Heaven Can Wait

di Juliet_Dianna
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Jonathan non aveva mai creduto nel fato, nella sventura o qualsiasi altra cosa che veniva spesso citata dalle sue anziane vicine di casa. Una di queste erano gli angeli custodi.

Già, gli angeli custodi, quella razza sconosciuta agli uomini ma di cui molti credevano l’esistenza. A quanto pare ci aiutavano in situazioni difficili o pericolose. Insomma una specie di guida per andare avanti, come un’ombra che ci accompagna nella nostra vita tra alti e bassi, felicità e tristezza.
C’è chi pensa che siano invisibili o che semplicemente un certo Dio li abbia tramutati nei nostri animali da compagnia per non farci sospettare troppo.
Si proprio loro, quei cani e quei gatti che con i loro occhi spesso ci aiutano più di quanto molte persone facciano.

Ma Jonathan non credeva in tutto ciò, gli animali erano buoni semplicemente perché quella era la loro natura e non perché una certa potenza divina li aveva mandati sulla terra sotto quella forma solo per aiutarci e per guidarci nel cammino della vita. Nessun angelo e nessuna spiegazione sovraumana. Solamente la realtà che a volte poteva essere realmente terribile, proprio come quella che stava vivendo in questo momento il nostro caro amico da poco conosciuto.

Quella realtà da cui Jonathan voleva scappare, fuggire il più lontano possibile per fare ciò che gli piaceva o solamente per sentirsi libero e non oppresso dalle idee di suo padre o da quello che quest’ultimo voleva che il figlio facesse della sua vita.

Frasi come oppure .

Il padre non capiva, proprio non ci arrivava che suo figlio non voleva passare la vita ad accontentarsi come aveva fatto lui con la sua. Jonathan aveva i suoi sogni ed ispirazioni, e non le avrebbe messe da parte per nulla al mondo, né per la carriera di dottore né per quella di avvocato.

Ma non era solamente il padre il problema, tutti ridevano quando cercava di spiegare cosa voleva fare della sua vita, come se lavorare nell’editoria in generale fosse qualcosa di alieno.

La cosa lo opprimeva, per questa ragione non aveva mai fatto leggere i suoi lavori a nessuno, era terrorizzato dall’idea che qualcuno avesse trovato le sue storie noiose o semplicemente banali.

Anche perché come tutti sanno o almeno pensano uno scrittore scrive di cose che conosce e in qualsiasi sua opera c’è sempre una parte di lui, che sia in qualche personaggio o nell’idee generali.

Fare leggere a qualcuno le sue opere avrebbe voluto dire esternarsi, mettersi a nudo e Jonathan non era pronto per tutto questo.

In fondo lo sapeva che era un timore stupido, come fai ad essere uno scrittore ed a non volere che gli altri leggano i tuoi lavori? È un ragionamento assurdo. Ma il nostro protagonista pensava che fino a che non fosse arrivato il momento adatto per sponsor­­izzare i suoi lavori non c’era motivo che qualcuno li leggesse.

Tanto se li avesse fatti leggere ai suoi conoscenti come avrebbero potuto aiutarlo? Jonathan era convinto che le uniche persone che dovevano leggerli erano quelli interessati a pubblicarli ed in futuro i suoi lettori. Nel mentre potevano restare nel suo computer dove nessuno poteva giudicarli.

Era abitudine di Jonathan quella di scrivere la sera, dopo cena, nella tranquillità del la sua camera, dove a farlo compagnia ci sarebbe stato solamente il suo gatto Zeus  e delle note in sottofondo che uscivano tranquille dalle casse posizionate sopra la sua scrivania.

Quello era il momento che preferiva di più della giornata, si può tranquillamente dire che viveva la giornata solamente perché sapeva che la sera avrebbe trovato la sua tranquillità mentre ascoltava il ticchettio che emettevano i tasti del pc quando venivano pressati dalle dita. Quello era il suo momento di relax, relax che per molti era fumarsi una sigaretta sul balcone nelle serate calde mentre guardavano le poche stelle che le luci della città avevano risparmiato. Relax che per qualcuno era vedere un film mentre si sta sul divano con la propria metà. Ognuno aveva la propria idea di relax, per lui era quello.

Ogni tanto doveva fermarsi dallo scrivere perché Zeus aveva l’adorabile e snervante idea di strusciarsi contro la tastiera per cercare le attenzioni del padrone, troppo concentrato a scrivere per dare delle coccole al gatto. Ma quando ciò succedeva l’unica cosa che Jonathan poteva fare era spendere un po’ del suo tempo a quella creatura con cui aveva un rapporto meraviglioso, dal giorno in cui lo trovò sotto una macchina durante un giorno di pioggia quando non era altro che una palla di pelo grande poco più di una pallina da tennis. Lo prese con sé ed anche sotto la furia del padre decise di tenerlo, perché anche se lui non credeva nel fato era sicuro ci fosse un motivo se quel giorno era proprio passato vicino quella macchina dove si sentiva un flebile miagolio.

Decise di chiamare il suo gatto Zeus perché era stato trovato in una notte dove il cielo era illuminato dai fulmini e quale nome migliore per lui che quello del dio degli agenti atmosferici?

Jonathan era molto orgoglioso della scelta di questo nome visto che aveva un significato ma per molti era solamente un altro animale a cui viene dato il nome di qualche personaggio della mitologia greca.

Quella era solo una parte della vita di Jonathan. Non andava al college perché non voleva conseguire gli studi consigliategli dal padre e lui non era molto interessato al college.

Quindi le sue giornate si dividevano in diversi lavori part-time e dalla frequentazione di un corso di giornalismo che si stava pagando con i suoi diversi lavori, perché ovviamente il padre si era rifiutato di aiutarlo in questa futile idea, così chiamata da lui.

Essere giornalista era la sua seconda opzione, pensava che se magari fosse riuscito a diventare un giornalista dopo la pubblicazione del suo libro sarebbe stata più semplice.
Per questo aveva deciso di intraprendere questo corso, non era una scuola ma solamente una specie di formazione sulla scrittura. Cosa che gli sarebbe stata utile anche per le sue storie.

Lo stava aiutando anche con la storia del non far leggere a nessuno i suoi lavori, grazie ad esso ora i suoi articoli li faceva leggere, anche perché secondo lui non c’era nulla di personale in quello che scriveva per le assegnazioni che gli davano per il corso.

L’insegnate che aveva conosciuto lì si complimentava spesso e chiedeva anzi supplicava Jonathan di farle leggere qualcosa che aveva scritto. Purtroppo per lui si era fatto sfuggire davanti alla Signora Parker che aveva delle storie ed un romanzo finito. E da quel giorno la sua insegnante appena ne ha l’occasione cerca di convincerlo a farle leggere anche solo qualche pagina.
Ma ovviamente la risposta era sempre negativa.

I suoi lavori erano due: il primo era ad uno Starbucks vicino a Central Park, non era decisamente il lavoro della sua vita ma si divertiva a stare lì. Uno dei motivi principali erano i suoi colleghi di lavoro, tutta gente strana giudicata da lui ma sicuramente divertente, erano fatti per quel lavoro per approcciarsi alle persone, avevano tutti questa faccia simpatica e sempre con il sorriso e ti mettevano il buon umore solamente a guardarli, quella tipologia di persone che vedevano sempre il bicchiere mezzo pieno.

Inutile dire che Jonathan li invidiava.

L’altro lavoro era in una piccola libreria vintage che Jonathan amava, era un locale aperto da più di sessanta anni e tutti questi anni si riuscivano a vedere in quel luogo. Ma questo lo rendeva solamente più meraviglioso. La proprietaria era un’anziana signora, ormai vedova che prima dell’arrivo di
Jonathan si occupava di quella libreria da sola. Aveva raccontato a Jonathan di come quella libreria era del padre e che dopo la sua morte passò a lei, di come era cresciuta tra quegli scaffali impolverati mentre leggeva i suoi classici preferiti. Era solita raccontare che quando si trovava con la testa sulle nuvole le capitava di tornare indietro nel tempo e di rivedersi quando era solamente una nanerottola mentre correva intorno a quei libri, o di quando il padre prima di chiudere la libreria si sedeva a terra con la figlia per leggere un capitolo dei loro libri preferiti. Insieme lessero diversi libri ma i suoi preferiti rimasero “Alice nel paese delle meraviglie” ed “il giro del mondo in 80 giorni”.

Era solito aiutare la signora Rhyme a sistemare il negozio ed ovviamente era anche un commesso, spesso quando doveva andare lì dopo il suo turno allo Starbucks era solito portare a Danielle, l’anziana signora voleva che la chiamasse per nome ma Jonathan non ci era mai riuscito, un muffin con gocce di cioccolato bianco ed un caffè americano, i suoi preferiti. Ormai quella signora era diventata come la nonna che non aveva, tra buffetti e spettinate di capelli, quell’anziana vedova gli si era infiltrata nel cuore.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Erano da poco scoccate le 10 di sera e Jonathan stava rientrando dal suo corso di scrittura e per le stradine di New York si vedevano solamente gruppi di amici intenti a festeggiare non si sa cosa, le loro risate si sentivano anche attraverso le cuffiette di Jonathan che cercava di ignorarli, ma con scarsi risultati.

Quel giorno era più felice del solito, aveva vinto questa specie di competizione, creata dalla Signora Parker, che consisteva nello scrivere una recensione sull’ultimo film visto al cinema. Con i vari pro e contro, sceneggiatura, fotografia, attori e tutto ciò che rende un capolavoro cinematografico degno di questo nome.

Lui aveva recensito “la teoria del tutto” film da lui amato e tanto atteso, ovviamente non ci voleva una sua recensione per dire che quel film era un assoluto capolavoro.

Ma era realmente l’ultimo film che Jonathan aveva visto al cinema, quindi optò per quello. Poi considerando che grazie a quel film riuscì a vincere una sorta di certificazione firmata dalla sua insegnante, che ovviamente non valeva niente, e una penna di qualche marca famosa ma di cui lui ignorava l’esistenza. Un gran bel bottino che sarebbe andato a finire con gli altri piccoli tesori che aveva collezionato durante la sua vita.

Con zaino in spalla, dove si trovavano tutti i suoi effetti, il suo pc e i suoi premi, continuava a dirigersi verso casa sua. Ormai mancavano pochi isolati per arrivare al suo malandato portone quando anche attraverso le sue cuffiette riuscì a sentire un rumore assordante provenire da dietro di lui, una macchina stava sbandando violentemente e passava dal lo stare sulla strada fino ad arrivare sul marciapiede dove, pochi metri più in là si trovava Jonathan.

Si sentiva puzza di bruciato, probabilmente erano le gomme consumate dallo sfregare con l’asfalto.

Jonathan preso di sprovvista e non sapendo cosa fare si mise le mani sul volto quando vide arrivare l’automobile con i fari accesi verso di lui.

Tutto passò così in fretta che Jonathan non si accorse della presenza che si era materializzate di fronte a lui quando la macchina lo stava per investire. E che fece invertire la macchina e la mandò contrò un lampione situato lì vicino.

Il forte tonfo fece svegliare Jonathan da quello stato che la vista della macchina gli aveva provocato, si era letteralmente pietrificato.

Spostò le mani dal viso e solamente con un occhio aperto osservò la situazione vicino a lui, come se così la situazione sarebbe migliorata perché non stava utilizzando entrambi gli occhi per vedere, con le mani ancora tremanti ed il cuore che batteva all’impazzata si sistemò lo zaino sulla spalle ed osservò la fine che la macchina ed il suo autista avevano fatto.

Una nuvola di fumo che usciva dalla parte laterale della macchina si andava liberando nel cielo, era l’unica cosa che oscurava quel cielo stellato quella notte.

Jonathan notò qualcosa di strano e diciamo insolito su quel fumo, quel vapore grigio stava formando  una nuvola si ma quella nuvola aveva una forma strana. Se si guardava con molta attenzione quella nuvola poteva essere la sagoma di un uomo con delle ali. Qualcuno l’avrebbe paragonata ad un angelo.

Ma Jonathan non era molto interessato a capire se quel fumo assomigliasse o meno ad un angelo, diamine era appena quasi stato investito, e non si sa per quale strana fortuna fosse riuscita a scamparsela.

Mentre si stava avvicinando lentamente alla macchina, molte persone cominciarono ad avvicinarsi al luogo dell’incidente ed altre si affacciavano dalle finestre del loro appartamento sicuro.

Un tizio che Jonathan riconobbe perché faceva parte di quel gruppetto che aveva incontrato prima gli si avvicinò e cominciò a parlare:

“Ehi stai bene amico? Abbiamo sentito un rumore assordante e quando abbiamo guardato dalla tua parte ci siamo accorti che per poco non venivi investito da quel tizio.” Disse mentre altri suoi amici si avvicinarono all’attrazione del momento, cioè Jonathan e quella macchina ormai distrutta.

“Si sto bene grazie. Dovremmo andare a controllare l’autista e chiamare qualcuno.”

Disse Jonathan mentre ricominciava a sentirsi nervoso per quello che era appena accaduto. Le mani gli ricominciarono a tremare.

“Sicuro di stare bene? Non hai un bel colorito. E non ti preoccupare abbiamo già chiamato l’ambulanza e la polizia, dell’autista si stanno occupando quei tizi del bar dietro l’angolo e-”

“Ovvio che non ha un bel colorito ha appena visto passargli tutta la sua vita davanti, stava per morire. Tu come staresti?!” lo interruppe una ragazza con tono acido che stava accanto a lui con una birra in mano ed una sigaretta nell’altra.

Jonathan sapeva di non stare bene, sentiva le forze che se ne andavano dal suo corpo, doveva tornare a casa oppure si sarebbe messo a piangere davanti a quel gruppo di estranei che facevano finta di tenere a lui.

Lentamente dopo aver ringraziato, solamente per educazione, i suoi soccorritori si incamminò verso casa. Lo avevano già controllato, un infermiere sceso dall’ambulanza aveva fatto una breve visita a Jonathan e dopo aver visto che aveva solamente un piccolo graffio sulla mano, disinfettò la ferita e disse che andava tutto bene.

Purtroppo per l’autista lo stesso non era per lui, il nostro protagonista non sapeva esattamente cosa era successo a lui ma dall’apparenza era qualcosa di grave. Gli infermieri lo avevano caricato sulla barella e portato velocemente nell’ambulanza che partì subito dopo repentinamente. Era rimasta solo un’ambulanza nella zona.

La polizia mentre la ferita di Jonathan veniva disinfettata fecero alcune domande, lui era un giornalista, o almeno era quello che gli piaceva pensare, sapeva come rispondere per non avere problemi e per non essere messo in mezzo a questa storia assurda. Tanto alla fine gli aveva detto tutta la verità, lui non aveva visto quasi niente tralasciando la guida non molto sicura del criminale in questione. Per fortuna nessuno si era ferito.

Arrivato a casa buttò le chiavi sul mobile all’entrata del suo appartamento. Il padre quella sera non c’era, avrebbe lavorato fino a tardi. Nell’officina c’era molto lavoro ultimamente e questa era una buona notizia per entrambi, soldi in arrivo per il padre e più tempo da passare da solo per Jonathan.

Era stufo di rispondere a quelle domande del padre riguardo al suo futuro o altre cose che a Jonathan mettevano solamente ansia a parlarne.

Tremava ancora e il graffio sulla mano bruciava fortemente, quel dolore gli dava alla testa ed i suoi pensieri non erano logici a causa di tutto l’accaduto di prima. Si era persino scordato della faccenda del fumo.

Quella sera non aveva ancora mangiato quindi prese dalla dispensa una confezione di noodles istantanei, quelli sarebbero andati più che bene per il suo stomaco, era intento a preparare l’acqua per cuocerli quando senti un battito di ali piuttosto forte provenire dalla sala da pranzo che si trovava proprio accanto alla cucina, luogo in cui lui si trovava ora.

Senza pensarci andò a controllare magari il padre aveva lasciato la televisione accesa e Jonathan non se ne era accorto. Infondo era una cosa che faceva spesso e la maggior parte delle volte a Jonathan prendevano dei colpi perché pensava che ci fosse qualcuno in casa.

Ma per suo sfortuna, o fortuna dipende da come si vede la situazione c’era realmente qualcuno.

“Tu chi diavolo sei?” uscì un filo di voce dalla bocca di Jonathan quando disse quelle parole.

La persona di fronte a lui si stava sistemando  i vestiti abbottonando gli ultimi due bottoni della sua camicia e quando sentì la sua voce alzò il viso e due occhi verdi con qualche sfumature di azzurro e di oro lo osservarono.

“Che strano uso di parole hai appena utilizzato, per caso Lucifero è proprio ­­mio fratello.” Disse il ragazzo estremamente alto davanti a lui mentre continuava a sistemarsi la camicia bianco candido.

“Senti questa sera non sono proprio in vena di scherzare o esci da casa mia oppure chiamo immediatamente la polizia, sta a te scegliere.” Jonathan non poteva credere si essere riuscito a sembrare un minimo minaccioso con quella frase, non era decisamente una persona coraggiosa.

“E pensare che ti ho appena salvato la vita e che mi subisco tutte le tue lamentele e le tue pippe mentali ed è questo che mi merito?” si avvicinò lentamente a Jonathan e tante piccole piume nere cadevano dietro di lui come se gli si staccassero dal corpo, lasciando una piccola scia dal punto in cui era partito fino a  dove era arrivato, cioè ad un passo da Jonathan.

“Scusa ma davvero non capisco cosa vuoi dire, e  per quale motivo stai perdendo piume?  Fattelo dire sei inquietante.”

“Sono il tuo angelo custode, idiota.”

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Le parole appena dette da quell’estraneo rimbombavano nella testa di Jonathan, stava sognando o questa persona lo stava decisamente sfottendo, erano le uniche soluzioni razionali che gli venivano in mente in quel determinato momento.

Il tizio davanti a lui lo osservava cautamente girando la testa, un’abitudine che solitamente avevano i cani quando non capivano qualcosa.

Jonathan si sentiva sotto pressione e continuando a pensare che fosse un sogno si diede un lieve pizzicotto sul braccio, ovviamente lui non si svegliò, quella era decisamente la realtà.

“Sai non avevo mai notato che avessi gli occhi così azzurri, si il capo ha fatto decisamente un attimo lavoro con te.” Disse il ragazzo dagli occhi verdi mentre continuava ad osservarlo concentrato.

“La smetti di fissarmi?” gli rispose Jonathan nervoso mentre si allontanò da quello sguardo difficile da sopportare addosso.

“Okay, come mai non dici niente? Solitamente le persone tendono a dare di matto a notizie del genere.” Disse mentre girovagava per l’appartamento e mentre curiosava tra quei mobili disordinati e pieni di ricordi.

“Non do di matto perché so che stai mentendo, pensi seriamente che io sia così stupido.”

La parte razionale di Jonathan in quel momento stava avendo la meglio, guardò il pavimento ed osservò attentamente quelle piume nere di tutte le misure che lo sconosciuto aveva seminato sul pavimento.

Ne prese una e disse calmo: “Sei un fan del Corvo? Ne ho visti di fan ossessionati ma tu li batti tutti.”

L’angelo lo guardò serio e si mise a ridere.

“Mi piace quel film ma diciamo che l’angelo custode di Brandon Lee non ha fatto decisamente un buon lavoro. E comunque prima o poi dovrai credermi.”
Umorismo nero, quel ragazzo cominciava a piacere a Jonathan. Continuava a giocare con quella piuma e decise di restare al gioco dell’estraneo di fronte a lui, tanto non aveva nulla da perdere.

“Allora se sei seriamente un angelo e per giunta il mio angelo custode che ne dici di provarmelo?” ammiccò sorridendo Jonathan.  

Quella situazione gli stava rallegrando la serata.

“Okay” disse tranquillo il ragazzo mentre continuava a curiosare in giro.

L’angelo non voleva esagerare con i suoi poteri, aveva appena svelato quella parte del mondo paranormale a Jonathan e non voleva traumatizzarlo troppo.
Non sapeva cosa fare per dimostrargli che non stava mentendo, fino a quando non vide una piccola piantina ormai secca che si trovava sul tavolo del soggiorno. Ci si avvicino lentamente e quando arrivò vicino ad essa fece un cenno a Jonathan per farlo avvicinare.

Quando entrambi erano di fronte al tavolo l’angelo mostrò i suoi poteri al mortale.

Aprendo la mano davanti alla pianta il palmo si illuminò di una potente luce bianca che per vari secondi accecarono Jonathan, e quando la vista annebbiata tornò normale Jonathan rimase a bocca aperta.

La piantina era in quello stato da più di due mesi ma né lui né il padre volevano buttarla per un valore emotivo che essa aveva per entrambi.

“Non ci credo.” Sussurrò tra sé e sé.

“Beh dovresti.” Rispose l’angelo.

“Okay devo sedermi.” Disse di fretta Jonathan mentre si incamminava in cucina.

Si sedette sul suo solito sgabello e lentamente si massaggiava le tempie.

Assurdo, tutto così completamente assurdo. I suoi soliti ragionamenti razionali ora non servivano a nulla. Poteri? Angelo custode? Stava impazzendo.

L’angelo lo raggiunse in cucina e con fare disgustato prese la busta dei noodles e con voce giudicante disse:

“Seriamente mangi questa roba? Poi vi lamentate per le malattie e l’obesità.”

Jonathan ignorandolo mise in ordine i pensieri e mille domande gli vennero in mente e voleva delle risposte. Stava per parlare quando l’angelo lo interruppe.

“C’è tempo per le domande, calmati e quando sarai sereno ti prometto che risponderò a tutte le tue curiosità” disse mentre buttava i noodles nel cassonetto.

“Ehi quella era la mia cena!” disse Jonathan mentre cercava di riprenderli ma il risultato fu misero.

“Troverai qualcos’altro, dammi retta non mangiare quella roba”

“Senti psicopatico perché invece di buttare le cose altrui non mi dici il tuo nome” avevano parlato per mezz’ora ormai e Jonathan ancora non sapeva il nome del suo così detto angelo custode.

“Sebastian al tuo servizio” disse l’angelo facendo un grande inchino.

“Jonathan” guardò l’angelo con curiosità, quel tizio era davvero strano.

Per un po’ Jonathan si era dimenticato del graffio sulla mano ma ora il bruciore era tornato a farsi sentire quindi fece una lieve smorfia di dolore.

Sebastian se ne accorse e nel giro di un secondo stava tenendo la mano del suo protetto e la esaminava per bene.

“Dannazione questo non doveva accadere questa sera. Quando ti ho salvato ero convinto che ne fossi uscito illeso.” Il tono della sua voce era triste e deluso, prendeva sul serio il suo lavoro.

Jonathan liberandosi dalla presa dell’angelo gli disse: “Non è un problema, sul serio è solo un graffio. Ed è da prima che mi dici che mi hai salvato, cosa vuoi dire? Ti riferisci all’incidente con la macchina?”

“Ovviamente mi riferisco a quello” disse l’angelo “senza di me ora saresti il nuovo caso di telecronaca nera per tutti i giornali di questa città, quell’idiota aveva alzato il gomito decisamente troppo oggi.”

“Quindi sei stato tu a mandarlo contro quel palo? Sei impazzito? Stava in condizioni pietose” disse Jonathan con tono alterato.

“Ehi calmati ragazzino o salvavo te o salvavo quel tizio. Ed onestamente mi importa di più della tua vita. E non preoccuparti quel tizio se la caverà, purtroppo. E non capisco perché ti importi di lui, non lo conosci e ti stava per uccidere.”

Jonathan ora a conoscenza del futuro del suo quasi assassino si era tranquillizzato e gli rispose con: “È pur sempre una vita.”

“E poi il suo angelo custode mi sta sulle palle, un so tutto io che non fa altro che parlare. Bla bla.” Mentre lo diceva mimava le facce di quell’angelo sconosciuto a Jonathan. 

Nel mentre Zeus era appena entrato in cucina e per la prima volta vide Sebastian.

Alla sua vista cominciò a soffiargli ed a fare versi non troppo amichevoli.

“Non so cosa gli prenda non fa mai così, solitamente è molto socievole.” Disse Jonathan mentre cercava inutilmente di prendere Zeus senza riuscirci, il gatto continuava a scappargli. Fino a quando si avvicinò a Sebastian e lo attacco cercando di graffiargli le gambe senza alcun risultato a causa dei jeans.

“Stiamo scherzando? Smamma bestiaccia” disse Sebastian innervosito. Mentre muoveva inutilmente la gamba cercando di liberarsi del gatto.
Jonathan rise di gusto alla vista di quella scena.

“Ho sempre odiato i gatti e pensare che il capo voleva farmi tramutare in questa palla di pelo. Ew” 

Quando finalmente Zeus si calmò Jonathan lo prese in braccio e lo iniziò a coccolare.

Sebastian dall’altro lato della cucina osservava entrambi quando disse rivolto al gatto: 

“A quanto pare entrambi dobbiamo abituarci alla presenza dell’altro.”

Per tutta risposta Zeus gli miagolò e cominciò a giocare con una piuma caduta lì vicino.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Mentre Jonathan osservava il suo piccolo amico giocare con quella piuma cercava di immagazzinare tutte le notizie appena ricevute.

E le mille domande venutegli in mente poco prima gli tornarono in testa.

Sebastian è il suo angelo custode, allora per quale motivo gli si era parato davanti vantandosi di avergli salvato la vita? Gli angeli non dovrebbero vantarsi del loro lavoro, infondo è solamente il loro lavoro, lui di certo non andava in giro vantandosi di fare un ottimo cappuccino.

Il suo subconscio gli disse che fare un cappuccino non aveva nulla a che vedere col salvare la vita ad una+ persona, ma Jonathan decise di ignorarlo.

Perché quel tizio essendo un angelo indossava Converse nere con una camicia bianca? Perché odiava il suo gatto? Perché la sua voce sembrava così familiare? E perché disprezzava così tanto i suoi noodles istantanei che è arrivato persino a buttarli? In quel gesto gli aveva molto ricordato il padre, gli diceva sempre di smettere di mangiare quelle schifezze e di cominciare a cucinarsi qualcosa quando stava da solo. Consiglio che Jonathan aveva sempre rifiutato, dato che odiava cucinare.

Molte di esse erano domande futili ma questo a Jonathan non interessava.

“Quindi” cominciò a parlare alzando lo sguardo verso il suo nuovo amico che continuava a seminare piume per tutta la sua cucina. “Per quale motivo non riesco a vederti le ali? E perché stai perdendo piume?”

“Ti ho detto che ne parleremo quando sarai sereno e pronto ed ora non mi sembri nessuna delle due.” disse freddo l’angelo continuando a stare appoggiato al mobile della cucina trovandosi proprio di fronte a Jonathan.

“Non sono sereno perché ho appena scoperto l’esistenza degli angeli custodi e meno di un’ora fa stavo per morire, scusami se ho dei sentimenti al contrario di te.”

A quella frase l’angelo si irrigidì e cominciò a camminare verso l’umano.

“Tu non sai nulla di me e per la cronaca la mia specie ha dei sentimenti solamente non siamo melodrammatici e in cerca di attenzione come voi e quindi non li andiamo a sbandierare ai quattro venti.”

Jonathan riflettè per un po’ a quella frase, e constatò che Sebastian aveva ragione su entrambe le cose. Lui non era nessuno per cominciare a criticare una persona appena conosciuta. Si scusò timorosamente quando sul viso dell’angelo apparse un sorriso.

“Non ti preoccupare” gli disse tranquillamente “ho esagerato anch’io.”

Quando Jonathan stava per cominciare a chiedere una cosa all’angelo entrambi sentire un tintinnio di chiavi provenire da fuori della porta di ingresso. Jonathan capì subito che era il padre rientrato dal lavoro e guardò di scatto il piccolo orologio attaccato sul muro della cucina, orologio che Jonathan ricordava da sempre e che non aveva idea da dove provenisse. Esso segnava le due di notte, dannazione pensò il ragazzo tra sé e sé. Non poteva lasciare Sebastian in cucina, cosa avrebbe detto al padre? no era decisamente impensabile.

Prima ancora che tutti questi pensieri si togliessero dalla mente di Jonathan, suo padre era entrato in casa e il rumore delle sue scarpe da lavoro risuonavano per tutto il piccolo appartamento. Jonathan lanciò Zeus che con un miagolio arrabbiato girò le spalle al padrone e se ne andò vicino alla sua ciotola piena di cibo.

Sebastian si stava godendo lo spettacolo, il suo umano sprizzava ansia da tutti i pori e Sebastian capì subito il perché e decise di approfittarne.

Nel mentre il padre di Jonathan era nel salone e vedendo la luce accesa in cucina disse:

“Figliolo ancora sei sveglio? Dovresti andare a dormire, domani non devi lavorare presto?”

Preso dal panico Jonathan diede uno spintone a Sebastian che si stava dirigendo verso la porta della cucina per raggiungere l’uomo appena entrato che si stava stiracchiando pigramente mentre aspettava una risposta del figlio.

“Mi stavo facendo uno spuntino, sai sto lavorando ad un articolo per la signora Parker e questa sera volevo finirlo” mentì Jonathan, un articolo doveva realmente scriverlo ma durante quella serata scrivere non era decisamente stata una delle sue priorità.

A quella risposta il padre annuì disinteressato, non era mai stato interessato a quello che faceva il figlio quando si trattava di scrittura. Proprio per questo Jonathan gli parlava raramente della sua passione.

Mentre il padre stava sistemando le chiavi di casa e dell’auto nel minuscolo cestino, messo sul mobile vicino alla porta appositamente per le sue chiavi, Sebastian uscì dalla cucina e si mise di fronte all’uomo ancora con le spalle rivolte al figlio ed all’angelo. In quel momento Jonathan sbiancò dato che voleva evitare il loro incontro.

Quando l’uomo si girò mentre si sistemava la piccola targhetta argento con scritto il suo nome, Anthony, che brillava a causa della flebile luce della luna che penetrava dalla finestra proprio davanti a lui alzò lo sguardo per guardare il figlio ed anche lui notò il pallore sul suo viso e non era causato dalla luce notturna e nemmeno dalla luce della luna.

“Che hai fatto? Sembra che tu abbia visto un fantasma.” Disse guardandolo ed a Jonathan sembrava che il padre non vedesse Sebastian proprio di fronte a lui.

“Non ho fatto niente.” Rispose Jonathan velocemente continuando ad osservare le due persone di fronte a lui.

Per tutto il tempo Sebastian aveva un ghigno divertito stampato in viso.

“Sembri strano.” Fu l’unica cosa che disse il padre quando cominciò a camminare andò proprio verso Sebastian ed invece di sbattergli contro gli passò in mezzo come se l’angelo fosse semplice aria.

Jonathan rimase a bocca aperta mentre invece Sebastian alzò le mani in modo divertito, sembrava un bambino.

Anthony diede una pacca sulla spalla al figlio e gli diede la buonanotte, era troppo stanco per capire cosa passasse per la testa del figlio. E si diresse lentamente nella sua camera da letto, Jonathan continuava a fissare sconvolto Sebastian fino a quando non sentì la porta della camera da letto del padre chiudersi con un forte tonfo.

”Perché non ti ha visto?” chiese freneticamente Jonathan mentre si diresse verso l’angelo e cominciò a toccargli le braccia ed il petto.

“E perché io riesco a toccarti?”

Sebastian divertito gli rispose: “Decido io chi può vedermi, e secondo te perché per tutti questi anni tu non sapevi della mia esistenza? Ed è più facile essere come fumo quando devo essere invisibile almeno non riesco di scontrarmi con qualsiasi persona mi passi vicino.”

Il respiro di Jonathan era rallentato ora che sapeva che il padre non avrebbe scoperto dell’esistenza di Sebastian.

“È davvero divertente prenderti in giro.” Disse l’angelo mentre si asciugava due piccole lacrime che si erano fatte strada ai lati dei suoi occhi mentre rideva.

“Ti conosco da poche ore e già ti trovo stressante” disse Jonathan mentre andava a controllare la pianta per vedere se l’incantesimo fatto da Sebastian la stesse ancora tenendo in vita. E come sperava quella pianta era ancora sana e verde proprio davanti a lui.

“In molti mi trovano stressante, anche i miei fratelli. Ormai ne ho fatto un pregio.”

“Beh si nota la tua parentela con Lucifero.” Disse scherzosamente Jonathan. Sebastian non era l’unico ad avere un ottimo senso dell’umorismo in quella stanza.
Jonathan sbadigliò rumorosamente e si strofinò gli occhi ormai rossi dalla mancanza di sonno.

“Dovresti andare a dormire è tardi.” Gli suggerì Sebastian.

“Non ne ho voglia, ho troppe domande e se poi tu domani mattina scomparissi di nuovo e io non riuscissi più a vederti?”

Sorpreso da quella frase Sebastian gli si avvicinò e lo assicurò che la mattina dopo lo avrebbe trovato proprio lì.

Sicuro che il suo angelo non lo avrebbe abbandonato Jonathan andò a dormire con milioni di pensieri in testa che per fortuna si spensero subito visto che crollò in un sonno profondo neanche tre minuti dopo che si era disteso nel suo accogliente letto.

Sebastian era rimasto in salone ad osservare quella piccola pianta ormai rinata grazie a lui e sapeva perfettamente che significato aveva per gli uomini che vivevano in quella casa.

Zeus era finalmente uscito dalla cucina ed osservò l’angelo col la coda rizzata. Per tutta risposta Sebastian gli disse: “Guarda che non piaci neanche a me.”

La luna ancora alta in cielo e qualche luce di New York facevano compagnia a quei due esseri che dovevano cooperare per via dei fatti ma non per scelta.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


La mattina Jonathan fu svegliato dal forte cinguettio degli uccellini che svolazzavano felici per l’inizio di una nuova giornata, stufo di quel fastidioso rumore, almeno per lui, si tolse il cuscino da sotto la testa e con forza se lo mise in testa per cercare di attutire quel rumore.

La stanza era ancora buia, la notte prima Jonathan si era accertato che le tende fossero ben chiuse per non essere svegliato dal sole ma sfortunatamente per lui alcuni piccoli ospiti si erano presi il disturbo di fargli la sveglia personale.

Ancora con la testa sotto il cuscino cominciò a lamentarsi, non aveva voglia di alzarsi e sembrava essersi scordato i fatti della notte precedente.

Fino a che non sentì dei rumori di passi ed un fruscio probabilmente causato dalle tende, pensò lui.

In realtà era Sebastian venuto a svegliarlo, senza alcun rispetto aprì fortemente le tende facendo entrare tutta la luce del sole, era una bella giornata soleggiata cosa che a Jonathan non interessava più di tanto.

“Alzati bella addormentata!” urlò Sebastian, intento a curiosare anche quella parte della casa.

Zeus sembrava aver fatto squadra con Sebastian infatti con un grande balzo salì sul letto del suo padrone e cominciò a fargli le fusa, vedendo che Jonathan non aveva intenzione di alzarsi neanche con quelle attenzioni, cambio tattica ed uno sguardo furbo apparve sul suo muso. Tirò fuori gli artigli e cominciò a stirarsi e facendo arrivare le zampe ora taglienti verso il braccio del padrone. Appena ci fu il contatto della pelle con quelle unghie affilate Jonathan fece un grido di dolore.

Squadrò il gatto e si mise velocemente a sedere massaggiando il piccolo graffio appena ricevuto sul braccio.

“Che diavolo ti prende?” disse al gatto che ora lo guardava con una soddisfazione felina, era riuscito nel suo intento. Compiaciuto del suo lavoro si preparò il suo nuovo covo massaggiando e graffiando un poco le lenzuola orami sgualcite da Jonathan, finalmente soddisfatto si acciambellò e si mise a dormire.

Ancora infastidito dal comportamento del proprio gatto Jonathan di girò verso Sebastian che ridacchiava.

“Quel gatto comincia a piacermi” disse mentre apriva anche le finestre ed un piccolo passerotto gli si posò sul dito e con quel piccolo animale sul dito sembrava una principessa, almeno nella mente di Jonathan.

“Meno male che hai chiamato a me bella addormentata, Biancaneve.”

“Non sarebbero male i poteri di Biancaneve per pulire questo posto, magari ora riesco a chiamare tutti i topi di New York per aiutarti a pulire. Ho sempre odiato il tuo essere disordinato.”

“Mi dispiace per te ma dovrai conviverci.” Rispose Jonathan.

“Ci sto convivendo da venti anni, per mia sfortuna.” Disse mentre cercò di fare una carezza a Zeus che per tutta risposta gli diede una zampata sulla mano dove pochi secondi prima si trovava il passerotto. Sbuffò infastidito al gatto che non aveva accettato quella sua piccola attenzione.

Venti anni, Jonathan non aveva pensato che quella persona lì davanti lo avesse visto nascere, crescere e che avesse percorso tutta la sua vita insieme a lui al suo fianco. E che mentre lui cresceva e cambiava Sebastian è sempre rimasto in quel modo con quell’umorismo fastidioso che ti faceva saltare i nervi a volte.

“Che hai?” chiese Sebastian concentrato a cercare di leggere la mente dell’essere umano davanti a lui, ma per sua sfortuna quel potere gli angeli custodi non lo avevano.

“Posso cominciare a farti delle domande?” chiese Jonathan mentre si stiracchiava, facendo quel movimento era diventato davvero simile al suo gatto.

“Okay spara.”

“Spara? Pensavo che gli angeli parlassero in modo diverso.”

“Per uno che non credeva negli angeli ne hai molti di stereotipi, sto ancora aspettando. Guarda che mi stufo velocemente.”

Jonathan non volendo rischiare di non avere risposte solamente perché stava perdendo tempo cominciò subito a parlare.

“Allora prima domanda, voi, nel senso voi angeli, potete morire?” era la prima cosa che gli fosse venuta in mente.”

“Banale,” rispose freddamente Sebastian “certo che per essere un giornalista non te la cavi molto con le domande, comunque no mi pare logico.”

Sebastian stava mentendo ma solamente per il bene di Jonathan.

“Non è banale, non so se tutte le cose che conosco sulla tua razza siano vere. Alla fine la loro provenienza sono i libri e delle leggende.” Si giustificò Jonathan mentre già pensava ad un’altra domanda.

“Come sei nato? Cioè nel senso chi ha scelto la tua fisicità? Dio? Oppure qualche altro essere superiore a noi?” Jonathan si sentiva ridicolo per quella domanda ma era curioso e nella sua mente aveva un certo senso, inoltre non gli interessava se Sebastian avesse giudicato quella domanda ridicola come l’altra.

Sebastian ridacchiò e rispose tranquillamente: “in realtà sono così” e si indico con le mani “perché così tu mi immagini, ogni angelo prende la fisicità che il proprio protetto immagina, anche nel suo subconscio. Lo so che tu non credevi a noi fino a quando non ti sono apparso, ma nel tuo profondo hai voluto che io fossi così.”

“Ah adesso capisco perché indossi le converse” osservò Jonathan.

“Per questo ancora ti odio, ti concedo un’ultima domanda visto che tra poco devi andare a lavorare.”

“Più che il mio angelo custode sembri il mio baby sitter, per la cronaca io adoro quelle scarpe. E poi scusa non puoi cambiarti? Mica ti costringe nessuno a rimanere con quei vestiti.”

“La tua mente mi costringe, genio. E non è che mi servano molto quasi tutto il tempo ero invisibile. Perfetto abbiamo finito con le domande per oggi.” disse Sebastian mentre stava per uscire dalla camera.

“Ehi aspetta!” urlò Jonathan “quella non era una vera e propria domanda.”

“A me sembra di si.” Un sorriso sarcastico gli si aprì sul volto.

“Seriamente? Avevo domande molto più importanti!” Jonathan voleva chiedergli il perché si fosse mostrato a lui e per quale motivo perde delle piume dalle ali.

“La prossima volta scegli meglio le tue domande. Prima regola per essere un buon giornalista.” Disse Sebastian sarcastico facendogli l’occhiolino.

“Oh fanculo.” Disse Jonathan mentre raccattava dei vestiti nell’armadio.

“Linguaggio ragazzino e ricordati la colazione.”

“Sempre più baby sitter!” urlò Jonathan dal bagno dove si era chiuso per farsi una doccia, ed aveva lasciato il suo angelo fuori ad aspettarlo mentre il gatto lo osservava scrupolosamente e seguiva ogni movimento che quella creatura faceva.

“Libreria o caffetteria questa mattina?” chiese Sebastian indaffarato a cercare di sistemare il disastro che si trovava in quella stanza, uno degli aspetti positivi di essersi mostrato a Jonathan era che ora poteva sistemare le cose intorno a lui senza destare nessun sospetto. E Sebastian odiava davvero il disordine, forse perché in paradiso era tutto perfettamente programmato ed organizzato. Che quando si trovava con gli umani spesso non riusciva a capire il loro comportamento. Ma infondo lui non era come loro.

“Libreria!”

Sentì Jonathan urlare dall’altra stanza.

Perfetto, Sebastian amava la signora Rhyme, gli sembrava la persona più vera che era vicina a Jonathan in quel periodo, almeno non avrebbe dovuto sopportare i suoi colleghi ed i loro angeli custodi irritanti quella mattinata.

“Okay ho fatto, andiamo?” Jonathan era pronto e già si trovava sulla porta di casa con le chiavi in mano ed una leggera giacca di pelle in mano.

“Perché io non posso indossare una di quelle?” disse Sebastian in tono lagnoso mentre gli si avvicinava.

“Perché altrimenti sembreresti uscito da Grease.”

Grazie a questa affermazione entrambi cominciarono a ridere ed uscirono dal piccolo appartamento.

Le loro risate si potevano ancora sentire fino a quando non si andarono ad affievolire quando salirono nell’ascensore.

Zeus ora libero e tranquillo si mise a sonnecchiare sul tavolo vicino alla piantina ancora in vita illuminata dalle prime luci del mattino.
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Jonathan e Sebastian si trovavano sulla metro diretti verso la libreria della signora Rhyme, per Jonathan quella situazione era davvero strana, faceva questo piccolo viaggio quasi tutti i giorni ma sempre da solo ed ora aveva Sebastian seduto accanto a lui. Ora non era più solo, pensandoci non lo è mai stato ma esserne consapevole rendeva la cosa molto più piacevole.

Stranamente la metro era semi vuota ma quasi tutti i posti erano occupati da persone intente a leggere il quotidiano o a litigare con il proprio smartphone. Tutti troppo occupati a pensare a loro stessi per accorgersi che quel giovane ragazzo seduto nella loro stessa cabina parlava da solo o guardava il vuoto proprio davanti al loro naso.

Jonathan ricordandosi che gli altri non potevano vedere il suo compagno di viaggio decise di interrompere la conversazione almeno fino a quando non sarebbero stati soli. Entrambi guardavano i passeggeri seduti davanti a loro e Sebastian all’insaputa di Jonathan stava osservando tutti gli angeli custodi di quelle persone per vedere se ci fosse qualcuno con cui andava più d’accordo e solo ad alcuni concedeva un suo sorriso adibito a saluto.

Jonathan pensava a tutto ciò che avrebbe dovuto fare quella giornata: lavorare, finire l’articolo per il corso e magari sarebbe riuscito ad estorcere qualche altra informazione a Sebastian. I suoi pensieri vennero interrotti da un signore che gli rivolse la  parola:

“Posso?” disse indicando il posto accanto a lui dove in quel momento si trovava Sebastian.

All’inizio Jonathan stava per dirgli di no, ma sarebbe risultato pazzo e sgarbato. Un po’ per questo e po’ perché voleva farla pagare a Sebastian per averlo svegliato in quel modo quella stessa mattina annuì al cordiale signore con la ventiquattrore sotto braccio, anche se Sebastian gli stava facendo di no con la testa.

Il signore si sedette e come la sera prima con il padre di Jonathan passo attraverso l’angelo senza accorgersi di nulla e si sistemò meglio la giacca che stava indossando.

Sebastian alzò gli occhi al cielo mentre Jonathan rideva sotto i baffi.

“Te la farò pagare.”                                                                                                                                               

Fu l’ultima cosa che disse Sebastian prima che entrambi scesero alla fermata che li avrebbe portati alla libreria.

“Ma senti dolore quando qualcuno ti passa attraverso?” disse Jonathan mentre camminava e cercava di non scontrarsi con nessuna persona che correva a destra e sinistra per uscire dalla metro o per raggiungere altre linee metropolitane.

Per Sebastian questo non era un problema camminava in mezzo alla folla e gli passava attraverso con nonchalance.

“No, altrimenti non lo farei così spesso. Certo a volte è fastidioso, dipende dall’angelo di quella persona, se quest’ultimo vuole che a me dia dolore o fastidio, alcuni lo fanno perché sono super gelosi del proprio protetto o semplicemente sono dei guastafeste. Ma non lo fa quasi nessuno, è una comodità per tutti.”

“Wow” fu l’unica cosa che uscì dalla bocca di Jonathan.

E Sebastian lo guardò divertito, era soddisfacente per lui far scoprire un  po’ del suo mondo a quest’umano che ha visto crescere.

“Comunque ho vinto!” disse felice Jonathan, mentre camminavano lentamente per arrivare alla libreria.

“Scusa?” rispose curioso l’angelo.

“Ti ho fatto una domanda e mi hai risposto senza fare il burbero e dirmi: basta con le domande per oggi.” Jonathan scimmiottò l’ultima parte cercando di fare la voce di Sebastian. In cuor suo era molto soddisfatto della sua imitazione.

“Io non parlo in quel modo,” disse quasi offeso Sebastian “e smettila di comportarti come un bambino ed entra dentro.” Indicò la piccola porta in vetro della libreria.

Sebastian aveva completamente ignorato la futile accusa di Jonathan e nel mentre l’umano si sorprese pensando a in quanto poco tempo avessero impiegato per arrivare lì, solitamente quando stava da solo sembrava un tragitto lunghissimo. Ma grazie alla compagnia di Sebastian oggi non era come gli altri giorni.

Jonathan aprì la porta ed il campanello attaccato in cima alla porta tintinnò svelando alla signora Rhyme l’entrata di qualcuno.
L’anziana signora si trovava di spalle e stava sistemando alcuni libri sotto il cartello, scritto a mano da lei, che indicava i “the best of the best” una piccola categoria di libri amati da Danielle e che lei voleva che ogni persona sulla faccia della terra avesse letto almeno una volta nella vita. Solitamente li metteva proprio davanti alla porta del negozio in modo che fossero stati i primi libri che ogni persona vedeva quando entrava in quel luogo.

Appena sentì il campanello si girò sorridente e quando vide Jonathan il suo sorriso si allargò di più.

“Buongiorno Jon!” disse amorevolmente Danielle, quando sorrideva gli occhi le si facevano più piccoli e anche se erano circondati da piccole rughe di espressione rimanevano gli occhi più belli che Jonathan avesse mai visto. Erano di un azzurro ghiaccio e potevano sembrare freddi ma sul volto di quella donna non lo erano affatto.

“Buongiorno signora Rhyme!” rispose di rimando Jonathan mentre posò velocemente la sua giacca sul bancone e corse ad aiutarla a prendere un’altra pila di libri molto pesante che la signora aveva preparato per aggiungerli ai nuovi arrivi.

“Grazie caro, questi sono arrivati oggi. C’è qualcosa di interessante da quello che ho visto.”

Si spostò dietro al bancone dove si trovava la cassa per annotare i nuovi arrivi ed altre cose di cui Jonathan ignorava l’utilità.

“Qualche cliente è già passato?” disse Jonathan mentre era indaffarato a controllare se tutti i libri fossero al loro posto e ben impilati, in quel caso era un maniaco dell’ordine non si poteva dire la stessa cosa della sua stanza.

“Si, solamente uno, e non ha neanche comprato nulla. È venuto solamente per fare delle foto.”

Succedeva sempre così, quella libreria aveva il suo fascino grazie alla sua antichità e molte persone andavano solamente per fare foto o semplicemente guardare.

Gli affari ultimamente non andavano molto bene, ma questo sembrava non interessare alla signora Rhyme l’unica cosa che le interessava era restare lì dove era cresciuta e rimanere circondata dai suoi libri preferiti.

“Senti Jonathan devo andare a sistemare un po’ di scartoffie, ti dispiace se ti lascio da solo per un’oretta?” non era la prima volta che glielo chiedeva e sapeva perfettamente che non c’erano problemi per lui ma era così educata e cortese che ogni volta glielo richiedeva.

“Nessun problema.” Rispose con entusiasmo Jonathan.

A quel punto Danielle prese la sua giacca dall’attaccapanni ed usci dal negozio salutando Jonathan con un breve gesto della mano ed uno dei suoi soliti sorrisi.
Sebastian nel mentre stava seduto a terra da quando erano entrati in negozio e quando l’anziana signora uscì si alzò e cominciò a spostare tutti i libri che qualche secondo prima Jonathan aveva scrupolosamente sistemato.

“Cosa diavolo fai?” sbraitò Jonathan mentre lo raggiunge velocemente.

“Mi vendico” ghignò beffardamente mentre continuava a spostare libri o a far cadere altri volumi dalle mensole attaccate al muro di mattoni.

“Smettila immediatamente, non sei divertente.” Disse mentre lo seguiva e sistemava il disastro che il suo angelo stava provocando.

Grandi tonfi echeggiavano per tutto il negozio e Jonathan sembrava impazzito mentre cercava di non far cadere i libri, per non rovinarli, prendendoli al volo ma ovviamente non tutti furono salvati dalle sue mani.

Finalmente Sebastian si fermò ed aveva un sorriso fiero e soddisfatto mentre guardava Jonathan con la faccia arrossata che sistemava ogni singola cosa che era fuori posto in quel luogo tanto amato da lui.

“Ti sto odiando sappilo.”

“Capita e poi te lo avevo detto che mi sarei vendicato.”

Jonathan preferì ignorarlo invece di rispondergli, conosceva l’angelo da poco ma sapeva che con lui c’era poco da fare, in queste situazioni vinceva sempre. Testardo come era.

Alcuni clienti entrarono nella libreria e acquistarono qualcosa, Jonathan non vedeva l’ora di dare quella fantastica notizia a Danielle.

Cosa che sfortunatamente non riuscì a fare visto che l’anziana signora tanto amata sia da Jonathan sia da Sebastian quel giorno non rientrò al negozio e non potè festeggiare con il ragazzo che ormai lavorava con lei da più di un anno.

La terribile notizia arrivò a Jonathan tramite un ispettore di polizia che arrivò alla libreria per controllare il luogo. Aveva solamente detto a Jonathan che la signora Rhyme aveva avuto un infarto mentre aspettava il suo turno alla posta e che le sue condizioni ora erano stabili ma che lei era in coma. Il poliziotto non sapeva altro e disse a Jonathan dove la donna si trovava in quel momento.

Jonathan non poteva crederci, erano passate poche ore da quando lo aveva salutato e gli aveva detto che ci avrebbe impiegato un’oretta a sbrigare le sue faccende e che subito dopo sarebbe tornato da lui. Ed ora si trovava da solo in quella libreria mentre il poliziotto gli diede una lieve pacca sulla spalla come segno di consolazione.

Le espressioni sui volti dell’angelo e dell’umano erano le stesse: incredulità, tristezza ed una sorta di rabbia trasparivano dai loro visi che avevano perso ogni forma di felicità che quel giorno gli era arrivata grazie al fatto di essere stati l’uno accanto all’altro.

Silenziosamente senza neanche rivolgere una parola o uno sguardo a Sebastian sistemò le ultime cose del negozio ed uscì dalla porta. Chiudendola sentì di nuovo quel campanello, solitamente era un suono che gli portava felicità ma ora era cambiato tutto e la sua tristezza a quel suono aumentò solamente.

Prese il suo paio di chiavi e chiuse velocemente quel luogo dove in quel momento sembrava ricolmo di dolore agli occhi di Jonathan.
Lentamente con l’angelo alle spalle si diresse verso la metro per raggiungere l’ospedale dove Danielle era ora ricoverata.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Senza fretta arrivarono all’ospedale, Jonathan non voleva vedere la signora Rhyme perché osservarla in quel momento avrebbe reso tutto reale. E per lui tutto era ancora un flebile incubo che lo stava mangiando dall’interno senza far vedere gli effetti collaterali all’esterno. Infatti, nemmeno una singola lacrima era ancora scesa dai suoi occhi color del cielo, il suo sguardo era perso e vuoto: camminava solo perché doveva farlo, respirava solo perché doveva farlo, era tutto dovuto ma non voluto.

Accanto a lui Sebastian non aveva detto neanche una parola da quando era arrivato il poliziotto, non sapeva che dire. Queste cose succedevano e lui lo sapeva benissimo ma fino a quando non accade a qualcuno cui tieni non capisci realmente il dolore che si prova. Già Sebastian provava dolore, un sentimento così umano, un sentimento che gli angeli non dovevano provare. Eppure eccolo lì accanto al suo umano con un peso nel petto ed una leggera tristezza che lo faceva respirare a fatica, se quello non era dolore allora Sebastian non sapeva spiegare cosa fosse. Forse provava quei sentimenti a causa di quello che gli stava succedendo, ma a quello ci avrebbe pensato dopo.

Una gentile e giovane infermiera informò Jonathan sul numero della stanza della signora e li fece accomodare fuori dalla sua stanza perché proprio in quel momento la stavano visitando.

Entrambi aspettavano pazientemente seduti su delle sedie di plastica che avevano un odore chimico, ma nessuno dei due se ne accorse. Appena si accomodarono lì, Jonathan cominciò a piangere, calde e lente lacrime gli rigavano le guancie e resero la sua pelle più rossa e vulnerabile.

L’unica cosa che Sebastian fece fu avvicinargli un fazzoletto di carta che prese dallo zaino di Jonathan, quest’ultimo lo ringraziò silenziosamente, sperava che Sebastian lo avesse capito. Era grato di averlo vicino in quel momento.

Jonathan aveva il fazzoletto in mano e lo stava torturando tra un singhiozzo e l’altro come se tutto il dolore che stava provando in quel momento poteva trasmetterlo a quel pezzo di carta inanimato.

Lo roteava tra le mani e dopo pochi secondi lo aveva distrutto, tutti i piccoli pezzetti di carta gli erano finiti sulle gambe come tanti piccoli coriandoli ma anche in questo caso Jonathan continuava a romperli in pezzetti ancora più piccoli.

Notando il proprio umano fare  quel gesto di nervosismo, Sebastian lo aiutò, gentilmente gli fermò le mani e raccolse tutta la carta sparsa sulle sue gambe e la andò a buttare nel cestino vicino.

Jonathan osservò tutti i movimenti dell’angelo e si chiese se lui potesse fare qualcosa, ma ora non era il momento adatto per  chiederglielo, infatti in quello stesso istante due dottori uscirono dalla stanza e rivolsero un sorriso rincuorante al ragazzo che si trovava davanti a loro.

Dopo che se ne furono andati, Jonathan entrò velocemente nella stanza e la vista di Danielle sdraiata in quel letto con il volto inespressivo e non più solare come era sempre, gli diede tante piccole pugnalate nello stomaco. Cerco di non fare uscire altre lacrime e si sedette vicino a lei su una piccola sedia che si trovava vicino al letto.

Le prese la mano e rimase così per un po’ come se tenendole le mano l’avrebbe aiutata a svegliarsi. Sebastian era vicino alla finestra ed osservava Jonathan e Danielle con sguardo perso, ogni tanto doveva distogliere lo sguardo  perché vedere Jonathan in quello stato lo tormentava e quindi osservare le macchine che uscivano velocemente da quel posto, conosciuto anche come l’inferno per l’angelo.

Macchine che ospitavano passeggeri fortunati o meno, in quel caso quelli meno fortunati quella volta erano Jonathan e Sebastian.

Accanto alla signora Rhyme c’era un angelo era un uomo alto, magro e con lunghi capelli neri ed occhi anch’essi neri come la pece. Il viso era malinconico ed infelice mentre osservava la signora accanto a lei. Dopo aver accarezzato dolcemente una ciocca bionda di Danielle osservò Sebastian con sguardo vitreo e fece segno di no con la testa abbassando lo sguardo.

Proprio in quel momento si sentì aprire la porta e  la figlia della signora Rhyme, Elle, entrò nella stanza. Jonathan la conosceva, spesso veniva alla libreria per vedere come stesse la madre o semplicemente per convincerla a vendere il negozio visto che ormai era diventata anziana e quel negozio non portava un grande guadagno.
Come diceva Elle era solamente una zavorra nella vita di Danielle, non riusciva proprio a capire l’affetto emotivo che la donna aveva verso quel luogo.

Parlarono un po’ e alla fine della conversazione Jonathan decise di lasciarla da sola con la madre, immaginò il dolore che stava provando in quel momento, ricordandosi cosa provò lui quando sua madre si ammalò.

Elle lo informò del coma, sua madre si trovava in quello stata perché non era arrivato ossigeno  e sangue, a sufficienza,  al cervello per qualche secondo e che le possibilità di risveglio erano pari a quelle di non risveglio.

Quando Jonathan uscì dalla porta Sebastian  lo seguì e fece un cenno all’angelo dai capelli neri  chiudendo dietro di sé la porta.

Neanche un’ora dopo entrambi erano a casa e proprio in quel luogo Jonathan liberò tutta la frustrazione della giornata che era iniziata bene ma stava finendo nel peggiore dei modi.

Dopo aver messo da parte la sua tracolla si girò verso l’angelo e gli parlò con tono supplicante:

“Devi aiutare Danielle.” Non poteva neanche credere che la stesse chiamando per nome.

“Non posso.” Rispose secco Sebastian, era la verità.

“Come non puoi? Sei un fottuto angelo! Non ci credo che non puoi fare nulla.” Le guancie di Jonathan si stavano facendo rosse e gli occhi sempre più lucidi poteva cominciare a piangere da un momento all’altro.

“Ti ripeto che non posso, non sono il suo angelo custode ed anche se lo fossi non potrei fare comunque nulla. Smettila di pensare che siamo esseri invincibili. Non lo siamo.”

Dopo aver ascoltato la risposta di Sebastian, Jonathan si sedette sul divano e si mise le mani tra i capelli mentre si sorreggeva la testa e fissava il pavimento.

Sebastian potè notare piccole gocce che  cominciarono a bagnare il parquet.

Si sedette accanto a Jonathan.

“Senti, non perdere subito le speranze. Anche lei ha un angelo che la osserva ed è sotto ottime mani. Purtroppo l’unica cosa che possiamo fare è aspettare.” Disse Sebastian mentre un’altra piccola piuma nera cadde sul divano proprio accanto a Jonathan.

Jonathan la osservò fluttuare fino al contatto con la stoffa dove lui stesso era seduto. La prese e ci giocherellò proprio come aveva fatto la notte prima il suo gatto.

Aveva smesso di piangere e continuava ad osservare quella piuma.

“Perché perdi piume?” disse mentre alzò la piuma proprio davanti al viso dell’angelo, “E perché non riesco a vederti le ali? È un po’ scocciante.” Jonathan stava cercando di cambiare discorso perché continuare a parlare di Danielle lo avrebbe solamente ferito ancora di più, ma l’umano non sapeva che la risposta di Sebastian non era qualcosa che lo avrebbe aiutato a svagarsi.

“Non te lo dirò ora, ne hai passate troppe oggi.” Disse serio l’angelo, nessun’ironia nella sua voce, non era come la mattina stessa.

“Perché?” disse curioso Jonathan.

Sebastian non sapeva se dirglielo o meno, alla fine si era mostrato a lui proprio per questo ma non avrebbe mai immaginato che sarebbe successo ciò.

Poteva vedere la poca gioia e positività che Jonathan aveva in quel periodo della sua vita andarsi a sgretolare alla fine di quella giornata se avesse saputo quello che Sebastian gli stava nascondendo.

La situazione della signora Rhyme non aveva aiutato per nulla.

Jonathan continuava a fissarlo e quegli occhi che bramavano verità lo fecero parlare anche se il suo subconscio continuava ad obiettare.

“Perdo delle piume perché sto per morire.”

Un silenzio aspro di sorpresa e tristezza aleggiava nella stanza mentre Zeus salì sulle gambe del padrone che era rimasto a bocca aperta. La piuma che aveva in mano cadde lentamente sul pavimento andandosi a depositare sopra le lacrime precedentemente cadute.

Sebastian non osò guardare Jonathan negli occhi.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


La stanza era imprigionata dal silenzio, si poteva udire solamente il respiro accelerato di Jonathan e il flebile miagolio di Zeus che cercava di svegliare Jonathan da quella specie di trans che lo aveva posseduto.

Sebastian fissava la piuma caduta poco prima, posava gli occhi su tutto, tranne che su Jonathan ovviamente.

L'umano guardava fisso davanti a lui con sguardo vuoto, non riusciva a capire. Sebastian stava per morire? Sarebbe morto anche lui insieme all'angelo? Tutte le domande che aveva avuto quella mattina riguardo all'esistenza degli angeli ora avevano lasciato posto per quelle riguardo alla morte dell'angelo.

Jonathan non conosceva Sebastian, era poco più di un giorno che stavano insieme e ora questa notizia. Era logicamente assurdo.

"Ti sei mostrato a me perché stai per morire?" chiese a bassa voce Jonathan come se non volesse ammettere neanche a se stesso che quell'ultima frase fosse vera.

Sebastian annuì leggermente.

I due continuavano a guardare ovunque ma non incrociavano mai lo sguardo, nessuno dei due voleva far vedere all'altro la tristezza e il dolore che i loro occhi mostravano, in quel momento non esisteva frase più vera che "gli occhi sono lo specchio dell'anima".

Zeus li osservava, nel profondo capiva che qualcosa non andava. Ma essendo solamente un gatto e quindi decise di ignorarli e appallottolarsi accanto a loro sul divano dopo aver fatto un grande sbadiglio.

Mentre osservava Zeus pacioso Jonathan, continuò a parlare:

"Ti va di raccontarmi cosa ti sta accadendo? Ti capisco se non ti va di parlarne."

Sebastian si stava passando la mano sul collo, gesto che faceva spesso quando era nervoso. Ed a causa di quel contatto dall'attaccatura dei capelli fino all'inizio delle spalle la sua pelle si era fatta fortemente rossa.

Jonathan notò quel gesto nervoso e continuò ad osservarlo mentre aspettava silenzioso una risposta dall'angelo.

In quel momento l'umano sembrava il più forte dei due, cosa mai accaduta da quando Jonathan era nato.

Non avendo alcuna risposta il ragazzo si alzò senza guardare Sebastian e nel momento in cui se ne stava per andare per sua strana sorpresa Sebastian cominciò a parlare.

"Si sto morendo e la caduta delle piume è solamente uno di altri effetti che la vicinanza della mia fine mi sta procurando." L'angelo smise di parlare ma Jonathan non gli rispose, era sicuro che tra qualche secondo Sebastian abbia continuato a narrare la sua storia. E così fu.

"Non so se ti sei mai chiesto il motivo per cui le mie piume siano nere." Mentre disse questa frase, osservò Jonathan in cerca di una risposta.

Jonathan annuì, se lo era chiesto ma non era di certo una delle sue priorità. Sapendo che avrebbe dovuto ascoltare molto Jonathan si risedette accanto all'angelo.

"Beh sono nere perché non ho adempiuto il mio dovere, ti spiego meglio. Ogni tipologia di angelo ha le piume di un colore diverso, nasciamo tutti con le piume bianche ma a seconda di quello che poi faremo esse cambiano colore. Gli arcangeli le hanno oro, noi angeli custodi bianche ma questa non è la cosa importante. A tutti gli angeli potrebbero venire le piume nere. A me sono cominciate a diventare nere circa duecento anni fa. Questo perché una grande parte dei miei protetti non ha raggiunto la felicità e non si sono comportati bene sulla terra. Il nostro scopo è di proteggervi ovviamente, ma anche di aiutarvi a raggiungere i vostri sogni e le vostre ispirazioni, il nostro lavoro è molto più grande di quello che si pensi e purtroppo io non sono riuscito ad aiutare molto le persone che avevo sotto la mia protezione. Molti di essi hanno avuto una vita travagliata e non sono stati certamente dei santi, ma io li amavo lo stesso, era quello per cui ero nato." Sebastian stava per ricominciare a parlare ma Jonathan lo interruppe.

"Ma non è colpa tua se hanno fatto quelle scelte, era la loro vita! Tu potevi solo guardare, giusto?" disse quasi con tono arrabbiato, pensava seriamente che Sebastian non avesse nulla a che fare con la vita che quelle persone avevano vissuto.

"In parte tu hai ragione ma sai noi abbiamo un po' di controllo su di voi, se state per fare qualcosa di davvero stupido possiamo darvi una mano, ma serve davvero un grande potere e una grande forza. A volte sono riuscito a far cambiare idea ad alcuni di loro ma a quanto pare mi sono capitate troppe teste dure." Disse l'ultima frase con una risata amara, molto rimorso aleggiava nella sua voce.

"Non possiamo fare nulla per salvarti?"

L'ingenuità nella voce di Jonathan fece scaldare il cuore all'angelo e il fatto che avesse usato un "noi" lo rendeva quasi felice, era abituato a dover proteggere persone egoiste e senza un minimo di umanità che ora trovarsi davanti quel ragazzo che ne aveva passate tante ma che ancora cercava di aiutare gli altri lo faceva sentire strano, in un certo senso lo faceva sentire bene.

"Sai hanno proprio scelto un nome perfetto per te i tuoi genitori." Disse Sebastian evitando di rispondere alla domanda dell'umano che aveva accanto.

"Scusa?" Jonathan era confuso, cosa aveva a che fare ora il suo nome con l'imminente morte dell'angelo?

"Il tuo nome significa dono di Dio, e sto cominciando a pensare che tu lo sia davvero."

A quella frase Jonathan arrossì, nessuno era mai stato così premuroso con lui, tralasciando i suoi genitori.

"Comunque no, non possiamo fare nulla. Non so neanche quando accadrà, e quando arriverà il momento tu avrai un altro angelo che ti guarderà le spalle. Sono quasi geloso." Stava cercando di essere ironico ma dalla sua voce si poteva percepire solamente rimpianto.

"Magari accadrà tra molto tempo e prima dovremmo preoccuparci della mia morte." Disse sorridendo Jonathan cercando di risultare simpatico per alleggerire la tensione e la tristezza che si era creata in quella stanza.

"La tua morte non mi darebbe meno sofferenza di quello che mi darebbe la mia, quindi non so quale delle due sarebbe meglio."

L'angelo che Jonathan si trovava davanti non era per nulla come quello che faceva battutine, che buttava i noodles nel cassonetto o che si lamentava dei propri vestiti. Quest'angelo era pieno di rimorsi e Jonathan non sapeva cosa fare o cosa dire per aiutarlo.

"Spero che ora che ti sei tolto il peso tu ti senta meglio, hai detto che la caduta delle piume non è l'unico effetto che la tua morte ti sta causando, quali sono gli altri?" ora che avevano cominciato la conversazione era meglio sapere tutto per non toccare l'argomento di nuovo o per evitarlo il più possibile.

"Sto diventando come voi, come voi umani, comincio a provare sentimenti. Sai oggi per la prima volta ho provato del dolore, pensare a quello che stava succedendo alla signora Rhyme. Non mi era mai successo prima. Potevo stare male per la morte del mio protetto ma la cosa durava solamente qualche secondo poiché subito dopo avevo già un'altra persona da proteggere. Ora invece tutto si è ampliato ed anche i miei poteri stanno pian piano diminuendo, ad esempio quando ti ho salvato da quella macchina ho fatto una fatica enorme e tu ne sei uscito anche ferito." Continuava a torturarsi il collo.

A quel punto Jonathan gli prese la mano e la strinse tra le sue per fermarlo.

"Smettila di dire certe cose, se non fosse stato per te io ora non mi troverei qui. E non essere duro con te stesso mi sono fatto solamente un graffio. Non fare il melodrammatico." Disse sorridendo con gli occhi puntati dentro quelli dell'angelo. La faccenda della signora Rhyme aveva distrutto anche lui ed in un certo senso Jonathan si sentiva sollevato a non essere il solo a dover provare quel dolore in quel momento e si sentiva più vicino a quell'angelo conoscendo che provavano gli stessi sentimenti.

Erano verdi come al solito ma un po' arrossati, sembrava sul punto di piangere e Jonathan se ne accorse immediatamente.

Sebastian si liberò dalla presa del ragazzo ed una singola lacrima gli scese dall'occhio sinistro, interruppe subito la sua discesa sul suo volto passandosi una mano sulla guancia con estrema rabbia. Con i pugni chiusi posati sulle ginocchia, avvertì altre lacrime cominciare ad uscire e anche se Sebastian provasse con tutte le sue forze a farle smettere non ci riuscì e si sentì più debole che mai.

In quel momento si sentì avvolgere da due braccia calde ed accoglienti, Jonathan lo stava abbracciando.

In quel momento nulla sembrava più giusto di quel gesto nelle menti di entrambi.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Dovettero interrompere il loro abbraccio perché sentirono il rumore delle chiavi del padre di Jonathan tintinnare mentre apriva la porta.

Jonathan si alzò di scatto e raggiunse la porta per andare incontro al padre. Anthony aveva il viso stanco e spento, aveva lavorato molto quel giorno e non vedeva l'ora di tornare a casa. Appena entrò si ritrovò le braccia del figlio intorno al collo che lo avvolgevano in un forte abbraccio. Non importavano tutti i litigi che c'erano stati tra di loro, Jonathan sapeva che se avesse avuto bisogno del padre, lui ci sarebbe sempre stato, come quando venne a mancare la madre.

Anthony fu sorpreso da quel gesto, era da quando Jonathan era ancora un nanerottolo che non esprimeva le sue emozioni in quel modo. Tranne in alcuni i casi, che Anthony sperava non fossero mai accaduti. Proprio per questo il padre aveva immediatamente capito che c'era qualcosa che non andava. Ricambiò velocemente l'abbraccio ed anche se le braccia gli facevano male a causa del lavoro cominciò a massaggiare dolcemente la schiena del figlio con piccoli movimenti circolari, proprio come piaceva al Jonathan bambino.

Per un attimo nella testa di Anthony era come se il tempo non fosse mai passato e che il suo bambino non fosse mai cresciuto: come quando consolava Jonathan per un brutto voto a scuola o per un graffio, cose futili al confronto di quello che stava succedendo in quel momento.

Ancora con il figlio tra le braccia Anthony decise di fargli delle domande:

"Cosa succede figliolo?" domandò mentre sentì Jonathan tremare un po' sotto le sue braccia.

"La signora Rhyme..." non riuscì a finire la frase che scoppiò a piangere, ora era diverso, non stava piangendo solo per lei come era successo all'ospedale, ora stava piangendo anche per Sebastian.

Nel mentre l'angelo si era alzato anche lui dal divano e si trovava a pochi passi di distanza da Jonathan ed il padre, vedendo quella scena abbassò il capo e si asciugò violentemente le poche lacrime rimaste e così sparì silenziosamente lasciandosi dietro di sé solamente qualche piuma.

Jonathan non si accorse della dipartita dell'angelo, aveva la testa poggiata sulla spalla del padre e continuava a piangere ma silenziosamente, si stava calmando.

Anthony si staccò dall'abbraccio e scortò dolcemente Jonathan in cucina per farlo sedere, senza obiezioni il figlio lo seguì. Arrivati in cucina Anthony prese dalla cassettiera la teiera che cominciò a riempire di acqua . L'unico rumore dentro quella stanza era il flebile rumore dell'acqua che entrava nella teiera, Anthony mise la teiera sul gas ed appoggiandosi al lavello rivolse il suo sguardo al figlio, intento a giocare o a tormentare, dipende dai punti di vista, il braccialetto che portava sul polso.

"Se ne vuoi parlare io sono qui." Nonostante la sua stanchezza, la sua voglia di andare a riposarsi e a non pensare a niente per qualche ora, Anthony ora era lì con il figlio a cercare di calmarlo e capire cosa stesse succedendo ma mai senza obbligarlo a parlare o ad esprimere i suoi sentimenti.

Jonathan alzò lo sguardo ed incontrò gli occhi marroni del padre, nessuna somiglianza con i suoi, Jonathan aveva preso i suoi occhi azzurri dalla madre ma lei era solita dirgli che il calore e la dolcezza dei suoi occhi li aveva presi dal padre. Ed in quel momento Jonathan riusciva a vedere negli occhi del padre tutti i pregi che la madre gli diceva sempre.

La teiera cominciò a fischiare e Jonathan approfittò del momento in cui suo padre stava di spalle per parlargli, sarebbe stato molto più difficile farlo se lo avesse guardato negli occhi. Gli raccontò tutti gli avvenimenti della giornata omettendo, ovviamente, tutta la storia di Sebastian. Anthony lo ascoltava in silenzio mentre preparava due tazze di tè, non osava interromperlo perché temeva che poi non avrebbe continuato a parlare e che si sarebbe chiuso in se stesso.

Quando Jonathan finì il padre si era seduto vicino a lui e gli aveva passato la sua tazza di tè, si guardarono per qualche secondo e finalmente Anthony cominciò a parlare.

"Mi dispiace figliolo, sai non posso dirti che tutto andrà bene perché non lo so se sarà così e non posso neanche dirti che sarà facile perché sappiamo entrambi per esperienza che non lo è mai. L'unica cosa che posso dirti è di essere forte come lo sei sempre stato e le cose in un modo o nell'altro si risolveranno. Capisco il dolore che stai provando in questo momento e so quanto possa essere difficile sopportarlo e l'unico consiglio che posso darti è quello di sfogarti in qualche modo, che sia con il pianto o con la tua tanto amata scrittura. Purtroppo queste cose capitano e noi non siamo nessuno per poterle fermare."

Finito di parlare prese un sorso del suo tè ed osservò il figlio per cercare di capire cosa stesse pensando e cosa stesse provando.

Jonathan prese la sua tazza ancora fumante e si alzò, diede un bacio veloce sulla guancia del padre e gli sussurrò: "Grazie." Sfogarsi con lui gli era stato di molto aiuto ed ora si sentiva molto più tranquillo.

Di tutta risposta il padre gli diede un leggero buffetto sulla guancia e gli rivolse un tenero sorriso. Jonathan era davvero grato di avere lui sempre al suo fianco anche se erano molto diversi.

Jonathan cercò Sebastian nel salone, si era accorto da poco che non era presente in cucina, non vedendolo andò nella sua camera e l'unica cosa che trovò fu Zeus intento a giocare con le sue lenzuola. Jonathan non capiva dove fosse finito, si avvicino al gatto per fargli qualche coccola e mentre accarezzava il pelo nero e soffice del felino gli venne un terribile presagio in mente.

E se Sebastian fosse morto? Se lui non riuscisse a vederlo proprio per questo motivo? Il cuore di Jonathan stava cominciando ad accelerare mentre le peggiori immagini del corpo di Sebastian senza vita gli balzavano in testa.

Non era possibile, cercava di dirgli la sua parte razionale, non stava in pessime condizioni, non può averti lasciato così.

Di scatto Jonathan posò la tazza sul comodino e cominciò a girare la stanza mentre chiamava a bassa voce il nome dell'angelo. Passarono i minuti e Jonathan continuava a non avere notizie del suo angelo.

Uscì dalla stanza seguito da Zeus e fece il giro dell'appartamento, senza nessun risultato. Alla fine tornò in cucina e trovò il padre intento ad asciugare alcuni piatti, ma niente traccia di Sebastian.

"Jonathan?" lo chiamò il padre, ma il ragazzo era troppo preso a perlustrare la quella zona dell'appartamento.

"Ehi ti serve qualcosa?" Anthony seguì il figlio fino al salone ma non ricevette nessuna risposta.

Jonathan osservò la piantina della madre che si trovava ancora sul tavolo, ancora viva.

"A proposito, come hai fatto a far riprendere quella pianta? Ormai ci avevo perso le speranze." Chiese Anthony in tono malinconico mentre continuava a guardare il figlio.

"Mi ha aiutato un amico." Fu l'unica risposta che gli diede Jonathan mentre raccolse una delle ultime piume nere che Sebastian aveva lasciato in quella casa come segno del suo passaggio.

Mentre si chiedeva che fine avesse fatto l'angelo prese in braccio Zeus e si chiuse in camera sua.

Accese il computer e cominciò a scrivere l'articolo che doveva consegnare il giorno dopo alla signora Parker, lavorava pur di non pensare a Sebastian ed alla signora Rhyme ed anche se la cosa non stava funzionando al massimo un po' lo stava calmando. Accanto a lui aveva depositato la piccola piuma che guardandola ora, sapendo la storia di Sebastian, aveva tutto un altro significato.

Stava scrivendo e fu interrotto da Zeus che si sdraiò sul pc e di conseguenza aveva aggiunto al suo articolo una serie di lettere che unite non avevano nessun senso. Jonathan ridacchiò alla vista del suo gatto che faceva di tutto pur di ricevere delle attenzioni. Lo prese in braccio e gli fece dei grattini sulla testa.

"Meno male che ci sei tu." Disse a Zeus che gli faceva le fusa contro il palmo della mano.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Era già passata una settimana dall'ultima volta che Jonathan aveva visto Sebastian, i giorni passavano e Jonathan non aveva notizie del suo angelo, neanche qualche piuma lasciata qua e là come dimostrazione del suo passaggio.

Jonathan continuava a vivere, le sue giornate passavano tra tasti del computer, cappuccini e visite all'ospedale per andare a trovare la signora Rhyme. La libreria era rimasta chiusa da quel giorno e la figlia non aveva intenzione di riaprirla. Ogni tanto quando Jonathan aveva tempo andava a vedere la vetrina di quel negozio completamente abbandonato da quando la Danielle era finita in coma, la vetrina si era ingrigita a causa della polvere, dentro i libri erano rimasti come li aveva sistemati Jonathan l'ultima volta che si trovava lì, con Sebastian.

Un numero indicibile di ricordi tornavano alla mente del ragazzo con la tracolla sulla spalla che passava lì appena poteva, facendo finta che fosse solamente un caso, che passava di lì solo perché doveva e non perché voleva. Ricordi di giornate invernali passate a sistemare libri ed a impacchettarli per la clientela che regalava storie per natale invece di oggetti. Si ricordava di come la signora Rhyme risultava radiosa più del solito appena l'aria natalizia cominciava a farsi sentire dopo che il ringraziamento era finito. Entrava nel negozio con una pila di carta da regalo, nastrini ed altre cose utili per fare i pacchetti, e posava tutto sul bancone principale vicino alla cassa facendo rotolare a terra tutti questi pezzi di carta colorati e disastrando la libreria in pochi secondi. Entusiasta mostrava a Jonathan le diverse fantasie della carta appena comprata e gli faceva vedere con quale nastrino doveva essere abbinata, comprava persino dei bigliettini da attaccare ai pacchetti, metteva più passione lei a impacchettare quei libri di quanta ce ne avrebbero messa i clienti per farlo per uno dei loro cari. Jonathan era convinto che uno dei punti forti di quella libreria era proprio quello, e per questo molte persone andavano a fare i loro regali in quella libreria. Il tocco finale era un piccolo adesivo dorato che illustrava una piccola "D" per rappresentare la libreria da dove proveniva quel regalo, per far capire che tutto quell'amore messo in un pacchetto, che appena passato il giorno di natale non avrebbe rappresentato più nulla, era stata Danielle.

Un ricordo che prevaleva nella mente di Jonathan era quando decoravano la libreria a secondo della festività che stava per arrivare, decine di zucche ad Halloween, ed ovviamente era Jonathan a doverle intagliare, un enorme albero di Natale che occupava l'angolo destro della libreria e che era interamente decorato da pezzetti di pergamena dove sopra c'erano scritte delle frasi che provenivano dai libri preferiti della signora Rhyme. L'effetto finale di quell'albero era davvero bello, con piccole luci bianche calde che si riflettevano su tutta la libreria e davano ancora più calore a quel luogo.

Una moltitudine di ricordi che invece di portare gioia facevano sentire a Jonathan tanta malinconia, ricordi di quei tempi che in quel momento sembravano così lontani ed irraggiungibili. Simultaneamente ai ricordi della signora Rhyme si accavallarono quei pochi ricordi che avevano protagonista Sebastian, lui che faceva cadere i libri solamente per prendersi gioco di Jonathan e per vendicarsi, la sua presenza in un angolo della libreria con la schiena poggiata al muro e le braccia conserte mentre lo osservava lavorare o qualche battutina su alcuni autori classici che a sua detta aveva conosciuto. Piccoli momenti che si erano insinuati nel cuore di Jonathan e che erano rimasti lì intenti a fargli ricordare che molto probabilmente non ce ne sarebbero stati di nuovi.

Stringendosi nella sua giacca di pelle si incamminò superando quel luogo, schiacciando con i piedi le prime foglie che l'autunno stava facendo cadere, che con movimenti silenziosi e leggeri si posavano sul marciapiede accanto a Jonathan proprio come facevano le piume del suo angelo qualche giorno prima. Il vento gli gelava il viso e con esso cristallizzò anche una lacrima che scendeva cautamente sulla guancia di Jonathan mentre spariva tra le strade di New York.

Sebastian era accovacciato a terra con il viso livido e del sangue gli scorreva sul lato destro del viso, i capelli scompigliati gli ricadevano sulla fronte ed erano sporchi anch'essi di sangue. Faticosamente si alzò e si dovette reggere al muro per schiarirsi la vista e non perdere l'equilibrio, si passò la mano sul viso cercando di togliere più sangue possibile anche se il risultato non fu dei migliori. Si lisciò la camicia e osservò il luogo intorno a lui, l'unica traccia di quello che era appena successo si trovava sul terreno erano delle gocce di sangue e Sebastian non sapeva se fossero le sue o quelle dei suoi avversari. Ostentando alcuni passi notò che non riusciva a curarsi come faceva solitamente, bastava qualche secondo e qualsiasi taglio o ferita che fosse spariva grazie ad i suoi poteri ma ora non ci riusciva e stava lì in piedi mentre continuava a sanguinare. Non voleva farsi vedere così da Jonathan ma non aveva altro posto dove andare e non si era fatto sentire da una settimana quindi pensò che fosse la cosa più giusta da fare.

Jonathan si stava dirigendo a casa, aveva appena finito il suo turno in caffetteria, stava camminando proprio per quella strada dove aveva rischiato la vita e dove aveva visto o almeno percepito la presenza di Sebastian, ormai qualsiasi cosa facesse gli ricordava lui, in qualsiasi posto dove andava aveva un ricordo con lui. E il solo pensiero che potesse essere morto e che probabilmente lui ora avesse un altro angelo custode gli bloccava il fiato e lo angosciava come non mai.

Prese le chiavi rapidamente dalla sua tracolla ed aprì la porta, sapendo che non avrebbe trovato nessuno a casa, ma appena entrò lo spettacolo che trovò sul pavimento era agghiacciante, schizzi di sangue ovunque e molte piume appiccicose e sporche posate su di esso. Jonathan per ovvi motivi capì subito di chi si trattava, lanciò chiavi e borsa sul divano vicino e seguì le tracce lasciate sul pavimento, un forte odore metallico pervadeva tutto il corridoio fino a quando non arrivò nel bagno, lì trovò Sebastian intento a cercare di medicarsi alcune ferite che aveva sul viso, aveva in mano un pezzo di ovatta che ormai aveva perso il suo candore a causa del sangue dell'angelo.

Jonathan aveva un'espressione tra il sollevato ed il preoccupato, il suo angelo era lì anche se era ferito.

Sebastian con il viso rivolto verso lo specchio si accorse della presenza dell'umano e girandosi con un lieve sorriso gli rivolse la parola.

"Scusa per il disastro, giuro che dopo pulisco io." 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Sebastian non era abbastanza forte in quel momento per continuare a guardare la scena di Jonathan che piangeva tra le braccia del padre che decise di andarsene. Silenziosamente si smaterializzò e scomparì da quella stanza piena di tristezza e di rancore che lo stava soffocando come se gli avessero messo un sacchetto di plastica intorno al viso.

Dopo pochi secondi si materializzò in un vicolo buio e desolato, non era il posto dove era diretto ma i suoi poteri stavano diminuendo e ormai non aveva quasi più il controllo di dove le sue ali lo portavano. Non riconobbe la zona, non si era mai avventurato in quel posto dimenticato dal resto dell'umanità o meglio Jonathan non era mai arrivato lì e di conseguenza neanche Sebastian. Non aveva mai lasciato solo Jonathan neanche per un secondo, quella era la prima volta, tralasciando le riunioni che aveva con i suoi così detti "fratelli" che in quel momento della sua esistenza non lo stavano aiutando. Quelle riunioni scocciavano Sebastian più del dovuto, odiava incontrarsi con gli altri, solamente alcuni gli stavano simpatici e si sentiva fuori posto la maggior parte delle volte aspettando con impazienza il momento in cui sarebbe potuto tornare da Jonathan.

Donne con il trucco sbavato e capelli disordinati, distrutte dalla vita gli camminavano davanti barcollando sui loro tacchi seguite dai propri angeli custodi che non potevano fare altro che guardarle declinare nella loro sfortuna. Vendevano amore ma nessuno lo donava a loro.

Sebastian doveva schiarirsi le idee e decise di camminare un po' con il viso ancora arrossato e le mani nelle tasche dei jeans. Osservava il mondo intorno a lui, la sua estrema bellezza ma anche la sua terribile crudeltà.

Sebastian non aveva perso fede riguardo la sua situazione, era convinto che sarebbe riuscito a salvarsi, almeno lo pensava solamente nei giorni un cui era estremamente positivo, Jonathan gli dava fede. Aveva sentito storie sugli angeli che erano morti proprio nel modo in cui stava per morire lui ma non aveva mai assistito ad una scena del genere.

L'atmosfera cupa e fredda intorno a lui lo aveva leggermente calmato e respirare quell'aria fresca della notte gli aveva fatto decisamente bene. La luna sopra di lui brillava mostrandogli la strada come una guida, mentre continuava a camminare cominciò a sentire Jonathan che lo chiamava, lo stava cercando. Appena sentì la voce di Jonathan decise e si sentì obbligato di tornare dal suo protetto. Chiuse delicatamente gli occhi per materializzarsi da lui ma non accadde nulla. Riaprì gli occhi ritrovandosi ancora nella decadenza di quel luogo.

Respirando fortemente ci riprovò e nulla, sempre sullo stesso punto, sempre con la voce di Jonathan in testa che lo chiamava.

Decise di provarci un'ultima volta, concentrandosi il più possibile, questa volta ci riuscì ma si ritrovò dentro alla libreria della signora Rhyme. Riconobbe subito il luogo e senza avere il tempo di guardare se ci fosse qualcuno lì dentro sentì le gambe perdere il contatto con la terra e la vista offuscarsi, cadde di peso per terra e si portò insieme a lui alcuni libri che caddero a terra con un forte tonfo proprio come fece lui.

Le ali, che erano sempre invisibili al mondo e che neanche Jonathan aveva mai visto, apparirono improvvisamente mostrando tutta la loro maestosità ma anche la loro fragilità, adagiate sul pavimento ricoprivano gran parte dello spazio tra Sebastian e gli scaffali, piume nere che raramente si alternavano con una piuma bianca che stava conquistando la propria unicità in quel letto di piume. In alcuni punti le ali avevano una mancanza di piume che rivelava nuove piccole piume grigio chiaro che sembravano deboli e che cercavano di coprire inutilmente la cute corvina e ruvida delle ali. Sebastian incosciente sul pavimento poteva sembrare il protagonista di un quadro che illustrava uno spettacolo divino, disteso lì circondato da libri aperti a caso e da piume lugubri sparse a terra.

Quando giorni dopo Jonathan passò proprio davanti la libreria non sapeva che il suo angelo si trovava lì, e che non era così lontano come Jonathan pensava. Sfortunatamente per lui non entrò ma rimase solamente a viaggiare nei suoi ricordi.

Poco meno di una settimana dopo Sebastian si risvegliò dal suo stato vegetativo non capendo cosa gli stesse succedendo, ma era da un po' che aveva smesso di farsi domande riguardo la sua salute. Si mise seduto e si posò una mano sulla fronte, la testa gli girava e non riusciva a vedere chiaro, quindi rimase così per qualche minuto cercando di riprendersi. Appena si sentì abbastanza forte si alzò barcollando e cercò di riprendersi i suoi ultimi ricordi e l'ultima cosa che gli venne in mente fu proprio il momento in cui si materializzò in quel negozio. Si specchiò alla vetrina e notò le ali, non erano mai visibili, l'unica eccezione era quando si trovava in paradiso. Si concentrò cercando di farle tornare invisibili e per sua fortuna ci riuscì. Felice del suo progresso decise di provare a volare a casa da Jonathan, sapeva che le possibilità sarebbero state poche ma non voleva arrendersi, il suo stato non lo avrebbe reso più debole, era un guerriero e sarebbe riuscito anche in quell'intento.

Si poggiò sullo scaffale per sostenersi e chiudendo gli occhi riuscì a materializzarsi qualche isolato vicino casa di Jonathan, era comunque un buon risultato. Si spostò i capelli sudati dalla fronte e cercò di capire quanto avrebbe dovuto camminare più o meno per raggiungere quell'angolo di paradiso che era la casa di Jonathan per l'angelo. Cominciò a camminare e sentì delle risate provenire da dietro di lui.

"Ehi tu!" urlò una voce.

Sebastian non si girò, non erano affari suoi, loro non potevano vederlo e lui doveva tornare da Jonathan.

Si sentì toccare sulla spalla e la cosa lo stupì molto, si girò e si ritrovò davanti tre ragazzi, fisicamente erano il doppio di lui.

"Cosa è quella faccia sorpresa?" disse uno dei tre ghignando.

Non poteva crederci, non poteva credere che loro potessero vederlo.

"Questo è perfetto, no?" disse il secondo con un orrendo tono di voce mentre esaminava Sebastian.

"Direi proprio di si." Gli rispose l'ultimo che stava poco dietro i primi due.

Con gesto raccapricciante si torse il collo facendolo scrocchiare svariate volte, fece la stessa cosa con le dita, continuando a sorridere rivolto a Sebastian.

I tre gli si avventarono contro sopraffacendolo senza dargli tempo di proteggersi. Sebastian finì a terra mentre i tre lo prendevano a calci.

Non usava mai i suoi poteri contro gli umani ma in quel momento lo stavano costringendo a reagire, ancora a terra alzò il viso per guardarli e tirando fuori il suo miglior ghigno gli disse: "Non avete idea di chi vi siete messi contro."

Alzò il palmo della mano aperta contro di loro, ma non successe ciò che Sebastian si aspettava. I tre scoppiarono in una fragorosa risata.

"Dannazione." Bisbigliò Sebastian con tono arrabbiato.

"Ragazzi sto tremando, ora il moccioso ci ucciderà con uno sguardo." Lo sbeffeggiò il ragazzo che tra i tre sembrava il più forte.

I due complici risero di tutta risposta.

"Non volevo sporcarmi le mani ma a quanto pare volete che vi si dia una lezione, ci sarà da divertirsi."

Mentre disse questa frase l'angelo si alzò e si pulì le mani dalla terra che gli era finita su di esse a causa della caduta.

"Ci sarà da divertirsi, ma per noi" fu la risposta del ragazzo che poco prima lo aveva deriso, si mise in posizione da pugile e cominciò a saltellare intorno a Sebastian.

Vedendo la scena, uscì una risata soffocata da Sebastian che si mise una mano in fronte e cominciò a muovere la testa facendo segno di no.

"E quando pensavo che non potessi essere più ridicolo ecco che ci riesci." Sebastian imitò la sua posizione prendendolo in giro e ridendo di lui.

Uno dei due complici arrabbiato dalla reazione dell'angelo gridò: "Okay facciamola finita."

Si avventò contro Sebastian che lo evitò con fatica, era ancora debole, ma sempre più forte di quei tre era.

Volarono calci e pugni, si sentivano tonfi e flebili grida per quella strada. Sebastian era da solo contro tre avversari e senza poteri. E voleva seriamente farla pagare a quei tre tizi senza cervello che per divertimento picchiavano gente a caso.

Il combattimento non aveva ancora un vincitore e tutti e quattro erano distrutti e respiravano a fatica, i tre avversari erano a terra che ansimavano cercando di recuperare energie, mentre Sebastian stava in piedi appoggiato al muro con un sorriso compiaciuto sul viso mentre del sangue gli attraversava il collo.

"Avete intenzione di alzare bandiera bianca o preferite che vi uccida almeno avrò fatto un'opera buona per l'intero pianeta?" non li avrebbe mai davvero uccisi, ma la situazione era troppo divertente per non approfittarne.

il ragazzo che a Sebastian sembrava il capo di quella stupida banda fece un cenno agli altri e tutti e tre si alzarono dando le spalle a Sebastian e corsero via, lasciando dietro di sé qualche sputo di sangue. I loro angeli custodi li seguivano e prima di andarsene diedero uno sguardo triste e preoccupato a Sebastian.

Sebastian non voleva la loro compassione e per tutta risposta gli alzò il dito medio contro, sporco di sangue proveniente dai loro protetti. Ormai tutti sapevano la sua situazione e questo lo faceva impazzire.

"Certo scappate pure con la coda tra le gambe!" fu l'unica cosa che riuscì a dire Sebastian ai suoi avversari prima di accovacciarsi a terra per riprendersi dallo scontro al quale aveva appena partecipato. Era ancora sorpreso dal fatto che quei tizi riuscissero a vederlo, la situazione stava peggiorando e di questo Sebastian ne era consapevole.

Arrivato a casa di Jonathan notò che la casa era desolata, quindi decise di andare al bagno per cercare qualche medicazione, mentre stava togliendo la maggior parte del sangue che aveva sul viso si affacciò dalla porta del bagno ed osservò la confusione che aveva creato in quell'appartamento sperando che Jonathan non sarebbe arrivato da un momento all'altro. Qualche minuto dopo mentre continuava a medicarsi si accorse che il suo umano si trovava proprio dietro di lui e che lo stava osservando. Sorrise con fatica alla sua vista e l'unica cosa che gli venne in mente di dire fu:

"Scusa per il disastro, dopo pulisco io."

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Jonathan era ancora un po' scosso dalla vista di Sebastian nel suo bagno e stava provando sentimenti contrastanti alla scena che gli si mostrava di fronte, era felice perché sapeva che stava bene ma in realtà fisicamente non stava bene, aveva il viso livido in alcuni punti e del sangue ricominciava ad uscire ogni qualvolta l'angelo puliva la ferita. Il mezzo sorriso che Sebastian gli aveva appena rivolto lo aveva risollevato un minimo ma non abbastanza per essere sicuro che tutto fosse sotto controllo.

Sebastian raccolse tutti i pezzetti di ovatta ormai rossi che aveva gettato nel lavandino e li buttò nel cestino che si trovava al lato del bagno, passando così accanto a Jonathan ancora fermo nella sua posizione iniziale.

"Cosa hai fatto?" chiese Jonathan mentre ispezionava ogni centimetro di pelle malridotta di Sebastian.

"Qualche attaccabrighe era in vena di divertirsi, ma se la sono presa con l'angelo sbagliato. Non guardarmi in quel modo, loro stavano decisamente messi peggio." Disse Sebastian con un sorriso soddisfatto sul volto.

"Degli angeli ti hanno picchiato?" continuò a chiedere Jonathan mentre aiutava l'angelo a sistemare il bagno.

"No, erano umani."

A quest' affermazione Jonathan si fermò e fece fermare anche l'angelo afferrandogli il braccio.

"Qualcun altro può vederti?"

"Si, mi sembrava di essermi dimenticato di dirti qualcosa, a quanto pare non sono più il tuo piccolo segreto." Rispose in tono ironico.

"Che fine ha fatto tutta la storia dell'invisibilità? Ti si è rotto quella specie di interruttore che avevi?"

"Interruttore? Cosa pensi sia? Un robot? Ovviamente non mi si è rotto il mio interruttore dell'invisibilità," disse l'ultima frase mimando due freccette con le dita "i miei poteri continuano ad andarsene e questo è il risultato."

"Non riesci neanche a curarti." Constatò Jonathan continuando a guardarlo negli occhi.

"Già e se vuoi scusarmi devo rimediare a questo disastro." Lasciò la presa del ragazzo ed evitò il suo sguardo, ma Jonathan aveva notato, Jonathan aveva visto. Nello sguardo di Sebastian era nata un'infinita tristezza quando ha dovuto ammettere di stare perdendo lentamente i suoi poteri. Un piccolo velo che gli aveva ingrigito lo sguardo si era fatto avanti in quegli occhi che solitamente portavano nella vita di Jonathan una serenità che da un po' di tempo lo aveva abbandonato.

Con uno sguardo Sebastian fece sparire tutte le piume e le gocce di sangue che aveva sparso per grande parte dell'appartamento.

"Almeno sono ancora utile a qualcosa." Disse con un piccola dose di orgoglio nella sua voce.

Jonathan aveva appena iniziato a pensare a tutti i problemi che questa situazione gli avrebbe portato ed a come probabilmente si stesse sentendo Sebastian in quel momento e che lui non avrebbe potuto fare nulla, che sentì il padre chiamarlo dall'entrata.

"Jonathan! Sei a casa?"

Come un lampo Jonathan prese Sebastian per il braccio e lo condusse nella sua camera, quel gesto gli ricordò molto la prima volta che aveva visto l'angelo e che cercava di nasconderlo dagli occhi del padre.

"Cosa diavolo stai facendo?" chiese Sebastian che non opponeva resistenza al tocco di Jonathan che lo stava strattonando dirigendolo verso il suo armadio.

"Non vuoi farlo davvero!?" disse con tono incredulo ed irato l'angelo, fino a che con un ultimo strattone ed un piccolo calcio Jonathan lo fece finire dentro il suo armadio circondato da diversi cappotti che stavano cadendo uno ad uno a causa della presenza inaspettata dell'angelo.

"Sono un fottuto angelo, non puoi chiedermi in un armadio come se fossi un-" Sebastian venne interrotto da Jonathan che chiuse con forza le ante dell'armadio, zittendo l'angelo e lasciandolo nell'oscurità di quel piccolo posto.

"Quel ragazzino ha più forza di quanto pensassi" disse sottovoce mentre fece cadere gli ultimi abiti rimasti sulle stampelle per puro divertimento, un ghigno soddisfatto gli nacque sul viso.

Anthony continuava a chiamare il figlio.

"Jonathan, cosa è questo trambusto? Jonath-"

Il figlio gli si parò davanti prima che Anthony potesse finire di chiamarlo, Jonathan era visibilmente affannato e si sorreggeva allo stipite della porta mentre guardava il padre.

"Ciao pà! Tutto okay a lavoro?" chiese Jonathan con un grande sorriso.

"Si, cosa hai distrutto esattamente? Ho sentito diversi rumori."

"Oh nulla, era entrato solamente un insetto che mi stava infastidendo e l'ho cacciato via." Stava davvero paragonando Sebastian ad un insetto entrato dalla finestra, in qualche modo era proprio così che Sebastian era entrato nella sua vita.

"Ultimamente sei strano," disse mentre si stava togliendo la giacca "Vado a farmi una doccia, dopo ceniamo insieme?"

Il tono del padre era quasi supplicatorio, era un po' che i due non mangiavano insieme a causa degli orari di lavoro di entrambi, ed erano più le volte che parlavano mentre uno dei due entrava e l'altro usciva.

"Certamente." Gli rispose Jonathan, il loro rapporto sembrava che stesse riprendendo ad essere come quello di una volta, Anthony dopo la morte della moglie era cambiato drasticamente, era diventato più freddo e distaccato. Ma come Jonathan aveva potuto constatare poco tempo prima, ci sarebbe stato sempre per il figlio ed anche se ora il loro rapporto non era dei migliori potevano sempre contare l'uno su l'altro.

"Cucino io!" disse felice Anthony prima di dirigersi nel bagno.

Per fortuna pochi minuti prima Sebastian aveva mantenuto la sua promessa ed aveva sistemato tutto.

Appena Jonathan sentì la chiave del bagno girare si avviò verso la sua stanza.

Aprì l'armadio e trovò Sebastian seduto a terra che giocava con un cappello di lana che aveva trovato lì dentro.

"Finalmente." Sbuffò mentre uscì dall'armadio continuando a maneggiare l'oggetto in mano.

"Hai lottato con i vestiti?" chiese Jonathan con tono alterato mentre osservava il disastro che si trovava davanti, tutti i vestiti che prima erano ordinatamente posizionati sulle stampelle ora erano tutti a terra, arrotolati ed ammucchiati tra di loro.

"Mi avevano provocato" Disse sorridendo l'angelo mentre si sedette sulla sedia girevole di Jonathan che si trovava davanti la sua scrivania.

"Non sei divertente" disse in tono seccato Jonathan.

"Io invece penso di esserlo, molto." Fu la risposta dell'angelo che ora stava roteando sulla sedia con la testa appoggiata sullo schienale di finta pelle ed osservava l'umano sistemare gli indumenti.

"Potresti darmi una mano invece di stare lì a fare nulla."

"No grazie e guarda che sto facendo qualcosa, sto cercando una spiegazione sul perché tu stia ancora tenendo questa oscenità nel tuo armadio." Disse alzando il capello con il braccio.

"È un regalo e ci tengo." Gli tolse il cappello dalle mani e lo riposizionò al suo posto. Sebastian platealmente fece la faccia offesa, prendere in giro Jonathan era una delle cose che preferiva fare e vedere le sue reazioni lo rendevano felice.

"Ah ora ricordo," cominciò l'angelo con tono canzonatorio "te lo regalò quella ragazza, quella per cui avevi una cotta ma non sei mai riuscito a dichiararti."

"Smettila." L'imbarazzo cominciò a crescere e Sebastian lo notò dalla voce di Jonathan.

Decise di lasciarlo perdere, per adesso.

"Non hai proprio ripreso da me." Disse canzonandolo Sebastian.

"Se non la smetti di fare quel ghigno ti ricomincerà ad uscire sangue dal taglio che hai sul labbro, buffone."

Sebastian alzò gli occhi al cielo e continuò ad osservare Jonathan che sistemava il disastro da lui creato.

"Sai mi è sempre piaciuta questa bacheca." Disse indicando la grande bacheca che Jonathan aveva posizionato proprio sopra la scrivania.

"Già, ne sono molto orgoglioso anch'io." Gli rispose Jonathan.

Sulla bacheca erano attaccati articoli di giornale scritti da Jonathan che era riuscito a vendere a qualche piccolo giornale, alcune recensioni che aveva scritto per dei blog online, foto di paesaggi che lui stesso aveva scattato durante i suoi viaggi e qualche biglietto di concerti o spettacoli teatrali ed altre foto della sua infanzia che lo ritraevano con la sua famiglia o con degli amici.

"Sai ti rappresenta molto." Gli disse l'angelo mentre accarezzava i piccoli pezzi di giornali.

"Disordinata ed inutile?"

"No, interessante e sognatrice. Sai la cosa che mi ha sempre affascinato di voi umani è che continuate a sognare, continuate a sperare, ad andare avanti, anche quando succedono le cose peggiori o vi ritrovate in qualcosa che è più grande delle vostre potenzialità, non mollate. Trovate conforto nelle cose che possono sembrare futili ma che in realtà sono importanti ai vostri occhi, che sia un tramonto, un sorriso di un bambino o un cane che vi si avvicina per farvi delle feste. Queste singole cose possono essere rappresentate da questo pezzo di sughero intriso di ricordi e di prospettive future. Ogni singolo pezzo di questa bacheca rappresenta qualcosa che tu sei, una parte di te, unendo pezzi della tua vita che ti hanno fatto diventare quello che sei. Ed anche se è disordinata questo non la rende meno magnifica di quanto lo sia."

Jonathan aveva osservato per tutto il tempo Sebastian mentre parlava, la malinconia nella sua voce lo aveva rattristato, sembrava che l'angelo invidiasse tutte quelle cose che aveva appena elencato, che gli umani riuscivano a provare. Gli si avvicinò e cominciò ad indicare uno per uno quei pezzetti di carta che erano attaccati a quella bacheca come tutti i ricordi che essi custodivano erano attaccati al cuore di Jonathan.

"Quello è il primo articolo che mi pubblicarono, era per il giornalino della scuola, non mi interessava il numero di persone che lo avrebbe letto o se la maggior parte lo avesse utilizzato per fare delle palline di carta da lanciarsi durante le lezioni. Era il mio primo lavoro di scrittura e quando la mia insegnante lo lesse e disse che andava bene per essere pubblicato, ero la persona più felice del mondo. Il giorno in cui fu consegnato il giornalino presi diverse copie e quando finalmente le lezioni terminarono corsi a casa per fare vedere a mia madre che finalmente ce l'avevo fatta, finalmente il mio nome era scritto sotto un articolo. Lei era felice per me e mi disse che il secondo passo sarebbe stato un mio romanzo." Jonathan dovette smettere di parlare a causa dei singhiozzi che il ricordo della madre gli aveva causato.

"Sono sicuro che sarebbe orgogliosa del lavoro che stai facendo." Gli disse Sebastian confortandolo con una pacca sulla spalla.

Il seguente silenzio fu interrotto dalla suoneria del cellulare di Jonathan, passandosi una mano sugli occhi per togliere le lacrime nascenti si avviò sul letto dove si trovava il cellulare. Rispose con la voce più felice che potesse utilizzare in quel momento. Sebastian ascoltò la telefonata senza intromettersi mentre cercava di far avvicinare Zeus, che era appena entrato nella stanza, ricevendo solamente un soffio da parte del felino.

"Vorrei proprio sapere cosa ti ho fatto." Disse l'angelo rivolto al gatto che si andò a rannicchiare sulle gambe del padrone.

"D'accordo Elle, allora a domani."

"Elle? La figlia della signora Rhyme? È successo qualcosa?" chiese sopraffatto dall'ansia Sebastian.

"Calmati, non è successo nulla, vuole solamente parlarmi della libreria. Spero non voglia chiuderla." Jonathan era pensieroso mentre accarezzava il pelo morbido di Zeus.

"Beh Elle odia quel posto, sarebbe la scelta più ovvia. Anche se dispiacerebbe anche a me se decidesse di farlo."

"Già" rispose Jonathan mentre si tolse Zeus dalle gambe e prese la piuma di Sebastian che aveva sul comodino.

Si diresse verso la bacheca sempre tenuto sott'occhio dall'angelo e la attaccò vicino al suo primo articolo di giornale.

Notando lo sguardo confuso che l'angelo gli stava rivolgendo, gli rispose:

"Anche tu sei una parte di me."

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