Raccogliere i cocci

di reggina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il calcio senza pallone tra i piedi ***
Capitolo 2: *** La farfalla con le ali di cristallo ***
Capitolo 3: *** Ombre senza tempo ***
Capitolo 4: *** Il fuoco amico dei ricordi ***
Capitolo 5: *** Cinquanta sfumature di mamma ***
Capitolo 6: *** Un fulmine a ciel sereno ***
Capitolo 7: *** Prime volte ***



Capitolo 1
*** Il calcio senza pallone tra i piedi ***


Piove a dirotto. Una di quelle piogge da paura, tipiche dei climi tropicali.

Le lancette già segnano una vittoria sofferta per la squadra ospite , tutta arroccata nella propria metà campo a difendere l'intera posta in palio. È il fuoriclasse di casa, però, a mandare letteralmente in tilt la retroguardia con il suo pensiero veloce e il dominio del pallone.

A Philip Callaghan, l'avversario arrivato dall'insolito Giappone dei ghiacci, sfugge uno di quei sorrisi caldi come un vulcano d'oriente: Julian Ross ha la stessa serietà, la stessa voglia di essere un professionista, la stessa aria concentrata e tesa di ogni qualvolta scenda in campo e si è concesso un mezzo sorriso soltanto quando si sono salutati con un cinque nel sottopassaggio.

Perché il difetto di Julian è sempre quello: lui le partite le sente e questo pomeriggio la sente ancor di più . E ha imparato a farsi trovare pronto in ogni momento.


Aghi di acqua gelida gli scivolano sulla pelle, lungo la schiena sudata, come lame affilate mentre si coordina per il tiro. Rimpiange il getto d'acqua bollente della doccia, quel quarto d'ora diventato indispensabile, negli ultimi otto anni, per rilassarsi e preparare il suo corpo a dare il meglio.

Soltanto cinque ore fa era in hotel, insieme all'allenatore, a ripassare per l'ultima volta gli schemi di gioco e a perfezionare con meticolosità gli ultimi dettagli.

Quando la Mambo è arrivata allo stadio, scendendo dal pullman, la figura elegante e pulita di Julian è spiccata immediatamente tra divise spiegazzate, tagli di capelli creativi, maxi cuffie alle orecchie e occhiali da sole anche in una giornata così plumbea.


È sabato, sono da poco passate le 17. Nessuno può sospettare che quella che sta per diventare una rimonta quasi impossibile si trasformerà in una manciata di minuti fatali.

"Controlla ciò che puoi! Controlla ciò che puoi! Controlla ciò che puoi!"

Un mantra ripetuto all'infinito per scacciare la paura che possano sopraffarlo altre cose, perché Julian ha capito, prima che accada che il nemico non sono gli avversari. Il nemico è il caso, l'imprevisto, l'episodio.

Il suo cuore ballerino.

Succede all'improvviso: resta fermo lì immobile, in mezzo al campo, in una dimensione sospesa nel tempo e nello spazio. Lo stadio ammutolisce, i compagni cercano di aiutarlo, piangono e si disperano.

"Sto bene ragazzi...Non preoccupatevi!"

Vorrebbe rassicurarli ma non riesce a muoversi. Un dejà -vu di otto anni fa.

Una rasoiata di luce squarcia il cielo grigio e Julian, di colpo, crolla a terra privo di sensi.

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Capitolo 2
*** La farfalla con le ali di cristallo ***


Aveva appena quattordici anni Amy quando ha capito che quella di Julian è una malattia alla quale bisogna dare del lei. Un difetto che ha cambiato la vita di entrambi, l'ha messa alla prova in tutto e per tutto, l'ha coinvolta completamente e, per la prima volta, l'ha messa faccia a faccia con la morte.

L'esperienza, dopo tanti anni, non aiuta: è soltanto una lampada che le illumina la schiena, non il cammino.


E si sente, di nuovo, come quella ragazzina incerta e terrorizzata sprofondata nella poltroncina di plastica verde con il cuore gonfio di preghiere e venature rosse nel bianco degli occhi, segno che è esausta e ha pianto.

Julian adesso dorme tranquillo ma i pensieri di lei sono fermi lì, immobili in mezzo al campo dove il suo grande amore è crollato di colpo privo di sensi.

Lo stadio ammutolito, i compagni che cercano di aiutarlo e intanto piangono e si disperano.

I concitati tentativi degli avversari di rianimarlo.

L'ambulanza che arriva, lo stadio che si alza in piedi ad applaudire.

Il ricovero in ospedale e la partita che va avanti perché, per forza di cose, si deve continuare.

"Tesoro mio!"

Gli occhi di Julian la scrutano con l'inafferrabilità e l'indecifrabilità di un uomo ma il sorriso stiracchiato è del timido che arrossisce davanti ad una telecamera e alle incessanti domande dei giornalisti.

È del calciatore che ama la libertà di stare a briglie sciolte in campo, come una farfalla. È dell'uomo che si è innamorato follemente e alla sua maniera di una donna che lo protegge sempre, anche contro un destino infame.

"Come ti senti?"

Julian contrae i muscoli doloranti. Amy è ancora bellissima: fragile, sottile e luminosa come se il sole sfolgorasse dentro di lei. Gli accarezza la guancia glabra e il sollievo è evidente sui suoi lineamenti delicati.

I suoi occhi castani si inumidiscono ma ha un sorriso felice quando gli accarezza la testa. A quel contatto un senso di soddisfazione si fa strada nel petto di Julian.

"Macerato. Ho male!"


È una risposta che non s'aspettava, che la spiazza. Lui chiude gli occhi e respira piano, sapendo di avere il dovere di spiegarsi.

" La malattia cambia le persone, Amy. È attraverso questo percorso che ho imparato a conoscere meglio me stesso, i miei limiti, a capire e rispettare la mia malattia!"

È un discorso da resa incondizionata e la ragazza deve appigliarsi a quello sport scritto a chiare lettere negli occhi di Julian. A quel pallone stramaledetto ma pur sempre amato.

"Non c'è niente da fare: quando un amore è grande, lo è comunque, sempre e per sempre. Il tuo amore per il calcio è viscerale, di quelli che non puoi controllare ma soltanto coltivare fino all'ultimo fiato. Sappiamo che puoi guarire. Vale la pena provarci!"

Stavolta, però, la farfalla sente tutta la precarietà delle sue ali di cristallo: raffinate e fragili.

Afferra la mano di Amy e se la porta alle labbra.

"L'ho fatto per tanti anni, Amy. Non c'è stata situazione, non c'è stato discorso dove non abbia inserito la parola pallone o partita. Ho coltivato questo amore sacrificando tutto ma non la mia famiglia. Da dietro la rete mi sono sempre voltato verso gli spalti alla ricerca degli occhi di mia moglie. Tu vieni prima di tutto, tu sei al primo posto!"

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Capitolo 3
*** Ombre senza tempo ***


Nei primi giorni successivi al suo ritorno a casa, Julian vuole passare ogni minuto possibile insieme ad Amy, per recuperare il tempo perduto.

Insieme preparano dolci, fanno il bucato e puliscono casa: quelle cose che le persone normali considerano noiose o sgradevoli, a lui sembrano paradisiache perché può farle con la donna che ama.

Non sono più tornati sulla decisione di Julian che pare netta, irrevocabile. Amy ha cercato un paio di volte di insistere, di affrontare l'argomento spinoso, ma lui è sgusciato via come un'anguilla.

Nessuno sa meglio di sua moglie quanto grande sia quel dolore segreto che nasconde dietro un sorriso e nessuno più di lei vorrebbe vederlo felice per davvero.


Ci sono altre persone che, negli anni, hanno dato a Julian una forza incredibile. Una forza che nemmeno immaginava di avere.

Sono i suo genitori. E anche per loro, le volte precedenti che è stato male, ha deciso che valeva la pena provarci.

Stavolta, però, qualcosa gli si è rotta dentro: si sente come una farfalla con le ali mozzate.

A Gregory basta incrociare gli occhi di suoi figlio per capirlo, per capire quell'ingranaggio inceppato che rimane fermo nella posizione in cui si è bloccato su quel campo da calcio, e quel disagio che Julian non ammetterà mai a parole.

"Lo so che hai paura di queste ombre senza tempo!"

Esordisce quando, impeccabile come sempre nella sua giacca a doppiopetto, siede sulla panca in vimini accanto ai settembrini lilla che Amy ha annaffiato soltanto mezz'ora fa.

Il ragazzo socchiude gli occhi, sospira e accarezza uno dei petali umidi restando in silenzio. Allora suo padre rincara.

"Hai esordito in Nazionale giovanissimo, sei diventato un titolare inamovibile in una squadra dai piedi buoni, la tifoseria stravede per te. Non sei mai uscito dal campo senza aver prima buttato l'ultima stilla di energia, costi quel che costi. Con le gambe doloranti o il respiro corto non hai mai lasciato da soli i tuoi compagni. Vuoi davvero lasciare tutto questo? Mollare, lasciando costernato chi ha imparato ad apprezzare la tua generosità?"

Ha toccato un nervo scoperto, o forse quello giusto: è la scintilla che, finalmente, innesca una reazione nel giovane deluso.

Serra forte i pugni fino a farsi sbiancare le nocche.


"E tu credi che non mi sia mai chiesto e che non continui a chiedermi dove sarei potuto arrivare se questo cuore maledetto non mi avesse fermato?

Sai, da bambino è stato tutto più difficile: le tentazioni erano tante ed io ero costretto a restarmene seduto in panchina, tra parastinchi, bottigliette d'acqua e molti rimpianti."

Fa male confrontarsi, di nuovo, con quel sacro totem della sofferenza, con quei lacci esistenziali impossibili da spezzare, una rinuncia di tanti anni prima che inquieta ed inquina anche il presente.

Ma, adesso, Julian è intenzionato a tagliare, a poco a poco, le radici a quei ricordi.

"L'amore per il calcio mi ha accompagnato per tutta la vita ma, nei momenti peggiori, mi si è aperto un mondo popolato di gente capace di offrirmi umanità e affetto. Ho toccato la sofferenza con mano e, adesso, capisco meglio l'altra faccia della normalità!"

È impossibile colludere con il passato ma, per Gregory, è inaccettabile anche diventare complice dell'inerzia in cui pare scivolare il futuro di suo figlio.

"Hai ragione: il destino sarà sempre lì, in agguato pronto a scagliare il suo tiro mancino. Ma tutto quello che hai passato è servito a fortificare il tuo carattere per schivare tutti i prossimi, eventuali, tiri sinistri..."

Julian è stanco. Stanco di ascoltare, di dare spiegazioni, dei tentativi di persuasione.

"L'unico mio rammarico è di aver pagato dazio alla sfortuna!"

Si alza e stampandosi sul viso un sorriso di facciata si avvia verso Amy, la cui figura incerta è appoggiata alla porta finestra scorrevole che affaccia sul giardino.

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Capitolo 4
*** Il fuoco amico dei ricordi ***


L'ultimo tempio del calcio romantico. Uno spiazzo di terra polveroso, erba diradata e incolta come un'oasi nel deserto e confini indefiniti sulla linea del fallo laterale.

"Pallaaaa!"

Sul campetto di periferia, ventidue saette fasciate in magliette troppo grandi per loro, corrono tutti intorno alla palla, tutti all'attacco e pochi tornano in difesa. Giocano un calcio totale, tutti corrono verso la porta, tutti vogliono far gol come i brasiliani.

Quel gioco diventa un filo teso che unisce i bambini di oggi a quelli di ieri. Una sorta di esperanto, un pozzo di desideri e di divertimento infinito.


Philip Callaghan, mentre sale i gradoni per raggiungere l'unico profilo che gli è familiare, rivive quel connubio felice di pathos e lieve malinconia.

E’ bella l'immagine che gli rimanda il campo. La fotografia del mondo pallonaro mondato di tutte le sue nefandezze.

I genitori che, appassionatamente, incitano i loro piccoli campioncini gli strappano un sorriso affettuoso: ricorda bene il tempo in cui anche sua madre si trovava impelagata, praticamente tutti i gironi, tra scarpini sporchi e borsoni gonfi di divise di varie taglie.

Finalmente si ritrova a pochi centimetri dall'espressione dura e severa di Julian. La sua faccia è da uomo tutto d'un pezzo, di quelli che non riesci a mettere a terra nemmeno con un pugno in pieno stomaco.

L'amico d'infanzia è, però, quello con cui non ci sono né tabù, né segreti: a volte è più di un fratello.

Philip, dunque, infischiandosene della fronte aggrottata e delle mascelle contratte, sa che l'animo dell'amico è tenero. Lo scalfisci con niente e lo conquisti con poco tanto che anche i suoi occhi si sono inumiditi innanzi a quell'affiatamento, alla spensieratezza, all'imprevedibilità e a tutti i valori che può regalare lo sport più diffuso al mondo.

O forse c'è molto di più oltre quel semplice piacere. Quel rigido decalogo di proibizioni che ha regolato e limitato la sua infanzia e la sua adolescenza.


"Su Baronetto: sarò la tua guida spirituale, il tuo confessore, il tuo psicologo..."

La battuta scaccia un po' di malinconia e gli infonde sicurezza. A volte invidia la parlantina dell'amico di Furano, la naturalezza della sua personalità luminosa.

Molto spesso, al contrario, lui si è sentito una persona grigia. Di quelle che spengono le luci.

"Mi basti come rompiscatole !"


Per qualche minuto a rubare la scena è il tifo quasi fanatico dei genitori dei piccoli che rotolano sul campo.

"Ti ricordi..."

Philip non ha il tempo di completare. Un ricordo d’infanzia scatena sempre un’emozione e la voce calma di Julian si accavalla alla sua.

“Non ti ho ancora ringraziato per quel giorno !”

È più facile aggrapparsi alla più recente esperienza negativa e spiacevole; con la consapevolezza di poterla adesso gestire. Gli hanno raccontato che proprio il capitano della Flynet, impulsivo come un vulcano che sta per eruttare, è stato il primo a chinarsi sul suo corpo esamine e a cercare di rianimarlo affidandosi più all’istinto che a nozioni di vero soccorso.

“Di certo non mi daranno mai la laurea in medicina!”

C’è una forte dissonanza tra la postura posata di Julian e il marasma che gli ribolle dentro. Sa di non poter mentire a quello che è più di un fratello ormai.

“Quel giorno mi sono sentito come un gigante con tanti lillipuziani intorno e poi come un lillipuziano circondato da tanti giganti. Amy, a volte, mi dice che sono come un tornano che entra in un buco nero…Fa ridere, no?”

Philip però resta estremamente serio. Allora l’altro continua in una sorta di monologo.

“Sì, la ricordo la grande emozione nello scendere in campo dopo una settimana di duri allenamenti, la bellezza di un gesto tecnico, l’andare a contrastare con tutta l’energia l’avversario che avevo difronte. E non mi vergogno neanche di dire che spesso ho pianto per una partita non giocata.”

“Hai portato a termine tante missioni che sembravano impossibili, Julian. C’è una specie di magia nella tua storia e ci sono ancora tanti successi ad aspettarti. Vuoi davvero arrenderti sul più bello?”

Di riflesso ottiene la risposta di uno sguardo malinconico ma di un sorriso che non vuole cedere.

“Non trovi un po’ triste questa cosa? Ci si aspetta da noi che siamo superuomini, ma non quello di Nietzsche. Ci si aspetta soltanto che siamo uomini di successo. Ma io sono anche un figlio, un marito…Non posso più costruirmi un’altra realtà, così effimera da lasciarmi un vuoto dentro!”

“Allora vuoi davvero dire addio a tutto questo? Il campo da calcio, la tifoseria, le divise intrise di sudore, gli spogliatoi chiassosi dopo una partita?”

Basta guardare più attentamente Julian per capire. Quel fuoco che gli brucia negli occhi chiarisce che quell’amore viscerale non si spegnerà mai del tutto.

“No, non dirò addio a tutto questo. Semplicemente lo vivrò da un’altra prospettiva!”

Allora anche sul vulcano di Furano, dopo il violento ribollimento e l’esplosione di fiamma e di lava, tornano a fiorire le ginestre.

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Capitolo 5
*** Cinquanta sfumature di mamma ***


Dopo un pomeriggio di shopping tra i grattacieli da capogiro e le novità eccentriche di una delle città più moderne al mondo, la signora Ross siede al bancone di un izakaya per riposarsi.

È arrivata all'appuntamento con largo anticipo e non sembra assolutamente fuori luogo nel locale dove la storia si perde nei secoli: è la solita donna elegante, sofisticata e raffinata, sicura di sé. Mantiene una postura con la schiena dritta che la fa sembrare più alta e attraente.

Affetto e rimprovero hanno la stessa importanza nel sorriso con cui accoglie suo figlio, che le si fa incontro. Un velo di barba e la voce profonda: è davvero diventato un uomo!

Julian ha l'identico movimento aggraziato e rilassato di sua madre quando cammina. Non ha un passo pesante ma si muove con leggerezza, quasi da fare eco al battito del cuore, come nella filosofia Zen.

"Hai un'aria trasandata! Non ti sei curato granché ultimamente, eh?"

La signora Ross si alza ad abbracciarlo e Julian le stampa due baci per guancia. È una persona sincera e non perde tempo a barcamenarsi in inutili convenevoli.

"Ordiniamo?"

Almeno per il momento lui riesce a dribblare l’argomento futuro su cui, inevitabilmente, dovranno confrontarsi.


I piatti di sashimi, colorati ed invitanti emanano un buon profumo di pesce fresco , e Julian ha deciso di accompagnarli con una bottiglia di sakè freddo, benché la mamma abbia tossicchiato e storto il naso quando la cameriera ha annotato sul taccuino la bevanda alcolica.

“Basta con i divieti, non sono più un’atleta!”

Il ragazzo ha allargato le braccia con troppa euforia per non accorgersi che finga di star bene.

“Dovresti essere contenta! Sono anni che aspetti questo momento, il momento in cui appendo gli scarpini al chiodo!”

Non riesce ad evitare quella frase-pugnalata; una stilettata non detta per ferire ma che mortifica la vanità di quella donna che lo ha sempre messo al primo posto. E lo rifarebbe daccapo.

La signora Ross cerca di nascondere di esserci rimasta male e afferra la mano ruvida e callosa, che tante volte si è protesa verso di lei, con le dita lunghe che profumano di un raffinato aroma di crema alla rosa.

“Volevo essere la madre perfetta per te, non fare niente di sbagliato! La verità è che ho sempre avuto paura: dall’istante in cui sei stato concepito ho fatto di tutto per proteggerti. E quando abbiamo scoperto la tua malattia, preso coscienza del fatto che saresti potuto morire, mi sono trasformata in una mamma orsa sicura di non sbagliare. La verità era che fare le cose senza di te, senza nostro figlio, per me e per tuo padre non aveva senso. Perché tu sei la nostra felicità e ci sentiamo completi soltanto insieme a te…”

Nessuna ferita è per sempre ma la clessidra si ferma un momento innanzi a questi ricordi rispolverati, vividi e ancora dolorosi.

“Sì, ho creduto che tu fossi un irresponsabile quando ti battevi in campo come un leone ma speravo anche che qualche colpo di testa ti aiutasse a prendere coscienza dei tuoi limiti, ti responsabilizzasse. Però il suono più triste che ho udito non è stato in quel pomeriggio di pioggia quando, undicenne, credevi di giocare la tua ultima partita. Non è stato il tonfo delle tue ginocchia mentre cadevi sul terreno di gioco pesante, in un atteggiamento di resa…”

Julian la fissa sorpreso. Sua madre è sempre stata una persona schiva, che parla poco e raramente si lascia andare ad effusioni d’affetto eclatanti, e adesso in un solo pomeriggio ha deciso di diventare un libro aperto.

“Allora cos’è che ti ha fatta piangere?”

“Non c’era suono triste quanto quello del tuo pianto o immagine più orribile di quelle lacrime che scendevano giù dal tuo viso perfetto. Ho fatto di tutto per impedire che tu piangessi e quando non ci sono riuscita il mio cuore è andato in pezzi con il tuo. Sono umana e ho fatto degli errori, Julian.

Errori per cui sto ancora cercando di perdonarmi. La verità è che tu sei sempre stato come una falena, attratto dal fuoco per quanto pericoloso. Adesso è il momento di essere una calamita che attrae non qualcosa che viene attratto!”


Aveva bisogno di quel confronto cuore a cuore e sua madre, con il suo tocco garbato, è riuscita ad alleggerire i suoi pensieri e sgombrargli la mente. Torna a casa rinfrancato e ancora più deciso della sua scelta. Sa che lui è come un prisma: ha molte facce. Finora ha mostrato soltanto un lato di lui e, invece, è fatto di tante sfaccettature preziose.

Sua moglie lo aspetta sulla porta, seduta sul gradino in granito più basso.

Amy è, a sempre, la sua ancora ed è proprio bella anche con i capelli spettinati e gli occhi stanchi: da qualche giorno ha la nausea ed è stanca, una sorta di fatica cronica accusata dopo l’ultimo difficile periodo, forse perché si è strapazzata troppo a vegliare su di lui e sui suoi fantasmi.

È cresciuta quella bambina che, durante il suo viaggio per diventare grande, ha incontrato gli adulti e imparato a chiedere il loro aiuto ma anche a pensare con la sua testa. Adesso ascolta i consigli ma segue il suo sentire, a volte piange ma poco.

Proprio perché ormai la conosce a fondo, suo marito si sente un po’ in colpa quando la sorprende a scacciare con la mano una lacrima argentea che le cade all’angolo dell’occhio.

“Hai ragione tu, amore mio: sono un pozzo senza fondo, sono energia. Mai soddisfatto. “

Attacca a parlare come un fiume in piena, parla di sé, nel tentativo esasperato di spiegarle come si sente.

“Ho bisogno di vivere emozioni forti perché mi danno equilibrio e mi spingono a dare il meglio di me stesso. Per questo ho deciso di mettermi a studiare per prendere il patentino da allenatore!”

Lei lo abbraccia orgogliosa, ridendo. Ride e piange. Piange e ride ad un tempo e Julian non ci capisce più niente.

“Ho una sorpresa per te! Spero non sia un’emozione troppo forte…”

Tenendosi per mano come due fidanzatini, lo conduce fino in bagno come in una caccia al tesoro. Sul mobiletto sospeso c’è un test di gravidanza e sullo specchio è tracciato un messaggio con il rossetto rosso:

“Auguri, papà!”

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Capitolo 6
*** Un fulmine a ciel sereno ***


Quando varca la porta scorrevole del pronto-soccorso gli sembra di essere inghiottito in un’orribile macina dove entra fresco, luminoso e puro e dalla quale uscirà vecchio e inacidito. Guarda distrattamente le persone in attesa: quasi tutte sono accompagnate da un familiare o da un amico; qualcuno pronto a stringere la loro mano o almeno a parlare un po’.

L’autocommiserazione si fa spazio e appesantisce il senso di disperazione e claustrofobia che avverte nel passare dall’ingresso caotico alla rassicurante e silenziosa sala- d’attesa del reparto a lui così maledettamente familiare.

Benji è lì, da solo: seduto su una consunta sedia di cuoio: inghiotte saliva amara, si asciuga il sudore con il dorso della mano, vaga con lo sguardo.

Julian lo avvicina abbozzando un sorriso tanto falso quanto splendente.

“Ha chiesto di te. Vuole parlarti!”

Il portiere è uno di poche parole e di grandi sospiri, vuole sembrare più forte di quel che è e questo suo atteggiamento di diffidenza scoraggia un po’ il compagno di Nazionale.

Julian preferisce rimanere in piedi, anche se un po’ rigido.


È stato un fulmine a ciel sereno, come può essere solo un infarto. Un’altra notizia che ha scombussolato questa giornata così particolare e, forse, ha sconvolto tutta la sua vita: Freddy Marshall ha avuto un malore ed è stato ricoverato d’urgenza.

I primi minuto dopo quella telefonata non sono stati semplici e lo hanno costretto a lasciare tutto in sospeso, senza spiegazioni e senza commenti. Si detesta per questo.

È stato uno stronzo egoista nel lasciare Amy con ancora il suo rossetto rosso e intramontabile tra le mani e una luce nuova negli occhi: non l’ha mai vista così radiosa.

Trovarsi lì è una sorta di ingiustizia. Un tradimento crudele.

“Ci sono i dottori adesso con lui. Dobbiamo aspettare ancora un po’…”

Le frasi telegrafiche del laconico Price lo strappano dalle sue paure e dalle sue idee nere. Julian ormai si è abituato agli sguardi di commiserazione, anche quando sono obliqui e discreti come quelli di Benji. Non lo irrita profondamente, però, quando il portiere cala la visiera del cappellino sulla fronte e stabilisce una certa distanza tra loro.


Il monitor al fianco di Freddy è la prima cosa che focalizza quando ha il permesso di fargli visita. Come un messaggio subliminale immagina di trovarsi difronte ad un altro monitor ante guerra in bianco e nero, veder muovere un fagiolino sul monitor, sentir battere il cuore di suo figlio.

Suo figlio .

“Allora è così un infarto? Non bussa alla tua porta per annunciarsi: toc, toc buongiorno, sono l’infarto. Cosa ne dici se oggi provo a rovinarti?”

La voce fioca viene fuori a fatica ma il temperamento estremamente vivace e spiritoso dell’allenatore fa capire che non è uno che molla facilmente.

“Se va bene per tutta la vita! Chiamala vita, poi…”

A Julian le parole pesano in bocca e all’improvviso esplodono, avendo l’ultima parola alla domanda rimasta irrisolta.

“Non dovrebbe affaticarsi, mister. Riposi adesso…Tornerò a trovarla domani!”

È un ragazzo delicato, di una grazia senza tempo e non capisce tutta l’urgenza di questo colloquio. Marshall allunga la sua mano ossuta a trattenerlo.

“Aspetta Julian! So che perderò l’immagine di me come persona integra e che, da questo momento in poi, mi vedrò come una persona nuova…Tu hai mai pensato di poter morire?”

“No. Ho sempre avuto il vizio di dipingermi tutto in nero ma so che, spesso e volentieri, finisco per cavarmela!”

Si siede sulla sedia di fianco al letto mentre il malato si appoggia ai cuscini con un sorriso compiaciuto: probabilmente era questa la risposta che si aspettava.

“Tutti ti hanno sempre visto come un predestinato ma sai anche quanto sia breve il passo dalla gloria alla perdizione…Potevi diventare il calciatore migliore del Giappone o della storia, non lo sapremo mai. Tu però ti sei dimostrato pure un bravo allenatore, anche se sei stato soltanto la mia ombra con la nazionale, a livello giovanile.” Fa un respiro per riprendere fiato.

“Questa volta non dovrai fare gol sul campo. Ho intenzione di parlare con la Federazione e suggerire te come mio sostituto durante la mia convalescenza. Cosa ne pensi?”

Julian è stordito. L’occasione della vita gli sta passando sotto il naso e lui ha poco tempo per assimilarla, per prepararsi.

“Ho appena venticinque anni!”

“I ragazzi sanno che puoi ancora insegnar loro qualcosa a livello tecnico. Questa è l’occasione della vita: va presa al volo. Nessuno si farà problemi se hai meno di trent’anni e sarai uno degli allenatori più promettenti e più stimati!”

Non risponde. Guarda di nuovo il monitor e il battito di quel cuore non è più soltanto un rumore ritmico, normalizzato. Adesso ne osserva anche la forma: un cuore pieno di sentimenti e di belle speranze.


Corre per strada come un incosciente, stordito ma felice. Se questo è un sogno spera che nessuno lo svegli. Pensa al futuro e fa progetti, programma le giornate, come non gli accadeva da tempo: nei prossimi mesi andrà regolarmente ai corsi, si ritroverà assieme ad altri apprendisti papà e, soprattutto, a molte donne dal ventre tondeggiante.

Poi gli scappa da ridere quando pensa che la prossima volta che si ritroverà steso a terra con una maschera d’ossigeno sul viso sarà, con molta probabilità, quando assisterà al parto!

Sta scoprendo una nuova dimensione dell’amore.


Amy è rannicchiata in un angolo, nel caldo abbraccio del vecchio divano, con tanto di plaid sulle spalle e un libro, di cui ha sbirciato appena la copertina, abbandonato in grembo.

Ha pianto. Ma ha provato anche più gioia di quanto non avrebbe creduto possibile e più amore di quanto il suo cuore sia in grado di contenere.

È come una matrioska che conduce dalla madre al seme, dal contenitore al cuore.

Balza in piedi, con una marcia in più, pronta anche al più duro dei confronti con suo marito.

“Ma tu lo vuoi questo bambino? Non devi sentirti obbligato, io sono perfettamente in grado di crescere mio figlio da sola!”

È un asino vestito con la pelle da leone. Sa che ci proverà, fallirà, si impegnerà, imparerà, ma non sa se è pronta a far tutto da sola.

Julian si avvicina, le solleva la camicia di batista e bacia il ventre piatto dove si sta formando il loro futuro, il loro dono irripetibile.

“Voglio essere con te durante il dolore, le sofferenze, i giorni belli e irripetibili. Durante le nottatacce e le alzatacce che questa birba ci costringerà a subire. E sapere che rifaremmo tutto daccapo perché per lei ne vale la pena! “

Amy si lascia prendere tra le braccia e stringere fortissimo e non oppone resistenza nemmeno quando suo marito la fa volteggiare come una farfalla bianca.

E le strappa una risata di cuore, da bambina, con la sua dolce goffaggine.

“Allora tra otto mesi nasceranno una mamma e un papà?”

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Capitolo 7
*** Prime volte ***


Sono stesi a letto, le braccia aperte e le gambe incrociate, e stanno parlando da un bel po’. O meglio Amy sta parlando.

“Teniamo la luce accesa. Altrimenti ti addormenti!”

Parla come una macchinetta imbonitrice, con l’entusiasmo inarrestabile di una bambina difronte ad un giocattolo nuovo e lo sguardo trasparente di un’innamorata.

“Adesso sono felice! Felice come può essere chi ha indovinato la vita!”

È distesa sul lato più vicino alla finestra ed è bellissima con le sue gote accese, la pelle fresca di scrub e la coda di cavallo. Sembra una teenager.

Julian si sente così fortunato che non gli importa niente se domani sarà una giornata da primo giorno di scuola e se il sonno ormai se ne è andato via.

“Possiamo almeno spegnere la luce? Mi fanno male gli occhi!”

Amy annuisce ma con uno sguardo di avvertimento che vuol dire non è ancora tempo di dormire !

Spegne la lampada accanto al letto e si ritrovano al buio. La mano del marito la accarezza, intuendo solo vagamente i suoi lineamenti, poi posa la mano sul ventre tondo e il calore delle sue dita la fa sentire al sicuro.

Chiudono gli occhi, Julian sta per appisolarsi immaginando il momento in cui diventerà papà.


“Hai sentito?”

Uno sfarfallio delicato, un soffio dolce, una carezza. Un esserino di centro grammi : una bolla d’aria che si scoppia all’improvviso, velocissima e delicata.

Ne arrivano altre due in pochi secondi. Due leggere bollicine dentro di lei che le fanno rizzare le orecchie ,sgranare gli occhi e sorridere Amy.

“È il nostro pesciolino che si muove dentro di te?”

Julian si sente come un bambino che dopo aver scoperto una novità non si accontenta e ne vuole ancora.

La risata di Amy scoppia spontanea, d’argento, così forte che risuona per tutta la stanza e profuma di terra calda.

Entrambi sono così emozionati che tremano e non riescono più a dormire: restano a parlare pigramente delle curve delle loro vite, lasciando che la notte inghiotta i loro respiri finché filtrano le prime luci dell’alba.


La felicità è di nuovo a portata di mano e Julian non vuole permettere all’ansia di avere il sopravvento.

Da giocatore ha vissuto la pressione di tanti grandi palcoscenici del calcio e per questo pensava di essere ormai abituato a tutto.

Il primo giorno in cui entra da allenatore nel centro sportivo dove la squadra si prepara sotto ogni punto di vista avverte un brivido particolare; lo stesso che provava in passato ogni volta che affrontava, da avversario, i talenti del Giappone e di mezzo mondo.

La struttura è di ultima generazione, moderna e confortevole, ma sono le persone la sua storia, la sua continuità e la sua vera solidità. Un centro all’avanguardia con un cuore antico.

Ora che quel centro di allenamento sta per diventare la sua casa, la sua imponenza lo circonda minacciosa e rassicurante allo stesso tempo.


Con Julian Ross ogni aspetto viene sempre affrontato con la massima serietà, lui è così, è un professionista nato: per lui un giocatore deve prima farsi rispettare e poi saper trattare con il pallone.

Non ci sono invidie ma soltanto storie di amicizie nate sui campi di calcio e coltivate e rimaste salde negli anni. Tutti ricordano che , fin da quando giocavano insieme ,il libero della Mambo spiccava per come sapeva leggere e analizzare le partite. Qualcuno ieri sera ha voluto pure mandargli un messaggio di in bocca al lupo .

Il giovane allenatore non è affatto inibito quando raduna la sua truppa in calzoncini, i suoi amici, la sua squadra.

Ha carattere, lo stesso che gli permette di farsi scivolare addosso le pressioni. In tanti hanno provato a fare l’allenatore ad alti livelli ma sono stati travolti dalle tensioni. Lui no.

È sempre lucido, anche perché non vive più di solo calcio.

“Non so quale sia il mio, il nostro, futuro. Ho la mente concentrata soltanto alla prossima partita. Non vi chiedo di giocare il calcio più bello e più lineare. Il nostro è il calcio delle battaglie. Abbiamo giocato, lottato, sotto la pioggia e nel fango. E siamo usciti sempre con la maglia zuppa e la faccia sporca.

Ci sono state delle partite da cui siamo usciti con le gambe così pesanti da non reggerci in piedi per una settimana perché abbiamo sempre corso più dei nostri avversari. Così siamo diventati squadra, abbiamo dimostrato di valere. Vi chiedo solo di non perdere questo spirito!”

Il ghiaccio è rotto da applausi convinti e si prosegue tra battute, ironia sottile e ricordi.

Julian sorride appagato: ha preso il gusto del bello. Nella vita come nel calcio.

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