Krono

di stasiana
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** primo capitolo ***
Capitolo 2: *** secondo capitolo ***
Capitolo 3: *** terzo capitolo (al passato) ***
Capitolo 4: *** quarto capitolo ***



Capitolo 1
*** primo capitolo ***


1’ CAPITOLO: Il principio di Krono (da revisionare) In principio v’è stato il gran fracasso di un inizio. “un inizio è già qualcosa”, dice il poeta che non sa bene ancora cosa s’accinge a cominciare, quando è costretto a compiere l’opera celebrativa per riempire una sala, dove s’accalcano alle anteprime i figli dei sindaci, gli avvocati imberbi sostenitori del pd, e i giovani comunisti, figli di stirpi estraniate, di medici ed insegnanti. Ecco, da questo “qualcosa” di cui s’attendono, con trepidazione accaldata, le parole meno consuete e più sensazionali, “dapprima, nella primissima ora del primissimo atomo, scaturì la gelida costernazione del Caos alle prese col minaccioso Cosmo”, mentre il poeta si consola in quest’ultimissima ora di ritardato riposo produttivo, compiacendosi di aver scelto quale filo seguire, e, al pari dell’originario generatore di orbite planetarie, e di cieli incastonati (“che si ingegnò, in seguito, a far rotolare in pista un habitat eccentrico dove le cose prendessero un mistico movimento vitale frenetico e sbellicante”), così il poeta si diverte a mostrare di quali meraviglie questa notte egli sarà capace. Dopo la morte del caos, dopo l’inevitabile vittoria del cosmo, e dopo la scelta definitiva del filo della narrazione, il dio, fattosi finalmente uomo, capisce che è giunto l’istante di far subentrare una nuova immagine : ma così non avviene, l’immagine diviene un ricordo, ed il ricordo si trasforma in pensiero, ed il pensiero s’articola in monologo, il monologo si frammenta, raddoppiando il proprio movimento interno, e diviene dialogo, il dialogo si moltiplica fino a raggiungere l’eco dei quattro venti, è dibattito: in altri termini, quando si mette nei panni del dio generatore, le sue emozioni, le stesse che il poeta vorrebbe suscitare, ristagnano in una palude da lui stesso progettata, e con esse, egli dimentica le suddette immagini tanto attese. Al loro posto, necessariamente e quasi per riflesso, subentrano allora le opinioni, le analisi, le definizioni, che prendono vita propria se innestate nelle reti fragorose della collettività in subbuglio: “fu allora che il dio, per la vita mortale, rimase deluso”; è ora che il poeta nella sua vita virtuale, rimane confuso. Le idee hanno soppiantato le libere associazioni e gli estetismi delicati, le grida d’angoscia e il fagocitante desiderio, tanto che sembra quasi che tutto non abbia più significato, e così, “Dio pose fine alla razza umana”, come l’uomo pone fine alla vita. Ma la vita risorge, dai pochi, pochissimi, sempre così pochi, ma buoni, buonissimi, sempre così buoni sopravvissuti. Essi vivranno avventure di cui il poeta non può più, oggi, narrare: egli, nella sua superba contemporaneità, s’annoierebbe a morte a narrare favolette sanguinose e drammatiche. Noi diremmo forse: sfortunatamente. Ma questo è perfettamente spiegabile: nella mentalità della nostra sempre più evoluta specie, è escluso l’elemento vitale delle cose, cosicché lo scrittore, e osservatore, e ascoltatore, trascurerà ogni forma di azione impetuosa, di slancio focoso. Egli l’ha, molto semplicemente, dimenticato, benché ne conosca il lessico e ne veda spesso delle rappresentazioni (per quanto fredde possano risultare). “Pagatemi, per le mie emozioni”, pensa oggi il dio-poeta, l’alienato onnipresente Peter Pan della piazza e del locale. Perché egli sa che nessuno lo pagherà, qualunque cosa sia in grado di esprimere in quanto dio. Avvicinandosi alla metamorfosi, Krono scopre l’esistenza di una dimensione mai esplorata: quella indicatagli con il sottile indice dalla giovane donna coi riccioli neri di Artemide. Ma Krono non sa che è stata lei ad indicargli il passaggio, infatti lo trova per caso, durante un pomeriggio sereno, di quelli dove la noia disperata risalente a secoli prima, continuava a persistere. Krono aveva conosciuto, esplorato, vissuto ogni cosa, luogo, sensazione: Krono è la meta ultima di quest’uomo dio che ha la presunzione di porsi dietro ad una storia, provando ad inventare l’esistenza di cose inesistenti mai esistite prima: perché egli lo fa? Ci si chiede: “perché alcuni - ebbene si, non tutti - uomini devono porsi dietro ad uno strumento per preparare il minestrone dell’irrealtà, l’arte?” Krono risponderebbe:”ma per noia! qualunque altro essere lo avrebbe fatto: c’è bisogno d’immaginare, meravigliarsi”, ma per noia noi non agiamo mai su questo livello di vita. Non è la noia che ci sospinge verso la sperimentazione di noi stessi. Anche Krono sperimentò milioni di volte sé stesso, sostenendo di averlo sempre fatto per noia. Il punto è che Krono non può, e non deve, darla a bere a quell’entità suprema che governa persino su di lui, il generatore originario di ogni cosa: ella conosce ogni verità, ogni risposta, sa cosa prova realmente Krono. Il poveretto crede di essere onnipotente, il poveretto non ha origini, ed è costretto a fare da origine ad ogni mondo. Non sospetta minimamente dell’esistenza reale dell’entità suprema, sulla quale pure, ha conosciuto molte storie: come quella della fatale fortuna, colei che toglie, aggiunge, svela e cela, a chi è sufficientemente potente da poterla in qualche modo conoscere, e così subire il proprio destino e la propria trasformazione in un inafferrabile “sé stesso”. Fu proprio ciò che accadde a Dio. Lo spiffero del vento e il fruscio degli alberi sono suoni che si disperdono nell'ignoto dei ricordi: sulla soglia di casa, il vecchio Krono pensa alle vite passate del suo gatto. "Chissà se qualcuno l'ha mai rinchiuso nella scatola nucleare di Schrodinger. Ah.. Sono un dio, e non so più divertirmi", il dio se ne sta fermo lì, a guardare il lago di piume che si estende davanti alla sua baita. Una delle sue figlie sta facendo il bagno, e sembra essere meno annoiata di quanto non lo sia Krono." Un tempo, mi divertivo molto, ma ora non c'è più nessuna creatura che mi chiami in causa", già, perché  la terra sotto Krono è divenuta così rapida da sfuggire persino al tempo. Così, per la maggior parte del suo tempo, al tempo non rimane che pensare a sé stesso, alle multi migliaia di teorie che lo hanno cresciuto. Era ancora un bambino quando scoprì il gioco dei dadi: un piccolo uomo con cui giocava, lo guardò negli occhi e gli disse:" divertiti, giovane Krono, finché ne avrai il tempo". Al piccolo Krono piaceva rubare le poesie e le musiche per farle sparire dal mondo. Al piccolo Krono piacevano molto questo genere di dispetti: era un ladruncolo, avido e insoddisfatto. Ogni cosa che l'universo inventasse, lui la rubava. Ma poi le creature impararono a conservare le proprie invenzioni, le proprie opere, e così a Krono non rimase altro che viaggiare attraverso le dimensioni. Ben presto, Krono arrivò a visitare l'infinità di spazi. Ora ripensa a quei viaggi, e pensa che quell'eternità in viaggio, sia stata l'eternità migliore della sua esistenza. E di nuovo, non può che desiderare di tornare a contemplare qualche cosa che non ha mai conosciuto. Meccanicamente, si alza dalla comoda nuvola dondolante. Krono muove un piede, barcolla in avanti, e oscillando l'altro piede, fa un passo, e poi un altro. Cammina lungo il vialetto, si accosta vicino ad un albero, si volta verso la soglia per un momento, con l'aria malinconica. Sente che è giunta l'ora di fuggire anche da quella baita. Non degna di uno sguardo la beata figlia, e fugge nell'intricato ammasso di rami, nel verde scuro che fiancheggia il lago.

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Capitolo 2
*** secondo capitolo ***


Il suo viaggio annoiato comincia con gli striduli e i fischi degli uccelli, uno strepitio in lontananza, un fruscio lento di foglie. Il suo passo pesante gli da il tempo di osservare per l'ennesima volta un paesaggio esplorato in ogni sua variante. Nemmeno Krono è mai riuscito a vedere un luogo che non esiste, ma questa volta, pensa, ci riuscirà, perché le voci delle muse gli sussurravano da anni, in sogno, che un giorno avrebbe cominciato un nuovo viaggio completamente diverso dai miliardi di viaggi compiuti in precedenza. Così, decide di non seguire alcuna direzione, di non cercare alcuna meta: ma acuisce i sensi per notare le vie d'uscita più nascoste, i buchi nel terreno più reconditi, i fiori sugli alberi più stravaganti. Eccone uno, dai colori insoliti, proprio accanto al suo piede sinistro: Krono si abbassa per scrutarlo meglio, lo accarezza, e si siede di fronte al fiore. "Questo è decisamente un fiore non comune, i petali così oblunghi, le striature giallo rosa, la mancanza di pistilli, l'interno insolitamente carnoso. Questo non è un fiore", conclude, toccandone il centro, che scopre essere un'apertura nel terreno, una serratura che improvvisamente, a contatto con il suo dito, si illumina di bluastro, innescando un circuito elettrico dentro al terreno intorno al fiore, che lentamente si sta aprendo in due sotto di lui. Krono è soddisfatto, ha trovato un'uscita, o forse un'entrata. Una scala va formandosi meccanicamente nel sottosuolo, e intanto il frastuono del vuoto sotterraneo si fa sempre più forte. Ma Krono non può provare paura, e impaziente intraprende la discesa. Incisioni decorative e frasi teoretiche sulle dimensioni parallele dell'universo, in alfabeti di ogni genere, corrono cinetiche lungo i fianchi della gradinata, finché la luce del giorno si affievolisce, e rimane solo ombra. Dopo molti scalini nell'oscurità, Krono si ritrova su un soffice materiale violaceo, ed intorno a lui ruotano a mezz'aria alghe vaporee, e anguille corazzate. "Perché seguono questo movimento rotatorio? Che cosa stanno facendo queste creature?", si avvicina, tenta di toccare un'anguilla, e si accorge che quello che sta toccando ha una consistenza sconosciuta al suo tatto. Rimane esterrefatto da quel contatto, ormai è certo di essere arrivato dove non era mai stato. La luce di quest'atmosfera è soffusa, e ha qualcosa di inspiegabile: provoca, attraverso la vista, una sensazione di torpore pieno di energia. Mentre quasi assapora questa nuova visuale, Krono sente una voce. Una voce dilatata che, frammentariamente, ordina a Krono di prestare maggior attenzione al cerchio luminescente che si sta aprendo nella violacea aria. È uno squarcio sul mondo delle anime mortali, uno squarcio che ne esplicita, come mai prima Krono aveva avuto modo di osservare, i sentimenti, e le emozioni. Krono scruta l’apertura circolare che dà sulla Terra, stupito, quand’ecco che si sente mancare il terreno soffice da sotto i piedi, e comincia a fluttuare in tondo, a spirale, in direzione della Terra dall’altra parte dello squarcio: ad ogni spirale che il suo corpo disegna a mezz’aria, la sua forma si restringe, e si allunga, a partire dal cranio, per protendersi verso gli uomini, poi si fa sempre più inconsistente, fino a che la frattura dimensionale non lo assorbe demolecolandolo. Krono si ricompone in una frazione di secondo, con la bocca ancora spalancata per l’inaspettata demolecolarizzazione. Si ritrova nel bel mezzo di un paese terrestre; la gente frenetica lo calpesta, chiedendo scusa frettolosamente, o imprecando con stizza. Egli non trova il modo di alzarsi da quel marciapiede gremito di gambe rapide. E’ sconvolto: ha un corpo di uomo, sente il bisogno di proteggersi le membra, sente dolore, ode un rumore fragoroso che lo irrita fisicamente, si bagna d’un liquido che inspiegabilmente lo disgusta. Ma non si alza da lì: Krono rimane in quella posizione, la testa china sulle proprie mani, a fissarsi il corpo, così debole e vulnerabile, e scrutare da vicino le persone che gli camminano distratte intorno (e sopra). E’ sconvolto, travolto. E’ felice: quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva avuto voglia di divenire uomo! “ va bene, vorrà dire che mi darò alla sfrenatezza dei sensi umani, come ai vecchi tempi, quando ero ancora curioso di vivere come un essere mortale, e potevo farlo senza rischiare di cadere nella monotonia della quotidianità, e nella conseguente scelta di perdere la mia qualità di dio onnipotente: eh già, avevo ancora tanto universo da esplorare, allora”, ma Krono pensava questo con una rinnovata consapevolezza della propria vuotezza: sapeva che non sarebbe bastato tornare a vestire i panni della sua specie preferita; per contro, aveva trovato molto eccitante l’entrata dalla frattura nell’aria violacea dell’antro sotterraneo che aveva scoperto quella mattina. Tanto che già pensava a come tornarvi: sospettava infatti di essere stato trasportato sulla terra dall’intervento di una qualche divinità proveniente da una dimensione che lui non ancora conosce, perché non gli fosse permesso visitare altri luoghi di quel mondo segreto; o forse era stato un sogno ad occhi aperti. Si alza dal marciapiede, si accorge di essere nudo. All’improvviso, una vampata di brace lo investe: prova vergogna, poi, mentre si guarda intorno, incontrando con aria mortificata e spaventata, gli occhi degli altri, in men che non si dica il suo corpo si digitalizza, divenendo un’immagine, e piano piano, scompare nei fumi dell’inquinamento globale. Sotto forma di particella, viene trasportato dalla corrente, e poi da un’altra corrente, e poi da un’altra ancora, e così via: la vita da atomo, no, Krono non l’aveva mai potuta vivere prima, poiché assumere una forma così piccola e costituente sarebbe stato impossibile per l’essere maggiormente costituito di parti che ci sia. Il vento lo fa approdare in un campo di grano, nei pressi di un villaggio religioso. E’ qui che incontra Ester, sotto forma di vecchio barbuto. “Ho cambiato nuovamente forma, e per giunta, sono stato anche atomo: allora è così… ci dev’essere una potenza in me che regola i miei processi senza che io me ne accorga. Come una sorta di incantesimo! Mi sento trascinato e modellato da qualcun altro; non ho il controllo degli eventi, sia interni sia esterni. Chi sei, tu che mi stai controllando? Perché mi allontani dall’esplorazione del tuo mondo?”; urla disperato all’udire il rumore di uno sparo che irrompe interrompendo i suoi interrogativi. E’ appurato che esista una divinità superiore a lui. Comunque, una calca di paesani si precipita sul luogo, urlante; la folla aumenta il suo volume, ad ogni minuto che passa. Krono, dietro alle spighe di grano, osserva la scena: a quanto pare, qualcuno ha sparato a qualcun altro, e là c’è un cadavere riversato sull’erba della sua terra natia, e i fiori accarezzano la sua pelle fredda, dipingendosi di rosso. Quello è il cadavere del vetusto reverendo, e forse, dell’uomo più conosciuto del villaggio. “Che razza di posto è questo? Una comunità Hamish, forse? E’ curioso come l’uomo si diverta ancora a ripetere le stesse usanze e convenzioni”. Si sentono le grida delle donne, e da là Krono guarda la scena con un ghigno ironico sul volto. Ester si volta verso il vecchio dio, lo vede, e gli corre incontro. “Papà, questa non era la maniera giusta per vendicarsi di un torto subìto”, in lacrime, Ester abbraccia Krono, credendolo suo padre; poi, gli sfodera dei pugni sul petto, indignata. Krono è atterrito e confuso, non sa se entrare nella parte o rivelarsi: ma d’altra canto, come fare a rivelare la propria identità? Il dio si trova costretto a risponderle:”Ogni uomo merita ciò che il destino gli ha assegnato. E ora, mia cara figlia, permettimi di sentirti dire che vuoi bene a tuo padre, che ti ha generata, e pronuncia chiaramente il tuo nome per il giuramento d’amore alla tua famiglia”, è con queste parole che Krono scopre il nome della ragazza. Forzatamente, inizia l’esperienza che non ha mai voluto provare prima: essere un padre umano. Col passare dei giorni, infatti, scoprirà di avere emozioni più profonde di quelle che credeva di poter avere in quanto dio.

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Capitolo 3
*** terzo capitolo (al passato) ***


3’ CAPITOLO (al passato) Quel primo giorno della sua nuova vita, passò tra odio e tristezza, dal momento che Ester non smetteva di odiare e, allo stesso momento, compatire suo padre. Per giunta, solo lui e la figlia conoscevano il presunto assassino del reverendo: ma era davvero stato il padre di Ester? Il vero padre non tornava a casa, e perciò la verità, per Krono, rimase per sempre insoluta. La prima emozione riscoperta fu la disperazione: sentirsi così disprezzato da quell’adorabile creatura che qui, ora, rappresentava il suo seme, lo faceva letteralmente crollare. Ma non durò a lungo. Quando si decise a reagire, sfoderò l’arma della seduzione, benché Krono non sopportasse ottenere le cose in maniera indiretta: questo non è infatti nella sua originaria natura. Ebbene, le mostrò come tempo passato e futuro si sovrappongano su due piani di due dimensioni differenti, quella di ciò che si dissolve, e quella di ciò che si genera, e come le due dimensioni, insieme ai due tempi reali (cioè in corso), si mescolino per dare una visione completa degli eventi che altrimenti rimarrebbero nascosti. Per fare questo, le formulò parole che innescarono, insieme ad un particolare allucinogeno terrestre -di cui Krono, nei tempi remoti dell’umanità, si era servito in svariate occasioni- la visione dei due tempi nell’immaginazione visiva della ragazza: poteva vederli, apparivano come specchi da cui scaturivano grida, gesti, lacrime, morte, dolore, nascita, bellezza, e tutto ciò che di rilevante una vita mortale possa conoscere. Ester, in ogni caso, non poteva decifrare quell’afflusso di sensazioni, né in realtà avrebbe potuto reggerlo, se Krono non l’avesse assistita. Le spiegò che quell’immenso piacere e quell’immenso dolore che lei riusciva a provare altro non fossero che conseguenze dello scorrere del tempo e del suo rimescolarsi continuamente, passando da uno specchio all’altro, da una dimensione ad un’altra: ciò che si nascondeva sotto al caos degli eventi era decifrabile solamente da Dio, così le disse Krono. Ester rimase in stato d’allucinazione per due giorni, a vagare insieme al presunto padre in cerca di un mutamento nello scorrere degli eventi, in cerca di giustizia per il delitto commesso dal padre, e soprattutto in cerca di un’esperienza che cambiasse la triste sorte del Tempo. “ Mia dolce Ester, guarda che cosa ha fatto la sorte a questo pianeta: sai perché lo ha fatto? Perché la sorte è addirittura più triste e monotona del tempo, o meglio, di Dio. Tu credi davvero che quell’uomo facesse un bene agli esseri viventi, nel predicare una falsa verità e nel costringere le menti umane a credere in un falso dio? No, Ester, no… Quell’uomo ha contribuito alle ingiustizie della sorte, ha oltraggiato il tempo, passato e futuro! Per tutta la sua vita, come molti altri, non ha fatto altro che raccontare bugie, veicolare ordini inventati dalla vostra patetica specie per ingannare la realtà: la realtà è che non sarete mai divini, siete mortali, e tali rimarrete, per vostra intrinseca natura! Non c’è alcun dio che, se adorato, possa rendervi migliori: per voi mortali, dio semplicemente, non esiste, cara Ester, così come per gli immortali non esistete voi, le vostre realtà, le vostre peculiarità e le vostre esigenze. Ma a differenza vostra, l’immortale può eludere le barriere dimensionali, e così entrare a contatto con voi: ma mai, mai per un immortale, avrà consistenza, o importanza alcuna, un mortale! E’ questa l’intrinseca natura di dio!”, e mentre parlava, si accorse che per la prima volta, Krono aveva mentito a sé stesso: Ester, una mortale, aveva importanza, perché riusciva a mutare lo stato d’animo del dio, ma come si spiegava? A Krono non era mai accaduto prima d’ora che il suo stato d’animo venisse modificato a livello profondo da un essere mortale. Di nessun mortale ebbe mai pietà; per nessun mortale ebbe mai un debole; nessun mortale lo rese felice. Il massimo che un mortale potesse fare per Krono era sempre stato il puro intrattenimento. Che cosa stava accadendo? E come aveva potuto non rendersi conto prima che qualcosa in lui era mutato, oltre alla sua dimensione fisica? Era come se Krono avesse mutato anche la propria natura, o meglio, la propria consapevolezza divina, dal momento che non si era nemmeno reso conto di essere divenuto, anche interiormente, un mortale: era certo accaduto qualcosa che non rientrava nelle sue competenze. Ester rimase interdetta dalle parole del padre, le sembravano totalmente assurde dette da lui, tradizionalista cristiano che non accettava nemmeno l’omosessualità… e poi, si era preoccupata quando l’aveva sentito parlare del genere umano in seconda persona, escludendo sé stesso dalla predica, come se non lo fosse pure lui: le chiese stupita se non fosse impazzito, che cosa stesse accadendo, e come aveva fatto a pensare tutto questo, e perché ne fosse improvvisamente così certo, quando da sempre si professava cristiano:” Non credi più in dio? Ma che succede, papà? Sei cosi strano ultimamente, e perché sono ore che non comprendo che cosa sento, né che cosa stiamo facendo? Quante ore dall’ultima volta che abbiamo dormito? Io sento che sto per svenire, e tu ora ti riveli uno schizofrenico. A proposito, forse è ereditario, non mi sento per nulla sana di mente in questo momento: che cosa mi hai fatto, papà?”, Ester scuoteva i suoi neri riccioli nel pianto, mentre parlava e gridava a Krono, era terrorizzata e su di giri, si voltava in ogni direzione per capire gli orizzonti che vedeva. Ma non li capiva. “Ti ho fatto ingerire una sostanza naturale che aumenta le tue percezioni sensorie, dandoti queste sensazioni che senti da… Almeno 30 ore: ma non spaventarti, sei sanissima, intelligente, e immaginativa, puoi farcela, ancora poche ore, e tutto sarà finito. Nel frattempo… Divertiti ancora finché puoi!”. Il cammino non era infatti ancora finito, per Ester. Krono aveva in mente un piano per lei, da vero falso-dio umano: le avrebbe mostrato tutto ciò che la ragazza doveva riscoprire nella sua natura pulsante e viva, per farle capire quanto più delittuosa fosse la professione del prete piuttosto che un assassinio. Già, perché Krono considerava una fortuna essere mortali: altro che divinità e aldilà eterni! “Che noia, Ester, l’immortalità e la natura divina: come si può aspirare ad essa? Come, il genere umano, può voler fuggire dalla sua piccola e mutevole vita? Ma ora torniamo al villaggio, ed organizziamo un banchetto: tutti sapranno quanto bella sia la vita senza dio, senza eternità”, e s’incamminarono, attraverso la distesa di terra secca, i campi bruciati, le aziende elettriche e metallurgiche, le autostrade abbandonate e le piante spinose. All’improvviso, uno scorpione di dimensioni discrete sgattaiolò da sotto terra, uscendo fuori da una buca che aveva attirato lo sguardo esterrefatto di Ester, che, come vide lo scorpione, cominciò a cantare, osservando il cielo, un lamento, poiché i lampioni artificiali le impedivano da sempre di riconoscere la costellazione dello scorpione: “ papà, hai visto quello scorpione? Com’era grosso, e fiero, vorrei essere come lui”, “Ma cara Ester, sbaglio o sei proprio della sua specie?”, al che, Ester rispose con un movimento pantomimico delle braccia, e della faccia. Ora era davvero uno scorpione anche lei, e portava con orgoglio un pungiglione immaginario dietro la schiena. Il lamento ch’intonava la fanciulla era poetico, articolato, sorprendente: da dove le uscivano tali parole? Krono si meravigliò, dopo tanto tempo, dell’immaginazione umana, del linguaggio umano, così complesso e preciso, così ricco, che nessun’altra specie nell’universo possedeva. Anche, notò con piacere che la figlia aveva una voce carezzevole.

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Capitolo 4
*** quarto capitolo ***


CAPITOLO 4’ Diario di Ester, 5 Novembre: è il mio compleanno. Salve, il mio nome è Ester. Sono giunta fin qui per chiederti quanta strada mi sarà ancora percorribile lungo questa via. Ogni giorno mi avvicino a chi soffre, ogni giorno aiuto qualcuno di diverso. Mi chiedo spesso perché mi venga così naturale, tanto da rendermi difficile l’esistenza. Perché vivo in funzione di questo? Non posso farlo sul serio, mi prenderei in giro se lo credessi davvero. Una persona non può vivere in funzione della vita di qualcun altro: si deve vivere per se stessi. Me l’hai mostrato tu. “Non è vero, cari dottori?”, mi rivolgo a voi, che ora mi avete in osservazione, perché la mia povera madre ha sentito parlare me e mio padre, e ha deciso che avessimo entrambi perduto il senno in seguito all’uccisione del prete. Ma se così è, allora perché io proprio non potrei farne a meno? Perché sono dipendente dall’assistenza psicologica e morale, sia data che ricevuta? Eppure, non ho un carattere remissivo, non sono sottomessa a niente. Perché ? Perché ? Perché ? “Scende dal soffitto una coperta di neve tiepida: è sporca di caffellatte ed emana un odore di fumo e incenso, come provenisse da quel vulcano in miniatura appoggiato sulla scrivania in mogano che ondeggia davanti ai miei occhi... È forse cenere? Un uomo anziano dalla folta barba bianca, i capelli mossi e fluenti, mi parla dall'altro lato della scrivania ondeggiante (è forse Saturno?): ridicolo e grazioso, svetta il suo piccolo naso all'insù, da sotto gli occhialetti tondi, ogni volta che voglia essere sicuro che io abbia recepito chiaramente il suo concetto. Mi sta forse consigliando? Annuisco devotamente, se non altro per scandire il tempo invasore; ho smesso di ascoltarlo già da mezz'ora. Il problema è che in questa stanza si annulla lo scorrere delle ore, cosicché risulta impossibile mantenere l'attenzione. Mi sto solo chiedendo: perché il vecchio usa questo metodo? Le domande rimarranno per sempre senza risposta, perché qui non esiste inconscio. Vai a capire i motivi nascosti di questo rituale, quando i luoghi nascosti stanno in superficie! E poi, si tratta di un rituale? Non ha nemmeno un nome questo incontro, ma mi sembra che "rituale" sia la parola più vicina al suo significato. I suoi occhi scuri mi scrutano, come pozzi di fango che esplodono facendo breccia nei miei: mi sento penetrata dall'interno, e non capisco cosa stia succedendo dentro di me. Il terrore prende possesso dei miei pensieri, perché sento di non riuscire più a controllare lo spazio: l'interpretazione dell'attimo vivente si sta facendo sempre più ardua. All'esterno, la grandine picchia i vetri delle finestre, aggredisce il tetto, e il vecchio alza la voce con prepotenza, per adeguarsi al volume dell'agente atmosferico. Improvvisamente, blocca il flusso del discorso, e dopo un attimo, comincia a ritmare le parole. Allora una lenta litania si fa strada nelle mie orecchie. È riuscito a catturare la mia attenzione, di nuovo, lo sto ascoltando senza capire, le parole si sovrappongono, ma i suoi occhi terribili rimangono immobili, fissi nei miei. Sento scivolare dagli occhi invisibili cristalli liquidi, non riesco più a sostenere il suo sguardo, e la mia sensazione si sposta dal centro focale della vista a quello dell'udito: ora non posso fare altro che ascoltarlo, ascoltarlo senza poter dimenticare il suono della sua voce, né quel grumo di parole intricate. Nel frattempo, il pavimento si è fatto di un liquido senza consistenza, un liquido su cui crescono nere piante filiformi. Dietro di me un fiato, un sospiro mi riscalda i capelli: mi volto, non c'è nessuno, niente. Ma riesco a capire che cosa sia successo: "le parole del vecchio hanno rievocato quel respiro", penso, e tutto torna normale, le piante filiformi tornano amichevoli, il vulcano rassicurante, la scrivania armonica, e le finestre luminose. Ma il liquido nero è inquietante quanto il respiro sui miei capelli. “Ascolta senti un sospiro nel vuoto una paura che riempie ascolta e fissa un baratro di sale tu sai! cedere al sogno di" Sogno di? Di che cosa? Continua a ripetere questo ritornello, in maniera esasperante: quale sogno? Sta forse alludendo a Platone? Non riesco a recepire il messaggio, finché non cambia strofa: "io sono il io sono il volto di Orfeo che torna morto dalle ecatombe fatto a pezzi io sono l’acqua che scorreva su sulla sua testa io sono un'idea di Morte perse Persefone il mio corpo Ascolta senti il sogno di mille e mille millenarie cannibali sul bel prato di infranti lamenti fuggi da questa riva ascolta senti i tamburi della vendetta i tamburi dell’ incubo ascolta ascolta i battiti del mio palmo su questo tavolo scappa! Il fiato della tua paura sta mutando muta in lo vedi lo sai lo senti muta in" Si alza in piedi, sbatte violentemente un pugno sul tavolo, indurisce lo sguardo, assume un'aria minacciosa e pronuncia:"distruzione".  Reagisco meccanicamente guardandomi intorno, come se qualcosa ci stia circondando. Poi mi alzo dalla sedia, e con aria disperata chiedo al vecchio dove io debba fuggire, e come poter fuggire da lì. Le lacrime invisibili sono sull'orlo del baratro visibile sul mio volto, e cominciano a scendere quando mi viene risposto:"tu sai dove, tu sai come arrivare". L'enigma della risposta risiede nel motivo stesso per cui mi trovo qui ora, mi trovo qui ora per sapere da Saturno cosa io sappia. Perché la verità è che nessuno sa nulla, ed io lo sapevo bene prima di giungere fin qui”. Il viaggio di Ester comincia con un bruciore interno, all’altezza dello sterno: è la consapevolezza di avere sentimenti che si fa strada nel suo corpo, sotto forma di spora chimicamente trattata. Suo padre la accompagna, un padre che Ester non ha mai conosciuto prima: un dio, che le si rivela facendole ascoltare i canti degli antichi, facendole scorgere il futuro, e dimostrandole l’inconsistenza del divino. Ma non è sempre stato lui suo padre: prima egli era un contadino benestante, ignorante e violento, pieno d’invidie ed odio nei confronti di chi vive. Da quando lui non è più lui, Ester è felice, e sorride; scopre la verità, e ne gioisce! E’ finalmente libera, e lo sente. Ancora deve abituarsi all’idea di essere figlia del tempo, anche se in fondo, tutti, tutte le cose, sono figlie del tempo. Le parole pronunciate dal suo padre non padre, sono una melodia che Ester stessa canta, facendosi tramite tra il tempo e la vita. Sono parole che non vogliono dire nulla. Esse hanno un suono che ad Ester garba, un’atmosfera che per Ester è reale: quella dell’interiorità dell’uomo, delle immagini da lui stesso create, create dalle messinscene dei suoi sentimenti, e in particolare dal pensiero filosofico più ancestrale, quello che scaturisce dalla paura: nemmeno la filosofia è inutile e senza profitto, risponde ad un’esigenza ancor più vera della curiosità umana, la paura. E’ la paura che, in origine, sottomise l’uomo al tempo, e il tempo al fato. I corridoi dell’ospedale sono bianchi tunnel che proiettano, di notte, ombre spettrali dentro le camere; similmente all’icona del pensiero platonico, si fanno tramite tra la realtà supposta tale, e le realtà invisibili dei malati d’alzehimer ; le sale sono affollate, di strumenti musicali il venerdì, di vecchi il resto della settimana. Non è un vero e proprio ospedale, in effetti, ma una casa di riposo, l’unico posto nelle vicinanze del villaggio a trattare casi di supposte malattie psichiche. E’ stata sua madre ad internarla lì: al ritorno dalla passeggiata con il padre, durata due giorni, Ester non riusciva più a trattenere la verità su Krono, e svelò il segreto alla madre, e continuò ad insistere per giorni su quell’argomento, affermando la natura divina di suo padre, che ora lei sola chiama con il suo vero nome. Ma Krono non può svelarsi, e così aveva negato tutto quanto e aveva appoggiato la decisione di sua moglie: Ester aveva bisogno di cure. Giglia, sua madre, un giorno preoccupata aveva detto al marito: “Ma caro, è una casa di riposo, forse è meglio fare un piccolo sacrificio, e mandarla in città in un vero ospedale”, ma Krono non ne voleva assolutamente sapere: era stato il fato a scegliere per Ester quella casa di riposo, dove, ne era sicuro, Ester avrebbe appreso ad incanalare la sua innata attitudine a servire. Allora, Giglia, irritata dall’atteggiamento di lui, le aveva risposto:”bene, allora tu la seguirai: vi ho sentiti parlare, a quanto pare fai il doppio gioco, per non farla arrabbiare le credi e così le scombussoli la mente e le fai del male! Anche tu sei malato, caro”, detto ciò, Giglia aveva preso le cose a cui suo marito teneva di più e gliel’aveva ammassate fuori dalla porta, e con un gesto di stizza aveva invitato il marito a seguirle fuori di casa, poi si era messa a cucinare e contemporaneamente a preparare la piccola valigia di Ester. Krono non ha obiettato, e in silenzio, mentre Giglia cucinava, aveva già varcato la porta, pronto a seguire sua figlia nel suo viaggio di formazione.

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