Il caso Maghnet

di Cest97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bryn ***
Capitolo 2: *** Villa Byron ***
Capitolo 3: *** Irene ***
Capitolo 4: *** L'eredità ***
Capitolo 5: *** Morti ***
Capitolo 6: *** Una via nel buio ***
Capitolo 7: *** Il Collezionista ***
Capitolo 8: *** Sfilate di moda e alcool ***
Capitolo 9: *** ANNUNCIO AI LETTORI ***



Capitolo 1
*** Bryn ***


- Piove. E ti pareva -
La pioggia batteva pesantemente sul vetro del taxi nero. Le nubi scure coprivano per intero il cielo, e l’assenza di un’illuminazione stradale funzionante rendeva l’innocente stradina di campagna un incubo di ombre e specchi d’acqua dalla profondità altalenante da tre centimetri a un metro; ad ogni buca la macchina sobbalzava, producendo contemporaneamente il suono metallico di un ammortizzatore rotto e il tonfo che farebbe un sasso gettato in un lago poco prima di andare a fondo, e il rugginoso trabiccolo su cui montavano i due avventurieri sembrava suggerire loro di non aspettarsi troppo da parte sua, nemmeno di portarli vivi a destinazione.
All’interno il rivestimento del tetto penzolava oscenamente in più punti, scollatosi in seguito al gioco a più riprese  del caldo estivo, in combutta col freddo di più e più inverni che si erano dati il cambio in un ciclo costante di disfacimento durato decadi.
I vecchi sedili scuri erano stati rattoppati innumerevoli volte, finita la stoffa dello stesso tipo (probabilmente andata fuori produzione in quanto terribile sia alla vista che al tatto) il proprietario era passato a tessuti meno costosi ma più comodi, e totalmente fuori scala cromatica. Stoffe più chiare si erano alternate negli anni passando dal perla al panna, arrivando ad un grigio cenere spento e, come ultimo colpo di grazia, a delle strisce rosso bordò cucite in maniera tale da nascondere il groviglio di ricami a filo doppio fatti nella speranza di rendere l’insieme di stracci il più solido possibile.
Seduto sopra l’umile e terribile scacchiera, Bryn osservava il vuoto al di là del finestrino.
La cravatta stretta attorno al collo gli toglieva l’ossigeno, la camicia bianca di una taglia superiore alla sua gli ricadeva sui fianchi in maniera ridicola, e l’effetto ‘bambino che indossa i vestiti del padre’ che sembrava comunicare a tutti coloro che incrociavano la sua strada veniva attenuato solo dalla tetra giacca grigia comprata il giorno prima in un misterioso e sospetto negozio di abiti da uomo, trovato quasi per caso nel corso del suo viaggio; costruito esattamente di fianco ad un’agenzia funebre. L’ombrello bagnato schiacciato contro la gamba gli inzuppava i pantaloni economici comprati la mattina stessa in un negozietto di fortuna trovato a qualche ora di strada dal confine, e sebbene fossero in viaggio dalle due del pomeriggio l’umidità nell’aria pareva tentare il tutto per tutto per evitare che si asciugassero.
Gli era stato consigliato di portarsi un cappello scuro ed elegante e, trattandosi di una persona perfettamente in grado di capire quando ascoltare il consiglio di un venditore ambulante e quando ignorarlo, aveva deciso di acquistare un paio di calzini scuri e lunghi di lana, sperando che gli tenessero al caldo i piedi.
Ad ogni curva l’acqua nelle sue scarpe si spostava a destra e a sinistra trasportata dalla forza centrifuga.
E la testa continuava a venirgli inzuppata dalle perdite del tetto.
“Quanto manca esattamente?”
“Una mezzora circa, Signor Brynmor”
“Mi chiami Bryn, la prego”
“Nessun problema, Signor Bryn”
“Veramente … non importa”
La sagoma delle montagne veniva ricalcata dagli ultimi raggi di sole che sparivano al di là dell’orizzonte, delineando la loro stazza e l’altezza vertiginosa delle torri metalliche costruite sulla loro cima, metà delle quali ancora funzionavano mentre la metà rimanente non consisteva in nient’altro che un ammasso di metallo che giorno dopo giorno si avvicinava sempre più al suolo, incurvato e piegato dalle intemperie.
“Le torri …”
“Si, Signor Bryn?”
“Ho sentito delle storie sulla loro costruzione. Sono tutte vere?”
“Alcune, la maggior parte sono solo invenzioni dei turisti”
“Perché, questa città ha turisti?”
“A dire il vero credo che lei sia il primo dopo … beh, parecchio tempo. Per lo più trasporto da dentro a fuori alcuni tra i cittadini più facoltosi, ma dall’esterno non arriva quasi nessuno.
Molti si spingono fino in cima alle montagne anche solo per vederla da lontano, ma non osano provare a raggiungerla”
“E dire che basterebbe prendere un taxi”
- Un taxi scassato che a malapena riesce ad accendersi –
“Non è così semplice Signor Bryn. La mia Mary è una delle poche capaci di portare le persone fin quassù”
- Questo catorcio? - “Questa macchina d’epoca? Com’è possibile?”
“Nessuno lo sa, ma sembra che le auto più moderne non riescano a superare il confine senza spegnersi. Quasi sempre si tratta della centralina: è come se andasse in tilt”
“E quest’auto non ce l’ha una centralina?”
La grossa risata del conducente non fu di conforto al giovane, e non gli parve rappresentare una risposta esaustiva.
“Quindi …” riprese Brynmor, tentando di tornare al discorso di partenza; “ … le torri?”
L’uomo cambiò istantaneamente tono di voce, e divenne improvvisamente serio e solenne; non era chiaro se l’argomento lo disturbasse o se semplicemente fosse stufo di doverne parlare con chiunque gli ponesse la stessa domanda, ma si trasformò repentinamente in un narratore impassibile e dalla faccia di bronzo.
“Furono costruite ai tempi della seconda guerra mondiale: facevano parte di un progetto segreto sviluppato dalla Gran Bretagna. Un certo scienziato inglese sosteneva di poter abbattere le forze tedesche con un semplice segnale che rendesse le loro vetture inutilizzabili, così da permettere ai buoni di correre addosso ai cattivi e dar loro il colpo di grazia. Ma, guarda un po’ che sfortuna, la guerra finì prima del previsto, il progetto fu abbandonato e le torri vennero convertite ad uno scopo non bellico, e utilizzate come snodo elettrico per alimentare l’intera regione; nessuno si prese la briga di controllare se il sistema fosse stato isolato, e gira voce che tuttora venga rifornirlo di energia e che eserciti il suo misterioso potere su tutta la valle”
Bryn rimase ammutolito, fissava gli occhi di ghiaccio del conducente riflettersi nello specchietto, due gocce di vetro che non trasmettevano assolutamente nulla a chi le guardasse.
Alla fine il buonsenso ebbe la meglio, e si azzardò a parlare.
“… sul serio?”
Dopo un grugnito più equino che umano l’uomo scoppiò in una risata incontrollabile, e tornò ad essere l’improbabile e sarcastico guidatore che aveva conosciuto qualche giorno prima via telefono.
“Diavolo, no! È solo la leggenda più comune, e quella che preferisco raccontare: ha quel non so che di credibile che la rende verosimile agli occhi di tutti. Insomma, non sarebbe una novità! Inoltre quando si parla di nazisti ai turisti quasi sempre gli si illuminano gli occhi come lampadine, diventano sempre vogliosi di sapere di più; gli americani in particolare.
Sempre pronti  a sparlare dei nazi, gli yankee”
Mentre il comico si asciugava le lacrime dagli occhi, il giovane passeggero se ne rimaneva immobile con l’espressione di chi ha perso completamente fiducia nell’umanità.
“Ma la realtà qual è?”
“La realtà? C’è un sacco di vento e non riescono a scavare tunnel in quelle montagne, troppo instabili e troppo alte, almeno così dicono. Quelle torri sono l’unico modo per far arrivare la corrente fino in città, ma la manodopera è scarsa e talvolta una tempesta o due si abbattono sulla zona; ogni tanto ne cade una, e anno dopo anno hanno continuato a ricostruirle senza smantellare quelle precedenti”
“C’è chi lo definirebbe un gran spreco di denaro”
“Non io!” Bryn ebbe la certezza che i denti gialli dell’autista fossero appena stati sfoderati nel ghigno famelico di soldi di un ormai esperto uomo d’affari; “Non ha Davvero idea di quante persone paghino per sentirsi raccontare certe idiozie. E poi, ammettiamolo: hanno il loro fascino”
Continuando a guardare verso la titanica recinzione d’acciaio che li separava dal resto del mondo, il giovane sentiva di non aver trovato risposta a nessuna delle domande che lo assillavano.
Sul posto del guidatore il panciuto autista dalla dubbia igiene ma dall’umorismo incontrollabile fumava indifferente un aspro sigaro al rhum, che impestava la macchina con un pesante aroma di vecchio e nostalgico; aveva tenuto aperto il finestrino del proprio lato per la maggior parte del tempo, per ‘educazione’, ma in seguito alle suppliche dello stesso Bryn dovette chiuderlo onde evitare il completo riempimento d’acqua da parte della vettura, sempre più simile ad una vasca da bagno semovente.
Un vestito semplice e povero ricopriva le sue grosse membra, un giubbotto verde scuro luccicante umidità gli copriva le spalle quel tanto che bastava da evitargli di bagnarsi la schiena e di mischiare la pioggia al sudore, e sulla sua testa un cappello completamente fuori tema, nero ed elegante, lo proteggeva dal gocciolio costante del tettuccio metallico, nascondendo alla vista la chioma bionda attaccata dalla calvizie.
“Bel cappello” esclamò Bryn con poco entusiasmo ma estremo interesse.
“Questo? L’ho preso da un venditore ambulante quando ci siamo fermati a … come si chiamava quella città … beh, circa questo pomeriggio”
“Lei non mi sembra il tipo di persona che si fa fregare da un venditore porta a porta che le bussa sul parabrezza dell’auto mentre se ne resta in area di sosta”
“No”
“Deduco quindi che lei sia una di quelle persone perfettamente in grado di capire quando ascoltare il consiglio di un venditore ambulante e quando ignorarlo”
“Deduco lo sia anche lei, giusto Signor Bryn?”
“No” Bryn si osservò le scarpe bagnate e i piedi zuppi; “Decisamente no”
Il tassista si tolse il cappello e lo svuotò indifferentemente sul sedile del passeggero, liberandosi dell’acqua accumulatasi sulla sua cima e sferzando l’aria come se stesse reggendo una frusta, mettendo in mostra la rosea ma asciutta pelata sopra menzionata.
- Assolutamente no -
“Non credo di averle ancora chiesto come si chiama, un comportamento assolutamente deplorevole da parte mia”
“Immagino di si. Inglese giusto?” l’ennesima e poco gradita grassa risata proruppe dalle labbra al rhum dell’uomo; “Mi chiamo Naevius, per gli amici Naev”
“Piacere di conoscerla Mr. Naves”
“Veramente … non importa. Insomma, Mr. Bryn, cosa la porta qui?”
“Un funerale”
***
Bryn scese dal taxi reggendo l’ombrello sopra la propria testa con estrema incertezza, scoprendo (una volta apertolo) che questo si era riempito d’acqua durante il viaggio, ritrovandosi così ulteriormente bagnato e infreddolito, sebbene le temperature sfiorassero i venti gradi.
L’aria calda unita all’umidità produceva una densa nebbia che serpeggiando per le strade rendeva il paesaggio un’incognita e un mistero che solo la più fervida immaginazione avrebbe potuto risolvere.
Le ultime parole scambiate con Mr. Naves lo portarono a concludere un “ottimo affare”, e con quello che calcolò corrispondere a dieci sterline inglesi riuscì infatti a ricomprare il cappello (leggermente sudaticcio all’altezza della fronte), trovando così un fedele compagno di viaggio per la sua permanenza in città.
Recuperata la ventiquattrore dal bagagliaio e infilatosi il fedora in testa decise che con poche parole e un saluto amichevole si sarebbe potuto liberare in fretta del buon tassista, che fin troppo desideroso di chiacchierare lo stava trattenendo sotto la pioggia esageratamente a lungo.
Mr. Naves lo informò del malfunzionamento dei telefoni cellulari in zona, completamente inutilizzabili, e gli consegnò un biglietto da visita con su scritto ‘Agenzia di Trasporti’ e nient’altro, escluso un numero sul retro scritto a mano, suggerendogli di chiamare via telefono fisso in caso avesse avuto necessità di andarsene entro breve tempo.
Bryn lo ringraziò e in risposta gli consegnò un piccolo blocchetto anch’esso composto di biglietti da visita, chiedendo al tassista se gentilmente avesse potuto consegnarli ai suoi passeggeri una volta portati a destinazione.
“Che lavoro potrebbe mai  venire a fare un gentiluomo inglese in un luogo simile?”
“Sono un uomo che ama viaggiare. Inoltre tutto ciò che deve sapere è scritto nel biglietto”
Bryn si incamminò nella direzione che riteneva essere quella esatta, correggendosi poi in seguito al suggerimento dell’autista.
Naevius rimase ad osservare lo spaesato giovane mentre si inerpicava su per una ripida stradina di ciottoli, ritrovandosi poi a fissare senza capire i biglietti da visita appena consegnatigli.
‘Agenzia Investigativa e altro’.
Con un numero scritto a mano sul retro di ognuno di essi.
“Sembra che anche in Inghilterra ci sia un costo aggiuntivo per la stampa fronte retro”
***
Bussando alla porta con la mano sinistra e reggendo l’ombrello con la destra, la valigetta stretta tra le gambe, Bryn si trovò ad analizzare l’ingresso della casa dove era stato mandato ad alloggiare, non esattamente un hotel a cinque stelle, né a quattro, tre o due. Non esattamente un hotel. Né un ostello.
Era la porta di un’abitazione piccola, sterile (o, più gentilmente, sobria), con giusto un paio di piante finte appoggiate ai lati dell’entrata nel fallito tentativo di renderla meno triste (o, più gentilmente, seriosa).
Le motivazioni che lo portarono a ‘scegliere’ come pernottamento l’insolita casupola in legno, che sempre più sembrava soffrire l’altissima umidità della zona, erano due: non trattandosi di una cittadina turistica il massimo che fosse possibile trovare come alloggio era un arrangiato letto di fortuna rimediato grazie all’ospitalità di una residente in zona che, da quel che si diceva in giro, era perfettamente in grado di cucinare una fish and chips decente.
Bryn detestava la fish and chips oltre ogni cosa, ma fonti attendibili gli avevano consigliato caldamente di far conoscere in giro le proprie origini britanniche, quasi come si trattassero di una chiave universale capace di aprire ogni porta. Così aveva fatto sapere alla padrona di casa, una certa Mrs. Blaskov (il Mrs. l’aveva generosamente aggiunto lui di propria mano nella lettera inviatale alcuni giorni prima) che non gli sarebbe dispiaciuta una pinta di birra scura accompagnata da pesce e patate fritte.
Lo stomaco già si rivoltava all’idea di dover digerire quell’ammasso di fritto e amido, e Bryn pensava a come far scivolare l’alcolico giù per la manica evitando di fargli raggiungere il proprio esofago quando, dalla porta appena spalancata di fronte ai suoi occhi, non comparve teatralmente la padrona di casa; la signora, una donna di mezza età il cui volto era in parte nascosto dalla cascata di ricci che le scendevano disordinatamente dalla fronte, sembrava patire il freddo in maniera del tutto singolare: sopra una leggera e sottile maglia a maniche lunghe scollata che evidenziava l’accentuato e candido petto della miss, una vestaglia in lana stretta attorno al suo corpo tentava ridicolmente di coprire ciò che, in realtà, non voleva essere coperto.
Dopo un attimo di stordimento, il presunto gentiluomo suddito della Corona si apprestava a fare la conoscenza della prima abitante della zona.
“Lei deve essere Mrs. Blaskov, è un piacere conoscerla”
“Mr.  … Brynmor, immagino …” dopo un’occhiata rapida e sorpresa, la donna aggiunse con freddezza: “… mi era parso di capire che fosse inglese. Potrei aver frainteso, ha per caso origini americane?”
“Cielo, no!” si affrettò a rispondere Bryn, che già si vedeva la porta d’ingresso sbattuta in faccia. Nel mentre che la pioggia continuava a battere sul malandato ombrello che imperterrito continuava a perdere acqua riempiendogli la cima del cappello, il giovane tentava disperatamente di farsi condurre all’interno, anche se con educata discrezione e con l’utilizzo di qualche più coraggioso cenno della testa; all’ennesima folata di vento che lo investiva in pieno ricoprendogli il volto di pioggia, sempre sotto lo sguardo insensibile dell’asciutta gentildonna, Bryn si trovò costretto a mettere da parte le buone maniere e a forzare un po’ di più la mano; “Non vorrei sembrarle troppo spudorato, ma trattandosi di una serata particolarmente … umida … le dispiacerebbe se continuassimo la conversazione all’interno?”
“Oh, immagino che …” con un lungo passo si trasportò frettolosamente al di là della soglia.
Una volta dentro ebbe modo di togliersi di dosso gli indumenti bagnati e, prendendosi qualche libertà di troppo, di abbandonare le scarpe all’ingresso, mettendosi a girare in calzini e lasciando orme più o meno ovunque si spostasse.
“Lei è sicuro di essere inglese?”
“Oh si, molto inglese, inglesissimo. Dio salvi la regina! Potrebbe mostrarmi il bagno?”
Dopo un rapido tour della casa, molto più accogliente di quanto non potesse sembrare dall’esterno, Bryn si chiuse a chiave all’interno della toilette con l’obiettivo di rimettersi in sesto prima di cominciare il proprio lavoro. Dopo una sbrigativa doccia, e dopo aver passato i propri vestiti alla padrona di casa attraverso una fessura tra la porta e la sua cornice così che li mettesse ad asciugare (in un patetico tentativo di impedirle di analizzarlo dalla testa ai piedi approfittando del suo stato di nudità), Bryn si posizionò davanti allo specchio del bagno e, una volta ostruita la fessura della chiave con un calzino arrotolato al pomello, iniziò ad analizzare i danni.
I morsi del bulldog che lo aveva azzannato al polpaccio nel precedente caso si stavano rimarginando, anche se si aspettava lasciassero una cicatrice bianca alle loro spalle una volta guariti; il cerotto al di sotto dell’ascella sinistra copriva molto bene il taglio del coltello, sebbene i punti continuassero a perdere qualche goccia di sangue occasionale; si tranquillizzò ripetendosi che sarebbe bastato non fare movimenti troppo azzardati.
Il tatuaggio sulla scapola destra cominciava ad essere troppo chiaro, scolorito, avrebbe dovuto farlo ripassare il prima possibile, come quello sull’avambraccio sinistro, entrambi con diversi anni alle spalle ma ancora tanto terrificanti quanto erano ai tempi in cui fu costretto a farseli. Non riusciva ancora a rinunciarvi.
La sua figura slanciata risultava, per qualche oscuro motivo, attraente agli occhi del gentil sesso, ma doveva sempre impegnarsi a nascondere ogni centimetro quadrato di pelle per evitare che il suo passato e il suo presente causassero l’effetto opposto in ogni donna sana di mente che lo vedesse.
Gli occhi nocciola squadravano l’intero suo corpo, i suoi muscoli non del tutto allenati, la poca carne che ancora restava attaccata ad essi e che la fame non si era portata via. Dieci sterline per un cappello usato, decisamente un pessimo affare considerando che se non gli avessero pagato il caso nemmeno quella volta sarebbe stato costretto al vagabondaggio per sopravvivere.
E non si trattava di uno stile di vita che fosse disposto a sopportare nuovamente.
Il suono del pomello che lentamente girava su sé stesso lo mise in guardia, ma una volta ricordatosi dove si trovasse e di chi dall’altra parte stesse tentando di infiltrarsi si tranquillizzò.
“Mrs. Blaskov, per quanto possa sembrarle strano è usanza inglese lavarsi una persona alla volta”
“Colpa mia”
“Comprensibile”

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Capitolo 2
*** Villa Byron ***


Mr. Brynmor,
le mando questa lettera sperando che, una volta ricevuta, la trovi in buona salute.
Io purtroppo, quando la leggerà, sarò già deceduto.
Non voglio muoverla a pietà e non spero di convincerla ad accettare il mio caso per una semplice questione di morale, al contrario ho intenzione di pagarla per i suoi servizi, e sono convinto che la somma finale che ho in mente di farle pervenire, che otterrà se e solo se porterà a termine il compito che ho in mente per lei, le sarà sufficiente per costruirsi una vita agiata, lunga e possibilmente felice.
La mia vita al contrario finisce, e per quanto sia stata ricca e lunga non posso dire di averla conclusa felicemente: molte questioni sono state lasciate in sospeso, e la mia attuale situazione fisica mi fa capire che non sarò mai in grado di completare tutti i progetti, di salutare tutti gli amici, e di mantenere tutte le promesse.
Ed è esattamente di questo che si tratta: una promessa.
Le lascio una mappa con le coordinate geografiche della mia città, e una serie di indirizzi e numeri di telefono che le torneranno utili nel caso decidesse di accettare il mio caso. Inoltre mi sono preso la libertà di farle preparare un piccola tabella di marcia che, se seguita alla lettera, le permetterebbe di arrivare a destinazione in tempo per il mio funerale.
Man mano che si avvicinerà a Neferendis capirà che si tratta di un luogo unico ed estremamente pericoloso, ma non si lasci spaventare, non tutti coloro che la abitano vorranno farle del male.
Tutto le sarà più chiaro quando il testamento verrà letto.
 
Cordiali saluti, Barone George Nabuk Byron.
P.S.: il tempo non si ferma mai.
 
Nella voluminosa busta originale, oltre alla lettera e agli appunti del barone, erano state inserite alcune centinaia di sterline in grado di pagare il viaggio di andata, compresi tutti i biglietti degli autobus, dei treni, dei battelli e dei taxi, con giusto un paio di banconote da venti allegate ad un biglietto che riportava la scritta ‘mance per il tassista’ (che Mr. Naves accettò felicemente).
Più un orologio da taschino rotto.
Bryn avrebbe potuto tenere i soldi, rivendere l’orologio al prezzo di un caffè, e gettare nell’immondizia la lettera, ma qualcosa lo aveva convinto ad accettare; forse la consapevolezza che i soldi nella busta non sarebbero bastati a pagare i debiti con gli strozzini o con i suoi ex clienti più pericolosi, non del tutto soddisfatti dal suo lavoro. Forse fu la promessa di altro denaro a condurlo nella stazione di Londra e a convincerlo a salire sul treno. Forse furono le minacce dei suoi datori di lavoro, non esattamente persone raccomandabili.
No, decisamente nulla di tutto ciò; fu altro.
Seduto sul letto della stanza degli ospiti, nuovamente in possesso dei vestiti con cui aveva viaggiato fino alla misteriosa città, Bryn osservava l’orologio d’argento pendere dall’apposita catenella annodata attorno alle sue dita, e facendolo dondolare percepiva chiaramente il suono di alcuni ingranaggi liberi che si spostavano al suo interno, rotolando, girando, scorrendo. La strana sensazione che non si trattasse di un orologio comune glielo faceva stringere con una certa febbricitante curiosità, ma non aveva ancora capito come farlo funzionare. O come aprirlo. Il coperchio era saldato al bordo, ma dalla piccola finestrella in vetro posizionata al centro di esso si potevano chiaramente vedere il quadrante e le lancette, posizionate ad indicare un’ora precisa: le tre e un quarto.
Prima ancora di bussare, gesto fatto successivamente col solo scopo di apparire moderatamente educata, Mrs. Blaskov irruppe nella stanza con in mano un panciotto fin troppo raffinato per i gusti di Bryn ma che, considerata la sua nuova necessità di una tasca all’altezza dell’ombelico, gli parve più che adeguato.
“Immagino che quello sia per me”
“Mi è stato chiesto di consegnarvelo nel caso aveste accettato ad alloggiare qui. C’è anche un anello che dovrete indossare, vi servirà per entrare nella tenuta”
- Tenuta Byron.
Mi chiedo come sarà. Sembra che le persone qui abbiano uno stile di vita decisamente semplice, ma allora perché gli anelli, i panciotti, i vestiti eleganti, gli orologi da taschino …  tanta ricchezza in una cittadina simile? Di fianco a tanta povertà … -
“Mr. Brynmor, se posso chiederle …”
“Mi chiami Bryn, la prego”
“Mr. Bryn …” – Dannazione - “… il suo cappello …”
“Cos’ha?”
“Forse un trilby non è il modello adeguato per la serata che la aspetta”
“Lei sembra una persona assolutamente di buon gusto, Mrs. Blaskov”
“La ringrazio …”
“Tuttavia credo di saper riconoscere a prima vista un cappello adeguato quando lo vedo, di questo non si deve preoccupare. In ogni caso la ringrazio, e se non c’è altro …”
“La cena è pronta”
“Volentieri, ma devo scappare”
“Ma la cena …”
“Deve essere assolutamente deliziosa”
“Lei è sicuro di essere inglese?”
***
- Una carrozza … in effetti è sensato –
Fuggito dalla disgustosa cena che la fin troppo premurosa padrona di casa aveva preparato con fin troppo entusiasmo, il giovane si ritrovò dinanzi un mezzo inaspettato, anche se gradevole; un landau trainato da quattro cavalli neri si era infatti parcheggiato di fronte alla sua provvisoria dimora in attesa di prelevarlo, e un silenzioso conducente munito di cilindro e uniforme color pece gli aveva fatto segno di avvicinarsi, per poi scortarlo fino al mezzo reggendo un ombrello dall’impugnatura argentata. Estremamente sospetta.
Al saluto del forestiero non aveva risposto nemmeno con un cenno amichevole, limitandosi a ripetere il gesto precedente come se si trattasse dell’unica interazione di cui fosse capace;  ricordava terribilmente una cavalletta, gambe e braccia erano smoderatamente lunghe, una bandana rossa gli copriva la bocca e degli spessi occhiali da vista gli nascondevano gli occhi, trasformandoli nel freddo sguardo di un animale impagliato.
Sebbene ben consapevole di non avere capacità investigative e di osservazione paragonabili a quelle del proprio collega e compatriota di fantasia di Baker Street, Bryn poteva ritenersi un detective più che capace quando si trattava di notare armi da fuoco, armi bianche e oggetti di valore, motivo per cui non ebbe difficoltà a individuare quasi istantaneamente il canne mozze agganciato al sellino del cocchiere, proprio di fianco alle redini. Né il coltello camuffato da ombrello che nel tragitto dall’ingresso alla carrozza si trovava a pochi centimetri dalla sua gola, fortunatamente ancora ben nascosto nel suo fodero di legno e tela.
- Fin quando non verrà sguainato potrò ritenermi al sicuro. In quanto al fucile … dubito si trovi lì per me –
Dopo averlo fatto salire a bordo il cocchiere aveva spiccato un poderoso salto posizionandosi alla guida del mezzo, e in seguito ad un violento schiocco di frusta erano partiti con una fretta allarmante, come se il diavolo stesso stesse cercando di raggiungerli.
Tenuta Byron attendeva, e sembrava impaziente di conoscerlo.
Una volta all’interno, Bryn fu felice di constatare la presenza di veicoli impermeabili alla pioggia anche nella valle di Neferendis.
- La carrozza ha qualche anno, ma il tessuto dei sedili è nuovo, e il tetto è stato rifatto di recente; anche la vernice non deve avere più di un paio di settimane, ma ha avuto difficoltà ad asciugarsi a causa dell’umidità. Comincio a chiedermi se la pioggia non sia una presenza costante; tuttavia è strano, al di là delle montagne la temperatura è inferiore, e l’aria è secca, ma non appena le si supera si viene investiti dal caldo e dall’acqua, e si tratta di un microclima isolato alla valle. Inoltre le torri … mi chiedo cosa nascondano. Ho uno strano presentimento.
Che sia una di quelle volte in cui la decisione migliore è fuggire? -
“E chi ce li ha i soldi per tornare …”
Dopo dieci minuti trascorsi nel buio più totale a malapena scalfito dalla luce delle due candele all’interno dell’abitacolo, dopo aver percorso chilometri e chilometri attraverso una costante cascata che rendeva il paesaggio una parete che solo il conducente riusciva a oltrepassare con lo sguardo, dopo aver sopportato il frenetico traballare della capsula in legno che non appariva più gradevole quanto poteva sembrare all’inizio della corsa, Bryn cominciò finalmente a vedere la luce alla fine del tunnel.
Dalla finestrella alla sua destra si notava in lontananza un debole baluginio, che ad ogni falcata dei quattro destrieri infernali si faceva sempre più grande e intenso.
Quando la villa si rese visibile, il giovane cominciò a sistemarsi in previsione dell’evento; cercò nella tasca della giacca la lettera del Barone, e dopo averla tastata con le dita e averne verificato la presenza andò più in profondità, afferrando il cipollotto argentato (che continuava a non voler funzionare) per la catenella, e lo estrasse delicatamente facendolo ondeggiare davanti a sé. Gli ingranaggi continuavano a muoversi liberamente dentro di esso, ma le lancette sembravano irremovibili.
- Se non mi sbaglio andrebbe qui … - una volta chiuso il panciotto fino al penultimo bottone, mise il dito indice all’interno della tasca destra e, oltre alla sorpresa di scoprirla già scucita, ne seguì quella del trovarvi all’interno un biglietto. Estraendolo e posizionandolo al di sotto della luce dei ceri,  lesse a bassa voce una parola elegantemente trascritta su di esso con penna stilografica: ‘orologio’.
“Ovviamente”
Inserì l’oggetto al suo posto, come richiesto dall’uomo che lo aveva assunto (e che si era preso la libertà di programmare ogni sua più insignificante mossa), agganciò l’estremo della catenella alla tasca opposta e, dopo aver sporto la mano al di fuori del veicolo, la ritrasse e se la passò bagnata sulla testa, tirandosi indietro i capelli, per poi rinfilarsi il cappello e prepararsi a scendere.
***
“Ammetto che va oltre le mie previsioni”
Tenuta Byron superava le sue aspettative in maniera del tutto eccezionale, se avesse dovuto scommettere su ciò che si sarebbe trovato di fronte una volta arrivato a destinazione probabilmente questa sarebbe stata l’ultima ipotesi che avrebbe immaginato.
L’intera Neferendis non era che un bacino inondato dalla pioggia e abitato da poche migliaia di persone; alle sue spalle vi erano solo campi e paludi che si diramavano per chilometri, e da quel che gli era stato detto da Naevius doveva esserci un piccolo centro abitato vicino alla strada principale, ai piedi della montagna, non troppo distante dalla casa della Blaskov: un villaggio povero, semplice, unicamente degno di nota per la presenza di una drogheria dove vendevano un ottimo tabacco da pipa (mercanzia del tutto inutile agli occhi del giovane, che inoltre si chiedeva come facessero a farselo consegnare asciutto; - Probabilmente è Mr. Naves stesso a venderglielo, sarà per questo che ne parlava con così tanta allegria -).
Gli aveva accennato della presenza di alcune ville localizzate nella parte centrale della valle, nelle zone più umide dove l’acqua defluiva maggiormente e causava l’allagamento, ma ciò che si aspettava era molto più simile a qualche edificio squadrato un tempo abitato dai venditori di torba della regione. Quelli più benestanti almeno.
Tuttavia, in uno dei luoghi più ostili che avesse mai visitato, tra i bassi canali verdastri circondati dalle piante palustri e dagli alberi marci e inarcati ricoperti di muschio, raggiungibile grazie ad un’unica strada lastricata di rocce e solcate dalle ruote dei carri di oltre tre secoli di viavai costante, una mastodontica villa neorinascimentale formata da tre edifici separati brillava nell’oscurità come una lampada per zanzare.
Poteva notare la presenza della semisfera di un osservatorio posto sul tetto del blocco principale, edificio la cui facciata era ricoperta di arcate e colonnine in marmo che incorniciavano decine di finestrelle in ferro battuto, e il cui spettacolare ingresso era formato da una scalinata bianca che conduceva ad una spaziosa sala aperta sul cortile frontale; le due grosse porte in legno massiccio erano spalancate e mostravano l’interno della bestia, uno sfolgorante e movimentato ammasso di servitori intenti a trasportare vassoi di antipasti e coppe di champagne.
C’era l’elettricità, e veniva sfruttata senza ritegno.
Il blocco di destra era più modesto, probabilmente la casa della servitù, e quello di sinistra restava un mistero, ma appariva come una gigantesca serra dai vetri appannati e dall’interno buio; sporgendo un po’ la testa si poteva notare l’angolo di un giardino di sempreverdi che sbucava dal retro quasi per caso, facendosi intravedere tra gli spiragli di archi e tettoie metalliche che circondavano l’abitazione.
- Ovviamente non poteva mancare il labirinto di aiuole –
Il cocchiere scese in fretta e gli posizionò con rapidità l’ombrello sopra la testa, scortandolo poi davanti la costosissima costruzione.
Entrare fu semplice, bastò mostrare l’anello. Il difficile fu orientarsi.

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Capitolo 3
*** Irene ***


Non era la prima volta che eseguiva i voleri testamentari di un cliente, ma non era mai capitato che venisse assunto in seguito al decesso di quest’ultimo; normalmente, la morte era una diretta conseguenza del suo coinvolgimento nella vita dello sventurato che aveva avuto la pessima idea di pagarlo perché lavorasse per lui. Volendo essere meno crudeli col giovane investigatore, Bryn non aveva mai direttamente causato la dipartita di chi lo aveva contattato, tuttavia si trattava sempre di incarichi richiedenti metodi molto poco ortodossi, e che quindi necessitavano di un individuo fuori dal comune.
Di norma incarichi pericolosi.
Incarichi che, in un modo o nell’altro, finivano tragicamente.
Per quanto poco amasse la violenza, Brynmor era abituato ad uno stile di vita terribilmente rischioso, ma questa volta aveva l’impressione che le cose sarebbero andate in maniera differente, anche se non era certo in quale modo sarebbe finita.
Mentre se ne stava in disparte all’interno di uno dei salotti della tenuta, osservando il resto degli invitati che si accomodavano con impazienza sulle poltrone attorno al fuoco o nell’angolo bar in cui gli alcolici abbondavano, aveva la stranissima sensazione di essere tornato indietro di due secoli. L’assenza di cellulari o dispositivi elettronici moderni aveva avuto un’influenza inimmaginabile sullo stile di vita degli abitanti della valle, che circondata dalla propria recinzione di roccia e metallo continuava imperterrita a esistere come esisteva nel milleottocento; lo stesso valeva per i vestiti, che ricalcavano sotto molti aspetti le mode più antiche.
- Questi la grande depressione non sanno nemmeno cosa fosse –
Pomposi ricconi in frac, nobildonne in abito da sera nero fatto su misura dal miglior sarto della città, gioielli su ogni dito, spille per capelli ricoperte di perle e borsette contenenti piccoli revolver monouso placcati in oro, talvolta sfoggiati apertamente come se si fosse trattato di anelli costosi di cui vantarsi. Qualche monocolo faceva la sua comparsa con lo scopo di venire usato per leggere il programma della serata, che più che un funerale sembrava avvicinarsi ad una festa di gala o ad un’opera lirica, e un’infinità di bastoni da passeggio tamburellavano il suolo senza sosta. Con il suo abbigliamento semplice e povero Bryn si sentiva un pesce fuor d’acqua, e percepiva gli occhi dei presenti che quando non puntavano la porta in attesa dell’ospite d’onore (l’avvocato incaricato di eseguire le ultime volontà dell’ormai ex padrone di casa), si giravano a squadrarlo e a studiarlo, inconsapevoli di essere a loro volta analizzati come se si trovassero sotto una gigantesca lente d’ingrandimento.
Una ventina di persone più la servitù, senza ovviamente contare gli accompagnatori e le accompagnatrici che tuttavia agli occhi del giovane non rappresentavano che semplici personaggi secondari, convocati con l’unico scopo di rendere la serata meno noiosa.
Man mano che la stanza si riempiva Bryn ne approfittava per sgattaiolare lontano dagli ospiti, localizzando gli angoli meno calcati dalle eleganti scarpe lustre degli altri invitati; e facendo qualche rapida previsione e piano di fuga nel caso la situazione fosse andata degenerando: la presenza di armi da fuoco lo aveva sorpreso, ma non spaventato, e non trattandosi della sua prima esperienza in questo genere di circoli privati non accennò ad alcuna espressione di sconforto e continuò a fingere di trovarsi a proprio agio.
Ciò che maggiormente lo stupiva tuttavia era il comportamento di falsa nobiltà che i presenti portavano avanti con sfacciata cocciutaggine, tutti si atteggiavano da signori ma pochi si comportavano da tali, e nessuno, nemmeno i più impegnati, sembrava seguire alcun genere di etichetta.
Era una fiera di maiali vestiti da uomini.
Proprio quando era certo che non ci fosse una singola anima all’interno della stanza desiderosa di rivolgergli la parola, ecco che una voce femminile, gentile e curiosa, non lo smosse dalla sua posizione da pensatore e gli fece girare la testa alla propria sinistra.
“Lei deve essere Mr. Brynmor. Mi scuso se la tratto in maniera così formale, ma conosco solo il suo nome …” le rimanenti parole non vennero metabolizzate dal cervello dell’uomo, completamente preso dalla digestione della splendida immagine appena ricevuta.
Una donna non troppo alta e castana, capelli a boccoli, viso leggermente tondeggiante e con due luccicanti sfere marroni al posto degli occhi, fisico generoso ma che sapeva dove risultare più aggraziato e dove poter lavorare di semplice abbondanza; una figura capace di attirare su di sé l’attenzione di ogni singolo uomo nelle vicinanze. La sua bellezza semplice e popolana, tirata a lucido in onore della serata, faceva sfigurare tutte le dame da compagnia che la circondavano, profumatamente pagate per apparire impeccabili e che, tuttavia, non riuscivano ad eguagliarla.
Nelle prime parole che rivolse a Bryn inserì una sfumatura allegra, che nuovamente mise in crisi l’intero apparato sensoriale del giovane, intento a ricordarsi che se si trovava lì lo doveva alla morte di qualcuno.
- Eppure non riesco a toglierle gli occhi di dosso -
“Non si deve preoccupare …” esordì lui; “… il mio nome è tutto ciò che lascio trapelare sul mio conto, non c’è da sorprendersi se di me lei non sa nulla”
“Curioso, sono solita conoscere titoli e cognomi prima di vedere una persona in volto, ma lei sembra nascondere i suoi; un signorotto inglese garbato e con la faccia pulita come la sua …”
“Deve sapere che non tutti, a questo mondo, hanno la fortuna di possedere un cognome … Lady … ?”
“Oh, la prego, non faccia finta di non aver capito chi io sia”
“Mi chiedo se lei speri che io sappia chi è, o se ne sia convinta” la donna sorrise in risposta alla domanda; “… in effetti c’è qualcosa di singolare in lei” continuò Bryn, nel disperato tentativo di non far morire la conversazione.
“Ah si? Beh, lei fa l’investigatore giusto?”
“In effetti, un mestiere come un altro. Anche se concede qualche occasionale sorpresa”
“Beh, mi sorprenda!”
Lo sguardo acceso, la bocca piegata in una mezza risata, il corpo in costante movimento in una danza di gambe, tra un continuo passo in avanti e indietro, i fianchi che ondeggiavano ritmicamente spostando il peso da un piede all’altro, e quella mano che con incredibile stile stringeva un bicchiere di whisky come se si trattasse di acqua fresca; la misteriosa donna non aveva attirato la sua attenzione prima, ma ora l’aveva completamente rapito.
Si diede dello stupido per non averla notata prima che gli rivolgesse la parola.
Come se si trattasse di un gioco, Bryn cadde nella trappola, e gonfiando leggermente il petto mantenendo al tempo stesso un certo distacco professionale iniziò ad analizzare gli altri ospiti di spicco. A voce bassa.
“Osservando chi ci circonda notiamo un dettaglio importante che ci dà qualche indizio. Tutti i presenti portano al dito, tra i vari gioielli, un anello metallico, non d’oro, e senza alcuna pietra incastonata su di esso. Tutti tranne lei”
“Non è del tutto vero: non sono l’unica a non indossarlo”
“Ma è l’unica donna presente sprovvista di tale ornamento che tuttavia non è pagata per trovarsi qui”
“Ne è sicuro?” un altro sorriso e un mezzo ammiccamento da parte della sirena.
“Lo è?”
“No”
“Grazie per avermelo confermato”
- Mi chiedo se ne fossi certo o se lo sperassi soltanto -
“Perché ritiene che tale anello sia importante? E in che modo questo avrebbe a che fare con me?”
“Beh, lo portava anche suo padre … devo scusarmi, il mio ragionamento necessita di una premessa.
Si tratta chiaramente di anelli antichi, una fattura grossolana ma che li rende resistenti, probabilmente pensati perché venissero passati da padre a figlio … nel suo caso da padre a figlia, ma lei è l’unica a non possederlo perché il suo è stato consegnato ad una persona a cui poteva tornare più utile …” alzando la mano Bryn mostrò il gioiello che gli stringeva l’anulare; “… a me. Ho avuto modo di analizzarlo con calma. Trattandosi di oggetti unici non poteva disporre di facsimili, e come ho già detto lei è l’unica a non essere pagata per trovarsi qui, quindi fa parte di questa specie di circolo, ma non ha bisogno dell’anello per dimostrarlo, il che significa che si trova ad un livello tale della piramide sociale da non necessitare di identificativi. Lei è la figlia del padrone di casa”
“Avevo sentito dire che era un osservatore eccellente, sembra che le voci fossero vere”
“O semplicemente il mio occhio è ancora attirato dall’oro facile e dalla bigiotteria”
“Oro facile?”
“Lasci stare …” con uno sforzo immane Bryn distolse lo sguardo dalla propria interlocutrice; “Aggiungerei che da come si muove appare chiaro che lei abiti qui, e per capirlo non bisogna essere investigatori provetti; quindi è effettivamente la figlia dell’ormai defunto Barone. Le mie condoglianze”
“Beh, la ringrazio, sebbene i suoi ossequi siano in leggero ritardo”
“A tal proposito, trovo abbastanza curioso celebrare il funerale di qualcuno dopo la sua sepoltura, a distanza di così tanti giorni inoltre …”
“Mio padre era una persona fuori dal comune, nel bene e nel male”
“Indubbiamente, Lady Byron”
“La prego …” le voci si fecero più agitate; “… mi chiami Airìn”
- Irene, pronuncia inglese … sembra abbiano una fissa da queste parti -
“È un piacere conoscerla, Lady Irene … credo che il suo accompagnatore non necessiti di presentazioni, abbiamo già avuto modo di incontrarci. Ma lei questo lo sa già”
Alle spalle della donna, che a parere di Bryn avrebbe potuto avere circa ventisette anni, un colossale uomo dalla tenuta di pece e simile ad una cavalletta se ne restava impassibile e in silenzio, braccia conserte e testa leggermente china; età indecifrabile. Non si era cambiato d’abito, e con le spalle ancora zuppe si muoveva come se personificasse l’ombra della ragazza, sebbene fosse talmente alto da essere in grado di proteggerla, oltre che da qualsiasi mal intenzionato, anche dalla luce del sole.
L’unico dettaglio differente che gli occhi del giovane riuscivano a cogliere era la bandana che gli nascondeva la bocca, ora dello stesso color blu notte dell’abito dell’ebbra ereditiera, in una ridicolo tentativo di vestire abbinati; probabilmente un’idea non sua.
“Corvo è un fidato collaboratore della famiglia Byron, da che ho memoria mi ha sempre protetta”
“Corvo? Un nome insolito”
“Che lei ci creda o meno, Mr. Brynmor, non tutti hanno la fortuna di possedere un nome” Bryn non poté trattenersi dal sorridere; “In effetti è stato lui a scortarla fin qui”
“Esattamente in quante sparatorie si aspettava ci imbattessimo nel corso del viaggio?”
“… immagino che trattandosi di un londinese lei non sia solito frequentare questo genere di ambienti, ma le posso assicurare che da queste parti i pericoli non mancano mai, Mr. Brynmor”
“La prego, mi chiami Bryn.
Le posso assicurare che di pericoli ce ne sono più che a sufficienza anche a Londra”
“Allora non riesco a capire cosa l’abbia disturbata, Bryn”
“L’arma. Non sono esattamente un amante dei fucili”
“Questo fino a quando non le puntano contro una pistola. In quel caso diventiamo tutti guerrafondai”
“Irene, se posso permettermi …”
“Parli liberamente”
“So fin troppo bene cosa si prova ad avere una pistola puntata alla testa, ma resto fermo sulla mia idea. Avremmo potuto farne volentieri a meno”
La donna ne fu quasi compiaciuta, e non trattenne un sorriso soddisfatto, come se avesse appena avuto conferma di aver fatto un ottimo acquisto.
“Mio padre ha fatto un’ottima scelta assumendola, qualunque fosse il suo piano. Era una persona imperscrutabile”
“Ancora non so per cosa io sia stato ingaggiato, ma dall’agitazione generale sono convinto che lo scopriremo a breve”
La porta della sala venne aperta da due uomini posizionati ai lati di essa, che come soldatini di legno tirarono un’anta a testa in perfetta sincronia; indossavano delle giacche rosse coi bottoni d’argento, delle maschere bianche coprivano i loro volti per intero, e portavano alla cintura dei piccoli cilindri anch’essi argentati che producevano un curioso suono meccanico ogni qualvolta muovessero un muscolo, e per quanto tale dettaglio potesse apparire totalmente insignificante agli occhi della maggior parte dei presenti non le era per Bryn, che si impegnò a memorizzarlo. Dall’ingresso, un ometto dal volto truce si fece strada verso il centro della stanza, gli invitati si spostavano in fretta quasi temessero di venire calpestati, e lo stesso curioso personaggio sembrava convinto di possedere il diritto di farlo.
Si trattava di un omuncolo leggermente sovrappeso che avanzava con postura impeccabile e passo deciso, le braccia si muovevano ai lati dei suoi fianchi mimando la camminata delle guardie reali, e in una delle due mani grassocce, stritolate all’interno di un paio di guanti neri dalle dita gonfie come piccoli wurstel, stringeva una busta ingiallita sigillata da uno stemma di cera rossa, oggetto costantemente tenuto d’occhio dai ricchi avvoltoi che, girando in circolo attorno alla sua testa, non aspettavano altro che di lanciarsi su di lui per accaparrarsi il pezzo di carne migliore.
Era leggermente sudato, e ogni cinque secondi si infilava l’indice all’interno del colletto per allargarlo di qualche centimetro, permettendo all’ossigeno di riempirgli i polmoni e al vapore di fuoriuscire dal doppio strato di tessuto che gli premeva sullo sterno; era infatti tanto agitato e rosso da ricordare una teiera sul punto di fischiare.
- Mi ci vorrebbe del the, ora che ci penso –
Detestava palesemente trovarsi lì, ma manteneva comunque la serietà e la boria che il suo ruolo richiedevano.
“Immagino sia l’avvocato” sussurrò Bryn, e in risposta Irene gli diede un pizzicotto e gli fece l’occhiolino.
- … non so esattamente come interpretare tale gesto … -
Il salottino aveva raggiunto il proprio punto di saturazione, l’angolo scovato dal giovane investigatore era l’unico in cui fosse possibile muoversi senza dover prendere a gomitate chi li circondava, e dovevano tale privilegio non tanto alla presenza di Irene quanto a quella del Corvo, la cui figura incuteva terrore anche solo quando intravista con la coda nell’occhio.
Una volta preso posto di fronte al fuoco, certo di avere l’attenzione di tutti concentrata su di sé, l’avvocato alzò la busta sopra la testa ed esclamò:
“Queste sono le ultime volontà di Sir. Byron Nabuk”
La folla esplose in un applauso, e molti brindarono alzando i calici in alto, per poi trangugiare il loro contenuto alcolico senza ritegno.
- Lo amavano proprio quest’uomo … -
“Vi chiedo cortesemente di trattenere l’entusiasmo; questo documento, totalmente legale, che tempo fa il Barone e io stilammo in vista di questo giorno, è rimasto sigillato nella cassaforte del mio ufficio per ben dodici anni, e nonostante le innumerevoli richieste e suppliche da parte mia, atte a rivederne e a modificarne il contenuto, il Barone si rifiutò sempre di cambiare la propria decisione, sostenendo che non potesse esserci scelta migliore”
Un secondo fragoroso applauso scosse la stanza, alcuni si strinsero, altri esultarono in maniera del tutto inappropriata, alcuni lanciarono delle grida portentose accompagnate da esclamazioni scurrili riguardanti la fortuna, e un paio di coppie si scambiarono un bacio.
Bryn poteva immaginare che all’interno del salotto vi fossero solo persone che conoscevano il Barone da più di dodici anni, ma per quanto quest’ultimo potesse essere ricco e per quanto potesse fare gola l’idea di ricevere il suo patrimonio, riteneva che l’allegria fosse eccessiva; si aveva l’impressione che chiunque avesse ricevuto anche solo una minuscola parte dell’eredità si sarebbe potuto considerare onnipotente, ma anche utilizzando tutta l’inventiva di cui disponeva, il giovane non riusciva a concepire qualcosa di tanto grande e illimitato da concedere a qualcuno un simile dono.
Continuava a gettare occasionali occhiate verso la figlia del defunto, che sotto il sorriso inclinato che le dipingeva d’allegria il volto sembrava nascondersi una certa agitazione; lo si vedeva dall’indice che batteva ripetutamente sul bordo del bicchiere, e dai respiri che si facevano man mano più lunghi e profondi. Non sembrava impaziente, né tantomeno speranzosa, piuttosto appariva preoccupata, si trovava davanti ad una roulette ma non era certa se si trattasse del gioco d’azzardo o della tortura russa.
“Mi appresto a leggere l’unico punto del testamento, trascrizione esatta delle parole del Barone”
La tensione crebbe a dismisura nella stanza, l’avvocato fece comparire un tagliacarte da un fodero agganciato alla cintura e lo usò per rompere il sigillo con un movimento secco e scattante, e quando estrae il foglio davanti alla marmaglia che sudando lo fissava sul limite della fibrillazione, utilizzando tutta la cura di cui disponeva, dispiegò la lettera e lesse ad alta voce.
Che tutti i presenti infilino la mano nella tasca destra del proprio gilet
“…” la folla rimase allibita, respiri spezzati si mischiavano a sussurri e insulti scanditi a bassa voce, ma per il resto tutto sembrava essersi congelato, e il fuoco stesso parve bloccarsi come in una fotografia, ma era solo un’impressione.
Bryn al contrario cominciò a provare un senso di mancanza ed un caldo soffocante, ed iniziò a formicolargli la mano. Tutti gli uomini infilarono la mano in tasca, e lui eseguì a sua volta.
Quando i presenti si trovarono immobili come statue, bloccati nella medesima posizione fissandosi a vicenda senza capire, l’avvocato concluse la lettura della lettera.
Colui che, estraendola, stringerà nel pugno il mio orologio da taschino …” - … no … - “… riceverà istantaneamente …” – Non è … – “… tutti i miei averi, e dovrà perseguire i miei obiettivi ... ” - … possibile! –
Cordiali saluti, Barone George Nabuk Byron
Dopo circa tre secondi, che parvero essere tre minuti, l’incantesimo fino a quel momento rimasto intatto si infranse, e la maggior parte dei presenti scattò in una reazione di pura follia, sfogando la frustrazione con grida di collera e di protesta che si susseguirono fino ad accavallarsi le une sulle altre, donne e uomini strillavano in preda alla rabbia e tutti andavano in cerca con lo sguardo di chi stesse stringendo l’orologio, la bava alla bocca come cani selvatici.
Fu un anziano signore, sui settant’anni circa, a notare che tra tutti i presenti uno solo non aveva ancora estratto la mano dalla propria tasca, e rimase fermo a guardarlo, fisso, con gli occhi accesi come due torce in fiamme, il peso del proprio corpo del tutto abbandonato sul suo bastone di quercia; non ci volle molto perché altri lo notassero e, seguendo la traiettorie delle sue pupille, non scoprissero che nell’angolo più oscuro della stanza, dove nessuno poneva la propria attenzione da diversi minuti, con un’espressione paonazza in volto e gli occhi spalancati bloccati a guardare il vuoto, vi era un giovane forestiero dai vestiti semplici e dal cappello inappropriato; le dita della mano ancora nascoste dal tessuto del panciotto. Dita che, chiaramente, stringevano qualcosa.
Brynmor prese un profondo respiro, buttò fuori l’aria dalla bocca, strinse la catenella d’argento che gli pendeva all’altezza dell’ombelico e tirò, facendo fuoriuscire silenziosamente l’oggetto argentato che tutti agognavano.
“Oh cielo”

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Capitolo 4
*** L'eredità ***


Proiettata davanti a lui come un film tridimensionale, quasi rigurgitata dalla sua mente contorta in un flash di colori e stelline di carta, comparve la realistica visione di un gruppo di ricconi in frac e nobildonne vestite di nero che lo calpestavano gioiosamente, per poi contendersi a duello il diritto a possedere l’orologio che il suo cadavere ancora stringeva con la propria fredda e sanguinolenta mano destra.
Alcuni uomini si fecero avanti pronti a gettarsi su di lui, le dita tremanti fremevano e prudevano desiderose di stringergli il collo in una morsa letale, ma qualcosa si frappose tra di loro mentre lui, ancora immobilizzato nella propria posizione iniziale, si preparava ad uno scatto che gli avrebbe bruciato la suola delle scarpe; e asciugato i calzini ancora umidi al loro interno.
“Signori, devo chiedervi di calmarvi”
La voce solenne di una donna di forse ventisette anni superò di volume quella dell’orda, e spavaldamente richiamò l’attenzione generale su di sé: Irene se ne stava in piedi al suo fianco, testa alta e mani rilassate lungo i fianchi, come se sapesse che nulla di male le sarebbe potuto accadere; l’agitazione precedente era scomparsa, e al suo posto una carica quasi spaventosa teneva a distanza il resto degli invitati. Non aveva abbandonato la propria posizione, e al contrario fronteggiava la folla con decisione senza preoccuparsi dell’inferiorità numerica.
Certo va sottolineato che Corvo si era istantaneamente posizionato davanti a lei e a Bryn come lo spettro della morte stessa, e che con la sua stazza da gigante delle favole osservava dall’alto tutti i presenti con i suoi occhi vuoti e vitrei, inespressivo e terrificante proprio perché impossibile da decifrare. Ma anche la giovane ex ereditiera faceva la sua meritata figura.
“Fatti da parte!”  gridò qualcuno nelle retrovie.
“Signori, voi ora vi trovate nella casa di mio padre, la persona che per un’intera vita vi ha guidati e che si è fatta carico delle necessità della valle; tutta Neferendis in onore dei suoi sforzi dovrebbe togliersi il cappello e mostrare rispetto …” Bryn lentamente afferrò il proprio e se lo levò, in un gesto del tutto casuale e incerto; forse preparandosi a lanciarlo come diversivo in faccia al barbaro alla testa della marmaglia, un probabile milionario non troppo diverso dagli altri se non per il fatto che era quello con le mani più vicine al collo del giovane; “… dopo una vita di sacrifici è arrivata la sua ora, e il giorno della celebrazione del suo funerale insudiciate il suo nome in questa maniera? Le persone che più di chiunque avrebbero dovuto comprendere la solennità delle sue decisioni, per quanto improbabili e incomprensibili, ora ripudiano le sue scelte e al pari di un gruppo di iene si preparano a sbranare ciò che resta della sua carcassa?
Se queste sono le sue ultime volontà bisogna rispettarle in quanto tali”
“Ma quali ultime volontà! Quell’orologio potrebbe benissimo essere un falso, e se non lo fosse potrebbe essere stato rubato al Barone prima che potesse consegnarlo al suo legittimo nuovo proprietario”
A parlare era stato lo stesso anziano dal bastone di quercia che continuava senza sosta a incenerire Bryn con i propri occhi celesti e freddi come il ghiaccio, e che parevano celare nelle profondità di quel corpo fragile e rugoso un’anima nera come l’inchiostro; a differenza di tutti gli altri pomposi invitati che al momento della lettura del testamento erano scoppiati in un insieme di reazioni violente, rumorose o aggressive, il sinistro gentiluomo si era silenziosamente piazzato al centro della stanza sfuggendo al tumulto, sondando chi lo circondava con la stessa gelida concentrazione di un gufo che si prepara a spiccare il volo per catturare la propria preda.
Per quanto fosse chiaro che appartenesse alla stessa marcia razza di falsi nobili di cui facevano parti gli altri Lord, tutti pronti a macchiarsi del più atroce dei crimini per una banconota di grosso taglio, lui sembrava nascondere una certa maligna astuzia che agli altri mancava, e forse proprio per questo si faceva portavoce dei pensieri della classe dominante.
“Purtroppo, signori, il Barone non ha mai voluto specificare in che modo l’orologio dovesse pervenire al suo nuovo proprietario; motivo per cui, per quanto si tratti di una situazione a dir poco singolare, il qui presente signor …”
“Brynmor” esclamò il giovane.
“Ebbene, Mr. Brynmor ora è il proprietario di Villa Byron e di tutte le proprietà minori, comprese le terre della palude e parte della cittadina di Neferendis, e su questo non si discute”
Lo stesso anziano che tanto terrorizzava l’investigatore ora indirizzava la propria controllata collera contro l’avvocato esecutore che, una volta entrato nel raggio d’azione delle due sfere celesti che il nobile teneva al posto degli occhi, arretrò lentamente di qualche passo, venendo scosso da un brivido che gli percorse per intero la colonna vertebrale.
“Signor Korkof, che gioco sta giocando?”
“Nessun gioco, Lord Pryce, si tratta della legge”
“La legge a Neferendis è molto diversa da come l’avete studiata, credevo che una vita passata giù al villaggio glielo avesse insegnato. È eterea, vacillante. C’è chi direbbe inesistente” Pryce tornò a fissare Brynmor, stavolta con distaccato disinteresse; “Se ne renderà conto molto presto anche lei”
“Fuori da casa mia …” esclamò il detective, indossando nuovamente il cappello; “… se non vi dispiace”
***
“Questo era l’ufficio del Barone, Mr. Brynmor”
“Mi chiami Bryn, la prego”
Bryn se ne rimaneva in piedi di fronte alle colossali vetrate della parete nord della stanza, buttavano sul retro della tenuta e inglobavano perfettamente nella loro cornice l’intero giardino posteriore; al centro di esso si trovava, perfetta come se disegnata con una squadra, la linea spezzata di piante che formava il labirintico agglomerato di aiuole e colonne in marmo bianco, un capolavoro di geometria tanto accurato che pareva incastonarsi all’interno dello spesso vetro leggermente opaco. Il centro del dedalo rimaneva un mistero, uno spiazzo vuoto il cui contenuto veniva nascosto dalle alte sempreverdi.
- … destra … sinistra … seconda a destra … -
“Mr. Bryn?”
“Arrivo subito”
Tutto rimaneva costantemente illuminato dai lampioni di ferro battuto sparsi ad ogni angolo, ogni centimetro di terra, ogni ettaro, anche con la pioggia appariva perfettamente visibile, limpido, e se anche un’innocente ranocchia avesse deciso di fare quattro salti al di fuori della propria tana per scoprire il mondo, lui avrebbe potuto benissimo spalancare le finestre e centrarla in mezzo agli occhi con uno dei tanti soprammobili posti sulla scrivania alle sue spalle, sempre che fosse disposto a fare del male ad un’innocente ranocchia o che fosse capace di tirare un portapenne a trecento yard di distanza. Entrambe cose dubitava profondamente sarebbero mai accadute. Spingendo lo sguardo al di là di un confine immaginario non segnato da alcuna recinzione, appena al di fuori della sua proprietà, poteva scorgere qualche dettaglio aggiuntivo delle paludi non bonificate, dove le chiome degli alberi palustri appesantite dalla pioggia e i fiumiciattoli in piena scomparivano nel buio lanciando qualche scintilla di vita riflessa.
“Mr. Brynmor”
“Scusi, Mr. Korkof …”
“Oh no, lei non deve darmi del Mister”
“È solo un modo come un altro per chiamarla signore”
“Signor Korkof andrà più che bene”
“… Signor Korkof, mi esponga la situazione”
“La Tenuta è a sua completa disposizione, non deve preoccuparsi della servitù e della gestione della casa, è già stato predisposto un piano”
“E per quanto riguarda … Lady Byron?”
La donna se ne stava seduta sulla poltrona nell’angolo della stanza, era impegnata a leggere uno degli innumerevoli tomi della libreria a parete del padre, immersa in chissà quale avventura riportata in vita dalle luci verdastre della lampada da salotto appoggiata lì di fianco, sull’elaborato tavolino di legno laccato antico di due secoli. Sembrava trovarsi a proprio agio in quel ridicolo mondo arretrato e nobiliare, e la stanza che la circondava non le suggeriva nessun genere di stupore; per Bryn, al contrario, appariva come un gigantesco negozio di caramelle. Aveva l’impressione che vendere il contenuto del singolo ufficio avrebbe fruttato abbastanza soldi per comprarsi un monolocale in centro Londra.
Due lampadari in vetro e foglia d’oro pendevano sulle loro teste quasi minacciosamente, prime edizioni di racconti e saggi famosi tappezzavano le pareti con i loro titoli altisonanti, antichi fucili a ricarica manuale se ne rimanevano agganciati al di sopra del focolare come trofei di guerra, e compariva qualche arma più elaborata di metà novecento, in condizioni impeccabili, che avrebbe fatto venire la bava alla bocca a qualsiasi collezionista esperto; la scrivania era invece quasi deludente, di ottima fattura e di legno intagliato a mano, ma continuava ad apparire troppo povera per gli standard della casa. Sospetta.
Tuttavia, il pezzo forte restava il camino: inserite nella parete al posto delle piccole colonne che avrebbero retto la trave di marmo al di sopra del fuoco, due colossali clessidre dalle basi in legno e argentone, composte da due ampolle di vetro bluastro, fiancheggiavano le braci e disperdevano bagliori rossastri per tutta la stanza; all’interno, la sabbia era completamente defluita in basso in quella di destra, mentre restava meccanicamente bloccata in alto in quella di sinistra. Il fuoco aveva tinto di arcobaleno la parte delle ampolle più vicine ai tizzoni, e annerito leggermente gli angoli delle basi legnose, ma ne aveva lasciata intatta la costosa bellezza.
“... Mr. Bryn, mi ascolta?”
“Scusi, diceva?”
“Lady Byron ha raggiunto la maggiore  età, e lei non è obbligato a farla restare, tuttavia …”
“Tuttavia la galanteria mi impone di offrirle di rimanere”
“Esattamente”
“Signor Korkof, deve sapere che la galanteria è il mio forte”
“Significa che mi farai restare?” la giovane donna aveva alzato lo sguardo dal libro, e lo guardava sorridendo al di sopra delle vecchie pagine polverose.
“Ovviamente, e questo vale anche per la sua …” in piedi vicino a lei, spalle al muro e braccia conserte, Corvo attendeva ordini; “… guardia del corpo”
Nemmeno un cenno di gratitudine da parte dell’uomo in nero.
“Beh, credo sia tutto, la lascio alla sua nuova …”
“Tutto?” Brynmor rimase in piedi a fissare l’avvocato che si apprestava ad andarsene; “Come sarebbe? Cosa dovrei fare?”
“… beh, è il padrone della maggior parte della valle, e possiede la villa più grande e lussuosa, io so cosa farei al posto suo”
“Sono stato assunto per un incarico”
“E questo incarico era di succedere al Barone. Ora, se non le dispiace, le devo dare la buonanotte”
“Ma …”
“Buonanotte, Mr. Brynmor!” quasi fuggendo con la coda tra le gambe, Korkof svanì, lasciando i tre presenti da soli e con molto da raccontarsi. Tranne Corvo, lui non aveva nulla da dire.
***
Fissava inespressivo la giovane ragazza da circa mezz’ora, e lei non sembrava accennare a volergli rivolgere la parola, non si trattava di maleducazione o irriconoscenza, semplicemente sembrava infinitamente interessata al contenuto dei libri dell’ufficio. Si era fatta portare un tavolino aggiuntivo da un cameriere comparso dal nulla, ed era rimasta seduta nel medesimo angolo in cerca di chissà quale indizio per rispondere a chissà quale domanda.
Bryn, combattendo con l’imbarazzo, alla fine si arrese ai propri desideri più primordiali e fece ciò che, da quando aveva messo piede nella stanza, si ripeteva non avrebbe mai dovuto fare: tirò verso di sé la poltrona della scrivania, e ci si sedette stanco, crollando su di essa e sprofondando nella pelle imbottita.
“Le piace la sua nuova sistemazione?”
Sobbalzò, tornando in piedi con uno scatto elastico.
“… Irene, non le ho ancora chiesto scusa per ciò che è successo”
“Lei non mi deve delle scuse, mi ha permesso di rimanere …”
“Le ho in qualche modo rubato il diritto alla sua eredità, mi sono appropriato della sua casa e mi sto già abituando all’idea che tutto ciò sia mio, anche se …”
“Le sembra strano?”
“Immagini di non avere nulla, e poi … insomma, di colpo posso permettermi una poltrona come questa!” la donna rise di fronte allo strano entusiasmo mostrato dall’investigatore verso il mobile.
“La sorprende la poltrona?”
“Le sembra strano? Nel mio appartamento avevo un letto, un tavolo, una sedia, una stufa, e un bagno. Questo ufficio è più grande di tutta casa mia … e ora ho una poltrona, ed una scrivania più grande della mia tavola da pranzo …”
Si sedette nuovamente, osservò in silenzio la stanza.
“Non mi torna” concluse lui alla fine, estraendo poi l’orologio da taschino del Barone e poggiandolo davanti a sé.
“Cosa non le torna?”
“Tutto. Non ha alcun senso, e non è per questo che sono stato chiamato qui”
“Non le piace l’idea di diventare un nobile?”
“Un nobile?”
- Lord Brynmor … -
Rimase in silenzio a rimuginare.
Pensava al futuro.
Pensava a come avrebbe potuto facilmente pagare i debitori, gli strozzini, a come avrebbe potuto porre fine alla propria vita di miseria, a come avrebbe potuto trascorrere gli anni successivi all’interno della tenuta, e a come avrebbe avuto il tempo di frequentare senza alcun impedimento Irene, sua ospite e debitrice.
Poi si scosse, e afferrata la catenella dell’orologio da taschino la sganciò dal piccolo oggetto.
Una volta ottenuto un semplice disco argentato, lo pose sul ripiano di noce davanti a sé e gli diede una spinta, facendolo roteare all’impazzata.
La preziosa trottola girò su sé stessa per una decina di secondi, poi proprio quando era sul punto di fermarsi Brynmor la bloccò schiacciandola col pollice, e rimase immobile a fissarla.
Alzò lo sguardo, Lady Irene lo guardava senza capire.
Senza distogliere lo sguardo dalla ragazza, e senza spostare di un millimetro il piccolo marchingegno, Bryn premette il tasto sulla cima del cipollotto (che normalmente ne avrebbe aperto il coperchio), e rimase ad osservare mentre l’orologio scattava e si apriva dividendosi in due dischi, che scorrendo su un piccolo cardine interno andavano a formare il numero 8.
La giovane donna scattò in piedi e quasi corse verso il detective.
“Come ha fatto?”
“Si tratta di un meccanismo abbastanza comune: è un puzzle circolare, al suo interno vi è una circonferenza formata da diversi pistoncini che puntano tutti il centro dell’oggetto, e ne bloccano l’apertura; non vi è modo di far scattare tutti i pistoni contemporaneamente tenendolo in tasca, o muovendolo in alcuna direzione, in quanto appunto in qualsiasi modo lo si giri alcuni saranno aperti, e altri rimarranno chiusi … tuttavia, se lo si fa girare sul posto come una trottola, la forza centrifuga farà scorrere i pistoni spostandoli verso l’esterno dell’oggetto, liberando temporaneamente il meccanismo e permettendone l’apertura. Per resettarne la serratura basterebbe chiuderlo e scuoterlo”
“Come faceva a saperlo?”
“Intuito, in più sono un amante dei puzzle, credo di averne una quarantina a casa tutti di diverso tipo; e la superficie del retro dell’orologio è leggermente consumata, quindi guardandola è facile capire che venisse spesso appoggiato e sfregato su superfici … aggressive” accarezzò il legno davanti a sé; “Come questo ripiano”
“ … non ho mai visto quell’orologio aperto, immaginavo non si trattasse di un semplice ornamento ma non pensavo …”
“… che fosse una piccola cassaforte” concluse Bryn.
Afferrò l’oggetto e rovesciandolo ne fece cadere il contenuto sulla scrivania.
Una piccola chiave di rame, rotta, tintinnò rimbalzando sulle tavole di noce.
“So cosa sta pensando, Irene: mi chiedo cosa apra”
“A dire il vero, Bryn, mi stavo chiedendo chi fossero gli uomini che hanno appena varcato il confine della tenuta”
Girandosi di scatto Bryn si appostò di fronte alle colossali vetrate alle sue spalle, e notò immediatamente la presenza di una decina di uomini vestiti di nero che emergevano dalla palude e si dirigevano a passo spedito verso la tenuta.
“Ora vorrei saper lanciare a trecento yard”

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Capitolo 5
*** Morti ***


“Corvo!”
Al richiamo di Lady Byron il gigante si alzò dalla parete e con uno scatto portentoso si diresse verso il camino, ad un lieve movimento delle gambe spiccò il volo, e con un balzo afferrò un fucile per braccio tra i semi automatici agganciati sopra il fuoco, atterrò davanti al focolare con la posa di un ginnasta che aveva appena eseguito un triplo salto mortale, e si girò così verso la propria padrona in attesa di ordini: agli occhi di Brynmor non era più un cocchiere, ma un cowboy steampunk pronto a fendere demoni infernali con proiettili d’argento benedetti; stringeva due winchester in ottimo stato, oliati e ripuliti, che caricò facendoli roteare attorno alle dita meglio di quanto un giocoliere avrebbe fatto con dei birilli. Bryn non riusciva a immaginare a quale scopo il Barone avesse fatto riempire la casa di armi cariche, ma dalla reazione fulminea della giovane e dall’esperta manovra della guardia del corpo cominciava a immaginare che si trattasse di routine, se non di una eventualità prevedibile.
Ancora pensava al Signor Korkof che con così tanta fretta era fuggito dalla tenuta.
Corvo si avvicinò alle finestre, Irene le spalancò per lui e si mise seduta sulla scrivania con lo sguardo in direzione del giardino. Sul manto d’erba al di là del labirinto avanzavano circa dieci uomini armati, stringevano delle doppiette tra le braccia e come cacciatori che seguivano la preda si avvicinavano di soppiatto alla tenuta.
Il cowboy alzò entrambe le armi e le puntò contemporaneamente verso il leader del piccolo plotone d’esecuzione; si preparava a sparare, e a giocare a tiro al bersaglio con le teste degli inattesi visitatori come a bestie selvatiche da scacciare, quando la figura snella di Bryn si posizionò a braccia aperte di fronte a lui, e senza proferire parola gli bloccò la visuale col proprio corpo. Entrambe le bocche da fuoco gli puntavano il cranio e colui che le dirigeva non sembrava intenzionato a smuoverle da lì.
“Si levi Bryn!” sbottò Irene.
“No”
“Bryn, per l’amor del cielo!”
“Irene …” il cecchino non si era mosso e continuava a tenerlo sotto tiro, e lui con lo sguardo di chi sa esattamente cosa sta facendo fissava la giovane donna negli occhi, con una strana pace e tranquillità in corpo; “… ho letteralmente una pistola alla testa  e le mie convinzioni non cambiano”
Lady Byron rimase in silenzio per alcuni secondi, non poteva controbattere in alcun modo, e nel frattempo i secondi passavano e il piccolo esercito si avvicinava progressivamente alla tenuta; alla fine con un cenno fece abbassare le armi al proprio bodyguard, e con una scrollata di spalle guardò dubbiosa il nuovo proprietario della villa.
“La ringrazio” rispose sincero lui; “Ora dobbiamo solo capire chi sono i …” uno sparo percosse l’aria, alle loro spalle uno dei miliziani cadde al suolo nel sonoro schianto con l’erba bagnata, e rimase lì, immobile, forse morto, a farsi ricoprire di pioggia mentre gli altri si disperdevano abbandonandolo al suo destino.
Affacciandosi e lasciandosi inondare dal temporale perenne Brynmor strinse le palpebre nel tentativo di capire chi avesse esploso il colpo; doveva per forza provenire dalla loro direzione, e con lo sguardo andò in cerca di una scura figura sospetta appostata in qualche arrangiata postazione di tiro al di sopra degli altri edifici della tenuta, per poi realizzare che il proiettile non poteva che essere stato sparato dall’edificio principale: gli assassini si sparpagliavano spostandosi da una traiettorie che corrispondeva ad una linea retta proveniente dalla finestra dello studio, si gettavano a destra e a sinistra correndo a zigzag in un disperato tentativo di fuga, come se l’unica cosa veramente importante fosse levarsi di lì. Corvo non aveva sparato, e dal piano inferiore la visuale veniva ostruita dalle alte pareti del labirinto, quindi restava una sola possibilità.
“È sopra di noi, andiamo!”
Il detective afferrò fulmineo la chiave ramata che ancora riposava sul piano in noce, e dopo averla posta nuovamente all’interno dell’orologio ed averlo sigillato se lo infilò in tasca e corse fuori dalla stanza, i due nuovi compagni d’avventura alle sue spalle lo seguivano senza capire, e per quanto nemmeno lui fosse del tutto certo di ciò che stava facendo qualcosa lo portava a pensare che trovato chi aveva sparato il primo colpo avrebbe trovato un indizio in più, forse utile per la soluzione del caso.
Le indagini erano aperte.
Facendosi guidare da Lady Byron e incitandola ad affrettare il passo raggiunse la stanza al di sopra dell’ufficio, un piccolo salotto completo di piano bar e angolo musicale, dove un giradischi acceso suonava indifferente un’opera lirica, e un gruppo di camerieri dalla giacca rossa, i bottoni d’argento e delle maschere bianche se ne stavano in piedi di fronte alla finestra, immobili a fissare l’esterno.
“Ehi, voi! Avete per caso …” un secondo sparo, stavolta era chiaro che provenisse dall’alto, e alimentato da una convinzione maggiore della precedente Brynmor si gettò nuovamente nei corridoi, alla ricerca dell’ennesima rampa di scale capace di portarlo più su.
Per altri due piani la scena si ripeté, spalancava la porta, i servitori si affacciavano alla finestra, e lui usciva nuovamente. Alla fine capì che doveva trovarsi sul tetto.
“Come raggiungiamo la cima dell’edificio?”
“Le scale della servitù, da quella parte!”
Si ritrovò a salire una stretta scaletta a chiocciola in ferro, in un pozzo di quattro piani che collegava magistralmente tutti i livelli dell’abitazione, una strettoia tra le mura della tenuta che permetteva ai camerieri e ai domestici di adempire ai loro doveri in fretta e scomparire con altrettanta rapidità, senza intralciare gli eventuali ospiti.
Arrivato all’ultimo gradino trovò la propria strada sbarrata, sfondò con una spallata una porticina di legno antica chiusa da un grosso lucchetto arrugginito, piombando così su una passerella di vecchie mattonelle nere e lucide localizzata sul vertice dello spiovente tetto di tegole bluastre; si rialzò, guardandosi attorno riusciva a vedere solo un ammasso d’acqua torrenziale che batteva nonstop contro la sua nuova casa, sembrava arrivare infervorata e decisa a spazzarla via dalla faccia della terra, per poi tuttavia arrendersi di fronte all’evidenza e, a pochi metri da lui, precipitare nel vuoto in una cascata artificiale.
- Dove si trova? –
Cominciò a correre pericolosamente sull’instabile sentiero di fronte a sé, fece diversi metri senza capire se stesse per raggiungere il luogo che cercava o se stesse per gettarsi inavvertitamente oltre lo strapiombo.
Poi, li vide.
Due uomini vestiti da camerieri, le maschere coprivano loro i volti; si trovavano al di sotto di una minuscola tettoia costruita in corrispondenza di una stretta sporgenza del tetto, sembrava costruita appositamente per permettere loro di giocare al tiro al piattello con la testa di eventuali visitatori poco graditi, e non appena la voce di Byron fu sufficientemente forte da sovrastare lo scroscio della pioggia e raggiungerli, si voltarono contemporaneamente a fissarlo. Uno dei due stringeva un fucile a ricarica manuale e lo puntava indifferente verso il giardino posteriore, l’altro ne teneva un secondo tra le mani e lo ricaricava approfittando del riparo dalla pioggia e della possibilità di maneggiare polvere da sparo asciutta.
“Chi diavolo siete?”
I due misteriosi individui si girarono e cominciarono a correre.
- E ti pareva –
Brynmor li seguì, il contorno delle loro figure sfocate diventava sempre più difficile da localizzare nel bel mezzo della tempesta, e da un momento all’altro fu certo di averli persi.
Quando cominciò a chiedersi se non si fossero smaterializzati, il suo piede trovò al posto del suolo il vuoto più totale, e come un sasso lanciato al di là di un dirupo Bryn continuò la sua corsa oltre il bordo del tetto privo di parapetto, e sì, fu certo che la sua ora fosse finalmente arrivata; una grossa e muscolosa mano lo afferrò per la collottola e lo richiamò a sé brutalmente, riportandolo al mondo dei vivi con inaspettata gentilezza. Sebbene si trattasse di una maniera alquanto brutale per farlo.
Tossendo Bryn alzò lo sguardo e inquadrò, illuminato da un lampo, il gigantesco corpo di Corvo.
“Grazie amico mio”
Un cenno di risposta.
- Piccoli passi, Brynmor, piccoli passi –
Annaspando il detective alzò gli occhi e guardandosi attorno notò alla propria destra dei movimenti sospetti, asciugandosi il volto alla buona e tendendo lo sguardo ulteriormente notò due figure che fuggivano in quella direzione.
“Andiamo!” si rialzò barcollante e nuovamente si rigettò all’inseguimento.
Dopo una ventina di metri le ombre dei due fuggitivi si fermarono; non gli fu chiaro il motivo.
Poi, d’un tratto, il primo dei due spiccò un salto, e scomparve al di là del buio, oltre il limite del tetto.
- Vogliono raggiungere l’edificio della servitù! –
Il secondo si preparò a scattare, quando Bryn richiamò a sé la sua attenzione con un poderoso urlo.
“Fermati!”
L’uomo misterioso si fermò, si girò a guardarlo, e la sua maschera si piegò di lato avvicinandosi alla spalla, in un’incuriosita posa interrogativa; Bryn si avvicinava piano, le mani alte sopra la testa in segno di resa, lo sguardo disperato che sembrava domandare una tregua.
“Non voglio farti del male, dimmi chi sei”
L’uomo rimase immobile, il ragazzo cominciava a credere di potersi avvicinare a sufficienza per potergli parlare; al resto avrebbe pensato poi. Tuttavia, una pistola fu abbassata di fianco al suo volto all’altezza del suo orecchio destro, e Corvo premette il grilletto.
“No!” con una spallata Bryn deviò la traiettoria del colpo, che centrò in pieno la scapola dell’intruso facendolo barcollare all’indietro. Questi si fermo con il piede che in parte toccava il suolo e in parte tastava già il nulla alle sue spalle; l’investigatore scattò, le braccia protese in avanti.
L’uomo guardò dietro di sé, poi tornò a guardare i suoi inseguitori, e come se non temesse niente al di fuori dell’essere catturato fece un passo nel buio, e si lasciò cadere con la schiena che puntava il pavimento venti metri più in basso.
“Fermo!” le dita di Brynmor sfiorarono quelle dello sconosciuto, le sentì chiaramente scivolare via come un fazzoletto di seta bagnato.
Dopo pochi secondi, fissava in basso il corpo senza vita di un uomo ignoto che giaceva pancia all’aria nella pioggia.
“…”
***
Rimase immobilizzato, ipnotizzato dal cadavere; ci vollero dei minuti perché si riscuotesse.
Guardandosi attorno sembrò ricordarsi dove si trovava e cosa fosse appena successo, e la consapevolezza di non aver ancora concluso lo fece ristabilire; doveva andare avanti, c’era ancora qualcuno da salvare.
“L’uomo nel campo”
Si girò e di nuovo si mise a correre per tornare da dove era venuto; rientrato all’interno della villa percorse a ritroso i pochi corridoi che era riuscito a memorizzare, raggiunta la hall spalancò gli enormi battenti in legno e tornò all’aperto, le sue membra venivano nuovamente sferzate dalla gelida doccia naturale che la valle aveva da offrirgli, e senza perdere ulteriore tempo si precipitò sul retro della proprietà facendo il giro dell’intero palazzo. Seguì un sentiero coperto da una tettoia metallica, passò di fianco al labirinto e sbucò sul prato che anticipava la palude; il corpo era sparito. Corse nel punto in cui ricordava averlo visto stramazzare al suolo, e vi trovò qualche rimasuglio rosso che andava sparendo nell’erba, lavato dall’acqua e destinato a scomparire come se mai fosse esistito.
Tornò da dove era venuto, fece nuovamente il giro dell’abitazione stavolta diretto nel punto in cui il cadavere del suicida doveva teoricamente trovarsi, incastonato nella pietra dove si era schiantato con terribile forza. Raggiunta la posizione non trovò nulla, nemmeno un rivolo di sangue.
Semplicemente nulla.
Corse a perdifiato tre volte attorno alla villa, ricalcando i propri passi e segnando col fango il perimetro dell’enorme casa, ma non ci fu nulla da fare: si erano volatilizzati.
“Dannazione!”

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Capitolo 6
*** Una via nel buio ***


“Bryn, dove si trova?”
Irene era rimasta da sola.
Aveva perso di vista l’investigatore quando era salito sul tetto, ma sperando di potergli comunque essere d’aiuto aveva ordinato a Corvo di seguirlo e aiutarlo, nella piena consapevolezza che la sua presenza non sarebbe tornata utile all’inseguimento e di non potervi partecipare in maniera del tutto attiva.
Non in abito da sera perlomeno.
Tuttavia, una volta dato l’ordine si era ritrovata abbandonata in una casa che non le apparteneva più, e quei corridoi che nelle ultime due settimane si erano svuotati della servitù e degli ospiti ora le apparivano ancora più desolati, una diretta conseguenza dell’assenza della figura torreggiante del suo personale bodyguard d’assalto.
Camminava lentamente, continuava a gettare occhiate preoccupate alle proprie spalle aspettandosi la comparsa di qualche spaventoso mostro capace di divorarla, e con la mano destra tastava la semiautomatica che le saltellava nella borsetta al ritmo dei suoi passi; non era solita rimanere da sola, e abituata a non dover temere il minimo pericolo grazie al proprio scudo umano dalla fedeltà incorruttibile, ogni qual volta perdeva tale protezione si sentiva subito a rischio. La stessa sera era stata costretta a prestare il proprio accompagnatore a Brynmor, non potendo fidarsi a lasciare che l’uomo più in pericolo dell’intera valle girasse senza scorta, ma le sue stesse precauzioni e paure l’avevano costretta a chiudersi a chiave nella propria stanza, in attesa del ritorno di Corvo e del loro segnale segreto bussato alla porta della camera da letto.
Svoltò all’ennesimo angolo, e la spaventosa figura della sua guardia del corpo fu per lei l’immagine più rassicurante che potesse vedere; gli corse in contro e lo abbracciò, trovandolo completamente zuppo e, fatto maggiormente preoccupante, solo.
“Dov’è Mr. Brynmor?”
Corvo si girò piano, e cominciò a camminare, facendole segno con la mano di seguirlo.
Percorsero due rampe di scale e passarono di fianco ad un paio di sale da pranzo imbandite a festa ma del tutto vuote; lo trovarono seduto per terra appoggiato contro una porta chiusa, la giacca ormai scolorita riposava alla sua destra stropicciata come uno straccio, strizzata per terra con noncuranza e buttata via dopo che il suo stato di irrecuperabile usura era divenuto palese. Si era slacciato la cravatta, annodata poi al polso in un infantile tentativo attuo ad evitare di perderla, e il colletto della camicia era stato slacciato; il gilet rimaneva tuttavia chiuso, come ultima spiaggia alla quale la sua ostentata signorilità tentava di approdare, l’ultimo comportamento formale che riusciva a trovare in una tale situazione: portare il panciotto rigorosamente abbottonato.
“Brynmor, che è successo?”
“…”
Teneva la testa bassa, sembrava non avere la forza di guardare la donna negli occhi.
I capelli gli ricadevano bagnati sul volto, e da essi grondavano gocce d’acqua che raggiuntagli la punta del naso piombavano ritmicamente sulla sua pancia.
Alzò piano lo sguardo e incontrò quello senza vita di Corvo, che sembrava non fare caso a ciò che era appena successo. Soppesò l’idea di gettarglisi addosso ignorandone la superiore stazza, forza e pericolosità, e con la certezza che il lì presente protettore della Lady sarebbe stato capace di spezzarlo come un ramoscello se solo avesse osato tentare di torcergli un capello, iniziò ad analizzarne i possibili punti deboli e a preparare i muscoli ad un attacco fulmineo. Non trovò purtroppo nessuna falla nella sua terribile corporatura e nella sua difesa, ed era certo che al minimo movimento sospetto sarebbe stato schiacciato a terra e giustiziato sul posto.
Placò la propria collera solamente quando ricordò che, se ancora viveva, doveva la cosa allo stesso omicida dagli occhi di vetro che tanto disperatamente voleva punire.
La sensazione di vuoto al di là del tetto ancora gli torceva le budella, e se solo chiudeva gli occhi il buio delle palpebre diventava istantaneamente quello dei quattro piani di caduta che gli si erano parati davanti appena dieci minuti addietro; ma non era quello a tormentarlo. Inoltre, se avesse dovuto perdere il sonno per ogni rischiato decesso passato, non si sarebbe potuto permettere un minuto di pace nei suoi ultimi vent’anni di vita.
Tuttavia, era uno di quei momenti in cui la serenità sembrava essere svanita per sempre.
“Bryn!”
“Nessun indizio … nessuna pista … nessun corpo” si tolse dalla tasca l’orologio, e lo poggiò a terra; “Nulla”
“Cos’è successo sul tetto?”
“Credo si possa chiamare karma: una vita per un’altra. C’è un certo tetro equilibrio in tutto ciò”
“Non capisco”
“Chiedilo al tuo accompagnatore … ah, giusto, l’unico modo che ha di comunicare è con la bocca delle pistole”
- Pistole … non portava armi con sé, aveva abbandonato i fucili. Ma quella pistola … -
“Cos’ha intenzione di fare? Rimanere lì a piangere? Rimanere fermo a disperarsi per la vita di un uomo che probabilmente era venuto ad ucciderla?”
“Sembri convinta di sapere tutto”
“Se non erano qui per farci del male, per cosa allora?”
“Immagino non lo sapremo presto.
In ogni caso non mi sto disperando, vi stavo solo aspettando.  Ne ho approfittato per fermarmi a pensare.
So bene anch’io quanto sarebbe bello poter rimandare, ma abbiamo del lavoro da fare”
“Lavoro … parla delle sue indagini? Potrebbe dirmi esattamente cosa sta cercando, cosa crede che mio padre le abbia chiesto di fare?”
“Smettila con questa messa in scena Irene, piantala di suggerirmi di mettermi a fare il riccone con la tua eredità. So perfettamente che da me ti aspetti altro”
La ragazza cambiò espressione, divenne improvvisamente sorpresa e preoccupata, messa all’angolo; non sembrava del tutto certa di aver capito cosa Bryn aveva appena detto, e temeva che il ragazzo avesse intuito qualcosa di troppo.
Scacciate le preoccupazioni si scosse e tornò la donna determinata che le necessità le richiedevano di essere, e facendo finta di niente lanciò un’occhiata severa all’investigatore.
Brynmor rimase immobile, sorbendosi quello sguardo così tanto maturo e così poco meritato.
Alla fine sospirò, diede una spinta all’orologio ancora poggiato a terra, e dopo averlo fatto ruotare lo fermò, lo aprì, ne estrasse la chiave e se la infilò nella tasca del gilet; poi afferrò nuovamente il cipollotto e lo tenne ben stretto nella mano, sbloccato nella sua forma ad otto.
“Andiamo”
“Dove?”
“Non so se se ne è accorta, Lady Byron, ma non tutte le aree di questa casa sono facilmente accessibili agli sconosciuti” con il piede colpì tre volte la porta alle proprie spalle, attirando su di essa l’attenzione dei suoi due compagni.
Poteva sembrare una porta come tante altre, oltrepassandola di fretta come loro avevano fatto alcuni minuti prima sarebbe passata inosservata anche all’occhio più esperto, ma con l’andatura barcollante e lenta di un uomo che ha appena assistito a due omicidi se ne poteva notare molto più facilmente la peculiarità; c’era infatti qualcosa di diverso in essa, qualcosa di del tutto singolare.
“Le manca la maniglia!” esclamò Irene; “Non … l’avevo mai notata”
“Posso immaginarlo, come posso immaginare quanto fu felice di poter leggere i libri nello studio di suo padre: quelli che per anni le furono negati. Lei dice di essere la figlia del Barone, e lo stesso avvocato sembrava confermarlo, ma quando si muove per questa casa … sembra quasi si aspetti una trappola al di là di ogni angolo. Mi chiedo quale ala della tenuta lei conosca di persona, e quale semplicemente abbia una vaga idea di come sia fatta”
“Cosa sta insinuando?”
“È sicura di essere la figlia del barone? La vedrei più azzeccata come un’amante segreta …”
Anche Corvo accennò ad un gesto di stupore quando lo schiaffo colpì in volto Bryn, tanto forte da asciugargli l’acqua che gli ricopriva metà del volto.
- Forse me lo sono meritato –
“Mr. Brynmor, lei è sicuro di essere inglese?” ringhiò a bassa voce la donna.
“Tanto inglese quanto il commercio degli schiavi, dell’oppio e di organi”
“Come!?”
“Nulla, volevo solo dire che sono desolato. D’altronde mi ha già dimostrato di conoscere questa casa come solo chi vi abita da anni potrebbe, e non credo che un’amante conoscerebbe i passaggi utilizzati dalla servitù”
- D’altro canto solo un’amante necessiterebbe di sparire in fretta senza farsi vedere -
“… la perdono. E scusi per lo schiaffo”
“Non c’è problema”
Si girò verso la porta, nascondendo la smorfia di dolore che cominciava a dipingergli il volto, segnato in rosso dalle cinque dita femminili stampate a fuoco sulla sua guancia; la faccenda non era chiusa, solo rimandata, ma la risposta alla domanda che continuava a tormentarlo era di vitale importanza e necessitava di sapere come stessero realmente le cose.
Nella sua mente troppe informazioni restavano scollegate tra loro, in una lavagna immaginaria comparivano i volti dei vari personaggi che aveva incontrato fino a quel momento, ma nessun filo rosso riusciva a collegarli, se non lo spesso spago di lana che come una stella deforme riconduceva tutti alla stessa, improbabile persona: l’ormai defunto Barone Byron.
L’intera valle dipendeva da lui, almeno così diceva Irene, e la nobiltà desiderava disperatamente il suo patrimonio, che tuttavia non poteva limitarsi a semplice denaro. Brynmor ne era sicuro, aveva l’impressione che ci fosse altro, e a convincerlo di ciò vi era anche la curiosa ‘passione’ del Barone per il mistero; ma non poteva fondare la sua indagini su semplici sensazioni, non sarebbe stato professionale.
Decise di seguire l’istinto, molto più affidabile.
“Lady Irene, lei conosce per intero la tenuta?”
“Non esattamente, molte aree mi sono sempre state negate”
“Perché?”
“Non l’ho mai scoperto. Mio padre ha sempre tenuto nascosto lo scopo dei suoi studi, delle sue ‘ricerche’, come amava chiamarle. Forse se riuscissimo ad entrare in tutte le stanze che mi era vietato visitare scopriremmo qualcosa di più su …”
“Su di lui” esclamò Bryn, girandosi un secondo soltanto per guardarla in volto, e tornando così ad analizzare la porta; “Spero che a farglielo dire sia il desiderio di aiutarmi, e non semplice sfizio di sapere cosa le teneva nascosto”
“Forse le due cose coincidono, Bryn”
“Lo spero vivamente”
- Mi chiedo che rapporto avessero –
La porta era una spessa lastra di legno scuro, liscia, totalmente priva di fori o sporgenze, e anche spingendola non accennava a muoversi di un millimetro. Era solida, irremovibile. Blindata.
Chiese a Lady Irene se non potesse trattarsi di una porta fasulla, ma lei affermò che le stanze adiacenti erano troppo piccole, e che non potevano che lasciare spazio ad una terza stanza centrale; l’investigatore teorizzò un vecchio passaggio a qualche scorciatoia della servitù, ma la giovane sembrava possedere una conoscenza più approfondita di quei corridoi di servizio piuttosto che del resto della villa, e gli assicurò che non vi era nulla di simile al di là di quella soglia.
Una stanza murata? Di certo no, a quale scopo lasciarvi l’ingresso se l’intento era di nasconderla?
Tante possibilità, tutte improbabili. Tranne una.
“Una serratura segreta” affermò alla fine Bryn, dopo alcuni secondi di contemplazione; “E, rullo di tamburi …” Bryn accennò ad una rullata con una batteria immaginaria; “ … credo di avere io la chiave” alzò nuovamente il cipollotto, mostrandolo ai presenti; “Sono sempre più convinto che in qualche modo questo orologio possa permettere l’ingresso”
“Per quale motivo?”
“L’unico a possederlo era il Barone, non sarebbe strano pensare che gli permettesse l’accesso alle aree più restrittive. Forse se …”
Lo passò al di sopra del legno, con l’idea di scannerizzarne la superficie dalla cima alla base. Arrivato a metà, all’altezza a cui normalmente si sarebbe trovata la maniglia, l’orologio iniziò a vibrare e gli sfuggì di mano, andando ad incollarsi al legno come se qualcuno ve lo avesse tirato contro; Brynmor rimase immobile, sbigottito, bloccato ad osservare l’oggetto argentato pendere nel vuoto e richiudersi su sé stesso in maniera del tutto autonoma, andando a costruire un minuscolo pomello dalla fattura estremamente pregiata.
“Questo … non me l’aspettavo”
“Come ha fatto?”
“Io … non lo so, credevo potesse esserci un qualche meccanismo attivato da un magnete ma …”
Cacciò indietro i dubbi, e represse la terribile sensazione di pericolo che gli attanagliava lo stomaco e suggeriva alle sue gambe di girare i tacchi e cominciare a correre; nel corso della sua vita si era trovato più volte di fronte a situazioni improbabili, talvolta inspiegabili.
Sperava ardentemente si trattasse di un caso comune, e non uno di … quei casi.
Afferrò l’orologio, lo girò piano.
Con un sonore crac questo si staccò rimanendogli in mano, e la grossa porta blindata girò su dei cardini metallici attivata da un complesso sistema meccanico incastonato nella parete, i cui ingranaggi producevano un rumore sufficientemente forte da suggerire una stazza titanica.
Doveva essere antico.
I tre si trovarono di fronte all’ingresso di una stanza completamente buia e priva di finestre.
“Ebbene?” chiese Irene.
Bryn restò a fissare l’oscurità.
Non era chiaro se provasse paura, ma i suoi occhi lasciavano trasparire una certa agitazione, a chi lo guardava sembrava suggerire di sapere cosa sarebbe successo a breve quando in realtà non ne aveva la più pallida idea, e quella stessa incertezza non faceva che aumentare la sua irrequietudine.
Bloccato sulla soglia, guardava il buio.
Nella sua testa, il suono di alcuni tamburi iniziò a farsi sempre più forte.
Il Battito era tornato a cercarlo.
“Mr. Brynmor!” si svegliò da una sorta di trance, e guardandosi attorno ricordò dove si trovava; “Bryn!”
“Sono qui, sono qui”
“Cos’hai intenzione di fare?”
“… io e lei entreremo, ma sarebbe meglio se il suo accompagnatore controllasse l’ingresso. Non vorrei mai venire sorpreso alle spalle da qualche altro ospite sgradito”
“Corvo, aspettaci qui fuori”
Brynmor tornò ad osservare l’oscurità.
Prese fiato, trattenne il respiro, e fece un passo nel vuoto.

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Capitolo 7
*** Il Collezionista ***


Non cadde nel pozzo di un ascensore abbandonato, né trovò alcuno scalino mancante sulla cima di una rampa di scale in disuso, e per quanto lo riguardava ciò si poteva considerare come un successo senza precedenti; avanzò con le braccia protese in avanti, incerto su quanto vasto fosse lo spazio davanti a sé.
“Irene?”
“Sono qui”
“Sei per caso una fumatrice?”
Un fiammifero venne sfregato alle sue spalle, ed accese un cerchio di tabacco dentro una piccola pipa da donna fatta in osso; Lady Byron sbuffò qualche boccata di fumo nell’aria, per poi accenderne un altro e alzarlo sopra la testa.
“Fumatrice occasionale” bofonchiò lei, il volto trasformato in uno scheletro baluginante che tremolava sotto forma di maschera nera e arancione.
“Ho sentito che vendono un ottimo tabacco da pipa giù in città”
“Ti hanno detto la verità”
Gli passò al volo la piccola scatoletta di cartone, così lui poté a sua volta tentare di illuminare ciò che lo circondava; non gli fu facile capire dove si trovassero, ad occhio e croce doveva essere una sorta di salottino privato, l’ombra di una poltrona rossa ricamata dipingeva l’intera parete, e le linee discontinue degli scaffali appesi attorno a loro, completamente ricoperti di oggetti, tratteggiavano i muri; un tavolino da salotto riposava ai suoi piedi, minacciandolo, e bisbigliando a proposito il dolore che gli avrebbe procurato se non avesse avuto la fortuna di fermarsi un passo prima di incontrarlo col proprio piede.
Spense il fiammifero prima di ustionarsi le dita, ne accese un altro girandosi alla propria sinistra.
Saltando fuori dal buio con un balzo statico, la polena di un veliero intagliata nel legno gli si parò davanti minacciosa quanto un gargoyle di pietra, e ugualmente pericolosa; più alta di lui di circa un metro, con la sua stazza e la sua figura spigolosa lo fece arretrare di qualche passo. Raffigurava una sirena, era pregiata. Era antica.
Il legno della base sembrava diverso dal resto della scultura, probabilmente restaurato dopo essere marcito negli anni in seguito all’eccessiva umidità; questa, pensò Bryn, era l’ipotesi migliore, tuttavia vi era un curioso dettaglio che sembrava smentirla: si trattava di un unico blocco compatto senza segni di rottura o incastro. La testa della sirena era crepata, scura e ruvida, mentre la coda risultava lucida, brillante e liscia, seppure si trattasse dello stesso materiale asportato dalla medesima pianta fatta a pezzi chissà quante decadi prima, se non secoli. Il giovane si chinò, sfiorò una delle pinne con le dita, e ne percorse le venature dall’alto verso il basso, arrivando ad un nodo magistralmente camuffato dallo scalpello dell’artista in scaglia di pesce. Lo tastò, e ritrasse incuriosito la mano, per poi osservare il liquido appiccicoso che era andato a depositarsi sui suoi polpastrelli.
Se le ripulì con un fazzoletto, e tenne l’informazione per sé.
Di nuovo il suo sguardo si posò sul volto eternamente sorridente della creatura mitica, notando uno scintillio dove dovevano trovarsi gli occhi; all’interno dei due fori oculari vi erano due pietre rosse come il sangue di cui non gli era chiaro quale fosse il materiale.
“Sono rubini?” domandò la lady.
“No, sembrano cristalli di poco valore, ma da quaggiù è difficile dirlo” rispose Bryn, maledicendosi quasi istantaneamente per non aver tenuto la bocca chiusa.
“Quindi lei ha davvero una certa abilità con la bigiotteria”
“Chiamiamola passione”
“Mi chiedo quando sia nata questa … ‘passione’ …”
Brynmor si avvicinò alla parete, affondò la mano nel buio ed afferrò qualcosa.
“Alcune domande sarebbe meglio rimanessero senza risposta”
“Sono d’accordo”
Il detective sbuffò, ammettendo tra sé e sé di essersi raggirato da solo.
Tirò la leva con tutte le proprie forze, e dal soffitto si sprigionò un debole bagliore proveniente da un lampadario ricoperto da un centinaio di lampadine ad incandescenza quasi tutte bruciate; una sfera luminescente simile ad una gigantesca mora. Sotto la calda luce artificiale appena creatasi i soprammobili dei ripiani divennero, per quanto potesse sembrare paradossale, ancora più inquietanti.
La parete nord attirò istantaneamente la loro attenzione: vi era un’intera fila di coltelli in piedi uno di fianco all’altro, infilzati nel legno, inseriti nei loro foderi o agganciati a dei piedistalli dedicati, e sopra di essi delle punte di freccia pendevano dal soffitto come perle, legate allo stesso lunghissimo spago e ricadendo sulle loro teste come liane, una mortale tenda artigianale che tintinnava al loro passaggio.
Agganciate al muro ancora più in alto diverse lance nere apparivano tanto minacciose da far sfigurare la serie di lame sopra menzionata, si trattava di armi dotate di una punta irregolare lunga una trentina di centimetri, con annodate nel punto di fusione tra metallo e legno delle piume multicolore.
- Il barone era un tipo eccentrico, non c’è che dire -
“Suo padre amava viaggiare?”
“A dire il vero non ha mai abbandonato la valle, ma tra i nostri antenati vi erano degli esploratori. Forse appartenevano a loro, devono essere molto antiche”
“Può darsi” si avvicinò ai coltelli e ne afferrò uno a caso, sollevandolo dal suo piedistallo; “Questi sono arabi” le lame erano rinchiuse in dei foderi metallici dalla punta arricciata. Erano ricoperte di pietre e iscrizioni non troppo diverse da quelle che aveva visto nei suoi viaggi in oriente, ma a differenza dei pezzi che era riuscito ad analizzare in passato questi si trovavano in uno stato a dir poco impeccabile, e il laccio ornamentale era nuovo. Aveva già visto quel genere di armi, per lo più si trattava di pezzi da esposizione, ma si era sempre dovuto accontentare di riproduzioni poco fedeli e raramente aveva stretto tra le mani qualcosa di valido, se non in qualche caso più unico che raro; in quel momento, tuttavia, nel luogo più improbabile del mondo, poteva apprezzare l’opera di un artigiano esperto che superava tutte quelle precedentemente incontrate.
E aveva meno di un paio di anni di vita.
“Suo padre era un collezionista di buon gusto”
“Onestamente non immaginavo nemmeno collezionasse oggettistica araba”
- Oggettistica … qui a Neferendis metà dell’oggettistica può ucciderti -
“Infatti, non si tratta unicamente di … oggettistica araba …” posò il suo sguardo sulla lama successiva; “Questa è giapponese. È una wakizashi, una spada corta utilizzata per il suicidio. Quella invece è una katana, utilizzata per il combattimento” afferrò la spada lunga, poggiava su due pezzi di legno biforcuti che ne esponevano il fodero sotto e la lama sopra. Un cartellino appeso ad essa riportava una parola scritta a mano dalla calligrafia che riconobbe essere quella del Barone.
“Koto” lesse Brynmor.
“Che significa?”
“Significa che è stata realizzata con le antiche tecniche di fabbricazione andate perdute in seguito al periodo Kamakura. Le spade successive non vennero mai considerate altrettanto pregiate”
“Lei è pieno di sorprese Mr. Brynmor”
“Non sempre positive, purtroppo” il detective alzò lo sguardo; “Quelle lance invece sono …” alle sue spalle la modesta mazza di legno riprese a colpire la pelle tesa del tamburo rituale, ma solo lui ne percepì la musica. Gli si gelò il sangue nelle vene, e il cuore smise di battere per un istante; “Quelle sono africane”
Dietro di lui l’invisibile strumento a percussione continuava a suonare come se un’intera tribù stesse preparandosi alla caccia, il volume cresceva e il ritmo aumentava di intensità, e una spiacevole serie di ricordi che aveva tentato di cancellare tornò a perseguitarlo.
‘Brynmor’
- Silenzio –
‘Mr. Brynmor? Che nome ridicolo. Certo non mi potevo aspettare altro da un orfano senza famiglia’
- Basta! -
Non osava voltarsi, non osava guardare.
‘Vediamo il tuo coraggio!’
- Smettila di perseguitarmi! -
“Mr. Bryn”
“Si?”
“Si sente bene?”
“… non capisco perché suo padre ci tenesse così tanto a tenere nascosta questa stanza” continuava a tenere lo sguardo fisso di fronte a sé, e a qualunque cosa stesse dando le spalle sperava non fosse in grado di avvicinarsi.
Ringraziò di essere completamente zuppo, o la giovane donna avrebbe notato il sudore che cominciava a bagnargli la fronte.
“Chi può dirlo, forse non voleva che armeggiassi con i suoi gingilli” rispose Lady Byron.
“Già, sembrava essere molto geloso delle sue cose, basti guardare la sua biblioteca personale. Non le ha mai permesso di accedervi, vero?”
“Riteneva che solo una persona come lui potesse apprezzarne la bellezza”
“Curioso, non trova?”
“In effetti si, come lui sono sempre stata un’amante della letteratura, anche ai miei occhi quelle opere rappresentavano …”
“Curioso che una persona tanto gelosa dei suoi possedimenti abbia lasciato ad uno sconosciuto l’intero suo patrimonio”
Irene sorrise.
“Gliel’ho già detto, era una persona imperscrutabile”
“Me ne rendo conto”
- Finora ho ricevuto due diverse immagini di suo padre, da una parte c’è la facciata dell’uomo nobile, gentile, estremamente cordiale. Dall’altra, quella del capo di una nobiltà crudele, famelica, quella di un padre con un rapporto inesistente con la propria figlia, quella di un uomo amante di armi esotiche e di fucili d’epoca. Sicuramente si trattava di una persona degna di nota, ma ancora non saprei dire se lo fosse per delle capacità positive o negative –
Abbandonò l’impresa e tornò ad analizzare la stanza.
Fu in quel momento che Bryn si voltò.
Un’ombra scura dalla stazza pari a quella della polena se ne stava immobile di fianco la scultura, alle spalle di Irene, e lo fissava con due enormi occhi bianchi.
Il detective venne scosso da un brivido che gli percorse tutto il corpo, e si gettò all’indietro gridando, inciampando andò a sbattere contro e il muro e con la schiena colpì in pieno la leva che collegava il circuito del lampadario alla corrente.
Calò l’oscurità, e in preda al panico il meglio che il giovane seppe fare fu chiamare in proprio soccorso un essere tanto spaventoso quanto quello appena visto.
Corvo accese un fiammifero nel buio, la sua figura troneggiava nel mezzo del salottino, si guardò attorno più volte per poi lasciar cadere al suolo il bastoncino in fiamme, spegnerlo camminandoci sopra, e afferrare alla cieca lo sproporzionato interruttore; quando la luce tornò, erano solo loro tre.
“Mr. Brynmor, cosa le ha preso?”
“Io …”
Osservò senza capire i volti dei presenti, e alle loro spalle andò in cerca della stessa figura che lo aveva terrorizzato a morte; si bloccò, i suoi occhi rimasero fissi a puntare il minuscolo oggetto fonte delle sue paure. Una volta ritrovata la lingua in fondo alla propria gola, Bryn si alzò di scatto e lasciò la stanza, disse in velocità giusto qualche parola di scusa per congedarsi e si fece indicare la posizione della camera da letto del Barone. Scomparve alla vista, correndo a perdifiato fino al proprio nuovo nascondiglio.
Lady Irene rimase all’interno del salotto, ancora incerta su cosa fosse appena accaduto.
Non poté trattenere la curiosità e andò in cerca di ciò che aveva scatenato quella reazione nel nuovo padrone di casa. Di fianco la polena, come unico oggetto dotato di un piedistallo tanto grande tra i vari tesori della collezione, una minuscola statuina intagliata nel legno se ne rimaneva immobile a fissare chiunque mettesse piede nella saletta; due occhi dipinti di nero la seguivano ovunque si muovesse, ma si trattava di una semplice impressione.
Un cartellino davanti ad essa ne riportava il nome, e la donna lo afferrò senza perdere ulteriore tempo.
“Statuetta Boguai. Africa Centrale”

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Capitolo 8
*** Sfilate di moda e alcool ***


La bocca piena di polvere, le mani che bruciavano, gli occhi gonfi che a malapena mettevano a fuoco il suolo schiacciato contro la sua faccia.
Le cose non andavano bene.
Sputò, la saliva era rossa.
“Accetta la sconfitta, ragazzo”
“Mi sto solo scaldando” Bryn appoggiò la punta del fucile a terra, e utilizzò l’arma come un bastone per issarsi in piedi. Le gambe non lo reggevano, si ritrovò col calcio dell’arma impiantato nello stomaco e il peso del corpo che tentava di farlo crollare nuovamente; dondolava sulla punta del moschetto, attendendo che un soffio di vento lo facesse collassare definitivamente.
“Sei testardo piccoletto, una cosa che so apprezzare”
“Continua a parlare, fra poco sarai morto”
“Sei troppo debole per battermi, e non hai la capacità di premere il grilletto” Il ragazzo strinse i denti e si raddrizzò, la schiena doleva e i muscoli a stento resistevano dal cedere, ma qualcosa dentro di lui gli diceva che se si fosse arreso sarebbe stata la fine di tutto; “Hai ancora voglia di combattere? A malapena ti reggi in piedi”
Una risata e uno sbuffo di sangue schizzarono fuori tra i denti di Bryn.
“È ovviamente una tattica”
“Ah si?”
“Certo, ora tu credi che io stia per svenire, o morire dissanguato. Forse è proprio ciò che stai aspettando”
“No, non ho alcun interesse nell’ucciderti o vederti morire. Sei una persona più che valida, sarebbe un dispiacere se crepassi così”
“Non pensavi lo stesso di tutti quelli che hai ucciso, vero?”
“Non hai capito nulla”
“Credo di no”
Bryn alzò l’arma con il braccio ancora funzionante, l’altro pendeva inerme sul suo fianco.
“Ultime parole?”
“Ti conviene prendere bene la mira”
“Di quello non ti devi preoccupare”
Con gli occhi iniettati di sangue mirò alla testa dell’uomo, che orgoglioso e crudele se ne rimaneva in piedi davanti a lui, braccia dietro la schiena e mento alto.
“Mostrami il tuo coraggio”
- Non sbagliare Brynmor! –
Al colpo di fucile si svegliò.
Si issò di scatto sul letto, tremante di freddo e sudato.
Si era gettato sul suo nuovo capezzale con i vestiti ancora zuppi, e si era addormentato in preda alla stanchezza e alla frustrazione; scese dal materasso e per poco non inciampò sul costoso tappeto orientale spesso due centimetri che il Barone doveva aver ereditato o ordinato via posta ad un prezzo esorbitante. Andò pian piano in cerca del pavimento con le mani, quando le dita incontrarono il tessuto ebbe la certezza di potersi accasciare, così si chinò, scivolò piano su un fianco, e vomitò.
Proprio sopra il costoso tappeto orientale spesso due centimetri.
Le forme geometriche ricamate con colori accesi e improbabili scomparvero sotto una nuova macchia anch’essa di colore acceso e improbabile.
“Stupida fish and chips … ah no, non l’ho neanche mangiata. Deve essere il panino della stazione di servizio. Allora che siano maledetti tonno e uova”
Dedusse che dovesse esservi un bagno privato da qualche parte nella stanza, ma non era certo di dove si nascondesse; usò le proprie capacità investigative e sondò le superfici e le pareti speranzoso, forse avrebbe trovato una porta segreta travestita da quadro o da semplice affresco. Nessun pomello o serratura sporgevano dai mattoni, ne riusciva a localizzare il contorno di alcun ingresso incastonato nel muro.
Era una stanza perfettamente in linea col resto della tenuta, schifosamente costosa e ricca di oggetti di valore. C’era un grosso camino, anch’esso sorretto da due clessidre di vetro esattamente come quello presente nell’ufficio, diversi quadri raffiguranti velieri ricoprivano i muri, e svariati vasi pendevano dal soffitto facendo ricadere le foglie delle proprie piante sul legno lucidato del pavimento.
- Piante di palude? Pessima scelta estetica, in più non era sconsigliato tenerne in camera da letto? –
Ovviamente un letto a baldacchino in noce non poteva mancare alla collezione, le sue grosse tende rosse tuttavia giacevano al suolo, squarciate in seguito all’intervento maldestro del giovane detective che, arrivato in preda al panico, non aveva badato troppo allo stato dei tessuti e aveva tentato di rinchiudersi in un malriuscito bozzolo protettivo, dove poter cedere al dolore e sfogare la paura.
Una volta terminata la crisi era precipitato in un sonno leggero e scostante, e dopo pochi minuti era tornato nel mondo dei viventi e dei coscienti.
Ancora strisciava in cerca di un bagno e di una doccia quando Lady Irene bussò alla sua porta.
Lo trovò accasciato contro una libreria, intento a schiacciare l’orologio ereditato dal barone contro il legno, in un inutile tentativo di attivarne qualche misterioso meccanismo occultato.
“… Bryn, sta bene?”
“Febbre” mugugnò l’uomo, per poi cadere a terra e lasciar rotolare lontano il cipollotto; “Ahia”
La donna accorse in suo aiuto, e raccolse il piccolo strumento argentato.
“Lasci fare a me”
***
Sbattendo le palpebre si accorse di non trovarsi più nel medesimo posto in cui le aveva chiuse.
Aveva una pezza fredda sulla testa, ed era immerso nell’acqua fino al collo, disteso all’interno di una candida vasca da bagno di porcellana.
Le punte delle dita dei piedi facevano capolino dalla superficie perfettamente liscia del fluido, e lo salutavano annegando come dei naufraghi in mezzo al mare.
Mosse le pupille, la bocca se ne restava sommersa e il naso a pochi millimetri dal liquido potenzialmente mortale gli permetteva rischiosamente di respirare, in una posizione terribilmente precaria; si chiese cosa sarebbe successo se fosse accidentalmente scivolato qualche centimetro più in basso mentre era privo di sensi.
Sempre immobile con la schiena schiacciata contro l’estranea superficie, analizzò l’ambiente circostante: non era che un piccolo e semplice bagno, e ignorandone la fattura pregiata dei sanitari si potrebbe affermare che sarebbe potuto appartenere a chiunque; dopo alcuni secondi passati a fissare il soffitto, il giovane si rese conto di essere stato abbandonato a sé stesso, forse per concedergli la privacy più essenziale dovutagli dalla cortesia. Ancora non sapeva quanto fosse andato vicino alla morte, in ogni caso avrebbe trovato ironico annegare in una vasca da bagno proprio ora, dopo tutte le vicende passate e le accoltellate schivate per il rotto della cuffia nel corso della sua vita.
Si issò piano creando mulinelli e cascatelle, e rimase in piedi in equilibrio sul fondale scivoloso della piccola cisterna; si sentiva stranamente bene.
Uscì dalla vasca, afferrò un asciugamano tra la moltitudine di quelli ripiegati e incolonnati lì vicino, e si ricoprì in fretta.
Uscì dalla piccola stanza rotonda e sorprendentemente modesta sotto le spoglie di un monaco morbido e luminescente, e si ritrovò in un’altra stanza che ne rappresentava l’antitesi: un corridoio di circa quindici metri di lunghezza illuminato da decine di lampade a parete ricoperte da un vetro verdastro; una moquette blu soffice e vaporosa gli accarezzava la pianta dei piedi mentre vi camminava sopra, ed il soffitto dipinto di rosso e ricoperto di piccoli rombi bianchi disegnati a mano gli faceva alzare lo sguardo, spingendolo a chiedersi se non fosse possibile scambiare quel dipinto orizzontale per un cielo infernale, o per l’ultimo accenno di luce crepuscolare scalfita dal bagliore delle stelle più grandi. Un cielo così gli abitanti della zona non lo avevano mai visto, pensò tra sé e sé.
Dettaglio da non sottovalutare, era completamente tappezzato di abiti.
Alla sua sinistra vi erano due file di giacche, panciotti, frac, e decine di pantaloni abbinati, appesi ad una doppia sbarra di ferro che li divideva in due piani separati; alla sua destra invece, organizzati alla stessa maniera, cappotti, cappelli, interi scaffali di guanti, calzini e scarpe. In centro, proprio in mezzo al cunicolo, un altare di ferro e pietra reggeva una piramide di legno bianco intagliata a mano, ricoperta da almeno una cinquantina di paia di gemelli tutte diverse fra loro; in cima all’abbozzato solido geometrico, sulla punta, vi era un loculo vuoto.
- Lì probabilmente dovevano trovarsi i suoi preferiti. Devono avercelo seppellito assieme –
Era il guardaroba dell’ex padrone di casa.
Ora gli apparteneva per intero.
Notava, esattamente come per la piramide di gemelli, la presenza di diversi attaccapanni sguarniti dei rispettivi vestiti, e capì con orrore di poter facilmente intuire l’abbigliamento che il Barone portava al momento della sua morte.
- Nessun panciotto, nessun cappotto, né cappelli o guanti, e non portava scarpe … non è uscito di casa. Non so ancora esattamente come sia deceduto, forse dovrei informarmi, sempre che ci sia qualcuno capace di spiegarmelo: qui sembrano tutti desiderosi di portare i propri segreti nella tomba –
Una domanda insignificante gli passò rapida per la testa: portava i gemelli ma non le scarpe? Come diavolo dovevano averlo sepolto?
Si rese conto che ciò che indossava prima di svenire era sparito, e si chiese se non dovesse preoccuparsi che gli avessero rubato anello e orologio. Si tranquillizzò quando si accorse che la coppia di gioielli era stata appoggiata lì di fianco, sopra un mobile in marmo, con allegato un biglietto ripiegato a metà.
Lo lesse.
“Ti aspetto nella sala da pranzo del secondo piano”
Arrivato alla fine del corridoio si trovò dinanzi una piccola porta nera socchiusa, e spingendola con la mano destra scoprì trattarsi di un pertugio travestito da colonna che gli era sfuggito mentre analizzava la stanza del Barone; come Lady Irene ne conoscesse la posizione rimaneva un mistero, e non era sicuro di volerne scoprire la risposta.
Tornò dentro, fece roteare l’orologio sulla superficie nera e lo aprì: la chiave era stata riposizionata al suo interno.
- Sembra che possa ancora fidarmi di Lady Irene -
Una rapida occhiata attorno a sé: nessuna traccia dei suoi vestiti.
- Forse -
Si girò e analizzò il suo nuovo guardaroba.
Fece scorrere le dita tra le camicie. Aprì un cassetto, e vi trovò cravatte, bretelle e papillon.
“Direi che è arrivato il momento di vestirsi come dio comanda”
***
Lady Irene era seduta a capo della lunga tavolata della sala da pranzo, immensi specchi alle pareti e sul soffitto facevano sembrare l’insignificante stanza cento volte più grande, e i lampadari pendevano oltre che sulle loro teste anche su quelle di decine di loro copie distorte e ingiallite, moltiplicandosi in stelle di ferro e vetro agganciate alla medesima catena.
La giovane sbuffò, era distesa sul piano del tavolo con le braccia ridicolmente scomposte, dimenticate su di esso come vestiti sporchi sul pavimento, e la sua fronte premeva direttamente contro le venature d’ebano con inciso lo stemma dei Byron; il ricciolo della B le si sarebbe stampato sulla pelle.
Sorseggiava un whisky invecchiato, e fumava con noncuranza. Entro poco l’aria fu satura dell’aroma del tabacco, e i fumi dell’alcol cominciarono ad avere l’effetto desiderato di stordirla prodigiosamente.
Con le guance rosse e le membra molli si abbandonò sul proprio trono dell’autocommiserazione e gettò la testa all’indietro contro lo schienale, stiracchiandosi e contorcendosi fino a riuscire a guardarsi alle spalle; lì vi era Brynmor, in piedi sulla soglia, sguardo nuovamente carico d’energia e vestiti asciutti rimediati dal corridoio armadio del padre di lei.
“Oh, vedo che alla fine sei riuscito a raggiungerci”
“Che giorno è?”
“Lo stesso del tuo arrivo, sono circa le … oh, che ne so, guarda l’orologio”
“È rotto”
“Quello alla parete, ce n’è uno in ogni stramaledetta stanza. Dopo un po’ non fai neanche più caso al ticchettio”
“Sembri odiarla questa casa”
“Perché è così, la detesto. Ma non posso abbandonarla”
Bryn si avvicinò piano, e si accomodò alla sua sinistra.
Corvo dal fondo della sala lo fissava attraverso il vetro degli spessi occhiali, per un istante parve ci fosse un fuoco dietro di essi.
“Non è neanche mezzanotte. Pensavo di aver dormito ore”
“No, sei collassato per qualche minuto, poi ti abbiamo scaricato nella vasca e ti sei fatto un bagno”
“Avevo la febbre”
“Posso immaginarlo, da quant’è che non dormi, o mangi, o resti all’asciutto?”
“…”
Irene poté finalmente analizzare il nuovo completo del suo nuovo amico: portava degli eleganti pantaloni color piombo con una minuscola fantasia geometrica a spina di pesce estremamente raffinata che si ripeteva all’infinito, una camicia grigio perla, un panciotto nero, e delle scarpe di camoscio terra bruciata. Da sotto il gilet, spuntava imbarazzato il bordo di una bretella rosso sangue, un colpo di stile alquanto coraggioso che Irene non si sarebbe aspettata.
“Ti sei dato una rinfrescata. Sembra che i vecchi abiti di mio padre ti stiano alla grande”
“Sai com’è, sono magro come un ottantenne, e qualcuno mi ha rubato i vestiti …”
“Li abbiamo dati alla servitù”
“Già …” Brynmor si guardò attorno e ripenso alle decine di corridoi deserti che aveva percorso per arrivare fin lì; “… la servitù. Comunque, non avevo mai fatto un bagno tanto rinvigorente”
“Merito dell’acqua”
“L’acqua?”
“Si, era uno dei tanti passatempi di mio padre: studiare l’acqua. Usiamo direttamente quella piovana, filtrata e pompata nelle tubature”
“Di certo non ne manca da queste parti”
“Nemmeno gli alcolici: Corvo, porteresti al nostro ospite … al padrone di casa un bicchiere? Mi piacerebbe dividere con te un po’ di spirito, Mr. Brynmor. È un giorno di festa, dopotutto”
“Sono astemio, scusami Irene”
“Fumi?”
“No”
“Balli?”
“Solo quando sono solo”
“Devi essere uno spasso alle feste”
“Sono l’anima della serata, quando ci sono io quasi sempre muore qualcuno”
“Me ne sono accorta … scusa”
“Non fa niente, d'altronde è la verità”
- L’acqua? - ancora ci pensava: quanto tempo era rimasto a mollo? Mezz’ora? E addio alla febbre e alle allucinazioni.
Per quanto maltrattasse il suo corpo nelle maniere più sconsiderate era sempre stato consapevole della sua naturale fragilità, la comune fragilità di qualsiasi umano sul limite della denutrizione che non ha una stufa in casa per proteggersi dall’inverno. Tuttavia, una ripresa simile … forse aveva raggiunto quel livello della malattia e della febbre in cui non si è più in grado di sentire nulla, e sarebbe caduto in un coma profondo a breve.
- Meglio approfittarne finché sono in tempo –
“Lady Irene, se posso chiedere, esattamente com’è morto suo padre?”
“Infarto”
“Era in casa al momento della morte?”
“No, era in giardino, all’ingresso del labirinto, pare fosse uscito per una passeggiata. Uno dei ragazzi l’ha trovato mentre faceva la ronda”
“Bara chiusa durante i riti?”
“Si, sembra che fosse … rimasto sotto la pioggia troppo a lungo, là fuori è come finire in un fiume”
“Capisco … beh, credo sia arrivato il momento di muoversi”
“Vuoi cercare in altre sale della casa?”
“No. Andiamo in città”
Lady Irene per poco non sputò l’alcolico sui vestiti nuovi del suo interlocutore.
“A che scopo?”
“Indagini”
“E cosa credi di scoprire a quest’ora di notte?”
“È proprio questa l’ora perfetta per indagare su un omicidio ... a tal proposito, tuo padre è stato assassinato”
Lady Byron apparve per la prima volta sorpresa, cosa che deliziò Bryn in una maniera del tutto personale ed egoistica.
“Corvo, cortesemente prepara la carrozza: andiamo a bere qualcosa nel pub giù in città”
“Non eri astemio?”
“Io si: tu no”

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Capitolo 9
*** ANNUNCIO AI LETTORI ***


Ciao ;)
Sono Enrico, e sono lo scrittore de Il Caso Maghnet.
Nel caso aveste iniziato questa storia tempo fa, e foste riinciampati in essa oggi, dovreste sapere che da allora i primi capitoli hanno subito una massiccia modifica, quindi vi consiglio di riiniziarla.
Oltre a quello, voglio sottolineare che pubblico questa storia su EFP, ma che è presente anche su wattpad, quindi se non conoscete tale piattaforma vi consiglio di farci un salto, e in caso di seguirmi lì ( https://www.wattpad.com/user/CestaroEnrico ) dato che per come è strutturato tale Social (in quanto Wattpad è Il social per scrittori più in voga al momento) mi riesce più facile interagire con i lettori e con gli altri scrittori per scambiarci opinioni o per sapere come la storia procede. In caso contrario nessun problema, continuerò ad aggiornare i capitoli anche qui su EFP, anche se saranno una diretta conseguenza del feedback ricevuto in altra sede.

Pubblicità gratuita a parte, spero che la storia vi piaccia, e spero che la continuerete, ditemi se qualcosa non vi torna, ditemi quale personaggio odiate o preferite, ditemi se lo stile è adeguato alle aspettative.
Stay tuned ;)

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