serendipity

di katris jackson
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nuova Luce ***
Capitolo 3: *** la valigia ***



Capitolo 1
*** Nuova Luce ***


Nuova Luce
“Quanto casino nella testa,
potrei farne un grattacielo,
un sogno puoi chiamarlo sogno solo se diventa vero…”
Gin accarezzò ancora una volta il cofanetto di velluto blu, gli sudavano le mani ogni volta che lo teneva tra le dita e ogni volta si sentiva, se possibile, ancora più agitato, come se il cuore gli battesse nel petto per la prima volta producendo un suono assordante che avrebbe potuto svegliare l’intera città. Aveva la sensazione che il movimento compulsivo della sua gamba dovuto alla tensione, avrebbe potuto scuotere l’intero edificio e che da un momento all’altro gli sarebbe esplosa la testa… se avesse continuato a pensare.
Doveva calmarsi.
Mise via il cofanetto richiudendolo nel cassetto del comodino, si sfregò il volto con le mani ed emise un profondo respiro.
Lei dormiva dall’altra parte del letto, scompostamente avviluppata tra le lenzuola, ingarbugliata in una camicia da notte di chiffon rosa bordata di piumette che lasciava ben poco all’immaginazione. Respirava sommessamente, con le labbra teneramente socchiuse che lasciavano sfuggire un flebile fruscio e il diaframma che si sollevava ritmicamente scandendo i secondi che mancavano al risveglio.
Gin si strinse accanto a lei, le sfiorò il braccio con dita timide, analizzando centimetro per centimetro la sua pelle calda, morbida e setosa, che emanava un profumo dolce di pesca e cannella. Si accoccolò ancora più vicino al suo corpo, affondando il viso tra i suoi soffici capelli ramati che rilucevano come fili d’oro alla luce del mattino. Si lasciò invadere da quel profumo, finché i loro respiri divennero uno solo e i loro cuori si sincronizzarono battendo senza fretta, e per un istante non desiderò altro che rimanere congelato così per tutta la vita, nel limbo dolciastro del dormiveglia dove tutto era possibile senza che niente sembrasse vero.
 
“…e non c’è dubbio nella verità,
 per questo ci spaventa
È meglio credere di andare, che fallire già in partenza.”
 
Quando la sentì agitarsi tra le sue braccia, Ichimaru le lasciò credere di essere stata la prima a svegliarsi, e soprattutto le lasciò credere che lui avesse davvero dormito quella notte. Rangiku si sciolse prudentemente dal loro intreccio, scivolando sinuosamente tra le spire del suo uomo.
  • Buongiorno Ichimaru-kun!- sussurrò con quella sua voce vellutata, che appariva sensuale perfino quando si era appena svegliata.
Gin rimase indifferente, troppo spaventato per arrendersi all’idea che quel giorno, allo stesso tempo tanto temuto e tanto atteso, fosse già arrivato. Mentre fingeva di giacere ancora tra le braccia di Morfeo, si rese conto che alla fine delle successive ventiquattro ore la sua vita non sarebbe stata più la stessa, poi si chiese se sarebbe stata una vita migliore o peggiore, ma l’unico modo in cui poteva scoprirlo era aprire gli occhi (per così dire) e cominciare.
  • Coraggio dormiglione! - lo istigò Rangiku facendogli scivolare le dita fra i capelli. – Avevi detto che avremmo fatto qualcosa di speciale oggi… ti ricordi che giorno è, vero?
Ichimaru lo ricordava benissimo, viveva in funzione di quella giornata da mesi ormai, ma perché fosse tutto perfetto, perché fosse speciale, doveva comportarsi come sempre: da idiota.
  • Non so che giorno è Rangiku-san, forse il giorno in cui mi preparerai dei pancake per colazione? – disse con un falso tono assonnato, che non avrebbe ingannato nemmeno un sordo, mentre si stiracchiava le braccia.
  • Non aspettarti che me la beva! – esclamò lei indispettita sedendosi sul bordo del letto. – Sai benissimo che oggi è il mio compleanno, mi avevi promesso una giornata indimenticabile perciò giù dalla branda, buono a nulla! – esaminò la sua immagine nello specchio che teneva sul comodino, si ravvivò i capelli e fece per alzarsi -… e mi aspetto di essere trattata come una principessa!
“Tu sei una principessa!” avrebbe voluto dire Gin. Avrebbe voluto farle la proposta lì, su due piedi, mentre erano ancora mezzi nudi e prima che il caffè gli restituisse il buonsenso che avevano perduto la notte precedente, avrebbe voluto avere la certezza che lei lo avrebbe preso sul serio e che gli avrebbe detto “Si”. Ma Rangiku avrebbe avuto ragione ancora, si sarebbe dimostrato il buono a nulla che era, invece Gin voleva provare a rendere quella giornata davvero indimenticabile, e soprattutto se fosse stata l’ultima che avrebbero trascorso insieme, Gin voleva godersela fino all’ultimo istante.
Prima che potesse alzarsi, le afferrò dolcemente il polso trattenendola, la baciò sulle labbra rallentando la corsa dell’universo per quei pochi istanti in cui le loro bocche si assaggiarono.
  • Allora diamo inizio a questa giornata, principessa… - le sussurrò quasi senza scostare le labbra dalle sue. Scivolò sulle lenzuola silenziosamente e, senza che lei se ne accorgesse, la circondò con le sue braccia affilate.
Rangiku rimase immobile, lo sguardo languido che esaminava l’espressione serafica di Gin, ipnotizzata dai suoi gesti eleganti e calcolati, disarmata, momentaneamente privata della parola e della propria razionalità. Ichimaru la sollevò con un movimento fluido, senza che lei si rendesse conto di cosa stesse accadendo, la portò nel bagno dove oltre una sottile cortina di vapore, Rangiku vide una vasca d’acqua schiumosa che profumava deliziosamente, Ichimaru la adagiò sul bordo della vasca e le sollevò il mento.
  • Quando sei pronta scendi di sotto, ti aspetto per la colazione…
Poi se ne andò senza aggiungere altro, socchiudendo la porta alle sue spalle mentre usciva. Rangiku si sentì fuori posto, non ricordava di essere mai stata in quella vasca, in quel bagno o in nessuna stanza della casa senza Gin. Non aveva mai pensato di poter usufruire dei lussi di quella reggia senza sentirsi un’ospite temporanea, sempre tragicamente sospesa tra il senso di colpa e il piacere.
Gin si gettò a capofitto nella preparazione della colazione, operazione che richiese quasi un’ora essendo stata studiata nei minimi dettagli. Per quel lasso di tempo, la confusione che provocò tra utensili da cucina e ingredienti fu tale da non fargli sentire i pensieri, il fracasso assordante delle scodelle e del microonde anestetizzò il ronzio di insicurezza nella sua testa. Alla fine, quando era appena riuscito a restituire una parvenza decorosa alla cucina, Rangiku scese per la colazione.
  • Ma cosa combini? - ridacchiò lei varcando la soglia con il portamento da dea che si ritrovava. Gin non ebbe la risposta pronta, stava ammirando la donna che il destino o la fortuna avevano magicamente condotto sulla sua strada, rendendolo l’ingrato più fortunato del mondo.
Rangiku si sistemò su una sedia, avvolta in un lungo cardigan bianco rivestito internamente di pelliccia altrettanto candida, jeans blu fasciavano il suo fisico perfetto mentre un maglioncino rosa corto, ma stranamente poco provocante, le lasciava scoperto l’ombelico.
  • Ti sei dato alle arti culinarie, Ichimaru-kun? – ridacchiò lanciandogli uno sguardo capriccioso.
  • Ed è solo una delle mie innumerevoli qualità… - rispose Gin sarcastico masticando un kaki essiccato.
  • Toshiro-kun non mi ha ancora chiamato… - aggiunse poi con un tono vagamente languido, perfettamente calcolato per mascherare la delusione dietro una vena ironica.  Gin sapeva che anche il suo migliore amico Toshiro aveva preparato qualcosa di speciale per lei, tanto per cominciare lui e Gin avevano deposto le armi in nome di una possibile futura convivenza pacifica, e poi gli aveva dato la sua benedizione e lo aveva aiutato a organizzare quella giornata.
  • Sono certo che presto chiamerà, non mancherebbe mai di farti gli auguri. – la rassicurò Gin chinandosi su di lei e accarezzandole lentamente il volto con i polpastrelli del pollice.
Rangiku lo guardò fiduciosa, eppure profondamente incuriosita, o meglio turbata, da quei gesti. Gin l’aveva sempre riempita di regali e attenzioni frivole, che erano più un modo per scusarsi di non aver saputo guadagnarsi un briciolo della fiducia che Matsumoto aveva in lui, che reali dimostrazioni d’affetto. Eppure quel gesto era stato così spontaneo così… tenero(?), da sembrare quasi vero affetto. Gin era sempre stato un uomo misterioso, ma anche passionale, dolce e allo stesso tempo ambiguo, come se provasse continuamente a svelare qualcosa di sé che non voleva condividere con il mondo… solo con lei. Eppure quella mattina finalmente, a Rangiku Ichimaru sembrava l’uomo dei suoi sogni, quello che avrebbe desiderato vedere ogni volta che lo guardava.
Consumarono la colazione come fosse un gioco, come se fossero di nuovo bambini affamati di periferia, spensierati come non erano mai stati, sospesi in un microcosmo privato al di sopra del tempo e dei perché.
 
“E le strade si confondono,
 le scelte si aggrovigliano,
questi anni disperati neanche più ci meravigliano”
Ichimaru si infilò il doppiopetto grigio, si guardò allo specchio e si sentì come un pugile sul punto di salire sul ring, respirò a fondo e indossò la sua solita faccia, confidando che l’uomo sotto quel sorriso fosse un uomo diverso, ripetendosi che se ci avesse creduto almeno lui forse anche Matsumoto avrebbe potuto vederlo.
  • Vogliamo andare? – disse offrendole il braccio per uscire di casa, lei lo accettò con un’ombra di dubbio sul volto e Gin finse di non notarlo, finse di non sentirsi ferito. Le aprì la portiera, aspettò che si accomodasse e raggiunse il posto del guidatore.
La sua Honda SNX bianca ruggì accendendosi, in un altro tempo, quello sarebbe stato per Gin il momento più eccitante ed emozionante che riuscisse ad immaginare, ma quella mattina Ichimaru a stento riuscì a ricordarsi come far avanzare l’auto sull’asfalto senza uscire dalla carreggiata, nemmeno fece caso al suo ruggito, avrebbe potuto essere alla guida di un carretto trainato da buoi e si sarebbe sentito esattamente nello stesso modo. Riusciva solo a vedere Rangiku mentre si godeva la carezza violenta del vento che le scompigliava i capelli, che accentuava quell’aria sprezzante e maliziosa di cui amava vestirsi, il sole che le illuminava il viso le faceva splendere gli occhi come zaffiri puri, come la superficie scintillante dell’oceano, e tutto il paesaggio intorno a loro sembrava distorcersi per divenire la perfetta cornice della sua bellezza.
Gin agì senza riflettere, selezionò il cambio automatico e fece scivolare la sua mano su quella di Rangiku, spontaneamente abbandonata sulla sua gamba. Rangiku fissò prima lui, poi la mano un paio di volte, poi sorrise docile e intrecciò le sue dita con quelle di lui, gli accarezzò il dorso della mano e, sollevandola, la fece scivolare lungo la propria guancia e il proprio collo, come un gatto che fa le fusa trastullando la mano inerme del proprio padroncino.
Rangiku non lo seppe mai, ma nei seguenti due, tre, dieci, o forse venti minuti Gin non ebbe il minimo controllo dell’auto o delle proprie funzioni vitali, non riusciva a vedere ciò che realmente aveva davanti a sé né era in grado di rispondere ai propri riflessi, nella sua testa stava vivendo una fantasia romantica in cui Matsumoto avrebbe ripetuto quel gesto ogni giorno, tutti i giorni, per il resto delle loro vite…
Matsumoto sapeva che quel momento non sarebbe durato, Matsumoto conosceva Ichimaru e sapeva che quel comportamento non era da lui, sapeva perfettamente che la stava solo accontentando, come si fa con i bambini nel giorno del loro compleanno, eppure non seppe resistere alla possibilità di poter vivere quell’illusione con tutta sé stessa, come se non si fosse mai svegliata e come se quello che stava vivendo non fosse altro che il suo sogno più proibito.
Matsumoto e Gin erano innamorati. Lo erano stati da sempre, fin da quando erano troppo piccoli per capire i propri sentimenti, eppure non se lo erano mai detto. Il destino e i suoi intrighi avevano separato e intrecciato le loro vite come filo spinato, rendendo il loro passato indistricabile. Si erano allontanati, si erano cercati, e alla fine si erano sempre ritrovati. A quel punto si erano rassegnati, il loro filo rosso li avrebbe tenuti comunque insieme in qualche modo, allora si erano concessi quella relazione, fatta di passione e mancanza di fiducia. Un eterno rincorrersi senza avere il coraggio di non lasciarsi andare, un rapporto di congiunta solitudine in cui il silenzio era un vaso di pandora troppo pieno di cose da dirsi per rischiare di aprirlo. Avevano perfino deciso di fuggire un po' dalla Soul Society per creare quel nido lontano dai giudizi di chi non era in grado di capirli. Erano felici perché era insieme che volevano stare, eppure erano tristi perché non era quello il modo in cui volevano stare insieme. Per questo mentivano a loro stessi, perché avevano paura di dover rinunciare a quel poco che potevano avere se avessero rischiato di raggiungere ciò che davvero avrebbero voluto.
Gli anni erano passati così: nell’agrodolce nido che avevano costruito, perseguitati dall’incessante brusio delle loro coscienze.
“Ti sei mai chiesto che senso ha
Se non riesci più a sentirla…
La felicità.”
Una volta Ichimaru si era svegliato nel cuore della notte, Rangiku dormiva adagiata sul suo petto, il suo respiro delicato era l’unica cosa a riempire il silenzio e il vuoto intorno a lui… era stato allora che aveva deciso che l’avrebbe sposata. Improvvisamente, dentro di lui era tutto chiaro. Avrebbe fatto di quella donna che si era permesso di trattare come un’amante illecita, la propria regina. Perché non c’era bisogno di spiegazioni, solo di coraggio, il coraggio di immaginare il futuro lasciandosi alle spalle il passato. All’improvviso Ichimaru non vedeva l’ora di prendersi la colpa di tutte le stronzate che aveva fatto se era quello il prezzo da pagare per avere ciò di cui aveva intensamente bisogno e che tutti i suoi soldi, le comodità della sua casa e il suo potere non gli avrebbero mai dato, quello di cui tutti abbiamo bisogno, anche se fingiamo che non sia così, anche se ci imponiamo di credere che esista e si possa desiderare qualcosa di più immenso: l’amore.
“Fammi mancare l’aria, io sono Marte tu la Terra
Fammi la guerra…
Dammi un’alternativa, niente parole solo suono, io so chi sono…”
Quando arrivarono nel paesino di Karakura era passato da un pezzo il mezzogiorno, le strade erano piene di gente in fermento e si respirava un’aria autunnale frizzante e piacevole. L’odore di manicaretti fatti in casa fuggiva dai balconi e dalle finestre impregnando l’intera cittadina con aromi intensi e caldi e si mescolava all’odore della terra bagnata dalla prima pioggia. Il sole era piacevolmente caldo eppure il vento faceva presagire l’arrivo di un inverno rigido, irreprensibile.
  • Ma è fantastico Ichimaru-kun! – aveva esclamato Matsumoto appena scesa dall’auto, gli occhi che le brillavano come quelli di una bimba davanti ad un gigantesco pasticcino. Un’espressione impagabile, così rara da vedere sul suo volto. Ichimaru riuscì a sentirsi un po’ fiero di sé. – Non dirmi che avete organizzato una festa a sorpresa per me voi birichini! – aggiunse poi con il suo solito tono civettuolo.
  • Non ti si può proprio nascondere nulla, eh Sherlock? Tuttavia, stavolta hai fatto un buco nell’acqua temo… andiamo, c’è un mucchio di gente che attende sua maestà! – scherzò Gin abbozzando un inchino e offrendole nuovamente il braccio.
Passeggiarono con calma verso la collina, quasi senza parlare, lanciandosi sguardi furtivi, curiosi, tentando di scrutare l’uno nei pensieri dell’altro. Un gioco piacevole, senza malizia, che li riportava indietro nel tempo…
Rangiku si sentiva coccolata. Si stringeva ad Ichimaru forse un po’ troppo caldamente, poggiando la testa sulla sua spalla, ridacchiando sommessamente alle sue sporadiche battute. Lui sembrava apprezzare la sua reazione, era come… compiaciuto(?), ma Rangiku non si lasciava illudere da quell’atteggiamento che fungeva da specchietto per le allodole, c’era qualcosa sotto. Si domandò se non si trattasse di un incantevole commiato, uno spettacolo d’addio che chiudesse la recita che avevano portato avanti negli ultimi anni. Si disse che le sarebbe stato bene così, un giorno perfetto da portarsi dentro per sempre…
  • Rangiku-saaaan! – la voce di Inoue fu la prima a raggiungerli mentre arrivavano in cima alla collina.
Nello spiazzo ai piedi del tempio era stata allestita una sorta di fiera e un manipolo di suoi amici sembrava impegnato a gestire una bancarella. Rangiku vide decorazioni di ogni genere brillare al sole del pomeriggio, la musica e le voci dei bambini riempivano l’aria in una melodia sgangherata, tutti sembravano allegri per qualche misterioso motivo.
  • Benvenuta al Momijigari di Karakura, Principessa! – le sussurrò al’orecchio Ichimaru. La stava prendendo in giro, eppure lei si sentiva profondamente felice, quasi commossa: il calore del paese, l’allegria degli amici, il suo uomo al suo fianco… a stento avrebbe immaginato di meglio.
Ichimaru ricordava il giorno in cui avevano deciso la data del compleanno di Matsumoto. Erano piccoli e senza genitori, si erano incontrati nelle periferie di una città fantasma, entrambi senza passato, lei non ricordava molto della propria vita se non una continua fuga verso il nulla. Quando Gin le aveva chiesto quando fosse il suo compleanno, lei aveva risposto che non lo sapeva e che aveva ricominciato a dare senso ai giorni solo dal momento in cui si erano incontrati. Ichimaru era un bambino solerte, sempre con la risposta pronta. - D’accordo! – le aveva detto. – Allora sarà quello il giorno del tuo compleanno, quello in cui ci siamo conosciuti, quello in cui è cominciata la nostra vita…
Adesso, dopo tanti anni, Ichimaru rivedeva sul volto di Rangiku l’espressione che aveva avuto quel giorno, un’espressione confusa, forse addirittura sbigottita, eppure felice…
  • Ehi, si può sapere cosa succede qui? – chiese Rangiku vedendo tutti indaffarati dentro e fuori la bancarella.
  • Urahara-kun ha deciso di partecipare al Momijigari quest’anno, e noi abbiamo deciso di aiutarlo Rangiku-san! – rispose un’eccitatissima Inoue che indossava un elegantissimo kimono stampato con una fantasia di foglie e fiori autunnali, in mano aveva un cesto di dolcetti fragranti.
  • Già, come se avessimo avuto scelta… - disse Rukia facendo capolino da dietro l’amica con indosso un costume da… kaki(?)
  • Ma come ti hanno conciato Rukia-chan! – cinguettò Matsumoto senza poter trattenere una risata. Bassina, con quel costume rotondo e arancione Rukia era la perfetta mascotte per quel circo ambulante.
  • Non una parola su questo. – rispose lei tetra.
  • Rukia-san fa il lavoro più importante Rangiku-san, pubblicizza il nostro chiosco! - disse solenne Inoue.
  • Ah quindi è un chiosco, non un teatrino comico? – li schernì senza cattiveria Gin.
  • Rangiku-san in occasione del tuo compleanno ho ideato una ricetta speciale… kaki-cupcake!
  • Immagino siano deliziosi Inoue-san! - disse maternamente Matsumoto, incapace di ignorare la spontanea propensione che aveva per coccolare quella ragazzina.
  • Purtroppo, non mi occupo io della preparazione…
  • E chi se ne occupa? – chiese Gin intervenendo.
Per tutta risposta, dal cucinino dietro il chiosco arrivò un fracasso infernale, seguito da un’esplosione di urla.
  • SI PUO’ SAPERE CHE ACCIDENTI TI RITROVI IN QUELLA TESTA DI MERDA AL POSTO DEL CERVELLO? – gridò una voce decisamente familiare.
  • NON E’ COLPA MIA SE TI MUOVI COME UNA SCIMMIA SPASTICA CON IL PEPE NEL CULO IN UNO SPAZIO COSI’ RIDOTTO, ANANAS CON I PIEDI!
  • ALMENO IO MI MUOVO A DIFFERENZA TUA CHE DORMI DA DUE ORE! SEI UTILE QUANTO UN PALO NEL DIDIETRO!
  • E TU TE NE INTENDI NON E’ VERO!
  • Ragazzi, direi che è meglio se vi date una calmata e ritornate quando avrete SMESSO DI COMPORTARVI DA MARMOCCHI! – concluse una terza voce, calda e un po’ burbera mentre due ragazzini venivano spediti a propulsione fuori dal cucinino.
  • Kurosaki-kun, Renji-kun, avevate promesso che non avreste litigato per oggi! – disse Inoue quasi in lacrime.
  • Non sono stato io a cominciare. – brontolò Ichigo ripulendosi i pantaloni da quella che sembrava una miscela per dolci finita male.
  • Oh ti prego, cercherò di ignorarti… - si lamento Renji.
Gin e Rangiku si scambiarono uno sguardo che valeva più di mille parole, scoppiarono in una risatina intima che lasciò tutti un po’ turbati.
  • Ci vediamo dopo ragazzi! – si accomiatò Matsumoto facendo l’occhiolino a quei due fenomeni da baraccone, poi si lasciò guidare nuovamente da Ichimaru. Quando avevano percorso appena un paio di metri si voltò indietro scossa da un pensiero.
  • Ragazzi, avete per caso visto Toshiro-chan? – chiese. Inoue sobbalzò, visibilmente colta alla sprovvista.
  • No Ranjiku-san, non si è fatto vivo! – intervenne Ichigo circondando Orihime affettuosamente con un braccio e sfoggiando un’espressione esageratamente disinvolta. Rangiku era ancora una volta perplessa, ma lasciò correre.
Arrivarono in cima alla collina dove, a ridosso del tempio era stato allestito un padiglione in bamboo e carta di riso. Due donne piccole e pittoresche avanzarono verso Matsumoto.
  • Che succede? – chiese stranita.
  • Temo che dovrai seguirle… - disse Ichimaru sfoggiando il suo più sgargiante ghigno spavaldo.
Matsumoto si prestò al gioco, le due donnine la aiutarono ad indossare un kimono tradizionale, riccamente decorato con fantasie autunnali, le acconciarono i capelli e la truccarono. Matsumoto ADORAVA quel genere di cose, la facevano sentire indescrivibilmente sofisticata e coccolata, avrebbe potuto trascorrere ore a pendersi cura del suo aspetto. Non perché fosse una donna superficiale ma… ognuno ha i propri vizi, no?
Quando ritornò nel padiglione si era riempito di altra gente vestita a festa, donne e uomini di tutte le età si affollavano trepidanti per l’eccitazione. Ichimaru la raggiunse alle spalle, le sfiorò il collo con le labbra e un brivido la fece trasalire.
  • Di che si tratta? – sospirò incuriosita.
  • Lo vedrai…
Dopo un paio di minuti una musica lieve inziò a diffondersi nella sala, tutti i presenti iniziarono una danza ripetitiva e leggiadra seguendo il ritmo aggraziato della musica.
  • Non conosco questa danza. – disse Matsumoto con una nota di panico nella voce.
  • Segui me… - sussurrò mellifluo Ichimaru iniziando a guidarla con mani esperte.
Inizialmente si sentì goffa. Poi le note si fecero familiari, pian piano comprese la logica dei movimenti ed infine si sentì cullata in un’armonia di gesti e suoni, tutto ciò che aspettava era di poter sfiorare Gin, di essere sfiorata a sua volta, nel fruscio delle vesti, nel vorticare dei corpi, alla luce incantata del sole del pomeriggio, Matsumoto fu definitivamente certa di trovarsi in un sogno.
La musica finì. I danzatori si snodarono in una processione che attraversò il tempio e li porto ai piedi di un maestoso acero rosso le cui foglie screziate brillavano come rame liquido sotto il sole del tramonto più magico che Rangiku ricordasse di aver mai visto. Ai piedi dell’acero, gli abitanti di karakura si immedesimarono in interpretazioni teatrali grottesche e improbabili haiku, anche i loro amici li avevano raggiunti per assistere allo spettacolo. Ranjiku a stento si rese conto di ciò che le accadeva intorno, se ne stava al fianco di Ichimaru, la mano spasmodicamente intrecciata con la sua, lo sguardo fisso sul suo viso, che aveva l’espressione di sempre, distante e impassibile, impegnata nella contemplazione dell’ignoto.
Per Ichimaru, non iniziare a tremare fu un’impresa, continuare a respirare ogni volta che i loro sguardi si incrociavano fu un’impresa, resistere alla tentazione di gridare, lì in mezzo a tutti che era innamorato di lei fu un’impresa. Ma l’impresa più ingiusta fu dover sopportare il suo sguardo indagatore, languido, ostinato scrutarlo con tanta perplessità e non poterla confortare, non poterla rassicurare, convivere con la certezza che in quella testolina scaltra i pensieri più controversi si stavano facendo strada tramando contro di lui.
 
 “Tutte le paure adesso sembrano distanti,
ma non si può trattare un gran finale con i guanti,
io vado fuori solo per una fine facile
e ricomincia sempre tutto da te…”
Quando la folla si diradò Ichimaru condusse Ranjiku sul fianco opposto della collina, verso la riva del fiume, mentre il sole iniziava a tuffarsi oltre l’orizzonte e si accendevano le stelle.
  • È stato magnifico. – mormorò Matsumoto spezzando quel silenzio un po’ freddo.
  • Sono felice che ti sia piaciuto, lo speravo davvero tanto… - rispose Gin senza guardarla, accarezzandole compulsivamente il dorso della mano, provando a convincersi che il battito del suo cuore non fosse udibile al di fuori del suo torace, come invece credeva.
Il riflesso della luna baluginò sul pelo dell’acqua quando ancora una linea di luce infuocata si distendeva all’orizzonte, Ichimaru non poteva fare a meno di pensare che quella fosse la metafora della loro storia: due spiriti così diversi che si specchiano nella stessa realtà; lei così passionale, infuocata, lui freddo, quasi iridescente, il riflesso di sé stesso.
  • Non è assurdo? – disse con una nota di amarezza nella voce. – Il sole e la luna nello stesso cielo…
  • Sarà assurdo, ma sono così belli insieme.
Ichimaru sapeva che quello era il momento perfetto, aspettava solo un piccolissimo segno…
Qualcosa danzò nel buio, piccolo e fragile, quasi invisibile… un fiocco di neve. Era il segnale.
Quando il fiocco di neve sfiorò il suo viso Matsumoto riconobbe immediatamente la reiatsu di cui era impregnato. “Toshiro-kun” sospirò dentro di sé. Concentrandosi poteva quasi vederlo, seduto in alto sulla collina, impegnato con la sua Hyorinmaru, per creare quel momento…
  • Nevica- disse in un soffio.
  • Come il giorno in cui abbiamo deciso di crescere insieme. – rispose Ichimaru. Ranjiku lo ricordava bene, erano solo ragazzini e avevano deciso di entrare all’accademia degli shinigami, insieme. Per non doversi separare mai. Si chiese cosa volesse dire tutto quello…
  • È inutile che continui a cercare le parole giuste, tanto non penso di essere in grado di trovarle… – iniziò a dire Gin. - …però sento che se non te lo dico adesso potrei pentirmene per il resto dell’eternità…- Ichimaru non si sarebbe inginocchiato, la trovava un’idea sciocca e banale, le prese il viso tra le mani e la guardò dritta negli occhi. Il suo sguardo così profondo sembrava scandagliargli l’anima. – mi sono innamorato di una donna che non credo di aver mai avuto il diritto di avere accanto, ho cercato di essere per lei quello che lei è per me, di darle quello che lei mi dà, e non ho potuto fare a meno di pensare che forse lei meriterebbe di stare lontano da uno come me. Ma sono un codardo, e un egoista, e non posso lasciarla andare via, ho bisogno di lei. Allora ho pensato… chissà, magari anche lei vuole trascorrere il resto della sua esistenza con me…
Gli occhi di Rangiku non avevano tregua, combattevano contro le lacrime e l’incredulità, tremavano.   Gin non riusciva a sostenere quello sguardo. Pescò il cofanetto blu dal kimono, lo aprì mostrando l’anello a Matsumoto: un diadema di brillanti lucidi e tersi come le stelle al centro del quale spiccava un diamante rosa, solitario ed elegante.
  • Tra mille anime tutte uguali perse in un mare di oscurità tu… sei la mia nuova luce…- concluse Ichimaru sentendo di non aver più coraggio per dire una sola parola.
“… sei la mia nuova luce,
 sei tutto quello che ho…”
Ranjiku si sentiva una persona orribile. Aveva dubitato di lui tutto il tempo per poi sentirlo tessere le sue lodi. Tremava dentro, sperando di non apparire debole come si sentiva. Non aveva nemmeno mai osato immaginare quel momento, non credeva fosse mai stato contemplato nel progetto del suo destino.
Era… perfetto.
  • Si. - lo disse così piano che le sembrò un suo stesso pensiero. E non era il luccichio di quell’anello ad averla convinta, Ranjiku non lo aveva nemmeno guardato, due diamanti ben più rari brillavano di fronte a lei: gli occhi di Ichimaru, per una volta spalancati e splendidi, solo per lei.
  • Sì. – ripeté.
Poi lo baciò.
Ed ebbe voglia di piangere.
Ma trattenendo le lacrime…
…riuscì a sentire più intenso…
…il sapore della felicità.

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Capitolo 3
*** la valigia ***


La Valigia
 “Hai fatto tutta quella strada per arrivare fin qui
e ti è toccato partire bambina
con una piccola valigia di cartone
che hai cominciato a riempire”
  • Per una volta Ichimaru-kun, sei riuscito a fare le cose a modo.- mormorò tra se Hitsugaya mentre guardava dalla cima della collina i due piccioncini coccolarsi nella penombra azzurra della prima sera.
Toshiro non era mai stato particolarmente entusiasta della storia tra Ichimaru e Rangiku, non perché si sentisse in diritto di intromettersi nei loro affari privati, ma perché non sopportava di restare a guardare mentre quei due si facevano inutilmente del male, ferendo se stessi e l’altro, punendosi e vendicandosi, incapaci di affrontare il passato e di riappropriarsi del presente. Inoltre Hitsugaya non stravedeva per Ichimaru, anzi, per lui il meccanismo chimico che guidava l’alchimia tra quei due era rimasto un mistero; però nel profondo, seppellito lì dove nemmeno lui avrebbe potuto estirparlo,  conservava per Rangiku un affetto fraterno e un rispetto regale. Quella donnona tutta curve che mostrava un carattere sprezzante, aveva fatto breccia nello spirito di Toshiro in maniera del tutto singolare ed era diventata per lui, a dispetto delle caratteristiche fisiche, una sorellina, una bimba senza casa e senza affetti, una gattina grata per aver ricevuto un riparo, bisognosa di protezione e di coccole. E dato che Toshiro decisamente non ci sapeva fare con queste ultime, aveva deciso di assicurarle il resto: un posto da chiamare casa e uno scudo che, anche quando il mondo le fosse crollato addosso,  le avrebbe assicurato protezione. Ichimaru era arrivato, o per meglio dire tornato, per darle quello che Toshiro non sarebbe stato in grado di darle nemmeno se avesse voluto, quel qualcosa che nemmeno il fratello più amorevole avrebbe potuto rimpiazzare: l’Amore.
 Ed era un amore così timido il loro da fare intenerire anche il cuore adamantino del ragazzo di ghiaccio; ogni volta che aveva occasione di vederli così, mentre si rubavano sguardi languidi e goffe dimostrazioni d’affetto, non riusciva a evitare di farsi strappare un sorriso, una lacrima di tenerezza riusciva a stillare dal suo cuore cristallizzato e dentro di se…  per una frazione di tempo infinitesimale,  anche lui sospirava sognando il calore di un abbraccio.
“Rangiku-san, sarai felice adesso?”, si chiese ancora Hitsugaya incapace di soffocare quella vena di apprensione che non gli permetteva di rilassarsi, di pensare lucidamente e di prefigurarsi l’esito degli eventi. Lui, certamente, aveva fatto la sua parte, loro sembravano contenti ma… ma il passato gli aveva insegnato, che del futuro non bisogna mai fidarsi.
Quando  Rangiku era arrivata nella sua brigata aveva già vissuto troppo, mano a mano che Toshiro aveva scoperto la sua storia si era stupito di come lei avesse conservato tanta delicatezza nonostante tutto. Era come se Rangiku avesse riposto la sua rabbia, il suo odio, la sua disperazione in una valigia che si trascinava dietro, nell’ombra, nascondendola gelosamente, e con essa quelle parti della sua storia che desiderava cambiare,  i ricordi che avrebbe voluto disintegrare; costruendosi una facciata con tutto ciò che invece desiderava essere, scegliendo dal mondo i suoi aspetti più rosei e restituendogli un po’ di marcio per volta. Toshiro la ammirava in silenzio, e pretendeva da lei la forza e il coraggio per completare il suo progetto, e da se stesso l’impegno per non lasciarla mai da sola a portare la valigia, finché non l’avesse svuotata.
  • SUGOOOOIIII TOSHIRO-KUUUN!- qualcuno gridava correndo verso di lui lungo il fianco opposto della collina. La calma serafica di Hitsugaya si increspò, un’onda di nervosismo lo strappò ai pensieri.
  • VOLETE TAPPARVI QUELLE FOGNE O PREFERITE CHE VI SURGELI LE CORDE VOCALI?!!- sbottò Toshiro vedendo la cricca dei suoi… conoscenti avvicinarsi a lui generando un frenetico trambusto.
  • Dai Toshiro-kun, il piano è riuscito a meraviglia! Puoi anche levarti lo stecco che hai su per il culo ogni tanto… ghiacciolino!- lo derise Ichigo con un mezzo sorriso di sfida.
  • …ti ho detto di non chiamarmi per nome Kurosaki… non mettermi alla prova!- intimò senza scomporsi ulteriormente.- Andiamo via, prima che roviniate tutto quanto con una delle vostre scenate tragicomiche!
Ripercorsero il sentiero all’indietro e scesero dalla collina, si rifugiarono all’emporio di Urahara dove Toshiro si augurò che, con un buon tè e un libro, sarebbe riuscito a calmare i propri nervi.
“Due foglie di quella radura che non c'era già più
rossetti finti ed un astuccio di gemme
e la valigia ha cominciato a pesare
dovevi ancora partire”


Era quasi mezzanotte quando Rangiku e Gin si fecero vedere all’emporio, i loro amici erano sparsi qui e li: qualcuno riposava già, altri discutevano con una lucidità un po’ ingannata da due bicchierini di sake; su una stuoia lontano dai rumori, Toshiro leggeva  un libro con scarsa attenzione.
  • Dammi un secondo…- sussurrò Rangiku a Gin mentre si avvicinava al suo capitano.
Si congedò educatamente dalla stretta di mano del suo uomo al quale, in quel momento, Rangiku avrebbe potuto chiedere di tutto, si rendeva conto che lui la guardava come se non avesse nient’altro al mondo a cui prestare attenzione, e lei si sentiva così bene da non ricordare di essersi mai sentita diversamente.
Si accostò al capitano e gli circondò il collo e le spalle  abbracciandolo da dietro, lui sussultò impercettibilmente.
  • Grazie di tutto taicho…
  • Rangiku-san…- per la prima volta da quando lo conosceva, a Rangiku sembrò che  al capitano mancassero le parole, il calore dell’emozione sembrava emanare dal suo corpo.- …l’ho fatto perché te lo meriti Rangiku-san, e nel caso in cui quell’imbecille non sappia fare il proprio dovere, sappi che io sarò lì, pronto a fare il mio!- concluse poi lui, duro come sempre.
  • Lo so.- disse lei stringendolo di più, lasciandosi scappare due lacrime.- Lo so che tu ci sei…
Toshiro lo sentì. Quelle due lacrime che Rangiku aveva versato avevano il peso della sua valigia, erano piene degli sforzi che lei aveva fatto per trascinarsela dietro e quello, quel momento così intimo come nessuno che loro due avessero mai condiviso, era il momento in cui Rangiku gli stava di chiedendo di prendere la valigia, riguardare tutta la vita che ci aveva stipato dentro e poi portarla via, svuotarla per lei, perché lei non ne faceva più niente, né dei ricordi né delle amarezze, di tutto quello che aveva ancora da smaltire Rangiku non voleva più sentire parlare. Gli ultimi grammi di marciume che aveva da riscattare, Rangiku li stava affidando a lui, perché se ne prendesse cura e le dicesse che poteva andare avanti.
Toshiro analizzò mentalmente il contenuto della valigia:  rivide una bambina nella radura, una bambina che aveva già abbastanza materiale per odiare il mondo, la vide crescere con qualcuno simile a lei, la vide diventare forte, diventare donna e poi diventare una signorina, bella e appariscente, con un arsenale per stendere gli uomini… in ogni situazione. La vide soffrire e morire infinite volte, e poi la vide sulla riva di quel fiume, risorta… prese tutti quei ricordi, meno quest’ultimo, e disse:
  • Non ti preoccupare Rangiku-san…
E dentro una voce chiese “Rangiku, sarai felice adesso?”.
 
“E sole, pioggia, neve, tempesta
sulla valigia e nella tua testa
e gambe per andare
e bocca per baciare”


Hitsugaya si svegliò e si sentì come se avesse dormito sotto un treno. Aveva la tachicardia, il mal di testa e un fastidio diffuso in tutto il corpo e nello spirito.
  • Hai un aspetto terrificante Hitsugaya-kun!- lo salutò Kisuke mentre gli offriva un tè al tavolo della colazione.
  • Ti ringrazio per il tatto… non ho dormito bene sul tuo letto di merda.
  • Forse non hai dormito bene con i tuoi pensieri.- disse lui con il suo tono stupidamente ironico, che faceva a pugni con la sua saggezza.- Anche io trovo faticoso trovare una posizione comoda con la testa poggiata sulle preoccupazioni e la coscienza pesante che incombe sullo stomaco.
  • La mia coscienza non ha nulla da rimproverarmi…- ribatté Hitsugaya  nervoso.
  • Ma tu temi che ce l’abbia invece, non è così?
  • Credi che io abbia fatto un errore benedicendo l’unione di quei due? Ichimaru e Rangiku intendo, insomma quell’uomo è un traditore recidivo io… faccio bene a fidarmi di lui?- chiese esausto Hitsugaya.
  • Io non sono la tua coscienza Hitsugaya-kun, queste domande non devi farle a me. Ma se vuoi comunque che dica la mia, da quel che ho potuto vedere Ichimaru ha sempre fatto carte false per il bene di una sola persona… forse in questo suo istinto possiamo confidare.
Tutto il resto si svolse in un silenzio cordiale e riflessivo, Toshiro dovette concedere che Ichimaru si era venduto soltanto per, a suo modo, proteggere Rangiku… forse era davvero questa l’unica cosa su cui contare. E poi si rimproverò, per non aver fatto affidamento su un’altra cosa: la resilienza di Rangiku, la capacità che lei aveva avuto di amare quell’uomo per tutta la vita, ricoprendosi di cicatrici, ma affrontando il combattimento senza che gli equilibri si sbilanciassero. Rangiku non si era fatta travolgere, non era succube del suo amore, ma ad esso non poteva rinunciare, e anche se questo Hitsugaya non riusciva a capirlo, lui si fidava, si fidava di lei e della sua capacità di stupire tutti, persino se stessa.
Accettò, ridendo di se stesso, le proprie angosce per il futuro della sua amica, di sua sorella; e si rasserenò ricordando la tenacia con cui Rangiku, da che la conosceva, amando moriva e amando rinasceva senza avere paura, ed era un coraggio che il ragazzo di ghiaccio non possedeva.
“E gli occhi han preso il colore del cielo
a furia di guardarlo
e con quegli occhi ciò che vedevi
nessuno può saperlo”


L’arnese infernale con cui gli umani comunicavano emise un suono disturbante, Toshiro controllò chi e cosa gli avesse scritto, il testo del messaggio diceva: “Ho assolutamente bisogno di incontrarti! Vediamoci al parco alle 3p.m.-Rangiku”.
Staccò il naso dal libro e uscì dall’emporio. L’autunno era entrato nel suo vivo, il cielo plumbeo era rivestito da un soffice manto di nubi che promettevano pioggia, il vento soffiava severo facendo danzare le foglie in piccoli tornado dai colori ambrati, era tagliente e profumava di umidità; tutto era adornato con colori caldi, in disarmonia con l’effettiva temperatura. Hitsugaya si rifugiò in un cappotto color crema e si barricò fino al naso dietro uno sciarpone a quadri arancione, sfidò quel clima ostile che annunciava la sua stagione preferita e si diresse verso il parco di Karakura.
Matsumoto attendeva composta, seduta su una panchina riparata sotto le fronde purpuree di un acero, sorridendo nascosta dietro il bavero di pelliccia del suo cappotto, mostrando un’aria molto curata ed elegante insolitamente matura, suggerita dalla sua nuova acconciatura che le tratteneva i capelli sulla nuca in una crocchia studiatamente arruffata.
  • Hitsugaya-kun, sei in anticipo! Sono contenta che sia venuto con così poco preavviso.- disse lei sorridendo.
  • Come mai questa fretta? Cosa volevi dirmi Matsumoto?
  • Ecco io… volevo chiederti qualcosa…- disse lei arrossendo e distogliendo lo sguardo.
  • Sentiamo!- solo allora Hitsugaya si rese conto del suo tono vagamente seccato, si sentì in colpa per essere stato così freddo, e ancora di più per il modo tenero con cui lo sguardo di Rangiku era passato dalla timida eccitazione alla delusione.- Scusami. Non volevo essere scontroso.- si sedette accanto a lei e provò a sembrare più sciolto. – Allora, quale notizia è talmente importante da richiedere una riunione di emergenza dei vertici della decima brigata?- disse con ironia.
  • Io e Gin abbiamo deciso, ci sposeremo il giorno del solstizio invernale, qui a Karakura. Sulla piana ad est della città c’è una splendida tenuta, intima ma elegante, nel parco c’è un piccolo tempio e abbastanza spazio per festeggiare insieme a tutti i nostri amici.
  • Ma è fantastico, Matsumoto-san.- Hitsugaya si sforzò di non far trasparire quel velo di dubbio che ancora lo tormentava. Sfoggiò un’espressione compunta e ascoltò.
  • Si… lo penso anche io… ma ci saranno molte cose da fare, tutto dovrà essere organizzato e avrò bisogno di una grossa mano.
  • Non preoccuparti – sospirò lui – di qualsiasi cosa avrai bisogno puoi contare sul mio aiuto, è scontato.
  • No no, Hitsugaya-kun! – disse lei ridacchiando melodiosamente. – Non ti chiederei mai di aiutarmi a scegliere composizioni floreali e gonne di tulle, conosco qualche personaggio che sarà sicuramente più entusiasta di darmi una mano con queste stupidaggini. La richiesta che ho da fare a te è più, come dire, ufficiale!
Gli occhi di Rangiku splendevano velati di emozione, Toshiro si sentì sollevato al pensiero di non dover scrutare la scala cromatica del rosa per scegliere la perfetta tonalità dei confetti, ma per un secondo fu confuso su quello che lei gli stava chiedendo. Poi capì, fece un mezzo sorriso e disse solenne:
  • Sarei onorato di essere il tuo testimone Rangiku-san!
  • In realtà, Hitsugaya-kun, non era questo che volevamo chiederti.- la voce tagliente di Ichimaru lo raggiunse alle spalle portando con se un brivido di disagio che gli fece vibrare le viscere. Toshiro si voltò e se lo ritrovò davanti, avvolto in un montone grigio perla, reggeva dei bicchieri per il tè da asporto.
  • Scusate  per l’assenza, ero andato a recuperare qualcosa di caldo.- continuò Ichimaru sorridendo ingenuamente. Si accomodò accanto a Rangiku, offrì un bicchiere a Toshiro e uno a lei, poi le prese una mano e continuò. – Non credo di averti ringraziato abbastanza per il tuo aiuto HItsugaya-kun, è stato bello da parte tua. Inoltre io e Rangiku ci chiedevamo se…
  • Vorresti ufficiare alle nostre nozze? Vorresti celebrarle tu, in qualità di garante della nostra unione?- tagliò corto lei sputando fuori la domanda d’un fiato.
Toshiro era spiazzato, non sapeva se sentirsi onorato, felice, oppure ancora più responsabile, ancora più insicuro e apprensivo. Ma erano gli occhi di Matsumoto ad avere la parola in quel momento, erano così luminosi, carichi di un’energia calda e splendente che stava scaldando il vento, illuminando il cielo, rinfoltendo le fronde; quegli occhi trasparenti attraverso cui l’anima cristallina della sua amica si affacciava senza timore, lo stavano implorando, bruciavano di attesa e lo pregavano di esaudire i loro desideri,  gli chiedevano disperatamente di essere perfetto, di rendere tutto perfetto. E lui non aveva il coraggio di tradirli, non poteva deluderli, quegli occhi avevano aspettato troppo per vedere un cielo sereno, e lui non avrebbe portato le nuvole.
  • Certo Rangiku-san, ne sarei onorato.
Lei sorrise e lo soffocò in un abbraccio. Anche Ichimaru sorrise e Toshiro si stupì perché non gli sembrò un sorriso finto, né beffardo, né furbo, nè ironico, né malizioso, né maligno. Era un sorriso.
 “Chi lo avrebbe mai detto!” pensò “Anche i serpenti sorridono”, poi si concentrò sul cuore di Rangiku, che martellava sul suo petto come un tamburo da guerra “Rangiku, sarai felice adesso?” si chiese.
“Ti apro io la valigia mentre tu resti li
e piano piano ti faccio vedere
c'erano solo quattro farfalle
un po' più dure a morire”
 
Toshiro adesso doveva meditare. Aveva accettato la proposta di Matsumoto su due piedi, lasciandosi commuovere dal suo entusiasmo, ma non avrebbe fatto un altro passo senza riflettere. Voleva, doveva, essere sicuro di fare la scelta giusta; non voleva, non doveva, fare un passo falso e rischiare di fare qualcosa solo perché l’entusiasmo generale lo aveva spinto ad acconsentire.
 Ichimaru era davvero cambiato? Adesso era l’uomo giusto per Rangiku? Lo era mai stato? L’amava? Le avrebbe dato ciò di cui aveva bisogno? Sarebbe stato in grado di essere l’uomo che lei meritava?
Toshiro voleva una risposta… allora si decise a fare la domanda… al diretto interessato.
Si presentò a casa di Ichimaru quella stessa sera, quando sapeva che Matsumoto sarebbe uscita per incontrare Inoue, bussò al campanello e se lo ritrovò davanti nei panni del prefetto uomo comune.
  • Buonasera. Scusa per l’intrusione.- mormorò acido Toshiro, non lo faceva apposta era solo a disagio.
  • Non preoccuparti, mi aspettavo una tua visita… prima o poi.
  • Posso entrare?
 Ichimaru lo invitò dentro, lo fece accomodare nel salotto della sua casa lussuosa e si sedette di fronte a lui.
  • Avanti spara, sono pronto a tutto!- disse il serpente, con l’aria più arrendevole che riuscì a sfoggiare.
  • Perché vuoi sposare Matsumoto? Ho bisogno di saperlo. Se la tua risposta non sarà sufficiente, cambieranno molte cose.- rispose il ragazzo di ghiaccio impassibile.
Ichimaru sospirò come se fosse esausto, si sfregò le mani sulle cosce e, spalancando gli occhi, puntò lo sguardo sull’interlocutore.
  • Voglio sposarla perché lei è l’unica a non avermi fatto questa domanda. L’unica persona nella mia memoria che si è fidata di me anche quando io dubitavo di me stesso, che si è dannata pur di comprendermi e di amarmi, senza considerare il prezzo da pagare. Perché ci si sposa, Hitsugaya? Per suggellare un patto. Come quello che abbiamo fatto noi quando abbiamo deciso di darci tregua, e per suggellarlo ci siamo stretti la mano. Un patto come quello che abbiamo fatto io e Rangiku il giorno che l’ho incontrata, e se questo è vero lei mi ha sposato in quel momento, io ci ho impiegato un’eternità a capirlo ma, adesso che l’ho fatto, voglio renderlo ufficiale nel modo più eclatante possibile. Questo matrimonio è la celebrazione dell’amore che lei è stata in grado di darmi e della stupidità con cui io l’ho gestito. Ma è anche l’inizio, l’inizio del resto della mia vita, che ho messo in pausa quando è iniziato il piano di Aizen. Lo so che non ti fidi di me, e questo dimostra il tuo valore come amico, ma so anche che mi lascerai amarla, perché questo dimostrerebbe il tuo valore come uomo. Non avere paura per lei, è l’unica in grado di controllarmi, questo è un potere che nessun’altro ha mai avuto e avrà mai su di me.
Toshiro si immerse in un silenzio incredulo che dall’esterno deve averlo fatto sembrare un idiota. Ma la sua mente stava lavorando, stava pensando che forse queste cose avrebbe dovuto capirle da se, forse ,conoscendo  Matsumoto avrebbe dovuto intuire il motivo per cui lei voleva sposarlo.  
  • Adesso mi sento un po' stupido ad aver fatto questa scenata…- disse Toshiro con un mezzo sorriso amaro.-  Non ti offendere, ma non esiste nulla che tu possa dire che mi faccia fidare di te.
Ichimaru fece una risatina pacata - Lo so, non avevo dubbi.
  • Però mi hai fatto ricordare una cosa importante, non ho bisogno di fidarmi di te. Il motivo per cui tu vuoi sposare Rangiku-san non mi interessa, potresti benissimo ingannarmi, ma io sono quasi certo del motivo per cui lei abbia accettato.
  • E quale sarebbe?
  • Perché tu la rendi ciò che è. L’amore per te, per quanto immaturo è ciò che ha spinto Matsumoto a darsi da fare, a lavorare sodo, a diventare forte, persino a diventare una shinigami: la Matsumoto che io conosco, a cui voglio bene e che ammiro è il frutto della tua influenza. Il veleno del tuo morso nel suo organismo non ha avuto un effetto tossico anzi, lo ha rinforzato, lei possiede anticorpi per sconfiggere i tuoi demoni. Questo vuol dire che Matsumoto avrà sempre in pugno la parte migliore di te, e questo mi basta per dormire sonni tranquilli.
Ichimaru sorrise di nuovo, chiuse gli occhi e si distese sulla poltrona.
  • Adesso devo andare.- disse Hitsugaya alzandosi e porgendo cordialmente la mano a Gin.- Ci vedremo spesso d’ora in poi.
  • Lo spero!- rispose Gin cordiale.
  • Alla prossima allora…
Toshiro uscì dalla casa quando stava ormai iniziando a piovere, si tirò su il cappuccio e si coccolò al suono ritmico e dolce della pioggia. Si sentiva libero dalla sensazione di ansia che in quei giorni aveva fatto galoppare i suoi pensieri in campi di incertezza e sconforto. Aprendo mentalmente, ancora una volta, la valigia di Rangiku, non ci trovò nulla dentro, se non quattro piccoli ricordi leggeri: il giorno in cui aveva incontrato Ichimaru e aveva deciso di ricominciare la propria vita, il giorno in cui aveva incontrato Toshiro, e lo aveva eletto proprio migliore amico a sua insaputa; il giorno in cui aveva deciso di lottare contro Ichimaru nonostante lo amasse, dimostrando il coraggio di fare la cosa giusta; e il giorno in cui aveva capito che lui l’amava, giorno che aveva aspettato per troppo tempo, ma senza perdere la fiducia.
“Adesso sarai felice Ranguku-san, me lo sento” pensò sorridendo.
“Sole pioggia neve tempesta
sui tuoi capelli su quello che hai visto
e braccia per tenere e fianchi per ballare”

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