Solo è solo una parola

di Sarandom
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** O ***
Capitolo 2: *** R ***
Capitolo 3: *** D ***
Capitolo 4: *** I ***
Capitolo 5: *** N ***
Capitolo 6: *** A ***
Capitolo 7: *** R ***
Capitolo 8: *** Y ***
Capitolo 9: *** W ***
Capitolo 10: *** O ***
Capitolo 11: *** R ***
Capitolo 12: *** L ***
Capitolo 13: *** D ***
Capitolo 14: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** O ***


O.

Autori: Sarandom e Feathers

Pairing: Castiel x Dean, Sam x Eileen, nuova coppia
Genere: Introspettivo, drammatico, sentimentale
Rating: Arancione
Timeline: Amara ha ucciso Lucifero e con Chuck sono andati via. Dean, Sam e Castiel hanno continuato a cacciare, ma Dio torna e da qui un nuovo inizio.
Warnings: Slash, Het, Spoiler, What if, Lime


 

 

 

Che loro ci credessero oppure no, Chuck era tornato.

Loro non riuscivano a ricordare nessuna conversazione con lui, anche se, a quanto sembrava, aveva tolto loro un bel peso dalle spalle.

E sì, aveva ristabilito una sorta di pace nel mondo, dato fiducia e scopi agli angeli guidati da lui e gli arcangeli assemblati di nuovo.

I demoni furono lasciati in pace - impegnati con i loro contratti - ed avevano un ricordo lontano sull’aver dato referenze a Crowley per dirigere l’Inferno, definitivamente.

Era un nuovo, ordinario, mondo e una nuova, diversissima, pacifica realtà.

Una nuova vita alla quale anche loro, adesso, avrebbero dovuto abituarsi.

 

*

                

7 Ottobre 2020

Giorni dopo dal nuovo incontro con Chuck, i Winchester si ritrovarono senza un lavoro, senza più carte false, senza armi – a parte il vecchio pugnale di Ruby.

Chuck li aveva interrotti durante un caso, togliendo perfino il problema di mezzo. Il bagagliaio dell’Impala era completamente vuoto, se non per la ruota di scorta e le valigie, con il necessario per i loro spostamenti..

Provarono a tornare al Bunker, ma non riuscirono ad aprirlo: la chiave non funzionava più.

Chuck fece trovare loro alcuni oggetti personali - altri vestiti, le foto di famiglia, alcuni libri di Sam e i CD di Dean davanti alla porta del garage.

Erano riusciti a sistemarsi e anche quella casa era stata loro portata via. Non sapevano ancora come sentirsi esattamente, se non irrimediabilmente spaesati, privati di un punto di riferimento.

«Cas? Non è che puoi chiedere al tuo vecchio di mostrarci la strada per un posto dove andare a dormire? Si è per caso dimenticato di averci tolto tutto e  non solo la caccia?» gli domandò Dean una mattina, mentre stavano prendendo un caffè per colazione e un frullato per Sam,  il quale,  nel frattempo, faceva da contabile per le ultime risorse finanziarie che gli restavano.

Cas non rispose, notando il pungente sarcasmo.

«Con quello che ci rimane, possiamo alloggiare per almeno una decina di notti, un bel po’ di carburante e... purtroppo per te Dean, basta con pub e hamburger. Ti convertirai all’insalata.» disse Sam.

Dean roteò gli occhi. «Ricordami di ringraziarlo, ancora.» si rivolse di nuovo a Castiel.

«Diglielo tu, sai come si prega.» gli uscì male, così male che anche Sam lo osservò – diversamente da quelle volte in cui abbassava lo sguardo, sogghignando, durante una delle loro liti. L’angelo si alzò da tavola, lasciò il caffè lì e si avviò verso l’uscita.

Dean lo guardò, fece per dire qualcosa, ma si passò una mano sulla bocca.

«Che aspetti?» fece Sam dopo qualche secondo, in tono di rimprovero.

«Era una battuta, ormai è diventato bravo a capirle.» tentò di giustificarsi il maggiore.

L'altro finì il suo frullato e si diede una leggera manata in fronte, sbuffando. «Sei…sei giorni, che non fai altro che lamentarti di questo. Frecciatine continue, cosa c’entra lui con le scelte di… Dio?»

Dean alzò le mani in segno di resa, annuendo col capo. «Va bene...va bene» Si alzò dalla panca, e seguì l'angelo fuori, mentre Sam si dirigeva alla cassa, sospirando.

«Salve, due caffè e un frullato.» Sorrise alla giovane cassiera.

«Mi scusi?» Si sentì chiamare alle spalle. Si girò e mise a fuoco un elegante uomo sulla quarantina dalla barba brizzolata, che gli porgeva un biglietto: «Le è caduto.»

Sam guardò il signore e poi il biglietto. Non lo aveva mai visto prima. «No, non è mio.» Sorrise.

L'altro si strinse nelle spalle.

«Beh, ho visto che le cadeva proprio adesso dalla tasca.»

Sam lo fissò in allerta, diede urgentemente un'occhiata attorno. C’erano solo clienti occupati a mangiare nei tavoli della sala interna.

«Grazie, allora» lo liquidò, mostrandogli un altro sorriso abbagliante ed analizzando il foglietto bianco.

Prese lo scontrino ed uscì.

 

*

 

Intanto, Dean aveva raggiunto Cas alla sua auto; il moro si era appoggiato alla portiera del conducente e stava sorridendo al telefono, che teneva in mano.

Quando sentì la presenza di Dean, Castiel tornò serio: «Cas... perché te la prendi così tanto? Sono... battute idiote, sai come sono fatto.» disse Dean, a fatica.

Castiel sospirò.

«Chi era?» Accennò al cellulare.

Cas non riuscì a controllare il piccolo sorriso sghembo che gli increspò il viso. «Claire.»

Dean alzò un sopracciglio «Oh... va meglio?»

«Le ho... raccontato il motivo per cui non ci siamo visti l’ultima volta. Ha chiesto a Jody e, se vogliamo, qualche giorno possono ospitarci.»

Dean schiuse le labbra, frullando le ciglia. «Aspetta, le hai… le hai detto di Lucifero?»

Cas si voltò a guardarlo, appena allarmato. «Non potevo?»

Dean si accigliò: «No… certo che-in effetti sono passati anni…» si fermò e sospirò «Mi fa piacere saperlo... perché non cel’hai detto?»

Cas tornò a fingere di concentrarsi sullo schermo. «Volevo farlo da solo.» rispose.

Dean annuì, e rimasero in silenzio per molto tempo, uno a fianco all'altro.

«Prometto di non fare più battute irritanti... okay?»

Cas lo guardò e condivisero uno di quei loro soliti sguardi intensi che li fece rilassare e rientrare in sintonia, fino a quando Sam non li raggiunse.

«Hey, tutto apposto?»

«Sì.» rispose Castiel, mettendo via il telefono.

«Riconoscete per caso... questo?» Sollevò il biglietto da visita, e tutti e due lo osservarono, gli occhi a fessura.

Era rettangolare, con una scritta oro centrale, che recitava: “Freedom, New Hampshire”,  non c'era nessuna scritta sul retro.

«Non ne ho idea, a dir la verità...» ammise Dean, girandosi verso Cas che scosse il capo a sua volta.

«Neanche io.»

Sam cercò sul portatile la località sul biglietto e venne a sapere che distava due ore e mezza da dove si trovavano loro - Albany St, Boston.

«Non so perché» mormorò Castiel. «Ma ho l'impressione che sia importante...»

I Winchester si consultarono con uno sguardo veloce. «Beh, se lo dice lui... assecondiamolo.» disse Dean.

 

*

 

I tre decisero di andare a dare un’occhiata: il giorno seguente si alzarono all’alba e si allontanarono ognuno con la propria auto, mentre Castiel li seguiva.

Trovarono una strada tranquilla, era uno dei giorni in mezzo alla settimana e non era neanche ora di pranzo.

Verso le undici esatte, notarono il cartello bianco con una grande scritta dorata: “WELCOME TO FREEDOM” e a Dean scappò uno sbuffo divertito: «Non si può negare abbiano umorismo.» disse.

«Ricorda di andarci cauto, potrebbe avermelo passato chiunque.» lo avvertì il fratello, riguardando il biglietto con aria sospetta.

Dean fece manovra non appena vide un grande parcheggio laterale ed indicò a Cas di fare lo stesso dallo specchietto retrovisore.

Scesero e fecero per avvicinarsi ad una piazza circondata da alberi alti e frondosi. Stavano per fermarsi in un bar per prendere un caffè, ma qualcuno sbarrò loro la strada.

«Salve, ragazzi» una donna di mezza età li apostrofò con una voce squillante; aveva l'aria di conoscerli già. Indossava una divisa da cameriera rosa e il grembiule bianco. «Come è andato il viaggio?»

Sam e Dean si guardarono e Castiel la squadrò, incuriosito.

«Ci conosciamo?»

Lei fece un sorrisetto divertito sul viso roseo e grinzoso. «Non ci siamo mai visti, ma so chi siete»

«Certo.» rise Dean e fece per continuare a camminare, ma la donna lo fermò con una gentile stretta sul braccio, «Vi stavo aspettando, sono un messaggio da Chuck.»

Dean si immobilizzò, gli occhi verdi spalancati, e Sam fece un passo avanti: «Conosce Chuck?»

«Non sono l’unica!» rispose pronta, stringendosi allegramente nelle spalle.

Ci furono un paio di secondi di silenzio, gli uccellini cinguettavano dai rami degli alberi rendendo l'atmosfera degna di quel nome.

«Si può sapere che diavolo di posto è questo?» chiese Dean, guardandosi intorno sospettoso.

«Un posto per ricominciare.»

Detto questo, la donna girò i tacchi e si allontanò, ma poi si fermò e si voltò. «Allora?»

Dean, Sam e Castiel optarono per seguirla.

La signora li ospitò nella locanda dove lavorava ed offrì loro qualcosa da bere e da mangiare, poi si sedette accanto a Castiel e di fronte ai fratelli.

«Ho ricevuto una lettera dove mi si chiedeva di aspettarvi al parcheggio ad un’esatta ora... ed eccovi qui.»

Dean era sempre più scettico, come suo solito e Sam iniziò a fare le sue solite domande tranquille.

«Come mai ci troviamo qui?»

«Perché Dio ha voluto così.» rispose semplicemente la signora, la fede scintillante negli occhi scuri.

Dean rise e bevve un sorso del suo caffè.

«Non ci credi?» chiese lei.

«Penso solo… che sia assurdo.»

«Dopo tutte le cose che avete passato, come farebbe questo ad essere più difficile da credere?»

«Ha ragione. E’ uno dei suoi modi» disse Castiel, gli occhi fissi sulle proprie mani incrociate sul tavolo.

Dean si girò verso di lui, piccato, ma Cas non osò sollevare il capo scuro.

Il maggiore dei Winchester preferì cambiare discorso. «Quindi... adesso cosa dovremmo fare? Trasferirci qui. Senza un lavoro, senza una casa... e tutto andrà bene?»

«Non so quanto andrà bene, ma potrete trovarvi un impiego e un posto dove vivere. E’ una città molto aperta... Freedom.» fece una pausa e sorrise al suo thè fumante. Rimase per qualche secondo così, e poi i suoi piccoli occhi curiosi percorsero i visi dei tre. «Accogliamo chi ha bisogno di una seconda chance... qui.»

 

*

 

La maggioranza del paesaggio di Freedom era dominata da alberi che rendevano l'aria profumata e piena di foglie svolazzanti dai diversi colori gialli e rossicci dell’autunno inoltrato.

Cadevano a terra colorando l’asfalto o la terra delle numerose aree verdi.

Tutto era calmo, anche fin troppo calmo per Dean, il quale si guardava attorno, smarrito.

Per una volta, Sam dovette riconoscere che gli atteggiamenti di suo fratello erano praticamente identici a quelli di Cas, normalmente, in quel momento.

Quanto a quest'ultimo, camminava accanto al suo protetto a passo di lumaca, fermandosi di tanto in tanto per osservare bene i negozi, le strade e la gente di quel posto in cui avrebbe dovuto prendere dimora. Non sembrò dispiacergli, anzi, un’aria quasi felice lo attraversava mentre passava davanti a vetrine particolarmente colorate di chioschi di dolci, di animali - dove toccò con il dito il vetro di una cuccia di un cane.

Dean non sembrava per niente affascinato, si fermava quando lo facevano il fratello e l’amico, senza dare particolare attenzione a cosa stessero guardando, finché non trovò articoli da pesca in una bottega ad angolo, accanto ad un negozio di abbigliamento. Quest'ultimo era molto boschivo, infatti la vetrina era piena di camicie a quadri, maglioni con disegni e giacconi pesanti per l’arrivo dell’inverno.

Dean restò solo a sbirciare da fuori, poi Sam e Cas lo notarono e si scambiarono un’occhiata, per poi affiancarlo ed entrare.

Dean si imbarazzò girandosi verso la strada, ma Sam gli chiese qualcosa.

«Hey Dean! Non hai più la tua canna, te ne prendo una nuova, vieni a sceglierla.»

Così il maggiore fu costretto ad entrare, e ne uscì mezz’ora dopo con un intero set pronto per pescare che sistemarono in auto.

Si era fatta ora di pranzo così decisero di tornare alla locanda per chiedere informazioni a Margareth sulle abitazioni.

«Caspita, quanto appetito hai... è da anni che non mangi?» disse la donna, rivolta a Dean, dopo che il biondo divorò in un solo boccone metà panino e una manciata di patatine.

Lui la guardò come sorpreso sul fatto e fece un mezzo sorriso, continuando poi a mangiare ed evitando di strozzarsi mentre beveva la birra.

«Volevamo chiederti dove possiamo cercare…casa» le domandò Sam bonariamente, dopo aver condito il suo pollo alla piastra.

Castiel aveva una piadina nel piatto, che mangiucchiava mentre parlavano.

«Oh certo, ragazzi. Allora, questa parte è molto commerciale, quindi non vi conviene se non siete abituati agli schiamazzi. Nella centrale, prendendo il bivio a sinistra, troverete le scuole e locali notturni, dall’altra parte più verde e più silenzio. Solo d’estate arriva il circo e allestiscono un piccolo parco giochi. Ci sono asili, elementari, medie e superiori nella centrale e d’estate è sempre pieno di studenti, ma non disturbano.»

«Direi di andare lì a controllare» disse Sam, rivolto a Dean e Castiel, i quali annuirono.

 

*

 

Dopo una decina di chilometri passati ad ammirare, veramente, solo campi colorati ed alberi enormi sovrastarli, iniziarono a vedere in lontananza delle case. Parcheggiarono accanto all’entrata di un parco, dove sentirono l’acqua scrosciante di un ruscello poco distante e notarono la grandezza delle case. Tutte su due piani, con la mansarda, box e cantina anti-tornado, molte di esse provviste di giardino anteriore e posteriore.

Videro famiglie e coppie camminare ai lati della strada o giocare nel giardino adibito con scivoli e altalene.

Ad un certo punto, notarono una casa proprio davanti a loro: il tetto spiovente rossiccio la faceva sembrare imponente, le mura erano biancastre e l'albero accanto al casolare sfiorava la finestra con un ramo. Sembrava abitata da poco o per niente, a differenza delle altre che avevano il giardino ben custodito, questo era più simile ad una sterpaglia, ed alcuni scatoloni facevano la loro comparsa sulle scale ed accanto alla porta della cantina.

«Dici che è abbandonata?» domandò Sam.

«Potremmo chiedere.» rispose Dean, continuando a mostrare disinteresse guardando il vicinato.

All'improvviso, la porta d’ingresso si aprì e il viso di Sam fu attraversato da un cruccio, ma solo fino a quando,  poi, non riconobbe la persona che ne uscì.

La vide scendere giù per le scale, lenta e leggera, gli occhi scuri e vivaci controllavano negli scatoloni.

Il minore dei Winchester fu proprio il primo ad essere riconosciuto dalla ragazza.

Sam mosse qualche incerto passo nella sua direzione, ritrovandosi esattamente ad un metro di distanza da lei, con Dean e Castiel che lo seguirono poco dopo.

Dean sbirciò il fratello per un secondo, poi di nuovo. «Sam,  ma... la conosciamo, vero?» Schioccò impercettibilmente le dita accanto a lui, e l'altro si riscosse.

«È Eileen...» disse con un sorrisetto, senza però staccare gli occhi da lei.

Eileen guardò finalmente nella loro direzione, mentre stava evidentemente pensando a qualcosa e si immobilizzò, sorpresa.

Scese le scale e li raggiunse «Guarda chi si rivede...» disse la ragazza con una voce strana, i lineamenti dolcemente familiari si trasformarono in un sorriso.

Sam si avvicinò con titubanza e la abbracciò per qualche secondo.

«Quanto tempo.» mormorò.

Un’altra signora uscì dopo di lei «Oh! Chi siete?» fece, ma si ammutolì quasi subito, gli occhi luminosi, alla vista di Dean. «Oh, cielo!» Cominciò a scendere vivacemente le scale. «Voi qui? Ma come facevate a sapere… ci siamo appena stabilite!»

Il maggiore dei Winchester assunse un'aria imbarazzata, ma sorrise comunque al dolce ricordo di Mildred.

Cas alzò un sopracciglio quando la vecchina abbracciò Dean, stringendolo un po' troppo.

«S-sto, sto soffocando.»

Ma lei non ci badò, e continuò a ridere ed a subissarli di domande. Fu solo quando chiese: «Che ci siamo perse in tutto questo tempo?» che i due cacciatori non seppero più cosa rispondere.

«Un'enorme varietà di cose, si fidi» disse Sam, una mano che sfiorava delicatamente il braccio di Eileen, ripensando confusamente alle peripezie degli ultimi mesi.

Era così. Ogni volta che non vedevano un amico o un'amica da molto tempo avrebbero avuto centinaia di cose di cui parlare, ma la verità era che tutti quei casi, quei problemi e quei piccoli e grandi disastri si mescolavano nelle loro menti, assumendo l'aspetto confuso di una massa di avvenimenti traumatici - impossibili da raccontare.

«Sono felice di avervi incontrati di nuovo.» disse Eileen, e poi fece dei gesti in aria, sorridendo misteriosamente agli occhi confusi di Sam.

«Che... che significa?» chiese il cacciatore più giovane.

La ragazza rise, ricordando il loro primo incontro e incantando Sam senza volerlo.

Suo fratello gli diede una gomitata leggera sul fianco, come per svegliarlo da quel 'penoso' stato di trance, ma Cas fece segno a Dean di lasciarlo stare, toccandogli il dorso della mano, il che fece girare Dean verso di lui scambiando un’occhiata e il biondo roteò gli occhi.

Mildred intervenne: «Ha chiesto» mormorò lentamente «'Mi trovate diversa?'»

Sam allora si rivolse ad Eileen, la quale era in attesa di una risposta. «Ti... troviamo in splendida forma.» disse e Mildred sottolineò il concetto con un paio di gesti, facendo arrossire Eileen.

La ragazza abbassò il capo e poi decise di spostare lo sguardo altrove, notando l'evidente imbarazzo di Dean e una persona che non riconobbe, sollevò le mani in aria e fece un’altra domanda alla quale Mildred diede voce «Vero, e quest’altro bel ragazzo chi è?»

Cas sollevò le sopracciglia e Dean si voltò verso di lui per presentarlo.

«Castiel, un… nostro amico.» terminò la frase diretta a Mildred, che notò l’esitazione e la stretta alla spalla sul trench dell’amico, allentata verso la fine.

Ricordava bene come aveva lasciato Dean dopo il loro primo incontro, pensando che avrebbe avuto una ragione in più di divertimento lì,  nel capire le risposte che quel Winchester teneva nascoste...al contrario del fratello.

Nelle pupille di Dean c'era una luce diversa dalla scorsa volta, e Mildred era certa che fosse la presenza di Castiel a provocarla.

«Un altro cacciatore?» domandò ancora, impertinente.

«Lo è diventato.» rispose Sam.

«Sono un angelo.» rispose infine Castiel, guardando a terra.

Mildred ed Eileen, la quale aveva osservavo il labiale, restarono a bocca aperta.

«Un vero angelo? Hai le ali e rispondi alle preghiere?»

«Le avevo e …sì.»

Dean, accanto a lui, sorrise e questo non sfuggì a Mildred.

La donna osservò Dean, sforzandosi di incontrare il suo sguardo, e non appena gli occhi verdi del cacciatore si posarono sui suoi, la donna gli rivolse una domanda muta, alzando le sopracciglia e indicando l'angelo col mento.

Il maggiore dei Winchester rimase interdetto, o almeno, fece finta di non capire e si girò verso Cas, il quale arrossì lievemente e lo mise ancor più a disagio.

«Da quanto tempo siete qui? Resterete a Freedom?» domandò Eileen.

«Beh... è probabile... abbiamo un biglietto da visita. Dio vuole che-» rispose Cas.

«Sì, Castiel» lo interruppe Dean. «Bla bla bla. Comunque, stiamo cercando una casa. Ormai non abbiamo altro posto dove andare e ci hanno attirati qui.» aggiunse, gli occhi al cielo.

Mildred sogghignò: «Ooh, beh... chi ha bisogno di seconde possibilità o di fortuna... quando si ha un viso come il tuo?» disse, sbattendo le ciglia in maniera leziosa.

Dean nascose le labbra, evidentemente in imbarazzo. Emise un risolino, mentre Cas fissava la signora con aria un po' irritata.

Fortunatamente, il cacciatore non se ne avvide: «Non credo abbia capito di che possibilità parlo...» sussurrò nella direzione dell’angelo, a denti stretti.

La signora Mildred prese la mano grande e forte di Dean fra le sue: «Se avete bisogno di qualcosa, qualsiasi cosa... » mormorò allegra, « potete chiedere a noi. Possiamo indicarvi qualche casa graziosa ed economica allo stesso tempo, spiegarvi dove sono i posti migliori in cui mangiare un hamburger - so che tu li adori, Dean - o aiutarvi a trovare un lavoro stabile.» Poi, dopo una breve pausa, aggiunse con tono fiero: «Beh, in ogni caso, vi auguriamo buona fortuna e... benvenuti a Freedom!»

 

 

 

Angolo di Sarandom & Feathers:

Salve a tutti e grazie per essere arrivati fin qui; speriamo di avervi invogliati per continuare questa nuova avventura.

Non scrivo long da tanto dopo Many Returns, e soprattutto non nel mondo di Supernatural. Io e Flavia, dopo aver aspettato la fantasia grazie alla nuova stagione; siamo state spinte anche da un mio vecchio sogno a scrivere questa ff.

Bando alle ciance, questo è il capitolo più corto, doveva solo introdurre i nostri personaggi nella loro nuova vita, nei prossimi si stabiliranno e prenderà forma questo piccolo angolo da dedicare a loro stessi.

Abbiamo cercato di renderli il più IC possibili, speriamo di esserci riuscite!

 

Warnings: Amara non ha mai fatto apparire Mary, avremmo dovuto scrivere troppi personaggi; e per il modo in cui è stata scritta, personalmente, non sarei riuscita a fare un buon lavoro.(Sarandom)

Arriverà il problema della “stagione”, ma non subito XD

Fateci sapere cosa ne pensate! 

 

 

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Capitolo 2
*** R ***


R.

 

La villa si ergeva su un manto verde luminoso. L’entrata era adornata da alte piante e fiori rossi ed arancio, che facevano risplendere ancora di più il bianco delle mura a pianta rettangolare della casa scelta dai fratelli. Le inferriate verdi riprendevano il colore delle finestre, le quali erano due in ogni stanza. Il tetto spiovente grigio scuro le donava classe.

Non era il massimo del glamour, come le vicine, ma l’interno faceva decisamente al caso loro.

Prima della porta d’ingresso, si passava per il portico, ed appena si entrava, il salone luminoso, con tanto di parquet mogano, faceva la sua bella figura. Nella parete alla loro destra vi erano l’attaccapanni ed un mobile in legno con un piatto in ottone, dove trovarono già posto le loro chiavi.

Più in avanti si vedeva subito il retro del divano rivestito in plaid verde, davanti ad un televisore ultrapiatto. Ai lati della stanza due librerie ancora da riempire, nel pavimento solo i cinque scatoloni pieni che avevano smontato dall’Impala, il resto lo avrebbero riempito una volta integrati in quella vita.

Dean, al piano superiore, era intento a sistemare i suoi CD e le foto di famiglia; Sam i pochi libri che gli erano stati concessi di portare con sé e il suo pc portatile ormai sgombro da parecchi giga di memoria da cacciatore.

Entrambi si sentivano altrettanto vuoti come la scarsità di oggetti che in quel momento li circondava. Erano stati di colpo catapultati in una nuova realtà e non sapevano come comportarsi.

Il doversi organizzare per avere una casa stabile e confortevole li faceva sentire irrimediabilmente strani, come dei nomadi che avessero appena conosciuto la sedentarietà vera a propria.

Certo, avevano avuto il bunker per molto tempo, ma non era certamente paragonabile ad una casa familiare dotata di giardino e mansarda, per non parlare di tutte quelle finestre, come quelle delle pubblicità in cui il mondo sembrava perfetto.

 

Intanto, Castiel stava seduto su uno sgabello dell’isola in cucina. Era molto moderna, tutta in marmo grigio e bianco.

Cas fece scorrere lo sguardo sulla lavastoviglie, il forno, il microonde, il frullatore, il tostapane. Ascoltò il rumore rassicurante del frigorifero con sportello del ghiaccio, e notò che ogni credenza era ancora vuota.

Aveva ricevuto un messaggio da Claire, poco prima di entrare per controllare la sua camera e posare qualche suo oggetto personale: il trench, il borsone da viaggio, ormai sprovvisto di lama angelica e la cravatta.

Da Claire:

“Jody e Alex vogliono trasferirsi.”

Castiel rimase sorpreso. Di solito era sempre lui a mandarle il buongiorno o la buonanotte, o comunque a farsi sentire. Non che lei non volesse, finivano a parlare anche per ore. L'angelo aveva capito il bisogno di lei del sentirsi cercare.

Da Castiel:

“Dove?” le rispose, cercando di farla parlare, nonostante l’evidente brutta piega della situazione.

Da Claire:

“Verso l’oceano.”

Castiel sollevò un sopracciglio.

Da Castiel:

“Tu vuoi?”

La risposta ci mise un po’ ad arrivare e Castiel comprese l’ennesimo dramma che quella ragazza avrebbe dovuto sopportare.

Da Claire:

“Non lo so.”

L'angelo non seppe cosa rispondere, così attese.

Da Claire:

“Voi? Avete trovato quello che cercavate?”

Castiel sorrise lievemente.

Da Castiel

“A quanto pare si, è bella grande.”

Da Claire:

“Descrivimela.”

Lui restò a pensarci per un po'.

Da Castiel:

“Ci riuscirei meglio se potessi chiamarti.”

Da Claire:

“Te l’ho detto, non mi va.”

Castiel si sistemò sullo sgabello, gli occhi fissi sullo schermo.

Da Castiel:

“Come va l’università?” digitò.

Anche quella risposta ci mise molto ad arrivare, e Cas si preoccupò di averla infastidita.

Da Claire:

“Smettila di chiederlo.”

Lui sospirò, mortificato:

Da Castiel:

“Scusami.”

Attese, le mani incrociate, fissando il telefonino, quasi in castigo. Ce l'avrebbe messa tutta per non fallire anche con lei. Se aveva bisogno di parlare e confidarsi avrebbe fatto la sua parte, cercando di ricordare i modi di fare di Jimmy, senza abusare della sua figura, l'aveva promesso a sé stesso.

Dopo un po', arrivò un altro messaggio:

Da Claire:

"Io non vorrei che né Jody né Alex ci restassero male... ma non voglio trasferirmi lì. Quel luogo ha la fama di essere un mortorio... "

L'angelo rise.

Da Castiel:

"Beh, dai... almeno se è una 'città di morti', potrai divertirti a cacciare zombie.”

Claire ci mise un altro po' a rispondere:

"Non posso crederci. TU hai fatto una battuta. Sai che ti dico? Quel posto ti fa bene... se avete un letto libero, lasciatemelo."

Da Castiel:

"Promesso."

Da lì, nessuna risposta, l’amo era stato lanciato.

 

*

 

«Soffri così tanto il freddo, da doverti imbacuccare in questo modo?» chiese Dean a Castiel, guardandolo con un sopracciglio alzato dalla porta.

Castiel si era messo un impermeabile blu scuro piuttosto pesante per uscire, una sciarpa a righe gialle e rosse gli copriva in parte il collo, e un beanie gli stava un po' stretto sul capo.

«Beh... è che mi diverto a vestirmi.» si giustificò Cas, «Mi sono accorto di quanto sia divertente tentare di abbinare le cose correttamente.»

«... e anche fallire miseramente.» lo interruppe Dean, guadagnandosi un'occhiataccia del moro.

Il cacciatore ridacchiò, le mani in aria, e si avvicinò di qualche passo: «Scusa. Avevo detto... “niente battute stronze”. Comunque quel cappello non è proprio... adatto a te, né al resto del vestiario che indossi...» mormorò.

Alzò il braccio, esitando, e gli tolse il beanie di colpo, lasciando liberi i suoi capelli scuri e scarmigliati.

Cas osservò Dean con quel solito sguardo confuso, gli occhi a fessura, e Dean ingoiò saliva, sentendosi stranamente a disagio.

«È... è meglio quello.» Indicò un cappello di lana, sul letto di Cas.

Il moro si girò e lo prese.

«Ragazzi.» Sam entrò: «...non vorrei mettervi fretta, ma io sono pronto da venti minuti.»

Dean fu felice di potersi distrarre e si rivolse a lui con voce ironica: «Oooh, scusa, Samantha, non sapevo avessi già finito di truccarti... davo lezioni di stile a piumetta, comunque.»

Sam si bloccò, la mano sulla porta, e corrugò la fronte. «Piumetta?»

Dean si strinse nelle spalle, non sapendo dove guardare: «Perché? Non mi hai mai sentito chiamarlo così?»

Sam non disse nulla all'inizio, poi scosse il capo ridendo e si allontanò.

Calò il silenzio, Dean restò a braccia conserte, mordicchiando il labbro inferiore ed esplorando con gli occhi la camera dell'amico. Il letto ancora sfatto, l'armadio ad ante quasi vuoto, una scrivania in legno ed uno sgabello.

Era la meno bella di tutte, ma Dean era certo che l’angelo non ci avesse nemmeno fatto tanto caso. Anche nel bunker non era poi così curata.

«Non è... male.» mormorò Cas, attirando l'attenzione di Dean.

Il cacciatore gli rivolse uno sguardo interrogativo.

«Il soprannome piumetta, intendo. Sembra affettuoso.» Non sapeva cosa dire, ma poi il suo viso divenne un curioso cruccio. «A meno che non ci sia qualche significato nascosto di cui non sono al corrente.»

Il cacciatore sbuffò, gli diede una leggera pacca sulla spalla. «No. Su, muoviamoci... o se la prenderà.»

 

*

 

Il cellulare di Castiel emise un fischio acuto e fortissimo mentre lui e i fratelli stavano cenando in un fast food, facendo arrossire l'angelo.

Dean rischiò di strozzarsi col panino enorme che stava sbranando.

«Castiel!» fece, a bocca piena, «Cambia quel richiamo per merli che hai sul cellulare, ti scongiuro.» esclamò e prese la bottiglietta del ketchup, inzuppandolo nella vaschetta di patatine.

Sam si girò verso il fratello. «La finisci di parlare a bocca piena! Mi hai fatto passare la fame.» lo rimproverò.

Castiel sfilò il cellulare dalla tasca e lesse il messaggio:

Da Claire:

"Era una proposta seria? Mi piacerebbe davvero andare a vivere con voi, se non vi dispiace, ovviamente."

«Chi è?» chiese Dean, lo sguardo vigile sul viso raggiante e roseo del moro di fronte a lui.

Cas mostrò loro lo schermo, senza dire una sola parola.

I Winchester rimasero immobili.

«Per me va bene.» concesse Sam, prendendo un'altra forchettata della sua insalata al tonno.

Dean diede un altro grande morso, ed ignorando totalmente Sam, rispose: «Oh... guarda un po'.»

«Credevo ti fosse passata la fame a causa mia...» Continuò, riferito al fratello.

Sam neanche gli diede retta, dato che il telefonino di Cas riprese a cinguettare in maniera comica, strappando un'altra risata al maggiore dei Winchester.

L'angelo impostò la vibrazione e lesse ad alta voce:

«Ma allo stesso tempo mi sento in colpa verso Jody ed Alex, lo sai.»

«Chi, tu?» domandò Dean, infilandosi in bocca un mucchio di patatine fritte.

«No. Claire.»

«Aaah! Ma dille che non dovrebbe! È grande abbastanza per decidere autonomamente dove e con chi vuole stare... e poi, è più che normale che desideri la tua compagnia, Castiel.»

L'angelo digitò tutto ciò che Dean gli aveva detto per rassicurare la ragazza, ed aspettò una risposta, aggiungendo: “Basta che ti ricordi che non ci saranno più mostri da cacciare. Come va il tuo lato investigativo?"

Da Claire:

“Non esagerare con le battute. E vedo demoni ovunque, quindi molto bene.”

A Castiel scappò una risatina, con un cenno di tristezza nel leggerlo.

Da Claire:

"Ci vediamo presto."

Man mano, Castiel faceva leggere ogni messaggio ai fratelli e loro gli davano utili consigli, così chiese: «Vi dispiace darmi una mano a cercare un’altra casa, dopo il vostro trasloco?»

«Affatto, ci farebbe piacere.» rispose subito Sam, con un sorriso che mise in evidenza le fossette,

«Vero, Dean?» aggiunse, sbirciando il fratello con la coda dell'occhio.

Dean era molto occupato a pescare la giusta patatina dal mazzo: «Certo, certo.» rispose distrattamente.

In quel momento, il campanello della porta del locale tintinnò e Sam ne fu distratto. Si voltò e vide Eileen fare la sua comparsa, la quale gli sorrise, salutandolo con un cenno della mano.

Sam, con un sorriso smagliante, disse loro: «Intanto… scusatemi un attimo.»

Dean si girò per capire il motivo di quella reazione e la vide mentre si sedeva ad un tavolo per due. Tornò su Castiel quasi infastidito, cercando di trattenersi dal ruotare gli occhi: «Andiamo a finire, così ci mettiamo a lavoro, allora.»

Castiel, dopo aver osservato la scena, lo vide stranito. Restò in silenzio mentre Dean finiva di bere la sua birra.

«Tutto bene?» gli chiese il moro.

«Sì, perché?» si affrettò a rispondere Dean.

Castiel scosse la testa ed alzò la mano per chiedere il conto.

Dean passò accanto al loro tavolo: «Sam, noi andiamo a finire di sistemare.»

Sam si distrasse per mezzo secondo, incontrando il viso rigido del fratello. «Okay, vi raggiungo.»

Dean osservò entrambi, imbarazzato.

Eileen indossava un vestitino bianco semplice che le stava da favola e i capelli legati in uno chignon un po' disordinato.

«O-okay. A dopo» fece, annuendo.

Cas passò dopo il cacciatore, occhieggiandoli timidamente. Esitò per qualche secondo, la mano sullo schienale di Sam. «Divertitevi.» disse loro con gentilezza nel tono e seguì Dean fuori dal locale.

Tornarono a piedi in silenzio, Dean guardava a terra il marciapiede e Castiel intorno a loro, iniziando a riconoscere vie e persone.

Una volta a casa, il biondo aprì gli scatolini in soggiorno e prese gli ultimi utensili da cucina, stoviglie, tovaglie e soprammobili.

Castiel si mise a cercare qualche annuncio con il computer di Sam.

«Che dici di questa?» gli disse, ad un certo punto, indicando lo schermo col mento. «A due chilometri da qui. Due camere, ma un bagno... uhm e costa anche parecchio, senza il giardino. Strano.»

Dean gli fece segno di cliccare su un'altra, a bocca piena.

Cas obbedì. «Ancora mangi?»

«È solo una mela.»

 «Quest'altra è vicina alle elementari. Tre camere e due bagni, giardino e... addirittura una sala hobby.»

Castiel si girò verso di lui, ma Dean era intento a mettere sotto sopra il lavello dei saponi.

«Dean?»

Non rispose.

«Dean!»

Il biondo sbatté la testa sotto il lavello, imprecando.

«Cas, cosa diavolo c'è?!»

«Ti sto chiedendo una mano. E non imprecare!»

Dean emise un lamento, toccandosi il capo. «Una vale l'altra...»

«Non è vero.» rispose Cas, con un sospiro.

L'altro roteò gli occhi. «È più bravo Sam in questo. Aspetta lui.»

«Ti sei offerto anche tu.»

Il biondo si passò una mano sul viso. «Va bene.» Si sedette accanto a lui dopo aver preso una birra e del ghiaccio per la testa.

«Forse questa. E’ a sole due case di distanza, mi sa che possiamo vederla dalla finestra.»

«Sembra carina...» commentò Dean.

«Due stanze e due bagni, giardino e piscina interna. Claire potrebbe divertirsi.»

Dean accennò finalmente un sorriso. «Ti stai veramente impegnando, eh?»

Cas si voltò: «Non dovrei?»

«Perché te lo domandi sempre?»

«Non lo so...»

Dean esitò. «Sai che non devi farlo per forza, te l'ho già detto. Quello che è passato è passato, ormai...»

Castiel fece scorrere le mani dal mouse al tavolo, ormai incerto di quella scelta.

Le mani di Dean sfiorarono delicatamente la spalla di Cas, che lo guardò, concentrandosi sulle sue lentiggini e poi sul verde smeraldo dei suoi occhi.

«Non devi prenderla così, devi solo capire se è ciò che vuoi veramente.»

Cas abbassò lo sguardo, nascondendo le labbra in una linea bianca.

«Pensa a lei. Claire dovrà vivere con la figura del padre, ma lui... tu, non sei Jimmy.»

Le mani del moro si strinsero appena in due pugni. «Io... lo so. So che è dura vedere la faccia di Jimmy e sapere che in realtà non sono lui.» Alzò nuovamente il capo. «Ma io... io voglio fare di tutto affinché Claire si senta a suo agio.»

Dean notò che il suo angelo aveva gli occhi lucidi, accadeva piuttosto spesso, la loro vicinanza lo aveva fatto diventare molto sensibile. Il cacciatore strinse la presa sul braccio.

«Non riesco a togliermi dalla testa la sua rabbia la prima volta che ci siamo rivisti... dopo tanti anni, dopo tutte quelle peripezie.» mormorò Cas, il senso di colpa gravava sulla sua voce e la appesantiva di troppo. «Non meritava tutto quel dolore, io non avrei-»

Ma Dean non lo fece parlare, sollevando due dita. «Ssshhh... » fece. « non sentirti in colpa. Era inevitabile, Cas.»

L'angelo sospirò, scuotendo la testa e strofinandosi gli occhi. «Lo so che... era inevitabile. Lo so che era tutto più o meno necessario, ma resta il fatto che lei ha sofferto. E io le voglio bene, davvero. E voglio renderla felice.»

Dean lo fissò, le labbra leggermente schiuse.

Lo abbracciò all'improvviso, lasciandolo sorpreso. Il profumo del cacciatore invase le sue narici, un po' aspro, ma rassicurante.

«E secondo me farai un ottimo lavoro, piumetta. Te lo assicuro.» sussurrò, dopo un po' di silenzio.

Castiel sorrise per la prima volta e rispose alla stretta.

«E…sei pronto a mimetizzarti tra noi umani?» gli domandò, nell’intento di farlo sorridere.

Castiel lo fissò e le labbra si incurvarono all’insù. «Lo faccio da un bel po’.»

 

*

 

Dopo una piccola pausa, ripresero a chiacchierare e a fare ricerche. Cas studiava l'espressione del biondo. Sembrava pensieroso.

«Hai paura di qualcosa, Dean?»

«Di cosa?» domandò Dean, intento ad affilare il pugnale di Ruby, non riusciva a stare fermo.

«Sei strano da quando Chuck ci ha fatto visita. So che questa piega non è stata la tua preferita, ma non avresti potuto continuare a cacciare.»

«E perché mai non avrei potuto?» alzò il tono della voce.

«Quanta altra sofferenza volevi? Quanto avresti dovuto far lottare il tuo fisico, ancora?»

«Sto alla grande.»

Castiel sospirò. «John e Mary non avrebbero mai-»

«Non provarci. Non nominarli.» disse Dean, duro.

«Ci erano riusciti...»

«Si, e guarda dove sono arrivati.»

«Ora c’è chi controlla. E’ grazie a te e Sam, se siamo potuti arrivare fin qui. Accetta ciò che ti viene dato, per la miseria.» Cas si girò e tornò a consultare il computer.

Dean si fermò, poggiando la lama a terra e tamburellò le dita sul divano. «Lo so, Cas. Me lo ricordo, okay? Cosa mi dissi al nostro primo incontro. Ma mi è ancora difficile crederci. Non ho paura… sono terrorizzato.»

«Parla con me.» Castiel toccò la sedia accanto a lui, facendogli segno di tornare lì.

Dean fu riluttante, ma cedette.

«Mio padre l’ha vissuta al contrario, ed è l’unica versione che io ricordi bene. Mia madre solo con i viaggi nel passato. Ho sempre conosciuto la caccia, come i soldati che tornano dalla guerra. Mi sento impazzire.»

«Devi solo permetterci di farti stare bene.» mormorò l'angelo.

Dean finalmente lo guardò e Castiel gli sorrise, con quegli occhi che riuscivano sempre a scavarlo dentro. Si sentiva bene perché lo conoscevano. Nonostante fossero due esseri così diversi, si sentiva capito e al sicuro nel parlarci, nel confidarsi con lui.

«L’ho notato, sai?» L’angelo interruppe la linea dei suoi pensieri e lo fece tornare sulla terra.

«Cosa?»

«Ti da fastidio che Sam sia così in sintonia con Eileen.»

Dean assunse un'aria imbarazzata.

«No, lei è in gamba. Abbiamo lavorato insieme.»

«Ed io, che cerco qualcosa per allontanarmi.»

Dean alzò le sopracciglia, con espressione interrogativa.

«Ti stiamo scombinando i piani, più di quanto non siano già cambiati.»

«Posso vivere da solo, sono adulto.»

«Anche ad una lontananza di tutti i giorni, senza niente da fare, per ora?»

«Ti sei specializzato in psicologia?»

«No, ti conosco.» gli fece un occhiolino, per poi girarsi e segnare il numero sul cellulare dalle info dell’abitazione.

 

*

 

«Ho un appuntamento per domani.» Lo informò Castiel, tornato dalla telefonata, Dean era piazzato sul divano a vedere una partita di football.

«Grandioso.» gli rispose, senza guardarlo, concentrato sul televisore. «No! Non così, dai!» gli urlò infatti contro, mentre Castiel si avviava in camera sua, tutti quegli avvenimenti avevano stancato anche lui.

Passando per il corridoio, si fermò un attimo, i suoi piedi fecero due passi indietro lentamente. Aspettò ascoltando i suoni dal piano di sotto, Dean non si sarebbe mosso.

Posò una mano sulla maniglia della stanza ed entrò nel mondo dell’amico.

Era arredata molto simile a quella nel bunker, tranne per la finestra al centro della grande parete sul lato opposto. Carta da parati beige, plafoniera con greche color crema e un tappeto verde scuro sul parquet.

Sentì odore di muschio e notò le boccette di profumo, deodorante e dopobarba sulla cassettiera con uno specchio incorporato.

Il diario di John catturò la sua attenzione sulla scrivania, era chiuso e un po’ gonfio, quindi sollevò la copertina e vide le sue vecchie foto di famiglia.

Si strofinò il viso con le mani ed uscì dalla stanza, andando nella sua, chiudendosi la porta alle spalle.

Pensò ad un modo per farlo tirare su di morale, Sam stava tardando e Dean era già alla terza bottiglia di birra. Lui sarebbe andato a vivere da un’altra parte, Sam sicuramente si sarebbe voluto impegnare  seriamente e…doveva assolutamente aprire gli occhi sulle possibilità a quella zucca vuota.

Troppo preso da quei pensieri, solo alla fine notò la massima semplicità, o forse troppa, della sua di camera.

Le uniche cose che gli appartenevano, trench e cravatta stavano sulla sedia; il borsone con dentifricio e deodorante, ancora non sistemati, a terra ai piedi del letto e gli indumenti invernali prestati che aveva addosso.

Non sprigionava niente di sé.

 

*

 

«Sono tornato!» disse Sam, chiudendosi la porta alle spalle, mettendo le chiavi nel piatto.

Filò in bagno.

«Buonasera, eh.» Dean spense la tv e si alzò, aspettandolo accanto alla tavola.

«Si, scusatemi.»

«Come è andata?»

«Tutto bene. Ci è piaciuto molto rivederci e…stasera andiamo a cena»

Dean strabuzzò gli occhi. «Di già?»

«Beh ci conoscevamo, è un modo per non sprecare più il tempo.»

Dean annuì e si schiarì la gola, poi gesticolò nervoso «Cas ha trovato la casa.»

«Davvero? Fantastico. È lontana?»

«No, in questo viale.»

«Così, per qualsiasi cosa, saremo sempre reperibili.» disse Castiel dalle scale.

«Ottima idea.» affermò Sam.

«Usciamo anche noi stasera, no?» Propose l’angelo.

«No. Se tu vuoi, puoi andare. Io sono stanco.»

«Dai Dean, cerchiamo qualcosa di divertente, ti lascerò mangiare schifezze.»

«Ha ragione, divertitevi un po’. La prossima volta vi invito, così andiamo a conoscere altre persone!»

«Vi entusiasma questo posto.»

«Molto e dovresti vederci il positivo anche tu.» gli disse premuroso il fratello.

«Va bene, usciamo. Ma solo per non sentirvi.»

Castiel e Sam risero, poi il minore andò al piano superiore per cambiarsi.

«Vediamo dove possiamo andare…» Dean consultò il computer digitando “locali”.

«No, Dean. Alzati, faccio io.» intervenne l'angelo.

Il cacciatore lo guardò divertito. « Ah, credi di avere un gusto migliore?»

«Scommetti?» gli lanciò uno sguardo eloquente e ticchettò sulla tastiera. «Mm, questa è un’idea.»

«Cosa?» Si sporse con la testa per guardare sullo schermo, ma Castiel lo abbassò chiudendolo «Sorpresa.

Preparati e usciamo, dobbiamo fare qualche chilometro.»

Uscirono prendendo l’auto di Castiel e Dean accese la radio, sperando in qualcosa di buono, ma non arrivò, e la spense subito.

«Quindi?»

Cas si voltò «Non siamo neanche partiti.»

«Questo perché sei lento.»

Il moro lo guardò contrariato, quindi premette l’acceleratore, tenendo dritto il freno a mano in retromarcia causando uno sbalzo, che fece imprecare Dean.

«...e la tua permalosità è peggiorata.» aggiunse Dean massaggiandosi il collo.

 

*

 

«Siamo arrivati?»

Castiel buttò gli occhi al cielo.

«Per una volta che chiedo.»

«Terza.»

Dean gli fece il verso. «Ti sei per caso perso? Ti sei perso, dillo.»

«Affatto. Leggi lì.» Castiel gli indicò dei cartelli.

«Nightclub? Per fortuna mi avevi ripreso.»

«Non quello.» commentò contrariato, mentre li superavano.

Mise la freccia e girarono ad un incrocio, iniziarono a vedere altre macchine parcheggiate e delle luci in lontananza. Avvicinandosi misero a fuoco un telo enorme bianco appeso a far da sfondo alle auto e due casette di legno ai lati.

«Cas…»

«Arrivati.» Parcheggiò e restarono lì all’ombra e al silenzio. Castiel le mani in grembo e Dean ancora senza parole.

Un drive in.

«Bel posto, vero?» interruppe il silenzio, Castiel.

Dean si schiarì la gola «Sì.» si mosse a disagio sul posto e guardò fuori «Cosa vediamo?»

«Frankenstein Junior. So che ti piacciono i film in bianco e nero e divertenti.»

Dean annuì.

«Ho fatto male?» gli domandò, dopo il mutismo di Dean.

«No, no.» Si girò sorridendogli, «Siamo al cinema, mancano i popcorn.»

«E’ un’usanza?»

«Ti resta molto da imparare.» Fece per uscire dall’auto, ma Castiel lo bloccò posandogli una mano sulla gamba.

«Vado io, devo imparare, no?»

Scese e andò verso la casetta di legno più vicina, alla loro destra. C’erano tanti diversi prodotti e vide tanti altri diversi tipi di popcorn, ma optò per le semplici, a confezione rossa e bianca. Ne prese due medie per sicurezza - ormai conosceva a perfezione Dean e il quanto adorasse mangiare.

Dopo aver pagato e quasi fatto cadere i contenitori, per togliere di mezzo il portafogli, si diresse al parcheggio, ma le luci si erano abbassate per il film che stava iniziando.

La strada era buia e si riconoscevano solo i colori chiari delle carrozzerie, per fortuna la sua era beige, ma ce n’erano tantissime come la sua.

Provò a passare tra le auto, ma beccò solo rimproveri perché bloccava la visuale e intanto sentiva le battute dei personaggi dietro di lui.

Stava iniziando a preoccuparsi e domandarsi dove fosse finito, quando finalmente la notò due auto più in là, passando dietro alle altre. Senza preoccuparsi di controllare bene chi la occupasse, guardando sullo schermo, bussò allo sportello di Dean, ma tutto ciò che ne ricavò fu l’urlo di una bambina e l’apertura dello sportello del conducente.

«Dannazione.» Disse Cas, mentre si ritraeva per tornare indietro, ma l’uomo lo riprese «Hey, tu! Che diavolo pensavi di fare?»

«Mi perdoni, ho sbagliato macchina.» Si riabbassò all’altezza del finestrino «Scusami.» fece un mezzo sorriso alla bimba.

«Vattene.» continuò a dire il padre della piccola.

Castiel non ci pensò due volte e fece dietro front.

Non sapeva però, che dietro una fila, Dean se la rideva come un matto nel guardarlo, ma almeno era uscito per richiamarlo e vide Castiel sollevato nel vederlo.

Lo raggiunse ed entrò in auto.

«Finalmente, poco fa mi hanno preso per un poco di buono.»

Dean prese i suoi popcorn e ne mangiò subito una manciata. «Lo so. Ho assistito a tutta la scena.»

Castiel si girò per niente divertito e Dean se la rise ancora «Sei stato troppo divertente, giuro.»

L’angelo diede tutta la sua attenzione al film da quel momento, facendo calare un brutto silenzio.

Dean lo guardava con la coda dell’occhio a fasi alterne, dispiacendosi per l’accaduto.

«Cas.»

L’altro non dava segno di cedere.

«Cas, sono cose che succedono a tutti.»

«Avresti potuto fermarmi.»

«Lo so, scusa.» Gli allungò il suo pacchetto per offrirgli i suoi popcorn e Cas lo guardò, confuso, mostrandogli i suoi: «Ce li ho.»

Dean sbuffò allo stremo: «Lo so, te li sto offrendo come gesto per chiederti perdono.»

«Oh. Okay.» e li accettò.

L’atmosfera si alleggerì e fuori, ormai, era notte inoltrata. Per quanto quella situazione era diventata particolarmente intima, non si sentiva a disagio, con Castiel, tutto acquisiva un’impronta normale e familiare.

Il cellulare di Dean squillò, mentre il film stava per finire.

Da Sam:

“Faccio tardi, non aspettarmi in piedi.”

La voglia degli ultimi popcorn svanì e il contenitore fu messo da parte tra i sedili.

«Era Sam?» domandò l’angelo.

«Farà tardi.»

«Mh. Chiedigli dove sono, passiamo a salutarli.»

«Vorranno stare da soli, Cas.»

«Va bene.» Castiel prese il suo telefono. «Glielo chiedo io.»

Da Sam:

“Certo che potete venire a salutare.” e gli mandò l’indirizzo, il quale Castiel passò sul navigatore.

«E’ nella strada per tornare a casa.»

Al ‘The End’ sullo schermo, l’angelo mise in moto ed uscì dal drive in.

Le indicazioni li portarono in una piazza, illuminata da alcuni lampioni, circondata da un muretto al di là del quale la luna illuminava le acque di un lago.

Sam e Eileen erano seduti sul muretto a mangiare una crêpes e della cioccolata calda.

Dean uscì per primo e Castiel lo raggiunse.

«Hey.»

Sam si girò e lo salutò.

«Ciao, Dean.» gli sorrise Eileen. «Cas..tiel?» disse indecisa.

«Sì, è giusto.» mormorò lui, con un sorriso timido.

«Dove siete andati?»

«Cas ha... trovato un drive in.»

«Uh, bell’idea. Da quanto non se ne vedeva uno?» giocò Sam.

«Ne fanno con sottotitoli?» chiese la ragazza.

«Ehm… non lo so, probabile.» rispose Dean, in imbarazzo.

Stava per cadere un piccolo silenzio, Dean si massaggiò la nuca e fece un passo verso Castiel: «Ti va una cioccolata?»

L'angelo lo guardò, sorpreso. «Sì, perché no?»

Il cacciatore prese il portafogli e si allontanò, sorridendo fra sé e sé.

«Ragazzi, perché non andiamo a fare qualche giochetto lì?» intervenne Sam, indicando le luci colorate in fondo alla piazza.

C'era una piccola fiera con varie tende bianche a strisce blu e rosse, giostre dove alcuni ragazzi stavano giocando, ridendo e rincorrendosi ed altri stand per cibi sia dolci, che salati.

Dean notò le autoscontro da lontano, sentendo riaffiorare in sé i ricordi di quando era molto piccolo e John Winchester gliele aveva fatte provare per la primissima volta, in braccio a lui.

Era stato meraviglioso, la mamma li aveva ripresi con la telecamera. Quando gli aveva mostrato il filmato a casa, a Dean era piaciuto un mondo e si era sentito un vero pilota.

Si fece malinconico e fissò lungamente le automobiline coi bimbi che le guidavano sbattendo gli uni contro gli altri e strillando, prima che Castiel potesse risvegliarlo da quel turbine di pensieri con una leggera pacca sulla spalla.

Il cacciatore si riscosse, girandosi.

«Dean, andiamo?» L’angelo era l'unico rimasto ad aspettarlo lì, gli occhi blu resi lucidi dall’aria fredda e dalle luci colorate dei giochi; Sam ed Eileen si erano già allontanati verso alcune attrazioni.

«S-sì... certo. Andiamo.» mormorò Dean annuendo. Mosse dei passi frettolosi e gli fece cenno di seguirlo.

Il profumo di zucchero filato e mele caramellate invadeva l'aria festosa della fiera notturna. Alcune bambine cercavano di convincere le mamme ed i papà ad acquistare delle piccole Barbie bionde; altri ragazzini, sui dodici anni correvano verso le lattine da buttare giù, cercando di vincere qualche pupazzo.

«Proviamo quello.» esclamò Sam con un sorriso luminosissimo, da bambino non gli era mai capitato di andare in quei posti, cinse Eileen delicatamente per un fianco, era felice.

Dean e Cas si consultarono con uno sguardo. «Sembra quasi... un ragazzino giocherellone.» commentò il primo, con voce ironica.

«Tu eri già stato ad un parco giochi, da piccolo?»

«Sì.» confermò tristemente al ricordo del fratellino piccolo tra le sue braccia, mentre scappava dalla casa in fiamme.

Castiel sorrise. «Adesso è con qualcuno. Tutti siamo in compagnia.» disse, allontanandosi lentamente nella direzione di uno stand, l’unico con poche persone ad osservare.

Dean restò al suo posto, ponderando quella frase, osservando il luogo dove erano finiti e il marciapiede con piccole pozze d’acqua illuminate da luci colorate.

Lo raggiunse e vide Sam con Eileen accanto a lui, si stavano sfidando nel tirare delle palline verdi in bocce piene d’acqua, che intanto giravano, per prendere dei pesciolini rossi.

Sam ne vinse due e glieli regalò, lasciandoli in auto.

Provarono altri vari giochi assieme, tra cui anche il tiro a bersaglio; Eileen, ovviamente, faceva il tifo per Sam, e Cas per Dean, mentre i due fratelli si sfidavano in tutti i modi possibili e immaginabili.

«Comunque, io ho una mira molto migliore della sua.» si vantò il maggiore, dopo aver battuto Sam con ben otto punti in più.

Suo fratello scosse la testa, imbarazzato e sussurrò in maniera che la ragazza non vedesse le sue labbra: «Non eviti di farmi fare brutta figura, eh, Dean?»

«Non guardare me, fratellino.» rispose Dean giocoso, ma poi guardò l’espressione di Sam e capì di doversi fare da parte e per fortuna Cas era sempre lì accanto evitando di fargli fare figure sempre peggiori.

Così deglutì e si voltò a guardare cosa stesse facendo l’amico, l'angelo non aveva distolto gli occhi da lui nemmeno per un momento.

«Signore, ecco la sua vincita.» Il tizio del tiro a bersaglio lo distrasse, consegnandogli un enorme e buffissimo peluche a forma di viso di Hello Kitty, viola e blu. Tutti ne risero a crepapelle, tranne Castiel, che lo guardava con la testa leggermente abbassata, tra il curioso ed il confuso.

Dean rimase con la bocca schiusa a fissare il pupazzo, sbuffando divertito. «Caspita... grazie mille.» disse scherzosamente, annuendo in direzione dell'uomo che gli fece l'occhiolino.

Il cacciatore fece dietrofront in un secondo, tornando all'angelo che stava immobile lì dove era.

Dean si avvicinò a lui, esitando, e gli porse il regalino con un sorrisetto che gli increspava le labbra.

Castiel ridusse gli occhi a fessura, fissando lui, poi il peluche, poi di nuovo Dean, ancora confuso. «Cosa?»

«È per te, scemo.»

Il cuore del moro perse un battito e gli occhi si spalancarono. Sbirciò Sam ed Eileen, che sorrisero, quasi inteneriti. Gli occhi di Castiel tornarono a quelli verdi di Dean. «Ma...l'hai vinto tu, e poi perché-»

«Intanto di solito si regalano, è un gesto che si fa. Ed anche per ricambiarti... della serata divertente.» disse l'altro.

Castiel respirò piano, mentre Dean gli passava il peluche. «Tienilo tu, Cas. So che… so che ti piacciono i gatti.»

 

*

 

Sam accompagnò Eileen, mentre Dean e Cas tornarono a casa.

Lei lo fece entrare tenendolo per mano, senza far rumore dato che Mildred stava dormendo.

Si sistemarono in cucina dove la ragazza gli preparò una tisana, e ne approfittò per chiedergli una cosa.

«Ma...Sam» fece, ad un certo punto, mettendo un po' di ansia al cacciatore.

«Dimmi… tutto quello che vuoi.» rispose Sam, genuinamente.

«Non vorrei sembrare indiscreta... magari non sono affari miei, quindi sei libero di non rispondermi.»

«Avanti, spara, ti prego.» continuò lui, curioso.

Eileen scoppiò a ridere, la mano candida sul viso. «Okay, dai. Quei... quei due, per caso.» esitò, «stanno assieme?»

«C-chi?» domandò, alzando un sopracciglio.

Lei ruotò gli occhi. «Oooh, andiamo! Non fare il finto tonto... Dean e Castiel. Non avrei nessun problema al riguardo. È solo una curiosità. Sono così carini e...»

Ma Sam la interruppe, ridacchiando. «No, no...» Si posò una mano sulla fronte, scuotendo la testa. «Non stanno insieme... Dean è sempre uscito con molte donne, da quando ero un bambino. Cas, ha avuto qualche strana avventura, ma non lo so.»

«Mm.» emise Eileen, alzandosi per andare a togliere l’acqua calda dal fuoco e versarla nelle tazze con il filtro. Ne passò una a Sam «Secondo me, c’è qualcosa sotto e siete troppi uomini per poterlo capire.» E si mise a scuotere il capo in maniera comica, facendo sghignazzare Sam.

«Se hai ragione, lo noteremo. Passeranno molto tempo insieme, qui, senza dover rincorrere qualcuno ormai.» Le sorrise, avvicinò la sua sedia a quella di lei e la abbracciò dolcemente.

«Ci stai forse provando con me, Sam Winchester?» lo minacciò amichevolmente, squadrandolo da sopra la tazza, dalla quale stava bevendo.

Sam le sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, Eileen posò la tisana sul tavolo continuando a sorridergli furba. Fino a quando si protese verso di lei e dopo aver aspettato il suo cenno di assenso, la baciò delicatamente.

Eileen prese il suo volto tra le mani e lo approfondì.

Mentre erano ad occhi chiusi, Sam sentì dei passi al piano di sopra e si staccò, a malavoglia. Eileen lo guardò e lui le fece segno indicando le scale.

Lei rise «Ti prendo la giacca.» e lo accompagnò verso l’uscita.

«Meglio andare, non voglio sentirla spettegolare.»

«E’ simpatica, lo siete entrambe.»

«Non è che in realtà ti piace lei?»

«Chiedilo a Dean, forse è interessato.»

Sam esitò sulla porta. «Allora….buonanotte, socia.»

Eileen lo osservò dubbiosa.

«Dovrò iniziare a chiamarti così se lo gestiremo insieme.»

«Mi stai chiedendo di…?» domandò sorpresa.

«Sì. Mi piaci. Non voglio perdere tempo prezioso a domandarmi se faccio bene o male.»

«Buonanotte, proprietario.» rispose, lasciandogli un bacio tra la guancia e le labbra.

 

*

 

Mettendosi il cappello raggiunse l’Impala, che era riuscito a farsi dare dal fratello.

Non si pentiva di averla baciata, lo faceva stare così bene. Era spontanea, divertente, gentile, grandiosa come cacciatrice, quindi poteva capirlo e ai suoi occhi era bellissima. Sembrava fatta appositamente per lui e più passava del tempo in sua compagnia, più se ne rendeva conto.

Si allontanò da casa sua con un sorriso stampato in viso, sentendosi talmente sereno da sospettare che tutto quello che stava accadendo fosse soltanto un sogno - o magari il segno che la vita abbandonata molto tempo prima potesse divenire finalmente realtà.

 

 

 

Angolo di Sarandom:

 

Qui c’è molto del mio zampino. Non mi danno Claire e Castiel nella stessa puntata? BENE, faccio da sola.

“Ladies Drink Free” ci ha illuminate, dopo Claire che “scappa” per cacciare e chiama Jody per dirle cosa è accaduto, abbiamo pensato di essere riuscite in quello che speravamo. Non che si allontanasse per forza da Jody e Alex, sono la sua nuova famiglia e questo è importante, ma Claire è uno spirito libero.

Anche in questo racconto, all’inizio starà con loro, ma poi pian piano si allontanerà. Anche per quanto possa sembrare creepy il legame Castiel/Claire, verrà esplorato.

Sam e Eileen…sì ;) (Tra non molto capirete cosa intendeva Sam.)

Warning: Castiel verrà reso socially awkward, ma anche abbastanza mimetizzato tra gli umani.

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Capitolo 3
*** D ***


                                                           Image and video hosting by TinyPic

D.

 

La nuova casa di Castiel e Claire sembrava uscita da un libro di fiabe.

Il verde del giardino rigoglioso la circondava in parte, metteva in risalto il colore marroncino chiaro delle mura e il grigio perla scuro del grande tetto.

Le finestre e l'entrata erano decorate con delle pietre di diverse tonalità  e le lampade ai lati della porta principale le conferivano un'aria piacevolmente antica.

Cas la adorava. Guardava con meraviglia negli occhi ogni piccolo dettaglio della sua nuova abitazione, come se avesse voluto studiarne i lineamenti per disegnarla.

«Cas, passami la tua scatola con i vestiti. Quella la porto io, è più leggera... » Gli disse Claire con fare entusiasta, chiamando l'angelo dal marciapiede.

Castiel prese in grembo un'altra borsa piena di oggetti personali e le passò lo scatolone. Claire gli sorrise, portandosi i capelli biondissimi dietro l'orecchio e portò la scatola su per le scale della casa, fino al piano di sopra.

«Dopo ti potrei... preparare dei pancake, magari... per premio.» disse Cas, ridacchiando e sistemandosi la camicia.

Claire lo fissò stranita, un sopracciglio alzato, poi si sciolse in una risata e, continuando per la sua strada, gli disse: «Con abbondante succo d’acero. Dobbiamo andare a fare la spesa.» 

‘Se mi sentisse Jody' pensò la ragazza fra sé e sé. A casa della donna non era mai stata molto ordinata o collaborativa con le faccende e una frase del genere, detta da lei, avrebbe suscitato un mucchio di prese in giro da parte di Alex.

Scese le scale per prendere lo scatolone di Cas, portandolo nella sua stanza e svuotandolo sul letto.

 

«Hey, hey, qualcuno ha nominato i pancake di Cas?» intervenne Dean, materializzandosi dietro l’angelo.

Il moro si girò sorpreso, squadrando il cacciatore. Notò che il colletto della sua giacca era più alto del solito e le sue lentiggini più evidenti al sole.

«Dean? Che ci fai qui? Non stavi facendo una doccia?»

«Sono veloce. E vi aiuto a sistemare, così guadagno anche pancake, ora che ci sei.» rispose il cacciatore con naturalezza.

Cas assottigliò lo sguardo e Dean rise di gusto.

«Pensi sempre a mangiare... » lo rimproverò blandamente Claire una volta scesa, superandolo. «Ho aperto la tua roba, praticamente non hai altro, se non il trench, la cravatta e un paio di jeans. Oltre ciò che indossi.» commentò entrando in cucina e prendendo dei bicchieri di plastica e una bottiglia d’acqua, offrendola anche a loro.

Castiel si guardò, passando in rassegna i pantaloni blu scuro rovinati, la solita camicia e la felpa bordeaux con la chiusura lampo bianca.

«Non pensi di dover fare un po' di shopping ?»

Castiel scrutò la lunga chioma color grano mentre gli versava dell’acqua. «Quando avrò un lavoro e potrò permettermi di comprarli.»

 «…e quando avrai un minimo di buon gusto.» aggiunse Dean, le labbra piegate per impedirsi di ridere.

Cas inclinò la testa «Vieni a sceglierli tu.» lo canzonò.

Dean vagò lo sguardo «Perché no-» provò a dire, ma fu interrotto da Claire: «No, per carità. Non hai bisogno di camicie in plaid.»

«Cosa hai contro il plaid?» le domandò un Dean ferito nel profondo.

«Vecchia scuola. Per Cas ho altro in mente.»

Dean la indicò, guardando Castiel «Vedi? Anche lei vuole plasmarti.»

«Lei ha più gusto.»

«Questo è un cliché, solo perché è una donna.»

Claire lo guardò storto. «Tu sei un cliché.»

Dean si grattò la testa, poi lasciò la mano sul fianco «Dovete portare dentro altro?»

Castiel mosse la testa negando.

«Devo solo aspettare la lettera dall’Università.» rispose Claire a braccia incrociate, facendo spallucce.

«Non abbiamo niente da fare. Andiamo al centro commerciale.» sentenziò Dean.

«Questa gliel’appoggio.» disse Claire, già accanto alla porta.

*

Dopo una mezz’ora, parcheggiarono al chiuso ed usciti dall’ascensore, si ritrovarono in un luogo enorme. Tanti negozi, ognuno con la propria musica. Stand colorati di dolciumi e di pubblicità.

Restarono un attimo a guardarsi intorno per capire dove andare, poi Claire occhieggiò una mappa di quel piano e divise i compiti.

«Tu.» riferendosi a Dean «Qui.» Puntò il dito. «Ricordati di comprare cose normali e non solo patatine, ma anche marmellata, cioccolato e farina, ho voglia di torta e cupcake.»

«Noi, qui.» Cas si sporse per leggere il nome del negozio “J.Crew”.

«Andiamo.» e partì verso la sua destinazione, Dean roteò gli occhi e prese l’altro corridoio per il supermercato.

*

Era così abituato ai minimarket che entrare in quel posto lo spiazzò.

Scaffali alti fino al soffitto e migliaia di prodotti con milioni di colori stampati sopra.

Prese un carrello e si avventurò nelle varie zone; per prima cosa cercò le birre, ne era a corto ormai.

Tedesca? Cinese? Italiana? Danese? Come, diavolo, avrebbe dovuto scegliere?

Ne prese due scatole a caso da dodici e, leggendo i cartelli, andò a cercare le confetture.

Senza glutine? Senza zuccheri? Biologica? Perché doveva essere tutto così complicato?

Scelse di nuovo a caso, guardando solo il gusto, optando per mele, frutti di bosco e arancia.

Ora avrebbe dovuto mettere nel carrello qualcosa di più salutare, della frutta.

Era raro che andasse a cercare cose del genere. Ci mise un po' a trovare il reparto nel grande magazzino

labirintico, ma alla fine vide lo stand con un’ enorme banana animata di cartone che salutava, e sbuffò una

risatina.

*

Intanto Claire era già entrata da J.Crew, con un Castiel, ora poco convinto, dietro.

L’interno nel negozio era completamente in legno chiaro con molti scaffali ed isolette, Castiel notò la bellezza dei vestiti sui manichini e si fece più coraggio.

«Ora aspettami lì ai camerini, io ti prendo qualcosa da provare.» Claire lo trascinò su una poltroncina nera, dove l'angelo aspettò con le mani sulle gambe, guardandosi intorno.

«Posso aiutare?» chiese una voce dietro di lui.

Castiel si girò, notando un commesso in cardigan blu e jeans beige.

«Sto… sto aspettando.»

«Me.» disse Claire tornando, coperta da molti indumenti, che posò sulla poltrona accanto a quella dell’angelo.

«Vedi di far valere i miei sforzi. Muoviti.» Gli indicò un camerino con il braccio, allungandogliene alcuni.

Cas guardò il commesso, che gli fece segno di darle retta. L'angelo si chiuse nella piccola stanzetta ed iniziò a spogliarsi.

**

Claire si accomodò ed aspettò, con il tizio ancora accanto, non c’era nessuno oltre loro in quel momento.

«E’ suo padre?»

Claire non si girò, rispose e basta: «Qualcosa del genere.»

«Oh, capisco.»

Lo fulminò con lo sguardo. «No. Veramente, no.»

Per fortuna, Castiel uscì e il commesso poté evitare di continuare con la sua figuraccia.

«Allora?» L'angelo allargò le braccia per farsi esaminare.

La prima prova furono un paio di pantaloni bianchi, camicia celeste e cardigan blu.

Si sentì un fischio da parte del commesso e Claire si grattò i capelli con gli occhi al cielo. «Non ha altro da fare?»

«Oh, scusate.» Fece un occhiolino a Castiel e raggiunse la cassa.

«Ti stanno bene.» sventolò una mano. «Il prossimo.»

Nell’attesa, Claire prese a sfogliare una rivista di moda, ma poi fu distratta dal suo arrivo e si pietrificò per un momento dopo aver sollevato gli occhi: la ragazza aveva scelto per lui un altro paio di jeans - questa volta normali - e un maglioncino grigio con delle linee nere orizzontali che partivano dal petto.

Visse un dejavù che la colpì in pieno e restò a guardarlo da capo e piedi a disagio.

«Non va bene?» domandò Cas, gli occhi ansiosi.

Claire iniziò a capire veramente la difficoltà nel dover vivere lì. Dopo averlo visto la prima volta, ricordava solo la visione e la sensazione che aveva avuto da piccola.

Castiel non era più quell’angelo quadrato, senza emozioni e con solo la sua missione come punto di riferimento. Lo aveva anche capito aiutandola a fuggire dalla casa famiglia, ma niente di lei sentiva l’attaccamento, anche solo a quel “corpo”. Solo dopo aver dovuto lasciare sua madre, aveva capito di non essere veramente rimasta sola, dopotutto.

Castiel ci stava veramente provando, come per l’attaccamento per i Winchester, poteva dargli una possibilità.

Quell’outfit le aveva ricordato della prima volta in cui aveva giocato a golf. Jimmy aveva portato la famiglia in un Resort per il suo ottavo compleanno.

«Claire?»

La ragazza si riscosse «Si?»

«Tutto bene? Posso fare da solo.»

«No, non puoi. Prossimo.»

*

Dean, arrivato alle insalate da almeno dieci minuti, stava ancora cercando cosa prendere in base a cosa trovare nella busta.

«Assurdo.» Spinse il carrello per cercare di continuare il giro e trovare le cose giuste, senza perdersi in altro e raggiungere quei due.

«Sushi, mmh.» si fermò ai frigoriferi, davanti alla casina a vetri trasparenti dove due persone preparavano le vaschette pronte per la vendita.

Ne prese alcune, stando attento al prezzo e passò all’area pane, dove prese un filone e dei panini.

Un’occhiata veloce al carrello, con diversi tipi di carne, pesce fresco e frutta, gli lasciò spazio per poter aggiungere gelato alla crema, cioccolato e pistacchio, patatine di due tipi e fu pronto per la cassa.

Uscì di lì con quattro buste bianche piene e riuscì a raggiungerli al negozio.

«Claire!» la chiamò da fuori, mentre era intenta a sistemare il maglione di Cas sopra la camicia a quadri bianchi e blu.

Dean restò a fissarlo, schiudendo la bocca mentre continuava a chiamarla, quando poi Castiel si girò. «Claire…»

Doveva ammetterlo, i vestiti normali gli donavano di più, soprattutto non nascondevano il fisico. Il trench lo rendeva anche più basso.

Lo ricordava nella visione apocalittica del futuro o come quando pensava di essere Emmanuel, ma entrambi erano diverse realtà dell’amico e non lui vero e proprio. Giusto Steve, ma non voleva assolutamente ripensare a quel periodo.

Quello che ora si trovava davanti a lui, era un Castiel più umano del solito.

«I-io vado a mettere queste in macchina, vi aspetto.»

«Sì, abbiamo quasi finito.» gli rispose Claire e lui si diresse al garage.

Tornando indietro e prendendo l’ascensore iniziò a sentire una strana sensazione allo stomaco. Non ricordava di averla mai avuta e pregò di riuscire ad arrivare in tempo all’Impala per aprire una confezione di patatine, ma dopo aver caricato le buste della spesa, si accorse di non avere realmente fame, neanche sete, adocchiando le birre. Chiuse il bagagliaio e salì al suo posto, allacciandosi la cintura.

Si passò una mano sul petto, sperando non gli stesse per venire un infarto, che diavolo gli stava succedendo?

Poco dopo qualcuno bussò al finestrino e voltandosi vide Castiel, che passava a Claire le altre buste da mettere dietro con lei.

«Parti, mi è venuta fame.» Gli disse Claire, sedendosi al centro, quasi sdraiata sul posto.

Dean fece un piccolo sorriso, ancora non capiva cosa gli era preso poco prima e accese la radio con il volume abbastanza basso per i suoi standard, al che, Castiel si girò, mentre partirono. «Tutto bene?»

«Sì, certo.»

Ma Castiel alzò un sopracciglio poco convinto.

*

Tornati a casa, sistemarono la spesa, Castiel salì in camera per appendere i suoi vestiti ed anche il suo nuovo trench, più alla moda.

Quando tornò in cucina, restò sulla porta ad osservare Dean e Claire interagire per cercare di preparare la torta al cioccolato .

«Cas, metti l’acqua sul fuoco per la pasta, ci sono anche Sam e Eileen a pranzo.» Gli comunicò Claire, mentre faceva sciogliere una tavoletta di cioccolato a bagnomaria.

Il moro prese la pentola, la riempì fino a poco più della metà e la mise sul fornello, girò la manopola ed attese.

Il fuoco non si accendeva, così riprovò, però di nuovo nessuna fiamma.

Dean sentì puzza di gas e si girò verso i fornelli, vedendo l’angelo in chiara difficoltà. «Cas, vuoi farci saltare in aria?» lo raggiunse mentre si puliva le mani dall’impasto della torta. Lo affiancò, restandogli dietro per fargli capire i passaggi da fare. Mosse le mani dietro le sue, prese l’accendi gas mettendolo vicino al fornello «Ora gira la manopola.»

«Giusto.» rispose Castiel, dopo aver messo l’acqua finalmente a bollire.

Claire se la stava ridendo e gli diede un’altra indicazione «Prepara il condimento, ho lasciato tutto sul lavello.»

Castiel andò accanto al frigo e trovò una scatola di piselli, leggendo le istruzioni, mise sul fuoco anche quelli. Tagliuzzò il prosciutto e i funghi per mescolarli insieme in una padella.

Dean mise in forno l’impasto e prese il pangrattato versandone un po’ su un piatto e Claire preparò le fettine panate, mentre Dean si preoccupava dell’insalata.

Dopo una ventina di minuti squillò il citofono e Castiel andò ad aprire invitando Sam ed Eileen in casa.

«Che profumino.» disse il minore dei fratelli.

«Devo spegnere i funghi.» Si allontanò velocemente e loro lo seguirono.

«Possiamo darvi una mano?» Domandò Eileen con le mani sull’isola di marmo della cucina.

«Potete apparecchiare!» Disse Claire indicandogli la credenza dei piatti e delle posate.

Sam si occupò della tovaglia, dei bicchieri, delle salviette e di tagliare il pane. In un quarto d’ora la tavola faceva la sua bella figura, per la prima volta.

Arrivò il trillo dell’orologio da cucina «Cas, la pasta è pronta, scolala nel lavandino.» Dean gli preparò lo scolapasta e Cas poi la versò nella padella, portandola a tavola.

Si sedettero tutti ed iniziarono a mangiare.

«Non male.» disse sincero Sam a Dean e lui rispose, continuando ad ingozzarsi «Non guardare me, è stato lui.» fece un cenno a Castiel e sorrisero tutti.

«Ah, ragazzi. Ho iniziato a cercare qualcosa da fare ed ho trovato un vecchio locale, ma dall’altra parte, nella zona commerciale.»

«Ha la licenza da bar e Sam mi ha detto che delle vostre amiche ne avevano uno e che…Bobby lo avrebbe adorato.» continuò Eileen.

«Volete aprire un bar?»

«Uno di quelli con la musica, potremmo organizzare eventi, siamo bravi con le persone e le sfide.»

Dean sembrava disinteressato, o meglio infastidito dall’argomento, dato che continuava a fare attenzione solo al suo piatto, facendo anche il bis degli spaghetti.

«Dean?»

«Mh?»

«Che ne dici?» Gli domandò Sam.

«Bella idea.»

«Nient’altro?»

Dean lo guardò, con la forchetta sul piatto. «Quando mi renderai partecipe delle tue scelte, prima di decidere qualcosa, sarebbe carino.» Altro boccone.

«Sto solo cercando di andare avanti con i tempi, tu non lo stai facendo.»

Dean lo guardò, masticando, poi guardò dietro di lui con fare assente «Può essere.»

«Non fate così, qualcosa si troverà.» intervenne Castiel, che non sopportava vederli discutere.

«Come io farò con Castiel.» disse Claire.

«Che intendi?» le domandò l’angelo perplesso.

«Sorpresa.»

«Ah, ho sentito che nella zona cercano un tuttofare.» continuò la ragazza dando una spallata amichevole a Dean.

Il biondo alzò un sopracciglio «Vedi? Anche io ho trovato.» Rispose, riferito al fratello.

Sam sospirò, Eileen storse il naso «Sento puzza di…bruciato?»

«Potrebbe essere.» Rise Dean, ma Claire spalancò gli occhi «Dean, la torta!» Si alzarono immediatamente tutti e due. Aprendo il forno, ne uscì del vapore, ma la torta era abbastanza salva.

La misero su un’alzatina, dove Claire la ricoprì con la glassa al cioccolato e la ripose nel frigo.

Tornando a tavola, portarono il secondo e il contorno.

«Che lavoro di squadra.» si complimentò Eileen, verso Sam, che alla fine rise «Dean, scusa, okay? E poi ti ci vedo come barista.»

«Potrei tirare su di morale molti cuori infranti.»

«Giusto, pensa al tuo caro San Valentino.» confermò Sam.

«San Valentino?» domandò Castiel.

«Dean adora quella festa per tutte le ragazze che rimorchia in una sola serata.»

Sam bevve dell’acqua guardando Eileen con la coda dell’occhio, la quale li osservò e rispose allo sguardo del minore dei Winchester.

 

Sam sparecchiò  la tavola, Claire asciugò i piatti, mentre Castiel li lavava e Dean sistemava.

«Ah, mi ero dimenticata di questi.» disse Eileen, poggiando sull’isola dei fogli. «Mildred è amica di Elizabeth e le ha lasciato i vostri documenti.»

Dean li controllò e vide le loro nuove carte d’identità, seppur con i loro nomi, gli atti delle proprietà delle case, la posta validata.

«Avete tempo due settimane per portare le foto, ritirarli, ed aggiungere le vostre occupazioni.»

«Manca un nome.» Notò Dean.

«Già.» Sorrise Eileen per poi guardare Castiel.

L’angelo si sentì osservato e Dean ripeté «Cas, ti manca il cognome.»

Castiel guardò tutti e si soffermò su di lui.

«Ti serve. Come…Winchester.» indicò se e suo fratello. «Leahy.» ora Eileen ed infine Claire. «…Novak.»

Claire guardò a terra e disse. «Nella pratica dovresti essere mio padre.» lo guardò, condivise con l’angelo uno sguardo pieno di comprensione, stessa intensità di quando li aveva con Dean.

Conversare attraverso gli occhi, era una loro specialità.

«Se ti sto chiedendo tanto, dimmelo…anche oggi-» Claire lo fermò con una mossa della mano e si girò verso gli altri. «E’ deciso.»

«Quindi, benvenuto, Castiel…Novak.» rise Dean, scrivendo il nome completo sul foglio.

*

 Finalmente, qualche mattina dopo, quando Claire si svegliò per fare colazione ed andare a prendere la posta, trovò la lettera di risposta dall’Università.

“Gentile Claire Novak,

La informiamo, che la sua richiesta per prendere parte ai corsi del secondo semestre nella nostra facoltà per la Sicurezza del Territorio è stata accettata.”

Seguivano le informazioni per il colloquio, che sarebbe avvenuto due giorno dopo, i corsi disponibili e quelli che avrebbe dovuto recuperare.

Dopo i discorsi avvenuti qualche giorno prima sulle eventuali occupazioni che avrebbero dovuto cercare i suoi amici, fu ancora più convinta della sua idea per Castiel, dopo aver ricevuto quelle buone notizie per se stessa.

**

Uscendo dall’ufficio del rettore, con un bel sorriso, passò alla segreteria per ritirare gli orari dei corsi e la lista dei libri, nell’attesa lesse i vari annunci appesi alla bacheca. Poi sbirciò nel computer dove era aperta la sua nuova scheda con le info.

Fu attirata da un suono e l’anteprima di una e-mail sul desktop: “Domanda assunzioni docenti 2020”

Guardò se qualcuno stesse passando per il corridoio e nel gabbiotto, come un gatto si intrufolò dentro e andò davanti al computer, aprendo il messaggio.

Era la richiesta per un professore di Lettere, ma vide ce ne erano diverse di e-mail del genere.

‘Sia mai che…’

Fece una veloce ricerca sul sistema studentesco della città e trovò iscrizioni aperte per ogni grado scolastico.

Inizialmente aveva pensato di far iscrivere Castiel ad un corso per maestro d’asilo o comunque qualcosa per lavorare con i bambini.

Ma quella era un’occasione decisamente più grande, Castiel possedeva una conoscenza molto ampia su ogni campo, soprattutto storico e letterario, per non poter approfittarne.

Copiò gli indirizzi su una nuova e-mail con i pdf dei documenti da mandare, mandandola al suo indirizzo di posta elettronica, per poi cancellarla dal database del computer. Per fortuna fece in tempo a chiudere tutto e lasciare aperta l’e-mail arrivata; non avrebbe mai voluto far ricevere a quella persona una risposta negativa, per colpa sua.

Quando tornò a casa, il pomeriggio, non trovò nessuno e preparò subito le domande per incastrarlo in un colloquio per docenti, falsando le ultime carte di quella vita.

Tutti e quattro avevano già portato le loro nuove identità per l’autenticazione e falsato le loro esperienze passate.

Castiel non aveva credenziali giuste per nessun tipo di lavoro, ma grazie al suo passato da Angelo del Signore poterono inventarsi di tutto, date le sue esperienze millenarie.

*

L'angelo dovette ammettere che la ragazza aveva ragione. Era un po' troppo introverso ed aveva costante paura di combinare guai.

Nonostante tutto, riuscì a passare e ad ottenere la possibilità di fare una prova come supplente.

L'unico dettaglio che avrebbe potuto spiegare la sua assunzione si spiegò con il racconto di Cas riguardo al colloquio - sembrava che una delle eleganti signore lì presenti lo guardasse “allo stesso modo in cui Dean guarda le crostate”, così come lo aveva definito innocentemente l'angelo.

Claire l'aveva fissato per qualche istante ed aveva riso comprendendo tutto.

«Che c'è di divertente?» le aveva domandato Castiel, aggrottando le sopracciglia.

Ma Claire aveva gesticolato con la mano, come per fargli segno di non dare importanza alla cosa, ed aveva continuato a ridacchiare: «Avere sex-appeal e non accorgersene.» disse tra sé e sé salendo le scale e Castiel l'aveva osservata perplesso, giurando a sé stesso di aver già sentito quella parola da qualche altra parte, molto tempo prima. Ci pensò su e gli venne quasi un colpo: Crowley.

Il ricordo del demone lo investì improvvisamente, agitando le ciglia in maniera nervosa.

«Un momento... conosci Crowley?» le domandò l'angelo, l'aria circospetta, ai piedi delle scale.

Claire si era voltata, smettendo di salire. «Chi è... Crowley?»

Cas si era stretto nelle spalle, imbarazzato e sollevato. «Ehm, nessuno, t-tranquilla…» aveva risposto scappando in cucina e Claire aveva ridacchiato, ruotando gli occhi.

 

Ambientarsi non era stato complicato per Castiel, almeno non come se lo erano immaginato i suoi amici. Gli era stato permesso di svolgere alcune lezioni per un periodo, giusto per verificare quale sarebbe stato il comportamento degli alunni nei suoi confronti, la loro partecipazione, il loro rendimento, il loro giudizio riguardo il nuovo professore e come lui avrebbe affrontato aule piene di adolescenti.

Ebbene, i risultati furono più che sorprendenti.

Durante i primissimi minuti della prima lezione di Castiel, i suoi modi di fare lo fecero apparire esattamente come uno dei classici supplenti bonaccioni ed impacciati. L'angelo indossava, più spesso di quanto se ne accorgesse, lo stesso completo scuro ed elegante, la cravatta a strisce blu e bianche, che gli aveva procurato Claire e l'orologio da polso regalatogli da Dean un Natale.

Dopo essersi presentato, fortunatamente, tutto filò liscio come l'olio.

Castiel aveva uno sguardo ingenuo, ma allo stesso tempo era incredibilmente affascinante mentre spiegava con chiarezza le poesie, i romanzi, i piccoli ed essenziali concetti sulle correnti letterarie e fatti storici. Certo, aveva fatto ridere un bel po' i ragazzi inizialmente annoiati, facendo una battuta seria su quante cavolate raccontasse Dante Alighieri riguardo l'aldilà, ma a parte quella piccola gaffe non ce n'erano state molte altre.

«Vi assicuro, ragazzi, che il vero Inferno è una lunga, lunghissima fila di persone... come quelle per la cassa al supermercato, solo senza carrelli, e senza cassa. La gente torna indietro appena l'ha finita, e non c'è peggior tortura.» spiegò, mentre sistemava dei fogli sulla cattedra.

Gli studenti interpretavano quelle strane frasi come battute cariche di sarcasmo e si divertivano un mondo, imparando molto di più di quanto facessero prima. Inoltre, restavano letteralmente rapiti dalla sua intelligenza e dalle sue conoscenze ampliate in ogni minimo dettaglio.

 

«Non sembra umano, ha qualcosa di assurdo. E’ capace di mantenerci attenti fino alla fine dell'ora!» aveva commentato un ragazzo di terza, gli occhi che brillavano al solo sentire il cognome dell'uomo. Una ragazza si prese addirittura una specie di cotta per lui: lo cercava per i corridoi e spiava timidamente i suoi movimenti; stava attentissima quando, il signor Novak, leggeva ad alta voce qualche brano di antologia - e pensare che lei aveva sempre detestato a morte la letteratura!

 

«Beh, se siamo riusciti a far studiare Eleanor, direi proprio che è il caso di assumerlo!» aveva sentenziato gran parte del personale della scuola.

 

E fu così che Castiel diventò insegnante di lettere.

*

«Bene ragazzi, oggi vi spiego una poesia di Arrigo Boito... si chiama 'Dualismo'... " annunciò un lunedì di Novembre, aprendo il libro ed accomodandosi sopra la cattedra a gambe accavallate.

Lo faceva quasi sempre, più per attirare l'attenzione dei ragazzi che per altro.

«Chi vuole leggere?» domandò gentilmente alla classe. I suoi occhi blu vagarono per la stanza, incontrando quelli della piccola Eleanor.

Lei arrossì, abbassando lo sguardo.

 

«Vuoi provare tu, Eleanor?» le chiese l'angelo, sorridendo e tentando di aiutarla a sbloccarsi.

La ragazza si irrigidì, guardando il libro di fronte a sé. «L-la pagina qual... qual è?»

«Trecentotrentasei.»

«Okay... 'Dualismo'... » lesse, a voce bassissima.

La poesia era piuttosto lunga, tanto che Cas decise di risparmiarle l'imbarazzo di balbettarla tutta chiedendo anche ad altri alunni di finire la lettura.

«La poesia 'Dualismo' è considerata come una... rappresentazione delle irrequietudini degli scapigliati, un movimento artistico e letterario italiano nei primi anni dell’Ottocento, libera traduzione dal termine francese bohème- dalla vita disordinata e anticonformista degli artisti parigini. E’ incentrata su un sistema di opposizioni destinate a rappresentare l'ambiguità della natura umana, angelica... e demoniaca» scandì Castiel, osservando le teste chinate ed intente a prendere appunti. Il segreto del suo successo, non era solo il rendere simpatiche ed uniche le lezioni, ma il timbro della sua voce e la profondità di come raccontava ogni fatto.  

«Professore... va tutto bene?» gli domandò un ragazzino dai capelli rossi, al primo banco, dopo che Castiel si era di colpo ammutolito.

Cas scosse il capo. «Uhm, sì, certo. Solo...» Diede un'occhiata attorno, per verificare che ci fossero abbastanza persone attente. «Immaginatevi che ci siano un angelo e un demone a bilanciare le cose in questa poesia. Due... “simboli”...» disse, lasciando vagare lo sguardo blu per la stanza.

Eleanor lo fissava in trance, come sempre.

«Il dualismo, in questa composizione, è rappresentato attraverso numerose antitesi: la luce e l'ombra, il cherubo e il demone, l'orazione e la bestemmia, il sorriso e l'angoscia, la virtù e il peccato, l'Arte eterea e l'Arte reproba. Pensate all'angelo - che chiameremo... uhm... » Ci pensò su. «Cassiel.» disse infine, catturando l'attenzione dei due gemelli giapponesi.

«Cassiel, come …Castiel?» chiese uno dei due, la cadenza orientale nel tono sottile.

«Sì, il mio nome discende da quell’angelo. E il demone, lo chiamiamo… Crowley, d'accordo?» disse con un sorriso compiaciuto.

Si levò qualche risatina divertita.

«È un tipo davvero strambo, ma al contempo è adorabile...» commentò qualcuno.

«Per quanto possano esserlo un satanista.» continuò un altro ragazzo, ridendo.

«E’ più complicato, ma non parlo di lui.» li interruppe scendendo poi, goffamente, dalla cattedra e prendendo a camminare per l'aula col libro in mano.

«Inoltre, sappiamo che Dio viene rappresentato con la luce in contrapposizione all'Oscurità, la quale simboleggia il buio, il cattivo. Ovviamente, le due forze - positiva e negativa - devono bilanciarsi, poiché se una prevale sull'altra, l'equilibrio si spezza e non vi è più un dualismo perfetto fra le due.» aggiunse Castiel.

 

«Scusi, prof... » alzò la mano un biondino lentigginoso che pareva il più giovane della classe.

«Mh?» fece Cas, girandosi. 

«Come quando si dice che “gli opposti si attraggono”, giusto? Quindi c’era qualcosa tra quel demone e quell’angelo?»

«Che storia cliché, Gale!»

Tutti gli altri risero e anche Castiel si lasciò andare.

«Non è cliché, può accadere.» sollevò le mani «Ma non era il loro caso. Si conoscevano bene, secondo…la mitologia, ma non c’era affatto amore tra di loro. Condividevano solo…una strana amicizia.

«Secondo me era il suo amante...» mormorò qualcuno dal fondo.

«Uh, un triangolo.» altro mormorio.

Castiel sbuffò di nuovo divertito. «Vi piacciono le storie d’amore, quindi? Ci penseremo alla prossima lezione allora.» disse controllando l’orologio, un momento prima del suono della campanella.

Tutti si prepararono per uscire, emettendo un bel trambusto con borse, ombrelli e cappotti incastrati nell'attaccapanni.

Non appena la classe fu vuota, Castiel si sentì soddisfatto. Il lavoro di insegnante non era niente male e non era neanche complicato come si aspettava - anzi, lo trovava davvero appagante. Era meraviglioso poter trasmettere le proprie conoscenze ad altri.

Un toc toc alla porta lo fece voltare quasi di scatto.

«Avanti.» disse.

La porta si aprì e vide una figura ben nota.

«Dean, che ci fai qui?»

Il cacciatore gli stava sorridendo, ammirando il suo vestiario elegante. «Wow, ciao anche a te.» fece spallucce «Non avevo niente da fare e volevo vedere come era qui. »

Castiel sorrise, mordicchiandosi il labbro. «Sappi, che non faccio così schifo in questo ambito.» la frecciatina arrivò in pieno a Dean, riferita a quando gli aveva detto di fare schifo come cacciatore.

Ci fu una pausa durante la quale i due si guardarono a lungo negli occhi, Dean con uno stupido sorriso stampato in faccia.

« E’ vero.» ammise «Con i tuoi allievi sei meno impacciato. Non me l'aspettavo, complimenti.»

«Grazie.» un secondo dopo ridusse gli occhi a fessura. «Aspetta, hai...»

«Sì, ho ascoltato. Me lo auguro, che quel lestofante non fosse seriamente il tuo amante, Castiel...»

L'angelo si irrigidì completamente.

«E il tuo?»

Dean rise. «Scherzo, piumetta...» lo interruppe Dean. «Adesso ti lascio e.. socializza un po'.»

«Tu hai trovato qualcosa?»

Dean prese un lungo respiro «Sto facendo delle chiamate e ho già avuto qualche risposta.»

«Cosa buona.» Gli sorrise contento.

Dean lo guardò per un po’ e dopo si schiarì la gola «Dai, vado. A stasera?»

Castiel annuì e si salutarono.

 

 

Angolo di Sarandom:

Come avevo specificato, Cas e Claire verranno esplorati e questo non è l’unico momento. Dopo il grumpy cat non potevo non metterli a fare shopping lol

Non potevamo non aggiungere le strambe/illuminanti lezioni fatte da Castiel, quale miglior lavoro per lui? Ringraziate Flavia ;)

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Capitolo 4
*** I ***


I.

 

«Le assicuro che è completamente otturato, non riusciamo più ad usarlo» disse la donna vestita di rosso, legando i capelli scuri con un fiocco color cremisi.

 

La bambina le stava tirando la gonna, chiedendole altri biscotti.

 

Dean le osservò entrambe, con un sorrisino sulle labbra. La giovane signora gli sembrava piuttosto impacciata nei confronti della piccola e nei suoi.

 

«È sua figlia?» chiese, tranquillo, le mani incrociate.

 

«Uhm...» Lei si distrasse, carezzando i capelli fini e biondi della piccola. «No. Sono sua zia. Io non ho figli.»

 

«Aaah, capisco.» Dean la squadrò da capo a piedi, cercando di non farsi accorgere. Alzò le sopracciglia alla vista della scollatura sotto il grembiule da cucina, che le metteva in risalto il petto.

 

«Beh, darò una sistemata io a questo affare...» disse Dean, la voce bassa e suadente. Si abbassò sotto il lavandino, poggiando la scatola degli attrezzi sul pavimento. «D'accordo amico. Adesso ti opero, farà abbastanza male.» sussurrò comicamente, sfiorando il tubo con le dita.

 

Rose soffocò una risatina. Lo trovava incredibilmente attraente con quegli occhi smeraldo, la pelle leggermente abbronzata e le labbra soffici e ammiccanti. Dean si era anche rimboccato apposta le maniche della camicia fino al gomito - particolare che rendeva i muscoli delle braccia più evidenti.

 

Il cacciatore non ci mise troppo a rilevare il problema e a risolverlo; c'era perfino un minuscolo giocattolino incastrato lì dentro.

 

«Oh, Gesù! Da quanto tempo cercavi il tuo piccolo Spiderman, vero Daisy?» domandò Rose alla bambina, la quale si mise a ridere dalla felicità e recuperò il giochino - dopo che la zia lo disinfettò per bene.

 

«Come si dice?» fece Rose, il tono dolcemente severo e le mani sui fianchi piacevolmente tondi.

 

Daisy guardò Dean dal basso con due occhioni azzurrissimi, e mormorò un fievole «Grazie.» che lo intenerì.

 

Il cacciatore le sorrise «Di nulla.» Poi, si rivolse alla donna. «È davvero adorabile.» commentò, indicando la bambina.

 

Rose sbuffò. «Adorabile con chi vuole lei! La maggior parte del tempo è proprio una peste. Non capisco come faccia mia sorella a gestire sia lei che suo fratello minore. Assieme.»

 

«Oh, beh... è un talento naturale tener d'occhio i bambini. Anche se... io sono convinto che anche lei ne possa avere, in fondo.» disse Dean, fingendo noncuranza e sistemando gli utensili da lavoro nella cassetta.

 

«Uhm, non direi proprio.» rispose l'altra, sghignazzando in maniera leziosa con una mano sulla bocca.

 

Dean le lanciò un'occhiata, rialzandosi. La fissò a lungo. «Magari ha... altri talenti, allora.»

 

La donna arrossì. «L'arte, decisamente...»

 

«Dipinge?»

 

Rose guardò in basso, spostando una ciocca di capelli dal viso. «A volte...»

 

«Beh, anche a me piace l'arte.» fece Dean, con un ghigno.

 

'E le opere d'arte come te' pensò fra sé e sé.

 

«Del tipo?» lo mise alla prova lei, avvicinandosi, con le braccia conserte.

«Mh…musica.» rispose poggiando la schiena al lavello.

Lei annuì e sorrise guardando a terra «Sei nuovo vero? La mia amica mi ha dato il tuo numero.»

«Sì, mi sono trasferito con mio fratello e degli amici da poco.»

«Spero vi troviate bene.»

«Anche io.» Sorrise Dean.

«Quanto ti devo?.» Si allontanò per prendere la borsa dalla sedia e posandola sul tavolo.

«Ancora no ho deciso le tariffe, ma non era un grande problema. Cinque dollari e un caffè?» Ammiccò.

Lei chiuse gli occhi ridendo, gli diede la banconota «Non mi dispiacerebbe.» lo guardò negli occhi e Dean non credeva avrebbe ricevuto una risposta positiva. «Perfetto…uhm, ho un frigorifero mal funzionante poco distante da qua. Dammi una mezz’oretta.»

«Porto Daisy a danza e ti chiamo.»

«A dopo.»

 

*

 

Era una settimana, ormai, che Cas si alzava ed arrivava in anticipo nella sua classe per prepararsi. Quella volta, però, aveva deciso di portare il caffè con sé e non fece caso al cartello del pavimento bagnato nel corridoio. Scivolò riuscendo a non cadere, ma la borsa gli cadde dalla spalla e i fogli che portava in braccio planarono a terra, inumidendosi.

 

«Attento!» urlò la bidella facendo per tenerlo in piedi.

 

«Oddio, mi dispiace.» rispose lui, guardando a terra, mentre tutto il caffè aveva creato una pozza appiccicosa.

 

«Per fortuna arrivi sempre troppo presto, così non devo togliere milioni di impronte. I ragazzi neanche guardano cosa calpestano, e devo finire a pulire anche nelle aule.» disse la donna, passando subito lo straccio. Indossava la divisa blu, con scarpe da ginnastica bianche, capelli castani, ricci e corti. Non aveva l'aria di essere troppo grande; Cas le avrebbe dato una quarantina di anni o poco più. Fissava il pavimento senza staccare gli occhi da esso finché non aveva ripreso a splendere come prima.

 

«Odio quanto è sporco. Mi sento come se non riuscissi a portare a termine una missione.» si mise a ridere e lo guardò. «E lei odia fare questo tipo di gaffe, dico bene, professore?» scherzò genuinamente.

 

L'angelo la fissò in maniera strana.

«Qualunque genere di gaffe in realtà... pensi che ne faccio sempre.» Poi corrugò la fronte. «Ma... lei mi conosce.»

 

«Conosco tutti, qui, figliolo.» gli rispose lei con un gran sorriso furbetto.

 

«Piacere di conoscerla, sono il professor Novak.» fece Cas, mostrando la mano.

 

Lei la accettò, con una stretta forte. «Castiel. Io sono Margareth.»

 

Cas le sorrise, facendo illuminare i suoi occhi blu, creando piccole rughette accanto alla bocca. Quella donna gli metteva allegria, e l’aveva incontrata solo da due minuti - tragici.

 

Lei lo prese per un bicipite, indirizzandolo verso il bagno. «Su, sbrigati e vai a cambiarti, sono quasi le otto.»

 

Cas rimase confuso per un istante. Non si era accorto della macchia di caffè sulla camicia bianca.

«Cavolo, non ne ho un’altra.»

 

La signora scosse il capo. «Mai, mai non avere un cambio nell’armadietto! Avanti. Vieni con me.» Si fece seguire nello stanzino delle scope e gli prese una bustina. La aprì e dentro trovò una maglietta verde scuro.

 

«Farai una bellissima figura con quella sotto la giacca. Più di quanto tu non faccia già.» Gli fece l’occhiolino.

 

«Come?» Castiel assottigliò innocentemente lo sguardo, facendole ruotare gli occhi.

 

«Dai, sei nuovo, sei un bell’uomo e insegnante delle materie più odiate… e tutte le studentesse sono ai tuoi piedi. Credimi, non hai voglia di sapere tutte le chiacchiere che sento durante l’intervallo.» Gli diede una pacca sul fondoschiena e Castiel ne fu molto sorpreso, girandosi e guardandola quasi scioccato.

 

«Vai in classe.»  La donna sparì nel piano inferiore con l’ascensore, portando il carrello delle pulizie.

 

A Cas scappò uno sbuffo divertito e si avviò per raggiungere la sua classe.

 

Scrisse sulla lavagna dei concetti chiave da cui avrebbe fatto partire il discorso e stette ad aspettare l’entrata degli alunni.

 

«Salve, prof!» esclamò uno dei due gemelli giapponesi.

 

«Ciao, Shotaro» salutò Castiel alzando una mano e lo sguardo dal registro. «Dov'è tuo fratello?» gli domandò.

 

«Geko, è a casa, non si sentiva molto bene.» rispose il giovane.

 

«Signor Novak.» un cenno del capo da Mike.

 

«Signor…Randall.» rispose scherzoso, Cas, sorridendo e strappando una risatina ad Eleanor.

 

Una ragazza fu l’ultima ad entrare, ma restò sulla porta guardandosi dietro le spalle, poi posò gli occhi su Castiel. «Professore? Può venire un attimo?»

 

Castiel si alzò, facendo segno agli altri di attendere. La ragazza chiuse la porta; restarono sul corridoio.

«Cosa c’è Lucy?»

La ragazza continuava a guardarsi intorno «Lei mi è sembrato un tipo apposto, da subito. Mi serve aiuto.»

Cas la fissò, incuriosito. «Che succede?»

Lei esitò, tirandosi nervosamente un boccolo di capelli neri come l'ebano. «Uhm... professore... si ricorda di Eddy?»

 

Cas ci pensò per una frazione di secondo, poi annuì. «Certo.»

 

Lei sospirò. «Ecco. È sempre preso di mira da un gruppo di ragazzi. Ha passato due pessimi anni e questo è solo iniziato. Ora è in bagno…»

 

Castiel capì. «Ci vado io.»

 

Si avviò e la ragazza gli disse da lontano: «Nel bagno delle ragazze, l’ultimo!»

 

Castiel aspettò che tutta la scuola fosse silenziosa e le lezioni iniziate; entrò nel bagno e sentì dei singhiozzi; si guardò attorno.

 

«Eddy?» fece.

 

I singulti smisero immediatamente mentre l'angelo si avvicinava.

 

«Sono io, Novak, apri la porta.»

 

Non avendo ricevuto risposta, Cas bussò delicatamente alla porta due volte.

 

«Vada via, la prego.» mormorò una voce spezzata.

 

«No.» rispose Cas, comprensivo.

 

Il ragazzo ci mise un attimo, ma dopo la aprì lentamente.  

 

Aveva gli occhi rossi, i capelli scuri in disordine, il colletto della maglia sfilacciato - segno che era stato strattonato - come una spallina dello zaino.

 

Castiel lo guardò, gli occhi intristiti.

«Chi ti ha fatto questo?»

 

Il ragazzo aveva il viso basso, il mento quasi toccava il petto e cercava di asciugarsi il naso frettolosamente. «Nessuno.» biascicò. Uscì dal cubicolo, andando accanto al lavandino e sciacquandosi il viso.

 

«Eddy... » sussurrò Cas, esitando, guardando da dietro quella figura accartocciata su sé stessa. «Se qualcuno ti dà fastidio... puoi dirmelo, sai? Lo sistemeremo noi.»

 

«Non posso... » Eddy chiuse l'acqua. «Sarebbe peggio.»

 

«E chi l'ha detto...?» Castiel fece alcuni passi finché non lo raggiunse e posò una mano sulla minuta spalla del ragazzino. «Sai il motivo per cui ti tormentano?»

 

«Io...»

 

«Non ti preoccupare. Resterà fra noi, va bene?» disse con dolcezza, guardando il profilo gocciolante di lacrime di Eddy. «Lascia che io ti aiuti. Per favore.»

 

Eddy ingoiò un po' di saliva. «Io... ecco... dicono che sono malato.»

 

Cas schiuse la bocca, gli occhi un po' lucidi. «Malato? In che senso, Eddy?»

 

«Perché... ho gusti diversi dai loro, ecco perché.» disse, la voce tanto fievole che a stento si sentì. Eddy si posò una mano sulla fronte, cercando di calmarsi.

«Di cosa stiamo parlando…»

Eddy, senza guardarlo, rispose «Ragazzi.» 

 

Castiel non lo conosceva bene. Ed Eddy non conosceva bene Castiel. Eppure, nessuno dei due seppe come finirono per abbracciarsi, il capo castano del ragazzo contro il petto dell'angelo, che comprensivo, lo lasciò sfogare per qualche minuto. Tutto il dolore e l'umiliazione che stava vivendo in quella stretta. 

 

Castiel non riusciva, però, a capire a fondo ciò che stava accadendo a quel piccolo uomo.

 

«Eddy... questa non è una malattia, ma sono semplicemente cose che capitano...» gli disse.

 

«No. Non è una fase.» rispose Eddy piano, fraintendendolo.

 

Cas addolcì lo sguardo. «Non intendevo questo. Volevo dire che... è normale che ti piaccia qualcuno, se è una bella persona, giusto?»

 

«Sì... ma a me piacciono i ragazzi, quindi è sbagliato. Almeno secondo loro.» mormorò Eddy.

 

«Secondo me non lo è affatto.»

 

Il ragazzo sollevò finalmente lo sguardo.

 

Cas continuò. «Se loro sono incapaci di amare qualcuno... sono affari loro, giusto?»

 

Eddy annuì, gli occhi pesti e le guance in fiamme.

 

«Te lo prometto. Oggi stesso farò di tutto per aiutarti, va bene?»

 

Castiel sentì la maglietta nuova tutta umida, ma non ci badò per niente. Sorrise solo al ragazzo, il quale si sentì incantato da quello sguardo blu e dolce.

 

«Su, datti una sistemata.» gli fece l’occhiolino.

 

Eddy rise per la prima volta dopo ore di pianti e Cas sciolse lentamente l'abbraccio, guardandolo ancora.

 

«Oggi vi racconterò una storia bellissima e sono certo che ti piacerà un sacco. Allora, torniamo?»

 

 

*

Una volta in classe, Cas fece scansare due ragazzi dal primo banco, che furono molto felici, per far accomodare Eddy, e Lucy gli si mise accanto.

«Ieri siete stati molto colpiti dal dualismo e soprattutto dalle attrazioni, quindi oggi…» si alzò dalla cattedra passando davanti alla lavagna, si mise di schiena alla finestra, osservando la classe.

«Tutti avrete letto Dante.»

Annuirono all’unisono.

«I fiori del male di Baudelaire?»

Alcuni alzarono le mani. «Ci serve solo sapere, che per entrambi gli autori, l’angelo era la figura della donna. Beatrice rappresenta la Fede, che accompagna le persone in Paradiso e sappiamo tutti quanto Dante la amasse. Per Charles Baudelaire, che fu denunciato per oltraggio alla morale pubblica e offesa alla morale religiosa, non seguono i dogmi cristiani, ma gli angeli sono attratti dal piacere terreno, da cui il racconto dove si ritiene come un angelo caduto.»

«Ma stiamo facendo religione?» domandò una ragazza poggiata al muro in un secondo banco.

Cas rise «No. Vi racconterò una storia, ma prima devo spiegarvi le basi. Quanti sanno chi sono gli angeli in realtà?»

Tutti i ragazzi si guardarono tra di loro, poi tanti paia di occhi lo fissarono.

«Nessuno?» domandò stupito.

«Come ha detto, ci sono diverse rappresentazioni.» disse Lucy.

«Avete mai letto la Bibbia?»

Alcuni risero, altri sbuffarono. «La credevo una persona divertente, prof.»

Castiel si accigliò «Non vi ho chiesto se credete, ma se avete letto cosa dice sugli angeli.»

«Che sono soldati?» Disse uno dei ragazzi, che Castiel aveva spostato ad inizio lezione.

Cas lo indicò per sottolineare il concetto. «Esatto. Sono i soldati di Dio, poi ognuno di loro ha diverse mansioni.»

«E l’angelo da cui deriva il suo nome, che faceva?» domandò Eleanor, ormai decisamente sulle nuvole.

«Ora ci arriviamo. Prima guardate la lavagna, cosa sappiamo su di loro, oltre il fatto dell’essere soldati?»

«Quindi cupido esiste?» Domandò una ragazza perplessa «E ha le frecce perché è un soldato.»

«Lui è un angelo minore e si occupa del destino.»

«Fa veramente innamorare la gente?»

«Anche quando è molto difficile, ma attenti quando lo salutate.» disse serio girandosi per aggiungere una scritta con un punto interrogativo.

«Donna?» Lesse Eddy, era rimasto in silenzio per tutto in tempo.

Lo guardò con un sorrisino «Sì.»

«Bèh, gli angeli sono asessuati, giusto?» disse un ragazzo dietro Eddy e Lucy.

«Gli angeli sono entità. Un po’ come sostiene Milton.» indicò l’altra voce «Militano tra gli uomini pur essendo di “materia sottile”. La loro materia sottile è la “Grazia”. Li rende immuni al tempo, gli conferisce la capacità di guarire, gli dona poteri e, soprattutto, non li rende umani. Gli angeli non hanno emozioni e seguono solo le direttive dei piani alti.»

«Che schifo.» constatò un’alunna, seguita da qualcun altro che annuì.

Castiel sorrise amaramente. « E non possiedono un corpo in Paradiso, a meno che non attraverso un tramite. Il tramite deve dare il suo consenso però, a differenza dei demoni.»

«Come quando si fanno le sedute spiritiche, sono sempre i demoni che vengono evocati, non è possibile con gli angeli.»

Castiel storse la testa. «Con i demoni è più facile, sì. Con gli angeli bisogna sapere la loro lingua, non basta il latino. E non provateci assolutamente.» li avvertì.

«E le ali?» domandò qualcuno alla sua sinistra.

«Le ali…non dipendono dalla Grazia e possono anche venire strappate o lentamente bruciare via.»

«Che cosa triste.» disse un’altra voce.

Castiel, con una mano incerta, scrisse due nuove parole: “angelo caduto”.

Subito vide una mano alzata. «Krissy?» la invitò a rispondere.

«Lucifero.»

«Perché?»

«Non accettava l’amore che Dio provava verso l’umanità.»

«Ha preferito cadere e creare gli Inferi. Altri esempi?» Di nuovo nessuna risposta. Castiel iniziò a capire la difficoltà di trovarsi in un mondo dove nessuno aveva idea delle peripezie che lui e i Winchester avevano attraversato per arrivare fin lì.

Si sedette sulla cattedra, sguardo basso. «Conosco una storia, molto simile a quei libri, documentata in scritture vecchissime.» Cercò di farli incuriosire indorando la pillola.

«Cassiel.» Guardò Eleanor, alla quale si illuminò il volto, contenta. «Faceva parte di un gruppo di angeli, arrivati sulla terra per eliminare un nephilim; un bambino nato da un angelo ed un umano. Ishim, il capo del gruppo, era intenzionato ad uccidere l’angelo disobbediente e il nephilim.»

«Uccidere un bambino?» domandò una voce disgustata.

«Anche tra gli angeli esistono leggende e una è che i nephilim sono abominii, che vanno eliminati.»

«Si collega per caso al fatto dei piaceri terreni?» Domandò Shotaro

«Lo hanno ucciso?» Domandò Lucy.

Castiel sospirò. «Purtroppo Cassiel e gli altri, lo aiutarono, uccidendo l’angelo ribelle e Ishim si occupò da solo della bambina.» seguirono dei mormorii e sussurri increduli.

«Il fatto peggiore è che Cassiel, dopo secoli, venne a sapere che Ishim aveva fatto il lavoro sporco. E il bambino era umano. La madre della bambina da quel giorno partì alla ricerca di vendetta. Era una grande studiosa di Enochiano e sapeva tutto su quelle entità. E riuscì a trovare Ishim, una volta che gli angeli caddero sulla terra per colpa…di Cassiel.»

«Cosa aveva fatto?»

«Era un…angelo custode. Sotto il comando di Dio diventò protettore di due fratelli. Era così …legato ai suoi protetti, dal preferire loro alla sua stessa famiglia. Cassiel restò sulla Terra per proteggerli. Dopo tanto tempo Ishim lo incontrò e fu geloso del rapporto fra di loro. Cassiel aveva salvato uno dei suoi protetti dalla morte, riportandolo in vita facendolo uscire dall’Inferno.»

«Credo di averla già sentita…l’Uomo Giusto?»

Castiel spalancò gli occhi, restando senza parole, si schiarì la gola. «Sì.» Vide molti visi interrogativi. «Colui… che avrebbe aiutato a non far scoppiare l’Apocalisse. Dio aveva mandato Cassiel a salvarlo.» picchiettò sulla cattedra.

«Ishim era stato evocato dalla donna, in modo sicuro, dato quanto li studiasse e lui le aveva rivelato molti segreti sulla sua specie. Ma se ne innamorò in modo così possessivo, che lei scappò e cercò aiuto da un altro angelo. Cassiel e i suoi protetti lo scoprirono, ma prima di sconfiggerlo, Ishim lo minacciò attraverso…la cosa più importante per lui.»

Abbassò lo sguardo.

«Ishim non aveva potuto avere la donna, quindi Cassiel non poteva continuare ad avere l’uomo che aveva salvato.» finì Krissy. Castiel la guardò, ed annuì con un cenno di assenso della testa.

«Gli angeli hanno orientamenti sessuali, senza avere un genere?» Domandò perplesso un ragazzo.

«No. Il rapporto che si crea tra un angelo ed un umano è molto più forte di quello che potete vedere ogni giorno tra due persone che si amano. Cassiel è sempre stato…diverso. Al contrario di Lucifero, era affascinato dall’umanità. Angeli, Demoni, chiunque lo incontrasse, poteva notare questa preferenza dell’angelo verso il genere umano. Secondo tutti si trattava di una debolezza, da dover eliminare.» sospirò.

«Ishim ha ucciso l’Uomo Giusto?» Domandò triste Eleanor.

«No.» rispose Castiel alzandosi, rigirandosi il gessetto nella mano. «Anzi, dato che Cassiel in quel momento era troppo debole per affrontare Ishim, è stato proprio l’Uomo Giusto a difenderlo.»

Controllò l’orologio al polso ed iniziò a scrivere altro sulla lavagna. «Per oggi abbiamo terminato, vi darò un tema, potete lavorarci tutta la settimana.»

“Leggende”

«Immaginate di essere uno scrittore di vecchi tomi, Dante o un nuovo giovane pieno di fantasia. Scrivete prendendo spunto da Cassiel ed Ishim, una storia su cosa è per voi un legame profondo. Un legame che va al di là dei vizi e del piacere terreno.»

 

*

 

Prima di tornare a casa, Castiel passò dalla preside, il fatto accaduto quella mattina non gli era affatto piaciuto.

«Prego, entra pure.» gli disse lei, mentre era al telefono.

Cas si accomodò ed aspettò che terminasse.

«Dimmi.»

«Oggi è successa una cosa e-»

«Lo so. Ti avrei chiamato nel pomeriggio, ma già che sei qui, mi darai una mano.»

Cas aggrottò la fronte.

«Si tratta di Eddy, giusto? Sto cercando in tutti i modi di poter finanziare un corso di sensibilizzazione, ma non riesco.»

Castiel continuava a non capire.

«Dopo l’inizio delle lezioni, una ragazza è venuta da me, chiedendomi di non fare il suo nome. Ha visto quello che è accaduto, pregandomi di fare qualcosa. Sei il primo che è venuto qui e ti ho visto aiutare il ragazzo mentre uscivate dal bagno.»

«Cosa posso fare?»

«Avevo intenzione di occupare un’aula della scuola, due volte a settimana pomeridiane. Non saranno retribuite, ma ore prese dal vostro tempo libero. Assisterò io quando potrò, la vicepreside, la bidella del secondo piano – ha vissuto sulla pelle della figlia queste cose orrende.»

Castiel annuì.

«E un esterno dall’associazione per i giovani della città.»

«Cercherò di rendermi disponibile, il più possibile.»

La preside annuì, soddisfatta emettendo un risolino e si sistemò gli occhiali sul naso. «Bene. Mi piace avere professori così entusiasti nel mio Istituto.»

 

 

*

 

 

Mentre Castiel stava rientrando a casa, notò che Dean non si era fatto sentire dalla mattina, controllando per l'ennesima volta il cellulare. Il cacciatore non aveva neppure risposto ai suoi messaggi.

 

L'angelo sapeva quanto l'amico fosse ancora abbattuto, e quanto non si sentisse adatto a quel tenore di vita, quindi decise di fargli una sorpresa per tirarlo su, di nuovo. Cas non si arrendeva mai quando voleva far felice qualcuno di importante per lui. 

 

Gli tremavano le mani al solo pensiero, ma allo stesso tempo era eccitato all'idea di sorprenderlo. Forse un po' troppo.

 

Si fece una breve doccia tiepida, si vestì comodo, indossando i vestiti da casa migliori che aveva e si mise al lavoro. 

 

Prese tutti gli ingredienti necessari per preparate una buonissima torta di mele, e li adagiò sul tavolo, uno dopo l'altro.

 

«Bene...» Prese un lungo respiro e mise il cellulare poggiato sul muro premendo play in un video su ‘come fare una crostata di mele’.

 

«Unite nel mixer la farina setacciata, un pizzico di sale e il burro, riscaldato nel microonde.» Dopo di che, sempre guardando ogni mossa della donna sullo schermo, frullò tutto ottenendo un composto sabbioso.

«Grattugiate la scorza di limone e spremete il succo. »

 

Mise il composto in una ciotola con lo zucchero, con le uova ebbe una piccola difficoltà, ma almeno il primo si ruppe nel tragitto per il lavandino, e amalgamò per bene tutti gli ingredienti.

 

Mise il panetto in frigo con la pellicola e  cominciò a preparare il ripieno di mele.

 

Poco prima che passasse la consueta ora di attesa, qualcuno suonò al citofono. Cas si irrigidì. 

 

«Dannazione.»

 

Andò frettolosamente ad aprire e vide Dean di fronte a sé, che lo fissava con un sopracciglio alzato.

 

«Ehm...» fece Castiel, la voce che tremava.

 

«Tutto bene?» gli chiese.

 

«Uhm... s-sì ma, ecco...» farfugliò teneramente l'angelo, nascondendo le mani sporche di farina.

 

«Cas... cosa mi nascondi?»

 

«Nulla.» Dean notò che all’amico veniva da ridere e, vedere Cas con le rughette agli occhi per l'allegria era uno spettacolo raro per Dean Winchester. Si sarebbe abituato più a quello, che alle altre cose. 

 

«Sento uno strano profumo... sei tu?» Dean si avvicinò a Cas, facendolo restare immobile, schiudendo le labbra. 

 

In effetti, Cas aveva addosso l'odore della frutta e di qualche altro ingrediente, e il labbro sporco di farina gli dava l'aria di un bambino sorpreso a mangiare merendine.

 

«Che stai facendo?» gli domandò Dean, squadrandolo da capo a piedi in un modo che Cas gli riservò uno sguardo da cucciolo.

 

«Uhm…dai, ti mostro... vieni. Non restare qui fuori.» disse in modo impacciato.

 

Dean si strinse nelle spalle, incuriosito, ed entrò, seguito da Cas che gli fece strada fino alla cucina.

 

«Fra un po' dovrei... uhm...toglierlo dal frigorifero.» balbettò l'angelo, senza sapere dove guardare.

 

«Ti posso...»

 

Cas si girò verso di lui prima che potesse finire la frase.

 

«Ti posso osservare?» Gli sorrise sfacciatamente. «Sì insomma, mentre finisci? O sono d'impiccio?»

 

Cas agitò le ciglia, riscuotendosi: «Oh, no, no... Certo che puoi, figurati.» si affrettò a dirgli, annuendo con un sorriso.

 

Fece dietrofront, fingendo di concentrarsi sul frigo, quando in realtà voleva morire dentro. E se avesse fatto qualche pessima figura in sua presenza, dopo che Dean aveva ammesso la sua bravura a scuola? Sarebbe stato pessimo.

 

Per fortuna, Castiel scoprì presto che cucinare con Dean accanto lo metteva tutt'altro che a disagio. Dean se ne stava lì seduto, senza fare troppi commenti al contrario del suo solito, il che lo sorprendeva non poco.

 

Inoltre, il cacciatore era tutto occupato a mangiucchiare la marmellata o le fettine di mela per badare ai piccoli errori da principiante dell'angelo.

 

«Smettila di mangiarle o le finirai prima che io possa usarla nella crostata!» esclamò Cas. Stese la pasta ai bordi della teglia imburrata e infarinata, e tirò un pizzico di quest’ultima ad un Dean che lo stava ignorando.

 

«Hey!» fece il cacciatore, rimuovendo la polverina bianca dalla camicia e lanciandogli occhiate furiose che lo fecero sorridere.

 

«Ti ho detto di stare fermo un istante. Quanti anni hai?» lo punzecchiò il moro.

 

Dio, quel buffo angelo lo stava seriamente provocando.

 

Dean lo guardò con aria di sfida. «Chi saresti tu per dirmi cosa devo o non devo fare?» lo prese in giro, acchiappando un altro cucchiaino per riassaggiare la marmellata.

 

Cas gli tolse il barattolo dalle mani e lo posò vicino a sé, sorridendogli in modo impertinente. Il biondo lo scimmiottò, protendendosi in avanti, verso di lui. «A che punto sei? Sembra deliziosa.»

 

«In forno per quaranta minuti, ma tanto è per dopo cena. Mi dispiace, Dean.» replicò l'altro, ripensando a quella volta in cui era andato al supermercato a cercargli la crostata, oltre alla birra e alle riviste con quelle donnine asiatiche.

 

Il cacciatore ruotò gli occhi. «Che palle.» finse di lamentarsi, come se non avesse previsto ciò che avrebbe risposto Castiel.

 

«Già, che palle.» ripeté scherzosamente l'angelo. «Hai marmellata sul labbro, comunque.» aggiunse, umettandosi le proprie, ed iniziando a posizionare le fette di mela sulla crostata. Dean si pulì frettoloso, asciugandosi le mani sui jeans.

 

«Sarà a forma di... rosa?»

 

«Sì.» Cas lo guardò, poi si mise a spennellare le mele con poca marmellata precedentemente scaldata in un pentolino. Bagnò il bordo della frolla con del latte, perché prendesse colore durante la cottura, sotto lo sguardo stupito di Dean.

 

«Però! Dove hai imparato tutte queste cosette, eh?»

 

«Youtube.» Indicò il cellulare dieto di lui, lo schermo ora spento. « Volevo imparare, con Claire qui…E’ divertente.» spiegò l'angelo, il viso abbassato di poco.

 

Sfornare piccoli capolavori, lo gratificava. Desiderava rendere la sorpresa più bella possibile ai suoi occhi, perché lui potesse apprezzarla davvero senza dover fingere.

 

«Uhm... Dean?»

 

«Dimmi.»

 

Cas respirò pesantemente, gonfiando il torace, senza osare guardarlo. «Ma…»

 

Dean assottigliò lo sguardo. «Cosa?» fece.

 

Cas scosse il capo, strizzando gli occhi per un momento, si imbambolò nel fissarlo «Niente.» fece un piccolo sorriso sghembo per poi girarsi e sospirare.

 

Per fortuna - almeno in parte - il telefono di Dean squillò, interrompendo tutto.

 

Il cacciatore distolse la sua attenzione dalla schiena di Castiel, sfilando il cellulare dalla tasca dei jeans.

 

L'angelo rimase bloccato in quella posizione per qualche secondo, poi si risvegliò e ne approfittò per  infornare la torta. Si rigirò, ma Dean chiacchierava al telefono col fratello.

 

*

 

«Quindi da martedì, sarai il nuovo proprietario del locale.» disse Dean, orgoglioso di Sam, finendo la sua birra.

«Mi dispiace, ma non sarà una scusa per venire al bar e bere. Non ti darò uno sconto dipendenti.» Scherzò Sam.

«Ma non volevi chiederglielo?» Domandò Eileen.

Sam le fece segno di non parlare, ma Dean si rivolse a lui. «Chiedermi cosa?»

Il minore si massaggiò gli occhi, sapendo come fosse il fratello. «Volevo offrirti un lavoro part time come butta fuori per le serate.»

«Già pensi in grande.» sollevò un sopracciglio.

«Ho conosciuto la manager ed è una tipa tosta. Ha già intenzione di invitare persone abbastanza conosiute.»

«Ci penso.»

«Grazie.»

«Non lo faccio per te.» disse subito, fingendo serietà. «Ti immagini quante ragazze vorranno entrare ?» si alzò dal tavolo per andare in cucina.

Castiel per tutta la cena, aveva scambiato qualche parola sul suo lavoro con Eileen e novità sui corsi di Claire.

«Io vado a mettermi in pari con i libri.»

«C’è il dolce.» Le disse Dean, indicando appunto la crostata che aveva appena preso dal frigo.

«Non te lo ruberei per nulla al mondo.» e sparì su per le scale.

«Come sta andando?» Chiese Sam a Castiel.

«Bene, meglio di quanto immaginassi.»

«Eccoci!» Disse un Dean tornato bambino, con la lingua in mezzo ai denti, mentre posava il dolce al centro della tavola.

«Wow, che profumo.» Disse Eileen. «Dove l’hai presa?» domandò a  Castiel, il padrone di casa.

«L’ho fatta io.»

«Complimenti!» gli disse Eileen con un gran sorriso.

«Falla tagliare a lui, Dean. E’ il prodotto dei suoi sforzi, i tuoi saranno solo quelli del tuo stomaco.»

«Gne gne gne.» rispose Dean, con il coltello già pronto.

«No, va bene. E’ sua, è per lui.» disse Castiel.

Ci fu un attimo di silenzio, in cui lo guardarono. Sam si girò verso la ragazza e lei abbassò lo sguardo sul tavolo con un sorriso divertito.

«Beh…» iniziò Sam, allargando le braccia.

Dean, aveva guardato Cas per tutto il tempo, l’angelo li stava guardando confuso, così il cacciatore si ricompose «Il capo ha parlato.» fece spallucce ed affondò la lama nella crostata.

«Quindi faccio io le porzioni.» fece un occhiolino a Sam e divise le fette.

«Dean sei indescrivibile.» disse Sam, mentre portava una forchettata di mele alla bocca e guardava il fratello, Dean aveva tenuto il piatto da portata per se, dopo aver tagliato le loro porzioni, ma non ci badò e continuò a mangiare.

 

*

 

Sam tirò fuori i documenti del commercialista del locale, che Dean aveva chiesto e tornarono a parlare di come lo avrebbe gestito, mentre Eileen aiutò Castiel a sparecchiare e lavare i piatti.

«E’ stato…dolce, da parte tua, regalargli la crostata. So che Dean non se la sta passando bene. Sam me lo fa notare.»

Castiel restò un attimo interdetto, la guardò con la coda dell’occhio, con lei non aveva senso fingere. Si girò quel tanto che bastava per permetterle di vedere le labbra. « Ho guardato troppi film su Netflix.» rise di sé.

« Quelli giusti.» Gli fece l’occhiolino.

 

*

«Su, datti una mossa! Sei per caso invecchiato un'altra volta?» esclamò Sam, dalla porta, mentre il fratello maggiore beveva del latte da un cartone, la schiena appoggiata al frigorifero.

«Sì, sì... arrivo.» rispose Dean. Finì il contenuto della confezione, e lo gettò nella pattumiera stracolma. «Dovresti svuotarla.»

Sam storse la bocca e si portò una mano alla fronte. «Si può sapere per quale motivo dovrei farlo io?»

Dean si strinse nelle spalle. «Perché io non ho voglia.» scherzò, guadagnandosi un'occhiataccia dell'altro.

«Sei proprio tornato anziano, come quella volta che hai perso contro quel tizio. Ti va solo di dormire, mangiare e andare al-»

«Oh, oh, fermati.» lo interruppe Dean con uno stupido sorrisino canzonatorio sulle labbra umide. «Non direi proprio. Non sai quante donne rimorchio con questo bel lavoretto...»

«...e a rimorchiare, okay.» aggiunse Sam, con un sorriso forzato. «Quindi… vieni?»

«Dove si va?»

«Indovina?»

«Dimmelo e basta.» protestò Dean, gli occhi verdi che ruotavano.

«Non vestirti in modo leggero, saremo all'aria aperta.»

 

In effetti, stare un po' a contatto con la natura era ciò di cui i fratelli avevano più bisogno in quel periodo. Era vero che Freedom era un luogo rigoglioso, ma quella sedentarietà li faceva ancora sentire strani.

«Potrai fingere di star facendo una delle nostre vecchie investigazioni. Ti faccio una caccia al tesoro con la torta?» disse Sam, il tono quasi serio.

«Sì, molto divertente.» mormorò Dean, parcheggiando l'auto vicino ad un paio di alberi dal fusto robusto. «Stiamo qui? Mi sembra un bel posticino.»

«Ma sì.»

I due uscirono dall'auto e Dean si strinse immediatamente nelle spalle. «Beh, andiamo a perlustrare la zona, Agent Aguilera.»

«Oddio, quelle vecchie identità...» ridacchiò Sam, grattandosi la testa e lisciandosi poi i capelli. «Questi sì che sono ricordi.»

«Io sono Agent Spears.» sì autoproclamò il maggiore dei Winchester, facendo l'occhiolino.

«Ho un fratello scemo. Andiamo, dai, fai il serio. Hai portato le M&Ms?»

 

«Ovvio. Ne lascio sempre di emergenza, da quando abbiamo cacciato il Wendigo, ricordi? Sono di buon auspicio per la caccia.» fece Dean, aprendo il cofano. Tirò fuori un pacco enorme di quei famosi confetti colorati, ruppe appena la parte superiore e ne estrasse una manciata. Ci mancò poco che si strozzasse.

«Dea, Ma quanti anni hai.»

«Ottanta.» rispose lui, masticando ancora.

Sam sbuffò una risata. «Andiamo, su.»

 

Passeggiarono tranquillamente per un bel pezzo, spiando silenziosamente degli animali quando capitavano, e parlando della situazione che si era venuta a creare tra loro, Castiel e Claire.

«Credi lei ci stia bene?» domandò Sam, mangiando una M&Ms.

«Secondo me sì o non glielo avrebbe chiesto, e non credo lei avrebbe accettato.» rispose lui, come fosse una cosa ovvia.

«Pensa quanto deve essere strano. Guardare una persona identica ad un genitore, ma sapere che non è lui.»

«Come i sosia, ne abbiamo tanti.»

Sam lo guardò incredulo. «Riesci a fare il serio?»

«E’ accaduto, è una merda, ma... andiamo avanti, come sempre. E lei è in gamba.»

«Castiel?»

Dean agitò la testa. «E’ affezionato. Forse troppo, ma con tutto quello che ha passato…può permetterselo.»

«Se la sta cavando bene, in generale.»

«Già. E io non ci avrei scommesso molto, sinceramente.» fece Dean con un sorriso malinconico.

«Perché?» Scavalcarono un ramo caduto.

«Al bunker ricaricava solo le batterie, poi se ne stava sempre fuori. E’ strano vederlo in una casa tutta sua.»

«Ha già passato un periodo del genere, non se l’era cavata male.»

«Era umano e aveva solo quello da fare. Oltre ad essere incazzato con me.»

«Sta come noi, senza la caccia. Dobbiamo solo abituarci.»

Dean non disse nulla.

 

Dopo essere arrivati al centro della foresta, restarono fermi il tempo necessario per sentire le fronde degli alberi ondeggiare sotto il flusso del vento, gli uccelli cantare e i raggi del sole illuminare quello che potevano oltre i rami fitti.

Ad un certo punto, Dean si bloccò, gli occhi incollati a terra. Aveva visto qualcosa.

«Dean?»

Il maggiore indicò il terreno. «Guarda... questa è... Guarda, Sam!»

L'altro scrutò il terreno, sedendosi in ginocchio accanto al fratello.

«Dean... è un'orma umana.»

«Ma è troppo grande, e stramba...»

«Dean.» Il fratello gli posò una mano sulla spalla. «Dean, è tutto okay. Ormai non è più affar nostro. C’è chi li controlla.» gli disse, guardandolo negli occhi per convincerlo meglio, ma il viso di Dean appariva penosamente confuso, a tratti anche deluso, come un bambino a cui era stato tolto il suo gioco preferito.

«E’ affar nostro, se accade qualcosa a qualcuno. E’ la nostra zona, adesso, no?»

Sam sospirò. «Ho sbagliato a portarti qui.»

«No, invece. Hai fatto bene. Almeno puoi renderti conto anche tu di cosa ci manca.»

«A me non manca, Dean.» puntualizzò Sam. «E lo sai. Sei tu quello che non può restare senza.»

«Smettila.»

«Smettila tu. Io mi sto creando una vita, non scherzo con il locale. Provaci anche tu.»

Dean rise amaramente e fece segno al fratello di lasciarlo stare.

Da quel momento, la gita fu un po' meno allegra.

 

*

 

«Puoi evitare di tenermi il muso?» disse Sam, incavolato. «Dean..?»

Dean continuava a camminare, senza aspettarlo ed ascoltarlo. Sam lo perse un attimo di vista, fino a quando non lo vide al limitare del bosco dove iniziava una radura. Un ulivo faceva la sua bella figura al centro del tappeto d’erba alta, tra diverse piante e fiori colorati.

Sam lo raggiunse, restandogli accanto.

«Non credo resterò qui ancora a lungo.» Disse Dean, quando lo sentì vicino.

Sam abbassò la testa, deluso. «Prima che tu finisca, devo dirti una cosa. Ti ho portato qui, perché so quanto non ti abbia fatto piacere il mio tempo  passato con Eileen subito arrivati. Non voglio più aspettare e voglio vivere quello che mi viene mostrato.» Sam fece un passo avanti, poi si voltò stando faccia a faccia con lui. «Volevo aspettare la festa di inaugurazione, ma te lo dico adesso.»

Il maggiore lo fissò, irrigidito. Quel tono non gli piaceva.

Sam si grattò la nuca, gli occhi bassi. «Io e... io e Eileen aspettiamo un bambino.»

 

 

 

Angolo di Sarandom:

Per Dean è stato difficile scegliere, ma per diversi scopi, questa è stata la decisione migliore. Resta a contatto con la gente e da anche consigli; come lo chiamo io “Dean la portinaia”, ce lo vedrei benissimo.

Dean si sente decisamente fuori luogo e con tutto che gira vorticosamente attorno a lui. Sam si è sistemato e lui vuole solo scappare.

Ps: non dimenticatevi di Rose, la cliente di Dean; sarà importante, ma fortunatamente non nel senso che starete pensando

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Capitolo 5
*** N ***


 

N.

 

Dean restò di stucco, immobile, smise anche di respirare.

«Lo so, Dean. Sta accadendo tutto in fretta per i tuoi gusti e lo so bene. Mi dispiace tu stia male qui, lasciati dare una mano, per favore.»

Ma l'altro aveva i pugni stretti, gli occhi nel vuoto, la gola secca, mentre ascoltava il flusso di parole del fratello.

«Da quanto tempo?» chiese semplicemente, atono, muovendo appena le labbra.

Sam scosse il capo. «Solo... due settimane. L'ho saputo da poco, Dean.» si giustificò. «Volevo dirtelo subito, intendo proprio sul momento ma ero-»

Il fratello non lo lasciò finire, e si buttò su di lui abbracciandolo improvvisamente in una maniera che lo fece commuovere. «S-sono... sono felice per te.» disse, la voce malferma. «Ti faccio i miei... complimenti, Sammy...»

Sam sorrise contento e ricambiò la stretta, asciugandosi un occhio. «So come ti senti, Dean...»

«È tutto apposto.» fece subito il biondo. «È tutto apposto, davvero... e ti ripeto che sono felice per te.» Smise di parlare e sciolse la stretta, guardandolo negli occhi. «Sono fiero di te.»

Il minore abbassò la testa e lisciò i capelli all’indietro per poi tornare a guardare il fratello. «Grazie.»

Dean gli strinse la mano sulla spalla, con gli occhi lucidi…e poi realizzò:

«Io…sto per diventare zio.»

 

*

 

Castiel trovava il gruppo di supporto qualcosa di curiosamente nuovo.

Adorava venire a conoscenza di attività tipiche del mondo umano, nonostante avesse un gran bel bagaglio di cultura - grazie a Metatron e il suo periodo da Steve- e quel giorno aveva appreso cosa era un gruppo di supporto.

Ognuno dei ragazzi presenti nel cerchio si sedeva e venivano invitati a raccontare la loro storia.

A Cas piaceva aiutare il prossimo, era la missione che gli era sempre piaciuta e quella era una delle migliori occasioni per farlo.

Diede una veloce occhiata al cerchio. Notò in particolare due ragazze di colore, probabilmente sorelle, un ragazzo dal viso delicato, e una biondina che non poteva avere più di quindici anni, almeno secondo lui.

I ragazzi che non conosceva, tutti tranne due della sua classe, Eddy e Shotaro, lo guardavano incuriositi.

Sentiva mormorii e notava le occhiate che gli adolescenti si scambiavano, mentre lui come al solito stava seduto sulla scrivania, occhieggiando l’orologio da polso e il corridoio oltre la porta aperta.

 

«Ma lui chi è?» bisbigliò uno.

«E’ un nuovo professore di storia e letteratura.» rispose qualcuno.

«Oh, che strazio.»

«No, invece. E’ forte.» lo difese Eddy, parlando con uno studente di quarta.

«Come si chiama?» domandò un’altra.

«Castiel.»

«Che?» si intromise un’altra ancora.

«Castiel. Castiel Novak.»

«Una persona sempre più strana.» commentò il ragazzo più taciturno, la sua sedia strategicamente distante dalle altre.

La scuola era deserta a quell’ora, momento scelto adeguatamente affinché gli studenti non venissero infastiditi. L’incontro doveva essere già iniziato da un quarto d’ora e dopo alcuni minuti, Cas, finalmente vide Margareth con i suoi vestiti  e senza la divisa da bidella, fare la sua entrata. «Salve a tutti! Ma ci sei solo tu, caro?» Salutò Castiel con un bacio sulla guancia ancora profumata di schiuma da barba.

La donna si girò verso gli altri.

«E che problema c’è? A piccoli passi, arriveremo ovunque.» fece l'angelo, con un occhiolino.

Margareth posò la borsa sulla sedia della cattedra. «Facciamo le presentazioni?» propose, dolcemente.

Mentre i ragazzi restarono a fissarsi, sperando che qualcuno di loro prendesse la parola, un rumore secco di tacchi risuonò per il corridoio; tacchi che stavano leggermente correndo.

«Scusate il ritardo! Burocrazia.» roteò gli occhi, entrando.

«Salve, signora Preside.» dissero tutti in coro.

Lei sorrise, sistemando gli occhiali sul naso. «Ciao, ragazzi. Adesso vi spiego tutto e vediamo come procedere.» Si girò verso Cas e Margareth. «E grazie a voi per essere qui.» Strinse le mani ad entrambi, grata.

«Allora, tutti voi siete stati chiamati nel mio ufficio in queste due settimane. Vi ho chiesto una cosa e voi avete risposto di sì. Quindi non è un segreto per nessuno.»

Tutti si osservarono e qualcuno si sistemò meglio sulla sedia, incrociando le braccia. Eddy si sentì un po' in ansia.

«Mi sto occupando di chi vi da fastidio, ma non è mai facile. Siete qui perché voglio sappiate quanto mi dispiaccia se non riuscirò a far finire le vostre sofferenze. Questo gruppo è per voi, per capire alcune cose, per sostenervi. Purtroppo oggi non conosceremo la psicologa e il volontario delle comunità lgbtq e contro il bullismo della città.»

Alcuni di loro divennero paonazzi ed altri abbassarono lo sguardo.

«Non dovete vergognarvi di nessuna di queste cose. Assolutamente no, ragazzi miei. Adesso, alcuni di voi li conosco, altri meno, ditemi un po' chi siete.» aggiunse con un gran sorriso.

Seguirono i nomi e le ragioni per cui si trovavano lì. Dodici persone e quasi nessuno di loro fu riluttante, con grande sorpresa della preside.

Eddy parlò dell'odio insensato che alcuni compagni di scuola provavano nei suoi confronti per la sua omosessualità. Raccontò della paura di non essere accettato, della vergogna che aveva provato durante il coming out.

Una delle due gemelle africane spiegò che nessuna delle due sopportava più le frecciatine di un insegnante razzista, il quale non faceva che definire le persone di colore inferiori a quelle bianche e a dire cattiverie anche in loro presenza.

«Il peggio è che alcuni dei nostri compagni gli danno anche ascolto!» aggiunse la più minuta, tirandosi nervosamente una ciocca di capelli ricci.

«La figlia di Margareth ha avuto un’esperienza simile alla vostra.» disse la Preside, rivolta alle ragazze che avevano appena terminato la loro storia. 

«Vero?» si girarono contemporaneamente verso la donna.

«Sì, ma sfortunatamente abbiamo dovuto cambiare città. Sally, mia figlia, non riusciva più ad uscire di casa.»

«Come mai?»

«Erano iniziate le crisi d’ansia e di panico, è stato terribile.»

Castiel si accigliò; aveva vissuto anche lui quegli stati d’animo.

«Io..»

La preside si girò verso di lui, con una mano ed un cenno del capo, gli pregò di continuare.

Castiel guardò quel piccolo pubblico ed abbassò lo sguardo. 

«Anche io ho vissuto un periodo del genere.» disse, dandosi immediatamente dello stupido. Come avrebbe potuto spiegarlo senza incappare nel soprannaturale, adesso? «E’ stato-…Non riuscivo ad uscire, me ne stavo in camera a guardare film e programmi di vario genere. Una volta ho provato, ma non sono riuscito neanche ad aprire la porta. C’erano delle…persone, che continuavano a dire quanto fossi…inutile, e mi sentivo solo, anche quando non era assolutamente vero.»

«Come ne sei uscito?» domandò la signora Gale.

Castiel la guardò con un po' di malinconia negli occhi blu. «Ho dei… Ho dei buoni amici. Se non fosse stato per loro, molte volte sarei… caduto, senza potermi rialzare.»

«Grazie per aver condiviso.»

Castiel annuì, i ricordi riuscirono a non scalfirlo, in quel momento si sentiva pieno e stava aiutando a fare la differenza.

«Quanti genitori sanno che siete qui?» domandò Gale.

Solo due persone alzarono la mano.

«Come immaginavo.»

Castiel notò che Eddy si era ammutolito dopo aver parlato.

«Se non volete dirglielo adesso, non siete costretti. Ma è uno dei passi di questo gruppo, okay?»

Annuirono.

«Per oggi possiamo finire qui. Abbiamo scoperto molte cose e venerdì ci occuperemo della parte più dettagliata. Vi aspetteremo.»

 

*

 

Era dal giorno prima, da quel cavolo di pomeriggio, in cui tutto era cambiato ancora una volta. Dean pensava a come si era comportato con Sam. Il fratello non se lo meritava affatto e lui se ne era uscito come un emerito idiota e codardo.

Molto codardo perché non voleva andare avanti e tutti lo sapevano, ma continuava a chiudere gli occhi e camminare con una benda stretta sulle tempie.

Da quando era arrivato, non riusciva a dormire bene e quella mattina, soprattutto, si era alzato all’alba. Pieno di rimorso e un buco allo stomaco; non sapeva se per il sentirsi in colpa o la fame, ma nel dubbio si preparò bacon e uova per colazione alle sei del mattino.

Alle sette e mezza si ritrovò sulla veranda, con il cartone di un succo di frutta, ad osservare gli abitanti darsi da fare per andare a lavorare e gli venne un’idea.

Rientrò in casa e prese il cellulare, leggendo un numero su un biglietto appeso al frigo.

«Hey, Ronnie…sisi. Ehm, posso chiederti un favore? Vorrei organizzare una piccola festa…davvero? Grazie, amico. Passo al locale tra poco.»

 

*

 

«Sam?» Eileen si avvicinò alle sue spalle, massaggiandole e sedendosi accanto lui.

Lui la guardò.

«Come è andata con Dean?»

«Ho dovuto dirglielo, aveva in mente di andarsene di qui.»

«Davvero?» disse stupita, stringendogli una mano.

«Dean è un tipo difficile, ma non voglio…non voglio si senta obbligato a restare. Diventerebbe un’agonia.»

«Non credo lo farà. Prima o poi troverà il suo appiglio, questione di tempo.» fece l’occhiolino.

«Ancora con quella cosa?» Le domandò.

Sorrise. «Aah, non sono l’unica ad aver notato.»

«…Non lo so.» Sam storse la bocca. «E’ strano.»

«Shh, a tempo debito.» si avvicinò a lui lasciandogli un bacio a stampo.

 

*

 

Uscì con una camicia a quadri, giacca verde, scarponi e i soliti jeans. Prese l’Impala e guidò per una decina di minuti. Il parcheggio era deserto a quell’ora, tranne per lo staff del locale.

Entrò attraversando la doppia porta in legno in stile western, e fu catapultato di nuovo in uno di quei suoi film preferiti. Somigliava veramente ad una locanda di quei tempi; i colori erano caldi, tendenti per lo più all'arancio, al giallo vivo e al marrone chiaro. L'arredamento in legno era ricco di piccoli, ma essenziali dettagli come quadretti di cavalli, lampade ornamentali, collezioni di bottiglie che rendevano il luogo una vera favola.

«Dean!» lo chiamò qualcuno dal bancone.

«Ciao, Ronnie. E grazie per aver acconsentito, con poco preavviso.»

«Figurati. Mi sei simpatico, mi fa piacere.»

Dean sorrise, sentendosi felice almeno per una volta. «Non saremo in tanti, ci basterà un tavolo grande per domani sera.»

«Ti sistemo sui divanetti?»

«Benissimo.»

Ronnie prese un librone rosso dal sottobanco, e scrisse la prenotazione sul registro.

«Facciamo alle nove?»

«Certo, mando subito l’invito.»

Si salutarono e mentre usciva mandò un messaggio a Sam.

Da Dean:

“Non avercela troppo con me e non prendere impegni per domani sera alle nove.”

Da Sam:

“Che stai combinando?”

Da Dean:

“Mi faccio perdonare.”

 

*

 

Dean si diresse verso gli appuntamenti del giorno, due rubinetti ostruiti, un giardino da sistemare e uno scaldabagno rotto.

Una delle case era proprio vicino alla scuola dove insegnava Castiel e sperò di incontrarlo durante la pausa, per salutarlo. Non si erano ancora visti dal giorno prima e la cosa gli dispiaceva.

Dopo aver finito di sistemare ed aver accettato l’ennesimo numero, da un’altra donna, con un gran sorriso sornione, raggiunse la sua auto. Salvò il numero sul cellulare, con il nome in codice “scaldabagno”, poi vide degli studenti intorno a lui e controllò l’orologio, dubbioso.

Erano solo le dieci, forse c’era un’assemblea, quindi, pensò di prendere due piccioni con una fava e chiuse l’Impala, camminando verso l’entrata della scuola.

Appena si avvicinò di più, prese il cellulare per fare uno squillo all’amico, quando poi lo vide poco più in là, ad un’uscita di servizio…in compagnia.

Il sorriso scemò piano piano, e si fermò ad osservarli, ma dopotutto fu una scena carina a cui assistere. Gli aveva detto lui di fare amicizie e ne era contento.

La donna accanto a lui, sembrava avere la sua stessa età…almeno quella di Jimmy. Indossava dei pantaloni da completo grigio scuro, che comprendeva anche la giacca e camicia celeste, capelli corti e scarpe con poco tacco.

Sembravano in sintonia e lo faceva ridere. Lui le stava mostrando dei fogli, forse dei compiti e ne stavano discutendo insieme, da professore a professore.

Mise via il telefono, li guardò ancora per un momento, sorrise abbassando lo sguardo e girò i tacchi.

*

«Stai facendo un buon lavoro.» Disse Margareth, mentre sfogliava i compiti dei ragazzi sulla leggenda che Castiel gli aveva assegnato. «Ci vuole un po’ d’amore in questo momento.»

«Molti mi hanno colpito, sembra di leggere-» Si fermò di colpo.

«Mh?» fece lei, mentre continuava a leggerne uno.

«…racconti veri. Storie che potrebbero essere pubblicate, per la… fantasia.»

«Hai ragione. Questa è la mia preferita, per ora.» Gli allungò il foglio, scritto al computer, di Shotaro.

«Vero. Lui è uno dei ragazzi del gruppo.»

«Si vede, si percepisce la sensibilità.»

«Posso…posso chiederti una cosa?»

«Dimmi.»

«Tua figlia…razzismo..?»

Lei rise. «Sono sposata con un archeologo, originario del Cairo. Ci siamo conosciuti lì.»

«E’ un lavoro interessante.»

«Mi piacerebbe fartelo conoscere.»

«Anche a me.» Partì una suoneria. «Oh cavolo, sono in ritardo. Devo andare, Castiel. Ci vediamo domani al gruppo» Gli diede un bacio sulla guancia e lo salutò con un occhiolino.

*

Dean tornò a casa poco dopo l’ora di pranzo, con dietro un panino, che mangiò guardando una puntata della sua soap preferita.

Finì per fare un sonnellino, sembrò essersi addormentato per ore, quando sentì qualcosa vibrare. Gli occhi erano pesanti, ne aprì uno a fatica e vagò con le mani nelle tasche per cercare il telefono.

Da Cas:

“Come va oggi? Tutto bene?”

Da Dean:

“Certo, perché non dovrebbe?”

Da Cas:

“Eileen mi ha detto della giornata con Sam.”

Da Dean:

“Avete fatto amicizia, eh?”

Da Cas:

“Non dovevo?”

Da Dean:

“No, lascia stare. Stavo dormendo, ci sentiamo dopo.”

 

*

Si risvegliò verso le tre del pomeriggio ed uscì in veranda sorseggiando una birra, quando lo vide e lo chiamò per salutarlo, accogliendolo con un mezzo sorriso.

«Hey, Cas.» Urlò nel vederlo passare per il viale.

«Dean.» disse Cas, e si avvicinò alla veranda.

«Birra?»

«No, grazie.»

«Allora?»

«Allora, cosa?»

«Ti ho visto, dai.» gli rivolse un sorrisino malizioso e bevve un goccio di birra.

«Cosa?»

« Oggi ero nei pressi della scuola, pensavo di venire a salutarti…ma ti ho visto in dolce compagnia.»

Cas accigliandosi, si stupì «Mi spii?»

Dean lo imitò «Cos-?No! Te l’ho detto, ero nei dintorni e …poi me ne sono andato per non disturbarti.»

Cas gli sorrise. «Potevi venire, te l’avrei presentata.»

«Quindi? Com'è?» continuò a domandargli, veramente interessato.

«È solo un'amica.»

«Mh mh. Sì, anche io ho avuto molte amiche. Ho molti numeri di telefono, di molte amiche.»

Cas lo guardò come ad intimargli di smetterla.

«Usate precauzioni? »disse guardando davanti a se.

«È un'amica, quindi non c'è niente di cui preoccuparsi. Tu?»

«Che intendi?»

Cas fece spallucce « Con tutto il lavoro che hai, ci sarà qualcuna.»

«Ooh sì che mi diverto.»

«Usi precauzioni? » gli fece il verso.

«Di cosa hai paura?»

«Paura? No, solo… non hai preso strade diverse da quelle di tuo padre e so quanto ti faccia male questo. Anche se adesso potresti farlo.»

Dean restò senza parole.

«So quello che ho visto negli anni e una cosa che abbiamo in comune è l'assenza paterna. Ma comunque dovrebbe esserci un forte …legame con la donna con cui-»

«Cas...non è per te» Lo interruppe e lasciando la birra sul davanzale.

«Cosa?»

«Questo discorso.»

«Perché?»

«Non sei umano, non te ne devi preoccupare?»

«Sai che non è vero.»

Dean sbuffò «Solo perché tu hai Claire e ti senta in colpa per lei, non vuol dire non possa avere figli anche io.»

«Non sto dicendo questo.»

Dean esitò, umettandosi le labbra « Lo so, scusa. Non roviniamoci la serata, okay? A dopo.» lo salutò per poi tornare a casa.

 

*

L’appuntamento era per le sette e mezza a casa sua, riunirsi per scambiare due parole prima di una serata spensierata.

Sam lo aveva già chiamato e sarebbero arrivato di lì a poco, lui aveva già fatto la doccia ed era pronto.

Il campanello suonò ed andò subito ad aprire.

«Heilà, Sa-» credeva di vedere il fratello, ma si ritrovò un Castiel più colorato e luminoso del solito, o almeno così gli diede da pensare.

Doveva ancora abituarsi alle vesti “umane” dell’amico. Pantaloni grigi attillati? Maglioncino bordò e giacca di pelle? Cosa, diavolo, aveva combinato Claire?

«Ciao, Dean.» disse l’altro, come sempre.

«…Cas.»

«Ciao, Dean!» Alzò la voce Claire, passandogli una mano davanti la faccia e Dean scattò di riflesso. «Ciao a te…Barbie?» rispose, trovandola in un color confetto.

«Si chiama Chanel, troglodita.» Senza aspettare l’invito, lo scansò da parte facendosi strada verso il divano.

«Wow, Cas…questo sì…» deglutì. «Che è un cambiamento.»

«Ti piace?»

«Sì, certo.» Fece un passo indietro, grattandosi il mento con leggera barba, imbarazzato. «Entra.»

«Anche tu stai bene.»

Dean si guardò e scosse la testa con fare divertito. «Grazie.»

In effetti la camicia di jeans metteva in risalto i suoi muscoli e l’effetto non era male.

«La smettete voi due?» Disse Claire mentre fece scoppiare il palloncino della gomma che stava masticando e controllava qualcosa al telefono.

Dean indugiò ancora nell’osservare Castiel, in silenzio, fino ad arrivare al viso, quando si accorse che Castiel lo stava fissando di rimando. Lo vide come in attesa di qualcosa, e non seppe come interpretarlo, si schiarì la gola e si grattò l’angolo del naso.

«Volete qualcosa da bere?»

«Qualcosa mi dice che ti ubriacherai prima di arrivare lì.» si fece sentire di nuovo la voce della verità.

Prima che Dean potesse risponderle, suonò di nuovo il campanello e questa volta trovò Sam sulla soglia.

«Ciao, ragazzi!»

«Eileen, come stai?» la abbracciò Castiel.

«Tutto bene. »

«Ciao, bell'imbusto! É da un po' che non ci si vede. Ho un lavoretto da proporti.» disse Mildred, rivolta a Dean e lo abbracciò per un fianco.

«Chiamami quando vuoi.» le sorrise divertito, Dean.

«Quindi il Natale lo festeggeremo al locale?» domandò Cas ad Eileen.

«No, lì penseremo al Capodanno. Ci era venuto in mente di festeggiare il primo Natale qui, solo tra noi.» rispose la ragazza.

L'angelo sorrise apertamente. «Bell'idea.»

«Hai sentito Margareth?»

«Si, sta arrivando.»

Infatti sentirono suonare alla porta.

«Vado io.» disse Castiel rivolto a Dean, occupato ancora con Mildred.

«Ciao, Castiel!» Margareth entrò, indossando un bel vestito lungo.

«Hey. Sono felice di vederti qui.» mormorò l'angelo.

«E io di conoscere la tua famiglia. Elizabeth ne parla spesso.»

Cas sbatté ripetutamente le ciglia, fu sorpreso di rivedere la donna, in compagnia dell'amica. «Piacere di rivederti, Elizabeth.»

«Oh... è un piacere anche per me.»

«Oh cara!» esclamò Mildred, lasciando per un momento Dean ed abbracciandola.

«La conoscete tutti, giusto?»

«Certo, ci ha veramente aiutato.» disse Sam guardandola con gratitudine.

«L'ho fatto con piacere ragazzi. Ah! E complimenti.» gli fece un occhiolino ed abbracciò Eileen.

«E lei è mia cugina. Lavora nella stessa scuola del vostro amico.» Elizabeth indicò Margareth e Castiel.

«Sì, li ho visti.» disse Dean, che ancora non aveva spiccicato una parola, a parte le chiacchiere scambiate con Mildred. Era occupato ad osservare la donna accanto a Castiel, li vedeva molto complici, mentre lui le spiegava chi fossero gli invitati.

Il commento di Dean creò del silenzio e lei non capì. Castiel lo guardò, poi con finta nonchalance aggiunse: «...sì, nel cortile della scuola.»

«Oh, sì. Mi stava facendo leggere dei compiti. Ci sa fare, per quanto io possa capirne.»

«Non sei un'insegnante?» domandò ancora il cacciatore.

«Oh no. Sono una bidella.»

«Una delle migliori.» si complimentò il moro.

 

«È vero, sono una Dea delle pulizie.» la donna fece una mossa coi capelli, che fece ridere un po' tutti.

«A parte gli scherzi è vero. Ha salvato un sacco di vestiti negli anni.» Margareth fece finta di chinarsi alle risate con riverenza.

«Beh, Castiel è molto distratto, certe doti sono utili.» commentò Dean.

«Vero, il nostro primo incontro è accaduto con una pozza di caffè...ed avevo appena passato lo straccio.» disse Margareth.

«E devo ancora ridarti la maglietta.»

«Oh, prendetevi una stanza!» se ne uscì Dean ridendo, questa volta il silenzio fu tombale e colmo d'imbarazzo.

Castiel lo guardò freddamente e lei molto offesa, le sopracciglia aggrottate.

Dean apparve nervoso. «Emh... ho solo... s-siete carini, era una... battuta .»

Continuarono a guardarlo.

Il mezzo sorriso di Dean divenne una smorfia e fu Castiel a rispondere. «Si dia il caso che te lo avessi già detto, Dean. È mia amica...ed ha una famiglia.»

Dean rimase spiazzato e ancora sotto il suo sguardo accusatore. «Ehm...scusami, non volevo...» fece, rivolto a Margareth.

«E avete anche delle cose in comune.» si intromise Elizabeth. La cugina la guardò e lei sorrise.

«Non posso mai parlarne con nessuno, anche se ce ne sono molti altri anche qui... Elizabeth mi ha detto che le piacevate e ho potuto conoscere Castiel...sono una ex-cacciatrice.»

Dean, Sam e Castiel restarono a bocca aperta.

Lei rispose con un gran sorriso.

«Davvero?» domandò l'angelo.

«Sì.»

«Ed era anche molto brava.» disse la cugina, circondandola con un braccio.

«Hai smesso una volta arrivata?» domandò Sam.

«Poco prima di giungere qui. Una brutta faccenda... e avevo una figlia. In comune accordo, io e Oskar, abbiamo deciso che era meglio così.»

«Cosa fa tuo marito?» domandò Dean, per cercare di mascherare la figuraccia di poco prima.

«Oh, lui è un archeologo. Ci siamo conosciuti al Cairo. Io ero- sono- un'esperta di creature egizie e mitologiche. Ero sulle tracce di una maledizione... quando le nostre strade si sono incrociate.»

«Romantico.» disse Sam genuinamente, accarezzando con un dito il dorso della mano di Eileen.

«Sì, ma non stiamo a parlare di  me! È la vostra festa!»

«Che dite, ci avviamo?» Propose Sam.

«Certamente!» disse Mildred tornando ad occupare il suo posto accanto a Dean. «Ti va di farmi da cavaliere?»

Dean sorrise, prendendola gentilmente a braccetto ed uscendo con lei dalla porta: «Certo, Madame.»

Non appena i due furono lontani, Cas si girò verso Margareth:

«Scusa per Dean, si comporta da idiota alle volte.»

«Oh... tranquillo. Me la sarei presa, se solo non lo avessi osservato bene.»

Cas spalancò gli occhi. «Cosa intendi?»

Lei alzò gli occhi al cielo. «Chi continuava a guardare da quando sono entrata in casa...»

«Chi?» le domandò serio.

«Oddio…tieni gli occhi ben aperti, caro.» gli sussurrò all’orecchio prima di allontanarsi da lui.

Castiel non si mosse e chiuse le labbra, guardò Dean in lontananza e poco dopo abbassò la testa sorridendo. Lo raggiunse accanto all'Impala, mentre Dean aveva aperto la portiera dell'auto di Sam a Mildred mentre ancora ridevano.

Margareth raggiunse la cugina, mentre Claire prese posto accanto a Mildred.

Dean sedette accanto a Cas e mise in moto. Il tragitto iniziò in silenzio, l'angelo guardava fuori dal finestrino e Dean si girava ad osservarlo ogni tanto.

«Hey.» esalò il cacciatore, girandosi per guardarlo. «Per cosa ridi?»

Cas si voltò. «Nulla.» alzò la testa, verso il parabrezza, ricomponendosi.

«Mi dispiace per prima.» disse Dean.

«Lo so.» rispose il moro.

Dean fece per continuare, sospirò e strinse il cambio. «È stata una battuta infelice.»

 «Sei infelice?» domandò Cas, voltandosi, incuriosito.

«Cos-?No!» Dean increspò tutto il viso. «E’ un modo di dire, Cas.»

«Okay.»

«Stiamo apposto?»

«Sì, Dean.» restituì lo sguardo con un piccolo sorriso sincero.

«Niente serata rovinata?»

L'angelo sbuffò una risata, rassicurandolo.

 

*

 

Appena arrivati al tavolo, iniziarono a sciogliersi un po'. Mildred scelse una canzone dal jukebox ed invitò Dean a ballare; Elizabeth e Ronnie li seguirono. Eileen convinse Sam e Claire con Margareth, mentre Cas li osservava dal bordo pista.

Dean lo inquadrò e gli fece segno di unirsi, Cas fece segno di no con la testa. Il cacciatore non lo accettò e gli si avvicinò. «Non restare qui impalato.»

«Non so ballare.»

«Con tutti gli anni che ti ritrovi, non hai imparato nulla?»

Cas si ammutolì, abbassando lo sguardo.

Dean gli fece vedere una mano. «Ti fidi di me?»

Castiel alzò un sopracciglio «Citare il Titanic dovrebbe convincermi?»

«Hai visto il Titanic?» domandò Dean, sorpreso. «Comunque, sì. Dai, è una festa, rilassati.» lo prese per il polso senza permesso, e lo tirò fino al gruppo.

Cercò di fargli vedere qualche mossa  o  passo a ritmo di musica, e nonostante l’angelo fosse proprio scoordinato, il viso di Dean su finalmente attraversato da grandi sorrisi – e questo fece piacere ad entrambi.

 

Il suono squillante di una posata contro un bicchiere intimò a lasciare la parola a Sam. Sul tavolo tutti avevano davanti un calice pieno - chi di vino, chi di birra, chi di analcolico -  e il minore dei Winchester era in piedi, imbarazzato, ma evidentemente felice.

«Non mi è mai capitato di fare un discorso,  quindi... ne approfitto. So che possiamo parlare liberamente...e questa è una delle cose che mi piacciono di più nello stare qui con voi.» si girò verso il fratello accanto a lui. «Abbiamo passato una vita difficile, fatta di momenti bellissimi, ma anche di situazioni davvero assurde. Non siamo sempre andati d'accordo, ma... questo è essere una famiglia.»

Si girò verso Cas e Claire. «Famiglia che mi sono scelto e ho cercato di proteggere con tutte le mie forze.» I due ammiccarono. Sam abbassò timidamente il capo, sorridendo «Sono grato a tutti voi e vi voglio bene.»

Dean si sporse per abbracciarlo e si cullarono per un momento, accompagnati dal suono dell'applauso generale.

«Posso dire una cosa?» gli domandò il fratello e Sam gli fece un segno di invito con la mano.

«Ti ho reso difficile la tua gioia nel ritrovarci qui e mi dispiace. So che siete felici.» indicò lui ed Eileen con il bicchiere. «E per questo sono felice anche io. Vi auguro il meglio.»

«Grazie, Dean.» Sam si voltò per vedere la donna accanto lui, colei che aveva permesso alla sua felicità di poter prendere posto nel suo cuore, dopo tanto tempo. «E Eileen....ti amo.» Lei rise e lo baciò. Partirono fischi e altri applausi di apprezzamento.

 

Dean, lì accanto, si girò verso Castiel e nell'euforia generale, gli sorrise passandogli un braccio dietro la schiena per abbracciarlo forte e Claire fece lo stesso, dall'altro lato.

 

*

 

Se c'era qualcosa di realmente divertente alla festa, quello era di sicuro Dean Winchester al karaoke, ubriaco fradicio, s'intende.

Il cacciatore impugnava il microfono con la sicurezza di un cantante abituato a dar concerti su concerti, ed 'intonava'  le canzoni proposte dal DJ senza alcuna timidezza o preoccupazione di far brutta figura. Dopotutto, non era affatto in sé.

L'intera sala se la rideva di gusto per le sue performance, facendo anche parecchi commenti su quanto fosse attraente 'il fratello di uno dei due festeggiati'. Dean aveva già riscosso parecchio successo durante le ore del ricevimento, e Sam ed Eileen avevano provato tutti i giochi più disparati.

Solo Cas si era letteralmente isolato di nuovo, come se si fosse stancato o arrabbiato per qualcosa di indistinto. Aveva ballato timidamente con qualche ragazza, attirando l'attenzione di un paio di esse, ma poi si era sentito un po' a disagio ed era andato a mangiucchiare in un angolino.

Ad un certo punto, il maggiore dei Winchester scese dal palco con un'andatura più buffa di quanto già non fosse la sua, e raggiunse Castiel, che adesso aveva preso a divorare salatini e patatine.

«Cas... il bagno... » biascicò Dean, con un sorriso leggero.

Il moro gli posò una mano sul braccio, il cacciatore barcollava e gli faceva venire mal di mare, masticando ancora gli arachidi. «Sai dov'è il bagno, no?»

Dean si mise a ridere con la mano sulla fronte, abbassando il capo. «Accompagnami... per favore. Se non vuoi raccogliermi da terra.»

Castiel capì, e lo prese per le spalle, portandolo di peso verso i servizi. Lo chiuse dentro uno dei bagni e restò a sorvegliare la porta.

Dopo qualche minuto sentì un: «Merda.»

«Tutto bene?» domandò da fuori.

«Mi gira tutto…non riesco a chiuderli…»

Castiel sospirò ed entrò nel bagno, c’erano praticamente solo loro, altrimenti sarebbe stata una barzelletta infelice - come le chiamava Dean – da  raccontare.

Entrò e vide il cacciatore con una mano sul muro accanto a lui, che si teneva i pantaloni da dietro.

Castiel lì sistemò e lo fece voltare.

«Questo non lo diciamo a nessuno.» Rise, molto ubriaco Dean, mentre si girava ed inciampò nei suoi stessi piedi. Il movimento lo fece andare addosso all’angelo, che si ritrovò schiacciato tra il muro e il corpo di Dean.

Il viso del cacciatore molto vicino alla sua guancia, si ritrasse per prendere l’equilibrio, senza togliersi però da sopra l’amico.

«Quanto sono ubriaco da uno…a…a dieci?» Rise ancora.

«Direi dalla Terra alla Luna.» rispose nell’osservarlo; era strano vederlo così e non sapeva se sentirsi a suo agio o meno.  

«Tu ci sei mai stato sulla Luna, Cas?»

Castiel sospirò, quando il cacciatore abbassò la testa sul suo petto.

«Cristo, quanto gira.» Fece qualche lungo respiro. Sentì il naso del biondo indugiare sulla stoffa del suo maglioncino e risalire fino al suo collo. «Hai un buon profumo.»

Gli strinse forte una manica per tirarsi su e cambiare il peso da un piede all’altro.

«Dean, andiamo, devi sdraiarti.»

«No, shh. Aspetta.» Dean alzò il viso per osservarlo e Castiel fece lo stesso; i capelli biondi in disordine, il viso arrossato per il calore dell’alcol che gli metteva in risalto le lentiggini e le labbra increspate e rendeva i suoi occhi lucidi. 

Castiel avvertì un brivido corrergli giù per la schiena ed inspirò in modo tremante. Si sentiva talmente intimidito.

«Dean... ?» disse a mezza voce.

L'altro gli sorrise in maniera seducente, alzando un sopracciglio.

Tentò di muoversi senza stramazzare a terra, per la seconda volta e riuscì a restare in piedi da solo, sempre con una mano di Castiel sul fianco, pronta a sorreggerlo.

«Dean... non ti senti bene, è... meglio tornare a casa... » mormorò, mentre cercava di aprire la porta, con il biondo che la bloccava.

Il cacciatore gli si avvicinò di nuovo e respirò pesantemente sulla sua spalla. «Sto benissimo, piumetta... » sibilò, la voce roca, e Castiel perse un battito. «Non chiamarmi così.»

«Non ti piace?»

«Mi piace il mio nome.»

«…Cas?»

Castiel Deglutì.

Dean, all'improvviso, gli afferrò delicatamente i fianchi, lasciandolo interdetto, e portò le labbra vicine al suo orecchio. «Resta qui.» sussurrò e passò la lingua, calda e timida, sul lobo dell'altro, strappandogli un sospiro sofferto.

Cosa diavolo stava facendo il suo corpo? Non aveva mai reagito così.

Era alla mercé di Dean e senza voglia di ritrarsi. Non si era mai tirato indietro quando lo chiamava, quando aveva bisogno di lui. Mentre nella mente di Castiel era in corso una guerra interiore, la mano del cacciatore si intrufolò sotto la maglia a solleticargli un fianco. Nel frattempo, quelle labbra soffici erano ancora attaccate al suo orecchio e lo stavano piacevolmente tormentando.

 

«Dean…» Castiel tentò di opporsi, invano, non ci credeva neanche lui. Quella sensazione lo stava  facendo sentire bene. Ad un certo punto si sentì spingere e Dean lo fece tornare sulla parete. La bocca scese lungo la linea del collo e la mano salì sul petto, lasciando scoperta la pelle.

Dean si staccò, respirando a fatica e ad occhi chiusi. Strusciò i fianchi sui suoi e in quel momento, Castiel, sentì qualcosa sulla sua gamba.

Lo guardò, ma vide che il cacciatore teneva gli occhi chiusi.

Continuò a strusciarsi sulla sua gamba per creare attrito e dei gemiti silenziosi si fecero sentire dall’interno della sua gola.

«Dean…»  Vedeva il volto sofferente del biondo, nascosto nell’incavo del suo collo, gli occhi ancora chiusi. Il cacciatore, nel sentire la sua voce, strinse ancora di più la presa sulla maglia e gli scappò un bacio sul collo. Cercò di nuovo sollievo sulla gamba e scese a baciarlo sotto la gola, con veemenza.

Castiel sentì delle sensazione molto più forti di quando le aveva vissute la sua prima ed ultima volta. Lo stesso gemito che aveva sentito da Dean uscì dalla sua gola.

Nel sentirlo, Dean, aumentò i movimenti, ormai completamente duro e, poco dopo, restò senza fiato. Castiel restò paralizzato, bocca schiusa e occhi semi aperti.

Alla fine, il biondo, si abbandonò su di lui e lo abbracciò sfinito e l’angelo lo ricambiò.

Il biondo si staccò, leggermente assonnato e Castiel finalmente riuscì a portarlo fuori.  «Ti porto a casa.»

Riuscì ad avvertire Claire, per dirle di farsi dare un passaggio da Sam. Prese le loro giacche e le chiavi di Dean.

Lo trascinò pesantemente fuori dal locale, guadagnandosi le occhiate di alcuni degli invitati che mormorarono qualcosa tra loro e poi ripresero a mangiare o a ballare. Eileen lo guardò e le suscitò un leggero sorriso, nel momento in cui vide le sue guance colorite,  tornò ad abbracciare stretto un Sam brillo, che giocava a carte su un tavolo.

Dean sfuggì alla presa di Castiel e cadde seduto sul sedile dell’Impala, con una mano sul viso, stava sudando freddo.

«Dean?»

«Mmh.»

«Stai per-» non finì la frase perché Dean si sporse e Cas fece in tempo a scansarsi e tenergli la testa, mentre il biondo svuotava lo stomaco per strada.

Prese un fazzoletto dal porta oggetti e lo asciugò, per poi sistemare il relitto in auto, mettendogli le giacche addosso, dopo aver sentito dei spasmi muscolari nell’amico, faceva già piuttosto freddo.

Dean grugnì qualcosa e Cas si mise al posto di guida accanto a lui. Si sforzò di concentrarsi sulla strada e sui segnali, nonostante le immagini di alcuni minuti prima gli balenassero continuamente in testa.

Non appena giunse di fronte alla casa del cacciatore, Castiel diede un'occhiata ad un Dean semi dormiente stravaccato sul sedile anteriore della sua Piccola. Sospirò al profilo illuminato dal lampione, guardando l'orologio che stringeva il polso del suo …migliore amico. I muscoli delle braccia, la curva morbida delle labbra. Si rese conto di volerle ancora sulla sua pelle, a riscaldarla dal freddo dell'inverno.

 

Lo prese quasi in braccio, svegliandolo lievemente e convincendolo a barcollare fino alla porta d’ingresso; per fortuna aveva le chiavi di riserva nel suo stesso mazzo di casa. Furono accolti dal tepore dell’ambiente e si fece forza per arrivare al letto.

Sprimacciò i cuscini prima di sistemarli sotto il capo del cacciatore, gli tolse le scarpe pregando di non svegliarlo e gli rimboccò le coperte fino a metà petto. Gli accarezzò la fronte sudata, scostando i capelli, sempre avvertendo quella strana sensazione allo stomaco, un formicolio tanto insopportabile quanto meraviglioso.

«Dormi bene, Dea-» 

«Veglia su di me...»  mormorò il cacciatore.

«Certo... lo faccio sempre…» Lo lasciò con una'altra carezza sul viso, seguita da un bacio sulla tempia.

«È meglio se torno a casa ora. Claire mi aspetta... chiamami se hai bisogno... okay? Chiamami... » ripeté al suo orecchio affinché lo sentisse.

L'angelo osservò la figura distesa del cacciatore, il petto che si alzava ed abbassava.

«Buonanotte, Dean... » fece una lunghissima pausa, per poi uscire.

 

*

 

Dean aprì le palpebre molto lentamente, ritrovandosi sdraiato sul proprio letto. Aveva le tempie che pulsavano tremendamente.

Mosse le braccia, sentì dei cinguettii da fuori e le ossa del collo fare uno strano ‘crack’ mentre si voltava. Avrebbe avuto un gran bisogno di massaggi in quel momento.

Si passò una mano fra i capelli in disordine, si sollevò adagio sui gomiti e scese dal letto facendolo cigolare. Con la testa che gli doleva, riuscì ad alzarsi ed arrivare al mobile per vedere l’ora sul suo orologio, ma arrivato lì notò l’oggetto ancora al polso e si diede una sorpresa sbirciatina allo specchio: occhi cerchiati di scuro, rossi e pessima cera. Chiuse nuovamente le palpebre stropicciandosi il viso. «Idiota. Sei troppo vecchio per certe cose.» si disse, strofinandosi ripetutamente la nuca di fronte al suo riflesso.

Andò diretto sotto la doccia per svegliarsi e togliersi l’odore dell’alcol e decise che avrebbe fatto un'abbondante colazione a base di frutta e pancake. Bere come una spugna non aveva giovato quella mattina, ma ricordava di essersi divertito la sera prima, almeno.

Sorrise a sé stesso, soddisfatto, tornando in camera per vestirsi e convincersi mentalmente di uscire e non dare buche per gli appuntamenti.

Mangiò dopo aver preso come prima cosa un’aspirina, ed alzato le serrande. Mentre cuoceva i pancake, l’odore fece brontolare il suo stomaco e gli fece ricordare una strana sensazione, forse dal giorno prima. Gli vennero in mente anche degli strani accenni di ricordi, come se alcuni avvenimenti fossero stati rimossi dal suo cervello e non riuscisse a focalizzarli del tutto. Assottigliò lo sguardo. «Bah, diventerai matto, amico.» chiudendo gradualmente le palpebre e riflettendo.

Sentì un sussurro e si girò verso il corridoio... ma non c’era nessuno. Era sicuro di aver sentito una voce, ma era troppo lontana e poco distinguibile per riconoscerla. La sua mente gli stava decisamente giocando brutti scherzi. Restò girato, guardandosi ancora dietro le spalle, aveva provato una strana sensazione rassicurante nel sentirla.

Portò la padella con sé sul tavolo ed iniziò a mangiare, quando iniziarono a tornargli alla memoria anche alcuni strani suoni, sensazioni piacevoli, ma nulla di particolarmente concreto.

Conoscendosi, sapeva che ci avrebbe pensato tutto il giorno, fino a che non avrebbe ricordato cosa fosse accaduto alla festa, ma doveva sbrigarsi per il lavoro, alle dieci di quella mattina, quindi cercò di finire in fretta senza procrastinare troppo.

 

 

 

Angolo di Sarandom

Hello!

Qui siamo in Post-JIB e rileggendo il capitolo,  sono un pochino meno triste.

GIURIAMO di non aver cambiato la scrittura di UNA CERTA COSA dopo il panel Cockles.

Rawr a tutti.

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Capitolo 6
*** A ***


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A.

 

«Ragazzi, sto cercando di finire di correggere i saggi.» Disse Castiel, cercando di attirare la loro attenzione. Aveva lasciato loro qualche minuto di pausa dalla lettura e la spiegazione di un capitolo di storia. Alcuni si erano alzati formando dei gruppetti sui banchi e si stavano lasciando andare ridendo per qualcosa.

Castiel, purtroppo, ricordava perfettamente ogni cosa accaduta alla festa e non aveva dormito. Dopo aver lasciato Dean a casa sua, aveva passeggiato un po’, prima di andare a letto. L’angelo sapeva bene cosa era accaduto l’altra sera, il problema era che con Dean… era diverso. Non lo aveva mai visto in quel modo ed era stato proprio Dean a dirgli di non cambiare, quindi per quale motivo? Non vedeva l’ora di partecipare al gruppo quel pomeriggio: avrebbe conosciuto il segretario della comunità contro il bullismo della città ed avrebbe ascoltato altre storie dei partecipanti, sperando di potersi distrarre.

Sentì altre risa ad alto volume che non riuscirono a farlo concentrare, oltre ai suoi pensieri.

«Ragazzi!» disse alzando troppo il volume e guardandoli, leggermente arrabbiato.

Gli studenti tornarono ai loro posti con la coda tra le gambe e Castiel se ne pentì subito.

Chiuse il viso tra le mani e sospirò. «Scusatemi, non sono dell’umore giusto oggi.» si giustificò.

La sua giornata lavorativa era iniziata troppo presto. Per la prima volta dopo tanto tempo, gli sarebbe piaciuto rimanere a letto ad analizzare e ripercorrere gli avvenimenti del giorno prima. Chiuse gli occhi per un attimo, ripensando ancora a Dean.

Sperava ancora in un suo messaggio, o in qualunque segnale che avrebbe confermato ciò che gli aveva fatto capire la notte precedente. Gli tremavano le mani ogni volta che il cellulare gli vibrava in tasca; non avrebbe nemmeno dovuto usarlo, dato che era a lavoro, ma non riusciva a fare a meno di dare qualche occhiata almeno ogni venti minuti. Quel comportamento insospettiva parecchio gli alunni più legati a lui, come Eddy o Eleanor, ma nessuno di loro si azzardò a chiedergli cosa non andasse - soprattutto dopo la sgridata, neanche a fine lezione.

Il cellulare di Cas ricevette un mucchio di notifiche diverse: promozioni, messaggi di Claire, piccoli squilli. Ma niente da parte di Dean. Il nulla.

Si preoccupò, non ebbe neppure voglia di raggiungere Margareth alla mensa. Continuò insistentemente a sbloccare il cellulare, nel quale vedeva solo l'orario il più delle volte.

Sospirò e lo mise in tasca, scuotendo il capo e dando un'occhiata attorno. Alunni ed insegnanti che compravano il pranzo in fila, ragazze del primo anno a braccetto che passeggiavano, le trecce ciondolanti.

 

 

*

 

Dean fischiettava mentre sistemava il piccolo impianto di irrigazione di Elizabeth, passandosi ogni tanto una mano sulla fronte sudata. Nonostante la sbronza della sera prima, il cacciatore si era ripreso a tempo di record ed era tornato a lavorare con entusiasmo, sfoggiando sorrisi smaglianti a tutte le belle ragazze che passavano nel vialetto. Tuttavia, quei ricordi sfumati e confusi non smisero di influenzare la sua giornata almeno un po', distraendolo di tanto in tanto dai suoi doveri.

Elizabeth, dal canto suo, avrebbe voluto parlargli o fargli qualche domanda, ma temeva di sembrare indiscreta. Aveva visto Cas che portava Dean in bagno la sera prima e si era posta più di un paio di domande appena l'intervallo di tempo in cui i due erano rimasti appartati aveva superato i dieci minuti.

Sorrise lievemente dalla porta con del succo di limone fresco in una mano, il fianco appoggiato di lato.

«Non pensi che... dovresti indossare un cappellino con questo bel sole scottante? Qualcosa come... quelli di paglia, che so...» lo prese gentilmente in giro.

Dean alzò il capo biondo e dorato alla luce e le sue labbra si curvarono in un sorrisetto. «Un sombrero. E magari a petto nudo, mh?» fece, scherzoso, avvertendo un leggero dolore alla nuca. Era stato con la testa abbassata per troppi minuti di seguito.

«Dovrei averne uno di là, in cucina.»

«Stavo scherzando. Il sole non mi brucia affatto la testa, ce la posso fare...»

Dean si piegò un'altra volta, trafficando con quello strano marchingegno ed i suoi attrezzi.

Ci fu una pausa di silenzio, disturbato solo dal monotono rombo delle automobili per strada e dal cinguettio degli uccellini.

«Dovrebbe funzionare adesso...» suppose il cacciatore. Si rialzò troppo velocemente, ed iniziò a vedere puntini violacei che invadevano il suo raggio visivo, mentre un violento giracapo lo costrinse a sedersi sull’erba.

«Accidenti...»

«Hey hey! Fa attenzione, Winchester. Non c'è sempre Cas a prenderti a braccetto!» si lasciò sfuggire Elizabeth, gli occhi blu che vagavano sul viso perplesso del cacciatore.

«Mh?» disse un Dean frastornato, la mano ancora artigliata al terreno, fissandola come se avesse visto un alieno.

La donna si rese conto e tacque. Forse era solo un'impressione dettata dalle sue fantasie e supposizioni, ma in quel preciso istante, le parve di notare un’espressione quasi imbarazzata sul suo volto.

No, doveva sicuramente esserselo immaginato.

«No... niente, niente. Come va negli ultimi tempi? Nel senso... la vita in generale...» mormorò Elizabeth, cercando di svagare, sforzandosi di non apparire troppo interessata agli affari suoi. Sorseggiò la sua limonata fino a terminarla.

Dean si strinse nelle spalle. «Uhm. Non c'è male. Sto lavorando... sto uscendo... sto guardando film.» iniziò ad elencare, con un ghigno. «Insomma, devo dire che non sta andando male come avevo pensato…» si tirò su con uno slancio. «Forse, continua ad essere troppo poco movimentato… per me.» spiegò, pulendosi della terra dalle mani con un guanto da giardinaggio.

Elizabeth rimase a bocca asciutta e stirò le labbra. Avrebbe tanto voluto capirci qualcosa sulla vita sentimentale di quell'uomo, se ne aveva una, ma avvertire che Dean non si sentiva ancora parte di quella nuova possibilità, le fece venire tristezza.

E nonostante le dicerie che Margareth le riferiva, non poteva essere soltanto il classico Don Giovanni interessato unicamente al divertimento e a nient'altro. Non gli si addiceva, c’era qualcosa di più sotto quella corazza, lei ne era convinta.

Elizabeth ci credeva; aveva notato negli occhi di Castiel una luce diversa quando l'angelo guardava il cacciatore.

Ciò che più la divertiva era il fatto che Dean sembrasse non rendersene conto neanche un minimo, mentre a lei erano bastati pochi secondi per comprendere che ciò che Castiel provava per lui andava ben oltre un affetto fraterno.

 

 

*

 

Mentre Castiel usciva dalla toilette, asciugandosi le mani con un fazzoletto di carta, passò accanto alla porta semi aperta di un’aula e distinse voci conosciute.

«Oh sì! Anche a me lo hanno passato. Sembra saperci fare…se capite cosa intendo.» squittì la professoressa di educazione fisica.

«Beh, io dovrei far controllare il mio forno.» rispose la giovane insegnante di francese.

«Io sono due volte che lo chiamo e non mi ha mai delusa. C’è da dire che Dean sa flirtare e attenta se ti arriva a casa con la maglia nera, quelle braccia…» disse l’insegnante di matematica, con aria sognante.

Castiel si era letteralmente fermato ad origliare, stringendo sempre di più le dita attorno la maniglia della sua valigetta.

«Potrei provarci anche io?» domandò una voce maschile, il professore di inglese.

«E perché no?» risero tutti, mentre Castiel si allontanava il più velocemente possibile.

 

*

 

«È iniziato tutto in modo davvero... assurdo.» parlò il ragazzo più taciturno dell'intero gruppo di supporto, pizzicandosi le dita e guardando in basso.

Il resto dei ragazzi lo ascoltava attento.

«Un giorno, mi sono guardato allo specchio e... ho odiato profondamente il riflesso, il mio corpo... tutto. Non è che prima mi piacesse il mio aspetto, ma...» Il ragazzo si interruppe.

«Ed è accaduto tutto così? Casualmente?» chiese Margareth, a bassa voce.

«A dir la verità... no. Il problema dell'acne ha contribuito, credo. Mi avevano detto di fare un po' di dieta sia per quel problema e sia per il grasso in eccesso. Io li ascoltavo, ma non funzionava nulla. Ero sempre orrendo e brufoloso, sia ai miei occhi che a quelli delle ragazze. Così, pian piano ho smesso di mangiare...» Incrociò le braccia pallide e scheletriche sul petto, storcendo la bocca.

Margareth annuì. «D'accordo, va bene. Passiamo a qualcun altro?» chiese gentilmente. 

Cas si guardò attorno. «A chi tocca?» fece, seduto su una sedia un po' malferma. Margareth insistette perché prendesse la sua e si misero a battibeccare, facendo ridere qualcuno dei ragazzi del gruppo ed allentando, così, la tensione creatasi. Non era mai facile ascoltare quei racconti e qualche momento di leggerezza era ben accetto.

Soprattutto quel giorno, dato che si era presentato, finalmente, un esperto per trattare con i ragazzi.

Si era presentato in modo molto naturale, segno che era abituato a comportarsi con molte persone. Si chiamava Samal; era arabo, ma parlava benissimo la loro lingua e disse di aver preso parte in quella comunità per proteggere il fratello minore. Al liceo aveva rischiato di suicidarsi, lo prendevano in giro perché indossava maglioni lunghi come fossero vestitini e aveva una cotta per un professore.

«Potete immaginare, appena uno della sua classe lo scoprì, cosa ne è venuto fuori.» sospirò. «Un pomeriggio, per fortuna, dei miei amici avevano annullato un’uscita…così andai a cercarlo e lo trovai…in piedi, su una sedia, con un cappio alla gola. Menomale che non l’aveva ancora spostata.»

Si sentirono dei sussulti e Samal sorrise. «Ora sta benissimo. Ha trovato una persona che lo ama e lo sostiene.»

«Sembra una storia da romanzo.» disse una ragazza mora che stringeva un anti stress tra le dita.

«Gli dirò di farci un pensierino.» scherzò Samal, poi distolse lo sguardo notando una mano alzata. «Prego.»

«Wow! Neanche io ho le mani così perfette!» disse la ragazza accanto a chi aveva alzato la mano, dopo aver visto le unghie curate e dipinte. A Jordan scappò una risata e il suo ciuffo rosa si mosse.

«Sto vivendo un’esperienza simile.» disse, indicando Samal con un lieve gesto della mano. «Parecchi... buona parte dei ragazzi della mia classe tende a chiamarmi 'finocchio' e simili. Ma non è questo a darmi fastidio. Sono le frasi volgari che si dicono, i gesti che fanno, come se io fossi interessato a tutto il genere maschile presente a scuola.»

«Purtroppo è uno dei problemi riguardo a questi argomenti. Si sentono sotto il nostro radar, quando-» abbassò la voce. «Vi svelo un segreto…nessuno è veramente, al cento per cento, etero.»

Margareth, la professoressa di fisica, che li aveva raggiunti e tutti gli studenti lo guardarono ad occhi spalancati, tranne Castiel.

Samal si guardò intorno divertito, stupendosi di vedere Castiel per niente sorpreso. «Sapeva di questo strano, studio?» enfatizzando sarcasticamente l’aggettivo.

«So che…ci si innamora di una persona, non di un corpo.»

Samal annuì. «Giusto. Continua, Jordan.»

Jordan spiegò che gli piacevano i ragazzi e che l'aveva sempre saputo sin da quando era piccolo. E che si identificava in entrambi i generi. «Mi piace il mio corpo, e mi piace il fatto che io sembri una ragazza. Gli altri lo usano per insultarmi, ma quando me lo dicono… mi sento felice. Ho sempre cercato di fare amicizia con gruppi di ragazze per parlare di ragazzi. Adoro i videogiochi e grazie a questo ne incontro molti e siamo tutti a nostro agio per via di quella passione.»

«Le passioni uniscono, è vero. Ma c’è dell’altro, che ti ha portato qui, vero?» Intuì.

«Questa passione…mi ha fatto incontrare…lo chiamerò, Mister x. Giochiamo sempre in squadra, capiamo all’istante le mosse che vogliamo fare. Una volta ci hanno invitato in un locale per giochi di ruolo e ci siamo visti per la prima volta. Era proprio come conoscerlo da una vita, ogni argomento… abbiamo passato ore a parlare.»

«Ma?»

Lui scosse la testa e si umettò le labbra carnose. «Abbiamo iniziato a chiacchierare ogni giorno. A volte io gli davo la buonanotte e non sembrava dargli fastidio. Ma poi... poi abbiamo parlato delle nostre vite sentimentali ed ho scoperto che gli piace una ragazza da mesi. Non ha mai avuto il coraggio di dirglielo. Il peggio è che io gli ho detto la stessa cosa... gli ho raccontato che mi piace qualcuno, ma che ero sicuro che non avrebbe mai ricambiato.»

Cas piegò teneramente la testa da un lato. Sperava di potersi concentrare sulle loro storie, ma sentire quelle voci su Dean lo avevano turbato, più di quando non fosse già. Ma ascoltando la storia di Jordan si intenerì e chiese: «E... lui cosa ha risposto?»

Il ragazzo si limitò a fare spallucce. «Mi ha detto che non dovrei esserne troppo sicuro. Se solo sapesse che è lui... Devo solo dimenticarlo.»

Ci fu una pausa di silenzio meditativo del gruppo.

«Bene, Jordan. Grazie per aver condiviso. Chi vuole continuare?»

Questa volta una ragazza dai capelli scuri e gli occhi dolci neri, si schiarì la gola.

«Avanti.» le fece Castiel, nel tentativo di restare concentrato.

«Ecco... la mia situazione non è nulla in confronto alle altre ma... ci tengo comunque a-»

«Tesoro.» la interruppe Margareth, dolcemente. «Ogni situazione ha il suo valore. Dicci pure ciò che ti preoccupa senza farti questo genere di problemi.»

La ragazza annuì, un po' più a suo agio. «Il mio nome è Linda. Mi sono trasferita qui negli Stati Uniti anni fa e vengo dal Messico. Quando sono arrivata... lei... la mia migliore amica... » Abbassò lo sguardo per un momento, sentendo del calore in prossimità delle guance e sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Lei è stata… la prima persona con cui ho legato.»

A Castiel venne in mente della sua seconda volta sulla Terra, nonostante la sua situazione in quel momento, non poté non sorridere al ricordo di come tutto era iniziato.

«Lei mi ha... aiutata in tutto nei primi tempi, i più difficili. Con i compiti, ad ambientarmi, a fare amicizia, a farmi esplorare la città. Sembrava che avesse a cuore il mio benessere e la mia tranquillità. Abbiamo anche gusti simili, amiamo leggere insieme e... mi sono affezionata a lei in modo indescrivibile.»

Il viso dell'angelo si fece un po' più scuro, mentre occhi di Linda si fecero più luminosi. «Credo mi abbia fatto scoprire proprio lei cosa voglia dire tenere a qualcuno.» La ragazza scosse il capo. «La sua conoscenza ha significato molto per me, e so che lei se ne è accorta ma... fa finta di nulla. Ignora la cosa, anche se io vorrei che almeno me ne parlasse, che chiarissimo...»

«Perché non gliene parli tu?» domandò Castiel, riducendo gli occhi a fessura.

Linda si sistemò meglio sulla sedia. «Io... ho paura della sua reazione, da una parte. Anche se dall'altra desidererei tanto sapere cosa prova, al tempo stesso ho paura di rovinare la nostra amicizia. E’ partito tutto da lì e litigare per poter comunque stare insieme… È capitato che mi desse degli strani segnali durante questi ultimi mesi... ma non so con certezza e temo per il nostro rapporto. È qualcosa di speciale. Un legame...forte.»

«Profondo.» disse, Castiel, in contemporanea alla ragazza.

Lei lo guardò, stupita, ed annui. «Sì, anche.»

 Cas si incupì del tutto a quelle parole. Aggrottò le sopracciglia, ripensando a quell’umano per cui tutta la sua esistenza era cambiata. All'umano a cui si era reso conto di voler bene più che a sé stesso. L’umano grazie al quale aveva scoperto i sentimenti e le emozioni.

A quel punto, il cellulare vibrò nuovamente nella tasca di Castiel. Lui lo prese con calma, scusandosi ed immaginando che si trattasse dell'ennesima cavolata. E invece no.

Da Sam:

“Sei invitato a mangiare a casa mia e di Eileen, oggi. Ci sarà anche Dean, vieni?”

Da Castiel:

“Certo.”

Chiuse lo schermo, e sorrise, preso dal momento, alla sola idea di poter passare del tempo con Dean.

 

 

*

Peccato che Claire non fosse lì, occupata a studiare e chiusa in camera da ore. Castiel li informò delle buone notizie sui suoi studi; sembrava finalmente aver trovato il suo posto anche lei.

Mentre finivano l'arrosto, Dean ricevette un messaggio per cui rise sardonico nel leggerlo.

«Chi è?» chiese Sam.

«Oh, un appuntamento. Una di quelle che mi piacciono di più.» mormorò Dean.

A Cas venne un leggero sussulto, ma non alzò gli occhi dalla sua coscia di pollo. Fece tintinnare la forchetta accanto al bicchiere.

«Grandi tette?» Sam prese in giro il fratello maggiore. 

«Sedere sodo... » aggiunse Dean, scrivendo una risposta con uno stupido sorrisino stampato in faccia.

Eileen sbuffò, un po' infastidita, e tagliò un pezzo di pane in due. «Sei un così bravo ragazzo, ma hai certe cadute di stile... allucinanti...» commentò.

Dean sollevò un sopracciglio, piccato. «Hey! È una bella tipa e... mi sento bene dopo esserci stato. Sembra di essere in Paradiso.»

«Non funziona così... il Paradiso.»

Dean si girò a guardare Castiel, il quale aveva parlato per la prima volta dopo il suo discorso su Claire.

Il cacciatore era perplesso, e l'angelo quasi si pentì di aver preso la parola.

«Il Paradiso non era dove... c'era il tuo bel momento?» domandò Dean facendo l’idiota, stringendosi nelle spalle con noncuranza.

Il moro ingoiò a vuoto. «Il tuo momento più felice... non credo sia con una... tipa a caso.» disse, secco.

Il cacciatore si accigliò. «Lei non è a caso... è ben scelta.» disse stupidamente.

Cas, senza guardarlo, alzò un sopracciglio.

«Che c'è?»

L'altro sospirò, ruotando gli occhi. «Niente.» tagliò corto, senza convincere l'amico e riprese a mangiare.

«Chiaramente non è così.» replicò Dean, guardandolo con un'espressione scettica.

Cas si passò una mano sul viso per poi posarle, l’una sull’altra, sul tavolo. «Dove è il dolce? Ho voglia del dolce.»

Eileen indicò la cucina, gentilmente. «È pronto, aspetta che lo prendo.»

«No no, ferma, faccio io.»

Cas si alzò, il viso arrossato, e si spostò dietro di loro.

Dean lo osservò; era da tutta la giornata che si comportava in modo molto strano, quella mattina non aveva ricevuto il suo solito messaggio di buon giorno.

Sam richiamò l'attenzione di suo fratello, dopo aver osservato l'angelo assieme alla sua compagna... ormai lo facevano spesso.

«Psst...cosa è successo con Cas?» disse bisbigliando.

«Non ne ho idea.» rispose il maggiore dei Winchester, sinceramente stupito.

Cas tornò e Sam rialzò la voce «Cosa avete fatto dopo la festa? Ho visto che ve ne siete andati prima... non che io ricordi molto.» disse, con un sorrisetto imbarazzato verso Eileen, che gli diede uno scappellotto.

«Non mi reggevo in piedi e Cas mi ha accompagnato a casa.» fece Dean.

Il diretto interessato posò il vassoio sul tavolo con durezza ed iniziò a tagliare le fette, sotto lo sguardo attonito e silenzioso dei presenti.

«Cas, se continui così, diventerà un'omelette.» lo burlò il biondo.

Cas lo fulminò con un'occhiata bassa.

«Cosa?! Mi dici che succede?»

«Niente.»

Dean sospirò frustrato, mordendosi il labbro inferiore e passandosi una mano sul mento. «Non ho neanche vomitato in macchina.» fece il simpatico, bevendo dal suo bicchiere.

«Hai vomitato?» chiese stupito, il fratello.

«Sai, quando uno beve troppo, tende a farlo.»

«Dean, tu non lo hai mai fatto.»

«Prime volte.» Sorrise.

«Devo... devo andare al bagno.» disse Cas. Si allontanò, dopo aver dato il dolce a tutti quei poveri perplessi. Chiuso lì, si sciacquò il viso e restò tristemente ad osservare il proprio volto riflesso.

Dean non ricordava nulla.

Abbassò lo sguardo, toccandosi la clavicola, verso il punto in cui Dean gli aveva lasciato il segno. Gli bruciava dentro.

Aveva sempre tenuto duro, aveva passato anni a cercare di capirlo, comprenderlo e si era sempre detto “Vai avanti.”

Ma adesso faceva così male.

Quel segno che aveva accarezzato per tutta la notte dopo la festa ora era diventato qualcosa di insopportabile. Pensò al simbolo che gli aveva lasciato lui anni addietro sulla spalla, l'impronta della sua mano e non poté fermare un pesante sospiro.

 

 

*

 

 

A fine cena, Dean e Castiel salutarono Sam ed Eileen per avviarsi verso casa del maggiore dei Winchester, che gli aveva dato un passaggio con l’Impala.

«Scusate per stasera, non sono molto in me.» sorrise, baciando l’amica sulla guancia.

«Starai bene?» gli domandò, guardandolo negli occhi.

«Certo.»

 

In auto, il tragitto fu silenzioso e così opprimente che Dean spense anche la musica a qualche chilometro da casa. Scese sul proprio vialetto e il cacciatore indugiò dopo aver chiuso la portiera. Cas dondolò su un piede, poi sull'altro, non riuscendo a decidersi. Voleva parlargli, dovevano affrontare la situazione, o sarebbe stato tardi e pessimo.

«Allora... » Dean si girò verso di lui. «Si può sapere cosa è capitato?» lo incalzò mettendogli ansia, e l'angelo tirò su col naso, nervoso.

«Non ti ricordi proprio... niente?» cavò fuori, il capo basso, gli occhi lucidi e pieni di risentimento.

Il biondo irrigidì il viso, lo sguardo leggermente accigliato. «Di che cosa Cas…!?» scandì, quasi aggressivamente.

Castiel schiuse la bocca, deluso. Si spostò verso di lui con qualche passo, torcendosi i polsi.

«Parla! Spiegami di che diavolo stai parlando.» tuonò il cacciatore, innervosendosi.

L'angelo avvertiva un tremito insopportabile alle mani. Purtroppo sì, toccava spiegarglielo e lui era pronto, ma il cacciatore non sembrava esserlo per niente.

«Quello che... » Si interruppe, spostando lo sguardo sul corpo di Dean e sbattendo le ciglia. «Quello che è successo nel bagno degli uomini... mentre eri ubriaco.»

«Cosa?» Dean si bloccò, serio. Mise le mani in tasca, facendo tintinnare le chiavi.

Cas chiuse gli occhi. «Non voglio dirlo così, Dean. Non in questo modo, oddio. Devi cercare d-di ricordare.»

«Cas…» Fece un Dean disperato da quella situazione, toccandosi la fronte. «Tutto quello che ricordo è... io che faccio pipì e...» Scrollò le spalle. «...vomito e... mi risveglio sul letto.»

Cas restò affranto da quella risposta, le braccia immobili lungo i fianchi, gli occhi assenti. Dean ricordava tutto ciò che non aveva a che fare con lui. Sentire la conferma di ciò che sospettava era come ricevere coltellate ripetutamente.

Dean si accorse del suo stato d'animo e gli si avvicinò un po'. «Aiutami a ricordare.» sussurrò, guardandolo.

«N-non posso più farlo.» disse Cas con un flebile mormorio, che il biondo non capì.

«Che hai detto?»

«Niente...»

«Oh, Cristo. Cas!» Il cacciatore, a quel punto, alzò la voce spazientito, e quasi lo spaventò. «E’ inutile che continui a dire così, dimmelo e basta! Cosa ho fatto di sbagliato?!»

Cas restò senza parole. Quindi era lui quello a dover essere alterato? Veramente?! E cosa più importante: «Non c’è niente di sbagliato….» disse Cas in un altro sussurro che non arrivò alle orecchie del cacciatore, troppo preoccupato di aver soddisfatto un desiderio inconscio mentre era ubriaco.

«Ho fatto qualche altra delle mie battute idiote? Mi dispiace!» aggiunse Dean, acidamente, tentando di celare il timore col nervosismo.

«No!» Cas guardò tutto attorno a lui, tranne Dean. Non ce la faceva più. Era talmente fuori di sé, così alterato e triste, che sbottò. «V-vuoi sapere cosa!? Va bene, eccola!» disse, con la voce quasi rotta.

Strattonò i primi punti della camicia rosa chiaro che indossava, con una rabbia che stupì il cacciatore.

Dean alzò un sopracciglio, ma finì per sussultare alla vista dell'enorme voglia scura alla base del collo che l’angelo gli stava mostrando. Socchiuse gli occhi, in un atteggiamento ansioso. «E... questo c-cos’è? Un nuovo marchio?» gli domandò, muovendo qualche passo, incuriosito. Man mano che si avvicinava, capiva tristemente che i suoi sospetti erano fondati.

Il viso di Cas era ancora duro e severo. «No. Non è un marchio e tu lo sai bene... » fece Castiel, fissandolo e serrando le labbra. «Ne fai tanti di questi. A tante persone.» disse, furioso.

Ci fu una lunga pausa di silenzio; Dean pregò che Cas non si accorgesse di quel leggero tremore alle dita.

Cambiò strategicamente espressione facciale, e prese a ridacchiare con una mano sulla fronte. «Ah... e quindi staresti insinuando che io... » Continuò a sghignazzare, irritando Cas sempre di più. «Io... avrei fatto un... succhiotto a te?» gli domandò, ironico, indicandolo.

«Per quale motivo dovrei inventarmelo?» mormorò Cas, le guance arrossate in maniera penosa. Non aveva mai sentito tanto caldo in vita sua.

Dean lo fissò con fare spavaldo, annuendo fra sé e sé. «Non lo so... magari.» Sorrise. «Sai com'è... un po' tutti si prendono cotte per il sottoscritto, magari-» Non finì la frase, perché la lacrima che abbandonò un occhio di Cas fu abbastanza eloquente.

 

Cotta.

 

Castiel aveva voglia di urlare, di dirgli in faccia quanto quel loro rapporto, quel loro legame, avesse sempre significato tanto per lui e sicuramente anche per il cacciatore - non era mica stupido - e quanto definirlo ‘cotta’ fosse un insulto, se non una bestemmia. Ma quella lacrima fu l’unica cosa ad esprimersi per lui. E anche se fosse riuscito a dirgli qualcosa in più, era certo che Dean non avrebbe dato valore ad una sola frase e gli avrebbe solo riso in faccia, come faceva sempre.

 

«... Castiel.» Il cacciatore lo bloccò con una mano. «Credo che tu abbia... bevuto un po' troppo e ti sia fatto qualche brutto sogno, amico... o magari sono state le ragazze al biliardino.»

L'angelo si accigliò ancora di più.

«Vaffanculo, Dean.» ringhiò Cas. Gli riservò un altro sguardo scolpito nel marmo e si girò, senza voltarsi e senza esitare sui suoi passi.

«Cas!? Aspetta!» Dean fece per seguirlo o per afferrargli il braccio, ma l'altro si divincolò con violenza e scappò via. L'altro rimase per strada, improvvisamente pentito di quel che aveva detto. «Cas!»

Il suo migliore amico lo aveva mandato a quel paese per la prima volta dopo anni. Se n'era andato senza dire altro.

Quindi desiderava così tanto le sue attenzioni? Con quella domanda a riempirgli la mente, cercò di chiamarlo ancora un volta: «Cas... torna indietro!» ma le spalle dell’angelo sparirono alla sua vista.

 

 

*

 

 

Appena arrivato all’inizio del vialetto di casa, l'angelo si accorse di aver lasciato la sua borsa nell’Impala, ma non aveva voglia di tornare indietro. Non aveva voglia né di parlargli, né di vederlo.

Era stanco. Sinceramente stanco. 

Controllò le tasche per prendere le chiavi e, alzando lo sguardo, notò fin troppa gente camminare a quell’ora tarda.

Si incupì quando quei tizi si avvicinarono a lui. Con la coda dell’occhio e le orecchie vigili, sentì dei passi dietro di sé.

Lo stavano circondando.

Contò otto persone, tutti uomini abbastanza alti e in forma.

Castiel capì di non avere possibilità di scontrarsi con loro da solo, si tirò l'orlo della giacca.

«Chi siete?» domandò, il tono non molto agitato, fin troppo abituato a quel genere di situazioni.

All'inizio, i tizi si consultarono a vicenda. «Sappiamo quello che dobbiamo sapere su di te.» disse il più grosso, le braccia muscolose incrociate, senza neanche degnarlo di una risposta.

Cas si accigliò, il viso nell’ombra ma illuminato a metà dalla luna. Sembrò quasi fatto apposta il guasto ai lampioni in quella via, da qualche giorno e la litigata appena avvenuta, per concludere la serata.

Non riconobbe la voce dell'uomo, e tutti erano coperti da berretti con visiera e scalda collo fino al naso, le cui stoffe attutivano le loro voci.

«Lascia stare i nostri figli.»

Castiel capì in un lampo, lasciandosi andare in un’espressione insolente alzando un sopracciglio. Spostò lo sguardo sulla porta di casa sua. «Ricordavo si trattasse di una città ospitale.»

Uno di loro ridacchiò e fu imitato dagli altri. «Oh, lo è. Ti abbiamo ospitato, e ti hanno dato un bel lavoro... ma di certo non il diritto di montare la testa ai nostri figli.»

Castiel si sentiva strano al suono di quelle frasi. Montare la testa?

L'angelo fissò gli uomini, serrando le labbra in una linea bianca. «Io? Sto solo cercando di aiutarli.» disse, il tono deciso.

Furono tutti attraversati da una risata di astio.

«Siete tutti con lui?» domandò Cas agli altri, indicandoli con un gesto vago.

Gli otto si avvicinarono ancora di più in risposta ed uno spostò la mano, da dietro la schiena, mostrando una mazza da baseball.

Castiel abbassò gli occhi con aria rassegnata, tirando un sospiro, ma poi si girò di scatto verso la porta e la finestra di Claire; la luce era accesa.

«Oh! Tranquillo, ci interessi solo tu.» disse, minacciosamente, il presunto capo del gruppo.

Cas, ancora voltato, abbassò lo sguardo e poi lo fissò su di lui.

«Vuoi sfidarci?» domandò quello, ridendo.

«Preferisco il modo pacifico.»

L’altro storse la bocca, muovendo dei passi minacciosi verso di lui.

Cas, con un gesto di riflesso, mosse la manica della giacca, ma non era più il nascondiglio della sua spada angelica. «Mm…non possiamo.» disse, afferrandolo per il bavero della giacca e tenendolo fermo.

Un uomo bassino, ma evidentemente tozzo, gli mollò un pugno violento in pieno volto e lui gemette, sputando un po' di sangue. Come risposta, riuscì a mollargli un bel destro su uno zigomo, ferendolo. L’altro fu sorpreso nel vederlo rispondere con tanta forza, toccandosi la ferita e vedendo il sangue.

Un altro si buttò su di lui, alzando la mazza, ma Castiel riuscì a bloccarla prima di vederla cadere sulla sua testa. Usò la stretta sul legno per tirare verso di sé l’uomo e farlo cadere a terra.

Castiel iniziò a sudare, l’adrenalina aveva preso a scorrere nel suo corpo e tutti i sensi erano amplificati.

Non poteva controllarli tutti e non poteva allontanarsi per avere una larga visuale; infatti, uno dietro di lui lo bloccò per le spalle e l’uomo con la ferita sulla faccia gli tirò una ginocchiata sullo stomaco. Castiel tossì senza fiato piegandosi in avanti. Restò in quella posizione, lo fissò con lo sguardo basso, prima di afferrare le braccia di chi adesso gli stringeva il collo per poi tirarlo in avanti, facendolo cadere si schiena.

A quel punto, però, ricevette una mazzata sulla testa da dietro e perse l’equilibrio, date le gambe tremanti e si sedette sull’erba.

Qualcuno emise una risata crudele.  «Su, è tutto vostro! »

 

 

*

 

 

Claire scese le scale raggiungendo la cucina, un pacchetto di patatine e dei biscotti fatti in casa erano già finiti e lei era arrivata a metà libro sulla costituzione.

Cuffiette alle orecchie e discesa a ritmo di musica, accese la luce nel corridoio mentre si spostava davanti al frigo. Prese il cartoccio del succo di frutta e fece una giravolta fermandosi sul lavandino per prendere un bicchiere. Al centro della parete c’era la finestra con le tendine colorate; vide delle ombre davanti casa sua.

Un pessimo presentimento le attraversò la colonna vertebrale sotto forma di un brivido.

Tolse una cuffia e sentì dei mugolii.

Si affacciò di più, assottigliando lo sguardo man mano e le parve di vedere circa una decina di persone, anche se era troppo buio per capirci davvero qualcosa.

Si avviò verso l’ingresso, spiando dalla finestra accanto alla porta, e notò qualcuno a terra, e troppe persone attorno che si agitavano su quel corpo.

L'uomo a terra si copriva il volto con le braccia, cercando attutire i pugni e i calci.

Claire lo riconobbe solo per l’oggetto con cui uno di quei farabutti lo tenne per il collo, prima di sferrargli l'ennesimo pugno in pieno volto: la cravatta blu e celeste che indossava quando l’aveva aiutata a fuggire dalla casa famiglia.

La ragazza iniziò a tremare, il panico nel viso ormai biancastro; con una mano si coprì la bocca per non urlare. Tirò due grandi respiri e prese subito il telefono per chiamare Dean.

«Claire?» rispose subito il cacciatore.

«Dean... sbrigati! Corri, vieni qui!»

«Cosa? Che succede?» Nel sentire il tono spaventato della ragazza, Dean si preoccupò.

«Non senti niente lì fuori? Stanno picchiando Cas davanti casa, muoviti!»

Dall'altra parte, Dean, attaccò immediatamente.

 

 

*

 

 

Dopo almeno cinque minuti, Claire riuscì a vedere qualcuno correre nella sua direzione da lontano e gli otto uomini se la diedero a gambe.

Dean fece finta di seguirli urlando loro contro. Poi, tornò indietro frettolosamente e si inginocchiò accanto ad un Castiel immobile.

A quel punto, Claire uscì.

«Come sta?» urlò, preoccupata, raggiungendoli.

«Cas, mi senti?» domandò Dean con un sussurro, le lacrime agli occhi, prendendo quel caro viso sanguinante tra le mani. Le palpebre erano chiuse, le labbra spaccate, il volto gonfio, un occhio iniziava ad apparire livido.

Ma che diavolo stava accadendo quella sera?! Dean non riusciva a realizzare, continuava a scuoterlo dolcemente, le braccia molli. Lo aveva lasciato in un pessimo stato, dopo una litigata in cui non aveva potuto dar voce ai suoi pensieri perché non ricordava nulla.

In quel momento, come se tutto quel casino non fosse bastato, Cas giaceva a terra senza forze e pestato da probabili sconosciuti.

Dean lo aveva lasciato solo. Se non avessero discusso, il cacciatore lo avrebbe accompagnato. Adesso aveva qualche altra cosa per cui sentirsi in colpa.

«Cas... Cas, dì qualcosa, per favore...» supplicò, il fiato perso. «Dì qualcosa...» Prese a controllare se era vivo, se aveva ferite mortali alla testa o da qualche altra parte, quasi piangendo.

Il polso c’era e respirava, ma aveva totalmente perso i sensi.

«Per quale motivo non si cura?» Dopo aver osservato il corpo inerme, dal basso verso l’alto, si spostò su una Claire sconvolta e sudata, che per tutta risposta scosse le spalle.

«N-non ne ho idea.» rispose lei, tremando come una foglia. «Dobbiamo chiamare un’ambulanza, subito!»

Claire restò a guardare Castiel, tenendogli una mano e Dean la osservò, pensando alle parole di Sam quella volta nel bosco: “Pensa quanto deve essere strano. Guardare una persona identica ad un genitore, ma sapere che non è lui.” e davanti quella scena, fu anche peggio.

Prese il cellulare di lei e chiamò i soccorsi. 

 

 

 

 

*

 

Lo sguardo preoccupato e confuso di Dean correva ripetutamente su tutto il corpo di Castiel, che giaceva in un letto d'ospedale, al centro di Freedom, a mezzanotte e mezza.

Il viso dell’angelo era tumefatto, Dean non lo aveva mi fissato così a lungo, o almeno credeva.

Si agitava continuamente su una stupida sedia, di metallo verde opaco, piazzata accanto al materasso chiedendo informazioni a bassa voce ai medici.

 «Per quanto dovrà restare qui?» domandò, senza mai staccare gli occhi da lui.

«Circa un mese, lo sapremo con il passare del tempo.»

Dean si passò una mano sulla bocca e si avvicinò di più al letto.

«Cas...» mormorò in un soffio, come se qualcun altro, a parte sé stesso, avesse potuto sentirlo. Si schiarì la gola. «Cas. »

La mano di Dean si sollevò gradualmente, quasi con difficoltà, raggiungendo quella di Castiel e stringendola con una delicatezza disarmante. Era debole, bianca e con qualche abrasione. Buona parte della pelle di Cas era rovinata.

«Castiel, io no-non capisco.» Si interruppe, passandosi l'altro palmo sul volto. «E quei…non so se l'hanno fatto per un motivo ben preciso... ma stai sicuro che non la passeranno liscia. Oh, non la passeranno liscia. Vedrai, io darò loro la caccia... l'ho fatto con mostri, con demoni, figurati se non posso trovare otto idioti che-»

Prima che il cacciatore potesse finire la sua frase, Cas si mosse leggermente, facendo seccare la bocca a Dean.

«Castiel...» chiamò, il tono appena più alto. «Cas, non ti azzardare a muoverti.»

L'angelo emise un grugnito, il viso sofferente.

Dean pensò alle costole incrinate, alla spalla lussata, alle botte in testa ed al fatto che fossero ancora lì.

«Dean... » uscì da quelle labbra peste, che non riuscirono a schiudersi più di troppo.

Il viso del cacciatore si illuminò. Si protese verso di lui, riuscendo a vedere uno sprazzo dei suoi occhi blu. C’era del sangue anche in loro.

«Sì, sì, sono io, Cas... stai fermo.» Gli disse tenendolo con un braccio a contatto col letto.

I suoi lineamenti erano duri e preoccupati, confusi da quella situazione.

«Dean, io non... io non voglio che tu... ti metta in pericolo.»

«Io? In percolo. Dovresti avvertire loro, non me.» gli disse serio, guardandolo. 

Castiel fece per dire qualcosa, ma la bocca si richiuse dopo essersi lasciata andare in un sospiro tremante.

Squillò un telefono e Dean abbassò lo sguardo per leggere il messaggio.

Da Sam:

“Come sta? Tutto bene? Stiamo arrivando.”

Da Dean:

“Si è svegliato, ma non durerà a lungo. Mal ridotto, ma se la caverà.”

Castiel continuò a seguire i suoi movimenti «Dean... » Una pausa. «Devo parlarti, prima che sia troppo tardi…potrei anche morire…»

Dean stava aspettando la risposta di Sam ed intanto corrugò la fronte.  «Ma che stai dicen-»

«Non dica queste cose, signor Novak!» intervenne un'infermiera, entrata improvvisamente nel loro raggio visivo, fissandolo con gli occhioni neri dietro le lenti. «Non sta affatto per morire, è soltanto molto, ma molto, ammaccato» lo rassicurò.

Castiel la fissò con uno dei suoi sguardi innocenti, per quanto concesso dai lividi.

La donna si girò verso Dean. «Avrà bisogno di un bel po' di tempo a riposo e di qualche cura... e tornerà come nuovo.»

Il cacciatore annuì, prestandole poca attenzione, ma rivolgendole un mezzo sorriso.

Fece per uscire dalla stanza, il camice bianco che svolazzava. «Lo tenga d'occhio, se si lamenta o se succede qualcosa, ci avverta.»

 

 

 

 

Angolo di Sarandom e Feathers

Oh, oh.

Ebbene sì, cari lettori, adesso quanto ci detestate? L’angst doveva arrivare prima o poi, vedrete cosa accadrà v.v

alla prossima! PS: VI INVITIAMO A PARTECIPARE AL CONTEST ESTIVO A TEMA DESTIEL, SUPERNATURAL S12/13, SIA FANFICTION CHE FANART, PER INFO MANDATEMI UN MESSAGGIO

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Capitolo 7
*** R ***


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R.

 

Castiel dormì per due giorni interi, svegliandosi solo dopo alcuni spasmi, per via dello stress post incidente e per l’effetto dei medicinali.

Sam entrò nella stanza, portando il pranzo a Dean. «Hey, sono ancora calde.»

Dean accettò il contenitore di plastica con dentro le lasagne.

«Non si è ancora svegliato?»

Dean scavò la pasta con la forchetta, senza veramente aver voglia di mangiarla. «No, ha solo aperto gli occhi un momento. Hanno detto che è normale, la botta è stata forte.» Prese un boccone e masticò per inerzia.

Sam fece una piccola smorfia. «Dean…mi piacerebbe restare, ma Eileen non si è sentita bene oggi…»

Dean si voltò. «No, tranquillo. Vai pure. Se si sveglia gli dirò che sei passato.» Sam gli toccò una spalla e si salutarono.

Passarono altre due ore, senza nessun segno da parte dell’angelo. Dean passò il tempo sfogliando delle riviste che aveva portato Claire, alcune di golf e altre di cinema.

«Dean?» Sentì la voce flebile e più rauca del solito.

Il cacciatore si alzò prendendo il bicchiere e versandoci dell’acqua, aggiunse la cannuccia e la avvicinò alle labbra del moro. Cas bevve il tanto che bastò per fargli schiarire la gola, aprì lentamente gli occhi e trovò un Dean leggermente rilassato e con un piccolo sorriso sulle labbra.

«Come stai, bell’addormentato?»

«Non sono una principessa.» Chiuse gli occhi per il dolore alla schiena e sul torace, dato che aveva provato a cambiare posizione.

«Ti ho detto di non muoverti.»

Castiel grugnì e alla fine sospirò. «Devo… darti spiegazioni.»

«Già. Ma non sono così poco cavaliere, quindi aspetterò quando ti rimetterai in sesto.»

Castiel lo guardò. «No.»

Dean sospirò.

«Okay, dimmi qualcosa.»

Cas cercò di articolare una frase, ma le parole gli morirono in gola.

Dean allargò le mani e increspò la bocca. «Va bene, inizio io.» Si soffermò sulle coperte. « Per quale motivo sei qui, Cas? Perché diavolo non sei in gran forma a cercare chi ti ha picchiato?» Lo guardò e Castiel abbassò lo sguardo.

«Perché sei ancora in un letto d’ospedale? Cos’è? Una specie di nuova auto-punizione? »

«No.» rispose Castiel, perentorio, poi la sua espressione cambiò repentinamente e quegli occhi tormentati della sera precedente tornarono a fissarlo. «Sei…sei qui.»

Dean sbuffò, roteando gli occhi. «Certo, che sono qui. Sei tu che non dovresti voler vedere me.»

«Dean...» sussurrò Castiel.

Il cacciatore lo guardò intensamente per qualche secondo, poi calò lo sguardo sulle sue mani.

«Mi sono ricordato. Ho ricordato tutto.» ammise a fatica. «Mi dispiace. Per ieri sera… per la festa.» Chiuse gli occhi, alzando lo sguardo su di lui. «Quello che ho fatto-...mi dispiace.»

Cas aveva uno sguardo incredulo. Schiuse le labbra. «Quindi… tra noi, come va?»

«Non lo so, Cas.» si affrettò a dire Dean.

Castiel gli vide indossare la sua maschera frustrata, enfatizzata dalle sue mani che non riuscivano a stare ferme e si tormentavano..

«Dean, possiamo parlare?»

«Cas, io… non lo so, okay? Non so cosa ho fatto, non so perché l’ho fatto. Non so se è successo altre volte… solo… non lo so.» Dean sembrava frustrato e si passò una mano sul volto.

Cas sollevò le sopracciglia di poco. «Beh, sei fuggito con Crowley.» tentò di risultare divertente.

«Oddio, smettetela tutti.» disse Dean, secco. Fu come colpire un suo nervo scoperto. «Volevo semplicemente andarmene, okay? Crowley ha sempre creduto di potermi controllare e ne ho solo approfittato per avere del tempo libero.»

Castiel corrugò un sopracciglio, irritato al ricordo del cacciatore diventato demone e in giro con il Re degli Inferi.

«Mi sei mancato. Ci sei mancato.»

Dean prese un lungo respiro. «Ora sono qui.»

«E io devo parlarti.»

Dean scosse la testa. «Cas, non riesco neanche a pensare ora. Riposati.»

«Dean, cosa ricordi dell’incontro con Chuck?» lo incalzò Castiel, senza starlo a sentire. Gli occhi blu lo puntarono.

Dean lo guardò, spiazzato. «I-in che senso?»

«Tu e Sam avete detto di ricordare poco, cosa ricordi?»

Il cacciatore si passò una mano sulla fronte. «Solo che… è apparso e ha detto qualcosa sull’essere tornato e dopo non avevamo più un lavoro.»

«Posso raccontarti una cosa?»

«Non riesci neanche a muovere la bocca. Rimandiamo, dormi.»

«Ho rimandato per troppo.»

Dean rimase fermo a fissarlo per un po'. Sapeva che non sarebbe riuscito a convincerlo, quindi gli fece segno di andare avanti, stancamente.

 

Due mesi prima

 

Una luce innaturale investiva il profilo superiore dell'intera città di New Hampshire, colorando i grattacieli di un azzurro brillante e riflettendosi su tutte le finestre.

Dean uscì, chiudendosi la porta alle spalle e fece due passi prima di arrestarsi di colpo, la fronte corrugata. Aprì, chiuse le ciglia più volte ed alzò il capo, rimanendo immobile a fissare il cielo nuvoloso e perfettamente diviso in due da una linea color... occhi di Cas? Sì, sembrava decisamente il colore delle iridi dell'angelo, solo più fluorescente.

A Dean sarebbe scappato un sorriso se solo la situazione non fosse stata così inquietante.

Non aveva mai visto nulla del genere nella sua vita e... ne aveva viste anche troppe di cose bizzarre.

«Saam!» iniziò a chiamare, alternando lo sguardo tra il cielo e la porta della camera del motel, come se temesse che qualcosa gli sarebbe piombato addosso da un momento all'altro. Tornò indietro verso la porta e bussò energicamente. «Sammy!» urlò, stavolta più forte.

Si udì un fievole «Arrivo!» probabilmente proveniente dal bagno.

Intanto, Dean aveva ripreso a scrutare in alto, alla ricerca di una spiegazione plausibile. La linea azzurra stava iniziando ad allargarsi e ad apparire sempre meno normale. «Ma che diavolo...»

Quando il minore dei Winchester aprì la porta, Dean si girò di scatto verso di lui; suo fratello indossava solo un asciugamano bianco attorno alla vita ed era appena uscito dalla doccia. «Che hai da urlare tanto?» gli domandò Sam, scuotendo un po' i capelli bagnati.

«Dannazione, Sam, sembri un labrador.» Dean si asciugò la faccia e la maglietta, e tornò allo strambo fenomeno.

«Guarda su.»

Sam alzò entrambe le sopracciglia. «È un qualche tipo di scherzo idiota?»

Dean sbuffò. «No. Guarda su... e basta.» Stava per dirgli qualcos'altro, ma tanto il fratello non gli avrebbe dato retta. Lo sguardo gli si era fissato in alto.

La bocca di Sam si schiuse spontaneamente. «Ma... che...» Ridusse gli occhi a fessura.

«Non chiederlo a me.» rispose Dean, prendendo il cellulare. «Sentiamo se Cas ha qualche notizia. Magari su radio angelo hanno annunciato qualche concerto di pennuti con tanto di riflettori dei puffi.»

Sam ridacchiò e si passò una mano sulla fronte umida. «Chiamalo pure mentre io mi asciugo.» e rientrò .

Passarono due squilli e l’angelo rispose. «Dean?»

«Dovremmo avere lo stesso cielo.» disse direttamente il cacciatore.

«Già.» rispose Cas dopo qualche istante.

«Che si dice?»

«Chi?»

Dean poté giurare di vedere l’espressione accigliata e confusa dell’angelo dall’altra parte del ricevitore.

«Radio angelo dice niente?»

«No, viene solo una strana musica…»

«Con cosa pensi possa avere a che fare? Qualche altro angelo simpaticone?»

«No.»

«Raggiungici, così cerchiamo di capire.»

Si sentì un sospiro nervoso dall'altra parte. «Credo sia Dio…Chuck.»

 

*

 

Poco dopo, Dean vide l’auto dell’angelo avvicinarsi e, nel raggiungerlo, continuava ad osservare il cielo.

«Aveva detto sarebbe tornato.»

Proprio in quel momento, la testa ancora bagnata di Sam fece capolino dalla porta.

«Castiel, sai niente?»

L'angelo negò col capo. «Non so dirvelo con esattezza...»

Cas non ebbe il tempo di finire la frase, che una luce dorata li investì dall'alto, come un'enorme saetta luccicante.

Sam e Dean fecero miracolosamente in tempo a chiudere gli occhi e vennero spinti verso il basso. Cas cadde quasi a terra a causa dell'energia sprigionata da quel lampo.

«Perdonatemi, ma non avevo mai fatto un'entrata con stile... sapete... quelle che voi umani inserite nei film di fantascienza... carina, no?»

I Winchester si consultarono con uno sguardo e poi tornarono a Chuck. «Ma... cosa sei venuto a fare, adesso...?» domandò Sam.

Chuck sporse in avanti il labbro inferiore. «Beh,  ho avuto da pensare.» rispose e guardò amorevolmente suo figlio Castiel, che ancora lo fissava stupito, le labbra schiuse e gli occhi sgranati, senza pronunciare una sola parola.

«... e ora?» continuò Sam.

«È semplice. Desidero sistemare le cose. È giusto che io prenda le responsabilità di ciò che ho creato...» sentenziò Chuck, le braccia conserte e il viso serio. «Venite con me.»

«Ho i capelli bagnat-» mormorò Sam, toccandoli, ma si fermò immediatamente, gemendo di sorpresa. Erano asciutti. 

«Credi che io non possa sostituire un asciugacapelli?» domandò Dio, come colpito nel profondo.

«No, no...»

Chuck ruotò gli occhi, ridendo. «Te l’ho fatta.» Sam lo guardò, stordito. «Bando alle ciance. Con me, su.»

«Dove?» domandò l'angelo, parlando per la prima volta.

Chuck gli fece un rapido occhiolino. «Vedrete. Ho un... discorso speciale da fare a te, Castiel.»

Detto ciò, Dio schioccò le dita e nessuno di loro tre si trovò più nel luogo in cui era prima.

 

 

*

 

 

Presente

 

Castiel, sopraffatto dai medicinali, purtroppo si era addormentato durante la ricostruzione degli avvenimenti. Dopo qualche ora passata a dormire, si svegliò, mugolando dolcemente il nome di Dean. Quella parola gli usciva dalle labbra molto più spesso di tutte le altre, tanto che quel suono era ormai fin troppo familiare e rassicurante per il cacciatore. Era così preoccupato nel vederlo in quelle condizioni che si concentrava solo nel farlo riposare.

«Cas... come ti senti ora?» gli domandò Dean, le dita che vagavano indecise sul lato sinistro del materasso; stranamente avrebbe voluto potergli toccare la mano, ma non si azzardò. Quella parte dovevano ancora esplorarla bene.

«Sto... sto bene, credo... cioè, ho dei dolori un po' ovunque, ma...» Cas tentò di sollevare il capo, ma fu preso da un violento fastidio dietro la testa che lo fece crollare di nuovo sul cuscino.

Dean scattò in piedi. «Cas…» sussurrò, avvicinandosi al viso contratto dell'angelo.

Castiel schiuse le palpebre e puntò le iridi blu verso quelle verdi di Dean.

«Non c'è nulla che tu possa fare per me in questo senso, Dean...»

Il cacciatore si accigliò, scuotendo cocciutamente la testa. «Ma-»

«Devo finire di raccontare.» lo interruppe Castiel, e Dean rimase col fiato sospeso, le parole che voleva dire ricacciate in gola.

«Giusto.»

 

Due mesi prima

 

Castiel vedeva bianco. Solo bianco attorno a sé. Si girò e rigirò, confuso. Esplorò la zona, niente.

Chuck apparve accanto a lui e schioccò di nuovo le dita; l’angelo vide una gigantografia di una ripresa a metà viso di Samandriel, che disse: ‘Nonostante i suoi sbagli, il cuore di Castel è sempre stato al posto giusto.’

Poi vide Dean: ‘Sei uno di loro?’ domandò all’angelo, che purtroppo Cas aveva dovuto uccidere.

‘Avere troppo cuore è sempre stato il problema di Castiel’.

Tutto fu nuovamente ingoiato dal bianco.

Cas non disse una parola, ma lo guardò e Chuck interruppe le sue domande silenziose. «Cosa... sono?»

Suo padre ammiccò. «Oh, quelle dici? Sono solo le immagini di attesa! O meglio, i ricordi di attesa!» Chuck portò una mano sul mento. «Sono anni che esistono e... non ho ancora trovato un nome che gli si addica. Devo ammetterlo... nemmeno io sono perfetto forse...?» Rise.

Apparvero altri colori che attirarono l'attenzione di Cas; la nuova immagine proiettava l'aspetto di una stanza dalle mura scure e… c'era Dean: ‘Hey Cas, sei lì fuori, amico? Ho bisogno che tu venga qui. Ho bisogno che torni indietro e ho bisogno che tu non sia fuori di testa.’

Di nuovo bianco e Chuck sorrise.

Castiel ricordava ogni volta in cui il cacciatore lo aveva chiamato, come ogni volta in cui era apparso per aiutarlo e quando non lo aveva fatto. Ricordava bene ogni tono con il quale Dean pregava e anche le sue parole quando gli aveva detto che per lui pregare era come supplicare, ma da quando aveva iniziato non aveva mai smesso.

Vedere il momento in cui lo faceva, non gli era mai capitato però. Lui poteva solo sentirlo, e adesso osservarlo gli donava tutto un altro significato. Era sempre allo stremo delle forze mentali e fisiche. Quando si rivedevano dopo tanto tempo, Dean era sempre scontroso e Castiel pensava gli rispondesse così perché in effetti non si era fatto vedere. Ma in quel momento capì che il motivo era perché gli mancava.

Cas fissava ancora davanti a sé, parlò con sguardo carico di rammarico. «Perché mi stai facendo vedere queste cose?»

Chuck ridusse gli occhi azzurri a fessura, tornando serio. «C’è una cosa che vorrei chiederti, ma prima un’altra.»

Apparve Naomi, e Castiel ebbe un sussulto che Chuck notò, osservando attentamente la scena con lui.

Dean guardava la donna con tristezza ed astio: ‘Lo so, stai sperando che Castiel torni da te. Ammiro la tua lealtà.’

Ricordava fosse veramente brava a convincere le persone, Dean sembrava crederci: ‘Vorrei solo che Castiel la pensasse allo stesso modo’.

Fu la seconda volta che vide quell’espressione sul volto dell’amico ed entrambe le volte lo aveva tradito, cercando di salvare il mondo e fallendo miseramente.

«Non essere così duro con te stesso.» lo interruppe il Padre.

«Ho sempre sbagliato, cercando di fare la-.» rispose Cas, sull’orlo del baratro.

«...cosa giusta.» Chuck piegò la testa da un lato osservandolo, e Castiel trattenne il fiato.

Il Padre schioccò la lingua e fece qualche passo avanti, superandolo. «Lo sento, Castiel. Non ti senti parte di questa realtà, ma è tutto il contrario.»

Cas non sapeva dove guardare.

«I-io... amo la Terra, amo gli Umani… ma non, non riesco a battermi per loro. Non riesco a proteggerli come vorrei.» spiegò.

«Solo perché è nella tua natura dare tante possibilità, come quelle che ho sempre dato a te.» disse Chuck.

«A te piace stare con loro. Ti piace condividere tutto con loro, ma…da dopo Dean demone, dopo aver invitato Lucifero... Andare a spasso con Crowley, sacrificandoti per togliere di mezzo Lucifero. Ti stai perdendo e non permetti a Sam e Dean di aiutarti. Dean ha anche detto che entrambi ti vedono come uno di famiglia, un fratello. Per loro è una cosa importante.» continuò.

Apparve l’immagine di una stanza che Castiel ricordava bene.

Metatron stava parlando con qualcuno; il suono apparve ovattato, poi si schiarì: ‘E’ stato tutto per salvare un essere umano, giusto?’ Cas serrò la mascella. ‘La sua vera debolezza è stata rivelata. E’ innamorato.” Castiel agitò impercettibilmente una mano contro la gamba ‘dell’umanità’.

«Be’, c’è una bella verità in questo.» affermò Chuck, facendo girare di scatto Castiel.

«Non so cosa intendi.»

Chuck sorrise. «E sono molto orgoglioso di questo…ma c’è dell’altro.» Alzò le sopracciglia, facendo sentire l'angelo in soggezione.

Castiel si guardò intorno. «Cosa?»

«Tu sai cosa.»

L'angelo sospirò, pensando a quegli occhi verdi, alle lentiggini, ai capelli biondi. Al suo orgoglio e alla sua testardaggine. A Dean.

Tornò a guardare Chuck, cercando di cambiare discorso. Era da molto, troppo tempo che voleva domandarglielo. «C’è una cosa che vorrei chiederti.» la voce flebile.

Chuck parve frastornato. «Spiegati meglio, figliolo.»

Cas abbassò lo sguardo, quasi intimidito. «È la domanda più spontanea e che probabilmente più ti è stata rivolta.» Fece una pausa. «Perché te ne sei andato?» sollevò i suoi occhi blu piantandoli in quelli azzurri di Chuck.

Lui lo guardò, senza rispondere.

L'angelo deglutì, senza riuscire ad eliminare il groppo in gola. «Sei rimasto deluso... » disse, la voce non proprio ferma, attirando la totale attenzione di Chuck.

«E lo sei ancora, parecchio... dagli angeli, da me.» Strinse i denti, il volto contratto.

Chuck rimase fermo per qualche istante ancora, poi si avvicinò al figlio, posandogli una mano sul petto.

«Castiel, tu sei un angelo... » fece uno sforzo per pronunciare quelle parole.

«Sì, continuo a ripeterlo…»

«Non ci credi più?» Chuck parve commosso. «Tu non sei una delusione, sei... »

Una lacrima scese giù per la guancia dell'angelo, fino a bagnargli le labbra. Chuck scosse la testa, le palpebre serrate. «Oh... no, no... » Circondò Castiel con le braccia, appoggiandosi alla sua spalla. «No… Io ti ho scelto, Castiel. Ti ho scelto per uno dei compiti più importanti e tornando indietro, lo rifarei.»

«Pensavo quello fosse Lucifero.» mormorò l'angelo.

«Lo è. Lo è stato. Con lui ho forzato troppo la mano e so di aver commesso un grande sbaglio. Tu, però, hai iniziato a credere nella mia creazione. Ho sempre chiesto solo questo. Non sono contro una vostra preferenza umana, è che…dato il vostro modo di essere, se superate il limite, ne venite sopraffatti. E’ successo anche a te, ma sei ancora qui.»

Ci fu una pausa durante la quale Cas strinse suo padre – la sua aura luminosa e confortevole; era finalmente tornato da loro, da lui.

«Vorrei tanto gli altri capissero.»

Castiel si separò da lui. «Non credo accadrà mai.»

«Lo supponevo. Ricorda che se non intervengo, è perché esiste un motivo.»

Castiel annuì. «Certo, Padre.»

 

 

Presente

 

Dean teneva lo sguardo basso da minuti ormai, ascoltando la storia di Castiel.

 

Due mesi prima

 

«D-dove siamo?.»

Chuck si separò da Cas, sbattendo le ciglia e fissandolo. «Che importanza ha?» sussurrò.

Castiel non rispose e si limitò a seguirlo.

Chuck sospirò. «È complicato... me ne sono andato affinché le cose si sistemassero. Non sono mai... davvero intervenuto. Sono scappato per far scoppiare l'Apocalisse, per mettere fine a tutto e ricominciare da capo.»

Castiel lo fissava senza capire.

«Ho fatto nascere e crescere Sam e Dean Winchester... perché potessero creare un diversivo e convincermi a non farlo. Per decadi mia sorella ha sempre rovinato tutto ed io la odiavo per questo. Poi l’ho rinchiusa, ma… c’era qualcosa che non andava e partiva tutto da me. Dalle mie creature, dai miei figli.»

«Volevi distruggerci?»

Chuck lo guardò con una leggera sorpresa negli occhi celesti. «Non potevo. Ho preferito andarmene…cercando di fare comunque del bene ed ecco il motivo per cui torni sempre in vita, Castiel.»

L'angelo schiuse le labbra.

«Figlio mio.» mormorò Chuck, «Tu hai fatto un lavoro perfetto. Sei stato un ottimo guerriero e protettore dei due fratelli... te ne sarò sempre grato. Sempre. Potrai non essere un arcangelo, ma hai la stoffa per essere uno di loro.»

Castiel respirò pesantemente e lentamente, scuotendo la testa. «Mi hanno odiato tutti in Paradi-»

«Io no.» Chuck lo fissò con amore paterno nello sguardo celeste.

Dio posò le mani sulle spalle dell’angelo. «Ascolta. Sono qui, adesso, perché voglio veramente sistemare le cose. Adesso ho capito come fare a mettere ordine in questo mondo.»

Suo figlio lo guardò incredulo.

«Sì, è proprio ciò che pensi. Voglio controllare di più.»

«Ci credevo una volta... » confessò Cas.

«Devi crederci.» lo interruppe Chuck. «Devi credere in me, come prima.»

Chuck si voltò e, improvvisamente, si ritrovarono in un giardino. Tutto era molto colorato, dall’erba, agli alberi, al cielo fino all’aquilone rosso che svolazzava in aria.

«Questo è…»

«Sì, mi piace. E’ molto tranquillo.»

Cas iniziò a spazientirsi un po' con i suoi modi di fare. «Dove hai mandato Sam e Dean?»

«E’ proprio di questo che ti voglio parlare.» Si voltò. «Ti ho detto che voglio ristabilire un equilibrio e a te voglio dare una scelta.»

Castiel si accigliò.

«Nonostante tutto sia andato male... hai trovato una famiglia da amare, da proteggere, e per cui morire. Non allo stesso livello della tua vera famiglia.»

Castiel abbassò la testa.

«Non te ne faccio una colpa, io me ne sono andato.»  Fece spallucce. «Vuoi restare qui sulla Terra, con loro, da umano.» Chuck sorrise eloquentemente. «...o…tornare con me in Paradiso, con tutti i tuoi poteri ed aiutarmi?»

Cas esitò. «Sarò un abominio.»

Dio scosse il capo, risoluto.

«NO. Non ai miei occhi. Non agli occhi dei miei seguaci. Cercherò di perdonare chi risulterà davvero dispiaciuto e manderò sulla terra chi mi ha veramente deluso.»

«Veramente vorresti il mio aiuto…in Paradiso?»

«Perché no? Sei bravo. Hai cuore ed intelligenza.»

«Ma gli angeli non dovrebbero averne.»

Chuck sorrise, abbassando lo sguardo e guardandolo poi da sotto le ciglia. «C’è sempre il prezzo da pagare.»

Cas si guardò le scarpe, le mani si posarono sul trench, quasi accarezzandolo, finendo sulla cravatta.

«Stai ancora cercando di rendere giustizia per quell’uomo, vero?»

Castiel lo guardò, gli occhi affranti.

«Jimmy sta bene.»

«Lo devo a Claire.»

«Non devi niente a nessuno.»

Ci mise qualche secondo a rispondere. «Non è vero.»

«Sam, forse? Non ho trovato nessuna nota di demerito nei tuoi confronti.»

Castiel distolse lo sguardo.

«Ah, giusto.» Chuck gli si avvicinò lentamente. «Per lui, sì, che ne hai fatte tante» Rise.

Schioccò le dita e si ritrovarono in una stanza poco illuminata, vide Sam e Dean alla sua destra e Hester a sinistra: ‘Da quando Castiel ha posato la mano su di te, per la prima volta all'inferno, si è perduto’.

Suo padre stava ancora ammiccando. «Provi qualcosa di speciale nei suoi confronti... non è forse vero?»

Cas arrossì. «Noi abbiamo un-»

«Legame profondo, sì, lo so. Ma Dean non ha più la tua impronta e continuate comunque ad averlo. E’ interessante.» Chuck rise. «Una delle più grandi cavolate inventate sul mio conto è proprio questa. Tutti convinti che io non voglia che voi angeli....»

Castiel guardò giù, in evidente imbarazzo.

«Non hai nulla di cui vergognarti, Castiel. Quindi la tua scelta sono... il tuo tramite e gli umani? Sei sicuro di voler abbandonare poteri e ali?»

Castiel lo fissò, serrando le labbra ed abbassò di nuovo il capo. «Io non voglio disobbedire -.»

«Te lo sto chiedendo io.» lo interruppe Chuck, con un lieve sorriso. «Non ci resterò male. Comprenderò la scelta.» sorrise.

L'angelo deglutì, nervoso. «Allora...ho la mia scelta.»

 

 

 

Presente

 

Erano passati due giorni da quando Castiel e Dean avevano avuto quella conversazione e nessuno dei due si era azzardato a tornare sul discorso. Nessuno dei due era nella stessa stanza, sveglio, per farlo.

Dean restava tutta la notte a sorvegliarlo; la mattina andava a casa a dormire e per lavorare, e Claire andava da Castiel il pomeriggio per studiare.

Un giorno, alcuni studenti andarono a trovarlo accompagnati da Margareth e Samal.

A Castiel aveva fatto immensamente piacere rivederli, soprattutto adesso che aveva meno dolori e poteva parlare senza addormentarsi all’improvviso.

«Come è il professore di sostegno?» domandò, incuriosito, dopo che Margareth lo aveva chiamato per annunciargli l'arrivo del sostituto.

«Non male, ma lei è più divertente. Ha un modo unico di spiegare, prof.»

Castiel sorrise, per quello che la sutura al labbro permetteva.

«Trattatelo bene, mi raccomando. Fatelo sentire a suo agio. Non è facile starvi dietro.» tutti e i ragazzi risero.

«Ah, prof. Dobbiamo iniziare a pensare al progetto di metà anno.» disse un ragazzo.

Castiel lo guardò sorpreso - non aveva idea di cosa stessero parlando. Margareth gli strinse una mano. «Sì, Castiel.» Sollevò le sopracciglia, parlando lentamente, enfatizzando le parole per aiutarlo a fingere di ricordare. «C'è da scegliere un argomento... ed esporlo alla scuola, con le altre classi.»

Cas sbatté le ciglia, ma poi annuì piano. «Oh, giusto….pensate intanto ad alcuni…. E verrete ad espormi le vostre idee.» Sorrise dolcemente a quei giovani visi.

«Sapevo avrebbe risposto così.» disse Eleanor, giocando con un boccolo di capelli.

 

Il tempo era scaduto; a Castiel dispiaceva vederli andare via, ma alcuni di loro restarono, i visi bassi e ne entrarono degli altri. Il gruppo di supporto della scuola era intorno al suo letto e la porta era chiusa.

«Come state?» domandò subito Cas, le mani ancora peste sulla pancia. Era leggermente dimagrito.

Nessuno fece segno di voler rispondere a quella domanda e Margareth massaggiò un braccio ad Eddy, poi guardò Castiel, l'aria cupa. «Abbiamo degli… indizi… per i quali pensiamo di sapere chi ti ha fatto questo.» annunciò, abbassando il capo.

Cas aprì appena le labbra, l'espressione innocente. «Lo so.»

I ragazzi alzarono lo sguardo in sincrono, stupiti da quella piccola rivelazione.

«Li hai riconosciuti?» domandò Margareth.

Cas fece per sistemarsi meglio sui cuscini. «No, solo le voci e non le conosco, ma… mi hanno intimato di stare lontano dai loro figli, ci è voluto poco...»

«Ho trovato-» iniziò Eddy, la voce tremante. «...una maglia sporca di sangue, nel garage di mio padre, con un berretto e uno scalda collo.»

«Io una mazza da baseball…con del sangue.» aggiunse Linda. 

«Ed io un tirapugni...»

«Erano in otto. Alcuni facevano solo da sentinelle.» fece loro sapere Castiel. Nessuno aveva fatto circolare troppi dettagli sull’accaduto. Solo un’imboscata davanti casa con armi contundenti.

Gli altri si consultarono con uno sguardo, impauriti, domandandosi se anche i loro genitori avessero potuto aver preso parte ad un atto simile.

«E’ possibile che lo siano venuti a sapere e che facciano parte di altre classi. Tutto è possibile.» cercò di tranquillizzarli Margareth.

Samal era rimasto in un angolo, lasciando spazio ai ragazzi e riflettendo sul da farsi con una mano sul mento, quando la porta della camera si aprì ed un Dean curioso entrò, un po' trafelato.

«Ehm... salve.» disse, guardandosi attorno.

«Ciao, Dean.» lo salutò Margareth, con un abbraccio.

Il cacciatore ammiccò: «Mi dispiace interrompere…ma-»

«L’ora delle visite è terminata, purtroppo lo sappiamo. Ragazzi, aspettateci fuori.»

Quando restarono solo gli adulti, Margareth, incoraggiata da un cenno del capo di Castiel, strinse le mani sull’asta del letto. «Sappiamo chi ha fatto questo.»

Dean irrigidì la mascella, aggrottando le sopracciglia e spostò lo sguardo su tutti e tre.

Castiel aveva chiesto a Margareth, durante le loro chiamate giornaliere, di farlo sapere al cacciatore - dato che non riusciva a stare da solo con lui per parlare.

«Cosa?» domandò, guardando Castiel.

Il moro si ammutolì, dopo il tono sconcertato dell’amico. Prese a fissare una piantina che gli aveva regalato Eileen. Margareth continuò per lui. «Hai presente il gruppo dei ragazzi di cui ci occupiamo?»

«Sì.» rispose Dean, con voce ferma.

La donna sospirò. «Alcuni di loro hanno trovato delle armi insanguinate.»

Dean non aveva ancora distolto gli occhi da Castiel. «Quindi tu... sai chi è stato.»

«No. Non li conosco. Loro sono venuti oggi a dirmelo.» Dean si girò istintivamente verso la porta, con una mano sul mento. «Figli di put-»

«Dean, lasciali stare.» iniziò Cas.

«Se sono i loro genitori-»

«Te la vedrai con i genitori, non con loro.»

Dean serrò la mascella.

«Avete denunciato l’accaduto, giusto?» chiese Samal. «La scuola non può fare niente. Non è successo in suolo scolastico.»

Dean, dopo una pausa durante la quale si passò una mano sul viso, rispose. «Sam ha chiamato subito un avvocato… gli ha fatto le foto, appena arrivato in ospedale.»

Margareth annuì e si avvicinò al moro. «Ora andiamo. Riprenditi, okay?»

Cas rilassò il volto, socchiudendo le palpebre. «Grazie per essere passati.»

Lei gli lasciò un bacio sulla guancia, stringendogli una mano, Samal lo abbracciò come poté. Dean alzò una mano in cenno di saluto, aveva ancora bisogno di riprendersi dalle notizie sconcertanti che gli erano appena piombate addosso.

Margareth e Samal uscirono, Dean restò girato verso la loro direzione.

«Guardami.»

Dean fece come gli era stato detto e lo raggiunse, Castiel allungò un braccio per prendergli una mano, l’altro non si ritrasse, la lasciò andare come niente fosse.

«Io sto insegnando tante cose ai ragazzi, ma lo stanno facendo anche loro con me. Ho imparato come comportami, a sciogliermi. A capire. A capire che voi umani avete... troppe cose.»

«Voi umani.» lo canzonò il cacciatore.

«Dean.»

«Ti avevo detto di restare esattamente come eri.» gli disse senza sembrare polemico - era solo una constatazione.

«A volte i cambiamenti servono. Avete tante, troppe emozioni… ma le complicate anche. Percependole, come avrei potuto restare lo stesso di anni fa?»

Dean sbuffò. «Come ti senti?» cambiò discorso.

«Adesso? Stanco.»

«Tra poco arriva Claire.» Si alzò sistemando la sedia di lato. «Io vado a dare una mano a Sam per il locale.»

«Quando inaugurano?»

«Venerdì sera, così approfittano del fine settimana.»

Ci fu una pausa.

«Avrete da fare, mi dispiace perdermelo... e porta anche Claire.»

«Ci saranno gli alcolici, non la voglio sulla mia coscienza.»

«Falla svagare, per favore.»

«Sta andando male?» domandò Dean, preoccupato, occupando le tasche dei jeans con le mani.

«Non ce la fa a vedermi qui, è eloquente.»

Dean annuì. «Sam mi ha chiesto di fare da buttafuori, vedrò di staccarla dai libri.»

«Grazie.» Si guardarono per un lungo momento; gli occhi di Castiel pieni di aspettativa.

«Ora basta, a dormire.» disse Dean, scherzoso, sistemandogli la coperta. «Hai tre ore prima della cena e sembri distrutto.»

«E’ strano essere così stanchi, anche se stai tutto il giorno nel letto.»

«E’ perché stai male, Cas. Il corpo umano purtroppo funziona così, abituati.» L’ultima parola uscì secca, ma non come una critica, accompagnata da occhi chiusi che tornarono a guardarlo.

Dean spense la luce nell’asta, orizzontale, sopra il letto.

Castiel restò un attimo in silenzio, adocchiandolo mentre il biondo si accomodava sulla poltrona nell’angolo della stanza a fare un sonnellino.

«Dean...?» domandò incerto.

«Dormi, Cas. Dormi.»

 

 

Angolo di Sarandom and Feathers

 

Ehm, che c’è da aggiungere?

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Capitolo 8
*** Y ***


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Y.

 

Eileen aveva provato a parlarci, ma per quanto entrambe potessero piacersi, si erano conosciute troppo di recente. Castiel non voleva spingersi troppo oltre, così insieme decisero di chiedere l’intervento di Sam. Il giovane Winchester era sempre stato il più bravo con i dialoghi.

Sam si trovava nella sua auto, dopo aver accompagnato Eileen da un’amica e dato un passaggio a Claire per andare in ospedale.

Dopo un po’ di silenzio, Sam, decise di attaccare il discorso.

«Come vanno le cose?» domandò mentre era alla guida.

«Bene, quando smetterete di chiedermelo.» rispose Claire, intenta a scrivere qualcosa sul cellulare.

Sam sapeva che la ragazza non era affatto stupida e gli provocò un sorrisino sotto i baffi. «Siamo solo…preoccupati?»

«Chi?»

«Tutti noi...?»

Claire sospirò, quasi divertita.

«Sei sempre tu quello che scelgono per questi discorsi, eh?»

Sam sorrise ancora. «Mi riesce bene e.. mi fa piacere.» Toccava veramente sempre a lui. Non che suo fratello non ne fosse in grado, ma con le persone che facevano parte della sua famiglia non riusciva a sbilanciarsi troppo.

«Sam, sto bene.»

«Sicura?»

«Perché non dovrebbe essere così?»

«Beh, a me non è capitato, quindi non so cosa voglia dire. N-non so come starei se…insomma, non è strana… la situazione con Cas?»

Claire alzò gli occhi dal cellulare.

«Intendi... come è vedere in un letto d’ospedale il corpo del tuo defunto padre che ora appartiene da un angelo - adesso umano - e pensare che quindi lo vedrò invecchiare, anche se non è lui?»

Sam ingoiò a vuoto, basito dalla risposta, poi si voltò verso di lei, cauto. Ma Claire aveva un viso quasi sereno, per niente nervoso.

«Sam, sto bene. Non è proprio una cosa meravigliosa, ma… ne ho vissute di peggiori. Castiel è cambiato…mi piace il modo in cui lo ha fatto e…posso conviverci. Smettetela di rendere tutto strano.»

Sam la fissò per alcuni secondi, ma poi annuì, in parte rasserenato e riprese a guardare solo la strada.  Non poteva, decisamente, fare di più.

 

 

*

 

 

Cas stava leggendo una rivista di cucina, quando sentì le voci di Sam e Claire avvicinarsi.

«Wow, è uno dei miei argomenti preferiti.»

«Ovviamente.» Claire aprì la porta.

«Di che parlate?» domandò Castiel.

«Stanno esplorando la psicologia dei serial killer.» rispose Sam.

«E sto per diventarne una anche io, se Dean non la smette di messaggiarmi per sapere se-» premette un tasto sul cellulare. «Sono arrivata!» esclamò in quella che doveva essere una nota vocale.

«Dean?» fece Castiel.

«Sì, è assillante.» scandì la ragazza, gli occhi al cielo.

Castiel abbassò lo sguardo.

Sam passò del tempo con loro, fino a quando ricevette una chiamata. «Okay, io vado a prendere Eileen da un’amica.» mormorò Sam.

«Salutamela.»

«Passeremo insieme domani. Ciao, ragazzi.»

 

 

*

 

«Claire?»

«Mh?» fece lei, mentre continuava a sfogliare un quaderno.

«Claire.»

«Cosa?» finalmente alzò lo sguardo, incontrando il suo.

«Andrai all’inaugurazione, vero?»

«…Ho tanto da studiare, poi Dean mi massacrerebbe.»

Cas assottigliò lo sguardo. «L’ho avvertito io, dicendogli di portarti con lui.»

Lei sbuffò. «A me ha detto il contrario.»

Castiel era spiazzato. «Cosa?»

«…di farti compagnia, dato che non sa quando tornerà. Hanno in programma di fare le ore piccole al locale.»

«Ma...se gliel’ho detto poco fa.»

«E’ diventato una scheggia con il telefono.»

Castiel sospirò. «Tu dai retta a me e vai.»

Claire lo guardò divertita. «Sì, papà.»

Castiel restò immobile, mordendosi un labbro. «Non volevo…»

«Cas, lo so. Non devi preoccuparti sempre di questo, altrimenti non andremo mai avanti. Sono adulta e so come stanno le cose. So che certe volte accade qualcosa, qualche…momento. Ma dobbiamo fingere e se dobbiamo farlo, lo faremo bene. Ho scelto io di venire qui.»

«Voglio solo tu ti diverta.»

«Lo so.» sorrise lei.

 

*

 

Dean si specchiò ammirando il suo smoking, sistemò l’auricolare e sorrise al proprio riflesso; prese le chiavi dell’Impala, il cellulare e chiuse casa avviandosi verso il locale.

L’insegna “Bobby’s” svettava sulla porta d’entrata. Il nome lo avevano scelto insieme e Dean l’aveva creata attraverso vecchi rottami di alcune auto prese ad uno sfasciacarrozze e le lettere venivano illuminate da dietro con luci colorate.

In quei giorni aveva aiutato a sistemare, ma alle prove finali non aveva assistito ed ora, entrando dalla porta principale, le aveva davanti agli occhi:

Il corridoio iniziale, era buio con luci rosse e verdi che formavano linee laser sui muri e su di lui. Musica tecno gli rimbombava addosso mentre si intrufolava. Dopo aver sceso degli scalini, arrivò alla sala ristoro e del palco. Era ancora presto, quindi trovò solo camerieri e altri della sicurezza, intenti a parlare con Sam, ed Eileen dietro il bancone del bar a leggere sul grande registro.

«Dean!» lo chiamò il fratello, intimandolo ad avvicinarsi; salutò lo staff e furono tutti felici di averlo lì con loro.

«Tra mezz’ora apriamo… hai visto qualcuno fuori?»

«Sì, è pieno dietro le transenne.» Rispose O’Connell, un uomo alto quasi quanto il fratello, ma molto più massiccio e abbronzato. Aveva un’aria simpatica nonostante sembrasse un gigantesco orso forzuto.

«Andate alle vostre postazioni, allora.» Disse Sam, annuendo gentilmente. Si girò verso il fratello.« Claire?»

«Viene con delle amiche.»

«Perfetto.»

 

*

 

Gli sembrò una serata tranquilla nonostante fosse la prima volta per lui e per il locale tornato funzionante.

Cercò di seguire le istruzioni degli innumerevoli film passati davanti i suoi occhi: se vedeva gente troppo esaltata, la corsa per entrare finiva con lui. La cosa più divertente furono i ragazzi minorenni e i non adatti all’alcol a prima vista.

 

«Jonah Davis.» Lesse Dean sul documento, visibilmente falso; non potevano certo fregare lui con i suoi vecchi oggetti del mestiere.

Vide il ragazzino sbiancare. «Mi dispiace, ma sei veramente troppo piccolo. Aspetta qualche anno e potrò farti passare.» Gli fece l’occhiolino e l’altro sparì con la coda tra le gambe.

Dopo una mezz'oretta, giunse un’altra ragazza: «Ty Oakley» la guardò divertito. «Quanti anni credi io abbia?» se la rise, ridandole il tesserino. «Non fatemi avvertire i genitori, forza.» Le fece segno di andarsene sventolando una mano. Lei e le sue amiche sbuffarono.

«Mh mh...» mugolò Dean, negando con la testa e ammiccando.

La tipa emise un mezzo ringhio. «Andiamocene» disse alle altre.

Dean fece entrare un gruppo di sei persone dopo di loro e, mentre controllava altre tessere, credette di notare una testa bionda familiare.

Mentre lasciava passare la gente, la ragazza lo notò e si fece strada verso di lui, con dietro tre amiche.

«Scusate.» disse agli altri annoiati nel vederla passare avanti.

Dean sorrise, facendo finta di guardare il tesserino di tutte e tre. «Raccomandata.» bisbigliò.

«Posso ancora farvi sgamare da tutti, “FBI”» disse l’ultima parola imitando la voce del biondo.

«Come stava Cas, og-» ma venne interrotto.

«Dean,  Cas sta bene. Se vuoi veramente saperlo, vai da lui. Non sono il tuo messaggero.» Riprese il documento dalle sue mani e lo superò entrando nel locale, lasciando ondeggiare la gonna rossa.

Dean si massaggiò il collo facendo segno ad altre persone di andare avanti.

Claire e le sue amiche, Tanya e Nicole, vennero circondate dalla musica non appena si ritrovarono nel corridoio. Scendendo le scale, Claire, notò quanto sembrasse più grande di quando l’aveva visto senza mobilia.

I salottini bianchi e marroni erano completamente occupati da uomini e donne vestiti elegantemente e in abiti succinti.

Andarono dirette alla pista da ballo, centrale, trasportate dalla musica.

Ad un certo punto, un gruppetto di ragazzi le circondò e ballarono con loro. Claire fece finta di dargli corda, con qualche sorriso accennato, ma quando uno di loro iniziò a darle troppa confidenza e a farsi troppo vicino, lo spinse via. Lui si lamentò, riprovandoci e l’amica stava tentando di flirtare con quello che doveva essere il fratello del tipo.

«Dai ragazze, scioglietevi un po’!» Il primo fece per prendere Claire per i fianchi, ma dalla ragazza partì un pugno, che però non si piantò sul naso del ragazzo, perché fermato a mezz’aria da una mano.

Claire si girò di scatto e vide Dean. Lei abbassò la guardia.

«Girate a largo» ordinò Dean ai ragazzi, duro, e quelli si allontanarono. «Tutto bene?» domandò rivolto a lei.

«Non eri fuori?» domandò Claire.

«Li ho visti entrare da dietro, pensavano di farla franca. Ragazzini…»

«Claire!» urlò un’amica dietro di lei. «Si è liberato un divanetto, andiamo? »

La ragazza le face un cenno con la mano, le unghie smaltate di nero. «Arrivo fra un istante!» esclamò, poi si

 

 concentrò su Dean. «Grazie.» disse, guadagnandosi un sorriso, affettuoso, del biondo.

 

 «Divertiti, Claire. E soprattutto... non ti ubriacare. Te lo proibisco.»

 

Lei alzò un sopracciglio, ma le si piegò il labbro, come se stesse per ridere. «Cos'è? Vuoi fare il papà numero

 

due?» ironizzò, la mano sul fianco.

 

Dean si sentì inspiegabilmente arrossire, ripetendosi in mente quella frase come in un loop.

 

Claire lo fissò con fare interrogativo, ma poi preferì non fare altre domande e dirigersi verso Tanya e Nicole,

 

le quali reggevano dei bellissimi analcolici alla frutta.

 

«Non bere altra roba.» le ordinò il cacciatore, restando al suo posto.

 

 

*

 

A fine serata, Dean aveva accompagnato fuori diversi ragazzi brilli ed alcuni facili alle risse. Controllato che Claire  non avesse riprovato ad uccidere qualcuno e che non bevesse.

«Dean?» chiamò, ad un certo punto, una voce dalla ricetrasmittente.

«Sam?»

«Qui abbiamo finito, sono usciti tutti.»

«Okay, arrivo.»

Erano le cinque del mattino e l’intero locale era pieno di cappellini, coriandoli, stelle filanti e glitter fluorescenti a terra e su ogni mobile.

«Domani pulizie, ora a dormire.» disse Sam, prendendo l’enorme mazzo di chiavi e indicando Claire, sdraiata su un divanetto marrone.

Dean le si avvicinò, muovendola per svegliarla.

«Hey.»

«Mh..shh.» si lamentò la giovane Novak, girando appena il collo.

«Ti accompagno a casa.»

Claire aprì un occhio e si sedette, poi si fece ricadere addosso a Dean, continuando a dormire. Il cacciatore, interdetto su cosa fare, provò di nuovo a svegliarla, scuotendola delicatamente.

«Dean, portala in braccio.» consigliò il fratello.

 

Sam gli aprì la portiera dell’Impala e Dean stese Claire sui sedili posteriori.

«Eileen?» domandò Dean, guardandosi attorno.

«Cloe l’ha portata prima a casa, era stanchissima.»

«E’ andata bene, vero?»

«Molto bene. E ci siamo divertiti entrambi, anche se non può sentire la musica, sa muoversi bene.» Ammiccò e sorrise fra sé e sé, gli occhi luminosi da innamorato fecero sbuffare divertito il fratello.

«Oh, cielo. Sei proprio preso, eh? Quand’è che…sì, beh…»

«Sposarci?» fece Sam, emettendo un risolino. Occhieggiò il viso di Dean per molto tempo prima di

abbassare il capo e rispondere. «E’ proprio ciò che volevo…» Si grattò la nuca. « Stavo pensando di farle la proposta a Natale. Prima che nasca il bambino e mi sembrava la miglior occasione.» Sam aveva preso a guardare avanti a lui, verso il proprio locale. Si chiese se si sarebbe veramente abituato a non avere più demoni da esorcizzare o mostri da abbattere. «Credi che…mi dirà di sì?» chiese, mordendosi il labbro.

Dean lo stava fissando con tenerezza mista ad una strana malinconia, che gli faceva luccicare gli occhi. «Ma certo che dirà di sì. Ha tuo figlio in grembo, come potrebbe essere diversamente. E non perdere tempo.» ridacchiò, scuotendo il capo.

«E ho visto la tua ricerca per la nuova casa.» continuò, lo sguardo basso con un leggero sorriso sulle labbra.

Sam si girò sorpreso.

«E’ bella.» alzò una mano grattandosi il lato della bocca. «Quella con la piscina interna.»

Sam lo guardò, rincuorato dalle sue parole. Annuì con un sorriso pensando che, in fondo, anche Dean

sapeva instaurare quel tipo di dialoghi speciali se lo voleva. Si sentiva davvero entusiasta in quel momento,

nonostante la stanchezza lo facesse sembrare mezzo addormentato. Non desiderava altro oltre a tutta quella

semplicità, quegli affetti, quelle feste in compagnia delle persone a cui voleva più bene.

Mancava solo Castiel e tutto sarebbe stato perfetto quella sera.

«Un giorno sarai felice ed amato, così, anche tu, Dean.» fece Sam.

In quell’istante, Dean, si pietrificò piombando nei suoi pensieri confusi e cambiando del tutto espressione.

Felice. Amato.

Quelle due paroline provocarono un fastidioso eco nella sua testa, che continuò fino a non quando mise in moto l’Impala.

 

*

 

Dean arrivò a casa Novak ed entrò con la sua chiave. Si erano fatti tutti e tre una copia delle rispettive, per le emergenze.

Con Claire in braccio pensò di farcela a salire le scale, ma optò per il divano.

La coprì con un plaid dal mobile del soggiorno e si fermò sulla porta, voltandosi per guardarla; per guardarsi intorno nella luce fioca del mattino ed uscì.

Mandò un messaggio a Castiel.

Da Dean:

“E’ salva. Dorme sul divano. Buongiorno.”

 

*

 

Lunedì pomeriggio, dopo aver passato un week-end frenetico, Dean tornò all’ospedale e trovò il medico nella stanza che gli raccomandò di portare Castiel a prendere un po’ d’aria fresca.

Dean aiutò Castiel a sistemarsi sulla sedia a rotelle e lo guidò fino al giardino.

Il sole stava tramontando, colorava le poche piante di un caldo e bellissimo arancio. Non faceva troppo freddo nonostante fosse inverno, ma Cas aveva addosso una coperta ed un berretto.

«Riesci a riposare abbastanza ultimamente?» gli domandò il biondo, una mano sulla sua spalla, fissando l'orizzonte con poco interesse.

«Sì, certo.» mentì Castiel, girandosi appena e mostrandogli il profilo leggermente scarnito.

Dean fu invaso da un'ondata di affetto nel vederlo in quelle condizioni. Si spostò per sedersi su una panchina lì accanto.

«Fai... bei sogni?» gli domandò, circospetto.

«Sì, a volte. Vedo te e Sam. Addirittura Crowley e non sono sogni spiacevoli.»

Dean annuì, girandosi e Castiel non poté vedere la sua espressione, data la sua postazione, spalla a spalla con il cacciatore.

Il biondo sapeva che non era del tutto vero.

Aveva pensato che forse il suo migliore amico desiderasse solo rassicurarlo o, semplicemente, non si ricordasse affatto dei sogni che realmente faceva. E onestamente non sapeva quale delle due opzioni gli suonasse peggiore.

Lo portò a fare un giro del diametro verde dell’ospedale, c’era ancora del silenzio tra loro, ma non era soffocante e restò fino a quando furono pronti per tornare.  

«Dobbiamo andare, Cas. È ora di cena. Spero ci sia il budino.»

 

*

 

Quella sera, Dean si ritrovò meno stanco del solito, quindi non riuscì a sfuggire ai sogni e agli incubi di Castiel. Non l’aveva mai detto al moro… né a nessuno.

A quell’ora tarda era l’unico a restare nella stanza e ad ascoltare le parole sconnesse ed in preda al panico e alla debolezza dell’amico.

«Dean…»

Ecco che iniziavano, alle quattro del mattino, precise come un orologio svizzero.

Un mugolio. Una voce roca e sempre troppo bassa, più del solito, che nessuno poteva sentire al di fuori di lui.

«Per favore, basta… basta.»

Iniziava l’incubo.

Dean poteva differenziare i quattro momenti perfettamente da come erano accaduti.

Il “Dean” di quando lui non ricordò nulla; il mugolio della lacrima di Cas perché Dean non aveva capito niente; la voce straziata dal dolore di quando Dean non lo aveva protetto, cibandosi del rimorso nell’ascoltarlo ogni notte.

«Dean…io…io» e l’ultimo, quando trovava la pace e continuava a dormire, a discapito del biondo.

Il giorno dopo si svegliava mentre l’infermiera gli portava la colazione e Dean gli lasciava il giornale prima di salutarlo e andare via.

Non sapeva per quanto ancora sarebbe riuscito a sopportare tutto quello. Tutto quel senso di colpa, la voce straziante e rotta dai tristi ricordi del suo angelo, che il mattino dopo sorrideva, fingendo - o non- di essersi dimenticato di tutto.

Aveva realmente capito, solo in quel periodo, quanto gli stesse davvero a cuore la felicità dell’amico.

 

 

*

 

Castiel sentì la risata di un bambino sui sei anni intento a spacchettare un regalo di Natale; accanto al piccolo c'erano due uomini che indossavano dei classici maglioni natalizi e si tenevano per mano, guardandolo con amore negli occhi.

«Allora, Jason, che ne dici?»

Il ragazzino alzò il naso paffuto e lentigginoso nella loro direzione e finalmente Castiel riuscì a vedere ciò che aveva tra le minuscole dita. Un banalissimo peluche, che però lo fece sorridere come se avesse ricevuto qualcosa di preziosissimo.

Una bambina poco più grande di lui, con un braccino fasciato, si avvicinò timidamente fissando il grande orso bianco con un fiocco blu notte al collo.

«Che bello! Chi te l'ha regalato?» domandò, sbattendo le lunghe ciglia.

«I miei papà!» esclamò lui, stringendo la mano dell'uomo biondiccio e lanciando un'occhiata a quello con la barba scura.

La bimba assottigliò lo sguardo, curiosa. «Tu hai due papà?»

«Sì!» rispose Jason, orgoglioso. «Ne ho addirittura due!»

«Che fortuna! Pensa che io ne ho uno solo... però vale per due!» rispose lei, strappando un risolino a tutti e tre.

 

Era una settimana che Jason stava male; Castiel non aveva ben capito quale fosse la sua malattia, ma si era accorto del suo peggioramento negli ultimi giorni. Sperava con tutto il cuore che potesse guarire in fretta per tornare a casa e poter avere una vita felice, ma era consapevole di quanto fosse difficile. Un tempo avrebbe potuto guarirlo con un tocco, pensò con rammarico.

Avvertì il leggero peso di una mano sulla spalla e si voltò.

«Dean?»

Il cacciatore stava ammiccando appena dietro di lui, proprio come qualche giorno prima. «Che c'è? Vuoi un peluche anche tu?» lo prese affettuosamente in giro.

Cas gli sorrise e fece spallucce. «Me ne hai già regalato uno.»

Dean si schiarì la gola e si girò per guardare la scenetta di fronte a loro.

«Sono... bellissimi.» disse Castiel, una volta tornato a guardarli.

«Chi?»

Il moro accennò col mento indicando la famiglia e Dean si accorse, con un certo imbarazzo, quanto la coppia avesse tratti e comportamenti simili ai loro. «Uhm, già. T-ti accompagno in camera, vuoi?» gli disse, il palmo ancora sul braccio di Castiel.

«Sì, okay.»

Non appena socchiusero la porta della sala giochi, dove ogni tanto Castiel si fermava per far compagnia a bambini e ragazzi; Dean prese il portatile dalla sua borsa da viaggio sulla poltrona e tornò da lui, sistemandolo ai piedi del letto.

L'angelo osservava il cacciatore mentre accendeva il pc, con un leggero sorriso sulle labbra e le guance più rosee del solito.

«Dean, non abbiamo più-»

«C’è qualcuno che vuole salutarti.» lo interruppe Dean, senza farlo finire e senza guardarlo. «Adesso vedrai un regalo di Natale…» Il cacciatore aprì Skype e fece partire una chiamata, mentre l'angelo lo osservava leggermente irritato.

Dopo il consueto suono, finalmente, lo schermo fu occupato da tre visi sorridenti e l'espressione contrariata di Cas mutò in gioia.

«Ciao!» esclamò Castiel, visibilmente felice.

«Buon Natale, Cas!» disse Claire. Sia lei che Sam ed Eileen indossavano dei classici cappelli da Babbo Natale.

Dean sghignazzò alla vista di quello con le stelle luminose della giovane Novak.

«Ti sta bene!» le disse.

«Il mio è speciale.» scherzò lei.

«Guarda, Cas... ti mostriamo le decorazioni che ha fatto Eileen.» Sam prese il computer e lo fece girare per casa fra mormorii e risate delle altre due che indicavano le palline appese, le ghirlande dorate e rosse, l'albero illuminato, il camino acceso pieno di calze decorate.

Gli occhi blu di Castiel riflettevano ogni cosa con la meraviglia di quelli di Jason mentre scartava il suo regalo. Era tutto bellissimo ed estremamente nuovo per lui.

Castiel posizionò un polpastrello sul microfono del computer per attutire il suono.

«C'è la tua torta preferita sul loro tavolo, Dean.» mormorò ad un certo punto, girandosi verso di lui con un sorriso.

Dean alzò gentilmente le sopracciglia, come cavolo faceva a notare quelle piccolezze. «Ovvio.»

«Dovresti andare a far loro compagnia.» disse Cas, toccandogli un braccio. «Non devi per forza passare la Vigilia chiuso qui dentro... non voglio.» aggiunse, senza un'ombra di vittimismo nella voce e togliendo il dito. La cosa che più desiderava quel Natale era che Dean fosse felice e che si divertisse a sufficienza. Dean si ritrasse leggermente al suo tocco, facendo finta di sistemare meglio il pc sul letto.

I cinque fecero una breve chiacchierata riguardo gli aneddoti più rilevanti dell'ultimo periodo, interrotta solo da battute generali.

«Adesso iniziamo a preparare le altre cose, ci vediamo presto!» esclamò Eileen, e circondò le spalle di Claire con un braccio.

Castiel li salutò con la mano, sorridendo dolcemente.

Appena chiusero la chiamata, Cas posò la mano sul materasso e con l’altra si grattò il mento.

«Che c'è?» domandò Dean.

Castiel lo fissò. «Vai da loro, dai. Si vede che vorresti.»

Il cacciatore si sentì le guance accaldate. «No.» disse. «Resterò qui con te... a rendere il tuo Natale decente, te lo garantisco.» aggiunse, risoluto.

Le ciglia di Castiel si abbassarono di poco. «Non voglio che tu... »

«Oh, Cas... credi sul serio che mi piacciano queste cose? Andiamo...» tentò di convincerlo Dean.

Castiel si sentì strano di fronte a quella risposta. «È importante, Dean... questo è il tuo primo Natale pacifico e-»

«...e questo è il tuo primo Natale.» rispose Dean, cocciuto. «Mi fa già schifo l'idea che tu debba passarlo infagottato in un ospedale. Dio, fossi in te ritornerei ad essere un angelo solo per farli a pezzi.» sussurrò, la voce evidentemente nervosa al pensiero di quel segreto.

Ma Cas assunse un'espressione triste. «Ho scelto di smettere di fare quelle cose, Dean... E sono comunque i genitori di quei ragazzi. Non darei mai loro un ulteriore dispiacere, dopo tutto il dolore che sono costretti a sopportare.» mormorò, guardando in basso verso le sue gambe e mani  martoriate.

«Scelto… non hai scelto. Sei stato costretto. Cerca di fare il buon padre, quando invece è solo-»

«Dean!» lo rimproverò Castiel, restarono a fissarsi, fino a quando Dean abbassò il capo.

«Sì, avrà anche fatto come dici tu, ma mi ha sempre riportato indietro. Questo glielo devo.»

Dean aveva gli occhi chiusi. Castiel aveva ragione. Aveva pienamente ragione, ma lui era ancora fin troppo arrabbiato per riuscire a pensare lucidamente.

«Ormai non posso tornare indietro, quindi accettalo, o… o non lo so.» Anche Castiel teneva lo sguardo basso.

Non ricevette ulteriore risposta, quindi continuò. «Allora... ci andrai o no?»  

Dean alzò gli occhi al cielo. «Che testa dura hai...»

«Per favore. Magari torni domani... io starò qui. Mi rilasserò guardando o leggendo qualcosa. Mangerò qualche biscotto. Mi basterà tutto questo, Dean. V-voglio solo-» si interruppe.

Dean assottigliò lo sguardo. «Che io sia felice. E tu?»

Castiel distolse gli occhi da quelli di Dean, imbarazzato. «E’ così brutto augurarti una cosa del genere?»

«Puoi, almeno per una volta, pensare a te?»

«Lo sto facendo.» Si voltò. «Non ci parliamo, come dovremmo passare il tempo? Ti ho detto tutto e tu ancora niente. E’ sempre così quando litighiamo. Vai da loro, facciamo passare qualche giorno e tutto tornerà come prima, come sempre.» Si sdraiò girandosi da un lato, mostrandogli la schiena.

Aveva ragione un'altra volta.

Dean ebbe un colpo al cuore a quella frase e si bloccò, restando rigido in piedi con le mani sull’asta del letto. Avvertì uno strano ed inquietante pizzicare agli occhi.

Avrebbe voluto dirglielo, avrebbe voluto ripetere a quello stupido pennuto che lui ci teneva a non farlo stare da solo, anche con la valanga di emozioni che infrangevano su di loro con ogni occhiata. Con ogni pensiero non detto.

«S-se proprio ci tieni... allora vado.» disse Dean, con un lievissimo sorriso malinconico. «Chiamami se hai bisogno di qualcosa... o se-»

«Certo.» Rispose il moro, senza emozione nel tono e senza girarsi.

 

*

 

«La tradizione di scambiarsi i libri a Natale è molto diffusa in Islanda, pensate che le nuove pubblicazioni appaiono proprio nei mesi che precedono le feste...»

Sam pareva assorto nello spiegare ciò che sapeva sugli usi dei paesi dell'Europa del Nord, e l'argomento lo affascinava tanto da fargli brillare gli occhi.

Anche lo sguardo di Eileen era piuttosto luminoso; la ragazza stava a contemplare la figura calma di un Sam che leggeva per tutti seduto su una poltrona accanto al camino scoppiettante. Gli amici e colleghi di Sam ed Eileen chiacchieravano animatamente tra loro, ogni tanto strappando una risata ai due. Sembravano tutti delle bravissime persone, ordinarie ma non troppo - un'ottima compagnia per loro. Dean pensò che se avessero saputo ciò che era costretto a fare Sam prima che Dio mettesse le cose a posto, sarebbero rimasti di sasso e/o scappati a gambe levate.

Claire stava bevendo dello zabaione e mangiando qualche stuzzichino, mentre aspettava che tutti gli ospiti si radunassero per la cena.

L'atmosfera era ancora più bella di come Dean la ricordasse. Gli erano piaciute un mondo le decorazioni, l'albero di Natale con gli angeli appesi, le luci e le ghirlande su ogni porta. Trovava tutto molto classico, ma meraviglioso al contempo. Al contrario di quanto avesse fatto capire a Castiel, gli piaceva il Natale ed aveva sempre cercato di festeggiarlo con il fratello.

Eppure, l'unico a non sprizzare gioia sembrava essere proprio lui. Non che gli altri fossero proprio senza pensieri - un loro amico era in ospedale - ma il maggiore dei Winchester era decisamente il più preoccupato e quella sensazione non sarebbe passata. Era rimasto sdraiato sul divanetto in pelle, bottiglia di birra in una mano e telecomando, mentre faceva finta di guardare qualcosa alla televisione con volume bassissimo. Ogni tanto, lanciava occhiate alla splendida coppia di fronte a sé, ammiccando e facendo l'occhiolino al fratello.

«Come va?» gli domandò Claire ad un certo punto, piombando sul divano alla sua sinistra e scoccandogli un sorriso comprensivo.

Dean alzò un sopracciglio. «Non mi lamento...» Prese un sorso di birra fresca. «Tu?»

«Uhm, tutto okay. A parte... beh...» Tacque subito dopo.

Il cacciatore si girò verso il profilo semi illuminato di lei, e si rabbuiò appena. Si immaginò tutti i ricordi che quella ragazza doveva avere in fondo al cuore; i Natali passati in compagnia dei suoi genitori, la pace e la tranquillità della sua infanzia prima dell'inizio dell'Apocalisse.

Dean avvertì un leggero peso sullo stomaco.

«Sì, capisco cosa intendi.» disse Dean.

«Siete gli unici, oltre a Jody ed Alex, a cui posso dire il contrario.»

«Non ne fa una cosa bella.»

«Affatto.»

Claire si girò e sorrise gradualmente, con un velo di malinconia nelle pupille lucide. Lo abbracciò in modo inaspettato, di colpo, e Dean rimase pietrificato da quel gesto, il naso immerso fra i capelli dorati della ragazza e gli occhi persi nel vuoto. Pensò che, alle volte, alcuni tratti del carattere di Claire somigliassero proprio ai suoi, come l'orgoglio o la voglia di reprimere la propria tristezza.

La cena fu estremamente piacevole; Claire ed Eileen si erano cimentate con antipasti creativi, arrosto, patate al forno, diversi tipi di insalate, dolci di ogni genere, macedonia ed altre pietanze.

«Vi converrà apprezzarli, dopo tutto questo lavoro!» esclamò Claire con una punta di ironia nel tono e le mani sui fianchi, facendo ridere Sam e Dean.

Nonostante la bontà dei piatti e l'allegria generale, però, Dean riuscì a mangiare la metà di quanto faceva solitamente, lasciando suo fratello spiazzato. Dean era quello dallo stomaco insaziabile, no?

Nessuno, fortunatamente, gli domandò nulla durante tutta la serata. La maggior parte lo conosceva grazie ai lavori di casa in casa e per i turni al locale del fratello, ma Dean non era mai stato tanto aperto su di sé. Non si era mai preso la briga di inventarsi un suo passato; era rimasto riservato e Sam non aveva mai detto niente per lui.

Poi, Mildred, seduta tra due giovanotti, gli passò accanto per andare a prendere dei nuovi tovaglioli e gli chiese notizie su Castiel.

«Sta meglio.» rispose il cacciatore con un piccolo sorriso di circostanza.

«Mi fa piacere. Spero possa uscire presto da lì.» gli strinse una spalla e tornò al suo posto.

Dean si incupì e non toccò il resto della cena.

Solo quando lui ed Eileen rimasero da soli a lavare i piatti, la ragazza gli fece un sorriso eloquente. «Lo so...»

Dean si girò, un po' incuriosito. «Cosa sai?»

Eileen si portò i capelli scuri dietro l'orecchio, un gesto che faceva frequentemente quando era in imbarazzo, ed emise un risolino.

«Lo so che muori dalla voglia di andare a vedere cosa fa Castiel.» mormorò, come se volesse fargli credere che gli altri non si erano accorti del suo stato d'animo. «Perché non lo fai?» aggiunse infine, sfiorandogli il braccio. Poi se ne andò in fretta e Dean restò a guardare il corridoio da dove era sparita.

Sentì delle voci dietro di lui, e si girò per vedere Sam rientrare dalla porta che dava accesso al giardino dalla cucina.

«Dean, non vieni fuori?» gli domandò, entrando e prendendo una birra dal frigo.

Dean prese un sorso dalla sua e fece 'no' con la testa.

«Tutto bene?»

Dean non rispose, e Sam assottigliò lo sguardo. «Ancora per il fatto che è umano?»

«Quello resterà sempre...»

«È stata una sua decisione.»

«Le ho già sentite queste parole.» Il maggiore lo guardò, severo.

Sam tirò un lungo sospiro. «Te l'ha detto. Non può tornare indietro, vuoi avercela con lui fino a quando, esattamente?»

«Io non-» fece sfumare la frase, e cambiò argomento. «Quando lo dirai ad Eileen?»

Sam si girò spaventato. «Shh! Sei matto.» lo rimproverò a bassa voce, prendendolo per la giacca e strattonandolo accanto la porta dello stanzino delle scope.

Dean se la rideva. «Oh, guardatelo come scappa.»

«Smettila! Voglio fare le cose per bene.»

«Quindi?»

«E voglio aspettare che ci siano tutti e solo voi di famiglia. Quando pensi uscirà Cas?»

«Non lo so.» Il sorriso gli si smorzò sulle labbra, e Dean bevve l'ultimo goccio della birra prima di uscire dal rifugio e buttare la bottiglia nel cestino sotto il lavello.

«Hai bevuto tre birre e mangiato due fettine di arrosto, neanche le patate!. Non è da te, con un buffet del genere...»

«Non ho fame.» rispose Dean, secco.

«È successo qualcosa?»

L'altro sospirò, distogliendo lo sguardo dagli occhi rassicuranti del fratello.

«Vuoi parlarmene?»

«Non c'è niente, Sam. Davvero.»

«So che non è vero, ma ti lascio andare.» Sam gli mostrò il corridoio; tutti gli invitati erano già nel giardino sul retro, quindi nessuno lo avrebbe notato mentre se ne sgattaiolava via.

«Ah!» esalò Sam, girandosi verso di lui lentamente, con il sorrisino di chi la sapeva lunga.

Dean restò con la mano sul cancello di ferro, aspettando.

«Salutalo.» Sam lo lasciò con un cenno, prima di rientrare. Dean agitò le ciglia ripetutamente, prima di girarsi ed andare per la sua strada con un'espressione dubbia sul viso.

Sam ed Eileen dovevano assolutamente spiegargli cosa gli stesse prendendo a quei due, perché lui non riusciva proprio a capirlo.

 

*

 

Dean chiuse la porta, producendo un rumore secco. Si voltò verso l'amico che lo fissava.

«Sono tornato, così non mi criticherai più. » fece il cacciatore a voce bassa, sollevando le sopracciglia. «Tu che hai fatto?»

«Ci siamo riuniti nella saletta, è stato divertente.»

«Possiamo andare a fare due passi?» Domandò il biondo.

«Stavo per chiedertelo.» confermò Castiel.

Dean sistemò l'ex angelo sulla sedia a rotelle e lo portò giù.

Appena giunti nel cortile, Cas chiuse gli occhi e respirò quell'aria fredda con uno strano piacere, mentre il cacciatore si sedeva su una panchina e lo guardava. «D-Dean...» fece Cas, nervoso.

«Dimmi.»

«Devi... devi vedere una cosa importante.» gli disse il moro, la testa bassa ed il tono cupo.

Il cacciatore lo squadrò dall'alto in basso, osservando il suo vestiario pesante, il pigiama di lana, il maglione e la coperta,  dall'espressione dolcemente agitata.

Castiel portò una mano tremante dentro la tasca, continuò a fissarlo per molto tempo prima di estrarne una sacchetta grigia che fece aggrottare le sopracciglia di Dean.

La bella bocca del cacciatore si schiuse in contemporanea al palmo dell’amico sulla sua mano, su cui ne scivolò il contenuto.

 

 

Angolo di Sarandom e Feathers:

MUAHHAH ed ora?!

Sam che fa da zietto a Claire è sempre molto cutie, adoriamo *W*

PS: Vi ricordo il contest estivo > QUI <

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Capitolo 9
*** W ***


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W

 

Due mesi prima

 

Chuck lo incoraggiò con uno sguardo sereno e saggio, la sua mano si posò sul cuore del figlio, illuminandosi di bianco. Gli occhi blu di Castiel

risplendettero di celeste e bianco per l’ultima volta.

Chuck tolse la mano e prese una boccetta dalla sua giacca. «Se dovessi sentire qualche mancanza, puoi tenerla. Potrai usarla una sola volta, a

patto che non sia per te.» Gliela diede, e Cas vide la sua grazia all’interno; la custodì in una tasca interna del trench.

Chuck prese il suo volto tra le mani. «Buona fortuna.»

Un fischio indistinto gli rimbombò nelle tempie, e cominciò a non vedere niente.

«Per un nuovo inizio.» disse la voce di Chuck in lontananza.

 

Presente

 

«Questa è per te...» disse Castiel, porgendogli la boccetta luminescente e deglutendo.

Dean rimase immobile a fissare quella piccola luce che si rifletteva nel verde delle sue iridi. Era scioccato. Non si mosse di un millimetro, ed il

moro aspettava che accettasse il dono.

«Cas?» domandò Dean, riconoscendone il colore. «È la tua...»

«Sì.» rispose l'altro, abbassando il capo scuro e dolcemente arruffato. «E’ proprio lei.» Si interruppe, sbirciandolo con un po' di timore.

Il cacciatore sentiva le gambe molli di fronte a quel gesto. Non capiva, non riusciva davvero a capire.

«Ma perché?» Scosse il capo. «Perché stai facendo questo?!» chiese, sempre più confuso e spaventato. 

«V-voglio la tenga tu.»

«Cas... Cas...» lo bloccò Dean. «Questo è... troppo. Mi stai praticamente donando... la tua vita.» disse, scandendo bene le ultime tre parole.

«Mi dispiace, ma non posso accettarlo.» concluse il biondo, meccanicamente e riconsegnandola.

Castiel restò a fissarlo con la bocca semiaperta e gli occhi tristi, abbassò la testa.

La guardò ancora una volta, per poi farla tornare indietro con un gesto della mano.

Cas rivolse a Dean uno sguardo spento.

Aveva deciso di fargli quel regalo da quando Chuck li aveva sistemati, per liberarsene una buona volta. Vedere, ogni volta, quella boccetta

solitaria lo faceva star male: come se avesse dovuto unirla a qualcosa per renderla completa ed era arrivato alla sua conclusione: avrebbe

dovuto darla al motivo per cui continuava a lottare.

«Cas... serve più a te che a me. Usala e sarai di nuovo come prima.» lo incitò Dean.

«Tu mi vuoi come prima?»

Dean schiuse le labbra e restò in silenzio. «Non…io non c’entro niente. Stiamo parlando di te.»

«Questo non è vero, e comunque…» Castiel sfiorò la boccetta, sembrava scottare sotto il suo tocco. «Non posso farlo.»

«Perché no?»

«Non posso usarla per me, solo per un’altra persona.»

«E allora chiama Chuck e torna da lui!» esclamò Dean con forza, posandogli una mano sulla spalla per un momento. «Non sprecarla per me.

So quanto ti manca e... non sai quanto vorrei poter scegliere anche io di rivedere mio padre, mia madre, di riavere la mia famiglia al

completo.»

Castiel sentiva gli occhi pizzicare pericolosamente: «...Questo non è ciò che vuoi Dean. Perché non lo ammetti per una volta?»

Si guardarono, poi, Dean, con voce non del tutto ferma disse. «Tu resterai parte di noi... ma stiamo parlando della tua grazia. È importante.»

Cas alzò lo sguardo, senza posarlo su Dean, respirò pesantemente e si morse il labbro. «Oh, capisco.»

Dean mutò espressione. «Cos'è che capisci?» chiese, sprezzante.

«Ho capito perfettamente. Tu... pensi ancora di non meritartelo. Di non meritare le mie scelte.» I suoi occhi blu si scontrarono severamente

contro il verde smeraldo del cacciatore, come quella sera di dodici anni prima quando si videro per la prima volta. Quando Dean aveva cercato

di pugnalarlo, credendo che fosse un pericolo. Quando si erano scambiati per la prima volta quello sguardo intenso che faceva tremare

segretamente Dean da sempre.

Ad entrambi parve di rivivere quell'istante così strano.

«Tu non ti vuoi bene, Dean.» Il tono di Castiel era malfermo. «Tu... tu credi di non meritare nulla. E invece-… io non capisco perché ti

comporti così. Tutti soffrono, ma non puoi vivere nella paura costante che accadrà qualcosa.» disse con una dose di rabbia nella voce. «Non ti

sei concesso la possibilità di vivere di nuovo, non volevi, tu non lo vuoi per principio. E non lo stai facendo neanche adesso. Perché non

cerchiamo di vivere entrambi?»

«Io non rischio di perdere nulla.» replicò il cacciatore, incrociando le braccia.

«Neanche io!»

«Cosa?! Tu hai tutto da perdere!»

Il moro sospirò stancamente, alzando gli occhi al cielo. «Dean...io vivrei abbastanza a lungo da vedere la fine del mondo. Da vedere voi...

te...» gli si incrinò la voce, ed evitò di terminare la frase. «Non voglio questo! Voglio arrivare ad una fine concreta e la voglio con voi...»

Dean ebbe un tremito a quelle parole ed irrigidì il viso.

Castiel avrebbe preferito morire molto tempo prima di quanto avrebbe dovuto, pur di stare con loro. Perché ne aveva così tanto bisogno? Cosa

lo spingeva a voler sacrificare tutto?

«Cas. Smettila... smettila, davvero... io...» Dean allungò una mano verso la guancia di Cas, esitando. «Non fare così. Ascolta... prenderò la

grazia, va bene? Ma devi spiegarmi una cosa...»

Castiel si strofinò da solo gli occhi. «Domandami ciò che vuoi.» Non osò incontrare il suo sguardo, Dean abbassò la presa dal suo viso. Odiava

vederlo in quello stato, soprattutto quando non era in sé ed in balìa delle emozioni, non che lo rivolesse come quando era sotto le regole del

paradiso, ma meno soggetto ai problemi umani…lui era molto di più, ai suoi occhi lo era sempre.

Il cacciatore respirò lentamente.

«Spiegami, perché vuoi stare qui? Perché ci tieni così tanto...»

Castiel serrò la bocca, sospirando.

«Voglio dire, sai che sei parte della famiglia, sai che sei un fratello per noi...» Dean si interruppe, senza sapere cosa altro aggiungere.

L’ex angelo si girò verso di lui, il quale stava seduto sulla solita panchina, le loro ginocchia si toccavano.

 Faceva fresco; un leggero venticello muoveva le chiome degli alberi e la luna splendeva su di loro.

Erano le undici di sera e i festeggiamenti a casa di Sam con amici e colleghi si sarebbero protratti fino alle due, ma Dean non riusciva a stare a

casa con lui, ed il fratello gli aveva confermato la sua ipotesi: avrebbero dovuto parlarne e chiarire.

Il biondo si accorse che l'amico era ormai a pochi centimetri da lui. «Però tu... la tua famiglia, tuo padre…Mi distruggerebbe vederti andare

via, ma…è una grande occasione per te.» aggiunse.

Cas si umettò le labbra, sentendo il sangue ribollire. «Non credo che ‘fratello’ sia la definizione adatta, per me. E comunque non posso tornare

indietro, è tardi.»

Quelle sensazioni umane così intense lo distruggevano. Lo rendevano così vulnerabile. Lui non aveva voglia di avere ripensamenti, ci aveva

pensato e così aveva deciso. Riusciva a sentire il fiato di Dean sul suo viso, con la fronte aggrottata nel sentire la sua frase, tanto erano vicini.

Avrebbe voluto dirgli tutto; quei sentimenti così forti, trattenuti per anni ed anni dentro di lui parevano voler sgorgare fuori da un istante

all'altro. Gli facevano male dentro.

Il moro poggiò teneramente il naso sul collo del cacciatore, socchiudendo le palpebre.

Dean restò fermo, osservando le sue mosse, poi l’angelo schiuse le labbra: «Sei tu.» sussurrò, facendogli perdere un battito.

Lo aveva detto, come lo diceva sempre, ma questa volta era diverso. Si era messo a nudo, lo stava provando in un modo diverso. E aveva

sentito lo stesso da parte di Dean, come una scarica elettrica, una bolla, che li inghiottì.

Il cacciatore rimase pietrificato, la fronte corrugata, un brivido gli attraversò misteriosamente il corpo. Non lo respinse. Non si fece più vicino.

Castiel si ritrasse appena, gli occhi umidi per l'emozione vedevano tutto appannato. Gli accarezzò il viso con la mano sinistra, era determinato,

non una nota di indecisione sul viso, e gli posò un bacio delicato sulla guancia, abbastanza vicino alle sue labbra. «Sei tu il motivo per cui

resto, Dean. »

 

*

Alcuni invitati erano tornati nelle rispettive case per aspettare la mezzanotte in famiglia, mentre altri avevano aggiunto i propri regali e quelli

dei padroni di casa sotto il grande albero verde nel soggiorno.

Dopo aver trovato quel loro nuovo rifugio in seguito alla notizia della dolce attesa di Eileen, avevano subito deciso di inaugurarlo con il

Natale.

Sam ed Eileen si erano trasferiti, con riluttanza - ma profonda gioia di Dean - nella zona delle scuole a qualche chilometro di distanza; era

anche più vicina al locale, ed il maggiore dei Winchester si ritrovò con la casa solo per sé, anche se ormai ci tornava solo per dormire.

Mancavano cinque minuti a mezzanotte e Claire si era posizionata a gambe incrociate accanto all’albero, avvicinando a sé già tutti i regali con

il suo nome, un piattino con dei biscotti al cioccolato e un bicchiere di latte.

Mildred, una coppia di amici con due bambini e i due baristi del locale seduti comodamente nei due divani davanti a lei. Eileen sulla poltrona

accanto al caminetto e Sam seduto su un bracciolo accanto a lei. Guardò l’orologio per dare il via agli spacchettamenti e ai messaggi di auguri.

«Tre… due… uno… via!»

Scattò la mezzanotte, ed i bambini strapparono via la carta a strisce e a pallini da due enormi scatoloni con dei gridolini di gioia.

Claire prese un pacchetto rettangolare e trovò un pendente argenteo con lo stesso simbolo che i Winchester avevano tatuato sul corpo, ma con

delle pietre azzurre incastonate.

«Non si sa mai e… per renderlo più tuo...»

«Grazie.» disse la ragazza a Sam, con un sorriso sincero.

«Il mio!» disse Eileen, e le indicò una busta rossa con un fiocco color oro.

Trovò un biglietto di auguri personalizzato ed un assegno. Li fissò strabiliata. «Eileen…»

«Accettali e basta. So quante volte sei scappata, e so dei problemi che hai avuto con la scuola. Adesso ci stai veramente pensando e ti stai

impegnando. Sono tutti per i tuoi studi e spostamenti futuri.»

«Ma dovete pensare a vostro figlio...»

«Ne abbiamo altri da parte.» confermò Sam, calmo, le luci dell'albero illuminavano il suo viso rassicurante.

Claire si alzò ed abbracciò forte entrambi. «Grazie mille.»

Sam le accarezzò i capelli, sorridendo, poi le indicò l’ultimo dono. «Quello è di Dean.»

Prese la scatoletta verde col fiocco rosso e dentro trovò un’altra piccola scatolina blu.

«Doveva giocarmi lo scherzo.» mormorò la ragazza, il tono allegro e gli occhi in alto.

Sam rise e le fece segno di andare avanti, curioso della sua reazione.

Claire scoprì il tappo di plastica e trovò una chiave; si accigliò.

Era la chiave di un'auto.

«Hanno offerto un buon prezzo a Dean, non la usavano più e l’ha sistemata. Lo abbiamo aiutato con alcune piccole spese... e anche Castiel ha

partecipato.»

Il simbolo della Chevrolet era in rilievo sul portachiavi di cuoio nero, stretto con l’anellino alla chiave che continuava a fissare.

«Sai, ormai è il marchio di casa.» Sam rise.

Claire, senza dire una parola, si alzò di scatto e lo abbracciò stretto, commossa.

«Felice che ti piaccia!» disse Sam, e la cullò dolcemente. Gli altri erano troppo presi dai rumori dei giochi per i bambini e i ringraziamenti tra

di loro per notare Claire che piangeva tra le sue braccia.

 

 

*

 

Gesù. La situazione stava degenerando. Dean aveva avvertito una strana sensazione di calma al contatto con quelle labbra morbide. Come se

quel mezzo bacio fosse stato il gesto più naturale al mondo.

«Cas, aspetta.» Dean aspettò che Castiel si allontanasse da lui. «Hai così tante emozioni in circolo...»

Ma l'ex angelo si limitò ad abbassare di poco la testa. «Dean, so cosa sto facendo, lo so da anni.»

«Sei già stato umano, ricordi come è andata.» lo riprese l'altro.

«Già, lo ricordo anche meglio di te. Ero solo e spaventato. Non avevo una casa, non avevo soldi, non avevo nessuno. Ti ho deluso e ne ho

pagato le conseguenze.»

«Sai che non è per quello.» disse il cacciatore, con forza.

«L'ho saputo solo dopo, Dean. E l'ho capito, ma mi sono dovuto arrangiare. Adesso non è così. Ho voi, ho Claire, ho altri amici e persone a cui

badare. Ho capito di potercela fare.»

Ci fu una piccola pausa.

«E sono grato per questo. Te lo meriti-»

«...ma non respingermi.» lo interruppe Castiel.

Dean alzò le sopracciglia, bloccato da quella frase. « Ci tengo a te, lo sai vero?» cavò fuori, con una leggera fatica.

Cas alzò gli occhi al cielo, tristemente: «Sì, lo so.»

Si fissarono per un momento interminabile. «D-dobbiamo tornare in stanza.» fece Dean con un sorrisetto.

«Beh, abbiamo parlato» disse l'ex angelo, guardando a terra, freddo, mentre ripensava a tutta la situazione. Probabilmente, sentiva quella

faccenda come uno strano peso e non sentiva affatto il bisogno di proseguire o almeno era così per Dean.

Tuttavia, il biondo disse: «Ed ora siamo apposto.»

Cas tornò con gli occhi su di lui, repentino, mise le mani sulle grandi ruote «Non so se lo siamo» e si guidò da solo verso l'entrata

dell'ospedale.

«Cas, aspetta.» affrettò il passo fino a raggiungerlo e fermarlo.

«Cas io...sto elaborando anni, in qualche mese.» Strinse le maniglie e vide Cas muovere di poco la testa verso di lui. «Non sto scappando, non

mi sto nascondendo. Sto solo...cercando di trovare me stesso, veramente. Il gesto l'ho apprezzato. Ed è vero...ho paura e questo non cambierà.»

Castiel annuì. «Ma non sei da solo.»

«Lo so.» rispose, spingendolo verso le porte scorrevoli.

Nella camera, i riscaldamenti erano al massimo, così Castiel si tolse il pesante cardigan e la coperta di flanella, restando in pigiama.

«Resti qui?» domandò Castiel al biondo.

«Sì, torno a casa domani mattina.» Dean si sfregò una mano sulla fronte. «Ho un appuntamento dell'ultimo minuto.»

«Anche a Natale?» gli chiese Castiel, stupito.

«Un forno rotto a Natale... è una questione di emergenza.» Rise.

«Le nostre chiacchierate non le apprezzo solo io.» disse Castiel, in modo insolente.

«Sei geloso?» lo punzecchiò l'altro.

«No.» sospirò. «Interessato.»

Dean restò confuso. «Perché?»

Il moro lo guardò. «Sto cercando di capirti e credo di averlo fatto.»

Dean si alzò, con una risatina, dalla sedia accanto al letto. «Non pensare troppo e dormi.» gli disse, con una mano a lisciargli i capelli. Gli

lasciò un bacio sulla nuca. «Buona notte, Cas.»

Castiel si sentì arrossire appena a quel gesto e ne restò confuso.

«Notte, Dean.»

Il biondo si sistemò nella solita poltrona dopo aver spento la luce sopra il letto. Controllò il cellulare, notando diversi messaggi di auguri.

 

Da Sam:

“Auguri!”

Da Claire:

“Grazie.”

 

Rispose ad entrambi e a qualche cliente ammiccando, oltre che a Mildred ed Elizabeth.

 

Da Dean:

“Auguri, Sammy”

 

Da Dean:

“Goditela”

 

Dean si addormentò senza svegliarsi nel cuore della notte.

Quella volta, finalmente, Castiel non ebbe incubi.

 

 

*

 

 

Dean marciò per alcuni minuti sotto il sole pallido di Dicembre, accelerando di tanto in tanto il

passo e guardandosi attorno, gli occhi apparentemente spenti e vuoti.

Si sistemò la giacca di pelle sulle spalle e si umettò le labbra. Sospirò per l'ennesima volta;

aveva in mente un Castiel arruffato fra le coperte, così come l'aveva lasciato a dormire dopo quella rivelazione e quel bacio delicato sull'angolo

della bocca.

Dean non gli aveva nemmeno risposto adeguatamente. Per la seconda volta. Non sapeva neanche cosa avrebbe dovuto dire, cosa volesse lui

stesso. O forse sì, dopo tutto nessuno sapeva i suoi più profondi pensieri tranne lui e quel prete a Worcester, in Massachussets. Era stata una

delle rare volte in cui era stato davvero sincero, ed il fatto che fosse uno sconosciuto che non avrebbe più rivisto lo spinse a liberarsi. Odiava

distrarsi; non essere concentrato era sempre stata un'arma a doppio taglio nella sua vita. Solo partendo dai suoi genitori, fatti incontrare dal

destino. Con lui il destino aveva mai giocato? No, sicuramente se ne sarebbe accorto. E se invece stesse finendo di rimescolare le carte per

l'ultima volta?

Aveva avuto paura di morire in quell’occasione più del solito ed anche il solo dirlo lo fece stare bene, ed aveva funzionato per il caso. Ma

vivere, veramente, una situazione del genere? Era pur sempre…il suo migliore amico.

Adesso sentiva di nuovo quel formicolio nelle viscere e del senso di colpa. Non aveva avuto idea di che cosa dire e ora era abbastanza

imbarazzato da non aggiungere altro.

Il cacciatore aveva contemplato l'ex angelo che dormiva per un'ora circa, ogni tanto alzandosi e guardandolo dall'alto, riflettendo nel buio di

quell'ospedale semi silenzioso. Gli aveva solo sussurrato un dolce «È tutto okay.» prima di addormentarsi definitivamente sulla poltrona.

 

"Starà ancora ronfando, ne sono certo..." pensò il cacciatore il giorno dopo, ammiccando fra sé e sé. “Ora sì che capisce quanto sia divertente

dormire come un ghiro...”

Gli venne in mente quel lontanissimo episodio in cui Castiel gli aveva telefonato nel bel mezzo della notte, senza pensare troppo al fatto che

Dean era un umano ed aveva bisogno di riposare.

Rise e prese il cellulare dalla tasca. Nessun messaggio.

Si rese conto di sentire la mancanza di quando aspettava il 'buongiorno' o la 'buonanotte'.

Si era sentito così poche volte.

 

*

 

Il cielo si stava lentamente schiarendo quando Dean giunse a casa sua; fece fare un volo di due metri alle chiavi fino al divano e andò diretto

sotto la doccia.

Nessuno gli avrebbe detto quanto fosse disordinato; quello era il suo regno.

 

Un'oretta dopo, Dean era di nuovo in auto diretto a casa di Rose.

Nessuno da salutare prima di uscire.

 

«Scusami per il disordine, ma non sapevo veramente come fare...» gli disse la donna, mentre faceva avanti e indietro, portando piatti coperti ed

altri cibi natalizi. «Proprio oggi doveva rompersi e… oddio, scusa per il disturbo, ti pagherò il doppio.»

«Tranquilla, adesso darò un'occhiata e speriamo non sia nulla di grave.» disse Dean, togliendosi la giacca per adagiarla sulla sedia dell'isola

dietro di loro, imbandita di pentole che prima erano nel forno.

«Mmmh. Qual è il problema esattamente?» chiese Dean.

«Non si accende...» spiegò Rose, il tono perplesso.

«Uhm.» Il cacciatore si grattò la nuca. «Se non si accende... ci sono innanzitutto alcune cose da verificare. Vediamo se...»

Rose si fermò, osservandolo.

«Perfetto. Il contaminuti non è sulla posizione zero. Mi sa che c'è qualche interruttore in cucina che toglie la corrente al forno. Qualcuno

potrebbe averlo premuto per sbaglio, capita.»

«La bambina magari...» mormorò Rose, ridacchiando con una mano sotto il mento.

«Già... diamo un'occhiata in giro.»

Dean non ci mise troppo a trovare il famoso interruttore, e risolse il problema in un batter d'occhio. «In fondo era una sciocchezza.» disse, le

mani sui fianchi e Rose gli sorrise.

«Ti faccio un caffè?»

«Sì, volentieri.» accettò Dean, mentre sistemava i suoi attrezzi inutilizzati.

La donna caricò la polvere del caffè nella brocca e la mise su.

«Intanto seguimi.» Gli fece strada in una stanza adiacente. «Non ho contanti con me che posso usare adesso, tutti regali di natale!»

«Meglio fare soldi, eh?» domandò retorico Dean.

«Non è neanche per togliersi il pensiero, in questi tempi moderni è difficile far felice qualcuno. Si dice sempre 'vale il pensiero', poi sono la

prima a riciclarli o cambiare il colore.»

Dean la ascoltava, ma era rimasto rapito dalle opere in quello che doveva essere il suo studio. Ricordava avesse una galleria e notò, per quello

che ne poteva capire lui, quanto fosse brava.

Tutti i quadri erano molto classici, la maggior parte di rilevanza religiosa e storica.

Dei bambini che pregavano accanto ad un letto leggermente spoglio; un altro dove la protagonista, la Francia, come la statua della libertà a

Washington guidava il popolo; con un'arma nell'altra mano nel suo intento di partecipare alla guerra. Poi si fermò di colpo.

'L'angelo custode' recitava la targhetta sottostante. Raffigurava un angelo alto e vestito di una tunica d'oro e bianca; la creatura brandiva

un'arma celeste e proteggeva un bambino da un demone. Il tutto in almeno un metro di altezza e ottanta centimetri di larghezza. Ne era rimasto

veramente colpito, così tanto che la voce della donna scomparve mentre la sua mente tornò in dei luoghi bui. Era tutto nero attorno a lui, buio,

dolore e odore di sangue. A tratti vedeva della luce ed altre anime sofferenti come la sua. Ad un certo punto, poté giurare di vedere qualcosa di

luminoso sopra di lui, sempre più vicino e più bianco, si sentì sollevare, una forza tirò il suo petto dentro quella luce.

Dopo quelli che parvero secoli, le sue mani spinsero la terra e lui riuscì a respirare di nuovo.

Quel ricordo lo paralizzò, facendogli venire un cerchio alla testa e sentire nuovamente la voce squillante e celestiale dell’angelo che non riuscì a capire.

Castiel.

«Dean, tutto bene?» si accorse che la donna gli era accanto e la sua espressione ed il tono erano preoccupati.

Il biondo si ricompose. «Sì, scusa. C'è stata una gran festa ieri sera.» si massaggiò una tempia e tornò a guardare il quadro. «È...è molto bello.

Per un profano come me.»

Lei alternò lo sguardo tra il quadro e Dean con un'espressione divertita. «Sai quanto viene?»

«Ah, lo vendi? È un peccato.»

«Ogni tanto uso questo studio per invitare clienti o nuove reclute. Un po' per studiarli... un po' per metterli alla prova.»

Lui ammiccò. «In quanti le hanno superate?»

«Non molti.»

«Sei brava...»

«Modestamente. Diecimila.»

Dean strabuzzò gli occhi. «Hai opere da diecimila dollari così in bella vista...»

«Ho un bel sistema di sicurezza e una costosa assicurazione.»

«Immagino.»

«Lo vuoi?»

Dean deglutì ed aggrottò le sopracciglia. «Cosa?!»

«Sì, lo vuoi? Scegliere la via facile - come i soldi - per fare regali non è divertente e non ispira nessuno. Mi hai sempre aiutata molto... hai

scelto il nuovo frigo senza farmi spendere troppo e idem con la macchina, quando - evidentemente - io non ho problemi con i prezzi. Te lo

cedo felicemente.»

Dean era spiazzato, la bocca semiaperta, gli occhi verdi che osservavano quelli grandi e sorridenti della donna - in cerca di una punta di ironia.

Eppure sembrava seria.

«Io - io non so che dire.» mormorò Dean.

«Dì di sì e oggi pomeriggio te lo faccio consegnare a casa. Avevo già una consegna da fare.»

Il cacciatore era ancora spiazzato, la bocca semiaperta. «Beh... grazie.»

«Buon Natale, Dean.»

«Buon Natale a te.» mormorò l'altro, scuotendo il capo.

Lei gli fece l'occhiolino e, tutta contenta, prese il telefono e fece una chiamata.

A Dean venne un lampo di genio mentre pensava a dove metterlo. In realtà gli mancava qualcosa di importante, in effetti.

 

*

 

Per le cinque, in perfetto orario, Dean andò ad aprire la porta e trovò due fattorini vestiti di rosso con un enorme rettangolo imballato. Il

cacciatore sorrise, pensando automaticamente agli elfi di Babbo Natale.

«Lasciatelo anche lì.» Dean indicò loro, gentilmente, lo schienale del divano.

«Sai già dove attaccarlo? Possiamo farlo noi.» domandò uno di loro, sistemandosi il cappellino con la visiera.

«Sarebbe fantastico. Su questa parete, grazie.» confermò Dean.

Alzò la mano per mostrare il beige del muro all'entrata.

Ci si passava sempre entrando per andare sul divano, dal giardino uscendo o entrando dalla portafinestra o quando dalla cucina si arrivava in

quella stanza; vederla così spoglia era davvero un peccato.

 

Una mezz'ora dopo e con tanta fatica per tirarlo su - nonostante fossero in tre - il quadro si mostrò in tutta la sua magnifica figura.

«Ci sta molto bene.» disse uno dei fattorini.

«Già.» disse l'altro.

Dean sorrise e li ringraziò per l'aiuto preparandosi per andare a trovare Castiel.

 

 

*

 

Al suo arrivo, Dean, trovò Sam con la sua compagna, Claire ed il medico accanto al letto in cui riposava l'ex angelo.

«È una notizia fantastica!» sentì Sam esclamare con entusiasmo.

«Cosa... è una notizia fantastica?» interferì il fratello maggiore, entrando.

Sam si voltò verso di lui, ammiccando con le mani sui fianchi. «Castiel potrà tornare a casa per festeggiare Capodanno!»

Il biondo sollevò le sopracciglia; le pupille si allargarono gradualmente.

«Dean, capito?» domandò il fratello, euforico, tentando di fargli comprendere ciò che intendeva, e Dean lo fissò un attimo, prima di ricordarsi

in ritardo.

Oh, giusto, la proposta di matrimonio che Sam avrebbe fatto ad Eileen.

«Certo.» fece, avvicinandosi e dandogli un'affettuosa pacca sulla spalla. Claire li osservava divertita; sapeva cosa stessero tramando - una sua

dote era quella di saper origliare. Guardò Castiel con un sorriso.

«Hai già provato l'auto?» le domandò lui, contento.

«Siamo arrivati con quella, è una meraviglia.» si voltò verso il maggiore dei Winchester. «Grazie ancora.»

Dean annuì. «Te la meriti.»

«Ah.» fece lei. «Vi dispiace se torno con Eileen e Sam? Li riaccompagno e ho un appuntamento con degli amici, sono delle loro parti.»

«No, vai pure. Ma torna a casa presto.» si raccomandò il moro, giocherellando con una manica del pigiama. Gli occhi di Castiel sembravano

più blu del solito, il viso appena più colorito era rassicurante.

«Mildred mi ha detto che a scuola ti aspettano tutti.» gli disse Eileen.

«Sì, Maggie mi chiama tutti i giorni, ora posso dirle una data precisa.»

«Tornerai subito a lavoro?» domandò Dean.

«Tra tre giorni torno a casa; finiscono le feste e sì, devo controllare il programma.» Abbassò il capo, guardandosi le mani. «Questo

contrattempo non ci voleva.»

«Contra-» Dean non finì la frase, passandosi una mano sulla bocca. «Quello che ti è successo è grave. E ancora non hai voluto vedere

l'avvocato.»

«E non lo farò.» disse Cas, cocciuto.

«Cosa?!»

«Dean, non ho intenzione di sporgere denuncia, altrimenti lo avrei già fatto. Voglio facilitare la vita a quei ragazzi, non complicarla.»

Dean strinse le sbarre metalliche del letto, sospirando con forza; Sam spostò il peso da un piede all'altro e Claire e Eileen abbassarono lo

sguardo.

«Dean, può cavarsela, fidiamoci di lui.» esalò Sam, beccandosi uno sguardo truce dal fratello. «Solo se ci promette, che se accadrà di nuovo,

lo farà.» Guardò Castiel, che annuì.

Ci fu una pausa imbarazzante, rotta solo dalla voce un po' roca dell'ex angelo. «Come va il locale?» domandò, per cambiare discorso.

Dean alzò gli occhi al cielo e si sedette nella sedia lì accanto, imitato dagli altri, che se le erano portate dietro dalla sala d'aspetto.

Passarono due ore a parlare del più e del meno, a fare un giro per l'hotel con Castiel senza carrozzina. Se doveva tornare a casa, sarebbe stato

utile per lui iniziare a camminare sulle sue gambe.

«E' ora di andare.» disse Sam ad un certo punto. «Dean, vieni con noi?»

«Ho promesso di passare da Elizabeth per un saluto, dato che non ci siamo visti ieri.»

«Ci vediamo domani allora.» Si salutarono e Dean restò un altro minuto con Castiel.

«Dean? Tutto bene?»

«Smettila di chiederlo.» fece lui con un sorriso. «Tu?»

«Sto per tornare a casa, molto bene.»

«Non vediamo l'ora. Dai, vado.» si sporse per lasciargli un altro bacio sulla nuca.

Non capiva perché continuasse a ripetere quel dolce gesto, ma smise perfino di chiederselo. Era ormai stanco di farsi troppe domande.

 

 

*

 

Ovviamente Dean, aveva spudoratamente mentito a tutti. Aveva già incontrato Elizabeth dopo Rose, e l'unica cosa di cui aveva bisogno in quel

momento era il suo bar poco conosciuto e preferito. Aveva bisogno di una di quelle serate che non passava più, in compagnia solo sua e di un

bicchierino - forse due.

«Dean! Da quando non ti si vede.» gli disse il barista, fermandosi un istante.

«Lo so, chiedo perdono.» Alzò le mani in comico segno di resa e il proprietario gli allungò una birra.

«Divertiti.»

«Grazie, amico.»

Erano solo le otto di sera, quindi aspettò un orario più consono per iniziare a far bollire cervello e fegato.

Sfidò qualcuno a biliardino buttando giù bottiglie di birra e salatini.

«Sta barando!» urlò uno dei suoi sfidanti, all'ennesima buca di Dean.

«No, no. Sono solo riuscito a fare molta pratica.» rise Dean, mandando l'altra fuori. «Visto?»

Mentre il cacciatore giocava, un'ombra lontana, seduta in un angolo nascosto lo osservava.

Arrivate le undici, si spostò al bancone con il suo bottino di centocinquanta dollari.

«Danny, vacci giù pesante adesso.» Una mano scavalcò il bancone e Dean prese un bicchierino da shot portandolo davanti a lui e con un dito

batté sul bordo; il barista lo riempì a metà di gin.

Dean bevve in un sorso e lo fece riempire di nuovo, si ritrovò con altri quattro bicchierini da svuotare.

L'ombra alle sue spalle non lo perse di vista per un secondo durante la serata, mentre succhiava la cannuccia nel suo coctkail, The Instant

Death, con Golden Grain.

Ad un certo punto, a Dean iniziò a girare vorticosamente la testa.

Iniziò a vedere cose strane: tutta la sala ruotava come se si fosse trovato in una sfera; le luci del bar gli parvero stelle luminose, le voci e le

risate rimbombarono nella sua testa in modo dannatamente inquietante.

Non che non si fosse mai sentito in quel modo, però c'era qualcosa che non andava - un pessimo presentimento che gli attanagliava lo stomaco

assieme a tutto l'alcool accumulato. Stava per accadere qualcosa di bizzarro, se lo sentiva dentro, per cui preferì salutare il barista lasciandogli

la mancia, e cercare di uscire dal locale, barcollando.

La cannuccia nera ormai solitaria nel bicchiere vuoto attendeva un cameriere; l'Instant Death era letteralmente scomparso, ed il barista a quella

richiesta era rimasto spiazzato. L'avevano nel menù per quando facevano le gare, ma nessuno lo finiva mai.

L'ombra che aveva insistentemente osservato Dean per tutta la sera, si alzò, e le luci soffuse le diedero le sembianze di una persona; lasciò

delle banconote, indossò la giacca scura ed uscì.

Dean intanto, sopraffatto dall'alcol, aveva preso l'uscita sul retro, usata in genere da chi aveva bisogno di vomitare.

Si ritrovò immerso nella fredda aria invernale e questo lo aiutò a combattere il caldo interiore. Mentre stava per fare mente locale sul dove si

trovasse la sua auto per ricordarlo il giorno seguente, prese il cellulare e digitò il numero della compagnia taxi. Prima che potesse avvicinare il

telefonino all'orecchio, si sentì sbalzato a terra; sbatté una tempia ma riuscì quasi a frenare la caduta con le mani.

Il cellulare precipitò sul suolo e si aprì con un tonfo secco.

«Merda.»

Con difficoltà, il cacciatore cercò di girarsi per vedere l'assalitore, ma non c'era nessuno.

Si alzò, continuando a guardarsi intorno sorpreso, afferrando il telefono con le dita e ricomponendolo alla sola luce della scritta al neon "Exit"

del bar.

Riuscì a chiamare il taxi e ripose il telefono in tasca, continuando a guardarsi intorno con l'occhio vigile nonostante la terribile sbronza.

Controllò l'orologio; era solo l'una di notte, ma Claire non gli aveva ancora mandato un messaggio per fargli sapere se era arrivata a casa.

Dean sentì un movimento dietro di sé; si voltò immediatamente con le mani a pugno davanti al viso, ma la spinta gli arrivò da dietro e si

ritrovò in un batter d'occhio con il corpo schiacciato sul muro di cemento e la misteriosa persona ancora addosso a lui. Si divincolò senza

risultati.

Quello gli respirava su una guancia e con le braccia gli teneva fermi il busto e la fronte.

«Ciao, Dean.» disse la voce maschile all'orecchio.

«…Chi sei?» chiese, minaccioso, il biondo. L'adrenalina lo mantenne appena lucido e la sbornia si placò.

L'altro rise, la voce era giovanile e sarcastica, e sembrava possedere un'innaturale forza in corpo.

«Chi sono io? Un vecchio amico. Felice di rivederti. Ti manca l’Inferno?» malignò lentamente, e poi lo lasciò andare.

Ma quando il cacciatore si rigirò, non c'era più nessuno dietro di lui. 

Solo il taxi che gli veniva incontro.

Dean rimase pietrificato; tentò di rimettersi in piedi e di realizzare l'accaduto.

Si buttò sul sedile posteriore del taxi, mormorando qualcosa al tassista.

Quell'uomo che l'aveva aggredito, si era smaterializzato, ed il peggio era che la sua voce non gli era affatto nuova, o era solo l’effetto di

quell’ultima frase, che risvegliava in lui un ricordo da dimenticare.

 

 

*

 

Tornò a casa abbastanza turbato; lo stomaco era un groviglio, infatti, parte del liquido che gli circolava ancora in corpo finì nella tazza del

water.

Il cacciatore si asciugò la fronte sudata, ansimando. Chi diavolo era quello? Per fortuna avrebbe dovuto allontanarsi dai pasticci e restare

tranquillo per una sera.

L’unica nota positiva arrivò dal telefono che vibrò alle due e un quarto di notte:

 

Da Claire:

“Sono a casa…”

 

Lui non era lucido per rispondere, l'unica cosa che riuscì a fare fu buttarsi sul letto, col cellulare che vibrava inutilmente fra le sue dita.

Si addormentò come un sasso nel giro di pochi secondi, gli avvenimenti della giornata che si ripetevano in continuazione nella sua testa, si

mischiavano, si confondevano.

Chi era quel tipo? Uno di quelli che lui all’Inferno aveva…

Ma perché proprio adesso?

 

 

*

 

Osservò il taxi sparire dalla sua visuale con Dean al suo interno, era stato divertente vederlo spaesato. Non era stato bello rivederlo, però.

Dopo anni qualcuno aveva deciso di rimetterlo sulla sua via per qualche scherzo macabro, ma non lo avrebbe lasciato andare. Doveva

rispondere di tante cose e quello sarebbe stato solo l'inizio.

Ammetteva di averlo visto diverso, non era il Dean di quel buco nero sudicio di sangue che ricordava; questo era sì combattivo, ma debole. Da

una parte lo stupì, cercando di non essere sopraffatto dai ricordi di ciò che lo aveva formato.

Dean gli aveva rovinato la vita, più di quanto non avesse già fatto lui da solo.

Quella sera aveva incassato una nuova percentuale, quindi non gli andava di rovinarla in quel modo. Decise di spostarsi in quel nightclub

molto lontano da lì, dove andava spesso.

Gli piaceva cambiare, il receptionist biondino dai pantaloni attillati e camicia rosa gli fece sfogliare un dépliant su alcune ragazze.

«Queste quattro sono nuove.» gli spiegò passando il dito su due more, una rossa e una bionda.

«Lei.» Il visitatore fermò il dito su una mora.

«Dora. Okay.» Lo mise via e prese un telecomando col quale accese due schermi della console sul muro dietro di lui. «Abbiamo ristrutturato

queste due stanze.» disse, indicando lo schermo con i colori caldi che raffigurava una stampa di dune di sabbia, e l'altra di un cielo stellato.

«Hai imparato a conoscermi.» mormorò il moro, con un sorrisetto.

«Sei il nostro miglior cliente.» disse l'uomo ponendosi disponibile.

L'altro rise con un ghigno e scelse la camera “Deserto".

«Uhm, bollente.» commentò l'altro, mentre prendeva le chiavi da un quadro sotto gli schermi.

«No, non ho finito.» Il biondo restò con le mani sul bancone. Alzò una mano muovendo le dita come a dire di dovergli dare qualcosa; l'uomo

si girò e vide il dépliant in questione. «Oh.» commentò sorridente, offrendolo all'ospite.

«Giudichi?» domandò mentre sfogliava.

«È la prima volta da quando vieni.»

«Le cose cambiano...o tornano.» Alzò un sopracciglio e fece schioccare la lingua.

«Lui.» Indicò un uomo dagli occhi verde chiaro.

«Perfetto, ti faccio strada.»

Il dipendente si spostò verso l'ascensore, il moro lo seguì e salirono al terzo piano.

«La seconda a destra. Dora arriverà subito. Mick ha finito poco fa, dagli una ventina di minuti.»

«Aspetterò.» disse l'ospite, aprendo la porta e scomparendo nella sua stanza.

 

*

 

Si sedette sul letto, togliendosi giacca e scarpe. Si alzò aprendo il frigo bar e si scolò due mini bottigliette di whiskey in due sorsi, facendo

canestro con il vetro nel cestino vicino al letto.

Passò davanti lo specchio rettangolare, ed osservò la sua immagine riflessa.

Lo prese per i bordi avvicinando il viso, gli piaceva quello che vedeva; gli occhi ,verde scuro, erano profondi e celavano tutta una storia dietro,

ma sembravano così giovani e lucenti. Aveva labbra piene e rosee, pelle liscia, capelli corvini corti e spettinati. E quell'aria da cattivo ragazzo

che avresti fatto comunque conoscere a tua madre. Era alto, con un fisico abbastanza in forma ed atletico - né troppo da fissato della palestra,

né da pantofolaio.

Una felicità l'aveva avuta.

Bussarono alla porta.

«Avanti.» disse. Tornò lentamente a sedersi sul letto ed accolse Dora a gambe aperte, sorretto con i gomiti sul materasso.

Lei fece la sua entrata lenta, facendolo morire di attesa. Aveva una bella pelle chiara, ma leggermente abbronzata, ed un bel décolleté non

troppo eccessivo, indossava un completino rosso che le lasciava scoperto l'addome e del velo a coprire seni e inguine; niente

all'immaginazione. I capelli sciolti e ondulati le ricadevano sullo sterno, gli occhi nocciola lo scrutavano mentre si avvicinava e le labbra rosse

si mossero.

«Allora, cosa abbiamo qui?» gli sorrise, salendogli in grembo.

L'ospite le spostò una ciocca dal viso. «Non sei scomoda con i tacchi?»

Il sorriso di lei si fece ancor più seducente. «Oh. Se non ti piacciono posso toglierli.» e li lasciò cadere sulla moquette beige. Lo fece sdraiare e

lui sprofondò con un balzo sulla coperta giallo ocra.

Gli lasciò un bacio sul mento, uno sul collo, alzò la maglia bordeaux e gli baciò il petto, fino a scendere all'ombelico.

Lui le prese la testa per farla tornare alla sua altezza e unì le loro labbra con trasporto, chiudendo gli occhi. Esplorò la sua bocca con dolcezza

fino a separarsi, e con la spinta di un fianco capovolse le posizioni e le bloccò le mani accanto la testa.

«Ahaha, mi divertirò.» gli strinse le gambe attorno ai fianchi.

Lui si abbassò e le leccò il mento scendendo fino alla gola. Lei sospirò, strofinandogli le ginocchia sulla maglia.

L'ospite allentò la presa ad una mano fermandole il braccio con l'altra e le accarezzò un seno; strofinò il capezzolo per poi prenderlo tra le

labbra attraverso il tessuto e succhiandolo dolcemente.

 

Bussarono alla porta. «Avanti.» disse lui.

L'uomo della foto, che aveva scelto, fece il suo ingresso, chiudendo la porta e appoggiandosi allo stipite dell'atrio della camera; le mani nelle

tasche dei pantaloni del completo blu elegante a cui non mancava il fazzoletto rosa nel taschino.

Altezza media, fisico evidentemente asciutto, castano e leggera barba; lo osservava sorridente con quegli occhi magnetici.

«Già qui?» chiese l'ospite.

«Non voleva farti aspettare.» accennò alla porta.

«Sei inglese.»

«Britannico.» lo corresse l'uomo.

Il moro rise e si morse il labbro, con la mano afferrò una natica alla donna sotto di lui stringendola.

«Hai troppi vestiti addosso.» Fece un cenno col capo alla poltrona, «Intanto aspetta.»

Mick tolse qualche indumento, restando in mutande e camicia e sedendosi accanto a loro.

Dora aveva finito per spogliare entrambi e i due erano sudati dai preliminari e in attesa di attenzioni.

L'ospite si spostò sul nuovo arrivato, sdraiandosi di schiena ed invitandolo a baciargli il collo, una sua mano scese sulla fessura del castano

sotto i boxer, togliendoglieli e massaggiando l'interno con un dito.

Lo straniero mugolò, mordicchiandogli la pelle sotto l'orecchio e il lobo.

Mick si mosse per creare attrito sui loro bacini, le erezioni si scontravano in un gioco lento e caldo, a ritmo con dei baci umidi all'incontro

delle loro lingue e con tanto di denti tra i sospiri. Una dolce tortura.

L’ospite non lo faceva da un po', e con due persone da ancora più tempo. Gli sbottonò la camicia bottone dopo bottone, facendola cadere a

terra; si voltò leggermente verso il comodino mentre Mick gli torturava il collo e la mandibola con le labbra, poi sentì una mano vellutata sul

suo braccio che rubò le sue attenzioni. Si allungò prendendo dal cassetto profilattici e lubrificante.

Tornò da loro, intenti ad esplorarsi; Mick e Dora lo guardarono insieme, tornando da lui e lasciandolo al centro.

Dora, da davanti, gli prese una mano per fargliela stringere su un suo seno, libero dell'intimo scenico, che massaggiò e leccò fino a sentire il

capezzolo turgido, fece lo stesso lavoro all'altro, mentre lei gli solleticava il petto e il sedere.

Mick gli mordeva e baciava le spalle; gli massaggiò il membro e i testicoli con carezze decise. L'ospite finì quasi per impazzire.

«Hey, calmi. Dobbiamo organizzarci.»

«Dove mi vuoi?» domandò Mick all'orecchio.

«Sopra.»

Il moro abbassò di schiena Dora, aprì il profilattico con i denti e lo srotolò sulla sua erezione, prima però scese a leccarle il clitoride

accompagnando due dita nella vagina e arricciandole. Dora gemette allargando le gambe e inarcando la schiena; lui si tirò su e la penetrò

afferrandole le gambe e chiudendole attorno al suo busto; si mosse velocemente avanti e indietro, inghiottendo i suoi lamenti di piacere con la

bocca.

Passò una mano dietro di sé per fare segno a Mick di aggiungersi; quest'ultimo si era già preparato da solo, la plastica del preservativo era

accanto a lui e delle gocce di lubrificante a scaldare tra le sue dita per poi intrufolarsi nell'uomo davanti a lui. L'ospite dovette fermare la corsa

dentro la mora, continuando a stimolarla, per far sì che l'altro riuscisse ad entrare; Mick gli provocò una scarica di dolore lungo la spina

dorsale, e si chiuse a riccio su Dora abbracciandola. Lei cullò entrambi nonostante fossero pesanti, fino a che Mick non riuscì a trovare un

ritmo per farlo impazzire e lui continuò a cavalcarla al punto che le gambe non riuscirono più a stare su e Dora venne in un grido strozzato,

rossa in viso per lo sforzo. Intanto gli uomini continuarono e l'ospite venne poco dopo. Restò a braccia flesse sul materasso, ad aspettare Mick

e le sue mosse che divenivano sempre più sporadiche e sconnesse fino all'urlo esausto che l'uomo cacciò sulla sua schiena sudata. Sentì il

mento spigoloso e poi la sua voce «È stato...è stato figo.» disse Mick, sottolineando l'ultima parola.

«Lo dite anche… dalle tue parti?» domandò l'ospite, sfottendo le sue origini e ansimando.

«Dandy.» Rise Mick e lo baciò per poi lasciarsi cadere di schiena, lo stesse fece lui, le braccia e le gambe scomposte non rispondevano più.

Dora si accoccolò alla sua sinistra con un sorrisetto; Mick restò a fissarlo per un po’, e l'ospite ricambiò lo sguardo: «Mi piaci.» gli fece

l'occhiolino. «Lasciami il tuo numero.»

Risero tutti e tre prima di chiudere gli occhi e riaprirli un'ora dopo.

 

Mick beveva un mini alcolico, scrivendo delle cifre su un block notes bianco con il logo della casa, che lasciò accanto ai vestiti di

quell'attraente visitatore.

Presa la giacca e se ne andò con del whiskey, guardandolo ancora addormentato tra le coperte con un ghigno negli occhi verde palude.

Fuori sentì Dora mentre accontentava un altro cliente.

 

 

Angolo di Sarandom e Feathers

Gioie del periodo natalizio e non.

-Yes, Mick Davies, non è morto, si è solo trasferito nella nostra ff e condivide gioie.

PS: prima volta che scrivo dell’hetsex e si vede, lo so *chiede perdono* -Sarandom

Ringraziamo tutte le 14 persone che hanno messo la storia nelle seguite e gli abituali che recensiscono. E’ importante per noi sapere che ci siete e che questa avventura stia piacendo. 

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Capitolo 10
*** O ***


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O.

 

Dean sentì nuovamente il sangue appiccicoso fra le dita, il sapore ferroso sulla lingua e l'odore forte che gli pizzicava le narici.

Era orribile, come se si trovasse ancora in quel luogo.

Il fuoco gli bruciava lembi di pelle, le urla delle anime lontane e vicine gli graffiavano violentemente le orecchie. Non si era mai chiesto come facessero le anime ad emettere suoni; la verità era che tutto l'orrore dell'inferno era capace di asportare quasi del tutto la sua razionalità, e di trasformarlo in un animale istintivo e rabbioso.

Per anni ed anni aveva resistito; aveva subito milioni di torture una dietro l'altra, fino al momento in cui non ce l'aveva più fatta - stava impazzendo e non voleva più soffrire. Sam non lo avrebbe mai saputo, Bobby neanche. Era sceso da quella dannata ruota ed aveva preso a martoriare anche lui quelle povere anime come la sua. Le strappava, le distruggeva, senza smettere un secondo, senza provare rimorso davanti a loro. Odiava ciò che era diventato ogni secondo che passava, ma non vedeva altra scelta. Sapeva di essere debole e l’Inferno gliene aveva dato prova.

Era riuscito a fuggire per un bene Divino in cui neanche credeva, le lacrime erano uscite davanti al fratello, ma non si sentiva meglio, non era mai stato lo stesso da quel momento.

Ed ora era un'altra volta lì, senza sapere perché, senza ricordare un minimo di niente. Era diverso, ma in modo orrendo.

Stava tormentando anime di nuovo e nel frattempo riceveva frustate alla schiena che gli toglievano il respiro e lo costringevano a cacciare gemiti di dolore. Non voleva stare lì, non voleva tornarci.

Si ricordò per alcuni istanti del film sulla Morte e Passione di Cristo che aveva sbirciato quando era molto piccolo, e pensò a quanto la scena in cui Gesù veniva frustato gli fosse rimasta impressa nella mente.

Era così che si sentiva in quel momento. Provò ad urlare, a chiedere aiuto fino ad avvertire i graffi alla gola, ed il colpo di grazia venne non appena un enorme cane infernale sbucò da chissà dove e gli morse il polpaccio destro.

Dean si divincolò; scoprì di non avere più voce per chiedere aiuto, ed entro pochi secondi si ritrovò totalmente paralizzato dalla testa ai piedi. Non poteva nemmeno chiudere gli occhi per evitarsi la scena tremenda che aveva davanti: un altro cane infernale stava sbranando un'anima che si contorceva e artigliava con le unghie quello che sembrava un pavimento.

Si mise a pregare mentalmente; si domandò il perché di tutto quello e si disse di mantenere la calma.

“Qualcuno verrà a salvarti. Mantieni la calma. Mantieni la calma. Mantieni la-“

 

"Un vecchio amico..."

Quella maledetta voce gli rimbombò in testa più volte, fece stranamente eco in quello spazio affollato di anime, continuò a ripetersi all'infinito, sempre più forte… finché Dean non si rialzò di scatto, occhi spalancati e corpo sudato.

La voce si ammutolì.

Le visioni sparirono.

Il dolore svanì lentamente.

Il cuore batteva veloce, come se volesse squarciargli la cassa toracica.

E la sua camera semi buia si materializzò di fronte a lui.

Era tutto esattamente come Dean l'aveva lasciato. La prima cosa che il cacciatore mise a fuoco fu l'orologio che segnava le sette e mezzo di mattina. Alcuni vestiti erano ancora ammassati sulla sua sedia, le coperte sfatte, i jeans ancora addosso a lui.

Era stato un incubo. Era stato solo un maledetto incubo.

Dean socchiuse le palpebre, e si passò un palmo umidiccio sulla fronte, sospirando in modo tremolante. “Dannazione.”

Afferrò il cellulare con la mano sinistra e cercò il nome di suo fratello nella rubrica dopo qualche minuto che si era concesso per smettere di ansimare.

«Hey... Sam.» mormorò, senza muoversi dalle coperte.

«Dean. Va tutto bene?» chiese subito la voce apprensiva del fratello.

Il maggiore ci mise del tempo per rispondere.

«Dean, sei ancora lì?»

«Sì, sì... sono qui. Va tutto bene. Ieri mi sono divertito... ho... giocato, bevuto.»

«Mi hai chiamato per raccontarmi di una sbronza?»

Dean ridacchiò appena.

 «Ti va se…andiamo a... prenderci un caffè oggi? Fra circa un'ora al solito chiosco, offro io.» gli propose, mentre il cuore e il respiro si calmavano.

Dall'altra parte, la risposta si fece un po' attendere. «Beh, perché no?» fece Sam. «Ci vediamo lì…»

«Perfetto.» lo interruppe il fratello maggiore con un sorriso nella voce. «Lì davanti alle otto e mezza circa, a dopo Sammy.»

Dean concluse la chiamata, e si preparò con un accenno di quegli spiacevoli pensieri ancora in testa.

Sapeva benissimo che anche il fratello aveva sopportato quelle pene; affrontare Lucifero non era stata certamente una passeggiata, ma ammetteva che era il più forte tra i due.

 

In poco tempo, il cacciatore si ritrovò davanti al fatidico posto in cui aveva dato appuntamento a Sam. Quando finalmente vide arrivare il fratello con dieci minuti di ritardo, gli diede una delle loro solite pacche sulla schiena.

«Tutto bene?» gli domandò il biondo, chiedendo al tizio del bancone di preparargli qualcosa.

«Sì, sì... tutto okay. Tu hai una pessima cera invece...» constatò Sam, fissandolo con gli occhi ridotti a fessura.

Dean sollevò gli occhi al cielo. «Lo so. Nottataccia.»

«Mh mh?»

Dean restituì lo sguardo che gli aveva lasciato addosso il fratello, lo aveva chiamato per quello, cosa aspettava?

Si sedettero ad un tavolo per due con le loro ordinazioni.

 «Ho-» Si morse un labbro. «Ho di nuovo gli incubi.»

«Quali?» La preoccupazione di Sam stava lentamente crescendo.

«Inferno.»

Il minore aggrottò le sopracciglia. «Come mai? E’ successo qualcosa?»

«No.» Dean si stropicciò gli occhi. «Avrò bevuto troppo.» rise senza un minimo di allegria.

«Sei sicuro?»

«Devo solo, capire delle cose. E per farlo…ho bisogno di partire.» rispose pronto. Lo guardò con negli occhi l’aria più bisognosa che potesse suscitare.

«Te ne vuoi andare?» domandò il fratello, il panico crescente nel tono.

«No. Starò via solo qualche giorno. Lontano da tutto…»

«E da tutti.» concluse Sam, cupo.

«Anche, ma non è per colpa vostra. Mi piace quel che abbiamo qui.» Sottolineò con una mano a palmo sul tavolino.

«Okay, dove andrai?»

«Ho bisogno di …vedere posti che conosco.»

«Non andrai alla nostra vecchia casa...»

«Era un’idea.» ammise il maggiore, il capo basso.

«Dean, non farti del male.»

«Non voglio.» gli confermò l'altro.

«Non vuoi compagnia, giusto?»

«Devi occuparti di tante cose qui, lascia stare, Sam.»

«Cas…?»

«Non posso aspettarlo, voglio andare subito e …lasciarmi questa sensazione alle spalle.»

Ci fu qualche istante di silenzio. Sam dava ancora l’impressione di essere poco convinto, ma allo stesso tempo sembrava voler capire suo fratello. «Sei sicuro che non ci sia stato un avvenimento in particolare che ti ha... come dire... smosso?» gli domandò, gli occhi curiosi ma rassicuranti.

«Non proprio.» mentì Dean, bevendo un sorso del suo caffè. «Ho visto l'inferno. Le anime... torturate. Ho sentito delle strane voci. Insomma… era inquietante.» rispose atono, stringendosi nelle spalle.

In quel momento, Sam rivide il fratello di tanti anni prima, quando riusciva ancora ad essere divertente con un vero sorriso sulle labbra e l'espressione spavalda da ragazzo nei suoi vent’anni, nonostante fosse spaventato a morte.

«Sì.» rispose Sam, comprensivo, ed appoggiò il gomito sul bancone, avvicinandosi a lui. «So cosa significa.» disse, cercando di creare un contatto.

«Scusa se sto… anche tu hai sofferto così.» mormorò Dean, scuotendo la testa.

«No, no no.» lo interruppe Sam. «Qui nessuno usa pesi e misure, ognuno soffre a modo suo. L’ho detto per ricordarti che io ci sono.»

Dean ammiccò appena. «Lo so. Altrimenti non te ne avrei parlato.» Finì il suo caffè.

«D'accordo, allora.» disse infine Sam e Dean annuì. «Se hai bisogno, di qualsiasi cosa, chiamami. A qualsiasi ora.»

«D'accordo.» confermò il maggiore e gli sorrise fraternamente.

 

Erano fuori il locale, il sole nascosto dalle nuvole; si stringevano nei loro cappotti mentre raggiungevano le auto vicine.

«Cosa diremo a Cas?»

«Gli dirai la verità.» disse Dean, mentre apriva l’Impala.

«Non vai da lui?» domandò Sam, stupito.

«No, meglio di no. Preparo il borsone e parto subito. Mi sarebbe più difficile se andassi da lui.»

«Sta’ attento.» si premurò Sam, avvicinandosi e abbracciandolo. Ma Dean reagì in modo comicamente indignato. «Cosa abbiamo detto? Niente scenate da ragazzine.»

«Ma sta’ zitto!» esclamò, Sam, ridendo sulla sua spalla.

 

*

 

 

Dean era già in viaggio, era partito non appena sistemato il borsone e per le dieci fu in macchina. Lo avrebbero aspettato parecchie ore di macchina. Accese lo stereo per distrarsi e le note di "Crazy in love" occuparono l'auto.

Il cacciatore seguì il ritmo con le mani sul volante e stonò il ritornello come suo solito. Davanti a lui c'erano solo strada asfaltata, distese di grano e a tratti paesaggio boschivo.

Le note cambiarono, delle bacchette battevano ripetutamente sulla batteria, alternandosi con le parole della nuova canzone:

"Don't test me

Second guess me

Protest me

You will disappear"

Dean spense la radio, la quale si riaccese da sola pochi secondi dopo; ogni luce della macchina si azionò.

Il cacciatore assunse un'espressione accigliata ed accostò sul ciglio della strada.

Non c'era nessuno oltre lui.

Pensò immediatamente ad un fantasma, ma non vedeva tratti specifici del caso. La strada era deserta, non vi erano né fiori, né ombre. Aspettò per uno spettro, occhieggiando attorno a sé, ma non vide niente a parte gli alberi e le collinette.

La radio si spense di colpo, come se tutto il suono fosse stato improvvisamente risucchiato da un vortice. E nell'auto calò il silenzio più assoluto.

Dean fece per aprire lo sportello; era chiuso dentro.

«Okay. Ho poca voglia di giocare per adesso, chi diavolo sei?!» domandò minacciosamente e chiuse gli occhi.

Qualcuno rise accanto a lui.

 

*

 

Venti minuti prima.

 

All'ospite piaceva fare finta di dormire, soprattutto quando era in compagnia. Adorava sentire cosa accadeva intorno a lui, udire anche più lontano di quanto fosse mai riuscito a fare.

Dora era già andata via, aveva sentito mentre frugava nei suoi pantaloni sgualciti a terra; Mick era rimasto un po' di più. Appena sveglio aveva sentito i suoi occhi addosso per qualche minuto, poi si era rivestito. Lo sentì sedersi sulla poltrona ed aprire qualcosa, poi usò una penna su un foglio. Si fermò anche lui accanto ai suoi vestiti, indugiò sulla porta ed uscì.

 

Finalmente l'ospite misterioso poté alzarsi, si fece una doccia nell'angusto bagno - che per fortuna, almeno sembrava pulito. Si vestì continuando a fissare il block notes per terra. Lo prese, sbuffò un sorriso guardando il numero di Mick e lo piegò riponendolo nel taschino.

Uscì dal posto, dopo aver salutato il proprietario. Restò fermo a guardare le persone mattiniere fare avanti e indietro per raggiungere i posti di lavoro, era come faceva lui un tempo.

Viso inespressivo, spostò l'attenzione al cielo ancora poco luminoso e con troppe nuvole ad oscurare il sole. Chiuse gli occhi annusando l'aria, alzò l'angolo della bocca e scomparve.

 

*

 

Dean si voltò in un lampo, qualcuno occupava il posto del passeggero alla sua destra.

E rideva accanto a lui.

«Rilassati, Dean.» fece quello, con un piede poggiato contro il cruscotto e una mano sul ginocchio.

«Chi. Diavolo. Sei.» mormorò il cacciatore, la rabbia crescente nel tono, cercando di prendere l'arma che nascondeva sempre sotto il sedile, di soppiatto.

«Se lo nomini troppo, guarda che arriva.» gli fece il verso l'altro, con un ghigno.

«Figlio di put-» stava per puntargli la lama del coltello di Ruby addosso, ma il tizio alzò una mano e lo immobilizzò. Gli fece dei versi di disapprovazione.

«Mmh mmh, non ci siamo proprio, Dean. È così difficile parlare, per voi cacciatori?»

Il biondo guardò il bel viso delicato del tizio, i capelli scuri aggrovigliati, ed il verde brillante degli occhi maligni. «Come fai a sapere chi sono?» gli chiese Dean.

Il moro gli fece un attraente sorriso sbilenco. «Oh, e tu come fai a... non capire chi io sia?»

Dean aggrottò le sopracciglia; lo fissò a lungo, si concentrò su di lui, ma non gli veniva nulla in mente.

«Non lo so.» rispose, secco, ma sincero.

«Oh, giusto.» L'altro si passò una mano sul viso, poggiando la testa sul finestrino. «Che sbadato sono. Così...» Indicò il suo corpo. «...non puoi riconoscermi.»

«...Sei un demone.» sibilò il cacciatore.

«Din din din, bingo.» disse il moro in una smorfia, per niente divertito, guadagnandosi un'occhiata truce da Dean.

«Senti, io, i demoni li uccido, non li creo. Vai da Crowley se questo non ti aggrada.» lo minacciò.

«Nah, sbagli su entrambe le cose.» Lo guardò con un'espressione furba che mutò all'istante. «Quindi conosci bene chi dovrebbe essere il mio capo.»

«Chi non conosce Crowley...» rispose ovvio, Dean.

«Mi sono sempre tenuto a debita distanza, facendo solo il mio lavoro. A quanto vedo ho perso molte cose.» Il moro lo squadrò da capo a piedi.

«Cosa vuoi da me?» chiese Dean, contraendo una mano.

«Chiederti scusa per ieri sera. Mi hai preso veramente in contropiede-»

«Di cosa parli?» lo interruppe Dean.

L'altro spostò la schiena sulla portiera per averlo di fronte, e lo fissò con aria di sfida. «Cosa ricordi dell'Inferno?»

Il biondo si rabbuiò ancora di più. «Tanto. Troppo... e tutto grazie a te, quindi.»

«Pardon.» Il demone alzò le mani. Si avvicinò a lui facendo leva con le ginocchia sul sedile.

I visi a neanche un centimetro di distanza. «Il mio nome è Dante».

Verde smeraldo e verde foresta dei loro occhi si incontrarono.

Dean cercò di fare mente locale su quel nome sussurrato. Rimase con la mascella serrata e gli occhi che continuarono a fissare l'altro, fino a che non arretrò bruscamente.

Una scintilla di ricordo lo fece sbiancare.

«Oh... adesso sì, che ricordi.» constatò Dante. «Ricordi cosa mi hai fatto.» iniziò, rabbioso. «Cosa continuasti a farmi, a cosa mi riducesti solo per salvarti quel briciolo d'anima che ti restava.» disse, labbra ed occhi tremanti dal dolore. «Non conoscevo niente di quello schifo, non ero come te. E questo ti divertì, giusto? Prima provavi del piacere nel picchiarmi, fino a rompermi la mascella, a vedere gli occhi così pesti da scambiarli per buchi neri. Poi a strapparmi la carne dalla pelle, più sangue usciva, più ridevi.»

«Questo non è vero.» disse Dean in un sussurro, teneva gli occhi chiusi, cercando di respirare, le nocche bianche per la forte stretta al volante. Il suo stomaco era in una morsa; mandò giù della saliva per controllarsi.

«Ah, no? Più urlavo, più tu andavi lentamente. Finito di togliermi la pelle, i muscoli, passavi togliermi le ossa.» sputò sprezzante Dante.

Dean non riuscì più a trattenersi, cercò di riaprire la portiera e questa volta ci riuscì, fece solo in tempo ad inginocchiarsi per strada e vomitare sull'asfalto.

Nella testa aveva immagini continue di quel racconto con centinaia di corpi diversi. Un altro conato.

Vide le scarpe di Dante, che si inginocchiò. «Fa schifo, vero?»

«Cosa... vuoi da me?» disse con il respiro affaticato e tremante. «Scuse? Vendetta? Non sono più così… lo ero lì. O cambi o quel posto ti uccide.»

Il demone lo prese per il colletto della giacca e lo stese sul fianco della macchina. «Tu eri già morto, come noi.» gli disse stridendo i denti. «Hai solo ceduto.»

Esatto, era tutto su quello che girava...

«Se anche tu sei qui, non l’ho fatto solo io.» ringhiò Dean.

Dante rise. «Se un pezzo di merda come te fa promesse che neanche un demone farebbe… come ti sentiresti?»

«Cosa avrei fatto?»

Dante si morse un labbro. «Perché spiegarti subito, se posso divertirmi, adesso?» Il moro lo lasciò all'improvviso. «Devo andare, ma tornerò. E ...tranquillo, non voglio ucciderti.» gli sorrise per poi sparire.

Dean restò frastornato, come la sera precedente; si sentiva esattamente uno schifo.

In che modo riusciva sempre a fare del male a tutti compreso sé stesso?

Sam aveva dovuto aspettare anni per crearsi una vita normale, Castiel era diventato umano per restare con loro, o per quanto gli sembrasse assurdo, proprio per lui. E adesso questo Dante che lo accusava, proprio quando perfino lui stava per abituarsi a quella vita calma, semplice e tranquilla; proprio quando stava iniziando a vivere come un essere umano.

 

*

 

25 Dicembre 2020 - Inferno

 

"Paradise" dei Coldplay iniziò a suonare nella radio dell'Impala, facendo increspare le labbra di Dean, e provocando un leggero movimento della sua testa a ritmo di musica. Cercava di distrarsi e di ignorare almeno al momento il problema.

«And dream of para-para-paradise

Para-para-paradise

Para-para-paradise oh oh oh oh oh ohhh.»

Canticchiò il cacciatore, sbirciando appena fuori dal finestrino. Ormai Dean aveva viaggiato per quasi sette ore, con alcune pause; stare da solo lo gratificava parecchio, anche se avrebbe dovuto aspettare queste nuove visite da Dante. 

Proprio alla fine della canzone, Dean giunse a Lawrence, la loro città natale.

Parcheggiò l'auto in un luogo pieno di alberi, accostando vicino ad un pino. Sospirò uscendo dalla macchina con le chiavi che tintinnavano fra le dita.

Non ci vollero molti passi per arrivare davanti alla loro vecchia casa. Non appena l'edificio entrò nel raggio visivo del cacciatore, Dean si sentì le ginocchia molli. Vederla non fu traumatico come se lo era immaginato. Non fu neppure troppo triste, ma gli lasciò qualcosa di strano dentro, e di peggiore della semplice tristezza che Dean non seppe interpretare.

Nostalgia?

Non ne aveva idea al momento. 

Sapeva solo che ogni minuto in più passato ad osservare quelle mura costellate da minuscole crepe, quei mattoncini che componevano il vecchio camino, quel giardino incolto, gli faceva del male.

Forse era vero che era masochista. Era vero che non si voleva bene, come gli aveva detto Castiel. Ma nel motivo di quelle visite c'era dell'altro.

Dean chiuse gli occhi per qualche secondo, ascoltando il cinguettio dei passeri vicini e cercando di calmarsi per un momento. Ma una serie di immagini terrorizzanti si proiettò indisturbata nella sua mente, facendolo sobbalzare.

Il fuoco.

Le urla.

La casa in fiamme.

“Porta fuori tuo fratello più in fretta che puoi!” gli rimbombò in testa ripetutamente. Dean strinse le palpebre, ed una lacrima gli cadde giù per la guancia destra. La asciugò via in fretta, sforzandosi di indurire l'espressione del volto.

«Va tutto bene.» si disse. "Va tutto bene..."

Prese un gran respiro, ed andò a suonare il campanello. Attese per qualche secondo, un piede che batteva nervosamente a terra.

Una donna bionda e piacevolmente rotondetta gli aprì la porta, e lo fissò con gli occhi nocciola assottigliati.

«Salve.» fece Dean, a bassa voce.

«S-salve...» mormorò la signora, le labbra schiuse.

«Mamma! Mamma!» si mise a strillare un bimbo sui cinque anni, giungendo a tirarle i pantaloni troppo stretti.

«Arrivo, aspetta tesoro...»

«Ma Luke mi ha rubato la merenda! Si è mangiato i miei biscotti!»

«Non è vero!» urlò una voce minuscola dalla cucina, strappando un sorriso al cacciatore.

Lui e Sam da piccoli. Come del resto tutti i fratelli del mondo. Erano così ordinari prima... così normali.

«Chi è lei?» domandò la donna, incuriosita.

Dean si umettò le labbra. «Ecco... io un tempo abitavo questa casa con mio fratello, i miei genitori... insomma, con la mia famiglia. E volevo solo... vedere.»

«Oh.» rispose quella, leggermente scettica all'inizio. «Davvero?» Chiamò suo marito, il quale marciò subito accanto alla porta ed osservò il biondo. Sua moglie gli spiegò tutto, e lo invitarono ad entrare e prendere un tè.

Dean decise che ne avrebbe bevuto appena un sorso, dato che il suo stomaco non era nelle migliori condizioni, ma accettò volentieri per non offenderli.

La prima cosa che rivide fu la cucina; il luogo era totalmente cambiato. La credenza rossa e bianca occupava tutta la parete di fronte alla porta. I due bambini giocavano per terra con dei dinosauri di plastica.

Dean sorrise, e passò in tutte le stanze con un sorriso malinconico. Man mano che vedeva tutti i cambi, tutte le cose fuori posto, i colori diversi delle pareti, gli pizzicarono gli occhi. Il peggio fu quando giunse nella cameretta del bambino.

La culla era l'unico oggetto che stava proprio al centro della stanza, come quella di Sammy.

«Oh, sì... quella era la culla di Luke. Sta ancora lì...» disse la donna, ridendo allegramente.

Abbassò lo sguardo alla parte bassa del muro accanto la porta e …le loro iniziali non c’erano più.

Dean era rimasto ancora inespressivo, ma non vedere quelle incisioni fece ancora più male di tutto il resto. Era il loro marchio, erano nell’Impala, le avevano lasciate nel Bunker e lì erano sparite per sempre.

Le mani iniziarono a tremare e sudare. «Mi scusi...» fece.

«Che succede?» gli domandò la signora, preoccupata.

Ma il cacciatore scosse il capo e si passò una mano sugli occhi. «Mi scusi davvero, devo andare adesso. Scusi tanto per il disturbo e grazie per avermi fatto entrare.»

«Ma-sì, certo. Arrivederci.»

Salutò tutti frettolosamente, ringraziando per la visita e Dean girò i tacchi per uscire.

Rientrò nell'Impala, velocemente, mettendola in moto e schiacciando l’acceleratore.

Pensò che non sarebbe più tornato nelle vicinanze di quella casa, almeno per un bel po' di tempo.

 

 

*

 

«Se non sai fare il tuo lavoro, che diavolo ci fai lì?» la voce alterata del Re dell’Inferno rimbombò nella sala del trono.

«Mi ci ha messo lei…Sire…»

«E allora impara a farlo! Il prossimo! E cercate di non farmi perdere tempo.» disse mentre passava una pergamena ad un demone accanto a lui.

Entrambe le porte della sala vennero aperte e Dante apparì con le mani in tasca. «Quindi…tu conosci bene Dean Winchester.» disse sprezzante, a passo svelto e saltellando sui gradini fino ad arrivare faccia a faccia con lui.

Crowley dopo averlo fissato, guardò gli altri. «Siete ancora qui?» sparirono tutti, lasciandoli soli, Dante non aveva ancora tolto gli occhi dai suoi.

«Cosa vuoi?»

«Tu lo sapevi. E non me lo hai detto.»

«Cosa sapevo?»

«Di Dean.»

«Sei tu quello fuori dal coro, non sai niente di nessuno, solo di te stesso. Ho avuto il mio bel da fare con i Winchester, ma ora siamo apposto. Puoi andare a fare il tuo lavoro.» fece per alzarsi, ma Dante gli posò una mano sul petto per farlo restare dov’era.

«Ti sei salvato solo perché mi hanno chiamato.» e sparì.

 

 

 

 

Angolo di Sarandom e Feathers:

 

Vi sveliamo un segreto: amiamo scrivere Dante. Aveva anche più spazio nei capitoli successivi, ma erano troppe scene e ci dispiace di averli tolti, ma speriamo lo apprezzerete anche così ^^

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Capitolo 11
*** R ***


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R

Cambia il mondo

Cambiano i colori

Cambia la sorgente delle tue emozioni

Cambiano che quasi ti confondi

Siamo la domanda a cui non rispondi

Michele Bravi

 

 

26 dicembre 2020 – Purgatorio

Era pomeriggio inoltrato quando Dean arrivò a Greenville, Illinois.

Il sole invernale batteva forte sull'Impala; il cacciatore cercò un posto nel parcheggio del cimitero. Non si aspettava di trovare gente durante le feste di Natale, e invece si dovette mettere in fila dietro quattro persone per scegliere i fiori.  Non ne conosceva più della metà, cercò di ricordare uno dei suoi preferiti - nel giardino Mary aveva creato delle aiuole...erano lì, in diversi colori, ed un flashback occupò la sua visuale: la mamma che annaffiava dei tulipani arancioni ed era così soddisfatta di come stessero crescendo.

Dean ne prese alcuni ed entrò, prendendo il viale circondato da lapidi e pini alti con qualche fiocco di neve sugli aghetti.

Non aveva nevicato molto quell'anno, ma la pioggia aveva creato pozze di ghiaccio a terra che rendevano il terreno più scomodo.

Dean arrivò in fondo alle mura, ed entrò in un'area con una siepe dopo un cancello di ferro.

Era l'unica senza fiori; non erano soliti andare lì.

Si avvicinò alla base rettangolare in marmo rosa e la rilesse con gli occhi leggermente umidi: "Mary Winchester – 1954- 1983. In Loving Memory" scritto in rilievo bianco, tutto poggiato su una base di cemento.

Si inginocchiò: «Ciao, mamma.» Sorrise e sistemò i fiori nel vaso, aggiunto da loro anni prima.

Non aveva preso l'acqua e si guardò intorno, vedendo una specie di sgabuzzino con dei contenitori di plastica e un rubinetto.

Dopo averne svuotato uno nel vaso, Dean restò lì, in silenzio. Osservò delle signore più avanti a lui, che fecero il segno della croce e mandarono un bacio alla foto del defunto.

Una coppia più lontana aveva in mano un peluche; ed un padre con il figlio, abbastanza grande, alla sua destra.

Dean sospirò e ripensò a cosa stesse vivendo in quel preciso momento, quel viaggio solitario. Gli sarebbe piaciuto tornare lì con Sam o Castiel.

«Ho sempre odiato papà per il futuro assente che ci ha lasciato vivere. Con gli estranei lo difendevo, ma nella mia testa…»

Ricordava la visita nel suo Paradiso, lui con la maglia di quando era piccolo che cercava di consolarla dopo una lite avuta con John.

«Lo ha fatto solo per te e... tutto per te e proteggere Sammy...Ma anche tu hai fatto la tua scelta. Quella che ha portato a tutto il nostro percorso. Non ci hai lasciato nulla di scritto, a contrario suo; non hai mai cercato di avvertirci, anche se sapevi. A lui…non hai mai detto niente. Hai rovinato la vita a tutti e tre.»

Il cacciatore ricordò Castiel e il viaggio nel tempo; aver conosciuto i suoi da giovani ed aver aiutato il padre a scegliere la sua futura auto. Ripensò al demone dagli occhi gialli, a quando aveva cercato di salvare Mary dicendole di non preoccuparsi e di non alzarsi dal letto quella sera anni dopo. Ma era già stato tutto scritto, e per quanto pensassero di poter sfuggire al loro amaro destino, non ci erano mai riusciti. Dean ricordava bene anche il momento in cui aveva visto quella figura vestita di bianco in un giardino di rose rosse; sembrava il fratello, ma non era Sam. Suo fratello non esisteva più.

"Qualsiasi cosa farai, finirai sempre qui. Qualsiasi scelte farai, qualsiasi dettaglio altererai, finiremo qui.”

«Ci hai lasciati completamente da soli, sapendo che papà non conosceva niente di questa vita, e il futuro che avrebbe dovuto combattere Sam. Sì, hai salvato la vita a papà, ma è stata solo la miccia per altre cose che non hai spiegato e abbiamo dovuto sacrificare la nostra vita per capirle.»

Dean strinse le labbra soffici in una linea retta, ed allungò la mano verso la pietra, ma lasciandola cadere.

«Ogni tanto, quando cacciavamo salvando delle persone, pensavo al fatto... e se qualcuno ci avesse provato per noi? Se fossimo noi quelli da salvare?»

Socchiuse gli occhi, come ogni volta che quel pensiero gli balenava in testa. Pensò di nuovo ad una eventualità del genere, e si sentì strano.

«Nostra madre, la nostra famiglia perfetta… tutto andato. E io ho dovuto essere più di un semplice fratello, ho dovuto ricoprire i vostri ruoli per tenerlo al sicuro. E non è stato giusto. Non lo era per me, non lo era per lui, e tra l'altro non sono neanche riuscito a farlo per bene. Hanno ucciso la sua ragazza, è stato posseduto da Lucifero e lo ha torturato. Ha perso la sua anima. La sua anima. Tutto per colpa tua.»

Avvertì un inquietante pizzicare agli occhi mentre continuava a parlare a quella pietra.

«Sai cosa mi ha fatto aprire gli occhi su questo? Sai cosa è tornato a torturare me? Ah sì, beh, anche io sono morto e sono finito nello stesso posto di papà. Adesso qualcuno è tornato e vuole farmela pagare. Ma mi è servito solo a ricordare, a cercare i dettagli e li ho trovati.»

Arrivò una folata di vento da dietro di lui, si girò e vide un paio d'ali bianche accanto ad una croce in legno. Tornò su quella di Mary lentamente, venne sopraffatto da un ricordo: era nella sua cameretta, indossava il suo pigiama con le macchinine e la madre gli stava sistemando le coperte. Mary stava per spegnere la lucina attaccata sotto la mensola e lui aveva guardato più in su.

«Mamma, quella sarà mia, vero?» aveva detto un piccolo Dean, riferendosi alla statuetta che era lì da quando era nato.

La mamma aveva sorriso; sembrava una fata con quel pigiama bianco. «Se la vuoi, te la regalerò...»

«Perché non adesso?» Il bambino l'aveva fissata, lo sguardo assottigliato.

«Perché adesso sei piccolo, quando diventerai più grande e la comprenderai...»

Dean era ancora perplesso. «Cosa devo capire?»

Gli occhi della madre si erano spostati su di lui, mentre si sedeva delicatamente sul letto. «Fino a quando diventerai un ometto, io sarò qui. Poi vorrai andare da solo da qualche parte e potrai portarla con te, così che qualcuno potrà sorvegliarti.» Gli aveva accarezzato la fronte, scostandogli i capelli biondi dagli occhi verdi.

«Ma io non andrò da nessuna parte.» aveva mormorato Dean, contrariato.

Mary aveva riso: «Ah sì?»

«Sì. Resterò qui con te e papà...» Dean aveva ammiccato, e si era nascosto giocosamente sotto il lenzuolo.

Sua madre si era alzata, ed aveva annuito. «Allora veglierà sempre su tutti noi.»

Chiuse la porta e la luce della luna, che faceva capolino dalla grande finestra, illuminò l’angelo sulla mensola per metà.

 

Dean non aveva mai creduto al destino, a Dio, agli angeli e a tutte le altre cose connesse. La sua famiglia si era sfasciata, e pregare non gli era mai piaciuto… fino a quando...

Dovette alzarsi; le ginocchia scricchiolarono a causa di tutto il tempo passato in quella posizione a riflettere. Si passò una mano sul viso stanco.

«Già, pensa te, dall’Inferno mi hanno riportato in vita e forse qualcosa di buono lo hai fatto.»

“Quando sarai più grande...”

Si ricordò di cupido, e di quanto gli sembrasse assurdo.

“...potrai portarla con te.”

Lasciò due dita sul naso e sentì la gola stringersi.

Quando ne aveva bisogno, c'era sempre.

«Per quanti sbagli compie…»

Quando lo chiamava, rispondeva sempre.

«Lui almeno ha sempre risposto, anche se in ritardo.»

Quando ne aveva avuto bisogno, lo aveva sempre salvato.

«E non dovrei avercela con lui.»

Dean respirò a fatica, dei singhiozzi silenziosi lo pervasero ed una lacrima fuggì dall'occhio sinistro, bagnandogli una guancia.

Se la pulì subito e rilesse quelle lettere, come se potesse trovarci scritto qualcosa di nuovo, un messaggio.

«Odio quello che ci è successo, odio ciò che ci hai fatto passare. Ti odio. E ti voglio bene. Perché non riesco a non farlo. Tu sei mia madre. E lo capisco, perché anche io ho fatto patti per salvare le persone che amo più di una volta. Quindi ti perdono. Per tutto. Non posso portarmi questo fardello, adesso che ho l’opportunità di lasciarmi tutto alle spalle. Anche se mi piacerebbe averti qui, avervi qui, tutti insieme di nuovo. Sam è così felice, è la prima volta che lo vedo così, e non deve fingere e sa che tutto questo non finirà presto, ha avuto troppe delusioni in passato. Non ho ancora idea di cosa accadrà per me.» aggiunse con un sorriso amaro.

Gli vibrò il telefono, se ne stupì e guardò la spia sullo schermo: "Cas."

Dean aggrottò le sopracciglia, la mano che tremava. Come diavolo poteva essere anche solo lontanamente possibile?

Aprì il messaggio: "Dean, stai bene?"

Fissò a lungo lo schermo, indeciso sul da farsi, ripetendosi in mente la domanda finché le parole persero il loro senso.

'No, non lo so come sto' pensò alla fine e mise via il cellulare, senza rispondere.

 

*

 

Sam guardò il profilo dell'ex angelo, cercando di interpretare la sua espressione. Avrebbe dovuto dirgli di Dean, ma la verità era che non aveva mai saputo come comportarsi con lui. Sì, erano sempre stati in un buoni rapporti, ma non si trattava affatto del legame che Cas condivideva con Dean; almeno aveva Eileen con sé, a cui aveva spiegato tutto.

«Cas...» fece, distogliendo l'attenzione del moro dal cellulare. Castiel lo guardò, posando il telefonino. «Dimmi.»

Il cacciatore si mordicchiò per un secondo il labbro e si grattò la nuca, nervoso. «Uh... sai...» fece una pausa. «Devo dirti una cosa un... po' strana.»

Castiel aspettò che andasse avanti e gli indicò la scatola di cioccolatini che Eileen gli aveva portato, intimandogli di continuare. Ma Sam negò con la testa. «No grazie, Cas. Comunque sappi che… Dean è partito.» disse tutto d'un fiato, in imbarazzo.

L'ex angelo non si scompose. Lo fissò a lungo senza cambiare completamente espressione. Solo alla fine, fece un lievissimo sorriso ed annuì. «Sì, lo immaginavo.»

Sam non capì; sollevò un sopracciglio, interdetto, mentre Eileen rise sotto i baffi. «E come hai fatto a...»

«L’ho sentito, Sam.»

«Cos'è che senti?» chiese il minore dei Winchester, stranito.

«Dean. Io non so perché ma... percepisco sempre quando sta male, quando è...nervoso o stressato. Quando ha bisogno di una pausa. Vorrei poterlo rendere sempre felice e sereno, ma a volte non bastiamo solo noi, ed è normale. Forse so anche dove è... E’ diverso da quando ero un angelo e riuscivo a sentire quando aveva bisogno di me, ma simile.»

Sam era sinceramente colpito dalle parole di Castiel. Eileen mise una mano su una gamba di Sam e prese la parola. «So di cosa parli. Non credo affatto sia un potere sovrannaturale, ha un nome tutto suo.»

Sam la guardò e la capì all’istante; era una cosa che provava anche lui e sapeva che era lo stesso per l'ex angelo nei confronti del fratello, ma non si immaginava che sarebbe addirittura arrivato a sentire le emozioni che Dean si sforzava di soffocare, ma anche esternare.

«Quindi... non ti ho sorpreso, cioè...te l’ho detto anche in ritardo.» Sam si guardò le mani per un attimo, e poi tornò a Cas, il quale stava sorridendo dal letto d'ospedale. «E non sei neanche offeso per il fatto che ti ha lasciato qui? Così? Senza dirti nulla di presenza?» Sam fece un altro paio di gesti.

Ma Castiel scosse appena il capo scuro e costantemente in disordine. «No. Non avrebbe avuto voglia di discuterne, meglio non girarsi indietro.» Si mise a giocare col lenzuolo fra le dita. « L'importante per me è che lui si senta meglio...» Arrossì lievemente, strappando un sorriso a Sam, ed Eileen gli strinse una mano. «Sai, sono veramente felice di averti conosciuto.» gli disse la ragazza.

«Anche io.» Rispose Castiel.

«E mi sento molto positiva per voi due.»

Il moro sorrise a mezza bocca.

«Sam, puoi lasciarci soli un attimo?» gli domandò, con la gentilezza che la contraddistingueva.

«Certo.» disse Sam con un gran sorriso, lasciandole un bacio sulla fronte.

«C’è qualcosa che ti turba, vero?» domandò subito lei, non appena il suo uomo uscì.

Castiel ancora guardava la porta, forse nella speranza di vedere Dean tornare indietro.

«Come è Sam senza la caccia?» le chiese lui. Eileen rimase silenziosa per qualche istante.

«Credo sia... il più felice di tutti.»

Cas annuì. Si era aspettato quella risposta.

«Tu? Vorresti tornare indietro?»

«Tornare indietro, no. Sono grata alla vita che ho trascorso, non vi avrei mai incontrati. Ho iniziato perché non ho mai conosciuto i miei genitori e volevo capire chi me li avesse portati via. Ma adesso…» si portò una mano al grembo. «Devo pensare a lui, come i miei genitori non hanno potuto fare con me.»

«E’ maschio o femmina?»

«Non vogliamo saperlo subito, sarà una sorpresa...»

Castiel si concentrò a guardarsi le mani ed Eileen le unì con la sua. «Non preoccuparti per lui. Fa lo sfuggente, ma da quando sei qui, è spento. Ogni volta che è con noi, si vede che gli manchi.»

Improvvisamente, il cellulare di Castiel prese a vibrare, facendo sussultare l'ex angelo, che tolse una mano da sotto la presa di lei e lo prese.

«E’ lui vero?» mormorò Eileen, con un sorriso.

Aveva troppo bisogno di sapere come stava.

«Dean?» fece, gli occhi ansiosi e curiosi, la bocca semi aperta.

«No, Cas, non dire nulla.» gli disse Dean dall'altra parte.

Cas si accigliò.

«Grazie.»

Ci fu silenzio per alcuni secondi, intanto Eileen fissava contenta Castiel.

«Solo… grazie.» gli disse la voce poco ferma del cacciatore.

E la chiamata si concluse subito, ma aveva portato via l’aria preoccupata che affliggeva Castiel da tutta la giornata.

«Tutto bene?» chiese lei.

Il moro sembrava decisamente sereno. Mise nuovamente il cellulare al suo posto, voltandosi verso di lei.

«Ha detto… grazie.» sussurrò, poi girò la testa verso la porta che si stava aprendo, ed anche Eileen guardò verso la stessa direzione. Sam tornò con due caffè su un porta vivande e uno in mano che stava bevendo.

«Allora?»

«Credo Dean abbia trovato ciò che stava cercando.» rispose Eileen, accettando il suo caffè.                       

*

Cambiano le strade, i tuoi rimpianti

Cambiano i motivi per andare avanti

Cambiano i vestiti addosso ai tuoi pensieri

Ma l'amore di oggi è sempre uguale a ieri

 

27 Dicembre 2020 – Paradiso

Si svegliò nella camera del motel che aveva scelto verso le due di notte, per cercare di dormire abbastanza tardi così dal non avere incubi, ma non aveva funzionato.

Le sensazioni dell'inferno non si decidevano ad abbandonarlo. Quella volta, Dean aveva rivisto il famoso mastino infernale che lo aveva squartato. Aveva rivissuto tutto, e risentito ogni cosa sulla propria pelle: gli artigli di quel maledetto che gli graffiavano il petto, la sua bocca famelica che gli mordeva le gambe e le braccia, quel guaito insopportabile che lo assordava.

E poi le catene. Le catene che gli stringevano gli arti e lo tenevano fermo. Ruotava vorticosamente, mentre gli altri demoni lo frustavano, lo malmenavano, lo facevano lentamente a pezzi e ridevano, ripetendo l'operazione milioni di volte, fino a farlo impazzire.

Poi aveva riconosciuto un viso: quello di Dante nel suo nuovo tramite. Quest'ultimo lo fissava con gli occhi completamente rossi, e si divertiva a torturarlo in tutti i modi.

Dean guardò giù, tremante, e vide qualcosa che gli fece strabuzzare gli occhi.

Mary Winchester.

Sua madre lo stava guardando in ginocchio; era coperta da un velo che le nascondeva in parte i lunghi capelli biondi e pregava, le mani giunte. Un'aura di luce la investiva.

«Non volevo ti accadesse questo, figlio mio... non volevo...» gli disse, il tono malfermo e rimbombante.

«Mamma!» gridò Dean, ma avvertì un dolore insopportabile alla gola che lo zittì. Provò nuovamente a chiamarla, ma la voce stava sparendo, proprio come nell'altro sogno. «Mamma... mamma...» mormorò, gli occhi fuori dalle orbite.

Ma Mary aveva il viso pallido ed apatico. Lo guardava senza più vederlo.

Dean avrebbe voluto avvertirla del pericolo che stava correndo lì dentro, ma non arrivò in tempo a farlo. Un demone la sorprese da dietro, strappando un urlo sia a lei che al figlio.

Il cacciatore si accorse di aver recuperato la voce e cercò di chiamare il nome di Castiel.

Ma l'ex angelo non dava segni di volerlo ascoltare.

Riprovò: «Caaaas!»

«Avresti dovuto avvertirmi, anziché scappar via!» tuonò la voce di Castiel, accompagnata da un fulmine che costrinse Dean a chiudere le palpebre per la forte luce violacea.

Dean era scioccato. Non capiva. Perché Castiel era così arrabbiato da non volerlo salvare? Non era da lui. Non poteva essere lui. «Cosa... » mormorò, confuso. Cercò sua madre con gli occhi, ma non la trovò. «Castiel, dannazione, vieni qui e aiutaci!» gridò senza fiato.

Ma Dante riapparve in quel momento, e gli fece apparire una benda piuttosto stretta sulla bocca. «Fai silenzio, lurido verme!» aveva urlato con voce stridula.

A quel punto, Dean si era svegliato di soprassalto, col consueto sudore sulla fronte e sul collo - come quando da bambino aveva la febbre alta e il cuore impazzito.

«Non  di nuovo. » mormorò, guardando il soffitto, la mano che passava ripetutamente sui capelli biondi e li faceva sembrare una cresta in disordine. Si serrò sotto le coperte, fingendo di volersi semplicemente riparare dal freddo. Rimase per altre due ore in quella posizione, senza riuscire a muoversi o a prendere sonno, fino ad addormentarsi per miracolo alle quattro e un quarto.

 

*

 

La scritta "Colt" in caratteri cubitali neri, torreggiante su quella piccola costruzione semi illuminata dal sole calante, contribuiva a far riaffiorare i ricordi di Dean.

Il cacciatore sfiorò alcune lapidi ingrigite, lo sguardo malinconico. Aveva piovuto per una bella mezz’ora poco prima, e l'odore di terra ancora forte, si insinuava dolcemente nelle sue narici. L'unica sensazione piacevole era quella. Il resto degli elementi di quel posto lo infastidiva abbastanza. Possibile che quasi ogni luogo risvegliasse in lui una cattiva memoria?

Era lì che aveva visto suo padre per l'ultima volta, ed in fondo non era proprio un pessimo ricordo.

C'era stato il sollievo, ma anche la tristezza. Il sollievo di sapere che John era riuscito a sfuggire all'inferno, che non sarebbe più stato costretto a soffrire quelle pene atroci, ma non lo avrebbero più rivisto.

Dean socchiuse le palpebre.

Riusciva a visualizzare perfettamente suo padre che li guardava sorridente, senza dire una parola - non ce n’era bisogno. Gli era uscita una lacrima, e in qualche secondo dei fasci di luce lo avevano circondato per poi farlo sparire, per sempre.

Ricordava come fosse ieri il giorno della sua morte, così strano: un cacciatore che muore per cosa?

E la loro ultima conversazione, oltre ad aver lasciato un vuoto per il destino di Sam, aveva lasciato il dubbio. Gli aveva detto quelle cose solo per convincerlo a continuare ciò che tanto avrebbe fatto? O era stato sincero?

Alla fine, dopo anni lo aveva capito, anche se gli anni infelici purtroppo nessuno poteva toglierli dalla sua memoria.

Era sempre stato sincero con loro, almeno per il fatto della famiglia. La morte della madre lo aveva segnato, perdere Mary era stato troppo per lui ed era impazzito dalla voglia di vendetta.

Anche se non aveva scuse per avergli fatto passare una vita del genere.

Il rumore del suo respiro si confuse con quello del vento che soffiava fra le piante umide e mal curate. A Dean parve di sentire un suono breve e basso, familiare abbastanza da fargli riaprire gli occhi: “Dean…"

Il cacciatore rimase immobile per qualche minuto, lo sguardo fisso sulla porta dell'inferno. Poi si voltò di scatto, guardandosi attorno.

Ma non c'era nessuno.

Non un'ombra, né un fantasma, né niente. Al solito.

Decise di mettersi a fare una preghiera, con lo sguardo inizialmente basso.

«Papà...» esalò. «È passato...tanto tempo... dall'ultima volta che io e Sammy-» si umettò le labbra. Sbirciò in alto. «...ti abbiamo visto. Io vorrei...» La voce gli si stava gradualmente incrinando. «Lo so che tante volte ce l'ho avuta con te, che tante volte ti ho accusato. Ti abbiamo accusato.» Le tante litigate di Sam e il padre sfocarono la sua vista; lui era sempre lì in mezzo a cercare di appianarle. Anche mentre era su un letto d’ospedale e la sua anima vagava tra loro due.

«Credevamo che la tua scelta di crescerci così fosse sbagliata. Beh, non sei stato il padre dell’anno, è inutile negarlo, ma…» Si interruppe per un po', due dita sulla fronte, appena sopra il naso. «Hai fatto tutto il possibile per proteggerci. Ricordo quando tornavi a casa tardi ed avevi alzato il gomito o…quando accadeva qualcosa a Sam e…» delle piccole lacrime scesero sulle sue guance e non finì la frase. «Mi hai sempre caricato tante responsabilità perché …sapevi non saresti arrivato lontano. Mi volevi più forte, ma mi sono accorto che Sam lo era più di me. Continua ad esserlo, guarda dove sono io e guarda lui.» sorrise, amaro. «Lui ha sempre avuto la faccia tosta di dirti di no, io mai. Ma adesso siamo grandi, abbiamo fatto scelte sbagliate, perso molti amici…ma salvato molte persone. Si è trattato sempre di questo, no? Salvare gli altri, perché non riusciamo, non siamo riusciti a salvare noi stessi.» ne seguì un lungo sospiro.

L’ultimo ricordo del padre in vita balenò tra i suoi pensieri, chiuse gli occhi e John era lì accanto al letto, lui in vestaglia e lo guardava strano. Non aveva mai sentito quelle parole uscire dalle labbra di suo padre, ed era così strano per un figlio.

«Sai, quando eri bambino e tornavo da una caccia e dopo quello che avevo visto, ero stanchissimo, tu…tu ti avvicinavi e mi mettevi una mano sulla spalla. Mi guardavi dritto negli occhi e mi dicevi “Va tutto bene, papà”. Dean, mi dispiace.»

«Perché?»

«Non avresti dovuto dirmelo, avrei dovuto dirtelo io. Sei cresciuto troppo in fretta. Ti sei occupato di me e di Sammy, lo hai fatto e non ti sei mai lamentato. Voglio che tu sappia che sono molto orgoglioso di te.»

«Sei veramente tu a parlare?»

«Si, si, sono io.»

«Perché dici queste cose?»

«Voglio che tu ti prenda cura di Sam.»

«Lo sai che lo farò, mi stai spaventando.»

«Non avere paura, Dean.»

«Subito dopo avermi detto quella cosa all’orecchio…le parole iniziali sono scemate, sono scomparse. Ma più in là nel tempo sono tornate e sono cambiate. Non posso dire di non averti odiato; ho biasimato molte scelte che hai fatto, ma rivederti…solo dopo averti perso, mi ha fatto capire quanto…» si morse un labbro. «Ci hai protetto, nel tuo modo assurdo per insegnarci a difenderci da soli. E oltretutto mi hai salvato. Mi hai salvato due volte… Quando sbagliavo, me lo facevi capire bene e credevo sempre-» corrugò il mento in una smorfia. «…di non essere abbastanza. Fingevo mi stesse tutto bene, non credo di aver mai avuto autostima.» Si morse un labbro, guardando il terreno.

«Devo confessare che, vivendo questa vita…normale, mi sono accorto di una cosa importante: non sarei tornato assolutamente indietro. La vita da cacciatore è stata la MIA vita. Questo è sempre stato il mio destino. È tutto scritto, è inutile prenderci in giro...» Fece una lunga pausa, a fatica riprese a parlare.

«Posso anche darti il mio perdono, ma non so se continuerò a darti la mia vita…non dovevi piacermi, ma dovevi crescermi nel modo giusto, no? Forse…adesso posso tornare ad essere quello che ero e quello che potrò essere per gli ultimi anni che mi restano.»

Detto ciò, le ultime lacrime arricciarono il viso di Dean, che stette a singhiozzare in silenzio. E non alzò il capo per vari minuti, nemmeno quando ebbe la chiara impressione di sentire una leggera e confortevole sensazione di leggerezza invadere il suo corpo, il suo cuore e la sua mente. Alzò il viso verso il cielo, il tramonto era sceso in fretta e il blu notte si faceva strada nella distesa celeste sopra di lui.

Si sentì tornare ragazzo, quando era tardi e Sam già dormiva, dopo aver mangiato gli ultimi cereali del fratellone e lui della carne in scatola; John non era ancora tornato e in tv non c’era niente di interessante. Si sedeva sulle seggiole delle scrivanie e guardava le stelle, facendo finta di contarle per poi addormentarsi. Qualche volta era riuscito a vedere delle stelle cadenti, ma non aveva mai visto un suo desiderio venir realizzato.

Cambiano i motivi per andare avanti

Cambiano i vestiti addosso ai tuoi pensieri

E l’amore di oggi non è come ieri

 

 

«Le cose buone accadono, Dean.»

«Non nella mia esperienza.»

 

*

 

 

«So take the photographs, and still-frames in your mind

Hang them on a shelf in good health and good time

Tatto’s of memories and dead skin on trial

For what it’s worth, it was worth all the while

 

Dean dopo aver ascoltato quelle strofe, roteò gli occhi, accostò la macchina e la spense.

«Perché ti stai comportando così?» domandò al suo passeggero.

Dante sgranò gli occhi e fece spallucce. «Voglio solo conoscerti. Stile portinaia, sono pettegolo.»

«Io… non ti capisco. Prima mi assali e mi odi per qualcosa di cui ho colpa per metà e… poi ti siedi qui a cambiare stazioni radio.»

«E me lo lasci fare.» Dante si voltò verso il finestrino, la testa alta. «Voglio solo vedere come te la passi. Come vivi questa possibilità, nuova chance-»

«Senti…ho capito, ma non l’ho scelto io, nessuno me lo ha chiesto.»

Si girò a guardarlo. «Quindi avresti preferito restare lì?»

Dean alzò un sopracciglio, abbassando lo sguardo per poi alzarlo a guardare il parabrezza. «Sarebbero tutti andati avanti, come hanno fatto in parte. Non avrei combinato più guai.»

«E tuo fratello? Cosa ti direbbe l’angioletto nel sentire queste parole?» rise Dante.

«Per una volta che si sono uniti, senza che io lo sapessi, hanno radunato ingredienti per un incantesimo e mi sono ritrovato senza Marchio di Caino…quindi.» rise al brutto ricordo di quel periodo.

«Oh, eri tu. Hai portato non poco scalpore all’Inferno.»

«Sei l’unica eccezione. Tutti ci conoscono.»

«Ti pensavo all’Inferno a torturare altre povere anime, a tornare laggiù neanche ci pensavo.»

«Rivedermi?»

«Mi ha fatto incazzare sì. Ma non ho voglia di ucciderti.»

«Buono per me!» mise in moto e tornò sulla strada. «Quindi, ora che farai?»

Dante fece nuovamente spallucce. «Non lo so.»

«Mi apparirai mentre sarò con una dolce donzella per rovinare il momento?» gli domandò Dean, con un mezzo sorriso.

Dante rise di gusto. «Sarebbe divertente in effetti. Ma non credo accadrà, per te, una scena del genere.»

«Che intendi?»

L'altro sghignazzò. «Niente. Ora lasciami ascoltare un po’ di musica.»

 

Mancava qualche chilometro per arrivare a Freedom; la radio continuava a trasmettere le canzoni, una dopo l'altra.

Dante si mise a parlare di sé, del suo passato, e di come aveva passato i primi giorni dentro quel nuovo tramite. «Sono andato a trovarli, subito dopo. Ho visto Kathy con un altro, i bambini felici. S-stavano guardando la televisione, tutti insieme sul divano...»

Si era abbassato il volume della radio, e Dean ascoltava senza fiatare, concentrato sulla strada.

Dante aveva lo sguardo fisso nel vuoto. «Sono rimasto per un po’ lì, ad osservarli. Sotto l’albero dove una volta abbiamo salvato un gatto.» Rise a quel ricordo lontano.

«Non si sono trasferiti; non hanno cambiato molto le disposizioni della casa, né le abitudini. E’ rimasta con la mia auto. Ed io non ci sono più andato... non mi hanno mai visto.» Unì le mani in grembo. «Tanto non sarebbe stato lo stesso, non mi avrebbero riconosciuto, meglio così. Forse sentendomi almeno in “me”, avrei bussato alla porta.»

«Bobby e Sam mi hanno aggredito.» disse Dean, in modo comico,  cercando di alleggerire la situazione. «Pensarono di avere davanti un muta forma o chissà cosa.»

«Dovrebbe…farmi stare meglio?» Dante si voltò e a Dean si congelò il sorriso. Tornò a stare zitto. «Quindi non-» si schiarì la voce, cercando di rimediare. «Non sai come sei arrivato in questo corpo?»

Dante lo osservò un po' prima di rispondergli. «No. Ricordo solo di essermi svegliato. Ero nella stanza di una casa abbandonata. Non c’era nessuno, non ho sentito niente, solo qualche topo che correva qua e là.»

Videro la scritta che dava loro il benvenuto a Freedom e l’ospedale distava solo di qualche isolato.

«Quindi, ora andrai da lui...» suppose Dante.

«Non sono affari tuoi.» rispose Dean, secco.

«Hey, stavamo andando bene...»

«Tu non farti vedere.»

«Il fratellino non lo sa, eeeh.»

«Per favore, tappati quella bocca...» Socchiuse gli occhi in segno di supplica, prendendo la curva per entrare.

«Okay. Me ne vado, me ne vado.» recitò Dante, le mani in alto.

Dean trovò un posto, e spense la macchina. Dante era ancora seduto accanto a lui.

«Quindi?» fece Dean.

Dante sbuffò. «Salutalo. E... non fare il cazzone, okay?» Sparì nel nulla nel giro di un secondo, e Dean restò accigliato.

 

 

 

 

 

Angolo di Sarandom e Feathers

 

WELL

Perdonate i dettagli macabri per Dante e Dean, ma ce n’era assoluto bisogno; i pensieri e i malesseri di Dean sono le parti principali di questa gita fuori porta.

Il discorso a Mary era completamente diverso prima, per questo abbiamo finito la fanfiction in tempo per poter modificare con gli avvenimenti nella serie per riuscire a scrivere in meglio anche se avremmo iniziato a pubblicare.

Il discorso di Dean è stato perfetto e si collega benissimo con il percorso che sta facendo in questa storia.

La parte con Sam e Castiel era solo con loro due, ma ci hanno fatto notare che in effetti Eileen non aveva molto spazio, quindi è uscito questo.

Dante…Dante è un nostro preferito da scrivere.

 

PS: Per chi sta partecipando al nostro contest, vorremmo ricordare che ogni prompt deve essere legato a Castiel e alla Destiel; dove non sono per forza previsti è specificato. Ne abbiamo lette alcune e ci sono queste lacune, ma ormai sono pubblicate, quindi il giudizio comprenderà anche quello. Mi raccomando per le altre storie.

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Capitolo 12
*** L ***


L.

 

Sam era appena uscito dall’ospedale e stava per entrare nella sua auto, quando sentì un rumore familiare avvicinarsi.

Si voltò senza dare nell’occhio e vide un’Impala vicino alle scale. Non ce ne erano molte in zona, quindi poteva solo essere quella del fratello. Si nascose dietro delle piante nell’ingresso e guardò meglio; non era da solo nell’abitacolo.

Era buio, ma nonostante ciò notò un uomo dai capelli scuri accanto a Dean; stavano parlando.

Poco dopo, lo strano tizio scomparve.

Sam trattenne il fiato, la mano che si stringeva forte in un pugno. Era un demone? Un angelo? Cosa diavolo aveva in mente suo fratello?

«Alce.» Sam quasi cacciò un urlo e balzò all’indietro. Sollevò le sopracciglia e fissò la figura in nero di fronte a sé, ruotando gli occhi.

«Crowley!» disse a voce bassa e stridula. «Ti sembra questo il modo!?»

«Dobbiamo parlare.» Il demone accennò al fratello, poi gli mise una mano su una spalla e sparirono.

 

Sam si ritrovò in una piazza deserta; un solo lampione faceva luce ma non illuminava altro oltre a loro e qualche metro di strada.

Il castano allargò le braccia. «Vuoi spiegarmi?»

«Dean ha fatto amicizia con un altro demone, dovresti esserci abituato.»

Sam era completamente interdetto. «Lo conosci?»

«Lui è Dante. E non pensavo che avrei dovuto preoccuparmene.»

«Cosa ha a che fare con Dean?»

«Lui non lo ricorda, almeno non esattamente... gli avrà rinfrescato la memoria…»

Sam sospirò stancamente. «Spiegati.»

Crowley si guardò intorno, poi fece qualche passo verso di lui. «Si sono… conosciuti... all’Inferno.»

Sam restò senza parole e fece dei calcoli mentali. «Ecco perché…» Guardò il demone. «Dean ha di nuovo gli incubi.»

«C’era da aspettarselo.» fece Crowley, il tono vagamente cupo. Ci fu una pausa prima che Sam chiedesse: «Cosa vuole da lui?»

«Con le tante cose che ha fatto laggiù, sicuramente non le ricorda una per una. Dante non sarà stato né il primo né l’ultimo. Dean si divertiva, sapendo che nessuno avrebbe potuto aiutarlo.»

«Dean non si divertiva all’Inferno. Mi ha raccontato cosa ha fatto.»

«Ti ha raccontato ciò che ha provato mentre era tornato, a chi avrebbe potuto capirlo.» Lo sguardo serio di Crowley lo fece tacere e rimanere interdetto. «Anche io ci sono andato ed ecco cosa sono diventato. Ti cambia, e non puoi tornare indietro.»

«Dean non è come te. Anche io l’ho vissuto.» rispose secco Sam.

«Non sto dicendo questo, ma non è neanche come prima. Tu hai sofferto Lucifero, e sue lagne. Poi è arrivato piuma e vi ha dato il percorso da continuare.

«Vuoi arrivare al dunque?» domandò, Sam, spazientito.

«Gli ha fatto una promessa, una specie di patto, ma non poteva farne. Gli ha promesso di poter tornare sulla terra. Dean aveva visto tutto di lui, nella sua anima. Dante era gentile, amava la sua famiglia, ma ha fatto due errori. Il primo: fare un patto con un demone per salvare suo figlio. il secondo: fidarsi in modo stupido di quel Dean. Dante non era al corrente di questo mondo, Sam.»

«Glielo ha promesso… in cambio di cosa?» domandò, nella difficoltà di venire a conoscenza di quelle cose.

«Niente. Gli ha solo detto che lo avrebbe fatto e lui ha accettato, dopo l’ennesima frustata. Dopodiché si è risvegliato in un corpo non suo, senza poter tornare dalla sua famiglia.»

Sam restò in silenzio, poi, con le mani in tasca, domandò: «Tu che ne sai di tutta questa storia?»

Crowley alzò il mento e lo fissò un attimo. «Ero lì.»

«Eri lì quando Dean…» disse stupito.

«Perché ti meravigli, Alce?»

«Ci conoscevi già?»

Crowley confermò con la testa socchiudendo gli occhi. «Avevo già visto le potenzialità di Dante. Infatti è bravo.»

Sam lo guardò sprezzante.

«Non fare quella faccia, Alce.» fece il demone, roteando gli occhi.

«Quindi ora lavora per te.»

Crowley annuì.

«Come ha fatto a diventare un demone degli incroci?»

«Beh, potrei avergli dato una mano. Dante non è uno che si interessa di queste cose; gli ho dato un compito e se ne è stato sempre zitto e buono.»

«Il tuo cagnolino ideale.» suppose Sam, le mani sui fianchi.

«Non è come pensi.»

«Il corpo di chi è?»

Crowley gli mostrò un sorriso sghembo. «Ho giocato bene le mie carte. Era un paziente in coma da anni.»

Sam sospirò. «Cosa vuoi adesso?»

«Aiutatemi con Dante, e tutto questo finirà.»

«Come pensi di fare?»

«So dove si trova la sua famiglia. Posso dirtelo a patto che non dirai a nessuno che te l’ho detto io.»

«Tu che fai un patto con me?» chiese Sam, assottigliando lo sguardo.

Crowley ammiccò, e lo fissò a lungo. «Una prima volta per tutto.» disse col tono ironico, prima di ripetere il gesto e farlo apparire nella sua auto, da solo.

 

*

28 Dicembre 2020

 

Dean era riuscito a sgattaiolare nella camera di Castiel senza farsi vedere. Appena entrato, il cacciatore restò con la schiena sulla porta, in silenzio assoluto, interrotto solo dal respiro e dal leggero russare del moro. Teneva la testa voltata verso la finestra, si avvicinò per osservarlo, poi si sedette sulla sua poltrona. L’alba era vicina, e Dean restò sveglio fino a quando Castiel schiuse le palpebre pian piano. 

Il moro rivide per l'ultima volta quel maledetto soffitto dell'ospedale. Inspirò, ed i raggi del sole gli fecero notare Dean davanti a lui, nell’angolo ancora leggermente all’ombra.

«Buon... buongiorno...» mormorò Castiel, alzando il braccio strofinandosi l'occhio destro.

Il cacciatore alzò le sopracciglia, poi sorrise. «’Giorno.»

Ci fu una pausa piuttosto lunga.

Sapeva Castiel avrebbe voluto sapere tutto, quindi si alzò lentamente e strinse le sbarre del letto.

Castiel osservava ogni sua mossa, come al solito. «Sei tornato?»

«Sì. Ieri sera tardi o questa mattina molto presto, come vuoi metterla...» abbassò lo sguardo.

«Stai bene?» domandò.

«Mi è servito, sì. Forse è stata una scelta stupida, ma…»

«No, avere dubbi non è stupido.» lo interruppe subito Cas.

«Non avevo dubbi…ero confuso.»

«Hai fatto luce sui tuoi pensieri?»

«Abbastanza.» rispose Dean. Si sedette su un lato del letto. «Pronto per tornare a casa?» gli chiese con un sorriso che gli illuminò gli occhi.

«Certo.»

Dean allungò una mano per strofinargli i capelli schiacciati sulla tempia destra e per sistemarli. «Dobbiamo tagliarli.» Gli spettinò il ciuffo, mentre Castiel gli riservò uno sguardo aggrottato. L’espressione buffa dell'ex angelo provocò una leggera risata del cacciatore, che alla fine gli passò un dito sulla guancia come un buffetto, e si alzò dandogli le spalle. «Hai sistemato la valigia?»

Castiel spostò le coperte e si mise seduto. «Sì, ieri prima di dormire.» Il moro fece per alzarsi, ma Dean gli fu subito accanto.

«Dean, guarda che ce la faccio.»

Ma Dean non ne volle sapere e lo aiutò, Castiel si stiracchiò. Sentirono molti "crack" e risero insieme.

Castiel si fece raggiante in viso dopo che uscirono dalla sua stanza e firmarono il foglio di congedo. Dean lo fece aspettare in macchina mentre prendeva la colazione. Per settimane e settimane, Castiel non aveva aspettato altro che poter tornare finalmente a casa.

Finirono la colazione poco prima di essere sul viale delle loro abitazioni. Dean parcheggiò davanti a casa Novak; Claire aveva passato l’ultima settimana di vacanza da Sam e Eileen per la loro vicinanza ad alcuni suoi amici, quindi Dean aveva tutto il tempo per poter affrontare Castiel da solo.

 

«Eccoci qui.» fece Dean, entusiasta, lasciandogli varcare l'ingresso per primo.

«Casa dolce... com'è?» fece Cas, assottigliando lo sguardo.

Dean rise. «Casa dolce casa.» disse, studiando la sua espressione confusa.

«Avete dei modi di dire strani, continuo a sostenerlo.» mormorò l'ex angelo, guardandosi attorno con un leggero sorriso. «Però hanno molto senso. Tornare qui è...» Si mise a girellare, diede un'occhiata ad ogni cosa, persino i battiscopa, avvertì il leggero odore di cannella della cucina, e poi fece per raggiungere il salotto.

Dean lo fermò. «Hey hey... aspetta.» sparì dalla sua visuale per tornare poco dopo.

Cas si voltò, sorpreso dal tono e dal comportamento strano dell’amico. «Che c'è? Qualcosa non va?»

Dean ammiccò, guardando altrove.

«Uhm... mi stai forse giocando uno scherzo?» chiese il moro, assottigliando lo sguardo.

«No, voglio solo…» Si grattò la nuca, poi gli fece segno di andare avanti. «Continua.»

Cas piegò la testa da un lato, poi si girò per raggiungere la sua stanza preferita.

Il cacciatore lo seguì, i muscoli e il sorriso in tensione.

Cas aprì le due grandi porte, quasi mai erano chiuse, ed entrò nella stanza; l'aria circospetta.

Restò bloccato in quella posizione, a bocca aperta, a fissare la parete alla sua destra.

Osservò il quadro con l'angelo vestito di bianco e rosso che proteggeva un bambino da un demone. Le espressioni dei volti, le ali nere aperte che toccavano gli estremi dell'opera d'arte, la veste resa svolazzante dal chiaroscuro. L'ex angelo si avvicinò poco a poco alla parete, le mani che tremavano un po'.

Ci stava meravigliosamente; si intonava con l'arredamento, i colori della stanza e soprattutto… rappresentava ciò che più significava per lui, per loro.

«Dean...» Sorrise, scuotendo la testa, gli occhi lucidi.

Intanto, il cacciatore lo aveva raggiunto da dietro, posandogli una mano sulla spalla e stringendola sopra il tessuto della giacca pesante.

Cas si girò verso Dean, il respiro regolare e il pallore del suo viso, dovuto al chiuso della stanza d’ospedale, prese leggermente colore.

«Dean...io...» Non sapeva esattamente cosa dirgli. Distolse lo sguardo e fissò a lungo il colletto della giacca di pelle del cacciatore, il quale stava a pochi centimetri di distanza da lui. Finalmente sbirciò in alto: «Grazie... grazie davvero.»

Dean rimase apparentemente impassibile, ma poi sorrise appena. Senza dire una parola, si avvicinò di più a lui e lo abbracciò.

Entrambi chiusero gli occhi nel sentire il calore dell’altro, nel respirare di nuovo il loro profumo. Dean abbassò di poco le labbra per portarle sulla sua tempia. Le lasciò lì per alcuni secondi, per poi separarsi da lui, prendendo il suo viso tra le mani e guardarlo negli occhi blu intimiditi.

Cas si sentì strano a stare fra le sue dita; la sua pelle scottava, ma era un sollievo impagabile. «M-mi sei mancato...» fece Dean.

«Anche tu.» distolse gli occhi per poi tornare su di lui .«Quindi questo è…»

Dean annuì di nuovo con la testa. «Sì.»

L'ex angelo lo guardò con gratitudine nelle pupille troppo espressive, e Dean gli spostò i capelli dalla fronte.

«...è il tuo regalo di Natale da parte mia, Cas.» gli lasciò un altro bacio sulla tempia per poi stringerlo di nuovo. «Adesso però ti fai una bella doccia e poi cerchiamo un bel ristorante, devi mettere su qualche chilo.»

Castiel restò ancora accoccolato a Dean. «Non possiamo…restare qui?» chiese titubante, come se avesse paura di qualcosa.

Dean si separò di nuovo, guardandolo negli occhi. «Non me ne vado da nessuna parte.» lo tranquillizzò.

Castiel si illuminò ancora. «Okay, andiamo.»

 

*

 

 

28 Dicembre 2020

 

Dopo essersi preparati, Castiel notò l’orario sull’orologio che era tornato sul suo polso. 

«Dean, puoi farmi un favore?» 

«Dimmi.» rispose il cacciatore mentre leggeva il giornale sul divano e lo aspettava. 

«Ti va di accompagnarmi a scuola? Vorrei salutare i ragazzi e Maggie.» 

Dean lo guardò, un piccolo sorriso sulle labbra. «Certo, andiamo.» 

 

*

 

Quando Castiel vide i corridoi brulicanti e familiari davanti a sé si sentì subito meglio; lui e Dean erano capitati durante l’inizio della pausa e gli alunni si stavano sbrigando a lasciare libri e quaderni negli armadietti. 

Alcuni professori si dirigevano alla mensa, mentre altri si portavano il pranzo da casa. 

Cas sapeva esattamente dove trovare Margareth, infatti uscendo dalla porta delle scale d’emergenza, la vide mentre era al telefono a fumare una sigaretta. 

«Dovresti smettere.» le disse per farla girare. 

Margareth si voltò subito e gli riservò un gran sorriso. «Castiel!» Lo abbracciò di slancio. 

«Ahia!» 

«Oddio, scusa!» Margareth lo lasciò subito. 

«Tranquilla, sto molto meglio.» 

«Ci sei mancato tantissimo. Ciao, Dean.» salutò anche il cacciatore con due baci sulle guance. 

«Sei pronto a tornare?» domandò curiosa all'ex angelo. 

«Forse la prossima settimana. Come vanno i ragazzi?» 

«Bene, il nuovo professore ci sa fare.» 

Cas sollevò un sopracciglio. «Spero non mi stia rubando il lavoro.» 

«Assolutamente no.» Maggie gli fece l’occhiolino. «Resti per salutarli?» 

«Era la mia intenzione.» 

«Allora, vieni. Andiamo subito in classe.» Fece strada ad entrambi e Dean rivide l’aula dove era entrato quel giorno. 

Aspettarono un quarto d’ora, e dopo Castiel fu circondato da tutti quegli adolescenti estremamente preoccupati. 

«Prof! Tornerà, vero?» 

«Non ci lasci così.» 

«Abbiamo veramente bisogno di lei per prepararci agli esami.» 

«Sto di nuovo odiando letteratura...» 

E così via, continuarono le loro richieste e Castiel fu così felice di sentirli e vederli. Fu grato di essere riuscito nel suo intento, di essere riuscito ad aiutare con quello che poteva.  

 

*

 

«Un brindisi a Dean Winchester che ha terminato il suo cammino spirituale!» scherzò Sam, sollevando a mezz'aria il suo bicchiere e guadagnandosi una gomitata affettuosa del fratello.  

«Hey! Come ti permetti di prendermi in giro per la mia fede? Dovresti averne anche tu, giovanotto!» gli rispose il biondo, cinico, e fece esplodere una risata generale attorno a sé.  

«Ha ragione. Tesoro, dovresti convertirti.» Eileen stette al gioco dei due fratelli, accarezzando un braccio di Sam che le sorrise e poggiò il proprio grande palmo sulla mano di Eileen, stringendola dolcemente.  

Claire aveva preparato di tutto - non era una tavolata da esercito come quella natalizia, ma il menù era comunque invitante. Aveva perfino cucinato lasagne, torte e muffin salati, e dei semifreddi per dolce.  

«Stavolta mi sono voluta cimentare con la cucina italiana. Ne sto facendo parecchi di progressi, eh?»  una mano sul fianco e l'altra che scioglieva i capelli, liberando la consueta cascata dorata dal cappellino da cuoca.  

Ovviamente, tutti le avevano fatto i complimenti, specie Dean, che si era finalmente deciso a mangiare qualcosa, data la bontà dei piatti.  

Tuttavia, il maggiore dei Winchester aveva ancora un piccolo peso dentro che avrebbe voluto liberare, ma non sapeva come introdurre il discorso, ed aveva paura di turbare la felicità per il ritorno di Castiel.  

Castiel, però, aveva notato il comportamento dell’amico, ma come sempre gli

aveva lasciato il suo spazio per quando si sarebbe sentito pronto.  

Quasi alla fine del pranzo, Cas lo sbirciò e lo vide leggermente pensieroso; gli diede un colpetto col ginocchio per attirare l'attenzione del cacciatore su di sé.  

Il biondo si voltò, aggrottando le sopracciglia. 

«Tutto bene?» gli domandò Cas.  

Dean schiuse le labbra, senza più sapere dove guardare.  «Beh, in realtà... avrei bisogno di parlarvi di un paio di cose.» mormorò, annuendo. Sfiorò la spalla di Sam che smise di parlottare, e fece girare Eileen.  

«Ragazzi... d-devo parlarvi.» fece, con un sospiro, prendendo un sorso di birra per darsi un po' di conforto.

Suo fratello si accigliò. «Sputa il rospo.»  

Dean fece una pausa, tanto l'argomento gli faceva ancora venire il voltastomaco. L'incontro con quel demone non era stato dei migliori della sua vita, ed il ricordo dell'inferno aveva contribuito.  

«C'è un problema. Mentre intraprendevo il mio - il mio viaggio spirituale ho... incontrato un mio vecchio... 'amico'...» Virgolettò in aria la parola amico, ed Eileen assunse uno sguardo confuso.  

«Una vecchia fiamma, intendi?» domandò innocentemente la donna, e Dean rimase paralizzato, il viso gli si tinse di un rosso acceso.  

«No, no!» Scosse il capo. Bevve un altro sorso di birra, ma si affogò. Cas gli diede dei colpetti sulla schiena, facendo sghignazzare Claire che era seduta accanto a lui.  

L'ex angelo la fissò per un momento, domandandosi se avesse fatto una delle sue solite gaffe.  

Nel frattempo, Dean si schiarì la gola. «S-si trattava di un-» Tossicchiò. «Un demone.»  

Sam fece finta di essere sorpreso anche se quella faccenda lo turbava perché non voleva vedere il fratello in quelle condizioni. «Cosa? E cosa vuole un demone-» 

«Una delle…anime incontrate all’Inferno.»  

Lo sguardo del minore si rabbuiò. «Gli incubi.»

Anche se Crowley aveva già risposto alla domanda, voleva sentirlo dal fratello. Eileen si preoccupò nel vedere Sam così turbato. Dean si sentì mettere un leggero peso sulla spalla e voltandosi vide Castiel che gli aveva posato il palmo nell'esatto punto in cui il cacciatore prima aveva il marchio della sua mano. Il moro lo stava fissando con chiara ed evidente preoccupazione negli occhi blu.  

Poi Dean si concentrò su Sam; gli sembrava troppo calmo per i suoi standard. «Sam, ti vedo troppo pensieroso.» 

Sam abbassò lo sguardo, colpito ed affondato. «Lo sapevo.» 

Dean lo guardò senza capire.  

«Ti ho visto, ieri sera. Siamo andati a trovare Castiel, io sono rimasto ed ho fatto tardi. Ho visto qualcuno nella tua auto che dopo è sparito.» 

«E tu lo hai già visto da qualche parte? Dante è venuto anche da te?» domandò il maggiore, in allerta. 

Sam scosse il capo. «No. Crowley è venuto da me.» 

«Che ti ha detto?» chiese Dean, stranito. 

«Che dobbiamo farlo calmare... lo conosce da parecchio.» 

«Non sembra pericoloso. Ha solo deciso di rompermi un po' le scatole perché mentre eravamo lì… lo torturavo e non mi ha detto altro.» disse il biondo, col tono spavaldo - ma la sua preoccupazione era chiara. 

«Cosa pensi di fare?» domandò Castiel dopo un po'. 

«Credo abbia bisogno della stessa cosa che ho fatto io questi giorni. Gli serve una resa dei conti, un…addio. Un vero addio.» Dean lo guardò con la coda dell’occhio. «Non ha mai potuto salutare la sua famiglia.» 

Sam si sistemò sullo schienale della sedia, e strinse il bicchiere con l’acqua prima di berne un sorso. «Non ricordi, quindi.» 

«Che cosa?» domandò il biondo. 

«Crowley mi ha raccontato tutto.» 

«Sam, o mi racconti subito cosa quel mostro ti ha raccontato, o la smetti di fare il prezioso.» 

«Dean.» lo rimproverò Castiel. 

«Mi dispiace! Ma ho bisogno di sapere. Perché non è venuto da me?» 

«Non dovrei dirtelo, ma hai ragione, ne hai bisogno. E non te ne uscire con Crowley. Ci sta aiutando dopotutto... mi ha chiesto solo questo.» 

Dean fece un sorriso falso. «Da quando lo proteggi?» 

«Sai come è fatto, ma alla fine ci da sempre una mano. Ricordi o no l’ultima volta?» Guardò prima Castiel e poi il fratello. Dean si irrigidì. Ripensò a quando erano stati attaccati e Castiel aveva rischiato di morire, ma grazie al Re dell’Inferno era ancora lì, accanto a lui.  

Calò un piccolo silenzio che fu rotto solo da Claire, preoccupata ma incuriosita dalla situazione. «Allora? Cosa è successo? Cosa vuole?»  

Sam sospirò. «Si chiama Dante e, Dean…» lo indicò. «o almeno il Dean degli inferi, gli ha promesso di poter tornare sulla terra, senza nulla in cambio. Dante non conosceva il nostro mondo ed ha accettato. Gli ha fatto credere di essere di buon’anima e l’unico in grado di farlo. Così si è ritrovato in un altro corpo, con degli strani poteri e nuovi doveri. Era molto legato alla sua famiglia e non li ha più potuti rivedere.» 

Sentire quelle parole fu come ricevere un pugno nello stomaco per Dean; il cacciatore tremò leggermente, e Castiel gli strinse forte la mano che aveva iniziato a sudare. 

Tirò due profondi respiri. «Devo andare al bagno.» Dean si alzò velocemente e sparì per il corridoio 

Tornò nel momento in cui gli altri erano intenti a sparecchiare; Castiel gli porse una birra appena lo vide accanto alla sua sedia. 

«No, grazie. Ti va se andiamo da una parte?» 

«Certo.» 

«Sam...» Dean chiamò il fratello, che si girò. 

«Stasera faccio qualche ricerca, così domani partiamo insieme. Okay?» 

«Okay, Sammy.» 

Il minore lo abbracciò e gli diede una pacca sulla spalla. «Mi raccomando, buona serata.»  

Salutarono Eileen e Claire, e Dean fece strada all'ex angelo verso l’Impala. 

 

*

 

Dean sistemò la sua giacca sulla schiena di Castiel, il quale stava rabbrividendo mentre guardava fisso il paesaggio di fronte a sé; l’unica luce ad illuminarli era quella della luna.  

«Hai ancora freddo?» domandò il cacciatore.  

Il rumore delle onde marine si fece appena più forte col vento che aumentava di intensità.  

«Un po’» rispose Cas. «Ma... non è del tutto spiacevole.» mormorò, ripensando al calore appiccicaticcio dell'ospedale, alle coperte che profumavano di lavanda, sì, ma che a volte lo soffocavano un po'. Preferiva decisamente il profumo della giacca del cacciatore, nonostante l'indumento non lo riparasse abbastanza.  

Dean assottigliò lo sguardo, e si concentrò per mettere a fuoco l'orizzonte che univa acque profonde e cielo in mezzo al buio della sera. La luna piena si rifletteva sull’oceano increspato. Gli venne in mente un disegno della Luna che aveva fatto da bambino.  

«Mi piace...»  sussurrò Castiel, facendo girare Dean.

«Cosa?» 

«L’oceano...» 

«Ti è sempre piaciuto?» domandò Dean.   

«Sì. Ma sai che una volta... l'oceano non era proprio così?» 

«Certo che lo so. Non sono mica ignorante.» fece Dean, ironico, sorridendo a Castiel che arricciò il naso, respirando a pieni polmoni quell'aria meravigliosa.  

«Non è mica una teoria confermata per gli umani. Alcuni non ci credono neppure.» Si sistemò un ciuffo di capelli dietro l'orecchio. «E invece è vero. C'era la Pangea, come la chiamano...»  

Dean annuì, le labbra schiuse, ascoltando ancora il frastuono di quelle acque scure contro le rive e la voce soavemente roca dell'ex angelo.  

Gli sarebbe venuta voglia di appoggiarsi sul suo petto, e di rilassarsi su di lui, ma non sapeva come muoversi, come fare quel passo.  

Stranamente, Castiel riuscì a percepire il suo desiderio e, continuando a parlare dell'oceano lo attirò a sé, sfiorandogli il braccio sinistro con la mano. «Vieni qui sotto, al riparo... fa troppo freddo.» 

Dean annuì. Si guardò attorno varie volte, prima di accoccolarsi sull'angelo, la testa accanto al petto ed il braccio di Cas che lo circondava.  

«Volevo…» iniziò a parlare Dean. 

«Dante? Sai già come farai domani?» 

«Non di lui. Di quello che ho fatto in questi giorni. Ho visitato la mia vecchia casa.» 

«Come è stato?» 

«Non sono neanche riuscito a guardare il soffitto…in camera di Sam. Solo le nostre iniziali sul muro, che neanche c’erano più.» 

Castiel disegnò dei cerchi sul suo braccio con movimenti continui delle dita. 

Dean si sistemò meglio sul petto dell’amico. «Sono andato a trovare la mamma. Da tanto non ci capitavo, è stato bello, mi sono chiarito.» 

«Cosa le hai detto?» 

«Cose a cui ho pensato ultimamente. Diciamo che se non fosse stato per i suoi sbagli, chissà dove sarei ora.» 

«Ripeteresti tutto?»

«Chissà» si girò di profilo per guardarlo attraverso un piccolo sorriso. « Poi... sono stato da mio padre.» 

«Hai detto che non ha una-» 

«Non ce l’ha. Sono andato nell’ultimo posto dove l’ho visto. Gli ho detto che non avrei voluto continuare così; non saprei da dove cominciare per condurre una vita normale. Cacciare è l’unica cosa che conosco.» mentì Dean. 

«Non credo sia vero.» 

Dean rise. «Quindi tu sai il segreto della vita.» 

«Conosco te. Non è la prima volta che ti capita di viverla.» 

«Già.» 

«Io - io non ti ho mai detto una cosa. Quando ho collaborato con Crowley… ero venuto a cercarti, prima. Ti ho visto felice con Lisa, e me ne sono andato.» 

Dean restò fermo, a metabolizzare ciò che aveva appena sentito. 

«Dovevi venire da me.» 

«No.» 

Dean sollevò la testa per guardarlo negli occhi. «Cas…» 

«Eri felice, Dean. Non avrei mai potuto rovinare quello che eri riuscito a creare.» 

«Ora possiamo tornare indietro.» disse Dean sfumando le ultime parole in un sussurro, occhi negli occhi.  

«Mi piacerebbe, te lo meriti.» 

«Anche tu.»  

 

Dopo aver interrotto il contatto visivo, Dean posò di nuovo la testa sul suo petto e un braccio a stringergli un fianco. Restarono per un po’ in silenzio, poi sentì la voglia di riascoltare la sua voce, lo faceva sentire a proprio agio. 

«Raccontami qualcosa...» mormorò il cacciatore, lasciandosi cullare.  

Castiel sorrise; il suo battito nell'orecchio di Dean. «Ti spiego un po'... una volta... c'era un solo oceano. La Panthalassa...»  

«Tutto con... 'pan'...?» domandò Dean, avvertendo alcuni brividi non causati dal fresco. Le dita di Cas gli stavano accarezzando lievemente un fianco scoperto.  

«Sì, Dean... 'pan' deriva dal greco antico e significa... 'tutto'.» Spiegò.  

Man mano che l'ex angelo parlava, Dean ascoltava il flusso delle parole cullarlo assieme alle onde e l’aria salmastra. 

Cas posò le labbra sulla fronte di Dean; strofinò il naso sui suoi capelli e sorrise di nuovo. Dean si era addormentato, così lo strinse a sé. 

«Buonanotte, Dean.» 

Neanche lui ebbe incubi.

 

*

 

Dante, intanto, li osservava da lontano. Ripensava a quando anche lui aveva avuto quelle scappatelle; in quel ricordo chiuse gli occhi alzando il volto e sentendo il vento rinfrescargli la pelle, con un sorriso sulle labbra. 

Riaprendo le palpebre, una lacrima scese e la lasciò cadere fino a quando non si infranse sui suoi pantaloni. 

Non sognava mai di tornare indietro; avrebbe rifatto tutto daccapo, ma rivivere quei giorni non gli sarebbe dispiaciuto.  

Il tepore di quelle braccia calde.  

Quegli occhi nella luce stancante dei pomeriggi passati tra le coperte, la sua voce che gli sussurrava scemenze solo per farlo ridere. Quando gli portava il caffè, e quelle sere davanti alla televisione a vedere ogni tipo di film insieme. Quando si addormentava e si risvegliava con una coperta addosso e un bigliettino con su scritto: “Ci vediamo dopo.” 

Durante quel lasso di tempo in cui Dante si sentì perso nei suoi ricordi, notò Dean che si risvegliava e tornava all’Impala con l'altro.

Perché non prendere un passaggio?  

Il demone si sistemò silenziosamente sul tettuccio, e non appena Dean accese la radio senza ancora partire, Dante fece riprodurre una canzone; nessuno dei due occupanti dell’abitacolo se ne accorse. 

«Love me tender

Love me sweet…»

Dante iniziò a mimare le parole a tempo di musica, seguendo le note con le dita nell’aria. 

«Never let me go…»

Nell’abitacolo, Dean lasciò la canzone, cercando di concentrarsi solo sulla strada, ma gli riuscì difficile. 

«You have made my life complete…»

Castiel restò meravigliato dalla semplicità di quella canzone, le labbra semiaperte. Era composta da piccole strofe, ma l’intensità della voce, il timbro e la dolcezza, la rendevano speciale. 

«And I love you so.»

O forse gli piaceva così tanto solo perché sentiva quelle parole dentro di sé, e la paura che Dean potesse sfuggirgli era di nuovo scomparsa. Dean non si era mosso, non aveva né spento, né aveva cambiato stazione.  

«Love me tender

Lover me true…»

Il cacciatore aveva avvertito il bisogno di fermare l'auto. Non sapeva esattamente perché, ma parcheggiò vicino ad un paio di alberi, il motore ancora acceso.  

«All my dreams fulfilled…»

Cas si girò lentamente verso di lui, il cuore a mille. 

Dean si sentì osservato, il viso scottato dall’intensità dello sguardo dell’ex angelo. 

«For my darling I love you

And I always will…»

“O la va o la spacca.” Pensò Dean, prima di prendere il coraggio a due mani e ricambiare lo sguardo. Restarono per secondi interminabili a guardarsi, ascoltando ancora la base di Love Me Tender che stava per finire. 

«Love me tender

Love me long

Take me to your heart…»

Piano piano, la mano di Cas raggiunse quella di Dean, fredda e rigidamente attaccata al freno a mano; la riscaldò con la sua.  

Dean rimase ad osservarlo, calmo, nel buio della sera. 

Improvvisamente si avvicinò, si fermò a qualche centimetro dalla sua pelle, poi le sue labbra sfiorarono l’angolo tra le labbra e la guancia del moro.  

Chiuse gli occhi e le premette, ma Castiel si girò e mutò quella coccola in un bacio a stampo.  

«For it’s there that I belong...»

Dean spalancò gli occhi, allontanandosi di poco e specchiandosi nelle sue pupille. 

«And we’ll never part. »

Il cuore di Castiel non accennava a smettere di correre e nella frenesia dell’attimo, abbassò le palpebre. 

Dean gli posò un polpastrello sul labbro e finalmente lo guardò, potendo vedere il sorriso del biondo.  

Castiel tremava, con il sangue pulsante nelle tempie. 

Dean gli accarezzò il dorso della mano, e la intrecciò alla propria.  

«E’ stato... bello.»  

Cas chiuse gli occhi, con un sospiro di sollievo.  

Solo dopo qualche minuto, Dean fece ripartire la macchina. 

Dean si fermò a casa sua, Castiel non disse nulla in contrario, dirigendosi direttamente nella camera del cacciatore. 

«Ti sei stancato?» domandò il biondo nel vedere Castiel già sdraiato su un fianco che mugolò in risposta. 

Dean sostò in bagno, poi tornò da lui sdraiandosi dietro e circondandolo con un braccio. 

Il tepore e il respiro del moro lo fecero addormentare come sulla spiaggia e ad un certo punto sognò una folata di vento dietro di lui. Subito dopo il subconscio gli portò la visione di due pozze rosse, ma non si sentì a disagio; fu seguito dal suono di una voce lontana: 

«But then I need your voice

As the key to unlock

All the love that’s trapped in me

So tell me when it’s time

To say I love you…»

Dean si svegliò di scatto con un gesto brusco, ma Castiel non si mosse. Tornò con la testa sul cuscino, osservando il soffitto per un momento. Qualcosa gli fece solletico sulla guancia e con le dita notò si trattasse di una lacrima; non si era accorto di aver pianto nel sonno. 

Si ricompose e tornò a stringersi al corpo dell’ex angelo. 

Mentre pensava a quel modo di dire, si mise a riflettere sul fatto che per lui sarebbe sempre rimasto il suo angelo. Gli scostò i capelli dalla fronte e avvicinò le labbra al suo orecchio. 

Sospirò provocandogli un brivido e Castiel si spostò indietro per cercare calore. 

«Ti amo, Cas.» 

Sentì il moro irrigidirsi e voltarsi, Dean era a conoscenza dello sguardo stralunato e preoccupato che potesse avere al momento, non si aspettava di trovarlo sveglio. 

«E’ bello sentirselo dire.» 

Dean rimase in silenzio per un po', la bocca secca, il fiato corto; osservò il viso dolcemente felice dell'ex angelo.

«N-non pensavi fosse così anche... per me?» 

Castiel fece spallucce. «Come potevo saperlo?» 

«Cretino.»

 

 

Angolo di Sarandom e Feathers

Taaante cose, aspettiamo le recensioni per poterne parlare, un commento a fine capitolo è INUTILE ahhahahaha.

Vi ricordiamo:

-mancano DUE capitoli 

-il contest

-il project per il compleanno di Misha

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Capitolo 13
*** D ***


D

 

29 Dicembre 2020

 

«Dean! Li ho trovati.» mentì Sam dal tavolino dalla sala da pranzo; Dean era a preparare dei panini in cucina.

 

«Di già?» Lo raggiunse.

 

«Sono anche più vicini di quanto pensassi.»

 

Il biondo si sedette accanto a lui. «Dove?»

 

«A Sterling, circa due ore di viaggio da qui, più o meno.» rispose Sam facendogli vedere le indicazioni sulla mappa del computer ed umettandosi le labbra; l’ultima telefonata a Crowley nel cuore della notte era stata molto utile.

 

«Mh, sono loro?» indicò Dean con un cenno del capo verso la foto ad un lato dello schermo.

 

«Sì… i figli» suo fratello additò i due ragazzi, «Danny, quello del patto... e Alla. Kathy, la ex moglie e Austin... il nuovo marito.»

 

«Siete sicuri di volerlo fare?» Castiel fece teneramente capolino dal giardino, dove stava aiutando Eileen con le piante, e si affiancò a Dean.

 

«Sarà un brutto colpo, ma almeno la smetterà di tormentarmi... e di tormentarsi. Deve solo… guardare in faccia la realtà.» spiegò Dean.

 

«Lo hai preso a cuore.» commentò Sam.

 

«Sta’ zitto, alce.» gli fece il verso con accento inglese, imitando Crowley.

 

Partirono alle cinque del mattino; solo Sam e Dean con l’Impala. Castiel aveva promesso a Dean di restare fuori dai guai per un po’ e dopo la sera prima, non fece obiezioni.

 

Per i fratelli fu come tornare indietro nel tempo, come se stessero ancora cacciando: Dean con una delle sue solite cassette nel lettore e Sam a pensare a cosa li avesse portati fin lì.

 

«Perché non ce lo hai detto subito?» chiese Sam, corrugando la fronte. 

 

Dean rise, colto sul fatto, alzando la testa. «Potevo occuparmene da solo, è stato Crowley ad avvertirti.»

 

«Non vuole che ti accada niente, eh?» rise il fratello sotto i baffi.

 

«Oh, piantatela.»

 

Passarono alcuni minuti in compagnia della musica, poi il maggiore aggiunse: «Dante voleva solo... qualcuno che lo ascoltasse.»

 

Sam corrugò il mento ed annuì.

 

*

 

Arrivarono verso le undici e mezzo, dopo essersi fermati a mangiare qualcosa in un locale non troppo distante dalla casa.

 

«Mi raccomando…» iniziò Dean, appena spense il motore. 

 

«…E’ l’unico modo.» rispose Sam, scendendo ed aspettandolo.

 

Suonarono alla porta, e quella si aprì mostrando una donna sulla quarantina con i capelli mossi e castani e gli occhi marrone chiaro. Non era molto alta ed aveva un corpo proporzionato, calzato da dei semplici jeans e da una maglia larga colorata.

 

«Salve, signora.» la salutò Sam, cordialmente.

 

«Salve… posso esservi utile?»

 

«Lei è Kathy… Jenkins?» Dean ebbe la furbizia di chiamarla con il nome dell’ex marito.

 

«Ehm… no, non più. Sono Kathy Fisher, adesso.» rispose la donna, il tono cupo. 

 

Ci fu una pausa imbarazzante. 

 

«S-siamo qui per... parlarle di Dante.» mormorò Sam, esitando. Il volto di Kathy mutò espressione; la signora abbassò il capo e si portò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. 

 

«…Dante... è morto... da anni.»

 

«Sì, ma… possiamo scambiare solo due parole?»

 

Kathy sembrava impaurita, infatti passò il peso da un piede all’altro. Si girò verso l'interno della casa. «Austin, puoi venire un attimo?»

 

«Arrivo.» rispose una voce attutita dalla lontananza. 

 

Fisher era un alto e biondo uomo coetaneo; indossava un maglione color rame e dei jeans scuri.

 

«Salve, possiamo fare qualcosa per voi?» domandò, sfiorando la spalla della moglie. 

 

«Vogliamo solo scambiare due parole, anche con entrambi.» esordì Dean, e sapeva di essere stato convincente. Era da molto che non investigava, ma non aveva arrugginito i suoi metodi. 

 

Austin li osservò un attimo, si rivolse alla moglie e fece un severo cenno di assenso. «Prego, seguitemi.» Fece loro strada in quella casa elegante e dai toni ordinari, fino a giungere accanto a due divani di pelle beige.

 

«Vi porto qualcosa da bere?» domandò lei.

 

«No grazie, stiamo apposto così.» rispose garbato Sam. Kathy si sedette alla destra di suo marito e di fronte a Dean.

 

«Quello che sto... per raccontarle sarà strano, ma partiamo dall’inizio. Come è… venuto a mancare il suo ex marito?» 

 

Kathy tirò indietro la schiena dopo quella domanda diretta, Austin le diede del conforto passandole una mano sul braccio. «E’ proprio necessario?» chiese, lievemente indispettito. 

 

«Temo di sì.» insistette Dean.

 

«…va bene.» esalò Kathy. «È passato tanto tempo. Sono… tornata a casa e l’ho trovato a terra, circondato dal suo stesso sangue e… massacrato.» Assunse un'espressione apatica. 

 

Sam guardò Dean, il quale aveva abbassato la testa ricordando quando era toccato a lui vedersela con un mastino infernale.

 

«Non si è mai trovato il colpevole... ed io ho cercato di continuare a vivere ugualmente.» Austin le prese una mano e le sorrise, malinconico.

 

«Certo. Non le ha mai raccontato nulla di strano o lei ha mai notato qualcosa del genere in lui?»

 

«Cosa mi sta chiedendo?»

 

«Se… per caso, vedesse delle cose, prima di…»

 

«Mi sta chiedendo se Dante era pazzo?» Kathy si accigliò. 

 

«No. Ma quello che gli è successo non è stato un fatto… normale. E’ un qualcosa di più… soprannaturale.»

 

Austin rise: «Vi ho veramente fatti entrare in casa?» 

 

«Sappiamo che sembra assurdo, okay?» Sam cercò di calmarlo, mentre Dean era intento ad osservare Kathy, la quale non aveva detto una parola e si guardava le mani.

 

«Tu sai di cosa parliamo, vero?» le domandò Dean e lei alzò lo sguardo, comprendendolo. Conosceva quel modo di fare alla perfezione. 

 

Kathy lo fissò per qualche istante, esitando, poi si alzò, e con pochi passi raggiunse il camino; Austin la guardò curioso mentre la donna girava un pomello di marmo posto su una colonnina che si aprì di lato. Dentro c’era un foglietto girato su sé stesso che Kathy prese ed aprì.

 

«Questo… lo trovai in una tasca dei suoi pantaloni dopo che…» Lo diede a Dean, il quale lo lesse rapidamente e lo passò al fratello. «E’ diverso dal nostro, forse più antico.» disse.

 

Sam riconobbe una formula per evocare un demone degli incroci.

 

«Lei sa di cosa si tratta?» fece Sam.

 

«Non proprio, ma dei miei conoscenti credono in queste cose e le studiano. Non gliel’ho mai fatto vedere… dopo ciò che ci è successo.»

 

Dean annuì.

 

«Io… devo chiederle un favore.» Dean la guardò negli occhi e lei annuì lentamente. «Non sarà facile, ciò che sto per dirle...»

 

Lei annuì. «Non più difficile di quello che è già accaduto.»

 

Dean sospirò. «Suo marito è diventato uno di loro.» accennò al foglietto, «E’ stato convinto a scegliere quella via, invece di riposare in pace. Le chiedo solo... di parlargli. E’ diverso da loro, perché non ha dimenticato come era la vita da… umano e cosa si prova ad esserlo. Ma deve andare avanti.»

 

«Parlargli? Volete fare una seduta spiritica?» chiese, sarcastico, Austin.

 

«No, solo evocarlo qui.» Accennò alla stanza. 

 

«Non accetterò mai di fare una cosa del genere in casa mia.» disse Fisher, lo sguardo severo.

 

«Austin…»

 

«Kathy, non vorrai dirmi che credi in que-»

 

«Per favore.»

 

«Io non-» L'uomo cercò di opporsi, ma guardando la moglie supplichevole, cedette e le restò accanto.

 

«Posso?» Sam indicò il pavimento, «Mi serve del colorante, qualsiasi cosa per scrivere sul pavimento.»

 

«Sì, vieni con me.» gli disse Kathy.

 

«Sei sicuro funzionerà? E’ un demone degli incroci.» domandò il maggiore.

 

«Fidati.»

 

«Ti ha aiutato Crowley?» sussurrò il maggiore.

 

Sam lo guardò. «Per forza.» e fece spallucce, mentre Dean roteò gli occhi.

 

Sam si fece aiutare per disegnare a terra il sigillo che avrebbe permesso di non far allontanare Dante dalla casa una volta apparso, e intanto Dean recuperò delle candele e l’occorrente per evocarlo.

 

«Siamo pronti?» domandò a Kathy.

 

Lei annuì e Dean iniziò a recitare le frasi in latino che conosceva. «Ah.» si era dimenticato di specificare. «Il Dante che conosceva non è uguale a questo… ha un altro aspetto.»

 

«Va bene.»

 

Quando ebbe finito, tutti erano carichi di attesa. 

 

Ad un certo punto, Kathy trattenne il respiro, ritrovandosi un uomo con degli occhi rosso sangue che non aveva mai visto in vita sua nel suo soggiorno.

 

Subito dopo essere apparso, gli occhi del demone tornarono verdi. Il nuovo arrivato guardò imbambolato Kathy, schiudendo le labbra. Fece qualche passo indietro, ma la trappola lo fermò bruscamente; cercò di farlo in avanti e di lato, nervosamente, ma era tutto inutile.

 

Era sotto shock e ci volle un minuto prima che facesse mente locale e si girasse verso i fratelli. «Che diavolo avete-»

 

Dean si alzò. «Dante, devi fare i conti con il passato.» gli disse, abbassando la voce.

 

«Cos’è?» domandò Kathy, come se avesse dimenticato ciò che Dean le aveva detto un attimo prima.

 

«E’ il suo contenitore, tuo marito è lì dentro.»

 

«Non raccontarle cazzate.» Dante guardò Dean con astio e una smorfia delle labbra.

 

Dean lo fece girare, dando le spalle a tutti. «Hai la possibilità di fare ciò che devi. Affronta il passato.»

 

«Non prendo ordini da te!» disse a denti stretti.

 

«Senti, mi odi e l’ho capito, posso convincerti. L’ho fatto con molte persone. Non sei stupido e non sei come gli altri demoni, accetta il nostro aiuto e dille addio. Cosa che farò anche io.» abbassò la voce. «Anzi, l’ho già accettato.»  

 

Dante ponderò le sue parole, un lieve sguardo malizioso passò nei suoi occhi, poi fu occupato dalla paura.

 

«Tocca a te.» Dean tornò a sedersi.

 

In quel momento, un ragazzo passò al lato della stanza dirigendosi verso Kathy, e Dante barcollò sul posto. «…Cosmo.» sigillò la mascella appena dopo averlo chiamato in quel modo.

 

Il figlio restò in piedi a guardare il nulla, lentamente si girò verso di lui. «Tu che ne sai...?»

 

Dante fece per dire qualcosa, ma evitò ed abbassò lo sguardo.

 

Danny guardò la madre, che gli disse: «Amore, è complicato.»

 

«Cosa ne sa? Chi è?»

 

«Little Dan, little Dan, don’t watch the boogyeman. Little Dan, little Dan, don’t be scared, but look at me and the fear will go away.» Dante gemette nell’ultima frase e la moglie lo guardò con le lacrime agli occhi.

 

«Papà?» Danny gli si avvicinò.

 

Sam si spostò quel tanto che servì per cancellare lo spray argenteo sul pavimento di cotto.

 

«E’ complicato.» ripeté Dante in un sussurro; non riusciva più a parlare.  Si ritrovò circondato dalle braccia del figlio, stretto in una morsa e cedette. Lo strinse forte a sé, respirando quel profumo che... sapeva così tanto di casa.

 

«Mi dispiace tanto.» gemette nel suo orecchio, con il nodo alla gola che gli stava facendo male.

 

Con una mano gli accarezzò i capelli, lo allontanò quel tanto che bastò per guardarlo in volto e gli sorrise ridendo, lasciandogli poi un bacio sulla fronte.

 

«Tua sorella?»

 

«E’ di sopra. Alla! Corri giù!» urlò il ragazzo, rivolto verso il piano di sopra.

 

Dean capì quanto tutto questo potesse liberarlo da quella gabbia autoimposta. Non aveva mai avuto un vero addio con la sua famiglia, ed il suo essersi risvegliato in un corpo che non era il suo; con una fisionomia che non conosceva, con dei poteri; capì, in parte, come potesse sentirsi.

 

In fondo, anche lui e Sam erano stati di tutto, ma loro ci vivevano in quel mondo e potevano condividerne le gioie e i dolori. Lui era rimasto solo.

 

«Che succede?» Sentirono una voce femminile e dei passi veloci lungo le scale. 

 

Dante si girò e la rivide per la prima volta dopo tanti anni. Era identica alla madre.

 

«Wanda...»

 

La ragazzina si fermò e sgranò gli occhi; guardò il fratello ancora abbracciato a quell’uomo che l’aveva appena chiamata come faceva il suo… «Papà?» 

 

«My Little bright star of my dark sky.» Allungò una mano verso di lei, come un invito.

 

«Non capisco.» Alla lanciò un’occhiata alla madre, e lei si asciugò una lacrima mostrandole entrambe le braccia aperte, lei andò da Kathy.

 

«Amore, è papà. Anche se non sembra lui.» Le sistemò i capelli dietro l’orecchio.

 

«Io-io non so se questo è giusto.» disse Austin passandosi una mano sugli occhi. «A cosa serve? Vuoi rovinargli il ricordo che hanno di te? Te ne andrai e resteranno solo confusi.»

 

«Lasciali fare.» cercò di riprenderlo Kathy.

 

«No, per me non è giusto. Lo stanno facendo per far sentire meglio LUI. Non voi.»

 

Dante cercò di non ascoltarlo, anche se in cuor suo sapeva avesse ragione.

 

Sam cercò di dire qualcosa, ma il demone lo fermò con un dito, mentre era ancora intento ad osservare la figlia. Lei, dopo averci riflettuto ancora, si lasciò abbracciare dal padre.

 

«Se sei davvero tu… noi... noi due abbiamo un segreto, dimmi quale.»

 

Dante ci pensò un attimo, senza toglierle gli occhi di dosso, e poi sorrise: «Avevi cinque anni, la mamma aveva lasciato un anellino sul lavandino della cucina per lavare i piatti.»

 

Kathy si accigliò.

 

«Tu hai preso una sedia dall’isola e l’hai avvicinata al lavabo per provartelo, ma è caduto nel tritarifiuti spento. Hai avuto paura di metterti nei guai, quindi hai aspettato che tornassi io a casa ed intanto sei andata a giocare. Te ne sei dimenticata e, quando la mamma lo ha acceso a fine cena... ti è tornato in mente. Quando sono venuto a rimboccarti le coperte me lo hai raccontato... e io ti ho detto di non preoccuparti perché glielo avrei ricomprato, senza dirle nulla.»

 

Kathy spalancò la bocca, e poi la coprì con una mano, guardando l’altra e l’anello in questione che teneva ancora al dito, ridendo.

 

Risero tutti e quattro, e finalmente Alla si fidò di lui, lo guardò seria e gli domandò: «Non resterai, vero?»

 

Cercando di non abbandonare quell’aria felice, Dante accarezzò i volti di entrambi: «Purtroppo non posso, ma sappiate che vi voglio bene. Vi amo da… morire. Mi lasciate parlare con la mamma?»

 

Entrambi annuirono e dopo un bacio sulla guancia a ciascuno, tornarono alle loro camere, guardandolo finché non sparirono al piano di sopra, sotto lo sguardo sorridente del padre.

 

«Puoi andare anche tu, per favore?» Dante si voltò verso Austin.

 

«Ho il diritto di ascoltare.»

 

Dante ci riprovò, con ancora quell’aria di malinconia addosso. «Per favore.»

 

Nel vederlo in quello stato, Austin gli concedette quel tempo con Kathy, alzandosi e chiudendo le porte del soggiorno.

 

«Senza origliare.»

 

Sentirono un basso “dannazione”, con dei passi che pian piano sparirono. 

 

«Te lo aspettavi?» domandò Dante all'ex moglie, facendo finta di dimenticarsi dei fratelli e spostandosi accanto a lei. Kathy, d’istinto, si allontanò un po’ da lui.

 

«Non lo so.»

 

«Non sei scandalizzata...»

 

Lei guardò i fratelli; ormai, poteva credere a tutto.

 

Non si sentiva in pericolo; era solo strano vedere un altro corpo parlare esattamente allo stesso modo dell’ex marito, ma cercò di rilassarsi.

 

«Cosa ci è successo?» gli domandò.

 

Dante abbassò gli occhi, «Ho fatto una cosa che… rifarei. Non me ne pento. L’unica cosa che cambierei è solo il modo in cui è finito tutto. Ma... devo raccontarti come sono andate veramente le cose.»

 

Guardò Sam e Dean, «Mi hanno detto del patto…»

 

«Non solo quello.»

 

I cacciatori si guardarono interdetti.

 

«Prima della malattia di Danny, iniziai a vedermi con una persona. Ti ricordi quando mi iscrissi a tennis? Ci andavo, ma… non duravano così tanto le partite.»

 

Kathy non capì.

 

«Ricordi… Lenny Walter?»

 

«Il professore universitario.»

 

«Sì.»

 

Lo esortò a continuare.

 

«Iniziammo una relazione.»

 

Kathy si girò con lo sguardo basso.

 

«Ci siamo conosciuti lì. Ci capivamo, finivamo le frasi dell’altro. Eravamo come…trasparenti tra noi.»

 

Dean si massaggiò le mani, pensando a quelle parole. Non poté non pensare al suo rapporto con Castiel, cambiato molto negli anni e sfociato in quell’ultimo mese.

 

«Non che io non provassi più nulla per te, era solo diverso e in quel momento sentivo di averne bisogno. Dopo le partite ci spostavamo in una camera d’albergo, senza fare molto. Esploravamo cose piccole, non avevo mai avuto esperienze del genere. Lui sì. Ero terrorizzato che i miei lo venissero a sapere, sai come sono fatti. Ma… dopo la nostra prima notte passata insieme…»

 

«Hai fatto sesso con un uomo?» fece Dean, deglutendo. Il cacciatore ripensò a quella sera al locale, da ubriaco. Non gli era minimamente passato per la testa come sarebbe diventato per lui e Castiel il futuro; lui e Dante si somigliavano più di quanto pensasse.

 

«Sì. E, dopo, Danny si ammalò. Iniziai a sentire le voci dei miei, come fossero la mia coscienza. Mi dicevano quanto fosse tutto sbagliato e... colpa mia. Dopo aver parlato con i medici, sono andato in un bar per pensare a cosa fare. Non avevamo neanche i soldi per tutte le spese mediche. Un tizio mi si avvicinò, dicendomi che aveva avvertito il mio dolore e che poteva darmi una mano. Poteva guarire Danny e dopo tre anni sarebbe tornato a riscuoterne il prezzo. La mia anima. Non avevo idea di chi fosse e cosa intendesse. Con i discorsi dei miei pensai solo… che si riferiva alla mia parte sbagliata. Insomma, male per male, quindi ciò che provavo per Lenny e forse sarei diventato diverso, ma avrei cercato di andare avanti. Quelle cose spirituali. Ma dopo l'ho capito.»

 

«Avresti potuto parlarmene.» mormorò Kathy. 

 

«Non so se mi avresti capito, avevo paura. Mi maledico ogni giorno per quello che vi ho fatto, che ho fatto a noi due.»

 

«Pivello.» sussurrò Dean a Sam, ma il fratello non fu l’unico a mostrarsi poco divertito da quell’espressione.

 

«Tu devi solo ringraziare quel pennuto che ti ha salvato il culo. Ricordo come fosse ieri cosa eri lì dentro.» ringhiò Dante, rivolto a Dean, mentre lo aveva preso per il collo ed attaccato al muro, gli occhi di nuovo rossi.

 

«Appunto... ero. Puoi... cambiare…di nuovo... ah-nche tu» Dean respirava a fatica, e Dante non dava segno di voler mollare la presa. Sam accanto a loro cercava di non toccarlo per non peggiorare la situazione. «Lascialo, ti prego.»

 

Il demone strinse ancora di più.

 

La moglie si alzò e gli intimò di smetterla: «Dante, lascialo!»

 

Il demone allentò le dita sulla sua pelle e si girò verso di lei con i suoi occhi verdi e lasciò Dean a massaggiarsi il collo. Il cacciatore tossì, tornando seduto.

 

«Te la sei cercata.» gli disse Sam quasi mimando le parole.

 

Kathy prese una mano di Dante tra le sue, «Devi perdonarti, amore mio.» Gli sfiorò il volto: «Quello che avevi con Lenny... non c'entra con... con Cosmo. Hai salvato nostro figlio, questa è la cosa importante e per cui ti ringrazio.»

 

Dante affondò il viso nell'incavo del suo collo e lei lo riportò su, dandogli un ultimo bacio sulle labbra. 

 

Sam e Dean cercarono di guardare altrove, a disagio.

 

«Adesso dove te ne andrai?» gli chiese la donna.

 

Dante sospirò. «A fare il mio lavoro. Mi occupo degli incroci, qualche persona che... come me ha bisogno di aiuto. Io faccio sparire i loro problemi e scelgo tra quanti anni rivederci.» 

 

«Ma...»

 

«Patti col diavolo... sì...» la voce gli tremava. 

 

Gli occhi scuri di Kathy si inumidirono. «No... no...» La donna scosse la testa. «Non è così che saresti dovuto finire... non è così che-» Si interruppe a causa di un singhiozzo. 

 

I Winchester glielo avevano già anticipato, ma sentire la conferma da lui era stato peggiore. 

 

Dante la prese fra le sue braccia, lasciando che piangesse e si sfogasse. 

 

«Questo non- …questo non è il 'lavoro' giusto per te... tu devi... devi riposare...» mormorò Kathy, la voce spezzata ed attutita dal petto di Dante. 

 

«Ricordo quando eri a lavoro e con i ragazzi andavamo sulla collina. Prendevamo cibo da asporto e gli insegnavo quali erano le costellazioni...» iniziò a raccontare per farla calmare, mentre le accarezzava la schiena. «...ogni segreto sul cielo, ricordi i gruppi di astronomia che frequentavo al liceo?» domandò a Kathy e lei rise al ricordo. «... come fosse ieri.» rispose lei.

 

«La volta in cui Danny vide la stella polare, e me la additò con gli occhi spalancati, credendo si trattasse di un UFO.» Dante rise appena fra le lacrime che scorrevano spontanee sul bel viso del suo tramite. 

 

«Quei nomi uscirono da quel cartone, giusto?» chiese lei.

 

«Sì.» risero insieme di qualcosa che solo loro due potevano comprendere.

 

Dean si girò verso il fratello, un po' indispettito, e vide ciò che immaginava: un Sam irrimediabilmente commosso che fingeva di strofinarsi l'occhio destro con noncuranza. 

 

«No, ma... sul serio?» domandò il maggiore dei Winchester.

 

«Cosa, Dean?» chiese Sam, deglutendo senza staccare gli occhi da Dante e dalla moglie. 

 

Dean aprì appena le braccia e: «Sei fuori allenamento.»

 

«Ma è così triste... C'è ancora dell'umanità in lui, tanti sentimenti... emozioni...e tra poco sarò padre anche io.» 

 

Dean sospirò e gli strinse una spalla. «Non accadrà più niente del genere.»

 

«Non è vero.» 

 

Dante e Kathy non li sentivano, erano troppo occupati tra loro, ma arrivò il momento dei saluti e si concluse in modo piuttosto tranquillo - con l'unico inconveniente di Dante, che non si decideva a lasciare in pace il maggiore dei Winchester.

 

Infatti, il demone si intrufolò nell'Impala mentre i due fratelli stavano per partire.

 

Dean ruotò stancamente gli occhi, ma Sam lo rassicurò con un gesto. «Sistemeremo anche questo.»

 

 

*

 

 

Sulle scale di casa, Dean trovò Castiel, il quale stava seduto ad aspettarlo.

 

«Come è andata?» lo incalzò subito.

 

Dean mosse un sopracciglio. «Come doveva andare, ma non sembra ancora finita...» accennò all’Impala.

 

Cas si sporse e notò Dante ancora seduto lì dentro.

 

«Andiamo da lui.» esordì.

 

«Hai qualche kink per chi finisce all’inferno?»

 

Cas sorrise alla battuta e lo superò. Mentre lo raggiunsero, Dante scese dalla macchina e fece qualche passo per poi accucciarsi a terra, dandogli le spalle.

 

«Come stai?» domandò Castiel.

 

Dante rise passandosi le mani sul viso per poi rialzarsi. «Non credo di poter continuare a farlo.»

 

Dean si avvicinò a Castiel. «Perché no?»

 

«Perché non sono come voi, non sarò mai come voi.»

 

«Appunto perché non lo sei potrai cambiare le cose, potrai rendere migliore tutto quello che farai.»

 

«Uccido le persone, Dean.» 

 

«Tu le aiuti, con qualcosa per cui pagano un prezzo. Ma sono loro a venire da te. Non lo fai per vendicarti…è così che funzionano le cose.»

 

«Anche tu lo hai fatto?» gli chiese Dante.

 

«Sì, ma a Crowley non piacevo perché facevo di testa mia.»

 

«Mi procura cose giuste…per quanto possano esserlo. Cose che potrei anche accettare, ma dovrei farlo per troppo tempo.»

 

Dean rise sotto i baffi. «Mi sa che…continua.» lo guardò con serietà negli occhi. « E’ stato lui a venire da noi per aiutarti.»

 

Dante sembrò sorpreso.

 

«Lo fa sempre. Ricava ogni volta qualcosa in cambio, ma lo fa.» disse Dean.

 

«Non ho avuto modo di passarci del tempo insieme.» ammise Dante.

 

«Provaci ora, cerca di…vedere il lato positivo.» Dean cercò di convincerlo.

 

«Questa sì che fa ridere.» disse Castiel.

 

«Solo dopo averla detta me ne sono reso conto. Ti ho convinto almeno?»

 

Dante si sdraiò e restò a terra, distese a gambe e braccia divaricate in mezzo alla strada a guardare il cielo blu scuro e pieno di stelle. I lampioni illuminavano la strada del loro quartiere. Restarono fermi ad aspettare qualche cenno dal demone.

 

Castiel si avvicinò per parlargli all’orecchio: «Che stai aspettando?»

 

Dean lo guardò incredulo, e Castiel continuò: «Vuole tu vada da lui.»

 

Dean sbarrò gli occhi e socchiuse le labbra: «Che dovrei dirgli? L’ho appena fatto.»

 

«Allora... che ti costa farlo di nuovo?» domandò Cas con ovvietà nel tono.

 

Anche se con riluttanza, Dean si avvicinò alla figura distesa, si fermò al suo fianco. «Non fa freddo» Con una mano batté sull’asfalto in un chiaro invito a fare lo stesso; Dean guardò Castiel esasperato e lui lo incitò a dargli retta. Dean roteò di nuovo gli occhi al cielo, esasperato, e si sdraiò poco distante dal demone.

 

«Hai mai fatto cose del genere?» chiese Dante.

 

Dean abbassò lo sguardo, e lo sbirciò con la coda dell’occhio.

Dante si girò a guardarlo per poi tornare alle stelle. «Sdraiarti in mezzo alla strada. Piazzarti in mezzo alle rotaie con il suono del treno che ti raggiunge. Salire su un cornicione e sentire il vento sbuffarti sul corpo e il sole bruciarti il viso. Stare troppo tempo sott’acqua, con i polmoni che si ribellano. Mettere una mano troppo vicina al fuoco. Ritrovarti da solo in mezzo all’oceano o in una landa desolata.»

 

Dean aspettò, ma non aggiunse altro.

 

Dante si voltò di nuovo con un piccolo sorriso: «Io sì.» poi si tirò su a sedere, con le mani a terra ai suoi lati, non smetteva di guardare le costellazioni, una per una. «Da quando mi sono risvegliato così, in questo corpo, ho provato a fare tutte le cose che credevo impensabili. All’ultimo momento, quando era troppo tardi per un essere umano, sparivo e mi salvavo.»

 

Dean tacque per vari istanti, rimuginando sulle parole del demone che gli rimbombavano in testa. «Volevi trovare un limite...?» gli domandò. 

 

Dante gemette nel silenzio di quella notte, gli occhi socchiusi. «Sapevo di non averne più... ed è questo che continua a farmi paura.» Alzò di poco il viso e fece segno a Castiel di unirsi a loro. L’ex angelo obbedì, sdraiandosi accanto a Dean. 

 

Tre paia di occhi restarono a guardare le stelle, e ad ascoltare il silenzio per un tempo indefinito scandito solo dai loro battiti.

Ad un certo punto, Dante schioccò le dita e dall'Impala provenne una melodia; gli altri due non capirono subito di quale canzone si trattasse, Dean non riconobbe nessuna delle sue cassette.

Dante teneva il tempo con una mano sullo sterno, agitando un piede per tenere il ritmo iniziò a cantare insieme alla voce che usciva dalla radio:

«I'm like a child looking off on the horizon

I'm like an ambulance that's turning on the sirens

Oooh, I'm still alive

 

Dean si tirò a sedere fissandolo, la bocca spalancata: «Oh... oh mio Dio... ecco chi sei!»

 

«Non sono chi tu pensi io sia.» replicò Dante; provò a tornare a cantare, ma Dean lo interruppe di nuovo.

 

«È... è impossibile, hai anche la stessa voce!»

 

«Per l'ultima volta: Non. Sono. Billie Joe Armstrong.»

 

Castiel si accigliò, e guardò il cacciatore: «Dean, ascolti i Green Day?»

 

«Farebbe il botto al locale...» mormorò Dean, ignorando l'ex angelo.

 

«Non ti azzardare a far girare la voce per fare il pienone.» disse Dante.

 

Dean si voltò di scatto verso di lui. «Non prenderò in giro proprio nessuno, sei un sosia a tutti gli effetti! Sei solo più alto e non sei tatuato.»

 

«Come fai a sapere queste cose?» Castiel lo aveva imitato, e si era seduto ad ascoltare il loro battibecco; Dean continuò a provare a convincere Dante.

 

«Senti... hai avuto l'ennesima giornata complicata, ma questa è l'ultima. Vuoi chiudere il tuo capitolo liberandoti o no?»

 

Dante, finalmente, si girò per degnarlo di un'occhiata. «Dopo promettete di lasciarmi in pace?» chiese, a denti stretti. 

 

«Non ho motivi per correrti dietro.»  rispose spavaldo, Dean.

 

«Ne sei veramente sicuro?» Gli occhi di Dante si illuminarono, e fece un sorrisetto malizioso.

 

«Prova con Crowley.» disse Dean, ammiccando.

 

«Lo farò.» rispose spavaldo Dante, provocando della sorpresa in Dean.

Castiel rise sotto i baffi.

 

«Bravo, prenditi gioco di me anche tu.»

«Scusa, Dean. Ma nessuno dimentica i tuoi passati.»

 

«Scommetto neanche Dean.» Dante resse il gioco a Castiel.

 

«Avete finito?» Il cacciatore prese il suo cellulare dalla tasca e fece partire una chiamata. «Adesso vi sistemo io, con la migliore serata della vostra vita.» mormorò Dean.

 

«Sam... sì sì, tutto bene. No, non ancora. No... non vivrò un'altra luna di miele in stile Crowley.» sottolineò l'ultima frase e vide il batti cinque di Dante alla ricerca della mano di Castiel.

 

«Me lo aspettavo.» gli disse il demone, ricevendo la conferma dell'ex angelo.

 

«Dai l'annuncio, per Capodanno. Avremo un... ospite speciale. No, non canterò di nuovo al karaoke. Raggruppa la band e annuncia un sosia del cantante di una famosa punk band americana.» silenzio, Dean notò Dante ridere e tirarsi su, seguito da Cas. «Quindi tu lo avevi capito! Figli di buona don-. No, non sto insultando nostra madre!»

 

Dean si passò una mano sul volto. «Andiamo a casa.» fece segno agli altri di salire

in auto. «Muovete il culo.» comandò, guadagnandosi un'occhiataccia da Dante.

 

 

*

 

31 Dicembre 2020 ore 18:00

 

Passarono per la porta di servizio ed arrivarono nell'ufficio di Sam. Eileen era con lui. Il minore dei Winchester li guardò sorridendo, poi spostò la sua attenzione dal pc e batté le mani «Che inizi lo spettacolo!» indicò Dante con entrambe le mani. «Sei pronto?»

 

«Certo.»

 

«Ehm... non so se suoni la chitarra.» disse, prendendolo per una spalla e guidandolo per un corridoio; iniziarono a sentire gli schiamazzi della gente in attesa. 

 

«Dammi una chitarra e te lo dico.» rispose Dante, strizzandogli l'occhio con fare complice.

 

Sam fece segno ad un ragazzo dello staff che gli porse una chitarra elettrica. Dante si passò la cinghia sulla spalla e strimpellò qualcosa. Il suo viso si illuminò, e si passò una mano fra i capelli neri. «Sì, decisamente sì.»

 

Ci fu una pausa di silenzio, interrotto da Sam che incoraggiò Dante con una mano sulla spalla: «Tocca a te.»

 

Dante passò in rassegna tutti loro. «A mai più?»

Dean fu l'ultimo su cui i suoi profondi occhi verdi - altra caratteristica che avevano in comune - caddero ed il cacciatore fece un passo in avanti mostrando la mano. «Mai dire mai.»

 

Dante la osservò, e dopo un attimo di esitazione, gliela strinse sorridendo.

 

«Salve a tutti! Siete pronti per l'invitato speciale?» Sentirono il presentatore preparare il pubblico che strillava ed emetteva un frastuono incredibile. Dante non aveva mai fatto una cosa del genere, ma aveva deciso di abbattere molti muri - come aveva raccontato a Dean. 

 

Aveva riconosciuto il suo nuovo corpo solo dopo qualche giorno; giurava a sé stesso di averlo già visto, anche se non proprio uguale, ma la voce gli somigliava parecchio. Salì gli ultimi gradini di quella triste avventura, convinto ad assimilare il meglio di tutta la vicenda. Si lisciò nervosamente la giacca nera, e appena si mostrò sul palco fu raggiunto da apprezzamenti ed applausi. Le luci si abbassarono, ed un unico fascio bianco illuminò una sedia sul palco dove Dante prese posto. 

Il demone sorrise al pubblico. 

 

«D'accordo ragazzi, siete pronti?!» esclamò, reggendo il microfono.

 

Il pubblico urlò, prima di sentire le note sul pianoforte della band.

La voce di Dante riempì il locale, come se fosse abituato a cantare, le strofe si susseguirono.

«My beating heart belongs to you

I walked for miles till I found you

I’m here to honour you

If I lose everything in the fire

I’m sending all my love to you

 

I suoi pensieri volarono a Kathy, ai figli e a Lenny, come sempre da anni a quella sera. Poi il suo sguardo gli cadde sopra quelle nuove persone, che pur non conoscendolo, lo avevano aiutato. E lui glielo aveva permesso; avevano usato i mezzi giusti senza giudicarlo, anche quando li aveva attirati con mezzi bruschi.

 

La canzone scivolò via, seguita da un’altra, per la quale si alzò spostando la sedia.

«I lost my way

Oh baby this stray heart

Went to another

Can you recover baby?

Oh you’re the only one

That I’m dreaming of

Your precious heart

Was torn apart by me and

You, you are not alone

Oh oh and now I’m where I belong…»

 

Arrivò alla canzone che aveva intonato in mezza alla strada, era una delle sue preferite. Descriveva ciò che aveva passato e nonostante fosse morto veramente, una seconda chance gli era comunque stata data.

 

«My head’s above the rain and roses

Making my way, my way, my way…

As I walked out on the ledge

Are you scared to death to live?

I’ve been running all my life

Just to find a home that’s for the restless

And the truth that’s in the message…»

 

Ad un certo punto, Dante riprese il microfono in mano, e fece un cenno per attirare l'attenzione. 

 

«Quest'ultima la dedico ad alcune persone speciali...» disse, la voce un po' commossa.

 

La chitarra acustica tra le sue mani intimò un ritmo da ballata, la batteria lo seguiva e si sentì subito il testo pieno d’amore. Dean ricordò il ritmo e subito dopo riconobbe le parole.

 

«Words get trapped in my mind,

Sorry if I don't take the time to feel the way I do.

'Cause the first day you came into my life,

My time ticks around you

 

Dean sentì qualcosa afferragli il braccio, si voltò e vide un Sam paralizzato.

 

«Che succede?»

 

«Credo sia arrivato il momento.»

 

«Per cosa?»

 

Sam si voltò. «Eileen.»

 

La donna non poteva sentire nulla di ciò che aveva intorno, così Sam si preparò per bene, dicendole il testo della canzone quando le strinse una mano per farla girare.

 

«Sam?» gli domandò, con un gran sorriso, seguendo il labiale.

 

«All I want

you to understand

That when I take your hand

It’s ‘cause I want to.

We are all born in a world of doubt

But there’s no doubt

I figured out…»

 

Dean era al centro di tutto ciò che stava accadendo in quel momento; il fratello stava facendo la sua proposta, un demone sosia di una rockstar stava cantando la canzone che Sam stava dedicando ad Eileen, e Castiel accanto a lui ascoltato trasportato dalle parole. Dean notò che Dante lo stava osservando; mentre il demone continuava a cantare, il cacciatore abbassò lo sguardo, posandolo sulla sua mano e quella di Castiel vicino a lui. Le intrecciò, e Cas si girò subito, ma Dean stava osservando il palco sorridendo.

 

«I love you.»

 

Sentì un «Sì!» dietro di lui e dopo vide il fratello e la sua future moglie abbracciarsi.

 

«I feel lonely for

All the losers that will never take the time to say

What's really on their mind instead

They just hide away

Yet they'll never have

Someone like you to guide them and help along the way.»

 

Dean sciolse la stretta alla mano di Castiel, per abbracciarlo dietro le spalle e l'ex angelo abbandonò la testa nell’incavo del suo collo.

 

«Or tell me

when it's time to say I love you»

 

«E questa è per…dei nuovi amici.» Dante fece loro l’occhiolino da lontano.

Dean e Castiel si guardarono, Sam ed Eileen apparirono alle loro spalle e lei mostrò il suo anello di fidanzamento. Dean, al centro, ammiccò mettendo in evidenza le rughette attorno agli occhi e lasciò un bacio sulla tempia di Cas.

 

«Where can I find the city of shining light

In an ordinary world?

How can I leave a buried treasure behind

In an ordinary world?»

 

Dante non staccò gli occhi da loro, Dean prese quel messaggio come un consiglio.

 

«What would you wish if you saw a shooting star

In an ordinary world?

I’ve walked to the end of the earth and afar

In an ordinary world

Baby, I don’t have much

But what we have is more than enough

Ordinary World.»

 

"Grazie," mimò con le labbra Dante appena finì di cantare, incontrando gli occhi color smeraldo del cacciatore.

 

THE END

.

.

.

.

.

 

Not really

 

Erano tornati a casa, in attesa di festeggiare il nuovo anno, ma a Dean turbava ancora qualcosa. Voleva provarci, voleva convincere Chuck a farlo tornare con sé per salvarlo, come Castiel aveva fatto con lui dal loro primo incontro ed aveva continuato a fare. Nella sua camera, ora, quella dannata fialetta luminescente se ne stava ad aspettare la fine dei tempi in una scatoletta qualunque. Per il cacciatore continuava a non essere giusto.

Da tanto aveva smesso di pregare - non serviva più; Cas non poteva sentirlo, ma poteva sempre provare, lo avrebbe fatto per lui. Nel ripercorrere gli anni passati, non lo aveva ringraziato abbastanza di tutto, ma era maledettamente felice di rivederlo ogni volta.

Quindi da seduto, si girò verso l'altro lato del letto e scorse fugace verso la camera.

La scatolina era sul comodino accanto a lui, come se la vicinanza alla forza celeste potesse fungere da satellite.  

«Non so dove sei. Non so neanche se ascolterai, o se te ne frega qualcosa. Dovresti star cercando di impartire nuove regole ai pennuti, ma... io ne ho uno qui che ti ha sempre stimato; anche quando la speranza era vana, so che in fondo... Castiel continuava a crederci, in te. Forse sì, sono qui per supplicarti, quindi, per favore... se puoi fare ancora qualcosa per lui... ricostruisci la sua grazia e fallo tornare come era prima...»

 

Ci fu silenzio per alcuni istanti; il suo respiro l’unico suono nella stanza.

«Tu credi veramente sia questo ciò che vuole?» La voce proveniva da davanti a lui. Dean si voltò completamente e Chuck era lì.

Si alzò, sorpreso e si toccò l'orologio sul polso. «Chuck...» Esitò per un momento. «Lui non dice mai cosa vuole...»

Chuck sorrise sotto la barbetta scura, avvolto in una camicia bianca. «Sicuro? Forse lo dice, ma tu non ascolti. Non attentamente.» Fece un gesto per fargli capire.

«Perché? Tu sì?»

Chuck deglutì, tirando su il mento. «Mi ricordo come fosse ieri quando mi avete trovato, quando mi avete detto di non pubblicare più i miei libri. Mi avete divertito.» Sorrise di nuovo, prima di avvicinarsi ed abbandonare l'aria simpatica.

Gli venne da pensare che tale padre e tale figlio per quanto riguardava gli spazi personali. «Mi piaci. Mi piace tuo fratello. Mi piace mio figlio. E mi piace anche la vita che vi siete creati. Non me ne prendo neanche troppo il merito, se volete. Ma non giudicare troppo le mie scelte. Ho pur sempre salvato tutti, quando ero presente, non posso farlo sempre, non siete un gioco per la playstation...» Lo fissò, con quegli occhi celesti e taglienti. «Smettila di piangerti addosso. Smettila di pensare di non meritartelo. Smettila di pensare che le sue scelte siano stupide.»

«Io non-»

«Sì invece.» lo interruppe Dio.

Dean chiuse la bocca.

«Sta arrivando. Vedi di comportarti bene e passa una bella vita, Dean Winchester.» Detto ciò, sparì e si aprì la porta della sua camera.

 

«Dean.» Il tono di Cas era strano, tanto quanto il caos che aveva in testa Dean.

«Che succede?»

Solo dopo aver parlato si rese conto del suo tono spaventato, cercò di calmarsi trovando gli occhi dell'angelo, funzionavano sempre.

«Stai bene?»

«Sì, si. Che ti prende?» Anche Castiel sembrava non essere molto in se. Sospirò affranto. «Ricordi il bambino in ospedale?»

Il biondo annuì.

«Sta male, molto male.»

«C'è qualcosa che possiamo fare?» domandò il cacciatore.

«...una ci sarebbe.» lo guardò, aspettando che realizzasse.

Dean ci restò secco.

“Smettila di pensare che le sue scelte siano stupide.”

«Sei sicuro?» gli chiese, convinto di poterlo dissuadere.

«Sì, Dean. È inutile tenerla...se inutilizzata. Può avere uno scopo...»

Dean sospirò chiudendo gli occhi e abbassando il capo.

«Dean... io mi sento libero ormai. Per te continuerà ad essere difficile, forse, ma sto bene così...»

Il biondo si passò una mano sul viso. «Cas...a me non interessa se hai i poteri o no... è che ho paura. Con la grazia potevi sempre tornare indietro.»

«Dean, qui è diverso.»

«Non parlo di mostri…esistono le malattie e simili. A quelle non potrai fuggire.»

«Neanche tu. Adesso non fate più parte del disegno di Dio, Dean. Nessuno vi salverà più.»

Dean si ammutolì un'altra volta, fissandolo con gli occhi leggermente lucidi. O era un'impressione di Cas?

«Ora potremo vivere insieme serenamente. Accadrà qualcosa? Ci faremo i conti, non ci coglieranno impreparati. E forse… in seguito, ci rivedremo in Paradiso.» Disse con nonchalance, fingendo di sistemargli la giacca di jeans.

Dean taceva, le braccia rigidamente allineate ai fianchi, guardando il vuoto.

Cas socchiuse gli occhi, e fece un piccolo sospiro. «Ascolta, lo so. Capisco perfettamente le tue paure adesso che sono un umano...ma non sono di cristallo. Lo abbiamo già appurato.»

Dean lo guardò mortificato, non che lui lo pensasse. «Cas, io non penso che tu-»

Castiel fece un piccolo sorriso. «Lo so.» seguì un occhiolino. «Ma so di aver fatto molte scelte per le quali ti ho fatto soffrire e non vuoi più trovarti in certe situazioni. Lo capisco, ma ormai non posso tornare indietro.»

Il biondo sospirò, erano alla resa e si lasciò andare. «Sì, lo so.»

«Io voglio vivere con te, mi piace tutto quello che abbiamo. E…se proprio vuoi saperlo, il dolore umano è diverso dagli altri. Quando hai poteri vuol dire che ti sei arreso e non avrai scampo. Ma quando è un umano a soffrire, trova più forza, guarda dove siamo arrivati. Guarda te e Sam.» 

Il cacciatore si avvicinò di un passo e giunse di fronte a lui. «Puoi scommetterci.» vide finalmente un piccolo sorriso sulle piccole e carnose labbra del cacciatore e una piccola lacrima scese su di loro, mentre Castiel le osservava.

Il moro portò una mano sulla sua guancia, scacciandola. «Non piangere.»

«Non sto piangendo.» Rise Dean, scuotendo il capo e Castiel lo prese tra le sue braccia, nell’abbracci più stretto che si fossero mai scambiati.

Cas gli accarezzò la schiena con una mano, disegnando cerchi invisibili. «Sapevo di essere bravo a parlare.»

«Non mi hanno mai detto cose del genere.» ammise Dean. Quando sciolsero l'abbraccio, il cacciatore fissò l'ex angelo per un po', prima di posare le labbra sulle sue per qualche secondo. «Vorrei solo che questo momento non passi, mai.»

«Non lo farà.»

In quel momento bussarono alla porta. «Avanti.» disse Dean.

Sam fece capolino. «Hey, sbrigatevi, stanno per iniziare!»

Tutti insieme uscirono da casa di Dean, Sam ed Eileen stringendosi, il vialetto alberato era pieno di persone con le teste rivolte verso l’alto.

Sentirono un conto alla rovescia.

«3…2….1!»

Furono raggiunti da esplosioni di colore alti nel cielo scuro, ogni tipo di forma dava sfumature al cielo e Dean ricordò quel 4 di Luglio, con Sam sull’Impala.

Castiel gli strinse una spalla, come se avesse sentito quel suo ricordo e si guardarono, come sapevano fare solo loro due.

Dean abbassò lo sguardo, quasi imbarazzato, erano anche più difficili da sostenere adesso che tenevano dentro di loro tante diverse emozioni consapevoli.

Quando rialzò gli occhi Dean la vide e le sue labbra si schiusero, gli occhi si sgranarono e restò senza fiato.

Si era ricordato di quei momenti da bambino, quando pensava che bastava guardare attentamente fuori dalla finestra per vederne una. L’aveva ricordata da poco, da quando era bambino e ora l’aveva vista per la durata di un attimo. Un fascio di luce bianca si era staccata da un punto impreciso sul cielo per poi cadere.

Aveva appena visto una stella cadente.

Probabilmente Chuck se la stava ridendo.

«No, questo momento non passerà.» disse Dean, sorridendo poi sia a Castiel, che a Sam ed Eileen.

 

 

 

Angolo di Sarandom e Feathers

Ho solo le info da commentare, per il resto ci vediamo all'epilogo <3

Sarandom: Dante è un personaggio sempre presente nelle mie ff originali che lascio nella testa, non sono ff sui Green Day, ma lui ha sempre il suo aspetto. Mi è piaciuto scriverlo, anche se qui è un sosia, non mi andava di portare sfiga lol, spero vi sia piaciuto dato che è la prima volta che lo scrivo veramente. I link nei testi l'ho aggiunto perché la sua voce accompagna bene ogni cosa.

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Capitolo 14
*** Epilogo ***


Epilogo

 

17 Febbraio 2020

 

Erano secoli che Dean e Cas non mettevano piede in una chiesa.

 

Dean non era mai stato un gran credente, da quel che suo fratello ne sapeva - da quel che tutti ne sapevano. Certo, poi era stato salvato più e più volte da Castiel. Erano accadute tutte quelle svariate cose - tra Dio, quei pochi angeli buoni ed il Paradiso - che ormai avevano preso la forma di uno strano groviglio di immagini e luci che vivevano nella testa del cacciatore, e che gli ricordavano che quel "qualcosa di positivo" in cui gli sarebbe sempre piaciuto poter credere... esisteva.

 

Castiel ricordava la volta in cui aveva detto a quella signora fedele di non sperare troppo nell'aiuto divino, dato che in quel periodo aveva capito quanto in realtà gli umani non avessero una guida. Tutto ciò li rendeva impotenti e piccolissimi in confronto a quel Dio che Castiel chiamava Padre e che non ascoltava le preghiere che facevano eco invano in quei posti denominati sacri.

 

Loro avevano quel compito - lui ed i suoi fratelli e sorelle.

 

Nessuno dei due pensava di visitare luoghi simili nell’immediato futuro, ma dovevano ammettere che era bello tornarci - specie in una parrocchia come quella, in cui chiunque era benvenuto, e nessuno era obbligato a sentirsi escluso. Senza contare il fatto che l'atmosfera lì dentro era semplicemente magica. Le vetrate riflettevano i colori dell'arcobaleno, e gli affreschi in alto e sopra l'altare apparivano incredibilmente suggestivi. Il fatto che il colore dominante fosse il blu chiaro faceva piacere a Dean; ormai lo associava inconsciamente a Castiel. Quanto a quest'ultimo, continuava a passeggiare a fianco del suo protetto, sollevando ogni tanto lo sguardo e facendosi incantare dai quadri alle pareti. La luce del sole filtrava dai finestroni ed illuminava loro il viso a metà.

 

«Mi piace quello, guarda com'è... ben fatto...» mormorò Cas, fermandosi e guardando fisso un dipinto della navata di sinistra raffigurante un angelo scuro con le ali bianche spiegate.

 

Dean si limitò a sorridergli. «Vuoi anche quello?»

 

Cas schiuse la bocca e poi ci pensò per un momento, fissando il profilo concentrato dell'uomo che amava. «Oh, no. Lo preferisco qui, ci sta a meraviglia.» rispose, tornando al quadro.

 

Dean si voltò verso di lui, poi sbuffò, divertito, le dita che passavano comicamente sulla fronte. Gli stampò un rapido bacio sulla guancia. «Vedi? Avevo ragione, non cambiare mai.»

 

Castiel assottigliò gli occhi, poi ammiccò gradualmente, fissando il verde prato di quelle iridi, e poi soffermandosi sul completo che Dean indossava. Giacca grigio scuro con camicia bianca sotto, cravatta violacea a strisce - il tutto abbinato a quei capelli biondi troppo in ordine rispetto al solito, proprio come i suoi.

 

«Ti... stanno bene...» sussurrò Cas, tanto a bassa voce che Dean quasi non lo udì.

 

«Cosa?»

 

Il moro ebbe l'impressione di vederlo leggermente a disagio. Inspirò, guardando un punto a caso. «I... i tuoi vestiti.»  disse poi, genuinamente, nascondendo una mano dietro la schiena.

 

«Uh... grazie...» Dean rivolse lo sguardo altrove, ma sorrise. «A-anche tu stai molto...» Si schiarì la gola. «... molto bene.» Sbirciò la giacca blu scuro di Castiel, messa in evidenza dalla camicia bianca e dalla cravatta scura a righe. «Anche se ti preferisco coi capelli scarmigliati, onestamente.»

Era la prima volta che si presentavano ad un evento pubblico insieme e coordinati. Era quasi una liberazione, ma anche grande disagio, molta gente era stata invitata e tante persone li conoscevano.

 

Cas alzò gli occhi al cielo, ammiccando. Avevano avuto lo stesso pensiero, cosa che accadeva più spesso negli ultimi mesi. «Lo so.» disse, e sistemò rapidamente i capelli dietro l'orecchio.

 

A quel punto, entrambi sentirono dei passi più pesanti alle loro spalle e si girarono lentamente.

 

Sam Winchester era stupendo. Il fisico asciutto e slanciato era messo in risalto dal blu scuro del suo completo da sposo, e la cravatta di un celeste chiaro si intonava alla perfezione con la camicia e col resto. I capelli lunghi facevano da contorno ad un sorriso luminosissimo.

 

«Che principino!» recitò Dean, sollevando un sopracciglio e guadagnandosi una pacca del fratello sulla spalla.

 

«Sei pronto?» gli domandò Cas, esitante.

 

Sam sorrise dolcemente, e poi abbassò il capo; si mordicchiò un labbro, tenendo le mani incrociate. «Beh, sono nato pronto.»

 

Gli altri due annuirono con un risolino. «Non vediamo l'ora di vedere Eileen.» mormorò Dean. 

 

«A chi lo dici. M-mi sento...» Sam scosse il capo, guardando dietro di se. «... agitato... ma non è una brutta sensazione... non saprei come spiegarmi.»

 

Cas si ricordò di un momento al gruppo di supporto in cui un ragazzo non sapeva come parlare del suo stato d'animo. Ripensò anche al proverbiale “mettersi nei panni degli altri" per tentare di capire meglio cosa stiano passando.

 

Provò quindi ad immaginare di sposare Dean, lo sguardo assente. Non che gli sembrasse poi così diverso al condividere ciò che già avevano. Cosa avrebbe comportato per Sam e Eileen? Il riconoscimento da parte di tutti? Come sarebbe stato per lui e Dean a quell’evento? Così esposti? O era comunque più spirituale, un po’ come il sentimento che aveva sempre provato per Dean nel corso di quei lunghi anni? Il legame che avevano due persone, in questo modo, diventava indissolubile, se sincero?

Castiel pensò che non avevano bisogno di cerimonie, o almeno non era la prima cosa a cui loro pensavano. Nonostante ciò, l'ex angelo non poté fare a meno di figurarsi un Dean che gli sfiorava il viso con due dita e lo baciava sulle labbra di fronte a tutti, e si sentì tremare le ginocchia.

 

«Cas... che hai? Sei un po' rosso.» lo risvegliò Dean stesso, dandogli una leggera gomitata sul fianco.

 

Castiel sussultò, sbattendo le ciglia. «Eh? No, nulla. Stavo solo…»

 

«...fantasticando...» disse Sam per lui, guardandolo di sottecchi come se avesse capito in un lampo ciò che stava passando per la mente di Cas. Il minore dei Winchester sospirò appena. «Caspita, vorrei già iniziare...»

 

«Non stai più nella pelle, immagino...» intuì Castiel, riprendendosi pian piano dalla sua fantasia.

 

I tre uscirono dalla chiesa, fermandosi sul portone e videro Mildred, Maggie e Oskar, Elizabeth e Claire salire le scale per raggiungerli.

 

«Ciao, ragazzi miei.» Mildred li baciò uno ad uno. «Elizabeth è tutto il giorno che lacrima.» disse, abbracciata ancora a Dean, rivolgendosi all’amica.

 

«Sono così felice per voi, mi sento quasi una madrina.» disse a Sam.

 

«Possiamo dire che lo sei.» le si avvicinò abbracciandola.

 

«Tu sei Dean, giusto?» chiese una voce profonda.

 

Il diretto interessato spostò la sua attenzione verso l’uomo alto e mulatto che gli tese la mano.

 

«…Sì.» Sorrise imbarazzato, dopo aver visto che era in compagnia di Maggie, sicuramente il marito, che ancora non aveva mai incontrato.

 

«Maggie mi parla molto di voi.»

 

«Anche di quanto io sia stronzo?» domandò sorridendo.

 

Oskar rise. «Quando la gelosia parla.» alzò le sopracciglia, guardando Castiel.

 

A Dean si mozzò il fiato in gola, niente, non si sarebbe mai abituato.

 

«E’ un piacere conoscerti.» fece Oskar, rivolto al moro. Neanche Castiel lo aveva conosciuto.

 

«Come sta andando lo scavo? Maggie me ne ha parlato.»

 

«Va benissimo. Siamo riusciti ad avere i fondi che ci spettavano. Un giorno, se vi va, potreste venire a visitarli.»

 

«Ci piacerebbe.» Castiel si girò per guardare Dean che annuì e si grattò la nuca. «Certo.»

 

Dean si sentì vibrare qualcosa in una tasca e prese il telefono, dove vide il primo messaggio che stava attendendo.

 

Da Jody:

“Siamo qui”

 

Alzò lo sguardo per trovare il pick up da sceriffo e lo notò poco più lontano, mentre la donna parcheggiava. Le andò incontro, con un sorriso pieno, Jody lo abbracciò subito e lo strinse a se, lo stesso con Donna e Alex.

 

«Sono felice siate riuscite e a venire.»

 

«Scherzi? Come potevamo perdercelo?» rispose Jody. «Allora? Portaci dal fratellino.»

 

Dean fece loro strada e furono accolte da un Sam in preda all’entusiasmo e al nervosismo.

 

«Tranquillo, passa subito, ma lo ricorderai per sempre.» Donna cercò di farlo stare meglio.

 

Claire volò subito tra le loro braccia e presentò le altre.

 

Poi Dean fece un passo in avanti, invadendo il loro spazio. «E lui è Castiel.»

 

«Oh, il famoso Castiel.»

 

«Sono famoso?» Guardò interrogativo Dean, che gli mostrò un sorriso tra il forzato e l’imbarazzato.

 

«L’angelo, lo strano e basso angelo.» rispose Jody per lui.

 

«E’ un angelo?» domandò Donna, guardandolo stupita. «Uno vero?»

 

«Sì, ma non più.» spiegò Castiel, una mano dietro al fianco.

 

«Si può smettere di esserlo?» continuò la bionda.

 

Dean si schiarì la gola. «E’ una…lunga storia.»

 

«Dean e Sam mi hanno parlato di voi.» disse l'ex angelo, entusiasta di aver incontrato le ultime tre cacciatrici della lista di famiglia.

 

«Quindi, vi siete ambientati bene. Come è la vita qui? Non sapevamo neanche esistesse questo posto.» chiese Donna.

 

«E’ stato difficile anche trovarlo sulla mappa.» continuò Jody.

 

«In quelle aggiornate c’è.» rispose il cipiglio nerd di Sam.

 

Jody gli diede una spallata affettuosa. «Fai poco lo spiritoso, sposino.»

 

«Dio, ci ha portati qui.» disse Castiel e Jody, Donna e Alex lo guardarono come se avessero avuto davanti un alieno - l’unica creatura che mancava loro di conoscere.

 

 «Voi avete visto Dio?» domandò, Jody, ai fratelli.

 

«…altra lunga storia.» ripeté Dean.

 

«Ne avete una corta?» chiese Alex.

Dean fece per rispondere, ma andò a vuoto.

 

«Siamo solo…più sicuri qui. Almeno-» disse Castiel, voltandosi verso Dean. «da cose soprannaturali.»

 

Dean mostrò un’espressione accondiscendente. «Già.»

 

«E cosa fate di bello qui?» domandò Donna, guardando Castiel. «Ti vedrei bene sulla copertina di qualche rivista.» gli fece l’occhiolino.

 

«Ehm…sono un professore, al liceo.»

 

«Tornerei a scuola solo per te.» continuò a flirtare, ridendo e Jody le andò dietro, poi Donna notò l’espressione spiritosa di Dean cambiare.

 

«Sostengono che io me la cavi bene.» disse Castiel con un lieve sorriso, soddisfatto di se.

 

«E voi?» chiese Jody ai Winchester.

 

«Io ed Eileen abbiamo un locale, dopo ci spostiamo di là. E Dean ha una sua nuova attività.»

 

«Dai! E quando ce lo avresti detto?» fece Jody contrariata.

 

«Beh, continuerò con il “Family Business”» rispose Dean con un sorrisetto orgoglioso.

 

Jody si avvicinò a Sam. «Si cita da solo?»

 

Dean sbuffò. «E’ il nome della mia compagnia di tuttofare, in città.»

 

«Immagino quante donne siano felici di vederti in tutina da idraulico.» scherzò Donna.

Castiel rise abbassando la testa.

«Non era per offendere.» si affrettò a spiegare, Jody.

 

«Offendere? Io posso permettermelo in tutina, loro no.» rispose pronto Castiel.

 

Dean divenne paonazzo, con l’improvvisa voglia di scolarsi una bottiglia di vodka.

 

«Wow! Cosa sta accadendo qui?!» se ne uscì Jody.

 

Il biondo si irrigidì e Castiel lo notò, infatti gli disse qualcosa all’orecchio.

 

«Oh mio dio.» disse Donna, masticando la sua gomma e fissandoli.

 

Dean si ritrasse e Castiel restò girato verso di lui.

 

«Voi due...» constatò la Mills, senza continuare.

 

Dean sollevò le sopracciglia cercando di svagare. «Cosa?»

 

«Mi sa che abbiamo una certa situazione qui.» disse Donna, rivolta a Jody e Sam.

 

Sam rise sotto i baffi.

 

«E tu lo sai.» confermò Jody. «Beh, hai gusto ragazzo, lasciatelo dire da chi se ne intende.» e gli diede una pacca sulla spalla. «Dai, noi entriamo, qui fa freddo. Ci vediamo dentro!» esclamò a Sam.

 

«Manca poco!»

 

«Dannazione.» fece Dean accanto a lui.

 

«Beh? Non è meglio così?» domandò Sam.

 

«Mi piacciono loro.» disse Castiel, alludendo alle cacciatrici.

 

«Sono fantastiche.» confermò Dean, seguendole con lo sguardo fino all’entrata in chiesa.

 

Mentre gli altri invitati salutavano Sam, Castiel e Dean restarono alle sue spalle, per controllare la situazione. Insieme a Claire erano gli incaricati in tutto e non solo per fare i testimoni. Ad un certo punto, la ragazza si girò a guardarli ridendo. «Siete imbarazzanti.»

 

«La smetti di dirlo?» le disse Dean irritato, voltandosi. «Lo dici sempre.» Tornò a guardare la folla davanti la chiesa.

 

Claire continuò a ridere.

 

«Claire, smettila…» Castiel si sporse indietro. «Lo sai come è suscettibile.»

 

«Ti ci metti anche tu?» fece Dean.

 

Castiel fece spallucce.

 

«Cosa abbiamo di imbarazzante? Su, dimmelo.» domandò Dean.

 

«Sembra tu abbia una scopa su per-»

 

«Okay, ho capito.» non le fece finire la frase. «Ma non è vero, sono rilassato.»

 

Claire sghignazzò. «Dean, guarda che nessuno ti mangerà.»

 

«Certo, l’ho notato. L’ho notato per un mese intero in ospedale.»

 

«Hai paura o ti vergogni?» domandò Castiel, alla sua destra.

 

Dean si voltò, Castiel non aveva espressione, fissava le persone davanti a lui, aspettando una risposta.

 

«Io non- E’ solo che non mi piacciono i pregiudizi.»

 

Claire li guardò: «Senti, dovrei dirti tutto quello che passa nella mia mente solo a guardarvi e comunque a me sta bene. Io sono decisamente l’unica persona che può dirvi qualcosa in contrario.» Si spostò per averli di fronte entrambi. «Vivete e basta. Siamo qui per questo no? Qui…» Indicò la gente e la chiesa. «Qui.»

 

«Lei ha ragione.» concordò Castiel.

 

«Voi avete sempre ragione.» gli fece il verso Dean. «Vado a vedere dentro come sono messi, sapientini.»

 

Appena entrato, il prete gli andò subito incontro e nel mentre gli arrivò un messaggio.

 

Da Eileen:

“Sto arrivando”

 

Tutti i pensieri di Dean si azzerarono, sostituiti dall’emozione evidente nei suoi occhi. Tornò fuori e prese Castiel e Claire da parte.

 

«Tu hai le fedi?» chiese alla ragazza.

 

«Sì, capo.»

 

«Tu attento a far sistemare tutti dentro, vai.»

 

Castiel andò accanto a Sam, dicendogli qualcosa all’orecchio.

 

«Grazie a tutti per essere qui, se iniziamo ad entrare e prendere posto, tra poco iniziamo!»

 

Castiel si posizionò al centro della navata con la lista degli invitati in stile battaglia navale; ricordava il pomeriggio intero sbrigato a far sedere vicine le persone giuste: «Se metti il signor Dale qui, non puoi mettere la signora Kol accanto a Millie. Lo sai.» e almeno altre trenta frasi simili. Era stato difficile anche per lui, nonostante in passato si occupasse di linee di battaglione angeliche.

 

Una volta che la chiesa fu sistemata e Sam si mise sull’altare, Castiel gli si sistemò accanto, nell’attesa di essere raggiunto da Dean; dall’altra parte, vicino al posto di Eileen, c'erano Claire e Mildred come testimoni. In quel preciso momento le note magiche della marcia nuziale riempirono il luogo e Sam si girò. Fu come avere una visione celestiale. La sua Eileen era appena entrata, il vestito semplice e bianco la faceva sembrare un angelo - almeno, un angelo di quelli che Sam aveva immaginato da bambino. Lo scollo sul décolleté era coperto da un pizzo trasparente e la gonna lunga non aveva strascico. I capelli scuri erano raccolti e le guance leggermente arrossate dal fard, dall’emozione e dalla piccola vita che portava in grembo. Era così luminosa. Lo guardò da lontano e sorrise, felice.

 

A Sam venne in mente quando la incontrò a Freedom, e pensò a quanto tempo fosse già passato da allora. Però, solo in quel momento, si rese conto che Eileen non aveva nessuno che l’avrebbe accompagnata da lui e si sentì un emerito idiota. Le sue labbra si schiusero e gli occhi divennero lucidi, nessuno di loro aveva genitori lì dentro che si sarebbero emozionati e una sposa senza il pa- il flusso dei suoi pensieri si placò non appena vide il fratello sorridente raggiungerla e prenderla a braccetto.

Eileen lo guardò felicissima e gli coccolò una spalla con la testa, concentrandosi poi su Sam.

«Credevate vi avrei lasciati soli.» disse Dean a Sam, quando gli lasciò la mano di Eileen tra le sue.

«Grazie, Dean.» rispose un Sam sull’orlo delle lacrime.

Eileen gli lasciò un bacio sulla guancia e il biondo raggiunse il suo posto, accanto al fratello e Castiel.

Il moro gli lanciò una veloce occhiata e notò gli occhi rossi del cacciatore.

 

«S-sei... splendida.» sussurrò Sam, le dita che tremavano un po', senza riuscire a staccare gli occhi dalla sua amata.

 

«Tu lo sei.» rispose, la voce poco ferma.

 

Castiel mise una mano sul braccio di Dean, con dolcezza. «Hey, tutto... okay?»

 

Dean deglutì. «S-sì, stavo solo…sarebbe stato bello avere mamma e papà, qui, con noi.» Castiel strinse la stretta e Dean si riprese un po'.

 

«Hai fatto un ottimo lavoro, Dean.» mormorò Cas.

 

«Lo so.» Dean inspirò, sbirciando la mano dell'ex angelo che lo stava accarezzando.

 

«Sei felice?» gli domandò alla fine, quando tutti furono invitati a sedersi.

 

«Sì.»

 

Cas annuì, con un lieve sorriso.

 

 

Il mignolo della mano destra di Cas, sfiorò impercettibilmente il dorso della mano di Dean, per tutto il tempo, come a fungere da piccolo dolce supporto morale. Il biondo si impegnava per nascondere questo lato della sua personalità, tentando di apparire un duro, ma in realtà era parecchio emotivo, al punto che dovette trattenere le lacrime con tutta la sua buona volontà al momento delle promesse.

 

 

*

 

 

«Mm, io non mi fiderei.» si pronunciò Dante, seduto su una delle sedie del consiglio nella sala del trono. Ormai Crowley lo teneva sotto controllo, anche se non aveva più dato noie a nessuno; si era rifiutato di fare troppi contratti, quindi, Crowley lo teneva come giudice di quei demoni imbroglioni.

Il Re continuò ad osservare il demone davanti a lui, scortato da una guardia. «Continua.»

 

Dante si alzò e giocando con il suo passo lento e calcolato, arrivò accanto all’accusato. «Beh, diciamo che ci conosciamo.» Avvicinò il viso alla guancia dell’altro e gli rise in faccia. «Potrei dirti parecchie cose.» e si allontanò per andare dietro il trono. «Potrei aver fatto qualche lavoretto con lui, al posto di prendere atto della parola del contratto, uccideva chi lo aveva stretto…così le anime se le prendeva lui. Mi ricorda qualcun altro, dal tuo racconto. Un emulatore.» Crowley aveva lo sguardo assente, che riportò sull’indagato.

 

Quello cercava di contenere la rabbia. «Non pensavo fossi un codardo, ma vedo che stare accanto al trono... ti ha fatto montare la testa.»

 

«E tu cosa hai da dire a tua discolpa?»

 

«Sono un demone…come te, come voi.» accennò alla loro postazione con disgusto e sputando a terra.

 

Crowley alzò un sopracciglio. «Hai gentilmente firmato la tua condanna. Portatelo via.»

 

«Finito?» dietro di lui, Dante, si stiracchiò la schiena. «Mi sto annoiando.»

 

«Sei sempre annoiato.» Crowley firmò una pergamena. «Potete andare.» congedò gli altri e i due restarono soli nella stanza.

 

Si alzò dal trono ed indossò la sua giacca. «Ti va di sgranchirti le gambe?»

 

Dante arricciò il mento. «Gita?» si avvicinò a lui e Crowley fece un sorriso sghembo, prima di poggiare una mano sul suo braccio.

 

Dante si ritrovò sul ciglio di una montagna aperta all’interno. «Wow!» esclamò, quasi perdendo l’equilibrio, la bocca spalancata come le braccia e le gambe - una di esse in aria. Le riunì per fare il giro del cratere del vulcano. Sentiva il fumo e la cenere sulla pelle, ma non gli dava fastidio- anche se il suo tramite si ribellava per le scottature- si attaccavano ai suoi vestiti lasciando pallini bianchi; Crowley, dietro di lui, camminava con un piede davanti all’altro osservandolo di tanto in tanto.

 

Dante si fece scivolare sull’esterno, sedendosi e aspettandolo. «E’ sempre così che fai colpo?» si girò verso di lui, quando gli si sedette accanto.

 

«No, in realtà.»

 

«Peccato.»

 

Crowley restò a fissarlo per un attimo, poi la sua mano raggiunse di nuovo il braccio del moro.

 

«Aaah!» Dante urlò dalla meraviglia di trovarsi al chiarore della luna, in un posto freddo, molto freddo. Riusciva a sentirlo, come l’umido sotto di lui, ma di nuovo, non gli sortiva alcun vero effetto: i piccoli pregi di essere una creatura non umana.

 

Si trovavano su una lastra di ghiaccio enorme, come per il piccolo muro spesso dove adagiavano le loro schiene, accanto ad una pozza d’acqua.

 

«Fai spesso queste cose?» domandò Dante.

 

«Tu ci hai mai provato?» fece Crowley.

 

«Di arrivare qui... mai pensato.»

 

Crowley sorrise. «Sei un demone da parecchio, ormai.»

 

«Forse…da soli non è divertente.» si voltò, sorridendogli.

 

Crowley sbuffò una risata, girandosi verso i riflessi del panorama; tutto era blu e nero, con luci bianche e celesti.

 

«Non ti mette paura?»

 

«Quello l’ho provato. La paura non è più un problema.»

 

«Sei sicuro?»

 

«Dipende da quale. Quella fisica, no.» Dante sollevò le ginocchia, poggiandoci i polsi e giocando con le dita, perso in quelle giornate, con un sorrisetto lontano.

 

Crowley si voltò. «Cosa intendi?»

 

«Sono and-» Ma si fermò di colpo, guardò avanti, e vide l’accenno di malizia nel suo sguardo.

 

Sciolse la sua posizione, girandosi per averlo davanti e il viso a pochi centimetri dall’altro. «Ho provato…di tutto.»

 

Crowley abbassò troppo presto lo sguardo, per tornare verso il nulla, ma Dante gli prese il mento tra due dita e si fece più avanti. Il contatto fu quasi impercettibile, solo labbra su labbra; Dante aspettò e l’altro non si mosse, quindi lo prese con un cenno di consenso e lo baciò. Fu avido nell’appropriarsi della bocca dell’altro. Dante si spostò, mettendosi a cavalcioni su di lui e gli leccò un labbro per avere accesso alla sua bocca. Una mano a solleticargli la nuca e l’altra a tirargli la cravatta. Adorava l’attrito della barba sulla sua pelle liscia e il suo sapore sulla lingua. Non aveva più la sensazione di restare senza fiato, infatti, nessuno dei due capì quanto tempo passò, Dante restò con la sua fronte su quella dell’altro.

 

«Credo abbia iniziato a piacermi, questo mondo.»

 

 

Due anni dopo – 8 Maggio 2022

 

 

«Hey, Dean! Il solito?» domandò Sam, non appena vide il fratello entrare nel locale.

 

«Certo.» Si sedette al bancone ed aspettò l’ordinazione. Ormai il locale era aperto dalla mattina alla sera; offrivano colazione, pranzo, cena e aperitivo a prezzi convenienti ed erano sempre pieni di gente. Arrivò Eliza con il vassoio e si salutarono. Quando la ragazza si allontanò, Sam gli rubò una patatina. Dean rise e prese una forchetta per addentare l’insalata di mais. «Siamo proprio cambiati.»

 

«Per il meglio! E tu hai comunque il tuo panino.» disse Sam, allontanandosi un attimo.

 

«Devo pur vivere.» rispose Dean, allargando le braccia.

 

Mentre diede il primo morso all’hamburger con doppio bacon, notò un bigliettino da visita color rame con una scritta in nero, recitava:

“O. W. New Opening.”

 

Lo girò e non trovò altre scritte.

 

«Ah, volevo chiederti se potevi fare da babysitter dopodomani sera.»

 

«Certo. Hai visto questo?» gli allungò il foglietto.

 

«Sì, ne lasciano tanti per fare pubblicità.»

 

«Ma non c’è scritto molto.»

 

Sam fece spallucce.

 

Dean prese il telefono e cercò su internet. «Non c’è niente neanche nel web.»

 

«Dean, possono portare qualsiasi cosa, sarà uno scherzo o una trovata per farlo pubblicare e vedere la gente domandarselo apposta. Stai facendo il loro gioco.»

 

«Non ti ricorda niente?» ci riprovò il maggiore.

 

«Non mi pare.»

 

Dean lo guardò. «Come siamo arrivati qui?»

 

Sam si fermò, condividendo lo sguardo con il fratello. «Dici che…»

 

«Sembra un simpatica coincidenza.»

 

«E per cosa, questa volta?»

 

Dean rise e si alzò per prendere qualcosa al di là del bancone; poi avvicinò la lama di un coltello affilato troppo vicino al legno. «Dean!» Sam gli fermò la mano. «Sei pazzo?»

 

«Lascia fare.» lo guardò serio. «Mancano solo qui.»

 

Sam allentò la presa, pensandoci su, poi la tolse sospirando.

 

«Dici che è veramente lui?»

 

«Cas mi ha raccontato tutto, può essere solo lui.» spiegò, mentre intagliava la “D.”.

 

Sam continuò ad osservarlo, fino a quando non finì la “W.” E gli passò il coltello.

 

Il minore aspettò qualche momento. «Credi sia il posto giusto?»

 

«Hey, passiamo un sacco di tempo qui. Lo hai aperto con l’amore della tua vita. Mary ha fatto i suoi primi passi qui dentro. Io…ho dato il mio primo bacio in pubblico a Cas qui. E’ dove abbiamo festeggiato i nostri compleanni, dimmi quando lo abbiamo fatto in passato. La tua torta di nozze è stata tagliata lì.» indicò un posto in mezzo a dei tavoli. «Non è una casa, ma è il nostro rifugio felice.» si abbandonò sullo schienale, aspettando che il fratello si desse una mossa.

 

«Hai ragione.» confermò Sam, con un lieve sorriso.

 

«Finalmente.» anche lui seguì ogni mossa del minore, finendo il suo pranzo.

 

«Non c’è due senza tre?» domandò Sam, posando il coltello e ammirando le loro iniziali intagliate.

 

«Non c’è due senza tre.» affermò Dean. «Hey, vedi di non far rovinare quest’opera.»

 

«La farò diventare un’opera. Basterà lavorarla.»

 

*

 

5 Agosto 2022

 

«Amore, amore, no. L'auricolare di papà non si tocca!» Sam rideva nella disperazione di cercare di togliere le paffute manine di Mary dal marchingegno. La piccola rideva ed Eileen attirò la sua attenzione dicendole. «Distruggilo! Vai, amore della mamma!»

 

«No, no, no» Sam si alzò con la piccola tra le grandi braccia e riuscì a sfilarglielo, appoggiandolo sull'isola della cucina, lontano dai guai.

 

Castiel ed Eileen se la ridevano, seguiti da un Dean rapito nell'osservare la nipote.

Se ne era innamorato.

Si era commosso quanto Sam alla sua nascita, era felice per il fratello, era riuscito a portare una nuova vita tra loro in un mondo diverso. Si erano promessi di non fare nessuno sbaglio.

Castiel gli era sempre rimasto accanto, osservandolo e studiandolo in ogni cosa, anche se ormai non poteva nascondergli più nulla.

Sam ed Eileen avevano optato per il nome di Mary; non c'era motivo per cancellare il riassunto della loro vita, non sarebbe stato giusto. Così il 3 Maggio 2020, nasceva Mary Hunter Leahy Winchester.

Passato e futuro uniti in una promessa.

 

*

 

Quando aveva del tempo libero, e Sam e Eileen erano in cerca di babysitter, lui era l'incaricato, non si fidava di nessuno e aveva bocciato ogni candidata al ruolo. Si divertivano un mondo con le costruzioni di plastica morbide, seduti sul tappetino a puzzle di gomma. Con i suoni dell'orso viola e le canzoni che Dean le cantava quando si faceva tardi e, dopo cena, con Castiel, si sistemavano nel loro salotto.

 

Castiel e Dean vivevano sotto lo stesso tetto da dopo il matrimonio del fratello. Che tenevano a fare due case quando ogni volta passavano la notte o dall'uno o dall'altro? Nello stesso modo in cui Castiel gli aveva regalato la sua grazia. Dean, all'anniversario della sua resurrezione, gli passò una scatola con due chiavi, una con una piuma di metallo nero come pendente e l’altra un piccolo stemma della Chevrolet. La casa dei Novak era diventata la loro e Castiel ancora non credeva a tutti i passi da gigante che avevano fatto.

 

*

 

Ci volle una settimana intera di preparativi, ed arrivò anche il momento per Claire di voltare pagina ed iniziare un nuovo capitolo della sua vita. Tra il pagare il pernottamento a Quantico e preparare il minimo indispensabile; tra il lasciare gli amici e la sua famiglia, di nuovo. Claire non aveva mai avuto pace in vita sua, ma almeno questa era stata una scelta completamente sua, e partiva molto felice per i suoi traguardi.

 

«Mi raccomando, chiamaci.» Le premure di Dean erano peggiorate da quando era diventato zio.

 

«Se smetti di pressarla magari torna anche.» Castiel che cercava di tranquillizzarlo, sempre.

 

Almeno aveva donato una piccola risata a tutti. Ognuno di loro aveva gli occhi lucidi e le regalarono un ultimo grande abbraccio, facendole gli auguri per quella nuova avventura.

 

«Spacca il culo a quei figli di puttana.» le disse Dean all'orecchio, col suo solito modo di fare.

 

«Ecco, ora ti riconosco.» rispose lei, passando poi a Castiel.

 

«Tuo-... ehm, credo i tuoi genitori siano molto orgogliosi del cammino che hai intrapreso.» mormorò Cas, dolcemente.

 

Claire chiuse gli occhi e lo strinse più forte. «Lo faccio per voi.» sussurrò. Si ritrasse e lo guardò negli occhi con un peso sulla gola. «Grazie, Castiel.» Si sorrisero a vicenda e anche lui tradì la sua tristezza, asciugando qualcosa sotto l'occhio.

 

Claire salì in macchina con un ultimo saluto per tutti, tornò indietro di corsa per ultimo bacio a Mary e poi via, senza guardarsi indietro...o quasi. Già abbastanza lontana, guardò dallo specchietto retrovisore e li osservò. Dean si era messo ancora più vicino a Castiel, se era possibile, Sam abbracciava Eileen e la piccola da dietro. Il biondo prese una mano di Castiel e la strinse, notò un sospiro sofferto da parte dell'ex angelo e fu lo stesso che ebbe Claire nell'esatto momento in cui prese una curva e fu pronta. Nonostante la paura, aveva tanta ambizione con se.

 

Accese lo stereo e le note di Back in Black occuparono il veicolo, stampandole un bel sorriso soddisfatto sul volto.

 

 

 

Sam ed Eileen restarono da loro per cena, sapevano benissimo il colpo che avrebbero dovuto mandare giù, anche se ne erano al corrente da anni, ma si erano tutti e tre affezionati parecchio.

 

Una volta in casa, la bimba regalò a tutti un momento spensierato in famiglia. Una volta finito, Dean prese possesso della piccola e la portò fuori a giocare. Castiel asciugava i piatti che Eileen lavava ed osservava Dean attraverso la porta scorrevole trasparente del soggiorno. Era così felice quando giocava con Mary, ci metteva tutto se stesso, ma non come per il lavoro, era nettamente diverso, era Dean. Non Winchester la leggenda.

Era il suo Dean. Rivedeva l'anima che aveva rimesso in sesto con tutte le sue forze.

 

Dopo aver sciacquato l'ultima forchetta, Eileen e Sam andarono sui libri della contabilità e degli appuntamenti che si erano portati dietro e Castiel raggiunse Dean, che stava sistemando i giochi, dopo aver messo Mary a dormire. Gli prese una costruzione dalle mani, riponendola lui e chiudendo il tappo del contenitore. Dean si girò a guardarlo e si sedettero insieme sullo scalino di marmo.

 

«Sei uno zio da premio Nobel.» si complimentò.

 

Dean abbassò lo sguardo, ridendo. «Mi piace.»

 

«Si vede.»

 

Dean si incupì. «Sai che...» si passò una mano sul mento. «Ho avuto un...figlio e mezzo.»

 

Castiel si accigliò, schiudendo la bocca.

 

«Anzi, figlia. Neanche lo sapevo, scoperto per sbaglio. Ero nel piano della madre e...per farla breve, la figlia... mia figlia, avrebbe dovuto uccidermi per poter provare di essere una amazzone. Diciamo che le ho veramente vissute tutte. E so anche...che Sam...l'ha uccisa.»

 

«...Ha dovuto?»

 

«Purtroppo sì.»

 

«...e mezzo?» domandò curioso Castiel.

 

«Sì» rise. «...quando non mi hai avvertito e mi hai lasciato da Lisa. Diciamo che è vero e ti ringrazio, da una parte, per non essere tornato. Non che io non volessi...»

 

«Volevi una famiglia.»

 

«Forse. Ma mancava qualcosa. Amavo veramente... Ben.»

 

Castiel restò in silenzio aspettando che riaprisse il discorso. «Lei mi ha giurato che non fosse mio, ma era impossibile. Le date combaciavano e bastava osservarlo per ...rivedermi.»

 

«Mi dispiace.»

 

«Non è colpa tua, non avremmo mai potuto veramente funzionare. È stato un bel periodo che mi porto dentro.»

 

«Tu vuoi diventare padre.» disse l'ex angelo.

 

Dean si girò ed aveva quell'espressione stupita e dolce di quando aveva affermato che in realtà, il cacciatore, poteva essere un esempio da seguire. Sbuffò imbarazzato e preso in contropiede.

 

«Dean, lo sai che non sei come tuo padre vero?» gli disse Cas, lentamente.

 

«...Non era così male, agli inizi.» Dean unì le mani, con un respiro profondo.

 

«Era umano.»

 

«Non era macchiato da nulla.»

 

«Tu lo sei ora, sei partito al contrario.»

 

«Beh...anche se volessi...»

 

«Possiamo.» lo interruppe Cas, una mano sulla sua.

 

*

 

Erano intenti a sistemare tovaglioli, bicchieri e piattini quando Dean si soffermò a guardarlo e gli scappò un piccolo sorriso. «Cas?» domandò, mentre apriva un pacchetto di patatine al formaggio.

Castiel stava togliendo una torta salata da sotto un panno. «Mh?»

 

«E’ la…vecchia camicia bianca?.»

 

Il moro si fermò e si guardò. «Sì, mi mancava.»

 

Anche per Dean, non vedere il trench così spesso era strano, ma non gli dispiaceva neanche la sua nuova versione di vestiario. Continuò ad osservarlo fino a che l’altro non si fermò di colpo e si sbottonò i primi bottoni della camicia, per poi prendere il cibo e andare in soggiorno.

 

Castiel mise un dvd nel lettore, Sam e Dean erano ancora in cucina, Eileen in bagno a cambiare la piccola.

 

«Cas, una birra?» gli domandò dalla cucina.

 

«Grazie.» gli rispose, aspettandolo sul divano.

 

Dean gli allungò la bottiglia, mentre rideva in risposta a qualcosa che aveva detto Sam.

 

«E comunque… aspetto il momento.» Sam sussurrò l’ultima frase non appena si sedette sul divano.

 

«Quale momento?» domandò Castiel prendendo un sorso di birra.

 

«Niente.» rispose Dean guardando storto il fratello. «Una scena di questo film che gli piace tanto.»

 

Il biondo si sedette accanto all’ex angelo, ed Eileen e la piccola Mary li raggiusero. Prese posto e guardò la sua famiglia mentre dialogava, sempre soffermandosi troppo su quel colletto sbottonato…

 

«Dean?»

 

Sentì quella voce lontana, perso tra i suoi pensieri.

 

«Dean.» Questa volta Sam si era sporto verso di lui.

 

«Mh?»

 

«Tutto bene?»

 

«Cosa? Si, sì. Ero in sovrappensiero… iniziamo?»

 

Dean guardò lo schermo poco e niente; non era uno dei suoi generi preferiti, e la sua attenzione era quasi completamente catturata da Castiel, accanto a lui. Aveva anche accavallato le gambe ed adorava il suo profumo.

In quegli anni erano cambiate tante cose, sia la loro vita, che il loro essere intimi. Se i primi mesi era stato tantissimo scambiarsi qualche bacio, adesso era normale chiudersi in camera ogni notte e qualche mattina prima di andare a lavoro.

Aveva scoperto che Castiel non era mai stato veramente interessato al sesso di per sé, ma a condividere con lui qualsiasi cosa.

Per gli altri non provava molta attrazione, ma se sentiva Dean vicino ne veniva attratto come una calamita e lo era anche per lui, come in quel momento avvertiva la stessa sensazione.

Avevano anche avuto quella discussione su Dean che esclamava “Oh mio Dio” e Castiel si era letteralmente fermato, dentro di lui, per guardarlo arrabbiato. Lui aveva continuato a riderci su, fino a che Castiel non si era alzato ed era uscito dalla stanza, lasciandolo duro nel letto «Ma dai! Va bene, non lo dico più!»

 

 

*

 

 

La mente di Dean lo aveva portato così tanto ad estraniarsi dal non accorgersi delle risate attorno a lui; provò a vedere sullo schermo e finse di ridere con loro.

Vide anche Castiel farlo, gli occhi luccicanti ed illuminati dalla televisione, le belle fossette accanto alla bocca. Da quanto erano vicini, poteva intravedere il blu dei suoi occhi. Il blu era il suo colore.

Ad un certo punto, Castiel spostò una mano sulla clavicola per grattarsi e restò lì un minuto, per un attimo pensò di spostare mentalmente le sue dita per poter vedere un’altra porzione della sua pelle.

La mano tornò sul grembo ad unirsi con l’altra e Dean deglutì. 

Dopo un po’ sentì qualcosa vibrare alla sua sinistra e notò un bagliore sul comodino, Castiel si girò e si sporse per vedere chi fosse, senza prendere il cellulare in mano.

Sorrise e rispose ad un messaggio, sotto gli occhi di Dean occupati ad osservare la sua silhouette.

Sentì un movimento accanto a lui ed il moro che gli passava accanto, voltandosi, ma senza vederlo più, continuò solo a cercare di ricordare mentalmente quell’odore dolce di casa che gli aveva inebriato la mente e sentì del calore propagarsi dal petto a tutto il corpo.

Lo vide tornare con la coda dell’occhio e non appena si sedette, si voltò verso di lui. «Dov’eri?»

«Al bagno.»

Sentire la sua voce bassa e roca, nel rispondergli senza disturbare agli altri la visione, gli fece venire la pelle d’oca. Nessuno lo stava notando, ma il cacciatore stava vivendo un momento di profondo imbarazzo. Non solo l’intorpidimento del corpo, ma anche un risveglio nel basso ventre. Aveva voglia di una doccia fredda, ma doveva resistere. Resistere almeno alla fine del film, quando poi avrebbe dovuto salutare il fratello, la moglie e la figlia. Non ci volle pensare.

La situazione nei pantaloni andava peggiorando, così si allungò per prendere uno dei cuscini del divano sistemati ai loro piedi e lo abbracciò in grembo.

Il film finì, ma la sua mezza erezione era ancora lì. Sam disse qualcosa riferito al film, ed il maggiore lo ringraziò mentalmente per aver iniziato un dialogo di gruppo, il che gli lasciò del tempo per cercare di calmarsi. Fu tutto vano.

«Dean, noi andiamo, si è fatto tardi.» disse Sam, mentre Eileen si alzò con in braccio Mary, che salutava tutti con la manina.

«Ci vediamo domani.» disse Dean, alzandosi con il cuscino, per fortuna abbastanza grande da poter coprire sia l’inguine che l’addome, senza farla sembrare una cosa strana.

Li seguì fino alla porta, che il moro aprì. Dean restò accanto a lui, salutandoli. Una volta chiusa, non si mosse. Castiel fece per andare in cucina, ma il biondo lo tenne fermo per un polso.

Castiel si voltò. Il cacciatore non lo stava guardando, ma fece cadere il cuscino. Lo sguardo dell'ex angelo scivolò fra le gambe dell'altro.

 

«Lo sapevo.» disse Castiel, con malizia sul volto.

 

«E ti sei goduto il mio imbarazzo.»

Castiel si avvicinò a lui, lentamente, fino a sfiorargli il collo con le labbra. «Cosa vuoi?» gli sussurrò, e Dean inclinò la testa all’indietro sospirando e chiudendo gli occhi. Il suo palmo scese sulla sporgenza nei pantaloni, massaggiandola, ma Castiel lo fermò allontanando la mano.

Dean emise un gemito e Castiel restò immobile. «E’ tutta la serata che sto così. Dannazione, Cas.»

Castiel, si girò all’improvviso, prendendolo per mano, avvicinandolo al divano. Dean si sedette e portò Castiel a sedersi su di lui, tenendolo per i fianchi e facendo combaciare i loro bacini. Dean calò la testa sul suo petto, finalmente baciò la porzione di pelle scoperta. «Ne hai voglia?.»

«Lo vuoi?» domandò Cas, ancora con quella voce roca che lo faceva impazzire.

 

«Sì.» rispose senza pensarci. «Ma tu?»

 

Castiel raggiunse il suo orecchio. «Shh.»

Il suo respiro caldo gli inondò la pelle e l’orecchio, la sua voce corse lungo la sua schiena con un tremito che raggiunse il suo cazzo e fu la fine. Gli baciò il collo, abbracciandogli la vita.

Castiel chiuse gli occhi e stringendo una mano su un ginocchio del biondo, si fece leva.

 

«Dove-»

 

«Shh.» fece ancora Castiel, mentre si inginocchiava e gli allargava le gambe.

 

Dean lo guardò a bocca aperta, ma gli occhi pieni di lussuria e stupore.

 

Il moro gli slacciò i pantaloni e si avvicinò di più a lui. Dean lo circondò con le gambe stringendolo. Nel momento in cui Castiel tirò giù anche i boxer, Dean sollevò la testa in un mugolio, ma l'ex angelo si fermò. «No, guardami.»

 

Dean cercò di restare lucido e tornò su di lui; vederlo in quella posizione, con la sua bocca ad un soffio dal suo cazzo turgido, lo mandò fuori di testa.

Poi il moro, guardandolo negli occhi, accolse la sua punta fra le labbra morbide. I loro sguardi erano incatenati e Dean con la bocca aperta, Castiel passò la lingua sulle vene massaggiandole e succhiò via lasciando della saliva cadere sui lati.

I muscoli di tutto il corpo del biondo si contrassero, una mano stringeva il divano e l’altra si strinse tra i capelli di Castiel, quando quest’ultimo ripeté il gesto scendendo di più e continuando a succhiare.

Il cacciatore inarcò la schiena quando Castiel lo prese fino in gola e lo rilasciò lentamente, succhiando in maniera avida la punta.

Si baciarono e Dean sentì il proprio sapore sulla lingua dell’altro, mentre languiva anche l’interno della sua bocca.

 

*

 

«Cavolo, ho dimenticato l’auricolare.» disse Sam, al primo semaforo, non lontano dalla casa del fratello.

«Sbrigati! Te l’avevo detto di non portarlo, lo dimentichi sempre.» gli disse Eileen, mentre Sam scendeva dall’auto accostata.

Arrivò sul retro della casa, entrando dall’uscita secondaria. Un secondo prima di chiamare il fratello, fu sorpreso da alcuni strani lamenti. Troppo strani per convincerlo a non chiamarlo se stesse avendo problemi gravi.

Si avvicinò di soppiatto e vide le luci ancora accese. Notò la testa del fratello agitarsi sulla spalliera del divano e quei suoni provenivano da lui. Erano indubbiamente mugolii e gemiti di piacere e prima di girarsi notò i capelli mori di Castiel fare capolino davanti il divano e sporgersi verso Dean, che lo baciò con trasporto, prendendogli il viso tra le mani. Sam chiuse gli occhi e portò anche una mano su di essi, quelle immagini non le avrebbe dimenticate. Si girò cercando a tastoni la strada per la cucina.

 

*

 

La testa scese e Dean si mise seduto diritto, lasciando la mano sui capelli di Cas a fare giù e su, scopando la sua bocca, provocandosi mugolii ai quali rispose anche l’altro facendo vibrare la sua voce sul suo pene e donandogli una bellissima sensazione. Sam cercò di sbrigarsi; neanche tappandosi le orecchie riusciva ad attutire quei due. Prese l’auricolare in fretta e furia, ma doveva per forza tornare indietro. In quel momento sentì il chiaro segno che il fratello aveva raggiunto l’orgasmo - sarebbe dovuto andare in terapia dopo quei suoni osceni. Trovò il momento giusto per uscire, vedendo Castiel rimasto in ginocchio e Dean che si lasciò cadere a terra baciandolo di nuovo, poi lo abbracciò.

Sam, da quel momento, decise che lo avrebbe avvertito, sempre, almeno un giorno prima per una nuova visita.

 

*

 

Dean stava ancora abbracciando il moro; lo stringeva forte, un chiaro segno che ne avesse bisogno.

Castiel lo cullò ancora un po’ tra le sue braccia, poi sentì il respiro regolare del cacciatore, stava per addormentarsi.

Cercò di tirarlo su, gli tolse i pantaloni e gli sistemò le mutande per poi farlo sdraiare sul divano. Spense il lampadario, lasciando accesa solo la luce sul comodino.

Lui si tolse la camicia sporca del seme del cacciatore e lo raggiunse, abbracciandolo comodamente di lato. Lo sentì tirare su col naso ed avvertì qualcosa di umido sul petto.

«S-stai piangendo?» gli domando, Castiel, sottovoce; le dita che scorrevano sulla sua schiena.

Dean alzò la testa nel semi buio, le luci dei lampioni e della Luna arrivavano da fuori le finestre. «Sono felice.» e posò la testa sul suo petto. Si addormentò, cullato dai battiti del suo cuore. Ormai dormivano in quella posizione tutte le notti.

 

*

 

Quando Dean si svegliò ed andò in bagno, si accorse che erano solo le quattro e mezza del mattino. Svegliò Castiel e andarono nella loro camera, affinché stessero comodi.

Dean si sedette poggiandosi allo schienale, Castiel passò davanti il cassettone, togliendosi l’orologio ed accese la radio.

«N-non hai sonno?» domandò il biondo, osservando i suoi movimenti.

Cas sorrise. «Non più. Ti va?» Accennò al contenitore di cassette.

Dean annuì ed aspettò la sua scelta.

«Quante me ne hai fatte?» sorrise Castiel, scegliendo le varie top list che Dean gli aveva regalato di tanto in tanto.

«Quando mi sentivo ispirato.» si difese divertito.

C'era una canzone, in particolare, che continuava a suonare nella testa di Castiel. Il moro ricordava bene dove e quando l'aveva sentita.

 

«Mmh, trovata.» Cas mise la cassetta nello sportellino e premette play.

Le prime note e parole fecero capolino nella stanza e Dean abbassò le palpebre con un sorriso, girandosi verso Castiel che lo aveva raggiunto sul letto, imitando la sua posizione.

 

“Love me tender, Love me dear”

 

«Sapevo ti sarebbe piaciuta.» commentò Dean.

«Sono prevedibile?»

«Penso tu sia romantico.» lo guardò sorridendo divertito.

 

"Tell me you are mine."

 

Castiel respirò lentamente, voltandosi verso un Dean rilassato sul letto, il torace che si alzava e si abbassava.

«Dean.» sussurrò l'ex angelo a voce bassissima, per verificare quanto il biondo fosse sveglio.

Dean continuò a ronfare indisturbato.

«Dean!» rise Castiel richiamandolo.

Il biondo si svegliò di colpo. «Scusa, a quanto pare ho sonno.»

 

"I’ll be yours through all the years."

 

«C’è una cosa che ancora non abbiamo fatto insieme. Anche se ce lo eravamo promesso.»

Dean si voltò, improvvisamente preoccupato.

«Guardare l’alba o il tramonto insieme.»

Il biondo annuì. «Sì, mi ricordo bene.» Si alzò dal letto, andò alla finestra e tirò su la serranda, scostando le tende.

Il cielo iniziava a schiarirsi; la coltre di nubi dorate all'orizzonte rendeva evidenti i tratti degli alberi scuri e la luce stava lentamente colorando ogni cosa di un giallo tenue.

Dean tornò accanto a Castiel e gli prese una mano, poggiandole entrambe sul letto, tra di loro.

 

"Till the end of time."

 

 

 

THE END

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To be continued

 

 

Angolo di Sarandom e Feathers

 

Prima le info: ogni data non è scelta a caso

17 Febbraio: nascita di Billie Joe Armstrong

8 Maggio: nascita di Sarandom *yee*

5 Agosto: nascita di Feathers *yee*

3 Maggio: Sarandom e Feathers si sono conosciute via twitter *yee*

 

Salve a tutti voi!

E così siamo arrivate alla 'fine' di questa storia che abbiamo cercato di scrivere nel miglior modo possibile. Abbiamo ideato un futuro di Supernatural che in parte ci piacerebbe vedere nello show. Spesso, su efp le storie di SPN sono divise in due categorie: quelle ambientate in un universo alternativo e quelle nell'universo di Supernatural; così noi abbiamo 'unito' le due cose, per non lasciare fuori niente, ma comunque avere 'altro' di cui parlare. Con Chuck che si occupa dei problemi precedentemente addossati ai Winchester, sempre con il tuo tocco non proprio gentile, e permettendo ai nostri ragazzi di costruirsi una vita normale. Inoltre, abbiamo anche regalato una gioia al caro Re dell'inferno, grazie all'invenzione di questo nuovo personaggio adorabile: Dante (opera di Sarandom). Speriamo vi sia piaciuta, vi ringraziamo moltissimo per i preferiti, i seguiti e per le recensioni (Grazie Biota, Dreamer_Vampire, Phoenix84, lynary, Jane41258 e nattini1) e...potrebbe non essere finita qu, ma per ora vi salutiamo *sono in un angolo a piangere*

Grazie mille.

 

 

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