LEGGENDE DALLA TERRA D'EGITTO

di Akane Rosenrot
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CIELO E TERRA ***
Capitolo 2: *** SCOMMESSA PER DUE AMICI ***



Capitolo 1
*** CIELO E TERRA ***


CIELO E TERRA

«Preso! Ora tocca a te, dai prendimi!»
La bimba cominciò a correre lasciandosi alle spalle il fratello che si era fermato solo per recuperare le energie. Egli alzò lo sguardo, puntò gli occhi sulla piccola preda e, con un malizioso sorriso, accettò la sfida partendo all’inseguimento. Ad ogni passo lasciava dietro di sé una nuvola di sabbia che nascondeva le sue orme. A guidarlo era il suono cristallino tipico delle risate dei bambini: così puro, contagioso, così vicino…
«Presa!» con uno scatto raggiunse la sorella afferrandola per i fianchi prima di scivolare e rotolare giù per la duna senza mollare la presa. I due si ritrovarono ammassati uno all’altra, ricoperti di sabbia, troppo esausti per muoversi. Dopo aver ripreso fiato la piccola si staccò dal petto del fratello scrollandosi di dosso la polvere dorata, per poi fissare con i suoi grandi occhi azzurri quelli color ambra di lui.
«Fratellone…- la voce uscì timida «ma tu… mi vuoi bene?»
Il ragazzino guardò sorpreso la sorella, affondando nel turchese delle sue iridi.
«Certo… certo che ti voglio bene sorellina, io ti amo!» esclamò dolcemente stringendola a sè. Una voce di donna ruppe il loro abbraccio.
«Geb! Nut! Dove siete? Tornate subito qui!»
«Andiamo, mamma si sta preoccupando» Detto questo, Geb e Nut si avviarono verso casa, senza mollare le mani intrecciate fra di loro come simbolo di un legame che diventerà poi la loro condanna.
 
Era una mattina come le altre, il sole cocente dell’Egitto si avvicinava allo zenit, intimando gli abitanti di Eliopoli a rientrare nelle loro dimore prima che il caldo diventasse insostenibile. Rintanate nel giardino del palazzo reale, nemmeno la regina e sua figlia erano state risparmiate dall’opprimente afa.
«Nut, figlia mia» esordì Tefnut «perché non mi canti qualcosa? Sai che solo la tua voce, in giornate come questa, può portare un po’ di freschezza.»
La giovane donna annuì obbediente e si inginocchiò accanto alla moglie del faraone. Appoggiò le mani in grembo, si schiarì la voce e chiuse gli occhi. Dapprima lieve, in seguito sempre più intensa, la melodia di una canzone d’amore si librò nell’aria; trasportata dal vento riecheggiò nelle grandi sale di marmo del palazzo, fino ad arrivare all’ufficio del faraone. Dalle piccole finestre della stanza entrò il lamento di un falco al quale, per impedirgli di volare e raggiungere in cielo la compagna, erano state tagliate le ali. Questo raccontava la canzone che giunse alle orecchie del giovane principe, distraendolo dal suo studio. Non appena riconobbe nella dolce voce quella della sorella, Geb ebbe un sussulto. Buttò un occhio al padre che, dall’altra parte del grande tavolo, leggeva i resoconti degli ultimi raccolti e che sembrava non essersi nemmeno accorto di ciò che aveva irrimediabilmente distratto Geb. Il ragazzo ripiegò, con lenti e silenziosi movimenti, i fogli di papiro che aveva fra le mani; voleva uscire per ascoltare meglio la sorella, voleva vederla cantare. Da quando egli aveva raggiunto la maggiore età erano stati violentemente divisi, confinati in due alee opposte del palazzo, ed erano rare le occasioni in cui potevano passare del tempo insieme da soli ormai. Inoltre, da un paio di settimane a quella parte, sembrava che Nut lo volesse evitare: gli sfuggiva cambiando strada, evadeva il suo sguardo, non gli sorrideva più… Fece per alzarsi, ma la voce secca e gelida del padre lo bloccò.
«No.»
 Non aveva neanche avuto bisogno di alzare lo sguardo per capire le intenzioni del figlio. Geb restò immobile ad osservare il faraone chino sul tavolo.
«Finisci il tuo lavoro senza distrarti» il ragazzo non ebbe neanche il tempo di difendersi poiché il padre continuò, come se avesse avuto il potere di leggergli nella mente «Tua sorella diventerà presto sacerdotessa, questo è il suo destino. A quel punto ti sarà proibito vederla, è bene tu ci faccia l’abitudine.»  Shu puntò gli occhi vitrei su quelli sconvolti del figlio. Una miriade di pensieri attraversò la mente del fanciullo che si trovò catturato dallo sguardo del padre, impossibilitato a resistergli. Strinse i pugni, digrignò i denti e riprese posto col viso rivolto al suolo. Silenzio. Geb cercò di concentrarsi sui manoscritti, eppure una frase riecheggiava nella sua mente, tormentandolo e deconcentrandolo da qualsiasi altra riflessione: Nut sacerdotessa, Nut chiusa in un tempio, Nut distante da lui per sempre! Non poteva permetterlo.
 
Una graziosa ancella stava aiutando la principessa a cambiarsi per la notte, sostituendo il sontuoso abito di lino color latte con una vestaglia molto più leggera che lasciava ben poche forme all’immaginazione.
«Grazie, puoi andare, finisco da sola»
«Ma vostra Grazia…»
«Vai»
La serva obbedì senza contraddire ancore la sua signora e, a capo abbassato, uscì dalla camera da letto. Nut si sedette sulla branda per pettinarsi, pensierosa, i lunghi capelli blu. Sacerdotessa del tempio di Ra, pensò. Da quando, qualche settimana prima, i suoi genitori le avevano comunicato la loro volontà di offrirla al dio del Sole, aveva passato molte notti in bianco, incapace di trovare pace a quella confusione che sentiva dentro persino nei sogni. Il primo giorno aveva pianto: non era ciò che desiderava, voleva essere libera, non legata alle severe regole del sacerdozio. Anche il secondo giorno aveva pianto restando per tutto il tempo chiusa nella sua stanza. Poi, dal terzo giorno, aveva cominciato a farsene una ragione: lei era Nut, principessa d’Egitto, il suo compito era servire il suo Paese e obbedire ciecamente al faraone e così avrebbe fatto, sarebbe diventata sacerdotessa per ringraziare gli dei, per compiacere suo padre, per rendere orgogliosa sua madre. Mancava però una persona all’appello. Geb. Neanche questa volta riuscì a fermare la lacrima che scivolò lenta sulla guancia. Ogni volta lo stesso ragionamento e ogni volta le si poneva innanzi lo stesso ostacolo. L’idea di dedicare la sua vita a Ra poteva anche andarle bene, se questo non avesse comportato, però, non vedere più suo fratello. Da quando era stata costretta a prendere una decisione aveva cercato in tutti i modi di evitarlo, non voleva affrontare l’argomento con lui, sapeva che si sarebbe sicuramente opposto e a quel punto, l’addio sarebbe stato ancora più duro e doloroso. Era così distratta dai pensieri che non si accorse nemmeno del ragazzo che era riuscito ad entrare dalla finestra dopo essersi arrampicato sulla ripida parete. Si rese conto di non essere sola solamente quando una figura maschile entrò nel suo campo visivo, riportandola alla realtà.
«Perché stai piangendo?»
I loro occhi si incontrarono. Nut ebbe un sussulto.
«Geb… c-cosa ci fai qui?»
Con un veloce e distratto gesto della mano cercò di nascondere le lacrime per sfoggiare un falso sorriso. Il fratello rimase impassibile, con un’espressione seria scrutava la sorella dall’alto in basso
«N-non fare così… non sei mai così serio»
«Perché non me l’hai detto?» il suo tono era severo, sì, ma Nut poteva percepire la delusione e la tristezza nelle sue parole. Si morse il labbro per la vergogna, non poteva fare nulla per scusarsi, sapeva di avergli fatto un torto. Nessuno dei due si mosse, l’unico rumore era quello dei loro respiro. Entrambi, in quell’istante, volevano soltanto tornare bambini per lasciarsi alle spalle tutti i problemi dei grandi; volevano tornare a ridere e scherzare come un tempo, felici. Improvvisamente Nut scattò in avanti e, dopo aver appoggiato il palmo sul petto del giovane, corse fuori urlando
 «Ora ce l’hai tu!»
Il principe rimase un attimo esterrefatto, cosa le era preso?  Era forse quello il momento per scherzare?  Poi però, il bimbo che era in lui ebbe la meglio, la bocca si incurvò in un sorriso e incominciò l’inseguimento.  Due ombre ruppero la silente quiete nella quale si era addormentato il palazzo: erano le ombre dei figli del faraone che si muovevano agili e leggiadre per i corridoi, destando con le loro risa la corte. Il gioco si spostò nel grande giardino illuminato solo dalla luce di luna e stelle. Geb osservava la sorella che pareva, per un attimo, aver ritrovato la spensieratezza che aveva da piccola. Mossi dal vento, i lunghi capelli color cobalto sembrava danzassero, il corpo ormai maturo si spostava sicuro fra gli alberi, lasciando che la veste da notte mostrasse più del dovuto. Rendendosi conto di star osservando le generose curve della sorella Geb arrossì e, per distrarsi, riacquistò il terreno perso. Con un balzo le fu addosso. I due rotolarono ridendo nella sabbia, fino a ritrovarsi uno sopra l’altra. Nut guardò verso l’alto, verso il viso del fratello che ma fu così vicino al suo. Si perse ad osservare dettagli ai quali, fino a quel momento, non aveva prestato attenzione: i tratti ormai adulti, l’ombra della barba sulle guance, i ciuffi disordinati che gli incorniciavano il volto… Nonostante egli si reggesse sulle braccia per non pesarle, Nut poteva sentire il peso di un corpo magro e allenato di un uomo su di sé. Un uomo, ecco ciò che il suo fratellone era diventato, un affascinante uomo che però conservava da sempre, per chi fosse in grado di riconoscerla, una luce da bambino che gli faceva brillare gli occhi dorati. Ebbe un fremito e le guancie le si tinsero di rosso. Geb guardò verso il basso, verso il viso della sorella che mai fu così vicino al suo. La pelle era candida e morbida al tatto; la chioma riversa sulla sabbia sembrava una corona e lei, lei la più bella delle regine. Un sorriso si dipinse sul volto del giovane vedendo il trucco sbavato della ragazza e pensando a quanto si sarebbe imbarazza vedendosi conciata così, la conosceva bene. Quelle gote rosate, il respiro affannato, il petto che si muoveva in modo irregolare, le spalle lasciate scoperte da un velo senza pudore… Non ci fu bisogno di parlare, il contatto fra le loro labbra disse molto più di quanto si fossero mai detti. Fu un bacio dolce, delicato, come se avessero avuto paura di rompere quell’idilliaco momento. Poi, ciò che era rimasto represso per troppo tempo, irruppe come il Nilo in piena, travolgendo i due amanti in un vortice di passione. Con le mani cercavano il contatto, il calore dell’altro; si esploravano scoprendosi pian piano non più come fratello e sorella, ma come uomo e donna innamorati follemente l’uno dell’altra. Incapace ormai di fermarsi, Geb assaporò il collo dell’amata, scendendo sempre più in basso e provocandole piccoli brividi di piacere. Esitò solo quando la stoffa del vestito si intromise, dividendo le sue labbra dalla soffice pelle. Guardò Nut, quassi volesse chiederle ufficialmente il permesso. Lei deglutì e annuì mordendosi di nuovo il labbro inferiore. Con un gesto gentile Geb liberò la sorella dall’ingombro dell’abito, vedendola per la prima volta con gli occhi di un ventenne affascinato ed eccitato e non più con quelli di un fratello troppo protettivo. Oh, amava Nut e la bramava; non avrebbe permesso a nessuno di portarla via da lui.
Il modo in cui la sfiorava, toccava, baciava, faceva provare alla giovane sensazioni proibite e allo stesso tempo tremendamente belle. Sentiva il cuore batterle così forte in petto che sarebbe potuto scoppiare da un momento all’altro. Passo la mano nella chioma arruffata dello splendido ragazzo di cui era innamorata lasciando scivolare al suolo una lacrima di gioia. Amava Geb, lo amava alla follia, e non avrebbe permesso a nessuno di staccarla da lui. La notte fu testimone silenzioso di quell’amore vero, passionale e… sbagliato. Successe tutto in un secondo, come un battito di ciglia. Un attimo prima stavano vivendo ad occhi aperti il sogno nascosto da una vita, un attimo dopo un tremendo frastuono li costrinse a svegliarsi. Il ringhio rabbioso del faraone interruppe i loro respiri. Con un calcio ben assestato scaraventò a terra il figlio che strinse i denti per il dolore inatteso. Terrorizzata Nut cercò di raccattare tremando la veste e di coprirsi il corpo nudo come meglio poteva, ma il padre colpì anche lei con uno schiaffo che le fece mancare il fiato. Riversa al suolo cominciò a singhiozzare, senza avere il coraggio di aprire gli occhi. «Nut!» Alla vista delle lacrime della sorella Geb superò il dolore per scagliarsi contro Shu. Quest’ultimo, che superava il figlio sia in altezza che in forza, non ebbe difficoltà a ricacciarlo dov’era prima, senza troppo badare alla delicatezza. Il ragazzo tentò di nuovo di rialzarsi, ma ancora una volta il padre lo costrinse a terra.
«Come ti sei permesso?» ringhiò Shu «Come hai osato profanare un’offerta a Ra?» e gli assestò un calcio in pancia. Il ragazzo gemette chiudendosi in posizione fetale per proteggersi. Mai avevano visto prima d’ora il Signore dell’Egitto così fuori di sé.
«Stupidi ragazzini! Violare una promessa al dio Sole solo per soddisfare la vostra lussuria… Verrete puntiti per questo!» Un altro calcio, seguito da un gemito più forte. Calmatosi dalla cieca rabbia che fino a quel momento l’aveva posseduto, il faraone riacquistò un’agghiacciante calma: con un piede calpestò Geb che sprofondò ancora più nella sabbia, e con una mano afferrò Nut per i capelli sollevandola dal suolo.
«A causa del vostro amore perverso verrete separati. Farò in modo non possiate mai più nemmeno vedervi. Io giuro qui ed ora che sarete lontani come il deserto e la volta celeste, distanti come lo sono cielo e terra, incapaci di toccarvi di nuovo, puniti per aver amato la persona sbagliata!»
E Fu così che Geb e Nut vennero divisi, confinati in luoghi diversi, costretti ad obbedire al loro faraone. Nut diventò la signora dei Cieli, con il compito di favorire il viaggio della barca solare di Ra durante la notte. Ogni giorno guardava verso il basso, in cerca dell’amato nascosto dalle dune. Geb invece, diventò signore patrono della Terra, affiancando suo padre come principe d’Egitto. Ogni giorno volgeva gli occhi verso l’alto, sperando di scorgere fra le nubi il viso dell’amata, incapace di raggiungerla. Ma se, in una calda mattinata d’estate, si tende l’orecchio, si può ancora udire lieve il lamento d’amore di un falco a cui erano state tagliate le ali, per impedirgli di raggiungere in cielo la sua compagna ed essere felice.  



Eilà io sono Spritz, l'autrice ;)
Piccola intruduzione che mi sento in dovere di fare essendo questa la mia prima pubblicazione: fin da piccola sono sempre stata appassionata dall'antico Egitto ed era da un po' di tempo che avevo in mente di scrivere una serie di storie brevi, ispirate alle leggende della  mitologia egizia, rendendole più moderne e accattivanti. Lo scopo? Far conoscere usi, costumi e mentalità di una civiltà trattata troppo spesso troppo superficialmente. Questo qui sopra è il mito della creazione del Cielo (Nut) e della Terra(Geb). Ovviamente il tutto è molto romanzato, è una mia interpretzione, ma il succo è quello. Detto ciò spero che il racconto vi piaccia. Vi prego di mostrarmi dei segni di vita (recensite) in modo che io sappia se continuare o meno; in archivio ho già qualche altra storia molto interessante pronta, ma non avrebbe senso pubblicare se poi nessuno legge o peggio a nessuno piace. 
Al prossimo mito 
Spritz
P.S. scusate gli eventuali errori di battitura

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Capitolo 2
*** SCOMMESSA PER DUE AMICI ***


Invidioso del loro amore, Ra aveva ordinato a Shu di dividere Geb e Nut proibendo loro di vedersi in qualsiasi giorno dell’anno. Non c’è bisogno di raccontare quanto dolore avesse provocato questa imposizione nel cuore dei due amanti. Eppure, nonostante si trovassero confinati in due luoghi differenti, uno nel palazzo e l’altra nel tempio, trovarono il modo di comunicare fra di loro; beh, certo, non ce l’avrebbero mai fatta senza l’aiuto di un amico…
«Grazie infinite Thot!» la giovane donna fece scivolare un foglio di papiro sotto la porta dalla quale non le era permesso uscire. L’uomo raccolse la lettera e la nascose fra le sue pergamene, come ormai era solito fare per permettere ai due innamorati di parlarsi, seppur solo in forma epistolare.
«Di nulla Nut, sai che sono dalla vostra parte» sussurrò lui «ci vediamo fra un mese» fece per andarsene, ma la voce della dea lo fermò.
«A-aspetta…» innervosito accostò l’orecchio alla tavola di legno.
«Nut, le altre sacerdotesse potrebbero arrivare da un momento all’altro, cosa c’è?»
«Vorremmo vederci!» esclamò la donna dalla stanza adiacente e subito si zittì, impaurita.
«V-vedervi?! Ma sei uscita di senno? Sai benissimo quali sono gli ordini di Ra!»
«Sì, lo so: “… e non vi sarà giorno dell’anno che sarà testimone dei vostri incontri, d’ora innanzi vi è proibito avere contatti l’uno con l’altra”» recitò lei con malinconia, come fosse una litania che si ripeteva la sera prima di coricarsi cosa che, in effetti, faceva. Le ci volle un attimo per riprendersi e non abbandonarsi a pensieri dolorosi così facili da raggiungere «So quali sono gli ordini, ma so anche che tu sei famoso per la tua sapienza ed il tuo ingegno, sono sicura tu sia in grado di trovare una soluzione, sei… l’unica nostra speranza.» Non c’era bisogno di vederla in volto per capire quanta fiducia riponesse nell’amico. Thot si schiarì un attimo la voce e, dopo un veloce segno d’assenso, si allontanò dal tempio, soffocato da esagerate e disperate aspettative. Come poteva soddisfare una richiesta così assurda? Non c’erano clausole a cui appellarsi, postille da giocare a proprio favore; l’ordine era chiaro e inequivocabile: Geb e Nut non potevano vedersi in nessun giorno dell’anno. Chiuso nel suo disordinato studio, fra papiri, inchiostri e molta polvere, Thot stette giorni a rimuginare su quelle parole. Da una parte, se si fosse rifiutato di aiutare i due eredi, avrebbe tradito la fiducia di due cari amici e si sa, l’amicizia è cosa sacra. Dall’altra parte rischiava di finire vittima della rabbia del dio del Sole in caso egli lo avesse scoperto coinvolto in tutto ciò. Cosa molto spiacevole. Non avrebbe di certo infranto le regole, lui non infrangeva mai le regole –Pensa Thot, pensa! Devi trovare una soluzione-
Il die della scrittura era così immerso nei suoi ragionamenti che non si accorse del tempo che passava. Solo la sbadataggine del suo babbuino domestico ed il conseguente rumore di un vaso in frantumi riuscirono a fargli riprendere coscienza.
«Già notte? Eppure c’è ancora un sacco di luc-…» L’uomo spalancò gli occhi, scattò alla finestra e si guardò intorno. La luna piena risplendeva alta nel cielo, illuminando a giorno le strade deserte di Eliopoli. Trovato! Entusiasta Thot indossò i sandali, uscì e sparì fra i vicoli in cerca della persona che l’avrebbe aiutato a realizzare il sogno di Geb e Nut.
«Khonsu!!» il dio ibis irruppe impudente nella stanza dell’uomo urlando il suo nome
«Shh…» sembrava si fosse appena coricato «sono qui Thot, non serve urlare, ma che ti prende? Lo sai che è mezzanotte passata?»
«Sì lo so, scusa, ma ho proprio bisogno del tuo aiuto. Inoltre… tu non dormi la notte, quindi sapevo di non disturbarti» rispose affannato, non era mai stato particolarmente atletico. Khonsu alzò un sopracciglio incuriosito.
«Il mio aiuto? Perché mai il grande dio protettore degli scriba, inventore della scrittura, segretario del faraone avrebbe bisogno di una semplice divinità “minore” come il sottoscritto?» chiese ironico avanzando verso l’ospite. –Oh perfetto- pensò Thot –ce l’ha ancora con me perché il faraone preferisce me a lui, sarà più complicato del previsto- Lo scriba chiuse gli occhi e inspirò profondamente.
«Ho bisogno che tu mi regali la luce della luna»
Silenzio. Poi il suo interlocutore scoppiò in una grossa risata che si protrasse fino a diventare irritante. Una volta esaurito il riso lo sguardo superbo di Khonsu suggerì al povero scriba che non avrebbe ottenuto una risposta affermativa come aveva sperato. 
«Che richiesta pretenziosa… e, se posso permettermi di chiedere, a cosa ti servirebbe?»
Thot sapeva di non poter dire la verità, se l’avesse fatto sicuramente Khonsu si sarebbe rifiutato di aiutarlo, troppo spaventato dalle possibili conseguenze. Rimase zitto, incapace di dare una risposta soddisfacente. Visto l’ospite in difficoltà il signore della luna si diresse verso la terrazza che si affacciava sul grande giardino privato. Volse gli occhi al cielo, lasciandosi illuminare dal bianco satellite a dalle sue mille compagne. Quella fredda luce si rifletteva sulla sua pallida pelle facendole assumere sfumature argentate.
«Nulla si dà gratis, mio caro Thot, e quello che tu mi chiedi non è cosa da poco. Sono molto tentato a lasciarti risolvere le tue questioni da solo, ho il presentimento che tu ti stia mettendo nei guai con Ra e, capiscimi, vorrei evitare di inimicarmi il dio del Sole. Tuttavia...» lo guardò di sottecchi «mi hai davvero stuzzicato, muoio dalla voglia di sapere a cosa ti servano i raggi della mia luna, anche se so che, conoscendoti, non me lo dirai. Quindi: cosa facciamo?»
Thot era troppo occupato a mettere insieme tutte le sue conoscenze, che non erano poche, per trovare una soluzione e non sentì nemmeno la domanda.
«Giochiamocela!» esclamò di punto in bianco risvegliandosi dalla trance.
«Prego?»
«Giochiamo a dadi e scommettiamo: se vinco io mi darai un po’ di luce e…»
«E se invece vinco io?»
«Se vinci tu… sei libero di chiedermi tutto ciò che desideri e io te lo darò» sospirò l’uomo dopo averci pensato un attimo. L’altro sorrise soddisfatto, intrigato da quella situazione inaspettata. Quella serata stava prendendo una piega decisamente interessante, chissà se ne avrebbe davvero tratto profitto.
 
Si decise di sfidarsi al gioco del Senet. Uno dei giochi più comuni fra gli egiziani, tutti conoscevano le regole: il piano di gioco era diviso in 30 caselle (15 bianche e 15 nere), ogni giocatore aveva a disposizione 10 pedine. Lo scopo del gioco era riuscire, in un tempo stabilito, a far uscire dalla tavola più pedine possibili dopo aver fatto fare a ciascuna un giro completo. Su una singola casella poteva sostare una sola pedina per volta, se un giocatore capitava in una casella già occupata la pedina dell’avversario veniva “mangiata” e rimandata indietro. Ci si muoveva in modo bustrofedico di tante caselle quanto indicava il numero ottenuto dal lancio degli astrugali. Gli astrugali, conosciuti anche come dadi, erano quattro sezioni cilindriche di legno con un latto pitturato di bianco e uno di nero. La parte nera valeva due punti, quella bianca zero. Se quindi il giocatore lanciava i dadi le combinazioni non erano molte: uno nero e tre bianchi, due punti; due neri due bianchi, quattro punti e così via… Per rendere il tutto ancora più dinamico, in ordine sparso sul tavolo di gioco, erano presenti cinque caselle “speciali”, contrassegnate da determinati geroglifici, che potevano avvantaggiare, ma anche portare in svantaggio chi ci finiva sopra. Il tempo che avevano concordato era segnato dal sorgere del sole: all’alba la sfida sarebbe terminata.
Il primo a lanciare gli astrugali fu Thot: sei. –Molto bene- pensò –comincio subito con numeri alti- e spostò la prima pedina dando ufficialmente inizio al gioco. Purtroppo la sfida non si basava su abilità personali, ma sulla mera fortuna dei partecipanti, per questo il vantaggio era altalenante. Il tempo trascorreva troppo velocemente e all’approssimarsi dell’ora stabilita Thot, a furia di “stai fermo” “torna indietro” “cambia posto”, aveva solo tre pedine su dieci fuori dalla scacchiera e il suo avversario pure. Non poteva concludersi in parità, entrambi lo sapevano; avevano il tempo di un ultimo, decisivo giro: la pedina che per prima sarebbe uscita avrebbe decretato il vincitore. Due, quattro. Quattro, sei. Otto, zero. Le due figurine di legno si superavano, arretravano, cambiavano posizione senza mai distanziarsi troppo l’una dall’altra, come fosse una danza. Ultime mosse. Thot era in vantaggio sì, ma di sole due caselle, ne mancavano sei. Tirò. Tutti i bastoncini erano bianchi, lo scriba cominciò ad innervosirsi davvero, bastava che il suo opponente facesse otto per vincere. Khonsu, cosciente di ciò, prese in mano i bastoncini con un’espressione beffarda. Non tirò subito, con estremo sadismo riuscì a creare un’atmosfera così tesa da far sudare freddo l’uomo di fronte a lui.
«Sicuro di non volermi dire a cosa ti serve? Forse mi faresti cambiare ide-…»
«Tira e basta!»
Sei. Seccato Khonsu digrignò i denti passando gli astrugali. Era la sua occasione, in quel momento Thot aveva il potere di salvare due giovani innamorati da un’eterna esistenza vuota e priva di scopo.  Aveva la possibilità di aiutare due amici, i suoi primi veri amici e ce l’avrebbe fatta, oh sì che ce l’avrebbe fatta. Chiuse gli occhi, contò fino a tre, il sole sorse.
«Peccato…» sospirò il dio della luna sorridendo. Thot aprì gli occhi, senza il coraggio di guardare il risultato «Eh, vabbè, la mia curiosità dovrà aspettare, oggi la sorte era dalla tua dio della scrittura» Incredulo Thot cercò con lo sguardo i bastoncini: tutti e quattro neri il che significava…
«Otto! Ho vinto!» saltò in piedi esultando «ora mi darai la luce?»
Khonsu su alzò a sua volta, ma con molta più calma.
«Ma quanta fretta, non aspetti un attimo eh? Dato che non hai specificato di quanta luce avevi bisogno…» girò intorno al tavolo rimettendo a posto i pezzi del gioco «vediamo, tu hai tirato fuori quattro pedine… ti darò l’equivalente di quattro notti di luna piena, d’accordo?»
Thot non la smetteva di sorridere, era esattamente quello di cui aveva bisogno.
Fu così che grazie ad una scommessa, il dio della sapienza, padre della scrittura, creò con la bianca luce della luna, quattro giorni che non facevano parte dell’anno e che non rientravano perciò in quei famosi giorni nei quali Ra aveva impedito ai due amanti di vedersi. E i due si incontrarono e amarono più ardentemente e intensamente che mai. Prima che quei giorni finissero trovarono un modo per restare uniti nella lontananza, qualsiasi cosa sarebbe successa.
 
«Grazie mille Thot» la giovane donna fece scivolare un foglio di papiro sotto la porta dalla quale non le era permesso uscire. L’uomo raccolse la lettera e la nascose fra le sue pergamene, poi dolce le chiese «Voi come state?» Nut sorrise
«Bene, stiamo molto bene»
«E hai già deciso il nome?» la dea appoggiò una mano sul ventre gonfio di vita.
«Osiride, si chiamerà Osiride, “il potente”. Siederà sul trono d’Egitto come uno dei più grandi faraoni, verrà acclamato dalle genti, lui simbolo dell’unione fra Cielo e Terra, e governerà il nostro paese con saggezza e bontà. Sì, nostro figlio si chiamerà Osiride e sarà il prossimo faraone d’Egitto»


Ciao a tutti qui Spritz, l'autrice. :)
Ah, cosa non si fa per gli amici? Pensate che quello che noi potremmo definire oggi come il "secchione della classe" ha trovato il coraggio per ingannare il dio del Sole! Questo capitolo aveva un'accezione un po' più didattica (vedrete che nei prossimi ci saranno di nuovo tragiche storie d'amore e simili) perchè volevo far conoscere qualche usanza del nostro caro popolo egizio. Come passavano il tempo? Con i giochi da tavolo! Ne esistevano di vari tipi, uno era tale e quale all'odierno gioco dell'oca con l'unica differenza che il percorso aveva la forma di un serpente attorcigliato su se stesso; quello che ho voluto presentare qui era il più comune. Pensate: il Senet è uno dei primi giochi da tavola al mondo! La prossima volta quando non sapete come passare il pomeriggio, provate a fare una partitina a Senet e fatemi sapere cosa ne pensate (creare il gioco è davvero semplice, basta disegnare pedine e scacchiera su un foglio e utilizzare quattro cannucce come astrugali). Spero che il capitolo vi sia piaciuto, aspetto recensioni (recensiteeee). Cosa succederà nel prossimo capitolo? Beh, non so se ve ne siete accorti ma... Nut è incinta! E non di un dio qualunque, ma di Osiride che, credetemi, non era il faraone perfetto che raccontano i geroglifici...
Alla prossima leggenda!

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