I wish that I could be like the cool kids

di Zane
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Wish I'd been a prom queen ***
Capitolo 2: *** II. Cover your scars with makeup ***
Capitolo 3: *** III. You always make me sad ***
Capitolo 4: *** IV. Give a round of applause for the great Miss Y ***



Capitolo 1
*** I. Wish I'd been a prom queen ***


I wish that I could be like the cool kids

I. Wish I'd been a prom queen

 

 

Tadashi sospirò, strofinando le mani sui jeans che gli fasciavano aderentemente le cosce. Ugh, onestamente gli veniva da piangere, ma era attualmente seduto ad un tavolo della caffetteria e fare scena solo per quello sarebbe stato patetico. Si sentiva già abbastanza patetico per conto suo. Aveva fallito uno dei suoi esami. Di nuovo. Per la seconda volta in un anno. Uno di quelli che considerava più tecnici e fuori dalla sua portata. Si era chiuso nella sua stanza per quattro settimane, per cercare di farcela. Il suo compagno di stanza l'aveva quasi cacciato fuori quando l'ansia lo teneva sveglio di notte e quindi ne approfittava per digitare riassunti e schemini al computer. Hinata era un ragazzo di buon cuore, ma i livelli di stress di Tadashi erano più alti della sua generosità. Aveva finito con l'andarsene alle due di notte nella stanza di Kageyama, infastidendo Tsukishima, il suo compagno di stanza. In una sorta di strano modo, il suo esame sembrava aver influenzato tutti e Tadashi si sentiva estremamente dispiaciuto.

Si aggiustò una ciocca di capelli castani dietro l'orecchio e poi afferrò il bicchiere di succo d'arancia dal tavolo, che aveva ordinato precedentemente. Chiuse la finestra dei risultati dell'esame e spense il laptop, mentre beveva succhiando dalla cannuccia. Si stava francamente sentendo abbastanza male e pietoso. Come avrebbe affrontato gli altri, dopo il macello che aveva combinato, quando non ce l'aveva fatta nemmeno a passare?

«Yamaguchi, ti serve altro?»

La voce del cameriere, Tanaka-Senpai, lo riportò alla realtà, attirando la sua attenzione. Aveva mentalmente usato l'onorifico, perché frequentava la sua stessa università ed era più grande di lui di qualche anno, sebbene si comportasse da stupido quando i suoi amici erano in giro. Lo stava guardando, pronto a trascrivere l'ordine sul suo blocchetto. Tadashi sorrise, scuotendo la testa.

«Uhm, no, Tanaka-Senpai. Sto bene, grazie.»

Tanaka si mostrò dubbioso ed incominciò a premere il tappo della penna contro il figlio bianco. Si avvicinò per poterlo scannerizzare meglio, assottigliando lo sguardo, poi aggiunse.

«Sei sicuro, Yamaguchi? Mi ricordi un fantasma.»

Tadashi rise, coprendosi la bocca con una mano. Si rilassò un po' contro la sedia, allungando le gambe sotto al tavolo. Mise giù il proprio bicchiere di succo.

«Assolutamente.» disse dolcemente, inclinando la testa. «Lo giuro.»

Stava ovviamente mentendo, ma era genuinamente commosso dall'interessamento di Tanaka-Senpai. Incominciò a torturare il tessuto della sua maglietta celeste, guardando altrove. I cerchi neri attorno ai suoi occhi lo tradivano.

«Certo, sicuro. Arriva subito un grande e pieno gelato.» decise per conto suo, sparendo dopodiché dalla visuale di Tadashi.

«Aspetta, cos-» Tadashi provò a ribattere, ma dopo qualche secondo di tensione decise di preservare gli sforzi, perché la giornata era ancora lunga a finire.

Sospirò. Non voleva arrecare disturbo a nessuno e la vita di Tanaka-Senpai era abbastanza complicata. Hinata era uno dei suoi preferiti, una sorta di protetto, nel loro gruppo di amici. Gli aveva detto che viveva attualmente da solo con la sorella e che entrambi lavoravano per potersi destreggiare tra le bollette e le spese personali. Era estremamente maturo per la sua età, anche se gli piaceva giocare a fare il cretino. Beh, si disse, tutti quanti mentono per cercare di sopravvivere. La vita sa essere ingiusta.

Appoggiò il mento e la guancia sinistra sul palmo della mano, mescolando il suo succo d'arancia con la cannuccia. Si mordicchiò inconsciamente il labbro inferiore, pensando a quanto effettivamente lui fosse fortunato, nonostante tutto. I suoi genitori avevano bruciato tutti i suoi vestiti femminili che aveva comprato, mai indossato e nascosto nel fondo dell'armadio, ma ancora gli pagavano il college perché aveva imparato a dire no e a fermarsi dall'amare quello che non avrebbe dovuto amare. In principio Tadashi stesso l'aveva trovato strano. Si vergognava ed era spaventato, piangeva di fronte allo specchio perché non si riconosceva nel riflesso. Suo padre gli aveva gridato «Non puoi essere una ragazza!» e in quel momento, dopo un infinito excursus mentale, Tadashi aveva realizzato. Non voleva essere una ragazza, voleva essere entrambi. Se la stava cavando bene al momento, ma non aveva ancora trovato il coraggio di andare a fare shopping di nuovo. Quando si svegliava di mattina sentendosi una ragazza, diceva a se stessa che i vestiti non definivano una persona e in qualche modo se la cavava.

Arricciò una ciocca di capelli attorno all'indice, perso nei suoi pensieri. Non si accorse di Iwaizumi che prendeva posto di fronte a lui. Iwaizumi dovette chiamarlo due volte prima che Tadashi realizzasse.

«Mh, oh, Iwaizumi-San... !» Tadashi strillò, colto di sorpresa. «Mi dispiace, ero...»

Tadashi cominciò a farfugliare nervosamente a proposito di qualcosa e Iwaizumi sollevò un dito per chiamare il cameriere. Tanaka arrivò dopo una manciata di minuti, mettendo la coppa di gelato di fronte a Tadashi e trascrivendo l'ordine di Iwaizumi.

«Va bene, Yamaguchi, calmati.» disse, grattandosi il collo. Tadashi lo guardò e sembrò come annoiato, ma quella era solamente la sua espressione tipica.

«Mh, okay... Ciao.»

Tanaka ritornò velocemente con una tazza di caffè per Iwaizumi, il quale ci mise dentro un sacco di zucchero prima di mescolare.

«Ciao di nuovo, come te la passi?»

Iwaizumi Hajime, ventitré anni, dipartimento di ingegneria. Voti perfetti, comportamento perfetto e aspetto perfetto. Era uno sportivo e una puttana per la pallavolo, esattamente come Kageyama e Hinata. Era così di bell'aspetto che il suo armadietto era sempre pieno di lettere d'amore, ma fortunatamente era già impegnato.

«Molto bene, e tu, Iwaizumi-San? Oikawa-San?»

Tadashi afferrò il proprio cucchiaio, cominciando a mangiare il grosso e appiccicoso gelato. Era consapevole del fatto che non sarebbe riuscito a finirlo tutto.

«Anch'io, grazie. E togli da mezzo l'onorifico.» disse, bevendo il suo caffè. Tadashi arrossì, sorridendo. Non ne sarebbe mai stato capace e non voleva.

«Parlando di seccature.» aggiunse «È stato Crappykawa a mandarmi qui.»

Tadashi arcuò le sopracciglia, afferrando un fazzoletto per pulirsi le labbra. Aveva fatto un pasticcio con la cioccolata. Doveva aspettarselo.

«Davvero? Cos'è successo?» Tadashi chiese, tenendosi il fazzoletto davanti la bocca. Oikawa, o Crappykawa, Trashykawa e Shittykawa, era il suo adorabile fidanzato. Aveva incontrato lui per primo. Frequentava il dipartimento di musica, ma un giorno l'aveva accidentalmente spinto contro il muro della mensa. I libri di Tadashi si erano completamente riversati sul pavimento e Oikawa si era fermato ad aiutare. Gli aveva chiesto mille volte scusa e quando i loro occhi si erano incrociati, Oikawa gli aveva retoricamente domandato «Dimmi, Yamaguchi-Kun, tu sei gay, vero?». Dopodiché, erano diventati ottimi amici.

«Vuole andare a fare compere con te. Gli serve un eyeliner e dello smalto. Probabilmente sai che ti farà comprare cose strane. Se non vuoi andare, dimmelo.»

A Tadashi servì un po' per polarizzare. Ingoiò il suo gelato e mise giù il cucchiaio. Si accorse che metà del suo dolce era ormai sciolto.

«Uhm...» farfugliò, ridendo per mascherare l'imbarazzo. Solo alcuni dei suoi amici sapevano del suo essere genderfluid, ma d'altro canto lui non faceva niente per renderlo ovvio perché era ancora un po' timido. Tadashi ovviamente voleva andare a comprare qualche gonna carina e magliette femminili, ma nel profondo di sentiva ancora spaventato. I suoi genitori non si trovavano lì, al momento, ma non gli era mai piaciuto mentire.

«Va bene lo stesso se non vuoi andare, Yamag-» Iwaizumi cercò di confortarlo, ma Tadashi lo interruppe.

«Scusami, Iwaizumi-San, ma credo che ci proverò.» disse Tadashi, guardandosi le cosce. Strinse le mani insieme. Se aveva voglia di andare, allora sarebbe andato. Non avrebbe comprato niente. O forse solo qualcosa. Ma non l'avrebbe indossato. L'avrebbe gettato via. Lo prometteva. Nessun rimpianto. Solo... Per una volta, per favore.

«Ascolta, Yamaguchi.» disse Iwaizuki dopo una pausa di silenzio. «Se vuoi andare, perché vuoi iniziare ad esplorare la tua sessualità allora sono molto felice per te.»

Iwaizumi incrociò le braccia sul tavolo, spostando la tazza di caffè vuota. Tadashi sollevò lo sguardo timidamente e si guardarono.

«Se vuoi andare solo per non deludere quel pazzo del mio fidanzato, allora non forzarti.»

Tadashi sorrise, quando si diceva relationshipgoals. Insieme erano perfetti.

«No, Iwaizumi-San, mi va davvero bene.» disse di nuovo Tadashi, un pochino più fiducioso di prima. La sua voce non stava più tremando.

«Lui è tipo come un profeta gay, hai presente? Vorrebbe solo aiutare tutti i ragazzini gay.»

«Sì, lo so... Me ne sono reso conto.» rispose Tadashi.

Iwaizumi tirò fuori il portafoglio, mettendo del denaro in contanti sul tavolo. Tadashi lo guardò e si rese subito conto che aveva intenzione di pagare per entrambi.

«Iwaizumi-San, per fav-» incominciò Tadashi, ma Iwaizumi si alzò. Si rimise il portagolio in tasca, avvicinandosi.

«Bene, allora. Dopo fai una telefonata ad Oikawa.» gli scompigliò i capelli e Tadashi non poté replicare. Ouch era l'unica cosa a cui riusciva a pensare.

«Iw-Guarda che mi arrabbio!»

«Ah, sì, certo. Come vuoi. Ciao, ci vediamo dopo.» gli rispose Iwaizumi, allontanandosi e sventolando una mano.

Tadashi mise il broncio, aggiustandosi i capelli. Erano un sacco di soldi. Era decisamente troppo. Iwaizumi-San era troppo gentile. Sospirò, massaggiandosi la fronte. Dal fondo della stanza, Tadashi sentì Tanaka urlargli contro.

«Ehi, Yamaguchi, sbrigati a mangiare il gelato! Si scioglierà entro breve!»

Tadashi sussultò, guardando il suo dolce. Era già sciolto, ma Tanaka-Senpai e Iwaizumi-San erano stati troppo buoni con lui. Buttarlo via era uno spreco di soldi e tempo. A Tadashi non interessava, l'avrebbe mangiato comunque.

«Ehi, Tanaka-Senpai, pensi sia possibile portarmelo in camera?»

 

 

Tadashi tornò nella sua stanza per trovarla vuota. Guardò il cellulare per realizzare che forse Hianta stava ancora giocando a pallavolo con Kageyama, al club. Prima di tutto mise il gelato nel congelatore, poi gettò tutta la sua roba sul letto, compreso il computer. Per un po' si era completamente scordato del suo esame fallito, ma era ancora lì. Tadashi desiderò di poter seppellire tutti i suoi problemi e le insicurezze nell'abisso della propria mente. Desiderò di essere in grado di dimenticarli e provare a diventare una persona un po' più felice. Il carico pesante dei suoi fallimenti gli gravava sulle spalle. E non importava quanto ci tentasse, Tadashi sapeva di non essere speciale o dotato abbastanza da arrivare al vertice di qualcosa.

Si sedette sul pavimento, togliendosi le scarpe e poi come un serpente provò a sfilarsi i pantaloni. Li calciò via con le gambe e dopo un po' il suo telefono vibrò. Almeno, si disse, il pavimento era fresco.
Tadashi afferrò il cellulare gettato da qualche parte tra i libri e la coperta. Lesse
Oikawa-San sullo schermo e procedette nel sbloccarlo.

A: Yamaguchi
Da: Oikawa-San

Evviva, Yama-Chaaaa! (◕ ꒳ ◕✿)
Domani ci divertiremo! Vediamoci alla caffetteria, alle quattro. ❤

I suoi SMS lo facevano sorride, perché non importava cosa, lui era sempre divertente e carino. Rispose velocemente, dicendogli grazie e augurandogli buona serata. Forse l'avrebbe incontrato in mensa, ma era venerdì sera e la maggior parte degli studenti il fine settimana lo preferivano passare fuori. E a proposito di questo, Hinata non era il tipo di ragazzo che saltava i pasti o se ne andava a girovagare in giro, quindi si chiese quando sarebbe tornato. Forse aveva abbastanza tempo per farsi una doccia.

Si alzò, sbadigliando appena. Era in procinto di afferrare un paio di biancheria intima nuova che sentì bussare alla porta. Oh, eccolo, pensò.

Tadashi aprì la porta senza pensare, tornando indietro a recuperare i suoi vestiti.

«Sei in ritardo, Hinata. Stavi giocando a pallavolo con Kageyama?»

«Sì, stanno infatti giocando a pallavolo ma dentro la mia camera e questa cosa mi sta mandando in bestia.»

Tadashi si congelò, stava per togliersi la maglietta e indossava solo i boxer.

«Oh, mio Dio, Tsukki, scusami!» strillò, tirandosi giù la maglietta e cercando di capire dove fossero finiti i suoi jeans. Dove diavolo li aveva lanciati? Dannazione.

«Non importa, è okay.» Lo era? Seriamente? Diavolo, no. «Vieni solo a riprenderti il tuo compagno di stanza.»

Tadashi non risposte subito, perché era troppo impegnato a trovare i suoi pantaloni o qualcosa dove poter infilare le sue gambe.

«Yamaguchi, adesso.» Tsukishima era mortalmente arrabbiato e Tadashi deglutì. Avevano parlato abbastanza da permettere a Tadashi di prendersi una cotta per lui, ma non erano così intimi.

«S-Sì, Tsukki, mi dispiace...» E Tsukishima aveva una ragazza, o almeno stava uscendo con qualcuno. Kageyama aveva dormito nella loro stanza un paio di volte.

«Sono fottutamente incazzato. Stai zitto e muoviti.» disse, sbattendo la porta e andandosene.

Tadashi osservò la parete. Le mensole avevano appena tremato? Era così bello e così stronzo, a volte...

«Arrivo, Tsukki. Qualsiasi cosa per te, Tsukki. Grazie, Yamaguchi. Figurati, Tsukki.» fece, prima di lasciare anch'egli la propria camera, prendendosi in giro.

 

 

 

 

 

 

Notes:

Salve a tutti, è la prima volta che provo a postare qualcosa sul fandom di Haikyuu. Volevo solo torturare un po' Yamaguchi e divertirmi a scrivere di lui e Tsukishima, perché sono il mio OTP. Ho cercato di mettere insieme i temi che più mi interessano, ma non prendete molto sul serio questa fan fiction. Ho cominciato a scriverla in inglese, quindi è una sorta di traduzione di un mio stesso lavoro. Scarno, d'altra parte, perché non riesco ad essere tanto fluente in inglese quanto lo sono in italiano. (Che perdente. °^°) Ho solamente pensato che tutti dovevano avere il diritto di leggerla e soffrire.
Grazie per essere arrivati fino a qui.
(・∀・)

 

 

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Capitolo 2
*** II. Cover your scars with makeup ***


I wish that I could be like the cool kids

II. Cover your scars with makeup

 

 

 

Tadashi si guardò allo specchio e controllò l'orario sullo schermo del telefonino. Si stava rassicurando di avere abbastanza tempo nel caso cambiasse idea a proposito di quello che stava indossando. Non era particolarmente ansioso, ma non sapeva cosa aspettarsi o come avrebbe reagito. Aveva pulito la stanza e lavato tutti i vestiti nel cesto dei panni sporchi anche se quella mattina era il turno di Hinata, per distrarsi dal pensiero dell'uscita che aveva concordato con Oikawa-San. Aveva provato a studiare senza essere in grado di concentrarsi sul suo libro d'arte e poi era uscito a fare una passeggiata, realizzando di non poter più essere in grado di rimanere bloccato immobile sulla sedia. No, Tadashi poteva dire con certezza di non essere spaventato o cose di questo tipo. Lui era, più che di qualsiasi altra cosa, emozionato. Emozionato rendeva meglio il suo stato d'animo.

Aveva deciso di indossare uno skinny nero e una semplice maglietta bianca — forse un po' troppo bianca e in qualche modo esplicita, perché il tessuto sembrare quasi trasparente e il colletto era largo abbastanza da esporgli il collo e le spalle. Appesa alla stampella nel negozio sembrava più bella che addosso a lui. Qualcosa non andava, come se fosse fuori posto, forse le sue lentiggini.

Hinata uscì dalla porta del bagno, indossando gli abiti da allenamento. Tadashi si girò nella sua direzione, pensando a quanto il suo amico sembrasse carino e adorabile con la sua uniforme, come sempre. Non gliel'aveva mai detto, perché aveva difficoltà a rapportarsi con la sua bassa statura. Quasi tutti pensavano a lui in quel modo, comunque.

«Woah, Yamaguchi!» strillò, quando gli diede un'occhiata più da vicino. «Sei... Bam! Tipo, gwah! Cioè, sei fighissimo!»

L'entusiasmo di Hinata sembrò invadere la stanza. Stava irradiando raggi di luce. Tadashi era sempre stato affascinato dal suo atteggiamento nei confronti della vita. Il suo approccio era qualcosa di invidiabile. Non si arrendeva mai e ci provava sempre. Sorrideva anche quando era triste. Erano una delle tante ragioni per le quali Tadashi non si era lamentato quando aveva scoperto che Hinata Shōyō sarebbe stato il suo compagno di stanza.

«Lo pensi davvero... ?»

Tadashi arrossì, grattandosi la nuca cercando di far scemare l'imbarazzo. Scostò lo sguardo in un certo punto qualsiasi della stanza.

«Cavolo, certo!»

Hinata gli prese una mano, facendogli fare una giravolta. Tadashi rise, sentendo un piccolo e piacevole flusso d'aria sullo stomaco mentre la maglia si sollevava.

«Stavo avendo dei ripensamenti.» ammise Tadashi, quando smisero di volteggiare. Hinata lo stava ancora guardando con occhi luccicanti, come se fosse qualche tipo di supernova luminosa. Gli aveva fatto salire l'autostima del 0,10%.

«Non ti permettere.» Hinata gli lasciò la mano per afferrare la borsa di cotone che era appesa alla sedia. Era quella che Tadashi aveva precedentemente scelto per portare con sé. Era già pronta con le sue cose dentro.

«Tieni la borsa e adesso vai.» Tadashi provò a replicare, ma Hinata iniziò a spingerlo fuori dalla porta. Era comunque tempo di andare, ad ogni modo, ma sentì l'urgenza di aggiustare i piccoli dettagli.

«Non tornare qui senza una gonna.» disse Hinata prima di chiudere la porta e Tadashi lo sentì chiuderla a chiave. Dopo pochi secondi di smarrimento totale, sospirò. Guardando il suo orologio da polso constatò di avere ancora cinque minuti per raggiungere la caffetteria, ma probabilmente Oikawa-San era già lì.

Tadashi si mise la borsa sulla spalla e si incamminò. Attraversò il corridoio, salutando alcuni compagni di corso e poi scese velocemente le scale. Il dormitorio era una struttura indipendente adiacente all'università, ma ben equipaggiata di ogni comfort. Ospitava molti studenti e c'erano altrettanti piani, lui si trovava al quinto e aveva paura degli ascensori.

Alla fine delle scale sentì qualcuno fischiare. Tadashi non vi badò fino a quando non udì qualcuno chiamare il suo nome. Si girò innocentemente attorno, tentando di capire chi fosse il ragazzo che lo stava cercando.

Vide una bocca sorridente, tanti piercing e capelli biondi ossigenati. Tadashi sussultò internamente, Terushima Yūji sedeva con a terra con i suoi amici e stava guardando nella sua direzione. La traiettoria del suo sguardo lo fece arrossire. Pensò immediatamente fingi di non averli visti e continua a camminare, ma ormai era un tantino troppo tardi.

Tadashi finse un sorriso, perché articolare una frase era diventato improvvisamente troppo difficile. Terushima ghignò. Non era poi così male, ma un burlone di per certo. Parlare con lui lo metteva a disagio.

«Stai davvero bene oggi.» Terushima sollevò una mano e appoggiò lentamente due dita ai lati della bocca. Tirò fuori la lingua tra di loro. Notò che aveva un piercing anche lì.

Oh, mio Dio.

Tadashi smise di respirare. Se ne andò senza dire niente, non prestando alcuna attenzione alle loro risate. Non era la sua prima volta, ma di certo la prima volta di quel genere. Strinse la presa attorno alle bretelle della borsa e si affrettò a raggiungere Oikawa-San.

Lo trovò ad aspettare accanto alla porta, parlando con qualcuno nel frattempo. Allacciarono un contatto visivo ancor prima di poter proferire parola e Oikawa sorride, agitando una mano.

Tadashi si avvicinò a il suo amico gli circondò il collo con le braccia. Oikawa stava indossando un eyeliner nero, come di consuetudine.

«Yama-Chan, ma guardati!» e dalla bocca di Oikawa rotolarono fuori una serie di complimenti in quasi trenta secondi tipo «Ti si vedono i capezzoli, adoro.» e «Se Tsukishima stasera non scopa questo bel culetto allora è cieco.» che gli fecero rimpiangere di non aver cambiato idea per quando riguardava il suo vestiario.

Oikawa gli baciò una guancia e poi si fece da parte, presentandogli il ragazzo con il quale aveva intrattenuto una conversazione fino ad un momento fa. Era alto e piuttosto magro, dai capelli neri e occhi azzurri, o forse qualche particolare sfumatura di verde, Tadashi non riusciva a dirlo. Indossava vestiti completamente neri, ma sorrise quando si inchinò.

«Ciao, sono Akaashi Keiji del Dipartimento di Biologia. Scusami se mi sono aggregato all'ultimo momento.» Tadashi si inchinò di rimando. Non ne era affatto infastidito. Akaashi sembrava una persona abbastanza intelligente, e doveva esserlo se riusciva a farsi piacere la compagnia di Oikawa.

«No, è un piacere. Io sono Yamaguchi Tadashi del Dipartimento di Arte.» Tadashi gli sorrise. L'aveva visto a scuola qualche volta, ma non aveva mai avuto l'occasione di parlargli, o un motivo in particolare. Tadashi non era bravo a farsi degli amici.

Oikawa batté le mani, attirando la loro attenzione. Si girarono entrambi nella sua direzione e lui sorrise. Tadashi pensò che era definitivamente troppo felice, forse perché stava nuovamente tramando qualcosa di strano.

«Okay, signore. Oggi faremo shopping come se il pavimento fosse eterosessualità.»

«Tipo come... ?»

«Da pazzi





«Oikawa-San, io non penso che questi vestiti mi stiano bene.»

Tadashi era di nuovo in piedi di fronte ad uno specchio, dubitando dell'abbinamento dei suoi vestiti per la seconda volta in poche ore. Dopo un estenuante periodo di tempo incalcolabile in un negozio di cosmetici chiamato Wycon, si erano spostati in quell'altro; ma prima di andarsene, Oikawa aveva speso la maggior parte dei suoi soldi in smalto multicolore e eyeliner nero. Sembrava andare molto d'accordo con le commesse, che l'avevano accolto come un cliente regolare ed era sicuro che lo fosse. Tadashi non sapeva nemmeno dell'esistenza di quel genere di negozi, ad essere onesti. Metteva raramente la testa fuori di casa. Era nero e rosa e profumava di prodotti per bellezza. Era piacevole, ma essere circondato esclusivamente da ragazze l'aveva fatto sentire un po' a disagio. Akaashi sembrava più a suo agio di lui, invece. Guardava pacatamente gli espositori della merce e aveva anche ascoltato una commessa, che si era dilungata a spiegargli qualcosa a proposito dei pigmenti di un nuovo rossetto. Probabilmente non gli interessava nemmeno, ma l'aveva tranquillamente ascoltata comunque.

Per quanto gli riguardava, non aveva toccato quasi niente, ma fuori dal negozio Oikawa gli aveva messo in mano un lucidalabbra rosa, per regalo, quello che aveva continuato a fissare per tutto il tempo. Aveva detto «Te lo meriti, perché sei coraggioso.» e Tadashi l'aveva ringraziato senza aggiungere altro. Non era affatto coraggioso. Se lo fosse stato, l'avrebbe comprato da solo.

«Certo che ti stanno bene, li ho scelti io.»

Tadashi stava indossando una gonna, una di quelle nere e lunghe. Era fatta di tessuto nero fino alle cosce, per poi diventare di raso. Aveva uno spacco sulla coscia destra ed era fin troppo profondo. Sospirò, aggiustandosi le maniche della blusa bianca. Si sentiva carino, ma mancava di fiducia. Non aveva mai pensato a se stesso come qualcuno graziato dalla bellezza e l'eleganza.

«Esci fuori dal camerino e basta, Yamaguchi.»

Tadashi fece quanto gli era stato detto, scostando di lato le tendine. Si grattò nervosamente la guancia con l'indice, guardando da un'altra parte. Oikawa si coprì la bocca con le mani e Akaashi sorrise semplicemente.

«Oh, mio Dio, Yama-Chan.» sussurrò drammaticamente Oikawa, simulando uno svenimento ed aggrappandosi ad Akaashi. Stava facendo il drammatico di nuovo.

«Yamaguchi-Kun, stai molto bene.» disse gentilmente Akaashi, sorreggendo il suo amico. Tadashi si osservò la gonna, afferrando con le dita. Girò la testa a destra e sinistra per vedere come gli stava dietro e doveva ammettere che più la guardava e più gli piaceva. Provò a giocare con lo spacco e vedere come la stoffa scorreva sulla gamba lasciandogli nuda la pelle lo soddisfaceva, in qualche modo.

«Grazie, Akaashi-San.» gli rispose, notando che Oikawa aveva incominciato a mettere più e più vestiti nel proprio cestino. Vide un top, forse e altre due gonne.

«Oikawa-San, che cosa stai facendo... ?»

«Ti rifaccio il guardaroba.» gli rispose velocemente. Tadashi sorrise, sperando solo che scegliesse quelli più economici, perché cercare di fargli cambiare idea adesso era impossibile.

«Sai, Yamaguchi.» incominciò, tentando di trovare un altro top che potesse abbinarsi bene ad una delle due gonne. «Hai bisogno di circondarti di cose belle.»

Tadashi sbatté le palpebre, fermandosi dal tornare nel camerino a cambiarsi. Si stava facendo tardi e Akaashi-San aveva già ricevuto un paio di chiamate da qualcuno, anche se aveva pacatamente chiesto loro di ignorare gli squilli.

Restò in silenzio, perché Oikawa l'aveva preso alla sprovvista. Sembrava avere uno sguardo serio in volto. Accadeva raramente.

«Vai bene come sei.» scelse un top rosa pastello controllandone la taglia, per poi metterlo nel cestello. Tadashi avrebbe voluto dirgli «Oikawa-San, le persone sono spaventose.» se pensava a cosa significasse il suo essere così com'era.

«Yamaguchi-Kun, nessuna pressione. Pensaci solamente.» aggiunse Akaashi-San, trovandosi d'accordo con quanto detto da Oikawa.

Le loro parole avevano il significato implicito di «Non puoi scappare per sempre.». Realizzò che aveva ancora molto lavoro da fare su se stesso, ma per lui era abbastanza, in ogni modo. Era una sorta di situazione controversa, ma voleva smettere di fingere e vergognarsi.

Sollevò il volto, guardando i suoi amici. Akaashi gli stava sorridendo e Oikawa sembrava ancora perso nei suoi pensieri, forse perché lui aveva già sperimentato quel tipo di angoscia riguardo la propria sessualità e voleva aiutarlo, ma non sapeva come. Lo stava per caso facendo sentire a disagio?

«Oikawa-San.»

Tadashi rafforzò la presa con la mano sulla tendina del camerino. Prese un respiro profondo e poi sorrise. Oikawa lo guardò di rimando.

«Scegli un vestito per me. Ne voglio uno.»

 

Oikawa gli scelse anche un reggiseno.





Il portafoglio di Tadashi avrebbe pianto per un po', ma alla fine si sentiva soddisfatto. Un paio di buste rosa e nere gli pendevano dalle braccia, ma mentre attraversava il dormitorio a nessuno sembrò importare. Aveva salutato Oikawa e Akaashi alla caffetteria e poi si erano separati. Iwaizumi era venuto a prendere Oikawa, Akaashi aveva menzionato qualcosa a proposito di un appuntamento e per quanto gli riguardava, stava attualmente dirigendosi nella sua stanza.

Si mise una mano in tasca e afferrò il cellulare. Erano le 19:15 di pomeriggio e pensò che probabilmente Hinata stava ancora giocando a pallavolo, come sempre. Tadashi notò che gli aveva mandato un messaggio intorno alle 18:00, durante la pausa, chiedendogli se stesse andando tutto bene. Si sentì un po' male per non averlo notato prima, ma decise di rispondergli velocemente comunque. Doveva anche ricordargli di non fare farti e tornare in tempo per la cena, perché alle signore della mensa i ritardatari non piacevano. Stava salendo le scale e con l'altra mano incominciò a cercare le chiavi nella borsa. Una sequenza sbagliata di azioni, perché non era mai stato un ragazzo multitasking.

Si scontrò contro qualcuno mentre tentava di scrivere correttamente le parole nel messaggio. Le borse e il telefono gli caddero da mano e si toccò il naso, facendo un passo indietro. Tadashi sperò non fosse Terushima, poi alzò la testa e sperò tanto che lo fosse.

Tsukishima Kei lo stava guardando come se fosse in procinto di ammazzare qualcuno. Tadashi deglutì. Doveva salutarlo? Scusarsi? Correre via da lui e basta?

«Dannazione, Yamaguchi.»

Era spaventoso e sudato e si rese conto di averlo notato perché gli stava toccando il petto spudoratamente. Tolse immediatamente la mano, inchinandosi dato che era stata colpa sua.

«Sono terribilmente dispiaciuto, Tsukki!»

Una delle sue gonne era scivolata fuori dalla busta e giaceva sul pavimento. Tadashi si inginocchiò a rimetterla dentro. Sapeva che Tsukishima lo stava guardando. Si aspettò di sentirgli dire qualcosa di cattivo.

«Spostati, Gary Stu, sono di cattivo umore.»

Tadashi raccolse le sue cose dal pavimento. Nemmeno una menzione alla gonna? Era più sorprendente che sentirgli dire che attualmente era di cattivo umore. In realtà, era la prima volta che veniva chiamato Gary Stu e non era molto sicuro fosse un complimento. Tsukishima era sempre così pungente. Una volta, parlando di qualcosa a caso, Oikawa-San aveva detto «Non fidarti di tutto ciò che vedi, anche il sale assomiglia allo zucchero. Tranne Tsukishima.». Era ufficialmente morto. Una delle sue citazioni migliori.

«Va tutto bene, Tsukishima... ?» in quel momento, Tadashi notò che reggeva in braccio dei vestiti. «È successo qualcosa?»

Tsukishima grugnì, aggiustandosi gli occhiali sul naso.

«Sono tornato dagli allenamenti per trovare Kageyama e Hinata a scopare nel mio bagno e mi serve una doccia.»

Tadashi sbatté le palpebre. Beh, la situazione era progredita velocemente. Hinata aveva detto che non c'era niente tra lui e il suo compagno di squadra. Tadashi sapeva che non avrebbe dovuto fidarsi delle sua parole. Si schiarì la voce.

«Vuoi... Venire a farla in camera mia?» disse Tadashi, perché non sapeva come scusarsi al meglio, per se stesso e il proprio compagno di stanza.

Tsukishima sembrò pensarci sopra. Era ovvio che preferisse andare da un'altra parte, ma invece si pronunciò con un annoiato «Sì.». Probabilmente tutti i suoi amici dovevano trovarsi altrove, al momento e quello era il miglior rimpiazzo che potesse trovare in poco tempo.

«Bene...»

Tsukishima lo seguì in stanza e Tadashi gli spiegò dove trovare le asciugamani e tutto ciò che necessitava. Tsukishima annuì e sparì per una quindicina di minuti circa. Nel frattempo, Tadashi si buttò sul letto e abbracciò il cuscino, cercando di essere quanto più silenzioso possibile. Sentiva i proprio battiti cardiaci e se fosse stato possibile avrebbe zittito anche loro.

Sospirò, perdendosi nei suoi pensieri, osservando il soffitto. Si ricordò poi che stava inviando un messaggio e quindi afferrò il telefonino. Cancellò quanto precedentemente scritto e ne iniziò uno nuovo.

Per: Hinata
Da: Yamaguchi

Mi devi qualche spiegazione, ragazzo.

Tadashi ridacchiò. Hinata non avrebbe risposto subito, perché al momento era un po' troppo impegnato per prestargli attenzione.

Quando Tsukishima uscì dal bagno, lo vide a sorridere senza senso al suo cellulare e sospirò. Tadashi sussultò, fallendo nel nascondere il telefono sotto le coperte. Arrossì.

«T-Tsukki, io stavo, solo — Lascia perdere.»

«Sì, chi se ne frega.» disse Tsukishima, abbottonandosi la camicia nera. Si spostò di fronte allo specchio, aggiustandosi i capelli con il gel. Tadashi dovette ammette che ci stava bene nei vestiti neri, ma probabilmente si stava preparando per uscire con la sua fidanzata. Incrociò le gambe sul letto, abbracciando il cuscino.

«Esci con la tua ragazza, Tsukki?» non che lo rendesse triste, ma gli sarebbe piaciuto avere una chance.

«Non è la mia ragazza.» gli rispose Tsukishima. E così come le sue speranze si innalzarono, si abbassarono di nuovo. «Mi piacciono le sue tette.»

Tadashi non aveva mai pensato a Tsukishima in quel modo. Gli faceva solo capire che quel ragazzo non lo conosceva affatto.

«Ah, è così?» si sforzò di sorridere, perché non c'era niente per cui essere infelici, aveva avuto una giornata fantastica.

«Compri vestiti da donna anche tu per divertimento?»

Quindi l'aveva notato, si disse Tadashi. Posò il mento sul cuscino, sorridendo timidamente. Si stava improvvisamente sentendo in qualche modo arrabbiato. Aveva sentito l'urgenza di difendere la sua posizione, quella sensazione sovrastava il fatto di essere stato trovato con dei vestiti da femmina nelle borse.

«Non pensi che paragonare il comprare vestiti femminili e fare sesso con una donna solo per divertimento sia un pochino troppo esagerato anche da parte tua?»

Tsukishima si stava mettendo l'orologio, ma si fermò. Si girò dalla sua parte, guardandolo in modo apparentemente apatico.

«Vola basso, non ti sto giudicando.» e in qualche maniera, con quella reazione, Tadashi aveva risposto alla sua domanda.

Tadashi abbassò la testa, improvvisamente le sue coperte erano diventate molto più interessanti. Sentiva Tsukishima muoversi per la stanza come se fosse sua. Si ricordò di quello che Oikawa gli aveva detto un paio di ore fa e si mise una mano in tasca, avvolgendo le dita attorno al tubetto del lucidalabbra. «Te lo meriti, perché sei coraggioso.» e questa volta voleva davvero esserlo.

«Tsukishima, sono genderfluid.» Tadashi ruppe il silenzio e gli sembrò come se fosse finalmente riuscito ad ingoiare un boccone troppo grande per la sua gola. Si sentì sollevato.

Tsukishima non lo guardò nemmeno. Tadashi lo osservò aprire l'armadio e cercare qualcosa che potesse appartenere ad Hinata. Notò una borsa sportiva arancione e non ebbe dubbi fosse sua. La prese e usò per i suoi vestiti sporchi. Non gli stava chiaramente prestando attenzione.

«Tsukki, hai sentito cosa ti ho detto?» chiese Tadashi, alzandosi dal letto. Gli si avvicinò, provando a mettergli una mano sul braccio. Sembrava focalizzato su tutt'altro. Lo fronteggiò, realizzando che stava controllando qualcosa al cellulare, forse un messaggio.

«Stai zitto, Yamaguchi. L'ho fatto, quindi?»

Dal punto di vista di Tadashi, quella non era una domanda da porre. Quella non era una domanda e basta. Sapeva di per certo che era intelligente abbastanza da sapere cosa quella parola significasse.

«Ti — infastidisce?»

Tsukishima lo stava guardando con una discutibile espressione in volto. Sembrava non capire il punto. Non erano così tanto buoni amici, Tadashi non sapeva codificare i suoi silenzi e le sue mosse.

«Tu sei un fastidio.» sentenziò, mettendosi la giacca di pelle. «Me ne vado.»

Tadashi pensò fosse meglio non replicare e chiudere la questione lì. Tsukishima era un enigma e aveva il suo personale modo di pensare, ma probabilmente gli piaceva per questo. Era la prima volta che faceva coming out con qualcuno che non fosse letteralmente uno dei suoi amici e aveva preteso qualche rassicurazione. Non poteva incolpare il carattere di Tsukishima per non avergli mostrato un po' di comprensione. Ignorarlo era il suo modo di fargli sapere che non lo infastidiva. Severo, ma giusto.

«Okay, stai attento.» Tadashi sorrise. «Ci penso io ai tuoi vestiti.»

Tadashi lo accompagnò alla porta, Tsukishima mise la mano sul pomello ma si fermò prima di aprirla. Si voltò nella sua direzione, guardandolo negli occhi.

«Vuoi venire?»

«Io?» Tadashi si indicò abbastanza sorpreso, con il vago sospetto di aver capito male. Tsukishima annuì, invece.

«Mi vedo con i miei amici. Non farmi ripetere.»

Tadashi stava per dirgli che attualmente non indossava i vestiti più adatti per uscire di sera, ma Tsukishima lo anticipò. Afferrò una delle buste che Tadashi aveva posato sul tavolo quando erano entrati, diede una rapida occhiata al contenuto e poi gliela passò.

«Questo va bene.»

Tadashi la afferrò, ma era il sacchetto che conteneva la gonna lunga e la blusa bianca. Non era sicuro che Tsukishima l'avesse realizzato.

«Tsukishi»

«Non farmi ripetere, Yamaguchi.»

 

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Capitolo 3
*** III. You always make me sad ***


I wish that I could be like the cool kids

III. You always make me sad

 

 

 

 

Tadashi prese un respiro profondo, doveva cercare di mantenere almeno un minimo di autocontrollo. In meno di quarantacinque minuti, Tsukishima l'aveva forzato ad indossare gli abiti nuovi e a precipitarsi fuori dalla sua stanza. Aveva detto «Non ti lamentare.» quando si era mostrato frenato e Tadashi voleva essere coraggioso, ma non proprio subito. Parlare era più semplice che agire. Aveva appena iniziato ad andare d'accordo con i propri sentimenti. Non era un tipo di ragazzo fortunato, sapeva di per certo che nell'esatto momento in cui avrebbe messo la testa fuori, qualcosa di brutto sarebbe accaduto. Fare un passo indietro a causa delle cattive esperienze era quello che meno gli serviva, al momento. Tsukishima non ci arrivava, però.

Stavano fronteggiando la porta di un bar che Tadashi non conosceva. Teneva lo sguardo basso a fissare il pavimento di cemento, cercando di non farsi notare dalla gente. Non era poi così difficile, dopotutto. Era abbastanza invisibile. Le persone erano sempre state brave nell'ignorarlo, ma camminare di fianco a Tsukishima aveva i suoi benefici. La bellezza di Tsukishima metteva in ombra tutto quello che gli stava attorno. Eclissava totalmente l'eccessiva banalità di Tadashi e a Tadashi andava bene fino a quando nessuno gli ricordava urlando che fosse tutto sbagliato. Nel tragitto fino al locale, sul marciapiede si nascondeva dietro Tsukishima quando si accorgeva di essere fissato troppo. In un impeto di sfacciataggine, gli aveva perfino preso il braccio tra le mani, facendosi più vicino. Tsukishima non aveva fatto niente, se non scrollarselo placidamente di dosso.

Gli lanciò discretamente uno sguardo, ritornandosi poi a fissare la gonna con fare abbastanza veloce. Tsukishima gli stava affianco, mani in tasca e sguardo fiero puntato dritto davanti a lui. Avercelo accanto era pressoché intimidatorio perché era molto altro, ma allo stesso tempo rimandava una sensazione di sicurezza che Tadashi non si ricordava di avere mai provato prima. Si guardò le cosce, lisciando con le mani le pieghe immaginarie del tessuto della gonna. Lo spacco permaneva, per fortuna Tsukishima non aveva fatto alcuna battuta pessima a proposito delle sue gambe depilate.

«Hai finito?» gli chiese rudemente Tsukishima. Tadashi sussultò, guardandolo confuso, tra lo spaventato e l'incuriosito. Si stava torturando le dita, ma si fermò inconsciamente a causa del tono autoritario con il quale l'aveva rimbeccato. Di fare cosa? La faccia di Tsukishima rimandava un'espressione di irritazione repressa. Tadashi realizzò che non sembrava mai fare qualcosa per il verso giusto. Sembrava solamente essere in grado di irritarlo.

«Sì, esattamente, di fare quello.» Tadashi abbassò lo sguardo sulle sue mani, seguendo la direzione del cenno della testa di Tsukishima e si rese conto. Si stava graffiando le cuticole con le unghie. Un'abitudine delle sue quando si sentiva estremamente ansioso ma si tratteneva dal mostrarlo. Una valvola di sfogo.

«Mi dispiace, Tsukki.» gli rispose Tadashi flebilmente, aggiustandosi una ciocca di capelli castani dietro l'orecchio con fare timido. Tsukishima grugnì, annoiato.

Tadashi sospirò. Era come se si stesse sabotando da solo, agendo in quella maniera. Era sicuro di non provare nessun tipo di odio in particolare, ma ancora non riusciva a comprendere la ragione dietro tutto quell'astio. Non riusciva a collegarlo a niente.

«Yamaguchi, ora ti presento ai miei amici.» spiegò Tsukishima, afferrando il pomello e spingendo la porta. Tadashi si preparò ad aspettarsi una qualche specie di «Non imbarazzarmi.», ma sorprendendolo, aggiunse «Non ti spaventare.»

Tsukishima non gli disse di seguirlo, Tadashi lo fece meccanicamente. Incominciò a chiedersi che tipo di persone fossero, i suoi amici. E a riflettere su quanto in realtà fosse stato gentile, a rassicurarlo su qualcosa che probabilmente aveva capito lo mettesse piuttosto a disagio. Tadashi non incontrava spesso persone nuove, presentandosi al loro primo incontro vestito da donna. Tadashi non incontrava spesso persone nuove e basta. Tsukishima invece si muoveva sicuro attraverso la stanza. Quel posto doveva essergli familiare. Le persone sedute al bancone lo salutarono, chiedendogli come stesse. Tsukishima non rispose se non a monosillabi, ma il fatto che fosse così conosciuto era al tempo stesso sconcertante e sorprendente. Un cameriere lo approcciò, sorridendo nel notarlo. Tsukishima gli diede qualche direttiva e Tadashi ne approfittò per guardarsi attorno. Stava fermo a qualche centimetro dietro di lui e si portò una mano al petto, sinceramente meravigliato di quanto confortevole il locale apparisse. Le pareti erano fatte di legno scuro, forse di ciliegio. La stanza era abbastanza ampia da contenere divanetti e tavolini sparsi un po' ovunque. Sulle mensole attaccate al muro, troneggiavano le migliori bottiglie di liquore. L'atmosfera era quella tipica dei rifugi universitari, sebbene Tadashi non ne sa sapesse niente e non aveva dubbi del perché.

«Sì, sono al solito tavolo.» disse il cameriere, conversando cordialmente con uno Tsukishima che voleva fare tutto tranne che quello. Tadashi non stava prestando attenzione a quello che si stessero dicendo, diversi minuti dopo Tsukishima dovette colpirlo nel fianco con il gomito per farlo muovere.

«Smettila di distrarti. Sembri un idiota, è imbarazzante.» Tadashi si ritrovò a sorridere. Eccolo , pensò, ma non poteva dargli tutti i torti. Aveva ragione, si comportava come un bambino quando visitava posti nuovi. Era una propensione caratteriale, ma i suoi genitori erano ugualmente sempre stati persone molto protettive. Crescere con loro l'aveva reso un essere umano insicuro, ma almeno conosceva a memoria la Sacra Bibbia. Non gli era mai servito, ma in qualche modo faceva della sua cultura generale.

«Non mi sto distraendo, mi sto divertendo.»

Tsukishima inarcò un sopracciglio, probabilmente perché non gli aveva mai sentito dire niente di diverso dalle scuse. Era la prima risposta completa che gli aveva dato di sua spontanea volontà.

«Ah, lo stai facendo?» Tadashi percepì l'ironia della sua voce. Mise il broncio, affrettandosi nel raggiungerlo. Erano circa della stessa altezza. Li separavano dieci centimetri, ma Tsukishima camminava più veloce con le gambe lunghe che si ritrovava.

«Sì, lo sto facendo. Dovresti farlo pure tu.»

Quando Tadashi lo raggiunse notò che che si era fermato davanti ad un tavolo disordinato, con quattro persone sedutevi attorno. Due di loro stavano discutendo ad alta voce a proposito di qualcosa che non capiva. Squadrandoli, riconobbe immediatamente Akaashi e si sorprese di trovarlo lì, ma Akaashi non notò la sua presenza, troppo impegnato a calmare lo stato d'animo del ragazzo seduto accanto a lui.

«Ciao.» salutò brevemente Tsukishima, atono, rivelando la loro presenza. Si girarono nella loro direzione, sincronizzati. Calò il silenzio. Tadashi non li conosceva, ma immediatamente pensò che dovessero avere una forte connessione psichica o qualcosa del genere. Erano abbastanza spaventosi, non lo stavano guardando esattamente con la più cordiale delle espressioni di benvenuto.

«Oh, oh?» cantilenò il ragazzo dai capelli neri sparati all'indietro, che a Tadashi ricordavano tanto il pelo arruffato dei gatti arrabbiati. Ghignò, come se gli avesse letto nel pensiero quando l'aveva sfiorato l'idea che fossero una gang di quartiere, perché le parole che prima di entrare gli aveva detto Tsukishima gli avevano dato modo di creare qualche pregiudizio.

«Oh, oh, oh?» lo seguì a ruota l'altro, quello che prendeva posto accanto ad Akaashi. Entrambi si allungarono con il busto contro al tavolo, poggiando i gomiti sul legno. Tadashi si sentì per la prima volta in vita sua come forzatamente messo al centro dell'attenzione e non per vantarsi o altro, ma aveva capito immediatamente che stavano puntando a lui.





 

Un'ora dopo, Tadashi poteva definitivamente dire che la loro era tutta apparenza. L'avevano fatto accomodare come se fossero amici di vecchia data, mettendolo a proprio agio. Nessuno l'aveva infastidito per i vestiti che indossava e la conversazione era diventata subito conviviale. Kuroo aveva esordito con un «Qual è il tuo nome, ragazza?» che gli aveva fatto venire la pelle d'oca e Tadashi aveva scoperto fosse davvero un galantuomo. Parlava con un braccio posato attorno alle spalle del suo fidanzato. Di tanto in tanto gli chiedeva se avesse bisogno di qualcosa, baciandogli la tempia. Lui diceva no, ma Kuroo glielo prendeva lo stesso. Kenma, che era stato in silenzio per tutto il tempo, senza scomporsi, a giocare pacificamente ad un videogame di guerra, era a malapena notabile. Tadashi non era riuscito a catalogarlo, sul momento. Aveva le treccine nei capelli, un paio di shorts di jeans e una felpa nera extra large, probabilmente di Kuroo. Sembrava una sorta di ibrido tra i due generi prefissi. A parer suo, rappresentava quasi l'esatto esempio di Teoria Gender.

«Da quanto tempo tu e Tsukki siete amici, Yamaguchi-Kun?» chiese Bokuto, reggendosi il mento con una mano. Bokuto era l'altro esagitato che coesisteva in concomitanza con Kuroo. Era il suo migliore amico e il partner di Akaashi, aveva scoperto. Akaashi l'aveva invitato a prendere posto accanto a lui, anche se nel giro di tre secondi l'avevano accerchiato, e si era premurato di fare le dovute presentazioni, prima di darlo in pasto agli squali. O se si voleva seguire una linea logica, ai gatti e ai gufi. Akaashi gli aveva oltremodo spiegato che era raro Tsukishima portasse di sua spontanea volontà qualcuno, quindi in quel momento Tadashi era a rappresentanza di un fenomeno più unico che raro. Gli aveva detto che seppur si vedessero spesso, Tsukishima aveva permesso solo una volta alla ragazza con la quale stava uscendo di aggregarsi al gruppo. Era venuto fuori che per una serie di motivi facilmente intuibili non si era trovata molto in sintonia con Kenma. Tadashi di solito non augurava mai sventure alla gente, né godeva nel saperla soffrire, ma essersi sentito dire che Tsukishima non invitava mai nessuno di sua spontanea volontà mentre invece con lui l'aveva fatto, lo rendeva felice.

Gli rivolse uno sguardo. Era seduto a due sedie da lui e stava mangiando un po' di carne grigliata. Non era sicuro lo considerasse propriamente un amico, però. Oltretutto, lo stava ignorando da quando erano arrivati. Quasi non riusciva ad afferrare il perché dell'averlo portato lì.

«Uhm... Noi in realtà non siamo amici.» mormorò piano, con le mani raccolte sul grembo, lo sguardo basso e un sorriso timido ad increspargli le labbra. Calò nuovamente il silenzio. Bokuto sollevò la testa dal palmo della mano e arcuò un sopracciglio. Kenma smise di premere i tasti della sua console, guardandolo. Tre secondi dopo il Nintendo produsse il tipico suono da game over. La sua attenzione sembrava interamente focalizzata sul gioco, ma in realtà ascoltava tutto. Kuroo si girò di scatto, facendo quasi convincere Tadashi di aver detto qualcosa di sbagliato. Akaashi non si mostrò sorpreso più di tanto, sapeva come la situazione fosse messa. Tsukishima, intanto, continuava a masticare piano la sua carne in un misto tra l'annoiato e il sinceramente stupito per la qualità del suo piatto.

A pensarci bene, doveva essere una qualche sorta di shock enorme per loro, venire a sapere che non erano amici ma nonostante tutto stavano parlando e mangiando allo stesso tavolo da un'ora quasi e mezza. E che l'artefice dell'invito era stata la persona più antisociale ed egoista del gruppo, che non portava fuori di sera nemmeno la sua ragazza se non per secondi fini e che solo una volta nella storia della loro amicizia le avevano sentito dire qualcosa di carino.

Kenma spense e richiuse il Nintendo, poggiandolo sul tavolo. Sembrava improvvisamente interessato alla conversazione, ma attualmente nemmeno il suo gesto di smettere di giocare in funzione di un sentimento quale la curiosità verso gli altri, che sembrava aver parzialmente dimenticato, era tanto eclatante quanto quello che aveva appena fatto Tsukishima.

«E quindi perché sei qui?» chiese senza mezzi termini e Tadashi si ritrovò a dover ammettere che aveva un tono di voce piacevole da ascoltare, dato che era la prima volta che apriva bocca in tutta la serata. Tadashi si aggiustò una ciocca della frangia con le dita, bensì non ve ne fosse alcun bisogno. Un qualcosa più volto a stemperare l'imbarazzo del momento, per ricavare tempo nel formulare una risposta, perché non sapeva cosa propriamente dire e contemporaneamente non voleva rischiare di mettere Tsukishima in imbarazzo.

«Beh, perché io...» arrossì, guardando altrove. Fortunatamente Bokuto sembrò colpito da un lampo di genio e lo interruppe, alzandosi dalla sedia. Sbatté il pugno sul palmo della mano ed esclamò convinto «Ho capito!».

Akaashi sospirò, reggendosi la fronte. Lo afferrò per il bordo della maglia, consigliandogli caldamente di ritornare a sedersi, perché stava attirando l'attenzione della gente. Per Bokuto l'attenzione della gente non era mai stata un problema, ma si sedette lo stesso per far felice il suo ragazzo. Puntò Tsukishima con un dito, proseguendo nella sua delucidante esposizione dei fatti.

«Tsukishima, non dirmi che lo stai costringendo a fare cose che non vuole.» sibilò, sporgendosi nella sua direzione, perché evidentemente non riusciva a restare fermo. Tsukishima si portò un pezzo di carne alla bocca, reggendolo tra le bacchette. Si prese tutto il tempo del mondo nel masticarlo e nel mentre osservava Bokuto. Era lui che non capiva dove il suo amico volesse andare a parare. Deglutì il suo boccone, inarcando poi le sopracciglia.

«In realtà a lui non dispiacerebbe.» pronunciò piano e Tadashi si sentì bruciare dall'interno, un qualcosa che partiva dalla cassa toracica, passava per la trachea e si fermava in una specie di groppo nella gola. Come se non avesse detto niente che poteva portare a pensare ad altro, Tsukishima riprese nuovamente a mangiare, distogliendo lo sguardo da Bokuto. Non appena riprese in mano le bacchette, Kuroo gli schiaffeggiò la nuca, facendogliele cadere sul tavolo.

«A volte parli proprio per non dire niente, quattrocchi.» Tsukishima si girò dalla sua parte, si guardarono in cagnesco per qualche secondo. Sedevano vicini, percome interagivano loro due sembravano avere un rapporto più intimo degli altri.

A Tadashi la piega che quel discorso aveva preso non gli piaceva. Abbassò lo sguardo, sospirando appena. Sentiva come se in qualche modo l'atmosfera si fosse incrinata a causa sua. E non pensava di essere stato così evidente e sfacciato nel corso del tempo, tanto da fargli comprendere quali fossero i reali sentimenti che provava per lui. Non aveva detto niente di tanto eclatante, ma tre parole messe in croce bastavano e avanzavano per farlo sentire umiliato. Tsukishima era brutalmente diretto e contorto.

Bokuto incrociò le braccia, tornando ad appoggiarsi con la schiena contro la sedia. Gettò uno sguardo a Yamaguchi che non aveva replicato e poi si voltò nella direzione di Akaashi. Storse la bocca, era stupido ma non abbastanza da non intendere il significato implicito di quell'affermazione. Doveva uscirsene fuori con una battuta solita delle sue per risollevare l'umore generale, perché a lui quel ragazzino stava sinceramente simpatico. Gli dava l'impressione di essere un cucciolo indifeso e da quanto gli aveva detto Akaashi, non si era discostato molto da ciò che fosse realmente. Akaashi gli carezzò appena un braccio, abbozzando un sorriso. Bokuto gli prese la mano, baciandone il dorso.

«Oh, beh. Io sarei più che felice di poter adottare Yamaguchi-Kun. Me lo porterei a casa oggi stesso.» riprese subito dopo, passandogli un braccio attorno alle spalle e Tadashi sussultò, guardandolo. Gli sfregò il palmo contro la manica della blusa bianca, tra l'amichevole ed il rincuorante.

«Akaashi ed io ne abbiamo già discusso.» continuò, con tono scherzoso, ma alla fine non così tanto ironico. Akaashi sorrise, annuendo, restando al gioco, perché Yamaguchi si stava gradualmente rilassando. Tsukishima non era l'unico che a volte apriva la bocca senza pensare a cosa dire. A volte anche Bokuto lo faceva, ma Akaashi era perfettamente consapevole dell'ascendente quasi ipnotico che il suo fidanzato riusciva ad avere sugli altri. Non premeditava cosa fare o rispondere, agiva d'istinto e probabilmente questa era una delle sue peculiarità migliori. Una tra le tante che lo rendevano unico e speciali ai suoi occhi.

Tadashi si accorse di star osservando Bokuto con le labbra leggermente dischiuse. Le richiuse immediatamente non appena se ne rese conto, increspandole in un sorriso imbarazzato. Si passò una mano sulla nuca, ridacchiando, e Bokuto se lo tirò maggiormente ridosso. Arrossì, stringendo le dita sul bordo del tavolo per sorreggersi. Aveva la guancia destra spiaccicata nella maglietta morbida di Bokuto. Sentire la compattezza dei suoi muscoli da sopra il tessuto lo imbarazzava. Era un contatto fin troppo intimo, per quanto gli riguardava, anche se del tutto piacevole.

Akaashi si coprì la bocca, soffocando una risata leggera. Yamaguchi era come un libro aperto. Tutto quello che gli passava per la testa gli appariva scritto in faccia. Si stava struggendo tra il rifiuto e la vergogna, in relazione a ciò che sul momento stava provando. Lo osservò per qualche attimo, prima di distogliere lo sguardo. Un po' di amore faceva bene a tutti, soprattutto a lui.

Kuroo scoppiò a ridere, dietro al boccale di birra che si reggeva davanti alla bocca con una mano. Ne prese un sorso, poi lo posò di nuovo sul tavolo, nel cerchietto di legno che fungeva da poggia-bicchiere. Analogamente all'altra coppia, circondò le spalle del suo compagno con un braccio, ghignando.

«Perdonate l'arroganza di Kei.» disse, battendo ripetutamente una mano dietro la nuca di Tsukishima. «Sta ancora crescendo, è nella fase della ribellione.»

Tsukishima si tolse di dosso il suo braccio con una scrollata di spalle, ma non sembrava propriamente arrabbiato. Era irritato ed annoiato, ma quello lo era praticamente sempre. Più che altro, appariva arreso. Probabilmente le prese in giro nel loro gruppo di amici erano un must, che a nessuno dispiaceva poi tanto fare e ricevere. Tadashi si ritrovò a pensare che quella doveva essere una forma molto profonda di amicizia. Assomigliava un po' a quello che lui stava costruendo con Hinata. Oikawa era un discorso a parte, lo adorava e ammirava, ma non sarebbe mai riuscito a mettere da parte il rispetto che gli portava, come succedeva tra Kuroo e Tsukishima, nonostante gli anni di differenza.

Bokuto sghignazzò, sembrava trovare la situazione parecchio divertente. Si sporse sopra il tavolo, allungando un pugno chiuso in direzione di Kuroo. Kuroo reagì automaticamente, stirando il braccio con il quale abbracciava Kenma, trascinandoselo dietro. Fecero scontrare brevemente le loro nocche, in segno di silente apprezzamento.

Tadashi afferrò il bicchiere di succo che gli era stato posato di fronte in precedenza, dal cameriere che li aveva guidati al tavolo. Prese la cannuccia tra le dita e se la portò alle labbra, succhiando la bevanda rossa. Sorrise delicatamente, sentendosi circondato da un calore rassicurante che non aveva mai provato. Nonostante l'uscita infelice di Tsukishima, non aveva di che lamentarsi. Si stava divertendo, quei ragazzi erano simpatici e il locale era confortevole.

Si persero a parlare del più e del meno. Avevano messo da parte lo scoprire perché fosse lì, probabilmente incoraggiati dalla risposta fuori luogo di prima. Era venuto fuori che frequentavano la sua stessa università, anche se non li aveva mai visti, perché per i corridoi camminava sempre a sguardo basso. E che Kuroo era un compagno di corso di Akaashi, Kenma studiava moda e design e Bokuto si era dato alle materie scientifiche, nonostante gli appellativi che gli erano stati appiccicati addosso dai professori del liceo. Non riusciva ad allacciarsi le scarpe da solo, qualche volta, era rumoroso e chiassoso, scoordinato e tendeva ad annoiarsi presto, ma di fronte ad un problema di geometria il suo cervello in qualche modo funzionava. Condivideva un appartamento con Kuroo, al di fuori del campus, ma stavano cercando qualcos'altro per riuscire a cavare da lì dentro anche Kenma e Akaashi. Gli avevano raccontato di come avevano conosciuto Tsukishima, di come li aveva evitati per mesi, ma poi si era arreso. Lui e Kuroo si erano ritrovati a condividere una lezione di biologia, nonostante Tsukishima fosse del Dipartimento di Paleontologia. Avevano scambiato quattro chiacchiere e poi Kuroo l'aveva introdotto nel suo giro di amici, anche se era più corretto dire che le quattro chiacchiere Kuroo le aveva scambiate da solo, lui e il muro. A Tsukishima era servito un po' di tempo per abituarsi alla loro presenza invadente, ma alla fine ora uscivano insieme e riusciva anche a tollerarli. Per ritornare brevemente al discorso della sua presunta fidanzata, solo una volta gli avevano sentito dire una cosa carina, poi mai più. «Se non piaci ai miei amici, non piaci nemmeno a me.» e in quel momento avevano capito che in fondo in fondo a Tsukishima la loro compagnia non dispiaceva così tanto come lasciava intendere.

Tadashi rise allegramente per una battuta stupida di Bokuto, poi la sua attenzione fu catturata da un gruppo di persone sedute un po' più in là che esplosero in un fragoroso applauso. Arricciò le labbra, curioso, stringendo il bicchiere tra le dita. Si rese conto di non aver notato nell'angolo estremo del locale un piccolo soppalco rialzato, con al centro un'asta da microfono e spostato un po' più a sinistra un pianoforte nero. In quel momento, una ragazza stava scendendo dalle scalette, dopo aver finito probabilmente di suonare la sua canzone. Sembrava timida, si toccava in continuazione i capelli. Le ciocche della frangia le coprivano gli occhi e lei le tirava come per allungarle e continuare a coprirsi. Nascondeva un sorriso imbarazzato dietro la mano, che si espanse lungo tutta la curvatura delle sue labbra quando riprendendo posto al suo tavolo, gli amici cominciarono a strattonarla amichevolmente. Dovevano aver faticato abbastanza per riuscire a convincerla a salire lì sopra. Gli rimandava questa sensazione.

Tsukishima che si alzava dalla sedia lo distrasse. Teneva in mano il telefono e fissava lo schermo. Tadashi lo guardò, inarcando appena le sopracciglia. Non tradiva nessuna particolare emozione, in volto, ma si chiese ugualmente se fosse qualcosa di urgente. Da come si era allontanato, mormorando un placido «Scusate.», con andatura rilassata ma al tempo stesso scocciata, Tadashi poteva forse ipotizzare che non fosse una chiamata importante.

Kuroo gli fissò la schiena fino a quando non scomparve oltre la porta dell'ingresso, poi sospirò, passandosi una mano tra i capelli. Tadashi sapeva che ficcare il naso negli affari degli altri non era giusto, ma moriva dalla voglia di sapere chi l'avesse chiamato. E Kuroo in tempi da record soddisfò la sua richiesta.

«Che seccatura, gente.» sospirò, bevendo la sua birra. Aveva usato un tono di voce piuttosto serio e Tadashi capì immediatamente perché l'aveva fatto. Nessuno di loro sembrava tollerare l'esistenza della fidanzata di Tsukishima. Fidanzata o quella che si scopava per divertimento. Qualsiasi cosa fosse. Niente di enormemente esagerato, non desideravano la sua morte, a nessuno sarebbe piaciuto vederla crocifissa, se non a Kenma, forse. Opinioni divergenti e caratteri incompatibili, si limitavano ad ignorarla, anche se il pensiero che camminasse ancora su questa terra li turbava. Tadashi aveva notato che ragionavano come se fossero un branco. Non ti meritavi la clemenza di nessuno se ferivi anche solo uno di loro. Era confortante.

Bokuto annuì, aggiungendo poco altro se non qualche frase di consenso. Tadashi si morse il labbro inferiore, discretamente. Era la chance che aspettava per scoprire qualcosa in più su di lei, Tsukishima e in generale, se mai avesse saputo come mettere da parte l'imbarazzo. Arrossì, schiarendosi la gola. La sua voce risuonò più traballante di quanto non lo fosse mai stata, negli ultimi tempi.

«Come mai... ?»

Kuroo si appoggiò il mento sopra il palmo della mano. Era stato un flebile suono che si era propagato per circa cinque secondi nell'aria, poi era scomparso. Avevano appena fatto in tempo ad udirlo. Si prese qualche attimo per rifletterci, più per dosare le parole che altro.

«È un'omofoba di merda.» sorprendentemente, Kenma prese la parola. Dopotutto, era il diretto interessato dell'intera faccenda. «E se odi gli omosessuali con noi non vai d'accordo.»

Tadashi non riuscì ad emettere altro che non fosse un erudito «Oh.». Improvvisamente, non si sentì più nella posizione giusta di chiedere altro. In qualche modo, lo sguardo di Kenma, nel dire quello che aveva appena detto, l'aveva intimorito. E a prescindere, dalle persone che aveva intorno, soprattutto da lui, poteva facilmente immaginare che non fosse solo una questione di preferenza sessuale, quanto più anche d'identità di genere. Nell'unica volta che si erano visti, doveva avergli detto qualcosa alla tipo «Perché i tuoi vestiti non hanno un senso? È strano.»

«E se ti stai chiedendo perché Tsukishima ci esca, beh, la cosa è molto semplice.» aggiunse Kuroo. Spiegò brevemente che Tsukishima era abbastanza grande da sapere cosa fosse meglio per lui e cosa no, e che se gli diceva di non preoccuparsi, allora non si sarebbe preoccupato. Non stava cercando la persona con cui condividere il calvario della vita. Non doveva sposarla. Voleva solo divertirsi, il che era anche abbastanza comprensibile data la giovane età. Questo, ovviamente, la ragazza non lo sapeva.

«Ad ogni modo, Yamaguchi-Kun.» lo richiamò Akaashi, sorridendo candidamente. Se ne stava appoggiato contro lo schienale della sedia, con un braccio di Bokuto che gli pendeva dal collo. Giocava distrattamente con la sua mano, carezzandogli le dita e delineandone i contorni. «Ho visto che guardavi in direzione del palco, prima. Ti piace cantare?»

Tadashi non poteva dire che gli piacesse particolarmente o che fosse in qualche modo dotato abbastanza da valerne la pena ascoltarlo. Canticchiava a volte sotto la doccia, canticchiava a volte mentre annaffiava i fiori del giardino del campus. Strimpellava alla chitarra due accordi per grazia divina e a volte intonava melodie che non avevano parole, solo suoni. Apprezzava la musica, però e forse era stato per questo che si era subito preso con Oikawa, anche se non si proclamava chissà quale esperto. Ascoltava di tutto, dal tradizionale al poco tipico. Col tempo, aveva imparato ad apprezzare ogni genere, senza escluderne qualcuno a prescindere, solo a causa dei preconcetti.

«Mi piace la musica, ma non so assolutamente suonare il pianoforte.» ridacchiò, riandando automaticamente con la mente a quando di domenica sua madre lo costringeva a cantare nel coro della chiesa, assieme ai suoi coetanei del tempo. Ora la maggior parte di quella gente a stento lo salutava, se si incrociavano per strada.

«Non c'è problema.» rispose Kuroo, con un ghigno sulle labbra del tutto poco rassicurante. «Io so suonarlo. Tsukishima pure.»

Tadashi si voltò a guardare prima lui, poi Akaashi. Akaashi aveva in faccia un'espressione che diceva chiaramente «Sì, Oikawa me l'ha detto. ♥» e in quel momento realizzò che il cervello del suo senpai doveva star macchinando qualcosa di brutto. Prima che potesse iniziare a replicare ardentemente con tutte le sue forze, perché una cosa del genere non sarebbe mai potuta succedere, Tsukishima tornò indietro.

«Tsukki.» Kuroo lo indicò con il boccale di birra che aveva in mano. «Accompagna Yamaguchi al piano.»

Tsukishima inarcò un sopracciglio, reggeva ancora il cellulare tra le dita, ma stavolta era spento. Tadashi cominciò a gesticolare, arrossendo, mettendo insieme parole a caso senza formare nessuna frase di senso compiuto. Bokuto nel sentirlo scoppiò a ridere, il che lo fece imbarazzare più di prima. Quel fiume insensato di parole che gli scorreva fuori dalla bocca si arrestò quando Tsukishima gli posò gli occhi addosso. Tadashi sedeva compostamente sulla sedia, ma era agitato. L'altro sembrava starlo scrutando da capo a piedi, oltre i vestiti. Gli parve che per un momento, lo sguardo di Tsukishima si fosse soffermato sulla sua gamba nuda, quindi per riflesso incondizionato la coprì. Quel silenzio lo stava portando a credere che da qualche parte nella testa di Tsukishima, l'idea di accompagnarlo per davvero al piano stesse prendendo forma. E nella sua l'aspettativa gli gonfiava i polmoni, facendogli aumentare il battito cardiaco.

«Non ci penso minimamente, mi metterebbe in imbarazzo.» sentenziò, mettendosi a sedere. Kuroo lo rimbeccò, Tadashi sospirò. Non si sorprese più di tanto. Tsukishima stava rigirando il coltello in una piaga già sufficientemente aperta. Nulla che insomma non si fosse già sentito dire in diciannove anni di vita.

«Okay, ce lo accompagno io.» disse Kuroo, facendo drizzare i sensi di Kenma, che dalla sua reazione probabilmente doveva amare in modo particolare sentirlo suonare. Tadashi stava per dirgli che non importava, non sarebbe in ogni modo stato capace. Che lo coglieva troppo alla sprovvista, non gli pareva il caso. Fece per aprire la bocca, ma la voce di Tsukishima lo surclassò.

«Io tra poco vado via.» informò tutti e Tadashi ingenuamente si sentì triste, perché egoisticamente, anche se era venuto con lui, non voleva andarsene così presto. Se l'avesse ascoltato finire di parlare, prima di perdersi nei suoi giri mentali, si sarebbe risparmiato la fatica di sentirsi triste.

«Tu fai cosa vuoi.» perché non stava tornando in dormitorio e non ci sarebbe ritornato così presto. Probabilmente la sua donna l'aveva chiamato per proporgli un'alternativa più allettante di quella. E siccome la carne è debole anche se ti chiami Tsukishima Kei, non si era sognato di rifiutare.

Lo fissò per qualche secondo, cercando di non lasciar trasparire la delusione che gli colava fuori da ogni poro della pelle. Ad un certo punto si sforzò di reagire, perché gli sembrava essere passata un'eternità da quando aveva detto qualcosa l'ultima volta e se avesse continuato a stare zitto la cosa sarebbe risultata sospetta.

«Nessun problema, posso tornare indietro da solo.» gli sorrise, mettendo giù la borsa che si era portato dietro, tanto non doveva ancora andarsene lui. Era come se lo stessero soffocando. Sentiva distintamente una mano attorno alla gola che gli stringeva la trachea. Si massaggiò un braccio, facendo finta di interessarsi al menu appiccicato sotto il vetro del tavolo. Non sapeva semplicemente dove posare gli occhi. Mentalmente si domandò perché per davvero gli avesse chiesto di uscire con lui, se poi l'aveva ignorato tutto il tempo ed ora se ne andava anche. Gli venne quasi voglia di chiederglielo, ma mancava di coraggio per fare una cosa del genere. E sapeva che avrebbero finito per litigare e come una moglie remissiva, dopo i primi strilli gli avrebbe dato ragione e l'avrebbe lasciato andare dove voleva. Si impose di calmarsi e sospirò, cercando di non dare troppo nell'occhio. Era meglio se provava a concentrarsi su altro. Tsukishima era tossico per la sua salute.

«Kuroo-San, che cosa saresti disposto a suonare?»

 

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Capitolo 4
*** IV. Give a round of applause for the great Miss Y ***


I wish that I could be like the cool kids
IV. Give a round of applause for the great Miss Y





Riuscire a convincere Kuroo e gli altri a lasciarla tornare al dormitorio da sola era stato più che un'impresa. Tadashi non voleva arrecare loro ulteriore fastidio, dato che la serata si sarebbe conclusa per tutti e quattro nell'appartamento che Kuroo e Bokuto condividevano. Costringere persone nuove, che aveva appena incontrato, alle quali già sentiva di sentirsi legata e che in qualche modo voleva impressionare positivamente, ad allungarsi per fare una strada che non dovevano percorrere se non per lei, le sembrava esagerato. Si era sempre reputata una persona sensibile, ma riservata. Non sarebbe mai stata capace di pretendere una tale presunzione, perché nei confronti di gente simpatica ma nuova la riteneva un'ostentazione improponibile. Bokuto in particolare aveva avuto da ridire sulla discutibile sicurezza di quei quartieri passata la mezzanotte, ma si era arreso quando aveva ricalcato con occhi quasi lucidi il fatto che non sarebbe successo niente se fosse stata attenta e uno alla volta alla fine avevano ceduto, perché in sostanza non potevano costringerla a fare quello che non voleva. Con la rassicurazione di inviare un messaggio e far sapere che era arrivata nel dormitorio sana e salva, l'avevano lasciata andare.

Uno dei propri difetti che Tadashi non riusciva davvero a tollerare era il praticamente mettersi a frignare per ogni cosa che le veniva detta. Non un pianto isterico o cose del genere e quasi non riusciva a definire a parole la sua condizione, ma quando non era capace di imporsi o qualcuno le dimostrava affetto o altro, lei semplicemente si commuoveva. Un'eccessiva emotività, l'aveva sempre chiamata sua madre. Un fardello che la faceva sembrare molto stupida, l'aveva sempre definita lei.

Quando aveva aperto la porta della propria stanza, di Hinata nemmeno l’ombra. Tutto era come l’aveva lasciato. La borsa del negozio di vestiti era ancora appoggiata sulla scrivania, tra i libri e il laptop. Il pigiama ripiegato sul cuscino e le coperte del letto perfettamente stirate. Hinata era un uragano, a volte fatica a credere che avevano trovato una loro personale stabilità nel dividere una stanza del dormitorio. Quando bazzicava in giro il posto dove dormiva non era mai in ordine. Se doveva scegliere i vestiti dall’armadio dopo averli presi lasciava le ante aperte. A volte ritrovava una scarpa sotto la scrivania e l’altra nascosta dietro il cestino del bagno. Tutta quella disciplina e soprattutto il silenzio tombale stavano a significare che in camera nelle ultime ore non c’aveva nemmeno messo piede e che, più di ogni altra cosa, stava facendo chiasso da tutt’altra parte.

Sospirando, si era chiusa la porta della stanza alle spalle, assicurandola allo stipite con un paio di mandate. Immaginò Hinata non sarebbe tornato e se l’avesse fatto era comunque in possesso del suo personale mazzo di chiavi. Aspettarlo sarebbe stato in egual modo inutile. Non avendole risposto al messaggio di quel pomeriggio, Tadashi poteva solo pensare che fosse collassato da qualche parte o che ancora stava dandosi da fare con Kageyama. Aveva ridacchiato, avvicinandosi al comodino per accendere la lampada. Si era riscoperta divertita ma anche un po’ gelosa, perché il proprio partner l’aveva lasciata da sola con un gruppo di semi sconosciuti. Per come conosceva Kageyama era prettamente sicura che lui non l’avrebbe mai fatto. E ad ogni modo, per questo motivo e altri ancora, era contenta che Hinata avesse finalmente trovato una persona in grado di apprezzarlo per il ragazzo che era.

Si era tolta i vestiti, infilandoli nel cesto dei panni sporchi perché sentiva di doverli lavare, perché ancora non se li percepiva cuciti addosso come avrebbe dovuto essere. Sul fondo del cesto di vimini giacevano quelli di Tsukishima e per un istante si chiese se levarglieli fosse giusto dopo quanto male si era comportato al locale, ma poi convenne con se stessa che non era nulla di speciale. Tsukishima la trattava male sempre, non stava realizzando niente di nuovo. Le veniva da formulare determinati pensieri egoistici unicamente perché oggi più delle altre volte c’era rimasta veramente male. Era stata la prima volta ad essersi esposta a quella maniera, ma era perfettamente consapevole che cosa potesse rappresentare qualcosa di importante per lei, magari per altri non erano che dettagli trascurabili. Tsukishima era scortese, ma lei una vera stupida. Indossare una gonna una volta non riparava a tutti i danni che si era procurata nel corso degli anni, da quando aveva acquisito la consapevolezza. Ed era stato piacevole, ma finché non sarebbe partito da lei avrebbe continuato a risentirne indirettamente.

Per distrarsi si era messa a rassettare la stanza. Aveva asciugato il lavandino dopo essersi lavata i denti, smacchiato con un panno in microfibra la doccia dalle gocce contro le vetrate e poi ripiegando la busta di cartone sulla scrivania aveva sollevato il coperchio del cestino e ce l’aveva gettata dentro.

Non era sicura di aver riposato abbastanza, perché il tempo di indossare il pigiama e mettersi a letto che il sole sembrava essere sorto in tre minuti. Giaceva sotto le coperte, distesa di schiena, con un braccio piegato sopra la testa e appoggiato alla fronte. Fissava il soffitto contemplando le crepe grigie attorno alla plafoniera, con il cellulare in carica appoggiato sullo stomaco. Quando cinque minuti prima aveva controllato l’orario si era resa conto che la sveglia aveva ancora un quarto d’ora a suonare. Si sentiva strana e malinconica quella mattina. Non triste o altro, solo malinconica. Non era certa fosse il termine giusto per descrivere il proprio stato d’animo, ma attualmente quella era l’unica parola che le veniva in mente che più si avvicinava a cosa stava provando.

Aveva lasciato le persiane della finestra aperte. I flebili raggi solari del primo mattino filtravano attraverso il vetro. Le piaceva il modo in cui illuminavano la stanza in maniera naturale. Avvolta nel silenzio osservava i granelli di polvere che fluttuavano nella luce trasversale. A palpebre appena socchiuse e respiro impercettibile, cercava di ignorare le urge di un corpo che non la rispecchiava a pieno. La sua condizione abbracciava a pieno ogni aspetto della propria vita. Anche quando apriva gli occhi e la sua identità e ruolo di genere combaciavano si faceva mille problemi durante il giorno. E avrebbe dovuto smetterla di pensarla in quei termini, perché di malato non aveva nulla se non la convinzione profondamente sbagliata che di tutto quello che stava provando ad accettare non si meritasse nulla.

Si morse con i denti un angolo delle labbra secche e appena screpolate. Con le mani si carezzò delicatamente il petto, delineando con i polpastrelli degli indici una forma semi circolare dove percepiva il lieve rigonfiamento dei pettorali. Sospirò imbarazzata, anche se l’unica spettatrice di se stessa era solo lei. Si inarcò leggermente mentre indirizzava le attenzioni di una mano giù verso il ventre. Con fare timido intrufolò le dita sotto l’elastico dei boxer, scollandolo dalla pelle bollente. Bollente e liscia, perché aveva le sue abitudini. Indugiò appena, strusciandosi un capezzolo tra i polpastrelli. Avvicinò le ginocchia, stringendosi la mano tra le cosce. Gli si accorciò il respiro, ansimando a bassa voce toccandosi la sommità del sesso.

La porta di camera si aprì in quel frangente, scricchiolando appena. Tadashi si tirò immediatamente su col busto nell’esatto momento in cui vide la testa rossa di Hinata sbucare furtivamente dall’entrata. Reagendo abbastanza impulsivamente, nel movimento il telefono le cadde a terra. Non si piegò a raccoglierlo subito, andò immediatamente ad afferrare le lenzuola per stringersele al petto. Lo guardò a guance arrossate, con fare appena trafelato. Hinata la guardò di rimando, stando in silenzio per qualche secondo prima di portarsi una mano dietro la testa. Ridacchiò colpevole, entrando poi in stanza e chiudendosi la porta alle spalle. Era pure lui conscio dell’orario improbabile.

«Scusami, Yamaguchi... Ho fatto un po’ tardi. Ti ho svegliato?»

Tadashi sospirò, passandosi il dorso di una mano sugli occhi per strofinarli. Hinata probabilmente era così concentrato su se stesso riguardo al fatto che era sparito per quasi un giorno intero che sembrava non essersi accorto di nulla e per questo Tadashi non poteva che esserne grata.

«Figurati, mi hai solo colto di sorpresa, ma ero già sveglio.» gli spiegò brevemente, prima di fare posto accanto a lei sul letto e picchiettarci leggermente un palmo. Hinata sorrise, sfilandosi le scarpe e saltellandole contro. Lasciò il borsone dei panni sporchi a caso sul pavimento e la raggiunse, arrampicandosi sul materasso. Sembrava estremamente felice ed entusiasta e quando si avvicinò infilandosi sotto le coperte con lei, Tadashi si accorse che profumava di sapone. E che dal colletto della maglia spuntavano segni quasi violacei. Ridacchiò, pensando a quale azione avesse potuto far reagire così il riservato Kageyama.

«Raccontami tutto, presto. Sto morendo dalla curiosità.»

Hinata la abbracciò, visibilmente imbarazzato. La linea del suo rossore aveva raggiunto perfino le orecchie. Le afferrò la maglia del pigiama con le mani, affondando il volto nel suo collo per nascondersi. Tadashi sorrise, intenerita da quella reazione così tenera, abbracciandolo per carezzargli la schiena e spronarlo a parlare.

«Non lo so, ma è successo. Non me lo aspettavo nemmeno io. È stato...» e Tadashi giurò di averlo sentito emettere uno dei suoi urletti senza senso a fine frase, mentre le raccontava le dinamiche mormorando contro la propria spalla. Da quando lo conosceva, Hinata non aveva mai ammesso di provare dei sentimenti nei confronti del suo compagno di squadra. Il fatto che glielo si leggesse praticamente in faccia era invece un altro paio di maniche. Fino a quando non l’aveva visto interagire con un altro essere umano di sesso opposto non se n’era reso conto nemmeno lui. Da lì era partito quello che assomigliava molto ad un calvario, a detta di Hinata, perché avrebbe contemporaneamente voluto ignorarlo e passarci del tempo da solo. Kageyama non aveva mai lasciato trasparire niente e ad Hinata l’ipotesi di esporsi così tanto non piaceva. Nel caso si fosse dichiarato per venire rifiutato sarebbe tutto diventato molto difficile ed imbarazzante, non potendolo evitare frequentando gli stessi posti.

Tadashi gli carezzò i capelli, ascoltandolo parlare. Quello che aveva capito era che a seguito di una delle loro litigate, in qualche modo era emersa prepotentemente tutta la frustrazione sessuale che si erano tenuti dentro, per finire a limonare contro i lavandini degli spogliatoi della palestra. Dagli spogliatoi a camera di Kageyama il passo era stato breve.

«Tu invece che cos’hai fatto? Alla fine cos’hai comprato?»

Hinata era stato via abbastanza a lungo da perdersi praticamente tutto quello che di strabiliante le era successo in poche ore. Tadashi di solito non aveva niente da raccontare. La sua vita procedeva abbastanza monotonamente. Usciva poche volte, quasi mai. Il tempo libero lo trascorreva tra i libri e i sensi di colpa dell'aver potuto studiare di più. Quando gli spiegò brevemente che nel giro di sei ore aveva comprato una gonna e che Tsukishima l'aveva invitata a passare una serata tranquilla con il suo gruppo di amici, Hinata prima le gettò le braccia al collo in un moto di sincera contentezza poi si coprì la bocca con le mani, sbalordito.

Tadashi ridacchiò delle sue spontanee reazioni, ripetendogli l’ultima parte del discorso perché un Hinata abbastanza senza parole le aveva mormorato un «Non ci credo.»

«Ah, poi gli ho anche raccontato di quella questione...» aggiunse poco dopo, riflettendoci, mentre Hinata esternava il proprio disappunto riguardo la strafottenza di Tsukishima. Lo stesso Tsukishima che in classe la ignorava, nei corridoi nemmeno salutava e le rispondeva male alla prima occasione disponibile.

«E lui che ti ha detto?!»

Tadashi scostò leggermente lo sguardo, sorridendo. Sembrò dare un’impressione sbagliata ad Hinata, che a vederla così remissiva strinse i pugni e cominciò una trafila di minacce a scapito di Tsukishima, che se le aveva detto qualcosa di sbagliato sarebbe andato a rovesciarlo dal letto quel momento stesso. E probabilmente Hinata doveva essersi dimenticato che nella stanza che fino a poco fa lui stava abusivamente occupando, Tsukishima non ci aveva dormito.

«No, no, no! Tranquillo, non mi ha detto nulla di che. È stato piuttosto passivo...» continuò, rassicurandolo. A dirla tutta, quella non riusciva nemmeno a chiamarla reazione. Quella di Hinata era stata una reazione. Quella di Oikawa era stata una reazione. Quella di Tsukishima non era stata niente, perché a lui di lei sostanzialmente importava poco. Non aveva quello spessore determinante da portare Tsukishima a reagire in qualche modo. Era stato probabilmente per questo che aveva incontrato cotanta accettazione da parte sua.

«Sicuro, Yamaguchi?» le chiese insistentemente Hinata, come a volersene assicurare per bene. In quel momento la sveglia si attivò, facendo vibrare e risuonare il telefono che ancora giaceva sul tappeto. Tadashi si allungò per afferrarlo e staccarlo dal caricatore. Spense la sveglia e lo riposò sul comodino, mentre Hinata si sedeva sul bordo del letto e lei si toglieva le coperte di dosso. Era domenica, non una giornata scolastica. Di solito il dormitorio si svuotava per il weekend, ma lei per quanto l’idea poco la aggradava aveva bisogno di studiare e recuperare quanto più in fretta possibile tutti gli arretrati.

«Sicurissimo. Non ha problemi con la cosa.» gli sorride, alzandosi una volta infilate le pantofole. Hinata la imitò, solo per muovere due passi e buttarsi di peso sul proprio, di letto.

«Ah, Yamaguchi?»

Tadashi si era calata ai piedi dell’armadio per tirare fuori dal proprio cassetto l’intimo da indossare dopo la doccia. Non si girò a fissarlo, ma gli chiese cosa c’era nel mentre che recuperava anche i vestiti dalle stampelle.

«Quale pronome devo usare, oggi?»

 





Al ritorno dal bagno aveva trovato Hinata a dormire. Aveva preferito non svegliarlo. Non avrebbe avuto motivo per farlo, d'altra parte. Di solito si prendeva l'incarico solo quando tardava per colpa degli allenamenti e di mattina aveva lezione alle nove. Dato che non le aveva detto il contrario gli rimboccò le coperte e silenziosamente si mise nello zaino tutti i libri di cui aveva bisogno quel giorno. E sicuramente poi poteva scommettere non avesse chiuso occhio per niente. Per quanto le riguardava invece, pianificava di morire in biblioteca. Non aveva altre faccende urgenti da sbrigare se non tentare di capire al più presto come fare per passare l’esame che qualche giorno prima aveva fallito. Non esistevano studenti che di domenica preferivano chiudersi in biblioteca o che trovassero l’opzione dello studiare più allettante di un’uscita con gli amici. Nemmeno lei lo era, ma per forza di cose si era ritrovata a posticipare lo studio di materie più o meno complicate con la speranza di riuscire a passare almeno un esame. Così non era stato, per questo adesso zaino in spalla si stava dirigendo verso il piano inferiore del dormitorio. A stomaco vuoto non sarebbe mai riuscita a studiare. Aveva bisogno di mettere qualcosa sotto i denti e riempirsi lo stomaco, considerato che la sera prima non era stata in grado di ingurgitare nulla di concreto a causa del nervosismo di trovarsi in mezzo a gente che non conosceva nei suoi abiti peggiori.

Scese le scale tranquillamente. Il dormitorio era davvero deserto, nei corridoi non aveva incrociato nessuno. Mentalmente incominciò a farsi una mappa concettuale di cosa valeva la pena studiare prima e cosa dopo, nel mentre che raggiungeva la caffetteria. Caffetteria in cui avrebbe avuto solo l’imbarazzo della scelta per quanto riguardava i posti a sedere. Tirando fuori il borsellino dalla tasca anteriore dello zaino si avvicinò al bancone. Salutò cortesemente la signora che avrebbe dovuto servirla e passò in rassegna i dolci esposti in vetrina. Non aveva voglia di mangiare riso o verdure. Se voleva davvero studiare per cinque ore di fila doveva fare il carico di zuccheri.

«Un cappuccino, un pezzo di questa torta alle fragole e un paio di questi biscotti al cioccolato.» comunicò gentilmente alla signora dietro al bancone, indicandole ad ogni ordine precisamente cosa quel giorno desiderasse mangiare. Lei sorride, cominciando a prepararle il vassoio con quanto richiesto.

«Carenze affettive?» chiese scherzosamente e Tadashi da brava ingenua ci rifletté pure prima di risponderle, ridacchiando.

«Fanno ¥780.50.»

Aprì la cerniera del portafoglio, reggendo una banconota da ¥1000 tra le dita mentre cercava monete per agevolarla nel resto. Prima che potesse posare tutto sul bancone un braccio di provenienza estranea allungò una carta di credito in direzione della donna. Tadashi sul momento pensò di star bloccando una fila che in realtà non esisteva, facendosi istintivamente da parte. Si voltò per scusarsi, trovandosi invece di fronte Terushima Yūji, che la guardava con il suo migliore ghigno stampato sul volto.

«Aggiunga un caffè e un cornetto alla crema. Pago io.»

Tadashi per i primi dieci secondi non disse nulla. Per un attimo aveva pensato potesse essere Tsukishima. Non sapeva dire se si sentisse più spaventata o delusa. La sintesi invece era il sentirsi patetica.

«N-No, grazie, ma non posso accettare...» guardò prima lui, poi la signora della caffetteria che stava già strusciando la carta nell’apparecchio digitale. Terushima le posò una mano sulla spalla, attirando di nuovo la sua attenzione. Dalla spalla la mano scivolò lentamente intorno al suo collo. Terushima la circondò con un braccio, accostandosi maggiormente a lei.

«È un piacere provvedere alle tue carenze affettive.» le mormorò con voce roca. Se avesse avuto un’autostima decente avrebbe detto con tono sensuale, ma Terushima Yūji non aveva nessun motivo per fare una cosa del genere, né tanto meno volerla. Si scostò appena, imbarazzata. A sguardo basso lo ringraziò sentitamente, procedendo poi con il rimettersi i soldi nel portafoglio con un certo senso di colpa sullo stomaco.

«Ecco a voi, ragazzi.» fece loro la cameriera, non appena tutti gli ordini furono pronti. Terushima prese l’iniziativa di portare il vassoio al tavolo per lei e Tadashi si sentì leggermente a disagio. Era felice che Tanaka si stesse godendo le ferie da qualche parte, ma la sua presenza nella stanza avrebbe aiutato.

Si sedette, Terushima prese posto di fronte a lei. Poggiò i gomiti sul tavolo e si portò una mano a reggersi il mento. Notò che aveva le occhiaie e i vestiti che indossava forse erano gli stessi che portava ieri pomeriggio, quando l’aveva incrociato mentre andava ad incontrare Oikawa. Anche lui sembrava aver trovato metodi alternativi per divertirsi.

Svuotò due bustine di zucchero nel proprio cappuccino, portandoselo poi alle labbra per avere così una scusa per non parlare. Terushima ridacchiò.

«Ti imbarazzo?» le chiese sornione. La cosa sembrava quasi piacergli. Forse più la metteva in imbarazzo più se ne compiaceva e avrebbe avuto modo di riderci con i suoi compagni.

«No... Ho solo un po’ di sonno.» mentì, consapevole di quanto fosse pessima con le bugie. Le era capitato un paio di volte di mentire, da più piccola. Il senso di colpa era stato così atroce che si era ripromessa di non farlo mai più. Terushima stava testando la veridicità del suo giuramento.

«Non mi sembri uno che fa le ore piccole.» rispose l’altro, zuccherandosi la bevanda e girandola col cucchiaino. Tadashi non era fiduciosa che fosse riuscita a convincerlo, perché il modo in cui la guardava era strano. Non riusciva a decifrarlo. Criptico peggio di quello di Tsukishima. Almeno nel suo vi leggeva odio e basta. Era più semplice.

«E tu invece lo sei?» posò la tazza nel piattino, pulendosi prontamente le labbra con il fazzoletto bianco. Prese due dei quattro biscotti e glieli fece cautamente cadere nel cappuccino. Le sembrava meno equo in quella maniera e Terushima sembrò percepire il flusso dei suoi pensieri, perché si mise a ridere reggendosi la pancia. Allo scoppio della sua fragorosa risata pensò di aver fatto qualcosa di sbagliato, ma in effetti il ragazzo non si mostrò per niente turbato dal gesto.

«Se volevi darmeli per forza potevi almeno imboccarmi, a questo punto.»

Tadashi arrossì, nascondendosi dietro i ciuffi della propria frangia. Li tirò con le dita, lisciandoli, poi si coprì direttamente gli occhi.

«Non ridere di me. Di solito non faccio cose stupide, non sono solo abituato a parlare con gente che non conosco.» gli spiegò tutto d’un fiato, guardandosi le cosce tra le fessure delle dita. Terushima si sporse appena per afferrarle un polso. La costringe a scoprirsi la faccia e a guardarlo negli occhi.

«È per questo che ti trovo così interessante, Yamaguchi.» le disse, baciandole il dorso della mano.

In quel momento dalle porte spalancate della caffetteria entrò Tsukishima. Tadashi non ebbe il tempo di imbarazzarsi per ciò che Terushima aveva detto e fatto. Lo vide avvicinarsi a rallentatore. Aveva i capelli appena in disordine. La camicia era spiegazzata. Tutto il resto era perfetto, anche se pure lui indossava i vestiti della sera prima. Lo vide aggiustarsi gli occhiali sul naso e guardarsi intorno lentamente come a decidere il da farsi. Tirò fuori dalla tasca il cellulare, dalla quella di dietro il portafoglio. Se ne stava in mezzo alla stanza come se fosse un adone greco. Per una frazione di secondi a Tadashi sembrò incrociare il suo sguardo, ma in realtà Tsukishima le guardò semplicemente attraverso.

Le passò accanto. Pensò che anche per ignorare qualcuno ci volesse un certo concentrato di forza. Ignorare presupponeva evadere cosa quella determinata persona nel bene o nel male rappresentava. Per Tsukishima era come se lei fosse invisibile. Era come se non esistesse.

«Tutto bene, Yamaguchi?» le chiese Terushima, continuando a tenerle la mano. Tadashi sollevò lentamente lo sguardo. Il suo ghigno le faceva venire da vomitare.

Tsukishima alle sue spalle si avvicinò a presa diretta al bancone. Ordinò qualcosa che non riuscì a captare per bene, ma ordinò per due. Forse aveva preso la torta alle fragole che aveva preso lei o forse le faceva solo piacere pensarlo. Ad ogni modo, non l’avrebbero condivisa insieme. E Tadashi di torte alla fragola se ne sarebbe mangiate in quantità industriali se significava aspettare pazientemente che prima o poi Tsukishima l’avrebbe notata.

«Tutto bene.» gli sorrise, guardando cosa ancora le rimaneva nel vassoio. Il pezzo di torta alle fragole giaceva nel piattino ancora integro. Il pan di spagna era tranciato a metà. In mezzo era farcita da crema bianca. Nella striscia di farcia fragole tagliate in due parti fungevano da decorazione.

Prese la forchettina, immergendola nel dolce per raccoglierne una porzione. La fame le era passata, ma se la portò ugualmente alle labbra. Acida.

Aveva appena detto che avrebbe sopportato di tutto. Non era il primo boccone amaro che mandava giù.

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