N.S.A.

di Bellatrice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Buio ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***



Capitolo 1
*** Buio ***


Buio.

Era tutto quello che era riuscito a vedere nei primi minuti. Dapprima il panico di aver perso un senso così importante lo aveva quasi indotto a vomitare. Poi il suo stomaco gli ricordò che era da almeno una settimana che non mangiava qualcosa.

Paura.

Quel sentimento che raramente lo aveva toccato nella sua vita. Proprio lui, che di solito sapeva mantenere la calma anche nei momenti in cui tutti davano di testa, ora aveva paura. Solo il suono di quella parola lo faceva rabbrividire.
Calma.

Era l'unica cosa che era riuscito a dire a sè stesso in quegli interminabili secondi.

La mano si alzò, senza forza, ma qualcosa ne impedì il movimento. Un sapore metallico gli bagnava le labbra. Con un sospiro iniziò a sbattere le palpebre lentamente, cercando di concentrarsi. Dopo poco riuscì a intravedere un filo di luce.

Calma.

Quando la vista ritornò completamente cercò di sedersi. Inutile. Un laccio gli stringeva il petto impedendo ogni movimento. Alzò la testa e si guardò attorno.

La fioca luce gli permetteva di vedere solo una piccola parte della stanza e la vista ancora un po' annebbiata non migliorava la situazione. Si trovava su un lettino di acciaio e gli arti erano saldamente legati ad esso. Le mani erano bagnate di sangue. Non poteva capire da dove proveniva. Lo sguardo si spostò sul pavimento. La testa ricadde mollemente nella posizione iniziale. Chiuse gli occhi.

Buio.

Il respiro si faceva affannoso. Il cuore era impazzito.

Calma.

Riaprì gli occhi. Il soffitto sopra di lui era scrostato e i pezzi di intonaco sembravano essere sul punto di cadergli in testa. Forse non era così, ma sperava che qualcosa lo colpisse ponendo fine a quella tortura.
Aspettò qualche istante ma non accadde nulla.
Forse l'aveva immaginato. Forse non era vero. Forse la luce lo aveva ingannato.
Alzò di nuovo la testa riguardando il pavimento. No, non si era sbagliato.
Ora i suoi occhi azzurri erano spalancati e non riusciva a staccare lo sguardo dal corpo inerme della donna che giaceva in una posizione innaturale sul pavimento gelido.

Paura.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Un violento colpo di tosse, seguito da un conato di vomito lo fece risvegliare. D'istinto si voltò su un fianco accorgendosi di non trovarsi più incatenato sul tavolo. La stanza semibuia era fredda e umida. I muri scrostati erano pieni di diverse incisioni scure. Una ciotola con dell'acqua e del pane rinsecchito erano appoggiati poco distanti da lui. Impossibile dire quanto tempo era passato dall'ultima volta in cui aveva aperto gli occhi. Sicuramente non si trovava nello stesso luogo. Mancavano il lettino, il sangue, la ragazza...

La ragazza.

Si guardò intorno con angoscia. Nessuna traccia della compagna. Cercò di ricostruire quello che era accaduto ma i ricordi arrivavano a scatti e in modo confuso. Flash di urla e grida strazianti gli offuscavano la mente senza permettergli di concentrarsi.
Uno di questi lo colse all'improvviso. Figure indefinite si muovevano veloci intorno alla massa informe sul pavimento. Tenevano in mano strani oggetti affilati.
"Non saprete nulla da me"
ripeteva una voce femminile con un tono ogni volta meno convinto. Subito dopo le parole si confusero con urla acute.
Lui era lì. Legato. Senza poterla salvare. Senza poter reagire o fare qualcosa. A osservare la scena da lontano. Voleva urlare, implorare di fermarsi. Voleva raccontare ciò che si volevano sentir dire. Avrebbe detto qualunque cosa pur di porre fine a quella tortura.
Ma non poteva, o tutto ciò che avevano affrontato sarebbe risultato inutile.
Un uomo si avvicinò lentamente.
Gli domandò qualcosa con un tono beffardo, punzecchiandolo con un coltello all'altezza del collo. Lui lo sfidò con lo sguardo senza accennare a una risposta. L'uomo continuava a parlare, dapprima con calma e in seguito diventando sempre più furioso a ogni parola. Il coltello si incastrava sempre di più nella pelle. A un tratto il braccio dell'uomo si alzò conficcandogli un pugno dritto allo stomaco.
Un altro conato di vomito lo riportò sul pavimento della stanza. Il respiro era affannoso e restò in quella posizione per qualche minuto cercando di tranquillizzarsi.
Le mani tremanti si appoggiarono a terra e, con un movimento lento, il ragazzo raggiunse la posizione prona. Ora l'alternanza di espirazioni ed inspirazioni si faceva più lenta e profonda man mano che il ragazzo, appoggiandosi agli avambracci, si spingeva per sedersi. Non era comunque ancora pronto per alzarsi in piedi. Si prese un momento per analizzare la situazione in cui si trovava.
Le pareti erano vuote e non avevano varchi o uscite, eccetto una porta in legno. Non sembrava troppo spessa ma sicuramente non sarebbe riuscito ad abbatterla facilmente nelle sue condizioni. Quella era comunque l'unica maniera per raggiungere la ragazza.

Sempre che fosse ancora viva.

Il pensiero di lei morta lo fece rabbrividire. L'aveva vista, anche se solo per un secondo, a terra, e non aveva accennato a nessun movimento. No. Non doveva pensarci. Non poteva essere morta. Doveva solo trovarla e tirarla fuori di lì. Poi si sarebbe risolto tutto.

Ora il respiro era meno affannoso ed era l'unico rumore che invadeva l'ambiente. La parete era poco distante da lui quindi, non appena riuscí ad alzarsi in piedi faticosamente, si appoggiò ad essa per evitare di ripiombare a terra. Restandoci attaccato trascinò i piedi muovendosi lentamente in direzione dell'uscita. Ad ogni passo una fitta di dolore gli saliva lungo la gamba e lo faceva barcollare. Mancava poco alla porta, ancora un paio di metri e sarebbe arrivato. Ora che la osservava più da vicino poteva coglierne meglio le caratteristiche. Era di legno scuro e tracce di vernice bianca erano ancora visibili sulla parti meno rovinate. La maniglia in ferro scrostata presentava alcuni segni di sangue secco. Provò a posare il peso ad essa spingendo. La serratura ne impedì però l'apertura. Appoggiando le spalle alla porta scivolò fino a sedersi. Non aveva molti oggetti a disposizione: le scarpe erano sparite e tutto ciò che indossava era una maglia sgualcita e un paio di pantaloni strappati. Intorno nessun oggetto sembrava adatto ad essere usato per forzare la serratura. Ignorando il dolore si alzò in piedi allontanandosi di qualche passo indietro. Posizionò la spalla perpendicolarmente alla porta preparandosi per la rincorsa. Dopo qualche secondo di esitazione partì. Tutto ciò che sentì fu una forte fitta al braccio e poi il suo corpo sul pavimento gelido. Alzò la testa. La porta era ancora lì, come se nulla fosse successo. Un urlo di rabbia rimbombò nell'ambiente. Appoggiandosi sul braccio sano si rialzò lentamente. Si posizionò nuovamente per riprovare, questa volta a una distanza maggiore. Stava per partire quando un rumore di passi dietro alla parete lo fece sobbalzare. Questi sembrarono fermarsi proprio di fronte a lui e solo la parete lo separava da quella figura misteriosa. Suoni metallici lo raggiunsero, probabilmente il rumore di qualcuno alla ricerca di una chiave. Era la sua occasione e non poteva sprecarla. Si posizionò di fianco all'apertura, attaccato alla parete, pronto per sorprendere l'avversario. Trattenne il fiato quando sentì il suono grattante di una chiave nella serratura. Forse pensavano che fosse ancora privo di sensi o troppo intontito per reagire. Doveva usare quell'effetto sorpresa al meglio se voleva tornare a casa. La maniglia si abbassò e la porta si aprì di scatto. Un uomo entrò puntando la pistola di fronte a sè ma fu sorpreso dal ragazzo che con uno scatto gli saltò addosso buttandolo a terra. La situazione si ribaltò però velocemente. Il giovane non si trovava in buone condizioni e avrebbe avuto difficoltà a battere quell'avversario anche in perfetta salute. Fu quindi scaraventato lontano e l'uomo si alzò in fretta puntandogli la pistola contro la tempia. Chiuse gli occhi aspettando l'ultimo suono che avrebbe sentito prima di morire. Invece non arrivò.
"Sebastian! Grazie a Dio sei vivo" esclamò con un tono felice la figura che, nel mentre, aveva rifoderato l'arma.
Stupito aprì gli occhi guardandolo e cercando di mettere a fuoco la figura.
"Tony?" chiese con tono interrogativo.
Intanto l'uomo si era abbassato aiutandolo ad alzarsi.
"Forza, dobbiamo uscire da qui. Non abbiamo molto tempo. Pensi di poter camminare?" domandò il nuovo arrivato guardandolo con aria preoccupata.
Il ragazzo annuì e, appoggiandosi all'amico, si tirò in piedi. "Elisabeth? L'avete già trovata? L'ho vista prima era... Ma ora... " le parole uscivano a fatica e confuse.
Senza ascoltarlo l'uomo iniziò a camminare rapidamente trascinandoselo dietro.
"Le domande dopo. Ora pensiamo ad uscire di qui"
"Non possiamo abbandonarla! Cerchiamola, deve essere..." ma un colpo di tosse gli impedì di continuare.
Si fermarono e Tony, appoggiando il braccio all'altezza delle ginocchia del ferito, lo sollevò.
"Dobbiamo andare, mi dispiace".
Il ragazzo cercò di ribellarsi, di dire qualcosa, ma poco per volta tutto attorno a lui diventava buio e le forze diminuivano.
"Resta con me Seb, non andartene" ma i suoni arrivavano sempre più deboli e l'oscurità lo inghiottì definitivamente.

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