ha causato l'esplosione? »

« Finora niente – sospirò Eyner – abbiamo trovato qualcosa, forse i resti di un ordigno, ma non c'è granchè. »

Minto fece un cenno d'assenso.

« Almeno il nobile Ronahuge ha convinto i Membri Ristretti a metterci una pezza – bofonchiò Kisshu stiracchiandosi – al momento nessuno può avvicinarsi al perimetro. A parte noi. »

La mewbird annuì ancora ma mosse il capo in cerca di altre spiegazioni, che non arrivarono.

« … Sando-san come sta? »

I due ragazzi più grandi studiarono Retasu all'unisono.

« … A quanto ne so, ci hanno messo un po' a sistemargli la mano. – rispose Kisshu piano – Non era messa bene. »

« Quella testa di marmo ha aspettato troppo. Non ha il minimo di senso. »

Sentenziò Pai stancamente, risalendo dal seminterrato e sbattendo gli occhi infastidito dal sole.

« L'ultima volta che l'ho visto stava andando a vedere la senpai – aggiunse Taruto abbattuto – non credo sia ancora uscito. »

Si morse il labbro nervoso e preoccupato e Purin, anche se senza sorridere, pensò di potergli concedere una piccola tregua e gli passò una mano sulla spalla.

« Quando possiamo andare a trovarla noi? »

« Adesso è in stasi rigenerativa – le spiegò Eyner fraterno – non è una bella cosa da vedere, Purin-chan. »

« Cosa intendi? »

Eyner non rispose, incerto, e Kisshu borbottò:

« Avete presente quei video, cosi, che fate voi umani per vedere in un minuto una pianta che cresce in mesi? Ecco, tipo così, solo che vedi le ossa e- »

« Kisshu, smettila. »

Lo rimproverò il bruno vedendo come le ragazze fossero divenute pallide; anche Zakuro si pentì della domanda fatta e strinse più forte le braccia al petto. Da sotto risalirono pure Ryou e Keiichiro, entrambi sfatti dalla nottata in bianco, ma il bruno si sforzò di fare il suo solito sorriso:

« Ora ciò a cui dobbiamo pensare è rimettere all'attivo tutto quello che c'è dabbasso, e noi altri occuparci del locale – fece con tono gentile verso le ragazze – lavorare aiuta a distrarsi. »

Le ragazze fecero cenni d'assenso poco entusiasti e si misero al lavoro. Ichigo uscì apponendo il cartello di apertura e rientrò in totale silenzio: aveva dormito pochissimo e male e la sua testa faticava a mantenere lucidi tutti gli eventi delle ultime ventiquattro ore, che la facevano sentire stordita e confusa.

Non badò alla porta che si aprì né alle voci che la raggiunsero, voci straniere, finché una mano familiare non la richiamò gentile:

« Buongiorno. »

Il sorriso di Masaya, in grado di scioglierla dalla disperazione più gelida, impiegò una manciata di secondi a far presa sulla rossa che rispose con tono stentato.

« Stai bene? Mi sembri davvero pallida – sussurrò il moro preoccupato – Hai fatto colazione? »

Lei annuì senza rispondere. Masaya non sembrò convinto e sospirò, facendo un saluto silenzioso alle altre ragazze e a stento considerando gli alieni vicino alla cucina; nel suo intontimento Ichigo razionalizzò solo dopo qualche istante l'effettiva coesistenza del fidanzato e dei loro nuovi alleati, oltre a quella di nuovi ospiti, e si girò allarmata guardando prima lui, poi gli alieni e poi il gruppetto che era entrato; sospirò di sollievo – ovviamente Kisshu e gli altri non avrebbero mai girato in zona senza avere gli schermi attivi – e cercò di sorridere al giapponese notando come la studiasse frastornato:

« Scusa… Oggi sono distratta. »

« È per via di quello che è successo ieri, vero? »

Lei annuì e chinò il capo. Masaya le cinse le spalle e la invitò a presentarsi ai suoi accompagnatori per distrarsi e Ichigo lo fissò senza capire:

« Chi sono? »

« Come? Non ti ricordi? Te ne ho parlato ieri. »

Lei sbattè le palpebre non ricordando assolutamente nulla e scrutando il terzetto di clienti evidentemente stranieri; probabilmente era successo quando Masaya l'aveva accolta al Cafè, ma lei non aveva memoria dei suoi discorsi.

« Ieri è stata una giornata difficile – constatò lui premuroso – sono alcuni dei ragazzi della mia classe a Oxford. Sono iniziate le vacanze e anche se loro e io resteremo al campus, siamo riusciti ad organizzare una piccola fuga. »

Le ammiccò e lei annuì fingendo di ricordare e sentendosi in colpa. Masaya la portò di fronte al tavolo dove sedevano due ragazzi e una ragazza: dei maschi uno era bruno e pure da seduto era chiaro fosse parecchio più alto della giapponese, l'altro era biondo e ridente; la ragazza aveva il viso rotondo e due grandi occhi verde scuro, capelli rossi lisci con un'infelice frangetta e lentiggini sulla pelle rosea. Tutti e tre parevano patire il caldo afoso di Tokyo e si beavano dell'aria condizionata nel locale, e quando videro Ichigo scortata dal loro amico i due ragazzi proruppero in sorrisi maliziosi e saluti vivaci, mentre la ragazza sorrise discreta.

Masaya disse alcune parole indicandola e Ichigo non si sforzò di capire né quelle né la risposta dei presenti, intuendo solo che il moro l'avesse presentata e loro la stessero salutando.

« Rick, Josh ed Emily. »

Le indicò poi Masaya passando per primo dal ragazzo bruno e Ichigo ricambiò con un piccolo inchino, scatenando gli apprezzamenti dei due ragazzi che dovevano trovare grazioso e divertente il suo modo composto di presentarsi tanto nipponico.

Masaya disse qualcos'altro ai ragazzi che provocò una decisa delusione e poi, mentre continuava a spiegare, volti contriti e frasi rivolte alla rossa che captò solo la parola sorry.

« Ci dispiace molto. »

Sorpresa la mewneko si voltò verso la ragazza che aveva parlato giapponese, sebbene stentata e con un fortissimo accento inglese.

« La tua amica stare bene. I'm sure. »

Proseguì Emily e Ichigo immaginò che Masaya avesse spiegato a grandi linee cosa le fosse accaduto ieri; la ringraziò con un sorriso:

« Certo. »

Emily ricambiò e tornò a parlare con i suoi compagni e Masaya, ma Ichigo ebbe l'impressione che la osservasse di tanto in tanto con aria triste.

« Sono dispiaciuti che tu non possa venire con noi. – disse ad un certo punto Masaya – Sperano che quando le cose andranno meglio potrai, magari prima che ripartano. »

Ichigo lo fissò senza replicare.

Ah, era questo che erano venuti a fare qui…?

Non ne aveva il minimo ricordo, non aveva davvero ascoltato una sillaba di Masaya il pomeriggio precedente. Annuì e cercò di sorridere, ma la frase di lui la irritò moltissimo. Sembrava che quanto successo a MoiMoi fosse un innocuo incidente domestico, qualcosa per cui preoccuparsi ma che non avrebbe dovuto turbare la quotidianità della mewneko.

Era evidente – o almeno così avrebbe dovuto essere agli occhi del moro – che la situazione era ben più grave di quanto avesse raccontato ai tre inglesi e che fare da guida turistica con lui, per Ichigo, era in fondo ad una lista di pensieri inutili, ma lei non disse nulla e con la scusa di aver del lavoro da fare in cucina lasciò Zakuro a prendere gli ordini, visto che parlava inglese perfettamente.

La rossa finì di sistemare gli altri tavoli, le tremarono le dita per tutto il tempo. Una sensazione soffocante di rabbia e angoscia prese a formicolarle sottopelle, vaga e ovattata, ma costante, e lei lavorò con lena sforzandosi di non passare vicino al tavolo di Masaya né incrociare chicchessia nel suo via vai.

Un quarto d'ora dopo riemerse dal retro portando un sacco di lievito in cucina e sentendosi un pochino meglio. Osservò distratta Keiichiro offrire un caffè ai ragazzi, accettato con gioia specialmente da Pai che pareva sul punto di crollare addormentato contro lo stipite della porta; solo una persona, in modo inconsueto, rifiutò la sua ricarica di caffeina, e Ichigo riuscì a sbirciarla salire le scale non vista e in silenzio.

Ryou.

Ichigo controllò che nessuno badasse a lei. Con scatto felino scappò su al primo piano finché non fu fuori portata di occhio di tutti i presenti e quindi rallentò l'andatura, camminando in modo che chiunque ci fosse là sopra la sentisse prima di essere raggiunto.

La porta della camera di Ryou era aperta. Lui doveva essersi sciacquato dopo la notte in bianco e si stava cambiando la maglia e Ichigo ebbe il tempo di intravedere il suo torace tonico e ambrato mentre si rivestiva, venendo colpita da un sordo sfarfallio allo stomaco.

« Che succede? »

Ichigo non rispose subito, trafitta dalla voce seccata con cui le si rivolse. Deglutì e si sforzò di non reagire impulsivamente facendo qualche passo nella camera; Ryou non si girò neppure verso di lei, mettendosi a sistemare i vestiti del giorno prima.

« Niente. »

Mormorò e sperò che Ryou fingesse almeno di considerarla, ma tutto ciò che vide fu la sua schiena.

« Volevo solo… Parlare. »

Ryou insisté nel silenzio ripiegando per la quarta volta i jeans sulla sedia, mai soddisfatto, e Ichigo ormai non ebbe più dubbi sul fatto che la stesse ignorando.

« Di quello che mi hai detto ieri. »

Lo sussurrò terrorizzata, o forse speranzosa, di una reazione qualsiasi. Terminò appena la frase che Ryou la interruppe:

« Ero ubriaco. Non ricordo cosa ti ho detto. »

Ichigo sgranò gli occhi e rimase in silenzio. Per cinque minuti, mentre lui lasciava perdere i jeans impossibili da sistemare e controllava il computer sulla scrivania, la rossa indugiò immobile e zitta nel punto esatto in cui si trovò, studiandolo con espressione attonita.

« … Mi prendi in giro. »

Esalò alla fine. Ryou finse di non sentire in alcun modo la sua voce tremare.

« Sei un bugiardo. »

Lo sapeva che le stava mentendo, lo capì da come non le rivolgesse mai il viso. Le stava mentendo.

« Non ricordo. – insisté lui – Ed ero completamente ubriaco. Avrò detto solo sciocchezze. »

Sciocchezze.

Quella parolina vibrò nelle orecchie di Ichigo dolorosa e acuta. Strinse la stoffa del grembiule tra le mani e non seppe la ragione, le si serrò la gola e gli occhi si inumidirono:

« … Sei uno stupido. Vigliacco. »

Non seppe il perché dell'ultima affermazione, ma la soffiò comunque fuori, astiosa e a capo basso, prima di correre di sotto incapace di rimanere un secondo di più nelle vicinanze dell'americano. Ryou si sedette di scatto sulla sedia e si prese la testa fra le mani:

« Fuck…! »

 

 

***

 

 

Trascorsero tre giorni. Tre lunghissimi giorni in cui Retasu, già vittima dei suoi sbalzi emotivi, si ritrovò come tutti preda di una dicotomia d'atmosfere pesantissima e sfibrante.

Da un lato il Cafè era aperto normalmente, con le ragazze sorridenti e la presenza costante di uno o due dei jeweliriani per supporto, cosa che pareva rendere molto felici alcune clienti e animava l'aria del locale di chiacchiere e risatine; dall'altro c'era la snervante attesa di novità sulle condizioni di MoiMoi, la totale irreperibilità di Sando, la tensione a Palazzo e per le strade di Jeweliria che si trasmetteva al laboratorio sotterraneo e all'umore di tutti i presenti, che passavano la maggior parte delle ore con espressioni funeree.

Molti cercavano di mantenere un'aria almeno respirabile, ma i risultati erano modesti. Purin, che in genere era la fonte di serenità e allegria del gruppo, era preoccupata e ronzava per il locale imbronciata, impermeabile anche alla presenza di Taruto che, al contrario, pareva incupirla di più, e i due non facevano altro che rimanere a distanza di sicurezza senza guardarsi e con facce mogie.

Minto e Zakuro erano silenziose e composte, ma era evidente quanto fossero nervose, esattamente come gli altri jeweliriani che parevano dover scattare in assetto da battaglia al primo spillo caduto per terra.

Ryou era diventato un automa che non mangiava, non esprimeva emozioni né opinioni e non parlava, tranne quando si trovava al piano interrato e discuteva con Pai e Keiichiro sulla nuova localizzazione del portale e sui campioni di materiale misterioso consegnati al bruno giorni prima. Retasu era sicura che a Ryou fosse successo qualcosa, lo aveva osservato abbastanza a lungo e con tale dedizione negli anni passati da capire se non stava bene, e di certo il suo sguardo era triste e sconfitto.

Retasu ebbe il serio timore che Ichigo fosse coinvolta nella cosa e l'idea la fece cadere nell'ansia, se non fosse stata sufficiente quella che la rossa le provocava da sola.

Era irriconoscibile. Dal giorno dopo il ricovero di MoiMoi aveva preso a parlare a stento, non litigava con Minto né chiacchierava con loro, né cercava conforto nella loro presenza e tantomeno in quella di Masaya, che andava a trovarla tutti i giorni perché, apparentemente, lei non aveva tempo di vederlo; era festa grande se alla presenza di lui Ichigo spiccicava un paio di frasi con più di tre parole, cosa che feriva enormemente il moro il quale, però, in genere si ritirava sorridendo amorevole e con la coda tra le gambe senza insistere, una reazione che era chiaro mandasse in bestia la rossa, ma a cui lei reagiva ammutolendosi ancora di più. Retasu la vedeva girare per il locale nervosa e tesa, scattando quando succedeva un qualunque incidente da nulla ed evitando quanto più possibile il contatto con i clienti, quasi irritata anche dalla loro presenza; aveva l'aspetto di uno zombie, pallida, con gli occhi gonfi e arrossati e lo sguardo perso, e le ragazze la vedevano svolgere le sue faccende con movimenti meccanici e distratti.

Neppure Retasu stessa era dell'umore adatto per mantenere alto il morale. Pur cercando di evitarlo le era impossibile non incappare in Pai almeno due o tre volte durante tutta la giornata e ogni volta, se non aveva la fortuna di abbassare gli occhi per tempo, appena incrociavano gli sguardi lui si corrucciava e la doppiava stringendo tanto la mandibola che lei una volta temette si sarebbe rotto i denti; la verde allora avvertiva il centro del petto dolerle e si trascinava a forza in qualunque faccenda potesse distrarla, inveendo tra sé e sé contro Pai e contro se stessa per non essere in grado di ignorarlo. Fingersi positiva era davvero difficile.

« Retasu. »

Stava rientrando dal retro dopo aver sistemato uno stock di prodotti per Keiichiro nel magazzino, assaggi di forniture che il cuoco avrebbe controllato con calma, quando la raggiunse la voce di Zakuro. La verde studiò l'amica per capire il motivo del suo arrivo e arrossì, vedendo chi aveva accompagnato fin lì la mora.

« Nakayama-san… »

Lui sorrise un po' impacciato, probabilmente non si aspettava la scorta fino nel retro.

« Di là c'è troppa confusione. »

Disse la mewwolf rivolta a Koichi, che parve in leggero imbarazzo di fronte allo sguardo impassibile e adulto della ragazza:

« Vi lascio. »

La mora fece un cenno a Retasu e sparì velocemente in salone. La verde si avvicinò titubante al ragazzo e lo vide poco convinto:

« Scusa… Mi sa che ho scelto un brutto momento. »

« No. No, è tutto a posto. »

Lui fece una smorfia sghemba poco persuaso e la studiò più serio:

« Come sta la tua amica? »

La verde lo fissò sorpresa e felice della domanda e abbassò mogia la testa subito dopo, scuotendo il capo. Koichi si morse la lingua:

« Scusa, io… »

« Ti ringrazio di avermelo chiesto. »

« È che dopo l'altro giorno non ci siamo più sentiti. »

Si giustificò. Retasu si scusò a bassa voce, in effetti il loro ultimo appuntamento non era finito granchè, lei era scappata ricevuta la chiamata delle altre, spiegando al ragazzo che un'amica aveva avuto un incidente e in lacrime lo aveva lasciato solo come un palo all'uscita della mostra, e non si erano praticamente più né telefonati si erano inviati messaggi.

« Sono stati giorni un po' frenetici… »

« Tu stai bene? »

Le domandò preoccupato e lei strinse le labbra accennando un non tanto. Koichi sembrò mortificato a vederla così e le scostò con infinita delicatezza qualche ciuffo dalla guancia, ritraendo poi le dita temendo di averla messa in imbarazzo.

« Sono solo passato un attimo – disse dispiaciuto – devo proprio scappare, però... Sì, se ti va anche solo di chiacchierare, sai come trovarmi, ok? »

Retasu alzò la testa e sorrise asciugandosi l'angolo dell'occhio e sussultò perché Koichi l'abbracciò di colpo: le sembrò volesse dire qualcosa invece si limitò a tenerla stretta, e la sua presa fu così forte e gentile che per qualche momento lei ci si abbandonò dentro, senza ricambiarlo né respingerlo. Koichi la lasciò dopo poco guardando il pavimento a disagio e nervoso la salutò, raccomandandole di telefonargli.

La mewfocena rimase imbambolata con una mano sul petto, quasi non si era accorta che avesse preso a batterle così forte e ringraziò, per la milionesima volta, di non essere lei quella con il DNA emotivo o già da anni avrebbe trascorso più tempo come sirenetta che come umana.

« Hai finito? »

La voce aspra di Pai le strappò un gridolino e la fece saltare sul posto di centottanta gradi:

« Da… Da dove sei…?! »

Lui indicò l'ingresso alle scale inferiori che stava a non meno di mezzo metro e Retasu mise le labbra in una graziosa e sciocca o. Pai la squadrò da capo a piedi con il volto livido e le braccia lungo i fianchi per poi indicarle perentorio la sala alle sue spalle:

« Mandami giù Eyner, e che chiami anche Kisshu e Taruto. Devono vedere una cosa. »

La ragazza ricambiò l'occhiataccia seccata:

« Il fatto che io non ti piaccia non ti autorizza a non dire "per favore". »

Gli fece notare sferzante. Ciò che provava non era una scusa per permettere al ragazzo di bistrattarla più di quanto già non facesse, né per darle ordini come ad una bambina o un suo subalterno. Pai replicò a denti stretti:

« Mandami giù Eyner, per favore. »

Si aspettò che lei gli desse retta nonostante i modi, invece Retasu storse le labbra e sbottò:

« Cercatelo da solo! »

E lo lasciò lì tornandosene in sala furiosa.

Pai si tenne il viso con una mano, aveva stabilito un nuovo record: non solo era riuscito a farsi odiare da Retasu, ma perfino a farla arrabbiare.

 

 

 

« Questo è il nuovo campione che abbiamo sintetizzato. – spiegò Keiichiro perché lo sentissero tutti – Grazie al cielo se ne era salvato un po' dal primo che aveva realizzato MoiMoi-san, anche se era troppo poco per fare altro che analizzarlo. »

Mostrò ai presenti una fiala con dentro un liquido malva; nessuno si entusiasmò particolarmente all'immagine e Pai si girò verso Kisshu:

« Dammi uno dei tuoi sai. »

« Cosa? »

« Dammelo e basta. »

Insisté brusco il moro. Kisshu sospirò e fece comparire una delle sue lame: per l'umore e i modi terrificanti di Pai fu tentato di porgergliela con il lato affilato verso di lui e magari fargli un buchino nel palmo della mano, tanto per, ma decise di fare il bravo e gli offrì il manico. Pai prese l'arma e si fece dare l'ampollina da Keiichiro, versando sul metallo poche gocce del liquido violaceo.

« Oh…! Ehi! Che fai?! »

« Stai zitto. »

Eyner cercò di tenere calmo il verde, estremamente geloso delle sue preziose armi e che prese a minacciare il fratello di riaffilare il filo su di lui se gli avesse sciupato il sai, ma Pai non lo calcolò; il liquido malva scivolò lentamente lungo la punta e poi si dissolse lasciando l'arma esattamente com'era in principio.

Tutti osservarono confusi Pai roteare con eleganza il sai saggiandone le condizioni e poi ripassarlo a Kisshu che ripetè l'operazione, sebbene con molta più grazia e abilità.

« Ci spieghereste? »

Domandò Zakuro stufa di tutto il teatrino e Keiichiro indicò la fialetta:

« Quando siete stati a Belia c'erano alcune rocce che circondavano il punto in cui si trovava la MewAqua. »

« E allora? »

Domandò Kisshu senza girarsi, impegnato a controllare l'equilibrio della lama tenendola sulla punta dell'indice e facendola roteare a mezz'aria per poi riacchiapparla.

« Ne abbiamo trovate anche sulla torre in quella dimensione assurda. »

Spiegò Ryou asciutto:

« Non possiamo dire con certezza se fossero la stessa roccia, quello che è sicuro è che questa – e battè il dito sulla fiala – al suo stato solido, riesce a contenere l'energia della MewAqua. »

Le ragazze spalancarono gli occhi sconcertate.

« Com'è possibile…?! – domandò Minto esterrefatta – Neppure noi…! »

« Di base, seppur racchiudendo un'immensa energia il Dono è un cristallo – disse Pai – perciò reagisce a specifiche frequenze oscillatorie come ogni corpo solido. »

« Tempo! – lo bloccò Purin serissima alzando la mano – Che sono le frequenze oscillanti? »

« Frequenze oscillatorie. – la corresse Zakuro sospirando – Non è il principio di certi orologi? »

« Bingo. – Ryou schioccò le dita – Per farvela breve ogni corpo solido vibra ad una determinata frequenza, umani compresi; certi cristalli e minerali hanno soglie di frequenza estremamente precise, perciò si usano per circuiti di misurazione come gli orologi. »

« La MewAqua emette frequenze di per sé, essendo il contenitore di un mucchio di energia compressa – spiegò Pai spiccio – la pietra che abbiamo trovato, però, sembra riuscire a contenere le vibrazioni del cristallo entrando in risonanza con esso(*) e mantenendola stabile. »

« Io non c'ho capito un'acca. »

« Per stavolta non credo tu sia da solo, Taruto-san… »

« Il punto comunque – insisté seccato Pai – è che il siero che ha sintetizzato MoiMoi dovrebbe essere in grado di annullare gli effetti del Dono. »

Fece una pausa e guardò tutti allusivo:

« Inclusi quelli su chi ha subito mutazioni a causa sua. »

« Vorresti dire…? »

« Su Zizi e gli altri? »

Domandò Taruto sporgendosi dalla sedia su cui era appollaiato; Pai annuì.

« Purtroppo non abbiamo modo di fare altri test preliminari – sospirò Keiichiro – dovrete collaudarle direttamente sul campo. »

Kisshu roteò un'ultima volta la sua arma per aria e l'agguantò con un sorrisetto maligno:

« Il mio metodo preferito. »

Keiichiro e Pai provvidero a distribuire il preparato su tutte le armi dei ragazzi; anche Purin, finalmente un po' più vivace, si entusiasmò all'idea e avrebbe voluto che potenziassero i suoi anelli, ma Ryou le fece notare che loro ragazze e le rispettive armi subivano gli influssi delle Gocce:

« Non abbiamo la minima idea di come influirebbe sui vostri poteri, potreste non riuscire a trasformarvi o chissà cos'altro. »

La biondina gonfiò le guance insoddisfatta e si arrese agli eventi, tornando in poco tempo di pessimo umore.

A lavoro finito si ritirarono tutti lentamente accompagnati da pochi rari mormorii, uno stato che stava diventando un'abitudine e che a Keiichiro piaceva poco; Retasu fu fra gli ultimi a salire di sopra e al bruno non sfuggì lo scambio di occhiatacce che passò tra lei e Pai, il naso di nuovo infilato nel monitor mentre digrignava i denti a labbra strette. Keiichiro scosse la testa rassegnato.  

« Devo dirlo, di tre non ne fate uno sensato. »

Kei sbirciò con la coda dell'occhio Zakuro e il suo tipico e lapidario intervento con cui aveva deciso, di punto in bianco, di battezzare l'alieno, e con un inevitabile sorriso scappò di sopra per evitare di origliale nonostante la tentazione. Di sotto Pai si voltò seccato verso la mewwolf, ancora in piedi in fondo alla stanza che lo studiava da capo a piedi impassibile; delle terrestri lei, a suo parere, era quella con l'indole meno ficcanaso e chiacchierona ed era una cosa che apprezzava, ed aveva sviluppato un certo rispetto nei suoi confronti dopo i loro scontri, ma il tono da predica che usò lo seccò parecchio:

« Non so di cosa tu stia parlando. »

Zakuro sospirò divertita:

« Kisshu almeno ha il pregio di essere diretto, e Taruto ha la scusante di essere ancora un ragazzino. »

Pai le diede le spalle con un gesto irritato e si rimise al lavoro; Zakuro proseguì tranquilla:

« Gli uomini sono egoisti. Quando ricevono amore da qualcuno, anche se non ricambiano, tendono a diventare gelosi se vengono sostituiti da un nuovo oggetto d'amore. »

Pai rimase voltato ma smise di digitare. Zakuro si aspettò le rispondesse per le rime o le dicesse di andarsene al diavolo, invece temporeggiò in silenzio qualche secondo prima di ripetere come un automa:

« Non so di cosa tu stia parlando. »

« Se devi mentire ti conviene tacere, sei più convincente. – sorrise la ragazza maliziosa – E in ogni caso, non sto parlando di nulla in particolare. Constatavo e basta. »

Sollevò un sopracciglio allusiva, fece appena un gradino e si girò; come aveva previsto riuscì ad intravedere uno spicchio di iride ametista sbirciarla da oltre la spalla e divenne più seria:

« Ho solo una domanda. Sei geloso per questo, o solo perché si tratta di Retasu? »

Pai si girò di nuovo e non rispose, e Zakuro salì di sopra senza aspettare lo facesse.

 

 

***

 

 

Stava svanendo.

Lo avvertì con un brivido, sebbene non avesse più un corpo in grado di provarne.

L'altro era sempre più forte, e Luz più debole; presto la sua coscienza sarebbe tornata a dormire.

E anche lui…

Rimaneva poco tempo.

Doveva parlare con lei.

Doveva farle capire…

Doveva spiegarle come fare.

Come?

Come…?

« Prova un'altra volta, Tayou. »

Supplicò Luz a bassa voce:

« Una sola. Te ne prego… »

Lui sospirò e intravide a malapena la mano candida che lei gli porse. La strinse, era piccola e fredda, senza alcuna vita. Avrebbe voluto piangere, ma non ne era in grado.

« Un altro tentativo. »

 

 

 

Attorno a lei c'era luce. Un'immensa e calda luce estiva. Insetti frinivano tra le fronde di un giardino così luminoso che a guardarne la volta dovette coprirsi gli occhi con le mani per vedere.

Non riuscì a vedere il suo corpo, né il proprio viso, solo le mani che erano delicate, minute e pallide.

 Questa non sono io.

Continuò ad esplorare attorno avvertendo i polmoni bruciare come fiamme, troppo affaticati per essere i suoi.

Sto… Di nuovo sognando?

Sono di nuovo Luz…?

La voce che le uscì dalle labbra fu di ragazza, lieve e preoccupata:

« Nuvem! Nuvem! Dove sei? Nuvem! »

Non rispose nessuno e continuò a cercare. Lo splendore del pomeriggio donava a tutto un'aura di bianco accecante, l'aria tremava per il calore e lei faticava a restare sotto quella luce, sudando copiosamente. Alla fine un'ombra scura attirò la sua attenzione sulla cima di un albero:

« Nuvem. »

Chiunque fosse seduto lassù non rispose. Lei inspirò a fondo calmando il petto che si alzò e abbassò veloce e iniziò ad arrampicarsi a fatica, non ascoltando le proteste dell'altro:

« È pericoloso…! »

Mettendo in mostra la lingua stretta tra le labbra per la concentrazione lei si inerpicò fin sul ramo, sedendosi accanto alla figura rannicchiata contro il tronco; si sistemò sospirando e soffiò tra i denti ammirandosi i palmi arrossati:

« Cavolo quant'è ruvida la corteccia! »

« Sei una stupida. »

La rimproverò. Lei si voltò verso di lui imbronciandosi:

« Come te. »

Lui non rispose. Era di certo un ragazzo, anche lui jeweliriano, ma la luce contrastava così netta con l'ombra delle fronde in cui tentava di nascondersi da farle solo strizzare gli occhi senza distinguerlo bene.

« Vattene. – insisté lui – Tornatene da tuo fratello. »

« Io sono con mio fratello. »

Gli rimbrottò allegra e Nuvem strinse i denti:

« No. Io sono solo uno sporco, inutile bast- »

« Nuvem! »

Lei gli gettò le braccia al collo e lo stritolò con tutta la forza che potevano donarle le sue braccia esili:

« Non dirlo mai più! – supplicò con voce sottile colma di dolore – Non dirlo… Fratello mio… »

Nuvem rimase rigido ricambiando goffo e lei avvertì le sue mani tremare:

« Come posso fare? – domandò disperato – Io sono solo… Nessuno mi… Come potrò regnare? »

« Noi saremo con te. – lo rassicurò con dolcezza – Io e Tayou. Per sempre. »

Lo allontanò per accarezzargli il viso con entrambe le mani:

« Voglio vedervi felici. Voi siete i miei amati fratelli. »

Nuvem non rispose osservandola:

« Dici davvero? »

« Certo. »

Tacque ancora. I rumori del pomeriggio divennero assordanti e il cicaleggio una nenia soporifera, mentre lei si smarrì in un paio d'occhi color del ghiaccio, roventi come il sole abbacinante sopra di loro. Nuvem l'abbracciò di nuovo; lei sospirò divertita rassicurandolo ancora:

« Vi amo con tutto il mio cuore. »

Nuvem la strinse un altro poco. Passò la mano forte e giovane tra i suoi capelli di grano e sussurrò al vento:

« Ma non mi amerai mai come ti amo io. »

Luz non rispose.

All'improvviso tutta la scena fu sommersa dal bianco e quindi scivolò lentamente nel buio.

Ci fu un lampo.

Una cavità enorme e oscura e una luce al suo centro, pura e limpida. Le Gocce che danzavano tra loro.

 

Raggiungile. Ti racconterò… La verità…

 

 

 

Ichigo si svegliò di soprassalto. I muscoli erano tesi e il fiato pesante come se fosse appena tornata da una corsa estenuante, e gelidi rivoli di sudore presero a colarle lungo il collo mentre, poco a poco, riprendeva coscienza di dove fosse; malgrado l'agitazione rimase immobile nel letto, raggomitolata sul fianco e con una mano sotto il cuscino.

Era successo di nuovo.

Aveva sognato Luz… O meglio, aveva sognato di essere Luz.

Si tirò lentamente a sedere, non erano coincidenze, ed era sicura non lo fosse nemmeno ciò che aveva sognato.

E la voce che aveva sentito poco prima di svegliarsi…

Ao no Kishi.

Strinse le lenzuola tra le mani con l'asia che le ripiombò addosso togliendole le forze, ma tentò di riscuotersi e saltò giù dal letto sebbene il cielo fosse ancora grigiastro e l'aria fresca.

 

 

***

 

 

« No, assolutamente no. Scordatelo. »

« Cosa?!? »

« Mi hai sentito benissimo Momomiya – ripetè Pai gelido – non ti porterò dove si trovano le Gocce. »

Ichigo lo fissò sconcertata spalancando le braccia:

« Hai capito o no quello che ti ho detto?! »

« Sì. Hai di nuovo avuto uno di quei contatti tra te e chi (supponiamo) sia Ao no Kishi – ripetè aspro – ma il fatto che tu sia certa si tratti di lui non giustifica il permetterti di mettere a rischio i nostri sforzi. »

« A rischio i nostri sforzi?!? »

La rossa si girò verso Kisshu indicando il moro, quasi sottolineando quanto fosse delirante il suo pensiero, e rimase ancor più sconvolta capendo che il verde non la stava spalleggiando:

« Guarda che ha ragione, micetta. »

« Cosa?! »

« Ichigo, prendi fiato e pensaci un secondo – tentò di blandirla Eyner – non stiamo dicendo che tu sia impazzita… »

Pai schioccò la lingua non troppo concorde con l'affermazione e il bruno gli gettò un'occhiataccia allusiva, facendolo tacere:

« O che non ti crediamo. Ma dopo quello che è successo, sarebbe meglio essere prudenti. »

Lei spalancò la bocca:

« Avevate detto che era stata colpa di un interno! Cosa c'entra Ao no Kishi?! »

« Non lui – sospirò seccato Ryou – gli Ancestrali. »

« E…?! »

« Anche se abbiamo la certezza sia stato uno dei nostri – spiegò Pai irritato da tutto il suo strepitare – non sappiamo se abbia agito per conto di qualcuno, o se in qualche modo sia in contatto con Arashi e i suoi. »

La mewneko continuò a fissare ad uno ad uno i ragazzi attorno a lei attonita; l'evidenza dei fatti le dava pienamente ragione, ne era convinta, eppure gli sguardi che ricevette non erano per nulla entusiasti.

« D'accordo! – proruppe alla fine alzando gli occhi al cielo – Come vi pare! »

« Momomiya, datti una calmata. »

« Chiudi il becco Ryou! – gridò stridula – Io sono calmissima! Mi state solo esasperando! »

E sbattendo i piedi isterica corse di sopra prima di azzannare la gola del biondo, la codina nera e le orecchie che fremevano. Eyner guardò lui e le scale e sospirò rassegnato:

« Se quello è essere calmi non voglio essere presente quando perderà la pazienza. »

 

 

 

Ichigo corse fuori dal locale furibonda e quasi non si curò di controllare di far sparire gli attributi felini.

Pai e Ryou non capivano proprio niente! E nemmeno Eyner, o Kisshu…! Sperava che almeno loro avrebbero compreso!

Prese un respiro profondo e rallentò dandosi della sciocca, non poteva prenderla sul personale, avevano ragione. In quel momento non era sicuro che nessuno di loro si avvicinasse alle Gocce, ancor più che era chiaro il legame tra lei ed Ao no Kishi, ma soprattutto tra lui e Deep Blue.

Eppure il ragionamento non la calmò.

Da giorni nessun ragionamento logico, spiegazione razionale o tentativo di rimanere lucida la calmava.

Si sentiva costantemente in tensione, come se fosse costretta a camminare su un filo di ragnatela, o fosse inseguita da qualcuno. Era nervosa e irritabile e la cosa peggiore era che non trovava la ragione di quel suo stato: le sensazioni nel suo petto si aggrovigliavano una sull'altra in una matassa inestricabile che la soffocava e la faceva traballare tra il desiderio di piangere e quello di gridare.

Incapace di stare ferma continuò a camminare per il parco fino ad arrivare di fronte allo stagno e lì si sedette su una panchina, prendendo a giocare con il telefonino smettendo ogni partita dopo una manciata di secondi. Nulla riusciva a distrarla per un tempo maggiore.

Fu ormai mattina quando un messaggino le trillò sullo schermo. Era di Masaya e riportava solo Dove sei?  e un piccolo smile triste.

Ichigo lesse, chiuse la schermata e ricominciò a giocare. Se era tanto preoccupato per lei poteva anche chiamarla invece di inviarle un messaggio. Riprese ad armeggiare con il telefono priva di energia e voglia di alzarsi e allo stesso tempo esasperata per il suo restare ferma, così non si accorse di Masaya finché questo non le prese la spalla facendola scattare in su con la testa e soffocando uno strillo.

« Ecco dov'eri. »

La sua voce fu stranamente seccata e ad Ichigo la cosa non piacque.

« Sai che ore sono? »

Lei non rispose, no non lo sapeva. Sbirciò lo schermo distratta, erano le undici passate.

« Ero preoccupato. »

« Potevi chiamarmi. »

Ribattè lei acida e si alzò cacciando il telefonino nella borsa con un preoccupante rumore di plastica contro plastica. Masaya la guardò sconvolto dal tono:

« Credevo… Fossi impegnata. Che fossi con gli altri… O andata a trovare la tua amica aliena. »

« Si chiama MoiMoi, ha un nome. – borbottò irosa – Anche gli altri se è per questo. »

Si sentì male vedendo come il moro fosse a disagio, ma non chiese scusa stringendo solo le labbra.

« Non… Volevo… Disturbarti. »

« Oh, certo! Non sia mai che Aoyama Masaya faccia qualcosa di inopportuno! »

Esplose lei e senza che se ne accorgesse iniziarono a sgorgarle fiotti di lacrime dagli occhi e la voce le divenne acuta:

« Lui ha sempre rispetto e premura per me, vero?! Ma poi sparisce per settimane e non si preoccupa minimamente di come io stia! »

« Ichigo, che st- »

« È facile fare il bravo bambino quando sei qui, vero?! Però intanto non capisci niente! »

Lui era una statua di sale e la fissava, mortificato e impietrito, senza osare sfiorarla. Ichigo si maledisse per ciò che stava dicendo, per quello sfogo intempestivo e inutile, ma non riuscì a fermarsi:

« Non lo capisci se sto male o sono preoccupata! Però fai il bravo ragazzo di fronte ai tuoi stupidi amici inglesi, e fai finta di preoccuparti per una mia amica quando in realtà non te ne importa un accidenti! »

Masaya non riuscì a replicare. Ichigo, arrabbiata, triste e furiosa con se stessa si girò e corse via incurante del ragazzo che la chiamava.

 

 

***

 

 

Arrivò al locale con ben un'ora e mezza di ritardo e Minto non si risparmiò di farglielo notare accogliendola sull'uscio con le mani sui fianchi e il piedino che batteva irritato a terra:

« Si può sapere dove diavolo sei stata?! »

La rossa non rispose immediatamente e l'invettiva della mewbird si spense guardandola in faccia, neppure il più crudele dei sadici avrebbe infierito su qualcuno nelle sue condizioni, Ichigo pareva sul punto di crollare lì di fronte a loro.

« Nee-chan, cos'hai? »

« Nulla. – mentì spudoratamente e subito cambiò discorso – Sono andata a trovare MoiMoi. »

Le altre l'attorniarono appena terminò la frase.

« Perché sei andata da sola? »

La domanda di Zakuro suonò quasi come un'accusa e Ichigo rispose a spallucce, nemmeno lei lo sapeva; ci si era ritrovata quasi per caso, non avendo nessun altro posto dove andare in cui nessuno le avrebbe chiesto dove fosse stata, cosa avesse fatto e perché piangesse.

« Come hai convinto Ake-san? »

Da quando MoiMoi era rimasto in stasi rigenerativa il dottore non aveva permesso a nessuna di loro di andarlo a trovare. Ichigo fissò Retasu in silenzio e scrollò di nuovo le spalle:

« Forse era in giornata buona. »

Più probabilmente, pensò Zakuro guardandola strisciare i piedi e dirigersi verso gli spogliatoi, perfino uno inflessibile come il dottor Ake poteva concedere dei permessi a chi si presentasse alla sua porta con la faccia da cane bastonato della mewneko.

« Non che sia stato così entusiasmante. »

Commentò la rossa con una risata spenta: aveva solo potuto sbirciare la capsula in cui MoiMoi riposava da fuori nel corridoio, percependo a stento la sagoma indistinta del violetto e il suo viso al di là di un vetro trasparente e del coperchio opaco della vasca rigenerante.

Alle ragazze cercò di descriverlo come un incontro, se tale poteva definirlo, sereno, ma Zakuro non si lasciò persuadere.

« Onee-sama, che ne pensi? »

La mora sospirò e continuò a studiare Ichigo anche dopo che si fu cambiata ed ebbe preso a lavorare; nonostante il sorriso che ostentava e i tentativi di chiacchierare con Purin e Retasu, era chiaro che non stesse bene.

« Non sono sicura. »

« Non ho mai visto Ichigo così… Sembra sul punto di avere una crisi isterica. »

Zakuro annuì in conferma e Minto si strinse le mani in grembo, sebbene non lo ammettesse era in ansia per l'amica e temeva di averne ben donde. Accanto a lei la modella non tolse gli occhi di dosso a Ichigo per tutta la giornata: aveva già visto sintomi simili ai suoi, non era raro che tra le modelle sue colleghe ci fosse qualcuna, specialmente le più giovani e con maggior successo, che avesse crolli emotivi da stress; di certo Ichigo aveva come loro una lunga lista di eventi e situazioni cagione di ansia, e se aggiungeva il comportamento di Masaya dell'ultimo paio di mesi – decisamente, non encomiabile – e quello davvero stupido di Ryou che, la mewwolf si sarebbe potuta giocare la testa, di certo aveva detto o fatto l'ennesima sciocchezza alla ricomparsa del giapponese, forse più che stupirsi del comportamento di Ichigo ci si doveva sorprendere che non avesse ancora cominciato a lanciare sedie per il locale.

Zakuro sospirò contrariata, anche la mewneko aveva la sua dose di colpa, ma non era il momento di farle notare i suoi errori. Poteva solo sperare che si aprisse un po' con loro prima di crollare definitivamente.

« Ehi. »

« Stavo giusto pensando a te. »

Ryou studiò la mewwolf per nulla convinto:

« Perché ho l'impressione che non fossero pensieri gentili? »

Lei ricambiò con un'occhiata allusiva:

« Che succede? »

« Abbiamo le nuove coordinate. »

 

 

***

 

 

Ichigo era consapevole della preoccupazione delle ragazze e del fatto che i suoi sorrisi non le convincessero nemmeno per un secondo, ma si sforzò di non darci peso; così come quando il telefono le suonò in tasca lo zittì immediatamente, leggendo dopo solo un messaggino.

 

Vorrei parlare con calma.

Mi chiami appena sei libera?

 

 

Rispose solo che stavano partendo e si sarebbero sentiti, non specificando quando e come, spense il telefono e se lo mise nella gonna.

Se Masaya aveva tanta urgenza di parlarle avrebbe potuto seguirla quando era scappata via.

Scosse la testa, non doveva pensare cose simili, lo aveva aggredito come non aveva mai fatto e senza ragione, era normale che lui fosse titubante sul da farsi. Sospirò e si morse l'interno della guancia, mentire agli altri e a se stessa era molto più facile di quanto si sarebbe mai immaginata.

Inspirò a fondo e drizzò le spalle: doveva pensare alla Goccia e a nient'altro.

« Le informazioni che abbiamo sono poche – aveva annunciato Pai quando si erano riuniti, demolendo un altro po' il morale della mewneko – molte delle strumentazioni che usavamo io e MoiMoi sono andate distrutte.

« Sappiamo che si tratta di una distorsione dimensionale, comunque. Pare che non ci siano particolari interferenze temporali o ambientali, quindi dovremmo essere tranquilli. »

« Quanto amo i condizionali! »

Aveva borbottato acida la rossa, ma il moro non aveva dato adito a sentirla. Ryou ordinò alle ragazze di trasformarsi e alzare gli schermi per evitare problemi e finalmente, con l'ansia dell'ignoto, varcarono tutti assieme l'ennesima soglia bianca.

Dalla parte opposta un sole mattiniero, o forse dell'imbrunire, dorava dolcemente palazzi e ville dai colori pastello disposti uno accanto all'altro fin a condividere i muri; decine di persone brulicavano chiassose per le strade con grida, risate, canti, una folla tale che Ichigo impiegò cinque minuti a rendersi conto che la strada su cui si affacciava il calle dove erano spuntati sfociava nell'acqua.

« Sembra di essere a Venezia. »

Sospirò ammaliata Retasu e l'immagine che si affacciò nella mente dei terrestri le diede ragione, adattandosi come un guanto alla città rumorosa e allegra.

Aiutato dalla discrezione dell'angusto vicoletto Pai fece comparire una planimetria a tre dimensioni e in miniatura del posto, che prese a fluttuare sulla sua mano. Ryou schioccò la lingua preoccupato, la gioia di Retasu si rivelò più veritiera del previsto:

« Ci saranno decine di viuzze, strade e piazze. »

Sospirò seccato studiando la mappa.

« Chiamalo fottutissimo labirinto a cielo aperto, rende meglio l'idea. »

Fece Kisshu sarcastico:

« Forse volando avremmo qualche possibilità di orientarci meglio. »

« Fuori discussione – troncò Pai e indicò la via alle loro spalle – con tutta questa gente passare inosservati sarebbe impossibile. »

« Già. Non siamo a Tokyo. – rincarò Zakuro – Lì le persone non fanno molto caso a quel che accade attorno… Dubito che potremmo avere tanta fortuna. »

« Teniamola come opzione di riserva – suggerì Eyner, notando l'espressione scocciata del verde – per adesso perlustriamo a piedi. »

« Sono un soldato, non un maratoneta. »

« Se hai idee migliori, prego, proponi. »

Gli rimbeccò acido Pai e Kisshu si zittì facendo delle smorfie infantili, come per imitare le sue manfrine. Rassegnati alla nuova scarpinata si avvicinarono a poco a poco all'uscita dal vicolo, aspettando il momento opportuno per immettersi nel marasma senza attirare troppi sguardi, ma come temeva Pai gli abitanti di quel mondo non erano annoiati terrestri troppo abituati al bombardamento mediatico per notare cose inusuali.

Ichigo mise appena un piede oltre l'angolo e subito un uomo le bloccò la strada ridendo; lì per lì la rossa temette che lo schermo non avesse funzionato e l'avessero scoperta, invece quello esclamò solamente:

« Gioia a voi! Buona Festa della Luce! »

« Oh… Sì, anche a voi. »

Rispose più pronta che potè la mewneko e sorrise. Quello la fissò e con una piroetta le si avvicinò di più sorridendo furbo:

« Stranieri? »

Ichigo sbirciò tentennando gli altri domandandosi se fosse più saggio mentire o dargli ragione; scelse la seconda ipotesi e annuì, e quello ridacchiando girò ancora su se stesso e la indicò:

« Si sente dall'accento. »

Girò una quarta volta e Ichigo si rese conto che camminava su dei piccoli trampoli, alti forse una ventina di centimetri, dotati di sfere alla base che non lo facevano stare fermo in un punto o in una direzione. L'uomo continuò a volteggiare senza permettere alla ragazza di andare avanti né di guardarlo bene in faccia; Ichigo scorse una maschera rossa che gli copriva metà del volto e il suo assurdo abbigliamento di stoffe dorate, amaranto e nere zeppe di pennacchi che rischiarono di schiaffeggiarla ad ogni giro, e le ricordarono i giullari medievali.

Finalmente dopo un minuto buono l'uomo si allontanò in retromarcia agitando una mano e augurò di nuovo:

« Siate i benvenuti a Szistet(**) dunque, e che la Luce vi accompagni! »

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) alloooora, ok no non sto sparando cavolate :P la questione delle frequenze oscillatorie è vera, ma decisamente un discorso troppo complicato xP! Sono andata un po' a memoria, un po' ad info online e un po' ho ricamato, non siate fiscali e proseguiamo va x°D

(**) paciugo nato dalla fusione della pronuncia di due parole tedesche :P see (lago) e Stadt (città) quindi letteralmente città sul lago. La versione di questa storia si pronuncia come si legge, con una z sibilante (ma inventarti parole pronunciabili no, eh?!)

 

 

 

 

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~

 

Io ve l'avevo detto di non abituarvi alla quiete :P su per lo meno MoiMoi-chan è ancora viva ^^"!

Sando: ……… +_+*****

*brivido di terrore* ricapitolando, Pai è scemo, Ichigo è incommentabile e prossima ad una crisi di nervi e gli altri… Ok meglio lasciare perdere. Io sto già tremando all'idea del prossimo capitolo ^^""! davvero!

Ichigo: che hai in mente di fare?!?

Nulla, nulla… Su, tu prendi lo Xanax e stattene li tranquilla, che andrà tutto bene…

Non ho ancora dato fondo alla mia crudeltà, sappiatelo *si accuccia e piange* ma voi mi volete bene lo stesso vero ♥ ? Vero? *piange tantissimo*

Ringrazio le invettiv- ehm, i commenti di Hypnotic Poison, mobo, Danya, LittleDreamer90, Ally_Ravenshade (scusa per questo ritorno terribile TwT!), _cercasinome_, Jade Tisdale (che è al recupero cap e quindi non sa ancora cosa sta succedendo :3), Rin Hikari, Glaucopide_ e Fair_Ophelia e ringrazio loro e tutti coloro che seguono il #martedìfangirl e i Mewsketters, rimanete sempre con noi :3 ♥  

Alla prossima!

 


Mata ne
~♥ !

Ria

 

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Capitolo 37
*** Toward the crossing: eighth road (part II) ***


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Scusate il ritardo, dopo il lavoro in stand a Lucca ero morta…

Che dire?

 

BRAAAAAAAMH!!

Credo sia esplicativo come incipit. *musica drammatica* a voi :3!

 

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Cap. 37 – Toward the crossing: eighth road (part II)

               Collapse

 

 

 

 

Szistet era costruita come un dedalo di edifici sospeso sulla superficie tranquilla di un infinito lago verde e blu; nemmeno sbirciando attraverso i pochi spiragli tra le abitazioni, che lasciavano intravedere i confini cittadini, se ne percepiva la fine; lontano sull'orizzonte, nella bruma del vapore acqueo, si potevano intuire profili montuosi appena riconoscibili, blu scuri nel celeste cupo del cielo che fluttuavano nel nulla come nubi.

La mappa che Pai aveva mostrato non aveva donato il senso di quanto effettivamente fosse intricata la città. Ichigo cercò di tenere a mente la strada, ma dopo una decina di minuti si rese conto di non avere la minima idea neanche della direzione da cui fosse venuta; le case erano tutte diverse una dall'altra, il lastricato liscio ma dai disegni irregolari confondeva ancor di più i sensi e con tutte le svolte compiute rendevano impossibile risalire al punto di partenza.

Nella speranza di accelerare i tempi si divisero in due gruppi confondendosi con la folla di Szistet; fu facile nascondersi tra gli abitanti, meno facile non perdersi di vista. Con il batticuore Retasu pensò che il mitico carnevale veneziano dovesse essere di poco dissimile dalla celebrazione della Luce, con le centinaia di persone in abiti sgargianti che affollavano le vie: figure dal sapore rinascimentale avvolte in stoffe lucenti e fruscianti; cappelli con pennacchi come raggi di sole e campanellini alle estremità che tintinnavano argentini; maschere cosparse di gemme, talvolta grandi a sufficienza da coprire i volti dei passanti e a donare un senso di mistero e inquietudine in chi li osservava; piume vaporose nelle chiome delle donne che solleticavano il volto quando passavano vicino a qualcuno; tamburelli, percussioni, risa; numeri improvvisati di giocolieri, trampolieri e circensi che spuntavano da ogni angolo senza annunciarsi, applausi e grida di gioioso stupore.

La mewfocena iniziò a camminare con il naso all'insù stregata dal caleidoscopio di colori e rumori, sospesa in un sogno confuso; ad un certo punto, concentrata a studiare una funambula in abito aderente da pierrot che danzava proprio sopra la sua testa, non si accorse di un mangiafuoco che con una sbuffata di fiamme per poco non le bruciò la frangia. Sobbalzò con uno strilletto e fece un paio di passi indietro, ma immediatamente fu rapita dal complicatissimo gioco di lapilli che si stava creando e rimase a guardare fino alla fine. Il pubblico esplose in applausi ed acclamazioni all'inchino del saltimbanco e Retasu si unì all'entusiasmo, accorgendosi subito però che qualcosa non quadrava: appena il mangiafuoco mise fine allo spettacolo tutti i presenti sembrarono notare la presenza della verde, che istintivamente controllò lo schermo; tutto era nella norma, ma anche così la gente non smise di riprendere le sue attività gettandole occhiatacce e borbottando tra sé, finché una mano estranea le afferrò una spalla.

Retasu sobbalzò spaventata ma la presa non si allentò. Incrociò lo sguardo con un uomo senza maschera, dall'abbigliamento grigio e austero e un copricapo simile ad un tricorno molto alto; un altro uomo vestito nello stesso identico modo, una divisa militare ad esaminarla meglio, lo seguì e si mise al suo fianco fissando la verde inquisitore:

« Cosa ci fa lei qui? »

« I-io… »

Retasu si chiese se avesse fatto qualcosa di sconveniente per gli abitanti, ma non trovò nulla di sbagliato nell'osservare in silenzio ed applaudire uno spettacolo pubblico. Il primo uomo la costrinse a voltarsi e la squadrò dritta in faccia con feroci occhi neri:

« Dov'è il suo beglaita(*)? »

La ragazza apparve frastornata non capendo cosa le si stesse chiedendo e non rispose, cosa che non piacque all'uomo che le afferrò il polso:

« Mi segua immediatamente! »

« N-no, aspetti…! Io…! Non ho fatto niente…! »

Cercò di scacciare la mano dell'uomo e soffocò un altro gridolino avvertendo qualcuno cingerla per la vita. Il cuore le sprofondò in gola.

« Che succede? »

Chiese Pai. Studiò i due militari impassibile tenendo Retasu vicino a sé come se fosse normale e allontanando la mano del soldato da lei; Retasu smise di respirare, mentre l'uomo di Szistet non oppose resistenza al gesto e analizzò il moro attento. Il modo in cui Pai si era avvicinato alla verde, ad occhi esterni molto confidenziale, parve aver tranquillizzato i due soldati, ma il secondo chiese comunque con voce secca:

« Lei accompagna questa ragazza? »

« Sì. »

Rispose Pai pacato. Sembrò la risposta più logica da come il soldato si rasserenò, ma ciò non impedì a Retasu di rimanere tesa come una corda. Sentì la faccia in fiamme e di avere serie difficoltà a riempire i polmoni, gridando dentro di sé perché mai Pai non avesse ancora scostato la mano dal suo fianco.

« È lei il suo beglaita? »

Chiese ancora il primo soldato e roteò una spada sottilissima a pochi centimetri dal naso dell'alieno; Pai non si scompose e rispose come immaginò volessero, con un altro sì.

« Veda bene di non perderla di nuovo! – sbottò il secondo uomo – Con la confusione della festa non possiamo perdere tempo! »

Il primo uomo gli tirò una gomitata e abbassò l'arma, scusandosi con un cenno del capo:

« La festa della Luce è estremamente caotica. Il regime di sorveglianza è più intransigente. »

« Ovviamente. »

Replicò Pai con disinvoltura. Retasu strinse le labbra non sapendo dove guardare per non tradire il ragazzo, e incapace di sopportare oltre la sensazione della sua spalla premuta contro il fianco di lui. I due soldati fecero un inchino per salutare e Pai e Retasu, tentennante, ricambiarono, tornando nella via principale con passo calmo; appena fu abbastanza naturale farlo Pai deviò in un vicolo secondario e accelerò l'andatura, sparendo da occhi indiscreti, e Retasu lo scostò in malo modo arrossendo fino alle orecchie:

« Insomma, lasciami! »

Pigolò senza fiato. Aveva il cuore che le rimbombava nelle orecchie e la pelle in fiamme, se fosse rimasta lì un altro paio di secondi sarebbe svenuta.

Pai la fissò e a Retasu parve offeso dal gesto brusco, ma si riprese in fretta e la guardò male:

« Se ti fossi accorta della situazione non sarei dovuto intervenire. – la rimproverò – Comunque non mi sembra di aver stretto tanto da guardarmi a quel modo. »

Puntualizzò cupo e ferito dall'aria intimidita con cui lei lo stava osservando e Retasu si sentì un po' in colpa:

« Non è… Per quello… »

Il volto del moro divenne ancora più ombroso. Retasu lo aveva scacciato solo perché non aveva sopportato che la toccasse, per lui fu evidente.

E l'idea lo mandò in bestia.

« Per il tuo umano non hai fatto tante scene. »

Sibilò velenoso e le diede le spalle reimmettendosi nella folla. Retasu arrossì di botto e strinse i pugni con forza correndogli dietro arrabbiata, non le era per niente piaciuto il tono antipatico con cui si era riferito a Koichi:

« Senti…! »

Un gruppetto di damine in pizzo rosa la investì trascinandola con sé; la verde provò inutilmente a disfarsi di loro, contrastando la corrente, finché non vide l'avambraccio coperto di stoffa viola sbucare da un lato e con poca delicatezza agguantarla per il polso tirandola dall'altra parte della strada. La verde cacciò un lamento:

« Pai-san, il braccio…! »

Lui lasciò subito la presa e nascose la mano dietro la schiena, stringendo il pugno fino a farsi male; la pelle della terrestre divenne velocemente più rosea dove l'aveva afferrata: non si era accorto di averla stretta tanto e avvertì lo stomaco contrarsi, ma non disse una parola di scuse.

« Rimani vicina. Rischi di nuovo l'arresto. »

Retasu incassò la testa, ferita dalla voce dura e dallo sguardo freddo del ragazzo che non la guardò neppure in viso, ma sospirò e depressa si impose di ignorare la cosa; sapeva bene come la considerasse.

« Erano davvero poliziotti? »

« Più o meno. »

« Ma cosa ho fatto? »

Lui fece un cenno alla folla che scorreva come un fiume in piena a meno di mezzo metro da loro. Retasu studiò l'andirivieni confusa per qualche minuto, poi parve cogliere e si girò verso Pai:

« Perché non c'è nemmeno una donna da sola? »

Il ragazzo scosse la testa:

« Non riesco a capire. »

I suoi acuti occhi ametista scrutarono la gente e per la prima volta anche Retasu passò oltre i lustrini, gli abiti lussuosi e le maschere; ciò che colse le lasciò un brivido di sbigottimento e confusione. Nemmeno Pai sembrò capace di trovare risposte e riprese a camminare riunendosi agli altri, fermi a pochi metri di distanza alla ricerca della verde che avevano perso di vista; lei li raggiunse rincorrendo il ragazzo, gli occhi che nonostante la rabbia e lo sconforto non riuscivano a non seguire la sua schiena.

 

 

***

 

 

Minto non aveva notato la particolarità delle donne di Szistet finché, nella bolgia, non era quasi finita addosso ad un'elegante signora con una gonna talmente ampia da poterle fare da baldacchino e un ridicolo pouf sul fondoschiena che ballonzolava ad ogni passo; la signora, il viso nascosto dietro una maschera argentata stracarica di piume blu notte, aveva riso vezzosa e rassicurato la moretta di non preoccuparsi per l'incidente e l'aveva salutata sventolando un elegante ventaglio di pizzo. Era stato allora che Minto le aveva viste.

Quella donna aveva le mani fatte come artigli di lucertola. Non verdi e squamose, ma del bel tono di porcellana dell'incarnato del volto ovale, che aveva visto fare capolino da dietro la maschera d'argento, con lunghe e arcuate unghie che del rettile avevano solo la forma e la dimensione, ma erano lucenti e rosee.

All'inizio Minto si era vergognata del moto di orrore a quella vista e del compatimento per la deformità della povera creatura, ma poi aveva visto altro.

Una donna con la pelle del viso di pietra.

Una con zampe caprine elegantemente dipinte sugli zoccoli con gli stessi motivi dell'abito.

Una senza mani, le braccia terminanti in tentacoli raccolte sotto raso prezioso.

Un'altra donna con grosse corna nere adagiate nella capigliatura riccioluta.

Una con gli occhi da serpente e la bocca priva di labbra che scompariva dietro un elaborato ventaglio.

Una donna con una coda ferina.

Quasi tutte le donne di Szistet avevano delle deformità che per quanto mimetizzate, nascoste, camuffate negli abiti e nelle acconciature risaltavano agli occhi con un'evidenza crudele; eppure nessuno degli abitanti pareva farci caso, anzi le sventurate erano guardate con referenza e amore, quasi con rispetto, accerchiate da amiche, festanti in allegria e, sempre e comunque, uno o più uomini che ne seguivano i passi. Giovani, vecchi, uno, due, non sembrava importante, Minto addirittura vide un bambinetto che doveva avere forse dieci anni scortare un manipolo di cinque ventenni cinguettanti, impegnate a chiacchierare e a vezzeggiare il loro accompagnatore come una sorta di cucciolo protettore.

« Minto, non ti allontanare. »

L'ammonimento di Zakuro l'attirò appena prima che uno stuolo di trombettisti e tamburini invadesse la via dove stavano camminando; la mewbird si riunì all'amica, Eyner, Kisshu e Taruto con cui stava perlustrando la zona, assordata dal fracasso, e faticò a sentire le raccomandazioni del bruno:

« Pare che le donne colte da sole vengano arrestate. »

Le strillò nell'orecchio indicando il suo trasmettitore, e strinse i denti quando una trombetta gli rombò a mezzo centimetro dal timpano:

« Meglio che rimaniate sempre nel nostro raggio d'azione. »

Minto annuì ma il discorso non le piacque troppo, specie sbirciando Kisshu a poca distanza.

Eppure era molto più insolita la presenza di Taruto. Quando si erano separati Purin aveva preso posto nell'altro gruppo e il brunetto, mogio mogio, si era aggregato a loro con la coda fra le gambe, come intercorresse un tacito accordo per cui i due ragazzi non potevano stare a meno di cinque metri uno dall'altra.

Quello, decisamente, era più strano della presenza del verde. In fondo Kisshu era lì solo perché Eyner ce lo aveva trascinato: il bruno preferiva tenerlo lontano da Ichigo ancor più del solito visto che lei non pareva nello stato emotivo adatto per tollerare alcun genere di frecciatina; non che il verde avesse opposto grandi proteste.

Minto sospirò, data la situazione non aveva scelta che camminare in gruppo con tutti loro tenendo la distanza di sicurezza da Kisshu, più che necessaria specie dopo le ultime volte che si erano parlati.

« Onee-sama, guarda laggiù! »

La morettina afferrò il polsino della viola e tirò indicando l'altra parte della strada: oltre una piccola piazzetta si vedeva un canale enorme, chiuso sul lato opposto da una sponda ad u, e si capiva con chiarezza che la città al di là curvava su se stessa come una spirale.

« Nella mappa di prima la città non era quasi rotonda? »

Eyner soppesò un istante la domanda di Zakuro cercando di fare mente locale e annuì.

« Quindi là ci sarà il centro di Szistet? »

« C'è un solo modo per scoprirlo. »

Per una volta Minto ringraziò il suo essere minuta e scivolò con facilità attraverso la piazzetta affollata raggiungendo veloce il limite del selciato che si affacciò sul canale. Represse un moto di stizza, potendo volare avrebbe avuto una visuale perfetta dell'orizzonte, invece dovette restare inchiodata a terra per non destare curiosità; s'impose calma e scese cauta i due gradini che separavano l'acqua dalla strada allungando il collo, con una mano sulla fronte a coprire gli occhi dalla luce.

Era certa che da quella parte ci fosse il centro di Szistet. Grossi stendardi colorati pendevano dai balconi e dalle finestre attorno agli edifici che muravano lo spazio alla sua vista, nascondendo quella che doveva essere una piazza, probabilmente la piazza principale; sentì provenire voci e schiamazzi da laggiù, un sordo rimbombo, e ciò che sembrarono chiare acclamazioni di venerazione.

Laggiù sta succedendo qualcosa di grosso.

Decise di essere rimasta lì a sufficienza. Aveva visto abbastanza e ancora non aveva sentito le voci degli altri, né percepito la loro presenza, probabilmente la folla li aveva bloccati; era più saggio riunirsi.

Fece per girarsi e la comitiva di Szistet che vociava alle sue spalle decretò contemporaneamente a lei di levare le tende: un trampoliere con un'ingombrante livrea si girò incurante o ignaro della sua presenza e la centrò con le panache del suo soprabito, facendole perdere l'equilibrio; Minto riflettè una frazione di secondo di troppo se arrischiarsi ad un voletto o meno, e il tacco dello stivaletto scivolò sulla pietra viscida.

Un grido le si formò in gola e subito si spense.

« Tu e l'acqua proprio non vi piacete. »

La risata maliziosa e la stretta sulla sua mano non irritarono Minto a sufficienza da non farle notare il tuffo del suo petto, che lei segnò subito come dovuto al quasi capitombolo nel canale:

« Invece di stare a prendermi per i fondelli – soffiò irata – potresti aiutarmi a salire, debosciato? »

Kisshu rise studiandola ancora un paio di istanti nell'assurda posa in cui era finita, con le piante dei piedi spinte contro i gradini e la testa piegata in avanti nel tentativo di non cedere al proprio peso e prendere una sederata in acqua, e quando decretò adeguato il tempo passato dalla morettina con il didietro sospeso nel vuoto la tirò sul livello strada con uno strattone.

Minto arrancò goffa di mezzo passo priva di equilibrio e con uno sbuffo si arenò contro il ragazzo. Il suo cuore risuonò con un tonfo, nel momento in cui finì con il naso contro la sua maglia le si riempirono i polmoni dell'odore di Kisshu – e non ebbe il coraggio di chiedersi perché lo avesse così nitido nella memoria – e sollevò titubante la testa.

Lo spazio tra l'argine e il verde era sufficiente appena per posare i piedi e lui la sovrastava con tutti i centimetri di differenza a disposizione; Kisshu le stringeva le spalle, probabilmente lo aveva fatto d'istinto quando se l'era vista caracollare contro temendo finisse comunque a mollo, ma non aveva ancora lasciato la presa. Minto ebbe la sensazione che la studiasse, incerto, e si rese conto di essere completamente stesa contro il suo torace; avvertì la bocca seccarsi, nonostante i guanti della sua divisa e la maglia di lui percepì perfettamente la forma del suo fisico asciutto e i muscoli scattanti sotto i palmi delle mani, contro il proprio petto che vi era aderito in modo così naturale e imbarazzante. Temette di andare a fuoco, per una frazione di secondo ebbe l'impressione che le dita di Kisshu l'avessero stretta appena di più e le sue iridi dorate si fossero fatte più liquide. L'idea le attorcigliò lo stomaco in un fremito che non volle definire.

« Mi… Lasceresti passare? Sto scomoda coi talloni a mezz'aria. »

Kisshu sbattè le palpebre come processando la domanda; si spostò immediatamente e lei lo ringraziò con un brontolio, ammirando i disegni dell'acciottolato e stritolandosi le braccia al petto.

Dietro di loro la calca finì di diradarsi e gli altri li raggiunsero, con Zakuro evidentemente scocciata dall'affollamento in cui si erano ritrovati spiaccicati.

« Credo che un vecchiaccio mi abbia trapanato il fegato con un bastone! – si lagnò Taruto massaggiandosi il fianco – Visto qualcosa d'interessante Minto-san? »

La moretta annuì in silenzio impegnando ogni grammo di autocontrollo per sembrare impassibile, ma temette che Zakuro avesse notato la sua agitazione dall'occhiata sottile che le scoccò.

« Credo stia succedendo qualcosa laggiù – spiegò indicando la piazza nascosta all'orizzonte – potrebbe essere un indizio per ritracciare la MewAqua in questo dedalo. »

« Almeno un inizio. – concordò la mewwolf – Meglio sbrigarci. »

Eyner fece ricomparire la mappa zoomando con le dita per vedere meglio dove si trovassero:

« Se passiamo per di qua – riflettè tracciando un percorso con l'indice – e svoltiamo alla seconda traversa, potremmo riuscire a muoverci senza finire bloccati dalla bolgia… Tu che ne dici? »

Aspettò una replica ma Kisshu non gliela diede.

« Ehi, ci sei? »

Kisshu annuì con un grugnito ed Eyner lo studiò scettico, se era una risposta affermativa era convincente quanto un bicchiere con il fondo a forellini. Sospirò, terminò di studiare il percorso con Taruto e incitò il verde, ancora in piedi con l'aria frastornata, a muoversi e seguire loro e le due ragazze già avviate per strada. Kisshu obbedì di malavoglia senza riuscire a perdere di vista una piccola sagoma azzurra e si pizzicò la lingua coi denti.

 

 

***

 

 

Toyu si avvicinò circospetto. Arashi tenne la testa sollevata, gli occhi chiusi, in uno stato riflessivo inquietante, e l'altro non osò annunciarsi oltre dopo essersi genuflesso alla debita distanza.

« Eccola. »

La voce sottile e crudele di Deep Blue sdrucciolò fuori dalle labbra di Arashi e Toyu rabbrividì, mai si sarebbe abituato all'inquietante uso del suo capo come intermediario della semi-divinità.

« L'hanno trovata. »

« Cosa dobbiamo fare, mio signore? »

L'essere stese la mano in avanti e un portale buio si aprì pigramente a poca distanza:

« Chiama gli altri. Andate. – la voce si arrochì un istante e Arashi tornò a parlare dalla propria bocca – E uccidete. »

Le labbra di Toyu si piegarono in un ghigno rabbioso e bramoso di vendetta:

« Con immenso piacere. »

 

 

***

 

 

C'era troppa calca. Troppa confusione. Troppo rumore. Ichigo sobbalzava ad ogni tono più alto del consentito o ad ogni passaggio di estraneo troppo vicino a sé, e dato che la sua soglia di tolleranza era ai minimi storici non faceva altro che trasalire ogni due secondi.

Ryou la studiò a debita distanza, preoccupatissimo, ma senza rivolgerle nemmeno un cenno. Ichigo che n'era accorta da tempo e invece di sentirsi meglio si irritò solo di più.

Non gliene importava niente di quello stupido. Era un idiota, e poco contava che si preoccupasse per lei.

Insopportabile, incomprensibile, contorto individuo bipolare.

Avrebbe solo voluto dimenticarsi della sua esistenza almeno per un mese o due.

La sorte non le era stata di aiuto. Era andata dietro a Retasu perché si era accorta di Pai, che aveva svoltato nella direzione della verde, e fosse crollato il mondo se avrebbe permesso al cuore di ghiaccio dalla testa di pietra di rimanere da solo con la sua amica a far danni.

La presenza di Ryou era stata un effetto collaterale.

Se avesse potuto lo avrebbe mollato li con gli altri e avrebbe proseguito le ricerche da sola, mai come prima l'avrebbe resa felice il passeggiare in totale solitudine in mezzo agli estranei.

« Nee-chan, oggi sei di cattivo umore? »

« Sono solo pensierosa. »

Mentì e Purin la guardò torva. Di recente aveva l'impressione che tra loro ragazze non si dicessero più molte cose, Ichigo per prima, ed era una sensazione orribile: se nemmeno loro, con tutto il loro passato e la loro amicizia, erano sincere a vicenda, il futuro le appariva per la prima volta nella sua vita molto meno roseo del solito.

« Tu mi preoccupi piuttosto. »

« Che vuoi dire? »

« Hai il muso da giorni e tu e Taruto a stento vi guardate, figurarsi parlarvi. »

Le fece notare con voce brusca e Purin si corrucciò:

« Taru-Tar… Taruto è un cretino. »

La rossa la studiò decisamente preoccupata, non era un buon segno che la mewscimmia avesse accantonato il nomignolo del brunetto.

« Avete litigato? »

Purin arricciò le labbra in un broncio ma non rispose.

La strada intanto li aveva condotti ad un muro di edifici intervallato, di quando in quando, da passaggi ad arco che conducevano ad un grande spazio ricolmo di gente. Il boato della folla creava una barriera sonora che fece rizzare il pelo sulla coda delle due MewMew.

« Sembra che abbiamo raggiunto il centro della festa. »

« Grazie della puntualizzazione Capitan Ovvio. »

Ryou fece finta di non aver sentito il sarcasmo di Ichigo. Retasu osservò preoccupata entrambi, ma non intervenne e sospirando proseguì con tutti sotto uno dei voltoni.

Il passaggio dalla penombra dell'arcata alla piena luce della piazza candida li accecò un istante. Lo slargo doveva essere lungo almeno duecento metri e largo poco meno della metà ed era stipato di persone; le maschere, gli abiti, le voci, i canti, gli strumenti musicali e gli spettacoli creavano un'insopportabile cacofonia che rimbombava tra la cinta di abitazioni, mentre tutti si accalcavano verso il limitare della piazza. Sul fondo la popolazione aveva lasciato un po' di spazio tra sé e un palco improvvisato con assi e cavalletti, non proprio una cosa gradevole alla vista; sopra erano stati gettati lunghi drappi rossi a casaccio per coprire i punti della costruzione più sgradevoli, ma nessuno avrebbe notato le travi e i chiodi a vista. L'interesse era per ben altro.

C'era una statua che doveva essere vecchia di decenni, ma che era stata rimessa a lucido, ripulita e transennata dal palco. Raffigurava una giovane, probabilmente una nobile o una regnante di tempi passati dall'abbigliamento: le intemperie e gli anni avevano fatto svanire la maggior parte dei dettagli dell'abito e i lineamenti del volto, di cui si riuscivano ancora ad intuire il sorriso dolce e lo sguardo socchiuso di contemplazione e bontà. Purin si arrampicò su una colonna del porticato che circondava la piazza e si allungò in avanti per vedere bene, e afferrò Ichigo per la coda:

« Nee-san, guarda! »

La rossa annuì, se n'era accorta anche lei.

Su ciò che rimaneva del petto della statua, dove un tempo probabilmente giacevano scolpite collane preziose, brillava il frammento di MewAqua.

« Come facciamo a prenderla? – gemette Retasu – È in piena vista. »

« Potremmo provare a passare dall'alto – suggerì Purin indicando i tetti – sono tutti concentrati sulla festa, se facciamo attenzione non ci noteranno. »

« E poi? »

« Corri, arraffa, scappa. »

« Definirei questo piano tutto fuorché "elaborato". »

« Se siamo veloci è il metodo più sicuro per andarcene senza scatenare un uragano, Ichigo. »

Puntualizzò Ryou e diede un'occhiata allusiva a Pai., che teletrasportò tutti sui tetti affiancati in linea d'aria alla statua. Si acquattarono per non essere visti, anche se come aveva detto Purin la folla era troppo presa dalla festa e nessuno notò i loro discreti movimenti mezzi sdraiati sulle tegole.

Ichigo fu la prima a sporgersi di sotto; da lassù riuscì perfino a vedere cosa ci fosse alle spalle del palco e della statua e il sangue le si ghiacciò nelle vene:

« Cosa… Significa…? »

 

 

***

 

 

A lui camminare non piaceva proprio; camminando potevi muoverti senza concentrarti troppo sulla meta, bastava che gli occhi tenessero minimamente conto della strada e le gambe si muovevano da sole, lasciando i pensieri in libera uscita. Taruto, di rimuginare, non ne avrebbe avuto proprio voglia, ma non riuscì a farne a meno e capì di aver raggiunto il limite.

Doveva chiedere consiglio a qualcuno e venirne a capo. Prima che gli esplodesse il cervello.

Facile a dirsi.

Sbirciò alle sue spalle, suo fratello non era di sicuro il miglior candidato; nemmeno Pai lo era, anzi, a rifletterci probabilmente gli avrebbe fatto una lavata di testa se solo avesse accennato ai suoi problemi.

Eyner sarebbe stato la scelta migliore, ma Taruto ammetteva di vergognarsi un po' a parlargliene. Inoltre non aveva idea di come buttare lì il discorso, né di come prendere il ragazzo in disparte: di sicuro se Kisshu lo avesse visto sarebbe piombato alle spalle di entrambi come un falco; avrebbe dovuto aspettare di tornare indietro e sospirò frustrato all'idea.

« State ancora litigando? »

Il brunetto alzò la testa dalla strada confuso e incrociò lo sguardo sereno e sibillino di Zakuro:

« Di che parli? »

Borbottò sulla difensiva.

« Tu e Purin. »

Lui divenne rosso di colpevolezza e girò la testa sentendola sospirare:

« Deve essere stato qualcosa di grave, non avevo mai visto Purin così arrabbiata. »

Il brunetto abbassò il capo. Camminava a passo svelto e la mewwolf era la sola a mantenere la sua andatura, gli altri poco dietro di loro che avanzavano più tranquilli.

« Non è che abbiamo litigato… »

Borbottò dopo un po' a bassa voce e si morse il labbro a disagio, non aveva proprio desiderio di raccontare come avesse eluso il bacio della biondina – né di come si fosse pentito della cosa dal secondo successivo o come al ricordo sentisse il bisogno impellente di prendere a craniate il muro – e Zakuro non sembrò interessata a farsi dire le ragioni:

« Certe volte basta soltanto chiedere scusa. »

« Ci ho provato. »

Ribattè piano. Lo aveva fatto davvero, avrebbe voluto chiedere scusa immediatamente, appena Purin era corsa via. E ci aveva provato ancora, decine e decine di volte nei giorni passati.

Eppure appena si trovava fuori da casa sua, o dal Cafè e sapeva che lei era dentro, veniva preso dal panico e tornava indietro ancor più sconfortato.

« … Però non credo basterebbero… »

Avvertiva le sue scuse come sciocche e tardive, forse peggio che non dire niente, e non aveva idea di come proseguire dopo averle fatte perché, era chiaro, non sarebbero bastate solo quelle. Si fissò le punte delle scarpe: era solo un cretino, nessuno avrebbe cavato qualcosa dal suo discorso sconclusionato.

Zakuro infatti non disse niente. Taruto, però, la sentì posargli una mano sulla testa e fargli una brevissima carezza; la fissò ad occhi sgranati e la vide sorridergli discreta:

« Riprovaci un'altra volta e vai fino in fondo. Potrebbe sorprenderti. »

Taruto, inspiegabilmente, fu rincuorato dal gesto e dalle sue parole e arrossì un pochino, Zakuro era davvero bella quando sorrideva e capì perché ad Eyner piacesse tanto; tossicchiò per darsi un tono e scacciò la mano della mora, colpendo solo l'aria:

« Non mi servono i pat-pat sulla testa, non sono un moccioso. »

La mewwolf rise appena a labbra chiuse.

Compì un altro passo e si fermò cambiando espressione e drizzando le orecchie; dietro di lei Minto si mise sul chi vive fremendo  le ali e i tre alieni, dopo un secondo di smarrimento, scattarono anch'essi sull'attenti.

« Minto… »

« Sì? »

« Lo senti? »

« Certo che lo sento – sussurrò la mewbird e avvertì la pelle d'oca incresparle le braccia – che diavolo è? »

Eyner scosse il capo in silenzio. C'era una strana vibrazione nell'aria, qualcosa che gelava l'atmosfera nonostante le risa e i canti attorno a loro, e gli parve di sentire la presenza di qualcuno.

« Non mi piace questa cosa. »

Ringhiò Kisshu a denti stretti. Taruto indicò una cinquantina di metri più avanti, dove degli edifici sprangavano il passaggio se non per piccoli archi:

« C'è qualcosa laggiù. »

« Una piazza. »

Dedusse Zakuro e i suoi occhi divennero feroci e guardinghi. Erano arrivati.

Eyner e Kisshu si scambiarono un'occhiata.

« Probabilmente ci sono più ingressi qui attorno. »

« Io vado da questa parte e controllo – annuì Kisshu capendo la sua proposta – Taruto, tu vai di la. »

Il brunetto annuì e Minto lo accompagnò, il viso teso e preoccupato.

« Noi andiamo di qua? »

Eyner indicò il piccolo arco buio di fronte a loro e Zakuro annuì in silenzio.

 

 

***

 

 

Provò a muovere il pollice. Ci fu a stento lo scatto della prima falange. Provò con il mignolo e quello rimase immobile. Provò con l'anulare, stessa cosa. Il medio e l'indice riuscì quasi a farli inclinare verso il palmo, ma la fitta di dolore alla mano e al polso fu tale che si fermò immediatamente.

« Vedi di non mandare all'aria tutta la mia fatica e pazienta, ne avrai da aspettare prima di tornare a posto. »

Ake spuntò dal corridoio silenzioso come un'ombra masticando sornione il suo tubettino di erbe:

« Mai divertito tanto a ricucire dei tendini. Meglio di un puzzle. »

Sando lo squadrò con rabbia, ma si guardò bene dal cercare di saltargli al collo: il braccio sano ancora ricordava troppo le fitte del gamika(**) che il dottore gli aveva sbattuto contro, se avesse potuto non riprovarle sarebbe stato felice.

« Però fanno un male del diavolo! »

« Cosa pensi, che ci abbia messo un cerottino? È un'operazione complicata, per di più nelle mani… Hai una vaga idea di quanta roba ci sia li sotto?

« Sei tu che non sai fare il tuo lavoro. »

Gli ringhiò contro ma il medico non ci badò. Si appoggiò al muro continuando a ruminare il suo tubetto con fare nervoso e Sando riprese a fissare il pavimento della sala d'attesa vuota, massaggiandosi la mano bendata con l'altra.

« Cazzo Ake diventerai dipendente da quella roba! »

« Il paina mi rilassa. »

« Bevitelo, tossico di merda. »

« Non da assuefazione, ignorante che non sei altro. – rimbeccò gelido – Passi troppo tempo con gli umani, non è mica il loro schifoso tabacco. Ci tengo ai miei polmoni e al mio cervello. »

Sando non gli rispose corrugando la fronte:

« Non sono io quello con la passione per gli umani. »

Ake biascicò l'involto tra gli incisivi un po' troppo forte, rischiando di romperlo, lo prese e se lo rimise in tasca:

« Scusa. »

Sando grugnì qualcosa di simile ad un fottiti.

« Vuoi vederla? »

Sando scattò in piedi scrutandolo come se temesse una presa in giro e Ake si massaggiò la guancia liscia:

« L'abbiamo spostata in reparto. »

Il verde lo precedette a grandi falcate. Ake borbottò tra sé, tentato di usare un altro po' di gamika per farlo stare buono, ma decise di essere clemente e limitarsi ad arrancargli dietro con la sua andatura da pantofolaio. Nel reparto degenza l'atmosfera era calma, le voci sussurrate, ma c'era decisamente più allegria che nell'ala delle vasche rigenerative.

MoiMoi riposava in una stanzetta singola. Sando titubò un minuto buono prima di entrare senza che Ake commentasse, infine si decise a girare la maniglia con lentezza esasperante, quasi avesse paura del cigolio.

« Non si è ancora ripresa. – puntualizzò il medico a bassa voce – E la convalescenza sarà ancora molto, molto lunga. Ma almeno, l'abbiamo recuperata dal regno dei morti. »

Sando non disse niente né fece alcun segno di averlo sentito e si sedette sulla sedia spoglia accanto al letto. Nella stanza c'era un odore di disinfettante più marcato che in tutto il resto del reparto. MoiMoi era protetto fino al torace dalle coperte e bendato dal collo in giù, comprese le braccia magre stese fuori dal lenzuolo e le dita minute; c'erano due flebo nel braccio destro e una nel sinistro, che gocciolava lentamente con un dosatore un antidolorifico che Sando immaginò avrebbe steso un cavallo. Il volto di MoiMoi era pallido, ma sereno, e il suo respiro tranquillo; gli avevano finito di tagliare i capelli, corti e male come Sando non glieli vedeva dai tempi dell'Accademia, e fece un mezzo sorriso pensando a come sarebbe andato in escandescenze a vedersi.

Ake osservò il gigante immobile per un po', poi si voltò e uscì in punta di piedi:

« L'abbiamo sedata per il rischio di trauma post-rigenerazione, quindi sarebbe impossibile ma te lo dico lo stesso… Se provi a svegliarla ti sbatto fuori fino alla sua dimissione. »

Chiuse la porta piano senza che Sando rispondesse. L'uomo sospirò appoggiandosi alle gambe, studiando l'amico, e gli posò con delicatezza estrema la mano sana su una guancia:

« Bentornata, imbecille. »

 

 

***

 

 

« Cosa… Significa…? »

Ichigo si artigliò alle tegole del tetto con un senso di nausea e vertigini, sicura di cadere.

Dietro la statua della fanciulla c'era un allestimento di letti e brande: decine di persone di ogni età e di ogni sesso giacevano più o meno coscienti su di esse, lamentandosi e tossendo sommessamente. Da dove si trovava Ichigo non era in grado di distinguere molti dettagli, perché le persone erano coperte da altre che se ne stavano prendendo cura o giacevano sotto coperte macilente, ma le fu chiaro che fosse una situazione grave.

La folla in piazza rumoreggiò felice. Un uomo grassoccio vestito da giullare salì accanto alla statua e fece pochi segni con le mani: la piazza calò nel silenzio reverenziale in attesa che parlasse, e la mewneko ascoltò con un brivido intenso i colpi di tosse e i gemiti ben udibili dei malati.

« Sia lode a voi amici miei, e felice Festa della Luce! »

La popolazione rispose in coro.

« Da anni la nostra città non passava un tale periodo di gioia. – il giullare cicciotto si mise la mano sul cuore e proclamò con voce profonda – Oh, il rammarico e la sofferenza che ha patito il mio animo! Il dolore di chi ci ha lasciati non lascerà mai i nostri cuori, né con esso la consapevolezza del sacrificio. »

La gente in piazza si raccolse in qualche istante di silenzio, mormorando appena. Il giullare tenne il capo basso per un po' e quindi lo alzò sorridendo ed esclamando:

« Ma non piangiamo, miei cari! Non piangiamo! Gioiamo della volontà del grande Sonne(***) e dell'offerta che ci ha inviato tramite la sua amata figlia! »

Indicò con reverenza la Goccia che brillò sulla statua e la folla proruppe in canti e assoli di tamburelli. Il giullare li lasciò rumoreggiare per alcuni minuti improvvisando qualche passetto di danza e ridacchiando, quindi chiese di nuovo silenzio. Fece un cenno alle sue spalle e qualcuno salì dal sanatorio a cielo aperto: un uomo vestito con una divisa, la stessa degli uomini che avevano fermato Retasu, e una maschera bianca inespressiva accompagnò sul palco un giovane che poteva sfiorare la trentina. Allo scoperto e sotto il sole pieno Ichigo riuscì a vedere per bene cosa affliggesse quelle persone e dovette coprirsi la bocca con la mano per non urlare.

Il poveretto aveva la pelle congestionata, quasi violacea, disseminata di piaghe rigide come squame e del colore della pietra; era magro e debilitato, faticava enormemente a stare in piedi e non faceva che tossire, tanto che un rivolo di sangue iniziò a colargli dalle labbra spaccate.

Il suo accompagnatore lo sostenne con amorevole cura e Ichigo notò che indossava dei guanti lunghissimi: non un lembo di pelle era scoperto, e il giullare rubicondo sebbene sorridesse partecipe si tenne a distanza dal malato, temendo un contagio. L'uomo si voltò verso la ressa che aveva preso a borbottare forte e non si potè capire cosa dicesse finché un'altra figura salì sul palco e il silenzio calò sulla piazza: era una donna sulla cinquantina con un abito amaranto e una maschera che le copriva metà volto dalla fronte al mento; la donna si avvicinò al giovane malato, incurante gli accarezzò il viso come se lo conoscesse e si avvicinò alla statua, inspirando a fondo pronta ad un qualche gesto di estrema importanza. Il soldato avvicinò il giovane alla statua finché non fu di fronte ad essa e accanto alla signora, che gli sorrise e in un mormorio appena udibile anche nel silenzio assoluto gli domandò il nome; il giovane rispose con un gorgoglio e tossì ancora.

La donna si sfilò i guantini di pizzo. Con una mano prese la guancia piagata e orribile del ragazzo, l'altra la posò sul corpo di granito della statua: ci fu un lampo iridescente di luce che avvolse tutto, la statua, la gente sul palco e in piazza, i tetti e i terrestri e Pai si coprirono gli occhi per non essere accecati. Un paio di secondi e la luce scemò indietro. Ichigo vide la donna inginocchiarsi sul palco, esausta, e alzare appena il capo sorridendo al giovane che si mise dritto con aria incredula e si ammirò le mani: era ancora magro e debole, ma le piaghe sul suo corpo erano svanite come fumo al vento e così la tosse e le gambe tremanti; il ragazzo scoppiò in lacrime di gioia, saltando per il palco e aiutò con amorevole garbo la donna a rialzarsi, incurante che le delicate mani che lo avevano accarezzato fossero diventate due orrendi artigli ferini.

Il giullare applaudì e proclamò con solennità alcune parole, ma la folla fece un tale chiasso che non si udì nulla. Ichigo vide solo il giovane abbracciare e ringraziare in lacrime la signora e poi un gruppo di altre donne deformate, dalle prime file, salire sul palco e abbracciarla e omaggiarla con tutti gli onori. Ichigo fissò la scena incomprensibile con gli occhi spalancati e per un solo, minuscolo, fugace istante, riconobbe una figura opalescente baluginare di fronte alla statua. Si resse più forte per non cadere dallo stupore mentre la figura impalpabile le lanciava uno sguardo triste e svaniva.

« Luz… »

« Cosa? »

« Io… Io ho visto – tartagliò frastornata – ho visto Luz. Adesso, laggiù… »

Ryou si sporse e non vide altro che la gente festante. Le scoccò un'occhiata indecifrabile.

« Non sono impazzita! – sbottò lei – Sono sicura, era Luz! »

« … Ma certo, potrebbe… »

« Di che parli Pai nii-san? »

Il moro squadrò Purin per il nomignolo e sospirando spiegò a mezza bocca:

« Non riesco a capire la ragione, ma con tutto quello che sta succedendo… In qualche modo Luz Melynas è legata al dono quanto Deep Blue e Ao No Kishi. »

« Ne sei sicuro? »

« No. – ammise piatto – Non abbiamo modo di verificare come, ma quello che succede laggiù è evidente. »

Retasu sbirciò di sotto, dove la folla veniva richiamata all'ordine e il giovane sanato e la signora dalle mani animali venivano accompagnati nella massa con ovazioni e risa gioiose: a lei non sembrò così evidente.

« Stanno usando il potere del Dono per curare l'epidemia della città, ma non devono aver trovato un modo per usarne la forza… »

« … Se non usando le donne come tramite. »

Ryou e Pai si scambiarono un cenno d'intesa e le tre ragazze si guardarono a vicenda, per lo meno loro due si capivano perché per loro quei ragionamenti non avevano senso.

« Ecco perché è proibito lasciarle da sole. Qualunque cosa possa accadere loro, ridurrebbe il numero di soggetti compatibili – continuò a riflettere il moro con indifferenza – pur se pare una scelta volontaria… »

« L'inconveniente è che il potere della Goccia causa mutazioni – soppesò Ryou studiando di sotto – che sia a causa della composizione del loro DNA? »

« Probabile. »

« Per piacere non iniziate a lanciarvi nei vostri discorsi teorici! »

Gli rimbrottò Ichigo seccata, Pai aveva parlato di Luz come se fosse un esperto e la cosa le diede fastidio: era lei che aveva cercato tracce di Luz e della sua famiglia per settimane, si era ritrovata a fare quegli strani sogni… In un certo senso aveva iniziato a stabilire un legame con lei, e avvertiva una forma di infantile gelosia al pensiero che qualcun altro ficcasse il naso nella questione. In particolar modo se si trattava del gelido alieno.

« E ora che si fa? »

« Mi sembra ovvio, Purin. Andiamo a prendere la Goccia. »

« C-cosa? – Retasu si mise una mano sulla bocca – Shirogane-san, noi…! »

Il biondo la guardò senza capire e lei scosse con maggior energia il capo:

« Non possiamo! »

« Cosa stai dicendo? »

« Quelle sono persone! – gemette guardando Pai severa – Persone malate. La Goccia sta salvando loro la vita! Non possiamo…! »

Pai la fissò cupo:

« Anche a Jeweliria ci sono persone malate. »

La verde si morse il labbro sussultando appena. Aveva ragione, ma chi erano loro per decidere se togliere la salvezza a qualcuno per darla a qualcun altro?

« Retasu, quella Goccia non si sarebbe mai dovuta trovare qui – sottolineò Ryou gentile ma fermo – non fa neppure parte di questo universo. »

La mewfocena seppe che pure il biondo era nel giusto, ma non mosse un passo. Alzò inavvertitamente lo sguardo scontrandosi una seconda volta con quello di Pai e scosse la testa, non avrebbe mai potuto decidere; lui rimase serio e inespressivo e Retasu scostò la testa avvilita e arrabbiata:

« Non possiamo… »

Ripetè sottovoce; Purin assunse la sua stessa aria combattuta e cercò sostegno in Ryou, che cedette solo appena appena rilassando la fronte. Rintracciò Ichigo con lo sguardo e la rossa, sbagliando, credette che stesse per scaricare l'incarico di decidere a lei, come al solito sbolognando a qualcun altro il problema, a lei in quanto leader del gruppo: si addentò il labbro stringendo i pugni e mettendosi genuflessa, quindi ringhiando tra i denti spiccò un balzo e saltò sul palco.

« Ichigo! »

« Ma cosa le è preso?! »

La mewneko non sentì il richiamo di Ryou né quello successivo di Retasu. A dir la verità sentì a fatica perfino il rumore della folla che, scioccata e ammutolita dal suo arrivo, si rianimò velocemente vedendola puntare la statua.

Ichigo aveva un vespaio nelle orecchie e avvertì il petto pesante, così tanto da soffocarla. Non era lucida, per nulla, ma il suo corpo agì ugualmente per conto proprio.

Prese l'ampolla per il Dono dalla gonna e una guardia tentò di placcarla; lei la scacciò con un violento calcio in pieno viso, saltando a gattoni sulle spalle della scultura. Le guardie, incitate dal giullare e dalla folla, si decuplicarono in pochi secondi e mentre la rossa si tese con il braccio verso la Goccia, un soldato l'afferrò per un piede per tirarla giù; Ichigo era pronta a replicare il colpo di tacco quando un ruggito e una sagoma argentea piombarono sul malcapitato, allontanando poi gli altri soldati con un poderoso ruggito.

La folla fu presa dal panico e diede il via ad un fuggi fuggi generale che causò sufficiente confusione per lasciare a Ryou la sola incombenza dei soldati, spaventati ma meno intimoriti dalle sue zanne con le loro spade e le lance in mano. Purin e Retasu saltarono giù pronte al fianco della pantera, seguite da Pai che scacciò un buon numero di guardie con un solo Fuu Shi Sen, dando ad Ichigo il tempo per mettere la Goccia al sicuro.

La rossa si strinse l'ampolla al petto e guardò gli altri lottare con il respiro sempre più pesante. La sensazione di soffocamento e ansia che l'accompagnava da giorni le stava intontendo i sensi e rattrappendo il corpo, e l'ultima cosa razionale che riuscì a pensare fu di portare subito il Dono al sicuro.

Saltò giù dalla statua senza guardare gli altri e corse via, zigzagando tra le guardie e i cittadini in fuga. Corse a più non posso allontanandosi dalla bolgia della piazza, via, nel labirinto della città con l'obbiettivo di ritrovare il passaggio prima possibile.

« Ichigo-san! »

« Cosa diavolo ha in mente quella stupida?! »

Pai scagliò una piccola scarica di fulmini allontanando un gruppetto di soldati temerari, purtroppo senza scoraggiare il resto delle forze locali. Schioccò la lingua furioso, Ichigo doveva aver dimenticato che se fosse passata nel portale con la Goccia e senza di loro, li avrebbe intrappolati laggiù per sempre.

« Raggiungiamola. Subito! »

Ryou ruggì e spiccò una corsa cercando tracce di Ichigo con il fiuto. Purin saltellò sulle teste di un paio di soldati e fece per seguirlo, quando una figura piombò dal cielo a meno di mezzo metro da lei e la bloccò, spaccando il pavimento come un meteorite. La biondina rotolò all'indietro e rabbrividì mettendosi accucciata e pronta a scattare verso il nemico, riconoscendo la puzza di Zizi ancor prima che lui si alzasse ghignando:

« Tesoro, sono tornato! »

 

 

***

 

 

Zakuro fu investita dalla folla urlante che scappò dalla piazza principale e rischiò di venire schiacciata, se non che Eyner l'afferrò per un braccio e la sollevò in volo oltre le teste della gente. La mora gli strinse le braccia al collo e lo ringraziò, preoccupata dal panico sotto di sé.

Non erano riusciti a vedere quasi nulla di quanto stesse accadendo in piazza dalla loro posizione, erano riemersi dal fondo della cinta di mura: qualsiasi cosa stesse succedendo dall'altra parte, però, doveva aver terrorizzato la popolazione al punto che due esseri volanti non erano di grande interesse.

« Merda…! »

La mewwolf guardò confusa il ragazzo e lui indicò la cima della piazza quasi sgombera:

« Dimmi che ho un'allucinazione. »

« … Zizi…! »

« Ti avevo detto di dirmi che era un'allucinazione… »

Sbuffando irato Eyner estrasse il jitte e Zakuro fece schioccare la frusta. Non compirono neppure dieci metri che fili metallici robusti e sottili sferzarono l'aria, inarrestabili, investendo entrambi i ragazzi e scagliandoli contro uno degli archi di passaggio: Zakuro avvertì il dolore secco e acuto del gomito che sbatteva contro la pietra e ruzzolò malamente oltre la porta, reggendosi il braccio leso, mentre Lindèvi sovrastò lei e il bruno ridacchiando:

« Buong- »

Prima che terminasse la frase Eyner, rialzatosi, tentò di colpirla con una gittata di fiamme; Zakuro lo sentì mandare un verso di trionfo e intravide dei lapilli aranciati brillare a mezz'aria intanto che il bruno, forse più abituato di lei a prendere muri per la schiena visto come si era ripreso facilmente, incalzò l'avversaria senza tante cerimonie.

« Sei un maleducato! – frignò la bionda – Almeno impara a salutare. »

« Un'altra volta. »

Eyner cercò di centrarla con il jitte al fianco, ma Lindèvi schivò e con una mossa gli fu alle spalle per colpirlo con una lama alla nuca; la frusta di Zakuro si avvolse attorno al polso dell'Ancestrale prima che muovesse un'unghia ed Eyner si voltò di scatto pronto a contrattaccare, costringendo Lindèvi a teletrasportarsi via. La bionda ricomparve su uno dei tetti vicini fissandoli seccata a braccia conserte:

« Razza di piccioncini seccanti e maleducati. »

Eyner aprì la bocca per risponderle a tono, ma le parole gli morirono in gola. Con un gesto di comando del polso Lindèvi fece comparire cinque sue identiche copie dagli sguardi neri e vuoti, che fissarono il bruno e Zakuro come insetti disgustosi.

« Copie di DNA e innesti parassiti. – spiegò trillando la bionda – Non li trovate carini? »

Zakuro strinse la presa sulla sua frusta pronta alla carica:

« Adorabili. »

Un altro cenno di Lindèvi e i chimeri si scagliarono giù.

 

 

***

 

 

« Perché ci sono cinque Zizi?! »

Protestò Purin allarmata e Zizi mostrò i canini candidi:

« È più divertente. »

I chimeri si lanciarono su di loro come dei treni. Ryou evitò il pugno di una delle copie che probabilmente gli avrebbe fracassato le ossa e saltò sulla sua schiena addentandogli il collo; quella mandò uno strillo acutissimo e si dimenò tentando di scuotersi la pantera di dosso, ma non sembrava molto intelligente e tutto ciò che riuscì a fare fu muovere le braccia a mulinello senza una logica.

Zizi non si curò del suo chimero, puntato con ferocia contro Pai; il moro riuscì ad incassare a denti stretti gli affondi del ragazzo, ma i colpi erano troppo diretti e non riuscì a contrattaccare. Zizi rise rozzo e caricò un pugno più deciso, ricevendo un calcio al ventre da Purin che non disse una parola, ma si tolse dalla traiettoria di Pai e indicò alle sue spalle: lui capì all'istante e una scarica elettrica ad altissimo voltaggio si abbatté su due dei chimeri che tallonavano la mewscimmia, immobilizzandoli per alcuni istanti. Purin scartò da Zizi, schiantato contro una colonna, prima che si riprendesse e si gettò in aiuto di Retasu: la verde aveva lo stesso problema di Pai, ma molta meno resistenza fisica, e dopo un paio di calci andati a vuoto al chimero fu sufficiente un pugno ben assestato perché la mewfocena, gemendo, fosse scagliata lontano e rimanesse a terra in stato di semi-incoscienza.

« Nee-san! »

Purin gridò di nuovo, stavolta di dolore intanto che il chimero in lotta con Ryou riuscì a strapparsi di dosso le sue fauci e lo scagliò contro di lei. La biondina e la pantera caddero poco lontani da Retasu e Purin, stringendo i denti dal dolore, tentò di alzarsi per proteggerla: vide il chimero che aveva affrontato Ryou, le spalle coperte di un liquido incolore che doveva essere il suo sangue, e i due folgorati da Pai riprendersi e puntarli troppo veloci perché potesse far altro che frapporsi fisicamente tra loro e l'amica, poi una sagoma più grande le apparì di fronte al naso, e ruggendo stridule le tre creature retrocessero scontrandosi contro l'elettricità dello scudo gigante di Pai. Purin riprese a respirare con più calma e lo ringraziò occupandosi di rimettere Retasu in piedi, la pantera argentea accanto a lei che si riscosse e si affiancò all'alieno ringhiando, e Pai fissò Zizi e le sue copie disporsi di fronte a loro come un plotone di esecuzione.

Quei chimeri erano molto più deboli della loro versione originale, non solo meno intelligenti, ma era il loro numero ad essere vincente: accanto alla potenza devastante dell'Ancestrale, la loro forza sommata li rendeva soverchianti.

Qui ci lasciamo le penne.

Zizi sorrise trionfante e alzò il braccio per dare il segnale di attacco. Non notò il guizzo nello sguardo di Pai e la presa più salda sul suo ventaglio.

« Pai! adesso! »

In pochi decimi di secondo robuste liane spaccarono le mattonelle del selciato e immobilizzarono le copie-chimero; al segnale Pai scagliò tutta la sua potenza contro le creature seguito a ruota dai colpi d'acqua di un'intontita Retasu, quindi Purin colpì Zizi con una raffica di Ring Inferno immobilizzandolo nella trappola gelatinosa.

Tutto durò appena una manciata di istanti. I chimeri copia esplosero come bolle di sapone disseminando l'aria di para-para che, a differenza del solito, smisero rapidamente di volare e si accasciarono al suolo dissolvendosi subito dopo, ma i ragazzi non rimasero per capire e appena Zizi toccò il suolo, avvolto nella melma gialla, scattarono tutti verso le mura seguendo Taruto che aprì la strada.

« Dove sono gli altri? »

« Ci siamo divisi prima di entrare qui – spiegò il brunetto nervoso – ero con Minto, ma siamo stati investiti dalla folla e l'ho persa di vista. »

« Andiamo subito a cercarla! »

« No. »

Retasu aprì la bocca per protestare più decisa ma Pai fece un cenno a poca distanza da loro: oltre le mura videro un guizzo di capelli biondi volare sopra i tetti, fiamme e un nastro di luce lilla.

« Se c'è Zizi, ci saranno anche gli altri – constatò arrabbiato – se siamo fortunati Minto è ancora per strada, al sicuro. »

Indicò Purin:

« Chiamala e dille di trovare Ichigo. Se quella stupida passa oltre il passaggio senza di noi, rimarremo bloccati. »

La biondina divenne pallida alla sola idea e annuì più volte, portandosi il ciondolo alla bocca e tremando al pensiero delle due amiche da sole, alla mercé di quei folli ossigenati.

« Muoviamoci! – incitò Taruto a gran voce – Dobbiamo tro… »

Troncò le parole con un lamento e sbattè di naso contro una barriera invisibile. Alle loro spalle Zizi cacciò un urlo da bestia e infranse la prigione di gelatina puntando lo sguardo su di loro con rabbia:

« Voi non vi muovere da qui! »

 

 

***

 

 

Ichigo era nel panico.

Come le era venuto in mente di scappare a quel modo?

Non aveva idea di dove si trovasse e chissà dove erano finiti gli altri; stava succedendo qualcosa, la gente non scappava più solo dalla piazza principale e da ogni direzione arrivavano persone urlanti che tentavano di raggiungere la zona opposta della città.

Ma la mewneko non aveva tempo di capire cosa accadesse.

Non fece che correre senza meta, i polmoni che bruciavano per lo sforzo: alcune persone la riconobbero e fu costretta a cambiare direzione prima che la linciassero, finendo dritta tra le braccia di un gruppetto di guardie che, a giudicare dagli abiti bruciacchiati, dovevano aver incrociato Pai o uno dei jeweliriani. Ichigo scartò di nuovo lanciandosi a pesce in un gruppo di damine urlanti che nemmeno si accorsero della sua presenza, rischiando di schiacciarla nel tempo che lei passò tra loro strisciando; la rossa gridò di dolore quando un tacco non identificato minacciò di strapparle la coda e tagliò la folla in orizzontale puntando alla strada limitrofa, si rialzò appena si fu lasciata alle spalle l'ultima vaporosa gonna di tulle e riprese a correre, incapace di fare altro.

Stava succedendo tutto troppo velocemente. L'ansia le impediva di trovare una soluzione lucida e attorno non aveva che gente terrorizzata, guardie furiose e minacciose, strilli, e in lontananza sentì dei cupi rimbombi simili ad esplosioni. Il cuore martellava così forte che iniziò a sentire dolore al petto, che si intervallava con le fitte allucinanti al fianco, e ormai la gola andava a fuoco.

Raggiunse una via un poco più sgombra e riuscì ad imporsi calma per quel paio di secondi adatti a decidere una direzione sensata; cosa poco utile, dato che non aveva idea di dove si trovasse. Avvertì una mano artigliarle il braccio e si voltò urlando, trovandosi di fronte il volto piangente e disperato di una donna che reggeva tra le braccia un bambino con i segni della malattia che affliggeva Szistet; Ichigo pregò fosse incosciente, ma il colorito violaceo che l'epidemia donava alla pelle dava tutta l'impressione di sovrapporsi ad un biancore poco adatto ad un vivo, e la rossa ebbe l'orrida idea che il petto del piccolo non si muovesse.

« Perché…?! Perché l'hai preso…?! »

La donna strinse la presa quasi volesse spezzarle il braccio, lo sguardo fuori dalle orbite; era chiaro che delirasse:

« Ridaccelo…! Ridacci la cura…! Devo salvarlo…! Devo salvarlo! »

Ichigo rabbrividì e osservò ancora il corpo senza vita del bambino, strappandosi alla presa della donna con un singhiozzo. Un senso di colpa gelido e denso le colò lungo la gola e si girò per ricominciare a scappare e mettere quanti più chilometri possibili tra sé e il volto folle e disperato della donna, quando un sibilo di lama le fece istintivamente abbassare la testa: le grida della donna cessarono e Ichigo ebbe appena il tempo di vederla afflosciarsi sul selciato stringendo il corpicino inerme che aveva tra le braccia, prima di saltare via e schivare un altro affondo di Toyu.

« Che sfortuna. – sospirò lui – Invece della lupetta ho trovato la gatta. »

Atterrò incurante del cadavere accanto a cui passò tranquillo e pulì la punta rossa del fioretto con un movimento del polso; Ichigo lo squadrò rizzando il pelo e scoprendo i denti ferini:

« Assassino…! »

« Soldato, bell'uomo, abile amante all'occorrenza. – elencò scherzando crudele – Per la precisione, in questo momento sono anche abbastanza seccato, quindi che ne dici se ti uccido subito e mi prendo l'ampolla che hai nella tasca? »

Ichigo tentò di scappare, ma anche Toyu era accompagnato da una scorta di chimeri-clone e lei fu bloccata da due copie inespressive del biondo e dai loro fioretti puntati sulla giugulare. Fece comparire la campanella rassegnata alla lotta e rabbrividendo, potè avvertire la potenza dell'Ancestrale e fu certa che l'avrebbe uccisa in poche mosse.

« Arashi ha insistito perché portassimo questi cosi come cavie. Io non ero convinto, ma… »

La rossa trasalì, chiedendosi spaventata a cosa mai potessero servire le creature. Il biondo sorrise come intuendo la sua domanda e le strizzò l'occhio ovviamente senza risponderle:

« Almeno non farò la fatica di tenerti ferma. »

Ichigo deglutì pronta a contrattaccare con ogni grammo di forza rimasto, ma non dovette muovere un dito. Con un fischio rapido intuì una lama e qualcuno dietro i due chimeri, che si accasciarono inermi dissolvendosi, e la mano di Kisshu le afferrò il braccio teletrasportandosi un secondo prima che Toyu la infilzasse al petto.

 

 

***

 

 

Le copie di Lindèvi erano velocissime e riuscire a mandare a segno un attacco efficace era impossibile; Eyner riuscì ad incenerirne due, di cui per fortuna i para-para si dissolsero come nei chimeri di Zizi, ma la sorte non sorrise oltre. I cloni utilizzavano le stesse armi della bionda e avvicinarsi a sufficienza per immobilizzarle era difficilissimo, neppure Zakuro riuscì a fare molto e solo dopo un'estenuante corpo a corpo potè colpire il terzo chimero con una scudisciata della sua frusta, distruggendolo.

« Così non concludiamo niente. »

« Temo anch'io. »

Approvò Eyner con il fiato corto e si mise schiena contro schiena alla mora; entrambi erano sotto l'assedio degli ultimi due chimeri rimasti, mentre Lindèvi li studiava da distanza gongolando della scena.

« E se ci disfacessimo di Lindèvi? »

« Lei controlla i chimeri – annuì il bruno – potrebbero andare in confusione il tempo necessario a disintegrarli… Buona idea, ma hai un piano? »

« A dire il vero sì. »

Fece la mewwolf e lui la studiò curioso. Lei fece appena un cenno:

« La modifica alle armi. »

Eyner studiò il jitte e iniziò a capire.

« Puoi attaccarli entrambi in contemporanea? »

Lei accennò ai due chimeri che danzavano in cerchi sempre più stretti attorno a loro ed Eyner ci pensò su:

« Sì. È complicato – ammise – ma dovrei farcela. »

Alla mora bastò e annuì convinta.

« Quando te lo dico – sussurrò il bruno – tu vai. »

« Ok. »

« Cercherò di non abbrustolirti la coda. »

Scherzò lui e la vide sorridergli:

« Non accadrebbe mai. »

Si guardarono alcuni istanti, complici, e Lindèvi sbuffò esasperata:

« Avete finito di bisbigliare? Non la sopporto la gente come voi! – frignò – Quasi quasi ora mi libero di… »

« Vai! »

Eyner colpì il terreno con il jitte e due lingue di fuoco di diramarono a destra e sinistra, inseguendo i due chimeri e bruciandoli in pochi secondi; nello stesso momento Zakuro si lanciò avanti, sicura che le vampe non l'avrebbero colpita anche se passò a pochi millimetri tra una e l'altra, e approfittando dell'attacco del bruno e della distrazione di Lindèvi si avvicinò abbastanza alla bionda da bloccarla con la sua frusta.

Lindèvi si divincolò e protestò, tentando invano di muovere le dita o i polsi per attivare le armi, e Zakuro atterrò richiamando Eyner a gran voce. Lui si teletrasportò in linea d'aria sulla traiettoria di caduta di Lindèvi, strattonata dalla fune di luce, e la mirò con decisione; come immaginò l'Ancestrale non ebbe difficoltà ad evitarlo nonostante fosse legata, ma non lo fece abbastanza in fretta ed Eyner riuscì a ferirla ad un braccio con il filo dell'arma.

Lindèvi emise un lamento strozzato e si accasciò a terra senza forze; i suoi due chimeri, scossi ancora da brevi spasmi nel tentativo di sopravvivere, si bloccarono e si lasciarono andare a terra dissolvendosi. La bionda mandò un lungo lamento, quasi piangendo, e Zakuro ritirò la frusta vedendo il corpicino contorcersi in balia di un dolore interno sconosciuto. Lindèvi frignò ancora e i due ragazzi videro il suo corpo emettere un baluginio simile a quello delle MewMew nelle vicinanze del cristallo: la ragazzina gemette stridula e in pochi istanti il suo aspetto cambiò, come era successo per qualche momento a Toyu quando avevano ripreso il Dono dalla loro dimensione.

Al posto della ragazzina bionda con i bei abiti celesti comparve una donna sulla trentina abbondante, magra e malaticcia; capelli verde cupo lisci e dall'aria stanca si spansero per l'acciottolato e attorno al viso scavato, in cui la donna piantò le unghie dal dolore continuando a lamentarsi. Aprì gli occhi, due pozze onice stanche e infelici, e si guardò le mani con orrore iniziando a piangere:

« Cosa mi hai fatto…?! »

Esalò senza voce. Zakuro ammirò la figura adulta, eppure così piccola e misera della donna che parve più disperata man mano che studiava un corpo e un aspetto che aveva dimenticato ed Eyner la prese per un braccio, incitandola a retrocedere: aveva una pessima sensazione.

Lindèvi si fregò il volto incredula e disperata; prese a respirare affannosamente, le pupille che divennero due spilli di tenebra nelle iridi scure, e Zakuro accelerò l'andatura vedendo l'elettricità che avvolse il corpo della donna e iniziò a sollevarle i capelli attorno al volto.

« Cosa mi hai fatto?! »

Ripetè più aspra e si alzò in piedi dondolando con poco equilibrio. Zakuro creò uno scudo appena in tempo.

« Cosa mi hai fatto?! »

 

 

 

« Voi non vi muovete da qui! »

Il gruppo si girò pronto a fronteggiare il biondo quando l'aria esplose in un rombo di luce. La barriera creata da Zizi andò in mille pezzi e tutti finirono a terra schiacciati dalla potenza di un'esplosione sconosciuta, poi arrivò il grido di Lindèvi. Un grido lacerante, disperato, furioso.

La donna fece la stessa cosa che avevano visto fare a Zizi nella dimensione della torre: tutta l'energia di Ancestrale fu richiamata in quel corpo fragile ed esplose in fuori con violenza, avvolgendo Lindèvi in una colonna di luce impenetrabile, ma a differenza del ragazzo nelle condizioni in cui si trovava la forza per Lindèvi era troppa. A discapito della luce accecante Zakuro intravide la sagoma scura della donna, gli occhi riversi e la bocca spalancata nel suo urlo folle, e vide che le membra iniziarono a contrarsi e a piegarsi sotto la spinta proveniente dall'interno. Forse la potenza dell'Ancestrale non era stata sigillata nella donna, ma lei non era più in grado di reggerla.

Zizi comparve dalla piazza all'improvviso disinteressato ai suoi avversari e attirato dalla luce; mandò un'imprecazione sussurrata e chiamò il nome della compagna, che non rispose. Tentò di avvicinarsi e finì spalmato contro le mura di un edificio dalla pressione, imprecò ancora e ritentò vanamente:

« Merda! »

« Zizi, allontanati! »

Eyner scattò sull'attenti e si mise d'istinto tra Zakuro e la figura di Toyu, comparsa a poca distanza, ma il biondo non si curò di loro e mandò i suoi chimeri contro la colonna di luce. Il primo finì disintegrato al solo contatto e così il secondo, ma gli altri tre riuscirono ad attraversarla e a sbucare dall'altra parte con Lindèvi stretta tra loro; la gettarono a terra dissolvendosi nello stesso momento e la donna, esalando un lungo sospiro, smise di dimenarsi e crollò esausta.

Terrestri e jeweliriani rimasero immobili per alcuni istanti. Pai, avvicinatosi con gli altri dalla piazza, incrociò lo sguardo con Eyner e gli fece un cenno: il moro e Taruto afferrarono chiunque avessero più vicino e si teletrasportarono con uno schiocco, invece prima che Eyner ci riuscisse Toyu si gettò su di lui e la mewwolf. Entrambi scartarono indietro e Zakuro prese lo slancio per ricambiare l'attacco dell'Ancestrale e caricargli contro un gancio ben assestato; Toyu caracollò un po' all'indietro, frastornato dal colpo e dalla sorpresa e vide Eyner afferrare la mora per la vita e teletrasportarsi via, non prima di averlo minacciato con un'occhiataccia feroce e avergli sussurrato:

« Riprovaci e ti uccido per davvero. »

Toyu allungò il braccio ringhiando disposo pure ad afferrare il jitte puntato contro di sé a mani nude per fermare i due, ma Lindèvi esalò con un gorgoglio stridulo di non farlo. L'Ancestrale rimase con il braccio teso, mentre i due ragazzi sparirono, e studiò la compagna ancora riversa a terra.

Zizi la sostenne per la testa perché non soffocasse nel suo stesso sangue, che aveva preso ad uscire a fiotti dalle labbra. Le pupille nere stavano tornando rapidamente chiare e i capelli si stavano riempiendo poco a poco di ciocche bionde, ma il suo aspetto era ancora adulto; aveva decine di tagli sul corpo che sanguinavano copiosi, un pallore mortale sul volto e respirava con il terrificante suono di acqua nei polmoni:

« Non toccarle… Toyu… Non toccarle… »

« Stai zitta, cogliona che non sei altro, o ti annegherai da sola. »

Lei sembrò trovare rassicurante il linguaggio scurrile di Zizi e gli sorrise ansando. Toyu le si avvicinò studiandola in un misto di pietà, tristezza e disgusto:

« Di cosa parli? »

« Non so… Cosa abbiano fatto… »

« Ti ho detto che non devi parlare, testa di cazzo! »

« Zizi, taci. »

Lindèvi tossi e Toyu la tolse dalle mani dell'altro, mettendola lievemente di costa perché non soffocasse:

« Lindèvi, di cosa stai parlando? »

« La lama… Mi ha toccata e… La mia Discendenza, la Discendenza – i suoi occhi, ora di uno spento color ghiaccio, si riempirono di lacrime – Me l'hanno portata via… Io sono… Non sono… »

La donna perse del tutto i sensi. I suoi compagni credettero avesse smesso di respirare, invece ascoltarono un impercettibile sibilo uscirle dalle labbra; il suo corpo si ridusse fino a tornare alle fattezze di una ragazzina e Toyu, furioso, lasciò il corpicino inerme tra le braccia di Zizi.

« È morta? »

« Per ora no. »

Constatò freddo. Zizi si mise Lindèvi in braccio un po' spaventato dal quantitativo di sangue che le coprì gli abiti e Toyu guardò un punto indefinito in lontananza con gli occhi stretti e furenti.

« Li inseguiamo? »

« No. – sentenziò Toyu – Il nostro piano non cambia, che otteniamo quel frammento o meno; era un modo per testare i chimeri e hanno miseramente fallito, facciamo rapporto. »

Scostò con un gesto delicato ma non affettuoso i capelli biondi dal viso sudato e macchiato di rosso di Lindèvi:

« E lei non so per quanto resisterà. »

Zizi lo guardò scettico, dubitava che Toyu avesse tanto spirito di squadra da desiderare di salvare una compagna; il biondo intuì i suoi dubbi e precisò:

« Saranno Arashi e Deep Blue-sama a decidere cosa farne. »

« Ah, ecco. »

I due si guardarono ancora attorno e si teletrasportarono via, non prima di aver rimirato la devastazione causata da Lindèvi e al gigantesco cratere vuoto, largo una trentina di metri, che aveva divorato strada, edifici e persone in tutta la sua ampiezza, lasciando solo una zolla di terra distrutta sospesa sull'acqua agitata.

 

 

***

 

 

Ichigo e Kisshu atterrarono in un posto improvvisamente silenzioso e lei si strinse al braccio del verde incapace di rimanere dritta, guardandosi frastornata attorno.

« Scusa, non ho avuto modo di trovare un altro posto. »

Si giustificò lui. La rossa non disse niente.

Erano piombati in quella che riconobbe come una chiesa: non c'erano i classici simboli che aveva visto in altre chiese come croci o immagini di santi, ma la struttura dell'edificio era familiare; c'erano panche lungo la navata attorniata da colonne che reggevano i corridoi superiori e la volta a botte, piccoli altari lungo i lati della navata e un abside semplice, ma curato, inondato dalla luce policroma di grandi vetrate colorate con immagini che la mewneko non distinse.

Il posto era deserto e silenzioso. Le grandi pareti di pietra non permettevano ai rumori esterni di entrare, né tantomeno al calore e c'era una gradevole frescura mentre Ichigo compiva pochi e lenti passi sul tappeto di velluto al centro della navata.

« L'ho visto passando prima – continuò a spiegare Kisshu – mi ha ricordato la chiesa dove va spesso Zakuro… Ho pensato sarebbe stato sicuro. »

« Vuoi dire la chiesa dove hai tentato di attaccare Zakuro. »

« Dai micetta, non essere fiscale, è roba vecchia! »

Tentò di sdrammatizzare colpito dal tono brusco, ma lei non gli rispose più. Ogni stimolo esterno era scomparso e Ichigo avvertì l'ansia scendere poco a poco, facendole piombare addosso tutti i pensieri che stava soffocando dentro di sé.

Oh no… Adesso proprio no!

Udì dei passi rimbombare sotto la volta e farsi più vicini. Sussultando Kisshu le afferrò il polso, forse per teletrasportarsi, ma cambiò idea e puntò a quello che ai suoi occhi doveva essere un nascondiglio sicuro, un confessionale a pochi metri da loro. Ichigo ringraziò di non aver tradito nessuno dei due lasciandosi sfuggire qualche protesta e, soprattutto, che il confessionale fosse abbastanza largo da permettere un minimo spazio vitale tra sé e il verde. Kisshu le fece segno di far silenzio e lei si coprì la bocca con le mani per nascondere il respiro veloce dall'agitazione; studiò il ragazzo ammirata, era chiaro il suo addestramento da come, nonostante l'aria tesa e attenta, riuscisse a stare immobile e in perfetto silenzio, mentre lei a fatica si stava trattenendo dal muovere ogni muscolo esistente. I passi sconosciuti attraversarono la navata veloci, aprirono il pesante portone inondando l'ambiente di frastuono e lo richiusero con un tonfo, facendo tornare il silenzio.

Kisshu riprese fiato e si accomodò meglio su una delle panchette del confessionale studiando la rossa con un sorrisetto furbo:

« Meno male che ti ho vista, eh? – la stuzzicò dandole un colpetto con l'indice sulla fronte – Si può sapere cosa ci facevo in giro tutta da sola? »

Ichigo non gli rispose fissandosi i pugni sulle ginocchia.

« Ma gli altri dove sono? »

Ichigo non gli rispose di nuovo e Kisshu inclinò la testa per guardarla in viso. Rimase scioccato vedendo che aveva preso a piangere come una fontana:

« E-ehi! Che c'è? »

Per tutta risposta Ichigo mandò un gemito e pianse più forte. Con l'ultimo spavento di essere scoperti e la nuova calma le sue resistenze erano crollate e tutta la confusione delle ultime settimane le inondò il petto facendole solo venire voglia di piangere. Singhiozzò per cinque minuti buoni incurante di Kisshu che, a disagio, non avesse idea di cosa fare alla sua incomprensibile reazione:

« Scusa, su non ti ho colpito così forte! Ti ho fatto male? »

Niente, lo ignorò completamente.

« Dai micetta… Ti prego, che succede? »

La rossa continuò a tacere e Kisshu si sentì stringere il cuore alla vista di quella testolina riversa e delle spalle tremanti; i sentimenti per la mewneko riemersero prepotenti togliendogli quasi l'aria e lui sospirò dolente, osando farle una carezza sui capelli. Ichigo non lo scacciò e Kisshu, in silenzio, ripetè il gesto meccanico per un po' finché i lamenti di lei non si calmarono, ma la ragazza non smise comunque di piangere.

Era una bizzarra e piacevole sensazione essere consolate da Kisshu. Forse era quello sfogo tardivo che le impediva di ragionare, ma a pensarci non era una cosa così assurda: Kisshu le voleva bene…

« Su micetta, è terrificante vederti piangere così. Cos'è successo? »

Lei mandò un singhiozzo più secco.

« Non è che qualcuno…? »

Domandò allarmato ritraendo la mano e Ichigo alzò veloce la testa scuotendola:

« No…! No… Almeno… – gemette stridula fregandosi la faccia – non credo, ma… Io sono andata… E… »

Riabbassò la testa colpita allo stomaco dagli ultimi eventi, com'era stata stupida! Aveva lasciato le sue amiche indietro, ed erano comparsi gli Ancestrali! Cosa avrebbe fatto se…?

« Ora andiamo a cercarli. – la rassicurò Kisshu – Ma tu devi calmarti. »

Ichigo non cedette e si strofinò il viso rosso con le mani aperte, doveva avere un aspetto indegno con le guance fradice e, temette, il moccio al naso dalle troppe lacrime.

Ma cosa stava facendo?

Piangeva nascosta mentre le sue amiche avevano bisogno di lei? E Ryou…

Il pensiero del biondo le diede l'ennesima fitta al cuore.

Ryou.

Quello stupido di Ryou.

Riprese a guaire più forte. Sapeva cosa avrebbe dovuto fare, ma non riusciva a fare altro che rimanere seduta lì a singhiozzare, schiacciata dal fardello che aveva sul cuore. Si sentiva stanca, sfinita, confusa, e sola. Terribilmente sola.

Le braccia di Kisshu l'abbracciarono forte e per un secondo Ichigo smise di piangere.

« Ti prego micetta, basta piangere. Odio vederti piangere. »

Raccolse il corpo tremante della rossa con dolcezza, attento che non fraintendesse ciò che era solo uno slancio di affetto e preoccupazione.

In una piccola parte di sé si prese in giro per quanto fosse contorto. Per mesi, anni aveva aspettato quel momento, che Ichigo si lasciasse abbracciare da lui e lo accettasse, che accettasse il suo amore, ma mai avrebbe immaginato una cosa simile e soprattutto mai avrebbe pensato di viverla con simili sentimenti: il bene per la rossa che l'aveva spinto d'impulso a stringerla era venato da una nota di amarezza e di confusione, come se ci fosse un punto fortemente sbagliato in tutto ciò che stava accadendo.

Ma in fondo lui non stava facendo niente di scorretto o malizioso, per una volta. Ichigo era disperata e lui voleva solo dimostrarle che non ne aveva motivo, che qualunque cosa la stesse schiacciando non doveva affrontarla da sola, voleva solo rassicurarla: se non lo avesse voluto, a lei sarebbe bastato spingerlo via e l'avrebbe lasciata stare.

Invece Ichigo riprese a singhiozzare e circondò il torace del ragazzo con le braccia, affondando il viso nella sua spalla.

« Kisshu… »

Di colpo Ichigo avvertì una gran tranquillità invaderla, come non le accadeva da mesi. E di nuovo ripensò che non era una cosa assurda, che era ovvio perché il ragazzo che la stava stringendo le voleva bene.

No… Kisshu la amava. Era diverso.

L'amava, l'aveva sempre amata e non ne aveva mai fatto mistero, seppur con i suoi errori e sempre a modo suo, ma era sempre stato onesto, fino all'esasperazione; era sempre lì per lei, gliel'aveva detto tante volte, e che lei lo respingesse o meno poco pareva importargli.

Il pensiero le diede sicurezza. Strinse la presa sulla stoffa della sua maglia e calmò il respiro fino ad un ritmo regolare interrotto da qualche breve singulto per il troppo piangere, il viso ancora nascosto.

Ascoltò Kisshu sospirare, la sua resistenza stava arrivando al limite e tenere vicino Ichigo con quella complicità era un po' troppo per lui e i suoi nervi già massacrati dai rifiuti della rossa:

« Su, adesso basta. »

La sollevò con decisione e si impegnò per sorridere muovendo appena un angolo della bocca all'insù in un buffo ghignetto; le sfiorò la guancia con il pollice e ammiccò a bassa voce:

« Ti sei calmata? »

Lei annuì ancora intontita.

Già, Kisshu c'era sempre. L'amava.

Non come Masaya, che doveva essere il suo grande amore, quello della vita, la sua forza, il suo sostegno, e che invece era partito per l'Inghilterra; che non capiva la sua solitudine, che non capiva quanta rabbia e frustrazione provasse per quanto era successo a MoiMoi, di cui anzi non gli importava nulla.

Non come Ryou.

Ryou che prima le sfiorava il cuore e poi la respingeva quasi fosse un'offesa per gli occhi. Ryou che si preoccupava per lei e la sgridava come una mocciosa irritante.

Ryou che le confessava di amarla. Per poi negare.

Ichigo studiò l'alieno che le sorrideva preoccupato e posò la testa sotto la sua gola rannicchiandosi un poco. Kisshu s'irrigidì e tentò di retrocedere, era evidente che Ichigo non fosse lucida e avesse bisogno di avere qualcuno vicino, ma non voleva essere lui. Non così. Non con lei in un simile stato.

« Coraggio, andiam- »

Fu un lampo. Ichigo si tirò su, lo sguardo ancora annebbiato dalle lacrime, gli gettò le braccia al collo e lo baciò.

Kisshu avrebbe riso di se stesso anni dopo, la prima e unica volta che veniva "aggredito" da una ragazza e, incredibilmente, non era felice della cosa.

Lo sapeva, lo sentiva da quel tocco che qualcosa non andava, che non era un bacio dettato dal sentimento, ma Ichigo premette sulla sua bocca con tale decisione che la sua forza di volontà non resse. Aveva sperato così a lungo di non doverle rubare un bacio che riceverlo gli parve quasi un sogno, o un bell'incubo deviato, e riuscì appena a posarle le mani sulle spalle nel timido tentativo di fermarla.

Ichigo avvertì la testa vuota e il calore piacevole del ragazzo, di quel tocco morbido; non ragionava e le andò bene, dopo giorni di pensieri neri il bianco mentale era così dolce da non voler pensare mai più. Si strinse un altro po' e riuscì a schiudere le labbra il minimo da avvertire il respiro di Kisshu…

Fiato… respiro… Bocca…?! Io…?!

La realtà le piombò di nuovo addosso come una valanga.

Cosa stava facendo…?!

Cosa stava facendo?!?

Si allontanò da Kisshu e lo fissò allibita diventando pallida; scacciò le mani che la stringevano con movimenti sempre più agitati e gli occhi ricominciarono a riempirsi di lacrime:

« No…! No, no, no…! »

Si lanciò contro la porta del confessionale e cadde ginocchioni nel mezzo della navata reggendosi la testa tra le mani, cos'aveva fatto!

Cos'aveva fatto?!

Kisshu non si mosse, scioccato dalla sua reazione, e si sentì morire vedendo l'espressione di disperazione con cui la mewneko si voltò verso di lui:

« Cos'ho fatto…? »

La porta della chiesa si aprì con un tonfo facendo scattare la rossa in piedi dalla paura. Mai si sarebbe aspettata di vedere Minto, con l'aria stralunata di chi era passato in mezzo ad un oceano di gente, correre all'interno sorridendo sollevata di aver trovato l'amica e rallentando immediatamente quando scorse la sua faccia disperata e coperta di lacrime; si guardò attorno preoccupata e scorse Kisshu spuntare dal confessionale con lo sguardo smarrito e l'apparenza di chi non fosse certo di cosa stesse succedendo. La mewbird corrugò la fronte avvertendo una piccola e secca puntura al petto:

« Stai bene? »

Domandò alla mewneko e Ichigo si riscosse di colpo. Chiuse le labbra in una morsa trattenendo un gemito, si frugò in tasca e a testa china per nascondere le lacrime lanciò in braccio a Minto l'ampolla con la Goccia, correndo fuori.

« Ichigo, aspetta! »

La rossa non l'ascoltò e scomparve tra le vie in un battito di ciglia. Minto strinse il pugno libero lungo il fianco e guardò Kisshu severa:

« Cosa hai fatto? »

Lui rimirò la figura della morettina in controluce ed ebbe il forte desiderio di dare di stomaco:

« Niente. »

Minto lo squadrò, più irritata di quanto volesse, ma vedendo il suo viso così avvilito e confuso avvertì la rabbia svaporare.

« Non ho fatto proprio niente. »

La mora formulò in un secondo un paio di ipotesi e un gusto aspro le riempì la bocca; scacciò il pensiero di cosa fosse quella sensazione e si mise l'ampolla in tasca, scostando lo sguardo arrabbiata e correndo fuori chiamando Ichigo a gran voce.

 

 

***

 

 

« Ma dove sono finiti?!? »

« Guardate là! – trillò Purin felice – Ichigo nee-chan! E c'è anche Minto! »

Il gruppo era comparso per caso poco lontano dalla chiesa, nella speranza di essere abbastanza distante dagli Ancestrali per rintracciare gli ultimi tre membri e poi andarsene alla svelta. Scorsero anche Kisshu uscire con andatura fin troppo tranquilla dall'edificio: Eyner lo chiamò e il verde si riscosse a malapena, cogliendo giusto il gesto dell'amico a muoversi e accodandosi alla loro corsa.

« La Goccia dov'è? »

Domandò senza preamboli Pai e il verde non rispose subito:

« Ce l'ha Minto. »

Nel frattempo Taruto aveva accelerato avvicinandosi proprio alla mewbird, che stava continuando a richiamare Ichigo senza che quella rallentasse di un passo.

« Ma che ha la vecchiaccia? »

Minto non rispose mordendosi il labbro e il brunetto diede un'altra accelerata riuscendo ad agguantare la mewneko per il braccio; sterzò all'indietro facendola quasi cadere, prese anche Minto e con un cenno agli altri tre ragazzi scomparvero tutti con uno schiocco, attraversando il portale che si chiuse con un risucchio.

Ichigo arrancò goffa sul lieve pendio dietro al Palazzo Bianco su cui il portale si era aperto e dove in quel momento stava scomparendo. Prese due grossi respiri, non capendo cosa fosse accaduto, e vedendo tutti che si rilassavano e il paesaggio ormai famigliare di Jeweliria connesse di essere stata ritrascinata indietro.

« Ehi, stai bene? »

Ichigo abbassò lo sguardo, domandandosi da quanto tempo Taruto le stesse stringendo il braccio. Lo allontanò mollemente scuotendo la testa alla sua occhiata preoccupata, sapendo quanto fosse ovvia la bugia viste le condizioni del suo viso.

Controllò distrattamente che ci fossero tutti e sospirò di sollievo, c'erano e sembravano stare bene.

Tutti. Compresi Kisshu e Ryou.

Le mancò di nuovo l'aria e il panico le prese lo stomaco, non poteva stare oltre lì. Le altre ragazze le domandarono preoccupate cosa avesse notando la sua espressione terrorizzata, ma la rossa non si voltò neppure e correndo scappò fino al portale per Tokyo.

« Ichigo-san! »

Retasu e Purin si guardarono e le corsero dietro spaventate; Ryou compì appena un passo, poi chiuse i pugni fino a sbiancarsi le nocche e si voltò fissando feroce Kisshu e quindi Minto:

« Cos'è successo? »

Aveva ben visto i tre spuntare dalla stessa direzione uno dietro l'altro. La mewbird lo studiò impassibile e porse la boccetta a Pai scrollando le spalle:

« Non ne ho idea. L'abbiamo trovata così – mentì – non so cosa le sia successo. Non ci ha detto niente, è solo scappata via. »

Si scambiò un'occhiata in tralice con Kisshu che non capì proprio perché dire il falso. Lei lo studiò cupa, quasi risentita, e seguì Retasu e Purin dietro ad Ichigo; Zakuro osservò la scena e sospirò, ma non disse niente e indicò la fiala tra le mani di Pai:

« Ci pensate voi? »

Se ne andò a passo spedito indifferente alla risposta e rincorse le altre nel silenzio generale.

 

 

 

Ichigo sciolse la trasformazione e corse, corse, corse finché il dolore al fianco non divenne così forte da costringerla a fermarsi. Prese il tanto di fiato che bastò a placare le fitte e arresa all'evidenza di aver esaurito la resistenza iniziò a camminare e camminare senza un obbiettivo.

Respirare era un'agonia, nella testa non faceva che riproporsi l'immagine di quanto aveva fatto e non smetteva di darsi della pazza stupida e chiedersi come e perché, soprattutto il perché di un gesto che un secondo prima di averlo fatto ed uno dopo mai, mai avrebbe pensato o desiderato compiere.

Camminò e camminò incurante delle ore e della stanchezza. Ad un semaforo guardò l'orologio sopra ad un lampione e si ricordò di avere ancora il cellulare spento: lo accese e quello suonò per cinque minuti buoni, rilevando dozzine di chiamate perse dalle amiche – e, con rabbia sorda, notò neppure una del suo fantastico fidanzato – e un messaggio in segreteria; lo ascoltò distratta, era Keiichiro:

« Cara, vieni al Cafè. Le altre sono molto in pensiero. »

La rossa cancellò il messaggio senza rispondere, l'ultima cosa che voleva in quel momento era sorbirsi il terzo grado dalle altre. Tanto, e l'idea le aumentò un altro po' l'irritazione, era sicura che Keiichiro stesse sorvegliando i suoi movimenti da un monitor tramite il suo ciondolo oppure Masha, che penzolava ancora come charm del telefono ma che lei sapeva seguire ogni suo passo con apprensione.

Non voleva parlare con nessuno, non aveva bisogno di chiarire, solo di sfogarsi e togliersi dei pesi dallo stomaco così, magari, da riprendere ad utilizzare il cervello normalmente.

Le ore passarono e il cielo si riempì delle nubi di un violento e veloce temporale estivo. La mewneko non aveva ombrelli di sorta con sé ma non badò alla pioggia che presto le inzuppò i vestiti e proseguì nella sua marcia finché il freddo non le arrivò così nelle ossa da costringerla a cercare un riparo.

Il Cafè era fuori questione, così anche casa: non avrebbe saputo come spiegare a sua madre le proprie condizioni, né tantomeno la faccia devastata dal pianto e mai avrebbe permesso a suo padre di vederla così, l'avrebbe talmente martellata di domande che lei, stanca com'era, gli avrebbe detto di Masaya, di Ryou, di Kisshu, degli alieni, del m projet e probabilmente gli avrebbe presentato anche Masha dandogli il colpo finale per l'infarto.

« Ichigo! Fa freddo, fa freddo, è bagnato! Pii! »

La rossa vedendo il robottino che al limite della propria resistenza riassumeva le sue quotidiane dimensioni e si agitava piagnucolando, alzò lo sguardo da terra e riconobbe poco a poco la zona dove si trovavano. Le si accese la lampadina: era quasi ora di cena, probabilmente Keiichiro le aveva convinte a rientrare… Magari era già a casa.

Ispezionò le eleganti palazzine per un paio di minuti cercando quella giusta e si attaccò al citofono per cinque secondi. La voce che le rispose fu parecchio brusca e Ichigo si concesse di sorridere replicando:

« Sono io. »

Ci fu silenzio e poi il suono del portone che venne aperto. La rossa s'infilò dentro e tremò di freddo, non si era resa conto di quanto fosse fradicia; prese l'ascensore e starnutì sonoramente, Masha che si scosse in tondo per asciugarsi il pelo rosa, e quando arrivarono a destinazione Ichigo attraversò il corridoio a passo spedito. La porta dell'appartamento le si aprì davanti ancor prima che suonasse il campanello.

« Non sapevo dove andare. – disse con un filo di voce – Davvero. »

Zakuro la studiò con occhi preoccupati e il viso impassibile, si fece da parte e la lasciò entrare. Ichigo si tolse le scarpe e rimase nello scalino d'ingresso per non grondarle acqua sul pavimento e la mewwolf sospirò:

« Togliti tutto, ci penso io. Tu per prima cosa fatti una doccia calda. »

Lei annuì e si tolse a fatica la maglia zuppa tenendo lo sguardo basso:

« Zakuro, io… »

« Prima, la doccia. – la rimproverò seria e affettuosa – E un boccone. Poi, parliamo. »

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) altra parola traslitterata dalla pronuncia di Begleiter cioè compagno (nel senso più generico del termine, sia come "chi accompagna", che come "chi fa coppia con qualcuno") in tedesco

 

(**) anagramma dikagami in giapponese specchio (specchio riflesso! Nah xD! Spiegherò quando ci sarà spazio ;))

 

(***) sole in tedesco, si pronuncia "zonne" con la e finale quasi muta e una z morbida

 

 

 

 

 

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*rabbrividisce* sento già il filo gelido dei coltelli delle KisshuxIchigo e delle RyouxIchigo fan sul collo… Non ammazzatemi! Non fatelo, vi prego! NO davvero BUONE! XD giuro che voglio arrivare da qualche parte, non è uno sclero improvviso! Giuro! TENETE GIÙ QUEI MACETI!

*scappa*

Keiichiro: ringraziamo in assenza di questa adorabile creatura meglio nota come "pazza sclerotica" autrice, coloro che ci onorano dei loro commenti,  Fair_Ophelia, mobo, LittleDreamer90, Hypnotic Poison, Allys_Ravenshade, _cercasinome_ e Danya. Un sincero abbraccio e nella speranza che nessuno uccida l'autrice prima di un paio di settimane, alla prossima ^-^!

 


(Mata ne
~♥ !

Ria)

 

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Capitolo 38
*** Toward the crossing: eighth road (epilogue) ***


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Salva anche tu una tastiera da pazzoidi che le massacrano scrivendo come disperate! Non chiudere gli occhi, puoi salvare milioni di vite elettroniche.

 

 

 

 

 

SONO VIIIIIIIVAAAAAH

Ebbene sì gente non sono scomparsa TwT! Perdonatemi per questo MOSTRUOSO ritardo, il periodo è stato pesante, tra trasloco e un po' di situazioni fastidiose in casa non ho avuto proprio il tempo né la mente per scrivere. Ora finalmente sono tornata in me, nella mia pelle e nel mio buon umore ♥  oltre che nella mia creatività :D!

Capitolo che mi rende combattuta se essere felice o triste… Non vi trattengo, a dopo!

 

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Cap. 38 – Toward the crossing: eighth road (epilogue)

               « We need to talk. »

 

 

 

 

Zakuro rimase in attesa finché non sentì l'acqua della doccia scorrere, a quel punto prese il cellulare e fece un giro rapido di chiamate alle ragazze e al Cafè, per rassicurare che Ichigo era in un posto sicuro e stava bene, almeno fisicamente. Prese poi i vestiti fradici della rossa, li gettò nell'asciugatrice e tornò in salotto con un canovaccio e la borsa di Ichigo; si sedette sul divano chiamando Masha e mettendoselo sulle ginocchia, dove iniziò ad asciugarlo per benino, e intanto prese il cellulare della mewneko cercando il numero giusto ridigitandolo con il proprio telefono e aspettando rispondessero dall'altra parte.

« Casa Momomiya, chi parla? »

La mewwolf sorrise, aveva avuto fortuna, era la signora Sakura:

« Signora Momomiya? Salve, non so se si ricorda di me… Sono Fujiwara, lavoro al Cafè MewMew con sua figlia. »

Aveva incontrato un paio di volte Sakura durante alcune sue visite al locale; l'aveva catalogata subito come una donna allegra, forse un pizzico impicciona ma solo quel che bastava a renderla simpatica, una mamma attenta e premurosa, e purtroppo per Ichigo molto perspicace. La mora non aveva idea se la donna avesse capito la sua identità, o se avesse accettato il suo come un caso di omonimia con la famosa modella Zakuro Fujiwara, in ogni caso la riconobbe al telefono e sorrise:

«  Oh, Fujiwara-chan, buonasera. – Sakura capì subito la ragione della chiamata e il suo tono si fece più inquieto – È tutto a posto? »

Zakuro considerò su come porre la questione ma la donna la precedette:

« Ho chiamato prima al locale perché Ichigo non risponde al cellulare, la sua amica Midorikawa mi ha detto che siete state piene di gente e probabilmente non l'aveva sentito. »

La mewwolf sentì alle spalle della donna una voce maschile protestare sonoramente e poi Sakura posare la mano sul microfono del ricevitore sgridando l'interlocutore, quindi riprendere la conversazione:

« Scusa, mio marito… »

« Sì figuri. »

Rispose rilassata la mora e prese nota, Ichigo avrebbe dovuto fare un gran regalo a Retasu oltre che a lei per averla coperta dall'ira di Shintaro:

« Sì c'è stata una gran confusione. Per quello l'ho chiamata. Si è fatto tardi, e Ichigo… È stata indaffarata. »

Sakura soppesò le sue parole:

« … È successo qualcosa. »

Zakuro riflettè se dire una bugia o meno, ma sospettò che Sakura avesse intuito qualcosa:

« A dire il vero sì. Nulla di grave – si affrettò ad aggiungere pacata – ma Ichigo… Credo abbia bisogno di chiacchierare un po'. »

Sakura annuì con monosillabi muti; da dietro Shintaro continuò a protestare e Zakuro colse stralci dei suoi mugugni – sconsiderata! e non la lascerò più andare a lavorare in quel postaccio! erano i meglio riconoscibili, oltre a minacce di castighi fino alla fine dell'estate e pignoramento della paghetta, e lunghe serie di ingiurie irripetibili – poi Sakura lo sgridò di nuovo e sospirò nella cornetta:

« Dov'è adesso? »

« Siamo a casa mia con le altre. »

Era una piccola bugia accettabile e fu sicura che avrebbe tranquillizzato di più la donna:

« Ora stanno preparando la cena, ma mi è venuto il sospetto che Ichigo non l'avesse avvertita. »

« No, non l'ha fatto. – sospirò ancora un po' arrabbiata – D'accordo. »

Shintaro gridò e contestò più forte e Zakuro ascoltò Sakura posare il telefono da qualche parte e probabilmente prendere il marito di peso sbattendolo in un'altra stanza, perché quando tornò ad afferrare il ricevitore le urla dell'uomo erano a stento un rimbombo di sottofondo:

« Ti ringrazio della chiamata Fujiwara-chan. – disse con dolcezza la donna – Posso affidarti Ichigo per stanotte? »

« Certamente. »

« E dille di telefonarmi, la prossima volta. ­– borbottò – Se a suo padre verrà un attacco di cuore lo farò sopportare a lei durante la convalescenza. »

Zakuro rise appena:

« Riferirò. »

« E che non mi faccia più preoccupare così. – concluse la donna lentamente – Buonanotte, e grazie ancora di tutto. »

« Buonanotte signora. »

La mora chiuse la chiamata e sospirò, Ichigo doveva essere grata di avere una madre del genere.

Zakuro finì di asciugare Masha, che la ringraziò con una strusciatina sulla guancia e svolazzò per l'appartamento soddisfatto del pelo di nuovo caldo e soffice; poi la mora andò in camera sua e prese una maglia e un paio di pantaloni che pensò potessero entrare ad Ichigo: posò il tutto appena fuori dalla porta del bagno, ascoltando in silenzio la rossa che si lavava, e scortata dal robottino andò in cucina per preparare la cena.

Ichigo finì la sua doccia quasi mezz'ora più tardi. Il getto bollente aveva lavato via i brividi che avevano preso a scuoterla appena si era tolta i vestiti fradici, gli asciugamani in cui si era coperta erano soffici e caldi, e la tuta di cotone che Zakuro le aveva lasciato era larga e morbida: il suo umore non migliorò, ma dovette ammettere di essere molto più tranquilla in quell'atmosfera confortevole, sebbene ancora triste, avvilita e disgustata da se stessa.

Si lasciò avvolgere dalla comoda stoffa e zampettò scalza fino in cucina: Masha stava apparecchiando l'isola al centro della stanza, portando le bacchette e i bicchieri con la bocca e sistemando il tutto in modo scomposto, mentre Zakuro dava le spalle alla sala concentrata sui fornelli. Ichigo si avvicinò e Zakuro le fece muto cenno di sedersi. La rossa obbedì in silenzio, accettando la coccola di Masha contro la sua guancia senza protestare, e si accorse che il ripiano era già stato apparecchiato prima dell'intervento del robottino ed era già pronto per una persona: notò che la mewwolf era in tenuta domestica, con un paio di short e una maglietta comoda, e studiando il piatto pieno capì di avere interrotto la sua cena.

« Scusami. Ti ho disturbata. »

Zakuro scosse la testa:

« Sono più sollevata a vederti senza che tu ti dia alla fuga o faccia finta di niente. »

Ichigo incassò il colpo non troppo velato e annuì. Zakuro finì di cucinare e la rossa studiò il piatto ancora in attesa di essere consumato vicino a sé, grossi spaghetti con un sugo di carne e verdure dall'odore speziato; Ichigo ricordò che Minto le aveva descritto un pasto simile parlando della sua convivenza con gli Ikisatashi, e trovò strano che Zakuro mangiasse un piatto jeweliriano.

Aspetta…

La mewneko ripensò a come Eyner si fosse infuriato con Pai il giorno che avevano rapito l'amica, e a rifletterci aveva avuto l'impressione di vedere la mewwolf e il bruno assieme un po' troppo spesso…

Di norma la curiosità l'avrebbe divorata, ma non aveva le energie per lanciarsi su pettegolezzi altrui né era sicura che Zakuro avrebbe accolto le sue domande con il solito pacato riserbo, sembrava molto arrabbiata con lei anche se non aveva ancora detto nulla. Preferì tenere i suoi dubbi per sé ancora per un po' e osservò la mewwolf posarle davanti una soffice e gonfia omelette dorata, accompagnando il piatto da tubetti di salse varie.

« Spero ti piaccia l'omurice(*) – disse la mora sedendosi – non avevo molto altro nel frigo. »

Ichigo fece un cenno di diniego:

« È perfetta. »

Masha si rannicchiò sulla testiera del divano mettendosi a dormire e le due ragazze cenarono con calma e in silenzio; Ichigo di solito detestava stare a tavola senza conversare, ma per una volta fu felice di poter dedicare la sua attenzione solo al cibo nel piatto che, scoprì, il suo stomaco reclamava con immenso vigore.

Possibile che i bisogni fisiologici se ne infischino di quelli emotivi?!

Terminarono la cena e Ichigo aiutò la mora con i piatti, sempre senza dire nulla; Zakuro la lasciò fare, sistemò la cucina e quindi mise su il bollitore per il the, ordinando con un gesto alla rossa di sedersi sul divano. Lei obbedì diligente, si accoccolò nel modo più comodo possibile e aspettò la sua tazza fumante che Zakuro le porse alcuni minuti più tardi, sedendosi poi sull'altro lato del divano e sorseggiando la bevanda concentrata.

« … Non mi chiedi niente? »

« Tu vuoi che ti chieda qualcosa? – le domandò la mewwolf serafica – O vuoi dirmi qualcosa? »

Ad Ichigo sfuggì la sottile differenza tra le due proposte, ma annuì. Bevve qualche altro sorso, posò la tazza sul tavolino e sospirò:

« Da dove comincio? »

« In genere, il principio è un ottimo inizio. »

Ichigo sospirò ancora, così a fondo da finire l'aria, e lentamente iniziò.

Prima a mezze frasi, poi sempre più chiaramente, la rossa raccontò tutto; Zakuro non la interruppe un solo istante, né disse nulla per farla accelerare, né chiese chiarimenti o cercò di consolarla quando, parlando, Ichigo prese a piangere. La lasciò fare a modo suo e con i suoi tempi, che si sfogasse e dicesse ogni cosa.

E Ichigo disse di Masaya, del loro rapporto che non maturava. Del ritorno di Kisshu e dei suoi sentimenti che non erano cambiati. Del viaggio di Masaya in Inghilterra, dei loro fraintendimenti, dei silenzi di lei e dei sorrisi finti, della cecità di lui. Ancora di Kisshu.

Di Ryou, di ciò che c'era e lei non riusciva a definire, o aveva paura di definire, e ancora di Masaya. Di nuovo di Ryou, della notte al fiume, della festa.

Del bacio con Kisshu.

Ichigo parlò e parlò e pianse senza freni. Zakuro finì il suo the e l'ascoltò immobile, il piccolo Masha sulle ginocchia preoccupato per la padroncina che però restò docile in braccio alla mora che lo accarezzava. Dopo oltre due ore di singhiozzi e confessioni Ichigo tirò su con il naso e guardò disperata verso la mewwolf:

« Ora cosa faccio? »

Lei ci pensò su:

« Io ho le mie idee su cosa si potrebbe – disse e il suo tono s'indurì – per meglio dire, so cosa sarebbe giusto fare. E cosa dovresti fare tu. Quantomeno per essere minimamente corretta e smetterla di comportarti da sciocca. »

Ichigo accettò il rimprovero a testa bassa, non aveva certo argomenti di difesa.

« Ma al di là di cosa sia giusto o meno, ora conta ciò che provi tu. »

La rossa la guardò confusa fregandosi gli occhi fradici.

« Puoi anche concentrarti e fare solo ciò che dovresti, ma così non risolveresti nulla. Devi fare chiarezza e capire cosa va fatto perché è giusto farlo, e cosa desideri fare perché vuoi farlo ed è giusto per te stessa. »

« Ma… Ma se io… – un grosso singulto interruppe le sue parole – Se io dovessi ferire qualcuno? »

« Cosa pensi, di non aver ferito Kisshu tre anni fa? O di non averlo ferito oggi? »

Le fece notare più aspra e Ichigo abbassò la testa.

« È inevitabile ferirsi e lasciare ferite quando si ama qualcuno – disse ancora con più dolcezza – la cosa che davvero conta è essere onesti, fino in fondo. »

Ichigo raccolse le gambe al petto e ci poggiò il viso senza rispondere.

« Per stanotte riposati. – le raccomandò la mewwolf alzandosi – Devi riprenderti. A mente stanca si prendono solo decisioni stupide. »

Frugò su uno degli scaffali della cucina e tirò fuori un barattolino con della polverina celeste; ne prese un cucchiaino e lo sciolse in un bicchiere che dopo porse alla rossa:

« Me lo diede Lasa quando sono tornata. »

Spiegò alludendo alla dimensione degli Ancestrali e Ichigo le vide un istante contrarre la mascella al ricordo:

« Ti farà dormire senza sognare; per recuperare le forze è ottimo. »

Ichigo prese il bicchiere e lo vuotò in un sorso, digrignando i denti: era amarissimo. Zakuro si concesse uno sbuffo divertito e le accarezzò la testa:

« Ti ho preparato la stanza degli ospiti. Vai a dormire, e domani pensa solo a riflettere; puoi restare quanto tempo vuoi. E non preoccuparti del Cafè o di altro – aggiunse prima che la mewneko protestasse – ci penso io. »

Si diresse in bagno per prepararsi e le fece solo un altro cenno:

« Ma chiama tua madre. »

« Sì. – la rossa posò il bicchiere e guardò l'amica colma di riconoscenza – Grazie. »

La mora sorrise ed entrò in bagno.

Ichigo seguì subito le sue prescrizioni: si diresse alla cameretta per gli ospiti con Masha, che si sistemò su un cuscino che Zakuro aveva allestito per lui sul comodino, si infilò sotto le coperte imbacuccandosi fino al mento nonostante la temperatura mite e chiuse gli occhi, volendo solo qualche ora di buio e di pace.

 

 

***

 

 

« Allora sta bene? »

« È con Zakuro – rassicurò Keiichiro – starà benissimo. »

Minto mandò un lungo sospiro sollevato, era rientrata solo a sera inoltrata al Cafè ricevendo l'annuncio ufficiale da parte del bruno e maledicendo la batteria del suo telefono che, un classico, aveva ceduto lasciandola a vagare inutilmente per ore.

« Quella stupida popolana mi sentirà! »

Sbottò risistemandosi i capelli che aveva asciugato un po' con una salvietta:

« Per colpa sua sono in ritardo per la cena e pure zuppa… Accidenti a lei! »

Keiichiro non disse nulla e sorrise, sebbene si lamentasse Minto era rimasta a cercare Ichigo anche dopo che le altre, confortate che almeno l'amica si trovasse a Tokyo e incoraggiate dal cuoco, erano rientrate a casa loro sfinite. Dal laboratorio riemerse Eyner che guardò apprensivo i due umani:

« È tutto a posto? »

« Sì – gli sorrise la morettina – grazie… Là sotto? »

« Pai sta verificando alcune cose – disse Eyner spiccio – ci sono dettagli di cui vorremmo parlarvi, hai voglia adesso? »

« Sinceramente no – ammise la mewbird – vorrei solo andarmi a fare una doccia calda e mangiare. »

Il ragazzo annuì comprensivo e sorrise scendendo di nuovo di sotto. Keiichiro lo seguì, salutando Minto, e lei fece per uscire notando la figura riversa su un tavolo; la pancia le diede un crampo doloroso:

« Ti stai pentendo delle tue azioni? »

Kisshu alzò appena la testa dal tavolo e la guardò confuso:

« Pensi davvero che abbia fatto qualcosa? »

La mora lo studiò severa e lui riabbassò la testa passandosi le mani tra i capelli:

« Se devi mettermi alla berlina potevi evitare di coprirmi, sto già di merda da solo. »

Minto si avvicinò ancora al tavolo:

« Non ti ho coperto. »

Lui la fissò indagatore con quegli occhi dorati che lei aveva sempre l'impressione scrutassero troppo in profondità e troppo bene, e incrociò le braccia imperiosa:

« Ho voluto evitare che ad Ichigo venisse fatto un interrogatorio. O nel migliore dei casi che Shirogane ti spaccasse la faccia. »

« Shirogane…! – rise Kisshu aspro alzando gli occhi al cielo – Cos'altro vuoi dirmi per tenermi altro il morale? »

« Fai meno il sarcastico. »

Ribattè gelida e il verde si tenne la fronte con la mano dicendo solo con un sussurro:

« Non ho fatto proprio niente. »

Pur avendoci pensato a fondo, rimuginando fin a farsi venire l'emicrania, non trovava un solo suo gesto o parola che avrebbe potuto fare il la a quanto successo nella chiesa deserta; Ichigo aveva fatto tutto da sola, lui non aveva alcuna colpa. Non negava di averla assecondata e ricambiata: cosa avrebbero dovuto pretendere da lui che si era ritrovato la ragazza che gli aveva sconvolto l'esistenza, il cuore e la ragione fin quasi ad ammattire, a gettargli le braccia al collo e baciarlo? A poco era servito riflettere sulla stranezza di quel gesto, il suo cervello era entrato in modalità navigatore automatico in mezzo secondo.

E non negava che per un momento, solo uno, aveva creduto, aveva sperato…

Ma appena Ichigo si era allontanata un poco la magia si era infranta, e le sue lacrime erano qualcosa che Kisshu non riusciva a scordare.

Le faceva così male l'idea di preferire lui a Masaya? Era davvero un'ipotesi così terribile?

L'idea fu ben più dolorosa che l'ennesimo rifiuto della mewneko, quasi quanto il sottile senso di colpa che gli mordeva il petto senza alcuna ragione.

Kisshu sentì Minto scostare una delle sedie avvicinandosi del tutto al tavolo. Alzò la testa e vide la morettina posare una mano sul tavolo e sporgersi appena per guardarlo dritto in faccia:

« Mi stai dicendo la verità? »

La sua voce era piatta, priva di rimprovero; glielo stava chiedendo seriamente e, almeno fu la sensazione che diede al verde, concedendogli il pieno beneficio del dubbio. Lui si mise dritto e ricambiò guardandola dritta negli occhi:

« Sì. »

« Non hai fatto niente? »

« Ti ho detto di no. »

Ripetè più secco. Le dita di Minto si contrassero appena sulla superficie bianca:

« Quindi… Non è successo niente? »

Kisshu si prese un paio di istanti per rispondere:

« Niente che non abbia mai desiderato. »

Minto strinse il pugno sul tavolo e mosse indietro l'altro braccio come per tirargli uno schiaffo, artigliandosi al grembiule per trattenersi, e lui sbuffò amaro:

« Inizierò a credere alle stelle cadenti. »

Le sue parole stridettero così forte con l'espressione amareggiata del viso che Minto non riuscì ad arrabbiarsi come avrebbe voluto. Lasciò la presa sul grembiule, si avvicinò ancora al ragazzo come per allungarsi verso di lui e di colpo girò i tacchi e uscì a passo di marcia senza voltarsi indietro o dire una parola.

 

 

***

 

 

Il mattino successivo le ragazze si presentarono al locale di buonora. Solo Ichigo mancava all'appello e le MewMew osservarono in attesa di spiegazioni Zakuro che rassicurò:

« Parleremo tutte assieme appena se la sentirà. Per ora è meglio lasciarla tranquilla. »

Le ragazze annuirono prive di entusiasmo, era strano non condividere i loro problemi ma se Zakuro suggeriva di lasciare alla rossa del tempo, era di certo la scelta migliore.

Fecero una veloce riunione in cucina – non il posto adatto per dieci persone, ma ormai nemmeno Ryou sopportava troppo a lungo la vista del sotterraneo – dove Pai annunciò che la Goccia era stata riposta al sicuro e che la zona morta di Jeweliria era retrocessa fin quasi al limite originario.

« Per questo ho deciso che per adesso sospenderemo le ricerche. »

« Cosa?! »

« Scusami Pai nii-chan, ma non mi sembra un'ideona. »

« Finché non stabilizzeremo il nuovo passaggio – precisò – e ci vorrà un po'… Le sue frequenze sono estremamente deboli. »

« Nel frattempo cercheremo di rintracciare l'assalitore di MoiMoi – aggiunse Eyner – sembra che i cervelloni abbiano buone notizie. »

Rivolse un sorriso amichevole a Keiichiro e Ryou che rispose scoccandogli un'occhiataccia; il cuoco annunciò orgoglioso:

« Siamo riusciti a recuperare parecchie informazioni dai resti del detonatore, tra non molto potremmo risalire a dove è stato preso e chi potrebbe essere stato. »

« Queste sono notizie – disse Minto – ho una gran voglia di fare due chiacchiere con quel…! »

Strinse le labbra e sospirò drizzando le spalle come avesse ingoiato sassi e non i propri insulti.

« Cornacchietta, stavi per dire una parolaccia? »

Lei sussultò piccata e girò la testa lontana dal ragazzo, a disagio, mentre Purin sbottò arrabbiata rincarando:

« Gli romperò tutti i denti! »

« Il vostro amico la fa sempre troppo allegra – la interruppe Pai seccato – ci sono centinaia di sospetti ancora papabili, non sarà semplice sfoltirli. Ecco perché vorrei ci concentrassimo su questa ricerca. »

« E nel frattempo cosa faremo? – domandò Zakuro – Mentre voi vi fondete il cervello dietro uno schermo, intendo. »

« Rilassarsi di tanto in tanto non è male, lupotta. »

La mora guardò Kisshu ad occhi sgranati un istante e poi gli lanciò uno sguardo così assassino che lui provvide subito ad alzare i palmi difensivo:

« Scherzavo. Giuro che scherzavo. »  

Eyner gli passò accanto minacciandolo di morte con il solo movimento del sopracciglio, sospirò e disse più calmo:

« C'è anche un'altra cosa. Hanno trasferito la senpai in reparto. »

Le ragazze si rianimarono di colpo e sorrisero al settimo cielo:

« Si è già svegliata? »

« Per ora niente pesciolina – fece divertito Kisshu – ma se conosco MoiMoi sarà il caso di tenerla sotto controllo: quella è capace di saltare giù dal letto per lavorare appena ci distraiamo. »

Retasu trattenne un risolino, il cuore leggero per il sollievo, e Purin si girò di scatto e corse fuori:

« Vado a trovarla! »

« Ti hanno detto che dorme… »

Le proteste di Ryou svanirono nel rimbombo della porta che si chiudeva.

Dato che si trovavano ormai nel pieno dell'estate il Cafè si riempì in poco tempo di gente alla ricerca di un goloso e fresco parfait o solo del sollievo dell'aria condizionata. Nel locale oltre alle ragazze rimasero solo Pai, che si eclissò di sotto alla velocità della luce, ed Eyner che Ryou fissò severo dall'angolo della cucina mentre chiacchierava con Retasu.

« Se continui così ti verrà una ruga perfettamente verticale in mezzo alla fronte, e prima dei trent'anni. »

« Men age like wine, mi va anche bene. »

« You're as sour as a lemon, you spoil like milk(**). »

Ryou sbuffò e studiò Zakuro osservarlo a braccia conserte; il suo bel viso non mostrava nulla, ma da come gli aveva risposto era certo che fosse sul piede di guerra.

« Vuoi farmi una lavata di capo? »

« C'è una ragione per cui dovrei farlo? »

Il sarcasmo arrivò tagliente alle orecchie del biondo che si massaggiò il viso:

« Qualunque cosa ti abbia detto Ichigo, non crederle. »

« Io non ho detto niente su Ichigo. »

Lui drizzò un po' le spalle colto in fallo e la mewwolf si concesse un mezzo sorrisetto malizioso; Ryou girò gli occhi al cielo:

« E allora cosa vuoi? »

« Fuori dai denti, in questo momento ho la fortissima tentazione di tirarti un ceffone a mano piena. – spiegò con disarmante pacatezza – Ma non è compito mio farlo, e la mia opinione ha ancor meno importanza. »

Il biondo colse un guizzo nelle iridi zaffiro di lei e avvertì un pizzicore alla guancia: la mora aveva dimostrato non meno di dodici ore prima di avere un gancio da pugile e Ryou non aveva proprio voglia di stuzzicarla.

« … E quindi? »

« Nulla. »

Ryou emise un versetto scocciato e lei andò in cucina; il biondo la seguì ancora un istante vedendola sorridere in direzione di Eyner e mandò un altro sbuffo:

« Tu dovresti predicare meno. »

Lei badò poco alla sua strana frase, mettendo via le stoviglie sporche e pulendosi il vassoio:

« Cosa intendi? »

« Che presto questa storia se il cielo ci assiste finirà, e le relazioni a distanza non funzionano. »

La mora si bloccò un momento e non gli rispose mettendo lentamente a posto lo strofinaccio che stava utilizzando.

« Mai avrei sospettato che fossi così facile all'istinto pelvico. »

Fu una battuta pessima e completamente gratuita, ma allo stesso modo Ryou notando il passo calmo con cui Zakuro uscì dalla cucina non si aspettò il modo rabbioso che usò per centrargli il braccio con il vassoio vuoto; lo schiocco del colpo quasi spaventò l'americano più del bruciore lancinante sulla pelle:

« Damn! Are you fuckin crazy?! »

La mora, rimasta composta se non per il rapido movimento di polso, lo squadrò con occhi furiosi:

« Vedi bene di stare attento a dire certe cose, Shirogane. Potrei perdere la pazienza. »

« Lo sai (fuck! Che male!) che se non è solo sesso… »

« È piacevole vedere che i deficienti vanno in coppia e pensano le stesse cose. – sibilò sferzante – You asshole. »

« Se non lo è – insisté lui con fare da paternale, cercando di ignorare il vassoio ancora a mezz'aria – sarà solo peggio. »

Zakuro lo fissò a lungo tacendo. Si mise il vassoio sottobraccio, la fronte corrugata dalla rabbia, e gli voltò le spalle sentenziando:

« Il fatto che tu non abbia le palle per fare ciò che vorresti, non vuol dire che tutti debbano essere soli, tristi e disperati in amore come te. »

E lo lasciò da solo nel corridoio a reggersi il braccio bruciante.

 

 

***

 

 

Ichigo aprì gli occhi mollemente, intorpidita dalla lunga dormita; rotolò nelle coperte beandosi del loro tepore e della morbidezza del materasso, si stropicciò gli occhi e vide due bigliettini sopra il comodino. Mettendosi a sedere li prese e li studiò ancora intontita, impiegando cinque minuti a connettere quanto stava leggendo.

 

Io vado al Cafè. Ci sono degli avanzi in frigo: mangia e rifletti per bene.

Se serve, telefona.

Non aprire a nessuno.

E prima che tuo padre venga al locale per prendere a colpi di bokuto Shirogane, chiama casa.

 

Ps.

Porto Masha con me così starai più  tranquilla.

Zakuro

 

La rossa posò il biglietto sul cuscino e passandosi una mano tra i capelli notò l'assenza del robottino; prese il secondo foglietto e non vide altro che uno scarabocchio confuso e arzigogolato: Masha doveva averle lasciato un affettuoso e indecifrabile messaggio con la sua scrittura inesistente.

Ichigo sorrise, si stiracchiò, si cambiò con la tuta della sera prima e andò in bagno inorridendo all'aspetto terribile del suo viso, con gli occhi gonfi da rana e le guance screpolate; recuperò i vestiti dall'asciugatrice, li stese sul letto e camminando a piedi nudi se ne andò in cucina dove Zakuro, per impedirle di metterle a soqquadro la dispensa, aveva già messo a vista un set di cereali, pane da tostare, marmellata e tazza per la colazione. Ichigo sbirciò l'orologio, erano le undici e un quarto passate, ma il suo stomaco reclamava cibo e in abbondanza. Si scaldò del latte, tostò due fette di pane e divorò una tazza stracolma di cereali e mezzo vasetto di marmellata con estrema calma, ancora persa nella sonnolenza del risveglio, terminando che era quasi ora di pranzo; mise tutto a posto e i piatti a lavare, si appuntò a mente che avrebbe dovuto ricomprare alla mora praticamente metà scorte di casa e si sdraiò sul divano rimirando il soffitto.

Mandò un lungo sospiro. La casa era silenziosa, luminosa per il sole che filtrava dalle finestre; Ichigo percepì appena i rumori della strada e socchiuse gli occhi, la quiete dell'appartamento così intensa che minacciò di ritrascinarla nel mondo dei sogni nonostante lei si sentisse perfettamente in forze e riposata.

Rimase così per un po', poi si tirò più su e cacciando la testa all'indietro su uno dei braccioli incominciò piano piano a mettere tutti i tasselli al loro posto.

Più volte la sua mente si perse in inutili voli pindarici, più volte lei si ritrovò ad alzarsi e a sbottare al nulla, passeggiando per il salotto come un'anima in pena; si massacrò i capelli passandoci le mani dentro esasperata, disfece il divano a furia di rotolarci sopra e bistrattare i cuscini e lo rimise in ordine, dispiacendosi per come stava trattando la casa dell'amica, per poi devastare di nuovo il sofà. Pranzò all'ora di merenda spazzolando tutti gli avanzi e poi frugò nella dispensa scovando, con sua immensa sorpresa, un pacco formato gigante di patatine che volatilizzò per fame nervosa in meno di dieci minuti.

Il suo comportamento negli ultimi giorni era stato pessimo, in primis con Masaya che, a torto o ragione, aveva aggredito senza dare alcuna spiegazione e dopo, e ancor peggio, verso Kisshu. Ci pensò e ripensò finché, ormai al tramonto, non le fu chiaro cosa avrebbe dovuto fare.

L'idea non la solleticò per nulla, anzi, quando finalmente concretizzò le sue intenzioni il suo corpo fu scosso da una scarica di paura tale che avrebbe voluto nascondersi sotto le coperte.

Ma scappare non era una scelta contemplabile.

 

 

 

Zakuro rientrò che ormai era sera. Sbuffò esausta abbandonando con sollievo la borsa e gli occhiali da sole nell'ingresso e Masha, che obbediente l'aveva seguita per tutta la giornata attaccato alla zip della tracolla, si ritrasformò e svolazzò come un razzo in cucina pigolando contento:

« Ichigo! Ichigo! Siamo tornati! Siamo tornati! Pii! Sono stato bravo! Pii! »

La mewwolf lo vide coccolarsi sulla rossa che stava preparando la cena; lei aveva rimesso su i suoi vestiti e quando la mora le andò vicino le sorrise un poco, tenendo sempre stretto il robottino tra le mani:

« Bentornata. »

Zakuro ricambiò con un indizio di sorriso.

« Il profumo è ottimo. »

Disse un po' divertita sporgendosi verso i fornelli e Ichigo storse le labbra a disagio:

« In cucina non sono granchè – ammise piano – ma Retasu mi ha insegnato a fare lo stufato… È qualcosa che nemmeno io posso sbagliare più di tanto. »

La mora annuì con aria fraterna e andò a cambiarsi. Cenarono poco dopo in silenzio, ma in un'atmosfera ben più distesa della sera precedente; Ichigo si mordicchiò il labbro vedendo la mewwolf sbirciare con la coda dell'occhio la sua pattumiera – e gli incarti di cibo che la riempivano – segno della desolazione che doveva albergare tra le sue scorte di viveri:

« Prometto che ti riprendo tutto quello che ti ho spazzolato dal frigo. »

Zakuro scosse la testa:

« Non dire sciocchezze. Non sono cose importanti. »

Ichigo sorrise con affetto.

« Piuttosto, hai detto qualcosa ai tuoi? Non ho granchè voglia di farmi sfondare la porta da tuo padre. »

« Gli ho chiamati prima di cena – ridacchiò stentata – mamma mi ha tenuta al telefono per quasi novanta minuti. »

« Una partita di calcio. »

Ichigo rise più convinta:

« Le ho detto quasi tutto – disse – a grandi linee ovviamente. »

Rigirò un pezzetto di patata nel sugo dello stufato e sorrise:

« Dopo la ramanzina che mi ha propinato pensavo mi avrebbe messa in punizione fino ai trent'anni, invece mi ha solo raccomandato di tornare entro il coprifuoco. »

Zakuro mangiò un paio di bocconi di carne con un sorrisetto allusivo.

« E ha aggiunto che anche lei ha avuto diciassette anni e sa come vanno certe cose. – aggiunse la rossa un po' a disagio e borbottando – Chissà cosa si è immaginata! »

« Conoscendoti meno di quanto tu creda e più vicina alla verità di quanto immagini. »

Commentò solo sibillina la mewwolf e la guardò attenta:

« Cosa farai adesso? »

« Per stasera tornerò a casa – sospirò Ichigo – sperando che mio padre abbia esaurito un po' di voce e di sentirlo poco… Domani dovrò parlargli. »

Zakuro posò le bacchette ed Ichigo sospirò:

« A tutti e due. »

Fissò il piatto vuoto e deglutì, sbirciando poi l'amica dal basso:

« Quando avrò finito potrò sfogarmi per bene con voi? »

Zakuro bevve un sorso d'acqua e sorrise amorevole:

« Se non parli, temo che a Retasu verrà una crisi d'ansia. E conoscendo Minto, sarebbe capace di prenderti per il collo e scuoterti finché non vuoti il sacco. »

Ichigo le sorrise.

« Zakuro? »

« Uh? »

« Sei la migliore. »

La mora rispose scrollando le spalle e nascondendo un piccolo sorriso affettuoso.

 

 

 

Shintaro andò a prendere Ichigo sotto casa di Zakuro una ventina di minuti più tardi e non disse una parola alla figlia per tutto il tragitto. Quando varcarono la soglia di casa lei, dispiaciuta, mormorò delle scuse e l'uomo l'abbracciò stretta, raccomandandole di non farlo preoccupare a quel modo mai più. Ichigo ricambiò l'abbraccio, sorrise e andò in camera, stranamente esausta.

« Ti sei comportato bene. »

Sorrise Sakura facendo dei buffetti sulla testa del marito e Shintaro ringhiò piano:

« Sappi che non mi piace lo stesso! Cosa sarà successo alla mia bambina? »

« Shin, non è più una bambina. – lo redarguì la moglie, indifferenze all'occhiata di fuoco che il marito le scoccò per contraddirla – Sono momenti in cui noi dobbiamo solo farle capire di essere qui. Dobbiamo lasciarla fare, e stare attenti che non perda la strada. Quando vorrà parlarcene, ce ne parlerà. »

L'uomo storse la bocca pur sapendo che la moglie aveva ragione e si slacciò la cravatta borbottando:

« Io e te non eravamo così. »

« Ah no? – sorrise lei maliziosa – Io ricordo di un mio compleanno, quando mio padre mi mise in punizione per i voti e tu ti intrufolasti dalla finestra della mia stanza… »

Gli passò allusiva e suadente un dito sul collo, Shintaro arrossì un po' a disagio e poi sbottò:

« Ichigo è troppo piccola per cose del genere! »

« Ichigo ha l'età giusta. – gli ricordò – E certe cose le sa. »

Shintaro sgranò gli occhi e prese a strepitare contro l'essere che avrebbe osato sfiorare con gli occhi la sua piccina mentre Sakura, abituata e rassegnata, lo trattenne dal correre di sopra placcandolo per la vita.

 

 

 

Ichigo infilò il pigiama e si mise sotto le lenzuola. Prese il telefono di Kiddan, sospirando, digitò il messaggio e premette invio; la risposta arrivò dopo un paio d'ore, ormai era quasi l'una di notte, ma tanto lei era ancora sveglia.

Chiuse il telefono e sospirò a fondo.

L'attendeva una giornata molto, molto, molto lunga.

 

 

***

 

 

Retasu avanzò nel corridoio sforzandosi di non considerare le occhiate che di tanto in tanto riceveva e ricordandosi che era normale: lì a Jeweliria in fondo l'aliena era lei, il minimo che poteva destare la sua presenza era la curiosità.

Emise un sospiro di sollievo quando arrivò alla stanza di MoiMoi ed entrò rapida per non incrociare altri medici o degenti, che l'avrebbero misurata come un quadro d'arte moderna. Appena chiuse la porta la verde notò di non essere sola e sorrise:

« Buongiorno Lasa-san. »

La donna ricambiò con un cenno:

« Sei mattiniera. »

« Con il caldo che c'è a casa mi sveglio prestissimo – spiegò rassegnata –  così ho pensato di venire a farle una visitina. »

Guardò affettuosa MoiMoi e Lasa la imitò annuendo.

« Sei venuta a controllare? »

« In via ufficiosa – ammiccò la donna e Retasu si accorse che aveva qualcosa in mano – non sono di turno. »

La verde si sedette all'altro fianco del letto e capì che Lasa stava mondando con un coltellino un frutto rosa che le ricordò una mela bitorzoluta. Si sistemò meglio e passò la sua attenzione a MoiMoi, non si era mosso di un millimetro dal giorno precedente; la mewfocena sospirò e prese la mano fasciata dell'amico sforzandosi di non fare brutti pensieri.

« Sando-san…? »

La domanda di Retasu lasciò dietro di sé un silenzio teso. Lasa sorrise preoccupata e rassegnata:

« Gli ho chiesto di andarsene a casa almeno un paio d'ore. Conoscendolo, avrà trovato un nascondiglio dove schiacciare un pisolino qui nell'ospedale, in attesa che mi tolga dalle scatole. »

Guardò MoiMoi e sussurrò tra sé:

« Sono giorni che non lascia questo posto. »

La verde sospirò in ansia. Si domandò se fosse il caso di cercare Sando e convincerlo a riposarsi, ma non erano abbastanza in confidenza da impicciarsi delle sue decisioni; lo aveva già fatto arrabbiare una volta e non ci teneva a fare il bis.

Il pensiero del gigante però non l'abbandonò, per quanto brusco e gretto Retasu sapeva che aveva un buon cuore e teneva profondamente a MoiMoi, l'idea di cosa dovesse star passando in quei giorni era terribile, avrebbe voluto poter essere di sostegno.

« Ne vuoi un po'? »

Retasu reagì in ritardo e si ritrovò uno spicchio del frutto rosa ad un palmo dal naso; sorrise e lo accettò, era croccante e sugoso però il gusto le ricordò un agrume, più che una mela:

« Che strano. »

Ridacchiò deglutendo e Lasa sorrise:

« Io lo adoro, è uno dei miei frutti preferiti. – ne mangiò una fetta e guardò MoiMoi amorevole – Anche a MoiMoi-chan piace molto. »

Retasu ricambiò il suo sguardo e si morse il labbro, sbirciando poi le apparecchiature attorno che per quanto riportassero scritte in jeweliriano e avessero strane forme, parevano avere la stessa funzione di quelle terrestri; osservò ipnotizzata l'elettrocardiogramma serpeggiare costante e la flebo gocciolare ritmica e domandò preoccupata:

« Sembra tutto regolare, perché non si è ancora svegliata? – sussurrò – La tengono sedata? »

« Stiamo abbassando il dosaggio, ma per ora non ha dato segni di cambiamento. – annuì la donna – Ma i dati delle analisi e dell'encefalogramma sono nella norma. »

Retasu emise un verso di assenso continuando a stringere la mano di MoiMoi come se lasciarlo avesse potuto significare abbandonarlo.

« Ti interessa la medicina? »

Domandò dopo un po' Lasa senza preamboli e Retasu la guardò confusa.

« Mi sembra che tu ne capisca un pochino. »

La verde arrossì e sorrise a disagio:

« Queste cose mi affascinano… »

Lasciò il discorso a metà e Lasa la studiò divertita e curiosa:

« Vuoi diventare un dottore da grande? »

Scherzò amorevole e Retasu divenne ancora più rossa abbassando gli occhi:

« A dire il vero non ci ho mai pensato sul serio… Imbranata come sono poi… E bisogna essere molto intelligenti per diventarlo, io non credo di esserne in grado. »

Lasa scrollò le spalle per contraddirla:

« Non porti limiti che non sai di avere. – disse con un sorriso enigmatico – Per certe cose occorre l'indole giusta, e tu ne hai in abbondanza. »

Posò la mano su quella della verde, ancora su quella di MoiMoi, e scorgendo il disagio della ragazza e la sua confusione scosse la testa abbandonando la questione e la fissò incoraggiante:

« Starà bene. Andrà tutto bene. »

Restò così finché Retasu non le sorrise convinta, quindi spostò materna qualche ciuffo dal viso di MoiMoi ed uscì in silenzio, lasciando alla mewfocena mezzo frutto pulito. La ragazza sospirò e tenne ancora più stretta la mano dell'amico addormentato mangiucchiando la sua colazione e parlandogli sottovoce, sperando con tutto il cuore che prima o poi avrebbe visto un paio di occhi dorati guardarla di rimando.

 

 

***

 

 

Dobbiamo parlare.

Domattina, vicino al laghetto dove abbiamo salvato

Ayu-chan.

Ichigo

 

Leggere le poche righe sul piccolo schermo aveva dato a Kisshu un brivido alle viscere.

Dobbiamo parlare.

Un paio di paroline che, universalmente, messe vicine annunciavano pessime notizie.

Detestava comunicare tramite quell'infernale aggeggio terrestre, tanto per iscritto che telefonando, e il fatto che Ichigo gli avesse mandato un invito così freddo lo aveva irritato tanto che il suo istinto primario era stato di teletrasportarsi sul balcone della mewneko e buttarla giù dal letto per parlare a quattr'occhi. Il suono di quelle due parole, però, gli era rintronato nefasto nel petto e sentendosi un po' vigliacco era riuscito appena a rispondere un ok e a mettere via il cellulare.

La mattina era spuntata con uno schiocco di dita, pulita e frizzante annunciando una giornata splendida; Kisshu si rese conto a stento del tepore del sole e poi dell'afa giapponese che si alzò a poco a poco nel parco, il corpo teso e il freddo sul collo. Si teletrasportò su un albero da cui ebbe una visione panoramica della zona attorno al lago e scorse immediatamente la rossa seduta su una panchina: con lo stomaco ridotto alle dimensioni di una biglia il verde comparse alle sue spalle sfoggiando il miglior sorrisetto irriverente che sapeva fare per mostrarsi tranquillo; Ichigo ebbe appena un sussulto di sorpresa e lo guardò seria e triste.

« Il buongiorno si vede dal mattino, micetta – scherzò lui, cercando di ignorare la stretta alla gola – che succede? »

« Devo parlarti. »

Ichigo piantò le iridi cioccolato nelle sue con un'attenzione quasi dolorosa:

« Innanzitutto, riguardo l'altro giorno… Volevo scusarmi. »

Parlò lentamente, scandendo le parole come se pesassero quintali:

« Non avrei dovuto baciarti. So quello che… Provi per me. Non avrei dovuto. »

« Guarda che puoi dirlo chiaro e tondo, sono innamorato di te. – le ribattè – Non è una parolaccia. »

Ichigo si contrasse un poco con il cuore che perse un colpo e chinò la testa.

« Comunque lascia perdere, ok? »

Kisshu avrebbe tanto voluto andarsene. Avvertì qualcosa di strano nel discorso della rossa, e non aveva voglia di sentirlo fino in fondo:

« Come non fosse successo niente. Io sono contento lo stesso. »

Le ammiccò furbo ma Ichigo scosse la testa:

« Invece è successo. L'ho fatto. Ti ho baciato. »

« Sì, lo so – ridacchiò un poco più stentato lui – c'ero anch'io. »

« Kisshu. »

L'ultimo sprazzo di sorriso svanì dal viso del verde. Ichigo tenne il labbro inferiore stretto e gli fece cenno di fermarsi respirando forte:

« Fammi… Parlare, d'accordo? »

Kisshu annuì stringendo appena i pugni chiusi.

« Io non avrei dovuto baciarti, perché so che tu sei innamorato di me. E ti ho baciato… Proprio per lo stesso motivo.

« Avevo bisogno di un sostegno, di sentire qualcuno vicino, e tu… Tu ci sei sempre stato, sempre. In quel momento, ho sentito… Avevo bisogno di te. »

Gli fece ancora segno di lasciarla continuare perché vide che stava per sbottarle contro, e se pur a ragione gli chiese di nuovo di aspettare:

« So di aver sbagliato. Moltissimo. »

Inspirò a fondo due o tre volte cercando dentro di sé quel punto di sicurezza che le avrebbe permesso di non fermarsi a metà discorso:

« Ci ho pensato, a lungo. Ho pensato e ripensato e per quanto… Tutto io… Non posso. »

« Non puoi cosa? – borbottò Kisshu nervoso – Tutto cosa? Micetta, le mezze frasi le detesto. »

Ichigo tremò da capo a piedi, aveva la lingua di cartongesso:

« Io… Provo qualcosa per te. – sussurrò con snervante lentezza – Un'infinita gratitudine e… Anche affetto, in un certo senso. Un profondo affetto. »

Arrossì a disagio stropicciandosi il bordo della gonna:

« Credo anche… (kami-sama, che cavolo mi fai dire!) Di essere attratta da te. »

Tacque di colpo e si aspettò che Kisshu le dicesse una parola a caso, ma la sua espressione dovette essere abbastanza eloquente perché tutto ciò che sentì provenire dal verde fu un respirare veloce e nervoso.

« Ma non ti amo. »

Emise alla fine alzando lo sguardo. Il viso di Kisshu divenne di marmo e lei avvertì su di sé ogni singolo colpo che gli stava sferrando al cuore. Avrebbe voluto svanire:

« Non ci riesco. Ci ho pensato a lungo, ma non sono innamorata di te. Non sarò mai… – la voce le mancò mano a mano che terminò la frase e le ultime parole non furono che un sussurro tremulo – Innamorata. »

Scostò vigliacca gli occhi non riuscendo a guardarlo in faccia:

« Mi disp- »

« NO. »

Ichigo sussultò al tono brusco e lo guardò spaventata; Kisshu le puntò l'indice contro per zittirla e la squadrò ferito nell'animo e nell'orgoglio:

« Questo non te lo permetto. Non ti farò sentire meglio chiedendomi scusa adesso, sono stato chiaro? »

Lei strinse le labbra tremule e annuì.

« E non osare piangere. – la sgridò aspro – Qui se c'è uno che dovrebbe piangere sono io. »

La rossa non potè rispondergli mentre si sforzò di cacciare indietro le lacrime e annuì soltanto. Kisshu si passò una mano nella frangia ridendo amaro:

« Dopo quella scenata ricevo proprio un bel regalino. »

« K-Kiss… »

« Stai zitta. – soffiò – Hai detto quello che ti pareva, ora parlo io. »

Ichigo annuì piano afferrando la stoffa della gonna e stritolandola.

« Tu… Sei davvero… Stupida. – ringhiò a bassa voce – Credi che tutti siano come il tuo caro fidanzatino, ma la gente non è tagliata a misura del tuo pensiero! Non è fatta di pietra. Io  non sono fatto di pietra! Ti comporti per mesi senza prendere una decisione, lasciandomi nel dubbio (e non dire che non è vero! Sono scemo, ma non così tanto.) e quando ti sbilanci… Allora decidi che è il momento di  fare delucidazioni. »

« Lo s- »

Lui le fece di nuovo cenno di stare zitta:

« La definizione più gentile che mi viene da darti è ipocrita. Anzi, egoista del cazzo. »

La rossa si azzannò il labbro, avrebbe voluto mandare anche una sola sillaba per farsi perdonare o comunque fargli capire che non avrebbe voluto ferirlo così, però si impose il silenzio; lacrime infide le scivolarono sulle guance nonostante gli sforzi e Kisshu rise ancora sprezzante schioccando la lingua:

« È inutile che adesso piangi. Avresti dovuto pensarci all'inizio, prima di tenermi in caldo per quando ti saresti sentita sola. »

« Non l'ho fatto. – mormorò – Non era quello… Che volevo… »

« Già. – sospirò lui furioso – Ma è venuto comodo lo stesso. »

Le diede le spalle e cacciò la mano in aria come per dirle di andarsene al diavolo:

« Ci vediamo Ichigo. »

La mewneko cercò di non badare con amarezza al fatto che l'avesse chiamata per nome e rimase immobile, rivolta verso il punto in cui Kisshu si teletrasportò imprecando tra i denti. Finalmente quando lui fu scomparso la rossa prese due lunghi respiri tremuli sfogando un breve pianto, cercò di ricomporsi e con voce più calma che potè fece una telefonata: dopo Kisshu, quello sarebbe stato ancora più difficile.

« Masaya-kun? »

 

 

***

 

 

La sua lucidità era andata a farsi benedire cinque minuti prima di fronte all'ameno laghetto e non gli fu troppo chiaro perché teletrasportarsi lì. Probabilmente era l'abitudine degli ultimi giorni, una cosa fatta senza pensarci troppo.

« Come siamo mattinieri. Lasa-san ti ha buttato giù dal letto? »

Minto si sorprese vedendo che la sua innocente battuta non sortì effetto alcuno e si avvicinò un po' al ragazzo, seduto sugli ultimi gradini della scala sul retro del Cafè con la testa bassa:

« Ehi, che succede? »

Kisshu sollevò appena gli occhi, come per accertarsi che fosse lei, e non le rispose; Minto iniziò a preoccuparsi, Kisshu sembrava tornato da un funerale: gli si avvicinò chiedendo di nuovo cosa stesse succedendo e lui sempre zitto, non reagì nemmeno quando lei gli diede una bussatina con l'indice sulla spalla.

« Kisshu, si può saper- »

Di colpo il ragazzo le cinse la vita con le braccia e, facilitato dall'altezza ridotta nello stare seduto, nascose il viso contro di lei. Minto divenne scarlatta avvertendo il naso di lui fiorarle la pancia e la sua testa premuta sotto il seno e gli berciò contro:

« Che cavolo fai, razza di…?! »

« Minto, ti prego. »

La morettina si fermò, il cuore che le piombò nello stomaco, era così abituata la chiamasse con stupidi nomignoli che sentigli pronunciare il proprio nome la spiazzò; abbassò lo sguardo cercando di studiare meglio il ragazzo, mimetizzato nella stoffa e coperto dal fiocco della divisa, e lo ascoltò ancora mormorare con voce dolente:

« Solo un po'. »

Lui si sentì un cretino, umiliato e sconsolato, ridotto in una sorta di sadico cliché a leccarsi da solo le ferite in un angolino; capì che gli stavano tremando le mani e strinse un altro poco la presa avvicinandosi la mewbird, riempiendosi i polmoni del suo profumo che saliva dalla divisa e dell'odore di dolci che la impregnava:

« Lasciami stare così… Solo per un po'… »

Minto non gli rispose, ma dopo poco Kisshu avvertì il braccio di lei stendersi attorno alle sue spalle e la mano delicata posarsi sulla sua testa.

 

 

***

 

 

« Buongiorno… »

« Ciao. »

Taruto si irrigidì un poco vedendo che a salutare il suo ingresso al Cafè era stata Zakuro, ancora memore del loro ultimo dialogo, ma la mora accennò un sorriso fraterno e lui rilassò le spalle:

« Che silenzio. »

« Retasu è da MoiMoi – spiegò spiccia lei finendo di preparare il locale – Minto è di fuori. »

Taruto annuì. Immaginò che Pai fosse già ad armeggiare di sotto, non lo aveva trovato in casa quando si era svegliato; nemmeno Kisshu c'era ma non aveva idea di dove fosse, probabilmente a bigiare il turno di ronda nelle camerate dei cadetti.

« Purin? »

Domandò alla fine borbottando e Zakuro gli diede le spalle prendendo dei fazzoletti con cui riempire i dispenser sui tavoli, per non fargli vedere che sorrideva:

« Arriverà tra un po'. Credo che si vedesse con dei compagni di scuola. »

Taruto grugnì un ah deluso e si infilò le mani in tasca senza sapere bene cosa fare. Zakuro lo sbirciò con la coda dell'occhio e sospirò divertita:

« Potresti chiedere ad Akasaka. Lui saprà di sicuro dove sono andati. »

« … No… Fa lo stesso. – mugugnò il brunetto ostinato – Tanto prima o poi tornerà… »

« Cos'è che so io? Oh, buongiorno Taruto-san. »

L'uomo entrò proprio l'istante dopo allacciandosi la divisa da pasticciere e sorridendo radioso; Taruto incassò la testa nelle spalle borbottando un niente, ma Zakuro ripetè incolore:

« Dove sono andati Purin e i suoi amici. Non me lo ricordo. »

Aggiunse, quasi che la domanda fosse sorta spontanea da lei e non da Taruto. Ovviamente Keiichiro intuì, ma assecondò la mora e fece finta di considerare il ragazzino non interessato alla faccenda: lui, testardo, borbottò un altro saluto e si avviò fuori dalla cucina, abbastanza lentamente per sentire la risposta alla mewwolf da parte del cuoco – che rideva sotto i baffi.

« Se non erro Purin-san voleva far provare quel chioschetto di takoyaki(***) appena fuori dal parco. Spero si ricordi che aveva promesso di portarmene una confezione, ne vado matto! »

La mora annuì appena continuando il teatrino con Keiichiro di innocue chiacchiere leggere, sorridendo appena rendendosi conto della corsa presa da Taruto uscendo dal Cafè.

« Mi domando se con tutti occorrano strategie così complicate. »

Sorrise il cuoco allusivo e Zakuro scosse le spalle ridendo a labbra strette.

« Non ne ho idea – rispose al suo posto Ryou, spuntando dalla porta con il viso già imbronciato di mattina presto – ma non dovresti incoraggiarlo. »

« Che male c'è? Sono due ragazzi che si vogliono bene e hanno bisogno.... Di un aiutino. »

Fece tranquillo ammiccando e la ruga sulla fronte di Ryou divenne più rigida:

« Sono una terrestre e un alieno. – chiarì severo il biondo – Dovresti evitare di dare il la per altre situazioni fastidiose. »

Keiichiro divenne più serio per il tono allusivo e senza pietà del suo protetto e non aggiunse commenti. Zakuro invece smise di raccogliere tovagliolini e menù sul vassoio, chiuse l'anta delle scorte come se dovesse trapanare il muro e scoccando all'americano l'occhiata più gelida di cui era capace uscì dalla cucina con passo calmo e fermo.

« Complimenti per il tatto. »

« Ho solo detto la verità. »

Si giustificò il biondo mugugnando, ma non guardò Keiichiro in faccia. L'uomo tirò fuori la torta che aveva lasciato a riposare la sera prima e iniziò ad attrezzarsi per glassarla, sbirciando il biondo di sottecchi con paterno biasimo:

« Dovresti imparare ad essere meno sicuro di tutto. Potresti anche sbagliarti. »

Ryou non volle nemmeno affrontare la discussione e a denti stretti scese di sotto: preferiva la gelida presenza di Pai ai giusti rimproveri di Kei.

 

 

***

 

 

Lo vide arrivare correndo verso di lei con il sorriso meraviglioso che l'aveva fatta innamorare sin dal primo giorno. Ichigo si alzò dalla panchina e sorrise a Masaya di rimando, le mani in grembo, osservandolo con dolcezza.

« Eccomi. – le disse lui cingendole le spalle e stringendola – Che succede piccola? »

Ichigo non gli rispose. Lo guardò ancora con dolce malinconia, sospirò e gli disse piano:

« Dobbiamo parlare. »

Masaya la studiò dapprima confuso. Poi spalancò gli occhi scuri e quindi, con leggera sorpresa della rossa, assunse anche lui la stessa espressione triste e affettuosa:

« Dobbiamo? »

Ichigo annuì più volte.

« Dobbiamo. »

Masaya mandò un lungo respiro e le prese la mano. Ichigo lo lasciò fare, consapevole a quel punto che entrambi, seppur differentemente, fossero arrivati a porsi le domande che si era posta lei, e chiuse gli occhi mentre Masaya si posò fronte contro fronte:

« La colpa è mia? »

Ichigo scosse la testa strofinando la frangetta contro la sua e poi si corresse con un grugnito:

« Un po' »

Ammise e si mordicchiò la lingua, odiandosi per come cercasse sempre di indorare la pillola al ragazzo come se fosse sconveniente, o troppo crudele, ferire il suo bel principe.

« Hai deciso di realizzare quello che per te è il tuo sogno e non mi hai detto niente fino alla partenza. Ovviamente non potevo impedirti di andare, e non volevo di certo tarparti le ali, ma mi sono quasi sentita… Costretta a dirti di andare. »

« Se mi avessi detto che non volevi io sarei rimasto. »

Puntualizzò il moro senza astio e Ichigo sospirò amara:

« Lo so, ma io non avrei mai potuto dirtelo. È questo il problema. Uno dei problemi. »

Concluse con un filino di voce la rossa. Masaya non disse nulla, ma la sua mano ebbe un piccolo scatto attorno alle dita di lei e Ichigo di nuovo dovette inspirare a fondo per non fare marcia indietro rosa dall'insensato senso di colpa.

« Poi appena sei arrivato là… Ti sei come scordato di me. »

« Non è vero – ribattè lui un po' risentito – sono sempre stato preoccupato per te. »

 « Lo so – lo rassicurò – ma eri là. Eri felice, ed emozionato e… C'era solo L'Inghilterra, ti bastava che io ti dicessi che andava tutto bene. Anche se ti dicevo una bugia. »

Abbassò lo sguardo dispiaciuta e mormorò delle scuse:

« E sì… Ti ho detto delle bugie. Ti ho detto che andava tutto bene, che ero tranquilla, perché pensavo fosse giusto così, fosse meglio non farti preoccupare, e allo stesso tempo… Io… »

« Ichigo… Perché non mi hai detto niente? »

« Non lo so. – sospirò lei – forse perché volevo - pretendevo - che ti accorgessi che non stavo bene, che ero in ansia e avevo mille pensieri, invece niente. Così ero sempre più arrabbiata con te, e soprattutto con me stessa. »

E concluse con un lungo fiato tremante restando poggiata a lui, a studiare un granellino di asfalto sul sentiero. Masaya era silenzioso e teso e quando parlò la sua voce fu un misto di mortificazione e confusione:

« Avresti dovuto dirmi tutto. »

« Tu avresti dovuto dirmi dell'Inghilterra. »

Gli rimbeccò lei a bassa voce avvertendo il rimprovero e Masaya annuì; Ichigo scosse la testa sorridendo intenerita ed esasperata:

« Se stai per dirmi che ho ragione e che è solo colpa tua, ti prego, rimangiatelo, non posso farcela. »

« È la verità. »                                                                                                                  

« La verità è che io e te abbiamo smesso di parlarci. »

« Possiamo ricominciare e rimediare ai nostri errori. »

Ichigo scosse di nuovo la testa.

Arrivare a quella conclusione era stato molto difficile, eppure i segnali si erano sentiti da molto prima che tutti quegli eventi li colpissero.

Studiò ancora Masaya. I suoi occhi scuri erano gli stessi in cui aveva bramato per mesi di potersi specchiare e perdere, gentili, sinceri, con la piccola luce di tanti progetti futuri appena sussurrati; gli stessi capelli neri, la stessa pelle ambrata; lo stesso sorriso. Ma lui era diverso dall'estate di tre anni prima(****).

Lei era diversa.  

La sola cosa che non era cambiata era il loro rapporto.

E non funzionava più.

A lei non era più sufficiente il principe azzurro pronto, bello e perfetto che popolava i sogni, il suo magnifico cavalier servente. Aveva bisogno di qualcuno di più "reale", più imperfetto, come lei.

E lei non era più abbastanza per Masaya. Non era più in grado di sostenerlo, di sospirare alla sua mancanza e far fronte a tutto con cuore sincero senza non provare infantili risentimenti, né era capace di mettersi fino in fondo da parte per i sogni di lui.

Erano cambiati entrambi, ma ciò che li teneva uniti no. Era rimasto a tre anni prima.

E non bastava più.

Era crudele. Era brutto. Era triste.

Incespicò nello spiegare i propri sentimenti al ragazzo e mano man che parlava vedeva lui sorriderle più convinto e con tristezza, mentre la sua voce si affievoliva e un nodo le saliva alla gola. Quando arrivò in fondo e seppe che avrebbe dovuto pronunciare le fatidiche parole, lacrime pesanti le uscirono a fiotti e non riuscì più a parlare.

La paura le fece serrare la mano attorno a quella di Masaya, stava davvero facendo ciò che aveva pensato? Stava davvero succedendo?

Guardò ancora il moro, sempre malinconicamente sorridente, e singhiozzò sottovoce.

Si stavano lasciando per davvero?

Una sensazione di calore l'avvolse ripensando all'affetto che avvertiva ancora verso il moro, ricordando ciò che era stato e che, con rabbia, non riusciva più a riconoscere dentro il proprio cuore.  Si sentì cattiva, vigliacca ed egoista, e la paura di stare per mandare all'aria la vera ed unica storia d'amore della sua vita le fece disperatamente desiderare di fare dietrofront.

Scosse la testa più volte mormorando dei no confusi, stava sbagliando, stava sbagliando tutto. Doveva fermarsi, doveva tornare indietro…

« Ichigo. »

La voce calda del ragazzo la fece smettere di tremare un poco; la rossa tirò su con il naso e avvertì le labbra di Masaya posarsi delicatamente e con dolcezza sulla sua fronte:

« Ti amo, Ichigo. »

Lei ebbe un lieve sussulto:

« Masay- »

« Fammi finire. »

La rimproverò ridendo a labbra strette:

« Ti amo. Sei stata la prima ragazza che abbia amato, e sarai sempre la sola che amerò così. Ciò che sei per me e ciò che mi hai dato sarà sempre insostituibile, qualunque strada prenderemo. »

La lieve confusione che trasparse sul viso di Ichigo dovette divertirlo perché rise un po' più deciso prima di continuare:

« Se devo essere sincero in questo momento sono… Molto nervoso. Non sono sicurissimo di quel che sta succedendo; e ho una paura orribile. »

« A chi lo dici. »

« Però capisco quello che mi vuoi dire. »

Ichigo lo studiò inclinando la testa come un gattino:

« Quindi… Sei d'accordo con me? »

Lui sorrise, la baciò sulla guancia e non rispose.

Camminarono a lungo senza dirsi granchè, le mani intrecciate e la testa della rossa sulla spalla di lui. Ichigo non era sicura che Masaya condividesse il suo cambio di sentimenti o se la stesse lasciando andare solo per il suo indissolubile senso del dovere, ma era certa che avesse compreso.

Il parco sembrò enorme mentre lo attraversarono come volendo gustare ogni ultimo minuto insieme. Quando tornarono all'ingresso e si salutarono con un ultimo bacio e Ichigo fu sicura, guardandolo allontanarsi salutandola, che nonostante quell'addio fosse proprio come aveva detto il moro. Nel suo cuore Masaya avrebbe sempre avuto un posto unico e speciale; nulla avrebbe mai cancellato l'importanza che aveva avuto per lei, né affievolito il profondo e puro sentimento di affetto che provava per lui. In un certo senso non avrebbe mai, mai smesso di amarlo.

Anche se non sarebbe più stato il suo principe azzurro.

 

 

***

 

 

Taruto digrignò i denti seccato, da quando quel fazzoletto di verde che chiamavano parco era diventato così grande? Non era ancora riuscito a trovare Purin da nessuna parte, pareva dissolta nel nulla.

« Maledizione…! »

Sfrecciò tra le fronde finché finalmente non captò una chioma bionda con la coda dell'occhio e per poco non precipitò in un cespuglio attorno al sentiero: si nascose sperando che nessuno l'avesse visto fluttuare e attivò lo schermo, sgusciando allo scoperto con noncuranza.

Purin era in piedi di fronte ad un chioschetto con una vaschetta fumante in mano, afferrandone il contenuto poco per volta con uno stecchino e mangiandolo con un ampio sorriso soddisfatto; Taruto, che la vedeva imbronciata e smorta da giorni, nel vederla si sentì confortato e avanzò un po' più sicuro.

Con Purin c'erano altri quattro ragazzi della stessa età, due maschi e due femmine: a Taruto non servì avvicinarsi oltre per riconoscere il tipo allampanato dai capelli neri scompigliati che aveva cercato di dichiararsi alla mewscimmia e avvertì un pugno nello stomaco, specie notando i risolini e le gomitate – di cui Purin parve non essersi accorta – che le altre ragazze si scambiarono indicando il moro e la biondina.

La poca baldanza di Taruto andò a farsi benedire e il brunetto fu indeciso a quale istinto dare retta, se quello che gli suggeriva di girare i tacchi e andarsene mettendo il muso o quello che lo invitava a dare una scossettina allo spasimante, visto che le liane erano servite a poco. Strinse i denti e si trattenne avvicinandosi ancora e iniziando a cogliere stralci dei discorsi del gruppetto, ma non fu abbastanza svelto: una delle ragazze praticamente spintonò Haseki verso Purin e suggerì qualcosa che Taruto non capì – ma potè intuire, rodendosi l'anima – quindi con gli altri salutò andandosene; Purin, indifferente, ricambiò il saluto allegra e guardò un poco il moro che non sembrò desiderare altro che sparire e le fece cenno di allontanarsi da davanti al bancone dei takoyaki – dietro cui il cuoco stava iniziando a ridacchiare malizioso.

Taruto decise di restare indietro e li seguì di nascosto spostarsi di qualche metro, Purin sempre intenta a mangiarsi il suo snack:

« Allora? Che succede? »

Haseki disegnò dei cerchietti nell'erba con il tallone della scarpa grugnendo tra sé. Taruto, sentendosi un idiota ad origliare, rimase comunque in disparte dietro alcuni alberi con l'orecchio teso.

Sono un cagasotto patetico, mi odio da solo!

Nonostante tutto non si mosse, la mano stretta sulla stoffa dei pantaloni; vide Purin offrire un takoyaki ad Haseki che rifiutò, verde e rosso in volto, e quindi tossicchiò:

« Mi chiedevo… Ce l'hai il ragazzo? »

Taruto artigliò pantaloni, terreno e ogni altra cosa avesse vicino per non saltare fuori marchiandosi a vita come impiccione agli occhi di Purin – o massacratore di terrestri in fase ormonale – e si chiese se fosse in grado di far passare una scarica fino ai piedi del moro senza farsi notare. La mewscimmia intanto divorò un'altra pallina di polpo e scosse le spalle indifferente; Haseki s'illuminò:

« Allora non è che… Ti andrebbe di uscire? »

« Ma siamo già usciti oggi, no? »

Replicò tranquilla lei gettando gli involucri vuoti e Haseki fece una strana smorfia:

« No, intendevo… Con me. Io e te. Da soli. »

Purin storse la bocca leggermente di lato, aveva intuito la domanda ma aveva cercato di schivarla senza ferirlo; sospirò e piegò la testa dispiaciuta:

« A dire il vero io- »

S'interruppe di colpo cogliendo d'istinto qualcuno alle sue spalle; si girò e aggrottò un po' la fronte mentre Haseki assunse un'astrusa espressione mista di paura e confusione.

« Taruto? »

Lui non rispose alla domanda della biondina – notò con dispiacere, un po' seccata – e rimase dritto in piedi con le braccia lungo i fianchi, i pugni chiusi e le labbra strette in una linea di marmo. Haseki accennò appena un saluto con la mano:

« Ciao. Sei… Scusa ci conosciamo? »

Lo studiò strizzando gli occhi preoccupato e Taruto non lo degnò neppure di un'occhiata:

« Non credo proprio. »

« È un mio amico, Haseki-kun. »

Spiegò rapida Purin e fissò Taruto come a chiedergli spiegazioni e lui rimase com'era. Per un minuto buono non dissero niente: Haseki iniziò ad emettere sordi monosillabi imbarazzati e a guardarsi attorno per sfuggire alle occhiatacce roventi del brunetto, finché Purin non si frappose fra i due guardando dritto in faccia Taruto arrabbiatissima e sillabandogli di piantarla.

« B-beh, ti spiace se… Io e Fon finiamo un secondo di parlare? – tentennò il moro esasperato – Stavo… »

« Sì, mi dispiace. »

Tagliò corto Taruto e afferrò Purin per la mano:

« Tanto ti ha già risposto. »

Fece lapidario e con uno scintillio malevolo nello sguardo trascinò via la ragazza lasciando Haseki con un palmo di naso.

Taruto girò l'angolo e si teletrasportò poco distante, a sufficienza per essere fuori portata. Gli bastò la frazione di secondo necessaria a lasciare la mano di Purin e a voltarsi verso di lei per capire che era furiosa:

« Ma cosa ti passa per la testa?! »

Il brunetto ringraziò il contegno che gli impedì di arrossire dal pentimento per il suo gesto e scostò gli occhi da quelli incandescenti della mewscimmia, bofonchiando parole incomprensibili.

« Chi ti credi di essere per trascinarmi via così?! »

Taruto continuò a non risponderle dalla vergogna e Purin si girò ben decisa a tornare indietro; lui le corse subito appresso fermandola di nuovo per la mano, ritraendola con altrettanta velocità:

« Dai scusami, non volevo, io- »

« Oh, invece lo volevi! – strepitò lei – Ed è proprio questo che mi da fastidio! »

Taruto la studiò confuso e Purin alzò gli occhi al cielo, era inconcepibile non capisse la cosa più ovvia del mondo:

« Allora dimmi, perché mi hai trascinata via? »

Taruto incespicò un po' e le sue guance si velarono di rosa:

« Cos'è – borbottò arrabbiato – volevi un'altra dichiarazione da quello lì? »

« Non capisci proprio niente! »

Gli urlò contro e tentò di andarsene di nuovo, ma Taruto inspirando a fondo per non dare sfogo al suo lato peggiore – e comportarsi da adulto per una volta – la fermò per una spalla e disse più calmo:

« Dai, aspetta. »

« Che c'è ancora? – sbottò lei – Cosa vuoi? »

« Io, ecco… »

Inspirò un'altra volta a disagio, scusarsi non era proprio il suo forte; non sapeva neppure da che parte cominciare:

« Non volevo farti arrabbiare… »

« Sai almeno perché sono arrabbiata?! »

Proruppe più secca serrando i pugni lungo i fianchi; lui mandò solo un monosillabo incomprensibile. Purin si arrabbiò ancora di più e lo fronteggiò andandogli fin sotto il naso e fissandolo dritto nelle iridi ambrate:

« Perché sono stufa di non sapere se sei mio amico o no! »

Lui la guardò come se fosse scema:

« Ma che dici? Certo che…! »

« Certo un accidente! »

Fece più concitata sbattendo i piedi:

« Non è giusto, Taruto! Se siamo amici, non puoi arrabbiarti e fare il geloso! »

« Cos- »

« Quello puoi farlo con la persona che ti piace, non con un'amica! »

« Purin i- »

Lei lo zittì con un gesto secco della mano, gli occhi lucidi:

« Lo so perché anche io sono gelosa di te. Perché mi piaci tanto, Taruto. »

Lo vide arrossire fin alle orecchie e fissarla con la mascella a mezz'asta.

« Però… Se tu mi vuoi bene, ma sono un'amica – proseguì con tono ferito – non puoi fare il geloso! Non puoi arrabbiarti se un ragazzo mi dice che gli piaccio, o se mi chiede di uscire. »

« Certo che mi arrabbio! »

« E perché? »

Domandò a bruciapelo e aspettò solo una risposta che lui non riuscì a darle, aprendo e chiudendo la bocca senza un suono; lei strinse le labbra tralasciando gli occhi che le pungevano traditori:

« O mi vuoi bene come amica, o ti piaccio Taruto. »

La faccia del brunetto era totalmente basita, mai si sarebbe aspettato di vedere Purin così fuori di sé. A Purin parve le tirassero un piccone nel petto per ogni secondo in cui lui stette zitto e fu un enorme sforzo proseguire:

« O mi rispondi adesso, in un modo o nell'altro – fece perentoria – o vuol dire che non sono abbastanza importante nemmeno per essere tua amica. E, nel caso, giuro che non ti parlo più! »

Taruto continuò a tacere, incapace di contrastare le invettive della biondina nel modo giusto. Purin rimase nella sua stessa posizione un paio di minuti e poi, con un respiro tremante, chinò la testa triste:

« Bene. – poteva sentire il cuore farle tanto male da sanguinare – Ho capito. »

Scattò per superarlo e al Cafè, quando se lo ritrovò davanti con un guizzo a fermarla per le spalle:

« Ti prego aspetta! »

Lei fece un cenno di diniego guardandolo furente e piangente e il ragazzo si sentì male:

« Purin io… Io… »

Si diede dell'imbecille.

Provò a dirle ciò che provava un'altra volta, ma più tentava più le parole gli morivano in gola.

Era come tentare di arginare una diga con un tappo di sughero. Sentiva i suoi sentimenti straripare, rendendogli impossibile tenerseli ancora per sé, ma nel momento in cui cercava di dar loro una forma questi gli chiudevano la gola e la bocca, rendendo le parole troppo stupide o troppo semplici per definirli tutti.

« Cazzo…! »

Si portò una mano di Purin al petto e vide la biondina sgranare gli occhi: doveva fare un certo effetto sentire quanto il suo cuore poteva correre veloce, perfino lui era convinto che da un momento all'altro gli avrebbe perforato il petto andandosene per i fatti suoi.

« Non sei un'amica. – mormorò – Ma se provo… A dirlo, io… »

Purin sentì la pelle sotto le dita martellare più frenetica e guardò Taruto arrossendo.

« Scusami. Non essere arrabbiata. »

Lo vide diventare scarlatto.

« Non smettere di chiamarmi con quel nomignolo odioso. »

Concluse con un sospiro divertito. Lei si asciugò il viso e gli si avvicinò un altro po', studiandolo con attenzione:

« Devo continuare a chiamarti Taru-Taru? »

« … Sempre. »

Mai si sarebbe aspettata che la baciasse. Purin smise completamente di respirare e avrebbe voluto gridare dalla contentezza, cosa che probabilmente avrebbe fatto se la sua mente non avesse serrato bottega: si limitò a chiudere quieta gli occhi e a stringere la mano del brunetto, che le accarezzò una guancia con l'altra.

Quando tornò a guardarlo in viso e gli sorrise fu Taruto ad avere la tentazione di urlare dalla gioia, rivedendo finalmente quel sorriso che tanto adorava.

« Scusami per l'altro giorno. – mormorò sullo slancio del momento e arrossì al ricordo di lei che si protendeva verso il suo viso – Mi hai colto alla sprovvista. »

« Come tu me adesso? »

« Piantala. »

Ringhiò sottovoce e Purin ridacchiò strofinandogli il naso con il proprio:

« Fa lo stesso. – cinguettò piano – Ti sei fatto perdonare. »

« Spiritosa… »

Bofonchiò arrossendo ulteriormente e Purin rise. Taruto si sentì leggero come un palloncino:

« E se… »

« Uh? »

Taruto si morse il labbro e sbuffò, non credendo a quello che stava per dire:

« Volessi baciarti di nuovo? »

Purin spalancò gli occhioni castani e arricciò la bocca in un sorrisetto compiaciuto scuotendo la testa:

« No – sussurrò allungandosi verso di lui – stavolta tocca a me, Taru-Taru. »

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) parola macedonia che combina i termini omelette e rice: è la tipica omelette giapponese ripiena di riso e altri ingredienti, mangiata spesso con ketchup o altre salse (more info and ricetta here ;) -> http://www.corriereasia.com/cucina/cucina-giapponese/omuraisu-il-riso-nellomelette Io la consiglio :3)

(**) piccola precisazione, in inglese acido nel senso di antipatico, ostile  ho trovato termini leggermente diversi tipo harsh, ma ho preferito lasciare quello usato proprio per la frutta :P nel senso di asprigno.
Ah, la battuta purtroppo non è mia :P ma del personaggio di Walther del comico Jeff Duhnam (spero riusciate a trovare suoi video su youtube almeno subbati inglese perché è troppo divertente x°D)

(***) non mi ricordo assolutamente se sono già spuntati :P cmq sono frittelline di polpo impastellate che si mangiano con salsine varie, zenzero rosso e tonno essiccato. Sono buone da morire ♥ 

(****) faceeeeendo un rapido conto della serie, Ichigo e Masaya si fidanzano all'incirca sul finire dell'estate/inizio autunno

 

 

 

 

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~

 

Uaaaaah siamo in fondoooo! E io sparo giusto un bel paio di bombe, che ne dite? Ci siamo liberati dell'ameba, Ichigo ormai è bollata come str****tta egoista, Kisshu è emotivamente devastato da una bomba atomica e metà del cast ha fatto una comparsata :P però almeno i due patatini hanno concluso ♥  hiii quant'è che volevo farlo! (onestamente nei progetti c'era di farli tribolare ancora un pochino, ma sarebbe stato troppo tempo :P).

Ringrazio tutti coloro che si sono preoccupati per me, che hanno chiesto come stavo e che mi hanno incoraggiata :3 :* oltre ovviamente a tutti coloro che hanno commentato :)  Fair_Ophelia, mobo, LittleDreamer90, Hypnotic Poison, Allys_Ravenshade, _cercasinome_ , Cicci 12, Rin Hikari e Danya!

Grazie a tutti e alla prossima, e a presto anche con il #martedìfangirl :3


Mata ne
~♥ !

Ria



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Capitolo 39
*** Toward the crossing: ninth road (prelude) ***


Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: 
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Farai felice milioni di scrittori. 

 

Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: Non essere indifferente!
Salva anche tu una tastiera da pazzoidi che le massacrano scrivendo come disperate! Non chiudere gli occhi, puoi salvare milioni di vite elettroniche.

 

 

 

 

 

Hola a tutti :3 ♥ 

Aggiornamento veloce e per di più capitolo bello lungo :P! Mi amate vero?
tutti: ooooooh!

Cattivi TwT

C'è fin troppa sbobba ci vediamo in fondo :*

 

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Cap. 39 – Toward the crossing: ninth road (prelude)

                The betrayer

 

 

 

 

Ichigo tornò al Cafè circa un'oretta dopo aver lasciato Masaya all'ingresso del parco; rimase ad ammirare il vezzoso edificio per un tempo che le parve infinito, inspirando più e più volte per avere le forza di affrontare l'aria pesante degli ultimi giorni. Era ancora intontita dalla mattinata e non fu pronta all'inaspettato chiasso che le esplose addosso come una bomba.

Il Cafè era stracolmo di gente e le sue amiche correvano da una parte all'altra affaccendate, ma rispetto alle ultime settimane il clima era saturo dell'allegria tipica del posto: Minto, a causa dell'affollamento, trotterellava tra i tavoli sorridente, bofonchiando tra sé di nascosto per non essere ancora riuscita a bersi il suo the; Zakuro compariva e scompariva tra i clienti silenziosa, Retasu serviva rischiando di inciampare ogni due ordinazioni su tre, ma non spegneva mai il suo dolce sorriso cordiale; più di tutte a sorprendere la rossa fu Purin, che finalmente era tornata ad imperversare per la sala ridendo e strillando a più non posso saltellando sulla sua palla a strisce.

« Ichigo nee-chan! »

Appena l'ebbe vista la biondina scese dalla palla con un carpiato in avanti e le balzò alla vita stringendola forte. Ichigo ricambiò piano, ma con vigore, ebbe l'impressione di non ricevere un abbraccio dall'amica da millenni:

« … Ma che diavolo è successo in una giornata che non mi sono fatta vedere? »

Le domandò incuriosita e Purin sorrise compiaciuto stritolandola euforica:

« Niente. »

« E io sono Babbo Natale. »

« Oh, sia lode! Hai deciso di presentarti finalmente! »

« Ichigo-san! »

Le altre la placcarono subito dopo – aveva impiegato troppo a dileguarsi nel retro, con Purin appesa addosso – e lei rispose sia a Minto sia a Retasu con lo stesso sorriso esausto:

« Scusate il ritardo. »

« Come stai? – domandò Retasu – Eravamo preoccupatissime! »

« Parlate per voi. – sbottò Minto ostinata – Da parte mia avevo solo bisogno di darti una bella strigliata. Si può sapere…! »

« Nee-chan… Hai pianto? »

L'invettiva di Minto si spense alle parole di Purin, riemersa con il viso dalla maglia della mewneko, e intenta ad asciugarle una guancia ancora umida. La mewbird cambiò subito atteggiamento parlottando all'orecchio dell'amica:

« Che è successo? »

« È capitato qualcosa? »

Mormorò Retasu; Ichigo sorrise stentata a tutte e tre e per sua fortuna intervenne Zakuro:

« Credo che qui parlarne ora sia complicato. »

La rossa annuì rinfrancata:

« Grazie ragazze. – sorrise carica d'affetto – Ma magari ne parliamo più tardi, uh? Con calma… »

« Pigiama party da Minto nee-chan? »

« Casa mia non è un porto di mare! »

« Mi sembra perfetto. »

Sorrise Ichigo con dolcezza.

« Perdi questo vizio di autoinvitarti, popolana. »

La mewneko, troppo stanca per arrabbiarsi e troppo contenta di poter parlare con le sue amiche, replicò semplicemente sorridendo e Minto non protestò più, turbata, limitandosi ad incrociare le braccia borbottando per mantenere la propria immagine.

« Te la senti di lavorare? – domandò ancora Retasu studiando la rossa e preoccupata dei suoi occhi lucidi – Guarda che puoi riposarti oggi. »

Ichigo scosse la testa con vigore:

« Ho bisogno di fare un po' di movimento e rilassarmi. »

Le ringraziò, si scollò di dosso Purin che non l'aveva lasciata nemmeno un secondo e andò negli spogliatoi con lentezza ma tranquillità; le ragazze si guardarono tra loro e al cenno allusivo di Zakuro sospirarono arrendevoli rimettendosi all'opera.

 

 

 

« Oh, ma allora non sei scappata su un ghiacciaio, sei viva vecchiaccia! »

Ichigo entrò in cucina per prendere un vassoio quando la vocetta maliziosa di Taruto, appollaiato su uno sgabello ad ammirare annoiato la sala dalla finestra della cucina, richiamò la sua attenzione:

« E tu che ci fai qui? »

Il brunetto rispose con una scrollata di spalle e un sorrisetto a metà tra l'imbarazzo e la contentezza:

« Niente. »

Ichigo prese atto della risposta eloquente con un verso muto e continuò le sue faccende, con lui che la seguì con un sorrisetto perfido, abbastanza di buon umore da volerla infastidire un po':

« Sei entrata in sciopero o hai solo avuto un attacco di pigrizia cronica, vecchiaccia? »

La rossa con sua delusione fece spallucce e lo guardò con aria di circostanza:

« Nulla di che. Avevo… Dei pensieri per la testa. »

Il brunetto sembrò parecchio stupito della mancata reazione e, anzi, arrivò a impensierirsi notando pure lui che, per quanto si fosse sciacquata il viso per nasconderlo, la rossa aveva pianto:

« Ehi, ma stai bene? »

« Sì, certo. »

« Non si direbbe proprio a guardarti. »

Ichigo sospirò, finendo di mettere nel lavello alcune tazze rimaste sul bancone, e studiò il brunetto con un sorriso tirato:

« Davvero, sto bene. »

Lui fece una smorfia poco convinta e la rossa, per cambiare l'atmosfera, lo fissò ironica stendendo un ghignetto da monella:

« Ti preoccupo per me, mocciosetto? »

« Chi hai chiamato moccioso, brutta befana?! »

« Ichigo nee-chan, Taru-Taru! State litigando? »

Purin, le mani sui fianchi sull'ingresso della cucina apparve provvidenziale; li guardò severi non ottenendo risposta e puntò l'indice contro Taruto:

« Sii gentile con Ichigo, mi hai capita? »

« È lei che è irritante! »

« Io non ho fatto proprio nulla. »

Replicò la rossa innocente e Purin fissò Taruto seria:

« Per favore… »

Lui sbuffò roteando gli occhi:

« Va bene, va bene, piantala di farmi la predica. – brontolò incrociando le braccia – Se tra i due uno deve fare l'adulto… »

Squadrò Ichigo con supponenza – la rossa stupefatta dalla sua mansuetudine – e Purin soddisfatta gli schioccò un bacio sulla guancia ringraziandolo e tornando in sala con un nuovo vassoio di ordinazioni, sorda alle lamentele di lui. Taruto si lagnò della mewscimmia a bassa voce per un minuto buono, in contrasto con la sua faccia leggermente rossa e la bocca che non smise di sorridere. Ichigo lo guardò furbetta:

« Aaah, ora capisco… »

Lui divenne scarlatto squadrandola minaccioso:

« Non farti strane idee, vecchia impicciona che non sei altro. Sono stato chiaro?! »

« Cristallino. »

Replicò sarcastica e poi ridacchiò facendo diventare il brunetto color prugna.

« Grazie Taruto. »

Con sorpresa del giovane alieno la mewneko gli sorrise grata di quella risata distensiva, gli diede un buffetto sulla testa e uscì dalla stanza mettendosi al lavoro con zelo. Taruto confuso lanciò un'occhiata a Keiichiro, nascosto dietro una ciotola di crema, e lo vide solo sospirare e scuotere la testa misterioso.

 

 

***

 

 

Ake individuò la sagoma di Sando che ancora era in fondo al corridoio del reparto. Non che fosse complicato, il verde era talmente grosso da apparire come un'enorme macchia scura nella stanza, che occupava tutto il campo visivo.

Il dottore entrò piano; come si aspettava vide Sando scattare impercettibilmente con la testa, una bestia feroce attirata da un rumore sospetto, tornando a trascurare la porta appurato che si trattava di una presenza nota. Ake sospirò e controllò in silenzio tutta la strumentazione della stanza, passeggiando accanto all'uomo immobile come una statua di sale, regolò le flebo di MoiMoi e scribacchiò un paio di annotazioni sulla cartella referti, sbuffando e rigirandosi il paina tra i denti.

« Tu hai deciso di accamparti qui? »

Chiese dopo una vita di silenzio. Sando lo squadrò soltanto con i suoi ombrosi occhi color notte e lo ignorò, riprendendo l'osservazione dell'amico incosciente sul lettino.

« Dubito che le vedrai fare qualcosa di più interessante che respirare. »

Lo stuzzicò ancora il medico e fu certo che l'occhiataccia scoccatagli avrebbe potuto ucciderlo. Lasciò perdere prendendo con attenzione la mano fasciata del verde, che lo lasciò fare con annoiata indifferenza, e controllò il suo stato cambiandogli la medicazione:

« Tra una settimana dovremo toglierli. »

« Quando sarà. »

« Devi toglierli – precisò rassegnato – e non azzardarti a provare a farlo da solo. »

« Mi hai preso per un idiota? »

« Per uno che ha messo radici e non si sposta nemmeno con le bombe. »

Commentò stanco. Studiò il vecchio amico con gli intelligenti occhi cobalto e nocciola e lo vide contrarre appena la mascella, infastidito dal suo sguardo.

« Da quanti giorni non torni a casa? »

« Mamma, sono grande abbastanza. »

« Parlo sul serio. »

« I cazzi tuoi? »

Sbottò di rimando rasposo e Ake si massaggiò il viso energicamente, non era proprio possibile ragionare con lui. Restò a vedere se le sue parole avrebbero avuto effetto per un po' e constatato che così non sarebbe stato, si convinse a lasciarlo in pace.

Aprì la porta fermandosi giusto per controllare da oltre la spalla una minima reazione e sbuffando rassegnato se ne andò, sbirciando Sando intanto che, con una delicatezza impensabile per le sue mani enormi, scostò uno dei ciuffi maltagliati dal volto pallido e calmo di MoiMoi.

 

 

***

 

 

In pochi minuti l'assenza di Ichigo dei giorni passati scomparì dalle menti dei presenti: la rossa riprese a lavorare con tutta l'energia che possedeva e sfoggiando un sorriso luminoso, desiderosa di sfogare stress e malumore. Retasu ad ogni occasione si appostava negli angoli per controllare che effettivamente le cose andassero meglio, e sebbene Ichigo sembrasse ancora provata la verde rivide infine la sua amica veleggiare tra i tavoli, tirando un sospiro di sollievo.

« Ma guarda che è tornata… Ciao. »

« Ciao Eyner. »

Il bruno si stropicciò gli occhi, infastidito dalla luce dopo il soggiorno nel sotterraneo, e si stiracchiò sbadigliando.

« Sei stato là sotto tutta la notte? »

Lui annuì con un grugnito:

« Pai è uno stacanovista, ma non ha ancora capito che non lo sono tutti. »

Concluse con uno sbadiglio; Retasu rise discreta.

« Ichigo mi sembra più in forma dell'altro giorno. »

Commentò vago studiando la sala e la verde sospirò giocando distratta con il grembiule:

« Già, ma non so quanto… Forse stasera ci capiremo qualcosa di più. »

« Riunione tra ragazze? »

Domandò divertito e lei sorrise annuendo:

« Minto ha protestato un po' per la scelta del posto, ma sono sicura che Zakuro-san la convincerà. »

Rise piano e il bruno emise uno sbuffo divertito, cercando d'istinto una chioma glicine nella massa di gente; la riconobbe a portare una coppa di macedonia con gelato ad un terzetto di studentesse delle medie – e terrorizzandole con il suo sguardo distaccato – tornare in cucina per nuove ordinazioni e poi servire altri tavoli. Ad un'occhiata veloce niente nell'atteggiamento della mewwolf dava ad intendere alcunché, ma a Eyner non sfuggì il lieve corrugare la fronte che di tanto in tanto prendeva la ragazza, come rimuginasse ed era almeno dal giorno prima che aveva individuato lo strano tic. Quando per un istante Zakuro incrociò il suo sguardo e la vide voltarsi quasi seccata, Eyner si convinse che qualcosa non tornasse e appena Retasu si fu rimessa al lavoro seguì con discrezione la mewwolf, scesa nel magazzino seminterrato.

La trovò a dare le spalle alla porta, mentre tirava fuori quasi tutta la roba da un armadietto per raggiungere un vasetto in fondo.

« Ehi… »

Lei fece un verso con le labbra serrate e non si voltò, continuando a sistemare la dispensa.

« Zakuro? »

« Dimmi. »

« È tutto a posto? »

« Dovrebbe esserci qualcosa che non va? »

Gli domandò indifferente agguantando finalmente un grosso barattolo di ciliegie candite. Eyner alzò appena un sopracciglio allusivo e lei, noncurante, posò a terra il suo bottino e ricominciò il processo inverso rimettere tutto in ordine.

« Sei pensierosa. »

Buttò lì il bruno avvicinandosi. Zakuro si mordicchiò di nascosto un labbro, sorpresa e seccata che se ne fosse accorto, e negò pacata:

« Nulla. »

Avvertì il ragazzo fermarsi alle sue spalle, aspettando che si decidesse a non prenderlo per stupido e gli rispondesse in modo decente, ma lei continuò a mettere ordine, ignorando a viva forza l'orrido moto di tensione che le fece tremare i nervi fino alla punta delle dita, lo stesso che l'aveva spinta a prendere a vassoiate il braccio di Ryou.

Eyner aspettò ancora e alla fine la strinse tra le braccia senza domandarle altro; Zakuro lo lasciò fare, prese un profondo respiro e rilassò la schiena contro il suo torace, portando le mani sulle sue. Rimasero così per un po' e la mora, tranquillizzandosi al suono del respiro di lui, si pentì un po' di non essersi mai lasciata abbracciare più spesso fino a quel momento.

« Starmi vicino è complicato, uh? »

Lo sentì ridacchiare appena in assenso:

« Ogni tanto. »

Sospirò divertita e reclinò la testa di lato permettendogli di avvicinare di più il viso al suo.

« Che ho combinato? »

Lei scosse la testa e poggiò la fronte sulla sua guancia:

« Tu non c'entri. »

« Davvero? – chiese poco convinto – Mi hai lanciato un'occhiataccia prima… »

« Stavo solo pensando ad una cosa che mi hanno fatto venire in mente. »

« Il sottoscritto c'entra in un qualche velato modo? »

Eyner alla mancata risposta la guardò eloquente domandando delucidazioni. Zakuro sostenne il suo sguardo in silenzio contraendo le labbra, forze pensando a come completare il discorso, ma alla fine valse la sua ferma convinzione che per alcune cose non valeva la pena girare troppo attorno al concetto.

« Tra poco avremo raccolto tutte le Gocce rimaste. »

Lui non replicò.

« Una volta finito, potrete chiudere il passaggio. Tutto tornerà alla normalità. »

Ancora nessuna replica. Zakuro sciolse il suo abbraccio quanto bastò per girarsi e mettersi di fronte a lui:

« E voi ve ne andrete. »

Eyner non seppe che dirle intanto che un sottinteso tu te ne andrai cadde in mezzo a loro rapido e pesante.

Fino ad allora nemmeno lui aveva focalizzato la questione e la verità lo centrò come un sasso gelido nello stomaco; sospirò e fece un sorriso sghembo stringendo le labbra, scrutando attorno nervoso:

« In qualche modo si farà. »

« Suona tanto di bugia. »

Gli fece notare lei amara ed Eyner annuì cupo:

« Lo so. »

Le accarezzò una guancia diventando più serio:

« Però non voglio perderti. »

Zakuro rimase spiazzata dalle sue parole e scrutando nei suoi occhi grigio-blu abbandonò la testa contro il palmo della sua mano, sorridendo appena.

Aveva rimuginato sulle frecciatine di Ryou per tutto il pomeriggio e la sera non riuscendo a liberarsene nemmeno dopo una notte di sonno, e la sua mente distaccata aveva urlato di rabbia constatando che le considerazioni del biondo erano fondate; prima o poi il sodalizio tra terrestri e jeweliriani si sarebbe dovuto sciogliere pure contro il volere generale e dubitava che Terra e Jeweliria si trovassero nello stesso quadrante, magari non erano nemmeno nella stessa galassia.

Per quanto non volesse una parte del suo cervello aveva iniziato a valutare che forse Ryou aveva ragione, che ciò che stava facendo le avrebbe portato più male che bene, che forse avrebbe reso tutto più complicato. Avvertendo il palmo di Eyner sul proprio viso, però, tutto scomparve come nebbia al mattino:

« Rimane solo l'opzione della relazione a distanza. »

Scherzò appena posando la mano sulla sua.

« Sono disposto a diventare pendolare. »

A Zakuro scappò un lieve risolino, conscia che per quanto si sentisse sollevata non si erano dati una vera risposta. Eyner le prese il viso tra entrambe le mani avvicinandola di più a sé:

« Ero serio. »

« Anche io. – gli sussurrò la mewwolf sfiorandogli il profilo della mascella con la punta delle dita – Ma il teletrasporto non lo userò se non sarà necessario. »

Lui sorrise e la baciò con calma e dolcezza, quasi con fare rassicurante, tenendola più stretta che potè e Zakuro, sorreggendosi alle sue braccia, pensò per un secondo che avrebbe potuto farsi andare bene anche il teletrasporto.

« Düstet da ram(*)… »

Zakuro ascoltò ad occhi chiusi il sussurro che lui pronunciò sulla sua bocca e sorrise:

« Mi sa che mi è sfuggita, questa. »

« Credo che tu ci possa arrivare. »

Replicò lui; Zakuro, dimentica di cosa l'aveva tormentata fino a poco prima, giocò sovrappensiero con il codino del bruno tenendo sempre il volto accostato al suo:

« Come traduzione uso quella che ho sentito l'ultima volta? »

Domandò allusiva.

« Ma allora mi avevi sentito. »

Lei lo baciò sofficemente:

« Certo che ho sentito. »

Sorrise di più ed Eyner annuì:

« Dato che la traduzione letterale sarebbe parecchio sdolcinata, quello va bene. »

« Ti amo? »

Chiese ancora in un soffio e al bruno per poco venne un infarto:

« Era una domanda o un'affermazione? »

« Controllavo se avevo tradotto giusto. »

Lo schernì amorevole lei. Eyner roteò un poco gli occhi, rassegnato a non averla mai vinta, e ricominciò a baciarla poco per volta preferendo cedere.

« Sai che i giapponesi – iniziò a dire lei a bassa voce tra un bacio e l'altro – hanno modi diversi per dire "ti amo"? »

« Illuminami. »

Rispose solo ridacchiando arreso a darle corda quando non capiva dove volesse andare a parare un suo discorso; Zakuro sorrise furbetta tracciandogli la linea delle spalle con le mani:

« Suki desu, "mi piaci". »

« Non credo proprio sia la stessa cosa… »

Zakuro sospirò divertita e proseguì:

« Daisuki desu, "mi piaci tanto". »

« Acqua, acqua. »

Zakuro gli passò l'indice sulla bocca per dirgli di stare buono e sorrise baciandolo ancora. Lo fissò negli occhi posandogli le mani sul petto e solo grazie al silenzio che avevano attorno Eyner riuscì a capire ciò che gli bisbigliò:

« Aishiteru(**)… »

All'improvviso uno strillo strozzato e il fracasso di metallo che precipitava sul pavimento. Eyner e Zakuro si girarono di scatto sobbalzando e scorsero Minto, in piedi sulla porta, che li fissò con la mascella a mezz'asta e l'espressione stralunata, il vassoio ai suoi piedi che smise di vibrare in un silenzio terribile.

« Minto… »

Appena la sua adorata sempai la nominò la mewbird divenne rossa fin alla punta dei capelli e con gli occhietti lucidi se la diede a gambe, trattenendo uno squittio.

Eyner guardò a disagio Zakuro sorridere materna e constatò con una smorfia tirata:

« Ho come l'impressione che convenga non tornare di sopra per la prossima ora o due. Per lo meno se non voglio ritrovarmi una freccia piantata in fronte… »

 

 

***

 

 

Fu solo il rumore del cabarè sul suo comodino che svegliò Ryou. Il biondo, che non dormiva da quasi trentasei ore, aveva dovuto cedere al bisogno fisico di chiudere gli occhi ed era crollato all'alba, e il risveglio dopo pranzo non contrava proprio come tempo sufficiente per recuperare.

« Immaginavo che se ti avessi fatto dormire di più ti saresti arrabbiato. »

Disse Keiichiro riempiendogli la tazza di caffelatte. L'americano, frastornato, odorando il fantastico odore di latte tiepido e di brioche al cioccolato non formulò neppure le proteste sul menù – che per quanto lo stuzzicasse lui, per regola ferrea, si negava in favore di pasti più rapidi e pratici – e si mise a sedere con il viso affondato nelle mani.

« Non ti sei nemmeno tolto i vestiti? »

« Non so nemmeno come ho fatto ad arrivare in camera. – aggiunse biascicando – Né come ho fatto a centrare il letto. »

« Per lo meno hai tentato di metterti sotto le coperte. »

Lo canzonò il bruno affettuoso raccogliendo i resti del copriletto gettati ai piedi del materasso; Ryou grugnì una risposta non proprio chiara ed iniziò a mangiare, inzuppando la brioche nel latte e andando quasi in estasi per l'esplosione di zuccheri e calorie che rinfrancò il suo corpo sfibrato. Mangiare fu l'unica cosa che fece per dieci lunghi minuti mentre Keiichiro, diligente, riordinò la stanza che pareva non vedere luce da giorni e spalancò la finestra; il biondo lo lasciò fare, concedendogli dopo tanto di fare il tutore come desiderava, e speranzoso che affaccendandosi Keiichiro dimenticasse qualunque cosa volesse dirgli: perché glielo lesse nei gentili occhi scuri, c'era qualcosa d'importante. Che lui di certo non avrebbe voluto sentire.

« Ichigo-san è rientrata. »

Ci aveva preso in pieno.

Appena Keiichiro ebbe pronunciato il nome della rossa Ryou smise di fare colazione.

« Forse dovresti chiederle come sta. »

Per tutta risposta il biondo posò i resti della seconda brioche e la tazza del latte, afferrò un asciugamano pulito dalla pila che Keiichiro aveva ordinatamente disposto sul letto e andò ad infilarsi in doccia pregando di scacciare dalla sua testa e dalle orecchie il nome della mewneko.

 

 

***

 

 

La sera le ragazze cenarono a casa di Minto con raffinati e freschi sandwich preparati dal suo chef, dato che c'era troppa afa per ingerire cibo più caldo o complesso. Ichigo aspettò che avessero terminato di mangiare e si fossero messe tutte comode in pigiama: quando le chiacchiere rallentarono si ritrovò gli occhi delle ragazze addosso e cercò Zakuro, che annuì incoraggiante; la rossa inspirò a fondo e deglutì:

« Io e Masaya ci siamo lasciati. »

Le ragazze si congelarono sul posto.

Ichigo si sforzò di fare un tremendo sorrisetto sghembo, ma nessuna di loro reagì; la rossa allora cercò ancora l'aiuto di Zakuro che fece un altro cenno d'assenso e, pian piano, Ichigo ripetè con fatica tutto ciò che aveva detto a Masaya la stessa mattina. Per la seconda volta la vergogna e la confusione minacciarono di chiuderle le parole tra le labbra, e le fecero tenere la testa sempre più rivolta contro il pavimento, temendo il giudizio delle sue care amiche. Arrivò in fondo che non aveva quasi più voce e nel silenzio teso non osò sollevare gli occhi.

Fu la mano di Retasu che si strinse energica sulla sua a darle il coraggio di alzare appena la fronte. La verde le sorrise dolcemente e di li a poco Purin le cinse le spalle in un abbraccio caloroso, convincendo del tutto Ichigo a tirarsi su.

La mewneko si lasciò coccolare e gli occhi le si inumidirono, mentre il calore delle amiche scioglieva l'ultimo strato di freddo che le stava soffocando il cuore; sentì la mano di Zakuro sfiorarle leggera i capelli e dietro le lacrimucce scorse Minto, ancora sconvolta, che tentò di sorriderle.

« Ora Kisshu nii-chan sarà contento. »

L'atmosfera appena sollevata si ritese di colpo, con Ichigo che si morse le labbra con forza e Zakuro che diede un'occhiataccia severa alla mewscimmia; le altre tre ragazze non capirono ed Ichigo tentennò:

« Io e Kisshu… A dire il vero… Ecco… »

Minto si corrucciò e le andò vicino:

« È per l'altro giorno, in quella specie di chiesa? »

Ichigo voltò ancor di più la testa per sfuggire agli occhi indagatori della mora che le prese il viso e la costrinse a guardarla:

« È successo qualcosa, vero? »

Lo chiese con una morsa penosa allo stomaco, detestandosi per aver dato credito a Kisshu quando le aveva giurato il contrario, e allo stesso tempo ricordandosi con amarezza il verde e come lo aveva trovato quella mattina.

« Ichigo, cos'è successo? »

La rossa cercò di ignorare la domanda ma alla fine esalò:

« … L'ho baciato… »

Minto le lasciò andare la guancia come scottata:

« … Cos'hai detto…? »

« L'ho baciato. »

Ripetè in un pigolio. Purin strillò fin a farsi cascare la mascella assieme a Retasu, le mani sulla bocca, invece Minto rimase di gesso con gli occhi spalancati. La mewscimmia prese a girare per la stanza agitatissima e tra lei e la verde che non fece che balbettare più imbarazzata di Ichigo non si riuscì più a capire una parola da nessuna:

« C-c-c-com'è successo?! Cosa…?! Perché…?! »

« Ichigo nee-chan è impazzita! È impazzita…! »

« Ma non è impazzita! Devono essere… Sì, probabilmente… »

« E baciare Kisshu come lo definiresti?! »

« Ehm… Crisi di nervi? »

« Come ti è venuto in mente. »

Fu silenzio.

Minto non aveva urlato, né si era mossa. Tuttavia lo sbotto che lanciò, secco, duro e rabbioso, fece azzittire tutte quante:

« Come diavolo ti è venuto in mente? »

Ripetè più piano e Ichigo non ricordò di averla mai vista tanto arrabbiata:

« Kisshu è innamorato di te. – le ricordò in un sibilo – Come accidenti…! Ti è passato per la mente di baciarlo?! »

« Io… A dir- »

« Cos'è, hai cambiato idea per caso? »

Il tono della mora si alleggerì lievemente:

« Ti sei innamorata di lui? »

Ichigo divenne rossa e a Minto, inspiegabilmente, mancò un poco l'aria finché con amarezza l'amica scosse il capo; Minto avvertì lo stomaco ripiegarsi in due:

« E allora perché? Che cavolo ti è passato per la testa?! »

Ichigo incassò indietro la testa per la vergogna e spiegò sottovoce:

« Non volevo…. È stato… »

« Cosa? Stato cosa, Ichigo? »

La rossa avvilita non seppe che rispondere e Minto si alzò in piedi fregandosi il viso passeggiando per la stanza fuori di sé.

« Minto, smettila. – la redarguì Zakuro ferma – Ichigo ha sbagliato e ne ha già affrontato le conseguenze. »

La mewbird, il volto livido, si zittì annuendo con un grugnito e l'immagine di Kisshu che le cingeva la vita le passò nella mente come un lampo:

« Sì… Ma anche no. No, accidenti! – sbottò – Pensi mai a quello che provano gli altri?! »

« Certo che ci penso Minto. – gemette la rossa – E non hai idea tu, di quello che sto provando in questo momento. Di quanto mi senta schifosa! »

« Io invece non credo che tu stia pensando a nulla, né adesso né prima. »

« Minto, smettila. »

« No, onee-sama! – sbottò – E tu sei esattamente come lei! »

« Di che parli? »

L'espressione di Zakuro fu rabbiosa e offesa, ma Minto non si scompose:

« Di Eyner! – esclamò spalancando le braccia – Come me lo spieghi quel… Quel…?! Quello che ho visto oggi? »

La mora aggrottò la fronte punta sul viso e la scrutò offesa.

« Da quant'è che va avanti? »

« Eyner nii-chan e Zakuro nee-chan che stanno insieme? Mmm… Da quando è tornata dalla dimensione degli Ancestrali? »

Entrambe le more la fissarono basite. Minto si girò lentamente verso Purin e farfugliò:

« Tu lo sapevi? »

La biondina scrollò le spalle e la mewwolf si concesse un sorrisetto divertito, ammirata dell'intuito, Minto invece proruppe più nervosa:

« Vuoi dirmi che Purin lo sapeva e io no?! »

« Non mi ha detto niente – precisò la biondina – l'ho capito da sola. »

Minto guardò le altre in cerca di conferme e Retasu si sistemò gli occhiali a disagio; la mora esplose:

« Anche tu?! »

« I-io ed Eyner abbiamo parlato ogni tanto, e quindi… »

Esasperata la mewbird scossò un'occhiataccia anche a Ichigo che non osò fare altro che annuire. Minto lasciò andare le braccia lungo i fianchi e mormorò:

« Lo sapevate tutte tranne me…? »

« Non ne abbiamo mai nemmeno parlato. – tentò di tranquillizzarla Retasu – Né abbiamo chiesto a Zakuro... Abbiamo solo supposto. »

« E avete tutte intuito giusto. Congratulazioni. »

« Minto – la redarguì ancora la mewwolf – non puoi arrabbiarti per questo. »

« Hai ragione. – disse lei ferita – In fondo, mi sarei aspettata solo che tu di una cosa del genere ne parlassi con noi. Ne parlassi con me. Come avresti dovuto fare tu. »

Concluse cupa indicando Ichigo:

« Se avessi parlato con noi dei tuoi problemi o… Di qualsiasi cosa passasse nella tua testaccia dura, avresti fatto meno casino. »

Così dicendo prese uno dei tanti cuscini del letto, lo sbattè sulla piccola chaiche longue accanto all'armadio e ci si sdraiò sopra puntando la faccia contro il muro, borbottando che sarebbe stato meglio dormire. Le sentì salire in silenzio sul suo letto e sistemarsi per la notte senza che nessuna tentasse di calmarla.

Passarono le ore e Minto non chiuse occhio. Sempre voltata contro il muro ascoltò i respiri quieti delle ragazze e il lieve fruscio delle tende mosse dalla finestra socchiusa per il caldo, incapace di prendere sonno.

« Minto… Sei ancora sveglia? »

Ascoltando la voce di Ichigo la mora strinse rabbiosa il cuscino, ma non si mosse.

« Lo so che sei sveglia. »

« E allora non chiedermelo. »

Le rimbrottò. La rossa sospirò, scivolò fuori dal letto piano per non svegliare le amiche e la raggiunse, inginocchiandosi accanto a lei:

« Perdonami. Sono stata una stupida… Voi siete le mie più care amiche, mi sarei dovuta confidare con voi prima. »

« Già, avresti dovuto. »

« Ti prego, non fare così. »

La morettina si tirò a sedere squadrandola nel buio, le mani sui fianchi:

« Ti rendi conto di cosa hai affrontato? Di cosa abbiamo affrontato noi? Di quanto ci hai fatte stare in pensiero, mentre tu rimuginavi e rimuginavi da sola come una stupida?! – sbottò in un sussurro – Per non parlare del tuo comportamento con…! »

Spense la frase in un lungo sospiro iroso:

« Sei stata pessima. Egoista e vile. Non ti riconosco più. »

Ichigo rimase in silenzio a giocare con gli intarsi di legno della chaise longue, poi prese le mani di Minto avvilita:

« So di essere una cretina. »

« È il minimo. »

« E odio il mio comportamento, ho fatto stare male un sacco di gente. »

Minto cercò di ritrarre le mani quasi offesa dell'affermazione riduttiva e Ichigo la guardò con pentimento sincero:

« Davvero non puoi perdonarmi? – domandò disgustata da se stessa – Sono così ignobile? »

Minto sospirò di nuovo a fondo. Lasciò che alla rossa sfuggisse un singhiozzo e ricambiò la stretta delle sue mani:

« No… Stupida e insensibile, forse. Quello sì. »

L'abbracciò confortante e quando Ichigo ricambiò l'abbraccio con slancio disperato, esattamente come Kisshu nel retro del Cafè, Minto si convinse che la sua amica punendo a sufficienza da sola e non servisse anche il suo livore.

« Sappi che resto molto, molto arrabbiata con te. »

Puntualizzò la mora picchiettandole il naso con l'indice e capì che era una verità molto più forte di quanto volesse, e non seppe il motivo. Ichigo annuì mite.

Con un paio di moine la rossa convinse Minto a dormire nel letto e le due si fecero faticosamente spazio tra Retasu – che da addormentata era peggio di una pietra – e Purin stesa a stella nella quasi totalità del materasso; Zakuro, su uno dei bordi, rimase ad occhi chiusi, ma sorrise sentendole sdraiarsi con tutte loro.

 

 

***

 

 

Il volto serio di Pai si tese come una corda mentre leggeva e rileggeva la lista del centinaio di sospetti che aveva isolato. I nomi che gli saltarono all'occhio non gli piacquero per niente e strinse le dita attorno al tavolo.

« Che succede? »

La voce di Eyner gli arrivò come da un'altra dimensione.

« Nulla. – mentì freddo – Pensavo. »

« Che novità. »

Ribattè l'altro sarcastico. Pai non lo valutò, limitandosi a diventare ancora più cupo:

« Di questi nomi – pensò a voce alta – tutti avrebbero potuto attaccare MoiMoi al laboratorio. Bisogna capire chi davvero si sarebbe potuto trovare là fisicamente… »

« È per questo che stiamo perdendo gli occhi qui davanti. »

Rispose ancora Eyner quasi divertito dell'ovvietà delle sue affermazioni. Pai si limitò a mandare un sottovoce e a spegnere gli schermi con un sospiro:

« Hai ragione. Sono ore che lavoriamo qui. Dobbiamo riposare un po'. – disse massaggiandosi il collo – Chiederò a Shirogane e Akasaka di darci il cambio. »

Eyner annuì concorde con un'alzatina di spalle, per nulla dispiaciuto di potersene tornare a casa a fare una bella dormita. Pai gli fece segno di precederlo mentre preparava le postazioni per i due scienziati terrestri, e appena il bruno fu salito per le scale riaccese il monitor ricontrollando la lista; un moto di freddo gli prese lo stomaco, accorgendosi che nella rosa dei più sospettabili non aveva la minima idea di dove si trovasse.

Non può essere stato lui.

 

 

***

 

 

Il silenzio della dimensione fu irreale; Zizi, calmo e incredibilmente zitto, deglutì di nascosto senza riuscire a non essere angosciato per quanto vide di fronte ai propri occhi e fu sicuro che anche Toyu, il candore della pelle più simile al gesso del solito, non fosse tranquillo come ostentò.

Arashi aveva proibito loro di porre Lindèvi nella vasca rigenerante, avrebbe rischiato troppi danni collaterali nelle sue condizioni e – il biondo non aveva capito il perché delle parole del capo – non sarebbe comunque servito a nulla. Arashi aveva fatto portare la giovane quasi esamine nella Stanza dello Specchio e Deep Blue, attraverso il suo corpo, aveva creato un cilindro dal cristallo delle pareti e vi aveva fatto adagiare all'interno Lindèvi; la pietra aveva iniziato ad emettere scariche d'energia fluide e lucenti, a metà tra fiotti d'acqua e fulmini, e la bionda aveva iniziato a fluttuare tra essi priva di coscienza.

Non c'era stato alcun cambiamento nei giorni seguenti. Lindèvi galleggiava nel limbo di lampi azzurri, le braccia, le gambe e la testa ciondoloni come un burattino a cui nessuno stava tirando i fili, pallida come cera e con ancora gli evidenti segni delle ferite riportate a Szistet; sugli abiti e sul bordo della bocca aveva ancora tracce di sangue raggrumato, che nessuno si era preoccupato di pulirle.

« Ma perché tutto questo? »

Bisbigliò inudibile Zizi all'orecchio di Toyu; lui lo squadrò con la coda dell'occhio senza muovere un muscolo e l'altro insisté:

« Non mi pare che la stronzetta acida sia migliorata in questi giorni… »

« Ciò che stiamo cercando di guarire non sono le ferite visibili. »

La voce profonda e crudele di Deep Blue risuonò all'unisono con quella di Arashi e Zizi si accucciò d'istinto contro la parete. Arashi, o Deep Blue che fosse, si voltò lentamente fissandolo annoiato e un poco infastidito e Zizi cercò un sostegno nel muro per un'inutile difesa contro una letale punizione che, fu certo, gli sarebbe presto caduta tra capo e collo.

« Mai avrei pensato di poter incontrare una pietra che annichilisse i poteri del Dono. – sussurrò tra sé Deep Blue, da solo – L'universo è così colmo di sfaccettature… Sarà bello dedicarci più attenzione, al domani della vittoria. »

Emise uno strano verso misto di singhiozzo e riso e riprese a parlare con la sua voce doppia e spaventosa:

« Ciò che ci dona forza e vita è il Dono: qualunque cosa abbia ferito Lindèvi ne ha sporcato il sangue e ha reso più labile il suo legame con la Stirpe Pura. »

Posò una mano sulla superficie di cristallo e le scariche energetiche:

« Il suo stesso sangue è divenuto un veleno che la sta uccidendo. »

Zizi parve visibilmente confuso e Toyu gli sibilò:

« Possibile che non ti sia ancora entrato in testa, imbecille? »

Il loro capo scostò lo sguardo dalla cupola di cristallo e avanzò lento verso di loro; le poche tracce fisiche di Arashi, il capello biondo, la divisa blu, scomparvero lasciando posto ad un lungo pastrano che strusciò sul pavimento spoglio e a lunghi capelli color della notte. Zizi rimase pietrificato dal terrore certo che la mano candida che gli sfiorò il volto gli avrebbe reciso la gola.

Deep Blue invece si limitò ad accarezzargli lo zigomo in un gesto rassicurante:

« È la maledizione di noi che siamo rinati. Così come il Dono ci dona tutto, così tutto di noi stessi ci chiede. »

Si allontanò rivolgendo lo sguardo su Lindèvi, uno sguardo angosciato e sofferente che però passò oltre la figura gracile di lei e si perse nel nulla, segno che Deep Blue – o Arashi, Zizi non riuscì a capirlo al punto in cui la persona che aveva di fronte ne mescolò i tratti – stava pensando a se stesso e non alla subalterna:

« Nell'istante in cui lo perdiamo… »

Per un secondo Zizi ebbe l'impressione che sul volto di Deep Blue passasse una luce diversa, nostalgica; il secondo successivo Arashi era tornato in tutta la propria coscienza e sembianza e guardò il biondo e Toyu con fermezza:

« Saranno solo ricordi quando il Dono sarà di nuovo integro e con noi. »

« Quanto dovremo aspettare? »

Chiese Toyu piatto.

« Deep Blue-sama ha ordinato di aspettare l'ultimo frammento. È questione di poco. – lo rassicurò con indolenza – Nel frattempo ci occuperemo di perfezionare i chimeri e preparare le prossime mosse. E rimetteremo Lindèvi in sesto. Le vibrazioni di questa stanza e di questo cilindro riecheggiando della potenza di Deep Blue-sama e del Dono, lavoreranno fino a contrastare ogni impurità. »

Zizi annuì con un ostentato e lungo verso, segno che aveva capito.

« Uno controlli Lindèvi, l'altro vada dai chimeri. »

Ordinò Arashi perentorio e si allontanò verso i suoi alloggi, la schiena dritta e le mani raccolte su di essa:

« Non permetteremo nemmeno che il più insulso, misero e innocuo granello di polvere ci ostacoli. »

 

 

***

 

 

Si trattava forse di un sogno…?

Sì, stava sognando.

Vedeva tutto dai propri occhi, ma era certa di non trovarsi lì, e che quegli occhi non fossero i suoi.

Stava correndo. Veloce, sempre più veloce…

Riconobbe il giardino che aveva visto altre volte e l'albero su cui Luz aveva inseguito il fratello. E riconobbe Luz in piedi sotto quell'albero, intenta a giocare con un grosso gatto, dalla testa rotonda e dal manto color sabbia; la creatura scattò sull'attenti avvertendo la presenza di un estraneo e scattò via verso il muro del giardino nascondendosi nei cespugli, mentre Luz alzò la testa e sorrise:

« Nuvem! »

Corse verso il loggiato e gli gettò le braccia al collo. Strinse Luz in un abbraccio e, benché consapevole che si trattasse di un sogno, non riuscì a non far tremare le mani mentre il cuore gli esplose in petto.

Sono Nuvem… Sento quello che sente Nuvem?

La lasciò andare e la guardò studiarlo orgogliosa, il labbro inferiore stretto come una bambina troppo felice. Non disse una parola e la lasciò ispezionarlo, contemplandola di rimando.

La Luz del nuovo sogno era adulta, non dissimile a quella ritratta sul libro della famiglia Melynas: lo stesso aspetto fragile e il sorriso dolce, l'abito paglierino, i capelli biondi che Nuvem ammirò inconsciamente, le mani pallide, piccole, delicate che ispezionarono il suo nuovo abbigliamento e che Nuvem conosceva così bene, così dolorosamente bene.

Luz girò attorno a Nuvem due o tre volte, si allontanò di un paio di metri per rimirarlo e poi ridacchiando ostentò un inchino sciocco:

« Vostra maestà. »

« Smettila, scema. – la sgridò arrossendo appena – E poi non sono ancora… Questo è solo l'abito per la cerimonia della successione. »

« Scusa. – disse lei per nulla convinta e insisté – Allora salve, vostra quasi maestà. »

Risero entrambi e mentre Nuvem la spintonò fingendosi offeso lei si strinse al suo braccio:

« Sono fiera di te. »

Rimasero così finché Nuvem, non riuscendo più a resistere, non tentò di aprire la bocca per parlare, e allora nuovi passi attirarono Luz che sorridendo radiosa lasciò delicatamente la sua mano e corse incontro a Tayou, agghindato anch'egli di tutto punto.

L'immagine com'era apparsa si fece più sfocata e l'ultima cosa che provò, ascoltando le voci di Tayou e Luz sempre più lontane, fu un brevissimo e bruciante lampo di gelosia.

 

 

 

Dal buio fu di nuovo la luce. Ichigo si mise a sedere con calma e guardò fuori dalla finestra il cielo terso stropicciandosi gli occhi; sospirò, non occorreva controllasse la sveglia per capire che fosse l'alba. Si allungò per accarezzare sovrappensiero Masha e con la mano libera prese il blocco appunti di Kilig, svogliandolo senza vederlo; la copia dell'illustrazione in cui comparivano Luz e Ao no Kishi le ricadde in grembo e l'aprì con delicatezza, sospirando di nuovo.

« Per quanto ancora tormenterete i miei sogni? »

 

 

 

« Con questo a che quota siamo? »

« Cinque. Più o meno… »

Kiddan fece cigolare un poco i suoi binocoli e Ichigo scosse le spalle:

« Uno credo fosse solo un sogno mio, in cui comparivano Luz e Tayou. »

Il vecchio annuì con un piccolo sibilo rasposo e riprese a frugare distratto tra la pila di carta ammonticchiata da Kilig; l'archivista lo guardò male nel timore che le sue unghie metalliche rovinassero qualche tomo, ma non disse una parola e proseguì il suo lavoro.

Ichigo mandò un altro lungo sospiro:

« Ci sto capendo sempre meno… E poi perché io? – domandò sconfortata – Perché alle altre non succede? »

« Ne hai parlato con loro? »

La rossa annuì:

« Per quanto possa essere stato utile. Almeno mi sono sfogata. »

L'anziano sorrise nel suo volto incartapecorito:

« Pai cosa ne dice? »

« Chi può dirlo? – sbuffò lei – Sono settimane che è chiuso là sotto in laboratorio con Shirogane e Akasaka, credo non esca quasi per mangiare e non credo nemmeno per dormire. Ora ho la certezza che in realtà sia un robot costruito da lei, Kiddan-san. »

Kiddan rise soffocato dell'esasperazione con cui la mewneko descrisse il suo compatriota e domandò ancora:

« I tuoi amici invece? »

Lei s'incupì e Kiddan non potè non notare come la sua voce stridette al pronunciare il primo nome:

« Shirogane e Akasaka sostengono che sia per quello che è successo quando abbiamo affrontato Deep Blue. Io sono quella che è rimasta più in contatto con il cristallo per aiutare Masaya-kun, e lui doveva avere ancora qualche frammento in sé per salvarmi(***). »

Rabbrividì ripensando ai minuti in cui le dissero che era morta e al totale vuoto di sensazioni e memoria che aveva ripensando quei momenti. Scrollò la testa, non aveva né il tempo né l'umore adatto per perdersi in congetture sull'Aldilà; si rimise con il naso sui libri e Kiddan ridacchiando seguì Meruk, in attesa sulla porta, perché lo conducesse a riparare un piccolo guasto alla centralina dell'Archivio. La mewneko lo salutò ringraziandolo tacitamente della compagnia, Kiddan era un uomo intelligente e saggio e un ottimo ascoltatore, ciò che le occorreva in quei momenti di confusione quando i cervelloni del gruppo erano, per così dire, in sciopero.

Incrociò le braccia dietro la testa raccogliendo le forze per una nuova immersione nelle memorie di Jeweliria, felice che l'estate lì non fosse soffocante come sulla Terra.

Ormai erano trascorse altre tre settimane. Le giornate umide e calde di Giugno e Luglio avevano lasciato posto a quelle più roventi di Agosto, trascinando Tokyo nell'ultimo baluardo estivo.

Al Cafè le cose avevano inaspettatamente ripreso una routine tale da dimenticare il pericolo che incombeva su tutti loro; con le altre Ichigo si prodigava nel part-time, studiava – per ordine di Retasu e ammenda per le preoccupazioni che aveva causato, si era dovuta piegare a svolgere un po' di compiti ogni giorno – e appena poteva cercava altre notizie su Luz e la sua famiglia, sebbene con scarsi risultati. Le ragazze si erano offerte di aiutarla ed era anche riuscita a farsi dare una mano, ma Kilig non approvava troppe persone tra i suoi delicati libri e la cosa aveva avuto poche repliche.

Nonostante tutto Ichigo non bigiava un giorno, soprattutto perché voleva incrociare il meno possibile Ryou.

Chiaritasi con Kisshu e Masaya sarebbe toccato al biondo affrontare una discussione seria con lei, ma dato il suo mutismo e il suo evitarla Ichigo aveva deciso che non sarebbe certo stata lei, a strisciargli davanti supplicandolo in spiegazioni, non dopo quanto gli aveva sentito uscire dalle labbra durante e dopo il party in giardino. Se avesse voluto dirle qualcosa, avrebbe dovuto fare lui la prima mossa.

La soluzione l'aveva resa particolarmente nervosa a tutti i riferimenti o allusioni all'americano, ma aveva respinto qualunque desiderio di appianare nonostante il petto che le doleva appena si sfioravano con lo sguardo. Non avrebbe ceduto, non stavolta, non dopo che lui era stato così stupido.

Ryou in compenso aveva abbastanza da fare da non riuscire a pensare ad Ichigo per almeno i tre quarti della giornata: Pai aveva segregato lui e Keiichiro nel sotterraneo, e solo il bruno riusciva a filarsela per rilassarsi in cucina, l'americano non aveva una scusa altrettanto buona come dover provvedere ai rifornimenti per gli affamati avventori. Ryou capiva appieno il bisogno di aiuto di Pai, con i nomi sulla lista sempre più breve di sospetti non poteva chiedere aiuto ai suoi connazionali, ma perfino lui al volgere della seconda settimana iniziò a bramare il cielo azzurro e l'aria aperta.

I jeweliriani in compenso parevano bearsi di quella libertà. Eyner e Taruto passavano più tempo al Cafè che a Jeweliria nonostante non avessero nulla da fare, Taruto in particolare era sempre a zonzo nel locale con Purin appiccicata alla schiena al primo momento libero – cosa di cui lui non faceva che borbottare di fronte agli altri, per poi sorridere ebete rivolto alla biondina – e se entrambi non si vedevano per un pochino ci si poteva aspettare di beccarli in un angolino a tubare come tortorelle a primavera. Minto più volte sgridò entrambi per il loro stomachevole amoreggiare rischiando il collasso nervoso, specie quando capiva che i due erano troppo occupati a parlottare tra loro anche solo per sentirla.

Le coronarie della morettina parevano in fisso rodaggio, contando che a bighellonare dalle loro parti trovava sempre anche Eyner. Ovviamente il bruno e Zakuro non erano espansivi in pubblico come i due ragazzini – e considerando l'inconveniente del magazzino evitarono da allora di rimanere soli per più di cinque minuti nel raggio d'azione delle ragazze – e dato il lavoro della mewwolf erano più spesso le volte in cui Eyner faceva da baby-sitter a Sury che altro, ma Minto non mancava di scoccargli un'occhiataccia ogni volta che il bruno osava rivolgerle la parola; la gelosia verso la sua senpai non l'aveva mai abbandonata e dopo quanto aveva sentito da entrambi, la cosa le bruciava ancora di più.

Il solo che pareva sparito dalla circolazione era Kisshu. L'ultima a vederlo era stata proprio Minto, la mattina in cui il verde era stato respinto per l'ultima volta.

La mora non aveva la minima idea per quanto Kisshu fosse rimasto aggrappato a lei, solo che ad un certo punto aveva sciolto la stretta attorno alla sua vita, le aveva rivolto di nascosto quel che le era parso un sorriso stanco ed era sparito con uno schiocco.

Taruto diceva di non aver visto alcun cambiamento nel fratello e si era sorpreso quando le ragazze gli avevano domandato spiegazioni, non avendo nulla da fare non vedeva perché dovesse essere strano se Kisshu rimaneva a Jeweliria; loro poi, di nascosto, avevano chiesto anche ad Eyner e lui aveva solo risposto con un sospiro e una scrollata di spalle, sorridendo preoccupato. Ichigo nel vederlo aveva abbassato gli occhi colpevole e aveva mormorato:

« Forse dovrei andare a parlargli… »

« No. »

Con fermezza il bruno l'aveva guardata negli occhi e aveva detto ancora no, per poi sorriderle comprensivo e, ma forse fu solo una sensazione di Minto, un po' arrabbiato:

« Peggioreresti le cose. Lascialo in pace adesso. »

Quindi le aveva nuovamente sorriso e le aveva scompigliato la frangetta, andandosene e chiudendo la questione senza possibilità di proteste.

Notizie sull'effettivo stato di salute – ed emotivo – del verde le ebbero solo dieci giorni dopo la sua sparizione, quando Kisshu comparve a mezz'aria nel bel mezzo del locale strappando uno strillo di spavento alla povera Retasu e un'imprecazione in inglese a Ryou, che ringraziò solo il fatto che non ci fossero ancora clienti:

« Che ti salta in mente?! – gli aveva latrato contro il biondo – Vuoi far venire un infarto a qualcuno?! You dickh…! »

« È sveglia…! »

Ryou si era ammutolito rischiando di farsi cadere dalle mani il vassoio che, con slancio da funambolo, aveva salvato dalle goffe mani della terrorizzata mewfocena, e il verde era corso di sotto a risvegliare Pai dal letargo mormorando ancora con un gran sorriso:

« La senpai si è svegliata! »

Erano tutti corsi a Jeweliria trascinandosi dietro perfino Keiichiro, incuranti che lui non avesse alcun permesso o che le ragazze ancora in divisa stipate fuori dalla sala ricovero di MoiMoi attirassero più attenzione del dovuto. Ake non era stato per niente contento dello spettacolo, specie perché faticò come un disperato per impedire ai presenti di infilarsi nella stanza tutti assieme, ma aveva solo imposto di restare calmi consapevole che nessun'altra direttiva sarebbe stata ascoltata.

Entrando a due a due e rimanendo dentro per un'eternità, ignari anche degli altri che aspettavano fuori, tutti si presenziarono al capezzale del violetto. Lui non riusciva ancora a muovere altro che la testa, e solo leggermente a destra e a sinistra, e se ne stava sdraiato con una pila gigantesca di cuscini dietro la schiena a sorridere esausto e a parlare con vocetta rauca e sottile, ridacchiando dei visi che vedeva spiaccicati oltre il vetro in fremente attesa del loro turno.

L'unico assente era stato Sando, che a detta di Ake era sparito il secondo successivo a quando MoiMoi aveva aperto gli occhi. Nessuno aveva commentato, né aveva provato a cercare il verde.

MoiMoi da parte sua era parso non focalizzare ancora la cosa così com'era circondato da sorrisi, abbracci e pianti, e non aveva chiesto nulla.

« Se fossimo arrivati due minuti dopo… »

« E se lei non avesse quella pellaccia dura che si ritrova. »

Aveva aggiunto Kisshu con una risata bassa ed Eyner aveva replicato annuendo:

« Se non fosse… Probabilmente non sarebbe qui. »

Il bruno si era appoggiato alla parete cacciando indietro la testa e sospirando forte:

« Una miracolata. »

« Già. Proprio un miracolo. »

Distrattamente Eyner ruotò appena gli occhi verso Pai, in piedi con le braccia conserte a poca distanza; aveva notato che l'amico sorrideva più sereno nel vedere MoiMoi sveglio, ma qualcosa nella voce era strana. Stava rimuginando qualcosa.

« … Eyn tu… Eri mai venuto a trovarla? »

Il bruno aveva soppesato la domanda guardandolo strano e aveva alzato lo sguardo al soffitto:

« No – aveva sussurrato – non ci sarei mai riuscito, a vederla così. »

Pai aveva risposto con un grugnito ed era rimasto in silenzio finché Eyner non si era voltato di nuovo, cogliendo anche nei suoi occhi qualcosa di strano.

« … E quindi? »

« Quindi cosa? »

« Perché me l'hai chiesto? »

Pai non gli rispose e tornò a guardare l'agitazione oltre il vetro sull'altro lato del corridoio.

Nelle giornate successive la camera da letto di MoiMoi era diventata un vero e proprio porto di mare, c'era sempre qualcuno a fargli compagnia, che fossero le terrestri o i suoi compagni; Sando era il perenne assente, ma voci di corridoio avevano detto di vederlo gironzolare per l'ospedale di continuo, arrischiandosi a far visita al violetto solo quando questi dormiva.

La sola cattiva notizia fu che MoiMoi non ricordasse nulla del suo aggressore e non sapesse come e se avrebbe potuto riconoscerlo, così le ricerche proseguirono lente.

Sgocciolando come un rubinetto rotto trascorse in una nuova serenità un'altra settimana.

Sempre chiuso nel laboratorio sotterraneo ormai Pai era allo stremo delle forze mentali e fisiche; aveva trascorso gli ultimi giorni a ricontrollare dati su dati e, arrivato alla conclusione che tutte le sue soluzioni fossero perfette, era passato a dei controlli sul campo.

I suoi sforzi avevano depennato le ultime incertezze e in quel momento ammirò distratto i nomi restanti scorrere come binari sullo schermo, mentre il computer combinava luoghi, posti, ore e testimonianze di ogni singolo membri dell'esercito e inserviente al Palazzo Bianco. Lesse due veloci scambi di dati e la vista gli si annebbiò, costringendolo ad indietreggiare contro la sedia di Keiichiro e appoggiarvisi, reggendosi la fronte con le mani: avvertì la pelle delle tempie pulsare come un tamburo e gli occhi che si chiusero bruciarono come il fuoco, intanto che la testa volteggiò stile ottovolante.

Così finirai per farti ricoverare.

Era stremato. Davvero stremato. Dovette convincersi ad uscire, respirare un minimo di aria fresca, mangiare un pasto che avesse almeno due portate e non mezza e dormire decentemente.

Si sforzò di guardare ancora lo schermo e per poco non diede di stomaco. Dovette arrendersi, gli serviva una pausa. Una vera pausa, di almeno cinque ore.

« Tanto tu lavori da solo, uh? »

Ebbe l'impressione che il ronzio della CPU gli rispondesse e salì le scale a passo più svelto del dovuto, se avesse cominciato a parlare con il computer pure lui avrebbe iniziato a credere di dover frequentare più persone.

Keiichiro, impegnato a preparare alcuni impasti da far lievitare la notte successiva, si sorprese della presenza del moro e sorrise lieto invitandolo – intimandogli con il suo magico garbo – di sedersi mentre lui preparava uno spuntino. Pai non ebbe le energie per contrastare le attenzioni materne del terrestre e obbedì docile, vedendo distrattamente la propria immagine riflessa sul vetro della passatoia e capendo perché il giorno prima Taruto nel vederlo si fosse tanto preoccupato: le notti insonni si vedevano con chiarezza nelle occhiaie bluastre e i suoi frettolosissimi intervalli al bagno al mattino non nascondevano più la sottilissima coltre di barba da risveglio, era più bianco del normale e i suoi occhi manifestavano a piena voce contro le ore di schermo, con un rossore degno del bruciore che gli donavano.

« Ecco a te. – gli sorrise Keiichiro rapido e zelante – Iniziamo con questi. Meglio non affaticare subito il tuo stomaco. »

E mentre lo disse si rimise già all'opera su altro cibo. Pai fece una piccola smorfia senza dire nulla e prese uno dei tramezzini che il bruno gli aveva porto: avevano un odore meraviglioso – pane fatto in casa, Keiichiro non si smentiva ai fornelli – lattuga così bella da sembrare finta e alcuni carne, altri pesce, tutti così invitanti che Pai diede due bei morsi poderosi prima di ricominciare a mangiare composto, lo stomaco che fece le capriole per la gioia.

Divorò tre dei cinque tramezzini con lo sguardo perso nella sala di fronte, dove le ragazze stavano chiudendo il locale; a differenza di altre volte, dopo il silenzio e il brusio elettronico del laboratorio, il loro chiacchiericcio sciocco fu quasi un bel suono e si perse ad ascoltarlo assorto.

« Akasaka-san, prepariamo anche il giardino per domani? »

La voce e la figura di Retasu lo raggiunsero troppo tardi e lui non riuscì a scostare in tempo lo sguardo per non incrociarla. Rimase inespressivo a guardarla e lei lì per lì si contrasse un poco, poi sorrise con un timido e garbato distacco e tornò a parlare con Keiichiro, dando velocemente le spalle a Pai.

Il moro addentò il quarto tramezzino mangiato già per metà e si accorse che sapeva di aspro; lo mandò giù per fame rifiutandosi di far soccombere pure le papille gustative al suo umore, additando la contrazione al petto ad una troppa emotività causata dalla mancanza di sonno.

Dal ritorno da Szistet Retasu aveva definitivamente cambiato atteggiamento nei suoi confronti, la miglior definizione che gli venne in mente fu che si fosse arresa. Non lo trattava con più o meno freddezza di prima, si limitava a sorridergli con la dolcezza che la contraddistingueva e a rivolgergli i convenevoli consoni, riprendendo poi le sue faccende.

Come due conoscenti e nulla più.

Sei stato tu il primo a definirla così, no?

Se capitava che lui e la verde rimanessero assieme nella stessa stanza non erano mai da soli e ad ogni buon conto lei gli riservava le minime attenzioni, più che se lo detestasse come se non volesse infastidirlo, dandosi alla fuga vera e propria se non c'erano altre persone attorno o chiudendosi in un mutismo imbarazzato se non aveva scuse per allontanarsi da lui.

Si ostinava per essere il più invisibile possibile. Per non infastidirlo e scomparire, cosa che dava l'impressione di aver accettato, sebbene il confronto diretto con Pai ancora la colpisse molto.

Il problema era che Pai non avrebbe mai voluto vederla così, e anzi più lei tentava di non farsi notare più a lui saltava agli occhi la sua presenza. Se non era ancora impazzito a cercarla in ogni angolo era solo perché il minimo buon senso in suo possesso gli faceva razionalizzare che, a meno di rari casi, la verde non era mai in laboratorio. Ascoltandola parlare con Keiichiro però, stanco com'era, Pai si rese conto di quanto tutto il suo sistema nervoso reagisse alla sua presenza e fu davvero tentato di scappare.

Stai calmo. Mangia e vattene.

Sbirciò il riflesso della mewfocena sbiadito nel vetro e tornò a concentrarsi sul piatto.

È giusto così. È meglio così.

Cercò di fare suo il pensiero e di finire di mangiare quando qualcuno aprì la porta del Cafè e i tramezzini divennero completamente immangiabili; non servì l'arrivo di Ichigo sulla porta ad ammiccare a Retasu, le orecchie aliene del ragazzo avevano già capito chi fosse il nuovo ospite.

« Dai, finisco io i piatti – disse divertita la mewneko – non far aspettare il tuo ragazzo. »

« Non è il mio ragazzo! – la sgridò Retasu e arrossì adorabile – Ed è solo venuto a fare un saluto… Devo andare al club oggi(****). »

La rossa sogghignò maliziosa e Retasu la sgridò ancora sorridendo sotto i baffi imbarazzata.

Koichi era una visita più o meno fissa nel locale e ormai le ragazze lanciavano scommesse su quando lui e Retasu si sarebbero messi ufficialmente insieme. La verde ogni volta balbettava intimando loro di non dire sciocchezze, ma passando i giorni aveva iniziato ad aspettare l'arrivo del ragazzo con sempre maggior impazienza.

Forse Koichi le piaceva sul serio.

Sì… Koichi le piaceva. Molto.

Diventava sempre più difficile non lasciare i suoi pensieri a perdersi su di lui. Con lui stava bene, era contenta e si sentiva amata.

È giusto così… No?

La sempre maggior intesa tra i due era visibile da chilometri ed anche in quel momento, mentre chiacchieravano, il sorriso discreto di Retasu splendette rivolto verso Koichi, ignaro degli sguardi maliziosi delle amiche della verde o di chiunque altro.

Pai riuscì a resistere allo spettacolo solo un minuto, poi dovette alzarsi e tornare di sotto senza finire il pranzo. Le proteste di Keiichiro non gli raggiunsero neanche le orecchie e lui si rimise alla tastiera con tale foga che la testa gli diede un altro girone e dovette sedersi.

Si sforzò di prendere due bei respiri e di calmarsi, era la stanchezza a renderlo irritabile. Era per quello che non sopportava nulla.

Che non tollerava quella cosa.

Non ci riesco. Non lo sopporto.

Non lo sopporto…

Il cervello gli dovette giocare qualche altro brutto tiro, perché una decina di minuti dopo sentì dei familiari passi incerti scendere fin laggiù e un leggero colpetto di tosse per attirare la sua attenzione.

No, non era il cervello. Era l'universo intero a volerlo prendere per il naso.

« … Scusa il disturbo. – la voce di Retasu, che ostentò una calma forzata, gli vibrò nelle orecchie – Qui c'è il resto del pranzo… »

« Non ho più fame. »

Tagliò corto lui pregando che l'essere brusco la spingesse ad andarsene. Retasu invece posò con decisione un vassoio con dell'acqua, altri tramezzini e della frutta vicino a dove il moro stava lavorando, insistendo:

« Akasaka-san dice che non mangi dall'altro giorno. – lo rimproverò con garbo – Dovresti mangiare. »

Pai non le rispose battendo piano i pugni sul ripiano. Retasu, gentile e caparbia, si ostinò sorridendo:

« Devi mangiare per rest- »

« Smettila. »

« … Come? »

« Smettila di fare così. »

Lei tacque senza capire. Pai tentò di prendere un bel respiro, conscio della stanchezza che gli stava ottenebrando l'autocontrollo, ma ripetè più chiaro:

« Smettila di essere gentile con me. »

Retasu lo guardò frastornata.

« Smettila di essere sempre gentile anche se non vuoi esserlo. »

Sbottò più secco e lei strinse i pugni lungo i fianchi:

« B-beh… Non spetta certo a te decidere come devo comportarmi! E la gentilezza non è un peccato! »

Concluse ferita:

« Non ci posso fare niente. »

« Almeno smettila di… »

« Di cosa, Pai?! Cosa di grazia ti infastidisce tanto di me?! »

Retasu si detestò sentendo la propria voce tremare, ma quelle parole erano troppo anche per lei, troppo incomprensibili per far finta di non averle sentite e far finta che non le facessero del male.

« Smetti di sorridere a quel modo. »

Pai lo sussurrò così piano che la verde impiegò un minuto per capire se avesse recepito le giuste parole. Qualcosa le si scosse in petto e il cuore galoppò per un secondo, mentre vide Pai continuare a fregarsi il volto con le mani.

Zitto. Doveva stare zitto, non era lucido.

Doveva chiudere il discorso e lasciar stare tutto.

Ma non c'era verso.

Il sonno aveva preso pieno controllo dei suoi freni inibitori e pensieri, sensazioni e desideri gli si rimescolarono in testa pericolosamente vicini all'esplosione.

Riuscì a vedere Retasu anche di lato e attraverso gli spiragli delle dita, e rivide quell'immagine.

Continuò a vederla, ancora, ancora e ancora, sempre, sorridere e sorridere a tutti con la stessa dolcezza, a riservare a tutti lo stesso calore. Senza alcuna differenza.

Tranne a…

Non lo sopportava, non riusciva a sopportarlo.

« Smetti di sorridergli a quel modo. »

Di nuovo Retasu impiegò un po' per capire e il cuore diede un altro sussulto:

« … Stai parlando di Nakayama-san…? »

Impercettibilmente, ma lo vide irrigidirsi mentre tenne lo sguardo rivolto alla tastiera. Si sorprese di se stessa per le parole che azzardò a bisbigliare sottovoce:

« Tu sei… Geloso? »

Non seppe cosa le diede la sciocca idea di usare proprio quell'aggettivo e sentì quanto fosse assurdo appena l'ebbe pronunciato, eppure l'espressione che Pai le rivolse fu di leggero panico.

Come se avesse…

… Intuito giusto…?

« … Che stupidaggini. »

Lui di colpo cambiò tono. Brusco, freddo e astioso come un bambino che non volesse confessare una bugia; Pai avvertì un moto di paura stringergli lo stomaco assieme ad un barlume di consapevolezza, o magari era la solita famigerata stanchezza, intanto che Retasu abbassò gli occhi lucidi:

« Se è così – mormorò ferita – non credo che io e te abbiamo un livello tale di confidenza da poter avanzare richieste senza senso. »

Girò sui tacchi per risalire e Pai la fermò per un braccio. Si spaventò lui stesso della reazione insensata, ma il suo cervello stava funzionando in modalità remota.

Non voleva andasse via.

Non così.

Non in quel momento.

Non voleva che tornasse…

« Non tornare da lui. »

Ancora, un soffio, più un fruscio dell'aria stantia della stanza. Retasu lo metabolizzò lettera per lettera arrossendo poco alla volta, graziosa e perfetta nel suo smarrimento, e Pai ebbe il vuoto nella testa.

Eppure era una regola semplice della vita.

Mai dire cose importanti quando si è stanchi. Mai dare voce ai propri pensieri da stanchi.

E mai fare ciò che lui stava facendo.

Il viso della verde fu rovente sotto le sue dita. In un minuscolo spiraglio di lucidità evitò di tirarla a sé vista la differenza di altezza e si chinò su di lei, ghermendole le labbra e sorprendendosi di quanto fossero morbide e dolci, e del benessere che lo invase avendole finalmente potute toccare, come se ci avesse fantasticato per anni.

Retasu non riuscì a respirare. Per una manciata di secondi ebbe quasi la sensazione di svenire e socchiuse gli occhi, avvertendo con uno sfarfallio del petto l'impalpabile refolo del respiro di lui che le solleticò le labbra.

Pai la stava baciando.

Baciando…?

Dal cielo il cuore le sprofondò in un abisso.

Pai la stava baciando.

Perché ora? Perché adesso?

Tentò di muoversi ma il suo corpo non le rispose. La paura e la confusione le serrarono la gola e quando Pai, frastornato, la lasciò lentamente andare, la sola cosa che connesse fu lo sguardo smarrito e lucido della verde.

Poi lei lo colpì alla guancia con tutta la sua forza e Pai ebbe appena il tempo di vederla fermarsi con lo schiaffo a mezz'aria, prima di correre su per le scale senza una parola.

 

 

***

 

 

Fu una chiamata d'emergenza generale. Quando il cellulare suonò Eyner era già a casa, ma il messaggio di Retasu lo convinse all'istante a fare dietrofront. Trovò le ragazze tutte trafelate appena fuori dal Cafè, anche loro colte sulla strada di ritorno, e si diedero alla ricerca immediata della verde. Eyner si domandò perché avesse chiesto aiuto anche a lui e la risposta non gli piacque per nulla.

Ci vollero un paio di tentativi, ma alla fine fu lui il primo a trovarla.

La verde era seduta sui gradini della biblioteca chiusa, uno dei suoi posti preferiti, con le ginocchia raccolte al petto e il viso tra di esse; Eyner aprì solo un secondo il telefono per avvertire Zakuro che l'aveva trovata e di fare il passaparola, e si avvicinò alla mewfocena con attenzione.

« Cos'è successo? »

Le domandò sottovoce tagliando i preamboli, ma lei non rispose; Eyner si inginocchiò al suo livello e le si fece più vicino ripetendo con gentilezza la domanda. Lei non diede segno di averlo sentito per un po'.

« Sai… Io… Ci ho provato. Davvero. – bisbigliò dopo un paio di minuti, la testa ancora nascosta – Ci ho provato. »

Eyner non chiese e la lasciò parlare, avvicinandosi solo per riuscire a sentirla nonostante la voce sottile e l'ostacolo del suo nascondiglio.

« Nakayama-san… Lui mi piace. Volevo davvero che… Continuasse a piacermi. »

Emise un singulto strozzato:

« Ma non ci riesco. Non ce la faccio. »

Singhiozzò ancora e la voce le tremò:

« Se lui continua a comportarsi così, io… Non ci riesco. »

Eyner le fece una carezza incoraggiante sulla spalla. Retasu, lentamente, alzò la testa e mostrò il volto fradicio di lacrime:

« Se Pai fa così io non ci riesco. Non riesco… A lasciarlo perdere. »

Prese un lungo respiro tremulo e mormorò sconfitta:

« Non riesco a togliermelo dalla testa…! »

Emise un lungo gemito disperato e riaffondò il viso tra le ginocchia, singhiozzando senza posa mentre il bruno le accarezzò la testa.

 

 

***

 

 

« Cos'hai di bello lì dentro, Purin-chan? »

« Un paio di regalini per MoiMoi nee-chan – sorrise la biondina e aprì il sacchetto stracolmo che aveva tra le braccia – la tireranno su di morale. »

Lasa fece un sorriso materno rimirando i pacchetti coloratissimi che luccicavano tra la carta e che odoravano chiaramente di roba dolce e salata non proprio salutare:

« Purtroppo MoiMoi-chan non può ancora mangiare cose del genere. »

Purin fece spallucce:

« Si conservano. La spingeranno a rimettersi in forze prima. »

Lasa non commentò la prima affermazione – che le diede da pensare su quali schifezze mettessero gli umani nei propri cibi, per farli durare più a lungo – e le sorrise:

« Ottimo piano. »

Purin annuì soddisfatta e strinse il malloppo al petto.

Era contenta di poter vedere MoiMoi e non solo per lui, aveva bisogno di chiedere consiglio su Retasu. 

La sera prima avevano ricevuto il messaggio di aiuto della verde per poi trovarla in lacrime assieme ad Eyner, e alla vista Ichigo, intuendo, era esplosa rivelando nella rabbia i sentimenti della mewfocena; oltre a ciò non avevano capito molto di cosa fosse successo, Retasu aveva preferito non parlarne dopo che Ichigo aveva spifferato tutto e aveva solo chiesto l'accompagnassero a casa. Nemmeno Eyner, con cui la verde si era confidata, aveva scucito una parola e pure così ci era voluta una buona dose dell'autorità di Zakuro per impedire a Ichigo e Minto di andare a cercare Pai e picchiarlo per avere spiegazioni.

Purin da parte sua non sapeva bene cosa pensare. Il fatto che la sua amica piangesse così disperata a causa di Pai la faceva arrabbiare, certo, ma aveva paura che intromettersi avrebbe peggiorato le cose e non aveva idee per aiutarla.

Abbracciò più stretto il suo dono, MoiMoi di certo avrebbe avuto una buona soluzione.

Purin e Lasa attraversarono abbastanza rapide l'ospedale, nonostante la donna dovesse fermarsi per il suo giro di controllo e sovrappensiero la biondina domandò:

« Sei sicura che non sia stancante lavorare? »

La donna fu incuriosita dalla domanda e Purin sbirciò l'addome della donna; sebbene ancora lieve si intuiva la dolce rotondità del piccolo in arrivo, appena sopra l'ombelico. Lasa si accarezzò il ventre protettiva e studiò la ragazzina che ridacchiò:

« Ho cinque fratelli più piccoli. »

Lasa sorrise capendo e la rassicurò:

« Siamo appena usciti dal terzo mese, c'è ancora tempo. »

« Ma la pancia non si vede dopo? »

« Sei una piccola esperta. »

Sorrise ammirata la donna e Purin ridacchiò.

« A dire il vero – le disse Lasa con fare complice, divertita del suo entusiasmo – è perché ho avuto già altri bambini, quindi la mia pancia è abituata a "fare spazio" al piccino. La prima volta il pancione inizia a crescere più in là. »

Rincuorata e affascinata Purin annuì accelerando il passo, raggiungendo finalmente la camera di MoiMoi. Il violetto nonostante le forze ancora esigue non pareva più intenzionato a stare sdraiato per oltre cinque minuti e lo trovarono seduto contro il suo monte di cuscini, sorridendo al loro ingresso:

« Evviva, mi stavo annoiando! »

« Ciao nee-chan! »

La biondina trotterellò dentro, gli schioccò un bacio sulla guancia e rovesciò il suo bottino sul letto strappando al violetto un'esclamazione deliziata:

« Sono buoni solo a vederli! »

« Ma non potrai mangiare niente finché non avrai il permesso di Ake o mio – lo ammonì Lasa – sono stata chiara? »

Lui rise gridando un sììì e Lasa sospirando divertita iniziò a controllare il suo stato di salute:

« Sarà una cosa breve – lo rassicurò – ti stai riprendendo ad una velocità sorprendente. »

« Merito del pisolino nella vasca rigenerativa – ammiccò lui – sto ancora smaltendo gli effetti, ma non mi dispiace se potrò uscire da qui presto. »

Con il tipico sorrisino divertito nonostante le poche energie MoiMoi si voltò verso Purin complice:

« A proposito di sentirsi meglio, il tuo umore mi sembra migliorato o sbaglio? »

La scrutò allusivo e la biondina sorrise arrossendo; i suoi occhi scattarono solo un momento su Lasa, che facendo finta di nulla si allontanò dalla parte opposta della stanza per lasciare loro privacy. Purin allora sussurrò qualcosa all'orecchio di MoiMoi e lui cacciò uno strillo euforico tale da spaventare Lasa:

« Lo sapevo, lo sapevo, lo sa-pe-vo! – trillò esaltato – Quando, quando?! Voglio i dettagli! »

Lasa rise discreta della scena e uscì per terminare il proprio giro. Purin ancora rossa e sorridente iniziò a raccontare di lei e Taruto, interrompendosi dopo un po' ricordando cosa volesse chiedere:

« A dire il vero, prima di questo, c'era una cosa di cui volevo parlarti nee-chan. »

« Uh? »

« Riguarda Pai nii-chan e… »

« Sei profetica, ragazzina. »

Ake entrò proprio mentre Purin stava parlando, l'espressione un po' seccata:

« Il vostro amico vi sta cercando. Vuole parlarvi. – guardò MoiMoi e fu chiaro che non gradisse far affaticare il suo paziente – Con tutti. »

MoiMoi e Purin si guardarono in silenzio.

« Anche con Sando? »

Domandò piano il violetto e Ake focalizzò distratto che era la prima volta dopo giorni che MoiMoi pronunciò quel nome; annuì e fece un cenno a Purin:

« Ikisatashi mi ha detto di affidare la cosa a te. Hai un buon naso, a quanto mi ha detto. »

« Certamente! »

Esclamò scattando in piedi orgogliosa.

« Allora trova lo scimmione. – disse spazientito facendola uscire – Il cretino può anche eclissarsi, ma non può nascondere il proprio odore. »

 

 

 

Ci volle più di mezz'ora per stanare Sando nascosto a fare una pennichella in una stanza vuota di pediatria, e se il richiamo di Pai non fosse apparso urgente Purin avrebbe preso tempo per fargli una foto, goffo com'era con la testa abbarbicata sulla testiera e le gambe accavallate sulla pediera del minuscolo letto.

Ricevuta la notizia Sando si era teletrasportato al Cafè, non valutando nemmeno di restare con MoiMoi e Purin ad ascoltare Pai attraverso un monitor; il violetto non aveva commentato, mogio, e si era domandato come far capire all'idiota di smetterla di sentirsi in colpa per le sue condizioni.

« Come se lui c'entrasse qualcosa…! »

« Come hai detto, nee-chan? »

« … Niente Purin – le sorrise – riflettevo ad alta voce. »

Nello stesso momento al Cafè Pai aveva riunito tutti di sotto. Appena lo vide Ryou pensò avesse un aspetto peggiore del giorno precedente, ancora più teso e stanco, ma il problema passò in cavalleria quando si accorse delle occhiatacce roventi che le ragazze stavano lanciando contro il moro; solo Retasu pareva volersi trovare ovunque tranne che là sotto, o quantomeno il più lontano possibile da Pai.

« Mi dispiace se ci abbiamo messo così tanto – si scusò iniziando Keiichiro – il lavoro da fare era enorme. »

« Avete scoperto chi ha colpito MoiMoi-san? »

Domandò Zakuro senza giri di parole e Keiichiro annuì grave, spostando l'attenzione su Pai. Il moro inspirò a fondo prima di cominciare:

« Purtroppo la senpai non ha saputo darci informazioni, quindi abbiamo dovuto scremare chiunque non potesse trovarsi lì al momento dell'attacco e chiunque non potesse procurarsi il dispositivo dell'esplosione.

« Non era facile averlo – spiegò – è un prototipo sperimentale di bomba a deflagrazione direzionata. »

« Credevo avessimo smesso di produrre quella roba anni fa. »

Fece Kisshu e agli sguardi smarriti dei terrestri aggiunse:

« Sono bombe che, invece di esplodere da un punto ed espandere il botto in fuori, lo direzionano unicamente verso il basso. »

« Si usavano per scendere in profondità e trovare fonti d'acqua – chiuse Eyner – ma Kisshu ha ragione, erano state messe fuori produzione per non peggiorare la struttura del pianeta. »

Il suo viso si fece più cupo:

« Vuoi dire che ne stavano producendo di nuove a scopo militare? »

Pai non gli rispose e abbassò la testa:

« La cosa positiva – aggiunse asettico – è che si tratta di armamento estremamente protetto, solo gli ufficiali potevano accedere all'arsenale di rifornimento. »

Una lista di nomi apparve sullo schermo e nello stesso momento nella stanza piombò il gelo. Eyner lesse i nomi con espressione attonita e si avvicinò a Pai minaccioso, indicando il monitor:

« Che cosa vorrebbe dire? »

Pai, consapevole di quanto fatto, aspettò a rispondere soppesando le parole:

« È la rosa delle sole persone che avrebbero potuto farlo, e di cui non ho saputo ricostruire i movimenti. »

« E quindi? »

Sbottò irritato e Pai proseguì piatto:

« Tra questi abbiamo isolato il sol- »

« C'è il mio nome lì? »

Domandò con rabbia sorda. Pai si zittì.

« Ti ho chiesto… Se quello è il mio stramaledetto nome! »

Fece più forte il bruno e Pai lo guardò imperscrutabile:

« Sì. »

« Mi prendi in giro. »

« C'eravamo tutti. – gli fece notare – Me compreso. Per questo ho chiesto aiuto ad Akasaka e

Shirogane. »

« Lo confermo. – disse piano Keiichiro sperando di spezzare la tensione – Ikisatashi-san era sulla lista come tutti voi. »

« Tu ci avresti segnato come possibili colpevoli?! – proruppe Kisshu – Ti è marcito l'ultimo pezzo di cervello?! »

Taruto guardò il fratello maggiore incredulo, seppur mai quanto del fatto che Sando non gli fosse ancora saltato al collo per l'accusa.

« No, no… Va bene. – intervenne Eyner con una risata aspra – Mai ci fu qualcuno di più meticoloso. »

La sua voce si abbassò in un tremito di collera:

« Quello che non mi spiego, è perché ci sia ancora lì il mio nome adesso. »

« … Non sono riuscito a capire dove fossi in quel momento. »

« Di ronda al Palazzo. »

Gli ricordò brusco e Pai annuì:

« Ma non so dove fossi. Non lo sa nessuno. Nessuno ti ha visto. »

Il laboratorio fu come immerso nell'acqua gelida per il freddo e il silenzio che lo riempirono. La rabbia di Eyner parve svaporare intanto che sbigottito fissò l'amico:

« Hai pensato che fossi stato io. »

Convenne solo alla fine. Pai, forse in un guizzo incontrollato di rimorso, non lo guardò negli occhi:

« I fatti ti ponevano in alto nella lista. »

Eyner si passò una mano nella frangia ridendo nervoso:

« E tu hai ben pensato che io, senza alcun motivo, avrei potuto fare una cosa del genere alla senpai. »

Gli occhi bicolore del bruno guizzarono sul monitor da cui MoiMoi e Purin stavano assistendo al tutto e volle credere che l'espressione ferita del violetto fosse per le parole di Pai, non perché anche solo per un secondo potesse aver pensato che quella bugia fosse vera.

« Chi ha colpito ha agito di nascosto – aggiunse Pai atono – non abbiamo idea del perché né in che modo ci abbia ingannati. »

« Tu mi stai prendendo in giro. »

Pai rimase dove si trovava ed Eyner lo agguantò per il bavero, ma Ryou intervenne:

« Lo sappiamo che non sei stato tu! »

Lo bloccò con fermezza. Eyner lasciò la presa e guardò ancora Pai che ammise piano:

« Ho cercato altri elementi. Nei cinque minuti tra prima e dopo l'esplosione un cadetto ti ha visto nel… »

« Un cadetto. Certo. – sussurrò aspro l'altro – Ovvio. I fatti a mio favore, giusto? »

Pai non gli rispose.

« Più efficace che credere a me. »

« Ho solo cercato di ess- »

Il sinistro che Eyner gli sganciò in piena faccia risuonò come un colpo di pistola e strappò un urlo di sorpresa alle ragazze; Pai riuscì a restare dritto nonostante la forza del colpo, ma la sua mascella cigolò in modo orrendo e per un minuto ebbe difficoltà a sentire e vedere bene.

« Devo ammetterlo, era un po' che mi bruciava! – esplose il bruno mostrandogli il pugno chiuso – Ma devo dire che con questa di oggi, ti sei superato. Hai proprio colmato il vaso! Complimenti. »

Pai si mise dritto stringendosi la mandibola e gustandosi la bocca al sapore di rame. Eyner rilassò le spalle e sbuffò per calmarsi del tutto, facendo segno di continuare ai tre cervelloni passando accanto a Sando che sembrò aver decisamente approvato il suo exploit.

« Non dico che ci sia qualcosa di male a dare una mazzata o due a Pai – commentò Kisshu sottovoce – ma non avrai esagerato? »

« Oh, lui lo sa per cos'era! – ribattè Eyner con calore – E ti assicuro, che tra tutte le stronzate che ha detto e fatto ultimamente questa era una delle più lievi! »

« Forse era meglio darglielo più forte. »

Aggiunse in un sussurro malevolo Ichigo. Zakuro, seppur concorde, la guardò seria perché stesse tranquilla e Pai riprese a fatica, continuando a far girare la mascella dolorante:

« Sappiamo chi ha preso la bomba. – disse decidendo di non dare troppe altre spiegazioni – Ma non è stata la stessa che ha attaccato MoiMoi. »

Mentre lo disse sullo schermo rimase solo il nome colonnello Opurh.

« Non può essere stato lui – disse Sando cupo – l'ho incrociato uscendo dalla riunione del Consiglio, quel giorno. »

« Infatti. – annuì Pai – Lui ha solo procurato l'arma. »

« E il mio aggressore indossava una tuta schermata – sospirò MoiMoi guardando in alto – non possiamo andare ad accusare il colonnello senza sapere chi l'abbia aiutato… »

« Lo sappiamo chi è stato. »

Tagliò corto Pai. Le sue dita sfrecciarono sulla tastiera veloci e intanto spiegò:

« Le tute d'assalto hanno un piccolo banco di memoria interno per analisi dati e per schedare i soldati che le usano. Ovviamente hanno cercato di cancellare la memoria… Ma Shirogane è riuscito a recuperare le informazioni hackerando alcuni file di backup del sistema centrale. »

Disse l'ultima cosa con un certo fastidio e la cosa divertì Ryou, che rivolse un'occhiata ad un ammirato MoiMoi facendo spallucce:

« Se capisci i codici è un computer qualunque. »

« Io ci sto capendo meno di prima. – sbottò Ichigo esasperata – Chi ha fatto del male a MoiMoi? »

I dati sullo schermo si interruppero. Nella stanza scese il silenzio.

 

 

***

 

 

Lui aveva sempre odiato il caldo: si sudava, i vestiti si appiccicavano addosso, c'era troppa luce; Ebode era grato che almeno i giardini del Palazzo Bianco fossero circondati dai porticati, così da poter camminare e godersi un po' di frescura senza essere arrostiti dal sole.

« A passeggio, nobile Ebode? »

Il sorriso mellifluo del consigliere si stese come conveniva l'etichetta mentre salutò Teruga, accompagnato da Lenatheri:

« E lei? »

« Fa bene alla mia circolazione. – sorrise con garbo l'anziano – Ormai ho un'età in cui bisogna sfruttare ogni punto a favore della salute. »

Ebode annuì partecipe e si domandò quando il vecchio bacucco lo avrebbe lasciato andare, tediato dai discorsi inutili, e visto che Teruga non accennò a congedarsi fu Ebode a tentare di andarsene con un cenno frettoloso.

« Aspetti, Ebode. Non sia precipitoso. »

Il consigliere sobbalzò alla voce imperiosa di Ronahuge, cecando di nascondere il sudore freddo alla vista delle guardie armate al suo fianco:

« Che succede? – domandò innocente – Qualche problema? »

« Temo proprio di sì. »

Replicò squadrandolo feroce ed Ebode si accorse che alle sue spalle c'erano anche i tre Ikisatashi, Eyner e Sando, e ancor più dietro le MewMew al completo; fu Pai a parlare per primo, sprezzante:

« Il colonnello Opurh ci ha detto tutto. Non provi a mentire. »

Ebode mosse la mascella in un sorriso storto bofonchiando che non capiva cosa stesse dicendo e indietreggiò un poco. Teruga sospirò grave:

« Ha ammesso di averle fornito gli strumenti per colpire il capitano Luneilim. Sappiamo anche che si è procurato lei il dispositivo d'interferenza che ha fatto precipitare le loro navette settimane fa. – lo studiò carico di biasimo – Siete un essere riprovevole… Ma mai avrei immaginato che poteste colpire un suo compatriota per la mera politica. »

Ebode continuò a farfugliare in sua difesa indietreggiando e finì di schiena contro Sando, teletrasportatosi alle sue spalle, venendo bloccato dalla sua stretta:

« Tu resti qui, bastardo. »

Lo lanciò tra le braccia delle guardie ed Ebode entrò nel panico prendendo ad agitarsi:

« Voi non capite… Non capite! – sbraitò – Come potete accettare di essere sotto il gioco dispotico di questi…! »

I suoi occhi di pietra dardeggiarono contro i terrestri e sputò per terra:

« Sudici umani?! »

« Bada bene a come muovi quella bocca. »

Gli sibilò contro Kisshu piazzandosi di fronte alle ragazze; Ebode rise roco:

« Siete degli stupidi… La Stirpe Pura vincerà comunque! Non sono esseri battibili da dei soldatucoli e da mocciose in fase ormonale! »

« Questo lo vedremo. »

Ribattè Ichigo con fierezza:

« Aspetta… Ci ha offese o sbaglio? »

Le guardie caricarono Ebode per le braccia e lo trascinarono via intanto che lui sbiancò e prese a piagnucolare:

« Aspettate, io non ho mosso un dito! Non sono stato io…! Io non ho…! »

« Lo sappiamo. – fece amaro Ronahuge schioccando la lingua – Un senza palle come te non ci sarebbe mai riuscito da solo. »

Teruga sospirò e fece un passo di lato, il dolore sul volto. Lena capì troppo tardi che la stava fissando:

« No, un istante, io- »

« Siamo risalito alla memoria della tuta d'assalto. – disse Eyner addolorato – Non ci provare. »

« Sei stata tu a prendere la tuta. – tuonò feroce Sando – Sei stata tu! »

« Era lei, era lei! – strillò Ebode gongolante – La colpevole è lei, non io! »

Ronahuge imprecò tra i denti e ordinò lo portassero via, osservando cupo Sando avvicinarsi sempre più minaccioso a Lenatheri; la mora era pallida come un cencio:

« Non avrei mai voluto questo. »

Stridé in segno di scuse e Sando la sollevò per il collo fin sopra la sua testa:

« Come hai potuto tu fare questo a lei?! – esplose – Dopo tutto quello che ha fatto per te! »

Ci vollero Eyner, Kisshu e Taruto assieme per riuscire a fargli abbassare il braccio ed impedire che il verde strozzasse Lenatheri a mani nude. La mora si accasciò a terra tossendo con la lingua di fuori e la mano sulla gola, cercando inutilmente di dare spiegazioni, ma la sola cosa che si riuscì a sentire furono le urla rabbiose di Sando.

« Non volevo che succedesse… »

« Sei solo una bugiarda! Sporca traditrice! Lurida stronza! »

« Ora chiudi il becco, Okorene. »

Gli intimò Ronahuge e altre due guardie presero Lenatheri che, ancora stordita, non riuscì a ribellarsi.

« Sergente Lenatheri Inetaki, sei in arresto per tradimento al Consiglio Maggiore e all'Armata. »

Ronahuge pronunciò la sua sentenza con gelido rancore ergendosi come una montagna tra la mora e i suoi vecchi amici, forse più per impedire loro di metterle ancora le mani addosso.

« La condanna sarà emessa dai Membri Ristretti. – a quelle parole Lena riprese di colpo lucidità emettendo un pigolio – Fino ad allora sarai incarcerata e spogliata dei tuoi gradi. Sei espulsa a vita dall'Armata. »

Il pallore di Lenatheri si accentuò e lei sgranò gli occhi color rame:

« V-vi prego, un secondo, io- »

« Taci. »

Il sibilo crudele di Pai spense le proteste della mora; lui non la guardò nemmeno, il viso deformato in un'espressione d'odio:

« Dopo tutto questo, abbi almeno la decenza di tacere. »

Lenatheri non riuscì a dire più nulla. Ebbe l'impressione che gli occhi color notte di Sando le volessero far esplodere la testa e non riuscì a sostenerli; l'ultima cosa che guardò fu il selciato del Palazzo Bianco, mentre i soldati la portarono via come un sacco vuoto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 (*) sì l'ho già usato in una OS, ma il termine è  inventato dalla sottoscritta e ormai nella mia testa è come dicono ti amo in lingua aliena, indi :P, mi sono ispirata a come si dice "ti amo" in lingua persiana doostet daram

 

(**) piiiicccolissime precisazioni. Suki desu  好きでe daisuki desu (che ho tradotto letterali) sono praticamente lo stesso termine e sebbene non vogliano dire letteralmente ti amo i giapponesi lo usano con quella valenza. Aishiteru愛して (per essere più completi Kimi wo Aishiteru 君を愛して) è ti amo nel senso più pieno e profondo del termine ♥ 

 

(***) non che si sia mai capito benissimo :/ cmq da come Ichi si illumina come una lampadina al bacio di Masaya dopo lo scontro finale, la mia deduzione è che: A) nel corpo senza vita della rossa ci fosse ancora un po' di MewAqua, risvegliata dai sentimenti del moro (Bleah :P… xD); oppure B) stessa cosa ma in Masaya, se no non mi spiego :P.

(****) altra sfilza di puntiniii @_@ per chi è digiuno di anime ;) nelle scuole giapponesi i club delle varie attività proseguono anche durante le vacanze.

 

 

 

 

 

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Waaah quante chiacchiere @_@"! Ho poco da commentare, solo bravi eh, avevate capito che era Lena eh ;)? Dai vabbè era facile :P (i gialli non il mio forte -.-") ma vi ho fatto insospettire un pochino in questo cap? vi è venuto qualche dubbietto? No :3? Vabbè T-T… xD

Ringrazio Danya, LittleDreamer90, Allys_Ravenshade, Hypnotic Poison e Cicci12 dei commenti ♥  ora sono cotta e vado a lavorare :P ci vediamo tra qualche settimana.


Mata ne
~♥ !

Ria

 

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Capitolo 40
*** Toward the crossing: ninth road ***


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Salva anche tu una tastiera da pazzoidi che le massacrano scrivendo come disperate! Non chiudere gli occhi, puoi salvare milioni di vite elettroniche.

 

 

 

 

 

Salve bimbi miei :3 ♥ 

Un capitolo lungo come la fame! Con un sacco di cosine ♥      ci vediamo in fondo :3!

 

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Cap. 40 – Toward the crossing: ninth road

                Pause. Restart.

 

 

 

 

« Ahio, ahio, ahio! Che male, fa malissimo! – si lagnò MoiMoi a pieni polmoni – Ake, smettila! La muovo da sola! »

« Devi farlo anche bene – le disse severo il medico senza lasciare la presa dalla sua gamba – la riabilitazione non è un giochetto. »

« Ma fai male, accidenti! – frignò più acuto – Ahia! E non farlo a tradimento! »

L'uomo lo guardò divertito da dietro il suo consueto tubetto di paina e insisté a piegargli la gamba avanti e indietro contro l'addome, strappandogli altri lamenti.

« MoiMoi-chan, ti si sente lamentare fino in fondo al corridoio…! »

« Ah, Ichigo-chan! »

Il violetto si protese verso la rossa in piedi sulla porta come un prigioniero dalle sbarre della prigione:

« Ti prego salvami! – pianse – Ake mi tortura! »

« Potresti evitare di dire cose equivoche con la tua gamba tra le mie mani? »

« Malizioso. »

Ake non era dell'umore giusto per le prese in giro e lo lasciò andare intimandogli di arrangiarsi ed uscì lasciando spazio alla mewneko. La ragazza entrò ridacchiando e guardò contenta l'amico, pure lui molto divertito, che si sistemò meglio sul letto.

« Ake-san aveva una faccia, credevo mi avrebbe fatto quella cosa – e imitò il gesto fatto dal dottore contro Sando settimane prima – con cui ribalta le persone. »

« Intendi il gamika? – chiese il violetto sprimacciandosi il cuscino – Figurati! »

Ricordandosi di quell'episodio Ichigo si mise un dito sulle labbra e domandò:

« A proposito… Ma cos'era quella cosa? »

« Una tecnica speciale che usano i medici. – spiegò MoiMoi abbandonandosi sul guanciale morbido – Sai, in realtà a Jeweliria solo il dodici per cento degli abitanti usa poteri come i miei o quelli dei ragazzi. Gli altri si occupano di altre cose… Cose normali. »

Disse con una scrollata di spalle e ad Ichigo scappò un risolino, le parole scelte dal violetto erano perfette eppure a lei suonarono comunque strane.

Alieni loro, alieni noi, chi lo è davvero?

« Però ci sono alcuni trucchetti che si possono imparare. – ammiccò MoiMoi – Ad esempio tutti i dottori e gli infermieri conoscono il gamika. È un po' come certe vostre tecniche di arti marziali: usano l'energia che arriva loro addosso e la respingono indietro verso chi li ha attaccati. »

Ichigo annuì con forza con la bocca aperta in una sciocca smorfia di comprensione.

« È molto utile contro i visitatori turbolenti o i parenti un po' irritabili. »

« Ora mi spiego come sia riuscito a tenere a bada Sando-san… »

Si zittì con un lieve pigolio vedendo il violetto fare un sorriso triste. Sando era diventato argomento vietato, da quando aveva aperto gli occhi MoiMoi non lo aveva mai incontrato né il verde aveva dato segno di volerlo vedere, o di farsi vedere in presenza degli altri al suo cospetto.

Ichigo cambiò immediatamente discorso, gli prese la mano e sorrise felice:

« Sei irriconoscibile da due settimane fa: Lasa-san mi ha detto che potresti uscire presto. »

MoiMoi inspirò a fondo e si rilassò cogliendo la palla al balzo e seguendo l'onda della frase:

« Solo se Ake ritiene che abbia fatto il minimo necessario di fisioterapia. – brontolò – La vasca rigenerante ha accelerato la guarigione, ma l'effetto è quasi terminato e il mio corpo ha ancora bisogno di sgranchirsi… »

Sbuffò gettando all'aria le lenzuola:

« Insomma, voglio uscire! Non avrò più la fortuna di guarire così presto! »

« Vorresti replicare? »

Domandò Ichigo tirata e MoiMoi scosse la testa:

« Possibilmente no – disse con una linguaccia – ma in ogni caso non potrei mai più restare in immersione quanto ci sono stata l'ultima volta, non godrò più di superpoteri. »

Ichigo continuò a sorridere storta. Ake e Pai avevano spiegato a lei e alle altre che le vasche rigenerative avevano un limite di tempo di uso, oltre ad un limite di influenza sul metabolismo: MoiMoi era dovuto rimanere immerso per quasi cinque giorni interi, abbastanza da precludergli l'uso delle vasche per il resto della vita.

La rossa cambiando discorso frugò nella borsa che aveva con sé e porse al violetto un piccolo plico di vestiti:

« Ti ho portato un cambio. Me lo ha dato Lasa. »

« Meno male…! – sospirò felice – Stavo iniziando a odiare la divisa dell'ospedale. »

Quando ebbe tra le mani la stoffa titubò un poco e Ichigo gli sorrise:

« Le ho chiesto di prenderti cose a maniche lunghe. »

« Sei un tesorino. »

Più rilassato MoiMoi si cambiò ed Ichigo sospirò, impegnandosi per non allontanare lo sguardo: le macchine dei medici gli avevano salvato la vita, ma non avevano potuto nulla per le tracce che l'esplosione aveva inciso indelebili su di lui. Da sotto la gola fino ai polsi e lungo tutta la schiena le cicatrici chiare segnavano la pelle nivea del violetto e per quanto lui, maturo, ostentasse indifferenza alla cosa ringraziando di avere salva la vita, quei segni lo mettevano a disagio.

Ichigo fu sicura si trattasse di una questione mentale, però quando si era resa conto che con quelle cicatrici le era molto più difficile non vedere i tratti fisici di MoiMoi che lo indentificavano come maschio, aveva capito in che modo il suo malessere fosse molto più profondo.

« Peccato non si possa fare niente per questi. »

Disse il violetto in un sospiro e giocò con i propri capelli:

« Sembro un decenne con la candela al naso. »

In verità Ichigo trovò che le infermiere avessero fatto un lavoro egregio, i capelli di MoiMoi erano diventati davvero corti e la sola soluzione per ridargli un aspetto grazioso era stata acconciarglieli e rifinirli alla pixie; i due ciuffi segni dell'Appartenenza erano scomparsi, bruciati dal fuoco, ma il violetto teneva sempre i suoi fermagli sopravvissuti accanto al letto, in attesa di poterli riutilizzare. Nell'insieme era un taglio elegante, ma probabilmente poco femminile per l'idea di MoiMoi:

« Oh beh, pazienza… »

Sospirò ancora deluso e Ichigo gli strizzò l'occhio:

« Aspetta. »

Rovistò ancora nella sua borsa e tirò fuori uno dei numerosi nastrini del suo arsenale, di un bel bordeaux:

« Sono sicura che ti starà benissimo – fece convinta e si armò di pettine e spazzola – fidati, sono la regina dei nastri. »

Proclamò orgogliosa e MoiMoi sorrise contento:

« Allora mi affido a lei, maestà. »

Le fece posto sul materasso e la rossa iniziò a sistemargli i capelli e a provare come mettere il piccolo pezzo di stoffa, rilassandosi nel silenzio e nel fruscio della spazzola.

« Sei ancora giù? »

Le domandò ad un certo punto lui e alla sua espressione stranita aggiunse attento:

« Per Kisshu-chan. »

La rossa smise di pettinarlo e con un cenno del capo sospirò:

« Anche… »

« Devi dargli tempo Ichigo-chan. »

La rassicurò.

« Da quel giorno è quasi un mese che non mi rivolge la parola… »

Riflettè dispiaciuta. MoiMoi sospirò:

« Non è una cosa semplice. E diciamo che ti sei comportata un po' male – puntualizzò solo, e alla sua faccia afflitta le diede un colpetto sul naso, per nulla intenzionato a farle l'ennesima predica – ci vorrà solo del tempo. »

« Temo che non basterebbe tutto il tempo del mondo, stavolta. »

Ammise lei. MoiMoi le pizzicò affettuoso la guancia e vedendola rivolgergli un sorriso strano proseguì:

« E Ryou-chan? »

« Non nominare il demonio in mia presenza. »

Sbottò melodrammatica; MoiMoi rise di gusto, ma si appuntò per la quinta volta anche il nome di Ryou nella lista di persone a cui fare una lavata di capo una volta uscito da lì dentro.

« Quel gran pezzo…! Di imbecille! »

« Ahi! Ichi, i miei capelli però non sono lui…! »

« S-scusa… »

Il violetto ridacchiando le tolse la spazzola che stava stritolando nella mano e Ichigo prese un profondo respiro:

« Forse sono infantile a non aprire il discorso. »

« Magari un po'. »

Le ammiccò stando seduto ben dritto mentre lei legava e poi scioglieva il nastro più volte.

« Però non è giusto! – protestò – Non sono stata io a dire…! Quelle cose! »

Sbottò arrossendo.

« Ichigo-chan, volersi bene è un po' come litigare – disse sibillino – non si può fare da soli. »

Ichigo, ancora rossa, non gli rispose. Chiuse il fiocchetto e diede gli ultimi colpi di spazzola per sistemargli la frangia, cambiando discorso un'altra volta:

« Tra le altre cose, ormai ho setacciato tutto l'Archivio, non trovo da nessuna parte traccia di Nuvem o di Tayou. A parte quel diario, pare non siano mai esistiti. »

« Potrebbero esserci dei documenti nascosti – riflettè lui – poi magari ci darò un'occhiatina. »

Ichigo sorrise ringraziandolo.

« E a sogni? »

Lei scrollò le spalle:

« Ultimamente non ricordo… Ho l'impressione di farne altri, ma al mattino ho solo la sensazione di aver dormito malissimo. »

MoiMoi rise piano e sorrise eccitato intanto che Ichigo gli porse uno specchietto.

« Allora? – chiese superba – Sono stata brava eh? »

Il violetto annuì entusiasta e balzò giù dal letto afferrando la barra della flebo:

« Facciamo un giretto, voglio mostrarlo al piccolo Doer in pediatria. »

« MoiMoi-chan, non dovresti agitarti tanto! »

Mormorò Ichigo turbata vedendolo saltellare attorno alla gruccia, ma lui non diede segno di sentirla:

« È così dolce, mi sta tenendo da parte i mimeri che sua mamma gli porta per quando starò meglio ♥ ! Vado a rassicurarlo. »

E su di giri nel sentirsi meglio trotterellò via accompagnato dal cigolio della flebo, con la mewneko preoccupatissima al seguito.

 

 

***

 

 

La classica giornata estiva, caldo, cielo azzurrissimo, un leggero venticello e un frinire vago di instetti; il tranquillo boschetto di contorti alberi creati da Taruto era un piccolo angolino sonnolento di pace, che ispirava solo a rilassarsi e sonnecchiare, ma il brunetto non era della stessa opinione.

« Detesto non avere nulla da fare!  »

Si lamentò per l'ennesima volta e mandando un lungo lamento sordo si sdraiò con le braccia spalancate sull'enorme ramo, rimirando scocciato le fronde luccicanti degli alberi:

« La noia uccide… »

Purin, seduta vicino, sorrise come sempre impassibile ai suoi brontolii da vecchietto:

« Però io adoro passare le giornate con te. »

Disse candida sporgendosi un poco sopra di lui con un enorme sorriso; Taruto fece una smorfia arrossendo:

« Ma non ti vergogni mai delle cose che dici? »

Mugugnò mettendosi seduto.

« E perché? – domandò lei innocente – Lo penso davvero. »

« Non si dicono cose del genere ad alta voce! »

Protestò con le orecchie in fiamme. Purin sorrise ancora di più e lo baciò, zittendo nuove proteste.

Taruto si limitò a prenderle la mano, beato dello sfarfallio frenetico nel suo stomaco, e mai come prima fu felice di quegli alberi che gli garantivano sempre un posto appartato dove stare un po' solo con la sua scimmietta.

L'ultimo mese gli era quasi sembrato un sogno, era stato incredibile rendersi conto di quanto stesse bene con Purin vicino e quanto le mancasse quando non c'era, sebbene a pensarci si vergognasse un po'.

Ogni tanto, solo ogni tanto, a casa, lo sguardo serio di Pai gli ricordava in silenzio che non sarebbe continuato tutto per sempre: gli Ancestrali erano ancora da qualche parte, Jeweliria non era ancora al sicuro, e prima o poi il sottile cerchio bianco che lo legava a Purin si sarebbe chiuso. Avrebbe dovuto dirle addio una seconda volta, ed era consapevole che sarebbe stata enormemente peggio della prima.

« Taru-Taru, tutto ok? – gli domandò la biondina preoccupata – Perché quella faccia? »

Lui, accarezzandole la guancia distratto, scosse la testa:

« Niente. La noia mi fa venire sonno. »

Lei storse la bocca senza bersi la bugia, però non replicò e sorridendo lo baciò di nuovo, rapidissima:

« Sai, mi piaci tanto tanto Taru-Taru! »

Il brunetto divampò ancora fin ad emettere calore, ma invece di arrabbiarsi sospirò e con un leggero sorriso sfregò il naso contro il suo:

« Anche tu mi piaci tanto… »

Rimasero così in silenzio, sospesi, e Purin fu certa che le acute orecchie di Taruto riuscissero a sentire lo scalpiccio che aveva nel petto quando la baciò ancora.

« Ci devi proprio andare al Cafè? »

« Mi stai proponendo di bigiare? Credevo fosse Kisshu nii-chan quello discolo. »

« Per favore non nominarlo! Porta male… »

« Uhuuuuuu! Bambiniiii! »

La voce di Kisshu proveniente da non so dove spaventò tanto Taruto da farlo scattare all'indietro, prendendo una zuccata contro un ramo basso. Kisshu gridò ancora e insisté molesto:

« Non fatemi venire fino laggiù, non ho voglia di vedervi pomiciare! »

Taruto sentendolo sibilò una lunga fila di parolacce non meglio identificate, le mani a morsa sulla nuca:

« Porca putt…! La testa, che male…! »

« Taru-Taru, stai bene?! »

« No che non sto bene! – protestò scarlatto in viso – Ma perché viene sempre a rompere quello?! »

« Taruto, guarda che sto per entrare a cercarvi. – insisté il verde malizioso – Rivestitevi. »

« Sei solo un celebroleso pervertito! – gli urlò contro il fratello dalle frasche – Ti abbiamo sentito, imbecille! Arriviamo! »

Kisshu rise maligno e rimirò assorto le chiome fitte, scorgendo subito Purin calarsi da un ramo all'altro con l'agilità data dai geni animali:

« Dovresti pensare ad una carriera nel circo. »

Scherzò mentre lei gli atterrò davanti con una capriola:

« Sarebbe stupendo! »

Esclamò sognante e Taruto, planandole vicino, schioccò la lingua seccato:

« Non ti basta saltellare dappertutto con quel pallone gigante? Ahi… »

« Sperimentazioni acrobatiche? »

Lo canzonò Kisshu osservandolo massaggiarsi la testa e Taruto lo folgorò con lo sguardo:

« Colpa tua che spunti sempre come un ladro. »

« Ti ho beccato a fare qualcosa di sconveniente e ti ho spaventato? »

Lo punzecchiò e vedendolo arrossire velocemente come una pentola a pressione rise dell'operato, dandogli le spalle sordo agli insulti e facendo tranquillo:

« Pai ha indetto una riunione – disse e roteò ostentato gli occhi prendendo in giro il moro – forse finalmente non dovremo lobotomizzarci ancora il cervello. »

Taruto bofonchiò maledizioni superandolo e andando verso il passaggio sbattendo i piedi. Kisshu incrociò le braccia dietro la testa, soddisfatto, e sentì che gli tiravano la maglia:

« Che c'è scimmietta? »

Purin lo studiò mogia:

« Stai ancora male? »

Kisshu abbassò piano le braccia, sorpreso, e non rispose.

« Non sei più venuto a trovarci – aggiunse lei abbattuta – ci manchi. »

« Dubito che tutte condividano questo pensiero. »

Scherzò e le scompigliò la chioma bionda:

« Sto bene, sto bene. Non preoccuparti. »

Lei lo lasciò fare sorridendo rincuorata e lo vide ammiccarle divertito:

« Basta ora. Poi Taruto è geloso. »

« Ma non deve.  – sorrise convintissima – Tanto, non c'è nessuno che mi piaccia più di Taru-Taru. »

« La tua onestà fa quasi male agli occhi. – constatò ironico – È un miracolo che non abbia ancora ucciso il marmocchio per infarto. »

Le diede un altro buffetto, sorridendole con fare più dolce, ed entrambi seguirono Taruto che, nervoso, protestò a gran voce per la loro lentezza.

 

 

***

 

 

Toyu si toccò sovrappensiero la guancia. Erano passate settimane, eppure aveva l'impressione che il punto su cui si erano abbattute le nocche di Zakuro gli dolesse ancora.

« Sono troppo sentimentale, che ne dici? »

Alzò lo sguardo verso la teca dove Lindèvi ancora fluttuava. La bionda aveva iniziato a riprendere coscienza, seppur stesse per la maggior parte del tempo ad occhi chiusi, e sentendolo socchiuse le palpebre e le richiuse un paio di volte; a Toyu parve un sì condito di sarcasmo.

« È solo che odio lasciare conti in sospeso. »

Lindèvi aprì ancora gli occhi e alzò mollemente la mano contro la parete di cristallo; lui rise senza gioia:

« In fondo dovresti saperlo, sono sempre stato così. »

Lindèvi abbassò il braccio e chiuse gli occhi, sofferente e partecipe delle sue parole.

L'incidente della bionda aveva riportato a galla ricordi non lontani, ma che loro avevano seppellito in recessi della memoria duri da dover scoprire.

Toyu si ricordava ancora di Lindèvi prima  che l'atavismo della Stirpe Pura la salvasse. Una donna debole, ferita nel fisico e nell'animo, sola al mondo; un soldato incapace che più che vivere si trascinava in una vita miserabile.

Si ricordava di Zizi, prima, uno stupido che non aveva altro che la propria bocca scurrile e i pugni per avanzare nel fango in cui volontariamente si era infilato, insoddisfatto di essere un obbediente militare e disgustato del suo cercare un qualcosa di indefinito nei bassifondi di Jeweliria, tra le bettole di chi aveva ancor meno di lui.

Toyu si ricordava di se stesso. Il suo innato cinismo gli aveva sempre fatto da scudo, portandolo a godersi ciò che otteneva senza troppi pensieri, le donne, la posizione; ma la sua arroganza non si era mai placata per le sciacquette facili né per gli onori medi di un soldato, voleva di più, pretendeva di più. Era arrivato al punto che la sua sete e la sua superbia avevano oscurato l'obbiettività. Ne portò il ricordo sul viso e sulle mani e le sue cicatrici gli smascherarono il lato più gretto del suo mondo placcato oro: svanita l'apparenza rimasero solo le sue doti e il loro essere intrinsecamente mediocri.

Tutto era passato. Era nulla.

Ecco ciò che erano ora.

Forti, potenti, inarrestabili. Prima avrebbero distrutto Jeweliria, poi si sarebbero ripresi la Terra.

« Ohi, bell'addormentato, ci sei? »

« "Pensare" e "dormire" non sono la stessa cosa, Zizi. – lo corresse supponente il biondo – Dovresti provare a pensare anche tu, ogni tanto. »

« Fottiti. – replicò l'altro con un sorriso feroce – Arashi vuole parlarci. Dice che c'entra il vecchio del Consiglio. »

« Ebode? »

Il biondo annuì e Toyu lo seguì.

Quando Lenatheri ed Ebode avevano rubato la sonda di ricognizione, copiando i dati al suo interno, probabilmente non avevano pensato che gli Ancestrali avrebbero saputo ogni cosa. Arashi e gli altri avevano tenuto d'occhio i loro movimenti e tutti, chi più chi meno, stavano cominciando ad intuire i progetti del loro capo su quelle informazioni.

« Acc… Li hanno beccati eh? »

« Così pare. – replicò Arashi studiando le loro strumentazioni – Ikisatashi mi sorprende sempre, immaginavo ci avrebbe messo molto più tempo. »

« È proprio un cazzo di secchione di merda. »

« Esplicativo, Zizi. »

Toyu si passò una mano tra gli eleganti capelli sospirando appena:

« La prossima mossa? »

Arashi inspirò a fondo prima di rispondergli. Chiuse gli occhi e riaprendoli prese l'aspetto di Deep Blue:

« Ormai ci siamo – disse il loro signore – anche loro l'avranno sicuramente trovata. »

Rimase sospeso perso nei propri pensieri, inspirò di nuovo e tornò Arashi; il biondo digitò sulla scalcinata console comandi ed indicò il monitor con un cenno:

« Sorvegliatela. Appena darà un segnale, potremmo agire – si girò appena verso Toyu – l'affido a te. »

« Perché sempre a questo stronzo gli incarichi importanti? »

« Perché sono incarichi in cui bisogna parlare, pensare e pianificare. Tre cose che tu non riesci nemmeno a contemplare di pronunciare nella stessa frase. »

« Vai all'inferno, ninfomane di merda. »

« Fate silenzio. »

Ordinò Arashi glaciale e Zizi abbassò la testa obbediente.

« Toyu. »

Il biondo fece un piccolo inchino servile e se ne andò.

« Zizi, tu ti occuperai dei chimeri. – ordinò ancora Arashi – Lo sviluppo è terminato. Provvedi a quelli instabili. »

Nel sentirlo lui ghignò feroce battendo la mano sul pugno chiuso:

« Devo dire che preferisco! – esultò crudele – Avevo proprio bisogno di sfogarmi, ho tutti i muscoli legati a star col culo fermo. »

Si allontanò chiamando le creature a gran voce e per quanto non avessero una coscienza, Arashi ebbe l'impressione di udirli agitarsi piangendo nell'ascoltare Zizi:

« Piccolini, arriva lo zio! Chi vuole diventare marmellata oggi?! »

 

 

***

 

 

Gli ultimi clienti lasciarono il Cafè e le ragazze sospirando soddisfatte si misero a riordinare; in cucina Keiichiro iniziò a riassestare tutti i suoi attrezzi con la piccola Sury che, efficiente, gli passava le ultime coppette gelato vuote lasciate sulla passatoia:

« Grazie mille principessa. »

Le sorrise e lei si dondolò sui piedi contenta sfoggiando la divisa, uguale a quella delle ragazze ma priva di rifiniture colorate, che il bruno le aveva regalato:

« Do una mano! »

Replicò fiera stendendo la gonna di lato con le mani, quasi fosse ovvio dover fare la cameriera se si indossava una divisa da cameriera. Eyner, nel salone, studiò la scenetta della sorella che si affaccendava goffa per la cucina portato un oggetto per mano e si domandò se Keiichiro avesse un set di scorta per le uniformi.

« Avevate paura di non azzeccare le taglie e avete fatto rifornimento extra? »

Scherzò e Zakuro lo studiò divertita svuotandosi il vassoio:

« Hai visto chi lavora qui dentro? »

Accennò verso Purin e Retasu con la testa ed Eyner alzò le mani:

« Colpito e affondato. »

In cucina, intanto, Sury finì le stoviglie sporche da passare a Keiichiro e per non stargli tra i piedi si arrampicò sul top dei pensili bassi, osservando il cuoco e sgambettando a ritmo con una canzoncina che sapeva solo lei.

« Quindi Pai nii-chan e voi avete scoperto un altro passaggio magico? »

Domandò dopo un po' e Keiichiro le sorrise amorevole:

« Proprio così. »

« Quindi significa che Eyner e gli altri saranno via? »

« Temo di sì. »

Rispose lui incerto se la notizia la rendesse triste o meno. Sury dondolò la testolina riflettendo e poi si sporse dalla porta della cucina:

« Fratellone! Mentre tu sei via io resto con Keii-chan, va bene? »

« Assolutamente no. »

Replicò Eyner secco e Sury emise un lungo lamento di protesta:

« Ma a Keii-chan non dispiace! – piagnucolò – Vero Keii? »

Guardò il cuoco con occhioni supplichevoli e lui sorrise splendido:

« Come mai potrebbe dispiacermi? – le disse dolcemente – Ma non credo sia possibile. »

Ammiccando aprì il frigo e le porse una sontuosa macedonia in cui tutti gli spicchi di frutta erano stati intagliati ad animali o a fiori; Sury all'iniziò ammirò il capolavoro con occhi luccicanti, ma dopo il primo spicchio di fragola guardò entrambi gli uomini con lo sguardo triste:

« Non è giusto! »

« Gli occhioni da capricci non funzionano, lo sai. »

Le fece notare il fratello con divertito distacco e lei aggrottò la fronte giocando con i cristalli di zucchero sulle fettine di kiwi.

« Falla contenta, su. »

Eyner rivolse a Zakuro un'occhiataccia, consapevole che lo stesse stuzzicando, e lei incrociò le braccia con aria divertita:

« Guarda che Akasaka non morde. »

« Non è quello il problema. »

Sury scorgendo un'alleata posò la sua merenda e saltò giù dal ripiano gettandosi in braccio al fratello, stritolandolo per la vita:

« Tipregotipregotipregoooh! »

Eyner sospirò impegnandosi per non cedere ai capricci della sorellina, quando Zakuro disse piano:

« Partiremo tra un paio di giorni. Se questo è l'ultimo frammento, non avrà più occasioni di vederlo. »

Lui guardò il suo sorriso materno verso Sury – ancora intenta a comprimergli  gli intestini in una morsa – e sbuffò snervato:

« Vuoi fare leva sul mio senso di colpa? »

« Azzeccato. »

Gli sorrise misteriosa ed Eyner mandò un altro sbuffo reggendosi la fronte; Sury lo notò e smise di stritolarlo, sorridendo:

« È un sì?! »

« Chiedilo a lui – borbottò con una scrollata di spalle – non sono io che dovrà sorbirsi la piccola peste per i piedi. »

Sury trillò di contentezza e levitò quel poco sufficiente ad abbracciarlo per le spalle, schioccandogli un bacio:

« Sei il miglior fratellone del mondo! »

« Sono uno che cede ai ricatti. »

Sospirò con un sorriso arrendevole e diede un'occhiata a Zakuro che parve soddisfatta e divertita. Sury corse in cucina saltellando attorno a Keiichiro euforica – aumentando il fracasso quando il bruno, ovviamente, accettò con allegria di fargli da baby-sitter – e poi scattò di nuovo fuori prendendo la mano di Zakuro:

« Mi accompagni a prendere le mie cose? »

« Guarda che partiamo tra due giorni, non tra due ore. »

Puntualizzò Eyner. Zakuro, paziente, assecondò la piccola che la trascinò verso gli spogliatoi per cambiarsi.

« Piccola despota. »

« Tanto stavamo chiudendo. »

« Akasaka, se avrai mai dei figli ti mangeranno in testa. »

Commentò l'altro sarcastico e Keiichiro rispose solo sorridendo:

« Perché non la lasci qui già da stasera? »

« Cosa? »

« Mi farà compagnia – lo rassicurò – voglio che le ragazze si riposino prima della partenza, ma io sarò comunque qui per completare alcune ordinazioni. E anche tu dovresti riposarti come si deve. »

« Akasaka, una cosa è un favore per farla contenta, ma non vedo perché approfittarmi di te. »

« Figurati, sono abituato ad occuparmi dei bambini. »

Si affacciò dalla finestra e rise sotto i baffi mentre un certo bambino ormai cresciuto salì con aria annoiata dalle scale del piano di sotto, prendendo con un grazie il caffè che Keiichiro gli porse.

« Beh? Che c'è? »

« Niente. »

Sorrise il bruno ed Eyner si coprì la bocca per non ridacchiare. Sury nel frattempo tornò indietro, agitatissima e contenta, ed esclamò:

« Allora, fratellone, andiamo? »

« Ti ho detto che partiamo tra d- »

« Ti preeeeeeegoooo! Da stasera! »

La sua supplica fu così acuta che Ichigo, dall'altra parte della stanza, si dovette tappare le orecchie per non diventare sorda. Eyner tentò di imporsi severo, ma Keiichiro spuntò magicamente alle spalle della bambina sorridendo per darle manforte e il bruno si ritrovò per cinque minuti torchiato dai loro sguardi alzandosi infine esasperato:

« Cercate almeno di regolarvi coi dolci. »

Sury mandò un gridolino tra i denti abbracciandolo di nuovo e il fratello le accarezzò la testa dolcemente, sconfitto.

« Guai a te se fai un solo commento, Shirogane. »

« La mia bocca non si è mossa. »

Arricciando le labbra Ryou osservò Sury farsi viziare e ricambiare l'affetto del bruno con adorabile ruffianaggine e capì che, per quanto potesse imporsi, per Eyner non fosse facile dare un dispiacere alla piccola. In fondo, non aveva nessun altro al mondo.

Zakuro uscì dagli spogliatoi e Sury cambiò punto dove avvinghiarsi, passando al braccio sinistro della mewwolf e tirando verso l'uscita nemmeno un husky con la slitta; Eyner le seguì dappresso borbottando a bassa voce e Keiichiro rientrò in cucina tranquillo, ignorando lo sguardo azzurro che lo ispezionò:

« Queste sono il genere di cose che non dovresti fare. »

« A che ti riferisci? »

« Parlo sul serio, Kei. – sospirò Ryou entrando nella stanza e puntando gli occhi alla schiena del pasticciere, rimessosi al lavoro – Presto tutto questo… »

« Invece di fare il negativo – lo rimproverò – dovresti incentivare le cose belle. »

Indicò i tre appena usciti, ancora visibili dalle finestrelle a cuore:

« Una bella cosa. »

Ryou sbuffò non dandogli risposta e Keiichiro lo guardò con affetto e pazienza, mai avrebbe capito da dove Ryou avesse preso tanta cocciutaggine:

« In ogni caso, per favore sistema il tuo letto; Sury-chan non può dormire nelle lenzuola usate. »

« … Aspetta, cosa?! »

 

 

 

Minto chiuse il suo armadietto con un sospiro e indossò le ballerine, esausta; era davvero contenta che Keiichiro avesse deciso di chiudere il locale fino alla loro partenza, non era nelle sue migliori prestazione fisiche.

Si sentiva perfino nervosa e poco concentrata nelle ultime settimane. Aveva incolpato la cosa alla lunghissima attesa e alla calma forzata, in barba ai loro problemi non risolti, e un conseguente sforzo sovrumano della sua pazienza, ma c'era qualcos'altro. Per quanto ne fosse a conoscenza non ne aveva individuato la causa, innervosendosi solo di più.

Sospirò piano e decise che, innanzitutto, si sarebbe goduta una bella cena e un bel bagno caldo per rinvigorirsi. Poi, avrebbe pensato in pace. Si avviò verso il salone principale, si era attardata nel cambiarsi e dal silenzio le altre o l'aspettavano fuori o se n'erano già andate; sbuffò accelerando il passo e svoltò l'angolo non badando che ci fosse qualcuno o meno.

Non fece in tempo a fermarsi per cambiare strada senza farsi notare.

« Yo. »

« Kisshu… »

Lui sfoggiò la sua miglior faccia da schiaffi salutandola, pur con un po' troppa calma del normale; Minto replicò a malapena.

« Piano con l'entusiasmo che sono sensibile. »

Ghignò fingendosi offeso e Minto scosse la testa:

« No, scusa, pensavo solo… Credevo fossi tornato a casa dopo che Pai ci ha parlato del nuovo passaggio. »

« Volevo – ammise sbuffando con gli occhi all'insù – ma la testa di marmo doveva sistemare gli stabilizzatori e io ho il compito di riportarlo a casa. »

« Letteralmente? »

Chiese divertita e lui la corresse:

« Fisicamente. A mia madre verrà un'ulcera altrimenti. Quando l'eremita è uscito dalla clausura, giorni fa, gli ha fatto una lavata di testa… »

Fischiò e indicò il sotterraneo con il pollice:

« Non la vedevo così arrabbiata da quando abbiamo sfondato il tetto per sbaglio. »

« "Abbiamo"? Ne sono certa. »

« Giuro! Io e Taruto, testimone. »

« Figurati. »

« E poi è stato per sbaglio. »

« Crediamoci! »

« Avevo dieci anni. »

« Io a dieci anni al massimo copiavo nei compiti in classe. »

Annotò supponente e lui roteò gli occhi teatrale. Minto lo guardò soffiare tra i denti divertito e nonostante le sembrasse meno vivace del solito, lo vide come il consueto Kisshu fastidioso; nulla a che spartire con l'ultima volta che si erano parlati.

Si accorse che il verde la fissava e capì di essere rimasta in silenzio troppo a lungo, e anche se – ne fu certa – fu solo la mancanza di argomenti a farle mancare le parole, la situazione la fece sentire tremendamente in imbarazzo:

« Beh – fece spiccia sistemandosi la borsa sulla spalla – ci vediamo. »

« Passerotto. »

Si fermò troppo di scatto e temette che Kisshu se ne fosse accorto, ma si sforzò di far finta di nulla e si girò piano alzando un sopracciglio infastidita:

« Farò finta di non aver sentito. »

« Non ti avevo ancora ringraziato. »

La voce della mewbird divenne un poco più bassa:

« Lascia perdere. »

Ebbe l'impressione che gli costasse dire quelle parole e ancor più ripensare a quella mattina, non voleva assolutamente trovarsi in una situazione del genere:

« Non è stato niente. »

« Invece sì. »

Le rivolse un sorriso storto:

« Grazie. »

Minto tentò di sorridere altera, ma la sua bocca non le diede retta; strinse solo la presa sulla tracolla terribilmente a disagio e annuì, in silenzio. Kisshu le si avvicinò di un passo e lei, inspiegabilmente, dovette premere con i piedi a terra per non uccidere il proprio orgoglio squagliandosela.

« Eravamo a pari o uno dei due vinceva? »

La punzecchiò e lei strinse i denti per soffocare il moto istantaneo di stizza:

« Togliti immediatamente quel sorrisetto dalla faccia, Ikisatashi – lo ammonì sprezzante – sono troppo stanca per farmi prendere in giro. »

« Come mi è mancata la tua dolcezza, passerotto inacidito! »

Strepitò gesticolando esagerato e Minto non gli diede udienza:

« A me tu nemmeno un po'. – sostenne antipatica – Scusami, ora devo andare… »

Prima che potesse voltarsi Kisshu le pizzicò piano una guancia dandole un bacio sull'altra. Minto ebbe la sensazione che le dita intente a pizzicarla avessero smesso immediatamente, quasi accarezzandole la gota, e poteva darsi che la bocca dall'altra parte – poteva darsi – le avesse sfiorato per un secondo le labbra, ma fu uno dei veloci e minuscoli schiribizzi di Kisshu; così com'era arrivato era finito e irriverente il verde le aveva strizzato l'occhio malizioso, beccandosi uno spintone contro la spalla.

Minto lo sentì ridacchiare perfino dall'ingresso, prima di sbattere la porta:

« Segniamo che sono in testa io? »

« Va a quel paese, cretino! »

 

 

***

 

 

Sury saltellò sul materasso ridendo e urlando contenta per le molle che la spingevano da tutte le parti, rotolando perfino a terra un paio di volte e scompisciandosi.

« Ma a cosa vai, batterie nucleari? – sbottò Ryou dalla porta – Guarda che devi dormire. »

Sury obbedì rimanendo ferma sul letto molleggiante e il biondo, sbuffando e borbottando a labbra strette, entrò frugando nell'armadio per recuperare un cuscino in più e una coperta.

« Grazie di prestarmi la tua camera, Ryou nii-chan. »

« Come se avessi altra scelta. »

« Sei antipatico! »

Lo sgridò la bambina e Ryou sospirò cercando di essere più malleabile:

« Hai ragione. Scusa. – indicò il letto con aria divertita – Vedi di non distruggermelo. »

Lei sorrise contenta e sistemò il cuscino preparandosi per dormire; Ryou la studiò aggiustarsi addosso il pigiama chiaro – di almeno una taglia più grande – e infilarsi sotto le coperte con la diligenza di un soldatino e gli venne da ridere:

« Ci tieni proprio a fare bella figura con Keiichiro, uh? Che fai così la brava bimba. »

« Guarda che io sono sempre brava. – lo corresse lei con pacatezza – E non voglio dare fastidio a Kei-chan. »

Il biondo schioccò la lingua prendendo atto delle sue parole e si convinse che non ci fosse nulla di più contorto e pericoloso di un bambino. Forse le donne.

Ahi, brutti pensieri prima di dormire.

Stava già uscendo quando si accorse che Sury aveva assunto un'espressione mogia. La bambina alzò lo sguardo per parlare, come avrebbe fatto con un altro adulto, ma parve riflettere su chi fosse l'adulto e cambiò idea riabbassando la testa; Ryou, sbuffando, tornò indietro e si sedette sul letto:

« Che c'è? Hai paura a stare da sola in una stanza che non conosci? »

Si ricordò che lui, appena trasferito in Giappone, aveva avuto enormi problemi a dormire e la domanda gli sembrò giusta. Sury lo ringraziò ma scosse la testa:

« Sai… Io lo so. »

Iniziò enigmatica:

« Lo so che quando Eyner e gli altri ritrovano i pezzetti di quella cosa luminosa, poi quando tornano a casa non possono più tornare nei posti dove sono stati. »

Strinse il lenzuolo probabilmente preoccupata di non dover sapere e Ryou le sorrise tranquillo:

« Sì, esatto. »

Sury iniziò a fare dei disegni con gli indici sulla stoffa:

« Il cerchio luminoso che porta qui è nato per uno di quei pezzetti, vero? »

Il biondo iniziò ad intuire e annuì soltanto.

« Quando prenderanno il pezzetto che c'è qui, il cerchio di chiuderà. Sarà come una porta con una pietra gigante davanti. »

Sospirò abbattuta:

« Casa mia e la Terra sono tanto, tanto, tanto lontanissime vero? »

Ryou tentennò sulla risposta:

« Temo di sì. »

Sury annuì grave:

« Mi piacerebbe stare ancora un po' con Kei-chan – ammise arrossendo – e giocare ancora un po' con le sorellone. »

Ryou l'ammirò intenerito e le diede un buffetto sulla testa; Sury sorrise e poi, controllando che attorno non ci fosse nessuno, lo raggiunse strusciando le ginocchia sul letto e gli bisbigliò all'orecchio:

« E se io non sono a casa Eyn può stare un po' da solo con Zakuro nee-chan. »

Il ragazzo la guardò sgranando gli occhi e lei, circospetta, continuò:

« Io lo so che si danno i baci di nascosto – sussurrò eccitata del segreto – però se ci sono io Eyner non le fa queste cose. »

Si sedette e giocò con uno dei lunghi ciuffi scuri:

« So che ad Eyn mancherà Zakuro tantissimissimo… Così possono farlo. »

« Fare che? »

Mormorò Ryou terrorizzato a sentire una bimba così piccola dire certe cose e lei sbuffò esasperata:

« I bacini! – bisbigliò ancora – Quelle cose che fanno i grandi. Sei proprio ingenuo! »

Il ragazzo si sforzò a morte per non ridere, o ritenersi offeso del commento:

« E tu come le sai certe cose? »

« Kisshu nii-chan. »

« Perché non me ne stupisco? »

Fece sarcastico passandosi la mano nella frangia.

« Mi ha spiegato che i grandi quando si vogliono tanto tanto bene si danno i baci e cose così. »

Ryou non commentò, anche perché gli parve una spiegazione fin troppo pudica per il verde e gli sarebbe dispiaciuto rovinare l'enorme sforzo che – di certo – aveva impiegato per darla. Sorrise affettuoso e accarezzò la bambina sulla testa:

« Sei una brava sorellina. »

Lei rise per un po' fiera del complimento finché Ryou, sbadigliando, non sospirò e si alzò:

« Su, ora dormi. »

« E tu esci. – disse perentoria – I maschi non devono dormire con le femmine. »

« Ah, mi scusi. »

La canzonò lui e Sury si corresse:

« Tranne le mamme e i papà. E i fidanzati. – aggiunse, e vedendo che Ryou tergiversava sull'uscio ridendo, si alzò e lo spinse fuori a cuscinate – Vai via. Maniaco! »

Gli fece la linguaccia ridendo e chiuse la porta.

« Sono appena stato definito maniaco da una bambina di sette anni? »

« Me lo stai chiedendo o me lo stai dicendo, Ryou? »

Rise piano Keiichiro uscendo dalla propria camera; il biondo non gli rispose e andò in bagno per lavarsi, bofonchiando:

« Domani sera però dormi tu sulla branda. »

 

 

***

 

 

Pai si riempì l'ennesima tazza di paina e guardò fuori il cielo scuro; la casa era avvolta nel silenzio, da ore non si sentiva più alcun movimento, ma la pace non gli era di aiuto per prendere sonno.

Gli ci era voluta tutta la settimana per blindare in un angolo della mente il pensiero di Retasu, ed era stato sufficiente vederla mezzo minuto il pomeriggio per rendere vano ogni sforzo.

Affondò il viso tra le mani esausto. Ancora non si capacitava di cosa avesse fatto, ma il rimorso svaniva sempre non appena ripensava a sette giorni prima.

La sua eccellente memoria gli si ritorceva contro, impedendogli di scordare il corpo di Retasu tra le braccia, le sue labbra morbide, la sensazione del suo volto rovente per il rossore. Il suo profumo lieve, dolce, e con un'inspiegabile e inebriante nota salmastra, così impercettibile da pensare fosse un'illusione eppure così intensa da penetrargli fino in fondo ai polmoni.

« Cosa diamine mi è venuto in mente…? »

Lo schiaffo della verde era stato molto meno doloroso del ritorno alla realtà, quando si era reso conto di cosa avesse fatto e aveva visto gli occhi di lei colmi di lacrime prima che scappasse via. Quelle lacrime erano cento volte peggio del sentirsi un idiota per l'insano gesto.

Ma la colpa era tutta sua. Sua che  aveva chiuso gli occhi e le orecchie alla realtà che alla fine gli era esplosa tra le mani.

Quando aveva riunito tutti alcune ore prima per dare i dettagli raccolti sulla nuova dimensione aveva spremuto tutta la propria fermezza per non distogliere lo sguardo da Retasu, quando questa era entrata nel laboratorio. Lei invece non aveva avuto la stessa forza e appena l'aveva visto aveva preso a tremare sommessa e aveva abbassato gli occhi, tentando invano di nascondere il pianto trattenuto a forza.

« Cosa diavolo ti è passato per la testa?! »

Si domandò ancora in un sibilo cacciando la testa indietro, a conti fatti era recidivo nel capire le cose solo quando era troppo tardi e a quel punto il suo cervello smetteva di essergli di aiuto. Gli venne quasi da ridere, l'ultima volta che era successa una cosa del genere era morto, e il motivo era stata sempre la ragazza dai capelli verdi.

Si alzò rassegnato all'insonnia decidendo di fruttare le ore vuote per finire di assestare il passaggio, di certo quel bacio era stato molto meno nobile di un sacrificio e aveva fatto danni ben più duraturi; poca importanza aveva che fosse stato un segno di accettazione dei propri sentimenti, era stato abbastanza per rovinare tutto: Retasu non riusciva a guardarlo in faccia, figurarsi perdonarlo. Gli sguardi minacciosi che gli avevano rivolto le sue amiche erano stati eloquenti quasi quanto le sue lacrime, inoltre ormai lei aveva trovato il terrestre dai capelli castani.

Il pensiero di Koichi e della sua faccia da bravo ragazzo gli inacidirono il paina nello stomaco.

« Merda. »

Kisshu ed Eyner avevano ragione. Era solo un idiota.

 

 

***

 

 

« Tu e Koichi… COSA?! »

Retasu annuì guardando per terra e Ayumi si sporse come una murena dalla scogliera sul tavolo del club, coprendo il lavoro che la verde stava cucendo.

« Ora mi devi spiegare! – protestò la rossa – Insomma, era perfetto! Era gentile, dolce, simpatico, un figo spaventoso. »

Elencò a bassa voce per non attirare tutti gli altri studenti presenti nella scuola semivuota:

« Perché vi siete lasciati?! »

« Ayu-chan, guarda che non siamo mai stati assieme… »

« Ma hai detto che non vi vedrete più! – contestò l'altra – Che è successo?! »

Retasu strinse il pupazzetto che stava cucendo – ironia della sorte, a forma di piccolo jeweliriano – e si morse le labbra ferocemente:

« Non posso frequentare ancora Nakayama senpai. »

« Ma perché?! – insisté Ayumi – Dammi una sola buona ragione. Una! »

« Perché mi piace un altro, va bene? »

La interruppe brusca tutto in un fiato. Ayumi la guardò ad occhi sgranati e si risedette, colpita dall'espressione sofferente dell'amica:

« Non me l'hai mai detta questa cosa. »

« Perché non volevo darle importanza – ammise – e siccome sono già stata rifiutata, volevo solo scordarmelo. Comunque, non avrebbe mai funzionato… »

« Aspetta, aspetta! »

La rossa riflettè un secondo ricordando il piccolo favore che le aveva chiesto MoiMoi tempo prima, quando avevano fatto sfoggiare Retasu nella sua mise speciale di fronte a tutti – cosa di cui si era scordata, dopo la comparsa di Koichi – aveva sempre pensato fosse solo per stuzzicare uno degli altri ragazzi, ma ora le cose avevano tutto un altro significato:

« Stai parlando per caso di quel ragazzo alto e dalla faccia truce? »

Retasu divenne scarlatta e parve pronta a scoppiare in lacrime; cercò di mettere qualche parola in riga e spiegare, ma ottenne solo un lamento sordo. Strinse il pupazzetto contro il viso nascondendo gli occhi lucidi, raccontare sarebbe stato ancor più difficile di quando aveva affrontato Pai il giorno prima, o quando aveva parlato con Koichi.

Si era sentita un verme quando aveva chiamato il suo senpai, però non poteva negare quanto aveva provato vedendo l'alieno dai capelli scuri, il giorno dopo il loro bacio: di qualunque origine fossero le emozioni che le scatenava dentro erano troppo forti per ignorarle e lei non riusciva a considerare Koichi come un sostituto o un diversivo altrettanto potente. Meglio, non voleva farlo; il suo desiderio sarebbe stato avere una storia vera con il bruno, piena e sincera, e se non era in grado di scacciare Pai dai suoi pensieri non era possibile continuare il suo rapporto con Nakayama. Quando gli aveva parlato non era scesa in particolari dettagli su chi fosse la persona che non riusciva a scordare, sebbene avesse temuto che nelle sue allusioni Koichi avesse capito a chi si stesse riferendo, ed era stata sicura di spezzargli il cuore dicendo di non poterlo più frequentare: il bruno in ogni caso le aveva sorriso accettando la cosa con malcelato dispiacere, dicendole solo di non cancellare il suo numero nel caso le cose con "l'altro" fossero finite del tutto, e rubandole un bacio veloce prima di andarsene con aria da cane bastonato.

Retasu  trattenne ancora un singhiozzo, da quando Pai l'aveva baciata non faceva che piangere a scatti in preda alla confusione. Non capiva perché Pai l'avesse baciata, non capiva perché in quel momento e così di colpo, non capiva il suo comportamento fino ad allora, non capiva niente di cosa gli passasse per la testa; a stento capiva cosa passasse per la sua.

Sapeva solo di essere arrabbiata, delusa, smarrita e ridicolmente felice, e di aver perso sia Koichi che Pai, che di certo orgoglioso com'era non le avrebbe perdonato lo schiaffo con cui lei aveva reagito.

Finì di raccontare i dettagli del pomeriggio con Pai e Ayumi, rimasta a guardarla basita, si alzò con sguardo feroce:

« Dov'è che lo ammazzo. »

« A-Ayu-chan? »

« Dov'è che lo ammazzo, quell'egoista bastard-! »

« Ayu-chan, ferma! »

Gemette la verde e si allungò per placcare la rossa per la vita prima che lei, calciando la sedia per uscire, si fiondasse fuori dall'aula alla ricerca di Pai:

« Ti prego, lascia perdere. »

« Lascio perdere un corno! – sbottò – Guarda che ti fa quel cretino! »

Le prese il viso tra le mani asciugandole gli occhi e le guance con un fazzolettino e sospirò preoccupata:

« Lo devo picchiare. »

« Lascia stare – la rassicurò la verde – preferisco così. »

« Questo non è un atteggiamento produttivo. – la rimproverò Ayumi posandosi le mani sui fianchi – Non vuoi che ti dia delle spiegazioni decenti? »

La rossa in realtà era convinta che a Pai servisse più che altro una dichiarazione decente, dato che una simile crisi di gelosia era una delucidazione sufficiente, ma Retasu scosse la testa:

« Ora devo concentrarmi su domattina. – disse sforzandosi di sorridere – Sarà probabilmente l'ultimo viaggio e vorrei andasse tutto liscio. »

La verità è che non voleva sapere e non voleva pensarci, non riusciva ad affrontare la matassa di pensieri che aveva in testa in quel momento.

Chissà, forse Ichigo si è sentita così negli ultimi tempi.

Ayumi aspettò le desse retta, ma la verde si mise solo a cucire il suo pupazzo. Sbuffando la rossa si arrese e si risedette, stavolta vicino all'amica e lavorò al suo fianco, la testa appoggiata alla sua spalla con affetto.

 

 

***

 

 

Eyner detestava gli ascensori, di tutte le invenzioni terrestri era quella che riteneva più vicina all'opera di un sadico: sospesi nel vuoto in una scatola, blindati come sardine, salendo e scendendo a tutta velocità, un inno alla tortura psicologica e non solo per chi soffriva di claustrofobia. Cosa che lui, con la torsione che gli prendeva lo stomaco ad ogni chiusura delle porte, si convinse di soffrire in maniera parecchio acuta.

Senza nulla togliere alla tortura fisica che stava subendo lui in quel momento, stretto in meno di due metri quadri assieme a Zakuro intenta a giocare con un ciuffo in completo silenzio. Eyner cercò di rilassarsi prendendo un bel respiro e concentrandosi sul ronzio dei binari in cui scorreva la cabina, la tensione della serata iniziava a diventare insostenibile.

L'assenza di Sury nei giorni precedenti aveva permesso alla mewwolf di far spesso visita a casa Toruke, pur se i mille impegni non le avevano mai concesso di fermarsi troppo, ma quella sera Zakuro gli aveva chiesto di raggiungerla. Eyner l'aveva ritrovata ad una piccola festa con alcuni colleghi e manager e ci aveva messo un po' ad inquadrare il motivo della richiesta, isolato nel suo angolino a studiare la mora impegnata in convenevoli e troppo intento a non dare nell'occhio.

« Vorrei mi accompagnassi a casa. »

Furono le parole che Zakuro gli sussurrò all'orecchio con tono basso e indecifrabile appena ne ebbe occasione ed Eyner non aveva risposto, perso a cogliere lo stesso fremito che lo prese nello sguardo di lei, seppur per una frazione di secondo. Ci era voluto ancora un po' prima che Zakuro potesse congedarsi e il bruno aveva passato tutto il tempo in disparte incapace di distogliere lo sguardo dalla sua immagine e maledicendo chiunque avesse fatto la magnifica scelta dell'abito della mewwolf.

Non avrebbe mai potuto immaginare un vestito più adatto a Zakuro di quello che indossava. Un sinuoso velo di seta nera che scivolava perfetto su ogni sua forma, voluttuoso, senza imperfezioni, quasi una seconda pelle. Uno spacco audace eppure elegante si esibiva sulla coscia destra, permettendo alle gambe nivee di lei di fare capolino ad ogni passo; da dietro, l'abito raggiungeva appena il limitare ultimo della schiena che poi lasciava scoperta, come le braccia e le spalle, salendo davanti a coprire il seno pieno e delineando un sensuale scollo a goccia. A reggere il tutto vi era un impercettibile nodo, un intreccio così sottile di stoffa da essere  appena visibile dietro al collo, mimetizzato dalle ciocche fini lasciate cadere accuratamente dallo chignon alto sulle spalle chiare.

Eyner aveva stretto forte il bordo del tavolo a cui era appoggiato, avrebbe voluto solo raggiungerla e portarla via dagli occhi famelici degli altri invitati; averla tutta per sé, per tutta la notte, per tutto il tempo del mondo. Solo loro due. Poter assaporare le sue labbra, la sua pelle; poter accarezzare ogni curva che quel maledetto vestivo non lasciava certo immaginare.

Aveva incrociato ancora lo sguardo della mora e la consapevolezza dei suoi pensieri era sembrata arrivare anche a lei, che era rimasta sospesa a osservarlo con sguardo liquido finché un ospite non l'aveva richiamata, costringendola a rompere con violenza il contatto e a fingere di non aver visto il bruno dall'altra parte della sala.

Dopo aver lasciato la serata non si erano più detti una parola fino al pianerottolo della mora, che era avanzata silenziosa e sinuosa quanto mai simile al lupo che era sul tappeto del corridoio, i piedi nudi e le eleganti – e, come di rigore, scomodissime – scarpe in una mano.

Eyner non seppe più che pesci prendere. Nemmeno la prima volta che erano stati insieme si era sentito così. L'elettricità tra entrambi era tale da pregare che trovasse soluzione, ma lui non riuscì più a capire cosa ne pensasse lei che pareva tornata calma e pacata, o indifferente a ciò che Eyner continuò ad avvertire formicolargli sulla pelle e nell'aria stessa.

Zakuro si avvicinò all'ingresso e socchiuse la porta; si voltò appena, la mano destra sulla maniglia e la sinistra che reggeva le scarpe lungo il fianco, restando ad ammirare il ragazzo immobile a meno di un metro da lei finché la luce del corridoio non si spense.

Eyner la divorò con gli occhi. La luce della luna, che filtrava dalla porta socchiusa, tratteggiava con minuzia il profilo perfetto del volto della mora , il fisico sensuale avvolto nella stoffa nera che riluceva argentea; riuscì a percepire ogni singolo movimento del suo corpo, ogni fruscio delle splendide gambe – Dio, quant'erano lunghe quelle gambe? – dietro la seta, ogni tremolio delle iridi blu, gli impercettibili respiri di solito così controllati divenuti di colpo brevi e inquieti.

Eyner non si mosse, teso incapace di muovere un muscolo nonostante tutto il suo essere lo pregasse di eliminare quei miseri centimetri che lo separavano dalla ragazza.

Poi nel silenzio percepì le dita di Zakuro sfiorare la sua mano e il brivido di quel misero contatto gli mozzò il fiato.

Non oppose alcuna resistenza quando lei, intrecciando le dita con le sue, lo tirò verso si sé; bastò il cenno e lui colmò il vuoto con una sola falcata, lasciando sfuggire a Zakuro un unico, fremente e profondo respiro.

Da un gelido spazio di corridoio vuoto si ritrovarono a avere appena un millimetro libero tra loro. Eyner resistette ancora un istante, irrigidito, godendosi l'impercettibile movimento che entrambi stavano compiendo con le labbra, sfiorandosi sovrappensiero, i respiri ormai roventi fusi uno nell'altro; la gota della ragazza che prese nel palmo destro era arrossata e calda contro la sua pelle, e il calore gli si trasmise fino al ventre espandendosi come una fiamma viva.

« Eyner. »

Servì solo quel sussurro impercettibile perché la tirasse a sé e la baciasse.

Le loro labbra sigillate le une con le altre, incapaci di allontanarsi anche solo per respirare: Eyner si gustò la sensazione secondo dopo secondo, all'infinito, baciandola con una lentezza quasi esasperante, una deliziosa tortura per entrambi ; sentì il leggero rumore delle scarpe della ragazza che cadevano e le sue mani passarono ad accarezzargli il torace ampio, mentre lui sfiorava con la sinistra l'elaborato chignon di lei, cercando frenetico un modo per districarlo e poter passare le dita tra quei setosi fili color glicine.

Ancora un bacio, e un altro, e un altro. Con un sospiro Zakuro si separò quel che bastò per guardalo negli occhi, una distanza infinitesimale che Eyner desiderò solo azzerare di nuovo, ma lei fu irremovibile nonostante le suppliche mute del suo sguardo; lo afferrò per una spalla e fece un passo all'indietro dentro casa: stavolta Eyner la seguì senza troppe cerimonie, chiudendo la porta dietro di sé con un tonfo.

Zakuro lo ammirò ancora, gli occhi del ragazzo le sembrarono la notte stessa, con il loro luminoso grigio che si spandeva nel blu più cupo del cielo: una notte carica di desiderio proprio come la mano che finalmente riuscì a farle cadere una cascata pervinca sulle spalle nude e le afferrò con dolcezza e piacere la nuca, accompagnandola ancora una volta verso di lui. La mora assecondò il gesto con impazienza e gli prese il viso tra le dita, percependo quelle di lui scivolare piano verso la cima del vestito e afferrare quel maledettissimo e misero fiocchetto che per tutta la sera gli aveva ammiccato tentatore.

Lo strofinio del filo che si scioglieva e il fruscio del vestito che si ammucchiava a terra furono nulla più che un mormorio, ma alle orecchie di Eyner suonarono potenti come una detonazione.

Mandò un basso grugnito soddisfatto intanto che le mani morbide e affusolate di Zakuro seguivano febbrili la linea dei suoi addominali sfilandogli la maglia e poi gli cingevano il torace, mormorando il suo nome nell'orecchio. La mora rise piano sentendosi sollevare e il respiro le tremò in gola al contatto fresco e piacevole con il letto; aiutò il bruno a disfarsi degli ultimi impicci di stoffa e lo tirò meglio con sé sul giaciglio sorridendo sorniona.

« Non mi piace quell'espressione. – borbottò Eyner posandole leggeri baci sulle labbra – Sei troppo lucida. »

E ricalcò la frase con un lento bacio sul suo collo nelle ultime parole, inebriato dal profumo e dal sapore della sua pelle; la sentì ridacchiare accostando il bacino al suo:

« Chi ti dice che io sia lucida? »

Rise ancora ed Eyner la baciò con ardore, sorridendo lievemente. Zakuro mandò un gemito roco aggrappandosi alla sua schiena ed Eyner credette che avrebbe dimenticando anche come si faceva a parlare, tanto sentì incepparglisi il cervello. Le lambì lentamente la curva della schiena scendendo fino alla coscia e tirandola con prepotenza contro di sé, trovando intollerabile averla appena più distante.

« … Zakuro… »

Le solleticò il collo con la punta del naso e la sentì sospirare in uno strano misto di riso e passione. Eyner le scivolò languidamente sul collo, beandosi della sua morbidezza e degli intervalli tra i suoi respiri, lievi eppure così caldi e frementi; voleva esplorare ogni centimetro, ogni angolo di lei come non aveva mai fatto per potersi incastrare perfettamente, ancora di più, ancora più vicino.

« Sei bellissima… »

La ascoltò mandare un bizzarro sbuffo e sollevò appena lo sguardo poggiandosi sulle mani:

« Cos'è, siccome te lo dicono tutti ora ti faccio ridere? »

Zakuro si tirò più su in modo da raggiungerlo e gli afferrò il viso scorrendogli tra le ciocche castane dei capelli con le dita:

« Importa solo se me lo dici tu. »

Eyner rise piano e riassaggiò estasiato le sue labbra tumide e rosee. La studiò malizioso posandole un veloce bacio sulla gamba e scese a piccoli passi verso la coscia godendosi i leggeri sospiri della mewwolf, rallentando un poco ogni volta che la sentiva sussurrare il suo nome.

« Uh? Cosa c'è? »

Zakuro lo guardò interrompersi un attimo e s'irrigidì notando dove posava il suo sguardo: Eyner non l'aveva mai visto fino ad allora, ma proprio lì, sulla curva interna della sua coscia destra, c'era un piccolo segno pallido, una linea storta orrido ricordo del suo pessimo incontro ravvicinato con Toyu. Zakuro aveva sperato che svanisse da sola, ma una volta rimarginata e pure coperta con tutte le creme che era riuscita a trovare in circolazione, un po' della sua pelle era rimasta più chiara sulla traccia del morso.

La mora divenne cupa e cercò di ritrarsi, ma Eyner le afferrò con delicatezza e decisione la gamba e le sorrise; Zakuro avvertì la sua bocca muoversi lentamente sulla cicatrice e strinse le labbra, non riuscendo a trattenere un breve tremito. Quando Eyner si rialzò, posandosi con il mento sul suo ginocchio e sfiorandole distrattamente l'arto con l'indice, un nuovo segno rossastro e rotondo spiccava sull'incarnato niveo coprendo quello sottostante. La mora sorrise dolcemente:

« E questo che sarebbe? »

Eyner si stese sopra di lei sorridendo amorevole e furbo:

« Mia. »

Zakuro rise deliziata di quella voce calda e bassa e si strinse con le cosce sul suo torace, avvertendo con un po' di soddisfazione il suo respiro sussultare:

« E tu? »

La baciò ancora prima di ricominciare a perdersi su di lei, e come risposta sembrò bastarle.

 

 

***

 

 

La sveglia fu abbattuta con un crudele manrovescio e Ryou si girò mollemente sulla pancia, affondando la faccia nel cuscino con un grugnito lamentoso.

Come regalo di Natale voglio tre giorni di sonno. Continuativi.

Rimase in quella posizione finché non udì un leggero bussare alla porta e quindi si mise seduto, sbadigliando e biascicando di entrare.

« Buongiorno Ryou nii-chan. »

Il biondo rimase con una palpebra a mezz'asta a fissare intontito il faccino sorridente di Sury, già lavata e vestita di tutto punto, che lo guardò severa:

« Kei-chan dice che è pronta la colazione. Scendi che sei in ritardo. »

Così dicendo la bambina gli spalancò la porta inondando la stanza di altra luce – e strappando al ragazzo un lamento sofferente per i raggi solari che gli ferirono gli occhi – poi trotterellò di sotto canticchiando a mezza bocca.

Ryou impiegò un paio di minuti a riprendersi dal trauma di tutta quella luce e altrettanti a connettere il perché della presenza di una bambina lì dentro, ricordandosi lentamente di chi si trattasse e del perché fosse lì.

« La vivacità dei bambini dona proprio la carica per la giornata, non trovi? »

Alla domanda di Keiichiro, che pietoso gli aveva portato una tazza di caffè direttamente in camera, Ryou rispose solo spostando un po' la mano con cui si stava sfregando la faccia, tirandola tutta da un lato in una smorfia ben poco partecipe:

« Già. Ti fan proprio venire voglia di produrre altri emettitori di ultrasuoni invadenti e petulanti… »

Kei sorrise e gli porse il caffè che Ryou ingollò per metà, pregando di svegliarsi, e dopo il bruno aggiunse allegro:

« Ho ricevuto un messaggio da Pai-san. »

« Altre belle notizie appena svegli? »

Domandò sarcastico il biondo. Keiichiro sorrise ancora senza scomporsi allo sguardo interrogativo di lui:

« Ottime notizie. »

 

 

Ichigo si godette il golfino leggero per una mattina, scuotendo la testa per scacciare il piccolissimo brivido che le salì lungo il collo:

« Vabbè che è presto, ma non osare far passare il caldo. – borbottò allungando l'indice verso il sole – Voglio andare a godermi un po' d'estate! »

« Ma non fa mica freddo, nee-chan. »

« Nemmeno caldo – rimbeccò la rossa lugubre – e non penso che andando verso settembre le cose miglioreranno. »

« Dai Ichigo-san, anche se Agosto è quasi finito il caldo durerà ancora un po'. »

« Non consolarmi! – si lagnò melodrammatica – Insomma, io volevo andare al mare, nyaah! »

« Ti sembra il caso di pensare al mare? – la rimproverò Minto, ancora insonnolita e irritata dai suoi borbottii – Direi che abbiamo altre cose di cui occuparci. »

« Tu parli bene, che bianca come sei sembri una bambolina – mugugnò la rossa – io sembro solo tofu scaduto. »

« Noto come sempre che le tue priorità viaggiano su cose estremamente profonde, Momomiya. »

La rossa storse la bocca e squadrò con un'occhiataccia Ryou, in piedi fuori dal Cafè con le braccia conserte e l'espressione supponente.

« Come rovinarsi la giornata. »

« Vedi di pensare a cose più serie – la sgridò ancora il biondo, atono – dobbiamo andare. »

Ichigo sbuffò e seguì lui assieme ad Eyner e Zakuro, arrivati prima, dentro il portale per Jeweliria; le ragazze immaginarono che si sarebbero diretti al nuovo passaggio, invece Ryou puntò verso la zona in cui fino ad un mese prima sorgeva il centro ricerche. Le ragazze si guardarono confuse e solo Eyner, con aria divertita, parve aver intuito o sapere qualcosa.

« Che succede? »

« Ora lo scoprirai. »

Disse misterioso e Zakuro lo fissò allusiva:

« E quando avresti scoperto questa cosa? »

« Mentre ti stavi cambiando. »

Lei tentò di decifrare il suo segreto desistendo dopo pochissimo e si scambiarono un sorriso complice. Minto, lì vicino, grugnì per nulla discreta – non le era sfuggito che il bruno fosse il solo degli alieni presenti, per giunta arrivato assieme alla mewwolf – e chiese pungente:

« È qualcosa di cui sarebbe il caso ci informassi? »

Zakuro le scoccò un'occhiata di rimprovero, a cui la mewbird rispose mettendo un broncetto colpevole e voltando la testa, ed Eyner ridacchiò appena:

« Una sorpresa. »

Passarono sul crinale e con stupore videro una nuova struttura dove prima sorgeva il laboratorio: era molto più semplice del vecchio edificio, ma l'idea con cui era stato costruito ricalcava il suo predecessore; fuori dall'ingresso Kisshu li stava aspettando stiracchiandosi annoiato, assumendo un sorriso furbetto appena si accorse del loro arrivo:

« Siete in ritardo. »

Scesero veloci le poche scale che li separavano dal salone principale della struttura, l'unico già ricostruito; era molto più spoglio di prima e c'erano molti cavi e pezzi abbandonati lungo le pareti, solo da una parte un grosso monitor spento con la sua plancia di comando faceva bella mostra di sé.

« Quanti favori hai riscosso dalla sezione scientifica per rimettere tutto in piedi in così poco tempo? »

Domandò Eyner divertito a Pai e il moro fece un cenno evocativo con la testa. Le ragazze si scambiarono altri sguardi confusi, c'erano tutti all'appello Sando compreso, e non c'era decisamente l'atmosfera di una partenza; eppure, fu chiaro a tutte che i ragazzi sapessero qualcosa.

« Ci dite che sta succedendo? »

Sbuffò Minto incrociando le braccia e Kisshu schioccò la lingua:

« Chi ti dice che stia succedendo qualcosa, cornacchietta? »

« Il fatto che vi si legge in faccia che state nascondendo qualcosa. »

Gli rimbeccò secca e lui sorrise furbo:

« Intuitiva. »

Lei, già ben irritata di suo, fu sul punto di investirlo a male parole quando dei passi dall'altra parte della stanza la interruppero. Una seconda porta sul fondo si aprì e una voce ben nota annunciò teatrale il proprio arrivo:

« Buongiornooo ! »

MoiMoi spalancò le braccia come un divo sul palco e fece appena due passi nel laboratorio prima di finire circondato dalle ragazze, che lo inglobarono in un ammasso di abbracci e risate.

« Nee-chan! »

« Quando ti hanno fatta uscire?! »

« Hai un aspetto meraviglioso! … Ma chi ti ha fatto quest'acconciatura terribile? Con il fiocco… Com'è fuori moda! »

« Pianta di essere così malevola, Minto! »

La mewbird studiò divertita la rossa arrabbiata e poi entrambe tornarono a stritolare MoiMoi; nessuna di loro volle sapere di liberarlo dai loro abbracci almeno per i primi dieci minuti.

« Mi sembri in forma, senpai. »

Ridacchiò Kisshu e MoiMoi gli rispose sollevando dal marasma una mano in segno di vittoria:

« Ake ha detto che posso tornare al lavoro – disse, allentando appena la stretta soffocante di Purin sul suo collo – a patto che non faccia sforzi. »

« Tradotto, Ake si è arreso e per non ucciderti ti ha dimessa. »

Lo stuzzicò Kisshu e Pai gli diede corda:

« E ciò vuol dire che dovrò controllare ogni cosa che fai… »

« Come siete cattivi! – protestò – Ho detto che farò la brava. »

« Certo, e noi ci crediamo di non trovarti tra cinque minuti appesa a testa in giù ad avvitare un bullone grosso come la tua testa! – la canzonò Taruto – Senpai, tu sei come Pai, se non vi ammazzate di lavoro non siete contenti. »

Sia Pai che MoiMoi lo guardarono male.

« Siete antipatici! – proruppe il violetto – Dovreste salutarmi come stanno facendo loro! »

Gli fece una linguaccia e loro risero.

« Sappiate tutti che io non me ne vado da qui nemmeno con le bombe! – trillò Purin spiattellata sulla schiena del ragazzo – Voglio spupazzarti ancora un po'! »

Ridacchiò sfregando il naso contro la maglietta; spuntò dalla stoffa solo con uno degli occhietti castani cercando Pai, come a chiedere il permesso, e con sua sorpresa il moro sospirò divertito:

« Abbiamo già deciso di partire più tardi – la rassicurò piatto – visto che la senpai lo ha chiesto. »

Purin rise e ricominciò a stringere il violetto tra le braccia, seguita dalle altre che si abbarbicarono le une sulle altre in modo così goffo da far scoppiare gli altri a ridere.

Solo Sando non si unì alla loro allegria, restandosene in un angolo a guardare finché non riuscì più a resistere, né a mantenere la faccia indifferente.

« Dove vai senpai? »

Il verde si bloccò seccato, aveva sperato di non essere visto nell'entusiasmo collettivo:

« … A fare due passi. »

Taruto non smise di fissarlo e si passò una mano sul collo:

« Io… non credo che tu sia onesto, senpai. »

« Come dici scusa? »

Il brunetto abbassò appena la testa, dispiaciuto di rimproverare il proprio mentore, ma poi fu attirato da un vociare più forte di MoiMoi e ripetè fermo:

« Non credo che tu sia onesto. »

Sando schioccò la lingua colpevole e non rispose, andandosene nella stanza accanto.

Il fracasso sull'altro versante invece continuò imperterrito finché Ichigo non propose euforica:

« Andiamo al Cafè, ci vuole qualcosa di speciale per il tuo ritorno! »

« Ti hanno preceduta – fece Ryou – Kei a quest'ora avrà ribaltato tutta la cucina. »

MoiMoi si leccò le labbra all'idea di un dessert di Akasaka e le ragazze lo liberarono dal loro placcaggio. Si avviarono tutti fuori in un'atmosfera stranamente molto rilassata, ma MoiMoi invece dopo una scorsa alle schiene familiari parve ricordarsi di qualcosa; rallentò il passo rimanendo indietro e si guardò attorno finché non la vide, fermandosi del tutto.

« Che c'è senpai? »

Alle parole di Eyner il violetto si girò a malapena, indietreggiando di un paio di passi nervoso:

« Io… Faccio ancora una cosa. – bofonchiò distratto – Voi andate avanti. »

Gli occhi dorati puntarono fissi sulla porta dal lato opposto.

« Ma come?! Dai, nee-chan, andiamo! »

Eyner, capendo, fermò Purin da altre proteste:

« È una cosa velocissima – la rassicurò spingendola su per le scale – noi intanto andiamo, o conoscendo Kisshu non ci sarà niente per il suo arrivo. »

Purin annuì poco entusiasta e obbedì, mentre Eyner strizzò l'occhio a MoiMoi che gli sorrise con gratitudine.

Il violetto prese un bel respiro ed eliminò con quattro falcate la distanza tra sé e la porta, afferrò la grossa maniglia di metallo e spinse, entrando circospetto e scrutando attorno cercandolo.

Trovò Sando in piedi di fronte ad un cilindro uguale a quello in cui avevano custodito le gocce di Mew Aqua, completamente immobile a fissare la teca vuota, le braccia conserte. Lui non si accorse della presenza di MoiMoi e sobbalzò sentendo la sua voce chiamarlo:

« C-ciao. »

Il violetto si sentì un idiota a mormorare a quella maniera, Sando non avrebbe mancato di fargli notare il balbettio con un commento pungente. Invece alle sue orecchie arrivò una nota bassa, la voce di quando Sando si sentiva colpevole, e la stessa di quando era molto felice e non voleva farlo vedere:

« Ciao… »

Tentare di nasconderlo a lui era inutile quanto tentare di radersi con un rasoio senza filo e il verde lo sapeva benissimo. Il violetto aveva di certo capito quanto fosse felice di vederlo di nuovo lì in piedi e sorridente; come doveva sapere che vederlo agitava il suo senso di colpa al punto da farlo star male.

MoiMoi non provò nemmeno a parlargli, né a rimproverarlo perché non era mai andato a trovarlo da sveglio. Pian piano gli si avvicinò e, cauto, gli sfiorò delicatamente la mano ferita ancora coperta dalle bende; Sando fece per ritrarla, ma la presa gentile dell'altro era irremovibile e lui, incapace di opporglisi, gli lasciò tenere il palmo fra suoi, al cui confronto parvero perfino più piccoli.

« … Ti fa male? »

Domandò sottovoce. Sando grugnì in diniego:

« Guarirà con poco, ormai. »

Siccome lui proseguì a fissarlo severo, fu costretto ad aggiungere:

« Dicono solo che impiegherò un po’ a riacquistare tutta la mobilità della mano e del polso. »

Percepì le dita di MoiMoi avere uno scatto nervoso.

« Tornerò come nuovo. »

Insistè, ma l'altro scosse la testa:

« Ti fa male. »

MoiMoi si sentì sfiorare appena i capelli corti e alzò la testa; Sando lo guardò sofferente:

« A te ha fatto più male. »

« Ma le mie ferite sono già guarite… »

Non sembrò una scusa valida per Sando, che non smise di sfiorare coi polpastrelli la punta di quei ciuffi viola pallido, quasi non credesse al fatto di vederli così. MoiMoi deglutì nervoso sforzandosi di non dare peso al gesto senza particolare significato e disse piano:

« Non mi potevi aiutare, Sando. »

« Invece sì. – protestò – Dovevo essere lì. »

« Ti avevano chiamato al Consiglio. Non… »

« Dovevo essere con te. »

Ribadì impedendogli di replicare. Si prese la fronte nella mano sana soffiando tra i denti:

« Cosa cazzo serve un cane se non è nemmeno in grado di difendere ciò che deve?! »

« Sando… »

« Lo sapevamo che prima o poi ci avrebbero provato! – continuò – Lo sapevo! Ma sono stato idiota e non ho mai pensato che qualcuno da dentro avrebbe…! Idiota! Sono stato…! »

« Sando! »

Il verde si fermò intimorito. MoiMoi non aveva urlato, ma la sua voce aveva tremato forte, scossa da qualcosa che Sando non capì, o non poté, capire. O aver capito.

Sicuramente capito male, intuito male.

Sempre più rosso in viso, palesemente intimorito da ciò che stava facendo, MoiMoi si avvicinò la sua mano al viso e se la strinse forte contro la guancia. Sando pensò che uno dei dannatissimi cavi elettrici che giravano li attorno dovesse essersi sbucciato e così gli aveva dato la scossa, o non si spiegò il sussulto secco che nel giro di un secondo gli era passato dalle dita fino alla testa.

« Ti prego… Basta. –  mormorò MoiMoi – Non fare così. »

Io non credo che tu sia onesto, senpai.

Già, non lo era.

« … Scusa. »

Lasciò che continuasse a tenergli la mano stretta contro il viso e iniziò distrattamente a sfiorargli la guancia pallida con il pollice. Quando senza preavviso gli posò l'altra mano sulla gota opposta, sollevandogli il viso, MoiMoi smise di respirare.

« D'ora in avanti, però, non ti lascerò più da sola. »

Il violetto non ribatté. Impietrito, le labbra socchiuse per dire una parola che nemmeno lui sapeva, lo studiò con le iridi dorate tremanti, timorose di avere risposta alla domanda per quel gesto.

« Hai… Hai il servizio di guardia… »

« Della tua, scimunita. – gli sussurrò – Visto che sei in grado solo di cacciarti nei guai se non ti controllo da vicino. »

« Sando n- »

« Stai zitta. »

Lo tirò a sé e lo baciò piano come temesse di vederlo scappare e al contempo frenetico, incapace di scegliere nell'agitazione se chinarsi ulteriormente verso di lui o tirarlo su ancora di più. MoiMoi lo assecondò,  felice, liberandolo dell'annosa scelta portandogli le braccia al collo e allungandosi quanto più potè sulle punte dei piedi e pure così – per la prima volta in vita sua si chiese perché diamine fosse così basso – Sando dovette lo stesso piegarsi quasi a metà.

« Hai visto? – lo sentì dirgli rauco – È sempre meglio se chiudi quella boccaccia chiacchierona. »

MoiMoi sorrise imbambolato, domandandosi come avesse fatto a resistere fino a quel momento a quella voce che gli lambì così dolcemente le orecchie.

« E che ci dovrei fare? »

Sando si sedette su un grosso tubo di metallo alle sue spalle, senza lasciarlo, e lo tirò fra le sue ginocchia costringendolo ad accoccolarsi sul suo petto:

« La stessa cosa che stavi facendo fino a tre secondi fa, ebete… »

 

 

***

 

 

MoiMoi e Sando spuntarono alla piccola festa non molto dopo che gli altri avevano già cominciato a fare onore al tutto dando fondo al buffet allestito da Keiichiro. Appena il violetto fu nel raggio visivo delle ragazze e loro si accorsero della sua espressione, il poverino fu circondato da cinque fameliche belve assetate di pettegolezzi; lui tentò di svicolare riempiendosi la bocca di dolci, ma le altre non mollarono la presa e gli ronzarono attorno assillanti finché Pai e Ryou non decretarono di aver tardato anche troppo la partenza.

« Dobbiamo attraversare il passaggio e ridurlo prima di avere nuovi problemi. – sentenziò inespressivo il moro – Abbiamo cincischiato a sufficienza. »

« Sei un ghiacciolo senza cuore anche con i tuoi amici. »

Ringhiò a denti stretti Ichigo.

« Puoi anche restare qui ad ingozzarti, per quel che mi riguarda. »

La rossa si impettì iniziando ad emettere un lungo e acutissimo pigolio tipo bollitore da the e tuonò:

« Tu…! Sei davvero…! Un gigantesco e insensibile pezzo di m-! »

« Credo sia davvero il momento di andare. »

Ryou la interruppe prima che scatenasse un uragano, e appena provò a sfiorarle la spalla lei scattò all'indietro trucidandolo con occhi di cioccolato rovente:

« Sempre pronto a sorvolare sui discorsi scomodi, eh? »

Ryou divenne terreo in volto e ricambiò l'occhiata con una altrettanto furiosa, drizzando la schiena. Tutti, MewMew in testa, retrocessero di un passo pronti all'esplosione vocale della rossa, invece Ichigo reagì studiando da capo a piedi il biondo con feroce biasimo; alzando il mento imperiosa raccolse un po' di piatti usati e li portò in cucina, silenziosa e accusatrice, e sbattè i piatti nel lavello schizzandosi con un po' di cioccolato. Sbuffò stizzita e andò a darsi una lavata facendo finta di non vedere Ryou, la pazienza già provata completamente esaurita, imprecare tra i denti e correrle dietro ben deciso a continuare la discussione.

« La damigella ha delle rimostranze da fare? »

« Sparisci, Shirogane. »

Lo interruppe lei passandosi un fazzolettino inumidito sulla maglietta e protestando a bassa voce tra sé per i risultati scarsi:

« Non vale proprio la pena parlare con te. »

« Perché, tu parleresti? – rise aspro – Avevo l'impressione che urlassi e sputassi sentenze. »

Ichigo sbattè la pallina molliccia di carta fradicia nel cestino e fece per uscire senza rivolgergli parola, ma invece il biondo le rovinò addosso con un lamento e immediatamente dopo la porta si chiuse con il rumore della chiave che ruotava.

« What the fuck?! »

Ichigo si appoggiò alla porta cercando inutilmente di aprire e la voce di MoiMoi la sgridò:

« Non uscirete finché non vi sarete dati una calmata. – sbottò perentorio – Mi partissero i punti se vi faccio partire così… Isterici. »

« MoiMoi-chan, stai scherzando?! – gemette la rossa scuotendo la maniglia – Dai apri! »

« MoiMoi-san, non è divertente! »

« Nemmeno voi due siete proprio esilaranti. »

Constatò sarcastico:

« Cercate di essere adulti e, se non ne siete in grado di parlarvi – aggiunse velato – quanto meno finitela di scannarvi. »

I due tacquero un secondo prima di riprendere a sbattere contro il legno chiamandolo a gran voce, ma lui li ignorò e tornò nel salone.

« Lo hai fatto per davvero? »

« Di cosa stai parlando Eyn-chan? »

Il bruno fece un sorriso sghembo alla sua espressione indifferente.

« Senpai. »

« Oh, placa la bile Pai-chan – lo fermò il violetto brusco – ce ne sarebbe anche per te. »

Lo fissò e il moro contrasse appena la mascella riconoscendo il minaccioso sorriso di quando MoiMoi covava ramanzine pesanti – e seppe subito che la ragione era il suo comportamento delle ultime settimane – e ringraziò che le priorità lo salvassero almeno fino al loro ritorno.

« Bisogna partire ad animo sereno – continuò il violetto più pacato – intanto che Ichigo-chan e Ryou-chan si danno una calmata, io finirò di impostare i connettori per il passaggio così potrò restringerlo una volta che lo avrete attraversato. »

« Ma tu non ti dovevi riposare? »

Domandò Sando e il violetto ne sfuggì lo sguardo:

« Ma non è mica faticoso… »

L'altro lo studiò irremovibile e attento, finché non avvertì gli altri fissarlo divertiti e si girò scoprendo i carini ferini:

« Beh, che c'è?! »

« Niente, senpai – negò Kisshu con un sorrisetto malizioso – non farti venire un embolo. »

« Lo faccio venire io a te un embolo. E levati quel ghignetto dalla faccia! »

« Sando-san, ti prego ti verrà davvero un colpo. »

Sospirò Zakuro vedendo la sua faccia scarlatta .

« Piantatela tutti e vediamo di muoverci. – sbuffò Pai già stanco – MoiMoi. »

Il violetto fece un cenno militaresco con la mano e lo seguì assieme ad Akasaka, con Pai che inspirò pesantemente sperando che bastassero pochi minuti e poi si potesse finalmente partire. 

 

 

« Piantala, tanto non ti aprirà. »

Sospirò Ryou reggendosi al muro. Ichigo gli scoccò un'occhiataccia e continuò ad trafficare tentando di uscire.

« È tutto per colpa tua! »

Sbottò lei con la lingua stretta tra le labbra senza smettere di torturare la serratura.

« Mia?! »

« Certo! Se non fossi sempre così insopportabile…! »

« Aspetta – rise sprezzante lui – staresti incolpando me dei deliri mentali di MoiMoi?! »

« Non ti azzardare a metterla in mezzo! »

« Veramente è lei che ha messo in mezzo me, chiudendomi qui dentro. »

Puntualizzò. Ichigo schioccò la lingua irosa e tornò a martoriare la maniglia.

Ryou si appoggiò al lavello sbuffando, gli ci vollero due minuti del cigolio del pomello per trovare la ragione del gesto impiccione di MoiMoi ed ebbe il fortissimo desiderio di picchiarlo.

Inspirò a fondo nel tentativo di calmarsi e riprendere un minimo di contegno, ma il risultato fu scarso: nel piccolo bagno di servizio lo spazio era poco e il profumo dolce di Ichigo lo colpì come uno schiaffo, attorcigliandogli lo stomaco.

Ichigo intanto smise un istante di armeggiare con la porta e tirò un calcio alla cornice, esasperata:

« Accidenti! »

« Potresti evitare di rompermi il locale? »

« Sai sempre la cosa giusta da dire al momento giusto. »

Gli sibilò sarcastica.

« Ti riferisci a prima? Che dovevo fare, lasciarti sgozzare Pai? »

« Hai idea del suo comportamento negli ultimi tempi?! »

Ryou incrociò le braccia e non le rispose.

« Si meritava ben più di una strigliata! »

« Non credo che sia compito tuo. »

« Piantala di parlarmi con quel tono di superiorità! »

Strillò a pieni polmoni e Ryou  sussultò zittendosi.

« Fai sempre così! – insisté lei mentre le spuntarono coda e orecchie feline – Credi di essere sempre superiore agli altri, sempre al di sopra di tutto! »

Gridò rizzando il pelo nero:

« Non ti rendi conto che quello che dici potrebbe avere un peso?! »

Ryou si contrasse e strinse ancor di più le labbra, ignorando l'allusione:

« Mi risulta di non aver detto nulla di sbagliato. »

« Non prendermi in giro! – gli soffiò – Sai benissimo di cosa sto parlando! »

Lui si mise a rimirare il lavello e Ichigo lo apostrofò:

« Allora te lo ricordi. – rise aspra e la sua voce si abbassò amareggiata – Razza di bugiardo. »

Il biondo schioccò i denti colto in castagna e la vide riprendere a ciondolare con la maniglia, pur con meno energia, e vedendo il suo viso triste gli venne quasi la nausea:

« Come se avesse importanza. – disse solo a bassa voce – E smettila di giocare con quella benedetta porta! »

Lei diede altri due forti colpi al metallo, esasperata:

« Ha importanza per me! »

Sbottò tremula e Ryou si passò rabbioso una mano nella frangia:

« Certo – rise velenoso – e al tuo Aoyama non pensi? »

Lei gli scoccò un'occhiata omicida da sopra la spalla senza rispondergli. Il biondo la guardò scuotere il piccolo pezzo di ferro con un fastidioso cigolio e ripensò con odio al sorriso perfetto di Masaya, che nell'ultimo mese aveva di quando in quando fatto capolino al locale con la sua solita, detestabile aria di cortesia:

« È già tornato in Inghilterra? – insisté acido – Immagino di sì, altrimenti non avresti tirato in ballo simili stupidaggini c- »

« Io e Masaya-kun non stiamo più assieme, brutto stupido! »

Con un ultimo sfogo Ichigo spinse sulla maniglia e la porta si spalancò con un terribile cigolio di legno. La rossa arrancò contro il muro del corridoio per lo slancio, sospirando trionfante, e fronteggiò Ryou con il viso rosso di rabbia; lui invece era rimasto con le braccia appena sollevate e non si muoveva più, basito, con gli occhi sgranati come piatti:

«… What…? »

« Ci siamo lasciati appena tornati da Szistet. Siamo rimasti… Amici, diciamo. »

Aggiunse più piano lei, quasi impaurita a dirlo, e poi subito ricominciò ad inveirgli contro:

« Ma in fondo, a te cosa importa, no? – chiese sarcastica – Del resto hai detto solo delle gran stupidaggini! »

Rincarò facendogli il verso:

« E io non ho tirato in ballo l'argomento perché c'era Masaya-kun, non perché un certo cretino di mia conoscenza abbia smesso di rivolgermi la parola! »

Ryou si domandò se stesse sentendo bene e non riuscì a dire nulla; Ichigo sbattè i piedi prendendo il corridoio, poi cambiò idea, tornò indietro e afferrò la maniglia scuotendo la porta avanti e indietro, così arrabbiata da iniziare a miagolare:

« E dovresti riparare la tua porta, signor capo, perché questa serratura è difettosa e da parecchio! »

Lanciò la porta contro il muro e tornò in salone soffiando e miagolando improperi contro il biondo.

 

 

***

 

 

Il nuovo passaggio si era aperto non lontano da quella che, fino a poche settimane prima, era stata la zona colpita dalla mancanza di MewAqua; un'erbetta tenera aveva iniziato a ricrescere sul terreno nero e arido, allungandosi con fatica sull'ultimo lembo dove, per l'assenza del Dono, non aveva la forza di attecchire.

Sia Pai nei giorni precedenti che MoiMoi in quel momento, alla plancia di comando, si erano stupiti che un passaggio così difficile da stabilizzare conducesse ad un pianeta della loro dimensione.

« Probabilmente è per la distanza – aveva riflettuto il violetto ad alta voce – questo posto sembra essere sui confini più estremi del quadrante, non ho nemmeno idea di come si chiami. »

« Lirophe. – aveva solo aggiunto Pai laconico – Le cose davvero importanti da sapere sono che non ha mostrato alcuna particolare anomalia atmosferica o di tempo. Dovrebbe facilitarci il lavoro. »

Il violetto aveva sorriso, ma non era convintissimo dell'affermazione.

Ichigo e Ryou erano tornati indietro sì più calmi, ma lui pareva essere passato sotto ad un tram e la rossa ancora fumava di rabbia; nemmeno Pai aveva un gran bell'aspetto, MoiMoi riusciva a sentire il suo cervello lavorare senza posa e sapeva per certo la ragione, guardando la povera Retasu sforzarsi di apparire indifferente restando il più lontano concessole dal moro.

Quando torna li farò uscire il sangue dalle orecchie a furia di sgridarli, quei brutti stupidi!

Il gruppo saltò nel passaggio e sbucò nell'angolo appartato di una piazzetta. Si acquattarono nell'ombra per fare mente locale su come muoversi e dove andare, si erano trovati in un piccolo angolo di un mercato, schiacciato tra grossi palazzi e casupole cubiche dall'aria povera; era tardo pomeriggio, ma attorno tutto fremeva ancora di attività permettendo ai ragazzi di inserirsi nella folla e prendere a camminare senza essere notati.

Lirophe era un pianeta luminoso e pacifico, ma l'aspetto di abitanti ed edifici era una strana accozzaglia di stili diversi: i palazzi più grandi avevano il design di torri medievali dalle pietre chiare, le costruzioni più piccole erano ruderi di legno e mattoni; gli abitanti indossavano abiti informi simili a palandre, o lunghi calzoni stretti in cui erano state infilate camice dai colori sgargianti, altri ancora avevano abiti dal sentore arabeggiante. Probabilmente nessuno avrebbe fatto caso ai terrestri o ai jeweliriani, comunque loro per sicurezza tennero attivi gli scudi e iniziarono a perlustrare per capire quante informazioni e quali si potessero reperire dagli abitanti chiacchieroni.

Camminarono per un po', il pomeriggio che divenne quasi tramonto, finché un deciso fracasso non li distrasse.

« Che sta succedendo? »

« Sembrerebbe che qualcuno sia nei pasticci. »

Constatò Ryou sbirciando il baccano e l'agitarsi della folla ad una decina di metri da loro.

« Tanto non sono fatti nostri, Kisshu – lo rimproverò Pai per la domanda – avanti, diamoci una mossa prima che diventi buio. »

Ci fu un botto che coprì le sue parole, strilli, e la folla si agitò di più aprendosi e chiudendosi al passaggio di qualcosa. Purin, curiosa come al solito, si protese il più possibile in avanti per vedere e scorse appena in tempo una figura incappucciata sbucare da dietro un angolo, prima che quest'ultima le rovinasse addosso con un lamento.

« Purin! »

« Ohi… Sto bene Taru-Taru – si lamentò la biondina cercando di alzarsi – Ehi, tu, sei pesante! »

« S-scusami – farfugliò una voce femminile scendendo da sopra di lei – mi sei capitata davanti così all'improvvis- »

Qualcosa in Purin parve sconvolgerla; si zittì un istante e molte voci arrabbiate esplosero più vicine. L'incappucciata sussultò, afferrò Purin per un braccio e scattò in un vicoletto trascinandosi dietro la mewscimmia, incurante delle sue lamentele.

« Che caz…?! »

« Purin! »

Le ragazze si trasformarono e tutti si lanciarono dietro ai due, Taruto in testa, zigzagando tra stradine stipate di casse piene di merce e porticine che si aprivano loro addosso senza alcun preavviso.

« E-ehi! Lasciami, insomma! »

La rapitrice non si fermò nonostante le proteste di Purin e anzi accelerò il passo mentre un altro gruppo, armato fino ai denti e parecchio irritato, si accodò all'inseguimento:

« Accidenti! »

Sterzò in una via per scomparire ai suoi inseguitori gettandosi alle spalle un mucchio di casse e ostruendo il passo, rischiando però di travolgere il gruppo di MewMew e alieni alle  sue costole. Fortunatamente MewZakuro, Kisshu ed Eyner ridussero a dadini il carico prima che s'infrangesse sulle loro teste, limitandolo ad una pioggia di cubetti di legno.

« Nyaah, la coda! La coda! – strillò Ichigo schivando i detriti con una carambola – Non potreste stare un po' più attenti?! »

« Maledizione! »

Con un sibilo rabbioso Taruto schivò cabrando un balcone basso e lanciò i suoi pugnali inchiodando il mantello della rapitrice al selciato:

« Mollala, stronzo! »

 La sequestratrice emise un verso strozzato e cadde di schiena con le gambe all'aria trascinando a terra anche Purin con un gridolino secco.

« Stai bene?! »

« Sì… Sì – lo rassicurò la biondina mentre l'aiutava ad alzarsi – ho solo sbattuto un po' il sedere. »

Taruto sospirò sollevato e riprese i suoi pugnali, mentre la ragazza con il mantello cercò di tirarsi in piedi tossicchiando.

« Che cacchio ti è passato in mente, eh?! – sbottò il brunetto puntandole una lama contro – Vedi bene di sparire, o…! »

« A-aspetta! Ho bisogno del suo aiuto! »

Farfugliò spaventata della punta acuminata rivolta contro il suo naso; Taruto la rimirò male, storcendo la bocca in una smorfia minacciosa nel vedere l'indice della rapitrice puntato su Purin. Gli altri raggiunsero gli amici e la sconosciuta, deglutendo, finì di tirarsi in piedi cauta e ripetè:

« Vi prego. »

Preoccupata di fare la fine delle casse triturate al passaggio del gruppetto, la ragazza prese lentamente il cappuccio e se lo sfilò, causando un coro di urli sorpresi.

Da sotto il copricapo spuntò una ragazza sui sedici anni dai capelli neri, la pelle ambrata e lo stesso identico viso di Purin:

« Vi prego, ho bisogno del suo aiuto. »

 

 

 

 

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~

 

Datemi l'insulina vi supplico ♥  mi sta cogliendo l'infarto per il diabete ♥ 

Sono feliceeee         MoiMoi-chan ♥  Sando ♥  aspettavo di farlo da tipo… Sempre?!? Waaaaaah! ♥ 

Sando: chiudi quel forno, celebrolesa -\\\-**!!

MoiMoi: ^w^ ♥ 
(basta coi cuoricini!) il pezzo su Eyn e Zak doveva comparire dopo (sì, doveva succedere comunque –w- *sorriso pervertito*) però alla fine l'ho anticipata… Upiiii >\\\\< ♥ 

Kisshu: -.-* io continuo a protestare perché qui io non tr-!

Zitto ^^+!

Direi che poi con Taruto e Purin saliamo con il livello di diabete da perderci un piede –w- la giusta compensazione a quel deficiente di Pai -.-" e alla povera Reta che ha un sacco di turbe, come sono carogna :(! Sorvolerò su Ryou e Ichi va –w-" sarà una cosa positiva?

 

Il #martedìfangirl è tornato attivo! Mi raccomando lasciatemi un'opinione in pagina o nei commenti qui :) siete la mia energia :* e lanciatemi pure le richieste che volete ♥

Grazie a Cicci 12, Hypnotic Poison, mobo, Fair_Ophelia, LittleDreamer90, Danya, Jade Tisdale e Freya Crystal (che pian piano recuperano i capitoli ;)) e Ally_Ravenshade per il loro commenti e il supporto :3

Ci si vede tra un paio di settimane, bellissimi!


Mata ne
~♥ !

Ria

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 41
*** Toward the crossing: ninth road (part II) ***


Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: 
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Farai felice milioni di scrittori. 

 

Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: Non essere indifferente!
Salva anche tu una tastiera da pazzoidi che le massacrano scrivendo come disperate! Non chiudere gli occhi, puoi salvare milioni di vite elettroniche.

 

 

 

 

 

Salve a tuttiiiii in questi giorni il mio umore è migliorato, e vi dedico questo capitolo un po' strano :P

 

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Cap. 41 – Toward the crossing: ninth road (part II)

                The double and the Castle

 

 

 

 

La ragazza mora lasciò che lo stupore scemasse il necessario ai presenti per riconnettere ciascuno i propri pensieri, e quindi si avvicinò a Purin ripetendo:

« Sei la soluzione perfetta! Ti prego, devi aiutarmi. »

« Qui nessuno deve un accidenti a nessun altro – protestò Taruto parecchio nervoso – non abbiamo tempo per stare dietro a te. »

« Per favore! – proseguì supplichevole – Ho bisogno di lei! »

« Scusaci – fece Retasu più calma – ma siamo di fretta, dobbiamo cercare una cosa e non possiamo trattenerci troppo. »

Posò due dita sulla spalla di Taruto perché abbassasse le armi, cosa che lui fece di malavoglia.

« Voi non siete di queste parti, vero? »

Constatò la ragazza mora velocemente.

« Alza gli occhi al cielo, signorinella, più da lontano non potrebbe essere. »

La ragazza spalancò gli occhi nocciola su Kisshu e poi tornò a scrutare Purin insistendo:

« Qualunque cosa vi occorra posso procurarvela. – disse con orgoglio – Basta chiedermelo. »

I ragazzi si guardarono poco convinti e Purin, ancora stranita nel rivedere la propria faccia su un'altra persona, spiegò:

« È una strana pietra che brilla. »

Mimò la forma tondeggiante con le dita e la ragazza si agitò frugandosi nella maglia e tirando fuori qualcosa appeso al collo:

« Come questa? »

Ad una catenella dorata portava una Goccia cristallizzata grande forse un paio di centimetri, che luccicò ai pochi raggi di sole che riuscirono a passare i tetti. Il viso di Purin si illuminò:

« Sì, è questa! »

« Posso darvela. E so dove potete trovarne altre così – aggiunse, allontanando il ciondolo dalle mani protese della mewscimmia – ma voi dovrete aiutarmi. »

« Molto diplomatico come patto – constatò Kisshu beffardo – invece magari potremmo prenderti quel coso e basta, che dici? »

Pai gli scoccò un'occhiataccia e la ragazza si limitò a fronteggiare il verde altera, nascondendo il ciondolo sotto gli abiti.

« O magari ascoltiamo cos'ha da dirci. »

Propose Ryou guardando male l'alieno. La ragazza si ritrasse un poco meno convinta, finché dal vicolo non si avvertì un rumoreggiare più vicino degli altri inseguitori, che stavano iniziando ad aggirare gli ostacoli.

La mora sussultò e si rimise il cappuccio in testa avvicinandosi ad un'altra viuzza nascosta, bisbigliando:

« Se volete sentire la mia proposta muovetevi. »

 

 

La ragazza disse di chiamarsi Saru(*); per il resto non diede molte altre spiegazioni, trascinando le MewMew e gli altri attraverso stradine via via più isolate allontanandosi dal gruppo ostile. Il percorso salì in verticale attraverso la città e poi su piane rialzate in giardini ben curati, arrivando fino a un enorme palazzo; non riuscirono a capire quanto effettivamente fosse grande, perché Saru sgattaiolò verso il retro e si avvicinò nascosta tra i cespugli ad una piccola porticina isolata, senza permettere al gruppo di avere un'idea della situazione.

La ragazza li fece entrare velocemente nel piccolo passaggio e si inerpicò su una scaletta ripidissima, sbucando in elegante corridoio con un bel tappeto di velluto rosso al centro. La mora fece segno di rimanere nascosti, avvertendo dei passi, e quando fu sicura che il campo fosse libero sgusciò fuori e zampettò quatta quatta lungo i muri puntando decisa ad una porta sulla destra del corridoio.

Ichigo camminò quasi a quattro zampe, scattando con le orecchie guardinga, e ammirò l'ambiente: i decori dorati attorno a porte e finestre e gli stucchi dal sentore rococò davano al luogo un aspetto pomposo ed elegantissimo; grandi quadri dalle cornici intarsiate incombevano sulle pareti con fare minaccioso e colonne di marmo reggevano vasi e statue dall'aria opulenta e inutile, occupando abbastanza spazio da rendere difficile avanzare di soppiatto senza rischiare di distruggere qualcosa.

Saru aprì la stanza con una chiavetta dorata e socchiuse l'ingresso appena da poterci passare:

« Forza, forza! – sussurrò agitata – Entrate! »

Quando l'ultimo di loro fu dentro Saru chiuse la porta e vi si appoggiò con la testa sospirando sollevata. I presenti le concessero un paio di minuti di silenzio, ma solo perché la mora parve sul punto di svenire dal sollievo.

« Ti abbiamo assecondata fino adesso – disse Pai seccato alla fine – hai intenzione di dare maggiori delucidazioni? »

Saru sospirò abbassandosi il cappuccio e fece per spiegare, ma qualcuno la chiamò da oltre il corridoio e lei sussultò impallidendo:

« Maledizione…! »

Si tolse in fretta e furia il mantello lanciandolo a caso sul pavimento e accostò la porta, uscendo e bisbigliando:

« State qui e non fate rumore! Arrivo. »

La porta si richiuse prima che chiunque potesse protestare.

« Ah, fantastico! »

Fumò Taruto roteando gli occhi.

« Mai che si possano risolvere in fretta queste cose. »

Ryou emise un lungo sbuffo seccato e si sedette pesantemente su una delle altre poltroncine della stanza, rassegnandosi all'attesa.

 

 

« Saru! »

« Papà… »

La mora scattò dritta fingendo indifferenza intanto che un uomo di mezza età vestito sontuosamente e avvolto in un manto di raso e pelliccia le corse incontro trafelato, scortato da due uomini in armatura ramata.

« Saru, bambina, ma dov'eri finita?! – sospirò angosciato dondolando la pancia grassoccia – Sei scomparsa per ore! Dov'eri andata?! »

« Semplicemente a fare due passi – mentì lei tranquilla, ritraendosi piano al suo abbraccio soffocante – devi smetterla di farti venire un colpo ogni volta che non sono nel tuo raggio d'azione. »

« E allora perché, se sei solo andata a fare un giretto, sei scappata dalla tua scorta? »

La rimproverò più severo e Saru scrollò le spalle, incurante dell'occhiataccia che le scoccò una delle guardie, il viso pesto per colpa delle varie casse ricevute addosso durante la fuga compiuta.

« Io non sono scappata da nessuno. – ribadì innocente – Sono uscita e ho passeggiato un po' nei giardini esterni e basta, sono rientrata e mi sono sdraiata un po'. »

Il padre non si convinse di quelle parole, ma sospirò e annuì rassegnato ad accettarle:

« Su, ora vai a prepararti. Stasera Nalý verrà in visita, devi accoglierlo degnamente. »

La ragazza storse la bocca seccata e l'uomo la baciò in fronte:

« Ti prego, sii più bendisposta. Lui tiene molto a te. »

Saru non gli rispose.

 

 

Nel frattempo dentro la stanza i clandestini avevano preso a curiosare in giro per passare il tempo, le orecchie tese a cogliere le voci ovattate oltre la porta.

Kisshu passeggiò in tondo afferrando dettagli qui e là e fischiò appena:

« Incredibile, questa stanza è ancora più grande e sfarzosa della tua, cornacchietta. »

Minto lo studiò male e tentò di evitare lo sguardo delle amiche, incuriosite dal commento, irrigidendosi stizzita.

« Hai ragione – confermò vago Eyner – cavolo credo sia più grande anche di casa mia. »

« Nyah, guarda che comò! – cinguettò Ichigo scodinzolando – È così grande che ci si potrebbe dormire sopra! »

« Io preferirei la poltrona – ridacchiò Purin saltellando sul cuscino – ci si sta in due! »

« Normale. Dormire su mobili e poltrone… »

« Mi fai compagnia Taru-Taru? »

« Non dire cretinate! »

Berciò il brunetto divampando per le prese in giro e lei rise.

« Non ho idea di come vadano le cose da queste parti – riflettè Zakuro ad alta voce, studiando il sontuoso letto a baldacchino – ma non credo che questa stanza sia di una persona comune. »

« Già – le fece eco Retasu accarezzando le tende di broccato – sembra la camera di una regina. »

« Uh, sentito cornacchietta? – la punzecchiò Kisshu – Dormi in una camera principesca. »

« Falla finita. »

Lo seccò la morettina feroce e avvertì di nuovo le occhiate delle altre perforarle la nuca.

Cavolo.

La porta si aprì rapidissima e si richiuse altrettanto veloce, con Saru che vi si appoggiò contro cacciando indietro la testa e prendendo sonoramente fiato.

« Alla buon'ora. »

Kisshu sorrise irriverente e si stravaccò sul letto incrociando le braccia.

« Kisshu. »

« Mi metto comodo. »

Rispose solo al richiamo gelido di Pai. Saru non badò all'intruso sdraiato su ciò che, probabilmente, era il suo giaciglio e si fece più avanti nella stanza facendo un breve inchino:

« Scusatemi per tutto. – iniziò rispettosa – Vi ringrazio… Credo di dovervi delle spiegazioni. »

« Credi, principessina? »

« Kisshu piantala. »

Saru li fissò stupita:

« E come fate a saperlo…? »

« Wow, ci abbiamo azzeccato gente. »

Sogghignò il verde schioccando le dita e indicando la mora; Pai roteò gli occhi insofferente e Saru fece un cenno di assenso chinando di nuovo la testa:

« Principessa Saru Mercyma. »

Gli altri si presentarono, ma lei badò poco a tutti andando dritta verso Purin e facendola alzare in piedi di fronte a lei; la rimirò da capo a piedi e sorrise coi pugni stretti di fronte al viso:

« Sì, sì, sei perfetta! Siamo proprio uguali! »

« Magari con due o tre litri di grazia in più. »

Commentò rassegnata Minto: non solo Saru era leggermente più matura fisicamente di Purin, parimenti nel portamento e nel linguaggio appariva più raffinata ed elegante della biondina.

Ma a maleducazione si battono ad armi pari.

Constatò Minto irritata dai modi della mora.

« Grazie mille nee-chan. »

Commentò la mewscimmia lugubre, però Saru non parve preoccupata della questione e iniziò a ispezionarla più da vicino toccandole i capelli e controllando soddisfatta la vita e i fianchi:

« Mmm, magari qui non proprio – soppesò strappando alla biondina un gridolino – ma dovrei avere i vestiti giusti… »

« Ehi, insomma, la pianti?! »

Le berciò contro Taruto e tolse Purin da sotto le mani palpeggianti della mora, scoprendo i canini:

« Che cavolo vuoi?! »

Saru fece una piccola smorfia indispettita e annuì togliendosi dal collo la catenella e mostrandola per bene a tutti i presenti:

« Avete detto che volete questa? »

Chiese spiccia.

« E hai detto che sai dove trovarne altre. »

Aggiunse attento Pai; Saru annuì e riprese:

« Vi darò tutte quelle che volete, ma voi dovrete aiutarmi. »

« Si era capito – sbuffò Minto seccata – e di preciso come? »

Saru si rigirò verso Purin e sorrise furba:

« Tu dovrai diventare me. »

 

 

***

 

 

Il re Bazuha aveva la fortuna di pochi grattacapi nell'esistenza, sebbene uno dei principali fosse la sua unica figlia Saru e la sua tendenza a fare sempre e solo come le pareva; il pover'uomo si tormentava ogni volta che alla ragazza veniva una delle sue idee, in genere strampalate e impossibili da farle lasciar perdere, ma veniva preso da veri e propri brividi freddi quando la vedeva sorridere in certi modi.

Come quello che aveva sfoggiato pochi minuti prima presentando con innocenza il nutrito gruppo di visitatori da un altro pianeta, ad esempio.

« È curioso ricevere degli stranieri qui a Lirophe – aveva detto con garbo l'uomo, studiando i presenti con la fronte aggrottata – come hai detto che vi siete incontrati? »

« Sai com'è – aveva semplicemente risposto la principessa con un sorriso – è capitato. »

Ichigo pensò che Saru fosse una bugiarda fenomenale, o che il re si facesse incastrare troppo facilmente per abboccare alle sue semplici e palesi frottole.

La ragazza cincischiò tranquilla con il padre rendendo innocente e poco interessante la presenza delle terrestri e dei jeweliriani e si scusò per averli invitati all'ultimo momento alla serata; il sovrano dopo una prima titubanza accettò le fandonie e invitò gli ospiti ad unirsi alla sua corte, raccomandando alla figlia di scendere al più presto:

« Nalý è arrivato, vieni a salutarlo. »

Saru sorrise annuendo mansueta e poi schioccò la lingua borbottando:

« Te lo do io, e quello lì… »

« Insomma, cosa dobbiamo fare? – si lagnò Purin sottovoce – Questo coso prude. »

Saru le aveva fatto indossare un grosso foulard per coprirle il viso e i capelli e la biondina non faceva che scostare con un dito la stoffa per non morire soffocata.

« Venite, vi faccio vedere. »

La principessa si affacciò ad una balaustra e indicò in basso verso il grande salone principale; il padre stava intrattenendo alcuni commensali e poi si diresse verso un giovane dai capelli castani che sembrava attirare l'attenzione dei presenti.

« Quello è Nalý, è lui che mi ha regalato questa – disse giocherellando con la collanina e Ichigo notò subito la smorfia schifata che le passò sul viso – è venuto qui sfoggiando una collezione di quelle pietre. »

« Oh, bene, sappiamo a chi fregarle. – fece Kisshu battendo le mani e tentando di fare marcia indietro e sparire – Grazie dell'informazione. »

Eyner lo afferrò per la maglia rimettendolo in riga e lasciò continuare Saru:

« Non ho idea di dove le tenga. La sola cosa che so è che da quando si è presentato con quelle cose mio padre e tutti gli altri qui a palazzo hanno perso la testa… Ha ottenuto una fortuna in poco tempo, ed è un perfetto idiota. »

Grugnì stringendo i pugni sulla balaustra:

« Sono sicura che ci sia un trucco! »

« Dopo quello che abbiamo visto fare al Dono, non mi stupirei più di tanto. »

Sussurrò Pai e gli altri annuirono concordi.

« Il problema è che mio padre non mi ascolta. – sbuffò Saru – Ho provato ad indagare, ma nulla, Nalý è sempre sul chi vive; e quando è lontano dal suo palazzo io non riesco a togliermelo dai piedi che è sempre nei paraggi. Specie dopo la proposta… »

« La cosa? »

La mora scrutò Retasu digrignando i denti:

« Ha chiesto di sposarmi. E mio padre gli ha concesso il fidanzamento. »

Le ragazze mandarono una lunga esclamazione di stupore, non trovando sostegno negli altri. Ichigo vide la principessa fare altre smorfie stomacate e cercò di vedere meglio Nalý.

Alla ragazza di certo sarebbe potuta andare peggio. Il giovane che la rossa vide dalla balaustra era alto e dal portamento affascinante, capelli lunghi legati in una treccia e una frangetta che forse non erano molto accattivanti ma che gli donavano; nei modi appariva garbato e gentile, anche se da quella distanza era difficile dirlo con esattezza, e di nuovo Ichigo pensò che a Saru sarebbe potuto toccare in sorte un altro della fauna maschile che vedeva ingozzarsi di cibo e bevande dal tavolo imbandito.

Kisshu, stufo, borbottò:

« Estremamente coinvolgente, ma noi cosa centriamo? »

« Volete quelle pietre, giusto? – lo seccò la mora – Bene, io so dove potete trovarle. Ma devo distrarre mio padre e quell'altro bugiardo, non so se oggi ve ne siete accorti ma non amano che me ne vada a zonzo senza ragione. »

« Direi di no. »

Sospirò sarcastico Eyner. Saru prese la mano di Purin e sorrise:

« Tu prenderai il mio posto. »

« Cosa?! »

« Farai finta di essere me. Siamo identiche – sorrise con immensa soddisfazione – li terrai distratti mentre io porterò i tuoi amici a prendere le pietre. »

Purin la guardò allibita incapace di ribattere al piano assurdo.

« Stiamo scherzando?! »

Esplose Taruto, a cui non piacque minimamente l'idea che Purin si fingesse fidanzata con chicchessia.

« Mi sembra un piano macchinoso. »

Notò Ichigo tirata.

« E poco sensato – aggiunse Minto supponente – forse si potrebbe fare molto prima. »

« Chi ha idee proponga. »

Incalzò Eyner e sorrise storto, consapevole del mancato successo.

« Se non c'è altra soluzione… »

« Pai, non dirai sul serio?! »

« Sarà divertente. – sorrise Purin – Non è che dovrò baciarlo o cose così no? »

« Figurati – la rassicurò Saru – io non lo tollero. Basta solo che ti vedano in giro. »

« Purin, non vorrai dire di sì! »

« Dai Taru-Taru, ci sarà da ridere. »

Perfino gli altri, seppur non molto contenti di dover tergiversare, parvero d'accordo e il brunetto fu costretto a desistere. Saru saltellò sul posto emozionata:

« Vedrai sarà un gioco da ragazzi. »

 

 

Stando a Saru la serata era una semplice cena tra pochi conoscenti, agli occhi di Ichigo parve più che altro un sontuoso party dove ci dovevano essere non meno di un centinaio di persone. La principessa aveva chiesto loro di far finta di nulla e resistere per quella sera, non avendo il tempo di sostituirsi a Purin: avrebbero potuto servirsi con tutto ciò che c'era da mangiare e sarebbero stati ospitati nel palazzo almeno fino al mattino successivo, quando Saru e la mewscimmia si fossero scambiate.

« Certo che la signorinella è parecchio prepotente! »

Protestò MoiMoi attraverso il microfono di Masha e sentendolo Ryou alzò gli occhi al cielo, ripensando alla sua piccola prigionia nel bagno di servizio.

Si erano riuniti in una delle innumerevoli stanze del primo piano per cercare di fare il punto della situazione, ma fino ad allora non c'erano state grandi illuminazioni.

« Quantomeno sappiamo dove trovare la Goccia senza vagare per questo pianetucolo dimenticato da tutti. »

« Come siamo acidi! »

« Detesto perdere tempo, Kisshu, non è una novità. »

Sibilò Pai infastidito e il verde non mise in dubbio la cosa, sicuro però che ci fossero altre ragioni aggiuntive al suo malumore.

« Per lo meno questa volta non dovrete mettervi tutti la gonna. »

Li punzecchiò Sando e Retasu scrutò Purin preoccupata:

« Sei sicura di voler fare questa cosa? – domandò – Non ti costringe nessuno. »

« Ma dai nee-chan, sarà uno spasso! »

Replicò con noncuranza:

« Non so se ha ragione o meno riguardo il suo fidanzato, ma a noi fa comodo. Poi un po' la capisco: è terribile vedersi fidanzare con qualcuno perché te lo dicono gli altri. »

Taruto, silenzioso e cupo da quando avevano accettato l'assurda idea di Saru, tirò su la testa stranito alle parole della mewscimmia:

« Che intendi? »

« Yue Bin, uh? – riflettè noncurante Minto a voce alta – Ma non avevi detto di no? »

« Ogni tanto mio padre prova a convincermi – sospirò la biondina ruotando gli occhi – ovviamente non… »

« Di chi cavolo state parlando? »

Chiese ancora il brunetto più concitato e Minto rispose con una scrollata di spalle:

« Del fidanzato di Purin. »

« Il… Cosa?! »

« Non è il mio fidanzato. »

La corresse brusca la ragazza:

« Hanno deciso tutto lui e mio padre e io ho detto di no. Fine della storia. »

« Infatti, non devo dove stia il problema – proseguì la mewbird – hai rifiutato da tempo. »

« Credo che tu l'abbia anche incontrato, Taruto-san – riflettè distratta Retasu – era quel ragazzo che ha sconfitto un chimero a mani nude. »

« Pesciolina, non credo che sia bene far notare certe cose ora. »

Le fece notare Kisshu tirato, vedendo la faccia del fratello; Taruto infatti si accigliò di più e squadrò ancora Purin sconvolto:

« Sei fidanzata?! »

« Io non sono fidanzata! – ribadì spazientita – Me l'hanno imposto, e in ogni caso ho già detto no. »

« Mi prendi in giro?! »

Le sue proteste si interruppero sentendo la porta della stanza aprirsi e Saru, che sospirando entrò nella camera:

« Bene, per fortuna siete tutti qui. – disse cordiale – Vi ho fatto preparare delle camere per la notte. »

« Di certo non avremmo dormito tutti assieme come i barboni. »

Sentenziò Minto caustica.

« Appena spunterà il sole verrò da te Purin-san. »

« Sembra quasi un appuntamento romantico. »

« Poi noi andremo ad ispezionare il palazzo di quell'altro borioso – proseguì la principessa, ignorando sia Kisshu che Minto – vedrete, per il pomeriggio saremo di ritorno. »

« Speriamo. »

Sospirò Ichigo già esausta.

« Però sarà sicuro che Purin-chan rimanga sola? – domandò Eyner – Non per dubitare del tuo piano, principessa, ma poniamo il caso che qualcosa vada storto… »

Saru arricciò le labbra ponderando sulla cosa e annuì con meno baldanza.

« Qualcuno di noi potrebbe restare con lei – propose Retasu – per ogni evenienza. Che ne dici Taruto-san? »

Il brunetto però né protestò in imbarazzo come suo solito né approvò, limitandosi solo a grugnire e fare un cenno di assenso, scuro in volto.

« Sarà bene che ci sia anche una di noi – aggiunse spiccia Zakuro – vista la situazione non vorrei che un ragazzo da solo desse adito a voci strane. Dobbiamo passare inosservati. »

« Ottima puntualizzazione. – sorrise Saru schioccando le dita – Che ne dici testa rossa? »

« Nyah! Sarai anche una principessa, ma sei maleducata, ho un nome sai? »

Miagolò Ichigo stizzita:

« Comunque d'accordo, rimarrò io. »

« Se proprio volete così. »

Pai non fu troppo d'accordo nel limitare il gruppo togliendo ben tre membri, ma non aveva voglia di discutere con l'arrogante principessina e voleva solo che le cose si svolgessero in fretta; per quanto riguardava Ichigo non le sarebbe dispiaciuto gironzolare un altro po' per il magnifico palazzo, oltre ad aver trovato un'ottima ragione per stare quanto più possibile alla larga da Ryou: non aveva smesso di guardarlo in cagnesco da quando erano arrivati, il biondo aveva avuto addirittura l'impressione che gli soffiasse contro un paio di volte.

Saru orgogliosa del suo successo spalancò la porta per accompagnargli nelle loro stanza, incurante delle facce seccate che le augurarono la buonanotte.

 

 

***

 

 

Arashi si svegliò di colpo.

Deep Blue l'aveva avvertita.

« … È l'ultima…? »

La voce del suo signore gli rimbombò tra le tempie:

« L'ultima che occorra. – lo ascoltò dirgli – Ora non resta solo che attendere il momento giusto. »

Arashi soppesò incerto le sue parole:

« Il momento giusto? »

Deep Blue tacque a lungo, poi Arashi lo avvertì sorridergli:

« Tra poco sarà tempo della cerimonia della Prima Luna. – sospirò – Conoscendoli, le cose andranno lisce e a Jeweliria avranno molto da festeggiare. »

Arashi lo ascoltò sorridere:

« Sono una persona che da molto peso alle celebrazioni. »

Deep Blue rise a labbra strette e Arashi gli si accodò con gelido entusiasmo.

« Sarà il momento migliore. »

La semi-divinità guardò sovrappensiero la parete di cristallo di fronte a sé. L'ombra di Ao No Kishi si distinse per una frazione di secondo nei riflessi lucenti e poi sparì, lasciando sul volto di Deep Blue un velato sorriso crudele; subito dopo un'altra ombra, pallida come un raggio di sole invernale, tremò sulla superficie trasparente e Deep Blue colse un mormorio indefinibile.

« Mio signore? »

Arashi lo chiamò ancora, ma il suo signore non gli diede risposta.

Ti prego… Devi… Fermarti… N…em

 

 

***

 

 

La camera era elegante e lussuosa, con un letto così grande che Ryou avrebbe potuto tranquillamente dormici nel mezzo steso a stella e sarebbe lo stesso avanzato spazio. L'americano però non riuscì a rilassarsi per godersi l'ampio giaciglio né a chiudere occhio.

« Io e Masaya-kun non stiamo più assieme, brutto stupido! »

Le parole della rossa non facevano che ronzargli nel cervello e il loro recondito significato, qualora ce l'avessero, gli stava rendendo impossibile calmarsi. Stufo di rigirarsi tra le lenzuola dopo ore si alzò sbuffando e indossò irritato una maglia per andare a farsi due passi. I corridoi erano bui e silenziosi, come i suoi piedi sul tappeto pesante; vagò senza una meta nell'immenso salone principale, sotto il grande lampadario di cristallo, tra le decorazioni sontuose e le scale interminabili, senza riuscire a migliorare il proprio umore.

Tornò verso la sua stanza quando la luna aveva attraversato già un quarto del cielo, sottomesso all'idea dell'insonnia, e scorse la porta di un'altra camera aprirsi. Strinse un'imprecazione tra le labbra, quello decisamente era un deterrente al dormire.

« Cosa stai facendo? »

« Non mi pare che debba riferire tutto ciò che faccio a te. »

Gli rimbrottò Ichigo irosa. Ryou si diede del cretino per il tono brusco che gli era sfuggito e inspirò a fondo cercando di non reagire in malo modo:

« Mi chiedevo solo perché stessi uscendo nel cuore della notte. »

« Il letto nuovo. – ammise lei a bassa voce – Anche tu? »

Lui scrollò solo le spalle. Ichigo giocherellò con la frangetta, ancora irritata per l'ultima discussione con il biondo e infastidita all'idea di fare la persona matura e fingere indifferenza; allo stesso modo, sbollita un poco la rabbia le fu difficile fare la sostenuta. Trattandosi di Ryou, poi, la cosa era ancor più complicata:

« Beh, magari – sospirò scostando lo sguardo – potrei provare ancora un po'. »

« Ichigo. »

La rossa sussultò con la mano sulla maniglia e gli scoccò un'occhiataccia. Ryou invece studiò il suo viso stropicciato e i capelli un po' disordinati, e ancora le parole che lei gli aveva scagliato contro gli rimbombarono nella testa e qualcosa gli si contrasse al livello dello stomaco.

Insomma…

Bruciò i pochi metri rimanenti tra sé e la ragazza, che sempre torva e minacciosa entrò di un altro passo e si piazzò in mezzo ai due stipiti della porta, la mano sulla maniglia come segno che non avrebbe esitato a sbattergliela sul naso a seconda di cosa gli avesse sentito uscire dalla bocca.

« Ti devo delle scuse. »

« Ah sì? – soffiò lei aspra – Quale evento! »

« Sono serio, Momomiya. »

« Anche io. »

Bofonchiò e Ryou inspirò a fondo proseguendo:

« E hai ragione, sono un bugiardo. »

Ichigo abbandonò un po' di baldanza sotto il suo sguardo fermo, il cuore che perse un battito quando intuì; annuì in silenzio. Ryou poggiò il braccio sulla cornice di legno e si protese un po' in avanti, a quel punto non c'era più niente che lo trattenesse, ad eccezione del suo orgoglio; rimirò le iridi nocciola della mewneko, dilatate nel buio, tremule, le gote appena arrossate e le labbra increspate in una smorfietta imbronciata.

Al diavolo.

« Mi ricordo tutto. »

Ichigo strinse le dita sul legno e deglutì piano:

« … Ah sì? »

Il biondo posò la fronte allo stipite:

« You really don't know why? »

Le chiese con un sorriso sornione ripetendo la domanda che le aveva posto quel pomeriggio alla festa. Ichigo arrossì in modo più vistoso e scosse la testa, cocciuta. Ryou non le tolse gli occhi di dosso e si mise pure lui in mezzo alla porta, le mani troppo vicine alle sue per i gusti della rossa.

« O vuoi che te lo dica chiaro e tondo? »

Ichigo smise di respirare e spalancò gli occhi socchiudendo la bocca; la testa le andò in blackout e riuscì solo a farfugliare a fatica:

« Shirogane, io… »

La mano del ragazzo le si posò sulla guancia e i polmoni di Ichigo collassarono del tutto mentre, lento e misurato, lui le sfiorò le labbra con il pollice; divampò come un cerino incapace di distogliere lo sguardo da quello azzurro e languido del biondo:

« Ry- »

Un familiare pizzicore e con uno squittio le orecchie e la coda feline sbucarono dal nulla, con una tale veemenza che l'orecchio destro colpì Ryou dritto sul naso.

« Oddio…! S-scusa…! »

Lei perse un po' di colore e il biondo iniziò a ridere, prima con solo un leggero scuotere delle spalle, poi reggendosi la pancia e la fronte mentre quasi non riuscì più a respirare:

« Sei davvero sempre la solita…! »

La sua risata sincera e calda spezzò il poco fiato rimasto alla mewneko che avvampò così tanto e così di colpo che chiuse istintivamente la porta pur di non farsi vedere oltre. Inspiegabilmente Ryou non smise di ridere e lei si aggrappò alla maniglia con tutte le dita, nel panico.

Ma che sto facendo?!

« A-asp… Aspetta…! Shirogane, i-io… »

« Va bene, Ichigo, va bene. »

Le disse continuando a ridere basso; lei lo sbirciò dalla porta socchiusa, tanto rossa in viso da emettere luce, e Ryou sospirò divertito:

« È tardi – disse sottovoce – vattene a letto, Momomiya. »

Il Cielo solo seppe quanto avrebbe volentieri messo la mano nello spiraglio e spalancato l'ingresso, ma Ichigo era troppo agitata, avrebbe anche potuto ucciderla.

E pur senza una risposta precisa, per lui fu sufficiente vederle tra i capelli le adorabili orecchie feline.

La rossa abbassò le orecchiette pelose confusa come non mai e lui si accostò quanto più possibile all'apertura chiedendole ancora velato:

« Got it? »

Ichigo deglutì di nuovo  completamente scoperta sotto le sue iridi di ghiaccio rovente e bisbigliò un vago sì.

« Ne riparliamo. »

Si stupì lui stesso di quelle parole e non riuscì a non sorridere, consapevole che non fossero di circostanza né buttate lì per far finta di niente.

Io non scappo più.

« Buonanotte, Ichigo. »

Lei ricambiò la buonanotte  e lo vide sorridere prima di allontanarsi silenzioso nel corridoio. La rossa accostò la porta del tutto solo quando non riuscì più a sentire i passi leggeri di Ryou e si lasciò scivolare a sedere contro la porta chiusa, il campanellino sulla coda che tintinnò nervoso.

 

 

***

 

 

Era sempre molto buio a Jeweliria, la notte. Il pianeta non aveva satelliti degni di questo nome, ma solo tre sassolini che gli orbitavano attorno ed emettevano un vago riflesso del loro sole; non potevano competere con la Luna, sulla Terra. Forse era uno dei motivi per cui a qualcuno il Pianeta Azzurro mancava tanto.

MoiMoi però non se n'era mai preoccupato: non vedeva che problema ci fosse se le notti erano scure, i loro occhi  vedevano al buio come alla luce; anche in una stanza chiusa come quella, anche se era sveglio da pochi minuti.

Cercò di capire l'ora scostando un poco le lenzuola e sporgendosi verso la finestra, per vedere se fosse il momento di tornare al laboratorio, ma per quanto fissasse il cielo scuro non scorgeva alcun segnale rivelatore.

Un mugolio leggero, un muoversi lento. Una mano forte e ruvida che si appoggiò appena attorno al suo braccio sottile.

« … Cosa fai? »

La voce roca e bassa per il sonno, l'aria ancora intontita, con gli occhi scuri appena distinguibili nella penombra, languidi e tremanti. MoiMoi percepì un brivido vibrare soave nel torace.

« Guardavo che ora è. »

« … Sicuramente troppo tardi. Oppure troppo presto. »

Mugugnò Sando, tirandolo un poco verso il suo cuscino e baciandogli sovrappensiero la pelle fresca del braccio. MoiMoi ringraziò che fosse troppo tardi – o troppo presto, appunto – e l'altro non avesse intenzione di svegliarsi del tutto, così da godersi quella sua spontaneità data dal torpore.

« Dai, torna qui, ho sonno… »

Lui sorrise e lo assecondò insinuandosi sotto al lenzuolo, finendo imprigionato tra le braccia del verde che, bofonchiando, lo accostò quanto più gli era possibile contro il suo torace nudo e affondò il naso nei corti ciuffetti viola, sfiorandogli la schiena scoperta.

« Sai di buono… »

« E tu stai ancora dormendo – arrossì il violetto alzando il viso verso il suo – o non mi diresti mai una cosa simile. »

L'altro grugnì come a dirgli di tacere. MoiMoi sorrise e si allungò, portandogli un braccio dietro al collo, e lo baciò piano sfiorandogli con le dita la guancia appena ruvida.

« … Non dormi? »

« E tu? »

Sando borbottò qualcosa di indefinito tra i denti:

« Mi distrai… »

MoiMoi sorrise con tenerezza, gli posò un altro bacio sulla bocca e si accoccolò tra le sue braccia, crogiolandosi con il tepore della sua pelle. Sì, sicuramente doveva essere troppo presto; almeno, sarebbe potuto restare lì ancora qualche ora.

 

 

***

 

 

Appena sorse l'alba Saru fece il giro di tutte le stanze intimando la sveglia: curiosamente non fu un lavoro lungo, quasi tutti erano già in piedi e la mora si limitò a gioire della cosa, non chiedendosi quanti fossero davvero mattinieri e quanti non avessero dormito in modo decente rimuginando su tutto il suo intricato piano. Li condusse nei propri alloggi, due camere comunicanti, e dopo aver discusso con i ragazzi su come muoversi per raggiungere la dimora di Nalý li lasciò a studiare un piano d'azione – scatenando le occhiatacce di Pai ed Eyner e i borbottii non proprio velati di Kisshu, nessuno entusiasta di prendere ordini dall'autoritaria principessa – quindi prese con sé le ragazze e nell'altra stanza iniziò a lavorare allo scambio d'identità.

Purin fu contenta della presenza delle amiche, dopo una notte di sonno agitato aveva perso l'entusiasmo per il complotto, trovandosi di fronte ai problemi più pratici. Innanzitutto la difficoltà di nascondere i suoi capelli biondi sotto una brutta parrucca nera e gli indicibili lamenti per piazzare forcine su forcine con l'aiuto di Minto, esperta in materia; poi, e la cosa le lasciò l'amaro in bocca, il problema di trovare un abito che non insospettisse data la diversa fisicità tra lei e Saru: la principessa svuotò il suo armadio per trovare un vestito – rigorosamente elegante, altro punto per cui Purin storse tutto il tempo il naso – e dopo estenuanti prove e prove di ogni indumento decise arbitraria per un abito con il corpetto rigido e un'orrenda gonna gonfia che scendeva fin sotto al ginocchio con una forma quasi sferica, tutto rosa pallido lucente.

« Scusa se rido – ammise Saru con aria pietosa – ma ti è proprio capitato il più brutto…! »

« Meno male che è tuo e te lo dici da sola. »

Brontolò la biondina a disagio per il bustino che le poneva in evidenza il seno e il resto che invece la faceva somigliare ad una bomboniera, occultando i fianchi minuti.

« Così siamo indistinguibili! »

Sorrise la principessa e si allontanò di qualche passo per rimirare la propria opera. Purin continuò a tenere un leggero broncio, intanto che le amiche l'aiutavano con dei gioielli forniti da Saru, e il suo sguardo scivolò verso la porta dell'altra stanza accanto a cui, scuro e con le braccia conserte, Taruto se ne stava immobile.

Dalla sera prima non le aveva più rivolto la parola nemmeno per salutarla e dopo un frettolosissimo buongiorno si era piazzato lì non muovendosi più, dato che sarebbe stato inutile per lui ascoltare informazioni sul gruppo in partenza – almeno così sentenziò; non reagì nemmeno quando Ichigo, per stuzzicarlo, gli chiese se in realtà non volesse dare una sbirciatina a Purin e alla sua piccola sfilata, ma lui aveva replicato unicamente voltando la testa dall'altra parte.

Purin sospirò mogia, sicurissima che il malumore del brunetto fosse dovuto a quanto scoperto circa il suo ufficioso fidanzamento. Lei in realtà non lo avrebbe voluto nascondere, non ci aveva proprio più pensato, non dando alcun valore alla cosa, ma vedendo Taruto così arrabbiato si pentì dell'involontario silenzio.

 

       

« Con quella faccia rovini tutta l'atmosfera. Su, allegria! »

Il brunetto squadrò Saru con astio: già era infastidito di suo, il caratteraccio della principessa non aiutava, e il fatto che assomigliasse davvero tanto a Purin, una Purin più grande e più donna, lo metteva in agitazione, seppur in un senso diverso, sommandosi a tutto e facendolo infuriare.

« Sai che saresti anche un bel ragazzo se non avessi quell'espressione da cane rabbioso? »

« E tu sai di essere tanto ricca quanto dispotica, principessa del cavolo?! »

Le ringhiò e lei alzò il mento imperiosa sibilandogli del maleducato.

« Che questa stronzata finisca presto… »

Borbottò lui passandosi nervoso la mano tra i capelli e Saru si prese il mento tra le dita, rispondendogli intanto che studiava Purin lamentarsi per l'ingombro dei monili:

« Andiamo, entriamo, usciamo. »

« Quando le cose sono troppo facili in genere ci scoppia qualche casino. »

Le appuntò aspro.

« L'importante è che non ne combiniate voi – puntualizzò secca – cercate di mantenere la vostra parte e di passare più inosservati possibile. »

Lui rimirò scettico il pomposo abito che aveva infilato addosso alla mewscimmia ed emise un verso di sarcasmo, al che la principessa decise di non sprecare altro tempo in sua presenza e andò a dare nuovi ordini alle ragazze su come mettere e dove mettere i gioielli, beccandosi le occhiatacce di Ichigo e Minto tra le scapole.

« Credo di sapere dove vada un braccialetto, maestà. »

Sibilò la mewbird glaciale, ma Saru si limitò a scoccarle uno sguardo di supponenza:

« L'acidume è diffuso da queste parti? »

« In lei l'acidume è sempre diffuso. »

Minto fulminò l'amica con occhi feroci e ringhiò a labbra strette insulti pesanti su di lei e sulla principessina.

« Minto-san, tutto a posto? Mi sembri nervosa. »

La mora studiò Retasu sorriderle amorevole e sospirò sistemandosi qualche ciuffo dietro l'orecchio:

« La signorinella qui non è molto facile da sopportare. »

Constatò caustica scrutando la principessa mentre torturò Purin con una terribile collana grossa almeno il doppio del suo collo:

« In ogni caso, sono solo un po' a corto di sonno. »

« Colpa del letto nuovo? »

Minto guardò un punto indefinito rispondendo vaga:

« Già… Il letto. »

« Anche a me ha dato problemi. – ammise la verde rincuorante – Sarà perché non eravamo troppo stanche. »

La mora le sorrise annuendo e sospirò di nascosto.

Cosa non avrebbe dato perché la sua stanchezza fosse stata causata da un materasso poco confortevole.

 

 

« Non ci sono altre informazioni su questo posto? »

Si lamentò MoiMoi dal microfono e Pai scosse la testa:

« La signorina di là ne sa quasi quanto noi – precisò velenoso – ma con le notizie che ci ha dato almeno possiamo intuire dove teletrasportarci all'interno. »

« "Intuire"? »

Domandò Ryou sarcastico.

« Vi avverto, – minacciò Sando – non vengo a recuperarvi dentro a qualche parete. »

« "Intuire" senpai – precisò Eyner cercando di ridere – non "andare totalmente alla cieca". »

« E mi spieghi dove starebbe la differenza qui? »

Aggiunse Kisshu sbuffando e rimirò la mappa proiettata da Masha, a stento un insieme di linee per una pianta ottagonale sui cui era stato calcolato il perimetro delle mura interne ed esterne.

« Di sicuro l'amico sposino non vuole che ci entri qualcuno – proseguì il verde girando attorno alla proiezione – a meno di non sfondare due file di cinte murarie… »

« O di arrampicarsi come Spider-Man. »

« A volte le allusioni di voi umani non le capisco proprio. »

« Lascia perdere. »

« Kisshu-chan ha ragione. – sospirò MoiMoi – Il calcolo è stato fatto sui dati che Masha ha rilevato sul castello dove vi trovate, ma supponendo che sia di poco diverso la sola soluzione è passarci direttamente dentro. »

« O passare sotto. »

« Con cosa Pai, hai portato una pala? »

« Taruto potrebbe aprirci la strada. »

Precisò seccato il moro.

« Lasciate perdere, a meno che questi liropheriani non siano sordi vi attirereste metà della popolazione alle costole nel giro di tre secondi. – fece Sando con un borbottio pensoso – Poi nemmeno io riuscirei a sfondare tutta quella terra in poco tempo. »

« Forse la principessa ha qualche asso nella manica – riflettè Eyner – se ha un minimo di conoscenza di quel posto, potrebbe trovare un ingresso secondario come quello da cui siamo entrati. »

« Ci resta solo da portarcela davanti e vedere. – sbuffò Kisshu – Appena sua maestà avrà finito di giocare con le bambole. »

 

 

Ci volle un altro quarto d'ora prima che Saru decidesse che tutto era pronto secondo i suoi desideri. L'annuncio della partenza fu accolto con un gemito esasperato da Kisshu e da altrettante occhiatacce torve che spinsero la principessa a regolare i toni di comando e a prendere umilmente le vesti di navigatore, lasciando le decisioni tattiche agli altri.

Diede gli ultimi suggerimenti a Purin su cosa fare e cosa dire e guidò gli altri fuori lasciando la biondina in compagnia di Taruto e un'Ichigo particolarmente nervosa.

« Tutto a posto nee-chan? Hai mal di pancia? »

« Chiedi come sta una persona e la prima cosa che le domandi è se ha mal di pancia? – fece con una smorfia squadrando la biondina – Comunque no… Ho solo dormito male. »

Si sistemò i capelli irrequieta e seguì con la coda dell'occhio gli altri che scesero lungo le scale, incrociando lo sguardo di Ryou; sentì di arrossire vistosamente e abbassò gli occhi, ma non le sfuggì il lieve sorriso che lui le rivolse prima di andarsene pacifico.

Le sue parole di poche ore prima, la sua voce, il suo viso che l'aveva sfiorata, il suo sorriso attraverso la porta: tutto le si ripeteva nella mente senza sosta e lei non riusciva a calmare il proprio cuore, non avrebbe mai immaginato che Ryou si sarebbe deciso a tornare sul discorso fatto alla festa e lei aveva solo pensato a quanto la innervosisse il suo mutismo, senza riflettere sul passo successivo.

Lei cosa provava per Ryou?

L'unica risposta che aveva era il martellare in petto che manteneva la temperatura della sua faccia oltre la soglia di guardia. Il resto era una matassa confusa su cui non riusciva a concentrarsi per più di dieci minuti, se non voleva rischiare il collasso cardiaco.

« Ohi, vecchiaccia, sei tra noi? – domandò brusco Taruto dandole una gomitata – Vuoi renderti utile o hai deciso di passare la giornata ad ammirare il soffitto come un'idiota? »

« La simpatia stamattina l'hai lasciata nel letto?! – sbottò di rimando – Eccomi, eccomi. »

Si accodò a lui e a Purin con un sospiro, purtroppo non aveva tempo per dare una forma ai propri pensieri.

 

 

***

 

 

La legge jeweliriana era abbastanza morbida quando si trattava di ufficiali, a meno che non si trattasse di gravi accuse.

Di certo il tradimento verso il Consiglio Maggiore e l'Armata era un'accusa pesantemente inserita sotto la definizione di grave. Molti avrebbero voluto si passasse dall'arresto alla pena nei suoi confronti, ma la legislazione imponeva la detenzione e al momento opportuno un processo ufficiale.

Visto lo svolgersi degli ultimi eventi Lenatheri era certa che la sua permanenza nelle carceri del Palazzo sarebbe risultata parecchio lunga.

Era la prima volta che le visitava – sebbene avrebbe preferito farlo in altre circostanze – e non c'era alcun dubbio dell'abissale differenza tra il suo nuovo alloggio e quelli che di norma ospitavano gli ufficiali in processo. Le celle del carcere principale erano piccole, buie e umide, con un campo di forza all'ingresso che non permetteva l'uscita; guardie dall'aria annoiata passeggiavano per i corridoi angusti riempivano di passi pesanti l'aria, passando di fronte alle stanze con un clangore di metallo; refoli di vento freddo sibilavano nei passaggi trascinando gli effluvi dei pasti portati ai prigionieri, puzza unta di cibo stracotto e rivoltante.

Di rado si scorgevano visitatori, tra i pochi ospiti non molti avevano persone che volessero rivedere le loro facce, così quando la mora udì dei passi leggeri farsi poco a poco più vicini, passi di certo non appartenenti ad un soldato in divisa, si alzò con decisione dalla sua branda striminzita guardando fuori incuriosita.

La vista del visitatore la fece risedere pesantemente sul letto.

« Cosa ci fai qui…? »

Sussurrò strozzata e MoiMoi non rispose, guardandola semplicemente con aria malinconica:

« Vorrei solo capire. »

Disse dopo un'eternità e Lenatheri rimase in silenzio ammirando per terra.

« Solo questo, capire. »

Ripetè lentamente e fu ancora silenzio.

« Lena-chan, fammi capire… »

Con uno scatto iroso la mora si alzò e battè il pugno contro la barriera ricevendo un fortissimo rinculo sul braccio; digrignò i denti con un sibilo e guardò il violetto con gli occhi sgranati:

« Tu… Non puoi… Capire! – sillabò con voce bassa e rigida – Non puoi…! »

MoiMoi strinse le labbra e la guardò scostare lo sguardo come se le bruciasse doverlo vedere. Il violetto rimase a rimirare la sua schiena per lungo tempo finché, sospirando, non si arrese e lasciò Lenatheri sola nella sua oscurità.

 

 

***

 

 

Il palazzo di Nalý era ad una ventina di minuti di cammino dal castello di Saru, ma il teletrasporto velocizzò di parecchio lo spostamento; la principessa poggiò i piedi a terra cacciando un lunghissimo lamento e reggendosi ad un albero per non dare di stomaco:

« Cosa diavolo… È stato…?! »

« Un'accelerata a questo tedio terrificante. »

« Puoi usare anche un linguaggio meno elegante cornacchietta: "colossale rottura di palle" rende uguale. »

La morettina storse la bocca al linguaggio e non gli rispose nemmeno.

Eyner aprì la mappa approssimativa realizzata da Masha e la mostrò alla nauseata principessa che, dopo altri cinque minuti di lamenti e piagnucolii, si degnò di studiarla con occhio annebbiato.

« C'è un modo di entrare senza teletrasportarsi dentro alla cieca? »

« Non vorrete rifare quella cosa…?! »

Gemette Saru fioca tremando sulle ginocchia.

« Ma davvero è così terribile? – domandò Kisshu incrociando le braccia dietro la testa – Io non me ne sono mai accorto. »

Saru lo studiò pallida e cercò attentamente di riunire le sue conoscenze dell'enorme edificio a ciò che stava mostrando il trasmettitore del bruno, mormorando alcune aggiunte a mezza bocca che Masha, pigolando, modificò sulla mappa proiettandone una nuova versione in diretta. L'idea di dover subire ancora il terribile effetto del teletrasporto fu sufficiente per farle consumare tutte le sue cellule mnemoniche.

« Qui dovrebbe esserci un passaggio per gli inservienti – bofonchiò indicando le linee luminose – ci sarà poco movimento visto che Nalý è a bazzicare per casa mia. »

Aggiunse con un brontolio:

« Da lì ci dovremmo trovare al primo piano, però dopo non ho idea di dove abbia nascosto le pietre. »

« Per quello ci penseremo. – la rassicurò Ryou posandosi le mani sui fianchi – Sempre che i nostri metal detector funzionino. »

Scoccò un'occhiata divertita alle ragazze ricevendone una feroce da parte di Minto e una indecifrabile da Zakuro, che lo studiò con un sopracciglio alzato cercando di capire il perché di quell'aria rilassata.

Kisshu intanto decise di dare un'impennata alle cose e scivolò verso l'ingresso di servizio indicato da Saru; spinse la pesante porta di legno con una mano, controllando che non ci fosse nessuno, e gli altri sentirono un urlo e immediatamente dopo una forte scarica elettrica tranciare l'aria. Corsero verso Kisshu trovandolo in piedi a ruotare uno dei suoi sai tra le mani, mentre qualcuno, che dall'armatura doveva trattarsi di una guardia, era riverso a terra stordito e bruciacchiato fumando per la scossa subita.

« Per fortuna che era sgombero da questa parte – commentò schioccando la lingua irritato – speriamo che non sia un passaggio lungo, non vorrei lasciarmi alle spalle troppi mucchi di carbonella. »

 

 

***

 

 

Purin sbirciò con la coda dell'occhio Ichigo che sbadigliò, talmente tanto da farsi lacrimare gli occhi, e si trovò d'accordo con lei, quel posto era l'apoteosi somma della noia: non c'era assolutamente nulla da fare, se non leggere tomi noiosi e polverosi in stanze silenziose e noiose, fare chiacchiere noiose seduti assieme ad altre nobili in soggiorni noiosi e poi camminare, camminare e camminare per ore negli immensi corridoi e giardini del noioso palazzo. Alla mewscimmia si stavano distruggendo i piedi nelle pompose e scomode scarpe di Saru, grandi una taglia in più e imbottite con della stoffa in punta, ma almeno passeggiare era un'attività più emozionante dei soporiferi pettegolezzi da salotto – attività a cui, con sua somma gioia, Saru le aveva tassativamente proibito di partecipare.

« Mamma che pizza! – sbuffò Ichigo stiracchiandosi – Spero che gli altri si sbrighino a tornare, mi sta andando il cervello in pappa. »

Purin annuì soltanto, avrebbe desiderato da morire che la noia fosse la sola preoccupazione della giornata, ma i suoi occhioni castani non facevano che scrutare mogi Taruto; il brunetto aveva camminato tutto il tempo un paio di metri dietro di loro, le dita intrecciate dietro la testa e il muso lungo, per nulla intenzionato ad abbassare le resistenze nei confronti di Purin. La biondina arricciò le labbra triste, pregando anche lei che gli altri facessero in fretta, voleva potergli parlare e chiedergli scusa.

« Buongiorno, mia diletta, bella giornata non trova? »

Purin impiegò un paio di istanti a capire che quelle parole fossero rivolte a lei ed alzò lentamente gli occhi dalla rosa color pervinca che stava rimirando distratta. Nalý le sorrise abbagliante e fece un elegante inchino e Purin ringraziò nuovamente le direttive di Saru che le permisero di rispondere con un grugnito brusco e proseguire nella sua passeggiata quasi ignorandolo.

« Suvvia, siete così riluttante all'idea di farmi compagnia per un po'? »

« Decisamente. »

Rispose la bionda borbottando e prese Ichigo a braccetto come si stringe un portafortuna, sebbene non fosse troppo difficile nemmeno per lei ricalcare il caratteraccio della principessa. Nalý non demorse e fece cenno alle sue spalle, un paio di occhi verde scuro sul viso ovale che luccicarono riguardosi:

« Posso almeno offrire qualcosa ai vostri ospiti? »

« Sarebbe casa mia questa. »

Puntualizzò asprigna la ragazza e si sorprese lei stessa della sua abilità recitativa; probabilmente il cattivo umore – e gli anni di vicinanza con Minto – le erano d'ispirazione. Il giovane uomo fece un cenno allusivo e cordiale con il capo prima verso Taruto, che si limitò a scostare la testa torvo, poi verso Ichigo che ricambiò con un sorriso impacciato incerta su quale fosse la mossa giusta. Fu quando il re Bazuha passò una decina di metri più in là scoccando alla presunta figlia un'occhiata eloquente che la rossa sbirciò Purin in tralice e lei, cercando di far finta di niente, annuì e corrucciata accettò l'invito di Nalý.

Con un po' di fortuna, almeno, avrebbero mangiato qualcosa.

 

 

***

 

 

La salita per la tortuosa e buia scaletta di servizio non sarebbe mai stata abbastanza breve; lo spazio angusto non permetteva altro che camminare rasenti ai muri, pregando di non avere un attacco di labirintite per le troppe curve, e la luce inesistente era una quisquiglia solo per i jeweliriani che furono immediatamente messi in testa ad aprire la processione. Minto era tra gli ultimi della coda e di quando in quando ascoltava dei lamenti e del fracasso di metallo, tonfi indistinti, e mentre avanzava finiva per ritrovarsi a scavalcare qualche povero diavolo incappato nel passaggio di Kisshu, Pai ed Eyner, e lasciato svenuto ricoperto di ghiaccio, fulminato o con le punte dei vestiti abbrustolite.

Fu con un sospiro di sollievo che accolse l'arrivo alla cima. Attraversarono quatti una stanza stipata di oggetti e scaffali che odoravano di cibo, probabilmente le cucine o ancor più probabilmente un magazzino dei rifornimenti, quindi proseguirono per un altro stretto corridoio di pietra fino a trovarsi il passaggio chiuso da una porticina; i ragazzi dovettero piegare la testa per attraversarla sbucando finalmente sul piano principale e rannicchiandosi contro le pareti per non dare nell'occhio.

« Sembra tranquillo. »

« Da che parte si va? »

« Kisshu, non sono un indovino – sospirò Eyner – magari tu hai qualche idea. »

Saru emise uno strano monosillabo atono poco sicura di che risposta dare, sempre più convinta che il suo inossidabile piano le avrebbe causato una morte prematura da parte dei suoi vessati alleati dell'ultimo minuto; si sforzò di apparire rilassata e dopo un profondo respiro riflettè:

« Se siamo passati dai magazzini questi sono gli alloggi della servitù. – disse ruotando l'indice e poi indicò il fondo del corridoio – Se proseguiamo da quella parte arriveremo alle stanze dei padroni, di sicuro quella di Nalý è una. »

« Perciò dovremo sperare di beccare la camera giusta, e soprattutto che dentro ci sia il Dono – sbuffò Ryou massaggiandosi la tempia sinistra – meraviglioso! »

« Ditemi che una di voi sta sentendo qualcosa. »

Domandò Pai stressato, ma nessuna delle MewMew presenti gli diede assenso e rassegnati avanzarono tutti seguendo Saru in silenzio.

Minto avvertì un brivido avanzando nel corridoio. A dispetto del palazzo di Saru, quel posto era cupo, buio e spoglio: non c'erano decori né suppellettili lungo i muri, né quadri o alcun oggetti che rallegrasse l'ambiente; spesse tende scure coprivano le alte e strette finestre lasciando trapelare una luce smorta e affaticata, e le torce spente e polverose disseminate qui e là davano l'impressione di voler prendere in giro gli ospiti e la loro fatica nel vedere; passi frettolosi e timidi risuonavano ovattati sopra e sotto di loro, nei corridoi limitrofi e dietro le porte chiuse, accompagnati dal rumorino di voci sussurrate, ma nessuno si mostrò mai a sbarrare ancora il loro cammino.

La mewbird si fregò nervosa un braccio, aveva l'impressione di stare passeggiando in un castello di qualche film dell'orrore.

« Siamo musone oggi cornacchietta. »

Lei squadrò il verde severa e pregò non si fosse accorto di come le ali e la coda le fremettero:

« Tu sei il solo che possa divertirsi in questo momento. »

« Qualcuno di noi deve pur farlo. »

Le ammiccò irriverente e proseguì più baldanzoso, carico del divertimento nell'aver irritato la morettina. Minto non smise di fissarlo inacidita e poi si lasciò sfuggire un lungo respiro esausto, rilassando finalmente le penne, fortunatamente il ragazzo non si era accorto di come si fosse irrigidita al suo cospetto o conoscendolo non le avrebbe dato pace per capire il motivo.

Si fregò con energia la mano guantata sul viso, la presenza del debosciato con l'ormone a palla le aveva davvero contaminato il cervello!

Non aveva altre spiegazioni per la nottataccia che aveva dovuto affrontare.

Si era addormentata alla svelta, nonostante le apparenze abbastanza adattabile a nuovi posti dove dormire, e subito era scivolata in un flusso nervoso di ricordi della giornata; questi erano diventati scatti più lenti e confusi dei giorni precedenti, in un tentativo della sua mente di riordinare le idee e concederle qualche sogno ristoratore, finché il tutto si era fermato senza alcuna ragione al momento in cui Kisshu l'aveva ringraziata per la sua compagnia di un mese prima, la mattina sugli scalini nel retro.

Peccato che poi il suo flusso di ricordi si fosse trasformato in qualcosa al cui pensiero la mewbird avvertiva ancora il desiderio di nascondersi, pure sotto il tappeto lercio e spelacchiato in cui stava affondando i tacchi.

Un sogno privo di senso in cui Kisshu, dopo averla ringraziata e poi presa in giro com'era ormai fastidiosa abitudine, non aveva posato le labbra sulla sua guancia ma sulla sua bocca, come quella notte nella foresta, ancor più lentamente. In cui il respiro del verde si era intrecciato al suo, attorcigliandole lo stomaco, e la mano che nella realtà le aveva pizzicato la guancia si era persa tra i boccoli scuri sulla sua nuca, e dove lei aveva reagito solo aggrappandosi alle sue braccia e abbandonandosi con la schiena contro il muro, Kisshu a sovrastarla stringendola con foga indecente.

Si era svegliata con un pigolio strozzato e le guance così rosse da avvertirne il calore. Era schizzata giù dal letto immediatamente affondando il viso nella piccola bacinella d'acqua sul comò, una mano serrata sul petto che non aveva smesso un secondo di palpitare e la testa che si era rifiutata di ripercorrere il sogno oltre l'istante in cui la mano di Kisshu aveva iniziato un lento, ammaliante, pericolosissimo percorso dal suo collo lungo la sua vita e il fianco, e si proibì di riaddormentarsi terrorizzata di avere una continuazione di quell'assurdità.

« Stai bene? »

Minto si riscosse dalle sue elucubrazioni e stese un sorriso poco convinto, già conscia che qualsiasi frottola sarebbe stata smascherata sotto l'occhio attento di Zakuro; la mewwolf in effetti la scrutò indagatrice e insisté:

« Ti preoccupa qualcosa? »

Il suo tono premuroso riscaldò un poco la mewbird che increspò le labbra compiaciuta dell'affetto e scosse ancora la testa:

« Ho avuto solo un incubo e ho dormito malissimo. »

Un incubo terrificante.

Finì di pensarlo e i suoi occhi scivolarono involontariamente su una schiena sormontata da capelli verde scuro, distogliendosi il secondo dopo, e Zakuro finse di convincersi delle sue parole e sorrise discreta.

Nel frattempo terminarono di perlustrate il corridoio principale non avendo ottenuto risultati. Frustrati seguirono Saru mentre attorno il castello cambiò aspetto, rimanendo con solo pareti spoglie prive di porte, avvolte in un silenzio torbido; il gruppo proseguì, Saru in testa, e dopo alcuni minuti di smarrimento la principessa puntò decisa ad una scala che scese di un piano fino ad un corridoio dove le porte erano meno che in quello superiore, ma più grandi e fastose.

« Devo essere di sicuro qui da qualche parte. »

Sussurrò decisa la mora. Non si sentirono passi o voci di sorta e tutti, lentamente, iniziarono a dividersi per ispezionare le varie stanze.

Retasu aprì con un cigolio la terza porta sulla sinistra, sospirando quando vide anche quella come le precedenti desolatamente vuota; l'ambiente era largo e confortevole, ma spoglio e spartano a dispetto delle camere al palazzo di Saru, quindi non ci furono molti posti da poter controllare per stanare i frammenti del Dono. La verde si arrese dopo cinque minuti, a meno che la Goccia non fosse stata nascosta negli incavi delle mattonelle del pavimento di certo non si trovava lì. Sgusciò fuori dal retro del grosso armadio a muro nell'angolo in fondo della stanza e rimase bloccata cogliendo la presenza di qualcun altro, entrato probabilmente senza sapere della sua presenza.

Pai rimase in piedi con la mano verso la porta che aveva socchiuso, fissando la mewfocena inespressivo. Lei non riuscì ad aprir bocca, ma si mordicchiò nervosa l'indice e tentò di scostare lo sguardo senza apparire a disagio. Fallì miseramente e Pai ebbe la forte tentazione di tirare un pugno al muro, o rompere un oggetto a caso nella stanza per riempirsi le orecchie del tonificante fracasso e cancellare l'insopportabile silenzio; riuscì solo a farsi diventare le nocche bianche e a rimanere con gli occhi fissi sul viso triste della verde, l'indice sempre posato contro le labbra, e si sentì schifosamente in colpa nel desiderio feroce di afferrarle la mano, spostare il dito delicato ed essere lui a posarsi sulla sua bocca una seconda volta.

Inspirare. Espirare.

Ricominciare.

« Retasu. »

Lei nel sentirlo pronunciare il suo nome sussultò tanto da sbattere il ginocchio contro il materasso accanto a cui stava. La tensione si frantumò di colpo e Pai fu persino tentato di ridere per il nervosismo:

« Ti sei fatta male? »

« N-no, tutto a posto – mormorò con un soffio sfregandosi la gamba – Non ho preso il legno. »

Si morse il labbro e avvertì il bisogno impellente di rigirargli tutte le parole che le aveva detto nel laboratorio, soffocata dalle iridi ametista di lui che avvertì su di sé pur senza incrociarle.

Non essere gentile.

Non preoccuparti per me.

Non farmi desiderare che tu lo faccia.

Le sue preghiere non furono ascoltate e Pai non le staccò gli occhi di dosso; Retasu si tormentò un'altra volta l'indice con gli incisivi e si ritrovò costretta ad alzare la testa, prima che lui le desse il colpo di grazia chiamandola ancora.

Pai aprì la bocca e la richiuse senza emettere un suono. Cercò di prendere un lungo respiro rilassando le spalle e di nuovo di parlare, mai lasciando il contatto visivo con la ragazza nel timore che potesse scappare via alla sua prima distrazione: avrebbe voluto dire una frase adatta a delle scuse, o a delle spiegazioni, o ad entrambe le cose, invece riuscì solo a pronunciare una seconda volta il suo nome.

Retasu si sentì una stupida, perché quelle tre sillabe suonarono così bene dalla sua bocca?

Si impose di reggere il suo sguardo violaceo e l'urgenza di parlare che vi scorse; deglutì piano e gli fece un timido segno di assenso, un permesso muto a proseguire e una promessa che non sarebbe fuggita una volta che avesse iniziato il discorso, qualunque fosse.

« … Se pensi che voglia chiederti scusa… Non lo farò. »

Lei aggrottò la fronte, impegnando ogni cellula del suo corpo per non arrossire ripensando all'incomprensibile bacio che Pai le aveva rubato, e alzò la testa pronta a fronteggiare ogni livore con la stessa medicina. Lui invece non parve né arrabbiato, né mosso da orgoglio o puntiglio, né distaccato com'era norma; era sereno e pacato, Retasu avrebbe osato definirlo rilassato, se non avesse scorto la sua mascella lievemente contratta e il braccio teso contro il fianco.

« Non c'è niente che mi penta di aver fatto. »

La mewfocena sgranò gli occhioni color del mare e si specchiò in quelli del moro, per la seconda volta da quando lo conosceva ebbe l'impressione di riuscire a vedere cosa nascondesse dietro il suo silenzio composto, come quel pomeriggio sul terrazzino del Cafè. Le si incendiò l'aria in petto:

« Tu non…? »

« No. »

Ripetè a bassa voce e Retasu si premette entrambe le mani sul cuore, certa che le sarebbe schizzato via. Pai fece per continuare, ma la porta accostata si aprì del tutto con un cigolio interrompendoli bruscamente.

Kisshu mandò solo uno strano verso monosillabico capendo al volo che sarebbe stato meglio scegliere un'altra porta, e glielo confermò l'occhiata assassina che gli scagliò il fratello prima di creare una scarica elettrica che detonò dalla maniglia di ottone contro le sue dita:

« Ahia! Cazzo, che male…! »

« Impara a bussare una volta nella vita, demente. »

Il ringhio di Pai fu così spaventoso che Kisshu si limitò a reggersi la mano tremolante e non ribattè bofonchiando soltanto:

« Shirogane ha trovato qualcosa di interessante. »

Il moro grugnì una risposta inferocita ed uscì dalla stanza a grandi falcate, incapace di tornare a voltarsi verso Retasu. La verde invece impiegò un paio di istanti per riuscire a muoversi, lo sguardo fisso sulla luce della porta vuota e un orecchio che colse a stento i lamenti di Kisshu, impegnato a rigirare la mano indolenzita.

« Ehi, pesciolina, tutto ok? – le chiese sibilando infastidito – Che è successo? »

Lei sbattè le palpebre come frastornata dalla domanda, scosse la testa e uscì senza una sola parola sforzandosi di concentrarsi su quanto dovevano fare e cancellando per un po' il ronzio delle due lettere pronunciate dal moro.

Ryou aveva scovato una stanza diversa dalle altre; due enormi battenti dell'ingresso si aprivano su un ambiente scuro e circolare con diverse teche disposte lungo le pareti ed un grande spazio vuoto al centro, tutto all'apparenza deserto. Dietro le superfici delle vetrine c'erano oggetti di ogni sorta in metalli e pietre lucenti, attorno a cui Saru stanziò per lunghi minuti mandando versi di ammirazione, e in una teca più nascosta Eyner trovò con un sospiro di sollievo altri nove pezzi identici alla collana portata dalla principessa.

« Guarda quanti sono – sussurrò Minto – come avrà fatto a rompere il cristallo così? »

« Non lo so e non voglio scoprirlo – la interruppe Ryou sbrigativo – prendiamo tutto e andiamocene alla svelta. »

Vagò con gli occhi ridotti a due fessure attorno a sé:

« Non mi piace questo posto. »

La mewbird fu d'accordo in pieno. Eyner spaccò la teca con il jitte e immediatamente dopo si voltò dalla parte opposta della stanza, puntando l'arma dietro di sé; gli altri ragazzi fecero lo stesso e i sai di Kisshu brillarono di elettricità pronti ad attaccare.

« Fossi in voi non lo farei. »

Una voce soddisfatta vibrò nelle ombre e di colpo il pavimento sotto ai loro piedi svanì.

Ryou imprecò secco cadendo sul ginocchio e accasciandosi bocconi. Era precipitato per almeno cinque metri in ciò che ad occhio era un grosso cubicolo cilindrico scavato nella pietra, largo il giusto per permettergli di stare sdraiato con le ginocchia rannicchiate; si alzò subito in piedi per tornare al livello della stanza, ma non ci sarebbe stato alcun modo per lui di raggiungere il piccolo cerchio di luce sopra la sua testa. « Vi avevo detto di non farlo. »

Sospirò divertita la voce maschile di prima. Ryou sentì Kisshu mandare chiunque fosse a quel paese e intravide una sagoma scura passeggiare sul bordo del suo buco, affacciandosi in uno vicino:

« Lascia perdere, il teletrasporto e il volo sono inibiti qui dentro. – gli precisò con fare divertito – Non tutti i liropheriani amano starsene su questo pianetucolo dimenticato da chiunque. Abbiamo preso le nostre precauzioni contro ogni razza, jeweliriano. »

Kisshu gli inveì contro un altro po' e il carceriere passeggiò attorno ai cubicoli affacciandosi infine su quello di Ryou. Il biondo spalancò gli occhi quando un giovane dal viso ovale, i capelli castani lunghi legati in una treccia e la frangetta, gli ghignò con lucidi e malevoli occhi verde scuro:

« Per lo meno le paranoie sono servite a qualcosa. »

 

 

***

 

 

Taruto rigirò annoiato il cucchiaio nella tazza che Nalý aveva offerto, non aveva bevuto nemmeno metà del suo contenuto, una brodaglia marroncina priva di aroma che non aveva fatto molto più che scaldarlo, ed era parecchio fastidioso considerando la temperatura mite.

Nalý aveva tentato per tutto il tempo di intavolare una conversazione con la falsa Saru, ma Purin era stata bravissima nella recita e aveva snobbato il bruno tutto il tempo rimpilandosi dei pasticcini sul tavolo. Ichigo l'aveva imitata dispiacendosi un poco per il giovane alla destra della mewscimmia, pareva davvero in difficoltà con l'ostracismo della sua promessa sposa, vera o meno che fosse.

« Potremmo approfittare di questa splendida giornata per fare due passi io e lei, da soli. – propose Nalý – Se mi conosceste meglio potrei anche piacervi. »

Taruto affondò il cucchiaio sporco di bevanda nel dolcetto che stava spiluccando con tanta forza da farlo raschiare sul piattino, trapanando l'aria con uno stridere di acciaio su porcellana; Nalý si voltò per capire e il brunetto rimase con il viso poggiato alla mano rimirando il suo dessert annoiato, fingendo che non gli importasse nulla del braccio che l'uomo aveva girato attorno alle spalle di Purin per dieci secondi, prima che la biondina lo scacciasse brusca.

« Ho degli ospiti. – puntualizzò acida – Credo che sia alquanto scortese lasciarli. »

Nalý annuì deluso. Riprese distratto la conversazione inutile che aveva tenuto fino ad allora, quando l'orecchio di Ichigo captò un suono inudibile, come un campanellino: alzò appena gli occhi dalla sua tazza e vide Nalý infilare la mano sotto il pastrano e lasciarvela un minuto scarso, senza mai smettere di chiacchierare.

All'improvviso, ma fu solo un lampo, Ichigo fu sicura di vederlo irrigidire in volto. Un battito di ciglia e tutto svanì, mentre il bruno continuando a sorridere si tirò in piedi sospirando:

« E se portassimo anche i vostri amici? – suggerì con leggerezza – Immagino che non abbiano ancora avuto modo di ammirare per bene i nostri paesaggi. »

« Non credo proprio sia il caso. »

Nalý sorrise in un modo per cui ad Ichigo schizzò un brivido freddo lungo la schiena.

« Insisto. »

Afferrò Purin per la spalla e lei trattenne un lamento spaventato vedendo di sbieco un luccichio metallico, ritrovandosi uno dei coltelli disposti sul tavolo puntato alla gola.

« Purin…! »

« Non muovetevi. »

Ordinò Nalý a bassa voce. Ichigo e Taruto, scattati in piedi, si bloccarono e obbedirono lentamente.

« Purin? È questo il vostro nome? – domandò il bruno all'orecchio della mewscimmia – Potete dirmelo, Alker mi ha già raccontato ogni cosa. »

« Ti prego, lasc… »

Il bruno si fece più vicino a Purin e le prese il viso con la mano libera, costringendo Ichigo a rimanere immobile.

« Voi però non sapete chi è Alker, giusto? – continuò Nalý con gelido riso – Come potreste? »

Purin inarcò la schiena contro la sedia sentendo il metallo seghettato premere sulla pelle e vide Taruto aggrapparsi alla sedia per rimanere fermo.

« È mio fratello gemello. La principessa Saru deve essersi scordata di dire questo piccolo dettaglio… Forse perché credeva fosse ancora in viaggio. »

Poggiò i gomiti sul tavolo tenendo sempre la lama ben puntata sulla biondina, le labbra piegate in un ghigno velenoso:

« A quanto mi ha detto lui, la supposta qui presente ereditiera al trono in questo preciso momento si trova intrappolata dopo un tentativo di furto nella mia dimora – raccontò con falsa allegria – e pare in nutrita compagnia. »

Ichigo digrignò i denti rabbiosa.

Maledizione.

« Pensavate davvero che non avessimo già predisposto della sicurezza? »

Con la mano libera tirò fuori da sotto gli abiti un frammento del Dono, intagliato come quello in possesso di Saru; lo fece ondeggiare giocoso di fronte al loro naso e proseguì in un sussurro:

« Questa pietra è il miglior regalo che mi abbia mai fatto la vita…! E non sono un idiota, pensate di essere i primi che cercano di fregarmelo in questi ultimi mesi? Non lascio mai la mia scorta priva di una guardia degna di questo nome. »

Rimise via il pendente e studiò Purin con aria critica, gongolando quando scostandole la frangetta scoprì la voglia m e si tolse l'ultimo dubbio:

« Sinceramente non ho idea di come a quella bimbetta viziata sia venuto in mente un piano del genere, né perché vi ci siate prestati o come vi abbia trovati, ma ora sarà il caso di sistemare le cose. »

Costrinse la mewscimmia ad alzarsi tenendola sempre sotto tiro e sorrise agli altri due:

« Facciamoci questa stramaledetta passeggiata. »

 

 

***

 

 

« A quanto pare Nalý ha tutto sotto controllo. – sogghignò Alker facendo roteare il suo frammento di MewAqua sull'indice – Avresti dovuto pensare di incontrarmi, sai Saru? »

« Voi due schifosi…! Se volete qualcosa da me va bene, ma lasciate stare Purin e gli altri! Loro non centrano! »

« Mi pare difficile – commentò astioso il bruno – e in ogni caso voglio le nostre preziose pietre, non c'è verso che li lasci andare via. »

« Non osate torcere un capello a Purin! – gridò Retasu dal suo buco – Se lo fate io…! »

« Pensi di avere anche voce in capitolo, testa verde? – la squadrò Alker dall'alto – Se la vostra amichetta e gli altri due fanno i bravini non accadrà niente. »

« Quell'altro mi stava già sulle palle per vie traverse, ma tu con la sua stessa faccia da idiota e la simpatia direi che lo batti. »

Sibilò Kisshu minaccioso e Alker rise forte ammirandolo da sei metri più in alto:

« Sono spaventatissimo. »

Pai soffiò maledizioni tra i denti e tentò di arrampicarsi, invano: la terra attorno era friabile e tenera ed era impossibile scavarsi degli appigli per risalire, sorvolando sul fatto che si sarebbe trattata di una risalita per cinque metri perfettamente lisci e verticali.

Alker fece ruotare ancora il ciondolo con cui era riuscito a comunicare con il fratello e sorrise tronfio:

« Qualunque sia la ragione non vi lasceremo nemmeno un pezzetto di questa roba. Non avete idea di quanto sia utile leggere i pensieri della gente in un mondo così, rende la vita decisamente più semplice. »

« Avete sbirciato i pensieri di mio padre?! »

Proruppe Saru indignata.

« Tuo padre e molta altra gente – annuì il bruno – ma è difficile. Le cose sono diventate molto più rapide dando un pezzettino di pietra a tutti, speravamo che sarebbe stato sufficiente per circuirti, ma sei troppo una frigida viziata cara mia per provare qualsiasi sbotto romantico. »

Saru battè i pugni contro la parete insultandolo in un dialetto che i bracciali schermanti dei presenti, fortunatamente, non tradussero.

« E dire che è stato Nalý a sobbarcarsi la rottura, lui decisamente è più elegante di me! »

Il bruno rise ancora e ascoltarono i suoi passi farsi più lontani:

« Ora statevene buoni qui, io e mio fratello abbiamo due cosette da discutere. »

La porta della stanza si chiuse con un tonfo pesante e tutto sprofondò in un buio denso.

« Darn! That bastard! »

« Ragazzi, vi dico adesso che questa cosa non mi piace per niente. »

Mormorò Eyner, fin troppo a disagio nel cubicolo soffocante:

« Siamo tutti separati? »

« Temo di sì – sospirò Zakuro appoggiandosi con l'orecchio alle pareti per capire dove fossero gli altri – Voi non riuscite ad uscire? »

« Non ho ancora imparato a saltare così in alto – sbuffò Kisshu – e non riesco a smuovermi di mezzo centimetro da terra. Direi che sono cazzi. »

« Io… Io non riesco nemmeno a vedere com'è la situazione. – pigolò Retasu, angosciata dall'oscurità – C'è troppo buio. »

Ascoltò la voce di Eyner dalla cella vicina, il respiro un po' pesante, farfugliare sconnessa e poi esclamare:

« Oh… Ok, aspetta. – si illuminò – Forse migliorerà poco, ma meglio di niente. Se funziona… »

Retasu sentì un guizzo e una scintilla e una bella fiamma rossa prese a risplendere sopra le loro teste; forse non era possibile volare né teletrasportarsi, ma i loro poteri pareva funzionassero.

« Ci fosse Taruto saremmo già usciti. »

« Taruto non è qui – sbottò Pai gelido – quindi vediamo di pensare in fretta ad una soluzione. »

« … Era solo una constatazione. »

Borbottò Kisshu cupo, ma temendo un'altra scossa gratuita si sedette a terra cercando di riflettere.

 

 

***

 

 

Taruto continuò a camminare spostando nervoso lo sguardo un po' su Ichigo, accanto a lui, e un po' su Purin dietro di loro; la biondina era rigida e pallida, ma ostentava un'espressione neutra come Nalý aveva ordinato di fare a tutti: il bruno colse la fugace occhiata di Taruto e gli sorrise allusivo, e il ragazzo lo squadrò con odio terrorizzato dalla lama che sapeva star puntando nel centro della schiena alla mewscimmia.

Nalý era furbo, non aveva distolto l'attenzione da Purin un solo secondo, impedendole di reagire, e aveva fatto mettere i suoi due compagni dove poteva vederli e dove non avrebbero potuto cercare di disarmarlo. Taruto schioccò la lingua furioso, non possedeva ancora abbastanza abilità per centrarlo con i suoi pugnali da una simile posizione, e sarebbe stato rischioso immobilizzarlo con un chimero pianta: avrebbe potuto non fare abbastanza in fretta permettendogli di fare del male a Purin, o avrebbero potuto vederli e bloccarli le guardie del palazzo – dubitava che qualcuno avrebbe creduto che tre aggressori di un nobile, di cui una fala principessa, non fossero dei pericolosi criminali.

« Se Saru ha intuito qualcosa – borbottò Nalý tra sé e sé – purtroppo sarò costretto a cambiare programmi. »

« Che hai intenzione di fare? – domandò Ichigo torva – Ascolta, noi non centriamo niente con i vostri problemi. Lasciala andare. »

Nalý la guardò divertito e strinse la mano sulla spalla di Purin:

« Voi volete le mie pietre, tanto mi basta.  »

« Non sai nemmeno che fartene, di quelle. »

Sbottò Taruto e Nalý sorrise compiaciuto:

« Oh, sì invece! Non hai la minima idea di come possa essere utile leggere i pensieri delle persone da queste parti. »

Ichigo irrigidì le spalle disgustata dal suo sorriso mellifluo.

« Chissà come mai con voi non funziona. Forse perché non siete liropheriani. »

La rossa lo squadrò altera, sollevata però della notizia, l'idea che Nalý o chiunque altro sbirciasse nella sua testa non era proprio allettante.

« Mi aiuterete comunque. »

Purin soffocò un acuto verso di sorpresa mentre la lama del coltello si incise di più nella stoffa del vestito e Nalý le prese il mento tra le dita:

« Sei davvero identica a Saru, credo che tu possa darla a bere abbastanza a lungo. »

« Per cos… »

Nalý la spinse con la spalla contro la schiena costringendola a mettersi più dritta:

« Dubito che la vera principessa riuscirà a squagliarsela, ma prenderò precauzioni. Andremo a fare un discorsetto con il tuo "papino" e ufficializzeremo questa farsa. »

« Cosa?! »

« Stai buono. »

Sospirò il bruno e Taruto abbassò il pugno che aveva sollevato minaccioso contro di lui, mostrandogli i denti ferini.

« Oh, tranquillo, poi voi potrete pure andarvene. – lo rassicurò – Una volta che sarò al potere mi sarà sufficiente uno schiocco di dita, per staccarvi la testa non appena poserete di nuovo piede a Lirophe. »

Ichigo gli soffiò a labbra strette. Taruto rimase fermo a trucidarlo con lo sguardo e decise che poteva benissimo correre un rischio.

Nalý non si accorse delle piante che strisciarono sotto il tappeto nemmeno quando furono a pochi centimetri dalle sue caviglie e il brunetto trattenne un sorriso pronto a godersi lo spettacolo dell'uomo sballottato contro le pareti.

Le liane guizzarono. Un leggero movimento fuori dal campo visivo del ragazzo, un sibilo di lama e con un sordo schianto nel pavimento una grossa spada calò sull'estremità delle piantine, tranciandole di netto.

Lui e le due ragazze sussultarono e Nalý sorrise più compiaciuto: una delle guardie del palazzo era sbucata dal nulla e dopo aver salvato l'uomo si era disposta al suo fianco, studiando i presenti vacuo; Ichigo si rese conto che i suoi occhi erano come appannati d'azzurro e che al collo, in bella vista e lucente sopra l'armatura, una delle collane con il Dono.

« A dispetto delle apparenze sono una persona molto prudente. Faccio sempre in modo di avere una scorta. »

Fece divertito Nalý e indicò con un cenno degli occhi Ichigo: la guardia l'afferrò e le bloccò brusco le braccia dietro la schiena, sordo ad ogni protesta e anzi parve a qualunque stimolo, da come non ebbe la minima reazione al colpo secco di tacco che la rossa gli sferrò nella tibia.

« È stata una buona scelta fare dei doni anche a persone di questo genere. – ghignò Nalý sprezzante e rivolse un sorriso crudele verso Taruto – Fammi ancora uno scherzo così e le faccio rompere un braccio. »

Ichigo trattenne un lamento e la sua spalla emise un agghiacciante scricchiolio. Gli occhi di Taruto dardeggiarono rabbiosi, ma lui obbedì e fece un leggero cenno di comprensione con il capo, lasciando andare mollemente le braccia lungo i fianchi.

« Bene. »

Nalý si rilassò in viso, pago della situazione sotto controllo, e Taruto vide la pietra dell'uomo mandare un piccolo baluginio da sotto i vestiti in contemporanea con la sorella, al collo del soldato.

« Su, muoviamoci. »

 

 

***

 

 

Minto si lasciò cadere a terra con uno sbuffo rabbioso rimirando il buco dell'uscita. La tecnologia delle anguste celle non le aveva impedito di trasformarsi, né di utilizzare il proprio arco, ma non riusciva a volare; per vedere un lato positivo, in ogni caso una sorta di barriera ostruiva l'apertura, o almeno così indicavano i tonfi ripetitivi del piccolo Masha, provenienti da un'altra delle buche, che insisteva a sbattere la testolina pelosa verso l'alto per scappare.

Inchiodata al pavimento la mewbird guardò il passaggio quattro metri sopra la sua testa, si tirò su di scatto e soffiò esasperata calciando una parete, rimanendovi bloccata: le sue doti di ballerina le impedirono di finire a terra e avere la prontezza di stendersi con il torace sulla gamba intrappolata, per mantenere l'equilibrio, notando che il tacco si era incastrato in una zona di terra molliccia; lo tirò faticosamente fuori strappando la zolla terrosa alla parete, creando un buco decisamente troppo grande per la mole di terriccio divelta.

Si accucciò e sorrise, non era un buco, ma un condotto.

« Saru! »

« Cosa c'è? »

« Che tu sappia ci possono essere dei passaggi nascosti in questo posto? – domandò sporgendosi con la testa nel buco – Tipo condotti dell'aria. »

« Tipo cosa? »

« C'è un cunicolo qui, nella parete. – tagliò corto – Non è naturale, è di pietra ed è fatto dall'uomo. »

« Stai parlando dei condotti idrici per lo smaltimento? – domandò e Minto rispose con un verso non meglio identificato – Ormai non servono più… Però è possibile ce ne siano ancora. A casa ce n'è un labirinto nella zona delle cucine. »

« Non ho capito un accidente, ma mi stai dicendo che c'è un modo per uscire cornacchietta? »

« E falla finita! »

« Dubito – soffiò Pai irato ignorandoli – qui attorno io ho solo pietre. »

« Idem. – sospirò Zakuro – Credo che queste buche siano state fatte dopo, ad occhio e croce. »

« Tanto sarebbe inutile – sospirò Minto – è davvero stretto qui… Non so nemmeno se ci passo io. »

« Minto – chiamò Saru concitata – prova a passarci. Quei condotti erano tutti collegati con i pavimenti delle sale, forse riesci a tornare di sopra. »

« Nella speranza che là sopra ci sia un modo per farci tornare alla luce. »

Minto storse la bocca al commento di Ryou e sperando con tutto il cuore che fosse così, cercò di entrare nel passaggio.

L'imboccatura era stretta e dopo non migliorò, ma stendendosi sulla pancia la mora riuscì a muoversi meglio; strisciò per un paio di  metri e si ritrovò con un lamento in un vicolo cieco. Battè il palmo sulla parete scura di fronte a sé. Pietra. Soffocò un gemito di terrore e si sforzò di rimanere lucida, sarebbe stato quasi impossibile fare marcia indietro nello spazio risicato, con anche le ali e la coda che ingombravano il suo avanzare, e cercò ancora un punto di uscita per il dritto.

La mano guantata battè nel buio. Pietra. Pietra. Di nuovo pietra. Lo stomaco le si serrò di fredda paura. Pietra. Ancora pietra.

Terra.

Terra!

La mora iniziò a scavare rimanendo con somma gioia accecata da uno spiraglio di luce, spinse ancora con le dita nella materia molliccia e allargò lo spazio a sufficienza per passare e grata dell'aria che arrivò copiosa nel passaggio claustrofobico, fermandosi solo quando un lamento spezzò la nenia delle zolle che si spiaccicavano a terra:

« Che cacchio fai?!? »

Lei si sporse dal piccolo buco che si era creata e scorse Kisshu mezzo metro sotto di lei, che la guardò male spazzolandosi la terra dai capelli.

Un vicolo cieco.

« Maledizione… »

« Lo dico io. – protestò il verde secco – Mi hai preso per un bonsai? »

« Oh, piantala di fare tanto fracasso, è un po' di terra. »

Lui tenne un po' di terra nella mano, dubitando che la mewbird avrebbe detto le stesse cose con i capelli ricoperti di fango, e soppesando minaccioso se centrarla subito o solo più tardi con la sua bomba terrosa. Minto lo fulminò sollevando imperiosa il nasino e decise che fosse più saggio non badare a lui, perlustrando attorno alla ricerca di altri punti per risalire.

« Accidenti! »

Kisshu avrebbe usato altri termini, ma fu d'accordo.

Minto saltò faticosamente fuori dal passaggio e piombò accanto al verde, intento a tastare le pareti cercando un altro cubicolo come quello da cui era sbucata la mora; lei gli andò dietro e per un pezzo non si udì altro che il loro passeggiare e il tastare le pareti.

« Tombola! »

Minto scattò verso la parte opposta della stanza intanto che Kisshu iniziò a trafficare con una pietra solitaria e che non era fissata a dovere; dopo un paio di minuti di insistenze la pietra scappò dalla sua sede con un piccolo risucchio e Kisshu caracollò indietro di un paio di passi, rischiando di cadere di schiena: gettò stizzito la roccia sul pavimento e tendendo le braccia scavò nel buco apertosi terreno scoprendo con un grido di esaltazione un altro cunicolo.

Man mano che toglieva detriti il passaggio appariva più evidente e il verde riuscì a distinguere anche una leggera incurvatura verso l'alto, quel cubicolo portava sopra. E, fortunatamente, pareva più grande del suo predecessore, a sufficienza perché potesse passaci pure lui.

« Su, usciamo, mi sta venendo la claustrofobia. »

Si allungò per arrampicarsi e Minto gli afferrò un braccio:

« Guarda che io non ci arrivo. »

E rimirò allusiva il buco che lei non avrebbe raggiunto nemmeno tendendosi sulle punte.

« Tranquilla passerotto non ti lascio qui a fare funghi – ghignò – salgo e ti acchiappo. »

Minto corrugò scettica la fronte:

« È troppo stretto, non riuscirai mai a girarti indietro. »

Lui studiò il passaggio e dovette ammette che la mora avesse ragione.

« Fai salire prima me – disse piatta – se mi aiuti ci arrivo senza problemi, poi sali tu. »

Kisshu scrollò le spalle e fece un cenno militaresco con la mano provocando l'ennesimo sbuffo della ragazza. Il verde si abbassò un poco e intrecciò le mani per fare uno scalino con cui Minto riuscisse a raggiungere il passaggio, lamentandosi del tacco che la mora gli piantò nel palmo, sbirciò la punta della sua coda sparire e poi si arrampicò anche lui.

Le pietre del tunnel furono una tortura per le sue ginocchia e gli mancò un po' l'aria, aveva sottovalutato la ristrettezze del posto e il senso di soffocamento che gli avrebbero dato l'aria rarefatta, nonché la luce inesistente perfino per i suoi occhi alieni.

« Ce la fai? »

« Sì… Se mi concentro posso ridurre le spalle di quei cinque, sei centimetri necessari a non farmi scarnificare dalle rocce mentre striscio. »

Minto sospirò rassegnata del suo sarcasmo e si avviò a tentoni, non vide proprio cos'avesse da lamentarsi lui, era lei quella con l'ingombro delle piume sulla schiena. Nonostante il poco spazio in più, infatti, la mora dovette avanzare lentamente oscillando a destra e a sinistra per liberare le ali che finivano incastrate nelle rocce, contorcendosi per passare nei punti in cui il condotto si stringeva leggermente o curvava in modo impercettibile prima di proseguire.

« Ahi! Ehi cornacchia fai attenzione con quella coda! Mi hai centrato nell'occhio! »

« Come se potessi anche badare a come si muove la mia coda, qui dentro. »

« Cosa t'hanno fatto i miei occhi? »

Lei gli scagliò un'occhiata feroce da oltre la spalla e Kisshu si massaggiò la zona lesa sbirciando le piume blu fluttuargli di fronte con un borbottio; il suo sguardo seguì distratto il movimento della livrea fino al suo inizio e strinse appena la mascella:

« … Non riesci a non fare l'anguilla? »

« Se devi lamentarti anche per come mi muovo rimani pure qui. »

Lo gelò brusca e Kisshu replicò grugnendo.

Era già difficile strisciare li dentro.

Le cose non andavano migliorando con Minto che non faceva che ondeggiargli il didietro a un metro dal naso. Di per sé non era d'aiuto il tubino in cui era fasciata, che le segnava la curva finale della schiena un po' troppo bene per la sopportazione del verde, senza nulla togliere a quanto apparisse corto mentre lei lo tirava da ogni parte, camminando sulle ginocchia. Se poi Minto non la finiva di inarcare la schiena per farsi spazio e scivolava nei punti più stretti senza alcuna difficoltà, in quel modo… Diventava difficile per lui far finta di non vedere. O cercare di non guardare.

« Ti prego dimmi che siamo arrivati. »

La risposta affermativa della mora fu colta con un sospiro così sollevato che lei si girò a controllare che fosse tutto a posto; Kisshu le fece semplicemente segno di muoversi e la guardò spingere con forza aprendo una piccola botola, quindi finire di tirarsi fuori dall'uscita e accasciarsi sul pavimento di sopra con un sorriso di trionfo. Il verde la seguì svelto godendosi l'aria meno chiusa della stanza buia e allargando le braccia e le gambe con uno scricchiolio soddisfatto.

Minto non stette troppo a rilassarsi e cercò immediatamente un qualche sistema, comando o leva che desse l'idea di poter azionare le aperture delle celle. Finalmente colse un luccichio, quello che parve un pannello di controllo molto dimesso, nascosto dietro ad una delle porte.

« Sarà quello? »

« Non so – disse vaga la mora stringendo gli occhi – c'è scritto qualcosa, ma non capisco. »

« Fai posto cornacchietta. »

Lei si scostò piccata mentre lui pigiò un paio di bottoni, non accadde nulla e provò con altri due.

Al quarto tentativo ci fu un ronzio e la stanza tremò: i cubicoli interrati emisero un fischio e iniziarono a  ridursi a poco a poco riportando i loro occupanti al piano superiore, poi un altro fischio e le aperture luccicarono permettendo ai prigionieri di uscire. Masha accolse l'evento svolazzando in tondo per la stanza e pigolando così eccitato che Sando dal microfono gli imprecò contro un minuto intero.

« State tutti bene? »

Chiese la mewbird aiutando Retasu a tirarsi su e la verde le sorrise annuendo.

Eyner si appoggiò alle ginocchio con un lamento:

« Aria…! »

« Hai una pessima cera. »

« Non - fatemi - mai - più. Rimanere in un buco del genere. – sillabò disperato alla mewwolf – Penso che per i prossimi tre giorni dormirò all'aperto. »

Zakuro gli sorrise e poi si corrucciò scorgendo la teca che il bruno aveva rotto e dove le pietre di MewAqua non c'erano più.

« Se le sarà portate via quel tipo. »

Soffio Ryou scocciato.

« Di certo. Troviamolo subito. »

« Ma Pai-chan – pigolò MoiMoi dal trasmettitore – e Purin-chan? »

« Taruto e Ichigo sono con lei – gli ricordò Minto decisa – se la caveranno. »

« C'è da sperarlo – sbuffò Sando – l'idea di uno che legge nella testa mi da i brividi. »

Tutti furono d'accordo. Uscirono veloci pronti a setacciare il palazzo, Kisshu per ultimo che, grattandosi la nuca, lo sguardo attirato da alcune piume blu.

« Perché fai quella faccia? »

La domanda di Eyner fu accolta con un grugnito esasperato:

« Sto cominciando a pensare di essere da davvero troppo in astinenza… »

Altrimenti si sarebbe dovuto preoccupare del perché non riuscisse a togliersi di mente il pensiero su quanto fosse snodata Minto.

 

 

 

 

 

 

(*) saru in giapponese significa scimmia (mi sembrava adatto per la clone di Purin :3)

 

 

 

 

 

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Ehehehe un altro capitolo con tanti pezzettini tutti da mettere uno vicino all'altro ♥  godetevi questa gioia, potrebbe durare ancora un cap (forse) e poi… Missstherrro :3

Non ho tanto sa dire su questo cap :3 spero vi sia piaciuto nonostante siano successe tante cose :)

 

Il #martedìfangirl prosegue prolifico ♥  gente cosa mi state spingendo a fare xD! *rotola*

Grazie a Cicci 12, Hypnotic Poison, mobo, Fair_Ophelia, LittleDreamer90, Danya e Ally_Ravenshade che commentano e mi seguono dolcissime :3 e un grazio anche tutti coloro che hanno letto e basta ;)

 

A Tra un paio di settimane :*


Mata ne
~♥ !

Ria

 

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Capitolo 42
*** Toward the crossing: ninth road (part III) ***


Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: 
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Farai felice milioni di scrittori. 

 

Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: Non essere indifferente!
Salva anche tu una tastiera da pazzoidi che le massacrano scrivendo come disperate! Non chiudere gli occhi, puoi salvare milioni di vite elettroniche.

 

 

 

 

 

Gente è un capitolo IN-FI-NI-TO.

Botte, fluff. Botte e fluff abbbbestia.

Vi lascio alla lettura, via! E sappiate che il titolo del cap mi fa piangere sangue T_T ma la mia inventiva è morta oggi

 

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Cap. 42 – Toward the crossing: ninth road (part III)

                Through the night

 

 

 

 

« Quel verme…! Quei vermi! Se li trovo io…! Io…! »

« Datti una calmata signorinella – sbottò Kisshu stufo di quel borbottio – ci penserai a tempo debito. »

Saru lo squadrò torva e sorvolò stando attenta a mantenere il passo con la corsa sua e degli altri; Zakuro apriva la strada concentrandosi al massimo sull'olfatto ipersviluppato del lupo, cercando una traccia di Alker nel palazzo buio che si rivelò un vero e proprio labirinto di porte chiuse a chiave e corridoi tutti uguali.

« Se è sparito siamo fregati. »

« Grazie della radiocronaca Sando-san – soffiò Minto – dirci qualcosa che non sappiamo già? »

La voce del verde dal microfono suonò in una parolaccia secca.

Zakuro intanto frenò bruscamente la corsa e deviò a destra in un corridoio completamente identico agli altri, ma completamente al buio, gli occhi ridotti a due fessure che saettarono attorno pronti a cogliere il minimo movimento e le orecchie tese. Dopo nemmeno una decina di metri si bloccò di nuovo e scattò indietro evitando che una scure le tranciasse il braccio; srotolò la sua frusta sferzando nelle ombre di fronte a sé e colpendo l'assalitore, mentre nello stesso momento Eyner le sgusciò a fianco parando un affondo da sinistra.

Kisshu mandò una bassa imprecazione. Dal buio iniziarono a intravedersi una fila di spettrali lucine bianco iridescente e un clangore di metallo battè confuso lungo le mura, mostrando nella penombra una decina di guardie armate dal vacuo sguardo azzurrognolo.

Saru retrocesse spaventata, riconoscendo i soldati di stanza al palazzo di suo padre:

« Cosa ci… Fanno qui? »

Le rispose la risata ovattata di Alker, in mano una lanterna talmente minuscola che a fatica gli illuminava il cammino ad un metro; il bruno sorrise arcigno nel vedere la dozzina di soldati accerchiare il gruppo e ammiccò a Saru furbo:

« È difficile conquistarsi la fiducia della gente – fece filosofico – e dare fiducia. Ma se puoi decidere tu cosa devono pensare e fare le persone, è una passeggiata. »

« Sei spregevole. »

Mormorò astiosa Retasu e Alker sorrise freddo. Pai invece mandò un verso di stizza e distinguendola con facilità nel buio agguantò una delle tende sigillate e la tirò con tutte le forze: i ganci che la sorreggevano, rovinati e arrugginiti, non ressero la forza del ragazzo e si staccarono malamente a spizzichi e bocconi lasciando cadere il telone con un tonfo polveroso, inondando il vano di luce con sollievo dei terrestri che finalmente riuscirono a vedere lo svolgersi degli eventi.

Al primo segno di sole Alker riprese la sua fuga mentre i soldati si gettarono sull'altro gruppo, non particolarmente preoccupato o interessato al fatto che i poveretti non fossero in grado di intendere e volere.

« Vi prego non fate loro del male! »

Supplicò Saru soffocando uno strillo quando Ryou in versione pantera balzò addosso ad una delle guardie:

« Dillo a loro, non a noi. »

« Non lo stanno facendo apposta! – rincarò lei non capendo il suo ruggito – Per favore non… »

Gridò un'altra volta evitando per un pelo un fendente sulla testa, caracollò a terra e vide con terrore il soldato che l'aveva aggredita caricare un nuovo e definitivo colpo. Saru chiuse gli occhi, ma riuscì a sentire il rumore della lama cozzare contro qualcosa: socchiuse una palpebra e vide Zakuro bloccare il suo assalitore, gettarlo a terra con un calcio nelle costole e afferrare lei per la vita trascinandola via, prima che un altro assalto di un'altra guardia la colpisse.

« Stai bene? »

Le domandò la mewwolf mettendo al sicuro, alcuni metri dietro lo scontro, e Saru la studiò colma di ammirazione per la sua forza:

« S-sì… Grazie. »

Zakuro annuì appena e tornò all'attacco  sotto gli occhi incantati della principessa.

Intanto gli altri erano alle prese con i soldati che per quanti colpi ricevessero insistevano ad alzarsi e ad affrontarli senza sosta, derubati di istinto di preservazione.

« Se ti ritiri su giuro che ti friggo…! »

Ringhiò Kisshu calciando una guardia dritta in faccia e scagliandola lunga distesa sul muro.

« Cerchiamo di rimanere calmi. »

Sbuffò Eyner esasperato quanto lui, respingendo un soldato e togliendosi di dosso un secondo che, disarmato, insisté comunque la sua offensiva gettandoglisi sulle spalle e venendo ribaltato schiena a terra.

« Non dobbiamo lasciare scappare quel tipo! – proruppe Minto evitando un placcaggio laterale – Dov'è sparito?! »

Retasu centrò un paio di guardie con i suoi getti d'acqua e guardò nell'oscurità del corridoio, non riusciva più a sentire i passi di Alker ma ebbe l'impressione di scorgere un lampo rossastro sul fondo del passaggio, però l'oscurità non le permise di vedere altro; strinse le labbra e afferrò le sue nacchere:

« Ribbon Lettuce Rush! »

Il colpo vibrò lungo tutto il corridoio mirando al livello delle tende. Gli scoppi d'acqua sui muri furono seguiti dal fracasso metallico delle sbarre che si ruppero e dal frusciare pesante dei tendaggi, e il passaggio fu inondato di luce con tale violenza che sia loro che le guardie si fermarono accecati. Stessa sorte toccò ad Alker, ormai sul fondo del passaggio con le dita incastrate in una fessura della parete, per aprire una porta nascosta, e nel tempo che riprese a vedere Kisshu gli si parò davanti al naso puntandogli una delle sue lame alla gola.

« Gran colpo pesciolina. »

La verde gli sorrise combattiva e stese la metà dei poveri soldati rimasti in piedi.

« Allora – fece Kisshu scoprendo i canini candidi – ci dai quel che vogliamo da bravo bambino oppure no? »

Alker si rannicchiò appena su se stesso, ma mantenne il sorriso tronfio muovendo la mano in fuori. Un piccolo globo di ferro gli fuggì di mano prendendo con uno scoppiettio le dimensioni di una sfera di circa un metro fluttuando a mezz'aria; la superficie perfetta tremò in onde brevi e rialzate e Kisshu schizzò indietro a distanza di sicurezza, ma non abbastanza in fretta.

La sfera diede un tremito secco e le onde divennero centinaia di pungiglioni fittissimi.

Il tempo di un respiro e un botto squarciò l'aria, assieme al fracasso di decine di aculei che trapassarono le pareti.

 

 

***

 

 

« Insomma, lasciami bestione! – protestò Ichigo agitandosi – Non sono un sacco di patate! »

La rossa tentò di divincolarsi dalla presa della guardia sotto il controllo di Nalý, ma quella irremovibile non si curò dei calci che gli assestò e le storse di più il braccio strappandole un gemito secco.

« Ehi, digli di piantarla. – ringhiò Taruto girandosi verso Nalý – Le sta facendo male. »

Il bruno sorrise canzonatorio  per la sua enfasi e il soldato alleggerì la presa sulla mewneko, che mostrò i denti soffiando a lui e a Nalý.

« Sei un vigliacco. »

Gli sibilò Purin più ferma che potè, tentando di ignorare il coltello seghettato premuto con una decisione fin troppo chiara sul suo fianco, e il bruno schioccò la lingua divertito:

« Se non lo fossi il mio piano non mi servirebbe a niente. »

L'altro gli lanciò un insulto a bassa voce che lo fece ridere di soddisfazione.

Taruto continuò a camminare sentendosi completamente inutile per la sua impotenza e sciorinando per la decima volta delle opzioni di strategia a sua disposizione, cercando un modo di andarsene da lì.

Nalý continuava a tenere Purin sotto tiro così come la guardia Ichigo, ed entrambe erano fatte avanzare a una distanza sufficiente per cui non avrebbe potuto afferrarle entrambe e teletrasportarsi via prima che uno dei due uomini reagisse. Non che sarebbe servito a molto, Nalý aveva ancora il frammento di Goccia con sé e né Taruto né le ragazze avevano idea di come raggiungere gli altri.
I suoi chimeri pianta erano già stati fermati una volta e anche avesse voluto ritentare si era accorto, maledicendo Nalý tra i denti, che altre quattro o cinque guardie pattugliavano il corridoio a distanza di sicurezza, ma abbastanza vicini da fermarlo; se pure nessuna delle guardie fosse stata in grado di fermare il suo assalto, dubitava sarebbe riuscito a mettere al tappeto Nalý e il soldato nello stesso momento data la lontananza tra loro, almeno colpendo da un punto favorevole perché non si accorgessero della cosa: se avessero annusato un suo attaccarli Taruto aveva paura che ne avrebbero pagato le conseguenze le ragazze, e temeva che tutto lo strato di stoffa su Purin non sarebbe stato sufficiente a fermare un affondo di lama ben assestato.

Poi gli venne un'illuminazione.

Forse non avrebbe dovuto togliere Nalý e la guardia dalla custodia delle ragazze.

Forse sarebbe bastato togliere le ragazze dalle loro mani.

Gli altri problemi rimanevano, ma se fosse stato in grado di creare abbastanza chimeri assieme…

Si tormentò le dita nervoso, non era certo di esserne in grado. I suoi occhi passarono veloci su Purin, il volto teso e un rivolo di sudore freddo sulla pelle ambrata, e al ragazzo prese un moto di orgoglio: in fondo una volta aveva creato  contemporaneamente piante sufficienti a tenere sollevato un intero stadio(*), dieci persone erano una bazzecola.

Diede un'altra veloce occhiata alla mewscimmia, sperando che cogliesse il suo segnale muto, e il lievissimo cenno di lei sembrò una conferma; cercò Ichigo e la rossa aggrottò la fronte battagliera, nonostante il sorrisetto che guizzò sul viso del brunetto le avesse dato i brividi. La parola che gli lesse sulle labbra le fecero direttamente accapponare la pelle.

« Aggrappati. »

Ci fu un gran fracasso di mattonelle e legno infranto; Ichigo con un grido si ritrovò una liana gigante di Taruto premuta contro la pancia, e si strinse all'enorme stelo con tutte le braccia e serrò le cosce pur di non cadere dalla pianta, mentre quella si incurvò un poco contro il soffitto.

« Maledetto moccioso, che cavolo ti salta in mente~eeh?!? Nya~ah! »

Nemmeno le guardie e Nalý furono entusiasti dell'exploit del brunetto, e nello stesso momento in cui la rossa si ritrovò a cavalcare il suo destriero vegetale quelli finirono spalmati, quando non direttamente incastrati, nei muri. La sola che parve divertirsi fu Purin che rise come una matta e lanciò un'esclamazione degna di un cowboy navigato prima di balzare giù dalla propria cavalcatura e seguire Taruto, lanciatosi in corsa:

« Vecchiaccia, avanti, salta giù! »

« Come se fosse semplice, tu e le tue idee! – gemette stridula con le unghie a grattare la cellulosa e le orecchie feline rizzate – Ferma questa sottospecie di toro imbizzarrito! »

Il brunetto roteò gli occhi esasperato facendo ritirare il chimero; Ichigo squittì e rotolò a terra con un lamento più forte, quindi trasformandosi corse dietro ai due ragazzi sentendo le imprecazioni di Nalý e il fracasso delle guardie che si liberarono.

« Voglio rompere il naso a quello lì! »

Sbottò Purin girandosi, ma Taruto le afferrò il colletto e la tirò via:

« Mettiti in coda – ruggì – ma se ora ci beccano qui finiremo nei guai. Come glielo spieghi che sei travestita dalla principessa rompiscatole?! »

« Allontaniamoci e basta! »

Berciò Ichigo. Purin annuì alle loro critiche per niente soddisfatta.

Sbuffò riprendendo a correre, ma inciampò nella gonna e con uno sbotto rabbioso scalciò gettando al vento le scarpe e iniziò a strapparsi di dosso l'abito di Saru a mani nude, causando una sincope a Taruto quando lui si rese conto di cosa stava combinando:

« Che cacchio fai?!? »

Farfugliò stridulo guardandola ad occhi sgranati e divampando come un cerino, cercando di non sbirciare il petto acerbo della biondina che stava spuntando un laccio alla volta da dietro al corsetto:

« Piantala! »

« Non riesco a correre con questo coso…! »

L'accalorata protesta ricevette in cambio un imbarazzato grugnito strozzato.

Di colpo si sentì un secco scoppio: solo l'agilità di Purin le permise di far colpire da un nugolo di aghi acuminati solo l'orrido abito e non se stessa, approfittando di una spina che stracciò la stoffa abbastanza da permetterle di sgusciare fuori dal corpetto, e lasciare alla trivellazione un povero strofinaccio malconcio.

Taruto soffocò un lamento esasperato e strizzò le palpebre, o almeno si sforzò di chiuderle il più possibile, ringraziando ogni divinità conosciuta quando sbirciò la coda riccioluta da scimmia della ragazza e seppe che finalmente aveva di nuovo dei vestiti addosso.

« Non sperate di squagliarvela così! »

All'urlo di Nalý la sfera di metallo di fronte a lui, identica a quella di Alker, tornò liscia, si arricciò di nuovo e ancora formò delle spine che sparò a tutta velocità lungo tutto il corridoio. Ichigo avvertì il metallo sfiorarle le orecchie pelose e miagolò spaventata accelerando l'andatura:

« Che è quell'affare?!? »

« E io come faccio a saperlo?! »

« Era una domanda retorica! »

Purin non ascoltò neppure i battibecchi degli altri due e girando su se stessa riempì il corridoio di Pudding Ring Inferno per bloccare la terza ondata di proiettili: molte spine rimasero invischiate nella sostanza gelatinosa, altre riuscirono a trapassarla, ma rallentarono di slancio cadendo dopo mezzo metro con tonfi sordi. Purin scagliò un'altra raffica di budini e ricominciò a correre, soffocando un grido per l'aculeo vischioso di gelatina che cadde a terra dopo averle sfiorato il naso.

« Andiamocene via! »

« E della Goccia che ne facciamo? Te ne sei dimenticata, vecchiaccia?! »

Ichigo cercò di protestare e dovette schivare l'assalto di una guardia sbucata da un corridoio laterale; l'accecò con il Ribbon Strawberry Surprise e miagolando evitò altri due soldati che, passando letteralmente addosso al compagno, cercarono di bloccarla. Taruto schioccando la lingua iniziò a creare chimeri ovunque per bloccare gli assalitori, mentre Purin ne imprigionava degli altri e Ichigo atterrava quelli che si fecero troppo vicini. Stufo del giochino il brunetto fece marcia indietro puntando contro Nalý, ma l'arma dell'uomo aveva una capacità di ricarica rapidissima e un numero fin troppo alto di proiettili: per quanto Taruto volasse, ne schivasse con il teletrasporto e ne abbattesse con le sue piante una raffica gli sfiorò il braccio facendogli perdere la concentrazione per reagire.

« Taru-Taru! »

Un aculeo riuscì a colpire con più precisione il brunetto al fianco, facendolo sbandare contro la parete. Taruto soffiò tra i denti sofferente e lanciò i suoi pugnali contro Nalý, ma un'altra scarica di spine era già in partenza; sentì il bruno mandare un grido di dolore e reggersi la spalla e si preparò a fargli compagnia, quando vide una massa gialla e molliccia ondeggiare all'improvviso ad un metro da sé e due manine guantate gli afferrarono il braccio tirandolo via prima che fosse ridotto a gruviera.

« Stai bene Taru-Taru?! »

« Potrei stare meglio. »

Ammise con un sorrisetto sghembo tenendosi stretto il fianco e concedendole un sorriso quando lei, pallida di preoccupazione, gli strinse l'altra mano.

« Ora ne ho abbastanza. »

Sbottò Ichigo e scacciò con un calcio il soldato che tentò di afferrarla per la vita. Nalý, la mano a sfiorare il pugnale che gli spuntava dalla spalla e il viso cereo, la squadrò furente mentre lei si fece avanti puntandogli contro la propria arma, dietro di sé una trentina di guardie o k.o. nella lotta tra lei e Purin o ancora avvolti dalle liane di Taruto.

« Ti meriteresti ben altro, ma ci penseranno Saru e le leggi del tuo mondo a darti una lezione – sentenziò la rossa – tu ora dacci quello che porti al collo. »

Chiaramente aveva intenzione di assestargli anche un bel calcio nella mandibola, ma non ritenne fosse il caso di puntualizzarlo in quel momento. Nalý si ritrasse rabbioso e qualcosa attirò la sua attenzione: Ichigo si corrucciò vedendo il sorriso sottile spuntargli sulle labbra, domandandosi cos'avesse in mente.

Aprì la bocca per chiederlo e un dolore sordo le vibrò nel fianco, le avevano tirato un pugno. Pure parecchio forte.

Gemendo strusciò con la guancia su ciò che restava del tappeto e sentì Taruto mandare un lamento simile; tra i ciuffi sporchi di polvere intravide una figura in giallo barcollare con passi lenti ed incerti verso Nalý, e quello ridendo sottovoce aspettò calmo che Purin si posizionasse accanto a lui e le serrò la mano sulla gola: la biondina non reagì, lo sguardo perso velato di azzurro e il frammento che Saru le aveva dato per completare il travestimento che le pendeva splendente sotto il ciondolo mew.

« I pensieri di voialtri non riesco a leggerli – sorrise maligno l'uomo passando l'indice sotto la collana con la Goccia – ma a quanto sembra con un piccolo aiutino qualcosa si può fare. »  

 

 

***

 

 

« Kisshu-san! »

Retasu soffocò le parole in un grido secco e si mise le braccia attorno al viso per proteggersi almeno la testa dal colpo, gli occhi chiusi. Il fracasso degli aculei di ferro che si conficcarono nelle pareti le trapanò le orecchie e le fece piombare il cuore in gola dalla paura, la pelle d'oca nell'attesa di un picco di dolore che non arrivò.

Si azzardò a socchiudere una palpebra e scorse Kisshu fluttuare a poca distanza sebbene sembrasse non aver evitato tutti i proiettili dalle condizioni dei suoi abiti e delle sue braccia graffiate.

« Ehi, sei ancora intero? »

« Una meraviglia, Eyn. »

Replicò il verde con un sorriso storto atterrando e calciò uno degli spuntoni che aveva bloccato, ancora percorso da piccole scintille. Retasu sospirò sollevata, aveva visto il ragazzo trovarsi dritto sulla linea dell'attacco.

« Ragazze state bene? »

La mewfocena annuì a Minto, intenta a darsi una rassettata alle piume della coda scompigliate da un colpo vagante, e si rese conto che erano stati tutti protetti dal ventaglio di Pai fatto apparire e ingigantito per difesa. Retasu, il petto che saltò un passo, si domandò come il moro facesse a tenere l'enorme arma con una mano sola dato che l'altra era stretta attorno al suo polso: incrociò il profilo del ragazzo che l'aveva afferrata e tirata dietro le sue spalle come a farle da scudo, ma non ebbe il tempo né il modo di chiedersi se fosse stato effettivamente così o meno perché Alker rise sguaiato pronto a colpire di nuovo e Pai la lasciò andare di scatto per attaccare; la verde fece altrettanto assieme agli altri, non era il momento per pensieri del genere.

Zakuro, Eyner e Pai colpirono in rapida successione per sfoltire l'ondata successiva di spuntoni, con disappunto di Alker che tentò di fuggire, ma una freccia di Minto gli si piantò ad un millimetro dalle dita intente ad aprire la porta segreta:

« Tu resti qui. »

Rincarò il messaggio con altre frecce che costrinsero il bruno ad allontanarsi verso l'angolo e cercò di replicare all'assalto aprendo il palmo verso la sua sfera, ma Minto glielo impedì completando la sua opera con un colpo dritto sotto il cavallo dei suoi pantaloni:

« Non ci provare. »

La sfera di ferro mandò un stridio metallico e si frantumò in una decina di pezzi. Kisshu si scricchiolò il collo spazzolandosi gli abiti mangiucchiati dal metallo e squadrò derisorio Alker, teso in punta di piedi per evitare danni collaterali.

« Colpo di fortuna tuo o suo? »

« Una buona mira. »

Ribattè Minto, l'arco ben piazzato ad un paio di centimetri dalla fronte del bruno; Kisshu fece una smorfia furba:

« Inizio a pensare di dover stare attento a non farti arrabbiare troppo. »

« E te ne rendi conto solo adesso? »

« Sei tu quella che ha il bel faccino innocente, non io. »

Lei sollevò un sopracciglio divertita. Kisshu sorrise sghembo, le braccia sulle spalle e i sai incrociati dietro la testa con aria rilassata, e Minto per qualche secondo ebbe la sensazione che si stessero fissando a vicenda. Ringraziò con tutto il cuore quando la frusta di Zakuro avvolse Alker trascinandolo come un sacco nel centro del corridoio, spazzando via tutto in un istante.

Saru nel frattempo rispuntò dal suo cantuccio sicuro e afferrò Alker per il bavero:

« Tu e tuo fratello non mi siete mai piaciuti, e non mi sono sbagliata. – sentenziò aspra – Quanta gente avete ingannato con i vostri sporchi trucchi?! »

« Avrete tempo per discutere i dettagli dei loro progetti dopo, di fronte a chiunque gestisca la giustizia da queste parti. – obbiettò Pai freddo – Noi ora abbiamo altro a cui pensare. »

Saru annuì torva e frugò tra i vestiti di Alker sorda alle sue proteste e invettive finché non tirò fuori un sacchetto che riluceva iridescente.

«  Come avete fatto a romperla in così tanti pezzi? »

Domandò Eyner sovrappensiero sbirciando nel sacchetto che Saru gli aveva lanciato, ma Alker non potè rispondere perché la mora gli assestò un pugno dritto nella mascella mandandolo lungo disteso sul pavimento.

« Mica male come gancio signorinella. »

« Possiamo cercale di non metterlo k.o., almeno per il momento? – sospirò Pai – Vorrei rispondesse. »

« Era una semplice pietra – gemette stridulo Alker rotolando su un fianco e soffiando tra i denti – il punteruolo giusto e via… Cazzo che male, la faccia…! »

« Se vuoi il prossimo te lo tiro io, così fai il confronto. »

« Hai poco da fare lo spiritoso conciato come sei. »

Kisshu scrollò le spalle:

« Ti scoccia perché sei stato utile come una tigre senza denti, ammettilo gattaccio. »

Ryou lo squadrò gelido e dal microfono MoiMoi sospirò rassegnato:

« Il Dono in effetti è molto fragile al suo stadio cristallizzato. »

« O è solo Kisshu che ha la mano pesante? Sei sicura di voler prendere il suo incidente come termine di paragone? »

« Tu vuoi proprio che ti trasformi in un manicotto, dillo Shirogane non c'è problema. »

« Fatela finita entrambi. – sbottò Minto – Vi ricordo che questo qui non è da solo. »

A quelle parole Alker storse un sorriso malevolo:

« Ehi, Saru… »

La principessa lo guardò con sufficienza:

« E il regalo di mio fratello dov'è? »

Saru si portò istintivamente una mano al petto, corrugando la fronte e ricordandosi del frammento che aveva lasciato a Purin. Il suo viso divenne un po' più pallido mentre Minto e le altre ragazze si scambiarono un'occhiata.

« Torniamo da Purin e dagli altri. – mormorò Retasu – Adesso. »

 

 

***

 

 

Taruto ebbe l'impressione di avere un tamburo come cappello. Sugli occhi gli passarono dei lampi neri che offuscarono ciò che vedeva e sperò gli annebbiassero pure la ragione: sarebbe stato orribile se Purin fosse stata davvero sotto il controllo di Nalý, se davvero non avesse reagito alla mano che le artigliò la carotide e se davvero avesse preso docilmente il coltello che lui le aveva puntato alla schiena fino a poco prima, portandoselo a sua volta al collo.

« Prova a farle del male e io…! »

Nalý rise a labbra strette del suo tormento ed estrasse con un sibilo lamentoso il pugnale di Taruto dalla proprio spalla:

« "Tu" cosa? – sorrise sarcastico e Ichigo digrignò i denti rabbiosa, costringendosi a stare in ginocchio – Stai calma e non succederà niente, mi sembra un buon compromesso no? »

La rossa artigliò il tappeto tremando di rabbia e provò a chiamare ancora Purin senza che lei avesse la benchè minima reazione.

Taruto, ancora riverso sul fianco, strisciò lungo la parete tentando di rialzarsi e capì di aver ricevuto una ginocchiata nella tempia destra, con buona pace della sinistra che aveva avuto un incontro ravvicinato con il muro –  probabile motivo del martellare della sua testa e del caldo appiccicoso lungo l'orecchio. Spesso dimenticava quanto Purin potesse avere la mano pesante.

Accidenti a te, scimmietta da circo…

« Direi che è il momento di darsi tutti una calmata. – sorrise Nalý alzandosi e spazzandosi gli abiti – Ora seguiamo il mio piano, uh? »

Accarezzò Purin sulla nuca divertito dall'astio con cui Ichigo lo squadrò.

« Non ho idea di come sia diventata così. »

Soppesò tirando annoiato i ciuffi biondi della ragazza e stuzzicandole le orecchie pelose:

« Ma sarà necessario rimetterla in sesto, non la daremo a bere a nessuno così. »

Taruto non ascoltò una parola dei suoi ordini, tantomeno delle proteste sorde di Ichigo e delle sue richieste fioche di lasciar andare Purin; soffiò tra i denti per il bruciore che gli divorò il fianco leso e fulminò Nalý con lo sguardo:

« Toglile - immediatamente - le mani - di dosso. »

Nalý lo studiò sprezzante per la sua baldanza e divertito fece un innocente cenno con il capo, dando ordine a Purin di premere più forte la lama contro di sé. Ichigo soffocò un pigolio, terrorizzata dalla stoffa che vide sfilacciarsi dal collarino giallo.

« Credo di non aver capito, ragazzino. »

« Toglile le mani di dosso. Adesso. »

« Taruto, no. »

Mormorò strozzata la mewneko, ma il brunetto rimase in piedi con le iridi dorate così roventi da far irrigidire appena Nalý, nonostante il vantaggio che aveva.

« Stai al tuo posto – fece perentorio il bruno – lo sai che posso fare anche a meno di lei, vero? »

Si sentì il secco strappo della stoffa e Ichigo scattò in piedi con la coda e le orecchie dritte:

« No…! »

Il suo volto cereo divertì Nalý; ostentò un altro cenno con la testa facendo smettere Purin di spingere il coltello, che rimase premuto contro il suo collo a reggere il collarino quasi reciso. La rossa smise di respirare chiedendosi ad occhi spalancati che intenzioni avesse Taruto, a prima vista imperturbabile alla scena rispetto a lei: in realtà il brunetto aveva l'impressione di stare affogando nell'acqua gelata per il panico che gli ghiacciò le viscere, ma non avrebbe tollerato un altro minuto di vedere Purin trattata come un burattino.

.

Si rese conto delle iridi nocciola di Ichigo che gli pizzicarono la nuca  e le bisbigliò qualcosa in jeweliriano, così piano e veloce che ci vollero tutti i lunghissimi secondi prima dell'azione del brunetto perché il bracciale della mewneko le traducesse.

Fidati di me vecchiaccia.

Grandi parole, visto che la sola idea che gli era venuta in mente non sembrò sensata nemmeno a lui.

Con un gesto fulmineo il ragazzo strinse qualcosa nella mano sinistra e lo lanciò immediatamente dopo. Le sue vecchie bolas rotearono con un sibilo centrando la mano in cui Purin teneva il coltello, stringendosi attorno alle sue dita e bloccandogliele mentre la biondina veniva spinta indietro; Ichigo d'istinto si gettò addosso a Nalý prima che reagisse e gli strinse le mani alla gola, bloccandolo sul pavimento, intanto che Taruto si teletrasportò a fatica da Purin, a terra ginocchioni, e tentò di impedirle di ferirsi con il coltello e allo stesso tempo di strapparle il frammento di Dono di dosso.

La biondina, sempre inespressiva, continuò a spingere con la lama verso di sé incurante di prendere nel mentre la mano di Taruto o la propria guancia e spingendo con l'altra mano per tenerlo lontano dal pendente.

« Falla smettere immediatamente! »

Ordinò Ichigo premendo il ginocchio sul torace di Nalý e quello fece orecchie da mercante, pensando solo a cercare di togliersela di dosso.

« Insomma, piantala! »

Taruto soffocando un lamento afferrò la lama seghettata nel palmo e finalmente riuscì a bloccare i movimenti di Purin e a strapparle di dosso il ciondolo: la biondina si contrasse con un lungo sospiro, chiuse e gli occhi e li riaprì spaventata, il fiato grosso.

« Taru-Taru… »

« Sei sempre un disastro scimmietta. »

Le sorrise sghembo con aria sollevata e le sciolse i lacci attorno alla mano; Purin lanciò lontano il coltello e gettò le braccia al collo del brunetto stringendolo forte, tremando così forte che lui evitò di sgridarla imbarazzato:

« Ehi, ehi. »

« Taru-Taru… Taru-Taru… »

Purin non lo lasciò andare un secondo rabbrividendo da capo a piedi per la paura. Non aveva capito cosa fosse successo, ricordava il brunetto che la rassicurava sul graffio al fianco, poi un lampo bianco e poi niente. Quando aveva ripreso lucidità si era ritrovata con una lama in mano e la vista di Taruto ferito, e pur non ricordando fu sicura di essere stata lei il motivo: nulla poteva spaventarla di più dell'idea di fare del male a chi le era caro, per giunta contro la propria volontà.

Ichigo sospirò di sollievo nel vedere l'amica in sé e Nalý cercò di approfittarne per gettarla a terra, e lei per risposta gli tirò una testata con tutta la sua forza come aveva visto fare in certi film americani, ma il risultato fu solo di lasciarlo a gemere sdraiato con le mani sulla fronte esattamente come lei:

« Nyaaaah!  Che male!! »

« Ma che cavolo combini, micetta? »

La rossa soffiò squadrando con astio attraverso i guanti rossi un Kisshu, spuntato dal nulla con tutti gli altri, palesemente divertito del suo spettacolino.

« Nei film sembra più facile (ahio!)… »

« Momomiya dubito che la tua testa sia così dura. »

« Senti chi parla. »

Grugnì con le lacrime agli occhi trucidando Ryou con gli occhioni rosa e riuscendo a dimenticare per un momento i suoi pensieri verso il biondo, troppo offesa del suo riso trattenuto.

« Purin, stai bene? »

Domandò Retasu inginocchiandosi accanto alla biondina; lei, ancora abbracciata a Taruto, lasciò un po' la presa e annuì all'amica asciugandosi gli occhi umidi.

« Taruto-san, che hai fatto alla mano? »

Il brunetto rispose con un suono indefinito scrollando le spalle.

« Comunque, pare che la tua testaccia un po' sia servita. »

Sorrise malefica Minto verso la mewneko e guardò Eyner tirare su di peso Nalý e bloccargli le braccia dietro la schiena, mentre Zakuro strascinava Alker per il corridoio avvolto nella sua frusta come un salame.

« Minto, sto per replicare e tirare anche a te una testata, sappilo. »

La morettina non intaccò di un millimetro il suo sorriso.

 

 

 

Prima che le guardie del palazzo si riversassero per il corridoio i ragazzi provvidero a prendere tutti i frammenti di MewAqua dai soldati svenuti, tanto per essere sicuri che non sparissero assieme ai feriti – o gli impedissero di raccoglierli, magari sbattendoli in qualche cella.

Ci volle del buono perché Saru convincesse le guardie a non arrestarli tutti e ancor più a convincere suo padre, giunto barcollando, il perché dei suoi soldati messi al tappeto e ancor più il motivo per cui il suo futuro genero e il fratello fossero pesti e imprigionati.

Kisshu passò tutto il tempo sbuffando e battendo il piede a terra, non vedeva perché perdere tanto tempo: se avevano recuperato ogni pezzo del Dono avrebbero anche potuto teletrasportarsi via, non erano fatti loro i drammi da dinastia di Lirophe.

« Su Kisshu-chan, puoi averla un po' di pazienza – lo aveva blandito MoiMoi dal microfono – inoltre non siamo certi di quanti altri frammenti ci siano in giro. Dobbiamo verificare prima del vostro ritorno »

Il verde aveva ribattuto con un borbottio torvo.

Saru e il re parvero avere lo stesso dubbio. Dopo aver confabulato tra loro per un po' e aver interrogato fino alla nausea Alker e Nalý – con i soldati sempre puntati contro i terrestri e i jeweliriani, per nulla convinti della faccenda – Bazuha stese un sorriso sul viso grassoccio ed esclamò convinto:

« Il modo più semplice per riaverli è solo quello. »

Saru aveva annuito concorde senza curarsi delle facce per niente partecipi dei presenti.

« Non basterebbe andare a bussare ad ogni porta e chiedere di riavere quei maledettissimi ciondoli? »

Gracchiò Sando e il re, confuso nel parlare con un esserino rosa e peloso dalla voce burbera, spiegò titubante:

« Cercate di capire… Scateneremmo il panico, se dicessimo che quelle cose permettevano a loro di vedere i pensieri della gente. »
Indicò i due fratelli bruni sotto custodia dei suoi soldati e si sfregò le mani nervoso:

« Come sovrano mi ritroverei a dare un po' troppe spiegazioni. »

« La possiamo capire. »
Sospirò Eyner grattandosi la testa, e fermando con un cenno della mano Kisshu prima che facesse ulteriori commenti:

« Riunire tutti per una festa però non le sembra eccessivo? »

« Saremmo di fretta. »

Puntualizzò incolore Pai. Saru sorrise radiosa:

« Sarà molto più facile. Fidatevi, da queste parti le brutte notizie è meglio darle ad una bella serata di gala. »

« Bisogna anche commentare la cosa? »

La mora non badò al sarcasmo di Kisshu e strinse la mano di Zakuro:

« Sarebbe solo per una sera. E vorremmo ringraziarvi come si deve. »

Il suo sguardo adorante non scalfì la mora che si lanciò alcune occhiate con gli altri, ponderando su come rifiutare con garbo, quando il microfono di Masha gracchiò ancora:

« Su, che male c'è? Fermatevi ancora per una sera. »

« Che stai dicendo senpai? »

Il violetto mandò un sospiro divertito:

« Una festa è sempre una festa, Pai-chan. »

Il moro fece per protestare secco quando si accorse di Sando, che normalmente avrebbe dato a MoiMoi dello sciocco per una frase del genere, che invece non reagì al suo discorso; teste le orecchie, sentì il respiro sottilissimo del verde dall'altra parte del trasmettitore, ma nessuna replica, ed ebbe l'impressione che anche MoiMoi fosse strano.

« Avrete una serata in più da trascorrere con calma. »

Il violetto lasciò il discorso sospeso e Pai irrigidì appena, così come gli altri cogliendo il senso velato della frase. Eyner strinse nella mano la bisaccia dove Alker aveva infilato i frammenti dal proprio palazzo e incrociò le iridi zaffiro di Zakuro; strinse appena più forte.

Una sera in più.

Probabilmente l'ultima.

Avevano tutti i pezzi del Dono. Sarebbe stato il momento di tornare alla normalità.

Il momento dei saluti.

« … Va bene. – la voce di Pai suonò calma e incolore – Ripartiremo domattina. »

 

 

***

 

 

MoiMoi stiracchiò le pieghe dei vestiti con un sospiro, non metteva indosso la divisa ufficiale da cerimonia dai tempi della qualifica a capitano. Non che gli dispiacesse, la trovava elegante e si divertiva sempre un po' quando qualche vecchio ufficiale o consigliere lo guardava, storcendo il naso o apparendo ammaliato e confuso dalla gonna della divisa femminile su di lui; il suo umore, però, era troppo cupo per divertirsi, e comunque l'atmosfera nella sala del Consiglio Maggiore era talmente pesante da non poter lasciarsi sfuggire nemmeno un sorrisino.

« Capitano Luneilim. Colonnello Okorene. »

Sando rispose subito al saluto del soldato dai capelli aranciati, mentre MoiMoi impiegò un paio di secondi in più, perso con lo sguardo triste sul pavimento.

« Irhokay. – alla pronuncia del proprio nome il soldato abbassò il braccio – Allora? Novità? »

Il giovane incassò un poco la testa nelle spalle:

« Purtroppo nulla, colonnello. – ammise – Abbiamo setacciato ovunque, ma nessuna traccia. Dall'hangar è stata rubata una navetta, stiamo cercando di tracciarne il percors… »

« Lasciate perdere. »

Sentenziò Sando brusco.

« M-ma colonnello… »

« Lascia perdere Roovy. – rincarò basso il verde – Ormai è andata. La condanna sarà ufficializzata tra due minuti, non sprecate altro tempo. »

Roovy lo guardò ancora incerto, ma Sando non parve più intenzionato ad aprire bocca fissando cupo davanti a se a braccia conserte; MoiMoi sospirò e sorrise triste con un cenno affermativo al soldato, che ricambiò intuendo l'atmosfera e con un saluto militare tornò indietro per ripartire i nuovi ordini.

Gli altri due rimasero soli e in silenzio, nella penombra del corridoio appena fuori dalla sala. MoiMoi sbirciò il profilo furente di Sando e strinse le labbra, sconfitto e arrabbiato quanto lui, e affondò con il viso contro il suo fianco dandosi dello stupido: in certe cose Sando era come Pai, lui non era capace di abbandonare l'amarezza che certi affetti gli davano e a tramutarla in mero rancore.

Dopo un lungo silenzio Sando gli passò un braccio attorno alle spalle stringendolo un po'. MoiMoi potè intravedere un accenno di sorriso incoraggiante dalle pieghe della sua giacca, poi i rumori dalla sala indicarono loro che la seduta stava per incominciare.

Entrarono lentamente, i posti di solito occupati dai consiglieri erano stati tutti rimescolati come ad ogni pronuncia di sentenza: Teruga, la Capo Consigliera Meryold e gli altri nove membri anziani del Consiglio sedevano accanto alla donna, mentre nella fila sottostante il generale di divisione Stahl, il generale Ronahuge e altri due membri del Corpo Disciplinare d'Armata sedevano torvi. Sando e MoiMoi scivolarono dietro gli altri seggi, stipati del resto del Consiglio, fino alla curva dove Meryold e gli altri erano riuniti e si sedettero sulla fila in alto; il violetto si mise rigido contro lo schienale e avvertì il bisogno leggero di deglutire, era la prima volta che vestiva i panni di testimone, accusatore e prova vivente.

« Tanto non dobbiamo fare nulla – lo rassicurò brusco Sando – stai buona e tranquilla. »

MoiMoi annuì, ma pensò che le sue parole sarebbero state molto più efficaci se non avesse fatto una simile faccia da funerale.

Di sotto, al centro della stanza, il colonnello Opurh e il consigliere Ebode stavano dritti in piedi, in abiti civili e con le mani davanti al corpo chiuse ai polsi da invisibili catene di luce, un soldato ciascuno al fianco con la spada pronta a colpire in caso di movimenti bruschi. Opurh non si guardò nemmeno attorno, impassibile, gli occhi indaco posati con durezza e fierezza sui suoi accusatori, mentre Ebode respirava nervoso e guizzava con lo sguardo da una parte all'altra della stanza, quasi sul punto di piangere o di gridare e lanciarsi in un'inutile e disperata fuga.

Meryold si alzò in piedi con decisione. MoiMoi non ricordò di averle mai visto un'espressione tanto dura in volto.

« Tuleskya Opurh. Jellbeal Ebode. Siete qui perché la sentenza su di voi sia ufficializzata. »

La voce della donna, ferma, rimbombò dura tra le pareti silenziose:

« Il Consiglio Maggiore di Jeweliria e il Corpo Disciplinare dell'Armata vi giudicano colpevoli di tradimento e cospirazione. Sarete spogliati dei vostri titoli e dei vostri averi e condannati all'incarcerazione finché morte non sopraggiunga, senza possibilità di ammenda. »

Opurh rimase immobile come una statua, mentre Ebode si lasciò sfuggire uno squittio e iniziò a scuotere la testa in silenzio.

« Dovrete inoltre sottostare alle future richieste di questo Consiglio, qualora esso o la vostra gente necessitino in futuro dei vostri servigi. »

Sando non si trattenne dallo schioccare la lingua sarcastico, dubitava che il molliccio consigliere in fondo alle gradinate potesse fare molto più che sollevare uno spillo, o dare suggerimenti oltre al mentire.

Meryold si risedette. Le due guardie a scorta degli accusati afferrarono ciascuna un prigionieri e li spinsero fuori, con Opurh che obbedì indifferente ed Ebode che esplose in vagiti isterici supplicando clemenza.

Finché la voce stridente dell'uomo non fu scomparsa non parlò nessuno. Riacquisita la calma, fu Ronahuge a tirarsi in piedi raccogliendo le mani dietro la schiena; MoiMoi si rannicchiò sul suo scranno, abbassando gli occhi avvilito.

« Questa notte l'accusata Inetaki Lenatheri è fuggita dalle prigioni. »

Sentenziò il generale rasposo. La sala si animò di bisbigli che lui acquietò con un semplice dardeggiare delle iridi di bronzo:

« Ha colto alla sprovvista una delle guardie e approfittato dei suoi permessi di accesso per disabilitare gli schermi e scappare. L'abilità del tenente si è rivelata superiore alle supposizioni. »
Aggiunse spiccio, non nascondendo un velato biasimo verso gli altri capoccioni dell'Armata e la sua irritazione, dato che lui non avrebbe mai acconsentito a rinchiudere una come Lena in una comune cella con barriera.

« Non abbiamo indizi sulla sua futura destinazione, né sui suoi piani. A conti fatti Inetaki è ufficialmente una fuggiasca. »

Altri mormorii minacciarono di sollevarsi e Meryold si accodò a Ron alzandosi in piedi, e facendo ancora silenzio.

« Questa è la nuova condanna.

Inetaki Lenatheri sarà svestita di ogni suo bene e del titolo di tenente dell'Armata di Jeweliria. Inoltre l'evasione si aggiungerà alle accuse di tradimento, cospirazione, attacco e diserzione all'Armata, e data la sua sparizione così sarà la nuova condanna. »

Si interruppe un istante. MoiMoi chiuse gli occhi come se il solo sentire rendesse tutto meno doloroso.

« Inetaki Lenatheri sarà condannata all'esilio imperituro da Jeweliria. Nessuno dovrà offrirle aiuto o asilo, in patria come fuori; l'ordine a tutti i membri dell'Armata sarà di cattura, indipendentemente dall'esito della stessa.

E qualora mai Inetaki Lenatheri rimetta piede a Jeweliria, per una circostanza o per l'altra, sarà catturata e messa a morte senza possibilità di perdono. »

 

 

***

 

 

« … E questo è quanto Pai-chan. »

MoiMoi smise di parlare aspettando che il suo kohai avesse una minima reazione. Come aveva immaginato Pai rimase in silenzio, indifferente agli esiti della sentenza avvenuta poche ore prima, e il violetto si sentì di nuovo sciocco nel suo dispiacere.

« Ne vuoi parlare con gli altri? »

« Meglio di no. – soppesò il moro – Almeno per stasera. Non voglio aggiungere altri pensieri, e ora come ora perfino la fuga di Inetaki potrebbe essere motivo di preoccupazione. »

« C'è un po' di tensione, eh? »

« Più che altro, l'umore non è dei migliori. »

Sospirò incolore e MoiMoi sorrise tra sé, chiedendosi se Pai avesse detto con coscienza o sovrappensiero parole così premurose, o se l'idea degli addii colpisse anche lui.

« Ti lascio alla tua serata – ridacchiò il violetto più energico – vedi di non combinare altri guai. »

Pai storse la bocca, si stava in effetti chiedendo come mai il suo senpai non avesse ancora tirato fuori il discorso sul suo comportamento recente.

« … Mi fugge proprio di cosa tu stia parlando. »

« Ti dico solo questo – aggiunse con vago sentore di minaccia – se fai ancora piangere Reta-chan passerai i prossimi sei mesi a vagare nelle viscere di qualche montagna. Se non direttamente seppellito sotto. »

« Non so se siano più assurde le tue minacce o le tue allusioni senza senso. »

Svicolò impassibile, rabbrividendo della sua risatina ostile, e chiuse la comunicazione passandosi esausto una mano nella frangia.

Bussarono alla porta e si sforzò di racchiudere i propri pensieri in un angolo della mente, a sufficienza per non farli trasparire in viso almeno per le successive cinque o sei ore in cui avrebbe avuto gente attorno.

« Anche tu hai ceduto e ti sei messo in ghingheri, eh? »

« Si chiama educazione, Kisshu – replicò piatto – dubito che abbiano messo questa roba in bella vista solo per suggerimento. »

Concluse aggiustandosi la camiciola chiara e Kisshu scrollò le spalle concorde.

Dopo che ebbero accettato l'offerta di Saru , la principessa aveva ordinato alla servitù  che fossero preparate una seconda volta le loro stanze, perché si riposassero prima della serata. Date le circostanze non dispiacque all'unanimità il rimanere lontano dall'orbita della dittatoriale morettina, che aveva dato un ulteriore segno del proprio dispotismo lasciando in ogni camera un completo adeguato all'evento futuro; le ragazze erano state meno fortunate, a quanto Pai aveva sentito distrattamente attraverso i muri, perché Saru dovette aver presenziato alla vestizione di tutte non limitandosi solo a lasciare gli abiti sui letti.

« A quest'ora credevo avremmo visto il corpo della principessina eiettato per il corridoio con una freccia in fronte. »

« Tu dovresti imparare a lasciare Minto in pace – sospirò Eyner – o la freccia te la beccherai tu, e non penso solo nell'occhio. »

« Questa l'ho già sentita. »

Sogghignò ancora Kisshu ed Eyner lo studiò allusivo, domandandosi se stesse intuendo giusto o se il suo amico avesse solo una vena autolesionistica molto pronunciata.

« Magari è andata meglio che a Purin oggi – fece Ryou con un mezzo sorriso studiando il proprio abbigliamento – questi tutto sommato non sono male. »

« Sarà. »

Ribattè assorto Taruto e si incamminarono lentamente verso la grande sala principale, già gremita di gente.

Avevano all'incirca tutti gli stessi abiti, cosa che studiando distratti gli invitati parve prassi per gli uomini del posto– sebbene loro fossero molto meno agghindati degli altri ospiti – consistenti in pantaloni scuri aderenti e una blusa morbida sul torace e sulle braccia e di taglio un po' diverso per ciascuno.

« Mi sembra di navigarci dentro. »

Borbottò Taruto chiudendo il più possibile i polsini stretti delle maniche, e cercando di sistemarsi la maglia nei pantaloni senza apparire un bambino con abiti di due taglie in più. Pai sbuffando cercò di aiutarlo e lui lo scacciò stizzito, sibilando tra i denti quando il moro gli sfiorò per errore il graffio sul fianco:

« Non ho mica cinque anni! »

« Però sei impedito comunque a vestirti. »

Lo punzecchiò Kisshu e Taruto lo mandò sottovoce a quel paese, arrossendo di stizza vedendo che anche Pai sembrò divertirsi alle sue spalle.

« Tu sei proprio l'ultimo che può fare commenti simili. »

Puntualizzò il moro cercando di non dargli corda e fissò scettico la sua aria trasandata, la camiciola lasciata fuori dalla cintura e ben aperta, che metteva fin troppo ben in mostra il torace asciutto, e le maniche raccolte fin sopra il gomito.

« Ehi, se devo rompermi le palle non voglio farlo chiuso in una camicia di forza. »

Proruppe e scoccò un'occhiata di rimando alla maglia di Pai, più aderente della sua e ben raccolta dentro i pantaloni, che gli donava un aspetto composto e fiero.

« Voialtri damerini siete davvero pesanti. »

« Difficile accettare giudizi estetici da te. »

Rimbeccò Ryou divertito e Kisshu fece una smorfia:

« Vai a farti un giro biondo, mi viene caldo a guardarti e non ne ho voglia. »

Sbuffò squadrando il collo alto e le maniche lunghe dell'americano e quello alzò un sopracciglio:

« Al massimo siete voi che fate venire freddo. »

« Noi al freddo ci siamo abituati. »

Buttò lì Eyner per far da paciere prima ancora che i toni accennassero ad alzarsi, e Ryou studiò la sua maglia smanicata convintissimo dell'affermazione.

Erano quasi in fondo quando sentirono la risata squillante di Purin prorompere dal corridoio. Si ritrovarono tutti e cinque a guardare la cima delle scale nello stesso momento, proprio quando le ragazze le scesero precedute dalla principessina. Eyner mandò un sospiro misto ad una risata tesa:

« Ok… – mormorò con uno strano tono – Così però non vale. »

E senza saperlo e pur se per motivi diversi, fu quello che pensarono tutti gli altri.

 

 

 

 

La festa si animò velocemente. Con che scusa il re e Saru convinsero i loro ospiti a ridargli i monili regalati da Nalý non lo seppero, ma bastò il tempo di un rapido giro tra le cibarie e la principessa annunciò trionfante di aver raccolto tutte le pietre che i due fratelli avevano realizzato.

Si vide bene dal darle a chicchessia, però, forse temendo che ottenuto il bottino i suoi ospiti si defilassero, e annunciando che avrebbe dato loro ogni cosa a party concluso intimò di godersi la festa e si abbarbicò al braccio di Zakuro trascinandola per la sala; pareva che Saru l'avesse presa in adorazione dopo averla vista combattere.

« Un'altra vittima della lupacchiotta. »

Aveva commentato maligno Kisshu, ricevendo di seguito uno scappellotto da parte di Eyner e un tacco negli stinchi da Minto, seccata per l'appiccicosa principessa abbarbicata al braccio della sua onee-sama pure senza aiuto dai giudizi del verde.

Nemmeno Eyner fu troppo contento della nuova fan della mewwolf, ma seguendo con la coda degli occhi grigio-blu i movimenti per la sala di Zakuro e di Saru si era rassegnato, ad occhio e croce ci sarebbe voluto parecchio prima che la morettina lasciasse andare la sua preda.

Certo, tollerò molto di più la cosa grazie all'alcol che scorreva ovunque per la sala, e di certo avrebbe preferito che Saru fosse stata meno abile nell'ottima scelta di vestiario della mora.

A Lirophe doveva esserci una certa diversificazione su abiti maschili e femminili.

Non vale.

Così non vale.

Il bruno non si tolse quella cantilena dalla testa mentre continuò a guardare Zakuro passeggiare per la stanza con indosso un abito mono spalla con gonna a sirena, sofisticato ed elegante – e un po' disperato si domandò per l'ennesima volta il perché, alla mewwolf stesse così bene qualunque cosa – abito che attirò molti altri sguardi, ignari invece della principessa Saru sempre appresso alla mora come uno strano ornamento chiacchierone.

Eyner buttò giù in un fiato ciò che restava nel suo bicchiere e vide finalmente Saru allontanarsi un momento ridacchiando. Non fece neppure in tempo a posare il calice che già tre tizi dall'aria belloccia e insulsa avevano accerchiato Zakuro, incuranti dell'occhiata gelida che lei gli scoccò contro.

Fu la reazione di un secondo: la mano di uno del gruppo che si avvicinava untuosa al fianco della mora ed Eyner piombò loro addosso come un falco.

Perfino Zakuro si stupì un poco del modo feroce in cui li squadrò, ma non gli chiese nulla; nemmeno Eyner parlò e scacciata con fin troppa gentilezza la mano morta – se fossero stati vicino al buffet, con ogni probabilità vi avrebbe infilzato una forchetta – appoggiò dolcemente ma con fermezza la propria sulla vita di lei e la trascinò via. Si fermò solo quando fu di nuovo al tavolo da cui era partito, pronto alle proteste della ragazza che di certo non aveva gradito il suo strattonarla in giro. Con sua sorpresa Zakuro si limitò ad inclinare un poco la testa, accennando un sorrisetto:

« Che succede? »

« Niente. »

« Ah sì? »

Scherzò divertita del suo muso lungo:

« Stasera ho poca tolleranza verso i tuoi ammiratori. »
« Non l'avrei mai detto. »

« Se evitassero di spogliarti con gli occhi, ne avrei di più. »

Puntualizzò più acido e lei abbozzò una risata, appoggiandosi mollemente alla sua spalla con le mani:

« Non abbiamo già parlato di questa cosa? »

Lui la strinse di più a sé lasciandole un bacio sulla tempia. Zakuro sapeva bene che la reazione appena eccessiva del bruno fosse causata da altri pensieri taciuti, gli stessi che da alcune ore cercavano di assillare lei.

Se avesse avuto con sé un orologio, probabilmente lo avrebbe consumato a furia di controllarlo.

Posò la testa contro la sua spalla ed Eyner le baciò la guancia inspirando forte, l'unica cosa che avrebbe voluto in quel momento sarebbe stata godersi la sua presenza, non contare le ore che rimanevano.

La vocetta di Saru gli raggiunse troppo velocemente. Eyner guardò Zakuro quasi con un moto di disperazione all'idea di lasciarla ancora nelle grinfie della principessa e la mora abbozzò un sorriso:

« Dammi cinque minuti. »

« Due. »

La supplicò afferrandole la mano mentre Saru le si aggrappava al braccio e trillando le chiedeva di seguirla.

« Geloso. »

Lo punzecchiò Zakuro con dolcezza.

« Adesso? »

Domandò vago lasciandole andare di malavoglia la mano e guardandola come temesse di vederla scomparire:

« Non sai quanto. »

 

 

***

 

 

Ichigo inghiottì il decimo – o più probabile undicesimo – piccolo fagottino di sfoglia ripieno di verdure e altri deliziosi misteri e gongolò estatica:

« Che buono…! »

« Ichigo, insomma, dovresti contenerti un po'. »

La rossa rimase con il boccone a metà arrossendo a disagio per il commento antipatico di Minto, che sorseggiava da un bicchiere scettica sul suo enorme piatto di cibo vario.

« Ho fame, mangio. – le rimbrottò secca – Se tu vivi di aria, buon per te. »

« Su, su. Minto, perché non assaggi ancora qualcosa? È tutto buonissimo! »

« Io passo Retasu, –  le sorrise non badando al piatto pieno nelle sue mani – grazie mille. »

« Solo a me devi rompere le scatole?! »

La verde le guardò bisticciare con un sorriso rassegnato e terminando la propria cena.

« Quanto chiasso che fanno. »

« Diciamo che è il loro modo di esprimere affetto. »

Taruto, pure lui un bel piatto carico di viveri, la studiò scettico:

« Io a voialtre ragazze non vi capirò mai… »

Commentò solo asciutto inghiottendo una polpetta e Retasu sorrise discreta.

« Taruto-san, ce la fai? »

« Uh? »

« Con la mano, intendo. »

Aggiunse impensierita indicando dove lui si era fatto male per fermare Purin, e il punto della fasciatura su cui premeva il piatto del brunetto.

« Mica è pesante – replicò scrollando le spalle – è solo un graffietto, comunque. »

La verde sorrise con dolcezza e lui scostò la testa riempiendosi la bocca con degli strani fagottini fritti:

« Non ti devi preoccupare. »

Borbottò a bassa voce e Retasu annuì continuando a sorridere.

« Taru-Taru, questo l'hai assaggiato? »

Il brunetto girò lo sguardo trovandosi uno strano ammasso marroncino con delle foglie che sbucavano dai bordi sotto il proprio naso; fece una smorfia retrocedendo, aveva evitato la strana cibaria solo per l'aspetto, ma nemmeno l'odore da vicino era troppo invitante, eppure Purin se n'era riempita un piatto.

« Che diavolo è quel coso…? »

« Non ne ho idea. »

Sorrise lei e ne azzannò uno intero. La sua faccia fu attraversata da espressioni diverse e non tutte molto belle da associare a del cibo, inghiottì e sorrise radiosa:

« È salato, dolce, piccante, acido… È stranissimo! »

« E dovrebbe essere qualcosa di cui gioire? »

« Provalo, dai! »

« Manco morto! »

Di norma Purin avrebbe insistito ridacchiando della sua faccia, invece sorrise con meno entusiasmo e annuendo rimise la polpetta misteriosa nel proprio piatto:

« Se non ti va, non ti va. »

« E che vorrebbe dire questo? »

Le domandò sospettoso e lei gli diede le spalle ridacchiando ostentata:

« Andrò a farli provare a Zakuro nee-chan! »

Taruto la vide sgambettare via in cerca della mewwolf e si convinse del tutto che la biondina avesse uno strano umore; posò il suo piatto e la raggiunse velocemente, dando ulteriore conferma ai suoi dubbi vedendola posare la sua scorta di cibo disgustoso su un tavolo a caso e accelerare il passo, stava proprio cercando di scappargli.

« Insomma, mi aspetti o no?! »
Sbottò afferrandola per un polso. Lei si fermò girandosi appena con aria mogia e non gli rispose.

« Che ti succede? – le chiese preoccupato – Ti fa male da qualche parte dopo oggi? »

Lei scosse solo la testa.

« Ora mi spaventi. – ammise lui piano – Stai zitta da troppo tempo. »

« È che… Mi dispiace. »

« Eh? »

« Ti ho fatto male. »

Mormorò e spiò mortificata la mano bendata che ancora le cingeva il polso, incapace di guardare oltre il ragazzo.

« Questa stupidaggine? – sbuffò il brunetto incrociando le braccia – Purin, non eri in te! »

« Lo so. Però… Però… »

Serrò i pugni sulla gonna dell'abitino che le avevano dato, l'idea che fosse stato qualcun altro a controllarla non la faceva sentire meno in colpa.

« Purin, guarda che sto benissimo. »

Insisté lui più gentile e mosse la mano in ogni direzione, chiudendo e aprendo le dita per provarle di non accusare alcun dolore:

« Visto? »

« Non sei arrabbiato con me? »

« Ma ti pare, scema?! »

Sbottò a disagio per gli occhioni lucidi che lo fissarono e Purin si asciugò una lacrimuccia:

« È da ieri che sei arrabbiato con me. »

« Non mi arrabbio certo perché uno stronzo si mette a giocare con la tua testa – le rimbrottò – e grazie per avermi fatto ricordare del tuo fidanzato. »

Fece accigliato e le diede le spalle offeso.

« … Scusami, dovevo parlartene. »

« Magari. »

« È solo che non ci pensavo neppure – si giustificò – è il successore della palestra di mio padre, e visto che io sono l'erede hanno deciso questa cosa, ma tutto loro due. Io non ho mai detto la mia, né ho mai accettato. »

Lui grugnì senza risponderle. Purin si fece spazio con le mani tra le sue blindatissime braccia intrecciate e gli si strinse pian piano:

« Scusami. »

« Poi tu mi fai le prediche per come mi comporto. »

« Credo si sia trattato di un discorso un po' diverso… »

« Io non credo. »

Insisté cocciuto e Purin non replicò lasciandogli l'ultima parola:

« Scusa. »

Taruto bofonchiò un forse a labbra strette e allentò la morsa delle braccia, permettendo a Purin di abbracciarlo.

« … A saperlo quel tipo lo picchiavo più forte, quando l'ho incontrato. »

« Ora non esagerare – lo rimproverò amorevole – in fondo Yue Bin ha solo seguito le direttive del suo sifu(**), dubito che abbia mai avuto intenzioni più serie oltre al rispetto per i Fon. E poi l'unico ragazzo che io desidero sei tu. »

Taruto passò velocemente varie gradazioni di rosso prima di borbottare qualcosa che Purin non capì e prendere un lungo respiro, rimanendo solo con un velo di rossore in volto.

« Allora mi perdoni? Per questo e per oggi… »

« Ti ho già detto che non sono arrabbiato per oggi. – insisté e guardò un punto indefinito della sala – Per questo… D'accordo, ma solo perché sei davvero molto carina vestita così. »

Provò a darsi un tono alzando il mento e studiando furbetto la biondina e il suo abito, bianco fasciato attorno al busto con una corta gonna a ruota, ma lei gli apparì così graziosa che la battuta uscì poco energica e lui arrossì appena in imbarazzo. Purin sembrò apprezzare lo stesso e gli schioccò un rapido bacio ridendo:

« Allora posso chiederti una cosa? »

Strinse le labbra in un sorrisino impacciato sussurrandogli all'orecchio:

« Sai, è che… Mi piacerebbe tanto andarcene da qualche parte noi due da soli. »

Lo vide passare una seconda volta tutta la scala cromatica dal rosa al viola, smarrendo la pochissima baldanza che aveva tentato di ostentare:

« C… C… C-che intendi? »

Farfugliò e Purin sorrise sorniona:

« Hai pensato a qualcosa di sconcio. »

« O-ovviamente no, scimmia da circo! »

« Ti cresce il naso. »

Lo prese in giro e Taruto avvertì fumargli perfino la testa, Purin aveva delle belle pretese se pensava che bisbigliandogli una frase del genere all'orecchio la sua mente non prendesse la rincorsa su binari strani.

« Vorrei solo starmene un po' con te. »

Gli disse la biondina intrecciando le dita con le sue. Taruto inspirò piano e le concesse un mezzo sorriso, pensandoci non c'era cosa che più avrebbe potuto desiderare in quel momento:

« Solo perché sei molto carina vestita così. »

Puntualizzò sottile e Purin lo tirò via verso un corridoio più silenzioso, sorridendo:

« Tu invece sei davvero molto bello. »

« Scema. »

 

 

***

 

 

Kisshu completò il quindicesimo giro del salone e se ne tornò alla colonna vicino alle scale appoggiandovisi con uno sbuffo: si guardò attorno sovrappensiero e sbadigliò al colmo della noia, domandandosi perché diavolo avessero accettato la richiesta della petulante copia di Purin. Un gruppetto di ragazze in abiti fin troppo elaborati gli passò vicino chiocciando e in lui si acuì l'impressione di non trovarsi tra persone, ma ad un carnevalesco raduno di uccelli starnazzanti. Forse avrebbe fatto bene a defilarsi proprio come aveva fatto Pai, sparito dalla circolazione da almeno un'ora.

Gli occhi ambrati terminarono di perlustrare attorno e raggiunsero un gruppetto poco distante da lui, finendo senza volere a concentrarsi su una chioma rossa a lui tanto nota. Apertamente a disagio in quell'ambiente di chiacchiere e sorrisi affettati Ichigo se ne stava in piedi tra Minto e Ryou, parlando a malapena con gli estranei presenti tentando invano di rilassarsi e muovendosi nervosa da un piede all'altro.

Kisshu fece una smorfia amara e si massaggiò il collo, la sua gattina era la solita.

Ma lui non l'avrebbe più guardata. Non aveva più le forze per farlo.

Lei non era sua, non lo sarebbe mai stata e lui era stanco di lottare e continuare a ferirsi senza costrutto.

Più che accettazione, rassegnazione; una cosa non facile da sobbarcarsi per il suo orgoglio e che temeva per ancora molto, molto tempo, avrebbe continuato a bruciargli come sale su una pugnalata. Eppure aveva deciso di conviverci, in un modo o nell'altro.

Forse un giorno gli avrebbe fatto male solo quel tanto che bastava a non cascarci ancora. Forse, chissà, magari sarebbe anche riuscito a guardare la mewneko e sentire solo il ricordo dell'affetto, al posto della frustrazione.

Nella sala scese un momento di silenzio e, in un placido entusiasmo, cominciò una musichetta allegra; molta gente si ritirò quanto più possibile verso le pareti lasciando spazio agli altri, che presero a radunarsi nel centro del salone: tra loro Kisshu scorse ancora la rossa che tentennò sul posto, palesemente desiderosa di scendere sulla pista finché Ryou, come lo avessero obbligato, non le prese la mano trascinandola a danzare. Il verde sorrise e incrociò le braccia, forse visti i sentimenti del biondino a lui avrebbe potuto lasciarla.

Anche se rimaneva uno degli umani più irritanti che avesse mai incontrato

Vide la rossa incespicare e rise tra sé e sé, tornando a osservare sovrappensiero il gruppetto trattenutosi a parlottare.

In mezzo alle facce sconosciute era rimasta Minto, impermeabile alle lusinghe della musica e a quelle di uno dei suoi interlocutori, un ragazzotto smunto e con la faccia da rana che non nascondeva un certo coinvolgimento per la morettina. Kisshu la studiò divertito tentare di far vertere la conversazione su qualunque cosa distogliesse le attenzioni non richieste da sé e dopo svariati tentativi, camuffati alla perfezione da sorrisi garbati e risate complici, sembrò trovare la soluzione perché Faccia-da-rana passò a conversare con una delle altre ospiti. Minto attese il tempo giusto per essere certa di non essere più implicata nel discorso –  e il tempo sufficiente a mascherare la sua palese fuga – quindi si scusò con un cenno e senza smettere di sorridere si defilò in direzione di Kisshu.

Prima che il verde potesse dire alcunché lei lo bloccò e giunse le mani al petto guardandolo manco fosse un angelo salvatore:

« Grazie al cielo ti ho visto! Ti prego, aiutami, devo dileguarmi. »

« Ma come? – la prese in giro – Mi sembravi così coinvolta con il nostro amico… »

E si lasciò sfuggire un gonfiato verso di disgusto, ridendo a bocca chiusa. Minto lo scrutò torva e alzò gli occhi al cielo:

« È…! In assoluto l'essere più noioso che abbia mai conosciuto! – gemette – E non so come… Oh no, sta venendo qui! »

Sussurrò nervosa scorgendolo con la coda dell'occhio.

« Allora vi lascio »

Lei afferrò la manica di Kisshu e lo guardò minacciosa puntandogli l'indice al petto:

« Non ti azzardare ad abbandonarmi. »

« Piano con gli ordini, cornacchietta. – replicò più pungente, sebbene le sue labbra fossero ancora piegate in un sorriso divertito – Sei tu la signorina dell'alta società, sbrigatela da sola. »

Minto aggrottò la fronte e prese a mordicchiarsi il labbro. Dalla sua agitazione era davvero rimasta a corto di opzioni, ma la innervosiva a morte dover chiedere un piacere al ragazzo e ancor più doverlo supplicare: una combinazione fin troppo esilarante per Kisshu che aveva trovato alla fine il modo di ammazzare la noia.

« Se vede che me ne vado da sola farei la figura della maleducata. »

Specificò Minto come se fosse un fatto chiaro, quanto che non si trattasse di una scelta tollerabile:

« E poi mi seguirebbe. »

Aggiunse a denti stretti. Vide Kisshu sorridere maligno al suo tormento e fu sul punto di girare i tacchi imperiosa per non dargli altre soddisfazioni; respirò a fondo per rimanere calma e lui scoprì i canini canditi al massimo della goduria. Minto si impose di non reagire bruscamente, non poteva lasciarsi traviare dal suo stuzzicarla, doveva concentrarsi sul modo per fuggire dal suo insistente corteggiatore.

« Cavolo si avvicina…! »

Mormorò e diede ancor di più le spalle al noioso, fingendo di essere impegnata in una chiacchierata con il ragazzo dai capelli verdi e tenendo Faccia-da-rana ad una rispettosa distanza; sapeva però che ci sarebbe rimasto per poco tempo. Guardò Kisshu e lui sollevò un sopracciglio divertito.

Cosa mi tocca fare…

« Ti prego, dammi una mano. »

« Come scusa? »

Fece lui teatrale portandosi una mano all'orecchio; Minto stava per rispondergli di andare a quel paese, ma avvertì Faccia-da-rana che si mosse più vicino a lei, ponderando di interrompere la sua nuova conversazione.

« Ti prego ti prego ti prego. – supplicò lei bisbigliando – Non credo che resisterei altri cinque minuti! »

Lui tacque un secondo e rise ancora, ma alla fine acconsentì con aria furba:

« Ricordati che sei in debito. »

Ogni traccia di rabbia scomparve per magia dal viso di Minto e lei sorrise sollevata:

« Assolutamente. – ammise riconoscente – Ora però, vai. »

Kisshu la prese per un braccio e con passo felino  scivolò con lei dietro la colonna, ci girò attorno e poi, nascosti allo sguardo confuso di Faccia-da-rana che chiamò la sua diletta, i due si defilarono su per le scale scomparendo veloci nell'androne del primo piano; si addentrarono finché  non raggiunsero l'intersezione con uno dei corridoi che portavano alle camere e li si fermarono con Minto che riprese fiato con forza:

« Grazie, mi hai salvata. »

« Temi più un damerino appiccicoso che un mostro assassino? – domandò sarcastico – Hai una proporzione del pericolo ben strana, cornacchietta. »

« Ad un mostro posso piantare una freccia sul muso. Ad uno così no. »

« Con me non ti sei mai fatta troppi problemi. »

« Mi risulta che tu non stia ancora girando con la fronte aperta in due, anche se te lo meriteresti da parecchio tempo. »

« Sei proprio un essere senza cuore. »

Si scambiarono un paio di occhiate divertite finché lei non sobbalzò agghiacciata, sentendosi chiamare:

« Oh, cavolo!  Ma non si arrende mai quel tipo…! »

Il suo corteggiatore era solo a pochi metri; probabilmente non si era accorto di loro a causa della penombra che riempiva il corridoio, ma se avessero provato a defilarsi li avrebbe visti. Minto si guardò attorno disperata  quando Kisshu le indicò una grossa e spessa tenda per le vetrate, proprio nell'angolo alle loro spalle; lei non ci pensò due volte ad afferrarlo per un polso e a riparare entrambi dietro la stoffa pregando che il buio li nascondesse a sufficienza.

« Ehi, perché coinvolg- »

« Shhht! »

Gli intimò. Si udirono dei passi vicinissimi a loro ed una voce strascicata chiamò la ragazza:

« Aizawa? Vi tvovate qui, mia cava? »

Minto si rannicchiò ancor di più e smise di respirare pur di non farsi scoprire, tappando la bocca di quello scriteriato di Kisshu prima che si facesse sentire mentre rideva. Faccia-da-rana si guardò un pochino attorno e poi, deluso, tornò indietro continuando a chiamarla con tono lezioso.

Quando fu certa che si fosse dileguato Minto tolse la mano dalla faccia del verde, che non aveva smesso un secondo di tremare per la ridarella:

« Ha la erre moscia! Ha pure l'erre moscia… – ripetè scompisciandosi – Ma dove l'hai pescato?! »

« Sei terribile. »

Lo sgridò, ma neppure lei potè evitare di ridacchiare.

Restarono lì fino a quando non si furono calmati, ma appena la sua respirazione ebbe ripreso un ritmo regolare Kisshu dovette ammettere che restare lì solo con lei nella semioscurità fosse stata una pessima idea.

Aveva già osservato come Minto si fosse abbigliata per la serata quando si trovava sulle scale, ma in quel momento le era a nemmeno mezzo metro e  potè distinguere e ammirare ogni dettaglio nonostante il buio. Al posto di un suo tipico abito da bambola con maniche a sbuffo e merletti, la morettina portava un sobrio vestito blu notte che le arrivava a metà coscia; larghe pieghe si posavano gentili sulle sue forme evidenziandole con garbo, chiudendosi sotto al seno con una sottile fascia nera e argento, in tono coi sandali bianco opaco; la parte superiore si divideva con un elegante e seducente scollo a v e saliva con due sottili spalline che risaltano le spalle candide e minute. Un nastro di raso di un tono più scuro dell'abito metteva in evidenza il collo elegante della ragazza dove i capelli, raccolti solo in parte sulla nuca per rimanere più ordinati, scivolavano in onde morbide sulla clavicola di destra, donandole un'aria più adulta di quanto avessero mai fatto i suoi adorati chignon.

Kisshu rimase immobile incapace di scollarle gli occhi di dosso. Minto se ne accorse e arrossì con violenza, peggiorando solo la situazione: era invitante e bella così confusa da se stessa, con le guance rosse come le piccole e seducenti labbra piene, e Kisshu sentì i nervi mandare una tale scarica che potè solo assecondare il bisogno feroce che li aveva infettati afferrandola e stringendola a sé. Lei senza accorgersene sussultò soavemente e vide il ragazzo rispondere senza indugio a quel richiamo.

Kisshu la baciò impaziente senza lasciarle il tempo di pensare, senza che potesse allontanarsi se non quel che bastasse per respirare e accorgersi che doveva tornare a baciarlo per non impazzire; gustò le sue labbra e la sua bocca, ci giocò febbrile fino a quando non la sentì portargli le braccia al collo e prendere a passagli le dita sulla nuca, e gli sfuggì un basso rantolo di piacere. Scorse con le dita la schiena flessuosa, dandole la possibilità di fermarlo, ma sentendo che lo abbracciava con più foga scese ancora più in basso fino alla gamba, risalendola poi pian piano.

« Lo dicevo che hai in bel corpicino, passerotto… »

« Stupido… »

« Cominciano a piacermi i tuoi insulti, sai? »

Stavolta lei scelse di continuare a baciarlo, l'opzione più rapida per farlo stare zitto.

Kisshu sorrise e la sua mano arrivò al fianco di Minto; la udì trattenere appena il respiro mentre  scivolava dietro, sfiorandole senza troppa leggerezza la curva alta delle cosce e l'ascoltò mugolare. Come accendere la miccia ad un candelotto di dinamite.

Rise del disappunto che lei espresse con un impercettibile brontolio quando scostò la mano; la contrarietà però scomparve subito perché non la lasciò, ma risalì accarezzandola sul vestito. Lei si tese e trasalì sospirando fremente portando le mani sotto la sua maglia per accarezzargli il torace, mentre lui continuò a saggiarle il profilo delle forme sopra la stoffa.

Minto era sconvolta  per come tutto il suo essere stesse reagendo ad ogni tocco, ad ogni bacio del ragazzo che aveva preso ad assaggiarle il collo e la clavicola, scivolando pericolosamente in basso, e capì di non riuscire a respirare.

Aveva già vissuto una situazione simile, ma un sogno rimaneva un sogno, poteva avere cento significati per la propria esistenza. Quello che stava succedendo dietro quella tenda, molti meno.

E l'agitazione con cui si era risvegliata dall'insensata fantasia non era neppure paragonabile al vortice in cui si stava sentendo meravigliosamente precipitare in quel momento.

Non doveva. Non doveva assolutamente.

Lei e Kisshu non…

Da quando mai loro…

Loro due non erano…

Le labbra di Kisshu le posarono un bacio innocente sulle labbra e lei si irrigidì, arrossendo come una ragazzina per il sussulto che le diede il cuore per un tocco così stupido e dolce. Sentì il ragazzo fermarsi un istante, quasi aspettando, e lei gli strinse le dita sulla nuca e si aggrappò con l'altra mano alla sua schiena, dandogli muto permesso; capì di non essere in grado di fermarsi, qualsiasi cosa stesse succedendo, ancor più che non voleva assolutamente farlo.

« Kissh- »

Una folata di vento fastidiosa spalancò la finestra vicino a loro talmente di botto che Minto cacciò un urlo terrorizzato e per poco non cadde per terra.

« Attenta. – le sussurrò Kisshu aiutandola a rimettersi dritta – Tutto ok? »

Lei annuì intontita. Lo spavento aveva cancellato il dolce torpore a cui si era abbandonata e aveva preso a guardare il ragazzo con sempre maggior disagio, il fiato grosso e il rossore dato dall'affanno che lasciava il posto ad un pallore per nulla rassicurante.

Kisshu provò a stringerla nuovamente, preoccupato; aveva già visto una scena simile, ma non avrebbe sopportato che accadesse ancora. Soprattutto, non con Minto.

« Ehi, va tutto bene? »

« Sì… N-no… – mormorò alla fine allontanandolo – Non va bene… Non va bene per niente! »

« Cosa non va bene? »

« Tutto! Tutto… Questo! – allargò appena le braccia indicando entrambi – Non va! »

« Ah no? – sbottò caustico – A me sembrava invece che andasse, eccome! »

La vide arrossire un'altra volta indispettiva e, non fosse stato che stavano discutendo, avrebbe più che volentieri ricominciato a baciarla.

« No, non va, non va! – insisté lei, ricomponendosi – Io… Tu…! Non si può! »

« Come sarebbe non si può? »

« Io e te…?! Io e te… Da quando…?! – farfugliò – Non abbiamo mai… Mai! Avuto niente che…! »

« E chi l'ha detto?! »

« Tu l'hai detto! – sibilò concitata – Tu hai…  O vuoi, mettila come ti pare, Ichigo! »

Lui soffocò la protesta che stava già formulando e strinse forte i pugni, perché il nome della rossa dovesse spuntare proprio in un momento del genere non riuscì a capirlo.

In fondo, però, avrebbe potuto comprendere la reazione della mora, che dopo averlo visto negli ultimi mesi correre ostinato dietro alla mewneko si era ritrovata tra le sue braccia apparentemente senza alcun motivo.

« Ti sbagli. Io… »

Minto non volle ascoltare qualunque scusa astrusa le stesse per rifilare e se la diede letteralmente a gambe; corse fino alla sua stanza e si chiuse dentro a chiave gettandosi poi sul letto ancora vestita.

Non aveva senso. Non aveva alcun senso.

Eppure ogni centimetro della sua pelle e del suo corpo gridò alla violenza, protestando selvaggio per aver respinto le carezze di Kisshu e il suo cuore urlò più forte, come se vi avessero infilzato una lama.

Ma stando anche così le cose, avrebbe respinto tutto senza domandarsi i motivi, o in che modo fosse iniziato il meraviglioso momento dietro quella tenda.

Non poteva fare altro.

Se dopo ogni volta che si sfioravano lui tornava a spasimare per Ichigo, lei non poteva fare altro.

Non poteva fare altro, perché in fondo lui non era innamorato di lei.

Ma che diavolo ho fatto?!

Minto si raggomitolò sul letto e si morse le labbra ancora impregnate del sapore del ragazzo; le sfuggi un singhiozzo penoso:

« Stupida, stupida, stupida! Stupido! »

 

 

***

 

 

Al piano di sotto la festa proseguì con il termine del primo brano e l'applauso all'orchestra dei vari ballerini; tra loro anche Ichigo, che nonostante la situazione strana si stava divertendo un mondo.

« Grazie di avermi fatto da cavaliere. »

Disse con un piccolo sorriso impacciato rivolta a Ryou; lui ricambiò appena:

« Per una volta non mi hai pestato i piedi. »

Lei fece per protestare, ma il sorriso che le rivolse spense ogni lamentela.

« Sto scherzando. »

Ichigo annuì voltandosi per non far vedere che diventava rossa. Ryou non aveva minimamente accennato a riprendere il discorso della sera precedente e lei aveva fatto altrettanto, in parte distratta dagli eventi in parte perché si perse alla ricerca del "momento adatto" che mai arrivò, ma il biondo aveva qualcosa di diverso:  la definizione migliore che venne ad Ichigo è che fosse più rilassato del solito, o magari era solo lei che di rimando era molto più agitata del normale.

L'orchestra fu reclamata da un rapido applauso e riprese a suonare un ritmo più lento e dolce, e la ragazza si sentì a disagio in modo letale; tentò di guardarsi attorno in cerca di scuse per andarsene, ma nessuna delle amiche era più nel suo raggio visivo.

« Ah, già… Chissà dove sono Retasu-chan e Minto, sono scomparse… »

« Chissà. »

Fu la laconica risposta che troncò la chiacchierata. Ichigo rimase ferma tormentandosi i guanti che portava e fu così concentrata a spiegazzare la stoffa sulle dita che impiegò qualche secondo per metabolizzare la mano che il biondo le porse:

« Un altro giro? »

D'impulso le venne da sorridere e di rispondere , ma titubò. Aveva paura a stare troppo vicina a Ryou, non era più se stessa in quei momenti.

O poteva darsi che fosse molto più se stessa di quanto immaginasse.

« Mmm, non so… Forse è meglio di no… »

« Io ti ho accompagnata al ballo che volevi tu – precisò Ryou con tono che non ammetteva repliche – ora, tu mi devi un ballo come va a me. »

Le sorrise malizioso e lei sentì il cuore fare una capriola.

Gli prese la mano e si lasciò tirare sulla pista, dove Ryou la strinse e cominciò a danzare.  In un primo momento Ichigo si fece in sostanza trascinare, concentrandosi per non pestare i piedi al biondo – cosa che, anche se non gliel'avrebbe detto neppure sotto tortura, in effetti capitava troppo spesso – ma a poco a poco si calmò: distese le dita che stavano artigliando la mano del ragazzo, rilassò le spalle e lasciò che la tirasse meglio a sé. Era un'emozione magnifica essere lì, girando pigramente in tondo cullati dalla musica, immersi nella calca e allo stesso tempo soli in un mondo a parte. Si vergognò a sentirsi così bene e la cosa peggiorò ricordando che, una volta, aveva già provato una sensazione simile: sempre ad un ballo, sempre assieme a Ryou.

« Hai visto? – le bisbigliò divertito all'orecchio – Non devi nemmeno preoccuparti dei miei piedi, se lasci che conduca senza fare lo stoccafisso. »

« Che cosa?! – sbottò – Io non sono uno st…! »

Lo vide ridere e si ammutolì un'altra volta arrossendo in modo troppo vistoso perché lui non lo notasse.

Ryou fece due giri spostandosi per la pista, l'appagamento dipinto in volto. Era meraviglioso vedere Ichigo emozionata dalla sua presenza, disorientata dalla cosa eppure attratta, presente ad ogni suo movimento, ad ogni loro accostarsi.

La allontanò per poi ritirarla a sé e studiò l'abito cremisi scuro che portava: la plissettatura sul petto e la fascia di merletto rosso che lo racchiudeva e lo incorniciava sul decolté, la gonna a palloncino anch'essa adornata di pizzo, l'enorme e forse ingombrante fiocco che scendeva in pieghe a cascata dietro la sua schiena; elaborato ma non troppo, corredato anche di guanti e nastrini nei capelli, un'apoteosi di ogni rosso possibile.

Era il suo vestito e lei era perfetta con quello indosso, elegante, vezzosa, bellissima.

La tentazione di baciarla lo travolse così all'improvviso che per poco non cedette, ma si controllò e premette solo un altro po' con il braccio fino a che i loro corpi non aderirono perfettamente e avvertì lei trattenere il respiro.

Poco alla volta, un passo alla volta.

Le avrebbe lasciato il tempo di fare chiarezza nei suoi sentimenti. Per lui al momento fu sufficiente vedere la sua espressione agitata per essere soddisfatto.

La musica s'interruppe bruscamente, o almeno così parve ad Ichigo. Si unì piano al resto degli ospiti, Ryou compreso, che acclamarono calorosi gli orchestranti: il cuore le stava battendo così forte che ci volle tutto il tempo dell'applauso affinché si acquietasse almeno un poco.

« Beh, grazie del ballo. – sorrise Ryou guardandola poi divertito – Incredibile a dirsi, ma sei migliorata abbastanza da non far scomparire la sensibilità alle mie dita dei piedi. »

Batticuore scomparso come neve al sole:

« Non hai mai una parola gentile, vero?! Sei il solito maleducato, irritante…! »

Lei ammutolì nel momento in cui le posò un leggero, ma lungo bacio sulla guancia.

Aveva detto che non l'avrebbe baciata, ma quello ancora poteva concederselo.

« Buonanotte, Ichigo. »

Non controllò la sua reazione, ma salendo verso la sua stanza con un sorriso soddisfatto potè giurare che le guance della rossa fossero diventate incandescenti mentre le sfiorava.

 

 

***

 

 

Si chiese preoccupata dove fossero andate Minto e Purin e se Ichigo stesse effettivamente bene, rossa com'era in viso mentre andava in camera.

Si diede della sciocca. Forse avevano ragione quando la prendevano in giro perché era troppo apprensiva.

Saru aveva detto che assieme a Purin c'era Taruto e Zakuro era sicura di aver visto Minto parlare con Kisshu; non poteva essere successo nulla di grave nella mezz'ora in cui li aveva persi di vista.

Prese un bel respiro e uscì sul balcone silenzioso; iniziò a passeggiare distratta seguendo la balaustra di marmo e allontanandosi dalla musica della sala, già frenata dalle vetrate. Accarezzando la superficie fredda e liscia si accorse di non trovarsi su un vero e proprio balcone, ma su una sorta di grosso cortile sospeso, puntellato da piccole aiuole fiorite; si affacciò appena oltre il parapetto e deglutì, non era molto rassicurante per lei trovarsi a dieci metri da terra sopra ad un gigantesco lastrone di roccia calcarea, ma la curiosità vinse la paura dell'altezza e continuò a seguire il profilo del giardino.

Dopo qualche minuto si era ormai allontanata dal salone della festa e aveva cominciato a girare attorno al palazzo, inoltrandosi in un giardino vero e proprio immerso nella notte luminosa. Era circondata da piante sconosciute, belle e rigogliose, che riempivano l'aria del profumo di erba e resina; era tutto così bello che smise di procedere guardinga e accelerò il passo guardando meravigliata la vegetazione, finché non arrivò a un piccolo spiazzo con una panchina. Si rese conto solo all'ultimo che qualcuno la stava già occupando e sobbalzò, retrocedendo un poco:

« Oh! – mormorò facendo per scappare – Scusi, non avevo visto…! »

« … Retasu? »

Un altro sussulto e si rigirò, nel buio non aveva minimamente riconosciuto la figura seduta e rendendosene conto arrossì fino alle orecchie:

« Pai-san…! »

Si tappò la bocca con un paio di dita soffocando il soffio roco di quel vocabolo.

Insomma, ma cosa aveva fatto di male?!

Per una sera che si stava divertendo… Che non era agitata, nervosa, che non rischiava l'infarto… Incontrava lui, di notte, al chiaro di luna.

Lassù devono odiarmi.

Le avrebbe dato consolazione sapere che Pai pensava le stesse cose, seppur con meno enfasi.

Il problema di lui fu che impiegò una manciata di secondi a reagire al proprio nome, impegnato com'era a guardarla senza una parola.

« Pai-san…? »

« … Scusa. »

Scosse la testa con più discrezione che potè, ringraziando che la mewfocena apparisse più scioccata di lui e non si fosse accorta che la rimirava come un cretino.

« Non ti ho riconosciuto, coi capelli. »

Si giustificò spiccio. Fu una mezza verità, sovrappensiero non aveva collegato le morbide ciocche che aveva intravisto sull'intruso nella sua solitudine, e che stavano scendendo lungo le spalle della verde, con la solita immagine che aveva di lei; per l'altra metà, era semplicemente rimasto incantato, osservandola per essere certo di non avere una strana e bellissima allucinazione.

Retasu abbassò la testa timida e prese a giocare con un ciuffo:

« Già, non li sciolgo mai… – ammise impacciata sistemandosi i capelli che le accarezzarono la fine della schiena – Sono strana, eh? »

« No. »

La risposta fu tanto repentina da sorprenderla, ma mai come il mezzo sorriso che vide apparire e svanire sul viso di Pai:

« Stai bene. »

Lei divenne scarlatta serrando le labbra e si chiese se il ragazzo avesse intenzione di ucciderla parlandole a quel modo: mancò poco che le esplodesse il cuore.  Non gli rispose e continuò a tormentarsi i capelli restando ferma dove si trovava, a disagio, permettendogli senza volere di studiarla centimetro per centimetro. Pai potè immaginare con quanta pazienza e quante moine la principessa Saru l'avesse convinta ad indossare quell'abito tanto fuori dai suoi canoni, così come si visualizzò senza problemi la faccia imbarazzata di Retasu una volta sistematolo indosso.

Eppure non si trattava di nulla di esagerato e, anzi, la stoffa verde bottiglia lasciava scoprire con garbo quel che permetteva alla ragazza di valorizzare il suo fisico ormai da donna; le maniche lunghe salivano aderenti su un corpetto che lasciava aperto uno scollo a cuore, per poi scendere avvolgente fino alla vita, dove si apriva in una gonna che mostrava dal ginocchio le gambe scoperte.

Pai soffocò brutalmente il desiderio di prenderle la mano con cui insisteva ad annodarsi i capelli e portarsela alle labbra.

« Scusa, Pai-san, ti… Sto disturbando? – gli chiese infine lei in difficoltà per il suo silenzio – Se è così torno indietro… »

La fermò con un cenno della mano, ma protrasse a non risponderle fissandola nei grandi e schivi occhi blu.

Era affascinante non riuscire a muovere un muscolo e non capirne il motivo. Dovette apparire molto strano e probabilmente un po' stupido, anche se Retasu non domandò nulla e si limitò ad osservarlo confusa.

« Senti… »

Lo dissero in coro. S'interruppero e si guardarono a vicenda, lei arrossendo lui torvo, ma Retasu aveva imparato che era il modo con cui esprimeva disagio, oltre che stizza.

« Scusa… Prima tu… »

« No, dimmi. »

Retasu abbassò la testa e si sentì una stupida per il patetico teatrino, mentre Pai divenne ancora più cupo.

« Ecco io… Volevo solo… »

Desiderò talmente tante cose all'unisono da faticare perfino a pensarle, non solo a dar loro voce.

Voleva chiedergli delle parole che le aveva rivolto quel pomeriggio. Non voleva sapere il loro significato fino in fondo.

Voleva trovare il modo di parlargli. Voleva scappare.

Voleva ringraziarlo per averla protetta, anche quel giorno, e tante volte prima.

Voleva capire la ragione. Non voleva sapere se fosse per educazione, o per un suo capriccio, o perché non la ritenesse abbastanza neppure da difendersi da sola, o perché.

Voleva dirgli di non farlo più.

Voleva capire perché l'avesse baciata. Non voleva capire.

Avrebbe voluto la baciasse un'altra volta.

« … Oh!… Ehi… »

Retasu non capì l'esclamazione di Pai finché non provò a guardarlo in viso e si rese conto di avere lo sguardo appannato. Stava piangendo.

Cercò nervosa di fregarsi gli occhi e sorridere indifferente liquidando la cosa, ma ovviamente parve solo più sospetta:

« N-non è… Niente, solo… Solo – ridacchiò agitata togliendosi gli occhiali e strofinandosi brusca la mano sul viso – ci deve essere qualche polline strano… »

« … Retasu. »

Lei tenne gli occhiali il più in basso possibile così da fare lo stesso con la testa: non volle incrociare la sagoma del moro che seppe benissimo essersi alzato e aver fatto qualche passo verso di lei, concentrandosi con tutta se stessa a pulire le lenti umide pur di ignorare quanto le piacesse sentirgli pronunciare il suo nome.

« Sto bene. – insisté con una risata così finta da spezzare il cuore – Non è nulla… Sto bene… »

Le parole le morirono a poco a poco sulle labbra. Inforcò gli occhiali tenendo sempre lo sguardo basso e scorgendo le punte delle scarpe del ragazzo, che potè visualizzarsi torreggiare come sempre impassibile e fermo sopra di sé.

« … Non è vero che sto bene. »

Ammise in un soffio inudibile.

« Non sto bene… Per niente. »

Piagnucolò e un singhiozzo sordo le scosse le spalle:

« Non ci capisco più niente, io…! Non so cosa devo fare. – mormorò – Non so più come comportarmi con te… »

Ancora non alzò gli occhi e neppure Pai fece altro che rimanere in piedi, in silenzio, a stento ad un passo di distanza.

« Mi tratti come se mi odiassi, poi mi proteggi. – farfugliò lei a scatti – Sei freddo e brusco, poi mi chiedi scusa, poi ti arrabbi se cerco di essere indifferente… No, se cerco di essere… Normale!… Poi ancora sembri…! »

S'interruppe inspirando forte, non era in grado di accostare una seconda volta l'aggettivo geloso al ragazzo, non in quel momento dove a fatica riusciva a tenere il filo logico delle proprie frasi. Avvertì sempre più difficoltà ad articolare le parole e il viso le divenne rovente:

« … E poi mi… Mi baci e…! e…! Mi dici che non…! »

Si strinse le mani al petto tremando:

« Io non ce la faccio più. – esalò esausta – Ti prego, ti prego… Qualunque sia la ragione, qualunque sia la… Riposta… Ti prego… Dimmela, perché non… »

Si morse le labbra. Ormai le sarebbe stato bene anche un rifiuto, anche se le avrebbe spezzato il cuore lo avrebbe fatto con un colpo netto, smettendo di ferirla e medicarle i graffi immediatamente dopo; quantomeno, avrebbe saputo.

« Non ne posso più… »

Pai continuò a rimanere zitto e Retasu si asciugò per l'ennesima volta le guance fradice, arrivando ad odiarlo per la sua imperscrutabilità e pacatezza quando lei invece si sentì scoperta e vulnerabile, incapace di non esternare tutto di sé per non soffocare.

Se solo avesse alzato gli occhi l'espressione di Pai l'avrebbe contraddetta, così come il temporale che esplose dietro la corazza ametista del suo sguardo.

La verde si lasciò sfuggire un pigolio sorpreso e si ritrovò con il naso contro la spalla di Pai; una mano di lui le premette sulla schiena accostandola al suo torace fin a toglierle il respiro, l'altra le passò tra le onde smeraldine sulla nuca. La sua stretta fu forte, irrefrenabile, ma la verde avvertì le mani di Pai tremare appena.

« … Perdonami. »

Una sola parola.

Retasu trattenne il fiato un momento sgranando gli occhi e poi riprese a piangere affondando il viso contro di lui, che l'abbracciò più forte:

« Perdonami… »

« Pai… »

« Per favore, basta piangere. – la scongiurò roco – Sembra non riesca a farti fare altro, ma per favore… Ora basta… »

Lei si aggrappò alla sua maglia e pianse ancora, prendendo poi a tirargli dei piccoli pugni sul torace tra un singhiozzo e l'altro; Pai non protestò, mandando solo qualche sbuffo le volte in cui la verde lo centrò meglio, e l'abbracciò finché Retasu non riprese a respirare più regolare e non smise di picchiarlo.

Ci fu un silenzio quasi irreale. Per qualche minuto, la verde pensò addirittura che non sarebbe stato così male rimanere a quel modo per tutta la notte:

« … Eri serio, oggi? – bisbigliò dopo un'eternità, il viso sempre nascosto nella sua spalla – Che non sei…? »

« … Pentito di averti baciata? – la bruciò sul tempo – No. »

Il cuore di lei perse un paio di colpi. La voce del ragazzo divenne quasi un sibilo:

« Mi pento di averlo fatto solo adesso. »

Retasu sussultò così dolcemente che Pai ebbe la tentazione di smetterla coi discorsi e baciarla di nuovo.

Come aveva fatto a ridursi ad un punto simile?

« Stai… Dicendo – mormorò la verde con il respiro mozzo – Che ci stavi pensando… Da un po'? »

Lui emise un basso sospiro divertito:

« Non saprei dirlo. »

Lei gli si aggrappò più forte ai vestiti con un verso di esasperazione e Pai affondò con il naso tra i suoi capelli; la sentì irrigidirsi con un sospiro rotto.

« È il mio problema di quando si parla di te – continuò il ragazzo sottovoce – non riesco mai a capire bene le ragioni. »

Retasu scosse la testa nella sua maglia e rispose con un monosillabo indefinito. Pai si fermò per un poco prendendo un lungo respiro a pochi millimetri dalla pelle del suo collo e causando alla mewfocena un lieve scompenso cardiaco.

« … Se fossimo nati in un'epoca diversa… »

« Come…? »

« Se fossimo nati in un'epoca diversa – ripetè lui più piano – sarebbe stato tutto più semplice. »

Se si fossero incontrati in un altro momento, se fossero vissuti in un altro mondo,  era sicuro lo sarebbe stato.

Se l'avesse conosciuta in altre circostanze, se non fossero stati avversari una volta, se non avessero lottato l'uno contro l'altra una volta, lui e lei…

Se non ci fosse stato il suo intero mondo in gioco, né avessero avuto tante responsabilità, forse…

Se non avessero dovuto dirsi addio da lì a dodici ore, loro…

« P-però – obbiettò Retasu – se fossimo nati in un'epoca diversa… Probabilmente non ci saremmo mai incontrati. »

Fu Pai a quel punto ad avere un lieve sussulto e poi sospirò amaro:

« Forse saresti stata più felice se non mi avessi mai incontrato. »

« Io non mi pentirò mai di averti incontrato. »

Ammise scimmiottandolo appena con un risolino, arrossendo di nascosto.

« Perché dici… Che sarebbe stato più semplice? »

« Non saremmo stati di due specie diverse, ad esempio. »

Puntualizzò. Il suo tono monocorde si velò di una nota sarcastica strappando alla verde una risata soffocata.

« … Non riesco a capire il perché. – fece ancora lui – Perché tu. Perché io. »

Retasu sentì le sue labbra farsi più vicine all'orecchio e strinse più forte la stoffa tra le dita.

« Perché di me? »

Lei deglutì forte cercando di articolare qualche lettera:

« Io… Io non… Non lo so… – balbettò – Sei… Forte, e intelligente e… Passionale. »

Fu certa che lui si fosse allontanato di un poco per guardarla, probabilmente per accertarsi che non fosse impazzita per un appellativo così assurdo.

« M-metti sempre tutte le tue energie in ogni cosa che fai, a volte – ammise con rassegnazione – fino all'esagerazione, ma ci metti cuore e anima, per te, per difendere la tua gente… Anche a costo di ferirti e io, sì… Lo ammiro. Molto. »

Inspirò ed espirò per riacquistare un po' di tono della voce:

« E-e anche se pensi di no, sai essere premuroso e… Dolce. »

Pregò ci fosse buio a sufficienza perché non riuscisse a vedere il suo volto scarlatto.

Pai non rispose, come soppesando le sue parole, e lei lo sentì mandare uno sbuffo divertito:

« È straordinario. Detto da te, pure io sembro una persona eccezionale. »

« E-ero seria. »

Ammise in un soffio.

« Lo so. »

Disse con tono affettuoso; Retasu si premette appena di più contro di lui, sperando che così il suo cuore avrebbe rallentato almeno un pochino.

« Tu sei sempre troppo onesta. – proseguì Pai piano – Sei gentile. Ingenua. Sensibile. Sei coraggiosa. Per certi versi, anche incredibilmente testarda. »

Le sfiorò una guancia con il pollice avvertendola divampare. Non riuscì a non sorridere:

« Sei la persona più incredibile che abbia mai incontrato in tutta la mia vita. »

Retasu non riuscì a replicare, completamente senza fiato, ed ebbe la sensazione che l'affermazione fosse più profonda di quanto lasciassero trasparire le parole; fu come se Pai se lo fosse fatto scappare, quasi una confessione incontrollabile.

Dopo rimasero in silenzio ancora lunghi minuti prima che Retasu, titubante, azzardasse:

« Perché dici… Che sarebbe stato più semplice? »

La presa di Pai si fece più decisa:

« Perché probabilmente ti avrei risposto subito quel pomeriggio. »

Retasu sussultò e cercò di allontanarsi, ma Pai la tenne saldamente per la vita e poi le prese piano il viso tra le dita, costringendola a guardarlo in viso:

« Sei sicura di provare… Ancora la stessa cosa? »

Chiese piano. Il cuore di Retasu scalpitò furioso e lei non riuscì a non abbassare lo sguardo umido:

« … Sì… »

Questa volta il ragazzo si prese tutto il tempo e le diede tutto il tempo di reagire, pur se in cuor suo la supplicasse di non scacciarlo. Le loro labbra si sfiorarono fin a combaciare alla perfezione e Retasu gli serrò le mani sul colletto, tirandolo a sé con un mugolio sordo; Pai le asciugò altre due lacrimucce fuggiasche:

« Shhht… »

Lei si lasciò sfuggire un singulto misto ad una risata:

« Scusa… »

« Sono l'ultima persona che si merita le tue scuse. »

Puntualizzò amaro e Retasu scosse la testa nascondendosi sotto la sua gola. Avrebbe voluto trovare le parole per dirgli di lasciar stare, ma non ne aveva più e potè solo sorridergli nonostante le lacrime.

Lo vide abbozzare un sorriso attraverso le ciglia umide mentre le sfiorò la guancia e gli cinse il collo con le braccia, allungandosi in punta di piedi fino a baciarlo di nuovo.

 

 

***

 

 

MoiMoi mandò un lungo lamento fregando il viso nel cuscino, era ancora troppo addormentato per avere la forza di rispondere al proprio comunicatore; si avvolse la testa nel guanciale per non sentire, se fosse stato quello dei ragazzi in missione avrebbe fatto lo sforzo, ma i suoi colleghi dell'esercito potevano infilarsi le loro urgenze in posti nobili, almeno fino all'alba.

« Cazzo… »

Sando grugnì e imprecò due o tre volte tirandosi a sedere con uno sbuffo. MoiMoi aprì un occhio solo, connettendo che fosse il trasmettitore del verde a suonare, e strinse il cuscino pronto agli urli dell'uomo – la sola persona al mondo conosciuta capace di strillare a cinquanta secondi dal proprio risveglio.

« Colonnello Okorene. Cinque secondi per darmi una buona ragione e non mandarti a fanculo, chiunque tu sia. »

« Modera il tono, moccioso. »

Il verde si passò forte una mano sul viso piegando i suoi sonnolenti neuroni alla veglia:

« Nobile Ron… »

MoiMoi si girò subito a quel nome e si mise in ginocchio, poggiandosi al braccio di Sando per sentire il più possibile.

« Scusa la levataccia. – si sforzò Ron per essere educato, con pessimo risultato dato il tono seccato – I Membri Ristretti hanno appena archiviato una riunione. Devo parlarti. »

« Con me? »

« Con te e Luneilim. Ora. – precisò secco – Convocazione urgente, dalla capoccia Meryold in persona. »

Sando mandò un lungo sospiro rassegnato e si passò una mano tra i capelli:

« Certo. Il tempo di andare a chiamare Luneilim… »

« Non credo tu debba fare tanta strada. Girati e sveglialo, e rivestitevi in fretta. »

Sando emise un buffo singulto strozzato diventando rosso fino al collo.

« Vi aspetto nell'ufficio di Meryold-sama tra dieci minuti. »

Il verde grugnì una risposa poco chiara e lanciò il trasmettitore in fondo al letto, affondando il viso tra le mani.

« Temevo che il nobile Ron se ne sarebbe accorto. »

Commentò rassegnato MoiMoi alzandosi; Sando gli rispose sempre a grugniti.

« Ti vergogni? »

Gli domandò il violetto e l'altro sbirciò tra le dita la sua espressione rattristarsi; gli prese piano la mano:

« Non per noi due, scema. »

MoiMoi gli sorrise, poi arricciò le labbra arrossendo appena contento di quelle parole e ridacchiò, vedendo invece il verde alzarsi a disagio.

« Hai detto noi? »

« Non mi pare tu sia ancora diventata sorda. »

« Dai, ti prego, ridillo! »

« Scordatelo! »

 

 

***

 

 

Ichigo ci mise un'eternità a raggiungere la sua stanza, le dita a sfiorare la guancia che Ryou le aveva baciato. Si sentì la testa annebbiata e fece fatica a connettere i propri pensieri mentre avanzò traballante sui tacchi, la sola consapevolezza di quel contatto di poco prima sulla gota e delle braccia del biondo attorno a sé.

Cercò di trovare il filo d'inizio della matassa nella sua testa, aiutata dalla solitudine, e iniziò a rallentare ancora come per lasciarsi più tempo per pensare.

Lo aveva ammesso a se stessa già all'inizio della primavera, quando si poteva illudere di possedere una vita normale, Ryou non le era mai stato indifferente. Nonostante il suo pessimo carattere lei sapeva che era una bella persona – molto, molto in fondo – e gli voleva bene, innanzitutto come amico. Negli ultimi mesi aveva poi dovuto rassegnarsi al fatto di essere attratta da lui, e nel considerare la cosa ripensò alla sera al fiume avvertendo un brivido rovente risalirle lungo il ventre, e chiudendosi le mani sul viso scarlatto e caldo: non aveva cancellato un singolo istante dell'abbraccio in cui l'aveva stretta, né la sensazione della sua pelle sulla propria o il suo odore.

Arrivò alla sua stanza e posò due dita sulla maniglia senza aprirla.

Ripensò alla sera prima, e alla festa del mese precedente; ripensò a come Ryou l'aveva guardata, a cosa gli aveva sentito dire, al senso delle sue parole e come l'averle ascoltate le avesse fatto correre il cuore.

Era stata felice per quelle parole.

La matassa dei suoi pensieri si districò di colpo mozzandole il respiro e il petto perse un colpo.

« … Ma cosa cavolo sto facendo? »

Lasciò la presa sulla porta e galoppò indietro con tutta l'energia che aveva in corpo; rischiò di precipitare dai suoi trampoli e li tolse in corsa abbandonandoli in un angolo del corridoio senza rallentare, il vestito che iniziò a svolazzarle da tutte le parti nella foga. Arrivò dalla porta della stanza di Ryou senza più fiato e bussò allungando a fatica il braccio, l'altro poggiato sulle ginocchia nel tentativo di recuperare un po' di respiro.

Ryou le aprì guardandola confuso e rimettendosi in fretta e furia la camiciola che, dedusse Ichigo, si era già levato per mettersi a dormire, ma lei riuscì comunque a scorgere il profilo del suo torace atletico rischiando l'infarto.

« Che succede? »

Le domandò impensierito dall'evidente corsa che aveva fatto; Ichigo scosse la mano come a dirgli di non chiedere e che non c'era di che preoccuparsi, poi con le guance rosse dello sforzo e i capelli scompigliati alzò lo sguardo e chiese in uno sbuffo:

« Tu mi ami? »

Ryou si limitò a sgranare gli occhi:

« Mi prendi in giro, Ichigo? »

« So quello che ho chiesto. »

Sbottò brusca interrompendolo e si aggiustò la frangia arruffata, consapevole di essere ancora più rossa, prima di ripetere:

« Mi ami, Ryou? »

Lui corrugò le sopracciglia quasi insultato della domanda sciocca, ma l'assurdità della stessa lo trattenne dal chiudere la porta offeso e rispose solo con un sospiro:

« Sì. »

Ichigo inspirò sonoramente come se non ci fosse altro ossigeno attorno a sé e gli gettò le mani al collo.

Lui retrocesse di un passo per assecondare lo slancio della rossa con il cuore che gli piombò in fondo al torace, e incapace di razionalizzare un secondo di più le cinse con ardore la schiena, pregando che le labbra morbide contro le sue fossero proprio vere.

Un profumo dal vago e inebriante sentore di fragola gli inondò i polmoni inceppandogli il cervello e socchiuse gli occhi intravedendo le palpebre chiuse della mewneko dietro la frangetta; sorrise involontariamente e affondò con le dita tra i ciuffi ciliegia aumentando la stretta su di lei.

Ichigo ricambiò aggrappandosi alle sue spalle, disperando nel poterglisi fare più vicina e vergognandosi a morte del gesto e del calore che le divampò lungo la spina dorsale.

Quelle due misere letterine avevano chiuso l'orbita elettrica nella sua testa che la collegava a Ryou, e il circuito aveva preso a funzionare a così pieno regime che lei non aveva idea di come spegnerlo.

« Ichigo… »

Lei si morse un angolo del labbro inferiore mentre sentì Ryou sorriderle sulla bocca, riprendendo a baciarlo e sperando che fosse troppo concentrato per ascoltare il basso brusio che emise.

« … Stai facendo le fusa? »

La rossa abbassò lo sguardo colpevole, il volto sempre contro il suo, e le spuntarono la coda e le orecchie feline quando lo ascoltò ridere basso:

« You're so cute, ginger. »

« Parla una lingua che possa capire. »

Protestò lei con un tremolio della voce e gli si strinse con tanta foga che per un secondo Ryou ebbe il vuoto in testa e fu tentato di far scivolare le dita più giù lungo la vita della rossa.

« Aspetta, Ichigo… Aspetta. »

L'allontanò con immane sforzo e eclatanti proteste del proprio io interiore – quello che, ultimamente, si stava prendendo un po' troppe libertà, come farlo sbronzare o dichiararsi dietro una porta ad esempio – e respirò forte per un minuto intero mentre Ichigo si limitò ad aprire con lentezza esasperante gli occhi e a guardarlo vacua.

« Aspetta. »

Ripetè il biondo. Imprecò mentalmente, contemplando incantato le iridi scure di lei, adombrate, liquide, le labbra rosee dischiuse e il rossore sul viso, e dovette attingere a tutto l'autocontrollo rimasto – aiutato da un'altra decina di parolacce e offese autoinflitte – per non approfittare oltre dell'abbandono della ragazza.

« Se andiamo avanti così poi non mi controllo più. »

In tutta onestà non avrebbe voluto farlo. Solo il Cielo sapeva quanto avrebbe voluto sfilarle di dosso la fantastica matassa di stoffa rossa e bearsi finalmente di lei, come stava fantasticando da troppo tempo.

Ma conosceva bene Ichigo e potè immaginarsi alla perfezione le conseguenze di una prima volta del genere: vide senza fatica l'espressione confusa e a disagio della rossa, sentì le sue frasi sconnesse per l'imbarazzo e i suoi dubbi, per non parlare delle paranoie che di certo si sarebbe fatta per essersi "concessa" appena dopo una dichiarazione.

Per Ichigo sarebbe dovuto essere speciale, una prima volta da romanzo rosa.

Sorrise sistemandole i capelli attorno al viso, in fondo uno dei motivi che la rendevano unica era il suo incrollabile e prevedibilissimo romanticismo.

« Quindi, se potessi smettere… »

Le sussurrò malizioso. Ichigo sbattè le palpebre un paio di volte e il pelo nero degli attributi felini si rizzò, mentre lei focalizzava come si fosse praticamente distesa addosso all'americano e divenne rossa fino al collo.

Si rimise dritta squittendo e abbassò le orecchie, borbottando parole senza senso, e Ryou rise basso baciandole il collo che così gentilmente gli porse scostando la testa.

« I-io non… Non era quello che intendevo…! »

« Well, it could be a good idea. »

Le vide drizzare la coda e fare una smorfia morta di vergogna e le rubò un altro bacio sempre ridendo, rischiando di farla svenire:

« Smettila di ridere…! »

« You're too cute… »

« Chi sei tu, e che ne hai fatto di Shirogane? – borbottò stridula – Perché mi sembra di aver sentito troppi complimenti. »

« "Mi sembra"? »

« Se parlassi giapponese capirei! »

Protestò e lui si scusò baciandole la fronte.

« N-non che mi… Dispiacerebbe… »

« We can go on, if you'd like. »

« Vorrei che fosse – si affrettò a fermarlo prima che dicesse altro per farle tornare il batticuore – speciale. »

Mormorò e iniziò a giocare con il colletto della sua maglia:

« P-però- »

« Non dirlo, perché potrei anche darti retta. – la bloccò con uno sbuffo divertito – It's OK, kitty. »

Lei mosse istintivamente la coda per il nomignolo e gli cinse il torace con le braccia lasciandosi coccolare, una parte di sé avrebbe voluto che Ryou fosse un po' più egoista, ma lei sapeva che non era una persona del genere; nel pensarlo ridacchiò sfregandosi con il naso sul suo collo, i geni del Gatto Selvatico che fecero la ola riconoscendo l'odore del biondo.

« From now on, you're gonna be so clingy? »

« Parla una lingua comprensibile! »

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) vabbè la mettiamo per scrupolo, ma non ci credo che nessuno lo sappia… xD episodio 40

(**) maestro in cinese

 

 

 

 

 

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EEEEEEHHHHH VAIIII!

*parte la zumba rumba dello ship*

Le morti per diabete da quella parte! Oooh quanto aspettavate eh?! Non se ne poteva più, un po' di impennata d'amore da ste parti perché ci si stava sparando in testa!
Kisshu: Ria ç____ç***** ti ammazzo giuro…

Ah, mi è appena venuto in mente che la trama principale non è ancora completata… *fischietta e fa cerchietti in un angolino*

Tutti: ci dobbiamo preoccupare -.-""

Era una domanda ^^""?

Tutti: una triste constatazione -.-""!

 

Il #martedìfangirl sempre all'appello! ♥  Ormai la mia povera pagina è intasata xD che dite se mi aprissi la pagina autore EFP continuereste a seguire anche il mio lavoro :3 ♥ ?

Grazie mille a Cicci 12, Hypnotic Poison, mobo, LittleDreamer90 e Danya dei commenti e degli incoraggiamenti :3 e a Sonrisa che mi segue e mi dice tante cose bellissime ♥  poi con calma risponderò a tutte :*
Vi saluto che mi aspettano per celebrale la mia vecchiaia ♥  (anche se è domani xD) bacissimi!!

 

A Tra un paio di settimane :*


Mata ne
~♥ !

Ria

 

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Capitolo 43
*** Outside the crossing ***


Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: 
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Salva anche tu una tastiera da pazzoidi che le massacrano scrivendo come disperate! Non chiudere gli occhi, puoi salvare milioni di vite elettroniche.

 

 

 

 

 

Un capitolo un po' particolare :) La storia si ferma (per poche pagine ;), in fondo torniamo dai nostri "eroi")

Tutti: perché con le virgolette -.-"?

*ignora* parleremo di un certo personaggio, vedremo il suo passato e un po' del passato di Jeweliria :3 poi torneremo a dove ci siamo fermati, il giorno ricomincia! Cosa accadrà?

A dopo ♥

 

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Cap. 43 – Outside the crossing:

                The story of copper-eyed warrior

 

 

 

 

Per una volta la fortuna pareva averla ascoltata. Non avrebbe mai immaginato che la navetta d'emergenza rubata dall'hangar avesse un sistema di schermatura radar così efficace, né che avesse impostata come rotta un pianeta così adatto a passare inosservata. Aveva letto distratta il nome del luogo sul display di navigazione, ma non si era curata di memorizzarlo; sarebbe stato imprudente fermarsi a lungo, aveva bisogno di mangiare e dissetarsi, e soprattutto, di chiarire le idee per la mossa successiva. Specialmente considerando che la guardia di fronte alla sua cella non aveva accettato con troppa docilità di arrendersi, e la spalla sinistra si lamentava ancora per un brutto taglio sporco.

Lenatheri entrò claudicando nell'unico posto che odorava di cibo. Come promettevano le navicelle di ogni foggia e il puzzo che aveva percepito per le strade sporche, la fauna all'interno era molto varia e nessuno badò ad una jeweliriana donna con una gamba meccanica.

Si sedette al bancone pronta per ordinare qualcosa di solido quando il barista dall'altra parte, una creatura che assomigliava ad un insetto, le allungò un bicchiere con un indefinito contenuto ambrato che odorava di alcol.

« Il primo giro lo offre la ditta. »

Lenatheri fissò il bicchiere a lungo. Sapeva che il buonsenso sconsigliava di fare una cosa del genere.

Come se lo avessi mai avuto, il buonsenso.

Afferrò il vetro e vuotò il contenuto in un fiato, digrignando i denti al colpo dell'alcol nelle vene e al gusto secco in bocca.

Magari trovare nella sua vita il minuscolo filo nero della follia che l'aveva condotta lì poteva esserle di aiuto. O magari le sarebbe bastato bruciarsi qualche neurone con l'alcol, lasciando in quel bicchiere qualche memoria che era bene non avere come bagaglio.

 

 

 

Dov'è stato che ho sbagliato…?

Dov'è stato… Che tutto ha preso la direzione sbagliata?

 

Non ricordava granchè della sua casa, a parte che fosse come una qualunque altra casa di Jeweliria, piccola, artificiale, un po' sporca, affollata più del dovuto. Si trovava nella periferia più estrema, circa a quattro giorni di distanza dal centro e dal Palazzo Bianco, e quando lei venne al mondo la sua città stava già morendo.

Era la norma. Quando i loro antenati erano fuggiti su quel sasso inospitale le città erano moltissime, tutte vicinissime le une alle altre; con il tempo si erano mutate in un unico, grande agglomerato urbano, per gestire e distribuire meglio le poche risorse che avevano, ma dopo secoli, dopo millenni di fatica, a poco a poco la popolazione si era ridotta di più di due terzi e le zone più lontane dal cuore della città avevano iniziato ad essere abbandonate, dimenticate. Zone morte attorno ad un mondo che andava estinguendosi.

Lei era nata lì, nell'unica famiglia nel raggio di un chilometro, che si reggeva ancora in piedi solo per il lavoro dei genitori alla manutenzione degli impianti termici.

Negli anni aveva cambiato giudizio sui suoi genitori, ma non aveva mai smesso di dubitare della loro intelligenza, per aver sfornato con lei la decima di nove figli, tutti smunti e pallidi come la luce che splendeva morente nella loro casa. Per qualche anno aveva vissuto con loro, trascinandosi in quella vita grigia e buia, litigando e giocando di malavoglia con quei fratelli e sorelle di pochi anni più grandi e già stanchi di essere al mondo, guardando i maggiori che tentavano senza risultati di aumentare le razioni destinate alla casa lavorando. Nessuno di loro era particolarmente abile né intelligente, e i risultati furono sempre deludenti, come dimostravano le porzioni misere che li adocchiavano tristi dai piatti durante i pranzi e le cene.

Non ricordava in onestà il nome di sua madre, o di suo padre, né quello di uno dei suoi fratelli; erano state informazioni che presto non avrebbero avuto utilità, per ricordarle. Però ricordava il giorno in cui la madre le aveva detto il significato del suo, di nome.

« Lenatheri significa colei che lotta. – aveva sussurrato con la sua voce stanca – La nostra esistenza è dura, bambina: saperla affrontare già dall'istante in cui nominano il tuo nome è di buon auspicio. »

Lei aveva sempre pensato che invece fosse un augurio alla sofferenza.

 

 

Doveva avere all'incirca quattro anni quando sua madre la portò per la prima e unica volta al mercato, due chilometri da casa loro. Lenatheri non si era domandata perché solo loro due, perché in pieno giorno quando la madre doveva essere al lavoro, perché così all'improvviso: aveva solo tenuto per tutto il tragitto la mano callosa e fredda della donna, i suoi stessi capelli neri, sfibrati e ingrigiti dalla fatica e dal tempo, e i suoi stessi occhi color del rame che parevano arrugginiti come il suo sorriso.

Quel giorno al mercato la madre non comprò granchè, con dieci figli e un marito le quote di provviste e retribuzioni svanivano immediatamente. Lena le vide mettere nel cestino qualche pagnotta dolce, un frutto, la massima rarità, coltivato in laboratori speciali nei livelli più interni, e un pezzo di carne, anche quello creato in laboratorio perché per gli animali Jeweliria era troppo ostile: della carne, quelle fettine grigiastre aveva solo il nome e il sentore, eppure dure e insapori com'erano all'epoca restavano un banchetto quando venivano servite. Lena si era entusiasmata un poco alla vista degli acquisti e la madre le aveva sorriso triste: le aveva messo una monetina in mano, dicendole di andare ad una bancarella che vendeva mimeri e di acquistarne uno; la bambina non aveva protestato né chiesto, felice, e quando aveva avuto tra le mani il suo pacchettino con poche, succulente frittelle, si era voltata.

Sua madre non c'era più.

Abbandonare i bambini era una prassi comune seppur non accettata, ma nessuno avrebbe mai fermato il genitore colto a lasciare indietro il suo piccolo: era dura per tutti e nessuno avrebbe potuto dire con certezza quando e se sarebbe accaduto anche a lui. Lasciare i figli che non si riuscivano ad accudire era una scommessa, nella migliore delle ipotesi sarebbero sopravvissuti fino alla maggiore età, in qualche modo; pochi si soffermavano più di un paio di minuti sull'ipotesi peggiore.

All'inizio Lenatheri l'aveva chiamata a gran voce, cercandola in lacrime tra la folla; aveva pianto, urlato ignorata da tutti, finché il mercato non era stato smontato per il coprifuoco e lei era rimasta sola, in una piazza sconosciuta, tra case sconosciute, al buio e al freddo.

Quando la paura abbandonò il suo corpicino ricominciò a piangere tutte le lacrime rimaste e continuò anche una volta che non ebbe più nulla che potesse inumidirle gli occhi, domandandosi se era stata una bambina cattiva degna di una tale punizione. Poi si era arrabbiata, aveva maledetto i genitori e i fratelli. Alla fine, si era solo rassegnata: anche lei sapeva come andavano le cose e forse era stata la scelta migliore, abbandonare la più piccola e la più sana dei figli; forse se la sarebbe cavata.

A distanza di anni la rabbia per i suoi genitori era diventata solo un sordo disprezzo per la loro ingenuità e la loro incapacità di gestire i figli, paragonabile solo a quella di mantenere i pantaloni ben chiusi tra un parto e l'altro; non li aveva mai più visti e, probabilmente, erano svaniti nella neve come la loro casa.

 

 

A Jeweliria i bambini di strada avevano due possibilità, oltre a quella di rannicchiarsi in un cantuccio in attesa di morire assiderati: i più fortunati venivano presi nelle cosiddette famiglie allargate, persone che di solito avevano un'alta posizione sociale, membri del Consiglio o dell'Armata, e che potevano ospitare i trovatelli; un destino per pochi eletti dalla buona sorte.

Tutti gli altri bambini vivevano alla giornata. Si ammucchiavano in colonie nelle case abbandonate, campando di espedienti finché le loro mani e le loro braccia non erano forti a sufficienza per maneggiare una spada o un attrezzo da lavoro, e iniziavano a fare la fila per entrare negli impianti di manutenzione e all'Accademia dell'Armata; chi non ne aveva voglia sopravviveva per poco tempo, o veniva arrestato colto in flagrante a rubacchiare e non lo si vedeva più.

I quattro anni di Lena per strada furono infernali. Lei era femmina, e ciò bastava già a metterla in cattiva luce con la combriccola maschile a cui si era dovuta aggregare, perché incapace di spostarsi in un'altra città; inoltre era una delle più giovani, costretta a seguire i comandamenti dei più grandi, ed era minuta e magra cosa che non invitava gli altri a coinvolgerla nei rocamboleschi tentativi di sbarcare il lunario. Non aveva un bel viso che spingesse la gente ad offrirle qualcosa da mangiare, non aveva abilità manuali particolari per svolgere lavoretti in cambio di qualche spicciolo o pagnotta e come ladra era goffa e disorganizzata, più volte rischiò di farsi catturare dalle sue vittime e quasi mai portò a casa il bottino.

Ma una cosa la sapeva fare.

Sapeva difendersi.

Lo insegnò dopo un mese di vita nella colonia, quando finalmente dopo giorni stava per addentare un pezzo di pane raffermo. Un ragazzetto che doveva avere dieci anni le afferrò i capelli con forza e tirò per strapparle di mano il pranzo, deridendola sul fatto che presto avrebbe cominciato a frignare come una stupida. Lena strillò dal dolore per lo strappo alla testa e gli occhi le divennero lucidi, ma non pianse: girò la testa quanto più possibile e azzannò il braccio del ragazzetto, affondando i canini in barba al dolore che avvertì mentre quello continuò a tirare e tirare; quando finalmente diede l'ultimo brusco colpo strappandole un bel ciuffo di capelli, Lena strinse il suo pranzo al petto e lo assalì ancora, forte, colpendolo di testa allo stomaco e poi saltandogli addosso e calciando, mordendo e tirando pugni con tutta la forza che aveva. Non evitò un cazzotto che le gonfiò una guancia e le fece sanguinare il labbro, ma non fu lei a piangere quel giorno, mentre si rialzava e correva in un angolino riparato a finire il suo pasto.

La coscienza della sua forza non le portò rispetto tra gli altri bambini, che non tolleravano che una mocciosa simile fosse più forte di loro; gli insegno però a guardarsi bene dal sottovalutarla e a non stuzzicarla troppo, se non quando erano troppo nervosi o non mangiavano da troppi giorni.

Lena imparò presto che non poteva contare solo sulla sua forza perché era troppo piccola, ma la sua velocità era una buona arma. Poi capì che non bastavano le mani, quando un quindicenne le ruppe due denti per rubarle un prelibatissimo frutto, forse un'arancia, che era rotolato fuori dal cestino di un passante. Da allora la si vide girare con un bastone robusto e sottile infilato nella cintura della gonna: non era una vera arma, ma si portò via qualche occhio e incrinò un paio di costole quando la fortuna le fu amica. Fu abbastanza per andare avanti, abbastanza per sopravvivere qualche anno in più.

 

 

Lenatheri accettò a poco a poco che quella sarebbe stata la sua vita fino alla morte.

Avrebbe arrancato come un topolino nelle fondamenta della sua civiltà ormai appesa ad un filo, fino al giorno in cui una botta di troppo, un giorno in più senza cibo o una notte più gelida non avesse stabilito la sua dipartita.

Perciò non considerò importante quel giorno in cui tentò l'ennesimo, incerto tentativo di ruberia ai danni di un soldato.

Era una mossa sciocca e pericolosa: i soldati potevano essere molto aggressivi e il tipo a cui si avvicinò era enorme, le sue mani avrebbero potuto schiacciarle la testa come un insetto sotto la suola di una scarpa; lei però non mangiava da troppo tempo e la sacca dell'uomo mandava un profumino inebriante. Si avvicinò quatta quatta, il soldato sembrava solo; non aveva divisa, solo una spada minacciosamente appesa alla cinta, quindi si trattava di un ufficiale. Lena non si chiese il perché della stranezza di un ufficiale in sobborghi così lontani, ma gongolò pensando che un rammollito dei piani alti non l'avrebbe mai vista, e tese la manina verso la sacca lasciandosi guidare dal proprio naso; una manciata di secondi e le sue dita si chiusero sull'involto odoroso dietro la stoffa e lei scappò a tutta velocità senza mai voltarsi. Raggiunse la sua tana con il cuore che batteva all'impazzata per la corsa e la gioia, arrampicandosi al sicuro nel suo posticino su una delle travi di sostegno del tetto, finalmente un bottino degno di questo nome. Scartò il pacchetto non capendo perché mai uno dovesse incastrare tutto il cibo dentro a due pezzi di pane, ma in fondo non gliene fregava nulla: c'era il pane, del formaggio, della carne, addirittura della roba verde che aveva visto poche volte sulla tavola dei suoi genitori e che ricollegò a verdura; un banchetto luculliano. Stava già per addentare il tutto quando sentì i bambini agitarsi e andarle incontro. Uno dei più piccoli la indicò e pigolò:

« Eccola! È lei! Ha rubato ad un soldato! »

« Brutta scema – sibilò uno dei grandi – se vengono qui ci arrestano tutti e ci ammazzano. »

« Se mai voi – replicò Lena gelida – io scapperei prima che possano prendermi. »

Diede un rapido e poderoso morso al panino rischiando l'estasi per tutto il cibo che stava mangiando, poi richiuse ben stretto il fagottino e lo incastrò a fondo nel suo cantuccio in un'intercapedine in alto sul soffitto.

« Cos'è, tu sei tanto coglione da restare? »

Come immaginava né il suo succulento bottino né le sue azioni erano piaciuti e il ragazzo l'afferrò per la caviglia tirandola a terra. I due iniziarono a lottare sul pavimento di legno marcio incitati dagli altri: Lena tentò di prendere il suo bastone, ma il ragazzo era grosso e pesante e la teneva a terra, quindi per un po' potè solo prendere cazzotti; si sforzò di non farsi accecare dai colpi e attese che lui si glorificasse con gli altri di stare picchiando una ragazzina grande la metà di lui, quindi caricò un destro e lo centrò alla gola. Lui rotolò a terra rantolando, reggendosi la trachea con le mani, e lei scattò in piedi brandendo il sui bastone e iniziando a picchiarlo prima che reagisse. Gli altri bambini le furono subito addosso per vendicare l'amico, ma lei ormai era armata e dispensò un bel po' di scudisciate prima che uno di loro riuscisse ad afferrarla per i capelli e la bloccasse; Lena calciò, tirò pugni e dimenò il suo bastone a destra e a sinistra indietreggiando nel tentativo di non farsi strappare i capelli, gridando con fare più minaccioso possibile e con lo sguardo da bestia selvaggia, finché non avvertì la presa sulla chioma svanire e qualcuno afferrarla per la collottola. Qualcuno di troppo altro e grosso per essere un bambino.

Gli altri ragazzini tacquero terrorizzati mentre lei, confusa, si sentì sollevare di peso sopra di loro.

« Smammate mocciosi. »

Ci fu un fuggi fuggi generale, coi bambini che strillavano e un paio che non si dispensarono dal gridare a Lena le peggiori minacce sulla sua sorte. Lei, pallida e con il fiato grosso, fissò atterrita l'uomo enorme che l'aveva sollevata per guardarla in faccia, e che riconobbe come il soldato della piazza.

Occhi color del bronzo, una brutta cicatrice sulla gola, capelli scuri. La mente di Lenatheri ricordò e lei si sentì morire.

Aveva derubato Ronahuge Osaki, generale di divisione del Corpo d'Armata. Il suo nome da quelle parti si mormorava sottovoce, assieme a leggende sulle sue imprese e su miti improponibili come quello con cui i più grandi terrorizzavano i più piccoli, in cui Ronahuge di notte pattugliava i quartieri abbandonati alla ricerca di bambini da usare per gli esperimenti nei laboratori sotterranei.

Lena ovviamente non ci aveva mai creduto. Neppure una volta.

Non era certo per simili fandonie che fissava l'uomo come se fosse sul punto di piangere, bianca come un cencio e con le labbra tremanti in un grido muto.

« Scovata la mano lesta. »

Sentenziò l'uomo con voce roca.

« N-non so di cosa parli. »

Tartagliò Lena. Anche come bugiarda faceva schifo quanto a rubare e Ron stese un ghigno sarcastico:

« E io sono la Fatina dei Denti. »

La squadrò da capo a piedi, il labbro rotto dal pugno, il viso magro e brutto, i capelli scarmigliati e sucidi, fissando poi divertito il suo bastone:

« Ti difendi bene mucchietto d'ossa. »

Lena non capì il senso della frase. Ron fischiò e lei si rese conto che c'erano altri due soldati  molto più giovani alle spalle dell'uomo: al suo fischio si fece avanti un ragazzo sui quindici anni, i capelli verdi cortissimi con un codino sull'orecchio destro e la divisa da soldato semplice. Guardò Ron con gli annoiati occhi blu notte e quello ripose Lena a terra, accennando al ragazzo verso di lei:

« Vediamo quanto. »

Il ragazzo dai capelli verdi fece comparire nella mano uno strano coltello ricurvo; alle sue spalle l'altro soldato sospirò preoccupato:

« Vacci piano Sando. »

Lena puntò il suo bastone contro il giovane con lo stomaco contratto dalla paura, non erano pugni o pietre si trattava di una lama vera, non aveva alcuna possibilità di sconfiggerlo. Strinse i denti e attaccò lo stesso, preferiva le aprisse la pancia lì sul sucido pavimento di quella stamberga che finire in qualche esperimento o in una prigione.

Sando si limitò a respingere i suoi affondi, anche se non proprio con garbo, e sebbene all'inizio Lena arrancasse limitandosi a dimenare fendenti a caso presto capì i suoi movimenti: lo seguì meglio, più da vicino, e un paio di volte Sando fu costretto a proteggersi la faccia prima che la morettina lo centrasse in un'orbita. Lei ci mise sempre più foga, dimentica della paura ed entusiasmata da qualcuno che non le era saltato addosso con cieca ferocia, o con altri due o tre accoliti; si convinse che erano alla pari, anzi lei era più svelta, e forse lo avrebbe battuto.

Un colpo al braccio, un affondo e invertì le posizioni.

Forse lo avrebbe sconfitto e avrebbe preso il suo posto, qualunque esso fosse.

Ruotare la punta del bastone, mirare alle gambe; saltare di lato e riaffondare.

Forse sarebbe andata via, o l'avrebbero accolta nella famiglia di quel tipo perché lui si era fatto battere da una bimbetta…

« Ora mi hai stancato. »

Con la massima facilità Sando le afferrò il bastone, la tirò verso di sé e le assestò una poderosa gomitata allo stomaco. Lena cadde immediatamente ginocchioni come un sacco vuoto e mandò un paio di conati, ma avendo lo stomaco quasi del tutto vuoto dalla bocca uscì solo un rivolo di bava e di succhi gastrici, che strapparono al verde uno schiocco disgustato con la lingua.

« Sei un animale, Sando…! – lo rimproverò brusco l'altro soldato – È una ragazzina! Vuoi ucciderla?! »

Quello si voltò appena e replicò piatto:

« Volevo evitare che lei uccidesse me. »

Ronahuge rise piano e si avvicinò a Lena, ancora tossicchiante; lei sollevò lo sguardo e si asciugò la bocca, terrorizzata e confusa dall'uomo che la studiò ancora con aria divertita. Soffocò uno squittio spaventato quando lo vide calare l'enorme mano verso la sua testa, poi afferrarla ancora per la collottola e mettersela in spalla come un sacco di patate.

Lenatheri protestò, urlò, battè i pugni sull'enorme schiena dell'uomo che non diede neppure segno di essersi accorto del gesto mentre ordinava ai due soldati di tornare alla base; cercò di liberarsi, ma la forza con cui Ron la teneva sulla sua spalla fin quasi a schiacciarcela contro non le permise nemmeno di spostarsi poco più a destra o a sinistra, e inutilmente continuò a protestare e a strepitare mentre i tre la portarono via da quella che, odiata o meno, era diventata la sua casa.

Dopo una decina di minuti di cammino raggiunsero un'astronave da ricognizione terrestre: era una navicella piccola, appena tre posti in cabina e un minuscolo locale nell'altra metà della struttura con altrettanti posti a sedere, adatta solo per voli esplorativi fino ad un massimo di trecento metri dal suolo. Ronahuge continuò a tenere Lena tra le mani come un bambolotto, aprì lo sportello posteriore della nave e ce la lanciò dentro senza troppo garbo, richiudendo l'ingresso. Lena smise di respirare e si lanciò sulla parete ormai sigillata battendo i pugni e urlando insulti e proteste con tutta la voce che aveva in corpo, invano; sentì i tre salire sulla navetta e poi il pavimento sotto i suoi piedi tremò mentre il mezzo si alzò in volo.

Ci volle un po' prima che l'astronave prendesse un volo regolare senza scosse e balzelli, e altrettanto ci volle perché Lenatheri non avesse più fiato per urlare. Si rannicchiò su uno delle due panche che seguivano la forma della navicella, le gambe raccolte al petto e le braccia incrociate ad abbracciarle, piangendo in silenzio: il cigolio ritmico della carena accompagnò la sua mente nei pensieri più spaventosi e nelle ipotesi più terribili sul suo destino finché una nota sottile, il risucchio del portellone interno che si apriva, non interruppe la monotona melodia.

Lena scattò a sedere spaventata e fissò truce il secondo soldato, quello più gentile, entrare dentro dalla cabina di pilotaggio: indossava la divisa maschile, ma era estremamente minuto, alto poco più di lei, con un viso e un sorriso estremamente dolci e capelli violetto che gli sfioravano le spalle e la morettina fu nel dubbio per tutto il tempo se si trattasse di un uomo o di una donna.

« Come stai? »

Le sorrise e Lenatheri non rispose rannicchiandosi sul fondo della panca squadrandolo assassina; lui rise con garbo:

« Guarda che non mordo. »

Lena non si sciolse nemmeno un po' e lui sospirò comprensivo:

« Mi dispiace per il mio amico… Spero non ti abbia fatto male. »

« Figurati se un vecchio come lui può farmi male. »

Mentì avvertendo chiare le proteste del suo plesso solare contuso; il soldato trattenne una risata e non rispose. Lena si domandò cosa volesse da lei, ma non aprì bocca e rimasero entrambi in silenzio, seduti a un metro e mezzo l'uno dall'altra e dovette ammettere che, seppur di uno sconosciuto, la presenza fisica di qualcuno in quell'angusto loculo la rasserenava molto. Di quando in quando guardava distrattamente fuori dall'unico oblò della stanza – alonato dalle impronte dei suoi vani tentativi di fuga – e presto alla desolazione della periferia si passò a quella più affollata del centro. Lena serrò i pugnetti rinsecchiti sul bordo della panca e sentì il soldato sorriderle:

« Stai tranquilla. Il generale è una brava persona. »

L'occhiata scettica che Lena gli scoccò lo fece solo ridere un'altra volta.

« Non preoccuparti – ripetè – andrà tutto bene. Fidati. »

La morettina fece una smorfia, aveva un bel coraggio a chiederle una cosa così impensabile come avere fiducia in qualcuno; eppure lui continuò a sorriderle e lei gli concesse un grugnito, più che di assenso di presa visione delle sue parole.

Il portello della sala comandi rimbombò un paio di volte e la voce del soldato di nome Sando chiamò brusca il compagno, intimandogli di tornare indietro. Il soldato dai capelli viola sbuffò:

« È sempre il solito. »

Ammiccò a Lena e si alzò, fermandosi un secondo prima di aprire il portello:

« Come ti chiami? »

Lena si strinse nelle spalle:

« Non sono fatti tuoi. »

Il soldato rise benevolo e tornò in cabina.

 

 

Lena rimase accecata dalla luce sintetica dell'hangar, dal calore artificiale generato dalle ventole sui soffitti, e stordita non si oppose quando l'enorme palmo ruvido di Ronahuge  le si serrò sul polso minuto strattonandola di malagrazia perché scendesse.

Il gruppo si avviò rapidamente in uno dei corridoi che si affacciavano  sull'aviorimessa e lo attraversò imboccandone subito un altro, poi un altro e poi un altro ancora.

Lena arrancava a balzelli dietro a Ron per stare alle sue enormi falcate e tentò di capire dove la stessero portando, voltando la testa da una parte all'altra: i corridoio parevano tutti uguali, puntellati da soldati impettiti e immobili di fronte ad alcune porte, ma man mano che procedevano Lena ebbe la sensazione che gli ambienti diventassero più grandi e meno essenziali. Girarono un angolo e le pareti si aprirono in varchi rettangolari da cui si vedeva un largo ambiente spoglio: decine di giovani soldati si allenavano facendo risuonare le loro voci nell'androne; agli occhi della ragazzina apparvero come tanti pupazzi dalla pelle pallida e gli abiti color metallo e palude, che ripetevano in sincrono gli stessi gesti e gli stessi comandi minacciosi.

Ronahuge oltrepassò uno dei varchi e attraversò la sala, ignorando la folla di gente che gli dedicò altrettanto interesse, poi imboccò una piccola scala rugginosa che s'impennò di due piani oltre il soffitto.

Comparvero in un corridoio completamente diverso dai precedenti. I muri di acciaio ossidato avevano lasciato posto a pareti sempre metalliche, ma curate e ben pulite che donavano al tutto un aspetto asettico e monotono; oltre ai soldati si iniziarono a vedere inservienti dai visi rigidi e spenti, affaccendati per mantenere quel luogo pulito e renderlo meno spartano, senza alcun successo.

Lenatheri non capì. Il posto non era piacevole, ma non aveva neppure l'aria di un laboratorio o di una prigione. Cercò di puntare i talloni e dimenare il braccio per costringere Ronahuge a fermarsi e dirle cosa stesse succedendo, e lui reiterò dandole un brusco strattone che le fece saltare un metro e mezzo con un solo passo. Lena lo prese a pugni sul braccio muscoloso più e più volte senza che lui muovesse un muscolo, cosa che la spaventò fin quasi all'orlo delle lacrime.

« Stai tranquilla. »

Guardò di sottecchi il soldato dai capelli violetti che le aveva sussurrato incoraggiante e le sorrideva e desiderò con tutto il cuore potersi fidare di lui.

All'improvviso Ron si fermò di fronte ad una porta socchiusa, all'occhio ignaro di Lena esattamente identica alle precedenti, che l'uomo finì di spalancare con un botto senza nemmeno pensare a bussare.

Alla bambina apparve una grande stanza circolare, con tre finestre che si affacciavano opache sulla città grigia, e un grosso tavolo ogivale a cui erano sedute tre persone dalle divise eleganti e pompose, ma molto vissute; una quarta persona stava in piedi a parlare a colui che, dall'aspetto, doveva essere al comando, e una quinta sbucò da dietro lo stipite della porta puntando una lama alla gola di Ronahuge. Lena pigolò terrorizzata e cercò ancora di liberarsi della presa di Ron, invano, mentre Sando e l'altro soldato si tesero un momento.

Ron rise con il suo classico sospiro aspro:

« Bel giocattolino. »

La soldatessa dai capelli magenta che lo stava minacciando lo fulminò con una fredda occhiata, rinfoderando la spada corta e mettendosi sull'attenti; Ronahuge rise forte:

« Guardia speciale della sala delle riunioni… Complimenti Meryold! »

« Noto del sarcasmo, nobile Ron. »

« Non sia mai. »

Replicò con le labbra piegate in un ghigno sprezzante a cui la donna rispose con impassibilità, ma una luce furba negli occhi fece intuire quanto la supponenza di lui non la toccasse e, anzi, le risultasse ridicola.

« Il sergente Mehul ha fatto semplicemente carriera. »

Puntualizzò l'uomo dall'aria di comando al tavolo. Ron non sembrò soddisfatto della frase e l'uomo, qualche anno più dell'altro e un fisico così secco da sembrare un fazzoletto arrotolato dentro la sua divisa lavorata, si alzò guardandolo serio:

« Almeno lei segue le regole e l'etichetta che lei non sa nemmeno dove stiano di casa, Ronahuge. »

Meryold strinse le labbra cercando di non ridere per l'aria omicida che assunse Ron, e l'uomo in piedi mandò uno sguaiato rantolo divertito che si spense in un respiro sincopato.

« Kiddan, chiudi quel buco sdentato o farò in modo che tu perda anche l'altro braccio. »

Lui continuò ad ansimare allegro.

La legge di Jeweliria imponeva che tutti i membri dell'alta società, uomini e donne, praticassero un periodo di addestramento militare per conoscere la realtà dell'esercito e una base di autodifesa; l'acquisizione di gradi non era prestabilita né immediata, ma abbastanza scontata e la cosa non era sempre gradita dagli altri ufficiali che invece dovevano sudarsi ogni onorificenza. Ron sapeva che Meryold aveva ottenuto i suoi con onestà, ma mai l'avrebbe ammesso né mai avrebbe smesso di sentire un gran fastidio per la sua figura composta che si aggirava per i corridoi.

Lena studiò la scena con la manina ancora impegnata a spingere quella di Ron, nella speranza allentasse la presa lasciandola fuggire, e incapace di capire il suo destino.

« Cosa vuoi Ronahuge? – chiese stancamente l'ufficiale – Stiamo discutendo dell'aggiornamento del sistema di riscaldamento, il settore 5, e… »

« Ho una nuova recluta, Stahl. »

E scortese sollevò la bambina come fosse un sacco vuoto e la lanciò nella stanza sotto lo sguardo dei soldati e di Kiddan.

« Una recluta in miniatura al massimo. »

Gracchiò Kiddan affettuosamente. Uno degli altri ufficiali al tavolo si allungò sul ripiano squadrando la bambina e l'uomo:

« Se è una presa in giro non fa ridere. »

« Sono serissimo. »

« Lei ha la tendenza a prendere casi particolari con sé – sibilò il terzo graduato – ma questo è ridicolo. »

Lena intravide il soldato dai capelli violetti irrigidirsi e Sando stringere i pugni fin a far scrocchiare le nocche.

« Luneilim è un ottimo soldato – precisò lentamente Kiddan – oltre ad avere un cervello sopraffino. Se il nobile Ron mi avesse lasciato finire, vi avrei dimostrato cosa intendo. »

E tamburellò l'indice metallico sui progetti che aveva mostrato a Stahl ammiccando complice verso Ronahuge. Stahl annuì deciso e Lena vide il soldato dai capelli viola trattenere un sorriso, mentre i due ufficiali tacevano domati.

« Cosa ti fa credere che sia adatta al servizio militare? »

Domandò lentamente Stahl e Ron fece un passo verso Lena prendendole la testolina nella mano:

« È veloce, temeraria; impara in fretta – e guardò di sottecchi Sando – e soprattutto è stata in strada. Molte delle reclute che ci sono arrivate adesso a stento conoscono la vera fame, nessun soldato sa combattere meglio di qualcuno che si è fatto largo a pugni per sopravvivere fin da quando aveva il moccio al naso. »

« Come può dirlo? »

Obbiettò il secondo ufficiale e Ron schiacciò le guance di Lena tra le sue dita perché loro potessero vedere bene le tumefazioni sul suo viso e il labbro rotto; la ragazzina vide Meryold incupirsi e guardarla addolorata.

« Prima che tre o quattro di quei poppanti assatanati le saltassero addosso, ce n'era uno grosso il doppio di lei; l'ha steso in due minuti. »

« Vorrebbe inserire una piccola selvaggia tra i nostri valorosi soldati?! – tuonò il terzo ufficiale – Nobile Ron, tutto questo è ridicolo! »

« In quattro anni diventerà un membro delle truppe d'élite. »

« È assurdo, non-! »

L'ufficiale tacque vedendo la mano sollevata di Stahl. L'uomo squadrò ancora Ron e Lena coi suoi occhietti duri come il ferro e controllò l'espressione del suo generale di divisione: sbuffò, non era una richiesta e scommetteva che Ron avrebbe dimostrato di avere ragione. In qualche modo.

« Non valuterai tu i suoi progressi, sarà giudicata dal Corpo Disciplinare come tutti gli altri. »

« Mai messo in discussione. »

Ghignò. Stahl sospirò di nuovo:

« E se ne occuperanno o Okorene o Luneilim. Tu hai altri compiti da svolgere. »

Ron ostentò un saluto militare così esagerato che Lenatheri non riuscì a non ridacchiare nervosamente venendo folgorata dalle occhiatacce degli altri soldati.

« Ora vai. Abbiamo altre questioni da discutere. »

Ron insisté battendo i tacchi – cosa per cui Lena dovette tapparsi la bocca – ed uscì coi suoi due sottoposti prima di venire degradato.

Si allontanarono parecchio dalla sala prima che Ronahuge lasciasse la presa sulla bambina e lei cercò subito di darsi alla fuga, venendo placcata dal soldato dai capelli violetti:

« Non è proprio il caso di cacciarsi nei guai. »

« Io non voglio restare qui! – strillò – Non potete tenermi qui! »

« E dove vorresti andare, nanerottola? »

La voce dura di Sando bloccò un secondo le proteste di Lena.

« Vorresti tornartene a farti picchiare per un pasto, al freddo? »

« Sando… »

« Credi di essere più grande, più furba? »

« Sando, lasciala stare. »

« Dico la verità, MoiMoi. »

Ron fece tacere entrambi con un gesto e si inginocchiò per guardare Lena negli occhi:

« Se lo desideri impiego un secondo a rispedirti in quel buco dove ti ho trovata – sentenziò gelido – non è né nel mio interesse né nei miei desideri lottare contro una mocciosa testarda. »

Lena non rispose muovendo in silenzio la lingua nella bocca inaridita.

« A me servono veri soldati. È per questo che ti ho portata qui. »

Si rialzò e la fissò da tutta la sua altezza, costringendo la bambina quasi ad inclinarsi sulla schiena per non perdere il contatto coi suoi occhi di bronzo.

« Tu sei un vero soldato, ma puoi scegliere se combattere o meno. »

Lena continuò a fissarlo; all'epoca era troppo piccola per capire il senso profondo delle parole di Ronahuge, ma qualcosa le si scosse nel profondo. Non diede assenso, ma fece cenno di sì con la testa.

Sando sbuffò borbottando qualcosa, MoiMoi sorrise. Ron ghignò soddisfatto e affidò la bambina a MoiMoi perché la scortasse in una delle camerate, le desse dei vestiti e qualcosa da mettere sotto i denti: non avrebbe maneggiato niente più che il suo bastoncino, con le misere ossicine che aveva per muscolatura.

MoiMoi annuì pronto al suo superiore e accompagnò Lena con una mano sulle spalle, conducendola in un'altra ala dell'edificio. Camminarono per dieci minuti con MoiMoi che faceva da guida prima che la morettina gli afferrasse timidamente la manica della divisa; lui sorrise vedendola rimirarsi i piedi prima di mormorare:

« Mi chiamo Lenatheri. »

 

 

Era una frase che spesso l'aveva irritata sentendola uscire dalla bocca dei commilitoni tornati dalle battaglie o da chi narrava della sua vita come un'epopea storica, ma lei sapeva di poterla usare con fierezza.

Quel giorno, la sua vita cambiò per sempre.

All'inizio temette di essersi solo spostata da una colonia ad un'altra, circondata da ragazzini della sua età o poco più grandi, soli, tristi e rabbiosi, con la sola differenza che aveva conosciuto anche qualche bambina; molti si lamentavano della vita in caserma, moltissimi altri abbandonavano dopo poco, altri ancora ammettevano mestamente che il solo motivo per cui si trovavano lì era che non avevano altro posto dove andare.

A Lenatheri occorsero solo un paio di giorni per non riuscire più a comprendere nessuno di loro.

All'Accademia dell'Armata lei si sentì felice come mai prima di allora. Da quando aveva accettato l'offerta di Ronahuge non aveva più avuto fame, né freddo, né paura, e aveva un letto vero, tutto suo, dove poter dormire, nella sicurezza della caserma.

Come da ordini ricevuti aveva visto ben di rado Ron dopo il suo arrivo, ma in compenso era stata presa sotto l'ala protettiva di MoiMoi e Sando. Fu semplice riversare tutta la sua ammirazione sui due: entrambi eccellenti combattenti, entrambi distinti dalla massa dell'esercito – Sando per l'abilità militare, MoiMoi per l'intelligenza – divennero modelli di vita e forse ciò che più vicino ad una famiglia avrebbe mai potuto dire di avere. Qualche volta il suo affetto le rischiò delle conseguenze, specie quando si ritrovava ad accapigliarsi con altri cadetti per frecciatine velenose sull'orientamento sessuale di MoiMoi, ma i suoi meriti nell'addestramento le fungevano quasi sempre da scudo e se la cavava con una lavata di capo.

Non erano incentivi a legare con gli altri cadetti, ma a lei non importava. Voleva solo continuare l'addestramento e completarlo al meglio, ne era in grado ed era più che brava.

Certo, gli allenamenti alle armi e alla lotta corpo a corpo erano faticosi, talvolta massacranti, ma lei li eseguiva con gioia e solerzia. Era meraviglioso vedere cosa fosse in grado di fare, fin dove potesse diventare brava; sentire le lodi degli insegnanti e degli ufficiali, ascoltare le loro rassicurazioni di una futura e solida carriera: ogni complimento la spingeva ad impegnarsi, a fare di più, a volere di più; guardava gli ufficiali che ogni tanto passeggiavano a guardarli addestrarsi, talvolta accompagnati dalle loro famiglie, da bambini e donne sorridenti, e le sue aspirazioni lievitavano. Voleva emergere, prendere gradi ed onori: l'esercito le aveva dato un tetto e una speranza, e lei voleva prendersi il futuro roseo e felice che vedeva sfiorarla con sguardi distratti e curiosi.

 

 

La sua vita ruotava attorno al suo obbiettivo di successo. Oltre a ciò, a MoiMoi, a Sando e all'addestramento, non c'era nient'altro.

Il primo, brusco e non richiesto segnale ad allargare il suo mondo venne dal suo stesso corpo, quando una mattina guardandosi allo specchio scoprì l'inizio di un irrimediabile mutamento. Il diventare donna fu più un fastidio che altro, e non solo per i due allora ancora minuti ingombri sul torace, le giunture scricchiolanti e dolenti e l'umore altalenante, ma anche per il cambio di atteggiamento di alcuni suoi compagni: da seccati e indifferenti, molti divennero di colpo appiccicosi ed irritanti, tornando per fortuna al loro più sopportabile stadio primigenio dopo un paio di battute sferzanti della ragazza. Gli sguardi insofferenti erano più accettabili di quelli lascivi.

Il secondo segnale la raggiunse una mattina insolitamente più calda del solito. Pochi giorni prima era ricorso l'anniversario del suo ingresso all'Accademia, ben sei anni prima, e lei lo aveva celebrato svestendo il titolo di soldato per quello di caporale.

Si stava preparando nella sala di allenamento con una spada, rigirandosi la lama nel palmo con espressione severa: sebbene da bambina avesse combattuto con un improvvisato fioretto, le armi bianche non erano mai state troppo in sintonia con lei, che aveva scoperto un immenso amore nelle armi da lancio; tuttavia imputava proprio a quella sua mancanza l'aver acquisito un solo grado, e non avrebbe permesso oltre il perdurare della pecca.

Iniziò a scaldarsi con qualche sequenza imparata durante gli addestramenti, per essere più preparata prima di affrontare i chimeri, quando avvertì qualcuno avvicinarsi con calma e fermarsi a guardarla. Lei non ci badò, poteva essere anche un soldato ancora mezzo addormentato che la fissava senza un motivo apparente, finché non lo sentì parlare:

« Tieni quella spada come una mazza. »

Lena strinse entrambi i palmi sull'elsa voltandosi feroce:

« Come scusa? »

« Tieni quella spada come una mazza. »

Ripetè il ragazzo pacato.

Lenatheri lo studiò da capo a piedi. Era un ragazzo alto e magro, dal viso ovale e inespressivo coronato da un'ordinata zazzera grigio bluastra; doveva avere la sua età, seppur fisicamente fosse molto più uomo degli altri soldati che sì vedeva girare attorno, e la scrutava con le iridi ametista così intensamente che lei sentì il bisogno di scacciarlo a male parole.

« Sentimi bene, non so chi pensi di essere – ringhiò – ma ti conviene sparire. »

« Modera i toni caporale. »

Lei spalancò gli occhi chiedendosi se cercasse per davvero di litigare, avendone conferma quando si limitò ad appuntare:

« Sono un tuo superiore. »

Lena rise sprezzante:

« Fai lo spiritoso? Guarda che non ci metto molto a farti saltare gli incisivi. »

« Caporal Maggiore Ikisatashi Pai – specificò annoiato – e, ti ripeto, maneggi quella spada come se dovessi martellarci un chiodo. »

Lena aveva già il colpo caricato sulle braccia, decisa a testare la sua spada martellante sulla testa dell'irritante intruso, quando la voce familiare di MoiMoi attirò la sua attenzione e il violetto si frappose tra i due per evitare il peggio:

« Lena-chan, ti prego posa quello spiedino gigante! – farfugliò agitato e con l'affanno – E tu Pai-chan, possibile che non sia in grado di attaccare bottone con qualcuno senza fargli saltare i nervi?! »

« Io non attaccavo bottone con nessuno. – protestò l'altro a bassa voce, ritraendosi preso in castagna – Le stavo solo facendo notare che non aveva idea di cosa stesse facendo. »

MoiMoi lo fulminò con lo sguardo e prese Lenatheri per una spalla prima che tentasse ancora di assalirlo.

« Credo che per oggi sia sufficiente – fece a denti stretti e scoccò al moro un'occhiata eloquente – torna al centro ricerche, ti raggiungo li. »

Pai non sembrò convinto. Lena avrebbe quasi definito il suo sguardo deluso, ma quel bel viso le risultò talmente irritante e indecifrabile che ringraziò solo di vedere il ragazzo girare i tacchi e allontanarsi a passo spedito.

« … Ma chi era quello? »

« Un tuo superiore. »

Sospirò MoiMoi massaggiandosi la fronte. Lena avvertì il gelo piombarle addosso:

« Mi prendi in giro. »

« Pai-chan è il mio nuovo subalterno. »

Continuò con tono stanco :

« Appena promosso dal plotone cinquantasette con un punteggio di 100 su 120 alle simulazioni. Ed è quasi più intelligente di me – ammiccò divertito – ma non è molto bravo a trattare con gli altri, devo ammetterlo. »

Lena rimase con gli occhi spalancati e la mascella a mezz'asta. Lei alle simulazioni aveva preso 89 su 120 impegnandosi come una disperata, e risultando comunque la migliore del suo plotone; inoltre MoiMoi, la persona a cui perfino i comandanti dell'esercito e i vecchi del Consiglio chiedevano pareri per il suo ingegno, ne lodava l'intelligenza senza alcuna remora.

« Kami-sama, quanto lo detesto. »

 

 

Essendosi avvicinati in grado, ed essendo Pai diventato diretto sottoposto di MoiMoi, Lenatheri ebbe con suo sommo dispiacere occasione di vederlo sempre più spesso. Più che incontri i loro erano scontri, in cui uno dei due puntualizzava acidamente qualcosa all'altro e veniva replicato per le rime; di norma era lei quella che ribatteva alle insinuazioni di Pai, ma dato che il moro aveva una soglia di mantenimento dell'indifferenza molto più alta della sua, Lena capì presto che la miglior strategia era tacere. Gli sguardi uccidevano più della lingua.

Non perdeva occasione per studiarlo, quando si allenava o quando un superiore lo chiamava ad affiancarlo o a parlare di fronte agli altri soldati, solo per cogliere un difetto qualsiasi da potergli risputare in faccia la volta successiva.

Fu un'umiliazione rendersi conto che le parole di MoiMoi sulle sue capacità avevano riscontri fin troppo veritieri, e che le sue possibilità di ripicca erano praticamente nulle.

Quasi quanto fu bruciante rendersi conto, pian piano, che non le occorreva un grande impegno per individuare il ragazzo nella massa anonima di uniformi scure.

Pai facilitava il compito, era pur vero questo. Anche soprassedendo sul suo grado e sulle sue innate abilità, che lo rendevano visibile come un faro su una scogliera in mezzo agli altri soldati della loro età, Pai doveva essere alto una decina di centimetri più della media, e dalla prestanza del suo torace e delle sue spalle era chiaro che gli allenamenti fisici all'Accademia non li avesse mai presi come dei suggerimenti.

Lenatheri si chiese presto se non fosse una reazione psicosomatica il suo vederlo dappertutto, finché non capì che non era un caso, ma lei stessa che lo cercava appena scorgeva un po' di gente. La cosa la fece prima arrossire e poi infuriare, tanto che al suo successivo incontro con il moro dopo quella epifania pensò seriamente di usarlo come bersaglio per le sue frecce.

Quando MoiMoi le chiese delucidazioni – aveva un intuito spaventoso, purtroppo per la mora – lei negò fin a rendersi ridicola, strappando al senpai sorrisi affettuosi e senza convincerlo minimamente.

Alla fine lei riflettè sulla questione, non trovando una valida causa per il problema non da poco che le si era presentato di fronte.

Forse era perché Pai le appariva diverso dagli altri. Lui sembrava davvero fiero di fare parte dell'Armata, consapevole delle sue abilità senza mai adagiarsi sugli allori, cosa in cui trovava una certa somiglianza con se stessa; magari era il fatto che fosse più intelligente della manica di trogloditi con cui condivideva gli alloggi, o perché le donava la sensazione di essere molto più profondo e complicato di quanto già non lasciasse intuire.

Che fosse carino, poi, era il finale carico da undici che le faceva salire la voglia di soffocarsi nel cuscino.

 

 

« Credo che tu gli piaccia, sai Lena-chan? »

La mora alzò gli occhi dal campo di allenamento dove Pai stava affrontando un ragazzo dai capelli verde scuro e l'aria strafottente – MoiMoi le aveva detto che si trattava del fratello – e fissò il violetto confusa:

« Cosa? »

« A Pai-chan. »

Ammiccò furbo e Lena arrossì violentemente:

« E allora? »

MoiMoi parve non aver sentito il suo tono aspro e proseguì ammiccando:

« Mi chiede sempre di te. In modo lato, s'intende – aggiunse e sospirò un po' rassegnato – in fondo si vergogna. »

« A me non interessa. »

Gli rimbrottò la ragazza e intanto le sue iridi color del rame erano piantate sul moro a venti metri di distanza e non perdevano un solo movimento. MoiMoi sospirò di nuovo divertito dalla sua caparbietà:

« Siete fatti proprio della stessa pasta. »

« Non direi proprio. »

Borbottò Lena e nella sua voce il violetto avvertì una punta di gelosia, mentre per un istante la mora distrasse l'attenzione da Pai e rimirò avida la potenza e la precisione del colpo che centrò l'altro ragazzo con un proiettile di ghiaccio nello sterno.

« Certo, nel caso dovrebbe essere un po' più gentile. »

« Ti ho detto che non mi interessa, senpai. »

Fece più brusca, ma MoiMoi alzò le spalle:

« Magari proverò a parlarci un pochino io. »

« Lascia perdere, per favore! »

« Beh, allora parlaci tu. »

Le sorrise e Lena, smascherata dalla sua stessa agitazione, affondò contro lo schienale del palchetto arrossendo:

« Figurati se lui ascolterebbe proprio me. »

 

 

« Senti, posso parlarti un secondo? »

Lenatheri rimase a fissare Pai nel corridoio scuro per quasi un minuto, gli occhi sgranati e il cuore che martellava, incapace di dare un senso alla domanda.

Alla fine grugnì qualcosa di simile ad un sì e si girò trovandoselo precisamente di fronte. Seppur ad un consono spazio di un paio di metri, Lena si sentì parecchio a disagio. La consolò un poco che lui sembrasse agitato quanto lei, almeno da come continuò a giocare sovrappensiero con indice e pollice della mano sinistra manco fossero tarantolati.

« Volevo… Scusarmi, ecco. »

« Non ho capito. »

Ribattè scettica e Pai drizzò un poco la schiena:

« Credo di essere stato… Un po' acido con te, finora. »

« Direi parecchio. »

Lui contrasse la mascella infastidito:

« Tu non è che sia stata tanto affabile. »

« Parla quello che si è presentato la prima volta facendo il gradasso! »

« Ti stavo dando un consiglio. »

Si era avvicinato, irritato e imperioso, fermandosi alla minima distanza di sicurezza irrigidendosi, quasi si fosse accorto di un pericolo. Lena gli vide scostare gli occhi da sé e pregò che da così vicino non vedesse il colore delle sue guance.

« … Pare che non si riesca a parlare per più di cinque secondi senza discutere, uh? »

« Pare. »

Confermò lui con un brontolio. Lena deglutì un poco e osò un passetto in avanti; da lì vide bene i riflessi ametista degli occhi di Pai e avvertì un'insolita presa all'altezza dell'ombelico.

« Ok, scuse accettate – sorrise lievemente – se tu accetti le mie. »

Pai scrollò le spalle:

« Non serve. »

La sua voce era diventata un borbottio non ben definito e Lena sorrise involontariamente, intenerita. Fu difficile capire come si fossero ritrovati a fissarsi, così a lungo che la mora smise di respirare, e come si fossero entrambi allungati un poco uno verso l'altra per baciarsi.

 

 

Ricordare quell'anno strappava sempre un sorriso a Lenatheri, perfino dopo tanto tempo, dopo tutto quanto.

Era arduo spiegare i suoi sentimenti, come spiegare le dinamiche della loro storia. Lei e Pai non erano che due ragazzini, inesperti, indecisi, forse un po' confusi da una cosa multiforme come l'amore, che nessuno dei due pareva in grado di affrontare bene o di vedere nella sua complessità.

Lena non aveva mai avuto dubbi sul fatto che Pai le piacesse, però non riusciva mai a dare una definizione ultima di ciò che aveva provato; solo descrivere piccolo stralci, momenti, istanti insieme, come un puzzle di cui aveva tutti i pezzi ma che non sapeva ricomporre.

Forse era inadeguatezza. Forse solo incapacità di ammettere di essere debole, da quel punto di vista. Come tutti gli altri.

Forse fu che erano solo due quattordicenni inesperti.

Certo era che Pai le aveva voluto bene, davvero bene, e ne aveva avuto cura finché aveva voluto – potuto – rimanerle accanto.

E a lei era piaciuto stare con Pai, a lei piaceva lui. Molto. Moltissimo.

Le piaceva incrociare il suo sguardo nei corridoi, i suoi sorrisi discreti. Le piaceva quando cercava la sua mano durante gli appelli, attento a non farsi vedere, solo per dirle in silenzio sono qui. La faceva sorridere il modo in cui apparisse impacciato con lei, a discapito della sua calma, della sua disciplina, della sua sicurezza come soldato, al contrario del fratello minore Kisshu che Lena vedeva girare per i corridoi e, anche se ancora un moccioso, sembrava molto più spigliato di lui con l'altro sesso; la inteneriva vederlo cupo quando capitava l'argomento e cercare poi in qualche modo il suo sguardo, quasi una rassicurazione, e lei poteva solo sorridergli con dolcezza. 

Le piaceva come si baciassero di nascosto, trepidanti, nell'ombra fidata dei corridoi, piccoli furti al loro serratissimo tempo di ritorno nei ranghi e magari proprio per quello così intensi da farle impazzire il cuore.

Tutto così confuso e dolce, così forte e impalpabile.

Così strano, che ogni tanto a Lenatheri veniva voglia di scappare, ma si ritrovava incapace di pensare a ritrovarsi di nuovo da sola. Per meglio dire, a non trovare più la presenza silenziosa del ragazzo al suo fianco.

Era tutto nuovo e ugualmente familiare.

Ricordava la loro prima volta. Poca gente poteva dire che la prima volta fosse stata qualcosa di memorabile, e nemmeno lei la annoverava tra le esperienze più esaltanti della sua vita. Non fu nemmeno troppo programmata, o ponderata, e a ripensarci qualche rischio potevano averlo corso, non ne aveva idea.

Era stato bello, in ogni caso. Pai era stato gentile, dolce, forse più indeciso di lei, un po' goffo a dirla tutta. Lena non aveva quasi idea di cosa stesse facendo, era andata a tentoni per non dire alla cieca. Ma era stato bello. Nonostante l'inesperienza di entrambi. Era stata bene, si era sentita davvero felice nella penombra della sua camera, con i lievi fruscii della stoffa e delle loro voci che parevano avere paura di chiamarsi a vicenda.

Era stato bello.

Era bello stare insieme.

Credeva sarebbe durata per sempre.

Aveva immaginato, guardando i soliti ufficiali a passeggio – forse era prematuro, ma qualche volo pindarico se lo concedeva di quando in quando – se stessa a fianco del ragazzo, magari anni dopo, chissà non sapeva se con qualche marmocchio accanto.

Come aveva sempre sperato, e con qualcosa in più.

Credeva sarebbe durata.

 

 

Era fiduciosa il giorno in cui salì sulla navetta diretta a Oun, la divisa perfetta addosso e l'arco in spalla. La missione appariva semplice, occupare i territori per avere una fonte gratuita di acqua pulita e, magari, da non decongelare.
Era rimasta intenerita dall'espressione preoccupata di Pai, Oun era una zona calda e lui avrebbe preferito poter essere là, e Lena aveva riso del suo assurdo pensiero dato che operavano in plotoni diversi; era divertente vederlo sragionare, lui che della razionalità pareva aver fatto voto.

« Ci sono in senpai, sono in una botte di ferro. – aveva ribattuto lei e poi sentenziato – E comunque non ho bisogno di essere protetta. »

« Lo so. »

Pai l'aveva guardata con quel modo impassibile e carico di significato che solo lui riusciva a fare:

« Fai attenzione lo stesso. »

Lenatheri aveva solo potuto rispondere di sì.

Credeva di aver visto l'inferno, quand'era bambina. Oun le ricordò che di inferno non ce n'era uno solo.

Non aveva mai affrontato una battaglia simile, mai da ufficiale, mai in prima linea. Gli avversari arrivavano da ogni direzione e lei poteva solo rispondere ai colpi, lasciando sfrigolare i suoi dardi attraverso il fumo.

C'era terra, polvere, foschia. Una coltre invalicabile dietro cui si agitavano ombre, si udivano grida e fruscii, spari, esplosioni. Un limbo terrificante e troppo reale.

Fu all'improvviso. Dietro di lei le urla, il rumore di corsa, e solo MoiMoi accanto. Le grida dei compagni sempre più lontane.

Esplosioni. Fiamme. Fumo denso e soffocante.

Il sibilo di una lama.

Un dolore indescrivibile e l'aria che svaniva dai polmoni mentre il metallo tranciava carne, tendini, osso.

Sangue. Ovunque. Sulla sua divisa perfetta, sulle sue mani, sul terreno. La voce di MoiMoi, lontana anni luce.

Uno strillo privo di voce.

Poi, solo oscurità.

Quando riaprì gli occhi, la prima cosa che vide fu il soffitto cereo di una stanza d'ospedale e la luce giallastra che ronzava, con ancora poche ore di vita.

Tentò di alzarsi, nonostante la flebo – le flebo, si corresse rimirandosi le braccia – e i dolori infiniti.

Poi lo sguardo le cadde sul resto del lettino.

Pregò di svenire di nuovo. Rimase dov'era, congelata a guardare il lenzuolo che si adagiava sul vuoto della sua gamba sinistra.

Ricordava ancora il dolore che la fece esplodere in un urlo rabbioso, mentre come il giorno in cui sua madre era scomparsa piangeva al culmine della disperazione.

 

 

Era finito. Tutto.

Ogni aspettativa, era svaporata con un solo fendente.

La sua vita come soldato si era conclusa. La sua vita, era conclusa.

Il dolore non fu certo una scusa per il suo comportamento, già dal risveglio egoista fino all'eccesso.

Non chiese mai una volta cosa fosse stato di MoiMoi, cosa di Sando, le conseguenze dell'abbandono dei loro commilitoni. Nulla. La sola cosa che le importò fu la sua gamba.

Eppure, nessuno la rimproverò. Per quanto avesse disgusto di se stessa e per quanto fosse da biasimare, nessuno disse niente, né Sando, né MoiMoi, né tantomeno Pai.

Ma allora non le importò. Non le importò niente.

Era solo disperata. Sconfitta.

Al mattino aveva l'istinto di scendere dal letto; ogni volta il ginocchio destro si piegava e non c'era nessun fratello che rispondesse.

Era a quel punto che afferrava le lenzuola come se fossero l'ultimo appiglio solido prima di un baratro e urlava disperata fino a restare senza respiro. Non sapeva mai se piangeva per la rabbia o per quanto stringeva la stoffa fin a piagarsi la carne.

Pai andava a trovarla ogni giorno, incurante che lei la maggior parte delle volte lo scacciasse, o si limitasse a passare il tempo riversa sul cuscino come se non potesse né vederlo né sentirlo, indifferente alla sua presenza e ai suoi tentativi di esserle di sostegno.

Non gliene importava niente.

La disperazione era la sola cosa di cui aveva coscienza. Per il suo destino, per non capire perché lei, perché in quel momento; per non trovare come incanalare la sua rabbia.

Divenne in pochissimo l'ombra di se stessa.

Non mangiava, a stento dormiva, non parlava; fissava unicamente il macchinario accanto al suo letto che regolava l'emissione di sostanze nutritive e parametri vitali, pregando il giorno in cui lo avrebbe visto fermarsi.

Passò una settimana, poi un mese, poi altri due. C'era una particolare calma quel pomeriggio all'ospedale, e probabilmente il silenzio l'aiutò a cogliere da subito le parole di Pai:

« Posso farti riavere la tua gamba. »

Lena si era lasciata stringere la mano e aveva sgranato gli occhi vitrei, fissandolo sconvolta.

« Kiddan-san, è un vecchio tutore della senpai. Uno in gamba. »

Parole non molto da Pai, riuscì a notare la ragazza, ma forse parlava così per essere certo di farle arrivare subito il messaggio:

« Ha una mano e una gamba artificiali, le ha costruite lui. Due protesi perfette. »

Per la prima volta dopo settimane Pai vide la mora tirarsi a sedere con un'espressione viva, attenta, e le strinse con più decisione la mano:

« Riavrai la tua gamba, Lena. »

Lei non disse una parola. Mandò due brevi respiri, quasi fosse di colpo riemersa dal fondo di un oceano, e gli si gettò al collo scoppiando in lacrime.

Kiddan non fu semplice da convincere. Riteneva che una simile procedura su una ragazza tanto giovane richiedesse una riabilitazione troppo dolorosa, e non era sicuro che Pai fosse in grado di realizzare qualcosa di altrettanto efficace come la sua mano meccanica.

MoiMoi lo rassicurò che il suo kohai lo avrebbe smentito. E così fece, in effetti.

Ma le profezie sulle conseguenze dell'arto artificiale si rivelarono crudelmente precise.

Mai Lenatheri avrebbe immaginato di provare dolore più cocente del momento in cui le avevano sottratto una gamba. Camminare su quel trabiccolo meccanico, no…

Solo appoggiarci il proprio peso…

Anzi, solo il collegarlo a ciò che ancora si intravedeva della sua coscia, ai nervi e ai tendini rimasti perché diventasse parte integrante di lei, fu intollerabile.

Ogni tentativo fu un'esplosione di male accecante. Kiddan aveva insistito per essere presente e Pai, a posteriori, lo ringraziò di cuore, perché non sarebbe stato in grado di infliggere una simile tortura alla ragazza e allo stesso tempo trattenerla. Lena scalciava con la gamba sana, graffiava, imprecava, fin mordeva purché le levassero l'artiglio artificiale di dosso, gridando a pieni polmoni fino a rimanere senza voce.

Pai tentava inutilmente di esserle di appoggio, di conforto, ma più passavano i giorni più Lena sfogava su di lui la sua collera e la sua frustrazione. A poco servivano le rassicurazioni e la pazienza del moro, né tantomeno quelle di Sando o di MoiMoi, mentre lei non riusciva a scorgere il bene dei lenti ma chiari progressi che a poco a poco comparivano, solo l'ineluttabile realtà.

Non sarebbe mai stato niente come prima.

Una gamba artificiale non avrebbe mai sostituito il suo arto vero.

Lei non sarebbe mai tornata come prima.

Niente sarebbe tornato come prima.

Niente sarebbe più stato come avrebbe dovuto.

A poco a poco, più Lenatheri acquisiva abilità con l'arto artificiale e più capiva la cruda realtà, più diventata scostante e brusca con Pai. Presto il ragazzo divenne il suo capro espiatorio, il colpevole delle sue sofferenze, l'unico abbastanza vicino su cui poter riversare il suo dolore.

Era sbagliato. Completamente sbagliato e ingiusto, ma la rabbia e il dolore erano più forti del sentimento che li legava, che pareva essersi perso anch'esso tra il fumo e la battaglia.

Arrivò il mese prima del sedicesimo compleanno di Lena, e lei, ormai in grado di camminare nonostante gli spasimi, quasi non volle più nemmeno vederlo.

Pai fece irruzione nella sua stanza una sera gelida e umida, con MoiMoi alle costole nel tentativo di fermarlo. Lena era sul suo letto, lacrime di rabbia mentre annaspava nel tentativo di placare le fitte date dalla gamba; in un angolo della camera, gettato come spazzatura, il suo arco giaceva inerme.

« Lenatheri… »

« Sei venuto lo stesso? »

La voce della ragazza era sottile e rasposa, piegata dal fiato grosso e dalla rabbia:

« Guardami… Sono pietosa. »

« Lena… »

« Ho provato ad andare al campo e… Non ho… Non ho…! »

« Lena-chan, per cose del genere ci vuole temp- »

« Quanto?!? Tempo?! Tempo?!! Ancora?! Non raccontiamoci cazzate! »

Prese il cuscino e lo lanciò nella stanza tirando giù la gruccia della flebo e schiantandola al suolo, strappandosi con un gemito l'ago dal braccio. MoiMoi soffocò le proteste studiando terrorizzato il fiotto di sangue che le sprizzò dalla vena:

« Lena-chan! »

« Non sarà mai come prima! Non serve a nulla! »

Pianse rabbiosa e squadrò Pai con odio. Le si leggeva in volto che lo incolpava di ogni parola che le uscì dalle labbra:

« Sono un pupazzo! Uno scherzo della natura! Un esperimento fallito! »

« Lenatheri, ti prego… »

Lei scostò la mano che Pai tentò disperato di stringerle e lo schiaffeggiò con quanta forza aveva:

« È tutta colpa tua! »

« Lena! »

Le parole di MoiMoi furono coperte dagli strilli isterici della mora:

« Tu mi hai ridotta così! È solo colpa tua! »

Lena desiderò ardentemente non aver pronunciato una singola parola, eppure il suo viso rimase deformato in una maschera di furia e rancore. Vide Pai studiarla, attonito, ferito, e poi sollevare la testa rancoroso.

Non disse un'altra parola e reggendosi la guancia la lasciò dove si trovava.

Lena non vide mai più Pai varcare la soglia della sua camera d'ospedale. Né lo vide mai più cercarla una volta che fu dimessa. Il moro aveva sopportato finché aveva potuto, cercando di sostenerla, ma l'astio immotivato di lei era stato troppo.

Lena seppe perfettamente di non poter cancellare le proprie parole, ma nessuno avrebbe mai potuto sapere quanto vuota le apparve la sua camera da quando non lo vide più apparire.

Fu reintegrata lentamente, e tornò sul campo di addestramento ad effettivo solo sei mesi dopo la sera in cui aveva visto Pai l'ultima volta.

Lo incontrò per caso, come il giorno in cui l'aveva conosciuto.

In quei mesi era diventato di colpo uomo, sovrastandola di parecchi centimetri, e il profilo severo del suo viso si era fatto ancora più rigido. Lena avvertì un peso gelido nello stomaco quando capì che non era stato il tempo, ma la sua presenza a incupirlo più del dovuto.

« Inetaki. »

Le concesse un cenno con il capo e si allontanò a passo spedito senza aspettare repliche e senza che gli importasse dire un'altra parola, con il piccolo Taruto che trotterellò al suo fianco un po' confuso.

Lenatheri si sentì svuotata.

Lo aveva perso.

Per la prima volta nella sua vita si trovò di fronte un errore a cui non poteva rimediare e che le avrebbe pesato addosso da lì in avanti.

Come sua abitudine la prima reazione fu di incriminare lui. Era stato lui a non rimanerle vicino, a cedere di fronte alla sua collera.

Per una volta il tentativo di scaricare la colpa fallì con la stessa velocità con cui era stato formulato.

Pai era stato anche troppo paziente e buono, con lei, e non aveva saputo che ripagarlo con la sua mortificazione.

Lenatheri decise di lasciare che le cose si placassero. Che il tempo lenisse le ferite.

Si convinse che avrebbe imparato ad accettare la sua gamba artificiale e che magari, un giorno, sarebbe riuscita a porgere le dovute scuse.

Mai una parola le uscì dalla bocca, e l'astio di Pai divenne presto una rancorosa delusione e un desiderio di cancellarla dall'esistenza, lei che si era rivelata così meschina, finché negli occhi viola che la mora incrociò di quando in quando non rimase altro che una sorda e sprezzante indifferenza.

Poi giunse la primavera dei loro diciassette anni.

Lenatheri fu anonima tra le fila di soldati e civili in attesa della partenza per la Terra dei tre Ikisatashi; tra ansie, speranze e paure, nel freddo che divorò i volti dei presenti quando aprirono l'hangar e nell'inchino al loro signore Deep Blue, che guidò la navetta come una luce buia nello spazio.

Trascorse un anno senza sapere nulla. Qualche volta i pensieri di Lena volarono verso il Pianeta Azzurro e si rese conto che più avanzava il tempo più un'ansia febbrile la divorava: la Terra poteva essere un nuovo inizio, un ricominciare tutto da capo; nuove possibilità, nuovi obbiettivi.

Un altro debutto.

Cancellare gli errori. E fare nuove promesse.

Poi erano tornati.

E non c'era stata la Terra.

Né Deep Blue, né partenze per la patria perduta.

Un lampo di luce iridescente e Jeweliria iniziò a risorgere dal suo sonno di ghiaccio, come un fiore assopito sotto una coltre di neve.

Lenatheri ricordò la gioia di moltissimi, la rabbia di altri; le urla al tradimento, le indagini, i processi, le cattiverie e li elogi.

Ricordò quell'istante in cui, accanto a MoiMoi e Sando, aveva rivisto i tre ragazzi Ikisatashi dopo tanti mesi.

Quando aveva capito che erano cambiati. Tutti e tre.

Non fu diverso l'atteggiamento di Pai nei suoi confronti, la sua fermezza, o l'indole strafottente di Kisshu, o la spavalderia del piccolo Taruto, ma ci fu una luce diversa nei loro sguardi, una nuova consapevolezza che li aveva scossi fino in fondo all'animo.

Qualcosa – qualcuno – li aveva cambiati.

Lena si sentì persa un'altra volta. Li vide passeggiare nei corridoi a mezzo metro da sé ma seppe che in realtà erano lontani, mille e mille miglia lontani, con mente e cuore, in un luogo che lei non poteva raggiungere. Dove non poteva raggiungere nessuno di loro.

Loro erano cambiati, e Jeweliria cambiò dall'oggi al domani esattamente allo stesso modo.

Lena aprì gli occhi e si ritrovò in un mondo nuovo, vivo, giovane, ma allo stesso tempo nello stesso vecchio mondo.

Tutto fu diverso, e nulla mutò.

Ancora una volta Lenatheri aveva visto sgretolarsi le possibilità del futuro quando ancora le teneva strette tra le dita.

Jeweliria era risorta. Lei era rimasta il tenente Inetaki Lenatheri, monca di una gamba, un soldato inutile che, nel sadismo della sorte, non sarebbe comunque servito più in un paese autosufficiente e in pace.

Il tempo non l'aiutò a rassegnarsi, ma almeno la portò a convivere con la miseria che vedeva accompagnare i suoi passi giorno dopo giorno.

Un anno, poi un altro. Un altro.

Il fragile equilibrio che aveva ricostruito si infranse di nuovo con la comparsa degli Ancestrali, il furto del Dono e l'incapacità di rintracciarlo.

Si vergognò capendo che una parte del suo animo avesse scalpitato all'idea del riscatto e della lotta contro i nemici, ma MoiMoi spense velocemente le sue illusioni.

« Chiederemo aiuto alle MewMew. »

Lenatheri non era stata in grado di parlare.

Alle terrestri?

Le loro avversarie?

Loro, chiedere aiuto a delle bambine?!

« Non è vero. »

« Loro sono le uniche che possano rintracciare la MewAqua senza strumentazioni – aveva spiegato il violetto a bassa voce – ci serve il loro aiuto. »

Lena aveva continuato a guardarlo muta.

La totale incapacità di capire come gli altri potessero accettare una cosa simile. Lo shock nello scorgere una certa felicità al pensiero di tornare sulla Terra negli occhi di chi avrebbe dovuto odiare i giorni trascorsi su di essa.

E quelle ragazzine.

Lo aveva visto. Come tutti loro, no, come Pai le guardava; come guardava una di loro.

Tutto, tutti erano cambiati, per colpa loro.

Lena aveva tentato di soprassedere la cosa. Di pensare al bene comune, al bene di Jeweliria, ma non ci era riuscita.

Era troppo.

Troppo.

Troppo, sopportare la vista di quelle mocciose ed essere onorata dell'aiuto elargito. Troppo vederle camminare innocenti per gli stessi corridoi dove camminava lei, vederle parlare con noncuranza con chi le era e le era stato caro, con una confidenza inconcepibile.

Loro erano il nemico. Per loro, la Terra era ancora perduta.

Non riusciva a tollerarlo. Non poteva.

Ebode aveva fatto presto ad approfittarne. Doveva ammettere che era stato furbo, nonostante le minacce e il suo riserbo, l'aveva usata a dovere, e sebbene il suo piano gli fosse esploso tra le mani, era lei che in quel momento fissava il suo riflesso ubriaco sul fondo di un bicchiere in una bettola qualunque come ce n'erano milioni per la galassia.

Un finale davvero patetico.

Un finale meritato e che si era scolpito da sola, passo dopo passo, pezzo per pezzo.

Lenatheri sospirò, vuotò il quinto bicchiere e lo allungò al barista, non avrebbe potuto pagarne altri; la sua mente però era ancora troppo lucida, e senza un posto dove andare, un piano per fuggire più lontano, o anche solo un'idea per cosa avrebbe fatto da lì in avanti, l'attenzione era una pessima alleata.

Sentì qualcuno scostare la sedia e sedersi accanto a lei ordinando suadente:

« Un altro alla signorina. Per me, doppio. »                                                       

Lena seppe che avrebbe dovuto avere paura una volta riconosciuta la voce. Del resto, però, quanto altro male avrebbero potuto farle più di quanto già non si fosse inflitta da sola?

Il sorriso caldo e gioviale di Toyu accolse la sua faccia stravolta quasi fosse un appuntamento galante:

« Ha sempre degli occhi meravigliosi, tenente. »

« Vai al sodo. – tagliò Lena con voce impastata dall'alcol, agguantando e scolandosi altri due sorsi di fiamme liquide – Vuoi informazioni? O vuoi uccidermi? »

« Non credo avrei alcun vantaggio né in un caso né nell'altro, non trovi? »

Il barista, che aveva sussultato ad ascoltare le insinuazioni di Lenatheri, si rilassò e porse il secondo bicchiere a Toyu, che se lo degustò con lentezza esasperante.

« Allora cosa sei venuto a fare? »

« Ti propongo uno scambio. »

Lena rise aspra vuotando il suo bicchiere:

« Prendimi in giro. Voi non potete volere niente da una come me. »

Toyu sorrise mellifluo e le sfiorò con l'indice la coscia meccanica appena sopra il ginocchio. Lena aveva già la mano sull'elsa del pugnale legato alla cintura, quando avvertì una sensazione che le mozzò il respiro.

Si mise la mano sulla gamba, ma Toyu si era già spostato e le sue dita strinsero freddo acciaio. Il biondo continuò a sorriderle:

« Uno scambio. Niente di più. »

Lena studiò in silenzio il suo profilo perfetto, il respiro spezzato.

Per la sua vita, quello era davvero un finale patetico.

Un finale meritato e che si era scolpito da sola, passo dopo passo, pezzo per pezzo.

Un finale che non avrebbe mai accettato.

« Cosa devo fare? »

 

 

***

 

 

Era ancora buio quando aprì gli occhi. Stesa a pancia sotto si sollevò appena sui gomiti e guardò fuori dalla finestra: il cielo scuro aveva perso ogni stella, ma sul profilo delle montagne nere c'era solo uno sbaffo di azzurro, segno che l'alba era ancora lontana.

Zakuro si passò una mano in un paio di ciocche che scomposte scendevano a solleticarle il naso e si sdraiò girandosi sul fianco, riaccoccolandosi sul braccio di Eyner dove si era addormentata poche ore prima.

Lo sentì grugnire pianissimo e lo vide muoversi nel sonno, cercandola tra le lenzuola e abbracciandola più stretta. Lei sorrise assecondando la presa e avvertendolo posare il naso contro la sua tempia senza svegliarsi; il sorriso della mora si allargò mentre prese ad accarezzare distrattamente il viso di lui.

Aveva serie difficoltà a ricordare l'ultima volta in cui si fosse sentita così serena, così rilassata come in quel momento, sdraiata al fianco del bruno.

Nel pensare che il motivo fosse proprio Eyner le sfuggì un risolino docile:

« Mi dovrei arrendere all'avere bisogno di te, qui, uh? »

Gli picchiettò lievemente con l'indice sulla guancia, ma Eyner non sentì nulla né di quello né del suo sussurro. Zakuro studiò il suo viso rilassato e sentì un'impercettibile crampo alla gola: sospirò a fondo, lo baciò piano e si accovacciò meglio tra le sue braccia per mettersi a dormire un altro po', concentrandosi sui pensieri positivi e sulla rilassatezza che provò perché tenessero lontane idee meno rosee legate alla futura alba.

Eyner si svegliò poco più tardi, disturbato dai primi raggi di sole che invasero la stanza.

Ancora assonnato impiegò qualche minuto a focalizzare dove si trovasse e con chi si trovasse, e la quiete della camera non gli facilitò il compito.

Del resto, non c'era alcuna ragione per privarsi di quella pace.

La comodità del materasso e delle lenzuola morbide. Il silenzio ovattato. Il leggero tepore del sole e della figura che stringeva tra le braccia…

Sbattè le palpebre e sorrise mentre vide Zakuro muoversi in modo impercettibile. Sfiorò adagio il profilo che s'intravedeva sotto la stoffa, strappando alla mora addormentata un sospiro di piacere e sorridendo scostò il lenzuolo scoprendola un poco. La ragazza lo stava usando come cuscino, la testa abbandonata poco oltre la sua spalla sinistra; un fiume color glicine si rovesciava sul cuscino chiaro, sulla pelle diafana di lui facendogli un poco di solletico, e scendeva accarezzandole la clavicola e il seno. Le gambe lunghe lasciate un po' piegate, accostate a quelle di lui fino a sfiorargli i piedi con tenerezza.

« Cos'è quel sorriso sornione? »

Eyner sussultò appena rendendosi conto che fosse sveglia; lei gli sorrise trattenendo uno sbadiglio:

« Buongiorno. »

« … Buongiorno »

Eyner fece un mezzo sorriso e Zakuro lo guardò divertita, tirandosi a sedere mentre si sgranchiva; i suoi occhi blu erano illanguiditi dal sonno e lui non riuscì a smettere di fissare stregato il suo profilo stiracchiarsi mollemente nella penombra del mattino.

« Hai una faccia fin troppo eloquente – una risatina e un fruscio del lenzuolo – vuoi stare lì impalato a mangiarmi con gli occhi ancora per molto? »

Eyner scattò puntellandosi sulle mani:

« Non… Stavo… »

Con fare malizioso lei rise di nuovo, una risata calda e sensuale che lo mise appena a disagio e gli fece stendere uno strano sorriso.

Zakuro lasciò scivolare il poco lenzuolo che ancora la copriva e si allungò sul ragazzo, mettendosi a cavalcioni di una gamba e sdraiandosi contro il suo petto:

« Stai tranquillo. – lo prese in giro – sei un uomo, te l'avevo già detto, che tu sia anche un po' maniaco è normale. »

« Non sono un maniaco. »

Protestò calorosamente. Zakuro lo guardò eloquente:

« Allora vorresti dirmi – gli accarezzò il petto e il suo tono s'indurì un poco – che se ci fosse un'altra bella ragazza qui, dove sono ora io, non ti farebbe alcun effetto? »

Lì per lì Eyner non rispose; poi si scurì in viso e la tirò a sé baciandola con dolcezza:

« Ovvio che no. – borbottò – Ma quello che proverei… Quello che farei… Non avrebbe nulla a che fare con il fare l'amore con te. »

Zakuro lo osservò in silenzio e sorrise delicatamente., era quando Eyner diceva cose simili che in lei si rafforzava l'opinione che nulla meglio del fuoco lo descrivesse.

Un piccolo fuoco che scaldava l'animo, come la gentilezza che solo lui aveva. Fiamme impetuose di un guerriero coraggioso. Passionale e dirompente incendio tra le cui braccia si era persa ed era stata amata, totalmente, incondizionatamente.

« Lo so. »

Appoggiò la testa al suo torace e gli strinse la mano:

« Scusa. Ti prendevo un po' in giro. »

« Me n'ero accorto… Sembra diventato un hobby, vero? »

Lei rise sotto i baffi, afferrando con la mano libera il lenzuolo e coprendo entrambi.

« Hai intenzione di metterti a dormire qui? »

Le chiese lui accarezzandole il viso; lei sospirò appagata e annuì:

« In effetti è parecchio comodo… Perché? Avevi altri piani? »

« Credo che me ne verranno in mente, se continui a starmi appiccicata. »

Lei alzò un sopracciglio divertita stendendo un lieve sorriso malizioso e gli lasciò una lenta scia di baci dal torace risalendo fino al collo e fermandosi sulle labbra; lui si lasciò scappare una risata mista ad un sospiro:

« Tu adesso vorresti anche alzarti? »

Le domandò sarcastico. Zakuro rise piano e fece finta di uscire da sotto le coperte, finendo placcata dal bruno che rotolò sul letto stendendola sotto di sé e baciandola impetuoso.

« Finiremo per uscire tardi. »

Scherzò la mewwolf con voce roca prendendogli il viso tra le dita ed Eyner stese un sorrisetto sottile:

« Io fretta non ne ho. »

 

 

***

 

 

Taruto grugnì fregandosi gli occhi pizzicati dal sole; scricchiolò il collo e se lo massaggiò, gli doleva in modo terribile, probabilmente perché aveva dormito seduto, eppure a svegliarlo non era stato il formicolio dei muscoli addormentati, ma un brivido di freddo alle spalle e fu strano visto che le gambe erano al caldo.

Ma quando sono andato a letto…?

Sentì un mugolio e guardò in basso arrossendo un poco. Purin riposava con la testa sulle sue ginocchia, raggomitolata con le mani vicino al viso e coperta da una trapunta leggera che, forse, era stata messa anche sopra di lui, ma dormendo la biondina se l'era tirata quasi del tutto addosso stringendola nei pugnetti chiusi e lasciando lui con appena un brandello di stoffa sulle gambe.

Taruto sorrise vedendo la ragazza arricciare il naso e coprirsi di più il viso per nascondersi dalla luce, poi ancora intontito cercò di focalizzare perché stessero dormendo su una scomoda sedia: ricordò che avevano passato la serata a parlare e camminare per il palazzo che era parso enorme, Purin che ogni tanto si era fermata a baciarlo senza ragione – e a ripensarci il brunetto arrossì con aria tonta – poi la mewscimmia si era stufata di gironzolare senza meta ed erano andati nella sua camera; lei aveva riso del suo imbarazzo e assieme si erano seduti sulla poltrona, Purin con la testa contro la sua spalla, e avevano continuato a chiacchierare finché non avevano ceduto entrambi alla stanchezza.

Taruto si massaggiò ancora il collo e si chiese il perché di quella trapunta, non ricordò minimamente che avessero deciso di mettersi a dormire, nemmeno che la temperatura della stanza li avesse spinti a mettersi addosso la coperta.

Ci fu un altro mugolio e il ragazzo sentì il calore sfuggirgli dal volto. Qualcun altro si trovava nella stanza, anzi si stava svegliando proprio in quel momento sollevandosi dal letto.

« … Buongiorno, Taruto-san. »

Lui fece una smorfia terrorizzata mostrando i denti, il viso bordeaux, e soffocando un grido istintivo d'imbarazzo; Retasu si alzò dal cuscino stropicciandosi gli occhi, si mise un dito sulle labbra e gli sorrise:

« Purin ha scelto la camera sbagliata – gli chiarì aggiustandosi la frangetta scompigliata – quando sono rientrata dormivate così bene… Non me la sono sentita di svegliarvi. »

Il brunetto le fece un cenno di ringraziamento riprendendo a respirare, le gote sempre roventi, e con delicatezza scivolò di lato sulla poltrona per farsi spazio e posare la testa di Purin sulla seduta, sistemandole meglio la coperta sulle spalle.

« Temevo aveste freddo. »

Spiegò gentile la verde scendendo dal letto. Taruto la ringraziò con un borbottio  e la studiò passeggiare in punta di piedi fino alla porta, socchiuderla e sbirciare nel corridoio per poi voltarsi verso di lui e ammiccargli:

« Via libera. »

Il brunetto ebbe un piccolissimo sussulto e annuì nervoso, cogliendo il pensiero di Retasu e concordando con lei: non sarebbe stata una buona idea farsi vedere uscire dalla stessa camera di Purin, almeno se voleva evitare commenti strani e scene imbarazzanti.

Taruto si alzò, voltandosi un secondo verso Purin placidamente addormentata. Sbirciò appena Retasu ancora sulla porta che, con sorriso complice, tornò a scrutare il corridoio vuoto; lui si chinò timido sulla biondina lasciandole un bacio sulla guancia, le aggiustò la frangetta e a passo svelto uscì dalla stanza:

« …Grazie Retasu nee-san. »

Lei gli sorrise affettuosa e chiuse la porta.

 

 

Purin e Retasu uscirono dalla camera un po' più tardi, e gli altri le raggiunsero lì, come avevano concordato la sera precedente quasi contemporaneamente. Per primi le due videro Eyner e Zakuro arrivare parlottando fitto fitto, le braccia uno attorno alla vita dell'altra; subito dopo Taruto spuntò da dietro una porta sollevando un angolo della bocca incrociando lo sguardo di Purin, che gli trottò incontro dandogli il buongiorno. Retasu salutò discreta e restò in disparte, le mani in grembo, studiando tutti e quattro con un sospiro e si sforzò di fare la stessa cosa che pareva stessero cercando di fare tutti: non pensare alla conclusione che avrebbe portato la giornata che li attendeva.

« Buongiorno. »

La verde ebbe un lieve sussulto e si voltò verso una porta alla sua sinistra sorridendo dolcemente:

« Buongiorno Pai… »

Il moro la guardò tentennare sul nome, arrossendo, e poi aggiungere a capo basso:

« … san. »

Lui si chiuse la porta alle spalle e la guardò con un accenno di sorriso divertito:

« Sul serio? »

Retasu si aggiustò gli occhiali timida:

« I-io… Mi viene istintivo… »

Farfugliò e mentre Pai la studiò intenerito la verde si rannicchiò un poco nelle spalle, sentendo il petto galoppare e capendo di dover per forza usare l'onorifico verso il moro, o avrebbe rischiato di farsi scoppiare il cuore vedendolo rivolgerle quell'accenno di sorriso.

Lui le si mise accanto incrociando le braccia e continuando a sbirciarla con aria divertita; Retasu si azzardò a sollevare il viso di lato, divampando incrociando in modo troppo diretto le sue iridi ametista, e tornò a guardare in basso di scatto mordendosi il labbro.

Nessuno dei due disse nulla, ma entrambi percepirono uno strano silenzio e furono colpiti dallo stesso pesante pensiero che aveva tormentato Retasu poco prima.

Lei strinse il bordo della propria maglia e desiderò come una sciocca che il tempo si fermasse.

Ci furono dei brusii e del trambusto leggero da dietro altre porte. Minto uscì rapida dalla sua stanza sbadigliando e borbottando distratta circa la colazione, ma a Zakuro non sfuggì la strana luce ferita nei suoi occhi scuri; la mewbird incrociò solo un momento il viso della mewwolf e distolse immediatamente il proprio, consapevole delle domande che di certo le avrebbe rivolto e passò a borbottare annoiata verso Purin e il suo  vociare, a parer della mewbird troppo alto per l'orario. Prima che Zakuro potesse muovere un passo e fermare Minto per avere spiegazioni, Ichigo uscì dalla stanza con Ryou rimanendo congelata un passo fuori dalla porta, quando scorse tutti i presenti voltarsi a guardarla: Purin cacciò uno strillo esagerato correndo incontro alla mewneko e scatenando un putiferio a cui Minto si aggregò come se nulla fosse, cogliendo l'occasione.

« I-chi-go o-nee-cha~♪an! »

« Qualcuno si è divertito ieri sera. »

Sorrise maliziosa la mewbird  squadrando Ichigo e Ryou supponente; lui si limitò a ricambiare l'occhiata, indifferente, mentre la ragazza sgranò gli occhi con la mascella a mezz'asta:

« Cosa state pensando?!? »

Pigolò rossissima e si diede della sciocca per essersi messa a dormire nella camera di Ryou, ma non era riuscita ad andarsene: era stata così bene, così rilassata tra le sue braccia che si era addormentata quasi inconsciamente, svegliandosi solo quando il biondo accarezzandole la testa l'aveva costretta ad aprire gli occhi.

« E chi lo sa? – sogghignò Purin maligna – Eh, nee-chan? »

« Siete fuori?! »

Esalò Ichigo, talmente in imbarazzo che si premette d'istinto le mani sulla testa per prevenire le orecchie da gatto.

Al contrario suo Ryou  quasi non ascoltò le insinuazioni di Purin, sbadigliando sonoramente. Lui in effetti non aveva dormito moltissimo, steso vicino alla rossa che raggomitolata sul fianco gli aveva mostrato involontariamente le gambe chiare e un accenno accattivante di scollatura: un pessimo incentivo al sonno e una faticaccia per il suo autocontrollo, ma lo aveva preso come contrappasso dell'avere finalmente Ichigo accanto a sé e si era limitato a contare i motivi floreali sul baldacchino, accarezzando distratto il viso e i capelli della mewneko.

« Porti lo stesso vestito di ieri sera, Ichigo – constatò Minto con un ghigno maligno indicando l'amica da capo a piedi – e mi sembra sia un po' stropicciato… »

« Non è successo niente di quello che stai pensando…! »

Si strozzò la rossa e Purin rise più forte punzecchiandola con allusioni troppo esplicite perché non le spuntassero gli attributi felini, con Minto al seguito che rise sottovoce e Retasu che nascose un sorrisetto; Ichigo, morta d'imbarazzo, scosse la coda nera e scappò nella sua stanza a cambiarsi in fretta e furia, le amiche che le andarono dietro per niente intenzionate a lasciarla in pace.

Eyner catturò l'occhiata impensierita di Zakuro allo spettacolo; riuscì benissimo ad immaginare quanto fosse finto per lei il sorriso di Minto, visto quanto lo sembrò a lui.

« Secondo te, cosa…? »

Chiese appena e lei scosse la testa, non aveva idee:

« Però non mi piace. »

Un presagio di risposta venne dal ritardatario del gruppo che uscì attirato dal fracasso, facendo cigolare lenta la porta della camera. Eyner si girò sovrappensiero per salutarlo e sbarrò gli occhi:

« Che… Diamine hai fatto? – domandò preoccupato – Hai una faccia terrificante. »

Kisshu, pallido e con delle occhiaie fin troppo evidenti, non rispose tenendosi le mani in tasca e scrollando le spalle. Eyner evitò di attirare l'attenzione sul verde, vista la sua espressione pesta, e in silenzio lo fissò allusivo per avere delucidazioni mentre attorno gli altri studiavano, interessati o rassegnati, il chiasso proveniente dalla stanza di Ichigo e le sue college radunate sulla porta socchiusa. Kisshu per tutta risposta si appoggiò alla parete tenendo la testa bassa e rimirando attorno con occhi stanchi da sotto la frangia, non lasciando intendere cosa stesse guardando; rimase lì come una statua finché Ichigo non tornò nel corridoio, ricomposta e pronta alla partenza, quindi borbottò con voce impastata:

« Andiamo? – fece cupo avviandosi nel corridoio – Questo posto sta iniziando a darmi la labirintite. »

L'allegria degli altri si spense ascoltandolo, ma nessuno commentò e annuendo si avviarono di sotto per recuperare ciò per cui erano arrivati ed andarsene.

Eyner guardò ancora Kisshu che chiaramente non aveva chiuso occhio, e il verde lo squadrò solo con un altro cenno di indifferenza e seguì gli altri a passo pesante; le sue iridi dorate parvero essersi incollate alla schiena di Minto con tale dedizione che ci sarebbe stato da chiedersi perché la mora, ancora, non si fosse girata. La cosa non fece che minare il pessimo umore di Kisshu, che non credeva sarebbe sceso una seconda volta nella vita a tali minimi livelli.

Quando la ragazza la sera prima era scappata lui era rimasto un momento immobile, le mani sollevate ad accogliere il vuoto. Poi era sopraggiunta una gran rabbia e serrando i pugni era corso a mo' di mitragliere dietro la mora ben deciso a tirarla fuori da ovunque si fosse nascosta, con la forza se necessario, e costringerla a dargli retta e a sentire tutto ciò che aveva da dirle. Poco importò che non fosse sicuro nemmeno lui su cosa dire di preciso.

Si era fermato di fronte alla porta di Minto, il pugno alzato, le sue orecchie acute che avevano colto i singhiozzi soffocati della mewbird. Non era riuscito nemmeno a posare una nocca sul legno.

Aveva riabbassato il braccio e si era seduto lì fuori, al buio, finché dall'interno non aveva più sentito alcun rumore e si era rassegnato ad alzare i tacchi e ad andarsene in camera propria.

Il resto della notte lo aveva passato seduto sul bordo del letto con la testa tra le mani dandosi dell'imbecille e domandandosi come fare per risolvere l'enorme, indescrivibile macello che aveva causato. La sola cosa che aveva ottenuto era stata di contemplare per ore il pavimento, come in quel momento la sola cosa che riuscì a fare fu ammirare inerme il profilo della mewbird lontana da sé.

Merda.

Scesero tutti al piano di sotto dove trovarono già Saru e il padre ad attenderli; la principessina ringraziò spiccia e con grandi sorrisi i presenti, accozzandosi poi al braccio di Zakuro, che probabilmente solo per educazione non la spinse dall'altra parte della sala. Saru iniziò a parlottare sottovoce alla mewwolf che le badò poco o nulla, mentre il re Bazuha ringraziò ancora il gruppo e consegnò con fare cerimonioso una piccola sacca, dove aveva raccolto tutti i frammenti di Dono realizzati da Nalý e Alker.

In tutto questo Kisshu, torvo e silenzioso, non perse di vista Minto per un secondo. La mora rise con le amiche, ringraziò Saru e il padre facendo, con i suoi modi altolocati, anche da portavoce per i ragazzi – palesemente desiderosi di filarsela – e finalmente conclusi gli ossequiosi saluti si avviò con tutti verso il passaggio come se nulla fosse e ostentando un certo sollievo per la conclusione della loro avventura a Lirophe. I sensi di Kisshu però erano un po' più fini di quelli umani, a sufficienza da vedere gli occhi arrossati e ascoltare il tono un po' tremante della voce della mewbird, un ricordargli continuo di quanto aveva sentito dietro la sua porta.

Che cazzo ho combinato.

Avrebbe dovuto risolvere il proprio difetto di fabbrica e ritrovare il perduto collegamento tra cervello, stomaco e cuore, perché era più che evidente ormai andassero ognuno per i fatti propri.

O complottavano tra di loro a discapito del loro proprietario, e lui non aveva ancora capito come.

Aveva tentato di dare una spiegazione a quanto successo, un motivo per cui nel ripensare a Minto stretta a sé, ai suoi baci, al suo sospirare, qualcosa si spandeva rovente da dietro l'ombelico; una fottutissima ragione del perché rendersi conto di quanto la sua testa avesse inciso ogni miserrimo dettaglio, il sapore della sua bocca, il tono della voce quand'era arrabbiata e quando faceva la superiore, o quando fingeva di esserlo.

Ironia della sorte l'unica risposta sensata che aveva trovato, era proprio Minto.

Nessun articolato significato, o sequenza d'eventi che avesse un inizio.

Semplicemente, Minto.

Kisshu imprecò tra i denti, combattuto tra il terribile desiderio di afferrare la ragazza per il braccio e portarla via e quello di prendere a craniate il primo oggetto solido disponibile. L'idea che Minto stesse male per colpa sua lo puntarono sulla seconda ipotesi.

Caracollò fuori dal passaggio e guardò distratto Eyner, quell'espressione da fratello maggiore per cui Kisshu lo aveva sempre preso in giro, che lo studiò da capo a piedi: il fatto che non avesse sollevato un polverone non significava certo che avesse desistito dal volere delucidazioni.

« Giuro che non ti capisco. »

« Benvenuto nel club, abbiamo le magliette(*). »

Sbottò secco e seppe bene che il bruno avesse visto dove – su chi – fosse rivolta tutta la sua attenzione.

« Mi spieghi che è successo? »

Kisshu rimase zitto. Riconobbe la sensazione, l'aveva già provata, ma fu diverso che con Ichigo. Molto diverso. Un sentimento meno iroso, meno combattuto, più dolce, ma inspiegabilmente la morsa al petto fu dolorosa in modo fin troppo simile:

« Che ci sono caduto un'altra volta, porca troia. »

Grugnì abbassando gli occhi:

« E sono un idiota. »

« Non è una novità. »

Tentò di scherzare Eyner per stemperare e al verde scappò uno sbuffo amaro:

« Le terrestri non mi fanno bene. »

Nel frattempo avevano raggiunto l'ingresso della città. Eyner avrebbe voluto dire altro, ma fu interrotto dall'arrivo improvviso di MoiMoi e Sando che  sbucarono senza preavviso da dietro i primi edifici; il violetto ebbe un sorriso particolarmente euforico stringendo le labbra mentre li salutò:

« Avete fatto in fretta. »

« Meglio così. »

Commentò solo Pai porgendogli l'ampolla in cui, frammento per frammento, aveva inserito i pezzi del Dono che si era poi ricomposto da solo in una massa unica. MoiMoi sorrise mettendosi la boccetta in tasca:

« A questo penso dopo. – disse e ammiccò misterioso – Ora dovete venire tutti, c'è qualcuno che vuole parlarvi. »

Gli occhioni dorati si posarono sui terrestri:

« Con voi soprattutto. »

« È successo qualcosa? »

Domandò Retasu preoccupata e Sando ghignò furbo:

« Ci sono delle novità. »

 

 

 

 

 

 

(*) cit. da Sherk 2 xD e diciamo un "suggerimento" di HP (anche se la scena è diversa :P)

 

 

 

 

 

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Come ho detto, un capitolo un po' particolare :3 mi perdonerete se ho fatto un po' di pausa dalla trama principale :P? dovevo rendere più tridimensionale il personaggio di Lena, e forse piano piano inizierete a vedere i progetti futuri dei nemici… Temo di aver fatto un Pai adolescente lievemente OOC ç__ç si può abbuonare pensandolo da quindicenne appena più affabile? Sì? No? *si nasconde e piange*

Con gli altri sono cattiva lo so :P cosa vorranno dire Sando e MoiMoi? Un po' si intuisce cosa sta per succedere ;) ma il resto… Alla prossima volta ♥ 

Scusate devo rispondere ad una VAGONATA di recensioni, ma ho bisogno di mettermici con calma :( e siccome "qualcuno" lamentava malori :3 e qualcun altro sta leggendo cose schifose xD mi sono sentita in dovere di fare un regalino ♥

 

Il #martedìfangirl se non avete ancora sfruttato il mio delirio, prego da questa parte! xD

Bacio tutti i lettori e i recensori (promesso, vi rispondo ♥  abbiate pazienza) siete il mio sostegno ♥

Baci e abbracci


Mata ne
~♥ !

Ria

 

 

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Capitolo 44
*** In the middle of crossing ***


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Farai felice milioni di scrittori. 

 

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Salva anche tu una tastiera da pazzoidi che le massacrano scrivendo come disperate! Non chiudere gli occhi, puoi salvare milioni di vite elettroniche.

 

 

 

 

 

Zun zun zun zuuuun

So che state friggendo ♥  quindi bando alle ciance ci vediamo in fondo :*! (nota volante: icing on the cake è traducibile nel senso de la ciliegina sulla torta ;) )

 

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Cap. 44 – In the middle of crossing:

                Icing on the cake

 

 

 

 

« Secondo te cosa sarà? »

« Non ne ho la minima idea – bisbigliò Taruto – però, quando qualcuno ti convoca da queste parti, non è mai un buon segno. »

Sospirò cupo e Purin strinse più forte la mano che gli stava tenendo. Né lei, né il brunetto, né tantomeno uno dei presenti osò dar voce a ciò che stava pensando, la certezza che li stessero aspettando per degli addii ufficiali e il timore diffuso di non sapere come affrontarli.

Pai aveva tentato di non pensare alla questione dall'esatto istante in cui aveva baciato Retasu, fin al loro saluto nemmeno un'ora prima. Tutto gli tornò addosso con la potenza di una valanga: la consapevolezza delle distanze, delle difficoltà, delle ferite che avrebbe aperto una separazione e che avrebbe potuto evitare semplicemente non dicendo niente della verità su quanto provava.

Retasu gli si affiancò sfiorandogli la mano. I suoi occhi oltremare furono tristi, ma lei gli sorrise con dolcezza e a lui venne automatico ricambiare, benché discretamente. Dovette ammettere che ne era valsa la pena, fosse pure solo per vederla sorridere così e seppur per poche ore.

MoiMoi e Sando li condussero fino al piano più alto del Palazzo Bianco. Un corridoio marmoreo curvò morbido lungo il corpo principale dell'edificio, il lato esterno e metà del soffitto aperti verso i giardini sottostanti con eleganti colonne curve, costeggiando rade e raffinate porte candide che parvero scolpite nelle pareti; le guardie furono pochissime lungo il tragitto e ad un certo punto svanirono del tutto, ma il posto apparì così isolato e tranquillo da lasciar inteso non ci fosse bisogno di una presenza armata, qualunque intruso sarebbe stato fermato molto prima di raggiungere quel luogo. Sando e MoiMoi continuarono a camminare fino alla fine del corridoio e lì si fermarono di fronte ad una porta bianca più larga delle altre, racchiusa in un piccolo spancio del passaggio che si affacciava come un balcone sul cortile sottostante.

I due ragazzi si misero sull'attenti e assunsero delle espressioni composte, sebbene MoiMoi sembrasse trattenere una smorfia nervosa. Gli altri furono molto meno calmi e Purin avvertì le dita di Taruto dare uno spasmo; i terrestri cercarono negli sguardi dei jeweliriani spiegazioni  che loro non poterono dare, perché Sando bussò deciso sulla porta e spalancò con discrezione prima che chiunque aprisse bocca.

Confuse dall'atmosfera tesa le ragazze e Ryou seguirono i movimenti degli altri acquattandosi in un angolino della stanza che si parò loro di fronte, cercando di dare meno nell'occhio possibile, mentre Kisshu e gli altri si disposero poco più avanti drizzando le spalle e raccogliendo le braccia dietro la schiena in posa marziale.

Si trovarono in un ampio studio con pareti che curvavano a metà verso il soffitto; l'ambiente era semplice e pulito, due grandi finestre si spalancavano sul giardino interno del Palazzo riempiendo  la sala di luce e inondando  il grosso tavolo ovale in fondo alla camera, l'unico arredo presente, coronato da un bel vaso trasparente colmo di fiori su un lato.

« Benarrivati. »

I sei soldati issarono le spalle in segno di saluto e il consigliere Meryold ricambiò con un lieve sorriso, accennando altrettanto verso i terrestri mimetizzati dietro di loro. Ichigo la osservò sistemare distratta un paio di steli nel contenitore di vetro e scorse il braccio sinistro della donna, liscio e niveo, uscire da un raffinato abito celeste smanicato: non era rimasta alcuna traccia delle piaghe che aveva visto sull'aliena il primo giorno a Jeweliria, solo un lievissimo cambio del tono dell'incarnato ricordava quelle lesioni; alla mewneko venne spontaneo sorridere e si rese conto, a disagio, che Meryold l'aveva notata e aveva ricambiato con garbo e compostezza.

« Vi ringrazio per esservi presentati così in fretta. – fece la donna sedendosi – E, ovviamente, vi ringrazio per il lavoro svolto. »

Sorrise gentile posando il mento sulle mani. I ragazzi annuirono soltanto come presa visione – qualcuno, come Taruto, con brevi scatti nervosi – le terrestri fecero qualche cenno teso; Ryou si limitò a restare in piedi a braccia conserte, in attesa.

« Se mi permettete lascerei i dettagli sulla situazione della retrocessione della zona morta ad un secondo momento. Il capitano e il colonnello sono già stati informati di tutto, vi riassumeranno dopo. »

MoiMoi e Sando mossero la testa in assenso per farla andare avanti.

« Non ho intenzione di tediarvi troppo. – proseguì Meryold – Sono due le questioni di cui vorrei parlarvi. La prima è una richiesta personale da parte mia che rivolgo a voi terrestri. »

Si rimise dritta contro lo schienale e sorrise sottile. Le MewMew si guardarono un istante e Ichigo vide Meryold farle segno di avvicinarsi; lei obbedì titubante, era in occasioni simili che essere a capo del gruppo era solo fastidioso.

« Domani si terrà un annuncio a tutta Jeweliria – spiegò la donna – per informare la popolazione sulla risoluzione degli ultimi eventi. Sarà una cosa pubblica, ed è già sottinteso ovviamente il vostro intervento, ufficiali. »

Aggiunse rapida dando una scorsa ai ragazzi di fronte a sé. Sando trattenne a fatica uno sbuffo annoiato beccandosi di nascosto un pestone da MoiMoi dritto sul piede, ma Meryold non si preoccupò del suo brontolio e sospirò discreta:

« Sì, ammetto che si tratti di un evento ridondante. – continuò con un sorriso divertito – Comunque, è uno di quei casi in cui occorrono un discorso e dei ringraziamenti; pertanto vorrei che anche voi terrestri presenziaste ufficialmente all'evento. »

« C-cosa…?! »

« I nostri ringraziamenti vanno pure a voi. E anche per questo, oltre alla cerimonia di domani, siete invitati alla celebrazione della Prima Luna, tra una settimana. »

I terrestri non seppero di cosa parlasse, ma gli sguardi sorpresi dei jeweliriani furono indicativi dell'importanza dell'evento e Ichigo scosse la mani nervosa:

« M-ma veramente, non occorre tanto… »

« Meritereste molto di più a parer mio. Tutti voi. – aggiunse Meryold guardandoli attenta uno per uno – Ad ogni modo vi sto invitando a titolo personale. »

Concluse. Le ragazze si sbirciarono ancora e Ichigo annuì impacciata:

« Certo. Mille grazie… Saremmo onorate. »

Le parve di aver usato le giuste parole, anche se ancora non le fu chiaro a che genere di evento si stesse riferendo la donna, e fece un piccolo inchino raccogliendo le mani in grembo. Meryold annuì in risposta e si appoggiò con il mento sulla mano sospirando con un breve luccichio scaltro negli occhi; MoiMoi si agitò un poco sulle punte stringendo le labbra.

« La seconda questione credo riguardi tutti. »

Fece il consigliere e il suo sguardo zaffiro passò rapido ed evocativo sui connazionali e sui terrestri, dopodiché la donna tacque alcuni istanti.

« I Membri Ristretti hanno esaminato le informazioni raccolte dal capitano Luneilim e dal colonnello Ikisatashi circa il portale che tiene in connessione Jeweliria al Pianeta Azzurro. »

Iniziò e un senso di confusione scese su ciascuno dei presenti, ma non ci furono domande.

« Visti i risultati, abbiamo discusso in merito ad alcune mie proposte, e tutti si sono dimostrati a favore. »

Nessuno capì di cosa stesse parlando, tranne evidentemente Sando e MoiMoi che sogghignavano appena tra loro.

« A questo punto, prima di attuare la cosa, volevo chiedere a voi, Momomiya-san e le altre, e a lei Shirogane-san… »

Proseguì la donna solenne:

« Come fondatore e componenti del m projet, I Membri Ristretti richiedono un vostro assenso o meno. »

« … In merito a cosa? »

Esitò Ryou confuso. Meryold sorrise pur mantenendo l'espressione formale:

« L'autorizzazione per rendere definitivamente stabile il passaggio tra Jeweliria e la Terra. »

La frase cadde in un silenzio attonito. Kisshu e gli altri persero la posa rigida e sgranarono gli occhi guardando prima il consigliere capo e poi i loro due senpai, Sando che sogghignò furbo e MoiMoi che ormai sorrideva privo di remore.

« Il capitano è già stata informata e ha verificato e appurato i risultati – continuò Meryold e MoiMoi soffocò un'inopportuna esclamazione di contentezza – quindi la cosa necessita solo di un'attuazione effettiva. »

« … Sta dicendo che… Si può fare? – domandò Purin – Possiamo… Si può tenere aperta la strada tra qui e casa? »

Parve avesse paura di chiederlo e Meryold si limitò ad annuire, quasi divertita dallo scintillio dei suoi occhi. Ryou non condivise il suo entusiasmo:

« Perché ci sta chiedendo una cosa del genere? »

Meryold non si scompose alla sua occhiataccia obliqua, raccolse le mani sul tavolo e spiegò:

« Voi siete stati i diretti rappresentanti del genere umano che si sono frapposti tra noi e il progetto di ritorno al Pianeta Azzurro. »

Nel suo tono non ci fu alcuna accusa o rimprovero per la questione, solo una quieta rievocazione degli eventi:

« Lei e il suo collega, Shirogane-san, avete studiato e trovato il modo di affrontare il nostro arrivo, e voi ragazze siete scese a confronto diretto. »

Ryou mosse impercettibilmente la testa senza commentare.

« Non è mia intenzione porgere scuse affettate, né tantomeno intavolare una discussione sui fatti che hanno portato al tentativo di invasione e al tradimento di Deep Blue-sama. »

Puntualizzò ferma la donna e Ryou notò come il nome della semi-divinità fosse stato pronunciato con astio cupo:

« Non in questa sede.

« Quanto accaduto ha portato la nostra gente in contatto con la vostra, e la cosa si è incredibilmente ripetuta vedendoci tutti dallo stesso lato della barricata. Ancora, vi siete accollati l'onere di proteggere il vostro mondo, e il nostro. Ed evitiamo sottilizzazioni sui toni di eccessivo encomio. »

S'interruppe, sollevando allusiva un sopracciglio verso un'impacciata Retasu; sorrise lieve dell'imbarazzo della verde, che aveva capito di essere stata scoperta pronta ad obbiettare umilmente per le lodi ricevute.

« I fatti parlano meglio di me e mi danno ragione. »

Meryold fece una breve pausa rilassando la fronte:

« Fatto sta che nessuno più di voi può essere considerato portavoce della razza umana, agli occhi del Consiglio Maggiore e dell'Armata. »

« Quindi ci stareste domandando, a titolo di tutta l'umanità, se potreste aprire definitivamente un canale tra qui e la Terra. »

Riassunse Ryou spiccio, con rancore malcelato che si manifestò di lettera in lettera:

« Senza offesa, è un po' assurdo chiedere il permesso a coloro che fino a tre anni fa volevate spazzare via. »

Le ragazze lo squadrarono di nascosto riprovevoli, ma Ryou le ignorò come fece con i ragazzi: la scorsa rassegnata di Eyner, l'occhiata attonita di Taruto e quella triste di MoiMoi, o gli sguardi livorosi di Pai e Kisshu. Al biondo non era stato possibile trattenersi né fingere che dentro di sé i dissapori verso la razza aliena avessero smesso di bruciare.

Meryold si limitò a stendere un sorriso di circostanza conscia di poter ricevere un simile commento e riprese:

« Se continuassero a essere quelle le nostre intenzioni, non crede avremmo facilmente evitato di chiedervi il permesso? »

Puntualizzò e Ryou aggrottò appena le sopracciglia.

« La nostra richiesta non è così alla leggera. Non permetteremmo certo un passaggio incontrollato, né che il condotto possa essere attivo senza sorveglianza. – spiegò ancora – I Membri Ristretti hanno decretato di affidare la stabilizzazione del portale e la sua messa in sicurezza ai più validi elementi della sezione scientifica. »

Le sue labbra si distesero di poco mentre sbirciò con fare divertito prima alla sua sinistra e poi di fronte a sé dal lato opposto:

« Sempre che il colonnello Ikisatashi e il capitano Luneilim accettino. »

Il violetto annuì trattenendo l'energia eccessiva del gesto, Pai invece rilassò la mascella che aveva irrigidito folgorando Ryou da capo a piedi e grugnì in assenso.

« Quindi, vi ripongo la domanda. »

Disse Meryold alzandosi contro lo schienale:

« Momomiya-san. Aizawa-san. Midorikawa-san. Fon-san. Fujiwara-san. – si voltò su ciascuna di loro fino a fermarsi su Ryou – Shirogane-san. »

Il biondo affrontò torvo i suoi calmi occhi pervinca stringendo la bocca in una linea retta.

« Abbiamo il vostro permesso? »

Per una manciata di secondi non ci furono risposte. Ryou inspirò forte e incrociò lo sguardo di Ichigo, rilassandosi in volto; la rossa lo anticipò prima che formulasse una sillaba:

« … Certo…! – sorrise concitata girandosi verso Meryold – Certo! Cioè… »

Si guardò con le amiche, che parvero troppo frastornate ed emozionate per articolare parola in modo composto, e balbettò:

« Se insomma… Sì, se come diceva ci saranno tutte le… Attenzioni e le precauzioni per… Certo! »

Cercò ancora Ryou e lo vide solo rivolgersi a Meryold con distacco:

« Immagino che se si tratta di MoiMoi-san… »

« Ti ringrazio per la fiducia nelle mie capacità, Shirogane. »

Replicò Pai sferzante. I due si scambiarono un'occhiata allegramente ostile e il biondo sbuffò sarcastico:

« Conoscendo le tue capacità, provo più paura che consolazione. »

Sando fulminò entrambi intimandogli di piantarla con lo scambio di commenti, irriguardoso al cospetto della capo consiglio. Meryold però non parve considerare il loro battibecco come motivo di offesa:

« Ovviamente la cosa richiederà del tempo – aggiunse distrattamente – e vi terremo aggiornati passo per passo degli sviluppi. »

Si mise in piedi sorridendo più serena:

« Nel frattempo, rinnovo il mio invito. Chiaramente se accetterete sarete ospiti qui a Palazzo a partire da stasera, fino alla cerimonia della Prima Luna. »

Ichigo un'altra volta annuì piano a nome di tutte, borbottando qualche ringraziamento e qualche appunto sul fatto che non fosse necessario tanto disturbo e un bizzarro silenzio calò a poco a poco, nessuno che parve sapere cosa dire.

All'improvviso sul fondo della stanza si aprì una porticina, invisibile ad occhio nudo nella parete chiara; una voce indistinta sussurrò qualcosa per cui Meryold annuì e ringraziò e la porta si richiuse nascondendo il suo ospite prima che chiunque potesse focalizzare altri dettagli.

« Perdonatemi, sono richiesta al Consiglio. »

Sospirò la donna con rassegnazione e accennò con la mano alla porta principale. Sando annuì e si diresse all'uscita imitato da MoiMoi, poi dagli altri ragazzi che seguirono il tacito e garbato ordine della donna.

Ichigo tentennò cercando di formulare una piccola protesta, la riunione si era conclusa troppo velocemente e aveva ancora troppe cose da chiedere, ma MoiMoi le prese la spalla e ammiccò:

« Più tardi. Ora andiamo. »

La rossa annuì e dopo un breve inchino rivolto al consigliere uscì con gli altri.

« Meryold-san. »

La donna, già la mano sulla porta interna, si voltò appena verso Ryou: il biondo era rimasto sulla soglia a fissarla cupo, incurante di Sando e del basso ringhio che emise per il suo tono confidenziale.

« Sì? »

« Ha detto di aver discusso in merito a certe sue proposte. – ricordò il ragazzo atono – A cosa si riferiva di preciso? »

Meryold gli rivolse un sorriso sottile:

« … Era già nelle mie intenzioni, ma dato che me lo ha chiesto, le assicuro le darò quanto prima maggiori dettagli; con calma, durante la nostra ospitalità. – l'espressione dubbiosa di lui parve divertirla – Il mio invito e i miei ringraziamenti sono estesi anche a voi, Shirogane-san, e al vostro collega. Se non l'avesse intuito. »

Ryou non rispose e fece per uscire, le mani in tasca.

« Se ugualmente non riterrà opportuno accettare, sarò disponibile per rispondere ad ogni sua domanda appena mi sarà possibile. »

Aggiunse la donna lentamente. Ryou rimase fermo con la porta socchiusa e delineò un saluto con il capo:

« La ringrazio. Sarà un piacere. »

L'occhiata acuta di lei che intravide chiudendo l'ingresso non permise a Ryou di capire se avesse creduto o meno alle parole che lui aveva pronunciato, o ne avesse colto il tono costruito.

L'americano si riunì al gruppo fuori nel corridoio e quest'ultimo si allontanò verso l'uscita in silenzio, avvolto da una tensione elettrica pronta a spezzarsi al primo alito di vento.

Nessuno si aspettò che a esplodere sarebbe stato Taruto, che con un schiamazzo soffocato afferrò Purin per le spalle e le schioccò un bacio sulla guancia, sollevandola poi di peso e prendendo a girare con lei sul posto; Ichigo e MoiMoi seguirono il suo esempio immediatamente prorompendo in risate esaltate.

« Sì, sì, sì sì, sì! »

« MoiMoi-chan, perchè non ce l'hai detto?!? »

« Non lo sapevo! – rise lui nervoso – Davvero! Cioè, avevo pensato di controllare se sarebbe stato possibile, ma con tutto quello che è successo di recente…! Eppure sarebbe bastato visionare di nuovo tutti i dati dall'inizio…! »

Ichigo strinse i pugni di fronte al viso per poi stritolare il violetto tra le braccia e issarselo contro la pancia in preda alla contentezza, lasciandolo solo per passare a blindare in una stretta soffocante Taruto e Purin che così finalmente smisero di turbinare.

« Queste sono notizie che andrebbero date meglio. »

Sospirò Eyner con un'aria euforica che sembrò non essere capace di contenere, reggendosi il torace con il palmo:

« Uno si prepara psicologicamente…! »

Sando gli mostrò un ghigno tutto denti e un po' maligno e il bruno si voltò di sottecchi verso Zakuro, che non disse niente e sorrise lieve, ancora stordita.

Retasu, rimasta un poco indietro, premette i palmi delle mani uno contro l'altro di fronte al viso e trattenne una risata nervosa, gli occhi lucidi, temendo che quanto appena sentito fosse smentito se avesse respirato appena più forte. Sussultò avvertendo un braccio attorno alle spalle e finì con il viso contro la maglia di Pai, arrossendo di colpo. Il moro le affondò il naso nella frangetta e mandò un lungo sospiro stizzito:

« Se avessi controllato quei dati tempo fa… »

Retasu non gli disse nulla e si lasciò abbracciare, approfittando del fatto che gli altri sembrassero abbastanza lontani e troppo occupati a sfogare l'ansia trattenuta per accorgersi di loro.

« Tu e MoiMoi-san avevate altre cose di cui occuparvi. – propose piano la ragazza, allontanandosi il giusto per guardarlo in viso – Però lo ammetto… Vorrei lo aveste scoperto prima. »

Pai abbassò il braccio studiandola e Retasu si asciugò gli occhi umidi, premendosi poi la mano in mezzo al petto:

« Non avrei avuto tanta ansia. Se sentissi, credo stia per esplodermi il cuore. »

Esalò sorridendo radiosa e con il viso dolcemente arrossato. Pai accennò un sorriso di rimando e le posò un bacio lieve sulla bocca, abbandonandosi qualche secondo al sollievo del volto della verde che lambì il proprio, alla sua risata agitata e al suo meraviglioso sorriso.

« Esplodere proprio adesso? Non pensarci neanche. »

Due decimi di secondo dopo dieci voci emisero la stessa frase all'unisono:

« E quello che vorrebbe dire? »

Retasu scattò all'indietro divampando al punto da far appannare gli occhiali e perfino Pai, pur ben più discreto e limitandosi a rimettersi dritto, storse la bocca a disagio con gli occhi attoniti di tutti puntati addosso.

« Reta-chan, cosa ci siamo persi? »

Chiese Eyner tra il sorpreso e il divertito e la verde riuscì solo a farfugliare un paio di parole non meglio definite. Pai si rifiutò di guardarlo, conscio di vedere sulla faccia del bruno il sarcasmo per tutte le contestazioni che aveva fatto a suo tempo nei confronti di lui e Zakuro.

« Lirophe vi fa bene. »

Sorrise furbetto MoiMoi e passò un secondo lo sguardo anche su Taruto, che solo in quel momento lasciò andare Purin fingendo noncuranza.

« Dovevo trovare quel passaggio prima, Pai-chan ♥ . »

« Senpai… »

Il cavernoso grugnito del moro non lo scalfì e il violetto continuò a sogghignare.

« No! Ti prego Retasu non lui! – fece Ichigo miagolando indignata – Di chiunque, ma non di questo qui! »

« Ragazzina, dacci un taglio o non arriverai a stasera, altro che alla fine della settimana. »

La minaccia di Pai provocò solo un gesto evocativo da parte della rossa, che lo indicò a palmi aperti guardando Retasu quasi dicesse "lo vedi che è insopportabile!" e dando risalto alle sue proteste.

« Su, non litigate. »

Con una risata spumeggiante Purin si lanciò tra la mewfocena e il moro aggrappandosi a un braccio di ciascuno e dondolando in avanti:

« E poi Pai nii-san lavorerà per permetterci di stare ancora tutti insieme, quindi dovresti cercare di fartelo andare a genio nee-chan. »

« Dubito possa succedere anche se mi salvasse la coda. »

Sentenziò la rossa funerea.

« … Per favore, non chiamarmi mai più "nii-san", ragazzina. »

« È Purin. P-u-r… »

« So sillabare, Momomiya. »

« Allora impara i nomi, frigorifero a due gambe dei miei stivali! »

« Possibile che non si possa stare tranquilli nemmeno se si ricevono buone notizie? – brontolò Sando a denti stretti – Mi fate venire mal di testa. »

Sospirando MoiMoi prese Ichigo sottobraccio placandola e la tirò via perché la smettesse di punzecchiarsi con Pai, puntando allegro l'indice in avanti e ordinando a tutti di proseguire:

« C'è qualcuno che vuole festeggiare. »

 

 

***

 

Casa Ikisatashi apparve estremamente piccola e affollata con tanta gente dentro. Era stato Iader a scoprire i nuovi sviluppi, quando gli era arrivata notizia della convocazione improvvisa di Sando e MoiMoi dai Membri Ristretti; nessuno obbiettò all'invito dell'uomo e della moglie, e in ogni caso appena fu varcata la soglia della loro casa, in aggiunta all'inebriante profumo di mimeri, l'eccitazione della precedente mezz'ora aveva rilassato abbastanza gli animi da non fare proteste su cosa fosse opportuno, o quando lo fosse.

« Io te l'avevo detto che quelli di mamma erano i migliori. »

Sogghignò Taruto nel chiacchiericcio generale scrutando Purin fare il quarto bis di frittelle fumanti. La biondina ingoiò il boccone soddisfatta annuendo per dargli ragione:

« Quando sono felice mi viene fame. »

E stendendo un sorriso a trentadue denti si allungò per baciarlo, finendo bloccata per le spalle:

« C-che fai?! Sei scema?! »

« Eeeeh?! Ma prima tu mi hai dato un bacio! »

Si lamentò con fare da bambina e Taruto rischiò di strozzarsi con il suo stesso fiato:

« P-prima era prima, adesso è adesso…! – farfugliò incapace di respirare – Non davanti a tutti…! »

Con la coda dell'occhio colse suo padre e Kisshu poco distanti che lo guardarono distratti, attirati dal chiasso che gli sentirono fare.

« Prima era davanti a tutti. »

Gli fece notare innocente la mewscimmia e nel connettere il dettaglio il brunetto per poco non collassò sul posto:

« Non è la stessa cosa…! »

Purin mise il broncio, ma si sentì troppo contenta per mantenerlo a lungo e ridendo riuscì a gettargli le braccia al collo strusciando il viso contro il suo, con buona pace delle coronarie di lui e delle sue proteste.

« Se osate fare un qualunque commento vi esilio da Sando-kun fino a nuovo ordine. »

Sentenziò, gelida e minacciosa, Lasa passando accanto al figlio mezzano e al marito. Iader alzò le mani arrendevole:

« Non un fiato. »

La donna lo studiò sospettosa finché sospirando si convinse a dargli fiducia e tornò a parlare con MoiMoi, mentre Iader guardò ancora la scenetta del suo ultimogenito con la biondina terrestre e sorrise intenerito. Fintanto che non si accorse che Kisshu non aveva ancora aperto bocca.

Considerando quanto fosse ghiotta l'occasione per stuzzicare Taruto, la cosa più che strana gli apparì preoccupante.

« Ehi, tutto bene?  »

« Certo pa'. »

Rispose immediatamente il verde neutro e rimase in piedi con la schiena alla parete, le braccia incrociate e lo sguardo fisso sul gruppetto di terrestri vicino alla madre e a MoiMoi. Iader bevve un sorso dal bicchiere mezzo vuoto che rigirava tra le dita e soppesò la frase successiva, decidendo di optare per una semplice domanda:

« È qualcosa che puoi risolvere? »

Il ragazzo non rispose e non lo guardò, chiedendosi soltanto se il padre avesse capito qualcosa – magari seguendo il suo sguardo per vedere su chi fosse posato – o se stesse tirando ad indovinare, e ringraziò che non fosse stata la madre a porgli la domanda perché di certo non si sarebbe accontentata del silenzio come risposta.

 

 

« Perché hai quella faccia? »

« Non ho nessuna faccia, Ichigo. »

Ribattè piatto Ryou e bevve un altro sorso della bevanda che gli avevano offerto: non era il solito paina, ma qualcosa di più dolce e dal sapore più corposo, che il biondo sospettò avesse una lieve gradazione alcolica.

« Tu non dovresti bere roba simile. »

Rimproverò divertito la rossa e le sottrasse il bicchiere annusando il contenuto, ridandoglielo poi con fare canzonatorio; pareva che i loro ospiti avessero prudentemente evitato di far assaggiare la bevanda alle ragazze.

« Sei troppo piccola per gli alcolici. »

Ichigo aggrottò la fronte per il suo trattarla da bambina, però non si fece distrarre e continuò a studiare il suo profilo serio:

« Sei arrabbiato. »

Ryou vuotò il bicchiere per non rispondere soffiando appena tra i denti, la gradazione del contenuto non era elevata, ma diede un bel pizzicore per la gola ingurgitata tutta di botto.

« Cosa pretendi, che balli allegramente per la stanza? »

Le domandò caustico e Ichigo tese le braccia lungo i fianchi:

« Dopo tutto quello che abbiamo passato non mi sembra il caso di fare tanto il sostenuto. »

Puntualizzò brusca. Ryou la guardò come se potesse trapassarla da una parte all'altra, posò lentamente il calice vuoto sul tavolo e si avviò alla porta con le mani in tasca:

« Vado da Keiichiro a dargli un aggiornamento. – disse spiccio senza guardare nessuno – Fatemi sapere. »

Se ne andò senza salutare o dare adito a voler ringraziare. Ichigo sbattè violenta il piede a terra:

« Ma perché fa sempre così?! »

Retasu osservò l'amica e sospirò, aveva immaginato che quanto successo la sera precedente non avrebbe certo trasformato il rapporto della rossa e dell'americano in una storia di paroline dolci e cuoricini, però non credeva di vederli discutere così presto.

« Non credi di essere un po' troppo dura? »

« Uh? »

La verde si aggiustò gli occhiali e abbassò appena la voce:

« Shirogane-san… Ha perso tante cose. – le ricordò vaga, lo sguardo afflitto – Non pensi che per lui sia più difficile lasciarsi le ostilità alle spalle? »

Ichigo rimase immobile e guardò la porta, immediatamente pentita delle proprie parole; afferrò nervosa il bordo della gonna e strinse le labbra sentendo poi la verde posarle due dita su una mano:

« Perché non andiamo anche noi? – propose con naturalezza a voce più alta – Faremo un salto a casa e ci prepareremo prima di accettare l'ospitalità di Meryold-sama. »

Cercò lo sguardo di MoiMoi e il violetto le sorrise intuendo:

« È una buona idea. – ammiccò e bevve un altro po' con un sorriso ben pronunciato – Un ultimo brindisi? »

« Tu basta névoa(*) per oggi. »

Sentenziò Sando perentorio rubandogli il boccale.

« Ah…! No, dai! Restituiscimelo! »

Protestò il violetto con voce strascicata e Sando roteò gli occhi:

« Lasa-san, lo sai che con questa qui bisogna tenere l'alcol a non meno di dieci metri – borbottò – e tu falla finita! »

Ringhiò e sollevò ulteriormente il braccio allontanando il bicchiere da MoiMoi, le mani tese verso di esso nemmeno un bimbo con un giocattolo; il violetto mise il broncio e protestò con tono lagnoso:

« Ma non sono ubriaca! »

« Sì, come no. – fece sarcastico l'altro notando il colorito rosato sulle sue guance – Hai davvero una resistenza patetica. »

« Sando antipatico. »

Contestò con voce impastata, ma il verde parve non averlo sentito. Lasa ridacchiò piano.

 

 

Sul retro dell'abitazione, nel frattempo, Eyner si appoggiò con un sospiro al muretto basso che divideva il piccolo cortile della casa da quello adiacente. Al bruno non infastidivano i festeggiamenti, e data la situazione reputava che una dose di allegria collettiva fosse più che normale e ben accetta, ma lui aveva sentito il bisogno di starsene un po' da solo in tranquillità.

Aveva ancora qualche problema a metabolizzare tutto quanto, complice l'esaltazione che gli riempiva la testa come bollicine in una bibita gassata. Se non fosse stato abbastanza bravo, da persona adulta, a trattenersi una volta uscito dall'ufficio di Meryold, e se non si fosse imposto di frenare l'entusiasmo ascoltando MoiMoi ripetere che ci sarebbe voluto ancora del tempo prima che la situazione fosse stabile come volevano, probabilmente pure lui si sarebbe lanciato in un balletto come aveva fatto Taruto.

Da una decina di minuti però la soddisfazione e il poco di névoa che aveva bevuto stavano minacciando di farlo scoppiare: inspirò a fondo il profumo della mattina limpida, lasciando che il formicolio sottopelle scivolasse via e il suo cuore e la sua mente si calmassero il dovuto.

Un bussare leggero attirò la sua attenzione. Zakuro lo studiò con la sua flemma abbassando la mano dallo stipite della porta su cui aveva battuto le nocche, quindi raccolse le mani al petto e fece un paio di passi verso di lui:

« Tutto bene? »

« Più che bene. – sorrise il bruno e si passò una mano sul collo – Stavo un attimo… Riassestando le idee. »

Spiegò. La guardò fermarsi a poca distanza, gli occhi chiari che lo studiarono sibillini e la figura elegante appena appoggiata alla gamba sinistra, e un bizzarro calore gli rumoreggiò nel petto facendogli involontariamente allargare il sorriso.

« È un po' complicato. »

Ammise e la cosa lo fece pentire un po' di tanta perturbabilità, comparata all'autocontrollo di lei; gli sfuggì una risata nervosa:

« Faccio ancora fatica a cr- »

Mandò un curioso sbuffo, per nulla preparato alla mewwolf  che bruciò gli ultimi due passi di distanza e gli afferrò il viso tra le dita allungandosi in punta di piedi per baciarlo; Eyner spalancò gli occhi un momento e li richiuse subito, sorridendo, mentre con un piacevole stupore le posò una mano sulla nuca e una sulle spalle assecondando il suo protendersi verso di lui.

Zakuro lo lasciò andare piano piano e sorrise delicatamente, mentre Eyner con aria beata mandò una risata bassa e le girò qualche ciuffo dietro l'orecchio abbracciandola più forte. Zakuro seppe di non avere bisogno di molte altre parole mentre gli cinse il torace, la sua stretta sarebbe stata molto più eloquente per dimostrargli quanto le notizie ricevute le fossero di sollievo.

« Te l'avevo detto che non volevo perderti. »

Sussurrò il bruno mentre le accarezzò la schiena; Zakuro emise un  lievissimo sospiro appagato sistemandosi con il viso contro il suo petto:

« Lo avevi detto. »

« Anche se non ho fatto granchè, a dire la verità. »

Soppesò Eyner scherzando e lei sbuffò divertita:

« Nessuno aveva detto che avresti dovuto fare qualcosa. »

« Sarebbe stato molto figo, però. »

La mora lo guardò dubbiosa e ridacchiando appena lo baciò con leggerezza, lasciando ancora che Eyner l'avvolgesse tra le braccia.

Rimasero così un paio di minuti finché da dentro il vociare cambiò tono e il bruno sentì Minto chiamare la mewwolf.

« Faremo una breve tappa a casa – spiegò Zakuro sciogliendo l'abbraccio – intanto che aspettiamo maggiori dettagli. »

« Uhu. »

Rispose solo lui baciandole la tempia e la guancia:

« Vengo con voi – disse distrattamente – Akasaka starà diventando matto, con quella piccola peste… »

Zakuro abbozzò una risata e si allontanò piano dalla sua stretta, tornando dentro.

 

 

***

 

 

La giornata si rivelò molto più lunga del previsto.

MoiMoi ricevette le disposizioni di Meryold mentre coi terrestri si stava dirigendo al portale e spiegato dove si sarebbero rivisti aveva lasciato nelle mani di Ichigo un piccolo dischetto bianco, allontanandosi poi per fare rapporto con gli altri ai superiori dell'Armata.

« È un permesso di accesso provvisorio – aveva spiegato spiccio – per Akasaka-san. »

Ryou, che avevano intercettato a metà tragitto, aveva squadrato il violetto torvo e lui aveva aggiunto sospirando:

« Nonostante tutto la situazione è tuttora delicata. »

Aveva detto tentennando per l'occhiataccia, e ancora un po' offeso dalla rabbia del biondo sfogata nell'ufficio del capo consiglio:

« Akasaka-san non ha mai ricevuto ufficialmente l'estensione del permesso di accesso, ma Meryold-sama vorrebbe che anche lui fosse presente… Vale per i prossimi giorni. »

Ryou aveva sospirato e aveva annuito ringraziando, cercando di far sorvolare il violetto sul suo comportamento con un cenno di scuse; MoiMoi si era limitato a sorridergli tirato.

Tra lo spiegare a Keiichiro le ultime cose successe, la proposta di Meryold e il pianificare una scusa accettabile verso le famiglie per la successiva settimana – nessuna delle ragazze aveva più molta voglia di lasciare un sostituto meccanico in giro per la propria città – oltre che a preparare le poche valigie per un soggiorno veloce, la mattinata divenne velocemente pomeriggio, e prima che i terrestri se ne rendessero conto, bagagli sottobraccio, riattraversarono il passaggio che già il sole fu basso sull'orizzonte.

MoiMoi li incontrò poco lontano dal centro ricerche e li scortò al Palazzo Bianco, conducendoli per la strada che avevano già fatto altre volte per raggiungere la Sala del Consiglio e i chiostri interni, ma stavolta il violetto voltò dalla parte opposta ai cortili; assieme aggirarono il corpo centrale del palazzo, seguendo un corridoio che per forma e curvatura dovette essere gemello di quello in cui avevano parlato con Meryold ore prima, poi MoiMoi salì al primo piano. Ichigo riconobbe distratta il corridoio che portava al giardino sospeso dove avevano passato alcuni pomeriggi con il violetto, poi cambiarono percorso e raggiunsero un elegante corridoio pieno di porte dove tre inservienti dall'aria contegnosa indicarono a ciascuno una stanza.

La camera di Ichigo era piccolissima, entrando la rossa sospettò fosse più piccola della cella da ufficiale dove era stato richiuso Pai, ma quella era decisamente più bella e accogliente. Un'enorme finestra ovale guardava verso un piccolo cortile interno lussureggiante, dall'aria quieta e sospesa nel tempo; lo stesso ambiente della camera invitava alla rilassatezza, così com'era illuminato dalla luce dorata del tramonto. L'arredamento consisteva in un bel letto dalle lenzuola candide, un piccolo armadio ad un'anta abbinato ad una cassettiera, il comodino accanto al letto su cui levitava una sfera trasparente – la mewneko ipotizzò si trattasse di una qualche strana versione di abat-jour, ma non ebbe idea di come funzionasse – e un basso tavolinetto rotondo in cui giacevano curiosi fiori con radici ondeggianti. La rossa posò la borsa che aveva con sé sul letto e si accucciò a fissare le piante nel vaso, incuriosita, capendo che le radici si muovessero sul serio sorbendo avide l'acqua nel loro contenitore.

« Cerchi di non disturbarli, signorina. Sono vivi, sa? »

La mewneko ritrasse il dito dalla corolla che stava punzecchiando e scattò in piedi. Sulla soglia un giovane sui vent'anni, lunghi capelli cobalto legati in una treccia, le sorrise cordiale:

« Le piante ad uso di fiori recisi sono ibridate con dei chimeri per sopravvivere senza terreno. »

« Ah. Certo, capisco. »

Bofonchiò lei sistemandosi i capelli nervosa. Il ragazzo entrò sorridendo divertito, portava semplici abiti grigio verdi, collo alto e maniche lunghe con cerchi metallici antracite, com'era tipico negli abiti alieni, e Ichigo lo identificò come uno degli inservienti che aveva distrattamente visto gironzolare per i corridoi; il giovane aveva un piccolo plico di stoffa tra le mani che posò sul letto, poi sempre sorridendo le indicò un punto verso la parete a ovest. La mewneko strizzò gli occhi, aveva creduto che ci fosse un qualche motivo inciso nel muro, invece si trattava di una porta nascosta come quella nell'ufficio di Meryold.

« Se volesse rinfrescarsi. – disse il ragazzo quindi battè il palmo sulla stoffa che aveva posato – Meryold-sama ha pensato li avreste trovati adatti per la cerimonia di domani. »

Ichigo annuì con un sorriso, a disagio da tanta solerzia e tanti ossequi, si scambiò un inchino con il giovane e questi uscì silenzioso com'era spuntato.  Pochi istanti dopo al suo posto comparve a passo baldanzoso Purin, il viso rosso d'eccitazione:

« Nee-chan, hai visto che bella camera? Ah, è come la mia…! »

« Già. »

Disse la rossa sovrappensiero e lasciò la biondina a curiosare in giro mentre lei si affacciò nelle stanze vicine, comprovando quanto detto dalla mewscimmia; sbirciò le amiche prendere confidenza con le camere sistemando la propria roba finché una chioma bionda non attirò il suo sguardo da dietro lo spiraglio di una porta.

Si mordicchiò il labbro inferiore. Ryou era in piedi a braccia conserte e guardava fuori dalla finestra, immobile come una statua. Ichigo diede una scorsa alle altre stanze vedendo Purin continuare ad agitarsi da una porta all'altra, e valutato che non stessero badando a lei entrò in punta di piedi.

Chiuse la porta dietro di sé continuando a tenere lo sguardo fisso sull'americano, che non mosse un muscolo nonostante di certo avesse sentito il rumore lieve della serratura.

« … È una camera accogliente, vero? »

Ryou rispose con un basso grugnito e non si girò. Ichigo battè nervosa la punta di una scarpa sul pavimento e tentò qualche passo verso di lui, le mani dietro la schiena.

« C'è una bella vista. »

Tergiversò ancora affacciandosi fuori e sbirciò il profilo serio del ragazzo, fisso su un punto imprecisato nel vuoto. Ichigo si tormentò le labbra un altro po' prima di sospirare:

« Non dovevo parlarti così oggi. »

« Lascia perdere. »

« Ryou. »

Gli posò le dita sul braccio e le ritrasse immediatamente, come se potesse non farsi scoprire ad averlo fatto se evitava il suo sguardo nascondendo  la mano.

« … Volevo chiederti scusa. – disse piano – Però non… »

« Uh? »

« A dire il vero non so come fare. – mormorò – Come facevo prima? »

Ryou la fissò imperscrutabile e Ichigo si rigirò un ciuffo attorno all'indice. Nei quattro anni in cui era stata accanto al biondo avevano litigato per qualsiasi tipo di questione, dalla più frivola alla più grave, ma non riusciva assolutamente a ricordare come facessero a fare pace. 

Non poteva comunque fargli delle scuse come prima. Del resto non erano più amici, ormai. Erano…

Il pensiero non riuscì a formularsi appieno nella sua mente e la rossa serrò le labbra tra l'imbarazzo e il disagio per il silenzio.

Ryou fece per avvicinarsi a lei, poi ritrasse il braccio che aveva sporto e tornò nella posizione di partenza:

« Lascia stare. »

Ripetè. Scorse con la coda dell'occhio gli occhioni nocciola studiarlo triste e le accarezzò una guancia sospirando:

« Davvero. È tutto a posto. »

« Non dovevo aggredirti. – lo bloccò lei – Lo so che per te è difficile. »

Il volto di lui fu attraversato da un guizzo teso. La rossa allora gli prese la mano e la strinse tra le sue:

« Vorrei solo che non ti caricassi tutto sulle tue spalle. »

« … Non mi serve essere compatito. »

Disse più duro, ma Ichigo insisté:

« Non voglio compatirti – ribattè – vorrei solo non vederti così…! »

« Ichigo, lo hai detto tu stessa, per me non è semplice. – replicò freddo – Non puoi pretendere che riesca a somatizzare tutto quanto. »

Lei cercò invano di rimanere calma, ma la sua ostinazione era un veleno per i suoi nervi:

« E in questi mesi? Insomma, abbiamo lottato uno a fianco all'altro con Kisshu e gli altri, non puoi…! »

« Cosa, Ichigo? – sbottò – Cosa vuoi che faccia? »

Lei fuggì la sua occhiata stringendo i denti.

Poteva immaginare cosa stesse provando, in fondo anche Meryold e Retasu lo avevano detto: Ryou aveva creato il m project, Ryou per primo aveva lavorato per contrastare gli alieni, Ryou aveva perso la famiglia e fatto da cavia da laboratorio per salvare la Terra.

E adesso lui aveva l'impressione gli stessero chiedendo di dimenticarsi di ogni cosa, scostarsi e offrire il passo agli stessi invasori che aveva sfidato.

Ichigo al contempo non riuscì a non trovarlo esasperante, più dell'ultima volta proprio Ryou era stato nell'azione e al suo fianco c'erano state le MewMew come i jeweliriani:

« … Per te non ha contato niente tutto questo tempo? »

« Vuoi chiedermi scusa, vuoi farmi la predica o vuoi starmi vicina, Ichigo? Cosa vuoi? »

Il biondo sostenne il suo silenzio indeciso e scostò con stizza le mani dalle sue tornando a guardare fuori.

« Sai che c'è?! »

Proruppe lei e fece per uscire, ma si fermò con la mano sulla porta. Guardò ancora Ryou da sopra la spalla, fece dietrofront e l'abbracciò forte poggiandosi contro la sua schiena. Il biondo ebbe un lieve sussulto mandando uno sbuffo mentre lei aumentò la stretta affondando il naso tra le sue scapole; lui fece il sostenuto per un po', ma alla fine si arrese e posò una mano sulle sue accarezzandole piano.

« … You'll break my ribs, ginger… »

« Da quando sei diventato così delicatino? »

Borbottò lei da dietro la stoffa e Ryou sospirò divertito, godendosi per un po' l'abbraccio energico della rossa. Ichigo inspirò a fondo il profumo della maglietta, profumo di sapone e del deodorante del biondo, quindi mormorò:

« Che farai? »

« Ascolterò quello che ha da dirmi quella donna, per cominciare. – rispose asciutto – Poi vedrò. »

Ichigo avrebbe voluto replicare in qualche modo, o trovare le parole per essergli di sostegno, o solo spezzare la tensione che avvertiva provenire dal ragazzo; la sola cosa che le riuscì fu rimanere dove si trovava: non poteva capire fino in fondo il suo tormento, ma poteva rimanere lì ad abbracciarlo.

 

 

***

 

 

Minto mise il bell'abito che le avevano consegnato per la cerimonia nell'armadio e richiuse l'anta appoggiandovisi con entrambi i palmi, sospirando pesantemente. Aveva sentito Purin dalla stanza accanto strillare qualcosa circa l'andare all'esplorazione per il Palazzo e la città, ma lei aveva declinato, il suo umore non era davvero dei più adatti a fingersi allegra per altro tempo.

La notizia sulla possibilità di tenere aperto il passaggio le aveva fatto piacere in un certo senso, avrebbe sentito la nostalgia dei loro nuovi soci, di quella peste sbruffona di Taruto, di MoiMoi, di Sando, di Lasa e Iader, anche di Eyner – pur se ultimamente avesse perso punti nella sua classifica di apprezzamento, dopo averlo visto stretto alla sua onee-sama – però più che la contentezza era stata la confusione ad attanagliare lo stomaco della mora, che aveva lottato contro quel sentimento per tutta la giornata.

L'addio alla loro alleanza avrebbe significato dire addio anche a lui e pur se l'idea le pungesse in modo lancinante la gola, una parte di sé si sentì sollevata: il non vederlo più le avrebbe permesso di accantonare come errore inspiegabile e trascurabile la follia che l'aveva colta la sera precedente, nella penombra buia dietro quella tenda, follia al cui pensiero lei avvertì ancora il cuore rimbombare e la pelle incendiarsi.

Piantala.

Ripensarci non avrebbe cancellato la cosa. Né avrebbe cambiato la situazione.

La sua memoria, traditrice, le ricordò la stretta tremante di Kisshu il giorno che Ichigo lo aveva respinto definitivamente, e per l'ennesima volta la parola follia le fece eco nel cervello.

Solo una follia senza senso.

Una cosa che non si ripeterà.

Nel dirselo, detestandosi, capì che le risultò più difficile digerire quella cruda verità, che non l'aver perso la ragione la sera prima.

Sospirò stanca e uscì vagando a caso con obbiettivo il giardino interno che aveva visto dalla finestra. Le ci vollero dieci minuti e un paio di svolte sbagliate e confronti con vicoli ciechi prima di trovare i tre gradini che scesero di mezzo piano portandola nel cortiletto, posizionato come altezza a metà strada tra il secondo piano e il pian terreno del Palazzo.

Un silenzio sonnolento avvolgeva un praticello fiorito circondato da un porticato ombroso e una panchina bianca con alcuni rampicanti che ne risalivano pigri la base. La mora riuscì a rilassare appena le spalle inspirando a fondo e chiuse gli occhi mandando indietro la testa; le sue labbra si chiusero in una linea sottile, soffocando il lamento che sfuggì alla mewbird: le era bastato socchiudere le palpebre che nella sua testa erano balenati un paio di penetranti occhi dorati, intanto che il centro del suo addome si era accartocciato come una pallina di carta nella cenere.

« Eccoti finalmente. »

Minto pregò di essere arrivata ad uno stadio di allucinazioni uditive. Si voltò lentamente e affondò un tacco nell'erba per impedirsi di fuggire, le viscere che si rattrappirono vedendo il ragazzo dai capelli verde scuro spuntare lento da dietro le colonne.

« Che ci fai qui? »

« Ti cercavo. »

Rispose Kisshu semplicemente. Minto retrocesse d'istinto di un passo al suo avvicinarsi e tese le braccia lungo la vita:

« Mi hai trovata. – sbottò – Cosa vuoi? »

« Parlarti. »

« Non ho niente da dirti. – tagliò secca – Quindi se non ti dispiace… »

« Cornacchietta. »

Lei incrociò le braccia sollevando la testa irosa, scattando indietro per allontanarsi da lui che le aveva sbarrato la via di fuga per tornare dentro.

« Hai finito? »

« Potresti cortesemente smetterla di scappare? »

« È maleducato rispondere ad una domanda con un'altra domanda. »

Kisshu scoprì i canini candidi:

« Che strano, stai trovando qualcosa che ho detto maleducato. »

Lei contrasse la mascella rabbiosa incurante dell'angolo della bocca del verde, piegato appena in un sorrisetto.

« Dobbiamo parlare di ieri sera, cornacchietta. »

« Finiscila. – sibilò con un brivido che le guizzò lungo la spina dorsale al nomignolo – Non c'è niente da dire, comunque. »

« Non lo definirei proprio "niente" quello che è successo. »

Puntualizzò. Minto s'impose di ignorare la voce di lui che si era abbassata così magnificamente, così come si contrappose ostinata al suo sovrastarla con tutti i centimetri di differenza in suo possesso, lo sguardo dorato puntato fisso in quello nocciola.

« Tutt'altro. »

« Un errore. »

« Gran bell'errore. »

Rise lui piano.

« Non aveva alcun significato – insisté la mora cupa, ma dovette distogliere gli occhi dal suo viso – Farò finta non sia successo, e dovresti farlo anche tu. »

« … Perché? »

Le chiese piano e Minto non rispose. Tentò di sorpassarlo, ma lui con un passo di lato le bloccò di nuovo la strada continuando a fissarla; la mewbird invece ammirò l'erbetta verde desiderando solo che se ne andasse.

« Io non voglio farlo. »

Disse pacato. Minto si contrasse lievemente, un battito sordo che le vibrò fino al timpano.

E per quale ragione?

« … Non m'interessa. »

Il verde piegò la testa scrutando il suo viso corrucciato e fu come se qualcosa lo avesse colpito proprio al centro del petto. Qualcosa di grosso e dalla punta ben affilata.

« Guardami per favore. »

« No. »

La mewbird gli diede la schiena, testarda.

Non poteva voltarsi. Se lo avesse guardato ancora, anche solo per un secondo… Lei…

« Cornacchietta. »

Si sentì afferrare per una spalla e fu costretta a girarsi, ma non alzò lo sguardo.

« Ti prego… »

Lui pregava? Lui osava parlarle con quel tono di supplica, quando l'unica che stava male era lei?

« Mollami, Kisshu. »

Non doveva cedere. Doveva restare ferma, non farlo avvicinare, o non avrebbe…

« Minto. »

La mora sussultò e si conficcò le unghie nei palmi.

Così non è giusto.

« Tutto ad un tratto ti ricordi il mio nome? »

Sussurrò livorosa, ma Kisshu non badò al suo tono aspro.

Le prese con dolcezza il mento per baciarla, ma appena le ebbe sfiorato le labbra la sentì emettere un singhiozzo secco e schiaffeggiargli la mano per cacciarlo via.

« Non… Farlo più… »

Lo spinse via con più forza squadrandolo in cagnesco, ma nonostante il cipiglio gli occhi scuri apparvero lucidi e la voce – dannazione, non riuscì a controllarla – tremò:

« Non baciarmi… Più… »

« Min- »

« Non farlo mai più…! – si odiò quando si rese conto di piangere – Perché se tu… Non provi niente per me… Non posso sopportare che tu mi baci ancora…! »

Lo spostò di lato con entrambe le braccia e corse via, per il corridoio e poi ancora fuori dal Palazzo fino alle strade poco affollate della prima sera incombente. Corse ancora e ancora, facendosi bruciare i polmoni per l'affanno pur di mettere quanta più strada possibile tra sé e Kisshu.

Ma che sto facendo…? 

Si rese conto di essere arrivata al portale per la Terra; ci saltò dentro e caracollò fuori con il viso rosso e zuppo di lacrime, tentando invano di ricomporsi prendendo grossi respiri tremanti.

« … Complimenti, davvero un gran bel lavoro. »

Avrebbe dovuto apparire stizzita, distaccata, lapidaria nel rifiuto.

Non c'era che dire, un poverissimo fallimento.

Aveva fatto una figura miserabile da stupida ragazzina emotiva e tutto solo per…

Per cosa?

Si asciugò rabbiosa le guance, anche in un simile momento era in grado di mentire a se stessa, di convincersi che il fuoco nel petto era dovuto solo alla fierezza ferita?

No.

Basta.

Le sfuggì un risolino amaro.

Dovette riconoscerselo, aveva una pessima tempistica a livello sentimentale.

Sui soggetti era meglio sorvolare.

Inspirò un minuto intero per riprendere il controllo di sé, poi allungò la gamba per avviarsi mesta a fare due passi, ricomporsi e tornare a Jeweliria fingendo non fosse accaduto nulla di rilevante nelle ultime ventiquattro ore, quando qualcuno le afferrò il braccio.

« Ti prego dillo di nuovo. »

Lei sgranò gli occhi e rimase impietrita a fissare Kisshu che uscì dal passaggio. Il ragazzo aveva il fiato corto di chi si è messo a correre senza preavviso e il sorriso appena accennato di chi ha appena inteso ciò che mai avrebbe pensato.

« Ti prego. »

Minto non reagì che per pochi secondi, poi digrignò i denti e gli urlò contro:

« Cos'è, vuoi toglierti la soddisfazione fino in fondo?! – scostò la mano come a volergliela staccare – Hai capito benissimo! »

Lui non si arrabbiò come aveva pensato lei, anzi le sorrise di più:

« Tu invece non hai capito un accidente. »

La vide trattenere il fiato e spalancare gli occhi scuri. Un lampo infinitesimale di comprensione, e un lieve rossore di gioia.

Tutto volatilizzato in un microsecondo.

Con un verso di stizza Minto afferrò il suo ciondolo, si trasformò e schizzò via senza nemmeno voltarsi indietro. Kisshu aspettò un momento e rise sotto i baffi, sollevandosi da terra:

« … Ma se lo ricorda che posso volare anch'io? »

 

 

Minto sfrecciò sopra i grattacieli di Tokyo come mai aveva fatto in vita sua, incurante del ragazzo alle sue spalle che la tallonò:

« Vuoi fermarti un secondo, accidenti a te? »

Lei rispose digrignando i denti e accelerando l'andatura dandosi senza sosta della sciocca.

Certo, metti le alucce! Non hai alle spalle un alieno in grado di levitare!

Il suo fuggire era stupido e lo sapeva, ma non riuscì a fermarsi; continuò a scappare, confusa, arrabbiata, troppo orgogliosa per ammettere di comportarsi in maniera irrazionale e decidere di issare bandiera bianca.

« Vattene, Kisshu! »

« Non esiste. »

Lo sentì ridere allegro e si domandò furiosa cos'avesse da essere così contento, ponderando seriamente di ferirlo in modo fisico.

« Ti ho detto di lasciarmi in pace! »

In tutta risposta Kisshu le si teletrasportò davanti bloccandole la strada:

« Ora ti fermi. »

Minto sbandò lievemente indietreggiando e respirò più forte, al colmo della rabbia; fissò il ragazzo senza sapere che pesci pigliare e di colpo scartò in basso, infilandosi in un vicolo laterale. Kisshu alzò gli occhi al cielo:

« Può esistere una creatura tanto cocciuta(**)? »

La mora continuò a saettare a zigzag fra gli edifici ritrovandosi in una zona familiare e si rese conto di essere arrivata a casa sua. Con una rapida discesa si portò sul prato del retro, sperando di non incrociare alcun domestico, e fluttuò a qualche metro dall'erba:

« Vattene ora! »

Fece imperiosa agitando il braccio e Kisshu si mise tranquillo le mani sui fianchi:

« Figurati se me ne vado. »

« Questa è casa mia! – sbottò – E ti dico che te ne devi andare! »

« Innanzitutto, non sono in casa tua ma sopra al tuo prato. Per essere precisi ci sto volando sopra, quindi a meno che non sia tua anche l'aria… »

La vide irrigidirsi dall'irritazione, i pugni serrati, la bocca stretta in un grido soffocato, la fronte corrucciata ed ebbe l'impulso di abbracciarla.

Si costrinse ad un solo sorriso e a farle segno di restare ferma: prima parlare, poi abbracciare.

Anche perché se le si fosse avvicinato in quel momento, con ogni probabilità avrebbe aggiunto un pugno alla lista di violenze concrete da parte della mewbird.

« E poi se me ne andassi, non potresti ascoltarmi. »

« IO NON VOGLIO ASCOLTARTI! »

Minto scacciò con una brusca manata le lacrime e scattò indietro senza girarsi e senza smettere di trucidarlo con lo sguardo:

« Voglio solo che tu te ne vada via! Vattene e lasciami in p- »

Kisshu non fece in tempo a fermarla e lei, continuando a volare in retromarcia e troppo in fretta, rovinò con un urletto tra le fronde di uno degli alberi che incorniciavano il giardino.

« Cavolo che botta! »

Il ragazzo si affacciò nel buco tra le frasche, ridacchiando:

« Sei ancora intera cornacchietta? »

Minto non gli rispose. Si accovacciò meglio tra i due rami che avevano fermato la sua caduta e chinò la testa piena di foglie e rametti, togliendosi appena l'eccesso dalla frangetta.

« Ehi… Ti sei fatta male? »

« Sto benissimo. »

Sussurrò con un filo tremulo di voce:

« Ora lasciami in pace per favore… »

Non le importò più manco che la vedesse piangere, peggio di così non poteva farla stare. Voleva solo la lasciasse sola e non le dicesse la bugia che pareva volerle propinare a tutti i costi.

Invece sentì la mano di Kisshu lambirle la coscia, mentre lui si appoggiò ad un ramo per potersi sporgere meglio verso di lei; la mora percepì il suo torace ad un centimetro dalle gambe e si rannicchiò un altro po' tentando di guadagnare prezioso spazio.

Lui insisté e le sfiorò la testa con l'altra mano, togliendo con un sospiro divertito una foglia da dietro l'orecchio:

« Credevo che le penne le avessi solo sulla coda… »

« Non sei spiritoso. » 

Lo sentì sorridere furbo:

« Per te non lo sono mai. »

Minto emise un singhiozzo strozzato e gli scacciò via la mano:

 « Per favore. »

Voleva scomparisse, immediatamente, all'istante, voleva svanisse e la lasciasse a sbollire la sua delusione sentimentale, averlo davanti agli occhi era una tortura per il suo cuore.

Ostinato Kisshu le sollevò con delicatezza il viso perché lo guardasse in faccia:

« Se non provo niente per te non devo più baciarti? »

Un sussurro simile ad una carezza, caldo e troppo gentile. Minto non lo degnò di risposta, tentando di voltare la testa lontano dall'oro dei suoi occhi.

« E se provo qualcosa per te? »

« Oh, ti prego! Questo non farmelo…! – eruppe sprezzante con un gemito secco – Non prendermi in giro! »

Si girò e lui la riagguantò per la guancia:

« Parlo sul serio. »

Minto si perse un istante a studiarlo. Non ci fu scherno né malignità sul suo volto, solo un sorriso disteso  nelle labbra sottili. La mora drizzò meglio la schiena e s'incaponì:

« Quello non è un valido motivo! »

Kisshu sbattè un istante le palpebre e sorrise più malizioso:

« Quello cosa? »

Si accostò al suo viso scoprendo i denti ferini:

« Parli di cosa succede se mi avvicino così? »

Le soffiò nell'orecchio e lei reagì spintonandolo rudemente, strangolando nei più profondi recessi di se stessa il brivido che le accese le vene:

« Qualunque cosa sia, non è una giustificazione! »

« Ne parli come se tu non reagissi… »

« Quello che faccio io non è affar tuo!! »

Gli urlò arrossendo infantile e strappandogli un sorriso più largo:

« Oh, sì invece. »

« Io non sono come te. – esplose con voce rotta – Io…! Io non posso…! »

L'espressione di lui si fece più seria e le afferrò il viso con entrambe le mani:

« Cosa? »

Minto non volle rispondere.

« Baciare qualcuno senza una ragione? Abbracciarlo, toccarlo solo per volerlo fare, uh? »

Lei cercò in ogni maniera di non incrociare il suo sguardo, ma ovunque si girasse finiva inghiottita da due abissi ambrati.

Ammalianti. Passionali. Brucianti.

Il verde fece una smorfia sarcastica piegando la bocca in un finto dubbio:

« Di solito non si inizia subito dalla parte divertente? »

« Sei solo un idiota!!! »

Urlò ancora più forte tentando di divincolarsi:

« Come… Come ho potuto?! – avvertì le guance più roventi dietro alle lacrime – Tra tutti…! Perché mai mi sono… ?! …Di un idiota come te?! »

Non se ne accorse, ma per un secondo Kisshu si irrigidì e allentò la presa sul suo volto mandando un lungo sospiro e sorridendo più dolce:

« Sei… Cosa? »

Minto si morse la lingua, conscia di aver detto due parole di troppo e scoprendosi incapace di affrontare il ragazzo o di scappare. Soffocò un singhiozzo quando lui, non trovando alcuna resistenza, rise basso e poggiò il viso contro il suo sfiorandole il naso:

« Sai, io volevo solo farlo. »

La mora corrugò la fronte:

« Di che parli? »

« Non sei capace di fare l'ottusa. »

La punzecchiò e Minto borbottò qualcosa a labbra strette cercando senza energie di allontanarlo.

« Volevo solo baciarti. »

« Non sono uno sfogo per i tuoi ormoni, bastardo che non sei altro. »

Gli sibilò funerea, la gola occlusa per colpa del cuore troppo veloce.

« Volevo baciarti perché sei tu, razza d'irascibile cornacchia bisbetica. »

La mora aderì talmente al tronco dietro di sé da conficcarsi la corteccia nella cute e trattenne il respiro, il corpo rigido come pietra che non le rispose più.

Kisshu mandò un sospiro divertito. Le si avvicinò piano, valutando una fuga dell'ultimo secondo per schivare pugni sul naso, e sentendo solo la ragazza tremare lievemente, irrigidita, si azzardò; prese a scivolare con le labbra sugli occhi umidi, sulla fronte, sulle guance, pericolosamente vicino alla bocca dove ricominciò bisbigliando:

« Cornacchia cocciuta… »

« Da che pulpito. »

« Antipatica, spocchiosa… »

« Stai tentando di dirmi qualcosa o mi stai solo insultando?! »

La situazione stava diventando paradossale e Minto ebbe quasi la tentazione di mettersi a ridere. Kisshu piegò la testa di lato, il solletico della frangetta della mora contro la sua, e sogghignò:

« Forte, coraggiosa… Inaspettatamente intraprendente… »

« Ma che stai dicendo… »

Borbottò la mewbird con sempre meno convinzione, incantata dalla melodia della sua voce calda.

« Con un corpicino da favola e un sedere che can- »

« Insomma! »

Kisshu rise un'altra volta e si fermò a guardarla fissa negli occhi:

« Sei assolutamente… Tu. »

Sorrise da un orecchio all'altro:

« E ti adoro. »

Si protese verso di lei e Minto tentò invano di indietreggiare, drizzandosi soltanto contro il tronco dell'albero.

« Sì, voglio toccarti. Voglio baciarti finchè non sarai tutta mia… E solo perché sono pazzo di te, dannata cornacchietta presuntuosa… »

Minto lo fissò boccheggiando; si sciolse appena, gli occhi che tornarono umidi:

« Non è vero… »

« Sì, invece. »

« E da quando, di grazia? »

« Mi pare di non aver mai nascosto di apprezzare la vista. »

Notò malizioso dando una guardata rapida alle sue cosce e lei ebbe un altro scatto nervoso:

« Maniaco imbecille. »                 

« Si chiamano com-pli-men-ti. »

« Non mi hai mai sopportata. »

Sbottò con tono che, per un microsecondo, a Kisshu parve dispiaciuto.

« Riesci a farmi saltare la mosca al naso, questo è sicuro. – ammise alzando le spalle – Neppure io ti sono mai andato a genio se è per questo. »

« … Non è vero. – concesse lei in un sussurro, l'orgoglio che le bucherellò lo stomaco – Sei molto irritante, però. »

« Mi trovi adorabile. »

Sorrise il verde con una certa soddisfazione.

« Quando mai? »

« Irresistibile. »

« Cos'è, una seduta di insulti per la sottoscritta ed elogio al tuo ego? »

« Ti adoro ha un altro significato dalle tue parti, o vuol dire sempre sono pazzo di te, razza di testona? »

Minto arrossì un altro poco:

« Così, all'improvviso? »

Kisshu sollevò un sopracciglio divertito:

« Mi sembrava fosse maleducato rispondere ad una domanda con un'altra domanda. »

L'occhiataccia mogia della mora lo fece desistere dal proseguire a punzecchiarla e sorrise solo:

« No. Anzi, temo da parecchio tempo. »

Minto mandò un respiro secco:

« … Temi? »

« Non sottilizzare, passerotto. Mi hai capito. »

« … Da quando…? »

Kisshu ci riflettè qualche istante, giocando con uno dei gonfi ciuffetti che lei portava davanti all'orecchio:

« … Credo da quando ti ho baciata nel bosco. »

Soppesò distratto e Minto previde di svenire lì dove si trovava:

« E in due mesi te ne accorgi adesso? »

« Lo hai detto tu, sono un idiota. »

Lei arrossì dolcemente, ringraziando che non le avesse rivolto la stessa domanda a cui lei, preoccupata, immaginò avrebbe dato quasi la stessa risposta. Kisshu cercò di nuovo di raggiungerla, Minto però scostò ancora la testa:

« … Ho paura. »

Sussurrò inudibile e si fissò le ginocchia.

Tutto, tutto, tutto, dalla bocca alla voce del ragazzo, alle mani che l'avevano stretta, fin alle sue parole, ogni cosa le diceva che lei non stava sbagliando, che ciò che stava ascoltando non era detto tanto per dire. Era onesto come solo il debosciato che aveva di fronte sapeva essere, talmente sincero da far arrossire il più spudorato dei bugiardi e tanto intenso da darle le vertigini.

Ma una vocetta maligna le ricordò chi avesse seguito fino a poco tempo prima lo sguardo languido che Kisshu stava rivolgendo a lei, e non riuscì a farla tacere.

« Se cambiassi idea, se tornassi… »

Sospese le parole e un'ondata di gelosia le prese la gola, tanto che non riuscì a completare la frase e a pronunciare il nome di Ichigo.

« Se tornassi indietro – mormorò allusiva e sentì Kisshu mandare un lievissimo grugnito, intuendo infastidito il senso velato – impazzirei. »

Osò alzare lo sguardo e vide il verde sorriderle con una dolcezza che mai avrebbe pensato gli appartenesse:

« Impazzisco io, se mi cacci via. »

Minto emise un bizzarro singhiozzo di gola, un misto tra pianto e risata e gli si aggrappò alla maglia. Kisshu ricambiò la stretta e sogghignò:

« Allora ho vinto io? »

Minto si limitò a guardarlo storto:

« Sai che pagherai per tutto questo, uh? »

« Sul serio? »

La sentì schioccare la lingua stizzita, corrucciata come se osteggiasse i leggeri baci che le tracciò sul collo quando invece i brividi sulla pelle nivea indirizzarono a tutt'altro.

« Certo. – borbottò fioca – Sconterai ogni singola battutina. »

« Bene. »

Sorrise mentre ghermì finalmente le sue labbra:

« Non vedo l'ora. »

 

 

***

 

 

Limpido sole di primavera.

L'abito da cerimonia e il regno pronto ad accoglierlo.

 

Alla fine del mondo mancarono appena sei anni e quattro giorni

 

 

 

Il vociare della piazza sottostante fu assordante. Lui deglutì, le mani sudate e la gola secca, fissando la luce proveniente dalla balconata con il medesimo terrore per un cerchio di fuoco in cui balzare.

« Hai paura? »

« Chiudi il becco Tayou. »

Sbottò. Il ragazzo biondo al suo fianco sorrise affettuoso e gli strinse energico la spalla:

« Sarai un grande sovrano, Nuvem. »

Si girò a guardarlo, cosciente di essere pronto a svenire, e rimirò gli occhi celesti così onesti, nobili e gentili che tanto lo avevano sempre sostenuto.

« Sei un sovrano, Nuvem. – si corresse e alzò il mendo con decisione – Il mio sovrano. E ti seguirò per tutta la vita. »

Nuvem gonfiò il petto fiero e gli strinse la mano:

« Grazie, fratello mio. »

Entrambi si voltarono alla sinistra di Nuvem. Luz, l'amorevole sorriso steso nelle labbra pallide, gli  cinse il braccio con gli occhi azzurri che brillarono:

« E io controllerò che nessuno di voi due faccia pasticci. »

Rise piano incurante dei loro borbottii e prese una mano di entrambi:

« Siete il mio orgoglio. »

Lei e Tayou guardarono Nuvem e tutti e tre si guardarono a vicenda.

Tre sguardi così simili, così diversi.

Gli occhi di Tayou che ricordavano il cielo, azzurri e infiniti, a volte insondabili.

Quelli di Nuvem, più freddi e duri, un po' tristi; erano l'inverno, l'aria tersa e il gelo del ghiaccio.

Quelli grandi di Luz che parevano vibrare, specialmente quando rideva, allegri e tersi come acqua.

Tre specchi cerulei in cui ciascuno di loro si riflettè e in cui seppe, qualsiasi cosa riservasse il suo destino, avrebbe sempre trovato rifugio e sostegno.

Di colpo la voce del sommo sacerdote Kilguk fu coperta dalla folla, che si zittì un secondo lasciando che alle orecchie dei tre giovani arrivasse la voce ferma del sovrano; il pubblico tuonò entusiasta.

« Nostro padre ci mette troppo poco a parlare. »

Bofonchiò Nuvem. I fratelli sorrisero e lo presero a braccetto uno per parte, quasi trascinandolo verso il balcone e lasciandolo andare solo quando sarebbe stato impossibile per loro non farsi vedere. Nuvem sentì la mano forte di Tayou spingerlo tra le scapole e la bocca soffice di Luz sfiorargli la guancia, mentre accecato dal sole venne accolto dal boato della popolazione e dalla parlata autoritaria di Gima:

« … E le nostre benedizioni a colui che quest'oggi erediterà il ruolo di 128esimo regio della casa Melynas. »

Il rombo della folla fu tale che il terrazzo tremò, e Nuvem ringraziò la mano del padre che gli afferrò il gomito tirandolo più alla vista dei presenti, dandogli sostegno prima che gli crollassero le ginocchia.

« Lunga vita a Nuvem Umiiro(**) Melynas. »

 

 

« Come hai potuto tradirmi così?! »

« Io avrei tradito te?! – la sua voce stridula parve volergli perforare le orecchie – Tu avevi fatto una promessa, e non l'hai mantenuta! »

« Nuvem…! »

« Non osare mai più pronunciare quel nome! – gridò rabbioso – Io…! »

 

 

Ancora, un lampo. Una cavità oscura e una luce al suo centro.

 

Non è finita… Non è finita…

Ancora… C'è ancora…

Ascoltami… Prima che sia t…

Prima che ti trovi…

 

 

 

Ichigo aprì gli occhi di scatto. La sua mente non riuscì a stare dietro al corpo che percepì le lenzuola morbide, la morbidezza del cuscino, il tepore del sole, invitandola a richiudere gli occhi senza riflettere su cosa l'avesse svegliata.

Si girò sulla schiena e sospirò, non ricordò con esattezza cos'avesse sognato, ma le era rimasta una sgradevole sensazione addosso assieme alle parole confuse e preoccupanti che l'avevano accompagnata fino al risveglio.

Ao no Kishi… Luz…

Si chiese perché di quel sogno. Gli Ancestrali erano stati messi al loro posto, loro avevano recuperato tutte le Gocce e i loro avversari non avrebbero avuto altre possibilità di trovarle, e pur se ne fossero stati in grado di farlo non sarebbero potuti arrivare a Jeweliria, dato che come Pai e gli altri avevano spiegato tempo addietro i loro permessi di accesso erano stati bloccati – e la rossa dubitò che i quattro simpaticoni ossigenati non si sarebbero ritrovati con tutta l'Armata ad accoglierli ad armi spiegate, nel paradossale caso in cui avessero tentato uno sbarco.

Per quale motivo allora vi ho sognati di nuovo?

Inoltre, dopo tanto, un sogno che riuscì a ricordare pur confusamente, ma in cui ancora non era stata in grado di vedere per bene il terzo dei tre fratelli.

Nuvem.

Frugò nella borsa ai piedi del suo letto e sfogliò veloce il taccuino che le aveva dato Kilig e che ormai portava sempre con sé. Il disegno di quel pomeriggio di giochi in giardino, di tanti e tanti secoli prima, ormai era sgualcito e stropicciato per le innumerevoli volte in cui la rossa lo aveva studiato, rigirato e ripiegato; i nomi di Tayou e Luz brillarono dell'inchiostro nero della sua penna a sfera, ma nonostante lo studio ancora la mewneko non aveva scritto chi secondo lei fosse Nuvem.

Nell'immagine in bianco e nero tutti i bambini le parvero uguali, di quando in quando dubitava perfino di aver apposto giusto il nome di Tayou.

« Dicevo solo che tu meglio di chiunque altro sapresti riconoscere Ao No Kishi. Se sei certa sia lui, è lui. »

Ricordandosi le parole di Ryou, Ichigo sorrise un poco. Si rigirò sulla pancia affondando la faccia nel guanciale e mugolando contenta della comodità, quindi sbirciò di nuovo il disegno.

Guardò distrattamente uno a uno i volti dei bambini e rimase un istante interdetta su uno di loro.

Era stato ritratto poco dietro Tayou. Aveva capelli liscissimi che gli sfioravano le piccole spalle e due ciuffi più lunghi ai lati del viso, un viso che pur sorridendo aveva un non so che di malinconico.

Ichigo non seppe perché allungò le dita nella borsa scovando la penna e poggiandosi al cuscino, con orrendo scricchiolio di carta, tracciò una lettera alla volta il nome Nuvem.

 « Nee-chan, sei sveglia? »

La rossa trasalendo  per la sorpresa ripiegò veloce il disegno e lo infilò sovrappensiero in borsa sbadigliando a Purin di entrare; la biondina spalancò la porta incurante dello stato di vestiario della rossa ed esclamò allegra:

« È quasi ora! »

« Potresti aprire con più discrezione – bofonchiò l'amica avvolgendosi le coperte addosso per nascondere il pigiama rosa – e comunque potevi anche svegliarmi prima! »

« Avevi detto che ti svegliavi da sola. »

Ribattè candida e un po' divertita la mewscimmia. Ichigo borbottò a mezza bocca e scivolò fuori dalle coperte correndo in bagno, non sarebbe stato carino arrivare in ritardo ad una cerimonia in pompa magna di fronte ad un intero pianeta.

 

 

***

 

 

« Sei in ritardo. »

« Non è vero, sono giusta! »

Ribattè piccata verso Minto e pregò in cuor suo che la mora la stesse solo punzecchiando, avvertendo intanto le orecchie feline pruderle minacciando già di sbucare per la vergogna della figuraccia planetaria.

« In occasioni simili un minimo di anticipo sarebbe educato. »

Le rimbrottò ferma e Ichigo le fece il verso infantile.

Aveva avuto non poche difficoltà ad indossare l'abito jeweliriano che le avevano dato. Ad una prima scorsa era un semplice ed elegante pezzo di stoffa sagomato, che le cadde morbido sulle spalle con uno scollo tondo stringendosi alla vita con una fascia color vinaccia, scivolandole poi sulle gambe fino a metà tibia: in realtà l'allacciatura per la parte superiore, nascosta all'interno, era un complicatissimo intreccio di nodi contro cui lei aveva lottato per quasi un quarto d'ora; poi era passata a litigare con le maniche che le avrebbero avvolto le braccia fin sopra al gomito con un'elegante arricciatura, creata con il più contorto sistema di plissettatura mai congeniato e che ad un certo punto la rossa aveva addirittura pensato di aver rotto, dall'inquietante rumore di stoffa che aveva causato tirandone i bordi.

Si domandò come avesse fatto Minto ad infilarsi il proprio abito. Il corpetto morbido, che non parve aver alcun tipo di chiusura, evidenziava il fisico minuto della mewbird e quindi scendeva in onde delicate fino sotto le ginocchia, ad occhio nudo senza un vero e proprio punto di divisione tra pezzo superiore e inferiore dell'abito; la sola cosa che la rossa intuì come fosse stata indossata fu l'ornamento allacciato al collo dell'amica, che le si poggiava sulle braccia e si chiudeva poi sulla schiena con due lunghi lembi di stoffa trasparente, coprendole la voglia in mezzo alle scapole e lasciandole al contempo scoperte le spalle, donando all'insieme un che di raffinatezza e unicità.

« Avrei preferito poter usare lo schermo, invece di perdere la testa a cambiarmi. »

Brontolò Ichigo e Purin sorrise sfoggiando l'abito simile a quello della mewneko, corto sulle cosce e meno scollato:

« A me piace – sorrise lisciandosi riverente le piccole pieghe delle maniche lunghe – e poi è stato facile, è bastato infilarselo dalla testa. »

« … Oh. »

La rossa la guardò torva, perché non ci aveva pensato anche lei?

« Ti capisco – la rassicurò Retasu aggiustandosi gli occhiali – non so… A cambiarmi per davvero mi sento in imbarazzo. »

Così dicendo cercò di alzarsi inutilmente la scollatura, tonda e raffinata, che le lasciava scoperte le spalle e il decolté mostrando la voglia rosata delle due focene, e tentò di assestare meglio la cintura alla vita che teneva insieme la maglia e la gonna sottostante, lunga fino alle caviglie, perché non evidenziasse oltre il suo fisico prosperoso come stava già facendo senza riguardo.

« Stai benissimo. »

Le rassicurò gentile Zakuro.

« Sì, ma detto da te non vale nee-chan! »

Ridacchiò Purin con un pizzico d'invidia e analizzò l'abito di Zakuro, che ne seguiva aderente il profilo lungo i fianchi allargandosi poi sulle gambe, strizzando l'occhio al fisico da modella; uno scollo stretto che scendeva da sotto le clavicole fin sopra all'ombelico, mostrando quei due seducenti centimetri di pelle tra i seni senza far davvero vedere nulla – e risultando forse ancor più ammiccante – e un  velo trasparente che avvolgeva il decolté e le spalle della mewwolf, girando dietro ma lasciandole scoperta la schiena.

« Ora non voglio più andare. Sembrerò orrenda di sicuro. »

Mugugnò rassegnata Ichigo facendo coro alla biondina e Zakuro si limitò a sospirare:

« Che sciocchezze. »

Sentirono un lungo e ostentato fischio seguito da una risatina provocatoria:

« Che bel gruppetto di bamboline. »

« Falla finita una buona volta. »

Lo freddò Pai astioso e Kisshu scrollò le spalle innocente:

« Era un complimento, possibile che da 'ste parti nessuno apprezzi i complimenti? »

« Grazie Kisshu nii-chan. »

« Non c'è di che scimmietta. »

« Non fai ridere. »

Gli sibilò Taruto, seccato della complicità dei due e odiando sentire il fratello riferirsi alla biondina con quel nomignolo.

Solo lui poteva dare alla sua Purin della scimmietta…!

In pochi istanti la sua espressione passò dall'arrabbiato al basito, per poi deformarsi in un'assurda boccaccia imbarazzata.

… Ma che sto pensando?!?

« Taruto-chan, non fare facce strane da solo che sei inquietante. – gli disse MoiMoi e ammiccò alle terrestri – Siete carinissime. »

Purin gli mostrò un sorriso radioso e piroettò vanitosa su se stessa.

« Anche voi state bene. »

Sorrise Ichigo al violetto che si compiacque del complimento.

« Non che avessimo molte scelte di vestiario. »

Sospirò Eyner facendo l'occhiolino.

Tutti e sei portavano la stessa divisa cobalto dalle rifiniture nere, evidentemente da cerimonia, e alle terrestri fece quasi strano scorgere gli alieni così coperti, abituate com'erano a vederli a pance scoperte. A comporre le divise, pantaloni dal taglio lineare sormontati da una giacca avvitata, chiusa in diagonale da una fila di bottoni neri; le maniche lunghe erano morbide, più larghe dal gomito e strette alla fine, dove si chiudevano svasate su polsini aderenti, neri come gli spallacci. Sul davanti avevano tutte un curioso simbolo, due piccoli semicerchi che ne sorreggevano un terzo più grande da cui spuntavano tre picche, lo stesso stemma che Ichigo aveva visto sui ricercatori e le guardie all'Archivio; Kisshu, Taruto, Eyner e MoiMoi lo avevano cucito sul lato destro, in basso, opposto alle mostrine dei loro gradi in alto a sinistra, mentre Sando e Pai lo avevano più in grande all'altezza del pettorale sinistro.

« Mi sento una mummia. »

Bofonchiò Sando infilando un dito nel colletto alto per allargarselo e MoiMoi, che indossava la versione femminile dell'uniforme – identica, eccetto per uno scollo a punta che terminava  appena sopra lo sterno e una gonna nera sopra pantaloni più attillati – lo guardò furbetto:

« Su, su, un po' di contegno colonnello. »

« Evita di prendere per il culo, capitano – gli sibilò sarcastico – o ti sbatto in cella di rigore fino a che non ti verranno i capelli bianchi. »

« Che palle. – borbottò Kisshu malizioso – Non vi si regge, potreste limitare i battibecchi amorosi a più tardi? »

Sando lo trucidò con lo sguardo e non si capì se fosse arrossito per l'imbarazzo o per l'impennata di pressione che gli diede la rabbia:

« Ripeti le ultime sei parole, moccioso, così ti stacco quella linguaccia e ti ci soffoco! »

« Tutta invidia perché l'uniforme sta molto meglio a Sando che a te. »

Puntualizzò divertito MoiMoi prendendo il braccio del verde e Kisshu piegò indietro la testa melodrammatico:

« Non è il mio look senpai, che posso farci? »

Eyner sospirò divertito e guardando l'amico ridacchiare fu tentato di chiedergli cosa gli fosse successo, visto che in meno di una giornata era passato dalla faccia di un condannato al patibolo ad un costante e irritante sorrisetto; la vena che pulsò sulla tempia di Pai, però, lo fece trattenere e proseguire:

« Dove sono Shirogane e Akasaka? »

« Eccoci. »

Sorridendo cordiale il pasticcere uscì dalla sua camera, Ryou immediatamente dietro di lui; a loro avevano dato un paio d'abiti dello stesso taglio delle divise dell'Armata, ma di color bianco sporco con rifiniture grigio scuro e senza mostrine o stemmi. Ichigo ebbe un breve batticuore, Ryou stava maledettamente bene vestito così, ma la sua espressione corrucciata le fece soffocare ogni complimento.

« Come sei elegante Akasaka nii-chan! – trillò Purin ammirata – Dopo ti portiamo da Sury-chan. Minimo ti chiede di sposarla sul posto. »

« Ehi. »

La biondina ghignò allegra allo sbuffo di Eyner e MoiMoi ridacchiò:

« Su, muoviamoci. Prima si comincia prima si finisce. »

« Non sarà mai troppo presto. »

« Quanto la fai lunga Sando. »

Sospirò il violetto rassegnato ai suoi mugugni, e mentre si avviarono gli sussurrò malizioso, che non lo sentissero gli altri:

« E dire che sei così sexy con la divisa… »

« Vai a farti un altro sonnellino di due anni nella vasca rigenerativa – gli ringhiò l'altro sottovoce, le orecchie scarlatte – hai qualche danno celebrale. »

Fecero il percorso opposto al pomeriggio precedente e attraversarono i cortili interni deserti. Sando aprì la strada a passo svelto, borbottando per tutto il tempo, MoiMoi, Keiichiro e Ryou immediatamente alle sue spalle, l'ultimo con la mascella così serrata da temere se la rompesse.

Gli altri li seguirono con andature diverse, sparpagliandosi un poco, specie le ragazze che iniziarono a rallentare forse per la tensione; solo Zakuro avanzò tranquilla, le braccia conserte, la testa alta e lo sguardo fisso di fronte a sé, tradendo un infinitesimale nervosismo solo dall'indice che continuò a far ruotare in cerchietti sopra il gomito.

« Fai uno dei tuoi sorrisi professionali e sarai perfetta. »

Scherzò Eyner affiancandola. Lei alzò appena un sopracciglio:

« Credevo non ti piacesse la Zakuro sorrisini e risatine. »

Lo punzecchiò.

« Diciamo che ora so che sorride anche la Zakuro musona – persisté scherzando – ma quella preferisco rimanga per me. »

« Non siamo migliorati a complimenti. »

Ribattè lei, le labbra morbide piegate in un sorrisetto divertito, ed Eyner le posò discreto una mano sulla vita:

« Vedi che con il tempo migliorerò. »

« Potresti iniziare adesso. »

Lo stuzzicò vedendo come la rimirasse fin troppo eloquente da capo a piedi e il bruno sorrise furbo:

« Meglio se non sente nessuno le mie opinioni sul tuo vestito. – disse con voce roca – Questo devi tenerlo. »

Zakuro sbuffò divertita ricambiando in silenzio con un'occhiata maliziosa.

Poco lontano Minto studiò i due e percepì la tipica gelosia per il suo idolo, vedendone il volto sereno e ascoltando la risata abbozzata. Avrebbe potuto contare sulla punta delle dita le volte in cui Zakuro era stata così e aveva sempre vissuto la cosa come un'esclusiva sua e delle ragazze; faticava davvero ad accettare che succedesse con qualcun altro.

Si sistemò un ciuffo dietro l'orecchio sospirando e mise su un piccolo sorriso, contagiata da quello lieve della mewwolf.

Se lei è contenta, io sono contenta.

Però si sarebbe premunita di illustrare a Eyner tutte le eventuali conseguenze dello spezzare il cuore alla sua onee-sama, compresa la rottura della spina dorsale tra la prima e la settima cervicale.

« 'Giorno. »

Minto sussultò sentendo il soffio della voce di Kisshu sul collo. Lo guardò e si scoprì a deglutire un poco, la mente che fu attraversata in un lampo dal ricordo del pomeriggio precedente; riuscì a replicare solo con un cenno della testa.

« Sei proprio elegante passerotto. »

Si ascoltò dire un po' più basso di quanto avrebbe voluto e gli sfuggì un sorriso, scorgendo un leggero rosa acceso sulle gote della mora:

« Uh… Grazie. – lo studiò di sbieco – Anche tu, incredibilmente. »

In realtà Minto trovò che al verde stessero molto meglio abiti più aderenti, che ne valorizzassero il fisico atletico, e nel pensarlo si vergognò dandosi della sciocca per simili riflessioni da adolescente in tempesta ormonale.

Non vorrai ridurti al livello di Ichigo, voglio sperare!

« È fantastico come tu sia riuscita a dire una bugia di circostanza condendola con un insulto. »

Lei arricciò il naso infastidita e Kisshu sogghignò, rendendosi conto solo allora di quanto trovasse adorabile quel suo musetto irritato:

« Cornacchietta incontentabile. »

« Credevo che ieri avessi imparato il mio nome. »

« Mmm, sì, ma teniamolo per altre occasioni. »

Allo sguardo confuso della mora i suoi occhi brillarono provocatori:

« Magari per un altro tête a tête dietro una tenda. »

Lei gli assestò un pugno sulla spalla dandogli del deficiente e zampettò imperiosa verso Ichigo e Purin, ascoltando il ragazzo lamentarsi teatrale tra una risata e l'altra.

Pai, che aveva assistito allo spettacolo dalle loro spalle, non seppe se sentirsi più dispiaciuto per la mewbird che aveva deciso – immaginò, spontaneamente, e la cosa fu ancor più assurda – di condividere del tempo con Kisshu, o domandarsi come non avesse fatto ad accorgersi del fratello e di lei. Scorse con la coda dell'occhio Taruto, accanto alla mora e alle altre due MewMew, e lo vide brontolare per l'appiccicarsi di Purin con talmente poca veemenza da risultare comico.

Il moro sospirò rassegnato roteando gli occhi.

Che diavolo fanno a noialtri queste terrestri…?

« Sei pensieroso. »

La constatazione di Retasu lo distolse subito dalle sue valutazioni, e quando incrociò il sorriso timido della verde si ripetè la medesima domanda di poco prima; non trovò risposta e potè solo sorridere anche lui, arreso all'evidente ascendente che possedevano quelle ragazze e scrutando la mewfocena affascinato:

« Stai davvero bene. »

Disse quasi sovrappensiero, vedendola continuare a tormentarsi il vestito a disagio, e si convinse di non aver detto l'aggettivo che davvero gli aveva attraversato la mente seguendo la sagoma morbida dietro la stoffa, solo perché di certo la verde si sarebbe fatta prendere dalle palpitazioni. Ovviamente il complimento vago sortì quasi il medesimo effetto:

« N-non… Non ti ho chiesto questo… »

Balbettò lei giocando con l'astina degli occhiali e avvertendo la pelle incresparsi sotto il penetrante viola dei suoi occhi, che l'osservarono troppo intensamente per non arrossire.

« Stavo solo riflettendo. »

« Questo l'avevo intuito. »

Ribattè la verde piano, inspirando a fondo e rilassandosi.

« Niente di particolare. »

Rispose lui. Retasu sospirò e studiò il suo profilo alla ricerca di indizi di una bugia, ma l'espressione del moro fu serena e pacata e la mewfocena annuì non chiedendo altro, concedendosi di camminargli un po' più vicino.

Raggiunsero la parte opposta del Palazzo Bianco quasi per incanto. Nonostante la loro presenza da quelle parti da settimane le ragazze non avevano mai notato l'enorme piazzale che si estendeva alle spalle dell'edificio e che passando intravidero da una delle finestre.

Assieme ad una folla rumoreggiante che stipò ciascun centimetro del loro campo visivo.

Ichigo avvertì un brivido lungo le spalle, arrivò a pensare che il sogno della notte fosse stato premonitore.

« Non… Dovremo mica parlare di fronte a tutta questa gente, vero? »

Domandò titubante indicando fuori.

« È quello il tuo pensiero? – chiese in un rantolo preoccupato Retasu – Io non sono in grado nemmeno di rimanere due minuti lì fuori! »

Le tremarono le ginocchia, non avrebbe mai potuto affrontare gli sguardi della fiumana che aveva intravisto.

« Dai Reta-chan, basta che fai finta che non ci sia nessuno. »

« Facile dirlo, Eyner. »

Gemette e arrivò quasi a fermarsi, sentendo poi il palmo caldo di Pai sospingerla incoraggiante contro la curva della schiena; si scambiarono un'occhiata e lei, sospirando, si rimise dritta affrettandosi.

« Non si dice in questi casi di immaginarsi il pubblico in mutande? »

« Dubito che aiuterebbe nel mio caso, Purin… »

« Che razza di suggerimento sarebbe? »

Domandò Eyner tirato.

« Io lo vedrei più come un motivo di distrazione. »

« Tutto sta da chi vedi in mutande, Kisshu. »

« MoiMoi, non dargli corda…! »

« Sì, in effetti senpai… Dubito sarebbe una bella immagine tutto il Consiglio Maggiore in mutande. »

Taruto e Purin esplosero in risate e versi di disgusto, con Sando e Pai che squadrarono i presenti con arie feroci:

« Fatela finita tutti quanti. »

« Vi faccio vedere io, ma i sorci verdi, se non vi date una regolata! »

MoiMoi ringraziò il loro arrivo a destinazione prima che Sando passasse dalle minacce verbali a quelle fisiche.

Scorsero un piccolo gruppetto di persone fuori da un'apertura nel corridoio, l'accesso ad una balconata da cui il vociare sottostante rimbombò forte, e i jeweliriani si misero sull'attenti in segno di saluto imitati dai terrestri, che fecero qualche inchino educato.

« Salve a tutti. »

Meryold sorrise garbata incrociando con lieve curiosità lo sguardo di Keiichiro, che s'inchinò più profondamente presentandosi:

« Akasaka Keiichiro. Sono onorato dell'invito che mi avete concesso. »

La donna ricambiò con un cenno silenzioso.

« Nessun onore. »

Dal gruppo Teruga sorrise avvicinandosi e ammiccando appena verso le terrestri:

« I nostri sono solo ringraziamenti. »

Le ragazze studiarono alle sue spalle i quattro ancora presenti e dedussero di essere al cospetto dei Membri Ristretti; al pensiero Ichigo iniziò ad innervosirsi.

Riconobbero solo Ronahuge, per l'instante in cui l'avevano intravisto uscire furente dalla sala del Consiglio Maggiore, ma quando gli altri tre si fecero appena avanti per presentarsi, la voce aspra del generale li bloccò:

« Basta convenevoli – tuonò deciso – sappiamo tutti chi sono questi marmocchietti, e non credo che a nessuno di loro interessi sapere vita, morte e miracoli di ciascuno di noi. »

Il generale Stahl evitò di commentare, mentre l'altro ufficiale al suo fianco schioccò la lingua seccato; Meryold e Teruga si limitarono ad annuire divertiti e l'altro giovane consigliere rise in modo più evidente.

Ronahuge fece un passo verso le ragazze squadrandole e queste, nessuna esclusa, si ritrassero appena: l'uomo apparve ancor più grosso e minaccioso da quella distanza e con quella calma, specie con la divisa da cerimonia che ne esaltò il fisico imponente.

« Guardate che non mordo. »

« Non credo sia molto convincente, nobile Ron. »

« Fai meno lo spiritoso Thugar. »

Sentenziò funereo e il giovane consigliere dai capelli azzurri si mise una mano di fronte al viso per trattenere una risata leggera. Il generale alzò le iridi bronzo verso Kisshu e gli altri:

« Su, voialtri: la conoscete la manfrina. »

Indicò fuori con il pollice e tutti loro si avviarono sul balcone assieme ai Membri Ristretti, eccezzion fatta per Meryold e Ron. Ichigo si scambiò un'occhiata con le amiche e i due scienziati, nervosa nel rimanere sola alla mercé della popolazione, e Ronahuge rise secco:

« Sorridete, avanti, so che potete farli con quelle vostre belle faccine. – disse divertito – E non fate nessun numero come l'ultima volta. »

Puntò l'indice dell'enorme mano destra contro il naso di Ichigo:

« Sono stato chiaro, signorinella? »

« Non dirò una parola. »

Tartagliò terrorizzata. Meryold sospirò condiscendente e posò una mano su quella dell'uomo, che grugnendo si avviò fuori; la donna guardò i terrestri con gentilezza:

« Seguitemi. »

Il consigliere fece da apripista. Dopo un istante di cecità data dalla luce le ragazze videro i Membri Ristretti disposti sulla destra di un enorme balconata che si affacciava sulla piazza sottostante; Kisshu e tutti gli altri erano messi in riga sulla sinistra, leggermente più indietro, e Meryold li additò per indicare ai terrestri dove mettersi. Con fare goffo Ichigo seguì le direttive piazzandosi un po' a caso vicino agli alleati e sentì una stretta decisa sul suo braccio e su quello di Minto, accanto a lei.

« Più avanti e un bel sorriso. »

Fece Kisshu spingendole avanti e poi tirandole più verso destra:

« Come se fossi sul palco a danzare, passerotto. »

La mewbird gli borbottò che non aveva bisogno di indicazioni su come apparire rilassata e Kisshu le sorrise divertito. Ichigo connesse stranita il loro scambio di sguardi e fissò l'amica con la mascella a mezz'asta, vedendola scostare il viso infastidita.

« Guarda avanti, micetta. »

Il nomignolo per poco non fece girare la rossa sul posto. Ichigo incrociò solo un istante il viso del verde che le rivolse uno strano sorriso, tra il rassegnato e il malinconico, e quindi con fare maligno le tirò un buffetto un po' energico sulla nuca:

« Avanti. Che poi al gattaccio sale la bile. »

Ryou gli scoccò un'occhiataccia:

« No, mi sfogo e aiuto Sando-san a strapparti la lingua. »

La mewneko non commentò nessuno dei due, accarezzandosi discreta la parte lesa e cercando il viso di Minto; vide le iridi castane guizzare alle proprie spalle, verso il ragazzo dagli occhi dorati, e poi tornare verso di lei.

Ichigo ripensò a quanto successo a Szistet tra sé e il verde e avrebbe voluto sprofondare, ma la mewbird le rivolse solo un sorriso sereno; alle sue spalle Ichigo scorse Zakuro, come sempre attenta ad ogni loro movimento, e l'occhiata allusiva che le lanciò convinse la rossa a limitarsi a ricambiare il sorriso di Minto.

Che Kisshu ricominciasse a rivolgere parola alla mewneko era qualcosa che la mewbird pareva aver già messo in conto e che, in una certa misura, trovasse accettabile. Il resto non era contemplato.

Quanto successo a Szistet era ormai successo, ma Ichigo non poteva rinvangare nulla per sentirsi meglio, pur per chiedere scusa a chicchessia.

Se la rossa non riusciva a perdonarsi per le sue azioni avrebbe dovuto tenere il dispiacere per sé. Non aveva alcun diritto di confrontarsi, rischiando di riportare dettagli che avrebbero fatto stare più serena lei, ma che avrebbero ferito Minto.

A volte anche il silenzio è una forma di gentilezza.

La rossa annuì verso Zakuro che le concesse un sorriso affettuoso, tornando poi al suo posto.

« Dopo però mi dai altri dettagli. »

Bisbigliò complice la rossa verso Minto e lei irrigidì le spalle a disagio:

« Scordatelo. »

Nel frattempo Meryold aveva iniziato un pomposo discorso che riassunse tutte le vicende fino ad allora, parlando anche di Ebode e degli Ancestrali, e poi ovviamente del Dono, la sua ricerca e la finale ricomposizione dello stesso, con la conseguente eliminazione della zona morente:

« Io stessa sono stata colpita dalle esalazioni tossiche – spiegò grave non scendendo in dettagli – come mi vedete qui oggi è segno di quanto si sia risolto, e che presto tutti i vostri cari ancora colpiti torneranno a casa. »

Un'ovazione calorosa proruppe dalla folla e le MewMew si sorrisero a vicenda di nascosto. Meryold però fermò l'entusiasmo con un cenno della mano e Ronahuge prese la parola:

« Non dimentichiamoci che gli Ancestrali sono ancora vivi e vegeti. – disse brusco – Avete sentito con le vostre orecchie cosa sono in grado di fare, e penso sia chiaro a tutti che non è nel loro interesse il nostro benessere. »

La folla parlottò piano, ma non ci furono all'apparenza pareri contrari.

« Questo per invitare tutti a non sottovalutare il loro gesto, né la loro pericolosità, e a non fare troppi voli di fantasia su un loro possibile dominio. »

Ci fu un applauso di pacato entusiasmo.

« In ogni caso – il viso serio di Ronahuge s'illuminò di un ghigno furbo – qualcuno si è preso la briga, nel frattempo, di ricordare loro di abbassare la cresta e non sottovalutare nessun membro dell'Armata. »

I soldati presenti rumoreggiarono sopra il vociare generale e Purin avvertì alle sue spalle Taruto ridacchiare compiaciuto.

Meryold riprese la parola e dopo una breve introduzione iniziò a chiamare i ragazzi uno per uno, scatenando un bel fracasso di volta in volta. Quando nominarono Eyner e Sando metà dell'esercito rombò come volesse tirare giù la balconata; al turno di Taruto le voci si fecero più giovani e il brunetto quasi arrossì, come se non si aspettasse tanta partecipazione, Pai invece parve indifferente all'applauso e rimase disinteressato al suo posto; mentre menzionarono Kisshu a Minto non sfuggì un consistente vociare femminile nel mucchio di applausi e alzò il mento irritata.

Meryold intanto proseguì con il suo discorso finché non annunciò:

« … Quindi a voi i nostri ringraziamenti. »

Ichigo sbattè le palpebre con un fremito lungo la gola, la donna stava indicando loro. Tergiversò un istante finché Eyner non la sospinse delicatamente in avanti contro la spalla, e la mewneko e gli amici fecero qualche passo in là così da vedere di sotto. La rossa avvertì il sangue sfuggirle dal volto, non aveva avuto la minima idea di quanto fosse grande la piazza sottostante, né di quanta gente ci fosse presente finché non la vide.

« Grazie. »

Ripetè Meryold e si chinò in una riverenza. Ronahuge, Teruga e Thugar fecero altrettanto con decisione, il generale Stahl con più pacatezza; l'altro ufficiale accennò appena con la testa.

Nella piazza per qualche momento non si sentì quasi rumore. Poi dal nulla qualcuno emise un lungo fischio di ammirazione e in pochi secondi si alzò un applauso caloroso ed entusiasta. I terrestri risposero lentamente, rigidi e agitati, e fecero un paio di inchini di contraccambio; Ichigo sentì la faccia deformata in un sorriso nervoso e le guance rosse d'imbarazzo, quasi come Retasu, mentre Zakuro e Minto parvero a loro agio e Purin iniziò ad agitare le mani salutando:

« Grazie a tutti! »

« Purin, non fare chiasso! »

Le sibilò Minto secca:

« Sto solo ricambiando. E tanto chi mi sente da quassù, nee-chan? »

« Vi prego. »

Supplicò Retasu morta d'imbarazzo e Ichigo le fece eco nervosa:

« Non voglio finire spiaccicata da quell'armadio ambulante del generale Ron! »

Bisbigliò cogliendo l'occhiataccia dell'uomo allo schiamazzo della biondina, ma lei non parve curarsene. Meryold le lasciò al loro applauso qualche minuto, prima di rifarsi avanti dando muto ordine di tornare ai propri posti; la donna riprese il discorso, però Ichigo non sentì una parola troppo sollevata di essere tornata al sicuro.

« Ti agiti per un nonnulla. »

« Ricevere un applauso da tutta Jeweliria è un pochino di più di un nonnulla, Minto-chan. »

« Stai scherzando vero? »

Sussurrò Retasu impallidendo.

« Senpai attenta a dire cose simili, o la pesciolina sviene. »

« Chiudete il becco tutti quanti. »

Sbottò Sando imperioso e tra mugugni e sospiri di sollievo tornò il silenzio in attesa che Meryold terminasse. Ichigo guardò di sfuggita Ryou accanto a sé, non lo aveva ancora sentito dire una sola parola dopo la secca risposta alla battutina di Kisshu.

« E adesso? »

« Adesso si festeggia, scimmietta. Sperando che il discorso di Meryold-sama non sia troppo lungo, mi si stanno già addormentando le gambe a stare dritto come un'asse… »

« Giuro che il prossimo che parla lo lancio giù dalla terrazza! »

 

 

***

 

 

La dimensione rimbombò dei suoi passi. Le teste bionde dei due ragazzi di fronte a lei le aprirono la strada in silenzio e quasi incuranti della sua presenza, ma Lenatheri non vi badò.

Svoltarono in una sala con un'intera parete di cristallo. In un angolo vide il terzo membro del gruppo, Lindèvi, squadrarla da capo a piedi astiosa, ma non commentò né la sua presenza né fece domande; Lena la studiò di sfuggita, le parve più emaciata dell'ultima volta che l'aveva vista, i capelli biondi avevano uno strano riflesso colorato e gli occhi azzurri le parvero spenti.

« Benvenuta. »

La voce di Arashi fece sussultare la mora; alzò lo sguardo verso il punto da cui lo aveva sentito parlare e il biondo accennò un sorriso gelido. Solo allora Lenatheri notò una quinta presenza alle sue spalle.

« Immagino già tu conosca i miei fidi asserviti. »

Una voce fredda e distaccata che parve giungere da un abisso inesplorato. Lenatheri temette le cedessero le ginocchia.

« Ma temo che tu conosca me solo di nome. »

Un'alta figura le si avvicinò e Lena, pur avendolo ad almeno cinque metri, indietreggiò con un balzo; lui stese un ghigno soddisfatto sulla bocca smunta:

« Sono onorato di fare la tua conoscenza, tenente Inetaki. »

La sagoma nella luce più piena apparve indistinta, appena trasparente, come avvolta da nebbia; le sole cose ben distinguibili furono i lunghi capelli neri e i crudeli occhi azzurri:

« Il mio nome è Deep Blue. »

 

 

 

 

 

 

 

(*) in portoghese significa "nebbia"

(**) « ……. »

Kisshu: « '-' ? »

*l'autrice lo guarda*

« … … »
Kisshu: « … *gocc*

*staaaa~are*

« … »

*lo indica con catarifrangenti, segnali di fumo, paletti luminosi dell'aeroporto e il cartellone di Las Vegas*

Kisshu: « non occorre tanto sarcasmo -.-""… »

 (***) scritto con i kanji di mare e di colore, quindi letteralmente color del mare.

 

 

 

 

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~

 

Ma quanto mi amate? Dai lo so che mi amate ♥  e io sono troppo buona così non va bene! Devo essere più cattiva!

K.i.S. *guardando le bozze dei cap futuri*: Ancora più di così?

Tutti: Che vorrebbe dire °-°?!?

Nulla nulla ^w^

Eh ci speravate che lasciassi gli Ancestralotti a morire nel loro angolino di solitudine! Invece no –w- questa fic ha una trama dopotutto…

Tutti: ah sì? Dove di grazia?

Bastard-… -.-**…

Nel frattempo mi premuro di far tubare i colombi *sta stappando le riserve di spumante per i prossimi 3 Capodanni* a far fare a Ryou un altro po' la figura del becero :3 e a far morire Eyn di epistassi xD

Eyn: sorvoliamo -\\- *è contento*

Kisshu: però non è giusto -.-"! perché l'ultimo arrivato s'è beccato la più gnocca?

Ichigo: che vorresti dire -___-**?!

Purin/Retasu: non è stato molto carino -.-"/ ç__-"

Minto: RIPETI UN PO', AVANTI +_+*

Kisshu: Sono obiettivo, obbiettivo.

See, fotografico…

Kisshu: ma ho ragione o no autrice?

… *ci pensa* … *annuisce*

Ragazze: str****

Lei fa la modella, mica voialtre! E tu Minto non ti lamentare, va!

Minto: per quello che ho penato fino adesso -.-"…

Kisshu: non sopportavi più di starmi lontana, vero tortorella ♥ ?

Minto: see certo -\\- vieni più vicino che così ti spezzo il collo, cerebroleso

A cuccia, andate a fare i vostri giochini da un'altra parte!

Sì sto sclerando pure io xD con sti due (non ne potevo piùùùù! Da quando aspettavo i colombi ♥    ) e vi giuro che se Sando e MoiMoi non la piantano mi verrà un infarto ♥      quanto sono tenerelli?

Sando: ma non abbiamo altri aggettivi -\\-**?! Porca di quella p…

MoiMoi: ^w^ *happy*

Kisshu *evilgrin* : occhio senpai che ti esplodono le coronarie ♥

Sando: io l'ammazzo!

 

Siamo arrivati ad un punto in cui io sono piena zeppa di bozze di idee stupide su questa linea xD sto sempre + pensando se non fare uno spin-off di qualche capitoletto a caso… Non credo se lo inculerà leggerà nessuno, ma mi dovrò sfogare prima o poi xD!

Il #martedìfangirl è sempre attivo e adesso è doppio ♥  ricordatevi oltre alla pagina di Dream-Marti quella di Ria_EFP :3

Un grazie di cuore a  Hypnotic Poison, mobo, Cicci 12 e LittleDreamer90 senza dimenticarmi dei lettori saltuari, dei lettori assidui che non trovano il tempo di commentare TUTTO il mio delirio xD come Jade Tisdale e a coloro che si azzardano a cominciare dall'inizio tutto questo ♥  vi adoro!

Baci a tutti!


Mata ne
~♥ !

Ria

 

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Capitolo 45
*** In the middle of crossing (part II) ***


Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: 
Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro recensioni. 
Farai felice milioni di scrittori. 

 

Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: Non essere indifferente!
Salva anche tu una tastiera da pazzoidi che le massacrano scrivendo come disperate! Non chiudere gli occhi, puoi salvare milioni di vite elettroniche.

 

 

 

 

 

Ragazzi io vi amo troppo –w-""… C'è talmente tanto fluff qui dentro che io sono diventata una pecorella morbidosa *w*

Ryou: e quale sarebbe il legame tra il fluff e il tuo essere diventata parte della stirpe ovina *gocc*?

Ho il manto morbido come il mio cuoricino ♥ 

Kisshu: ci crediamo tutti -.-"!

Piglia, piglia per il c…o, pensa piuttosto a goderti la pace finché c'è ^w^+ ti conviene!

Kisshu: lo sapevo °-°"!

 

Piccole note preliminari!

- Il passato di Ryou viene tutto dall'episodio 36 (ovviamente nella versione originale dell'anime) comprese le ragioni (poco chiare ^^"") dell'incidente che coinvolse i signori Shirogane, e ad eccezione del nome del padre di Ryou che mi sono inventata in quanto non pervenuto -.-""

- il titolo oggi è in italiano :D e viene dalla bellissima ♥  canzone di Eros Ramazzotti Tu Sei che avevo in loop scrivendo e che ho trovato perfetta per 'sto marasma zuccheroso (diciamo da metà in poi) giusto se volete mettervela come colonna sonora e crepare felicemente con me di diabete fulminante :3 https://www.youtube.com/watch?v=f58Wa-56YNw

 

Andiamoo

 

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Cap. 45 – In the middle of crossing (part II):

                Tu sei

 

 

 

 

« Complimenti a tutti per la presenza scenica. »

Iader rise basso ed esibì un piccolo applauso accogliendoli sull'uscita secondaria del Palazzo. Il gruppo aveva fatto presto a filarsela appena Meryold lo aveva congedato: i terrestri non avrebbero sopportato altre pompose cerimonie né esibizioni pubbliche e i ragazzi non parvero vedere l'ora di mettersi addosso qualcosa di meno soffocante della divisa.

« Le ragazze però hanno strappato più applausi di voi. »

« Non vale Iader-san, noi partivamo svantaggiati – scherzò Eyner – come fai a fomentare il pubblico con questi due sorrisi di marmo? »

Indicò Pai e Sando strappando le risate generali, indifferente allo sguardo assassino dei due.

« Iader, su… »

« Mamma, ma c'eri anche tu? »

Domandò Taruto, appena a disagio pensando ad entrambi i genitori in mezzo alla folla; Lasa gli sorrise dolcemente:

« Penso che chiunque potesse sia venuto a vedere, tesoro. »

Retasu si lasciò sfuggire un pigolio:

« Per favore non ricordatemelo…! Che vergogna… »

« E perché mai? »

Chiese la donna intenerita dal suo imbarazzo e Iader sogghignò:

« Vi hanno adorate. »

« A parte per i primi cinque secondi – ammise Minto con un sospiro – sinceramente mi stavo innervosendo anche io. »

« Ah, allora è servito. »

La mora scrutò Iader senza capire e quello ammiccando si mise due dita tra le labbra e fischiò forte; ci fu un silenzio allibito mentre Lasa sospirò tenendosi il viso con una mano.

« … Sei stato tu, pa'? »

« Ho cercato di fermarlo. »

Si giustificò la donna sorridendo rassegnata all'aria vittoriosa del marito. Purin esplose in una risata calorosa:

« Sei grande Iader-san! »

Pai si resse la fronte con il palmo, esausto:

« Non è possibile… »

« Perché borbotti? Su, non ho mica fatto niente di male, e per loro era il primo bagno di folla. »

Disse l'uomo tranquillo, e divertito dal figlio e dal suo fare scoraggiato.

« Voi siete abituati. »

« Veramente, se non ricordo male – sospirò Taruto – l'ultima volta che è successa una cosa del genere è stato al ritorno dalla Terra, e abbiamo rischiato il linciaggio… »

« Solo perché mi sono dimenticato di fischiare. »

« Papà. »

« Te lo giuro, Pai, da chi tu abbia preso questa totale assenza di ironia proprio non lo capirò mai…! »

Ci furono altre risate, tante date dalla rilassatezza per la fine della cerimonia.

Ichigo prese un lungo respiro per calmare il fiato corto e distendere le spalle; quando tornò a scrutare Ryou, dietro di lei, lo trovò serio e composto nel chiacchiericcio a cui perfino Keiichiro, dopo qualche presentazione, si era unito. La rossa si avvicinò all'americano e gli prese piano la mano, guardandolo senza una parola. Lui, sospirando, intrecciò le dita con le sue e le sorrise.

Alle loro spalle Ichigo intravide con la coda dell'occhio uno degli inservienti avvicinarsi a MoiMoi. I due parlarono fitto fitto pochi istanti, quindi il violetto sospirò e scosse appena la testa:

« Ryou-chan. Akasaka-kun. »

Il biondo incrociò il suo sorriso lieve e capì, la tensione che tornò a divorarlo. Annuì soltanto.

« Vi aspetta. – fece allusivo il violetto indicando l'interno del Palazzo – Vi ci accompagno subito. »

Non diede spiegazioni agli altri che quasi non si accorsero del rapido passaggio di battute e iniziarono ad avviarsi, quindi tornò verso i cortili. Keiichiro lo seguì sereno mentre Ryou si scambiò un'altra occhiata con Ichigo: protrasse a tacere, ma la stretta sulle dita di lei s'intensificò appena.

« Ichigo nee-chan, andiamo? »

« Sì, arrivo. »

Replicò la rossa non girandosi intanto che il resto del gruppo si allontanò verso la città; cercò gli occhi di Ryou sotto la frangia bionda, torvi e persi su un punto indefinito, lo baciò e gli sorrise incoraggiante:

« Ci vediamo dopo? »

Lui, sentendosi appena più rilassato, le sistemò un ciuffo dei codini e la baciò a sua volta lasciandole la mano:

« Ci vediamo dopo. »

 

 

***

 

MoiMoi condusse Ryou e Keiichiro nella zona delle dimore dei membri del Consiglio, percorrendola in tutta la sua lunghezza fino ad arrivare all'ultima porzione. L'alloggio di Meryold non apparve né più ricco né più povero degli altri e il biondo si domandò come MoiMoi potesse distinguere gli edifici, tutti uguali tra loro.

Meryold uscì come presagendo il loro arrivo e li accolse con il suo consueto sorriso garbato, facendo segno di avvicinarsi.

« Io vi aspetto qui – disse MoiMoi fermandosi qualche metro prima – in fondo, vuole parlare con voi due. »

Ryou si scambiò un'occhiata con il violetto e gli sorrise, cosciente di essere ancora in debito per l'astio che aveva dimostrato il giorno precedente:

« Grazie. »

Il ragazzo si limitò ad ammiccargli accomodandosi su un muretto basso poco distante.

« Meryold-sama. »

La donna osservò Keiichiro rivolgerle un elegante inchino e sorrise sottile; Ryou lo imitò legnoso.

« Perdonatemi per avervi convocati così presto. Sarà di certo un po' frastornante, una cosa dietro l'altra in questo modo – disse la donna raccogliendo le braccia sotto il seno – ma Shirogane-san ha espresso una certa urgenza di chiarezza. »

« Immagino possa capirmi. »

Ribattè piatto il biondo e il sorriso della donna si allargò:

« Certamente. »

Meryold prese a passeggiare pigramente verso i cortili interni seguita dai due terrestri, Keiichiro che buttò un'occhiata severa a Ryou per la sua ostilità a cui il biondo replicò fingendo di non notarla.

« Akasaka-san, Shirogane-san le ha accennato qualcosa? »

« Solo che la decisione dei Membri Ristretti di approvare l'apertura del passaggio è stata incentivata da alcune sue proposte, Meryold-sama. »

« Di cui sarebbe benaccetto avere più dettagli. »

« Ryou. »

Il biondo sostenne lo sguardo duro del suo tutore come un bambino cocciuto che non vuole smettere di fare i capricci e si morse l'interno della guancia, sforzandosi di tornare ad un atteggiamento più indifferente. Meryold rispose tranquilla:

« Siamo tutti concordi e consapevoli che il progetto di ritorno al Pianeta Azzurro da parte della nostra gente sia ormai archiviato. – iniziò senza scomporsi – Tuttavia, pur rimanendo Jeweliria la nostra casa, la Terra manterrà in eterno un legame con il mio popolo. »

I suoi occhi zaffiro incrociarono quelli celesti di Ryou che annuì più mansueto, concedendole l'appartenenza intrinseca delle loro due razze al medesimo pianeta.

« Shirogane-san, mi tolga una curiosità, chi ha sviluppato il m project in origine? »

Ryou si fermò di colpo contraendo la mandibola:

« Mio padre. Eiji Shirogane. »

La donna rimase in silenzio qualche istante:

« Era un genetista? »

« Archeologo. »

La corresse e notando il suo lieve stupore aggiunse:

« Scoprì delle rovine della vostra civiltà e alcuni scheletri di chimeri fossilizzati: intuì un futuro ritorno bellicoso degli alieni e iniziò a sviluppare un piano d'azione per contrastare l'invasione… »

S'interruppe stringendo i pugni, incapace di concludere e al contempo rimanere indifferente.

« Purtroppo uno dei fossili studiati dal dottor Shirogane è tornato attivo durante un esperimento. – intervenne Keiichiro piano – C'è stato un attacco e un incendio, il dottor Shirogane e la moglie sono rimasti coinvolti. »

Meryold non commentò, il volto serio e grave:

« Mi dispiace. »

Ryou deglutì appena e le fece un cenno di assenso.

« È stato Ryou a attuare il m project in modo effettivo – proseguì Keiichiro con una punta di orgoglio – e a svilupparlo individuando nel DNA dei Red Data Animal la chiave per invertire l'effetto della fusione con i chimeri parassita. »

« Con l'aiuto di Keiichiro. »

Aggiunse Ryou lievemente a disagio. Meryold rilassò appena in volto:

« Visti i risultati con Momomiya-san e le altre, non mi sarei aspettata di meno. »

Sorrise ammirata all'americano che chinò la testa per ringraziare senza emettere suono. Camminarono un poco avvolti da un silenzio calmo e poi Meryold riprese:

« Il colonnello Ikisatashi saprebbe spiegarvi meglio di me – fece pensierosa – e immagino, anzi, che le mie delucidazioni vi risulteranno tediose e sempliciste… In ogni caso, saprete, data la natura stessa del vostro progetto, quale fosse quella del nostro, e dei chimeri. »

« Colpire e mutare la fauna e l'ambiente aumentandone i livelli di tossicità, così da soppiantare la popolazione occupante. »

Annuì Keiichiro e a Meryold non sfuggì il tono calmo e distaccato che utilizzò per mantenere il discorso più neutro possibile; lo ringraziò dell'obiettività annuendo garbata:

« Pressappoco. – tagliò corto – È su questo che si sono basate le mie proposte. »

« Cosa intende? »

« Come ricercatori e terrestri lo saprete meglio di noi – sospirò la donna – la Terra è malata, Shirogane-san. Molte scelte di voi umani e lo sfruttamento ne hanno indebolito e a volte cancellato gli ecosistemi, portando il pianeta su una via da cui difficilmente riuscirete a fuggire. »

La sua voce monocorde non tradì l'accusa che il biondo si sarebbe aspettato, e lui lentamente approvò con il capo.

« Ma si potrebbe fare marcia indietro. »

Keiichiro e Ryou si fermarono. Meryold si era voltata verso di loro e il suo volto compassato si era acceso di una luce fervida:

« I parassiti che gli Ikisatashi utilizzavano possono essere sfruttati anche per fortificare un essere vivente; abbiamo svariati campioni di fauna e flora nei laboratori, portati dal Pianeta Azzurro prima del nostro esodo, che stiamo sviluppando per riequilibrare il pianeta e che confermano ciò.

« Eppure non siamo mai giunti ai livelli che voi avete ottenuto nel m project.

« La nostra tecnologia è più avanzata della vostra, ma le vostre intuizioni genetiche ci sorpassano. – disse con enfasi – Se unissimo le nostre conoscenze alla vostra ricerca… »

« … Si potrebbe impedire il collasso ecologico del pianeta Terra, non solo tamponare i danni. »

Riflettè Ryou ad alta voce concludendo il suo pensiero. Alzò la testa dal selciato verso cui si era chinato riflettendo e vide Meryold sorridere convinta.

« Ma… Per quanto sia cosciente delle capacità di Ryou – replicò Keiichiro titubante – e delle mie, nonché di quelle di Ikisatashi-san e di Luneilim-san… »

« Sono consapevole che non basti la ricerca. – annuì la donna – E per questo motivo arriviamo al fulcro delle mie proposte. »

Fissò allusiva i due sospendendo la frase. Ryou sgranò gli occhi:

« Vorrebbe che la vostra gente intervenisse su più ampia scala. »

« Non mi fraintenda, Shirogane-san, non sto parlando di uno spostamento in massa della popolazione.  Né di volerci intromettere nelle questioni terrestri. – lo fermò Meryold – Ma vi occorrono più alleati. »

« Cioè, vorreste introdurre alcuni di voi nel tessuto sociale per darci appoggio anche in altri ambiti? »

« Più o meno, Akasaka-san. »

Ryou fu pronto ad obbiettare e Meryold lo interruppe subito:

« Non si tratta di un progetto che può essere attuato in pochi mesi, temo neppure in pochi anni; inoltre non potrei mai permettere che esso sconvolga la popolazione terrestre. »

Prese un lungo respiro tornando più seria:

« Ciò che voi ora chiamate casa è, era e sarà sempre casa anche per noi. Collaborando, sarebbe mio desiderio che i nostri due popoli potessero sostenersi a vicenda per salvare quel pianeta che tanto ha significato, e ancora possiede valore, per noi e per voi. »

« La Terra è già abbastanza sovrappopolata – obbiettò Ryou più secco – non le pare che vada contro ciò che ha appena detto, introdurre nuovi individui? »

« Teme un'invasione dall'interno, Shirogane-san? »

Il biondo continuò a fissarla impassibile, ma la contrazione della sua bocca fu eloquente.

« Voi siete ormai più di sette miliardi. Noi a stento raggiungiamo i trenta milioni. Di cui poco più di un decimo sa combattere come avete visto fare agli Ikisatashi, Luneilim, Okorene o Toruke. – lo redarguì la donna con una nota amara – E, come ho detto in precedenza, non vogliamo né una nuova migrazione né disturbare il vostro equilibrio sociale; il passaggio sarà su costante e ferma sorveglianza, e non permetteremmo alcun attraversamento fuori controllo. »

« Cos'ha in mente di preciso? »

Chiese Keiichiro e Meryold fu soddisfatta di avvertire un accenno di sincera curiosità:

« Ci sarebbe una selezione preliminare per poter giungere sulla Terra, per cui ovviamente chiederei, nell'ambito del programma,  il vostro aiuto e consenso finale. – all'espressione sorpresa del giapponese lei sorrise – Come ho detto a Shirogane-san ieri, voi ai nostri occhi fate vece per la Terra di fronte al Consiglio. E onestamente, non desidererei menti migliori che possano dispensare il loro giudizio. »

Il sopracciglio di Ryou guizzò per l'occhiata lusinghiera della donna e lei trattenne un risolino, divertita dalla sua testardaggine.

« Si comincerebbe da individui che si valuteranno adatti al progetto. Sono molte le risorse che possono essere utili al mondo degli umani (avete seri problemi con le fonti di energia, noi abbiamo molte soluzioni più pulite e redditizie di quelle utilizzate maggiormente da voi) e vi assicuro che l'ingegno di Jeweliria non è condensato tutto nel capitano Luneilim e nel colonnello Ikisatashi. »

Scherzò appena e Ryou non riuscì a trattenere di incurvare le labbra divertito.

« Poi, consideratemi pure una romantica, ma le mie aspirazioni sono nei giovani. – disse piano – C'è una nuova generazione di Jeweliriani che crescerà calpestando l'erba e guardando il cielo, in una città in cui non dovranno arrampicarsi uno sulle spalle degli altri per avere un posto: tutto il pianeta è ancora da scoprire e noi stiamo lavorando per creare nuovi avamposti dove la nuova generazione possa crescere libera. »

Alzò la testa al cielo terso e sospirò, il vago senso di completezza per quella vista tanto bramata in tutti gli anni che aveva trascorso sottoterra:

« Una generazione – riprese con un sorriso – che potrebbe scoprire nell'umanità un futuro alleato e amico e non un avversario. Si potrebbero creare collaborazioni, aiuti reciproci, legami, e chissà cos'altro che noi, ancora, non riusciamo a vedere o sperare.

« Ripetendomi, la cosa sarebbe strettamente controllata e monitorata, consentendo passaggi solo di piccoli nuclei di individui, quando non di singoli, alla volta e si presuppone che ciascuno sarà costantemente monitorato e chiunque non rispetterà gli accordi sarà bloccato all'istante. »

« Sono progetti estremamente ambiziosi. »

La donna scrutò Ryou intensamente. Il giovane le sembrò distaccato, come aveva intuito essere parte della sua indole, ma meno ostile; si concesse un sorriso sereno:

« È un difetto di noi sognatori. »

Lei e Ryou si fronteggiarono qualche istante finché l'americano non incrociò le mani dietro la schiena e sospirò:

« Sarà un percorso lungo. »

« E sarebbe un percorso che voi potreste seguire? »

Il ragazzo non le rispose. Lui e Keiichiro si guardarono e il bruno sospirò rassegnato all'ostinazione del suo protetto, voltandosi e sorridendo al consigliere:

« Abbiamo seguito sentieri più difficili. »

Meryold sorrise. Osservò i volti dei due, così giovani ai suoi occhi, e il suo sorriso si allargò:

« Allora mi prenderò l'onere di disturbarvi quanto prima. Nel frattempo, rinnovo la nostra ospitalità. In fondo, non dobbiamo avere fretta: il futuro è appena cominciato. »

Camminando avevano fatto il giro dei giardini ed erano tornati al punto di partenza, dove MoiMoi li stava aspettando giocando distratto con le mostrine della divina; quando li intravide scattò in piedi, stendendo per bene le cuciture che aveva massacrato sovrappensiero, e guardò malissimo Ryou che nel vedere la sua faccia a disagio aveva strozzato una risata.

« Spero che la nostra gente vi desti un po' di curiosità. »

Concluse Meryold prima di accomiatarsi.

« Per noi sarà un onore poterci beare delle bellezze della vostra civiltà, Meryold-sama. »

Keiichiro fece un altro inchino degno di un cavaliere, quindi prese con delicatezza il polso destro della donna per un discreto ed elegante baciamo sul dorso della mano nivea; Meryold gli scoccò solo un'occhiata divertita, ritraendo piano il braccio quando lui ebbe terminato e congedandosi.

MoiMoi si avvicinò al bruno dandogli di gomito:

« Ma tu fai così il cicisbeo con tutte? Lo dirò a Sury-chan! »

« Ogni donna merita di essere trattata come una principessa. »

Rispose tranquillo e smagliante; il violetto fece una strana smorfia:

« Ora inizia a diventare allarmante, Akasaka-kun. »

« Kei, lo sai che quella donna è a capo di tutto il loro governo, vero? »

Puntualizzò Ryou scettico.

« Occorre fascino e carattere per una simile carica. Trovo che Meryold-sama abbia dovizia di entrambi. »

« Ma che vorrebbe dire? »

Ryou guardò dubbioso l'amico e MoiMoi prima rise, poi puntò l'indice addosso all'americano grugnendo:

« Tu, piuttosto! Sbaglio o stavi ridendo di me?! »

Il biondo lo studiò e nel vederlo tornare al solito atteggiamento verso di lui sorrise furbo:

« Con te. »

« Non sono Ichigo-chan, non attacca. »

« Va bene, va bene, scusa. »

« Sarà meglio. »

 Il violetto ruotò sulle punte imperioso e fece per riportarli indietro quando Ryou insisté:

« No, davvero. »

MoiMoi lo guardò senza capire il motivo della sua faccia contrita.

« Scusami. »

Il violetto divenne più serio. Tornò sui suoi passi fronteggiandolo con aria di rimprovero, le braccia conserte in attesa che l'altro continuasse.

« Per ieri di fronte a Meryold-san. Non volevo essere così brusco ne- »

« Dì pure stronzetto. »

« … Nei vostri confronti. – fece spiccio il biondo – Voi non centrate direttamente con il mio passato. »

« E…? »

Ryou roteò gli occhi, ma proseguì arrendevole:

« Devo la mia vita a Taruto e Pai, alla fine. E in questi mesi… Sì… Con la nostra… Collaborazione… »

« Ok, ok, non sforzare il tuo fantastico cervellino per trovare le parole continuando a fare il sostenuto, mi basta. »

Lo bloccò il violetto sarcastico e Ryou contrasse la fronte, seccato di essere trattato come un moccioso troppo ostinato; evitò però di protestare e incrociò le braccia ostentando indifferenza.

« Dai, non fare quella faccia esasperata. – ridacchiò MoiMoi pizzicandogli la guancia – Poi ti vengono le rughe come a Pai-chan. »

« Io glielo dico sempre di non fare così il sostenuto. »

« Dovrebbe prendere esempio da te Akasaka-kun. Elasticità mentale. »        

I due continuarono a scherzare alle spalle dell'americano che si limitò a sospirare mansueto, arreso alla "strigliata".

« In realtà non te lo meriteresti, ma ti perdono. Solo perché sei estremamente carino Ryou-chan. »

« Ti prego non fare più commenti simili ad alta voce. – gemette il ragazzo preoccupato – Rischio la vita. »

MoiMoi rise di nuovo mentre il biondo rabbrividì, temendo cosa avrebbe potuto fargli Sando se mai avesse sentito parole del genere.

Minimo mi apre la pancia e mi appende per i piedi alla Tokyo Tower.

 

 

***

 

Lenatheri rimase ferma seduta sul pavimento, le gambe al petto, ripassando i dettagli di quanto le era stato detto.

Era semplice. Avrebbe solo dovuto andare avanti, a dispetto di ogni cosa.

Avvertì qualcosa scuotersi nel fondo del suo torace.

Paura?

Incertezza?

Sei in grado di farlo?

Non seppe rispondersi e non volle farlo.

Fissò la parete di fronte a lei, il cristallo limpido che brillò di riflessi cupi nell'oscurità.

Arashi le aveva spiegato la verità, concludendo che seppur il suo signore finalmente possedesse una propria esistenza fisica, essa non fosse ancora totalmente completa.

Mancava un pezzo.

« Poi, Deep Blue-sama completerà ciò che avrebbe dovuto fare sul Pianeta Azzurro. – le aveva detto Arashi quasi sognante – E tu avrai il tuo posto. »

Il suo posto.

Rise amara, detta così suonò esattamente come gli squallidi desideri politici di quel verme di Ebode.

No.

Smettila.

Tu non sei come lui.

Il metallo sulla sua coscia le diete una fitta e lei si strinse la gamba artificiale con entrambe le mani, soffocando un lamento secco. Tenne salda la presa finché il sudore freddo non le colò del tutto lungo il collo e il respiro si fu placato, e lei potè abbandonarsi contro la parete.

È il momento del mio nuovo inizio.

 

 

***

 

« Torna immediatamente qui scimmietta da circo! »

Purin lanciò un grido ridendo a pieni polmoni e accelerò la corsa:

« Non mi prendi! »

« Questo lo vedremo! »

La biondina sterzò nel corridoio schivando al volo un paio di inservienti, ma non guadagnò terreno trovandosi Taruto sempre alle calcagna che esplose in improperi seccati ridendo allo stesso tempo. Lei imboccò troppo velocemente una curva passando sotto al porticato, scivolò con un piede e arrancò di qualche passo e finalmente il brunetto riuscì ad agguantarla per il polso:

« Presa! »

Purin cacciò uno strillo esagerato e tentò di divincolarsi, senza fiato per le risate e la corsa, indietreggiando in una nicchia del loggiato e scuotendo il braccio.

« Ora la sconterai, scimmietta da circo! »

« Era solo un po' d'acqua! – rise lei forte – No, dai, stai lontano! »

Lo spinse per la spalla mentre lui, sorridendo dispettoso, le scrollò davanti al naso la frangia fradicia a causa dell'ultimo scherzetto della ragazza, che aveva deciso di fargli scoprire cosa fossero i gavettoni… Usandolo come cavia.

« È solo acqua no? – la schernì maligno – Ora la pagherai! »

Le afferrò anche l'altra mano perché non si ribellasse oltre, poi le strofinò i capelli zuppi sotto il naso strappandole un altro strillo:

« No…! – rise forte – Ah! Basta…! Basta! »

Lui le diede retta solo quando entrambi non ebbero più abbastanza aria per ridere e continuare ad agitarsi contemporaneamente.

Purin starnutì arricciando il naso e rimosse di un paio di gocce d'acqua che le colarono fastidiose sulla punta.  Prese due lunghi respiri per distendere l'addome, aprì gli occhi per bene e il viso le si scaldò appena, ritrovandosi Taruto tanto vicino da poter contare le pagliuzze più scure nelle sue iridi dorate. Lui assunse il suo stesso colorito, ancor più evidente sulla pelle chiara, ma rimase a lambirle il naso con il proprio finché, con un lungo respiro, si protese in avanti annullando la poca distanza rimasta.

Purin sentì il cuore sfarfallare e piegò un poco la testa rilassando la schiena contro la parete, le guance che divennero roventi quando avvertì il respiro del brunetto fondersi al suo.

Erano già passati tre giorni di quella bizzarra villeggiatura.

Nonostante le funeste parole di Ronahuge e la consapevolezza generale del nemico nessuno di loro era ancora riuscito a pensarle come giornate da trascorrere sul chi vive, con ogni probabilità complice la notizia sulla futura connessione tra Jeweliria e la Terra, un ottimo incentivo ad essere ben più che allegri.

Taruto era stato più rilassato con Purin in quei giorni e, inaspettatamente, si era fatto un pochino più intraprendente, azzardandosi ad abbracciarla mentre la baciava, o approfondendo il loro sfiorarsi le labbra; la cosa a Purin aveva fatto terribilmente piacere, pur spiazzandola un po' e assieme divertendola per le espressioni imbarazzatissime e torve che lui assumeva dopo averla stretta un po' più a lungo o un po' più del solito.

« Questa non era una vera e propria punizione. »

Scherzò la biondina con poca convinzione sorridendogli imbambolata.

« Non sei per niente spiritosa. »

Lei ridacchiò scompigliandogli la frangetta e lagnandosi dell'acqua che le inzuppò le mani, intanto che Taruto sbirciò da sotto i ciuffi castani il suo viso sorridente appena arrossato. Era così carina…

Inghiottì nervoso un po' di saliva, iniziava a fare sempre più fatica a non pensare a baciarla di nuovo subito dopo averlo fatto.

Non che l'avrebbe mai ammesso a voce alta, fosse chiaro.

Ad un improvviso vociare le loro risate si bloccarono. Lui e Purin si acquattarono nell'ombra del porticato temendo fosse qualche soldato in servizio di ronda infastidito dal loro baccano, invece furono solo alcuni domestici che parlottando fitti li superarono senza vederli. Taruto tirò un sospiro di sollievo, le orecchie che ronzarono dall'imbarazzo, e si girò molto tentato di riprendere da dove si erano interrotti i suoi pensieri senonché Purin, ridendo, gli rubò con un guizzo uno dei lacci dei suoi codini e riprese a correre:

« Prendimi! »

« Ehi…! Ma stai scherzando?! »

Sbottò deluso massaggiandosi i capelli che lei aveva tirato appena; Purin per tutta risposta gli fece la linguaccia.

« Se mi acchiappi te lo ridò. »

« Cosa sei, una bambina? »

Le rimbrottò torvo e la biondina si nascose la fettuccia nella tasca dei pantaloni, sorridendo furbetta:

« Il tuo laccio e un bacio . »

Gli sussurrò posandosi l'indice sulla bocca:

« Ma solo se mi prendi. »

Corse via ridendo, le guance color pesca, e Taruto rimase basito sul posto con la faccia che andò a fuoco, dandole involontariamente una decina di secondi di vantaggio.

« Cos-?! Ehi, ferma! Aspettami! Scimmietta da circo! »

 

 

***

 

Un silenzio delicato, la stanza tiepida nella penombra del pomeriggio. La schiena quasi appoggiata alla parete, le mani raccolte sul suo torace, le punte dei piedi protese per raggiungerlo perché, vicino com'era, faceva onore ad ogni centimetro di differenza tra di loro. Il suono dei loro respiri bassi, appena più rapidi del normale, dei baci morbidi che le lasciò sulle labbra con lentezza, come degustandoseli.

« Io e te abbiamo un problema. »

Fece Minto riuscendo a staccarsi un secondo da Kisshu, o almeno a guadagnare il paio di millimetri di spazio tra la sua bocca e la propria per scandire una frase con più di un vocabolo. Lui aprì a stento le palpebre studiandola, palesemente più interessato alle sue labbra che ad ascoltare quanto ne stesse uscendo:

« Che intendi? »

« Non credo sia sano tutto questo. »

Gli disse con voce un po' più fioca mentre lui le bloccò delicatamente il collo con la mano:

« Mmm…? »

La mora non riuscì ad articolare bene la protesta e socchiuse gli occhi, maledicendo lui e il radar che possedeva per rintracciare quel punto preciso tra la sua spalla e l'orecchio, dove al solo sfiorarlo lei non riusciva a fare altro che abbandonarsi beata.

« Kisshu. »

Si divincolò più decisa scrutandolo ferma e lui piegò di lato la testa interrogativo, arreso a doversi fermare:

« Non ti seguo. »

« Ti sembra normale passare così metà del tempo? »

« Fino a cinque secondi fa non mi parevi tanto dispiaciuta. »

Le fece notare divertito e lei si corrucciò all'istante.

« Il mio serbatoio va ad amore, cornacchietta – insisté a giocare – Ho un limite di astinenza di soli cinque minuti, mi dispiace. »

« Come sei cretino. »

Kisshu sospirò posando le mani sul muro, ai lati del suo viso:

« Mi sembra che facciamo anche altro. – puntualizzò – Per quanto questo particolare momento sia tra i miei preferiti… »

« Kisshu. »

« Su, lo sai che mi fa piacere semplicemente stare con te. – le disse un po' più dolce – Dammelo un po' di credito, passerotto. »

Minto sospirò e scostò gli occhi colpevole, aveva ragione.

Da dopo la cerimonia di fronte alla città, ogni ora disponibile – di veglia – della mora l'avevano trascorsa praticamente sempre assieme, e per quanto lei criticasse il verde e lo apostrofasse coi peggiori epiteti circa la sua lascivia, Kisshu non le era costantemente con le mani addosso; per dirla tutta poco era cambiato dall'ultimo periodo di convivenza forzata sotto lo stesso tetto del ragazzo, forse parlavano appena di più e lei evitava di sferzargli la faccia a male parole per ogni battuta. Fosse come fosse, lei e Kisshu si ritrovavano sempre uno accanto all'altra, a parlare, a stuzzicarsi, e sì anche a baciarsi più di frequente di quanto la mora avrebbe ammesso, e forse un pochino meno di quanto avrebbe voluto.

E allora che hai da lamentarti?

La mora sospirò impercettibilmente giocando con alcune pieghe delle maniche della maglia di lui, non si stava lamentando.

Solo… Lo trovava complicato.

Era tutto così semplice da essere complicato.

Era così naturale continuare a parlargli, a spazientirsi per il suo punzecchiarla, a volte anche esagerando la cosa con lui che stava a quello strano gioco, essere felice quando lo vedeva cercare la sua compagnia; era così naturale ritrovarsi a baciarlo, abbandonarsi tra le sue braccia, così istintivo, che se ne vergognava quasi.

Così facile e imbarazzante da credere impossibile non fosse più complicato di così.

« Ti da fastidio per davvero? »

Le domandò Kisshu e Minto scosse forte la testa:

« No… Però… »

Lui alzò un sopracciglio in attesa e la mora si mordicchiò il labbro, cercando un motivo serio tra i tanti minuscoli insignificanti motivi del suo disagio:

« Mi secca fare tutto di nascosto. »

Almeno uno serio doveva esserci.

« Se vuoi pomiciamo fuori dalla porta. »

« Come se ci fosse qualcosa di sbagliato. – lo corresse irritata – Non lo sa nessuno. »

« Credevo che la micetta ti avesse fatto il terzo grado. »

Alla frase la mora roteò gli occhi sbuffando e annuendo.

Appena erano ritornate nelle loro stanze del Palazzo per cambiarsi, il primo giorno, Ichigo aveva iniziato a tartassarla di domande, ponendosi come l'acuta osservatrice a cui non era sfuggita l'intesa tra la mewbird e Kisshu durante la cerimonia.

« Cos'è successo che Minto-chan non ci vuole raccontare? – aveva gongolato la rossa maliziosa – Spara i dettagli! »

La mora aveva tentennato, stretta nella morsa della mewneko e di Retasu e Purin che immediatamente, cogliendo le allusioni, l'avevano circondata, ma per sfortuna di Ichigo la mewbird era stata più svelta:

« Tu piuttosto, che è successo tra te e Shirogane da convincerti a dormire nella sua stanza? »

La rossa era divenuta di fatto scarlatta anche in viso mentre le erano spuntate coda e orecchie, e le amiche avevano puntato l'attenzione su di lei lasciando in pace Minto che aveva da allora totalmente ignorato la domanda postale, fomentando l'interrogatorio ad Ichigo che si era ritrovata a dover spiattellare vita morte e miracoli della sua neonata relazione con Ryou.

Nel sentire Minto raccontare come avesse messo alla berlina la povera mewneko, Kisshu sogghignò:

« Sei una carogna. »

« Non vedo come debbano essere fatti di quell'impicciona le mie relazioni private. »

Puntualizzò piccata. Kisshu rise a labbra chiuse e si protese di nuovo in avanti:

« Relazione, uh? »

Lei arrossì impercettibilmente, infastidita dal suo tono canzonatorio:

« Se avevi altro in mente puoi sempre andare a cercarti qualche cadetta. »

Gli rimbrottò acida.

« Nah, preferisco le infermiere. Hanno un'indole più gentile, le soldatesse sono sempre così autoritarie. »

Minto sollevò il mento rabbiosa e lo spintonò di lato, ringhiando:

« Prego, vai, nessuno ti trattiene. »

Kisshu rise più forte riagguantandola per la vita e facendola sedere sulla cassettiera accanto all'armadio, ghermendole le labbra prima che lei protestasse.

« Passerotto permaloso. »

« Cretino patentato. »

Replicò secca nonostante gli occhi illanguiditi; Kisshu sorrise furbo posandole deciso le mani sulla vita scivolando poi sul ginocchio e spostandole appena la stoffa dalle gambe:

« Se vuoi andare in giro con degli striscioni per dirlo a tutti, per me è uguale. – le sussurrò – Basta che possa tenermi il mio passerotto tutto per me. »

Lei borbottò una protesta non molto chiara, già persa contro la sua bocca e rabbrividendo piacevolmente alla mano che le lambì la coscia, con un'attenzione che come tutte le volte le fece trotterellare il cuore un po' più veloce.

Aveva creduto che Kisshu non si sarebbe fatto troppe remore a riprendere da dove si erano interrotti la sera a Lirophe, invece era stato incredibilmente calmo e attento alle reazioni della mewbird, molto meno spontanea al di fuori di quei cinque minuti di blackout mentale.

Il ragazzo doveva ammettere di trovare divertente l'espressione della mora quando lui indugiava sui suoi fianchi o s'insinuava sotto il bordo della gonna, un misto tra seccato e contento che la rendeva adorabile, ma non gli sfuggiva mai come lei ogni tanto sembrasse ancora dubbiosa e si irrigidisse alle sue carezze; Kisshu aveva intuito ci fosse un piccolo rimasuglio d'incertezza in Minto, molto più portata a rimuginare sulle cose di lui, che dopo l'illuminazione su quanto provava verso di lei aveva impiegato un istante a porla al centro dei propri pensieri.

Gli sfuggì uno sbuffo, divertito da se stesso alla consapevolezza di quanto aveva deciso, cioè che se doveva farlo per lei sarebbe stato tranquillo.

Entro certi limiti ovviamente.

Le scostò piano le spalline del vestito guadagnando qualche centimetro in più di pelle da baciare, e si accostò ancora al mobile per incastrarsi meglio tra le ginocchia della mora; avvertì un respiro uscire con difficoltà quando lei strinse appena le gambe contro la sua vita e iniziò ad accarezzargli tentennate gli addominali scoperti.

Se Minto aveva intenzione di mettere alla prova il suo autocontrollo aveva trovato il modo. E stava vincendo, la cornacchia.

« Me lo fai apposta, vero passerotto? »

Lei non rispose con un sorrisetto sghembo a metà tra il supponente e il malizioso causando al verde una brusca accelerata all'interno della cassa toracica. Lui riprese a seguire la pelle d'oca che avvertì lungo le sue spalle, sorridendo sotto i baffi, decidendo che il male minore sarebbe stato spostare le mani ed appoggiarle sul suo fondoschiena, altrimenti sarebbe diventato matto. Ascoltò il sottile mugolio che le strappò, e riflettè poco lucido se arrischiarsi ad abbassarle un altro po' il vestito – o alzarglielo, erano ottime entrambe le soluzioni – prima che la sua colombella gli mandasse del tutto in pappa il cervello, quando bussarono alla porta.

Kisshu soffocò un'imprecazione tra i denti e Minto, sbuffando per calare la tensione causata dall'intoppo, fece appena per aprir bocca che la voce di Zakuro arrivò da oltre il legno:

« Minto, potresti far uscire Kisshu? Pai lo sta cercando da venti minuti. »

Non ci furono risposte mentre i due da dentro si tesero all'unisono come corde. Minto passò in fretta vari toni d'incarnato e riassestandosi nervosa il vestito sgusciò giù dal mobile andando ad aprire timida la porta. Come sempre la sua senpai non tradì grandi emozioni mentre la guardò impassibile dallo spiraglio concesso, ma ciò non tolse alla mewbird di avvertire la pelle rovente fin sotto la gola e a Kisshu, alle sue spalle, di deglutire appena con il vago sentore di stare per essere sbranato.

« Deve mostrarvi qualcosa da Kiddan-san. – spiegò Zakuro – Almeno, così ho capito dal suo sbraitare. »

« Uhm… Grazie dell'avviso. »

Rispose il verde cercando di sorridere. La mora si spostò appena di fianco per farlo passare e Kisshu uscì rasentando il più possibile l'altro lato della porta, lanciando un'occhiata a Minto così da avere un bel ricordo se alla mewwolf fosse venuto in mente di dargli il benservito sul posto; la giapponese come sempre non disse né fece nulla, ma lui avvertì il suo sguardo piantato alla base della nuca finché non sparì dal suo raggio d'azione.

Quando Zakuro si rigirò verso Minto questa si fece piccola piccola e guardò altrove, al colmo dell'imbarazzo scorgendo il sorrisetto della mora.

« Lo sapevi? »

« È palese. »

La mewbird non riuscì a guardarla in faccia.

« Diciamo anche che avevo qualche sospetto da un po' – le concesse – ma di recente siete spariti all'unisono con un po' troppa frequenza. »

La studiò con un sorrisetto complice e Minto si premette una mano sul viso:

« È… Complicato. »

« Non mi sembra così tanto. »

La morettina temette di morire dalla vergogna al suo sguardo malizioso.

« È che… È troppo facile. »

« Dove starebbe il problema? »

Minto la guardò allusiva e Zakuro sorrise materna:

« Minto, ti fai troppe domande. Sono solo tre quelle che hanno importanza. »

« E cioè? »

« Ti piace? Stai bene assieme a lui? Vuoi continuare ad averlo vicino? »

La mewbird non le rispose cercando di apparire meno agitata, il cuore che accelerò traditore come per spingerla a rispondere a tutti e tre i quesiti all'unisono con un tonante .

« È che… – sospirò massaggiandosi la guancia – … È Kisshu. »

« Allora hai già la risposta. »

Sentenziò sibillina e continuando a sorridere sorniona si allontanò, richiamata dalla voce di Sury che si affacciò dal corridoio adiacente reclamando la sua compagnia.

 

 

***

 

Pai camminò per i corridoi sbuffando come una ciminiera, non facendo altro che domandarsi perché dovesse ancora fare da balia a Kisshu e farsi venire il mal di fegato per il suo bighellonare. La cosa era irritante di per sé, se ci si andava ad aggiungere il fatto che il verde andasse per i diciannove – quindi un'età ben al di là delle responsabilità di Pai in quanto fratello maggiore – nonché il commento di Eyner sul fatto che negli ultimi giorni Kisshu si lasciasse dietro una scia fin troppo continua del profumo di Minto, la pazienza del moro andava a farsi benedire.

Sulla questione "Minto", però, Pai si conteneva dallo sgridare il fratello: era consapevole che il cambio di ruoli fra persecutore e vittima tra lui ed Eyner, che di norma si faceva i fatti propri riguardo le questioni private altrui, fosse una vendetta del bruno per quanto sopportato di recente, in battutacce e ripicche dal verde; Pai aveva una lista di cose e commenti acidi da scontare ben più lunga di Kisshu, e aveva stabilito non fosse saggio stuzzicare la sete di rivalsa dell'amico intromettendosi fra lui e il fratello.

Come si soleva dire, meglio non svegliare il can che dorme.

Pai prese un bel respiro e si sforzò di calmarsi. Doveva lasciare alla sua mente il tempo di archiviare l'ultimo incontro avuto con Kiddan, che stava già concependo assieme a MoiMoi un sistema di mantenimento e controllo del portale per la Terra più efficace, così da avere ben limpidi i dettagli del progetto e trovare ogni possibile soluzione per i piccoli intoppi tecnici che si stavano presentando.

Si massaggiò il collo indolenzito raggiungendo il giardino sospeso dove venivano coltivati gli ibridi chimero-vegetale. La questione del passaggio era solo un nuovo punto nella lista di controlli da attuare in qualità di membro d'élite della sezione scientifica, ogni dì lo attendevano anche le mansioni di routine, ma in quei pochi giorni aveva dato spesso e volentieri il cambio a MoiMoi in molte faccende; principalmente, quelle che andavano svolte all'aperto, dopo le ultime estenuanti settimane in laboratorio sentiva la necessità di recuperare quanta più luce possibile.

« Ciao. »

Dovette essersi rilassato troppo ammirando una teca senza vederla davvero, per non accorgersi dell'arrivo di qualcuno. Adocchiò Retasu salire veloce le scalette e ricambiò il suo sorriso luminoso con un accenno del proprio, divertito dall'affanno che prese la ragazza accelerando l'andatura per raggiungerlo più velocemente.

« Come mi hai trovato? »

La verde arrossì un pochino sulle guance già colorate dal fiatone, imbarazzata che fosse così evidente che lo avesse cercato di proposito:

« Ho chiesto ad Eyner. So che eravate in riunione con Kiddan-san, così quando l'ho incontrato… »

Lasciò l'ovvia frase sospesa aggiustandosi gli occhiali sul viso accaldato. Il moro studiò affettuoso la sua aria impacciata, eppure al contempo sentì un lievissimo moto d'irritazione: probabilmente era solo perché Eyner aveva un vantaggio di qualche settimana sulla compostezza della verde, ma a Pai non era sfuggito come Retasu chiamasse il bruno solo per nome mentre di tanto in tanto al suo aggiungesse ancora l'onorifico.

Andiamo, non puoi infastidirti per simili cretinate.

Sospirò discreto ringraziando che non ci fosse l'imputato lì vicino, se mai si fosse accorto di una cosa simile lo avrebbe preso in giro da lì all'eternità.

« È che… Non ci eravamo ancora visti, oggi. »

Mormorò timida la mewfocena e abbassò lo sguardo sorridendo. Pai mandò un altro sospiro rilassando il minimo di fronte che aveva corrugato e le prese la mano con cui lei insisteva a tormentarsi le astine delle lenti. Retasu, deglutendo per i cinque o sei battiti che il suo muscolo cardiaco si scordò per strada, strinse di rimando le sue dita forti e sorrise protendendosi sulle punte dei piedi perché Pai arrivasse meglio a baciarla.

Stringergli la mano, o aggrapparsi appena alla sua maglia, era un rito che la mewfocena compiva ogni volta che si ritrovava da sola con il moro, come un gesto portafortuna o un appiglio nel timore confuso di socchiudere le palpebre e non trovarlo più lì. Ogni volta, felice, riapriva gli occhi per specchiarsi nell'intenso viola del suo sguardo, per vedere il suo sorriso discreto e avvertire la stretta sul proprio palmo salda e sicura, e il petto le sfarfallava come non mai.

Sorrise radiosa intanto che Pai le sistemò sovrappensiero due ciuffi della frangetta e mosse in silenzio la mano per farsi spazio, aumentando il sorriso quando lui la lasciò fare e potè intrecciare le dita con le sue.

Pai studiò il suo viso luminoso, le gote rosate, i brillanti occhi color del mare e gli occhiali che lei, felicità o meno, non faceva che aggiustarsi ogni due, tre secondi in un adorabile tic, e lui stesso si sentì piacevolmente agitato. Ormai non se ne stupiva più, era la normale conseguenza di Retasu vicina a sé.

La verità però era che lui non sapeva mai bene come doversi comportare: aveva l'impressione di dover fare di più, di doverle di più oltre ai lunghi abbracci e ai baci che si rubavano lontani da occhi indiscreti, più di quei momenti senza particolari perché in cui rimanevano da soli, sereni, rilassati, scambiandosi poche parole, eppure Retasu dava l'idea di non poter desiderare niente di meglio di tutto ciò, spiazzando maggiormente il moro che era convinto di non meritare un grammo di quel sentimento tanto devoto.

« Tu ci pensi troppo Pai-chan. »

Lo aveva rimproverato ridendo MoiMoi qualche giorno prima – dopo averlo bellamente preso in giro fino a fargli sanguinare le orecchie e avergli risbattuto in faccia tutte le sue mancanze e colpe nei confronti di Retasu, per cui anche se il senpai non lo avrebbe punito sarebbe stato redarguito a vita – quando, all'ennesima domanda su che cosa rimuginasse tanto, Pai gli aveva confessato quel piccolo tormento; ammiccando il violetto aveva aggiunto:

« Retasu-chan è solo felice di stare assieme a te e sono convinta che lo sia anche tu – lo aveva stuzzicato, ridendo sotto i baffi al suo corrucciarsi a disagio – non farti troppe domande. »

E ridacchiando MoiMoi aveva proseguito il discorso rivolto a Sando, ma Pai aveva evitato di ascoltarli per non scoppiare a ridere in faccia all'altro senpai che aveva ringhiato imbarazzato alle moine del violetto.

« Posso farti compagnia? »

Pai impiegò un secondo più del solito a processare le parole di Retasu quindi annuì piano:

« Se non ti annoi. »

Lei scosse la testa energica e gli lasciò la mano, seguendolo e sbirciando incuriosita le creaturine oltre le teche mentre il moro si rimise al lavoro.

Gli occhi ametista seguirono le scie di dati sul display portatile, distraendosi spesso e voltandosi verso la mewfocena che picchiettò con garbo sui vetri, sussultando ai movimenti più bruschi di qualche vegetale-chimero e ridendo poi nervosa a certi loro dimenarsi strani, come la piantina di phlox che, agitando il mazzo di fiorellini a stella sulla sua cima, ondeggiò oltre la superficie trasparente in una goffa imitazione di un cucciolo in cerca di coccole. Retasu tracciò un cerchio a pochi millimetri dalla teca per non lasciarci ulteriori impronte e la pianta seguì il gesto agitando i fiori come fossero pelo, strappandole un bizzarro singulto divertito.

Pai interruppe un istante il proprio lavoro e si voltò meglio verso di lei, senza disturbarla dal suo passatempo. L'indole analitica del moro lo portava ad essere innanzitutto un osservatore, e più tempo passava in compagnia della mewfocena più gli veniva naturale perdersi a guardarla con discrezione; privo di quel vago senso di colpa che lo aveva accompagnato nelle settimane addietro, quando si ripeteva di non lanciarsi in sciocche riflessioni e che non aveva motivo di cercare spasmodico la verde per tutto il Cafè MewMew, né diritto o opportunità di volerla. Ora finalmente con la ragazza vicino, come in quel momento, Pai ne studiava di continuo la figura dolce trovando quel dettaglio infinitesimale che ancora non si era stampato nella memoria: il modo in cui la luce si rifletteva sulle onde smeraldine della sua chioma, la forma delle labbra e il modo in cui le arricciava quand'era in imbarazzo, le mani delicate con cui si aggiustava i capelli che le solleticavano la nuca; il profilo morbido, ormai non più da ragazza, del suo fisico, la curva ben disegnata della sua schiena e dei suoi fianchi che non poche volte si era ritrovato a desiderare di sfiorare con più attenzione, ma che si era sempre trattenuto dal fare temendo che lei gli sfuggisse, titubante com'era.

Sorrise, posando il dispositivo di analisi sul ripiano di fronte a sé, e allungò il palmo a sfiorare la guancia di Retasu. Lei ebbe un impercettibile sobbalzo e lo guardò confusa:

« Che succede? »

Lui scrollò le spalle senza risponderle continuando ad accarezzarla con il dorso della mano, confermando i propri timori al suo rossore fin troppo deciso e ridendo piano. In fondo la limpida timidezza di Retasu era una delle cose che adorava.

« Se ti infastidisce la smetto. »

Le disse, ma alla ragazza parve più una frase di circostanza e non una possibilità che smettesse sul serio; l'intuizione la fece arrossire ancora di più, ma fece un minuscolo cenno di diniego socchiudendo gli occhi e godendosi il tepore della mano grande di Pai contro il proprio viso.

Le ci sarebbe voluto del tempo per apprezzare certi gesti di lui, per lo meno senza ritenerli dei casi eccezionali e senza farsi salire il battito cardiaco oltre le soglie di guardia, pensandoli solo come spontanee espressioni di affetto.

Il pensiero le provocò un altro picco di batticuore.

Si sarebbe abituata.

Aveva tutto il tempo.

Avevano, si corresse la mewfocena e non potè evitare di sorridere, riaprendo gli occhi e tornando rossa in viso mentre vide Pai chinarsi a baciarla di nuovo.

Avevano tutto il tempo.

Tutto il tempo che avrebbero potuto desiderare per rimanersi accanto.

 

 

***

 

Ichigo sbuffò annoiatissima e si chiese perché tutto ad un tratto chiunque attorno a lei avesse trovato qualcosa di più interessante da fare che restare a farle compagnia.

« Che barba-aah! Nyah! »

All'inizio l'idea di quella sorta id vacanza l'aveva attirata e parecchio. Dopo il ritorno di Ryou dal suo colloquio con Meryold, Ichigo lo aveva visto enormemente più rilassato e aveva pregustato qualche giorno da trascorrere vicini, con calma, magari per rendersi conto sul serio di quanto accaduto la sera al palazzo di Saru e anche – perché no? – riprendere un po' il discorso, ma era rimasta terribilmente delusa. Ryou e Keiichiro non avevano fatto altro che trascorrere le giornate in giro per Jeweliria, e pur se spesso la rossa li avesse seguiti nell'esplorazione, arrivando addirittura a sopportare la presenza di Pai come loro guida nella spiegazione di costumi e soluzioni tecniche del mondo alieno – durante le quali spesso Ichigo aveva rischiato di addormentarsi sbadigliando – nove volte su dieci i due scienziati si eclissavano dietro ai loro colleghi jeweliriani, per studiare questa o quella soluzione fantascientifica su chissà quale tecnologia, e la mewneko rimaneva ad annoiarsi.

Le sue amiche almeno sembravano aver preso il concetto di "vacanza" in modo più letterale, ma capitava ci fossero delle ore in cui tutte loro sparivano nemmeno un gioco di prestigio e la rossa, unica, rimaneva da sola ad ammirare i granellini di polvere nella luce della sua camera.

Purin non aveva bisogno di chiedersi dove sparisse, né tantomeno Zakuro – anche se, a dirla tutta, due domandine avrebbe voluto farle alla mora pur sapendo di rischiare la vita, dato che una relazione  sentimentale che coinvolgesse la mewwolf le appariva tanto incredibile da sbavare pregando dettagli – e aveva smesso di domandarsi cosa combinasse Minto dopo aver visto certe occhiate che le lanciava Kisshu, neppure tanto di nascosto – pur se si sentisse un po' seccata di non essere ancora riuscita a scucire un solo particolare sulla questione alla mewbird. Retasu era la sola che avrebbe tanto voluto non intuire dove se ne andasse, ma il rossore colpevole sul viso dell'amica quando rispuntava era un segnale troppo palese per far finta di niente, e Ichigo grugnendo pensava ogni volta che la mewfocena dovesse solo ringraziare l'affetto che provava per lei se continuava a tacere acidi commenti circa le compagnie che frequentava o, per meglio dire, chi frequentava. Mai avrebbe capito cosa ci trovasse la verde in quell'insensibile e brusco musone di Pai, non lo concepiva nemmeno dopo aver concesso che, quantomeno, fosse un bel ragazzo, ma pure quel particolare scivolava in secondo piano vista la perenne faccia indifferente che il moro ostentava ventiquattro ore al giorno.

Grugnendo la rossa passeggiò nel corridoio pattugliando le camere vuote e si avviò annoiata fuori dal Palazzo, sbuffando.

Era il quinto giorno a Jeweliria e non trovava più tante cose interessanti da fare, non riusciva più nemmeno a passare in Archivio da Kilig fingendo di voler cercare altre notizie sulla famiglia Melynas e poi, casualmente, trascurando la cosa per mettersi a chiacchierare – cosa che l'archivista non seguiva con grande entusiasmo. Ichigo si era rassegnata a non avere più scuse per cercare compagnia da quelle parti, del resto non poteva più neanche fingere di aver voglia di scovare nuove informazioni.

La MewAqua è stata riassemblata, è tutto finito. Non ha più importanza chi sia Luz, o chi altri.

Il pensiero era un deterrente per creare una buona scusa, e Kilig con i suoi modi timidi e cupi le aveva fatto intendere di non avere tanto tempo per bighellonare come lei, scacciandola con affettuoso rimprovero.

Ichigo sospirò illuminandosi. Avrebbe potuto andare a farsi fare compagnia da MoiMoi: il violetto si trovava spesso a zonzo, Ake e Lasa lo tenevano ancora d'occhio perché non si sforzasse eccessivamente, quindi Ichigo sperò a ragione di avere ottime possibilità di trovarlo a casa e potersi distrarre un poco, e più vivace accelerò il passo canticchiando a labbra strette

La casa di MoiMoi sorgeva all'inizio della zona di abitazioni dove si trovavano anche casa Ikisatashi e casa Toruke; Ichigo aveva imparato presto il punto esatto, e la dimora era facile da scovare perché davvero piccolina in mezzo alle altre, quasi un monolocale preso e posto in mezzo al nulla. MoiMoi le aveva detto che lo spazio per lui era sufficiente, vivendo da solo ormai da quando aveva dodici anni, e all'affermazione la rossa si era intristita scatenando la sua immediata risposta:

« I miei mi hanno avuta che erano già anziani – la rassicurò premuroso – frequentavo già l'Accademia quando sono mancati, ormai sono trascorsi tanti anni. »

Lei lo aveva guardato comunque malinconica, ma si era lasciata contagiare dalla sua tranquillità e aveva annuito lasciando cadere il discorso.

Camminando baldanzosa Ichigo raggiunse la casetta in pochi minuti. A lei piaceva molto l'abitazione del violetto, pareva ritagliata a misura delle dimensioni minute dell'amico ed era pulita, ordinata e accogliente, era molto rilassante trascorrerci qualche ora.

Fischiettando la mewneko si avvicinò alla porta e fece per bussare, trovandola aperta; non era così strano, visto che a Jeweliria era tipico non chiudere a chiave quando i padroni di casa erano presenti, e Ichigo entrò in punta di piedi pregustando il sollievo al tedio in compagnia del violetto. All'inizio la rossa non vide nessuno e fece per chiamare il ragazzo, quando sentì la sua voce emettere un secco lamento: sobbalzò preoccupata e attraversò in pochi passi il salottino su cui si affacciava l'ingresso puntando alla porta sul fondo, chiusa, e rimase ferma sulla soglia sentendo delle voci.

« Ti sei fatta male? »

« No, mi lamento perché va di moda. – grugnì MoiMoi – Sei il solito orso! »

« Sei tu che sei troppo leggera – protestò a disagio la voce di Sando – non ti si può spostare che voli via, nanerottola. »

« Vai a quel paese. »

Gli rimbrottò l'altro, rabbioso. Ci fu silenzio e poi un sospiro pesante:

« Scusa, dai… Dove ti fa male? »

Il violetto emise un lamento infantile e poi altri strani uggiolii. Ancora silenzio.

« … Non ho detto lì. »

Protestò basso MoiMoi e Sando rise piano:

« Hai indicato male. »

« Guarda che –ah! – sono ancora… Piantala… »

« Non mi va. »

Il violetto protestò con voce sottile, sempre meno convinto.

« Lo sai che parli troppo. »

Fece Sando roco e MoiMoi ridacchiò arrendendosi:

« Ti lascio vincere solo per la divisa – uh…! – ma giochi scorretto… »

« Dovrò vincere ogni tanto anche io. »

« La prossima volta che ti lamenti per metterla quando dovresti, allora, so come convincerti. »

« Chiudi il becco, ebete… »

Il violetto rise bloccandosi immediatamente dopo con un tremito più deciso, mandando poi bassi sospiri e mugolii fin troppo eloquenti.

Ichigo divenne di tutti i toni di rosso percepibili dall'occhio umano, probabilmente perfino sulla coda e sulle orecchie da gatto che sventolò impunemente, e supplicò le gambe pietrificate di muoversi prima di sentire un altro rumore che l'avrebbe fatta morire d'imbarazzo; si tenne le mani sulla bocca per soffocare qualunque esclamazione e, dopo un altro intero vergognosissimo minuto da spiona, con massimo sforzo riuscì a sollevare un piede, fare marcia indietro ed uscire alla chetichella mettendosi a correre non appena fu fuori dalla porta, ma potendo solo fare cinque metri per via delle ginocchia tremanti.

« Kami-sama…! »

Si premette i palmi sulle orecchiette nere vergognandosi come una ladra, non sarebbe mai più riuscita a togliersi quei rumori – quelle voci! – dalla memoria, men che meno avrebbe mai più potuto guardare MoiMoi o Sando negli occhi.

Ma perché sempre io, nyaah?!

« Wow, che faccia! Che ti è successo? »

Ichigo emise un miagolio secco e si riaccese in volto:

« Kisshu! Che ci fai qui?! »

Lui la studiò piegando la testa come se fosse una domanda cretina:

« Non ho niente da fare, Kiddan-san, Pai e il gattaccio mi stavano facendo addormentare e me ne stavo andando a casa. – spiegò spiccio con una scrollata di spalle – Tu piuttosto, cosa fai qui? »

Lei brillò ancora di tutte le sfumature da semaforo concepibili e agitò gli attributi felini in modo così colpevole che il verde, studiandola con un sopracciglio alzato, si guardò attorno alla ricerca del motivo di tanto disagio; impiegò all'incirca tre secondi a scorgere la casa di MoiMoi, e un altro soltanto per connettere l'abitazione al nuovo picco di rossore sul viso della mewneko.

La faccia del ragazzo si deformò in un ghigno mentre accennò a tornare indietro:

« Ma non mi d-! »

« Non pensarci neanche! »

Ichigo lo agguantò con entrambe le mani per la maglia e lo strattonò con tutte le sue forze bloccandolo:

« Che non ti passi neppure per l'anticamera del cervello di disturbarli…! »

Terminò la frase e scosse la testa cercando di non ricordare, gemendo imbarazzata.

« Tu non hai idea di quante Sando-san abbia da scontarne perché lui ha disturbato me quand'ero in compagnia. »

« Non voglio sapere! – piagnucolò lei tappandosi una seconda volta le orecchie – E comunque dubito che sia la stessa cosa. »

 Lui sembrò pensarci su un secondo e sospirò con un sorriso più gentile:

« Immagino tu abbia ragione. »

Poi ghignò di nuovo:

« In effetti, l'armeria non è mai stata una scelta molto furba come posto per appartarsi a pomic- »

« Ti ho detto che non voglio sapere! »

Protestò lei miagolando, il pelo dritto, e lo scrutò severa:

« Ringrazia che Minto non ti abbia sentito. »

« Ma la pratica ha aiutato – persisté a prenderla in giro sogghignando – il passerotto apprezza il risultato. »

« Come sei stupido! »

Borbottò la rossa e Kisshu le puntò l'indice contro il naso:

« Ora solo la cornacchietta può darmi dello stupido. »

« Rivendico il diritto in sua vece. Visto che la paragoni alle tue vecchie conquiste… »

« Mai fatto – puntualizzò – e in ogni caso lei vincerebbe a mani basse. Perfino su di te. »

A quell'ultima affermazione Ichigo si ritrasse un po', prendendo a giocare con un ciuffo dei suoi codini e concentrandosi per far sparire le orecchie e la coda.

Era la prima volta, se escludeva il brevissimo dialogo sulla terrazza del Palazzo Bianco e qualche scambio di battute a Lirophe, che lei e Kisshu parlavano con calma a tu per tu dal loro ultimo "confronto" e a pensarci la rossa iniziò a sentirsi a disagio. Ebbe una sensazione simile a quella provata durante la discussione con Ryou alcuni giorni prima, il dubbio su come comportarsi dopo gli ultimi trascorsi; certo, con Kisshu non era mai stato molto chiaro il loro rapporto, e di certo il cambiamento era stato molto meno piacevole che tra lei e il biondo.

« … Non hai detto una cosa molto carina. »

Brontolò poco convinta e intravide Kisshu incrociare le braccia con fare canzonatorio:

« Non sei felice? »

La stuzzicò e il suo tono s'incrinò appena di una nota più acida; Ichigo incassò la cosa non accennando una protesta, ricordando quanto le aveva detto MoiMoi e sapendo benissimo di meritarsi qualsiasi livore da parte del verde.

« Puntualizzavo solo che non credo sia carino pensare a tutte le oche che ti hanno starnazzato attorno. E, tra parentesi, sei un donnaiolo. »

« Si dice intenditore. »

« Io avrei un'altra definizione. »

« Evidentemente noi maschietti abbiamo esigenze non comprensibili a voi donzelle. Almeno non a tutte. »

La rossa aggrottò la fronte miagolando qualcosa come pervertito e Kisshu rilassò il sogghigno teso.

« … Minto è una delle mie più care amiche. La mia migliore amica. »

Disse di colpo la ragazza a bassa voce. Lui la studiò di sottecchi mentre lei lo guardò da sotto in su:

« A te lei piace davvero, giusto? »

« È una brutta domanda fatta da te, micetta. »

« Te la faccio perché ti conosco. »

Ribattè senza una particolare inflessione nella voce e sostenne il suo sguardo indagatore, quello sguardo che tante volte l'aveva seguita e che tanto l'aveva cercata e che lei sapeva quanto potesse essere innamorato e desideroso. Sapeva che non era un suo problema, e probabilmente non aveva il diritto di fare una cosa simile, ma voleva solo avere la conferma di quanto già aveva intravisto, semplicemente che esistesse di nuovo quello sguardo. Ma mai più rivolto a lei.

Kisshu inclinò un poco la testa contro la spalla sinistra e sorrise sghembo:

« Spero di non doverlo dimostrare di nuovo facendomi passare da parte a parte a mo' di spiedino. »

Ichigo tremò per la battuta macabra e il senso di colpa la prese allo stomaco:

« Non dirlo nemmeno per scherzo. »

« Però, se servisse, lo farei. »

Lei non rispose, lui continuò a rimanere sbilanciato di lato con le labbra piegate da una parte e la massima serietà e serenità nello sguardo.

« Se Minto ti sentisse dire una cosa simile le verrebbe un colpo. »

Sospirò la mewneko cercando di sorridere più decisa all'onestà che gli scorse nelle iridi dorate:

« Quasi quasi arrossisco io per lei. »

« Tu lo fai troppo spesso. »

La canzonò, ancora un po' aspro e le sopracciglia di Ichigo si piegarono verso il naso.

« Comunque, ormai la cornacchietta tutta rossa è privilegio del sottoscritto. »

« Non mi lasceresti nemmeno un pochino di soddisfazione per prenderla in giro? »

« Anche quello è una mia esclusiva. »

« Egoista. »

Risero entrambi, due risate un po' stentate e rigide, ma furono un inizio.

Ichigo fu consapevole che lei sarebbe rimasta in un angolino della mente di Kisshu esattamente come Masaya sarebbe rimasto per sempre nella sua, pur se in modo molto diverso e, temette, più doloroso per il verde; però, forse, con il tempo, avrebbero trovato un punto del loro legame che avrebbero potuto sostenere, forse qualcosa di simile ad amici.

Kisshu incrociò le mani dietro la nuca e sorrise monello:

« A proposito di facce rosse e simili. »

Prima che Ichigo connettesse il ragazzo aveva compiuto un piccolo balzo di teletrasporto arrivando proprio di fronte ad una delle finestre della casa di MoiMoi. La mewneko pigolò in imbarazzo, mettendo di nuovo in mostra codina e orecchiette pelose, nel vano tentativo di fermarlo e immediatamente il pigolio si trasformò in un piccolo grido di sorpresa: Kisshu aveva fatto appena in tempo a sollevare la mano, forse per aprire la finestra o chissà cos'altro, quando una liana era spuntata dal terreno agguantandolo per la gamba e scagliandolo come un sacco di patate ad una decina di metri di distanza sulla strada a dare un dolce bacio alla francese al sentiero. Ichigo osservò la scena ad occhi sgranati, ma non ebbe il coraggio di controllare se fossero effettivamente due occhi color notte quelli che, furenti, spuntarono da dietro la finestra; squittì rizzando il pelo e girandosi nell'inutile tentativo di nascondersi corse verso Kisshu, afferrandolo per una spalla perché si alzasse e tirandolo di peso verso casa Ikisatashi.

 

 

***

 

Lasa mise su un nuovo bollitore ascoltando con un orecchio l'interminabile flusso di chiacchiere di Purin, sorridendo quando Retasu accennò timida a darle una mano e, ricevuto il muto assenso della donna, prese a fornirsi da sola di tazze per tutte.

Era capitato già un paio di volte che le terrestri, contente dell'invito di Meryold, ma smarrite in un mondo per loro in fondo ancora estraneo, bazzicassero da quelle parti nelle loro ore libere e Lasa ne era rimasta contenta, le faceva piacere un po' di compagnia tutta al femminile fuori dal lavoro.

« La vostra amica, Ichigo-chan, dov'è? »

Domandò ad un certo punto la donna sovrappensiero soppesando le sue ospiti, intanto che Purin prendeva a discutere con Minto circa il suo tono di voce troppo alto; Retasu si portò un dito alle labbra pensierosa:

« Ora che ci penso, non lo so… »

« Sarà con Shirogane – sospirò Minto con sufficienza – o starà borbottando nella sua stanza perché si è addormentata come al solito e ora è da sola. »

« Minto-san. »

Il rimprovero tirato di Retasu non toccò minimamente la mora e Lasa ridacchiò discreta, il curioso rapporto che intercorreva tra la mewbird e la sua amica dai capelli rossi era sempre buffo. Nel mentre Purin, libera dai rimproveri della mora – a cui comunque non aveva dato minimamente peso – iniziò a gironzolare per la casa con le braccia dietro la schiena:

« Lasa-san, posso sbirciare? »

Trillò indicando gli scaffali del salotto; le amiche la guardarono sospirando.

« Purin, non esagerare. »

« Va tutto bene Zakuro-chan. – sorrise Lasa con garbo – Fai pure cara, sbircia quanto vuoi. »

La biondina non se lo fece ripetere e iniziò ad ispezionare la stanza palmo a palmo, fermandosi su ognuna delle strane foto presenti; non ce n'erano molte, ma sperò di scoprirne qualcuna di interessante.

« Ho trovato un tesoro! »

Esclamò di colpo raggiante e rispuntò sul tavolo sdraiandocisi sopra con tutta la pancia, due piastrine di metallo tra le mani; Minto si raddrizzò indignata contro lo schienale:

« Purin! Non si toccano le cose degli altri senza permesso! »

« Ma queste le dovete vedere! »

Insisté la mewscimmia e Lasa, passando a ciascuna un bicchiere di paina, rise piano facendo un cenno di sufficienza:

« Non c'è problema Minto-chan. »

Purin allargò il sorriso e mostrò il suo bottino. La foto numero uno era un'immagine di famiglia, probabilmente di almeno una decina di anni prima; c'erano una Lasa e uno Iader più giovani, lui con un accenno di barba, ma ovviamente a colpire la biondina erano stati i tre ragazzini assieme a loro:

« Guardate qui! Allora anche Pai nii-chan è stato piccolo! »

« Tutti siamo stati piccoli, Purin. »

Puntualizzò divertita Zakuro, ma capì lo stupore della ragazza mentre indicò un Pai sui dodici anni che fissava in camera, i medesimi capelli scuri corti ordinati e le spalle dritte.

« Incredibile, sta accennando ad un sorriso o ho le traveggole? »

Scherzò appena Minto guardando Lasa e la donna trattenne un risolino; Retasu non disse niente, contenendosi dall'esprimere a voce alta quanto le sembrasse carino il moro in quella la versione in miniatura e quanto fosse carina la sua espressione composta sul viso ancora infantile.

« Uaaah, che carino che è Taru-Taru! – proseguì Purin – Com'era piccino! Guardate, aveva già i codini! Però erano corti corti… »

E mise su un gran sorriso intenerito emettendo altri duecento versetti sciocchi, rimirando il brunetto di forse cinque anni che uno Iader sulla trentina reggeva a dondolarsi appeso al proprio braccio:

« Poi da a me della scimmia. »

« Purin, tu sei una scimmia. »

Le puntualizzò Minto con tenerezza.

« Direi che è Kisshu quello che è cambiato di meno – fece Zakuro con tono incolore mostrando un lieve sorrisetto – l'espressione almeno è la stessa. »

Si scambiò un'occhiata con Lasa, che intuì il velato significato di faccia da schiaffi e potè solo annuire con un sospiro affettuoso verso il figlio in questione. Minto allungò un dito sulla foto tirandosela più vicino e analizzando il Kisshu sui dieci anni che si avvinghiava con entrambe le braccia alla vita di Iader, sorridendo con aria discola.

La sua onee-sama aveva ragione, non era cambiato di una virgola, sempre lo stesso affascinante ghigno da ragazzino dispettoso. Minto sorrise d'istinto e nascose la cosa con un colpetto di tosse, cogliendo l'occhiata obliqua che Zakuro le lanciò.

« Che guardate di tanto interessate? »

La mewbird si drizzò appena sulla sedia mentre il diretto interessato dei suoi pensieri sbucò per magia dalla porta, fiondandosi immediatamente sul tavolo incuriosito.

« Guardavamo com'eri carino da piccolo, nii-chan. »

Sorrise Purin e Kisshu la guardò di sottecchi mostrando i canini candidi:

« Vuoi dire che sono peggiorato crescendo? Mi spezzi il cuore. »

« Adesso sei un figo, nii-chan. »

« Non ero un diavoletto? »

Scherzò, ricordandosi il suo primo incontro con la biondina(*) e lei stando al gioco gli fece una linguaccia:

« Un diavoletto figo. »

« Occhio, poi Taruto lo sai che diventa geloso se ti sente. »

« Ero obbiettiva – replicò lei tranquilla alzando le spalle – ma non ti ci abituare, non ti faccio altri complimenti. »

« Sì, vuoi proprio spezzarmi il cuore. »

E stringendosi melodrammatico la mano sul torace sogghignò rubando una tazza di paina alla madre e andando a stravaccarsi sul divano. Purin rise della scena, venendo poi coperta dal lungo e lamentoso sospiro di Ichigo che, seguendo il verde dall'ingresso, si accasciò su una delle sedie libere, il mento sul ripiano, ringraziando Lasa del paina che le porse.

« Che ti è successo? »

« Meglio se sorvoliamo Retasu… »

Bofonchiò la rossa sfuggendone lo sguardo a disagio e pensò bene di inserirsi nella loro conversazione per evitare dettagli sui suoi precedenti dieci minuti; afferrò l'altra foto, che Purin aveva abbandonato sul tavolo, e si ricompose osservandola attenta:

« E questa…? »

« È Pai nii-chan, vero? »

Nel sentirlo nominare anche Retasu, come Purin, si sporse dietro le spalle di Ichigo per vedere meglio e aggrottò la fronte:

« No… Guarda gli occhi… Questo…? »

« È Iader-san? »

Di colpo tutte e cinque si ritrovarono a studiare l'immagine incuriosite. Il ragazzo nella foto si sarebbe potuto scambiare per Pai, data la somiglianza al ragazzo nel periodo in cui era stato sulla Terra, ma i capelli avevano un tono diverso ed erano scompigliati, ben lontani dal taglio ordinato del moro, e come aveva notato Retasu gli occhi erano dorati; accanto a lui una ragazza minuta, capelli castagna con due ciuffi sulle orecchie tenuti da due fermagli a sfera, sorrideva con un rilassato sguardo glicine. Lasa, interessata alle loro arie concentrate, sgusciò alle loro spalle e sorrise nostalgica:

« Sembra una vita fa… »

« Siete tu e Iader-san, giusto? »

Chiese conferma Ichigo e Lasa annuì:

« Il giorno che ci siamo sposati. »

Cinque paia di occhi la scrutarono allibiti.

« NYAH?!? »

« M-ma siete giovanissimi! »

Esclamò Retasu sorpresa, i ragazzi dell'immagine dovevano avere al massimo la sua età, un paio di anni di più.

« Quanti anni avevate? »

Domandò titubante Minto.

« Diciassette. Beh, io ne avrei compiuti diciassette da lì a p- »

« Che cos-NYAH?!? »

« Uao, avevate la stessa età delle onee-chan. »

« Ai miei tempi si usava ancora così. »

Rispose la donna divertita dalle loro facce sbigottite; riposò sul tavolo la foto e Zakuro, anche lei sorpresa ma che, come sempre, limitò la manifestazione ad un lieve spalancare gli occhi, riprese l'immagine ricominciando a studiarla:

« Per via del clima? »

Lasa la rimirò sorpresa dal suo intuito e la mewwolf aggiunse:

« Immagino che fosse come una cinquantina d'anni fa sulla Terra. Si diventava adulti prima, la vita era difficoltosa e si moriva prima, perciò era normale sposarsi più giovani. »

« Grossomodo – ammiccò la donna – io e Iader abbiamo fatto parte dell'ultima generazione che aveva questa tendenza, per la maggior parte almeno. Ormai è rarissimo sposarsi prima dei vent'anni. »

« Altrimenti Pai sarebbe da considerare bello e che zitello, e di Eyn non ne parliamo. »

Rise Kisshu da dietro lo schienale del sofà. Alla sua frase Ichigo fece due rapidi conti mentali:

« Aspetta, se Pai (a occhio) è sulla ventina, e ti sei sposata a diciass… Lasa-san, ma sei diventata mamma prestissimo! »

Scrutò ad occhi sgranati la donna e il suo viso appena segnato da pochissime rughe, visibili giusto quando lei sorrideva.

« Pai ha ventun anni, li compirà tra qualche mese(**). – annuì Lasa dando conferma e poi arrossì un poco sulla seconda affermazione – In effetti… È nato l'anno dopo, io ne avevo diciotto. »

La mascella della mewneko iniziò a penzolare scioccata. Le ragazze presero a passarsi la foto quasi per accertarsi di quanto sentito e Retasu, zitta, riflettè sulle ultime affermazioni rilassandosi appena: non aveva mai considerato troppo l'età di Pai né aveva domandato, pur se avesse intuito che fosse più grande di lei, ma doveva ammettere che sapere ci fosse una differenza di soli tre anni la tranquillizzasse.

« Allora è tutto a posto, eh pesciolina? – la stuzzicò Kisshu sbucando appena con il profilo degli occhi dal divano – Tu e il musone potete convolare a nozze anche subito. »

« Eh?!? »

« Kisshu, lasciala stare. »

« Non diciamo spropositi. »

Abbaiò Ichigo, a cui la sola idea di avere per il resto della vita il ghiacciolo semovente tra le scatole dava i brividi, mentre Retasu ammutolita iniziò a passare ad oltranza tutti i colori dal pallido al papavero. Zakuro sospirò rassegnata:

« Retasu, respira. »

« Lui avrebbe solo di che guadagnarci. »

Insisté il verde ammiccando e Minto gli lanciò un'altra occhiataccia:

« Se Retasu collassa ci guadagnerai tu, ma il divano in testa. »

La mewfocena intanto aveva preso ad ammirare il tavolo pregando di scomparire e di non incrociare lo sguardo di Lasa. Per sua fortuna Purin trovò qualcos'altro di curioso cambiando discorso e tenne davanti al naso l'immagine posandoci contro l'indice, la fronte dubbiosa aggrottata:

« Cos'avete sul braccio, Lasa-san? »

La donna dovette intuire subito a cosa si riferisse perché sorrise con dolcezza, lasciando che le amiche della biondina vedessero cosa stava indicando; sul braccio sinistro di entrambi i novelli sposini s'intuiva una sorta di tatuaggio, tono su tono della pelle, talmente lieve da domandarsi se non fosse uno strano riflesso della luce.

« Unmei(***). »

Le terrestri si voltarono per la sibillina risposta di Lasa, che continuando a sorridere si sedette stringendo la sua tazza tiepida, gli occhi ametista socchiusi:

« Una consuetudine della nostra gente.  Sapete, le nostre cerimonie di matrimonio sono un po' diverse dalle vostre, ma da parecchi secoli sono in pochi a fare ancora il rito di unione, ciò che conta è l'unmei. »

Si ravvivò un ricciolo dalla spalla perdendosi in qualche ricordo dolce che la fece sorridere e riprese:

« Non vi saprei spiegare la sua meccanica, nessuno la sa. – ammise – Si tratta di una conoscenza che abbiamo perduto nei secoli. »

Emise uno sbuffo divertito:

« Probabilmente vi sembrerà una favoletta. »

Le cinque la fissarono più che curiose e lei allargò il sorriso, la cosa non sembrò importasse loro molto.

« Un segno che possiamo imprimere solo desiderandolo, e una volta sola. Una sorta di "patto". Una volta nella vita possiamo scegliere una persona con cui stringerlo, indipendentemente da chi essa sia. »

Lasa si sollevò leggermente la manica sinistra della camicia. Le ragazze non videro nulla se non la pelle chiara del braccio, quando d'incanto una serie di linee sottili, un tono appena più scuro del suo incarnato, s'intrecciarono dal polso risalendo fin sotto la stoffa; intuirono un'immagine nel ricamo, ma non la poterono definire, e dopo qualche momento lo strano tatuaggio scomparve com'era arrivato.

« Ovviamente non è a senso unico – riprese a spiegare la donna abbassandosi la manica – l'altro, o l'altra che sia, deve accettarlo con tutto se stesso; è qualcosa che non puoi fare unicamente a parole, se nel proprio animo non lo si vuole non si può ricevere. »

« E se si vuole? »

Domandò a bassa voce Purin, gli occhi spalancati ed emozionati, e Lasa prese una sorsata di paina:

« Il patto è stabilito. La tradizione vuole che da quel momento si sia legati in eterno. – riabbassò la tazza sorridendo più pragmatica – In senso più pratico, chi porta l'unmei è considerato metà giuridica di colui o colei che lo ha trasmesso, sia dalla nostra legge sia dal Consiglio Maggiore; fa vece in tutte le questioni burocratiche e decisionali nel caso l'altro non possa… Cose così. »

Le ragazze annuirono in silenzio. Lasa girò la tazza in tondo premendo l'indice sul bordo e tornando a perdersi con sguardo umido:

« Visto il suo aspetto "vistoso" possiamo nascondere l'unmei per tutto il tempo che desideriamo, ed è considerato qualcosa di estremamente personale quindi è difficile saperlo, io stessa non ho mai avuto modo di vederne altri per abbastanza tempo oltre al mio e a quello di Iader… Ma si dice che ognuno possa vedere un'immagine nel proprio, che gli ricorda la metà con cui si è stretto l'unmei. Come portare con sé una parte della persona amata. »

Si lasciò sfuggire una risata e scrollò le spalle per sciogliere la leggera eccitazione calata attorno a sé in un silenzio contemplativo.

« … È una delle cose più romantiche che abbia mai sentito. »

Commentò solo Ichigo prendendosi il volto tra le mani con fare sognante; le altre non dissero nulla, ma dalle loro espressioni sembrarono del tutto d'accordo con lei. Kisshu, trattenutosi fino a quel momento, alzò il braccio con un lungo verso di insofferenza:

« Credo che vi lascerò campo libero, qui iniziano a volare troppi estrogeni per i miei gusti. »

« Sei un gretto certe volte, lo sai? »

« Le storielle melense mi annoiano, cornacchietta. Io sono per un altro tipo di romanticismo. »

Accompagnò la frase da strani gesti della mano e Minto ringraziò che se ne fosse rimasto sdraiato, potè immaginarsi benissimo l'occhiata maliziosa che in quel momento gli stava attraversando il viso e non ebbe molta voglia di vederla. Sbuffò irritata reggendosi la fronte con le dita, mentre Purin ricominciò a chiacchierare e a tartassare Lasa di domande e curiosità sulla sua famiglia e su altre tradizioni "strane" dei jeweliriani, scatenando un chiacchiericcio fin troppo alto.

« Che mi sono perso? »

« Ciao pa'. »

Kisshu si mise a sedere salutando Iader che, guardingo, era entrato in casa e si era portato vicino al divano circumnavigando il tavolo da pranzo, centro del chiasso in corso.

« La nanerottola ha scovato qualche vecchia foto ed è partito il finimondo. »

Ghignò il verde sarcastico e si appoggiò con i gomiti allo schienale intanto che Iader mandò un breve verso di comprensione tentando un sorrisetto. Kisshu studiò distratto le cinque ragazze confabulare agitate, discutere, ridere, e incrociò lo sguardo Minto per un secondo; lei lì per lì si limitò a tenere le sopracciglia aggrottate, come a puntualizzargli che le sue battute non erano state divertenti né sarebbero passate in cavalleria, ma poi gli concesse un sorriso. Kisshu non potè evitare di fare lo stesso, non smettendo neppure mentre lei tornò a sgridare Purin per il suo comportarsi da selvaggia esagitata e cafona.

« Io l'avevo detto. »

Il verde alzò appena gli occhi verso il padre che sorrise gongolando:

« Mi ripeto, in gamba e graziosa – ammiccò studiando la mewbird di sottecchi – Papà approva. »

« Sarebbe la prima volta. »

Puntualizzò Kisshu.

« Direi che siamo in tema, è la prima volta che ti vedo fare quella faccia da pera cotta. »

Il verde sgranò gli occhi e si appoggiò con il viso alla propria mano, grugnendo appena a disagio per la soddisfatta risata paterna.

« Allora sono esonerato da agguati nella mia stanza da parte tua e di mamma? »

Domandò il ragazzo dopo un po' con aria divertita e Iader alzò un sopracciglio:

« Innanzitutto, è sempre stata mamma – gli fece notare – e poi, direi che non c'è problema. Se la fai arrabbiare Minto-chan è capace di appenderti alla parete come suppellettile. »

Rise forte incurante del figlio che, borbottando, si alzò e se ne andò nella sua stanza.

 

 

***

 

Ogni persona almeno una volta nella vita l'aveva sognato.

Il giorno del proprio matrimonio.

Le donne poi, che fosse per un'ideologia romantica o per opposizione a vecchie tradizioni, erano praticamente destinate a vivere quel momento di sogno – o incubo – ad occhi aperti.

Lei lo aveva sempre sognato.

In quei tempi i legami di matrimonio non potevano essere suggellati unicamente dal reciproco unmei; occorreva una cerimonia sontuosa, abiti, musica, fiori, e la gente che celebrava l'unione di due anime innamorate.

Lei lo aveva sognato fin da bambina. Un tripudio di corolle colorate sotto un sole luminoso mentre lei, in abito color del cielo e altrettanti fiori nei capelli color grano, avrebbe avanzato sotto le colonne del tempio tra la folla ammirata e felice che avrebbe chiamato il suo nome e quello dello sposo, rombare di strumenti, percussioni, fischi e melodie; lei però non avrebbe visto nulla, solo il sorriso radioso del proprio amato che l'avrebbe condotta con sé al cospetto del sacerdote, ignari entrambi del mondo se non di loro due persi uno negli occhi dell'altra.

Era stato così.

L'abito, i fiori, la musica, le voci; perfino il sole.

Ma l'amore che provò per l'uomo che le tenne la mano, trascinandola al cospetto dell'officiante come un assassino al suo boia, non poté colmare il divario del desiderio bruciante che lui provava per lei, e a cui Luz dovette sottostare con il cuore gonfio di dolore e confusione.

Il sacerdote pronunciò le parole di rito. Luz non ne ascoltò una, tremante e sconvolta, mentre l'uomo al suo fianco la fece voltare perché si fronteggiassero e le prese entrambe le mani tra le sue.

Mani grandi, forti, calde.

Mani che lei conosceva.

Mani che non avrebbero dovuto bramarla così.

« Finalmente, mia regina. – le sussurrò scostandole con il dorso della mano un ciuffo che le cadde sulla guancia – Amata sorella mia. »

Luz non riuscì a rispondere e si morse le labbra sentendo di stare per piangere. Quando il sacerdote terminò la funzione e lo sposo le prese il viso tra le mani, ghermendole la bocca con il sollievo di un assetato, lei singhiozzò senza ritegno, debole, tremante e succube di quella stretta e di quell'amore soffocante.

 

Alla fine del mondo mancarono due anni e un mese.

 

 

 

 

« Ichigo nee-chan! Ichigo nee-chan! »

La rossa spalancò gli occhi mettendosi di colpo in ginocchio, ma non si voltò verso Purin che la chiamò ancora a gran voce:

« Ichigo! »

« … Eh? »

« Ti ho detto vieni! – continuò la biondina euforica – Devi venire a vedere! »

La rossa annuì senza aver capito niente e Purin trottò via andando a bussare alle altre camere; Ichigo connesse solamente che l'amica fosse ancora in pigiama, eppure per nulla preoccupata di correre per tutto il corridoio zampettando coi piedi nudi.

Ichigo si sedette sul letto e guardò il giardino di sotto deserto; si premette una mano sul cuore, lo sentì rallentare ancora i battiti ed ebbe la sensazione di aver rischiato di soffocare fino a pochi istanti prima.

... Luz…

La sua mente rivide il volto dell'aliena, l'unico frammento chiaro dopo il risveglio, e il dolore che ricordò nei suoi occhi chiari le suonò ancor più stridulo nell'atmosfera festosa e luminosa di quel sogno.

Perché ti vedo ancora?

« Insomma, Ichigo! »

Purin rispuntò nella sua camera come una furia, l'agguantò per un braccio e tirandola con la sua decisa forza la trascinò ancora in tenuta da camera fino nella stanza più in fondo, quella di Zakuro, incurante delle sue proteste.

« Purin, insomma, lasciami! – farfugliò a disagio – Sono in pigiama! »

« Devi vedere subito! »

Insisté l'altra e la lasciò andare solo quando fu abbastanza vicina da spiaccicarsi contro la finestra:

« Guarda! »

Ichigo allungò appena il collo, innervosita dall'esplosione d'entusiasmo della biondina, e dovette calare la propria irritazione per lo stupore.

Dalla camera della mewwolf era possibile vedere un bel pezzo della piazza posteriore al Palazzo, dove cinque giorni prima si era tenuto l'annuncio di Meryold. Nel giro di una notte e poche ore della mattina lo spiazzo si era riempito di gente intenta a montare bancarelle e decorazioni, in un fermento intuibile perfino da quella distanza.

« Stanno già iniziando – fece estasiata la mewscimmia – sarà qualcosa di grandioso! »

Ichigo le andò accanto appoggiandosi alla finestra e annuendo partecipe, di certo sarebbe stata una cerimonia in grande stile, se occorreva un intero giorno di preparativi.

Un cigolio lievissimo e un sospiro di sorpresa sollevò entrambe dai loro giudizi eccitati, trovandosi sotto l'occhiata torva di Zakuro uscente dal bagno:

« … Quando siete entrate nella mia camera, voi due? »

 

 

***

 

L'atmosfera della città divenne gioiosa ed elettrica di ora in ora. Le strade si animarono di gente e di chiacchiere e Zakuro fu felice di passeggiare inosservata nella confusione: era abituata a muoversi senza dare nell'occhio, ma in quei giorni le era stato impossibile, del resto un'aliena come lei balzava immediatamente all'occhio dei nativi nelle strade affollate.

La mewwolf sorrise tra sé, le faceva ancora strano.

Io sono l'aliena qui.

Camminò tranquilla sul bordo della via mescolandosi con gli abitanti e stava raggiungendo la sua meta quando un nugolo cinguettante di bambini le si parò davanti come una valanga. La mora si scostò all'ultimo minuto prima di venire investita dal marasma che si fermò a poca distanza da lei, avendo acchiappato l'oggetto che aveva fomentato l'agitazione generale, una palla marroncina grossa quanto un'anguria; i bambini si accapigliarono tra loro per prenderla e Zakuro ne riconobbe alcuni come amici della piccola Sury, tra cui la piccola con due grosse trecce ai lati del viso che aveva visto varie volte vicino a casa Toruke.

La mewwolf si accucciò richiamando l'attenzione della bambina con un tocco sulla spalla e quella sgranò gli occhioni studiandola incerta.

« Ciao. – al sorriso di Zakuro la piccola si sciolse appena – Hai visto Sury-chan? »

« Ha detto che poi arriva – le spiegò, lo sguardo che stava già perdendo interesse tornando verso i compagni e il loro gioco incomprensibile con il pallone – stava parlando con Eyner. »

I bambini cacciarono uno strillo più acuto e la piccola si voltò di scatto per comprendere l'andamento degli eventi, ma quando capì che non c'era la giusta azione che cercava si voltò di nuovo sussurrando misteriosa all'orecchio della mewwolf:

« Ha detto che doveva chiedergli una cosa importante. »

Zakuro annuì complice senza fare ulteriori domante e la bambina tornò a giocare richiamando gli amici a gran voce.  La mewwolf si alzò riprendendo la sua strada e riuscì a compiere solo pochi passi che proprio i due nominati comparvero dalla parte opposta, in compagnia di Kisshu.

« Allora posso, vero? »

Fece Sury insistendo, si intuì, probabilmente per la decima volta e strattonò la mano che teneva ad Eyner, che roteò gli occhi esasperato:

« Ti ho detto di sì – la rassicurò con tenerezza – però ti dovrai ricordare le regole. »

« Stare sempre in gruppo, non andare in giro da sola, dirti sempre se mi allontano di più, non parlare con gli estranei, stare alla festa e non andare in posti in cui non dovrei andare. »

Elencò la bambina concitata sulle dita della mano libera. Eyner annuì e le fece una carezza sulla testa indicandole gli amici poco distante:

« Banco di prova. Devi… »

« Rispettare le regole e tornare a casa prima di cena. – lo anticipò fiera la piccina – Agli ordini! »

Battè i tacchi ricomponendosi un pochino all'occhiata obliqua del fratello e annuì più seria; Eyner le sorrise sospirando.

« Allora posso prenotarmi per un ballo domani sera? »

Scherzò Kisshu acchiappando uno dei ciuffi che Sury portava sulle orecchie:

« Visto che ormai sei una signorina che va in giro da sola con gli amici. »

« Prima ballo con Kei-chan – ribattè la bambina pacata – e poi, nii-chan, tu hai le tue fidanzate. »

Il verde alzò un sopracciglio divertito e la voce gli si addolcì:

« Credo che la mia lista quest'anno sarà decisamente breve. »

« Fidanzate? »

La domanda retorica di Zakuro, che li aveva raggiunti, gelò il ghignetto di Kisshu facendolo impallidire. Sury salutò la mora e annuì con vigore:

« Kisshu nii-chan balla sempre con tante fidanzate – spiegò con candore innocente – poi però si stanca e torna a casa presto. »

Zakuro emise un muto verso di presa visione, sempre calma, e Kisshu avvertì i suoi occhi zaffiro che lo scrutarono inquisitori passandolo da parte a parte.

« Già – commentò solo la mora piatta – immagino sia stancante. »

Le belle labbra della giapponese sorrisero, ma lo sguardo evocativo guizzò verso il verde con severità lasciando intendere che lei, al contrario della piccola Toruke, sapesse benissimo il motivo – e il proseguimento – delle fughe in dolce compagnia del ragazzo dai festeggiamenti. Kisshu avvertì la guancia destra, che Zakuro gli aveva centrato con un sinistro spaventoso più di tre anni prima(****), fremere in allarme.

Sono morto. Stramaledettamente morto.

« Però se vuoi ci ballo con te, nii-chan. »

Concesse dolcemente Sury rivolgendosi al verde, bianco come un lenzuolo, e lui sorrise tirato intanto che la bambina tornò a parlare con Zakuro:

« Eyner ha detto che sono abbastanza grande e quest'anno posso stare con i miei amici alla festa! »

La mewwolf sorrise affettuosa per l'eccitazione che le illuminò il viso:

« Sarà divertente. »

Sury annuì frenetica stringendo le labbra contenta.

I bambini poco lontano chiamarono la morettina agitando braccia e gambe e lei, riconfermando al fratello di rispettare tutte le raccomandazioni e le regole che avevano stabilito, salutò i tre ragazzi e corse dagli amici strappando a Kisshu l'unico scudo rimastogli contro Zakuro. Il verde cercò sostegno in Eyner, che aveva ghignato di nascosto tutto il tempo – lo stronzo – ma lui si limitò ad incrociare le braccia al petto studiandolo divertito e per niente intenzionato a salvargli le chiappe.

« Giuro che posso spiegare. »

« Ah sì? »

Zakuro si limitò a squadrarlo con freddo biasimo e Kisshu alzò le mani quasi ad implorare clemenza:

« Innanzitutto non sono sempre stato io a chiedere di ballare. »

« Questo è vero. »

Gli concesse Eyner con uno scrollo di spalle e la mora distese appena la fronte aggrottata.

« In secondo luogo non ho mai fatto niente che qualcuno non voles- »

« Meglio se chiudi il becco prima che ti tiri un altro pugno. »

Lui obbedì istantaneamente alla minaccia gelida della ragazza, pareva non essere l'unico a ricordarsi di quel gancio ai tempi in cui furono nemici. Zakuro mandò un sospiro rilassando il viso, ma l'occhiata che scoccò al verde rimase ostile:

« Minto è una ragazza forte. Non ha bisogno della mia protezione, saprebbe benissimo farti da sola un occhio nero, se servisse. »

« Perché tutti dovete minacciarmi di lesioni fisiche da parte della cornacchietta? Il dolore non è il mio genere di intrattenimento. »

« Ma sappi – lo interruppe fredda la mewwolf irritandosi al suo sarcasmo – che se dovessi farla piangere un'altra volta ci sarò anche io a fartene pentire. »

Il verde si toccò distrattamente la gota destra con le nocche, corrucciandosi seccato dell'ennesima predica, ed Eyner mosso a compassione si fece avanti prendendogli una spalla:

« È un cretino, ma non è così cretino. »

Ammiccò cercando di far abbassare le armi alla mora e guardò Kisshu che sbuffò squadrandolo torvo:

« Grazie del complimento. »

« Viva l'onestà. »

Kisshu alzò gli occhi al cielo e si massaggiò il collo voltandosi verso Zakuro:

« Senti dolcezza, lo so che visti i miei trascorsi e la storia di Ichigo suona strano, e capisco che per lo stesso motivo tu abbandoni la tua etica del "farsi i fatti propri", e che la cornacchietta sia una tua cara amica… Ma io sono serio. – disse affrontando fermo la sua posa autoritaria – Dannatamente serio. »

Zakuro non gli rispose studiandolo imperscrutabile.

« Sono davvero innamorato di Minto. »

La schiettezza disarmante dell'ultima frase lasciò gli altri due ragazzi interdetti qualche momento.

La mewwolf continuò ad osservarlo e infine si concesse un sospiro allentando la stretta delle braccia, sorridendo. Già sapeva, ma dovette ammettere che le diede un senso di conforto sentirlo pronunciare quelle parole. Eyner la imitò in silenzio dando un colpetto con la spalla all'amico:

« Ci hai solo messo un po' ad accorgertene. »

« Ehi, mica tutti possono ricevere l'illuminazione al primo incontro come lei, caro mio. »

Lo scrutò ghignando del lieve imbarazzo che storse la bocca del bruno e Zakuro sbuffò divertita:

« Ah, a proposito Kisshu… »

« Uh? »

« Richiamami "dolcezza" e ti stacco la testa a morsi. »

Lui deglutì appena alla sua occhiataccia guardandola tornare indietro e allontanarsi, nella stessa direzione che presero loro immediatamente dopo.

« … Ma è così bellicosa anche a letto? »

Eyner lo fulminò serrando gli occhi grigio-blu:

« Sei un imbecille. »

« Insomma, sé è così normalmente non oso immaginare…! »

« Ecco, non lo fare. »

Lo freddò il bruno. Kisshu lo guardò malizioso:

« Scommetto che hai la schiena come un arazzo di segni rossi. »

« Strozzati. »

Gli sibilò sforzandosi di non arrossire per l'allusione esplicita.

« A pensarci potrebbe anche essere. »

Soppesò il verde continuando a stuzzicarlo e alzò gli occhi all'insù ostentando una riflessione profonda:

« Non sei stato molto prodigo di dettagli sui tuoi momenti piccanti, di recente. »

« … Piuttosto che parlarne a te faccio voto di mutismo. »

Kisshu sogghignò e si allungò con la mano scostando la maglia del bruno per cercare appassionati segni dell'aggressività repressa della mewwolf, beccandosi una gomitata in pieno naso.

 

 

***

 

Retasu si sistemò meglio sulla sedia e si affacciò dal balcone strizzando gli occhi alla luce calda del tramonto: in quei giorni aveva svelato tanti piacevoli misteri nella sua camera, tipo la seduta nascosta che spuntava al semplice comando di una mano in qualsiasi punto della stanza, o il vetro della finestra che scompariva con un tocco delle dita lasciando entrare la brezza estiva. Ammirò di sotto la piazza praticamente pronta per la grande festa e quindi si risedette meglio, sfogliando uno dei display portatili che tanto utilizzavano Pai e MoiMoi, pure quello un optional fornito con la stanza e trovato nel cassetto del comodino: Ichigo l'aveva aiutata a decifrare la scrittura aliena, che incredibilmente risultò facilissima da interpretare – forse perché, come la lingua parlata, il jeweliriano scritto era stato ceppo originario di ogni lingua terrestre – e capito il funzionamento del piccolo computer la mewfocena aveva iniziato a curiosare nella sua banca dati interna, per scoprire con più precisione cosa fosse la fantomatica Cerimonia della Prima Luna.

Da quanto lesse un tempo, all'epoca della Terra, i jeweliriani solennizzavano la prima luna d'Autunno come inizio dell'anno, una festività importante, ma come molte altre nella loro tradizione. Quando giunsero a Jeweliria, però, il pianeta seguiva cicli temporali lievemente diversi dalla Terra – l'anno durava due mesi in più – le terrificanti condizioni climatiche non permettevano di stabilire alcuna stagione e, ancor più importante, non c'erano satelliti neppure vagamente eguagliabili alla Luna. La Celebrazione della Prima Luna divenne un ricordo nostalgico del Pianeta Azzurro, un rievocare di anno in anno la patria perduta e il desiderio della popolazione di tornare, fino a tre anni prima.

Il poter ricominciare la vita sulla superficie aveva dato un nuovo significato alla festa, che andò a consacrare il primo giorno in cui la gente poté calpestare liberamente con i propri piedi il suolo di Jeweliria, mantenendo dell'originale celebrazione terrestre ormai solo il nome.

« Cosa guardi? »

Fu così concentrata a leggere che la voce tranquilla di Pai la fece appena sussultare:

« Mi stavo documentando. »

Il moro sollevò un sopracciglio interrogativo e le si avvicinò sporgendosi da oltre la sua spalla per guardare il display. Retasu sentì il codino accanto al viso di Pai sfregarle la guancia e strinse le labbra arrossendo appena.

« La Cerimonia della Prima Luna, uh? – domandò piatto scorrendo con il dito sullo schermo – Potevi chiedere, se ti interessava. »

« Sei… Sempre indaffarato – si giustificò lei e strinse le dita sullo schermo a disagio – e poi ho trovato questo ed ero curiosa di usarlo. »

Confessò e lui la studiò divertito:

« Se non sbaglio avete aggeggi simili sulla Terra. »

« Sì, tablet e cellulari – annuì la verde – ma sono molto meno versatili, decisamente non paragonabili. »

Sorridendo entusiasta toccò lo schermo un paio di volte e aprì tre schermate a caso con il semplice comando dei polpastrelli, creando finestre trasparenti che si proiettarono a qualche millimetro dal display principale e che la mewfocena si divertì a spostare, ingrandire e chiudere con il solo avvicinare e allontanare i polpastrelli, richiudendo poi il tutto ridacchiando.

Pai continuò ad osservarla con quel lieve sorriso obliquo e Retasu avvertì l'addome contrarsi piacevolmente, finché un'idea maligna, sorta alcune ore prima nella tranquilla solitudine della sua camera, non rispuntò prepotente.

« Che c'è? »

Pai notò immediatamente il suo cambio di espressione e al cenno di diniego di lei la fissò più serio:

« Retasu. »

Ecco, tanto la verde adorava quei sorrisi accennati, tanto detestava quel tono, come se la rimproverasse. Possibile non riuscisse a nascondergli qualcosa, almeno per due minuti?

« … Mi è solo venuto in mente che dopo la festa partiremo. – disse in un fiato, consapevole di non potergli dare a bere una frottola – Tutto qui. »

Il moro non le rispose.

Retasu non volle dire di sentirsi triste; quei giorni erano stati bellissimi e MoiMoi aveva assicurato loro, ammiccando, che sarebbero bastati un paio di mesi o poco più perché il passaggio fosse stabilizzato e avessero pronti i dispositivi di sicurezza adatti ad impedirne un attraversamento incontrollato. Quisquiglie rispetto ai tre anni dopo la sconfitta di Deep Blue, o ad un addio definitivo.

Però nel frattempo il passaggio sarebbe dovuto essere forzatamente chiuso, come avevano fatto altre volte durante le missioni di recupero. La cosa, temette la verde, avrebbe reso quei due mesi o più molto, molto lunghi, e il pensiero le aveva fatto nascere uno strano nodo in gola.

« Tenere aperto il passaggio mentre lavoriamo è troppo rischioso – le chiarì Pai intuendo – non possiamo garantirne la sicurezza. »

« Sì, lo so. »

Sospirò lei.

« Inoltre si tratta solo di pochi mesi. »

Concluse laconico e la verde strinse appena i pugni sulle ginocchia. Pai aveva ragione, eppure la sua tranquillità le fece un po' male considerando quanto lei si sentisse nervosa per il futuro arrivederci.

« Già. »

Commentò soltanto e posò il display sul tavolinetto vicino alzandosi e sorridendo meglio che potè:

« Sta iniziando a venirmi fame. »

Disse sovrappensiero ed ignorò lo sguardo indecifrabile del ragazzo, attendo ad ogni suo movimento:

« È presto. »

Puntualizzò piatto. Durante la settimana i terrestri avrebbero dovuto ricevere alloggio e vitto a Palazzo Bianco, ma erano state rarissime le volte in cui avevano favorito del cibo offerto, quasi sempre si erano ritrovati tutti invitati da Lasa – che si era dimostrata imperturbabile, anzi contenta, nel preparare coperti per il doppio di persone a cui era abituata – e un paio di volte si erano spiaccicati nella casettina di MoiMoi o avevano "schiavizzato" Eyner, sotto l'autoritario ordine di Sury che aveva trascinato Keiichiro e Ryou a casa e le ragazze di riflesso. Per l'ultima serata la signora Ikisatashi aveva chiamato anche MoiMoi e Sando e si prospettava una cena abbondante quanto chiassosa e divertente, eppure Retasu nonostante quanto detto non ebbe per niente appetito nel pensarci.

« Potrei andare ad aiutare Lasa-san. »

Disse e puntò alla porta sorridendo senza guardare il moro e sorpassandolo:

« Poi se si sforza trop… »

« … Retasu. »

Lei si bloccò davanti alla porta e non si girò. Pai la raggiunse restando però ad un passo di distanza, ascoltandola trattenere un sospiro tremulo e avvertendo qualcosa di freddo e amaro cadergli nello stomaco:

« Pensi che mi faccia piacere? »

Le domandò atono e lei scosse la testa in silenzio.

« Potrei chiedere una licenza – aggiunse sottovoce avvicinandosi ancora – ma, ad esser sincero, vorrei concentrarmi sulle ultime difficoltà tecniche per il mantenimento del portale. »

Ammise e lei, vergognandosi per il suo atteggiamento infantile, sbirciò appena da oltre la spalla la figura più scura nella luce morente del tramonto, cogliendo con un sobbalzo nel petto le sue intense iridi ametista:

« Voglio che sia pronto il prima possibile. »

Pai contrasse appena la mascella, la frase che gli era balenata nella mente era stata più onesta, ma non riuscì a dar voce a quelle precise parole.

Voglio rivederti il prima possibile.

Retasu arrossì, intendendo vagamente, e gli sorrise più calma tornando a guardare la porta e fregandosi gli occhi tirando su con il naso. Pai invece non si rilassò, infastidito da se stesso, non era stata una spiegazione sufficiente.

Retasu avvertì il torace del ragazzo sfiorarle la schiena e la sua mano posarsi sopra la propria che già stringeva la maniglia della porta. Si voltò a guardarlo, calamitata dalle sue iridi scure, e socchiuse lentamente gli occhi mentre lui le prese con dolcezza una guancia tra le dita e la baciò.

Retasu si tranquillizzò del tutto godendosi quel contatto gentile, ma quando sovrappensiero fece per allontanarsi Pai le accarezzò la nuca con l'altra mano e la spinse piano contro di sé perché continuassero; lei si lasciò sfuggire un sospiro tremulo, arrossendo, ma lo assecondò felice del gesto inaspettato e coinvolto. Quando lo sentì premere perché schiudesse un poco le labbra e assaporò il suo respiro riuscì a stento ad inclinare la testa. Ipnotizzata, con il cuore che sfarfallava,  avvertì la lingua del ragazzo cercare la sua e poi muoversi lenta, gustandola, baciandola desideroso come mai lei avrebbe pensato potesse essere. Gli portò le mani al petto e gli accarezzò il collo e le spalle per tirarlo appena più vicino, frenetica e timida allo stesso tempo. Le sembrò che Pai ridesse nel momento in cui si allontanò per riprendere aria, ma immediatamente tornò a ghermirle le labbra e Retasu si scordò del dettaglio. Le dita di lui le sfiorarono il collo e la spalla, poi il braccio, e proseguirono sulla vita fino al fianco dove iniziarono a muoversi con carezze misurate: Retasu si sentì avvampare e contemporaneamente un delizioso brivido le salì dall'ombelico fino alle punte delle dita e si accorse di tremare leggermente, la testa vuota e il volto rovente.

Pai si allontanò il minimo che gli permise di mordicchiarle il labbro inferiore prima di riprendere, anche l'altra mano a saggiarle i fianchi morbidi. Di certo si stava dimostrando molto più chiaro che a parole, ma non avrebbe immaginato che sarebbe stato così complicato trattenersi, rimanere controllato e seguire la risposta di lei ai suoi gesti. Né avrebbe immagino che con Retasu, così discreta e impacciata, sarebbe stato così naturale, ovvio, bello; così dannatamente eccitante con il suo cercarlo allungandosi in punta di piedi per approfondire un bacio, con il suo respiro spezzato e caldo.

Pai provò a risalire con le mani lungo la sua vita fino a sfiorare appena con il pollice la curva laterale dei seni; il fiato di Retasu si ruppe ancora con una nota tremolante e lui la strinse di slancio a sé per l'incavo della schiena, forse senza rendersi conto che anche dalle sue labbra iniziarono ad uscire soffi irregolari e rochi suoni di gola.

Come fossero arrivati dal baciarsi per dimostrarsi quanto si sarebbero mancati a quello, Retasu non riuscì a capirlo, ma di sicuro capì non sarebbe riuscita a rimanere ancora a lungo in piedi se avessero proseguito.

Indietreggiò fino ad appoggiarsi alla parete e Pai la chiuse tra sé e il muro; si allontanò dalle sue labbra e posò lievissimo le proprie sul lobo di lei, scendendo un bacio alla volta verso la clavicola, indugiando per un secondo sul decolté prima di tornare a respirarle sul collo.

Retasu si costrinse a serrare la bocca per trattenere un suono troppo imbarazzante per permettersi di lasciarlo uscire. Sentì Pai sorridere e allontanarsi un istante mentre fece spostare la sedia su cui l'aveva trovata con un movimento del polso e quindi accompagnò la verde nel sedersi, visto che le gambe erano refrattarie a sostenerla oltre.

Lui le posò la fronte contro la sua e restò lì qualche momento, il respiro un po' più nervoso di quanto si aspettasse, sfiorandole il viso con il pollice. La verde lo lasciò fare, la testa felicemente tra le nuvole, aspettando e godendosi quell'istante. Ma aspettò un secondo di troppo.

Di colpo Retasu riportò alla lucidità quanto stava facendo e poco mancò svenisse lì dove si trovava. Il viso le divenne così rosso che ne avvertì il calore sulle dita e il cuore battè tanto forte da renderle difficile respirare.

Quando Pai le sfiorò il viso s'irrigidì come se avesse preso la scossa. Lo fissò in silenzio, pentita della reazione e già con il magone pensando allo sguardo torvo che le avrebbe rivolto, e rimase basita quando dopo un attimo di sorpresa lo vide sorridere spostandole un ciuffo dalla guancia, facendosi posto per posarvi sopra un lento bacio:

« È tardi. È meglio se ti avvii. »

Le lasciò un altro bacio sulla fronte rimettendosi dritto:

« Ci vediamo più tardi. »

Se ne andò senza aggiungere altro, la verde che l'osservò con le mani sul petto per trattenere il proprio cuore.

 

 

***

 

Salì sulla navetta deglutendo forte; da fuori Deep Blue la guardò impassibile e alzò la mano imperioso:

« Mi auguro che tutto fili liscio. »

« Stia tranquillo mio signore – lo rassicurò Toyu al posto di Lenatheri, sul sedile del pilota – non la deluderemo. »

« Stai bene attento a fare simili promesse. – lo redarguì gelido l'essere – Gli ultimi che le hanno pronunciate le hanno tradite. E ne hanno pagato il prezzo. »

Il biondo tese il collo gelando in volto. Lena strinse la cloche rabbrividendo da capo a piedi, mentre Arashi abbassò il capo umilmente:

« La nostra vita è al suo servizio. »

Deep Blue accennò appena facendolo rilassare e i tre si sistemarono per la partenza, Lenatheri che si guardò bene dall'incrociare lo sguardo crudele del moro per tutta la durata della manovra di lancio.

Deep Blue osservò la navicella scomparire oltre la barriera dimensionale e sospirò:

« Appena sarà tutto pronto – passò lo sguardo su Zizi e Lindèvi, accanto a sé – noi li raggiungeremo. »

I due biondi s'inchinarono obbedienti e dalla stanza vicina si udirono i rumori secchi dei chimeri che si agitarono feroci, in trepidante attesa di colpire.

Deep Blue buttò un'occhiata alla parete di cristallo in fondo alla sala. Da giorni nulla si muoveva, né alcuna voce lo aveva raggiunto.

Stavolta nulla lo avrebbe fermato.

È giunta l'ora.

 

 

 

 

 



 

 

 

 

 (*) episodio 7. Per essere precisi, quando Purin chiede a Kisshu chi sia, lui le risponde « sono un angioletto ♥  » e lei ribatte acidissima « con quella faccia al massimo puoi essere un diavolo! » x°°D  (concludendo che lui, poco vanitoso, si definisce allora "angelo caduto"… Tiriamocela meno, fanciullo -w-"!)

Kisshu: bello come un angelo ♥

See, tu sorella -.-"

(**) ah che belli i capitoli pieni di noticine *sarcasmo* alors, a dire il vero la data di nascita delle ragazze l'ho attinta come sempre dalla mia bibbia personale ♥  TMM L'Unico sito Unico, per i ragazzi invece me le sono inventate. In cotal contesto, riassumendo, Reta è nata il 29 aprile e Pai il 9 dicembre.

Anche se per ora le date di nascita non servono molto :P

PER ORA ♥  *sguardo sibillino*

(***)  運命 ossia legame. L'idea prende in parte dalla leggenda giapponese di origine cinese del filo rosso del destino ( 運命の赤いUnmei no akai to) secondo cui esiste un'anima gemella per ciascuno, legata a noi da un filo rosso invisibile che portiamo al mignolo sinistro; questa persona è destinata ad incontrarci, poiché questo filo è indistruttibile (vai partite pure coi feels e il fluff a manetta nelle vostre testoline ♥  io sn già andata ♥  )

(****) episodio 32. Badass Zakuro nee-sama ♥ 

 

 

 

 

 

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~

 

*insulina endovena*

No gente no ga posso fa ♥  muoio troppo male ♥ 

Ichigo: e perché tutti a tubare e io niente ç__ç*?

Te potevi tubare moooolto tempo fa -.- hai ben pensato di continuare a sbavare dietro al merluzzo, quindi zitta e mosca -.-!

Ichigo: gno è giusto ç_ç"!

Taruto: … Io… Lo so che dovrei essere contento, ma, non so -_-""… In me aleggia il terrore su cosa stia progettando 'sta b******a di autrice -__-""… *brividi*

Eyner: ah, perché questo finale inquietante no, eh *brividi*?

Non rompete nessuno dei due che sono stata bravissima *aria innocente* Eyn, dai, ti si è visto poco ma non fare il rosicone che sei uno degli unici finora che non è andato in bianco –w-

*Sando e MoiMoi starnutiscono*

Kisshu: ecco -.-* di questa cosa non si è più discusso, ma insomma a me sta rompendo, quand'è che io e la cornacchietta possiamo un po' darci alla pazza g-

Minto: possiamo andare avanti grazie -\\-?!

Ho messo altre due o tre cosette sugli alieni e sul loro mondo (che tanto saprete, torneranno. Da me torna sempre tutto *musica mistica*…) comprese le età di Lasa e Iader. Cioè, basta farsi due conti, e lo so direte "ma perché sto giro?"… Ahah non so mi suonava brutto far dire/sentire a qualcuno gli anni di mamma Ikisatashi, così, nudi e crudi in cifre nette xD

Iader: non si dice l'età di una signora -w-. Specie della mia bella e giovane mogliettina ♥

Lasa: … ^^ ♥

Ichigo: no pure voi no, eh! -.-" *fa cerchietti in un angolo* voglio due baci anche iooo çwç""

Ryou *tossicchia e se ne va*

Retasu: Ichigo-san ^^""…

Ichigo: tu zitta va là ç_ç"! te e quella specie di ghiacciolo!

Retasu: eh °\\°?!?

Kisshu *ghigna*: al fratellone si sono decongelati gli ormoni ♥ 

Retasu: eh @\\\\@!?!?!

Pai *picchia Kisshu con il suo ventaglio*: fatti i fatti tuoi -.-" ebete.

Giuro che ora vi rinchiudo -.-" manco così vi date una calmata?!

Kisshu: te l'ho detto (ahia #__-") più pomiciate e più tr-

Non essere volgare -w-"!

 

Il #martedìfangirl a rapporto ed è appena terminata la Kiss Challenge ♥  (anzi no… Gente ci sono ancora dei baci non scelti!! Andate a sbirciare e chiedete!) ricordatevi sia su Dream-Marti che Ria_EFP :3

Un grazie gigante a  Hypnotic Poison, mobo, Cicci 12, Danya e LittleDreamer90 a Jade Tisdale che ormai ci raggiunge, a MewSister che ha maratonato (onee-sama ♥ ) e a chiunque legga e segua tutto sto brodone :3

Ci si vede alla prossima (potrei ritardare di una settimana, ho parecchio lavoro arretrato… Aspettatemi fiduciosi :3 anche per le recensioni xD ♥ )


Mata ne
~♥ !

Ria

 

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Capitolo 46
*** In the middle of crossing (part III) ***


Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: 
Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro recensioni. 
Farai felice milioni di scrittori. 

 

Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: Non essere indifferente!
Salva anche tu una tastiera da pazzoidi che le massacrano scrivendo come disperate! Non chiudere gli occhi, puoi salvare milioni di vite elettroniche.

 

 

 

 

 

Facciamo accadere qualcosa in questo capitolo?!

Facciamo accadere qualcosa -w-.

Tutti: ma viviamo bene uguale, guarda -.-""…

Scusate il ritardo ma la mole di lavoro mi ha assorbito ogni energia e ogni forza per scrivere ç_ç. Partiamo con questa benedetta festa, e chissà dove arriveremo ♥ !

 

Vi lascio, a dopo ♥ 

 

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Cap. 46 – In the middle of crossing (part III):

                The Celebration of the First Moon – Ouverture(*)

 

 

 

 

L'alba del settimo giorno accolse i terrestri con un vociare prorompente, risate e allegria udibili fin nel più remoto angolo del Palazzo Bianco. Le ragazze si vestirono in fretta e furia dando di nuovo l'assalto alla camera di Zakuro per sbirciare dalla sua finestra la piazza già stracolma di gente, quindi uscirono trovandosi in corridoio un MoiMoi super sorridente e un Taruto decisamente sovreccitato, entrambi scrutati scettici da un Sando ancora mezzo addormentato.

« Non pensavo si iniziasse tanto presto…! »

Esclamò Ichigo mentre le condussero, assieme a Ryou e Keiichiro, fuori dall'edificio e Taruto ammiccò entusiasta:

« E andrà avanti fino a stasera. »

Ryou sbuffò appena per quanto sentì, non era il suo genere tanto chiasso e dubitava di sopportarlo per così tanto tempo.

MoiMoi spiegò, ostentando per gioco una gran serietà, che durante la giornata si sarebbe tenuto il mercato più grande che si potesse vedere in tutta Jeweliria durante l'anno, dove si trovavano tra i prodotti più disparati anche da altri pianeti, mentre al calar del sole tutta la popolazione avrebbe partecipato alle danze sotto il cielo notturno; vero fulcro sarebbe stato però lo spirito della Celebrazione, che comportava musica ad ogni angolo, aria satura di sfiziosi e succulenti profumi e l'allegria contagiosa, incentivata dalla risoluzione delle ultime vicende. Oltre ovviamente alla riunione di ogni jeweliriano del pianeta.

« Non siete tutti qui? – domandò a quell'affermazione Purin – Credevo ci fosse solo Jeweliria. »

« Asp… Non è il nome del pianeta? »

Sussurrò Ichigo nell'orecchio di Retasu, confusa, e MoiMoi sentendola le strizzò l'occhio:

« Il nostro pianeta e questa città portano lo stesso nome. Jeweliria è la città più grande e sorge sopra l'ingresso principale alla Città Sotterranea, ma ci sono altri quattro avamposti a partire da duecento chilometri da qui, una per ogni punto cardinale.

« Stiamo cercando di facilitare il controllo della crescita e dello sviluppo del pianeta, oltre la zona qui attorno non abbiamo mai visto molto altro da quando siamo atterrati milioni di anni fa. »

« E poi ci servirà più spazio. – aggiunse Sando con un curioso tono caloroso – Con la tranquillità un sacco di gente ha deciso di metter su famiglia… Ultimamente c'è pieno di marmocchi in giro, penso che inizieremo a stare stretti da queste parti. »

Le ragazze non commentarono e si scambiarono un paio di rapide occhiate, sorridendo in silenzio.

« Gli altri dove sono? »

Chiese ancora Ichigo mentre uscirono nell'atrio principale.

« Se Pai non se lo è fatto scappare, lui e Kisshu dovevano stilare un rapporto per oggi prima di poter venire qui – fece Taruto e a nessuno sfuggì il ghignetto da diavoletto che mise su – Eyner non lo so. »

La risposta alla domanda venne dal vocino prorompente di Sury che, con il fratello, li accolse poco lontano dall'ingresso del Palazzo: la bambina catturò all'istante il braccio di Keiichiro cinguettando agitata su dove portarlo e cosa fargli vedere e il bruno l'assecondò bonario, declinando con un sorriso le proposte di aiuto sia di Eyner che di Ryou; gli altri allora si lasciarono inglobare dalla bolgia festante finendo presto per dividersi e abbandonandosi alla magnifica e ubriacante confusione attorno.

Ryou seguì mansueto Ichigo che con un sorriso beato non faceva che zampettare a zigzag da una bancarella all'altra, trillando per quel profumino di quella cosa che appariva tanto appetitosa, o per quella collanina adorabile; l'americano sospirò affettuoso, era talmente agitata che temette le spuntassero le orecchie da un momento all'altro.

« Hai rubato il ruolo a Purin di fanciulla sovraeccitata? »

« Ma guarda qui…! »

Replicò lei con un pigolio estremamente vicino all'ultrasuono indicando esaltata un braccialettino luccicante color malva, disseminato di pietrine azzurre che – meraviglia! Nyah! – si muovevano per magia lungo tutto il filare del monile:
« Hai visto?! »

« Pumpkin head, we're broke. – le fece notare alzando un sopracciglio – Per la prima volta nella mia vita sto provando l'ebbrezza di non avere un centesimo. »

Lei lo scrutò furba tirando fuori da una tasca un borsellino di stoffa tintinnante e dopo aver parlottato con il venditore lo aprì, contando lentamente dei cilindretti metallici grandi poco meno di un fagiolo; ne scelse due mentre rifletteva a bassa voce e poi li porse al venditore con un gran sorriso, ricevendo in cambio il braccialetto e sorridendo soddisfatta. Il tutto sotto lo sguardo attonito dell'americano a cui lei rispose solo a cose ultimate con aria scaltra:

« Ieri ho chiacchierato con MoiMoi-chan e mi è venuto lo stesso dubbio. Ci ha fatto un corso accelerato sulla loro moneta e un piccolo prestito. »

« Ci? »

« A tutte noi – lo fissò come se fosse ovvio – lei e gli altri. »

Ryou la studiò poco convinto intanto che lei provò ad allacciarsi il braccialettino, fallendo e contorcendo le dita in tutte le angolazioni possibili per tenere aperto il metallo della chiusura piagandosi a vita i polpastrelli.

« Un prestito. – soppesò il biondo aiutandola – E cosa dovreste dare indietro di preciso? »

La rossa si concentrò sulle dita di lui che le presero il cinturino, lo distesero e glielo riposarono sulla pelle chiara del polso:

« Pai non ha detto una parola… »
« E figurarsi. »

« Eyner ha detto che non importa. – proseguì lei tentando di non ridere al commento – Gli altri… »

Sospese la frase e puntò gli occhi sul gancino del braccialetto per non guardare il ragazzo, a metà tra il divertito e il lieve disagio; Ryou avvertì un brivido sul collo:

« Tigger? »

« Una restituzione in conto aperto al Cafè. »

« Cosa?! »

« Beh, tanto mica la prepari tu, la roba che serviamo. »

Puntualizzò innocente e Ryou si passò una mano nei capelli:

« Sì, ma la pago. – precisò – Hai mai notato quanto lo stomaco di MoiMoi-san e Kisshu (specie Kisshu) siano presumibilmente senza fondo? Vuoi farmi andare sul lastrico? »

« Esagerato. »

« Contando che siete in cinque ad aver ricevuto questo prestito (di ignoto quantitativo) e da come tu sembri intenzionata a svuotare il tuo nuovo portafogli, fireball, valuto quanto mi toccherà ripagare. »

La scrutò beffardo e lei gonfiò la guance piccata:

« Non sono una spendacciona! – sbuffò cacciandosi il borsellino in tasca – E smettila con questi soprannomi stupidi per i miei capelli. »

Borbottò dandogli le spalle, ancor più seccata del fatto di aver intuito i nomignoli in inglese senza averli capiti del tutto. Ryou la seguì incrociando le braccia pago del suo broncio:

« Stai scherzando? È una vita che sognavo di usarli. »

Lei drizzò tutta la schiena offesissima e accelerò il passo sbattendo i piedi, cercando di non ascoltare il biondo che ridendosela sotto i baffi prese ad elencare maligno:

« Sunflowerhead, Wookie, witchy woman, pun'kin, tangerine cotton candy… »

La vide accelerare così arrabbiata che le spuntarono le orecchie e la coda, incurante delle occhiate perplesse dei jeweliriani attorno, e ridendo la raggiunse afferrandola per il gomito e posandole le mani sulla testa per celare gli attributi animali.

« Chill out, reddish pussycat. »

Ichigo grugnì cercando di ignorare la piacevole sensazione delle sue mani calde posate con dolcezza sulle orecchie da gatto, mentre lei trattenne la coda dietro la schiena inspirando e tentando di calmarsi:

« … Non ti capisco quando parli inglese. »

« Ti servono ripetizioni anche per quello? »

Lei arrossì un po' a disagio e mugugnò qualcos'altro che Ryou non capì, ma interpretò come una protesta.

« E non mi piace che tu prenda in giro i miei capelli. »

Borbottò ancora. L'americano sospirò appena, colpito nel proprio punto debole da quel broncetto da bambina che spuntò da sotto la frangetta e le accarezzò piano la testa:

« I love your hair, ginger. »

Ichigo arrossì di colpo spalancando gli occhi, ma rimase a guardare in basso e Ryou sentì le orecchie da gatto sparire; lei gli prese le mani con le proprie senza spostarle dalla propria testa:

« Allora non prenderli più in giro. »

« Ok, ok… »

« … Però ginger mi piace… »

« Sei capricciosa, lo sai vero? »

Il broncio tornò a deformarle il viso e sbuffando affondò la fronte contro il suo torace, sorda alla sua risata bassa e al lamento che gli strappò cadendo contro di lui con un po' troppa energia.

« Hai la testa di marmo…! »

« Senti chi parla. »

« Take it easy, kitty. »

« Parla giapponese, Shirogane. »

 

 

***

 

 

Taruto sospirò, doveva essere l'aria della Celebrazione della Prima Luna che lo metteva sempre di ottimo umore, o semplicemente la carica di quell'ultima settimana, o magari aveva sviluppato la pazienza nel giro di sette giorni: perché non vedeva altro motivo per sbirciare Purin più che esagitata scorrazzare per la piazza stracolma di gente e affacciarsi alle – meglio, sulle – bancarelle con un chiasso da far venire il mal di testa, il tutto senza proferir protesta. Non riuscì a sgridarla quando, sfacciatissima, iniziò a presentarsi trionfante a ciascun povero passante che, ignaro e ingenuo, attirato dalla sua allegria osava rivolgerle parola e si trovava sommerso dalla voce potente della biondina; o ad irritarsi che il suo agitarsi esagerato gli ponesse dei dubbi sul fatto se fosse rimasta o meno ai dieci anni come maturità mentale; nemmeno il fatto che Purin lo agguantasse, al solito, ogni mezzo metro trascinandolo per un braccio manco un pacco postale, o lo ghermisse per le spalle abbracciandolo, lo fece arrabbiare, anche se qualche borbottio a disagio gli sfuggì lo stesso mentre si ritrovò con il naso piantato contro la nuca della biondina a causa delle sue strette.

« Vuoi rompermi l'osso del collo? »

Borbottò divincolandosi dal suo braccio e Purin lo fissò ironica:

« Mamma quanto sei gracilino. »

« Sei tu che hai la presa di un orso! »

Replicò e cercò di non pensare a quanto fosse buono quel vago sentore del suo sapone rimastogli nelle narici, mischiato all'invitante profumo di mimeri di un banchetto vicino.

Per favore, in famiglia ne basta uno così…!

« Ah, Taru-Taru! Guarda lì! »

La biondina gli afferrò la maglia tirandolo da una parte della piazza dove la gente aveva circondato uno spiazzo lungo e stretto, su cui il pubblico appariva molto concentrato.

Purin si fece largo tra gli spettatori e vide un gruppetto di una decina di jeweliriani, soprattutto ragazzi e un paio di adulti, intenti in quello che intuì essere un gioco all'aperto. I suoi occhi nocciola brillarono all'istante:

« Cos'è? »

« Non lo conosci? »

La domanda gli suonò stupida appena ebbe finito di uscirgli dalla bocca, ma Purin esaltata e curiosa si limitò a scuotere appena la testa.

« Quando c'è la Celebrazione si fanno anche un sacco di giochi. – le spiegò, dovendo trattenersi un po' dal ridere per il modo in cui lei si tese tutta fin sulle punte dei piedi per vedere tutto, giocatori, pista e spettatori, tutto contemporaneamente – Questo è il GoroGoro(**). »

Il pubblico mandò lunghe ovazioni agitandosi e Purin vide tornare i giocatori da un lato della zona delimitata dalla folla, una lingua rettangolare di piazzale stretta e lunga.

« È facile. »

Riprese a spiegare Taruto e indicò i partecipanti alla partita, ognuno con un disco spesso due dita e largo un palmo tra le mani.

« Si lancia il GoroGoro lungo la pista di gioco. »

Puntò l'indice su uno dei dischi e poi il terreno, che Purin si rese conto attraversasse un buon tratto di piazza in lunghezza, ad occhio per una trentina di metri:

« Devi metterci tutta la forza, altrimenti si ferma subito. – puntualizzò il brunetto con fare esperto – Appena la lanci, parte il salto. »

« Il salto? »

Come a risponderle i concorrenti lanciarono i dischi e dopo una manciata di secondi svanirono tutti assieme; Purin li vide ricomparire più in là lungo il percorso, tutti ad altezze diverse, e levitare a poca distanza dal terreno. Taruto sorrise:

« Bisogna teletrasportarsi nel punto in cui si pensa che arriverà il GoroGoro. Per lo più si può tirare ad indovinare, ma chi è davvero abile può seguire lo slancio del disco durante il teletrasporto e sbagliare di pochissimo – le fece notare – I più bravi arrivano con pochissimi centimetri di scarto. »

I giocatori intanto stavano passando chi ad esultare chi a disperarsi vedendo i loro dischi arrivargli vicino o fermarsi miseramente metri indietro.

« Se sbagli di più di un metro avanti o indietro, perdi un punto. – concluse Taruto – Se lo fai di meno, ne guadagni uno; se azzecchi il punto esatto due. Vince chi arriva a dieci. »

« Voglio provarci! »

Trillò la bionda entusiasta e lui la fissò scettico:

« Guarda che non si gioca in coppia e tu non puoi teletrasportarti. »

Le appuntò e lei ondeggiò l'indice schioccando la lingua:

« Da trasformata posso arrivare anche a dieci metri(***) saltando. »

« Co-?! Ehi, aspet… »

Lei però si era già mutata e si era avvicinata alla zona di lancio; Taruto le corse dietro sbuffando, ma quando scorse la sua faccia esaltata da bambina gli venne da sorridere e la guardò con aria di sfida:

« Preparati a piangere, umana. »

« Questo lo vedremo. »

 

 

***

 

 

Retasu, Minto e MoiMoi osservarono ogni banchetto con dei gran sorrisi, il violetto che spiegò cosa fosse questo o quell'altro oggetto, dietro di loro Sando con le mani in tasca che parve un po' annoiato, ma stranamente rilassato. La mewbird puntò incuriosita a delle strane bambole, o forse marionette, che sembrarono fatte di carta velina e che si mossero ritmicamente su dei cerchi di metallo; MoiMoi le corse vicino per spiegarle da dove provenissero, mentre Retasu si attardò un poco ad un banchetto poco prima: il venditore aveva esposto dei tessuti meravigliosi che sulla Terra non aveva mai visto, magari avrebbe potuto farne un po' di scorta per sé e per Ayumi.

Sfiorò uno scampolo che aveva la leggerezza della seta e la consistenza della pelliccia, chissà quanti dolcissimi pelouche avrebbe potuto fare, sembrò proprio pelo vero.

Il pensiero la ghiacciò un attimo:

« Mi scusi… Non è di animale, ver…? »

« Non lo è. – la interruppe una voce brusca – E ti conviene spicciarti o quelle due ce le perdiamo. »

La verde fece una lieve smorfia a disagio al rimprovero di Sando, guardando MoiMoi e Minto già abbastanza distanti; si fece dare un po' di stoffa, pagò e accelerò il passo dietro agli altri due per non rimanere troppo indietro, l'alto ragazzo alle sue spalle che avanzò senza fatica nel marasma facendosi largo con la sua sola mole.

Ho come una sensazione di déjà-vu.

Retasu  rallentò un pochino l'andatura, era faticoso muoversi a quel modo in una giornata così soleggiata e in mezzo alla gente. Sempre con l'occhio su Minto e MoiMoi camminò in silenzio, il verde accanto, e si sentì un po' a disagio: lei e Sando avevano parlato pochissimo da quando si erano conosciuti e non sapeva bene che opinione lui avesse di lei, né come comportarsi o cosa dirgli; inoltre la intimoriva un po', sapeva che in fondo era buono, ma il suo atteggiamento brusco le rendeva difficile capire come agire in sua presenza.

« Ehi. »

« S-sì?! »

Si morse l'interno della guancia capendo che la risposta le fosse uscita parecchio stridula. Sando mugugnò affondando ancor di più una delle mani in tasca, l'altra a massaggiarsi il collo:

« … Non mi sono più scusato con te. »

La mewfocena sbattè gli occhi qualche secondo:

« Come? »

Vide il verde grugnire e scostare la testa a disagio:

« Quando MoiMoi è finita in ospedale. – buttò lì sbrigativo – Me la sono presa con te. »

« … Oh! »

Retasu aveva rimosso lo scatto del ragazzo verso di lei, quando aveva provato a convincerlo a farsi curare la mano ferita. Agitò le mani davanti al viso:

« Ma no, non pensarci! Era una situazione tesa, e…! Non fa niente! – gli sorrise calorosa – Non è nulla. »

« Fatti fare le scuse senza troppe moine. – borbottò lui più secco – Mi sento un idiota senza che tu sia così gentile. »

Retasu vide il verde sospirare pesantemente e passarsi una mano tra i capelli nervoso, e invece di rimanere colpita dallo sbotto si limitò a sorridergli e a lasciarlo fare.

« ... Non ti ho fatto male, vero? »

Le domandò titubante ripensando al modo in cui l'aveva scacciata e lei ondeggiò le trecce smeraldine negando:

« Assolutamente. »

Lui respirò forte sollevato e la mewfocena si premette la mano sulla bocca nascondendo un sorrisetto; Sando contrasse appena la mascella:

« Che c'è di divertente? »

« Oh, perdonami. Nulla, nulla – lo rassicurò – stavo solo pensando che MoiMoi-san ha ragione su di te. »

Lui fece una strana smorfia sempre corrucciato e abbassò la voce, guardingo:

« Perché? Che ha detto? »

Lei continuò a trattenere un risolino:

« Non credo di poter riferire. »

Fece con un tono che avrebbe voluto essere misterioso e invece assunse una nota di lieve presa in giro, facendo guizzare la vena sulla tempia del verde:

« Credevo che quella dalle battutine acide fosse Minto. »

« Non era una battuta acida. »

Lo corresse, avvertendo una certa famigliarità con l'aria imbarazzata che Sando tentò di nascondere dietro al cipiglio, e gli sorrise intenerita e divertita. Lui grugnì cupamente:

« Come ti pare. – borbottò – Non che me ne freghi molto, quella le cose te le sputa in faccia senza alcun pudore. »

« Comunque, tutte cose belle. »

Lo rassicurò gentile la mewfocena. Sando la scrutò un altro po' con le torve iridi color notte e poi le diede due bruschi buffetti sulla cima della testa, precedendola mentre dall'altra parte della strada MoiMoi e Minto, finalmente fermi, fecero loro segno di raggiungerli.

 

 

***

 

 

Ci volle un bel po' prima che Ichigo e Ryou compissero un giro quasi completo della piazza, le bancarelle si snodavano lungo tutto il suo perimetro e all'interno, la folla rendeva l'avanzata difficoltosa, e tra una sosta per vedere qualcosa e uno spuntino passò l'ora di pranzo come per incanto e fu primo pomeriggio. Alla rossa comunque non dispiacque per niente quella lentezza, finalmente dopo giorni lei e l'americano si erano ritrovati da soli e lei si stava accorgendo per la prima volta quanto si fosse sentita un po' sola lungo la settimana, e quanto le facesse piacere avere Ryou solo per lei.

Quando è successo tutto questo?

Non riuscì a rifletterci troppo a lungo imbarazzandosi sia della propria contentezza sia per essersi resa conto così all'improvviso della questione, dandosi della tonta. Si chiese cosa ne pensasse Ryou, come sempre calmo e pacato mentre camminò al suo fianco tanto che Ichigo iniziò a pensare di essere lei quella stupidamente felice, finché il biondo non le prese con noncuranza la mano; la mewneko fissò l'intreccio di dita e poi il viso del ragazzo, contratto in una smorfia in imbarazzo, e sorrise senza dirgli niente aggrappandosi al suo braccio.

« Chissà gli altri dove sono… »

Ichigo scrollò distratta le spalle alla domanda:

« Ci sono i ragazzi con le altre, non si perderanno. »

Ryou non rispose mandando uno strano sbuffo.

« Non dirmi che hai ancora da ridire! »

« Mi domandavo solo come hanno fatto ben quattro delle cinque paladine della giustizia che hanno lottato contro gli alieni a finire per invaghirsene. »

Puntualizzò solo con una piccola nota acida e ad Ichigo scappò da ridacchiare:

« Siamo irresistibili, che ci vuoi fare? »

Lui la scrutò scettico:

« Sarà. »

La rossa gonfiò le guance irritata e Ryou sospirò ancora, più dolce, passandole il braccio attorno alle spalle:

« Comunque io sono proprio l'ultimo che può parlare. »

Le baciò la tempia godendo del respiro divertito che le strappò e rilassandosi tanto da concedersi di baciarla in pubblico, pentendosi un secondo dopo di aver abbassato la guardia ai repentini cambi d'umore della rossa. Appena una voce a Ryou sconosciuta la chiamò, Ichigo perse tutta la sua aria trasognata e scattò allontanandosi da lui di mezzo metro per l'imbarazzo, non risparmiando il biondo di una secca testata nel mento.

« Momomiya-san. »

« K-Kilig-san! Ciao. »

Ribattè nervosa la mewneko, cercando di apparire naturale nonostante il rossore sul viso e Ryou che, lamentandosi, la squadrò male massaggiandosi il mento. L'aliena dai capelli petrolio mosse appena le labbra all'insù mentre i due terrestri le si fecero più vicini:

« Kiddan-san mi ha detto che avreste partecipato alla Celebrazione. »

Disse con il suo tono di voce bofonchiante e fece un cenno di saluto a Ryou che ricambiò con distaccato garbo. Ichigo sorrise:

« Sì, e mi sto divertendo un mondo. – ammise ridendo – Non vedo l'ora che arrivi stasera. »

Kilig sorrise a sua volta e prese a camminare al fianco degli altri due seguendo la curva naturale della piazza mentre abbassò lo sguardo, infastidita dalla tanta luce che non sembrò vedere spesso, e giocando nervosa con la treccia morbida in cui si era sciolta e rilegata i capelli, come Ichigo le aveva spiegato tempo prima; la rossa la guardò con tenerezza:

« Sei da sola Kilig-san? »

L'aliena scattò nelle spalle mordicchiandosi il labbro inferiore e non rispose.

« Oh… Momomiya-san! Salve! »

La rossa si rese conto che erano arrivati ad uno slargo lasciato libero dai banchetti e dalla folla, attorno a cui c'era un deciso fermento e dove, al suo interno, una ventina di persone parlottavano allegre a voce alta; tra queste Ichigo impiegò qualche istante a focalizzare chi l'avesse chiamata, non riconoscendolo senza l'uniforme addosso finché non colse i capelli rosati:

« Merurk-san. Buongiorno. »

Il ragazzo le sorrise e si presentò cordiale a Ryou, che ricambiò con più riserbo che nei confronti di Kilig vedendo il giovane con il viso da modello salutare con tanta confidenza la mewneko.

« Che succede? »

Domandò la giapponese incuriosita sbirciando alle spalle del soldato e gli indicò sotto il braccio, dove lui stava tenendo una sfera scura delle dimensioni di un pallone da calcio che le parve abbastanza pesante.

« Stiamo preparando una partita. »

Disse con naturalezza notando solo dopo che la rossa lo fissò confusa:

« Non conosci questo gioco? »

« Non credo esista sulla Terra. »

Puntualizzò Ryou con un sospiro, ma si ricredette alle sue stesse parole scorgendo il campo di gioco e due pali posti sui lati dello stesso, a metà lunghezza; c'erano due cerchi sulle loro sommità ad occhio delle dimensioni della sfera che Merurk tenne in mano.

« Conosci questo gioco? »

Alla domanda dell'alieno Ryou scosse lentamente la testa:

« Assomiglia ad un antico gioco terrestre(**), però – ammise – è incredibile le similitudini che a volte abbiamo, tra voi e noi… »

Interruppe la frase a metà scoccando un'occhiataccia ad Ichigo che, sentendolo, aveva preso a ridacchiare.

« Noi lo chiamiamo Runasa – spiegò gentile Merurk e poi parve illuminarsi – Shirogane-san, perché non ti unisci? »

« Cosa? »

« In questo gioco possiamo contare solo sulla nostra comune forza, non si può volare o teletrasportarsi – lo rassicurò – e fisicamente mi sembri abbastanza in forma, che ne dici? È divertente. »

L'americano continuò a fissarlo ad occhi sgranati, oltre che un poco offeso per il commento "abbastanza in forma", basito per l'innocenza e la tranquillità della proposta e chiedendosi se il soldato non fosse un po' tocco, a suggerire ad un terrestre una cosa del genere; lo vide raggiungere gli altri che, a quanto pareva, stavano discutendo su quanti partecipanti mancassero, ed esattamente come Merurk non sembrarono turbati all'idea che il biondo si unisse a loro. La cosa sembrò così assurda all'americano che non riuscì né a declinare tempestivo né ad accettare, mentre una sonora voce famigliare irruppe da un lato della folla:

« Oh, stanno per fare una partita! Ehi, vi serve uno in più? »

« Kisshu, la smetti di agitarti come un ragazzino? »

« E tu smettila di fare il vecchio, Pai. – grugnì il verde squadrandolo – Tanto lo so che mugugni solo perché ti ridurrei in poltiglia. »

« Certo. »

Soffiò sarcastico l'altro.

« Si accettano scommesse. »

« Eyn guarda che vieni anche tu, voglio sperare. »
« Infatti – ribattè il bruno tranquillissimo – pensavo di scommettere con quanti punti di stacco vi straccerei. »

I due lo guardarono torvi e bofonchiarono qualche insulto indistinto. Zakuro, lì accanto, piegò appena le labbra e si accorse di Ichigo e Ryou poco distante, salutandoli con la mano mentre questi venivano di nuovo avvicinati da Merurk e da un ragazzo dai capelli rossi che i due riconobbero come quello che si era scontrato con Purin mesi prima.

« Allora Shirogane-san, che dici? »

« Sarei curioso di vedere se siete forti tutti o solo la vostra piccola amichetta bionda. »

« Roovy-kun… »

« Dai scherzavo! – rise quello di gusto – Oh, senpai…! »

« Irhokay-kun, Nakima-kun, non dirmi che avete proposto di giocare al biondo. – ridacchiò Kisshu maligno fissando i due soldati – Questo non regge cinque minuti. »

Ryou non gli rispose, ma Zakuro notò divertita il suo sopracciglio destro guizzare irritato.

« Posso immaginare te, invece, come annasperesti senza poter svolazzare stile fringuello dove ti pare. »

« Punto sul vivo gattaccio? »

« Cielo, sembrate dei bambini! »

Lo sbuffo di Minto, sbucata con il suo gruppetto proprio in quel momento, non fu nemmeno sentito dai due che continuarono a squadrarsi in cagnesco proprio come ragazzini intenti a farsi i dispetti. Il solo a trovare divertente la scena furono Merurk che sospirò e Roovy che rise e insisté, capendo che se anche solo uno di loro avesse partecipato l'altro gli sarebbe andato dietro per ripicca.

« Ti farò il culo a strisce, sottospecie di cuscino spelacchiato. »

Fece Kisshu con un ghigno minaccioso unendosi al gruppo di jeweliriani.

« Voglio proprio vedere, detto da uno che ha un cespuglio in testa. »

« Ooh, questa la sconti! »

« Abbiamo capito che voi due andate in squadre diverse. »

Fece Eyner ridacchiando.

« Eyn, te con me – proruppe Kisshu continuando a fulminare Ryou con aria feroce – contro le teste d'uovo. »

« Stai includendo anche me, per caso? »

Ribattè Pai lugubre e il verde lo fissò eloquente:

« No guarda, parlavo con Nakima. »

« Senpai – sospirò Merurk tirato – sono contento che vi uniate, ma per favore non coinvolgermi nelle vostre discussioni… »

« Ho l'impressione ci sia stato dato degli stupidi. »

« Roovy-kun, lascia perdere. »

Ryou sibilò qualcosa in inglese e vide Eyner sorridere con finto fare melodrammatico:

« Scusa Shirogane, l'offerta è troppo allettante. »

« Molto spiritoso. »

Il bruno si limitò a studiare Pai e a fare spallucce:

« Una piccola rivincita. »

« Certo che sei rancoroso. »

« Diciamo che hai accumulato. »

Pai non commentò oltre, le braccia conserte e il viso inespressivo, ma i suoi occhi furono attraversati da una lucina di irritazione fin troppo simile a Kisshu, quella di un moccioso pronto a fare a pugni. MoiMoi si coprì la bocca con una mano per non ridere troppo forte e Sando roteò gli occhi sbuffando esasperato, imitato da Minto che si resse la fronte:

« Maschi. Uguali di tutte le razze. »

« Già. »

Sospirò Zakuro con un sorriso condiscendente; Retasu soffocò uno sbuffo divertito e Ichigo si accodò con una strana smorfia rimirando stupita Ryou: sapeva che, in fondo, dietro al suo fare composto il biondo fosse meno integerrimo di quanto volesse far credere, ma non avrebbe mai immaginato di poterlo vedere a discutere a quella maniera con qualcuno. Nonostante il cipiglio e le frecciate velenose che – intuì dalle facce – lui e Kisshu si stavano passando incuranti del gioco che prendeva forma, avrebbe detto che Ryou fosse rilassato in tutta la situazione, avrebbe osato dire che si stesse divertendo; l'idea le diede una sensazione di vaga euforia che la fece istintivamente sorridere.

« Possibile che tu non possa stare con qualcuno senza farti uscire cuoricini dalla testa e imbambolarti come una sciocca? »

« Oh, insomma Minto, stai zitta! »

Il Runasa non aveva regole particolarmente difficili. Si giocava in due squadre da dieci e lo scopo era di arrivare a trenta punti prima del gruppo avversario, facendo passare la palla nei cerchi sui pali; la regola un po' ostica – escludendo il divieto di levitazione o teletrasporto, che comunque Ryou non poteva usare – era che si poteva toccare la palla con ogni parte del corpo escludendo mani, piedi o testa: lì per lì la cosa non era sembrata tanto difficile, ma dopo una decina di minuti a correre da una parte all'altra e a fare le carambole nei modi più assurdi per non colpire la palla come istinto voleva, la fatica arrivava, e Ryou si ritrovò a benedire i geni felini auto-innestati che gli permisero di non morire d'infarto mentre saliva con la sua squadra la lunga scala fino al punto numero 30. Contro il caldo però nessuna modifica genetica era di aiuto e si sudava parecchio a scorrazzare a quel modo. L'unica consolazione per il biondo fu che non si ritrovò ad essere il primo ad abbandonare la maglietta su un lato del campo, prima di schiattare per la calura.

« Ogni volta mi ricordo perché amo questo gioco. »

« Tu sei deficiente. »

Ruggì a bassa voce Sando fulminando MoiMoi, lo sguardo compiaciuto sui partecipanti mezzi nudi, ma il violetto non si scompose e persisté ridacchiando solo per punzecchiarlo e gongolando un pochino della sua espressione seccata.

« Sei dispettosa. »

MoiMoi mostrò un sorrisone a trentadue denti:

« È più forte di me Zakuro-chan – sussurrò – ho aspettato troppo per vedergli fare una faccia del genere. »

La mora accennò solo ad un sorriso complice.

« E poi come se tu non stessi guardando! »

La mewwolf gli rispose con uno dei suoi indecifrabili sguardi serafici, tornando ad osservare la sfida nascondendo le labbra dietro le dita.

Vicino a loro Ichigo e Minto stavano continuando a discutere – la mora perché aveva notando come la rossa perdesse le bave dietro al fisico abbronzato e lucido di sudore di Ryou, e la mewneko perché si ostinava a negare le insinuazioni della mewbird nonostante le guance scarlatte e gli occhi a cuoricino – mentre Retasu si era fatta via via più silenziosa.

Si era sentita un pochino in imbarazzo lì per lì a continuare a fissare i giocatori, ormai quasi tutti a torso nudo, benchè non fossero i primi uomini che vedeva, ma aveva solo sospirato rassegnata alla sua cronica timidezza e aveva cercato di soprassedere sulla cosa. Il problema, però, era che non era più riuscita a scollare di dosso lo sguardo da Pai: lui seguiva il gioco senza troppe difficoltà, concentrato come suo solito e decisamente meno chiassoso di altri – come Kisshu che, tra il lanciare minacce astruse a Ryou e chiamare i compagni non stette zitto un momento – ma aveva un curioso accenno di sorriso nonché lo sguardo attento e infervorato sul viso accaldato; il contrasto tra la sua aria calma e il senso di serenità e vago entusiasmo che Retasu gli vide addosso le provocò un secco rimescolio allo stomaco, nulla togliendo al caldo che salì al suo di viso quando si rese conto di fissare con un po' troppa insistenza il torace e i muscoli tesi del moro.

La verde sospirò prendendosi il volto tra i palmi, dalla sera precedente lei e Pai  non avevano più tirato in ballo  quanto successo in camera sua, ma rivederlo così le riportò alla mente tutte le sensazioni che aveva provato, donò un aspetto visivo a quanto aveva sentito sotto le proprie dita, le spalle larghe, il petto forte, le mani grandi e possessive, e l'addome le prese del tutto a fare le capriole.

Avrebbe voluto sapere perché Pai se ne fosse andato come aveva fatto: di sicuro centrava la sua reazione, però non avrebbe creduto fosse tale da scoraggiarlo a continuare. Ci riflettè un momento e nascose il viso fingendo di pulire gli occhiali, consapevole di essere ormai un fanale e sospirando forte, forse a rifletterci riusciva a capire la calma che si era imposto il ragazzo.

La cosa tuttavia un po' le dispiacque. Non aveva avuto ancora il coraggio di confessarlo, ma sperava con tutto il cuore che si ripresentasse presto l'occasione per stare un po' come la sera prima; e, seppur avvampando al solo pensiero, non desiderava altro che riassaporare quei baci, quelle carezze, ancora di più, finchè non fossero stati solo loro due.

Cosa sto pensando…?! Sono una maniaca!

Aveva sempre pensato che il solo sfoggio fisico dell'affetto potessero essere dolci baci, ma Pai le aveva dimostrato che perfino la più sensuale delle effusioni era un'espressione d'amore se ricevuta dalla persona desiderata, con tutto il loro carico di ardore e non detto che scuotevano fin nel profondo. Avrebbe voluto poter fargli capire che lei provava lo stesso, farlo stare bene proprio come lo era stata lei.

Si diede ancora della fissata e raccolse le mani al petto, quando mai sarebbe stata capace di dare voce ad un pensiero simile? Sarebbe morta di tachicardia prima di emettere una sillaba.

« Ehi ragazzina tutto bene? »

La verde guardò appena Sando che le aveva porto la domanda e sorrise tirata:

« Sì, sto bene. »

Doveva avere una faccia particolarmente assurda per attirare l'attenzione dell'uomo. Sando la scrutò in silenzio qualche momento e poi sbuffò incrociando le braccia e guardando avanti:

« Sei una ragazzina dolce. Quel muso lungo di Pai è fin troppo fortunato. »

« Eh?! »

La mewfocena alzò la testa di scatto arrossendo nel vedere il sorrisetto sottile di Sando e fece in fretta a riabbassarla, a disagio, tentando veloce di cambiare argomento:

« P-piuttosto… Come mai non hai giocato, Sando-san? »

Lui per tutta risposta storse la bocca con aria torva e MoiMoi rise di gusto:

« È un disastro a questo gioco. – spiegò malizioso – È troppo abituato a muoversi come un gorilla ubriaco, non tiene la palla nemmeno pregando. »

« Chiudi il becco! »

Retasu rise ancora un po' agitata venendoli discutere e le sfuggì un sorriso.

Dopo quasi un'ora uno schiamazzo più secco annunciò la fine della partita, seguito dalla risata ostentata di Kisshu che, esausto, si abbandonò a terra e nonostante il respiro grosso puntò tronfio l'indice contro Pai e Ryou:

« Ah, io l'avevo detto! »

« Come fai ad avere ancora fiato per fare tanto casino…? »

Kisshu non sentì nemmeno la fievole protesta del moro:

« Io te l'avevo detto che ti avrei fatto il culo a strisce, gattaccio. »

« Sì, tranquillo, noi non c'eravamo – puntualizzò Eyner cacciando la testa all'indietro per prendere aria – hai fatto tutto da solo. »

« Non sottilizziamo. »

« Avete vinto solo di un punto, senpai. »

« Nakima-kun, accetta la sconfitta da uomo! »

« Da che pulpito. »

« Non considero nemmeno un insulto questa frase, detta da un gatto. »

« You fucking noisy idiot… »

Roovy, battendo una mano sulla spalla di Kisshu per congratularsi del buon lavoro, rise asmatico per la mancanza di ossigeno e con Merurk si unì al resto dei giocatori a scambiarsi insulti fraterni e complimenti.

Eyner non ritenne necessario fomentare ulteriormente lo stupido battibecco tra Kisshu e Ryou e recuperò la sua maglia, lanciando quella del verde dritta in faccia al proprietario strappandogli una lunga sequela di lamenti disgustati e studiando divertito Pai, che tentò di mantenere un contegno e non apparire completamente senza fiato.

« Vedi che stare sempre dietro una scrivania fa male? »

« Avete vinto di un punto. – precisò secco – Evita di fare tanto lo splendido. »

Lui sorrise ancora furbetto cacciando la maglia sulla spalla dato che era troppo fradicia per indossarla; gli altri parvero dello stesso parere, Kisshu compreso che se la infilò nella cinta e andò incontro a Minto già divertito del modo in cui lei si tese un po' infastidita per l'evidente sudore che lui aveva addosso.

« Credevo saresti andata via annoiata dopo cinque minuti. »

« Non avevo grandi posti dove andare. »

Disse distrattamente e Kisshu sogghignò:

« Sono un bel vedere, eh? »

Le drizzò solo le spalle e le sue guance si velarono di rosa, colpevoli, intanto che la mewbird tentò di non studiare ulteriormente tutta la linea del fisico del verde dal collo all'accenno di ossa del bacino:

« Stupido. »

Lui sorrise gongolando e protese le labbra all'infuori:

« Premietto al vincitore? »

« Non provare a sfiorarmi adesso, sai?! – scattò la mora retrocedendo – Sei sudato oltre l'umanamente possibile. »

« Cornacchietta crudele, sai essere proprio spocchiosa a volte. »

Si lagnò esagerato e ghignando maligno le fece cadere in testa la sua maglia zuppa, ridendo di gusto allo strillo schifato che le strappò e ai suoi improperi:

« Razza di deficiente! Bleah, che schifo! »

« È sudore, cornacchietta, non morirai. »

« Il tuo! E ne facevo a meno! – strepitò riuscendo finalmente a togliersi la stoffa di dosso – Kami-sama, è come essersi fatte la doccia! Che schifo! »

« L'hai già detto. »

Lei gli gettò di nuovo la maglia addosso, girando i tacchi e sbraitandogli contro mentre bofonchiava andandosi a sciacquare la faccia, fradicia quasi quando lui che senza smettere di ridere la seguì divertito. Eyner osservò la scena scuotendo la testa:

« Se Minto non si da una calmata le verrà un colpo. »

« Certo che il tuo amico potrebbe evitare di stuzzicarla così. »

« Siamo al livello che quando qualcuno è insopportabile è amico mio? »

Zakuro lo studiò divertita.

« E comunque credevo che alle ragazze piacesse il sudore. »

« Solo in determinate occasioni. »

Eyner sorrise sghembo al sottile tono allusivo, un deciso sfarfallio dietro l'ombelico:

« Questi sono colpi bassi. »

« Dicevo solo la verità. »

Il bruno sbuffò con una mezza risata desistendo dal ribattere, o avrebbe rischiato lui l'infarto.

« È senza speranze. »

« Pai-chan, smettila di brontolare. – sorrise MoiMoi – Su, ora che vi siete sfogati che ne dite, vi date una sistemata e mangiamo? Io ho una fame! »

« D'accordo mamma. »

« Wow, ti è nato il senso dell'umorismo? – lo stuzzicò il violetto – Hai preso un palo in testa o è l'influenza benevola di qualcuno? »

Pai alzò gli occhi al cielo e non rispose detergendosi la fronte con il dorso della mano, un lievissimo sorriso mentre con noncuranza cercò lo sguardo di Retasu; lei, appena arrossita per l'allusione di MoiMoi, sussultò leggermente incrociando i suoi occhi e si accese di un altro tono rimanendo qualche secondo di troppo a fissarlo incantata.

Si trovarono tutti d'accordo con la proposta di MoiMoi e tornarono indietro. Ichigo, affrettandosi dietro a Ryou, era diventata taciturna e cercava di far scorrere gli occhi sulle bancarelle pur non vedendo alcunché della merce: non seppe se fosse il caldo, Ryou che passeggiava ad addominale di fuori come se fosse un premio per gli sguardi, i geni del Gatto Selvatico estremamente sensibili a certi stimoli – e, aveva notato la rossa, alla presenza del biondo in generale – o i tre fattori messi assieme, ma il brividino lungo la gola e sotto all'ombelico le agitarono pensieri indistinti – o che non volle distinguere – tra cui l'idea che lei tanto disgusto per il sudore non ne avesse, visto quanto si trattenne a forza dallo sfiorare con decisione la schiena dell'americano a un metro da sé.

 

 

 

La giornata proseguì con una velocità disarmante tra risa, luci e allegria, non permettendo a nessuno di essere di malumore, e presto arrivò sera. La maggior parte dei banchi scomparve, la rimanente fu chiusa o al contrario messa più esposta spargendo odori di cibo d'ogni sorta per la piazza sgomberata, puntellata qui e là da gruppi di gente che suonava a loro volta circondati da chi ballava o chiacchierava.

Ichigo fu la prima ad arrivare del gruppo, vestita con l'abito della cerimonia del primo giorno, e si sistemò in un angolino in attesa di essere raggiunta dagli altri; non aveva aspettato le ragazze, dopo essersi vestita a velocità sonica e troppo allegramente nervosa per rimanere in stanza; saltellò sulle punte per alleggerire l'euforia che le formicolò sottopelle, la folla rispetto al pomeriggio era calata, ma vide che stava velocemente aumentando di numero e così il chiacchiericcio che le riempì sempre meglio le orecchie.

Era stata una di quelle giornate che si sarebbero potute definire perfette e lei non riusciva a liberarsi di quell'allegria che persisteva a farle arricciare la bocca, della sensazione che ci fosse un domani fantastico ad attenderla.

Osservò distratta la gente che rideva, ballava e mangiava, e poi la intravide: fu un secondo, ma distinse con chiarezza un'ombra opalescente, quasi un riflesso di luce che feriva lo sguardo, e tre figure pallide e trasparenti passarono tra il suo campo visivo e un gruppetto intendo a chiacchierare; Ichigo seguì il fluttuare del terzetto smettendo di respirare, cogliendo a fatica un baluginio di chioma color del fieno prima che l'illusione scomparisse.

Lu…

« Momomiya-san. »

La rossa sussultò e aprì e chiuse gli occhi rapidamente. Non ebbe nulla di fronte a sé, solo la folla che c'era stata fino a poco prima, sempre più folta.

Cos'era…?

« Momomiya-san. »

Kilig la chiamò ancora e lei lasciò scivolare via il pensiero su quel lampo momentaneo, scordandosi in pochi secondi cosa avesse visto e cosa potesse voler dire. Sorrise all'aliena che la studiò titubante:

« Sei da sola? »

« No, gli altri arriveranno presto. – la rassicurò – Tu? »

Come nel pomeriggio la ragazza arrossì a disagio senza risponderle, ma stavolta a spiegarle fu troppo chiara la voce di Merurk che, da poco lontano, la chiamò facendo poi un cenno di saluto alla mewneko. La rossa ricambiò tranquilla e non potè trattenersi da rivolgere di nascosto un sorrisetto malizioso alla povera archivista che divenne color peonia.

« Allora oggi non era un'impressione. »

« H-ho solo chiesto a Merurk-san s-se avrebbe partecipato alla Celebrazione – farfugliò brusca Kilig – era una domanda stupida… Però l'ho fatta e… E… N-non è che… Solo perché ci conosciamo, che mi ha propOfferto, offerto volevo dire, di venire qui con… »

Ad ogni parola il suo tono si affievolì ed Ichigo si trattenne dal lasciarsi andare in gridolini esaltati.

« T-ti annoierai da sola – bofonchiò torva la mora per cambiare argomento – posso rimanere… »

Ichigo sorrise intenerita e scosse la testa:

« Sto bene. Vai. »

Le ammiccò e Kilig sbuffò qualcosa di poco chiaro diventando così rossa da far scomparire le lentiggini.

« Ah, però – le sussurrò complice la mewneko prima che andasse via – noi ripartiamo domani, ma voglio un resoconto, eh? »

Kilig tornò pallida e poi nuovamente rossa borbottando sul fatto che non c'era né ci sarebbe stato nulla da dire, ma le sorrise stentata e trotterellò verso il soldato che indicò da una parte e si avviò, conducendo l'archivista con una garbata mano sulla spalla.

« Possibile che perfino qui riesci a trovare qualche poveretto nei cui affari di cuore puoi immischiarti? »

« Io non mi immischio – replicò piccata al commento che annunciò l'arrivo di Ryou – constatavo. »

« L'ultima constatazione ha provocato l'ira di Retasu – puntualizzò divertito – io ci andrei piano. »

Lei lo fissò seccata mentre lui sospirò divertito; guardò i ciuffi petrolio di Kilig svanire nel marasma e sorrise con dolcezza:

« Sono solo contenta. È una brava persona… Mi piacerebbe che diventassimo davvero amiche. »

Ryou annuì poco coinvolto ma le sorrise posandole una mano sulle spalle e rimirandola nel suo vestito. Aveva faticato a non farle notare come avesse visto le sue occhiate nella giornata – non era semplice fingere che una ragazza non ti rimirasse come un dolcetto, specie se era la ragazza di cui eri innamorato – e rivederla così agghindata gli faceva desiderare ferocemente di portarsela via prima della fine della festa.

Con calma. Con calma.

Aveva stabilito che sarebbe stata lei a dettare i tempi e così voleva che fosse.

Ancor di più che le occhiate della rossa che gli avevano perforato la schiena sudata gli avessero fatto intuire che non avrebbe dovuto aspettare troppo tempo.

La strinse appena contro di sé e le baciò la guancia, sorridendo al calore che percepì sotto le labbra, quindi propose fingendo un enorme sforzo:

« Prima che inizi a lamentarti dell'attesa, vuoi provare? »

Accennò con la testa alla pista improvvisata; ad Ichigo brillarono gli occhi, ma tentennò facendo segno di no con la testa:

« Non ho idea di come si balli qui. »

Lui diede una scorsa analitica alla gente e la trascinò per un braccio:

« Non sembra difficile. Su, fifona. »

Ichigo protestò ancora un po', ma non fece fatica a riadattarsi al suo passo e ad aggrapparsi al suo braccio, strusciandovi addosso la guancia contenta.

 

 

***

 

 

« Minto nee-chan, sei pronta? Noi andiamo. »

« Sì, sì – sorrise la mora a Purin, affacciata alla porta – avviatevi pure, vi raggiungo. »

La biondina sorrise e afferrò la mano di Retasu incitando lei e Zakuro a muoversi.

Minto finì di sistemarsi l'abito un paio di minuti dopo e uscì dalla sua camera con un sospiro; le risate delle altre si erano allontanate veloci nel corridoio e lei le seguì con calma, ascoltando distratta il silenzio rilassato del Palazzo. Proseguì nella sera che calava gentile per gli eleganti porticati e i giardini, poi sul selciato sdrucciolevole cullata dallo scalpiccio dei suoi stessi passi e dopo una lenta passeggiata arrivò sul limitare della piazza grande; rimase fuori, dietro alle ultime case che custodivano i festeggiamenti, e si appoggiò al muretto di un piccolo cortile osservando distratta le luci delle lanterne trasparenti con cui avevano addobbato il perimetro e che facevano capolino dagli spiragli, ascoltando la musica allegra e le risa, rilassandosi al profumo dell'erba rugiadosa e dei cibi delle bancarelle che aleggiarono fino al suo naso.

« La damigella rifugge la baldoria? »

Minto sussultò appena alla voce bonariamente canzonatoria di Kisshu, vestito come lei di tutto punto con la divisa.

« Mi stavo solo rilassando. »

« Giocavo cornacchietta, non innervosirti. »

Ribattè pronto al suo irrigidimento di postura e le picchiettò la guancia. Minto gli scacciò la mano aggrottando la fronte:

« Sono ancora seccata con te per oggi. »

« Sei permalosa e vendicativa. »

« Tu sei irritante. »

Kisshu ridacchiò dispettoso. Minto cercò di fare la sostenuta e tornò a guardare sovrappensiero la festa, ma la risata di Kisshu fu stranamente più sommessa del solito e la sua voce meno indisponente e lei sentì un lievissimo moto di nervosismo pizzicarle il petto. Seppe perfettamente a cosa fosse dovuto e l'idea la incupì.

Si aspettò che Kisshu dicesse altro per stuzzicarla, invece lui rimase a poca distanza da lei in silenzio con le mani dietro la schiena; la mewbird incrociò le braccia al petto e prese a gingillarsi con il velo che le scendeva oltre le braccia, irrequieta.

« Che c'è, non ti va di fare due salti? »

Scherzò lui dopo un po' e Minto riflettè prima di rispondere:

« Sinceramente non tanto. »

Ammise. Kisshu la studiò portarsi un ricciolo dietro l'orecchio e domandò più dolce:

« Sei di cattivo umore cornacchietta? »

« Solo un po' così. – rispose sfuggente – Di certo non mi aiutano i tuoi nomignoli. »

Lui rise ancora flebile e Minto lo sentì mettersi al suo fianco con noncuranza; ebbe la sensazione che la pelle del braccio rivolta verso il ragazzo le pizzicasse. Forse fu la ragione per cui i suoi pensieri presero prepotenti forma e le sfuggirono dalle labbra:

« Domattina partiamo. »

Kisshu non rispose subito, soppesando il sussurro a disagio che diede corpo alle sue parole; emise un piccolo sospiro e annuì:

« Lo so. »

Giocherellò come la mora con il suo drappo, seguendone il profilo dall'estremità verso il braccio di lei e poi indietro, avvicinandosi ogni volta alla sua pelle. Lasciò la frase in sospeso sorridendo sghembo e Minto avvertì le sue dita sfiorarle il braccio con sicurezza. Le dita divennero presto un palmo che le accarezzò leggero il braccio allacciandosi poi alla sua mano, e la mewbird non si rese quasi conto del verde che le afferrò piano il viso e la voltò finché non incrociò il suo sguardo ambrato.

« Cosa c'è? »

« Niente. »

Rispose lui con un'alzata di spalle e le continuò a sfiorare il viso con due dita fino a poggiarci contro la mano; la mora avvertì il cuore passare ad un ritmo più brioso, e il ragazzo indicò la festa con un cenno del capo:

« Sai, pensavo che di là c'è troppa confusione. »

« Pensavo ti piacesse la confusione. »

« A me? Sono un uomo austero e composto. »

Scherzò infantile e Minto roteò gli occhi per sgridarlo di nuovo, ma lui le fece segno di non brontolare oltre posandole piano l'indice sulla bocca:

« E comunque, ora come ora, – disse provocante accarezzandole le labbra distratto – mi andrebbe solo di fare un po' di confusione con te. »

Minto arrossì irritata ignorando il tonfo al petto:

« Sei un cretino. »

« Mi adori, come cretino. »

« Certo. »

Mentì schioccando la lingua e ridendo piano lo spinse per ritrarsi e andarsene, accorgendosi che lui l'aveva già cinta per la vita:

« Minto. »

Trasalì al richiamo calmo e più docile assecondò il suo tirarla a sé sollevando lo sguardo. Kisshu la guardò a lungo scostandole distrattamente qualche ciocca della frangetta, non sarebbe stata la fine del mondo la breve separazione – di un numero imprecisato di mesi, si ripetè stizzito – ma l'idea gli strinse lo stomaco in una fastidiosa morsa amara.

Finché fosse stato possibile avrebbe voluto godersi la presenza della morettina in santa pace.

Spostò appena l'indice dalla sua bocca e si chinò piano verso di lei:

« Resta qui con me. »

Un secondo di silenzio che inghiottì i mormorii della sera e il chiasso della festa. Poi Kisshu la tirò a sé, stupendosi contento quando capì che Minto si era allungata con veemenza nella sua direzione contemporaneamente a lui.

La mewbird sperò che il passare metodica la mano tra i suoi capelli un po' lunghi e il baciarlo con tutta la calma del mondo avrebbero placato il fantastico brivido che le aveva reso le gambe di gelatina, invece la situazione peggiorò soltanto; si aggrappò a Kisshu sicura di cadere lì dove si trovava, probabilmente trascinandoselo dietro, e sentì il verde sorriderle sulla bocca – forse perché l'idea non gli parve così malvagia.

Minto avvertì il piccolo risucchio nelle orecchie e la presa dietro l'ombelico del teletrasporto e quando tutto finì, una frazione di secondo dopo, i rumori e le luci della Celebrazione erano svaniti. Aprì appena gli occhi riprendendo fiato e percependo la penombra silenziosa di una stanza: l'aveva vista una volta sola – o, per meglio dire, aveva intuito qualcosa mentre i suoi occhi erano occupati a posarsi per sbaglio su altro – ma riconobbe qualche mobile e, soprattutto, l'odore di Kisshu veleggiare per la camera; o magari fu solo perché si ritrovò ancora avvinghiata al ragazzo, a respirare quel profumo fino a non percepire nient'altro.

Kisshu da parte sua aveva spento il cervello all'incirca il secondo successivo al teletrasporto, lasciando attivi i pochi neuroni necessari a ponderare qualche azione pratica.

Come disfarsi del velo ornamentale, che tanta eleganza donava alla morettina, ma decisamente non gli era d'aiuto. Sganciò il laccetto nascosto dalla stoffa sotto la gola e il drappo si perse da qualche parte sul pavimento, mentre lui ebbe libero accesso al collo e al decolté chiaro della mewbird. Scese un bacio alla volta lungo le clavicole, divertito del mugolio insoddisfatto di lei che interpretò come una protesta alla sua fretta, e che si trasformò in un sospiro tremante appena la ragazza lo avvertì risalire e rivolgere le attenzioni alla curva tra l'orecchio e la mascella.

Minto continuò a passargli una mano tra i ciuffi scuri della nuca, poi con l'altra armeggiò sovrappensiero con la giacca dell'ingombrante divisa. Dopo una manciata di minuti in cui stuzzicò i bottoncini si arrese a volersi dispare di quella sorta di palandrana deforme, e allo stesso tempo di piegò a dover usare entrambe le mani per compiere l'impresa, rimanendo alla mercé del verde che non smise un momento di scatenarle brividi lungo la pelle delle spalle che sfiorò con baci lenti.

« Vuoi un aiutino, passerotto? »

Lei grugnì senza rispondergli e guardandolo male per il tono divertito.

« Perché devo dire che è davvero piacevole vederti con quella faccia… »

« O mi dai una mano o stai zitto. »

Sbottò, cosciente di essere arrossita e che lui non avesse smesso di baciarla per tutto il tempo, tranne che per prenderla in giro, proprio perché la cosa l'avrebbe deconcentrata e avrebbe reso più ardua l'operazione. Kisshu sorrise malizioso e ritenendo di aver gioito a sufficienza del suo viso imbarazzato l'aiutò a slacciargli l'ultimo, ostico bottone, e poi la cinse a sé con veemenza: Minto reclinò la testa abbandonata sulle sue labbra e prese subito a vagare con le mani sotto l'uniforme aperta, deglutendo al fisico che percepì sotto di sé – lo stesso che aveva già sfiorato a Lirophe e che, mai lo avrebbe ammesso, aveva ammirato in lungo e in largo quel pomeriggio – frenando a fatica un soffio rotto quando Kisshu nel suo indietreggiare crollò all'indietro strascinando entrambi sul letto.

« Buonasera, signorina. Come siamo audaci. »

La punzecchiò, gli occhi adombrati e maliziosi, osservando compiaciuto Minto sedere sulla sua pancia; si mosse appena stringendola di più contro di sé e gustandosi il suo cipiglio a disagio nel sentire la vicinanza dei loro corpi, e lasciandole capire quanto sarebbe stato complicato rimanere a baciarsi limitando il contatto imbarazzante. La mewbird però non gli diede soddisfazione di risposta alla provocazione, preferendo abbandonarsi tra le sue braccia più che discutere per l'ennesima volta.

Gli accarezzò il torace stendendosi contro di esso e ricominciò a baciarlo mentre le mani di Kisshu vagarono languide e lente sulla sua vita sottile e i fianchi, scivolando poi sotto la gonna e lungo le gambe flessuose; il respiro di Minto si spezzò con sempre più frequenza, le dita di Kisshu erano roventi contro di lei, curiose e pazienti mentre ne esplorarono palmo a palmo ogni curva, senza timore o pudore, strappandole un mugolio secco insinuandosi tra la stoffa del bustino e la sua pelle risalendo verso il petto minuto o stringendole il fondoschiena delizioso.

La mora si accorse di non sapere quando e come Kisshu si fosse tolto la parte sopra della divisa, ma non ci badò immaginando di essere stata lei a fargliela scivolare dalle spalle, nel tentativo di poter disegnare coi polpastrelli la linea dei muscoli delle braccia passando poi a quella degli addominali e del torace mentre lui, schiavo della sua vena dispettosa, riprese dal punto del collo dove si era fermato scendendo lento verso la scollatura del corpetto. Minto trattenne il fiato e Kisshu rallentò ancora il ritmo lasciandole bacini leggerissimi lambendo la pelle appena sopra il seno e niente più, sorridendo del mugolio frustrato di lei.

« Kisshu… »

« Cosa c'è? »

Lei inclinò la testa verso il basso incrociando stizzita la lucina allegra nei suoi occhi:

« Sei davvero… uh… »

« Non ho capito bene passerotto. »

« … Idiota… »

Lui rise basso e il cuore di Minto accelerò senza che lei capisse il motivo.

Kisshu strinse la presa sulla sua vita e impaziente spostò la stoffa del bustino facendola scivolare in giù; lei, distratta, gli mormorò a stento di non farlo e arrossì più decisa mentre lo vide fermarsi stupito e rimirarla qualche istante.

Lui sogghignò sottile passando un dito sotto la spallina del reggiseno, identico a quello che aveva fatto capolino dagli abiti della mora quando era caduta nella piscina dell'istituto Yakori; la sola differenza fu la scarica che fece precipitare lo stomaco del verde in fondo ai piedi e che lui nascose dietro un sorrisetto sbilenco:

« Qui c'è qualcosa dall'aria familiare… »

« Lo sapevo che avevi guardato. »

Borbottò la mora brusca ignorando il sussurro caldo della sua voce:

« Porco. »

« Tu andavi a zonzo con la camicia fradicia addosso. »

Minto continuò a guardarlo male, le guance rosse, e tentò di nascondersi sollevando di nuovo la stoffa contro il petto, ma Kisshu le allontanò piano la mano e ricominciò a baciarla prima che potesse ribattere, esplorando il retro dell'abito alla ricerca della sua chiusura:

« Però il resto non l'ho visto. »

Le bisbigliò tentatore all'orecchio e Minto, sussultando, spinse le mani contro le sue spalle bloccandolo:

« Kisshu, aspetta… »

Lui sbattè le palpebre un momento e sospirando le riportò le mani alla vita; la studiò con aria vacua:

« Se devo fermarmi, dimmelo adesso. »

Mormorò con dolcezza e Minto scostò d'istinto il viso, la sensazione di stare per svenire e incapace di reggere al modo in cui la scrutava, come se fosse la cosa più bella e desiderabile del pianeta.

« Non credo di riuscire a trattenermi oltre. »

La mewbird si perse nel languido sguardo dorato di lui, che stava chiaramente combattendo come un disperato per restare calmo, e un indefinibile calore le si sciolse nelle membra divorando la tensione.

Le parole di Zakuro di qualche giorno prima le tornarono alla mente e la risposa che, silenziosamente, si diede per l'ennesima volta soffocò con facilità le proteste che in un angolino della sua testa si stavano formando, sul fatto che non fosse opportuno nulla della situazione o su qualsiasi stupido dubbio.

Minto cinse il collo di Kisshu con le braccia e gli si strinse contro con più decisione, strappando al ragazzo un respiro roco.

« Magari non lo fai… »

Kisshu ridendo la baciò con un sospiro soddisfatto e vagò lungo il vestito ben intenzionato a capire come disfarsene, prendendosi però altro tempo per scoprire al tatto quanto davvero fosse intrigante il corpo elegante della mora. Minto mugolò contro le sue labbra mentre lui le esplorò la curva fra le cosce e gli si aggrappò alle spalle, con il cuore che pulsò furioso quando capì che ad ogni suo sussulto anche Kisshu fremeva, socchiudendo gli occhi inebriato dal sentirla sempre più rovente per lui, da quel corpo che reagiva così meravigliosamente alle sue carezze, dal suo profumo, dal soffio della sua voce nell'orecchio.

Il vestito di Minto finì tristemente a terra con un tonfo e Kisshu si fermò un'altra volta. Il petto – e il suo compagno d'armi in basso loco – gli diedero del masochista intanto che rimirò per un tempo infinito la figura da bambolina della mewbird seduta a cavalcioni sopra di lui con il suo seducente completo di pizzo nero, non muovendo altro che due dita sulla curva della sua vita:

« Sei davvero bella, lo sai? »

Il cuore di Minto le diede un altro piacevole colpo sordo e lei sentì di arrossire come una sciocca per il modo assolutamente privo di decenza con cui l'ammirò, ma sorrise:

« Lo dici perché lo pensi davvero, o perché ti veniva in mente una definizione più spinta? »

Gli rimbrottò teneramente.

« Diventi antipatica a furia di fare la polemica. »

Le fece notare con un ghignetto e fu sicuro che gli si leggesse in faccia l'impazienza:

« Sei bellissima. »

Le ripetè più basso e lui rise ancora sotto i baffi vedendola irrigidirsi dolcemente:

« Ma scommetto che senza vestiti sei ancora più bella. »

Ascoltò un bisbiglio prima di baciarla che gli parve molto simile a un maniaco.

Minto aumentò la stretta sulle spalle di lui volendo solo averlo più vicino a sé, sospirando forte quando la poca stoffa sopravvissuta dell'intimo cadde da un lato e percepì le mani di Kisshu saggiarle forti la schiena nuda. Quando lo sentì scorrere in avanti fino ad accarezzarle il seno premette più forte la bocca sulla sua per non fargli ascoltare il gemito incandescente che le scappò, ottenendo solo di farlo vibrare fino in fondo al torace del verde che le mordicchiò il labbro inferiore:

« Che bella voce che hai, passerotto… »

« Piantala coi nomignoli. »

Lo sgridò ancora senza forze intanto che lui, sospirando divertito, le baciò la tempia e l'orecchio:

« Minto. »

Bastò quel fruscio perché lei gli si stringesse più forte affondando appena con le unghie nella sua pelle diafana. Il suo nome divenne un incantesimo magnetico che il verde ripetè ancora e ancora,  nascondendo il rumore leggero delle proprie labbra e i respiri che iniziarono a fermarglisi in gola. Le scese sul collo, sul seno, dove rallentò ipnotizzato dai dolci tremiti e dai sospiri che la mora si fece quasi sfuggire per il suo assaggiarla, spingendolo solo a godersi di più quell'attimo di abbandono  incondizionato; pizzicò lentamente coi denti la pelle chiara provando la morbidezza delle sue forme, quel seno non eccessivo eppure perfetto tra le sue dita, sotto di esse, così dolce sotto la lingua e sulla bocca, e sentì Minto stringerglisi più forte e passargli confusamente le mani tra i capelli, respirandovi contro con forza. Avvertirla sciogliersi così tra le sue mani gli diede quasi alla testa, tanto che si ritrovò combattuto tra il desiderio che lo incalzò impaziente e la volontà di godersi il momento il più a lungo possibile a costo di rallentare  Aprì un occhio e scrutò di sbieco il viso arrossato della mora, lo sguardo perso e le labbra socchiuse, e gli venne da sorridere: quella era una Minto che nessuno aveva mai visto, era solo sua, solo per lui; per nessuno Minto si era mai abbandonata così, nessuno l'aveva mai sentita sussurrare a quel modo, né quei sussurri avevano mai chiamato altro nome prima del suo. Kisshu si fermò un secondo posandole un lento bacio sulla sinistra del petto sorridendo in silenzio.

« Che c'è? »

Minto si mise più dritta sistemandosi sui gomiti e lui inarcò la schiena in su posandole il mento dove l'aveva baciata; arricciò malizioso le labbra, le iridi dorate ormai liquide:

« Lo sai? Ti adoro, cornacchietta. »

« Nemmeno adesso riesci a chiamarmi decentemente? »

Borbottò e lui rise piano tirandola verso di sé perché potesse raggiungerle anche il viso:

« Ma sei la mia cornacchietta. »

Proseguì divertito posandole baci leggeri sulle clavicole, sul collo, sulle guance, con fare quasi da bimbo:

« Mia. »

Minto si lasciò sfuggire un sospiro proibendosi di arrossire per come quel mia le fece tremare il petto, sorridendo comunque eloquente, ma non trattenne invece una risata quando lui la sfiorò con un po' troppa leggerezza facendole il solletico. Kisshu insisté contento del sentirla così rilassata e a suo agio e divertito della risata della mora, che si spense piano piano seguendo il suo rallentare il passo con baci più languidi, mirati sempre più verso le labbra della mewbird finché non le riconquistò interamente.

Lui si rilassò sul letto stendendosi meglio e passando piano le dita tra i capelli di lei, quasi divertito che la mora sembrasse così appagata di sentirglieli arruffare impunemente; una mano del ragazzo scese lungo la sua nuca e la schiena, sfiorando per un secondo il punto fra le scapole dove sapeva esserci la voglia rosata a forma di ali, e proseguì premendo appena coi polpastrelli sulla pelle e girando sulla pancia frenando a poco a poco mentre le scese lungo la curva del bacino. Minto smise di respirare.

Kisshu sentì le sue labbra posarsi prepotenti sul suo collo; per qualche infinitesimale secondo, la sua mente fu attraversata dal pensiero del risultato di quanto stava facendo quella boccuccia supponente e gli sfuggì un sogghigno, ma svanì tutto in uno schiocco di dita e lui socchiuse semplicemente gli occhi fremendo dei suoi sospiri.

« Kissh- »

Il nome morì sulla bocca di Minto con un mugolio più alto del previsto e lei si tese in avanti appoggiandosi con la fronte a quella del verde, come per riprendere l'equilibrio. Prese fiato un momento, le labbra rosse per i baci e i lievi morsi che si era inflitta per tenerle strette, e lo guardò con un sorriso perso accarezzandogli il viso: sentì il bisogno di dare un suono definito a quanto stava provando, quell'eccitazione mischiata a felicità che le fece  sentire il cuore leggero e rapido come un uccellino e il corpo caldo e sicuro, protetto tra le braccia di Kisshu, ma non trovò cosa dire. Il ragazzo le tolse l'onere di spiegare baciandola e accarezzandola ancora, non riuscendo più a sentire altro oltre al sussurrare agitato di lei, i suoi sospiri spezzati, sorridendo quando la mora pareggiò i conti e, soffiando tra i denti un momento nell'allontanarlo da sé, scese dal suo addome e finì di disfarsi della divisa che lui aveva ancora in parte addosso.

Minto titubò un istante a tornare dove si trovava, di colpo consapevole di non avere più alcuna barriera di stoffa tra sé e il verde. Incerta si sporse piano verso di lui e quando le sue dita affusolate gli si posarono sopra il bacino, Kisshu ebbe la sensazione che il sangue gli andasse a fuoco: si mise appena a sedere afferrandole i fianchi e le strinse una mano sulla coscia tirandola a sé, una muta e bramosa richiesta, scoprendosi incapace di respirare mentre Minto gli scivolò addosso. La guidò perché rimanesse ad un soffiò da lui e le prese con dolcezza la nuca perché lo baciasse, crogiolandosi qualche momento della pelle tiepida della mora contro la sua, le cosce contro la sua vita, le mani posate delicatamente vicino al suo collo, il seno tremante premuto contro il suo torace. Si impose di rallentare – con altre proteste dei suoi soci – accostando il viso a quello di lei e studiando la sua reazione a quella minima distanza rimasta; Minto era chiaramente tesa, ma lo guardò languida e con la bocca socchiusa intanto che giocò distratta con la sua frangia:

« … Kisshu… »

Soffocò un respiro vibrante contro la sua spalla quando Kisshu l'abbracciò scorrendo sulla spina dorsale fino a tirarla a sé. La sensazione del suo calore a pochi millimetri gli echeggiò feroce da lì fino alla testa e con uno sbuffo prese a torturarle dolcemente la pelle sopra la clavicola, pur di mantenere il minimo di lucidità rimastagli, passando poi a baciarla finché la mora non si rilassò permettendogli di scivolare dentro di lei, con un desiderio e allo stesso tempo una delicatezza tale che Minto sentì il cuore esploderle.

« Minto… »

Respirò roco sfiorandole la bocca e si mosse con decisione rubandole un lieve gemito e uno scatto all'insù della testa che lo preoccupò un poco, ma Minto sospirò a fondo prendendogli il viso tra le mani:

« Va bene – gli bisbigliò con un leggero sorriso – era solo… »

Strinse le labbra con un soffio tremulo, illanguidendo al loro contatto e faticando a ragionare:

« Rimani qui. »

Si sistemò meglio contro Kisshu e lo baciò scoprendosi a ridacchiare piano assieme a lui prima di abbandonarsi tra le sue braccia. Non ci fu nient'altro, se non loro due uniti nella stanza buia e la voce flebile del verde che pronunciò il suo nome.

 

 

***

 

 

« Sei preoccupata? »

Zakuro soppesò un momento la domanda di Eyner e scosse le spalle:

« Minto non ci ha raggiunte e non c'è traccia di Kisshu – constatò solo e gli sorrise sibillina – dovrei? »

« Stai tranquilla Zakuro-chan – rise forte Iader – mio figlio è scemo, ma non è tanto scemo. »

« Ho l'impressione di aver già sentito una frase del genere. »

Commentò soltanto la mora sospirando divertita guardando Eyner che scosse le spalle e l'uomo rise ancora.

« Iader, per l'amor del cielo. »

Lui scrutò Lasa facendo appena un cenno di noncuranza con la mano:

« Sono obbiettivo, gli voglio un bene dell'anima a quel ragazzo, ma so quanto sia difficile. »

« Tutto il papà. »

« Che moglie crudele. »

Lasa alzò gli occhi al cielo divertita e Zakuro rise con più decisione mentre Iader insisté:

« Capisco i gusti di Kisshu, ma quelli di Minto-chan proprio no. – ammiccò alla mewwolf – Mi sa che il partito migliore te lo sia beccato tu, Zakuro-chan. »

« Iader-san… »

Lui rise ancora alla faccia a disagio di Eyner e Zakuro dovette nascondere il viso per non ridere più convinta; lei e il bruno si allontanarono un poco, mentre Lasa diede al marito un piccolo schiaffo sul braccio:

« Poi ti chiedi perché i ragazzi con te non parlino! Se li prendi sempre in giro. »

« Magari alla lunga svilupperanno il senso dell'umorismo. »

Gettò un'occhiata attorno individuando il resto del gruppo poco distante e Pai e Retasu, vicini, nel mezzo, intanto che Purin e Taruto andarono loro incontro:

« Iader-san! Lasa-san! Ciao! »

« Ciao Purin-chan. »

Sorrise la donna e scoccò un'occhiataccia al marito prima che commentasse in alcun modo la mano della biondina che il figlio stava stringendo.

« Che bel vestito. Stai benissimo. »

La ragazza sorrise compiaciuta grattandosi la guancia. Iader rincarò quanto detto dalla moglie annuendo deciso:

« Quasi quasi alla principessina chiedo un ballo. Ti offendi tesoro? »

Lasa sospirò rassegnata ad assecondarlo e fece un cenno di diniego mentre Iader insisté allegro:

« Mi concedi la tua dama per un po'? »

« Se la smetti di fare lo spiritoso, papà. »

Bofonchiò Taruto e lasciò la mano di Purin che passò rapida lo sguardo dal brunetto a Iader con aria felice e confusa.

« Ti sto dando fastidio? »

« No! No Iader-san, però, ecco, io… A dire il vero non ho mai… »

Si morse l'interno della guancia, suo padre era così assente che non ricordava quando fosse stata l'ultima volta che aveva fatto una cosa del genere con lui, anzi non ricordava di averne mai fatte. Iader la studiò inclinando la testa e si scambiò un'occhiata con la moglie:

« Intendi con tuo padre? »

Chiese con più gentilezza e la biondina abbassò appena la testa; lui rimase zitto qualche momento, poi rise di nuovo e le accarezzò la frangetta:

« Perfetto, così non noterai gli errori che faccio. – disse entusiasta e le prese la mano avviandosi – È proibito ridere però. »

Purin fece ancora un passo incerto e poi ricambiò la sua risata assecondandolo. Lasa e Taruto studiarono la scena in silenzio, a metà tra l'abitudine e il divertito, mentre l'uomo, che superava Purin di quasi il doppio, tentava di muovere qualche passo assieme a lei senza alcuna grazia.

« Mamma? »

« Sì? »

« Tu e papà… Lo sapevate? – tentennò il brunetto ripensando ai loro sguardi di poco prima – Dei genitori di Purin. »

Lasa sospirò appena:

« Qualcosina. Io e Purin-chan abbiamo parlato, una volta, in questi giorni. – replicò vaga e poi sorrise – È una ragazza forte. »

Taruto guardò la zazzera bionda che turbinò tra la gente e sorrise dolcemente:

« Lo so. »

Lasa studiò il figlio minore e gli accarezzò un istante la testa ridendo poi bassa; Taruto arrossì aggrottando la fronte:

« Che c'è? »

« Nulla tesoro. – lo rassicurò e gli battè appena l'indice sul naso – Ma vedi di avere cura di lei. So che non ti sei comportato molto bene di recente. »

Taruto si strinse appena nelle spalle storcendo la bocca.

« Mai quanto i tuoi fratelli, te lo concedo. »

« È stata la senpai, vero? – grugnì il brunetto e al cenno affermativo della madre bofonchiò più forte – Che razza di impicciona. »

Lasa rise ancora piano e lo convinse ad aiutarla a separare il padre dalla mewscimmia, prima che il loro fracasso arrivasse oltre un limite sopportabile.

 

 

 

« Fratellone, allora io vado d'accordo? »

Sury si aggrappò ai pantaloni di Eyner tirando insistentemente, per essere sicura di avere la sua attenzione nel fracasso, e il bruno le coccolò deciso la testa:

« Va bene, va bene. Fai attenzione. – alzò un secondo lo sguardo verso gli altri – Credevo che avresti passato anche tutta la sera con Akasaka. »

La prese in giro ripensando a come il povero giapponese fosse stato trascinato tutto il giorno dalla sorella per tutta la Celebrazione, non riuscendo a disfarsene se non al tramonto. Sury prese un'aria stranamente seria e fece cenno a lui e a Zakuro di ascoltare il suo importantissimo discorso:

« Credo che Kei-chan ora debba riprendersi. »

« "Riprendersi"? »

« Dalla delusione. – spiegò la bimba contrita – Oggi parlandogli mi ha detto delle cose e ho capito che è davvero troppo grande per me e che non posso essere la sua fidanzata… Ho dovuto dirglielo. Ci sarà rimasto male. »

Eyner mandò un monosillabo partecipe e Zakuro nascose un sorriso troppo pronunciato, entrambi cercando di immaginarsi cosa avesse effettivamente detto Keiichiro per far desistere la piccola Toruke così docilmente.

« Poverino. »

Disse solo il bruno cercando di non ridere e Sury annuì con un sospiro:

« Però gli ho detto che se quando divento grande come lo è Lasa-san non mi sono ancora sposata, allora lo sposo lo stesso. »

« Mi sembra un ottimo compromesso. »

Annuì Zakuro cercando di non cambiare espressione. Sury sorrise soddisfatta e salutandogli raggiunse gli amichetti allontanandosi nel caleidoscopio della festa, permettendo finalmente ai due ragazzi di ridere apertamente.

« Akasaka è un genio. Mi fa quasi paura. »

« Dovrai andare a scusarti per tutte le minacce di morte che gli hai fatto. »

« Io non ho minacciato di morte proprio nessuno. – precisò Eyner – Ho solo detto che, se Sury avesse voluto sposarselo, sarebbe passato sotto il mio giudizio insindacabile. »

« Del tuo jitte. »

« Dettagli. »

Zakuro sospirò e rubò uno dei mimeri che Eyner aveva in mano, stringendosi al suo braccio e riprendendo a passeggiare.

 

 

 

 

« Ho l'impressione che Ryou-chan si sia pentito di aver fatto ballare Ichigo-chan. »

Retasu rise stentata guardando il biondo venire trascinato per l'ennesima volta dalla rossa tra la folla. Si morse di nascosto il labbro inferiore, il fatto che tutti poco alla volta si stessero allontanando dal suo raggio d'azione la stava agitando, stava esaurendo i motivi di distrazione e il suo sguardo non faceva che guizzare alla sua destra, accanto a cui Pai stava in piedi a braccia conserte, composto e rilassato; i pensieri della giornata non avevano smesso un secondo di tormentare la verde che riabbassava gli occhi e gli rialzava di continuo, facendo sempre più fatica a concentrarsi su altro che non fosse la presenza del moro.

« Piuttosto è strano che tu non stia ancora rompendo per andare. »

Bofonchiò Sando scrutando MoiMoi di sottecchi e il violetto saltellò sui talloni:

« No, sto bene così. »

« Mi prendi in giro? – insisté il verde scettico – Ma se ogni anno rompevi le palle a chiunque! »

Il violetto guardò dall'altra parte con una strana espressione.

« MoiMoi-san, se ti andasse sarei onorato. »

Sorrise Keiichiro cavalleresco come sempre.

« Sono a posto Akasaka-kun. – disse ancora calmo e poi corrucciandosi si girò verso il compagno – Certo che chiedevo a tutti, stupido! Mica potevo chiederlo a te! »

Sando aprì la bocca in imbarazzo vedendo il broncio del violetto e intuendo cosa intendesse, sforzandosi di non arrossire.

Certo che chiedevo a tutti, stupido! Mica potevo chiederlo a te!

Cioè era con te che volevo ballare, scemo!

Il verde grugnì basso e si passò con foga una mano tra i capelli mandando un lungo verso esasperato:

« Insomma…! »

Afferrò il polso di MoiMoi con la grazia di un bisonte e lo trascinò tra la folla incurante del suo protestare o del suo arrancare a balzelli, il violetto che sgranò gli occhi a disagio:

« N-no, aspetta un attimo, non è che adesso…! – lo fermò e non riuscì ad ignorare le rare occhiate che ricevettero – Non sei costretto. »

Sando si limitò a guardarlo da oltre la spalla:

« Ti ci devo portare in spalla o ti muovi da sola? »

MoiMoi si morse il labbro in imbarazzo nel vederlo di colpo tranquillissimo e annuì soltanto, seguendolo docile e girandosi giusto un secondo verso i tre rimasti con un gran sorriso, a cui risposero Pai con una scrollata di spalle e Retasu e Kei ridendo gentili.

« Beh, credo che ne approfitterò e mi godrò un po' la festa in tranquillità. – sorrise il bruno – A più tardi. »

Solo quando Keiichiro sparì tra la gente Retasu tornò bruscamente al fatto di essere rimasta da sola con Pai e abbassò con forza la testa a disagio. Rimasero così per un po', entrambi in silenzio, ma la verde fu sicura che ogni tanto lui la guardasse esattamente come fece lei.

« … Scusami per ieri. »

« Come? »

Di sicuro non si sarebbe aspettata che aprisse il dialogo a quel modo. Si girò verso il moro che contrasse appena la mascella:

« Non volevo metterti a disagio. »

Disse piano e Retasu strinse le labbra sorridendo appena:

« N-no, io… Non mi ha dato… Fastidio. – mormorò sentendo le guance scaldarsi – Mi ha… Mi ha fatto piacere. »

Ammise in un soffio e le venne quasi da ridere vedendolo spalancare gli occhi; il ragazzo rilassò di colpo la mandibola e sospirò abbassando le braccia:

« Ah sì…? »

La mewfocena annuì timidamente e assecondò il suo passarle il braccio attorno alla vita, chiudendo gli occhi mentre affondò il naso contro il suo fianco e lui le lasciò un bacio leggero sulla testa.

« Solo che non me l'aspettavo. »

Ridacchiò nervosa e lo sentì sospirarle tra i capelli:

« Chissà perché lo sospettavo. »

« Però – bisbigliò come sperando non la sentisse – non mi dispiacerebbe se… Succedesse di nuovo, ecco… »

Pai sciolse lentamente l'abbraccio e la guardò con aria quasi divertita:

« Certe cose dovresti dirle con meno sincerità, lo sai? »

« Eh…? P-perché? Che ho detto? »

Lui mandò un piccolo sbuffo, quel modo di ridere che le faceva sfarfallare il petto, e si chinò per avere i suoi occhi alla stessa altezza; Retasu ebbe l'impressione di avere del fuoco nell'addome vedendo quanto potessero essere intense le iridi ametista di lui, così abituata a scorgerle fredde come pietre.

« Niente di male. »

Le disse solo sfiorandole la guancia.

Già, nulla di male. Solo la frase più destabilizzante, provocante e tenera che potesse dirgli.

Non sarebbe mai stato pronto per tenere il ritmo di quella ragazza.

Retasu si sentì sfiorare il naso e per un secondo impallidì, voleva baciarla lì di fronte a tutti?! Sarebbe morta all'istante. Contrariamente alla previsione fu ancora viva, pur con il cuore che le martellò fino in gola e il respiro un po' tremulo, quando Pai allontanò la bocca dalla sua e gli sorrise prendendogli la mano.

Lui le scostò sovrappensiero una treccia che le si era ammucchiata su una spalla e non capì perché, di colpo, la ragazza fosse sobbalzata finché non scorse alle sue spalle il famigliare sorrisetto paterno. Iader si avvicinò a loro tranquillissimo e, all'apparenza, senza aver visto niente della scena, ma la sua presenza bastò per agitare per bene Retasu che, gesticolando, salutò di fretta l'uomo e scappò via con la scusa di cercare qualcosa da bere. Iader non fece una piega finché lei lo ebbe sotto gli occhi, poi il suo sorriso divenne un ghigno scrutando il figlio che irrigidì le spalle fingendo di non vederlo.

« Beh, che c'è? »

« Niente – ribattè giulivo Iader – sono solo contento di vedere che anche tu sei figlio mio. »

Pai alzò appena le sopracciglia dubbioso e irritato e il padre sogghignò malizioso:

« Dolce, gentile e carina, hai ottimi gusti. A quando il fidanzamento ufficiale? »

Pai lo squadrò rabbioso girandosi e allontanandosi a passo marziale, nascondendo al padre tanto l'imbarazzo che gli velò le guance che l'accenno di sorriso che non riuscì a trattenere.

 

 

***

 

 

La città fu ben visibile nel buio del cielo scuro, un oceano di diamanti dorati che puntellò monti e boschi nero fumo dai vaghi riflessi verdi. La navetta scese di quota fino ad attraversare il primo strato dell'atmosfera e immediatamente tremò catturata dai sistemi di sicurezza dell'Armata. Lenatheri sostenne per pochissimo lo sforzo imposto alla cloche di comando e poi mollò la presa, lasciando la navicella a fluttuare senza contrastare la forza che ne piegò il volo.

Da dietro il parabrezza del posto di comando vide velocemente spuntare l'hangar interrato e poi i pochi soldati rimasti di pattuglia che, già ad armi spianate, erano preparati al suo arrivo; dovevano essere a stento una decina e dalle loro espressioni fu chiaro quanto considerassero stupido il suo gesto sia quanto, almeno alcuni di loro, avrebbero volentieri eseguito la sentenza definitiva imposta dal Consiglio piuttosto che portarcela al cospetto viva e vegeta come voleva la procedura.

Lenatheri non mosse un muscolo, lasciando che la navetta toccasse del tutto terra e il lievissimo suono del raggio traente che l'aveva catturata si spegnesse. Ricontò i soldati, erano effettivamente in nove, tutti dei cadetti da poco graduati a giudicare dalle uniformi.

Strinse un altro momento le mani sui comandi e poi li lasciò andare alzandosi con calma estrema. Aprì lo sportello e scese flemmatica incurante sia delle lame puntate contro di sé sia delle minacce che il più alto in grado del gruppo, un ragazzetto dai capelli oliva che a fatica doveva avere diciott'anni , proruppe deciso:

« Inetaki Lenatheri. Ti dichiaro in arresto per ordine del Consiglio Maggiore di Jeweliria. »

La ragazza fece un lieve cenno con la testa senza dar segno di voler reagire. Il soldato le si avvicinò guardingo e allungò la mano puntando al pugnale che la mora aveva alla cintura.

« Scusa – lo bloccò lei atona afferrandogli il polso – questo mi serve. »

Il soldato sollevò immediatamente la spada puntandogliela alla gola e Lenatheri strinse gli occhi di rame.

Un muto segnale.

I soldati scorsero solo un vago movimento blu e il baluginio di una lama prima che una scure si abbattesse su di loro.

 

 

***

 

 

Stiracchiò le braccia all'insù e le rilasciò cadere sul materasso girando la testa di lato, scorgendo con un sorriso Minto seduta lì vicino che si aggiustò i capelli e frugò in giro cercando i vestiti.

« Che fretta hai? »

Disse Kisshu piano allungando una mano e afferrandole il fianco. La mora si girò pigramente e tentò di replicare con fermezza nonostante il sorriso:

« Dobbiamo tornare indietro. È passato troppo tempo. »

Lui sospirò divertito rotolandosi sulla pancia e tirandosela più vicina, posandole un bacio sull'incavo della spina dorsale:

« E allora? »

La mewbird chiuse gli occhi un momento godendosi il contatto e sorridendo più convinta, ma lo spinse via e scivolò giù dal letto sorda al suo lamento esagerato finendo di rivestirsi.

« Crudele. »

« Maniaco. »

« Puoi biasimarmi? »

Minto gli diede dello sciocco celando il rossore sulle guance e il sorriso:

« Vestiti, avanti. »

Kisshu si lamentò ancora con forza e si alzò di malavoglia sbuffando e lagnandosi ininterrottamente.

« Mi spieghi l'utilità di rimettersi i vestiti quando si sta tanto bene senza? »

« Per favore. – sospirò lei – E hai solo i pantaloni. »

« Come se ti dispiacess- ahi! »

« Falla finita. »

Lo redarguì più secca e lui si massaggiò imbronciato il punto dove lo aveva pizzicato. Si sentì però troppo di buon umore per insistere e si rimise la divisa ridacchiando per Minto che borbottò tra sé e sé – gli sembrò un mugugno sullo stato disastrato dei suoi capelli – rivestendosi e litigando con l'ornamento che portava prima al collo, completamente aggrovigliato.

Kisshu si allacciò la giacca continuando a sorridere e infilò sovrappensiero la mano in tasca.

« Uh? Cosa c'è? »

Minto si girò il velo attorno al collo e sulle spalle e studiò Kisshu mutare di colpo espressione e tirare fuori il dischetto nero con cui, una volta, lo aveva visto ricevere una comunicazione da Iader.

« È successo qualcosa? »

Il verde negò con il capo e Minto gli si avvicinò scrutando l'oggetto: non emise alcun suono o movimento, ma di quando in quando un minuscolo punto lampeggiò di azzurro.

« Cos'è? »

Domandò più preoccupata.

« Non lo so. – tagliò corto lui infilandosi il disco in tasca. – Torniamo indietro. »

 

 

***

 

 

Il numero di soldati nell'hangar era stato indicativo di quanto l'area principale controllata dall'Armata fosse sguarnita.

« La Celebrazione della Prima Luna non avrebbe potuto essere più propizia. »

Sorrise Toyu soddisfatto alzando il fioretto dalla gola dell'ultimo soldato di guardia alla sala principale. Lenatheri non gli rispose rinfoderando il pugnale, mentre Arashi la superò reggendo la grossa e minacciosa scure sul fianco con noncuranza; il biondo la scrutò in silenzio:

« Stai titubando, Inetaki. »

Lei non rispose di nuovo e si limitò ad accelerare il passo raggiungendo la porta del sistema di sicurezza principale. Esitò a sfiorare la maniglia, temendo che ci fosse un impedimento per accedervi, ma a quei punti non aveva molto da perdere oltre a se stessa e potè anche correre il rischio.

Le sue dita si chiusero sull'apertura mentre con la mano opposta digitò sulla barriera il codice di accesso. La porta si aprì con un rumore secco.

Pareva che nessuno avesse pensato potesse essere così stupida da tornare tanto presto. Non c'era motivo di disfarsi con rapidità dei suoi personali codici di accesso come tenente.

Arashi e Toyu rimasero fuori in attesa dei rinforzi dell'Armata pronti a scoraggiarne l'intervento, intanto che Lenatheri digitò sui comandi una lunghissima stringa di codici alla ricerca del comando di disattivazione.

« Trovato. »

I polpastrelli volarono sul quadro comandi e si fermarono due secondi prima di dare il via.

Da lì non sarebbe potuta tornare indietro.

Le sfuggì uno sbuffo amaro.

Come se avessi modo di tornare indietro.

Diede l'ok e il sistema registrò il comando reimpostando tutta la propria sequenza; il cervello principale del computer ronzò lavorando frenetico e di colpo si zittì per poi riprendere con un brusio più lieve intanto che tutta la schermatura di Jeweliria veniva azzerata.

Il blocco di sicurezza scattò emettendo un basso segnale ripetitivo. Voci indistinte risuonarono dai piani superiori e Lenatheri uscì veloce accodandosi agli altri due che, più tranquilli, si diressero al loro nuovo obbiettivo.

« Presto avremo tutta l'Armata addosso. – precisò la mora nervosa – Sapranno immediatamente della modifica al sistema di blocco del teletrasporto. Ci raggiungeranno. »

« Zizi e Lindèvi saranno già in arrivo – la tranquillizzò Arashi gelido – Terranno la situazione stabile. Noi ora abbiamo dell'altro da fare. »

Lenatheri non replicò oltre scorgendo solo Toyu guardarla con quel sorriso da amante affabile e amorevole e le si rovesciò lo stomaco. Li seguì senza ulteriori commenti, la mano stretta sull'elsa del suo pugnale.

 

 

***

 

 

« Ah, che sete! Ho bisogno di bere. »

« Thanks God, vuol dire che finalmente ci possiamo fermare? »

Ichigo guardò Ryou cupa e acquistò da un banchetto un bicchiere di un succo, sua scorta di tutta la giornata, ricavato dalle bizzarre mele che tanto piacevano a Lasa, e che aveva un gusto misto di agrumi e fragole.

« Parli come se ti desse fastidio. »

« Mai detto che mi abbia dato fastidio – precisò lui seguendola allontanarsi un poco dalla folla – dico che dopo quasi due ore anche io avrei bisogno di un po' di pausa. »

Ichigo continuò a scrutarlo torva e si sedette su un muretto nella penombra di due lanterne, bevendo lentamente e godendosi il freschetto sulle spalle nude.

« Spero che tu non abbia tutte queste energie per ogni festa a cui partecipi. »

« Posso sempre andare con qualcun altro se la cosa ti turba. »

Borbottò e Ryou invece di stizzirsi sorrise furbo:

« Non è il tuo genere l'acida supponente. »

La stuzzicò e si girò un ciuffo amaranto attorno all'indice mentre lei bevve altre due sorsate borbottando.

« Dovresti concedermi un minimo di tregua – le disse più gentile – in fondo come fidanzato sono ancora in rodaggio. »

La rossa per poco non si soffocò con la sua bibita e spalancò gli occhioni castani divampando.

« Uh? Che ho detto? »

Lei ondeggiò la frangetta ciliegia e posò veloce il bicchiere accanto a sé prima che le cadesse dalle mani, talmente nervosa che Ryou non riuscì ad impedirsi di sorridere e le prese una guancia tra le mani tirandola a sé. Ichigo sorrise inclinando la testa e lasciando che Ryou le si facesse più vicino approfondendo il loro bacio, grata del poco di buio e della confusione che concesse loro tranquillità, tentennando ad allontanarsi perfino quando ebbe bisogno di fiato.

« Sei pentita di non esserti lasciata baciare prima, uh? »

« Tu e Kisshu dovete smetterla di comunicare, ti stai mettendo a parlare come lui – borbottò lei – e comunque, cosa ti metti a pensare?! »

Mentì spudoratamente nonostante il rossore e Ryou rise non lasciandola, la mewneko che fregò il naso contro il suo.

Ichigo.

La rossa scattò all'indietro mettendosi seduta come una molla.

Ichigo.

« Che ti prende? »

Ignorò totalmente la domanda di Ryou e si mise in piedi guardando attorno. Nessuno badò a lei o a quanto stesse facendo, né nessuno sembrò aver avuto un occhio per la sua presenza fino a quel momento.

Ichigo…

« Ichigo, che succede? »

Ryou le afferrò la spalla preoccupato e la mewneko gli strinse la mano, impallidendo di minuto in minuto.

« Io… Non lo so… »

Ichigo…

Un baluginio biancastro nella massa. Un'ombra indistinta.

Capelli lunghi e biondi.

Ichigo…

Laggiù, nel centro della piazza. Per un secondo le parve di vedere Luz tenderle la mano.

Poi vide Ao no Kishi, Tayou.

Ancora Luz.

Ichigo.

Ancora Tayou.

Scappa.

Una vibrazione mostruosa fece tremare la terra al punto che Ichigo dovette reggersi a Ryou per non perdere l'equilibrio. Il frastuono allegro della Celebrazione si spense un momento permettendo ad una voce ben nota di trillare sopra di esso:

« Buonasera a tutti, cari amici! – strillò Lindèvi levitando ad una decina di metri sopra la gente – Sono felice di vedere che siete tutti qui riuniti! »

Sorrise sadica e mosse entrambe le mani disegnando due archi a mezz'aria. Il rumore del metallo e delle lame sibilarono nel vuoto e contro la carne mentre un grido acutissimo trapanò il silenzio e la bionda falcidiò una trentina di persone con il solo ruotare dei polsi.

Tutto parve essersi congelato. Lindèvi sorrise ancora con il suo crudele viso da bambina, godendosi i tonfi sordi dei corpi che si ammucchiarono al suolo, e mosse un dito all'insù venendo circondata da una cinquantina di ombre dalle sue fattezze, altri chimeri-copia come Ichigo e gli altri avevano affrontato a Szistet.

Da poco distante si udì una disumana risata sguaiata e Zizi, emergendo da un cratere da lui generato, probabile causa della scossa di poco prima, si fece largo tra i propri cloni mostrando il volto contratto in una smorfia folle:

« Ora inizia la vera festa! Fateci tutti un favore e crepate. »

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) è un brano musicale che introduce un'opera lirica. È frequentemente inserita all'inizio di una grande composizione musicale di genere drammatico.

(**) I giochi dei jeweliriani non me li sono inventati io (magari xD!) sono trasposizioni di giochi antichi realmente esistiti/tutt'ora esistenti che ho "riaggiustato" e rinominato per l'occasione :3

- Il GoroGoro (nome dall'onomatopea giapponese che indica il rotolareごろごろ) è il gioco della Ruzzola, che pressappoco ha le stesse regole che avete letto, con la differenza ovviamente di poteri inumani xD e del fatto che di norma si giochi in posti in discesa (per far andare le ruzzole, appunto :P)

- il Runasa (nome inventatissimo :P) è il gioco dell'ulama (versione moderna del tlachtli) ed è praticato ancora in alcune zone del Messico, e che per capirci senza troppi spiegoni… Avete mai visto La Strada per Eldorado? Ecco xD quel gioco lì ♥  (thanks Dany per suggerimenti che fanno frullare il mio stupido cervello ♥ ) comunque per more info https://it.wikipedia.org/wiki/Ulama

(***) un dato che non mi sembra così inverosimile visto che le MewMew da trasformate saltano quasi interi palazzi ^^"" per la cronaca la cifra è "quasi" realistica, l'attuale record del mondo di salto in lungo (maschile) è di 8.95 m

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Sta per iniziare una parte molto critica. Bel modo di tornare dopo un'assenza tanto lunga eh? *sarcasmo*

Tutti: a voja -.-**!

 

Ah, una nota che non ho messo… Tutti i nomignoli che Ryou da ad Ichigo sono presi da un sito interamente dedicato ai soprannomi per chi ha i capelli rossi xD (ho preso quelli + abboccabili per chi, come me, l'inglese lo cancica :P) ovviamente non sono traducibili letteralmente, vogliono solo dare il senso del color rosso/aranciato (ma a grande richiesta li traduciamo cmq :P)
- pumpkin head/pun'kin: zucca, testa di zucca (nel senso di testa arancione)

- tigger come Tigro di Winnie the Pooh in inglese

- fireball: e vabbè xD...

- sunflowerhead: testa di girasole

- Wookie come quelli di Star Wars©

- witchy woman cioè dai capelli di strega, rossicci :P

- tangerine cottoncandy: zucchero filato color mandarino

 

Spero di aggiornare presto di certo non ci metterò tanto come questa volta, ma cmq l'aggiornamento potrebbe metterci un po' sforando le due settimane prestabilite. (sono stata indietro coi capitoli e ora – per fortuna ♥  - ho molte cose da fare a livello lavorativo a cui, ovviamente, darò precedenza) rimanete sintonizzati ♥

Vi ricordo di sbirciare le pagine di Dream-Marti per le mie robine (tante belle cose prossimamente!! Che bello ♥ ) e di Ria EFP per ogni sclero di TMM, #martedìfangirl compreso (fate girare il tagghino  ) e non vi scordate dei Three Mewsketeers (una moschettiera si sente un po' abbandonata con tutti 'sti esami :'3) e come sempre grazie a tutti i recensori ♥  Danya, _cercasinome_, LittleDreamer90, mobo, Cicci 12, zing1611, Hypnotic Poison e Jade Tisdale che ci ha quasi raggiunto xD e ovviamente a tutti i lettori silenziosi <3
A presto e si spera ancor più presto,

 


Mata ne
~♥ !

Ria

 

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Capitolo 47
*** In the middle of crossing (part IV) ***


Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: 
Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro recensioni. 
Farai felice milioni di scrittori. 

 

Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: Non essere indifferente!
Salva anche tu una tastiera da pazzoidi che le massacrano scrivendo come disperate! Non chiudere gli occhi, puoi salvare milioni di vite elettroniche.

 

 

 

 

 

Oddei non ci credo sono riuscita ad aggiornare!! *stappa spumante* ok gente un capitolo non lunghissimo, ma beeeeello denso di legnate! Spero mi perdonerete l'assenza, vi lascio a dopo!

 

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Cap. 47 – In the middle of crossing (part IV):

                The Celebration of the First Moon – Concertato(*)

 

 

 

 

« Ora inizia la vera festa! Fateci tutti un favore e crepate. »

La voce sgraziata e sinistra di Zizi fu l'ultima cosa distinta che percepì.

Poi il colpo al suolo del biondo che fece vibrare ancora la terra.

Il cenno di lui e i chimeri, come ombre grigie, che si sparsero in ogni direzione.

Le urla dei presenti e il terrore.

Ichigo si trasformò d'istinto e scattò in avanti finendo travolta dalla folla che prese a scappare in preda al panico.

Incespicò per contrastare la valanga che le si rovesciò addosso e avanzò verso il punto in cui aveva visto comparire gli Ancestrali, la coda dell'occhio su Ryou poco dietro di sé, quando qualcuno la centrò al fianco con una poderosa gomitata; Ichigo sbandò di lato e venne investita da qualcun altro, ben più alto di lei, girò su se stessa in balia della ressa e non riuscì ad opporsi all'ennesimo colpo ricevuto nella fuga generale, cadendo malamente a terra. La voce di Ryou le arrivò lontana e confusa, mescolata nelle urla di chi tentò di allontanarsi dai chimeri o dai colpi di Zizi che tuonarono lungo il cuore del pianeta e nelle orecchie della rossa.

Si coprì la testa con le mani alla prima scarpa che la colpì in fronte, capendo di non riuscirsi ad alzare con quella sorta di mandria impazzita che le stava rovinando contro e che benchè la maggior parte della gente la schivasse, nessuno in quel frangente avrebbe potuto badare alla sua presenza lì; Ichigo si rannicchiò un momento gemendo a gran voce, ma nessuno parve sentire i suoi lamenti o rendersi conto di calpestarle la coda, un piede, di tirarle un calcio nella pancia o per poco di camminarle sulla schiena.

Così morirò sotto le scarpe di qualcuno.

Rotolò di lato squittendo al tallone che le sibilò vicino all'orecchio. Con un colpo di reni si mise a quattro zampe e iniziò a sgattaiolare tra la foresta di tibie, tentando di ignorare il dolore di un ginocchio contro la spalla o di un tacco sulla sua mano, concentrandosi su un modo per trovare il poco di spazio necessario ad uscire di lì. Non sentì più la voce di Ryou, né lo riuscì a vedere in quell'oceano di corpi, né lui né gli altri; identificò dei picchi nelle urla che vennero spezzati da gemiti e pianti, sibili di lame, una cacofonia senza ritmo che ruppe più volte il rombo sordo del panico che la stava assordando. Di quando in quando nella penombra dove la mewneko arrancò la massa di gambe si aprì di lampi di luce a cui seguirono grida più forti, come se la gente in quei punti fosse svanita all'improvviso.

Di colpo uno degli squarci la costrinse a chiudere gli occhi, irritata dalla luce inaspettata, e uno strillo particolarmente vicino le vibrò nel timpano destro rintronandola ulteriormente. Ichigo cacciò un lamento mentre qualcosa le franò addosso bloccando la sua corsa, ma la gente non la travolse e la schivò aprendosi in due e strillando di terrore; la rossa sbattè gli occhi confusa e inorridì trattenendo un conato, ciò che l'aveva atterrata era un corpo, o quanto ne rimaneva dopo che i cavi d'acciaio di Lindèvi lo avevano aperto in più punti. La mewneko rizzò il pelo della coda e serrò le palpebre come a volersi spingere gli occhi nella testa, tentando di cancellare dalla retina il proprio riflesso nel bulbo ormai vitreo che aveva avuto a meno di un metro da sé; spinse con le punte dei piedi e con le mani per balzare più dritta approfittando del poco di spazio ottenuto, tentando di fare un secondo mente locale su dove fosse finita nel suo zigzagare e su dove fossero i suoi amici, ma la sua attenzione finì di fronte a sé dove vide uno dei chimeri-clone di Lindèvi e tre persone sulla sua linea di tiro. Agì d'impulso e afferrò la sua campanella.

« Ribbon Strawberry Surprise! »

Il lampo di luce accecò la creatura che interruppe l'attacco coprendosi gli occhi, ma non si dissolse com'era avvenuto a Szistet. La mewneko non si scompose e stringendo i denti dalla rabbia si lanciò contro il chimero centrandolo con un calcio alla base del collo e preparandosi a corrergli dietro mentre quello rotolò di lato con un rantolo.

« Forza! »

Esclamò concitata e si fermò di colpo alla vista del gruppetto che aveva salvato, immobile e attonito a fissarla:

« Andatevene! Veloc…! »

Le sue parole si spensero in un secco grido, distratta dagli incoscienti non fu abbastanza svelta da fermare il contrattacco del chimero che le piombò sul fianco con una tibiata. La rossa sbattè contro il palo di un banchetto accasciandosi ginocchioni e le si appannò la vista, troppo poco purtroppo per non  rabbrividire alla visione del chimero che le si avvicinò: benchè identico a Lindèvi parve che l'aspetto della creatura fosse diverso, sbiadito nei colori e più raffazzonato nei dettagli degli abiti e dei tratti, che apparvero come sbozzati nella creta, e Ichigo non si vide riflessa negli occhi dell'essere completamente neri e inespressivi, alla stregua del suo viso di ghiaccio;  la rossa tentò di rimettersi inutilmente dritta, un terrificante dolore alla schiena che le mozzò il respiro, e vide il chimero sollevare il medesimo guanto acuminato di Lindèvi pronto a sferrare il colpo definitivo.

Ichigo strinse le dita sulla campanella, non aveva avuto effetto la prima volta, però… Si appoggiò alla trave rotta di cui lei probabilmente aveva le schegge a trapanarle l'abito sul fianco, doveva rispondere all'attacco, ma il colpo era stato duro e la testa le girava tanto che…

Intravide un rapidissimo movimento alla sua sinistra e le sfuggì un urletto più acuto quando, con un colpo secco e il rumore di gelatina spiaccicata, il chimero le esplose di fronte in mille frammenti maciullato da ciò che alla prima occhiata sembrò un enorme bastone.

« Quei brutti… Mocciosi di merda…! »

Lo shock aveva riportato alla totale lucidità la mewneko che si resse il fianco e sbattè gli occhioni rosa, fissi sull'arma cosparsa di pezzi indistinti di chimero e vischioso liquido incolore; ricordò di averla vista appesa su un muro del dojo dove Masaya si allenava, accanto ad un'antica armatura da samurai, ma l'immagine ancor più chiara le venne dal suo libro di favole di bambina riconoscendo la grossa mazza chiodata per metà della lunghezza e con un grosso e pesante anello alla base del manico: un kanabo, l'arma degli Oni(**).

E in effetti Ronahuge le parve proprio un orco, gli occhi bronzei dardeggianti e i denti ferini scoperti, quando sollevò il kanabo – che avrebbe potuto tranquillamente tranciare i due la mewneko dal bacino in su con un unico movimento – e ringhiando sommesso scoccò due rapide occhiate prima a lei poi ai jeweliriani scampati all'assalto:

« Via di qui. »

Tuonò imperioso e quelli annuirono freneticamente mormorando dei ringraziamenti e scappando. Ronahuge posò l'arma a terra poggiandosi sul manico e prese dalla tasca il comunicatore di dotazione all'esercito:

« Qui è il generale Osaki. Voglio qualcuno che mi faccia un rapporto rapido, adesso. »

Ichigo sentì una voce gracchiare dal microfono in risposta mentre Ronahuge allungò una delle mani enormi e l'afferrò poco delicatamente per un braccio, rimettendola bruscamente in piedi.

« È arrivato un segnale d'allarme dal corpo principale! Tutti i permessi di accesso sono stati violati, il si- »

Uno strillo e la trasmissione s'interruppe di colpo. Ron digrignò ancora i denti sistemandosi meglio il comunicatore sull'orecchio e vi armeggiò prima di annunciare a pieni polmoni:

« Stato d'emergenza generale! Chiunque in servizio e fuori servizio alzi il culo e provveda a portare i civili al sicuro, procedura di contenimento standard.

« Tutti i permessi di accesso sono stati violati, quindi sappiate che vi possono arrivare tra capo e collo. Aprite bene gli occhi e spianate quei chimeri senza troppe delicatezze, autorizzazione all'uso di ogni abilità e dei para-para a partire da quest'istante. »

Afferrò il suo bastone e con una sola armoniosa mossa del braccio spiaccicò un altro chimero contro una bancarella, prima di rigettarsi nel marasma per cercarne altri, Ichigo che pronta lo seguì mirando con calci ben assestati ai chimeri che riuscirono ad evitare gli attacchi dell'uomo.

« E che qualcuno mi porti la testa di quegli immensi figli di puttana ossigenati! »

 

 

***

 

 

« Sì. Ricevuto. »

« Che facciamo papà? »

« L'hai sentito no? – sospirò Iader rimettendosi il comunicatore in tasca – Procedura di contenimento standard. »

Taruto annuì incupendosi e si voltò verso la madre. Loro tre e Purin si erano allontanati dalla tragitto della folla in fuga al primo segnale di pericolo, mettendosi sul limitare della piazza, capendo vagamente cosa stesse succedendo un secondo prima che Ronahuge mandasse il proprio comunicato ad ogni membro dell'Armata. Purin guardò Lasa, che era stata la più vicina a lei e l'aveva istintivamente stretta a sé mentre la spingeva di lato, e sentì la presa della donna sulle sue spalle contrarsi appena.

Iader diede due rapidi ordini ad un paio di soldati vicini e in pochi istanti questi radunarono una decina di commilitoni; i soldati a loro volta si divisero, andando in parte a contenere gli assalti dei chimeri contro la folla, altri rimanendo indietro a radunare la gente perché si allontanasse rapidamente senza pericolo.

« Maggiore, ci sono moltissimi feriti – tentennò un giovane soldato dal viso ovale e l'aria ansiosa – non possiamo aspettare di raggiungere le zone sicure per aiutarli. »

Iader ci pensò su appena una manciata di secondi e richiamò l'attenzione di un altro soldato più alto in grado e poi di nuovo quella di colui che lo aveva interpellato:

« Radunate tutti coloro che hanno bisogno e trovate chi fa parte delle équipe mediche, se può reggersi da solo sulle sue gambe che vi aiuti. »

Si girò verso Lasa: la donna, il viso di colpo serio e fermo, lasciò andare Purin con garbo e annuì con decisione avvicinandosi ai soldati e dando istruzioni per muoversi con i feriti.

« Non… Non potreste usare il teletrasporto? – propose Purin – Tutte queste persone… È pericoloso rimanere in giro. »

« Teletrasportare così tanta gente tutta assieme è troppo complicato, non ce la si può fare – le spiegò Taruto piatto – e anche se hanno spalancato tutti i ponti di accesso poca gente sa spostarsi così. »

La biondina annuì mogia e si mordicchiò il labbro.

Dopo appena un paio di minuti il soldato che aveva parlato con Iader annunciò di aver radunato un buon numero di persone per spostarsi in sicurezza e Lasa indicò loro da che parte dirigersi.

« Dai ordine a tutti i soldati che possono di fare da scorta ai feriti – ordinò ancora Iader – e fate alla svelta. »

« Sissignore! »

« Vado con loro – esordì Lasa con sicurezza – non so quanti medici e feriti raggiungeranno prima di noi l'ospedale d'emergenza. »

Il marito annuì rigido e le prese la mano, smarrendo un momento l'aria severa e composta che aveva assunto dando le direttive e studiando la donna preoccupato:

« Fai attenzione. – la baciò e le accarezzò la guancia – Tutti e due. »

Lasa si passò appena due dita sul ventre con fare protettivo e annuì soltanto.

« Io vengo con te. »

« No, Taruto. »

Lui si girò verso il padre che lo aveva bloccato e fece per protestare, ma l'uomo lo fissò risoluto:

« Tu servi qui. Sarà inutile mettere al sicuro la popolazione, se quei chimeri e i loro amici ossigenati continueranno a fare il bello e cattivo tempo qua fuori. »

Il ragazzo si morse l'interno della guancia e strinse i pugni annuendo a fatica.

Lasa sospirò dando al figlio una veloce carezza sulla nuca e seguì il gruppo di civili a passo svelto, dando disposizioni su come trasportare chi non poteva muoversi da solo e come aiutare chi avesse bisogno. Nel vederla allontanarsi con quell'aria impassibile Purin non riuscì a non pensare quanto a modi e postura la donna assomigliasse al suo primogenito.

« Taruto, tu occupati di quella zona – ordinò ancora Iader indicando con il braccio– le tue piante potranno bloccare quelle bestie maledette facendo meno danni collaterali. »

Il brunetto annuì, il viso sempre torvo, e fece appena due passi prima che Purin lo agguantasse per la maglia tirandolo indietro.

« Che c'è? »

« Non possiamo andarcene! – mormorò nervosa – Iader-san…! »

« Papà se la sa cavare – replicò piatto – e poi non è mica da solo. »

Tuttavia non sembrò tanto convinto. In effetti non ricordava di aver mai visto combattere seriamente suo padre e di certo Arashi e compagnia non erano tipi da affrontare a cuor leggero.

Successe tutto in pochi secondi. Purin cacciò uno strillo cogliendo troppo tardi, con la coda dell'occhio, un chimero di Zizi piombare su di loro assieme a due soci; Taruto sentì il rombo del panico salirgli alle orecchie e strinse d'istinto i suoi pugnali nella mano. Aveva già uno dei chimeri a dieci centimetri dal naso quando sentì Iader dare un ordine che non capì con chiarezza, mentre ragionava che non sarebbe riuscito a prendere Purin e a teletrasportarsi abbastanza velocemente, né lui né la mewscimmia avrebbero fatto in tempo a parare l'affondo di uno dei chimeri.

Un lampo scuro e un sibilo di lama, poi un ululato acuto e le creature caddero attorno ai due ragazzi in cento pezzetti spappolandosi sul terreno. Taruto mandò un secco sbuffo riprendendo a respirare e Iader, in piedi di fronte a lui, non potè evitare di sorridere un poco abbassando la propria arma:

« Cos'è, credevi di aver preso il talento come soldato da tua madre? »

Taruto fece un mezzo sorriso nervoso mentre il padre sorrise divertito e mosse ad arco la spada ricurva, una nimcha(***), per ripulirla da quanto restava delle bestiacce dando direttive agli altri soldati su dove colpire per sbarazzarsi del nemico senza intoppi:

« Tu vai, avanti. Qui ce la caviamo – insisté verso il figlio e fece l'occhiolino a Purin – forse in casa non sono il migliore, ma rimango ancora il più svelto. »

La biondina annuì con vigore esaltata da quanto visto e Taruto fece un rapido cenno militaresco con il capo allontanandosi veloce con Purin appresso.

 

 

***

 

 

Il getto d'acqua colpì il chimero con violenza e MewRetasu incentivò solo la frequenza degli attacchi. Sentì Pai alle sue spalle dare un ordine e poi lo sfrigolio elettrico del colpo, ma un chimero di Lindèvi sbucò quasi allo stesso tempo da una massa urlante di fuggiaschi; Retasu strozzò un gemito secco retrocedendo per non venire infilzata da una lama, inciampando nello scatto improvviso e rotolando sul fianco,  e tentò di alzarsi più rapidamente che potè prima che il chimero la riducesse a tocchetti con i suoi cavi d'acciaio.

« Fuu Hyou Sen! »

Retasu si coprì il viso con un braccio e avvertì piccole schegge di ghiaccio lambirle la pelle mentre il chimero strillò di dolore, il braccio e l'arma resi inutilizzabili, e sollevandosi goffamente in piedi la mewfocena lo colpì a sua volta. Lo vide solo ancora per un momento, prima che un muro di terra si ergesse dal niente tra altri cinque chimeri e la folla in fuga, centrando quello mezzo congelato e spaccandolo in due all'altezza della vita.

« Stai bene Reta-chan? »

« Sì… – bofonchiò la verde con un sorriso tirato, mentre Pai l'aiutò ad alzarsi – Grazie MoiMoi-San… »

« Che diavolo ci fa ancora tutta questa gente in giro?! »

Sbottò Sando puntando con il suo karambit un chimero-Zizi che gli passò sopra la testa, ignorandolo per mirare ad altri fuggiaschi, e lo aprì da sotto la gola fino alla pancia:

« Qui rischiamo noi di far fuori qualcuno per sbaglio con fuoco amico! »

Pai schioccò la lingua seccato che agitò il suo ventaglio fulminando un chimero-Lindèvi a cinque metri da sé; quindi si voltò perentorio verso un altro soldato a poca distanza:

« Ora pensate a coprire la ritirata dei civili. Se non eliminate i chimeri al primo colpo, tratteneteli. »

E fulminò un altro chimero facendolo indietreggiare da un terzetto di ragazzini che scartò dalla parte opposta strillando e correndo a più non posso. Il soldato annuì con voce vigorosa e passò rapido l'ordine alle sue spalle.

« Qui faccio io Pai-chan – disse MoiMoi con decisione respingendo un chimero con un fluido movimento del suo martello, scagliandolo lontano come un battitore con una palla da baseball – tu vai! »

In un piano, più probabilmente in una tattica ben nota ai tre che Retasu non colse, Pai annuì e corse a sinistra, mentre Sando si allontanò dalla parte opposta pur tenendo MoiMoi sempre nel suo raggio visivo; Retasu seguì Pai senza porre domande, ma il moro si bloccò appena la individuò dietro di sé e la fermò con una mano sulla spalla:

« Tu vattene. »

« Come? »

« Segui la gente. Vattene. »

Insisté e il suo tono più che un ordine fu una richiesta accalorata. Retasu aggrottò la fronte:

« Scordatelo. »

« Questa battaglia non riguarda voi, riguarda Jeweliria. »

« E gli Ancestrali – lo precedette lei per poi aggiungere – contro cui anche noi ci scontriamo da mesi. »

Pai la fissò imperscrutabile, ma sembrò dibattersi per trovare una ragione valida che la allontanasse da lì.

« E se la battaglia riguarda Jeweliria – lo anticipò ancora la verde – riguarda anche voi. Riguarda Eyner, Kisshu-san, MoiMoi-san e tutti gli altri. Riguarda te. »

Puntualizzò con la stessa decisione che Pai le aveva sempre visto tirare fuori durante le battaglia, che si sforzava di mantenere con tutte le proprie forze per compiere il proprio dovere e seguire le proprie scelte. Quella decisione contro cui ogni protesta pareva doversi spegnere inesorabilmente.

« Perciò riguarda anche me. »

Pai storse la bocca come per protestare ancora e Retasu gli sorrise appena:

« So proteggermi da sola. »

« Questo lo so. »

A Retasu non parve un complimento. Pai strinse il manico del suo ventaglio, la mente che lavorava spedita ripassando le successive manovre e disposizioni da dare e da effettuare per la sicurezza della popolazione e allo stesso tempo consapevole di non sapere se sarebbe stato capace di eseguire tutto, pensando alla mewfocena a poca distanza e tremando all'idea che potesse accaderle qualcosa.

Soffocò la preoccupazione così come la sciocca sicurezza che gli dava il sorriso dolce della verde, doveva pensare lucidamente. E, lucidamente pensando, MewRetasu era perfettamente in grado di cavarsela senza che lui girasse gli occhi ogni due secondi per controllarla.

Le fece un cenno rigido e proseguì, richiamando con tono secco due soldati impegnati a tentare di distruggere un chimero-Zizi tranciandogli le braccia; Retasu gli fu subito dietro, riempiendo l'aria del suo Lettuce Rush.

 

 

***

 

 

« Eyner, aspetta! »

La voce di Zakuro gli arrivò distrattamente alle orecchie, troppo piene del suo cuore che pulsava furioso; la testa non faceva che ripetergli il collegamento degli eventi e il bruno avvertì le viscere stringerglisi dal panico.

C'erano gli Ancestrali. Con un nugolo di chimeri cloni ad impazzare per tutta la Celebrazione.

E lui non aveva la più pallida idea di dove fosse Sury.

Avanzò sgomitando controcorrente alla folla e incendiando un chimero che gli volò troppo vicino, quasi sordo all'ennesimo richiamo di Zakuro, quando qualcuno gli afferrò il braccio strattonandolo all'indietro. La mewwolf vide un ufficiale sulla trentina dalla carnagione scura – uno dei rari jeweliriani così, aveva notato nei mesi passati – i capelli color mandarino e due occhi di un grigio perlaceo, praticamente bianchi, che in quel momento mandarono lampi; l'ufficiale storse la bocca in modo esagerato, quasi contorcendo tutto il viso ovale, e sbraitò:

« Dove pensi di andare, Toruke?! »

« Blies-san… »

« Procedura di contenimento standard, non hai sentito il generale Osaki?! – fece ancora forte, la voce sgraziata di chi tormentava la gola fin troppo spesso per sbraitare, ma non fosse portato per la cosa – Muovi quel culo! »

Eyner respirò pesantemente guardando distratto gli altri soldati disporsi più ordinatamente possibile al comando dell'uomo nel marasma, e digrignò i denti:

« Devo trovare mia sorella. »

L'ufficiale sussultò appena e per un secondo ammorbidì le sopracciglia, che a Zakuro erano parse praticamente scolpite in un'unica v a sormontare il naso; Blies sbuffò piano:

« Mi servi. »

Eyner non sembrò della stessa opinione e scosse il braccio:

« Devo-! »

« Eyn. »

Fu il bruno a sussultare mentre Zakuro gli posò decisa una mano sulla spalla. Si era già trasformata e guardò il ragazzo con quanta più calma potè, preoccupata nel capire quanto poco lucido lui fosse in quel momento:

« Vado a cercarla io. »

« I civili devono allontanarsi da qui. »

Puntualizzò aspro l'ufficiale e Zakuro lo squadrò freddamente:

« Con tutto il rispetto…? »

« Tenente Colonnello Blies. »

Rispose lui quasi con un ringhio. La mewwolf mosse a stento le orecchie animali:

« Blies-san. Io non sono uno dei vostri civili, non ho di che attenermi alle vostre disposizioni. – replicò impassibile – E, se posso permettermi, ho molta più esperienza io su come trattare con i vostri ospiti di metà del vostro esercito. »

Blies si limitò a sollevare un sopracciglio, più sorpreso della gelida e ferma risposta che dell'evidente mancanza di rispetto che gli fece schioccare la lingua. Zakuro lo ignorò e si voltò di nuovo verso Eyner; si scrutarono qualche secondo finché il bruno non prese un lungo respiro, riacquisendo il controllo:

« Vengo a cercarvi appena posso. »

« Fai quello che devi. »

Annuì la mora. Gli strinse la mano un secondo e sinuosa svanì inghiottita dalla folla che correva contro di lei.

 

 

***

 

 

Tese il naso all'insù ringraziando le modifiche genetiche che si era apportato e che gli avevano donato un olfatto decisamente migliore di quello umano, eppure che non pareva abbastanza per trovarla.

Forse i gatti non avevano un naso così eccelso.

Se avesse visto Zakuro nelle vicinanze…

Maledizione.

Ryou chiamò Ichigo per la ventesima volta, ma la sua voce si spense nelle grida e negli scoppi che rimbombarono attorno.

Non c'era da nessuna parte. Né lei, né nessuna delle ragazze. Aveva perso di vista anche Keiichiro e la cosa gli aveva provocato una morsa micidiale allo stomaco, Kei era il solo tra loro che non avesse alcun modo di difendersi. Se gli fosse accaduto qualcosa…

Slittò di lato, evitando dieci persone in piena isteria che si correvano una sull'altra, e sorrise trionfante, aveva trovato uno spiraglio: quel lato della Celebrazione pareva ormai deserto, una lunga fila di devastazione di banchetti e masse scure nel buio delle luci spente – Ryou non volle pensare cosa fossero quelle masse così riverse sul terreno – sarebbe riuscito a sgusciare via dalla confusione e darsi alla ricerca degli altri senza dover schivare masse di gente nel panico.

Prese a correre e un grido stridulò spezzò l'aria. Si voltò d'istinto, tre chimeri avevano bloccato in un angolo un piccolo gruppo di fuggiaschi e, tra di loro, un bimbo di forse sei anni che era stato la causa dello strillo. Ryou guardò la scena e si disse di non preoccuparsi, i soldati stavano arrivando, li vedeva alle spalle dei chimeri; ci avrebbero pensato loro.

Un altro strillo secco e un paio di soldati crollarono a terra come sacchi vuoti, strappando altre grida di terrore e macchiando la piazza di sangue.

Ryou si bloccò e si diede del pazzo. Era da solo, cosa avrebbe potuto fare?

Uno dei soldati rimasti abbatté un chimero e il biondo di accorse di aver trattenuto il respiro e di rilasciarlo dal sollievo.

Era solo, non era così forte pur con la sua nuova trasformazione, e poi doveva trovare Keiichiro per assicurarsi che fosse al sicuro…

Un altro grido. L'ultimo soldato si afflosciò sulle ginocchia. La gente approfittò dell'orrore che distrasse la creatura per guadagnare terreno e si udì un altro grido e un pianto disperato, a quanto sembrò il chimero non voleva perdere l'ultima preda rimasta.

Il bambino rimase seduto a terra tremando, gli occhi colmi di lacrime, poi udì un rombo e si lasciò sfuggire un pigolio temendo che un altro mostro – nient'altro poteva essere ad avere emesso quel ruggito – stesse per spuntargli alle spalle. Vide un'ombra argentea piombare sul chimero strappandogli uno strano verso lamentoso, quindi qualcosa lo afferrò per la collottola della maglia e lo sollevò di peso.

Ryou fece un salto verso il gruppo di adulti più vicino, posò rapidamente il bambino a terra e si girò di scatto sollevandosi sulle zampe posteriori e bloccando il chimero a cui aveva strappato un braccio, affondò gli artigli nella sua schiena e lo azzannò alla gola. Il chimero si contorse qualche secondo e poi si staccò incurante che la sua carotide fosse rimasta tra le fauci della pantera argentea, e come le sue vittime si sgonfiò al suolo scomparendo in una massa indistinta di melma incolore.

Né il bambino né uno degli adulti emise un suono. Ryou si girò lentamente ruggendo sommesso, gli occhi ferini azzurri accigliati.

« Vatti a nascondere. »

Ringhiò, ma ovviamente il piccolo si limitò a fissarlo con il respiro pesante. La pantera ruggì più forte accennando al resto della popolazione in fuga con il testone e il gruppo dopo un primo sobbalzo sembrò capire, seguendo il suo cenno; una ragazza poco più giovane di Ryou si avvicinò al piccolo che, evidentemente, non conosceva, e lo prese con premura sotto le braccia perché si alzasse. Il bambino obbedì però rimase un secondo ancora con la testa piegata da una parte, una mano in quella della ragazza; fissò la pantera con due occhi verde chiaro che spuntarono dietro la frangetta mandorla e stirò un sorrisino sul visetto coperto di polvere e graffi:

« Grazie. »

Seguì l'ennesimo richiamo della ragazza e le trotterellò appresso. Ryou ruotò su se stesso con un ringhio cupo, era tornato circondato dalla folla in fuga e da tanti chimeri che gli sarebbe stato impossibile filarsela in qualsiasi modo.

Maledizione. Sono un idiota.

 

 

***

 

 

Arashi si fermò al limite del corridoio:

« Qui le nostre strade si dividono. »

Disse con noncuranza e Lenatheri sbattè un attimo le palpebre; il suo tono faceva presupporre che avessero già discusso di quella decisione, ma lei era all'oscuro di cosa significassero quelle parole. Un moto istintivo di paura la fece contrarre nelle spalle.

« Toyu – sentenziò incolore il biondo e indicò con un cenno uno dei corridoi che si diramò da quel punto, diretto verso l'esterno – sai cosa devi fare. Mi raccomando, non andarci troppo leggero. »

« Un lavoretto alla Zizi. »
Disse annuendo e rise tra sé come se fosse una gran battuta. Arashi si limitò ad annuire svogliato:

« Poi raggiungi gli altri. »

L'ultima affermazione illuminò il volto di Toyu che sorrise feroce:

« Deep Blue-sama… Non ha dato restrizioni, giusto? »

« Ovvio che no. »

Replicò l'altro apatico. Toyu parve trattenersi dal ridere di gioia e sparì per il corridoio.

« Inetaki. – nel sentirsi nominare la mora sussultò di nuovo – Tu dirigiti alle prigioni. »

Lei annuì rimanendo dubbiosa:

« E tu…? »

« C'è un'altra tappa che devo compiere prima di raggiungere il Dono. – le precisò piatto – Ci vediamo dove stabilito. Vedi di non impiegarci troppo. »

 

 

***

 

 

Toyu si prese il tempo di respirare a pieni polmoni l'aria fresca che soffiava da quelle parti. Guardò distratto la città dietro di sé, a lui sembrò un fuoco d'artificio con le sue luci e i lampi dei colpi dei soldati e di Zizi che brillavano di quando in quando; sorrise crudele, doveva finire in fretta il suo operato e poi si sarebbe potuto andare a divertire anche lui, aveva lasciato già sufficiente spazio ai proprio chimeri.

Si voltò rimirando il portale per la Terra, doveva ammettere che come sempre l'ingegno di Luneilim e Ikisatashi era da ammirare.

Estrasse il suo fioretto e lo ondeggiò di fronte a sé. Si udì il sibilo di metallo e poi gli stabilizzatori, che MoiMoi aveva così accuratamente tarato perché sostenessero il portale tenendolo aperto solo di un'unghia, si spaccarono ciascuno in quattro.

Il portale parve esplodere verso l'esterno con un risucchio sordo allargandosi in tutta la sua ampiezza, poi esattamente come tutti i suoi fratelli visitati dai terrestri e dagli altri si ridusse fino a diventare un puntino e svanì.

La Terra era nuovamente irraggiungibile.

Toyu ondeggiò la propria arma soddisfatto e scomparve in silenzio. Riapparì il secondo successivo in un edificio ben noto, aveva avuto modo di passarvi molto tempo dopo l'incidente che gli aveva causato le orribili cicatrici che, per la grazia di Deep Blue-sama, ormai non deturpavano più il suo magnifico viso.

L'ospedale era quieto più del solito, evidentemente anche coloro che non erano presenti alla Celebrazione della Prima Luna si erano diretti fuori o erano andati a vedere cosa potessero fare per aiutare i feriti. Toyu sorrise mollemente, intrecciò le mani dietro la schiena e passeggiò verso la parte più interna dell'edificio; impiegò pochi minuti a raggiungere l'ala delle vasche rigenerative, con sua somma delusione più vuota del previsto: c'erano pochissimi degenti all'interno delle vasche e all'apparenza nessun dottore o infermiere nei paraggi.

Il biondo sospirò annoiato, non cambiava nulla, ma non sarebbe stato molto divertente operare di fronte a persone totalmente incoscienti.

Sollevò la mano, era calmo rispetto all'ultima volta che aveva rilasciato tutto il suo potere, quel giorno che Zakuro era fuggita dalla sua prigionia, quindi avrebbe dovuto ricorrere ad una buona dose di concentrazione per liberare il tutto. Il pensiero della mewwolf fu un incentivo alla cosa, scatenandogli un odio feroce che gli ribollì nelle vene e gli fece storcere il viso in un sorriso da belva:

« Non vedo l'ora di rivederti mia cara. »

Di colpo ci fu un piccolo tonfo. Toyu si girò distratto e vide una giovane infermiera con una lunga treccia ciliegia spuntare da una porta buia; Obena lo fissò atterrita, la mano ancora protesa verso la cartelletta che le era sfuggita stupidamente dalle dita tremanti, e quando vide l'Ancestrale sorriderle amorevole emise un rantolo di terrore.

« Una spettatrice inaspettata. Sono fortunato stasera. »

La prima esplosione che dilaniò un'intera ala dell'ospedale sembrò vibrare fino al cuore di Jeweliria. Fu seguita da pochi secondi di totale silenzio, come se la battaglia e tutti coloro presenti in quel momento in città si fossero fermati per capire cosa volesse dire; le fiamme dorate e il fumo portarono con sé i mormorii terrorizzati della gente, in crescendo, poi altre quattro esplosioni si susseguirono rapidamente mentre le grida della popolazione e i colpi dei chimeri, di Lindèvi e di Zizi riprendevano a rombare sulle urla assieme agli attacchi di tutta l'Armata.

 

 

***

 

 

« Signore! Questo settore è libero, proseguiamo! »

« Non abbassate la guardia! – replicò Iader annuendo secco – Potrebbe esserci qualche civile rimasto indietro. Ora comunque pensate a sbarazzarvi di quei cosi! »

Il soldato annuì e scattò verso un altro dei chimeri che ancora pullulavano nella zona, vaghi scoppi e sfrigolii in lontananza che non coprivano le urla e i richiami della gente ancora nel fuoco incrociato dei soldati, degli Ancestrali e dei loro cloni. Per non parlare della terribile esplosione avvenuta pochi minuti prima, verso la zona dell'ospedale e da cui il capofamiglia Ikisatashi vedeva ancora alzarsi torri di fumo nero e lapilli dorati, le dita serrate attorno all'elsa del nimcha.

Cosa diavolo vogliono fare quei bastardi?

Iader strinse i denti irato, qualsiasi cosa avessero fatto a quei chimeri erano di tutt'altra risma rispetto a quelli a cui era abituato. Non solo parevano essere in grado di replicare in toto i movimenti e gli attacchi dell'Ancestrale di cui erano effige, pur se con meno potenza, ma era difficilissimo distruggerli: il solo modo per sbarazzarsene era farli in piccoli pezzi con un colpo, assicurandosi di colpire la testa, o ugualmente spappolare quanto più del loro corpo possibile sempre comprendendo la testa – cosa che fino a quel momento, non sapeva, pareva essere in grado di fare solo Ronahuge con la sua enorme mazza – in caso contrario i chimeri non morivano. Sia che gli si tagliassero degli arti o li si ferissero, se il colpo non era sufficientemente esteso o mortale i chimeri si limitavano ad accasciarsi per qualche momento, risollevandosi subito dopo e continuando a combattere con più ferocia, oppure proseguivano a lottare indifferenti alle ferite; quelli di Lindèvi inoltre avevano la sgradevole abitudine di rianimarsi se venivano tagliati in due o più pezzi, formando tanti altri chimeri quante erano le parti in cui era stato troncato il chimero originale, con il solo vantaggio che i neo-chimeri erano grossi solo quanto le parti da cui avevano origine. Tuto ciò a meno che sempre non si provvedesse a colpire la testa, cosa non semplice perché gli esseri non erano così stupidi da restare a farsi sbriciolare il cranio.

Qualche soldato aveva avuto la brillante idea di tentare di fare un macinato con due chimeri di Lindèvi, nel vano sforzo di staccare loro la testa e perendo nell'impresa, e lasciando la truppa di Iader alla mercé di una ventina di esseri grossi una cinquantina di centimetri solo vagamente somiglianti ormai all'Ancestrale da cui erano stati creati, ma tutti ben armati e feroci.

Iader strinse i denti rabbioso e indietreggiò mettendosi sulla difensiva quando si rese conto di essere circondato. Cercò di non fare movimenti bruschi, quei cosi gli volteggiarono attorno come se stessero riflettendo se attaccarlo o meno – più probabilmente se attaccarlo subito o da lì a qualche secondo – i suoi uomini in quel momento erano troppo occupati per dargli copertura e lui, per quanto fiduciosi della propria rapidità, non era sicuro di riuscire a colpire a morte tutti i chimeri prima che almeno uno di loro lo centrasse.

Sentì una voce femminile nota risuonare decisa e con una rapidissima sequenza cinque dei chimeri più vicini furono centrati in mezzo a ciò che rimaneva dei loro occhi, due masse scure e deformi, da lampi di luce rosata; Iader non si guardò alle spalle per capire, più urgente era approfittare dello spazio ottenuto per disfarsi degli ultimi chimeri, e scattò in avanti fendendo un'altra decina di creature deformi. Prese un lungo respiro rilassando il braccio che aveva teso nell'ultimo affondo, senza bisogno di chiedersi a chi appartenesse invece il sibilo di lama che terminò la pulizia delle creature.

« Tutto a posto Iader-san? »

L'uomo sorrise irriverente a MewMinto nonostante il sudore che aveva iniziato ad accumularglisi sotto la frangia, e le fece un cenno di assenso.

« Ci hai messo un bel po' a rispuntare. »

Iader studiò con un filo di rimprovero Kisshu, che rigirò i suoi sai con un rapido movimento del polso e gli fece spallucce:

« C'era zeppo di chimeri tutto attorno al perimetro della piazza, ne abbiamo seguito uno e abbiamo individuato i "fratellini". –  spiegò il verde spiccio – Uguali a quella faccia di merda di Toyu, tra parentesi. »

Aggiunse con uno schiocco di lingua schifato.

« Temevo che ce ne sarebbero stati altri – sospirò angosciata Minto studiando i chimeri rimasti attorno a loro che venivano scacciati dalle truppe jeweliriane – le ragazze dove sono? »

« Non lo so. Non vedo nessuno da prima. Purin-chan ha seguito Taruto – disse vago Iader – a quest'ora avrà raggiunto le truppe per il contenimento della zona est. »

« E l'evacuazione? »

« Da quello che ho sentito siamo ancora in alto mare – fece l'uomo indicando il proprio comunicatore, di nuovo sul suo orecchio – ma molti sono diretti o hanno già raggiunto il bunker d'emergenza. »

Minto, che aveva ascoltato il breve dialogo tra Kisshu e suo padre, osservò il verde confusa.

« Una struttura nascosta sottoterra, tra la superficie e la Città Sotterranea – spiegò svelto Kisshu con fare distratto – è irraggiungibile con il teletrasporto pure se hanno aperto tutti i ponti di accesso. »

« Ma per la gente è pericoloso arrivarci in simili condizioni – riprese Iader accennando con la testa agli scontri ancora in corso poco distante – ci sono ancora troppi chimeri in giro. Per non parlare dei loro originali. »

Si scambiò un'occhiata con Kisshu che ricambiò accigliandosi con aria pratica; lui e suo padre confabularono qualche istante e Minto lo sentì decidere dove dirigersi e cosa fare, non capì esattamente i dettagli, ma le fu chiaro che il verde stesse per sparire da qualche parte da solo. E l'idea non le piacque per niente.

Ancor meno quando il ragazzo incrociò le proprie lame dietro le spalle e sospirò prendendo un'espressione incurante:

« Il dovere chiama. »

Sorrise, ma alla mora fu chiarissimo il concetto che ovunque stesse andando lei non lo avrebbe potuto accompagnare.

« Cerca di non fare disastri. »

« Grazie della fiducia cornacchietta – sorrise sarcastico – pensa piuttosto a non cacciarti nei guai, non posso scorrazzare qui e là per salvare quel tuo bel culetto. »

Lei grugnì infastidita dal tono leggero che strappò qualche risata soffocata ai soldati più vicini, prontamente nascosta dal loro improvviso ritorno ad organizzare le difese.

Se la situazione non fosse stata critica com'era Minto avrebbe volentieri detto due paroline a quel linguacciuto insopportabile. Poteva capire l'istinto di reagire al pericolo, in fondo anche lei, appena avevano individuato i chimeri di Toyu per la strada, non si era persa in grandi cerimonie e aveva attaccato, ma Kisshu aveva una capacità di pensare a compartimenti stagni che la faceva ammattire.

Fino a mezz'ora prima loro due…

Lei… Lei aveva ancora quella sensazione, del suo corpo caldo che l'avvolgeva, delle sue mani, della sua bocca; aveva ancora il suo profumo nei polmoni, mescolato a quello del sudore e della polvere del brusco ritorno alla realtà che le stridette con ferocia nel petto e nella testa. Aveva una sensazione non lontana dall'essere stata svegliata di colpo mentre dormiva particolarmente bene, il suo cervello reagiva in automatico per proteggerla eppure lei non la smetteva a chiedersi esattamente cosa stesse succedendo.

Continuava a domandarsi come fosse possibile che Kisshu riuscisse a relegare quanto successo da una parte così, con uno schiocco di dita, mentre lei non faceva che sentire la pelle incresparsi e il petto sussultare se si distraeva sul profilo del verde per qualche secondo di troppo, dandosi della sciocca e imponendosi di rimanere concentrata con la sensazione che qualcosa di gelido la stesse schiaffeggiando.

« Li faremo convergere nel centro, così da accerchiarli con tutte le nostre forze. »

La voce di Iader, che le spiegò rapidamente la strategia delle truppe jeweliriane, le arrivò come da un corridoio infinito e Minto impiegò una manciata di secondi a focalizzare quanto aveva detto pur annuendo decisa.

« E Zizi e gli altri? »

« Finora nessuno ha ancora riferito che abbiano lasciato il perimetro della piazza, anche se chi si trovava nelle loro vicinanze… – Iader sospese la frase sospirando grave – Quasi sicuramente, li finiremo dritti tra le braccia. »

« Meglio non farli aspettare. »

Tagliò corto Kisshu e richiamò un piccolo manipolo di soldati perché lo seguissero per poi riportare la propria attenzione su Minto. Lei si limitò a prendere più saldamente il proprio arco tra le mani:

« Tu vai dove devi. »

Gli scoccò un'occhiataccia al suo sguardo sorpreso, se si aspettava di vederla sciogliere in suppliche o borbottii sul tenersi al sicuro o non separarsi aveva proprio sbagliato indirizzo.

Non c'era tempo di pensare… Ad altro, come lui le aveva dimostrato di essere così bravo a fare, e lei non aveva proprio intenzione di morire infilzata da un qualche clone di Lindèvi perché era occupata a distrarsi a cose diverse dalla battaglia; inoltre le sue amiche di certo stavano già combattendo, non poteva essere da meno.

Avvertì la mano di Kisshu sulla spalla prima di accorgersi che lui si chinava contro il suo orecchio. Da fuori non dovette sembrare un gesto degno di nota, ma Minto sentì la presa delle sue dita ben decisa e la sua voce sussurrare preoccupata:

« Se entro un'ora non so che sei al sicuro, vengo a prenderti. »

Gli occhi blu per la mutazione della mora si spalancarono:

« Cosa… Stai dicendo? Devi… »

« Un'ora. Al massimo. E vengo a prenderti. »

Dal tono Minto intuì chiaramente che come lasso di tempo gli sembrasse fin troppo lungo, ma pareva consapevole di non poterlo ridurre. La lasciò andare e si avviò, impassibile, non prima di averle scoccato uno strano sorriso stentato. Minto sentì lo stomaco darle un guizzo e la stretta sulla propria arma farsi tale che la stoffa dei guanti le piagò la pelle.

Mosse appena la bocca mormorando un va bene che non fu sicura che Kisshu vide o sentì, ma immediatamente dopo i chimeri tornarono a circondarli e la mewbird non ebbe più modo di pensare ad altro che non fosse tenersi in vita.

 

 

***

 

 

« Cos'è…?!? Cos'è stato?! »

La risposta alla domanda di MoiMoi fu l'enorme massa di fumo che soffocò le stelle. Il violetto si lasciò cadere il martello dalle mani, inorridito, e corse da Sando pallido e sconvolto quasi quanto lui:

« Quello è…?! »

« Quei figli di puttana. »

« Dobbiamo assolutamente scovarli – sussurrò tremante MoiMoi riafferrando la sua arma più – Arashi e… Tutti gli altri! Subito…! O…! »

« Senpai! »

Il violetto si riscosse appena e tentò invano di stendere un sorriso a Taruto; il brunetto e Purin, al suo fianco, avevano il fiato grosso, i volti sporchi di terra e graffi, ma erano più che interi.

« La zona è sgombra – disse solerte il ragazzo sforzandosi di ignorare il grosso picco dell'incendio in lontananza – tutti i civili sono stati evacuati. »

Sando, ancora poco colorito, annuì più deciso e gli concesse un cenno incoraggiante.

« Ora rimangono solo tutti questi chimeri! – sbuffo Purin esausta – Voglio sbrigarmi, ho una gran voglia di rifare i connotati a quei bastardi! »

Sia MoiMoi che Sando scrutarono la biondina con tanto d'occhi, poco abituati a sentirla usare parolacce, però fu chiaro dal suo labbro tremante e dallo sguardo appannato che sia lei che Taruto fossero passati, come tutti loro, in mezzo alla devastazione che gli Ancestrali e i loro chimeri avevano creato: per quanto la frase del brunetto fosse corretta, ci sarebbero state molte persone che non sarebbero tornate a casa quella sera.

« Concordo in pieno. »

Con un sorriso teso MoiMoi roteò il suo martello sul terreno. In un batter di ciglia un'enorme parete di rocca si sollevò da sotto i loro piedi richiudendosi a cupola sul violetto, inglobandolo con gli altri e una quarantina di chimeri. Che, dai latrati che emisero, non sembrarono contentissimi della prigionia.

« Non risparmiatene nemmeno uno. »

I due ragazzi lo presero alla lettera e Purin si prodigò ad imprigionare quanti più chimeri di Lindèvi potè, Taruto che seguì ogni suo colpo tranciando i budini gialli e le creature dentro di essi con singoli vendenti dei suoi pugnali. MoiMoi invece si lanciò a testa bassa in un folto gruppetto di chimeri-Zizi che presero a turbinargli attorno come trottole, finendo per lo più spappolati dalla testa granitica della sua arma; solo al sesto chimero centrato un paio pensarono che fosse il caso di tentare una manovra evasiva e si disposero per distrarre il violetto mentre altri lo attaccavano nel suo punto cieco. Un buon piano se intanto che MoiMoi, totalmente incurante delle loro mosse, continuò a lottare, Sando non fosse comparso puntualmente trapassando i chimeri con un ramo spinoso largo mezzo metro, riducendo le creature ad un orrido e strillante spiedino di carne gelatinosa.

« Guardati le spalle, ebete! »

« E tu se no a cosa mi serviresti? »

Il verde mandò un basso mugugno per protestare nonostante il sorrisetto che gli increspò le labbra, ricambiato da un'occhiata complice dell'altro per un secondo, prima di riprendere a fare pulizia.

 

 

***

 

 

Come aveva immaginato la prigione era praticamente deserta, non una guardia al suo ingresso o di fronte alle celle; solo pochissimi erano stati obbligati a rimanere di sorveglianza, in barba agli ordini del generale Ronahuge e alla loro smania di andare in soccorso della gente nella Piazza Grande, ma se qualcuno di quei pochi fu fortunato Lenatheri non lo seppe mai: nessuno di coloro che incontrò fu pronto a reagire alla sua presenza – la loro preoccupazione sarebbero stati tentativi di fuga, non di ingresso – dandole quei preziosissimi secondi di vantaggio adatti per abbatterli.

Levò il pugnale dalla gola di un soldato sui cinquanta ripulendolo nella giacca della sua stessa divisa: lui era stato uno dei più rognosi, era abbastanza esperto da non farsi sorprendere, ma doveva aver avuto qualche problema alla gamba destra o qualche vecchia ferita, alla mora era bastato insistere sul lato opposto finché lui alle strette non aveva sforzato l'arto, incespicando e lasciandole lo spiraglio per colpire.

Lena fissò il corpo nella penombra e qualcosa le si rivoltò nello stomaco per una frazione di secondo.

Rimorso? Paura? Pentimento?

Girò sui tacchi e proseguì scacciando ogni pensiero, aveva un compito da portare a termine.

La maggior parte delle carceri di quell'ala era vuota, impiegò poco a trovarli. Quando comparve sulla soglia delle loro celle entrambi gli uomini sussultarono, proseguendo poi con reazioni contrastanti.

L'ex-colonnello Opurh, gli occhi indaco socchiusi con sospetto, irrigidì la mascella squadrata ostentando tutta la sua rigidità e fierezza nonostante i giorni di prigionia. Ebode invece, così cambiato dalla breve permanenza, più pallido, scarmigliato, il viso sporco di polvere e gli occhi lucidi di agitazione, appena riconobbe Lenatheri squittì di terrore:

« I-I-I-Inetaki-san… Lei… Dove…? Come…?! »

« Piantala di balbettare, verme schifoso. – sibilò la mora, disgustata più che mai alla vista di quell'esserino piccolo e vile – Non sono qui per la tua gola, se è questo che temi. »

« Dubito che una ricercata con una condanna a morte rischierebbe il collo solo per prendersi il tuo, Ebode. »

Sbottò sferzante Opurh. Ebode, come cogliendo finalmente l'assurdità del suo panico, si zittì con un lamento offeso e si rannicchiò comunque a distanza di sicurezza dall'ingresso, gli occhi di pietra fissi e guardinghi su Lena. Lei, dal canto suo, aveva perso un po' di verve e fissava Opurh stordita:

« Condannata a morte…? »

« Hai tradito e disonorato l'Armata e agito alle spalle del Consiglio Maggiore – replicò l'ex-colonnello incolore – cosa ti aspettavi? »

Si poggiò contro la parete sospirando:

« Io non posso parlare, comunque. »

Lena strinse d'istinto le dita sull'elsa del pugnale, ingoiando il sentore di gelo che le diede la notizia.

« Cosa vuoi quindi, Inetaki? – riprese Opurh senza cerimonie – Non penso la tua sia una visita di piacere, e dal panico dei soldati devo intendere che stia succedendo qualcosa là fuori. »

Il suo tono si inasprì e Lena riprese compostezza, scrollando le spalle:

« Sono venuta a farvi uscire. Ci servite. »

« Ci? – domandò Ebode sferzante – A lei e a chi, di grazia? »

« Agli Ancestrali. »

Rispose per la mora Opurh. Lei lo fissò un secondo, rame dentro indaco, e da come l'uomo abbassò le spalle nonostante la postura sempre fiera dedusse che il militare avesse intuito e si arrendesse agli eventi, consapevole che pur se avesse rifiutato sarebbe stato costretto ad accettare. Ebode invece saltò in piedi con il volto che si illuminò:

« L-la Stirpe Pura…?! Ha bisogno di noi…! – al cenno affermativo di Lenatheri il suo viso si deformò in una smorfia avida – Allora forse non tutto è perduto… Sì… Alla fine, alla fine… »

Opurh schioccò la lingua sconvolto dalla stupidità dell'altro e studiò Lena armeggiare con i codici di sblocco delle barriere delle celle.

« Sono un circuito chiuso, quindi è stato impossibile aprirle come i ponti di accesso – bofonchiò la mora tra sé e sé – però dovrei essere… Ecco. »

Ci fu uno schiocco leggero e l'aria sui due ingressi tremò lievemente. Ebode allungò la mano curata tastando il vuoto e agitando il polso avanti e indietro per accertarsi di essere libero, quindi uscì con il suo miglior sorriso affettato già stampato sul volto:

« Di cosa hanno bisogno Deep Blue-sama e i suoi fedeli servitori? »

Accentuò l'ultima parola squadrando Lenatheri con malcelata soddisfazione, godendo all'idea che lei così riottosa fosse ora sotto il gioco di qualcuno ben meno facile da contraddire di lui – almeno senza rischiare la vita – ma la giovane lo squadrò con sufficienza e fastidio malcelato senza emettere suono:

« Dovete seguirmi. Servite entrambi per aprire la porta. »

 

 

***

 

 

Un colpetto di dita e l'ennesimo getto d'acqua vibrò di fronte a lei scacciando il chimero che puntò ad un gruppetto in fuga; Retasu, il fiato corto, sorrise con dolcezza ai jeweliriani che la ringraziarono e annuì incoraggiante ai  soldati che li scortarono via, tornando subito dopo a terminare il lavoro abbattendo definitivamente il chimero-Lindèvi che aveva di fronte.

Si fermò un istante rimanendo comunque in assetto da battaglia, le nacchere pronte a colpire, ma dovette cedere al reclamo del suo corpo di prendere due secondi di fiato prima che il cuore le schizzasse fino in gola per lo sforzo.  Sbirciò Pai, poco distante, e avvertì un moto d'invidia per come lui non paresse accusare il minimo affanno anche rispetto ai soldati lì vicino, che apparvero stremati per lo scontro ininterrotto fino a quel momento; pure il soldato che andò ad interpellare il moro, nonostante non dovesse avere più di vent'anni, sembrò stremato in contro al giovane dagli occhi ametista.

« Quadrante sgombero, signore. Tutti i civili diretti al bunker. »

« Perfetto. – rispose Pai asciutto – procediamo allo sgombero totale. Non risparmiatevi, case ed edifici si ricostruiscono. »

Così dicendo generò un Fuu Rai Sen così forte che trapassò a metà tre chimeri e bucò la parete della casa dietro:

« La cosa importante è sbarazzarci del nemico. »

« Sissignore! »

Retasu osservò un momento il profilo serio e deciso di Pai mentre terminò di dare ordini e senza sapere la ragione sorrise: le ricordò enormemente il viso del moro le prime volte che lo aveva visto, sulla Terra, ma rispetto ad allora la sua impassibilità e fermezza le diedero un senso di sicurezza e totale fiducia.

« Stai bene? »

Lei sbattè un secondo le palpebre campendo di avergli strappato la domanda perché l'aveva notata fissarlo:

« Sì, sto bene – sorrise appena a disagio – sono solo senza fiato. »

Vide le labbra di Pai tendersi appena verso l'alto e sorrise più decisa, per poi rabbuiarsi:

« Dove sono Lindèvi e tutti gli altri? »

« È quello che mi chiedevo anche io. »

Borbottò Pai cupo e fissò il punto dove gli Ancestrali erano comparsi, ormai appena distinguibile nelle lotte sparse e nella polvere che aleggiava sulla Piazza:

« Seguendo la strategia standar dell'Armata presto dovremmo accerchiarli. Non hanno più molte possibilità di fuga... sempre che non siano già fuggiti altrove. »

Aggiunse piatto e Retasu s'irrigidì appena al pensiero, mentre Pai posò due dita sul suo comunicatore ascoltando gli ultimi scambi di informazioni. La mewfocena si strinse un secondo le mani al petto guardandosi attorno per il poco che poteva vedere, non aveva ancora incrociato nessuna delle ragazze…

Un urlo di dolore fece sobbalzare entrambi i ragazzi. Si misero sul chi vive pronti a contrattaccare, ma Retasu riuscì solo a vedere la figura di Zizi fiondarsi su due dei soldati in truppa con Pai e spaccare loro la testa coi suoi tirapugni nemmeno fossero cocomeri; poi, in quelli che non dovettero essere più di un paio di secondi, il biondo puntò a Pai: lui era già pronto e la sua bocca formulò metà dell'attacco, ma all'ultimo istante Zizi si teletrasportò ricomparendo precisamente tra il moro e la mewfocena.

Retasu non seppe spiegarsi come, nonostante l'interruzione del suo slancio, Zizi avesse potuto rovinarle addosso come se l'avesse caricata da cento metri. Il pugno che la centrò nel plesso solare le mozzò il fiato e la fece tremare di dolore, incrinandole – lei ne ebbe la certezza – quasi tutte le costole se non rompendogliele, la sollevò come una piuma e la eiettò oltre il cerchio di case più vicino facendola schiantare sul terzo anello di edifici. Di nuovo non riuscì a respirare mentre centrò con la schiena la parete di pietra, migliaia di luci le esplosero di fronte agli occhi accecandola e lei, di certo con fratture in ogni osso del corpo dal dolore che la trafisse, di certo con la testa rotta come i due poveri soldati che Zizi aveva spazzato via, sentì a fatica Pai chiamarla prima di accasciarsi inerme tra le macerie.

 

 

***

 

 

La Città Sotterranea era avvolta in una calma di velluto. Nella penombra silenziosa e umida i rumori della Piazza Grande erano a stento dei cupi borbottii di un temporale lontano, ben diversi dal ticchettio delle dita di Kiddan sulla plancia di comando o dal ronzare del suo sistema di controllo che risuonavano per le pareti vuote come un concerto di pigolii e sfiati ritmici.

Le mani dell'uomo, quella di carne e quella meccanica, saettavano tremando per la consapevolezza del loro proprietario su quanto stava succedendo fuori, sulla superfice. l'anziano tentò di ripristinare per la terza volta le restrizioni dei permessi di accesso nella loro totalità, nella fioca speranza che il sistema rigettasse gli Ancestrali fuori dalla barriera protettiva della città, ma chiunque avesse riscritto i codici aveva azzerato tutte le disposizioni precedenti: il sistema di controllo principale non riuscì a reimpostarsi completamente senza andare in errore, e con un sospiro amareggiato Kiddan si limitò ad attivare le restrizioni di sicurezza primarie; non poteva fare nulla per chi si trovasse ancora allo scoperto, né per chiunque fosse ancora nell'edificio dell'ospedale – non gli era servito il segnale di allarme sul suo monitor, conosceva abbastanza bene la piantina di entrambe le città sopra e sotto la superficie per capire cosa avesse coinvolto la forte scossa che aveva quasi fatto crollare mezzo soffitto.

L'uomo continuò il suo lavorio frenetico e tirò appena un sospiro di sollievo, almeno aveva messo al sicuro l'ingresso e il perimetro del bunker di emergenza; chiunque avesse voluto provare ad accedervi non avrebbe comunque potuto farlo se non a piedi – era un centro per l'estremo bisogno troppo importante per rischiare la sua dipartita – ma aggiungerci una barriera o due non poteva certo nuocere.

All'improvviso un impercettibile scalpiccio stuzzicò il suo orecchio destro. Non avrebbe potuto dire di aver sentito con chiarezza, ormai l'età aveva dato gli ultimi colpi anche al suo udito, eppure vivere in solitudine e una buona dose di esperienza gli diedero la certezza di quel rumorino indistinto.

Diede un ultimo comando nella speranza che il sistema potesse continuare in automatico senza interruzioni e smise di lavorare. Mandò un lungo sospiro raccogliendo le braccia di fronte a sé e si voltò, un sorriso stirato nel volto rugoso.

« Non sei sorpreso di vedermi. »

« Dovrei? – disse Kiddan incurante scrutando Arashi con i furbi occhi color cenere – L'unica altra ragione che potrebbe spingervi a creare tutto questo disastro è fare piazza pulita delle ragazzine terrestri, degli Ikisatashi e degli altri bambini perché vi hanno dato fastidio… Ma non sono idiota, so bene cosa siete venuti a fare. »

Concluse, la voce monocorde che però non nascose un profondo disprezzo. Arashi non gli rispose, in piedi a poca distanza con le braccia dietro la schiena, e chiuse gli occhi un istante lasciando che i suoi tratti trasfigurassero in quelli di Deep Blue. Kiddan non smorzò il sorriso, ma la sua mano meccanica cigolò secca.

« Sono onorato di potervi rincontrare, Kiddan-san. »

« Deep Blue-sama – se avesse sputato per terra l'anziano avrebbe coronato il sarcasmo e il disgusto con cui espresse il titolo della semi-divinità – desolato di non condividere. »

« Immagino lei sappia bene la ragione per cui siamo qui. »

« Posso dedurla. – replicò con un'alzata di spalle e indicò lontano con la mano sana, un punto imprecisato nel buio – Visto che nemmeno la piccola Inetaki sapeva, immagino siate già andati a controllare e abbiate fatto due più due. »

Deep Blue mosse un sopracciglio ammirato:

« Come fa a sapere che Inetaki non sapesse nulla? »

« Perché non lo avrei mai detto a lei. – rispose pacato – e né MoiMoi-chan o altri dei pochi che sapevano gliene avrebbero parlato. Ho chiesto di non farlo… L'età genera ancora un certo ascendente sui giovani. »

« Quindi non si è mai fidato di Inetaki. »

« Si sbaglia – sorrise l'uomo gelido – volevo semplicemente evitare di fornirvi più persone a cui estorcere dettagli. »

Le sue lenti telescopiche ronzarono indirizzandosi alle spalle del moro, nelle ombre. Non potè distinguere le figure in avvicinamento, ancora troppo lontane, ma seppe che stavano obbligatoriamente sentendo in quel silenzio e riprese con il massimo spregio:

« A quanto pare, come molti altri, l'ho sopravvalutata. »

Deep Blue si lasciò sfuggire un sospiro come se concordasse con lui. Fissò Kiddan e poi gli andò vicino, sovrastandolo per via della postura ingobbita dell'anziano, continuando a sorridergli senza alcun calore o gentilezza:

« Lei ha fatto molto per Jeweliria negli anni, Kiddan-san – disse l'essere e nel suo tono incolore trasparì una nota di sincerità – la sorte ha poi voluto che io abbia dovuto usare la forza contro la mia stessa gente, ma non dimentico chi ha provveduto alla loro sopravvivenza finora. »

« Lusingato – fece Kiddan sprezzante – avete intenzione di usare lo stesso garbo con Ronahuge-san? Credo che abbia dei meriti anche lui… O la nobile Meryold? O chi ha fatto parte delle equipe che si sono occupate del mantenimento di questa ghiacciaia? »

Deep Blue non si scompose minimamente e sorrise di più con maggior malignità:

« È consapevole di stare per morire, dunque? »

« Mi stupirei di ricevere tale trattamento di favore. »

Rise asmatico l'uomo mostrando i denti mancati. Di fronte alla spietatezza che lesse nelle iridi gelide di Deep Blue la sua voce si abbassò un poco:

« Perciò? »

« Sarà rapido e indolore, molto più di quanto possano aspirare gli altri traditori che ancora si agitano sopra di noi. – disse il moro crudele e poi sorrise, come volesse mostrare benevolenza e ottenendo solo un ghigno più pronunciato e spaventoso – Cos'altro potrebbe desiderare? »

Kiddan sospirò ancora. Le sue lenti ronzarono mentre le ombre dei tre si fecero più vicine e fissò l'essere che con i suoi accoliti stava trascinando per l'ennesima volta il suo mondo sull'orlo del baratro:

« Che sia fuori. »

Deep Blue spalancò appena gli occhi e sorrise ancora, ridacchiando alla richiesta per lui così banale e sciocca. Con un guizzo restituì il corpo ad Arashi, che apatico e distaccato posò una mano sulla spalla di Kiddan e sparì con uno schiocco.

L'anziano aprì gli occhi lentamente abbassandosi gli occhiali speciali. Diede la schiena alla città, il cuore che tremò sentendo i vaghi rumori della lotta più vividi di quanto mai avrebbe potuto tollerare, e vagò con lo sguardo sull'erba che si estendeva ai suoi piedi, sul bosco di alberi giganti che rimirò solo finché il suo sguardò potè senza vedere Jeweliria, sul cielo nero velluto trapuntato di stelle. Inspirò a fondo l'aria di fuori e trattenne un singhiozzo.

L'ultimo pensiero che fece, le palpebre chiuse ascoltando Arashi arrivargli più vicino alle spalle e il clangore leggero della sua scure, fu la certezza che un mondo del genere non potesse perire in mano a quel mostro che per tanti secoli era stato la sua sola fonte di aspettative e conforto, e la speranza che nella vita successiva i suoi piedi avrebbero di nuovo calpestato quell'erba verde, e i suoi occhi avrebbero potuto guardare Jeweliria viva e fiorente di vita. Soprattutto, libera dal suo sovrano dai capelli di tenebra.

 

 

***

 

 

Zakuro tossì forte per cercare di liberare i polmoni dalla polvere e dal fumo. Aveva teso il naso nell'aria satura cercando di individuare l'odore di Sury, spremendo ogni grammo di energia e potere concessole dal proprio DNA modificato, ma la traccia della piccola era troppo labile nel guazzabuglio odoroso della Celebrazione ormai devastata.

Seguendo la sottilissima scia e andando a senso e fortuna, sforzandosi di riflettere il possibile percorso della bambina e soffocando la sensazione di girare a vuoto, la mewwolf si era allontanata dalla zona più calda dello scontro raggiungendo il punto in cui gli Ancestrali erano comparsi, non sapeva dire se minuti od ore prima.

Lì regnava una calma e un silenzio irreale rispetto al panico contro cui aveva dovuto lottare per avanzare, o agli strilli e versi dei chimeri che aveva tranciato al proprio passaggio. Le grida della battaglia erano ovattate, non molto distanti, ma a sufficienza perché la mora riuscisse nuovamente a sentire con chiarezza il proprio respiro pesante e i tacchi scricchiolare sul terreno; c'erano banchetti rovesciati, altri completamente distrutti, case dai muri squarciati e anneriti o spezzati di netto dalle lame e dai fili di Lindèvi, o forse dei suoi cloni. C'era fumo ovunque per colpa delle torce che erano cadute nella fuga generale e che avevano preso fuoco contro i resti dei banchetti e contro i cespugli dei giardini vicini, un vago bagliore rossastro che punteggiava la notte luminosa e stellata; in lontananza Zakuro vedeva ancora la nuvola scura che rimaneva dall'esplosione dell'ospedale, un barlume che andava affievolendosi ma che ancora irrompeva al lato del suo campo visivo. La ragazza strinse le labbra in una linea marmorea.

« Sury! Sury! »

La sua voce riecheggiò cupa e la mora avvertì una morsa allo stomaco. C'era troppo silenzio.

Le sue fini orecchie riuscivano a sentire le urla di chi ancora non era riuscito a fuggire, lontane e indistinte, ma attorno a sé pareva non esserci anima viva.

Continuò a camminare a passo spedito, poi prese ad accelerare continuando a chiamare la bambina e ricevendo come risposta solo le proprie parole. Dopo qualche minuto si ritrovò a correre e impegnata a schivare l'ostacolo dell'ennesimo ammasso di detriti sdrucciolò con un tacco su qualcosa di viscido: riuscì appena a reggersi dritta, picchiando con un ginocchio e mantenendo un minimo di equilibrio, e soffiando tra i denti per il bruciore del colpo guardò la causa della propria caduta, gelandosi nelle vene. La macchia rosso scuro, lucente e vivida nelle luci sparse, si spandeva confusa mescolata al terriccio fin sotto a ciò che restava di un corpo, forse di un uomo, ma le cui condizioni erano tali da rendere impossibile distinguerne pure solo il genere.

Zakuro serrò gli occhi avvertendo un conato quando capì di aver poggiato la mano su un'altra macchia di sangue, adiacente quella su cui era scivolata. Si sforzò di ricacciare tutto indietro e di non vedere, né quello né i mucchi di corpi di coloro che non erano sfuggiti agli Ancestrali, sparsi nella desolazione senza alcuna pietà.

La mewwolf riprese a camminare più svelta, un gusto acido che le salì ad ondate dalla gola, e ricominciò a chiamare Sury cercando di non distrarsi ad ogni cadavere più piccolo che intravedeva. Svoltò a zigzag nell'intrico sempre più complesso della distruzione, la gola che emise ad intervalli regolari il nome di Sury concentrandosi per non far tremare la voce, e sforzandosi di non vedere le madri, i padri, i figli, gli amici, gli amanti ammucchiati ai lati del sentiero improvvisato come stracci sporchi, i segni della vita appena scomparsa e le tracce evidenti dei tentativi di salvarsi o di salvare i propri cari nelle braccia strette attorno ad altri corpi ormai esanimi, nelle strisciate di sangue sul terreno. All'improvviso Zakuro si fermò per non inciampare in un corpicino proprio in mezzo al suolo sgombro e si tappò d'istinto la bocca con la mano soffocando il gemito d'orrore. La bimba con le trecce che tante volte aveva visto giocare con Sury giaceva riversa su un fianco, le palpebre socchiuse sugli occhi vitrei e un piccolo rivolo di sangue ormai secco sul mento, le gonfie trecce sporche di terra e mezze sfatte sparse sul visino e sul terreno.

Zakuro dovette deglutire senza smettere di tenersi la bocca serrata, sordi lamenti incontrollati che le esplosero dalla gola. Chiuse gli occhi e si guardò attorno e le parole le uscirono più acute di quanto volesse:

« Sury! Sury! »

Il silenzio le perforò le orecchie mentre qualcosa di terribilmente freddo le mozzò l'aria nei polmoni.

« Sury! »

« Onee-san!! »

La mewwolf rimase un secondo immobile processando quella risposta. Poi di nuovo, con tono flebile più sollevato e singhiozzante, si sentì chiamare:

« Onee-san…! »

Zakuro individuò il piccolo movimento poco distante, tra un muro crollato di una casa e un banchetto lacerato in due. Probabilmente se la piccola non l'avesse sentita, sporgendosi faticosamente e in modo tanto evidente fuori dal suo riparo, non l'avrebbe mai vista.

La mewwolf balzò oltre un cumulo di detriti e cadde quasi in ginocchio di fronte alla bambina, che si allungò per ricambiare il suo abbraccio fermo scoppiandole a piangere sulla spalla:

« Nee-san…! Onee-san…! »

« Shhht, tranquilla, sono qui. »

Le fece due carezze sul viso, fradicio e arrossato dalle lacrime, quindi la lasciò a singhiozzarle soffocata contro il suo bustino accarezzandole la schiena, ben più sollevata di quanto avrebbe mai immaginato nell'averla trovata.

« Sury, cos'è successo? Perché non hai seguito gli altri? »

La bambina emise un gemito colpevole e si studiò le gambe. Zakuro strinse le labbra, le tibie della morettina erano gonfie e arrossate, con ogni probabilità se le era rotte.

« Stavamo correndo… Ed è caduto un… Un banco di quelli lì – mormorò indicando i banchetti ormai distrutti – Non l'ho visto e… Scusami, scusa nee-san, non sono stata attenta…! »

Zakuro la strinse ancora cercando di calmarla:

« Non è colpa tua. Sei stata bravissima a nasconderti. »

« Io… Io ho chiamato aiuto. – gemette ancora la bambina tra un singhiozzo e l'altro, la vocina arrochita dal tanto gridare – Però nessuno… Correvano tutti, c'era un gran rumore e tante grida… Ho perso i miei amici e… Mi sono riuscita a nascondere, ma poi non riuscivo a muovermi, mi faceva tanto male… »

Zakuro la rassicurò ancora tentando di farla stare ferma e Sury soffiò tra i denti lamentandosi per le fratture.

« Poi – riprese con voce più bassa – Wiri è… È andata a… Ha detto che avrebbe cercato un adulto per portarmi via… »

Mandò un singhiozzo secco. Per un orrendo secondo Zakuro temette che Sury potesse aver visto la sua amichetta, ma capì che da dove si trovava non poteva aver individuato il corpicino a terra.

« Io… Io gliel'ho detto…! Che era pericoloso, e di stare qui con me che… Che Eyner o le onee-chan e gli onii-chan sarebbero venuti a cercarmi…! Però…!! »

Riscoppiò in un pianto incontrollato. Zakuro la strinse finché Sury parve avere fiato e poi, tirando sul con il naso, farfugliò tra la stoffa:

« Dov'è Eyner…? »

« Ora andiamo da lui. »

La mora le sorrise e le asciugò rapida il viso. Si guardò attorno e raccolse due pezzi di legno, li pulì meglio che potè dalle schegge, quindi cercò qualcosa con cui creare delle stecche; la sola opzione che trovò fu su un corpo di un uomo poco distante. Prese un lungo respiro e notando Sury irrigidirsi di terrore al suo accostarsi a quella cosa spaventosa, Zakuro la guardò con calma:

« Non guardare. Nemmeno un momento. »

Sury obbedì e strinse tanto forte gli occhi da diventare rossa. Zakuro girò a fatica il corpo inerme su un fianco, tentando di non dare peso al sangue che intravide sulla pelle pallida dell'uomo o sul gelo che avvertì sotto le dita, e con maggior precisione e velocità possibile strappò una serie di strisce di stoffa dalla sua maglia.

Scusa amico… Ma temo che queste ora servano più a me che a te.

Tornò da Sury e le arrangiò due stecche alla bene e meglio. Abituata a vivere da sola aveva piccole nozioni di pronto soccorso, ma due fratture alle gambe esimevano del tutto dal suo campo; la sola cosa che si sentì sicura di fare fu fissare le stecche perché le gambe non ballassero troppo, cercando di far meno male possibile a Sury che, nonostante fosse ancora scossa dai singhiozzi, non emise il più piccolo lamento o protesta.

« Bene. »

Quando ebbe terminato Zakuro le accarezzò la testa e le sorrise più rassicurante che potè:

« Adesso, ascoltami. Ti porterò io, ma passeremo attraverso delle zone molto brutte – le disse con tono più grave e Sury rabbrividì e gemette di nuovo – tu mi devi promettere che non guarderai. Mai. Sono stata chiara? »

Sury annuì obbediente. Zakuro le sorrise di nuovo, incoraggiante, ma protese appena le mani per passarle sotto alle ginocchia e alla schiena della bambina quando qualcosa la fece scattare.

I suoi sensi reagirono appena in tempo. Estrasse la frustra e si girò, finendo comunque travolta dal nemico che le si schiantò addosso ma impedendogli di atterrarla con un solo colpo. Sury cacciò uno strillo di terrore.

« Quanto tempo, mia cara! »

La mewwolf, schiena a terra e frusta a due centimetri dal naso, avvertì lo stomaco rovesciarsi mentre il baluginio di un fioretto le brillò in mezzo agli occhi, oltre cui due iridi celesti e un bel viso crudele la scrutarono lascive e folli. Toyu si leccò le labbra:

« Io e te abbiamo una chiacchieratina da finire. »

 

 

***

 

 

« Ribbon Strawberry Surprise! »

Il lampo di luce iridescente investì i chimeri strappandogli urla di dolore acuto. Ichigo non rimase a controllare se fossero spariti, si limitò a ruotare su se stessa e ad assestare un altro colpo alle proprie spalle, ignorando anche i soldati che dopo un primo momento di spavento si guardarono sorpresi e la ringraziarono, capendo che il suo attacco non li aveva feriti.

La mewneko non riusciva più nemmeno a capire dove fosse. Stordita dagli eventi aveva seguito Ronahuge nella mischia, sperando di trovare uno spiraglio per raggiungere o rintracciare gli altri, ma il generale l'aveva condotta ancora più a fondo nella confusione generale.

C'erano persone in fuga ovunque, decine di soldati, gente che strillava, che le correva addosso, che chiedeva aiuto, gente che moriva. Decine e decine di chimeri, parevano interminabili, e a quelli cloni di Zizi e Lindèvi erano improvvisamente spuntati dei sosia di Toyu, scatenando il panico nelle viscere della rossa: con un attacco del genere, in una serata simile, con tanta potenza, forse c'era anche Arashi, e forse…

Scacciò il pensiero scuotendo la testa e saltò oltre un manipolo di ufficiali intenti a friggere due chimeri-Toyu fino ad arrostirli, ben più preoccupante della presenza degli Ancestrali era la loro non presenza.

Dopo il loro arrivo devastante non aveva ancora incrociato nessuno di loro e Ichigo iniziò a domandarsi con sempre più angoscia dove fossero. Soprattutto dove fossero le ragazze, e gli altri, e dove fosse Ryou.

Ryou.

Il cuore le sprofondò di nuovo fino alle suole delle scarpe. Aveva tentato di ritrovare il biondo, ma così come aveva perso di vista Ronahuge dopo pochi minuti in quel carnaio non era ancora riuscita a trovare un segno dell'americano, sentire la sua voce o percepire anche solo vagamente il suo odore in modo da raggiungerlo.

Ti prego… Ti prego, fa che stia bene…

Miagolò irritata schivando il pugno di un chimero-Zizi e ricambiò il favore folgorandolo, quindi si guardò rapidamente attorno: per la prima volta dopo quelle che le erano parse ore – almeno da come i suoi muscoli stavano urlando di dolore – riusciva ad avere una vaga idea di dove si trovasse; il cuore tornò a scalpitare.

Posso trovarlo…!

« Ichigo-san! »

La rossa sussultò e per poco non scoppiò a piangere. Uno dei tanti pensieri che non avevano ancora smesso di vorticarle nella testa era magicamente comparso di fronte a lei assieme ad un gran numero di jeweliriani, almeno una ventina, reggendo gentilmente un uomo sulla quarantina con un braccio attorno alle proprie spalle.

« Akasaka-san! »

Il giapponese passò con garbo il suo protetto ad un altro dei fuggiaschi, tutti che lo assecondarono con un sorriso scorgendo la mewneko che con le lacrime agli occhi gettò le braccia al collo dell'amico:

« Ero…! Ero morta di paura! Grazie al cielo stai bene…! »

« Sono stato meglio. »

Ammise l'uomo con un sospiro e Ichigo lasciandolo andare notò il suo volto graffiato, il grosso livido sulla tempia e i tagli a braccia e gambe, alcuni decisamente vistosi.

« Ma tu, dimmi, stai bene? E gli altri? E Ryou? »

La rossa perse il sorriso e scosse la testa affranta. Keiichiro lì per lì divenne pallido, poi aggrottò la fronte e si fece forza stringendo la ragazza per le spalle:

« Se la caveranno. Anche Ryou ormai è in grado di difendersi, molto meglio di me. »

Alla mewneko parve voler convincere più se stesso che lei, ma annuì e lo vide sorridere di nuovo.

« Scusate, mi dispiace interrompervi, ma è meglio sbrigarsi. »

Un secondo gruppo di superstiti si accostò a loro e colui che li guidava richiamò l'attenzione di Ichigo voltandola per una spalla. La rossa sgranò gli occhi:

« Lei è… »

« Thugar-san – la precedette Keiichiro riconoscendo il giovane consigliere dai capelli azzurri – è un sollievo vedere che state bene. »

Il giovane sembrò sorprendersi del tono incredibilmente sincero del bruno e annuì solo:

« C'è ancora molta gente in fuga. »

Così dicendo si passò il braccio del ferito che fino a quel momento Keiichiro aveva trasportato, strappandolo al suo nuovo sostegno che apparve esausto quasi quanto il giapponese.

« Finché le truppe riescono a tenerci aperto un varco ci conviene allontanarci e lasciargli campo libero. »

Tutti i presenti furono d'accordo e si strinsero tra loro, sorreggendo e trasportando i feriti per andare più veloci. Ichigo, ricaricata nell'aver visto un volto amico quasi incolume, dovette trasfigurare in volto all'idea di vederlo di nuovo scomparire verso il pericolo ignoto.

Thugar le posò nuovamente una mano sulla spalla:

« Momomiya-san, lei non ha idea di quanto la sua presenza ci sia di aiuto – le disse riconoscente – non si preoccupi, il bunker è troppo ben protetto perché possa essere raggiunto. E le prometto, mi assicurerò che il suo amico vi arrivi sano e salvo. »

Lei studiò il giovane dai capelli celesti e iniziò ad intuire perché facesse parte dei Membri Ristretti, oltre che del Consiglio Maggiore: gli erano stati sufficienti quelle poche frasi per rinfrancarla e donarle coraggio, i suoi modi e il suo tono fermo e gentile parvero raccontarle una verità assoluta. Fece un cenno con la testa e gli sorrise:

« La ringrazio. Faccia attenzione, e anche tutti voi. »

Aggiunse distrattamente guardando la folla che si avviò e con una capriola felina si unì alle truppe che fecero da scudo al manipolo in fuga, finché questo non fu lontano dalla zona della battaglia.

Ichigo si voltò nuovamente, la mente di nuovo a Ryou. Keiichiro aveva ben da dire sulle nuove capacità combattive del biondo, ma la consapevolezza delle stesse non toglieva ad Ichigo l'orrida sensazione di doverlo raggiungere.

Fece mente locale su dove si trovasse e più o meno dove fosse al momento dell'arrivo degli Ancestrali, quindi girò sui tacchi e corse a ritroso verso il punto da cui era partita.

Non compì nemmeno dieci passi che una fitta terribile la fece cadere a terra.

Per un momento Ichigo temette di essere stata colpita al petto da una lama e si portò la mano tra i seni, ma il suo guanto rimase di un delizioso color lampone. Poi, di nuovo.

È qui.

L'aria le svanì dai polmoni e così da tutto il resto del corpo, non una sola molecola di ossigeno fu più dentro di lei. Un dolore acuto, secco e penetrante le bruciò nel petto e lei rimase ginocchioni, la testa che girava e la voglia di vomitare.

Lo ha trovato.

Aprì a fatica un occhio e capì di tremare da capo a piedi. Quella voce, o forse mormorio, che probabilmente si era immaginata le pizzicò appena le orecchie.

È qui.

Prese due lunghe boccate d'aria e finalmente le macchie nere che le offuscavano lo sguardo scomparvero. Si mise in ginocchio, le mani a terra e il corpo grondante di sudore freddo. Impiegò un paio di istanti per capire.

Il Dono…! Stanno andando a prendere il dono!!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) Si definisce concertato (o pezzo concertato) la parte di un'opera lirica in cui i personaggi e il coro intrecciano le loro linee vocali in forma polifonica.

(**) lungo bastone di legno per metà ricoperto di ferro e punte di metallo; spesso è l'arma che viene associata agli Oni, figure del folklore giapponese che noi comunemente ribattezziamo orchi. More info per entrambe le cose :3

https://en.wikipedia.org/wiki/Kanab%C5%8D

https://it.wikipedia.org/wiki/Oni_(folclore)

(***) Spada araba, fine 1600, con tipica guardia rettangolare

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Scusatemi ancora per il ritardo (e per le mancate rx alle recensioni, giuro che ora mi ci metto a rispondere T_T"") e per il capitolo che non è lunghissimo, ma ci sono delle cose che preferisco dividere con calma… Dai tanto mi detestate già xD non maleditemi oltre!!
Sperando di aver superato questo blocco e di finire i prossimi cap con velocità, così da aggiornare di nuovo con regolarità, ringrazio LittleDreamer90, Danya, Cicci 12, mobo e Jade Tisdale per le recensioni ♥  tutti coloro che recensiscono e coloro che seguono! Non dimenticatevi che mi trovate qui su Dream-Marti, su Ria EFP e ovviamente sulla pagina dei Three Mewsketters (non allarmatevi, non sono morte le altre xD sono solo oberate di studio e lavoro TwT io sono la sola negligente che trova il modo di scrivere e cazz… ehm vagheggiare nonostante il lavoro :P)
Ciao a tutti!

 


Mata ne
~♥ !

Ria

 

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Capitolo 48
*** In the middle of crossing (part V) ***


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Farai felice milioni di scrittori. 

 

Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: Non essere indifferente!
Salva anche tu una tastiera da pazzoidi che le massacrano scrivendo come disperate! Non chiudere gli occhi, puoi salvare milioni di vite elettroniche.

 

 

 

 

 

Capitolo corposo, moooolto corposo… Sì insomma, bordello regà! xD Pensate che ho dovuto tagliarlo.

Tutti: eh, che culo -.-"!

Sono stata bravissima, sono stata nei tempi xD! Non posso assicurare sarà così per i prossimi (almeno fino a consegna di tutto il materiale che al momento ho sulla scrivania) perciò ringraziate la pressione che mi ha spiaggiata in questa ultima settimana facendomi cazzeggiare xD
Noticina, in questo cap parlerà parecchio il nostro scaricatore di porto preferito (vedi Zizi la belva) indi mi scuso per il linguaggio particolarmente scurrile e i termini offensivi, ricordo che non riflettono minimamente le opinioni personali dell'autrice.

E mo, andiamo!

 

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Cap. 48 – In the middle of crossing (part V):

                The Celebration of the First Moon – Grand Opéra(*)

 

 

 

 

« Fuu Rai Sen! »

Zizi evitò i fulmini con una potente risata sguaiata mentre Pai gli fu addosso, le folgori che sfrigolarono attorno alla sua testa e il ventaglio che gli passò troppe volte troppo vicino a un punto vitale; l'Ancestrale però non sembrò curarsene e continuò a ridere al colmo del divertimento, insensibile anche ai calci che Pai riuscì ad assestargli contro i fianchi facendolo sballottare a mezz'aria.

« Siamo arrabbiati, siamo arrabbiati Ikisatashi-kun? – cantilenò senza smettere di ridere – Siamo taaaanto arrabbiati! »

« Fuu Hyou Sen! »

Finalmente il moro riuscì a strappargli un gemito di dolore centrandolo alla spalla e Zizi indietreggiò reggendosi il punto leso con una mano:

« Cazzo, quello fa male figlio di puttana! »

Nonostante l'imprecazione Pai continuò a vederlo sorridere. Fu lampante che Zizi, non molto sano mentalmente fin dal risveglio dell'Atavismo, fosse completamente uscito di testa con il ghigno esagerato che stirò le guance e gli occhi azzurri dilatati e lucidi.

« Ti ho fatto incazzare Ikisatashi-kun? »

« Chiudi quella fogna. »

Replicò il moro tombale e rimase con il braccio e il ventaglio tesi minacciosi contro il petto del biondo. Le sue orecchie intanto erano tese, rilassandolo a stento da quando avevano sentito dei lievi rantoli provenire dalle proprie spalle dove, nemmeno dieci metri più in là, Retasu giaceva ancora riversa tra le macerie; tuttavia Pai non aveva ancora osato dare la schiena al suo avversario o voltarsi del tutto per accertarsi dello stato della verde: Zizi non aveva smesso un secondo di puntarla nonostante stesse lottando con lui, non poteva lasciare che quel pazzo le arrivasse a più di un palmo di distanza.

« Scusa, scusa, scusa, peròòò sai… »

Il biondo ondeggiò con la testa da una parte all'altra, le mani che scattarono nervose tra i suoi capelli scarmigliati e le parole che fluirono come se lui non prendesse fiato, acuendo il sentore di Pai che avesse perso l'ultimo barlume di ragione.

« Ora insomma siamo all'ultimo round, no? Stadio finale, battaglia decisiva, quelle puttanate lì e a me stava rodendo un po' il cazzo, perché tra te e tutti questi stronzi avete avuto un po' troppo culo e non sono riuscito ancora ad ammazzare nemmeno uno di voi e la cosa mi sta parecchio sui coglioni. »

Cozzò i tirapugni uno contro l'altro e indicò alle spalle di Pai:

« Prima, la vacca da latte, che m'è scappata a Glatera! Poi ovviamente c'è quella mocciosetta stronza che mena come un fabbro, e oh, tranquillo! Non mi sono dimenticato del senpai checca. »

Battè i tirapugni con ritmo sempre maggiore indifferenze all'odio con cui Pai lo fissò, immobile e intimidatorio.

« A dire la verità ce l'avrei parecchio anche con quello stronzo cagasotto di Toruke visto che si è preso il mio braccio, ma se lo tocco poi Toyu mi romperebbe le palle da qui all'anno prossimo… »

« Fuu Shi Sen! »

Zizi cacciò un'altra imprecazione secca venendo preso allo stomaco da un fiotto di vento poderoso e fu costretto ad assecondare la spinta per non finire ribaltato testa sotto.

« Fuu Rai Sen! »

Il biondo continuò ad inveire riuscendo a stento a scostarsi di lato prima che la sua gamba prendesse un aspetto simile al suolo centrato dal fulmine, dove si era aperta una crepa lunga e profonda, ma Pai non smise di tentare di colpirlo generando lampi con tale velocità che per qualche minuto Zizi potè solo scappare. Ancora l'Ancestrale si limitò a fare una smorfia irritata, sorridendo immediatamente dopo con aria folle:

« Mi piace quella tua faccetta omicida. Sai fare anche un faccino triste? »

Frenò il proprio slancio dopo un salto puntando a terra i suoi tirapugni e scavando dei solchi nel suolo mentre rallentò:

« E se uccido la tua troietta? »

Pai gli fu dietro al collo così velocemente che per un istante Zizi perse il sorriso e cacciò un grido di dolore mentre veniva fulminato alla base della testa; schizzò via come un tappo di spumante per la scarica, ma Pai non abbassò l'arma conscio che non bastasse così poco per farlo fuori: infatti Zizi si rialzò pochi secondi dopo, fumante e con strani tic alla testa e alla mano sinistra, purtroppo pressoché incolume.

« Tu avvicinati a Retasu più di così e ti stacco la testa. »

« Uuuh, sono terrorizzato! – l'arma di Pai sfrigolò minacciosa e Zizi sorrise di nuovo – Allora facciamo così, chi non muore si porta a casa la testa dell'altro. »

 

 

 

Le orecchie le fischiavano orribilmente e la testa era pesante. Forse sarebbe stato meglio dire che la sentiva pesante per via del collo, in quel momento così dolorante che non sarebbe stato in grado di reggere un fuscello, figurarsi un cranio intero.

A ben pensarci non le sembrò che il suo cranio fosse poi così intero; ebbe la sensazione che fosse sbeccato in più punti, come un vaso rotto, e il suo contenuto di colpo liquido e instabile tentasse di uscire dalle crepe bruciandole lungo i muscoli e la pelle nemmeno fuoco vivo.

Tentò di socchiudere gli occhi e il suo sguardo appannato vide a malapena sassolini, terriccio e ciò che un tempo doveva essere stato un tavolo.

Era caduta su un tavolo…?

Come ci era arrivata vicino ad un tavolo? Lei era…

La testa le diede un'altra fitta acuta e iniziò confusamente a ricordare. Tentò di mettersi in piedi, ma la schiena urlò in protesta e l'addome, ancora ben memore del gancio ricevuto da Zizi, le si contrasse al punto che non potè evitare di dare di stomaco. Tossì e sputacchiò, l'odore acre di bile mentre istintivamente soffocò i lamenti dei propri muscoli per allontanarsi un po' dai resti della sua cena e strisciò all'indietro, le labbra serrate tra i denti per non gridare di dolore come avrebbe desiderato.

In qualche modo riuscì a sollevarsi sui gomiti a sufficienza da vedere oltre i resti di abitazione dietro cui era stata scagliata: i suoi occhi erano ancora appannati da lampi neri e dal capogiro, ma riuscì a distinguere la macchia blu e oro di Zizi che rideva indecente e una più scura che lo braccava.

Pai…

Doveva alzarsi. Doveva raggiungerlo. Non poteva, da solo…

Zizi l'aveva già colpita una volta e lo aveva visto a più riprese lottare, era stata in grado di farsi un'idea concreta della sua forza.

Decisamente non era più paragonabile a quella che l'aveva gettata via poco prima.

Si appoggiò a fatica ai resti di un muro per mettersi quasi seduta obbligandosi a riprendere lucidità per vedere bene la scena, Pai non parve così preoccupato come lei della forza di Zizi e continuò a tallonarlo nonostante il biondo schivasse la maggior parte dei suoi attacchi, i tirapugni che scioccavano come tamburelli ad un ritmo incomprensibile, e pure le volte in cui una scarica o un getto di ghiaccio colpirono il bersaglio Zizi si limitò a qualche sporadico lamento cacciando poi altre risa stridule; nemmeno quando un fulmine lo centrò per bene alla gamba passando la coscia da parte a parte l'Ancestrale emise altro che un lungo, straziante ululato e una sfilza delle sue più colorite imprecazioni, per poi incurante e con il volto pallido e teso saltellare sulla gamba ancora sana e squadrare Pai con odio folle:

« Pai-chan vuole proprio che gli spappoli il cervello! »

Retasu vide con un moto di terrore Zizi ricoprirsi di una strana luce, la stessa che aveva intravisto nella dimensione della Torre e attorno a Lindèvi a Szistet. Anche Pai dovette ricordare, perché lo vide mettersi sulla difensiva cercando di capire dove il biondo avrebbe colpito.

Retasu tentò ancora invano di alzarsi e sentì le sue nacchere ricomparirle tra le mani. Non riflettè oltre, solo che doveva impedire a Zizi di attaccare in quel momento.

Il nome del suo colpo fu appena un mormorio e ringraziò che le fosse sufficiente muovere le dita per attivarlo, non aveva molti altri muscoli in corpo disposti a darle retta. Il getto d'acqua abbatté Zizi un istante prima che si scagliasse su Pai: la luminescenza che lo aveva avvolto si spense di colpo e il biondo, centrato in pieno viso, fu scagliato dalla parte opposta investendo un buon numero di banchetti ancora in piedi e lasciandosi dietro un polverone soffocante e uno scricchiolino inquietante di legna.

Pai impiegò una manciata di secondi a reagire. Abbassò il ventaglio e corse verso la ragazza, ancora faticosamente sorretta al muro distrutto per non finire di nuovo con la faccia sul pavimento: doveva avere un aspetto terribile da come il moro impallidì vedendola, eppure sembrò sollevato che fosse ancora cosciente e le concesse un lieve sorriso.

« Non riesco ad alzarmi… »

Ammise lei con voce fievole; Pai le prese entrambe le mani con garbo facendola rimettere in piedi, idea che non si dimostrò felicissima da come la verde tentennò sulle ginocchia e dovette appoggiarsi alle braccia di lui per non cadere.

« Devi metterti al sicuro. – sentenziò piatto, preoccupato dal pallore del suo viso – Ti ha colpita bene. »

« Ce la faccio – gli sorrise incoraggiante, a dispetto del respiro pesante e del poco colore sulle guance – non possiamo allontanarci se non siamo sic- »

Il suo inespresso timore esplose con il fracasso di legna sparpagliata e il botto che Zizi fece riemergendo allo scoperto, i canini candidi scoperti e i pugni stretti contro il torace:

« Sei una mezza sega, vacca da latte! »

Pai non riuscì a schivare il colpo né a pararsi: spinse d'istinto Retasu di lato, che gemette colpendo il muretto basso, e lui fu centrato in pieno sbattendo contro la parete ancora integra alle spalle della verde. La ragazza emise un soffocato pigolio di paura tentando invano di andargli incontro, ma le gambe le tremarono troppo e si dovette aggrappare ai resti di una trave portante; con enorme sollievo vide il moro tirarsi in piedi velocemente, i denti stretti, e ancora intontito dal colpo violento scagliare un Kuu Rai Senpuu Jin dritto verso la faccia del biondo. Il rombo dell'onda di vento, acqua e fulmine fu tale che Retasu lo avvertì vibrarle violento nelle orecchie ed ebbe di nuovo l'impressione di perdere l'equilibrio. Sentì Zizi inveire, stavolta realmente spaventato, e cacciare un altro urlo mentre venne spinto via eppure le sole cose che parvero subire seri danni furono i suoi abiti: l'Ancestrale, malconcio e con il fiato grosso, la sua divisa blu bruciacchiata e strappata, il sorriso finalmente scomparso, storse la bocca in un'espressione di odio sul volto abbrustolito e coperto di taglio, scuotendo appena la testa per il colpo ricevuto e si ricoprì ancora di luce, già pronto al contrattacco.

« Vi spazzo via… Vi spazzo via come formiche, stronzi! »

Pai schioccò la lingua, non seppe se fu per la rabbia o perché avesse capito come gestire il processo di rilascio di energia, ma fu sicuro che Zizi avrebbe agito molto più velocemente e con forse più violenza.

Si mise più dritto possibile, la spalla destra che Lindèvi gli aveva ferito tanti mesi prima e mai completamente ristabilita per i continui sforzi a cui l'aveva sottoposta che gli diede una serie di fitte accecanti, e il cervello che rimbombava dal punto in cui aveva battuto la tempia, quindi si piazzò tra Retasu e Zizi. Il biondo sorrise trionfante.

Per una manciata di secondi rimasero tutti e tre immobili. Pai tentò di trovare una soluzione, non era per nulla certo di resistere in difesa contro tutta l'energia che Zizi pareva voler sfogare, che lui sentì lambirgli la pelle delle braccia e gli fece rizzare i capelli sulla nuca; pochi minuti prima il biondo gli aveva dimostrato quanto rapidamente riuscisse a teletrasportarsi con i ponti di accesso aperti, anche se Pai avesse individuato il millesimo di secondo giusto per sparire prima che l'onda d'urto travolgesse lui e Retasu Zizi avrebbe potuto intercettarli, oppure avrebbero rischiato di trascinarselo dietro verso altra gente.

Nel momento in cui il rombo del colpo esplose in fuori, Pai si ricordò di aver già vissuto una scena simile, con Retasu alle sue spalle e lui che tentava di parare un potere mortale sperando almeno di salvare la vita a lei e alle sue amiche, se non la propria.

La differenza stava solo le sue – forse – più alte possibilità di sopravvivenza.

E nella mano che, con un moto di terrore, sentì posarglisi sul braccio destro mentre Retasu, reggendosi in piedi forse per miracolo, si spostò al suo fianco per fronteggiare il nemico con lui. Pai incrociò un istante il suo sguardo color prato sul viso imperlato di sudore, nell'ombra generata dal suo ventaglio, ma non ebbe tempo di dirle nulla né di rimetterla al sicuro.

L'energia di Zizi colpì il suo scudo con violenza. Un'immensa luce, l'urlo selvaggio dell'Ancestrale.

 

 

***

 

 

Digrignò i denti e capì di emettere un sordo mormorio di gola simile ad un ringhio, mentre il tacco del suo stivale fendette per l'ennesima volta l'aria. Sollevò rapida la sua frusta, perlomeno fino a quel momento era stata in grado di prevedere i suoi attacchi: attraverso i suoi stessi capelli, che le fluttuarono davanti al viso quando girò la testa, vide il manico dell'arma mandare scintille bloccando il fioretto di Toyu e il bel sorriso spaventoso dell'Ancestrale dietro il filo della lama.

« Combattere contro di te è sempre una goduria. »

Zakuro mostrò i denti ferini in pieno dissenso e non gli rispose, inclinando il polso e spingendo via il biondo così da poter schioccare la frusta; il nastro di luce vibrò sollevando macerie e terra e finalmente prese Toyu al petto facendolo indietreggiare di qualche metro e vacillare. Per la terza volta – o quinta, aveva perso il conto in quel forsennato scambio di attacchi – la mewwolf tentò di raggiungere Sury: nella tasca dei pantaloncini avvertiva ancora il peso del cellulare di Kiddan, se tutti i permessi di accesso erano stati forzatamente aperti a logica il suo avrebbe dovuto essere attivo com'era stato programmato senza intoppi; se avesse preso la bambina e lo avesse attivato, avrebbe potuto portarla al sicuro…

Ancora, Toyu intercettò il suo tentativo di fuga centrandola con una spallata al fianco quando Zakuro fu a meno di mezzo metro dalla bambina. Sury strillò spaventata coprendosi il viso con le mani e chiamando la mora, che emise un lamento sordo finendo a terra sotto la spinta e il peso del biondo.

« Insomma, quanto sei testarda…! »

Zakuro trattenne un gemito quando lui la spinse forte a terra. Rapida gli piantò l'avambraccio contro il petto perché non le arrivasse più vicino, cercando nel frattempo di divincolarsi dalla sua presa: l'ennesimo colpo del biondo aveva rallentato le sue reazioni di pochi decimi di secondo, a sufficienza perché lui riuscisse a bloccarla con il proprio corpo a terra, una mano sulla spalla e l'altra sull'elsa del fioretto che piantò al suolo, pochi millimetri a sinistra del suo orecchio.

« Non hai ancora imparato che con me è una battaglia persa? »

Zakuro serrò i denti ancora più stretti. Il suo corpo reagì di nuovo contro la sua volontà, ma lei represse ferocemente quel vago senso di nausea e fissò Toyu gelida e schifata:

« Mi risulta che la tua testa non sia della stessa opinione. »

Toyu storse la bocca rabbioso senza poter rispondere, perché la ragazza spostò abbastanza la gamba da colpirlo con una ginocchiata nel plesso solare e riuscì a spingerlo di lato; balzò in piedi con un colpo di reni e si gettò verso Sury, ma a pochi centimetri dalla bambina fu costretta a ruotare su se stessa e spiegare la frusta per allontanare Toyu dalla piccola. Lui respinse il suo assalto con un solo elegante movimento del fioretto ed entrambi balzarono indietro per assecondare il contraccolpo.

Zakuro strinse le nocche, Sury era un'altra volta fuori portata e Toyu la fissò probabilmente divertito della sua frustrazione, leccandosi le labbra con fare osceno.

La mewwolf arrivò a conficcarsi le unghie nei palmi mentre qualcosa le si scosse da qualche parte tra le interiora, facendole precipitare una massa viscida e gelida nello stomaco.

Era insopportabile. Fino ad allora aveva creduto che del suo incontro ravvicinato con Toyu le fosse rimasto solo il brutto ricordo e quel minuscolo, indistinguibile segno sulla coscia; a Szistet si erano affrontati, pur per pochi istanti, e la sua indifferenza rabbiosa verso di lui aveva confermato la sua convinzione.

Eppure in quel momento, dovendo lottare con lui direttamente, costretta ad avvertirlo scivolarle alle spalle come un'ombra, sentendo la sua voce melliflua lambirle le orecchie e la sua mano sinistra, quella che non stringeva l'elsa della sua lama, che si protendeva per afferrarle il polso quando attaccava, per sfiorarle un braccio o che come poco prima la teneva, bloccandole i movimenti pur se per poco, tutto l'essere della mora reagiva in modo incontrollato. Brividi di disgusto le accapponavano la pelle e un vago senso di irrequietezza le irrigidiva le membra, rallentandole i movimenti, e nella sua testa esplodevano immagini di quei devastanti minuti in cui Toyu, nella dimensione degli Ancestrali, era riuscito a saltarle addosso dandole un breve e chiaro assaggio di cosa avrebbe fatto di lei. Il puzzo del suo fiato le tornava prepotente alla memoria così come la sensazione dei palmi disgustosamente intenti a toccarla sopra e sotto i vestiti, facendole montare ancora la nausea.

« Che brutta cera che hai – soppesò il biondo con fare amabile – sei stanca, piccolo glicine selvatico? »

« Azzardati a chiamarmi ancora così e ti squarcio la gola. »

« Sei ancora più violenta del nostro ultimo appuntamento. Mi fai davvero intristire. »

Rise a labbra strette e il suo sguardo, alienato e lascivo, costrinse Zakuro a deglutire per fermare il tremolio gelido di ribrezzo che le salì lungo la gola.

« E pensare che potrei farti godere così tanto… »

« Il giorno che tu riuscirai a sfiorarmi ancora sarò un cadavere. »

Lui disegnò un cerchio con la punta del fioretto e sorrise come il migliore degli amanti:

« Ogni tuo desiderio è un ordine. »

Le piombò addosso. Zakuro sentì Sury chiamarla ancora in preda al terrore e cercando di non distrarsi si allontanò velocemente da lei quanto più possibile perché non venisse coinvolta nella lotta.

La frusta della mewwolf squarciò il terreno e le macerie accumulate raggiungendo più volte il nemico, ma Toyu si limitò a bloccare gli assalti con pigri e stranamente sgraziati movimenti di fioretto; man mano che si scontrarono Zakuro notò che sempre più spesso i suoi colpi andarono a segno centrando l'Ancestrale alle braccia o al petto, eppure lui si limitò ogni volta ad assecondare la spinta ricevuta lamentandosi di quanto patito soffiando tra i denti, tornando poi a sorriderle sensuale e a contrattaccare.

La mora si convinse che ci fosse qualcosa di strano. Toyu, nonostante l'apparenza, non era mai stato controllato ed elegante come voleva apparire, ma c'era una strana luce sul suo volto che la fece rabbrividire, una chiara nota di follia che lei aveva intravisto solo quando il biondo, fumante di rabbia, aveva intuito il furto dei loro frammenti di Dono. Pure il suo modo di combattere parve risentire di quell'anomalia, era meno tecnico nel colpirla, più rozzo e scoordinato, allo stesso tempo più violento.

Le riflessioni della mora furono stroncate da un affondo diretto alla sua gola; mentre girò di centottanta gradi per evitare il colpo e poter ricambiare la gentilezza Toyu la centrò con una gomitata allo zigomo. Zakuro, a mezz'aria nella foga dello scontro, precipitò contro il tetto di una casa distrutta e non trattenne un lamento secco mentre sfondò il soffitto del secondo piano e si incastrò in quello del primo; avvertì vagamente Sury chiamarla disperata.

« Scusa per lo sgarbo – disse Toyu con finta voce contrita – sto facendo seria fatica a trattenermi. »

Zakuro non diede risposta, si alzò e corse alla parete che dava sulla strada, completamente squarciata, fissando Toyu con il fiato pesante e lo sguardo di puro odio in barba al proprio corpo che gridò di dolore; alla frase del biondo lei corrucciò appena la fronte e lo vide sorridere più soddisfatto:

« Allora te n'eri accorta, uh? Come mi osservi bene. »

« Difficile non prestare attenzione ai movimenti di qualcuno che cerca di ucciderti. »

Ribattè velenosa e Toyu rise allegro.

« Temo che sia la vicinanza del Dono e di Deep Blue-sama – rispose vagamente – l'Atavismo… Sta iniziando a reagire in modo strano… »

Si osservò una mano come ipnotizzato:

« Questa forza a volte… È difficile controllarla… Ti fa sentire con il cervello annebbiato… »

Inclinò la testa di lato e sorrise con un tale intento omicida che Zakuro non tentò neppure di bloccarlo: appena lui si fu dato lo slancio per balzarle addosso lei schizzò a terra evitandolo e gambe in spalla scattò verso Sury, l'istinto animale che ruggì in allarme. Dovevano andarsene immediatamente.

« Onee-san! »

La bambina allungò le braccia verso di lei e Zakuro fece altrettanto con la mano libera. Solo un passo ancora…

L'urlo di Sury coprì il suo quando la lama le aprì un grosso taglio sul fianco. Accecata dall'affondo Zakuro caracollò in avanti cadendo in ginocchio e si strinse le mani al ventre, tossendo nel tentativo di riacquistare l'aria che le sembrò svanita dai polmoni.

« No, no, tesoro. Te l'ho già detto – flautò Toyu avvicinandosi – non ho alcuna intenzione di farti andare via questa volta. »

Prima che lei potesse impedirlo la girò a pancia in su con un calcio e le premette un ginocchio sulla pancia; Zakuro si azzannò a sangue il labbro inferiore pur di non fargli sentire il gemito di dolore che le strappò comprimendo vicino alla ferita fresca. Il biondo le afferrò il volto con una mano lambendole il naso con il proprio:

« Purtroppo dubito che Deep Blue-sama mi permetterebbe di portarti con me – sospirò triste come un bambino che ha perso il suo giocattolo preferito – ma tranquilla, ti farò godere talmente tanto che l'idea di morire non ti peserà poi trOhi! »

Entrambi rimasero immobili per un momento. Toyu lasciò la presa sul volto di Zakuro, confuso, e la mora sbarrò gli occhi intanto che un altro sassolino, non dissimile da quello che aveva colpito poco prima l'Ancestrale alla nuca, beccò ancora il suo bersaglio con estrema precisione. La mora sentì le viscere rattrappirsi all'istante.

« Lascia stare l'onee-san!! »

« Sury, no! »

Toyu si girò molto lentamente, ancora incerto se stesse succedendo quanto i suoi sensi gli stavano lasciando ad intendere. Un altro sassolino lo colpì, stavolta in mezzo agli occhi, e le sue iridi celesti brillarono feroci.

« Allontanati da lei! Brutto…! Stupido sacco di cacca! Cattivo! Stronzo! Non toccarla! »

« Sury! Non-! »

Le proteste di Zakuro si spensero in un lamento quando l'impugnatura della spada di Zizi le sbattè dritta in faccia. La mora avvertì l'orecchio sinistro darle un'acuta fitta di dolore e poi sibilare forte, mentre accecata dal colpo si afflosciò mollemente su un fianco; capì che Zizi si era alzato, ma il suo sguardo non recepì altro che macchie bianche e l'unica cosa che le fu chiara fu il rivoletto caldo che le colò lungo il mento.

« … Ecco perché avevo la sensazione di conoscerti – mormorò Toyu minaccioso scrutando Sury – hai i suoi stessi occhi… E anche il tuo essere irritante ci è molto vicino. »

La bambina strozzò un pigolio:

« L-lascia stare l'onee-san, brutta merda! »

Strillò la voce acuta che si alzò colpevole di un'ottava sull'imprecazione.

« Non sai un po' troppe parolacce per una signorina? – la canzonò gelidamente lui, divertito dal pallore verdastro del suo visetto – Dovrebbero lavarti la bocca con il sapone. »

Zakuro cercò di tenere gli occhi aperti e si mise in ginocchio. Davanti a sé vide ancora esplodere lampi di luce e la tempia pulsò come se avesse un martello pneumatico puntato dall'interno, eppure doveva alzarsi immediatamente, doveva allontanare quel sadico da Sury…

« O magari faremmo prima a tagliare la lingua – propose ancora Toyu guardando la bambina con odio – così farei un altro bel regalino a Toruke, oltre a godermi la sua donna. »

« Se fai del male alla nee-san il fratellone ti arrostirà il sedere! Cretino! »

Insisté la piccola alzando il mento convinta; Toyu ovviamente divenne solo più seccato e al sentire nominare Eyner assunse un'espressione furiosa:

« Che paura! E se appendo sua sorella ad un palo aperta per la pancia? »

« Stai… Lontano da lei! »

Zakuro tentò di alzarsi e la testa le ruotò al punto che lei ondeggiò goffa da un piede all'altro, il panico crescente: l'aveva colpita con incredibile forza, non riusciva a riprendersi, e lei poteva già distinguere il fioretto di Toyu muoversi  per puntare a Sury che, ferita e terrorizzata, non sarebbe mai potuta scappare.

« Fermo! »

Zakuro si sforzò per vedere meglio, qualcun altro aveva urlato contemporaneamente a lei. Scorse quattro figure sbucare da un angolo, quattro soldati che alla vista di Toyu erano impalliditi ma che puntarono comunque le proprie armi contro di lui con fare minaccioso. Tra loro la mewwolf riconobbe una zazzera aranciata del soldato che aveva visto duellare mesi prima contro Purin e quel pomeriggio scherzare assieme ai ragazzi: come i compagni apparve parecchio malconcio e perse molto colore in viso riconoscendo Toyu, però punto ugualmente il suo bastone nero contro di lui; gli occhi verdi del ragazzo sbirciarono furtivi verso Sury, corrucciandosi quando capirono che la bambina era impossibilitata a mettersi al sicuro, e poi verso Zakuro che si limitò a rivolgergli un muto cenno allusivo.

Portatela via di qui…!

« Allontanati immediatamente! »

Gridò ancora uno dei quattro sforzandosi di mantenere un tono imperioso. Toyu scrutò tutti loro con sguardo indifferente:

« Come volete. »

Il primo fu il soldato che aveva urlato l'ordine. Non si accorse nemmeno con precisione di quanto successe, intravide solo un lampo dorato e il bagliore di occhi azzurri prima che Toyu gli tranciasse la gola; altri due risposero gridando di rabbia e attaccandolo su due fronti, mentre Roovy dopo aver fallito il suo affondo dall'alto, respinto con un pigro gesto del braccio da Toyu, comprese le poche speranze che avessero di affrontarlo direttamente e cambiò traiettoria dirigendosi verso Sury.

Toyu intuì la sua mossa successiva e non sembrò apprezzare. Zakuro vide liquide onde di luce brillare attorno all'Ancestrale, le stesse che, emesse da Zizi nella foresta, l'avevano travolta, ma non si mosse in tempo.

Gli altri due soldati, più vicini a Toyu, finirono in cenere con solo dei fiochi lamenti. Zakuro scorse Roovy raggiungere Sury, poi l'energia la colpì con violenza e lei, ancora stordita, non riuscì a fare altro che coprirsi il viso con le mani; capì di rotolare per alcuni metri fino ad arenarsi contro un edificio, o forse un banchetto ancora integro, e pur rimanendo solo per pochi istanti accecata e incapace di muovere un dito a causa dell'onda d'urto ebbe la sensazione di rimanere imprigionata per ore: fiotti di aria rovente le scottarono la pelle scoperta, togliendole l'aria dai polmoni, e la luce era tale da avere difficoltà a distinguere il proprio stesso corpo o solo tenere aperti gli occhi.

Quando tutto finì lo sguardo della mora puntò immediatamente su Sury. Percepì la sua voce prima di vedere la piccola, ricominciando a respirare, e si sforzò di mettersi in piedi capendo che la bambina piangeva spaventata:

« Roovy-san! Roovy-san! »

Zakuro riuscì ad avvicinarsi abbastanza da vedere bene; Roovy non era riuscito a teletrasportarsi in tempo però aveva potuto fare da scudo per la bambina, anche se con risultati terribili: dei suoi abiti sul lato destro del corpo non c'era quasi più nulla e la mewwolf vide la carne dilaniata e nera, compresa quella del volto che apparve una grottesca maschera bipartita; il giovane emetteva a stento dei bassi gorgoglii, la bocca semichiusa mentre tremava lievemente, le braccia ancora attorno a Sury che non smetteva di singhiozzare.

« Deep Blue-sama mi sostenga, come sei irritante ragazzina. »

Toyu mosse un passo verso i due e dovette immediatamente retrocedere per non essere colpito dalla frusta di Zakuro. La mora si frappose fra lui, Roovy e Sury, gli occhi celesti divenuti duri come pietre dalla rabbia.

« Riesci a muoverti? »

Dalle sue spalle si udì un rantolo male articolato che la mewwolf interpretò come un assenso da parte del soldato.

« Portala via. Adess… »

Toyu le si scagliò contro. Zakuro lo respinse con ferocia, ma era ancora un poco stordita per i colpi e l'esplosione e l'Ancestrale riuscì a schivare un suo affondo, doppiandola e puntando nuovamente agli altri due. Zakuro gli gridò ancora di fermarsi, girò su se stessa e gli corse dietro con tutte le proprie forze scacciando la terrificante certezza di non raggiungerlo in tempo. Sury cacciò un grido aggrappandosi al braccio illeso di Roovy e chiudendo gli occhi.

Poi di colpo si udirono due lame cozzare e Toyu si fermò. Il biondo imprecò tra i denti e balzò indietro evitando una fiammata che per poco non gli aprì l'addome a metà.

« Irhokay! Vattene! Ora! »

Il soldato emise un mormorio sordo e scomparve con uno schiocco, Sury con sé che si era ammutolita vedendo quanto stava succedendo ed emise una lieve protesta che si perse nel risucchio del teletrasporto. Zakuro abbassò la frusta concedendosi due secondi di abbandono al sollievo.

« Che fratellone cattivo! »

Il sarcasmo di Toyu parve un ringhio mentre squadrò feroce il suo avversario, tenendosi a debita distanza dalla sua arma:

« Farla portare via così senza nemmeno chiederle come sta, non hai proprio cuore. »

Eyner non si diede pena di rispondergli puntando il jitte alla sua gola:

« Il fatto che tu abbia solo osato pensare di sfiorare Sury sarebbe stato sufficiente. – sibilò – Ma ti avevo avvisato. »

Spostò un secondo lo sguardo su Zakuro e le sue ferite e la pupilla ferina del bruno divenne così sottile da risultare indistinguibile nel centro grigio dell'iride:

« Se ci avessi riprovato ti avrei ucciso sul serio. »

« Sono terrorizzato. »

Due rapide vampe esplosero contro il biondo che le schivò di fortuna all'ultimo secondo, che dovette strapparsi la manica destra prima che le fiamme sul polsino arrivassero a lambirgli la carne; Zakuro faticò a seguire i primi momenti, costringendo a forza i propri sensi a tornare alla lucidità, ebbe l'impressione che nonostante la strafottenza Toyu non fosse così sicuro di sé, specie capendo che le minacce del bruno non erano per nulla a vanvera.

« Hai deciso di fare sul serio. »

Perseverò beffardo ed Eyner in risposta gli fu di nuovo addosso, mancandogli il viso solo di pochi millimetri:

« Vuoi vedere quanto? »

 

 

***

 

 

Se la maggior parte dei civili era stata evacuata purtroppo alcuni gruppi si trovavano ancora nel pieno della confusione più totale, nel mezzo di un fuoco incrociato tra chimeri e Ancestrali; la confusione era tale che Ichigo, stordita dalla strana visione che l'aveva colpita minuti prima, non seppe più da che parte girarsi o cosa fare: la gente urlava nella polvere e negli scoppi confusi e lei ebbe l'impressione di sentire il sibilo ormai così noto e terrificante delle lame di Lindèvi sempre un po' troppo vicino a sé, sebbene non ne scorgesse la sagoma o ne udisse la voce.

Doveva trovare la Goccia, dov'era nascosta, là si stavano dirigendo Toyu e gli altri.

Sì, ma dov'è?! Dove?!

Corse un altro po', frenò coi talloni, si guardò attorno spaesata, fece dietrofront e poi andò a destra senza meta. Non aveva idea, non aveva la minima idea di dove fosse. A vagare a quel modo perdeva unicamente tempo.

E a cosa sarebbe servito…?

Da sola…

Cos'avrebbe potuto…?

Gli altri. Doveva trovare gli altri…

Ryou.

Il pensiero del biondo paralizzò di nuovo la sua corsa.

Un grido disperato la fece voltare di scatto. Urlò anche lei capendo cosa stesse facendo il chimero-Lindèvi poco distante, chino in avanti su una massa indistinta. La rossa strinse i denti rabbiosa con le lacrime agli occhi e colpì il chimero più e più volte alla base del collo con la sua campanella, senza nemmeno pensare a sprigionarne il potere: il chimero emise un gorgoglio sordo e un gemito sgraziato, alzando le lame intrise di sangue e mostrando alla mewneko il volto deformato in un ringhio di denti acuminati; la Strawberry Bell brillò un secondo colpendo l'essere all'altezza degli occhi e quello si contorse e barcollò all'indietro ricevendo una poderosa tallonata dalla ragazza alla gola. Ichigo lo guardò agitarsi come un pesce sulla sabbia allontanandosi e guizzando via e i suoi occhi si posarono sul corpo – una donna, probabilmente? – che  il chimero aveva dilaniato dal collo allo stomaco.

L'aria le svanì dai polmoni. Si alzò con uno scatto nervoso in preda al terrore.

Ryou.

Ryou. Doveva trovare Ryou, prima di ogni cosa. Prima degli altri, prima della Goccia, doveva trovarlo.

In quella devastazione, lui, da solo…

Doveva trovarlo, doveva trovarlo…

L'ha trovata.

Stavolta la fitta al petto fu tale che pensò le avessero sparato. Le ginocchia non la ressero, ma il bruciore della pelle scoperta che sfregò contro il terriccio non lo sentì neppure in confronto all'oppressione dei polmoni.

Sa dov'è. La prenderà. La prenderà…

Succederà di nuovo…

Vincerà…

Ichigo si strinse la stoffa del corpetto come se fosse una camicia di forza e la soffocasse, quasi sperando che scostare il bustino sagomato avrebbe spezzato la morsa inspiegabile che le schiacciava il petto.

Emise un gemito, quasi un tentativo di respiro, rivoltandosi a pancia su e agitando le gambe nel tentativo di scappare dalla presa invisibile.

Non andare.

Non andare.

Non andare.

Non andare.

Possiamo ancora… Possiamo…

Non deve completarlo.

Per un secondo fu tutto nero.

Poi, un secondo dopo ancora, la cacofonia di grida e colpi svanì dalle sue orecchie. C'era silenzio, un silenzio incombente e spaventoso interrotto da rimbombi lontani simili a tuoni; però fu difficile definire ulteriormente la cosa, era come se tutto fosse distante, sfocato, poco percepibile.

Sotto di sé, all'improvviso, non più terreno battuto ma liscio e freddo marmo. Grandi lastroni di pietra levigata a tappezzare il pavimento di una stanza dalla volta rotonda con le pareti che curvavano verso il centro del soffitto; eleganti lesene ne seguivano la forma unendosi al lastricato con parti a forma di foglia ogivale, che puntellavano regolari il perimetro.

La rossa spalancò gli occhi. Almeno ebbe la sensazione di farlo, percepì di acuire la sua vista sebbene avesse la certezza, neppure lei seppe perché, che le sue palpebre fossero ben chiuse.

Sul fondo della sala scorse quello che le parve un trono e il cuore le mancò un battito causandole una fitta dolorosa.

Aveva già visto una stanza simile.

Eppure… Non era la stessa. Le pareti non erano ermeticamente chiuse, quelli che aveva intuito come muri di vetro erano spaccati a goccia ai lati e sul fondo del salone con intervalli regolare, oltre i quali poteva scorgere altri eleganti edifici bianchi e un paesaggio confuso. Benchè non vedesse bene però le fu chiaro che le costruzioni al di fuori, così magnificenti, fossero state di recente deturpate, come da un terremoto; udì qualcosa in quello che aveva percepito come silenzio, grida lontanissime, e capì che il sordo vociare dei tuoni in realtà proveniva da un unico punto, un'enorme macchia scura di cui intravedeva uno spicchio dietro una colonna.

Una montagna, forse…?

No, le montagne non emettevano né fumo né fuoco.

Un vulcano. Un vulcano in piena eruzione. E ciò spiegava le nubi scure che soffocavano il cielo, e le scosse che facevano tremare il sontuoso salone.

Guardò ancora di fronte a sé, la vista che poco a poco divenne più chiara. Il trono che aveva creduto sul fondo della stanza era in realtà al suo centro e leggermente sopraelevato, a ben guardare di fronte ad esso c'erano molte altre cose che presero forma pian piano come macchie dietro a lenti che venivano messe a fuoco di secondo in secondo.

Una sorta di fontana da cui – come aveva fatto a non vederla prima? – brillava una luce accecante. La luce di una sfera luminosa delle dimensioni di un pompelmo. Una figura, alta, imponente e spaventosa, che dava le spalle alla rossa e i lunghi e fluenti capelli neri; lei capì immediatamente chi fosse e grattò il pavimento con le unghie per reggersi e non crollare dalla paura, mai avrebbe pensato che lui potesse spaventarla più di quanto avesse fatto in passato, eppure la sua sagoma le apparve più intimidatoria e oscura che mai, immobile e silenziosa.

Ichigo spostò lo sguardo sull'ultima cosa nel suo campo visivo, abbandonata sul fondo dei tre gradini che innalzavano il trono dal pavimento, qualcosa di immobile con lunghi capelli color fieno.

La rossa smise di respirare ed esalò un gemito d'orrore.

Luz. Era Luz, un pallore mortale sul viso magro e un alone rosato e spaventoso su un elegante abito paglierino. La visione della giovane, così fragile e bella e di certo orribilmente strappata alla vita avrebbe raggelato chiunque, la mewneko ne ebbe la certezza, eppure Deep Blue non degnò d'interesse l'esistenza di quell'orrore.

Un nuovo tuono, un altro rimbombo della volta e una voce che urlò un nome che Ichigo non distinse. Si girò di scatto e vide da un corridoio spuntare una terza figura, sbarrando gli occhioni rosa alla sua vista.

Ao no Kishi, o Tayou che dir si volesse, assunse la stessa espressione si scioccato orrore alla vista di Luz e per qualche momento rimase in piedi sulla soglia. Non assomigliava neppure vagamente all'Ao no Kishi che Ichigo aveva incontrato anni prima, o al bel ragazzino che aveva visto nei suoi sogni, né al giovane aitante che aveva spinto il fratello all'ovazione della folla: era magrissimo, il viso sporco e gli abiti lisi e altrettanto sudici, i capelli biondi avevano assunto un colorito cinereo per la polvere e dal fiato grosso non parve essere giunto lì con calma o con facilità; eppure la sua voce risuonò più potente dell'eruzione in sottofondo nella sala vuota.

« Cos'hai fatto?!? »

« Nulla che una mente limitata come la tua possa comprendere. »

Sentendo quella voce Ichigo trasalì e sentì le unghie raschiare il pavimento, dopo tanto tempo non immaginava di tremare così nel risentire quel tono calmo e dolce eppure così spaventosamente crudele e gelido. Tayou mandò uno strano verso a metà tra un sibilo di rabbia e un singhiozzo e arrancò nella stanza cadendo in ginocchio accanto a Luz, prendendola tra le braccia; Ichigo lo sentì mormorare qualcosa, ma il sottofondo era troppo perché capisse le sue parole, mentre Deep Blue non mostrò ancora interesse, troppo concentrato sulla sfera luminosa sempre più pulsante e accecante.

« Non toccarla con quelle mani sudice. »

« Le mie?! – strillò Tayou fuori di sé – Guarda cos'hai fatto! »

Deep Blue si girò e finalmente un moto di rabbia e disappunto spuntò sul suo viso:

« E per colpa di chi siamo arrivati a questo punto? »

Tayou parve turbato e abbassò la testa colpevole. Deep Blue aprì ancora la bocca e disse qualcosa di minaccioso, ma di nuovo Ichigo non capì le parole ascoltando solo un fastidioso rombo lontano.

Vide Tayou adagiare il corpo ormai privo di vita di Luz con fare amorevole, scostandole i capelli biondi dal viso, e prendere ad inveire contro il moro incurante di quanto lui apparisse forte e imponente al suo confronto, stanco, emaciato e disarmato. Ichigo non colse che stralci delle loro frasi, via via sempre più urlate, comprendendo unicamente che la sfera di MewAqua aumentasse le proprie pulsazioni e il pavimento tremasse con sempre maggior frequenza.

« Perchè tutto questo?! »

« Il tuo problema è sempre stato non comprendere. »

Rimbombi cupi più frequenti. La MewAqua aumentò di dimensioni.

« Simili sacrifici per questo?! Il potere?! »

« La supremazia! Il…! »

« Solo questo?! »

« Ciò che resta quando manca la lealtà. »

« Questo…! Sei…! »

Spezzoni sempre più distorti, Ichigo ormai non comprendeva che parole isolate e senza senso.

« Cose scontate per te, forse…?! »

« Con quali risultati?!? »

Deep Blue trasfigurò in volto. Il suo urlo arrivò ad Ichigo come un fischio cupo.

Altri tuoni, una colonna si crenò in tutta la sua lunghezza e un'altra si spaccò in due. La MewAqua, splendente, enorme e bellissima sembrò quasi viva e per la prima volta la mewneko osservò la sostanza con una paura indistinta a gelarle le vene.

Ancora grida che non capì. Tayou fece per allungare il braccio verso Deep Blue e il moro mosse la mano disgustato, scagliandolo dalla parte opposta della stanza come fosse una bambola di pezza. Gridò ancora ergendosi in tutta la sua altezza mentre l'altro, tremando per il dolore, si alzò fronteggiandolo ancor più minaccioso:

« Io mi fidavo di te! »

« La cosa è reciproca. »

« Lei si fidava di te! »

« E di te. »

« Come hai potuto tradirla così?!? »

Stavolta Deep Blue non rispose. Piegò la testa impercettibilmente alla sua sinistra, verso il basso, risollevandola prima di incrociare altro che il profilo della propria giacca.

Ancora grida e rombi e fischi. Deep Blue divenne cereo di rabbia e Tayou lo guardò quasi con disperazione:

« Come hai potuto tradirmi così?! »

« Io avrei tradito te?! Tu avevi fatto una promessa, e non l'hai mantenuta! »

Per un momento la voce dell'essere dai capelli neri parve velarsi di una nota d'umanità. Ichigo non seppe se sé la fosse sognata o l'avesse udita davvero, la discussione si riaccese e i due passarono ad attaccarsi.

Due spade talmente simili da essere gemelle comparvero dal nulla. Il clangore del metallo sul metallo, così secco da ferirle le orecchie.

Durò pochi secondi. Le immagini di fronte ad Ichigo si fecero più confuse, balenii di luce seguiti da lampi di oscurità.

Vide sangue sul pavimento, entrambi i duellanti fermi. Chi era ferito, chi aveva vinto?

Non si mosse nessuno.

Buio. Luce. Deep Blue in piedi e una lama argentea che lo trapassava dall'addome al petto. Un rumore di acciaio contro il marmo.

Ancora e solo buio.

 

« Sei il mio sovrano. E ti seguirò per tutta la vita. »

« … Puoi giurarlo? »

« Cosa? »

« Puoi giurarlo? Pure pensando alle scelte più terribili? »

« Parli come se dovessi distruggere il mondo…! »

« Devo salvarlo, è diverso. – non si stupì del silenzio che gli rivolse – E il prezzo che potrei dover pagare potrebbe farmi perdere ciò che ho raccolto finora. O farmi perdere me stesso. »

« … Tu… »

« C'è solo una persona che mi ha sempre dimostrato la sua lealtà, e mi domando se potrebbe giurarla ancora. »

« Per qualunque cosa? »

« Sì. »

« Qui ed ora. »

« Allora giura. »

« Dove andrà il tuo cuore andrà la mia fedeltà. Dove andrà la tua volontà, lì andrà la mia spada. »

« … Sia. »

 

 

 

 

 

***

 

 

Ebode non fece che torturarsi le mani in un gesto nervoso, iniziava a dubitare del proprio destino. Aveva visto Arashi, l'attuale comandante dei Quattro Ancestrali, scomparire verso la superficie con il vecchio Kiddan e tornare giù da solo reggendo qualcosa in una mano di cui, nel buio, non intuì l'origine; Arashi aveva poi salutato lui e Opurh con fare rispettoso e distaccato, quindi aveva chiesto loro di seguire lui e Lenatheri per risolvere una "tediosa quanto semplice questione".

Altre delucidazioni non erano state date loro e i due uomini camminavano già da lungo tempo per l'oscura cavità della Città Sotterranea, Lenatheri alle loro spalle e Arashi ad aprire la strada. Avevano superato le case più periferiche e proseguivano ormai in una penombra gelida, illuminata solo da una piccola sfera di luce azzurrata che Arashi faceva fluttuare sulle dita, dirigendosi verso una zona di cui Ebode fino a quel momento aveva ignorato solo esistesse.

L'ansia iniziò a crescere nell'ex-consigliere al contrario che in Opurh, sempre rigido e composto mentre avanzava a passo rapido incurante tanto di Ebode che dei loro due accompagnatori.

« Ho quasi l'impressione che lei sappia dove ci stiamo dirigendo. – tentennò Ebode pur di rompere quel silenzio esasperante – Sbaglio nobile Opurh? »

« Le sue impressioni, come sempre, sono dettate da pregiudizio ed errata analisi della situazione – replicò l'ex-ufficiale con distacco – tuttavia posso intuire cosa ne sarà di noi. »

« Intende dove ci stiamo dirigendo, giusto? »

Domandò ancora con una risata nervosa. Opurh non rispose.

All'improvviso Arashi si fermò. Erano di fronte ad una parete solida, brulla e vuota, non diversa né per colore o altro con tutte le altre pareti dell'immensa cavità; Ebode notò con minimo sollievo che perfino Lenatheri apparve un momento confusa mentre Arashi passeggiò lungo il muro con lentezza, soppesando ogni punto senza particolari espressioni del volto.

Si fermò solo quando per un momento il suo corpo emise un vago bagliore azzurrato. Ebode cacciò uno strillo di spavento che soffocò con uno sciocco colpo di tosse, mentre Opurh sgranò gli occhi e si corrucciò nuovamente:

« Ovvio che puntaste a questo… »

« Aveva altri pensieri, nobile Opurh? – domandò Arashi leggero – Non ci sono ragioni valide per noi e per il nostro signore per rimettere piede su questo sudicio immondezzaio e tra i ratti di questo popolo morto. »

Opurh contrasse la mascella in evidente disaccordo, ma non disse nulla. Arashi sollevò ciò che reggeva nella mano destra ed Ebode pigolò di orrore.

« Ciò che le menti ottuse non capiscono ancora è quanto il Dono sia, di fatto e di diritto, esclusiva proprietà e parte propria di Deep Blue-sama. – disse Arashi con noncuranza – Scoprire come raggiungerlo è stato molto semplice. Gli è stato mostrato come fare. »

Lenatheri si contrasse su se stessa vedendo Arashi poggiare alla parete l'avambraccio sinistro di Kiddan. L'arto meccanico, inerme e ancora tinto di rosso scuro dal lato da cui era stato strappato al braccio vivo, reagì non appena sfiorò la parete: le lunghe dita metalliche si contrassero e si torsero di quasi trecentosessanta gradi, cigolarono, si tesero sui loro ingranaggi e sulle sbarre di sostegno tendendosi in fuori e si piegarono di nuovo ad angolo retto, poggiandosi contro il muro nell'imitazione di un brutto ragno luccicante; si udì un click metallico e le punte lucide entrarono in scomparti invisibili nella pietra, sbloccando il meccanismo difensivo.

La parete emise un balugino. La barriera attorno ad essa si dissolve e altri rumori di ruote dentate echeggiarono nel silenzio della grotta come rintocchi da funerale finché il muro, cigolando, non si spaccò in due a sufficienza perché tra i due lati dello stesso passasse un uomo in piedi. Arashi sospirò soddisfatto ed entrò.

Lenatheri tardò qualche momento e poi spinse con poco garbo Ebode, mentre Opurh seguì l'Ancestrale senza mostrare altra espressione che il suo viso accigliato.

« Che… Che sistemi di sicurezza grotteschi e antidiluviani! – bofonchiò Ebode timidamente – Arashi-sama, non sarebbe stato sufficiente distruggere questa insulsa paret- »

« Noto come sempre che sapete quand'è il momento di lisciare un po' i vostri superiori. »

Lo interruppe il biondo incolore, un vago sentore di scherno e disprezzo nella voce. Ebode si azzittì con uno squittio.

« Kiddan-san non era uno sciocco, e non lo sono né Ikisatashi né Luneilim. E benchè qualsiasi nascondiglio sia inoccultabile allo sguardo di Deep Blue-sama, non abbiamo al momento idea di altre soluzioni adottate… Che di certo si sarebbero attivate ad un tentativo forzato d'ingresso. »

Spiegò condiscendente ed Ebode abbassò la testa umiliato.

« Data l'attuale scomparsa di Kiddan-san, non è sembrato saggio tentare un approccio più… Irruento. »

Per la prima volta Lenatheri vide Arashi sorridere, pur vagamente, e pregò la smettesse subito, lo trovò terrificante e falso da darle il vomito.

« In fondo si tratta solo di passeggiare. E chiedere il vostro prezioso e totalmente gratuito aiuto. »

 

 

***

 

 

« Che cos'hai? »

Sando non rispose alla domanda e ruotò il karambit sull'indice scrutando attorno torvo e pensieroso. MoiMoi posò pesantemente a terra il martello e gli afferrò il polso scuotendolo:

« Ehi parlo con te. »

« … Non mi piace. »

« Cosa? Che sia zeppo di chimeri e non abbiamo ancora la minima idea di dove siano Zizi e compagnia? »

Domandò il violetto sarcastico, ma Sando non fece una piega:

« È questo il problema. »

« Come? »

« Tutta questa confusione e loro ancora non si sono visti, sono rimasti in disparte lasciando andare i chimeri avanti. »

MoiMoi non rispose e corrugò la fronte intuendo i dubbi del verde:

« Pensi stiano tramando qualcosa? »

Gli occhi scuri di Sando divennero ancora più cupi:

« … Penso di sapere cosa e dove. »

MoiMoi strinse le dita sul manico del martello capendo:

« Andiamo. »

« No. »

Gli poggiò bruscamente una mano sulla spalla:

« C'è ancora zeppo di queste bestiacce. Tu servi di più qui. »

« Ma io… »

« Non sono mica un pivellino, ebete. Non mi serve la scorta. »

Lo rimproverò eppure a MoiMoi parve voler essere rassicurante; sospirò e annuì poco convinto:

« Lo so. »

« Nee-san! – Purin corse dai due guardandoli preoccupata – Che succede? Tutto a posto? »

« A postissimo Purin-chan. »

Le sorrise il violetto; Sando annuì grugnendo e richiamò Taruto con un cenno:

« Vado a fare un controllino in un posto. – disse spiccio e accennò a lui e a MoiMoi con la testa – Lascio la cosa qui a voialtri, intesi? »

Taruto annuì deciso.

« Ehi, e io chi sono?! »

« Una che mena forte, ragazzina – rise il verde guardando Purin divertito – Vedi bene di continuare così. »

Lei fece un esagerato cenno militaresco e corse contro due chimeri in tentativo di fuga; l'uomo stese un ghigno e tornò serio poggiando una mano sulla spalla di Taruto:

« L'affido a te, ok? »

Non servì stavolta che indicasse MoiMoi. Il brunetto drizzò le spalle orgoglioso della richiesta e annuì con ancor più vigore:

« Sissignore. »

Così dicendo si girò e balzò all'attacco di alcuni chimeri-Toyu giunti in soccorso dei compagni, bloccandone quattro con i suoi chimeri-pianta e finendone altrettanti coi suoi pugnali.

« Non sono mica una novellina, sai? »

MoiMoi guardò Sando sarcastico e il verde sospirò accennando ad un sorriso:

« Lo so. »

Si fissarono qualche istante in silenzio, poi prima che il violetto dicesse qualcos'altro per fermarlo o convincerlo ad andare assieme Sando gli diede un bacio e sparì con uno risucchio sordo. MoiMoi rimase ancora fermo rivolto verso il punto in cui era svanito, sospirò e si girò di scatto spappolando un chimero-Lindèvi come una mosca con la paletta.

 

 

***

 

 

« Conferma censimento: settori da 32 a 78 sgombri, evacuazione completata. »

« Queste sono notizie che voglio sentire. »

Disse Iader con una certa soddisfazione e sospirando abbassò le dita dal suo comunicatore e annunciò imperioso:

« Campo libero gente! Vediamo bene di sbrigarci e andarcene a casa! »

I soldati risposero con urla da guerriglia. Minto studiò un momento il campo di battaglia con il respiro pesante asciugandosi un rivolo di sudore dalla fronte, aveva seguito la truppa a cui lei e Kisshu si erano riuniti, prima che il verde sparisse, nella speranza di incrociare gli altri, ma ancora nessuno era capitato a tiro. Si erano spostati lungo il perimetro della piazza raggiungendo quello che, da quanto le aveva detto Iader, era il punto principale di fuga dei civili, la strada più diretta per raggiungere la zona di sicurezza; avrebbe detto che fosse insensato eppure le era sembrato che anche i chimeri lo sapessero, perché man mano che si erano avvicinati a quel settore le creature erano aumentate di numero incanalandosi proprio nella direzione dei fuggiaschi, pure se non se ne vedesse neppure uno all'orizzonte. Forse a pensarci non era così assurdo, gli esseri erano cloni basati sui quattro Ancestrali – meglio, su tre di loro, Minto non ne aveva ancora visti di Arashi e pregò di non vederne, né loro né l'originale – e il gruppo di alieni era nato e cresciuto a Jeweliria, era improbabile non sapessero dell'ubicazione del bunker sotterraneo o quantomeno della sua esistenza, o che non avessero trasmesso tale conoscenza ai chimeri.

La mewbird non aveva idea da quanto tempo stesse abbattendo quelle creature a fianco dei jeweliriani.

Si ritrovò a scrutare un punto imprecisato di fronte a sé.

Era già passata un'ora…?

Se sì… Perché non…?

Scosse la testa per ricomporsi, si stava comportando come una stupida, non era mica un appuntamento. C'era una battaglia in corso e l'ultima cosa a cui avrebbe dovuto pensare era che Kisshu rispettasse l'immensa stupidaggine che le aveva sussurrato prima di sparire. Con una simile confusione, mostri da tutte le parti, gente che scappava e sempre l'angoscioso spettro di vedersi sbucare uno dei quattro Ancestrali alle spalle pronto a farti la pelle, far fede a una promessa così assurda era ridicolo.

Centrò un chimero di passaggio con un colpo dritto nelle fauci spalancate e si diede della cretina: nessuno aveva promesso proprio niente, Kisshu aveva detto solo una frase assurda e ora lei ci rimuginava sopra come l'ultima delle principessine ottuse, si sentì un'idiota.

Un vago senso d'inquietudine continuò però a tormentarla, Kisshu non era proprio il tipo da non mantenere qualcosa che diceva di voler fare, per quanto assurda, stupida o senza speranza essa fosse, ne aveva sempre dato ampia dimostrazione: Minto non riuscì a fingere di non sentire la vocina angosciata che glielo ricordò e che le fece domandare, il cuore in gola, se davvero fosse scaduta l'ora pattuita e nel caso cosa fosse successo al verde, per non essere ancora tornato indietro.

Una parte di sé la rimproverò di tante distrazioni in un momento simile; l'altra, parimenti, la incitò a smettere di preoccuparsi e ad avere fiducia in Kisshu. Schioccò la lingua a disagio, per qualche inspiegabile ragione fu per la seconda che prese due lunghi respiri e ricacciò l'accozzaglia di pensieri in fondo alla propria testa, sgomberando la mente e pensando solo a ciò che aveva davanti a sé.

« Minto-chan. »

La mora si voltò verso Iader che la scrutò un momento, vedendo solo l'espressione seria e determinata sul viso sfinito; sospirò appena e le sorrise:

« Non devi rimanere qui per forza. »

Minto non fu sicura se le stesse suggerendo di andare a mettersi al sicuro, andare a cercare le sue amiche o addirittura Kisshu e se, di conseguenza, fosse riuscito a leggere qualcosa sul suo viso, il gentile sorriso sghembo che le rivolse fu indecifrabile; la mora raddrizzò la schiena ondeggiando appena le piume della coda: nessuna delle tre opzioni le parve valida, non se ne sarebbe mai andata da uno scontro senza prima essere certa di aver terminato il proprio compito.

« Due braccia in più. Si fa prima. »

Spiccò il volo avvitandosi a mezz'aria e abbattendo altri due chimeri e cinque residui di un chimero-Lindèvi tagliuzzato; terminata la parabola centrò un altro chimero dritto in testa con un colpo di tacco, stordendolo e lasciandolo in mano ai soldati di sotto, quindi riprese a volo radente zigzagando tra le creature che sembrarono incapaci di bloccarla.

Iader osservò la scena e si lasciò sfuggire un mezzo risolino. Il soldato al suo fianco, più giovane di almeno dieci anni eppure più esausto di lui, lo imitò ad occhi sgranati:

« Signore… Ma chi diavolo è quella ragazzina? »

« Se mio figlio è furbo, la mia futura nuora. »

Replicò quasi divertito agguantando la propria spada con entrambe le mani si rigettò nella mischia, lasciando il soldato che aveva domandato immobile sul posto e ancor più sbalordito e interdetto di prima.

 

 

***

 

 

Era esausto, non ricordava di aver mai sentito nella sua vita i muscoli fargli tanto male dallo sforzo. Mandò un basso ruggito, i chimeri-clone parevano non finire mai e lui aveva sempre più difficoltà a muoversi: i pochi civili rimasti in quella zona tumultuosa si erano radunati attorno alla gigantesca pantera argentea come dietro ad uno scudo impenetrabile e ben pochi ormai, nel caos totale e nella gente e nei soldati che avevano visto falcidiare al minimo passo falso, osavano obbedire agli incomprensibili ordini dell'animale e fuggire.

Ryou scosse il testone irritato, almeno fino a quel momento la sua fatica era stata ben ripagata, mai avrebbe pensato di raggiungere un tale livello di abilità con la sua trasformazione: il corpo reagiva come quando mutava in Art, solo senza i mesi e mesi di prove che aveva fatto nelle sembianze del gattino grigio e con risultati ben più devastanti.

Guidando e facendosi guidare dai fuggiaschi seppe che mancava poco per raggiungere il percorso sicuro e il bunker. Una volta arrivato lì avrebbe provato a trovare le ragazze, anche se dubitava di scoprirle al sicuro invece che sul campo di battaglia, e nel caso avrebbe chiesto – costretto – uno dei soldati a ricondurlo fuori a cercarle per portarle al sicuro.

Ichigo…

Non era riuscito a trovarla fino a quel momento, né a percepire la benchè minima traccia del suo odore. Una parte di sé non faceva che gridargli di andare a cercarla, ma si ripeteva ostinato e purtroppo sensato che sarebbe stato inutile gettarsi alla cieca in quel pandemonio, senza contare che probabilmente la decina di persone che aveva alle costole lo avrebbe seguito all'istante.

« Oh, oh, oooh! Pare che finalmente abbia avuto un po' di fortuna! »

Una donna del gruppo strillò terrorizzata. Ryou si fermò gonfiando il pelo sulle spalle e ringhiando, di tutte le cose peggiori che avrebbe voluto non gli capitassero quella era di certo la peggiore delle peggiori e la più irritante di tutte.

« Era un pezzo che volevo farti un salutino, tigrotto. »

Lindèvi ancheggiò a mezz'aria agitando le sue lame di fronte al viso come eleganti unghie smaltate, facendole tintinnare minacciose:

« Non ho dimenticato il simpatico regalino che hai fatto alla mia spalla. »

« Se ti può consolare io non ho dimenticato il tuo sapore disgustoso, razza di psicopatica. »

« Non ho capito assolutamente nulla, ma sono certa fossero insulti! – protestò la bionda pigolando infantile – Sei proprio un gattaccio maleducato. »

Mosse le sue lame cercando di colpirlo, Ryou le schivò ruggendo e balzò su per colpirla, mirando deciso con le fauci alla sua gola. Il gruppo alle sue spalle esplose nel terrore e si disperse, ma Lindèvi con un ghigno mosse l'altra mano: i fili metallici sibilarono a mezz'aria e i poveretti che erano riusciti ad allontanarsi maggiormente furono raggiunti dal colpo di frusta. Pochi lamenti e caddero al suolo, le trachee recise. La gente urlò più forte.

« Uno, due… Meno quattro, micione – cantilenò velenosa la bionda – Vediamo quanti amichetti ti ammazzo prima che ti decida a farti uccidere? »

Ryou gonfiò ancora il pelo mostrando le gengive rosate e i grossi denti color avorio squadrandola con odio; i fuggiaschi si raccolsero ancora dietro di lui, terrorizzati e confusi alle parole di Lindèvi.

« Facciamo così, se ti fai ammazzare buono buono io li lascio tutti andare. – propose leziosa – Mi sembra uno scambio equo, no? »

Si rivolse ai jeweliriani con aria innocente:

« La bestia per la gente, come in una favola terrestre. Anche se penso fosse un pochino diversa… »

« Te lo sogni che mi faccio uccidere da te, brutta stronza! »

Ryou ruggì a pieni polmoni piantando le grosse zampe pronto a saltare, quando avvertì due paia di braccia aggrapparglisi agli arti davanti. Spalancò gli occhi azzurri ringhiando sordo, sconvolto e rabbioso alla vista dell'uomo smunto e del ragazzetto coi capelli blu scuro che gli salirono praticamente addosso nel tentativo di tenerlo fermo.

« S-scusa amico, ma… »

« Sei tu quello che è nel posto sbagliato…! »

Lindèvi osservò la scena ridacchiando, tanto quanto Ryou scrollò l'enorme corpo per liberarsi, ma l'espressione gongolante dell'Ancestrale svanì quando un secondo dopo il resto del gruppo balzò addosso ai compatrioti trascinandoli via dalla pantera.

« Cosa diavolo fate?! »

« Lasciatelo, lasciatelo! »

« Siete dei pazzi! »

« Brutti idioti vigliacchi! »

« Tenete giù quelle mani! »

Ryou rimase immobile e stordito mentre i suoi due assalitori venivano immobilizzati. Lindèvi schioccò la lingua disgustata:

« La lealtà degli idioti. »

Mosse il polso per fustigare un'altra volta coi suoi fili e non si aspettò che Ryou, da fermo che era, scattasse di colpo e le balzasse addosso gettandola a terra. La bionda gridò di furia e spavento e prese a lottare con la pantera, rotolandosi da una parte all'altra con la creatura che trasse vantaggio da tutto il peso e la grandezza con cui la surclassava tenendola a terra: Lindèvi piantò i palmi contro il muso di Ryou perché non dovesse riassaggiare le sue zanne e lui nel frattempo raschiava con gli unghioni colpendola alla cieca sulle braccia, sul torso, sulle gambe e vicino al collo strappandole lamenti ed improperi violenti.

« Tu…! Maledetta…! Bestiaccia…! Schifosa…! »

Con enorme fatica e rischiando di lasciare abbastanza spazio perché Ryou chiudesse le possenti mascelle sulla sua giugulare, Lindèvi riuscì a piegare un dito: la lama sibilò e la pantera uggiolò di dolore sollevando il muso e caracollando all'indietro.

« Ti ho preso male, vero gattaccio? – mormorò affannata la bionda mettendosi seduta – Volevo strapparti l'occhio. »

Ryou si mise di nuovo a pancia sotto ondeggiando la testa, un orrendo taglio particolarmente vicino al bulbo oculare sinistro. Ringhiò cupo raschiando spaventato il suolo e cercando d'istinto di leccarsi la ferita, ricordandosi atterrito di cosa fosse cosparsa l'arma di Lindèvi.

Come intuendo il suo pensiero la bionda sollevò la lama con cui l'aveva colpito, fissata sul mignolo e Ryou notò che mentre le altre avevano un vago alone nerastro in punta quella era linda e lucente.

« Sempre bene avere un'arma che non sia totalmente letale, non sai mai a cosa può servire. »

Mosse le altre lame con un sorriso malefico, chiaramente non era intenzionata a concedergli altra fortuna.

La pantera si mise di nuovo in posizione di attacco quando per un momento le si appannò la vista; guaì infastidita, pensando che fosse un attimo di smarrimento dovuto alla stanchezza, invece immediatamente dopo ancora la vista si velò e l'animale crollò sulle zampe.

Ryou vide un luccichio avvolgerlo e tornò umano. Fu come se tutto il suo corpo esplodesse, le ossa e le giunture presero ad urlare per il dolore e la fronte gli divampò all'istante. La sua razionalità protestò facendogli notare come fosse impossibile che la febbre gli fosse salita così tanto e in pochi secondi, l'esperienza riconobbe i sintomi che aveva avuto al rientro a casa dopo la prima trasformazione in pantera.

Sono arrivato al mio limite fisico…?

Di colpo il suo corpo non parve più in grado di reggere la trasformazione. A gattoni, brividi gelidi sulla pelle ambrata e il fiato corto, guardò a fatica Lindèvi che dopo la prima sorpresa scoppiò a ridere tronfia:

« Sei patetico…! Assolutamente patetico! Che buffo, sei ridicolo! »

Tornò a terra studiandolo con fare gongolante, la testa che ondeggiò a destra e a sinistra. Ryou non si mosse da dove si trovava, sforzandosi almeno di mettersi in ginocchio:

« Di orgoglio si muore, lo sai? – cinguettò la bionda – Visto il tuo stato, pensa positivo, non ti accorgerai nemmeno di crepare. »

Tese l'indice all'indietro. Ryou serrò il pugno sul ginocchio sentendo di stare per svenire, avvertendo i jeweliriani dietro di lui immobili e raggelati, e non potè biasimarli se nessuno di loro stavolta fece alcun gesto eroico per frapporsi di fronte a lui: la riconoscenza era una cosa, la stupidità un'altra.

Rimase dove si trovava aprendo quanto più possibile gli occhi. Se non altro, se doveva morire, magari avrebbe permesso a una persona o due di guadagnare tempo sulla sua dipartita per scappare.

Che pensieri nobili…! Mi faranno supereroe ad honorem di questo passo.

Non riuscì ad impedirsi di sbuffare divertito.

Uno schiocco e la lama sibilò in fuori. Ryou avvertì qualcosa spingerlo di lato all'improvviso, ma il colpo fu così inaspettato che si limitò ad emettere un fioco oh! Di stupore e a cadere di fianco scorgendo una sagoma familiare prendere il suo posto mentre Lindèvi estraeva la sua lama dal fianco sbagliato. Quasi nello stesso momento la figura compì un rapido gesto con il braccio approfittando della vicinanza e con un stridio tranciò la mano destra di Lindèvi alla base del polso.

La bionda muggì di dolore alzandosi in volo e oscillando il moncherino sanguinolento. Ryou, più frastornato che mai, riuscì a rimettersi in ginocchio cogliendo distrattamente un gruppo di soldati circondare Lindèvi e cercare di approfittare della sua ferita per abbatterla, mentre altri fuggiaschi spuntati dietro ai soldati si riunirono con gli altri attorno alla salvatrice dell'americano, lasciatasi cadere a sedere con gran respiri affannosi.

« Sto bene… Sto bene… Ha preso solo carne, non morirò per un taglietto. Togliete quel coso piuttosto… »

« Non toccate le lame – intervenne Ryou bloccando un soldato zelante – sono… Pericolose. »

Il militare ritrasse la mano spaventato nonostante il biondo si fosse trattenuto dal dare altri dettagli. Ryou storse la bocca ignorando le proteste del suo corpo e le suppliche a crollare lì dove si trovava:

« Come le è venuto in mente? »

« Di norma si ringrazia quando si viene salvati. »

« E cosa si dice quando qualcuno compie un gesto suicida, Meryold-san? »

Rimbrottò cupo. La donna, il volto sudato, gli rivolse uno dei suoi sorrisi sottili senza disdegnare l'aiuto di alcune persone che l'assistettero nel sedersi più comoda, mentre lei ordinò al paio di soldati attorno di portare al sicuro i civili finché fosse stato possibile.

« Dunque c'era un ingegnoso e sensato piano dietro la tua scorta di questa gente fino ad adesso? »

Ryou corrugò la fronte indispettito dal sarcasmo e sbuffò osservando distratto la spada corta che la donna stringeva ancora in una mano:

« Non da l'impressione di essere stata un militare. »

« Tutti i membri delle famiglie più antiche di Jeweliria ricevono un po' di addestramento(**) – spiegò spiccia e tranquilla come se si trovassero in un salottino a bere the – una sorta di "educazione totale" per i "nobili". Parte da un'idea abbastanza stupida e classista, oltre che ormai inutile, ma che ha i suoi vantaggi in fondo. »

Si fece aiutare per sedersi ancora più dritta scostando i resti del suo elegante abito verde, che aveva stracciato per rendere più facili i movimenti; soppesò l'arma e se la strinse vicino alla ferita con fare protettivo.

« Meryold-san. »

La donna studiò Ryou in silenzio e lui abbassò la voce:

« Quella ferita… »

« Lo so. Ho letto i rapporti di Luneilim su Aizawa-san. »

Sorrise solo e il biondo si arrabbiò, alzando il tono a disagio:

« E allora perché è intervenuta?! »

« Per la stessa ragione per cui lei è ancora qui. »

Accennò alla gente alle sue spalle e prese un altro lungo respiro, la mano libera premuta con forza sulla ferita che le strappò una fitta di dolore.

In aria l'agitazione salì. I soldati non erano più in grado di tenere a bada Lindèvi, che con la mano mozzata chiusa sotto l'ascella e il viso contratto dall'odio stava facendo oscillare i suoi fili furiosa e letale; molti caddero falcidiati e un soldato dagli occhi rossastri si avvicinò di corsa a Meryold:

« Nobile Meryold, dobbiamo portarla via! Non riusciremo… »

« Portate via prima i civili. E Shirogane-san. »

Replicò imperiosa studiando l'aria sfinita del biondo, probabilmente prossimo a svenire. Il soldato si girò di scatto ad un grido più acuto di un compagno e riprese agitato:

« Non c'è tempo! Non possiamo trattenerla oltr- »

Lindèvi grido selvaggiamente e schizzò attraverso i soldati puntando alla sua vendetta, ma prima che agitasse ancora la mano rimastale qualcuno riuscì ad afferrarla per un gomito e a trascinarla indietro, lanciandosela alle spalle.

« Come siamo diventate sgraziate. Hai passato troppo tempo con il tuo amico dalla rinomata finezza espressiva o è solo una nuova crisi adolescenziale? »

« Tu…! »

« Kisshu… »

« Ohilà, gattaccio, che brutta faccia! – sogghignò il verde guardandolo da sopra la spalla – Non ti si può lasciare solo due minuti. »

Ryou sibilò qualche parolaccia in inglese. Kisshu sorrise ancora un momento, poi indurì lo sguardo e si rivolse autoritario ai soldati ancora vivi e al piccolo gruppo che aveva portato con sé, tenendo sempre Lindèvi sotto tiro con uno dei suoi sai; lei nonostante la distanza non sembrò intenzionata a tornare subito all'attacco, troppo furiosa e con il moncherino sempre più compresso sotto l'altro braccio a macchiarle gli abiti di sangue.

« Raggiungete tutti il bunker e portateli via tutti. L'area ormai è pulita. »

« Ma capitano… »

« A lei penso io – interruppe secco il verde ruotando il sai e indicando ancora Lindèvi – voi fate in modo che non debba preoccuparmi di fulminare qualcun altro per sbaglio. »

Il soldato annuì e ripetè l'ordine agli altri. Lindèvi per tutto il tempo rimase a squadrare Kisshu, fumante di rabbia, intanto che soldati e civili scomparvero in pochi secondi con schiocchi soffocati; quando toccò a Meryold la bionda fece per muoversi e intercettarla, ma Kisshu le si piazzò di nuovo davanti minaccioso e Lindèvi ringhiò sottovoce un insulto in stretto dialetto alieno.

« Ehi, vacci piano con le offese! »

« Maledetto impiccione…  Avrei dovuto insistere e colpirti quel giorno, invece di lasciare che a crepare fosse la ragazza-gallina! »

Lo sguardo di Kisshu s'indurì e per un momento Lindèvi perse il tono deciso vedendo lo scintillio minaccioso del suo sguardo dorato:

« Questa era una cosa che non mi dovevi ricordare. »

 

 

***

 

 

Eyner e Toyu si scontrarono con tale velocità che Zakuro potè solo seguire i loro movimenti in ciò che restava della piazza e del quartiere adiacente, incapace di attaccare con precisione. Il bruno colpiva con una foga inaudita e di quando in quando la mewwolf vide tra le fiamme attorno al jitte lapilli bianchi.

La mora saltò e agitò la sua frusta colpendo Toyu al braccio; il biondo sbandò con un lamento, ma prima che Zakuro lo raggiungesse si ritrovò Eyner tra sé e l'Ancestrale che approfittò dell'attimo di stallo per tentare di colpire Toyu. Lui schivò la lama però non evitò la vampa che seguì il colpo e fu scagliato lontano dal raggio d'azione di Zakuro, Eyner subito alle calcagna e i due ragazzi ripresero a lottare.

La mewwolf soppesò il da farsi, girò attorno ai due e tentò un altro assalto alle spalle di Toyu, che appena la intravide con la coda dell'occhio lasciò perdere Eyner e si gettò verso di lei; la frusta luminescente saettò un paio di volte, poi il bruno fulmineo piombò di nuovo tra Zakuro e il biondo allontanando quest'ultimo da lei e ricominciando la lotta.

La mora tentò ancora e ancora di andare in aiuto di Eyner, ma pure nei momenti in cui lo scambio di colpi tra lui e Toyu si allentava abbastanza da lasciarle libera la visuale i due si allontanavano di scatto; o se era Toyu a tentare di colpire lei, Zakuro non faceva in tempo a difendersi che Eyner sbucava dal nulla intercettando il biondo prima che facesse un passo. All'ennesimo salvataggio non richiesto la mewwolf si accorse di stringere un po' troppo energicamente la propria frusta tra le dita, Eyner la stava deliberatamente scacciando dallo scontro.

Cosa pensa di fare…?!

Furente la mora sgusciò sotto i due intenti a combattere a mezz'aria, si piazzò nel loro punto cieco e colpì. La sua frusta coprì interamente la gamba sinistra di Toyu e lei lo tirò giù assestandogli una gomitata ben piazzata al fianco, quindi mentre lui barcollò di lato lei ritrasse la frusta pronta a colpirlo di nuovo. Invece, ancora, una vampata centrò Toyu in pieno strappandogli urla belluine ed Eyner gli andò ancora addosso, lasciando alle loro spalle un arco di fiamme che bloccò Zakuro quei pochi secondi da averli fuori tiro.

« Eyner! »

« Stai indietro! »

Zakuro fece finta di non averlo sentito, l'orgoglio che ruggì alle sue parole. Si avvicinò appena al fuoco constatando che le fiamme fossero troppo irregolari per azzardarsi a saltarle, indietreggiò e le circumnavigò di gran carriera arrabbiata e preoccupata; non riusciva a capire il perché dei gesti del bruno, che fino ad allora aveva combattuto al suo fianco senza emetter protesta, e si domandava se almeno lui si rendesse conto della stupidità della cosa: per quanta energia stesse impiegando per colpire Toyu il biondo non faceva una piega, gridava d'istinto per il dolore quando le fiamme lo colpivano, ma subito tornava a ghignare incurante degli abiti bruciacchiati o delle ustioni sul viso e sulle mani, guardando Eyner con un sorriso folle e pressandolo con rapidi affondi.

« Sembravamo energici stasera – lo canzonò – eppure finora ho sentito a malapena un po' di caldino. »

« Ora ti apro la gola e ti sparo una fiammata dritta nei polmoni, e vediamo che ne pensi. »

Toyu rise e riprese il loro scambio di fendenti.

Come Zakuro aveva capito da tempo, anche ad Eyner non era sfuggito lo strano atteggiamento di Toyu e come sembrasse più forte del solito, da solo stava faticando non poco a tenerlo a bada.

Però non…

Il fioretto dell'Ancestrale compì un ampio arco orizzontale ed Eyner balzò indietro sentendo la punta acuminata strappargli la maglia e grattargli la pelle della pancia.

« Mi stai annoiando. – sbuffò Toyu – Fatti ammazzare velocemente, mi resta poco tempo per spassarmela un po' con la nostra comune amica. »

Il volto di Eyner fu illuminato in modo sinistro dalle fiamme giallo pallido che danzarono sul jitte:

« Azzardati solo a sfiorarla. »

« Sfiorarla e molto altro. »

Le fiamme esplosero in fuori assieme al grido del bruno e coprirono la risata aspra di Toyu; Eyner non aspettò nemmeno che i lapilli si disperdessero, bruciandosi un poco anche i propri abiti, e tornò all'assalto come una furia.

Più forte o meno lo avrebbe affrontato da solo.

Quando aveva visto Zakuro andare via senza di lui aveva avvertito un bruttissimo presentimento, ma non aveva avuto altra scelta, sia sua sorella sia la sua gente avevano bisogno e lui non si era potuto permettere il lusso di dare la precedenza a Sury, se Zakuro non fosse andata a cercarla chissà cosa sarebbe potuto succedere; Eyner però non riusciva a capacitarsi di cosa avesse visto appena aveva potuto raggiungerle e del nodo alla gola alla vista di entrambe.

Avrebbe dovuto porgere tutte le sue scuse a Sury per le sue mancanze come fratello maggiore non appena l'avesse rivista, però la piccola ormai era al sicuro e protetta. Zakuro, invece, era ancora lì, troppo vicina al carceriere nelle cui grinfie era rimasta isolata per cinque giorni senza che Eyner potesse muovere un dito, e che da ciò che aveva visto aveva di nuovo osato farle del male.

L'idea di essere arrivato un'altra volta in ritardo, di non aver impedito a quella bestia di toccarla gli rovesciava lo stomaco.

Zakuro lo chiamò ancora. Era chiaro come trovasse il suo comportamento assurdo e fosse furiosa con lui, eppure Eyner non le concesse di avvicinarsi: avrebbe continuato ad ergersi tra lei e Toyu a qualunque costo, non avrebbe più permesso a quell'essere di arrivare abbastanza vicino per lambire un centimetro di lei.

« Quale romantico cavaliere. »

Fulmineo Toyu bloccò il braccio armato di Eyner al polso e lo colpì in rapida successione con una ginocchiata al plesso solare e una testata, abbattendolo poi con una gomitata nell'incavo del collo. L'impatto non fu abbastanza forte da coprire il lamento del bruno.

« Ribbon Zakuro's Pure! »

Toyu sorrise tronfio ed evitò facilmente l'attacco, si mosse con eleganza in un paio di passi di scherma e scattò verso la mewwolf; arrivò di fronte a lei quando un muro di fiamme costrinse entrambi ad allontanarsi, lei da una parte lui dall'altra, e il biondo si voltò ghignando verso Eyner:

« Sei ancora più idiota di quanto supponessi. »

Il bruno, ancora a terra con il fiato corto e sostenendosi al jitte come ad un bastone per tenere alta la testa, si asciugò il rivolo di bava che gli colò dalle labbra e lo guardò ostile:

« Me l'hanno detto in tanti. »

Toyu sorrise crudele. Zakuro chiamò ancora Eyner cercando invano di tagliare le fiamme con un paio di scudisciate, arrendendosi a dover trovare il punto di accesso nel cerchio di fuoco.

« Una sfida interessante Toruke. – fece ancora il biondo puntandogli il fioretto alla gola – Finiremo prima entrambi arrosto, o prima ti sgozzerò io? »

« Il tuo di sgozzamento non è contemplato? »

« Ho seri dubbi al riguardo. »

Eyner strinse i denti irato e balzò di nuovo in piedi.

 

 

***

 

 

Sentì il proprio corpo scricchiolare. Decisamente un pessimo segno.

Considerando però che pensava sarebbe morto il dolore era un segnale positivo.

Cercò di alzarsi e strozzò d'istinto un lamento mentre ogni centimetro del suo corpo gridò al sadismo per il suo tentativo di rimettersi in piedi. C'era un sacco di polvere, crepitio di sassolini che cadevano qui e là, e la voce sgraziata e affannata di Zizi in lontananza.

Retasu.

La trovò immediatamente accanto a sé e gli si contorsero le viscere. La mewfocena era pallida, troppo più pallida del normale, la simpatica divisa verde ridotta quasi a brandelli; aveva tagli ovunque e grossi ematomi rossastri, ma a spaventarlo in particolar modo fu il sangue che le vide uscire dalle labbra e il fatto che la ragazza fosse totalmente, completamente immobile.

« Retasu…! »

Pai  si alzò riabbassandosi quando fu accanto a lei, rimanendo con le mani a mezz'aria: non aveva idea di dove poterla toccare o come poterla spostare per non farle male, però lei era talmente immobile che doveva trovare il modo di farlo, di toccarla e controllare che… Non fosse…

Allungò la mano nel poco spazio tra il viso di Retasu e le sue braccia raccolte vicino ad esso, rendendosi conto che gli tremarono le dita. Non sentì nulla, scosse la testa e avvicinò i polpastrelli fin quasi a toccare il naso della verde, imponendosi con uno sforzo sovraumano calma, tentando di non pensare a cosa fare se avesse capito che la ragazza non respirava più. Quasi sobbalzò quando un refolo gli solleticò la pelle dell'indice.

« Retasu. »

La verde emise un flebilissimo lamento e tossicchiò sangue e saliva, forse era ancora viva, ma decisamente non stava bene; doveva portarla via, ma non aveva idea di come fare, sembrava troppo grave anche solo per spostarle un braccio senza fare danni irreparabili.

Pai colse un movimento alla sua sinistra e si voltò di scatto. Vide Zizi ripiombare loro addosso e schioccò la lingua afferrando il ventaglio, ragionando che il solo modo per fermarlo in quei pochi secondi sarebbe stato gettarsi letteralmente addosso all'Ancestrale, ma il biondo non lo raggiunse: a un paio di metri da loro scontrò contro una parete invisibile e fu scagliato all'indietro ululando di rabbia e solo in quel momento Pai si accorse che qualcun altro gli era arrivato alle spalle.

« Devi aver preso un bel colpo per farti infinocchiare così. »

« Ake… »

Il medico tossicchiò, pure lui appariva malconcio e teneva chiuso l'occhio destro, quello nocciola:

« Meno male che non ero uno di questi stronzi o ci avresti lasciato la pelle. »

Pai non gli rispose, contemplando distrattamente con la coda dell'occhio il cerchio di gamika invisibile e pulsante di fronte a sé e vide Ake chinarsi su Retasu.

« Brutte queste… – disse l'uomo sottovoce sfiorando appena il torace della verde – Non mi piace il rumore che fa. »

Non diede altri dettagli, ma Pai contrasse comunque la mascella impallidendo.

« Portala via. »

Il dottore annuì in silenzio; mosse la mano in tondo e un luccichio invisibile passò sotto e sopra Retasu, sollevandola di un paio di centimetri da terra ma senza spostarla da dove si trovata o facendole muovere un capello. Poco lontano Zizi imprecò e bestemmiò furioso.

« Tu… »

« Io sto benissimo – tagliò corto Pai alzandosi in piedi, ventaglio sfoderato – porta Retasu via di qui. »

Ake lo studiò un momento solo e annuì, concentrandosi sulla sua paziente. Pai non perse di vista né lui né Retasu finché l'uomo non scomparve con il teletrasporto, e per un momento credette di vedere la verde rivolgergli un'occhiata angosciata socchiudendo a stento le palpebre.

Zizi fece marcia indietro il secondo dopo. Pai, riacquistata tutta la lucidità e la freddezza a propria disposizione schivò il suo assalto da rinoceronte, gli scivolò alle spalle e mirò con una scarica fra le scapole del biondo; quello si schiantò a terra gridando a squarciagola, però Pai non si rilassò e incalzò ruotandogli attorno e colpendolo più e più volte finché Zizi non colpì alla cieca con i suoi tirapugni. Mancò Pai di cinque metri, ma per precauzione il moro retrocesse appena permettendo all'Ancestrale di tirarsi in piedi:

« Sei proprio… Uno stronzo caga cazzi! »

Ringhiò minacciandolo con l'indice. Pai non fece una piega fissandolo gelido e Zizi sputò per terra:

« Fottutissima merda dai almeno la soddisfazione di incazzarti! Faccia di pietra… »

Si interruppe come se avesse capito qualcosa. Si guardò attorno sempre più nervoso, ruotando su se stesso nervosamente, quindi sbattè i piedi e urlò ancora:

« Che gran figlio di puttana! Dov'è la vacca da latte?! »

Pai per tutta risposta tentò di nuovo di fulminarlo costringendolo a fare un salto indietro di dieci metri.

« Che razza di merda. »

Battè i tirapugni più volte leccandosi le labbra ben deciso a sfogare la sua frustrazione sul moro, quando ancora qualcosa catturò la sua attenzione; piegò la testa di lato tendendo l'orecchio e quando capì l'origine del rumore che tanto lo incuriosiva ghignò trionfante, abbassando le armi:

« Meno una pigli due. Sono un bastardo fortunato dopotutto. »

Schizzò via incurante che Pai lo inseguisse o meno. Il moro, pur confuso, non lo lasciò fuggire e lo seguì perdendolo purtroppo dopo meno di un minuto, ma un movimento poco lontano gli fece capire a cosa stesse puntando.

Meno una, ne rimanevano due.

Maledizione.

 

***

 

 

L'angusto corridoio che si era aperto loro di fronte si spalancò all'improvviso in una grotta nascosta. Più bassa e angusta di quella in cui era stata costruita la Città Sotterranea, disseminata di stalattiti e stalagmiti ormai fuse le une con le altre formando grotteschi e sgraziati archi nella penombra, era tuttavia illuminata da una strana iridescenza verde azzurra, proveniente dalla sua parte più interna e riflessa sulle rocce lisce.

La grotta iniziò a incurvarsi appena e il gruppetto giunse ad una conca interna, le pareti dietro alle stalattiti lisce e perfette come vetro. Al centro della depressione il Dono degli Avi pulsava fluttuando a mezz'aria, splendente come un piccolo sole, e alla sua vista Ebode si coprì gli occhi con una mano con fare reverenziale; Opurh rilassò appena in viso, esalando un gran respiro, e Lenatheri dovette prenderne un paio più veloci per calmare il proprio cuore.

Arashi sorrise soddisfatto. Fece qualche passo oltre loro, fermi ad una ventina di metri dal Dono, allungò cauto un braccio e di colpo gli altri videro la sua mano balzare all'indietro come se fosse stata colpita da una fucilata. Arashi scricchiolò la spalla indolenzita dal contraccolpo e si studiò il palmo arrossato, quindi sospirò:

« Beh, lo sapevamo già. »

Si girò e fece un cenno. Lena, riscuotendosi, diede due colpetti sulle spalle dei due uomini – quello diretto ad Ebode fu appena più energico, abbastanza da farlo arrancare lungo il declivio – e li fece raggiungere Arashi che rivolse loro un sorriso incolore. Ebode sgranò gli occhi di pietra farfugliando:

« Cosa… Cosa dovremmo fare…? »

« Nulla che possa nuocerle – lo rassicurò il biondo privo di calore – questa barriera è fatta per essere aperta unicamente dagli appartenenti ai Membri Ristretti. Si basa su un sistema di calcoli estremamente complesso e, probabilmente, non hanno avuto il tempo di correggere la sequenza dopo il vostro "diverbio". »

« "Probabilmente"? »

Pigolò l'uomo e già Lenatheri gli aveva afferrato il polso con violenza. Ebode protestò debolmente frignando nel naso, sicurissimo che la sua mano avrebbe subito un destino ben peggiore di quella di Arashi, mentre Opurh dopo un breve scambio di sguardi con l'Ancestrale alzò docilmente il palmo sinistro e lo appoggiò alla barriera.

Il primo fatto positivo fu che entrambi non videro le loro falangi eiettate dalla parte opposta della grotta ed Ebode, riprendendo a respirare con un tremolio, sentì Lena lasciare la presa. La pelle posata contro la superficie invisibile pizzicò qualche momento e poi, con una lentezza esasperante, la barriera iniziò a cedere: parve farlo malvolentieri, quasi fosse consapevole di non dover scomparire per proteggere ciò che custodiva dietro di sé, e l'aria si saturò di uno sfrigolio fastidioso mentre la luminescenza da fondale marino svanì e la grotta piombò nell'oscurità, spaccata solo dal bagliore accecante della MewAqua.

« Straordinaria… – Ebode si nascose la mano sotto le vesti come per proteggerla da eventuali effetti secondari – Perfino io posso percepirne la potenza… »

Opurh continuò a non dire una parola, gli occhi sgranati e le labbra socchiuse, poi girò appena il volto sentendo Lenatheri muoversi e tornò serio.

« Con una cosa del genere… Oh, il dominio della Stirpe Pura è più di una certezza! »

« Ne siamo consapevoli. »

La frase incolore di Arashi non spaventò Ebode quanto la mano che gli afferrò il bavero da dietro: mandò un altro dei suoi squittì sordi e si sentì spingere appena in basso, ammutolendosi quando qualcosa di freddo e tagliente gli sfiorò la gola; la mano di Lenatheri lo strinse con più decisione impedendogli di muoversi ed Ebode l'ascoltò mandare un verso di disgusto quando dovette avvicinarsi con il viso al suo, ma allo stesso tempo sembrò non volersi privare del piacere di udire le sue parole terrorizzate.

« N-n-nobile Arashi-san…! Non…! Io vi ho aiutati! Sono stato…! Utile…! Non vorrete…?!? »

« Una seconda occasione si concede a tutti – asserì il biondo incurante – tuttavia ci sono coloro per cui un tale privilegio sarebbe del tutto sprecato. »

« Un traditore egoista rimane tale, non crede Nobile Ebode? »

Gli sussurrò Lena, maligna e rancorosa, premunendosi di piantargli le unghie nel petto per tenerlo. Ebode si divincolò pigolando:

« Io…! Ho sempre agito per voi…! Ho sempre creduto in voi, in Deep Blue-sama! »

« In ciò che avresti ottenuto. – lo corresse Arashi gelido – Decisamente poco credibile. »

Ebode si zittì nuovamente, la lama di Lena che premette più forte; la mora potè percepire il battito del suo cuore contro il ferro.

« Delle due devo solo biasimare la mia ingenuità a fidarmi di te – gli sibilò livorosa – ciò non toglie che sia unicamente per colpa tua se ho perso il poco che mi restava. »

La sua mano libera passò dai vestiti alla fronte di Ebode inclinandogli indietro la testa. L'uomo ormai tartagliava in preda al panico.

« Deep Blue-sama aveva già stabilito la tua sorte prima che toccassimo il suolo di Jeweliria. – gli annunciò spegnendo la sottile speranza rimastagli – Quindi la richiesta che gli ho fatto era solo una questione logistica per lui, quanto una gran soddisfazione per me. »

« MALEDETTA PUTT-! »

La voce di Ebode si spense in un gorgoglio aspro mentre Lenatheri gli squarciò la gola. Arashi e Opurh osservarono la scena immobili, il primo indifferente il secondo con un velo acceso di disgusto sul volto e poi un moto istintivo di pietà, guardando il corpo di Ebode accasciarsi floscio sulle pietre.

Arashi sospirò annoiato:

« Dunque, nobile Opurh… »

« Non provare nemmeno a chiedermelo, Arashi. – lo freddò il militare – Con i miei errori, ma volevo agire per il bene di Jeweliria. Mai penserei di appoggiare chi sta provocando la devastazione qui sopra e la morte di tanti innocenti. »

« Eppure è venuto con noi. »

Gli fece notare Arashi incolore. Opurh sbuffò sarcastico:

« Se mi fossi opposto mi avreste lasciato tranquillo e sereno nella mia cella? »

Arashi stese un sorrisetto privo d'allegria:

« No, in effetti no. »

Lui e Opurh si fissarono in silenzio per un paio di minuti.

« Il "bene di Jeweliria", uh? Riserve sui traditori e sulle terrestri, tuttavia nulla in contrario sul recupero fraudolento del Dono al di fuori del volere e della legittimità di Deep Blue-sama. – Arashi soppesò la frase qualche momento – Una terza opinione affascinante. »

Fece un altro cenno a Lena che però aveva perso la baldanza e la ferocia di poco prima.

« Perderla è un vero peccato, nobile Opurh. »

La mora si avvicinò ad Opurh, indecisa, e l'uomo la fermò prima che potesse scivolargli alle spalle squadrandola nauseato:

« Abbi almeno il rispetto di darmi una morte onorevole, non alle spalle come un criminale. »

Lena sussultò nelle spalle, cambiò direzione e gli si piazzò davanti. Deglutì e capì che le tremarono le mani quando posò la punta del pugnale contro la gola di Opurh, ma lui non fece una piega né tento di fermarla; rimase lì, immobile e con le spalle dritte, fissandola dritta negli occhi finché Lenatheri prese un lungo respiro e, chiudendo i suoi, spinse la lama nella carne.

Ritrasse il pugnale velocemente e si allontanò di scatto dando le spalle al corpo; Opurh si accasciò sulle ginocchia e la testa piombò davanti verso il petto e così rimase, senza che Arashi si interessasse ancora a lui o Lena osasse rivolgerli un'occhiata. La presa sul suo pugnale si fece spasmodica.

« Non dirmi che ora temi per la tua, di vita, Inetaki. »

La mora squadrò Arashi in silenzio.

« Deep Blue-sama mantiene la parola data in qualsiasi circostanza. – disse con solennità e Lena si azzannò l'interno di una guancia per rimanere immobile e non dimostrare la poca certezza in quelle parole – Lei sarà la prima dei saggi che avranno aperto gli occhi sul futuro, una valida alleata. »

Lenatheri continuò a non rispondergli. Arashi non si preoccupò della cosa e tornò a rivolgere le sue attenzioni al Dono: per la prima volta da quando Lena lo aveva visto mutare aspetto per l'Atavismo Arashi sorrise euforico, sembrò addirittura ridere mentre iniziò ad avvicinarsi cauto alla Goccia, la vittoria ad un passo.

Si udì il frastuono di rocce franate e Arashi e Lena scattarono indietro prima di essere travolti da un nugolo di rami giganti. La mora si acquattò dietro una colonna mentre Arashi dovette estrarre la sua scure prima una macchia scura lo investisse.

« Te lo devo dire, Arashi, il biondo e il blu non credo siano i tuoi colori. »

« Okorene-san. »

Sando gli rivolse un ghigno sprezzante e balzò indietro frapponendosi tra l'Ancestrale e il Dono. Si guardò rapidamente attorno, un occhio sempre su Arashi, deformando la bocca in una smorfia disgustata alla vista di Ebode e in una più contrita scorgendo Opurh; quando individuò Lenatheri nel suo angolino la mora si rannicchiò ancor più nel buio, non riuscendo a non tremare allo sguardo d'odio che ricevette:

« A te ci penso dopo. »

« Credi di potermi tenere testa, Okorene-san? »

Domandò Arashi irritato muovendo la sua scure e osservando scettico il pugnale di Sando; il verde non fece una piega e anzi sogghignò divertito, facendogli un cenno di sfida:

« Credo di poterti fare il culo a strisce, moccioso. »

 

 

***

 

 

MoiMoi si concesse qualche secondo per prendere fiato, gli ultimi chimeri che vennero eliminati da Taruto: da qualche minuto non ne erano più arrivati da nessun fronte e nessun fuggiasco era apparso nelle zone attorno alla loro, potevano considerare il settore totalmente ripulito e al sicuro. Il violetto sospirò sollevato:

« Meno male, ero esausta! »

« Onee-chan forse stai troppo davanti ai computer. »

« Inizio a pensare che tu abbia ragione Purin-chan – sospirò ancora il violetto tenendosi la fronte – se vado avanti a star ferma tutto quel tempo non servirò più a niente. »

« Già – fece Taruto sarcastico – e non sei stata tu a fare un'orda di chimeri a marmellata. »

« Sono arrugginita, ma non ho perso il tocco. »

Ribattè compiaciuto ammiccandogli. Risero tutti e tre e MoiMoi si stiracchiò plateale:

« Su, muoviamoci. Facciamo un check-up di come stanno gli altri e raggiungiamo quell'altro zuccone – sbuffò e si issò il martello su una spalla come un fagotto di stoffa – vuole sempre fare tutto da solo, mai che pensi ad avere un minimo di supporto a… »

Si bloccò e contemporaneamente a lui Taruto e Purin si girarono in cerca di non seppero bene cosa, scossi da un brivido. MoiMoi fece appena in tempo a riprendere in mano il suo martello che Zizi ci si schiantò addosso spingendolo per un bel tratto, il violetto rigido in piedi per non soccombere alla sua spinta con le braccia che tremarono dallo sforzo.

« Senpai frocetto sco-va-to! »

« Pudding Ring Inferno! »

MoiMoi colse il movimento di Purin e, pregando di centrare i tempi, si lasciò spingere un poco di più: guadagnato il metro sufficiente affinchè il budino giallo della mewscimmia comparisse tra lui e Zizi, rallentando l'Ancestrale che lo trapassò proprio nel mezzo, quindi il violetto approfittò dei secondi ottenuti per ruotare il martello e colpire con tutta la propria forza il biondo in testa.

Il colpo risuonò secco e Zizi affondò con il torso nel terreno aprendo un basso cratere, ma non si fermò. Gli occhi sgranati MoiMoi guardò il martello crenarsi e perdere un grosso spicchio su uno dei lati mentre il biondo, lamentandosi, si alzò con incredibile velocità centrando l'arma con un altro pugno: MoiMoi fu troppo sorpreso per reagire a dovere e fu scagliato lontano.

« Ti riduco a gelatina! »

« Stai alla larga! »

I pugnali di Taruto si piantarono un po' troppo vicini all'Ancestrale, ma senza centrarlo; il brunetto allora digrignò i denti e fece riapparire le sue vecchie bolas:

« Ho Rai Den!(***) »

La scarica di fulmini si proiettò tutt'attorno a Zizi facendolo indietreggiare e dando a MoiMoi la possibilità di rimettersi in piedi; intanto anche Purin tentò di imprigionare il biondo, ma i suoi budini mancarono il bersaglio e lei decise di passare a metodi più rapidi. Ignorò le proteste di Taruto e si gettò sul biondo che la guardò ghignando:

« Come vuoi. Prima te! »

Parò il calcio diretto al suo addome con il palmo di una sola mano e servendosi dello slancio opposto alla spinta di Purin caricò tutto il peso sull'altro braccio, centrando la biondina in testa. Lei emise solo un versetto di stupore e rotolò lontano, totalmente inerme, e quando la sua corsa si esaurì lei non si mosse più.

Taruto rimase congelato. Zizi distolse l'attenzione sia da lui sia dalla ragazza, soddisfatto, e si fiondò ancora verso MoiMoi che non ebbe altra scelta che concentrarsi su un modo per bloccarlo e non finire ucciso, non curandosi della mewscimmia che dopo lunghi minuti continuò a rimanere ferma.

« PURIN! »

Taruto scattò in avanti nel panico. La sola cosa che vedeva era la figurina gialla stesa a terra con braccia e gambe piegate in una posa sgraziata.

« Eh, no, niente gioco in doppio! »

« Taru-chan! »

Zizi gli spuntò di fianco come dal nulla, ma Taruto lo notò a stento; evitò d'istinto il pugno diretto alla sua testa perché con la coda dell'occhio vide un movimento, ma non si girò verso l'Ancestrale né si allontanò dalla sua traiettoria, mirando a Purin che ancora non si era mossa. Zizi sorrise divertito e mancato il primo colpo gli tirò una tallonata contro la spalla destra.

« Taru-chan! »

Il brunetto esalò un lamento storto e piombò a terra come un sasso sentendo un inquietante crac; la spalla gli diede una fitta tale che il contatto con il terreno praticamente non lo sentì: strizzò gli occhi per riprendersi, risaltando subito in piedi quando capì che Zizi aveva intuito un piacevole passatempo e si stava dirigendo verso Purin.

« Fermo! »

« Taru-chan,  no! »

Il ragazzo parve essere diventato sordo. La spalla destra latrò di dolore per il braccio che non riusciva più a sostenere, molle e inutile a formicolare contro il fianco di Taruto, però lui non pensò a fermarsi o a reggersi l'arto per non peggiorare le cose. I suoi occhi sembrarono incollati alla zazzera bionda di Purin, sempre più vicina, e lui frenò un momento solo quando capì di essere andato dritto nella stupidissima trappola di Zizi, i tirapugni che presero a brillare piantati contro la sua faccia:

« Facciamoci un bel boom! schifoso nanerottolo coglionazzo! »

« Fuu Rai Sen! »

La scarica di fulmini mancò Zizi di un soffio e non gli risparmiò una bella scossa alla mano: il biondo si ritrasse imprecando ed agitando il braccio e Taruto vide solo in rapida successione un muro di pietra e terra chiudersi sopra Purin, mentre MoiMoi attaccava Zizi e Pai, spuntato da chissà dove, lo afferrava per la vita teletrasportandolo a distanza di sicurezza.

« Mollami! Pai, lasciami! Lasciami! »

« Cosa vorresti fare conciato così? »

Sbottò duro il moro e gli toccò gentilmente la spalla strappando a Taruto un sibilo di dolore.

« Devi tenerla ferma, non vorrei fosse rotta. »

« Devo andare da Purin! »

« Smettila. Sta bene. »

« Sta bene un corno! – berciò il brunetto allontanandolo con uno spintone – E ti ho detto di lasciarmi, non sono un bambino! »

« Se ti comporti da bambino io ti tratto come tale! »

« Io non la lascio lì così!! »

« E farti ammazzare le sarebbe d'aiuto?! »

Taruto si zittì, rabbioso e frustrato, il dolore alla spalla che lo intontiva. Poco lontano MoiMoi stava tenendo testa a Zizi non lasciandogli spazio per agire, e il brunetto connesse solo in quel momento che si erano messi a litigare come due ragazzini nel bel mezzo della lotta; erano anni che non sentiva Pai alzare la voce in quel modo e non seppe se sentirsi più stupito o più seccato per il tono di superiorità con cui lo stava sgridando.

« Devo essere sicuro che stia bene. »

« Beh, ora non puoi. – tagliò corto il fratello – Zizi ha qualcosa che non va, è più pericoloso del solito. Dobbiamo fermarlo prima… »

« Un motivo in più per me! »

« Taruto. »

« E piantala! Non ti azzardare! – proruppe scacciando di nuovo la mano che tentò di afferrarlo – Non osare parlarmi di stronzate come "il mio dovere" o roba del genere! Non te! Sei il peggior esempio possibile! »

Si azzannò la lingua appena terminò la frase. Il volto di Pai si adombrò e il moro indurì lo sguardo:

« Lo so. »

Rimase in silenzio. Si voltò di scatto sentendo un picco nel fragore della battaglia e temendo per il suo senpai, ma MoiMoi non mostrò alcun segno di cedimento e Pai si azzardò a trattenersi ancora qualche momento:

« Se ti fai uccidere e lei avesse bisogno di te, a cosa sarebbe servito? »

Taruto non rispose e guardò in basso storcendo la bocca iroso.

« Spostarla ora è troppo rischioso, se Zizi se ne accorgesse le piomberebbe addosso come un falco. Per adesso è più al sicuro dietro la barriera della senpai. »

Taruto continuò a non rispondergli. Pai intanto tese la mano verso la sua spalla e, capendo di avere il permesso pur se controvoglia, toccò appena la zona gonfia e arrossata; Taruto imprecò a denti stretti e lo guardò fare a brandelli uno dei suoi copriavambracci per improvvisare una benda.

« Ce la fai? »

Taruto annuì con un grugnito e Pai lo lasciò stare andando ad aiutare MoiMoi, che lo accolse brontolando come se fosse una normale giornata in laboratorio e il ragazzo fosse in ritardo.

Taruto sbuffò e si passò lo straccetto sopra la spalla sana creando un anello in cui appoggiare il braccio destro; sospirò, la spalla continuò a fargli un male del diavolo, ma almeno riusciva a non concentrarsi sulle fitte meno intense. Vide saette schizzare da tutte le parti, Zizi inveire e riversare parolacce con quanto fiato aveva, serpenti di terra saltare fuori dal suolo fluidi come acqua, però la sua attenzione si concentrò ancora sulla cupoletta spessa dietro cui sapeva esserci Purin: la sola cosa che non sapeva era se lei stesse bene.

Merda!

I suoi pugnali gli ricomparvero nella mani sinistra. Spiccò il volo e bloccò la ritirata di Zizi spuntandogli alle spalle, ma il biondo si gettò semplicemente in una picchiata verticale evitando tutti e tre i suoi assalitori e si portò a distanza di sicurezza, studiandolo con aria folle:

« Tre contro uno. Mi piace un sacco quando giocate sporco, merdine. »

 

 

***

 

 

Lindèvi cercò di indietreggiare ritrovandosi ugualmente Kisshu ad un palmo da sé. Per qualche minuto la lotta fu completamente a senso unico, l'arma rimasta a Lindèvi non era adatta per un combattimento ravvicinato e lei non poteva rischiare che uno dei sai la ferisse anche solo di striscio, terrorizzata al ricordo di quanto accaduto a Szistet: non aveva la certezza che le lame del verde avessero subito un trattamento simile al jitte di Eyner, ma non voleva scoprirlo. Kisshu, purtroppo per lei, dava l'idea di voler invece lasciare quanto meno spazio gli fosse concesso tra sé e la bionda sfruttando tutta la propria velocità, irritato di come nonostante tutto Lindèvi riuscisse ancora a pararlo con il dorso metallico del suo guanto.

Affondo destro. Sinistro. Lindèvi scartò di lato indietreggiando, deglutì e si sforzò di apparire beffarda e disinteressata allo scontro, quasi annoiata:

« Oooh, quindi Kisshu-kun è passato dai gatti ai pennuti? »

Kisshu non cambiò espressione, ma sentì le dita stringersi attorno al manico dell'arma. S'intimò concentrazione e rallentò appena la sequenza, nervi calmi, voleva irritarlo apposta, era la specialità della bionda.

Dall'alto, colpo doppio. Da destra. Lindèvi evitò il primo e parò il secondo; sorrise di più sulla faccia tirata dal pallore per il sangue perso:

« Ho indovinato. »

« Ti conviene chiudere il becco, o oltre alla mano perderai anche la lingua. »

Lindèvi emise la sua gelida risata infantile, compì una capriola e rispuntò alle spalle di Kisshu con una parabola aprendo immediatamente le dita; i fili tagliarono l'aria, invisibili, ma la bionda sbuffò irritata vedendo che Kisshu non fece una piega e ruotò su se stesso recidendo la parte più estrema dei cavi. L'Ancestrale non demorse e continuò ad agitare i cavi d'acciaio guadagnando spazio, Kisshu che sempre più seccato e tranciando sempre più filo, incurante dei tagli sulle braccia o di quelli che si iniziarono a formare sulla maglia troppo vicini al torace, eppure per quanto sminuzzasse l'arma di Lindèvi pareva in grado di rigenerare fili su fili come da un rocchetto infinito.
Il braccio di Lindèvi non aveva mai accennato a smettere di perdere sangue, tuttavia lei riacquistò baldanza nel vedere Kisshu non più in vantaggio e si azzardò ad incalzarlo in barba alla ferita che grondò ancor più rosso quando la bionda, per muoversi meglio, la sfilò dalla pressione del braccio sano.

« Che ci troverete mai in quei sudici ibridi? – fece con un versetto disgustato – Tra te, quegli altri e Toyu proprio non vi capisco…! »

« Mi metterò a piangere se mi dici così. »

Replicò velenoso e lasciò che un filo gli aprisse un brutto taglio sopra il gomito per riuscire a raggiungerle la mano; mancò l'origine dei cavi di pochissimo e Lindèvi ghignando scattò indietro riprendendo distanza.

« Per lo meno la gallina sembra un po' meno disgustosa di quella gatta color confetto o di quel cagnaccio rognoso. »

« In qualche modo sento che dovrei arrabbiarmi per tutto. – bloccò un altro affondo di cavi e soffiò tra i denti quando uno riuscì a graffargli la guancia e un orecchio – Ma prima che perda sul serio la pazienza cambierei argomento. »

« Cosa ti infastidisce? Il termine gallina? »

Kisshu continuò a lottare ignorando le sue provocazioni.

« Ibrido? »

« Detto da una che è regredita allo stadio prepuberale… »

« Magari potrei smettere di giocare con te e andare a vedere se l'uccellino azzurro vuole divertirsi con me. »

Non trattenne un gridolino spaventato quando sentì il filo di uno dei sai lambirle il lobo e i capelli sul lato destro del viso venire sfoltiti a caschetto:

« Hai solo di che provarci. »

 

 

 

 

 (*) un genere operistico che ha dominato la scena francese fra gli anni venti e gli anni ottanta dell'Ottocento, incentrato su soggetti a sfondo storico, con forti contrasti passionali, bruschi cambi di situazione e colpi di scena 

(**) vedere capitolo 43 :)

(***) Nella versione originale Taruto usa tre termini diversi per definire gli attacchi di fulmine con le sue bolas, 封雷 Ho Rai Den significa Fulmine Rotante Definitivo (Ho  nel senso di sommo, massimo, "mortale")

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Ok quanto mi state odiando da uno a dieci per l'interruzione ^^""? Gente siamo al mio limite massimo di pagine per capitolo e c'era ancora un bel pezzo, questo era il momento di mettere pausa (non picchiatemi xD!)

Sì lo so non ho ancora risposto alle recensioni TwT scusateeeeh arrivo arrivo! Mi ci devo concentrare per scrivere roba sensata… Grazie mille intanto a MewSisters, mobo, Danya, Cicci 12 e LittleDreamer90 che estate o meno sono sempre disposte a perdere un pochino gli occhi sul mio delirio <3 bacioni!

 


Mata ne
~♥ !

Ria

 

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Capitolo 49
*** In the middle of crossing (part VI) ***


Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: 
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Salva anche tu una tastiera da pazzoidi che le massacrano scrivendo come disperate! Non chiudere gli occhi, puoi salvare milioni di vite elettroniche.

 

 

 

 

 

Capitolo peso. Peeeeeeso peso peso peso (e me lo dico da sola!)

Non so come definirlo… Tranquillo? Introspettivo? Deprimente xD? Non saprei.

Al fondo e a voi il giudizio finale!

Ps il titolo, in questo contorto giro mentale degli ultimi, è sempre ispirato al teatro, stavolta ho dovuto scavare negli appunti di letteratura greca: non sono normale ^^""

 

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Cap. 49 – In the middle of crossing (part VI):

                The Celebration of the First Moon – Èxodos(*)

 

 

 

 

Perché era tutto così buio? Era come se avessero risucchiato le luci rimaste della Celebrazione e il bagliore dei fuochi, c'era una strana penombra che la intontiva non facendole capire bene dove fosse. Poi aveva caldo, la sensazione di stare in una stanza chiusa.

Purin capì di essere stesa a terra. Provò ad alzarsi e soffocò un lungo lamento, la testa le fece così male che fu certa le si sarebbe spaccata in due. Aprì mezzo occhio, c'era una specie di muro di fronte a lei, compatto e scuro: allungò a fatica il braccio – muoversi dava piccole vibrazioni alla testa, che di contrappasso le donavano fitte allucinanti impedendole di muoversi bene, e così via – e il suo dito grattò terriccio. Si rese conto di averlo tutt'attorno, a destra, a sinistra, perfino sopra la testa, una cupoletta di terra che la teneva rinchiusa.

Come ci sono finita qui…?

La testa tornò a pulsare forte e capì di non riuscire a stare in nessuna posizione che non le permettesse di tenere capo, spalle e schiena perfettamente immobili, era come se il dolore le vibrasse dal lato sinistro della faccia lungo tutta la spina dorsale. Si passò le dita tra i capelli biondi e qualcosa di caldo e appiccicoso le si infilò sotto le unghie sporcandole i guantini di pelo.

Iniziò a ricordare cosa fosse successo, anche se continuò a non capire perché fosse là sotto, e le orecchie che ronzarono captarono degli inconfondibili rumori di lotta dietro il muro di terra.

Il suo corpo la supplicò del contrario, ma lei prese ugualmente a spingere contro la parete come sperando si aprisse un varco.

Devo uscire da qui.

 

 

 

MoiMoi colpì il suolo con un urlo e un'onda di terra si schiantò addosso a Zizi; il violetto, Pai e Taruto si mossero attorno alla massa semovente pronti a bloccare l'Ancestrale, ma lui invece di fuggire via dal frangente si spinse ancor più avanti ricevendo tutta la potenza dell'attacco frontalmente: gridò e imprecò sbucando dal lato da cui MoiMoi aveva attaccato, spaccando la massa di terra e roccia con un pugno, quindi si girò spavaldo verso gli altri tre e rise forte facendo gesti osceni per provocarli.

« Porca miseria, ma di cos'è fatto di acciaio?!? – protestò MoiMoi senza fiato – Tra l'altro non si facesse niente…! »

Pai annuì con un grugnito. Per quanto lo avessero colpito Zizi ancora non era crollato, eppure il suo corpo sembrava non essere immune ai colpi ricevuti e il biondo appariva decisamente malconcio: oltre al foro che lui stesso gli aveva aperto in una coscia aveva svariati taglie e bruciature ovunque, un occhio gonfio e un brutto taglio sullo zigomo che lasciava presupporre si fosse rotto qualcosa sotto, come i gonfiori sotto la spalla destra e sulla tibia sinistra, perfino i suoi movimenti lasciavano intuire che dovesse avere danni parecchio gravi alle gambe e alle braccia da come faticava a sollevarle o piegarle, ma nonostante tutto l'Ancestrale sorrideva loro con sguardo folle e i denti bianchissimi dietro il sangue sulle gengive, come se non sentisse nulla o le proprie ferite non lo riguardassero.

« Così non è divertente! – si lagnò ad alta voce – Devo di nuovo far esplodere tutto per vedervi giocare sul serio?! Prontoooh?!? Non potete trattarmi come uno sgherro qualunque, su un po' di energia pezzettini di merda! »

Taruto strinse con foga i pugnali tra le dita. Non sapeva da quanto stessero combattendo e mentre Zizi non dava segni di cedere o di poter essere abbattuto a breve, Purin era ancora nascosta dietro la minuscola fortezza creata da MoiMoi, senza che il brunetto avesse la minima idea di come stesse.

« Fuu Hyou Sen! »

La voce di Pai riscosse bruscamente Taruto dal suo preoccuparsi; all'inizio non capì perché il moro colpisse a ripetizione con sferzate di ghiaccio solo una gamba dell'avversario, finché dopo una serie di fortuite schivate Zizi non si ritrovò bloccato dal ginocchio sinistro in giù al suolo.

« Taruto! MoiMoi! »

I due capirono con qualche secondo di ritardo e la liana del brunetto sfiorò appena l'altra gamba dell'Ancestrale prima che questo ricominciasse a saltellare da una parte all'altra.

« Maledizione! »

« Gli sbarrerò la strada, voi pensate a fermarlo – lo rassicurò MoiMoi con decisione e guardò Pai con fare incoraggiante – se non possiamo abbatterlo, possiamo provare a bloccarlo. »

Il moro si limitò ad annuire seccato e scagliò una sequela di saette a vuoto, ritirando il braccio stizzito:

« Se non troviamo un metodo più veloce – sbottò e strinse il pugno fin a sbiancare le nocche – dobbiamo darci una mossa… »

Taruto lo studiò un momento.

« Pai-chan… »

Il moro mosse appena la testa, capendo che solo in quell'attimo di tregua il violetto si era accorto di cosa mancasse:

« Dov'è Reta-chan? »

« … Al sicuro. – replicò asciutto scostando lo sguardo – Muoviamoci. »

Volò avanti senza aspettare una minima replica; gli altri lo seguirono, Taruto schioccando la lingua irritato.

 

 

***

 

 

Il rivolo di sudore freddo gli colò lungo il collo contro la sua volontà. Del resto era inevitabile, patire qualche brividino, se avevi appena rischiato che il tuo avversario di infilzasse lo stomaco come per metterlo su uno spiedino.

Eyner si scostò di lato, caricò il jitte e un'altra fiammata esplose contro il fioretto di Toyu alzandosi sopra di loro come due grosse ali dorate; il bruno vide i riflessi del fuoco nelle iridi azzurre e fredde dell'Ancestrale, palesemente divertito dal suo sforzo, e la rabbia gli montò su con tanta ferocia che al colpo successivo le vampe furono molto più chiare e molto più calde. Concentrò ogni suoi sforzo per contenerle sentendole lambire anche la sua pelle e riuscì a ritirarle, ma almeno Toyu perse il ghigno e saltò un poco indietro:

« Quando fai sul serio sei abbastanza pericoloso, devo ammetterlo. »

« Non abbastanza purtroppo – gli sibilò Eyner velenoso – tu respiri ancora. »

Toyu rise aspro e tornò ad attaccare.

Eyner rispose prontamente, un occhio e i pensieri sempre rivolti trenta metri più in basso dove Zakuro seguiva lo scontro come un gatto un insetto sul muro: con ogni probabilità la sola ragione per cui né lui né Toyu avessero ancora ricevuto una scudisciata negli ultimi dieci minuti – sì, lui compreso – oltre all'altezza, era gli ancor vaghi timori e  remore della mora di centrare il bruno prima dell'Ancestrale per la violenza con cui stavano lottando, che le avrebbe reso difficile mirare con cura.

Eyner però stava iniziando a pensare che presto la mewwolf si sarebbe fatta molti meno scrupoli e avrebbe rischiato anche di colpirlo, se significava abbattere Toyu. A nulla erano serviti i sui appelli dispotici o le mura infuocate che si era lasciato dietro, né portare lo scontro in aria, Zakuro aveva tallonato sia lui che il biondo metro per metro, saltando con un'agilità e un'elevazione straordinarie grazie alla mutazione e spesso e volentieri assestando qualche colpo fortunato a Toyu che, il bruno lo ammetteva, gli aveva fornito buoni spiragli per contrattaccare il biondo, apparentemente inarrestabile e dalla forza soverchiante.

Eyner tuttavia stava iniziando a spingere lo scontro davvero fuori portata della mora. Toyu stava perdendo sempre più il controllo su se stesso, mostrando una potenza pari se non più grande di quella di Zizi, e il bruno non voleva che un Toyu così fosse abbastanza vicino alla mewwolf, per quanto combattere da solo stesse diventando un'impresa folle.

« Stai davvero… Iniziando a scocciarmi… Toruke! »

« Tranquillo, io non mi sto divertendo nemmeno un po'. »

Il jitte fu spinto in avanti e il metallo rovente lambì il viso di Toyu prima che il rombo delle fiamme si spandesse verso la sua spalla e il braccio. Il biondo imprecò tra i denti, si gettò contro Eyner e lo tamponò per allontanarsi dalle vampe ancora fluttuanti per impedire gli lambissero la carne. Eyner, stremato, faticò a rimanere in equilibrio e sbandò bruscamente di lato premendosi una mano sul petto, dove Toyu l'aveva centrato con una gomitata; l'altro continuò a borbottare maledizioni scrollando la testa, accertandosi che la lama non lo avesse fisicamente toccato, e studiò poi Eyner con aria malevola:

« Quindi… Vuoi smettere di giocare, uh? »

Eyner, provando a nascondere il fiato grosso, sollevò il jitte verso di lui pronto al contrattacco. Il sorriso di Toyu si allargò.

Gli arrivò addosso con velocità disarmante e prima che Eyner potesse muoversi per piantargli il jitte addosso e fermarlo, gli afferrò la gola; la spinta fu tale che entrambi precipitarono, o meglio Toyu spinse l'altro giù fino a farlo schiantare al suolo: fu come se tutto il suo corpo si crenasse da cima a fondo, una lastra di ghiaccio troppo sottile immersa in acqua tiepida che, di punto in bianco, si frantuma. Per un folle secondo ringraziò la morsa sulla trachea che soffocò l'istintivo urlo di dolore.

« Eyn! »

Capì che Zakuro stava correndo verso di loro e lo stesso dovette percepire Toyu perché non si perse in molti discorsi:

« Non so se sarà sufficiente per farti fuori, ma di certo mi toglierà un bel po' di soddisfazioni. »

Fece sparire il fioretto e la mano libera si posò sul braccio sinistro di Eyner, che ne vide il palmo e il polso brillare di luce liquida.

« Prendi un bel respiro, capitano. »

 

 

***

 

 

Lindèvi si sfiorò l'orecchio trattenendo il fiato alla vista del sangue sui polpastrelli. Poi, sempre la bocca spalancata in un grido muto e gli occhi sbarrati dall'orrore, si toccò i capelli sentendo il taglio non richiesto e strillò infantile:

« Come hai osato!! »

Kisshu si sforzò di rimanere dove si trovava, non voleva dare alla bionda maggior spazio di manovra, ma i fiotti di luce che iniziarono a guizzarle attorno gli scivolarono un po' troppo vicino e lui dovette retrocedere un poco prima che gli carbonizzassero le dita.

Perché non funziona ancora?

Lindèvi aveva evitato tutto il tempo che lui riuscisse a toccarla direttamente con i suoi sai, eppure di certo erano state le sue lame a provocarle il piccolo taglio sull'orecchio. Allora perché l'Atavismo non scompariva come le era successo a Szistet?

« Come… Hai potuto pensare…?! Di sottrarmi ancora il dono del mio signore?!? »

Prese a mormorare con tono sempre più alto e mentre gli zampilli luminosi aumentarono Kisshu vide l'aspetto di Lindèvi mutare, vaghi lampi che svanivano al più rapido battito di ciglia in cui rivide la donna dall'aria triste; l'Ancestrale tuttavia, il respiro accelerato, continuò ad emettere energia e l'ombra di com'era stata si fece più sbiadita e vaga fino a non scorgersi più nella luce che la avvolse.

« Non te lo permetterò… Non te lo permetterò…! Non te lo permetterò! »

Kisshu abbassò le armi e decise che fosse il momento di squagliarsela, ma aveva aspettato qualche istante di troppo. L'esplosione di energia lo prese in pieno, pur se ad una distanza tale da abbrustolirgli a stento l'orlo degli abiti e fargli piare le orecchie; il verde si sentì spingere per qualche metro, il fiato mozzo per la pressione al petto, e nonostante le braccia serrate attorno alla faccia dovette chiudere gli occhi per non diventare cieco, il grido isterico di Lindèvi che risuonò vago nel fischio dei suoi timpani.

Per tutto il tempo non mollò la presa dai sai né li ripose, pronto alla reazione, e appena non ascoltò più la bionda strillare, ancora mezzo accecato, tese tutti i sensi per colpire in risposta.

Avvertì un movimento poco davanti a sé, sulla destra, e intravide un'ombra; un sai stridette sfiorando del metallo, l'altro colpì il vuoto. Una risata querula e un sibilo e qualcosa di sottile e tagliente gli si avvolse attorno bloccandogli le braccia al torso:

« Merd…! »

Kisshu tentò di liberarsi e si morse il labbro per non emettere un lamento, non era una buona idea: il minimo movimento faceva affondare i fili metallici un po' di più nella carne, contro cui premevano così gentilmente, e la stragrande maggioranza dei cavi erano serrati attorno al suo torace e alla sua gola.

Lindèvi si avvicinò per guardarlo bene negli occhi, aveva un'espressione stravolta. Un sorriso folle brillò sul volto pallido e sudato, i capelli scarmigliati attorno ad esso con piccole, sottilissime ciocche verdi e gli occhi azzurri, le pupille così strette da perdersi nell'iride, screziati di nero.

« Non te lo permetterò. – sussurrò amabile piegando la testa in modo quasi innaturale – Deep Blue-sama si è prodigato così tanto per guarirmi, non ti permetterò di sottrarmi la sua generosità. »

Kisshu avrebbe voluto puntualizzarle che invece qualcosa il suo colpo aveva portato, viste le macchie di colore nei suoi occhi e nei capelli biondi, ma non era nella posizione per fare del sarcasmo e si limitò a sorriderle sprezzante. Lei gli dondolò ancora la testa davanti e il verde si accorse che il moncherino della mano destra era stato cauterizzato magicamente e non perdeva più una goccia di sangue.

« Non ti lascerò provarci una seconda volta. Non te lo lascerò fare… Pena di morte, è questo che meriteresti, pena di morte. »

« È partito l'embolo anche a te come al tuo socio? O sei sempre stata così suonata e non me ne sono mai accorto? »

Lindèvi storse la bocca in un sorriso orribile e gli tirò un calcio in pieno stomaco, facendolo piegare in due e strappandogli un lamento secco per i tagli che si procurò con il movimento brusco.

« No… Punizione, sì, punizione… Se ti ammazzo non impareresti niente… »

« Sono sempre stato duro di comprendonio, almeno così dicono. »

Il suo ghigno beffardo non la toccò e Lindèvi fece mezzo passo indietro, lo sguardo che tornò poco più lucido e la bocca che si piegò all'insù con crudele divertimento:

« Romperò questo brutto giocattolo e me ne cercherò un altro. »

Scoccò un'occhiata allusiva al verde che tolse la maschera canzonatoria e la squadrò intimidatorio.

« Magari uno che fa cip cip. »

La tremenda minaccia di Kisshu non riuscì neppure a uscirgli dalla gola che lui percepì i fili tendersi.

 

 

***

 

 

I rimbombi dei colpi risuonavano in echi oscuri lungo le pareti basse della grotta con un ritmo incalzante, spezzato solo dagli sbuffi e dalle esclamazioni che Sando emise di quando in quando nella concitazione.

« Mi aspettavo di meglio da te, Arashi. »

Lo canzonò aspro a discapito della fatica incisa sulla sua fronte. Arashi non gli rispose, il suo aspetto perfetto come se non avesse ancora mosso un muscolo, ma una piccola ruga seccata si era formata tra le sopracciglia.

Un intoppo del genere non era stato contemplato, i chimeri-clone e gli altri avrebbero dovuto essere un diversivo sufficiente per tenere tutti impegnati mentre loro provvedevano a recuperare il Dono. Sando non aveva comunque possibilità concrete di sconfiggerlo, ma Arashi non era uno sciocco né un imprudente: sapeva che la mole dell'arma era una questione relativa – anche se doveva ammettere che vedere la propria scure respinta da un misero coltello a serramanico era frustrante quanto sorprendente – eppure con il suo karambit e la sola forza bruta Sando stava riuscendo ad impedirgli di avanzare di un passo verso la Goccia; non sarebbe stato così arrogante da etichettare quello stallo a misera fortuna del verde e sapeva quanto sforzo lui stesse impiegando per trattenerlo, come sapeva di non frenarsi lui stesso eppure di venire ugualmente respinto. E, a giudicare dalla sua caparbietà, Sando sarebbe stato in grado di rallentarlo ancora per parecchio nonostante la fatica.

Fuori la battaglia non poteva durare ancora per molto, se qualcun altro avesse deciso di raggiungere il verde… Arashi non poteva rischiare di trovarsi un plotone intero contro, la potenza dei numeri era un'incognita contro cui non voleva confrontarsi, e peggio qualcuno avrebbe potuto approfittare dello scontro per far sparire il Dono.

No, era fuori discussione che lo perdessero. Dovevano prenderlo, immediatamente.

Provò a scansare Sando e a passargli alle spalle, ma il verde non gli permise di andare più vicino di un metro alla sua linea di guardia e mancò di un soffio la carotide del biondo. Arashi si adombrò di più, caricò indietro la scure e colpì con più forza; le braccia di Sando vibrarono in modo spaventoso per il contraccolpo e il verde dovette inarcarsi sulla schiena per compensare la spinta, ma continuò a rimanere dove si trovava manco gli avessero saldato i piedi al pavimento. Squadrò il biondo con fare di sfida:

« Decisamente non ci siamo. »

Con un ringhio ferino Sando si tirò dritto di scatto e spinse con tutta la propria forza sbalzando Arashi indietro di una decina di metri. L'Ancestrale interruppe bruscamente il suo voletto e tracciò un arco a mezz'aria con il filo della scure studiando Sando con gelida rabbia omicida; il verde quasi se la rise invitandolo a tornare all'attacco, il petto che si alzava e abbassava rapido:

« Su, non dirmi che sei già stanco! »

Arashi non gli rispose.

Il cozzare delle loro armi si fece più serrato e per un po' anche Sando smise di parlare, troppo concentrato a respingere i pesanti fendenti della scure senza perdere un braccio o la testa, ma con una strane soddisfazione sorda nel vedere che, se non ad armi pari, stavano combattendo senza che l'Ancestrale riuscisse a piegarlo.

Per non so ancora quanto, però.

I muscoli stavano iniziando a latrare in protesta e fu sicuro che da un momento all'altro l'aria nei polmoni gli avrebbe preso del tutto fuoco da come gli bruciò il petto; non avrebbe resistito ancora per molto, ma il suo solo obbiettivo era impedire che Arashi raggiungesse il Dono.

Esaminò la situazione rapidamente evitando un fendente che per poco gli strappò un piede. Se Arashi avesse potuto prendere la Goccia già da quella distanza lo avrebbe fatto, la barriera non c'era più, perciò o non aveva un sistema per "catturarla" come le loro fiale, oppure  doveva doverla prendere con le mani, in ogni caso era troppo lontano.

Quindi, per quanto lo riguardava, lì sarebbe rimasto a fargli da muro fino alla fine dei suoi giorni.

Arashi cambiò fronte di attacco e lo colpì al fianco con il manico della scure; Sando oscillò di lato e immediatamente si raddrizzò, allontanando il biondo con un movimento molto sgraziato. Ormai non aveva altro fiato per stuzzicarlo, o lo teneva per combattere o per parlare, le due cose assieme non erano fattibili; iniziava davvero ad esaurire le opzioni.

Forse avrei dovuto dare retta a quella menagrama e portarmi dietro qualcuno…

Scosse la testa e drizzò le spalle studiando Arashi che, poco lontano, lo osservò di rimando con la scure posata al suolo accanto a sé.

Poi un'accecante fitta di dolore lo trapanò al fianco destro.

Sando cacciò un grido che si spense rapidamente e poi si rialzò di volume mentre la lama veniva spinta verso il centro della sua schiena e poi estratta con un risucchio inudibile; lui cadde in ginocchio, le mani che pronte e invano si premettero sulla ferita che perdeva troppo copiosamente. I suoi occhi blu brillarono di odio squadrando la figura poco dietro di lui:

« Maledetta… Stronza…! »

Ruggendo come una belva tentò di allungarsi e afferrarla per terminare ciò che aveva iniziato il giorno del suo arresto, ma la ferita sporca era troppo estesa e lui ricadde mollemente carponi premendosi così forte la mano sul taglio da infilarsela nella carne. Lenatheri, il pugnale ancora stretto tra le dita che gocciò a terra, non disse una parola: non emise suono, osservando colui che era stato suo superiore, suo amico, forse ciò che più vicino ad una famiglia avesse mai potuto definite, reggersi con un braccio e sollevare a fatica la testa solo nella speranza di ucciderla con il disprezzo che le stava rivolgendo. Lei rimase pietrificata dove si trovava, gli occhi color rame spalancati di un insensato terrore fissi in quelli color notte di Sando per non seppe quanto tempo.

Poi con un impercettibile movimento alla sua destra Lena avvertì Arashi sollevare la scure; la lama battè cupa al suolo e un'esplosione contenuta e terribilmente potente le detonò a pochi centimetri dal viso, centrando Sando in pieno. Lui emise uno strano rantolo, fu scagliato via e schiantato contro la parete poco distante con tanta forza da venire sbalzato di nuovo verso Lenatheri e infine pallido, muto, piombò a terra senza muoversi più.

La mora continuò a rimanere ferma, osservando le spalle del verde a un metro da sé alzarsi ancora lievemente e una pallida chiazza rossastra allargarsi sotto di lui e diffondersi tra le pietre in rigagnoli sottili.

« Non avevo chiesto intervenissi. »

La voce di Arashi la riportò alla realtà con la violenza di uno schiaffo e lei temette di subire un qualche castigo, agitandosi tanto che il pugnale le sfuggì dalle mani e cadde con un inquietante tintinnio. Esaurito il commento, però, Arashi sorpassò lei e Sando come se fossero trasparenti e puntò deciso al Dono, allungandovi contro il palmo e sorridendo:

« È qui, mio signore. »

 

 

***

 

 

Fu come se il braccio gli esplodesse dall'interno. Potè sentire ogni centimetro di ogni singolo osso spezzarsi dietro la carne, i muscoli strapparsi e la pelle lacerarsi in tanti minuscoli e profondi tagli; tutti i nervi dai polpastrelli alla spalla detonarono all'unisono e lui non pensò nemmeno a quanto potesse essere umiliante far sentire a Toyu la riuscita del suo gesto, o quanto avrebbe fatto male gridare con le dita del biondo ancora strette sulla gola: aprì la bocca in un ruggito di dolore e s'inarcò sulla schiena, cercando invano di muovere il braccio ancora sano per afferrare il jitte, a terra sotto le dita martoriate dell'altro arto, e staccarselo prima che morisse dallo shock o dissanguato.

Perché di certo se Eyner aveva un goccio di sangue si era riversato tutto nel braccio maciullato e stava uscendo a fiotti, dandogli delle fitte così lancinanti da rendergli impossibile perdere i sensi, pur se il resto del suo corpo e lui stesso avrebbero tanto voluto svenire e non sentire altro.

« Eyner! »

Udì un sibilo e impiegò qualche secondo a connettere il suono alla frusta di Zakuro che gli vibrò poco distante, probabilmente allontanando Toyu. L'Ancestrale rise in lontananza ed Eyner sentì dei passi strisciare, Zakuro doveva essersi piazzata vicino a lui pronta a colpire ancora il biondo se si fosse avvicinato di nuovo.

« Dovresti essere fiero, non avevo mai sperimentato questo trucchetto. – disse Toyu divertito – A dire la verità volevo spappolarti tutta la parte sinistra del corpo, ma devo aver messo troppa poca energia. »

Eyner gli rispose in un sibilo imprecando. Si azzannò il labbro per non fargli ascoltare i bassi lamenti involontari che gli risalirono dalla gola e tentò di aprire gli occhi scorgendo il biondo con il fioretto tra le dita e lo sguardo fisso su Zakuro, pronto a riprendere da dove Eyner lo aveva interrotto.

Maledizione…!

Improvvisamente Toyu assunse un'espressione stupita; sollevò il mento ascoltando un suono che nessun altro potè percepire e i due ragazzi lo videro brillare un momento, come quando le MewMew entravano in risonanza con la MewAqua. Il biondo sorrise e rivolse a Zakuro un'occhiata contrita:

« Ahimè, mio piccolo glicine… Non posso rimanere oltre a divertirmi con te. »

La mewwolf non capì perché avesse fatto scomparire il fioretto né perché le rivolgesse un lezioso e affettato inchino e rimase in guardia, pronta ad attaccarlo.

« Alla prossima. »

Le lanciò un bacio e scomparì con uno schiocco.

Zakuro rimase immobile, stordita, risvegliandosi solo quando un singulto secco le perforò le orecchie come uno sparo:

« Eyn…! »

L'inspiegabile e inquietante sparizione di Toyu poteva aspettare, in quel momento a preoccuparla a morte era il bruno che stava per perdere conoscenza, il braccio ridotto ad un ammasso rossastro e il suo respiro sempre più rapido spezzato da agghiaccianti gorgoglii per il sangue in bocca.

La mora si frugò negli short estraendo il cellulare di Kiddan, pensando solo un attimo che non aveva idea di dove l'avrebbe condotta l'attivazione del pulsante di emergenza, poi si rese conto che il bottone blu sul telefonino brillava ad intervalli. Non sapeva minimamente cosa  volesse dire, pregò solo che il vecchio Kiddan ci avesse messo lo zampino, e tenendo Eyner per la mano sana premette il pulsante.

 

 

***

 

 

Trattenne il fiato e strinse i denti mentre i fili d'acciaio gli incisero la carne con un unico rapidissimo movimento, poi si sentì mollare a terra bruscamente; soffiò e bestemmiò sottovoce, certo non era stato piacevole e i cavi avevano fatto ben più che qualche graffietto, andando bene in profondità, ma si era aspettato di sentire molto più dolore. O quantomeno di vedersi tranciare di netto un arto.

Tossendo alzò la testa e capì che Lindèvi non aveva terminato l'attacco, anzi aveva ritirato la sua arma e stava guardando un punto indefinito sorpresa e spaesata. Kisshu la vide brillare per un momento come aveva visto fare altre volte alle ragazze poi, immusonita, rivolgergli un'occhiataccia e sbuffare:

« Ti è andata bene per stavolta – grugnì inacidita – spera bene di crepare dissanguato, così non dovrò più incavolarmi a rivedere quella tua faccia di bronzo! »

Sparì prima che Kisshu mettesse assieme una risposta degna.

Il verde si sedette mollemente a terra, senza fiato e con la fastidiosa sensazione delle decine di squarci aperti ovunque e dei vestiti che si stavano inumidendo di sangue appiccicandoglisi addosso, sforzandosi di capire: dopo tutto quel pandemonio, Lindèvi lo aveva su un piatto d'argento per ridurlo in stile sashimi e lo lasciava andare.

Non aveva senso.

Un freddo peso molliccio gli piombò nello stomaco. Scattò in piedi sibilando ancora a labbra strette per il male e partì in volo, due dita sul suo comunicatore che un cavo aveva spaccato nel mezzo e che ormai trasmetteva solo stridii e ronzii sordi. Se lo tolse dall'orecchio e lo gettò via stizzito, lo sguardo che prese a perlustrare attorno a sé avido di scorgere visi familiari, ma dopo nemmeno qualche metro la vista gli si appannò di colpo: sbandò e si abbassò rapidamente di quota, premendosi una mano sulla gola, aveva brutti e preoccupanti tagli anche lì, ma respirava senza difficoltà quindi non doveva avere lesioni gravi; la testa però gli diede un altro capogiro, evidentemente per quanto "poco allarmanti" le sue ferite erano sufficienti per dare gioia a Lindèvi e veder realizzate le sue maledizioni.

Fece qualche passo scombinato assecondando la discesa e si appoggiò ad un muro, il capo basso, sperando di guadagnare abbastanza ossigeno per non perdere i sensi proprio lì in mezzo al niente e piombare con la faccia nella polvere.

Per il tempo che mi trovano, finisce sul serio che crepo senza più una goccia di sangue in corpo.

Prese un lungo respiro con un rantolo che gli suonò parecchio inquietante anche se uscì dalla sua stessa gola, e nel ronzio basso che iniziò a fargli da sottofondo alle orecchie risentì le parole che aveva bisbigliato così deciso a Minto non sapeva quanto tempo prima; imprecò piano.

 

 

***

 

 

« Fuu Hyo Sen! »

« Hama Do Sen! »

Due colonne di terra e ghiaccio si avvolsero attorno ai piedi di Zizi e Taruto lanciò i suoi pugnali, ma il biondo riuscì a schivarli e spaccò per l'ennesima volta i suoi ceppi. I tre lo inseguirono frustrati, per quanto ci stessero provando in ogni modo Zizi continuava a filarsela e non servivano a niente le ferite inflittegli, lui perdurava a svolazzare lì attorno come una falena, incrollabile.

Taruto, furioso, gli spedì contro le sue lame con più foga che precisione, ottenendo solo di farlo scorrazzare e ridere più forte mentre lui si ritrovò senza fiato.

« Taru-chan, così è inutile. »

« Lo so! »

Protestò scoraggiato e i suoi occhi caddero per l'ennesima volta alla cupoletta che il violetto aveva eretto sopra Purin.

E… Forse sbagliava, ma aveva l'impressione che avesse un buchetto su un fianco che prima non c'era…

« Siete veramente delle inutili merde. – sbottò Zizi passandosi una mano tra i capelli – Mi sono rotto il cazzo, ora vi faccio saltare per aria come petardi e così la finiamo con questo teatrino dei coglioni. »

Si zittì all'improvviso e gli altri videro il suo corpo risplendere di un balenio azzurro. Lui si studiò la mano luminescente e cacciò indietro la testa con un lamento:

« Ma che palle, proprio adesso…! – sbuffò e li guardò ghignando – Va bene, niente botto stronzi, chi becco, becco e lo spappolo! »

Partì in avanti a testa bassa e MoiMoi capì che stava puntando a lui. Erse una barriera di terra di fronte a sé e prese distanza, ma Zizi la fracassò come fosse carta e il violetto continuò a generare lingue di terra dietro di sé mentre si diede alla fuga; Pai e Taruto provarono a bloccarlo ma l'Ancestrale si muoveva in modo da avere tutti e tre sott'occhio, schivando i colpi all'ultimo secondo, e rise stridulo:

« Avanti, non ho tempo di pensare anche a voi zanzare, e avevo promesso che avrei fracassato la testa del senpai finocchio n-! »

S'interruppe con un verso nasale. MoiMoi capì di preciso cosa stesse succedendo solo quando, abbassando lo sguardo, vide una macchia giallo limone muoversi debolmente fino a terra e una massa dello stesso colore bloccare le gambe e un braccio di Zizi.

« Taruto! »

Il brunetto si riscosse a fatica dal guardare Purin – stremata, ferita, ma inequivocabilmente viva – scrutò confuso Pai e poi lanciò in avanti uno dei suoi pugnali, colpendo Zizi ad una spalla prima che riuscisse a liberarsi dal Pudding Ring Inferno per raggiungere MoiMoi.

Il biondo piombò a terra come un sasso ululando secco; spaccò la membrana di gelatina gridando e bestemmiando, la bava alla bocca per la rabbia, e quando alzò lo sguardo verso i suoi avversari la furia gli si gelò sul volto per le loro espressioni: dovette capire cosa significassero e il suo corpo gli diede conferma, contraendosi negli spasmi dolorosi che fino ad allora non aveva avvertito.

« No… No, no… No… »

Si guardò alle spalle scorgendo la sommità del pugnale piantato nella sua spalla. Si guardò le mani che divennero callose, rovinate da vecchi tagli e rotture delle ossa non sempre guarite come si deve, poi si piegò su se stesso: le ferite che non aveva percepito tutto il tempo iniziarono a martoriarlo e lui si strinse le braccia, le gambe, ogni parte che riusciva a raggiungere come se premendo avesse potuto scacciare il dolore, gridando a pieni polmoni, ma la cosa che più parve farlo soffrire fu il vedere ciuffi color fuliggine sfiorargli i lati del viso e scendere dalla fronte.

« No…! No! NO! – s'interruppe con un conato e sputò sangue – Non è giusto! No! Deep Blue-sama! »

Alzò le braccia puntandole nel nulla, aveva quasi le lacrime agli occhi e la sua voce acuta supplicò l'aria:

« Non potete abbandonarmi! Non adesso! Vi prego, aiutatemi…! Non lasciatemi qui! Non voglio morire! Non voglio! Non voglio! »

La scena era così penosa che nessuno dei presenti osò muoversi per finirlo o catturarlo, lasciandolo a disperarsi. Poi, così come aveva brillato poco prima, lo Zizi ormai tornato un comune jeweliriano si tese tutto, tremò e crollò in avanti con un sospiro finale.

« … È…? »

Pai rispose unicamente con un grugnito. Taruto, ammutolito, fissò il corpo esanime ancora un momento e poi si ricordò di come avesse fatto a colpirlo: si fiondò verso Purin trattenendo il respiro e atterrò malamente sbagliando di un paio di metri, raggiungendola a balzelli sulle ginocchia; lei, appoggiata accanto al buco che era riuscita a scavarsi nella barriera di terra, ondeggiò la testa con un lamento e lo studiò divertita della scena, ma troppo stordita per mandare altro che uno sbuffo.

Taruto la stritolò con il braccio sano affondando il viso nell'incavo della sua spalla, incurante della presenza di Pai e MoiMoi. Fino a quel momento aveva temuto… L'aveva vista, completamente immobile e…

Invece era lì, la sentiva respirare, sentiva la pelle calda e viva sotto la mano, e lui si sentì un cretino perché non sapeva se urlare arrabbiato, piangere o ridere per il sollievo:

« Non azzardarti mai più a farmi prendere uno spavento simile. Mai più. »

« Taru-Taru… »

Il brunetto rimase fermo stringendola, gli occhi serrati, aprendoli solo quando un paio di mani garbate gli si posarono sulle spalle; MoiMoi gli sorrise gentile:

« È meglio se Purin-chan va a farsi controllare. Ha comunque preso un bel colpo. »

Taruto lasciò di malavoglia la biondina e annuì.

« Pensi di farcela con il tuo braccio? – gli chiese preoccupato il violetto – Così intanto io e Pai-chan perlustriamo attorno, potrebbe esserci ancora qualcuno intrappolato o nascosto. »

Taruto ci pensò e annuì poco convinto, non era sicuro fosse saggio non sorreggere Purin nel teletrasporto e di certo lui non ce l'avrebbe fatta con un braccio bloccato; inoltre gli sembrò che MoiMoi non avesse molta voglia di fare quello che aveva detto e, nel vederlo sfiorarsi il comunicatore, Taruto capì che avrebbe voluto andare a cercare Sando.

« … Laggiù il comunicatore non prende – gli sorrise quando si accorse del suo sguardo – ricevo solo un gran bzzzz. »

Il brunetto non aveva idea di dove si fosse diretto il verde, ma annuì come se l'affermazione fosse chiara.

« Senpai, vai con loro. »

« Uh? »

« Posso controllare da solo – tagliò corto Pai incolore – e lei è meglio se non viene mossa troppo, tu puoi reggerla meglio. »

« O-ok… Allora poi ti raggiun- »

« Qui faccio da solo. »

Ribadì e MoiMoi sospirò sorridendo:

« Grazie. »

Con garbo il violetto passò le braccia sotto le gambe e dietro la schiena di Purin prendendosela in braccio, una scena dallo strano effetto considerando che la biondina era alta come lui; Taruto gli si affiancò e i tre sparirono, mentre Pai iniziò ad ispezionare la zona.

Una parte di sé reagì brusca in dissenso, serrandogli il nodo al petto e fomentando l'agitazione che lo tormentava da quando Retasu era stata portata via da Ake: avrebbe dato qualunque cosa per raggiungerla ed accertarsi coi propri occhi che stesse bene.

Scosse la testa, lui aveva un compito, Retasu era nel luogo più sicuro di tutta Jeweliria, e probabilmente era più preoccupante quello che avevano visto succedere a Zizi e l'ancor totale silenzio radio da parte di Sando, due cose che non riusciva a non pensare fossero collegate pur non sapendo ancora perché.

Si alzò in volo e iniziò a controllare attorno palmo a palmo, prima avesse finito prima l'avrebbe rivisita.

 

 

***

 

 

La sua mente riprese a lavorare di colpo dal buio totale.

Vide la Città Sotterranea, buia e silenziosa, e la percorse tutta con una velocità tale da darle la nausea; un'apertura in una parete, non naturale; una grotta bassa e spaventosa, una grotta che aveva già visto una volta, quella notte che aveva sognato Luz parlare con Nuvem sopra un albero. Una luce che illuminò le pareti. E delle figure, in piedi, e altre a terra…

Ichigo si tirò su con un urlo da far gelare il sangue. Prese dei respiri profondi, stava tremando come una foglia e aveva la pelle scossa da brividi; attorno un silenzio pesante, assoluto, e una calma irreale.

Sono svenuta? Per quanto…?

Si accorse di essere in una specie di fossa e dallo stato delle sue ginocchia doveva esserci caduta malamente, non aveva idea di come; probabilmente quando aveva perso i sensi. Si tirò fuori, non era molto profonda se si metteva in piedi, e quando sbucò con la testa oltre il bordo vide un piccolo manipolo di soldati che stava controllando la zona: non si accorsero subito di lei finché un ufficiale dai capelli mandarino non le andò incontro con passo marziale; lei si ritrasse d'istinto al suo sguardo torvo, rilassandosi solo quando lo vide fare un cenno gentile e porgerle la mano per aiutarla ad uscire del tutto.

« Grazie… »

« Sei una delle terrestri. – non era una domanda, ma Ichigo annuì comunque – Tenente Colonnello Blies. Stiamo facendo un controllo dei superstiti. »

Ichigo annuì e sentì il cervello lavorare rapidamente:

« Non ci sono più chimeri…? »

« Non c'è più nessuno. – disse asciutto e alla rossa sembrò confuso quanto lei della cosa – Sono spariti tutti da un momento all'altro. »

La mewneko sgranò gli occhio rosa e si voltò di scatto partendo a correre, doveva raggiungere il Dono e sapeva dove trovarlo.

Se è ancora lì.

I richiami del tenente colonnello la bloccarono e lei, ragionando velocemente, fece dietrofront piantandosi di fronte all'ufficiale:

« Mi scusi …! Potrebbe accompagnarmi in un posto? »

« Come prego? »

Ichigo non seppe come spiegare e andò a braccio sperando bastasse:

« Si tratta del Dono degli Avi. »

Blies sgranò gli occhi perlacei accigliandosi subito dopo e non le rispose; la fissò per un po', sbraitò due ordini ai suoi soldati e porse la mano alla mewneko:

« Dove dobbiamo andare? »

 

 

 

 

Le ci volle un po' per decifrare la zona della Città Sotterranea dove dovevano dirigersi, come Blies non aveva idea di dove fosse costudito il Dono e Ichigo suppose che in ben pochi lo sapessero. Comparvero a pochi metri dall'apertura nella parete e la rossa vi si fiondò dentro a perdifiato, il tenente colonnello dietro che non protestò accelerando l'andatura.

La grotta dove la mewneko aveva visto la Goccia era molto meno luminosa, emetteva solo un fioco bagliore – probabilmente le rocce attorno erano fluorescenti – e le figure che aveva visto erano diminuite. Si tappò la bocca con una mano quando i suoi occhi felini, indifferenti al buio, scorsero perfettamente la sagoma di Ebode e non osò osservare più a lungo l'altra figura poco distante; la sua attenzione fu per la terza, che emise un fioco lamento e provò inutilmente a muoversi. Il cuore della ragazza perse un paio di battiti:

« Sando-san! »

Il verde tentò di fare un movimento qualsiasi, Ichigo immaginò in un misero tentativo di alzarsi, e lei gli corse subito accanto per impedirglielo; era pessima in anatomia, ma le fu chiaro convenisse rimanere fermi con l'enorme chiazza rossa che l'uomo aveva sugli abiti:

« Sando-san…! Cosa…?! »

Non seppe cosa dire né cosa fare, la vista del verde aveva eclissato la determinazione che l'aveva spinta fino lì. Blies, intanto, osservò la zona borbottando cupo e Ichigo tese le orecchie, i movimenti di Sando si fecero sempre più inesistenti eppure riuscì a farfugliare qualcosa. La mewneko avrebbe tanto voluto non capire e quando la sua mente connesse i rantoli confusi dell'uomo fece qualche inorridito passo indietro e si lasciò cadere a sedere, impotente.

L'hanno presa.

Il suo piede urtò qualcosa di duro. Si voltò distratta, mentre Blies si avvicinò a Sando e tentò inutilmente di comunicare con i suoi commilitoni: vicino al suo stivale rosa c'era qualcosa di lungo e luccicante, che risuonò quando lei lo colpì; non sapendo bene perché Ichigo allungò la mano e lo prese, era un pugnale dalla linea semplice e aveva qualcosa di inciso sotto l'elsa, uno strano simbolo che fu certa di non conoscere e che eppure le risultò famigliare.

« Dobbiamo immediatamente raggiungere il bunker. »

Ichigo capì che Blies le aveva parlato solo quando vide le sue dita sventolarle davanti al naso. Le prese lentamente, il soldato che poggiò l'altra mano su una spalla di Sando, e la rossa avvertì la presa del teletrasporto mentre la grotta svanì di fronte ai suoi occhi. Non percepì il vago senso di nausea né il fastidio tipico che le dava il teletrasporto, fu come se il suo corpo avesse preso ad esistere su un piano diverso dalla sua mente che, inorridita, confusa, attonita, non faceva che risuonare delle parole biascicate da Sando.

L'avevano presa.

C'erano riusciti.

Gli Ancestrali avevano preso la MewAqua.

 

 

***

 

 

Il bunker d'emergenza era una struttura semplice e articolata al contempo.

Il design generale era minimale, muri bianchi e soffitti alti che creavano corridoi quadrati e ben illuminati dall'aspetto un po' asettico, ma l'intreccio dei vari corridoi era un labirinto intricatissimo: decine e decine di angoli, incroci, vicoli ciechi e passaggi infiniti disseminati di stanze di degenza, camere per il pronto soccorso, più sale chirurgia, camerate e magazzini di riserve di cibo e altre provviste d'emergenza, tutte non molto grandi eppure funzionali. I jeweliriani non parevano fare alcuna fatica ad orientarsi lì dentro, mentre Minto si era arresa appena entrata ad aspettare o dirigersi dove le veniva indicato per non rischiare di perdersi.

Lei, Iader e la truppa di soldati con cui era rimasta avevano continuato ad avanzare in ciò che restava della Celebrazione finché i comunicatori dei militari non avevano gracchiato la scomparsa di chimeri e Ancestrali. La notizia aveva fatto esultare gli uomini di gioia, ma Minto aveva avuto una brutta sensazione.

Spariti? Così? All'improvviso? Perché? Perché andarsene senza essere certi di aver terminato il lavoro?

Forse ucciderli non era il motivo per cui erano venuto, né uccidere i jeweliriani. Forse era altro. In fondo il loro obbiettivo primario era sempre stato il Dono degli Avi…

Lo avevano trovato? Come? Nessuno… Nemmeno loro, che ne avevano cercato i frammenti per tutti i pianeti e le dimensioni, sapevano dove fosse stato custodito dopo l'aggressione a MoiMoi. Che qualcuno avesse parlato? C'erano altri traditori?

Pensieri e domande si accavallavano gli uni sugli altri nella testa della mewbird rendendola torva e silenziosa, il petto sempre più serrato da un'angoscia sottile e gelida.

Iader aveva lasciato un piccolo manipolo alla ricerca di superstiti e aveva condotto i soldati con le ferite più gravi e lei al bunker; la mora aveva protestato, seppur debolmente perché distratta, graffi e lividi non le impedivano di muoversi liberamente ed essere utile, ma l'uomo l'aveva guardata con un misto di ammirazione e condiscendenza:

« Hai fatto fin troppo. Fatti dare una sistemata e aspetta le altre, d'accordo? »

Minto, il gelo al petto che divenne un po' più intenso, era riuscita solo ad annuire rabbuiata e a obbedire.

In realtà fino a quel momento nessuno, tra infermieri o medici, si era premurato di badare a lei: appurato che le sue ferite non fossero così gravi l'avevano fatta accomodare in un corridoio e sedere su una piccola panca, riprendendo il frenetico andirivieni tra lo smistamento dei superstiti e dei feriti gravi. Alla mora la cosa era stata più che bene, aveva altri pensieri per la testa che dover sottostare al controllo scrupoloso di qualche infermiera che l'avrebbe rivoltata come un calzino alla spasmodica ricerca di ferite di varia gravità, non era in condizioni da morire in tempi brevi.

Sospirò, non aveva ancora sciolto la trasformazione riflettendo che il bell'abito che le avevano dato per la Celebrazione fosse un po' troppo ingombrante lì dentro, ma stare seduta con la coda blu che veniva schiacciata tra la panca e il muro era abbastanza fastidioso. Nulla togliendo al suo nervosismo.

Giocherellò con il suo ciondolo, non era ancora riuscita a comunicare con le ragazze e nessuno pareva avere idea di dove fossero. Aveva bloccato qualche soldato occupato nello smistare e rassicurare la folla da quando era arrivata, ma nessuno aveva visto le terrestri, o aveva idea di chi fossero – affermazione che fece venire la seria tentazione alla mewbird di rispondere frasi acide e sarcastiche come "avete notato le ali?! Beh, altri tipe del genere!" – all'ennesimo buco nell'acqua aveva provato a chiedere dei ragazzi, ma pur avendo più successo nel far capire di chi stesse parlando le risposte completamente prive di informazioni utili l'avevano innervosita e preoccupata senza costrutto.

Prese più saldamente il suo ciondolo nella mano:

« Ragazze… Mi sentite? State bene? »

Le rispose solo un grattare aspro. Sembrava che là sotto ci fosse un qualche genere di interferenza e Minto non pensò fosse possibile o prudente uscire per cercare una migliore ricezione. Rimise il ciondolo dritto, sbuffò e si alzò prendendo a camminare senza una meta, esasperata dello stare seduta.

La confusione attorno a lei era trattenuta e sfoltita dall'efficienza dei medici e dei militari, ma ciò non rendeva la situazione meno drammatica: c'erano decine di persone stipate nei corridoi, feriti che sbucavano da tutte le parti, gente che gemeva e chiedeva aiuto; famiglie che cercavano i loro congiunti, persone che si avvinghiavano al primo che sembrasse loro avere un minimo di autorità e a cui chiedevano disperati i nomi di amici e parenti; gente che, attorniata da una minuscola bolla di silenzio, scoppiava in lacrime quando li veniva annunciato mestamente che non avrebbe rivisto più un loro caro; barelle nascoste da lenzuoli dietro cui si intravedevano orrende macchie rossastre e corpi ormai senza vita.

Minto strinse i pugni accelerando l'andatura vedendo un bimbo, solo, aggrapparsi al bordo di una lettiga coperta e chiamare piangendo un nome a cui nessuno avrebbe più risposto.

Per un momento i visi delle sue amiche, di Ryou, di Keiichiro, degli altri le esplosero di fronte agli occhi togliendole aria; si sforzò di cancellare tutto, ma sadica la sua mente le ricordò una stupidissima frase che una persona altrettanto stupida e incosciente le aveva detto quella che le parve un'eternità prima e lei non riuscì a non studiare febbrile attorno con il terrore di vedere due noti occhi dorati fare capolino dietro un nugolo di medici, o peggio scorgere una zazzera verde scuro su una di quelle maledette barelle.

Battè il palmo contro una parete e si conficcò le unghie nell'altro:

« Ora falla finita. »

In fondo lui era troppo orgoglioso per farsi uccidere.

Minto mandò a quel paese la sua testa quando le ricordò che Kisshu avesse già un certo precedente in quanto dipartita, e presi un paio di lunghi respiri si sforzò di sgomberare la mente da ogni pensiero invadente o catastrofico e riprendere la sua passeggiata.

Le ci volle qualche secondo per riuscire nell'intento e appena ebbe compiuto l'impresa riconobbe una vocina nella confusione che protestava e piagnucolava. La mora sollevò la testa seguendo le lamentele e subito, oltre una porta aperta, vide qualcuno di noto seduto su una brandina vicino all'ingresso; entrò spintonando tre infermieri e un gran sorriso in viso, mai avrebbe immaginato che rivedere un qualsiasi viso famigliare le avrebbe potuto rinfrancare tanto lo spirito:

« Sury-chan! »

« Onee-chan!! »

La bambina, che un'infermiera grassoccia stava tentando inutilmente di medicare, appena scorse la mewbird scoppiò a piangere come una fontana e si proteste in avanti per quanto glielo permettessero le gambe ferite, supplicando muta la mora per un abbraccio. Minto non si fece pregare e lasciò che la piccola la stritolasse, se lei si stava sentendo tanto spaesata e preoccupata chissà come doveva sentirsi Sury che era ferita e, la mewbird lo notò con un groppo alla gola, completamente sola.

« Sury-chan, cos'è successo? »

La bambina singhiozzò un minuto buono articolando strane sillabe, prima di ripetere da capo in modo comprensibile e spiegare come si fosse ferita e Zakuro l'avesse trovata. Nel sentire nominare l'amica Minto avvertì un gran sollievo scaldarle il petto, ma non interruppe la piccola un solo momento.

« … Poi… Poi quel puzzone là ha… E poi è arrivato Eyn, e… – Sury tirò su con il naso e prese un respiro tremolante – Hanno portato via Roovy-san che stava tanto, tanto male e io adesso… »

Spense la frase in un pigolio e Minto le prese il viso tra le mani sforzandosi di essere calma e rassicurante; si domandò se ne sarebbe stata in grado, lei non era granchè coi bambini, ma inspirò a fondo e fece un sorriso convinto:

« Vedrai che Roovy-san starà benissimo. »

« E… Eyn e Zakuro nee-san…? Dove…? »

« Toyu e gli altri sono andati via. Io sono sicura che Eyner e l'onee-sama sono già qui da qualche parte. »

La bambina si illuminò di un vago sorriso e fece per muoversi, ma Minto la trattenne ancora:

« Adesso vado a cercarli, tu però devi rimanere qui, d'accordo? »

« N-no…! No! – Sury riprese a piangere forte – Non voglio! Non andare via, non voglio stare da sola! »

Strinse nelle manine quelle guantate di Minto e la mewbird sentì le sue piccole dita tremare. Fu difficile rimanere serena e cercò di ricordarsi per filo e per segno come parlasse Retasu a Purin quando la biondina era più piccola, l'immagine più efficace che avesse in memoria di una figura materna.

Il pensiero delle amiche le strinse lo stomaco.

« Ascolta – insisté facendo stare Sury seduta composta – ora tu devi pensare a farti medicare, altrimenti poi starai peggio. Ok? »

Sury rifletté sulla frase e si sbirciò le gambe, che dovevano farle terribilmente male; annuì poco convinta.

« Io andrò a cercarli. Appena li trovo correrò qui da te, d'accordo? »

Sury ci pensò un po' su e fece un cenno affermativo più deciso.

« In cambio tu ti farai curare e obbedirai a quello che dirà l'infermiera. Va bene? »

La mora alzò la testa verso la donna che le sorrise e ostentò un gran con la testa, replicando quando Sury si voltò verso di lei; la bambina ricambiò e si fregò il visetto fradicio:

« Va bene. »

« Stai tranquilla, non ti farà male. »

La rassicurò l'infermiera e Sury drizzò le spalle eseguendo le indicazioni della donna come un soldatino:

« Anche se fa male non piango. »

Si voltò verso Minto, come se l'ultima affermazione fosse un chiaro segno che sarebbe stata una bambina obbediente; lei le sorrise e si voltò a passo spedito correndo via nel corridoio per quanto lo permettesse la calca, lasciando finalmente cadere l'aria serena che aveva mantenuto di fronte alla piccola e trasfigurando di preoccupazione.

Era uno dei pensieri che aveva tentato di tenere fuori dalla propria testa, ma con il racconto di Sury era tornato prepotente a soffocarle la ragione.

Loro, contando le cinque MewMew, Ryou e gli alieni, erano in dodici, gli Ancestrali solo quattro. Ma se avessero approfittato della confusione e del fatto che si fossero divisi…?

Toyu non aveva impiegato molto a raggiungere la sua preda preferita degli ultimi mesi.

Minto scosse la testa e deglutì, frugando ogni centimetro attorno a sé nella speranza di vedere o sentire ancora un viso o una voce famigliare.

Kisshu…

 

 

***

 

 

Finalmente era riuscito ad allontanarsi dal gruppo di fuggiaschi a cui l'avevano accorpato. Con un sospiro liberatorio Keiichiro aveva iniziato a guardarsi attorno, si trovava in un corridoio abbastanza tranquillo, poco affollato rispetto ai primi che aveva attraversato, ma non aveva né punti di riferimento né scorgeva qualcuno che potesse essergli di aiuto: il consigliere Thugar era sparito appena avevano messo piede nel bunker e lui, dopo le veloci cure ricevute varcato l'ingresso, era rimasto completamente solo, frustrato del non poter fare nulla e del non sapere nulla.

Girò un angolo nel suo vagare e distinse per un momento uno dei medici, l'aveva visto varie volte durante la settimana appena trascorsa perché MoiMoi aveva dovuto incontrarlo spesso, anche se il bruno non gli aveva parlato molto; pure il medico lo riconobbe e sembrò intenzionato a richiamarlo per dirgli qualcosa, ma Kei capì la situazione prima che quello aprisse bocca, scorgendo qualcuno oltre il vetro di una delle stanze. Si fermò di botto trattenendo il respiro e piantando il naso contro la superficie trasparente, quasi non badando più all'uomo che lo raggiunse.

« Akasaka-san, giusto? »

« Sì – rispose appena il bruno scostando a fatica lo sguardo dalla stanza – lei è… Ake-san? »

Ake annuì appena e si voltò con lui verso Retasu, addormentata su uno dei lettini della piccola camera.

« Pensavo fosse messa molto peggio quando siamo arrivati – anticipò prima che Keiichiro chiedesse alcunché – certo non è che stia bene, ma per adesso è fuori pericolo. »

« Per adesso? »

« Non posso dire di più finché non si sveglia. »

Ake mangiucchiò nervoso il suo solito tubetto di paina e tacque. Keiichiro notò che aveva un grosso cerotto sotto la frangia, vari lividi sul viso e il polso sinistro, che sbucava da sotto la manica, era fasciato; il volto del medico divenne cupo:

« Se ci fossero le vasche rigenerative l'avremmo messa in totale sicurezza – spiegò spiccio e brusco – però per quelle occorre una potenza che non si può gestire qui sotto, con tutti i supporti di emergenza di cui deve disporre tra luce ed altro. »

Keiichiro annuì senza domandare aspettando proseguisse.

« Avremmo potuto trasportarla alla sede principale dell'ospedale, ma quei gran figli di puttana ci han fatto un bel falò. Come di tutte le vasche che avevamo a disposizione. »

Il bruno impallidì:

« L'esplosione di prima allora… »

Ake annuì e mandò un grugnito grave, come per lasciar cadere il discorso:

« I Sistemi di Rigenerazione Portatili non possono minimamente sopperire alle vasche, e in ogni caso adesso sono smistati per cure d'emergenza. – proseguì e non sembrò importargli che Keiichiro non avesse capito tutto completamente – Per tornare alla tua amica, per adesso è stabile. Ha la pelle più dura di quello che sembri. »

Gli battè una mano sulla spalla e si allontanò. Keiichiro rimase qualche momento a fissare la chioma smeraldina di Retasu riversata sul cuscino, il lenzuolo steso sulla ragazza che si muoveva appena; l'uomo raddrizzò le spalle con decisione:

« Ake-san, mi permetta di aiutare. »

Il medico si voltò lentamente a guardarlo spalancando gli occhi confuso.

« Non sono un medico – precisò Keiichiro dolente – ma ho una buona base di primo soccorso, e non sono impressionabile al sangue. »

« Quello che ci manca adesso è un civile che faccia danni aggiuntivi. »

Borbottò Ake e Kei insisté:

« Mi faccia fare qualunque cosa! Che sia spingere barelle, portare coperte, qualsiasi cosa. Ma la prego. »

«  Senti t- »

« Le persone a cui tengo di più in questo momento sono ancora là fuori, o possono essere già qui dentro ferite o peggio. – sbirciò ancora Retasu con la coda dell'occhio e sospirò forte – Ormai sono abituato al fatto di non poter fare altro che aspettare il loro ritorno, ma almeno mi permetta di essere utile in qualche modo prima che impazzisca completamente. »

Per qualche secondo Keiichiro si sentì scrutare dall'iride azzurro e da quello nocciola del medico, poi quello schioccò la lingua e chiamò un infermiere sulla trentina dall'aria nervosa e attenta:

« Prenditi questo qui e fatti aiutare. Non dargli alcun attrezzo medico – lo redarguì secco e scoccò un'occhiataccia allusiva a Kei che chinò il capo obbediente – ma fagli fare qualcosa di utile. Credo che sia in grado di fare una fasciatura. »

Guardò ancora Keiichiro che annuì convincente e sbuffando Ake lo lasciò con l'infermiere, che un po' confuso, ma palesemente sollevato di avere due braccia in più si fece seguire dal bruno in una stanzetta lì vicino, dove almeno trenta persone aspettavano di essere bendate e rassicurate. Keiichiro abbandonò la giacca dell'abito e si rivoltò su le maniche della camicia, andò a lavarsi le mani dove gli fu indicato e, una buona fornitura di bendaggi tra le braccia, si avvicinò ad una ragazzina dai capelli color muschio e l'aria frastornata dal terrore; il bruno le prese con dolcezza un braccio, dove spiccava un lungo taglio rossastro, e mettendo su il suo miglior sorriso di conforto iniziò a disinfettare e medicare con solerzia e precisione.

 

 

***

 

 

« Ecco fatto. Puoi andare per ora, ma cerca di non fare sforzi. »

Zakuro osservò la giovane infermiera smunta che aveva terminato di medicarle il torace e annuì in silenzio; sapeva perfettamente che le erano state prestate solo delle cure d'emergenza, il suo corpo scricchiolava e doleva troppo perché i danni fossero limitati come sperava, ma per il momento c'erano persone che avevano bisogno più di lei dell'attenzione dell'organico medico. La mora afferrò i vestiti che l'infermiera le aveva dato e con cui sostituì il bell'abito della Celebrazione, decisamente troppo poco pratico e stretto da indossare da lì in avanti: infilò velocemente i pantaloni e la maglia grigio perla e avvertì una strana sensazione di disagio, riconoscendo gli indumenti che aveva visto indossare dai jeweliriani durante i loro anni sottoterra(**), probabilmente erano diventati le loro scorte di necessità.

Trattenne un lamento quando posando i piedi a terra una fitta di dolore le vibrò lungo le gambe e uscì a passi lenti dalla stanza, avviandosi nel corridoio verso la sala d'emergenza vicina. Dapprima puntò la porta dietro cui aveva visto portare via Eyner, poi si fermò riconoscendo Lasa sporgersi verso di lei, tre porte più avanti, e farle segno di raggiungerla. Zakuro accelerò nonostante la rigidità del proprio corpo e ricambiò il sorriso sollevato della donna con più entusiasmo di quanto si aspettasse.

« Zakuro-chan, stai bene? »

« Sono viva. »

Rispose la mora con un sospiro e studiò allusiva il volto stanco dell'altra, che intuì e le sorrise:

« Sono più robusta di quanto sembri – si diede un colpettino affettuoso alla pancia e le ammiccò – e qui c'è un diligentissimo soldatino che è stato bravissimo. »

Zakuro, non seppe la ragione, si lasciò scappare una mezza risata. Lasa continuò a sorriderle gentile e guardò nella stanza da cui era uscita, facendo strada alla mewwolf che perse rapidamente ogni traccia di allegria.

Nella camera c'erano sei letti addossati sulle due pareti gli uni vicino agli altri, con pazienti silenziosi o privi di sensi attorniati da familiari e amici spesso bendati e medicati come loro se non di più. Eyner era stato piazzato in una delle brande d'angolo, steso con la schiena leggermente sollevata e una flebo nella mano destra: gli avevano tolto la maglia e gli avevano fasciato il braccio sinistro dalla punta delle dita fin oltre la spalla, coprendo anche l'inizio del torace; il ragazzo dormiva pesantemente, il volto disteso ma terribilmente pallido e avvicinandosi Zakuro notò che gli avevano stretto delle sorte di puntelli attorno al braccio ferito, probabilmente per tenerlo fermo.

La mewwolf si sedette in silenzio sullo sgabellino accanto al letto e poggiò una mano sul materasso, però non sfiorò quella del bruno a pochi millimetri dalle sue dita. Lasa la osservò e non disse nulla, rilesse il referto appeso ai piedi della branda e si avvicinò alla mora circospetta: non aveva smesso un momento di fissare Eyner, il volto serio ed inespressivo, solo una serie di impercettibili scatti dell'indice che faceva muovere su e giù grattando il materasso.

« È brutta come sembra? »

La donna non si aspettò che a parlare sarebbe stata la mewwolf. Sospirò e annuì appena:

« Con un SRP siamo riusciti a far risaldare minimamente le ossa, ma il loro effetto è minimo occorrerà del tempo perché si rimetta in sesto. »

Nel vedere Zakuro annuire e poi fissarla Lasa aggiunse veloce:

« Sistemi di Rigenerazione Portatili. »

La mora annuì e si ricordò dello strumento che aveva visto usare da MoiMoi prima che partissero per Glatera.

« È la prima volta che vedo una cosa del genere – soppesò la donna cupamente – è come se il braccio gli fosse… »

« Esploso dall'interno. All'incirca. »

Concluse Zakuro.

« Tornerà praticamente come nuovo. – la rassicurò Lasa e poi ammise più rammaricata – Beh, quasi…  Ma vedrai, Eyner-kun è robusto. »

La mora non le rispose. La donna la studiò, aveva colto un minimo di distensione sul suo viso per un secondo e subito dopo l'aveva vista tornare imperscrutabile, sempre il dito che si muoveva nervoso e lo sguardo fisso.

« Posso sapere com'è successo? »

Zakuro si voltò verso Lasa che le mostrò un lievissimo sorriso educato; soppesò la domanda un momento prima di rigirarsi e rispondere laconica:

« Testardaggine. »

« Devo dire una causa originale. »

La mewwolf la scrutò da oltre la spalla inclinando appena le sopracciglia all'ingiù un pochino irritata dal tono di leggera presa in giro e Lasa fece subito marcia indietro sospirando e guardandola ancora dritta negli occhi.

« Ero perfettamente in grado di fargli fronte con le mie mani. »

Stavolta fu Lasa a valutare la risposta. Annuì e le sorrise con più dolcezza:

« Toyu. »

Zakuro replicò solo con un cenno affermativo. Lasa rimase in silenzio per un po', sistemando il dosaggio della flebo e continuando a sbirciare i due con la coda dell'occhio, quindi chiese ancora:

« È difficile avere una principessa che sa difendersi da sola. »

« … Io non ho bisogno del cavaliere che mi salvi dal drago. »

Ribattè sarcastica.

« Lo dico per questo. »

Zakuro cercò di capire dove volesse andare a parare e guardò la donna sedersi con garbo ai piedi del letto, così da guardarla in viso più comodamente:

« Avere fiducia nelle capacità e nella forza di chi amiamo non ci esime dal temere per la sua salvezza. Né dal comportarci da stupidi e fare di tutto per proteggerli. »

« Comportarsi da incoscienti solo per questo dovrebbe essere una scusa? »

Replicò e Lasa intuì una nota più alta di irritazione nelle sue parole; scosse la testa e abbassò la voce:

« Se fossi stata tu nei panni di Eyner-kun, e lui fosse scomparso per giorni come è successo a te, non avresti fatto lo stesso che ha fatto lui? »

Zakuro non si aspettò la domanda e sbarrò gli occhi non rispondendo. Lasa le sorrise sibillina, si alzò e dandole una piccola pacca sulla spalla tornò veloce al suo giro finendo immediatamente inghiottita dalla folla.

La mewwolf rimase a fissare l'arco della porta vuoto per alcuni istanti, quindi sbuffò irritata e tornò a voltarsi verso Eyner: la frustrazione per le condizioni in cui versava e per non essere riuscita ad intervenire, la rabbia nei suoi confronti per il suo comportamento e la voce distante del suo orgoglio che tentava di prendere forza ancora le bruciavano sottopelle, però si sforzò di porsi la domanda che Lasa le aveva fatto prima di andarsene.

Era troppo arrabbiata per rispondersi subito, ma la sua mano su allungò e strinse con delicatezza quella di Eyner.

 

 

***

 

 

Avevano detto che l'iniezione gli avrebbe somministrato un bell'anestetico, così non avrebbe sentito la dottoressa mentre gli rimetteva a posto la spalla; eppure mentre la donna gli afferrava l'arto e, constatato che i muscoli fossero rilassati, gli infilava a viva forza l'articolazione nel suo alloggiamento originario, Taruto cacciò un urlo tale da far saltare tutti i presenti nella stanza.

« Oh, quanto la fai lunga! Dovresti ringraziare che sia solo lussata e non rotta. »

Il brunetto non sembrò d'accordo, ma la dottoressa, vicina alla sessantina e con capelli blu scuro screziati tanto di grigio da apparire più metallizzati con sfumature bluastre, come una lastra d'acciaio, aveva un aspetto tanto autoritario che Taruto temette lo fasciasse con la stessa grazia con cui gli aveva messo a posto l'osso, e pensò fosse meglio non protestare.

« … Purin come sta? »

La dottoressa non smise di medicarlo alla domanda, però il suo viso da sergente istruttore si addolcì. Dopo che MoiMoi aveva portato i due ragazzi al bunker e se n'era andato i medici avevano portato la biondina in una saletta comunicante con quella in cui era seduto Taruto e lui non l'aveva più vista.

« Era solo un lieve trauma cranico. »

Le parole della donna non tranquillizzarono per nulla il brunetto che trattenne sonoramente il fiato e lei, stavolta sorridendo per davvero, si affrettò ad aggiungere:

« Vuol dire che ha un bel taglio su quella zucchetta bionda, niente danni sotto. – precisò – Sembra più grave di quanto non sia per via del sangue, ma detto tra noi alla tua amica è andata decisamente di lusso. »

Taruto, riprendendo fiato per il sollievo, sorrise sghembo e si lasciò sfuggire:

« È che ha la testa dura. »

La dottoressa lo guardò e scoppiò a ridere:

« Qualche punto, una bella fasciatura e riposo e tornerà un fiorellino. – insisté e poi gli ammiccò – Beh, ora ho rimesso a posto anche te (si fa per dire), puoi andare. »

Indicò la stanza accanto con un cenno e Taruto saltò giù dalla branda con un gran sorriso, che gli si gelò immediatamente in volto quando un alto ufficiale dalla faccia trafelata irruppe della stanza e borbottò sbrigativo:

« Capitano Ikisatashi, mi serve il suo rapporto, subito. »

Il ragazzo rimase fermo dove si trovava, interdetto, e farfugliò qualche scusa per rimandare la faccenda che l'ufficiale non sentì:

« Adesso. Devo avere tutte le informazioni riguardo gli Ancestrali e… »

« E lei non stancherà un mio paziente. »

Lo interruppe la dottoressa piantandosi minacciosa di fronte all'uomo. L'ufficiale, sebbene la superasse di una testa, parve intimorito dalla donnetta massiccia che lo squadrò con occhi giallo fiele.

« Devo… Raccogliere tutte le testimonianze degli ufficiali, or- »

« Quegli ingrati figli di una cagna sono andati via, no? – proruppe la donna secca – Ho seri dubbi torneranno tanto presto, anche perché non è che sia rimasto granchè con cui divertirsi…! Metà del nostro esercito è a farsi curare e io ho una fila di gente da controllare che va da qui al Palazzo Bianco. Quindi se ha intenzione di rallentarci, la prego di girare i tacchi e tornare tra tre o quattro ore. »

« Io devo…! »

« Lei non deve un accidenti. »

« Mi sembra proprio che il capitano sia stato medicato! »

« Questo lo decido io! – tuonò la donna – Questo è il mio reparto, qui comando io e se le sto dicendo di andarsi a fare un giro è pregato di darmi retta, prima che la prenda di peso e la lanci dall'altra parte del corridoio! »

Né l'ufficiale né Taruto pensarono che le sarebbe occorso il gamika per rispettare la minaccia. Il soldato si morse la lingua per non ribattere e cercò lo sguardo del brunetto con fare quasi supplichevole – temendo probabilmente di ottenere un volo di sola andata contro un muro – e Taruto sospirando gli disse:

« Mi dia un momento, vi raggiungerò nella sala operativa 7. »

L'ufficiale annuì, fece un cenno di saluto e squadrando in cagnesco la dottoressa se ne andò a passo spedito. La donna bofonchiò circa la sciocca testardaggine dei militari e mosse la mano per indicare a Taruto di andarsene nella stanza accanto, più brusca di prima, ma il brunetto ricambiò con un sorriso e sparì oltre la porta individuando subito la testolina bionda di Purin su uno dei lettini.

 

 

***

 

 

Nei giorni che aveva passato su Jeweliria aveva scoperto varie cose.

Che un anno si protraeva pochi mesi più di quello terrestre.

Che le stagioni erano leggermente differenti e divise in tre, tutte di durata diversa.

Che le ore erano di sessanta minuti come sulla Terra.

Peccato che non avesse idea di quanto tempo fosse trascorso da quando gli Ancestrali erano arrivati; né avesse mai imparato a leggere uno di quei loro aggeggi per la misurazione del tempo.

Minto ne vide un altro, ad un primo sguardo proprio un comunissimo orologio a muro come tanti ne aveva visti durante la vita: quello sulla parete del bunker però aveva dei numeri – se tali erano – scritti in un carattere incomprensibile, molti più spicchi rispetto ad un quadrante che segnasse le ore e meno rispetto ad uno che segnasse anche i minuti, e le lancette su di esso erano quattro praticamente della stessa lunghezza; inoltre c'era un piccolo quadrante, in basso a sinistra incassato a quello più grande, con una sola lancetta che ticchettava segnando all'apparenza il vuoto.

Da quanto stava cercando gli altri in quel putiferio?

Quando aveva visto per l'ultima volta le ragazze?

Era già passata l'ora che Kisshu le aveva promesso?

Quel pensiero l'aveva fermata più volte dal continuare ad inoltrarsi nel bunker facendola tornare sui suoi passi, pensando di incrociare il verde da qualche parte, ma non aveva ancora incontrato nessuno.

Il panico stava iniziando ad assalirla, possibile che nessuno fosse ancora arrivato lì, che solo lei fosse stata portata al sicuro? Non ci voleva credere.

S'insinuò in un gruppo di soldati diretto in ranghi compatti dalla parte opposta, spintonandoli con forza sorda alle loro lamentele, e concentrata com'era sulle sue preoccupazioni quasi urlò quando qualcuno le afferrò il braccio. Si voltò di scatto pronta a riprendere a male parole chiunque l'avesse bloccata, era già la quarta volta che un infermiere o un soldato parecchio scorbutici la "scortavano" lontano da zone in cui non sarebbe potuta entrare trascinandola e spintonandola come un sacco vuoto, ma l'invettiva le morì sulla bocca. La sua risata beffarda le suonò talmente famigliare da essere strana in una simile situazione.

« Chiudi la bocca passerotto, o ci entreranno le mosche. »

« … Kisshu. »

« Wow, meno entusiasmo mi raccomando! »

La stuzzicò ancora anche se fu chiaro quanto fosse sollevato di vederla. Minto non ribattè, divincolando il braccio dalla sua presa e allungando una mano verso di lui come per assicurarsi di non starselo sognando; quasi non badò al fatto che Kisshu le avesse preso il viso tra le dita e la stesse scrutando preoccupato:

« Stai bene? »

« Io…? Sì… Sto bene, ma… Kami-sama, ma come sei conciato?! »

« Come? Ah, queste? »

« Sì, queste! »

Insisté lei infastidita dalla sua noncuranza e scostò facilmente uno degli innumerevoli strappi della sua maglia, per vedere meglio le bende che gli fasciavano tutto il torace e buona parte delle braccia.

« Cos'hai combinato?! »

« Sempre questo tono di rimprovero – sbuffò tirandole la frangetta – non ho chiesto io di capire cosa provi una bistecca. »

Minto continuò imperterrita a scrutarlo e non reagì quando Kisshu se la strinse contro: le mani rannicchiate sul suo petto e irrigidendosi temendo di potergli fare male al minimo movimento emise uno strano singhiozzo irritato, nascondendo il viso contro il suo collo; c'era odore di sudore, di sangue e di disinfettante che coprivano quello del verde e la mewbird strozzò un altro lamento, arrabbiata e sollevata allo stesso tempo, aggrappandosi ad un lembo sfilacciato dei suoi vestiti.

« Razza di incosciente che non sei altro! »

« Giuro che ora me ne torno indietro. »

Sbottò Kisshu, ma lasciò perdere immediatamente sentendo Minto distruggergli tra le dita ciò che restava della sua maglia:

« Stupido… Ci hai messo troppo… »

« Mi hanno placcato appena sono arrivato – si giustificò piano – ho dovuto farmi bendare come una mummia altrimenti non mi avrebbero più lasciato in pace. Inoltre credo di aver lasciato due o tre litri di sangue da fuori a qui, sai com'è… »

La sentì emettere un altro brutto gemito e si affrettò a correggersi:

« Dai scherzavo. »

« Come fai a scherzare su cose simili? Fosse la prima volta che ti fai conciare così! »

« Gentile e dotata di grande tatto, cornacchietta. »

Minto sorvolò ogni possibile tentativo risposta e rimase lì stretta al verde che le accarezzò la testa e la cinse con forza per la vita, il viso affondato tra i suoi capelli: si era sentito meglio non appena l'aveva intravista dall'altra parte del corridoio, ma nulla poteva competere con il sentire la sua voce e percepire il suo profumo e il suo calore, con l'ascoltare dalla sua stessa bocca che stava effettivamente bene.

Lentamente la mewbird lo allontanò e si ricompose con un colpetto di tosse, cercando di non arrabbiarsi per come lui le sorridesse malizioso e intenerito asciugandole gli occhi madidi.

« Hai… Hai visto gli altri? Li cerco da quando sono qui però non ho ancora incontrato nessuno. »

« So dov'è la pesciolina. Taruto e la scimmietta sono lì vicino. »

Alle parole di Kisshu, Minto pensò di aver riacquistato finalmente la funzionalità del secondo polmone, in sciopero da un pezzo, e prese un sonoro respiro mandando indietro la testa dal sollievo; lui non tergiversò oltre e le fece strada per la direzione da cui erano venuti. La mora gli camminò il più vicino possibile, in parte per la calca in parte quasi per convincere la parte più infantile di sé che il verde non le sarebbe sparito di nuovo da davanti agli occhi, però non osò prendere la mano che ondeggiava lungo il fianco di Kisshu; fu il ragazzo a toglierle l'onere cingendole le spalle con un braccio e continuando a fare da navigatore, Minto ben stretta contro di sé per quanto fosse possibile senza impedirle di camminare da sola.

« Così siamo sicuri che non ti perdo, piccina come sei. »

« Non fai ridere. »

Lo seccò, ma non tentò nemmeno di scacciare la sua presa.

 

 

***

 

 

Ichigo non aveva potuto ancora muoversi dalla panchetta su cui l'avevano fatta sedere appena lei e il tenente colonnello Blies erano arrivati al bunker. Constatate le sue condizioni non allarmanti i medici l'avrebbero lasciata libera di andare, ma i soldati rimasti le avevano proibito di allontanarsi.

« Informata su quanto accaduto al colonnello Okorene. »

Così aveva sentenziato un soldatucolo dall'aspetto stiracchiato che, dopo che Blies si era allontanato per fare rapporto, aveva bloccato la rossa con un gesto brusco e l'aveva costretta a sedersi nel corridoio che si affacciava sulla sala operatoria dietro cui era scomparso Sando.

Però nessuno si era premunito di dire ad Ichigo di preciso cosa volessero sapere da lei, con chi dovesse parlare, o darle un minimo di informazioni sulle condizioni del verde.

Nel silenzio e nella quiete di quella zona la mewneko stava come se fosse invisibile, ma la cosa la lasciava indifferente. Aveva ancora con sé il pugnale che aveva raccolto dalla grotta, lo teneva poggiato accanto alla coscia come un inutile ornamento di cui non era in grado di disfarsi, ma pure l'inquietante oggetto la lasciava indifferente.

La sua attenzione era tutta per i suoi guantini rosa e per le macchie scure che ne ricoprivano i palmi e le dita. La sua pelle era asciutta, ma lei era sicura, sicurissima che le chiazze fossero penetrate attraverso la stoffa, asciugata e irrigidita, e le stessero inzuppando di liquido appiccicaticcio la pelle; dovevano farlo per forza, doveva esserci più rosso di quanto lei ne vedesse, perché l'odore di ferro che le stava torturando il naso era troppo forte per le sue misere macchiette.

Sangue. Aveva il sangue di Sando sulle mani.

Eppure lei aveva visto… Aveva visto il Dono che…

Se fosse arrivata prima… Se fosse arrivata anche solo due minuti prima forse…

Strinse i pugni sulle ginocchia con l'impressione di stare per soffocare, non riusciva a rimanere lì immobile un secondo di più. Voleva sapere qualcosa o almeno, che la lasciassero andare: doveva vedere qualcuno, aveva bisogno di parlare con qualcuno, voleva assicurarsi di persona che gli altri, almeno gli altri stessero bene, che nessuno di loro fosse…

Lì da sola in silenzio era come se le pareti la schiacciassero e le togliessero l'aria. Avrebbe tanto desiderato nascondere la testa tra le mani, ma non aveva il coraggio di sfiorare una parte di sé con le mani sporche di sangue e così, rigida e bloccata, stava a pugni contratti e schiena curva a fissarsi i guanti rosa.

Perché non era riuscita a raggiungere la Città Sotterranea?

Come aveva potuto, in un frangente come quello, rimanere inerme e inutile in un angolino mentre le persone attorno a lei lottavano e morivano?

Se fosse… Due minuti prima, forse sarebbe bastato un minuto solo… Se fosse arrivata due minuti prima…

Fu quando un rumore estraneo la fece sobbalzare con un grido strozzato, che Ichigo si rese conto di essersi morsa quasi a sangue il labbro e di essere sull'orlo del piango; sbattè le palpebre per riacquistare una visione lucida dietro la patina umida e vide una chiazza grigia sempre più nitida ferma accanto alla sua caviglia.

Un gatto…?

« …! Art…! »

Esalò l'ultima lettera e Ryou riacquistò le sue sembianze umane. Ichigo gli gettò le braccia al collo il secondo successivo:

« Ryou…! »

Lui, ancora intontito dalla febbre e dolorante, la strinse come se altrimenti avesse potuto perderla, con tanta forza da sollevarla da terra. Ichigo gli singhiozzò sulla spalla, le braccia dietro la sua testa e tenendo ben lontani da lui i pugni chiusi, e lo avvertì accarezzarle confortante la schiena, baciarle il viso e i capelli mormorandole qualcosa in inglese che non si sforzò nemmeno di capire, ma che le parve un balsamo per le orecchie.

« Ho sentito un soldato dire che la terrestre con gli abiti rosa era qui dentro – le bisbigliò baciandole la tempia – ma non mi permettevano di lasciare il reparto… Ho dovuto aspettare il momento giusto per sgattaiolare via. »

Ichigo avrebbe voluto chiedergli perché non volessero lasciarlo andare, ma in quel momento era troppo felice di vederlo, di vedere che stava bene e di sentire che la stringeva forte, rassicurante e protettivo. Strusciò il naso contro la sua guancia proprio come avrebbe fatto un gatto e prese due lunghi sospiri tremanti, scrutandolo finalmente in viso:

« Hai la faccia rovente… »

Constatò a bassa voce preoccupata del suo sguardo lucido, ma Ryou scosse la testa:

« Sono rimasto trasformato troppo tempo. Solo dei piccoli effetti collaterali… Mi hanno già imbottito di antipiretici – la fermò prima che protestasse oltre – sto bene. »

Ichigo non sembrò convintissima però non ribattè oltre, sfregando il viso contro i palmi di Ryou che tentò di asciugarle le guance e la studiò allarmato per quanto fosse sconvolta:

« Ichigo, cos'è successo? – la scrutò da capo a piedi e non vedendo ferite evidenti la preoccupazione aumentò – Dove sono gli altri? »

Alla domanda la rossa si irrigidì e gli occhi tornarono a inondarsi di lacrime:

« Ryou io…! Io non so cosa sia successo, però… Io…! »

Le parole le si spensero in gola e il biondo la vide guardare oltre la sua spalla sbarrando gli occhi. Concentrato com'era su di lei probabilmente non si sarebbe accorto di chi li aveva raggiunti se Ichigo non avesse reagito così, ma da come la rossa parve voler morire all'istante pur di scomparire avrebbe tanto voluto notare prima la sua presenza.

« … MoiMoi… chan… »

Il violetto non rispose. Pareva aver corso parecchio e il volto sudato aveva un pallore malaticcio, dato da un'angoscia indefinita che però stava prendendo sempre più chiarezza nel suo sguardo dorato. Quando incrociò Ichigo e vide la rossa abbassare la testa con un pigolio, Ryou vide MoiMoi smettere di respirare:

« … Laggiù, là… – scosse la testa sottolineando quanto fosse inutile specificare – Tutto il 15° plotone era lì e stavano… Mi hanno detto che il tenente colonnello ha… »

Prese un paio di veloci boccate d'aria e continuò a fissare la mewneko:

« Dov'è? »

Ichigo, incapace di guardarlo in viso, indicò la porta in fondo al corridoio nascondendosi dietro il braccio di Ryou. Il violetto fece qualche passo in avanti e si lasciò cadere sulla panchetta, l'espressione sbigottita e vuota.

« MoiMoi-chan, mi dispiace…! – pigolò Ichigo, avrebbe tanto voluto sparire – Non ho potuto…! »

MoiMoi alzò lo sguardo verso di lei ed impiegò qualche momento a risponderle, troppo frastornato per dare un senso o voler capire il perché della sua disperazione:

« Ichigo-chan… Ma cosa dici? – tentò un sorriso gentile che fallì miseramente, ma solo perché non pareva avere forze per fare meglio di così – Se tu e Blies-san non foste arrivati… »

Non potè completare la frase e si aggrappò alla panca come se potesse cadere, facendo alla rossa un altro cenno incoraggiante. Ichigo per tutta risposta fece finta di niente e scostò il viso vergognandosi per l'affetto e la gratitudine che stava ricevendo.

« Cosa fate ancora qui? »

Stavolta Ichigo fu felice dell'ennesimo arrivo, tutto pur di allontanarsi dall'attenzione di MoiMoi. Il tenente colonnello Blies le parve più stanco di quando erano arrivati lì e più depresso.

« Mi hanno… Mi hanno detto di aspettare – borbottò la rossa a disagio per il tono quasi di rimprovero – Perché dovevano chiedermi di Sando-san e… »

« Ci penso io. – tagliò corto l'ufficiale fissando la mewneko da capo a piedi e storcendo la bocca al suo aspetto stravolto – Tanto non c'è molto altro che si possa dire. »

Ichigo seppe bene che Blies sbagliava, anzi che fosse consapevole fosse una bugia: lei stessa gli aveva detto che il Dono era in pericolo, ma non gli aveva detto né come facesse a saperlo né perché. Non che lei potesse spiegarlo, però dubitava che l'uomo non si fosse reso conto della stranezza della questione.

« Però vi suggerirei di andare a parlare con il generale Osaki. – buttò lì Blies con tono neutro – Appena potrete. »

Scoccò un'occhiata allusiva ad Ichigo che annuì, capendo all'incirca le intenzioni del tenente colonnello. Probabilmente, in quanto ufficiale, sapeva qualcosa in più sulle terrestri e sul Dono degli altri soldati, ma doveva ritenere non servisse dare troppi dettagli a chi conosceva poco o nulla; in una situazione simile, conveniva venisse tutto riferito a Ronahuge.

« Certo. »

« Voi andate – disse MoiMoi quasi sovrappensiero – io rimarrò qui ad aspettare qualche novità. »

I due terrestri non gli risposero. MoiMoi si mosse un po' sulla seduta e un tintinnio metallico risuonò argentino, facendo ricordare ad Ichigo di aver dimenticato qualcosa dietro di sé.

Vide il violetto girarsi e prendere tra le mani il pugnale che lei aveva raccolto nella caverna; il volto del ragazzo tornò pallido e frastornato come quando si era lasciato a sedere, prima che lui lo nascondesse dietro la frangia chinando la testa:

« Ichigo-chan… Dove lo hai…? »

« Eh? Ecco… Era là sotto, vicino a Sando-san e… Non so perché l'ho raccolto. »

Si giustificò, ma MoiMoi non commentò il suo gesto continuando a studiare l'oggetto, concentrato sull'elsa e sfiorando il disegno su di essa in perfetto silenzio.

« Blies-san? »

L'ufficiale sollevò appena il capo sentendosi chiamare. Ichigo non capì la ragione, MoiMoi non aveva usato un tono particolare, ma la sua voce incolore le diede uno strano brivido.

Il violetto porse il pugnale verso l'uomo gettandoglielo praticamente in mano quando fu abbastanza vicino; Blies lo rigirò tra le dita un paio di volte e osservò anche lui il disegno sull'elsa, non sembrò ricollegarlo a qualcosa di particolare, ma spalancò ugualmente gli occhi e aggrottò la fronte:

« Lo porterò al colonnello Vato… »

« Sarebbe meglio il generale Osaki – gli suggerì MoiMoi incolore – se posso permettermi, signore. »

Si affrettò ad aggiungere. Blies lo studiò in silenzio, annuì infilandosi l'arma alla cinta e si allontanò nel corridoio cercando i membri di uno dei suoi plotoni che ancora potevano bazzicare lì attorno; intanto Ichigo e Ryou, al limite delle esigue forze che aveva racimolato, se ne andarono dalla parte opposta, la rossa che non fece altro che sbirciare la figurina di MoiMoi seduto sulla panchetta finché non sparì oltre un angolo fuori dal suo campo visivo.

 

 

***

 

 

Con un sospiro Pai si appoggiò alla parete e si passò una mano nella frangia, era esausto.

Non aveva idea per quanto avessero continuato a pattugliare con gli altri soldati tutta la città cercando superstiti e contando i corpi, portando i feriti al bunker e verificando che davvero non ci fossero altri pericoli. Era quasi certo fossero trascorse almeno tre ore da come la notte si era fatta più fredda e scura, e per tutto quel tempo le sole cose che aveva fatto erano state fare rapporti e dare ordini, costringendo il suo cervello ad occuparsi unicamente dei propri doveri e a scacciare dalla mente altri pensieri.

Il solo momento che si era concesso per divagare era stato quando un'infermierina sotto il metro e cinquanta era spuntata da un corridoio richiamandolo timidamente e gli aveva riferito, da parte di Ake, che Retasu era sveglia e fuori pericolo, pur se malconcia.

Gli ci era voluto tutto il suo autocontrollo per non abbandonarsi contro una parete e perdersi in gesti eccessivi di sollievo, anche se il sorriso che non aveva trattenuto sorprese tanto l'infermiera che quella arrancò all'indietro tartagliando di avere da fare, rossa come un gambero e sconvolta della reazione.

Pai si era riservato cinque minuti di pausa e poi era tornato al lavoro, scacciando ogni impellente bisogno di andare dalla verde, ma la sua resistenza stava iniziando a scemare con lo stabilizzarsi della situazione attorno.

Si ritrovava a voltare le spalle e sbirciare i corridoi vicini come se sperasse di vedere Retasu con un'improbabile vista ultrasonica. Ormai doveva essersi svegliata da un paio d'ore, e ancora lui non aveva potuto vederla. L'ultima immagine che aveva nella mente della mewfocena era lei, riversa a pancia sotto, praticamente immobile e ricoperta di ferite, e la vaga sensazione del suo sguardo un secondo prima che Ake la portasse via.

Qualcuno gli diede una pacca su una spalla facendolo sobbalzare; riagguantò il display portatile prima che gli cadesse dalle dita e fissò in silenzio Iader che lo studiava di rimando:

« Non ti sei fermato ancora un momento? »

« Non era possibile. – rispose solo asciutto il moro – C'è ancora molto da fare. »

Iader annuì grave e si sgranchì la schiena, guardandosi attorno con un misto di gravità per le ultime vicende e di serenità per il raggiungimento di un momento di pace.

« Retasu-chan come sta? »

Pai abbassò lo schermo e fissò il padre muto, valutando se la sua capacità di indovinare fosse solo fortuna o preveggenza; l'uomo si lasciò sfuggire uno sbuffo divertito:

« Ho incontrato Ake-kun mentre scortavamo dei feriti e gli ho chiesto la situazione generale. L'ho scoperto per caso. »

Pai replicò con un monosillabo indefinito:

« … È fuori pericolo. Così mi hanno detto. »

All'ultima affermazione fu Iader a fissarlo attonito:

« Non sei ancora andato da lei? »

« Ci sono delle priorità. »

Sentenziò e fu certo che se avesse detto la stessa frase un'ora prima suo padre non avrebbe replicato, ma dubitò gli credesse in quel momento quando lui stesso non dava tanto credito alle proprie parole. Rise di se stesso pensando che, probabilmente, Retasu avrebbe osservato il suo esasperante senso del dovere con ammirazione e affetto, mentre lui non smetteva di chiedersi perché non riuscisse a girare semplicemente i tacchi e a correre da lei.

Iader sbuffò e gli rubò il display dalle mani voltandolo con una spallata e spingendolo di un paio di passi nel corridoio:

« Vai. »

Pai, che non si aspettò il furto e fu troppo stanco per reagire prontamente, fece per ribattere, ma il padre lo precedette:

« Il colonnello si assenterà per un po' – disse l'uomo a voce ben alta, così che i soldati vicini lo sentissero – farete capo a me fino al suo ritorno. »

Nessuno badò al suo comportamento e tutti annuirono con sufficienza mentre Iader, dando le spalle al figlio e ignorandolo, iniziò a smanettare con il suo raccoglitore di dati e a dare ordini a destra e a manca con una solerzia eccessiva per la situazione, tanto che a Pai venne quasi da ridere.

Evitò, ringraziò Iader in silenzio e sparì come il vento.

 

 

Aveva dolori praticamente ovunque, tanto che nel suo innato e assurdo sforzo di vedere il positivo di ogni situazione le venne da pensare di aver ampliato la percezione del proprio corpo: non ricordava di aver mai avvertito niente da certe parti, eppure dalla cima della testa fino in fondo ai piedi era come se ogni nervo stesse prendendo a testate i muscoli e le ossa attorno.

Aveva già ricevuto delle visite, molto brevi perché gli antidolorifici che le avevano somministrato erano abbastanza potenti e lei si era sentita per molto tempo intontita e assonnata, crollando in piccoli dormiveglia senza quasi rendersene conto; aveva visto Minto assieme a Kisshu e dopo il verde aveva portato da lei Taruto e Purin, pur se il brunetto non fosse stato molto contento di vedere la ragazza zampettare allegramente in giro con la grossa fasciatura attorno alla testa. Nonostante le ferite tutti avevano tranquillizzato Retasu dicendole di stare bene – e lei non aveva potuto ribattere molto, visto che aveva ripreso la mobilità delle braccia e del torso dopo quasi due ore – e più tardi Lasa le aveva portato notizie di Zakuro, Eyner, Ryou e Keiichiro, che era apparso non molto dopo, la fronte madida e i bordi degli abiti macchiati di sangue non suo – immagine che per poco non fece perdere i sensi alla verde per l'ennesima volta – sostenendo che aveva saputo da fonti certe che anche Ichigo era al sicuro. Le notizie però furono poche, come per MoiMoi che era sparito per andare a cercare Sando, a sua volta scomparso. Di Pai, poi, la verde non aveva saputo più niente da quando Taruto, Purin e MoiMoi lo avevano lasciato a perlustrare ciò che restava della Celebrazione.

Retasu, ormai lucida, avrebbe tanto voluto andare a cercarlo, ma era troppo dolorante per alzarsi e comunque i medici le avevano proibito di mettere un dito fuori dal letto. Sospirò abbandonando la testa sul cuscino. Era sicura che Pai fosse arrabbiato con lei, le aveva fatto chiaramente capire di rimanere dietro di lui mentre affrontavano Zizi, ma lei si era esposta lo stesso al pericolo per tentare di aiutarlo.

Sistemò le pieghe del lenzuolo e sbuffò annoiata, gli antidolorifici stavano perdendo l'effetto sedativo e lei si stava annoiando a morte. Per quel motivo quando la porta della stanza in cui era ricoverata si spalancò di botto ebbe un sobbalzo tale da farsi male da sola ad una delle ferite all'addome, piegandosi involontariamente su se stessa e soffocando l'esclamazione con un lamento a denti stretti.

« Potresti cercare di non ucciderti da sola? »

Sbottò Pai arrivandole accanto con un paio di falcate e aiutandola a rimettersi dritta. Retasu non ribattè, accigliandosi appena del tono di rimprovero e concentrandosi per rilassare i muscoli contratti, ma l'irritazione svanì all'istante quando vide come lui la studiasse angosciato. Le sfiorò la guancia come terrorizzato gli si potesse distruggere tra le mani e la verde sorrise dolcemente posando la propria sul dorso della sua:

« È tutto a posto. »

Pai replicò prendendole il volto tra le dita e chinandosi su di lei per baciarla, sforzandosi per non tirarla a sé nel timore di farle male. Retasu chiuse gli occhi sentendosi invadere da una felicità strepitante, ma immediatamente dopo capì di stare piangendo, come se tutta la tensione e le angosce che l'avevano accompagnata dal risveglio fossero esplose all'unisono, mischiandosi al sollievo confondendola e trovando sfogo solo nelle lacrime.

« Sei stata un'incosciente… »

Più che sgridarla Pai parve scusarsi, in un qualche modo contorto, come biasimarsi per una sua mancanza non definita, causa del gesto di Retasu e delle sue condizioni. Lui non riuscì a capire come la verde, le mani appena posate sulle sue spalle perché non riuscì a tendere più in altro le braccia, potesse intrepretare il suo tono, ma con gli occhi chiusi mentre le baciò le guance e le labbra la sentì scuotere la testa in diniego:

« Scusa… »

« Perché ti sei spostata avanti? Eri già ferita, avresti… »

« È solo che…! Mi è venuto… Mi è tornato in mente quando… »

Retasu inspirò a fondo e si sfregò gli occhi dietro le lenti, guardando il lenzuolo ammonticchiato tra le gambe a disagio; all'improvviso l'immagine che aveva fatto muovere le sue gambe ore prima le sembrò sciocca e infantile, tanto da non volerne parlare:

« Ho rivisto la scena di quando… Ecco, quando abbiamo affrontato Deep Blue e… E… »

Si allontanò dal ragazzo e abbassò la testa rannicchiando le mani in grembo sentendosi più che mai una bambinetta. Tra i due scese il silenzio per alcuni minuti e Retasu capì che Pai si era seduto accanto a lei; tentò di ritrarre le mani quando i polpastrelli di lui le sfiorarono le nocche, ma il moro approfittò delle dita lunghe per impedirle di scappare. Retasu rimase rigida per un po' rilassando le spalle poco a poco e mormorò ancora:

« Ho ripensato… Una grande luce e l'ultima cosa che ho visto era la tua schiena di fronte a me. Poi quando ho riaperto gli occhi, non c'era più la città e tu… »

Sembrò voler continuare a ricordare però non ne fu in grado e si zittì per un po'. Pai non fece alcun cenno di volerla incalzare o altro e dopo un po' lei aggiunse in un mormorio appena udibile:

« Non volevo rivederti a quel modo. »

Si rannicchiò all'indietro per allontanarsi e Pai la fermò avvolgendole le spalle in silenzio e stringendosela al petto: Retasu si sentì una stupida per come avvertì il viso scaldarsi mentre il moro le premette forte le labbra sul limite tra naso e occhi. Non le disse niente e la verde, sospirando, alla fine chiuse gli occhi e si abbandonò contro il suo torace.

 

 

***

 

 

Volare nella versione ridotta era sempre un pasticcio, le sue funzionalità erano limitate per dare priorità al radar per i chimeri e al giroscopio, però il piccolo Masha non poteva più aspettare. Ichigo gli aveva raccomandato di aspettarla buono e tranquillo nella sua stanza al Palazzo Bianco, dato che di quando in quando il suo rilevatore ancora lo faceva scattare in presenza dei jeweliriani – Keiichiro e Ryou non erano ancora riusciti a riprogrammarlo in modo che cogliesse la sottile differenza tra "alieni ostili" e non – così lui obbediente si era messo a schiacciare un pisolino. Poi all'improvviso aveva sentito delle urla, un sacco di esplosioni in lontananza e gli era preso il panico: la sua padroncina aveva bisogno di lui!

Ma Ichigo si sarebbe sicuramente arrabbiata se lo avesse visto arrivare mentre c'era una brutta situazione, gli raccomandava sempre di non esporsi ai guai, quindi si era mosso quatto quatto tendendo le orecchiette e cercando di evitare il trambusto maggiore. Da un po' era sceso il silenzio e lui aveva preso a svolazzare cercando di rintracciare il segnale dei ciondoli di Ichigo o delle altre, ma senza successo.

Pigolando preoccupato il robottino aveva infine seguito le frequenze dei comunicatori jeweliriani che rimbalzavano sul suo trasmettitore, arrivando nel punto in cui erano più concentrate e trovandosi all'ingresso del bunker. Però non si era fidato ad entrare così, volando qua e là tranquillo – i soldati all'ingresso, per quanto avesse capito si trattasse di amici, avevano delle facce spaventose e temeva gli avrebbero sparato appena l'avessero visto – quindi si era ridotto di dimensioni e si era avvicinato guardingo, nascosto tra le gambe di chi entrava ed usciva. Era stato molto difficile e un paio di volte aveva sbatacchiato qui e là colpito di striscio da un ginocchio perdendo il senso dell'orientamento, ma finalmente aveva trovato un angolino tranquillo dove riprendere le proprie sembianze: il suo radar individuò il segnale delle ragazze quasi subito dopo, pur se un po' disturbato, e trillando di gioia Masha svolazzò tra i corridoi praticamente non notato da nessuno.

Vagò a lungo per la costruzione invano, senza scoraggiarsi, quando perlustrando entrò in una stanza grande e luminosa parecchio affollata. Masha non si preoccupò della cosa, volando a poca distanza da terra fino a quel momento era passato inosservato, ma senza preavviso qualcuno  gli afferrò la coda con tutta la sua forza.

Masha emise un lunghissimo acuto spaventato e sbattè frenetico le ali, impotente mentre veniva trascinato di lato e un altro paio di mani lo afferrava con decisione per il corpicino rosa, stropicciandogli tutto il pelo.

« E questo che cos'è? »

« Che carino! »

« Sarà un chimero? »

Il robottino pigolò di nuovo.

Bambini!

I bambini erano molto più pericolosi degli adulti, che magari si limitavano a spaventarsi alla sua vista o si convincevano di essersi immaginati la vista di un esserino a forma di cuore con orecchie e ali color magenta. I piccoli – umani e alieni, a quanto pareva – non dubitavano mai della realtà che percepivano con gli occhi e non si facevano problemi ad afferrare, toccare e stuzzicare un affarino così carino e strano, torturandolo con gesti innocenti e tuttavia crudeli e indelicati dati dalla loro inesperienza con creature più deboli e fragili.

« Guardate, non è vivo, è una macchina. »

Sentenziò un bimbetto con una benda sull'occhio facendo muovere le ali di Masha su e giù. Il robottino protestò dolorosamente tentando di riprendere il volo, ma un secondo bambino con una grossa fasciatura sulla testa lo teneva saldamente per il corpo e tutto ciò che Masha potè fare fu tentare di far smettere il primo bimbo di tormentarlo muovendogli le ali contro la sua volontà.

« Sentite com'è morbido! »

Cantilenò una bambina piccola con un braccio ingessato e dapprima accarezzò il pelo di Masha, poi prese a stuzzicargli e tirargli le orecchie per verificare fossero altrettanto piacevoli da toccare. Il bambino, forse di tre anni, che lo aveva afferrato per la coda si studiò il filo bianco con il pompon che stringeva tra le dita e iniziò a tirarlo ad intervalli, scatenando i lamenti di Masha che prese ad agitarsi più energicamente per liberarsi:

« Lasciami! Lasciami, pii! Ichigo, devo andare da Ichigo, pii! Fai male! Lasciami, pii! »

« Ehi, voi! »

Il nugolo di bambini sussultò alla voce che li riprese e in molti allontanarono le mani da Masha, che immediatamente ne approfittò per divincolarsi volando come un razzo verso la sua salvatrice.

« È un mio amico, lasciatelo in pace! »

« Sury!! »

Masha si fiondò tra le braccia aperte della piccola Toruke e sfiorandole le gambe bendate s'infilò sotto il suo vestito, come un gattino in cerca di protezione, spuntandole dal colletto solo con le orecchie e la cima degli occhi. Gli altri bambini scrutarono Sury torvi.

« È il tuo giocattolo? »

« Non è un giocattolo, è un mio amico. – ribattè la bambina verso quello con la testa fasciata – E gli stavate facendo male. Guardate com'è spaventato. »

« Pii! Sì, spaventato, pii! »

« Non volevamo spaventarlo. – si scusò bofonchiando la bambina dal braccio ingessato – Eravamo solo curiosi, era carino… »

Sbirciò con desiderio il pelo rosa che scomparve agitandosi dietro la stoffa del vestitino di Sury, ma la morettina non diede ascolto alle sue scuse. Scoccando un'occhiataccia ai bambini si sistemò sulla seggiolina su cui era poggiata, una sorda di sedia a rotelle senza ruote che si muoveva su un cuscino d'aria, e sfiorando il bracciolo diede un comando al suo mezzo e uscì dalla stanza, portando via Masha prima che gli altri bambini decidessero che volevano studiare il robottino un altro po'.

« Grazie Sury, grazie, pii! Mi ero perso, pii! »

Trillò Masha quando furono abbastanza lontani, sgusciando fuori dal suo nascondiglio.

« Ma che ci fai qui, Masha? Credevo che Ichigo nee-chan ti avesse lasciato in camera. »

« Ichigo è in pericolo, pericolo! Pii. Le ragazze, pii! Aiuto, io aiuto, pii! »

Sury gli grattò la cima della testolina sorridendo:

« Non so dov'è Ichigo nee-chan, però… Dai, vieni con me. »

 

 

Quando aveva ripreso i sensi gli ci era voluto un po' per capire dove si trovasse. Cosa fosse successo gli fu invece subito chiaro nella memoria, il braccio gli diede delle fitte tali che fu impossibile non ricordasse cosa gliele avesse causate.

Il dolore fece svanire presto l'effetto d'intontimento degli antidolorifici e lo rassicurò, certo aveva dolori diffusi ovunque, ma parve che la sola cosa effettivamente grave fosse il suo braccio sinistro. Non aveva ancora osato tentare di muovere un muscolo, eppure gli fu chiaro che il danno non fosse solo fisico, o almeno avesse colpito più in profondità di quanto avrebbe mai potuto temere.; osservò i fermi che gli sostenevano il gomito e schioccò la lingua frustrato.

Questa te la sei cercata.

Era solo. Chissà come stava Sury, se lei e Roovy erano arrivati senza problemi al bunker.

E Zakuro? Ricordava fosse con lui, ma non ricordava se e quando Toyu fosse sparito, o quando fossero riusciti ad allontanarsi da lui…

Ascoltò i rumori degli altri ricoverati nella stanza, il loro vociare era attutito dalle pareti schermanti issate attorno al suo letto che mascheravano anche la vista, velando tutto di una patina bianca fitta. Si mise seduto più dritto cercando di capire da quanto tempo fosse svenuto e la sottile parete di sinistra fu spunta di lato dimezzandosi di dimensioni; lo schermo bianco sfrigolò lievemente mandando lampi azzurrognoli.

« Oh… Ciao. »

Zakuro rimase sorpresa un secondo e gli fece un cenno con il capo. Aveva qualcosa in mano che dall'odore ad Eyner parve cibo: gli sembrò incredibile come in un simile momento il suo stomaco potesse mandare un gorgoglio tanto poderoso.

La mewwolf accennò a sollevare gli angoli della bocca, ma non si unì alla risata nervosa di lui; il bruno non commentò, sistemandosi sul cuscino alzato contro la schiena, gli fu chiaro che Zakuro fosse arrabbiata con lui però non era sicuro della ragione, né di essere in grado di domandare scusa.

« Vuoi mangiare un po'? »

Di sicuro non si aspettava una domanda così banale. La guardò sedersi sullo sgabello vicino e annuì:

« Decisamente. »

La ragazza aprì un piccolo contenitore rettangolare – Eyner lo riconobbe come una delle tante gavette che fino a qualche anno prima venivano distribuite alla popolazione nei periodi meno rosei per dividere le provviste del pianeta, e provò uno strano senso di disagio – tolse il coperchio usandolo come appoggio in cui inserire la base ed estrasse due pagnottelle pallide, appena dorate sulla cima: erano tiepide e odoravano di verdure non proprio saporite, ma il bruno non fece troppe storie e divorò la sua più famelico di quanto pensasse; Zakuro diede un bel morso all'inizio, finendo subito scoraggiata dal sapore quasi inesistente e perfino un po' sgradevole e mangiando pian piano solo per ridarsi energie.

« Sì non sono il massimo – convenne Eyner inghiottendo l'ultimo boccone – ma ti assicuro che da queste parti si è mangiato di peggio. »

Zakuro annuì priva di entusiasmo. Il bruno la lasciò finire, detestando il silenzio che a lei non parve creare fastidio mentre a lui trapanò le orecchie, e quando Zakuro richiuse la gamella poggiandosela ai piedi con un colpo non forte eppure ben udibile lei ed Eyner si fissarono senza dire niente.

« … Stai cercando le parole giuste per insultarmi? »

« E chi l'ha detto? »

« Da come mi squadri sembrerebbe. »

Sospirò il bruno e la vide incrociare le braccia irrigidendo appena la postura:

« Mi sembra che i risultati siano sufficienti per urlarti quanto tu sia stato stupido. Non sono una ragazzina sprovveduta. »

Eyner si lasciò sfuggire un sospiro amaro:

« Non volevo certo umiliarti. »

« Non sono arrabbiata per orgoglio. »

Ribattè più decisa e si zittì mentre la parete veniva di nuovo scostata. Sury lì per lì notò solo Zakuro e appena vide Eyner sveglio scoppiò in lacrime ridendo:

« Eyn! »

Il bruno per un momento si dimenticò della discussione che stava prendendo piede e della risposta inaspettata della mewwolf, tirandosi dritto e allungandosi in basso verso la bambina che lanciò la sua sedia in corsa facendola schiantare contro il letto, incurante delle gambe fasciate, aggrappandosi letteralmente al materasso pur di arrivare vicino al fratello. Eyner la tirò a sé con il braccio sano lasciandosi stritolare il collo, mentre Masha svolazzò sopra le loro teste in cerchio pigolando contento.

« E tu che ci fai qui? »

« Zakuro, Zakuro pii! Vi cercavo, pii! – il robottino le si strusciò contro la guancia – Stai bene, stai bene pii! »

La mora lo coccolò intanto che Sury, calmatasi, lasciò che fosse Eyner a farle una carezza e a controllare le sue condizioni:

« Per fortuna… Ti fanno male? »

Le guardò le gambe e lei scosse energica la testa:

« Con i SRP hanno detto che guarirò in due settimane. – esclamò contenta – Anche Roovy-san sta bene, però non me lo fanno vedere. »

Aggiunse mogia. Eyner annuì e scoccò una rapida occhiata a Zakuro che fece un cenno di assenso, forse il soldato non stava così bene come avevano raccontato alla bambina, ma a quanto pareva era vivo.

Il bruno baciò la sorella sulla fronte facendola ridacchiare e lei, asciugandosi il viso con la manica, prese a raccontargli per filo e per segno cosa le fosse successo fino a quel momento:

« … Quindi mi hanno spostano in una delle sale grandi con gli altri bambini, anche se mi annoiavo perché volevo vedere come stavate tutti, ma sono stata brava e ho ubbidito come avevo promesso alla onee-san. – poi aggiunse con orgoglio – E adesso ho incontrato Masha e lo stavo accompagnando dalla sorellona. »

« Ichigo, Ichigo! – pigolò il robottino – Zakuro, sai dov'è Ichigo, pii? »

La mora gli sorrise appena:

« Ti ci porto subito. »

Il robottino girò in tondo qualche secondo in preda alla gioia. Zakuro vide Sury lasciare di malavoglia Eyner e fare per scendere e la fermò gentile:

« Fagli un po' di compagnia. Io torno più tardi. »

Uscì senza permettere repliche da alcuno, Masha alle spalle che cinguettò felice.

 

 

***

 

 

« Luneilim. »

La voce di Ronahuge lo riscosse e MoiMoi si rese conto di aver fissato il pavimento per tutto il tempo da quando aveva posato il fondoschiena su quella panca nel corridoio dell'ospedale; non aveva idea da quanto fosse fermo immobile, ma le sue gambe formicolarono rivelatrici, doveva essere parecchio.

« … Che ore sono…? »

« Tardi. – rispose semplicemente il generale fissandolo – Dovresti andare a riposarti. »

Il violetto studiò l'uomo coperto di bende e con il volto pallido e affaticato, quindi sollevò gli occhi dorati sulla sala di terapia intensiva in fondo al corridoio.

« No – replicò tranquillo e stese un sorriso stanco con lo sguardo fisso sulla porta ancora chiusa a dieci passi da sé – rimango qui. »

Rimango qui e lo aspetto.

Ronahuge lo guardò stringere le dita sulla seduta della panca e serrare le labbra tendando di apparire sicuro, nonostante le mani e la bocca gli tremassero.

Il generale sbuffò rabbioso e MoiMoi sussultò ricevendo in faccia una coperta vecchia, spelacchiata, ma pulita e odorosa di medicine, probabilmente una fornitura d'emergenza distribuita dai medici e dai soldati.

« Vedi basta di non crollare per la stanchezza – lo apostrofò brusco l'uomo – ci sono anche altre persone che si preoccupano per te, e non credo sia il caso di far gironzolare in preda al panico le piccolette terrestri per tutto il bunker. »

MoiMoi si tolse la coperta dalla testa uscendo dalle sue spire con uno sbuffo, cogliendo di sfuggita l'enorme sagoma di Ronahuge che si allontanò claudicando sulla stampella e borbottando su quanto i suoi allievi fossero tutti dei completi imbecilli.

Il violetto sospirò con un sorrisino accennato e sistemò la coperta come un cuscino, poggiandovici sopra la testa con esaltazione delle sue povere membra esauste e malmenate. Il fianco gli diede una fitta terribile e lui si rannicchiò un po' sulla panchetta, forse avrebbe dovuto davvero andare a riposare come si deve.

Con la coda dell'occhio intravide la luce della sala operatoria e si sforzò di far rilassare l'addome e il respiro.

No. Sarebbe rimasto lì.

Vedi di uscire presto, stupido… Gli altri ci staranno aspettando, dobbiamo tornare insieme.

Insieme.

In fondo non avevano fatto altro per tutta la vita.

La testa sulla copertina lisa e la chiarezza di stare per crollare MoiMoi sorrise appena, certo che quando avesse riaperto gli occhi avrebbe rivisto il verde ritornare, magari più morto che vivo, magari malconcio come se lo avessero passato in un frullatore, ma il violetto era sicuro sarebbe tornato indietro.

Come sempre.

Insieme.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) L'èxodos (esodo, traslitterazione di ἔξοδος) è la parte conclusiva della tragedia greca, che finisce con l'uscita di scena del coro.

(**) come grazie a Masha lei e le altre vedono dell'ep. 17 :3 così per rinfrescare la memoria ;)

 

 

 

 

 

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E lo chiudiamo qui.

Sì, così. crudelmente.

Preparatevi perché al prossimo daremo una sbirciata sul passato e scopriremo (forse) se l'attesa di MoiMoi avrà riscontro… Sì siamo sul deprimente gente, dovevate aspettarvelo ♥  troppa gioia ultimamente :P

Grazie mille millissime a Hypnotic Poisonredivivaaaa  ) a Danya, a mobo e a LittleDreamer90 per le recensioni! So che di recente siete state tutte indaffarate (o giustamente in vacanza :P) quindi in pochi han recensito, ma io di rimando ho avuto poco tempo per rispondere indi… (e ti pare un contrappasso decente?!?) Ci aggiorniamo appena possibile


Mata ne
~♥ !

Ria

 

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Capitolo 50
*** Outside the crossing II ***


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Siccome sn sadica vi sparo un bel regalino da gustarvi per Ferragosto (giusto perché io le ferie le vedo col binocolo). Prendete delle scorte di fazzoletti e coppe di gelato misto per rinfrancarvi.

Qui si piange e altro. Ma soprattutto si piange.

Facciamo un balzo indietro nel tempo e seguiamo il passato di due personcine… Mi viene il sospetto che forse in certi punti potrebbe sfiorare il limite dell'arancione, ma tanto so che siete bravi e chiuderete un occhio xD

Immergiamoci nei feels

A dopo.

 

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Cap. 50 – Outside the crossing II:

                The pixie and the giant

 

 

 

 

 

Lui era sempre stato una di quelle persone dotate di grande intelligenza, per la quale essa rappresenta al contempo una benedizione e una gran seccatura. I suoi genitori, che vedevano in quel bambino dagli occhi furbi e attenti il loro piccolo miracolo, avendolo concepito ben al di là di un'età adatta a diventare padre e madre, lo rimiravano carichi di orgoglio per la sua mente smaniosa, curiosa e piena di domande su ogni cosa; loro erano due persone modeste e di intelletto comune, tanto che alle volte provavano un leggero imbarazzo nel non saper rispondere a tutti i quesiti che MoiMoi rivolgeva loro, ma compensavano la sciocca mancanza con un amore incondizionato per il loro bimbo dai capelli violetti.

Nella casa dove MoiMoi crebbe non c'era modo di imparare molto, ma in quella della famiglia vicina sì. Centinaia di decine di informazioni a cui il bambino si abbeverò ogni giorno avido di imparare. Kiddan, proprietario dell'abitazione, aveva invitato il piccolo a frequentare il suo salotto quando un giorno, tornando dalla manutenzione agli impianti idrici generali, lo aveva colto a tracciare dei segni misteriosi nel terreno con fare concentrato.

« Cosa disegni di bello? »

« Non disegno, signore. – aveva ribattuto il bambino, la s un po' sibilante data dai suoi cinque anni ancora da compiere – Cerco di capire come cadono le cose. »

Kiddan aveva sbattuto gli occhi confuso, avvicinandosi con fare curioso e ascoltando MoiMoi spiegare con la goffaggine e la mancanza di termini tipica dei bambini la sua idea, nient'altro che la base del concetto di gravità.

Non tutti però erano entusiasti della sua intelligenza.

I bambini delle case vicine, che si riunivano a giocare unicamente per convenienza di prossimità, non erano interessati come MoiMoi a capire le cose trovandolo pedante e seccante: era difficile per gli altri dare retta a un bambino tanto intelligente, respingendolo irritati come se la sua acutezza fosse una continua offesa nei loro confronti, e MoiMoi era troppo spontaneo e limpido per fingere di essere stupido. I bambini sopportavano la presenza del violetto con malcelato fastidio, pure un po' spaventati quando iniziarono a capire che alcune volte, quando le prese in giro o i piccoli dispetti subiti lo facevano arrabbiare di più, attorno a lui il suolo vibrasse e le rocce scricchiolassero.

Quando MoiMoi capì che non si trattava di coincidenze e scoprì le proprie effettive capacità aveva immaginato di ricevere un po' di rispetto e ammirazione dagli altri bambini, ma il risultato non fu quello sperato: all'epoca poco poteva fare di più che creare piccole e innocue montagnole di terriccio compresso alte nemmeno trenta centimetri, di certo non molto entusiasmanti da vedere. Lui in ogni caso si adattò alla loro vaga indifferenza snobbandoli a sua volta, aveva troppe cose da dover imparare per pensare a come essere accettato da tutti e ben altri dubbi nella testa.

Tipo quello.

 

 

« Mamma… Credo che dovrei essere una femmina. »

La proclamazione data una sera a tavola fu colta dai genitori con un silenzio attonito, gli occhi spalancati sul corpicino di sei anni che dondolava sulla sedia.

« Cosa intendi tesoro? »

Aveva domandato la madre tentennando e il bambino aveva preso a giocare con le posate, scrollando le spallucce:

« Non lo so. – aveva bofonchiato – È solo che se penso a me, mi sento una bambina. Non riesco a pensarmi maschio. »

MoiMoi non era in grado all'epoca di spiegarsi meglio di così, e al perdurare del silenzio dei genitori aveva abbassato la testa mogio:

« Sono strana papà? »

L'uomo, perso nelle sue riflessioni, sussultò al richiamo del figlio e ascoltando la naturalezza con cui parlò di sé al femminile, si alzò e gli accarezzò la testa con un sorriso rassicurandolo:

« Così abbiamo avuto sia un bel bimbo che una bellissima bambina. »

MoiMoi era arrossito e aveva riso piano godendosi la carezza, in qualche modo cosciente della fortuna che aveva nel far parte di una famiglia così amorevole.

Ovviamente i problemi sorsero una volta varcata la soglia di casa.

Tutti gli adulti e i bambini che giocavano, per così dire, assieme a lui trovarono strano il nuovo abbigliamento che MoiMoi adottò, e ancor più strano il suo voler essere definito una bambina e non un bambino.

Fu praticamente immediato l'isolamento totale, l'unica compagnia dei propri pensieri e delle zolle di terra che imparò a far ruotare sopra i palmi come palline da giocoliere.

 

 

« Che stai facendo? »

Il piccolo MoiMoi emise uno squittio e nascose la manina dietro la schiena, spaventato nel sentire qualcuno arrivargli alle spalle.

« Niente. »

Disse brusco. Il visitatore non rispose guardandolo scettico e scese lungo il piccolo crinale arrivando al suo livello:

« E quello? »

Indicò la piccola montagnola di terra alle spalle di MoiMoi, che il violetto aveva prodotto per allenamento, e quello si contrasse su se stesso a disagio giocando con l'orlo della sua gonna.

« … Non lo so. »

Replicò vago nascondendo le mani; il suo disturbatore grugnì mettendosi in ginocchio e sporgendosi verso la creazione terrosa e MoiMoi strinse le labbra a disagio. Era un bambino circa della sua età, la faccia sporca e con un cerotto sulla guancia e uno sul naso, capelli verde chiaro e gli occhi blu scuro socchiusi. Dopo la risposta di MoiMoi si era sporto in avanti inginocchiandosi a terra e aveva strizzato gli occhi, riflettendo intensamente su cosa stesse guardando; il violetto non aveva detto altro o fatto alcunché per mandarlo via, ma aveva sperato se ne andasse veloce senza trovare nulla di interessante: non aveva mai visto quel bambino e di sicuro non aveva voglia di farsi prendere in giro dal primo venuto, né di aumentare la lista di marmocchi con cui litigare.

« Sei stata tu vero? »

Gli domandò a bruciapelo il bambino dai capelli verdi e MoiMoi sobbalzò arrossendo colpevole, ma scosse la testa. L'altro aggrottò la fronte:

« Invece sei stata tu. – ribadì e toccò la montagnola con le dita – Questa ieri non c'era. »

« Sarà stato un terremoto. »

Grugnì sulla difensiva il violetto rannicchiandosi sulle gambe e sfuggendo l'occhiata indagatrice dell'altro. Il bambino torvo riprese a studiare la montagnetta inclinando la testa:

« È figo. »

MoiMoi sgranò gli occhioni dorati certo di aver capito male.

« Credevo di essere strano io. »

Il violetto tornò a guardarlo non capendo, invece il bambino tenne gli occhi fissi sulla creazione dell'altro; allungò la manina e il cumulo di terra tremò, mentre un paio di magri e brutti steli erbosi uscirono dal suolo sottostante avvolgendosi attorno alla struttura come corde sottili.

MoiMoi spalancò la bocca allibito e guardò finalmente in faccia l'altro bambino, che ostentò indifferenza pur se i suoi occhi brillassero gongolanti dello stupore procurato:

« Com'è che ti chiami? »

« … M… MoiMoi… »

« Che nome buffo. – commentò con una smorfia tralasciando l'occhiataccia del violetto – Sono Sando. »

 

 

Fu la prima volta dopo un mucchio di tempo che qualcuno espresse il desiderio di voler giocare con lui, forse la prima in assoluto che qualcuno lo andò a cercare giorno dopo giorno per la sua compagnia; Sando sembrò trovare forte il noioso potere di MoiMoi e non parve mai curarsi dell'essere chiaramente meno ingegnoso del violetto.

« Tu sei fortunata ad essere intelligente – gli aveva replicato dopo pochissimi pomeriggi di gioco – visto che tanto sei mingherlina, meglio che tu sia più intelligente. »

MoiMoi la maggior parte delle volte non comprendeva minimamente i suoi ragionamenti, ma con il tempo capì che fossero un modo di dirgli qualcosa di gentile e non farlo notare troppo.

L'intuizione convinse MoiMoi quasi del tutto che, se lui aveva un nome strano, Sando fosse strano in sé.

Era un tipetto agitato e scorbutico, che passava le giornate ad arrampicarsi ed intrufolarsi in posti proibiti scatenando l'ammirazione e le ovazioni degli altri bambini, eppure non cercava la loro compagnia: borbottava dicendo che erano noiosi, stupidi e vigliacchi e accadeva sovente che il verde si ritrovasse a picchiarsi con qualcuno di loro per una parola o un pensiero un po' troppo sincero e sprezzante espresso ad alta voce; si vantava orgoglioso, solo con MoiMoi, della sua abilità con le piante quando a conti fatti, eccetto i miseri filetti d'erba che riusciva a far germogliare dal nulla, in quegli anni non era in grado di fare niente non avendo a disposizione dei para-para da manipolare; era forte, ma si lanciava nelle risse come un bisonte finendo di norma per avere un occhio nero e ritrovandosi con il sedere per terra. In simili casi gli altri bambini, annusando i guai, perdevano tutta l'ammirazione verso di lui e se la squagliavano; solo MoiMoi rimaneva accanto al verde pur riuscendo ad aiutarlo ben poco, ma Sando invece di lamentarsi per una qualsiasi di quelle cose lo guardava schioccando la lingua e asserendo fiero:

« Hai visto che pugno che gli ho tirato? »

Il violetto allora lo squadrava scuotendo la testa:

« Sei proprio scemo, non sei figo per niente. – lo prendeva in giro e gli indicava gli occhi rossi e umidi per il pianto trattenuto – Ti sta colando il naso… »

Il verde a quelle constatazioni arrossiva un pochino colto in flagrante e si sfregava la faccia:

« È il sangue. »

« No, è moccio. Le prendi e poi frigni. »

Sando di norma lo ingiuriava con una sequela di parolacce tali che MoiMoi si sorprendeva sempre, non credendo potessero esserci tanti modi per insultare una persona.

Quando Sando scoprì il fatto che MoiMoi fosse un maschio, il violetto temette di veder sparire l'unico amico che avesse mai avuto, ma il verde accolse la questione con uno scrollo di spalle.

« Tu ti trovi bene così. Non hai deciso tu di nascere maschio, se ti trovi meglio come femmina va bene, no? »

« Sul serio? »

Sando aveva annuito e poi aveva girato la testa, le guance appena rosate:

« E poi sei carina, quindi va bene. »

MoiMoi non avrebbe mai dimenticato quel loro breve dialogo, né la faccia a disagio del verde, né il batticuore che lo perseguitò per ore mentre giocando continuò a guardare di nascosto il profilo dell'altro.

MoiMoi da quel momento si era sempre sentito come un pulcino che segue riverente la sua chioccia, perché anche allora Sando gli appariva tanto più forte di lui da temere che non avrebbe mai avuto bisogno del suo sostegno. O che un giorno si sarebbe stufato della sua presenza lasciandolo indietro e dimenticandolo.

In fondo il verde era suo amico, ma non aveva bisogno di MoiMoi quanto il violetto aveva bisogno di lui.

Almeno ne fu convinto per un po'.

Per quanto intelligente un bambino non trovava strani certi dettagli. Come il fatto che nessuno chiamasse mai Sando a casa per la cena, o che le volte in cui MoiMoi lo trascinò a casa sua il verde divorasse qualsiasi cosa i signori Luneilim gli mettessero sotto il naso con una voracità preoccupante; né parve strano al violetto che i vestiti di Sando fossero sempre polverosi e malconci, o che la sua faccia avesse sempre addosso qualche traccia si sporco finché, una sera, salutandolo non ascoltò un vago commento della madre che rientrando in casa sospirò "povero piccolo", rimirando Sando allontanarsi.

MoiMoi aveva drizzato le orecchie preoccupato. Quella era una frase che i grandi usavano verso i bambini che non avevano i genitori, o quando commentavano il passaggio di qualche piccolo vagabondo di strada, senza una casa o un letto.

 

 

« Io ce l'ho una casa, e ho i genitori. »

Aveva borbottato Sando quando, titubante, MoiMoi gli aveva domandato della cosa.

« Solo che la mamma non c'è più. »

Il violetto lo aveva guardato triste, Sando invece per quanto malinconico aveva sorriso piano:

« È andata in cielo per farmi nascere. »

MoiMoi aveva cercato di assecondarlo stirando le labbra in su:

« … E il tuo papà? »

Sando era rimasto zitto per un po':

« Controlla i sistemi delle barriere esterne. – aveva risposto atono – È lontano. Non c'è sempre a casa. »

E alzandosi aveva cambiato argomento sfidando il violetto a chi sarebbe arrivato più lontano dalla parte opposta della centrale elettrica di supporto – in barba ai divieti e al monitoraggio sull'uso del volo e del teletrasporto, specie tra i bambini, da parte del Consiglio Maggiore – chiudendo definitivamente il discorso sulla sua famiglia.

A MoiMoi era stato bene così, in fondo se il suo amico non era poverino come lo aveva definito la madre, se aveva una famiglia e un tetto sulla testa, andava bene anche se era sempre trasandato e affamato, o almeno così gli parve giusto.

Fu una mattina, se non ricordava male, aveva compiuto otto anni da poco.

Sando era entusiasta di mostrargli uno strano marchingegno mezzo rotto che aveva scovato in un fosso –  di cui, fiero, aveva annunciato di non capirne un accidenti, ma che era sicuro il violetto avrebbe identificato – e aveva trascinato MoiMoi fino a casa sua, una catapecchia macilenta nascosta all'ombra dei silos per la distribuzione idrica.

« Su, sei lenta! »

« Non è vero! – protestò MoiMoi ansando dietro di lui – Aspettami! »

Sando ridendo accelerò il passo, ma MoiMoi lo vide bloccarsi di colpo a pochi metri dalla meta.

« Insomma! – reagì il violetto afferrandogli la manica – Sei veramente… »

Si zittì notando l'espressione attonita del verde e scorse qualcuno in piedi fuori dalla porta di casa sua.

MoiMoi retrocesse di un passo. L'uomo sull'uscio era alto e robusto, con corti capelli verdi dello stesso tono di Sando; si voltò a guardare i bambini pigramente, uno stanco sguardo verde acqua sotto al quale MoiMoi si sentì in colpa pur non avendo fatto nulla di male: l'uomo aveva abiti da lavoro spessi e grigi, ricoperti di grasso di macchinari e rattoppati un po' dappertutto, così come il suo viso, affaticato e smunto, dove la barba malcurata s'interrompeva irregolare su piccoli tagli e cicatrici. Non sembrò minaccioso, ma qualcosa nel suo atteggiamento continuò a far provare uno strano senso di nervosismo a MoiMoi, il vago sentore di aver fatto qualcosa che non avrebbe dovuto, e gli venne istintivo stringere più forte la manica di Sando. L'uomo aveva una grossa sacca usurata su una spalla e un'altra odorosa di cibo nella mano opposta, e quando vide i due bambini stese un sorriso esausto:

« Buongiorno. »

« Papà… »

MoiMoi, vedendo Sando rilassarsi contento al saluto, lo lasciò lentamente andare e il bambino arrancò goffo sforzandosi di rimanere composto nonostante l'agitazione, raggiungendo il padre che posò il suo carico di provviste posandogli una mano sulla testa:

« Sei lercio. Che hai combinato alla faccia? »

« Niente. »

L'uomo sorrise ancora, ma a MoiMoi parve gli costasse fatica; lo vide tener premuto il palmo, che tremolava appena, sulla testa del figlio senza muoverlo come se non fosse in grado di trasformare il contatto in una carezza, poi si allontanò di colpo riprendendo il suo bagaglio molto velocemente. Risollevò la testa scrutando incuriosito MoiMoi, gli occhi dorati fissi sulle dita che l'uomo premette contro la propria sacca e che non smisero di tremare in modo impercettibile.

« Buongiorno. »

Ripeté e il violetto sobbalzò ricambiando al saluto con un timoroso salve sussurrato.

« Sei un'amica di Sando? »

Il bambino annuì timido e l'uomo contraccambiò con un altro sorriso stentato. Tornò a guardare il figlio e aprì la porta di casa entrando:

« Vieni a mangiare. »

MoiMoi rimase deluso sia dell'incontro che del modo in cui fu dimenticato in pochi secondi dal signor Okorene e sperò che Sando si opponesse all'ordine, facendogli notare che loro due avevano altri programmi, ma il verde lo guardò con un'occhiata con cui gli fece intendere di non poter disobbedire alla richiesta paterna e salutandolo entrò in casa.

Per qualche giorno MoiMoi e Sando non si videro. I genitori del violetto gli avevano già spiegato quanto i sistemi degli scudi, che proteggevano la città dai crolli del suolo sovrastante e dalle infiltrazioni del gelo, fossero ubicati lontano da lì, nonché l'importanza che funzionassero sempre a dovere, quindi per quanto scontento MoiMoi non si lamentò dell'assenza dell'amico: probabilmente voleva stare il più possibile con il padre, finché ne avesse avuto occasione.

Sando rispuntò dopo qualche giorno, l'aria ben pasciuta per le razioni che il padre aveva riscosso e qualche livido in più.

« Con chi ti sei picchiato stavolta? »

Lo sgridò MoiMoi e il verde in tutta risposta gli fece una linguaccia senza dargli chiarimenti.

Gli arrivi e le partenze del padre di Sando non furono mai regolari, nemmeno il verde seppe mai quando e per quanto tempo il genitore sarebbe rientrato e si sarebbe fermato, ma MoiMoi imparò ad accogliere quei giorni con inquietudine.

Sando non gli disse mai nulla, ma il violetto non era uno sciocco. Gli bastarono due ritorni del signor Okorene per intuire che ci fosse qualcosa che non andava, e la sensazione si acuì di volta in volta intanto che, preoccupato, MoiMoi contava i giorni in cui non vedeva Sando a causa del ritorno del padre.

Una sera di circa sette mesi dopo al suo primo incontro con il signor Okorene, durante uno dei rientri dell'uomo, MoiMoi si ritrovò a gironzolare nei pressi della casa di Sando per controllare la situazione, e scoprire se finalmente l'amico avrebbe potuto tornare a giocare con lui dopo ben quattro giorni. Pattugliò circospetto il perimetro, nascondendosi dietro alle altre case e ai raccoglitori dell'acqua per poter studiare casa Okorene senza essere visto e notando con un sospiro avvilito la luce dalle finestre, quando un singhiozzo lo fece sussultare; si rannicchiò nell'ombra distinguendo qualcuno nascosto poco distante,  e lo stomaco gli si contorse d'angoscia.

« Sando…! »

Il verde tremò nelle spalle che aveva chinato sulle ginocchia e quando, alzando la testa, lo vide, arrossì nascondendo il volto. MoiMoi gattonò verso di lui spaventatissimo, aveva già visto Sando frignare un pochino per un ginocchio sbucciato o per una sfida persa, ma non lo aveva mai visto piangere così forte.

« Che c'è? Stai male? »

Gli domandò preoccupato; il verde sollevò appena la testa per guardarlo e MoiMoi si impaurì ulteriormente. Dietro le lacrime e al moccio che si era spalmato su tutta una guancia, il viso di Sando era gonfio di percosse: un occhio era così tumido da dargli difficoltà a tenerlo aperto, il labbro inferiore era rotto e un rivoletto di sangue era mischiato al muco che gli colò dal naso, la fronte era graffiata e sporca di polvere e c'era un brutto taglio sopra il sopracciglio destro; nel guardarlo da vicino MoiMoi si rese conto che i vestiti di Sando erano tutti stropicciati e mal messi, come lo avessero strattonato, e la pelle nuda di gambe e braccia che si mostrò portava brutti segni rossi di mani e pugni che presto sarebbero diventati lividi scuri.

« … Dice… Che è colpa mia… »

Singhiozzò soffocato Sando e nascose di nuovo il viso, come se si vergognasse che l'amico lo vedesse così. MoiMoi rimase in ginocchio accanto a lui, c'era una puzza acre di névoa addosso a suoi abiti che parve infastidire lo stesso verde, dal modo in cui tentò nervoso di togliersi la stoffa di dosso a discapito del freddo pungente.

« Che sono stato io… – pianse ancora il bambino e tirò forte su con il naso – Ma io non volevo…! Non volevo… Non è colpa mia… »

Gli sfuggirono un paio di singhiozzi più forti e MoiMoi gli posò una mano sulla testa, rabbrividendo nell'avvertire un taglio tra i capelli color erba che gli impiastricciò il palmo di rosso.

« Io non… Non volevo… Uccidere la mamma… »

Sando si morse le labbra gemendo e avvolse le braccia alle gambe, stringendo i pugni; non disse niente quando MoiMoi gli abbracciò le piccole e tremanti spalle, piangendo più forte nella stretta protettiva dell'amico.

Quando il verde si fu calmato MoiMoi lo riaccompagnò a casa sua, dove trovarono il padre riverso sul tavolo con la testa avvolta da un braccio, l'altro a penzoloni, e una puzza stantia d'alcol da far raggrinzare il naso. Sando sospirando prese una copertina macilenta dal divanetto della loro cucina-salotto, la mise sulle spalle dell'uomo che grugnì del sonno e tirò per l'ennesima volta su con il naso, passandosi una manica sul viso per pulirselo.

« Perché non vieni a dormire a casa mia? – suggerì MoiMoi a bassa voce – Domattina chiediamo a Kiddan-san se ci fa entrare di nascosto al centro addestramento, così… »

Le parole gli si spensero sulla bocca vedendo l'aria abbattuta dell'amico e quello scosse la testa:

« Stanotte dormo qui. »

Disse atono, alzando la testa inerme del padre sul suo braccio così che staccasse la bocca e il naso dal tavolo; poi si voltò appena verso il violetto con lo sguardo basso:

« Però a Kiddan-san lo chiediamo lo stesso? »

MoiMoi gli sorrise più convinto. Lo studiò continuare a sistemare mogio la coperta del padre ed ebbe di nuovo l'impulso di abbracciarlo, come faceva con la madre quando si sentiva triste. Non fece niente e pian piano mosse la mano per salutarlo, tornandosene a casa.

Sando non gli disse mai altro su suo padre o su quanto successo dopo quella sera, né MoiMoi chiese o né parlò con chicchessia; ebbe l'impressione, notando Kiddan scrutare il verde il giorno dopo, che gli adulti sapessero qualcosa, ma non osò domandare e fece esattamente come il suo amico, finta che non fosse successo niente.

MoiMoi da quel momento detestò il signor Okorene. Sapeva che Sando non poteva evitare di tornare a casa, non poteva vivere per strada, ed erano entrambi troppo piccoli per andare da soli a fare richiesta di approvvigionamenti, il verde aveva bisogno dell'uomo per sopravvivere, ma non cambiò di una virgola l'astio del violetto verso di lui. Ogni volta che il padre rientrava MoiMoi invitava Sando qualche giorno a casa sua, lo teneva fuori casa il più possibile e, addirittura, un paio di volte fecero preoccupare anche i genitori di MoiMoi perché, rientrando a casa Okorene e sentendo il padre del verde agitarsi ed imprecare completamente ubriaco, i due bambini se la diedero a gambe nascondendosi in gran segreto per alcune ore in attesa che crollasse.

 

 

« Se entrassi all'Accademia dell'Armata non ci dovrei più tornare, a casa. »

Disse vago un pomeriggio Sando, lanciando sassetti contro una casa abbandonata. MoiMoi lo guardò spalancando gli occhi.

« L'altro giorno un signore mi ha detto che ci entrerei subito. »

« Quando Kiddan-san ci ha fatto vedere dove tengono i para-para? »

Domandò distratto il violetto e Sando grugnì:

« Era un soldato, mi ha detto il nome ma non mi ricordo. »

Borbottò scrollando le spalle e ripensando al miracolo per cui non era stato sgridato perché aveva provato a combinare una delle sue piante con un para-para:

« Ha detto che non ha mai visto nessuno che ha capacità come le mie. »

Gli si lesse in volto come la cosa lo rendesse orgoglioso. Mirò con un sasso ad un secondo, rimasto incastrato in una nicchia del muro, e lo centrò stringendo il pugno trionfante; MoiMoi continuò a stare zitto.

« Dice che se entrassi all'Accademia diventerei ufficiale in pochissimo. E lì poi avrei da mangiare e da dormire sempre. Sarebbe figo, no? »

MoiMoi rispose grugnendo piano e Sando lanciò un altro paio di sassi.

« Kiddan-san lo ha detto anche a te. »

Gli puntualizzò all'improvviso, un po' risentito del suo muso lungo e MoiMoi sussultò trovandosi costretto ad annuire:

« Ha detto che posso entrare come sua assistente nella sezione scientifica – mormorò ondeggiando un piede sul tallone – però dice che prima dovrei anch'io entrare nell'Armata, altrimenti non potrei fare l'altra cosa. »

Sando lo fissò dubbioso e MoiMoi scrollò le spalle, per una volta non aveva domandato più di così.

« Non è che mi vada tanto. – ammise dopo un po' – Io non sono così brava come te. Non ho nemmeno un'arma. »

E sbirciò invidioso il coltellino che da qualche tempo Sando si era procurato e che portava fiero alla cintura. Il verde storse la bocca mandando uno strano monosillabo di assenso, e non commentò oltre.

 

 

« Oh…! Ooh! »

Con un capitombolo MoiMoi si lanciò afferrando la scodella che la madre aveva posato sul tavolo, e che le misteriose vibrazioni che stavano scuotendo casa per poco non avevano fatto precipitare sul pavimento.

« Kami-sama… »

La madre lo ringraziò accucciandosi per aiutarlo ad alzarsi e si affacciò dalla finestra: attorno la casa tremò ancora, pur in modo lieve, e la donna guardò angosciata la rampa per la superfice, ben visibile ad occhio nudo anche dalla loro distanza, che venne riabbassata dal punto di massima elevazione verso il suolo della città in un pesante silenzio.

« Ne è partita un'altra – soppesò la donna sovrappensiero sospirando – sono quattro in un solo mese… »

MoiMoi non commentò quell'affermazione e un moto d'ansia gli risalì dallo stomaco.

La vita sul loro pianeta era difficile per tutti, per qualcuno più di altri, per altri ancora, insopportabile. Il Consiglio Maggiore aveva negato qualsiasi atto di ritorno alla Terra, dovevano prima pianificare con cura le mosse per la cancellazione dell'infestazione umana, però non tutti i jeweliriani avevano accolto la decisione con trepidazione; molti, moltissimi, non riuscivano più a tollerare di arrancare a fatica in quella vita, strozzati dal morso gelido di quel pianeta ostile, e in tanti avevano trovato una sola soluzione possibile.

Viaggiare fino alla Terra in tanti, donne e bambini compresi, era troppo pericoloso e lungo, ma la galassia era piena di pianeti, seppur lontani più vicini della Terra, e pur con tutte le loro difficoltà e i popoli ostili, più vivibili di Jeweliria. Il nuovo picco di crollo climatico dei passati sei mesi avevano infoltito l'esodo di disperati e sognatori che, raccattando tutti i loro averi e speranze, saltavano sulle antiche navicelle che li avevano condotti al loro deserto ghiacciato e partivano nella speranza di un domani.

Il Consiglio non lo proibiva, temendo che un'imposizione simile avrebbe scatenato rivolte e sommosse per il diritto a scegliere il proprio destino, ma di certo non appoggiava la decisione degli esuli considerandola una sorta di suicidio collettivo; era una follia partire con famiglie e tutto per un percorso così difficile, per giunta su astronavi che non erano più state ammodernate dopo secoli e che, per quanto ben tenute, non erano più adatte nemmeno a traversate brevi. Tutti coloro che rimanevano guardavano le partenze degli emigranti con dolore e rabbia, consapevoli che fino a quel momento nessuna delle navette avesse mai fatto ritorno, né avesse mai inviato segnali di essere atterrata con successo.

MoiMoi fissò la rampa che scomparì oltre i profili dei tetti e strinse i pugni con il gelo nello stomaco. La madre sospirò di nuovo mormorando qualche preghiera per augurare buon viaggio ai compatrioti e cercò di tornare a sorridere, finendo di rassettare la cucina:

« Stavo pensando – cambiò argomento – è un po' che non lo vedo, magari stasera potresti invitare a cena San- »

« Io… Vado a giocare fuori, mamma. »

Il figlio la interruppe prima che completasse la frase ed uscì spedito sulle gracili gambette da decenne, fingendo di non aver capito il nome che la madre stava pronunciando. Fuori, il rombo dei motori della nave in partenza riecheggiò lontano come un tuono funesto.

Nessuno diceva di voler partecipare alla peripezia degli esuli. Chi crollava e prendeva quella decisione si limitava a tacere, fare armi e bagagli e salire sulla navetta successiva non lasciando dietro di sé altro che case vuote trascinandosi dietro le famiglie al completo.

MoiMoi sospirò nervoso, risollevando lo sguardo alle sue spalle verso i pannelli termici come a cercare un segno della navicella ormai andata verso il proprio destino.

Dall'ultimo ritorno del padre di lui non vedeva né sentiva Sando, ormai erano trascorse quasi due settimane.

Guardò ancora in su e si mordicchiò il labbro inferiore, ansioso. Riprese a camminare senza riflettere, poi di colpo di fermò, fece dietrofront e puntò verso i raccoglitori dell'acqua.

Erano giorni che aveva una brutta sensazione, ma non poteva…

Sando non glielo avrebbe mai nascosto.

Era vero, si faceva tutto in segreto, e di sicuro se l'amico avesse deciso di seguire il padre in una cosa simile lui avrebbe smosso mari e monti pur di farlo desistere, quindi avrebbe avuto senso il silenzio del verde, però…

No, non lo farebbe mai.

Prese a levitare un poco sperando che nessuno lo scorgesse e accelerò il passo caracollando a terra a cinque metri da casa Okorene.

Le finestre erano buie e nessun rumore proveniva dall'abitazione. MoiMoi si morse l'interno della guancia.

Si avvicinò guardingo alla porta e bussò; quella cedette sotto le sue mani aprendosi con un cigolio e rivelò l'interno desolato, facendo sprofondare il cuore del violetto alle caviglie. Non c'era nulla, tutto sparito. Nella penombra intravide solo i mobili macilenti, sagome scure nella desolazione, completamente vuoti, nessun oggetto sugli scaffali, nessun calore dalla stanza come se fosse abbandonata da giorni, e un silenzio assordante che gli perforò le orecchie.

MoiMoi rimase immobile sull'uscio aperto.

Non ci credeva.

Non era vero.

Un groppo gli serrò la gola mentre strinse di nuovo i pugni, quando lo raggiunsero dei passi trafelati e il fiato pesante di qualcuno che si arenò contro la porta.

Sando, che ormai lo superava di almeno cinque centimetri, il viso rosso e grondante sudore lo fissò sgranando gli occhi blu, dapprima sorpreso, poi con una cocente delusione che lasciò spazio immediato ad una triste amarezza, spegnendo l'entusiasmo del violetto che appena l'aveva visto era tentato di abbracciarlo.

Il verde gli si affiancò in silenzio rimirando la sua casa ormai svuotata. MoiMoi capì ben prima che l'amico, dopo un'eternità di silenzio, constatasse solo amaro:

« Mi ha lasciato qui. »

Il violetto non seppe come rispondergli, guardandolo mentre, le braccia lungo i fianchi, passava lo sguardo color notte sulla desolazione al suo cospetto:

« È arrivato e… Erano giorni che armeggiava per casa e mi faceva cercare cose, non capivo, mi aveva detto che era per il lavoro anche se mi era sembrato strano, ma tanto lui non mi dice mai niente quindi pensavo… Poi l'altra sera abbiamo mangiato, ha usato praticamente tutte le provviste rimaste dicendo che sarebbe andato al centro rifornimenti al mattino. Quando mi sono svegliato il giorno dopo non c'era più niente. – spiegò piano non girandosi mai verso l'altro – L'ho cercato dappertutto, e oggi poi ho visto la… »

MoiMoi lo vide mordersi il labbro e far diventare le nocche delle mani bianche, evidentemente aveva sperato di sbagliarsi fino all'ultimo minuto, specie vedendo la porta di casa aperta, ma la presenza del violetto aveva distrutto l'ultima speranza.

« … Scusami. »

Mormorò MoiMoi non sapendo nemmeno lui bene il motivo e Sando scosse la testa:

« Grazie di essere venuta a cercarmi. »

Rimasero in silenzio, fianco a fianco, il verde che fissava vacuo un punto indefinito come se fosse in piedi sul limite di un baratro e cercasse in ogni modo di non cadere, ma non potesse tornare indietro. MoiMoi sbirciò il suo profilo che stava andando sempre più rapidamente a perdere i segni del bambino e alzò lo sguardo di fronte a sé:

« Sando, andiamo all'Accademia. »

L'amico lo fissò interrogativo.

« Ormai siamo grandi abbastanza e tu ci sei sempre voluto andare. »

Sando soppesò la frase un momento:

« … E i tuoi? »

« La mamma magari si arrabbierà un po' – rispose con una scrollata di spalle – ma Kiddan-san mi aiuterà a convincerla. »

Sando non gli rispose di nuovo e si girò del tutto verso di lui; MoiMoi gli sorrise incoraggiante:

« Se vai, io vengo con te. »

Il verde non gli rispose, limitandosi ad afferrargli un lembo della manica e a stringerlo forte con un cenno d'assenso, il viso appena in imbarazzo intanto che mormorò un ringraziamento inudibile.

 

 

Convincere i suoi genitori fu complicato come Sando aveva predetto, aiuto di Kiddan o meno. Sua madre si angustiò domandandogli se per caso avessero fatto qualcosa, se non fosse felice a casa, tanto agitata che MoiMoi soppesò qualche momento l'idea di rimangiarsi tutto per farla stare tranquilla.

« Kiddan-san dice che potrei essergli di grande aiuto – l'aveva rassicurata alla fine – e io voglio provare. »

Si era convinto ad accettare la proposta dell'uomo per via di Sando, ma a rifletterci in effetti l'idea lo intrigava: chissà che cose avrebbe potuto scoprire, cosa avrebbe potuto imparare, fin dove sarebbe potuto arrivare.

Molto dell'entusiasmo suo e di Sando scomparve appena arrivati ai cancelli dell'Accademia dell'Armata, nulla più che un casermone grigio e austero che toglieva gran parte del fascino all'idea di diventare soldati, facendo piombare i due ragazzini in un'atmosfera pesante e tesa. La cosa non migliorò entrando e trovandosi fianco a fianco con decine di altri bambini della loro età o poco più grandi, pallidi e spaventati, totalmente terrorizzati quando le voci aspre degli ufficiali li accolsero dando le prime disposizioni e spiegando sommariamente le regole vigenti.

L'umore di MoiMoi crollò del tutto alla consegna delle uniformi da cadetti.

« N-no… Non voglio tagliargli! »

Aveva farfugliato timidamente stringendosi con una mano le ciocche violette che gli sfioravano la schiena. Avrebbe potuto accettare di vestirsi come i maschi, ma quello no:

« Alle ragazze non li tagliate così corti. »

Aveva ancora bofonchiato all'occhiataccia feroce del soldato addetto ad occuparsi di quella tediosa ed irritante procedura di preparazione dei neo iscritti; l'uomo sui trentacinque aveva afferrato brusco il display dati poggiato lì accanto, con cui smarcava i cadetti dal database, e dopo una rapida scorsa lo piantò sotto il naso di MoiMoi:

« Sei tu questo? »

Il violetto lesse le scritte sotto alla propria foto con una morsa allo stomaco.

Luneilim MoiMoi      10 anni      MASCHIO

Annuì lentamente.

« Qui ho scritto maschio – tagliò corto l'ufficiale irritato dell'enorme perdita di tempo – quindi stai zitto. »

Quando Sando lo incontrò di nuovo dopo l'assegnazione delle divise e delle cuccette sembrò più dispiaciuto del violetto, a vederlo avvilito e a disagio mentre con occhi bassi si sedette sul proprio letto con addosso l'uniforme maschile, cercando distratto i capelli lunghi ormai tagliati al collo. MoiMoi fu convinto che il verde cercasse qualcosa da dirgli per conforto e non trovasse niente, e lo fermò sorridendogli più convinto e dicendo:

« Impegniamoci per bene. »

Le cose sembrarono migliorare. Sia Sando che MoiMoi erano i soli dotati della manipolazione vegetale e della terra in tutta l'Accademia, erano bravi ed entrambi spiccarono da subito sui loro compagni, il verde per la forza il violetto per l'intelletto; passato l'impasse dell'arrivo il loro primo giorno si svolse con una lunga serie di soddisfazioni e complimenti da parte degli altri soldati e degli addestratori, tanto che MoiMoi, che comunque trovò faticoso l'allenamento fisico, iniziò a pensare non sarebbe stato così terribile raggiungere i gradi che gli avrebbero permesso di assistere Kiddan.

Finché non arrivò il momento per i cadetti di tornare ai dormitori.

La notizia della discussione circa il suo sesso biologico aveva fatto il giro dei novellini più rapidamente di quelle sul suo quoziente intellettivo e del suo, a quanto si diceva, atteggiamento di superiorità verso i comuni mortali dotati di media intelligenza.

Argomentazioni più che sufficienti per renderlo un bersaglio.

Il primo assalto lo ricevette in camerata. Era stato uno dei primi ad arrivare e nella penombra non si era accorto dei cinque che lo aspettarono al varco. Si difese come potè, stando sempre assieme a quell'attaccabrighe di Sando come si sferrava un pugno lo aveva imparato più che bene, ma lui era comunque uno dei più gracili lì dentro, loro erano di più e fu difficile ribellarsi, avvolto sotto una coperta e immobilizzato sul letto mentre quelli lo presero a calci e pugni ridendo a più non posso, raggelandolo riguardo la sua "diversità" con insulti e frasi sprezzanti di cui neppure della metà seppe il significato. Non capì come riuscì a tirare fuori un braccio dalla matassa di stoffa e a centrare uno di loro in pieno naso, ma tanto bastò a fermarli e lui ringraziò i passi degli altri cadetti che interruppero definitivamente i suoi assalitori; quelli lasciarono la presa fingendo non fosse accaduto nulla, e sibilandogli minacce di replica se avesse spifferato la cosa.

MoiMoi rimase dove si trovava, la testa sotto il lenzuolo, tremando e cercando di non lasciarsi sfuggire un singolo singhiozzo per il dolore diffuso e di non far voltare nessuno verso di sé. Perfino quando Sando cercò di chiacchierare prima del coprifuoco, esaltato della giornata, il violetto finse di essere crollato a dormire pur di non farsi vedere, spaventato dall'ultimo avvertimento ricevuto, ma ancor di più vergognandosi per lo stato pietoso in cui doveva trovarsi, per le cose che aveva ascoltato e che lo fecero sentire per la prima volta nella sua vita sbagliato, strano, sporco, per il modo in cui si sentì colpevole senza ragione.

Ovviamente il giorno dopo, alla luce del sole, non potè più nascondere il suo stato; per quanto attutiti i colpi li aveva ricevuti e una buona sequela di lividi ne fu dimostrazione.

« Che diavolo ti è successo?!? – aveva sussurrato Sando prima di infuriarsi – Chi è stato?! Che hai combinato?! »

Il violetto si era limitato a mordersi il labbro zittendosi e a guardare per terra colpevole.

Così come a Sando il suo stato non sfuggì ai superiori che notarono come anche un altro cadetto – quello centrato da MoiMoi al naso – avesse l'aspetto di chi si fosse lanciato in una rissa. Entrambi si sorbirono una gran lavata di capo, ma poi fu il violetto, che aveva l'aspetto peggiore, ad esser tenuto da parte e a ricevere richiesta di spiegazioni più precise; quella volta MoiMoi decise di parlare, pur potendo accusare solo uno dei suoi aggressori, e ottenne che il cadetto fosse messo in cella di rigore per qualche giorno. Di contrappasso, lui ricevette un altro paio di visite dei suoi soci che si prodigarono a ricordargli la loro minaccia e che, da lì in avanti, sarebbe stato opportuno non fare la spia.

MoiMoi imparò presto a stare zitto. Capì che ogni gesto di ribellione avrebbe inasprito le violenze verso di lui, così come il correre a cercare aiuto negli adulti avrebbe solo fomentato la sua fama di "femminuccia" e altri epiteti meno gentili, che tanto facevano ridere gli altri ragazzini.

Imparò a concentrarsi sull'allenamento e sulle sporadiche e meravigliose visite di Kiddan, ripetendosi come un mantra fortificante che gli sarebbe bastato raggiungere il grado caporale per poter richiedere di essere assegnato alla sezione scientifica, e Kiddan avrebbe pressato perché venisse assegnato alla sua diretta custodia; sarebbe bastato quello, lui doveva solo pensare a diventare più bravo.

Imparò a camminare a testa bassa e a fare meno confusione, nascondendosi agli occhi dei compagni e alle loro attenzioni più del necessario. Imparò a farsi andare bene i capelli corti e a sentirsi chiamare al maschile. A ricevere le botte dove non si sarebbero viste – o si sarebbero viste meno – e a non replicare, così che passassero prima e nessuno potesse chiedere.

Imparò a sentirsi in colpa. A sentirsi sbagliato, a iniziare a credere che tutte le cose che gli venivano scagliate in faccia fossero giuste critica a qualcosa che non era normale; a sentirsi deviato come gli dicevano, a sforzarsi di capire come accettare di essere un maschio al dispetto del disgusto che la cosa provocava a se stesso.

Imparò tutto, o almeno come avrebbe dovuto fare.

Ma non imparò a darla a bere al suo migliore amico.

 

 

« Sei una stupida! »

MoiMoi non replicò, schiacciato in un angolino del corridoio con Sando che gli bloccò la strada, e il suo fare remissivo irritò solo di più il verde:

« Pensavi che non me ne fossi accorto?! »

« Non sei proprio sveglio, in effetti. »

Commentò più acido di quanto volesse il violetto però, strano, Sando non ci badò e lo scrutò da capo a piedi apprensivo:

« Non li puoi lasciare fare così! Ti devi difendere! »

« Se mi difendo è peggio. – bofonchiò – E comunque non sono affari tuoi. »

« Come sarebbe non sono affari miei?! »

MoiMoi continuò a fissarsi la punta delle scarpe. Lo sapeva già quand'erano piccoli, quando il branco prendeva di mira uno da solo se qualcuno difendeva una vittima diventava vittima a sua volta: Sando pareva essere così felice in Accademia, non voleva coinvolgerlo in una cosa del genere.

Togliendo il fatto di cosa sentisse ogni volta che si trovava sotto l'occhiata torva del verde, il rimescolio alle viscere che cercava di ignorare così come il vago senso di irrequieta allegria, per non essere ancora più sbagliato di quanto già non fosse.

« Che non sono affari tuoi. Io me la cavo da solo. »

Sgusciò sotto il suo braccio, ma Sando lo riacchiappò e digrignò i denti vedendo i lividi che sbucarono da sotto lo scollo della divisa:

« Non sei capace di cavartela per niente, stupida. »

« Smettila di chiamarmi al femminile! »

Pigolò guardando da un'altra parte e scostando la mano. Sando ringhiò più forte:

« Sei una ragazza, no? Come diavolo dovrei chiamarti?! »

MoiMoi ebbe l'impressione lo prendessero a pugnalate nello stomaco. Sgranò gli occhi impallidendo alla sua frase, per la prima volta da mesi sentendosi colpevole per le ragioni opposte a quelle che ormai non lo facevano più dormire bene, e allo stesso tempo avvertendo un confortante calore ascoltando Sando definirlo femmina. Si pentì immediatamente della sensazione benefica, vergognandosene senza ragione, e abbassando la testa per non far vedere che piangeva corse via mollando il verde da solo:

« Non capisci niente! »

Sando non poteva capire. Non poteva.

Lui era contento di essere lì. Era ben voluto, era bravo, era ammirato da tutti e non solo da chi guardava ai cadetti come futuri membri delle proprie truppe, parti di un organo che doveva funzionare alla perfezione.

Sando stava a proprio agio nella propria pelle. Ed era un ragazzo in tutto e per tutto.

Come poteva capire come si sentisse lui?

Quanto si sentisse sbagliato e solo, quanto gli costasse stare lì e si sentisse stupido per odiare una propria decisione, quanto si sentisse male ad isolarsi dal verde per non coinvolgerlo. A scacciare e a nascondersi dall'unica persona lì dentro a cui volesse bene.

A vergognarsi come un ladro per l'affetto che provava, troppo forte per due amici.

 

 

« Ehi avete sentito? »

« Certo che ho sentito! »

« Ma voi lo sapete perché? »

« Boh… L'avranno fatto incazzare. – un sussurro con tono da esperto – Non è che sia mai stato tanto tranquillo quello lì. »

MoiMoi ascoltò distrattamente il confabulare dei cadetti; di solito avrebbe fatto finta di niente e avrebbe proseguito per i fatti suoi – meglio non stare dove ci fosse troppo movimento – ma l'agitazione e i bisbigli che catturò gli suonarono strani e si accodò ai gruppetti in corsa. I giovani soldati si radunarono sul corridoio sopraelevato, che sporgeva proprio sul cortile di addestramento, e cercando vanamente di non farsi vedere si acquattarono bisbigliando tra di loro curiosi per la scena sottostante. MoiMoi si nascose dietro una colonna della balaustra e si mise una mano sulla bocca per soffocare lo stupore.

« Ora voglio una spiegazione – tuonò la voce torva del colonnello Ronahuge – o giuro che voi tutti finirete in cella di rigore fino ai diciott'anni. »

Nessuno degli incriminati rispose. Lì vicino quattro cadetti stavano a terra lamentandosi e frignando, mentre altri due erano tenuti rispettivamente alla destra e alla sinistra di Ron da altri giovani ufficiali. Il primo ragazzino pareva quello messo peggio e MoiMoi lo riconobbe come uno dei commilitoni che lo aveva preso di mira, quello a cui aveva quasi rotto il naso: ora il naso lo aveva rotto del tutto, a giudicare dall'angolazione strana e dal sangue, ma grossomodo tutta la sua faccia era una bella maschera tumefatta, e pareva che i graduati lo stessero trattenendo perché non se la desse a gambe.

Niente a che vedere con l'altro cadetto, nientemeno che Sando, che invece sembrò avere tutta l'intenzione di menare un altro po' le mani e che era tenuto a viva forza per le braccia, incurante del sopracciglio e del labbro rotto così come delle minacce del colonnello.

« Su. Vi ascolto. »

Sando sputò a terra un po' di sangue accumulato e smise di tirare abbassando la testa obbediente:

« Stavamo litigando. »

« No, credevo steste giocando a palla – stridette Ron sarcastico – datemi una spiegazione decente del perché vi siete messi a menarvi come ubriaconi in una taverna, o potrei perdere la pazienza moccioso. »

Né Sando né alcuno dei cadetti emise un suono e Ronahuge sbuffando rabbioso diede ordine di portarli via:

« Che sia ben chiaro – rombò potente – non ammetto risse di sorta nell'Armata. E questo vale per tutti! »

Concluse alzando la voce e la testa verso il corridoio soprastante, scatenando il fuggi fuggi generale dei cadetti intenti a spiare. MoiMoi fu il solo che rimase lì accovacciato e scorse Sando alzare lo sguardo verso di lui; si sporse un poco e lo vide rivolgergli un'occhiata allusiva prima di ubbidire agli ordini e farsi portare via docile.

MoiMoi trattenne il fiato.

Non aveva…

Non poteva aver…?!

Che razza di… Stupido…

Quando tutti gli ufficiali diedero le spalle al punto dov'era nascosto, il violetto si alzò e corse loro dietro con un nodo alla gola.

Quello stupido… Quel grandissimo stupido!

Arrancò nel corridoio scivolando da una parte all'altra e perdendo di vista il gruppo. Girò a vuoto tentando di recuperarli per non seppe quanto, la gola che bruciò dalla corsa, finché non scorse la sagoma enorme di Ronahuge in fondo ad un corridoio, da solo, e accelerò l'andatura con tutto il fiato rimasto.

« Colonnello Osaki! Colonnello! »

L'uomo si fermò di colpo voltandosi senza indugio e bloccando la corsa del violetto, intimidito dallo sguardo color bronzo duro e severo che lo scrutò.

« Io… Devo parlarle. »

 

 

Aspettò in un angolino fuori dal reparto detenzione. La guardia di servizio aprì la porta senza accorgersi della sua presenza e fece uscire i sei cadetti come gli era stato ordinato, intimando di non volerli vedere lì dentro una seconda volta; cinque di loro annuirono torvi e si allontanarono da una parte, scoccando occhiatacce a Sando e bofonchiando minacce, mentre il verde ignorandoli rimase lì in piedi aspettando che la guardia tornasse indietro e si avvicinò a MoiMoi, fermo nella penombra. Non si dissero nulla per i primi minuti, il violetto che si detestò per come ormai trovasse difficile guardare chiunque in faccia compreso il verde, preferendo ammirarsi la punta delle scarpe.

« … Come stai? »

« Tre giorni in detenzione, come vuoi che stia? Di merda. »

Brontolò il verde e MoiMoi rise forzato.

« Il colonnello mi ha detto che sei andata a parlargli. »

MoiMoi smise di colpo di tormentarsi le maniche della divisa. Continuò a fissare il pavimento a disagio e annuì:

« Sì. »

« Mi ha detto che sei andata a parlargli per farmi uscire; che gli hai detto che la colpa è tua. – disse lentamente e poi il suo tono si inasprì – Che siccome sono tuo amico e sono stupido ho voluto aiutarti. »

MoiMoi si morse il labbro prima di rispondere:

« Non dovevo dirlo? »

« Ti sembra gentile dare ad un amico dello stupido? »

Confermò e MoiMoi non disse niente, non riuscendo a non sorridere perché non lo aveva sgridato sull'altro e ben più importante appellativo.

« E sei una presuntuosa del cazzo – continuò a bofonchiare secco – cosa ti fa pensare che sia finito nei casini per te?! Quelli mi stavano semplicemente dando fastidio. »

MoiMoi si azzardò a sollevare appena gli occhi e lo vide, da dietro la frangetta, incrociare le braccia e guardare da tutt'altra parte con il viso appena più colorito del normale. Il suo sorriso si allargò, Sando a dire bugie era più negato che a fingere di essere una persona tutta d'un pezzo.

« Scusa. »

« Che è 'sta nuova mania di scusarti di continuo? È seccante! – sbottò e poi sospirando abbassò la voce – Sei stata stupida a dire al colonnello di quelli lì. Ora sì che non ti lasceranno più in pace. »

MoiMoi battè ritmicamente con la pianta del piede contro il muro e scrollò le spalle sospirando:

« Nel caso… Mi daresti una mano? »

Domandò con voce da topolino e arricciò appena le labbra all'insù. Sando mandò un lamento cavernoso e gli passò brusco una mano sulla testa:

« Certo, se no te finisce che ti fai fare a tocchetti come un'ebete. »

MoiMoi si lamentò della presa e allo stesso tempo prese a ridere, capendo di faticare nell'operazione come se si fosse dimenticato come si faceva:

« E allora la prossima volta non metterò più nessuna buona parola per te…! »

« Come no? Scambio equo. – sogghignò il verde – Tu mi salvi il collo, io ti salvo il culo. »

« Non c'è differenza. »

« Certo che c'è differenza, ebete! »

MoiMoi rise ancora a stento, iniziando ad avvertire meno il peso che gli stava soffocando il petto negli ultimi tempi, si liberò della mano del verde ed entrambi si avviarono piano piano verso i dormitori, Sando che si fermò dopo qualche metro con le mani in tasca e lo studiò da oltre la spalla:

« … Però devi smetterla di guardare per terra. »

Al violetto parve un rimprovero e incassò la testa nelle spalle, stupendosi di come quella reazione incupì il verde:

« A vederti fare quella faccia triste mi sento triste anche io. »

MoiMoi non replicò alzando del tutto la testa e spalancando gli occhioni dorati. Sando si girò quasi subito, a disagio, riprendendo a camminare a passo pesante, e il violetto gli zampettò dietro mettendo le braccia ai lati del viso, così che non si vedesse il rossore che gli aveva incendiato la faccia mentre tenne lo sguardo puntato sulla schiena del verde.

Se MoiMoi ci ripensava, in fondo, non aveva fatto altro fin da che lo conosceva. Aveva sempre seguito la sua schiena, grande e forte, che avanzava come un treno davanti a tutto a discapito di cosa sarebbe successo e che tante volte lui aveva dovuto soccorrere – quella, o meglio il suo limitare basso – perché Sando non era stupido, ma quando si metteva in testa una cosa – soprattutto se concerneva il menare le mani – diventava un siluro senza guida. E non aveva mai avuto il coraggio di dirgli, almeno a chiare lettere, quante di tutte quelle volte in cui si era lanciato avanti a pugni spianati lui avesse saputo che la colpa era stata sua, per aiutarlo, e che forse, al contrario di quanto gli aveva detto quella volta, se lui era l'addetto a salvargli il fondoschiena era Sando quello addetto a salvargli il collo. E se mancava di arrivare, le pochissime volte in cui successe, Sando passava poi sulla causa del male compiuto come uno schiacciasassi: quante volte aveva visto i suoi bulli spuntare nei corridoi misteriosamente con gli occhi neri, o li aveva visti volare dalla parte opposta della stanza e si era ritrovato libero dai loro accerchiamenti, Sando al suo fianco con la faccia infuriata e la mano già sul bavero di qualcun altro.

Dopo la prima volta divenne quasi una routine giornaliera. Come il verde aveva predetto il suo spifferare a Ronahuge quanto succedeva nei suoi confronti inasprì l'ira dei suoi persecutori, per nulla contenti di avere il fiato del colonnello sul collo ad ogni occasione. Per loro sfortuna nemmeno Sando lasciò loro molto più margine di azione, sbucando come per magia accanto a MoiMoi appena a loro balzava nel cervello la più remota idea di un assalto.

Il suo fare da guardia del corpo al violetto minò molta della fama presso i giovani soldati, che per non finire nei guai o solo per accodarsi all'onda delle prese in giro verso MoiMoi isolarono l'unica persona che pareva volerlo difendere, ma Sando accolse la cosa con indifferenza e, anzi, a MoiMoi parve perfino contento: era molto più distensivo per il verde potersi comportare come suo solito, non dovendo più corrispondere alle aspettative di nessuno fuori dagli occhi dei superiori; fu incomprensibile per MoiMoi come la cosa gli fece perdere moltissimi fan, ma guadagnare degli amici che, cosa ancor più incomprensibile, si fecero poche remore ad accettare anche lui.

La piccola serie di conquiste lo aiutò a tornare se stesso dopo quasi due anni, poco a poco, nonostante gli atti di bullismo non fossero finiti e ancora gli insulti che si sentiva lanciare contro gli facessero più male di quanto ammettesse.

MoiMoi cercò sempre, però, di mantenere chiari i propri obbiettivi e di ricordarsi le parole che Sando gli aveva bofonchiato uscito dalla cella di rigore – la prima volta di una lunga serie – e ogni volta si sentiva un pochino più forte e più felice.

E un pochino più frustrato.

Perché Sando era ambiguo, cielo se lo era, con quei suoi modi da orso e quel suo imbarazzarsi per un moto di sincerità che non riusciva a trattenere, e lui si confondeva soltanto.

MoiMoi aveva fatto chiarezza dentro di sé rapidamente. All'inizio, specie durante il primo periodo in Accademia, si era vergognato dei propri sentimenti, ma in fondo non c'era niente di sbagliato se gli piacevano i ragazzi.

Se gli piaceva Sando.

Non che potesse dirglielo, però lo sapeva.

Sando invece era criptico perfino per la sua mente elastica e tanto portentosa.

Lo stuzzicava, lo prendeva sempre in giro e lo sgridava con quella venuzza che gli pulsava sulla fronte e che probabilmente gli sarebbe esplosa prima dei trent'anni, ma se MoiMoi aveva bisogno era lì, se doveva difenderlo c'era, se si sentiva giù lo ascoltava e gli parlava – almeno, ci provava – con il suo garbo inesistente, gli occhi color notte preoccupati e l'imbarazzo dipinto in faccia.

MoiMoi qualche volta si faceva venire dei dubbi, delle speranze, ma ricacciava tutto indietro con la stessa velocità. Fosse anche stato vero, dubitava che quello zuccone potesse vagamente pensare a cose "sentimentali" all'epoca e avevano sempre ben altri pensieri a cui dover badare per riflettere sulla questione.

Come l'addestramento ad esempio.

Come evitare di finire vita natural durante in cella di rigore, ad esempio.

 

 

Quella volta erano decisamente nei guai. In guai serissimi. Sarebbero finiti di fronte al Corpo Disciplinare, nella migliore delle ipotesi li avrebbero cacciati, era sicuro.

Come aveva potuto perdere il controllo a quella maniera?

« Se non la smetti di sospirare mi verrà il torcicollo. »

MoiMoi sollevò appena la testa e guardò di lato tra le sbarre di acciaio della sua cella Sando, steso sulla brandina con le braccia dietro la nuca:

« … Cosa? »

« Con tutta l'aria che emetti – bofonchiò antipatico – mi farai prendere un colpo d'aria. »

« Quanto sei scemo. »

Il violetto riaffondò la testa tra le gambe e mandò un lamento secco quando il ginocchio toccò la sua fronte, stuzzicando il grosso livido appena formatosi dietro il sopracciglio destro.

Erano nei guai, per colpa sua.

Dannazione.

Però… Però a pensarci non avrebbe potuto fare altrimenti.

Quelli là… Avevano ben pensato che, forse, togliendosi dai piedi la minaccia più grossa avrebbero avuto di nuovo il loro passatempo a portata di mano.

E Sando era forte, ma contro dieci era un po' in svantaggio persino lui.

Era stato spontaneo per MoiMoi. Non l'aveva fatto apposta. Cioè… Lo aveva fatto perché lo voleva, non era stato senza controllo, ma l'istinto aveva soffocato la vocina che gli aveva ricordato per tutto il tempo la regola ferrea di non utilizzare armi e poteri di sorta al di fuori del campo di addestramento.

Per cinque minuti lui se l'era dimenticato, aveva solo visto il verde – parlando terra terra – nella merda fino al collo, e via era andato.

E ora nella merda erano in due.

La sola cosa messa peggio del loro futuro erano le docce, che il potere di MoiMoi aveva praticamente distrutto divellendo il pavimento e gettando piastrelle e lavandini per aria come proiettili.

Avvertì l'occhiata del verde contro la nuca, ma rimase nascosto; lo sentì scendere rumorosamente dalla branda e sedersi con la schiena contro le sbarre prima di soffiare tra i denti per chiamarlo:

« Ehi. »

MoiMoi alzò la testa lentamente con un nodo allo stomaco nel vedere l'aspetto malconcio dell'amico. Sando invece, tranquillo, stese un ghigno e sporse un braccio tra le sbarre con fare complice; aprì il palmo e MoiMoi gli si avvicinò lentamente, rimirando confuso il contenuto delle sue dita che parve tanto divertirlo, quasi quanto la faccia scocciata che il violetto mise su quando comprese.

« … Quello è un dente? »

« di Ijiiri(*). »

« Non l'hai fatto…! »

« E perché no? – continuò a sogghignare – Souvenir. »

MoiMoi scosse la testa e iniziò a ridere forte seguito a ruota da Sando: bastò poco perché entrambi si ritrovassero a reggersi la pancia e a lamentarsi per le fitte che le risa provocarono alle botte da poco prese.

« Tu sei scemo…! Sei tutto scemo! »

« Dici che glielo dovrei restituire? »

« Vorrei vedere la sua faccia se lo facessi! »

« Scusa Ijiiri-kun – fece in falsetto il verde, parlando nel naso per il troppo ridere – credo ti sia perso qualcosa… È il molare sinistro o il destro? »

MoiMoi cacciò un altro acuto rotolandosi sulla schiena e sgambettando senza riuscire a respirare.

« Noto con piacere che siete parecchio di buon umore, vista la situazione. »

Il neo-generale di divisione Ronahuge comparve sulla soglia della stanza in modo sorprendentemente silenzioso per la sua mole. I due ragazzi scattarono a sedere zittendosi e MoiMoi impallidì, il gelo nell'addome mentre tutta la gravità della situazione gli ripiombò addosso; perciò non capì come potesse venirgli da ridere nello sbirciare Sando nascondere lentamente la mano e fare una strana smorfia, quasi che la cosa più brutta in quel momento potesse essere vedere confiscato il suo premio di vittoria.

Ronahuge si avvicinò fino ad essere ben visibile nella stanza poco illuminata. MoiMoi si contrasse un poco, l'uomo sfoggiava una grossa cicatrice sotto la gola da alcuni mesi, segno della sua ultima battaglia vinta e distintivo che gli aveva concesso l'avanzamento di grado, ma a lui innervosiva quel segno minaccioso in un punto così vitale per non parlare della voce del generale, già potente e intimidatoria di suo, che era divenuta ancor più sgraziata dopo la ferita.

L'uomo sollevò la mano in cui reggeva un display dati e lo scorse lentamente, prendendo a leggere a bassa voce:

« Okorene Sando. 12 anni. »

Sentendosi nominare il verde corrugò appena la fronte:

« Ne ho quasi tredici. »

« Mi scusi. »

Ribattè Ronahuge divertito, ma l'occhiataccia che gli scoccò sembrò meno incline a voler scherzare e Sando si zittì.

« 110 su 120 alle simulazioni, potrei spaventarmi…! – rise ancora e stavolta il suono rasposo della sua gola fu più sincero – Ma pare che tu abbia seri problemi con la strategia. E con la gente. »

Gettò una scorsa allusiva alle sue guance tumefatte e all'occhio nero e Sando strinse i pugni sul pavimento abbassando gli occhi a disagio.

« Meglio sorvolare su quelli disciplinari. »

Concluse e riprese a scorrere lo schermo con le dita:

« Luneilim MoiMoi. »

Il violetto rizzò la schiena come lo avessero punto.

« 12 anni; 98 su 120 alle simulazioni, niente male. – l'uomo spalancò un secondo gli occhi color bronzo e scrutò MoiMoi da capo a piedi con aria divertita – QI 175, ora capisco perché Kiddan non fa che rompere le scatole su di te. »

MoiMoi chinò la testa di scatto arrossendo in imbarazzo. Ronahuge spense il display e lo abbassò passando lo sguardo da un ragazzino all'altro:

« Tu sei un manipolatore vegetale, vero? »

« Sissignore. »

Bofonchiò Sando sforzandosi di essere umile; Ronahuge sorrise sottile:

« Perciò sei stata tu signorinella, a ridurre in quelle condizioni una delle poche cose che vi impedisse di morire asfissiati di ritorno dagli allenamenti? »

MoiMoi sgranò gli occhi, sentendosi terribilmente in colpa per quanto fatto e contento perché Ronahuge – la sua situazione non era una storia sconosciuta a nessuno –si rivolgeva da sempre a lui al femminile.

« Sì, signore. »

Ronahuge emise un lungo fischio:

« Beh, per il momento ho convinto il generale Stahl a non sbatterti fuori a calci in culo – disse di colpo, stanco di vedere le facce da funerale dei due – visto che i vostri amici alla stessa minaccia hanno cantato come fringuelli, mi sono fatto un'idea del motivo della devastazione… Quindi per adesso rimarrai qui. Vale anche per te, signor lingua lunga. »

Concluse sbirciando Sando. Lui e il violetto si gettarono un'occhiata di sfuggita riprendendo entrambi colore.

« Ma sarebbe gradito non cercassi più di far germogliare una foresta nelle tubature. »

Aggiunse Ron e il verde annuì più volte agitato, MoiMoi che lo guardò e capendo non seppe se adorarlo o dargli dello stupido per aver fatto la stessa cretinata che aveva fatto lui.

« Siete tutti consegnati per dodici giorni. – riprese il generale più serio – Dopodiché sarete assegnati ad un nuovo plotone. »

Il sollievo svanì dal viso di MoiMoi che cercò ancora Sando con la coda dell'occhio e poi si morse il labbro:

« Cosa… Intende, signore? »

Ronahuge sorrise con fare quasi lupesco:

« Che, soldato, da questo momento voi due siete sotto la mia custodia. – disse divertito – E la prossima volta che vi verrà in mente di fare a pugni con chicchessia, signorinella, pregherete per finire in cella di rigore purché non vi scopra. »

 

 

La velata minaccia di Ronahuge si dimostrò molto più letterale del previsto.

I suoi allenamenti furono la cosa più faticosa, intensa, spossante e terrificante che MoiMoi e Sando avessero mai affrontato; nulla togliendo a quanto fosse spaventoso di per sé il generale, che li faceva filare per le sale d'allenamento nemmeno avessero le ali ai piedi pur di sfuggire al suo sguardo assassino, e non li faceva sgarrare di un millimetro sulla disciplina terrorizzandoli a morte le volte in cui uno dei due non potè esimersi dal finire in qualche scaramuccia, o quantomeno non riuscì a nasconderne i segni.

Nonostante il reverenziale timore verso il generale sia Sando sia MoiMoi furono felici di essere stati presi sotto la sua ala. Ronahuge era un grandioso soldato e una buona persona, al di là dei modi rozzi e della voce grossa, e prese a cura i suoi due sottoposti che poterono fregiarsi dell'unicità del titolo – o solo di essere i primi in vent'anni di servizio dell'uomo a non essere crollati o scappati dal suo addestramento dopo tre giorni, ma anzi a perdurare nell'impresa.

In poco meno di un anno entrambi i ragazzi furono pronti per il loro primo avanzamento di grado. MoiMoi, ottenuto il distintivo da caporale, avrebbe potuto rinunciare a servire direttamente sotto l'Armata per essere preso a tempo pieno nella sezione scientifica, ma declinò la proposta di Kiddan che fino a quattordici mesi prima non vedeva l'ora di accettare, limitandosi a spezzare il suo tempo tra fare l'assistente dello scienziato e del generale Ronahuge.

« Che novità è questa…? »

Sando glielo aveva domandato dopo l'annuncio di fronte al loro superiore, accolto da quest'ultimo e da Kiddan con pacata sufficienza.

« Credevo che passare all'unità di ricerca fosse la ragione per cui eri entrato all'Accademia. »

« In parte. »

Gli aveva risposto solo con uno scrollo di spalle e aveva finto di doversi sistemare l'arma alla cinta per nascondere il sorriso imbarazzato che gli era nato spontaneo, guardando in faccia l'altro motivo per cui era diventato soldato.

« E perché volevo sviluppare le mie abilità – aggiunse sincero – ma ho ancora da imparare… Se entrassi a tempo pieno nel reparto ricerca non avrei più il tempo di farlo. »

Aveva bofonchiato noncurante aggiustandosi qualche ciuffo dei capelli che, con il favore di Ronahuge, si stava facendo ricrescere. Sando aveva continuato a fissarlo confuso e con una strana luce sul viso, ma MoiMoi non aveva osato dare credito all'idea che fosse contento della notizia, tenendo il piacere dell'apparenza per sé, e lo aveva stuzzicato appena:

« Poi su, senza di me ti sentiresti solo. »

Sando aveva digrignato i denti e per un secondo a MoiMoi era parso arrossire:

« Ma col cavolo! Ora ti avrò sempre e comunque a rompermi le palle, nanetta cervellotica. »

« Nanetta a me?! »

« Luneilim! Okorene! – la voce di Ronahuge li gelò sul posto – Vedete bene di piantarla, immediatamente! O vi spedisco alla custodia dei chimeri per un mese! »

 

 

MoiMoi al destino non ci aveva mai creduto, era troppo comodo pensare che ci fosse già un percorso tracciato di fronte ai propri piedi con cui giustificare i propri errori o i propri sbagli. O contro cui prendersela per le proprie delusioni d'amore.

Però ogni tanto, ridendo di se stesso, pensava che non ci fosse definizione migliore di destino al ritrovarsi sempre al fianco di Sando. Il verde in genere ribatteva definendo la cosa come sfiga – e beccandosi delle gran tallonate negli stinchi – però la realtà non cambiava.

Dopo l'addestramento, dopo la scelta di MoiMoi di rimanere nell'Armata. Quando il loro gruppo tra le mura dell'Accademia si era allargato ed era arrivato Eyner, e poi… Lenatheri… E Pai, Kisshu, Taruto.

Quando erano diventati uno sottoposto dell'altro – e quanto lo aveva tormentato Sando, quanto lo aveva preso in giro – ogni volta che avevano dovuto combattere; quando Sando era stato destituito e aveva dovuto ricominciare tutto daccapo, e quando invece MoiMoi era passato al centro ricerche speciali – ed era stato lui allora, a prendere Sando in giro perché avrebbe dovuto fargli da baby-sitter.

In un modo o nell'altro erano sempre stati insieme.

Pur se non come MoiMoi avrebbe desiderato.

Dapprima aveva pensato che con gli anni i suoi sentimenti sarebbero cambiati, che avrebbe abbandonato il suo amore per l'affetto di un amico. Ci aveva provato, davvero, specie quando aveva sentito più forte la malinconia per non essere ricambiato; aveva addirittura provato ad innamorarsi di qualcun altro, non gli erano mancate le occasioni e qualche volta era stato lui stesso a ricevere qualche attenzione molto diretta, ma alla fine i suoi tentativi di frequentazioni risultavano così poco coinvolti che aveva sempre lasciato perdere.

Come faceva ad innamorarsi davvero di qualcun altro se non aveva che Sando davanti al naso ogni santo giorno, a sentirlo brontolare come se la sua presenza allegra lo irritasse e allo stesso tempo pronto a difenderlo e a spalleggiarlo nemmeno ne andasse della sua vita?

E non aveva mai smesso, né da attendenti di Ronahuge né da ufficiali liberi.

Sando era sempre stato lì.

Sarebbe stato sufficiente nominare la battaglia in cui MoiMoi e Lenatheri furono lasciati indietro e la reazione di Sando alla cosa, ad emblema di tutto. Dei del cielo, era riuscito a farsi degradare…! E cos'altro non aveva rischiato, non fosse stato per Teruga.

MoiMoi ci aveva pensato, ogni volta che lo aveva visto cacciarsi nei guai per colpa sua, il desiderio a metà tra il dargli dello stupido e quello di ringraziarlo dimostrandogli in entrambi i casi come riuscisse a sconvolgergli la mente e il cuore e a pretendere che non lo prendesse in giro e gli chiarisse un paio di cosette – perché lui era quello onesto e, diavolo, non era così scemo da non farsi sorgere un pochino di dubbi! – però Sando non gli aveva mai permesso di dire nulla.

« Siamo amici. »

Senza domanda alla fine, solo l'affermazione, e tagliava il discorso o qualsiasi polemica che il violetto potesse far iniziare dopo uno dei suoi gesti. MoiMoi annuiva e poi dentro di sé scuoteva la testa, mentre le sue intuizioni scivolavano via all'istante pesandogli sullo stomaco come pietre, sballottandolo di nuovo verso il soffocante limbo in cui fluttuavano i suoi sentimenti.

Perché per lui sì, erano amici, e no, non era sufficiente, non descriveva tutto, non coglieva tutto quello che provava.

Appena vagamente lambiva il bisogno che MoiMoi aveva della sua presenza, la sicurezza nel sentire il suo passo pesante nella stanza, la convinzione di non avere mai le spalle scoperte in nessun frangente; la gioia della complicità di tutti gli anni spalla a spalla, del sapere di conoscerlo meglio di chiunque altro; la dolcissima certezza di essere il solo a sapere ogni significato della sua fronte aggrottata, dei suoi mugugni a labbra strette, di un'occhiataccia o di un sorriso.

La felicità che aveva avvertito quando aveva letto nei suoi occhi scuri, torvi, imbarazzati, la stessa cosa che lui provava da anni e la paura per quella verità finalmente confermata, paura che l'aveva tentato di darsi un pizzicotto per essere certo di non dormire.

 

« Hai visto? È sempre meglio se chiudi quella boccaccia chiacchierona. »

« E che ci dovrei fare? »

« La stessa cosa che stavi facendo fino a tre secondi fa, ebete… »

 

Un sorrisetto sciocco gli spuntava sul viso tutte le volte che ripensava al loro primo bacio, al piccolo passo che aveva cambiato tutto e che allo stesso tempo poco o nulla aveva mutato nel loro rapporto.

A quel giorno, dopo che gli altri erano partiti per Lirophe, gli occhi di Sando sempre piantati sulla schiena seccati e preoccupati che lui si stancasse nel tornare subito al lavoro, ma che quando MoiMoi gli aveva detto che sarebbe stato a riposo in cambio di fare due passi assieme si erano addolciti mentre Sando, mugugnando come sempre, aveva accettato accondiscendente.

Una parte di MoiMoi aveva stupidamente temuto di bloccarsi, di non trovare più niente da dire dopo aver capito che il verde lo amava, smentendosi immediatamente; a posteriori si sentiva un pochino in colpa verso i ragazzi in missione, ma ammetteva che nella sua testa per le successive dodici ore non c'era stato niente oltre a lui e Sando.

Poteva sembrare un po' puerile che arrossisse a ricordare, però non nascondeva mai quel calore al volto mentre ci ripensava.

Il vantaggio nell'aver dovuto aspettare tanto era stato che non avevano dovuto tentennare troppo dopo: il primo bacio al laboratorio e poi la stessa sera, nel silenzio tranquillo di casa sua, MoiMoi aveva finalmente potuto stringerlo e averlo come aveva desiderato per anni, come mai aveva desiderato nessun altro.

Possibile che fosse accaduto tutto poco più di una settimana prima?

C'era un bruciante contrasto tra il fracasso basso e dolente del bunker e la presenza incombente della porta chiusa in fondo al corridoio, con la serenità che aveva sostenuto MoiMoi fino a poche ore prima.

Poche ore prima lui e Sando… Stavano ballando, riusciva ancora a sentire i suoi borbottii come se avesse appena smesso di parlare, il sorriso sghembo che ultimamente faceva più spesso dopo essersi arreso ad una sua richiesta, la propria mano nella sua…

Tutto il resto, la lotta contro Zizi, il frastuono della battaglia, le urla, la fatica, erano lontani e vaghi, era come se tutti i suoi ricordi e le sensazioni su Sando avessero preso possesso di ogni singolo neurone del suo cervello.

Le sue mani, la sua voce, i suoi brontolii, la sua bocca. Come gli parlava, come lo baciava. Come facevano l'amore.

 

 

La sensazione era sempre la stessa, come precipitare. Lo stomaco che sfarfallava risalendogli nella pancia

e la testa annebbiata dal calore, dall'elettricità che gli scorreva nelle vene, dalla voce di Sando che rombava bassa nelle orecchie offuscandogli l'udito.

Eppure tutto il suo corpo era teso, attento, sentiva ogni minimo sfiorarlo del verde, ogni tocco delle sue dita, dei palmi roventi, ogni bacio, ogni piccolo morso che gli lasciava con dolcezza. E reagiva bruscamente con ogni nervo a sua disposizione, togliendogli la voce e la ragione.

« MoiMoi… »

Ancora, gli sembrava di crollare nel vuoto quando chiamava il suo nome. Il verde lo mormorava come non riuscisse a farne a meno, come se fosse necessario dirlo per poter continuare a respirare.

Il violetto gli si aggrappò alle spalle temendo di cadere, anche se era seduto con le gambe intrecciate alla sua vita e le mani di Sando lo stavano reggendo salde e possessive quasi volessero fondersi con lui.

Il cuore di MoiMoi saltò qualche battito e tornò di nuovo a correre rendendogli difficoltoso solo pensare: sentì la brama Sando con cui lo cercava, lo saggiava, lo esplorava, e aveva l'impressione di avere il corpo più bello del mondo mentre il verde mandò uno sbuffo rotto e gli strinse smanioso le cosce, la schiena e continuò a stringerlo e toccarlo scendendo più giù lungo la sua spina dorsale. Il respiro gli si spezzò di nuovo intanto che MoiMoi si tese al suo sfiorargli le natiche, lo ascoltò trattenere sonoramente il fiato e poi baciarlo piano, dandogli il permesso e gemendogli sulla bocca quando le sue dita lo trovarono; MoiMoi inarcò la schiena e spinse con il bacino verso di lui, una mano a scompigliargli i capelli e l'altra premuta sulla sua schiena, soffocando un altro singhiozzo contro l'incavo del suo collo, e Sando sospirò rapito di sentirlo così  tremante per lui, desideroso, rovente, sfiorandogli reverente con l'altra mano il torace magro e posandovi contro qualche bacio irruente salendo fin sul collo.

Tutti e due dovevano avere ormai poca aria nei polmoni perché quando Sando aprì bocca per mormorare qualcosa, appena sotto il suo lobo, MoiMoi dovette processare il sibilo qualche secondo per interpretarlo tanto fu leggero. Sorrise quando intuì un qualche genere di apprezzamento e inclinò la testa cercando le sue labbra, riuscendo solo a posargli un bacio sull'angolo della bocca prima che un'altra lasciva carezza lo costringesse a riaggrapparsi saldamente alle sue spalle, soffocando un gemito e le vertigini.

Il verde non gli faceva mai complimenti ad alta voce, e le rare volte che gli sfuggivano il violetto doveva stare bene attendo a non farglielo notare o lo avrebbe solo ascoltato inveirgli contro rimangiandosi tutto per l'imbarazzo. Ma lì nella sua camera, solo loro due, Sando pareva non essere in grado di sussurrargli altro oltre quanto lo trovasse bello, quanto gli piacesse, come se fosse una confessione o una necessità impellente.

Si confondeva ogni tanto quando erano lì e qualche rara volta, soprattutto nei momenti in cui la mente del verde perdeva gli ultimi barlumi di lucidità, alternava un bella ad un bello e a MoiMoi faceva strano più che offenderlo perché lo sapeva, che per Sando lui era una donna. Ma forse in quegli attimi al verde veniva istintivo perché dove lo avvertiva perso di lui, dove si sfioravano i bacini, il violetto rimaneva un uomo; perché lì dove MoiMoi, il volto rosso e lo sguardo dorato languido, guidava le dita libere del verde, giù lungo il suo ventre perché sentisse tutto il desiderio che provava, il violetto era uguale a lui. Forse era semplicemente che Sando non riusciva a ragionare in quei momenti e si sbagliava, il solo pensiero del compagno tra le sue braccia sufficiente a inebetirgli ogni altra cosa.

MoiMoi avrebbe voluto dirgli la stessa cosa, quanto lo trovasse bello da fargli esplodere il petto, quanto trovasse eccitante la sua espressione corrucciata intanto che sospirava sempre più veloce al loro toccarsi e sfiorarsi, come adorasse il modo in cui socchiudeva la bocca quando lo chiamava; come lo facesse impazzire vedere e sentire al tatto i suoi muscoli tesi per lui, afferrare la sua eccitazione tra le dita e capire come farsi desiderare ancora di più.

Però la voce ogni volta non gli usciva e poteva solo baciarlo un'altra volta raccogliendo il soffio rauco che gli strappò la sua mano.

« Sei… Davvero… »

« Devo smetterla…? »

Tentò di prenderlo in giro e Sando per tutta risposta se lo strinse contro fin quasi a soffocarlo baciandolo a sua volta con fare prepotente, mugugnando di piacere.

« Sand- »

Stavolta fu MoiMoi a dover soffocare un sospiro roco fin troppo eloquente. Gli si strinse ancora con le gambe alla vita per sostenersi e sentì Sando grugnire:

« Vieni qui… »

Gli strappò un piccolo lamento quando allontanò le dita:

« Vieni qui. »

Avrebbe voluto dirlo come l'ordine di un amante esperto, come una pretesa che non ammette obiezioni, ma a MoiMoi le due parole sussurrate con un tremolio caldo suonarono come una richiesta; il violetto strusciò la guancia contro quella del verde e gliela baciò, quindi gli avvolse le spalle con entrambe le braccia sollevando appena il bacino e gli lasciò spazio.

Di nuovo, ogni volta, precipitava. E gli si aggrappava alla schiena con foga senza trattenere un gemito che di contrappasso strappava a Sando un respiro secco, facendogli stringere le cosce del violetto e inarcare la schiena mentre il piacere di quel calore da cui si sentiva avvolgere lo sovrastava.

« MoiMoi… »

« Dillo di nuovo. »

Lo pregò, volendo solo percepire un altro secondo il magnifico brivido che gli si ripercosse fin nella più piccola vena a sentirgli pronunciare il suo nome. Sando inclinò la testa e poggiò la fronte sulla sua: lo ripeté più a bassa voce, gli occhi color notte fissi nei suoi, spingendolo un'altra volta contro di sé, e poi ancora gli soffiò quelle sei letterine nell'orecchio mentre MoiMoi prese a chiamarlo a sua volta a ciascun movimento che compirono per farsi più vicini, ad ogni spinta che compiono assieme.

Intanto Sando lo strinse e poi lo accarezzò ancora lungo tutto il corpo, frenetico, gli baciò le spalle, la mascella, le guance, la bocca, mormorando ancora il suo nome e MoiMoi lo sentì farfugliare in un sospiro:

« Sei esattamente come ho sempre immaginato. »

La diceva tutte le volte quella frase, eppure tutte le volte a MoiMoi si attorcigliava lo stomaco e veniva da sorridere felice e in imbarazzo.

Perché quel sempre gli lasciava intendere tante cose e il suo amore ruggiva, confondendolo, facendogli tacere la domanda su da quando, dunque, Sando fosse innamorato di lui. E perché MoiMoi sapeva cosa intendesse con il suo immaginare, lo sentiva dalle sue mani come volesse dire quanto lo considerasse sensuale, quanto gli piacesse quel corpo che stava toccando e baciando, quanto lo desiderasse.

« Tu invece sei meglio. »

Ridacchiò il violetto con voce roca scompigliandogli i capelli corti e accarezzandogli il volto.

« Devi sempre avere l'ultima parola? »

Grugnì Sando e la sua invettiva, come la risata supponente di MoiMoi, si spensero al suo nuovo affondo. Le dita del violetto tremarono contro la mascella del verde mentre , gli occhi dorati che parvero oro fuso, gli mordicchiò il labbro e gli sussurrò:

« Hai la più pallida idea da quanto fantastico su di te? »

Nonostante il momento MoiMoi riuscì a vederlo arrossire corrugando la fronte:

« Ebete. »

« È la verità. »

Mormorò spingendosi contro di lui e soffocando il suo brontolio in uno sbuffo basso, le dita sottili a giocare distratte con il suo pizzetto e a sfiorargli la bocca:

« È da così tanto tempo che penso… Quanto sarebbe stato bello toccarti, e baciarti… Che quasi – uh! »

« Cosa? »

Sando si fermò un momento, o almeno rallentò quel poco sufficiente a MoiMoi per terminare la frase. Il violetto prese due lunghi respiri, le dita ancora a lambirgli la bocca e a cui Sando diede un paio di piccoli morsi facendo tentennare l'altro ancora un po' prima di finire il discorso.

« Mi sembra… Quasi incredibile – sussurrò alla fine sorridendogli – ma fare l'amore con te è più bello di quanto abbia mai sognato… »

Sando incredibilmente grugnì a disagio solo un attimo, ma poi gli sorrise e lo baciò:

« Non aspettarti che io dica mai una cosa del genere. »

« Sempre a fare il sostenuto. – gli rimbrottò ridendo – Nemmeno con me puoi essere onesto? »

Il verde sollevò le sopracciglia quasi a sottolineare la stupidaggine della domanda e spinse un'altra volta, sempre più in difficoltà a rimanere tranquillo, soffocò il gemito del violetto contro le proprie labbra e lì rimase a mormorare:

« Non fantasticare. Fai l'amore con me e basta. »

MoiMoi allontanò appena il viso per vederlo meglio, il petto che gli diede un tonfo, e si ritrovò ad inarcare la schiena gemendo e poi a riabbassare la testa contro il viso del verde, le dita affondante nella sua pelle:

« Dillo di nuovo… »

Disse con un piccolo singhiozzo sentendosi stupido per il calore che avvertì salirgli alle guance. Vide Sando sorridergli un po' divertito, ma più che altro perso di lui, e innamorato, e MoiMoi fu sicuro di svenire per la gioia e il piacere mentre Sando lo strinse ancora, scandendo i movimenti con le parole:

« Fai. L'amore. Con. Me. »

MoiMoi lo baciò assecondando i suoi movimenti e avvinghiandosi alle spalle così stretto da temere di fargli male.

Come se avesse potuto desiderare qualcos'altro dal fare l'amore con l'unico uomo che avesse mai amato.

 

 

 

 

 

 

 

 

Riconobbe la voce di Kisshu per prima pur non capendo cosa stesse dicendo. Quel ragazzo aveva sempre un tono di voce troppo alto quando perdeva la pazienza.

« È una cosa ridicola! »

« Ridicola o meno, non posso transigere. »

Quella… era la voce di Ake? La nota strascicata e stanca delle sue parole a dispetto delle invettive che stava ricevendo fu una conferma.

« Abbiamo il diritto di sapere. Sono più di dodici ore che è là dentro! »

Eyner? Se anche il bruno si era impegnato per scendere dal letto e dava battaglia contro il compassato medico doveva star succedendo qualcosa di grave.

Intontito dal sonno di piombo in cui era caduto MoiMoi si sforzò di alzarsi. La testa gli suonò completamente vuota, quasi che il cervello si fosse ridotto ad una piglia incastrata in un angolino, e un vago senso di nausea gli prese lo stomaco mentre tentò di alzarsi.

« Ragazzi, vi capisco, ma lo sapete meglio di me che le procedure in caso di emergenza sono ferree. – ripeté Ake svogliato, seccato lui stesso dalle proprie parole – Non posso far entrare nessun estraneo. »

« Estranei 'sto cavolo! – berciò Taruto – Non essere stupido, noi…! »

« Estranei nel senso di "non parenti e/o famigliari" – lo redarguì Ake lentamente – queste sono le regole. »

MoiMoi osservò Taruto avvicinarsi agli altri, tra cui distinse anche Pai, silenzioso ma come tutti palesemente arrabbiato. Si alzò piano, complice il fatto che eccetto il brunetto nessuno sembrò essersi accorto che lui fosse sveglio, un terribile sentore di gelo che gli attanagliò le viscere.

« E se non ci fosse nessuno? »

Domandò Kisshu livoroso e Ake rigirò il suo tubetto tra le labbra:

« Nel caso dovrò concordare con il suo ufficiale superiore in comando, essendo un militare. »

Fu chiarissimo che l'idea non gli piacesse per nulla e osservò i quattro con una vaga speranza:

« Siete certi che non abbia nemmeno un consanguineo? »

« … Sando-san vive da solo – fece Pai spiccio – e a quanto mi ha sempre detto l'unico suo parente era il padre, ma è scomparso da anni. »

Ake infilò le mani in tasca con un grugnito:

« Beh, non mi resta che parlare… »

« Con me. »

Si voltarono tutti assieme verso MoiMoi rendendosi finalmente conto della sua. Ake corrugò le sopracciglia con fare grave:

« Luneilim, il fatto che voi due s- »

Spense immediatamente le ultime parole mentre MoiMoi sollevò la manica del braccio sinistro. Una serie di linee di un tono più scuro della sua pelle disegnarono un complesso arabesco dal polso fino al gomito, racchiudendo al loro centro il simbolo di un cerchio racchiuso in brevi linee concentriche. L'immagine svanì dopo una manciata di secondi, con Ake che l'osservò per tutto il tempo e poi spostò lo sguardo su MoiMoi che si riabbassò la manica e lo fissò. Nessuno emise un suono.

Il medico prese un gran respiro ad occhi chiusi e rilassò le spalle, facendo strada al violetto; quello, sempre senza dire una parola, sorpassò tutti senza guardarli ed entrò con Ake nella stanza di fronte. La porta si chiuse dietro di loro con un botto quasi assordante.

I ragazzi rimasti fuori si fissarono tra loro frastornati e le facce di chi avesse appena ricevuto un cazzotto nello stomaco.

« Vi prego ditemi che qualcuno di voi lo sapeva. »

« Ho la faccia di uno che lo sapeva? – mormorò Kisshu e si premette forte il palmo sulla fronte – Merda e adesso?!? »

« Adesso niente. – replicò Pai freddo, troppo rispetto al chiaro turbamento sul suo volto – In ogni caso, stando così le cose, la senpai sarebbe stata la sola… »

« Sì, ma avremmo potuto evitare di fare questa bella scenata. – puntualizzò Kisshu cupo – Come se già fosse facile, maledizione…! »

Pai lo fissò fermo sulle sue parole di prima, ma concorde sul fatto che il loro spettacolo dovesse aver messo MoiMoi in un pessimo stato emotivo.

Come se tutta la situazione non fosse abbastanza grave.

Appunto.

Taruto non disse nulla. Rimase immobile come fosse stato di sale, fissando la porta chiusa e volendo solo poter dimenticare la scena a cui aveva appena assistito.

 

 

« Non lo sapevo. »

« Come? »

Ake si voltò sbirciandolo con un leggero sorriso malizioso:

« Credevo che una cosa del genere l'avresti sbandierata al mondo. »

Contrariamente alle aspettative del medico MoiMoi chinò la testa incupendosi:

« Sono stati giorni impegnativi. Non volevamo certo nasconderlo. »

« E perché mai avreste dovuto? »

MoiMoi scrutò Ake sorridergli appena e poi rifarsi serio precedendolo a passo lento. Il violetto si studiò la manica sinistra della maglia riavvertendo il misto di eccitazione e dubbio di alcune sere prima.

A Jeweliria i concetti di coppia e famiglia erano unicamente collegati a legami di sangue e all'unmei. Essi prescindevano tutto il resto e non imponevano restrizioni di sesso, nonostante ci fossero persone che storcevano il naso ad unioni "fuori norma". E MoiMoi era "al di sopra del fuori norma", per usare un termine garbato, purtroppo per molta più gente di quanto si potesse pensare.

Si fregò il braccio, chissà perché non ne avevano parlato con gli altri. Non ci aveva pensato fino a quel momento.

C'era la Celebrazione alle porte, Ryou e Keiichiro che facevano domande e progettavano, la bell'atmosfera di pace… Forse semplicemente gli era passato di mente come raccontarlo a tutti in modo ufficiale.

E dire che probabilmente Sando non avrebbe nemmeno brontolato molto perché lasciassero le cose come stavano, per l'imbarazzo o per timore di qualche ramanzina per il silenzio fino ad allora – il violetto si immaginava benissimo gli strepiti di quella romanticona di Ichigo, che avrebbe preteso sapere ogni singolo dettaglio e avrebbe piagnucolato affettuosamente perché non le era stato ancora riferito tutto.

Le dita di MoiMoi si strinsero sulla stoffa e sul braccio sinistro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si stiracchiò sul letto come avrebbe fatto un gatto, inarcando la schiena all'ingiù e allungando in avanti le braccia mugolando. Sando, accanto, non fece una piega, pensieroso, le braccia dietro la testa e i pantaloni che si era infilato da un paio di minuti ancora slacciati; il violetto lo studiò pigramente, incuriosito, ma non chiese e con un sorrisino da bambino rubò la maglia che il verde non aveva ancora accennato a toccare, abbandonata ai piedi del letto, la rigirò per il dritto e se la infilò sbucando dal colletto con uno sbuffo.

La stoffa era tiepida e portava la scia dell'odore dell'altro, che gli fece uno strano effetto mescolandosi a quella che avvertiva salire dalla propria pelle, sottile e decisa, quella scia che sapeva di entrambi e di amore. Ridacchiò soddisfatto e saltò giù dal letto spianando le pieghe della maglia come fosse un abito, non voltandosi sentendo finalmente il verde accennare ad un segno di vita. Sando alzò la testa giusto quel che bastò per squadrarlo e capire il perché di tutto il suo sogghignare e riaffondò pesantemente sul cuscino:

« Sembra che tu ti sia messa una tenda addosso. »

« Questo è perché tu sei troppo grosso. »

Gli rimbeccò il violetto canticchiando, come fosse una colpa. Lui si limitò a persistere ad ammirare il soffitto:

« Non mi sembrava ti desse fastidio – disse prendendolo in giro – ma grazie del complimento. »

MoiMoi soffiò tra i denti aggrottando la fronte divampando:

« Sei un cretino. E volgare. »

« Tu hai parlato. »

« E tu con parlerai più con Kisshu-chan per i prossimi sei mesi, sia ben chiaro. I suoi doppi sensi stupidi ti contaminano il cervello. »

Il verde rispose con un grugnito, sempre guardando in su. A MoiMoi fu ormai chiaro che stesse rimuginando su qualcosa di particolarmente ostico alla sua mente, o su qualcosa di parecchio importante.

« Ehi. »

« Uh? »

Il violetto smise di martoriargli la maglia e girò sui talloni pensando di trovarselo, se non a guardarlo per spiegare, quantomeno seduto visto che lo aveva chiamato, invece Sando rimase sempre sdraiato; MoiMoi iniziò a impensierirsi un poco e sgattaiolò sul materasso gattonandogli vicino:

« Sando? »

Quello si girò appena sul fianco verso di lui osservandolo da cima a fondo, infagottato nella sua maglia come in un bozzolo. MoiMoi inclinò la testa e aggrottò la fronte preoccupato e si sorprese, dopo ancora un minuto di studio da parte dell'altro – e la tentazione altissima da parte sua di colpirlo con il taglio della mano in mezzo agli occhi solo per farlo smettere – quando Sando si tirò su appoggiandosi ad un gomito e gli prese il palmo sinistro con il braccio libero. MoiMoi aprì e chiuse gli occhi un paio di volte – non gli pareva proprio che la sua mano avesse subito dei cambiamenti nei precedenti due minuti, ma Sando la guardò una manciata di secondi in più del normale – e poi un lieve tremito modulò un respiro del violetto mentre le labbra dell'altro gli si posarono sul palmo, poco più su del polso.

MoiMoi avvertì la sensazione immediatamente. Un calore preceduto da un pizzicorino freddo, come qualcosa di caldo che viene lasciato scivolare lungo la schiena, e poi un tiepido formicolio lungo il braccio.

Era qualcosa che non aveva mai provato, ma capì d'istinto di cosa si trattasse; lo seppe subito, senza bisogno che Sando gli dicesse qualcosa, o lui stesso vedesse alcunché mutare sul proprio corpo.

Il cuore gli partì come impazzito.

Sgranò gli occhi dorati e d'istinto ritrasse la mano serrandosela contro il petto. Si pentì immediatamente del gesto perché vide il verde dapprima rimanere immobile per la confusione, poi accigliarsi ferito sedendosi più dritto e passarsi iroso una mano tra i capelli voltandosi dall'altra parte:

« Merda… Sono un idiota. »

« N-no, Sando, scusa, non… »

Cercò di prendergli il pugno che lui si era nascosto tra le gambe, ma Sando lo allontanò rabbioso. MoiMoi si morse il labbro e ritentò con lentezza, sfiorandogli il dorso della mano un dito per volta finché il verde non gli lasciò posto per stringergli il palmo.

« Scusami. – sussurrò il violetto con il volto rosso – Non mi aspettavo che… »

« Lascia perdere. – sbottò freddo il verde e MoiMoi vide i suoi zigomi colorirsi indispettiti – Ho pensato una cazzata. »

« No! »

Farfugliò nervoso e gli strinse la mano con più veemenza; capì che gli stavano tremando le dita, così come la voce, e il petto pulsò tanto velocemente da toglierli aria:

« No, io… Io… »

Inspirò a fondo mandando poi un lunghissimo sospiro. Avrebbe voluto dirgli non potrei desiderare di più, ma in quel momento guardando il profilo offeso di Sando gli suonò una frase insincera:

« Lo sai che puoi farlo solo una volta. »

Puntualizzò timidamente. Sando lo esaminò truce con la coda dell'occhio:

« Penso cazzate, ma non sono ancora deficiente. – ringhiò e tentò di scostare di nuovo la mano – O magari sì… »

« Io e te siamo… »

« Cosa? »

Latrò torvo girandosi di più e MoiMoi abbassò lo sguardo mordendosi il labbro:

« Io non sono una vera… »

Le parole gli morirono in gola.

Si sentì un ipocrita: proprio di fronte alla persona che lo aveva accettato totalmente nella sua realtà, che gli aveva sempre ricordato la naturalezza dell'essere donna a dispetto della propria natura biologica – quando molti altri troppo spesso lo facevano sentire colpevole, fallito – di fronte alla persona che lo amava, aveva paura; l'idea che quella medesima persona volesse legarsi a lui per sempre all'improvviso gli fece paura, lo fece sentire sbagliato nella propria pelle, e gli fece tremare l'anima con il sentore che quella decisione fosse un errore enorme per la sua metà.

Sando riprese a studiarlo. La sua mascella era ancora contratta, ma la fronte era meno corrugata e gli occhi meno astiosi:

« Nessuna legge vieta l'unmei tra due uomini. »

Gli precisò secco. MoiMoi diede una stretta più decisa alle labbra nel sentire effettivamente quella parola uscirgli dalla bocca.

« Però non è che stia molto bene a tutti. »

« Da quando ti frega cosa pensa la gente? »

Gli rimbrottò e MoiMoi gli lasciò andare piano la mano, vergognandosi di se stesso e per come si stava comportando; si strinse il polso da cui riuscì ancora a percepire il calore della bocca di Sando, e gli si chiuse un nodo in gola.

Avrebbe voluto scomparire.

« Scusami. »

Era lui l'idiota. Uno stupido ipocrita e basta.

« Scusa. »

Prima ancora che accennasse a voler scappare Sando gli prese il viso con una mano e lo girò, fissandolo attento. MoiMoi non credette di avergli visto mai fare un'espressione tanto seria e calma, ma la voce del verde tradì il lieve disagio per la sincerità delle parole che pronunciò:

« Ti ricordi… L'altra sera? – borbottò vagamente – Quando siamo stati convocati da Meryold-sama. »

MoiMoi vide il suo viso tingersi in modo più acceso:

« Ho detto che… Mhm, hai capito, no? »

In un altro momento il violetto avrebbe insistito per sentirgli proferire una seconda volta quel magnifico pronome, ma gli sorrise condiscendente e annuì:

« Noi. »

Gli ricordò e Sando mugugnò tra i denti a disagio:

« Sì, quello. – lo bloccò immediatamente – Ci ho pensato da quel momento. »

Il verde respirò forte e schioccò la lingua grugnendo. MoiMoi, passato il momento di felice turbamento al ricordo di quella dichiarazione, si sforzò per non dare retta al desiderio mai placato di sfuggirgli dalle mani e squagliarsela per il pentimento, mettendosi meglio seduto: ebbe l'impressione che Sando stesse attingendo ad ogni grammo di forza di volontà per dar forma a ciò che stava per dirgli, lottando a viva forza contro l'imbarazzo di esporsi così; il minimo che lui potesse fare sarebbe stato dargli modo di concentrarsi sulla titanica impresa lasciandogli tempo e spazio, senza scappare.
« Sei la persona che meglio mi conosce di chiunque altro. Tu lo sai questo vero? Lo sai che lo penso. »

MoiMoi fece piano piano su e giù con la testa.

« Sei la persona che mi è accanto da una vita, che so mi seguirebbe anche in fondo ad un vulcano anche se mi direbbe che sono un coglione ad andarci. Però verrebbe. Sei quella che detesta i miei difetti eppure a cui vado bene anche storto e idiota come sono; la sola a cui posso dare la schiena sapendo di averla sempre coperta. Sei la… »

Deglutì pesantemente avvicinandosi un po' con il viso perché per MoiMoi fosse più difficoltoso vederlo diritto in faccia:

« Sei la persona di cui sono innamorato. »

Esalò e il violetto lo sentì stringere i denti per la vergogna soffocando qualsiasi altro suono emettibile per un minuto intero:

« Insomma, se è così, e tutta la menata che ho detto… Questo… – bofonchiò e lasciò la presa da una parte per stringergli la mano sinistra – Mi sembrava solo naturale. »

MoiMoi spalancò gli occhi.

Naturale.

L'ansia lasciò il posto ad una flebile vocina che gli diede del cretino e gli venne da sorridere.

Naturale.

Certo che era naturale. Era ovvio, scontato, totalmente logico.

Necessario.

E fantastico.

Sando ovviamente non potè seguire il distendersi dei suoi pensieri e vedendolo mentre lo fissò muto lo lasciò andare girandosi di nuovo incupito:

« Ma lasciamo perdere. Non ho capito un cazzo. »

Gli occhi dorati del violetto si allargarono di nuovo nel panico:

« NO! No, Sando, no. »

Si allungò sulle ginocchia per abbarbicarsi al collo del verde impedendogli di voltarsi e quello sentì la sua stretta tremare:

« Hai ragione. Assolutamente ragione. »

Gli sussurrò con dolcezza. Sando stese il viso corrucciato in un lieve stupore e assecondò la sua presa ruotando indietro, MoiMoi che gli si accostò piano piano al torace rannicchiandosi tra le sue gambe; il verde inclinò la testa posandola contro la sua:

« Ne sei convinta? »                                                         

Gli domandò senza un tono particolare.

« Possiamo verificarlo. »

Gli sorrise solo. Le sopracciglia di Sando si aggrottarono di nuovo, stavolta senza un vero motivo di irritazione, e continuando a guardarlo fisso negli occhi gli prese la mano che prima gli era sfuggita; per tutto il tempo rimase con le iridi color notte incatenate a quelle dorate dell'altro, ricompiendo lo stesso gesto già fatto con estrema lentezza poco ottimista che il violetto non scappasse ancora. MoiMoi lo lasciò fare con il più bel sorriso che avesse mai fatto e quando fu quasi arrivato si spostò appena posandogli la bocca alla base del collo, nello stesso momento in cui Sando gli baciò il palmo.

Ancora. Caldo lungo la schiena e un formicolio delizioso sulla pelle. Si domandò se Sando stesse avvertendo le medesime cose, anche se era quasi sicuro che non sarebbe servito che lo facessero entrambi – era sufficiente solo una delle due parti, eppure gli era venuto istintivo ricambiare – per il resto non aveva la minima idea di come potesse imprimersi l'unmei, ma era certo di saperlo fare e di farlo in quell'istante come sapeva d'istinto come si respirava.

MoiMoi rimase dove si trovava finché il pizzicore su di sé non scomparve e inclinò la testa indietro, per sbirciare dall'incavo del collo del verde il proprio braccio; intravide un segno quasi invisibile correre via sulla sua pelle, da sotto le dita di Sando che ancora lo stavano stringendo fin oltre la maglia. Lo stomaco gli si attorcigliò in un giro di polka.

Sando fece la stessa espressione, come se di colpo avesse connesso che davvero il violetto era stato convinto della cosa, e che davvero in quel momento su entrambe le loro braccia sinistre ci fosse traccia indelebile di quella decisione e riconferma delle sue parole di qualche minuto prima.

MoiMoi iniziò a ridacchiare felice bisognoso di sfogare la magnifica euforia che gli rombò nel petto; Sando invece faticò a ricambiare anche solo con un sorriso, ancora confuso e sorpreso, pur se contento, e non ebbe abbastanza prontezza per contrastare il violetto che balzò in piedi rigettandogli le braccia al collo. Cadde di schiena sul letto spinto dallo slancio dell'altro che prese a baciarlo frenetico, con talmente tanto ardore e malagrazia che il verde fu indeciso se prenderlo in giro o abbandonarsi ricambiando la cosa con altrettanta veemenza.

« Ti amo…! »

Rise felice MoiMoi tra un bacio e l'altro e non smise, baciandolo sulla fronte, sulle guance, sulle orecchie, sugli occhi – negli occhi, fu una delle proteste che cacciò il verde – a ripetizione, premendosi contro la sua bocca con una foga più ridicola che eccitante:

« Ti amo… Ti amo! Ti amo…! »

« Ho capito, falla finita, non sono mica sordo! »

Gli ringhiò contro, a discapito della stretta decisa sulle sue spalle e dal modo in cui prese ad abbandonare la testa sul cuscino ad ogni assalto che gli centrò le labbra.

« Ti amo… »

Il violetto percepì una risata storta e un mormorio che interpretò come un assenso di partecipazione e riprese imperterrito, sordo ai mugugni che intervallavano i suoi baci e le risa. Continuò incrollabile stringendosi al verde con ogni centimetro disponibile delle proprie braccia e del proprio corpo, cercando in un astruso modo di poterlo avere tutto per sé e proseguendo a ridere e a baciarlo, Sando che non smise di borbottare piano:

« Gradirei respirare. »

« Prima baciami, poi respiri. »

« Ebete! »

Grugnì e MoiMoi insisté ridendo.

« E la pianti di strusciarti così…?! – sbottò di colpo il verde, una contraddittoria nota roca nell'invettiva – Non sei un fottutissimo gatto! »

MoiMoi sbattè le palpebre confuso e si sollevò sugli avambracci rannicchiandosi sul suo petto; vide la bocca dell'altro deformarsi contemporaneamente in su e in giù, indecisa, come se nonostante la critica il suo strofinarsi addosso proprio fastidio non gli desse, e il violetto sorrise malizioso. Si mise meglio con le gambe nude contro i fianchi del verde incurante della lamentela, o del respiro secco che gli strappò mentre con mossa studiata scivolò dalla pancia in giù, strofinandosi accuratamente contro di lui e piazzandosi sul suo bacino, proprio sul limite dei pantaloni mezzi slacciati. Sando boccheggiò e poi emise uno strano pigolio iroso scoprendo i denti al sorriso furbetto dell'altro:

« Mi prendi in giro? »

« Io non ho fatto niente. »

Replicò innocente e Sando gli strinse prepotente le mani sui fianchi, gli occhi illanguiditi:

« Deficiente. »

« Non era "ebete"? »

« Va a quel paese. »

Brontolò e lo tirò a sé per l'incavo della schiena con irruenza strappandogli un sospiro vibrante prima di baciarlo.

« La mia ebete. »

Il violetto si limitò a sorridergli cercando, per una volta, di non punzecchiarlo per ciò che gli era sfuggito dalle labbra e imprimendosi quello stupido, magnifico insulto nella memoria e baciandolo dolcemente a sua volta. Sando lo lasciò andare di malavoglia afferrando il bordo della maglia che MoiMoi aveva ancora addosso:

« Questa è mia. Molla. »

« No, se hai intenzione di rimettertela. »

Il verde gliela sfilò in un gesto roteando gli occhi e sogghignò malizioso, lanciando la maglia dall'altra parte del letto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Erano arrivati tutti, eppure nel corridoio c'era un silenzio tale che a stento si poteva dire di sentir respirare qualcuno; solo Retasu era stata costretta a rimanere in reparto per ordine dei medici, tutti gli altri, Purin ed Eyner compresi, erano lì fermi in attesa che MoiMoi tornasse indietro.

Ichigo, a cui avevano dato un completo jeweliriano come a Zakuro e alle altre, non smetteva di tormentarsi le mani in preda all'ansia.

La porta in fondo si aprì piano. Tutti scattarono verso di essa, ma nessuno si mosse o disse qualcosa. Il modo in cui MoiMoi fissò il pavimento fece se possibile scendere un silenzio ancora più fitto e Ichigo stritolò le dita della mano destra tra le unghie dell'altra.

Il violetto alzò lentamente il braccio destro e si picchiettò la tempia, mandando uno strano respiro a singhiozzo:

« Ha perso… Un sacco di sangue. Tanto… Ake dice che per un po' qui non ne è arrivato abbastanza. »

Parlava a scatti come se tentasse di racimolare le informazioni ricevute meno di dieci minuti prima eppure all'apparenza già dimenticate, perse in un angolo della memoria.

« Lo hanno salvato ma qui… Per qui non si può fare. »

Si diede un altro colpetto alla tempia e strinse il pugno contro di essa prendendo a tremare.

Le stava pronunciando lui eppure le parole gli suonarono assurde.

Lo aveva visto… Era là dentro, forse a tre porte di distanza, bendato, intubato, ma lo aveva visto. Aveva toccato la sua mano, era calda, lo aveva visto respirare.

Eppure lo sapeva che quello non era lui. Era solo un guscio che respirava, ma non c'era niente.

Sando non c'era.

« Non si sveglierà più. »

Ogni lettera gli perforò il cuore facendogli desiderare di urlare, di rompere ogni cosa, di uscire e mettersi sulle tracce di Arashi e degli altri, di invertire la rotta con la navetta a metà strada e schiantarsi da qualche parte non per sparire, solo per avvertire il confortante frastuono dell'esplosione. Voleva sentire grida, strepiti, colpi, qualsiasi cosa che non gli facesse ascoltare la nenia nella sua testa.

Ma il suo corpo non gli rispondeva, era di sale. E lui si ripeteva, disperato, le conseguenze devastanti dell'ultima frase pronunciata che l'immagine di Sando, del corpo ferito, ma vivo che si era inciso nelle retine del violetto rendeva ancora più assurda e straziante.

Non c'è.

Non c'è più. In realtà non c'è.

Non mi parlerà più.

Non lo sentirò più.

Non mi abbraccerà più. Non mi bacerà più.

Non farà più niente.

Non ci sarà più qui.

« Lui non… »

Sussultò zittendo l'ennesimo penoso tentativo di parlare e confuso fissò la zazzera bionda che gli solleticò il naso, capendo di stare piangendo. Purin lo stritolò con tutte le sue forze, scoppiando in singhiozzi disperati e farfugliando il suo nome quasi si stesse sfogando al posto suo.

MoiMoi lentamente ricambiò l'abbraccio poggiando la fronte contro la spalla della ragazzina e grato del suo pianto a dirotto, che per qualche ignota ragione lo fece sentire meno vile nel nascondere il proprio contro la maglia grigiastra di lei.

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) per rinfrescare la memoria di qualcuno e aggiungere info a chi non guarda la pagina :P https://www.facebook.com/riaonefp/photos/a.887622608009067.1073741828.885796148191713/928276680610326/?type=3&theater

 

 

 

 

 

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… non so cosa dire. Sono un essere immondo. Crudele e sadico, lo so e me ne vergogno.

Piango, ve lo giuro.

Basta, mi ritiro al prossimo aggiornamento.


Mata ne

Ria

 

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Capitolo 51
*** Suspended on the crossing ***


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Un capitolo più lento di quanto volessi, necessario per un pochino di riassestamenti… Ma con un sacco di feels :'(.

Mi sento crudelissima.

Spero non annoi. Bye.

 

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Cap. 51 – Suspended on the crossing:

                Saudade(*)

 

 

 

 

 

La stanza era silenziosa, illuminata dal bagliore della finestra artificiale che trasmetteva il panorama che lei era solita ammirare dalla sua vera finestra, negli alloggi nel Palazzo Bianco. Si sistemò meglio sullo schienale del letto che era stato rialzato, aveva detto e ripetuto che non desiderava trattamenti di favore unicamente per la sua carica, ma era stata ugualmente spostata in una delle pochissime camere singole del bunker come segno di rispetto. Sospirò, a volte trovava difficile sopportare certe etichette di cui in molti parevano incapaci di disfarsi, specie nei suoi confronti.

La porta risuonò di un paio di veloci e bruschi colpi di nocche e la donna invitò l'ospite ad entrare, mettendosi seduta dritta pronta ad accogliere chiunque fosse.

« Oh, buongiorno, nobile Ron. »

« Sì, sì, taglia i convenevoli – borbottò l'uomo chiudendosi la porta alle spalle – non sono dell'umore né nelle forze per reggere 'ste tiritere. »

Meryold sospirò divertita:

« Come vuoi. »

Lei abbandonò la posa rispettosa per una più scomposta e rilassata; Ronahuge si avvicinò al letto della donna a passo claudicante, sbuffando e soffiando tra i denti per le ferite che doveva portare sotto le tante fasciature al torace e alle braccia, e si sedette pesantemente su una sedia lì vicino fissando Meryold in silenzio.

« Che faccia scura. – rise a bassa voce lei alzando un sopracciglio, fingendo di non capire il motivo del suo sguardo – Devo aspettarmi una lavata di capo, generale? »

« Come se fossi mai riuscito a fartene una che sortisse qualche effetto. »

Ribattè schioccando la lingua irritato e tornò a fissarla. Meryold sostenne i suoi occhi color bronzo pacata, aspettando si decidesse a chiedere.

« Che hanno detto? »

L'uomo accennò con il mento verso di lei che protettiva si passò una mano sul fianco, dove la lama di Lindèvi l'aveva trapassata e dove ora avvertiva una stretta fasciatura, nascosta dall'abito. Soppesò se mentire o meno, ma Ronahuge in fondo sapeva bene cosa ci fosse sulle lame dell’Ancestrale e l'occhiata che scoccò alla donna la convinse non valesse la pena sfiancarsi per indorare la pillola.

« … Fortunatamente sono intervenuti più tempestivamente che con Aizawa-san – iniziò alla larga – quindi le mie condizioni non sono state critiche. »

« Ma? »

« Non mi lasci nemmeno la soddisfazione di fingere un pochino? »

« Detesto quando ti perdi in tante chiacchiere. »

Sbottò incrociando le braccia e Meryold sorrise rassegnata:

« Nonostante apparteniamo alla stessa specie noi e i terrestri siamo due razze distinte, biologicamente parlando, con differenze a livello genetico. I campioni di soluzioni che avevano fallito su Aizawa-san pare abbiano un qualche effetto su noi jeweliriani, ma si tratta di palliativi. È impossibile sintetizzare un antidoto definitivo a causa della composizione stessa del veleno, alcuni suoi componenti non esistono nel nostro universo. Ugualmente mi hanno rassicurata che faranno altri tentativi. »

Scosse la testa con aria serena ben consapevole si trattasse di consolazioni inutili. Ron la studiò aggrottando la fronte.

« Hanno fermato il diffondersi immediato del veleno, ma le cellule sono già contaminate. Per quanto lentamente, si spargerà, come un cancro. »

« Quanto ti resta? »

Meryold guardò la finestra finta e scosse appena le spalle:

« I più pessimisti dicono due anni. Gli ottimisti hanno detto anche otto, ma io tiro a puntare ad un massimo di cinque; come numero mi è sempre piaciuto. »

Ronahuge non le rispose.

« Nel complesso poteva andarmi molto peggio, su. »

Lui sospirò e cacciò indietro la testa con un'imprecazione:

« Tu e il tuo stramaledetto senso del dovere…! »

La donna lo guardò piegando appena il capo mentre Ron poggiò un braccio sul ginocchio e si sporse più avanti:

« Se mi dici che l'hai fatto per quel moccioso e tutto il progetto Jeweliria e il Pianeta Azzurro – sibilò in un farsetto terribile per farle il verso, puntandola con il dito – giuro che potrei non rispondere di me. »

« Oh per l'amor del cielo piantala, non sei credibile con simili minacce. – rise lei piano – E comunque, no. Ho solo aiutato un ragazzo che stava proteggendo dei poveretti e stava per lasciarci la pelle, tutto qui. »

« Ora ho voglia di dirle a lui, due paroline. »

Meryold rise di nuovo e si accomodò contro il materasso, guardando la proiezione oltre il vetro senza vederla per davvero:

« È buffo… Ho lasciato volutamente indietro tante cose per Jeweliria, per il Consiglio Maggiore, ed ero convinta che avrei riguardato indietro solo quando fossi stata vecchia e decrepita. »

« Beh, non sei proprio più di prima penna. »

Le fece notare l'uomo con un ghigno appena accennato e Meryold gli lanciò un'occhiata obliqua pur sorridendo lievemente.

« Nessuno di noi due, a dir la verità. »

Lei continuò a scrutarlo velata e poi si rigirò veloce dall'altra parte:

« … Io… Ero certa che a quel punto avrei provato solo una vaga nostalgia, del resto sarebbero state tutte cose su cui avevo ponderato e deciso senza timore o dubbio. Eppure adesso che mi rimane così poco tempo… – sospirò divertita di se stessa – È assurdo, ma rimpiango tutto ciò che avevo stabilito fosse troppo tardi per me da ottenere già quindici anni fa. »

Ronahuge rimase in silenzio per un po' e Meryold seppe che la stava studiando.

« … Che sia troppo tardi lo hai stabilito tu, no? Potresti sbagliarti. »

Meryold si voltò e lo guardò sorpresa:

« Oh Ron, non cercare di essere sentimentale. È una qualità di cui non sei mai stato dotato. »

« Era solo un suggerimento. »

La corresse borbottando e il sorriso incredulo della donna si ammorbidì, divertito:

« Suggerivi o proponevi? »

« Dove starebbe la differenza? »

« Un'enorme differenza. »

Gli fece notare e allungò un braccio battendogli l'indice sul dorso di una mano, che lui stringeva sul ginocchio:

« Come tra consiglio e proposito, e lo sai meglio di me. »

« Ah, non devi dirmelo – replicò pungente – io sono sempre stato trasparente. »

« Poco tattico sarebbe una definizione migliore. O forse rudimentale. »

« La tua sfrontata, ma non mi pare di avertelo mai fatto notare. »

« No, il termine era provocatoria, e me lo rinfacci solo da circa vent'anni, Ron. »

« Poi il sentimentale sarei io? »

L'uomo sorrise con fare lupesco, ma più gentile di prima e Meryold lo studiò in silenzio di rimando con una dolce espressione in volto.

Altri colpi giunsero dalla porta che si socchiuse con un cigolio. Il nuovo ospite parve a disagio della cosa, ma Meryold lo tranquillizzò subito ignorando Ronahuge che grugnì appena:

« Avanti, avanti. »

« Scusate… »

« Oh, Shirogane-san, che piacere. – disse la donna con garbo – Avrei mandato qualcuno a cercarla io stessa, sono felice di vedere che sta meglio. »

Il ragazzo replicò con un'alzata di spalle:

« Era solo un effetto collaterale temporaneo. Non avevo mai mantenuto quella trasformazione per così tanto tempo… Comunque – s'interruppe – ero solo di passaggio, se stavate parlando… »

« No, resta. – lo bloccò Ronahuge rigido – Dovevo riferire a Meryold-san cos'è successo nelle ultime ore, meglio se ascolti anche tu. Sono cose che tu e i tuoi amici dovreste sapere. »

Ryou percepì immediatamente il cambio di atmosfera e, in silenzio, andò ad appoggiarsi alla parete vicino alla finestra così da rimanere in disparte pur avendo entrambi i jeweliriani a portata di occhi e orecchie; Meryold guardò Ron con le mani raccolte in grembo:

« Quali sono i rapporti finali? »

« … Il 15° plotone ha dato conferma un'ora fa. Il Dono non si trova più a Jeweliria. »

Ryou, dal suo angolo, soffocò un'imprecazione in inglese battendo frustrato la nuca contro il muro.

« Hanno pattugliato il perimetro oltre il limite di sicurezza e hanno trovato il corpo di Brouni Kiddan. Non aveva più il braccio sinistro. »

« Sapevano come raggiungere il luogo di custodia del Dono. »

Intervenne la Capo Consiglio lugubre e Ron annuì pensieroso:

« Ho seri dubbi possa essere un'informazione ottenuta da una talpa questa volta. – soppesò adagio – Perciò mi domando come possano averlo scoperto… »

« Temo – sospirò la donna gravemente – che la cosa non abbia più importanza. »

Ronahuge convenne con un cenno e riprese:

« La Zona Morta ha già ricominciato l'espansione, ma al momento siamo riusciti a contenerla ripulendo un raggio di vegetazione attorno ad essa. Rallenta su terra e roccia brulla… Pur se non sappiamo per quanto tempo. »

Meryold annuì e si strinse la mano sul braccio sinistro.

« La conta dei feriti è ferma a 1056, tra cui 152 ancora in condizioni critiche. Con stamattina il numero totale dei caduti è salito a 307. »

Meryold non riuscì a trattenere un sospiro dolente:

« Otse mu(**) »

« È ancora presto per dire se la situazione si sia stabilizzata, non si è salvato nulla delle strumentazioni dell'ospedale e i SRP non sono sufficienti. »

Meryold annuì lentamente reggendosi la fronte con una mano, all'improvviso a Ryou parve molto più vecchia di quanto gli fosse mai sembrata e di quanto, probabilmente, fosse in realtà, e Ronahuge sembrò molto meno maestoso e indomabile, con il viso adombrato e il capo abbassato mentre fissava un punto imprecisato del letto di fronte a sé.

« Per adesso stiamo sfoltendo gli occupanti del bunker per facilitare il lavoro medico. Coloro che sono stati feriti, ma sono in buone condizioni sono stati rimandati alle loro case, per i meno critici che sarebbe meglio si servissero di altri giorni di ricovero e gli sfollati stiamo provvedendo ad alloggiarli a Palazzo. »

« Ottimo. – disse la donna prendendo un lungo respiro e raddrizzando la schiena – Lascio a lei la direzione di questo, generale, che tutti facciano la loro parte: ora la cosa più importante è che tutti i superstiti siano messi al sicuro e rifocillati a dovere, usate ogni stanza e ogni alloggio del Palazzo, se necessario anche l'aula del Consiglio Maggiore, e che non si faccia parsimonia di provviste; per le abitazioni e la ricostruzione ci si penserò più avanti. Ci sono stati sabotaggi nell'hangar? »

« Nemmeno una navetta è stata toccata – annuì l'uomo precedendola – ho già ordinato ai superstiti del 4° reggimento di dirigersi a Itâne, Sûte, Amirrû e Sadì (***), per rifornimenti extra e per riportare i pochi che non fossero alla Celebrazione ieri sera. Servono tutte le braccia disponibili. »

La donna annuì con decisione e poi fissò l'uomo rammaricata. Ronahuge si appoggiò allo schienale della sedia con aria mesta

« Ho saputo di Okorene. »

Alle sue parole Ron sfiorò sovrappensiero un lungo pugnale appeso alla cintura con un laccio d'emergenza, ad un occhio attento sicuramente non una parte del suo solito armamentario:

« Hanno fatto tutto ciò che si è potuto. Altro senza le vasche rigenerative non era possibile. »

Meryold annuì soltanto continuando a guardarlo con espressione crucciata. Ryou, sempre contro la parete, non riuscì a non mandare uno sbuffo di malessere alle sue parole.

« Eravate amico del colonnello Okorene, Shirogane-san? »

Alla domanda della donna Ryou incrociò le braccia un po' a disagio:

« Non credo di poterlo dire. No, non eravamo amici. »

I borbottii di Ichigo sulla sua reticenza a legare con i jeweliriani risuonarono secchi e lui avvertì un fastidioso senso di colpa:

« Ma era un uomo in gamba. Probabilmente io non sono la persona adatta a dirlo – ammise – le ragazze gli erano legate molto più di me… Sono molto scosse. »

« In questo caso dunque sei il fortunato tra loro. – sentenziò Ronahuge e Ryou lo guardò confuso – Perdere amici, compagni e amanti in guerra o in una battaglia è inevitabile, è la prima cosa che impara un soldato. Le tue amiche sono combattenti coraggiose, ma non sono militari: ritrovarsi qui, adesso, per loro è la cosa peggiore. »

« Lo pensavo anche io – concesse il biondo amaro – ma dubito che si sarebbero sottratte a tutto questo anche se le avessi trascinate via di peso. Probabilmente proprio perché non sono soldati. »

Ronahuge confermò con un grugnito:

« Stando anche così le cose se fosse possibile le rispedirei a casa – borbottò – ma non è più così semplice. »

Sia Ryou che Meryold fissarono Ron spaesati.

« Il portale per la Terra non c'è più. »

« Cosa?!?! »

« Non chiedermi la ragione, cercando di pensare come quegli squilibrati la sola cosa sensata che mi viene in mente è che sia stata una loro assicurazione per non farvi fuggire. – sbottò l'uomo all'occhiata allibita del biondo – Sia come sia, al momento il solo modo per riportarvi a casa è farvi un viaggio di almeno due settimane su una navetta. O aspettare che Luneilim e Ikisatashi studino come riaprire… »

« No. – lo interruppe il ragazzo – Non è il caso. »

Lasciò la frase in sospeso e Ron gli rivolse un cenno come di ringraziamento.

« Inoltre le ragazze sono ferite, probabilmente sarebbe meglio si riposassero… »

« Potete rimanere a Jeweliria tutto il tempo che desiderate – lo rassicurò Meryold – qualsiasi cosa vi serva, chiedete. »

Inclinò la testa come ad incitarlo a fare ciò che aveva detto, curiosa delle ragioni della sua visita, e Ryou scosse appena la testa:

« Volevo solo sapere come stavate. »

« Molto gentile. »

Il biondo irrigidì la mascella al suo sorriso divertito, con il sentore di essere preso in giro da una vecchia zia che trovasse molto tenero il suo fare distaccato.

« Come può vedere, Shirogane-san, sono in veloce ripresa. »

Ryou la studiò un momento in silenzio, sorrise a sua volta e fece un lieve inchino con il capo:

« Bene. Allora non mi trattengo oltre, vi lascio a parlare. Se non c'è altro. »

« Non c'è altro. »

Tagliò corto Ron e Ryou se ne uscì rapido com'era arrivato. Il generale aspettò che la porta si fosse richiusa e schioccò ancora la lingua:

« Empatico il moccioso. »

Borbottò sarcastico e Meryold ridacchiò materna:

« È un giovanotto dal carattere complesso. »

« Mi sorprende che si sia bevuto così rapidamente la tua bugia. »

« Oh, non se l'è bevuta – lo corresse la donna serena – ma credo che sia nella sua indole non costringere qualcuno a rivelare una menzogna su certe questioni. Mi da l'impressione di essere uno abituato a tenere dei segreti. »

« E con cosa l'avresti capito? – domandò acre l'uomo alzando un sopracciglio – Telepatia? »

« Osservazione. Molto utile per decifrare le persone. – precisò e gli sorrise maliziosa – Anche su questo dovresti saperlo meglio di me. »

Ronahuge borbottò qualcosa di indefinito sistemandosi sulla sedia a disagio:

« Se sapessi tante cose tu non saresti lì a fare la bella statuina e io non sarei fasciato come un neonato. »

« Invece credo che saremmo esattamente dove siamo – ribattè dolcemente la donna – con qualche piccola differenza. »

« Chiamala piccola. »

Le scoccò un'occhiata allusiva che Meryold ricambiò con un altro sorriso malizioso prima di accomodarsi stanca contro il letto:

« Dubito che avrei la tua resistenza, in ogni caso. – ammise osservando lo stato pietoso dell'uomo a dispetto dell'energia dei suoi occhi – La Grande Dama Rossa è sempre restia a portarti con lei? »

« Credo di esserle simpatico – replicò Ron con un ghigno – o sono l'uomo più fortunato di tutta Jeweliria. »

« Fossi nella Grande Dama ti verrei a cercare solo per la tua presunzione. »

Lo stuzzicò e Ron le rivolse un'altra occhiata evocativa:

« Non era la sola cosa a cui mi riferissi. »

Meryold scosse di nuovo la testa ridendo appena. Poi la sua attenzione fu catturata di nuovo dal pugnale che Ronahuge si era legato alla cinta: quando l'uomo se ne rese conto tornò ad adombrarsi e disfò il laccio prendendo l'arma tra le mani, gli occhi fissi sull'incisione dell'elsa.

« Quello…? »

« Era nel punto in cui hanno trovato Okorene. Pare l'abbia raccolto la ragazzina terrestre, quella coi capelli rossi, ma è stata Luneilim a riconoscerlo. »

Alle sue parole la donna scosse il capo, intuendo che qualsiasi cosa avesse scoperto MoiMoi non fosse per nulla positiva.

« Ha chiesto venisse consegnato direttamente a me. Mocciosa intelligente come sempre, se uno degli Ikisatashi o Toruke l'avessero visto sarebbe scoppiato il finimondo. »

Rimise il pugnale al suo posto con un sospiro amaro.

« Mi dispiace Ron. »

Lui non le rispose, ma annuì appena per ringraziare.

« Mi fai compagnia? »

« Ora non contraddirti, lo hai detto tu che non sono sentimentale. – la fermò, sbuffando e lamentandosi mentre si alzò faticosamente in piedi – E tu sembri un lenzuolo steso ad asciugare, riposa. »

« Ha parlato quello in ottima forma… »

Le poggiò un momento una mano sulla sua, stesa accanto al fianco, quindi le battè le nocche con fare antipatico:

« Con la compiacenza della Dama. »

Le rivolse un cenno di superiorità e se ne andò zoppicando, Meryold che scosse la testa ridendo e si abbandonò contro il letto soffiando esausta, una mano sul fianco ferito che ebbe la sensazione formicolasse lievemente.

 

 

***

 

 

Fuori il sole splendeva forte e sereno in un cielo limpidissimo, salutando una mattina silenziosa e scivolando rapido verso un pomeriggio sonnolento.

Ichigo, che aveva potuto finalmente mettere il naso fuori dal bunker, trovò la visione di quella serenità sulla rovina della Celebrazione e della città più soffocante dell'aria viziata da cui era fuggita e resse a stento dieci minuti; poi, con la disperazione di un leone in gabbia, rientrò nel bunker e riprese a vagare per i corridoi ormai tranquilli ben decisa a muoversi finché non le avessero ceduto le gambe.

Erano trascorse quattordici ore da quando gli Ancestrali erano scomparsi con il Dono degli Avi, lasciandosi dietro cadaveri e desolazione, quasi diciotto dal momento in cui una serata meravigliosa si era trasformata in un incubo.

Girò un angolo schivando un paio di infermieri come uno zombie. Gli altri in quel momento di sicuro erano ancora riuniti tutti assieme, come li aveva lasciati mezz'ora prima: dopo aver saputo di Sando c'era stato come un tacito accordo, la comprensione da parte di tutti di aver bisogno di stare riuniti, forse con qualcuno più di altri, ma comunque la necessità generale di avere la consapevolezza che tutto non fosse crollato in mille pezzi com'era sembrato quando MoiMoi era uscito dalla sala di terapia intensiva. Le ore successive all'annuncio le avevano trascorse così, riuniti della stanza dove riposava Retasu, i ragazzi andando e venendo per far fede al proprio dovere di militari; MoiMoi era il solo che era stato lasciato in pace e se n'era rimasto seduto su un lettino vuoto accanto a quello della verde, fissando il muro di fronte a sé senza una parola.

Ichigo non era riuscita a rimanere lì. Aveva trovato conforto nella presenza di tutti, il sollievo di vedere che bene o male erano lì ancora vivi, ma presto il sollievo si era tramutato in una vergogna che le aveva tolto l'aria: non avrebbe resistito un altro minuto in mezzo a tutti, raccolti in quel dolore silenzioso, non avrebbe retto un solo altro sguardo di confuso sconforto e di tentativo di sostegno reciproco senza scoppiare a piangere o ad urlare, ed era uscita.

Non aveva idea per dove, o se sarebbe stata in grado di tornare facilmente al punto di partenza, i suoi piedi la guidavano ignari e lei non aveva la minima intenzione di pensare a qualsiasi cosa, men che meno ad un percorso.

« Non si sveglierà più. »

Le parole di MoiMoi le sibilavano nella testa come api impazzite.

« Non si sveglierà più. »

Se solo fosse… Se solo… Pochissimo, un minuto appena, sarebbe bastato…

Purin, le spalle scosse dai singhiozzi, aveva domandato altre spiegazioni a Pai su quanto MoiMoi aveva detto, non osando sollevare l'argomento con il violetto, ma in cuor suo faticando ancora ad accettare che non avrebbero mai più visto uscire Sando da quelle porte.

« Se non arriva sangue e ossigeno a sufficienza al cervello, anche per breve tempo, il cervello muore. – le aveva risposto lentamente il moro, forse che dicendosi le medesime cose anche lui potesse crederci per davvero – Anche se si riesce a tenere attivo il resto degli organi, se il cervello non da più impulsi la persona è come morta. Non si può far ripartire il cervello come il cuore, resta solo una buona macchina organica priva di qualsiasi coscienza. »

Purin aveva annuito cercando di non scoppiare di nuovo a piangere e, inspiegabilmente, Pai le aveva dato un rapidissimo e brusco buffetto sulla testa, uscendo poi richiamato da un suo commilitone.

« Non si sveglierà più. »

Ichigo fu presa per l'ennesima volta dal desiderio di vomitare.

Un minuto. Sarebbe bastato un minuto in più e… Se fosse arrivata prima, se fosse riuscita…

Ma invece era caduta, svenuta senza ragione. Il Dono era scomparso, Sando non si sarebbe più svegliato, MoiMoi era distrutto e lei aveva lasciato le sue amiche sole a lottare contro dei mostri.

Non riusciva a capire il motivo, perché le fosse successo di perdere i sensi a quel modo, ma non riusciva a concentrarsi ancora sul problema: era troppo frastornata, troppo triste e confusa, qualunque pensiero le inceppava il cervello senza che lei riuscisse a darvi un senso e per il momento preferiva il vuoto, non ragionare.

All'improvviso capì di essere arrivata in un'ala del bunker mai visitata. C'era un piccolo cartello sull'arco d'ingresso al corridoio – tsuwà(****) lesse dal jeweliriano, ma non ne capì il significato – eppure le fu sufficiente mettere un piede oltre di esso per capire dall'atmosfera dove si trovasse.

Era un corridoio più largo degli altri, con poche porte sui lati che si affacciavano su lunghe stanze avvolte nella penombra. La poca gente presente sedeva fuori lungo le pareti e aveva i volti terrei, afflitti, qualcuno piangeva in silenzio; da punti indefiniti grida addolorate si alzavano irregolari e si spegnevano velocemente, facendo ripiombare tutto in un silenzio luttuoso.

Era arrivata nelle camere ardenti, nemmeno immaginava ci fosse una parte del bunker adibita ad un simile scopo.

L'istinto le urlò di voltarsi e scappare, ma i suoi piedi proseguirono lenti in avanti. Nessuno sollevò la testa al suo passaggio o badò alla sua presenza e i pochi con cui incrociò lo sguardo lo riabbassarono immediatamente, nascondendo il proprio dolore ad occhi estranei. Oltre le porte aperte delle stanze intravide decine e decine di brande nascoste alla vista da teli o dalle schiene dei parenti e degli amici che vegliavano i defunti, ma molto – troppo – si scorgeva lasciando intuire chi vi fosse sotto: una manica di una divisa da militare, un lembo bianco di una toga del Consiglio, una massa troppo piccola per essere un adulto. Il senso di nausea risalì prepotente e Ichigo fu più convinta a tornare da dov'era venuta, quando una macchia familiare di colore intercettò il suo sguardo.

« Merurk-san. »

Il giovane soldato sentendosi nominare sobbalzò sulla sua sedia spaventato: era chino in avanti, i gomiti sulle ginocchia e la fronte appoggiata alle mani strette tra loro, e quando alzò lo sguardo gli ci volle qualche secondo per individuare la rossa nel proprio campo visivo e capire chi fosse.

« Momomiya-san… »

L'istintiva domanda della mewneko sarebbe stata cosa ci facesse lì, ma si morse la lingua andandogli vicino in silenzio. Lui, un occhio nero e parecchie fasciature che spuntavano dal collo e dalle braccia, le risolse un sorriso triste; alla ragazza fu chiaro avesse pianto, meno cosa avesse fra le mani che, capì, teneva chiuse per nascondere o reggere qualcosa.

« Perché sei qui? »

Le domandò il giovane con tono dolente e Ichigo si affrettò a scuotere la testa:

« Mi sono… Persa. – buttò lì goffamente – Non riuscivo più a stare in reparto. »

Il volto di Merurk si distese appena e stavolta fu Ichigo a volere – e temere a – porgli la medesima domanda. Lui capì comunque e abbassò di nuovo la testa:

« Non sono riuscito ad arrivare in tempo. – mormorò come una confessione e le sue spalle sussultarono di un respiro tremante – E dire che era lì… Nemmeno a due metri da me, ma… Non sono riuscito… »

Gli occhi della rossa si dilatarono di un'intuizione a cui lei non volle dare voce. Le mani di Merurk, abbandonate sulle sue gambe, allentarono appena la stretta e lei scostò lo sguardo per non vedere cosa custodissero.

« Magari se fossi riuscito… Sarebbe arrivata prima qui, e forse… »

Emise uno sbuffo amaro che non nascose un piccolo singhiozzo e guardò il contenuto delle proprie dita. Ichigo si chiuse una mano sulla bocca, gli occhi che si riempirono di lacrime mentre vide due fermagli a forma di fiori azzurri ricoperti di brillantini fecero capolino dai palmi pallidi del ragazzo; uno era insudiciato di macchie rossastre.

« Sai, tu le piacevi molto. – mormorò Merurk con voce tremula – Non era brava a dimostrare queste cose, però le piacevi. »

Ichigo non riuscì a rispondergli, trattenendo dietro le mani i singhiozzi che le esplosero contro le labbra; Merurk fissò i due fermargli e, sfiorandoli con garbo, prese lentamente quello pulito e lo porse verso la rossa. Ichigo sgranò ancora gli occhi e scosse la testa freneticamente:

« No… No! No, no… Io… Io… »

« Ci teneva molto – disse e la rossa si odiò per come lui tentasse di blandirla, lui che in quel momento pareva sul punto di crollare – sarebbe contenta se uno lo conservassi tu. »

Ichigo strinse i denti per non piangere troppo forte e con la stessa frenesia con cui aveva negato, annuì tendendo le mani e afferrando il fermacapelli che Merurk le fece quasi cadere in mano; se lo premette contro il petto con foga e capì di doversi lasciar andare in ginocchio, scoppiando in singhiozzi muti e incontrollati mentre strinse tanto il fermaglio da piagarsi le dita con gli strass di cui era disseminato.

 

 

***

 

 

Per la stanza e per le sale vicine era ancora un andirivieni di medici e infermieri, ma rispetto alle ore precedenti il clima si era decisamente disteso, seppur si respirasse ancora la sottile irrequietezza degli ultimi avvenimenti. Eyner, il braccio sinistro ancora strettamente bendato, ma finalmente liberato dai puntelli esterni, si sistemò la fasciatura al collo che reggeva l'arto ferito ed entrò nella sala decenza numero 243 cercando con lo sguardo tra le brande e oltre i pannelli bianchi che ne nascondevano alcune.

Per sua fortuna individuò facilmente la zazzera rossa di Roovy e, con sollievo, lo vide sveglio e cosciente.

« … Senpai! Cosa ci fai qui? »

« Buono, buono, non ti alzare! – lo fermò pronto Eyner prima che l'altro osasse sollevare la schiena – Ero venuto a vedere se stessi effettivamente bene come hanno detto a Sury. »

« Beh… "Bene" non credo sia il termine adatto – sospirò amaro il ragazzo – però diciamo che poteva andarmi molto peggio. »

Sorrise e tentò di mettersi appena più dritto bloccandosi dal dolore. Tutto il torace e il lato destro del suo corpo erano stati bendati ben stretti e lo stesso il lato destro del suo volto, lasciando scoperto solo un piccolo spazio per l'occhio sinistro e un triangolo per la bocca; il ragazzo prese a sudare freddo per le fitte nell'istante in cui si mosse ed Eyner lo aiutò a sistemarsi comodo con il braccio sano, sospirando crucciato.

« Ugh…! Forse sarebbe stato meglio se mi avessero dato un'altra dose da cavallo di antidolorifico, è come essere infilati nell'acqua gelata, non c'è un punto che si salvi…! »

Rise Roovy per sdrammatizzare e il bruno tentò un mezzo sorriso:

« Grazie. »

« Come? »

« Per mia sorella. »

« Senpai stai scherzando? Non ho… »

« È grazie a te se è ancora viva. – tagliò corto Eyner – Non ti ringrazierò mai abbastanza per questo. »

Gli porse la mano e Roovy, un po' a disagio ma con un vago sorriso fiero, ricambiò la stretta trattenendo una risata:

« Magari a bende tolte avrò una faccia che farà più colpo sulle ragazze. »

Eyner lo studiò scettico e rise:

« Credo che tu abbia già qualche fan. – lo punzecchiò e ammiccò – C'era qualcuno ansioso di venirti a trovare. »

Indicò la porta su cui Zakuro stava trattenendo gentilmente Sury, che alla vista di Roovy le scappò dalle mani con un immenso sorriso:

« Roovy-san! Buongiorno! »

« Ehilà! »

Il rosso apparve sinceramente contento di vedere Sury in condizioni così buone – almeno rispetto alle proprie – e la bambina lo guardò adorante:

« Come stai? Hai tanto male? »

« Ma figurati. Sono una roccia. »

Si battè per finta il pugno sul torace e dovette storcere una smorfia assurda per mascherare le fitte che si procurò. Sury gli sorrise ancora radiosa ed Eyner, paziente, le poggiò una mano sulla spalla per portarla fuori:

« Bene, l'hai visto come volevi. Ora deve riposare. »

« Eeeeh?! No, ti prego, voglio parlare un po' con Roovy-san! »

« Non c'è problema senpai. Non ho ricevuto granchè di visite da quando ho ripreso conoscenza, mi fa piacere un po' di compagnia. »

Il bruno soppesò la sua frase decidendo fosse meglio non commentarla e sospirò vinto:

« Se hai bisogno, la vengo a recuperare in due secondi. »

« Sarò bravissima. »

Gli ribattè Sury con cipiglio offeso. Eyner sollevò le mani in segno di resa e Roovy rise, quindi mentre la piccola si avvicinò quanto più possibile al soldato iniziando a parlargli fitto fitto il bruno uscì, connettendo solo in quel momento di ritrovarsi da solo con Zakuro.

Dopo la brevissima discussione al suo risveglio non erano più rimasti da soli. Nelle ore in cui Sando era stato sotto i ferri Sury era sempre rimasta accanto al fratello, acconsentendo ad andare in una delle sale in cui avevano riunito i bambini solo quando Eyner le era apparso troppo preoccupato per il verde per portarla con sé. Poi c'era stato il terribile responso di MoiMoi, lo sconforto generale, la brutta sensazione di non voler rimanere soli come se a quel modo gli altri fungessero da barriera, perché tutta la realtà non piombasse addosso violenta come voleva; le necessità dell'esercito e altre cure, dove il bruno e la mewwolf erano stati sballottati da una parte all'altra incrociandosi a stento – lui meno appesantito dai fermi al braccio che

dopo un'ora di sofferta operazione e manipolazione finalmente gli avevano tolto, lei un po' più fasciata di prima, ma con passo più stabile – infine Sury, stufa delle vaghe notizie sulla salute del suo nuovo eroe, aveva supplicato la accompagnassero a trovarlo; Eyner aveva acconsentito solo a patto di andare in avanscoperta – né lui né Zakuro sapeva davvero quanto di ciò che era stato riportato alla bambina fosse stato edulcorato – perché negli occhi della sorellina non rimanessero altre immagini più terribili di quante ne avesse già viste in quelle ore.

Eyner e Zakuro camminarono in silenzio per alcuni minuti rifacendo la strada da cui erano arrivati, sebbene il bruno non sapesse bene dove volersi dirigere: continuò a fissare la schiena della mora che appariva fugacemente dietro i lunghi capelli glicine e strinse il pugno destro, odiandosi per il suo tentennare e appena svoltarono in un corridoio, giusto un angolo prima di un'altra curva, la fermò afferrandole un polso.

La mewwolf si fermò subito, leggermente sorpresa, e mentre si voltò Eyner, attento a non strattonarla per non farle male a qualche ferita, mosse lieve indietro la presa come a chiederle di avvicinarsi; Zakuro fece mezzo passetto verso di lui che subito lasciò il suo polso e le passò la mano dietro le spalle stringendola contro di sé, sempre con più garbo di quanto volesse incerto su dove potesse provare dolore. Il fatto che lei non si fosse sottratta, ma si fosse accomodata in silenzio, fu già un buon inizio.

« … Non ti sei fidato di me. »

Sempre in grado di sorprenderlo. Non si era aspettato che la prima a parlare sarebbe stata lei. Fermo con la guancia contro la sua tempia sospirò aumentando piano la presa:

« Non è vero. Mi fido ciecamente di te. »

« Ma non mi hai lasciata combattere con te. »

Gli ribattè con tono più critico. Eyner sospirò di nuovo più scoraggiato:

« … Avevo solo paura. Non è di te che non mi fido – disse cupo – è di me. »

« Sei proprio stupido. »

Suonò quasi una bonaria presa in giro intanto che la ragazza fece scivolare con garbo le braccia attorno al suo torace, attenta a non sfiorargli il braccio sinistro:

« Ridurti così per una sciocchezza del genere. »

Lui avrebbe voluto ribattere che non era stata proprio quella, la sua aspirazione, ma evitò avendo l'impressione – possibile? – che il tono della mewwolf si fosse fatto più incerto.

« Scusa. »

« Non scusarti, tanto non ci credi. »

« Non mi sto scusando per quello che ho fatto – precisò – solo per averti fatta arrabbiare. »

« … Credevo saresti morto. »

Disse lentamente. Eyner non rispose posandole un bacio sulla tempia e lei strinse appena i pugni, grattando sulla stoffa delle bende con le unghie:

« Volevi proteggermi, ma non mi hai lasciato proteggere te. »

La mora lasciò la stretta attorno al suo torace allontanandosi un poco per guardarlo negli occhi:

« Questo vorrei fosse chiaro. Se combatti, io combatto, se bisogna ritirarsi ci ritiriamo entrambi: io non ti lascio indietro, perciò tu non farlo. »

Gli prese il viso tra le mani e si protese appena per baciarlo, Eyner che passò il braccio sull'incavo della sua schiena per tirarla ancora più vicina. Gli parve che gli occhi della mora fossero lievemente lucidi quando li guardò da vicino, ma non disse niente e le accarezzò una guancia posando la fronte sulla sua:

« Era un ordine per caso? »

Scherzò piano.

« Precisamente capitano. »

Gli concesse un sorrisino malizioso e lui rise baciandola di nuovo. Sentì le sue dita sfiorargli ancora la fasciatura sul braccio, come cercando indizi tattili del suo stato sotto le bende:

« Che ti hanno detto? »

« Quando vuole quello stronzo colpisce bene – sbuffò amaro – grazie ai SRP le fratture sono tornate composte (quando sono arrivato Lasa-san ha detto che sembrava avessi la ghiaia, dentro il braccio) e mi hanno tolto quelle specie di ceppi della tortura, ma ne avrò ancora per parecchio. In ogni caso, la sconterò a casa. »

« È ancora integra? »

« Fortunatamente – disse sollevato mentre si avviarono – anche le case di Kisshu e degli altri, che sono distanti dalla Piazza Grande. I medici hanno detto che anche Sury può andarsene dal bunker, la lascerò con il suo nuovo eroe ancora un po' e poi andremo. »

Rise appena e studiò la ragazza:

« Tu cosa farai? »

« Con le altre abbiamo già parlato – disse grave – ovviamente non possiamo tornare a casa, anche volendo… Almeno per il momento. Comunque lasceremo le stanze al Palazzo, c'è gente che ne ha più bisogno di noi. »

« D'accordo, ma allora dove andrete? »

Zakuro non rispose incerta sul pensiero che, inconsciamente, le si era disegnato in mente quando avevano preso la decisione con le ragazze e che di colpo le parve troppo invadente.

« Vieni a casa con noi? »

Si voltò a scrutare il sorriso del bruno in silenzio.

Non aveva idea se non avesse volutamente definito la casa come sua e della sorella, o semplicemente avesse omesso il possessivo senza riflettere, ma Zakuro ebbe la medesima sensazione che altre volte l'aveva sorpresa da quando conosceva il ragazzo: uno strano senso di famigliarità, di calore, quasi di abitudine, come quel casa che le suonò senza alcun motivo come se si stesse parlando della sua.

Lasciò che Eyner le passasse la mano sulla vita e le posasse un bacio su un lato della bocca, annuendo:

« Certo. »

 

 

***

 

 

« Davvero, Ikisatashi-san, non occorre tanto disturbo. »

« Guarda che a furia di fare complimenti si diventa noiosi. – sbuffò Iader divertito – Akasaka te l'ho già detto. E o venite di vostra spontanea volontà o dovrò trascinarvici, a te e al tuo amico dal muso lungo. »

Il bruno non protestò oltre ringraziando con un lieve inchino.

Come le ragazze anche Keiichiro e Ryou avevano opportunamente stabilito di non voler soggiornare oltre al Palazzo Bianco, lasciando ogni posto disponibile per gli sfollati nonostante Meryold avesse detto loro non fosse necessario, ma ringraziandoli della premura. Il problema era che nessuno di loro avesse un posto dove stare, finché Iader non aveva offerto loro un tetto.

C'era stata confusione, ma soprattutto qualche timida protesta per lo spazio che, a conti fatti, non c'era in quella casa, come Minto aveva fatto notare dispiacendosi del commento, ma Iader aveva ammiccato furbo:

« Ho tre figli in grado di creare distorsioni dimensionali grandi quanto una città, vuoi vedere che non sono capaci di aggiungere due stanze alla casa? »

In realtà c'erano regole severe sulla creazione di dimensioni esterne sul suolo di Jeweliria, che dovevano essere tutte monitorate previa concessione del Consiglio Maggiore – fatta eccezione per le riunioni dei Membri Ristretti – ma a quanto disse Iader per una volta avrebbero chiuso un occhio. Keiichiro aveva immaginato ci fosse stato lo zampino della Capo Consigliere Meryold, ma non gli era parso garbato ficcanasare troppo e per l'ennesima volta aveva ringraziato e basta.

Accompagnato da Minto e dagli sbuffi di Ryou – Ichigo era stata irrintracciabile – il bruno era tornato a Palazzo per recuperare le proprie cose e quelle delle ragazze, così da velocizzare la liberazione delle camere mentre le altre ancora non potevano lasciare i loro reparti. Mentre Minto lo stava aiutando a mettere le cose di Retasu nella sacca della verde, Keiichiro prese i vestiti con cui la mewfocena era arrivata a Jeweliria, accuratamente piegati in un cassetto, e posandoli sul letto fece per sbaglio cadere qualcosa da una delle tasche; raccolse l'oggetto e un lampo gli attraversò la mente, stringendo tra le dita il cellulare di Kiddan.

La chiusura del portale per la Terra gettava molte preoccupazioni e rimpianti sui progetti futuri che si erano delineati in quei giorni, ma ripensandoci lontano dall'atmosfera febbrile del bunker di fronte a Keiichiro si manifestò un problema ben più urgente.

Era ancora in dubbio quando sarebbero potuti tornare a casa, ma per quanto ci avrebbero messo o per quanto sarebbe stato lungo il viaggio sarebbero tornati.

E nel frattempo?

Le ragazze avevano detto ad amici e parenti che sarebbero andate a fare una piccola vacanza di fine estate tutte assieme nella villa al mare di Ryou. Cosa sarebbe accaduto dopo che per giorni non avessero dato ulteriori notizie, magari qualcuno fosse andato a cercarle e avesse trovato villa Shirogane vuota? Il loro ritorno a casa sarebbe stato accolto dal finimondo, domande, indagini, cose che difficilmente si sarebbe potuto gestire con semplicità e che avrebbero concretamente rischiato di far saltare fuori segreti faticosamente tenuti al sicuro.

Keiichiro continuò a rigirarsi il cellulare tra le dita. Aveva già tentato di inviare segnali ai suoi sistemi al Cafè, nel tentativo di ristabilire una traccia per riaprire il portale, ma ironia della sorte senza di esso le distanze tra Jeweliria e la Terra erano tornate quelle effettive. La sola cosa che non aveva tentato di fare la teneva nel palmo della propria mano.

No, è impossibile. Non funzionerebbe mai.

Continuò a sfiorare i piccoli tasti e iniziò a sfogliare sovrappensiero la rubrica. Le speranze erano misere, ma come si soleva dire, tentare non costava nulla. Trovò senza problemi il numero che cercava e premette il tasto di avvio chiamata: per qualche secondo il telefono diede segnale muto, come se non prendesse la linea, e Keiichiro sentì una lieve delusione mentre fece per abbassare il ricevitore.

Poi, uno squillo.

 

 

***

 

 

Estate a Tokyo voleva dire tanto, tanto tanto caldo e tanta, tanta noia, specie se eri da sola. Sbuffando Ayumi si lasciò cadere di schiena sul pavimento di legno del salotto, beandosi del refolo fresco del ventilatore e del tintinnio ipnotico della campanella a vento appesa alla finestra, ed emise un lungo lamento esagerato tenendo stretto il suo gelato tra le labbra.

Invidiava da morire Retasu e le altre che in quel momento si stavano godendo una simpatica villeggiatura circa all'altro capo della Galassia: chissà come doveva essere eccitante!

E io invece sono incastrata qui a sudare, e senza nemmeno uno straccio di fidanzato!

L'ultimo pensiero la fece accigliare. Retasu, il giorno in cui erano partite per Jeweliria, l'aveva chiamata per annunciarle la cosa e per dirle che c'erano stati interessanti sviluppi negli ultimi giorni… Con un certo testone insensibile di sua conoscenza. La notizia aveva quasi fatto cadere la mascella ad Ayumi, che solo per via della partenza fulminea – e per affetto verso la verde, che le era parsa tanto felice – si era trattenuta dal commentare, ma aspettava il ritorno della mewfocena al varco: voleva le elargisse un bel po' di dettagli, compresi di quella settimana, e aveva intenzione di dire due paroline a Pai in privato. Del tipo chiedergli come si fosse permesso di far piangere la sua amica come lei l'aveva vista fare, quali fossero le sue intenzioni e che se mai, per caso, avesse visto Retasu appena più mogia per colpa sua, alieno o meno lei gli avrebbe rimesso a posto i connotati; a cominciare da quelle orecchie a parabola che lui e la sua gente si ritrovavano – e che lei non riusciva a capire per quale stramaledetta ragione trovasse in generale tanto sexy.

Magari mi potrei far presentare qualche loro amico…

Il telefono squillò così all'improvviso da farla quasi strozzare con il gelato:

« Ah, parli del Diavolo…! »

Ridacchiò tra un colpo di tosse e l'altro e rispose allegra:

« Reta-chan! Allora? Come mai mi chiami? Non dirmi che ti stai annoiando! »

« Ehm, buon pomeriggio Kotegawa-san. »

La rossa rimase spiazzata:

« … Akasaka…? – lo stupore divenne velocemente paura – Perché mi stai chiamando con il cellulare di Retasu? È successo qualcosa? »

« Oh, no, no, stai tranquilla. Nulla di grave, le ragazze stanno abbastanza bene. – gli fu chiaro che Ayumi non fosse convinta della bugia, ma non la sentì ribattere – Solo che abbiamo avuto un problema. »

Sperando che la ragazza non perdesse la testa e la linea, molto disturbata, non saltasse, Keiichiro le riassunse cosa fosse successo dalla sera precedente. Ayumi con suo sollievo non lo interruppe e non si lasciò andare a crisi di nervi, sebbene lui la sentisse sempre più tesa, e quando alla fine lui l'ascoltò respirare con più convinzione per le sue rassicurazioni le disse:

« Perciò, mi dispiace disturbarti, ma credo che le ragazze abbiano bisogno di un immenso favore. »

« Un favore? »

« Esatto. – la linea gracchiò in modo spaventoso e Keiichiro si affrettò – Così che nessuno noti la loro assenza, almeno fino al loro ritorno. »

 

 

Tentennò di fronte al citofono dei Midorikawa come se questo potesse morderla. Sapeva bene di stare facendo una cosa per una causa più grande e per aiutare la sua amica, ma l'idea di mentire spudoratamente come stava per fare alla signora Midorikawa, intrufolarsi nella stanza di Retasu e frugare tra le sue cose – lo aveva già fatto a dire il vero, ma sarebbe stata la prima volta senza la presenza della verde – e quindi raggiungere il Cafè deserto per una sorta di missione alla James Bond la metteva in agitazione; forse era appena un decimo delle avventure che vivevano le altre, pensò mentre suonò il campanello, ma diamine lei non era stata incrociata con il petauro dello zucchero o chissà che altro animale! Aveva solo la sua faccia di bronzo e l'ampissima possibilità di ricevere dei no come risposte, o di essere pizzicata dalla polizia ad entrare in proprietà private come una ladra.

Va bene, non pensarci adesso, un passo alla volta.

La signora Midorikawa l'accolse con un sorriso radioso e Ayumi si sforzò di non farsi divorare dal senso di colpa. Con aria innocente millantò di avere un compito da finire, ma di aver lasciato il libro di testo nella stanza di Retasu l'ultima volta che avevano studiato assieme e di avere davvero, davvero urgenza di riaverlo subito, tanto da non poter aspettare il ritorno della verde.

La bugia le suonò penosa, ma la signora Midorikawa ci credette con dolcezza e le fece strada fino alla stanza della figlia; Ayumi ringraziò e appena la donna, da brava padrona di casa, le offrì un bicchiere di the d'orzo la rossa accettò con gioia, approfittando della sua assenza per setacciare in giro. Per fortuna impiegò poco a scovare nella cartella di Retasu la chiave di riserva del Cafè che Keiichiro aveva copiato per ciascuna delle ragazze, per le emergenze; si ficcò in tasca il mazzo di chiavi alla velocità della luce quindi riprese a frugare tra gli scaffali afferrando il primo libro di scuola che adocchiò, sorridendo grata alla signora Midorikawa che riemerse dalla cucina porgendole un vassoietto con un bel bicchiere gigante di the.

Ayumi si servì, ringraziò e con la sempre valida scusa dei compiti schizzò giù per le scale e fuori dalla palazzina; diede distrattamente un'occhiata al libro che aveva presto – Matematica- III anno, aveva preso un libro delle medie! Meno male che la signora Midorikawa non aveva controllato – lo ricacciò in borsa e corse dritta filata al Cafè.

Era quasi ora di cena e il parco era poco affollato, ma per quanto avesse il sistema per entrare senza scassinare la porta sapeva che la sua presenza lì, di fronte ad un locale non affisso il cartello Chiuso per Ferie, risultasse sospetta. Cercando di fare finta di niente e continuando a guardarsi le spalle spulciò le chiavi dapprima puntando all'ingresso, poi cambiò idea e si diresse verso la ben più discreta porta sul retro; le ci vollero un paio di minuti per trovare la chiave giusta – quante accidenti ne aveva attaccate Retasu a quel portachiavi?! Probabilmente ce n'era una per ogni porta del locale, perfino quella dello sgabuzzino! – la inserì nella toppa e la girò entrando dentro aprendo a stento e insinuandosi nello spiraglio così a fatica da grattarsi la nuca contro lo stipite.

Il locale era avvolto da una penombra afosa e da un microscopico strato di polvere, come succede in ambienti dagli alti soffitti. Ayumi strizzò gli occhi cercando di capire quale fosse l'accesso che portava al sotterraneo, ma lì le porte sembravano tutte uguali da chiuse: fece un paio di tentativi aprendo il corridoio che portava agli spogliatoi, quello che portava in cantina e infine, trattenendo un grido di vittoria, la porta che si affacciava sull'altro più buio, sicuramente il laboratorio interrato.

Ayumi provò ad accendere la luce, ma l'interruttore non funzionò. Roteò gli occhi sbuffando, probabilmente Keiichiro si era scordato di dirle che avevano tolto la corrente per evitare danni ai computer durante la loro assenza; non pensò nemmeno a cercare dove potesse trovarsi l'interruttore generale, probabilmente era incastrato in qualche angolino riparato e il sole stava calando rapidamente, presto non sarebbe più stata in grado nemmeno di orientarsi lì dentro.

Grazie al genio che ha inventato le torce per i cellulari.

La luce al LED del suo telefono era piccola, ma potente e le permise di scendere senza sfracellarsi sulle scale. Il laboratorio le diede un senso di terribile claustrofobia nonostante fosse ampio, era troppo buio e silenzioso; si fece coraggio e iniziò a frugare in tutte le scrivanie e gli scaffali che trovò, a dire il vero non tanti, ma molti chiusi a chiave: ne provò qualcuna del mazzo, ma nessuna era abbastanza piccola e alla rossa iniziò a salire l'ansia, riflettendo che in caso d'emergenza sarebbe dovuta andare a procurarsi qualcosa per rompere le serrature – azione che di certo avrebbe spinto Shirogane, quantomeno, a toglierle il conto aperto al Cafè che si era concessa – poi con un balzello euforico trovò il suo bottino.

Cinque piccole sfere gelatinose che ondeggiarono sul fondo di un cassetto, mandando riflessi quando il LED passò su di loro.

« E ora speriamo che capisca come farvi funzionare. »

 

 

***

 

 

Lo vide seduto su uno dei muretti che cingevano il grande giardino interno, dove aveva sempre visto un andirivieni di inservienti, membri del Consiglio e soldati in allenamento; in quel momento, eccezion fatta per il brunetto, era completamente deserto. Il sole del tardo pomeriggio rimbalzava con riflessi dorati sulla cupola di vetro e gettava lunghe ombre in un'atmosfera scintillante e quieta, tanto che chiunque avrebbe potuto pensare che Taruto si fosse fermato lì solo per rilassarsi un momento e sfuggire ai suoi oneri.

Purin sospirò e gli andò vicino, tossicchiando per richiamare la sua attenzione. Lui rimase a fissare il prato con aria assorta:

« Forse ti dovresti riposare ancora un po'. »

« La dottoressa ha detto che posso alzarmi – gli rispose cercando di sembrare allegra – e se fossi rimasta là sotto un'altra ora avrei cominciato a fare i funghi. »

Taruto mandò un verso nasale che avrebbe dovuto essere una risata. Purin, mogia, gli girò attorno sedendosi alla sua sinistra e gli posò piano la testa sulla spalla, sentendo i punti tirare appena; Taruto la lasciò fare premendole piano la guancia contro i capelli:

« Non ti faccio male così, vero? »

« Uh hu. »

Fece lei non arrischiandosi a muovere troppo la testa. Rimasero fermi e in silenzio per un po', Purin avrebbe voluto dirgli qualcosa, ma non aveva idea di cosa; per la prima volta dopo tanto tempo sentì di non essere capace di rispettare le parole che le aveva detto sua madre prima di lasciarla.

« Sorridi, Purin. È sufficiente il tuo sorriso per rendere le persone che hai attorno felici, non te ne sei accorta? »

Ricordava che proprio Taruto le avesse detto una cosa simile, una volta, ma sorridere in quel momento le sembrò irrealizzabile oltre che insensibile.

« Sai…? – iniziò di colpo il brunetto – Lo sapevo che non era possibile, ma una delle cose che mi sarebbero piaciute di più sarebbe stata che anche Sando-san partecipasse alla missione della Terra. »

Purin lì per lì non seppe che rispondergli. Si scostò piano per alzare la testa e guardarlo in viso, ma Taruto continuò a fissare di fronte a sé con uno strano sorriso storto.

« Perché non era possibile? »

« Il Consiglio Maggiore e Deep Blue decisero che sarebbe stato sufficiente un piccolo contingente. Per liberarsi solo degli umani. »

S'interruppe un momento, a disagio – una di quegli umani, e all'epoca nemica, era proprio lì accanto a lui e gli sembrò cattivo parlare della cosa a quel modo – ma sbirciò Purin con la coda dell'occhio scrollare le spalle e continuò:

« E poi al senpai mancavano dei requisiti. »

« Cioè? »

« Bisognava essere forti – disse e una punta di orgoglio diede forza alla sua voce bassa – saper manipolare i chimeri e saper gestire la creazione di dimensioni nascoste. »

Fece una mezza risata con aria malinconica:

« Il senpai è sempre stato un disastro per queste cose! Diceva che ci voleva troppa concentrazione anche per la dimensione più piccola e lui non aveva la pazienza. »

« Se fosse venuto con voi anche Sando-san sì che sarebbero stati guai! »

« Vorresti dirmi che con noi è stato facile? »

Borbottò e Purin gli fece una linguaccia:

« Facilissimo. »

Il brunetto si accigliò e fece nuovamente quella risatina mesta, spegnendola quasi subito. Purin lo guardò mordersi il labbro e chinare la testa:

« Il senpai… Non era mica indistruttibile. Per me era fortissimo, ma lo so che non era imbattibile, non lo è nessuno. »

Tacque un secondo serrando i pugni sulla superficie fredda del muretto. Purin non disse una parola.

« Lui… Lui mi ha sempre sostenuto. Mi ha aiutato tanto… Se non fosse stato per lui e quello che mi ha insegnato manco ci sarei mai venuto, sulla Terra. »

Girò appena la testa verso la biondina; non ebbe l'energia per sorriderle un minimo e dirle che, a conti fatti, se non fosse mai partito non l'avrebbe mai incontrata e si trattava dell'idea che più lo spaventava.

« Io lo sapevo che non gli sarei mai potuto essere di aiuto per niente. Io con lui potevo confidarmi, ma lui che poteva dire a me? Era un adulto mentre io ero solo un bambino, e anche adesso non è che… – le sue braccia tese tremarono di rabbia – Però almeno in questo, almeno a combattere avrei potuto dargli una mano. Potevo aiutarlo questa volta, e invece io… »

Non era giusto.

Come poteva convincersi che davvero non ci fosse più?

Lui si ricordava tutto, le cose che Sando gli aveva insegnato, i consigli che gli aveva dato e che a volte non riusciva a seguire neppure lui stesso; il modo in cui lo sgridava o lo prendeva in giro, la mano enorme che gli scompigliava i capelli quand'era più piccolo e lo consolava per un esercizio fallito. Tante piccole, enormi cose che lui solo a pensarci rivedeva in ciò che sapeva fare, in certe cose che diceva, che capiva di avere incise nella testa come se avesse una copia del verde sempre con sé.

E avrebbe dovuto accettare che quelle sarebbero state le sole cose che avrebbe avuto per il resto dei suoi giorni?

No. Non era giusto.

Lui non aveva ancora ricambiato. Non aveva fatto niente, detto niente per farlo. Aveva solo ricevuto, non gli aveva mai dato niente.

Purin lo sentì tirare su con il naso e vide le sue spalle sussultare. Non gli disse niente e non provò a guardarlo in faccia, che lui si sforzò di nascondere, ma posò una mano sul suo pugno serrato; Taruto le afferrò le dita intrecciandole forte con le proprie, tentando di non far sentire nemmeno un singhiozzo.

« Ti prego… Non lo dire… Agli altri. – mormorò a scatti – Non voglio… Che mi trattino ancora come… Il moccioso di turno. »

Purin scosse la testa e riappoggiò la guancia contro la sua spalla, un paio di lacrime che iniziarono a scenderle sulle guance:

« Tanto piangono anche gli adulti. »

Lo rassicurò. Taruto non ribattè e lei lo sentì premere con delicatezza la fronte contro la sua.

 

 

***

 

 

Avevano detto che le sue ferite non erano significative, perciò non aveva visto alcun problema a tornare ad occuparsi dei suoi doveri di capitano. Pai però lo aveva preso di peso e trascinato a casa sua sordo ad ogni protesta:

« Sono più di ventiquattro ore che non dormi e credo che tu nemmeno abbia mangiato. – lo aveva rimproverato con un tono che, più di arrabbiato, suonò afflitto per la predica che stava facendo – Cerca almeno di riposarti un po'. »

Lui non aveva reiterato oltre capendo che non sarebbe stato comunque ascoltato.

Probabilmente non avrebbe più messo in bocca altro che aria per quanto il suo stomaco fosse chiuso, per non parlare del suo cervello, così crudelmente lucido e sveglio, e di quella fastidiosa, continua sensazione di nervosismo che gli faceva tremare la punta delle dita e martellare il petto soffocandolo, grazie a cui di sicuro non sarebbe mai più stato in grado di dormire.

Riposarsi, stare fermi… No, impensabile, improponibile, infattibile.

MoiMoi uscì di casa circa trenta secondi dopo che Pai se ne fu andato. Doveva muoversi, fare, fosse stato anche percorrere tutto il diametro del pianeta andata e ritorno a piedi, non poteva rimanere fermo rischiava di impazzire.

Camminò a zig-zag tra le case schivando ogni possibile contatto con persone e commilitoni, sebbene fosse ormai arrivata la sera: non era più necessario cercare corpi o superstiti, Jeweliria era stata battuta palmo a palmo senza dare nuove notizie da più di otto ore e si era stabilito tutte le lunghe, lente operazioni di ricostruzione della città venissero sospese con il calar del sole.

I piedi del violetto lo condussero per strade note senza che lui ordinasse di farlo, raggiungendo una porta famigliare. La sua mano si mosse da sola verso la maniglia e lui si sorprese di non provare alcuna stretta alle viscere aprendo la porta, solo uno strano senso di emozione nervosa, la sensazione che si prova quando si scende giù da un gradino più alto del previsto.

Sando lo aveva sempre preso in giro dicendogli che casa sua era minuscola, che sembrava una casa delle bambole più che da persone. MoiMoi a ripensarci sospirò divertito, se possibile la casa del verde era ancora più risicata e spoglia. Quantomeno lui viveva in un'abitazione ordinata e pulita e pur con i suoi pochi mobili MoiMoi aveva tutto ciò che gli serviva e l'ambiente, poteva dirlo orgoglioso, era confortevole accogliente.

Casa di Sando pareva esser stata presa dalla Città Sotterranea così com'era stata costruita e trafitta negli anni dal freddo e dalle intemperie, strappata con tutte le fondamenta e risbattuta in superficie senza che nessuno si curasse di ravvivarla un minimo, o riparare le crepe nei muri o le fenditure del pavimento. Era un edificio costruito per garantire un minimo spazio vitale e di azione del suo ospite e non era costituita che da un disimpegno minuscolo con due porte sul fondo, una che pareva grande appena per far passare un adulto di prestanza modesta tanto era stretta e un'altra – non aveva mai perso il vizio di non chiudere un uscio che fosse uno, quello sciatto – da cui intravedeva un letto dalle lenzuola arruffate, in sostanza una cuccia maltenuta. Praticamente non c'erano arredi di alcun genere – MoiMoi ricordava vagamente ci dovesse essere un armadietto malconcio o forse una cassettiera altrettanto malridotta nella camera da letto, ma era entrato così poche volte in quella casa che non si ricordava – solo un mobile a base rettangolare schiaffato su un lato dell'ingresso e che pareva la sola cosa trattata con un minimo di riguardo, il ripiano per cucinare.

MoiMoi si avvicinò ai fuochi splendenti e sfiorò sovrappensiero il metallo lucido. Nessuno lo avrebbe mai detto, ma a Sando cucinare piaceva molto ed era molto, molto più bravo di lui; non che il violetto fosse incapace ai fornelli, però a detta del verde era troppo metodico, troppo scientifico per una cosa come la cucina.

« Insomma, se le dosi e i tempi sono questi, sono questi no?! »

« Tu pensi troppo con quel tuo cervellino contorto! Insomma ci vuole un po' di… Come cavolo si dice?! Vabbè, non ci devi ragionare troppo. »

« Mica posso cuocere a caso! »

« No, ma certe cose le senti. Ci vuole un po' di cura, devi ragionare con la pancia. »

« Ma che stai dicendo…? »

« Facciamo una prova? Scommetto due creika che ti divori tutto. »

« Certo, se non mi lasci un po' di spazio mi toccherà farlo per non morire di fame! »

« Ma va', hai riserve a sufficienza lì sulla pancAhi! »

« Non osare mai più dirmi che sono grassa, razza di gorilla cafone privo di cervello! »

« Che male, mi hai rotto uno stinco, ebete! »

Si trattenne dal ridere, non ricordava di preciso quando fosse successa quella discussione. Però si ricordava bene come, sgomitando con il verde per avere un po' di spazio sui fuochi, alla fine avessero mangiato anche la parte cucinata da lui stesso, ma quella di Sando se la fosse spazzolata pagando la scommessa senza nemmeno protestare. Da quella volta, però, al verde era stato proibito avvicinarsi ai fornelli se MoiMoi decideva di fare qualcosa, tanto per non minare ulteriormente il suo amor proprio.

Il violetto girò su se stesso scrutando il vuoto attorno, chiunque avrebbe detto che quella casa era disabitata se non fosse stato per lo scarso cibo negli scaffali, i piatti lavati e abbandonati sul lavello e il letto sfatto.

Sando in fondo non passava là dentro più del tempo necessario; inoltre non aveva molti interessi o passatemi che lasciassero tracce per la casa, la sua vita era l'esercito. Anche allora, colonnello solo per grado, ma senza un reggimento al proprio comando o privilegi, con le uniche occupazioni di fare da custode al consigliere Teruga e al centro ricerche, oltre all'onere di dover addestrare i novellini, Sando rimaneva legato all'Armata molto più di tutti loro, forse anche più di Pai. Del resto l'esercito era il primo posto dove si fosse sentito a casa.

MoiMoi passeggiò o meglio, compì i cinque passi necessari a toccare l'altro muro della prima stanza, tornò indietro e sovrappensiero entrò lentamente nella camera da letto; la porta cigolò tanto che il violetto sbuffò temendo potesse scardinarsi, Sando avrebbe almeno potuto cercare di evitare che i muri gli cadessero in testa. La stanza era esattamente come se la ricordava nelle sue pochissime visite, spoglia e disordinata, ma quantomeno pulita; si sedette sul letto – anche quello cigolò talmente che per un secondo temette potesse sfondarsi sotto di lui – e si lasciò cadere ad angelo fissando il soffitto.

Ora che ci pensava non era mai stato su quel letto e si chiese vagamente perché lui e Sando si fossero sempre fermati a casa sua e non lì; rimanendo lì steso, però, potè intuire come il verde forse non vivesse male lì dentro, ma non avesse mai trovato come – o forse non avesse mai voluto – rendere il posto degno di essere definito "casa". Sembrava più una passabile stanza d'albergo, certo non un brutto posto dove sostare, ma privo del calore e della famigliarità di una casa vera.

MoiMoi si mise a sedere e notò uno strano oggetto rettangolare che sbucò da sotto il letto, avvolto in una vecchia maglia macilenta. Lo prese incuriosito, capì che si trattava di un libro e la cosa gli suonò assurda, Sando non era un tipo da leggere granchè e di certo non si sarebbe scomodato ad andare fino all'Archivio per prendere un libro vero e proprio, poi cacciando a terra la maglia e aprendo le pagine vide che era una specie di album di foto, meglio un insieme di spesse pagine bianche di materiale plastico su cui il verde aveva appiccicato e incastrato ogni immagine che era riuscito a trovare o conservare negli anni.

Iniziò a sfogliare non trattenendo un sorrisetto, c'era davvero di tutto lì dentro. Sando non si era preoccupato di mettere un minimo di ordine, aveva semplicemente raccattato tutte le lastrine di metallo che poteva e le aveva messe lì dentro a caso così il tempo sulle immagini non faceva che balzare avanti e indietro.

Una foto di quando il violetto aveva inaugurato la sua casa in superficie, la foto di rito dell'Armata con tutti i loro coetanei di quand'erano entrati all'Accademia, una in cui c'erano il verde e un Taruto forse di sei anni rigidissimo ed emozionato; una del padre del verde, una con tutti gli altri che probabilmente risaliva a poco prima della partenza della missione terrestre, dove Sando aveva ancora solo un accenno di pizzetto.

MoiMoi voltò una pagina e sentì un piccolissimo tonfo nel petto, c'era una sua foto che qualcuno doveva aver di certo scattato di nascosto perché lui non guardava in camera, cosa assolutamente insolita, ed era presa da parecchio distante: nell'angolino dell'immagine – cercò di distinguere il posto, era tutto sfocato perché lui rimanesse nitido, ma pur non risolvendo l'enigma intuì dovesse essere uno dei laboratori esterni – c'era lui intento probabilmente a lavorare su una sfera dati, l'aria serena e concentrata. In effetti non era venuto niente male, se non avesse peccato d'immodestia si sarebbe potuto definite da solo molto affascinante nell'immagine, e gli venne da sorridere:

« Certo che sei proprio un cretino… »

Continuò a girare, erano rimaste solo un paio di foto. Una sembrò essere stata riesumata dall'angolo di qualche edificio in fiamme tanto era malridotta: era sporca di polvere ormai incrostata nei colori del metallo, graffiata irrimediabilmente e ammaccata su alcuni bordi, ma era ancora possibile distinguere con chiarezza un viso di donna. MoiMoi s'irrigidì un momento, intuendo che Sando dovesse aver scovato il reperto in un buco della casa in cui era nato, o forse era stato fortuitamente dimenticato dal padre. Non aveva mai visto né mai sentito parlare molto della madre del verde, anche perché lui non se la poteva ricordare: MoiMoi sfiorò il metallo rugoso, la donna non assomigliava per nulla al figlio con quel viso ovale e delicato e l'aria fragile, però aveva gli occhi dello stesso colore e lo stesso sorriso, sebbene lei sembrasse molto più avvezza ad usarlo rispetto a Sando che di norma ghignava antipatico.

Nell'ultima foto c'erano MoiMoi e il verde da piccoli, probabilmente doveva averla fatta Kiddan o uno dei suoi genitori perché riconobbe la sua vecchia casa sullo sfondo. Gli sfuggì un sospiro divertito, lui indossava già abiti da bambina, ma aveva ancora i capelli corti, e Sando pareva davvero a disagio tanto da guardare torvo verso il bordo della foto.

MoiMoi emise un fastidioso verso a metà tra una risata ed un singhiozzo. Prima una volta sola, calmando il rumore con un lungo respiro, poi altri due suoni indistinti gli uscirono traditori dalla gola; li ricacciò indietro, le spalle che sussultarono, ma si rese conto che ormai l'accenno di risata era scomparso mentre risfogliava le pagine a rovescio e sfiorava foto a caso.

Chiuse l'album con un tonfo e se lo strinse contro, raggomitolandosi su se stesso mentre di colpo si ritrovò di nuovo a dover piangere per non soffocare:

« Sei… Davvero… Solo un cretino…! »

 

 

***

 

 

Non possedeva ancora mani in grado di tremare, né sangue che potesse fremere di emozione né vene che lo contenessero. Era solo essenza solida e visibile, una sorta di ricordo più vivido e persistente del normale.

Ma presto non sarebbe più stato così.

Arashi, genuflesso di fronte a lui, tenne teso il Dono degli Avi verso il suo signore, ma né lui né Lindèvi, Toyu o Lenatheri osarono alzare il capo.

« Perché hai paura, Arashi? – gli domandò carezzevole e freddo Deep Blue – Avete compiuto ciò che vi avevo chiesto. Nulla potrei dirvi per rimproverarvi. »

« Abbiamo perduto Zizi, mio signore. »

Esalò senza troppi preamboli il biondo e Deep Blue sospirò:

« Mai dimenticherò la sua scomparsa – lo rassicurò, la voce priva di emozione – non angustiarti, non era tuo compito riportarlo qui. »

« Ma il Dono… »

« Il Dono è sufficiente in sé. – insisté zittendolo – Ora ciò che mi occorre è tempo. E pace. »

Arashi, che aveva osato alzare gli occhi, riabbassò la testa annuendo.

« Ora riposate – disse ancora Deep Blue come il più benevolo dei comandanti – perché io ritorni su questo piano d'esistenza il Dono richiederà una lunga attesa. Infima, rispetto alla vostra di questi mesi, miserrima rispetto alla mia di questi secoli. »

Concluse soddisfatto. Allungò le mani e il Dono, obbediente, si alzò fluttuando e fermandosi sospeso nel vuoto tra le sue dita: Deep Blue osservò i riflessi del cristallo con folle piacere.

Alle sue spalle la parete di cristallo non diede segno di vita; quella era stata la sola incertezza che lo aveva accompagnato fin lì, ma aveva avuto torto: era solo, libero di riavere un corpo che fosse suo senza alcuna altra coscienza a condividerlo e un'esistenza sua.

Il dominio sarebbe stato solo un passo più in là.

Avrebbe dovuto aspettare che la sua creatura compisse ciò che avrebbe dovuto compiere trecento milioni di anni prima. Un'attesa insignificante dopo anni di dissanguante desiderio e secoli di oblio.

« Questa volta non avrò ostacoli. »

 

 

 

Ingenuo.

No, arrogante.

L'arroganza era sempre stata uno dei suoi difetti.

Eppure gliel'aveva insegnato.

Mai abbassare la guardia finché non sei certo, nel modo più assoluto, che il tuo nemico non abbia più nessuna carta da giocare.

Lui ne aveva ben tre.

Aveva il tempo.

Aveva se stesso, aveva Luz.

E aveva Ichigo.

« Finalmente potrò dirti ogni cosa. »

 

 

***

 

 

Ci vollero tre giorni perché la situazione a Jeweliria fosse ristabilita, si avesse una visione effettiva dei danni, una distinzione chiara dei feriti e la crescita dei defunti si arrestasse.

Ichigo, nella sua stanza improvvisata, assistette distratta ai movimenti della gente per le strade, ormai sgombere dai detriti delle case e dai resti della Celebrazione, e le fu chiaro che stesse per succedere qualcosa di importante.

Sospirò appoggiando la fronte al vetro fresco. Aveva già visitato una volta una dimensione aliena – anche se non era stato un momento molto piacevole – ma quella decisamente non le sembrava nulla più che una comune stanza come tutte le altre in casa Ikisatashi. Affacciava su un corridoio da cui si accedeva tramite una qualunque porta, comparsa sul lato ovest di quello al secondo piano della casa, e dentro aveva un piccolo letto comodo, una finestra e una cassettiera, niente di strano o straordinario; la sola cosa che lasciasse intuire qualcosa di insolito nell'ambiente erano i vaghi tremolii rossi e verdi che di quando in quando facevano vibrare l'aria, come il caldo in una giornata estiva.

Bussarono con gentilezza alla porta e la rossa non rispose. L'ingresso si aprì lentamente e Ichigo si costrinse a prestare attenzione, rivolgendo un timido sorriso a Lasa che ricambiò con dolcezza; aveva qualcosa tra le braccia, un alto mucchio di stoffa ripiegata.

« Perdonami. Riposavi? »

Ichigo scosse la testa e guardò di nuovo fuori:

« Cosa sta succedendo? »

Lasa, che aveva sempre visto allegria e spontaneità sul viso della giapponese, sospirò preoccupata al suo sguardo vacuo:

« Stasera ci sarà la funzione della Grande Dama Rossa. Diremo addio ai nostri defunti – la precedette prima che domandasse – e lasceremo che abbandonino definitivamente questa vita. »

« … La Grande Dama Rossa? »

« Per noi è colei che presiede la vita e la morte. »

Spiegò a bassa voce, sollevata che qualcosa stuzzicasse l'apatia della ragazza e Ichigo la studiò mentre sistemò sul letto quello che si rivelò essere un abito, più sobrio di quello che le avevano dato per la Celebrazione della Prima Luna e che all'inizio le parve nero, ma a ben guardarlo era di un rosso Borgogna estremamente scuro, dall'aspetto simile al velluto. La donna prese il resto di abiti che aveva con sé e la guardò gentile:

« Ovviamente non siete obbligate a partecipare – le disse – ma se lo desidererete, immaginavo non aveste niente del genere con voi. »

« No. – la rossa le concesse un sorrisino storto – Ti ringrazio Lasa-san. »

La donna non aggiunse altro e uscì rapidamente, lasciando la mewneko con i suoi pensieri.

Al momento solo Retasu non aveva ancora lasciato il bunker, ne avrebbe avuto ancora per giorni anche solo per potersi alzare dal letto; nonostante tutto, e nonostante ad eccezione di Zakuro gli altri si trovassero in quella casa, Ichigo parlava e vedeva pochissime persone. Passava la maggior parte del tempo nella sua stanza, scendendo a mangiare solo quando Ryou, preoccupato, andava a chiamarla; la presenza del biondo era la sola che tollerava oltre i cinque minuti, forse perché lui si stendeva accanto a lei sul letto e la stringeva tra le braccia senza voler parlare o senza chiederle alcunché, lasciando che lei si godesse le leggere carezze sui capelli e scivolasse dentro e fuori da brevissimi sogni agitati.

Ichigo non si era mai sentita così sconfitta. Nei giorni passati oltre alle notizie su Sando e alla scomparsa di Kilig avevano dovuto affrontare anche il lutto per Kiddan e, nelle ultime spedizioni di ricerca, era stato trovato anche il corpo di Teruga.

Aveva l'impressione che tutto quello che aveva fatto fino a quel momento, tutti i legami e le alleanze che si era costruita in quel mondo estraneo e che l'avevano confortata nei mesi passati si fossero sgretolate come un castello di sabbia asciutta. Non aveva più osato tornare agli obitori dopo il suo incontro con Merurk, e non aveva più visto MoiMoi dopo che lui aveva lasciato il bunker.

Si avvicinò al letto e sfiorò con le dita l'abito scuro che aveva la consistenza della seta. L'idea di rivedere i volti di tutti coloro che erano caduti a causa degli Ancestrali le faceva stringere le viscere, ma il pensiero di non poter salutare per l'ultima volta le faceva paura.

In fondo cos'aveva da perdere? Ormai avevano già perso la cosa più importante, il Dono, e presto probabilmente avrebbero perso la guerra contro Deep Blue.

Nessuno aveva detto nulla a lei o alle altre, ma loro avevano capito dai bisbigli e dalle frasi ascoltate per sbaglio tra Kisshu e gli altri, nell'agitazione sottile dei militari.

Se Deep Blue aveva ottenuto il Dono degli Avi sarebbe stata solo questione di tempo e sarebbe corso a riprendersi ciò che riteneva fosse suo di diritto, Jeweliria e tutti i suoi abitanti. Poi, sarebbe toccato al bottino che si era visto sfuggire tre anni prima, la sua antica dimora, la Terra.

Cosa sarebbe accaduto prima o dopo aveva poca importanza.

Ichigo si abbandonò sul letto ed ebbe per l'ennesima volta la sensazione che le fosse stato tolto tutto all'interno, di essere un bizzarro guscio pesante e vuoto in cui i pensieri rimbombavano cupi.

Perso. Avevano completamente perso, ogni cosa.

Sarebbero dovuti stare fermi in attesa della sconfitta finale.

 

 

***

 

 

La funzione iniziò a sera inoltrata sotto un manto di nuvole che rendeva il cielo una lastra di velluto nero; nell'avvallamento che conduceva al colonnato del Santuario, riparato alla vista dagli alti alberi, si faceva fatica a vedere bene per la scarsità di luce, solo la pietra bianca al centro pareva risplendere di un tenue bagliore proprio. La folla che già puntellava lo spiazzo attorno e il Santuario stesso era tutta agghindata con lo stesso colore, il rosso scuro dai riflessi neri che Ichigo portava indosso, e che nelle ombre della sera diede la sgradevole impressione di chiazze sparse di sangue torbido.

Erano tutti presenti, anche Retasu aveva convinto in qualche modo Lasa a consentirle di uscire e Pai ad accompagnarla: era molto pallida, cosa accentuata dal tono sanguigno del vestito, e sebbene camminasse sulle proprie gambe fu chiaro che il suo tenersi a braccetto del moro non fosse solo un gesto di affettuosa cavalleria, quanto un vero e proprio usare il ragazzo come stampella. Sul lato del gruppo opposto alla mewneko c'era MoiMoi, ma Ichigo appena lo intravide provvide subito a nascondersi dietro a Ryou.

Il largo prato tra le colonne  e attorno ad esse era stato allestito con centinaia di piccole pire. Lasa aveva spiegato che per loro usanza i corpi sarebbero stati bruciati e, quindi, le ceneri lasciate si disperdessero da sole al vento, tornando alla terra e all'acqua; di norma le funzioni funebri non erano pubbliche, ma si era deciso che quella sera lo fossero perché tutti coloro che erano rimasti potessero dare gli ultimi saluti.

Nel silenzio che avvolgeva tutti i presenti il gruppo si spezzettò a poco a poco; Ichigo non vi badò, tenendosi stretta al braccio di Ryou che si fece guidare per un tratto nell'intrico di pire finché la rossa spaesata non si fermò in uno slargo, dibattuta e angosciata. La sola cosa che vide di fronte a sé furono decine di corpi disposti a suo avviso senza logica, ma i jeweliriani passeggiavano lenti tra i defunti senza intoppi; lei non aveva la minima idea di cosa fare, come chiedere, né di come comportarsi e si strinse di più a Ryou che si limitò ad accarezzarle una guancia, spaesato quanto lei.

« Chi cerchi? »

La rossa ci mise qualche momento a voltarsi e a capire che era stato Kisshu a porle la domanda. Il verde non sembrò né triste né arrabbiato, aveva un'indefinibile espressione di chi si sapesse destreggiare fin troppo bene in un ambiente che detestava; Minto, vicino a lui, tentò un sorriso verso la mewneko che sbattè le palpebre e dovette riflettere.

All'improvviso fare una visita alle spoglie di Kilig le parve un'idea stupida. In fondo non erano amiche nel senso proprio del termine, la conosceva a stento, aveva forse il diritto di porle l'estremo saluto quando probabilmente lei era attorniata dai suoi cari e dalle persone che davvero amava?

« Kilig… Kilig-san. – era il nome? O il cognome? Non sapeva nemmeno quello – Era un'archivista… »

Kisshu la interruppe mettendole l'indice di fronte al naso e le fece cenno con la testa di seguirlo. Lei, Ryou e Minto seguirono il verde che si mosse sicuro nel groviglio del prato fermandosi pareva senza alcuna ragione prima di una fila di pire non diverse da tutte le altre che avevano passato. Ichigo però avvicinandosi a lui distinse molte figure con indosso abiti simili a quelli di Kilig, le divise degli archivisti, e non molto distante da dove si trovavano la testa color petrolio dell'aliena; le parve che lo stomaco le si liquefacesse.

« Te la senti? »

Lei non guardò Ryou, ma gli strinse la mano e annuì. Kisshu rivolse un altro breve cenno muto ad entrambi e si allontanò con le mani in tasca, Minto che lo seguì senza fretta, ed Ichigo riflettè solo in quel momento che sia il verde che i suoi fratelli e tutti gli altri avessero molte più persone da salutare in quel momento: probabilmente tra quei corpi avevano vecchi amici, forse qualche parente, tutte persone di cui lei non aveva idea e che di nuovo la fecero sentire fuori posto ad essere lì.

Ugualmente prese un bel respiro e si avviò verso l'aliena. Lei e Ryou passarono accanto ad un gruppo particolarmente triste che piangeva su una giovane dai capelli scuri e quando li ebbero quasi superati uno di loro, un ragazzo ben piazzato molto simile alla defunta, si girò riottoso verso di loro e diede uno spintone alla mewneko facendola quasi finire a terra.

« Ehi! »

Ryou lo placcò subito afferrandogli il braccio, ma quello non si premunì nemmeno di scostarlo o di rivolgergli attenzione:

« Con che coraggio ti presenti qui?! – sibilò puntando la mewneko rabbioso – Voi…! Voialtre, è colpa vostra! Aiuto dovevate portarci…! Guardate che bell'aiuto! »

I presenti vicino a lui tentarono qualche timida parola per blandirlo, poco convinti o forse con troppe poche energie per badare alla sua furia, ma prima che quello insistesse o Ryou intervenisse qualcuno di piccolo spuntò da un angolo frapponendosi tra il moro e Ichigo, un bambino dai capelli mandorla. Il ragazzo indietreggiò solo un istante, confuso dal bimbo che si piazzò a gambe divaricate e braccia spalancate a far da scudo alla rossa e che lo fissò con evidente rimprovero.

« Ora falla finita. »

Non fu il bimbo a parlare, ma una voce profonda e maschile. Ichigo sentì qualcuno afferrarla per un braccio sollevandola con garbo da terra e vide un uomo sulla sessantina, cappelli come cotone e un'ispida barba grigiastra, scoccare un'occhiataccia al ragazzo moro:

« Molti di noi sarebbero morti mesi fa per le esalazioni della Zona Morta senza il loro aiuto, e tanti ancora la scorsa notte. Hanno ogni diritto di essere qui, e ogni diritto di piangere chi non c'è più, come noi. »

Il ragazzo non sembrò per nulla d'accordo, squadrando i due terrestri livoroso, ma non ribattè e scrollandosi di dosso Ryou, a cui rivolse un'ingiuria in jeweliriano che lui e Ichigo non capirono, girò sui tacchi scomparendo nel labirinto ignorando i richiami di chi era con lui.

Ryou sbuffò irritato e andò a controllare lo stato della rossa, rivolgendo un breve cenno al suo aiuto:

« Thank you »

« Sì – mormorò Ichigo spazzolandosi la gonna – Grazie. »

L'uomo le sorrise con dolcezza. Il bambino si avvicinò alla ragazza e le afferrò la mano libera sorridendole e Ryou sussultò, era il bambino con gli occhi verdi che aveva aiutato a scappare la sera della Celebrazione; il piccolo sorrise anche a lui e poi chiese alla ragazza:

« Chi volevi salutare? »

Ichigo, ancora confusa, indicò appena verso Kilig. Il bambino fece strada a lei e all'americano, e l'uomo dai capelli bianchi andò loro dietro, con l'aria di chi ritenesse che ogni singolo defunto presente meritasse un momento di rispetto da tutti i presenti.

La mewneko avrebbe voluto fermarsi appena ebbe il volto di Kilig sufficientemente nel campo visivo, il gelo che le scese lungo la schiena, ma il bambino continuò a camminare e lei, impotente, si lasciò condurre fino a fermarsi su uno dei fianchi lunghi della pira.

« Era una tua amica? »

Lei non fu in grado di ribattere e rimase immobile e silenziosa a fissare la defunta.

Il bambino non aspettò né pretese una risposta alla sua domanda; guardò ancora un momento la ragazza stesa sulla pira, chiuse gli occhi forse rivolgendole una preghiera e quindi lasciò lentamente andare la mano di Ichigo. La rossa lo studiò un momento rivolgendogli un breve ringraziamento, sforzandosi di distogliere gli occhi da Kilig, e lo vide salutare con un tiepido sorriso Ryou e poi zampettare verso un altro punto dello spiazzo, completamente solo.

« Ryou… »

« Uh? »

« Posso… Rimanere qui un momento? Da… Sola. »

Lui la guardò poco convinto:

« Sei sicura? »

La mewneko gli sorrise tentennante e annuì. Lui titubò ancora a lasciarla, ma poi le accarezzò di nuovo il viso e si allontanò, vagando a caso finché lei lo vide dirigersi inconsciamente verso il bambino dai capelli bruni.

Ichigo prese un lungo respiro e si rigirò verso Kilig.

In tutta la sua vita non aveva mai perso un parente, o partecipato ad un funerale, eppure qualcosa di antico e istintivo nella sua memoria le fece riconoscere i dettagli sconosciuti nell'aspetto della ragazza facendola irrigidire di terrore.

Quello era non respirare. Quello era essere morti.

Emise un lungo sospiro sentendo di stare per piangere, ma si tappò la bocca con una mano e ricacciò le lacrime indietro: ciò che stava vedendo, l'incontro con il ragazzo moro, il bimbo che gironzolava tra i defunti da solo, aveva l'impressione di non dover trovarsi lì, di non avere il diritto a sentirsi triste.

« Come la conoscevi? »

Lei sbattè le palpebre umide voltandosi confusa verso l'uomo dai capelli bianchi che l'aveva aiutata a rialzarsi; non si era resa conto che fosse rimasto tutto quel tempo vicino a lei. Farfugliò qualcosa d'indistinto asciugandosi gli occhi e poi tossicchiò:

« Per… Una ricerca. Kilig-san mi ha aiutata e… »

Inspirò a fondo con un tremolio e s'interruppe, era di fronte alla ragazza eppure non riusciva a parlare di lei in alcun modo. Prese ancora aria e tentò di spostare il discorso su altro:

« Ah, volevo… Ringraziarla ancora. – sorrise a stento e fece un piccolo inchino con il capo – Mi chiamo Ichigo Momomiya. »

L'uomo aspettò un istante soppesando il cambio di argomento e poi le sorrise con garbo:

« Taighen Krim. E di nulla. – le disse con gentilezza – Tutti abbiamo perso qualcuno, non è certo una buona ragione per sfogare il proprio dolore così. »

La rossa annuì, il sorriso più incerto:

« Lei…? »

« Mia moglie e mia figlia. »

Rispose con calma quindi tornò a studiare gentile Kilig. Ichigo, il lieve sorriso completamente spento, avrebbe voluto allontanarsi e fuggire il più lontano possibile, ma Taighen non parve della sua opinione e continuò a chiacchierare sereno:

« Se senti che sono di troppo ti lascio un momento. »

« Come…?! L-lei… N-no, no sono io che…! Che…! – prese un gran sospiro e abbassò la testa stringendo la gonna tra le dita – Sono io piuttosto che… Non dovrei stare qui… »

« E per quale assurda ragione? »

Le chiese con una risata garbata. Ichigo continuò a fissarsi le scarpe e a stritolarsi l'abito:

« Qui tutti… Hanno perso delle persone care e io non dovrei… Non eravamo nemmeno amiche… »

« No? »

Ichigo scosse appena la testa con una risata amara:

« Io… A me avrebbe fatto piacere, però non credo che Kilig-san… – le parole di Merurk alle camere ardenti le risuonarono nella mente e le si serrò lo stomaco – E poi di lei non sapevo niente… »

L'uomo rimase ancora in silenzio e le sorrise di nuovo gentile:

« Dubito che Kilig-san avrebbe accettato a lungo la tua compagnia se non le fosse stata gradita. »

« … E lei come…? »

« Sono anch'io un archivista. – spiegò rapidamente al suo sguardo confuso e indicò verso l'alto – Al piano superiore l'Archivio Antico, sezione Ricerca Culture. »

Sfiorò il legno della pira con l'indice:

« Per conoscere alcune persone occorre poco tempo. Per altre ne occorre molto. Dipende dalle circostanze e dalle indoli. »

« Ma io che non la conoscevo ho il diritto di stare qui? »

Domandò la rossa ed ebbe l'impressione che la sua voce suonasse strozzata, come se avesse la gola più stretta del normale. Taighen la studiò:

« Provavi affetto per lei. Mi sembra più che giusto che tu sia triste e voglia dirle addio. »

« Ma come posso? – mormorò la rossa – Io… Non ero nessuno! Di certo ci sono… Aveva una famiglia, dei genitori, aveva una persona che le… »

Deglutì sentendo che la gola le si era serrata al punto da renderle difficoltoso respirare e non riuscì a pensare a Merurk né a nominarlo:

« Come posso paragonare quello che sento al loro dolore? »

« Oh, gli dei mi aiutino, che sciocchezza. »

Ichigo, il labbro inferiore stretto tra i denti, lo guardò interdetta dal commento e l'uomo sospirò con un sorriso dolente:

« Come si può paragonare il dolore di una perdita ad un altro? Nessuno di noi è uguale, nessuno di noi ama allo stesso modo le stesse persone. Cercare di capire chi soffra di più o di meno è solo un contorto e sterile esercizio di senso di colpa.

« Non posso dirti che proverai ugual dolore di chi la conosceva intimamente, o di chi l'ha vista nascere. Ciò che sto dicendo è che non puoi dare un valore alla tua sofferenza, pensi che chi ci ha lasciati voglia questo? »

La rossa non seppe rispondergli e lasciò piano la presa sul suo abito, stringendosi le mani sul viso ormai al limite.

« Le volevi bene, in un modo o nell'altro che fosse. Sei libera di salutarla come tutti coloro che gliene hanno voluto, né più ne meno. – Ichigo sentì la mano dell'uomo, rugosa e morbida, posarsi con gentilezza sulla sua spalla – E sei libera di piangere quanto desideri. »

A quelle parole le ultime resistenze della rossa cedettero. Affondò il viso tra le dita e scoppiò in singhiozzi, incurante che qualcuno la vedesse o dicesse alcunché, sfogandosi finché potè riacquisire un minimo di controllo e presenza di sé, sebbene le lacrime non si fossero fermate; aveva l'impressione che qualcuno continuasse a tenerle strizzato il cuore in una morsa, eppure si sentì più leggera.

Ryou tornò indietro pochi istanti dopo, fermandosi un poco più in là in sua attesa. Ichigo lo notò con la coda dell'occhio e asciugandosi il volto madido osò allungare la mano per sfiorare quelle di Kilig che le avevano posato sul petto: non fu una sensazione piacevole la pelle gelida sotto le dita, però non le scostò allontanandosi dalla ragazza lentamente; rivolse a Taighen un cenno di saluto a cui l'uomo rispose con un ugual movimento del capo e un lieve movimento delle labbra.

« Tutto bene? »

Ichigo si lasciò abbracciare e scosse la testa:

« Non proprio – ammise e le sfuggirono altre lacrime che asciugò con un gesto nervoso – però sono riuscita a salutare. »

Ryou annuì, le diede un bacio sulla fronte e si avviò dirigendosi verso gli altri. Mentre si allontanarono Ichigo si voltò un'ultima volta e per un secondo vide Taighen, fermo dove lo aveva lasciato, chinarsi e accarezzare amorevole il viso di Kilig prima che entrambi diventassero troppo lontani per distinguerli.

 

 

Per rispetto sembrò giusto a tutti andare a porre l'estremo saluto a Teruga, cosa che si rivelò estremamente lunga. Consiglieri, soldati e civili fecero la fila di fronte alle spoglie dell'uomo, che pur agghindato e ben sistemato sul suo giaciglio parve molto più piccolo e fragile di quanto fosse stato mai.

Lei e gli altri furono invece gli unici a portare omaggio a Kiddan, assieme però a tutti i Membri Ristretti e a qualche ufficiale e qualche membro più attempato della sezione scientifica; pareva che nessun altro avesse la minima idea di chi fosse l'anziano lì steso o cosa facesse di così importante per Jeweliria mentre era in vita. Prima di andarsene Ichigo vide MoiMoi tirare fuori qualcosa dalle pieghe del vestito e posare sotto l'unica mano rimasta dell'uomo i suoi occhiali telescopici, incastrandoglieli saldamente tra le dita.

Alla vista del violetto Ichigo si scambiò occhiate mute con tutti e immaginò di dover affrontare l'addio che, assieme a quello di Kilig, la spaventava di più, quello di Sando. Eppure dopo aver girato due volte a vuoto il solo posto, a detta di Kisshu e degli altri, dove il suo corpo poteva trovarsi non lo videro da nessuna parte. Le ragazze non domandarono mentre i movimenti della folla annunciarono l'inizio della funzione vera e propria, guardandosi tra loro dubbiose; a Zakuro inoltre non era sfuggito che il violetto non fosse andato con loro tra i caduti dell'Armata fin dall'inizio, spostandosi da solo sul limite del Santuario, così come non era sfuggito ai ragazzi che parlottarono tra loro confusi.

« Senpai? »

Fu Kisshu, quando tutti si dovettero disporre lontano dalle pire, a bisbigliare i suoi dubbi. MoiMoi lo guardò indecifrabile.

« Perché non…? »

« Perché è così. »

Aveva solo risposto, criptico, e l'inizio della cerimonia aveva impedito qualsiasi altra domanda o commento.

La Capo Consiglio Meryold, sebbene ancora debole, partecipò mostrandosi sul limite del crinale, ma a parlare in vece sua fu il giovane Thugar. Il consigliere disse poche forti parole di cordoglio, commemorando ed elogiando ogni morto con ugual dolore e proseguì con serafica angoscia:

« … Ci aspettano giorni incerti, non nascondiamoci e non neghiamolo. La causa del male che stanotte ci lasciamo dietro non resterà in silenzio, ma che loro sappiano questo: ognuno di noi farà ogni cosa in suo potere, ogni sforzo sarà compiuto e questa volta attenderemo pronti a lottare e a difenderci. Tutto ciò che potremo compiere per non essere piegati, lo compiremo. »

La folla, fino ad allora avvolta da un denso silenzio raccolto, si lanciò in un unico, breve e deciso grido di assenso. Le voci si spensero quasi subito e Thugar tornò a parlare quasi sottovoce completando la funzione; un piccolo pannello luminoso gli apparve sul palmo della mano, lo premette e un qualche meccanismo nascosto incendiò simultaneamente ogni pira, accendendo un piccolo oceano di stelle infuocate sull'erba.

Guardando le fiamme alzarsi pigre verso il cielo scuro Ichigo sentì le parole di Thugar rimbombarle nelle orecchie.

Ognuno avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere.

Ma cosa si poteva fare?

Anche loro, cosa potevano fare?

Lei che era miseramente…

Un lampo la scosse mentre i fuochi, probabilmente a causa di un agente sparso sul legno, bruciavano molto più velocemente del normale e andavano già affievolendosi dopo aver divorato vesti e carne.

Era vero, lei inspiegabilmente aveva perso i sensi durante la battaglia. E quell'inspiegabilmente era il punto che più la turbava.

Non era stata male, non era stata ferita, non aveva avuto così tanta paura o subito un qualche shock da perdere i sensi.

Lei aveva sentito una voce. Una voce… Quella che sentiva da mesi, che le aveva sussurrato più volte consigli e frasi incomprensibili nella notte, che tormentava i suoi sogni con visioni di una vita che non le appartenevano. Anche la sera della Celebrazione aveva visto, ancora, gli stessi volti.

Luz. Deep Blue. E…

Tayou.

Le fiamme ormai erano divenute basse e molti fuochi ormai cenere sulle pietre su cui erano stati edificati. Ichigo non badò che gli altri la guardassero o la fermassero, e mentre uno stormo di rêves, rimasto fino ad allora quieto tra le fronde, si alzò in bagliori dorati sopra la volta inesistente del Santuario Ichigo prese a correre.

Corse, corse, corse senza mai voltarsi indietro, l'abito tenuto tra le braccia per non inciamparvi che le scoprì le gambe in modo quasi indecente, ma lei doveva muoversi con libertà. Arrivò al punto da cui le avevano mostrato come scendere alla Città Sotterranea e solo per un secondo rallentò temendo fosse stata eretta di nuovo la barriera, ma il bracciale al suo polso vibrò e lei attraversò il muro invisibile come fosse stato aria. Corse ancora, giù per le ripide scale di pietra, nell'oscurità totale che la notte portava là sotto, e cacciò un grido quando un piede le scivolò e lei cadde per cinque gradini rischiando di sfracellarsi; riuscì ad arrestare la caduta e non si fermò a lamentarsi, riprese la gonna tra le braccia, si alzò e si trasformò iniziando a scendere a balzi le scale fino a saltare a quattro zampe attraverso il tetto sfondato dell'edificio coi tornelli. Aiutata dagli occhi felini prese a correre più forte, i passi che rimbombarono contro il soffitto infinito, saettando tra i vicoli e balzando su e giù dai tetti delle case; alcune tegole marce le si sfondarono sotto i piedi e lei buttò un altro urlo cadendo ginocchioni su un pavimento dure e polveroso, ma ancora non si fermò: si tirò in piedi, più dolorante dell'ultima caduta, controllò che fosse tutto a posto e riprese a correre.

La forma di quel sogno le era esplosa in mente così violentemente da toglierle il respiro.

Luz bambina che consolava il fratello Nuvem su un albero, poi l'immagine che cambiava repentina; luce, nero e la penombra di una grotta, ampia, tonda, tenuemente illuminata dal Dono che fluttuava al suo centro. E la voce di Ao No Kishi, di Tayou, che le chiedeva di raggiungerla.

Lei aveva già visto la grotta in cui avevano nascosto le Gocce dopo che Lenatheri aveva tentato di rubarle, ma non alla Celebrazione della Prima Luna. Settimane prima, poco dopo l'esplosione al laboratorio, ma tra il rifiuto di Pai di accompagnarla laggiù e tutto ciò che era successo dopo aveva rimosso quanto visto.

Passò attraverso la stretta apertura nella roccia e raggiunse la grotta ormai senza più aria nei polmoni. Fortunatamente lo spazio continuava ad essere illuminato da una debole luminescenza e lei potè orientarsi per raggiungere il centro della cavità, il cuore che riprese un battito regolare e una fredda, feroce consapevolezza che iniziò a far capolino in un angolo della testa. Pregò che le macchie scure accanto a cui camminò non fossero schizzi di sangue e iniziò ad ispezionare le pareti, dicendo forte e chiaro:

« Lo so che mi senti. So che mi vedi, e so che puoi parlarmi. – precisò con un certo livore – Mi devi delle spiegazioni quindi, parla! »

Per qualche momento non accadde nulla ed Ichigo iniziò a temere di non avere capito per l'ennesima volta. Poi di fronte a lei l'aria iniziò a vibrare e, pallida e trasparente, comparve l'immagine di Ao No Kishi che le sorrise contrito:

« Ho temuto che non saresti mai venuta. »

« Infatti. – ammise lei – Poi mi sono venuti dei dubbi sull'altra sera. Su quello che mi è successo. »

L'immagine non le rispose e guardò altrove:

« Questo posto, come ogni cosa che il Dono degli Avi tocchi al suo stato originale, è saturo del suo influsso, come una radiazione. È l'unico posto in cui avrei potuto… »

« Sei stato tu a mettermi fuori gioco, vero? »

Lui rimase di nuovo in silenzio e ad Ichigo bastò come risposta. Sentì le unghie tendere pericolosamente la stoffa dei suoi guanti:

« Sei stato tu… »

« Dovevo impedirti di rischiare tanto. »

« Ho abbandonato le mie amiche a combattere. – ribattè lei senza fiato e gli occhi le si inumidirono – Ho lasciato Sando-san morire. »

« Se fossi arrivata sareste morti entrambi. »

« Potevo salvarlo! – strillò la rossa – Potevo aiutarlo! »

« Se Toyu ti avesse vista, qui, con il Dono attivo e tutte le emanazioni che vibrano tra queste pareti, ti avrebbe scoperta e uccisa. »

« E PER QUALE MOTIVO?!? – gridò ancora più forte – PER QUALE, SE MI È LECITO SAPERLO! PER QUALE MOTIVO SAREI…!! »

Ao No Kishi allungò l'indice verso di lei e Ichigo si zittì di colpo intanto che un lampo di luce iridescente splendette su di lei; per meglio dire risplendette da lei, all'altezza di quel punto da cui, prima di perdere i sensi giorni prima, aveva sentito provenire tanto dolore. La ragazza si premette una mano sul petto mentre la luce si spense e scosse la testa:

« No… Io… Non posso, era Retasu, Retasu aveva una Goccia nel… »

« La tua amica ha attirato una Goccia del Dono quando il cristallo che lo custodiva si è scisso liberandone la forma pura. – annuì Ao no Kishi – Ma tu non custodisci una Goccia. »

Ichigo scosse solo il capo senza riuscire a seguirlo.

« Tu hai un frammento di cristallo, di Dono allo stato dormiente. Lo stesso che era nascosto sul Pianeta Azzurro, lo stesso che i tre Ikisatashi hanno portato a Jeweliria. »

La rossa insisté con il suo vano negare e farfugliò:

« No… Come posso… Io…? Quando…? »

« Oh, puoi arrivarci se rifletti. – le disse con affetto e si puntò l'indice alle labbra – È successo quando Masaya Aoyama ti ha ridato la vita. »

Ichigo smise di muovere la testa e sgranò gli occhi:

« … Come…? »

« Il Dono è molto più legato a Deep Blue di quanto tu immagini. Rifletti! – la incitò – Dov'era custodito l'ultimo e più grande frammento di cristallo? Nel corpo di Masaya Aoyama. »

« Ma quello è uscito dopo che Deep Blue è morto! – insisté Ichigo frastornata – Kisshu e gli altri lo hanno preso! Lo hai detto anche tu! »

« Forse non tutto. – suggerì – Forse, quando Aoyama si è trafitto per portare con sé Deep Blue e rilasciare la MewAqua al suo stato attivo, ha scheggiato il cristallo che portava in petto. Forse un frammento è rimasto in lui. »

Puntò di nuovo l'indice verso di lei e stavolta la luce fu più piccola e definita, e sforzandosi di chinare il capo Ichigo vide un piccolo bagliore simile ad una scheggia grande a stento tre centimetri dietro la stoffa del corpetto.

« Un frammento che lui ha passato a te per farti tornare a questo mondo. »

« E tu mi avresti… Impedito di aiutare i miei amici solo per uno schifosissimo, inutile frammento?!? »

« Senza quel minuscolo frammento il Dono non sarà mai completo. – le disse piano – Una cosa che non importava a Jeweliria per risorgere, ma che non permetterà a Deep Blue di terminare… »

« Cosa?!? – tuonò ancora la rossa – Sono stufa di mezze parole e mezzi chiarimenti! Cosa c'entra Deep Blue con la MewAqua, o Dono degli Avi come cavolo lo vuoi chiamare?! Cosa c'entra Luz?! Cosa c'entro io e tutti quei ricordi, quei sogni, quella roba che ho visto?! Cosa c'entri tu?! »

Ao No Kishi parve sospirare e chiuse gli occhi, quasi si ritrovasse costretto a prendere una decisione a lungo evitata.

« Ti dirò tutto, Ichigo. Del Dono, di come e perché sia nato, del suo legame con tutti noi. »

Le porse la mano trasparente. Ichigo, torva, la fissò per lunghi istanti prima di prenderla e vedere l'ambiente attorno a sé iniziare a scomparire in un mare di luce accecante.

« Ti parlerò di mia sorella Luz, di me e di mio fratello Nuvem. – la voce di Ao No Kishi fu la sola cosa che parve rimanere tangibile mentre il suo corpo e la sua coscienza volavano via verso il nulla assoluto – E del più grande errore della mia esistenza. »

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 (*) questo termine è portoghese. Per la sua traduzione mi sono affidata alla definizione di un autore che amo molto, Gabriel Picolo, che è di origini brasiliane e parla appunto portoghese: saudade (saudad) è "ciò che rimane dell'amore" quando qualcuno se ne va, è il ricordo di sentimenti, posti o esperienze che potrebbero o non potrebbero tornare mai più. (qui l'illustrazione originale)

(**) lieve storpiatura di  Ω, Θεέ μου  (letto oh thè ) che è un'esclamazione in greco moderno equivalente al nostro mio Dio.

(***) ripassino, MoiMoi lo accenna nel cap. 46: sono i quattro piccoli centri realizzati dai jeweliriani nel loro percorso di espansione sul pianeta, i nomi vengono da quelli con cui i babilonesi dividevano la volta celeste (Itâne per iltânu , nord – Sûte per sûtu , sud - Amirrû per amurrû , ovest – Sadì per sadû , est)

(****) da 死亡(Sǐwáng) ossia morte in cinese

 

 

 

 

 

 

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~

 

Ooooh, volete dire che finalmente ci capirete qualcosa?! Dai sì che ce la facciamo su ♥  (se riesco a spiegare senza lasciarmi dietro nessun dettaglio… Ehehehe *risata nervosa*) ovviamente la storia del frammento dentro Ichigo è solo un mio personale delirio, non trova riscontro :P ma tanto di info ce n'è poche e niente quindi puppa :3

Ora preparatevi ad un altro salto nel passato, ben 300 milioni di anni fa *musica alla Piero Angela* pronti per le turbe mentali? ♥ 
Tutti: ma anche no!

Ringrazio da morire Sonrisa_ (bentornataaa ♥ ), mobo, Danya e LittleDreamer90 per i commenti, e tutti coloro che continuano a seguire 'sto brodone! Vi do la buonanotte che ho assolutamente bisogno di riprendermi un pochettino (tanto altro lavoro mi attende TwT - che faccina si fa quando uno è cotto dalla stanchezza ma felicissimo?) e poi rilanciarmi nel lavoro, aggiornerò… Boooh? :P spero presto e nel caso tenete d'occhio Fragment of Path :D


Mata ne
~ ♥!

Ria

 

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Capitolo 52
*** Outside the crossing III ***


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Salva anche tu una tastiera da pazzoidi che le massacrano scrivendo come disperate! Non chiudere gli occhi, puoi salvare milioni di vite elettroniche.

 

 

 

 

 

Incredibile sono vivaaaaaaah T____T un capitolo che è stato un delirio di spremitura di meningi, di fegato, di voglia di fare e di autostima (non dico "è stato un parto" che in questo periodo potrebbe essere malaugurante xD)! Il socio ha fatto un'uscita del tipo "ha un vago sentore da Cronache del Ghiaccio e del Fuoco", non so se devo prenderlo come un complimento, un vago dubbio se gli ormoni prémaman mi abbiano intossicata o se semplicemente fosse un modo elegante per dirmi che mi sono rincoglionita ^^""

È giunto il momento di capirci qualcosa di più (?)

Tutti *ansia*: perché il punto interrogativo -.-"?

*ignora* parleremo dei fratelli Melynas (ah, ma ? Non si intuiva dal titolo -.-") e di come siamo arrivati alla MewAqua e tutto il resto… Alti livelli di turba mentale, ho attinto dagli incubi della mia infanzia e da Sentieri che mia nonna mi costringeva a guardare xD

Tutti: che °-°"?!?

No dai scherzavo ^^""

Tutti *scettici*: ah…

Se voleste risfogliarvi i vari flashback sui Melynas visti lungo la storia li trovate ai capp. 33, 36, 39, 44, 45 e 48. A dopo! ♥  

 

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Cap. 52 – Outside the crossing III:

                Melynas

 

 

 

 

 

Nei suoi ricordi di bambino c'era un'immagine che rimaneva nitida per quanto tempo fosse trascorso e per quante vite avesse attraversato. Era un dipinto inciso su una delle pareti più larghe del chiostro principale del palazzo di suo padre, una rappresentazione dell'ordine della società e su cosa si fosse costruito il loro mondo.

Dal basso il popolo del Pianeta Azzurro, uomini, donne, bambini, tutti ugualmente vicini e di pari valore tra di loro; subito sopra il Consiglio Maggiore con i suoi trenta membri, a loro volta sormontati da due file di tre figure ciascuna.

Quelle più in alto erano dipinte con colori particolarmente sgargianti. A sinistra la Grande Dama Rossa, rappresentava l'alba e il tramonto, l'inizio e la fine delle cose e della vita e sorrideva dolcemente verso chi ne osservava il bellissimo volto. A destra il Custode Bianco, guerriero dei deboli, protettore delle bestie e di ogni creatura vivente impossibilitata a difendersi con la parola e la ragione. Al centro poi il Saggio Azzurro, sovrano tra i tre, colui che sosteneva il cielo, custodiva la terra e gli oceani e aveva insegnato alla sua gente la giustizia e vegliava perché l'equità regnasse.

Lui adorava l'immagine della Grande Dama Rossa per la delicatezza del suo viso, tale che aveva sempre pensato sin da piccolo di non poter mai temere la morte, se ad accompagnarlo dall'altra parte sarebbe stata quella figura tanto materna e rassicurante. Ma a riempirlo di orgoglio era il Saggio Azzurro, raffigurato lì come ovunque con gli splendenti capelli dorati e gli occhi di un celeste tanto intenso da parer vivo, gli stessi capelli e gli stessi occhi che contraddistinguevano lui e che avevano tutti i membri della sua famiglia, la casata Melynas.

Ed eccoli, sopra il Consiglio e sotto i tre dei, i portavoce dei Melynas rappresentati come anonime e meravigliose figure senza volto dai capelli color oro e dagli sguardi azzurri, a rievocare il posto delle tre divinità e a presiedere le tre maggiori cariche di tutta la loro società. La famiglia Melynas era considerata da secoli diretta discendente del guerriero la cui potenza e nobiltà d'animo gli avevano concesso di salire e regnare tra le divinità divenendo il Saggio Azzurro. A tal merito di sangue i membri del ramo principale della stirpe Melynas venivano assegnati da consuetudine a tre compiti fondamentali: comandanti generali dell'Armata, sommi sacerdoti del Santuario e in ultimo corona del regno, governo e reggenza del Consiglio Maggiore.

Tale usanza aveva portato la famiglia Melynas a due strane norme che ne regolavano la stirpe.

La prima era che ciascun membro che sarebbe stato insignito della carica di sovrano avrebbe dovuto dare alla luce tre figli, che a loro volta avrebbero ricoperto i tre ruoli che la famiglia aveva per diritto di nascita.

La seconda regola si concentrava sulla distribuzione di tali ruoli.

Indipendentemente dal sesso dei bambini, il primogenito avrebbe tenuto il ruolo di generale dell'Armata: egli sarebbe stato il primo, colui che avrebbe in seguito avuto la responsabilità dei fratelli o sorelle minori e perciò colui che più degli altri avrebbe facilmente imparato a custodire ed avere cura degli altri, a indirizzarli come un buon comandante doveva fare con i suoi soldati.

Il secondogenito, o secondogenita che fosse, sarebbe diventato sovrano: egli avrebbe avuto alle sue spalle i genitori, più esperti nel loro ruolo e più abili nel fargli strada nella vita, e un fratello o una sorella che gli avrebbero fatto da sostegno e guida mentre gli venivano insegnate le difficili leggi del loro mondo e gli oneri che un re o una regina doveva fare suoi verso il suo governo e verso il proprio popolo, di cui i fratelli minori sarebbero stati esempio.

Al terzogenito sarebbe toccata la custodia del Santuario. Sotto l'ala dei maggiori sarebbe cresciuto libero di poter essere iniziato alle usanze e ai riti del popolo, avrebbe visto dai fratelli cosa volesse dire prendersi cura di chi era più fragile e avrebbe imparato ad avere un animo gentile e bendisposto, adatto per chi doveva fare da portavoce per gli dei.

Tayou Melynas, 46° discendente della casata, sapeva fin dalla più tenera età quale sarebbe stato il suo ruolo in quanto primogenito dell'allora sovrano Gima Melynas, e ne era entusiasta: l'idea di servire il futuro sovrano e comandare l'intera Armata, potersi dedicare alla spada e non a libri noiosi gli pareva il più grande divertimento del mondo.

Però iniziava a temere che il suo ruolo sarebbe dovuto cambiare: per il casato, la supremazia sul Consiglio Maggiore prevaricava senza dubbio la gestione dell’Armata e il piccolo Tayou, ancora, non aveva avuto né fratelli né sorelle che potessero rivendicare il proprio ruolo. I risultati nefasti dei secoli in cui la sua famiglia aveva ostinatamente tentato di preservare il proprio sangue puro, sposandosi tra parenti, stavano iniziando a manifestarsi rendendo i membri della stirpe molto vicini alla sterilità e con forti problemi di salute. Delle tre gravidanze che sua madre Nantan ebbe dopo Tayou nessuna superò il quarto mese, minando seriamente la costituzione non proprio robusta della donna, ma ella voleva che il re avesse la discendenza che meritava e ancora non si rassegnava, senza cedere alla salute sempre più fragile né al dolore del proprio animo.

All’ennesimo fallimento i due sovrani pregarono un distinto gruppo della sezione scientifica perché lavorasse in segreto per capire come poter realizzare il desiderio di Nantan e quando, temendo per la loro stessa vita, annunciarono a Gima che il problema veniva da lui, il sovrano dapprima si disperò e poi propose una soluzione alla moglie, una soluzione che tennero a lungo segreta e che i consiglieri e i fratelli di Gima rifiutarono con energia anche quando questa si ritrovò su una via di non ritorno.

La conoscenza scientifica degli abitanti della Terra in quei secoli era già estremamente avanzata e l'aiuto al concepimento in laboratorio non era una prassi sconosciuta né rischiosa, ma era sufficientemente rara e così poco necessaria da far storcere il naso alla maggior parte della gente. Nantan però non voleva accettare di non donare al suo amato sposo e cugino i figli tanto desiderati e accolse l'idea di Gima fiduciosa in lui e nei loro studiosi. Per settimane il sovrano e i suoi ricercatori selezionarono e confrontarono soggetti, finché venne scelto un giovane soldato dell'Armata i cui meriti e doti sembrarono più che adatti a Gima per renderlo  degno sostituto del suo seme sterile. Tayou vide solo una volta l'uomo, di cui non seppe mai il nome e di cui mai nessuno, al di fuori dei pochi selezionati e dei suoi genitori, poté né volle dire mai chi fosse o dove poterlo trovare; il bambino ricordò solo e sempre, in quel giorno in cui per caso lo vide congedarsi da suo padre, i suoi occhi neri con riflessi dorati e i suoi capelli, parimenti neri come una notte senza luna.

Ottenuto ciò che serviva gli scienziati suggerirono a Nantan un tranquillo ritiro alcuni mesi un luogo ignoto con un ristrettissimo gruppo di ancelle e studiosi che avrebbero assistito alla fecondazione in vitro e poi al passaggio alla donna, monitorando la gravidanza fino al termine del periodo più pericoloso per lei, finché fu annunciato il ritorno della sovrana, una dolce ma già ben chiara rotondità sotto le vesti.

l’esito vittorioso e felice del tutto avvenne quattro mesi dopo, una mattina sul finire dell'inverno limpida e gelida. Tayou fu accompagnato su ordine del padre negli appartamenti di Nantan da dove, incuriosito, non sentì provenire altro che dei lievi brusii. Entrò titubante e trotterellò fino al letto su cui la madre stava stesa stanca e appagata, un fagottino di elegante stoffa bianca ricamata tra le braccia.

Tayou dovette arrampicarsi sul letto per vedere bene il misterioso involto e continuò ad avere un'espressione scettica. Altri bambini, seppur pochi, erano nati durante la sua breve vita tra le varie coppie della famiglia, tra vari zii e cugini e parenti dei rami cadetti, e tutti erano stati accolti dallo stesso scenario un po' spaventoso: gente affaccendata che correva e sbraitava ordini, grida di donne e poi, se la sorte era stata propizia, lo strillo acuto e disperato del neonato che trapanava i corridoi silenziosi. Suo fratello invece gli parve assolutamente tranquillo: respirava piano, accoccolato nella sua coperta di seta, gli occhi stretti e i pugnetti sul viso e un sottilissimo ciuffo di capelli sul capo, nero come la pece; a dispetto di altri bambini che aveva visto lui era grosso – o almeno, a Tayou parve grosso quando semplicemente era abituato a creaturine sopravvissute per pura fortuna alla nascita – e la sua pelle diafana era tuttavia sana, lucida e morbida e non solo un velo teso a fatica sopra le ossa fragili.

Nantan tese la mano per prendere quella del suo primogenito e la tirò delicatamente verso di sé; Tayou obbedì, strusciando le ginocchia sulle coperte, e si accoccolò contro la madre che lo abbracciò e girò il neonato a favore del suo sguardo:

 « Tayou, ti presento il tuo fratellino – gli sussurrò all'orecchio baciandogli la fronte – Nuvem. »

Gli riprese con garbo la mano e gliela fece poggiare leggera su quella del bambino che emise un versetto confuso aprendo il pugnetto e richiudendolo, stringendo d'istinto il dito di Tayou che si trovò vicino. Il biondino trattenne il fiato guardando spaventato la madre che rise piano e lo incoraggiò con un cenno, sorridendo più ampiamente mentre Tayou, prima incerto poi con decisa delicatezza, prese a sfregare il pollice sulle nocche tonde del fratellino.

« Nuvem – disse ancora la donna e stavolta baciò il capo spoglio del più piccolo – questo è Tayou. »

« Ciao Nuvem. »

Sussurrò pianissimo il bambino ed ebbe l'impressione che il bizzarro vagito del piccolo fosse una risposta.

 

 

 

« Avanti miei prodi, all'attacco! »

« Nuvem, aspetta! Non correre così! »

Il bimbo di quattro anni rise forte agitando lo stecchino che avrebbe dovuto simulare una spada, gli fece una linguaccia e accelerò il passo sgusciando a serpentina tra colonne e domestici, sordo alle proteste del fratello maggiore che lo tallonava ridendo.

I due corsero per i corridoi di pietra persistendo nel loro gioco sereni e felici, il sole che irrompeva dalle finestre spezzato dai pannelli solari in perenne orbita attorno alla torre centrale(*), quando ad un certo punto Nuvem girò in un angolo sparendo alla vista di Tayou pochi secondi e mandando un improvviso lamento, seguito da un tonfo; il biondino si preoccupò e si sforzò di accelerare il passo riuscendo a scorgere il fratellino a terra, lamentandosi mentre si massaggiò il fondoschiena leso nella caduta, e di fronte a lui un uomo dagli ispidi capelli biondi che sibilò velenoso:

« Non puoi stare attento a dove vai?!? »

« Ahi… Mi scusi, non l'avevo… »

« Ecco cosa si ottiene a mescolare il nobile retaggio Melynas come se fossimo animali da selezionare. – ringhiò a denti stretti – Questi piccoli… Oh, Tayou-san…! »

La voce aspra dell'uomo divenne immediatamente zuccherina appena individuò il viso conosciuto del primogenito di Gima, ma questi non si preoccupò di ricambiare il saluto: si avvicinò a Nuvem, ancora seduto sul pavimento freddo e con lo sguardo offeso verso i suoi piedi, lo aiutò ad alzarsi assicurandosi non si fosse fatto male e prendendogli la mano si allontanò, scoccando un'occhiata feroce all'uomo e tenendosi vicino il fratellino con fare protettivo. Il morettino non disse una parola per un lungo tratto, serrando le dita sul palmo del maggiore con gli occhi sempre a terra:

« … Ho perso la mia spada… »

Borbottò con aria depressa e Tayou gli sorrise:

« Ti do la mia – disse premuroso porgendogli il suo stecchino, più lungo e sottile – è un fioretto. »

Nuvem sembrò apprezzare il gesto e ancor di più la descrizione dell'arma. La prese con garbo e iniziò a farla sibilare a mezz'aria ritrovando l'allegria, dichiarando orgoglioso che dopo un gesto così nobile il suo miglior soldato necessitasse di un'arma nuova di zecca ancor più magnifica e di dover andare entrambi alla sua ricerca. Tayou gli sorrise e annuì divertito seguendolo baldanzoso, cercando di ignorare la sensazione di fastidio e rabbia che aveva avuto allontanandosi dall’uomo biondo.

Anche se tutti tentavano di nasconderlo scene simili non erano una novità ai suoi occhi e la cosa lo mortificava e preoccupava: né suo padre né sua madre dimostravano un atteggiamento diverso nei confronti di Nuvem, trattato e amato esattamente come il loro primogenito, né lui vedeva cosa potesse avere di tanto diverso il suo fratellino se non i lucenti bei capelli neri. Ma tra gli altri membri delle famiglie cadette dei Melynas, specie tra i più vicini come discendenza a Gima serpeggiava un astio evidente nei confronti del piccolo Nuvem: per loro, a cui i ruoli di comando erano stati negati come legge di sangue, l'accettazione di un bambino meticcio come famigliare del sovrano e suo futuro erede del titolo era pari ad una vergogna personale; non perdevano occasione per bisbigliare tra loro e notare quanto il bambino fosse manchevole, sciocco e tanto inferiore al fratello "di sangue puro", oltre ad aggredirlo per sciocchezze come quella a cui Tayou aveva appena assistito, cose che di norma non avrebbero avuto più clamore di un granello di polvere che fluttuava a mezz'aria.

Nuvem però non era assolutamente un bambino sgradevole, o rozzo, o poco intelligente, al contrario era garbato, obbediente, estremamente acuto e desideroso di imparare, dotato di una forza non paragonabile ai suoi vari cugini che difettavano della loro genealogia ormai debole; era di certo un po' più riservato del fratello e più silenzioso, più disincantato di lui sulla realtà delle cose già dalla prima infanzia tanto che, com'era inevitabile, ebbe appena raggiunto l'età della ragione quando Gima e Nantan si ritrovarono a dovergli raccontare le vicissitudini della sua nascita. La questione tuttavia non aveva minato l'affetto del piccolo per i genitori, né per Tayou che vedeva come suo unico amico ed esempio; ogni tanto gli occhietti celesti di Nuvem venivano attraversati da una lucina di invidia per la stima che tutti parevano provare nei confronti del biondino, ma bastava una sua parola incoraggiante e tutti i cattivi pensieri svanivano.

 

 

 

Fu una sera sul finire dell'estate. La loro balia li aveva messi entrambi a dormire, ma Tayou e Nuvem uscirono ugualmente dalla loro stanza dirigendosi verso gli alloggi dei genitori da cui, raggelando, udirono le grida di Nantan sin dall'altro capo del corridoio. Nuvem si aggrappò alla manica del fratello, più pallido di lui:

« Tayou… La mamma… »

Il biondino non rispose e continuò a camminare, acquattandosi con il fratellino tra le ombre perché nessuno li scorgesse.

Da tempo sapevano che la madre si tormentava perché Nuvem e Tayou restavano ancora soltanto in due, uno di cinque anni e l'altro già di nove; tuttavia non si era sentita di praticare una seconda volta il lungo processo che aveva portato alla nascita del più giovane e, con la sua salute divenuta con il tempo sempre più cagionevole, e tutti lei compresa avevano iniziato a pensare fosse meglio se per quella generazione gli eredi diretti fossero soltanto loro. Poi l'autunno precedente un miracolo, la sovrana era rimasta incinta del consorte: la gravidanza, contrariamente alle prime aspettative, era proseguita senza intoppi, al contrario del fisico di Nantan che era andato via via indebolendosi, come se non avesse altro modo di sostenere il feto se non donandogli tutte le energie della madre.

Quel pomeriggio era iniziato il travaglio, ma Tayou e Nuvem avevano potuto dare appena un saluto alla madre prima di essere trascinati via. La situazione fin dall'inizio si era fatta precaria e le grida di dolore di Nantan avevano presto iniziato a rimbombare per i magnifici corridoio del palazzo. I due bambini, invisibili in un simile frangente, avevano tenuto le orecchie aperte tutto il tempo e avevano rapidamente capito che presto sarebbe finito tutto; l'atmosfera di generale paura, però, aveva messo Tayou in allarme e aveva convinto entrambi a dover raggiungere la madre per verificare con i propri occhi lo stato delle cose.

I due sgusciarono dietro le colonne stando ben attenti a non farsi scoprire e quasi senza vedere la strada che stavano percorrendo nel buio, andando a memoria, finché a poco più di metà tragitto le grida cessarono. I bambini si guardarono allarmati, rimanendo in attesa qualche momento per capire cosa stesse accadendo, quindi al perdurare del silenzio saltarono fuori da dietro un grosso vaso e corsero verso le camere di Nantan.

Si fermarono di colpo quando videro Gima fuori dalla porta, seduto contro di essa con il volto tra le mani; il padre alzò lo sguardo appena li sentì e loro si prepararono ai rimproveri, ma l'uomo invece con un singhiozzo spalancò le braccia e li invitò a gettarvisi dentro. I bambini smisero di respirare e obbedirono al tacito ordine, buttandogli le braccia al collo e piangendo in silenzio, confusi eppure consapevoli della spaventosa realtà.

Nessuno dei tre si mosse finché un'anziana ancella di Nantan non aprì delicatamente la porta, tossicchiando per richiamare l'attenzione:

« Mio signore… »

Gima annuì con un lungo sospiro tremulo e si alzò, conducendo i due bambini con sé dentro la camera. Nantan era sul suo letto, lavata e rivestita con abiti puliti, e pareva dormisse; Tayou e Nuvem trattennero il fiato e piansero forte, salendo sulle coperte e abbracciando il corpo ancora tiepido della madre e lasciandole un ultimo bacio sulle guance, quindi videro la donna anziana avviarsi verso un angolo della stanza e tornare indietro con qualcosa in braccio. Gima, nonostante il dolore sul volto, si ricompose e sorrise triste prendendo il fagottino minuscolo dalle mani dell'ancella e facendo cenno ai due figli di raggiungerlo. Loro obbedirono asciugandosi il viso e lo studiarono mentre quello si inginocchiò alla loro altezza:

« Qui c'è tutta la forza di vostra madre. Sarà vostro compito averne cura, d'accordo? »

I due annuirono tentennanti e osservarono attenti Gima che scostò un poco le coperte, rivelando un esserino minuscolo e gracile, dalla pelle bianca come neve e un'espressione di totale serenità sul visetto tondo.

« Lei è Luz. »

 

 

 

Per i primi istanti in cui Tayou capì che Nantan era riuscita a partorire, perdendo la vita, egli fu certo che avrebbe detestato il fratello o la sorella che gli aveva strappato la sua adorata madre; appena il suo sguardo si era posato su quel fragile fagottino della sorella minore, però, ogni suo livore era scomparso.

Le parole di Gima gli suonarono tremendamente vere ad ogni anno che passava, Luz era l'energia e la vita che erano appartenute a sua madre in una nuova esistenza.

Luz era fragile e delicata come un papavero, costretta spesso a letto per un raffreddore o una leggera febbre per tutta la fanciullezza, e tuttavia era solare e gioiosa, una bambina allegra, gentile e dolce con un cuore generoso all'apparenza incapace non solo di odiare, ma anche di provare il minimo risentimento; Luz non piangeva mai, non si lamentava quando stava male, impegnandosi anzi per rassicurare il padre, Tayou e Nuvem, ed era affascinata e innamorata di qualsiasi creatura vivente, che fosse il più piccolo e storto fiorellino o il vermicello più repellente; possedeva anche un certo piacere per l'imparare, sebbene avesse preferito per molto tempo scorrazzare dietro ai fratelli che muffire dietro a dei libri.

Tutti i Melynas e chiunque avesse a che fare con la famiglia gioiva nello scorgere nella più giovane figlia di Gima la più che degna futura Sacerdotessa del Santuario, elogiandola fin da bambina con l'appellativo de La Soave, e Tayou non dubitò mai un istante che fosse un titolo immeritato. Adorava con ogni fibra del suo essere il delicato esserino pallido che trotterellava dietro di lui e Nuvem osservandoli carica d'amore e di stima, fiduciosa già dai primi passi che ovunque fosse andata i due ragazzini sarebbero stati il suo scudo e la sua spada.

Crescendo in cuor suo Tayou avrebbe potuto definire l'emozione verso Luz come amore, ma sapeva che lei, come sua sorella, non potesse accettare un tale sentimento e si impegnò con forza per trasformarlo nel più forte e devoto affetto fra fratelli che potesse provare, giurando e rigiurando a se stesso ogni giorno di preservare il sorriso di lei, di essere pronto a donare ogni goccia del proprio sangue e ogni brandello di carne purché lei fosse felice.

Per Nuvem non fu così semplice.

Più crescevano, più la distanza tra lui e Tayou divenne grande, non nell'affetto reciproco, ma nella consapevolezza del peso che ogni  azione e gesto avevano a dispetto di quelle del biondo, della stima e degli onori concessi al fratello e a lui elargiti a fatica e con sprezzo da chiunque avesse attorno fuori di casa; l'invidia inevitabile per colui che molti sussurravano maligni avrebbe dovuto essere il vero signore dei Melynas, non lui, il meticcio, il bastardo come i più audaci osavano mormorare, rese Nuvem più riservato di prima e sempre un po' più ombroso e spaventato di deludere anche le aspettative del suo ammirato fratello, che vedeva crescere e migliorarsi per la sua futura carriera militare lontano dal suo fianco.

Con Luz fu diverso, Luz era diversa.

Luz adorava entrambi i fratelli con ugual affetto e si curava di Nuvem, chiuso e pensieroso, con una dolcezza che riservava a lui solo; molto più di altri lo capiva, lo portava ad aprirsi con lei, e accettava ogni suo cattivo pensiero invidioso o triste senza accusarlo, sollevando e sciogliendo l'oscurità del suo cuore.

Per Nuvem Luz era diversa. Era sola, unica. La sola donna della sua esistenza, in ogni declinazione.

Tayou era combattuto. Vedeva con chiarezza come Nuvem guardasse Luz, così come vedeva come la cosa lo torturasse profondamente, ma non osava agire o dire alcunché: né Luz né nessun altro pareva capire ciò che lui scorgeva, e temeva che provare a parlarne con Nuvem avrebbe scatenato una reazione di diniego violenta, o peggiorato il suo tormento.

 

 

 

« Cosa accidenti ci fai qui…?!? »

« Mio signore – la voce del ritrattista di palazzo suonò strascicata e seccata – sarebbe così cortese da non muoversi? »

Nuvem, scattato sulla sedia all'ingresso di Tayou nella stanza, guardò a disagio l'uomo scusandosi e poi scoccò un'occhiataccia al fratello che rise della sua gaffe, quindi si rimise seduto composto perché il lavoro venisse terminato.

« Non potevo certo perdermi il risultato finale. – ridacchiò il ragazzo biondo sporgendosi da oltre la spalla del disegnatore – Ehi, hai una faccia così seria…! Potresti convincere i posteri della cosa! »

Rise allo sguardo seccato che lo trapassò – probabilmente Nuvem avrebbe risposto più bruscamente, ma non osò muoversi e ricevere altri rimproveri come un bambino – e Tayou si allontanò fingendosi spaventato quando il ritrattista nascose l'operato ai suoi occhi curiosi, squadrandolo sospettoso.

« E la cerimonia? »

Domandò Nuvem muovendo appena le labbra e sbirciando con la coda dell'occhio l'alta uniforme che Tayou aveva indosso; il biondo mosse una mano di fronte al viso con noncuranza:

« Ah, tanto gli alti papaveri dell'Armata sono sempre in ritardo per queste cose! Tranquillo… »

Nuvem scosse la testa consapevole del nervosismo che il fratello nascondeva, ma non provò a contraddirlo.

Era incredibile che fosse già arrivato il momento per Tayou di prendere il comando dell'Armata. Da quando aveva quattordici anni non aveva fatto altro che allenarsi, giorno dopo giorno, per essere degno del titolo in barba al fatto che gli spettasse per diritto di nascita: il ragazzo voleva diventare un vero generale, non certo un pupazzo incapace di governare i suoi soldati, e alla vigilia della cerimonia d'investitura, dopo sei lunghi anni di addestramento, era finalmente certo di esserne in grado.

Nuvem non si sentiva così fiducioso al pensiero che da lì a pochi anni sarebbe toccato a lui prendere ufficialmente il titolo di nuovo sovrano dei Melynas: certo, suo padre Gima sarebbe rimasto ancora per alcuni anni al suo fianco, a consigliarlo e guidarlo, ma le responsabilità delle decisioni e il volto a cui la gente avrebbe fatto riferimento sarebbe stato il suo.

Lo stesso volto definitivamente ritratto su spessa pergamena che Tayou, per stuzzicarlo, prese con garbo e rapidità dalle mani callose del ritrattista portandoselo di fronte al naso e scrutandolo da ogni angolazione.

« Signore – protestò debole e aspro l'uomo tendendo le lunghe dita sporche d'inchiostro – faccia attenzione la prego… È fresco… »

« Dai Tayou non fare l'idiota! – protestò Nuvem raggiungendolo – Non ho voglia di restare qui altre quattro ore! »

Il biondo di fece pregare ancora un po' e poi, ridendo, riconsegnò il foglio al ritrattista che con un gesto stizzito lo depose con delicatezza sul suo tavolo da lavoro, proprio accanto al libro che piano piano stava redigendo con altri archivisti e scrivani sulla discendenza dei Melynas. L'ultima pagina era aperta e mostrava il ritratto di Tayou, messo tra quelle pagine quando lui aveva compiuto sedici anni, accanto al quale presto sarebbe stato posato quello del fratello.

« Beh, ti ha reso la giusta regalità. – scherzò ancora Tayou sorridendo al moro – I nostri pronipoti penseranno di avere avuto un antenato bruttissimo guardandomi, messo a tuo confronto. »

Nuvem scosse la testa borbottando quanto fosse sciocco, ma sorrise di nascosto compiaciuto di come, in effetti, i suoi capelli neri sembrassero tanto più belli ritratti dall'inchiostro scuro rispetto a quelli pallidi del fratello maggiore.

« Ora smettila di dire stupidaggini – sorrise ancora il moro spingendolo fuori – se arrivi in ritardo nostro padre ti farà sanguinare le orecchie per la predica. »

« Giusto! »

Tayou accelerò il passo nervoso, aggiustandosi più volte la divisa con Nuvem che lo aiutò ridendo affettuoso del suo impaccio.

 

 

 

Nuvem Umiiro Melynas prese il titolo di 128° regio della casa Melynas la settimana successiva al compimento dei vent'anni. A sostenerlo in silenzio, nell'ombra della sala dietro il balcone da cui si affacciò per mostrarsi a tutta la popolazione, Tayou e Luz, appena entrata al suo noviziato al santuario: con i due più giovani Melynas si era passato il testimone del comando ad una nuova generazione, nell'ormai consueto e rassicurante ripetersi della tradizione.

Le cose sul Pianeta Azzurro stavano però già drasticamente mutando.

Il clima di quel giovanissimo pianeta, che aveva trovato una sua stabilità per qualche migliaio di anni consentendo al popolo dei primi terrestri di fiorire e svilupparsi, stava andando incontro ad un nuovo, naturale e drammatico sconvolgimento. Terremoti ed eruzioni avevano iniziato ad avvenire con una frequenza preoccupante e non soltanto in territori dove, sapevano, le placche della crosta terrestre erano in particolare sollecitazione; molti villaggi avevano subito danni e perdite anche ingenti di case, sostentamento e vite, e i rilevamenti dei ricercatori non davano segnali di miglioramento.

I dati erano inequivocabili, ma in pochi parevano pronti ad accettare la cosa.

Tayou non avrebbe mai dimenticato la riunione del Consiglio Maggiore di quel pomeriggio d'autunno. Il vociare dei consiglieri era alto e irrispettoso, totalmente incurante che a pronunciare l'ultima frase che aveva scatenato il tumulto fosse stato il sovrano in carica.

« È una cosa inaudita! »

« Una follia! »

« Nuvem-sama, la sua proposta è totalmente insensata! »

« Dovete rendervi conto della gravità della situazione. – ribadì il moro, soffocato dalle proteste ma deciso a non tacere – Il nostro mondo è ancora in una fase di stabilizzazione, cambiamenti climatici radicali sono inevitabili. »

« Sì, ma abbandonare il pianeta per questo non è una soluzione logica! »

« Dovremmo fuggire dalla nostra dimora, dalle nostre case come bestie impaurite dal fuoco?! »

« Se saremo troppo tardivi nell'agire finiremmo per subire perdite ancora più ingenti di quelle che finora..! »

« Suvvia, non siamo su un campo di battaglia! – protestò sarcastica una voce cavernosa – Le disgrazie che sono accadute ai nostri concittadini sono aberrati, ma nono certo che i nostri scienziati saranno in grado di sviluppare dei sistemi di sicurezza efficaci per prevenire questo disagio passeggero. »

I consiglieri vociarono in assenso e alzarono i toni quando Nuvem tentò ancora di ritrattare, costringendolo al silenzio. Per alcuni minuti la sala del Consiglio Maggiore fu solo un carnaio di voci indistinte, di grida ingiuriose e di toni sarcastici mentre Tayou, assordato, vide Nuvem e suo padre parlottare tra loro: Gima sembrò sorpreso, ma sorrise pur se incerto e annuì incoraggiando il figlio a parlare. Nuvem dovette gridare per ottenere un minimo di silenzio e anche una volta ristabilito l'ordine i consiglieri proseguirono a parlottare tra di loro a bassa voce studiandolo sospettosi.

« La mia fiducia va nella saggezza del Consiglio Maggiore. Se ritenete che pianificare un'evacuazione di massa sia una mossa prematura, ascolterò le vostre parole. Tuttavia – il sottile vociare concorde si spense in borbottii cupi – i dati sono allarmanti, quindi questo è ciò che vi propongo: i nostri scienziati si pongano da questo istante al progetto di sistemi di sicurezza più efficaci e si prodighino per studiare una soluzione definitiva al problema del mutamento climatico; nel mentre, però, suggerisco che una piccola squadra di studiosi e genieri si occupi di sviluppare dei mezzi di evacuazione. »

I borbottii non si placarono, ma furono più titubanti e Nuvem rincarò:

« Solo per un eventuale, remoto bisogno. »

L'ultima frase parve acquietare la maggior parte dei consiglieri che approvarono la mozione. La seduta si sciolse e i presenti si dispersero, tranne alcuni che si riunirono in gruppetto bofonchiando e adocchiando malevoli il sovrano che però finse di non vederli; Tayou lo vide dirigersi a passo spedito verso un corridoio laterale con al suo fianco solo Gima e, lasciati gli ordini al suo subordinato, seguì rapido e discreto il fratello.

« Sapevo che saresti arrivato. »

Gli sorrise Nuvem guardandolo appena da oltre la spalla. Tayou annuì e lo studiò turbato:

« Lo sai che non c'è alcun metodo per fermare i cambiamenti in atto, vero? »

« Lo so. – ammise il sovrano pesantemente – Nessun metodo che i nostri scienziati possano usare. »

« Allora…? »

« Ci occorreva che il Consiglio permettesse l'inizio della costruzione di mezzi per fuggire. – sospirò Gima preoccupato – Non possiamo aspettare che la città e il palazzo crollino sotto i nostri piedi perché loro si sveglino. »

Nonostante le sue parole Gima fissò la schiena del figlio minore e lo stesso fece Tayou, entrambi consci che qualcosa tormentasse la mente del giovane sovrano.

Ebbero quasi raggiunto la biblioteca quando Gima, forse, iniziò ad intuire i piani del figlio e lo guardò ansioso:

« Davvero…? »

« Posso tentare, padre. »

Tayou non riuscì a seguire la conversazione e vide Gima annuire gravemente e poi compiere qualche passo nel corridoio per allontanarsi:

« Fai attenzione alle forze che decidi di usare, Nuvem. – gli sorrise e se ne andò abbassando la voce – Meglio che non mi vedano, più sappiamo senza che altri sappiano, meglio è. »

Nuvem annuì e l'osservò finché Gima non fu scomparso nel corridoio. A quel punto Tayou si sentì davvero confuso e anche un po' spaventato, e vide Nuvem voltarsi e guardarlo serio:

« Cosa sono io per te? »

Il biondo sorrise storto e la prima risposta che gli venne alla mente, dettata dall'ansia, fu mio fratello; eppure osservando come Nuvem lo scrutasse di rimando, fermo e cupo, con il bell'abito del colore del mare che contraddistingueva il regnante, drizzò le spalle e disse con sicurezza:

« Sei il mio sovrano. E ti seguirò per tutta la vita. »

« … Puoi giurarlo? »

« Cosa? »

Nuvem tacque un momento:

« Puoi giurarlo? Pure pensando alle scelte più terribili? »

Tayou avvertì ancora l'angoscia salire e rise nervoso:

« Parli come se dovessi distruggere il mondo…! »

« Devo salvarlo, è diverso. – non si stupì del silenzio che gli rivolse – E il prezzo che potrei dover pagare potrebbe farmi perdere ciò che ho raccolto finora. O farmi perdere me stesso. »

« … Tu… »

Nuvem gli fece un cenno con la mano per farlo tacere:

« C'è solo una persona che mi ha sempre dimostrato la sua lealtà, e mi domando se potrebbe giurarla ancora una volta. »

Fu Tayou a tacere questa volta:

« Per qualunque cosa? »

« Sì. »

Tayou rimase ancora in silenzio, gonfiò il petto e annuì:

« Qui ed ora. »

« Allora giura. »

Il generale lo fissò dritto negli occhi tirando in fuori il petto e sorridendo fiero:

« Dove andrà il tuo cuore andrà la mia fedeltà. Dove andrà la tua volontà, lì andrà la mia spada. »

Quelle parole parvero un balsamo per i nervi di Nuvem che riprese a respirare con calma e accennò un lieve sorriso:

« … Sia. »

Aprì il pesante battente della biblioteca e subito si insinuò verso un angolo laterale, Tayou alle calcagna che non voleva perdersi nel labirinto polveroso e ombroso di libri; camminarono qualche minuto in silenzio finché non raggiunsero una postazione di lavoro estremamente ordinata e pulita, quasi nascosta e introvabile anche per chi la biblioteca la frequentasse abitualmente, e Tayou immaginò si trattasse dell'angolo che Nuvem avesse ritagliato per se stesso per leggere e studiare in pace, sicuro e protetto.

Il giovane sovrano spostò con poca grazia una fila di tomi pesanti come pietre e ne tirò fuori uno tenuto aperto circa sulla metà; era pieno di foglietti infilati tra le pagine tutti scarabocchiati, lunghe annotazioni scritte così in piccolo da parer appunti di una formica miniaturista, e moltissimi segnalibri sfilacciati che puntellavano le coste sopra e sotto. Nuvem sfogliò con sicurezza, fermandosi di quando in quando per controllare di stare andando dalla parte giusta, quindi trattenne il fiato soddisfatto e si fece spazio sul ripiano spalancando il libro di fronte a Tayou.

Le pagine erano scritte fittissime, solo quella di destra aveva un po' di spazio libero per una raffinata illustrazione. Una persona reggeva tra le mani quella che pareva una sfera, o un oggetto di forma simile, ma osservando meglio non si trattava di qualcosa dalle sembianze definite, pareva fluttuare scomposto come acqua solida; l'oggetto emetteva una luce abbagliante e vicino a dove erano stati disegnati i suoi raggi apparivano le scene più fantastiche: piante marce che rifiorivano rigogliose, animali ormai morenti che risorgevano, persone ferite senza alcuna speranza che alzavano le braccia al cielo in preda alla gioia. Eppure, in un lato dell'immagine, una seconda persona reggeva il misterioso oggetto luminoso e, pur se il disegno fosse consumato e appena intuibile, era chiaro che lo stesse usando come una sorta di arma dal numero di aggressori armati che cadeva ai suoi piedi, anche se non era chiaro come ciò avvenisse.

« … Nuvem, ma cosa sarebbe…? »

« Il testo è molto rovinato – disse il moro senza una definita inflessione nella voce, sfiorando le pagine consunte – ciò che so è che si tratta di qualcosa di unico. Irripetibile. Scienza e… Qualcosa che non so definire. »

« Non dirmi cose sciocche come stregoneria, sai meglio di me che non esiste. »

« Infatti ho detto qualcosa che non riesco a definire – lo corresse – almeno per adesso. »

Tayou sbirciò lo sguardo del fratello, perso in pensieri indistinti e avido di capire ciò che in quel momento sfuggiva alla sua mente. Avvertì uno strano movimento, lievissimo, alle viscere, e non osò rifletterci sopra troppo nel timore di darvi una qualsiasi definizione.

« … Cos'è? »

« Un'arma. – l'affermazione di Nuvem suonò incerta e infatti il moro sospirò scuotendo il capo – O forse no. Forse un qualche medicamento salvifico. Forse entrambi.

« Ciò che so è che si tratta di qualcosa che può contenere ed emettere un quantitativo incredibile e probabilmente infinito di energia. »

Tayou continuò a guardarlo incerto e Nuvem gli sorrise:

« Energia benefica. Guaritrice. – batté con garbo il palmo sulle pagine e scorse le righe con l'indice – Svolge lo stesso principio dei nuovissimi sistemi di cura portatili che abbiamo sviluppato, stimolando il riequilibrio di un organismo vivente. Ma su scala planetaria. »

A quella frase il biondo sgranò gli occhi e gli afferrò una spalla prendendo a sussurrare:

« Vorresti dire che…?! Con questo… Potresti…?! »

« Impedire che tutto l'ecosistema del pianeta collassi. »

Replicò bisbigliando trionfante. Tayou lasciò la presa con lentezza, evidentemente frastornato:

« Tu… Davvero puoi…? Una cosa del genere… »

Nuvem tornò ad incupirsi un poco:

« Ho ancora molto da lavorare, non posso garantire nulla. Ancor di più che dovrò occuparmene da solo. – fissò il fratello gravemente – Hai visto anche tu le reazioni di oggi al Consiglio, no? Pensa se sapessero di una cosa simile. »

Tayou ci rifletté e annuì appena aggrottando la fronte, le possibili reazioni erano troppo discordanti tra loro e comunque nocive per arrischiarsi a diffondere la cosa.

« Intanto proseguiremo con i progetti di evacuazione, come siamo riusciti ad ottenere – lo rassicurò Nuvem frugando tra le pagine e prendendo svariati appunti con sé – nel mentre tenterò questa follia. »

Gli sfuggì una risata amara e Tayou gli prese di nuovo incoraggiante la spalla, sorridendogli:

« Una follia che potrebbe salvarci tutti. – disse incoraggiante – Non posso aiutarti molto, ma ho fiducia in te: qualsiasi cosa ti occorra, dovrai solo chiedermi. »

Nuvem ricambiò con un sorriso più rilassato e gli strinse la mano:

« Fammi arrivare vivo in fondo a questa pazzia. »

 

 

 

Fammi arrivare vivo in fondo a questa pazzia.

Perfino in tutta la segretezza degli eventi e nella loro importanza, per Tayou quella sembrava una frase comunque eccessiva.

Tutto perché al contrario di Nuvem e del padre, aveva solo una conoscenza vaga della malizia e della cattiveria sopita tra le muffite usanze del Consiglio Maggiore, del loro cieco e stolto attaccamento alle loro cariche, del terrore del futuro e della loro avidità di potere. Tayou non poteva neppure lontanamente immaginare quanto la loro contorta visione del mondo e la loro convinzione dell’inadeguatezza di Nuvem come sovrano potessero spingersi in là.

Inizialmente le cose proseguirono tranquille. Mentre una parte della sezione scientifica si prodigava nel progettare le navette per la peggiore – e tuttavia più probabile – conseguenza dei cupi rimbombi di terremoto che si udivano con sempre più frequenza, Nuvem passava lunghe ore sui libri e in appartati settori dei laboratori, lavorando senza sosta nella convinzione che nessuno potesse sospettare le sue macchinazioni.

Tayou forse peccava di ingenuità. Lui, d’altro canto, era troppo sospettoso degli altri: per un sovrano riversare la propria fiducia in pochi eletti poteva generare voci maligne, e spesso le opinioni diventavano la verità più dei fatti.

 

 

 

I suoi appartamenti erano silenziosi e avvolti in una penombra soffocante; le tende erano tirate sui vetri baciati dal sole e lui, la testa china verso il piccolo tavolo sotto di esse, teneva nascosto il viso dietro le maniche rosso Borgogna del suo abito a lutto.

Un bussare delicato gli perforò le orecchie, ma non si mosse. Avrebbe riconosciuto quel tocco gentile pure se avesse scostato un granello di polvere. Luz non disse una parola entrando; si chiuse la porta alle spalle con dolcezza e con passo leggero si avvicinò a Nuvem, accanto a cui una delle sedie era stata lasciata scostata quasi che il moro non attendesse altro che il suo arrivo: la giovane si accomodò con un fruscio sordo del lungo e pesante abito che indossava e si protese quel poco che le servì per cingere la schiena del fratello tra le braccia, posando poi una guancia sulla sua spalla.

« Ho visto il suo viso. – sussurrò appena – Per giorni non hanno fatto che ripetermi quanto se ne sia andato serenamente… »

Si interruppe contraendo la mascella e il suo respiro tremò. Nuvem allora alzò finalmente lo sguardo, intravedendo a fatica quello della sorella nascosto dalla frangia un po’ arruffata, e ricambiò il suo abbraccio; Luz fu scossa da un singhiozzo più deciso e si protese ancora perché lui la stringesse meglio contro il suo torace. La ragazza iniziò a singhiozzare con versetti acuti e flebili, la testa sotto la gola del fratello come quando era bambina, bisognosa dell’affetto incondizionato del loro legame. Nuvem continuò a tacere, il rabbioso dolore che lo aveva ammutolito che crebbe sentendo il corpo fragile di Luz scuotersi avvolto nel pesante pastrano dell’abito della Dama Rossa, e al contempo sentendo che la presenza di lei ridonava forza al suo animo, fino a poco prima totalmente svuotato.

Sottile, poi, il famigliare, inaccettabile, bruciante desiderio di stringerla di più che sfogò afferrando tra le dita quell’informe straccio color sangue che tanto rendeva la ragazza più pallida, piccola ed eterea di quanto già non fosse.

« Allora è proprio vero…? – mormorò ancora Luz, orripilata da ciò che il silenzio di Nuvem alle sue parole le confermò – Non è stato un caso, un malore… Nostro padre… »

Si spostò per vedere Nuvem in viso, una vaghissima speranza che lui la consolasse dicendole che le voci riportatele fossero solo complottismi, che per Gima era semplicemente giunto il tempo di lasciare il mondo terreno. Il moro però non smentì nulla e gli occhi azzurri di Luz si inondarono ancora di lacrime:

« Come…?! Come hanno potuto…! No… Perché? »

Alla domanda Nuvem abbassò lo sguardo adombrandosi e scostandola perché si risedesse composta, di colpo sofferente ad averla vicino.

Anche per lui rimaneva ancora assurdo quanto accaduto, ma se Luz poteva solo temere le voci che circolavano lui aveva certezze di fatti e le conferme dei pochissimi che possedevano la sua fiducia.

Il vecchio sovrano Gima era stato trovato un paio di mattine prima nei suoi alloggi, riverso su un tavolo con la schiuma alla bocca e lo sguardo riverso; una terribile combinazione di eventi fu la notizia ufficiale che girò per i corridoi, che si struggeva nel fatto che il sovrano – ormai non più in grandi forze – fosse stato colpito da un violento malore proprio poco dopo che uno dei suoi domestici personali gli aveva servito una tarda e frugale colazione, lasciandolo poi solo senza che qualcuno potesse sentirne l’agonia.

Né Nuvem né Tayou avevano creduto ad una sola parola e mentre il giovane generale si era dato animo a rintracciare il domestico, il sovrano aveva fatto esaminare ciò che restava del poco cibo trovato negli alloggi del padre prima che venisse distrutto.

« È stato avvelenato.  – la voce di Nuvem parve provenire da un altro pianeta – Ma non era lui che sarebbe dovuto morire. »

Luz lo scrutò confusa stringere i pugni sul tavolo e prendersi il volto tra le dita.

Non era stato difficile per Tayou ritrovare l’inserviente che aveva offerto a Gima il suo ultimo pasto, sebbene non come si sarebbe aspettato: l’uomo era sembrato scomparso da palazzo, forse datosi alla fuga, invece uno dei soldati lo trovò dopo ore di ricerca abbandonato in un campo poco distante, pugnalato alle spalle. Il soldato non aveva riconosciuto l’arma e Tayou aveva velocemente provveduto a farla sparire, portandola segretamente a Nuvem ed entrambi avevano riconosciuto subito la bellezza e il costo dell’oggetto, sicuramente non appartenente ad un comune militare.

« Qualcuno ha pagato quell’uomo per servire quel cibo a nostro padre, ma lui si è sbagliato. – a Nuvem sfuggì una risata amara – Gli hanno detto di servire il pasto “al sovrano” e lui, ovviamente, ha obbedito. »

Luz continuò a guardarlo frastornata senza rispondere.

« Tu non puoi nemmeno immaginare in quanti pochi, ancora, mi ritengano il sovrano legittimo e quanti, perfino adesso, parlino di nostro padre come il solo e attuale regnante della casata Melynas. »

« Nuvem… »

« Chiunque abbia ordinato questo assassinio voleva colpire me, non nostro padre. – sussurrò colmo di ira e amarezza – Ma invece ha sbagliato. Ed ha pagato. »

Luz trattenne il respiro vedendolo tirare fuori da sotto la veste un elegante pugnale con il manico lavorato e inciso, rifinito di metalli preziosi:

« Nessun membro dell’Armata, nemmeno i generali possiedono armi simili, in pochi potrebbero permettersela e per chi potrebbe sono pesanti con tutti questi inutili decori, e la lama è valida giusto se ci si ritrova senza nient’altro con cui difendersi. Questa è l’arma decorativa di un consigliere, o di un nobile. »

« Nuvem, non vorrai dire… »

« I miei sospetti sono più per i nostri cari parenti, a dire il vero – aggiunse con un sibilo velenoso – ma chiunque sia stato, possiamo solo sospettare visto che ha provveduto a far scomparire il solo testimone. »

Nascose nuovamente l’oggetto sotto le vesti e si ritrasse quando Luz tentò di posargli una mano sulla spalla:

« Io vorrei… Solo proteggere la nostra gente. - farfugliò cupo – Eppure questo pare non bastare, non… Conta solo che il mio sangue non sia “puro” come dovrebbe. »

« Nuvem… »

« Oh, Luz, io…! Ho fatto uccidere…! »

« No! »

« Potrai mai perdonarmi? »

La ragazza gli prese il viso tra le mani continuando a mormorare no con voce querula e posando la fronte contro quella del fratello; la sua pelle sia del viso che delle dita fu gelida per il sovrano, eppure non osò dare un cenno di fastidio.

« Tu non hai alcuna colpa. Non pensarlo, non farlo mai. – lo rassicurò – Caro, caro fratello mio…  »

Nuvem la vide studiarlo con la tristezza sulle labbra pallide e una luce preoccupata nello sguardo:

« So che non vuoi dirmi cosa tu stia facendo, ma lo so. Lo so che non ti sei limitato a strappare un piano di fuga d'emergenza per la nostra gente – lo zittì con un dito sulla bocca prima che ribattesse – il Santuario è meno isolato di quanto tu possa pensare. E io non sono una sciocca, e conosco sia Tayou che te. »

« … Qualsiasi cosa desideri tentare – disse mesto – non posso sapere se funzionerà. »

« Ma continuerai a tentare, ed è questo che fa di te il più nobile e generoso dei sovrani. »

« Penso che tu sia la sola a pensarlo su tutto il pianeta. »

Replicò con uno sbuffo ironico e Luz sorrise stentata:

« Ora però io… Ho paura. Temo per la tua vita… Se accadesse di nuovo, se davvero c'è tutto questo odio, questa paura tra i consiglieri, cosa gli impedirebbe di…? »

Nuvem le prese le mani mettendo su un sorriso malizioso e senza allegria:

« Sono stati abbastanza intelligenti da far sparire velocemente chiunque potesse aprire bocca. Non saranno tanto stupidi da riprovarci, non allo stesso modo e non così velocemente: sarebbe ben difficile far passare una mia dipartita per un incidente o un malessere, casualmente poco dopo che nostro padre ci ha lasciati. »

Luz non parve convinta, ma Nuvem continuò a guardarla con decisione e le lasciò un bacio sulle nocche:

« Abbi fiducia in me. Almeno tu. »

Luz alle sue parole drizzò le spalle fissandolo severa:

« Io ho sempre avuto fiducia in te. – poi gli sorrise con affetto – Ne avrò sempre, come Tayou. E come io ho fiducia in lui. »

Nuvem non le rispose, studiandola indecifrabile mentre lentamente le lasciò andare le mani.

Un nuovo bussare e una voce strascicata annunciò che era giunta l'ora. Con un sospiro tremante Luz si alzò, ricomponendosi, e protese un braccio verso il fratello invitandolo a seguirla all'ultima cerimonia di Gima su quella terra. Nuvem accettò il suo invito in silenzio, non riuscendo a non pensare a quanto gli apparisse malaticcia e terribilmente spaventosa l'immagine della ragazza avvolta dal soffocante e spesso mantello del colore del sangue rappreso, quasi che ella non dovesse presenziare al rito funebre come officiante, ma come protagonista.

 

 

 

Gima si dissolse in cenere nel vento in un tramonto dorato e triste, con il cordoglio di tutto il popolo che lo aveva amato e di chi aveva avuto l'onore di governare al suo fianco. Nuvem assistette a tutta la cerimonia con il volto teso in un'espressione marmorea, gli occhi colmi di rancore attenti ad ogni movimento esterno come se, mentre il vecchio sovrano si disperdeva nel vento, potesse cogliere sui volti raccolti attorno a lui un barlume di rimorso, o più probabilmente di frustrazione.

« Non possiamo permettere che si ripeta una cosa del genere. »

Il sussurro di Tayou gli giunse all'orecchio con chiarezza nonostante il crepitio del fuoco morente.

« … No, immagino di no. »

« Sono serio, Nuvem. Se lo hanno fatto una volta ci riproveranno, e non riesco a non pensare che la cosa non sia legata ai tuoi esperimenti. E in questo caso sarebbe ancora più preoccupante. – s'interruppe percependo un lieve movimento alla sua destra, tendendosi guardingo come un gatto – Tremo alla reazione del Consiglio quando dovrai esporre i primi risultati. »

Nuvem lo sbirciò con la coda dell'occhio: rigido e severo, le braccia dietro la schiena, Tayou non faceva che guardarsi attorno pronto a reagire ad un improbabile attacco diretto, lo sguardo sospettoso verso chiunque fosse presente.

« Hai bisogno di essere protetto. »

« Non voglio una scorta – tagliò corto il moro – li metterei sul chi vive all'istante, inoltre per quanto tu possa fidarti dei tuoi soldati io non mi fido di loro. »

« Infatti non parlavo dei miei soldati. »

 

 

 

 

La presenza costanza di Tayou al fianco del sovrano a qualsiasi ora del giorno e della notte sollevò voci e mormorii intrigati per tutta la città, ma ben presto la curiosità scemò in favore di una diffusa opinione di un eccessivo zelo del Comandate Generale dell'Armata, dato dai problemi climatici che sempre più frequentemente stavano minando la pace della popolazione. Se da una parte si udivano però bisbigli incuriositi, dall'altra parte, quella del Consiglio Maggiore e dei nobili delle casate cadette Melynas, era il silenzio a farla da padrone, il mutismo di chi aveva la coscienza sporca e sapeva di poter essere smascherato da un momento all'altro o di chi ancora non capiva cosa stesse macchinando il sovrano, ma che intuiva che la morte di Gima e il misterioso affaccendarsi di Nuvem non fossero eventi scollegati.

Nonostante le occhiate e le voci Tayou persisté con la decisione di vegliare sul fratello, lasciando al suo secondo la gestione primaria dell'esercito e passando da generale a guardia del corpo personale del re, a tempo pieno. Riteneva che non dare troppe delucidazioni su una decisione simile l'avrebbe resa più innocente di quanto non fosse, spingendo gli ancor ignoti traditori se non a bersi l'idea che né lui né Nuvem avessero sospetti, quantomeno li facesse desistere dal compiere qualsiasi azione dannosa.

La cosa sembrò funzionare e nei mesi successivi la situazione a palazzo riprese nella sua quieta monotonia, in contrasto con le sempre più frequenti e gravi tragedie che stavano colpendo la popolazione. Eruzioni da monti ormai inattivi da decenni, terremoti, improvvisi nubifragi che scatenavano allagamenti ed esondazioni di fiumi iniziavano a dover essere contate oltre alle dita di una mano, gettando Nuvem in destreggiarsi ininterrotto tra le questioni di palazzo e un sempre più frenetico lavorio negli archivi e nelle sale di sperimentazione; queste ultime erano le sole a cui il sovrano negava l'accesso perfino al fratello, temendo per la sua incolumità qualora un suo tentativo di creare l'arma salvifica fosse fallito. Tayou si rassegnò presto a dover attendere anche ore fuori da porte chiuse, talvolta entrando contro la volontà di Nuvem stesso quando, dopo tempi infiniti, non ne sentiva più i passi leggeri affaccendarsi oltre la soglia: di norma, in quei casi, il biondo trovava il fratello riverso a terra, stremato dalle ore di veglia e lavoro, e man mano che proseguirono le settimane la cosa divenne ben più che una casualità dovuta alla troppa solerzia.

Tayou iniziò a seguire Nuvem perfino quando si ritirava nei suoi appartamenti, sempre più intimorito dal suo continuo spostarsi dalle sale del Consiglio ai laboratori, dal suo volto sfatto e dal nervosismo che lo teneva sveglio tutte le notti mentre leggeva e leggeva tomi ormai distrutti, appunti scarabocchiati e poi, con versi di rabbia, stracciava tutto tornando ad armeggiare nella sua oscurità segreta. Luz iniziò a supplicare Tayou perché costringesse Nuvem al riposo, fosse anche con la forza, terrorizzata dal cambiamento del fratello, ma ciò che Tayou non riuscì a confessarle mai fu che più del fisico era la mente d Nuvem ad essere cambiata: il biondo non aveva idea di cosa stesse vedendo il sovrano nei suoi esperimenti, eppure qualunque cosa fosse gli riempiva gli occhi di una luce avida e insoddisfatta da riempire di gelo Tayou fin alle ossa.

« Manca poco. – lo rassicurava quando, esasperato, il biondo tentava di convincerlo a fermarsi almeno qualche giorno – Ormai io so come fare. Come crearlo. »

« Crearlo? »

« Il Dono. »

Ogni volta che pronunciava quel nome il viso pallido di Nuvem si colorava di eccitazione, un'eccitazione feroce che svaniva rapidamente facendo spazio alla spossatezza e che, purtroppo, non abbandonava la memoria di Tayou né faceva svaporare il freddo dal suo stomaco. Il giovane generale iniziò solo a pregare che tutto arrivasse ad una fine, che fosse la salvezza del loro pianeta o che fosse una fuga dallo stesso, purché il suo sovrano smettesse di lavorare per creare quella cosa.

 

 

 

« Questo… È certamente inappropriato, vostra maestà… »

« Me ne rendo conto consigliere – tagliò corto Nuvem – ma il tempo è limitato. »

L'anziano uomo dal doppio mento emise un verso titubante scambiandosi un'occhiata con i propri colleghi; i due, uno così vecchio da rendere impossibile capire se fosse corrucciato o le pieghe sul suo viso fossero dovute solo agli anni, e uno con lucenti occhi gialli da serpente, grugnirono offesi del tono e seguirono infastiditi Nuvem trottare per il corridoio continuando a chiedersi seccati il perché di tanta segretezza. Anche Tayou, a chiudere la fila del piccolo gruppo, se lo domandò e la risposta che si diede non gli piacque per nulla.

Certo sarebbe stato molto più semplice gestire la notizia con poche persone, e tre membri anziani erano i più influenti del Consiglio Maggiore: la loro testimonianza sarebbe stata più che sufficiente per avvalorare i risultati delle ricerche di Nuvem e portarle al cospetto ufficiale di tutti gli altri consiglieri, ma a Tayou non potè sfuggire come nessuno dei tre uomini fosse molto propenso a dare ascolto al giovane sovrano. Senza contare che neppure lui aveva idea di cosa avrebbero visto nei laboratori.

« Vi prego solo di lasciarmi fare fino alla fine – disse Nuvem dopo lunghi minuti di silenzio – e di ascoltare le mie spiegazioni per intero. »

Nessuno dei presenti disse nulla, come se non avesse aperto bocca e Tayou percepì l'aria tendersi di gelido scetticismo.

Nuvem, prego gli dei che tu sappia cosa stia facendo.

A differenza del solito, appena giunto di fronte alla sala che aveva occupato negli ultimi mesi, invece di accostare la porta ed entrare di soppiatto per non mostrare nulla dell'intero il moro spalancò l'ingresso con entrambe le braccia, precedendo i quattro alle sue spalle incurante che l'aspetto scuro e buio della stanza li avesse fermati sull'uscio.

I tre consiglieri entrarono guardinghi, quasi pronti ad un'imboscata e di vedere se stessi e i propri colleghi venire afferrati da mani maligne e crudeli scomparendo tra le ombre; Tayou invece soppesò i loro movimenti per essere sicuro non facessero gesti avventati e poi allungò il collo oltre le loro schiene incurvate, scorgendo Nuvem avvicinarsi ad un tavolo appena intuibile sul fondo della sala. Il moro mosse le dita accendendo una sfera sospesa sul ripiano e illuminando una lunghissima pila di libri polverosi grondanti foglietti di appunti, alambicchi frantumati e una serie di contenitori con piccole piantine rigogliose; solo una aveva l'aria di essere ormai marcita da tempo, come indicava l'odore dolciastro e acre del suo fiore dall'aspetto molliccio.

Ma ad attirare l'attenzione dei presenti fu ben altro.

Un piccolo recipiente con dentro una pallina appena più grossa di un pugno, luminescente, impossibile da ricollegare ad una sostanza conosciuta; la definizione più esplicita che venne in mente a Tayou fu che il contenitore custodisse dell'acqua solida, o dell'argento fuso amalgamato in una sfera.

Nuvem puntò sul misterioso oggetto consapevole delle occhiate dubbiose che stava ricevendo e incurante delle domande mute che attraversarono l'aria tesa. Con garbo estremo prese il contenitore, si scostò in modo da rendere visibile ai presenti ciò che stava facendo e quindi inclinò l'oggetto verso la pianta morta: lo strano fluido all'interno si depositò sul lato del vasetto come miele lasciato cadere da un cucchiaio e così Nuvem si mosse con lentezza esasperante, inclinando il contenitore con movimenti impercettibili e tremanti delle dita quasi che stesse maneggiando un liquido tossico, finché una goccia microscopica non raggiunse il suo limite e precipitò oltre il bordo.

Nuvem rimise veloce il contenitore in posizione eretta, trattenendo impercettibilmente il fiato metro la gocciolina si spandeva sulla pianta marcia. Un rapido e accecante bagliore iridescente e la stanza fu percorsa da strozzati oooh! di meraviglia: frusciando leggera la pianta riprese colore, si raddrizzò sul suo stelo forte e salda come un giunco appena nato, il suo fiore rianimò i petali e spanse con un colpo di corolla un dolce profumo agrumato, e ancora la pianticella non si fermò alzandosi sopra le vicine, sbocciando in foglioline tenere che divennero ampie e rigogliose, moltiplicando gli steli e addirittura esplodendo fuori dalla terra le radici che, di colpo, non trovarono più posto nel proprio vaso che si frantumò con uno crepitio argentino.

Lo scoppio di vita terminò dopo una manciata di secondi e dopo aver fatto raggiungere all'ormai non più morente piantina le dimensioni di un piccolo cespuglio fiorito; nel silenzio basito Nuvem riprese finalmente a respirare, nascondendo il più possibile l'agitazione che lo aveva invaso a quella reazione così rirompente e voltandosi verso il fratello e i consiglieri con un pacato sorriso trionfale, in attesa di una reazione sui loro visi congelati. Fu quando uno dei cocci del vaso distrutto cozzò sordo contro il pavimento che il consigliere dal doppio mento, balbettando, riuscì a mormorare senza fiato:

« … Cos'è accaduto…? »

Nuvem si sforzò con tutto se stesso per rispondere con garbo e non mostrare tutta la propria soddisfazione:

« Ho raggiunto ciò che mi ero proposto. Ho trovato una soluzione per il disastro climatico che sta piagando l'esistenza del nostro popolo. »

« "Disastro climatico"? – bofonchiò il consigliere dagli occhi serpentini, tossendo e inasprendo la voce per ridarsi un tono – Termini un po' catastrofici, non trov… »

« Smettiamola con la retorica. – lo sferzò gelido il sovrano – Ormai è inutile chiudere gli occhi di fronte alla realtà. »

Il consigliere ingoiò la risposa acre cosciente che Nuvem non gli avrebbe concesso troppi insensati giri di parole, non in quel frangente in cui erano lontani dal gregge ottuso del Consiglio e quando lui aveva evidentemente trovato qualcosa con cui poterli affrontare. Con decisione Nuvem prese il contenitore del liquido iridescente e lo protese verso i consiglieri, parlando con calma e lentezza:

« Ho dovuto compiere lunghe ricerche, ma sono riuscito a decifrare la formula per realizzare ciò che negli antichi testi chiamano il Dono. Energia pura condensata in un fluido che ricostruisce tessuti e riporta la struttura chimica di ciò che tocca ad uno stadio vitale. »

Il consigliere incartapecorito raschiò la gola secca:

« In pratica… »

« Risana i corpi morti e morenti. Può rendere nuovamente fertile un terreno sterile. Scatena la nascita della vegetazione e stimola il naturale corso vitale di piante e terreno, permettendo una crescita esponenziale.

« Potremo ricostruire i campi e i terreni devastati in pochi minuti; riusciremmo a curare coloro che sono rimasti coinvolti nelle alluvioni e nei terremoti con estrema facilità, salvando la nostra gente e riacquistando manodopera per ricostruire case e città. »

Alle orecchie di Tayou la voce di Nuvem giungeva calma e decisa, ma a differenza dei consiglieri lui riusciva a cogliere la nota euforica che minacciava di fargli alzare i toni ad ogni sillaba. Così come vide, la gioia che divenne un freddo presentimento indistinto, la luce famelica che attraversò le iridi ghiaccio del fratello mentre proseguì la propria arringa.

« Ho bisogno di altre analisi, ma sono convinto che il Dono sia manipolabile ad un livello anche più altro: potrebbe essere possibile usarlo per fermare terremoti ed eruzioni, per plasmare la forma stessa della Terra. E il campione che mi ho mostrato è puro solamente al 50%(**)...! »

I consiglieri mormorarono tra loro in un misto di ammirazione e titubanza. Tayou invece rimase immobile, l'espressione indecifrabile, sforzandosi di sorridere incoraggiante a Nuvem quando questo gli scoccò un'occhiata tronfio della propria vittoria e tornando pensieroso quando il sovrano si mise a parlottare coi consiglieri.

Il biondo non capì perché si sentisse così turbato, la riuscita del progetto di Nuvem significava la salvezza per la loro gente, sebbene avrebbero dovuto ancora – le occhiate in sordina che si lanciarono lo convinse di questo – tenere sotto controllo tutto il Consiglio Maggiore e i suoi eventuali rapporti con il resto della famiglia Melynas, che forse avrebbero potuto vedere chissà quale tentativo di cospirazione e tirannia nella scoperta dell'attuale sovrano.

Eppure Tayou avvertì il gelo percorrergli subdolo sottopelle, mentre nella mente continuò a persistere l'immagine del sorriso di Nuvem, bramoso e quasi feroce oltre ogni ragione intanto che contemplava i magnifici bagliori argentei del Dono che costudiva fra le dita.

Un potere immenso custodito come un gioiello in un cofanetto.

Il giovane generale inspirò a fondo seguendo il gruppo a pochi metri di distanza che si diresse, Nuvem in testa con la testa alta e le spalle dritte, verso la sala del Consiglio Maggiore.

Non doveva fare simili pensieri.

Erano gli stessi che avevano infettato le menti dei Melynas e dei consiglieri anziani; tutte sciocchezze, dicerie, calunnie. Lui sapeva chi fosse davvero Nuvem, non doveva temere per ciò che aveva creato e per il potere che custodiva.

Quel potere era la loro salvezza.

 

 

 

 

« Posso solo dire che non mi sembra un'ottima idea? »

« Sono il sovrano se ancora non l'hai dimenticato – lo apostrofò divertito – credo mi sia concesso di fare ciò che voglio della mia persona. »

Tayou squadrò Nuvem severo e Luz, seduta vicino a lui, ridacchiò piano.

« Decidere di compiere una dimostrazione pubblica fuori da una cerimonia ufficiale e dalla presenza del Consiglio Maggiore, lo definirei di più stuzzicare il can che dorme. »

« Il Consiglio ha approvato il proseguimento delle sperimentazioni. »

Replicò Nuvem pacato accavallando le gambe e guardandolo sereno, come un genitore che ribadisse l'ennesimo concetto ad un bimbetto ostinato:

« Non mi sovviene ci siano state richieste di restrizioni al mio operato, in quanto sono stato ufficializzato come supervisore della ricerca. Perciò non vedo cosa stia facendo di sbagliato agendo come si è stabilito. »

« Ho seri dubbi in proposito… »

Tayou si passò una mano sul viso sbuffando esasperato e Nuvem sorrise divertito, Luz che continuò ad impegnarsi per non scoppiare a ridere di quel battibecco così sciocco e famigliare per una questione, al contrario, tanto seria.

La presentazione al Consiglio Maggiore del Dono ottenuto da Nuvem aveva suscitato un pandemonio nei corridoi del palazzo reale. Nessuno aveva trovato come contrastare l'idea e il progetto del sovrano, forte dei risultati del suo preparato e dell'averlo sperimentato di fronte ai membri anziani del Consiglio, che non avevano potuto nascondere di aver effettivamente assistito al prodigio della rinascita: Nuvem non solo aveva ottenuto unanime consenso perché tutto il resto dei laboratori si convertisse allo studio e allo sviluppo del Dono salvifico, ma anche la totale gestione di ogni campione prodotto in quanto lui, a conti fatti massimo conoscitore di quel campo ignoto, sapeva al meglio come contenere i prorompenti effetti della soluzione e come non dissiparli.

Ma Nuvem non nutriva fiducia nel Consiglio né men che meno negli altri membri dei Melynas. Le voci maligne volenti o meno erano giunte alle sue orecchie ed era consapevole fosse bastata mezza giornata perché da "soluzione per la salvezza" il Dono venisse etichettato come "arma di tirannia".

Innegabilmente i campi di applicazione di quella forza misteriosa potevano essere anche bellicosi e dannosi, ma certamente non era nei piani primari del moro, con la terra che non faceva che squarciarsi in fiumi di lava e tremare sotto i piedi del suo popolo. La semplice equazione non sembrò pervenire ai frequentatori della sala del Consiglio e ai nobili detentori del sangue Melynas e Nuvem seppe da subito di aver bisogno di una voce fuori dalle burocratiche e affettate mura della propria dimora, la voce riconoscente e senza pregiudizio del popolo; a nulla sarebbe valsa qualsiasi protesta dei pochi al potere, quando la gente per strada avesse visto coi propri occhi i prodigi del Dono e avesse inneggiato il proprio sovrano a salvatore.

Come agire dunque?

Il Consiglio aveva approvato l'uso del Dono quanto più rapidamente si fosse potuto per andare in soccorso delle città e dei villaggi plagiati dai cambi climatici, ma Nuvem non aveva perso tempo ad organizzare un evento in pompa magna che avrebbe potuto soffrire, invece, della presenza di coloro di cui aveva solo un finto appoggio.

In fondo, sbrigati i propri doveri di reggenza lui era libero di muoversi e di fare ciò che più preferiva. Nulla di strano quindi per una breve uscita fuori dai confini della città, verso le campagne lontane, e nulla di strano se al suo fianco si fosse trovato il generale Tayou a, magari apprensiva, ma giusta scorta del proprio re. La sola cosa inaspettata era stata la presenza di Luz: la neo sacerdotessa aveva costretto i fratelli a raccontarle per filo e per segno quanto stesse succedendo, non così sciocca da non intuire i cambiamenti nei loro atteggiamenti né da non connettere le voci di palazzo  con le misteriose ricerche di Nuvem, e una volta scoperto il tutto aveva preteso di trovarsi al fianco del mezzano per sostenerlo.

« In fondo io sono l'ancella delle divinità. »

Aveva puntualizzato con finto tono pomposo, ripetendo divertita la definizione del proprio titolo così come veniva detta il giorno della nomina al sacerdozio:

« È mio dovere portare testimonianza di simili miracoli. – aveva insistito prendendo in giro i due ragazzi e poi aveva ammiccato, più seria – E poi la mia presenza e la mia parola di fronte ad un villaggio intero varranno pur qualcosa, no? »

Tayou non era stato per nulla convinto delle sue parole, ma Nuvem invece era parso più sereno della presenza della sorella e alla fine anche il biondo aveva ceduto; in fondo l'idea di Luz non era sbagliata – nonostante la sua innata bontà e candore era meno ingenua di quanto si potesse supporre – e lui faticava di più a scorgere nello sguardo di Nuvem quel lampo preoccupante per il Dono, quando la ragazza gli era vicina: in qualche modo la sua presenza pareva dissipare la vaga ombra sul viso del moro, sebbene la sua mano non facesse che scivolare pensierosa nella tasca dell'elegante mantello che il sovrano si era messo sulle spalle e in cui conservava il contenitore con la soluzione miracoloso.

« Ti angosci troppo – aveva ridacchiato Luz battendo il palmo sul ginocchio rigido di Tayou – per quante malelingue possano esserci a casa, per quanto astio, Nuvem sta cercando di salvare delle vite. Salverà delle vite. »

Si corresse e sorrise calorosa al moro posandogli poi la testa sulla spalla con fare affettuoso:

« Non ho mai dubitato che avresti trovato la soluzione. »

Nuvem non rispose rimanendo immobile mentre il suo petto ruggì gonfiandosi fiero dell'affetto. Luz rivolse un altro sorriso dolce a Tayou che rilassò la schiena contro la navicella di superfice su cui stavano viaggiando, prendendo un respiro più calmo; il sole tra gli alberi gli scaldò il volto e, di colpo più sereno, il giovane socchiuse gli occhi godendosi il tepore e i vaghi suoni che venivano da oltre il vetro ogivale dell'abitacolo.

Il lievissimo sferzare l'aria del loro mezzo di trasporto che scivolava a pochi centimetri dal suolo, tra gli alberi e le colline. Il fruscio dell'erba sottostante e l'appena intuibile ronzio della seconda navetta, alcuni metri di fronte alla loro, con a bordo i pochi soldati scelti che aveva deciso di condurre con sé per sicurezza, e che apriva la strada al trasporto reale automatizzato su cui sedevano. Un rombo di acqua, una cascata in lontananza, un riflesso argentino che gli stuzzicò il campo visivo dietro le palpebre chiuse spingendolo a sbirciare per capire quanto mancasse all'arrivo: osservò distratto la grande gola che aveva iniziato ad aprirsi sul lato sud del sentiero e il fiume spumeggiante che scorreva sul suo fondo, mentre ascoltò con un solo orecchio Luz continuare a parlare con Nuvem.

« Sappi però che non ho intenzione di vederti nuovamente in condizioni così disastrate – tuonò bonaria la ragazza aggrappandosi al braccio del moro e puntandogli l'indice contro il naso – sono stata chiara? »

« È così che si parla al proprio re? »

Lei replicò con un grugnito secco e poi sospirò dolente prendendogli le mani:

« Ti prego… »

« … Certo. – rispose arrendevole – Te lo p- »

Lo scossone che fece tremare la navetta non coprì lo strillo secco di Luz che pur di non cadere si aggrappò al braccio di Nuvem con entrambe le mani, finendo comunque con le ginocchia a terra.

« Cos'è stato? »

Bisbigliò il moro accucciandosi accanto a Luz e stringendola a sé. Tayou estrasse la spada fulmineo:

« Non lo s- »

Nonostante i secoli trascorsi da quel giorno, la manciata di secondi in cui avvenne il tutto sarebbero rimasti impressi nella mente di Tayou istante per istante.

La navetta diede un altro scossone più forte del primo facendoli cadere tutti e tre sul pavimento. Luz strillò un'altra volta tentando vanamente di rimanere dritta, poi ancora la navetta iniziò ad inclinarsi di costa e slittò di lato con l'agghiacciante sibilo del metallo contro il terreno duro. Luz si aggrappò con le unghie al sedile per non precipitare contro il fianco della carena, Nuvem che la stringeva per la vita provando a fare altrettanto e potendo fare perno solo coi gomiti per reggersi. Tayou tentò invano di mettersi dritto e aprire la porta dell'abitacolo per far scendere al volo i fratelli, non riuscendo nemmeno a capire dove stesse sbandando la vettura con tutto quel tramestio, e cercando di pensare rapidamente agitò la lama pregando di riuscire ad imprimerle abbastanza forza da aprirsi un varco d'emergenza. La spada d'acciaio squarciò il lato della navetta che, in teoria, in quel momento si trovava più lontano dal suolo mostrando un ubriacante susseguirsi di colline, alberi e cielo mentre la cabina finì di posizionarsi completamente in verticale.

La navetta ebbe un altro sussulto e ci fu un fracasso di rocce. Luz con un grido soffocato perse la presa dal sedile, ma Nuvem le afferrò il polso abbandonando il proprio misero sostegno per tirarla inutilmente verso l'alto e scambiandosi di posto con lei, andando a sbattere contro il portello.

Luz e Tayou lo chiamarono all'unisono e la cabina si spalancò nel vuoto della gola con Nuvem al seguito, proseguendo ad inclinarsi sottosopra. Il moro, le dita di una mano sul bordo  dello sportello, allungò l'altra per sostenersi oscillando inutilmente e sbattendo contro il limite dello strapiombo, mentre Tayou, non riuscendo a pensare a nulla per fermare quell'inesorabile girotondo, conficcò in quello che era stato il fianco della navetta la propria spada, come fosse un puntello, l'altro braccio attorno alla vita di Luz nello sforzo di concedere ad entrambi altri secondi prima di precipitare; il biondo fece per allentare la presa dalla sorella, pregando potesse reggersi da sola all'altro suo braccio, pur di tirare di nuovo sulla navetta il fratello che invece si ritrasse e lo fulminò feroce:

« Non lasciarla! »

« Nuvem! »

La voce strozzata di Luz coprì qualunque suono che il moro emise perdendo la presa, un istante prima che la ragazza lo seguisse verso i gorghi del fiume.

« Luz! »

Tayou strinse vanamente il braccio dove un secondo prima si trovava la vita della sorella, afferrando solo aria e sentendo nello stesso momento le unghie di lei graffiargli la mano sull'elsa, nell'ultimo disperato cenno di appigliarsi alla salvezza; il biondo vide la macchia scura di Nuvem e quella chiara di Luz ridursi di dimensioni intanto che la navetta finì di inclinarsi sul suo tetto e lui perse l'appiglio sulla spada.

L'abitacolo si rovesciò di fronte a lui nascondendogli la vista dal destino dei suoi fratelli, chiudendolo tra le lamiere ormai contorte e il suolo e schiacciandolo con il peso della propria carcassa; il sapore della terra si perse nel dolore acuto del metallo sopra di lui, delle pietre sotto e sul suo viso, nel gusto del sangue in bocca.

Per alcuni secondi si convinse che il metallo si sarebbe continuato a deformare verso il basso fino a schiacciarlo. Il ginocchio destro gli diede una stilettata di dolore atroce emettendo un suono sordo simile ad un crack, qualcosa di freddo e appuntito gli premette con forza sulla schiena togliendogli l'aria e strappandogli la divisa fino a graffiargli la pelle.

La navetta diede un ultimo scricchiolio metallico e precipitò inerme verso l'acqua. Tayou, stordito, aprì le labbra volendo urlare alla carcassa di fermarsi, tremando al pensiero che Luz e Nuvem fossero nella sua traiettoria, ma non uscì che un rantolo indistinto.

Ebbe l'impressione che qualcuno gli camminasse attorno, gli parlasse concitato e urlasse degli ordini ad altri. Il pensiero della truppa a scorta lo attraversò come un lampo vago: riuscì appena a scacciare una mano che provò a sollevarlo per la spalla – il dolore di quel contatto fu troppo per lasciare che lo toccassero – e tese l'indice verso il basso pregando che il suono confuso, probabilmente la voce del soldato che voleva aiutarlo, fosse una domanda circa il destino del sovrano e della sacerdotessa e che il suo gesto non passasse incompreso.

Ancora tramestii e ancora mani su di lui, prima che una vacua oscurità gli velasse gli occhi e le orecchie non sentissero più altro che un ronzio assordante.

 

 

 

 

Non aveva idea per quanti giorni avesse dormito. Non molti di certo, ma non gli interessò sapere i dettagli: era conciato sorprendentemente bene, nonostante tutto: la fortuna di essere rimasto nella piccola bolla dell'abitacolo che gli aveva concesso un po' di spazio per sopravvivere, e non sotto o, peggio, tra la navetta e uno dei suoi bordi taglienti.

Tuttavia per alcuni giorni non potè alzarsi dal letto, cosa che non lo salvò dal sentire i mormorii sulle condizioni di Luz e Nuvem e morire d'angoscia ora dopo ora senza potersi accertare dei fatti.

Un miracolo, dicevano i domestici.

Un incidente terribile, mormoravano tra i singhiozzi le donne.

Un pronto salvataggio, sentiva dai bocconi di discorsi orgogliosi tra i soldati che elogiavano l'operato dei loro commilitoni.

Un'impensabile fatalità, lo consolavano i Melynas prima di uscire dalle sue stanze con espressioni indecifrabili rassicurandolo:

« Ma in fondo sia voi che il nostro amato sovrano siete ancora vivi, è questo ciò che conta. »

E quindi scomparivano con sorrisi gelidi di chi non credesse ad una sola parola e tuttavia fosse soddisfatto della situazione.

Quando finalmente potè alzarsi Tayou constatò quanto di vero ci fosse in quella sensazione.

Sia Nuvem che Luz erano stati salvati dal fiume puramente per un fato benigno, così si diceva, ma il generale sapeva bene che era stata solo la forza di Nuvem e la sua volontà di salvare Luz, che gli avevano permesso di trascinare il corpo inerme della sorella e il proprio sul primo scoglio adatto a non farli annegare, giusto il tempo perché i soldati li trascinassero a riva.

Oltre quell'incredibile sfoggio di volontà Nuvem non se l'era cavata certo con poco; ancora per settimane rimase confinato nelle sue stanze, prima non riuscendo a muovere che la testa, confuso e quasi incosciente; man mano che riacquistò lucidità le ferite iniziarono a donargli i dolori più atroci per le decine di ossa rotte, strappandogli grida pari solo a quelle che emetteva delirando per gli spasimi e la febbre:

« Non importa di me! Pensate a Luz! Dov'è Luz?! Voglio sapere cos'è successo!! Non di me! Di lei! Occupatevi di lei! Dov'è Luz?! »

La terzogenita di Gima, forse baciata da un poco di buona sorte che aveva reso il suo impatto con l'acqua meno violento rispetto a quello di Nuvem, pur non avendo gravi danni ad ossa o arti era però dei tre colei che versava in condizioni più critiche. La paura e lo stress, combinati con il tuffo e la permanenza nell'acqua gelida del fiume avevano avuto la meglio sulla sua salute, sempre fragile pur se irrobustitasi con l'età.

Per giorni Luz combatté contro febbri violente che ne scossero il corpo e mozzarono il respiro, vegliata giorno e notte nel timore che un colpo di tosse più brusco la soffocasse nel suo sonno senza riposo; più passarono i giorni più il suo corpo si indebolì, rendendole difficile riprendersi e facendole rialzare la temperatura in un circolo senza uscita finché finalmente riuscì a trascorrere da un sorgere del sole ad un successivo senza che ricominciasse a tremare per le febbri. Tuttavia stentò a riprendersi; ancora giaceva in un letto quando Nuvem riuscì ad alzarsi con le proprie gambe, contro la volontà di ogni medico, e non migliorò per quasi un mese sempre bloccata in un dormiveglia angosciante, il viso color del gesso e il respiro ridotto ad un soffio tremulo.

Tayou, che dovette sorreggere Nuvem per tutto il tragitto dalle sue stanze a quelle della sorella, temette di vederlo impazzire di rabbia e strepitare per tutto il palazzo come aveva fatto dal proprio letto per giorni. Invece il moro si fece condurre in religioso silenzio al capezzale di Luz, ne sfiorò con apprensione il volto sciupato e cereo e le asciugò la fronte imperlata di sudore, quindi posò una mano sulla spalla di Tayou e lo spinse via, con calma e fermezza allontanandosi e uscendo in silenzio.

Al biondo il gesto suonò come un chiaro ordine a non seguirlo e, sebbene vedesse Nuvem faticare a reggersi dritto sulle proprie gambe, non ebbe la prontezza né la forza per obbiettare.

Qualcosa in quell'ordine muto gli parve così definitivo da non poter far altro che eseguirlo docilmente.

Dopo i giorni di malattia e il suo vaneggiare furioso nessuno si sarebbe mai aspettato che il sovrano si sarebbe comportato con calma così estrema nel riprendere i propri doveri. Fu con una pacatezza disarmante, quasi preoccupante, che constatò la distruzione del campione di Dono che aveva portato con sé e che, dedusse, si fosse sparso nel fiume:

« Ciò spiegherebbe la mia, in fondo, miracolata salvezza e quella della Sacerdotessa: l'influsso del Dono che si è espanso nelle nostre vicinanze deve aver impedito morissimo all'impatto. »

La sua spiegazione aveva fatto storcere il naso ai capifamiglia Melynas, quasi che si trattasse solo di una giustificazione per qualcosa che aveva compiuto premeditatamente. Eppure Nuvem non reagì a simili atteggiamenti, né con sorrisi sottili né in privato con commenti o altro, limitandosi a studiare indifferente i visi dagli occhi color del cielo e a ritirarsi alle proprie mansioni come se nulla fosse accaduto, in quelle stanze o nelle settimane passate.

Tayou non riuscì a capire, né potè intuire. La presenza di Nuvem divenne quella di un fantasma, nessuno sapeva dove scivolasse durante la giornata: presenziava alle riunioni del Consiglio, ai nuovi esperimenti in laboratorio sul Dono – di cui al momento, così affermava pubblicamente, non c'erano campioni abbastanza puri per l'uso che necessitavano – agli eventi di palazzo con una cordiale indifferenza, svanendo dalla circolazione a compimento di tutto senza che qualcuno potesse intuire dove andasse. Rivolgeva a stento la parola a Tayou e non gli chiese più di accompagnarlo da nessuna parte, né si presentò altre volte a far visita a Luz lasciando invece che se ne occupasse il fratello maggiore.

Tayou si convinse di aver provocato la rabbia di Nuvem, che immaginò stesse indagando in segreto su quanto successo alla gola, ma si domandò perché non lo aggredisse direttamente o non gli dimostrasse il suo scontento: in fondo non aveva mai fatto troppe cerimonie per affrontarlo in qualsiasi occasione e proprio in quel momento, con Luz ancora in via di guarigione e la certezza che non potessero fidarsi che l'uno dell'altro in un covo dorato di serpi, l'atteggiamento distaccato di Nuvem lo confondeva e spaventava.

 

 

 

 

 

« Questo silenzio mi snerva… »

« Non pensarci – la rassicurò Tayou stringendole la mano pallida – sai com'è Nuvem quando decide di capire qualcosa, e la situazione non è delle più favorevoli. »

« … Neppure tu pensi sia stato un incidente? »

« Andiamo Luz, non fare la sciocca – le sorrise affettuoso – davvero credi che una navetta di superficie automatizzata possa comportarsi come la nostra senza un intervento esterno? »

Luz rispose con un verso muto fissando le dita forti del fratello sulle proprie.

« O senza essere travolta da una mandria impazzita? »

La domanda stupida le strappò una risata e Tayou, rasserenato nel vederle un accenno di sorriso in volto, insisté:

« La più abile mandria impazzita che abbia mai visto, dovevamo proprio non piacergli… »

« Oh, Tayou, smettila! »

« Se no perché hanno lasciato stare l'altra navetta?! È discriminazione. »

« Piantala di fare lo stupido. »

Lo sgridò con uno schiaffetto sul dorso della mano sforzandosi di non ridere oltre. Tayou obbedì sorridendo e le accarezzò la fronte:

« Ora riposa. Vedrai che già domani potrai alzarti. »

« Lo spero vivamente… »

Tayou le baciò la fronte, le fece l'occhiolino e l'aiutò a stendersi, uscendo con passo leggero mentre Luz già si addormentava. Il biondo si chiuse la porta alle spalle con un sospiro, cercando di non dare voce agli stessi dubbi che tormentavano la sorella, quando Nuvem gli passò attraverso il campo visivo: il moro attraversò rapido il corridoio ed entrò in un altro senza accorgersi della presenza di Tayou, che esasperato decise di verificare con i propri occhi cosa stesse facendo.

Muovendosi tra le ombre il biondo pedinò Nuvem per lunghi minuti, scivolando in corridoi vuoti avvolti nell'oscurità della sera e dirigendosi verso le stanze più in basso del palazzo, zone di archivi e vecchie sale in disuso. Nuvem si diresse verso un'ala dei sotterranei che parve essere rimasta chiusa per anni dal resto dell'edificio, puzzolente di umidità e terribilmente buia; il pavimento coperto di polvere riportava decine di passi degli stessi piedi che rimbombarono in un silenzio muffito finché un gemito soffocato non spezzò la quiete da cimitero facendo quasi sobbalzare Tayou per lo stupore. Il biondo, ben addestrato, riuscì a non emettere un suono che lo rivelasse e proseguì a seguire Nuvem, indifferente a quanto successo, e lo vide svoltare oltre un arco laterale. Il gemito divenne una supplica ben udibile che rimbalzò sulle pareti gelide.

« Maestà… Maestà vi prego, non lo so… Non so nulla… »

« Anche i tuoi commilitoni hanno detto così all'inizio. – corresse la voce di Nuvem con calma – Poi, chissà perché, hanno ricordato tantissimo. »

Tayou si affacciò nella sala, rimanendo in uno spicchio di ombra da cui non fosse distinguibile, e inorridì.

Si trovarono in una grossa sala circolare, forse ciò che restava di una piccola prigione di rigore per soldati che, anni prima, dovevano sostare anche in quella zona del palazzo. Cinque celle anguste racchiudevano lo spazio ormai vuoto al centro della stanza, o almeno vuoto di suppellettili: oltre a Nuvem, che passeggiò avanti e indietro facendo scricchiolare le pietre rovinate, Tayou distinse una piccola massa indistinta in un angolo, avvertendo un conato di vomito quando capì che si trattava di corpi; strizzò gli occhi lottando contro l'istinto di fiondarsi nella stanza e riconobbe nei pochi visi che potè vedere bene il manipolo di soldati addetti alla loro scorta il giorno dell'incidente: tutti avevano ferite nette, brevi e profonde sul volto, segni lasciati da una mano ferma intenzionata a fare del male, alcuni non avevano quasi più fattezze riconoscibili.

« Maestà, per favore…! »

Il lamento piagnucoloso costrinse Tayou a distogliere lo sguardo dal macabro ammasso di carne e a capire che nella stanza qualcuno fosse ancora vivo. Un soldato che non doveva avere nemmeno vent'anni era legato alla gamba con una catena nel pavimento, la divisa squarciata in più punti e macchiata di rosso ma, inspiegabilmente, nessuna ferita evidente.

« Chiudi quella bocca, traditore. »

Il soldato emise un gemito di terrore mentre Nuvem fece comparire nella propria mano una lunga spada lucida. Ci fu un altro piagnucolio e il moro affondò la lama nella schiena del soldato trapassandogli la pancia, senza alcuna esitazione.

Tayou si accostò alla parete aggrappandosi con tutte le forze. Paralizzato osservò il poveretto a terra vomitare sangue, rantolando frasi senza senso mentre Nuvem, indifferente, ritirava la spada e riprendeva a parlare:

« Dunque, ricominciamo. – disse girando attorno al soldato e portandosi di fronte a lui – Chi vi ha dato l'ordine di manomettere il sistema di stabilizzazione della navetta? »

Il soldato gorgogliò qualcosa di indistinto, chiaramente sul punto di perdere conoscenza per sempre e, inspiegabilmente, quasi felice della cosa; il suo vaghissimo sollievo si tramutò però in terrore mentre vide Nuvem frugarsi in tasca, e prese a scuotere la testa implorando muta pietà.

« Chi è stato? »

Il soldato ormai morente e accasciato su un fianco mosse ancora la testa, gli occhi dilatati e il volto rigato di lacrime. Tayou, sempre più confuso, vide Nuvem estrarre una sfera grande quanto il palmo della propria mano contenente un liquido iridescente che il biondo conosceva bene: l'oggetto splendette un secondo inondando la stanza tetra di luce benefica e il soldato emise un chiaro e angosciante lamento intanto che la sua ferita veniva, ancora una volta, guarita trascinandolo lontano dall'abisso della morte.

« Devo dire che sei più robusto dei tuoi colleghi – si complimentò freddo Nuvem – la formula pura solo al 15% percento dovrebbe avere dei limiti di soluzione, eppure continui a resistere. »

« Vi prego… Vi prego maestà, basta… Lasciatemi… Non so nulla, lo giuro… Non lo so… Io non lo so… »

« Però hai eseguito lo stesso ordine degli altri – sibilò il moro feroce sfiorandogli la gola con la spada – hai fatto in modo che la navetta perdesse il controllo cercando di ucciderci. »

Il giovane si protese per quanto possibile in piedi verso di lui, le mani tese in avanti piangendo ormai senza controllo, il volto macchiato di rosso:

« Maestà ve lo giuro… Non lo sapevo, non sapevo niente… Io sono venuto a salvarvi, non sapevo niente… »

Nuvem per tutta risposta lo ferì ad entrambe le gambe, costringendolo ad accasciarsi ginocchioni e ad aggrapparsi all'abito del sovrano per non cadere di faccia; le sue grida divennero indistinguibili dalle preghiere.

« Voglio i nomi. Lo so che li hai. – insisté Nuvem crudele agitando la lama nel vuoto – Chi è stato? »

« Nuvem, basta! »

La sorpresa impedì al moro di reagire con abbastanza prontezza da scacciare la mano di Tayou sul proprio braccio.

« Che stai facendo… Cosa stai facendo?!? »

Nuvem lo squadrò gelido:

« Ottengo risposte. »

« Tu non…! Fermo! »

Il soldato, che aveva smesso di lamentarsi scioccato dall'arrivo del generale, colse l'occasione di quel breve intoppo e si lasciò cadere contro la lama di Nuvem tagliandosi la gola e ponendo fine alla propria tortura. Tayou emise due lunghi respiri tremanti, incapace di dare un senso a ciò che vide, mentre Nuvem urlò di rabbia:

« Sciocco! Il Dono a questo stato non può curare simili ferite! »

« È questa la tua preoccupazione?! – esalò senza fiato il biondo – Nuvem, cosa stavi facendo?! »

« Tayou, non essere stupido – lo sferzò – sai bene che non è per un incidente che siamo caduti in quel fiume. Volevano ucciderci, e voglio scoprire chi è stato. »

« Torturando soldati innocenti?! »

Nuvem rise sprezzante:

« Innocenti ai tuoi occhi! Tu non hai mai capito come ragiona il Consiglio… Come ragionano e come agiscono i Melynas – soffiò acre – sanno scovare il malcontento e il sospetto ovunque, corromperebbero anche te se lo volessero. »

« Ma tu-! »

« Ma io nulla! – lo bloccò feroce – I tuoi fedeli soldati erano stati ingaggiati per manomettere la navetta e ucciderci tutti! Hanno agito in modo che morissimo tra le lamiere come formiche sotto una pietra! »

Tuonò e indicò i cadaveri ammucchiati come immondizia:

« E quando questo non è successo avrebbero dovuto lasciarci morire! Eppure, no. E sai perché non l'hanno fatto?! – domandò velenoso – Per paura! Hanno temuto che il loro non intervento avrebbe potuto destare sospetti quindi ci hanno riportato indietro, pregando che morissimo per le ferite nei nostri letti! »

Si girò con odio verso il giovane appena morto e lo colpì con un calcio poderoso alla testa, mandando un altro grido di frustrazione:

« Cani! Codardi! Vigliacchi! »

« Non era tuo compito interrogarli! E non così! »

Lo apostrofò Tayou non concependo ancora cosa il fratello stesse affermando o cosa stesse vedendo attorno a sé:

« Li hai torturati! E con il…?! Ne avevi ancora?! Avevi ancora dei campioni di quella cosa?! »

« Certo che ne ho – sibilò – io l'ho creata, io so come custodirla. È il mio Dono. »

« Nuvem, ma che stai dicendo…? »

Il moro lo squadrò furente:

« I Melynas temono così tanto che sia più potente di loro? Ebbene, lo sono. Lo sono sempre stato, ma non mi importava. Ora gli dimostrerò in concreto come i loro timori abbiano fondamento. »

« Hai perso la ragione?! »

« Ogni mio sforzo per salvare questo mondo è inutile se dovrò pensare in continuazione a tenere a bada quegli scarafaggi che impestano il palazzo. – disse disgustato – È giunto il momento che li ricordi qual è il loro posto. »

Si calmò un momento girando tra le dita la sfera con il Dono all'interno, ormai semivuota, e la rimise in tasca:

« Un così minimo tasso di purezza sarà sufficiente. Una volta riportati nei ranghi potrò concentrarmi sull'ottenere un'energia più limpida e intensa. »

« Chi se ne importa dei Melynas! Stai dicendo cose senza sens- »

Tayou ammutolì trovandosi la spada del fratello poggiata alla spalla:

« Tu non vedi. Non vuoi vedere quanto marcia, corrotta e stupida sia la nostra famiglia. – sbottò con odio – Tu non hai mai avuto bisogno di vedere. Io sì. Lo so, da sempre. E se non ti fosse ancora chiaro da come la Dama Rossa sia stata vicina al venirmi a prendere, dovresti capirlo solo dal fatto che avrebbero accettato di perdere perfino il loro "amato, legittimo sovrano". »

Gli occhi celesti del moro si ridussero a due schegge di ghiaccio:

« Oltre alla loro amatissima Luz la Soave. »

« Pensi che non sia furioso per questo? »

« Penso che anche tu mi abbia tradito. »
Sibilò con tono rabbioso e deluso:

« Avevi giurato di seguirmi. Di obbedire e fidarti delle mie decisioni, della mia volontà, eppure mi pedini come se fossi l'ultimo dei ladri. – la sua stretta sull'elsa si acuì – Anche se ti avevo detto di reggerla, tu l'hai lasciata andare. »

« Nuvem… Sei mio fratello. – mormorò il biondo senza forze – Volevo salvarvi entrambi. »

« Tu mi avevi promesso di seguire la mia volontà. – ribadì cupo – Invece, l'hai lasciata andare. »

Lo fissò dritto in volto e poi ringuainò l'arma, andandosene senza voltarsi.

Un ultimo atto di affetto, forse.

O l'incapacità di accettare che anche Tayou lo avesse abbandonato.

Il biondo non seppe bene per quanto tempo rimase là sotto. Quando tornò al buio confortevole della notta al piano terreno la sua testa ronzò impazzita impedendogli di decidere cosa fare.

Una piccola parte di sé perdonava Nuvem e ne comprendeva la rabbia, l'astio, la coscienza di non potersi fidare di nessuno.

Ma ciò che aveva visto non…

E il Dono. Quel fantomatico Dono… Era evidente che Nuvem avesse da giorni perso l'idea che quell'oggetto fosse un'offerta per la loro gente: ormai era proprietà del sovrano, non avrebbe permesso a nessuno di toccarlo o di usarlo fuori dalla sua volontà.

No, Nuvem… Andava fermato. Calmato e… Riportato sulla via della ragione. Subito.

Luz…

Ecco, lei, lei avrebbe potuto compiere l'impresa, ma la ragazza era ancora troppo debole per confrontarla con una simile atrocità.

Il Consiglio. Sì, alcuni… Alcuni membri ancora fedeli a suo padre e non ostili nei confronti del nuovo sovrano, loro lo avrebbero appoggiato, avrebbero sostenuto Nuvem e lo avrebbero aiutato a placare la sua ira…

Doveva tentare. All'istante, subito.

Si diresse verso l'aula del Consiglio Maggiore come in trance, la luce dell'alba – quante ore aveva vagato per i corridoi vuoti…? – che tra una colonna e l'altra lo accecava. Vide la sala del Consiglio dall'inizio del corridoio e si sorprese di vederla aperta già a quell'ora, come si sorprese di udire una voce risuonare da sola fra le pareti. Il freddo gli serrò lo stomaco quando si fermò sulla soglia.

Qualsiasi discorso Nuvem stesse tenendo di fronte ai consiglieri lui non lo percepì, inorridito dalla scena che si spiegò ai suoi occhi: le teste dei soldati torturati stanziavano accanto ai corpi inermi dei tre consiglieri anziani e a quelli delle due più grandi case cadette dei Melynas, disposti con una sorta di ordine perverso come grotteschi frutti ai piedi di Nuvem che passeggiò avanti e indietro con noncuranza, la spada in una mano e l'odio dipinto sul volto. Il Consiglio era immobile, muto, mentre il giovane sovrano elencò con calma le ragioni dell'esecuzione appena compiuta e chiedeva un ristabilirsi dell'ordine gerarchico:

« Desidero che d'ora in avanti il Consiglio non si immischi più nella ricerca del Dono, in quanto è fatto evidente che non ne ha compreso le potenzialità, come non ne ha compreso le implicazioni. – disse – Inoltre vorrei fosse chiaro a tutti che so, purtroppo, delle volontà malevole nei confronti della mia famiglia e che non ho più intenzione di soprassedere su nessuna di esse. »

« Questa… È follia – mormorò qualcuno dalle sedute – pura follia! »

Nuvem non si voltò neppure verso chi aveva parlato. Il Dono nella sua tasca brillò e lui compì un solo gesto con il braccio, generando un'onda d'urto con la lama tale che sul pavimento e sulle gradinate si aprì uno squarcio di un metro, che incenerì chiunque si trovasse nella sua traiettoria. Le urla dei consiglieri si spensero con il boato breve del fendente e il tocco secco della spada contro il pavimento:

« Spero che le mie decisioni siano chiare ora. »

Ribadì Nuvem gelido, quindi voltò appena la testa oltre la propria spalla scoccando a Tayou un'occhiata delusa, ma non sorpresa. Il biondo era troppo stordito per fare altro che fissarlo a sua volta, la bocca semiaperta dall'orrore, e si rianimò solo quando due guardie lo catturarono saldamente per le spalle.

« Alla fine sei esattamente come tutti loro. »

Sospirò Nuvem dolente e diede la schiena alla scena, sordo alle proteste e ai richiami di Tayou.

« Tayou Melynas – sentenziò – 46° discendente della casata Melynas, primogenito del precedente reggente Gima Melynas e attuale Generale dell'Armata, sei dichiarato in arresto per tradimento all'attuale sovrano Nuvem Umiiro Melynas. »

« Nuvem…! »

« La pena per il tradimento alla reggenza è l'esecuzione capitale, ma non ritengo che una morte rapida sia una giusta punizione. Pertanto sarai privato del tuo titolo e dei tuoi averi, sarai spogliato del nome Melynas e imprigionato a vita. »

Tayou lottò come una furia tentando di liberarsi dei suoi carcerieri, volendo solo raggiungere il moro per guardarlo in viso, per scuoterlo e farlo smettere con il suo delirio, ma la sola cosa che vide mentre lo trascinarono via fu la schiena ormai irriconoscibile del suo perduto fratello.

 

 

 

 

 

 

Quando la propria vita viene relegata all'esistenza in uno spazio chiuso e invalicabile si rischia di perdere la cognizione del tempo; perfino Tayou avrebbe faticato a tenere il conto dei giorni che trascorrevano dietro le sbarre di una cella nascosta in qualche tugurio: per sua fortuna le prigioni in uso in quel periodo non erano gli squallidi loculi muffiti dell'ala abbandonata, ma uno sezione della caserma dell'Armata in cui poteva giungere la luce del sole e i rumori delle strade.

A ben pensarci forse sarebbe stato meglio essere più lontani e isolati da ciò che, in teoria, non si sarebbe mai più potuto provare direttamente.

Tayou però aveva pensieri ben più gravi a cui badare.

Nuvem ormai aveva perso del tutto la ragione. Le sue ricerche sul Dono avevano smarrito il loro scopo iniziale, il sovrano desiderava a tal punto possedere il controllo su ogni cosa che la salvezza della popolazione assunse il posto di mero effetto collaterale raggiunto il potere assoluto: ciò a cui Nuvem aspirava era una forza tale per cui nulla e nessuno, né i Melynas, né il Consiglio Maggiore né la Terra stessa avrebbero più potuto opporglisi o ferirlo, né lui né coloro a cui teneva. Lista ormai ristretta unicamente a Luz.

La diffidenza del sovrano nei confronti di chiunque lo circondasse e il terrore di perdere la sorella crebbero fino alla paranoia, tanto che decise non ci fosse altro modo per proteggerla che averla al suo fianco qualsiasi ora del giorno e della notte. Due mesi dopo l'incarcerazione Tayou sentì annunciare con gioia per le strade che Nuvem avrebbe preso la Soave in moglie: a nulla valsero le furiose dell'ex-generale grida contro le sbarre e le sue richieste di vedere la sorella o il fratello, nessuno lo ascoltò e nessuno si presentò al suo cospetto per soddisfare le sue preghiere. Nessuno trovò strano o contorto il gesto del sovrano, desideroso unicamente di mantenere al proprio fianco l'unico membro rimasto della propria famiglia con cui, in fin dei conti, aveva un legame di sangue simile a quello tra due cugini.

Tayou rimase impotente nella sua cella mentre il tempo continuò a trascorrere. Poco a poco tanto le guardie quanto il resto del palazzo parve dimenticarsi di lui, tutti troppo presi dai mutamenti climatici che ormai flagellavano tutto il pianeta.

La terra tremava ogni giorno, tempeste violente scuotevano i vetri lucenti del palazzo e sferzavano la città insinuandosi anche tra le mura di pietra; i cupi rimbombi del suolo che si spaccava vomitando lava incandescente divennero sempre più vicini, mese dopo mese, mentre nubi scure e lampi squarciavano il cielo che il giovane intravedeva dietro le proprie sbarre.

Nella sua mente l'idea di fuggire divenne più concreta con il susseguirsi di giorni cupi; spogliato però delle proprie armi e dei propri titoli, senza alcun appoggio dall'esterno, la sua sola possibilità era rinforzare il corpo afflosciato dal tempo in cella, tornare vigile e pronto a cogliere il momento in cui gli si fosse aperto un minuscolo spiraglio di libertà.

Aveva preso da tempo a segnarsi i giorni su una pietra della parete, cancellando i mesi quando giungevano a compimento fino a segnare un anno di vita bruciato tra quattro muri. Fu al volgere del settimo mese del secondo anno, una primavera che poteva essere tale solo per i pochi fiori che ancora sbocciavano nei prati martoriati dal mal tempo e privati del sole, che il segno di un terribile cambiamento irruppe di fronte alla sua cella.

Era da poco sceso il tramonto e il corridoio era vuoto. I passi frettolosi che sentì lo incuriosirono, non avevano il tintinnio delle armi dei soldati ad accompagnarli, ma pensò solo che la guardia di turno non avesse avuto voglia di portargli il pasto e avesse delegato a qualche inserviente.

Lo stupore nel vedere una delle vecchie balie che lo avevano cresciuto fu subito smorzata dalla donna che, corrucciata, gli intimò con un cenno muto di tacere e poi, accertatasi che nessuno si trovasse nelle vicinanze, invitò qualcun altro ad avvicinarsi. Tayou smise di respirare:

« Luz… »

« Fratello mio… Finalmente posso vederti! »

La ragazza compì qualche passetto incerto fino alle sbarre contro cui invece Tayou si lanciò, protendendo un braccio in fuori e afferrando la mano pallida che Luz gli porgeva. Era irriconoscibile, sciupata, il viso dolce segnato dalla fatica e lo sguardo triste di chi non facesse da tempo che piangere; eppure ciò che più lo spaventò fu l'evidente rigonfiamento del suo ventre dietro la veste morbida, che lei sfiorava con la mano libera in un misto di istintiva premura e insopportabile vergogna.

« No… »

Luz scostò lo sguardo dal suo nascondendo una lacrima. Tayou si protese quanto più possibile, schiacciandosi contro le sbarre pur di guadagnare il centimetro necessario per poter stringere le spalle fragili della sorella e donarle un minimo senso di conforto:

« Luz… Luz…! – mormorò disperato – Non può aver… Tu… »

« Sono la sposa del sovrano. – rispose con un filo di voce – Questo… »

« Tu non sei in grado di dare alla luce un bambino! »

Farfugliò Tayou, tralasciando a viva forza la sua rabbia per ciò che il recondito desiderio di Nuvem aveva fatto e concentrandosi unicamente su Luz:

« Sei troppo fragile! Guarda… Guardati! – mormorò prendendole il viso magro tra le mani – Come sei ridotta… »

Luz posò le dita gelide sulle sue cullandosi nell'affetto del fratello quindi, sofferente, lo allontanò e lo guardò negli occhi:

« Sono potuta scendere solo perché la sopra è un inferno. – sussurrò agitata – C'è il panico. La gente si sta preparando ad un'evacuazione di massa. »

« Evacuazione? »

Lei sospirò dolente:

« Nuvem non pensa più da tempo alla salvezza della nostra gente. Il Dono per lui è solo uno strumento di potere, non passa il tempo che studiando come renderlo più potente. – sorrise tra le lacrime in un fiacco tentativo di apparire soddisfatta – Però l'ho convinto a riprendere la costruzione di navette per una fuga, sono pronte da mesi. Nuvem ha tergiversato finora, ma la montagna a nord di qui potrebbe risvegliarsi tra pochissimo… »

S'interruppe, esausta, e prendendo dei respiri veloci si appoggiò alle sbarre della cella per rimanere dritta. La balia le fu subito accanto per sorreggerla e Tayou mormorò:

« Allora perché sei qui?! Vai! »

Luz deglutì a fatica e lo guardò nuovamente con un sorriso triste, piangendo ancora:

« Nuvem è ancora qui… Tu sei ancora qui. Non posso abbandonarvi… »

« Devi andartene! »

Insisté il biondo e Luz gli strinse la mano con entrambe le sue:

« Ti prego, Tayou! – lo supplicò – Nuvem ormai non sente più la mia voce. Dobbiamo salvarlo, noi… »

Lo sbraitare di una guardia fece sobbalzare entrambe le donne. La balia, allarmata, trascinò Luz via in un corridoio laterale, sorda alle suppliche di non farlo e alle richieste di Tayou di aiutarlo ad uscire e il ragazzo vide la sorella, piegata sul ventre, piangere e scomparire inerme nel buio.

Il biondo si lanciò contro le sbarre in uno stupido tentativo di abbatterle a spallate quando il pavimento tremò per l'ennesima volta; fuori si udì il frastuono di un'esplosione e i muri e il soffitto tutti attorno a Tayou si crenarono vibrando paurosamente: grida lontane morirono sotto altri scoppi e rimbombi e Tayou per alcuni secondi finì accecato dalla polvere, mentre con un botto da scuotergli le ossa la cella e il corridoio si riempirono di polvere.

Il frastuono dentro e fuori gli fece fischiare le orecchie. Tossendo Tayou si sforzò di capire cosa fosse successo e vide una luce fioca provenire da ciò che rimaneva del soffitto, squarciato a metà; la parete dall'altro lato del corridoio era svanita e le pietre da sopra, cadendo, avevano piegato su loro stesse le sbarre della cella sradicandole dal muro.

Tayou non attese oltre.

Cercando di non respirare altra polvere si arrampicò nello spazio ricavato tra le sbarre divelte e il soffitto ormai inesistente, le scavalcò e puntò all'armeria pronto ad affrontare perfino a morsi chiunque gli fosse stato di ostacolo; nessuno però gli comparve davanti e le poche figure che intuì sfrecciare per i corridoi adiacenti a tutto pensava fuorché alla presenza di un prigioniero in fuga. Sull'orizzonte, dietro le finestre esplose, Tayou intravide la montagna che proteggeva la città dilaniata da fiumi di magma e avvolta da una corona di fumi neri.

La sorte smise di arridergli quando giunse a destinazione, non una sola arma era rimasta a sua disposizione, probabilmente ogni soldato disponibile era stato equipaggiato e condotto per le strade in aiuto della popolazione. Imprecando Tayou cambiò rotta e si fiondò verso il palazzo dei Melynas, sperando che a nessuno fosse venuto in mente di disfare anche le sue vecchie stanze e visualizzandosi la spada dell'alta uniforme, bella e perfettamente affilata, ancora dove l'aveva lasciata, nel baule in fondo al proprio letto sopra alla divisa ripiegata.

La folla aumentò mentre percorse il palazzo in direzione opposta a tutti coloro che fuggivano verso le navi da evacuazione, ma non ci fu un'anima che pensò di interessarsi alla sua presenza. Quando raggiunse le sale private della famiglia reale le trovò deserte e silenziose e il rimbombo della porta della sua stanza, che spalancò senza riguardi, risuonò forte prima dell'ennesima scossa che rovesciò le poche suppellettili rimaste al loro posto e infranse i vetri più fragili delle finestre. Tayou si gettò in ginocchio di fronte al grosso baule color rame ricoperto di calcinacci e frugò negli involti di stoffa gettando pantaloni e giacca della divisa per la stanza.

« Sì! »

Sospirò di trionfo intanto che si disfò del fodero e sollevò la spada alla poca luce della stanza, gelandosi in volto quando udì un grido straziante e fin troppo noto.

Luz!

Sperò che il suo udito fosse rimasto abbastanza vigile nonostante la prigione da fargli trovare la strada giusta nel sottofondo del vulcano in eruzione. Spada alla mano si diresse verso la sala del trono, affacciandosi al corridoio che conduceva al suo ingresso mentre le urla sofferenti della sorella andavano spegnendosi nei vani vuoti della loro casa.

No… no. No, no. No…!

Aprì la porta socchiusa con una spallata e caracollò nel salone stentando a riconoscere l'ambiente attorno a sé tanto era stato cambiato in quei due anni che aveva trascorso rinchiuso. Riconobbe però Nuvem, le spalle all'ingresso e il viso rivolto verso una piccola, lucente sfera iridescente, e riconobbe Luz riversa immobile sul pavimento con l'abito macchiato di sangue.

« LUZ! »

Il biondo cadde in ginocchio accanto alla sorella farfugliando suppliche perché aprisse gli occhi, ma lei giaceva inerme e appena tiepida con i capelli biondo grano che le imperlavano il viso sudato.

« Cos'hai fatto Nuvem…? »

Il moro non rispose.

« Cos'hai fatto?!? »

« Nulla che una mente limitata come la tua possa comprendere. »

Tayou non lo guardò neppure mentre il moro gli scoccò un'occhiata gelida:

« Non toccarla con quelle mani sudice. »

« Le mie?! – strillò fuori di sé – Guarda cos'hai fatto! »

Nuvem si girò e un moto di rabbia e disappunto spuntò sul suo viso:

« E per colpa di chi siamo arrivati a questo punto? »

Tayou abbassò la testa colpevole e confuso:

« È morta, Nuvem. »

« Pensi che la cosa non mi strazi il cuore? – sibilò il moro e ancora lo guardò feroce, il volto indurito dal dolore – Ho perso la sola persona che abbia mai amato e il regalo più grande che lei avrebbe mai potuto concedermi. »

Solo in quel momento Tayou si rese conto che Nuvem reggeva qualcosa tra le braccia: avvolto in un fagottino minuscolo il bambino che aveva concepito con Luz, il visino tondo cereo e il corpicino immobile, era sorretto nelle mani del padre come una bambola di cristallo. Tayou avrebbe voluto solo poter chiudere gli occhi e non ricordare mai più.

« Lei non avrebbe mai potuto avere un bambino, e tu lo sai! »

« Sarebbe stata la nostra discendenza. – disse Nuvem vago quasi senza sentirlo – Ora porterà la salvezza alla nostra gente. »

« Quale salvezza?!? – strepitò Tayou continuando a stringere Luz tra le braccia – La nostra gente sta fuggendo! Non c'è più nulla da salvare, solo le nostre vite! »

Nuvem ancora non lo ascoltò. Con garbo posò la piccola salma su un lato del piedistallo su cui fluttuava il Dono, ne sfiorò il visino strappato troppo presto alla vita e mosse le dita verso l'altro, come estraendo qualcosa di invisibile dal corpo. Tayou vide una minuscola luce, un granello di polvere dorato condensarsi sulle dita di Nuvem che sorrise appena con aria folle:

« Con questo… Con questo il mio Dono raggiungerà la forma assoluta. »

« … Di cosa stai parlando…? »

Nuvem ancora non rispose e posò la piccola luce contro la superficie della bolla iridescente: questa tremò un momento e quindi inglobò il bagliore gonfiandosi istantaneamente e raddoppiando le dimensioni, con il moro che rise soddisfatto:

« Sì…! Questo è ciò che volevo…! »

Tayou non capì ciò che stava vedendo:

« Cosa stai facendo…?! Usa il Dono, salvala! – sussurrò strozzato – Se la ami così tanto, salvala! »

Intanto che pronunciò queste parole una luce dorata, poco più grande di quella del bambino, scivolò fuori da Luz senza che Nuvem facesse nulla e subito fu assorbita dal Dono, che ancora divenne più grande. Il grido disperato di Tayou fu coperto da un'altra esplosione del vulcano.

« Nessuno… Ha mai amato Luz quanto l'abbia amata io. »

« Sei un folle bugiardo! – gridò Tayou con odio – Perché tutto questo?! »

« Il tuo problema è sempre stato non comprendere. »

Tayou adagiò il corpo della sorella al suolo gridando ancora:

« Perché?! »

« Credi forse che la salvezza cada così, nelle tue mani per pura fortuna? Che il potere sia un regalo? – gli domandò Nuvem velenoso – Entrambi richiedono sacrificio e sforzo: il Dono crea la propria energia accumulando quella che riceve dall'esterno, dal sole, dal vento, dalla terra, e l'accumula nel tempo. Ciò che a noi è sempre mancato. »

Tayou lo fissò incapace di ribattere.

« A meno di farle accumulare un quantitativo di energia immediata ed estremamente grande: quella di una vita. »

« Cosa stai dicendo…? »

Per un momento Nuvem parve sofferente:

« Se avessi… Se avessi capito prima, sicuramente avrei ancora Luz accanto a me… »

« Tu vaneggi!! – urlò Tayou – Non ti importava di lei, né della tua gente! Volevi solo…! »

« Il potere, sciocco! – tuonò il moro – Con quello avrei vinto! La gloria, l'onore, la morte stessa! »

« Simili sacrifici per questo?! Il potere?! »

« La supremazia! Il dominio di questo mondo che mi spetta di diritto! »

« Solo questo?! »

« Ciò che resta quando manca la lealtà. »

« Lealtà?! – rise amaro il biondo – Che lealtà hai avuto verso il tuo popolo?! Verso colei che tanto dici di aver amato?! L'hai lasciata morire! »

« Ora, solo ora – ribattè l'altro prendendo la goccia tra le mani – avrei potuto salvarla! E questo è un dolore che avrò per sempre! »

« Nuvem! »

« Non osare mai più chiamarmi così – sputò iroso – io sono il discendente del Saggio Azzurro, colui che porterà una nuova salvezza per il proprio mondo. Il mio nome… È Deep Blue. »

Tayou fece per allungare il braccio verso di lui e il moro mosse la mano disgustato, scagliandolo dalla parte opposta della stanza come fosse una bambola di pezza. Gridò ancora ergendosi in tutta la sua altezza mentre l'altro, tremando per il dolore, si alzò fronteggiandolo ancor più minaccioso:

« Io mi fidavo di te! »

« La cosa è reciproca. »

« Lei si fidava di te! »

« E di te. »

« Come hai potuto tradirla così?!? »

Il cozzare delle loro spade fu fulmineo e terribile. Scintille di metallo contro metallo riempirono l'aria e il pavimento mentre entrambi si affrontarono con una ferocia disperata.

« Come hai potuto tradirmi così?! »

« Io avrei tradito te?! – tuonò aspro Nuvem – Tu avevi fatto una promessa, e non l'hai mantenuta! »

« Io non avrei mai voluto questo! »

« Tu mi hai voltato le spalle nell'istante in cui ho ceduto! Hai infranto la tua promessa, hai abbandonato Luz al suo destino e dubitato di me! »

« E tu?! Hai solo soddisfatto il tuo desiderio, non l'hai certo protetta! »

« Io l'ho nascosta! Dai Melynas, dal loro male, dal dolore! Perché nessuno potesse più ferirla o tentare di portarmela via! – esclamò Nuvem con voce folle – E per questo ho sopportato il suo disprezzo come ho sopportato il tuo tradimento! »

« Io ti volevo bene! – gemette rabbioso il biondo – Lei te ne voleva! Con tutta l'anima! »

« Sciocchezze! Ma ormai non ha importanza – soffiò Nuvem allontanandolo con facilità – Ora ho il Dono! Ho il potere assoluto! Mio è questo mondo e il suo destino, posso dominare perfino la morte se lo desidero! Ho tutto! »

« Maledetto idiota! »

La lama che gli attraversò la spalla e la schiena fu come fuoco vivo. Il fiato mozzato dal dolore Tayou si abbandonò in avanti sforzando l'affondo che aveva dato e sentendo il tepore del sangue di Nuvem colargli lungo le mani e le braccia.

Le labbra del biondo si strinsero mentre Nuvem riuscì, in ultimo sforzo, ad estrarre la propria spada dal fratello perdendo immediatamente dopo la presa dall'elsa e lasciando cadere l'arma in un clangore sordo sul marmo gelido. Tayou guardò il moro scivolare ancora lungo la lama che lo aveva trapassato, accasciandosi contro le sue braccia, e cedette al peso di entrambi rovinando a terra con un tonfo.

Avvertì il cuore nelle orecchie e il sangue della ferita spandersi attorno alla sua testa e alla sua schiena inzuppandogli gli abiti logori. Nuvem non si mosse più, il volto contro il pavimento, mentre alle sue spalle il Dono emise un lampo e poi iniziò a contrarsi su se stesso in modo lento e inesorabile.

Fuori, il vulcano si spaccò sulla sommità rigurgitando quintali di lava e pietre.

L'ultima cosa che Tayou vide fu il Dono dissolversi come fumo al vento e il corpo di Nuvem emettere un flebile bagliore, prima che i suoi occhi si chiudessero per sempre.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nella grotta il silenzio divenne irreale. Ichigo sbattè le palpebre per un intero minuto intanto che i suoi sensi e la sua mente tornarono al momento presente e fissò confusa la figura evanescente di Ao No Kishi, immobile a pochi metri da lei.

« Nuvem… Deep Blue – riprese lentamente il biondo, correggendosi – Aveva capito che la MewAqua non è un generatore di energia, ma un accumulatore. Il suo obbiettivo divenne accelerare il processo che avrebbe richiesto anni, se non secoli, di stasi per il cristallo e per farlo iniziò a compiere esperimenti su coloro che lo avevano ripudiato fin dalla nascita, i Melynas. »

Ichigo si tappò la bocca con una mano.

« Compì esperimenti anche su di sé, per legarsi in maniera più diretta al Dono. I suoi tentativi funzionarono, ma crearono qualcosa di imprevisto. Sì, ci uccidemmo a vicenda, ma la sua essenza vitale rimase legata al Dono, come la mia e quella di Luz. »

« Perciò…? »

« Morì unicamente il suo corpo. La sua coscienza in qualche modo rimase attiva e senziente, legata all'esistenza del Dono di cui aveva realizzato moltissimi campioni nascondendoli in segreto.

« Così il Dono rimase sulla Terra, finendo coperto nei secoli sotto il suolo di Tokyo(***), mentre l'essenza di Deep Blue seguì la nostra gente nell'esodo verso Jeweliria e guidandola attraverso i secoli. »

« Come… Come hanno potuto accettare…? »

« Nessuno seppe mai cosa davvero stesse cercando Nuvem. La scoperta del Dono non venne mai resa nota al popolo alla fine, e nessun membro dei Melynas sopravvisse abbastanza a lungo da rivelare la verità, né chiunque ne fosse a conoscenza ebbe modo o la volontà di farlo.

« Deep Blue era divenuto un salvatore della nostra gente, un baluardo di speranza. La scissione terribile tra il suo corpo e la sua coscienza inoltre cancellò col passare del tempo il ricordo chiaro di ciò che era stato, mantenendo vivo solo un obbiettivo: ritornare sulla Terra e riconquistarla. »

Tayou tacque un momento e poi continuò:

« Ho sempre tentato di impedirgli di tornare in forze, di possedere nuovamente un corpo proprio e di ripetere la follia in cui era precipitato. La cosa si è fatta più semplice man mano che i pochi discendenti sopravvissuti dei Melynas dispersero la purezza del proprio sangue estinguendo quasi completamente la casata: nessuno con il DNA adatto è più esistito per fare da tramite tra Deep Blue e il piano fisico, né c'era MewAqua che potesse innescare l'Atavismo come è accaduto con gli Ancestrali; anche se la debolezza dell'esistenza incorporea di Deep Blue ha portato anche la mia ad affievolirsi con gli anni, rischiando di far scomparire la mia entità.

« Fino alla missione terrestre e al fatale nuovo incontro tra il Dono e il DNA dei Melynas, l'incontro con Masaya Aoyama. L'umano con il codice genetico più simile a Nuvem e a me da almeno trecento milioni di anni. Il resto, è storia. »

Ichigo si passò una mano nella frangetta sentendo la testa girare:

« Perché mi hai raccontato tutto questo? Cosa importa, ormai? – sussurrò terrorizzata – Confermi solo quanto già temevamo: Deep Blue ora ha di nuovo la MewAqua completa, ora potrà… »

Tayou le sfiorò il braccio con la mano opalescente, sforzandosi di sorriderle:

« Non ha un corpo da sfruttare, e anche se lo avesse non lo userebbe: non ripeterà lo stesso errore che ha compiuto con Aoyama, due esistenze non possono durare nello stesso corpo senza annullarsi e ha già sperimentato, non sempre è l'invasore a spuntarla. Anzi, per la coscienza originale mantenere il possesso del proprio involucro fisico è molto più semplice dato che vi coesiste fin dalla nascita.

« Deep Blue si creerà un corpo nuovo, un corpo solo suo che sia la vera custodia della sua essenza. Ora ha il potere di farlo, quello sì – ammise con rammarico – ma gli occorrerà del tempo. Molto più tempo di quel che crede. »

Gli occhi rosati di Ichigo si dilatarono e Tayou indicò ancora il frammento che lei portava da anni, ignara, nel proprio petto:

« E la MewAqua non è completa. Quel solo pezzetto è sufficiente a renderla tale. – fissò la rossa dritta negli occhi – Un pezzo minuscolo senza cui però gli sarà impossibile ottenere tutta la forza che immagina. »

Ichigo non rispose, non sapendo se il piccolo calore che le inondò la gola fosse dovuto al frammento di MewAqua o alla speranza che ricominciò a divampare.

« Non avete ancora perso. »

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) l'immagine l'ho estrapolata e rimaneggiata da quelle sul mondo alieno dell'ep.17

(**) riferimento alla MewAqua che possiede Ryou (ep.21) e che sarebbe pura solo all'1% e tuttavia riesce a rianimare una papera (? Dubbio sulla specie xD) con una singola goccia. Seguendo questo ragionamento e il bisogno di Deep Blue nella serie di possedere la MewAqua Finale, la MewAqua ha diversi stadi di purezza che differiscono per sua dimensione e suo stadio di conservazione.

(***) auto-spiegazione semidecente del perché TUTTA la MewAqua si trovi CASUALMENTE SOLO a Tokyo xD! (altrimenti c'è da chiedersi se gli alieni fossero davvero intelligenti o meno :P)

 

 

 

 

 

 

 

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Oddei non ci credo ci sono riuscita CHE SOFFERENZA T_T"! vi giuro, e continuo a leggere dicendomi "nooo è troppo lento, troppo palloso, ammazzerai qualcuno!" ma non ho trovato modo di rendere le cose più leggere… Spero che nessuno si sia addormentato T___T
Mando un ringraziamento a tutti voi fedelissimi che non mi avete abbandonata (né infamata o minacciata con le molotov ^^") mi rifiondo sul cap nuovo sperando di far uscire presto qualcosina su Fragment of Path e magari anche altre cose, chissà ♥
*ANGOLINO DELLO SPAM*

Vi ricordo la pagina fb di Ria, dove il #martedìfangirl è ricominciato e il mio Patreon, dove potrete votare fanartine (per adulti e non ♥ ) e che tutte le richieste del martedì possono essere convertite in commission da chi lo richiede :D!
- IL FANBOOK DI TMM!
Non sapete di che parlo?!? Brutti! Correte subito sulla pagina del Café Mew Mew Project! Ci sono disegni e un manga mio e di altre illustratrici spaccachiappette, e le storie inedite di Danya, di Hypnotic Poison e di MewLeemy!


Mata ne
~ ♥!

Ria

 

 

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Capitolo 53
*** Suspended on the crossing II ***


Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: 
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Farai felice milioni di scrittori. 

 

Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: Non essere indifferente!
Salva anche tu una tastiera da pazzoidi che le massacrano scrivendo come disperate! Non chiudere gli occhi, puoi salvare milioni di vite elettroniche.

 

 

 

 

 

Ci credete? Non sono defunta xD

DAN DAN DAN DAAAAAN ♥

Salve a tutti ♥  la qui presente neomamma Ria vi da il benvenuto a Crossing che in molti mi stavate dando per abbandonata e INVECE NO! Sono stronza e dovrete cuccarvela tutta fino alla fine questa storia ♥

Kisshu: pensate che culo -.-"

Scherzi a parte spero mi sia abbuonata l'assenza, sono stati mesi duri (non per il mio bimbo in sé, lui è un bimbo bravissimo ♥  ce lo siamo pure portati in stand in fiera xD praticamente è un cicciobello x°D ♥ ) ero praticamente sempre da sola a dover fare il rodaggio e diciamolo, la depressione post partum sarà meno diffusa di quanto si dica ma vi assicuro che tornare a casa così è cmq un bel calcio negli zebedei çwç"

Ora sto tornando alla mia routine ♥  e sebbene abbia una caterva di commenti a cui rispondere e altro a cui rimmetermi in pari, ho pensato che vista l'attesa vi meritaste di sentire il mio sclero :3

Cap 53, fresco fresco ♥  e non mi piace per niente TwT""… Che ci devo fare? A voi l'ardua sentenza.

 

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Cap. 53 – Suspended on the crossing II:

                I don't want to miss a thing

 

 

 

 

 

« Ichigo! Dove ti sei cacciata… Ichigo! »

Ryou si guardò attorno scrutando nervoso le ombre della notte di Jeweliria alla ricerca della chioma rossa della mewneko, trovando solo buio. La ragazza era scappata di colpo alla fine della cerimonia funebre pubblica scomparendo senza che qualcuno riuscisse a seguirla e ormai da una buona mezz'ora il biondo e gli altri la stavano cercando inutilmente; Ryou stava iniziando a preoccuparsi, Ichigo non era certo nello stato emotivo più sereno del mondo e la situazione del momento non era un aiuto.

« Ancora niente? »

« No. »

Sospirò cercando di nascondere l'ansia e Minto sbuffò, più agitata di lui, corrucciandosi e mettendosi i pugni sui fianchi:

« Cosa diavolo le è preso a quella sciocca?! »

« Nemmeno… Nemmeno con il radar dei ciondoli riusciamo a rintracciarla. – si affannò alle loro spalle Retasu – Dove potrebbe essere andata…? »

«Tu dovresti tornare subito a riposarti. – la sgridò Minto notando il suo viso pallido – Non ti sei ancora ristabilita. »

« La convinci tu? »

Sbottò Pai cupo, che stava sorreggendo la verde alla bene e meglio, evidentemente tentato di riportarla nella sua stanza con la forza.

« Sto bene. »

Pai non rispose squadrando scettico la verde aggrapparsi con forza al suo braccio, ma non sembrò in vena di riaprire la discussione per la terza volta.

« Eccola laggiù! »

Purin, i capelli biondi che svettavano in mezzo all'erba scura, si mise dritta in piedi indicando la macchia rosata dell'amica, ancora nella sua mewform, che correva nella loro direzione con la stessa foga di quando era sparita, accelerando il passo quando capì che si trovavano tutti lì.

« Ichigo! »

Ryou l'agguantò per le spalle e la rossa non si oppose cadendogli tra le braccia, di colpo conscia di quanto poco fiato le fosse rimasto e lasciando che il biondo la scuotesse un poco:

« Che ti è preso?! Ci hai fatto prendere un colpo! »

Lei deglutì a fatica, ogni boccata di ossigeno una stilettata gelida alla gola che la intontì più del calore rovente che avvertì dalle guance, ma si sforzò di parlare guardandolo con occhi esaltati:

« Devo parlarvi. A tutti. Adesso! »

« Come…? »

« Devo parlarvi! Riguarda la MewAqua! »

« Che stai dicendo? »

Lei ignorò la domanda di Minto e si scostò appena da Ryou dirigendosi verso la città, il viso lucido di fatica e agitazione:

« Dobbiamo parlare, ora! E anche con Ronahuge-sama e Meryold-sama! »

 

 

***

 

 

L'atteggiamento deciso di Ichigo quasi spaventò gli altri, però li convinse a non obbiettare oltre alla sua richiesta; visto che la cerimonia della Dama Rossa si era conclusa da poco fu semplice rintracciare Ronahuge e Meryold, che per evitare di tergiversare oltre crearono rapidamente una piccola dimensione nascosta come durante le riunioni dei Membri Ristretti, pure loro sorpresi dalla foga di Ichigo perché si facesse in fretta.

La rossa, che aveva approfittato dell'intervallo di tempo per riprendere il fiato necessario a parlare con calma, iperattiva e ansiosa fu la sola a declinare la sedia che Ron aveva fatto comparire per tutti i presenti e iniziò a raccontare tutto quello che era successo da quando era corsa alla Città Sotterranea, senza dimenticare gli avvenimenti della Cerimonia della Prima Luna. Raccontò delle strane visioni di Luz e di come avessero di colpo trovato senso, del Dono, di tutto quello che Ao No Kishi, o Tayou che dir si volesse, le aveva detto; di come forse non tutto fosse ancora perduto.

« Vorresti dirci – la interruppe dopo un'eternità Meryold, mettendosi più dritta sulla propria sedia – che possiamo ancora fermare Deep Blue? »

« Finora ha usato Arashi come intermediario – proseguì infervorata la rossa, pregando di non essersi scordata nessun dettaglio che Ao No Kishi le aveva rivelato – ma lui vuole un corpo solo suo. Ha paura che succeda di nuovo come sulla Terra. »

« Il Dono degli Avi può arrivare a fare questo…? – bofonchiò Ron sovrappensiero – Ridare… Un'esistenza fisica a qualcuno morto oltre trecento milioni di anni fa? »

« Ma gli occorre del tempo! – insisté Ichigo, incapace di rispondere ai suoi dubbi, ma certa su quali fossero le priorità – Possiamo ancora scovarlo! E fermarlo! »

« P-però i sistemi di rilevamento della MewAqua che avevate qui… Li avete distrutti da mesi, per non aiutare Arashi e gli altri(*)… »

« Colonnello – chiese Meryold con tono fermo – pensate sia possibile ricostruire un rilevatore in tempi brevi? »

Pai incrociò le braccia pensieroso:

« Potremmo, ma non ho idea se saremmo in grado di svilupparne a sufficienza il raggio di ricezione… »

« Possiamo rifarli Pai-chan – intervenne MoiMoi con energia – Ichigo-chan, quanto tempo abbiamo? »

Per un momento la mewneko perse la sua vivacità a disagio nel sentire il ragazzo, che aveva evitato di incrociare per giorni, rivolgerle la parola, ma si sforzò di concentrarsi su quanto le aveva detto Ao No Kishi e rispose:

« Un paio di settimane. Forse di più. »

« Più che sufficienti. – la interruppe il violetto e si voltò verso i due scienziati terrestri – Akasaka-kun, Ryou-chan… »

Il biondo accennò un sorriso:

« Quattro braccia in più sono sempre di aiuto. »

« Impiegheremo la metà del tempo. – annuì Kei deciso – Li rintracceremo in meno di una settimana. »

« E voi vorreste andare contro gli Ancestrali e Deep Blue conciati così? »

Chiese sarcastica Minto dando una scorsa ai presenti.

« Quattordici giorni sono più che sufficienti per rimettersi in piedi. – sentenziò Taruto stiracchiandosi e impegnandosi per darsi un tono baldanzoso – Con i SPR saremo come nuovi. »

Girò appena la testa incrociando lo sguardo di Retasu che annuì e gli ammiccò decisa.

« Andateci piano – li seccò la mewbird – non sarete troppo ottimisti? Tu hai una spalla lussata, Kisshu è stato quasi fatto a sashimi, Purin ha dei punti in testa…! »

« Ma Taruto-san ha ragione. Guarda in quanto poco tempo il braccio di Eyner sta guarendo. »

« Retasu, tu sei quella che è ridotta peggio di tutti. »

Puntualizzò Pai adirato e la verde lo fissò con fermezza:

« Di certo non me ne resterò indietro lasciandovi andare contro quei mostri. »

« Senti n- »

« Un momento, un momento. – borbottò Ron e fissò Ichigo massaggiandosi le tempie – Ragazzina lungi da me darti della suonata, fino ad adesso avete dimostrato più volte di avere ragione e considerando che ho visto coi miei occhi quei bastardi diventare i pessimi membri di una setta di ossigenati, non mi sembra nemmeno strano che tu abbia parlato con una sorta di fantasma redivivo. Però contando che lui stesso ha affermato di essere connesso a Deep Blue, chi ci assicura che non sia una trappola per darvi il colpo di grazia? »

Ichigo titubò un momento a rispondere notando che in fondo i dubbi di Ronahuge potessero avere un loro fondamento concreto; poi però scosse la testa:

« Ao No Kishi non ci ha mai mentito. Non mi ha mai mentito – aggiunse risoluta – e non smetterò di fidarmi di lui adesso. »

Si pizzicò appena un angolo della lingua pensando a quanto successo alla Prima Luna, ma si disse che in fondo era vero, neppure in quel frangente Ao No Kishi le aveva mentito: aveva "solo" evitato di dirle la verità costringendola a rimanere in disparte contro la propria volontà, eppure la sua rabbia per quella sera non smorzò la sua convinzione. Sostenne incrollabile lo sguardo poco partecipe di Ron, che non fece altro che mandare un sospiro in silenzio; dall'angolo dove stava Ryou, non seppe perché,  nell'osservare quel breve dialogo avvertì uno strano e fastidioso formicolio in fondo allo stomaco.

« E noi faremo lo stesso con voi, Momomiya-san. »

Disse con garbo Meryold e si voltò verso gli altri soldati nella stanza. Pai, scostando lo sguardo severo da Retasu, sbuffò a labbra strette; Kisshu fece spallucce:

« Se proprio devo lasciarci la pelle prima del tempo preferisco farlo andandomela a cercare – sentenziò sarcastico – tanto, anche rimanendo fermi a girarci i pollici non cambieremmo di molto la sorte. »

« Non portare iella nii-san. »

« Considerando che il nostro ex-signore mi ha già trattato come una coscia di manzo da spiedo, scusami se sono un po' catastrofico scimmietta. »

« Però hai ragione – fece Eyner cercando di essere positivo – che tentiamo o meno non cambierà la situazione. Se anche c'è una minima possibilità di salvarci… »

« … Tanto vale sfruttarla appieno. – concluse MoiMoi e batté con forza un pugno contro il palmo dell'altra mano – Scoviamoli. »

« Molto bene. – Meryold si alzò con fare solenne – Innanzitutto ristabilitevi; nel mentre provvederemo che tutti il reparto scientifico dia supporto per la creazioni di nuovi sistemi di rilevamento, fossero rintanati anche sul fondo della Galassia voglio che quegli assassini vengano scovati. »

Pai e MoiMoi fecero un lieve inchino in assenso, Keiichiro e Ryou annuirono; poi Meryold si rivolse a Ronahuge:

« Deve essere disponibile la navicella più veloce di tutta la flotta. »

L'uomo annuì:

« Comunicherò con gli altri ufficiali e provvederò che diano sostegno per il rintracciamento. – si voltò verso i presenti corrugando la fronte – Al di fuori di questo, però, non sbandieriamo troppo la questione: non voglio rischiare di scatenare né false speranze né pressioni di alcun genere, questa è una cosa che deve essere resa nota una volta che il Dono sarà ben impacchettato e ricollocato al suo stramaledettissimo posto. Sono stato chiaro? »

Vaghi eppure decisi brontolii furono il solo segno dell'unanime assenso.

Con un cenno della mano Meryold creò un'uscita sul cortile interno del Palazzo Bianco, aprendo la fila fuori dalla piccola dimensione, e tutti uscirono lentamente indecisi se entusiasmarsi dei nuovi sviluppi o se tenersi su un severo scettiscismo. Ichigo, di colpo esausta dopo il picco di adrenalina che l'aveva retta fino a quel momento, tentennò sull'erba sentendo appena la stretta di Minto sulla sua spalla che la incitò a muoversi; la rossa obbedì senza sforzo, studiando l'aria di titubanza che aleggiava attorno e si mordicchiò la guancia:

« … Tu non pensi che sia impazzita, vero? »

Sussurrò all'improvviso senza pensarci e la mewbird sorrise appena malevola:

« Normale non lo sei mai stata, questo si sapeva. »

La mewneko storse la bocca arrabbiata pronta a ribattere e vide Minto addolcire il sorriso sospirando:

« No, non lo penso. Ma non riesco a non pensare che sia tutto un po' troppo semplice, detto come lo hai detto prima. »

La rossa si lasciò sfuggire uno sbuffo beffardo:

« Trovare gli Ancestrali e Deep Blue in mezzo a tutta la Galassia conosciuta, raggiungerli, affrontarli senza lasciarci la pelle e recuperare il Dono prima che quel pazzo lo usi per i suoi comodi sarebbe facile? »

Ribattè; Minto sospirò ancora dandole un colpetto sulla spalla:

« Esattamente. »

Ron, che fece scomparire la dimensione alle loro spalle, rise sotto i baffi del dialogo evitando di ricalcare le parole della mewbird con quello che stava pensando, immaginando che non avrebbe giovato all'umore collettivo.

« Nobile Ron…? »

« Uhm? »

MoiMoi, che si era lasciato superare dal gruppo, scrutò il generale scuro in volto:

« … Volevo chiederle se poteva ridarmelo. »

Ron lì per lì non comprese a cosa si riferisse e rimirò in silenzio il palmo del violetto teso in avanti; capendo, si corrucciò, ma annuì e armeggiò con la propria cinta liberando il pugnale che Ichigo aveva trovato nella Città Sotterranea porgendolo al ragazzo, che lo strinse tra le mani con espressione marmorea.

« … Cosa speri di ottenere? »

MoiMoi non rispose, facendo scomparire il pugnale prima di ringraziare con un cenno e allontanarsi dietro agli altri.

 

 

***

 

 

Il mattino dopo le nuvole cupe che avevano coperto la luna sopra la funzione della Dama Rossa erano svanite; pochi sbaffi bianchi scemavano placidi davanti ad un sole allegro, splendente sopra il brulichio di Jeweliria che da una parte si rimetteva in piedi e che dall'altra, in silenzio, si preparava a contrattaccare.

Ryou si alzò presto come sempre. Avrebbe dovuto raggiungere MoiMoi e altri membri della sezione scientifica nelle loro sale al Palazzo Bianco dove, affiancati da un piccolo gruppo di ufficiali e soldati scelti dell'Armata, stavano lavorando per rintracciare gli Ancestrali e per preparare la navetta adatta a raggiungerli prima possibile, ma nonostante la levataccia scoprì che Pai e Keiichiro lo avevano già preceduto: Lasa, la sola presente in cucina, gli rivolse un sorriso vedendolo e riordinando ciò che rimaneva della veloce colazione degli altri due; il biondo ricambiò con un cenno e sospirò servendosi una tazza di paina senza neppure sedersi e la donna scosse la testa sorridendo.

« Pai non riesce ad abituarsi al concetto di "numero minimo di ore di sonno", ma tu e Akasaka-kun non siete costretti a seguire il suo esempio. »

« Mai stato un tipo da lunghe nottate di riposo. – la rassicurò – In ogni caso abbiamo tempo, ma meglio non abusarne. »

Lasa sorrise condiscendente e lo studiò gustarsi la bevanda con calma, poggiato contro il mobile del lavandino.

« Vuoi mangiare qualcosa? »

Lui, che tentò di racimolare ogni grammo di caffeina o simili contenuto nel paina – non era come il suo sospirato caffè nero, però aveva la sua efficacia – fece un cenno di diniego:

« Non si disturbi. Mi basta questo. »

« Mi domando da dove voi cervelloni crediate di poter assimilare gli zuccheri per quei vostri neuroni iperatt… »

Si interruppe sentendo dei nuovi passi dalle scale e si sporse incuriosita, sgranando gli occhi mentre un lieve sorriso le si dipinse in volto:

« …Ichigo-chan. »

Ryou poggiò la tazza di paina con un suono secco e fece la stessa espressione della donna, intanto che la mewneko entrò nella stanza con uno sbadiglio e un sorriso; da quando lei e le ragazze erano state ospitate dagli Ikisatashi non era mai scesa a fare colazione, almeno non di sua volontà.

« Buongiorno Lasa-san. »

« Buongiorno – rispose la donna con più convinzione – sei di buon umore stamattina. »

Ichigo stese un sorrisetto storto intanto che la donna le fece segno di sedersi e si allungò per prenderle qualcosa da mangiare.

« Diciamo che mi sono svegliata positiva. »

Fece vaga la ragazza e ringraziò quando Lasa le porse una pagnottella rotonda, poco più piccola della sua mano, bella brunita e odorosa di qualcosa che le ricordò la cannella. Ichigo strinse le labbra intrigata e Ryou non riuscì a non emettere un piccolo sbuffo divertito, scorgere la solita Ichigo fu un sollievo che spazzò via pure la sorpresa per il nuovo inizio giornata.

« Lasa-san, sai se c'è qualcosa che possa fare? »

La donna chiuse la credenza scrutando Ichigo confusa della domanda:

« Come? »

« Sì, nel senso – ingoiò mugolando contenta un bel boccone del panino dolce – non posso essere di aiuto per la ricerca degli Ancestrali e le ragazze devono riposare… Io invece sono a posto. »

Si accorse che Ryou la studiò sorpreso dal discorso e rivolse a lui e Lasa un cenno incoraggiante ed energico:

« Se rimanessi a girarmi i pollici senza fare niente fino alla partenza diventerei pazza. – proseguì – Akasaka mi ha detto che ha dato una mano la sera della Celebrazione. Forse potrei essere utile in qualche modo. »

Lasa la fissò qualche momento e Ichigo per un istante perse baldanza:

« Cioè, lo so non ho… Alcuna competenza medica, però, magari… Forse io… »

« Sei molto gentile. – la interruppe la donna sorridendo con garbo – Certo, la situazione a Palazzo è un po' confusionaria: anche solo due mani in più che aiutino a preparare gli alloggi per gli sfollati o siano a disposizione per qualsiasi cosa sarebbero sicuramente di aiuto. »

Ichigo sorrise più convinta.

« Ora però finisci la colazione – le ammiccò – poi ti accompagno. »

La rossa la ringraziò mentre la donna si allontanò al piano di sopra.

« Che c'è? Perché mi fissi? »

Ryou sorrise sornione vedendo la mewneko mordicchiare la propria colazione un po' a disagio.

« Niente. – fece scrollando le spalle – Pensavo solo che finalmente sembri tornata te stessa; almeno da come ti è tornato l'appetito. »

Ichigo arrossì appena sugli zigomi fulminandolo con un'occhiataccia a cui il biondo rispose con uno sorrisetto. Lei sollevò il mento con fare supponente terminando il suo panino in due bocconi e riempiendosi la bocca come un criceto – immagine che rischiò di far crollare la compostezza di Ryou e farlo scoppiare a ridere in modo incontrollato – quindi si alzò dalla sedia puntando con passo marziale all'ingresso passando accanto al biondo con gli occhi chiusi, per segnalargli che lo avrebbe totalmente ignorato. L'americano si premette forte le dita sulla bocca nascondendo l'arricciarsi delle labbra e aspettò che la rossa lo avesse quasi sorpassato, quindi l'agguantò per la vita stringendosela contro. Ichigo emise uno strano miagolio, tra l'irritato e l'imbarazzato:

« Mollami! »

« Sei diventata permalosa? »

« Sei tu che ti comporti come un moccioso dispettoso! Che fai?! – protestò lei tentando di divincolarsi e dandogli la schiena – Non ho voglia né dei tuoi giochini né delle tue prese in giro! »

Ryou fece finta di niente e tenne salda la presa incurante del dimenarsi di lei, tirandosela contro un po' per volta finché la rossa, sbuffando, serrò le braccia al petto e con aria da bambina lo lasciò fare; sentì Ryou ridacchiare contro la sua nuca e continuò a sbuffare nonostante si fosse già rilassata.

« Mi fa solo piacere rivedere la solita Ichigo. »

« Cioè mangiona? »

Borbottò lei acida continuando a fare la sostenuta. Ryou le lasciò spazio per voltarsi un poco verso di lui e accennò un sorriso:

« L'Ichigo che conosco. »

Fece allusivo sistemandole un ciuffetto che le solleticò la guancia. La mewneko sciolse il muso lungo abbassando lo sguardo sentendo di arrossire e spinse di nuovo con le mani per dirgli di mollare la presa, ascoltando i passi di Lasa farsi più vicini; il biondo la liberò pigramente e mosse appena la testa al sorriso che lei gli rivolse prima di raggiungere Lasa ai piedi delle scale, osservando poi le due uscire e appoggiandosi con un sospiro al lavello.

Il bizzarro formicolio sopra l'ombelico che lo aveva infastidito la sera precedente risuonò subdolo e sottile dietro al sollievo di vedere Ichigo tornare al suo consueto atteggiamento. Aveva in sé ormai da giorni la consapevolezza di non essere stato di alcun sostegno concreto alla rossa, di non essere riuscito a farla uscire dalla sua apatia disperata; l'idea che per riprendersi le fosse bastato un colloquio privato di neppure un'ora con una sorta di spettro, però, lo rose come un tarlo sempre più affamato e lo fece sentire impotente, come per tanto tempo si era sentito dopo l'inizio del project m.

Si scompigliò la frangia e uscì pure lui con passo svelto, serrando ogni stupido pensiero in fondo alla mente e pregando di ricordarsi senza troppa fatica la strada per i laboratori scientifici.

Allora come allora, i suoi problemi sentimentali avrebbero dovuto aspettare un po'.

Come al solito, del resto.

 

 

***

 

 

Quando si immagina una camera di ospedale dove siano presenti molti macchinari di monitoraggio, si pensa sempre che il posto sia in qualche modo rumoroso, con i suoni ripetitivi dell'elettrocardiogramma e di altre varie spie misteriose, che pare sempre siano pronte ad accelerare il ritmo segnando un critico crollo del paziente e che tu aspetti, con angoscia, che ciò accada nell'istante in cui la tua guardia crollerà.

Invece MoiMoi pensò che non potesse esserci posto più silenzioso di quella stanza isolata nell'ala sud del bunker, nulla di più quieto e immutabile; perfino il basso ronzio dei monitor e il soffio del ventilatore meccanico risultarono appena udibili, come se la calma attorno ovattasse ogni suono emesso tra quelle mura.

Ciò non tolse all'ambiente un'atmosfera agghiacciante da sepolcro, ma forse fu solo il suo umore a renderla tale.

Una recondita parte di sé avrebbe voluto parlare, mandare quelle due o tre sillabe che lo avrebbero rassicurato dal terrificante silenzio, però non fu sicuro di riuscire a controllare la propria voce senza farla uscire tremolante e stridula; inoltre non avrebbe saputo cosa dire e parlare a lui, che non poteva sentire più niente né dalle orecchie né altrove, sarebbe stato solo uno spreco di fiato e non volle aggiungere al proprio malessere il sentirsi, ancora, più stupido di quanto già non si vergognasse di essere.

MoiMoi mandò un sospiro dolente, lasciò andare la mano di Sando e uscì dalla stanza tirandosi dietro la porta con estrema lentezza, lo sguardo fisso sulla sagoma immobile del verde finché non ebbe altro che l'uscio chiuso di fronte al naso.

Fu così concentrato che sussultò visibilmente quando, girandosi, scorse la sagoma di Pai aspettarlo a braccia conserte sull'angolo del corridoio. Il moro non parlò rimanendo a fissarlo, il volto serio indurito in un'espressione preoccupata, e MoiMoi corrugò la fronte incupendosi:

« Se sei qui per farmi il terzo grado, ti dico subito che non sono dell'umore Pai-chan. »

« Non che mi servisse. Che per la sua assenza alla cerimonia c'entrassi era evidente – rispose piatto – il perché è- »

« Sono io la tutrice legale vista la situazione. – replicò secco il violetto – Quindi potevo benissimo decidere che non fosse incluso nella cerimonia della Dama Rossa. »

« Sì, ma per un commiato privato; o almeno sarebbe stato il pensiero più ovvio, e quello che più giustamente mi sarei aspettato da te – ribattè sferzante e fece un passo indicando alle spalle dell'altro – ma quello… »

« Non è una cosa che decidi tu. »

Sbottò e Pai si portò una mano alla fronte squadrandolo come se non lo riconoscesse:

« Ti comporti in modo assurdo. – sentenziò con aria sofferente – Sando-san non avrebbe mai voluto una cosa del genere! »

« Non parlare come se lo avessi messo sotto formalina. »

Sibilò rabbioso MoiMoi.

« Ti rendi conto che non ha alcun senso? »

« Non sono stupida Pai-chan…! »

« E allora perché ti comporti come tale?! »

MoiMoi emise una sorta di risata stridula con un respiro e prese ad ondeggiare da un piede all'altro, mordendosi il labbro al limite di una crisi di panico:

« Io…! Io…! »

« Tenerlo così non lo riporterà indietro. Non può tornare. »

« Lo so…! »

Pai guardò il suo senpai a metà tra il dispiacere e l'esasperazione:

« E allora perché ti torturi così, razza di stupida?! »

« Perché non ce la posso fare!! »

Lo strillo del violetto azzittì entrambi. Senza fiato per il grido MoiMoi deglutì un paio di volte, il petto minuto che si mosse più regolare poco a poco:

« Non posso, Pai-chan. – mormorò lentamente – Non ce la faccio. »

Pai non rispose sentendolo inspirare a fondo per tenere a freno la voce scossa:

« Non sono abbastanza forte. Il pensiero di… Vederlo svanire del tutto, io… Non ci riesco. Non posso perderlo completamente, non adesso. »

« … Senpai, lui non- »

« Lo so. – lo interruppe con tono querulo e prese un altro respiro tremante – Non mi faccio illusioni, o speranze. La verità è che non c'è più niente di Sando, là dentro. Ma a me serve vedere che non… Non è scomparso del tutto. Che c'è ancora una traccia di lui che posso vedere e toccare, anche se in realtà non è che… »

Si passò le mani sul viso asciugandosi gli occhi umidi e Pai lo sentì emettere di nuovo quella sorta di risatina soffocata:

« È patetico vero? »

Il moro non rispose e MoiMoi fece un sorriso triste:

« Quando tutto sarà finito, gli dirò addio. Per adesso, per favore… Voglio sperare che lui mi stia perdonando se sono così debole e lo lascio su quel lettino ancora per un po'. Fallo anche tu uh? »

Pai continuò a stare in silenzio. Bruciò l'ultimo paio di metri tra sé e il violetto e gli strinse una mano sulla spalla, pentito di aver voluto fare luce sulla decisione di MoiMoi e furioso con se stesso per non riuscire a fare altro per lui se non quella misera, scialba dimostrazione d'affetto.

« Solo per un po'. »

Ripetè incapace di appoggiarlo meglio.

« Solo per un po'. »

Confermò MoiMoi sottovoce.

Finché non avrò risolto le cose.

 

 

 

***

 

 

Il ripetitivo toc toc toc del coltello sul grosso tagliere, il lievissimo grattare della lama affilata sulle imperfezioni dell'arnese ormai scavato da anni di uso, il legno sotto i polpastrelli; i tonfi sordi degli ingredienti tagliuzzati che Sury stava facendo cadere nella pentola, che sobbolliva sonnolenta. Nella calma della cucina quel miscuglio di suoni accennati dava a Zakuro un non so che di nostalgico e rassicurante, sollevandola per qualche ora dalla sottile tensione che invadeva i suoi pensieri ormai da giorni, dopo la Cerimonia della Dama Rossa.

« Ecco qui…! – fece Sury soddisfatta battendo i palmi come a pulirli – manca solo il savoy. »

« Agli ordini chef. »

La bimba storse un poco il naso infastidita dal tono scherzoso e Zakuro, sorridendo, alzò le dita in segno di scuse mentre le porse le fette sottili di una sorta di verza color arancio pallido. Sury prese il tutto con entrambe le mani e lo fece scivolare lentamente nella pentola, sollevandosi con tutta la sedia oltre il bordo di metallo così da non causare schizzi giganti di acqua bollente; Zakuro la scrutò durante tutta l'operazione, attenta ad intervenire con discrezione ci fosse stato bisogno, ma Sury in neppure una settimana aveva acquisito piena padronanza della seggiola semovente su cui avrebbe passato la convalescenza e ormai fluttuava in giro per casa con precisione millimetrica.

« Quanto ci vorrà perché sia pronto? »

Alla domanda della mewwolf Sury alzò lo sguardo riflettendo, la lingua tra i denti:

« Un po'. »

Disse alla fine con decisione. Zakuro si trattenne dal sorridere troppo:

« D'accordo. »

La mora si mise a sistemare gli utensili sporchi mentre Sury iniziò ad apparecchiare, e per alcuni minuti ci furono di nuovo solo lo sciabordio del lavello e il tintinnio dei piatti a fare da contorno al chiacchiericcio ininterrotto della bambina che scivolò per la stanza sul cuscino ad aria con la grazia di un pattinatore alle olimpiadi.

« … Quindi ora tocca a me no? – disse la piccola mentre portava al tavolo i bicchieri, tenendoli fermi tra i palmi aperti e il proprio mento – Eyner si occupa sempre di me, adesso serve a lui una mano. »

« Mi sembra giusto. »                                              

Replicò pacata la mora e ricambiò con dolcezza l'enorme sorriso orgoglioso di Sury che si riempì il grembo di posate. La bimba fece un altro viaggio avanti e indietro e si proteste con il nasino verso la pentola, odorando il vapore che ne uscì con aria da intenditrice.

« Sta venendo bene? »

Domandò Zakuro divertita dal fare esperto e porse un cucchiaio della pietanza a Sury, che annuì convinta:

« Buogno…! »

Mugolò soddisfatta; la mewwolf rise sotto i baffi e continuò a girare piano gli ingredienti nella cremina che si andava addensando.

« Sei proprio brava nee-san. »

« Ti ringrazio. »

Le sorrise Zakuro aiutandola a prendere una caraffa da un ripiano alto.

« Chi ti ha insegnato a cucinare? »

Chiese Sury riempiendo la brocca d'acqua; Zakuro non le rispose, smettendo per un secondo di mescolare il pranzo.

« Eyner non è capace a spiegare quando cucina – ridacchiò Sury con una linguaccia – però mi lascia guardare e capisco, anche se dice che ogni tanto gli sto tra i piedi e… Nee-san? »

« Uh? Scusami… Ero sovrappensiero. – fece la mora – Nemmeno a me hanno insegnato, comunque. Ho imparato da sola. »

Sury posò la caraffa sul tavolo studiandola attenta:

« Guardando la tua mamma? »

Ci fu un altro momento di silenzio e Sury, sebbene l'espressione della ragazza non fosse mutata, avrebbe potuto giurare che per un secondo Zakuro fosse diventata triste.

« Mia madre non è il tipo di persona che cucina. – rispose con tono neutro, poi aggiunse rapidamente – No, poco alla volta, leggendo ricette un po' qui e un po' lì e provando. »

Sury rispose con un suono muto avvicinandosi alla ragazza e guardandola a lungo, la testolina piegata di lato per vederla meglio dal basso:

« Nee-san? »

« Uh? »

« Tu non… Hai la mamma e il papà? »

La mora vide la bambina mordicchiarsi il labbro come se temesse di aver detto qualcosa di male; sorrise più convinta e le diede un buffetto sulla testa:

« Ce li ho. Ma vivono lontano. »

Lì per lì Sury si rasserenò, poi aggrottò appena la fronte confusa dall'ultima affermazione e piegò il capo dall'altra parte, lo sguardo interrogativo.

« Da molto tempo. »

« Quindi sei da sola? »

L'idea parve preoccuparla di nuovo e Zakuro le sorrise ancora:

« Ho le ragazze. – disse con tono affettuoso e più tranquilla annuì – Però sì, vivo da sola. »

Sury non sembrò ancora convinta.

« Ormai sono adulta, è normale che i grandi vivano per conto loro. »

« Ma casa tua è enorme! – obbiettò l'altra – Ti sentirai sola. »

La bambina incrociò le braccia prendendosi il viso tra due dita, riflettendo con borbottii sconnessi:

« Ho trovato! »

Schioccò le dita e Zakuro alzò un sopracciglio incuriosita, in attesa della folgorante idea che aveva illuminato la piccola.

« Vieni a stare qui con noi! »

« Con voi? »

« Sì! – esclamò fierissima della sua trovata e proseguì eccitata – Così non sarai da sola. Starai in camera mia, tanto il mio letto è grande e- »

« Sorvolando che per una questione del genere credo di avere voce in capitolo… Potevi almeno proporle la stanza degli ospiti. »

Sury quasi scattò sul suo cuscino d'aria fulminando subito dopo Eyner, spuntato dal nulla, con un'occhiataccia:

« È brutta e fredda perché non la usiamo mai! – gli rimbeccò gonfiando le guance – E poi lo dicevo anche per fare contento te! »

Lui sorrise, chiaramente intenzionato a stuzzicare la sorellina, e si appoggiò con la spalla contro lo spigolo del muro:

« Un ospite a tempo indeterminato in casa? – guardò di sottecchi Zakuro che alzò gli occhi al cielo – Chi ti dice che sia d'accordo? »

Sury divenne rossa fino ai lobi delle orecchie e annunciando gelida che era quasi pronto da mangiare se ne andò verso il bagno, il nasino all'insù e il cipiglio offesissimo mentre il fratello entrava in cucina ridacchiando.

« Perciò non saresti d'accordo se io rimanessi qui. »

Il bruno fece un sorriso storto mentre Zakuro lo scrutava allusiva:

« Credevo che fossi uno di quei fratelli maggiori che non tormenta le sorelline. »

« Appunto, "fratello maggiore"; e pieno di questo titolo, credo di avere tutti i diritti di punzecchiarla un po' di tanto in tanto. »

Zakuro si limitò ad un suono indistinto spegnendo il fuoco sotto il pranzo ormai cotto:

« Ma non hai ancora detto se saresti d'accordo o meno. »

« Solo se scegliessi l'opzione attuale, come stanza. »

La mora sorrise lievemente, maliziosa e gli battè piano l'indice contro la fronte sottintendendo con uno sguardo un vago sei un cretino. Cambiò pian piano espressione osservandolo meglio in viso e gli sfiorò una guancia con il dorso della mano:

« Sei più pallido del solito… Hai dormito un po' stavolta? »

« Così così. – rispose con uno sbuffo – Mi sono dovuto arrendere dopo l'ultima mezz'ora. »

Zakuro si scurì in volto, ma Eyner si limitò a scrollare le spalle e si diresse fuori verso un piccolo spiazzo di fianco alla casa: sprofondò con un sospiro su una panchetta di legno macilento e poggiò la nuca sul muretto retrostante, gli occhi chiusi e il sangue che tornò a dare una parvenza di vita alle sue guance. La mewwolf lo seguì lentamente e si sedette accanto a lui senza una parola.

Quando Eyner e Sury erano potuti tornare a casa dal bunker, il bruno l'aveva rassicurata che il peggio fosse passato, avrebbe solo dovuto pazientare che gli effetti dei SRP terminassero di rinsaldare le ossa e facessero tornare al loro stato originario muscoli e tendini ancora malridotti, perché il suo braccio sinistro tornasse come nuovo. Ovviamente le cose si erano dimostrate meno semplici di quanto si era supposto.

La guarigione non era stata indolore ed Eyner aveva dovuto fare largo uso di antidolorifici che gli avevano provocato terribili incubi, grazie anche ai ricordi ancora vividi del suo ultimo scontro con Toyu e dal pericolo corso da Zakuro e da Sury. Durante quella settimana, da quando dormiva a casa loro, la terrestre aveva sentito Eyner agitarsi disperatamente nel sonno ogni volta che si coricavano, e quando poi riusciva ad alzarsi il ragazzo aveva poca voglia di riprovare a dormire: almeno una volta per notte la mewwolf si era svegliata, avvertendo il vuoto accanto a sé nel letto, e aveva trovato il bruno a vagare per casa come un'anima in pena. Alla fine, di solito poco prima dell'alba, Eyner crollava in un sonno tanto profondo da non  riuscire nemmeno a sognare, riposandosi qualche ora fino al primo pomeriggio quando il dolore riprendeva a fargli formicolare il braccio obbligandolo ad alzarsi.

« Mamma mia… Mi sembra di avere il fango tra le orecchie. »

Bofonchiò Eyner fregandosi una mano sul viso.

« Scelta infelice di termini. »

« È già tanto se riesco a mettere assieme frasi di senso compiuto oggi… »

Zakuro scosse la testa con un sospiro e un mezzo sorriso.

I due rimasero seduti in silenzio per alcuni minuti. Dalla Celebrazione della Prima Luna le case lì attorno, già tranquille, si erano immerse in un silenzio quasi assoluto, come del resto la maggior parte di Jeweliria; i rumori e le attività erano concentrati nella zona del bunker e del Palazzo Bianco, tanto che in quel momento Zakuro riuscì a sentire con abbastanza chiarezza Sury trafficare in cucina dalla finestra aperta.

Ad un ascolto più attento però la tranquillità rivelava il suo lato peggiore. La quiete eccessiva, privata del sottofondo di vita delle case vicine, del vociare distante delle persone che erano state bruciate alla cerimonia della Dama Rossa era palpabile e gelida come in un edificio abbandonato; chiunque avesse familiarità con la zona intuiva le note mancanti alla melodia quotidiana, quei riti eseguiti da persone che ormai non avrebbero più percorso la via di casa, le risate che non si sarebbero più sentite. Perfino per la mora, meno abituata ai rumori del posto, il silenzio era troppo, un silenzio d'assenza e non di calma che accompagnava gli sgradevoli odori che fluttuavano sottili nell'aria verso i suoi acuti sensi: odore di terra smossa, di legna bruciata e di polvere che si alzava ancora dalle macerie, perdendosi nel vento; la nota impercettibile di cenere proveniente dalle pire della cerimonia della Dama Rossa, ormai spente e abbandonate; senza contare la mancanza di odori, la mancanza di persone che coprissero l'aroma dell'erba, la mancanza di profumi provenienti dalle cucine.

Zakuro prese un lungo respiro cercando di non lasciarsi sopraffare dal dolore che aleggiava sulla città e alzò appena la fronte aspettando un cenno di Eyner ad alzarsi per mangiare. Lo vide fissare la propria mano sinistra, che stava aprendo e chiudendo ad intervalli quasi a controllare di riuscire a muoverla in modo corretto; la mewwolf non disse una parola e si corrucciò di più:

« Cosa ha detto Ake? »

« Niente di strano, almeno a livello medico. – bofonchiò il bruno e una piccola fiammella si accese sopra le sue dita tese – Però è tutto… Più lento. Sembra che ci sia un danno più profondo, a livello dei nervi. »

Il bruno spalancò il palmo e lo mosse in circolo tracciando un piccolo cerchio dorato che divenne una lingua di lapilli dorati, un'estremità che seguì la sua stessa coda in tondo per poi prendere a fare volute e giravolte sempre più complesse senza che Eyner facesse altro che muovere appena le dita, finché al suo cenno la fiammella scattò indietro nascondendosi nella mano che lui chiuse a pugno.

La mora seguì con lo sguardo la danza di fuoco senza perderne un istante, ma non disse niente. Da dentro Sury li chiamò per il pranzo ed Eyner, con un sorriso ben poco convincente, si alzò sospirando su quanta fame avesse e Zakuro si limitò ad annuire seguendolo sempre senza una parola.

Non era riuscita a non notare come quel piccolo giochino con il fuoco avesse fatto scomparire il poco colore sul volto del bruno, ma ciò che la turbò di più fu non capire se la cosa fosse dovuta all'affaticamento del ragazzo, oppure se una piccola fiammella fosse stato il massimo che sarebbe riuscito a fare da lì in avanti.

 

 

***

 

 

Lo stridio degli esseri che venivano colpiti si perse tra gli sfrigolii delle scariche e i tonfi dei corpi che cadevano al suolo, seguiti un secondo dopo dal ritmico pulsare del nucleo dei para-para che tornarono a rigenerarsi.

« Altri tre centri! Sei grande Taru-Taru! »

« Non distrarti! – sbottò il brunetto guardando Purin saltellare per la sala d'allenamento  – Se non stai attenta ti becchi uno di questi cosi in testa! E se si riaprono i punti diventerai davvero una zucca vuota. »

Mentre disse così uno dei piccoli chimeri, simili a scarabei grandi come gattini, gli volò così vicino da tranciargli l'orecchio; fu solo per un microsecondo che Taruto riuscì a schivarlo, piantandogli per vendetta una lama in mezzo alla corazza della schiena, mentre il brunetto rotolò malamente a terra cacciando un lamento secco e tenendosi la spalla destra, con gran sequela di proteste e parolacce a labbra strette.

« E tu stia attento…! – esclamò Purin correndogli vicino – Quella non è ancora guarita completamente…! Stai bene? »

« Sì, sì – minimizzò lui soffiando tra i denti concedendole un mezzo sorriso – davvero, sto bene. »

Purin gli sorrise di rimando tenendogli con fare affettuoso la mano sulla spalla:

« Non farmi preoccupare. »

« Scusatemi piccioncini – fece Kisshu a tono ben alto e pungente – Se avete finito di fare la coppietta al primo appuntamento sarebbe il caso muoveste il culo, visto che questi cosi sono tanti e particolarmente incaz… non ci provare! »

Il verde non sentì gli insulti del fratellino, che vennero coperti dallo scoppio per folgorazione del nuovo chimero, e continuò il suo allenamento, concentrandosi per non sentire quanto bruciassero le ferite inferte da Lindèvi.

Stando a quanto Ichigo aveva riportato da Ao No Kishi a tutti loro rimaneva poco più di una settimana di tempo per trovare Deep Blue e gli Ancestrali, un tempo sufficiente a impazzire di frustrazione per chi, come lui, poteva dare un minimo contributo pratico alla ricerca del covo nemico. La sola cosa che il verde aveva trovato da fare per occuparsi quelle interminabili giornate era riprendere la piena funzione delle sue capacità combattive, nonostante le proteste di Ake: i tagli dei cavi metallici che Kisshu si era procurato erano potuti sembrare solo una seccatura, ma erano stati abbastanza profondi da mancare per poco le ossa in alcuni punti e, fosse stato per il dottore, il verde avrebbe dovuto starsene tranquillo come era stata costretta a fare Retasu, o Eyner. Stare fermo però per Kisshu era l'ultima delle opzioni, specie con quanto stava succedendo e con parte del Corpo Disciplinare che protestava per la decisione di Meryold e Ronahuge di lasciare che fossero le terrestri e i loro soci ad andare a caccia degli Ancestrali: ritenevano che quanto avvenuto durante la Celebrazione della Prima Luna fosse colpa anche della loro "negligenza" per non aver eliminato fisicamente la minaccia di Toyu e degli altri, poco importava se grazie a loro il Dono fosse stato recuperato del tutto e che l'attacco di quella sera fosse stato possibile solo grazie al tradimento di Lenatheri.

Tre chimeri tentarono di attaccare Kisshu alle spalle distogliendolo dal suo rimuginare e il verde, pronto, si teletrasportò alle loro spalle tranciandoli in sei pezzi ciascuno prima che questi potessero provare a fuggire.

Almeno era stato consolante che non fosse il solo a fremere per partire. Ottenuto il benestare dei medici Taruto e Purin non avevano fatto altro che bazzicare per le sale d'addestramento poco meno tempo del verde, così come Ichigo, quando non scompariva ad aiutare chissà chi da qualche parte nel Palazzo Bianco, quasi fosse diventata incapace di rimanere ferma se non per mangiare o crollare a dormire; anche Zakuro ogni tanto aveva provato a sciogliere i muscoli indolenziti, ma i colpi ricevuti da Toyu ancora si facevano sentire e limitava gli sforzi.

« Purin, abbassati! Ribbon Mint Echo! »

La mewscimmia urlò un ringraziamento mentre piegata a metà scartò di lato e lasciò che la freccia di Minto polverizzasse un altro chimero, proseguendo ad eliminare i pochi rimasti per quella sessione.

« Stai diventando un cecchino, passerotto. »

« La mia mira non ha mai avuto problemi – precisò la mora con il fiato un po' corto – la sto affinando. »

« Sento di dovermi preoccupare per il mio futuro. »

Minto fissò Kisshu scuotendo la testa e lui ricambiò con un sorrisetto; la ragazza atterrò notando che non erano rimasti più chimeri e osservò distratta i para-para radunarsi attorno ai semi di paina che il sistema riportò in superfice, mentre la sessione di allenamento si resettava in attesa di un nuovo riavvio.

« Se Minto nee-chan migliora ancora un po' dovremmo farla allenare per i fatti suoi. – ridacchiò Purin concedendosi qualche minuto di pausa e sedendosi a terra – Ne ha fatti fuori quasi un terzo da sola. »

« Non è che sei tu che stai diventando più scarsa? »

La canzonò Taruto e la biondina gonfiò le guance:

« Senti chi parla! – lo apostrofò – Sei già esausto! »

« Sto solo riprendendo fiato un momento. »

Ribattè orgoglioso in barba al suo viso sudato e all'aria sfatta. I due presero a punzecchiarsi come due mocciosetti al parco giochi puntualizzando quella o quell'altra pecca nell'allenamento dell'altro e Minto alzò gli occhi al cielo sospirando:

« Che bambini…! »

« Beh non sono proprio maturi. Poi sai come sono, gli sposini novelli. »

Scherzò Kisshu divertito.

« Ci stiamo preparando per salvare i nostri mondi, non per giocare. – proruppe lei accalorata – Se vogliono solo perdere tempo potrebbero andare a fare i fidanzatini che si stuzzicano altrove. »

« Oh, vacci piano cornacchietta. Stavo scherzando. »

Minto si rese di colpo conto del tono acido che aveva usato e prese a mordicchiarsi il labbro:

« Scusa. Devo… Essere un po' stanca. »

Kisshu replicò con un monosillabo indistinto.

Si era ben accorto che con il passare dei giorni Minto si fosse fatta più irritabile del solito, e se pure la mewbird passasse lunghe ore a superare sessioni su sessioni di allenamento il verde aveva dubitato si trattasse solo di stanchezza. Aveva avuto l'impressione che la mora stesse rimuginando sempre più spesso su qualcosa, o che un qualche pensiero o sensazione stesse iniziando a tartassarla al punto da non poter essere ignorato, cosa che fu chiaro Minto avrebbe fatto volentieri.

« Solo stanca? »

Buttò lì il verde e Minto annuì di nuovo guardando altrove. Kisshu schioccò appena la lingua, quella era un'altra delle cose che lo stavano assillando: non sapeva se la mora lo considerasse tanto stupido da non capire che qualcosa non andava, oppure se semplicemente fosse così testarda da non volergliene parlare pure di fronte agli evidenti tentativi di cavarle fuori qualcosa.

Però se c'era una cosa che aveva imparato in quei mesi era che, se Minto Aizawa decideva di non aprirsi, forzarla l'avrebbe fatta solo chiudere di più.

« Che ne dici, ci fermiamo per oggi? – le propose – Pure io inizio a sentirmi cotto. »

« Uhm… »

Annuì facendo un sorriso più convinto, la stanchezza che in effetti le segnava il viso accaldato; lui le passò un braccio attorno alle spalle:

« Pisolino? »

Scherzò con tono malizioso dandole un bacio sulla tempia. Lì per lì la mora si rilassò nella stretta, poi di colpo divenne rigida come il ferro e lo scostò brusca, guardandolo male:

« Sei… Davvero incredibile! Possibile che tu non riesca a pensare ad altro?! »

« Eh? »

Scosse la testa allontanandolo con un cenno della mano:

« Io per oggi la chiudo qui. »

Sbuffò e girò sui tacchi lasciando il verde con un palmo di naso. Sentì vagamente Purin e Taruto parlare tra loro e il sistema che si preparò a ricominciare, ma il verde a quel punto non ebbe davvero più voglia di giocare con qualche povero chimero. Borbottò qualcosa di indistinto ai due ragazzi e uscì un minuto dopo Minto, di cui non ci fu già più alcuna traccia nei corridoi limitrofi.

« Manco sapesse teletrasportarsi…! »

Schioccò di nuovo la lingua soffocando un paio di parolacce con grugniti confusi e provò per la centesima volta a pensare cosa avesse fatto di recente per scatenare Minto. Di norma la mora si era comportata come al solito, sorvolando sull'irritabilità più alta, e anche con Kisshu era serena eppure appena lui  provava a stringerla, o a cercare un contatto appena più intimo del condividere la stessa aria, lei reagiva scattando neppure avesse preso la scossa. Kisshu si era chiesto se non riguardasse la sera della Cerimonia, ma aveva escluso la questione: pure dopo le magnifiche ore in qui era riuscito ad averla tutta per sé, e la battaglia che avevano dovuto affrontare subito dopo senza poter processare il tutto, Minto era rimasta uguale e, anzi, aveva perso parte del suo astio per il contatto fisico in pubblico.

È diventata strana dopo che Ichigo ci ha portato la lieta novella del biondastro blu…

Sbuffando Kisshu attraversò il cortile principale del Palazzo Bianco prendendo a calci un sasso solitario, poteva capire bene il nervosismo al pensiero di correre nella tana del lupo, lui però cosa c'entrava?

E dire che lui, al contrario, con tutta quella tensione non avrebbe visto l'ora di starsene un po' con lei…

« Kisshu-san. Ciao! »

« Uh? Ohi, pesciolina… »

La curiosa presenza della mewfocena non fu abbastanza per rianimarlo dal suo meditare, scatenando l'ordinaria apprensione della ragazza:

« Tutto a posto? Sembri un po' giù. »

Lui scosse le spalle sorridendo incurante:

« Nah, io sto sempre su. »

Ammiccò e capendo dall'espressione frastornata della verde che non aveva capito l'allusione rise di gusto:

« Sei più innocente della scimmietta! Come farà Pai quando deciderà a darsi una mossa… »

« C-come? »

« Niente, niente, parlavo tra me e me. – la chiuse scuotendo una mano – Stai tranquilla, sto bene. »

La mewfocena si sforzò di ignorare la confusione e sorrise:

« Meno male. »

« Tu invece dove staresti andando? »

Retasu sussultò, aveva sperato che Kisshu non si incuriosisse oltre della sua presenza lì; pensando di riuscire ancora a cavarsela sorrise innocentemente:

« Io? Mmm… Stavo solo facendo due passi… »

« Uhu – il viso del ragazzo si tese in un ghigno – e non stai andando casualmente verso le sale d'addestramento, vero? »

La giapponese quasi divampò di colpevolezza dietro gli occhiali:

« N-noooo…! »

« Ti sei data alla delinquenza pesciolina? – sghignazzò lui – Sei scappata dal reparto degenza? »

« Ake-san mi ha lasciata andare a casa oggi pomeriggio! – si affrettò a giustificarsi lei, agitata – P-però… Insomma non ne posso più di stare in un letto è più di una settimana…! »

« Già e scommetto che ti ha raccomandato di darti subito alla pazza gioia e strapazzarti il più possibile. »

Retasu scostò lo sguardo come un bambino beccato a fare una marachella:

« Io comunque non volevo fare niente. »

« Sì certo, come no. Pesciolina come bugiardo ho un'esperienza ventennale, non mi freghi. »

« Ho l'impressione ci sia qualche errore di calcolo… »

« Dai pesciolina non vorrai far fare la parte di quello serio proprio a me, vero? »

Retasu prese a tormentarsi un ciuffo della frangia e Kisshu l'afferrò divertito per un polso trascinandola via:

« Su, a casa. Prima che Pai ti veda e ti metta in castigo. »

« Non è mica mio padre. – protestò la verde, un po' seccata per il modo in cui il ragazzo stava rappresentando il suo rapporto con il fratello – e poi in fondo… Si preoccupa soltanto. »

Lo sentì ridere e si diede della stupida, aveva fatto un'affermazione che rendeva ancor più senza senso il suo tentativo di insinuarsi agli allenamenti.

« Come la scimmietta. – proseguì per lei il verde – E Minto. E Taruto, Zakuro… Se non ti riporto indietro mia madre ed Eyn vorranno la mia testa su una picca, per non parlare di mio padre che potrebbe accusarmi di aver condannato Pai al celibato imperituro. »

Retasu scostò con poca energia il braccio restando ferma nel corridoio, l'aria abbattuta:

« … Tra pochi giorni dovremo partire –  mormorò, aumentando la decisione della voce ad ogni parola – se vi aspettate tutti che io me ne stia buona ad aspettarvi… »

« Io non mi aspetto proprio niente pesciolina. – la corresse con più gentilezza – Credimi, lo sanno anche gli altri. Però mi sembra proprio cretino tentare di ammazzarsi prima del momento adatto, non credi? »

Retasu non rispose massaggiandosi nervosa un braccio.

« Pesciolina non siamo mica in un manga dove la gente si allena prima della battaglia finale e i protagonisti fanno il power up del momento cruciale, per piacere…! »

Lei fece gli occhi a palla:

« E tu che- »

« La scimmietta mi ha fatto un corso accelerato. Avete della roba pazzesca dalle vostre parti…! Ma – si riprese tornando in argomento – il punto è che qui si sta solo ammazzando il tempo, visto che siamo inutili al momento. Tu invece hai il compito di riprenderti, va bene? »

Lei abbassò lo sguardo e annuì mogia sentendosi una sciocca avventata:

« D'accordo… »

Kisshu le indicò con un cenno esagerato l'uscita strappandole un sorriso e i due si avviarono fuori dal Palazzo, il verde che intrecciò le dita dietro la testa:

« La prima predica della mia vita, terrificante…! Pensavo che dall'altra parte della barricata ci si sentisse meglio. »

Retasu ridacchiò piano:

« I tuoi subalterni non hanno mai bisogno di essere ripresi? »

« Pesciolina, quelle non si chiamano prediche; si chiamano intimidazioni. »

Scherzò e lei trattenne una risata più forte.

« Prima e ultima della mia vita. »

« E se un giorno avessi dei figli? – domandò la verde, incuriosita e divertita – Ai bambini a volte servono le ramanzine. »

« Se mai avrò dei figli e faranno dei danni – precisò lui serissimo – nove casi su dieci sarò loro complice. »

Retasu esplose in un breve scoppio di risa e procedette verso casa Ikisatashi con animo più sereno, Kisshu che la seguì chiedendosi perché le sue capacità dialettiche non funzionassero così bene pure con una certa signorina dai capelli neri e lo chignon.

 

 

***

 

 

« Ti ringrazio di cuore per l'aiuto, Ichigo-chan. »

« Figurati Lasa-san – sorrise la rossa e sollevò il pugno energica – sono più forte di quanto sembri! »

La donna sorrise guardandola spostare senza troppa fatica una delle brande della sala verso il muro, così che potessero avere spazio per una nuova:

« Lo vedo. »

Disse divertita e la mewneko arrossì un poco, capendo di stare esagerando con l'aria da "forzuta"; finì di aiutare due inservienti del Palazzo a sistemare il letto nuovo e mise le lenzuola – per fortuna che il suo letto era all'occidentale, era stato facile capire come preparare le brande d'emergenza – poi fece largo perché potessero portare il nuovo sfollato al suo giaciglio provvisorio.

Lasa la ringraziò ancora dell'aiuto e Ichigo si congedò, lo stomaco che iniziò a segnare l'ora di cena.

Accelerò l'andatura, se fosse arrivata in orario avrebbe potuto trascorrere un po' di tempo con Retasu; l'amica era tornata a dormire in un letto vero già da un paio di giorni, ma era ancora tenuta sotto stretto controllo da Ake e da Lasa – e in incognito da tutti gli altri ospiti di casa Ikisatashi – perché non si sforzasse troppo e purtroppo una delle conseguenze era il non poter fare granché; perciò Ichigo e le altre le facevano compagnia quanto più possibile.

Oh, però… Spero che Pai non sia già rientrato…

Tra tutti, bisognava dargliene atto, nonostante il suo impegno per rintracciare gli Ancestrali era Pai quello che più si stava prendendo cura della verde, stando con lei e controllando che si sgranchisse un po' durante la giornata senza fare troppi sforzi – e, almeno per l'opinione della mewneko, riguadagnando punti bonus dopo quello che aveva fatto passare alla verde. Il solo problema – sempre secondo l'opinione di Ichigo – era che tra Retasu e il suo essere tranquilla e il ragazzo che si muoveva per la casa in stile ninja era difficile capire quando i due si trovassero assieme, specie se erano nella camera della mewfocena. Ichigo ringraziava ogni secondo che Retasu non fosse abbastanza disinibita da spingersi tanto avanti con Pai dopo così poco tempo – quantomeno, ringraziava di non aver avuto modo di scoprirlo – però aveva già rischiato una volta di venire folgorata sul posto dal moro quando, la sera in cui Retasu era tornata, lei aveva provato ad entrare nella sua stanza senza bussare: era stata abbastanza lesta da retrocedere appena aveva intuito la schiena di Pai curva verso la verde, ma non aveva potuto fingere di non vedere una parte del volto trasognato dell'amica mentre era persa in un bacio appassionato.

La rossa scosse la testa schiaffeggiandosi la punta del naso coi codini, doveva rimuovere quell'immagine dalla mente! Il posto di "momento intimo imbarazzante a cui assistere involontariamente" era già preso dalla sua origliata alle effusioni tra Sando e MoiMoi, non avrebbe sopportato di farlo condividere a qualcosa che comprendesse quel ghiacciolo ambulante di Pai.

Con l'ultimo ricordo rallentò il passo sospirando mogia, a ripensarci erano quasi dieci giorni che non vedeva o parlava con MoiMoi. Era cosciente che il violetto stesse bene, però lui era stato così concentrato nella realizzazione di un nuovo radar per il Dono che Ichigo non lo aveva mai incrociato per i corridoio del Palazzo né lo aveva visto fare una visita a qualcuno di loro; né lei, dovette ammettere pentita, lo aveva cercato sentendosi ancora responsabile per quanto successo a Sando.

« Ichigo-chan? »

La mewneko soffocò uno strillo pigolando acuta, rischiando di cadere all'indietro per lo stupore:

« M-MoiMoi-chan…! »

Il violetto la scrutò dubbioso dimenarsi come un'anguilla:

« Stai bene? »

« S-sì, sì, sì! – farfugliò lei – Mi hai solo sorpresa! Pensavo proprio a te, sai?! »

Rise nervosa e MoiMoi si limitò ad un cenno con la testa continuando a fissarla confuso dal suo agitarsi. Ichigo diede due colpetti di tosse tentando di riprendere contegno e nel frattempo studiò il violetto con la coda dell'occhio, sentendosi stringere lo stomaco capendo quanto apparisse sciupato rispetto all'ultima volta che lo aveva guardato bene in viso.

« Sembri stanca, MoiMoi-chan. »

« Già – ammise lui sbadigliando – sto un po' esagerando con le ore in laboratorio, ma vogliamo tutti trovare quegli schifosi quanto prima perciò... Vale un piccolo sforzo fisico. »

Ichigo mandò un suono sordo per approvazione, sebbene pensasse che la fatica dipinta sul suo volto fosse segno di ben più di un piccolo sforzo.

« Stai mangiando come si deve? »

« Dai Ichigo-chan, ti ho detto che sto bene. »

Tagliò corto lui e Ichigo decise di desistere, sebbene fosse chiaro quanto non gli credesse e quanto la cosa la preoccupasse.

« Oh… I tuoi capelli…? »

« Ah, questi? »

Il violetto si sfiorò con noncuranza i ciuffi che gli solleticarono il collo e che la mewneko notò molto più corti della settimana precedente:

« Niente, siccome hanno bisogno di un po' più di attenzioni ultimamente, altrimenti crescono ognuno per i fatti propri come un cespuglio, ho deciso di tenerli così finché non avrò più tempo libero. »

Ichigo ricambiò a fatica il suo sorriso; trasformare di netto il taglio dei capelli era un gesto molto significativo per una ragazza e nel caso di MoiMoi, per cui i capelli lunghi avevano un valore aggiunto, tenerli acconciati come un maschio non era un buon segno. Almeno secondo la rossa.

« Volevi dirmi qualcosa? »

Domandò ancora il violetto e Ichigo si irrigidì. In verità c'era una cosa che avrebbe voluto dire da giorni, ma temette di vedere concretizzate le sue paure e ascoltare MoiMoi inondarla di disprezzo.

« Ichigo-chan? »

La mewneko strinse i pugni.

Oh, insomma!

Peggio sarebbe stato continuare a farsi macerare lo stomaco.

« Perdonami, MoiMoi-chan. »

« Eh? »

Il violetto stupefatto la guardò inchinarsi di fronte a lui con l'aria più contrita che potesse immaginare:

« Ichigo-chan… Cos- »

« Perdonami! »

« Ma di cosa? »

« È stata colpa mia! »

Prese un bel respiro sforzandosi di non far tremare la voce nonostante il magone che le salì in gola e MoiMoi divenne sempre più confuso e allarmato:

« Di che stai…? »

« Io…! Io avevo capito cosa stava succedendo, con… Con Luz e tutte quelle visioni che…! Ma poi mi sono fatta fermare e sono svenuta e- »

« Ichigo, di che parli? »

« Di Sando-san! »

Chiuse la rossa senza fiato. MoiMoi trasfigurò in volto diventando una maschera indecifrabile, come se fosse in attesa del resto del discorso per decidere come reagire.

« Se non avessi avuto questo maledetto frammento dentro, Tayou non mi avrebbe fermata, sarei arrivata prima! Avrei… Avrei potuto…! »

Ormai incapace di sostenere lo sguardo dorato del ragazzo Ichigo abbassò la testa a terra, ammutolendosi; trasalì quando avvertì le dita di MoiMoi afferrarle la guancia perché sollevasse gli occhi.

« Ichigo-chan – disse con tono fermo e gentile – tu non hai proprio nulla di cui scusarti. »

« Però i- »

Lui le premette l'indice sulla bocca e le sorrise affettuoso:

« Fossi arrivata prima saresti morta. Arashi avrebbe estratto il frammento da te con la forza. – le ricordò – E poi se non fosse stato per te non avremmo neppure potuto provare a salvarlo. »

Ichigo si specchiò un momento nei brillanti occhi dorati del violetto e sentì ancora più il bisogno di piangere:

« Se avessi avuto più forza per andare però… »

« Non ci potevi fare nulla, Ichigo-chan. »

La rossa si asciugò veloce una lacrima, un sollievo vago che iniziò a spandersi nel petto, eppure ancora pensò di dover dire di più, che avrebbe potuto fare di più:

« Credevo mi odiassi ormai… »

« Pensavi sul serio che ti avrei dato la colpa per una cosa del genere? »

MoiMoi la studiò con condiscendenza e la mewneko strinse le labbra in imbarazzo;  prima che potesse provare a riaprire bocca e ribattere il violetto approfittò della ridotta differenza di altezza per darle un affettuoso bacio sulla guancia, ridacchiando mentre lei scattò dritta come un palo.

« Stupidina. »

La rossa perse di colpo la voce e si limitò a fissarlo con gli occhi grandi come biglie, la mano serrata sulla gota: da giapponese non era troppo abituata a simili espressioni d'affetto da parte di un'amica e il subdolo ricordo – proprio in una situazione del genere dovette pensarci?! – che MoiMoi in realtà fosse un uomo la confuse  ancora di più.

« Non farti mai più simili castelli in aria, sono stata chiara? »

« Sì… »

MoiMoi sorrise soddisfatto e la prese a braccetto:

« Senti, stavo pensando che avrei proprio voglia di mangiare un pasto completo. Che ne dici, andiamo? »

Ichigo capì subito che il violetto se ne fosse uscito con una frase simile più per rassicurarla che per effettiva fame, visto che aveva la faccia di chi preferirebbe scalare una montagna che ingerire alcunché, ma non se la sentì di controbattere e sorrise annuendo.

 

 

***

 

 

Minto sospirò seccata, se c'era una cosa che la infastidiva era dover alzarsi per andare in bagno, specie se aveva appoggiato la testa sul cuscino da cinque secondi. Attraversò il corridoio dell'ala aggiuntiva in punta di piedi e sbuffò esasperata vedendo una luce da sotto la porta del bagno; si avvicinò in silenzio sentendo il pigolio di Masha e una voce famigliare rispondergli, ovvio che fosse Ichigo ad aver piantato radici nella vasca, era più di un'ora che faceva la boa!

La morettina non ebbe voglia di attaccare una litigata e tirare giù dal letto tutto il resto della casa, perciò inspirò per calmarsi e si arrese a dover usare il bagno principale. Aprì la porta che divideva la piccola dimensione alla vera casa Ikisatashi e appurato fossero tutti altrove, uscì puntando a fare quanto doveva rapidamente e tornarsene a letto; era stanca e per di più aveva passato tutta la sera ad evitare di rimanere sola con Kisshu più di mezzo minuto, cosa di cui era certa lui si fosse accorto: decisamente aprire una discussione sull'argomento, specie a quell'ora, era ancor meno invitante di trascinare Ichigo fuori dalla vasca.

Circa cinque minuti dopo fu pronta per tornarsene al confortevole tepore delle lenzuola – era estate eppure il pavimento era gelido camminandoci a piedi nudi – sbirciò da uno spiraglio della porta di avere campo libero, rilassò le spalle e sgusciò nel corridoio deserto pronta per una buona notte di sonno.

« Buonasera passerotto. »

La mora fece praticamente una piroetta sul posto per lo spavento, coprendosi la bocca con una mano per soffocare un urletto:

« Sei impazzito?!? – mormorò in un soffio squadrandolo torva – Mi hai fatto venire un colpo! »

« Che fai da queste parti? »

« Ichigo sta cercando di battere il record per i polpastrelli raggrinziti – fece sarcastica alzando gli occhi al cielo – e mi serviva il bagno. »

Lui sogghignò alla battuta aspra mettendo Minto solo più in agitazione. Il verde appariva come al solito, braccia conserte appoggiato con la spalla alla parete, ma lei vide bene che stava solo ostentando calma, come le risa al suo commento, che erano state più forzate del solito.

Non avrebbe saputo dire se Kisshu fosse spuntato per caso o se la stesse aspettando al varco, ma certo non l'avrebbe lasciata andarsene a dormire tranquilla.

Che diavolo.

« Beh… Sono davvero stanca. – disse lei stringendosi nel coprispalle che aveva buttato sulla camicia da notte – Meglio che vada a stendermi… »

« Perché mi stai evitando? »

Minto si strinse nelle spalle maledicendo ogni sua impellenza fisiologica; impiegò un'eternità a voltarsi verso di lui:

« Non mi sembra di stare evitandoti. »

« Se ogni volta che provo a toccarti scappi via come se avessi la lebbra..! »

Sbottò con un ghigno sprezzante.

« Quello perché tu tenti sempre di allungare le mani. – replicò lei cupa – E direi che non è il momento adatto per i tuoi ormoni. »

« Vorresti dirmi che siccome la città è a lutto non posso nemmeno più abbracciarti? »

« Non ho detto questo. »

Lo corresse più impacciata, consapevole di averlo insultato gratuitamente.

« E allora perché non me lo lasci fare? »

Domandò abbassando il tono. Minto si pizzicò l'interno della guancia detestando intuire la nota ferita e rabbiosa della sua voce.

Tutto perché, più passavano i giorni, più l'angoscia di ciò che li aspettava non faceva che occupare uno spazietto in più nella sua mente: l'idea che sarebbero potuti non tornare, che forse solo alcuni sarebbero tornati, o che nel caso di vittoria chissà in che stato sarebbero arrivati a casa le vorticava in testa trascinandosi dietro le immagini più agghiaccianti, serrandole lo stomaco; quando poi Kisshu provava a stringerla a sé e riusciva a sentire quanto la volesse, quanto quel tocco fosse ugualmente carico di affetto per lei gli stessi feroci sentimenti le inondavano il petto, scatenandole al contempo ancora più il panico, il terrore che da lì a pochi giorni avrebbe potuto perdere tutto quanto.

Stropicciò la manica del coprispalle tra le dita, perché doveva essere tutto così complicato?

Invece perché per lui sembrava sempre tutto così semplice?

« Minto. »

La morettina s'irrigidì appena riportando lo sguardo dal pavimento al ragazzo, che anticipando una possibile reazione le cinse la vita portandosela al petto. Minto prese un lunghissimo respiro, aveva l'impressione di non stare tra quelle braccia da un'eternità da quanto le era mancata la sensazione.

E se non avesse potuto provarla più, da lì a poco?

Si morse di nuovo le labbra tentando di allontanarlo, ma Kisshu la strinse più forte e la baciò strappandole un sospiro; il suo profumo riuscì a rilassarla di colpo e assieme a darle un guizzo allo stomaco.

Ma se fosse stata l'ultima volta?

« Kisshu… Kisshu, fermo, smettila…! »

Schiaffeggiò la mano di lui che le stava accarezzando lasciva il fianco e lo guardò arrabbiata:

« Ecco è proprio questo che intendevo! »

« No questo è quello che intendevo io. – replicò ferito il verde – E non provare a dire che ti stessi dando fastidio…! »

Minto sollevò il mento imperiosa, incapace di dire una simile bugia solo per indispettirlo.

« Che cos'hai? »

« È solo… Una brutta situazione. – bofonchiò lei – Cosa di cui tu non sembri esserti accorto, a quanto pare. »

« Ora sarebbe colpa mia? »

Esclamò esasperato.

« Non mi pare tu abbia grandi problemi all'idea di metterti a giocare tra le lenzuola, che ci sia lutto o che ci si stia preparando per rischiare la pelle. »

« Non dirmi cazzate, la cerimonia della Dama Rossa non c'entra niente. – sentenziò aspro – E se devo crepare, grazie, preferirei farlo dopo aver trascorso le mie ultime ore nel modo più piacevole possibile! »

« Sei un maniaco. »

Soffiò lei offesa. Kisshu scosse la testa ridendo amaro:

« Sei davvero impossibile, cornacchietta. »

« E tu sempre il solito! – sbottò spazientita – Buonanotte! »

Infuriata fece marcia indietro e tornò nell'ala attigua della casa sbattendosi la porta alle spalle, fiondandosi in camera sua così arrabbiata che dopo cinque minuti a passeggiare per la stanza capì che non le sarebbe stato possibile dormire. Inforcò coprispalle e, stavolta, pantofole e tornò sui suoi passi pronta ad affrontare il verde, ma sembrò che avesse desistito e se ne fosse andato a letto perciò, ancora più arrabbiata, scese in cucina per farsi una tazza di paina e calmarsi.

Si bloccò sull'ingresso sbiancando quando capì di non essere sola.

Pai le rivolse appena un cenno con la testa, tornando a mettere l'acqua sul fuoco e la morettina si sedette al tavolo in silenziosa attesa.

« … Non sapevo fossi sveglio. »

« Vado a dare il cambio alla senpai per la notte, stiamo localizzando il punto dove si sono nascosti e bisogna monitorare il radar ventiquattro ore. »

« Uhm. »

Il moro continuò a non parlare e Minto si torturò il dorso di una mano con l'unghia dell'indice:

« … Ci hai sentiti? »

Lui la fissò ponderando sulla risposta e alla fine ammise di sì con un cenno; Minto si morse il labbro:

« Quanto hai sentito? »

« Abbastanza. In ogni caso, molto più di quanto volessi. »

Rispose vago e porse alla mewbird una coppetta fumante, sedendosi su un'altra delle sedie e prendendo a sorseggiare a sua volta la propria tazza in silenzio. Minto stritolò la ceramica tra le dita per l'imbarazzo:

« Accidenti… »

« Se ti può consolare dal corridoio all'altra ala non si deve essere sentito niente. Nonostante il vostro tono di voce – puntualizzò incolore – I miei sono in servizio… E Taruto non lo sveglierebbero nemmeno le cannonate. »

« Consolante. »

Soffiò lei vergognandosi a morte e si portò la tazza alle labbra inspirandone a fondo il profumo, cercando di rilassarsi.

« Dimmi almeno che è così con tutti. »

Pai la studiò aggrottando la fronte:

« Così come? »

« Impossibile. »

« Da che io ho memoria, sì. – rispose, con tono così tranquillo che per un momento a Minto venne voglia di ridere – Ma anche tu non scherzi. »

Lei abbassò la tazza guardandolo ad occhi sgranati:

« Che vorresti dire? »

« Non so se ho sentito a sufficienza, ma mi pare fossi tu dalla parte del torto. »

« Io gli ho semplicemente chiesto di tenere le mani a posto! – sbottò accalorata, basita che Pai non solo stesse dando un'opinione non richiesta ma che oltretutto spalleggiasse il fratello – Non credo sia il caso in questo momento. »

Il moro replicò a spallucce:

« Scusa, non sono fatti miei. »

Considerando chiusa la chiacchierata il ragazzo si rimise dietro al suo paina, vuotando velocemente più di metà tazza mentre Minto, di colpo, provò una lieve nausea pensando di bere.

« … Pensi che stia sbagliando io? »

Pai prese un altro sorso prima di risponderle:

« Penso come Kisshu che la questione della cerimonia della Dama Rossa sia una scusa e basta. »

Minto girò la tazza tra le mani fissando corrucciata le increspature sulla superfice del paina.

« Per inciso non penso che ci sia una qualche violazione morale. »

« Come diavolo fa ad essere sempre così indifferente a quello che gli succede intorno?! »

Esalò lei stremata interrompendolo.

« Cosa intendi? »

« Stiamo per andare a cercare Arashi e gli altri direttamente nel loro territorio. – continuò la mora con l'esasperazione di chi trovava incompreso il suo evidente tormento – Quegli stessi Arashi e compagnia che hanno tenuto in scacco mezza Armata. Direttamente nella tana di Deep Blue…! »

« E tu pensi sul serio che non gli importi di questo? »

La sua non fu una domanda retorica. Minto soppesò la cosa e affondò con la testa tra le mani:

« Certo che no… »

« Allora dovresti ascoltare quel che ha da dirti. »

« Non era intenzionato a parlare molto. »

Puntualizzò lei a disagio; Pai non si scompose minimamente:

« Non è mai stato uno che parla molto. »

« Decisamente. »

« Forse è meglio. »

Lei lo fulminò con sguardo rabbioso, certa che la stesse prendendo in giro, mentre lui si alzò per posare la tazza vuota sul lavello:

« È molto più difficile essere bugiardi col corpo che con le parole. E poi le parole possono non essere ascoltate. »

« Le pillole notturne di filosofia made in Pai Ikisatashi? »

Fece acida e il moro scosse solo le spalle alzando un sopracciglio:

« Resta sempre e solo la mia opinione. »

Senza aggiungere altro uscì lasciando la mewbird sola coi suoi pensieri. Lei sbuffò sbattendo appena la tazza sul ripiano, farsi fare la predica da Pai su un litigio amoroso era il colmo! Specie se lui andava a dire a lei di essere più diretta e parlare di meno.

Da che pulpito, quello che non parla e non agisce!

La cosa che le bruciò di più fu constatare che avesse ragione.

« … Maledizione. »

Scostò la tazza di paina ormai freddo e salì in punta di piedi fino al primo piano e alla camera di Kisshu, fermandovisi di fronte titubante; origliò se fosse ancora sveglio e quindi provò a bussare, vedendo il verde socchiudere l'uscio con espressione torva e solo i pantaloni addosso. Non doveva essere la sola a non riuscire a dormire.

« … Scusami. »

Disse soltanto. Kisshu sembrò rifletterci sopra poi sospirò arrendevole:

« Vuoi entrare? »

Lei annuì e lo seguì in camera. Rimasero qualche istante una di fronte all'altro, Minto che interiormente maledisse la sua guerra personale contro le maglie e loro simili, poi Kisshu aprì appena le braccia verso di lei:

« Posso abbracciarti? »

La mora avvertì un piccolo groppo salirle in gola e non rispose, divorando i due passi di distanza tra sé e il verde e poggiando il viso sul suo torace. Kisshu le accarezzò lento le spalle, le passò le dita tra i boccoli scuri baciandole la frangia intanto che Minto, cingendogli la vita, mandò un lungo sospiro tremulo:

« … Sono terrorizzata – ammise a disagio – se scontrandoci con gli Ancestrali dovessi restare priva di tutto questo… Se tu dovessi… Io… »

« Hai molta fiducia in me cornacchietta. »

Le bisbigliò all'orecchio e lei borbottò di rimando:

« Hai già un precedente. »

Avvertì la presa sulla sua schiena farsi più salda:

« Non stavolta. »

« Ah…! »

La mora sbuffò con un lievissimo piagnucolio, offesa dalla frase, e Kisshu le prese il volto tra le dita:

« Non stavolta che ho qualcosa di troppo prezioso da perdere. »

Minto ricacciò indietro l'insulto che aveva formulato e tentò un sorriso triste passandogli le mani dietro la nuca e lasciando che la tirasse a sé senza alcuna resistenza.

In realtà, sebbene non l'avesse detto, anche Kisshu aveva paura: non aveva mai dimenticato un solo istante la sensazione della lama di Deep Blue che gli trapassava il torace e la schiena e la consapevolezza di doverlo riaffrontare, più forte, più feroce, gli toglieva l'aria dai polmoni.

Ma ancora più paura gli dava il pensiero che stavolta avrebbe avuto accanto qualcuno che lo amava.

Sulla Terra si era sacrificato per un amore non corrisposto, per giunta mancando l'intento e rendendo il suo tentativo di salvataggio inutile. Ora se fosse morto non solo avrebbe ferito la persona a cui teneva, ma non sarebbe stato in grado di proteggerla fino alla fine. E se per colpa sua Minto avesse rischiato la vita… Il pensiero gli gelò il sangue.

« Kisshu… »

La camicetta da notte finì per terra in pochi minuti, era solo un impiccio.

Voleva, aveva bisogno di sentire il suo calore, sentire che era viva lì, tra le sue braccia, che ancora poteva sentire il suo profumo, la sua voce.

« Voglio che torni indietro con me. »

Mormorò Minto prendendogli il viso tra le dita. Kisshu annuì, le prese la mano destra e le baciò il palmo, rubandole un secondo il respiro mentre si sistemò sopra di lei tenendola ancora più per sé:

« Io e te. »

 

 

***

 

 

Ichigo passeggiò con le mani dietro la schiena lungo il portico del cortile interno del Palazzo Bianco, la luce del pomeriggio che filtrava pigra dalla cupola di vetro. Fece grandi passi ostentando l'alzarsi del piede da terra, annoiata per la giornata persa senza nulla di utile da fare a vagare per i prati attorno a Jeweliria e per i corridoi del Palazzo alla ricerca di uno scopo, e sospirò angosciata riflettendo che le due settimane di tempo concessele da Tayou stavano volgendo al loro termine. Ryou e gli altri procedevano nel loro lavoro frenetico, ma ancora non c'erano conferme di aver rintracciato gli Ancestrali e la pressione stava iniziando a farsi sentire.

Attraversò il porticato e si appoggiò sospirando alla balaustra affacciata sull'erba, da un paio di giorni faticava perfino ad incrociare Ryou da quanto lui, Pai e MoiMoi fossero occupati a setacciare ogni centimetro di mappa spaziale con il rilevatore di MewAqua. Incrociò le braccia sulla pietra bianca e vi affondò il viso.

Ho voglia di vederti…

Si era trattenuta fino a quel momento dall'andare nel laboratorio di ricerca che avevano allestito per trovare Arashi e gli altri, ma forse l'avrebbero perdonata per un'improvvisata dopo tanti giorni. La rossa si convinse e tornò verso il cuore del Palazzo, sforzandosi di ricordare dove si trovasse la sala che cercava e inoltrandosi per i corridoi deserti di quell'ala; di solito il viavai di inservienti e ricercatori era calmo e costante, ma in quelle settimane molti di loro erano impegnati con le forze armate di Jeweliria per rimettere in sesto la città, mentre alcuni erano feriti o accanto ai loro cari e praticamente nessuno aveva bisogno di trovarsi da quelle parti.

Ichigo svoltò un angolo e prese una traversa un po' più buia delle altre, che puntava all'interno del Palazzo; nel silenzio ovattato i suoi sensi felini catturarono subito i ticchettii delle tastiere e i suoi elettronici dei computer, e lei puntò baldanzosa vero il fondo del corridoio.

« Oh… Ryou! »

Si fermò di colpo prima di raggiungere la sua meta, una delle stanze più in fondo da cui proveniva una sempre più evidente luce azzurrognola e aranciata; il biondo le era entrato nel campo visivo dallo spiraglio di una porticina una decina di metri prima, che si aprì su una sorta di piccolo stanzino dai soffitti alti e un angolo con un tavolino e una sedia, illuminato da una finestra che dava sull'esterno. Ryou stava sorseggiando una tazza di qualcosa di caldo, Ichigo avrebbe scommesso paina, ma dall'aria distrutta dell'americano sarebbe potuto essere anche bollito di cicoria che gli sarebbe andato bene solo perché era tiepido e perché lo stava bevendo lontano da uno schermo luminoso.

« Ciao.  Che ci fai qui? »

La rossa fece spallucce:

« Niente ero in giro. Ho pensato di venire un po', così… Per vedere come andava. »

Ryou sorrise di più vedendola appena in imbarazzo a giustificare la sua presenza lì.

« Bene… Quindi come va? »

« Non sei più capace di parlare con me? »

La stuzzicò e la mewneko prese a tormentarsi un codino:

« Lo sai che non ci capisco un accidenti di come funziona il radar per la MewAqua – protestò – né dei nomi tecnici, mi fa sentire stupida a chiedere. »

Lui stese un sorriso ancor più divertito e la rossa si pentì di esserlo andata a cercare:

« Ho capito, non mi va di farti rilassare prendendomi in giro. – sbottò offesa – Ci vediamo a casa. »

« C'mon, ginger. – disse ridendo e afferrandole il polso – Stavo scherzando. »

Lei lo guardò storto e mise un broncio infantile:

« … Volevo solo vederti un po', stiamo nella stessa casa eppure non ti vedo mai. »

Lui sorrise più dolce – con quel suo dannatissimo modo di inclinare appena la testa, proprio come un gatto in cerca di coccole a cui non si poteva dire di no, pensò irritata Ichigo – e la tirò verso di sé posandole le mani sui fianchi:

« Mi ha fatto piacere. – ammise aggiustandole un ciuffo della frangetta – Scusa, sono stati giorni tesi. »

Le sfiorò la guancia con il dorso delle dita:

« Mi mancavi anche tu. »

Ichigo divenne appena rossa sugli zigomi e sorrise posandogli le mani sul petto e dondolandosi sulle punte, godendosi i baci leggeri che il biondo le posò sui capelli e sulle tempie. Quando Ryou le sfiorò la punta del naso lei ridacchiò e si sporse di più per porgergli le labbra, facendo scorrere le braccia attorno alle sue spalle; lui l'aiutò a stare in punta di piedi sorreggendola per la schiena e Ichigo sospirò beata, abbandonandosi contro il suo petto.

Presto la rossa capì come nessuno dei due fosse intenzionato ad interrompere quel contatto: si accoccolò meglio che potè contro l'americano, le dita perse tra i ciuffi biondi e le gambe incastrate tra le sue. I sensi felini di entrambi fecero beati le fusa, avvolti dall'odore del dopobarba di lui e dello shampoo di lei, e mentre un brivido tiepido iniziò a salirle lungo la pancia Ichigo sentì un famigliare tintinnio invadere l'aria.

« È davvero ingiusto che sia la sola con un effetto collaterale. – mugugnò scodinzolando irritata – Perfino tu non hai questi problemi. »

« You're special, kitty. »

« Mi prendi in giro? »

Lui alzò le sopracciglia divertito:

« Era un complimento. »

« Non suonava tanto… »

Ryou rise e le sussurrò sulle labbra:

« You're one in a million. »

Il campanellino sulla coda di Ichigo trillò frenetico intanto che Ryou riprese a baciarla e lei sentì il viso andare a fuoco: stava provando la stessa sensazione che aveva avuto baciandolo la prima volta, sulla porta della sua stanza a Lirophe, ma quello fu l'ultimo pensiero razionale che riuscì a formulare. Il biondo dal canto suo capì che il suo cervello stesse per andarsene amorevolmente in vacanza, perché non riuscì più a connettere neppure vagamente dove si trovasse o cosa avesse fatto fino a dieci minuti prima.

La mano sinistra seguì pigra la curva della schiena della rossa sfiorandole la base della coda e lui sentì la ragazza mandare un mugolio tremante, che lo stordì più di un pugno in faccia. Voleva sentirlo di nuovo, di più, così adorabile ed provocante… La mano sinistra affondò nella chioma infuocata della mewneko, intenta ad esplorargli il torace con sempre minor sopportazione dell'impiccio della maglia, intanto l'altra mano sgusciò di lato scendendo lungo la coscia, sfiorando il limite tra la gonna e la pelle sottostante. Ichigo trattenne il fiato, la testa che girava, e lasciò scivolare le dita sotto il bordo della maglia di Ryou dando il tacito permesso a lui di proseguire da dove si era fermato.

Il ragazzo l'allontanò un istante per riprendere fiato, innamorato dello sguardo languido della rossa e delle sue labbra socchiuse che sfiorò con il pollice ascoltandola mandare basse fusa – come diavolo poteva rimanere lucido, se lei faceva così? – disegnando poi con reverenza la curva della mandibola e del collo, accarezzandole le clavicole e scendendo lungo il fianco mentre riprese a baciarla.

Impiegarono entrambi qualche secondo a capire che qualcuno stava chiamando Ryou a gran voce. Ichigo sbattè le palpebre un paio di volte, ricordandosi troppo lentamente dove si trovassero e cosa stesse succedendo e scattò di lato accucciandosi dietro la porta appena prima che uno dell'equipe scientifica la socchiudesse per dire all'americano che c'era bisogno di lui. Ryou rispose bofonchiando e cercando con nonchalance di darsi una sistemata ai capelli scombinati e alla maglia storta, ringraziando la prontezza della mewneko a cui invece sarebbe stato impossibile apparire innocente.

Quando l'indesiderato visitatore se ne tornò da dove venuto Ryou riprese a respirare regolare, imprecando internamente vedendo Ichigo intenta a riassestarsi la gonna – non abbastanza in fretta e concedendogli uno stuzzicante accenno della curva della coscia – e riabbassarsi la maglietta – anche lì non con sufficiente prontezza e lui potè intravedere il decoro di pizzo che aveva iniziato a spostare davanti e sfiorato sul pezzo di sotto.

Spero che a quel tipo vada di traverso il paina.

« Credo sia meglio che vada. »

Esalò Ichigo in un fiato, morta di vergogna. Ryou annuì con un grugnito e l'agguantò prima che lei scappasse, rubandole un altro bacio; Ichigo lo lasciò fare, imbambolandosi di nuovo, dopodiché imponendosi di restare coi piedi per terra sgusciò via come un fulmine, il cuore nelle orecchie intanto che capì di non avere idea di dove sarebbe arrivata se nessuno avesse bussato alla porta.

 

 

***

 

 

Eyner ringraziò che i cortili del Palazzo Bianco a quell'ora tarda fossero deserti e nessuno potesse sentire i bassi lamenti che non riusciva a trattenere; Ake, pur a denti stretti, gli aveva dato il benestare per fare qualche allenamento riabilitativo, però non voleva dire che il suo braccio fosse a posto al cento per cento e molti movimenti che stava eseguendo con il jitte gli provocavano fitte non indifferenti.

Quella comunque restava la sua preoccupazione minore.

« Non riesci più a generare abbastanza fuoco? »

Il bruno interruppe la sequenza di movimenti bruscamente tranciando l'aria con una vampa rovente:

« Tenente colonnello. »

Blies ricambiò il rapido cenno militaresco del suo subalterno e lo studiò severo:

« O sono problemi dei muscoli? – domandò ancora – Mi risulta tu sia ambidestro. »

« Sono mancino di base signore, però sì. – confermò il bruno passando il jitte da una mano all'altra – Il problema è che ho maggior controllo sul mio braccio dominante, che non è ancora guarito. »

Blies emise un grugnito di risposta intendendo la strana occhiata che Eyner rivolse al proprio braccio sinistro.

E forse non guarirà mai del tutto.

« Ad oggi la mia potenza di fuoco è circa ai due terzi – disse piano il bruno, quasi confessandosi – non ho ancora provato ad aumentare lo sforzo… Ma secondo Ake con un sovraccarico potrei giocarmi per sempre il braccio sinistro. »

Il tenente colonnello non commentò, trovando fosse superfluo rimarcare ciò che Eyner sapeva già da solo, cioè che le sue possibilità di vittoria erano drasticamente diminuite.

« Voleva dirmi qualcosa, signore? »

Blies socchiuse gli occhi perlacei e annuì:

« Li abbiamo trovati. »

 

 

 

« Si sono nascosti bene – iniziò a redigere MoiMoi mentre mostrò i dati sul monitor principale – rintanati su un masso nascosto dal campo magnetico di una pulsar(**). »

« Una stella di neutroni? – domandò Retasu sovrappensiero intanto che la mappa della galassia sullo schermo veniva zoomata man mano – Ma non genera calore. »

« Infatti non pensavamo potessero nascondersi lì, temevamo che avessero creato un'altra dimensione in cui scomparire. »

Spiegò uno degli scienziati.

« Finché il segnale del Dono non ha puntato qui. »

Concluse MoiMoi e l'ultimo scatto dello zoom individuò un piccolo quadrante semivuoto di mappa; in alto a destra un puntino che i caratteri jeweliriani indicavano con un codice numerico – probabilmente la pulsar, come si usa catalogare i corpi celesti sulla Terra – e verso il centro del quadrante altri cinque puntini di dimensioni differenti, uno più piccolo dell'altro: uno di essi, al centro del mucchio di rocce morte, spandeva onde sullo schermo come gli impulsi su un sonar. MoiMoi battè l'indice sullo schermo:

« È lì che dobbiamo andare. »

« Stando alle coordinate ci occorrerà almeno un giorno di viaggio per raggiungerli – disse Pai facendo scorrere le informazioni sul monitor – e dovremo per forza atterrare qui. »

Indicò uno dei pianetini disseminati sulla mappa, più lontano dal punto in cui avevano localizzato la MewAqua.

« Perché non direttamente lì? »

« Le pulsar emettono forti onde elettromagnetiche, Purin-chan, rischieremmo di mandare in tilt i sistemi di controllo dell'astronave. »

« Inoltre – aggiunse Ryou – si tratta di un corpo stellare così denso da avere una forza gravitazionale cento miliardi di volte più intenso di Jeweliria e della Terra. »

La biondina emise un impercettibile wow.

« Gli altri corpi celesti del quadrante si sono disposti in modo da non subire in negativo la sua influenza, ma non sappiamo cosa potrebbe succedere ad una navicella se ci avvicinassimo troppo. »

Ichigo visualizzò con terrore la navicella spaziale accartocciarsi su se stessa come in un pessimo film di fantascienza e deglutì a vuoto.

Il piccolo gruppo scientifico spiegò gli ultimi dettagli tecnici ai Membri Ristretti e al gruppo di terrestri e jeweliriani, ma le ragazze seguirono solo parte del discorso. I loro pensieri erano per il piano d'atterraggio e per la seguente necessità di raggiungere l'avamposto nemico con il teletrasporto: quasi 80.000 chilometri, così lessero sul monitor, di balzo nel vuoto cosmico.

« La navetta sarà pronta domani all'alba. »

Disse alla fine di tutto il tenente colonnello Blies e Ronahuge annuì fermo, voltandosi verso il gruppo:

« Vi consiglio di farvi una bella dormita, ragazzini. E mettete in valigia una sciarpa, farà un freddo d'inferno da quelle parti. »

 

 

***

 

 

« Ora guarda bene di riposarti, d'accordo? »

« Pai, non sono una bambina. – ripetè Retasu per la quarta volta – Ho capito. »

Il moro non apparì convinto mentre l'accompagnò nella sua stanza, seguendo ogni suo passo con la coda dell'occhio quasi nel timore che crollasse a terra da un momento all'altro.

Lei sospirò sentendo il suo sguardo addosso, tutta colpa di Ake; il medico aveva preteso di fare un ultimo controllo del suo status prima della partenza, quella sera dopo cena, e aveva sentenziato per l'ennesima volta quanto la decisione della verde di seguire gli altri fosse paragonabile ad un suicidio: gli organi e le ossa erano sì tornati al loro posto, ma il fisico della ragazza era ancora nel pieno della convalescenza e sottoporlo a sforzi eccessivi di qualsiasi tipo avrebbe potuto causare danni ben più gravi di qualche graffio o di un livido. Retasu, sorda da entrambe le orecchie, aveva solo chiesto se fosse in grado di combattere e Ake a denti stretti aveva dovuto riconfermare quanto detto nei giorni precedenti, dandole un gelido benestare.

Inutile dire che a Pai la cosa non era andata per nulla bene.

Il ragazzo aveva tentato per giorni di convincere Retasu a rimanere a Jeweliria, con buon modo, con tono severo, però non c'era stato nulla da fare.

« Non abbandonerò te e i miei amici contro quei mostri. Verrò anch'io, punto e basta. »

Quella sera erano arrivati a discutere nel senso proprio del termine, alzando perfino la voce finché lei non aveva ripetuto per la centesima volta la stessa solfa e il moro – Retasu non sapeva se per i trascorsi del loro rapporto o di natura, ma Pai non era un amante del gridare –  si era arreso prima di perdere del tutto la pazienza, la mascella contratta e i pugni stretti e si era limitato a riaccompagnarla nella sua camera senza dire altro.

Retasu sospirò guardandolo precederla di un passo e aprirle la porta della stanza, più che per galanteria per avere una scusa e non attraversare la soglia della camera:

« Bene. – disse freddamente e le rivolse un cenno impercettibile – Buonanotte. »

« Sei arrabbiato con me, vero? »

Pai si fermò con la porta quasi chiusa alle proprie spalle. Non si sarebbe aspettato che fosse Retasu a riprendere la discussione: lui preferiva sempre fermarsi prima di un dato limite per non dire cose di cui pentirsi – vizio che aveva spesso, specie quand'era nervoso – però neppure lei era una fan delle litigate, ancor meno se pensava di avere torto.

« Certo che sono arrabbiato. – sentenziò cupo – E preoccupato. »

Ammise torvo. Retasu, in piedi di fronte al letto, si tormentò sovrappensiero le dita e rimase a guardarlo in silenzio da oltre la spalla, convincendolo ad entrare e chiudere la porta.

« … Lo sai che non puoi chiedermi di farmi da parte. »

Sussurrò dopo un po' lei. Pai, in mezzo alla stanza, sospirò lugubre:

« Lo so. E tu non puoi chiedermi di accettare la cosa ridendo. »

Fece sferzante. Retasu si strinse nelle spalle:

« Lo so – gli fece eco chinando il capo – però… »

Serrò le labbra cercando di trattenere un respiro secco, gli occhi umidi dietro le lenti:

« Non voglio che le nostre ultime parole siano un litigio. »

Mormorò e detestò ascoltare la propria voce tremare di pianto trattenuto, quando per giunta la sola causa della questione era una sua scelta.

Pai osservò la testa china di lei e la frangetta con cui cercò di nascondere il viso e avvertì la rabbia svaporare di colpo. Sospirò arrendevole e le cinse la vita da dietro, sentendola mandare a sua volta un sospiro pesante mentre si assestò sotto la sua mascella.

« Non saranno le ultime. – la rassicurò e poi aggiunse con tono più leggero – Vuoi portare sfortuna? »

Retasu emise una risata fiacca:

« In effetti non è un buon atteggiamento.  Scusa… »

« Ti ho detto cento volte che non devi scusarti per le sciocchezze. »

La sgridò bonario e le baciò la nuca:

« Promettimi solo che se arrivassi al tuo limite fisico ti farai da parte. »

« Pai, io… »

« Dillo e basta. »

Insisté sottovoce. Lei bisbigliò timida un , sebbene entrambi fossero coscienti si trattasse di una bugia.

Pai seppe bene che Retasu si sarebbe spinta fino allo stremo pur di proteggere le sue amiche ed essere di aiuto a lui, se fosse stato necessario avrebbe fronteggiato Deep Blue da sola; visti i fatti lui aveva preferito assecondarla che rischiare si mettesse in ulteriore pericolo entrando clandestinamente sulla navicella, ma la cosa l'aveva solo fatto stare peggio.

Non avrebbe sopportato di perderla un'altra volta.

Si concentrò sul profumo dei suoi capelli nel tentativo di cancellare le orribili immagini che gli avevano invaso la testa mentre Retasu posò le mani sulle sue, la testa rivolta in alto contro la sua spalla, dondolandosi un poco da una parte all'altra cullata dalla sua stretta.

Rimasero così a lungo in un silenzio quasi assoluto. Retasu perciò non si aspettò il bacio leggero che Pai all'improvviso le posò piano sulla mascella e le sfuggì un veloce sospiro. La stretta di lui si acuì un istante:

« Non rifarlo. »

« Cosa? »

« Quel suono… »

Il tono basso e caldo con cui lo disse le attorcigliò lo stomaco e lei soffocò un pigolio d'imbarazzo, mentre Pai continuò quasi sovrappensiero a posarle morbidi tocchi sulla mandibola e sul collo. La verde sentì il fiato fluirle via dai polmoni e il sangue inondarle le guance.

Fu come la sera prima della Celebrazione, l'aria che si tese senza preavviso caricandosi di elettricità e Pai si sforzò di concentrarsi sulla piacevole ma metodica e ripetitiva azione di baciarla fermandosi sempre appena sotto il lobo, quasi un mantra protettivo.

Nonostante credesse alle parole che aveva detto a Minto un paio di sere prima lui non si riteneva il tipo da ragionare… Di stomaco. Essere spontaneo non era un suo talento, non sapeva che danni collaterali avrebbe potuto causare con qualcuno di così timido e inesperto accanto, e non voleva certo rischiare di fare del male a Retasu, sia emotivamente che fisicamente – era convalescente, per l'amor del cielo! – abbandonandosi proprio in quel momento all'istinto. Eppure dovette continuare a ripetersi tutto per non assecondare l'impulso che andò a farsi bruciante ad ogni impercettibile tremito del respiro di lei.

Interruppe ciò che stava facendo dato che  il suo mantra si stava rivelando controproducente, allontanandosi e ritrovandosi a sfiorare il viso della verde, che si era voltata quanto più le fosse concesso dalla sua posizione per guardarlo; Pai quasi non si accorse di averla tirata verso di sé e di averla baciata finché un lieve mugolio di lei non gli perforò le orecchie, facendogli salire troppo caldo e troppo in fretta alle vene. Si diede del fissato e si obbligò a staccarsi da Retasu, ma non riuscì a sciogliere l'abbraccio in cui la stava stringendo, sebbene percepire la sua figura sotto la camicia da notte gli avesse fatto rotolare il cuore in fondo ai piedi.

Piantala, idiota.

Retasu sospirò forte, la testa riversa sulla sua clavicola, e allontanandosi malvolentieri decise di girarsi per vederlo in viso, rimirandolo con le iridi celesti adombrate e languide. Per Pai fu come se lo prendessero a pugni nello stomaco:

« Retasu, no. »

La verde spalancò gli occhioni e divenne rossa fin alla radice dei capelli, balbettando:

« I-io… Credevo che… – lo guardò titubante, arrovellandosi se per caso avesse frainteso l'atmosfera – Che tu e io… »

Uno dei rari momenti in cui il moro si domandò se davvero non avesse parte di DNA in comune con Kisshu. Se Retasu avesse continuato a guardarlo con quello sguardo tremulo e le labbra socchiuse, più rosee del solito per il loro ultimo bacio, lui…

Inspirò a fondo –  idiota, maniaco cretino di un idiota – e le sfiorò il profilo del viso con fare rassicurante:

« Non è il momento. – disse piano – Non qui. Non adesso. »

Perfino alla verde fu lampante che si sarebbe preso da solo a calci per ciascuna parola della frase; aggrottò appena la fronte:

« Perché? »

Il volto serio di Pai fu solcato da un guizzo di purissima frustrazione, quella era una tortura.

« Perché no. »

Proseguì lentamente, calcando le sillabe per convincersene. Retasu si fece più seria e lui insisté, la disperazione del suo stesso cervello che gli urlò per una volta di non dargli retta e di seguire segnali più a sud dell'equatore:

« Non è il momento adatto, ci vuole più… Calma. – fece vago – La situazione giusta. Inoltre ti ricordo che saresti convalescente. »

Retasu rimase seria a fissarlo, ma sembrò rifletterci sopra. Pai riprese un po' di serenità interiore  e si tranquillizzò, avrebbe mentito dicendo che non si stesse odiando, ma si ripetè che stava agendo in modo corretto: il viaggio dell'indomani, la prospettiva della battaglia, tutte le paure annesse… Non erano certo un'atmosfera ideale per ritrovarsi la prima volta in intimità.

« … Se a me non importasse? »

Va bene, Retasu aveva deciso di ucciderlo. In modo veloce e letale quantomeno.

Pai non riuscì ad articolare un suono di risposta e la vide aggrapparglisi alle braccia per poterlo raggiungere, premendo decisa la bocca sulla sua in un impacciato e tenero monito a non dire altro.

La verde gli portò le braccia dietro al collo, consapevole che entro pochi secondi le ginocchia non l'avrebbero più sostenuta come si deve, e lasciò che il moro l'aiutasse a sedersi sul letto poco distante troppo concentrata a baciarlo per riflettere su come e perché. Sentì le sue mani passare decise tra i suoi capelli, sulla curva della sua schiena, più calme e attente di quando si erano baciati al Palazzo Bianco e un curioso versetto misto tra un mugolio e un sospiro felice le risalì lungo la gola, strappando un sorriso anche a lui.

Pai iniziò a scostare calmo le mani, guadagnando con lentezza esasperante lo spazio dalla schiena di lei ai fianchi morbidi, pronto a fare marcia indietro al primo scatto negativo o ad un suo ritrarsi, e non trovando ostacoli iniziò ad accarezzarle più deciso le cosce spostando a poco a poco la camicetta per poter sentire il calore della sua pelle sotto le dita. Retasu avvertì il viso andare a fuoco, se il suo cuore avesse ulteriormente accelerato sarebbe esploso.

Si azzardò a muovere le mani dalla loro posizione facendole scorrere sulle spalle di lui, sulle braccia forti, sul petto ampio avvertendo l'addome stringersi e fare le capriole in tutte le direzioni mentre, ad occhi chiusi, visualizzò il fisico prestante che tracciarono le sue dita.

Sì, sarebbe morta d'infarto di sicuro.

Per poco non svenne quando la mano sinistra di Pai seguì la curva della sua gamba e scivolò sotto la camicia da notte; emise un mugolio così invitante che lui si dovette fermare per controllarsi, stritolando la stoffa attorno alla vita di lei con l'altra mano.

Retasu, il fiato corto e gli occhi liquidi dietro le palpebre abbassate, lo vide fissarla in attesa di una sua decisione su cosa fare; dovette deglutire un poco per rispondere:

« Va bene… »

Lui sorrise e la verde capì, se possibile, di aver preso un ulteriore tono di rosso in viso. Aveva sempre considerato il moro attraente, però quando sorrideva davvero era letale, almeno per lei:

« Non guardarmi così…! »

Lo pregò pigolando e Pai non riuscì a trattenere una mezza risata, rischiando sul serio di scatenarle un attacco di cuore; Retasu abbassò lo sguardo per allontanarsi un secondo dalle due ametiste che le sembrò riuscissero a vederle fin dentro l'anima e avvertì Pai toglierle con garbo gli occhiali dal naso.

« Ah! N-no, aspetta, sono… Ci vedo malissimo senza… »

Lui le sistemò la frangetta che aveva scompigliato sfilando le lenti e poggiò gli occhiali sul piccolo comodino di fianco al letto:

« Riesci a vedere me? »

Le sussurrò; la sola cosa che lei boccheggiando potè fare, il viso di lui come sola cosa chiara nel suo campo visivo, fu un timido cenno affermativo, che rubò al moro un altro indizio di sorriso:

« Bene. »

La riportò a sé e Retasu capì perché le avesse levato gli occhiali, poteva stargli molto più vicina senza vetro e metallo spiaccicati tra le rispettive guance. Pai ricominciò a baciarla con lentezza più studiata, schiudendole le labbra con calma e gustandosi il suo goffo giocare con la lingua e il suo sapore. Continuò a seguire le sue forme sopra la stoffa, muovendosi piano e attento alle reazioni di lei e ai suoi muti segni di proseguire – il respiro che accelerava, le dita che si chiudevano di scatto sui suoi vestiti per poi rilassarsi adagio – finché non si accorse che era riuscita a spostargli la maglia a sufficienza per scivolare sotto di essa; la verde disegnò il profilo dei suoi addominali con tanta leggerezza da fargli il solletico, ma il tepore delle sue dita delicate fu più intenso di tutto il resto e gli diede l'impressione di scottarlo. Emise un borbottio roco e si azzardò a muovere la mano sinistra, ancora ferma sotto il bordo della gonna, salendo la coscia palmo a palmo e proseguendo su, sui fianchi, la vita, la curva del seno. Retasu era tiepida, femminile, morbida, accarezzarla gli fece salire tanto sangue alla testa da fargli ronzare le orecchie, già invase dai mugolii che lei non stava più riuscendo a trattenere.

La sua calma ormai era finita.

La camicetta iniziò ad essere spostata sempre di più e Retasu sentì il cervello andare completamente in pappa, intanto che le carezze di Pai si fecero più decise e audaci.

Solo un pensiero riuscì a far capolino nel meraviglioso caos che stava esplodendo nella sua testa, distraendola quel poco che bastò perché Pai la sentisse irrigidirsi e si bloccasse.

« Vuoi che mi fermi? »

Per un terribile secondo temette che gli rispondesse sul serio di sì. La verde inspirò un paio di volte odiando quel concetto che aveva incrinato l'atmosfera e abbassò lo sguardo, tirando pudicamente su la camicia che il moro le aveva fatto scivolare sulla spalla:

« Io… Non ho mai… »

« Lo immaginavo. »

La tranquillizzò pacato e, Retasu non seppe perché, con un lieve sorriso che avrebbe potuto definire compiaciuto. Si portò le dita alle labbra con fare nervoso:

« Tu…? »

« Sì. »

Tagliò corto con onestà, impaziente che si chiudesse il discorso.

Certo che sì, che stupidaggini chiedo.

Di certo non era una regola, però Pai non le sembrò proprio il tipo da celibato fino al matrimonio, e non vide perché avrebbe dovuto esserlo. Ma non era la generica idea di altre ragazze ad averla bloccata e Pai iniziò ad intuirlo, aggrottando guardingo le sopracciglia intanto che lei si mordicchiò il labbro pensando a come formulare la frase successiva.

« … Inetak- »

« No. »

Le posò due dita sulle labbra perché non completasse quel nome:

« Non dirlo. – le chiese e alla sua espressione mogia, ma bramosa di sapere, ammise amaro – Sì, anche. E gradirei non ricordarlo. Specie adesso. »

Retasu annuì rispettando la richiesta e provò un maligno senso di freddo tentare di strisciare dentro di lei, chiedendosi senza volere se anche con Lenatheri Pai si fosse trovato così, entrambi seduti uno a fianco all'altra su un letto a baciarsi e accarezzarsi; se l'avesse sfiorata come aveva fatto con lei, se avesse provato lo stesso che stava provando con lei.

Pai sbuffò e le prese il viso tra le mani voltandola verso di sé:

« Tu non sei Inetaki – disse con voce ferma – Non pensare un secondo di paragonarti a lei. Sei cento volte meglio, sotto ogni aspetto. »

Terminò la frase con tono basso e roco per cui Retasu sentì un'onda di pelle d'oca risalirle la schiena; Pai la sentì arrossire sotto i palmi mentre la baciò, poi la lasciò andare piano, posandole le mani sui fianchi e guardandola ancora allusivo in attesa di un . Lei fece un minuscolo cenno e serrò gli occhi, il rossore che doveva esserle arrivato alle spalle.

Un leggerissimo brivido di freddo le increspò la pelle quando Pai le sfilò la camicetta; d'istinto la verde si rannicchiò su se stessa per scaldarsi e raccolse la camicia tra le mani davanti al petto, per nascondersi almeno un po' dallo sguardo penetrante del moro che, dopo averle rivolto un'occhiata divertita e intenerita per il gesto d'istintiva timidezza, a sua volta si levò la maglia. Retasu smise di respirare rimanendo incantata a guardarlo, assecondandolo docile quando le rubò la camicetta e l'accompagnò sul cuscino, contemplandola come se non avesse mai visto niente di più bello.

« Ti dirò una cosa che a lei non ho mai detto. »

Retasu dovette metterci tutto il proprio impegno per rispondergli, senza fiato nel guardarlo torreggiare sopra di sé e stregata dal modo accattivante con cui aveva pronunciato l'ultima frase:

« Cioè? »

Pai socchiuse gli occhi ametista con fare complice, sussurrando prima di baciarla:

« Düstet da ram… »

 

 

***

 

 

L'hangar principale di Jeweliria era stato costruito in uno strato roccioso intermedio tra la Città Sotterranea e le fondamenta di quella in superficie. Era un enorme androne largo e basso, con il soffitto a cupola e decine di navicelle di diverso tipo e dimensione sparse lungo le pareti.

Attraversandolo Ichigo riconobbe della navette simili a quelle su cui erano precipitati e altre più grandi, con il corpo a prisma e le fusoliere come lance, che le ricordarono quella su cui Kisshu, Taruto e Pai erano partiti dalla Terra.

Il tenente colonnello Blies li aveva aspettati all'ingresso dell'hangar e li aveva condotti fin quasi al suo limite, dove erano disposte le navicelle più grandi. A loro era stata assegnata una navicella grande almeno quanto un pullman, con un corpo ad uncino da cui emergeva un lungo abitacolo di forma triangolare; tutta la superficie era ricoperta di un materiale lucido e nerastro simile all'ossidiana compreso quello che la rossa individuò come il davanti della navetta e si chiese come avrebbero fatto i ragazzi a vedere il percorso, come si chiese su cosa poggiasse tutta la struttura dato che sembrò galleggiare perfettamente immobile ad un metro da terra.

Blies passò le ultime informazioni ai suoi compatrioti mentre i terrestri studiarono il loro nuovo mezzo di trasposto ansiosi. Keiichiro, per mano alla piccola Sury, li guardò tutti con un sorriso triste:

« Vi sarei solo d'impiccio – ammise con rammarico – posso solo aspettarvi fiducioso come sempre. »

« Andrà tutto bene Kei. »

Gli disse Ryou confortante e il bruno sorrise di rimando.

« Non fatevi male, eh? – fece Sury con voce tremolante – E tornate presto! »

Sembrò fare un enorme sforzo per non piangere. Eyner le accarezzò la testa e le bacio la fronte:

« Non avrai il tempo di divertirti tanto faremo in fretta. »

Lei tirò su con il naso e annuì, gli occhioni lucidi stringendo la mano di Kei. Lasa, andata a salutare tutti assieme ai due e a Iader, le premette confortante le mani sulle spalle e guardò il gruppo che partiva senza dire nulla.

« Mi raccomando. »

Disse solo l'uomo; Kisshu e Pai gli fecero un cenno di rimando, Taruto proruppe con un certo talmente esagerato che pure alle proprie orecchie suonò fasullo.

Gli alieni teletrasportarono i terrestri sulla navicella e si posizionarono attorno alla plancia di comando. Le MewMew osservarono le strumentazioni accendersi e ronzare e Ichigo si strinse un pugno al petto, dove sapeva esserci il frammento di Goccia:

« Andiamo. »

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 (*) lo dicono gli alieni nel capitolo 2

(**) meglio nota come stella di neutroni, è uno dei possibili stadi finali di una stella (more info here https://it.wikipedia.org/wiki/Stella_di_neutroni e https://it.wikipedia.org/wiki/Pulsar ). Sul discorso emissioni elettromagnetiche e il resto sono andata a mio solito mezza conoscenza scientifica/mezzo ricamo nel buonsenso ^^"" quindi prendetelo così ♥ 

 

 

 

 

 

 

 

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Uff in qualche modo siamo arrivati in fondo. Ci sono un paio di personcine qui in mezzo che vorrei tanto prendere a cotognate in testa, del tipo "checacchiofaiagisciiii!!", e dire che l'ho scritto io –w-"!

Finalmente si passa al sodo!
Botte, sangue, squartamenti! Siamo pronti al bordello!

Ma non vi dico per chi ♥

Tutti: NON CI PROVARE B**TARDA!

Vi rassicuro con un paio di notiziole :3

1 – il cap nuovo è già in corso d'opera e al momento sta dando meno rogne di questo ♥  quindi speriamo bene

2 – ho un paio di nuove bozzette belle per FoP indi SE ritardassi il cap di Crossing non vi lascerò troppo a bocca asciutta :3

Ok ho blaterato fin troppo, un abbraccio a tutti voi che non mi avete ancora abbandonata ♥ 


Mata ne
~ ♥!

Ria

 

 

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Capitolo 54
*** Toward the Crossing: tenth road ***


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Con l’ansia che il capitolo si veda strano (sono da un altro pc e mi sono dimenticata la chiavetta con il mio file convertito ç_ç) passiamo alla parte veramente tragica di questa storia.

Kisshu: sì, perché finora è stata tutta profumi e balocchi -.-“”!

Vi lascio subito alla lettura perché qui è abbastanza corposo, ci si vede in fondo :*

 

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Cap. 54 – Toward the Crossing: Tenth road

                The price of your decision

 

 

 

 

La navicella si mosse dall'hangar con leggerezza, tanto che i terrestri seduti nel piccolo vano dell'equipaggio percepirono appena il suo sollevarsi, come dentro un ascensore; più forti furono il clangore dei portelli che aprirono la strada alla superficie e il sibilo del mezzo dentro i tunnel di uscita, che rimbombarono tra le lisce pareti metalliche a suon di funesta marcia trionfale.

Il doppio strato lucido dell'esterno della nave, con effetto specchio, permise alle ragazze e a Ryou di seguire tutte le manovre: videro la città sfuggire oltre i loro sguardi e allontanarsi verso il basso in pochi istanti diventando un puntino in mezzo ad alberi, poi foreste, montagne,  macchie di tutti i toni di verde che si definivano e si confondevano man mano che ci si allontanava dalla superficie; in un minuto Jeweliria con le sue piccole lune divenne visibile ad occhio nudo nella sua interezza, uno smeraldo su del raso nero e tutti loro lo fissarono continuare a rimpicciolirsi, finché non fu più distinguibile tra le luci delle stelle.

Il portello che divideva la prima sezione della navicella si aprì con un risucchio a poco più di cinque minuti dal decollo e Taruto disse che potevano tranquillamente alzarsi e muoversi per il mezzo.

« Ci vorrà una giornata di viaggio prima di arrivare – ricordò sbuffando – quindi vi conviene alzarvi se non volete anchilosarvi le gambe. »

I terrestri obbedirono, sebbene pensassero tutti che quei sedili fossero più comodi della maggior parte di quelli presenti su un volo in turistica, e sarebbe stato più che sopportabile vegetarci un'ora o due.

L'astronave era divisa grossomodo in due ambienti distinti, per separare le zone adibite al soggiorno dell'equipaggio dal resto e corrispondenti alle due diverse forme di cui era composta.

La zona cardine era nella porzione a lancia, a sua volta divisa nella cabina di pilotaggio, davanti, che occupava un terzo dello spazio, e nel vano riservato alle truppe durante le fasi di atterraggio e decollo, immediatamente dietro. La parte arcuata della nave ospitava una piccola saletta per i pasti, con una tavola quadrata e ad occhio nulla per sedersi – ma i terrestri immaginarono che si potessero tirare fuori all'occorrenza, come nelle stanze al Palazzo Bianco – e proseguendo per un breve corridoio altre salette più piccole e spoglie per le cuccette, divise in stanza a tre a tre; al loro interno c'erano perfino dei loculi per le docce, una per stanza, grandi a stento per permettere l'accesso ad una persona non troppo grossa, e Ichigo pensò che fossero apposta realizzati così piccoli e claustrofobici solo per impedire che i soldati perdessero più tempo del necessario a veloci lavaggi.

Come ambiente era abbastanza deprimente, complice l'aspetto anonimo degli interni, la luce artificiale sul metallo, forse anche grazie alla situazione, ma nessuno trovò di aiuto protestare o lamentarsi.

Kisshu e gli altri avrebbero fatto a turni per pilotare, visto che sarebbe stato sufficiente essere in due per gestire la navetta a velocità di crociera; Pai e MoiMoi si offrirono per il primo turno approfittandone per rispiegare velocemente il loro piano d'azione una volta atterrati.

« La gravità al punto di arrivo è all'incirca quella della Luna, sul planetoide di Deep Blue siamo ai valori terrestri. – aveva detto il moro tra le altre cose, mostrando le immagini della zona di sbarco – L'atmosfera invece è rarefatta, il quantitativo di ossigeno e altri gas potrebbe non bastarvi per respirare. »

« È vero che voi avete le abilità da Superman – bofonchiò Purin squadrando i cinque jeweliriani – un po' vi detesto, che invidia. »

« Keiichiro ci ha rifornito di caramelle ad ossigeno(*) – rassicurò Ryou – se non c'è il rischio che ci escano i bulbi oculari per la pressione non avremo problemi. »

« Come essere rassicuranti. »

Grugnì Ichigo e lui fece spallucce.

« Il problema sarà all'arrivo. »

« Che vuoi dire? »

Domandò Minto seria.

« Nonostante l'atmosfera  i planetoidi sono privi di una stella attiva nel suo sistema che li irradi – riflettè piatto il moro – la temperatura al suolo è di -150° C. Nemmeno noi possiamo tollerarla. »

« Meno cent…?! »

« E vi viene in mente ora?! »

« Possiamo usare gli schermi per creare delle barriere temporanee – spiegò MoiMoi, fulminando il kohai per la sua solita incapacità di non apparire catastrofico – sentiremo comunque freddo, ma non moriremo congelati. »

« E dopo? »

« Nemmeno Arashi e i suoi potranno sopravvivere ad una simile temperatura, i loro corpi sono un po' più robusti, ma soffrono gli stessi danni dei nostri. »

Suggerì Zakuro, memore del suo primo incontro in solitaria contro Toyu, e Pai annuì:

« Probabilmente avranno creato un nascondiglio munito di barriera, dovremo solo scovarne l'accesso. »

Ci furono un paio di mormorii d'assenso, pure se a qualcuno parve ben più facile a dirsi che a farsi.

Tra una spiegazione e l'altra e un giro turistico della navetta trascorse la maggior parte della mattinata e fu ora di pranzo; in realtà nessuno parve avere grande appetito – le razioni militari da viaggio, poi, in quanto a consistenza e sapore non stuzzicavano il palato – ma il digiuno sarebbe stato controproducente e, volenti o nolenti, tutti misero qualcosa nello stomaco.

A quel punto si aprì la parte più difficile del viaggio, trovare come trascorrere le ore rimaste prima dell'arrivo. Le ragazze ammazzarono del tempo bivaccando nel vano equipaggio da dove era possibile ammirare lo spazio aperto, e per un paio d'ore l'immensità del vuoto e le stelle e i pianeti sullo sfondo tennero viva la loro attenzione; ben presto però le miriadi di puntini luminosi nel buio persero la loro magia e le terrestri presero a vagare per la navicella in cerca di qualsiasi cosa potesse tenerle occupate, o quantomeno riuscisse a distrarle dall'assillante pensiero della lotta imminente.

Retasu, dopo aver curiosato tutto il contenuto della cambusa alla ricerca di un sistema per avere almeno una cena appetibile – ricerca miseramente fallita – si diresse nella zona cuccette per ispezionarle più attentamente sperando di trovare qualcosa da fare, che fosse anche prepararsi il letto per dormire. Appena ebbe svoltato l'angolo intravide Pai uscire da una delle camere e sentendosi di colpo pimpante gli trotterellò incontro, un sorriso dolce e impacciato in viso.

Descrivere cosa avesse provato la notte precedente sarebbe stato terribilmente difficile.

La timidezza di mostrarsi nuda a qualcuno per la prima volta in vita sua, il lieve imbarazzo che aveva provato per come Pai l'aveva guardata senza pudore, adorante, quasi non potesse esserci qualcuno di più bello ed eccitante di lei, per come l'aveva accarezzata, esplorata, desideroso eppure attento e dolce, la scoperta del piacere che si provava quando si diventava un tutt'uno con la persona amata e da cui si era amati, tutto si sovrapponeva nella testa della mewfocena alle sensazioni di felicità e di abbandono totale in modo inscindibile: non avrebbe potuto spiegare quanto si fosse sentita emozionata e completa, come fossero stati più che uniti, quasi fusi uno nell'altra.

Si erano addormentati vicini, la verde rannicchiata tra le braccia del moro; era stato un brividino di freddo a svegliare lei poco prima dell'alba, facendola avvertire Pai che si era sistemato ed era sceso di sotto fingendo con tutti che non fosse accaduto nulla. Retasu lo aveva imitato, ma non era certa di essere stata altrettanto brava visto il batticuore che scattava nell'istante in cui lui le finiva nel campo visivo causandole un rossore rilevatore, o il sorriso che le spuntava in automatico sul viso.

« Cosa fai? »

« Cercavo di riposarmi in vista del turno di stasera – le rispose sospirando – ma non prendo sonno. Tu? »

« Mi annoiavo. – fece aggiustandosi gli occhiali – Cercavo qualcosa da fare. »

« Non credo ci sia molto da fare qui sopra. – ammise piatto – Non abbiamo pensato a questo dettaglio. »

« Beh c'era ben altro a cui pensare. »

Lo rassicurò lei con un sorriso. Pai annuì vago e la studiò in silenzio prendendo poi ad accarezzarle la guancia con il pollice:

« Come stai? »

Le domandò dolcemente e Retasu arrossì capendo:

« Bene. Sto… Bene. – balbettò sorridendogli – Benissimo. »

Lui in risposta piegò un angolo della bocca all'insù, scostando la mano dal suo viso solo quando entrambi sentirono dei passi venire nella loro direzione.

« Oh, eccola… Reta-chan! »

« MoiMoi-san. »

« Ti sta cercando Purin: dice di essersi ricordata di avere con sé un mazzo di carte – lo disse con l'evidente tono di chi non fosse certo di cosa stesse parlando – e che avete una sfida in sospeso al… Grande poveretto? (**) »

La verde si illuminò:

« Oh, meno male! Almeno non moriremo di noia. »

Sospirò sollevata e si voltò verso Pai che corrugò appena la fronte:

« Non sono molto portato per i giochi. »

« Se non hai nulla da fare per lo meno occuperai un po' il tempo. »

Il moro non sembrò convintissimo, ma si limitò a sospirare in assenso incapace di negare alcunché allo sguardo dolce di lei. Il sorriso della verde si fece più largo:

« MoiMoi tu vieni? »

« Grazie Reta-chan, ma passo per stavolta. – sbuffò massaggiandosi il collo – Sono stata ai comandi da stamattina, voglio farmi una doccia e dormire fino all'arrivo. »

La verde fece un cenno con la testa per approvare e si avviò.

« Credevo che tu fossi perfettamente in grado di trattenerti dal soddisfare certi bisogni. »

Il moro si bloccò dopo un passo ascoltando il violetto scimmiottarlo e gli scoccò un'occhiataccia:

« Non sei spiritosa senpai. – sbottò a disagio – E… Come diavolo fai a…?! »

« C'è da chiedersi piuttosto se sia più eloquente la sua faccia o la tua. Ce l'hai scritto pure in fronte. »

Pai storse la bocca imbarazzato e il violetto sorrise malizioso. Lo detestava quando faceva così, con quel ghignetto divertito e consapevolissimo di avere ogni dannata ragione per prenderlo in giro a sangue.

« Sono curiosa di vedere come reagirà Eyn-chan quando lo scoprirà. »

Cinguettò cattivello e Pai persisté a squadrarlo truce:

« Non oserai. »

Fece lugubre, ci mancava solo un predicozzo da parte dell'autoeletto fratello maggiore della verde e suo cavalier servente.

« No, direi di no. – concedette e il suo sguardo si fece più gentile – Certo che potevi scegliere un momento migliore, Pai-chan. »

Il velo di irritazione scomparve dal volto del moro che si adombrò appena:

« … Lo so. »

« Oh, non fraintendermi – gli sorrise – io avrei fatto esattamente come te. »

Si scambiarono un'occhiata velata e MoiMoi, sentendo la voce di Retasu chiamare Pai, gli sorrise malinconico e gli fece cenno di sparire, dandogli le spalle e avviandosi a sua volta.

 

 

***

 

 

Un brivido gli increspò il mantello sulla schiena e il gattino mandò un secco starnuto. Pelo o meno il pavimento di metallo della navetta fu gelido sotto i suoi zampini, ma avrebbe sopportato il fastidio: Purin aveva cercato per tutto il giorno di far rimanere tutti insieme, e pur ammettendo di non essere stato dispiaciuto della cosa Ryou, a cena finita, aveva deciso che la sua asocialità era rimasta a cuccia a sufficienza. Pur di sgusciare via rapido e discreto si era trasformato dopo tanto in Art, confidando nelle piccole dimensioni per sparire fino alla svolta dove si trovò in quel momento, quando decise di essere abbastanza al sicuro perché la mewscimmia non lo intercettasse sbraitando per una rivincita. L'americano si concesse un pensiero affettuoso per lei, la biondina restava vivace e un po' infantile, ma era stato chiaro come si fosse sforzata per nascondere l'ansia che venava quella giornata interminabile: era cresciuta e aveva perso la tenera ingenuità che l'avrebbe riempita di sconsiderato entusiasmo per quell'avventura spaventosa, di certo complici tutto ciò che aveva affrontato tre anni prima e negli ultimi mesi; bastò pensare a come non si fosse allontanata un secondo da Taruto prendendogli timida la mano ogni volta che era stato possibile, quasi avesse paura di vederlo scomparire come nel loro ultimo scontro contro Deep Blue.

Ryou l'aveva capita fin troppo bene.

Si era svegliato quella mattina con gli stessi ricordi spaventosi di fronte agli occhi. La mewscimmia e le altre in lacrime, e Masaya che sorreggeva amorevole il corpo immobile di MewIchigo, la testa riversa sul suo braccio.

Si passò una mano sul viso per scacciare le ombre dalla propria mente e accelerò il passo desideroso solo di stendersi e di tentare, per le ore che rimanevano, di dimenticare cosa li aspettasse all'arrivo; fu così concentrato sul non pensare che reagì troppo tardi alla porta che gli si aprì di fianco, fermandosi un metro più in là con aria frastornata.

Ichigo si affacciò dalla soglia come per magia e stese un sorriso poco convinto:

« …Ciao. »

« Ciao… »

Ryou la vide portarsi le mani dietro la schiena e guardarsi attorno a disagio, stava fingendo nonchalance come se il suo aprire al passaggio del biondo fosse stato un mero caso, fallendo in tronco; diede anzi ancor più credito al fatto che lo stesse aspettando, così come il suo amato pigiama rosa che già aveva indossato e che con cui difficilmente, in circostanze normali, si sarebbe mostrata tranquillamente al ragazzo che le piaceva. Ryou fu tentato di punzecchiarla, ma la sola cosa che pensò fu un ringraziamento per la sua tempestività a fermarlo.

« … Sei ancora sveglia? »

Niente male come premessa da uno con un quoziente intellettivo superiore alla media.

Ichigo giocherellò con qualche ciocca ai lati del viso:

« Già… Anche tu, uh? »

Ryou fece spallucce. Decisamente la peggior conversazione che avessero intavolato da quando si conoscevano.

Continuò a guardarla, le mani in tasca, frugando nella sua mente brillante in cerca di uno straccio di argomento di cui parlare e trovando il vuoto totale. La sola cosa che il suo cervello traditore gli ripeteva – ignorando la sua necessità di articolare frasi di senso compiuto – era di non stare a esitare oltre: Ichigo era lì, sveglia, e la sola cosa che voleva in quel momento era stare vicino a lei.

Più rigido di quanto volesse Ryou si avvicinò alla ragazza chiedendo muto permesso per entrare e lei gli lasciò spazio senza pensarci, chiudendo con un sibilo la porta alle loro spalle. Lui studiò la rossa un momento, aveva le guance rosee e ancora qualche gocciolina sui capelli sciolti lievemente arruffati, doveva essersi fatta una doccia prima di cambiarsi; la guardò sedersi sul letto e la imitò in silenzio.

Ichigo si sporse subito verso di lui posandogli la testa sulla spalla e rannicchiando le gambe in alto, lasciando che Ryou le portasse un braccio attorno alle spalle e la stringesse un po'.

« … Non dovrei fare questi pensieri prima di dormire. – iniziò la rossa dopo un minuto buono – Specie prima di domani. »

« Che genere di pensieri? »

« Sulla battaglia contro Deep Blue tre anni fa – ammise a voce bassa – tutto quello che è successo… »

Ryou le baciò la cima della testa non trattenendo un sorriso e sentendosi meno paranoico.

« Non so se sarò in grado di affrontarlo di nuovo… Se si presentasse con le sembianze di Tayou non credo che riuscirei a reagire. »

La presa del biondo si irrigidì, mentre lui ricordò gli astrusi tormenti riguardo alla rossa e al suo legame con Ao No Kishi.

« Lo sapresti però che non si tratta di lui. »

Buttò lì fingendo pacatezza. Ichigo annuì e sospirò:

« Lo so, ma… A pensarci mi si stringe lo stomaco. Sarebbe come tre anni fa, quand'è morto… »

Sospese la frase stringendo le dita sulla sua maglietta e Ryou avvertì una punta di ben conosciuta gelosia:

« Pensavi ad Aoyama? »

« Pensavo che non voglio più che nessuno muoia per colpa di quel mostro. – lo corresse cupa – E che ho il terrore di non riuscire ad impedirglielo. »

Si rannicchiò contro il suo torace con entrambe le braccia e affondò il viso nella sua maglia:

« Non voglio perderti. »

Ancora, l'amarognolo senso d'incertezza che aveva invaso la gola del biondo svaporò di colpo. Le cinse le spalle anche con l'altro braccio permettendole di voltarsi e posare il viso e le mani sul suo torace.

« Ho in programma una vita lunga e noiosa, ginger. »

« Che prospettiva allettante… »

Bofonchiò lei non trovando affatto efficace il suo tentativo di rassicurarla. Lui sospirò con un mezzo sorriso e le sollevò il mento tra due dita:

« Would you prefer "happily ever after with you"? »

Ichigo contrasse i pugni arrossendo in modo evidente e fece un sorriso impacciato, ricordandosi qualcosa che le fece quasi spuntare le orecchie. La sua espressione fu eloquente e Ryou la studiò più sereno:

« Che succede? »

« Pensavo… Sai, l'altro giorno… »

Lui alzò un sopracciglio interrogativo.

« Quando sono venuta a trovarti e ci siamo baciati. »

« … Oh. »

La vide guardarlo con una luce emozionata e timida negli occhioni nocciola e l'istinto, che così tanto bene teneva al guinzaglio, mandò un basso ruggito felice. Il biondo inclinò un poco la testa sfiorandole il naso con il proprio:

« E a che pensavi? »

Lei strinse le labbra sempre più rossa e tentò di riabbassare lo sguardo, trovando il viso del ragazzo a sbarrarle la strada.

Qualcosa le si strinse forte sopra l'ombelico, ma cosa stava facendo? Decisamente non era il momento per perdersi in sdolcinatezze da adolescente coi calori, non era…

La stretta divenne un formicolio delizioso che si spanse in tutte le direzioni; Ryou aveva proprio un buon profumo…

No, no, smettila, scema! Maniaca!

Accidenti, perché la fissava a quel modo? Non riusciva a smettere di fissarlo se la guardava così, e intanto sentì lo stomaco fare le capriole…

« Solo… A… »

Oh kami-sama, stava balbettando! Stava balbettando! Perché non la smetteva di fissarla così?! Non riusciva a pensare!

« … Se non ci… Avessero interrotti… »

« Cosa sarebbe successo? »

La precedette. Ichigo riuscì solo ad annuire, il viso in fiamme e un basso, lungo, acuto fischio nelle orecchie dopo averlo sentito interpretare i suoi – imbarazzanti – pensieri e per di più avergli dato forma con tono caldo e roco.

Ryou la studiò una manciata di secondi per accertarsi di quanto stava leggendo sul suo viso, poi le sollevò di nuovo il mento tra le dita e la baciò.

Fanculo le remore sul domani, a quei bastardi degli Ancestrali, fanculo ad Ao No Kishi. Fanculo tutto.

C'erano ampie possibilità che non arrivasse a vedere un'altra notte. La sola cosa che voleva in quel momento era restare con Ichigo, abbracciarla, baciarla; dimostrarle quanto non avesse desiderato altro da quattro maledetti anni e quanto ancora gli sembrasse un sogno che lei, finalmente, lo ricambiasse.

L'afferrò quasi issandosela sul torace per poterla baciare meglio, le dita perse sulla sua nuca ancora umida; sorrise lieve sulle labbra della rossa sentendo vagamente lo scampanellio della coda da gatto, mentre continuò a tracciare le sue curve sotto al pigiama. Tollerò poco la presenza della massa di morbida stoffa rosa e presto scivolò con il palmo sulla schiena nuda di lei, l'altra mano che stuzzicò il punto sopra cui spuntava la coda felina.

Il petto dell'americano mandò un ruggito di soddisfazione appena il ragazzo capì di poter già esplorare ogni punto della pelle della mewneko, morbida e tiepida per la doccia, poiché non c'era nient'altro a dividerla da lui se non il già superato pigiama.

Ichigo fu sicura che la testa le stesse evaporando. Ricordò di aver provato qualcosa di simile quella notta in cui Ryou l'aveva abbracciata nel fiume, le sole cose a cui riuscì a pensare erano le sensazioni brucianti che stava provando e la presenza del biondo, così violenta da pensare non ci fosse niente oltre a loro nell'universo.

Il suo odore. Il suo respiro sul collo. La sua bocca, i suoi baci. Le sue mani che si fecero spazio tra loro, verso il seno di lei, che la rossa stava premendo contro il biondo con così forza e innocenza da dargli alla testa, e che lei avvertì stringere con dolcezza, beato della forma piena e del tepore sotto le dita.

« Ryou… »

Lui impiegò un secondo in più a risponderle, certo che il suo bisbiglio gli avesse mandato in cortocircuito il cervello:

« Uh? »

« … Le orecchie… »

Ryou studiò le orecchiette nere e il grosso fiocco rosso sulla coda felina come se non si fosse accorto fino ad allora di essi, e sorrise malizioso:

« They're cute. And you're even hotter with them. »

Il campanellino tintinnò nel silenzio elettrico e Ichigo soffocò un pigolio, nascondendo le guance infuocate contro la maglietta di lui, stritolandola nei palmi:

« Non prendermi in giro…! »

Lo sentì ridere a labbra chiuse e posarle le labbra sui capelli:

« Non ti sto prendendo in giro. »

La costrinse ad alzare il viso e le accarezzò una guancia sorridendo:

« Lo sai che se ti rilassi spariscono. »

Lei non rispose chiudendo gli occhi mentre riprese a baciarla.

Facile a dirsi, con il cuore che le mitragliava il petto e lo stomaco ormai finito chissà dove, e lei riusciva solo a sentire i brividi mentre lui le accarezzava il seno con meticolosa precisione, attento al modo e al punto in cui le strappava più sospiri di piacere.

Tutto avrebbe potuto fare tranne rilassarsi e non fu così certa che la cosa le dispiacesse.

La parte sopra del pigiama fu sfilata di colpo non dandole neppure tempo di razionalizzare la cosa. Ryou cacciò la maglia per terra e tornò ad abbracciare la rossa per godersi la sensazione della sua pelle nuda, l'odore del bagnoschiuma, ancora più intenso per il calore, che gli penetrò fino in fondo ai polmoni. Non riuscì a smettere di baciarla, ubriaco del suo sapore, ma più forte fu il desiderio di provare di nuovo il piacere di averla tra le braccia pelle su pelle e allontanandosi il minimo necessario – felice nel vederla tenare di riagguantarlo per averlo ancora sulle labbra, gli occhi come cioccolato fuso – si sfilò anche lui la maglia.

Ichigo trattenne il fiato quando Ryou la strinse contro il proprio torace nudo. Lo accarezzò frenetica e impacciata, avrebbe voluto solo perdersi ad accarezzarlo, palmo a palmo, potersi finalmente concentrare sulle linee del suo fisico atletico che aveva sempre sbirciato con un po' di senso di colpa e che a cui negli ultimi mesi non riusciva a non pensare, fino a sognarlo ad occhi aperti; allo stesso tempo avrebbe voluto essere sensuale, sicura di come toccarlo e come muoversi per fargli perdere la testa come lui stava facendo con lei, avere perfettamente sotto controllo tutto quanto stava succedendo.

Invece era completamente abbandonata a lui, incapace di negarsi o almeno tenere il suo passo.

Lo sentì farla scivolare sotto di sé stendendola sul letto e nascose un sospiro troppo eloquente contro la sua bocca, quando lui scese sotto l'elastico dei pantaloni informi lungo della sua schiena fino alle natiche. Il cuore le partì in gola mentre premendo leggera con le unghie tracciò la linea forte delle sue spalle, della spina dorsale fino in basso; una piccola soddisfazione quando gli sfiorò il bordo dei jeans e lo ascoltò mancare un respiro, ma la dimenticò all'istante perché lui passò dalla schiena verso la pancia, scivolando in basso lungo il monte di Venere. Ichigo emise un secco mugolio inarcando un poco i fianchi e gli si aggrappò alle spalle con tutta la forza, lasciandogli baci scombinati sul viso e sul collo.

Ryou sarebbe andato avanti all'infinito a stuzzicarla, a godere del suo sapore baciandola ovunque potesse arrivare, ma presto capì di essere molto vicino al proprio limite – fisico e mentale. Riuscì a stento a intuire le mani della rossa, incerte, ancora a vagare sui suoi jeans e decise che fosse l'ora di aiutarla; si allontanò da lei strappandole un lieve sbuffo scontento che nascose con un bacio, mentre posò entrambe le mani sulle sue per spingere in basso i pantaloni.

Si fermò per riprendere fiato, i jeans che gli caddero dalle caviglie al pavimento. Sorrise e rimirò Ichigo in un misto di tenerezza ed eccitazione, studiando il suo respiro corto e le guance rosse, una mano che tentava di nascondere l'espressione persa del viso, i capelli rossi disordinati sul cuscino e pantaloni rosa ancora addosso, spostasti malamente fino al limite delle anche; la mewneko lo fissò di rimando con le iridi scure liquide e lui tornò sopra di lei poggiandosi con le braccia ai lati del suo viso, spostando appena le gambe in modo da sistemarsi tra le sue.

« You're so beautiful, ginger»

« Ti amo. »

Ryou sgranò gli occhi un istante fermando la lenta discesa verso il suo viso. Era la prima volta che diceva chiaramente di amarlo.

Ichigo, le labbra strette, gli passò le braccia sulle spalle inarcandosi per andargli più vicina:

« Ti amo… »

All'improvviso aveva avuto l'impressione che il suo petto fosse diventato un vaso in cui avessero gettato decine di liquidi diversi e di colpo tutti fossero straripati, iniziando a mescolarsi tra loro.

Il fremito che le aveva invaso ogni vena del corpo, facendole tremare i fianchi e detestando sia se stessa che Ryou per ogni secondo perso senza sfiorarsi, senza potersi smarrire tra quelle inebrianti ondati di calore che le scuotevano i nervi.

L'affetto, cresciuto e maturato, mutato negli anni per quel musone antipatico e adorabile, forte e assoluto per i suoi pregi e perfino per i suoi insopportabili difetti.

Il terrore di vederselo portare via.

Lui le passò una mano dietro le spalle e la baciò più piano, calmo e dolce, facendola stendere nuovamente e dopo guardandola negli occhi:

« Ti amo anche io. »

Lei lo vide sorridere come aveva capito facesse solo con lei, il viso disteso senza ombra di ironia o intrinseco di distacco, e il tumulto svanì così com'era arrivato; avvertì gli attributi felini scomparire e si sciolse a sua volta in un sorriso, di colpo serena sebbene ancora ben più che emozionata, baciandolo teneramente. Ryou le accarezzò la guancia con il pollice, seguendo la linea della mascella e lungo la gola, il viso ad un millimetro dal suo per sentirla fare le fusa e il suo respiro spezzarsi di nuovo quando proseguì a scendere; era magnifico vedere il suo sguardo innamorato e allo stesso tempo avvertirla tremare di piacere, la sua pelle rovente sotto le dita, le curve morbide che scattavano appena nel momento in cui sfiorava un punto più sensibile.

« Posso…? »

Domandò facendo scorrere vaghi gli indici sotto l'elastico del pigiama; Ichigo assunse una nuova gradazione di rosso, la mano sempre sulla bocca, ma continuò a sorridere e annuì. Il ragazzo si disfò degli ultimi impicci di vestiario e tornò lentamente sopra la mewneko, le iridi azzurre fisse in quelle castane di lei che non distolse un secondo lo sguardo. Ryou la baciò di nuovo, intrecciando le dita con le sue:

« You're really one in a million… »

 

 

 

***

 

 

Si doveva essere addormentato per un'ora, forse due scarse; sentì un martellio allucinante in testa, il cervello in protesta che reclamò altro sonno che lui non potè dargli.

Si mise a sedere sbuffando e fregandosi la frangia, sorridendo appena con il viso contro il palmo studiando Minto dormire tranquilla – anni di balletto dovevano averla addestrata per l'ansia da attesa concedendole di riuscire a riposarsi in qualsiasi circostanza – i capelli corvini sparsi in riccioli arruffati sotto il suo pugno chiuso. Kisshu era andato a cercarla appena si erano tutti ritirati per dormire, scovandola a fissare incantata lo spazio dal vano equipaggio e portandola via senza, a dirla tutta, grande resistenza da parte di lei; il verde aveva ringraziato di dividere la stanza solo con Eyner e che il bruno si sarebbe fatto il turno notturno ai comandi, non era nell'indole di scovare un posticino appartato come di solito solo lui riusciva a fare: la sola cosa che aveva voluto era rimanersene tranquillo quanto più possibile con Minto.

Kisshu mandò un leggero sospiro e prese a sistemare dietro l'orecchio della mewbird qualche ciuffo disordinato: la sua schiena reclamò pietà, dormire nelle cuccette di per sé non era il massimo, in due era una tortura al risveglio, ma non voleva alzarsi; alla fine, seccato, si decise per un compromesso e piano piano smontò dal letto con l'intenzione di sgranchirsi le gambe anchilosate giusto cinque minuti. Ebbe l'impressione ci fosse più freddo del normale quando scese o forse, pensò mentre sistemò il lenzuolo sulla spalla nuda di Minto, lei era così calda che lui sentiva già la sua mancanza  una volta in piedi.

Caro mio, sei diventato un beota sentimentale.

Le gambe lo portarono da sole verso la sala comandi. Trovò Eyner da solo, che gli rivolse giusto un'occhiata incuriosito dal rumore della porta che veniva aperta e poi tornò al suo lavoro, e il verde si piazzò su uno dei sedili liberi cacciando le gambe oltre un bracciolo e la schiena sull'altro.

« Insonne? »

« Ho superato il mio limite di sopportazione delle cuccette l'ultima volta che sono tornato dalla Terra. »

Il bruno gli concesse uno sbuffo divertito.

Non parlarono per un po', solo il vago suono elettrico dei comandi di quando in quando a risuonare nell'abitacolo. Kisshu, gli occhi a fissare il soffitto, si grattò distratto il punto sul petto dove riposava la cicatrice di Deep Blue; le dita si chiusero a pugno sulla stoffa.

« … Non avrei voluto venisse. »

Iniziò di colpo. Eyner lo studiò in attesa riprendesse e vedendolo tacere chiese, pur intuendo la risposta:

« Parli di Minto? »

Il verde replicò con un grugnito affermativo. Il bruno si allontanò dai comandi guardandolo meglio:

« Le hai detto qualcosa? »

« Ci ho provato – ammise e scosse la testa – mi ha zittito prima che completassi la frase… Il passerotto ha metodi molto persuasivi. »

« Posso immaginare lo sforzo di resisterle. »

Scherzò. Kisshu rise un po' forzato ed Eyner gli fece eco, poi tornò il silenzio.

« Ci ho provato anch'io. »

Il verde lo sbirciò di sottecchi e stese un tentativo di ghigno sarcastico, Zakuro non era di certo il tipo di ragazza da far passare per fanciulla indifesa:

« Temerario. »

Eyner gli tirò un calcio alla sedia sorridendo stanco e Kisshu domandò più serio:

« E…? »

« Ha finto di non sentirmi. »

« Meglio che un cazzotto. »

« Kisshu. »

« Dico solo che la tua donna mena bene. »

Aggiunse innocente ed entrambi si concessero qualcosa di simile ad una risata vera.

« … Probabilmente stava pensando di chiederti la stessa cosa. »

Disse ancora con fare incoraggiante ed Eyner sorrise appena:

« Lo so. Vale anche per te. »

« Oh, non serviva me lo dicessi. So bene che il passerotto morirebbe di crepacuore senza la mia smagliante presenza. »

« Tre minuti ormai è il tuo limite per essere serio? »

Sospirò il bruno tornando a concentrarsi sui comandi e Kisshu, più rilassato, schioccò la lingua affermativo:

« Ho tempo da morto per essere serio. »

Eyner scosse la testa rassegnato ed evitò di replicare. Tornò il silenzio per qualche minuto poi il bruno si irrigidì sulla sedia, diventando torvo:

« Ci siamo. »

 

 

Quasi nessuno di chi stava ancora dormendo si accorse dell'atterraggio e Pai dovette andare a svegliare i ritardatari. Si radunarono nel vano dell'equipaggio, il solo ambiente della navetta in cui potessero stare contemporaneamente tutti e undici quindi MoiMoi fece il giro di tutti gli schermi dei terrestri, impostandoli in modo che potessero minimamente proteggerli dal freddo, poi passò al proprio e a quello dei ragazzi; alla fine, con un evidente disappunto di Ichigo e delle altre, si prepararono al salto. Retasu vide i jeweliriani disporsi al meglio possibile attorno a loro e muovere le mani in sincrono perché si teletrasportassero tutti assieme e le venne in mente di aver già provato una vaga paura del genere guardando una scena simile, quando i tre Ikisatashi avevano teletrasportato le MewMew fuori dal palazzo di Deep Blue.

Rispetto ad allora però sapeva dove stavano andando. Il problema era proprio quello, se sarebbero arrivati, e come.

La stretta all'ombelico e il breve senso di nausea chiusero lo stomaco solo una manciata di secondi. Ichigo serrò gli occhi e trattenne il respiro, pronta alla morsa gelida dell'aria che le avrebbe trafitto la pelle, ma quando i suoi piedi toccarono il suolo non sentì altro che un leggero tepore.

Accidenti… Come sono efficaci…!

« Ok. Dove diavolo siamo? »

La domanda sussurrata di Kisshu le sembrò più assurda che preoccupante e la rossa aprì gli occhi lentamente, come se farlo così l'avrebbe protetta da qualsiasi cosa avesse di fronte.

« Ragazzi… Siamo sicuri sia il pianeta giusto? »

Nessuno riuscì a replicare alla domanda di Purin, ma Ichigo pensò che fosse venuta in mente quasi a tutti.

Si era preparata ad un panorama desolato, vuoto e freddo come le pianure lunari, senza luce se non le stelle sul cielo nero, e con un'aria immobile e così fredda da insinuarsi malevola nelle viscere.

Invece sì, la volta sopra di loro era buia, puntellata di piccoli diamanti, ma la temperatura era mite, quasi primaverile, e attorno a loro c'erano segni inequivocabili – e inspiegabili – di vita.

C'era erba sotto i loro piedi, cespugli, fiori di ogni colore. Sentieri lastricati con raffinate pietre rossicce si insinuavano tra aiuole e colonne cinte di edera, in mezzo a porticati che guidavano verso una larga piazza con una fontana zampillante. Ichigo seguì con lo sguardo i profili degli edifici non riuscendo a credere a ciò che le disse la memoria, ma seppe di non sbagliarsi: quel luogo era una versione totalmente vuota della città che aveva visto nei ricordi di Luz, il luogo dove lei e i Melynas erano esistiti e dove era nata la MewAqua.

Il gruppo si mosse lentamente di qualche passo, tentando di capire cosa stesse succedendo. Sul limite della città, alle spalle della piazza grande, un immenso colonnato era disposto ad anfiteatro per abbracciare un palazzo monumentale. Una struttura a due piramidi, una poggiata sulla base dell'altra; la punta di quella inferiore era troncata, permettendo all'edificio di reggersi al suolo, aiutato da quattro lunghi archi che lo sorreggevano sui quattro punti cardinali, simili a zampe di ragno. Una lunga scala saliva fino a un terzo della parte inferiore, apparendo e scomparendo dietro a pannelli bianchi che ruotavano attorno all'edificio.

« Quello… Non vi ricorda il palazzo di…? »

Pure la domanda di Minto non trovò risposta, solo qualcuno che ribattè con un suono muto.

Ichigo avvertì le viscere contrarsi. L'ambiente appariva di certo surreale, ma ancor più innaturale; qualcosa, forse l'istinto del Gatto Iriomote, prese ad urlare da dentro di lei intimandole di scappare: quel luogo era artefatto, qualsiasi cosa lì apparisse viva non lo era davvero e se la rossa teneva alla sua vita avrebbe dovuto iniziare a correre e scappare con quanta forza aveva nelle gambe. La sola azione sensata che la rossa riuscì a compiere fu rimanere immobile, mentre Kisshu stufo di tergiversare aprì la strada puntando a passo spedito verso il palazzo di Deep Blue. Raggiungere la costruzione a piedi sembrò la scelta migliore per prepararsi ad un possibile attacco, e il gruppo camminò in religioso silenzio, solo lo sciacquio della fontana nell'aria immobile e la presenza ridondante dei fiori multicolori, che non emanavano alcun profumo.

Il palazzo risultò ancora più imponente visto da sotto. La scalinata che portava all'ingresso si inerpicava lungo una delle facciate della piramide bassa sporgendosi, apparentemente, su una superficie impenetrabile composta da vetri scuri che ne decoravano tutta la superficie.

Quando raggiunsero l'ultimo scalino, Kisshu sempre in testa, ci fu un rapido scambio di occhiate per capire come agire per entrare, ma l'edificio gli tolse l'onere della decisione e la parete si aprì lungo le venature divisorie dei vari specchi: un'apertura ovale larga abbastanza per far passare tre persone si spalancò su un corridoio vuoto e buio e ai terrestri ricordò la scena di un film horror, con una presenza maligna che invitava le sue nuove prede a cadere nella sua trappola.

« Prima le signore? »

La battuta di Kisshu, che indicò oltre l'ingresso con la punta di un sai, cadde nel gelo.

« Come non detto. »

L'ingresso si chiuse non appena l'ultimo di loro l'ebbe varcato con un tonfo sepolcrale. L'atmosfera all'interno del palazzo fu più opprimente di quanto avesse lasciato intendere un primo sguardo, ma almeno c'era sufficiente luce per vedere dove si poggiavano i piedi.

Ichigo non avrebbe saputo dire per quanto camminarono lungo i corridoi deserti, i passi attutiti dai tappeti spessi e rossi che ingombravano i pavimenti; nessuno provò ad attaccarli o a fermarli, perciò o nessuno aveva trovato importante tentare ad ostacolarli o nessuno si era accorto del loro arrivo.

La seconda ipotesi si annidò per alcuni minuti nella mente della rossa dandole un certo sollievo.

Solo per pochi minuti.

I jeweliriani si bloccarono nello stesso momento imbracciando le armi, scrutando nelle ombre fitte in attesa che qualcosa sbucasse da dietro un angolo o una colonna. I terrestri li imitarono, Ryou assumendo la forma di pantera e acquattandosi pancia a terra ringhiando basso, eppure nulla si mosse.

Poi, un fruscio. Passi leggerissimi sulla superficie di stoffa. Il suono indistinto di un oggetto con parti in metallo, un filo che venne teso. Un lieve baluginio d'acciaio.

« Andatevene. Adesso. »

Ryou vedendo chi si nascose nel buio si abbassò ancor più ventre a terra, gli artigli affondati nella stoffa rossa e i denti scoperti mentre mandò un ringhio cupo, quasi lo stesso che emise Pai:

« Inetaki. »

Sputò fuori ogni lettera con quanto disprezzo era capace, gli occhi ametista colmi d'odio, e si frappose d'istinto tra la mora e Retasu puntando contro la prima il suo ventaglio. Lenatheri stese un secondo un ghigno sprezzante e ripetè ferma:

« Andatevene adesso. »

Prima che lei o chiunque altro muovesse un passo per attaccarla si udì un sibilo e il colpo secco di qualcosa che veniva conficcato nel pavimento; quasi nello stesso momento Lena scoccò mirando precisa in mezzo al gruppo verso il suo assalitore – non sapeva chi fosse stato, ma sapeva da dove aveva colpito – strappando a Purin un grido per la freccia che le fischiò a due millimetri dall'orecchio. La mora capì di aver mancato il bersaglio e caricò un altro colpo fermandosi a metà operazione, quando la sua caviglia urtò contro l'oggetto che le era stato scagliato contro, anzi, di fronte ai suoi piedi.

« Quello è il tuo pugnale, Lena? »

La mora abbassò l'arco, gli occhi sgranati e un respiro perso lungo la via. Guardò la lama ai suoi piedi e poi su, verso gli invasori, immobili e muti, in mezzo a cui MoiMoi si fece avanti a passi lenti fissando per terra.

« Hai cambiato abbigliamento, vedo. »

Disse vago alzando appena lo sguardo. Lena tirò istintivamente indietro la gamba sinistra, priva della benda, nascondendo protettiva la pelle rosea che mostrò al posto degli ingranaggi.

« Quello è il tuo pugnale. »

Ripetè il violetto monocorde. La mora lo fissò prendendo un lungo respiro:

« Tu non sai… »

« È il tuo pugnale, Lena? – insisté con tono secco – Con Arashi e Sando… C'eri tu? »

Gli altri, rimasti fino a quel momento ad ascoltare la loro conversazione senza capire nulla, si irrigidirono. Eyner sgranò gli occhi come se non si capacitasse di quanto stava afferrando, Retasu si chiuse una mano sulla bocca; Taruto, dopo il primo secondo di stordimento, trasfigurò in viso:

« Non puoi…! Maledetta stronza…! »

Purin fu certa di non averlo mai visto così furioso, ma prima che il brunetto si lanciasse contro Lena, o uno degli altri, la sua stessa espressione feroce, lo imitasse, MoiMoi insisté con voce tonante bloccandoli:

« C'eri tu?! »

Lenatheri per un istante sfuggì il suo sguardo dorato. Poi, con fare dolente, alzò piano la testa e disse piano:

« … Non doveva essere lì. »

Ci fu un secondo in cui tutto parve immobile.

Non un suono, non un fiato.

Poi MoiMoi strinse i pugni furente e le sue pupille ferine si ridussero a due lame:

« LENATHERI!! »

Il grido rabbioso del violetto fu coperto dal terrificante fracasso delle pareti che venivano squarciate da serpenti di terra e pietra. Il pavimento tremò come se dovesse essere divelto in un colpo da cima a fondo e gli esseri di terra saettarono dritti contro Lenatheri, che scoccò solo una freccia verso il suo aggressore prima di scattare all'indietro nel tentativo di schivare le colonne di roccia. MoiMoi schizzò dietro di lei l'istante successivo, il martello in mano, raggiungendola in pochi secondi e mancando di poco la sua testa con un attacco che creò l'ennesima voragine nel muro.

Per alcuni istanti gli altri non poterono agire, troppo intenti ad evitare che un pezzo vagante di soffitto li prendesse in testa o una crepa sotto i loro piedi gli inghiottisse. I serpenti di terra salivano e scendevano fuori dal pavimento come pesci nel mare, fluendo sinuosi dietro a Lenatheri e mancandola sempre di un soffio; lei intanto tentava di seminare MoiMoi, la propria arma in mano che roteò a destra e a manca con una precisione impensabile per un masso di granito su un bastone, tallonandola incurante delle frecce che lei continuò a scoccare ad ogni spiraglio libero. L'aria si saturò rapidamente di polvere rendendo impossibile capire cosa stesse succedendo, si poteva solo intuire la chioma violetta di MoiMoi apparire di quando in quando dietro una nuvola di calcinacci, ma non era raccomandabile rimanere troppo vicino per vedere e rischiare di essere investiti per caso da una massa compressa di terreno.

Lena cacciò un urlo rabbioso. Finalmente una sua freccia centrò MoiMoi alla spalla destra e il violetto con un gemito secco si schiantò contro la parete opposta, dandole tregua dalle sue creature che svanirono in ciò che rimaneva del pavimento. La mora caricò l'arco pronta ad attaccare gli altri, che la imitarono, ma il violetto intervenne ancor prima che qualcuno battesse ciglio:

« No! »

Mosse malamente il suo martello con il braccio sinistro; un'onda di roccia spaccò una giunzione tra muro e pavimento fracassandosi su Lena e mandandola al tappeto alcuni secondi, a sufficienza perché MoiMoi potesse alzarsi e frapporsi tra lei e il resto del gruppo.

« Merda…! »

« MoiMoi-chan! »

« Sto bene…! »

Tagliò corto, senza fiato, e Ichigo trattenne il respiro mentre lo vide togliersi la freccia dalla spalla sibilando a denti stretti:

« Andate avanti! Subito! »

« Co…?! MoiMoi-ch- »

Le parole di Minto si spensero in un grido secco, un alto muro di terra che le spuntò davanti al naso e impedì che il colpo di Lena andasse a buon fine.

« Andate! »

Le ragazze rimasero ferme, esitanti. Solo Zakuro, corrugando la fronte, capì e si avviò a passo spedito seguita a ruota da Ryou e dagli altri ragazzi, che non dissero cupi in volto ascoltando ancora gli ordini del loro senpai; Taruto invece protestò:

« MoiMoi-san, non…! »

« Lei è mia! Mi hai capita?! – ringhiò furente – Vai! »

Un'altra parete si sollevò tra loro e i due avversari prima che una nuova freccia li colpisse, arrivando a toccare il soffitto. MoiMoi intimò ancora ai ragazzi di andarsene e, titubanti, anche gli ultimi di loro si lasciarono il muro di pietre alle loro spalle e proseguirono.

« Tzs. "Lei è mia!"? »

La risata sarcastica di Lena fu un soffio, veloce e aspro. Il violetto, il martello posato al suolo, la fissò soltanto con durezza; lei schioccò la lingua irriverente:

« È inutile. – lo punzecchiò acida – non sai uccidere le persone. Anche se ti impegni. »

Gli rivolse un'occhiata quasi sprezzante:

« Anche adesso, pensi che io stia giocando? – domandò offesa – Miri senza puntare alle zone vitali. Io no. Io sto mirando per ucciderti, senpai. Dovresti farlo anche tu. »

MoiMoi continuò a fissarla in silenzio.

« Perché stai sicura, se non mi ucciderai tu, lo farò io. »

« Oh, io non voglio ucciderti. »

Lenatheri sussultò mentre, lo sguardo fisso sull'avversario, percepì troppo tardi la stretta ferma che le fece formicolare la carne da sotto l'anca fino a terra. I suoi occhi color rame si dilatarono spaventati intanto che, nei pochi secondi in cui lo sentì parlare, capì.

« Ma posso farti desiderare con tutto il cuore che lo faccia. »

 

 

***

 

 

L'essere spalancò gli occhi di soprassalto. Mosse di pochi millimetri la testa, gli occhi color del ghiaccio che percorsero attorno a sé cercando la fonte di disturbo, eppure non un'ombra o un suono parve turbare la quiete della stanza in penombra. Nondimeno Deep Blue sospirò un istante, trovando l'origine del fastidio, e tornando supino con un guizzo d'irritazione sul volto si portò la mano destra di fronte allo sguardo rimirandola per lunghi minuti; potè percepire ancora i motivi del soffitto attraverso il miscuglio di ossa e carne, quasi che il suo arto fosse fatto di carta velina. Non era ancora pronto.

Un balugino più intenso richiamò la sua attenzione verso il piedistallo su cui fluttuava il Dono, ormai ridotto alle dimensioni di una pesca. Un ghigno freddo si disegnò a fatica sul suo viso:

« Le hai condotte fin qui? »

La figura di Tayou, appena percepibile, nulla più che un tremolio di calura estiva nell'aria, lo fissò con durezza da dietro il piedistallo e Deep Blue ghignò con più convinzione:

« La tua volontà di proteggere quelle ragazzine è svanita per condurle a morire? »

L'ombra opalescente non potè parlare, ma mosse le labbra indistinte.

Ti fermeranno.

Deep Blue rise a labbra chiuse, una risata gelida e ostile:

« Nulla potrà ostacolarmi d'ora in avanti. Sono finalmente l'essere supremo, con il Dono completo al mio comando. »

Distolse la sua attenzione dal biondo che parlò ancora con la sua voce muta.

Invece, cadrai. Stavolta sarà l'ultima.

 

 

***

 

 

Il grido di Lenatheri echeggiò fino al soffitto, agghiacciante quanto il frastuono della pietra che scattava come una tenaglia sulla sua gamba. Uno schiocco e un tonfo e la morsa le troncò l'osso del femore appena sotto l'anca per poi staccarle di netto l'arto.

Lena cadde a terra con le mani sul moncherino sanguinante tentando inutilmente di arrestare l'emorragia, le dita premute sui lembi di pelle e carne che si coprirono di sangue intanto che lei, priva di respiro, rantolò in silenzio con la bocca spalancata e gli occhi fuori dal cranio.

« Fa male, vero? »

La mora lo guardò da terra con le pupille smarrite nelle iridi rame, i denti digrignati e la bava alla bocca mentre tentò di non svenire, il petto che si alzava e abbassava convulso. Il violetto la fissò girandole attorno lentamente, il martello in una mano che sfiorava il pavimento; i suoi occhi dorati vibravano di una rabbia gelida e spietata che Lena non avrebbe mai immaginato fosse capace di provare.

« Ora, concentratici. – ordinò a bassa voce – Prendilo e moltiplicalo ancora, e ancora. »

Lena emise un altro rantolo acuto piegandosi con tutto il busto sull'arto mancante, il respiro come quello di un topolino.

« Forse arriverai a capire un po' cos'ha passato mezza Jeweliria per colpa tua. »

La mora lo trucidò con lo sguardo sanguigno, le guance tremanti fradice di lacrime di dolore e frustrazione.

« Forse potresti intuire cosa sto provando io. »

« … Maledetta…! »

Ringhiando la ragazza mollò la presa sul moncone, imbracciò l'arco e scoccò rapida costringendo MoiMoi a retrocedere di qualche passo. Lo sforzo unito alla ferita fu tale che Lena si piegò di nuovo su se stessa dando di stomaco; riuscì a scoccare un'altra volta per prendere tempo, riversa su un fianco alternando conati e colpi di tosse nel tentativo di ricomporsi, quindi ottenuto un minimo equilibrio aprì il palmo di una mano verso l'alto: MoiMoi, che non aveva agito fino ad allora fissandola, si mise sul chi vive, ma non intervenne mentre Lena fece comparire un para-para e se lo inserì nella gamba. La mora cacciò l'ennesimo urlo strozzato e il parassita creò qualcosa dal moncherino che MoiMoi le aveva lasciato, non propriamente una gamba, ma giusto un abbozzo di arto adatto a rimanere in equilibrio e a non farla morire dissanguata.

Di certo non fu la cosa più pratica mai vista e dovette causare a Lenatheri un dolore atroce quanto la perdita dell'arto, a giudicare dal pallore cadaverico del suo viso e ai sudori freddi che le colarono lungo le tempie.

« Non ti facevo… Una sadica di merda…! »

« Io non ti facevo una traditrice. »

« Non osare venire a farmi la morale! – berciò stridula – Avevo le mie ragioni! »

« Oh, posso immaginarle. – ribattè sprezzante – Una lauta ricompensa. »

Puntò con il suo martello verso l'artefatto di chimero e Lena scoprì i denti ferini:

« Tu non ha la minima idea di come stiano le cose! »

« No, non ce l'ho. – ammise MoiMoi freddamente – Ma ormai, non mi interessa più. »

Le iridi dorate mandarono un lampo:

« La sola cosa che mi interessi è che per colpa tua ho perso ciò che di più caro avevo al mondo. Ora io toglierò a te le cose a cui tieni di più. »

Alle spalle del violetto sbocciarono dal pavimento quattro nuovi serpenti di terra, più grossi dei precedenti e con fattezze più definite, bocche e denti formati nel fango e nelle pietre come sciabole opache e due cavità buie per gli occhi.

« In ultimo, la sola cosa che ti sia mai importata veramente: te stessa. »

« Tu non hai davvero capito un cazzo. »

« Sei tu che non hai capito niente. »

Il martello di granito piombò a terra crenando il pavimento per un raggio di due metri e i serpenti di terra scattarono in avanti travolgendo ogni cosa al loro passaggio.

Pareti, soffitto e pavimento vennero scardinati pezzo a pezzo in una pioggia di pietre e legno in un frastuono da temporale mentre le quattro creature si gettarono con il loro padrone sulla loro preda, l'intero edificio che tremò fino al proprio cuore.

 

 

***

 

 

Quanto erano già distanti? Un piano? Due? Si perdeva il senso del tempo e dello spazio in quei corridoi tutti uguali.

In ogni caso dovevano essere saliti di un bel po' e dal fiato corto che aveva per il passo di marcia era parecchio tempo che avanzavano. Eppure lei ancora non si dava pace.

« Insomma Ichigo, che ti prende? Andiamo! »

La rossa non badò alle parole di MewMinto e si girò di nuovo alle sue spalle:

« Dobbiamo tornare indietro. »

« MoiMoi-san ci ha detto di andare – ruggì cavernoso Ryou– e noi andiamo. »

La mewneko rimase immobile dove si trovava, per nulla convinta, e spalancò le braccia agli sguardi poco partecipi degli altri:

« Non possiamo lasciarla da sola! »

« Per la terza volta – sbottò Pai – MoiMoi sa cavarsela perfettamente. Specie contro una come Inetaki. »

« Però-! »

« Ichigo. »

La rossa guardò MewZakuro adombrata in viso per il tono di ramanzina, ma come sempre non ribattè alla voce calma dell'amica:

« È una cosa di cui deve occuparsi lei. »

Ichigo sgranò appena gli occhioni rosa e scostò lo sguardo dalla mora mordendosi il labbro. Capiva, capiva benissimo, ma continuava a non parerle giusto aver lasciato il violetto indietro.

« La senpai è una più cazzuta di quanto non sembri. »

Bofonchiò Taruto, nemmeno lui così convinto della decisione del violetto, ma che ostentò un mezzo sorriso furbetto:

« Vedrai che finirà in un lampo e ci raggiungerà subito. »

« Parlando di questo – sbuffò Minto – si può sapere perché stiamo andando a piedi? Non potremmo teletrasportarci? »

« Fuori discussione. – sospirò Eyner – Questo palazzo, qualunque cosa sia, emana le stesse vibrazioni della dimensione dove si erano rintanati Arashi e gli altri, è uno spazio distorto. Se iniziassimo a teletrasportarci rischieremmo di finire da tutt'altro parte rispetto a dove vorremmo andare. »

Minto aggrottò la fronte poco convinta(***).

« Su cornacchietta, tanto voi vi lamentate sempre del… »

Le parole di Kisshu si spensero dietro un cupo rimbombo che fece tremare il pavimento. Prima che uno solo aprisse bocca sotto ai loro piedi si aprì una voragine da un lato all'altro del corridoio e, contemporaneamente, un grosso pezzo di soffitto si staccò troncando a metà ciò che restava del passaggio dove si trovarono tutti.

Fu questione di pochi secondi. Tutto attorno vibrò, il grido delle mura che vennero squarciate trapanò i timpani, e Ichigo ebbe solo il tempo di voltarsi verso Ryou e allungare la mano nella sua direzione prima che precipitasse nel vuoto, il buio e la polvere ad accompagnarla.

 

 

***

 

 

L'ultimo serpente finì la sua corsa contro l'angolo dei corridoi sfiorando solo Lenatheri che sbandò per il colpo al fianco, strisciò sulla parete opposta e continuò la sua fuga lanciando dietro di sé quante più frecce potè. MoiMoi schioccò la lingua furioso, schivando i suoi colpi, e decise di passare al solo attacco diretto: lo spazio era troppo angusto per continuare ad inseguirla a quel modo e lui aveva serie difficoltà a controllare la potenza dei suoi colpi; già aveva sentito degli inquietanti rimbombi salire dal resto del palazzo e temette di aver distrutto un paio di piani sopra di sé, non sarebbe stato simpatico farsi crollare il resto dell'edificio in testa.

I due arrivarono in uno spazio più ampio, un incrocio tra più corridoi costituito da un grande vano circolare con il soffitto a volta. Lenatheri tentò di sgusciare in uno dei passaggi disponibili, ma con un ampio movimento del suo martello MoiMoi creò delle solide pareti che tapparono le uscite, bloccandola.

« È la tua ultima occasione per teletrasportarti via. – le sibilò con sdegno – In caso contrario, sappi che mi sono stufata di rincorrerti come un gatto col topo. »

Lena rimase a fissarlo qualche secondo, poi imbracciò ancora il suo arco e mirò ferma verso il violetto che sorrise sarcastico:

« Un po' di orgoglio almeno ti è rimasto. »

La mora emise un verso stizzito e scoccò.

I due divennero due macchie indistinte nella stanza ombrosa, due lampi verde e viola che guizzarono da una parte all'altra in un fracasso di pietra contro metallo. Lenatheri tentò con tutte le forze di rimanere concentrata, il dolore alla gamba così forte da farle girare la testa, e soprattutto di non posare i piedi a terra perché certa di non riuscire a reggersi in equilibrio, né di tollerare una soglia del dolore più alta senza perdere i sensi. MoiMoi parve saperlo e la incalzò verso il basso costringendola più volte a sfiorare il pavimento, il viso fermo in una furia gelida che stava sempre più perdendo la sua impassibilità.

« Sei una codarda traditrice…! »

« Non avrei voluto che succedesse tutto questo. »

Gli ribattè la mora prima di scoccare e di prenderlo quasi nell'occhio. MoiMoi emise una risata sprezzante:

« Mi hai fatta saltare per aria! »

« Non sapevo fosse una bomba! – esalò esasperata l'altra, quasi confessando – Non volevo farti del male! »

« Hai pugnalato Sando! »

Ribattè lui, la voce furente che s'incrinò appena:

« L'hai pugnalato… L'hai pugnalato alle spalle, come una vigliacca! – gridò più forte e una lacrima gli sfuggì sulla guancia sciupata – L'hai lasciato lì a morire! »

Per un secondo l'espressione combattiva della mora vacillò:

« Non…! Non era quello che volevo…! »

MoiMoi scoprì i canini ferini e dimenò il martello tanto velocemente che Lena non potè impedire la sfiorasse, lanciandola dall'altra parte della stanza.

« Lo hai pugnalato alla schiena! »

Lenatheri, reggendosi la testa e guardando il sangue che iniziò a colare dal sopracciglio spaccato, mormorò con respiro pesante:

« Volevo… Volevo solo metterlo fuori gioco. »

Farfugliò rimirandosi il palmo rosso. Pareva stesse focalizzando solo in quel momento cosa avesse fatto, o che non avesse voluto pensarci dalla sera della Celebrazione e la cosa ora la stesse prendendo prepotentemente a schiaffi:

« Arashi lo avrebbe ucciso… »

« Oh, per quello ci sei stata tu! »

Berciò livoroso il violetto.

« Volevo solo fare in modo che smettesse di contrastarlo e…! Ma lui si è… Si è mosso prima che io… »

« Stai zitta! »

La raggiunse e riuscì a disarmarla mandando il suo arco in frantumi contro il muro. Lena scattò sotto il suo braccio teso e tirò fuori il pugnale che MoiMoi le aveva involontariamente restituito impedendo con sommo sforzo che il violetto le spappolasse la testa.

« Non avevo altra scelta. »

Sussurrò, le braccia che tremarono sotto la spinta del martello, e MoiMoi mandò un'altra secca risata di disprezzo:

« Su cos'è che non avevi scelta? Ferire a morte un tuo amico? O tradire la tua gente? »

Respinse il pugnale e dondolando la sua arma come un pendolo fece per tornare indietro e colpirla ancora; Lenatheri si difese a fatica deviando con la sua lama il colpo, ma finendo sbalzata al suolo. Cacciò un grido e un'imprecazione sdraiandosi sulla schiena senza fiato.

« Non avevi scelta quando hai deciso di seguire Ebode e agire contro tutti noi, alle nostre spalle? »

La mora si alzò faticosamente e sputò un po' di sangue dal labbro rotto per terra:

« Avete deciso di mettere le nostre vite in mano a delle bambine…! »

« Oh, gli dei mi aiutino, falla finita! – tuonò il violetto – Vorresti convincermi di aver fatto tutto per gelosia, come l'ultima delle stupide?! »

Lena digrignò i denti, gli occhi spalancati, furenti, offesi, vili, e balzò contro di lui squarciando l'aria a fendenti tentando di farlo tacere.

« O per la tua gamba?! »

« Smettila! – strillò la mora – Tu non sai! Non sai tutto quello che ho perso solo per questa! »

« Ah! »

MoiMoi schivò l'affondo alla pancia, ruotò su se stesso e la prese di striscio alla spalla inveendo ancora:

« Io c'ero, Lena! E la sola cosa che ho visto sei stata tu che come sempre non riesci ad affrontare la realtà! »

« Smettila…! »

Il pugnale continuò a fendere l'aria con scatti sempre più convulsi, quasi nella sola speranza di colpire mirando alla cieca e riuscendo, almeno, a tenere il violetto a distanza sufficiente perché non colpisse la mora.

« Ti ho vista autocommiserarti decidendo da sola che quello non era il percorso giusto della tua vita, e invece di rialzarti… »

« Chiudi il becco! »

« … Hai preferito convincerti di aver perso tutto! »

Lenatheri urlò e avvertì la lama fare resistenza contro il fianco del violetto, ma lui si limitò a stringere un'imprecazione tra i denti e riprese a tentare di disarmarla.

« Hai deciso di esserti rovinata il futuro con la tua gamba, hai deciso che le terrestri erano una minaccia, hai deciso di non farti carico dei tuoi errori! »

« Smettila!! »

Sentì di nuovo prepotente l'impulso di vomitare. Il dolore alla gamba le stava ottundendo la ragione, faticava a restare concentrata sulla lotta e capiva che presto avrebbe perso il controllo sul parassita, rischiando di lasciarci la penne prima che MoiMoi riuscisse ad agguantarla; ogni muscolo mandò latrati di dolore, bruciando con forza sotto la pelle e tendendosi ostile ai suoi movimenti, ma era la sua testa che la stava facendo cedere.

Non occorreva che MoiMoi le dicesse quelle cose, le sapeva già. Confrontarsi così con il violetto però le sbattè in faccia tutti i suoi dubbi, tutte le sue amare consapevolezze, e non voleva sentirlo parlare ancora.

Se l'era domandato il giorno in cui Toyu le aveva proposto la loro alleanza e ancora se lo chiedeva ogni volta che non riusciva a tenere la mente abbastanza occupata a pensare ad altro.

Quando aveva iniziato a precipitare?

Ogni passo che aveva compiuto, ogni scelta che aveva fatto l'aveva spinta sempre più nel baratro. Era certa di aver perso il proprio futuro e aveva respinto chi le era accanto per crogiolarsi nel suo dolore, pretendendo al contempo che la salvassero non sapeva bene come. Poi l'amara verità, la coscienza che si potesse andare avanti, che il ricominciare o meno fosse solo una questione di decisioni e che lei aveva optato semplicemente per la resa.

Aveva scelto di incanalare la sua rabbia sulle terrestri, di ergerle a simbolo vivente del cambiamento che lei non era in grado di accettare. E ancora aveva sbagliato scegliendo di ostacolarle, di vedere solo loro come un nemico subdolo e silenzioso e non l'insieme delle cose, finché non aveva rischiato di perdere il poco di bene rimasto nella sua vita.

Aveva avuto un'occasione a quel punto. Poteva fermarsi, tornare indietro; confessare la sua stupidità e implorare un perdono che, una minuscola parte di lei sapeva, pur con fatica avrebbe ottenuto.

Invece aveva lasciato che la paura la convincesse dell'irrimediabilità delle sue azioni, di essersi già scavata una fossa senza uscita; e aveva taciuto, vigliacca, fingendo di non sapere e come tutti di bramare vendetta, di essere un'alleata, finché la bugia si era infranta e davvero le era stato strappato tutto.

Solo un lumino di speranza era rimasto, ed era stato proprio MoiMoi a offrirglielo cercando di capire le sue azioni. Eppure ancora si era arroccata in se stessa, nel suo silenzio, nel suo orgoglioso autocompatimento, convincendosi di essere eternamente sola e incompresa, fuggendo e abbandonando i resti della sua vita e la sua casa pronta all'oblio.

Finché qualcuno non le aveva ricordato che non era mai stata una in grado di dimenticare.

Avrebbe ancora potuto lottare. Avrebbe potuto impedire tante cose, contrastare ciò che le accadde attorno, o nel suo egoismo almeno proteggere chi l'aveva sempre fatto con lei, come con una sorellina un po' riottosa.

Ancora, si era abbandonata agli eventi, muovendosi solo quand'era ormai troppo tardi e nel modo più stupido che potesse concepire.

E quello era il suo epilogo.

Squadrò MoiMoi dall'altra parte della stanza. La sua stretta sul manico del pugnale era tale da rendere insensibile la mano, respirare era così doloroso da essere insopportabile; ormai la vista era così annebbiata per la ferita che riusciva a distinguere con chiarezza il violetto solo quando inspirava e arrivava più ossigeno al cervello, le orecchie fischiavano, tanto che non fu sicurissima che MoiMoi avesse parlato di nuovo quando gli sibilò per l'ennesima volta di tacere.

Il violetto la fissò in silenzio guardandola ondeggiare nel vuoto, la testa ciondolante e lo sguardo color rame opaco, quindi strinse la presa sul suo martello. Aspettò, immobile, finché Lenatheri spalancando la bocca in un urlo da belva non imbracciò il pugnale mirando dritta al petto violetto, decisa a trapassarlo; fu allora che lui tirò indietro il martello e poi lo scagliò in una parabola davanti a sé.

Lena spense il grido e poi emise uno strano verso secco quando, inerme nel contraccolpo, centrò la parete. Si accasciò al suolo voltandosi mollemente sulla schiena ed emise un paio di mormorii prima di piombare nel silenzio totale.

MoiMoi rimase ancora immobile. Il martello sospeso nel punto in cui aveva impattato con la mora, il ragazzo sgranò gli occhi un istante, la realtà di averla centrata che gli rovinò addosso; prese due lunghi respiri, drizzando le spalle, e scese a terra fermandosi in piedi accanto a Lenatheri guardandola con distacco.

Il corpo della mora sussultò lievemente; una brutta macchia rossa si stava aprendo sul torace e i respiri di lei, brevi e secchi, erano accompagnati da uno strano gorgoglio: aveva sangue in bocca, troppo, il colpo doveva averle fratturato le costole e perforato i polmoni. La raffazzonata protesi alla gamba si disintegrò velocemente e il pulsare del nucleo del para-para coprì i lievissimi lamenti della sua padrona, lo sguardo già vitreo a pochi secondi dalla fine.

MoiMoi rimase dove si trovava ancora qualche istante. Lenatheri riuscì a girare la testa quel minimo da vederlo in faccia, inarcò appena la schiena in un ultimo spasmo e si lasciò andare sul pavimento distrutto, sconfitta.

Quando capì che non si sarebbe più mossa il violetto ritirò la sua arma. Mandò un sibilo di dolore e si fissò le mani, aveva stretto così tanto il manico durante lo scontro che i palmi si erano scorticati senza pietà. Studiò i tagli sulla pelle e strinse i pugni, ignorando il bruciore e sentendosi uno stupido, l'aria che si espanse nel petto soffocandolo un po'.

Non guardò più ai suoi piedi né alle sue spalle mentre si allontanò verso uno dei corridoi, imboccandolo senza rifletterci troppo consapevole di non avere la minima idea di dove fossero gli altri e pregando solo di raggiungerli velocemente. Le sole cose che percepì, dopo il boato della lotta, il sangue nelle orecchie per la foga, il frastuono dei colpi, furono il pigolio distante del para-para che fluttuò ignaro nella sala deserta, il proprio respiro fievole e i propri passi pesanti sull'ennesimo tappeto rosso.

Si strinse protettivo il polso sinistro al petto, la gola serrata in una morsa. Fu la prima volta in cui capì quanto davvero si sentisse solo:

« Sando… »

 

 

***

 

 

Nell'oscurità credette di precipitare per anni, finché i suoi occhi felini non distinsero il pavimento a pochi metri dall'impatto con esso, e la caduta si ridusse ad istanti.

Provò a girarsi sulla schiena e atterrare a quattro zampe – in fondo era un gatto, per la miseria! – ma capì che non avrebbe fatto in tempo e a rallentare senza sfracellarsi le giunture.

« Cavolocavolocavolocavolo…!!! »

Cacciò un urletto secco quando si sentì afferrare e la sua caduta si fermò all'improvviso, facendole scattare all'indietro la testa con un colpo secco:

« Nyah, che male…! »

« Questo dovrei dirlo io…! »

La rossa mandò un altro miagolio e si sentì un po' ridicola mentre Taruto scese con garbo gli ultimi metri fino a terra tenendola in braccio: dovette apparire come un enorme e kitsch bomboniera rosa, tra la gonnella vaporosa e la differenza di altezza con il brunetto, evidente anche da quella posizione.

« Ma quanto pesi vecchiaccia?! – si lagnò lui massaggiandosi la spalla destra – Mi hai maciullato la spalla! »

« Sei un moccioso maleducato! – soffiò la ragazza gonfiando il pelo – E nessuno ti ha chiesto aiuto! »

Il brunetto la ignorò palesemente muovendo la spalla per controllare di riuscire a farlo agilmente:

« Sei decisamente più pesante di quanto sembri! »

Lei non replicò borbottando a denti stretti:

« Questa l'ho già sentita… »

Si guardò un istante attorno, macerie a parte non c'era grande differenza con i corridoi che avevano attraversato fino a quel momento, solo il minor uso di decorazioni e la luce quasi inesistente che resero l'ambiente ancor più lugubre. La rossa alzò lo sguardo per capire cosa fosse successo e vide un puntino luminoso, metri e metri sopra di sé, il piano da cui erano precipitati.

« Cazzo…! »

Ichigo drizzò le orecchie all'imprecazione di Taruto e lo vide correre verso Pai, qualche metro di distanza da loro e riverso a terra. La mewneko si avvicinò di corsa aiutando il ragazzino a farlo alzare, il moro non aveva decisamente una bella cera e immaginò che la ragione fosse il sangue che gli vide colare in un piccolo rivolo dalla nuca lungo il collo: qualche calcinaccio vagante doveva averlo preso, per fortuna non così forte da metterlo fuori gioco, ma abbastanza da fargli vedere nero per cinque minuti.

« Ci sei? »

« Sì… – bofonchiò lui spazzolandosi la polvere dalle spalle, un orecchio che piò appena – Questa non ci voleva… »

Sentendolo Ichigo si corrucciò e si guardò attorno, impallidendo al pari di Taruto: c'erano solo loro tre lì attorno.

« Dove sono gli altri?! »

« È crollato mezzo palazzo. – disse Pai con tono cupo – Non ne ho idea. »

Ichigo dimenò la coda terrorizzata e iniziò a chiamare gli altri a gran voce, ma ottenne solo la risposta dell'eco.

« Forse se proviamo a risalire li troviamo. »

Suggerì Taruto sforzandosi di mantenere un tono fermo nonostante l'evidente ansia dipinta sul viso; Pai scosse la testa:

« Quante possibilità ci sono che siano caduti nel punto in cui siamo caduti noi fermandosi a caso un piano prima? – domandò caustico – Direi quasi nulle. »

Il brunetto annuì con un grugnito, la logica del fratello di sicuro non lo fece sentire più tranquillo.

« In ogni caso meglio spostarci da qui – sentenziò Pai reggendosi un poco la fronte con una mano, lo sguardo ancora annebbiato – Deep Blue e gli altri forse fino ad ora non si sono accorti di noi, ma ormai sarà questione di minuti. »

Scoccò un'occhiata indecifrabile ad Ichigo che strinse i pugni sulla sua gonna e annuì, avviandosi con i due ragazzi per il lato del corridoio che sembrò risalire. Nessuno lo disse, ma la rossa fu sicura che tutti e tre stessero provando la stessa angoscia nel sentire solo quei pochi passi attorno a loro.

Ryou, ti prego… Stai attento…

 

 

***

 

 

« Ichigo! Zakuro-san! Taruto-san! »

« Retasu, scendi da lì, finirai per ammazzarti…! »

Retasu non ascoltò nemmeno la raccomandazione di Minto e continuò ad inerpicarsi sulla parete crollata, che aveva sigillato il corridoio alle loro spalle da pavimento a soffitto come una valanga.

« Eyner! Purin! »

La mewbird la guardò preoccupata tastare ogni centimetro di detriti in cerca di uno spiragli continuando a chiamare gli altri e arrivando quasi a toccare la volta del corridoio.

« Pai-! AH! »

Strozzò un gridolino quando mise un piede in fallo su un sasso malmesso; per un secondo sentì la schiena nel vuoto e poi qualcuno afferrarla salda per un braccio.

« Occhio pesciolina, non vorrai spiaccicarti. »

La verde non rispose al tentativo di battuta di Kisshu e annuì solo per ringraziare, assecondandolo mentre la rimise in piedi.

« Ce la siamo cavata in situazioni peggiori, vedrai che stanno tutti bene. »

La rassicurò vedendo il suo colorito terreo e gli occhioni mesti quasi stesse per scoppiare in lacrime; poi le ammiccò e più a bassa voce aggiunse:

« Pai è troppo presuntuoso per crepare spappolato da qualche sassolino. »

Retasu emise uno strano verso nasale che doveva essere una risata nervosa, si fregò il viso e annuì accettando il braccio che le porse per scendere più velocemente.

« Motherfucker…! – imprecando altri due minuti Ryou tirò un calcio alla parete di macerie, cercando ancora un passaggio che chiaramente non c'era – Che diavolo è successo?! »

« Se posso fare qualche ipotesi, nel migliore dei casi alla senpai è sfuggita la mano. – sbuffò Kisshu massaggiandosi il collo – Nella peggiore, qualcuno di quegli stronzi biondi è uscito a giocare. »

« Fuck… »

« Non ha importanza, anzi mi fa pensare che dovremmo smetterla di stare qui a cincischiare. – disse Minto con aria grave – Dobbiamo trovare gli altri. Prima che Arashi e compagnia trovino noi, aggiungerei. »

 

 

***

 

 

Deep Blue aveva di nuovo aperto gli occhi e si era messo seduto, le mani intrecciate in grembo e lo sguardo seccato nel vuoto. Quando Arashi e gli altri aprirono la porta dei suoi alloggi non li fece neppure parlare:

« Lo so. »

« Inetaki è scomparsa mio signore – aggiunse soltanto Arashi con tono piatto – ritengo sia andata loro incontro. »

« Perciò o è andata a regolare i propri conti, o sta tentando scioccamente di tornare indietro e tradire anche noi. – commentò freddo il moro e chiuse gli occhi indifferente – In ogni caso, si è scelta la propria sorte. Non è cosa che importi. »

« E per quanto riguarda le terrestri e i loro soci? »

Domandò Toyu concitato e l'occhiata gelida del suo signore gli sigillò il fiato sulle labbra.

« Nulla per cui fare tanto scalpore. Arashi. »

« Sissignore. »

« Pensaci tu. – gli ordinò spiccio – Il mio ultimo desiderio è dovermi occupare una seconda volta di quegli stupidi. »

Alla sua affermazione Lindèvi e Toyu si guardarono allibiti.

« Ma mio signore…! – pigolò la bionda – Noi abbiamo dovuto sopportare quegli insetti per più tempo! Ci permetta-! »

« No. »

Il comando lapidario del moro la zittì con uno squittio.

« Arashi è più che sufficiente. Inoltre – i suoi occhi color del ghiaccio si strinsero appena, riprovevoli – sia tu che Toyu avete mancato di adempiere al vostro compito quando richiesto, perdendovi in inutili scaramucce. Ora non è tempo di giocare, non voglio fastidi di alcun genere. »

Lindèvi e Toyu si irrigidirono punti sul vivo, ma si guardarono bene dal ribattere. Arashi svanì con un risucchio e gli altri due uscirono in perfetto silenzio, i volti torvi e rabbiosi.

Rimasero in piedi fuori dalla porta chiusa, Lindèvi emettendo brevi respiri da cagnolino per soffocare la rabbia e Toyu stringendo i pugni fino a rischiare di rompersi le nocche. Si guardarono un secondo, smorfie feroci sul viso, e in silenzio scomparvero anche loro.

 

 

***

 

 

« Onee-chan tutto bene? »

Zakuro si voltò verso Purin e le sorrise:

« Sì, stai tranquilla. È solo un graffietto. »

La biondina si sforzò di sorridere, guardando comunque preoccupata l'ampia serie di graffi che l'amica si era procurata sulla gamba sinistra tentando di frenare la propria caduta.

« Su, non fare quella faccia. – le sorrise Eyner – Lo sai meglio di me, è più robusta di quanto sembri. E noi dobbiamo sbrigarci, per trovare come riunirci agli altri. »

« Sui complimenti c'è sempre da lavorare. »

Commentò solo la mewwolf con un mezzo sorrisetto a cui il bruno replicò con una scrollata divertita di spalle e Purin, rincuorata, ridacchiò e accelerò il passo.

In realtà anche Eyner era preoccupato, più che delle loro ammaccature del loro isolamento. Era riuscito a fermare la propria caduta infilandosi in una voragine aperta su un corridoio, afferrando Zakuro e Purin all'ultimo momento, ma quando aveva fatto per risalire al livello da cui erano franati i detriti avevano sigillato l'uscita lasciandoli da soli e al buio.

Aveva pensato di usare il proprio comunicatore o quelli delle ragazze per trovare gli altri, però – e immaginò che agli altri fosse venuto lo stesso pensiero – la cosa non avrebbe avuto senso se poi non potevano teletrasportarsi con sicurezza da un posto all'altro.

A quel punto la cosa migliore sarebbe stata cercare un modo per risalire e ritrovare il resto del gruppo prima possibile, MoiMoi compreso, e rimanere quindi il minimo indispensabile alla mercé di un assalto improvviso.

« Certo che quando si dice la iella! – borbottò Purin incrociando le braccia – Possibile che proprio mentre ci siamo noi dentro questo loculo abbia preso a croll- »

Eyner e Zakuro percepirono un lampo indistinto schizzare in mezzo a loro due e Purin s'interruppe con un grido. Toyu si avventò su di lei afferrandola per i capelli e si lanciò contro la prima parete disponibile come un proiettile, la mewscimmia saldamente prigioniera:

« Fuori dai coglioni, ragazzina. »

Si udì il terribile fracasso di pietre infrante mentre il biondo sbattè con violenza Purin contro il muro. Lo strillo di lei e il suo dimenarsi tentando di sfuggire alla sua presa si spensero del tutto con il secondo colpo, quando Toyu dovette interrompersi perché Eyner e Zakuro non lo tranciassero in due con le proprie armi. Si alzò in aria, evitando un affondo del jitte che gli avrebbe portato via la mano con cui aveva agguantato la mewscimmia, e Purin si afflosciò a terra mentre Zakuro ritirò la frusta e le si gettò accanto:

« Purin! »

La biondina emise solo un vago lamento, gli occhi chiusi e il corpo inerme. La mora avvertì un brivido intanto che, sollevandola, passò una mano tra la zazzera bionda e si bagnò le dita in qualcosa di caldo e appiccicoso; rimase immobile alcuni secondi a fissarsi il palmo rosso, obbligandosi a riprendere il controllo nel momento in cui Eyner le prese Purin dalle braccia:

« C'è polso. Respira. »

Fece spiccio; la vide riprendere fiato e annuire, capendo, Toyu era ancora lì con loro e non avrebbe certo aspettato che si prendessero cura di Purin.

« Le cose a quattro sono troppo complicate. »

Disse con crudele divertimento il biondo, fluttuato dalla parte opposta del varco. Zakuro, schioccando minacciosa la frusta a terra, scoprì i denti e parve ringhiare:

« Questa la pagherai, grandissimo bastardo…! »

Lui girò il proprio fioretto tra le dita e spalancò le braccia teatrale:

« Godiamoci questo momento allora, piccolo glicine selvatico. »

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) quelle che compaiono nell'episodio 46

(**) Dai Hinmin (大貧民  Grande Poveretto) o Dai Fugou (大富豪 Gran riccone) è un gioco di carte molto diffuso in Giappone. Va a punteggio, che aumenta o diminuisce a seconda del valore assegnato alle carte dalle regole del gioco stesso; vince chi ha il punteggio più alto (per darvi un'idea può essere assimilato alla nostra briscola, anche se le regole sono ovviamente diverse)

Per i curiosi qui spiegano tutto abbastanza bene http://www.yumeshima.net/board/index.php?topic=1591.0

(***) visto che è passato un po' di tempo (capitoli)… Minto non è mai entrata nella dimensione degli Ancestrali, era ricoverata per colpa delle lame di Lindèvi

 

 

 

 

 

 

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Se state provando quel che provo io, le sensazioni sono estremamente contrastanti ^^”” sono felice, è stata soddisfatta la mia sete di sangue xD, mi sento una caccola çwç, so che sto per creare la devastazione ^^”

Prima che mi tolgano il saluto ringrazio Danya, mobo, LittleDreamer90, Hypnotic Poison e la new entry Sissi1978 (vi adoro quando decidete di imbarcarvi nella lettura a questi punti !) tutti i lettori silenziosi e in generale tutti voi, che ancora non mi avete abbandonata :3
A prestissimo e, se non tanto presto :P a prestissimo su Fragment of Path (per cui sto finendo le idee porca miseria suggerite! xD)

 

Mata ne ~ ♥!

 

Ria

 

 

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Capitolo 55
*** Toward the Crossing: tenth road (part II) ***


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Farai felice milioni di scrittori. 

 

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Salva anche tu una tastiera da pazzoidi che le massacrano scrivendo come disperate! Non chiudere gli occhi, puoi salvare milioni di vite elettroniche.

 

 

 

 

 

Gente, onestamente, sono una caccola.

PERDONO! NON CREDEVO DI IMPIEGARCI COSÌ TANTO!

Sono imperdonabile, mi giustifico dicendovi che sto riemergendo da un periodo decisamente pesante a livello emotivo, quest'anno il lavoro del consorte si è accanito sulla mia psiche e sulla nostra vita familiare, rendendo complicato quello che è già un periodo intenso con il pupetto che cresce (santi dei tutti che sia un bambino bravissimo ♥ ) e che, in ogni caso, ha bisogno e diritto a certe attenzioni. Inoltre nemmeno la mia salute è stata un fiore, anche se poi ho scoperto che la ragione *arrossisce come una prugna* è che… Diventeranno due pupattoli >\\\

Sì va bene fate pure tutte le battutine del caso ve lo concedo xD

Un po' in anticipo sui progetti familiari che avevamo, inaspettato sicuro, ma siamo sereni lo stesso ♥  ma almeno ho capito perché ho passato tre mesi in totale inappetenza ^^"

Sia come sia, tornando a cose "serie" xP ripeto, chiedo perdono. Ora mi sto riprendendo psicologicamente (vi assicuro sono stati mesi davvero, davvero faticosi su questo piano) e ho ripreso il lavoro, anche quello in battuta di arresto, e ovviamente ora anche a scrivere. Vi ho anche fatto attendere un pochino di più, solo per essere sicura di avere il nuovo capitolo pronto/già ben avviato e non farvi penare nuovamente ♥ 

Chiedo anche scusa per essere sparita dal #martedìfangirl, mi piacerebbe riprenderlo anche se non so come e quando, ho altri progetti da dover portare a termine con più urgenza.

Ma bando alla depressione!

Passiamo alla morte xD

Tutti: CHE O_O?!?

LOL ♥  siamo tutti pronti a sangue, mazzate e devastazione?

Tutti: bentornata eh -.-""?

Il titolo viene dalla canzone Danza infernale dei Modena City Rambles, che in realtà è stata mooolto ispirativa, in particolare il ritornello *fufufuufuu* per il capitolo precedente :P ma mi piaceva un sacco l'idea del titolo per questo quindi papam!  

 

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Cap. 55 – Toward the Crossing: tenth road (part II)

                Death's voices are calling you

 

 

 

                                                                                              

L'acciottolio dei detriti che finivano schiacciati tra le suole delle scarpe e il pavimento pareva il ripetitivo cigolio irritante di un vecchio metronomo. Minto, già in ansia per l'ultima simpatica novità che aveva regalato quel posto lugubre, avvertì le ali fremere nervose; come se non fosse stata sufficiente la situazione in sé, o il fatto che non fossero riusciti a comunicare con gli altri né coi trasmettitori jeweliriani né coi ciondoli mew, ricevendo da tutti solo scariche elettriche.

« Quest'energia instabile della dimensione… Manda a puttane le frequenze. »

Aveva sentenziato Kisshu digrignando qualche parolaccia.

Della serie, collezionare sfiga a mazzi.

Minto sospirò piano e si guardò attorno come nella speranza di cogliere un cenno, un gesto, un'occhiata dal resto del gruppo che desse il via a qualsiasi dialogo per spezzare il silenzio opprimente, ma tutti parvero troppo attenti alle ombre immobili attorno a loro e la mora si rassegnò a continuare soltanto a camminare.

Ryou aveva il suo stesso colorito e la fronte corrugata, e benchè non avesse detto più una parola il suo cervello lavorava così tanto che, facendo attenzione, lo si poteva sentire. Il biondo teneva lo sguardo fisso, i pugni serrati sui fianchi, muovendo in modo impercettibile la testa di quando in quando nella speranza di sentire un rumore famigliare, una voce; il tintinnio di un campanellino.

All'improvviso il biondo si bloccò: chiuse gli occhi e trattenne il fiato, sforzando al massimo i sensi potenziati, e con un guizzo si trasformò in pantera prendendo a ringhiare basso.

« Che succede? »

« Shhht. »

Vedendo Kisshu zittirla Retasu si scambiò un'occhiata preoccupata con Minto, tacendo. Il verde tese l'orecchio, le dita che si strinsero attorno ai manici dei sai, tuttavia per qualche momento non si udì altro che silenzio.

Poi, una sorta di sibilo.

Forse un che di più simile al frinire di insetti, eppure troppo regolare per appartenere a qualcosa di vivo.

Minto e Retasu imitarono i due ragazzi e imbracciarono le loro armi vedendo Lindèvi arrivare loro incontro, lenta e incupita, proprio al centro del corridoio.

Retasu strinse gli occhi scrutandola, sicuramente si trattava dell'Ancestrale, ma aveva qualcosa di diverso; fu solo quando la bionda si trovò più alla luce che la verde capì, un leggero brivido inquieto che le pizzicò la bocca dello stomaco. L'aspetto da tredicenne di Lindèvi aveva lasciato posto a quello di una ragazza sulla ventina, il viso tirato e inespressivo su cui gli occhi celesti parevano due pietre azzurre opache, prive di qualsiasi riflesso di luce; alla mewfocena ricordò molto la forma che l'Ancestrale aveva assunto a Szistet dopo essere stata colpita da Eyner, benchè stavolta avesse mantenuto i capelli biondi e le iridi chiare dell'Atavismo.

In ogni caso qualcosa di ben più profondo della forma esteriore era mutato, in Lindèvi, e pur non avendone prova Retasu seppe che fosse la verità, una verità che fece tremare il suo istinto e la portò a serrare ancor più forte le dita sulle proprie nacchere.

« Deep Blue-sama mi ha accordato un po' di benevolenza. »

Commentò sovrappensiero Lindèvi come intuendo il rimuginare della verde, la testa piegata da un lato, e il suo sguardo tagliente e vacuo passò sopra a Kisshu e Ryou che, in tutta risposta, mostrò minaccioso le zanne bianche.

Il sibilo si fece chiaramente udibile e costante. Retasu ebbe l'impressione di vedere dei piccolissimi lampi di luce nel corridoio, ma pensò si trattasse del buio del posto che aveva affaticato i suoi occhi.

« Perché? – soffiò Kisshu velenoso – Ti ha permesso finalmente di abbandonare la pubertà? »

Il volto di Lindèvi si piegò in una smorfia furiosa:

« No – replicò lentamente soffocando l'odio nella voce – è colpa vostra… Di quella schifosa palla di pelo, del tuo amico e di quella puttana del Consiglio. »

Con un guizzo deciso, impensabile per come stava ciondolando mollemente sulle ginocchia, la bionda battè un piede a terra sfogando la rabbia e il sibilo per un secondo si fece più forte.

« Ho dovuto… Piegarmi, a questa forma – latrò a denti stretti – pur di non tornare… A prima… »

Il sibilo ebbe un picco e si udirono degli indistinti colpi secchi, come pietra che si spacca per il calore. Minto nell'impulso di lottare fece un passo verso Lindèvi minacciandola con l'arco, ma quella non parve nemmeno vederla e continuò ad avvicinarsi. La mewbird si concentrò così tanto nel mirare alla ragazza che non si accorse di Kisshu per il polso finché lui non l'afferrò e la trascinò indietro: nello stesso momento una fredda e acuta sensazione di dolore vibrò lungo la schiena della mora dalla cima delle penne posteriori, e lei trattenne un sussulto vedendo con la coda dell'occhio la punta delle piume più lunghe venire tranciata di netto.

Fecero tutti un rapido passo indietro, cosa che non scombussolò minimamente Lindèvi né la invitò ad avere altra reazione che proseguire ad avanzare piano nella loro direzione, la testa quasi abbandonata su una spalla e le braccia lungo i fianchi.

Retasu trattenne il respiro capendo: attorno alla bionda i fili metallici del suo guanto sinistro parvero aver preso vita, sibilando senza posa attorno alla loro padrona tracciando delle orbite tondeggianti, sovrapponendosi gli uni agli altri e allargando il loro raggio di movimento ad ogni reazione emotiva di Lindèvi, tranciando pavimento e pareti come coltelli caldi nel burro. La verde indietreggiò ancora, confusa, non era possibile per la bionda creare una gabbia del genere con la propria arma, non senza quantomeno muovere le dita che invece la ragazza stava oscillando inermi; poi la mewfocena avvertì un pizzicore freddo incresparle la pelle delle braccia, una sensazione non nuova, ma che impiegò qualche istante a ricordare.

Era la stessa energia che aveva sprigionato tanto tempo prima Deep Blue durante l'ultima battaglia, la stessa con cui aveva generato le colonne di luce che avevano spazzato via Tokyo e quasi ucciso lei e le altre; la stessa che Lindèvi aveva emesso a Szistet e Zizi aveva rilasciato nella dimensione nella torre.

E la bionda e i suoi fili ne erano impregnati.

Lindèvi proseguì minacciosa verso di loro, la camminata molle e il moncherino della mano destra che oscillò grottesco nella penombra, e Retasu strozzò il desiderio di pigolare spaventata.

Erano in trappola.

Arrivare a combattere corpo a corpo con l'Ancestrale sarebbe stato quasi impossibile con la barriera metallica dei suoi fili.
Dietro di loro, un muro di detriti alto fino al soffitto.

Avrebbero potuto provare a teletrasportarsi, ma per poi finire in quale luogo? L'energia distorta di quel luogo li avrebbe scagliati chissà dove, forse anche diretti nel raggio d'azione di quei fili d'acciaio. O nelle braccia di Deep Blue in persona.

La sola opzione che sembrò avere un minimo di valida era anche quella più rischiosa – un cliché visto l'ultimo periodo. Tentare di sfondare lo scudo nemico senza avvicinarsi troppo da finirci contro e abbastanza velocemente da non permettere un contrattacco efficace.

Retasu si scambiò un'occhiata fugace con gli altri e sollevò le sue nacchere, peggio che tentare non si sarebbe potuto.

« Ribbon Lettuce Rush! »

I getti d'acqua schizzarono in tutte le direzioni finendo recisi di netto come carta contro le fibre d'acciaio ed esplodendo per tutto il corridoio. Al contatto dei colpi con i suoi fili Lindèvi dapprima si bloccò, trattenendo il fiato, quindi proruppe in un grido belluino mentre i cavi metallici si tesero e gonfiarono all'infuori come esplodendo, tranciando qualsiasi cosa sul loro cammino.

 

 

***

 

 

La frusta di Zakuro fendette il pavimento a ripetizione, sempre più veloce, affiancando le vampate del jitte di Eyner che tallonarono Toyu senza tregua; ad ogni colpo andato a vuoto la mora imprecò tra i denti imponendosi di cercare la calma, di ritrovare la concentrazione, ma la cosa si rivelò molto ardua considerando il loro avversario e la rabbia che le scatenava il solo intravedere il suo sorrisetto disinvolto.

Toyu non sembrò preoccuparsi troppo dei suoi rivali o dello scontro in sé, respingendo gli attacchi che ricevette con movimenti più energici e sgraziati del solito e continuando tranquillo ad evitare che la lama di Eyner riuscisse a sfiorarlo, incurante al contrario dei lapilli che lo raggiunsero divorandogli la poca pelle esposta e i bordi dei vestiti.

« Mi sembra tiepidino il tuo fuoco, Toruke. »

Lo canzonò con voce morbida scrutando malevolo il braccio sinistro del bruno:

« Se non ti impegni per farti ammazzare meno velocemente non mi diverto. »

Eyner nascose meglio che potè l'arto ferito dietro la propria schiena, digrignò i denti e affondò con il jitte a meno di due centimetri dal biondo, creando un muro di fiamme per bloccarlo mentre Zakuro sbucando fulminea lo centrò con una scudisciata al fianco mandandolo contro il muro alla sua sinistra. I due non si fermarono e corsero dietro all'Ancestrale prima che potesse riprendersi, ricevendo dritta sul petto un'onda di energia così violenta che li scagliò dalla parte opposta della sala intanto che Toyu, il sopracciglio spaccato e l'aria annoiata, si rialzò dal pavimento spazzolandosi la polvere sulle spalle con fare annoiato.

« Credo che non abbiate capito come stia la questione. »

Le sue parole arrivarono al cervello di Eyner molto lentamente. Mentre si tirò in piedi, il corpo che strillò furioso accecandolo per le fitte brucianti dopo l'improvviso abbraccio con la parete, il bruno riuscì vagamente a domandarsi perché l'Ancestrale perdesse tanto tempo in chiacchiere e non fosse già piombato sulle loro teste per proseguire l'attacco; quando finalmente riuscì a capire la voce del biondo e inquadrò Zakuro nel campo visivo appannato, capì con angoscia quanto già fossero malconci e che Toyu, questo, lo avesse già intuito benissimo. Era in netto vantaggio.

E si sarebbe gustato la cosa fino in fondo.

« Io sono qui unicamente per uccidervi. – sospirò il biondo e agitò lento il fioretto nella loro direzione, gli occhi azzurri che brillarono feroci – Per cui, vi consiglierei di giocare sul serio. »

 

 

***

 

 

Il rumore dei pezzi di pavimento e pareti che terminarono di ammassassi al suolo coprì a fatica lo sgusciare dei fili di Lindèvi, che ritornarono indietro ronzando quieti attorno alla loro padrona, rimasta immobile e silenziosa al centro del corridoio quasi non avesse che le sole forze per stare in piedi.

Minto si lamentò a bassa voce, la pelle delle spalle che bruciò per i frammenti di soffitto che le si erano sbriciolati addosso, e si alzò a fatica avvertendo il petto sprofondare due secondi per il peso inerme contro la sua schiena.

« Ahio, devo essermi rotto due o tre costole… Tutto ok cornacchietta? »

« Sì sto bene. Meglio se decidi di levarti. »

Tagliò corto la mewbird, un respiro profondo e tremante che le sfuggì dal petto mentre Kisshu, borbottando con un lamento, le scivolò via di dosso; la mora si mise a sedere a sua volta e lo scrutò da capo a piedi in cerca di danni oltre ai graffi su braccia e gambe, poi frastornata cercò di fare mente locale attorno a sé per individuare Retasu e Ryou, svaniti da sotto il suo sguardo.

Avevano avuto tutti e quattro la stessa idea. La rete di fili metallici, estendendosi all'infuori, aveva allargato i varchi tra i cavi quanto bastava per poter provare a sgusciarci attraverso e non finire a fettine, e sembrò che tutti ne fossero usciti abbastanza bene: la mewfocena aveva perso le code del costume e aveva un taglio lungo, ma superficiale, sul braccio destro, mentre la pantera argentea sembrò solo un po' arruffata attorno al muso senza conseguenze troppo gravi. Minto si sfiorò la coscia sinistra, la gonna già corta a cui era stato aggiunto uno spacco non richiesto e da cui intravide un taglio doloroso che si interrompeva di colpo poco prima dell'anca, doveva aver calcolato male lo spazio tra le maglie metalliche: ricollegando gli eventi ringraziò tra sé Kisshu per averla afferrata all'ultimo minuto, altrimenti anche fosse sopravvissuta avrebbe dovuto dire addio alla sua carriera di ballerina. Almeno con entrambe le gambe.

Cercando di non perdere l'equilibrio per il bruciore del taglio la mewbird camminò a rapidi passetti verso Retasu e le passò le mani sotto il braccio, accompagnandola in piedi:

« Tutto a posto? »

« Sì… Grazie Minto-san. »

Le sorrise la verde ed entrambe le ragazze si voltarono verso Ryou, che si fregò il muso con una zampa e scrollò il testone ruggendo piano probabilmente per rassicurarle. La pantera inarcò di nuovo la schiena scoprendo i denti, gli occhi chiari fissi su Lindèvi. Dopo il colpo ancora non si era mossa, sempre immobile nello stesso punto a farfugliare frasi senza senso:

« È colpa vostra… Puniti, sarete puniti… Vi punirò… »

« Ok, sinceramente a me la stronza psicotica ha stancato – sputò Kisshu irritato – chi approva? »

Ryou mandò un lungo ringhio cupo.

L'americano fu il primo a lanciarsi. Lindèvi reagì appena lui provò a saltarle addosso ruggendo, muovendo la mano e sbattendo i fili all'unisono contro il punto dove un secondo prima si trovava la pantera grigia, come armeggiando un letale gatto a nove code. Kisshu e le ragazze tentarono di approfittare della sua concentrazione altrove per colpirla dal lato opposto, ma la bionda bloccò tutti i loro assalti continuando a muovere ad elica i suoi fili, un modo non molto opportuno forse di sfruttare la propria arma, ma pur sprecandone il potenziale Lindèvi fu sempre abbastanza veloce da riuscire a difendersi perfino in quel modo rozzo.

Minto schioccò la lingua irritata, solo dopo un paio di minuti di quel balletto si ritrovarono tutti con il fiato corto mentre l'Ancestrale, nonostante l'affanno, non diede alcun segno di essere vicina a cedere.

Ma io mi sono stufata di giocare all'insetto che schiva lo schiacciamosche.

Rapida la mewbird si mosse in avanti, schivando la sferzata successiva, quindi spiccò il volo avvicinandosi il più possibile e rapida come un lampo scoccò contro la bionda.

I fili di Lindèvi si afflosciarono poco prima di colpire Retasu, la loro padrona che fu centrata alla spalla dal colpo di Minto: la bionda caracollò goffa all'indietro con un acuto gemito dolente, quindi Ryou ne approfittò puntando con i canini sfoderati all'unica mano rimasta all'Ancestrale, deciso a disarmarla staccandogliela di netto, ma lei inaspettatamente reagì in barba al dardo d'energia ancora conficcato nell'omero che le lacerò la carne ad ogni millimetro compiuto; si girò di scatto colpendo Ryou alla base del collo con il gomito, una forza tale che l'animale fu scagliato sul muro e vi si accasciò contro uggiolando, ma Lindèvi non potè prender respiro perché subito dietro a Ryou spuntò Kisshu, che la tallonò costringendola a retrocedere per tentare di difendersi.

Minto gli andò subito dietro e poi Retasu, assicuratasi che Ryou fosse solo stordito, la imitò e Lindèvi iniziò ad indietreggiare in modo più evidente. Eppure non sembrò turbata dell'improvviso cambio di posizioni e continuò a borbottare a mezza voce, reagendo per istinto in quel minimo raggio d'azione che riuscì a mantenere per usare i fili come scudo, gli occhi vitrei che guardarono il nulla.

Ad un certo punto la lama di Kisshu le sfiorò il braccio, mancandole la pelle solo di pochi millimetri e tagliando la camiciola bianca. Lo sguardo dell'Ancestrale si spalancò di furia, le iridi come spilli, e Ryou, che si era ripreso e si era rilanciato all'attacco, fece appena in tempo ad afferrare i costumi delle ragazze coi denti per trascinarle indietro prima che Lindèvi esplodesse un altro colpo di cavi lungo il corridoio.

L'urlo della bionda mascherò solo un poco l'uggiolio secco di Ryou, centrato dall'attacco e sbalzato all'indietro assieme alle altre due, ruzzolando per alcuni metri intanto che il colpo dell'Ancestrale rientrò. Le ragazze si puntellarono con braccia e ginocchia per frenarsi e impallidirono quando videro con la coda dell'occhio la sagoma argentea di Ryou rimbalzare malamente un paio di volte, sorpassandole e rotolando su se stesso lungo il corridoio fino a fermarsi e rimanere immobile.

« Shirogane-san! »

« Shirogane! »

Retasu e Minto balzarono in corsa raggiungendo l'americano, tornato al suo aspetto naturale e riverso sulla pancia; la maglia nera era completamente stracciata e, nonostante non fossero profonde, c'erano abbastanza ferite sulla pelle sottostante da impedirgli di alzarsi. Kisshu imprecò secco e cercò di tenere a bada Lindèvi, tornata a sferzare di fronte a sé e avanzando lentamente, intanto che Retasu e Minto trascinarono Ryou in un angolo più riparato. Lui, cosciente, ma con gli occhi ben serrati, mugugnò un paio di frasi incomprensibili tentando invano di scrollarsele di dosso:

« Sto bene – protestò con poche energie – sto bene, andate. »

Le due non lo considerarono neppure e lo sedettero alla bene e meglio dietro una mezza colonna che decorava la parete di sinistra, trovandosi presto impossibilitate a spostarsi.

« Maledizione! – soffiò Minto lanciando una freccia contro Lindèvi senza neppure guardare – Di questo passo finiremo tutti come carne macinata. »

Retasu la imitò sperando che qualche colpo andasse a segno, ma era difficile mirare da dietro la minuscola paratia in cui si erano rintanate e Lindèvi aveva preso ancora il vantaggio del campo, non lasciando loro molto spazio per uscire allo scoperto.

Kisshu ricacciò indietro un'altra scudisciata mandando bestemmie, così sprecavano solo tempo ed energie; retrocesse di qualche passo per riflettere, i cavi di Lindèvi erano di acciaio, non un grande conduttore, ma se fosse riuscito a guadagnare quel tempo sufficiente…

Incrociò i sai di fronte a sé e una sfera di fulmini si materializzò sulle punte sovrapposte. In un istante il verde scagliò il colpo contro Lindèvi e appena la sfera sfiorò i suoi fili la scarica elettrica vibrò fino alla ragazza, che cacciò indietro la testa ululando di dolore; Kisshu non aspettò che l'effetto della raffica si placasse e planò rasoterra contro la bionda, le lame pronte a infilzarla.

Ad appena un palmo dal vedersi trafitta per la pancia Lindèvi smise di urlare riaprendo gli occhi e scoprì i denti con espressione da belva.

Urlò di nuovo, stridula fino a strozzarsi, e il corridoio fu invaso di energia e luce.

 

 

***

 

 

Aprì gli occhi di scatto, scosso da un brivido gelido che durò appena un istante, il tempo di razionalizzarlo e domandarsi il cosa e il come. Il battito accelerato invece proseguì per una buona manciata di minuti mentre MoiMoi, il respiro veloce, cercò di capire perché fosse seduto per terra in quell'antro avvolto dal buio e da quanto tempo si trovasse lì da solo.

Il pulsare sordo alla spalla e il lieve giramento di testa lo riportarono poco a poco agli ultimi eventi. Si sfiorò la profonda ferita che Lenatheri gli aveva lasciato come dono d'addio, ritraendo con un sibilo le dita appena lambirono la carne dietro gli orli stracciati della maglia.

Dopo lo scontro aveva tamponato il danno con una fasciatura d'emergenza, ma il sangue non si era arrestato che molto dopo il suo incamminarsi alla ricerca degli altri e il violetto aveva sentito le forze abbandonarlo: si era dovuto fermare, ignorando di prepotenza il sudore freddo che aveva preso posto di quello da fatica sulla sua fronte, quindi aveva stretto i denti e si era sforzato di migliorare la medicazione nonostante il dolore per il continuo armeggiare sulla ferita aperta e la mancanza d'ossigeno per lo sforzo; in qualche modo aveva sistemato la situazione, ma doveva aver perso troppo sangue in quel lasso di tempo perché alla fine aveva ceduto ed era svenuto lì dove si trovava, seduto sul pavimento.

I miei complimenti. Se ti vedesse il generale di degraderebbe all'istante.

Non era in grado di stabilire da quanto fosse lì, né quanto tempo fosse trascorso da quando aveva abbandonato il corpo di Lenatheri all'oscurità o quanta strada avesse percorso fino ad allora. In ogni caso era trascorso di certo troppo da quando era da solo e non era una cosa né intelligente né sicura; doveva rimettersi in marcia.

Titubante sul proprio effettivo recupero di energie, MoiMoi raccolse piano le gambe al petto e provò a fare forza per alzarsi.

L'inizio parve promettente. Niente ginocchia tremolanti, niente formicolio ai piedi, quindi non era rimasto abbastanza immobile da far addormentare le gambe, buon segno; un poco di incertezza dell'equilibrio mentre si rimise dritto, ma a giudicare dal gelo delle sue guance doveva essergli rimasto giusto il sangue necessario a non collassare definitivamente.

Prendendo un paio di lunghi sospiri MoiMoi tentò di non pensare troppo né al suo stato fisico né al trovarsi da solo, nel silenzio totale, in quella specie di grotta oscura e opprimente e si impegnò per essere razionale e pratico.

Punto numero uno: essere sicuro di non stare girando in tondo, ma pur vagando di stare proseguendo in una direzione precisa.

Si guardò rapidamente attorno, sì, era quasi sicuro di star procedendo dritto, il che nel non sapere assolutamente dove stesse andando poteva considerarsi positivo rispetto al deambulare avanti e indietro nella stessa serie di corridoi.

Punto numero due: visto il suo stato, tenersi il più lontano possibile da scontri diretti in solitaria. D'altronde se avesse incrociato uno degli Ancestrali, se ne sarebbe accorto di sicuro perché probabilmente sarebbe già morto, quindi anche per quello poteva dirsi tranquillo visto l'assoluto silenzio e la calma tombale.

Punto numero tre: trovare gli altri.

Su quel fronte la sua unica possibilità, per il momento, era proseguire magari seguendo i vari tratti di corridoi crollati o collassati nei pavimenti dell'edificio, immaginando che i ragazzi fossero stati costretti a fare altrettanto per non rimanere bloccati, e nel frattempo tendere occhi ed orecchie pronto a cambiare strada al primo indizio della loro presenza.

Certo, sarebbe tutto molto più semplice se tu non avessi fatto crollare mezzo palazzo, deficiente che non sei altro!

Il violetto sospirò con fare pesante, evidentemente il suo addestramento militare aveva bisogno di un ripassino, aveva commesso un errore da recluta incosciente; quando Kisshu, portavoce ufficiale del farsi prendere la mano sul campo, lo avesse rivisto lo avrebbe canzonato fino a fargli cadere le orecchie.

Inspirò piano e provò a compiere qualche passo, la spalla che parve volersi squarciare da tanto gli dolse: forse c'era qualche scheggia della freccia ancora conficcata all'interno…

Cominciò a rallentare il passo fino a fermarsi e il suo sguardo vagò sulla mano tesa a metà strada verso la ferita: fissò le lacerazioni arrossate nella pelle, percependo il pulsare lieve della carne esposta, e richiuse il pugno serrando le palpebre perché il silenzio e l'oscurità non lo facessero crollare nei ricordi.

Troppo tardi.

Forti e chiari, intensi come il freddo umido e tagliente sulle sue piaghe, le immagini dello scontro contro Lenatheri gli rimbombarono feroci nel cervello e gli si rovesciò lo stomaco. Più si allontanava dal luogo in cui aveva lasciato la mora più i dettagli della lotta riapparivano chiari, le sensazioni che non credeva di aver percepito si acuivano e definivano, crudeli e violente, aumentando il senso di nausea e i brividi lungo la spina dorsale.

Si rannicchiò nelle spalle mentre riavvertiva il peso del martello nelle mani, la forza che tirava i muscoli tesi intanto che colpiva Lenatheri per l'ultima volta. L'impatto della pietra contro la carne. Il terribile frantumarsi delle ossa, dei muscoli, delle vene.

MoiMoi stritolò il bordo della maglia tra le dita tremando da capo a piedi, il freddo e il disgusto che gli accapponarono la pelle. Non ricordava d aver mai avvertito così chiaramente di aver ucciso qualcuno.

Certo, era stato in battaglia. Aveva combattuto e non solo facendosi strada tra i nemici, lo sapeva e lo aveva visto anche da vicino.

Quello però era diverso.

Così diverso, vivido, vicino e nauseante. Prese due lunghe boccate d'aria sperando che questo non aiutasse il suo stomaco a rovesciarsi, mentre si rivide riflesso nello sguardo vitreo di Lenatheri e contro le pupille immobili nelle iridi color rame e digrignò i denti, la sensazione che tutto il suo corpo fosse ricoperto da uno strato di melma disgustosa e viscida, di essere sporco in modo irreparabile.

Ti senti in colpa? Sei pentita?

No. Aveva fatto ciò che voleva, aveva bramato la vendetta e punire colei che le aveva strappato la cosa più preziosa con la stessa rabbia e furia che Lenatheri aveva contribuito a gettare su di lui e su tutta Jeweliria, aveva punito una traditrice.

Eppure l'idea non lo faceva stare meglio.

Non si sarebbe mai perdonato di non agire, di concedere per l'ennesima volta il perdono. Eppure in quel momento non riusciva a perdonarsi per quanto aveva fatto, non riusciva a non sentirsi crudele, vigliacco e meschino esattamente come Lenatheri.

Il violetto cercò di recuperare aria nei polmoni, non poteva farsi schiacciare dalle sue azioni. Doveva andare avanti, doveva accettare quel fardello che si era caricato e non permettergli di sconfiggerlo, specie in quel momento. C'era ancora qualcuno che aspettava di vederlo tornare e arrendersi non era nelle scelte previste.

L'ultimo pensiero gli strappò un fiacco sorrisetto che lo convinse a prendere un altro lungo respiro e ad accelerare il passo, ponendo attenzione solo su dove andasse a mettere i piedi e su ogni minimo movimento dietro ad angoli e coni di luce.

Camminò a lungo prendendo un passo ritmato che non risuonasse troppo angosciante nei corridoi deserti, pronto al minimo indizio, finché non arrivò di fronte ad una sorta di enorme cavità oscura. Fissò a lungo il passaggio alla sua destra e il grosso varco nel soffitto buio, l'impressione di sentire il lieve rotolare di pietrisco riecheggiare nell'oscurità, e serrò le labbra capendo che quanto stava percependo pizzicargli il naso venisse da lassù, pur lievissimo e confuso nella polvere.

Odore di sangue.

 

 

***

 

 

L'aria polverosa si saturò al punto di scintille e lapilli che iniziò a diventare difficoltoso sia respirare che vedere. Eyner passò d'istinto il jitte nella mano sinistra e velocemente di nuovo nella destra per parare l'affondo di Toyu, battendo un momento i denti nervoso e tentando di guadagnare abbastanza spazio da prendere ossigeno, il biondo così incollato addosso che a stento avrebbe potuto pensare; Zakuro li tallonò senza sosta, ma l'Ancestrale pareva aver preso il posto del bruno durante il loro ultimo scontro e non faceva che spingere Eyner lontano dal possibile raggio d'azione della mewwolf, fendendo l'aria dietro di sé con la mano libera e scagliando saette e ondate di energia contro la mora che doveva indietreggiare per non venire colpita o, se non ci riusciva, finire scagliata lontano. L'ennesimo colpo giunse talmente veloce dopo il precedente che la mewwolf non potè neppure contrastarlo e fu schiantata alcuni metri più il là, tentando invano di raddrizzarsi mentre rotolò sul pavimento.

« Zakuro! »

Il richiamo di Eyner si spense in un grugnito forzato mentre frappose il jitte tra la sua gola e il fioretto di Toyu.

« Vedi bene di non distarti, Toruke. »

Gli disse con un sorriso gelido il biondo:

« Su, non preoccuparti, ora sono tutto per te – cantilenò – poi mi occuperò con calma del nostro piccolo glicine. »

Eyner non gli rispose tranciando l'aria con un fendente tale che le fiamme minacciarono di prendere Toyu dalla faccia a metà torace e il biondo dovette arretrare, riprendendo subito a sorridere minaccioso e avventandosi su di lui con ancor più ferocia.

Zakuro trattenne un lamento, le gambe dolenti per le percosse contro il suolo e le ferite della Celebrazione della Prima Luna che ancora covavano, sorde, sotto la pelle e i muscoli; si sforzò di mantenere lucidità, i colpi di Toyu erano proprio come la sera della Celebrazione, forti e incontrollati tanto da vibrarle fino alle ossa e lui stesso stava sfoggiando la stessa espressione folle: Eyner non poteva affrontarlo da solo, non ad armi pari e non in quel momento, Zakuro lo sapeva, ma un brivido maligno mentre si alzò per l'ennesima volta le suggerì che lo sapesse anche Toyu.

La ragazza cercò per un istante Purin, individuando nel polverone la divisa gialla che si muoveva impercettibile, riparata almeno per un altro po' dalla battaglia, e prendendo un respiro iroso corse ancora verso i due intenti a lottare poco lontano.

Toyu la individuò con la coda dell'occhio e il suo bel viso si storpiò in un ghigno feroce. Girò il fioretto dietro di sé sollevando un vero e proprio muro di fulmini che Zakuro evitò per pochi millesimi di secondo e poi tentò invano di infrangere, scagliando la frusta su di esso e ottenendo solo di spargere scintille attorno a sé; Toyu rise, schivando con facilità l'arma della mewwolf quando riusciva a farsi largo tra le folgori lambendo innocua la sua figura, e continuò ad incalzare contro Eyner sempre più implacabile.

Il bruno imprecò a bassa voce, la mano destra che stritolò il manico del jitte.

Non bastava, quella forza non bastava, Toyu lo stava tenendo in scacco senza difficoltà e al contempo impediva a Zakuro di lottare. Per un momento ebbe di nuovo l'istinto di afferrare l'arma con la mano sinistra e aumentò la presa con l'altra per impedirselo, non poteva rischiare di finire fuori combattimento e lasciare Zakuro e Purin, ancora incosciente, alla mercé del biondo.

Di colpo Toyu cambiò direzione scostandosi di lato e il colpo di Eyner finì a vuoto. Il bruno sibilò ancora sottovoce, cercando con lo sguardo la sua sagoma dietro le fiamme, ma quando intuì il palmo di fronte a sé fu tardi. 

L'esplosione di energia lo colpì tanto da vicino che Eyner non ebbe nemmeno il tempo di emettere un suono. La radiazione illuminò tutto lo spazio attorno e crenò le pareti sul perimetro circolare dove Toyu l'aveva fatta detonare, mentre Eyner venne sbalzato indietro con tanta forza da finire incastrato nella parete dietro di sé.

Zakuro, spinta a retrocedere dall'onda d'urto, ritirò la frusta nel vedere il bruno immobile affossarsi nella nicchia creata dal suo stesso corpo e d'impulso tentò di corrergli incontro, pallida in volto.

Prese fiato per chiamarlo senza che il nome di Eyner le uscisse dalle labbra, capendo di aver appena commesso un errore terribile.

Aveva distolto l'attenzione da Toyu.

Il biondo le rovinò addosso con tale velocità che Zakuro focalizzò solo la mano che le si strinse sulla carotide e la fitta bruciante del muro contro cui la sbattè.  

La mora aprì la bocca per prendere aria, una mano che tentò di insinuarsi tra la propria gola e le dita serrate di Toyu per riuscire a respirare, e lui si schiacciò contro di lei poggiandole con prepotenza le labbra contro le sue. Zakuro si tese disgustata e un conato le salì prepotente in gola mentre il biondo invase lascivo la sua bocca, e lei prese a dimenarsi invano: la forza con cui Toyu la tenne bloccata, il corpo completamente steso contro il suo e una mano che le tenne fermo il polso rimasto libero, le impedirono qualsiasi possibilità di scacciarlo o di guadagnare lo spazio necessario a lottare.

Il corpo della mora urlò per le ferite da poco guarite che vennero di nuovo martoriate; lei capì di stare emettendo un gorgoglio di rancore e frustrazione dalla gola al ricordo orrido che le diede la bocca nauseante e i palmi avidi del biondo su di sé, irrigidendosi del tutto scossa quando Toyu, sicuro della presa su di lei, mollò la presa sulla sua gola infilandole la mano sotto gli abiti.

Zakuro strozzò un urlo rabbioso inarcandosi per il ribrezzo e iniziò a colpire Toyu con ancora più foga, calciando e tirando pugni per il poco che riuscì a muovere le gambe e il braccio schiacciato tra sé e il biondo, ma lui non replicò che con dei lievi sbuffi mentre le sue dita schiacciarono bramose le forme della ragazza, graffiandole i seni e i fianchi con possessiva soddisfazione.

Zakuro si artigliò al torace dell'Ancestrale con rabbiosa frustrazione, non riusciva a scrollarselo di dosso e lei si sentì debole, incapace, come un bambolotto bistrattato da un bambino crudele.

« Sei stata un premio decisamente sudato, piccolo glicine selvatico – le soffiò Toyu roco quando decise di prendere respiro, la fronte sempre contro quella della mewwolf per tenerla ferma – non sperare che sia una cosa breve. »

Lei rispose ringhiando mentre provò a tirargli una testata.

Toyu fece per riavventarsi sulle sue labbra, ma stavolta la mewwolf riuscì a intercettarlo e con tutta la forza che potè imprimere alla mascella gli azzannò la lingua coi denti prima che tornasse a profanarle la bocca.

Il biondo buttò un grido soffocato e Zakuro dovette resistere al desiderio di vomitare, il di lui sangue che iniziò scivolarle verso la gola e a colarle lungo il mento, ma non mollò la presa finché Toyu, tentando di cacciarla, non accennò finalmente ad allontanarsi.

Pochi secondi. Non aveva altro tempo.

La mora aprì la stretta dei denti e appena il biondo, d'impulso, prese distanza per proteggersi da un ulteriore morso Zakuro si accorse di poter muovere tutta la spalla: gli tirò una gomitata alla testa con tutta la forza rimastale dopo i lunghi minuti di sterile lotta, quindi approfittò del suo sbandamento per colpirlo con il ginocchio nel plesso solare. Guadagnò un altro paio di preziosi, meravigliosi centimetri e potè tendere tutta la gamba centrandolo con una tallonata al petto; lo guardò sbandare indietro e ruotare su se stesso, confuso, imprecando e sputando mentre lei si concesse quel secondo appoggiata alla parete per non crollare, quindi fece ricomparire la sua frusta, pronta al contrattacco, lo sguardo fermo in quello feroce di lui che la trucidò da sopra la spalla.

Prima che uno di loro si muovesse, però, Toyu si bloccò all'improvviso. Zakuro lo guardò girare la testa di fronte a sé, gli occhi spalancati, e studiare confuso la lama che Eyner stava reggendo con la mano sinistra e con cui il bruno gli aveva appena trapassato il torace fino alla schiena.

Eyner storse un sorriso falso, colate di rosso dietro le orecchie e lungo il collo come ricordo del colpo che lo aveva scagliato lontano minuti addietro:

« Ti avevo avvertito, ricordi? – fece cupo, il respiro pesante – Una bella fiammata dritta nei polmoni. »

Il braccio sinistro di Eyner si tese con fermezza. Ruotò il jitte un altro po' dentro Toyu, come per essere sicuro che la preda non potesse fuggire; poi, un solo scatto delle dita.

L'Ancestrale ebbe solo un fremito: le fiamme bianche lo avvilupparono dall'interno a fuori in un battito di ciglia, dando appena  il tempo di scorgere l'orrenda immagine dei lapilli che gli fuoriuscirono dalla bocca e dagli occhi.

Un urlo che riecheggiò e si spense nello stesso momento, e il corpo di Toyu divenne una bambola di braci rossastre.

Zakuro distolse a fatica lo sguardo dal cadavere carbonizzato, le forze che l'abbandonarono facendola cadere in ginocchio sul pavimento. Sputò il sangue di Toyu che aveva ancora in bocca, i capelli glicine riversi di fronte al viso, e sbirciò tra le ciocche con il fiato grosso, sforzandosi di muoversi solo quando vide Eyner sfilare l'arma dal corpo ormai esanime del nemico e lasciarsi a sua volta andare a terra, finendo steso sulla schiena senza forze.

La mora gli arrancò incontro, ogni muscolo che gridò dal dolore e ancora la voglia di vomitare, trattenendo appena il fiato quando vide l'aspetto pietoso del bruno e le condizioni del suo braccio sinistro.

Parve che le fiamme gli si fossero rivoltate contro, o che le ferite che si era procurato settimane prima si fossero riaperte in toto nello stesso istante, riducendogli il braccio ad una maschera di tagli e spaccature sanguinolente.

« Eyner. »

« Sto bene. »

Replicò con poca energia e un sorriso storto prima di soffocare a stento un lamento; Zakuro lo studiò scettica e lo sentì emettere una sorta di risata stentata mentre lo aiutò a mettersi seduto:

« Decisamente no. »

Anche lei sospirò nervosa e gli passò leggera le dita sul viso e sulla nuca, tentando di capire come e in che quantità il colpo di Toyu lo avesse ferito. Sussultò quando lui le afferrò con dolcezza il polso:

« Perdi sangue. »

Le passò il pollice sul mento perdendo un po' di colore sul volto già pallido quando le pulì le tracce rossastre attorno alla bocca; Zakuro lo fermò scuotendo il capo:

« Non è mio. »

Lo rassicurò sottovoce e sperò che lui non si accorgesse del piccolo tremore che le attraversò le dita. Eyner continuò a studiarla interrogativo, ma Zakuro scostò l'attenzione cercando Purin e aiutandolo ad alzarsi, svicolando il discorso.

Aveva l'impressione di aver combattuto per anni, o almeno di essere rimasta sotto le mani di Toyu per ore; ringraziò in silenzio quando Eyner, ignaro, le chiese un po' di sostegno contro la spalla perché ancora incerto sulle gambe e lei posò la testa contro di lui, inspirando a fondo perché il suo profumo scivolasse in fondo ai polmoni e coprisse il tanfo che il biondo e il suo fiato le avevano lasciato nel naso.

Fortunatamente erano riusciti a tenere Toyu abbastanza lontano da Purin perché la ragazzina non fosse coinvolta neppure di striscio; era ancora priva di sensi, una brutta chiazza scura tra i ciuffi biondi della nuca, ma aveva preso a muoversi appena e a mugolare stordita: la mewwolf sorrise leggera nel vederla, cercando di non soffermarsi troppo sul ricordo dei punti che avevano messo proprio in testa alla biondina non più di un paio di settimane prima, né al fatto che avrebbero potuto esserci danni che lei non vedeva ancora.

« Muovila piano… »

Eyner, il braccio sinistro completamente inerme lungo il corpo, non sarebbe riuscito a portarla come si deve e aiutò Zakuro ad issarsi l'amica sulle spalle.

« Sei sicura di farcela? »

« Tranquillo. – e sottolineò la cosa alzandosi in piedi con la biondina in assoluta grazia – Meglio chi può tenerla con entrambe le mani. »

« Spiritosa. »

Zakuro gli sorrise stentata, osservandolo strapparsi un pezzo di maglia per arrangiarsi una benda con cui coprirsi il braccio ferito e legarselo al collo – tutto con una sequela di parolacce in lingua madre dette così piano e veloci da sembrare una maledizione – e avvertì un moto di freddo serrarle la bocca dello stomaco.

Non credeva che Eyner avesse visto cosa le avesse fatto Toyu, né lei da un lato voleva che lo sapesse, ma il pensiero ancora così vivido dell'Ancestrale che la toccava, la bloccava e la controllava, specie studiando il profilo del bruno, per un istante le fece tanto venir voglia di piangere.

« … Eyn. »

« Uh? »

« Dammi un bacio. »

Lui spalancò lo sguardo, confuso e un po' a disagio, più che per la richiesta in sé per il momento e il modo in cui Zakuro l'aveva posta: non era proprio nel suo stile uscirsene con frasi simili. Provò a formulare una protesta e si scoprì a guardare la mora preoccupato, il viso di lei coperto da un velo tormentato.

« … Che succede? »

Zakuro scosse ancora la testa.

Lo fissò dritto negli occhi ed Eyner ebbe l'orrida sensazione che i suoi fossero troppo lucidi perfino per la polvere che ancora volteggiava in aria:

« Zakuro…? »

« No. »

Non voleva parlarne, non subito; non lì.

Si diede della stupida, eppure non riuscì ad evitare di provare qualcosa di vago e paralizzante che identificò come vergogna e un sottile, sgradevole gusto amaro, forse senso di colpa. Se pensava in modo razionale sapeva benissimo che non avrebbe potuto in alcun modo contrastare Toyu da sola, che si era ribellata con ogni mezzo che aveva avuto, ma la cosa non la faceva stare meglio né alleviava alcunché; e questo non fece che montarle una cupa furia nel profondo.

Sentì la pelle sotto la divisa bruciare dove Toyu l'aveva artigliata. Quando fossero tornati indietro si sarebbero visti ancora i graffi? Di sicuro i lividi delle sue strette avrebbero avuto il tempo di maturare e definirsi, mostrandosi rossastri e scuri sulla sua pelle chiara.

Si detestò per quei pensieri stupidi che continuarono a vibrarle in fondo al cervello, non sapevano ancora neppure se sarebbero tornati.

Anche così, il distacco e il raziocinio non vollero esserle d'aiuto e non riuscì a calmarsi oltre l'apparenza.

« Fallo e basta. Per favore. »

Il suo tono piatto non diede concesse altri dettagli ed Eyner, scrutandola ancora attento, si rassegnò solo ad un sospiro e le prese la gota nel palmo, tirandola piano a sé. Forse non avrebbe mai avuto ulteriori delucidazioni, ma Zakuro gli apparve smarrita e amareggiata come nelle caverne di Belia, e la sola cosa che pensò valesse la pena fare fu farle capre che lui era lì, come quel giorno.

La baciò finché non la sentì mandare un leggere sospiro e rilassare i muscoli contratti del volto, quindi la vide accennargli un'espressione più quieta e assestarsi ancora Purin sulle spalle:

« Dai, cerchiamo di raggiungere gli altri. »

« Sei sicura? Possiamo prendere fiato ancora un momento. »

Lei lo studiò e fu tentata di ridacchiare, fu evidente che Eyner non fosse per nulla convinto di quanto aveva detto – in fondo era un militare, era stato addestrato a valutare quali opzioni sul campo fossero valide e restare fermi, in una situazione simile, di certo non lo era – però capì che sarebbe stato disposto a rischiare un attimo in più, se lei lo avesse chiesto.

« No. »

Prese un lungo respiro e per un secondo il suo sguardo guizzò sul corpo bruciato di Toyu; si conficcò con discrezione le unghie nei palmi voltando la testa disgustata e annuì con più energia:

« Non voglio rimanere qui un secondo di più. »

 

 

***

 

 

Per lunghissimi istanti la sua testa fu invasa da percezioni assolute, onde devastanti contro i suoi sensi che la resero incapace di riconoscere altro.

La luce bianca e accecante, che si espanse in un battito di ciglia occupando ogni angolo del corridoio. Il frastuono delle pareti che gemettero alla spinta contro di esse e contro le spaccature che ormai ne minavano la struttura, piangendo calcinacci e pezzi di mattone; sopra il loro lamento il grido di Lindèvi, secco, atroce, una pugnalata nei timpani che ebbe un picco proprio nell'istante in cui Minto, nelle sagome appena distinguibili nel bagliore, vide Kisshu raggiungere il suo obbiettivo.

Di colpo le grida della bionda si erano abbassate al punto da venire coperte dal flebile scalpiccio dei calcinacci.

Un urlo di Retasu.

La mewbird che ebbe l'impressione di gridare a sua volta.

Poi, silenzio assoluto. Buio.

Minto cercò di alzarsi, la testa che girava per l'esplosione, e si rese conto di essere bloccata in un anfratto tra le macerie, un angusto angolo di detriti invalicabili alle sue spalle e un percorso appena distinguibile di fronte a sé che si apriva in una spaccatura della parete originale dell'edificio, dentro un corridoio limitrofo.

Ed era da sola.

La morettina si alzò a fatica, il basso soffitto che la costrinse a muoversi per qualche metro quasi accucciata e chiamò a gran voce gli altri, i nervi tanto a fior di pelle da fare vibrare la voce in urletti striduli ogni volta che metteva un piede in fallo su un sassetto poco stabile; nessuno rispose e la paura iniziò a scivolarle nelle vene come un veleno, finché raggiungendo il punto più largo della cavità, dove questa aveva squarciato il lato del corridoio, non percepì un lamento sottile. Il gelo le serrò la gola.

Raggiunse un'apertura laterale alta poco meno di lei, ma larga a stento un palmo, un secondo di sollievo quando avvicinandosi sentì pronunciare il proprio nome.

« Minto? »

« Kisshu. »

Lei cercò di far passare quanto più potè il viso nella fessura riuscendo solo a sfregiarsi le guance e dovendo tornare indietro prima di lasciare la testa tra le due pareti; sbirciò il verde dallo spiraglio, seduto proprio accanto ad esso e che sospirò pesantemente quando riuscì ad intravederla:

« Erano cinque minuti che mi rispondeva solo l'eco…! »

« Sorvoliamo. – tagliò corto lei con un inspiegabile sospiro divertito e poi protestò – Ma cosa cavolo ti è saltato in mente?! »

« Che vuoi dire? »

« Saltare addosso a Lindèvi a quella maniera! – precisò sconvolta per la semplicità della domanda – Come andare a tirare la coda ai coccodrilli! »

« Cosa volevi, continuare a giocare a "tritacarne vs bistecche"? »

Ribattè sarcastico e s'interruppe con un sibilo. Minto si protese di nuovo contro la fenditura:

« Che c'è? »

« Niente, niente, credo solo che qualcosa mi sia caduto in testa… Qui c'è un bernoccolo da concorso. »

« Tranquillo, tanto non c'è pericolo che quella tua testa di granito si sia rotta. »

« Ah. Ah. Ah. »

Minto rise di nuovo nervosa, più per stemperare la tensione che perché trovasse un che di divertente nella cosa. Con la coda dell'occhio notò un'ombra a terra nella stanza, poco lontano da Kisshu, ma dovette muoversi un paio di minuti per trovare la giusta angolazione dal varco che le permettesse di capire cosa fosse.

Trattenne un momento il fiato e vide Lindèvi, orrendamente riversa a terra con la faccia all'insù e la bocca storta nell'ultimo urlo che aveva emesso, il colletto dei vestiti bianchi inzuppato di rosso per la gola squarciata.

La mewbird strinse s'istinto gli occhi prima di prendere un lungo respiro calmando nervi e conati, non potendo non invidiare – o forse, temere – l'assoluta noncuranza del verde per la scena; era impossibile che Kisshu non avesse notato la presenza del corpo della bionda, ma questo parve riscuotere da lui la stessa attenzione di un pezzo di intonaco.

« A parte quello… Sei intero, vero? »

« Non ti fidi proprio di me, eh? »

Scherzò il verde e lei rispose con uno sbuffo, allungando le mani nella spaccatura e raggiungendo a fatica la manica della sua maglia. Kisshu addolcì il sorrisetto sprezzante:

« La pesciolina e la palla di pelo? »

« … Speravo fossero con te. »

Mormorò la mora preoccupata e Kisshu soffiò tra i denti:

« Cazzo…! »

« Dobbiamo cercarli subito. »

« Passerotto, ho grande stima del tuo corpicino, ma dubito che quel bel culetto o qualcosa di più grande della tua mano possa passare da lì. – fece sarcastico scrutando la spaccatura accanto a sé – Qui non ci sono altri passaggi di sorta… E io non so ancora rendermi bidimensionale. »

Minto riflettè sulla cosa e aggrottò la fronte intuendo le successive azioni che Kisshu voleva suggerirle:

« Non se ne parla. Non mi muovo da sola. »

« Non abbiamo altra scelta. – insisté lui più fermo – Senti tu hai modo di spostarti? »

« Io non ti lascio li dietro con…! Quella! »

« Dubito che farà lo zombie. »

« Questo non…! »

« Cornacchietta dammi retta per una volta. – sospirò secco – Fare Romeo e Giulietta da qui non sarà di aiuto. Cerchiamo di muovere il culo e scovare un buco da cui uscire, magari trovare gli altri. »

Minto strinse i pugni contro la parete, seccata che avesse ragione e ancor di più di stare protestando come una bambina di fronte all'evidenza dei fatti. Lo vide muoversi e affacciarsi quando più possibile nell'apertura, strizzandole l'occhio:

« In tutto questo non ho ancora avuto un ringraziamento o un premio per l'ottimo lavoro svolto. »

Lei mandò un verso esasperato e rise, una risata angosciata per non seppe che ragione e che le tremò in gola quando, a fatica, si raggiunsero per baciarsi; le sfuggì un vero e proprio singhiozzo quando Kisshu si allontanò, una paura indistinta all'idea di affrontare qualsiasi cosa ci fosse nel buio da sola e lasciar fare altrettanto anche a lui, che invece si limitò a sorriderle furbo. Prese un gran respiro calmandosi e lo fissò severa:

« Giuro che se fai qualche stupidaggine ti ucciderò con le mie mani. »

« Certe volte sai essere davvero noiosa passerotto. – fece divertito –  Anche se resti fantastica. »

Lei roteò gli occhi e scosse la testa.

« Sempre e solo stupidaggini da quella bocca. »

Il verde ignorò la cosa scrollando le spalle:

« Sarà per questo che ti amo. »

Ci fu silenzio. Lui evitò quantomeno di ridere, anche se la tentazione fu fortissima nel vedere la faccia attonita di Minto, che processò la sua frase arrossendo inequivocabile e squadrandolo allibita:

« … Ti pare il momento?! »

« Quale momento migliore? »

« Sei davvero il peggiore degli idioti! – gli sibilò senza fiato alzandosi in piedi e poi riaccucciandosi solo per poterlo vedere ancora in faccia – Sappi che ne riparleremo. »

« Vorrei ben vedere. »

Replicò con un ghignetto allusivo e la guardò arrossire un altro po', prima di rivolgergli un mezzo sorriso e decidersi finalmente ad andare.

Kisshu rimase fermo finché non fu sicuro che Minto non fosse più a portata di orecchio, quindi si abbandonò di schiena contro la parete e si strinse il fianco sinistro soffiando a labbra strette; per fortuna era rimasto troppo vicino all'apertura perché la mora potesse vedere quel lato di lui.

Scostò lentamente la mano che avvertì bagnarsi di liquido caldo e sbuffando forte cercò di abbassare la testa senza piegarsi su se stesso, imprecando alla vista dei cinque grossi tagli che Lindèvi era riuscita ad incidergli addosso: cinque spacchi nella carne, dalle reni in avanti fin quasi all'ombelico, e che in quel momento stavano sanguinando ancora troppo copiosi per ignorarli.

Il verde battè la testa contro il muro scrutando la piccola sacca d'aria in cui il colpo della bionda lo aveva rinchiuso, ammirando la totale assenza di aperture, varchi o passaggi.

Nessuna via di fuga.

« … Merda. »

 

 

***

 

 

« Lasa-san stai bene? »

La donna non rispose subito sorreggendosi un poco al bordo del tavolo, l'altra mano che si sfiorò la pancia ormai rotonda. Aveva creduto fosse stato il piccolino a fare un movimento più brusco e sentito del solito – il primo, sapeva, di una lunga serie da lì al giorno stabilito per il termine – ma era stato diverso da un calcetto o da uno stiracchiarsi del fagottino in arrivo.

Era stato quasi un brivido che le aveva contratto tutto il corpo dalla gola all'addome per una frazione di secondo.

La piccola Sury, seduta accanto a lei, smise di disegnare e la guardò preoccupata allungando una manina sulla sua pancia:

« Hai male? »

Lasa la studiò un secondo e poi le sorrise confortante, posando la mano sopra la sua:

« No, stai tranquilla cara. Tutto a posto. Solo inizia a muoversi un pochino e, sai, loro non si preoccupano ancora di cosa colpiscano coi loro piedini. »

Sury sorrise rasserenata, fece una carezza veloce alla pancia e si avvicinò fin quasi a poggiarci contro la bocca:

« Stai tranquillo, i nostri fratelloni torneranno prestissimo. »

Lasa si lasciò sfuggire un sospiro divertito, annuendo partecipe al sorrisone che la bambina le rivolse, e lisciandole i capelli scuri la lasciò tornare ai suoi disegni mentre con dita nervose si sfiorò ancora il ventre.

 

 

***

 

 

Fu come avere un punteruolo sbattuto ripetutamente contro la tempia: Pai impiegò tutto il suo autocontrollo per non prendere ad imprecare sottovoce dalla rabbia e, magari, fomentare il martellio. Una parte di sé avrebbe perfino afferrato la coda di Ichigo per strapparle quel maledetto campanellino, ogni tintinnio era un'accecante fitta al cervello, ma non gli sembrò il momento adatto per intavolare l'ennesima sterile discussione con la mewneko; anche perché la rossa non aveva molte scelte in quanto abbigliamento, e almeno parve cercare di far meno rumore possibile solo per non acuire il silenzio tra un trillo e l'altro.

In verità Ichigo stava cercando perfino di non respirare, il vago terrore che potesse spuntare qualcuno da un momento all'altro e l'impressione che il frammento dentro di lei le formicolasse nel petto, un avvertimento, o piuttosto un bersaglio invisibile piantato contro il suo cuore.

Arrivò addirittura a cercare ombre opalescenti tra gli sprazzi di luce, sperando di intravedere ancora una volta Tayou o Luz che la rassicurassero, ma non vide altro che corridoi vuoti.

« Pai? »

« Huh? »

Nel silenzio Taruto strinse le labbra un momento e le socchiuse di nuovo per parlare, mantenendo il silenzio generale. Scostò con discrezione la coda dell'occhio su Ichigo, come per accertarsi che non potesse sentirlo, quindi deglutendo piano e abbassando ancora la voce mormorò:

« La senpai starà bene vero? E anche… »

S'interruppe nuovamente gettando una scorsa discreta alla mewneko dietro di sé, controllando ancora che non avesse ascoltato. Il moro non diede adito ad avere ascoltato il ragazzino, limitandosi a rallentare il passo un istante e poi a riprendere l'andatura.

« Inetaki non sarà certo un problema. »

Fece solo dopo qualche momento, laconico. Taruto si rese conto benissimo che aveva eluso la seconda parte della domanda, ma in fondo nemmeno lui era sicuro di voler ascoltare le razionali supposizioni del fratello sulla sorte del resto del gruppo.

Nel suo angolino alle loro spalle Ichigo, fingendo di non aver sentito, abbassò appena la testa e si morse il labbro inferiore.

MoiMoi. Ancora non riusciva a credere di essersi lasciata convincere a lasciarlo da solo: sapeva bene che lui fosse molto più forte di Lenatheri e che avesse motivazioni sufficienti a vincere contro chiunque, ma la rossa continuava a sentirsi in colpa.

Per non parlare di…

« Starà bene vero? E anche… »

Gli altri, ecco come voleva continuare Taruto. Lo aveva capito lei, figurarsi Pai. Eppure anche lei ringraziò che, qualsiasi fosse il suo pensiero, il moro se lo fosse tenuto per sé.

Dov'erano finiti tutti? I crolli avevano ferito qualcuno? O erano entrati in contatto con gli Ancestrali?

Minto… Purin, Kisshu, Zakuro, Eyner, Retasu…

Il pensiero della verde per un secondo le fece sollevare di nuovo lo sguardo su Pai e la mewneko si sentì ingiusta: non era la sola preoccupata, né la sola che aveva qualcuno di terribilmente importante lontano da sé.

La mano guantata della rossa si artigliò al pelo dello scollo a cuore sul corpetto rosa.

Ryou.

L'ultima immagine che aveva del biondo era un indistinto profilo catturato con lo sguardo in mezzo al corridoio che collassava, prima che il pavimento la inghiottisse.

Se solo… Se fosse stata in grado come lui di trasformarsi in gattina a comando, forse sarebbe riuscita ad avere più movimento e… Se fosse saltata, se avesse… Se fosse scattata un momento prima…

Un amaro senso di colpa tornò a pruderle la gola, stava ragionando solo attorno al biondo tralasciando gli altri, però non riuscì a fare a meno di pensarci. Avrebbe dato qualsiasi cosa per averlo accanto, per essere certa stesse bene.

La mewneko serrò ancor di più le dita sul proprio abito. Quel posto le sembrò inghiottire nell'oscurità il tempo e i ricordi, oltre che la luce e i suoni.

Ryou…

Tutta quell'estate; i litigi, il non detto. La festa in giardino. La confessione a Lirophe. La settimana prima della Celebrazione, la battaglia della Prima Luna, i giorni di attesa. La sera precedente, sulla navetta… Parve tutto appartenere a secoli prima, un altro universo, probabilmente ad un'altra vita.

« Quando sarà tutto finito sarà quella, la tua vita. Non puoi lasciare andare tutto solo perché adesso c'è un'inaudita confusione.

« Tutto tornerà come dovrebbe essere, e tu avrai la tua vita. Una comune vita di una persona normale. »

« Shirogane, mi spuntano delle orecchie da gatto e una coda. »

« Una vita normale con risparmio di accessori sul cosplay. »

Ichigo si chiuse l'altra mano sulla bocca accorgendosi di stare ridacchiando; aveva dimenticato quella conversazione con il biondo.

Una comune vita di una persona normale.

A pensarci in quel momento, che fosse normale o incasinata le sembrò il bisogno meno importante.

Ciò che conta è ci sia tu con me.

Sovrappensiero non si accorse del braccio che Pai tese di lato e rischiò di finirci contro, indietreggiando confusa e scrutando attorno finché il cuore le si ghiacciò in petto capendo che qualcuno stava camminando nella loro direzione.

Qualcuno che non avrebbe voluto incontrare.

Prima che lei o uno dei ragazzi riuscisse a reagire un'onda di energia bianca squarciò il pavimento a metà correndo nella loro direzione. I tre si scostarono all'ultimo secondo mentre il colpo proseguì schiantandosi da qualche parte nell'oscurità ed estrassero le armi, pronti ad attaccare.

« Che seccatura. Per quale assurda ragione vi siete divisi? »

Pai trattenne un'imprecazione, tra tutti i guai che potevano arrivare Arashi era il meno sperato; Taruto invece, nel vedere il biondo con la sua enorme scure al fianco, mostrò i canini ferini stringendo la presa sui suoi pugnali:

« Tu, brutto stronzo…! »

Pai mosse appena il suo ventaglio per fermarlo dal saltargli al collo e sbirciò Ichigo dall'altra parte del corridoio.

Se si fosse avvicinato si sarebbe accorto del frammento, così aveva detto Ao No Kishi.

C'era da sperare che, almeno su quel punto, si sbagliasse.

« Vediamo di risolvere la cosa in fretta. »

Sbuffò Arashi e Taruto schioccò la lingua velenoso:

« Sì, diamoci una mossa, bastardo! – soffiò minaccioso – È anche colpa tua quello che è successo al senpai, non sperare ti lasci andare così! »

« Se vuoi provare a vendicarti sei liberissimo di farlo – replicò incolore il biondo imbracciando la scure con entrambe le mani – ma non pensare che chicchessia possa affrontare facilmente qualcuno della Stirpe Pura. Specie un ragazzino uno come te. »

Concluse con un sorriso malefico. Il brunetto fumante di rabbia si tirò dritto pronto a saltargli addosso, incurante dell'energia che iniziò a sprigionare l'Ancestrale e che gli avvolse il corpo in un manto iridescente, ma rimase immobile quando come Arashi e Pai si accorse di un'altra luce poco distante da sé. Gli si arrestò il sangue nelle vene.

Ichigo per poco non perse la presa sulla sua campanella mentre vide il frammento nascosto nel suo petto reagire, probabilmente, all'energia di Arashi e prendere a splendere come un raggio di sole.

Nessuno si mosse, il biondo che abbassò l'arma corrucciandosi dubbioso.

Poi, ignorando gli altri due, si lanciò contro la rossa.

Ichigo lanciò un colpo e scartò in avanti puntando a terra per schivare il fendente circolare della scure, sgusciando sotto Arashi e allontanandosi tentando di nuovo di colpirlo; il Ribbon Strawberry Surprise arrestò l'Ancestrale solo una manciata di secondi e poi lui le fu di nuovo addosso, gli occhi color ghiaccio decisi e l'arma pronta a tranciarla in due.

« Non so cosa significhi – sentenziò gelido – Ma qualsiasi frammento del Dono degli Avi appartiene al mio signore. »

« Fuu Rai Sen! »

Ichigo soffocò uno strillo quando una scarica di fulmini sfrigolò tra lei e il biondo, ritraendo pigolando un piede prima che un pugnale di Taruto le trapassasse lo stivale.

« Vai! »

La rossa si tirò in piedi, confusa nel vedere i due frapporsi fra lei e Arashi e spingerlo con tutte le forze più lontano possibile, finché non vide Pai girarsi nella sua direzione e urlarle arrabbiato:

« Vattene! Adesso! »

La mewneko ancora non si mosse, comprendendo, ma incapace di scappare.

Certo, se Arashi l'avesse agguantata, ora che aveva scovato il frammento dentro di lei, l'avrebbe uccisa per prenderlo vanificando il minuscolo margine di azione che avevano tutti loro contro Deep Blue.

Ma scappare… Lei non…

Arashi sbuffò iroso e imbracciato il manico della scure spinse con entrambe le braccia per allontanare gli avversari, lanciandosi ancora contro Ichigo e deviando all'ultimo momento per evitare un pugnale di Taruto diretto al suo cranio.

« Ichigo, scappa! »

L'ordine del brunetto fu soffocato da un colpo con l'impugnatura della scure dritto in faccia e d'istinto la rossa cercò di muoversi in aiuto, venendo spinta indietro in malo modo da Pai che centrò Arashi con una pioggia di schegge gelate:

« Vattene, stupida! »

Lei restò ancora ferma con l'arma a mezz'asta, scuotendo appena la testa mentre vide il moro e Taruto cercare di sopraffare senza successo l'Ancestrale, sempre più seccato e feroce nel colpirli.

Avevano ragione, ma lei non voleva… Non poteva…

Pai imprecò sottovoce e si scambiò un'occhiata rapida con Taruto.

Prima che Ichigo muovesse un passo i due jeweliriani agguantarono Arashi per le braccia e scomparvero in uno schiocco di teletrasporto, lasciando la ragazza sola.

 

 

***

 

 

« Ecco, ci siamo… Da questa parte… »

Con il suo solito sorriso Retasu porse la mano a Ryou per aiutarlo a scendere lungo lo scosceso ammasso di detriti su cui si erano arenarti; lui alzò scettico un sopracciglio, la mewfocena doveva ringraziare il grande affetto che provava nei suoi confronti e la sua incapacità di risponderle bruscamente quando gli sorrideva con tanta gentilezza, però doveva ammettere che la sua premura in quel frangente lo fece sentire un po' inutile. Non che lo fosse poco, malconcio com'era, con la schiena ridotta a brandelli e la capacità di movimento di uno zoppo.

Si lasciò guidare dalla ragazza in fondo alla discesa, l'orgoglio che guizzò offeso nel constatare che l'appoggio di Retasu fu fondamentale per toccare la meta senza piegarsi sulle ginocchia, e i due raggiunsero finalmente un corridoio tale in aspetto e dimensioni. Non c'erano zone crollate oltre a quella da cui erano arrivati, niente macerie o pareti distrutte.

E, purtroppo, nessuna traccia degli altri.

« … Ci conviene proseguire. – disse solo Ryou – Risalire sarebbe troppo faticoso, e sappiamo che è un vicolo cieco. »

Retasu, il volto teso mentre strinse le labbra, si sforzò di annuire con energia. Provò ad offrire ancora il suo appoggio al biondo per camminare, ma lui prendendo un gran respiro si avviò da solo a passo claudicante e alla verde non restò che seguirlo.

 Non si rivolsero altre parole e perciò il rumore del teletrasporto rimbombò tanto nel passaggio vuoto quanto nelle loro orecchie.

Retasu imbracciò le nacchere con tanta forza da sentirsi formicolare le dita, ma ugualmente rischiò di farsele cadere dalle mani quando vide chi fosse spuntato alle loro spalle.

« Retasu nee-san! »

« Taruto-san…! »

Il nome del brunetto le uscì dalle labbra in un rantolo; mosse un passetto per andargli incontro, poi focalizzò alle sue spalle e, sgranando gli occhi, cambiò bruscamente direzione sorpassando il ragazzino e corse con passo scomposto incontro a Pai. Gli cinse il torace in un balzo, senza badare che lui le lasciasse spazio e focalizzando solo dopo che il moro l'aveva aspettata a braccia aperte, stritolandola forte a sua volta seppur con fare più composto:

« … Stai bene? »

Lei si limitò ad accennare in assenso, il viso premuto contro la maglia di lui mentre le bisbigliò contro la tempia.

« Siete soli? – domandò Ryou frustrato guardandoli – Non c'era nessun altro con voi? »

« C'era Ichigo – rispose spiccio Taruto – però abbiam- »

S'interruppe di colpo scambiandosi un'occhiata con Pai, che portandosi protettivo Retasu dietro la schiena iniziò a scrutare con il fratello nell'oscurità:

« Dove diavolo è finito? »

« Chi? – chiese ancora brusco Ryou – E dov'è Ichi…?! »

Stavolta fu il biondo a bloccarsi a metà frase, scartando di lato assieme agli altri l'istante prima che una lama d'energia lo riducesse in cenere. L'americano atterrò dal suo balzo a pochi metri di distanza e dovette mordersi la lingua perché non lo sentissero lamentarsi: appena i suoi piedi ebbero ritoccato terra, una scarica di dolore gli risalì lungo le ferite sulla schiena facendogli tremare le ginocchia e, per poco, non lo aveva fatto accasciare a terra come un sacco vuoto. Prese alcuni lunghi respiri rasposi, tutta la zona sotto alle scapole che bruciò come lava al minimo refolo d'aria annebbiandogli i sensi, e alla vista di Arashi imprecò sottovoce.

Qui rischio di rimanerci.

« Voialtri siete… Davvero solo un gigantesco fastidio. – sibilò l'Ancestrale squadrando seccato Taruto e Pai – Come se il vostro gesto fosse servito. Rintracciare la gatta mi ruberà qualche momento, avete allungato la sua vita solo di pochi minuti. »

Retasu e Ryou sbiancarono e sbirciarono con la coda dell'occhio gli altri, increduli, e Pai annuì grave.

« Però forse dovrei ringraziarvi. Avete velocizzato i miei compiti riunendovi. »

Taruto replicò grugnendo un'imprecazione indefinibile. Ryou si scoprì a ringhiare sottovoce, consapevole che avessero tutti avuto lo stesso pensiero: qualsiasi fossero gli ordini ricevuti da Arashi, dovevano fermarlo lì, in quel momento.

Se avesse raggiunto Ichigo avrebbero perso tutto.

L'americano strinse il bordo dei jeans per farsi forza e mettersi più dritto possibile in barba alle fitte lancinanti delle ferite.

« Vi concedo di arrendervi. – disse ancora Arashi con un assurdo sorrido divertito – In cambio, farò in modo di darvi una morte indolore. »

Non si stupì delle occhiate taglienti che ricevette da Retasu e dai due jeweliriani; un poco, invece, del ghigno di Ryou che a dispetto del volto pallido gli sorrise malevolo e con grande energia.

Doveva essere stata l'influenza di Kisshu. Non trovava altra spiegazione al perché della propria risposta, o al perché gli venisse da ridere alla consapevolezza di stare abbracciando il destino come un bombarolo suicida.

« Kiss my ass, son of a bitch. »

 

 

***

 

 

Ichigo corse di qua e di là, fermandosi e tornando sui suoi passi senza decidersi, in preda al panico.

Arashi sapeva del frammento. Gli Ancestrali, Deep Blue avrebbero saputo…!

E Pai e Taruto erano…! Con Arashi…!

Cosa faccio?! Cosa devo fare?!

Era nel panico. Completamente sola si muoveva incapace di perdonarsi oltre il rimanere immobile, ma nell'ansia che ogni suo singolo passo avrebbe potuto condurre tutti loro alla sconfitta.

« Cosa faccio…?! »

Prosegui, Ichigo.

La rossa si bloccò in mezzo ad una falcata e drizzò le orecchie, cercando il punto d'origine del flebile monito che aveva udito e trovando solo vuoto.

« … Tayou? »

Sì.

« Dove sei? »

Qui.

Ichigo replicò grugnendo esasperata e potè giurare di sentirlo ridere piano.

Non ho più forze per assumere una forma visibile. Ma sono qui con te.

« Che vorrebbe dire "prosegui"? – sbottò nervosa – Sono rimasta da sola! Non posso affrontare Arashi e gli altri da sola, e se li incrociassi finirei per servirgli il frammento su un piatto d'argento! »

Non temere. Gli Ancestrali ora non devono darti pensiero.

« Cos…? »

Tu ora devi raggiungere Deep Blue.

« Mi stai prendendo in giro?! – eruppe esasperata – Mi hai manipolata, facendomi abbandonare un amico, mi hai messa in guardia di proteggermi perché Deep Blue non ottenesse questo stramaledetto pezzo di cristallo… E ora devo portarglielo?! »

Ascoltalo, Ichigo.

L'invettiva della rossa si spense in un refolo nel sentire la voce a stento udibile e così familiare:

« Luz… »

La mewneko cercò ancora segni, baluginii della presenza della bionda, ma vide solo buio; eppure seppe in qualche modo che lei era lì, ne percepì la presenza rassicurante al fianco proprio come se la ragazza le stesse sfiorando confortante la spalla.

Ascolta. È vero, ti abbiamo detto di non metterti in pericolo, di tenere il frammento lontano da Lui. Ma adesso non devi più temere, anzi, ora puoi usarlo.

« Usarlo? – Ichigo scosse la testa confusa – Ma io non… Non è un frammento che posso toccare, e anche se lo fosse non ho con me il Mew Aqua Road per attivarlo. »

Le parve che la ragazza sorridere con dolcezza e si domandò se non stesse impazzendo, a furia di sentire voci dal niente e supporre con sicurezza cose che non poteva vedere.

Arashi e gli altri non possono più farti del male.

« Ma- »

Non temere.

La precedette e stavolta Ichigo potè giurare che qualcosa simile ad un soffio d'aria impalpabile le avesse scostato con affetto un ciuffo dall'orecchio.

Abbi fede nei tuoi amici.

La rossa scosse la coda felina, quella invece fu sicura fosse una frase detta solo per tenerla tranquilla. Però del resto Luz le stava dicendo solo di fare quel che aveva sempre fatto, e in fondo il passato non le dava validi motivi per cambiare atteggiamento.

Ichigo. Deep Blue ha quasi terminato di assorbire il Dono che aveva con sé, ma questo significa che il tuo frammento non potrà più unirvisi.

« A meno che Deep Blue non me lo cavi fuori dalla cassa toracica. »

Ribattè la rossa aspra e sentì Luz sospirare dolente.

È vero.

Ma finché non riuscirà a sconfiggerti, il frammento sarà tuo. Tu avrai in te lo stesso potere che emanerà lui, potrai contrastarlo.

« Lui aveva un cristallo intero! – replicò ancora la mewneko – Io ho una scheggia. »

Una scheggia in grado di amplificare la tua forza. Lo sai, lo hai già sperimentato.

Lei non ribattè all'affermazione di Tayou, continuando ad essere poco convinta: sì, era vero, il MewPower veniva incrementato dalla MewAqua, lo avevano provato più volte nella lotta di tre anni prima; lei però ricordava anche quanto fosse devastante la potenza di Deep Blue e con quanta fatica gli avesse tenuto testa senza riuscire a contrastarlo, vincendo solo perché Masaya aveva trovato la forza di ribellarsi uccidendo il mostro che lo aveva posseduto.

Tu puoi batterlo.

Insisté la voce di Tayou e Ichigo ebbe la sensazione che anche lui, ora, le si trovasse accanto.

Puoi vincere. Devi.

La frase non suonò troppo autoritaria come le parole lasciarono intendere, ma la rossa sconfortata pensò che aveva davvero ragione.

Doveva vincere.

Non c'erano altre alternative.

Noi saremo con te per tutto il tempo, Ichigo.

La confortò ancora Luz e la rossa si lasciò sfuggire un sorriso; avrebbe tanto voluto poter vedere anche il viso della ragazza, oltre a sentire la sua voce, era certa che avrebbe ottenuto molta più forza.

Ti guideremo per la strada giusta.

Riprese Tayou. Ichigo si domandò in che modo e, prima che potesse chiedere, vide un bagliore minuscolo illuminare a giorno uno dei corridoi ad una decina di metri da sé, al bivio successivo; la luce durò un istante, poi si riaccese e si rispense pigramente con la stessa velocità. La sensazione fu di un minuscolo faro invisibile, che però la stava per condurre dritta sugli scogli e non su una spiaggia o in un porto sicuro.

Cercò di non pensare ad una scena spaventosamente simile, con lei a vagare per corridoi deserti e del suo incontro alla fine del sentiero con l'essere dagli occhi di ghiaccio che le aveva strappato il ragazzo che amava.

Quella volta non era finita per nulla bene.

Hai paura?

La domanda di Luz la sorprese, si sarebbe aspettata un altro incoraggiamento e non una cosa simile.

« … Sì. »

La bionda non aggiunse altro e Ichigo avvertì un pizzicore lievissimo alla mano, come se le dita più delicate del mondo gliel'avessero stretta. Drizzò le spalle con un sospiro, facendo propria quella sensazione e traendone ogni grammo di energia positiva possibile, quindi seguì lentamente la lucina nel buio, il campanellino sulla sua coda che tintinnò come un'allegra e inquietante marcetta funebre.

 

 

 

 

 

 

 

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Certo che so come far finire i capitoli in allegria eh ^^""?

Tutti: ammazza -.-"!

Lo so è corto, mi sono scervellata nel dubbio fino all'ultimo, ma tagliare qui era cosa buona e giusta -w-

Tutti: opinabile come affermazione -.-***!

Poi il lettore beta ha approvato dicendo che c'è cmq una pupagna di roba e che secondo lui venti pagine di word sono fin troppe xD perciò :P…

Kisshu: ah, ecco di chi è la colpa!

Tu zitto e resta a morire nel tuo angolino!

Minto: COSA?!

Stai buona pure te, mi ci manchi ^^""…

Ringraziamenti doverosi non solo a tutti voi che mi seguite, qui e in pagina, ai lettori e a chi ancora non mi ha lanciato maledizioni xD, ma anche a Hypnotic Poison che per tutto questo tempo mi ha dato il tormento su quando avrei aggiornato xD senza mandarmi troppo a cagare e senza perdere le speranze ♥  a TheRosablue91, alle irriducibilissime (vi adoro ♥ ) LittleDreamer90, mobo e Cicci12 e ovviamente a Sissi1978. Un bacio a tutte voi ♥

Non prometto l'aggiornamento nelle due settimane perché se ritardassi il mio karma andrebbe del tutto a balengo ^^"", ma prometto di non metterci tanto di più ♥  mi impegno con tutto il corazon 


Mata ne
~ ♥!

Ria

 

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Capitolo 56
*** Toward the Crossing: tenth road (part III) ***


Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: 
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Farai felice milioni di scrittori. 

 

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Titolo incoraggiante per tutti ♥  citando un mito… SFRAKATZAMENTO!!

Tutti: che?!

Botte sangue & viulenza sparse ♥

Tutti: … va a farti f****re z****la -.-"

 

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Cap. 56 – Toward the Crossing: Tenth road (part III)

                Corpse Party

 

 

 

 

I primi passi che compì nella grande sala furono lenti, ponderati, pesanti sul pavimento lucido intanto che si accertò dell'effettiva fisicità del proprio corpo. Con un sospiro leggero e profondo Deep Blue si raddrizzò in tutta la sua altezza, stese morbidamente le braccia e distese e chiuse le dita come per verificare con certezza assoluta la mobilità di ogni muscolo, nervo, giuntura.

Era pronto.

Abbandonò indietro la testa verso le spalle ascoltando tutti i rumori prodotti dalla propria persona, così banali, così ovvi e confortanti.

La veste che frusciò attorno al corpo. I capelli nero notte che scivolarono dalle spalle lungo la schiena ondeggiando lunghi e sottili. Il respiro calmo che gli invase la gola, il naso, i polmoni, ogni goccia di sangue.

Era tornato.

Il sorriso sulle labbra sottili si stese e scomparve rapidamente mentre l'antico sovrano si decise ad aprire gli occhi, voltandosi seccato verso la parte della sala che si chiudeva a goccia e proseguiva in direzione del resto del palazzo.

Ora che aveva modo di prestare loro attenzione gli fu chiaro che la presenza dei suoi subalterni fosse divenuta appena percepibile.

« … Inutili sciocchi. »

Sbuffò un istante e ignorò la questione, non che apprezzasse ricominciare la propria conquista con solo l'appoggio del suo luogotenente, ma in fondo anche la sua presenza era superflua vista la propria potenza.

La sconfitta era alle spalle.

L'umiliazione della disfatta.

La prigionia.

I ricordi e le voci degli spettri di Tayou e Luz che ormai tacevano domati.

 

 

***

 

 

Si ricordava il primo giorno all'Accademia alla perfezione. Come non avrebbe potuto, in fondo?

Già era eccezionale la sua presenza, a soli sei anni, senza contare quanto fosse straordinaria la ragione del suo essere lì così presto.

Sua madre non era stata convinta, proprio per nulla, e pure dopo che suo padre aveva cercato di blandirla era rimasta decisamente contraria.

« È ancora troppo piccolo per partecipare all'addestramento vero e proprio – l'aveva rassicurata Iader – ma lo sai anche tu… Un potere come il suo non può essere trascurato. »

« Lo pensi sul serio, o è l'Armata a pensarlo? »

« Andiamo tesoro – aveva insistito l'uomo, un po' ferito dal tono – lo sai che non permetterei mai una cosa simile, però li capisco. E capisco che sarà molto meglio se sarà seguito da qualcuno di cui mi fido e prenderà coscienza della cosa, piuttosto che lasciarlo sperimentare da solo e poi magari vederlo venire trascinato di fronte al Consiglio Maggiore per chissà quali progetti. O punizioni. »

Taruto, quando aveva ascoltato quella conversazione, aveva visto la madre irrigidirsi alla frase e anche lui, pur non capendone del tutto il senso, era rimasto spaventato. Lasa aveva sospirato preoccupata:

« Ti fidi davvero? »

Iader aveva sorriso furbo:

« Non avrebbero potuto scegliere nessun altro e io non avrei potuto sperare in qualcuno di meglio. Ti assicuro, Taruto sarà in ottime mani. »

Appena aveva ricevuto il permesso da entrambi i genitori Taruto era esploso in brodo di giuggiole; mai però tanto quanto aveva scoperto chi sarebbe stato il suo custode.

Sando Okorene era una specie di leggenda per lui, ne aveva sentito parlare così tanto da Kisshu e da Pai, soprattutto dopo aver scoperto la sua abilità unica che l'accumunava al giovane maggiore: se uno ci rifletteva sarebbe stato abbastanza chiaro e logico che il brunetto sarebbe finito sotto la sua ala protettiva, primo membro dell'Armata dopo decenni che fosse un manipolatore vegetale, ma al piccolo Taruto appariva unicamente come un evento eccezionale.

Così quella mattina, ricordò bene, aveva atteso di incontrarlo scattante come una molla, passando tutto il tempo a torcersi le mani dietro la schiena e a saltellare sulle punte dei piedi cercando di non sorridere troppo, felice come non mai.

Felice e anche un po' terrorizzato.

Sapeva benissimo che Kisshu avesse la passione per prenderlo in giro, ma non era riuscito a togliersi dalla mente come avesse descritto Sando bombardandolo tutta la settimana.

« Vedessi, è una specie di gigante…! Potrebbe staccarti la testa con una mano. »

« Kisshu, piantala di dire cretinate. »

« E poi ha un caratteraccio. »

Aveva insistito il verdino ignorando Pai, che a quella nuova affermazione aveva taciuto agitando soltanto di più Taruto.

« Scommetto che quando si vede appioppare un pidocchio come te da di matto e ti lancia fuori dall'Accademia come se fossi una palla! »

« Io non sono un pidocchio! »

Kisshu aveva sghignazzato dispettoso, incurante delle proteste del brunetto o dei rimproveri di Pai.

A pochi minuti dal dover incontrare di persona il maggiore, Taruto aveva iniziato ad avere la tremarella.

Se Sando fosse stato davvero un gigante rabbioso come lo aveva descritto Kisshu? Lui di sicuro non faceva tanta impressione sugli adulti, era piccolino e magro, un mocciosetto, e non era nemmeno così bravo con le piante come si vantava sempre, al massimo sapeva far germogliare qualche rametto striminzito.

Aveva sbirciato di sottecchi il soldato dall'aria annoiata che lo aveva scortato fino a lì e che gli stava facendo da guardia, all'improvviso avrebbe tanto voluto che ad accompagnarlo ci fossero stati i fratelli, oppure suo padre. Ma al comando avevano raccomandato che la questione fosse trattata nel modo più ufficiale possibile e la presenza di Iader sarebbe potuta apparire come un conflitto d'interessi: Taruto non aveva capito benissimo cosa intendessero con il termine "conflitto d'interessi", ma in effetti farsi accompagnare dal papà gli era parso molto da sfigati e aveva assecondato la cosa di buon grado.

In quel momento si era pentito terribilmente della scelta, Iader avrebbe di sicuro saputo cosa dire per tirarlo su di morale e incoraggiarlo.

E se Sando avesse deciso che non valesse la pena perdere tempo a fargli da maestro? Se anzi si fosse ritenuto offeso della richiesta?

Magari gli avrebbe detto che suo padre e gli altri dell'Armata che lo avevano portato lì si erano sbagliati, che il suo potere non era una cosa così speciale come gli avevano detto, che non sarebbe mai stato utile… Magari avrebbe addirittura detto che era inutile perfino una volta raggiunta l'età giusta per entrare nell'Armata, che avrebbe dovuto rimanere a casa mentre i suoi fratelli difendevano Jeweliria…

All'improvviso il soldato al suo fianco era scattato sull'attenti. Taruto lo aveva imitato rischiando di cadere a terra e aveva guardato entrambi i lati del corridoio agitatissimo, diventando una statua di sale quando aveva intuito l'enorme sagoma che arrivò da sinistra e aveva sentito con che tono brusco avesse chiamato il soldato.

In realtà Sando non era così enorme se ci ripensava. Certo, era altissimo per lui – era più alto di suo padre, e per Taruto era un metro di misura abbastanza esagerato – e decisamente robusto, ma non era che un ragazzo di alcuni anni più grande di Pai, cosa resa ancora più evidente dall'invisibile pizzetto che timido faceva capolino sul mento del verde con due peletti striminziti; il generale Osaki, che Taruto aveva visto di sfuggita a qualche cerimonia pubblica dell'armata, era ben più mastodontico di lui. Però allora, trovandoselo di fronte mentre lo squadrava con l'espressione truce dei suoi occhi scuri, Sando gli era parso enorme e minaccioso più di chiunque altro avesse mai incontrato.

« Le presento il soggetto, maggiore Okorene – aveva detto monocorde il soldato indicando Taruto – questo è… »

« È per caso muto? »

Lo aveva interrotto secco e tanto il soldato quanto il brunetto avevano fissato Sando confusi.

« Come scusi? »

« Ti ho chiesto se il ragazzino qui è muto. »

« N-no… Signore – aveva borbottato il soldato disorientato e passò incerto lo sguardo dal verde a Taruto, quasi accertandosi che prima avesse effettivamente sentito il bambino parlare – non è mut- »

« Allora penso che sia capace di presentarsi da solo. »

Aveva grugnito il verde e aveva fatto un cenno con la mano:

« Me ne occupo io ora. Sciò, smamma. »

Il soldato aveva titubato qualche momento, ancora confuso, ma un'ulteriore occhiataccia di Sando lo aveva convinto a congedarsi rispettosamente e svanire a rapidi passi. Taruto ne aveva seguito l'andatura con gli occhi fuori dalle orbite, non poteva lasciarlo lì da solo con…!

« Allora? »

La domanda secca di Sando lo aveva fatto sobbalzare e ruotare sui talloni a piedi uniti, le braccia rigidissime lungo i fianchi e le labbra strette.

« Come ti chiami? »

Il brunetto aveva deglutito rumorosamente emettendo solo un verso indistinto. Sando aveva alzato un sopracciglio:

« Che è, sei muto sul serio? »

« I-I-I-I-I-Ikisatashi T-Taruto. »

« Huh. – aveva replicato sempre grugnendo il verde, più convinto, quindi aveva alzato lo sguardo in su  riflettendo – Ikisatashi… Come il tenente colonnello Ikisatashi? »

« S-sì – aveva farfugliato ancora il bambino – è mio papà. »

Aveva stretto di nuovo le labbra mentre in testa gli era risuonata la voce autoritaria di Pai che gli raccomandava sempre di comportarsi e riferirsi alle persone in modo formale di fronte ai membri dell'Armata, però la sola cosa che Sando aveva fatto era stata sbuffare e commentare esasperato:

« Un altro! Come se non bastassero quella peste terrificante di Kisshu e quell'altro moccioso spocchioso…! Quanti diavolo di fratelli siete?! »

« S-s-solo tre – aveva mormorato Taruto confuso – siamo tre fratelli. »

Il verde si era massaggiato la nuca sospirando più a fondo:

« Che pazienza deve avere vostra madre…! »

Taruto non aveva saputo che rispondere, stordito dal dialogo, ed era rimasto fermo alcuni secondi mentre Sando si era avviato lungo un corridoio verso l'interno della caserma; ripresosi aveva dovuto trotterellargli dietro a balzelli per non perderlo.

« Così sai manovrare le piante, uh? »

« S-sissignore! – aveva esclamato il brunetto con il fiato grosso – Cioè, un pochino… »

Sando si era fermato così all'improvviso che Taruto gli aveva sbattuto contro una gamba finendo con il sedere per terra. Aveva trattenuto il respiro sbirciando spaventato il verde studiarlo dall'alto in basso ed era rimasto basito quando, pronto ad una strigliata, lo aveva visto porgergli una mano e aiutarlo a rimettersi dritto.

« Un pochino? Basta e avanza direi, visto il soldo di cacio che sei. – aveva detto e gli aveva rivolto un ghigno gentile – Se fossi troppo bravo mi annoierei. »

Gli aveva sfregato la mano sui capelli scompigliandoglieli, nonostante il palmo fosse così grande e forte il gesto fu bonario e gentile e Taruto aveva avvertito uno strano moto di piacevole imbarazzo.

« Su, andiamo – gli aveva intimato di nuovo il verde con energia – vediamo quant'è effettivamente questo "pochino" »

Taruto si era quindi sistemato la frangia scombinata, dimentico dell'ansia, e aveva sorriso con tutta la faccia:

« Sissignore! »

 

 

 

 

« Taruto, giù! »

Al richiamo di Retasu il brunetto si girò d'istinto gettandosi a terra appena prima che il fendente di Arashi lo centrasse dritto nella schiena, mozzandolo in due. L'Ancestrale non si curò del colpo mancano, limitandosi a parare l'attacco che la mewfocena gli scagliò contro per allontanarlo da Taruto e tornando poi nella mischia, ignorando il ragazzino.

Taruto scrollò un attimo la testa per riscuotersi: stavano lottando in quattro contro Arashi – tre e mezzo sarebbe stato più corretto, vedendo come Ryou ferito faticò a tenere il passo – da pochi minuti e la battaglia era così serrata da rintontirlo; inoltre lui fino a quel momento non era riuscito ad evitare che i suoi pensieri andassero per i fatti propri, distogliendo la sua concentrazione dalla lotta.

L'idea di stare affrontando faccia a faccia l'Ancestrale gli aveva scatenato una rabbia feroce, e la sua testa non fece che riportargli alla mente momenti e parole atti a fomentarla.

Era stato Arashi a lottare contro Sando. Era stato lui a privarlo del suo maestro, del suo amico, assieme a Lenatheri.

Aveva lasciato la mora a MoiMoi senza protestare, non solo perché sapeva di dover rimanere con gli altri, ma perché sapeva che il violetto avesse molti più diritti di vendicarsi su di lei rispetto a lui; aveva molti più crediti da riscuotere, molte più ferite e tradimenti da far scontare.

Ad Arashi però ci avrebbe pensato di mano propria.

Poco importava se fosse una battaglia fin troppo ardua già in gruppo e, a conti fatti, praticamente impossibile per lui solo, o che stesse ragionando sull'impulsività di adolescente e che Pai, ormai  due o tre volte, lo avesse rimproverato per il suo lanciarsi a testa bassa contro l'Ancestrale; Taruto insisté caparbio cercando uno spiraglio inesistente nella guardia del biondo per affondare un colpo decisivo.

Dovevano fermarlo e voleva essere lui a farlo.

I suoi pugnali sibilarono a pochi centimetri dalla testa di Arashi, che li schivò con facilità prima di roteare la sua scure e respingere un nuovo assalto del gruppo, poi si concentrò su Pai che aveva tentato di bloccarlo in una micro tempesta di ghiaccio. Gli altri finirono spinti a distanza e Taruto, sbattendo contro una colonna, si rimise rapidamente dritto serrando i denti frustrato.

Maledizione…! Non riesco a prenderlo, non ci riesco, non ci riesco!

Lanciò un altro pugnale mancando il bersaglio di moltissimo e imprecò a bassa voce, continuando così avrebbe peggiorato le cose per tutti, doveva restare calmo e lucido. Ma era difficile, la differenza di abilità con l'Ancestrale gli parve così enorme da voler urlare dalla rabbia.

« Tutto a posto Taruto-san? »

« … Sì, sto bene. »

« Coraggio. – fece Retasu ferma e decisa – Proviamo ad accerchiarlo: tu vai da quella parte, io lo spingo da di là! »

Scattò di lato e Taruto si ritrovò a poter solo annuire e a seguire le sue indicazioni, rendendosi conto con una certa sorpresa di come, sempre, la verde dimostrasse totale fiducia nei suoi alleati, compreso lui che a ben guardare era il più inesperto.

Pensandoci bene qualcun altro aveva sempre creduto in lui nonostante tutto. Tanto da affidargli la persona che aveva più cara al mondo.

Il brunetto strinse il manico dei suoi pugnali, inspirò a fondo e rilassò le spalle.

Poteva farcela. Potevano, ce l'avrebbero fatta

Tranquillo senpai, ci penso io adesso.

 

 

***

 

 

Zakuro rallentò un momento l'andatura e prese due lunghi respiri pesanti, camminare con Purin in spalla si stava dimostrando più difficile di quanto pensasse. Le gambe tremarono incerte per lo sforzo, i dolori dei colpi subiti che tesero i muscoli accentuando la fatica, le braccia dure come pietre e la mewscimmia che le parve un masso caldo e molle che premeva sulla schiena.

« Dalla un po' a me. – insisté Eyner per la terza volta – Se ci ritroviamo k.o. in due su tre la vedo difficile uscirne. »

La mewwolf non rispose alzando appena un sopracciglio come le volte precedenti, ma il bruciore che le diede il respiro in gola stavolta la convinse a cedere: il bruno era ferito, d'accordo, ma se lei fosse collassata gli sarebbe stata molto meno d'aiuto che costringendolo a dividere un po' di fatica.

Con attenzione fece scivolare Purin dalla propria schiena e aiutò Eyner a issarsela sulla propria, dandogli appoggio finché lui non trovò un modo per tenerla ferma con un braccio solo; Zakuro ringraziò in silenzio la forza del ragazzo, nonostante la stanchezza e le ferite, e gettò una scorsa preoccupata al viso teso e un po' pallido di Purin che ancora non aveva ripreso conoscenza.

« Guarda. »

Al richiamo del bruno Zakuro sollevò lo sguardo dalla mewscimmia e si rese conto che finalmente stavano uscendo dalla depressione in cui erano sprofondati: il percorso buio stava iniziando a risalire, macerie ammonticchiate in modo sempre meno ripido, e si intravedeva già un vero e proprio corridoio a sormontarle.

« Finalmente… »

« Forse riusciremo a capire dove diavolo siamo finiti – fece Eyner con tono confortante – speriamo solo che gli altri non siano troppo lontani. »

Ripresero a camminare, il bruno che attento aggiustò la presa su Purin perché non cadesse, e sentirono la biondina mandare un mugolio più marcato. Eyner si fermò di colpo voltandosi per controllarla e Zakuro lo imitò, andando in aiuto dell'amica che strizzò gli occhi e tentò di alzarsi.

« Meno male… »

« Purin. Come ti senti? »

« N… Nee… San… Bene, credo… Ahi! – si portò una mano alla testa e dondolò pericolosamente all'indietro, ancora confusa su dove si trovasse – La testa…! »

« Ferma, ferma! – la supplicò divertito Eyner – Non ho una gran presa. »

« M-ma che è…? …! Toyu..:! C'era T…! Dove…?! Ohiii…! »

« Purin, attenta! »

La biondina, la testa tra le mani, replicò alla raccomandazione di Zakuro con un grugnito senza opporsi quando la mora la sostenne per le spalle o quando Eyner, cauto, si inginocchiò per farla sedere a terra prima che si lanciasse giù dalla sua schiena.

« Come ti senti? – le domandò l'amica – Hai nausea? Ti gira la testa? »

Purin fece un leggero segno di diniego e strinse i denti dolorante:

« Mi fa solo un gran male da qui a qui. »

Mormorò toccandosi i lati opposti del cranio e Zakuro si lasciò sfuggire un sospiro divertito.

« Con le botte che hai preso mi stupirei del contrario. »

« Ma che è successo, nii-san? »

« Ora ti aggiorniamo – le sorrise Eyner porgendole il braccio sano – prima però dimmi, te la senti di metterti in piedi da sola? »

Purin strizzò un momento gli occhi, sbattè le palpebre focalizzando attorno e annuì; si puntellò al bruno e con cautela si mise dritta sforzandosi di sorridere energica, Zakuro che la sosteneva a braccetto,  mentre ricevette delucidazioni sulle passate due ore e seguì gli altri due lungo gli ultimi metri di macerie.

 

 

***

 

 

La pantera argentata mandò un lunghissimo ruggito baritonale, più per incoraggiare se stessa che per spaventare il suo nemico, quindi in barba al dolore sordo che ormai le invadeva le membra puntò Arashi pronta ad uccidere. I suoi sensi affilati gridarono allarmati, consci che la debolezza fosse troppa, troppe le ferite, e che attaccare in quello stato fosse pericoloso e controproducente, ma Ryou zittì l'istinto come solo lui sapeva fare e balzò in avanti, fauci e artigli spalancati.

Le unghie delle zampe sfiorarono appena la sagoma di Arashi prima che il biondo, con passo morbido, indietreggiasse e roteasse la sua scure in un arco orizzontale di fronte a sé.

Ryou emise un guaito agghiacciante, il filo dell'arma che bruciò aprendo un lungo taglio superficiale sul torace, macchiando di scuro il mantello argenteo; la spinta del colpo lo scagliò indietro e lui sentì il soffio dell'aria fischiargli nelle orecchie finché non centrò con tutto il proprio peso l'ennesima parete, e il sibilo divenne un piare acuto che coprì qualsiasi suono.

Il dolore della caduta tolse il poco fiato rimastogli nei polmoni e Ryou, boccheggiando, capì di aver ripreso il proprio aspetto. Si rannicchiò faticosamente carponi, incapace di stabilire se gli facessero più male gli squarci di Lindèvi o la ferita dell'ascia di Arashi che gocciolò, calda e rossa, sul pavimento e sull'avambraccio a cui si era appoggiato.

A Kei verrà un infarto quando vedrà come mi sono ridotto i vestiti.

Il pensiero inutile gli strappò una risata gorgogliante – maledizione, sapore di rame, aveva sangue in bocca? Da dove veniva? – e gli sfuggì un ringhio scoraggiato.

Dunque era quello il suo limite? Di più non poteva fare?

I suoni della lotta e il frastuono dei colpi ricominciarono a farsi nitidi con calma, come se stesse rimuovendo molto piano dei tappi di cotone dalle orecchie. Cercò di sollevarsi sui palmi e dovette fermarsi, le braccia che tremarono poco salde.

Davvero quello… Era il massimo che poteva fare?

Se il solo tentativo non gli avesse fatto girare la testa in modo orribile si sarebbe ritrasformato, fosse anche solo per la soddisfazione di strappare dalla rabbia il ricco tappeto ad unghiate.

Inutile.

Ancora. Sempre, non serviva a niente.

Continuava a finire così, fermo, in disparte, in attesa che la battaglia volgesse al suo termine. La frustrazione per la propria impotenza lievitò pensando che, oltretutto, ci aveva provato, aveva tentato di ottenere una forza nuova, una forza adatta a lottare, per ripagare almeno un po' gli sforzi di chi aveva trascinato in un mondo di guerra e ferite.

Eppure non sembrò ancora essere abbastanza.

Non era sufficiente.

Ancora lui era lì, a terra.

Strinse i denti inferocito e si costrinse a rimettersi dritto, ignorando l'ombra nera che gli oscillò di fronte agli occhi o il lamento dell'orecchio interno. Se davvero quello era il suo limite, lui avrebbe spremuto ogni grammo di energia e ogni singola goccia di sangue rimasta finché non fosse crollato, non prima.

Fino all'ultimo. Come una certa rossa di sua conoscenza.

Non capì se fosse stato il pensiero di Ichigo – e, nel caso, si domandò quando fosse diventato un sentimentale tanto patetico – o semplicemente il respiro numero cinquanta che portò due grammi di ossigeno in più al cervello, ma riprese sufficiente energia da ritrasformarsi ancora una volta.

Inarcando la folta schiena felina, le zanne candide che fecero capolino dalle fauci, affondò con gli artigli nel pavimento e si diede lo slancio puntando in basso sotto il campo visivo di Arashi, lasciando agli altri il compito di attaccarlo frontalmente. Pai, con la coda dell'occhio, si dovette accorgere del suo piano perché prese ad incalzare l'Ancestrale con ancor più foga, distogliendo la sua attenzione da chiunque eccetto lui, e nel mentre Ryou riuscì ad arrivare esattamente sotto il biondo; con un salto quasi alla cieca la pantera spalancò la bocca e serrò le zanne attorno alla gamba dell'Ancestrale e premette con tutte le forze concesse alle sue poderose mascelle, lasciandosi ricadere mollemente con la gamba del nemico tra le fauci.

Arashi imprecò secco mentre il peso di Ryou lo trascinò di scatto in basso, ma non potè badare ai denti che gli penetrarono la tibia: Pai riuscì ad approfittare dei pochi secondi di distrazione per scagliargli contro un'ondata di ghiaccio, che gli congelò il manico della scure e l'avambraccio con cui la stava reggendo; Arashi dovette afferrare l'arma con la mano libera prima che il peso della stessa e la massa gelata gli staccassero il braccio dalla spalla e Taruto, che stava attaccando l'Ancestrale sul fianco destro assieme a Retasu, gli gettò contro i suoi pugnali. Arashi evitò che le lame gli trapassassero il cranio e la gola proteggendosi con il braccio libero, che divenne un puntaspilli, e Retasu diede il tocco finale lanciandogli contro il suo attacco.

Ryou mollò la presa appena sentì la ragazza pronunciare la formula e si afflosciò goffo sulle quattro zampe, mentre il Ribbon Lettuce Rush frusciò sopra di lui spingendo la vittima dalla parte opposta del corridoio.

La pantera emise un paio di respiri affannati, le zanne spalancate, e riprese lentamente il suo aspetto originario; Ryou avvertì la nausea per l'orrido gusto in bocca, sapore di sangue, di carne, di ossa, però riuscì a mantenere un contegno e limitarsi solo a sputare un po' per sciacquarsi la lingua.

« Fantastico Shirogane-san! »

Il biondo non rispose lasciando docile che Retasu lo aiutasse a riacquistare una posizione eretta da Homo Sapiens, la manovra improvvisata era stata tanto repentina che lui, così indebolito, non ebbe con chiarezza idea di quanto ci avessero impiegato, o da quanto tempo Arashi fosse stato scagliato via, ma dovette trattarsi solo di pochi istanti, e di poco capace di far riprendere fiato a tutti loro.

Pai infatti non aveva abbassato la guardia limitandosi ad un cenno incoraggiante verso l'americano – almeno, lui lo interpretò come incoraggiante visto l'accenno di sorriso che intuì – e Taruto non fece altro che zigzagare a mezz'aria scrutando il buio in attesa di scorgere l'avversario.

« Io però credevo che fossi quello intelligente – gli sogghignò il brunetto – non quello masochista. »

« Look who's talking, the one who picks up a knife with bare hands. This moronic brat»

Pai scrutò i due sollevando appena un sopracciglio, in un certo senso ammirando quanta energia ancora avesse Ryou nonostante le ferite. Aprì la bocca per dire qualcosa, lo sguardo sempre attento attorno a sé, quando si udì un rapidissimo sibilo.

Il moro per un momento si inclinò di lato mentre un fiotto di sangue proruppe da dietro la sua spalla, poi il contraccolpo lo spinse via con forza inaudita. Retasu si portò orripilata le mani al viso:

« PAI! »

La ragazza mollò la presa su Ryou e corse senza voltarsi verso il moro, incurante tanto di dove si trovasse Arashi quanto di proteggersi. Dal canto suo l'Ancestrale non si interessò della verde né di Pai, puntando invece ai due che erano rimasti nel suo raggio d'azione, Taruto e Ryou; il brunetto scattò indietro per guadagnare spazio di manovra, i denti stretti per non imprecare e le armi pronte al lancio, mentre l'americano, quasi d'istinto e consapevole del proprio stato, si nascose il più possibile alla vista del nemico e per non costringere Taruto a dovergli coprire le spalle, prendendo l'aspetto di Art.

Arashi squadrò di fronte a sé con gelida indifferenza, la voce calma che però tradì una furia cocente e spaventosa:

« Così renderete solo più lenta la vostra distruzione. E io non sono un tipo paziente, né che soprassiede su certe cose. »

Concluse velenoso e diede una scorsa livorosa alla propria gamba ferita, quasi più offeso del gesto audace che in qualche modo preoccupato dello stato indecente dell'arto. Ryou replicò soffiando minaccioso, mentre Taruto si limitò a rimanere in silenzio digrignando i denti, i brividi lungo la schiena.

Nel frattempo Retasu aveva raggiunto Pai e si era inginocchiata accanto a lui, la bocca semiaperta in un urlo muto.

Il moro era steso su un fianco, il volto pallidissimo ancor più evidente a contrasto con la grossa, spaventosa macchia rossa che andò spandendosi da sopra la spalla scendendo verso metà schiena: forse perché Pai si era inconsciamente spostato all'ultimo istante, o forse solo per fortunata sorte, la scure di Arashi non era penetrata abbastanza a fondo altrimenti, notando la posizione del taglio, il moro in quel momento non avrebbe più avuto con sé il braccio destro. In ogni caso la ferita era estesa e profonda, Retasu riuscì a vedere con chiarezza l'ampia porzione di carne viva che fece capolino dai lembi della maglia e lui aveva il viso contratto dal dolore, gocce di sudore freddo che gli solcarono le tempie.

« Pai…! Pai… No! Fermo! »

Farfugliò spaventata, incapace di trovare un modo per aiutarlo, e gli bloccò la mano destra con cui lui tentò inutilmente di risaldare la presa sul suo ventaglio, abbandonato a pochi centimetri dalle sue dita. Nel toccarlo la verde gli tirò il braccio indietro strappandogli un lamento e si allontanò, completamente nel terrore.

« Non ti…! Pai…! »

Si rese conto che lui si stava a stento accorgendo della sua presenza, troppo preso dal non perdere i sensi intanto che la ferita non accennava a dargli tregua; sentì il fischio della scure di Arashi a poca distanza, la voce di Taruto che scagliava le proprie lame attraverso il passaggio e un indistinto miagolio, e serrò i pugni sulle cosce.

Calmati. Non sarai di aiuto a nessuno di loro se vai nel panico.

Pur pensando ciò non si mosse, rimanendo sospesa in una stasi di ansia paralizzante.

Sapeva che Ryou non poteva più essere di supporto, malconcio com'era, e per quanto stimasse Taruto le fu chiaro che da solo non ce l'avrebbe fatta, eppure ugualmente lei non poteva abbandonare Pai. La verde avvertì il respiro accelerare e gli occhi pizzicarle intanto che, odiandosi, rimase interminabili minuti in ginocchio accanto al moro, le mani a mezz'asta incapaci di decidersi se provare ancora qualcosa per aiutarlo o afferrare le sue nacchere e colpire, lasciandolo lì, quando percepì un rumore familiare.

Si girò di scatto intuendo la sua presenza prima di vedere lei o il suo attacco brillare nel corridoio e il sollievo parve volerle incendiare le membra di vita nuova.

« Minto…! »

La mora le ammiccò planandole accanto, una freccia d'energia che la precedette allontanando Arashi dal punto cieco in cui aveva spinto Taruto, e incoccò il suo arco senza fermarsi:

« Rimani con lui e aiutalo, ti copro io intanto. »

Retasu non riuscì a risponderle, troppo sollevata dell'aiuto e di vederla viva e incolume – graffi e tagli sparsi a parte – e senza troppe cerimonie obbedì caricandosi faticosamente Pai sulle spalle e allontanandolo in un punto riparato.

Minto da parte sua provò un insopportabile misto di conforto per aver trovato ben quattro di loro ancora vivi, e di angoscia pensando a chi ancora mancava all'appello.

« Ribbon Mint Echo! »

 

 

***

 

 

Di cosa si parla con due entità metafisiche impalpabili e invisibili?

Erano il genere di domande da giornaletto su pseudo paranormale e misteri vari a cui Ichigo non voleva mai rispondere né tentare di trovare risposta, lei detestava i fantasmi e le cose del genere.

Eppure in quel momento avrebbe tanto voluto essere in grado di rispondere; il silenzio totale in cui erano piombati Luz e Tayou era interrotto solo dai suoi passi ovattati e dal campanellino sulla sua coda che, raramente, vibrava di riflesso al suo respiro emettendo solo una lievissima onda sonora che faceva increspare i capelli sulla nuca. Parlare non le sarebbe dispiaciuto, proprio per niente.

La cosa che le sembrò più paradossale fu che, a conti fatti, era quel silenzio a terrorizzarla più che il percepire la presenza dei due spettri accanto a sé.

In realtà era la prima volta che li chiamava così, e non fu certissima fosse il termine corretto con cui riferirsi loro; chiedere delucidazioni però, per quanto un sospirato argomento di conversazione, le sembrò fuori luogo e continuò a tacere a disagio, la luce intermittente che le apriva la strada sempre presente pigra e regolare nell'oscurità.

Eccoci.

La mewneko sussultò prima ancora che Luz terminasse di formulare la frase, l'improvvisa visione di fronte agli occhi che la gelò sul posto mentre la sua guida scintillante ebbe un ultimo guizzo, per poi spegnersi del tutto.

Dal nulla, in fondo al corridoio, era apparso un arco di luce. Lontanissimo ad una prima occhiata distratta, non doveva che distare una decina di metri e la rossa potè vedere chiaramente la sala oltre esso fare capolino, così come la figura scura ritta in piedi sul fondo di questa.

La ragazza deglutì a vuoto. Aveva vissuto una scena identica tre anni prima e il seguito degli eventi, una volta solcata la soglia, non era molto roseo. Tayou e Luz non dissero una parola e lei avrebbe tanto voluto fare marcia indietro, invece i suoi piedi proseguirono indipendenti dalla sua volontà.

Si morse il labbro e strinse un pugno sul petto, come potendo nascondere la presenza del frammento al suo interno ad un indefinito sguardo incantato che le stava perforando pelle, carne ed ossa; drizzò le spalle con un bel respiro e accelerò, fermandosi solo quando ebbe varcato la soglia illuminata e i suoi occhi per un secondo rimasero accecati.

Era la stessa sala che aveva visto nei ricordi di Tayou, il luogo dove Deep Blue aveva perso Luz e creato la MewAqua perfetta. Le sole differenze erano nell'assenza della giovane sul pavimento freddo, Tayou che ne sorreggeva il corpo tra le braccia, e il cielo temporalesco oltre le finestre che sormontavano una montagna di lava.

Lì c'erano solo vetri bianchi che riflettevano sbiaditi il salone vuoto, e Deep Blue che ne osservava le immagini scialbe con le braccia dietro la schiena e un sorriso indefinibile.

« MewIchigo. Sei venuta ancora a offrirmi la tua vita? »

 

 

***

 

 

Il corpo semisvenuto di Pai era pesante e difficile da sorreggere, anche per tutti i centimetri d'altezza con cui lui la superava, ma ciò che rese tutta l'operazione così titanica per Retasu furono le fitte al torace: si guardò bene dall'emettere un solo lamento – il moro non era del tutto cosciente, ma lei temette che si sarebbe accorto della cosa – e con sommo sforzo aiutò il ragazzo a sedersi con la schiena alla parete, rimuginando su come chiudergli la ferita prima che morisse dissanguato. Non ebbe alcuna idea efficace e non aiutarono gli spasmi che parvero volerle stritolare i polmoni; un nuovo moto di paura le salì lungo la gola, Ake l'aveva raccomandata di stare attenta, i colpi subiti da Zizi avevano mancato solo di poco di perforarle ogni organo interno con le sue stesse costole, ma non per questo lei era guarita. Se i danni fossero peggiorati, o se le ferite si fossero riaperte… Forse era già…

« … R… tasu… »

« Pai…! »

La verde lo fermò prima che azzardasse a fare un solo movimento, notando come si fosse contratto impallidendo per il dolore:

« Stai fermo! È grave… Non sforzarti. »

Pai non le rispose e strinse le labbra, gli occhi scuri socchiusi che cercarono di valutare l'andamento dello scontro poco lontano. Tentò di dare un impulso alla mano destra e per poco non gridò per il dolore, la spalla che diede appena un vago spasmo.

Merda.

« Retasu… Dammi una mano… »

 « Eh? »

Lui le fece cenno di tenergli il braccio ben spinto contro il fianco, insistendo quando la ragazza si ritrasse capendo di fargli male, poi si mise la mano sinistra sulla spalla: cercando di non perdere i sensi per il dolore concentrò tutte le proprie forze e creò una sottile e solida lastra di ghiaccio che gli divorò la pelle dalle scapole fino al bacino, ma chiudendo almeno per un po' la ferita della scure. Retasu allontanò lentamente le mani, esterrefatta, studiando il moro per accertarsi di quanto avesse fatto, e lui abbandonò la testa contro il muro pago di avvertire il sangue ricominciare a scorrergli nelle vene e il cuore riprendere un battito regolare.

« … Vai… »

« … Cosa?! No…! Non ti lasc…! »

« Retasu. »

La verde interruppe le proteste capendo quanto gli costasse parlare.

« Vai. »

Era inutile che lei rimanesse al suo capezzale, la cosa fondamentale era fermare Arashi e lui, per un po', ancora non sarebbe passato all'altro mondo.

Retasu rimase ferma un altro minuto, chiedendosi se Pai fosse abbastanza lucido per accorgersi che nemmeno lei era al massimo delle forze, ma decidendo alla fine che non aveva capito e che in fondo fosse meglio così: era più utile che lei lottasse, piuttosto che rimanere in panchina per paura, sua o del ragazzo.

Se la sarebbe cavata. In fondo lei e le altre se la cavavano sempre.

Annuì mordicchiandosi il labbro inferiore; gli strinse un momento la mano grande, più fredda del normale, e con un balzo scattò per raggiungere gli altri, incurante della fitta che avvertì al fianco e del senso di pesantezza sullo sterno.

I suoi getti d'acqua seguirono il lancio delle lame di Taruto e l'ennesima freccia di Minto annunciando il ritorno della verde, che Arashi accolse con un verso di stizza più pronunciato del solito:

« Non avete proprio intenzione di arrendervi neppure di fronte all'evidenza. »

« Che dobbiamo dirti? Siamo duri di comprendonio. »

Il biondo replicò battendo la scure contro il pavimento e rompendo la formazione del terzetto, che tornò a circondarlo dopo un solo istante.

« Minto che fa una battuta – ghignò Taruto con il fiato grosso, continuando a lanciare e richiamare i suoi pugnali con velocità ubriacante – stiamo davvero per lasciarci la pelle! »

« Non mi sembra una cosa su cui scherzare Taruto-san! Ribbon Lettuce Rush! »

« Il pessimo umorismo deve essere una tara di famiglia. »

Commentò solo la mewbird e intanto si portò con una parabola a testa in giù sopra lo scontro, puntando Arashi con una sequenza rapidissima di scoccate. Il biondo ancora resistette, la rabbia crescente che non ne rallentò né minò la precisione dei movimenti, però fu con un filo di speranza che la mora e gli altri notarono come in qualche modo fossero meno letali di prima: dovevano aver iniziato a sfiancarlo, oppure il morso di Ryou era stato più incisivo del previsto, in ogni modo le falciate di Arashi erano diminuite di frequenza.

Le due MewMew cercarono subito di approfittarne. Retasu, pur con fitte sempre più ravvicinate e chiare all'addome, si accodò a Minto generando colpi senza fermarsi, inondando assieme all'amica il corridoio di frecce d'energia e lame d'acqua e costringendo Arashi a muoversi pochissimo per non venire centrato: le attenzioni del biondo iniziarono a concentrarsi unicamente sul crearsi spazio di manovra nel nugolo di colpi, senza riuscirci, e ad evitare che Taruto, rapido e agile, sgusciando incolume tra gli attacchi altrui lo centrasse con le sue lame.

« Non rallentiamo! Coraggio! »

I tre spinsero ancora e ancora, Arashi che iniziò a porre meno attenzione a colpi vaganti che lo sfiorarono in modo non letale e che prese a roteare la scure con maggior foga; gli archi in aria dell'arma dissolsero frecce e lame nemiche come nubi nel vento, lasciandogli un varco per avvicinarsi alle due terrestri che indietreggiarono senza smettere di colpire.

All'improvviso Retasu avvertì mozzarsi il fiato dal dolore. Ebbe la sensazione che una lama le stesse trapassano la carne e capì che una delle zone guarite avesse ceduto, in un punto indefinito tra torace e ventre: perse l'equilibrio, ondeggiando di lato, e il suo colpo sbagliò mira schiantandosi contro la parete e schivando il suo obbiettivo.

Minto tentò invano di raggiungere l'amica, ma Arashi lanciò un'onda di energia alle sue spalle respingendola senza aver bisogno di vedere chiaramente da dove lo attaccasse. La mewbird provò con una freccia che venne respinta a mo' di mosca contro un vetro, il muro di forza non lasciò un solo punto cieco alle spalle dell'Ancestrale e né lei né Taruto lo avrebbero potuto fermare.

Così Retasu si ritrovò incapace di ripararsi, con Arashi ad un metro da sé, le braccia tese all'indietro pronto a tagliarla in due.

« Retasu! »

La verde alzò le mani brandendo le nacchere, un ultimo e vano tentativo di ripararsi, poi avvertì un rivolo di freddo pizzicarle il collo.

Arashi gridò a denti stretti mentre una pioggia di schegge di ghiaccio gli arrivò dall'unico punto in cui non pensava avrebbero potuto colpirlo. Si voltò furente, deviando solo l'arco della scure perché colpisse alla sua sinistra e non di fronte e Retasu vide il colpo spaccare un'altra volta il pavimento in una netta voragine, intanto che un'altra scarica di ghiaccio vibrò quasi dal nulla.

Lei, ancor prima di focalizzare la presenza di Pai o di preoccuparsi del suo gesto, tentò di togliersi dal raggio d'azione di Arashi, ma quello la tenne sotto tiro: provò a colpirla e mancò il bersaglio, distratto da una scarica di saette e da una freccia che riuscì ad evitare gli centrasse la mano, ma ancora non cedette insistendo per abbattere almeno uno di loro.

« Schifosi vermiciattoli! »

Ruotò l'ascia attorno a sé, mancando Minto di pochi millimetri, poi la sbatté a terra centrando Pai di striscio e costringendolo a retrocedere, quindi di nuovo cercò Retasu, ancora troppo vicina per essere fuori pericolo.

Alzò la scure con la stessa facilità di una spada corta. Non avrebbe mancato di nuovo il colpo.

« Questa è la vostra fin-! »

Il biondo si zittì all'improvviso rimanendo immobile a mezz'aria. La mewfocena soffocò uno strillo istintivo.

Arashi aveva perso di vista un altro avversario ancora operante.

Taruto.

E il brunetto aveva divorato i metri che lo separavano dal nemico, incurante di gettarsi contro il Fuu Hyou Sen diretto al biondo o sul filo dell'arma dell'Ancestrale, finché non era arrivato abbastanza vicino da piantargli una delle proprie lame dritta tra le scapole.

L'aria del passaggio rimase sospesa. La temperatura, scesa per i rapidi e ampi colpi gelati di Pai, acuì il silenzio interrotto solo dal respiro pesante di Taruto e dal curioso singulto che mandò Arashi, l'espressione di colpo quieta quasi non avesse ancora compreso appieno cosa fosse successo.

Il brunetto ritrasse le braccia con un solo gesto e l'Ancestrale rimase ancora sospeso, immobile; lo videro portarsi una mano alle labbra, studiando confuso le macchie scure che gli coprirono le dita quando se le passò sulla bocca, per poi afflosciarsi a terra senza un suono.

Nessuno disse nulla. Taruto scivolò a terra con lo sguardo fisso sull'avversario, l'espressione indecifrabile, ed ebbe l'impressione di non poter mai più distogliere lo sguardo da lui.

Ci era riuscito.

Lo aveva sconfitto. Proprio come voleva.

Non riuscì dunque a spiegarsi il senso di nausea che gli diede fissarlo.

Sussultò come una molla quando si sentì toccare. Sbirciò confuso Retasu abbracciarlo forte per le spalle e sospirare stanchissima e sentì Minto imitarla piano:

« È fatta… »

« Sì. È finita. – ripetè la verde e passò affettuosa una mano sulla nuca del brunetto, ancora cinto tra le sue braccia – È tutto a posto, Taruto-san. »

Lui non replicò non capendo il perché dell'affermazione e la studiò sfilargli con garbo il pugnale dalla mano: si rese conto solo in quel momento di quanto stesse tenendo teso il braccio, tanto da farlo tremare, e di quanto stesse stringendo la lama fino ad addormentarsi le dita. Il senso di nausea si fece più acido e per un istante gli dispiacque che la verde si fosse tirata in piedi smettendo di abbracciarlo.

In quell'atmosfera il miagolio di Ryou suonò stridulo come unghie sulla lavagna:

« Ricordami di non scherzare mai più con te, se hai un oggetto affilato tra le dita. »

 

 

***

 

 

« MewIchigo. Sei venuta ancora a offrirmi la tua vita? »

La ragazza non rispose rimanendo ferma al cospetto di Deep Blue, la propria campanella stretta in una mano e le braccia serrate contro il torso.

Lui si voltò pigramente verso di lei, che tremò senza volere scorgendo la stessa spada che gli aveva visto brandire tre anni prima.

Quella spada che spaccando il suolo aveva distrutto Tokyo, mietendo così tante vite.

Quella spada che aveva trapassato Kisshu.

Che aveva ucciso Masaya.

E stavolta lei non aveva alcuna ragione per non affrontarla. Nessun amore da far risvegliare, nessuna speranza che il suo nemico si rivelasse per altro se non il mostro che era.

Solo lei e una lama, tra sé e la morte.

La rossa serrò le labbra inspirando a fondo, brandì la campanella con entrambe le mani e scagliò il primo colpo; Deep blue si limitò a porre la sua spada tra sé e la mewneko e una barriera lo avvolse interamente, respingendo indietro l'attacco. Ichigo strinse i denti battagliera, roteò a mezz'aria per assecondare il rinculo e ripartì di scatto, correndo e balzando da una parte all'altra dell'enorme sala bombardando l'avversario di luce.

Un colpo, e un altro, un altro, un altro.

Con il fiato corto per lo sforzo Ichigo scagliò l'ennesimo Strawberry Surprise e saltò con una capriola dalla parte opposta del salone, la sua arma sempre stretta tra le mani e pronta al contrattacco.

Non vide che un nuvolone di polvere per qualche secondo. Tese le orecchiette feline, cercando di regolare il respiro per non coprire il minimo suono con il suo boccheggiare, ma di colpo Deep Blue sembrò essere scomparso.

Che si sia teletrasportato alle mie spalle?

La rossa si voltò di scatto, non scorgendo altro che l'ingresso e il corridoio buio dietro di esso, completamente vuoto, si rigirò e buttò un urlo, sollevando la sua arma un secondo prima che una sfera d'energia la centrasse in pieno.

Tutto il corpo le tremò nel contraccolpo e lei avvertì i piedi strisciare sul pavimento intanto che la spinta l'allontanò dal suo obbiettivo. Si sforzò di reggere l'attacco, il MewPower che l'avvolse protettivo accecandola con il suo baluginio iridescente, mescolato alla luminosità del colpo che stava subendo, e si azzannò le labbra per non far uscire il minimo suono, nonostante la sensazione che i muscoli le si stessero strappando.

Quando il colpo si esaurì Ichigo non riuscì nemmeno ad abbassare le braccia, rigida come pietra. La spinta l'aveva schiacciata contro la parete, aprendo una voragine alle sue spalle, però in qualche modo lei sembrò aver resistito all'onda d'urto restando dritta e cosciente. Magari l'attacco che l'aveva centrata non era stato forte abbastanza.

Forse era riuscita a colpire Deep Blue e a ferirlo.

Aprì lentamente un occhio mentre la foschia delle macerie si diradò: la disperazione le affossò lo stomaco.

Deep Blue era in piedi esattamente dove lo aveva visto entrando; non aveva neppure un capello fuori posto, una piega nell'abito, nulla.

Lei era già sfinita e lui non aveva dato alcun segno di aver quasi notato la sua presenza.

No…

« Non vorrei perdere tempo con un'inutile esserino come te. – disse l'essere con tranquilla arroganza – Ti dispiacerebbe scomparire? »

Il nuovo attacco risplendette sul palmo aperto del moro, ma Ichigo non riuscì a muoversi.

Era tutto come tre anni prima.

L'ingresso nella luce e l'enorme sala. La forza devastante di quell'essere.

E lei che non riusciva che a contrastarlo a fatica, finendo schiacciata e sconfitta.

Ichigo, attenta!

La rossa sussultò capendo di non aver reagito abbastanza in fretta. Sollevò la campanella, ma l'attacco di Deep Blue fu troppo vicino e lei riuscì soltanto ad impedire che il colpo la polverizzasse: finì sbalzata via urlando e vide tutto quanto, il salone, le pareti lucide, Deep Blue stesso, venire avvolti nella luce.

 

 

 

 

 

 

 

… Dove sono…?

Sono morta…?

No, stai tranquilla.

Ichigo aprì lentamente gli occhi.

Luce. Nient'altro che bianca luce. Sopra, sotto, attorno a sé, luce infinita.

Era in piedi e non seppe perché, né perché poggiasse su un nulla assoluto eppure avesse la certezza di essere sulla superficie più salda che mai avrebbe potuto calpestare.

Non c'erano rumori, né freddo, né caldo. Non c'era vento, né il dolore delle ferite. Non c'era nulla. Nessuno.

… No, qualcuno c'era.

Di fronte a lei, una macchia azzurra così brillante da risultare accecante in quel placido candore.

E una appena intuibile, un tono più caldo del bianco che avvolse l'universo, uno spicchio di sole giallo pallido.

« … Ao No Kishi… Luz… »

Ichigo, non devi arrenderti.

« Non mi sto arrendendo »

Replicò e seppe immediatamente che fosse una bugia, anche Luz lo seppe. Si era arresa, sapeva di non avere altra scelta.

« … Non sono in grado di sconfiggerlo. »

Sì che lo sei.

« Non è vero! »

Gemette afflitta.

« Sempre… Ho sempre avuto qualcuno al mio fianco, qualcuno che ha combattuto con me, che mi ha aiutata. Deep Blue non l'ho sconfitto io, io sono sopravvissuta solo per caso! »

Tu hai lottato.

« No, io mi sono comportata come una stupida! Ho lottato dopo che Kisshu è morto, e anche allora ho fallito! »

Insisté disperata.

« È stato Masaya-kun a sconfiggerlo! Non io! Io…! Io non…! »

Ichigo.

La rossa sentì le mani di Tayou sfiorarle il mento. Sentire non sarebbe stato il termine adatto, perché le dita del biondo furono impalpabili, né tiepide né fredde, umide o ruvide, ma qualcosa di lieve, appena distinguibile. Come il tocco di una piuma o di un petalo.

Lei avrebbe voluto fuggire, ma seppe di non potere, come non era potuta fuggire dal cospetto di Deep Blue.

Capì di stare piangendo.

« Ho paura! Non sono in grado di affrontare una cosa del genere! Io... Io...! »

Lui le prese il viso tra le mani asciugandole le guance inondate di lacrime, gli occhi color dell'oceano che la guardavano amorevoli:

Tu mi hai salvato già una volta, tre anni fa. Sono certo che ci riuscirai di nuovo, perchè sei la più forte di tutti.

« Ao No Kishi... »

Percepì un'altra mano sfiorarle i capelli.

Tu ce la farai.

Ichigo non rispose.

Era la prima volta che vedeva Luz così distintamente. Era più magra del ritratto che aveva trovato all'Archivio, più grande di alcuni anni, con una bellezza che la rendeva eterea, impalpabile, donando il terrore si potesse rompere se solo si fosse osato toccarla. Gli occhi azzurri vibrarono sul viso magro, sinceri, dolcissimi, e Ichigo sentì l'impellente bisogno di piangere più forte e chiedere scusa per le sue paure e per i suoi errori, convinta non seppe perché che Luz sarebbe stata in grado di ascoltarla e perdonarla, liberandola per magia da qualsiasi peso.

Tu non ti sei mai arresa finora. Mai.

Hai pianto, hai strepitato, ti sei disperata, ti sei illusa, ma hai reagito. E quando non ci sei riuscita, quando è stato troppo grande per te, hai avuto chi ha saputo risvegliarti.

Ichigo si morse l'interno della guancia. Pensò alla prima battaglia contro Deep Blue e allo schiaffo che le aveva tirato Minto per riscuoterla, a Ryou e al suo devoto sostegno dopo la battaglia della Prima Luna; alla celebrazione della Dama Rossa, al bimbo dai capelli mandorla e al vecchio Taighen.

Pensò alle sue amiche e si sentì svuotata, inutile.

« … Sono patetica. Non ce la faccio da sola, non posso. »

Nessuno è solo. Mai. Loro sono qui con te.

Le accarezzò il petto con la punta dell'indice sottile e sorrise dolcemente.

Nessuno è mai da solo, se riesce a ricordarlo. Chi lo dimentica si smarrisce e smette di vedere anche chi ha vicino.

Ichigo vide la ragazza abbassare lo sguardo addolorata.

Nuvem lo ha dimenticato. La paura di fallire, di perdere ogni cosa, gli ha fatto credere di essere stato abbandonato da tutto e da tutti, compresi coloro che lo amavano.

E per non vedersi scappare tra le dita chi aveva di più caro ha fatto qualsiasi cosa, fino ad incatenare loro e se stesso.

Ichigo non le rispose e si azzardò a prenderle la mano nella sua. Luz riprese a sorridere malinconica.

Ichigo, ora devi reagire.

Tayou le afferrò con gentilezza e decisione una spalla.

È il momento. Hai il frammento di Dono, sfruttalo.

La rossa corrugò appena la fronte, un po' seccata ormai di quel suo parlare come se ogni cosa volesse dirle fosse ovvia e immediatamente intuibile.

« … Non ho idea di come. – puntualizzò – Non è come il mio potere, o come il cristallo con il MewAqua Rod, non è… Istintivo. »

Spiegò e Tayou le sorrise sottile stringendole le mani.

Mi legherò al frammento.

« Tu… Cosa?!? »

La mia coscienza è quasi scomparsa. Nuvem ha ripreso un corpo ed un'esistenza suoi e il legame della mia vita con la sua e il Dono quasi non esiste più; sopravvive solo grazie al tuo frammento.

Mi legherò definitivamente ad esso. Sarà la scintilla che ti permetterà di attivarlo, sarò il tuo mezzo per poterlo usare e battere Deep Blue.

« Come un… Mew Aqua Rod "vivente"? »

 Lo stesso principio.

Lo sentì ridere a labbra chiuse.

Hai solo quest'occasione, Ichigo, sfruttala e vinci

 

 

 

 

 

 

 

Deep Blue si portò il braccio lungo il fianco e sorrise soddisfatto. Un assaggio appena della sua potenza era stato sufficiente per spazzare via quella piccola seccatura terrestre, e probabilmente ne sarebbe occorso anche meno, ma lui aveva la brutta abitudine di non risultare così freddo come desiderava in ogni occasione, specie se aveva del rancore verso qualcuno.

MewIchigo era di certo una delle prime nella lista.

Sperò di non aver usato tanta forza da aver distrutto fisicamente il corpo; la soddisfazione di rimirare l'inutile, misero cadavere di colei che gli aveva impedito di risorgere tre anni prima – la stupida umana e il suo sciocco sentimento d'amore – sarebbe stata troppo grande per perderla per un… Eccesso di entusiasmo.

Studiò l'angolo del salone verso cui aveva scagliato la rossa, iniziando ad intravedere le macerie nella parete tra il polverone, e sorrise pronto a scorgere il fagotto inerme della ragazza steso al suolo. A terra però non vide nulla: scrutò attorno, non c'era la massa di un corpo accasciato in nessun punto del pavimento, e poco a poco nella nebbiolina biancastra intuì due gambe perfettamente ritte in piedi.

Si corrucciò lievemente, forse l'aveva sottovalutata troppo, in fondo ricordava bene che MewIchigo fosse abbastanza coriacea. Probabilmente era lì per svenire, sarebbe stato magnanimo e le avrebbe concesso un ultimo rapido colpo per finirla…

La fronte appena aggrottata del moro divenne una maschera di rabbia quando potè vedere con chiarezza Ichigo fronteggiarlo, lucida e pronta alla lotta. Aveva il volto e le braccia coperti di graffi, lividi e polvere, il vezzoso costumino rosa sporco e sbrindellato in alcuni punti, eppure gli puntò contro la propria arma indifferente al proprio stato e al fiatone squadrando l'avversario senza la minima esitazione: il cuore sulla campanella di pelouche risplendette forte mentre una chiara luminescenza azzurrata avvolse la rossa, il frammento nel suo petto che bruciò piacevole.

Per un solo momento, Ichigo vide Deep Blue impallidire.

Dietro di sé intuì un'ombra, un movimento infinitesimale, e il pallore del nemico divenne furia cieca mentre lo sentì latrare a bassa voce:

« Tu…! »

Deep Blue brandì la spada con entrambe le mani e Ichigo avvertì il fruscio del tocco di Tayou sulla spalla nuda; il luccichio sulla sua pelle, dato dal frammento di MewAqua, tremò appena.

Vai.

La rossa balzò in avanti pronta ad attaccare e Deep Blue la intercettò a mezz'aria fendendo di fronte a sé con la sua lama; la spinta del moro contro la campanella fu terribile e Ichigo dovette assecondare il proprio slancio e il colpo nemico assieme, lasciandosi scivolare sotto il moro e sgusciandogli sotto. I due si ritrovarono dai lati opposti del campo, Ichigo genuflessa pronta ad un nuovo balzo e Deep Blue con le mani serrate sul manico e gli occhi fuori dalle orbite.

« Tu! – ripetè, quasi schiumando per l'ira – Tu dovevi scomparire! Come osi mostrarmi ancora quel tuo volto da traditore?!? »

Girò su se stesso e scattò indietro con tale velocità che Ichigo rinunciò ad attaccare e aspettò le piombasse addosso, respingendolo con un colpo contrario: la campanella splendette come non mai e la rossa avvertì l'energia scorrere potente, quasi incontrollata dalle sue dita all'arma esplodendo contro il moro, che fu spinto via finendo contro il muro vicino.

Ora combatteremo ad armi pari.

Deep Blue si rialzò con un urlo selvaggio, le pupille come spilli:

« Maledetti…! Insetti nocivi…! »

Ichigo se lo vide spuntare di fronte così rapidamente che bloccò il suo affondo al fianco per un solo secondo; sollevò il braccio allontanandolo e poi lo riabbassò, scagliando un altro colpo di luce che Deep Blue scacciò a fatica prima di tornare ad incalzarla a sua volta.

Lo spettacolo per chi avesse guardato sarebbe risultato assurdo. La mewneko, splendente di un'aura azzurrata su tutto il colpo, dimenava in ogni direzione la sua arma a cuore facendo esplodere lampi di luce nel tentativo di abbattere Deep Blue; quest'ultimo, dal suo lato, fendeva di fronte a sé con l'enorme spada provando a squarciare in due la terrestre, respingendo i suoi attacchi come una mazza da baseball una palla, tutto ad una velocità ubriacante.

Ichigo di norma non sarebbe riuscita a tenere un simile ritmo, non usando il proprio potere in così rapida frequenza. Eppure non cedette, né sentì di poterlo fare, tenendo il passo del nemico e cercando un punto cieco per colpirlo in modo decisivo e prendere le redini dello scontro, fino a quel momento senza successo.

Sei bravissima. Non distrarti un momento, la partita è aperta.

La rossa avvertì di nuovo un pizzicore leggero quando Tayou  parlò.

Non avrebbe mai immaginato che il legame tra i tre membri dei Melynas e il Dono fosse tanto forte: non solo, dopo che lei aveva iniziato a sfruttare la forza della MewAqua, il biondo era comparso al suo fianco, ma ogni volta che lui la sfiorava, o ogni volta che Deep Blue colpiva la sua arma, la rossa sentiva l'energia che l'avvolgeva reagire.

Era come essere immersi in una vasca di acqua tiepida, perfettamente immobile, che al minimo suono s'increspava sulla superficie solleticandole la pelle.

La presa di coscienza la spaventò, così come il capire quanto fosse delicata la reazione alla voce e al tocco di Tayou – appena un lieve soffio sulla cute – e quanto fosse violenta ai colpi della lama di Deep Blue e alle sue urla – una vibrazione spaventosa che le si ripercuoteva fin nel nervo più profondo.

Temette che, se avesse abbassato un solo istante la guardia, avrebbe perso il contatto con il Dono.

Il nuovo affondo ritardò di alcuni istanti. Ichigo spalancò gli occhi, era il momento!

« Ribbon Strawberry Surprise! »

Deep Blue riuscì solo sollevare una mano verso il viso, ma era già troppo tardi. La luce accecante del Ribbon Strawberry Surprise lo investì con la forza di un treno e Ichigo lo guardò mentre venne sbalzato dalla parte opposta del salone, abbattendo la seduta su cui aveva riposato fino al suo risveglio.

Ichigo lo vide distruggere la struttura e accasciarsi su di essa senza reagire: lo aveva messo fuori combattimento.

Adesso!

La rossa reagì pronta e corse verso il trono, domandandosi vaga come avrebbe potuto sferrare il colpo di grazia. Che ricordasse la sua campanella era letale solo contro i chimeri e neppure in modo definitivo, si limitava a scindere il para-para dall'animale invaso o dall'energia vitale rubata, ma non dissolveva il parassita; neppure contro Kisshu e gli altri era mai servito da quel punto di vista, sì li feriva, poteva stordirli, ma di sicuro non era un attacco atto ad uccidere.

Mentre la consapevolezza prese forma nella sua mente la ragazza rallentò il passo, come avrebbe dovuto…

Si fermò del tutto quando il suo sguardo cadde sulla spada di Deep Blue, sfuggita dalla presa del suo padrone e rimasta conficcata nel pavimento proprio tra la rossa e l'essere dai capelli neri.

Ichigo trattenne il respiro e cercò l'ombra di Tayou alle sue spalle: il biondo per la prima volta si allontanò dalla sua schiena e si avvicinò all'arma di Deep Blue, su cui posò la mano eterea facendo rispendere minacciosa la lama al contatto. La mewneko avvertì il fiato bloccato nel petto diventare un refolo gelido.

Non c'è altra via.

Lei non rispose. Capì perfettamente cosa intendesse Tayou.

Deep Blue aveva una sua vita autonoma, un corpo vero e mortale, non era più un'entità esistente in funzione di un individuo ospite; la rossa non poteva sperare di scacciarlo, coi sentimenti o con i propri poteri che fossero, e non poteva certo anche solo pensare che Deep Blue l'ascoltasse in modo ragionevole e abbandonasse i suoi propositi di distruzione e dominio.

Andava fermato. In modo definitivo.

Ichigo fece scomparire la sua campanella e si avvicinò alla spada a passi lenti, l'impressione che tutto il freddo provato da quando era nata fosse riemerso dalle viscere del suo animo, soffocandola.

Aveva già preso in mano il bokuto di suo padre, qualche volta, e pure lo shinai di Masaya(*), ma mai una spada vera.

Il manico era ruvido, non fastidioso da stringere, però adatto a non scivolare dalle mani; la rossa strinse le dita attorno ad esso, era grande abbastanza perché potesse cingerlo con entrambi i palmi, e sollevò l'arma.

Era pesante, molto più pesante di quanto si aspettasse, e affilata: la lama uscì con sorprendente facilità dal vano che aveva inciso nel terreno, sibilando leggermente, e Ichigo ondeggiò un poco di lato sotto il peso inaspettato per non farsi sfuggire l'arma e al tempo stesso tenerla inclinata a distanza da sé, temendo per il filo acuminato.

Le venne in mente quanto Minto e Ryou la sgridassero per il suo prendere un po' troppo seriamente ciò che vedeva nei film, e dovette dar loro ragione: sul grande schermo eroi ed eroine che impugnavano una spada parevano sempre trasformarsi, assorbire una qualche forma di nuova forza, una potenza sconosciuta e un immenso coraggio; lei invece provò solo timore per quello strumento di morte e per come lo maneggiasse, totalmente ignara del modo corretto per farlo, per come pesasse minaccioso sulle sue braccia, per poi deglutire al pensiero di cosa dovesse fare con esso.

Si avvicinò ai resti dello scranno di Deep Blue con circospezione, pronta al primo momento pure solo a dimenarla per impedire al moro di coglierla di sorpresa.

Lo vide riverso a pancia sotto, i lunghissimi capelli neri sparsi sul pavimento e impiastrati di polvere, come la veste blu che si alzò e abbassò al respiro lieve dell'essere. Ichigo si morse il labbro inferiore, aveva sperato davvero di scoprire che il suo attacco avesse sortito un effetto maggiore.

Alzò le braccia per sollevare l'arma sopra la schiena del nemico, capì di essere troppo distante per essere certa di sferrare con precisione e si avvicinò di qualche altro passo, le mani vicine al petto e la spada che grattò leggera le falde del suo bustino.

Non c'è altra via.

Il riascoltare la stessa frase non la convinse per niente.

Ancora Deep Blue rimase incosciente, il viso nascosto contro il pavimento. Ichigo si accostò al moro e sentì la punta dello stivale sfiorare il bordo della sua veste che si muoveva in modo impercettibile.

La rossa si morse con più energia il labbro, inspirò a fondo e sollevò ancora la spada posizionandola sopra di lui, in linea tra le sue scapole.

… Non vorrei lasciarti questo peso.

I guanti sfregarono fastidiosi mentre Ichigo strinse forte la presa e rimase immobile.

… Sono qui, Ichigo. Sono accanto a te.

La ragazza inspirò un'altra volta con tutta la capacità dei propri polmoni e diede un'ultima spinta in su con le braccia sollevando la lama, serrando le palpebre.

Lasciò andare la spada mollemente, limitandosi ad accompagnarne la spinta perché all'impatto il suo stesso peso affondasse assieme all'arma stessa.

Avvertì una leggera resistenza, il filo che impattava contro qualcosa, ma non trapassava nulla.

Uno scalpiccio di pietrisco.

… ICHIGO!

La mano sinistra di Deep Blue le si serrò attorno alla gola prima ancora che lei capisse cosa stava accadendo e riuscisse ad aprire gli occhi.

La spada cadde a terra tintinnando cupa. Ichigo tentò immediatamente di infilare le proprie dita tra quelle del moro, l'ossigeno che iniziò a diminuire e le fitte per la stretta che già andavano a segnarle la pelle, però per quanto gli graffiasse ferocemente le mani quello non accennò ad allentare la presa.

« Tu… Schifoso…! Scarafaggio…! »

Gli occhi celeste veleno dell'essere parvero volerla trapassare da parte a parte. Ichigo prese a sgambettare nervosamente e sentì un rivolo di saliva colare dalla bocca semiaperta che bramava respiro, ottenendo solo di boccheggiare aspra; lo sguardo andò annebbiandosi e ai lati del suo campo visivo intuì la mano destra di Deep Blue sollevarsi. Dietro di lei Tayou disse qualcosa, ma si potè avvertire solo un fremito nell'aria e un suono senza rumore.

« Questa volta ti romperò questo sudicio…! Miserabile collo di stupida umana…! »

All'improvviso Ichigo gridò. Quantomeno provò a gridare, la gola occlusa che le permise solo un vago rantolo, ma l'istinto non si curò della cosa facendole spalancare la bocca in una smorfia di dolore, e la sala si riempì di luce intanto che Deep Blue iniziò una lenta e dolorosa tortura tentando di estrarle a forza il frammento dal petto.

Ichigo non aveva mai provato un dolore simile: fu come se tutte le ossa del petto si frantumassero, poi si piegassero a mo' di lame verso l'interno e le trapassassero ogni organo con lentezza insopportabile. I polmoni le bruciarono come invasi di aria rovente, benchè lei sentisse di non avere più un briciolo di ossigeno con cui urlare, i muscoli del torace si tesero e contrassero, pesanti, irrigiditi, e il cuore accelerò al punto che la rossa sperò smettesse di galoppare, pure che si fermasse del tutto pur di placare le fitte laceranti che le pulsarono tra le costole fino alla gola e alle orecchie.

Esausta, accecata dal dolore e dalla mancanza di fiato, nel panico, Ichigo lasciò che l'istinto di sopravvivenza prendesse il sopravvento e insisté a dimenarsi senza ragionare, scalciando inutilmente e graffiando, tentando invano di mordere la mano di Deep Blue troppo distante dalla propria bocca. Disperata iniziò a scorgere il frammento, ormai con una punta fuori dal suo petto, quasi una piccola lama di luce che la stava trapassando, e aumentò la foga del suo agitarsi insensato.

Stava per perdere conoscenza. Stava per vedersi sottrarre la sua unica arma per sconfiggere Deep Blue, morendo nella completa impotenza: come aveva sibilato il moro, uno scarafaggio tra le sue mani.

Ad un passo dall'oblio avvertì un'altra volta una voce muta sussurrare vicino al proprio orecchio. Forse era ancora Tayou che la chiamava, incapace di aiutarla.

Poi, un lampo di luce, una sagoma più distinta. Solo per un secondo. E la voce limpida e disperata di Luz.

Ti prego, fermati! Nuvem!

L'immagine della bionda apparve, incorporea, accanto ad Ichigo e sporse un braccio tra lei e Deep Blue; l'arto non toccò né il moro né la mewneko, attraversando ogni cosa che sfiorò, e perciò la rossa non seppe mai dire se fosse stata la chiarezza della sua voce o il modo in cui, nell'evanescenza della sua figura, gli occhi azzurri risultassero così ben definiti, limpidi e tristi, però qualsiasi fosse stata la ragione la stretta sulla sua gola si allentò a sufficienza perché lei potesse frapporre le dita guantate a quelle gelide e letali di Deep Blue.

Con un movimento rapidissimo e spremendo ogni grammo di forza rimasto Ichigo, mezza accecata dalla mancanza d'aria, si liberò dalla presa del moro e calciò di fronte a sé: non le importò di colpire l'avversario o meno, volle solo allontanarlo quanto bastava per fuggire in zona di sicurezza; capì di centrare qualcosa, forse un gomito, o una gamba, ma non controllò cercando attraverso la nebbia del proprio sguardo il frammento che Deep Blue era riuscito a cavarle dal petto.

Lo vide, giusto accanto ai piedi dell'essere: non splendeva più come quando avevano lottato o quando Deep Blue l'aveva estratto, eppure la rossa si lanciò per prenderlo; Deep Blue, ancora distratto dall'ombra di Luz quasi svanita, non reagì abbastanza prontamente per impedire alla ragazza di riprenderla.

Stringendo nel pugno destro il frammento con tanta forza da tirare le cuciture dei guanti, Ichigo scattò, meglio, barcollò a quattro zampe evitando di un soffio che Deep Blue la riagguantasse, e gli saltellò tra le caviglie nella brutta imitazione di un gattino intento a giocare con il padrone cercando la via di fuga; al terzo tentativo riuscì a sgusciargli via da sotto le mani e intanto che si spinse per tirarsi in piedi il suo palmo sinistra si appoggiò a qualcosa di rigido.

L'elsa della spada del moro.

Ichigo afferrò l'impugnatura senza rifletterci troppo e si allontanò, il frammento in una mano e la spada nell'altra. Deep Blue, riscossosi, storse il viso deluso da se stesso e gridò di rabbia:

« Credi di esserti salvata?! Le suppliche dei morti non ti proteggeranno! »

L'essere esplose un colpo di energia dal palmo e Ichigo lo evitò a fatica scartando di scatto a destra, la pelle della coscia che pizzicò lambita dalle emissioni dell'attacco.

« Non ti permetterò di rovinare di nuovo tutto! Stupido esserino insignificante, ti schiaccerò come l'insetto che sei! »

Ichigo cacciò un paio di strilli istintivi mentre, rimessasi a correre rasoterra, zigzagò da una parte all'altra per non venire colpita; l'energia devastante degli attacchi, ravvicinatissimi, le vibrò ogni volta addosso facendola sbandare e costringendola a spingersi coi piedi, con le mani chiuse a pugno sui suoi tesori, perfino con i gomiti, qualsiasi parte del corpo servisse per rimettersi in equilibrio e non permettere al moro di mirarla con precisione. Le orecchie le fischiarono per le esplosioni ravvicinate, la gola bruciò per la morsa da cui era fuggita e per lo sforzo; rintontita la rossa per alcuni minuti potè focalizzare solo il passo successivo al precedente per non venire centrata, cercando allo stesso tempo un modo per riavvicinarsi al nemico e riprendere a lottare.

« Corri, corri gattino! – la canzonò Deep Blue con una risata sguaiata – Cosa farai, adesso? Sei da sola, ormai! »

Le sue risa querule si alzarono di un'ottava quando l'ennesimo colpo esplose appena dietro le spalle di Ichigo, scagliandola qualche metro più in là e facendola rotolare malamente a terra; il moro la guardò con malevolo divertimento rialzarsi con fatica e riprendere a correre ormai a quattro zampe, un pugno sempre chiuso sul frammento inservibile e l'altro sul manico della spada che sbatacchiò contro il pavimento ad ogni balzo, un inutile ingombro da cui la mewneko non sembrò capace di staccarsi.

« Nessuna briciola di Dono degli Avi con cui giocare ad armi pari, nessun traditore che ti protegga le spalle o dia la sua miserabile vita per la tua! – soffiò sprezzante il moro – Solo te e io. »

La rossa strinse i denti rabbiosa.

Aveva ragione, erano solo loro due.

Tutti coloro che aveva cari erano lontani. E contavano su di lei. Tutti stavano lottando, avevano lottato e fatto di tutto perché lei arrivasse lì, perché sapevano che lei era la loro risorsa e, nonostante i suoi errori, si fidavano di lei tanto da affidarle il loro destino.

Non li avrebbe delusi scappando.

Seguì la curva del perimetro del salone per ancora qualche metro, ruotò su se stessa e soffiando minacciosa puntò contro Deep Blue.

Lui rise ancora più forte:

« Vieni, vieni pure! Muori almeno con onore, sciocco esserino! »

Il nuovo colpo scoppiò proprio contro il fianco di Ichigo che fu spinta via, verso sinistra, gridando dal dolore; lei però invece di retrocedere o cambiare direzione serrò le labbra in una linea dura, assecondò lo slancio rotolando un momento di lato e quindi ricominciò a correre puntando sul nemico.

Deep Blue rise ancora e affiancò i palmi, scagliando un altro colpo. Ichigo non indietreggiò, afferrò l'elsa della spada con entrambe le mani e drizzò la schiena, saltando in alto per evitare l'attacco; come temeva non fu sufficiente e l'esplosione le raggiunse la gamba sinistra, strappandole un urlo: lo stivale color vinaccia si strappò in più punti e il fine olfatto della mewneko avvertì odore di bruciato – plastica e pelle – mentre lei atterrò malamente sull'altra gamba per diminuire almeno un poco le fitte accecanti che le vibrarono lungo la coscia.  

Deep Blue non smise di fissarla e ghignare e di nuovo si portò i palmi di fronte al petto. Ichigo, ancora nello slancio della corsa, mosse la gamba ferita e vide le stelle dal dolore, ma chiuse entrambi i palmi sull'impugnatura della spada e s'impose di ignorare la questione.

Pochi secondi che parvero ore.

Dietro lo sguardo appannato da piccole lacrimucce ai lati degli occhi, la figura di Deep Blue sembrò più oscura e spaventosa che mai; sentì il pelo di coda e orecchie drizzarsi, il pericolo dell'attacco contro cui si lanciò chiaro al suo istinto felino, eppure non indietreggiò. Il frammento di Dono, schiacciato tra la sua mano e l'elsa, si plasmò uno spazio nel suo palmo piagandole probabilmente per sempre la carne. La gamba tremò tanto sotto lo sforzo di sostenere il suo peso in corsa che Ichigo temette avrebbe ceduto, facendola crollare a terra.

« Così finisce tutto, MewIchigo. »

La rossa piegò le braccia contro il petto e mosse con fatica la spada, sollevandone la punta da terra e voltandola di fronte a sé a mo' di lancia.

L'energia azzurra di Deep Blue formò una sfera definita. Ormai il colpo stava per essere scagliato, Ichigo non lo avrebbe mai evitato.

« Addio. »

La mewneko gridò ancora per darsi coraggio, chiuse gli occhi e tese le braccia avvertendo tutto il peso della lama; l'ultima immagine che le fu chiara fu l'arma che passò attraverso la sfera di energia e la fatica per spingerla in avanti, quasi che qualcosa ne ostacolasse il cammino.

La scarica di energia si espanse in tutta la sala, una sfera di luce che si schiantò contro pareti, pavimento e soffitto coprendo tutto di bianco. Le voci di Ichigo e di Deep Blue si udirono solo per pochi istanti, coperte dal fragore dell'esplosione e dallo scricchiolio dei muri che si frantumarono.

Di nuovo, nient'altro che bianco e silenzio.

La luce si dissolse poco a poco, permettendo agli occhi di riabituarsi con delicatezza alla penombra luminosa della sala. Il palazzo crepitò lieve ancora per pochi secondi, lo scalpiccio di qualche pietruzza che rotolò lungo le pareti fino al pavimento, intanto che la polvere sollevata dall'onda d'urto andò a depositarsi placida su di esso.

Non ci fu nessun altro rumore per lunghissimi minuti. Quando ogni cosa nell'aria si fermò le sole cose visibili nel salone furono lo scranno di Deep Blue, distrutto, e le sagome dei due avversari riverse a terra.

Un tintinnio argentino vibrò lungo tutta la stanza, diffondendosi lento e deciso.

Ichigo tentò una prima volta di aprire gli occhi – alzarsi, in quel momento, sembrò un'idea folle e irrealizzabile pure solo a pensarla – e ottenne solo di arricciare il naso, mugolando scontenta. Ritentò e sollevò lentamente le palpebre, non avrebbe mai pensato che un movimento tanto infinitesimale potesse risultarle così complesso e faticoso.

Ci mise un po' a mettere a fuoco cosa avesse davanti. Quando le iridi rosa tornarono lucide, inquadrando il pavimento sconnesso di fronte, Ichigo si mise a studiare ogni dettaglio che i suoi occhi percepirono, cosicché la sua mente riprendesse coscienza dei momenti precedenti al suo svenimento.

Pavimento freddo. Sporco, polvere sulla pelle. Piastrelle rotte che graffiano le braccia.

Era corsa direttamente in bocca a Deep Blue, disarmata, un secondo prima che lui la facesse saltare in aria.

Pareti incrinate. Crepe che corrono minacciose verso il soffitto, forse crollerà presto.

No… Non era disarmata… Aveva la sua spada.

Buchi nei muri, buchi nel pavimento; l'energia di Deep Blue.

Girare la testa senza strusciare la faccia a terra le costò una buona dose di pazienza e dolore, ma l'impresa riuscì e per due volte la rossa potè scrutare attorno a sé quasi a centoottanta gradi.

Dov'era finita la spada del moro…?

Trono distrutto. Una veste blu. Capelli neri.

La vista della sagoma di Deep Blue le diede abbastanza energia per sollevarsi con il busto e guardare di fronte a sé. Immobile Ichigo fissò il profilo dell'essere, aspettandosi in qualche modo che reagisse nuovamente, che saltasse in piedi come nulla fosse, o accadesse qualcosa di inaspettato, ma per quanto rimanesse in attesa Deep Blue non mosse un muscolo. Parve non muoversi proprio, neppure il più lieve tremolio.

Inspirando a fondo per trattenere il lamento che le provocò mettersi in ginocchio, la mewneko si tirò lentamente in piedi sperando che il tremore alle ginocchia fosse solo passeggero e claudicando si avvicinò alla silhouette scura.

Aveva mascherato il primo guaito, ma non si fece remore per i continui piagnucolii infastiditi che mandò ad ogni passo: braccia e gambe erano talmente ricoperte di lividi e graffi e così malconce che il minimo movimento le causò dolore, insistere a camminare si sarebbe potuta considerare una forma di coraggio più che sufficiente per concedere il lamentarsi.

Ancora intontita dovette trovarsi proprio accanto a Deep Blue per capire dove fosse finita la spada, intuendo inoltre, con un moto di gelido ribrezzo, che l'essere non si muovesse davvero più, né avrebbe potuto farlo ancora.

Le ginocchia le cedettero lentamente. Ichigo si limitò ad accompagnarsi a terra, poggiandosi all'indietro sui palmi, lo sguardo incatenato alla punta dell'arma su cui Deep Blue parve essersi accasciato stancamente e che in quel momento spuntò dalla sua schiena. Non c'era traccia di sangue sull'acciaio splendente, solo attorno alla veste strappata dal filo della spada si intuì una chiazza scura alla cui vista Ichigo serrò le mani in uno scatto nervoso.

Avvertì qualcosa nel pugno e si costrinse a distogliere lo sguardo dal corpo del moro, domandandosi cosa stesse stringendo; socchiuse appena le dita e riconobbe il frammento che aveva recuperato, doveva aver perso la presa dalla spada, ma in qualche modo era riuscita a tenere con sé la scheggia di Dono.

Il Dono…

Riprese a guardarsi attorno con ansia crescente finché non lo trovò e ancora la nausea le serrò lo stomaco.

Tra i resti del trono di Deep Blue vide un piccolo oggetto sferico, non dissimile da una comune sfera di vetro trasparente.

Era il guscio di MewAqua che gli Ancestrali avevano rubato, ed era vuoto.

Completamente vuoto.

Il desiderio di piangere montò così rapidamente che la rossa dovette chiudere gli occhi e fece tre lunghi respiri per impedirsi di cedere. Le sfuggì lo stesso un singhiozzo e si sentì una stupida. Stanca e afflitta si allungò verso il guscio vuoto e poi si lasciò di nuovo a sedere, fissando la superficie trasparente che riflettè a fatica il suo volto distrutto.

Aveva fallito. Deep Blue era morto, sì, ma lei non aveva recuperato il Dono. Anche se fossero tornati indietro – per un secondo ripensò agli altri, al fatto se fossero illesi o meno, e dovette inspirare a fondo ancora un paio di volte – Jeweliria sarebbe stata condannata a dissolversi in una pozza di terra morta.

Strinse la presa sul cristallo e vi poggiò la fronte azzannandosi le labbra, tutto quello sforzo, tutta quella lotta… Per un sasso inutile.

« Maledizione…! »

Con rabbia si mise in ginocchio e piegò il braccio dietro la testa, pronta a lanciare il cristallo vuoto dall'altra parte della sala, quando il corpo di Deep Blue emise per un secondo un bagliore azzurrato.

Ichigo cacciò uno strillò ricadendo sul sedere, il Dono stretto al petto, e fissò terrorizzata il corpo finché non smise di splendere, appena un attimo dopo. A quel punto fu il cristallo vuoto a brillare.

La rossa lo fissò attonita, non capendo perché l'interno dell'oggetto andasse a riempirsi di una sostanza iridescente e indefinibile.

« Mew… Aqua?! »

Farfugliò la mewneko coprendosi il viso con la mano libera per proteggersi dalla luce:

« Come…?! Com'è…?! Ah…! »

Un lampo più intenso la costrinse a chiudere gli occhi. Quando li riaprì vide la conosciuta, confortante luminescenza liquida dietro la superficie liscia del cristallo, pur se la quantità fosse parecchio più esigua dell'ultima volta in cui l'aveva vista.

« Sei stata bravissima, Ichigo. »

La giapponese buttò un altro urlo e pigolò querula:

« Voi…! Insomma! Volete farmi venire un infarto?!? »

Squadrò irritata le figure di Luz e Tayou, ricomparsi di fronte a lei e che la guardarono sorridendo; in realtà Ichigo ebbe l'impressione che il sorriso del biondo fosse un po' canzonatorio, forse per l'aspetto che lei seppe di avere – sconvolta di stanchezza, scarmigliata, eppure con sufficiente energia per fare smorfie e corrucciarsi come una bambina – e sentì di arrossire stizzita. Sbuffò drizzando le spalle, notando come le due figure fossero più luminose ed evanescenti di prima, quasi dei veli di bruma contro lo sfondo, quindi chiese:

« Com'è possibile? – si rivolse ai due, mostrando il Dono – Non c'era più nemmeno una goccia di potere. »

Luz abbassò lo sguardo con un sorriso malinconico. Tayou si fece più serio, ma apparve comunque sereno:

« Contrappasso adeguato. Il Dono era legato al suo padrone, ma non conosceva fedeltà. Come ha sempre fatto, accumula energia con calma e costanza, acquisendone in quantità in determinate occasioni. Così com'è accaduto la notte in cui è stato creato. »

Ichigo sussultò tornando a fissare il Dono:

« Vuoi dire…?! »

« Sì. – disse il biondo – Ha raccolto l'energia della vita di Nuvem. Come la raccolse quel giorno di trecento milioni di anni fa, assieme alla mia e a quella di Luz. »

La rossa rabbrividì all'idea.

« Non temere, stavolta non potrà tornare. »

La rassicurò il biondo intuendone i pensieri:

« L'evento di quella notte è stato una casualità terribile. L'energia che il Dono ha raccolto ora non è sufficiente per mantenere l'esistenza di una coscienza priva di un corpo, e nessun Atavismo sarà più ripetibile. Deep Blue è definitivamente scomparso. »

Ichigo, ancora confusa, sorrise avvertendo le membra irradiarsi di caldo sollievo.

« … Sarà sufficiente? »

Domandò, di nuovo titubante, scrutando la goccia di potere tra i palmi. Tayou attese prima di risponderle:

« Per salvare Jeweliria, sì. »

La mewneko non ribattè e abbassò cupa le orecchie, il biondo aveva intuito il suo pensiero ed era parso addolorato a distruggere le sue speranze.

Se ce ne fosse stata di più, forse… Tutti coloro che ancora erano feriti dopo la Battaglia della Prima Luna, quelli che lottavano tra la vita e la morte… Forse…

« Non ce n'è per altro. »

Precisò triste Tayou e Ichigo nascose il viso dietro la frangetta senza rispondergli.

Luz, che ancora non aveva  parlato, si inginocchiò accanto alla rossa; le rivolse un sorriso affettuoso, poi le cinse le braccia con le proprie e posò la guancia contro la sua: pur non sentendo con chiarezza il tocco di una pelle estranea, Ichigo ebbe la sensazione che l'avessero sfiorata con un velo di stoffa gelido e non riuscì ad impedirsi di rabbrividire.

« Sei stata straordinaria. »

Disse Tayou. Ichigo lo sbirciò con la coda dell'occhio, ebbe l'impressione che il biondo fosse più trasparente di prima e lei distinguesse meglio la sala alle sue spalle.

« Ti ringrazio… Davvero. Per tutto. »

La rossa alzò la testa, stavolta fu sicura che Tayou fosse più evanescente; dovette strizzare gli occhi per distinguerne bene il viso e tendere le orecchie, la sua voce era quasi inudibile.

« Avrei voluto… Poter parlare di più… Con te… »

« Avresti…?! No, aspetta! Non andartene! – fece agitata e allungò la mano verso il biondo, ormai invisibile – Ao No Kishi! »

Si girò di scatto, anche Luz era già svanita, la mewneko non percepì nemmeno più le sottili braccia della bionda che l'avevano stretta e il suo viso le parve quasi uno strano riflesso di luce nell'aria:

« Luz! »

La ragazza sorrise. Ichigo intravide il suo profilo trasparente accostarsi al suo orecchio e sentì un pizzicorino, un soffio leggerissimo che richiese alcuni secondi di riflessione per essere interpretato.

« Lui… Lo rivedrai… Il… È tuo. Usa… »

« Eh? No, Luz, non…! Di cosa parli?! »

« … Gra… zie… Addi… o… »

Un respiro e le due figure erano scomparse. Dissolte come non fossero mai state lì.

Ichigo si guardò attorno confusa, alzandosi meccanicamente non avendo ben chiaro cosa avrebbe dovuto fare e sentendo una stanchezza insopportabile rallentare il suo passo. Si avviò fuori dalla sala, le parole vaghe di Luz in testa e il Dono tra le mani, quando il suo corpo sciolse la trasformazione e lei tornò all'aspetto di Ichigo Momomiya.

« Cosa…?! Oh, no! La MewAqua…! »

All'improvviso si ricordò di quanto fosse successo nella battaglia finale a Tokyo: le radiazioni della MewAqua avevano temporaneamente fatto svanire i poteri suoi e delle ragazze, tanto che tutti si erano convinti che il gene m fosse scomparso. La rossa controllò l'interno della sua coscia destra, la voglia m non c'era più.

Prese a correre incurante della fatica che le appesantì le membra.

Magari era successo solo a lei, che aveva affrontato Deep Blue da vicino. Ma non poteva rischiare che anche le ragazze si fossero trasformate: non aveva idea di dove si trovassero, se stessero affrontando ancora qualcuno degli Ancestrali o meno, e nel caso se si fossero trovate contro Toyu, Lindèvi o Arashi senza poteri…

Non fu pronta per il buio fuori dal salone. Rimpianse subito i suoi occhi felini, ma non si fermò incespicando nell'oscurità e tirando un'imprecazione quando il pavimento diede un terribile scossone.

« E adesso?! »

Nel buio onde luminescenti verdi e rosse iniziarono ad inglobare i profili appena distinguibili delle pareti, scomparso il suo creatore la dimensione stava scomparendo. Ichigo corse ancora più veloce, guidata solo dalla diversa oscurità e sbattendo contro angoli e curve, finché per un secondo il pavimento sotto i suoi piedi non perse consistenza e lei inciampò sul suolo brullo del vero pianetino.

Rotolò tra le ombre, il Dono serrato tra le braccia, poi una dolorosa fitta alla testa e l'oscurità fu totale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 (*) rispettivamente la "spada di legno" (bokuto o bokken) e la "spada di bambù" (shinai). Il bokutō è la riproduzione in legno della katana giapponese e ne conserva la forma, la bilanciatura e, nel caso di alcune scuole, anche il peso. Lo shinai è usato durante l'allenamento e nel combattimento. Maggiori dettagli qui :3

https://en.wikipedia.org/wiki/Shinai

https://en.wikipedia.org/wiki/Bokken

 

 

 

 

 

 

 

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Tutti: … e la chiudi così?

Hai desu~ ♥ ^w^

Tutti: e non sapremo niente.

Dameee ~ ♥ ^w^!

Tutti: che è successo alla gatta.

No ^w^

Tutti: se gli altri la ritrovano, o moriranno nel niente?

No no ^w^

Tutti: né se quelli sperduti riusciranno ad uscire o crolleranno marcendo nel niente?

Nope ^w^

Tutti: … … … Tu… Sei una brutta persona -.-**

Ringrazio tantissimo prima che mi mandino a quel paese xD LittleDreamer90,  Amuchan, mobo,  Hypnotic Poison, Sissi1978 e TheRosablue91 e pregando non decidano di boicottarmi in massa (o spedirmi pacchi caccabomba x°D) rassicuro loro e tutti i lettori che non dovrete aspettare troppo per gli ultimi capitoli.

GENTE ULTIMI CAP! Uno e l'epilogo! E bon! FINE! Sto piangendo!

 


Mata ne
~ ♥!

Ria

 

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Capitolo 57
*** Toward the Crossing: tenth road (epilogue) ***


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Siori e siore, PENULTIMO CAPITOLO!

Wow non ci credo sono riuscita a completarlo °-°"! Questo capitolo è stato un parto, sia perché è stato intricatissimo scriverlo in modo che non fosse un pippone, ma cosicché riuscissi a spiegare tutto quello che era rimasto in sospeso, ho dovuto scriverlo e riscriverlo e riscriverlo, rileggerlo, tagliare e ritagliare, una palla -.-"! Poi ovviamente è capitato a cavallo tra la fine della gravidanza e la nascita della nuova pupetta (quindi vai, combo di assenza/recupero forze e piccola depressione portata dalla stanchezza) quindi mi ci è voluto un po' per trovare le energie e la concentrazione per finire. Ora sono di nuovo in pista (con un sidecar doppio xD) e perciò sono solo triste perché ormai siamo in fondo TwT

Ok non mi dilungo oltre buona lettura ♥  

 

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Cap. 57 – Toward the Crossing: tenth road (epilogue)

                No pain, no gain

 

 

 

 

La brezza era decisamente più frizzante da un paio di giorni, la stagione estiva aveva compiuto gli ultimi passi verso quella invernale e Lasa si dovette stringere nelle spalle per far passare i brividini lungo le braccia. Non era mai stata una persona freddolosa, ma di recente sentiva caldo e freddo con più fastidio del normale; probabilmente era la pessima qualità del suo sonno, specie negli ultimi tempi.

Sospirò, in fondo non era strano che non riuscisse più a dormire a dovere.

Scuotendo la testa sovrappensiero si avviò a passo spedito verso l'ospedale in costruzione; di certo ai jeweliriani si doveva riconoscere l'innata capacità di adattarsi e riorganizzarsi con estrema rapidità pure nelle situazioni più difficili, in meno di due settimane dall'inizio dei lavori la struttura di base dell'edificio era già accessibile e funzionante, sebbene attivo a un regime minimo. In quel modo avevano potuto trasferire quasi tutti i pazienti ancora degenti nel bunker all'esterno, cosa che aveva facilitato la loro gestione e la cura dei casi più gravi, migliorando di molto l'atmosfera generale.

La donna si avvicinò all'ingresso presidiato da due soldati e mostrò il proprio permesso di accesso – uno degli inconvenienti dei lavori in corso, di solito cose così non la seccavano, ma dover esporre le proprie credenziali invece di entrare e basta le risultava fastidiosamente tedioso, visto il suo umore – quindi si avviò a passo spedito verso la piccola stanza dei medici. Prese dal proprio armadietto il sottile schermo dati trasparente e scorse la lista delle sue visite giornaliere, si sistemò indietro i lunghi capelli castagna e iniziò il proprio turno.

Le cose procedettero normalmente per la maggior parte del tempo: rilettura delle cartelle, monitoraggio dei parametri dei pazienti, eccetera, nulla di troppo impegnativo; tra un'attenta osservazione e una parola di conforto che mai guastava Lasa arrivò quasi alla fine del giro di controllo, quando qualcuno di piccolo e rumoroso le rovinò addosso rischiando di farla cadere.

« Insomma…! – sospirò esasperata e fissò severa verso le proprie ginocchia – Mi pareva di essere stata chiara. »

Due bambini di circa otto anni – il secondo forse appena più piccolo – entrambi con fasciature evidenti da sotto gli abiti, spalancarono gli occhioni e farfugliarono qualche scusa tirandosi in piedi dal pavimento.

« Siamo in ospedale, non al parco giochi. – proseguì ferma la donna – Non potete correre e saltellare come vi pare. »

Il bambino più piccolo non rispose, abbassando gli occhi e mormorando qualcosa, l'altro si fissò le punte dei piedi bofonchiando:

« Scusi dottoressa. »

Lasa li scrutò ancora duramente e poi, sospirando, aggiunse con più dolcezza:

« Lo capisco che sia noioso stare qui senza poter fare quello che vi pare, ma dovete resistere ancora un po', non siete ancora guariti del tutto. Inoltre non potete giocare senza pensare agli altri pazienti, ci sono persone che hanno bisogno di calma e riposo. »

I due piccini annuirono a disagio, imbronciati, e salutarono la donna poco convinti lasciandole spazio perché proseguisse le sue faccende. Mentre si allontanò Lasa scorse con la coda dell'occhio un terzo bambino raggiungere i primi due, che nel frattempo avevano preso a discutere.

« Io te l'avevo detto che non dovevamo! »

Si lagnò con una fortissima erre moscia il più piccolo, mortificato.

« Oh, piantala! Anche tu ti annoiavi! »

« Siete due stupidi, finirete per cacciarci nei guai per davvero! »

Sbuffò il terzo, una grossa fasciatura attorno alla fronte.

« È colpa di questo frignone – sbottò il primo indicando il più giovane – si lamenta che si annoia, poi non riesce a starti dietro. »

« Non è vero! – protestò il piccolino sbattendo un piede – Io te l'ho detto che non so correre così veloce! »

« Sì, perché sei un pidocchio piscialetto. »

Rise il primo e il terzo dietro, scatenando così le lacrime del secondo a cui entrambi reagirono preoccupati.

« No, dai, lascialo perdere. »

« Guarda che scherzavo. »

« Stupido! Lo dirò alla mamma! »

Il più piccolo zampettò piangendo nella direzione opposta da cui era arrivato, gli altri bambini dietro che lo intercettarono scusandosi ancora e calmandolo per poi allontanarsi con lui, già confabulando su come ammazzare il tempo in quel posto noiosissimo.

Lasa, che si era fermata poco distante ad osservarli distratta, sorrise nostalgica: quante ne aveva viste di scene simili quando i suoi ragazzi erano bambini, le sembrò fossero trascorse dieci vite da allora. Un senso di cocente malinconia le pizzicò la gola e dovette prendere un lungo respiro per non perdersi in ulteriori pensieri mesti, sforzandosi di sorridere con serenità mentre una delle giovani infermiere del reparto la vide arrivare:

« Ikisatashi-san, tutto bene? »

« Certo. – rispose la donna con calma – Sono solo bambini che si annoiano. Basta spiegargli e sono perfettamente in grado di adattarsi. »

La ragazza, due lunghe code verde accesso ai lati della testa, sorrise intanto che nuovi schiamazzi proruppero da una stanza vicina. Lasa sospirò con rassegnazione e l'infermiera ridacchiò condiscendente.

« Invece ci sono adulti che non capiscono nemmeno se li scrivi le cose in fronte. »

Borbottò la donna e spalancò decisa la porta della camera:

« Insomma voi due, quante volte devo ripetervi di smetterla con questa confusione? »

I due degenti oltre la soglia, impegnati a fare gli stupidi con non si sa quale discorso e morendo dalle risate saltellando sui materassi, sorrisero e si scusarono, ben poco convincenti nei loro persistenti scoppi di risa trattenute. Lasa corrugò la fronte fissando severa alla sua sinistra:

« Ti pare il caso di agitarti tanto? »

La vittima dell'occhiataccia si sforzò di ricomporsi con un grugnito e sporse la punta della lingua, grattandosi la nuca e Lasa sospirò avvicinandosi al letto:

« Hai punti e incrinature alla testa e alla fronte – ricordò, controllando le medicazioni – è già una fortuna che tu non sia in terapia intensiva, Purin-chan. Cerca di non esagerare. »

La biondina arrossì un pochino, consapevole di essere parecchio incosciente, e si limitò ad annuire:

« Scusa Lasa-san. »

La donna alzò un sopracciglio e la guardò un istante, le mani perse tra i ciuffetti biondi, sorridendole sottile; le fece una carezza e proseguì con il checkup, la mewscimmia che arricciò le labbra e ridacchiò.

« Sì, però è una palla qui…! »

« Tu sei un disgraziato, dovresti impedirle di agitarsi così tanto invece di fomentarla. »

Soffiò la donna e constatato che le bende di Purin non fossero da cambiare, né ci fossero altri problemi, andò all'altro letto sogghignando lievemente alla reazione del suo occupante:

« Taruto, devo controllarti la ferita. »

Il brunetto, rannicchiatosi un poco su se stesso, allentò la stretta sul braccio destro e guardò Lasa rabbuiato:

« Sì, sì, lo so. »

Lei cercò di non sorridere troppo, o quantomeno non troppo divertita, mentre il figlio saltellò fino al bordo del letto e le porse il braccio. Lui trattenne il fiato quando Lasa gli tolse la fasciatura che andava da sotto alla spalla fin poco sopra il gomito: Taruto sbirciò con un misto di disgusto e morbosa curiosità il lungo taglio, che arrivava quasi all'osso, e i punti di sutura che lo chiudevano, scuri sulla ferita ancora rossastra. S'irrigidì intanto che Lasa gli tolse la benda e pulì attorno al taglio medicato, soffiando secco al contatto con il disinfettante e strappando una risata a Purin. Le rivolse un'occhiataccia livorosa:

« Non fa ridere. »

« Ti lanci contro uno degli Ancestrali e ti fai quasi mozzare il braccio, poi ti lamenti per un po' di bruciore. Riderei anche io, tesoro. »

Lui squadrò la madre offeso e lei ridacchiò con dolcezza, finendo la medicazione e scompigliandogli la frangetta.

« Dai, mamma, piantala! Ho quattordici anni, non quattro! »

« Mi pare di avertelo già detto – proruppero dall'ingresso – finché non sarai maggiorenne, tua madre ha il diritto di coccolarti e trattarti da marmocchio quanto le pare e piace. »

Taruto borbottò qualcosa a denti stretti e Lasa, gentile, evitò di ridere troppo forte lasciando il piacere a Iader che entrò baldanzoso.

« Buongiorno Iader-san. »

« 'Giorno madamigella. »

« Credevo fossi di turno al Palazzo. »

« Sì, ma ho pensato di venire a controllare se, effettivamente, la mia attuale progenie fosse ancora viva e vegeta. – scherzò l'uomo dando un buffetto al suo terzogenito – Vista questa malsana abitudine di giocarsi la buccia prima dei settant'anni. »

Lasa scosse la testa sorridendo rassegnata e Purin rise allegra sedendosi poi sul bordo del materasso:

« Ti seguo Iader-san. »

« Non se ne parla, il dottore altrimenti mi esilia sul divano fino a data da destinarsi. »

La fermò e indicò, fingendo di nascondersi, la moglie e l'occhiata più torva che gli aveva scoccato:

« Gli ormoni la rendono suscettibile. »

« E tu sei di aiuto a gestirli come si deve. »

Sottolineò lei e Iader sogghignò divertito: la tendenza ad essere accomodante nei confronti di quei ragazzini era costata all'uomo una buona dose di lavate di capo, beccato a passeggiare coi due per l'ospedale ignorando il tassativo ordine di riposo per entrambi.

Purin sospirò, ma annuì obbediente. Iader le ammiccò, salutò ancora Taruto e uscì seguito da Lasa, che lasciò al figlio un bacio leggero sulla fronte; il brunetto scosse la testa, grugnendo, e Purin non gli fece notare il sorrisetto contento che tentò invano di nascondere dietro il broncio, limitandosi a stendersi e a riposarsi un po' prima di colazione.

 

 

***

 

 

Minto spostò il vassoio sullo spartano comodino accanto al letto inspirando soddisfatta, dopo tanti giorni provava un po' di nostalgia per la colazione salata alla giapponese – a differenza dei suoi connazionali, i jeweliriani tendevano a mangiare dolce al mattino – però la tazza di paina con quella curiosa cremina da mischiarvi e la pagnottella tipo brioche erano molto piacevoli appena svegli. La morettina si stiracchiò e scivolò con cautela giù dal letto, dirigendosi come sempre verso la fine del corridoio.

Quel rito quotidiano era, per quanto snervante, la sola cosa che le desse un senso del tempo trascorso; ancora trovava difficoltà a riordinare cosa fosse successo dopo la sconfitta di Arashi, era stata una sequenza di eventi così frastornante da sembrare uno strano incubo distante.

Avuta la certezza della dipartita dell'Ancestrale il piano generale sarebbe stato di andare a cercare i membri del gruppo ancora dispersi e, soprattutto, Deep Blue, prima che Ichigo finisse tra le sue grinfie. Nessuno si sarebbe aspettato di vedersi crollare la dimensione addosso e vederla scomparire quasi subito dopo, ritrovandosi di punto in bianco in mezzo ad una piana desolata, solo il cielo nero e le stelle ad osservarli e corpi immobili di nemici ed amici sparsi qui e là a decine di metri di distanza, i soli punti di colore sulla terra grigia.

Rabbrividì appena al ricordo, per lei un'immagine parecchio inquietante, e accelerò il passo ascoltando il ticchettio leggero delle proprie ciabattine. Ringraziò che pur segregata tra quattro mura le fosse stato concesso di mettersi a proprio agio ed indossare uno dei suoi pigiami, e non le scialbe e tristi divise in materiale termico-sintetico fornite dall'ospedale; in un certo senso la faceva sentire più "a casa" e toglieva alla situazione un po' della sua gravità.

Come nelle precedenti sei mattine si affacciò nella stanza da un angolino, guardinga, pronta a fare qualche passo indietro se un dottore o un infermiere fosse stato di controllo, oppure ad entrare e prendere posto sulla sedia accanto al letto se avesse visto solo quello e il suo semicosciente occupante. Dovette però sussultare, confusa, la camera era completamente deserta compreso il letto candido: non c'erano più tracce di strumentazioni di controllo, o di grucce per le flebo, né di qualcuno che ne avesse fatto uso fino alla sera prima; sembrò che la stanza fosse stata smantellata e riordinata perché non più necessaria.

L'ultima idea, che passò rapida e subdola nella testa di Minto, le fece stringere le dita contro lo stipite della porta scattando poi in avanti fino a rallentare, raggiungendo il letto vuoto. Posò una mano sulle lenzuola sfiorandone pieghe inesistenti, erano fredde.

La mewbird avvertì il violento bisogno di prendere più aria e mandò due respiri affannati, l'altra mano che salì lenta al viso: non capiva, però se fosse… Glielo avrebbero detto, perciò non capiva perché… Non…

« Oh, ma buongiorno! Ecco dov'eri, ti ho c- »

Minto sussultò a quella voce squittendo acuta e voltandosi come una molla, badando poco al fatto che la sua espressione avesse ammutolito l'interlocutore. Si coprì la bocca con la mano, l'ansia che l'aveva assalita svanita tanto rapidamente da serrarle la gola e farle venire comunque voglia di gridare, non seppe se di gioia o di rabbia.

Kisshu, più pallido del normale e chiaramente bendato da capo a piedi nonostante i vestiti lunghi dell'ospedale lo nascondessero un po', smise di mangiucchiare il frutto che aveva in mano e fece svanire il sorrisetto con cui era comparso sulla soglia nel vedere l'espressione attonita della mora, l'aria di chi fosse sul punto di piangere. Abbandonò il suo spuntino su un ripiano spoglio accanto all'ingresso e divorò il paio di falcate necessarie a raggiungere la ragazza, che scattò appena lui le fu a mezzo metro. Gli volò tra le braccia, ma invece di abbracciarlo o permettere a lui di farlo lo spinse via iniziando a prenderlo a pugni sul torace con quanta forza avesse.

« OHI! Ehi, piano razza di cornacchia bipolare! – sbuffò Kisshu con voce soffocata – Ehi! Ahio, cazzo! Guarda che sono ferito! »

« "Oh, ma buongiorno!"?! – berciò Minto, due lacrime infingarde ai bordi degli occhi – Che razza di modo di presentarsi è?! »

« Perché, questo sarebbe un modo?! »

Protestò il verde e le bloccò i polsi prima che un colpo mal dato gli facesse saltare i punti sul fianco. Socchiuse la bocca, probabilmente per rimarcare il concetto con un paio di parolacce mentre grugnì tentando di farla smettere di dimenarsi, ma non uscì replica mentre Minto scostò il viso per nasconderlo:

« Sei stato… Sei passato dal sonno alla coscienza per giorni, te ne rendi conto o no? – mormorò con sempre meno forze – Non reagivi, poi ti svegliavi borbottando cose senza senso o… O…! Sei stato ad un passo dall'aldilà praticamente… Sempre…! E tu…! Tu…! »

Si scosse nelle spalle tentando di sfuggire senza successo alla presa di Kisshu, poi sbuffò esasperata:

« Hanno detto che se MoiMoi-san ti avesse trovato cinque minuti più tardi… Probabilmente non avresti avuto abbastanza sangue in corpo nemmeno per decomporti. »

« Che razza di diagnosi sarebbe?! »

Sbottò schifato, ma Minto fece solo spallucce e abbassò la testa:

« E ora… Ti trovo sveglio, e in piedi e… Sai solo fare l'idiota. »

Aveva creduto di morire quando, svanita la dimensione degli Ancestrali, aveva visto comparire MoiMoi pallido e malconcio che si strascinava sulle spalle Kisshu, la testa riversa all'ingiù sul torace e un'unica, vistosissima macchia scura su tutto il lato sinistro degli abiti. Appena saliti sulla nave lo avevano medicato alla meno peggio perché non ci lasciasse la pelle e il verde per tutto il tempo, fino al ricovero e dopo, aveva dato solo previ cenni di presenza di sé con qualche vacuo lamento e bofonchiando in stato di semi-incoscienza.

Una volta giunti in ospedale avevano dovuto trascinare via Minto in tre, con tanto di intervento di Zakuro per convincerla a lasciare il capezzale di Kisshu, perché da sola la mewbird non avrebbe abbandonato neanche il reparto di terapia intensiva per poter controllare quando lo stupido fosse stato fuori pericolo.

La mora si morse il labbro inferiore e ricacciò indietro le lacrime di sollievo per concentrarsi su quanto la irritasse vederselo così, sorridente e noncurante come suo solito, dopo che lei aveva passato quasi una settimana a fare la vedova a lutto. Fu un concetto abbastanza seccante da impedirle di uccidere il proprio orgoglio frignando come una bambina.

Kisshu non disse nulla tenendola sempre ben stretta, pur con delicatezza – non si fidava così tanto del caratterino di lei per non impedirle altri diretti alla propria cassa toracica – e spiegò lentamente:

« … Mi sono svegliato prima dell'alba. Ho passato circa due ore a farmi rivoltare come un calzino da metà dello staff medico di turno, ho dovuto ringraziare che non ci fosse mia madre o oltre alla pazienza avrei perso pure le orecchie a furia di predicozzi. »

Minto emise un verso a metà tra uno sbuffo irato e una risata; smise di spingere con le braccia e Kisshu si azzardò a lasciarla andare poco a poco.

« Quando hanno finito di sondarmi anche il naso sono solo voluto uscire da qui. Ci ho messo un po' ad alzarmi – rise sarcastico e le accarezzò le dita, mollemente abbandonate tra le sue mani – e quando sono venuto a cercarti, non eri in camera. »

« … Però hai trovato il tempo di mangiare, noto. »

Mugugnò Minto, la testa bassa, squadrando i resti dello spuntino che il verde aveva abbandonato vicino all'ingresso. Lui accennò un ghigno leggero:

« Il menù delle flebo non era molto invitante. »

La mora gorgogliò tentando di non ridere. Non seppe neanche perché le venisse da ridere, era una battuta così idiota e infantile…

Kisshu le prese il volto tra le mani e lo sollevò sorridendole mentre con dolcezza le sfiorò i ciuffi ai lati del viso:

« Ciao passerotto. »

Minto sospirò e schioccò la lingua, ancora una risata inspiegabile che le piegò le labbra all'insù. Gli gettò le braccia al collo ignorando il leggero lamento che gli strappò schiaffeggiandolo sul naso coi capelli – anzi ridacchiando della cosa – le dita artigliate alla stoffa sulle spalle del verde e il volto affondato contro il suo collo, ripetendo in un'allegra cantilena dei ciao appena distinguibili. Kisshu le accarezzò la nuca e le baciò con forza la fronte e le guance, lasciando che la mora lo stritolasse nonostante le proteste delle proprie ferite, assecondando il suo strofinare il viso a casaccio contro la sua pelle finché non riuscì a baciarla come si deve.

Minto intuì di essersi seduta sul letto solo un momento prima di stendersi contro il materasso sottile; emise qualche leggera protesta, temendo di fare male a Kisshu in qualche modo visto quanto lo avvertì vicino a sé, ma lui non sembrò preoccuparsi minimamente della possibilità e si accovacciò con lei sul lettino.

« Kisshu… »

« Cosa? »

« Sei ferito… »

« Vuoi davvero che vada via? »

Minto corrugò appena la fronte al tono canzonatorio di lui, ma non gli rispose facendo una smorfia colpevole.

« Su, dovresti essere contenta – scherzò a bassa voce – sono tornato nel pieno delle forze. »

La mora alzò un sopracciglio scettica nonostante il sorrisino divertito e posò la mano sulla sua, che era già salita verso le spalle scivolando poi in basso lungo il fianco di lei. Gli avvolse con cautela le braccia attorno al torace e abbandonò la testa sul cuscino, sorridendo mentre si baciarono e il verde prese a farsi un po' più di spazio sotto il vezzoso pigiama chiaro cercando il contatto con la sua pelle.

« Quelle mani… »

« Prova a dirmi che ti da fastidio. »

Sogghignò sfiorandole il naso, riprendendo a baciarle il collo, e lei per risposta gli pizzicò il dorso di una mano strappandogli un piagnucolio esagerato.

« Su, sono convalescente, ho bisogno di attenzioni. »

« Mi sembra che tu ti sia ripreso anche troppo in fretta – puntualizzò la mora, divertita a stuzzicarlo – lo vedi che non sei normale? Non è umano tutto questo. »

« Tecnicamente non sono uman- »

« Kisshu. »

La predica si chiuse in un sospiro caldo e divertito intanto che il verde le accarezzò con studiata attenzione i fianchi e Minto si decise a smetterla, mandando solo un sospiro beato.

Aveva avuto talmente tanta paura di averlo perso, e ora Kisshu era lì, contro le sue labbra, a tracciarle la schiena con le mani, a spingerla contro di sé, e lei non aveva che bisogno di lui(*).

« Se proprio preferisci parlare – la stuzzicò il ragazzo all'orecchio – potremmo finire un certo discorso… »

« Non è possibile…! Voi! Due! »

La mewbird fece solo in tempo a razionalizzare l'asciutto rimprovero che tuonò nella stanza e a vedere la sagoma di un medico comparire alle spalle di Kisshu, poi il botto di qualcosa di rigido che planò secco contro un cranio e il verde si allontanò di scatto da lei puntellandosi sulle mani e imprecando a denti stretti.

« AHIO! Ma che cazzo fai, Ake?! »

« Questo dovrei chiederlo io. – tuonò il medico, l'irritazione che dardeggiò nelle iridi azzurra e nocciola – Si può sapere che diavolo pensavate di fare? »

L'uomo, il tubetto di paina stritolato tra i denti, gettò un'occhiataccia al verde mentre questo si sedette meglio sul bordo del letto massaggiandosi la nuca con aria imbronciata. Minto, ancora mezza sdraiata, si rese conto solo in quel momento di quanto poco ormai lasciasse all'immaginazione il suo vestiario, i bottoncini sul petto aperti, la camicetta calata sulle spalle e i pantaloni leggeri tirati su fino alla curva della coscia – come diavolo aveva fatto Kisshu in così poco tempo?! E lei non aveva protestato un momento! – e sentì l'imbarazzo azzannarle il viso. Ringraziò che Kisshu le facesse minimamente da paravento tra sé e lo sguardo severo di Ake per darsi un'aggiustata rapida e discreta, mentre il medico continuò ad apostrofare il ragazzo minacciandolo con lo stetoscopio:

« Qualcuno qui ha la minima idea di essere stato tirato via con le pinze dal mondo dei morti oppure no? »

« E spaccarmi la testa sarebbe di aiuto?! »

« La testa è proprio l'unico posto dove non ti abbiamo ricucito – sibilò Ake acido – e visto lo stato del resto potresti evitare di farti saltare punti e fasciature solo perché sei inflazionato di ormoni. »

Il verde borbottò un'altra cupa riga di parolacce mentre Minto, tentando di nascondere il disagio, finì di riassestarsi e scivolò giù dal letto; sbirciò verso Ake con l'intenzione di imbastire due parole di circostanza prima di squagliarsela, ma lui la precedette soffiando:

« Fila e a riposo, pure te. Via. Sciò. »

Dopo finì di tirare verso il letto un carrello con le strumentazioni di controllo, misuratore di pressione e altro, e la mora non lo fece ribadire oltre il comando scattando rigida verso la porta. Non avrebbe saputo dire perché, irritata e imbarazzata per la pessima figura, allo stesso tempo non riuscisse a smettere di mordicchiarsi il labbro per nascondere il sorriso.

« Ehi. »

Aveva appena girato oltre lo stipite, pronta comunque ad allontanarsi prima che Ake decidesse di usare oggetti contundenti anche contro di lei, che si sentì afferrare per un polso. Kisshu spuntò giusto con la testa dall'angolo, la tirò indietro e le schioccò un bacio veloce, ammiccando:

« Non mi avevi salutato. »

Poi gli sfuggì un altro lamento e Minto vide la cartelletta di Ake volare vero l'angolo opposto della stanza, rimpallata sulla nuca del verde mentre il dottore ringhiò a bassa voce nuove minacce.

« Vai, o alla prossima ti potrebbe impalare con la gruccia per la flebo – sussurrò Minto cercando di non ridere dei lamenti eccessivi di Kisshu – ha ragione, devi riposare. »

« Crudele. Non mi sembravi così preoccupata due minuti fa. »

Minto si rifiutò di rispondergli, lo spinse dentro e si avviò girando sulle punte, incapace di smettere di sorridere di nascosto.

« Poi tanto riprendiamo anche questo discorso. Tutti e due. »

« Ikisatashi, poggia immediatamente quel deretano striminzito qui sul letto, o ti ci lego per un mese! »

 

 

***

 

 

Zakuro si sistemò il maglioncino sulle spalle e fece vagare lo sguardo oltre le finestre che affacciavano sulla città; era stata abbastanza a lungo su Jeweliria per capire che non solo la temperatura era cambiata, diventando più fresca, ma anche la luce con cui il sole accarezzava gli edifici si era fatta più bassa, chiara eppure tenue, come quella che sulla Terra bordava di dorato le foglie settembrine. Sospirò, parve un'eternità da quando aveva visto Tokyo l'ultima volta.

Ormai a casa sarà già pieno Autunno...

Si appoggiò alla parete e dovette prendere fiato un momento, schioccando la lingua irritata.

La cosa che più stava trovando detestabile di quella convalescenza era la spossatezza che le sue ferite le avevano lasciato: fortunatamente, dopo qualche giorno di riposo assoluto, era già stata in grado di passeggiare e rilassarsi senza condannarsi alla lobotomia fissando il muro della sua stanza, ma perfino le azioni più semplici e tranquille le risultavano sfibranti. Era come se il suo corpo avesse smesso di appartenerle, lo avvertiva rigido, pesante, difficoltoso da muovere quasi che le avessero legato la testa a delle membra di ferro arrugginito e piombo; non riusciva a stare seduta in solo modo per troppo tempo, né sdraiata per i dolori, svegliandosi anche di notte – pur se per pochi minuti – per cambiare posizione, e perfino per una semplice passeggiata impiegava il doppio del tempo a cui era abituata, costretta a muoversi lentamente e a dover prendere fiato di tanto in tanto nemmeno stesse correndo.

La mewwolf sospirò ancora, rassegnata e in fondo ringraziando di essersela cavata a quel modo e di non essere inchiodata a un letto visto il pessimo stato in cui era tornata a Jeweliria, quindi inspirò a fondo finché non le tornarono un poco di forze e riprese il suo gironzolare. Ciondolando arrivò nel piccolo giardino interno che era stato realizzato, un fazzoletto verde con qualche panchina circondato dalle mura dell'ospedale; alcuni bambini giocavano in un angolo, redarguiti di quando in quando da un infermiere o un medico se il volume dei loro schiamazzi diventava eccessivo, un altro paio di pazienti sedevano qui e là da soli o chiacchierando tra loro o con visitatori. La mora guardò distrattamente attorno sicura di trovarlo lì, e accennò un sorriso quando individuò la familiare chioma arruffata e scura tra i presenti, ma non si avvicinò subito vedendo altre due persone.

Riconobbe il più alto, carnagione scura e capelli mandarino, il tenente colonnello Blies, mentre ignorò chi fosse l'altro sebbene avesse intuito dalla divisa si trattasse di un militare, probabilmente un ufficiale di alto grado da come Blies ed Eyner, seduto su una panchina defilata, gli si rivolgessero con tono rispettoso. Zakuro rimase in attesa solo un minuto studiando i due ufficiali in piedi parlare sommessi verso il bruno, poi l'ufficiale si accomiatò e si allontanò velocemente, passando accanto alla mora che colse con chiarezza solo la frase con cui si congedò:

« Ci rifletta con calma, capitano. »

Eyner replicò solo con un sorriso tirato e un cenno del capo. Blies rimase indietro un momento, studiando il suo sottoposto con i torvi occhi perlacei e una ruga di irritazione in mezzo alla fronte – Zakuro ebbe la sensazione che fosse, più che verso Eyner, verso quanto gli era stato detto – poi se ne andò anche lui rivolgendo un saluto spiccio alla giapponese. Lei ricambiò in silenzio e si avvicinò alla panchina mentre Eyner, vedendola, si rasserenò un poco in viso e le fece spazio accanto a sé:

« 'Giorno. »

« Buongiorno – gli sorrise la mora – come stai oggi? »

« Io? Una meraviglia, come sempre. »

Lei sorrise condiscendente studiando il suo braccio sinistro, bendato dalla seconda falange delle dita fin oltre la spalla e legato al collo, e lui protestò divertito:

« Da una mummia vivente non accetto certe critiche. »

Zakuro si limitò a sorridere, in effetti aveva abbastanza fasciature su ogni singolo arto e parte del corpo da non poter fare commenti di sorta. Eyner ridacchiò:

« Come hai dormito? »

« Ogni volta un po' meglio. – lo rassicurò mentre le baciò la guancia – Tu? »

« Finché riesco a non girarmi nel sonno dal lato sbagliato dormo come un pupo. Quasi meglio che a casa, almeno qui la sveglia non è all'alba. »

Zakuro rise a labbra chiuse:

« Sury-chan non ha convinto nessuno a farla entrare prima dell'orario di visita? »

« Fortunatamente no. Ci sto quasi prendendo gusto ad essere pigro. »

Lei scosse appena la testa continuando a sorridere sottile.

« … Hai dormito bene, allora? »

Le domandò ancora dopo qualche istante di silenzio; Zakuro non rispose subito, sbirciandolo con la coda dell'occhio mentre rigirò un suo ciuffo glicine tra le dita, quindi posò la testa contro la sua spalla stendendo un sorriso quieto:

« Sì. Bene. »

Lei non aveva detto niente a Eyner sul suo ultimo faccia a faccia con Toyu, ma non aveva potuto nascondere i segni fisici dello scontro, bende o meno, né il bruno aveva ignorato le reazioni insolite di lei subito dopo la battaglia, o che i medici si fossero preoccupati del suo sonno agitato non solo dai dolori delle ferite. Eyner in ogni caso non aveva fatto domande dirette, limitandosi a chiedere alla mora di giorno in giorno come stesse e a offrirle silenzioso appoggio, qualora lo avesse chiesto. Per Zakuro era stato più che sufficiente per stare meglio.

« Cosa volevano prima da te…? »

« Blies-san e Kapeka-san, generale di brigata. »

Spiegò spiccio e poi fece spallucce, forse per tagliare il discorso, ma l'occhiata penetrante che ricevette lo fece desistere subito; si studiò il braccio ferito, muovendo in piccoli scatti faticosi le dita, quindi sospirò:

« Il Corpo Disciplinare ha deliberato. »

Zakuro si mise dritta continuando a fissarlo, più seria. Lui annuì e stese un sorriso amaro:

« Escludendo le lesioni evidenti a muscoli e tendini – fece solo un cenno sarcastico per stemperare, con scarso successo – il braccio guarirà completamente. Però né Ake né altri sono riusciti a capire di preciso quale sia il danno dei nervi, ma c'è ed è improbabile si possa sistemare. »

La mora continuò a non dire niente e lo studiò continuare distratto a muovere le dita, quasi per sgranchirle:

« In sostanza, il mio braccio guarirà, ma non sarà mai più come prima. »

Si sistemò la benda attorno al collo e guardò un punto indefinito di fronte a sé:

« Secondo le valutazioni di Ake non supererò mai più il 60% di forza che avevo prima della Celebrazione della Prima Luna, perciò il Corpo Disciplinare ha deciso di conseguenza. »

Zakuro aggrottò appena la fronte:

« Ti hanno congedato? »

Il bruno fece un gesto con la mano per minimizzare:

« Sbattermi fuori non è nel loro stile, specie considerando le circostanze in cui mi sono ferito. »

« Perciò cosa ti hanno detto? »

« Il mio stato di servizio, citando testualmente Blies-san, "mi para discretamente il culo" – fece concedendosi uno sbuffo divertito – quindi mi hanno addirittura concesso più scelte per un cambio di assegnazione. »

« Posso immaginare nulla di entusiasmante. »

Lui alzò le sopracciglia sospirando:

« Ritiro da membro attivo (anche se, si spera, non dovrebbe essere più necessario in ogni caso) e da custodia e addestramento reclute, con reinserimento funzionario o supervisione al Consiglio Maggiore. »

« Cioè – riflettè un istante la mora – o lavoro d'ufficio, oppure con Iader-san? »

« Pressappoco.  Anche se sarei molto più legato, Iader-san e la maggior parte degli altri soldati a supervisione del Consiglio Maggiore hanno chiesto il trasferimento, o hanno raggiunto un'età per cui il ruolo di guardia è sufficiente, e in ogni caso possono ricevere nuova assegnazione se necessario o se la richiedessero. A detta di Blies-san, non avrei questa concessione. »

Zakuro mandò un muto verso di assenso e si corrucciò di nuovo:

« Sembra quasi che vogliano punirti. »

Eyner aprì i palmi eloquente:

« Seguono le nostre regole interne, la mia attuale potenza bellica non è funzionale ai ruoli che ricopro e un soldato deve stare dove è più utile. – ripetè a pappagallo scimmiottando aspro i suoi superiori – Inoltre non ho buoni precedenti in quanto a difficoltà di gestione delle mie capacità, quando non sono al massimo della forma. »

Le ricordò più amaro:

« Non hanno voglia di rischiare repliche in questo senso. »

« Non vedo come sia una buona ragione per chiuderti tra quattro mura. »

Commentò solo un pelo più acida ed Eyner le sorrise grato della sua irritazione:

« Blies-san si trova d'accordo con te, ma è già stato deciso. – sbuffò stancamente – Quantomeno nulla sarà effettivo finché non sceglierò dove farmi trasferire. »

Zakuro annuì di nuovo in silenzio guardandolo abbandonare la testa all'indietro. Alla sua domanda muta lui sospirò per l'ennesima volta:

« Finché non inizieranno ad alitarmi sul collo non voglio pensarci. »

Ammise e lei non lo contraddisse, limitandosi a posare la mano sulla sua.

 

 

***

 

 

« Non pensarci neanche. »

« Oh, per piacere Shirogane-san, non mettertici anche tu…! »

« Ryou nii-chan, sei noioso. »

« Ha ragione però, Sury-chan – disse Keiichiro con affetto – Retasu-san non deve sforzarsi troppo. »

« La convincete voi? »

« Pai nii-chan, sei un disco rotto! »

Protestò acuta la bambina e Pai, sistemandosi appena sulla stampella a cui era poggiato, si limitò a contrarre un occhio infastidito dall'acuto e mantenne l'espressione irremovibile.

Retasu, stesa sul suo letto, squadrò truce – per quanto le fosse possibile – sia lui che Ryou, reo di averle sequestrato il set da cucito con cui lei e Sury stavano facendo un pupazzetto:

« Ci stavamo solo distraendo un po'. »

« Direi che ti sei distratta abbastanza per oggi. »

Tagliò corto Ryou, seduto su una carrozzella a cuscino d'aria con tutta l'attrezzatura di Retasu in grembo, e Pai rincarò annuendo. La mewfocena aggrottò la fronte e scrutò il moro infastidita da quel comportamento paterno, ma lui la precedette prima che protestasse oltre e prese ad elencare:

« Due costole incrinate, tre rotte, danni alla clavicola e alla scapola sinistre, al muscolo grande dorsale e al diaframma. Tanto per citare qualcosa. »

La verde incassò tacendo e lo fissò torva, ogni volta che Pai le parlava in quel modo si domandava se davvero fosse contenta che il frequentarsi l'avesse reso meno rigido nei suoi confronti.

In ogni caso era consapevole che Pai non avesse torto e, anzi, che limitarsi a certe frecciatine invece che farle una giornaliera lavata di capo fosse il minimo da concedergli: la lista delle ferite che la verde si era procurata volendo combattere a tutti i costi contro gli Ancestrali, nonostante il suo stato fisico – lista tra cui si annoveravano incrinature a varie ossa di braccia, gambe e mani ed emorragie di diversa gravità – era molto più lunga di quanto il moro le ricordasse; se non ci aveva lasciato la pelle era stato solo grazie alla fortunata combinazione di velocità del loro rientro, rapido intervento medico e la resistenza maggiore di un comune essere umano che il gene m le aveva donato, Pai aveva tutti i diritti di rimproverarla se provava a fare sforzi eccessivi prima del tempo.

Per quanto neppure lui fosse in splendida forma, suturato per quasi tutta la lunghezza della schiena e fasciato dal collo in giù per salvargli il braccio, era stata lei quella rimasta sotto i ferri e i SRP per ore e a cui, ancora, era proibito ingerire cibi troppo solidi.

« Devi riposare. »

Insisté Pai con tono più gentile prendendole la mano e Retasu, sospirando, annuì e si arrese contro il cuscino.

« Per fortuna la MewAqua non ha influito sul gene m abbastanza velocemente e guarirai molto prima di quanto accadrebbe normalmente. – intervenne Keiichiro cercando di consolarla – Dovrai pazientare solo un altro poco. »

La verde annuì con un piccolo sorriso e d'istinto si sfiorò il petto poco sopra lo sterno, dove la voglia rosa delle focene non c'era più.

Come nella battaglia contro Deep Blue a Tokyo, pareva che l'influsso del Dono allo stato puro avesse inibito la modifica genetica delle MewMew. All'inizio non se n'erano accorte; solo Ichigo, ritrovata svenuta quando la dimensione degli Ancestrali era scomparsa, aveva riacquistato il suo normale aspetto, forse perché era stata la più vicina al cristallo di MewAqua quando Deep Blue lo aveva riattivato. Ritornati a Jeweliria, però, e riportato il Dono nella grotta della Città Sotterranea, questo aveva ripreso a rilasciare energia come tre anni prima, quando Kisshu e gli altri lo avevano portato sul pianeta, e a quel punto tutte le ragazze avevano riassunto le loro sembianze umane.

Ryou e Keiichiro avevano supposto che l'evento sarebbe stato solo temporaneo, come già accaduto, ma non avevano potuto confermarlo né le ragazze avevano avuto modo o desiderio che indagassero; da parte sua Retasu non era sicura, stavolta, di essere sollevata al pensiero che il DNA della neofocena non le appartenesse più.

« Ma Keii-chan, qui è noiosissimo! »

« Sfruttare Retasu per farti costruire dei peluche allieverebbe la noia? »

« Io non sfrutto – puntualizzò la bambina offesa – io aiuto Retasu nee-chan. E poi nemmeno tu dovresti andartene in giro! »

Protestò puntando l'indice contro Ryou che scrollò le spalle:

« A quanto pare sono più robusto del previsto. »

« Ringrazia che il gene m abbia retto anche per te – lo redarguì Keiichiro più severo – per come ti hanno conciato Lindèvi e Arashi hai rischiato di diventare uno spezzatino di gatto. »

« … Ma tu da che parte stai? »

Sury rise forte iniziando a girare fastidiosamente intorno al biondo e a prenderlo in giro, incurante dei borbottii che l'americano le soffiò contro. Retasu li osservò e sorrise mesta, il modo ostentato in cui in quei giorni Ryou si sforzasse di apparire compassato come sempre le faceva male al cuore ogni volta.

« Tutto bene? »

Si voltò verso Pai e strinse le dita con le sue sentendo di stare allargando il sorriso. Aveva avuto davvero paura quando erano stati tutti trascinati di peso all'ospedale, nonostante la cura di emergenza il moro aveva perso un sacco di sangue e lei non osava ricordare quanti punti avessero dovuto dargli per ricucirgli il braccio destro e parte del fianco al resto: vederlo già in forze dopo pochi giorni, sentire la sua voce, poterlo toccare erano cose che le riempivano il petto di una felicità quasi stordente, e quando ci pensava si pentiva sempre un po' delle proprie proteste circa il riposo forzato. Oltre a sentirsi terribilmente colpevole nei confronti di Ryou.

Sono qui, sono sveglia, sono viva e vegeta, e Pai con me. Dovrei davvero evitare di lamentarmi.

« … Sì – lo rassicurò – sono solo un po' preoccupata per Shirogane-san. »

Pai non le rispose sfiorandole il dorso della mano con il pollice e guardò di sbieco l'americano, per quanto continuasse a non essergli granchè simpatico non potè che provare empatia per quanto doveva star passando in quegli ultimi giorni.

« Non ci sono ancora novità? »

Sussurrò Retasu dolente e Pai s'incupì negando:

« Nessuna. Non si è ancora svegliata. »

La mewfocena si morse il labbro e abbassò lo sguardo sulle lenzuola, socchiudendo gli occhi quando lui le accarezzò distratto una guancia.

Quando Ichigo era stata soccorsa non era sembrata in gravi condizioni e neppure i controlli successivi all'ospedale avevano dato notizie di ferite nascoste o problemi troppo gravi. La sola cosa insolita era stata la mano destra della rossa, chiusa a pugno sin dal momento in cui l'avevano trovata: nessun esame o lastra era stato in grado di chiarire cosa la mewneko custodisse tra le dita – un piccolo oggetto, si era solo scoperto, di non più chiara identità – né tantomeno si era riusciti a fargliele aprire per sciogliere il mistero senza rischiare di farle del male, ma a quanto pareva non era qualcosa di pericoloso.

Si trattava solo dell'ennesima stranezza attorno a Ichigo, che nonostante tutte le rassicuranti diagnosi non aveva più ripreso i sensi e dormiva ormai da giorni.

Tutti erano in ansia, ma ovviamente chi stava subendo peggio la situazione era Ryou.

Dopo le prime quarantotto ore fisso al capezzale di Ichigo, con le ragazze che non facevano che cercare di spronarlo, il biondo aveva cambiato atteggiamento fingendosi sì preoccupato, ma assolutamente in grado di gestire la situazione solo per essere lasciato in pace; la cosa non aveva funzionato moltissimo, Retasu e le altre avevano smesso di consolarlo, ma non facevano che scrutarlo di sottecchi quasi temendo che lui crollasse da un momento all'altro. Il ragazzo le lasciava fare preferendo quel loro silenzio agli assillanti tentativi di confortarlo, svicolando in solitarie e cupe passeggiate quando sentiva di non riuscire a fingere oltre.

Era preoccupato, divorato dal rimorso per non essere riuscito di nuovo ad aiutare Ichigo nel momento più critico, ed era frustrato perché, togliendo un problema medico, la sola cosa che pensava potesse spiegare lo stato della rossa doveva legarsi al DNA del Gatto Selvatico o alla MewAqua, ma non gli era stato permesso di investigare sulla questione: Ichigo non poteva lasciare l'ospedale, lui stesso era sotto stretta osservazione, e non aveva neppure tutte le strumentazioni che aveva sulla Terra per poter indagare come avrebbe voluto.

Poteva solo rimanere in attesa, sballottato tra le visite dei dottori e l'ammazzare il tempo con gli altri tra i corridoi dell'ospedale. Keiichiro si sorprendeva che il suo protetto non avesse ancora iniziato a fare buchi nei muri con i piedi delle stampelle per sfogarsi.

« Dai Sury-chan, non importa, continueremo domani – fece Retasu cercando di fermare la bambina dal continuare a tormentare il biondo – hanno ragione, è meglio se… »

S'interruppe e tutti si voltarono verso la porta, da cui era spuntato tutto trafelato un infermiere dall'aria assonnata e i capelli prugna:

« Ikisatashi Pai-san? »

Il moro si mise più dritto che potè scrutando il giovane sulla soglia, però non chiese nulla. Quello, a disagio, tossicchiò e disse con più calma:

« Mi ha chiesto di cercarla Luneilim-san. »

Al nome del violetto Pai stese il volto in un'espressione sorpresa, diventando poi più cupo:

« Sì? »

« Era per… »

« Lo so. »

Lo interruppe e strinse il manico della stampella fino a farsi venire bianche le nocche. Sury lo studiò a disagio, sia lui che gli altri avevano messo su facce lugubri e afflitte per uno stesso motivo che lei non capì, ma che la spaventò:

« Che c'è? Che succede? »

Né Pai né gli altri due ragazzi le risposero; l'infermiere tossicchiò un'altra volta distogliendo lo sguardo da quello preoccupato della bambina:

« Mi ha detto che preferisce andare da sola – proseguì – voleva solo che le comunicassi questo. »

Di nuovo Pai sembrò sorpreso e poi, invece, triste. Continuando a non parlare fece un cenno al giovane che se ne andò, quindi lanciò un'occhiata allusiva a Retasu e uscì dalla stanza senza una parola, lo sguardo ametista scuro e afflitto. Ryou e Keiichiro lo imitarono andandosene in silenzio, il moro concedendosi giusto un sorriso verso Retasu che ricambiò e affondò di più con la nuca contro il cuscino.

« Nee-chan? »

La voce di Sury, confusa e inquieta, fu un sussurro piagnucoloso mentre la bambina scosse la manica della verde perché la considerasse:

« Che succede? »

Nemmeno Retasu le rispose. Le accarezzò la testa e piegò a fatica le labbra all'insù cercando di essere rassicurante, gli occhi lucidi dietro le lenti quasi fosse sul punto di piangere.

 

 

***

 

 

L'infermiera entrò nella stanza in punta di piedi, come se non volesse rompere la quiete che vi era all'interno; con movimenti lentissimi aprì la finestra per cambiare l'aria, controllò che gli inservienti fossero passati a pulire la camera e riordinare il letto a dovere, nonostante l'ospite, dopo prese ad annotare sul proprio schermo dati lo stato della degente. Il rumore lievissimo delle proprie dita sullo strumento elettronico frusciò attorno facendo da controcanto al respiro calmo della paziente che, ancora, non si era risvegliata da quando era arrivata.

L'infermiera sospirò constatando l'immutata regolarità di battito cardiaco ed encefalogramma, poi passò a sostituire la flebo guardando distrattamente verso il letto.

Se non avesse assistito coi propri occhi allo sfoggio delle capacità sue e delle sue colleghe, durante la Celebrazione della Prima Luna, le sarebbe stato impossibile credere che quella gracile terreste dai capelli rossi, placidamente addormentata, fosse responsabile della salvezza di Jeweliria: il corpo sotto le lenzuola sottili non aveva di certo la prestanza di una guerriera, a stento doveva pesare quarantacinque chili e di sicuro non erano tutti di muscoli, difficile immaginarsela mentre affrontava pericoli mortali o compiva imprese eroiche.

Guarda che faccetta, è solo una ragazzina… Sembra la mia sorellina.

Il pensiero la portò a studiare qualche altro momento il volto rilassato di Ichigo, i capelli sciolti sul cuscino e il pugno destro chiuso proprio come se stesse dormendo normalmente. Gli altri terrestri e quelli che la conoscevano si erano dati il cambio in continuazione per vegliarla, soprattutto il ragazzo dai capelli biondi e le sue amiche, a volte sedendo in silenzio nella stanza sussultando ad ogni minimo rumore, fiduciosi di vedere la mewneko aprire gli occhi, altre volte chiacchierando con lei nella speranza che la loro voce potesse svegliarla. Il solo che era stato più a lungo in quella camera era lo strano esserino di pelo rosa che in quel momento sonnecchiava sul comodino.

Sbirciando Masha l'infermiera storse un poco il naso e si aggiustò un ciuffo dei corti capelli mogano, molti del personale avevano avuto da ridire circa la presenza di quel coso non meglio definito – non pareva molto igienico con tutto quel pelo – ma la dottoressa Lasa e il dottor Ake avevano dato il loro benestare e non si era potuto protestare oltre. Per quanto la riguardava ringraziò almeno che stesse dormendo – o qualsiasi cosa facesse quell'affare – perché mal sopportava la vocetta acuta e i versetti striduli che faceva da sveglio, era troppo in là con il proprio turno per tollerare simili suoni a trapanarle le tempie.

Sistemò le ultime cose, regolò di nuovo le strumentazioni e aggiustò con un tocco leggero le coperte sopra Ichigo, voltandosi distratta un'ultima volta verso i suoi occhi castani.

… Occhi…?

« …! Oh mio…! »

La ragazza si fiondò sul trasmettitore fisso accanto alla porta chiamando la caporeparto e i colleghi e tornò di corsa verso il letto, travolgendo nell'operazione il comodino e svegliando Masha di soprassalto. Per la prima volta da quando era lì l'infermiera non badò allo snervante pigolio dell'esserino rosa e iniziò a controllare agitata lo stato della paziente, gli occhi faticosamente socchiusi e la bocca che si aprì due o tre volte mandando rantoli indistinti.

« Momomiya-san? Mi senti? Capisci quello che dico? »

La mewneko deglutì rumorosamente e annuì:

« D… D-dove…? Dove s…? »

« Ichigo! Ichigo! Sei sveglia, pii! »

L'infermiera scacciò brusca Masha, che aveva preso a svolazzare sopra in cerchi frenetici, quindi si chinò sulla rossa controllando la reazione delle pupille:

« Sei in ospedale – le spiegò rapidamente – ti hanno portata i tuoi amici mentre eri priva di sensi. »

« I miei… Gli altri… Dove…? Come…? »

« Stanno tutti bene – la rassicurò la donna, posandole una mano sulla spalla per impedirle di muoversi – erano malconci, ma li abbiamo più o meno rimessi in sesto. Sono qui, e sono vivi. »

A quelle parole Ichigo si lasciò guidare di nuovo contro il letto sospirando sollevata. L'infermiera l'aiutò a mettersi comoda e dopo cacciò un verso di stizza, voltandosi verso la porta e chiedendosi ad alta voce perché non fosse ancora arrivato qualcuno ad aiutarla, si affacciò seccata sul corridoio e sparì dietro l'angolo chiamando a gran voce. Ichigo distinse a malapena cosa le disse e dove si diresse, la testa che pulsò come un tamburo mettendo a fuoco la stanza; aveva il corpo pesantissimo, ma si sforzò comunque di muoverlo intanto che cercò di ricordare cosa avesse fatto prima di svenire.

La donna che le aveva parlato era jeweliriana, quindi erano tornati indietro.

Lei… Sì, aveva affrontato Deep Blue e… Lui… Era morto…

Il Dono… Il cristallo di MewAqua, lo aveva recuperato, c'era ancora dell'energia al suo interno… Se lo ricordò bene, la sfera trasparente con il suo goccio di acqua iridescente sul fondo…

Lei che riprendeva il suo aspetto e… La dimensione che crollava…

Provò a mettersi seduta – stritolando tra i denti due o tre parolacce per quanto fu difficile muovere i muscoli intorpiditi dal suo lunghissimo pisolino – portandosi d'istinto una mano alla testa per una fitta di dolore, grattando con le unghie delle bende ruvide – Sì, ricordava, qualcosa l'aveva colpita sulla nuca quando la dimensione degli Ancestrali era scomparsa… – e si domandò vagamente perché si stesse appoggiando sul pugno chiuso.

Pugno?

Perché stava tenendo il pugno destro chiuso?

Il primo pensiero fu di avere un danno di qualche genere alla mano, ma non aveva fasciature né stecche, o segni di sorta. Provò titubante ad aprire le dita e si rese conto di non avere difficoltà, a parte la fatica delle falangi anchilosate e la fastidiose sensazione della carne piagata da qualcosa che lei stessa vi aveva premuto contro troppo a lungo.

Nel palmo arrossato c'era ciò che sembrò un pezzetto di vetro trasparente, che mandò una leggera luce biancastra proiettando riflessi iridescenti sulle pelle della rossa.

Le parole confuse di Luz prima che scomparisse le risuonarono violente nella mente.

« Il… È tuo. Usa… »

Il frammento che aveva nel petto. Il suo frammento.

Usalo.

L'idea prese forma con la velocità del fulmine.

Usalo.

Una scarica di adrenalina le esplose nel petto così forte e rapida da scacciare ogni senso di torpore e farle dimenticare di essere rimasta immobile per una settimana. Lanciò le gambe oltre il bordo del letto, ignorando il terribile crepitio delle proprie giunture, e si spinse giù, ma solo i suoi piedi poggiarono a terra perché le ginocchia invece si piegarono come quelle di una marionetta senza fili; Ichigo si aggrappò d'istinto alla gruccia della flebo, senza rimanere in piedi, ma riuscendo almeno a non cadere con la faccia sul pavimento e trattenne un lamento al sentore dell'ago che minacciò di scapparle dalla vena. Soffiò tra i denti e si guardò il braccio, non avrebbe fatto molta strada trascinandosi dietro la stampella di acciaio: con attenzione si poggiò meglio sui piedi, le ginocchia che continuarono a tremarle poco propense a reggerla, quindi strinse la gruccia nell'incavo dell'altro braccio per darsi più sostegno e armeggiò con l'ago tentando di liberarsi.

Devo sbrigarmi…! Se sto dormendo da una settimana potrebbe anche…

Odiava gli aghi, le faceva impressione il metallo che bucava pelle, carne e arterie e l'idea del sangue zampillante le diede il capogiro, però per sua fortuna la flebo era infilata in un curioso aggeggio di plastica, a sua volta inserito nella vena: ne aveva visto già uno quando, qualche anno prima, sua nonna era stata sottoposta ad una piccola operazione ed era dovuta starsene il paio di giorni di degenza con quell'aggeggio perennemente addosso – ago cannula si chiamava, se ricordava bene – doveva servire per velocizzare l'inserimento e l'estrazione di aghi e simili senza dover ribucare ogni volta la vena. L'osservò un paio di istanti sforzando tutti i neuroni ancora intontiti e, pregando di non stare per fare la stupidaggine che l'avrebbe fatta svenire a metà strada per dissanguamento, sfilò la flebo; armeggiò nervosamente con l'ago cannula, il sangue che riempì il corpo di plastica – e la nausea che invece salì lungo la sua gola – e ruotò una ghiera sulla cima, chiudendolo.

« Ichigo, cosa fai?! Pii, pii! Siediti, siediti! »

Lei non sentì una sola parola. Prese due bei respiri e schioccò la lingua, la bocca secca, lasciò il rassicurante sostegno della gruccia e caracollò contro lo stipite della porta, tenuta in piedi solo dall'adrenalina. Sostenendosi alla parete barcollò coi piedi nudi sul pavimento freddo tentando di trovare un'indicazione che la guidasse, l'unico pensiero di muoversi più velocemente possibile.

Non ho tanto tempo.

Accelerò il passo continuando ad ignorare Masha che le pigolò attorno alla testa, l'andatura un po' più salda, e si morse l'interno di una guancia: se solo il DNA del Gatto Selvatico fosse stato ancora attivo avrebbe potuto usare i propri sensi potenziati, così andava completamente alla cieca.

« Ichigo! Ferma, ferma, pii! Sei ferita, pii! »

« Sto benissimo! »

Lo zittì brusca. Masha emise un cinguettio lagnoso, svolazzando agitato, e Ichigo lo guardò illuminandosi:

« Masha – fece, il respiro pesante – mi serve il tuo aiuto. »

 

 

***

 

 

Ake lo fissò in silenzio per più di un minuto, forse aspettandosi che ritrattasse la sua decisione o gli chiedesse di non andare; lui invece proseguì al suo fianco, il passo calmo, reagendo alle occhiate del medico solo quando fu lui stesso a fermarsi in mezzo al corridoio. Lo guardò a sua volta e Ake sospirò, prendendo il suo tubetto di paina tra le dita:

« Non sei costretta a decidere già adesso. »

MoiMoi abbassò lo sguardo sorridendo infelice:

« No. È meglio adesso, prima che cambi idea. »

L'uomo scrollò le spalle:

« … Nessuno te ne farebbe una colpa. »

« Lui sì. – gli ricordò con fermezza – E lo sai anche tu. »

Ake non replicò, la dicotomia delle sue iridi che parve far vibrare il suo sguardo adombrato:

« MoiMoi, tu- »

« Ti prego – lo fermò il violetto, il sorriso dolente sempre a piegargli le labbra – mi servi come medico, come mente razionale. Non puoi venire nel mio territorio emotivo proprio adesso. »

« Se volevo sostegno di raziocinio inflessibile, forse ti sarebbe convenuto portarti Ikisatashi appresso. »

Scherzò senza allegria il medico e MoiMoi mandò uno sbuffo che doveva essere una risata:

« Pai-chan voleva bene a Sando… A modo suo – si affrettò ad aggiungere e la sua espressione si rasserenò un momento – come tutti gli altri, del resto. Non potevo chiedere a nessuno di loro di dirgli addio un'altra volta, è già abbastanza doloroso per me. »

« Io invece sono un bastardo insensibile e posso reggere – scherzò ancora aspro Ake – bell'opinione del sottoscritto. »

« Tu sei un medico. »

Gli ricordò il violetto.

« Quindi sono uno stronzo? »

« Quindi sei obbiettivo in ogni caso. »

Aggiunse, più una speranzosa opinione che un'affermazione sicura. Ake scrollò le spalle di nuovo:

« Diciamo che sono abbastanza bravo a fingere di esserlo. »

Si rimise il paina tra i denti e sospirò facendo strada.

MoiMoi lo seguì simile ad uno zombie. L'ala dove avevano piazzato il reparto di terapia intensiva non era ancora molto affollato e i loro passi rimbombarono nei corridoi come in una cattedrale, risuonandogli a loro volta nel petto e affossandolo di minuto in minuto.

Aveva tergiversato fino ad allora, la scusa delle cure alla spalla e la preoccupazione verso gli altri e le loro condizioni, ma quella mattina si era svegliato e aveva deciso che non poteva aspettare oltre: se avesse atteso pure un giorno in più non avrebbe mai avuto il coraggio di dare il permesso, e Sando non gli avrebbe mai perdonato di lasciarlo per tutto il resto della sua vita attaccato ad una spina. Attraversando quei corridoi, però, MoiMoi tornò a chiedersi se avrebbe avuto la forza di vederlo un'altra volta e osservarlo mentre ciò che restava di lui, pur se solo un involucro di carne, veniva spento come un interruttore.

Il petto che avrebbe smesso di muoversi, il cuore di battere.

Il violetto inspirò a fondo tentando di non piangere, la sua sola speranza era di riuscire a non pensare per i successivi quarantacinque minuti, o per quanto sarebbe servito.

Era stato decisamente meglio non far venire gli altri, altrimenti sarebbe crollato e avrebbe fatto marcia indietro senza la minima esitazione.

La porta del reparto spuntò di fronte a lui quasi un'apparizione orripilante. MoiMoi inghiottì a vuoto, una mano serrata sul petto, e annuì lentamente perché Ake aprisse i battenti e gli facesse strada lungo gli ultimi, terribili cinque metri.

« MoiMoi-chan!! »

L'urlo lo fece sobbalzare tanto che dovette trattenere un urlo di sorpresa. Lui e Ake si voltarono confusi, spalancando gli occhi quando videro una chioma rossa trottare a passo spedito, anzi correre verso di loro preceduta da un puntino rosa fluttuante e cinguettante:

« Scovata! Scovata! Pii! Ichigo, l'ho trovata, pii! »

« MoiMoi-chan!

« I… Ichigo-chan?! »

Ake per poco non si fece cadere il tubetto di paina dalle labbra, passando in un secondo dallo stupore alla furia:

« Sei sveglia? E che… Diavolo ci fai qui?! In piedi?! A correre?! – tuonò rabbioso – Sei completamente impazzita?!? »

La rossa non gli rispose appoggiandosi malamente al muro, la fronte imperlata di sudore e senza più fiato.

« Ho trovato MoiMoi con il mio radar, pii! Sono stato bravo, sono stato molto bravo! Pii! »

Il violetto guardò il robottino e gli sorrise stentato, reagendo più d'istinto che riflettendo, e andò incontro ad Ichigo abbracciandola agitato:

« Gli Dei mi aiutino, Ichigo-chan! Sei sveglia! – mormorò e le prese il viso tra le mani – Ma cosa ti è saltato in mente?! Che stai facend…?! »

Si zittì vedendo Ichigo sollevare il pugno chiuso e portandoglielo sotto il naso. Il violetto sbattè le palpebre confuso e dopo sgranò gli occhi scorgendo un familiare baluginio tra le sue dita.

« … Ichigo-chan… Cosa…? »

La sua voce si spense quando la ragazza aprì il palmo e mostrò la piccola scheggia di cristallo lucente.

« Deep Blue… Me lo ha strappato via quando abbiamo lottato – disse la rossa con voce ancora un po' impastata – lo ha assorbito, ma poi… Ecco. »

MoiMoi continuò a passare lo sguardo dorato dal palmo di lei al volto della mewneko con aria totalmente frastornata e Ichigo sorrise:

« Tayou e Luz… Loro hanno detto che è mio, lo portavo dentro di me. Non si è fuso con il resto del Dono, è rimasto a me, è mio. »

MoiMoi non le disse niente, quasi non stesse riuscendo a seguire il suo discorso. Ichigo non smise di sorridere, ma il suo sguardo si rabbuiò un poco mentre scrutò più attentamente il frammento luminoso.

Era così piccolo e aveva così poca MewAqua al suo interno… Doveva contenerle proprio una goccia, una goccia minuscola…

Forse non sarebbe bastato. Forse… Forse si stava illudendo, e avrebbe illuso MoiMoi, però…

Il ricordo della voce leggera di Luz le vibrò nelle orecchie. Si era sempre fidata di Tayou, si sarebbe fidata anche della sorella.

Non sapendo bene che altro dire afferrò la mano MoiMoi e gli mise con forza il frammento nel palmo, chiudendovi sopra le dita di lui. Il violetto la lasciò fare incapace di reagire, il respiro che si spezzò mentre la sua mente si rasserenò chiarendogli cosa stesse succedendo.

« Voglio che lo abbia tu. »

Le iridi dorate di MoiMoi si sbarrarono e lui trattenne il respiro. Ichigo gli strinse entrambe le mani sulla sua, la voce che si abbassò angosciata:

« Ti prego, non dirmi che non ho fatto in tempo. »

Il violetto rimase immobile una manciata di secondi. Lui e Ake furono così silenziosi che si iniziarono a sentire i richiami verso la mewneko da parte di medici e infermieri – chiaramente corsi al suo inseguimento appena scoperto della sua fuga – ancor prima che questi spuntassero dal fondo del corridoio.

Di colpo MoiMoi ritrasse la mano da quelle della rossa e tendendosi più che potè le avvolse le braccia attorno alle spalle, tirandola in basso mentre si lasciò pian piano cadere in ginocchio in un pianto liberatorio. Ichigo, all'improvviso esausta, lo assecondò sentendosi sempre più stordita tanto da non badare a quanto forte lui la stesse stringendo, o allo staff dell'ospedale che li raggiunse e le intimò di tornare con loro per dei controlli; riuscì solo ad avvertire le lacrime del violetto che le inzupparono la maglia e la sua voce tra un singhiozzo e l'altro che continuò a mormorare grazie.

 

 

***

 

 

Il fracasso proveniente dalla camera si sentì perfino dall'ingresso del reparto; Lasa lo ascoltò un paio di secondi, basita, si resse una tempia con le dita e sospirando seccata partì a passo di marcia. La gente nel corridoio si spostò vedendola passare, o evitò con cura di incrociare il suo sguardo, sufficientemente minaccioso per convincere tutti che non fosse un buon momento per trovarsi faccia a faccia con la donna.

Insomma, questo resta un ospedale, per l'amor del cielo!

Forse avrebbe dovuto solo rallegrarsi della loro vitalità, ma a tutto c'era un limite!

Aveva capito benissimo la confusione del primo giorno: il risveglio di Ichigo era stato così improvviso che tra personale medico intento a controllarla dalla testa ai piedi. e tutto il gruppo di amici accalcato alla porta della sua stanza per vederla coi propri occhi, c'era stato un ricambio fisso di almeno tre, quattro persone attorno al letto della rossa per oltre mezza giornata.

Aveva potuto accettare un altro giorno di euforia; libera dalle grinfie di dottori e infermieri la mewneko si era potuta rilassare, aveva potuto parlare con calma e passare del tempo con le persone a lei care e convincersi che, finalmente, la loro avventura fosse finita.

Al terzo giorno Lasa riteneva di aver dato fin troppe concessioni.

Aprì la porta con un colpo così secco che il vociare, assordante nel primo secondo in cui spalancò l'ingresso, si spense in un istante e il sussurro irato della donna si potè sentire con chiarezza:

« Possibile che non sappiate regolare il volume delle chiacchiere? Vi si sente in tutto il reparto. »

Ichigo, seduta sul letto, rimise lentamente il cucchiaio di budino nel suo contenitore– o almeno, di un dolce che le avevano offerto nel pranzo e che le aveva ricordato il budino – e abbassò gli occhi obbediente. Nonostante non fosse molto alta Lasa le sembrò stagliarsi imponente sulla soglia, forse per l'espressione severa così simile a quella di Pai.

« Io ve l'avevo detto di darvi una regolata! »

Sbuffò Minto a disagio. Purin si grattò la guancia:

« Ops… »

« Perdonaci Lasa-san, non ci eravamo resi conto di fare tanto baccano. »

« Tu non dovresti essere neppure qui, figurati agitarti tanto. »

Sospirò la donna studiando Retasu sulla carrozzella a cuscino d'aria e la verde scostò il viso con fare colpevole. Lasa inspirò a fondo rilassando le spalle, scoccando solo un'ultima occhiata eloquente verso Zakuro, elegantemente seduta in un angolo, la muta domanda sul perché almeno lei non avesse cercato di frenare le sue amiche; la mora si limitò ad un sorriso sibillino e a fare spallucce.

« Ragazze, capisco il vostro buon umore, davvero – disse Lasa con più gentilezza – ma cercate di non esagerare. »

Posò affettuosa una mano sulla spalla di Retasu, ancora molto pallida anche se molto più in forze rispetto ai giorni passati, e la mewfocena accennò un sorriso imbarazzato.

« Ma', hai paura che ti mettiamo k.o. la futura nuora? »

« Tu fai meno lo spiritoso. »

Sentenziò dura la donna squadrando Kisshu, appollaiato con noncuranza sulla finestra. Retasu alla battuta si rannicchiò su se stessa nascondendo le guance scarlatte.

« Sei peggio dei bambini, te e la tua mania di svignartela dalla tua stanza conciato come sei. Bisognerebbe legarti al letto. »

« Hai per caso parlato con Ake? Perché suggeriva la stessa cosa… »

« Tanto per capire il tuo livello. »

« Non fare tanto l'antipatica cornacchietta, mi preferisci decisamente libero. »

Minto si rifiutò di rispondere sollevando il nasino imperiosa.

« Potreste smetterla di pomiciare anche parlando, voi due? Date la nausea. »

Fece Taruto maligno e ostentò un verso disgustato.

« Tu non ti sei mai visto da fuori a tubare con la scimmietta, credo che mi si siano cariati già quattro o cinque denti. »

« Oh, ma chiudi il becco, idiota! »

Due rispostacce tra i due e il chiacchiericcio nella stanza riprese invariato, giusto a volume più contenuto vista la presenza di Lasa. Dal suo punto privilegiato sul letto Ichigo non prese parte alla discussione, studiando i presenti ad uno ad uno mentre Lasa, rassegnata, ignorò la situazione controllando il suo stato di salute, e le venne da sorridere.

Il risveglio della rossa aveva scatenato un gran tumulto, soprattutto tra i medici che non erano riusciti a raccapezzarsi sulle sue condizioni all'arrivo né a spiegarsi il perché della sua incoscienza. Certo, aveva riportato lesioni anche considerevoli dopo la lotta contro Deep Blue – incredibile, comunque, forse non così gravi come altri membri del gruppo – ma nulla che giustificasse lo stato di coma in cui era stata. Appurato che non vi fossero lesioni cerebrali o danni del genere i dottori si erano arresi all'inspiegabile miracolo limitandosi a rimetterla in sesto, per di più che Ichigo non aveva saputo dare dettagli per aiutarli a capire e non ricordava granchè dopo il suo svenimento.

C'era solo un'immagine che non voleva abbandonarle la mente, ma non era sicura si trattasse di qualcosa realmente accaduto o solo di un brandello di sogno e non ne aveva parlato con nessuno, neppure le ragazze.

Ricordava lo spazio bianco in cui aveva avuto l'ultima conversazione con Luz e Tayou e la sensazione di essere molto, molto stanca. Era seduta su una specie di letto, anche se non era certa della sua forma, e nonostante la stanchezza non riusciva a dormire, la sensazione che chiudere gli occhi l'avrebbe esposta al pericolo.

Poi un sorriso familiare, un volto indistinto. Una mano che le accarezzava i capelli e una voce che la rassicurava.

La logica le diceva che non poteva trattarsi di Ao No Kishi, lui era scomparso assieme a Luz con ogni altro residuo dell'esistenza di Deep Blue. Eppure il tocco di quella mano, quella voce, era certissima appartenessero a Tayou.

Sei stata meravigliosa.

Ora devi riposare.

Il tuo fisico e il tuo cuore hanno sopportato una grande fatica… Non preoccuparti, starò accanto a te finché non ti sveglierai.

Il tuo fisico e il tuo cuore hanno sopportato una grande fatica… Forse era stata quella la ragione del suo sonno. Aveva condiviso il corpo con un frammento di Dono a cui si erano aggrappate le coscienze dei due fratelli Melynas, probabilmente era stato uno sforzo eccessivo che l'aveva costretta ad un riposo forzato.

Restava comunque solo una sua idea e non aveva prove; tuttavia stava bene e il pensiero di aver riposato sotto l'occhio vigile di Ao No Kishi la confortava abbastanza da non ritenere necessario trovare un perché.

Aveva preferito concentrarsi su altre cose, meno criptiche e più piacevoli, come la magnifica consapevolezza di essere tutti vivi – e più o meno vegeti – le ultime notizie sullo stato del pianeta o le novità sul portale per la Terra.

Subito dopo il ritorno del Dono a Jeweliria la sezione scientifica aveva registrato di nuovo emissioni di MewAqua nella zona in cui si era formato il passaggio la prima volta: come le aveva detto Tayou qualsiasi luogo che fosse entrato in contatto con il Dono ne rimaneva impregnato alla maniera di una radiazione, e a quanto pareva il triangolo dove MoiMoi e Pai avevano stabilizzato il passaggio non era stato un'eccezione; finché il Dono però si era trovato lontano da Jeweliria, le emissioni erano state così deboli da non poter essere registrate, né convogliate per riaprire il portale.

La capo consigliere Meryold aveva annunciato l'approvazione da parte del Consiglio Maggiore, dopo la notizia, del progetto di contatto con il Pianeta Azzurro nonché l'immediato ordine di riprendere a lavorare sul portale, per riaprirlo del tutto e rafforzarlo. LA decisione aveva scatenato un'euforia identica a quella che era esplosa alla scoperta di poter mantenere aperto il portale, tornati da Belia, nonostante le solite notifiche da parte di Pai per ridimensionare il fracasso.

« Ci vorrà del tempo, non sarà immediato. Le tracce del passaggio sono ancora chiare, ma ci vorrà molta energia per riattivarlo e fare in modo di poterlo aprire e chiudere a nostro piacimento. »

« In ogni caso lo riapriremo – interveniva in genere MoiMoi sorridendo solare – e finché non vi sarete ripresi come si deve, voialtri rimarrete qui. Tanto a casa siete coperti. »

L'assenza da Tokyo in effetti era un argomento che aveva preso a serpeggiare tra le ragazze assieme alle preoccupazioni per i familiari e per l'ira degli stessi, che di sicuro non avrebbero preso bene la loro sparizione. Keiichiro le aveva rassicurate dell'aiuto a distanza di Ayumi, rassicurazione consolidata quando il bruno, dopo qualche giorno di lavoro, era riuscito a rimettersi in contatto con la ragazza tramite le strumentazioni jeweliriane; i cellulari di Kiddan, infatti, dopo l'ultima, miracolosa chiamata fatta da Akasaka, erano tutti morti: il bruno e gli altri cervelloni avevano supposto che la telefonata fosse stato un caso fortuito, un ultimo spasmo delle radiazioni di MewAqua su cui il segnale aveva "viaggiato in ritardo", ma alla fine non erano riusciti a raccapezzarsi sulla cosa e avevano lasciato perdere gli strumenti del vecchio scienziato.

Dopo aver contattato Ayumi e aver ceduto al raccontarle per filo e per segno il perché del loro ritardo – e, visti i precedenti, le sue amiche si erano ben guardate dal mentirle, provocando strilli tali da essere uditi per strada – la rossa le aveva tranquillizzate dicendo che si sarebbe occupata di controllare gli schermi fino al loro ritorno, coprendo la loro assenza per quanto lunga fosse stata.

« Avremo settimane di vita quotidiana da doverci riguardare e memorizzare. »

« E di scuola da recuperare – gemeva sempre Ichigo scatenando gli sbuffi di Minto – mi viene già da piangere! »

« Su, su, Ichigo-chan. Avete salvato almeno due pianeti nell'ultimo mese, non credo che qualche paginetta di compiti sarà un gran problema. »

E dopo la stessa rassicurazione, tutte le volte, MoiMoi se ne tornava in laboratorio quasi ballando.

Nel giro di una giornata il violetto era tornato allegro e solare come lo avevano conosciuto, ma se all'inizio Ichigo era stata felicissima di vederlo così il suo entusiasmo ormai era decisamente scemato.

Come aveva temuto il suo frammento aveva in sé una quantità di MewAqua così misera da non aver sortito l'effetto che avrebbe voluto e Sando era uscito dallo stato vegetativo, purtroppo senza svegliarsi: Ake aveva assicurato che le possibilità che riprendesse conoscenza, oltre ad esserci, erano comunque alte e a MoiMoi era parso bastare come responso, visto che non aveva fatto altro che saltellare pazzo di gioia e ringraziare la mewneko, altrettanto felice.

Mai Ichigo si sarebbe aspettata che a frenare la sua esaltazione sarebbe stato Kisshu.

« Hai fatto una cazzata. »

« Come scusa? – lei lo aveva fissato con tanto d'occhi, sbottando – Vorresti dirmi che non dovevo? »

« No, ma se pensavi già che quella goccia fosse troppo poca avresti dovuto rifletterci sopra un secondo di più, prima di correre e sbandierarla al mondo. »

« Ma cosa stai dicendo?! Sando-san adesso è…! »

« È ancora in coma. – la bloccò – Sentì micetta, non ti sto dicendo che non sia contento, ti sto dicendo che avresti dovuto pensarci prima di fiondarti a portare quell'affare dalla senpai. »

« Cosa avrei dovuto aspettare secondo te? »

Il verde aveva sospirato guardandola serio.

« Che staccassero la spina?! »

« Non ho detto questo. »

« O chiedere il permesso? »

« Micetta, ascoltami un momento e ragiona… »

« Ora c'è una speranza! »

« Sì, ma non è una cosa certa. – disse grave – E più passerà il tempo, meno lo sarà. »

Ichigo aveva smesso di protestare intuendo dove volesse andare a parare.

« E se non si svegliasse comunque? »

La rossa aveva sussultato portandosi la mano alla bocca e Kisshu aveva sospirato di nuovo massaggiandosi il collo:

« Non ti sto dicendo che non dovevi, o che non sia felice anch'io, o che non avrei fatto la stessa cosa. Però forse avresti dovuto chiedere alla senpai di aspettare e vedere un attimo come comportarti, cercare di riflettere a mente più fredda possibile con lei, invece di offrirle la soluzione miracolosa così, sbattuta davanti al naso quando, alla fine, non sappiamo per certo se in effetti sistemerà tutto. »

Ichigo aveva preso a torturarsi una ciocca di capelli senza rispondergli, lo sguardo ansioso fisso nel nulla.

« Sperare in continuazione a volte fa più male che rassegnarsi. »

Ancora, la rossa non era stata in grado di replicare, e Kisshu aveva deciso di non insistere, dandole un buffetto sulla testa e lasciandola sola coi suoi pensieri.

Dopo quella conversazione, quando MoiMoi capitava nel suo campo visivo Ichigo si domandava quanta della sua allegria nascondesse in realtà la delusione per l'ennesima giornata in cui Sando non si era ancora risvegliato.

« Ehi, tutto bene? »

La domanda di Purin la sorprese tanto che per poco non scattò con il braccio rendendo il cucchiaino una catapulta a simil budino.

« Certo… Certo, sto benissimo. – sorrise, rimettendo il cucchiaino dentro al contenitore mezzo vuoto – Ero solo sovrappensiero. »

La biondina fece spallucce ritornando allegra:

« Ti stavo chiedendo, mi dai un po' di dolce? »

E mentre lo disse rubò ciò che rimaneva del dessert dalle mani della rossa, gustandosene due poderose cucchiaiate mugolando soddisfatta.

« Ehi, ridammelo subito! »

« Sembri una mocciosa vecchiaccia, impara a condividere. »

« Già, del resto un po' meno dolcetti non guasterebbero. »

« Ripetetelo un po' più vicini! »

Tuonò la mewneko imbracciando il vassoio come un'arma:

« Voi due insopportabili…! Purin, il mio dolce! »

 

 

 

 

 

 

 

« Sono a casa! »

Il silenzio che ricevette come risposta le fece uno strano effetto, un misto tra delusione e sollievo: non era del tutto pronta a rivedere i suoi genitori dopo un mese di assenza e fingere che per lei non ci fosse stato, eppure il non ritrovare subito i loro visi familiari dopo lo snervante viaggio di ritorno da Jeweliria fu quasi deprimente.

« Nessuno? »

Ichigo scosse solo la testa, entrando e togliendosi le scarpe:

« Papà sarà ancora bloccato in ufficio e… Oggi è giovedì, scommetto che al supermercato c'è qualche offerta e mamma è a saccheggiare gli scaffali. »

Rise un po' rigida e Ryou si limitò ad un cenno affermativo con le sopracciglia. Avrebbe accompagnato la rossa a casa sua pure se lei non avesse voluto, ancora preoccupato per la sua salute nonostante la mewneko si fosse ormai ripresa del tutto, ma doveva ammettere che era stato piacevole vederla supplicare perché le facesse compagnia fino a casa.

Ci erano volute un paio di settimane prima che tutti loro ricevessero il benestare per lasciare l'ospedale e quasi una settimana di viaggio in astronave per tornare a casa, visto che il passaggio non era stato ancora stabilizzato – grazie al cielo la navetta era stata decisamente più grande del volo precedente – e il calendario terrestre era già girato in ottobre quando loro stabilirono di poter partire.

Non c'erano state fanfare per la loro partenza, niente feste in pompa magna né arrivederci struggenti: era stato meno pesante per tutti, un saluto alla partenza come se ci si dovesse rivedere il giorno dopo, anche se un paio di lacrimucce erano scappate a parecchi – senza contare la piccola Sury che aveva pianto come una fontana, pretendendo giuramento di essere contattata appena avessero messo piede a Tokyo. Il viaggio era andato un po' meglio, anche perché escludendo MoiMoi, fisso a lavorare sul portale, tutta la comitiva era partita con loro – cosa che Ryou sapeva non essere necessaria, ma si era guardato bene dal farlo notare pensando che lui avrebbe fatto lo stesso – ma quando la Terra era comparsa sul radar l'atmosfera all'interno della navetta si era fatta malinconica e silenziosa, tanto che all'atterraggio il biondo aveva sentito ben pochi saluti e i jeweliriani erano ripartiti quasi subito dopo che l'ultimo di loro aveva posato il piede a terra. Ryou aveva immaginato che tutti i saluti fossero stati fatti prima dell'atterraggio e non era nel suo stile domandare a qualcuno come stesse, soprattutto vedendo i volti mogi delle ragazze mentre rientrarono al Cafè per scambiarsi ciascuna con il proprio schermo.

« Ti va un the? »

« No, sono a posto. »

Ichigo rispose solo con un ah deluso, non sembrò sapere bene come comportarsi. La scusa di farsi accompagnare per non dover camminare, domandando tra le righe un po' di sostegno morale da parte di Ryou, era parsa essere recepita dal biondo, ma il suo solito atteggiamento distaccato in quel momento le era più di confusione che di aiuto.

Rimasero qualche momento dov'erano, lui in piedi oltre l'ingresso lei con una mano appoggiata al tavolo della cucina, poi il biondo sospirò raggiungendola e con un mezzo sorriso le posò una mano sulla nuca, tirandola piano contro di sé. Ichigo sentì il cuore saltare un battito avvertendo il profumo del biondo riempirle le narici, poi inspirò lentamente rilassandosi contro la sua spalla e chiuse gli occhi abbracciandolo.

Nonostante le settimane e le occasioni non avevano mai parlato di quanto successo sulla navicella, quando erano andati all'inseguimento degli Ancestrali; in realtà non era certissima servisse aggiungere altro a quello che si erano detti quella sera, però quando pensava alle pessime capacità comunicative di Ryou – e il fatto che non avessero avuto particolari momenti "da coppia" da quando si era svegliata – si chiedeva se non fosse meglio fare una bella chiacchierata.

Lì nella cucina di casa sua, però, accovacciata contro di lui, la sua mano ad accarezzarle la nuca e il suo odore così familiare, si sentì così tranquilla e serena da decidersi ad ignorare le sue inutili paranoie, lasciandosi cullare nella stretta rassicurante del biondo.

« Ti faccio compagnia finché vuoi. »

Lei sorrise, mandando un sospiro soddisfatto, e sfregò il naso contro di lui facendo un cenno di diniego:

« Tra poco torneranno i miei. Io sono troppo stanca per trovare una giustificazione per la tua presenza e non credo di avere le energie per trattenere Shintaro Momomiya da crisi sospettose o di gelosia paterna. »

« Abbiamo affrontato dei pazzi assassini e devo avere paura di tuo padre? »

« Il mio ultimo ragazzo lo ha accolto a colpi di shinai. »

« One point on you. – disse posandole un bacio leggero sulla tempia – Meglio avere l'appoggio di Sakura. »

« Che c'entra mia madre? E da quando la chiami per nome? »

Lui la guardò divertito:

« Mi ha dato il permesso lei – le ricordò e sorrise furbo – non so se ricordi, ma le sono molto simpatico. »

Ichigo borbottò qualcosa di indistinto e cercò di nascondere le orecchie feline, ricordando in imbarazzo quando Ryou era andato a casa sua per darle ripetizioni e i commenti sul ragazzo da parte di sua madre.

« Bene. – fece lui lasciando la presa – Allora vado. »

Ichigo annuì e sbadigliò fino a dislocarsi la mascella, accigliandosi quando lo vide sorridere sornione della cosa:

« Ho bisogno di dormire in un letto decente e possibilmente alzarmi con la luce del sole. »

« Concordo. »

Annuì lei e sbadigliò ancora fregandosi gli occhi con due dita, era un pezzo che non si sentiva così stanca. Accompagnò Ryou fino alla porta guardandolo mettersi le mani in tasca.

« Allora… Ci vediamo domani? »

« Il Cafè sarà ancora chiuso domani, ginger – le ricordò vagamente – Keii vuole darvi la libera uscita per un altro paio di giorni. »

Concluse con tono sostenuto, come se pensasse che il suo tutore fomentasse la pigrizia tra le sue dipendenti.

« Sì, me lo ricordo – bofonchiò la rossa, anche se fu chiaro il contrario – dicevo in generale. »

Aggiunse a disagio e Ryou non potè evitare di sorridere intenerito:

« Certo. »

Aprì la porta voltandosi giusto prima di uscire:

« Per qualsiasi cosa, chiama. Ok? »

« Ok. »

La baciò e si chiuse la porta alle spalle. Ichigo restò dove si trovava con un sorriso beato stampato in faccia ascoltando il motore della moto del biondo accendersi e allontanarsi, finché il pigolare di Masha non vibrò nel salotto intanto che il robottino cantilenò:

« Siamo a casa, siamo a casa, pii! »

« Già. »

Sospirò lei trascinandosi per le scale, unico obbiettivo il suo amato letto comodo e il cuscino:

« Siamo a casa. »

 

 

***

 

 

Il cielo si era presentato bianco latte al mattino, residuo della nevicata che aveva coperto di un leggero velo candido tutta la zona di Tokyo e dintorni. Non era una rarità, però negli ultimi anni erano state poche le giornate in cui la neve era scesa attaccandosi a strade e palazzi per più di qualche ora e Retasu era rimasta deliziata alzandosi e scorgendo il paesaggio innevato fuori dalla sua finestra.

Raggiungere la scuola era stato un po' meno piacevole, tra il freddo e il ghiaccio che si nascondeva negli angoli dei marciapiedi sfuggendo al sale arrivare a destinazione si era dimostrato un viaggio impervio, e cambiarsi per l'ora di ginnastica, nonostante il riscaldamento interno, non era il massimo del confort a metà dicembre.

La verde, stanca della giornata – educazione fisica all'ultima ora era una scelta crudele e inumana – iniziò lentamente a rivestirsi fissando distratta lo specchio dietro l'appendiabiti, mise via la divisa da ginnastica e iniziò ad abbottonarsi la camicetta, fermandosi quando il suo sguardo fu attirato da una piccola macchiolina rosa riflessa sul vetro.

Alzò lo sguardo incupendosi un poco. Si sfiorò con due dita la voglia m sul petto, riapparsa a tutte circa un paio di settimane dopo il loro rientro, e ovviamente il suo pensiero andò a Jeweliria e a Pai che ormai non vedeva da tre mesi.

Era un argomento che con le altre non discutevano mai. Era sorto una specie di tacito accordo, nessuna nominava direttamente Jeweliria, o Pai, Kisshu, Taruto, Eyner, o chiunque altro, e nessuna chiedeva alle altre come andasse in merito alla lontananza; di tanto in tanto qualcuna accennava a quanto tempo fosse trascorso dal loro ritorno, ma non si andava oltre.

Pazientare dopo tutto quello che era successo era un'impresa più ardua di quanto uno potesse immaginare, fomentare la nostalgia affrontandola di petto non aiutava nessuno.

Retasu lasciò la camicia mezza aperta, prese a frugarsi nella borsa e tirò fuori il cellulare di Kiddan: sapeva benissimo che non funzionasse più, non riusciva ad usarlo neppure per comunicare con le ragazze, eppure lo portava con sé ovunque, sempre acceso, e ogni tanto ne fissava lo schermo senza una vera ragione.

Lei e Pai, tornando da Jeweliria, si erano salutati prima che la navetta atterrasse sulla Terra, entrambi decisi a voler evitare gli sguardi degli altri in melodrammatici addii; la verde si era ripromessa di non fare scenate com'era successo prima della Celebrazione della Prima Luna, quando pensavano di dover rientrare entro poche ore, e avrebbe voluto salutarlo sorridendo consapevole che la sua attesa sarebbe stata un'inezia rispetto al non vedersi mai più, o a un destino peggiore. Malgrado i suoi buoni propositi quando si era trovata di fronte il moro che le annunciava l'imminente atterraggio, Retasu aveva dovuto abbassare la testa per nascondere le lacrime.

« Scusa – aveva mormorato, detestandosi – non volevo, e invece… »

Pai le si era avvicinato in silenzio e l'aveva abbracciata con forza, quasi sollevandola in punta di piedi:

« Ti ho detto cento volte che non hai motivo di scusarti con me. »

Retasu aveva ricambiato l'abbraccio, affondando con il viso nell'incavo del suo collo prima di baciarlo, e avrebbe giurato che la sua stretta fosse stata tanto forte per nascondere un lieve tremore.

Tre mesi. Non lo vedeva da soli tre mesi, com'era possibile le sembrassero così lunghi soli tre mesi?

Come fanno le altre a non dare di matto?

Di Zakuro non si stupiva, era brava a celare i propri tormenti e gestire la nostalgia dubitava fosse più difficile di altro, o se così non fosse stato era bravissima a nasconderlo. Purin non faceva mistero della sua crescente malinconia, durante i turni al locale la si vedeva sempre più spesso fermarsi dal fare qualcosa e piantarsi con il naso contro una finestra fissando in su, come in attesa di vedere un disco volante fiondarsi giù dalle nuvole. Minto invece fingeva abbastanza bene di non avere di che angustiarsi, tranne quando si perdeva a fissare la tazza del suo the pomeridiano pensando a chissà che, o quando scattava stizzita verso la cucina se Ichigo si dilungava troppo a lungo nei dettagli dei suoi ultimi sviluppi amorosi.

Forse lei non era messa così male, si limitava a sentirsi uno schifo e a sospirare come una ciminiera.

« Che faccina cupa! »

La verde sussultò quando Ayumi le spuntò alle spalle dandole un affettuoso pizzicotto sul fianco:

« Ayu-chan, mi hai fatto prendere un colpo! »

« Almeno hai cambiato espressione – ribattè la rossa convinta – sembra che tu venga da un funerale. »

Retasu non le rispose e tornò un momento a studiare il telefono muto, che aveva stretto d'istinto al petto per lo spavento. Ayumi schioccò la lingua:

« Aaah, ecco che succede! – esclamò con fare da intenditrice – Momento nostalgia? »

Retasu sospirò e annuì soltanto; la rossa le passò affettuosa un braccio attorno alle spalle:

« Allora ci vuole un pomeriggio di buonumore. Che ne dici, saltiamo il club oggi e facciamo un giretto al 109? Cerchiamo qualcosa di carino per la festa di Natale. »

« Mmm, vediamo. – rispose vaga la verde – Ho un paio di cose da finire al club, poi ho da studiare, sono indietro con storia mondiale. »

Ayumi fece una faccia poco convinta delle scuse, ma lasciò perdere e andò a finire di vestirsi; aveva toppato con il tentativo di distrarre l'amica, nominare una festa per coppiette era stata una pessima scelta(**).

Retasu mandò l'ennesimo sospiro e fece per posare il cellulare nella borsa, quando un secondo prima di lasciarlo lo sentì vibrare sotto le dita. Spalancò gli occhi chiari e lo tirò fuori di scatto fissandolo confusa, trattenendo il fiato allo scorgere la piccola notifica sullo schermo e il mittente.

Ciao.

La mewfocena rimase immobile un paio di secondi. Poi come una molla cacciò il telefono nella borsa, si allacciò di furia la divisa e lanciandosi la giacca e la sciarpa sulle spalle corse fuori dagli spogliatoi incurante dei richiami delle compagne.

« Che succede?! »

« Scusa Ayu-chan, devo…! Ti spiego poi! »

« Ma…! »

« Ma che le è preso? »

« A saperlo, Moe – fece Miwa confusa inclinando la testa – sembrava aver visto un fantasma! »

« Però sorrideva – notò la biondina – come se fosse successo qualcosa di bello. »

Ayumi si voltò verso Ichigo cercando di capire e vide la rossa sorridere furbetta mentre metteva via il cellulare; con fare cospiratore si avvicinò all'amica e le mostrò cosa avesse ricevuto, strappando ad Ayumi uno verso esagerato:

« Ah, ecco. »

Incrociò le braccia seccata e si sbrigò a finire di vestirsi, ignorando le occhiate perplesse di Moe e Miwa.

« Fammi indovinare – le sussurrò Ichigo all'orecchio – vuoi andare a tirargli le orecchie. »

« Le orecchie e qualche altra appendice meno nobile – sogghignò la rossa minacciosa – ma sarò delicata. Per Retasu-chan. »

« Per Retasu, ovvio. »

« Mi fai compagnia? »

« Vederti strigliare quello lì? – sorrise la mewneko indossando il piumino – Non me lo perderei mai. »

 

 

***

 

 

Correre con il freddo non era un'idea geniale, l'aria gelata bruciava la gola più della corsa in sé e il montgomery, la sciarpa, i guanti erano impicci che le facevano sentire troppo caldo rispetto alla temperatura esterna, condannandola insieme a non poterseli togliere per rinfrescarsi pena il rischio di un febbrone da cavallo per il sudore ghiacciato. In ogni caso Retasu non rallentò il passo puntando come una furia verso il punto del parco dove a primavera era spuntato il passaggio per Jeweliria, scrutando attorno alla ricerca di una sagoma familiare.

Dovette fermarsi qualche metro prima dell'arrivo, ormai senza fiato, e lo vide seminascosto appoggiato ad un albero poco distante, così fermo che nessuno l'avrebbe visto passando distrattamente. La mewfocena immaginò che avesse lo schermo alzato per mascherarsi agli occhi umani, ma le fece comunque uno strano effetto vederlo lì, nel tranquillo paesaggio invernale, intanto che il cuore smise di trottare per lo sforzo scorgendo lo sguardo ametista.

Pai aspettò che lei lo raggiungesse, ricambiando piano il sorriso luminoso della verde che quando se lo trovò di fronte, esattamente come ad Aprile, sembrò non sapere cosa dirgli:

« Ciao… »

Si domandò come facesse a starsene così poco vestito con un simile freddo, lei che passate le vampe della corsa stava congelando, ma dal calore della mano che le sfiorò la guancia dedusse che il moro avesse una temperatura interna due volte più alta della sua. Tuttavia si sarebbe volentieri tolta giacca e accessori mentre si baciarono, erano troppo ingombranti per stringersi al ragazzo bene come avrebbe voluto.

« Quando sei arrivato? »

« Siamo. Da cinque minuti – disse con fare rassegnato – gli altri sono corsi via appena siamo usciti dal passaggio. »

« Il passag…? Oh, ci siete riusciti? – esclamò entusiasta – È fantastico! Aspetta… "Siamo"? »

Il moro accennò un sorriso sottile e Retasu s'illuminò al punto che Pai quasi si mise a ridere intenerito.

« Conoscendoli si saranno fiondati in un solo posto. »

« Purin-chan è sicuramente al Cafè – confermò lei con un sorriso – non so Zakuro-san e… Ops…! »

« Uh? »

« Minto è agli allenamenti – si ricordò ad alta voce – spero che Kisshu-san non piombi lì senza dirle niente. »

Pai non commentò l'ultima frase e alzò un sopracciglio, eloquente, strappandole un sorriso forzato.

Pensare che Kisshu, dopo tre mesi che non vedeva la mewbird, aspettasse il suo arrivo paziente era assurdo. E si poteva solo pensare cosa avrebbe combinato solo per stuzzicarla dopo tanto tempo, specie quando l'avesse vista in body e calzettoni assieme ad un nugolo di filiformi e vezzose fanciulline parimenti svestite.

Sarà divertente spiegare al Consiglio perché, al primo viaggio, torniamo indietro già con un uomo in meno.

 

 

***

 

 

Dicembre passò senza che la colonnina del termometro concedesse un clima più mite e stessa sorte toccò a Gennaio, trascorso in un tran tran impensabile da lì a pochi mesi prima, con visitatori alieni aggiunti.

Zakuro, come sempre, sembrava essersi già abituata ad avere Eyner e Sury così spesso in casa, mentre lui ancora trovava curioso scorgere la sorellina giocare sul divano della mora, o scivolare a piedi nudi sul bel parquet del salotto rotolando a terra e ridendo come una matta. Probabilmente non ci avrebbe messo ancora molto tempo a trovarlo normale, in temporaneo congedo in attesa di scegliere la risposta da dare al Corpo Disciplinare aveva molto tempo libero, e Zakuro aveva una camera in più che ormai Sury aveva colonizzato.

Il bruno osservò qualche minuto la piccola, concentratissima sulla conversazione che stava facendo tenere a due pupazzi dall'aria vissuta, poi raggiunse Zakuro sul terrazzo. La mora, le braccia conserte contemplando il panorama, gli rivolse un leggero sorriso e finì il suo the, poi si appoggiò alla ringhiera stringendosi nel maglione.

« Non mi abituerò mai alla vostra resistenza al freddo. »

Gli disse sbirciandolo con la coda dell'occhio. Eyner sorrise e fece spallucce, posò la tazza di the accanto a quella vuota di lei e la imitò poggiandosi al parapetto:

« Tutta pratica. »

La mora trattenne un sospiro divertito sistemandosi distratta dietro l'orecchio qualche ciuffo, che il vento tentò di portarle sul viso:

« Immagino di sì. »

Dentro uno schiamazzo di Sury li fece voltare un momento, strappando dei sorrisi quando la videro saltellare sul divano e lanciarsi di schiena su di esso coinvolta in chissà quale avventura.

« Terra o Jeweliria, mi sembra che qualcuno non abbia problemi a divertirsi in ogni caso. »

Zakuro annuì concorde e sorrise intenerita.

« Almeno qualcuno ci riesce… Io sto iniziando ad impazzire dalla noia. »

Disse vago massaggiandosi il collo. Zakuro di nuovo non replicò e il bruno iniziò a fissarla di sottecchi, intuendo che stesse riflettendo su qualcosa, ma non riuscendo ad immaginare cosa.

« … Cosa farai adesso? »

Di sicuro non si sarebbe aspettato quella domanda, non così a bruciapelo. La vide gettare una scorsa al suo braccio sinistro, le cicatrici dell'ultima lotta che ne seguivano la forma dalla spalla fin oltre il polso, e lui d'istinto strinse la mano destra sull'incavo del gomito opposto fissando di fronte a sé incupito:

« Non lo so. – ammise – Decisamente non sono uno da scartoffie. Sto cercando di pensare a qualcos'altro, però… »

Abbassò la testa con una risata amara:

« Ho fatto solo il soldato per tutta la mia vita. »

« E via da Jeweliria? »

« Cosa? »

Eyner soppesò la sua domanda qualche secondo tornando a guardarla; Zakuro invece restò con lo sguardo rivolto sempre di fronte a sé, le parole che uscirono neutre e tranquille, seppur lei muovesse nervosa le dita sulla balaustra in un lento circolo.

« Qui ci sono molti lavori che potrebbe fare uno come te; non sono proprio mansioni da soldato, ma sono meno deprimenti di una scrivania. »

« "Qui", intendi… Qui? Sulla Terra? »

La domanda gli suonò tanto stupida quanto banale, ma la pronunciò per accertarsi di star recependo correttamente le parole della mewwolf, come se la sua mente stesse di colpo lavorando ad un regime più fiacco del normale. Zakuro ovviamente non gli rispose e continuò a restare ferma dove si trovava, pure lei cercando forse di trovare le corrette parole da usare.

Il suo sguardo seguì il volo di due uccelli che spuntarono dal nulla e si appollaiarono sul terrazzo di un palazzo vicino, tubando e rassettandosi le penne tra di loro. Zakuro si appoggiò con gli avanbracci alla ringhiera, risistemandosi altri ciuffi scostati dalla fresca brezza di gennaio:

« … Tortore. – soppesò sovrappensiero – Sono un po' in anticipo, fa ancora freddo. »

Eyner rispose solo un piccolo grugnito, studiando poco interessato i volatili.

« Lo sai che le tortore sono monogame? »

Il bruno mandò solo un altro suono indistinto; ignorò completamente dove volesse andare a parare il suo discorso, ma qualche ingranaggio nella sua testa stava lentamente spingendolo verso un'intuizione che preferì non azzardare, temendo il risultato, e rimase ad ascoltare la mewwolf senza commenti.

« Le persone spesso dicono che la monogamia è inesistente, che si tratta solo di una convenzione sociale umana. Invece molte specie animali lo sono, quasi tutte le razze di uccelli scelgono un solo compagno, anche varie specie di mammiferi. »

La mora non si girò alla sua sinistra, però avvertì con chiarezza il bruno tendersi alle sue parole, il loro ultimo potenziale significato che prese forma con prepotenza.

« Creature che decidono di rimanere assieme per tutta la loro vita, come gli orsi e le volpi. »

Zakuro lo sentì sollevarsi piano sui palmi, poggiandoli alla ringhiera, e voltarsi con altrettanta calma verso di lei, quasi guardingo.

« Come i lupi. »

Finalmente la mora si voltò. Eyner la stava fissando con gli occhi grigio-blu spalancati finendo di processare le sue parole, osservando il suo volto rilassato nonostante le labbra strette poco più del normale e il respiro appena più veloce.

Il bruno le mise le mani sulla vita avvicinandosi il più possibile, lo sguardo vibrante fisso in quello celeste di lei che vide il suo volto scivolare via dalla trance stupefatta e rimirarla serio e innamorato:

« … Tu hai scelto? »

Ancora, gli sembrò una domanda completamente stupida, eppure capì di non aver sbagliato a porla; non c'era titubanza sul viso di Zakuro, ma gli occhi chiari nascosero una lucina che, più che di dubbio, parve ansia per l'importanza della propria decisione.

Quanto poteva apparire lunga una vita al fianco di qualcuno, per una persona che aveva stabilito di vivere meglio con se stessa? Suonava come un tempo ben più lungo di quanto fosse tollerabile.

Però, se Zakuro pensava a quella vita senza Eyner le sembrava ancora più lunga e insopportabile di una qualsiasi eternità.

« Ho scelto te. »

Disse semplicemente. Sentì Eyner contrarre nervoso le mani sulla sua vita e prenderle il viso tirandola a sé, fermandosi a pochi millimetri dalle sue labbra:

« Sei sicura? – la voce roca non tradì insicurezza, solo impazienza – Completamente sicura? »

« Sì. »

La baciò così frenetico e impetuoso che Zakuro avvertì un deciso fremito al petto e si strinse d'istinto al suo torace, il confuso sentore di avere poco equilibrio.

Poi, un piccolissimo brivido. La sensazione di qualcosa di caldo e piacevole che scivolò lungo la spina dorsale e un leggero pizzicore lungo il braccio.

Stavolta la mora fu sicura di arrancare goffa sui piedi se avesse perso la presa e si strinse a Eyner ancora più forte; allentò la stretta solo quando non ebbe più fiato per baciarlo più a lungo e subito si guardò il braccio sinistro: la manica morbida era risalita un altro po' mentre si erano abbracciati e Zakuro vide nitide le linee appena più scure della sua pelle che si disegnarono lungo l'avambraccio. Il tonfo al cuore fu quasi assordante.

Unmei.

« … Come sapevi che avrebbe funzionato? »

Eyner, il viso contro il suo mentre si dondolò impercettibilmente sul posto, scrollò solo le spalle:

« Con altre razze simili a noi funziona, se il sistema bio-nervoso è affine. – bofonchiò veloce, decisamente poco incline in quel momento a elucubrazioni scientifiche, e sospirando le baciò una tempia – Poi terrestri e jeweliriani hanno la stessa origine… Credo che biologicamente parlando dobbiamo appartenere allo stesso genere, o alla stessa famiglia, non so. »

Zakuro rispose con un monosillabo indistinto baciandolo di nuovo e sbirciando attraverso le ciglia il braccio sinistro di lui, scorgendo segni come i suoi che risalirono lungo la pelle del bruno e che divennero poco a poco più sbiaditi fino a scomparire. Si rese conto che anche i segni sul suo braccio non erano più visibili: indecisa provò a concentrarsi, la fronte contro quella di Eyner e solo un occhio aperto, e vide l'unmei ricomparire per alcuni istanti, esattamente come aveva detto una volta Lasa.

« In ogni caso – continuò lui in un sussurro, allontanando il viso giusto il necessario per vedere con chiarezza il suo – non funziona se non lo si vuole entrambi. »

Le sorrise e Zakuro fece altrettanto di rimando, fregando leggera la guancia contro la sua. Lui sospirò forte, come un tubo a vapore che debba far calare la pressione, e abbandonò la testa sulla spalla della mora:

« Ok, mi serve un minuto. Due. – si corresse – Devo… Processare. »

Zakuro lo sentì ridere nervoso e rise a sua volta scuotendo la testa:

« Hai fatto tutto tu. »

« Sto focalizzando adesso. »

« Se ci hai ripensato basta dirlo. »

Lo punzecchiò con dolcezza e lui le baciò il collo, mormorando:

« Non dirla neppure per scherzo una cosa simile. »

Lei rise ancora a labbra chiuse e mandò un lieve mugolio soddisfatto, assecondando i suoi movimenti finché non la baciò ancora.

« È… Solo successo un po' prima di quanto progettassi. »

« Progettavi? »

Gli domandò divertita non nascondendo un sorriso più deciso per il senso di quella frase.

« Forse. – replicò sorridendo un po' a disagio – A tempo debito. »

Ammise alla fine; Zakuro stese un sorrisetto malizioso passando leggera le dita sulle sue spalle:

« Cioè quando avevi in mente, di preciso? »

« Questa è una domanda antipatica. »

Sbuffò per gioco e fu troppo contento di sentirla ancora ridere discreta, troppo euforica per non sfogarsi almeno così.

« Beh – gli disse dopo un po', giocando con il suo codino tra indice e medio – in pratica io ho detto niente. »

Puntualizzò. Eyner spalancò un secondo gli occhi sorridendole poi sottile:

« È un cavillo. »

« No, è così. – insisté divertita – Non ho chiesto assolutamente nulla. Ho solo risposto. »

« Uhu. »

Continuò a studiarla furbo sfiorandole il naso con il proprio:

« Quindi in teoria non è successo niente di ufficiale? »

Lei gli diede un impercettibile pizzicotto sulla spalla:

« Quindi in pratica non occorre nient'altro – specificò con voce calda – ma mettiamo che in teoria qualcuno avesse progettato qualcosa… »

« Sei solo curiosa o hai tanta voglia di prendermi in giro? »

Fece incapace di smettere di sorridere e allo stesso tempo con un lievissimo guizzo stizzito del sopracciglio e Zakuro gli passò le braccia attorno al collo, sorridendo ancora di più e dicendo piano:

« Vorrei che me lo chiedessi, come progettavi. »

Eyner tacque alcuni istanti e la cinse per la curva della schiena tirandola a sé più che potè:

« … Minto e Shirogane vorranno la mia testa. »

« Del signorino non mi preoccuperei, ha di che farsi perdonare – replicò lei sibillina – E Minto vedrai che si calmerà subito, quando le proporrò di farmi da damigella d'onore. »

« Oh… Perciò sul classico terrestre all'occidentale? »

Lo guardò sorpresa:

« E tu che ne sai? »

« Ho una sorellina di otto anni. E conosce Ichigo Momomiya. »

Le ammiccò e lei rise piano:

« Avevi altro in mente? »

Eyner scosse la testa e le accarezzò una guancia:

« Sono sicuro che il bianco ti doni quanto il viola. »

« Prima devo risponderti. »

Insisté a scherzare ed Eyner si chinò su di lei fermandosi giusto prima di baciarla:

« Vuoi sposarmi? »

Pur sapendo, Zakuro avvertì lo stesso il cuore dispettoso perdere un colpo mentre sorridendogli gli sussurrò un .

Accovacciata dietro lo schienale del divano Sury si strinse le manine sulla bocca per fare silenzio, sbirciando felicissima i due frenando la voglia di correre loro contro e saltargli in braccio gridando di gioia: poteva lasciargli un altro paio di secondi per il loro momento.

 

 

***

 

 

« Dai, accelera! Siamo in stra-ritardo! »

« Tu hai impiegato un'ora a prepararti – sbuffò Ryou guardandola scettico – E non si corre in ospedale. »

Ichigo si fiondò su per il corridoio ignorando le sue proteste e arrivò trafelata  nel reparto maternità, annunciando il suo ingresso spalancando la porta con la grazia di un bufalo.

« Abbiamo fatto in tempo, vero?! »

« Sei fortunata, stiamo aspettando. – sentenziò supponente Minto – Ma sei in ritardo. Come al solito. »

Ichigo replicò grugnendo e si accasciò pesantemente sulla sedia accanto a Kisshu: lui teneva le mani davanti al viso così serrate che c'era da temere iniziassero a scricchiolare, frantumandosi. Ryou entrò un paio di minuti dopo la rossa, guardandolo divertito:

« Sembra che debba essere tu a partorire. »

« Spiritoso, Shirogane! – enfatizzò acido – Spiritosissimo! Ora mi rotolo sulla sedia! »

« Se avete intenzione di battibeccarvi potete uscire anche adesso. »

Sibilò Pai tenendosi la fronte con una mano, la mascella contratta, e Kisshu fu troppo nervoso per rispondergli per le rime. Taruto sedeva poco distante, le mani sotto il sedere, oscillando sulla seduta come un pendolo.

« Dai Taru-Taru andrà tutto benissimo. »

La sua faccia non si mostrò molto convinta.

« Eyner e Zakuro non ci sono? »

« Sury-chan si è messa a fare i capricci – ammise Retasu con un sorrisetto – perché non può ancora entrare in reparto… Hanno detto di dirgli quando sarà finita e faranno a turno. »

« Potremmo fare entrare la piccola di straforo. »

« Bell'esempio. »

« Era per proporre! »

Fece Kisshu sulla difensiva e Minto roteò gli occhi, il nascituro sarebbe diventato un delinquente con simili fratelli maggiori.

Qualcuno aprì la porta dall'altra parte della sala e tutti saltarono sul posto come molle. L'infermiera non potè non ridere sommessa:

« Ora potete entrare. »

I tre Ikisatashi si guardarono a vicenda nella speranza che uno qualsiasi di loro si muovesse per primo. Fu Pai alla fine ad accollarsi l'onere, e rigido manco fosse di piombo entrò nella stanza seguito dai fratelli e dagli altri presenti.

Lasa era stata aiutata a sedersi sul letto, una pila di cuscini dietro la schiena, e sorrideva raggiante nonostante la stanchezza dipinta sul viso; la sua attenzione e quella di Iader, in piedi accanto a lei e quasi con la stessa faccia stravolta, era tutta per il fagottino tra le braccia della donna e connessero dopo alcuni secondi la presenza dei visitatori.

« È arrivato quello nuovo e non ci consideri più? »

Ridacchiò Kisshu senza riuscire a nascondere un sorriso nervoso. Lasa scosse la testa e Iader fece loro segno di avvicinarsi; Taruto restò nascosto dietro ai due più grandi, sbirciando attraverso le loro braccia.

« È una bimba. »

Sorrise Lasa sottovoce mentre Pai scostò la copertina che avvolgeva il neonato.

« Kisshu, è incredibile, non hai ancora detto una parola. »

Lo canzonò Minto ma lui non rispose, allungando titubante  una mano verso la piccola e osando sfiorarle la manina paffutella con l'indice. Iader ostentò un teatrale tirar su con il naso:

« Finalmente…! Dopo anni di tribolazioni con questi figli degenerati, una dolce femminuccia! »

« Ehi! »

Taruto fece l'offeso e si avvicinò con fare sostenuto al letto; il suo viso si accese appena posò lo sguardo sulla piccola, ma insisté a voler sembrare distaccato nonostante il sorriso, ottenendo una curiosa smorfia sghemba. Lasa gli sorrise:

« Vuoi prenderla in braccio? »

Lui scattò all'indietro come se lo avessero punto, il viso che si arrossava di contentezza:

« Io?! N-no, non posso…! – replicò nervoso scuotendo la testa – È-è piccola, ho paura di farle male…! »

« Kisshu e Pai hanno tenuto in braccio te quando sei nato – lo rassicurò – stavolta è il tuo turno. E poi tu sei anche più grande di quando toccò a loro. »

« E non credo la farai cadere come ho fatto io… »

« Cos'è che avresti fatto?! »

« Taru-Taru, credo che Kisshu nii-chan ti stia prendendo in giro. »

Il brunetto arrossì stizzito e il fratello se la sghignazzò, una strana espressione euforica mentre lui e Pai continuarono a guardare la bambina. Iader sospirò rassegnato e troppo felice per spedirlo fuori a calci, prese la piccina tra le braccia e la mise in quelle di Taruto, che poco mancò se la desse a gambe.

« Tienile su la testa. Bravo, così… – l'uomo ridacchiò piano – Ha del talento! Tu che dici Purin? »

« Non farle domande con strani doppi sensi! »

« Credo che sarebbe un ottimo papà, Iader-san. »

« E tu non dargli corda! »

Anche Purin rise e si accostò al brunetto posandogli la testa sulla spalla ammirando con le amiche la bambina, la testina tonda quasi calva con pochissimi e sottilissimi capelli color castagna, gli occhietti chiusi.

« Ok, passala un po' qui, prima che decidano di portarsela a casa. »

Rise piano Kisshu notando gli sguardi trasognati delle ragazze. Minto incrociò le braccia arrossendo un poco:

« Sei davvero un cafone, ma non dovrei stupirmi ormai. »

« Ammettilo che ti piacerebbe averne una uguale. »

Scese uno strano silenzio mentre la mewbird sgranò gli occhi in un'espressione stranita. Kisshu si sarebbe aspettato gli inveisse contro, invece la mora borbottò un paio di parole confuse e uscì dicendo di andare a chiamare Zakuro, lasciando il verde a guardarsi attorno confuso:

« Ma che ho detto? »

Lasa sospirò e guardò in tralice Iader.

« Io non sono mai stato così. »

« D'accordo – disse divertita – poi ricordami di raccontarti ancora come hai chiesto di sposarmi e ne riparliamo… »

Purin e Retasu si guardarono e sorrisero, e la biondina si fece spazio tra i tre ragazzi che facevano da guardie del corpo alla bambina:

« Come si chiama? »

« Tofi(***). »

Quasi avesse già capito che la madre si riferiva a lei, la piccola socchiuse gli occhietti indaco e sbadigliò, afferrando l'indice del fratello maggiore. Retasu lo vide sorridere appena, ma non disse niente intenerita.

« Allora benvenuta, Tofi. »

Come a rispondere alla biondina Tofi emise un piccolo vagito e parve sorridere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(*) credits to Hypnotic Poison ♥  che mi passa deliri fantastici di fanshipposo delirio (perdonatemi, questa frase era troppo perfetta per non rubargliela vilmente ♥ )

(**) un po' di cultura giapponese… Il 109 è un noto grattacielo/centro commerciale situato proprio in centro, a Shibuya; all'inizio del 2000 era noto per essere il punto di incontro di tutte le gals (le ragazze trendy, fissate con un particolare codice di abbigliamento e trucco marcati) di Tokyo.
Natale in Giappone, pur esistendo una branca praticante di cattolici, non ha la valenza dell'Occidente, è considerata una festa commerciale e in particolar modo dedicata alle coppie di innamorati (specialmente la Vigilia di Natale) più che alle famiglie, o più che al contesto religioso.

(***) seguiamo la tradizione dell'Ikumi di adoperare dolciumi per i nomi, come coi suoi fratelloni xD viene da toffee, un tipo di caramella, generalmente morbida, composta da zucchero, glucosio o melassa, burro, latte o latte condensato.

 

 

 

 

 

 

 

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*stappa spumante e saltella* yeeheee!! Visto che sono brava? Sono tutti salvi e contenti, sì sono troppo brava, non va bene x°°DD!

Tutti: seee, certo!

La parte più difficile di questo capitolo, anzi, le parti, sono state non far capire nella prima parte cosa stesse succedendo e farvi salire l'ansia :P e rendere fluida la lettura con tutti questi salti temporali… Magari qualcuno avrebbe voluto leggere più dettagli di cose successe tra un momento e l'altro, ma ho scelto quegli eventi che ritenevo migliori e adatti per parlare un po' di tutte le coppie ;) ♥  (ops, ho lasciato da parte Purin e Taruto che fan le comparse °-°" vabbè pazienza :P)

Purin: Ria cattiva ç_ç

Taruto: ma non eravamo i tuoi preferiti -.-?

Sì e non fate i musoni, siete quelli che hanno sofferto di meno dall'inizio ^^!

Non ho molto da dire, a parte ringraziare 19g (ultima arrivata, sempre benvenutaa ♥ ), Amuchan, Danya, Sissi1978 e The RosaBlue91 per i loro commenti, tutti i lettori occasionali, gli affezionatissimi che non commentano (ma che spero facciano un salutino in questi ultimi capitoli :3) e ovviamente sempre e cmq Hypnotic che mi stressa in continuazione e mi vuole tanto bene xD

ALLA PROSSIMA CON L'EPILOGO!

ULTIMISSIMO CAP!

ULTIMO ULTIMO! FINE! THE END!

 


Mata ne
~ ♥!

Ria

 

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Capitolo 58
*** End of the Crossing ***


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Gente, è l'epilogo. See ya later ♥ 

Un po' in anticipo, ma… Happy B-day nee-chan ♥ 

 

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Cap. 58 – End of the Crossing

                « Till we meet again, in our next life. »

 

 

 

 

La fine delle lezioni fu accompagnata da un sole luminoso tra i petali chiari dei ciliegi in fiore e Ichigo sorrise incantata, se l'inizio della pausa di primavera non era già abbastanza piacevole un simile panorama era la cornice che rendeva la giornata tra le migliori dell'ultima settimana.

Si sistemò la tracolla sulla spalla, mise le cuffie nelle orecchie e si avviò a passo spedito a prendere il treno, non vedeva l'ora di tornarsene a casa per coronare il tutto con un bel bagno e un pisolino ristoratore, così da essere fresca e riposata per il suo appuntamento di quella sera; a quanto lesse sull'orologio avrebbe avuto tempo di fare tutto, pure con un certo margine di anticipo per non dover correre come al suo solito e lucidarsi a modino.

Fece un mezzo sorriso mentre, accomodatasi sul sedile del treno, iniziò a sfogliare la playlist dell'MP3, ancora le sembrava strano che da aprile avrebbe frequentato già il secondo anno di università, anche se Moe e Miwa si stupivano di più che avesse scelto lingue straniere come facoltà, lei che non era mai stata una perla neppure in inglese.

In realtà nell'ultimo anno di liceo aveva preso un certo interesse per le lingue straniere mettendosi anche d'impegno per recuperare tutte le sue lacune – complice anche, e a causa, di un certo biondino di sua conoscenza – e con lo studio in generale era migliorata, tanto da uscire con una media più che discreta dal diploma e passare gli esami di ammissione all'università senza troppa difficoltà. Aveva perfino scelto di frequentare il percorso standard e non quello breve in due anni(*), le si doveva riconoscere un grosso miglioramento.

Ovviamente, per il resto, era rimasta la stessa.

« Ichigo, Ichigo, pii! La fermata, pii! »

La rossa, sussultando quando il robottino si staccò dal suo telefono per svolazzarle accanto all'orecchio e toglierle un auricolare, soffocò le proteste sul fatto che si stesse muovendo in pubblico e pigolando si fiondò verso l'uscita spintonando due impiegati e un gruppetto di studentesse delle medie che la guardarono storto.

« Scusate, scusate! Devo scendere! Permesso! »

Saltò fuori dalla cabina un secondo prima che le porte automatiche le pinzassero in una morsa la gonna e sbuffando sollevata si allontanò velocemente dalla banchina, evitando a disagio gli sguardi perplessi della gente attorno. Il quarto d'ora di passeggiata fino a casa fu sufficiente in ogni caso per farle scordare della figuraccia e attraversò l'ingresso di nuovo sorridente e serena, sospirando beata levandosi gli stivaletti e posando i piedi nelle sue pantofole di pelouche.

« Bentornata tesoro. »

« Ciao mamma. »

« Ho provato a fare i cupcake con la ricetta del tuo amico Akasaka – le annunciò porgendole il vassoio coi dolcetti ancora caldi – vuoi assaggiarli? »

Ichigo si leccò le labbra al profumo fragrante di burro e cioccolato e ne prese uno trattenendosi dal dargli subito un morso poderoso:

« Merendina dopo il bagno. »

Sakura ridacchiò:

« Ti chiamo quando arriva Shirogane-kun? »

« Fantastico. »

Le schioccò un bacio sulla guancia, strinse il dolcetto in una mano e salì veloce al piano di sopra. Si concesse un lungo bagno rilassante e poi, pulita e avvolta nel suo maglione preferito tornò in camera dove il suo cupcake l'aspettava sulla scrivania; lo finì in pochi bocconi, mugolando estasiata mentre si sfregò i capelli con l'asciugamano, quindi si stese sul letto soddisfatta e ben decisa a poltrire per il successivo paio d'ore. Mise la sveglia al cellulare e Masha si accoccolò sul proprio cuscino sul comodino imitando la padroncina e mettendosi a russare piano; Ichigo lo guardò sorridendo intenerita, concentrandosi sul rumore leggero emesso dall'esserino, sui suoni ovattati fuori dalla finestra, sulla luce calda che riempiva la stanza, finché non riuscì a tenere oltre gli occhi aperti.

 

 

 

 

All'inizio pensò si trattasse della luce proveniente dalla finestra che riempiva il suo campo visivo dalle palpebre socchiuse. Strizzò gli occhi e li aprì meglio, non era una luce, era tutto lo spazio attorno ad essere bianco. Un'infinita distesa bianca e luminosa senza nulla che comunque le risultò familiare come la sua casa o la sua stanza.

Era tanto tempo che non lo sognava, ma quello specifico momento non lo aveva mai rivisto.

Si rese conto di potersi mettere in piedi e di poter decidere se e come muoversi, passeggiando per lo spazio vuoto; abbastanza monotono come sogno e anche un po' strano, sembrò più che si trovasse effettivamente in quel posto e non che fosse un semplice parto della sua fase rem. Decise di seguire gli eventi senza altre domande, tanto dubitò che avrebbe avuto risposte più chiare o avrebbe capito molto di più da lì in avanti.

Lo cercò quasi d'istinto sicura di vederlo. E infatti eccolo laggiù, dapprima un'ombra appena più scura nella luce, man mano che lei si avvicinò una vaga figura azzurra e dorata della quale, più che vederne effettivamente le sembianze, Ichigo ne intuì l'aspetto dalla sagoma appannata visualizzando i dettagli dai propri ricordi.

Lo vide seduto a quello che parve un tavolo, o almeno dovette trattarsi di qualcosa di simile data la postura che intuiva del suo corpo e la posizione delle sue braccia raccolte sul ripiano; in concreto lei non vide nessun tavolo, non distinse alcun bordo definito dell'oggetto fisico né delle sue sedie, però non tentennò e allungò una mano cercando lo schienale della seduta incorporea: le sue dita si chiusero su un punto in cui la luce dell'ambiente scompariva, come oscurata da un oggetto opaco, e con assoluta naturalezza spostò la sedia e si sedette accomodandosi al tavolo invisibile di fronte al suo ospite fumoso.

Mai fatto sogno più strano.

« Ne è passato di tempo, uh? »

L'altro le rispose senza che un suono uscisse effettivamente dalla sua bocca, eppure lei sentì lo stesso le sue parole.

Sì. Molto tempo.

Ichigo sorrise prima di corrugare un attimo la fronte:

« Perché sei qui Ao No Kishi? »

Lui sembrò riflettere su come risponderle.

No… Ma era l'ultima possibilità di vederti.

« Che vuoi dire? – chiese ancora lei allarmandosi – Sta succedendo qualcosa? »

Lui scosse la testa per rincuorarla, ma non le spiegò di più.

Raccontami.

« Uh? »

Raccontami come stai. Come vanno le cose, a te, a tutti.

Fu Ichigo a non rispondergli subito, confusa dal suo fare misterioso, ma sorvolò sulla cosa.

In fondo stava solo sognando.

« Sto bene. – sorrise e ridacchiò un istante – Sai, credevo che dopo tutto quello che abbiamo passato la vita "normale" avrebbe finito per sembrarmi noiosa. Invece… »

 

 

 

 

Retasu picchiettò la matita sul bordo del libro, la fronte poggiata contro le dita mentre leggeva distratta il capitolo di chimica molecolare e capiva di non riuscire ad assimilare una sola parola, complice il sole tiepido e l'arietta profumata che entrava dalla finestra.

Dopo altri dieci minuti di infruttuoso sforzo sospirò e si decise a chiudere il tomo con un tonfo, forse stava pretendendo troppo da se stessa: era solo al primo anno di medicina, la strada era ancora molto lunga e le vacanze primaverili erano appena cominciate, dopo quei trimestri massacranti avrebbe potuto concedersi di mordere il freno e rilassarsi.

Chiuse gli occhi per qualche istante finché non bussarono piano alla porta. Uri si affacciò discreto e le sorrise:

« Sorellina? C'è l'onii-san. »

Definitivo segnale dell'universo ad abbandonare il libro sulla scrivania.

Il ragazzo evitò di ridere nel vedere la verde scattare dritta sulla sedia e illuminarsi in viso:

« Arrivo! »

Lui annuì tornando in salotto e Retasu si alzò per darsi una sistemata veloce – aveva tanto martoriato la frangetta sovrappensiero che sembrò elettrificata – prese la borsa e trotterellò verso l'ingresso, sorridendo divertita quando intravide la porta: per quanto tempo passasse e per quanto si riuscisse ormai a mimetizzarsi perfettamente tra la gente, Pai le appariva sempre un po' fuori posto quando lo vedeva fermo in piedi sull'uscio di casa sua, come se la sua presenza silenziosa risaltasse troppo.

Il moro la salutò con un cenno e un sorriso che lei ricambiò piano prima di infilarsi al volo le scarpe:

« Ci vediamo più tardi Uri. »

Il fratello annuì e ridacchiò salutandola:

« Fai con calma. »

Lei arrossì appena al sogghigno divertito di lui, gli scoccò un'occhiataccia e uscì veloce assieme al moro. Con l'età Uri si era fatto un pochino più dispettoso verso la sorella maggiore, punzecchiandola di quando in quando e approfittando della sua timidezza cronica anche su un argomento di pubblico dominio come la sua relazione con Pai.

In realtà all'inizio lei non si era curata di informare la famiglia, non aveva nemmeno pensato alla questione, anche perché non aveva mai avuto un ragazzo quindi non aveva idea di come fare. Qualche tempo dopo la riapertura del passaggio, però, Retasu aveva iniziato a riflettere sulla cosa e aveva deciso di presentare il moro a tutti, pur senza il titolo di "fidanzato"; non perché si vergognasse di lui o di loro due, solo perché per lei sarebbe stato troppo imbarazzante dire direttamente ai genitori che frequentava chicchessia.

Pai non era rimasto molto entusiasta della sua idea, tutte quelle moine terrestri erano davvero fastidiose, quasi quanto avere il dubbio su come comportarsi per fare un'impressione per lo meno decente sui signori Midorikawa – bastavano i problemi burocratici da Jeweliria come intoppo per vedere Retasu, non sarebbe servito aggiungerci genitori a disapprovare certe "amicizie" – ma la verde era parsa davvero desiderosa di farglieli conoscere e lui aveva imparato di non riuscire a opporsi a certe innocenti richieste di quei due occhioni color mare.

Per sua fortuna i signori Midorikawa erano due persone molto discrete, garbate e gentili, e Uri per quanto un po' più vivace assomigliava alla sorella tanto di aspetto quanto di carattere, facendo sentire Pai a suo agio perfino con il suo parlare a monosillabi. Tutte aggiunte al premio migliore, vedere il sorriso grato e contento di Retasu.

« È po' taciturno, ma sembra proprio un bravo ragazzo. »

Aveva detto la signora Midorikawa alla figlia quella sera; la verde, intenta ad aiutarla con i piatti, aveva annuito allegra:

« È vero. »

« È anche carino. »

Le aveva sussurrato complice, con quel fare riservato tanto simile a quello della mewfocena; Retasu era arrossita appena, ma aveva sorriso rispondendo con una poco impegnativa scrollata di spalle. Il sorriso della signora Midorikawa si era allargato:

« Da quanto vi frequentate di preciso? »

Tra sé la donna aveva ringraziato di aver aspettato l'attimo in cui la figlia avesse retto un paio di posate, perché alla sua domanda Retasu era diventata di tutti i colori facendosi sfuggire forchetta e coltello dalle dita e schiantandole sul pavimento. La verde aveva farfugliato qualche sorta di scusa, agitando a mezz'aria le mani piene di sapone, e al sorriso comprensivo della madre aveva abbassato la testa imbarazzatissima tacendo per qualche minuto prima di risponderle con un pigolio.

Quando lo aveva raccontato a Pai lui non aveva commentato, storcendo solo la bocca con quel suo modo rigido di dimostrare imbarazzo, ma di nuovo per fortuna del moro nessuno in casa Midorikawa aveva fatto particolari commenti o domande alla sua successiva visita, considerando la questione come un dato di fatto. Decisamente meglio che alla verde, a cui Iader non aveva risparmiato molto a lungo qualche battutina sull'essersi presa carico "di quel muso lungo del figlio".

« Come mai sei qui? »

Pai la guardò accennando un sorriso sottile e lei farfugliò a disagio:

« Non che non mi faccia piacere, era solo… Per chiedere. »

Lui continuò a studiarla un po' divertito e scrollò le spalle:

« Niente di particolare. – disse camminando con calma al suo fianco – Sono passato. »

Retasu fece per sorridere, poi cambiò idea e gli rivolse un'occhiata scettica:

« MoiMoi-san ti ha fatto uscire a forza? »

« … No. »

Ribattè cupo corrugando la fronte, ma non nascondendo di sapere bene che la domanda della mewfocena fosse più che legittima. Lei alla sua espressione trattenne uno sbuffo divertito rilassando il viso.

Prima della riapertura del portale e dopo, trascurando una breve licenza, Pai aveva dato pieno credito alla propria classificazione di sgobbone: tra la manutenzione e stabilizzazione del passaggio e i nuovi incarichi che giorno dopo giorno si accumulavano,  fra nuovi progetti per i contatti con la Terra, miglioramento dei dispositivi schermanti e varie, erano pochi i giorni in cui MoiMoi non doveva spedirlo fuori dal laboratorio a calci per ricordargli di trascorrere qualche ora in modo più piacevole. Non che il moro non ci pensasse, ma molti dei suoi compiti avrebbero facilitato gli interscambi con il Pianeta Azzurro e anche il transito verso e da esso, questione che gli premeva ben più di quanto dimostrasse e per cui era disposto a sacrificare qualche ora in più nel presente, pensando ad un futuro più rilassato; inoltre in quell'ultimo anno dietro ai suoi studi Retasu era stata molto indaffarata, dandosi poco tempo per annoiarsi o cedere alla nostalgia con troppa frequenza. Entrambi erano quel tipo di persone capaci di apprezzare di vedersi per qualsiasi durata di tempo, pure solo un minuto, e farselo bastare a sufficienza per la volta successiva.

Per lo meno la maggior parte delle volte.

« Avevo voglia di vederti. »

Mugugnò piano e la verde si sciolse in un enorme e dolce sorriso prendendogli la mano e protendendosi appena verso di lui perché la baciasse.

« Ti va di mangiare qualcosa? »

Pai annuì, sistemandole distratto la frangetta con una carezza:

« Basta non al Cafè. »

Fece con tono più duro.

« Hai paura di trovare Ayu-chan? »

A lui guizzò infastidito un sopracciglio per il modo lievemente canzonatorio della domanda:

« Non sono in vena di sentire Momomiya che si lamenta per qualcosa o si stuzzica con Shirogane come un'undicenne – specificò – e con Kotegawa sai bene che ho un limite di incontri al mese. »

« Non fai ridere. »

Lo sgridò gentile e la sua occhiata parve contraddirla, non voleva essere una battuta:

« Preferirei evitare di sentirla borbottare o lanciarmi occhiatacce. »

« Ayu-chan è mia amica. »

Gli ricordò paziente.

« Ti adora. – sospirò e la sua espressione si addolcì – Penso sia l'unica cosa su cui andiamo d'accordo. »

Retasu prese un deciso colorito ciliegia sulle guance e lasciò cadere il discorso, sorridendogli:

« Che ne dici di una crêpe? »

Pai le cinse le spalle con il braccio e rallentò ancora il passo, cosicché lei potesse stringersi a lui mentre passeggiavano:

« Vada per la crêpe. »

 

 

***

 

 

La trovò dove aveva immaginato e la cosa fece guizzare dal nervoso la vena sulla sua tempia sinistra. La donna non sembrò accorgersi del suo arrivo, occupata a terminare di parlare coi due uomini di fronte a lei, ma lui sapeva benissimo che lo aveva visto e lo stava ignorando divertita.

« … E si occuperà il colonnello Blies della selezione – finì di dettare la donna all'uomo più giovane, poco più che un ragazzo – occorre che sia tutto predisposto prima che si stabilisca la prima seduta. »

« Certo, Meryold-sama. »

Annuì annotando sul suo schermo trasparente.

« Thugar – continuò lei cambiando interlocutore – posso delegarla di fronte al Consiglio? »

« Riferirò tutto e mi assicurerò che la cosa sia risolta velocemente. – la rassicurò lui garbato – Voi… Oh, buongiorno nobile Ron. »

Il generale rispose con un grugnito tombale e lo sguardo funereo, facendo squittire spaventato il ragazzo del terzetto; Thugar comunque non fece caso all'espressione feroce dell'uomo e dopo aver salutato tornò alle sue faccende portandosi via l'intimorito giovane. Neppure Meryold sembrò preoccupata del fare minaccioso di Ron e rivolgendogli un sorriso condiscendente si avviò verso la dimora alle sue spalle, incurante dell'uomo che la seguì con passo da mitragliere.

L'alloggio per i consiglieri all'interno del Palazzo Bianco era uguale per tutti e il Capo Consigliere non faceva eccezione, ma in fondo si trattava di strutture più che confortevoli ed eleganti; per Meryold a dire il vero sarebbe andata bene anche una casa in città, visto il suo sempre meno attivo ruolo alle riunioni, ma i suoi colleghi avevano insistito perché non ci fossero cambiamenti e non c'erano state ulteriori obiezioni.

Con un sospiro esausto Meryold si accomodò su una sorta di chaise-longue imbottita, la sua preferita, posizionata sotto una finestra e chiuse gli occhi riprendendo forze, continuando ad ignorare Ronahuge che torreggiò a mezzo metro da lei come un orso furioso.

« Cosa c'è? »

Si decise a chiedergli con garbo e potè giurare di vedere l'uomo emettere fumo dalle orecchie:

« Credevo che le mansioni al Consiglio si sarebbero ridotte. »

« Sono ancora il Capo Consigliere in carica – gli ricordò gentile – e il progetto per il Pianeta Azzurro è appena entrato in attivo, non posso non coordinare il Consiglio Maggiore e l'interscambio terrestre. »

Lui rispose storcendo la bocca e mostrando i denti.

« In fondo il progetto è stata una mia idea. »

« Anche fare l'eroina contro quella mocciosa psicopatica di Lindèvi, ma il risultato non è stato granché. »

Le ricordò cupo; lei roteò gli occhi e sospirò accarezzandosi protettiva il fianco, dove sotto gli abiti una fascia di stoffa bianca copriva la ferita causata dall'Ancestrale.

« Tra poco Thugar potrà prendere il mio posto, è già deciso. »

« Sì, ma tu non migliori nel frattempo. »

« Oh Ron, per favore. – sospirò docile – Sono solo stanca. »

« È questo che mi preoccupa. »

Borbottò e si sedette pesantemente sulla poltrona dirimpetto alla donna, strisciandola sul pavimento finché con il viso non fu a una decina di centimetri scarsi dal suo, l'aria così minacciosa che si sarebbe potuto pensare aspettasse il momento adatto per azzannarla. Lei, appena più pallida del solito, non sembrò temere di essere sbranata e gli sfiorò una guancia con le dita affusolate, le labbra dolcemente arricciate con fare furbo che gli strapparono l'ennesimo sbuffo:

« Mi verrà un'ulcera per sopportarti. »

« Tu hai voluto sposarmi. »

Lo stuzzicò paziente e Ron, dopo un breve brontolio, le prese con delicatezza le dita nel palmo ruvido e le mostrò uno dei suoi ghigni da lupo:

« Pensa, tu hai detto di sì. »

« A volte la ferita mi annebbia un po' la mente. »

« Non fai ridere. »

Lei non sembrò d'accordo e rise discreta. Non si curò del mugugno di risposta, allungò l'altra mano verso la sfera dati accanto alla chaise-longue e scorse pigramente le scritte sulla superficie luminosa; Ron sbuffò ancora tra i denti fregandosi i corti capelli grigi.

« Ho riferito la scelta di Blies-san al Consiglio. Come supervisore del distaccamento terrestre. »

« Uh – rispose solo brusco – almeno questa decisione ha dato meno rogne di quella sugli Ikisatashi. »

Meryold mandò un sospiro divertito:

« Dopo tutto quello che è successo mi ha sorpresa che il Corpo Disciplinare abbia fatto tante storie per consentirgli il libero passaggio verso la Terra. »

« Come se fossero una novità le loro idee brillanti. Sto a capo di una massa di cariatidi dal cervello rinsecchito – sbottò seccato – anche se visti i precedenti, il fatto che temano qualche casino da parte di quei tre non mi sorprende troppo. »

Meryold scosse la testa continuando a sorridere. Rimase qualche momento a sfogliare dati e quindi sbirciò Ron da sotto in su, allargando il sorriso quando lo vide irrigidirsi sospettoso.

« Spero che cambino idea, visto chi ho proposto per la sede terrestre. »

Ron sgranò gli occhi bronzei e aggrottò la fronte con un lamento esasperato. Meryold rise di nuovo a labbra chiuse, intrecciando le dita che ancora lui stringeva nella mano con le sue, indifferente al suo tono cavernoso:

« Tu me lo fai apposta, donna. »

 

 

 

 

« Mi sarebbe piaciuto partecipare alla cerimonia, sai? – disse Ichigo sospirando un istante – Visto che Ryou la vede spesso, anche io posso incontrare un po' Meryold-san. È sempre stata gentile… E poi un matrimoni jeweliriano mi incuriosiva. »

Ammise ridendo e l'altro si accodò con discrezione.

« Però a quanto ci ha raccontato MoiMoi-chan è stata una cosa molto in sordina. – rise ancora e si sporse sul tavolo bisbigliando – Sai, ha detto che Ron-san sorrideva…! Io non ce lo vedo a sorridere. »

Ammise e l'altro rise più convinto, facendola sentire un po' sciocca per quelle parole.

« Beh, non come mi immagino qualcuno sorridere al suo matrimonio. »

Aggiunse e lui sorrise.

 

 

 

 

Lo spazio per allenarsi che aveva fatto allestire nella stanza degli ospiti del corridoio ovest era davvero perfetto, doveva ricordarsi di nuovo di ringraziare suo padre – quando lo avesse incontrato, ovviamente, perciò chissà quando. Prese un bel respiro quando avvertì i muscoli affaticati tendersi piacevolmente e poi rilassarsi, tanto che proseguì lo stretching un po' più a lungo del solito, non badando allo sguardo che avvertì piantato addosso da cinque minuti e anzi lasciandosi sfuggire un sospiro divertito.

« Hai intenzione di studiarmi ancora per molto? »

« Qui non c'è nessuno che possa vedermi mentre ti ammiro, cornacchietta. »

Sorrise Kisshu appollaiato sulla sedia, il mendo affondato nel palmo:

« E poi lo so che adori essere al centro dell'attenzione. »

« Quando sono sul palco – gli fece notare – non quando mi sto allenando. Soprattutto, vorrei esserlo io, non il mio fondoschiena. »

« Fondoschiena da favola. »

Sogghignò malizioso e ostentò il seguire con lo sguardo la gamba destra della mora, che lei tese elegantemente in su contro la sbarra.

«  Devo ricordarmi questa posizione per il futuro. Sembra molto interessante da provare in due. »

Minto incredibilmente si limitò ad alzare gli occhi al cielo:

« Sei davvero monotematico. »

« Niente lancio della scarpetta per sgridarmi? – la punzecchiò inclinando la testa da un lato  – È successo qualcosa di bello? »

Minto si rialzò lentamente e lo guardò dallo specchio con un sorrisetto sottile prima di voltarsi:

« Ho avuto la parte. – disse compiaciuta – Sarò io la protagonista alla rappresentazione di quest'anno! »

Cercò di non apparire troppo euforica e il verde fischiò allegro:

« Ah sì? »

« Il tuo entusiasmo è sempre contagioso. »

Fece aggrottando la fronte. Kisshu sogghignò e le afferrò la mano tirandola verso di sé:

« Non ci si poteva aspettare di meno dalla Prima Solista del NNTT. »

Minto rilassò un po' l'espressione sostenuta, ma non gli concesse ancora di avvicinarsi e accennò qualche passo girandogli attorno:

« Parlo della Carmen da mesi e tu tabula rasa, ma ti ricordi l'acronimo del teatro. »

« Il novanta per cento dei balletti ha nomi di donna, mi sarà concesso di fare un po' di confusione. »

Lei sbuffò più seccata di quanto non fosse e gli piroettò un passo più vicina, mentre Kisshu riflettè alzando esagerato il mento:

« Aspetta… Aah, ora mi ricordo! »

« Sul serio? »

« Oh, sì. »

Stese un largo sorriso malizioso ripensando alla mewbird esercitarsi per la parte sul brano della Aragonaise(*), con briosi e intriganti movimenti di bacino che non era molto abituato a vederle fare; almeno non quando di solito danzava.

« Mi ricordo – sussurrò furbo posandole le mani sui fianchi – qualcuno che si muoveva in modo molto più interessante del solito… »

Minto sbuffò in modo così sproporzionato da farlo scoppiare a ridere nonostante lo schiaffo che gli tirò sul braccio:

« Sei impossibile…! »

Borbottò pur sorridendo e gli premette tutto il palmo contro la faccia spingendolo via:

« Perché mi sforzo ancora di parlare di certe cose con te? »

Sapeva che facesse così solo per il suo vizio infantile di essere dispettoso, ma ancora faticava a non irritarsi, specie dopo la fatica che aveva fatto per ottenere quella parte; come prima solista i ruoli da protagonista non erano scontati, e la parte di Carmen le aveva dato fin da principio filo da torcere, lei che eccelleva opere in un certo senso "più composte".

« Devo proibire alla tata di farti entrare. »

« Come se mi servissero per forza le porte. »

Sottolineò divertito e la riafferrò dandole un bacetto sulla guancia poco preoccupato del suo brontolare:

« Congratulazioni passerotto. »

« Troppo tardi. »

« Davvero – insisté baciandole la punta del naso – sono fiero di te. »

« Bah. »

Lui le passò le braccia attorno alla vita e le lasciò una piccola scia di baci sul collo fino alle labbra, assecondando il suo tenere il broncio e fingendo di non vederla sorridere appena. Quando Minto sciolse il suo abbraccio per dissetarsi un po' lo vide incrociare le mani dietro la nuca con aria titubante:

« Cavolo, adesso mi sento in colpa. »

« Che intendi? »

« Beh – fece vago massaggiandosi il collo – avevo una notizia da darti, ma ora mi sembra di rubarti la scena… »

La mora lo guardò sorridere furbo e sgranò gli occhi incredula:

« Sul serio…?! »

Il verde allargò il sorriso:

« Me l'hanno confermato stamattina, sono stato selezionato per il distaccamento terrestre. »

Minto s'illuminò in volto e gli gettò le braccia al collo fingendo di non sentire il suo punzecchiarla per il raro slancio.

Da quando il portale era stato riaperto Kisshu passava metà delle sue giornate standosene in mezzo ai piedi della mewbird, ma aveva dovuto ridurre drasticamente le visite dopo che dal Corpo Disciplinare d'Armata avevano preteso si stabilisse una politica più definita sull'uso del passaggio, estesa a tutti i jeweliriani coinvolti nel progetto del Pianeta Azzurro: il fatto che uno di loro andasse avanti e indietro per i due mondi come più gli pareva – specie per motivi personali – non faceva una bella impressione.

Minto non avrebbe mai ammesso quanto le mancasse la presenza del verde quando non c'era, sapeva benissimo che, una volta stabilizzato il piano del Consigliere Meryold, andare e venire da Jeweliria sarebbe stato molto più semplice; però era stato difficile sopportare con indifferenza i giorni d'assenza, giorni che in certi periodi si erano trasformati in settimane: la sola presenza di Miki o i messaggi di Seiji non bastavano a riempire il vuoto della sua stanza.

La notizia di una selezione per un primo distaccamento militare che si sarebbe trasferito su suolo giapponese era di un paio di mesi prima. I prescelti sarebbero stati inseriti in segreto in alcune istituzioni cittadine, al fianco di un ristrettissimo gruppo di terrestri – i pochi, al momento, che si era riuscito a mettere a conoscenza dell'esistenza di Jeweliria e del passato della Terra – perché si preparasse il terreno adatto al contatto e all'integrazione su scala più ampia.

Minto non conosceva altri dettagli del progetto e sinceramente non vedeva cosa, in concreto, avrebbe potuto fare Kisshu o dove avrebbero potuto mandarlo, ma saperlo da quel momento in poi a Tokyo per lei era più che sufficiente.

« Quel sorriso è merito mio? »

« Questo sarebbe un buon momento per fare quella cosa di cui abbiamo parlato spesso… »

Kisshu assunse un'espressione da diavoletto:

« Intendi quella dove tu stai sott- ahio! »

« Intendo tenere il becco chiuso. »

Ribattè la mora lugubre pizzicandogli la mano, ma lui insisté e la sollevò di peso:

« Potresti darmi la soddisfazione almeno su quest'argomento. »

« E tu potresti per una volta non fare il deficiente. »

Rispose in perfetta battuta con un sorrisetto supponente, poi si accomodò meglio sedendosi sulle braccia di lui, cinte attorno alle sue cosce, e disse più piano:

« Certo che è per te, scemo che non sei altro. »

« Bastava la prima parte. »

Minto gli diede un buffetto leggero sulla spalla e lo guardò sogghignare allegro mentre gli passò le mani attorno al collo:

« La seconda migliore notizia della giornata. »

« Non la prima? »

Lei fece una smorfia divertita:

« Non te lo dico. »

Lo vide storcere la bocca borbottando un noiosa prima di baciarla e lo abbracciò più forte, sentendo di non riuscire a smettere di sorridere.

« Viste tutte queste belle notizie – le sussurrò malizioso, la fronte contro la sua, e le accarezzò deciso le gambe perché gliele portasse attorno alla vita – potremmo festeggiare. »

« La tua idea di festeggiamenti è molto limitata. »

Lo apostrofò divertita e serrò le labbra per mascherare almeno un po' il respiro che tremò quando lui le strinse fin troppo evocativo le cosce.

« Come se ti dispiacesse, cornacchietta acida. »

Minto rise di nuovo piano e Kisshu avvertì una famigliare stretta all'addome, nel sentire la sua voce spezzarsi deliziosamente mentre l'accarezzò sopra i collant e il body leggero. Lei gli si fece più vicina che potè, le dita perse sulla sua nuca, e gli sorrise sulle labbra:

« Certo che non mi dispiace. »

 

 

***

 

 

Eyner entrò in casa sospirando sollevato di poter allentare un poco la divisa, per quanto fosse comoda quello restava uno dei momenti più piacevoli della giornata; aprì la bocca per annunciare il suo rientro, ma le scarpe nell'ingresso gli fecero cambiare idea ed entrò in punta di piedi attraverso il salotto, ascoltando il silenzio dell'abitazione.

Si fermò solo un momento scorgendo la sua immagine riflessa nello specchio del corridoio, qualche volta gli faceva ancora strano vedersi vestito così.

L'idea di trasferirsi sulla Terra lì per lì lo aveva spaventato, in modo positivo s'intende, la vaga agitazione di quando si sta per affrontare qualcosa di completamente ignoto e bellissimo, ma aveva al contempo sollevato problemi di natura pratica come il cosa fare di se stesso. Di certo poltrire in casa non era la sua aspettativa di esistenza, né dipendere da Zakuro – anche se, a conti fatti, la mora avrebbe potuto tranquillamente far fare al fidanzato e alla sorellina la bella vita dei mantenuti – però non era così semplice inserirsi nella società umana dal nulla, con la sua burocrazia e i pezzi di carta che certificavano l'identità di una persona; e di sicuro non poteva aspettare che il progetto di Meryold prendesse forma andandogli in aiuto.

« Costruirsi un'esistenza da terrestre non è così complicato. – lo aveva corretto Ryou – Basta contattare le persone giuste. »

« Sarebbe gradito nulla di illegale. »

« You're not funny, Fujiwara. »

Lo sorprendeva sempre come poche semplici parole stampate potessero aprirgli tante porte, forse più che la rapidità con cui aveva scelto che lavoro fare.

Kisshu lo aveva preso in giro per giorni, il poliziotto gli sembrava una stramba caricatura del mestiere del soldato e aveva scommesso che il bruno si sarebbe ucciso dalla noia dopo una settimana. Ad Eyner invece piaceva molto, non poteva dire che lavorare per la polizia di Tokyo fosse la cosa più eccitante del mondo, ma lo faceva sentire utile e stare bene aiutando la gente, anche nel piccolo. Senza dimenticare la piccola vendetta nei confronti dell'amico quando si erano resi conto della discreta figura del bruno in divisa, almeno a giudicare dall'espressione compiaciuta di Zakuro e della maggior parte del gentil sesso.

« Ciao. »

« Sury, ciao. »

Lei ricambiò il sorriso spuntando dalla cucina con un paio di onigiri tra le mani, addentando la cima del primo:

« Fono di fopfa. »

Disse puntando il dito verso il secondo piano ed Eyner sorrise.

« Ne è avanzato qualcuno? »

Le chiese mentre si avviò alle scale e indicò il suo spuntino con un cenno della testa.

« Mi fa di no – si scusò lei inghiottendo il boccone – ma ci deve essere ancora del riso. Te ne preparo un paio? »

Il bruno ammiccò:

« Muoio di fame. »

La ragazzina annuì e tornò indietro finendo di divorare il secondo onigiri. Sbirciandola intanto che salì le scale Eyner si trovò di nuovo a sorridere, ogni tanto temeva di averla scombussolata trascinandola con sé in un nuovo mondo, ma Sury aveva dimostrato di adattarsi a tutto senza alcun problema, e molto più velocemente di lui.

Lo sguardo grigio-blu, perso nel rimuginare, scorse sulle poche foto che Zakuro aveva accuratamente scelto da appendere alle pareti e si fermò su quelle del loro matrimonio.

In verità Ichigo e Purin in un secondo momento gli avevano confessato che da tempo confabulavano in segreto su quando gli amici avrebbero deciso in concreto di fare il grande passo, lanciando scommesse, ma l'annuncio aveva lo stesso colto in contropiede loro e tutti gli altri scatenando un'eccitazione collettiva fin troppo esagerata; perfino Pai era sembrato contento – non esaltato, sarebbe stato troppo – e Minto era addirittura riuscita a non scatenarsi in scenate di gelosia o minacce più o meno velate al promesso sposo, almeno non in pubblico. Eyner era sempre stato convinto fosse stato grazie alla decisione di Zakuro di scegliere la mewbird come damigella d'onore, però si era ben guardato bene dal domandare.

Il matrimonio si era svolto nella piccola chiesa a cui Zakuro era tanto legata, una tiepida mattina di inizio settembre. Una cerimonia più che intima, la mewwolf da tempo non aveva più contatti con i genitori e a Eyner era rimasta solo Sury, le loro famiglie erano gli amici; la sola persona fuori dal gruppo quel giorno era stata la signorina Yuriko(**), manager della mora sin dagli inizi, che se n'era presa sempre cura anche oltre l'ambito lavorativo e per cui ormai Zakuro provava grande affetto. Eyner  non aveva idea se la mewwolf le avesse raccontato la verità su di loro, sulle sue origini o quelle degli altri, o se le avesse semplicemente annunciato di stare per sposarsi, però vedere quella donnina sulla trentina stare in piedi tra loro rigida dal nervosismo aggiustandosi in continuazione gli occhiali squadrati, palesemente incerta su come comportarsi nei confronti degli altri invitati e allo stesso tempo felice e confusa di trovarsi lì, era stato comico. Quasi quanto vederla disperarsi per la decisione di Zakuro di comunicare l'evento a chi di dovere – colleghi, produttori e il capo della sua compagnia di idol(***) – solo a cose fatte, in barba alla propria immagine pubblica, alle reazioni della stampa, a quelle dei fan o al quasi infarto che avrebbe causato al direttore dell'agenzia.

« Me lo ricordavo più piccolo questo posto. »

« Forse perché l'ultima volta, oltre a noi, c'era un esercito di chimeri-corvo che tu avevi deciso di portarci in regalo, nii-chan. »

« Scimmietta, è la cornacchietta l'addetta alle frecciatine velenose, non rubarle il ruolo. »

« La freccia te la lancerò io, ma fisicamente, se non ti decidi ad andare al tuo posto: tra poco arriverà l'onee-sama. »

« La damigella d'onore ha sentenziato. »

Aveva ridacchiato Ichigo facendosi strada lungo la navata. Minto aveva sbuffato esasperata e borbottato qualcosa contro entrambi, dando due colpetti con il dorso della mano sulla spalla di Kisshu per incitarlo a spicciarsi; lui aveva obbedito pigramente e aveva raggiunto lo sposo, lo sguardo che nel mentre aveva seguito la mora e le increspature a cascata dell'aderente abito rosa cipria, svolazzanti ad ogni suo passo.  

« Iniziano a piacermi i matrimoni. »

Eyner era riuscito solo a grugnire:

« Se hai finito di scannerizzare il didietro della tua ragazza – aveva borbottato con voce rauca – verresti a fare il tuo lavoro decentemente per almeno due minuti? »

« Se per questo devo reggerti quando ti verrà un colpo, avvertimi. Cercherò di mettermi tra te e i gradini, così non ti spacchi la testa. »

« Quale sarà stato l'aneurisma che mi ha fatto scegliere te come testimone? »

Il verde aveva scoperto i canini con fare da monello e gli aveva dato una poderosa pacca sulla schiena, strappandogli uno sbuffo lamentoso.

« Un vero damerino. »

Lo aveva ancora preso in giro in giro studiando il suo completo scuro:

« La lupotta ha vinto alla lotteria, fortunella! Potrebbe non reggere la vista di un simile fico. »

« Kisshu. »

Quello aveva riso a labbra chiuse.

« Dai, non puoi fartela sotto. Il grosso l'hai fatto, hai convinto una delle persone con meno attitudini sociali che conosca a starsene con te per il resto della vita. Una piccola cerimonia sarà una bazzecola. »

« So che ne sei convinto, ma non mi stai aiutando. »

« Ti sto lodando. – aveva insistito più gentile – E tranquillo, anche se toppassi da qualche parte Zakuro ti adorerebbe lo stesso. »

Eyner aveva solo sospirato stancamente concedendogli un sorriso e sentendosi meno nervoso mentre ricambiò la stretta.

La porta d'ingresso si era aperta subito dopo, Sury a precedere la sposa con un sorriso fierissimo e un piccolo bouquet tra le manine; Zakuro era avanzata dietro di lei a braccetto di Ryou, apparendo come sempre assolutamente a suo agio. Elegante e perfetta nell'abito a sirena, lo scollo a v e le spalle scoperte bordate di piccole piume bianche sopra le maniche ad angelo, aveva attraversato la navata senza tradire il minimo nervosismo, anche se Ryou avrebbe giurato che la stretta di Zakuro sul suo braccio si fosse fatta più nervosa negli ultimi metri.

« Damerino, mi sa che ho sbagliato… Il fortunello che ha fatto tombola sei tu. »

Eyner ricordò di aver risposto con uno strano monosillabo indistinto, troppo impegnato a non togliere gli occhi di dosso alla mora e a sorridere con ogni centimetro della faccia quando, prendendole la mano, l'aveva guardata sorridergli di rimando.

Non sapeva se il termine adatto a lui fosse "fortunato", ma non aveva alcun dubbio che non si sarebbe mai più sentito così felice.

Salvo una piccola eccezione.

« Zakuro…? »

Aprì piano la porta della camera stando attento a non far entrare di colpo troppa luce dal corridoio; la mora dormiva tranquilla, ancora vestita, con una trapunta tirata addosso alla meglio e un braccio sporto di lato a proteggere un fagottino di coperte. Eyner sorrise, le coprì meglio le spalle e fece qualche carezza sul visino del piccolo al suo fianco, le guanciotte paffute per la sazietà e una manina stretta attorno all'indice della mora; lei doveva essere davvero esausta  perché non si accorse della presenza del bruno finché lui non le sfiorò affettuoso una guancia, ma in fondo era rientrata dall'ospedale solo da un paio di giorni.

« … Ehi… »

« Ehi. Scusa, ti ho svegliata? »

Lei scosse la testa tenendo gli occhi chiusi e bisbigliò con voce roca:

« Quando sei tornato? »

« Adesso. Sono ufficialmente libero da oggi – la rassicurò sedendosi sul bordo del letto – così potrò darti il cambio col lupetto. »

Zakuro alzò appena una palpebra studiandolo con l'appannato sguardo chiaro, un sorrisetto divertito sulle labbra rosee.

« Porto Sohei di là – le disse prendendo il piccino, incerto se lei lo stesse sentendo o meno – tu riposati, va bene? »

La mora rispose con un mugugno a bocca chiusa, socchiudendo ancora gli occhi giusto per guardarlo mentre la baciò, e si accomodò meglio addormentandosi in pochi istanti. Eyner andò nella camera in fondo al corridoio e mise il neonato nella sua culla, restando a guardarlo finché non smise di agitarsi piano e si rimise a dormire profondamente: era convintissimo che Sohei assomigliasse più alla madre, anche se la mewwolf sosteneva in contrario, forse per la sottile peluria sulla sua testolina, scura e già scomposta proprio come i capelli del padre; per il resto il bambino era troppo piccolo per dire se avesse o meno un lineamento più della mora o più suo, solo rispetto al giorno in cui era nato aveva già l'aspetto di un altro neonato.

« Si è addormentato? »

Eyner rispose con un verso nasale mentre Sury entrò in punta di piedi e si sporse sulla culla sorridendo sciocca, allungando poi una mano per sfiorargli la testolina e le orecchie, lievemente più affusolate di quelle terrestri. Il bruno era stato contento che Sohei non avesse preso di più quel tratto jeweliriano, non trovava che l'aspetto delle sue orecchie fosse imbarazzante, ma sarebbe stato complicato nasconderlo per non destare troppe domande: ancora pochissimi umani sapevano la verità sulla Terra e su Jeweliria, e lui e Zakuro non volevano certo che il bambino fosse costretto a girare tutta la vita con un bracciale schermante addosso.

Per queste sarà sufficiente sistemare i capelli. Quando ne avrà.

Sorrise mentre Sohei aprì un paio di volte la boccuccia biascicando, l'aspetto in ogni caso era stato l'ultimo dei pensieri della mewwolf, molto più preoccupata che il bambino avesse problemi dati dal DNA del Lupo Grigio che lei gli avrebbe trasmesso: Ryou e Keiichiro fortunatamente – che avevano seguito la gravidanza più dei dottori – avevano rassicurato entrambi i genitori che, pur avendo ereditato il gene m della madre, Sohei ne era risultato un "portatore sano", perciò non avrebbe manifestato poteri o mutazioni evidenti.

« Potrebbe giusto sviluppare un certo amore per la carne. O i denti adatti per mangiarla. »

Aveva detto Ryou con un sorrisetto sarcastico guardando velato Eyner  e i suoi tratti ferini. Il bruno gli aveva scoccato un'occhiataccia evitando i commenti, tipo il fatto che alla fidanzata del biondo spuntasse la coda di un gatto quand'era nervosa.

« Pensi di cavartela fratellone? »

Il bruno studiò Sury alzando un sopracciglio:

« Mangia e dorme, ce la dovrei fare – le sorrise divertito – in caso d'emergenza mando un segnale di fumo. »

La ragazzina aggrottò un po' la fronte per il tono da presa in giro, poi annuì e si avviò fuori rapidamente:

« Esco prima che Purin nee-chan vada senza di me. »

« Quando hai finito di dare il tormento a Irhokay – la stuzzicò il fratello – ricordati di andare a salutare la senpai. »

« Io non do il tormento a nessuno! – sbottò lei arrossendo – E poi non ho detto che vado a trovare Roovy-san! »

Lui la guardò allusivo e Sury gli fece una linguaccia, il viso scarlatto mentre trotterellò giù dalle scale arrabbiata dandogli dello stupido.

 

 

 

 

« Ogni tanto vorrei fosse più semplice. Per le ragazze, voglio dire. – precisò la rossa dispiaciuta – Io sono contenta di poter vedere gli altri quando si può, ma per loro a volte è difficile. »

È dura stare lontani dalle persone che ami.

Ichigo annuì sospirando e poi rilassò il viso imbronciato, sorridendo:

« Spero che tutto sia stabilizzato presto, chi la sopporta più Purin che scalpita per il locale per tutta la settimana? »

Stavolta lo sentì ridere di gusto.

 

 

 

 

I motivi per cui la divisa del liceo dovesse essere così corta le erano proprio sconosciuti; sbuffò arrabbiata, era in terribile ritardo eppure non avrebbe potuto correre più veloce, per non rischiare di fare ammirare tutta la sua biancheria a metà dei passanti.

Quando arrivò di fronte al portale – per lo meno, nel punto in cui sapeva trovarsi il portale, occultato ai passanti – buttò un occhio attorno, ma non vide nessuno. Purin cacciò indietro la testa quasi gemendo, di sicuro sarebbero arrivate grosse lavate di capo per aver tenuto il passaggio aperto tanto a lungo, era già la terza volta quel mese: decisamente non erano incentivi a rendere più morbide le restrizioni sull'attraversamento.

Trovò in pochi secondi il punto di ingresso e con un balzo la biondina entrò nel portale; il permesso di accesso che aveva al polso vibrò impercettibile e lei si sbrigò a spuntare a Jeweliria prima che il passaggio fosse chiuso, prendendo giusto un secondo di fiato quando apparve sul prato prima di correre verso il Palazzo Bianco.

Per evitare noie burocratiche in quella fase embrionale del progetto il Consiglio Maggiore aveva stabilito che, per il momento, l'apertura e chiusura del portale sarebbero state gestite da un sistema automatizzato: solo alcune persone, scrupolosamente selezionate, avrebbero potuto utilizzarlo in autonomia e solo per precisi e rigorosissimi periodi di tempo, tramite permessi di accesso speciali forniti direttamente dalla sezione scientifica. Purin dubitava di potersi annoverare nella rosa dei prescelti, ma qualcuno doveva aver spezzato un paio di lance a suo favore e, in qualche modo, aveva ottenuto la possibilità di accedere a Jeweliria per quarantotto ore ogni settimana. Sospettava che ci fosse stato lo zampino di MoiMoi e Pai in quella decisione del Consiglio, forse per evitare che, pur di attraversare il passaggio, la mewscimmia si facesse coinvolgere nei viaggetti illegali di Kisshu.

« Oh, finalmente…! Nee-chan! »

« Sury-chan! »

Purin agitò il braccio in aria e fece un gran sorriso, la divisa scomposta e la cartella stretta sottobraccio che minacciò di sfuggirle, arrivando di fronte alla ragazzina senza più fiato:

« Scusa – mormorò appoggiandosi alle ginocchia – mi hanno lasciata sola al turno di pulizie, non la finivo più. »

Sury scrollò le spalle tranquilla e ridacchiò della sua aria trafelata:

« Andiamo? »

La biondina annuì e le due si avviarono verso il Palazzo Bianco prendendo a parlottare tra di loro. L'andare assieme in visita a Jeweliria era un'abitudine consolidata da quando i Toruke si erano trasferiti sulla Terra, all'inizio per dare una mano a Eyner e controllare che Sury ritornasse senza problemi a casa, poi solo per piacere della reciproca compagnia tra le due, diventate ormai molto amiche nonostante la differenza di età.

« Non mi sembra vero che siano arrivate le vacanze…! »

« È così terribile il liceo? »

Domandò divertita Sury e Purin mandò un lungo lamento:

« Noioso da morire…! – gemette esagerata – Come si fa ad interessarsi al Genji Monogatari(****) quando hai viaggiato per dimensioni sconosciute e volato per la galassia su un'astronave? »

Guardò la morettina poco convinta:

« Sei sempre decisa ad andare a scuola sulla Terra? Hai ancora tre anni per cambiare idea. »

« Non succederà – fece Sury con un sorriso deciso – e poi, è molto più noioso andare a scuola qui. »

La sbirciò da capo a piedi con ammirazione e una lucina deliziata negli occhi:

« Non vedo l'ora di mettermi anch'io la divisa…! »

Purin sospirò e le sorrise amorevole,  l'idea della bambina di andare in una scuola umana a partire dalle medie era suonata molto pratica – vista la sua nuova casa – e interessante per averla come "cavia" di giovane inserito nel tessuto umano, anche se la questione era ancora dibattuta nelle alte sfere; la mewscimmia da parte sua, potendo scegliere, non aveva ancora grandi progetti per il futuro e dopo quel primo anno scolastico pensava solo che avrebbe preferito continuare a fare la cameriera al Cafè e badare ai fratellini.

Rallentò un secondo il passo quando Sury smise di parlare, mordendosi il labbro inferiore e brillando in viso emozionata:

« Roovy-san! »

La morettina si protese sulle punte più che potè gesticolando frenetica in segno di saluto verso il soldato dai capelli rossi che si stava dirigendo nella loro direzione; Purin lo vide sorridere ad entrambe e ricambiò allegra, cercando di non ridacchiare mentre ascoltò Sury mormorare tra sé qualcosa circa il fascino del giovane soldato. Roovy si avvicinò strofinandosi il pollice sul punto dove portava i segni del breve scontro contro Toyu: era ormai un tic fisso del ragazzo, che mal sopportava il grosso sfregio che gli prendeva il lato destro del viso fin sopra la palpebra, quasi quanto l'altra cicatrice, più netta e sottile, che gli attraversava il volto da metà della fronte piegando in mezzo agli occhi e finendo sulla guancia sinistra; Sury non era all'apparenza della stessa opinione da come gli sorrise adorante, le guance di un bel rosso acceso.

« Buongiorno! »

Lui sospirò con aria di affettuosa rassegnazione:

« Buongiorno… Non ti arrendi mai eh? »

La bambina rispose scuotendo la testa allegra.

Dopo la Battaglia della Prima Luna, Sury era diventata un'ammiratrice devotissima di Roovy, non mancando di fargli visita tutti i giorni fino alla sua dimissione e anche dopo, scovando sempre quelle ore in cui potesse stare vicina al rosso senza disturbarlo troppo; non che a Roovy la cosa desse fastidio più di tanto, Sury era una bambina dolce, allegra e vivace, e anzi all'inizio lui aveva preso la costante presenza della piccola sul ridere ed era stato al gioco, come con una sorellina particolarmente appiccicosa o una nipotina. Finché Sury non aveva dichiarato a pieni polmoni di essere cotta del ragazzo: Roovy ovviamente, pur con garbo, le aveva detto chiaro e tondo di no, ma a lei non era parso importare molto né della risposta né che il soldato avesse quasi nove anni più di lei. La sua cocciuta insistenza e la sua presenza giornaliera erano diventate una costante tra i commilitoni di Roovy che non si trattenevano dal prenderlo in giro, mentre lui si era ormai arreso alla "corte" della morettina aspettando paziente che capisse e rinunciasse. Cosa che per il momento non sembrava dovesse succedere a breve.

« Non ti divertiresti di più a passare le giornate con qualcuno della tua età? »

Domandò il rosso con un sorriso sghembo e Sury scosse di nuovo la testa:

« Preferisco passare un po' di tempo con te. »

Roovy sospirò più forte a metà tra il divertito e il disagio, mentre Purin rise di gusto e ammiccò alla piccola:

« Dacci dentro, mi raccomando. »

« Certo! »

« Purin-san, così non mi sei molto di aiuto. »

Lei rise ancora e se ne andò guardando con la coda dell'occhio Roovy riprendere il suo giro, Sury che pronta gli si accodò chiacchierando a macchinetta.

La biondina si avviò verso la parte più interna del Palazzo arrivando fino ai grandi cortili interni; sbirciò rapidamente i gruppi di soldati e cadetti che stavano terminando le esercitazioni, ma non riconobbe nessuno e veloce tornò sui suoi passi uscendo dall'edificio e puntando verso i quartieri.

Il sole si abbassò sull'orizzonte e l'aria divenne frizzante sulle sue gambe nude, tanto che per l'ennesima volta si domandò come facessero i jeweliriani a girare spesso e volentieri poco coperti; come il brunetto che intravide finalmente girato l'angolo.

« Taru-Taru! »

Il ragazzo si voltò sentendosi chiamare e assunse un ghignetto antipatico:

« Alla buon'ora! »

« Scusa, scusa. »

Fece con una linguaccia lei e poi guardò sulle sue spalle sorridendo:

« Ciao Tofi-chan. »

La piccola di due anni abbarbicata sulle spalle di Taruto iniziò a scalciare eccitata e sporse le mani in fuori salutando:

« Onee-tan! Tao! »

« Ohi! Ehi, mi spacchi le costole con quelle gambette! – mugugnò il bruno afferrandole le caviglie – Vacci piano! »

La bambina rise forte del suo disappunto e Purin le andò dietro con gusto quando Taruto, pur borbottando, lasciò che continuasse ad agitarsi usandolo come trespolo.

Tofi Ikisatashi era diventata una splendida bimba, vivace e un poco viziatella: gran parte del merito sulla questione era da incolpare ai suoi amati fratelloni, troppo teneri di fronte al broncetto tremolante di quando voleva qualcosa, o quando reclamava di voler giocare o un po' di coccole con la sua andatura goffa e la vocina acuta che biascicava ancora incerta i loro nomi.

I capelli della piccola avevano mantenuto le promesse di quando era nata e lei sfoggiava una bella chioma di ribelli ciuffi castagna, che non facevano che arricciarsi sulle punte; per ovviare in parte al problema Lasa glieli teneva legati in una coda, oltre alle due treccine sulle orecchie dell'Appartenenza, ma quelli si ostinavano a piegarsi in su creando il profilo di una stella attorno al viso tondo della piccola, dove brillavano due grandi e curiosissimi occhioni della stessa sfumatura indaco della madre.

« Su, è inutile che fai quella faccia. – sorrise Purin guardando il brunetto divertita – Tanto non ci crede nessuno. »

« Possibile che debba sprecare le ore libere a fare da babysitter a questa peste? »

Insisté a sbuffare e calò l'accento sull'ultima parola; Tofi gonfiò le guance e gli afferrò i capelli nei pugnetti:

« Io non ciono una pette! »

Taruto mandò un altro lamento e la fece scendere borbottando, mentre lei incrociò le braccine torva:

« Sei cattivo. Brutto! »

« Guarda che non mi compri mica così. »

Sbuffò, palesemente contrariato, e Purin ridacchiò di nuovo, pure così piccola Tofi sapeva già benissimo dove colpire; guardò la bambina zampettare dentro e chiamare i genitori a pieni polmoni e Taruto si infilò le mani in tasca sospirando stanco.

« È stata dura? »

Lui annuì grugnendo:

« Mi chiedo per quanto ancora dovrò restarmene assieme al maggiore Dertan, è di un pesante…! »

« Vogliono sempre affidarti il ruolo fisso di istruttore? »

All'espressione entusiasta di lei il brunetto si grattò la guancia, scostando lo sguardo:

« Dicono che vogliono aumentare le possibilità di scoprire altri manipolatori vegetali. – annuì vago – Quindi, visto che ci sono solo io… »

S'incupì sospendendo la frase e Purin, capendo, tagliò il discorso e sorrise:

« Fino ad oggi sei stato bravissimo. Almeno a quanto dicono MoiMoi nee-cha e Pai nii-san. »

Lui fece una smorfia torva per nascondere un leggero imbarazzo e il sorriso soddisfatto spuntatogli in faccia:

« Potresti dirlo più convinta. »

Borbottò e la biondina ammiccò furbetta per punzecchiarlo. Dopo la guerra contro gli Ancestrali, l Corpo Disciplinare aveva affiancato Taruto ai maestri dei cadetti nella prospettiva di poter passare le sue conoscenze ai novellini, pur se non si avessero certezze che fossero dotati della sua abilità e per quanto lui stesso avesse a malapena quattordici anni; nonostante i suoi borbottii iniziali il brunetto stava dimostrando una certa abilità nell'insegnare agli altri, lo trovava divertente, e dopo due anni i suoi superiori stavano pianificando di lasciarlo in autonomia. Taruto però era titubante all'idea:

« … Non so se ne sarei capace. – disse a bassa voce – Una classe di cadetti in due è una cosa, da solo… E io faccio già fatica con Tofi. »

« Tofi ha due anni Taru-Taru, ed è la tua sorellina – lo rassicurò Purin – lei è difficile da sgridare. »

Lui rispose con un grugnito prendendola la mano. La biondina ricambiò la presa e gli si aggrappò al braccio:

« Sono sicurissima che sarai bravissimo. »

Lo guardò orgogliosa e lui storse ancora la bocca compiaciuto. Lasciò che si allungasse in su per stampargli un bacio sulla guancia – centimetro per centimetro, stava riuscendo a superarla come si deve – sorridendo un poco e sospirò un'altra volta:

« Sto finendo a fare quello che faceva lui, sembra quasi che lo stia copiando. »

Purin non fu sicura se la cosa lo intristisse o meno e lo strinse più energica, allargando il sorriso:

« Se fosse, sono sicura che sarebbe orgoglioso di te. »

Stavolta Taruto parve chiaramente in imbarazzo e felice; Purin riprese a ridacchiare e lo baciò sulla bocca, mandando un versetto contento quando lo sentì posarle il palmo sulla nuca perché gli rimanesse vicina.

« Ti fermi dopo cena? »

Le domandò piano. Lei, la fronte poggiata alla sua, arricciò le labbra e sfregò il naso contro il suo annuendo:

« Sury-chan mi ha detto di non preoccuparsi, che si farà riaccompagnare da Roovy-san. »

Alla frase le scappò un sorrisetto malizioso:

« E ho già detto ad Heicha e ai gemelli che avrei fatto tardi, va bene anche se sarà più tardi ancora. »

Disse divertita e poi lo guardò maliziosa:

« Però dipende tutto da dove dovrei dormire. Se nella camera degli ospiti oppure no. »

Taruto dapprima arrossì spalancando la bocca in uno sbotto muto, scattando in su, poi ci ripensò e fece una strana espressione imbronciata battendo piano la fronte su quella della mewscimmia, le farfalle nella pancia che si dispiegarono in un frenetico valzer.

« È proprio una domanda cretina, scimmietta da circo. »

« Perciò posso avere una risposta cretina? »

Lui non gliela diede, ma sogghignò furbo prima di baciarla di nuovo.

 

 

 

 

Ichigo si interruppe un momento dal raccontare e guardò malinconica un punto distante, .

Cosa succede?

« … Niente. – sospirò con rassegnazione – Mi è tornato in mente Sando-san. »

Ao No Kishi non replicò, studiandola a lungo in silenzio, e Ichigo dopo qualche istante corrugò la fronte dubbiosa:

« Perché sei qui? »

Parlare di Sando le aveva ricordato del suo frammento e quello aveva portato la sua mente alla MewAqua, e ai Melynas. Ao No Kishi sembrò sorridere.

… Oggi è l'ultimo giorno. Il Dono degli Avi ha consumato la sua energia.

« Oh… »

La rossa sapeva da qualche tempo che Jeweliria era finalmente risanata e gli altri le avevano detto che il cristallo, ancora custodito nelle viscere del pianeta, stava per esaurirsi.

« Quindi sei… Venuto per gli addii? »

Lui annuì grave.

La mia esistenza è terminata molto, troppo tempo fa. Il Dono era la sola cosa che mi relegava a quest''esistenza, senza di esso finalmente potrò scomparire.

Ichigo non riuscì ad evitare di rattristarsi, ma ancora avvertì che non fosse solo quella, la ragione della visita del biondo. Ao No Kishi sorrise più sereno, lei avrebbe osato dire quasi divertito quando la vide inclinare la testa e aggrottare le sopracciglia confusa.

« Aspetta… Tu e Luz avevate detto che le vostre essenze erano legate al cristallo, ma che sarebbero svanite quando Deep Blue l'avesse assorbito. »

Ricordò confusa. Lui annuì, il sorriso più definito.

« Per questo ti sei legato al mio frammento. Almeno, così mi hai detto tu. »

Così ti ho detto.

« Quando l'ho affrontato due anni fa. »

Aggiunse, come per essere sicura di non stare parlando a caso, e lui annuì di nuovo. La faccia della rossa divenne ancora più dubbiosa:

« Ma quindi tu… »

 

 

 

 

MoiMoi sbadigliò e si stiracchiò in modo scomposto mentre si rese conto dell'ora che si era fatta; sbuffò, gli conveniva alzarsi e andarsene da solo dal reparto prima che qualche infermiere simpatico lo cacciasse via, le regole sugli orari di visita erano seguite con una rigidità snervante.

Guardò ancora l'uomo steso sul lettino e gli sfuggì un sospiro dolente, cercando di scacciare dalla sua testa le parole funeste dei medici e la vocina maligna del suo raziocinio che dava loro ragione.

Posò la mano su quella più grande di Sando, nonostante la Goccia che Ichigo era riuscita a conservare il verde non aveva ancora dato un solo segno di svegliarsi, e pure se la sua mente era di nuovo attiva, più passava il tempo più le probabilità che uscisse dall'incoscienza diminuivano drasticamente; MoiMoi lo sapeva benissimo, ma non aveva intenzione di arrendersi né di smettere di sperare, nonostante ogni giorno in cui le sue preghiere venivano tradite significasse un altro doloroso colpo alla sua psiche e alla sua sopportazione.

« Finirai per impazzire. »

Quando Pai gli aveva detto così non lo aveva investito a male parole solo perché il suo tono era stato sinceramente angosciato, e solo perché lui non ne avrebbe comunque avuto la forza.

« Forse. – gli aveva sorriso tirato – Per adesso ancora no. »

Il violetto era consapevole che quei continui sbalzi d'umore gli avvelenassero l'esistenza, però non andava oltre quel concetto.

Andava a trovare Sando ogni giorno appena aveva un momento libero, passando ore in quella stanzetta a parlargli nella speranza che prima o poi reagisse alla sua voce, o quantomeno che questa potesse tenere insieme la sua mente. Anche gli altri andavano spesso, magari per meno tempo e non così di frequente come il violetto, ma MoiMoi preferiva fosse così.

« Beh, devo andare adesso. »

Studiò il volto del verde con un sorriso malinconico, sfiorandogli la guancia ruvida: privo della mascherina ad ossigeno e degli altri orpelli in più pareva proprio dormire, e non erano state poche le volte in cui il violetto era stato tentato di afferrarlo per il bavero e strillargli esasperato di svegliarsi. Mandò un accenno di risata amara, le dita che giocarono con il frammento di Dono che gli aveva legato al collo come un monile, quindi si chinò a baciarlo:

« A domani bell'addormentato. »

 

 

 

 

Ti ricordi cosa ti dissi della grotta nella Città Sotterranea? Quando ti raccontai dei Melynas?

« Che… Quello era l'unico posto dove avrei potuto vederti – ricordò lentamente lei senza capire – perché, come luogo in cui si sia attivato il Dono allo stato originale, era saturo del suo influsso, come una radiazione, e… »

Si bloccò e sgranò gli occhi nocciola, per niente sicura che l'intuizione che l'aveva colta avesse un senso, e Ao No Kishi si limitò a sorriderle ancora.

Esatto. Come i corridoi che avete attraversato, collegati a mondi differenti, uniti solo dalle Gocce che li avevano attraversati.

Il Dono si lega a ciò che tocca e viaggia. Ogni luogo, ogni persona.

E ogni cosa.

 

 

 

 

Ichigo si tirò a sedere talmente all'improvviso che per poco non perse l'equilibrio, mettendo la mano troppo sul bordo del letto; Masha spalancò di riflesso gli occhioni, spaventato dallo scatto della rossa, e prese a pigolare svolazzandole vicino senza che lei gli desse udienza.

Gli occhi color cioccolato della ragazza saettarono alla finestra prima che alla sveglia, il sole era parecchio basso, come al solito aveva finito per fare tardi e avrebbe avuto poco tempo per prepararsi, ma non le importò molto.

Saltò giù dal letto in corsa e scese le scale a due gradini per volta, travolgendo per poco Sakura che stava andando a chiamarla:

« Tesoro, è arrivato Shir- »

La figlia la doppiò manco fosse trasparente e si aggrappò al braccio di Ryou prima che lui attraversasse lo scalino d'ingresso:

« Ginger, watcha…?!  »

« Te lo spiego dopo! »

Lo zittì lei e tentò due volte di indossare i suoi stivaletti, mandando un verso di frustrazione al terzo fallimento perché troppo agitata.

« Ichigo, che ti prende? »

« Te lo spiego dopo, ora dobbiamo andare! – insisté e il suo sorriso raggiante lo confuse solo di più – Adesso! Subito! »

Il biondo si scambiò un'occhiata dubbiosa con la signora Momomiya che scosse la testa, sconvolta quanto lui, intanto che Ichigo riuscì a finirsi di vestire e con un sospiro euforico acchiappò Ryou per un braccio e lo trascinò fuori.

« Sei in moto?! Andiamo con quella, faremo prima! Però forse conviene chiamare le altre… No, dobbiamo chiamarle! Tutti! »

« Ichigo, giuro che non mi muovo da qui se non ti decidi a parlare chiaro. »

Sentenziò Ryou lapidario e fu troppo frastornato dal suo agitarsi per badare a quanto suonasse ironica una frase del genere, specie detta da lui a lei:

« Si può sapere che sta succedendo? C- »

Lei non gli rispose, gli prese il viso tra le mani e lo baciò ricominciando a strattonarlo perché la seguisse, convincendolo del tutto che la rossa avesse battuto la testa cadendo dal letto.

« Ora… Ti spiego! Ma è…! Non lo so…! – rise lei senza fiato – Andiamo intanto! Muoviti! »

 

 

***

 

 

Il rapido baluginio che arrivò dalle sue spalle gli fece quasi cacciare un grido dallo spavento. MoiMoi si voltò di colpo, la mano ancora sulla porta, e si avvicinò di scatto al letto di Sando cercando attorno una fonte per quel lampo che, era certo, non si era immaginato, ma non c'era alcuna possibile fonte di luce né lì dentro, né dalla finestra. Sovrappensiero sfiorò con l'indice il frammento che il verde portava al collo e mandò uno sbuffo stanco, quella scheggia era vuota da quasi due anni, poteva rimirarla per tutto il giorno, ma sarebbe rimasta solo un inerme pezzetto di cristallo trasparente.

Forse me lo sono immaginato sul serio.

Strinse di nuovo le dita sulla mano di Sando dandosi del cretino e appuntandosi di mangiare meglio nell'immediato futuro per evitare allucinazioni, quindi fece per uscire di nuovo.

E capì di non riuscire a tirare via la mano.

Abbassò lo sguardo sul proprio polso, una famigliare sensazione di calore, e i suoi occhi dorati si dilatarono come piattini mentre vide le dita del verde attorno alle sue, in una stretta così lieve che il violetto temette di essersela solo immaginata, di essere lui ad avergli preso la mano prima di allontanarsi ed essersi dimenticato di lasciarla andare.

Sentì un leggerissimo mugolio e osò sollevare lo sguardo.

Fu come se avesse trattenuto il respiro per ore per la forza con cui quel sospiro tremante gli esplose sulle labbra, quando vide Sando socchiudere le palpebre e scrutarlo poco lucido con i suoi occhi scuri; annaspò un paio di secondi, ridendo e piangendo assieme, mentre tremante si allungò per cingergli le spalle con le braccia:

« Ci hai messo troppo, razza di cretino! »

 

 

 

 

Questo è il mio ultimo regalo, Ichigo. Purtroppo è la sola cosa che sono riuscito a fare per te, ma spero basti almeno un poco.

Ao No Kishi si alzò e le andò incontro fermandosi proprio di fronte a lei. Perfino da quella distanza Ichigo non riuscì a distinguerlo pienamente, né il suo viso né la mano che le sfiorò la guancia.

Tu non sai quanto ti devo, quanto abbia significato per me l'averti conosciuta. Grazie a te, ora sono libero.

Ichigo lo vide abbassare gli occhi e sorriderle triste.

Avrei voluto poterti incontrare per davvero… Non come Aoyama, né come Deep Blue. Avrei davvero voluto avere la possibilità di incontrarti, almeno una volta.

La rossa sussultò appena vedendolo chinarsi su di lei, ma Ao No Kishi si limitò a sfiorarle la fronte con le labbra, un tocco impalpabile attraverso la frangetta.

Spero nella prossima vita.

Lei non gli rispose e vide il bianco attorno farsi più intenso, finché di fronte ai suoi occhi non ci fu altro che luce.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

The End

 

 

 

 

 

(*) Mega-nota riassuntiva, altrimenti coi puntini non la si finiva più ^^""…

  Il New National Theatre Tokyo ( 新国立劇場 Shin Kokuritsu Gekijō ) meglio noto come NNTT, la più importante sala per spettacoli in Giappone.

 La Prima Solista, in un corpo di ballo, è la "seconda" a livello gerarchico, e interpreta solamente, appunto, degli assoli, quindi danza soltanto ruoli da protagonisti o variazioni in cui ballano da soli. 

– La Carmen Suite, adattamento dell'omonima opera di Bisez (grazie ad HP per il suggerimento ♥ ) se volete vedere il balletto della Aragonaise, here :3 https://www.youtube.com/watch?v=1zsq3eGxDLM

(**) la manager di Zakuro compare di sfuggita in un paio di episodi e non viene mai nominata, ma esistono i modelli originali per l'anime del suo personaggio che ho biecamente sfruttato :P (qui se voleste darvi un'occhiata http://neko-tokyo.tumblr.com/image/108163041924 ). Non avendo un nome ^^" ne ho scelto uno che piacesse a me :3

(***) in Giappone con il termine idol non si intendono solo le/i giovani cantanti, ma in generale tutte le ragazze e i ragazzi che hanno una carriera nello show business (carriera che in genere comprende tutto il pacchetto, canto, ballo, lavori da modelli, recitazione)

(****) 源氏物語lett. "Il racconto di Genji" è considerato uno dei capolavori della letteratura giapponese così come della letteratura di tutti i tempi. https://it.wikipedia.org/wiki/Genji_monogatari

 

 

 

 

 

 

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~

 

… Eccoci qui.

Detesto le conclusioni, sapete? Non solo perché, beh, per loro definizione chiudono qualcosa :p ma perché non so mai cosa dire ^^"" mi sembra sempre di fare degli sproloqui inutili ^^""

Crossing è cominciata ben cinque anni fa, tra ritardi e cambi di tempi di pubblicazione, cinque anni in cui mi sono laureata, mi sono sposata, ho avuto due bambini (!!! E sti cazz… xD). Ho iniziato progetti con gente che è meglio dimenticare, ho avuto avventure lavorative con grandi soddisfazioni, ho fatto amicizia con le due più grandi tuonate che potessi incontrare ♥  due persone a cui voglio più bene ogni giorno e che mi hanno dimostrato di poter esserci anche dall'altra parte del pianeta (sempre che io gli porti i dovuti tributi :P scherzo ♥ )

In questa storia ci ho messo tanto di mio, sia in lettere che in disegni, ormai per me è inevitabile, non so se più o meno di altri, ma in ogni caso mi ha lasciato tante cose belle. Tantissimo ridere, tanto piangere, tanto nervoso certe volte xD tanti personaggi che ora non riesco più a scindere da altri nella mia testa ^^"" (Eyn lo sai che parlo di te ♥ ), altri che mi chiedo se potrò mai metterli in qualcosa di totalmente originale perché li amo troppo e non voglio lasciarli solo qui.
Non sperate che smetta di scrivere *evilgrin* sono già all'opera su altre cose ^-^ e l'età non si sta dimostrando un incentivo a dedicarmi ad hobbies più "adatti" (d'ora in avanti potrò nominarmi "senpai del fandom", perché porca vacca ho il terrore a chiedere a chiunque sia qui in zona se è nel range degli enta come me çwç e se non sono la più becera poco ci manca xD); non so se tornerò con qualcosa legato a Crossing, forse sì forse no *musichetta mistica* lo potrete scoprire solo continuando a seguirmi delirare :D

 

Devo ringraziare tantissime persone, e quindi ve le cuccate tutte senza storie ♥ !

A K.i.S., il boss, il socio, la mia dolce metà torturata che mi ha sopportata, consigliata, e diciamocelo che ogni tanto si è divertito pure lui ^-^ (anche se avrebbe voluto più squartamenti e morte ^^"")

A Danya e Hypnotic Poison per gli svarioni, il supporto, le perle di delirio inviate (e anche le idee inaspettate ♥ ), le discussioni e i suggerimenti sui gusti dei PG e al potere supremo di coloro che si fregiano dei titoli di RatingRosso e Signora Dei Sith.

Sempre ad HP per le cento menate con l'inglese, e coi balletti, che le devo ancora una Kishinto zozzosa, ma direi che ti ho portato un fagiolo fino in Danesia quindi puoi perdonarmi :PPP (Danyucca tornerò anche da te ^-^)

A tutti i lettori occasionali, i lettori assidui, i fan accaniti con l'ansia da recensione ♥ 

A _cercasinome_,19g, Ally_Ravenshade, Fair_Ophelia, Amuchan, Glaucopide_, zing1611, Yoake, Sonrisa, Rin Hikari, Pepper_Jean, modo, LittleDreamer90, Jade Tisdale, AceDPortogas, Akatsuki, bianca___, Candy_Spicy, Chocolate90, Flemmi, Francy_0905, Gemini_no_Aki, Giuly chan, Icedragon14, IzukuMidoriya, Marie_, Mizuiro_Chan, Reila1997, sisi3, 30storm, brillante, Cicci 12, Fan of The Doors, FullMoonEris, Ginchan, hola1994, ir3ne_, Jm_jean_sweet14, karter, laurad, Lettrice di storie, Little Nightingale, Sara_Chick, stella_17, tathyana, tazzilla, tigre, zakuro_san, Zindziswa, _Li_,  Sissi1978 e TheRosablue91 per i commenti, l'appoggio, il delirio totale xD e per aver messo questa storia tra le preferite, le seguite e tutto il resto ♥ 

Null'altro da aggiungere :3 gentili signori…


Mata ne
~ ♥!

Ria

 

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