Tutto in uno sguardo.

di November Rain_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Non ti conosco. ***
Capitolo 3: *** Non posso. ***
Capitolo 4: *** Era meglio prima. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Prologo.
 
 
“Capitano a volte incontri con persone a noi assolutamente estranee,
per le quali proviamo interesse fin dal primo sguardo, all’improvviso,
in maniera inaspettata, prima che una sola parola venga pronunciata”.

~Fedor Michajlovic Dostoevskij.
 

 
Appena la sveglia suonò mi misi subito a sedere. Erano le cinque e mezza del mattino e come al solito, mi alzai dirigendomi in cucina. Presi la padella, tutti gli ingredienti e preparai dei pancakes. Impilai l’ultimo, sulla torre appena creata, presi il piatto e lo poggiai sul tavolo nello stesso momento in cui sentii aprire la porta di casa.
«Buongiorno! Ho appena finito di preparare la colazione!» esclamai.
«Anche oggi sei già in piedi? Quante volte ti devo dire che non c’è bisogno che ti alzi così presto!» rispose l’uomo dal salotto.
«Lo sai che preferisco mangiare in compagnia! E poi devo andare a correre» risposi sorridendo andandogli incontro.
Ed eccolo li, davanti a me. L’uomo più importante della mia vita. Mio padre.
«Come al solito!» mi guardò severo «Mi sto iniziando a chiedere se imparerai mai a fare ciò che ti dicono. Perché sai, ormai sto iniziando ad arrendermi!» sbottò abbracciandomi.
«E io mi chiedo se tu smetterai mai di dire sempre le stesse frasi! Ormai sono ventitré anni che avanti così!» ribattei ricambiando l’abbraccio.
«Dai, mangiamo» ordinò mio padre incamminandosi verso la cucina.
Lo seguii e presi il mio posto.
«Beh, com’è andata a lavoro?» domandai.
«Niente di speciale, come al solito. Per fortuna il pronto soccorso non era pieno oggi» rispose. Sì, mio padre era un medico, da piccola passavo molto tempo con lui in ospedale, ormai conoscevo tutti li, era come una seconda casa. Ero sempre stata abituata a stare in quell’ambiente, per questo quando avevo tempo libero mi recavo lì per volontariato con i bambini, oppure mi capitava di intrattenere i pazienti che aspettavano il proprio turno.
 «Che piani hai per oggi? Io monto alle 15» mi informò.
Lasciai la forchetta in sospeso e lo guardai.
«Appena finiamo qui vado a correre e poi a lezione, oggi finirò per le 16:30. Ah, ricordati che forse devo andare a lavoro questa sera, in ogni caso ti farò sapere. Non ho ancora sentito Mary oggi» risposi prima di mangiare l’ultimo boccone.
«Allora poi chiamami quando finisci. Ma oggi non è il tuo giorno libero?» chiese mentre mi osservava raccogliere i piatti «E lascia stare» aggiunse «Ci penso io qui».
Lasciai stare i piatti e mi voltai verso di lui «Sì, però Alice mi ha detto che forse avrà problemi ad andare, quindi mi ha chiesto un cambio. Ora scappo o farò tardi, buon riposo» gli augurai baciandogli la guancia, prima di sparire in camera mia.
Indossai la mia divisa per la corsa, ovvero un pantaloncino e la felpa di mio fratello, anche se era il triplo di me era comoda. Scrissi velocemente un messaggio a Mary, misi il cellulare in tasca, presi il mio Ipod dal mobile, dove accanto si trovava la foto di mia madre. Sorrisi e l’accarezzai, mi mancava sempre nonostante i lunghi sette anni e mezzo passati dalla sua morte. Feci un respiro profondo e scesi le scale in fretta.
«Vado» urlai per farmi sentire da mio padre, che si trovava ancora in cucina.
«Non sforzarti troppo» disse lui.
Sorrisi e uscii fuori casa, l’aria era pungente, ormai eravamo ad Ottobre.
Infilai le cuffie nelle orecchie e misi play, iniziando a correre lungo la via, controllando sempre i passi e il respiro, era un’abitudine che ormai non potevo gestire, come non potevo gestire il fatto di non ascoltare la musica. Facevano parte del mio essere, di me. La canzone terminò e dagli AC/DC mi ritrovai ad ascoltare “Feel like making Love” dei Bad Company. Sbattei le palpebre e mi concentrai sul testo della canzone. Il tema centrale come sempre era l’amore.
 
Amore.
 
Ma cos’è l’amore in realtà? Mi chiedo se qualcuno lo sappia realmente. Se cerchiamo il significato della parola nel vocabolario troveremo diverse spiegazioni, come: affetto intenso, assiduo, fortemente radicato per una persona, come l’amore paterno o materno, oppure sentimento, affetto che comporta attrazione sessuale. È facile poter capire il primo, tutti noi amiamo i nostri genitori e tutte le persone a noi care come amici e parenti. Ma l’amore vero? Quello che si prova solo per un’unica persona come facciamo conoscerlo davvero?
 
Amore.
 
Vediamo sempre film romantici, dove osserviamo diverse storie d’amore facendolo sembrare così semplice. Ci fanno illudere tutti sul fatto che nel nostro pianeta si trovi la persona giusta per noi, quella unica, che ci fa battere il cuore e ci farà crescere, scoprire nuove cose, vivere a pieno.
Mi fermai per riprendere fiato.
«Ciao amore!» sentii esclamare.
Il ragazzo che aveva appena parlato, si trovava dall'altra parte della strada, esattamente davanti a me. Lo osservai per un attimo.
Ripresi a correre, lo raggiunsi... e superai, senza non poter sorridere a causa della ragazza che si lanciò sopra l’altro e lo baciò.
 
Amore.
 
Forse tutti sanno cos’è l’amore.
Tutti tranne me.                          
 
 ~
 

Mary aspettava lì, ferma al parcheggio, insieme a Francis. Stavano insieme da praticamente sempre. Tutto iniziò quando si incontrarono per la prima volta alla scuola materna, quando si incontrarono e andarono subito d’accordo. Più crescevano più diventavano inseparabili e quando iniziò il periodo delle prime cotte, i pensieri sui ragazzi, i primi appuntamenti, Francis si era scoperto geloso e finì col dichiararsi relativamente presto. Se chiedi a loro da quanto dura la loro relazione ti diranno che sono ben vent’anni, ovvero da quando quei due bambini posarono gli occhi l’uno sull’altra.
Mary e Francis.
 
Amore.
 
Forse era meglio smetterla di ragionare sull’amore per oggi, così presa la decisione di accantonare questi pensieri, mi avvicinai a loro.
«Buongiorno piccioncini» li salutai affettuosamente.
«Niky!» esclamò la mora saltandomi sopra.
«Buongiorno anche a te» sorrise Francis scompigliandomi i capelli.
«Ti scongiuro, dimmi che oggi sei libera» mi pregò la mora.
«In realtà non lo so, però nel caso sai dove trovarmi» risposi facendole l’occhiolino.
«Sai che in realtà tu dovresti iniziare a studiare? Sai bene come finisce durante la sessione se non inizi subito» commentò l’altro infilando le mani in tasca.
«Senti non è colpa mia, ti ricordo che io volevo studiare anche ieri se non fossi stata distratta da qualcuno. Ovvero da te!» sbottò lei.
«Però di certo non ti stavi lamentando» le sorrise ammiccando.
«Oh beh, come se tu invece non volessi distrarmi di proposito» affermò avvicinandosi al ragazzo per baciarlo.
Alzai gli occhi al cielo.
«Ma è possibile che ogni vostra conversazione finisca in questo modo? Ormai credo che tutti si aspettino qualche scenetta osé» risi.
Subito i due si staccarono e si guardarono attorno, nonostante si comportassero così, si imbarazzavano facilmente.
«Dai, ora devo andare. A proposito avete sentito la novità? Pare che sia tornata una famiglia in questa città e voglio proprio scoprire chi è» ci informò Francis allontanandosi.
«Ci vediamo a pranzo» urlammo io e la mia migliore amica, prima di voltarmi verso lei.
«Strano, ieri nessuno sapeva di questa notizia» osservai.
Nella nostra piccola cittadina tutti sapevano tutto. Nel vero senso della parola, ogni piccola novità nel giro di cinque minuti fa il giro tra le persone, come la volta di mia madre. Scossi la testa per non pensarci.
«Infatti è iniziata a girare da stamattina, ma non ho idea di chi sia!» rispose prendendomi a braccetto «Magari riusciremo a sistemarti se si scopre un giovane fanciullo»
«Basta con questa storia, ti prego. Sai che non per forza bisogna stare con qualcuno? E poi io sto bene così. Prima di tutto penso a prendermi questa laurea e sai bene che non voglio dipendere da nessuno»
Mary sbuffò. «Lo so, lo so. Ma non si sa mai dalla vita» ribatté mentre iniziammo a camminare addentrandoci nel nostro dipartimento.
Verso l’ora di pranzo si era sparsa la voce che la nuova famiglia non era in realtà così nuova. A quanto narravano le voci, la famiglia in questione aveva già abitato anni prima qua. Allora sarà facile capire chi è no? Completamente errato, erano saltati fuori diversi nomi quindi il dubbio era ancora vivo.
 
 ~
 

Alla fine il messaggio di Alice arrivò, così dovetti andare a lavorare nel pub. Sorrisi ripensando a quando iniziai a lavorare si chiesero perché lo facessi, visto che di certo non avevamo problemi economici, ma io volevo farlo per me stessa. Non volevo di certo chiedere ogni volta soldi a mio padre e volevo per quel poco che potevo la mia indipendenza. In ogni caso dei soldi in più non potevano far male, no?
Comunque ora che mi trovo qui, mentre servo le persone ai tavoli e al bancone, non faccio altro che sentire i commenti, soprattutto dalle ragazze su un componente della famiglia.
«Oddio, hai visto il nuovo?»
«Vorrei conoscerlo! E non solo… capisci che intendo»
«È così sexy»
E così via, certo non riuscivano a pensare altro quelle che ritenevo le ochette. Persa, nuovamente nei miei pensieri, non mi accorsi che qualcuno stava cercando di tossire per farsi notare. Mi ripresi subito e notai un’ombra davanti a me, era un ragazzo alto e a quanto sembrava muscoloso.
«Scusa, vorrei ordinare» parlò il ragazzo.
«Oh.» mi raddrizzai immediatamente «Mi dispiace, non mi ero accorta di lei. Che cosa desira?»
Doveva essere straniero, aveva un accento strano…
«L’importante è che ti decidi a fare il tuo lavoro. Una birra grazie»
Brutto maleducato. «Ma chi ti credi di essere?» diedi voce ai miei pensieri senza accorgermene, sbattendo la bottiglia sul legno.
Il ragazzo voltò leggermente la testa verso di me e riuscii a vederlo bene negli occhi, con i quali fissò i miei.
Li sgranai.
Oddio, no.
Ci vedo male.
Non può essere lui.
«Mi scusi» sussurrai.
Distolsi subito lo sguardo e cercai di allontanarmi velocemente.
«Nat, ho bisogno di una pausa. Esco fuori» detto ciò, mi allontanai il più in fretta possibile dalle persone all’interno, da quel ragazzo.
Non poteva essere davvero lui e soprattutto come poteva non riconoscerla, a lei era bastato incontrare quegli occhi.
Aspettai un quarto d’ora prima di rientrare, sperando di non rivederlo e così fu.
Feci un sospiro di sollievo e si rimise a lavoro.
«Niky!» esclamò Mary prendendo posto davanti a lei «Devo dirti immediatamente una cosa» la informò allarmata.
«Aspetta qui, devo servire a quel tavolo» risposi prendendo facendo un segno con la testa. Presi il vassoio e iniziai a camminare.
Non si diede per vinta e mi seguii riprendendo a parlare.
«Ma devi sapere che la famiglia è quella degli» in quel momento non fece in tempo a finire la frase che la porta si spalancò. Ad entrare furono Francis e lui.
«Hale» terminò in sussurro Mary.
Feci un respiro profondo e mi girai verso la mia amica «L’ho visto prima, tranquilla va tutto bene» feci un sorriso forzato.
«Sicura?» chiese preoccupata.
«Mary, va tutto bene. Ora vai dal tuo moroso, tanto io devo continuare qui» la rassicurai.
«Ok, ma per qualsiasi cosa» sollevai bloccandola prima di terminare «lo so, non c’è bisogno che continui. Vai su» le dissi abbracciandola e riprendendo subito dopo il mio lavoro.
Durante tutto il turno evitai quel tavolo, lasciandolo a Nick. Nonostante ciò sentivo ogni tanto degli occhi puntati su di me, che puntualmente ignorai fino alla fine del turno.
Uscita da li decisi di ignorare il cervello e rilassarmi una volta arrivata a casa, non volevo pensare a lui.
 
~


Mentre mi ritrovai stesa sul letto, avvertì dei rumori provenienti dalla casa vicino, quella disabitata da anni. Quella casa. Sperai con tutto il cuore di essermi sbagliata, che fossero rumori prodotti dalla mia immaginazione e mi ritrovai a sperare che non c’entrasse lui.
Doveva essere solo una stupida coincidenza, sì. Sicuramente si erano decisi a venderla o affittarla invece che tenerla vuota.
Ma tutto si realizzò nella sua mente nel momento in cui vide quella testa bionda spuntare fuori dalla casa per buttare delle scatole.
Ma successe qualcosa che lei non si aspettava, sollevo di scatto la testa e guardò dritto verso di lei. Subito si scostò dalla finestra e si attaccò al muro con la mano chiusa a pugno sul cuore. Perché si sentiva così? Perché il cuore aveva accelerato improvvisamente?
 
Doveva essere straniero, aveva un accento strano…
Quegli occhi.
Lui.
Alexander.
 
No, non era possibile. Lui se n’era andato da ben sei anni, abbandonandola lì, con promesse non mantenute ed ora era tornato.






 
Salve a tutti.
Questa è una storia che iniziai già tempo fa e che per mancanza di tempo lasciai.
Sinceramente mi dispiaceva lasciarla così incompleta,
quindi ho deciso di riprenderla e rivisionarla cambiando qualcosa.
Premetto già che non potrò pubblicare con maggior frequenza,
ma cercherò di fare del mio meglio.
Spero vi piaccia e grazie per aver letto.
A presto. 

 

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Capitolo 2
*** Non ti conosco. ***


-1-
Non ti conosco.

 

Là fuori, oltre a ciò che è giusto e a ciò che è sbagliato,
esiste un campo immenso. Ci incontreremo lì”.
~Rumi.

 
 
Il cellulare continuava a squillare ininterrottamente, così mi arresi.
«Pronto?» risposi.
«Era ora che mi rispondessi!» urlò Mary dall’altro capo del telefono «Sto provando a chiamarti da tre ore!»
«Sì, scusa. Non avevo visto le chiamate, sto studiando quindi ho il cellulare silenzioso» mentii.
«Mmm, in ogni caso ieri sei andata via quando hai finito il turno senza salutare! Perché?» domandò.
«Ero solo stanca e non volevo interrompere la conversazione» mentii.
«Sai bene che non ci sarebbe stato nessun problema. A meno che...» si mise pensare.
«A meno che?»
«A meno che tu non volessi semplicemente incontrare qualcuno che sedeva con noi» concluse.
«Ma che diavolo pensi, assolutamente no» negai.
«Allora non ti da fastidio se oggi usciamo tutti insieme?» domandò lei.
«Perché dovrebbe?»
«Perfetto allora stasera ci sarà anche Alexander» affermò.
«Davvero?» chiesi incerta.
«Sì, tanto non ti crea problemi. L'hai detto tu» rispose lei.
«Infatti nessun problema» dissi continuando la mia lotta interna per ignorare lui.
«Ancora non sembra vero che sia qua! E dire che non l’avevo nemmeno riconosciuto inizialmente!» mi confessò.
Beata te, io l’avevo riconosciuto eccome. 

Quella voce.
Quegli occhi.
 
Sarebbe stato impossibile non ricordarli, non ricordare lui. Il mio ex amico d’infanzia. Il mio ex migliore amico e... Colui che mi ha abbandonato senza mai farsi sentire. Colui che non perdonerò mai.
«Ehy? Niky? Ci sei ancora?» domandò la ragazza.
«Oh, s-sì» balbettai.
«Dimmi la verità, tu l’avevi riconosciuto? E non dirmi bugie! Perché io non c credo che non ti dia fastidio!»
«Sì, l'avevo riconosciuto» borbottai «E poi gli unici dubbi che potevo avere son stati spazzati via quando sei arrivata tu. Appena ti ho vista ho capito di avere ragione. Non ci voglio credere! E sopratutto non mi ha nemmeno riconosciuta». Questa era forse la parte che mi infastidiva parecchio.
«Credi? Io ho un po' di dubbi su questo»
«Perché? Io ti posso assicurare che non mi ha riconosciuta. Poi dovevi vedere come mi ha parlata, Dio come lo odio»
«Tu non lo odi Niky, ce l'avrai a morte con lui sì, ma non lo odi. Lo sappiamo tutti che»
«Ti prego non iniziare ancora con questa storia» la interruppi «sono passati anni, è roba vecchia»
«Come vuoi, però secondo me ti ha riconosciuta! L'ho beccato più volte mentre ti guardava» affermò.
«Questo non vuol dire nulla, sarà per come l'ho risposto» spiegai.
«Come credi tu. In ogni caso questa sera passo a prenderti e non voglio che la serata sia rovinata per questo o meglio, per lui» mi raccomandò lei.
«Te lo prometto»
«Perfetto, allora a questa sera tesoro» mi salutò riagganciando prima che potessi rispondere.
Posai il telefono sulla scrivania alzandomi dalla sedia, mi avvicinai nuovamente alla finestra. Ora cosa successo? Mi avrà davvero riconosciuta come sostiene Mary? Come si sarebbe comportato in quel caso? Forse era meglio non pensarci e lasciar correre gli eventi, vedere cosa succederà. Il cellulare vibrò, informandomi che un nuovo messaggio era arrivato.
 
Da: papà.
Tesoro farò tardi, innaffia il giardino e non aspettarmi. Un bacio.
 
A: papà.
Va bene, allora ci vediamo direttamente domani mattina. Ti chiamo più tardi, un bacio.
 
Così feci come richiesto ed uscii fuori. Presi la pompa ed iniziai innaffiando le piante sotto le finestre e la veranda, ma fui distratta da un colpo in pieno nella schiena. Subito saltai lasciando la presa, non prima di essermi bagnata per sbaglio i vestiti dallo spavento, e girandomi ritrovando una palla a un metro dai miei piedi. Imprecai e corsi e chiusi subito il rubinetto.
«Ehy, scusa» urlò uno dall’altra parte.
Quella voce. 
Feci finta di non sentire.
«Parlo con te rossa!» continuò lui.
Rossa. Ora non si ricordava nemmeno i nomi delle persone? Bene, nemmeno io mi ricordo di lui. Mi voltai.
 
Non lo conosci.
 
«Parli con me, biondo?» domandai marcando bene sul colore dei suoi capelli.
Aggrottò le sopracciglia ed attraversò la strada fino a raggiungermi.
«Io ti ho già vista!» commentò guardandomi bene.
Ma non mi dire. Molto brillante.
«Tu sei quella del pub! La barista!» esclamò.
«Sì, sono quella. E tu sei quello che si crede chissà chi» ribattei.
«Ok, siamo partiti con il piede sbagliato» affermò passandosi una mano tra i capelli «Io sono Alexander Hale, piacere» si presentò allungando la mano verso di me «Cosa ci fai qui? Abiti in zona?»
 
Non lo conosci.
 
Fissai la mano e incrociai le braccia al petto, non mi riconosceva sul serio? Eppure non penso di essere cambiata così tanto. «Lo avevo notato, Alexander. Io sono Nicole, quella che sarebbe anche la tua vicina»
Lui sbarrò gli occhi, come se avesse appena ricordato qualcosa.
«Nicole?» chiese a bocca aperta.
«Esatto, puoi prendere la palla e tornartene a casa tua ora. Stai attento la prossima volta» risposi dandogli le spalle per tornare dentro casa.
«Niky? Non ti avevo riconosciuta!» esclamò «Ti ricordi di me?»
Mi fermai e voltai leggermente «No, io non ti conosco»
«Come no? Non dire stronzate» mormorò lui.
«Io mi ricordo di un bambino di nome Alexander Hale, il mio migliore amico, che crescendo... Oh lasciamo perdere. Sei sparito da un giorno all’altro, senza dire nulla. Ora non puoi venire e comportarti così sopratutto dopo avermi chiamato “quella”, “rossa”, senza nemmeno riconoscermi. Ma sai che c'è? Hai ragione. E sai perché? Perché siamo due perfetti estranei» mormorai entrando dentro casa prima che potesse ribattere qualcosa.
 

 

 ~

 
Mary non voleva credere all'incontro e alla conversazione avvenuta con Alexander quel pomeriggio, non che avesse molta scelta, quell’episodio era successo realmente e di certo non si poteva cambiare. Alla fine non avevo di certo torto, oppure sì? Io conoscevo lui, ma tempo fa, non posso di certo sapere come sia ora, che persona sia diventata.
A parte esteticamente parlando, quello bastava guardarlo per capirlo. Il bambino minuto, magrolino e biondo si era trasformato in un ragazzo alto, muscoloso e la sua voce era diventata più profonda e roca.
C’era qualcosa che non fosse cambiata in lui? Sì, gli occhi. Rimanevano sempre sul blu scuro e fissandoli ti ci potevi perderti dentro, anche annegarci oserei dire. Ma oltre ciò non lo conoscevo.
In città tutti parlavano di lui ormai, ma io cercavo di non pensarci e non ascoltarli, non volevo sapere nulla.
Chissà cosa avrebbe detto mio fratello appena lo avesse saputo, sempre che non lo sapesse già. Lui era rimasto in contatto con lui in questi anni, soprattutto perché ogni tanto si incontrava nonostante Alexander fosse in Russia. Già, lui era tornato con la sua famiglia lì, a causa di problemi familiari, o almeno questo mi disse Mary.
Ma eccoci qui ora all'entrata de locale. Lui cerca di avvicinarsi e parlare, ma io lo liquido con poco, gli parlo a monosillabi.
 
Non lo conosci.
 
Non facevo altro che ripetere ciò a me stessa e non so se avrei mai cambiato idea, però quando rimane li a fissarmi, anche quando pensa che io non lo veda, mi sento… strana. Come se qualcuno mi stringesse il cuore con una mano, in più accelerava senza motivo, bastava anche solo la sua presenza. Che voleva dire tutto ciò? Non ho mai provato una sensazione del genere con nessuno. Eppure conosco molta gente, avendo un fratello di sesso maschile sono sempre stata circondata da ragazzi, ma niente di tutto ciò era mai capitato. Che voleva dire? Perché con lui?
 
Non lo conosci.
O forse sì?
 
Mentre avanzavamo nella fila, mi ritrovai ovviamente accanto a lui, che continuai ad ignorare rimanendo in silenzio.
Nessuno dei due si decide a parlare, finché non squilla il mio cellulare facendo suonare Burning Sky.
Bad Company.
Amore.
 
Sorrisi cercando di nasconderlo voltandomi e risposi velocemente alla chiamata di mio padre. Ma non passai inosservata.
«Li ascolti ancora?» ruppe il silenzio.
Scrollai le spalle «Perché non dovrei?» chiesi voltandomi verso di lui.
«Non lo so, magari hai cambiato genere musicale e segui la moda con tutti quei tunz tunz» rispose lui ridacchiando.
«Non cambierei mai genere!» ribattei offesa.
«Come mai?»
«Sono cresciuta ascoltando tutti questi gruppi rock e metal, ascoltare quello che hai appena nominato tu, mi fa solo sentire male» rabbrividii «Come si può preferire ciò al suono di una chitarra, di una batteria, di un basso…» mi interruppi.
«Sì, capisco che intendi. Già quand’eri piccola dicevi frasi del genere, ciò dimostra che non sei cambiata più di tanto. Mi fa pensare…»
«Cosa?» domandai.
«Che forse ti conosco ancora» concluse lui sorridendomi.
Ah, ora pensa di conoscermi ancora, mentre prima nemmeno mi aveva riconosciuta.
«O forse credi» entrando prima di lui nel locale.

Mi comportai normalmente, tralasciando il ragazzo che continuai ad ignorare nonostante sentissi il suo sguardo seguirmi ovunque. Per questo presi da bere e mi mischiai nella folla, ballando prima con Mary e poi da sola.

Volevo solo distrarmi e divertirmi, ci stavo riuscendo finché non vidi Alexander attaccato ad una ragazza parlando e ridendo. Dentro di me sentii uno strano fastidio, ma perché? Ora lui non è più nessuno per me, non dev'essere più nessuno.

Misi da parte le sensazioni che stavo provando dando le spalle a quella scena, presi un altro drink e mi spostai da un'altra parte fino a tornare poi dagli altri. Lui mancava.

Mi ritrovai a pensare nuovamente di avere ragione.

Non lo conosco.
 

 ~

 

Dopo le lezioni, prima di andare a lavoro, decisi di andare da mio padre.
Stare in ospedale mi aveva aiutata, il mio cervello era stato occupato solo dai bambini, facendoli giocare ed a stare con le infermiere che come sempre mi offrirono una cioccolata calda. Questa era la mia seconda casa, dove in caso di necessità potevo confidarmi con loro e viceversa.
Ciò mi capitava soprattutto con Jane, colei che mi aiutò quando mia madre morì, con i problemi di cuore e che mi spiegava ciò che mi padre trovava imbarazzante. Era diventata lei la mia figura femminile di riferimento, era come un’amica/madre. Ma quel giorno non le parlai di quel ragazzo che aveva iniziato a mandarmi in confusione.
La giornata continuò tranquilla anche a lavoro, dove l'unica clientela fu quella abituale.
La notte, una volta a casa, decisi di leggere uno dei libri che adoravo prima di dormire, “Il cavaliere d’Inverno”, in modo da tenermi sempre occupata.
Il risultato fu tutto il contrario.
Il protagonista che tanto adoravo si chiamava Alexander e le vicende erano ambientate in Russia, il che mi riporta tutto a quel maledetto Alexander Hale. Per fortuna almeno la descrizione fisica non coincideva, altrimenti non so come avrei potuto fare. Però perché ero così legata a quel libro? Che fosse inconsapevolmente per colpa sua? Magari leggerlo mi faceva sentire vicina a lui, mi faceva pensare lui inconsciamente.
Maledetto Alexander Hale, che era tornato nella mia vita. Una cosa era sicura, non gli avrei permesso di rientrare facilmente così come era uscito anni prima.
No, non l’avrei mai permesso. Così com’è vero che sono Nicole Bauer.

 

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Capitolo 3
*** Non posso. ***


-2-
Non posso.

 

 

Se giudichi le persone, non avrai tempo di amarle.”
~Madre Teresa di Calcutta.

 

 
Passavano i giorni ed io continuavo con la mia solita routine. Infondo che era cambiato?
Oltre ad avere continuamente una persona intorno, che continuavo pienamente ad ignorare, nulla.
Improvvisamente la mia attenzione fu catturata da rumori nella casa di fronte a me, spinta allora dalla curiosità, cercai di concentrarmi per capire che stesse succedendo.
Poco dopo, iniziarono le urla. Mi sedetti meglio e continuai fissando la casa per cercare di capire, anche se sembrasse un’altra lingua. Una ventina di minuti dopo, la porta si spalancò e sbatté forte appena una ragazza uscii di corsa, seguita a ruota da Alexander. Continuava ad urlarle dietro e appena la raggiunse cercò di fermarla, l'afferrò per le braccia voltandola verso sé.
Mi ritrovai così spettatrice del piccolo siparietto, forse sarei dovuta correre dentro, senza farmi notare, e nascondermi. Ciò nonostante non riuscii a muovermi e rimasi li ferma.
Il dialogo avvenne solo in russo, quindi non si poteva capire un granché. Alla fine lei, si liberò, gli diede uno schiaffo e continuò per la sua strada lasciandolo li impalato. Alexander rimase a fissarla mentre si allontanava e prese a passarsi le mani tra quei biondi capelli, camminando avanti ed indietro, ma all’improvviso si fermò nella mia direzione. Mi ritrovai così a guardarlo negli occhi.
«Che hai da guardare?» mi urlò contro.
Presa alla sprovvista sobbalzai spaventata, schiusi il libro di scatto e mi precipitai dentro casa. Ma appena chiusi iniziarono a bussare alla porta, guardai fuori attraverso la finestra e lo vidi li davanti.
 
Merda.
 
Era meglio non aprire, non l’avevo mai visto in quello stato, così lasciai che si decidesse ad andarsene. Altri due colpi.
Non risposi.
Altri tre.
Iniziai a mordermi nervosamente il labbro inferiore.
«Tanto lo sappiamo entrambi che sei a casa, sei appena entrata!» urlò suonando il campanello.
Passai la mano sulla nuca. Sospirai. E ora?
«Che vuoi?» domandai avvicinandomi alla porta.
«Prima non hai risposto! Apri la porta» ordinò.
«No!»
«Sì!»
«Vattene!» 
«Tu rispondimi!» ribatté.
«Nulla. Non avevo nulla da guardare, ok? Ora puoi andartene» affermai.

«Invece non me ne vado» mi informò.
«E perché non dovresti? Vattene a casa tua! O chiamo la polizia.»
«Ti ho detto che rimarrò qui» ribadì serio «Riguarda tuo fratello» aggiunse.
Aprii la porta «Dimmi» dissi d’un fiato.
«Nulla, ti ho detto una bugia» ammise.
Ridussi gli occhi in due fessure.
«Vattene, ora» ordinai prima di richiudere la porta, ma non feci in tempo che lui la bloccò con il piede. La riaprii ed entrò dentro.
«Grazie per avermi fatto entrare».
Si tolse il giubbotto e la lasciò sulla poltrona, incamminandosi dentro casa.
Incrocia le braccia sotto il seno spazientita. «Non comportarti come se ti avessi invitato»
«Sìsì» disse agitando la mano, senza nemmeno ascoltare che stavo dicendo.
«Non è cambiato molto» constatò guardandosi intorno «Però mi chiedo se…» lasciò la frase a metà girando leggermente il viso per guardarmi.
Che aveva in mente?
Non feci in tempo a formulare quel pensiero, che scattò correndo sulle scale. Ma che diavolo faceva? Lo seguii, capendo in ritardo dove volesse andare. In camera mia.
 
Merda.
 
Era già dentro, spaparanzato sul letto, lo fissai truce.
«Che fai li, togliti!» gli urlai contro.
«Calmati! È cambiata comunque» sussurrò.
«Già, ho voluto fare delle modifiche» guardai la punta delle scarpe.
«Perché?» chiese lui.
Alzai le spalle e infilai le mani nella tasche dei jeans «Sai com’è, si cresce ed i gusti cambiano»
«Io non parlo solo dell’arredamento»
 
Merda. 
 
Fingi.
 
«Non capisco che tu voglia dire e forse è meglio che tu vada» affermai dandogli le spalle pronta per uscire di lì.
«Hai capito benissimo invece, non fare la finta tonta con me. Ti conosco da quando eravamo piccoli» parlò facendomi bloccare sulla soglia.
Come poteva? Come poteva dopo sei anni senza notizie tornare e affermare ciò? Io non lo rivolevo nella mia vita e basta.
Mi girai con le guance rosse dalla rabbia «Tu non mi conosci, mettitelo in testa! Sempre se ci sia qualcosa, perché io non credo! Non mi conosci affatto. Quando eravamo piccoli mi conoscevi, quando giocavamo insieme e vivevamo praticamente in simbiosi, combinando di tutto e l’importante era stare vicini nonostante fossimo in punizione. Oppure quando...» lasciai la frase in sospeso e ripresi «All’ora, forse, mi conoscevi, ma non ora» sbottai avanzando verso di lui.
«Ce l’hai così tanto con me eh? Non volevo farti stare male quando ho saputo di dovermene andare» affermò guardandomi intensamente negli occhi.
«Sì» sibillai a denti stretti «Ce l'ho tanto con te. Non mi hai solo fatto male, mi hai ferita» 
«Cosa posso fare?»
«Nulla, rimani fuori dalla mia vita. Non credo ti sia così tanto difficile, dopotutto, non ti mai fatto sentire»
Non mi accorsi nemmeno che si era alzato ed aveva preso tra le mani la foto di mia madre.
«Mi dispiace» sussurrò.
«Per cosa? Per lei? Per essere sparito?» domandai furiosa.
«Per averti abbandonato così e non esserti stato vicino nonostante…» annaspò lasciando la frase a metà.
«Ormai» mormorai in risposta.
Si girò verso di me con gli occhi lucidi e mi tirò verso sé, stringendomi in un abbraccio.
«Perdonami» sussurrò.
Sentii lo stomaco serrarsi in una morsa e gli occhi bruciare. Mille ricordi attraversarono la mia mente, mi venne da sorridere perché non sono mai riuscita a rimanere arrabbiata con lui, ma non questa volta.
«Non riesco più a fidarmi di te. Lo sai che per me eri tutto...» sussurrai a mia volta ricambiando l’abbraccio.
Sospirò stringendomi più forte a sé.
«Ma questa volta non cambierà nulla, non riesco» continuai staccandomi da lui.

 

~

 
 
«Allora verrai?» domandò Mary.
Era assurda, quando si metteva in testa qualcosa continuava finché non di faceva ciò che voleva lei, ma questa volta non volevo cedere. Voleva che andassimo tutti e quattro, sì anche Alexander, in un locale il fine settimana. Normalmente avrei detto di sì, ma avevano insistito a voler portare anche il biondo ed io non volevo passare del tempo con lui. Dopo che fu a casa mia quel pomeriggio non fece che peggiorare cercando di avvicinarsi nonostante ciò che gli dissi. Non avevo intenzione di cedere, quindi decisi solo di aspettare che gettasse la spugna. Accettare poteva voler dire fargli credere di avere una possibilità. Per di più doveva arrivare mio fratello, quindi avevo la scusa pronta.
«Mi dispiace ma torna Jack, non posso proprio. Mi dispiace» risposi cercando di trattenere il sorriso.
«E quindi? Non credo si offenderebbe!» ribatté lei.
«Sì, lo so. Ma questa volta è stato via per quasi un anno, sai con questa storia dell’anno fuori, non mi sembra il caso…»
«Uff Niky! E dai!» continuò fermandoci al mio armadietto.
Sbuffai «Mary…»
«Che succede?» domandò Francis abbracciando Mary da dietro.
 
Merda.
 
«Niky non vuole venire con noi» si lamentò lei.
Mi voltai verso loro «Sarà per un’altra volta, non è mica la fine del mondo!»
Mary iniziò a lamentarsi, ma non ascoltai che stesse dicendo, perché il mio sguardo fu catturato da Alexander che entrò dentro il negozio, parlando sottobraccio con un ragazza.
Stretta allo stomaco.
Le stava sorridendo.

Era la stessa ragazze con cui litigò a casa sua.
Doppia stretta allo stomaco.
Perché doveva avere questo effetto su di me? Dopotutto non mi interessava nulla di lui! Per di più lo volevo assolutamente lontano. Cercai di distogliere lo sguardo, concentrarmi nuovamente su Mary. Troppo tardi, aveva incrociato il mio sguardo.
 
Merda.
 
«Nicole Bauer! Ascoltami quando ti parlo!» esclamò Mary.
«Scusa mamma» la presi in giro, cercando di non far caso a lui, nonostante sentissi il suo sguardo su di noi.
«Cambia idea dai!»
«No. Oh, guarda che carino quel vestito» cercai di cambiare discorso allontanandomi.

Mary mi prese per il polso evitandomi la fuga.
«Siete in crisi?» domandò il biondo.
 
Merda.
 
Mary si rivolse subito a lui «Diglielo anche tu che deve venire con noi! Non può mollarci!»
«Perché non vuole venire?» chiese subito lui.
«Dice che non vuole lasciare Jack solo visto che deve tornare» rispose Francis.
«Il problema è Jack quindi?»
«Sì» annuirono la felice coppietta.
«Dobbiamo solo risolvere questo particolare allora!» constatò Alexander.
«Che non riuscirete a risolvere. Sono qui potete direttamente parlare con me! E non cambierò idea, quindi potete anche smetterla stare qui a confabulare per…»
Fui interrotta dalla persona che più volevo lontano da me.
«Pronto?»
Ora con chi diavolo stava parlando?
«Sì. Nono, va tutto bene. Senti pensavamo di uscire, ma Nicole non vuole perché vorrebbe stare con te, quindi perché non andiamo tutti insieme? Sì. Ok Jack, a presto allora!» concluse la telefonata, riponendo il cellulare in tasca.
Aveva appena chiamato mio fratello?
 
Merda.
 
«TU!» gli urlai contro sbraitando.
«Sìsì, lo so. Non ringraziarmi» mi fece l’occhiolino.
«Che bello! Grazie mille Alex!» esclamò Mary felice, rivolgendosi poi subito a me «Hai visto? Si è risolto tutto!»
«Già» forzai un sorriso.
«Dai Francis, dobbiamo muoverci. Tua madre ci aspetta per il pranzo» disse la mia amica salutandomi e trascinandolo dietro.
Appoggiai la testa contro un ripiano sbuffando.
Sentii un respiro sul collo che mi fece irrigidire.
«Nicole, cara la mia Nicole. Lo so che lo stavi facendo apposta, ma hai tralasciato che io e tuo fratello siamo amici. Dovevi cercare una scusa migliore, ti sei giocata la tua unica opportunità. Sai, forse hai ragione, siamo cambiati crescendo ma non mi interessa. Ora dovrai sopportarmi ovunque e prima o poi risolverò questa situazione che si è creata» sussurrò al mio orecchio, lasciandomi un bacio sulla guancia, sparendo subito dopo.
 
Merda.

Che avevo fatto di male? Prima sparisce e poi torna così. Proprio non lo tolleravo, ma sicuramente questa volta non avrei dato peso a lui, mi sarei divertita e basta. Poi ci sarebbe stato il mio fratellone, no? 

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Capitolo 4
*** Era meglio prima. ***


-3-

 Era meglio prima.
 

 

"Alcune persone si rifugiano in chiesa,
altre nella poesia, io nei miei amici. "

~Virginia Woolf.


 

La musica si diffondeva in tutto il locale, pompava al punto di frastornare e le mie povere orecchie che dopo una buona ora passata lì, chiedevano pietà. Ero andata al bagno per sciacquarmi il viso e riprendermi un attimo, ma al tavolo non era più rimasto nessuno. Sicuramente Mary era andata a ballare con Francis, dopotutto da quando eravamo arrivati che continuava a domandare chi potesse aiutarla. Mi sedetti nel divanetto da sola. Indecisa se buttarmi nella mischia oppure no, però preferivo aspettare di incontrare mio fratello prima di rischiare di infilarmi nella massa e non trovare più nessuno.
Guardai l’ora nel cellulare, non doveva mancare molto al suo arrivo. L’aereo era in ritardo, quindi mi aveva detto di avviarmi con i miei due amici mentre lui ci avrebbe raggiunti con Alexander.
Sussultai appena sentii una mano poggiarsi sul mio ginocchio e mi voltai di scatto.
 
Agitazione.
 
Ed eccolo li, seduto tranquillamente al mio fianco. Ma quando era arrivato?
«Dov’è Jack?» domandai subito saltando i convenevoli.
«Ciao anche te!» rispose ignorando la mia domanda «Anche io sono felice di vederti, sai pensavo che alla fine togliessi qualche scusa per non venire, invece eccoti qui»
«Già, eccomi qui. Allora Jack?» riprovai a chiedere.
«Sta arrivando, è andato a prendere da bere. Rilassati! Sei tesa come la corda di un violino» borbottò avvicinando il bicchiere alle sue labbra.
«Se proprio dovevi nominare uno strumento avrei preferito la chitarra» feci una smorfia.
Subito Alexander tornò a fissarmi e si avvicinò «Hai imparato a suonare alla fine?» chiese curioso.
Vidi mio fratello avvicinarsi facendosi largo tra le persone.
Diedi un’ultima occhiata al biondo.
«Chi lo sa» risposi scrollando le spalle, prima di sorridere alzandomi ed andando incontro a Jack.
«Finalmente!» esclamò lui nello stesso momento in cui gli saltai in braccio.
«Non ci posso credere che sei finalmente qui!» esclamai abbracciandolo.
«Sinceramente nemmeno io! La mia sorellina, lasciati guardare un attimo» disse facendomi scendere e fare una giravolta su me stessa.
«Da quando indossi questi abiti?» domandò corrugando la fronte.
Ed eccolo lì, mio fratello con la sua gelosia e protezione senza limiti. Quando eravamo piccoli non era così, poi però con la morte di mia madre e con la crescita era diventato assurdo.
«Da quando mi va, perché hai qualcosa in contrario?»
«Certo! Ora dovrò starti dietro e controllare che nessuno ti si avvicini! Oddio, chissà in quanti ti avranno disturbata tutto il tempo in cui non c’ero!» esclamò portandosi una mano sulla fronte.
«Oh, smettila! Stai tranquillo, nessuno si avvicinerà, sono libera di indossare quello che voglio e poi so benissimo come difendermi!» ribattei.
«Attento Jack, o tra poco ti graffierà togliendo fuori le unghiette» intervenne Alexander «Mi ricordavo avesse un carattere difficile, ma chi avrebbe mai pensato che sarebbe diventata così?»
«Meno male che ci sei tu Alex, dovremo fare i turni per controllarla» borbotto mio fratello.
«Come scusa?» domandai incredula.
«Mi ricordo benissimo come ti ronzavano intorno i ragazzi, nonostante tu non li guardassi neanche e poi ti devo ricordare quando miei amici venissero a casa solo per guardarti?» affermò Jack.
«Sei appena tornato e ti comporti già in questo modo? Se l’avessi saputo non ti avrei nemmeno invitato qui!» lo fissai dritto negli occhi.
«In realtà, l’ho invitato io» si intromise il russo «Quindi molti ragazzi le giravano attorno?» domandò incuriosito scrutandomi.
«Oh, sapessi…»
«Basta» lo interruppi subito «Voi fate come volete, io vado a divertirmi» li informai, girando i tacchi e allontanandomi il più possibile da loro.
 
 

~

 
 
Dopo aver bevuto più drink, rimasi in pista a ballare con Mary, mentre Francis aveva raggiunse i ragazzi, o per meglio dire Jack, visto che Alexander era sceso in pista con una serie di ragazze, facendomi provare qualcosa di strano, ma non sapevo definire esattamente cosa, quindi evitavo semplicemente di guardare nella sua direzione. Nonostante ciò, la mora continuava a farmi la telecronaca.
«Pazzesco!» esclamò, infatti, lei «Ora sta ballando con una bionda, certo era ovvio che avesse così tanto successo… che poi guardale come cercano di attirare la sua attenzione!»
«No grazie, non mi interessa guardare e tu dovresti smettere di guardare tutto quello che fa. Controlla più che altro il tuo Francis» le dissi continuando a ballare con lei, senza fermarci.
«Stai tranquilla, io controllo tutto! E poi mi fido di lui» affermò tranquillamente.
Alzai lo sguardo in alto, mentre lei continuava a commentare ogni cosa, per fortuna fui salvata dalle sue chiacchiere grazie a un ragazzo che si era avvicinato per ballare.
Inizialmente ero un po’ restia dall’accettare, ma la mia migliore amica mi incoraggiò con lo sguardo e allora mi lascia andare. Da quando mi aveva detto all’orecchio, per cercare di farsi sentire, il suo nome era David, era alto e di corporatura leggermente muscolosa. Aveva sia i capelli sia gli occhi castano chiaro, nulla a che vedere con il blu oceano o il biondo di Alexander. Ma perché pensavo a lui ora?
Scacciai via quel pensiero e ripresi a concentrarmi su David, era simpatico e gentile, sembra il ragazzo che qualunque madre volesse affianco alla propria figlia.
Sfortunatamente dopo sei balli con lui, Mary tornò a prendermi scusandosi con il ragazzo appena conosciuto e mi sussurrò all’orecchio «Alex si sta avvicinando, non ha fatto altro che osservarti tutto il tempo che stavi con quel fustacchione» mi informò dandomi un leggero colpo con il braccio ridacchiando.
«Ma che dici?» domandai senza riuscire a dare senso alle sue parole.
«Si sta avvicinando» scandì bene la frase.
Mi guardai e lo vidi, in tutta la sua bellezza camminare lentamente verso di noi, mentre teneva gli occhi fissi su di me.
 
Agitazione.
 
Okay, l’alcool mi stava dando alla testa.
Distolsi lo sguardo e tornai a prestare attenzione a lei.
«Ma io non ci voglio parlare!» incrociai le braccia corrugando la fronte come una bambina capricciosa.
«Questo non devi dirlo a me» rispose lei.
«Vado a prendermi da bere prima che sia troppo vicino!» la informai scappando via.
 «Provo a bloccarlo io!» mi urlò dietro.

 

~



Venti minuti di fila. Era assurdo, ma almeno ero riuscita a non incontrarlo, o almeno credevo.
«Che fai. Ora scappi?» domandò appoggiando il gomito al bancone, mentre ero in attesa della mia bibita. Accidenti.
 
Agitazione.
 
«Sto parlando con te Nik» continuò lui.
«Sì, e io ti sto ignorando» risposi afferrando il bicchiere che il barista aveva appena poggiato davanti a me.
«Questo forse è meglio che lo prenda io» decise sfilandomi via il mio drink.
«Quello è mio!» obbiettai.
«Era tuo» mi corresse assaggiandolo «Ottima scelta» affermò alzando leggermente il bicchiere in mia direzione.
Lo fulminai con lo sguardo, per quanto fosse possibile, contrariata.
«Ehy, non guardarmi così! Non sono io quello brillo che se ne sta avvinghiato a sconosciuti»
«Non era uno sconosciuto! Si chiama David, non dovrebbe interessarti comunque. Non hai altre ragazze da intrattenere? Pensa a loro invece che rompere a me, dopotutto anche tu stavi facendo le tue conoscenze» risposi senza prendere fiato.
Alzò un sopracciglio «Gelosa?»
Risi «E di cosa? Di te?» domandai alzando un sopracciglio.
«Perché no?» sollevò le spalle prima di finire il MIO drink.
«Perché per me non sei nessuno forse?» chiesi retoricamente, per fortuna riuscivo comunque a ragionare nonostante l’alcool in circolo.
«E invece David è già qualcuno? Visto come lo stai difendendo»
«Geloso?» girai la discussione a mio vantaggio.
«Io? Di uno così? Come se ne avessi bisogno» ribatté.
«Allora smettila di farmi domande e torniamo a divertirci separatamente. Tu torni da quelle ed io dal mio nuovo amico» affermai sicura dandogli le spalle.
«Amico? Ma ti senti quando parli? Non lo conosci nemmeno! E poi com’è che lui può essere tuo amico, anzi lo è già, mentre io non posso esserlo di nuovo?» domandò inseguendomi.
«Perché decido io chi può esserlo e chi no. E con te non voglio avere nulla a che fare» dissi girandomi improvvisamente verso di lui «E smettila di seguirmi!» gli ordinai.
«Ho promesso a tuo fratello di tenerti d’occhio» sussurrò.
«Come? Dovreste smetterla con questa storia!» alzai la voce arrabbiata.
«Se balli con me, prometto che ti lascerò in pace» propose.
«Cosa?» domandai scettica.
«Un ballo e ti lascio andare dove vuoi. Fidati di me» mormorò avvicinandosi di più.
Rimasi lì, impalata come una deficiente a fissarlo, mentre le sue mani si poggiavano sui miei fianchi.
«Okay, un ballo. Ma non perché mi fido, al contrario, voglio solo liberarmi di te» risposi trovando un briciolo di lucidità mentale, cercando di mantenere comunque le distanze. Un ballo e fine, poi sarei stata libera. Solo per questo avevo accettato, non perché mi attraesse a lui come una calamita, o perché mi affascinasse e in realtà volessi stargli vicino, o perché non volevo che stesse con altre. Questo non c’entrava niente, non lo pensavo, o meglio se non fossi stata nel pieno delle mie facoltà mentali questo non sarebbe c’entrato.
Alexander mi prese le braccia e le poggiò sulle sue spalle, mentre riportava le sue mani sui miei fianchi, avvicinandomi di più a lui.
Appena i nostri corpi entrarono in contatto alzai lo sguardo sul suo. Ero attirata da quell’oceano al punto che non osavo distogliere lo sguardo nemmeno un attimo, come se tutto potesse sparire e quello in realtà non stesse accadendo. Così invece, mi ritrovai ad escludere il resto delle persone, non sentivo più la musica, le risate degli altri, niente.
Eravamo solo io e lui, come se fossimo rinchiusi in una bolla tutta nostra.
Mi sorrise e strinse più a sé, carezzandomi dolcemente la schiena. Mi sembrò di ritornare indietro nel tempo, quando eravamo dei bambini e venivo sgridata da mio padre o mia madre. Le volte in cui ci rimanevo talmente male da piangere e allora puntualmente correvo a casa sua e lui mi consolava così. Mi abbracciava e carezzava la schiena e i capelli sussurrando delle piccole frasi dolci e ripetendomi che c’era lui con me, di non piangere in quel modo.
Sorrisi e lui sorrise a sua volta. In quel momento capii che nonostante tutto potevo perdonarlo, nonostante i sei anni passati lontani eravamo rimasti comunque come legati da un filo sottile, nonostante tutto lui faceva ancora parte della mia vita, anche se non riuscivo a capire che ruolo avesse. Capii che inconsciamente l'avevo già perdonato e sempre l'avrei fatto.
Continuando a sorridermi accarezzò la mia guancia lentamente, portando poi la mano sulla mia nuca e facendomi piegare lentamente il viso.
«Senti, stavo pensando.. Si cioè, forse non avrei dovuto comportarmi…»
«Shh» sussurrò lui interrompendomi.
Il cuore iniziò a battere freneticamente, mentre il suo viso si avvicinò sempre di più al mio, le nostre labbra arrivarono a sfiorarsi.
«Alex? Nicole?» la voce Jack arrivò alle spalle di lui.
La nostra bolla improvvisamente si ruppe in miliardi di pezzi e fummo riportati alla realtà. Guardai Alexander stordita, mentre mio fratello ci raggiugeva.
Però non ero ancora così pronta da farglielo sapere. Avevo bisogno di Mary per schiarirmi le idee.
«Eccovi qui! Non pensavo di ritrovarvi a ballare insieme, anzi volete sapere una cosa divertente? Sembravate una coppietta di fidanzati» rise appoggiando un braccio intorno alle mie spalle, mentre il biondo sembrava riprendersi e seguire mio fratello nella sua risata.
«Come ti possono venire in mente certe cose Jack? Sei davvero assurdo. Io e lei» continuò indicandomi e ridendo «Ormai non siamo nemmeno più amici»
In quel momento sarebbe stato meno doloroso se mi avessero sparato direttamente mirando una qualsiasi parte del corpo.
«Ti giuro sembrava davvero così! Okay che ti considero un fratello, ma lei è mia sorella. Non so fino a che punto lo accetterei, anzi, forse ti spaccherei la faccia» continuò mio fratello.
La rabbia nel mio corpo invece cresceva e loro si comportavano come se invece io non fossi li.
«Dai,  ma è assurdo! Non potrei pensare mai provare una cosa del genere per lei»
Lei. Bene, ora non avevo nemmeno più un nome.
Loro parlottarono continuando a scherzare tra loro, mentre io mi sentivo ferita e avrei voluto solo prenderli a ginocchiate nelle gengive.

Avevo urgentemente bisogno di Mary.
«Se non ve ne siete accorti, sono ancora qui con voi. È già la seconda volta che fate così» mormorai a denti stretti.
«Oh dai! Non prendertela, ma è divertente!» affermò mio fratello.
«Già, come se potessi innamorarmi o stare insieme a qualcuno che per me non è niente, meno di zero. Hai ragione, è assurdo» lanciai un’occhiata truce al biondo, che ora mi guardava come un cane bastonato.
Come se non se la fosse cercata lui.
«Se volete scusarmi ora, vado altrove» li informai.
Stronzo. Bastardo.
Mentre camminavo tra la folla qualcuno mi afferrò il polso fermandomi.
«Non fare così Nik, non le penso davvero queste cose» sussurrò.
«Ah sì? Dovevi pensarci prima di ridere con mio fratello di ME. Non ero diventata “lei”?» sbottai.
«L’ho detto solo perché conoscendo tuo fratello avrebbe pensato chissà cosa, come hai notato l’aveva già fatto, ed io non voglio litigare con lui. Ci tengo alla sua amicizia»
«Non potevi essere più chiaro di così. Dopotutto ormai lui è tuo amico, non io. E tranquillo si è visto come tieni a lui, non mi chiedo nemmeno quanto in realtà te ne importi di me. Com’era… Ah sì “prima o poi risolverò questa situazione che si è creata”. Sai che ti dico? Bel modo di risolvere tutto. che stupida che sono, ti volevo anche per…» rimasi in silenzio «Lasciamo perdere va»
«No, dimmelo. Parlami» ordinò trattenendomi li.
«No, perché dovrei? Hai messo perfettamente in chiaro la situazione. Ora se permetti devo andare, ho promesso a Mary che sarei andata con lei. Il ballo che volevi l’hai ottenuto, ora fammi il piacere di mantenere la promessa e non avvicinarti mai più a me. Anzi, non rivolgermi più nemmeno la parola» esclamai decisa.
Non gli diedi nemmeno il tempo di aprire bocca, che tirai il braccio indietro e continuai la ricerca di Mary.
Appena la notai mi avvicinai a lei con gli occhi lucidi e l’abbracciai.
«Che è successo?» domandò subito preoccupata.
«Nulla, sono solo una stupida» sussurrai ricacciando indietro le lacrime che ordinavano di uscire. Ma non gliel’avrei data vinta.
«Non dire queste cose, ci sono io con te. Oggi vieni a casa mia» mi rassicurò lei e l'unica cosa che riuscii a fare, fu annuire.
«Spero solo non sia per colpa di quel cretino, oppure vedrai come lo ridurrò!» sbraitò facendomi sorridere.
Per fortuna avevo lei.

 

 ~

 
 
Passavano i giorni, vedevo Alexander ovunque: scuola, nella mia stessa via, fuori dalla finestra, ma non dimentichiamoci di casa mia. Ebbene sì, ormai essendo sempre con mio fratello, lo ritrovavo spesso a casa, il che mi dava sui nervi e basta. Nonostante ciò, continuavo a ignorarlo, anche se me lo ritrovavo davanti, oppure quando aprivo la porta non gli davo nessuna considerazione altre ad un “ciao” forzato, sempre se mi andava.
La maggior parte delle volte però avvisavo direttamente mio fratello ed io mi rinchiudevo in camera, oppure gironzolavo al massimo per la cucina. Questo accadeva quando non sapevo che Alexander Hale sarebbe stato a casa. Quando ero informata del suo arrivo, uscivo puntualmente con Mary.
Però c’erano i giorni in cui lei non poteva stare con me, come questo, quindi ero uscita con la scusa dell’andare a correre. Non avrei mai pensato che grazie a questo avrei incontrato David, il ragazzo conosciuto in quel locale.
Anche lui correva come me nel tempo libero e, coincidenza, nella stessa zona dove andavo io. Che strana la vita, non avrei mai pensato di rincontrarlo in una situazione come quella.
Dopo una lunga conversazione ci scambiammo i numeri e mi riaccompagnò a casa. Era stato molto gentile, visto che lui abitava dall’altra parte. Così quando lo salutai mi diede un bacio sula guancia, causando il mio imbarazzo, visto che mio fratello ed il suo amico osservavano ogni nostra mossa alle sue spalle.
 
Agitazione.
 
Appena David se ne andò, mi girai diretta verso casa, cercando di ignorare mio fratello e le sue domande. Ma questo non servì a nulla visto che mi seguirono entrambi dentro casa.
«Allora risponderai?» domandò lui in cima alle scale.
«Mi obblighi?» domandai ridendo.
«È il ragazzo con cui ha ballato in quel locale, quando sei tornato. Non pensavo che si sarebbero rivisti» si intromise Alexander, come se la cosa lo riguardasse.
«Giusto, me ne avevi parlato. Lo stai frequentando?» chiese allora Jack.
Sbuffai «Anche se fosse? Se non te ne sei accorto non sono una bambina»
«Si nota eccome» sussurrò il biondo pensando di non essere sentito, cosa che invece successe, almeno per me. infatti gli lanciai uno sguardo confuso.
Che gliene importava?
«Papà lo sa?»
«Dio mio! L’ho solo incontrato e mi ha accompagnata a casa, non farne una questione di stato. È ovvio che papà non lo sappia visto che l’ho incontrato solo oggi. Visto che vuoi saperlo ci siamo scambiati il numero e sì, forse ci uscirò. O almeno se lo chiedesse non rifiuterei» lo informai raggiungendo il bagno.
«Perché dovresti accettare? È un ragazzo, vuole solo una cosa» lo accusò.
«Perché non dovrei? Quindi essendo anche voi ragazzi, ragionate in questo modo? Se funziona così siete proprio degli ipocriti. Se vorrò ci uscirò e se lui volesse solo “una cosa”, come dici tu, è un problema mio. Sono io a decidere del mio corpo e nel caso, se mi andrà, lo farò pure. Dovreste avere una mente più aperta, ormai non siamo più nell’età della pietra, vi devo ricordare che c’è stata l’emancipazione femminile? Bene, ve lo ricordo io. Ormai c’è la parità dei sessi» li guardai «Ragionateci sopra. Se permettete, ora vado a farmi una doccia, oppure avete intenzione di seguirmi pure lì?»
Rimasero entrambi in silenzio, mio fratello era quasi furente, mentre Alexander mi guardava con uno strano luccichio negli occhi, ma cercai di non farci caso.
«Fai meno la spiritosa. Ci vediamo dopo» mio fratello mi salutò andando dritto in camera sua. Il biondo rimase un attimo lì a fissarmi.
«Che vuoi?» domandai.
«Alexander ti muovi?» urlò mio fratello dalla stanza.
Scosse la testa divertito e lo raggiunse, mentre io mi chiusi in bagno, con la speranza di non averli in giro per casa una volta uscita di lì.

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