Le cronache di Aveiron: Un nuovo domani

di Emmastory
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Per amore di un'amica ***
Capitolo 2: *** Ciò che ora siamo ***
Capitolo 3: *** Sagra di memorie ***
Capitolo 4: *** Criminale del passato ***
Capitolo 5: *** Nelle mani del pericolo ***
Capitolo 6: *** Sul filo del rasoio ***
Capitolo 7: *** Trappola mentale ***
Capitolo 8: *** Vendetta di fuoco ***
Capitolo 9: *** Lucenti speranze ***
Capitolo 10: *** Quella bestia chiamata dolore ***
Capitolo 11: *** Messaggi in bottiglia ***
Capitolo 12: *** Quello che il cuore desidera ***
Capitolo 13: *** Uno sguardo al futuro ***
Capitolo 14: *** Umana compassione ***
Capitolo 15: *** Di mistero in mistero ***
Capitolo 16: *** Flebile ma vera luce ***
Capitolo 17: *** Vecchi e nuovi amici ***
Capitolo 18: *** Ritorno al campo ***
Capitolo 19: *** Oscure verità ***
Capitolo 20: *** Tempi maturi ***
Capitolo 21: *** Bene e male ***
Capitolo 22: *** Il suo passato ***
Capitolo 23: *** Sangue che scorre e che resta ***
Capitolo 24: *** Buone nuove ***
Capitolo 25: *** Le certezze di un amore ***
Capitolo 26: *** Fra puro e malvagio ***
Capitolo 27: *** L'importanza di decidere ***
Capitolo 28: *** Traditrice ***
Capitolo 29: *** Anima tormentata ***
Capitolo 30: *** Fuggire dai problemi ***
Capitolo 31: *** Eredità pesante ***
Capitolo 32: *** La scelta della ragazza ***
Capitolo 33: *** La forma del dolore ***
Capitolo 34: *** La realtà dei fatti ***
Capitolo 35: *** Grande guerra e piccole menti ***
Capitolo 36: *** Fra le rovine ***
Capitolo 37: *** Minaccia nel buio ***
Capitolo 38: *** Aria di rivalsa ***
Capitolo 39: *** Segni indelebili ***
Capitolo 40: *** Spirito guerriero ***
Capitolo 41: *** Passato e presente ***
Capitolo 42: *** Bivio d'amore e onore ***
Capitolo 43: *** Salvate il soldato Aaron ***
Capitolo 44: *** Non più sotto a un segno ***
Capitolo 45: *** Cicatrici decisive ***
Capitolo 46: *** Prepararsi al peggio ***
Capitolo 47: *** Ansie, passioni e desideri ***
Capitolo 48: *** Improvvisa gelosia ***
Capitolo 49: *** La vipera e la sua tana ***
Capitolo 50: *** Strani comportamenti ***
Capitolo 51: *** Come ogni vera coppia ***
Capitolo 52: *** Unite in anima e corpo ***
Capitolo 53: *** Delicata come un fiore ***
Capitolo 54: *** Yin e yang ***
Capitolo 55: *** Due cuori e una culla ***
Capitolo 56: *** Alla luce del sole ***
Capitolo 57: *** La furia della Lady ***
Capitolo 58: *** Maternità difficile ***
Capitolo 59: *** Un mondo, uno scontro e una nuova vita ***
Capitolo 60: *** L'ultima lotta al regno ***



Capitolo 1
*** Per amore di un'amica ***


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Le cronache di Aveiron: Un nuovo domani

Capitolo I

Per amore di un'amica

Quasi ignorandoci, e non curandosi della vita di nessuna delle sue creature, o di quanto accada in questo vasto, crudele e pazzo mondo, il tempo aveva continuato a scorrere, e grazie all'intervento di qualcosa o qualcuno di molto più grande di noi, molte cose erano cambiate. Era strano a dirsi, eppure era così. Erano passati ben quattro anni, e dei Ladri nessuna traccia. Forse la guerra era finita, o forse ci era stata concessa una tregua, ma qualunque fosse la verità, una cosa era certa. Eravamo felici. Ammirando la mia immagine riflessa in uno dei tanti specchi di casa, scopro di essere rimasta la ragazza di sempre, ma nonostante tale convinzione, qualcuno non è del mio stesso avviso. “Sei cambiata, Rain. Lo siamo tutti.” Continua a ripetermi Stefan, non mancando di farmelo notare e regalandomi ogni volta un debole sorriso. “Tu dici?” Ho risposto oggi, stanca di sentirglielo dire e desiderosa di risposte a riguardo. “Guardati attorno.” Mi pregò, invitandomi ad ammirare il panorama visibile dalla nostra finestra. “Anni fa vivevamo un inferno, e ora?” continuò, dopo alcuni secondi di silenzio passati a scrutare le meraviglie oltre quel vetro assieme a me. “Non più.” risposi, spostando leggermente lo sguardo e sorridendo a mia volta. “Esatto.” Concluse, facendosi più vicino e stringendomi in un delicato abbraccio. Di lì a poco, i nostri sguardi si incrociarono, e un bacio unì le nostre labbra. Lasciandolo fare, mi beai di quel momento senza muovere un muscolo, ma improvvisamente, ecco che un ricordo comparve nella mia mente.”È oggi, non ricordi?” gli dissi, spezzando bruscamente la magia di quell'istante. Colto alla sprovvista, Stefan mi guardò confuso, ma poco dopo, parve capire. “Hai ragione, mi dispiace.” Biascicò, scusandosi e sperando nel mio perdono. Inutile è dire che glielo concessi, e uscendo dalla stanza, lo vidi. Il nostro caro amico Chance. Ancora con noi, ma stando a quanto giornalmente avevo modo di vedere, non per molto ormai. Era vecchio e stanco, e nonostante fosse in salute, ogni giorno mi chiedevo se fosse stato l'ultimo. In fin dei conti, aveva ben quattordici anni, e ad essere sincera, non avevo mai visto un cane andare oltre il decimo anno di vita. Guardandolo, non proferii parola, ma notando il velo di tristezza che mi aveva ancora una volta coperto il viso, mi si fece vicino. Fra un suo passo e l'altro, vidi che qualcosa gli pendeva dal collare. Non appena fu abbastanza vicino da essere toccato, mi inginocchiai per vedere meglio,e fu allora che la notai. La sua medaglietta. Ricordo ancora il giorno in cui Stefan gliela comprò e aggiunse al collare, facendovi incidere il suo nome e il nostro indirizzo sotto consiglio di Rose e Terra. “Così non lo perderemo.” Avevano detto, parlando all’unisono come gemelle. Una frase semplice, nulla di più, ma che per me aveva un significato speciale. Come anche loro sapevano, il nostro intero gruppo era sempre stato forte e unito, e in quanto componente ne andavo fiera, ma nonostante questo, un cambiamento ci aveva scossi più di ogni altro. Samira. Se n'era ormai andata lasciandoci per sempre, e l’unica consolazione era sapere che era scomparsa serenamente. Quattro anni di dolore e lacrime se n'erano andati con lei, e più il tempo passava, più il nostro pensiero si concentrava sulla sua vita ormai giunta alla fine. Spezzata come un’ormai consunta corda, non esisteva più, e non c’era un giorno in cui non le dedicassimo una preghiera, un pensiero o una parola gentile. Ad ogni modo, quello odierno è un giorno speciale. Fuori il sole non splende, e alcune grigie nuvole hanno fatto la loro comparsa in cielo. È davvero incredibile, ma sembra che perfino il cielo abbia capito quanto stiamo soffrendo. Di comune accordo con Soren, abbiamo tutti preso una decisione. Nonostante il freddo e le ormai prossime intemperie, noi le faremo visita. Era nostra amica, e dopo tutto ciò che lei aveva fatto per noi, ci sentivamo in debito. Così, gli uni vicini agli altri, seduti nella carrozza di Lady Fatima, abbiamo raggiunto il luogo più freddo, oscuro e lugubre di tutti. Il cimitero di Ascantha. L'unico in tutto il regno, era sempre deserto, in quanto i morti e i caduti in guerra sparivano fra la calca congelando nella neve o bruciando sotto il sole, senza che nessuno facesse nulla per loro. Venivano dimenticati, cessando di esistere perfino nei ricordi delle persone care. Nel giorno della sua dipartita, il  pensiero di lasciarla lì non ci sfiorò neppure. Proprio per questo la portammo in ospedale per tentare di salvarla, e quando si spense, la inumammo nella nuda ma generosa terra. Il dolore ci consumò, ma nel giorno del suo funerale, Soren compì un gesto a mio dire bellissimo. Eravamo tutti lì a piangere in silenzio e dirle addio, e quando arrivò il suo turno, liberò una bianca colomba, consegnandola all'aria e all'azzurro cielo. "Sappi che ti ho amata, e che forse un giorno ci rincontreremo, amore mio." questa la frase che poi le dedicò, ammirando il volo di quel maestoso uccello e lottando per ricacciare indietro una solitaria lacrima. In quel momento, un leggero tocco mi costrinse a tornare alla realtà, e riaprendo gli occhi, vidi Stefan. "È ora." Mi disse soltanto, alzandosi in piedi e aiutandomi a scendere dalla carrozza. Annuendo, mi lasciai guidare, e fatti pochi passi, giunsi davanti alla tomba della mia amica. Inginocchiandomi, vi posai dei fiori, e così anche gli altri, incluso Chance, che dopo averlo fatto sfiorò con la zampa la pietra tombale. Il suo personale modo di dirle addio, e di ricordarle che avrebbe continuato a proteggerci e fare il suo lavoro. Versando amare lacrime, le parlai facendole la stessa promessa, aggiungendo che avrei provato ad essere felice come lei stessa mi aveva esortata a fare, e tutto per amore di un’amica.

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Capitolo 2
*** Ciò che ora siamo ***


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Capitolo II

Ciò che ora siamo

Appena ieri, abbiamo tutti visitato la tomba di Samira, e le lacrime non sono certo mancate, ma oggi è un giorno nuovo e diverso. Secondo mia madre, il mattino ha sempre l'oro in bocca, ed essendomi svegliata piena di energie, mi trovo in pieno accordo con lei. Ovvio è che sia ancora triste per sua scomparsa, ma nonostante questo mi sto impegnando a mantenere la promessa che le ho fatto. Sono quindi come sempre ottimista, e proprio oggi, Alisia è venuta a trovarmi. Non da sola, certo, ma in compagnia di ben tre persone. Suo marito Ilmion e le mie amate nipotine, Erin e Cecilia. Bambine di quattro anni d'età, sempre felici e con un sorriso stampato sul volto. Gemelle quasi uguali e indistinguibili l'una dall'altra, se non fosse per qualche centimetro d'altezza e per le loro personalità. La prima, ovvero Erin, è più attiva e giocosa, mentre Cecilia è più calma, e preferisce stare tranquilla a distrarsi con i suoi giocattoli, piuttosto che sporcarsi di fango in giardino. Sin da quando Alisia era incinta di loro, ho sempre fatto il possibile per starle vicina, e così anche Stefan, che ha costruito a entrambe un'altalena e due cavalli a dondolo. Regali perfetti per il loro ormai trascorso terzo compleanno, che stando a quanto ricordo, hanno davvero apprezzato. Seguendo poi un vero e proprio ciclo ereditario, i pupazzetti di Rose e Terra sono passati da Aaron in mano a loro, e come c'era d'aspettarsi, li adorano. Essendo loro zia, le ho viste giocarci milioni di volte, e ho avuto modo di notare quanta cura e amore mostrino nei confronti dei loro giocattoli. Proprio come faceva Terra, ci parlano come se fossero umani, restando a volte in silenzio per ascoltare ciò che hanno da dire. Scene davvero tenere, che ho salvato come fotografie nella galleria della mia mente. Ad ogni modo, tutto sembra andar bene, e mentre il tempo scorre, le cose cambiano. Ora come ora, Terra ha vent'anni, e Trace è come sempre al suo fianco, innamorato di lei e impaziente di chiedere la sua mano. “Quando tutto finirà.” Le aveva detto, in un giorno in cui il sole splendeva sui loro corpi e il vento sembrava esistere unicamente per spostare i loro capelli. “Aspetterò.” Aveva risposto, sorridendo e posandogli un tenero bacio sulle labbra. Pur non intervenendo li guardavo sempre, e in quei momenti, non facevo che sorridere. Ora che la pace era tornata, c'era da ammettere che la felicità era tornata a far parte delle nostre vite, e che il loro era davvero un bel modo di mostrarla. Si amavano davvero, e a dirla tutta mi sentivo orgogliosa di Trace, malgrado non fosse mio figlio. Come ben ricordavo, aveva conosciuto Terra in una mattina scolastica, quando entrambi non erano che bambini, e da allora, la scintilla sembrava essere scattata. Sempre insieme, parlavano, ridevano e giocavano, litigando soltanto per stabilire chi volesse più bene all'altro. Liti sciocche, infantili e appartenenti al passato, ma che sono comunque parte dei miei ricordi più preziosi. Veloce e incapace di perdonare, il tempo scorre, e guardando negli occhi mia figlia, mi stupisco di quanto sia cresciuta. Pensandoci, mi lascio trasportare dalla corrente dei miei pensieri, e così facendo, ho la sensazione che dalla sua nascita sia passato solo un giorno, mentre la realtà non è questa. Sono ormai trascorsi ben vent'anni, e so perfettamente che prima o poi, il mio dolce uccellino dovrà lasciare il nido. Restando al suo fianco da quando è nata, l’ho sempre protetta, ma è insegnandole a difendersi dai Ladri e dai pericoli che le sto permettendo di spiccare, non appena sarà pronta, un metaforico volo verso la libertà. Ora era adulta, certo, ma come le avevo detto infinite volte quando era piccola, sarebbe sempre stata la mia bambina. Nonostante l’andar del tempo, ricordavo ancora i sorrisi felici che mostrava quando io o suo padre la tenevamo in braccio o giocavamo avendo poi il piacere di sentirla ridere. Ricordi bellissimi e dal valore inestimabile, che nessuno avrebbe mai potuto strapparmi dalla mente o dal cuore, poichè appartenevano a me soltanto, e avevano, anche se lentamente, contribuito a renderci la grande, allargata e bella famiglia che ancora oggi siamo. Felici di aver ricevuto una sorta di tregua da quegli schifosi mostri, e liberi di vivere una vita all'insegna della gioia che fino ad ora ci è tanto mancata. Scrivendo nel mio diario, prendo questi ultimi appunti, e chiudendolo, lo adagio nel cassetto, sorridendo appena prima di voltarmi. Un giorno non ci sarò, e la mia morte sarà inevitabile, ma voglio come sempre essere ottimista, e sperare che il mio diario sia una prova tangibile di quanto, tutti insieme come gruppo, abbiamo passato, e ciò che conseguentemente ora siamo.

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Capitolo 3
*** Sagra di memorie ***


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Capitolo III

Sagra di memorie

Una settimana ci ha lasciati, sparendo come un tetro fantasma e dandoci modo di salutarne una nuova. Il cielo è oggi azzurro e limpido, ma lo stesso discorso non è applicabile all'animo dei ragazzi. Primo fra tutti, spicca Isaac, diciassettenne ancora profondamente provato dalla morte della madre. Era con noi quando le abbiamo fatto visita, ma ha preferito non dire nulla, limitandosi a guardarne la tomba e soffocare un nodo di pianto che gli attanagliava lo stomaco e la gola. In quel momento, non mi ero certo intromessa, ma gli avevo comunque fatto capire che ci sarei sempre stata per lui. "Grazie, zia Rain." Aveva soffiato quel giorno, spalancando poi le braccia per essere confortato. Sorridendo, realizzai il suo desiderio, e stringendolo in un delicato abbraccio, mi fermai a pensare. Zia Rain. Così mi aveva chiamata, provocandomi forse inconsapevolmente  un moto d'amore nei suoi confronti. Sua madre era ormai scomparsa, ed io non lo sarei mai stata, ma lui mi voleva bene, e aveva ormai adottato questa sorta d'abitudine. Volendogli bene a mia volta, non battevo ciglio a riguardo, ma stando ai miei ancora nitidi ricordi, quella era una delle rare volte in cui l'aveva fatto. Ad ogni modo, e non appena il nostro abbraccio ebbe fine, lui tornò a fissare quella pietra tombale, posandovi poi un singolo e bianco fiore. Subito dopo, si voltò per darci le spalle, e Chance, preoccupato per lui tanto quanto noi, cercò di convincerlo a restare. Guardandolo, lui aveva sorriso, ma non aveva cambiato idea. allontanandosi, aveva scelto di restare in disparte ad aspettarci. Provando istintivamente pena per lui, provai a consolarlo come avevo già fatto, ma con scarsi risultati. Così se ne andarono i giorni, e mentre le lancette del tempo continuavano a muoversi, iniziavo davvero a non sopportare la vista del suo viso stravolto dal dolore.  “Manca anche a me.” Gli ha detto oggi Rose, avvicinandosi per parlargli e stare un pò con lui. "Per te è diverso, lei non era tua madre.” Rispose lui a muso duro, ancora ferito da quanto era successo. In quel momento, decisi di agire. “Isaac, ora basta. Rose stava solo cercando di aiutarti.” Dissi, con il tono serio e perentorio che chiude qualsiasi discussione. “Non ha funzionato.” Ribattè lui, iroso. A quelle parole, non mi scomposi, ma tornando alla calma, decisi di dirgli la verità. “Isaac, io... Io conoscevo tua madre, lo sai, e anche se non c'è più, lei... lei non vorrebbe vederti così.” confessai, con lo sguardo basso in segno di tristezza. Scivolando nel silenzio, lo guardai negli occhi, e improvvisamente, qualcuno entrò nella stanza. A quanto sembrava, Soren doveva aver sentito tutto, e in qualità di suo padre, provò a riportarlo alla ragione. “Lei ti voleva bene, figliolo. Io l'ho sposata perchè l'amavo, e quando tu sei nato, eravamo entrambi felicissimi di accoglierti in famiglia. Ricordi quello che ha fatto prima di andarsene?" Gli disse, ponendogli poi quella domanda e andando forse a toccare un nervo ancora scoperto. “Sì.” si limitò a rispondere Isaac, con gli occhi bassi e dolenti. Alzando poi lo sguardo, tornò a guardare il padre, e l’abbraccio che seguì quell'istante fu fortissimo. "Eri e sarai sempre il suo piccolo eroe, sappilo.” Concluse Soren, stringendo a sè quel figlio tanto forte quanto sensibile per un tempo che non riuscii a definire. Da quando Samira se n’era andata, aveva fatto quanto in suo potere per non trasferire il dolore ad Isaac, ma evidentemente, la vista della madre mentre lo abbandonava era stata davvero troppo per lui. Per quanto ne sapevo, i due erano molto legati, e benchè non avessi perso nessuno oltre a mia nonna, riuscivo comunque a capire cosa provasse. L’avevo detto ad Alisia già una volta, ma il dolore è una bestia capace di entrarti dentro e risucchiarti dall'anima la gioia e il buonumore, fino a spingerti, in alcuni casi, ad un vero e proprio punto di non ritorno. A mani giunte, pregavo che non accadesse proprio ad Isaac, e quella sera, decisi di fare ciò che andava fatto. Soffriva davvero, ed io dovevo aiutarlo. Non sapendo più cosa dire nè fare, passai ore a cercare un metodo efficace, e solo allora, mi ricordai del mio diario. Quando Samira era morta, quella sera in ospedale, l'avevo aperto e mi ero impegnata a scrivere una pagina commemorativa, così che tutti potessimo ricordarci di lei per sempre. inizialmente, ero restia a mostrarglielo, ma se aveva funzionato con Soren, avrebbe certamente funzionato anche con lui. Non ne avevo alcuna garanzia, ovvio, ma come sapevo, tentare non costava nulla. Così, in quella calma sera allietata da un vento fresco e leggero, mi sedetti con lui nel salotto di casa, posandomi il diario sulle gambe e leggendogli quell'ormai famosa pagina come se fosse stata una storia o una favola per bambini. Non appena finii, spostai lo sguardo dal mio diario al suo viso, scoprendo con gioia che il mio espediente aveva funzionato. Piangeva, ma quelle che versava non erano lacrime amare. Per l'ennesima volta in quella così lunga giornata, lo abbracciai, e poco dopo, lo vidi unirsi a suo padre per tornare a casa. Prima che potesse andarsene, Rose lo salutò con un bacio, e ben presto andammo tutti a dormire, molto più calmi e rilassati solo grazie ad una vera sagra di memorie.

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Capitolo 4
*** Criminale del passato ***


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Capitolo IV

Criminale del passato

Un altro giorno volava via libero come un uccello, e con il diario fra le mani leggevo. Frasi, pensieri e parole che avevo messo su carta nel tentativo di tenerne viva la memoria, a cui ora davo un nuovo sguardo colmo di gioia. Pagine su pagine di ricordi felici, di ciò che la nostra vita era stata fino a questo momento. Tutto, ogni cosa, dal principio fino ad oggi. Sentimenti, emozioni e avvenimenti distinti, tutti raccolti in quelle bianche e immacolate pagine saltuariamente macchiate di nero come le mie mani, testimonianza di dure e a volte tristi verità. Come sempre, il tempo scorre, e almeno oggi sono tranquilla. Mia sorella ha passato una notte a casa mia, e così anche i suoi tre angioletti. Lienard, Erin e Cecilia. Miei nipoti di rispettivamente cinque e quattro anni, che sono ora seduti sul tappeto del salotto a giocare innocentemente. La finestra è aperta, e con una gentile aria che entra lambendomi i polmoni e riuscendo in qualche modo a salvarmi dalla canicola di un’estate appena iniziata, guardo Alisia. Seduta a leggere, appare calma, ma conoscendola come il palmo delle mie stesse mani, so che non lo è. I bambini sono tutti qui, sta fingendo, e ora non posso parlarle. So bene che qualcosa di grosso l’affligge, ma i piccoli sentirebbero, e forse avrebbero anche paura, e ad essere sincera, in qualità di loro zia vorrei proteggere le loro orecchie e le loro giovani menti almeno per ora. Con un gesto della mano e uno sguardo, comunico mutamente, e capendo al volo, lei si alza. “Dove vai, mamma? Diamo fastidio?” Chiede Cecilia, più fragile e dolce della sorella, tenera ma coraggiosa. “No, tesoro mio, ho solo finito il mio libro.” Spiega mia sorella, comportandosi come sempre da brava madre. Rinfrancata da quelle parole, la piccola sorride, e sedendosi di nuovo sul tappeto, torna a giocare con la sorellina. A quella vista, sorrido anch’io, e appena un attimo dopo, Alisia ed io ci ritiriamo nella mia stanza. Una volta lì, lei si siede sul letto, e con la voce spezzata, inizia a singhiozzare. Nasconde a fatica le lacrime, ma io la conosco, e non riesco a restare impassibile. Cosa c’è?” non posso evitare di chiedere, con una vena di preoccupazione nella voce. “È successo giorni fa. Sulla via di ritorno a casa dal bosco, c’era…. C’era un’ombra, e ho portato subito via i bambini, ma credo che lui mi abbia vista, e… e…” biascicò, singhiozzando sonoramente a causa di un pianto che aveva ormai avuto inizio. “Ti sta cercando, non è vero?” incalzandola e forse spingendola un pò troppo a parlare. “Credo proprio di sì, ed è questo il problema!” Come farò con Lienard? E le gemelle? Non possono sapere la verità, non ora almeno!” gridò fra le lacrime, che intanto scorrevano veloci e inarrestabili, quasi come se facessero parte di un fiume in piena. “Alisia, ti prego, ora sta calma. Troveremo una soluzione. Ilmion è con te, no?” provai a dire, tentando di offrirle conforto. “Sì, e potrebbe proteggermi, ma…” rispose lei, non avendo tempo né modo di finire quella frase, che rimase inevitabilmente in sospeso. “Niente ma. Rimarrete tutti al sicuro con noi, e lo troveremo.” Dichiarai, con voce ferma e solenne, scattando in piedi come una molla. “Aspetta, lo faresti per me?” chiese, confusa e stranita da quel mio così repentino slancio di generosità. “Cosa? Ma certo!” fu la mia risposta, che diedi con un sorriso a dir poco smagliante e capace di restituirle la fiducia e il coraggio che le mancavano. “Grazie, Rain. Sei la migliore, come sempre.” Mi disse, alzandosi dal letto a sua volta per abbracciarmi. Lasciandola fare, non mossi foglia, ma non appena il nostro abbraccio ebbe fine, tornai con lei nel salotto di casa, facendo del mio meglio per apparire tranquilla di fronte ai piccoli. Ignari di tutto, giocavano ancora insieme, e a quanto vedevo, Lienard stava dividendo i suoi dinosauri di plastica con le sorelline. Tenere e innocenti, preferivano i peluche ricevuti in dono o quelli che già possedevano, e guardando quei piccoli angeli divertirsi, pensavo. Non proferivo parola, ma come era intuibile, avevo un solo desiderio. Vederli felici proprio come adesso, liberi di vivere e giocare come i bambini che ora sono. Un giorno cresceranno, e anche Alisia lo sa bene, ma ora che sono piccoli e indifesi, lei ha il compito di proteggerli. Da brava zia, l’aiuto anch’io, e più li guardo, più la capisco. Vuole davvero bene a quei bambini, e ricorda ancora il giorno della nascita di tutti e tre. Lienard venne al mondo fra la paura e il dolore di sua madre, venendo amato soltanto da lei, e in seguito dal padre adottivo, mentre le gemelle erano fortunatamente nate con un vero tetto sotto le testoline bionde, e un padre che le aveva amate sin dal primo istante a differenza di quel mostro, che portava e vantava un nome che ancora oggi, a quattro di distanza mi lascia l’amaro in bocca. Ashton. Uno sporco e orribile essere spregevole, che ha derubato mia sorella della sua purezza e della sua felicità per anni, e che ora, stando al mio pensiero, non merita che la morte. Volendo restare ottimista, Alisia ricorda con gioia la nascita delle piccole, arrivando a volte perfino a descriverla in ogni dettaglio. Conoscendola, so bene che per lei è stata un’esperienza davvero bellissima, e i suoi racconti a riguardo non ne sono che la prova. Nonostante lo scorrere ininterrotto del tempo, lei ricorda tutto. Il freddo provato in quella notte che Ilmion aveva subito trasformato in calore, i dolci ma roventi baci che l’avevano unita a lui, le carezze che le aveva fatto tremare il corpo e sciogliere il cuore, e infine, il momento in cui si era lentamente lasciata andare. Il sonno fu veloce ad arrivare, e ancora più velocemente, l’insicurezza legata al dover dire la verità al suo lui. Verità che inizialmente aveva confessato solo a me, ma che poi aveva rivelato  anche ad Ilmion, felicissimo all’idea di diventare padre non di uno, ma di due bambini. Anche se lentamente, la gravidanza era andata avanti, e poi, finalmente, eccole. Erin e Cecilia. Bellissime e perfettamente in salute, graziarono il mondo con la loro presenza. Essendo stato informato della cosa, anche Lienard era ben contento all’idea di diventare fratello maggiore, e a riprova di questo, non faceva che ripetere una singola frase. “Aiuterò la mamma in tutto, e le proteggerò.” Diceva sempre, mentre sua madre ancora le portava in grembo. Quando arrivarono, crescerle nei primi tempi non fu affatto facile, tanto che in un giorno di pioggia e calma piatta, mi rivolse una frase che ricorderò finchè avrò vita. Era triste e sconsolata, quasi piangeva, ma guardando le figlie dormire beate nei loro lettini, aveva sentito un vero moto d’amore invaderle il cuore. “Vorrei essere come te.” Mi disse, spiazzandomi e cogliendomi alla sprovvista. “Cosa? Come?” mi affrettai a chiedere, interdetta e confusa. “Mi hai sentita bene, Rain. Sei una madre stupenda, praticamente perfetta. Hai avuto tre figli, e tutti sono cresciuti splendidamente, mentre io qui ho paura per ciò che accadrà ai miei.” Questa fu poi la sua risposta, colma del dolore e dell’agitazione che la vista di quello schifoso verme le aveva fatto rinascere nell’anima. Ad essere sincera, temevo per lei, ma non dicevo nulla, se non qualche parola d’incoraggiamento. Data la situazione, cercare di aiutarla era davvero il minimo che potessi fare, e solo in momenti del genere capivo davvero le parole rivoltemi tempo prima da Rachel. Mia grande amica sin dal giorno in cui ci eravamo conosciute, mi giudicava resiliente, ovvero forte e capace di adattarmi positivamente ad ogni situazione, perfino al pericolo più grande. In sostanza, un variopinto camaleonte, ora decisamente stanco di nascondersi. Certo, godermi la calma finalmente ritrovata era il mio principale obiettivo, ma dopo quanto mia sorella mi aveva rivelato, nel mio mirino c’era ben altro. La missione era semplice. Supportandola, avrei trovato quello schifoso individuo, macchiatosi della colpa di averle rovinato la vita, e apparendo ai nostri occhi come un criminale del passato.  

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Capitolo 5
*** Nelle mani del pericolo ***


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Capitolo V

Nelle mani del pericolo

Pochi giorni erano passati, e malgrado facessimo del nostro meglio per non dare nell’occhio e restare positivi, i piccoli iniziavano a fare domande. “Zia Rain, perché la mamma piangeva? Chiedevano spesso Lienard ed Erin, preoccupati. “Non è niente, è soltanto triste.” Mentivo ogni volta, vergognandomi come una ladra ma facendolo al solo scopo di proteggerli. “Sei sicura? Azzardava allora Cecilia, nervosa almeno tanto quanto loro. “Certo, piccola, ora va a giocare.” Rispondevo, spingendola amorevolmente verso il tappeto su cui amava giocare assieme ai fratelli. Per mia sfortuna, questo stratagemma cominciava a fallire. Erano ancora piccoli certo, ma ciò non significava che fossero ciechi e sordi a ciò che accadeva loro intorno. Stando ad alcune tesi di cui avevo sentito parlare, i bambini sapevano essere estremamente recettivi, specialmente se si trattava di eventi negativi. Ero loro zia, e ad essere sincera, tutto questo mi inquietava. Mille domande mi vorticavano in testa, ma incrociando le dita, cercando di non pensarci. Silenziosi come topolini, i bambini accettavano ogni risposta, e mentre continuavamo a vivere sperando che la quiete perdurasse, scoprivamo ogni giorno qualcosa di nuovo, compreso il non essere gli unici a farlo. Non le vedevo da tempo, ma sapevo che Rachel e Lady Fatima erano finalmente libere di essere sé stesse e amarsi. In cuor suo, la Leader non l’avrebbe mai voluto, ma da quando lei e Rachel si erano messe insieme, entrambe erano state costrette a vivere il loro amore in segreto. Nessuno sapeva perché, eppure era così. Si amavano certo, ma era come se nessuno potesse saperlo. Data la situazione, lei e la Leader non parlavano da molto, ma pensandoci, compresi che forse quella era una delle ragioni per cui lei e Rachel non passavano mai molto tempo insieme. In altri termini, quello odierno è un vero periodo di bonaccia. Se gli attuali problemi di Alisia non venivano considerati, tutto sembrava andar bene, e l’amore sbocciava ovunque. Ad ogni modo, il tempo continuò a scorrere veloce, e improvvisamente, qualcuno bussò alla porta. I colpi furono rapidi e leggeri, e dati i nostri trascorsi, lo considerai un buon segno. Almeno stavolta non avremmo dovuto soccorrere nessuno, e la felicità avrebbe potuto continuare a regnare sovrana in casa mia. Così, con quel singolo pensiero in testa, andai ad aprire, e ciò che vidi mi lasciò senza parole. Erano proprio loro. Rachel e Lady Fatima. Era passato ormai parecchio tempo, ma nonostante questo, Rachel ricordava ancora ciò che era successo alla sua amata durante l’ultima battaglia. Lottando per proteggersi, era inciampata e caduta in una trappola di quei mostri, e sin da allora, lei si era ripromessa di continuare a proteggerla, così che nulla del genere le fosse mai più successo. Per quanto ne sapevo, si era letteralmente salvata per miracolo, e a dirla tutta, ne ero felice. In fin dei conti, Lady Fatima mi aveva sempre aiutata sin dal giorno del mio arrivo ad Aveiron, ed io le dovevo tutto. Quello di Rachel non fu che un nobile gesto dettato dai sentimenti che provava, e che la Leader ricambiava completamente. “Le ombre sono tornate.” Ci spiegarono una volta in casa, tremando come foglie mosse dal vento. Mantenendo il silenzio, mi limitai ad annuire, e voltandomi, guardai Stefan. Proprio come me, anche lui le aveva sentite arrivare, e incrociando i loro sguardi, notò un misto di panico e dolore nei loro animi. Erano spaventate, avevano bisogno d’aiuto, e noi non gliel’avremmo negato di certo. A questo proposito, mostrai loro la camera degli ospiti, che loro accettarono senza fiatare se non per ringraziarci. Lo so, non è il Grand Hotel…” Dissi, tentando di giustificare le condizioni della stanza, buone ma non ottime. “Non fa niente, ci adatteremo.” Rispose Lady Fatima, insolitamente tranquilla nonostante fosse abituata a condizioni certamente migliori. Dal mio canto, ero mortificata. Aveva accettato, certo, ma era pur sempre una Leader, ragion per cui credevo che meritasse di meglio. Ad ogni modo, c’era una sola consolazione a tenermi compagnia. Quella sera, andai a dormire tranquilla sapendo di averle aiutate, ma nel bel mezzo della notte, non sentii che dei rumori. Approfittando del silenzio della notte, cercai di capire da dove provenissero, e in un solo attimo, tutto mi fu chiaro. A quanto sembrava, Rachel e la Leader erano ancora sveglie, e parlavano fra di loro. Le nostre stanze erano vicine, ragion per cui riuscivo a sentirle, e benchè origliare fosse sbagliato, non seppi resistere. Sapevo bene che Rachel soffriva non poco sapendo di non poterle dimostrare il suo amore, e ad essere sincera, anch’io non provavo che pena per lei. Stando a quanto mi aveva detto una volta, desiderava portare il suo rapporto con lei ad un livello superiore, e stasera si sentiva pronta. In fin dei conti, lei e Lady Fatima avevano scelto di venire ad Ascantha alla ricerca di un pò di tranquillità, e parevano esserci riuscite, ma nonostante questo, la Leader non riusciva mai a stare calma in presenza dell’amata. Parlandole, questa la pregò di farle una promessa. “Non combattiamo più, ti prego.” Piagnucolò, guardandola negli occhi e sperando nella sua comprensione. “Rachel, lo sai, dobbiamo farlo, o ci prenderanno.” Tentò di spiegarle la sua Signora, seria ma lungi dall’intristirla. In quel preciso istante, il suo piano fallì. Con gli occhi colmi di lacrime, Rachel iniziò a piangere, e continuando a guardarla, decise di parlare. “Ma io non voglio che vi prendano! Potrebbero uccidervi!” gridò, alterandosi di colpo e non prestando attenzione al tono che utilizzò nel farlo. Spostando poi lo sguardo a causa della vergogna, sfuggì dal suo campo visivo, e tirando su col naso, continuò a singhiozzare. A quelle parole, la Leader reagì subito, e afferrandole con forza entrambi i polsi la guardò con rabbia. Non disse nulla, ma la mise letteralmente con le spalle al muro. Fissandola, avvicinò incredibilmente le labbra alle sue, fino a quando la distanza che le separava non divenne minima. Timorosa fino all’inverosimile, Rachel tremava lasciandosi stringere, ma intuendo il volere dell’amata, la baciò a sua volta. Le loro labbra si scontrarono con passione, e nello spazio di un momento, la ragazza tornò alla calma. Animata poi da una forza che non credeva di possedere, chiese con la lingua l’accesso alla sua bocca, e quando questo le venne concesso, lei cambiò radicalmente, diventando un’altra persona. Aveva smesso di tremare, e finalmente poteva essere sé stessa. Molto più sicura e intraprendente, iniziò a giocare con i capelli dell’amata, che la lasciò fare respirando pur senza staccarsi da lei. L’amore che esisteva fra di loro era chiaramente palpabile, e no, non era finita. Di lì a poco, Lady Fatima la lasciò andare, ma spingendola dolcemente, la lasciò cadere sul letto. Appena un attimo più tardi, si decise. Non controllava più i suoi sentimenti, e Rachel sarebbe stata sua. Sorridendole, le rubò un nuovo bacio, e in un attimo fu con lei. Sentendosi completamente rapita dal suo sguardo, Rachel la lasciò agire, beandosi di ogni momento passato con lei. Lentamente, le perfette mani della sua Signora scivolavano sulla sua pelle, provocandole una miriade di brividi, ragion del suo ora indiscusso piacere. Le dita lunghe e affusolate la carezzavano senza sosta, aggirandosi su ogni centimetro del suo corpo. Con lo scorrere del tempo, entrambe continuarono ad amarsi, felici di essere finalmente libere. La libertà di essere e agire era sempre mancata nelle loro vite, e ora che finalmente l’avevano conquistata, non se la sarebbero certo lasciata sfuggire. Ad ogni modo, tutto accadde con romantica lentezza, e Rachel avvertì nel suo cuore la presenza di un’unica certezza. Palpitava come impazzito, e presto sarebbe letteralmente esploso, portandola a perdere ogni controllo. Innamorata e sicura di ciò che stava facendo, la Leader non accennò a fermarsi, orgogliosa di sé stessa e di come Rachel stava reagendo al suo tocco. Leggero ma adatto al giovane corpo della sua amata, che intanto non faceva che mordersi le labbra per evitare di gridare. Tutti tentativi inutili, che culminarono con alcuni gemiti d’amore, seguiti da respiri rapidi e accelerati. Ormai prossima al suo limite, Rachel lottò con tutte le sue forze per non cedere, ma raggiungendo l’apice del piacere, si accasciò sul letto, sfinita. Quella notte era forse stata la migliore delle loro vite, e benchè fossi infinitamente felici per loro, non potevo negare di essere anche ansiosa, poiché noi tutti vivevamo nelle onnipresenti mani del pericolo.
 

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Capitolo 6
*** Sul filo del rasoio ***


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Capitolo VI

Sul filo del rasoio

Notte fonda. Attorno a tutti soltanto il buio, ma nella vita di Rachel e Lady Fatima, una nuova luce. La luce del loro amore, che finalmente avevano avuto il coraggio e la possibilità di professarsi. Il giorno stava per salutarci, e loro erano nello stesso letto. Entrambe sveglie, l’una accanto all’altra. La distanza che le separava era letteralmente minima, e nel silenzio, la Leader fu la prima a muoversi. Lentamente, si voltò verso Rachel, e avvicinandosi, provò a baciarla. Seppur colta alla sprovvista, questa la lasciò fare, approfondendo quel bacio e rendendolo un momento di pura passione. Non staccandosi neanche per un attimo, giocavano l’una con i capelli dell’altra, non mettendo mai la parola fine a quelle dolci effusioni. “Tutto questo è un bellissimo sogno, Rachel.” Disse Lady Fatima, guardando la sua ragazza con i sognanti occhi di chi ama. “Lo so, ma adesso non svegliatemi.” Rispose lei, sempre rapita da quel perfetto e ipnotico sguardo color speranza che l’aveva fatta innamorare in quel memorabile primo giorno. Detto ciò riprese a baciarla, mugolando leggermente e desiderando di andare ancora una volta avanti. Ormai schiava dei suoi sentimenti, fece scivolare una mano appena sotto la coperta con gran timore, e quasi vergognandosi, si fermò. “S-Scusatemi, è che… voi siete così bella, ed io…” balbettò, penosa.” “Non devi scusarti di nulla, amore mio. È del tutto normale, in fondo so che mi ami.” La rassicurò la sua Signora, con il fare paziente e amorevole di una madre. Già, una madre. Erano ormai passati anni, ma ricordavo ancora perfettamente il triste momento in cui mi chiese di lasciare Rose in sua custodia poco prima di partire per Aveiron alla ricerca di Samira e Rachel stessa. Per quanto ne sapevo, non aveva mai avuto dei figli, ma dopo aver visto le perfette condizioni in cui l’allora neonata Rose versava al mio ritorno, mi ero convinta che quello materno fosse un istinto radicato in ogni donna, che questa avesse una prole o meno. Ad ogni modo, lei e Rachel si amavano,e per ora ad entrambe bastava questo. Ovvio era che da povera ragazza lei fosse più giovane e timida della sua amata, che al contrario era più intraprendente e meno schiva, ma stando a ciò che avevo modo di vedere, la cosa pareva non toccarle minimamente. Stavano a casa con noi da circa due giorni, e spesso le vedevo abbracciarsi senza una parola. Gesti dolci che mi scaldavano davvero il cuore, perché finalmente sostituivano i blocchi emotivi e la sofferenza di un tempo ormai andato. Incredibilmente, avevano un ottimo rapporto anche con i miei nipotini, che data forse la giovane e tenera età, si fidavano ciecamente, ammettendo anche di voler bene ad entrambe. Lienard restava sempre il cocco mio e di sua madre, ma al contrario, Erin e Cecilia si mostravano più aperte, giocando e passando del tempo sia con noi che con loro, non dimenticando mai di includere i loro pupazzi nelle loro immaginarie avventure. “A Ned Rachel stai simpatica.” Ha detto proprio oggi Erin, seduta sulle ginocchia della mamma. “Lui la conosce da tanto, sai?” ha risposto Alisia, assecondandola in questo infantile gioco. “Anche Bunny?” ha poi azzardato Cecilia, incuriosita da quella conversazione. “Certo! Sono grandi amici, come te e tua sorella.” Questa è stata la mia risposta, che l’ha fatta sorridere e spinta ad abbracciarmi. Poco dopo, tutti e tre sono tornati a giocare per il resto della mattinata, per poi sdraiarsi sul divano come cuccioli stanchi. Sorridendo, Alisia ed io abbiamo adagiato delle coperte sui loro corpicini, e con l’arrivo del pomeriggio, siamo uscite in giardino. Ormai sgombra dalla neve dello scorso inverno, l’erba era tornata al suo originario colore verde, e l’intero giardino brulicava di vita. Inizialmente, pensammo che non ci fosse nessuno, salvo poi sentire un rumore fin troppo conosciuto. Isaac era fermo in piedi, con la faretra di Rose in spalla, intento a centrare qualche bersaglio. I suoi colpi erano precisi e calcolati ad arte, ma per qualche ragione colmi di rabbia. Con un gesto, chiesi ad Alisia di tornare in casa, e preoccupata, mi avvicinai. “Isaac, va tutto bene?” biascicai, con un filo di preoccupazione nella voce. “Sì, mi sto solo allenando.” Rispose, senza staccare lo sguardo dal bersaglio che era ormai pronto a colpire. Distrattamente, sbagliò la mira, e colto da un momento di collera, rischiò di gettare la faretra in terra, fermandosi non appena si ricordò che non gli apparteneva. Difatti, era uno degli oggetti più preziosi della fidanzata, e lui non voleva romperlo. “Non ce la farò mai. Sono giorni che manco. Dov’è che sbaglio?” si lamentò, arrendendosi e non mostrando più la minima fiducia nelle sue capacità. Anche se solo per un attimo, sembrava essere tornato ai suoi undici anni, quando Rose ancora gli insegnava a usare l’arco. “Ricorda quello che ti ha detto. La mano non deve tremare.” Gli dissi, ripetendo il prezioso consiglio ricevuto anni prima dalla ragazza che amava. Sorridendo debolmente, fece un altro tentativo, e centrando perfettamente il tronco di un albero, decise di parlarmi, lasciandomi interdetta e sconvolta. “Nemmeno il corpo, zia.” Queste furono le sue parole, alle quali inizialmente non riuscii a dare un significato. Nella speranza di farlo, vi riflettei fino a sera, e prima di dormire, lo ringraziai mentalmente. Era soltanto un ragazzo, ma aveva ragione. I corpi di noi adulti tremavano per la paura, e in tempi del genere questo non doveva accadere, specialmente ora che eravamo più vulnerabili, appesi al filo di un tagliente rasoio.

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Capitolo 7
*** Trappola mentale ***


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Capitolo VII

Trappola mentale

È ancora estate, e Alisia vive ancora a casa con me. Essendo sua sorella seppur non di sangue, faccio sempre del mio meglio per aiutarla, specialmente ora che mi ha confessato di avere dei vividi ricordi di Ashton. Negativi, certo, ma pur sempre ricordi. È tutto iniziato qualche giorno fa, durante una sua visita allo studio del dottor Patrick. Vi era entrata lamentando dolori alla testa e in ogni parte del corpo, e noi eravamo lì con lei per rassicurarla, aspettando in silenzio e tensione appena fuori dalla porta. Il suo colloquio con il dottore durò per ben venti minuti, e quando uscì da quella porta non parve cambiata di una virgola. Sempre tremante, spaventata e nervosa, perfino dolorante. Pur avendola visitata, il dottore non sapeva spiegarsi il perché del suo stato di salute, ma nonostante tutto, una speranza. Come tutti sapevamo, lui e sua moglie Janet lavoravano insieme, e in alcuni casi, si era ritrovato costretto a lasciare che fosse proprio lei ad accudire i pazienti qualora lui non ci riuscisse. Non gliel’avevo mai detto, ma ad essere sincera, ne ero felice. La dottoressa Janet era competente, ma era anche una donna, e proprio per questo possedeva l’intuito femminile che ero certa avesse potuto aiutare mia sorella. Così, la pregai di fare un tentativo, e appena un’ora più tardi, una seconda visita. Questa volta, l’entrata in studio fu permessa solo ad Ilmion, che era preoccupato, ma sorrideva debolmente. Evidentemente, aveva collegato ogni sintomo con una nuova e inaspettata gravidanza, e attendeva di ricevere la lieta novella diventando poi padre ancora una volta, ma pur non volendo smorzare il suo entusiasmo, ero sicura che quello non fosse il caso. Stefan era della mia stessa idea, ma anche lui taceva. Seduti in sala d’attesa, ingannavamo il tempo guardandoci e sperando che non fosse nulla di grave, e quando dopo dieci interminabili minuti vidi la dottoressa Janet lasciare il suo studio, scattai in piedi come una molla. “Dottoressa, la prego, mi dica che sta bene.” Le mie parole la travolsero come un fiume in piena, uscendo dalla mia bocca a velocità impressionante, ma quando non rispose, e il mio sguardo incrociò quello di Ilmion, il mio viso divenne scuro come la notte. Con fare sconsolato, tornai a sedermi, e solo allora, la dottoressa decise di parlare. “È grave, ragazzi. Mi dispiace.” Disse soltanto, omettendo tutti gli importanti dettagli che desideravamo conoscere. A quel punto, il silenzio cadde nella stanza rendendoci quasi sordi. Poi, però, e con nostra grande sorpresa, una voce sottile lo ruppe come vetro. Sforzandosi di camminare, la piccola Erin si alzò in piedi, e tirando leggermente il camice della dottoressa, la guardò con occhi lucidi di pianto.”La mia mamma non morirà, vero?” chiese, mentre la voce minacciava di spezzarsi e il mento le tremava a causa della tristezza. “Cosa? No, piccola, la mamma sta bene, fidati.” Rispose la dottoressa, sorridendo e regalandole una forse falsa speranza. “Allora che significa che è grave?” proruppe Cecilia, alzandosi anche lei in piedi e unendosi alla sorella. A quelle parole, nessuno rispose, e prendendole entrambe in braccio, Stefan ed io le portammo via da lì. Ci dispiaceva vederle soffrire in questo modo, così provammo a distrarle facendole giocare nello spazioso atrio, ma nulla parve funzionare. “Non posso, non mentre mamma sta male.” Dicevano entrambe, lasciando andare i loro pupazzi e rifiutandosi di usarli come erano solite fare, per poi rannicchiarsi a piangere in un angolo. “Erin, tesoro, alzati, la mamma sta bene, davvero.” Provai a dire, tendendo alla piccola una mano perché si rimettesse in piedi. “Non ci credo. Sei bugiarda, e non mi piacciono le bugie.” Rispose, quasi urlando e rifiutando la mia mano spingendola via da sé. Con il cuore stretto in una morsa, mi allontanai e provai a fare lo stesso con Cecilia, ma senza risultati. “Bugiarda.” Mi disse anche lei, arrabbiata per quanto era appena successo. Lentamente, il tempo continuò a trascorrere, e una volta a casa, mi sentii malissimo. Mi veniva da piangere anche se non volevo, e provavo quest’orribile sensazione stando alla quale il cuore mi venisse strappato dal petto. Come ben sapevo, il sangue non mi avrebbe mai unita ad Alisia, ma i sentimenti sì, ed era proprio questo il problema. I medici dicevano che non era in pericolo di vita, ed era un bene, ma ora eravamo tutti qui a soffrire per lei. La casa in sua assenza sembrava vuota, e perfino Ilmion non sapeva più che fare. Avrebbe voluto aiutarla, ma in che modo? Nessuno lo sapeva, e pregando, restavo ancorata a quell’unica certezza. Non sarebbe morta, ma in compenso, e dati i segreti che mi aveva confidato, sarebbe rimasta incastrata in una vera e propria trappola mentale.

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Capitolo 8
*** Vendetta di fuoco ***


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Capitolo VIII

Vendetta di fuoco

Mi sono svegliata da poco, scoprendo che Alisia non dorme, e passa le notti in bianco a tremare. “Ho freddo.” Ripete spesso, con il corpo scosso da violenti tremiti nonostante siamo in piena estate. Volendo soltanto aiutarla, Ilmion non fa che porgerle delle coperte e stringerla a sé, ma ogni volta che ci prova, lei lo spinge via e rifiuta. Sembra strano, ma è come se fosse in qualche modo regredita ad uno stato precedente, tornando ad essere bambina, e detestando l’essere toccata o fissata troppo a lungo. Ad essere sincera, mi piange il cuore a vederla così, mentre rifiuta ogni affetto, incluso quello del marito e dei figli. Erano sposati da qualche anno, e avevano ufficializzato quando lei aveva scoperto di aspettare le gemelle. I loro piccoli miracoli. Così le chiamavano, sapendo che erano nate dal loro vero e puro amore, e non da uno falso e tossico come quello vissuto al fianco di Ashton. Probabilmente lo ripeterò all’infinito, ma quell’uomo era e sarà sempre un orribile mostro, e per fortuna l’avevo capito subito, e anche se dopo di me, anche lei ci era riuscita, e dopo l’arrivo di Ilmion nella sua vita, aveva deciso di lasciarlo, dedicandosi da quel momento in poi solo al suo nuovo lui. Ricorda ancora il giorno del loro primo bacio, quando oltre a quella bellissima manifestazione d’affetto aveva ricevuto anche una splendida collana. A prima vista, poteva apparire come un insignificante ninnolo senza valore, ma per lei non era così. Difatti, oltre a brillare sotto la luce del re e della regina dei cieli, recava le iniziali. Un regalo semplice, ma non per questo banale, che fino ad oggi lei non ha mai tolto. Sin dal giorno in cui si sono incontrati, il loro amore è esploso come una bomba, e nulla sembrava fermarli, almeno fino a qualche giorno fa, e a quella sfortunata visita in ospedale. Ora come ora, lei soffre psicologicamente, e Ilmion emotivamente. La ama, e benchè il desiderio di abbracciarla e baciarla sia fortissimo, sa di doversi trattenere. Parlandone con la dottoressa, ho scoperto che l’ha sottoposta a quella che lei e il marito chiamano terapia dei ricordi, addormentandola e aspettando che la sua psiche ora malata guarisse. Lo scopo era aiutarla a rimettere insieme le sue emozioni confuse e mischiate alla troppa ansia, che proprio per questo lei teneva chiuse dentro di sé. Inizialmente, lo stratagemma sembrò funzionare, e tutti insieme, speravamo che si riprendesse, fino al momento in cui un ricordo in particolare non è riemerso dai meandri della sua mente. Dolore, sangue, paura e fuoco. Queste le quattro parole che riassumevano quel così orribile evento nella sua vita, e che ripeteva ai medici in maniera quasi ossessiva. Confusa, ci pensai per qualche istante, e in un solo momento, tutto mi fu chiaro. Ero andata a fare una passeggiata con Stefan per i sentieri notturni, e camminando, non avevo sentito altro che odore di bruciato. Non dando troppo peso alla cosa, imputai la colpa a qualche onesto contadino intento a disfarsi di qualche fascio di erba secca, e una volta a casa, non avevo detto niente a nessuno, per poi ricevere in casa mia sorella e i suoi bambini. Solo allora, capii che mi aveva mentito riguardo alla sua disavventura nei boschi, e che la verità era un’altra. Stando alle parole della dottoressa Janet, Alisia aveva ricordato di essere stata violata selvaggiamente e aver visto la sua casa andare in fiamme, salvo poi fuggire e rifugiarsi presso me con i piccoli. Ora, tutto aveva un senso. Lo shock legato a quella terribile esperienza l’aveva resa refrattaria ad ogni tipo d’affetto, spingendola a odiare l’essere toccata o fissata, quasi come se questo le ferisse il corpo e gli occhi. Avendo vissuto una situazione simile solo per colpa di Maddox, posso immaginare il dolore che ha provato, sentendo nascere e crescere dentro di me una più che motivata rabbia verso quello schifoso verme di Ashton, patetica scusa d’essere umano che servendosi di mia sorella, aveva orchestrato e messo in atto una vera vendetta di fuoco.  

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Capitolo 9
*** Lucenti speranze ***


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Capitolo IX

Lucenti speranze

Così, passavano i giorni, e Alisia non migliorava. Dormiva sempre meno, e passava gran parte del suo tempo restando completamente muta e con lo sguardo fisso nel vuoto. Tutti quanti cercavamo di aiutarla, ma senza successo. Ogni volta che provavamo ad avvicinarci, lei ci spingeva via, e anche se non lo faceva con i bambini, li ignorava comunque, facendoli spaventare e preoccupare non poco. “Che cos’ha la mamma?” chiedono, confusi e spaesati dal suo nuovo atteggiamento di assenteismo mentale. “È solo stressata, lasciatela riposare.” Rispondiamo ogni volta noi adulti, mentre il tempo passa e le cose non sembrano cambiare. Per pura fortuna, i piccoli sembrano essere tornati a distrarsi e giocare, ma potrei giurare di aver visto Erin piangere qualche volta. “Zia Rain, la mamma guarirà, non è vero?” mi ha chiesto proprio oggi, con le lacrime agli occhi e il suo Bunny stretto in mano. A quelle parole, non ho risposto, ma sentendola singhiozzare mestamente, ho provato un’incredibile pena per lei, allargando poi le braccia per lasciarla avvicinare. “Vieni qui.” Le ho sussurrato, vedendola muovere qualche indeciso passo verso di me. Poco dopo, si lasciò cadere in avanti, ed io l’aiutai, abbracciandola forte. Incuriosita o forse allarmata dalle lacrime della sorella, Cecilia si è avvicinata a noi, e quando anche il suo viso fu vittima della tristezza, le strinsi entrambe a me, lasciandole piangere e sfogare fra le mie braccia. Di lì a poco, iniziai a piangere anche io, ma restando in silenzio, sperai che le bambine non lo notassero. Restammo così chiuse nella mia stanza, a disperarci per la povera Alisia e per ciò che le era successo. Era incredibile, e più ci pensavo, più sentivo quella sorda rabbia montarmi in corpo. Poi, dolcemente, qualcuno bussò alla porta. Affranta, non mi alzai per andare a controllare, limitandomi a pronunciare, con la voce spezzata da quel gran dolore, due parole. “È aperto.” Dissi controvoglia, voltandomi verso la fonte di quel rumore e non desiderando in alcun modo di essere disturbata. Passò appena un attimo, e quel qualcuno parve sentirmi. La porta si aprì lentamente, ma scoprii che si trattava di Stefan. Allontanandosi dal resto del gruppo, era venuto ad offrirci conforto, sedendosi sul letto assieme a noi. Abbracciandomi, mi sussurrò per l’ennesima volta che tutto sarebbe andato bene, ed io volli credergli, sperando ardentemente. Poco dopo, si voltò verso le nipotine, e parlando ad entrambe, confidò loro un segreto. “Le stelle esaudiscono i desideri, sapete?” Disse, avendo il piacere e la fortuna di vederle di nuovo sorridere. “Davvero? Fecero entrambe, incredule. “Sì davvero, ma dovete sperare moltissimo.” Risposi io, sorridendo debolmente. In quel mentre, mi scambiai con Stefan un’occhiata d’intesa, e lui afferrò al volo, sorridendo a sua volta. La sera ci colse poi di sorpresa, e lasciando dormire le bambine con noi, ci addormentammo pacificamente abbracciati, ma non prima di aver rivolto alla luna e al limpido cielo uno sguardo, e poi, uno ad uno, le nostre flebili ma lucenti speranze. Anche se era già caduto preda del sonno, prima di dormire ringraziai Stefan. Non sapevo se era sveglio, se avesse solo chiuso gli occhi o se dormisse, ma lo feci lo stesso, in quanto aveva dato alle bambine, in maniera dolce e creativa al tempo stesso, una ragione per sorridere e tenere duro in questa così complicata situazione, e soprattutto poiché ancora una volta, aveva dimostrato di saper mantenere la promessa che mi aveva fatto, ovvero proteggerci per sempre.

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Capitolo 10
*** Quella bestia chiamata dolore ***


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Capitolo X

Quella bestia chiamata dolore

Pacificamente, se n’era andato anche un altro mese, e con il caldo che ancora ci tediava, eravamo tutti distrutti. Pativamo l’afa, certo, ma questa non era nulla se paragonata al dolore che provavamo soltanto guardando Alisia. Ancora malata, silenziosa e persa in un mondo tutto suo, quasi incapace di comunicare con noi se non attraverso singole frasi, e in una parola, vuota. Esatto, vuota, perché era così che appariva ai nostri occhi. Un guscio che ormai non conteneva più nulla, e che vantava soltanto migliaia di minuscole crepe, sferzate dal vento della seppur muta sofferenza di mia sorella. La conoscevo, e sapevo che soffriva, nonostante ora non potesse né sembrasse in condizioni di dircelo ed esprimersi davvero. Almeno ora, ci chiamava per nome, chiedendoci poi di avvicinarci, ed era un bene, ma la cosa migliore accadeva sempre quando Ilmion si avvicinava. In quei momenti, lei tornava a sorridere e smetteva di tremare, dando ad ognuno di noi la soddisfazione di vederla felice. Ormai stanco di vedere la sua amata moglie in quelle così pietose condizioni, aveva anche lui fatto delle ricerche e parlato con i dottori, arrivando a conclusioni che nessuno di noi aveva considerato. A quanto sembrava, poteva guarire, e a servirle erano solo tempo e amore, cosa che in questa situazione, e date le sue precedenti reazioni, evitavamo di mostrarle. Difatti, vedendola così schiva e timida, tendevamo ad evitarla e rimanere fuori dal suo spazio personale, senza purtroppo renderci conto che quello era il più grande sbaglio che potessimo fare. Lei aveva bisogno di noi, e noi la ignoravamo. Interrogandomi, mi chiedevo cosa ci stesse passando per la testa, e pur non riuscendo a trovare una vera risposta, non demorsi. Decisi quindi di dare ragione ad Ilmion e aspettare, scoprendo soltanto oggi che aveva ragione. In questo mese, infatti, Alisia è proprio rifiorita, sbocciando ancora una volta come ogni fiore che si rispetti. Lentamente, ci sta concedendo sempre più libertà nei suoi confronti, riservando sempre un posto speciale nel suo cuore ad Ilmion. Ora come ora, si lascia abbracciare, e malgrado paia ancora restia a concedergli le labbra, è decisamente più aperta, e sapendolo, siamo incredibilmente felici. Come sempre il tempo scorre, e in questo assolato pomeriggio, Soren ci ha di nuovo fatto visita. In questo modo, Isaac e Rose hanno avuto modo di stare insieme, coinvolgendo stavolta anche Aaron, che proprio dalla sorella ha imparato come usare arco e frecce. Preferisce come sempre la spada, ma questo non lo ferma. Adesso ha quindici anni, e si alleno duramente insieme alla sorella e all’amico, non dimenticando mai di includere il fedele Chance. Avendo  la sua stessa età, è decisamente in là con gli anni, ma nonostante questo è sempre stoico, e seppur con tempi tutti suoi, gioca, si allena e si diverte con i ragazzi. Isaac soffre ancora di cuore, e assume le stesse pillole della madre, che fortunatamente sembrano funzionare. Tutte buone notizie, che fanno luce su un periodo buio come questo. Una volta in casa dopo gli allenamenti, Isaac ha voluto mostrarmi una cosa. Curiosa, l’ho lasciato fare, scoprendo, chiuso nel suo zaino e arrotolato come un’antica pergamena, un bellissimo disegno del bosco di Ascantha, in cui si vedeva il lago sovrastato dalle montagne innevate e l’erba vicino alla riva, che veniva brucata da due magnifici cervi. Un vero capolavoro nato dalla sua arte sapiente, per il quale lo ringraziai senza dimenticare di fargli i complimenti. “È davvero bellissimo Isaac, bravo.” Gli dissi, sorridendogli e posandogli una mano sulla spalla. Sorridendo a sua volta, mi guardò felice, e rompendo il suo silenzio, decise di parlarmi. Puoi tenerlo, è una copia.” Confessò, guardandomi negli occhi e parlando in tono neutro. Mantenendo il silenzio, non risposi, ma avvicinandomi, mi limitai ad abbracciarlo. Muto come un pesce, lui mi lasciò fare,e poco dopo, Soren lo riportò a casa. Non potendo opporsi, Rose lo salutò, e prima che potesse andarsene, gli feci una domanda. “L’originale?” chiesi, attendendo in silenzio una sua risposta. “È per mia madre.” Rispose, poco prima di voltarsi e darmi le spalle per andare a casa. A quella risposta, quasi piansi, e voltandomi, nascosi una solitaria lacrima scacciandola con la mano, e richiudendo la porta, non provai che orgoglio. In quanto figlio della mia migliore amica, Isaac faceva parte della mia famiglia, e dopo quello che aveva fatto, ero orgogliosa di lui. Prima di andarsene mi aveva sorriso, ed evidentemente lo sapeva, ma io non avrei mai smesso di ripeterglielo. Ad ogni modo, la sera calò lentamente, trasformandosi poi in nera notte, e andando a letto, notai qualcosa. Nella camera degli ospiti che avevo ora riservato ad Alisia, tutto era calmo, e sia lei che Ilmion sembravano pacificamente sdraiati l’uno accanto all’altra, ancora innamorati come il primo giorno. Allietata da quel pensiero, mi addormentai serenamente, e dopo qualche ora, mi svegliai sorpresa da alcuni rumori, scoprendo che Ilmion e Alisia non facevano che parlare. Finalmente, lei sembrava essere tornata normale, ed ero certa che suo marito non desiderasse altro. Guardandola negli occhi, le sorrideva carezzandole il viso e i capelli, senza mai smettere di ripeterle quanto l’amasse. “Mi piaci, Alisia. Mi piaci tantissimo.” Le disse, continuando a coccolarla come fosse stata una cucciola. In silenzio, lei esitò per un attimo, ma poi scelse di esprimersi. “Mi piaci anche tu, Ilmion.” Una risposta chiara e semplice, che faceva parte di un giochetto che avevano ideato quando erano ancora fidanzati. Amavano chiamarsi per nome e coccolarsi a vicenda, e conoscendoli, lo sapevo bene, e in quanto sorella di Alisia stessa, ne ero felice. In fin dei conti, era un modo come un altro di esprimere il suo amore per suo marito, e anche se di nascosto, ridevo al solo pensiero. Ad essere sincera, tutto questo mi faceva tenerezza, ma le cose cambiarono con lo scorrere dei minuti. Continuarono a carezzarsi senza sosta, fino a quando le reazioni dei loro corpi non potevano più essere negate. Dal suo canto, Alisia faceva del suo meglio per trattenersi, e Ilmion desiderava baciarla, e pur esitando, la situazione non cambiava. Si amavano così tanto da smaniare e volersi, ma qualcosa li bloccava. Una aveva ancora paura a lasciarsi andare, e l’altro temeva di osare troppo, trovandosi assieme alla sua amata in una romantica posizione di stallo. Così, i loro sguardi rimasero saldamente incatenati, e squadrandosi l’un l’altra, si domandavano mutamente chi avesse ceduto per primo. Non sopportando più la tensione, Ilmion spezzò il silenzio posando le labbra su quelle della moglie, che pur rifiutandolo per qualche istante, si calmò e lo lasciò fare, concedendogli quel passo verso la ricostruzione del loro rapporto. Tremava, certo, ma non di paura, e lentamente, iniziò a desiderare di più. Lo amava, non riusciva a negarlo, e lo voleva davvero. Lo stesso valeva per Ilmion, che l’aveva resa sua sposa per la sola ragione di starle accanto per sempre. Evitando in tutti i modi di staccarsi da lui, lei mugolava baciandolo, e respirando affannosamente. Quando finalmente si allontanarono l’uno dall’altra, si concessero del tempo per riprendersi, e non appena questo parve scadere, ripresero da dove avevano interrotto. Così, continuarono a baciarsi, e ormai sicuro di ogni sua mossa e del volere della moglie, Ilmion agì d’impulso, arrivando, in quella calda notte d’estate, a renderla inequivocabilmente sua. Intanto, lei non faceva che guardarlo. Non in maniera volgare e lussuriosa, certo, ma al contrario dolce e romantica, a tratti perfino supplichevole. In fin dei conti, anche lei voleva averlo, e ora che i suoi ricordi e le sue emozioni avevano trovato il giusto posto nel mosaico della sua vita, non se lo sarebbe lasciato sfuggire. Ancora avvinghiata a lui, gemeva contorcendosi sotto il suo tocco, arrendendosi inevitabilmente dopo che il suo corpo raggiunse il limite del piacere. Soltanto allora, entrambi crollarono sfiniti, addormentandosi l’uno al fianco dell’altra e cullati dall’ora calmo e regolare battito dei rispettivi cuori. Nel silenzio della mia stanza, confessai a me stessa di essere felice della coppia che formavano, un legame forte e puro al tempo stesso, che aveva finalmente ucciso e annientato definitivamente quella bestia chiamata dolore.

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Capitolo 11
*** Messaggi in bottiglia ***


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Capitolo XI

Messaggi in bottiglia

Per nostra fortuna, il caldo aveva deciso di concederci una meritata tregua, permettendoci finalmente di respirare senza boccheggiare. Alisia è finalmente guarita, e non potrei essere più felice. È stata dura, ma alla fine ce l’ha fatta. Pensandoci, non posso fare a meno di definirla coraggiosa. Ne ha passate tante, perfino troppe, ma non si è mai arresa, e ora che è riuscita a tornare sui suoi passi ed essere sé stessa, siamo tutti orgogliosi di lei. Io per prima in quanto sua sorella, e Ilmion in special modo. È suo marito, e l’ha sposata perché la ama, e come mi ha detto una volta, starle accanto è la cosa migliore che potesse capitargli. Ora come ora, il tempo passa, e benchè a prima vista un estraneo potrebbe pensare che la sua situazione si sia risolta, purtroppo non è così. Stando ai miei ricordi e alla realtà, Ashton ha letteralmente ridotto la sua casa in cenere, bruciandola dopo averla violata selvaggiamente. Tutto questo mi giunge incredibile, e mi fa arrabbiare come poche cose a questo mondo. So bene che la mia rabbia non riporterà le cose alla normalità, ma nulla mi vieta di essere inviperita con quel mostro. È strano a dirsi, ma sono così in collera che le mani mi prudono, e mentre il tempo scorre, stiamo cercando di capire cosa fare per aiutarla, anche se per ora non riusciamo a cavare un ragno dal buco. Seduta vicino alla finestra, rifletto in silenzio, e abbassando lo sguardo, mi concentro sul disegno di Isaac. È una bellissima rappresentazione del bosco di Ascantha, e nonostante sia una copia, lo apprezzo moltissimo. Anche se da poco, un assolato pomeriggio ha preso il posto del mattino, e con la luce diurna che mi fa compagnia, sorrido. La felicità ha fatto di nuovo ingresso nelle nostre vite, e al solo pensiero, sorrido. Non sono sola, ma il silenzio mi sovrasta, e improvvisamente, una voce dolce e quasi angelica mi distrae. Si tratta di Erin, che stringendo il suo coniglietto di pezza in mano, mi guarda. Quel pupazzo è ormai vecchio, certo, ma ancora bianco e soffice come era in origine. Avvicinandosi, la piccola sorride leggermente, e andando alla ricerca della mia mano per stringerla con dolcezza, nota il disegno che anch’io sto ammirando. “Che cos’è?” mi chiede, ingenua e curiosa come sempre. “È un disegno del bosco, tesoro.” Risponde qualcuno alle mie spalle, cogliendomi alla sprovvista e facendo le mie veci. Confusa, mi volto, ed è allora che la vedo. Silenziosa come mai prima, Alisia ha lentamente fatto il suo ingresso nel salotto di casa, apparendo come un fantasma e spaventandomi non poco. “Possiamo andarci?” azzarda la bambina, desiderosa di uscire e scoprire il mondo attorno a sé. Piombando nel silenzio, non seppi davvero cosa dire, e guardandola, andai alla ricerca della sua approvazione. Sapevamo entrambe che il bosco era fonte di calma e tranquillità, ma in questo periodo non era certo un luogo accogliente. Forse stavamo esagerando, e forse ci sbagliavamo, ma volevamo proteggere i bambini dagli eventuali pericoli che la natura poteva nascondere. Non ci riferivamo a ortiche, edere velenose o radici sporgenti, ma alla minaccia che i Ladri potevano rappresentare. Per quanto ne sapevo, avevano iniziato a nascondersi nella selva sperando di non destare sospetti, e noi avevamo paura. “Erin, piccola, oggi non…” Biascicò sua madre, non riuscendo a trovare le parole adatte a spiegarle la complessità della situazione. “Per favore, mamma! Per favore!” prese a piagnucolare la piccola, tentando in ogni modo di convincerla. Mostrandosi irremovibile, Alisia negò con dolcezza, ma nulla sembrò funzionare. Difatti, anche Cecilia si unì alle suppliche, e poco dopo fu il turno di Lienard. Ormai stanca di sentire le loro preghiere, alla fine cedette, e prendendo per mano una delle bambine, acconsentì a portarle nel bosco. Poco prima di uscire, informai Stefan, e questo insistette per venire con noi, non volendo assolutamente lasciarmi da sola. Annuendo, gli mostrai un sorriso, e prendendogli la mano, mi incamminai con lui verso la porta di casa. Proprio allora, qualcuno parve notarci. “Dove andate? Posso venire anch’io?” chiese Aaron, sperando di ottenere il permesso. Con fare indeciso, guardai per un attimo Stefan, che restando in silenzio, non si mostrò contrario. Solo allora, mi strinsi nelle spalle, e con un gesto della mano, lo invitai a seguirci. “E noi?” Disse una voce poco distante, che alle mie orecchie giunse come femminile.” Voltandomi, non vidi che Rose e Terra, ormai grandi ma sempre pronte all’avventura. “D’accordo.” Mi limitai a dire, ripetendo quel gesto con la mano e dando poi inizio al nostro viaggio verso il bosco. Camminavamo da poco, ed eravamo quasi fuori dal giardino di casa, quando improvvisamente, un uggiolio in lontananza ruppe il silenzio e la nostra concentrazione. Era Chance, padrone del nostro giardino, legatissimo a tutti noi e triste all’idea di vederci andar via. Avvicinandosi, Terra provò a consolarlo facendogli una frettolosa carezza sulla testa, e non appena si voltò, il cane riprese a lamentarsi. Non voleva star solo, e ci stava letteralmente pregando di portarlo con noi. A quella vista, fui mossa a compassione, e avvicinandomi a mia volta, gli diedi il permesso di seguirci. Di lì a poco, Chance iniziò a trotterellarci dietro, nonostante l’ormai avanzata età e un leggero dolore alle zampe. Una volta arrivati, una sorpresa. Soren e Isaac erano già lì, entrambi impegnati ad allenarsi utilizzando i bersagli e i manichini ancora in piedi nel campo di allenamento messo in piedi dalle due Leader. Salutandoli, li abbracciai entrambi delicatamente, notando che Isaac portava sempre con sé il suo zaino. Vi conservava i suoi effetti personali, incluso il capolavoro creato per la madre, che custodiva gelosamente. Forse ancora arrabbiato per quanto le era successo, sferrava ogni colpo di spada con forza incredibile, e lo stesso valeva per il modo in cui scoccava le sue frecce. Guardandolo, provavo pena per lui, e tentando di evitare che la tristezza si impossessasse di me, guardavo i bambini, tutti intenti a giocare e acchiapparsi. Correvano affidando le loro risate al vento, e i loro sorrisi mi rendevano felice. Abbassando lo sguardo per un solo attimo, mi abbandonai ad un sospiro. Quella di oggi era una giornata tranquilla, e ne ero felice, ma non riuscivo a smettere di pensare ad Isaac. Aveva diciassette anni, ed era ormai quasi un adulto, ma nonostante tutto, il dolore per la perdita della madre era ancora vivido e presente nel suo povero animo ferito. Notandomi, Stefan si sedette al mio fianco fra l’erba, e cingendomi un braccio attorno alle spalle, mi strinse e attirò a sé. “Su, non è successo niente, sii felice.” Mi disse, guardandomi negli occhi e regalandomi poi un sorriso. Quasi ignorandolo, sfuggii dal suo sguardo, ma stringendomi la mano con forza, quasi mi fece male. Volendo soltanto difendermi, tornai a guardarlo, e proprio allora, Stefan mi prese il mento con due dita, costringendomi a fissarlo fino a quando le nostre labbra non si incontrarono. Il nostro fu un bacio veloce, nulla di più, e nonostante lo stato in cui versavo, lo accettai in silenzio, sorridendo debolmente al solo scopo di non deluderlo. In fin dei conti, voleva solo vedermi felice, ed io gli avrei dato questa soddisfazione. Appena un attimo dopo, lo baciai ancora, e nel momento in cui mi staccai da lui, Stefan mi fece una domanda. “Tu ti fidi di me, non è vero?” mi chiese, sorridendo per la seconda volta e stringendomi la mano con forza ancora maggiore. “Certo.” Risposi, con voce tanto bassa da risultare quasi inudibile. “Brava, mia principessa.” Disse poi, stringendomi in un abbraccio che non mi aspettai ma che non disdegnai affatto. Stando a quanto ricordavo, non mi chiamava in quel modo da tempo, e stare fra le sue braccia era sempre bellissimo, proprio come la prima volta. Soltanto allora, riuscii finalmente a rilassarmi, e ammirando il tramonto di fianco al mio lui, notai che le bambine erano venute a unirsi a noi proprio sotto la grande quercia dove ora sedevamo. Al contrario di loro, Lienard era ancora impegnato a correre fra l’erba e giocare con il padre, che nel suo zaino aveva infilato anche un pallone da calcio. Aveva soltanto cinque anni, ma quando voleva, quel bambino sapeva essere un vero terremoto. Per quanto ne sapevo, l’iperattività nei più piccoli non era un problema, anche se a volte perfino Ilmion e Alisia messi insieme avevano problemi a controllarlo. Nonostante questo, sopportavano con pazienza tutti i suoi guai e le sue marachelle, non mancando però di infliggergli punizioni adatte ad uno scalmanato bimbo della sua età. “Non voglio stare nell’angolo!” gridava, quando i genitori gli imponevano di restare fermo con il viso rivolto verso il muro senza parlare con nessuno. “Non voglio andare in camera mia!” diceva, tutte le volte che Ilmion o Alisia lo mandavano nella sua stanza privandolo dei suoi giocattoli perché riflettesse su ciò che aveva fatto. Mai nulla di grave, come rompere un piatto o un bicchiere o scrivere su un muro, ma che doveva evitare comprendendo i suoi errori. A quel solo pensiero, sorridevo. Ricordavo bene di aver cresciuto Aaron alla stessa maniera, fra giochi, abbracci, sorrisi e pianti. Lo punivo per le sue marachelle, certo, ma gli volevo bene lo stesso. Ad ogni modo, e poco prima che il sole sparisse definitivamente dal cielo, Soren mi chiamò a sé con un gesto della mano, e vedendomi allontanarmi, Stefan e i bambini mi seguirono. Di lì a poco, ci ritrovammo tutti di fronte al laghetto del bosco, in piedi vicino alla riva. Nel silenzio, nessuno disse nulla, ma poco dopo, Isaac mosse  qualche passo in avanti. Aprendo il suo zaino, ne estrasse il suo disegno, e assieme a questo, una bottiglia di vetro. Inizialmente, non capii cosa stesse accadendo, ma tacendo, lasciai che la situazione continuasse ad evolvere davanti ai miei occhi. Con una calma a mio dire mostruosa, Isaac arrotolò di nuovo quel disegno, e lo inserì nella bottiglia, che poi affidò alla calma acqua del lago. Un gesto nobile e bellissimo, e una vista alla quale quasi piansi. Stropicciandomi un occhio con la mano, tentai di impedire la fuga di alcune lacrime, e pur fallendo, potei contare sull’appoggio del mio intero gruppo. Notando lo stato in cui versavo, Stefan mi strinse a sé e porse un fazzoletto, che utilizzai subito per asciugarmi gli occhi. “Perché l’ha fatto?” chiese Erin, confusa e stranita da quel gesto, ai suoi occhi inusuale. “La sua mamma non c’è più, e lui voleva mostrarle il disegno, così l’ha messo nella bottiglia, che un giorno il lago porterà in paradiso.” Rispose Alisia, abbassandosi al livello della bambina così da poterle toccare la spalla. Annuendo, questa sorrise leggermente, poi mosse qualche incerto passo in avanti, e pur rischiando di cadere, sfidò l’acqua per raccogliere un fiore, che poi affidò ai flutti. Subito dopo, la poverina iniziò a piangere, e tutti cercammo di consolarla. “Quindi è vero? Se n’è davvero andata?” azzardò poi Cecilia, presente per la sorella ma triste anche lei. “Sì, e mi dispiace, tesoro mio.” Le risposi, quasi inginocchiandomi per poterla guardare negli occhi. Vispi e azzurri come il mare e uguali a quelli della sorella, brillano, ma solo a causa di alcune lacrime che minacciano di uscire. Sta per piangere, ed io l’abbraccio, lasciandola sfogare. “Volevo conoscerla.” Piagnucolò, lamentandosi fra le mie braccia per la morte di una persona a lei estranea che era comunque riuscita a toccarle il cuore. Accorgendosi delle lacrime della bambina, Chance le si fece vicino, e leccandole il viso, cercò di farla sorridere. Non appena ci riuscì, parve sorridere anche lui, sedendosi accanto alla sua nuova piccola amica e rotolandosi in terra per farsi accarezzare la pancia. Un comportamento dolce e giocoso al tempo stesso, che nel linguaggio dei cani poteva significare soltanto una cosa. “Ti voglio bene, e mi fido.” “Chance, cagnolino stupidino.” Lo apostrofò lei, ridacchiando e inginocchiandosi fra l’erba per realizzare il suo desiderio. Così, appagato e felice, il cane tirò fuori la lingua fino a farla penzolare fuori dalla sua stessa bocca, muovendo ritmicamente una zampa mentre Erin lo accarezzava. Lo faceva sin da quando era un cucciolo, e stava a indicare che quello che stava accadendo gli piaceva da matti. A quella scena, risi di gusto, e poco dopo, mostrai a Chance il suo guinzaglio. La sera era ormai calata, e nonostante lui ci avesse in qualche modo aiutati cambiando leggermente l’atmosfera, era ormai ora di tornare a casa. Sedendosi composto di fronte a me, lasciò che agganciassi il guinzaglio al suo collare, che poi passai a Stefan perché fosse lui a controllarlo. Sin da quando era arrivato a casa, si era legato moltissimo a tutti noi, ma in modo particolare ad ognuno dei miei figli, o con chiunque fosse in difficoltà, come Isaac con i suoi problemi di cuore o Erin e Cecilia, piccole e fragili in quanto bambine, sue nuove amiche e nuovi membri di quello che lui considerava il suo branco. Il viaggio di ritorno a casa fu lungo, ma una volta arrivati, Stefan ed io andammo subito a letto, addormentandoci l’uno fra le braccia dell’altra, dopo aver detto addio ad una cara amica come Samira fra fiori, preghiere e messaggi in bottiglia.

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Capitolo 12
*** Quello che il cuore desidera ***


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Capitolo XII

Quello che il cuore desidera

Era di nuovo piena notte, ed io non dormivo. Per una volta non era colpa della mia ormai famosa ansia, né del caldo che finalmente non ci opprimeva come prima, ed era una notte tranquilla, Aveva piovuto, e l’odore della pioggia mi rilassava sempre, a volte fin quasi a farmi assopire, ma non oggi. Ero infatti sveglia, e al contrario di me, Stefan dormiva.  Voltandomi, non feci che guardarlo, non poi a darmi un freno e posando una mano sulla coperta accanto a lui. Riposava tranquillo e indifeso come un neonato, e innamorata di lui da tempo ormai immemore, non riuscivo a distogliere lo sguardo. Senza accorgermene, presi ad accarezzarlo sorridendo in silenzio e beandomi di quei momenti di calma, che per qualche strana ragione calmavano anche me. Lo amavo alla follia, e dopo tutto quello che avevamo passato, era come se il nostro rapporto fosse passato in secondo piano. Esisteva ancora, ma i momenti che trascorrevamo da soli erano sempre meno, e ogni volta a causa di un problema che si presentava e che dovevamo risolvere. Ad essere sincera, avevo nostalgia dei tempi andati, in cui esistevamo solo noi due e il nostro amore, che ora invece dovevamo bilanciare con la vita da guerrieri. Combattere al suo fianco era un vero onore, ma io desideravo ben altro, ed ero certa che lui fosse del mio stesso avviso. Rimasi lì a coccolarlo passandogli le dita su un braccio infinite volte, e all’improvviso, la magia si spezzò. Svegliato e incuriosito dal mio comportamento, Stefan mi guardo confuso, ed io, mortificata, non seppi cosa dire. Mantenendo il silenzio, mi limitai a fissarlo a mia volta, e fu allora che un sorriso gli si dipinse in volto. Non disse una parola, ma per tutta risposta, mi afferrò la mano con delicatezza, baciandone le dita ad una ad una. In quell’istante, sentii il viso andarmi a fuoco, e malgrado tentassi di non mostrarlo, la cosa non passò inosservata ai suoi occhi. Sempre stringendomi la mano, se la pose sul petto, e poi, rompendo il silenzio che c’era fra di noi, mi fece una domanda. “Lo senti?” mi chiese, lasciandomi interdetta per qualche secondo. “È il tuo cuore.” Risposi esitante, per poi scivolare di nuovo nel mutismo più profondo e assoluto. “Esatto, e batte solo per te.” Mi disse, regalandomi un nuovo e luminoso sorriso. A quelle parole, avvampai ancora, sentendomi così emozionata da non riuscire a respirare. Facendomi coraggio, la baciai, non prestando la minima cura a niente e nessuno. Lasciandomi fare, partecipò a quel bacio con passione, e non appena ci staccammo, tornai muta. “Tu mi… mi ami ancora, giusto?” biascicai, in preda al confuso e furioso battito del mio cuore, sempre incapace di controllarsi quando ero con lui. Scivolando nuovamente nel silenzio, mi aspettai una risposta che non arrivò mai, poiché Stefan mi posò un indice sulle labbra. “Non parlare, senti e basta.” In quel momento, il mio intero corpo tremava, e non sapevo cosa aspettarmi. Lo conoscevo, ed era vero, ma in alcuni casi sapeva essere davvero imprevedibile. Di lì a poco, si avvicinò e premette le sue labbra sulle mie, dando inizio ad un bacio che mi colse impreparata. Chiudendo gli occhi, sussultai per un attimo, salvo poi tornare alla calma e concedergli quel così romantico azzardo. Respirando a fondo, assaporai le sue labbra e quel magnifico istante, che ad essere sincera non volevo avesse fine. Fermandosi, lasciò che fossi io a condurre, e baciandolo a mia volta, schiusi la bocca, aprendola per lui. Soddisfatto, si staccò da me, per poi decidere di cambiare obiettivo. Continuando a baciarmi, fece scivolare le labbra su ogni centimetro del mio corpo, provocandomi una miriade di intensi brividi, che non controllai ma ai quali non mi sottrassi. Tremavo ancora, ma non ero spaventata e lo lasciavo fare, guardandolo osare e spingersi sempre più in basso, concedendosi poi calcolate pause che mi lasciavano pronta e accesa di desiderio per lui. Sembrava strano, ma era come se una parte di me, esistente ma sopita, stesse gradualmente tornando in superficie. La parte di me che lo amava configgeva ora con una più nascosta e per così dire oscura. La passione fra di noi si era riaccesa come fuoco che ardeva caldo dopo un incendio, e mentre il mio corpo era tutto un fremito, e rimanevo ferma sotto il suo completo controllo, mi lasciavo guidare dai sentimenti, iniziando a smaniare. In altri termini, lo volevo, e non avrei atteso oltre. In quegli attimi di puro amore, era come se il mio corpo lo reclamasse, e lui doveva saperlo. Intanto, il mio respiro si era fatto irregolare e quasi affannoso, ma guardandolo, espressi la mia ormai chiara volontà, che alle sue orecchie giunse come un ordine. “Prendimi, Stefan, prendimi ora e fammi tua. Dissi con voce calma e suadente, vedendolo poi reagire quasi subito. Fu quindi questione di attimi, e a labbra serrate per non gridare, iniziai a sentire la pressione del suo corpo contro il mio. Era pronto almeno tanto quanto me, ed io non aspettavo altro. Dì lì a poco, mi possedette in maniera quasi spasmodica, e in quell’attimo, sussultai. Sicuro di sé e delle mie reazioni, indice del piacere che intanto continuava a darmi, ripetè quel gesto con maggior forza, e sussultando ancora, gemetti, non preoccupandomi di nascondere ciò che realmente provavo. Raggiunsi poi il vero apice del piacere, e poco prima di tornare a dormire, mi sentii incredibilmente appagata e felice. Non succedeva ormai da lungo tempo, ma ancora una volta, ci eravamo amati fino a donarci completamente l’uno all’altra e appartenerci a vicenda, senza alcun rimorso data la realtà dei nostri sentimenti. Quella notte al suo fianco mi aveva spossata svuotandomi di ogni energia, ma lo amavo, e poco importava. Sognando, non ebbi che continui flashback di tutta la nostra vita insieme, e una volta sveglia la mattina dopo, meditai se registrarlo nel mio diario o meno. Dopo aver riflettuto, decisi di non farlo, concludendo che avrei solo sprecato il mio tempo. In fin dei conti, perché farlo se sapevo che nessuno avrebbe mai potuto togliermi dalla mente e dal cuore i ricordi del nostro amore? Non aveva un senso, e quando anche Stefan fu in piedi, lo salutai con calore, regalandogli un bacio che parve non aspettarsi. Accettandolo senza proteste, mi augurò il buongiorno e rispose posandomi le labbra sulla fronte, gesto che non compiva da molto. Abbracciandolo delicatamente, sorrisi, e dopo la colazione, andai con lui nel giardino di casa. I ragazzi erano tutti fuori per gli allenamenti, eccezione fatta per Erin e Cecilia, spinte dal padre sull’altalena che Stefan aveva costruito per entrambe. “Più in alto, papà! Più in alto!” Gridavano, ridendo divertite. Cercando di accontentarle, Ilmion faceva il possibile, pur stando sempre attento a non esagerare. Erano bambine, e una sola distrazione poteva significare dolore per entrambe. Difatti, sarebbero potute cadere facendosi male, ma proprio per questa ragione Alisia era lì vicina a loro, così da poterle aiutare in caso di bisogno. E così, le due bimbe continuarono a lasciarsi spingere su quell’altalena, fino a quando Erin non utilizzò troppa forza nel muoversi, e perdendo l’equilibrio, non cadde fra l’erba. Alisia era con lei, e l’aiutò subito a rialzarsi, ma questo non le evitò una ferita alla gamba. Niente di grave, era soltanto un graffio, ma la piccola piangeva per il dolore, e prendendola in braccio, Alisia le evitò di camminare. Insieme, le due tornarono in casa, e Cecilia le seguì con velocità, troppo preoccupata per la sorella per restare a giocare in giardino. Allarmata dal pianto della bambina, andai con loro così da medicarla, e subito dopo tornai fuori per controllare i ragazzi. Per pura fortuna, tutto sembrava andar bene, o almeno così pensavo. Erano tutti lì ad allenarsi, e ne ero felice, ma la vista di Aaron lontano dagli altri mi colpì non poco. “Aaron, che ti succede?” chiesi, avvicinandomi e badando di non essere troppo invadente. “Niente.” Rispose, allertando subito i miei sensi di madre. Tentando di convincerlo a parlare, lo chiamai per nome, ottenendo per pura fortuna il risultato sperato. Sospirando, mio figlio si rialzò da terra, e guardandomi negli occhi, si decise a dirmi la verità. “È Ava. Non la vedo da molto, e… e mi manca, sai?” disse in tono nettamente mesto, abbassando poi lo sguardo e puntandolo sul terreno. A quelle parole, provai una strana stretta al cuore,e avvicinandomi, tentai di consolarlo. L’abbraccio che seguì quell’istante fu fortissimo, e non appena si sciolse, gli posai una mano sulla spalla. “Un giorno la rivedrai, ne sono certa.” Gli dissi, sperando di riuscire a riportare un sorriso sul suo volto. “Grazie mamma, sei la migliore.” Rispose, sorridendo e raggiungendo gli altri al centro del giardino. Non muovendo un muscolo, restai in disparte, ma di lì a poco, lo vidi sorridere e scagliar frecce con Rose. I nostri sguardi si incrociarono un’ultima volta, e lasciandolo da solo con le sue sorelle, tornai in casa. Per pura fortuna, Erin si era già ripresa dalla caduta, e ora giocava felice sul tappeto. Sorridendo, la guardai divertirsi senza dire una parola, ma poi Alisia spezzò il silenzio. “Che aveva Aaron?” mi chiese, incerta e dubbiosa. “Non vede da molto un’amica, e ne sente la mancanza.” Risposi onestamente, non potendo mentire e far passare mio figlio per un bugiardo. “Rain, io non la conosco, ma se era così triste forse c’è un altro motivo.” Continuò lei, lasciando forse inconsapevolmente che un dubbio mi si insinuasse nelle membra. “Ovvero?” azzardai, con la mente governata mille incertezze. “La ama. Si è innamorato, non riesci a capirlo?” replicò, per poi tacere e sorridere, sollecitando l’interesse delle bambine. Avvicinandosi, si sedettero con noi sul divano, e dopo pochi istanti, Erin ebbe il coraggio di farci una domanda. “Che cos’è l’amore? Ci chiese, mostrando un ingenuo sorriso e una luce negli occhi. “È qualcosa di bellissimo, tesoro, e forse un giorno lo proverete anche tu e Cecilia, sai?” rispose Alisia da brava madre, alimentando le già solide speranze delle piccole, che a soli quattro anni d’età, avevano dei sogni tutti loro. “Come quello che senti per papà? O come zia per zio Stefan?” azzardò poi la stessa Cecilia, interrompendo la sorella ma desiderando una risposta. “Proprio così, piccola.” Dissi io, sentendomi chiamata in casa non appena la bimba pronunciò il nome di mio marito. “Va bene, adesso è ora di riposare.” Proruppe poi Alisia, guardandole entrambe stropicciarsi gli occhi mentre giocavamo. “No, non ci va!” si lamentarono, puntando i piedi e corrugando le fronti e i visi in smorfie di disappunto. “La mamma ha ragione, signorine, ora a letto, avanti.” Mi intromisi, dando manforte a mia sorella e aiutandola con le bambine. Prendendo in braccio Erin, la portai nella sua cameretta, e mettendola a letto, mi allontanai. “No, aspetta.” Mi pregò la bambina, tirando leggermente una manica del mio vestito. “Sì?” azzardai, tornando da lei per controllare cosa volesse. “Quando succederà? Quando potrò innamorarmi anch’io?” fu la sua domanda, che mi colse alla sprovvista facendomi letteralmente sciogliere. “Erin, questo io non posso saperlo, ma sappi una cosa. Tu e tua sorella siete brave bambine, e un giorno potrete avere tutto quello che il vostro cuore desidera.” Dissi a entrambe, sedendomi su uno dei loro lettini e voltandomi per guardarle negli occhi. “Proprio tutto? Anche l’amore?” chiese Cecilia, con la solita voce dolce e tenera di sempre. “Anche l’amore.” Le feci eco io, sorridendo e alzandomi in piedi per andar via e lasciarle riposare. “Buonanotte, zia.” Dissero in coro, parlando all’unisono come le gemelle che erano. La sera non era ancora scesa, ma erano abituate a dormire nel pomeriggio, così le lasciammo fare, e una volta fuori dalla loro stanza, Alisia decise di parlarmi. “Sei bravissima con loro. Come ci riesci?” domandò, colpita dal mio modo di fare con i più piccoli, tenero e gentile almeno tanto quanto i bambini stessi. “Io non faccio niente. Sono le piccole ad essere angeli.” Dissi, sorridendole e avvicinandomi per tentare di abbracciarla. Sorridendo a sua volta, lei mi lasciò fare, e tornando a sedermi in salotto con lei, mi rilassai preparando e bevendo del tè. Ovvio fu che gliene offrii un pò, e con l’arrivo della sera, andai a letto felice e tranquilla, estendendo anche ad Aaron il mio desiderio di felicità. Aveva soltanto quindici anni, e non sapendo se Alisia avesse ragione o meno, ma nel caso in cui ce l’avesse avuta, io avrei sicuramente appoggiato la sua scelta, ovvero volare libero come un uccello nel cielo della libertà.

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Capitolo 13
*** Uno sguardo al futuro ***


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Capitolo XIII

Uno sguardo al futuro

Mattina presto. Già in piedi da brava mattiniera, sedevo alla mia scrivania. Non scrivevo, ma ero ancora intenta ad ammirare il bel disegno regalatomi da Isaac. Proprio come l’originale, la mia copia era firmata dal giovane autore, e leggendo il nome di quel talentuoso artista, sorrisi. A quanto sembrava, aveva finalmente accettato la morte della madre, e ora appariva in pace con sé stesso. In quanto suo padre, Soren era felice per lui, e lo stesso valeva per Rose, sua amatissima fidanzata. Come ben sapevo, erano cresciuti insieme, erano cresciuti insieme, e anche prima del loro fidanzamento, trascorrevano moltissimo tempo insieme. Ovvio era che la tensione e il dolore perdita li avesse temporaneamente allontanati, ma era normale, perché il dolore a volte agisce proprio in questo modo. Una cosa del genere era già capitata ad Alisia, nel periodo in cui sempre per colpa di quel verme di Ashton non riusciva ad essere felice neanche dopo la nascita del suo primo figlio. Per fortuna, era riuscita a riprendersi, e come mi diceva spesso, era solo grazie a me se era ancora viva. Non aveva mai considerato il suicidio certo, ma ad essere sincera, avevo davvero temuto per lei. In quei giorni la vedevo sempre triste e sola, e mi sentivo come se ogni giorno in cui la vedevo avrebbe potuto essere l’ultimo. Grazie al cielo, non si è mai andata fino in fondo, e ancora oggi gliene sono grata. Difatti, se davvero fosse accaduto, io avrei perso una sorella, Lienard una madre e Ilmion una moglie. Sarebbe stata una catena, che il tempo purtroppo non sarebbe riuscito a spezzare. Ad ogni modo, ora tutto andava bene, e sia Rose che Isaac erano di nuovo vicini. Io ne ero felice, e notavo che fra un abbraccio e una carezza, non facevano che sorridere. Sempre l’uno accanto all’altra, non si separavano mai, arrivando a fare letteralmente ogni cosa insieme. Il loro era un esempio di amore vero, che traspariva anche sul campo di allenamento o di battaglia. Quando si allenavano a scagliar frecce contro bersagli ben costruiti, lei non gli staccava mai gli occhi di dosso, in parte perché innamorata e in parte perché occupata a controllare le sue precarie condizioni di salute. “Non voglio perderlo, mamma. Significa troppo per me.” Mi aveva confessato già una volta, dopo averlo visto svenire e cadere con un tonfo fra l’allora fredda erba del giardino. Ricordo che era inverno, e che dopo averlo visitato e aiutato a scaldarsi a dovere, Stefan aveva imitato suo padre, provando a formulare una diagnosi, che dopo alcune ricerche e altrettante acute osservazioni, si rivelò corretta. Non era nulla di grave, né dipendeva dal suo cuore, ma bensì dalla mole di lavoro a cui si era sottoposto. In altre parole, stress. Conoscendolo, sapevo che allenandosi si impegnava a fondo, e che dava davvero il meglio di sé, ma c’era un problema. Se si scaldava troppo, crollava in quel modo e stava male. Fortuna voleva che non accadesse spesso e che Rose fosse sempre lì per lui, così da poterlo soccorrere come aveva già fatto, salvandogli letteralmente la vita. Scuotendo la testa, mi liberai di quei ricordi, e tornando al presente, mi resi conto che il sole faticava a splendere. Era nascosto da alcune nuvole, e a quanto sembrava, stava per piovere. Aprendo la porta di casa, chiamai subito Chance per farlo rientrare, attendendo pazientemente prima di richiuderla. Entrando, non mi fece le feste come era solito fare, e benchè la cosa non mi preoccupasse data la sua ormai avanzata età, ero convinta che qualcosa non andasse. Ormai non era più il cucciolo di un tempo, e lo sapevo bene, ma più questo passava, più io ci facevo caso. I bambini erano affezionati a lui, e lui a loro, e in cuor mio speravo che stringesse i denti ancora per un pò. Non avevo mai avuto un animale prima, e sebbene fossi adulta, l’eventualità di perderlo mi spaventava, facendomi anche soffrire. Per questa ragione, lo accarezzavo ogni volta che potevo, e lo lasciavo fare anche ai piccoli, sapendo che un giorno ci avrebbe lasciati. Chiudendo gli occhi, li strinsi con forza, tentando di distrarmi e pensare ad altro. Fortunatamente, ci riuscii guardando fuori dalla finestra. La pioggia aveva iniziato a cadere, ma ero fiduciosa, poiché la felicità faceva ancora parte delle nostre vite, e nonostante ogni sfida e battaglia, potevamo tutti dare uno sguardo al futuro, cosa che Trace, Terra, Rose e Isaac facevano già da tempo, sperando, un giorno, di poter coronare i propri sogni.

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Capitolo 14
*** Umana compassione ***


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Capitolo XIV

Umana compassione

Sono calma, e mi sembra di essere tornata indietro nel tempo. Piove, e alzando lo sguardo dalle pagine del libro che sto leggendo, non vedo che piccole gocce di pioggia scivolare sul vetro dell’ora chiusa finestra. Ci ha colto di sorpresa, ma poco importa. Quello odierno è un giorno completamente normale, ma non riesco a capire cosa stia accadendo. Tutto attorno a me e così calmo da apparire irreale, e la cosa più strana è che questo scenario mi riporta indietro ad una parte importante della mia vita. Terra aveva appena compiuto due anni, e la minaccia dei Ladri aveva raggiunto anche Ascantha. Credevamo di essere al sicuro, ma questo era vero solo in parte. Come ben sapevamo, la città aveva un’ottima reputazione, tanto da essere considerata un vero paradiso, ma ora ogni cosa sembrava vacillare. La pioggia non accenna a smettere di scrosciare, e mentre leggo, Chance mi si avvicina. Ha in bocca il suo guinzaglio, e mugolando leggermente, spera che riesca a sentirlo. In silenzio, mi volto verso di lui, ma pur notandolo e capendo cosa vuole, non realizzo il suo desiderio. Vorrebbe uscire e sgranchirsi un pò nonostante le intemperie là fuori, ma io lo ignoro. “No, Chance, niente passeggiata. Dissi, dopo alcuni attimi passati a guardarlo. Alle mie parole, il cane si mostrò scontento, ma nonostante tutto non si arrese, andando per tutta risposta a sedersi davanti alla porta, per poi riprendere a uggiolare e aspettare che l’aprissi. Ferma e irremovibile, continuai a ignorarlo, immergendomi nella lettura e quasi dimenticando la sua presenza. Anche se per poco, lui parve desistere, ma non appena un lampo illuminò il cielo, seguito da un tuono, ricominciò ad agitarsi, abbaiando e guaendo come un ossesso. Allarmata dal suo comportamento, lo guardai. Era strano a dirsi, ma non riuscivo davvero a capire cosa gli stesse accadendo. Conoscendolo, sapevo che era sempre stato un cane molto tranquillo, che non abbaiava quasi mai, ma ora sembrava essere diventato un cane diverso. I temporali non l’avevano mai spaventato, e pensandoci, compresi che stava cercando di dirmi qualcosa. Alternava latrati a guaiti, e sembrava davvero soffrire, tentando in ogni modo di convincermi ad aprire la porta. Confusa da quanto stava accadendo, rimasi lì paralizzata, e quando anche Stefan entrò in salotto accorgendosi di tutto quel baccano, mi decisi. In fin dei conti, era il nostro cane, e non ci aveva mai mentito, quindi perché avrebbe dovuto farlo ora? Con uno scatto fulmineo, afferrai il suo guinzaglio, e una volta indossati i cappotti, Stefan ed io ci limitammo a seguirlo. Il selciato su cui camminavamo era fradicio e scivoloso, ma a noi non importava. Sicuro di essere sulla pista giusta, Chance annusava l’aria e il terreno, emettendo fra un passo e l’altro, corti latrati e guaiti di dolore. L’avevo accanto da anni, ed ero sicura di non averlo mai visto così. Ad ogni modo, il nostro viaggio alla scoperta dell’ignoto continuò spedito, fino a quando il cane non si fermò di colpo nel bel mezzo della piazza principale. Attorno a noi non c’era nulla che fosse davvero degno di nota, e la pioggia cadeva ancora incessantemente, ma poi, qualcosa accadde. Correndo nonostante l’età e il dolore alle zampe che sapevo lo limitasse non poco nei movimenti, Chance ci trascinò in un vicolo buio e stretto, fissando poi lo sguardo su alcune scatole di cartone ammassate le une sulle altre. Tirando forte il guinzaglio, mi costrinse a seguirlo, e non appena fummo abbastanza vicini, lui si calmò. Un debole latrato abbandonò le sue labbra, e in quel momento, un vero e proprio miracolo. Nascosta fra quegli scatoloni, infatti, stava una cagnetta bagnata e provata dal freddo, in compagnia di ben quattro cuccioli. Ad essere sincera, non sapevo se Chance fosse davvero il padre di quei poveri piccoli, e guardandolo, provai pena per lui e per la sua amica. “Aiutatela, vi prego.” Sembrava dire, guardandoci con quei suoi profondi occhi marroni ora colmi di dolore e tristezza. Incerta sul da farsi, guardai per un attimo Stefan. A labbra serrate, lui non disse una parola, ma poco dopo si decise, abbassandosi piano per non spaventarla. “Su, vieni.” Disse a quella dolce cagnolina, così spaventata da non riuscire a muoversi. “Avanti, non ti faremo del male.” La incoraggiò poi, mostrandogli una mano amica. A quella vista, la bestiola si ritrasse, ma incitata anche dallo stesso Chance, parve farsi più coraggiosa. Muovendo qualche incerto passo in avanti, la poverina uscì dal suo nascondiglio, con i piccoli che piangevano e zoppicavano verso di lei in cerca del suo latte, loro unico cibo. Non appena si rimise in piedi, potei vederla chiaramente, scoprendo che versava in condizioni orribile, le stesse del caro Chance nel giorno del nostro primo incontro. Era magra, sola e guardinga, e gli occhi scuri imploravano aiuto. Avvicinandomi, provai a farle una carezza, notando con piacere che ora aveva smesso di tremare e aver paura. Evidentemente, doveva aver capito che eravamo lì per aiutarla, e non per farle del male come supponevo molta altra gente avesse fatto. Non era ferita, ed era un bene, ma nonostante la vista dei suoi poveri cuccioli affamati, mai nessuno pareva essersi fermato per prestarle soccorso. Carezzando quella dolce bestiolina, le parlai dolcemente, sussurrandole poi una frase all’orecchio. “È il tuo giorno fortunato, piccola.” Una frase semplice e ordinaria, ma che per quella cagnetta significava molto. Per tutta risposta, infatti, mi leccò una mano, e di lì a poco, il nostro cammino verso casa ebbe inizio. Non appena ci voltammo, però, una voce nel buio ci colse di sorpresa, spaventandoci a morte. “Avete fatto bene. Questa situazione porta alla luce il peggio nella gente.” Disse, avendo come unico potere quello di farci letteralmente gelare il sangue nelle vene. “Non preoccupatevi, vi aiuterò io, voi pensate alla mamma.” Disse poi, camminando lentamente verso quei dolci cuccioli, che ora avevano smesso di seguire la mamma piangendo spaventati in un angolo di quel vicolo. Non sapendo cos’altro fare, Stefan ed io ci limitammo ad annuire, e di lì a poco, i cuccioli trovarono riparo nella stessa scatola in cui erano nati. Così, camminammo lentamente fino a casa, e con ogni passo, mi chiedevo chi fosse la ragazza che ci stava seguendo. Era vestita completamente di nero, e portava un cappuccio dello stesso colore. Rimanendo in silenzio, non proferivo parola, ma dovetti ammettere che il modo in cui vestiva la faceva somigliare a una Ladra. Non arrestando il mio cammino, mi concessi del tempo per pensare, concludendo solo allora che non poteva essere una di Loro. Silenziosa come mai prima, tenni per me i miei pensieri, e non appena arrivammo a destinazione, lei si voltò per andarsene. “Aspetta, dicci almeno chi sei!” la pregò Stefan, afferrandole un polso e costringendola a voltarsi. “Solo se mi aiuterete.” Rispose lei in tono serio, guardandoci entrambi. “Cosa? Ma non sappiamo…” provò a replicare Stefan, rimanendo poi interdetto per alcuni secondi. “D’accordo.” Proruppi io, mettendo fine al silenzio e mostrandole la mano perché me la stringesse. “Saggia decisione, Rain.” Disse poi, completando quella frase con il mio stesso nome. “Come fai a conoscermi?” non potei fare a meno di chiedere, incredula. “Ti spiegherò tutto più tardi.” Rispose, facendo sempre uso di quel tono tanto serio da risultare quasi rude. Ripiombando nel mutismo, la lasciai andare, e poco prima di richiudere la porta di casa, la guardai allontanarsi finchè non uscì dal mio campo visivo. Ero sconcertata. Non avevo idea di chi fosse quella ragazza, eppure avevo accettato di aiutarla, dandole fiducia solo dopo averla vista aiutare quei cagnolini. Se l’aveva fatto doveva esserci una ragione, e lei doveva forzatamente possedere un buon cuore. Rientrando in casa, tentai di mettere insieme i pezzi di quel complicato enigma, non avendo però nessuna pista da cui partire né nessun indizio a cui appoggiarmi. Sembrava strano, ma per ora tutto ciò che sapevo di lei si basava su un gesto insperato di aiuto e umana compassione.

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Capitolo 15
*** Di mistero in mistero ***


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Capitolo XV

Di mistero in mistero

Un solo giorno ci aveva abbandonato fuggendo da noi come un criminale dalla polizia, e proprio questa mattina, qualcosa ci ha sconvolto. Myra, la cagnolina che Stefan ed io abbiamo salvato è ancora viva e vegeta, ma ciò non vale per tre dei suoi cuccioli. Appena arrivata a casa, si è, sotto il grande albero nel nostro giardino, proprio al fianco di Chance. Non era il padre di quelle dolci creature, certo, ma lei lo considerava tale. Inaspettatamente, lo stesso Chance ha imparato a ricoprire il ruolo di padre molto in fretta, prendendosi cura di quei cuccioli come se fossero suoi. Appena ieri, tutto sembrava andar bene, ma oggi, le cose sono cambiate. C’è da dire che non ce l’aspettavamo, ma alla fine è successo, senza che noi potessimo fare nulla a riguardo. L’altra sera, la pioggia ci ha di nuovo fatto visita, e in quella notte, piovosa ma apparentemente tranquilla, la nostra nuova e piccola ospite non ha fatto che piangere e guaire incessantemente. Da bravo compagno e padre adottivo, Chance le è rimasto accanto per tutto il tempo, e mentre credevamo fosse solo spaventata, al risveglio l’abbiamo vista. Accucciata sotto a quell’albero, tremante come una foglia ma sempre vicina alla vecchia scatola di cartone dove si era riparata in precedenza. Confusa dal suo comportamento, oggi mi sono avvicinata per controllare, e solo allora, mi sono resa conto di tutto. Nei suoi occhi c’erano un misto di paura, dolore e tensione, e tutto questo per un solo motivo. Aveva perso tre dei suoi cuccioli, e benchè soltanto uno fosse scampato alla morte restando vivo in una stagione come l’autunno, in cui ogni singolo essere vivente lotta per esistere e andare avanti dopo i rigori del freddo inverno, lei non riusciva a gioirne. Per fortuna lo allattava ancora, ma guardandomi, continuava a chiedermi aiuto. Indecisa sul da farsi, corsi subito in casa a chiamare Stefan, scoprendo dipinta sul suo volto la mia stessa espressione. Eravamo entrambi preoccupati, ed io quasi non riuscivo a parlare. “I cuccioli, presto!” dissi soltanto, perdendo improvvisamente la calma e trascinandolo con me in giardino. Nella corsa, rischiai di cadere, ma una volta tornata alla cuccia di Myra, la guardai implorare aiuto. Agendo d’istinto, strappai pare della coperta su cui riposava, e prendendo in braccio uno dei piccoli, iniziai a strofinare energicamente. L’avevo imparato dalla dottoressa Janet, e pur sapendo che non era una veterinaria, avevo scelto di fidarmi. Stando ai miei ricordi, una manovra simile aveva funzionato su Isaac quando era soltanto un neonato, perciò provare non costava nulla. Con quello stratagemma, speravo di riattivare la circolazione del cucciolo e liberargli le vie respiratorie, e dopo alcuni istanti, il mio gesto parve sortire l’effetto sperare. Finalmente, il piccolo respirava, e il suo pelo non era più freddo come ghiaccio. Imitandomi, Stefan si prese cura di un secondo cagnolino, e io del terzo, poi del quarto, e solo dopo, mi sentii sollevata e felice. Anche se con un gesto quasi disperato, avevo salvato la vita di quei cagnolini, che grazie a me e a Stefan avevano vinto la loro battaglia contro la morte, tornando a far parte del mondo dei vivi. Inutile è dire che quella fu una mattinata di vero fuoco, ma nonostante tutto, il pomeriggio fu fortunatamente migliore. Difatti, Alisia e i bambini si svegliarono da un buon sonno ristoratore, e incredula, mi chiesi come non avessero potuto accorgersi di nulla. Riflettendo, compresi che erano solo bambini di cinque e quattro anni d’età, che fra pochi giorni, per uno di loro sarebbero diventati sei. Proprio così, sei. Era quasi incredibile, eppure Lienard stava crescendo in fretta, ed ero convinta che sarebbe stato felicissimo di festeggiare il suo compleanno e scartare i suoi regali. “Che cos’era tutta quella confusione?” mi chiese Alisia, avvicinandosi e sbadigliando a causa della stanchezza. “Vieni con me.” Risposi, invitandola a seguirmi con un gesto della mano. Obbedendo a quella sorta di ordine, lei mi raggiunse in giardino, dove le mostrai Myra e i suoi piccoli. Appena scampati alla morte, quattro cuccioli di circa due mesi di vita, dal pelo bianco  a macchie nere. All’apparenza tutti uguali, eccetto uno. Il più piccolo del gruppo, completamente nero a focature marroni. Un vero brutto anatroccolo, che nonostante la sua diversità dai fratelli, non era affatto brutto. Speciale, come io preferivo dirlo. “Per Lienard.” Dissi poi, guardando prima lei e poi i cuccioli, ora impegnati a giocare fra di loro e tormentare la povera madre, che ora aveva deciso di lanciarsi anche lei nella mischia e cercare di farli divertire. “Sul serio?” mi chiese Alisia, incerta e dubbiosa. “Certo. È un modo come un altro di imparare cosa sia l’amore, non credi?” risposi, fornendole con quelle parole una spiegazione che lei accettò sorridendo. “Hai ragione da vendere, sai?” mi disse poi, voltandosi a guardarmi e regalandomi un secondo sorriso. Imitandola, non proferii parola, e dopo alcuni attimi di silenzio, la sentii parlarmi. “Ti voglio bene.” Disse soltanto, per poi scivolare di nuovo nel mutismo. Un abbraccio ci unì facendoci avvicinare, e stringendola a me, le risposi. “Ti voglio bene anch’io, sorellina.” Queste le parole che pronunciai mentre il pomeriggio mutava in imbrunire, seguite da un suo profondo silenzio spezzato solo dal leggero sibilo del vento che intanto si era alzato, costringendoci poco dopo a tornare in casa. “Non avranno freddo?” osservò lei, poco prima di rientrare in casa, volgendo lo sguardo verso quei dolci cagnolini. “No, tranquilla. Myra è una brava madre, e in più mi fido di Chance.” La rassicurai, per poi avvicinarmi e chiudere la porta. Subito dopo, mi sedetti con Stefan sul divano di casa, vedendolo alzarsi al solo scopo di accendere il caminetto. La sera stava calando, ed eravamo certi che il freddo non avrebbe tardato ad arrivare, così lo lasciai fare, e aggiornando in fretta il mio diario, rimasi lì seduta. Dopo la cena, andammo tutti a letto, e ammirando il cielo notturno punteggiato di luminose e benevolenti stelle, mi chiesi per quanto ancora avrei dovuto continuare a sforzarmi di vivere una vita tranquilla mentre passavo di mistero in mistero.

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Capitolo 16
*** Flebile ma vera luce ***


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Capitolo XVI

Flebile ma vera luce

Contrariamente agli altri, non dormivo. Mi agitavo nel letto da ore, provando anche l’irrefrenabile impulso di piangere. Non volendo svegliare nessuno, mi lamentavo in silenzio, sperando con tutto il cuore di non essere sentita. Fra una lacrima e l’altra, mi abbandonavo a sospiri e mugolii di tristezza, che dopo poco tempo, vennero chiaramente ascoltati e percepiti da Stefan. Come ben sapevo, dormiva accanto a me sin dal giorno in cui ci eravamo fidanzati, e mi conosceva meglio di chiunque altro, ragion per cui nascondergli qualsiasi segreto che mi riguardasse era completamente inutile. “Rain, cosa c’è? Un altro incubo? Mi chiese, accostandosi a me e stringendomi a sé con delicatezza. “No, non stanotte. Non dormo da ore, non vedi?” risposi, alterandomi non poco a causa di quella semplice domanda. “Dai, sta calma e dimmi che è successo. Sai che puoi fidarti, no?”continuò lui, stringendomi a sé con forza ancora maggiore e spronandomi a dirgli tutta la verità. “Non è colpa di nessuno, è che davvero non ce la faccio più. Segreti, enigmi, bugie, io non… non lo sopporto, capisci?” Dissi, aprendomi come un antico portale e scaricando ingiustamente su di lui la tensione che in tutto quel tempo avevo accumulato. Nel tentativo di resistere e restare lucida, mi concentravo sulle cose belle della vita, come la presenza dei miei nipoti o dei miei figli, i rapporti con i loro rispettivi fidanzati, e sì, anche Chance. Un povero cane vecchio e stanco, ma nonostante tutto ancora con noi. Conoscendomi, Stefan lo sapeva bene, e non appena mi sedetti sul letto per calmarmi e tentare di respirare, lui mi imitò, non staccandomi gli occhi di dosso neanche per un secondo. “Mi dispiace, Stefan, credimi, mi dispiace tanto. Piangere invece di reagire è sciocco, ma non ci riesco, e in fondo sai come vorrei vivere!” continuai, arrivando quasi a urlargli tutto il mio dolore in faccia ma fermandomi appena in tempo. “Tesoro, lo capisco benissimo, e anch’io vorrei vivere in quel modo, e anche se ora non possiamo, ricorda una cosa. Io sono qui per te, e ci sarò sempre, quindi basta aver paura, va bene?” mi rispose, per poi scivolare nel silenzio e stringermi forte le mani. Con gli occhi ancora velati dalle lacrime, alzai lo sguardo fino ad incontrare il suo, e solo allora, lui si avvicinò per baciarmi. Troppo triste e stanca per lasciarlo fare, mi ritrassi dando inizio a una metaforica fuga dal suo affetto, ma il mio Stefan non volle sentire ragioni. Non avrebbe mai osato costringermi ad amarlo, chiaro, ma era sicuro che una notte al suo fianco avrebbe agito da panacea contro ogni mio dolore. Non era la prima volta che funzionava, e in parte non potevo che dargli ragione, ma in quel momento, non ero davvero in vena di romanticismo. In altri termini volevo stare da sola con i miei pensieri, sperando che il sonno mi rubasse la coscienza e il buio mi inghiottisse per sempre. Continuando a insistere, però, Stefan prese a baciarmi, e non appena le sue labbra toccarono le mie, provai una sensazione conosciuta, ma comunque classificabile come una delle migliori mai provate in vita mia. Lentamente, un appagante calore mi invadeva il corpo, e con ogni movimento di Stefan sopra di me, faticavo letteralmente a respirare per l’emozione. Gliel’avevo detto migliaia, forse milioni di volte, ma lo amavo moltissimo, e anche in situazioni del genere, in cui la tensione prendeva possesso di ogni muscolo e ogni nervo del mio corpo, non riuscivo mai a negarmi a lui. Mi stringeva, mi baciava, mi chiamava per nome e diceva di amarmi, tutto con uno stile unico, che lui adottava ogni volta che eravamo insieme. Se si trattava di consolarmi, mi parlava come in genere si parla a una bambina, ed io non lo disprezzavo, ma quando invece si trattava di avere momenti intimi come questo, diventava diverso, desideroso di amarmi fino allo sfinimento. Inutile dire che l’apprezzassi, e che lasciandomi romanticamente controllare da lui, accettassi qualsiasi cosa. I teneri ma roventi baci sulle labbra e sul collo, le carezze lente e misurate con cui mi faceva tremare tutto il corpo, e perfino il modo in cui, con decisione e dolcezza al tempo stesso, prendeva possesso di me, facendomi arrivare, spossata ma felice, al vero apice del piacere. Succedeva ormai da anni, ma stando a come mi sentivo in sua presenza, ogni volta era davvero uguale alla prima, colma dell’amore e della passione irrefrenabile e quasi violenta che aveva caratterizzato la nostra prima notte. Quell’ennesimo rapporto mi lasciò svuotata come una conchiglia affidata alla spiaggia dalle onde del mare che con acuta testardaggine abbracciavano ogni volta la costa, ma felice come poche persone a questo mondo. Ero senza respiro, e non avevo neanche più la forza di parlare, ma nonostante questo, spesi le mie ultime energie nel baciarlo. “Ti amo, amore mio.” Gli dissi poi, osando muovere una mano per scostargli i capelli dal viso. “Ti amo anch’io, mia piccola goccia di pioggia.” Rispose, ricambiando quel bacio e dandomi ancora modo di ascoltare il battito del suo cuore, ancora furioso nonostante la calma che ci aveva avvolti scendendo nella stanza. Avvertendo quelle pulsazioni, sorrisi, e prendendo l’iniziativa lo baciai ancora, non esitando ad approfondire quel bacio e cercare di incitarlo a fare lo stesso. Obbedendo a quel mio muto ma a suo dire dolce ordine, catturò le mie labbra con le sue, e dando inizio ad un ultimo bacio, si staccò da me, ma solo per ammirare la bellezza dei miei occhi e dei miei capelli, che come mi aveva detto una volta, erano assieme al mio viso la cosa che amava di più. Poco dopo, prese a solleticarmi una spalla, poi i seni e l’area circostante. Innamorata come sempre, lo lasciavo fare, gemendo solo occasionalmente di fronte alle sue azioni. Era strano a dirsi, ma a volte controllarmi mi era davvero difficile. Lui lo sapeva bene, e ogni volta faceva del suo meglio per rendermi felice anche in quel frangente. Il suo non era sadismo, certo, e neppure lussuria, ma soltanto amore, puro e vero amore. “Non mi lascerai mai, vero?” azzardai, con sguardo serio e un improvviso lampo di paura negli occhi. “Mai.” Rispose soltanto, avvicinandosi lentamente a me al solo scopo di prendere fra le dita la collana che mi aveva regalato e che ancora indossavo e conservavo gelosamente. “Voliamo insieme…” iniziò, lasciando quella frase in sospeso così che io la completassi. “O non voliamo affatto.” Conclusi, sorridendo e facendo unire le nostre labbra ancora una volta. “Proprio così. Ora dormi, e non pensarci più.” Mi disse, fornendomi un utile consiglio che avrei tentato in tutti i modi di seguire. Di lì a poco, mi accoccolai sotto le coperte come una bianca e serafica gatta, con lui che passò interminabili minuti a carezzarmi i capelli. Un’azione davvero rilassante, che in più occasioni mi aveva aiutata ad assopirmi. Annuendo lentamente, chiusi gli occhi, e augurandogli la buona notte, mi addormentai, avendo appena il tempo di vedere la luce della luna infrangersi sui nostri corpi, proiettando ombre che non ero in grado di vedere. Scivolando nell’incoscienza, feci sogni tranquilli e felici, riuscendo finalmente a far tacere l’infinta eco dei miei pensieri, più insistenti di quanto credessi. L’avevo scritto molteplici volte nel mio diario, ma mi sentivo davvero fortunata ad avere Stefan. Come ricordavo, e come peraltro non avrei mai dimenticato, aveva promesso di proteggermi, e a distanza di anni, ci stava riuscendo perfettamente. Parlando con Alisia, avevo scoperto che si sentiva allo stesso modo quando era con Ilmion, e lo stesso discorso era applicabile a Samira con Soren e Rachel con Lady Fatima. L’avevo letto in un libro di favole quando ero piccola, ma sin da allora, ero sempre stata convinta di una cosa. L’amore è un incantesimo dalla potenza benefica e devastante, capace di obliterare qualunque altro sentimento negativo. Un approccio alla vita forse poco realistico, ma al quale grazie a Stefan restavo saldamente aggrappata, sperando, una volta raggiunta la fine di questo lungo  e metaforico tunnel, di incontrare una flebile ma vera luce.
 

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Capitolo 17
*** Vecchi e nuovi amici ***


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Capitolo XVII

Vecchi e nuovi amici

Una settimana. Sette lunghi giorni che erano ormai trascorsi, scomparendo dalle vita di ognuno di noi. Dopo qualche giorno di rinfrescante pioggia, il sole è tornato a splendere, e quello odierno, è per qualcuno un giorno speciale. Il compleanno di Lienard. Il primo dei miei nipotini, fratello maggiore di Erin e Cecilia. Contrariamente a loro, che hanno ancora cinque anni, lui oggi ne compie sei, e malgrado sia mattina presto, è già in piedi. Non ha dormito, ma solo perché era troppo eccitato all’idea di scartare i suoi regali. In piedi come lui, noi adulti gli stiamo accanto, e proprio questa mattina, Alisia ha scelto di preparargli una torta. Ricoperta di cioccolato, proprio come gli piace. “Grazie mamma.” Disse, sorridendole e zampettandole intorno come un passerotto mentre lei si occupava ad accendere le sue candeline. Per l’occasione, c’eravamo davvero tutti, incluso Basil, che ne aveva approfittato anche per vedere di nuovo Isaac, e scoprire che gran bel ragazzo il tempo lo aveva fatto diventare. Alla sua vista, Basil l’abbracciò forte, e poi fece gli auguri al bambino, presentandosi anche alle sorelline. Timide come mai prima, loro esitarono, ma sotto il consiglio della madre, si presentarono a loro volta, sorridendo con la bocca e con il cuore. “Sei carina, sai?” disse Basil a Cecilia, abbassandosi al suo livello e pizzicandole una guancia. “E io?” s’intromise allora Erin, triste perché completamente ignorata dal nuovo arrivato. “Lo sei anche tu, è ovvio.” Rispose lui, sorridendole al solo scopo di confortarla. Di lì a poco, le candeline sulla torta vennero accese e poi spente da Lienard con un soffio, e subito dopo, ci spostammo tutti in giardino. Lui non lo sapeva, ma il suo regalo migliore, che avrebbe surclassato perfino i suoi tanto amati dinosauri di plastica, ricevuti dal padre adottivo appena l’anno prima, era proprio lì fuori. In qualità di mio complice in questa sorpresa, Stefan ci guidò sapientemente fino al giardino, per poi allontanarsi da noi e sollevare una scatola chiusa da sotto un albero. Camminando, si avvicinò di nuovo, e posandola a terra, sorrise. “Avanti, aprila. Incuriosito, Lienard mosse qualche incerto passo in avanti, abbassandosi per cercare di toccarla. Proprio in quel momento, qualcosa si mosse al suo interno, e per un attimo, temetti che l’intera sorpresa venisse rovinata. Leggermente spaventato, il bambino si ritrasse, e non volendo che aiutarlo, Alisia lo affiancò in quel momento così speciale. Con un gesto della mano, guidò la mano del figlio finchè la scatola non si aprì, e in quel preciso istante, tutto gli fu chiaro. Dalla scatola in questione, infatti, uscirono zampettando i  cuccioli di Myra, vicini alla madre ma desiderosi di scoprire il mondo circostante. “Cuccioli!” gridarono le gemelle, felici tanto quanto il fratello. “Sono per noi?” chiese poi Lienard, confuso e gioioso al tempo stesso. In silenzio, non feci che sorridere, e dopo qualche secondo passato a scambiarsi con me veloci occhiate d’intesa, Alisia prese la parola. “Potete sceglierne soltanto uno.” Disse, rivolgendosi ai bambini in tono dolce e serio. A quelle parole, i piccoli non risposero, e limitandosi a giocare con i cuccioli, finirono letteralmente per ignorare noi grandi. Rimanendo vicini, li guardavamo divertirsi, giocando a lasciarsi inseguire da quegli adorabili cagnolini. Fra un passo e l’altro, questi abbaiavano, e inciampando, Lienard cadde rovinosamente fra l’erba. Inizialmente, pensai si fosse fatto male, ma poi lo vidi ridere assieme alle sorelle, anche loro inginocchiate per terra con i cuccioli. Ridevano divertendosi tutti come matti, e poco dopo, Alisia li chiamò a sé. “Allora, avete scelto?” chiese, attendendo in silenzio una qualsiasi risposta. Non sapendo cosa dire, i bambini la guardarono, per poi spostare lo sguardo su quelle dolci creaturine. A loro dire tutte bellissime, e così adorabili da impedirti di decidere. Il loro silenzio si protrasse calando su tutto il giardino, e in quell’istante, il cucciolo dal pelo nero si fece avanti, abbaiando con insistenza. Seppur non volendo, i bambini avevano finito per ignorarlo, e quel piccolo animale non riusciva ad accettarlo. “Ci sono anch’io.” Sembrava dire, continuando ad abbaiare finchè Alisia ed io non lo guardammo. Rispondendo a quella sorta di richiamo, Lienard lo guardò a sua volta, e puntando il dito nella sua direzione, si decise. “Quello!” disse infatti, più convinto che mai. “Sì, quello!” risposero le sorelle, dandogli manforte. Quasi a voler di nuovo farsi sentire, il cucciolo abbaiò ancora, avvicinandosi poi alle gemelle. Abbassandosi, Cecilia lo prese in braccio, poi raggiunse la mamma. “È pesante!” si lamentò, facendo uno sforzo per tenerlo con sé e mostrandolo alla madre. Con un sorriso stampato sul muso, il cagnolino le leccò il viso in maniera giocosa, guardandola poi con i suoi occhioni scuri. “E anche bavoso.” Continuò, consegnando quella piccola peste alla madre e pulendosi leggermente il viso con la mano. Guardandola, Alisia si lasciò sfuggire una risatina, e in quel preciso istante, Ilmion comparve sulla scena. “Gli manca soltanto un nome.” Osservò, per poi scivolare nel silenzio e concentrarsi sui bambini. In silenzio, ci pensarono per un attimo, poi Lienard ebbe un’idea. “Max.” Disse soltanto, decidendo in quel momento il nome del cagnolino. Incuriosito, Ilmion si avvicinò, e dopo averlo accarezzato, diede ragione al figlio. “Sì, Max. Mi piace.” Rispose, sorridendo e scompigliando la zazzera bionda del bambino. A quel gesto, lui non si ritrasse, e sorridendo, si mostrò felice. La sera scese poi lenta, e al momento di rientrare in casa, anch’io fui felice almeno tanto quanto lui e le sue sorelle. Insieme alla sua intera famiglia, aveva festeggiato il suo sesto compleanno, e tutti avevamo qualcosa di cui essere orgogliosi. Lui aveva appena visto un suo desiderio realizzarsi, ed io avevo finalmente rincontrato Basil. In altre parole, quelle giornata era stata caratterizzata dalla presenza di vecchi e nuovi amici.

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Capitolo 18
*** Ritorno al campo ***


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Capitolo XVIII
 
 
Ritorno al campo
 
 
Era passato soltanto un giorno, e i miei nipotini non facevano altro che divertirsi con il loro nuovo amico Max, ma oggi Cecilia si è avvicinata alla madre, ponendole una domanda che non mi sarei aspettata. “Mamma, ma se noi ora abbiamo Max, chi avrà gli altri cagnolini?” le chiese, guardandola con fare preoccupato e aspettando in silenzio una qualunque risposta. “Troveranno un’altra casa, tesoro.” Rispose lei, sorridendole gentilmente. “Dici davvero?” continuò Erin, curiosa e incerta al tempo stesso. “Certo!” la rassicurò Alisia, regalando un sorriso anche a lei. Da quel momento in poi, il silenzio calò nel salotto di casa, venendo rotto come vetro solo da un leggero uggiolio del cucciolo. “Sei proprio sicura? Max non sembra felice.” Azzardò Lienard, da bravo padroncino preoccupato per il suo piccolo amico. Provando istintivamente pena per entrambi, mi avvicinai lentamente, e abbassandomi al suo livello, cercai di rassicurarlo a mia volta. “Lienard, andrà tutto bene, fidati della mamma.” Gli dissi soltanto, per poi invitarlo a tornare a giocare. Anche se svogliatamente, il bambino obbedì, e nonostante il suo cagnolino fosse felice di poter trascorrere del tempo con il suo padroncino, lui non lo era affatto. Non sapevo perché, ma non sopportava l’idea che quell’adorabile cucciolo venisse separato dai fratelli. Pensandoci, ricordai che era soltanto un bambino, e una parte di me finì per dargli ragione, ma poi, con l’arrivo del pomeriggio, un colpo di genio. Poteva sembrare strano, ma ero certa che Lady Bianca avrebbe potuto aiutarci. Stando ai miei ricordi, aveva permesso a Terra di andare a scuola quando era bambina, e aveva come unico scopo quello di aiutare i meno fortunati. Certo, in genere si trattava solo di persone e non di animali, ma come ben sapevo, tentare non costava nulla. “Ho la soluzione.” Dissi, tornando nel salotto dove i bambini passavano la maggior parte del loro tempo. Contrariamente a loro, Max era spompato e dormiva, mentre loro non facevano che giocare. Erin e Cecilia si fingevano mamme delle loro bambole di pezza, mentre Lienard faceva da generale ai suoi soldatini di plastica. Una scena tenera, che non avrei davvero voluto interrompere, ma che incontrò una fine prematura a causa del mio piano. A quelle parole, Alisia si limitò a guardarmi, e anche i piccoli smisero di giocare, curiosi. “Il campo è il posto perfetto per loro.” Continuai, decisa. “Campo? Quale campo?” chiese Lienard, incerto e dubbioso. “Tranquillo, non è un brutto posto, anzi. Le persone lì sono felici, e lo saranno anche i cagnolini.” Rispose sua madre, posandogli una mano sulla spalla e sorridendo debolmente. Davvero? Allora andiamo!” Dichiarò Erin, decisa. Guardandola, mi sentii orgogliosa del suo ottimismo, e guardando per un attimo Stefan, lo vidi annuire, segno che anche lui approvava il mio gesto. Di lì a poco, uscimmo di casa, portando con noi la scatola contenente i cuccioli e la loro mamma. Avendo due mesi, erano più che pronti per essere adottati e allontanati da lei, ma eravamo tutti convinti che portarla con noi sarebbe stata la cosa giusta da fare. In fin dei conti, Myra era una brava madre, e sapevo che avrebbe dato la sua stessa vita per i suoi cuccioli. Così, il nostro viaggio verso il campo di Lady Bianca ebbe inizio, e dopo un tempo che nessuno di noi riuscì a definire, eccolo. Proprio di fronte a noi, esattamente come lo ricordavano. C’erano tende sparse ovunque, e brulicava di vita, e ad essere sincera, io ne ero felice. Significava che Lady Bianca aveva fatto un buon lavoro, e che le supposizioni di Alisia si erano rivelate corrette. Difatti, anche se povera, la gente lì era felice. Fra un passo e l’altro, Stefan ed io ci guardammo intorno, andando costantemente alla sua ricerca. In completo e perfetto silenzio, aguzzai la vista, poi finalmente la vidi. “Lady Bianca!” chiamai, sollevando un braccio perché riuscisse a notarmi. Incontrando il mio sguardo, lei sorrise, e correndo subito verso di noi, ci salutò con calore. “Rain! Stefan! Avete compagnia, vedo.” Osservò, in tono gioviale e quasi scherzoso. “Sì, e hanno bisogno di una famiglia.” Intervenne Cecilia, tenera ma giusta. “Lasciateli a me, me ne occuperò io.” Le rispose la Leader, con un sorriso leggero ma rassicurante al tempo stesso. Fidandosi, Cecilia le mostrò la scatola con dentro i cagnolini, che lei sollevò e portò con sé vicino ad una delle tende che aveva messo in piedi. Seguendola, mantenemmo il silenzio, e guardandomi intorno, credetti di vedere qualcosa, o per meglio dire qualcuno. Sempre vestita di nero, la stessa ragazza che ci aveva aiutato in precedenza. La riconobbi quasi subito, e accorgendosi che la stavo fissando, sfuggì dal mio sguardo, quasi spaventata. Nel farlo, non si accorse di non avere più il cappuccio, e solo allora, potei riconoscerla chiaramente. Era lontana abbastanza da essere confusa con le altre genti, ma io ero sicura di me stessa, e sapevo che la vista non m’ingannava. “Ava?” la chiamai, incredula. Spostando lo sguardo, lei iniziò a correre, allontanandosi ulteriormente da noi e mescolandosi alla folla. Mi aveva vista, ma per qualche strana ragione, sembrava aver paura di me. Perché fuggiva? Di che cosa aveva tanta paura? Non lo sapevo, ma ero intenzionata a scoprirlo. Correndo, iniziai a inseguirla, e non appena fui abbastanza vicina da toccarla, le afferrai un braccio. Per niente contenta, lei cercò di divincolarsi, ma ogni sforzo fu inutile. “Ava, ti prego, calmati, sono io, Rain.” Le dissi, lasciando andare il suo braccio e cercando di rassicurarla. “So benissimo chi sei, ma non ho nessuna voglia di parlarti ora.” Rispose, sputando vero e proprio veleno nella mia direzione. “Cosa? Ma perché? Indagai, confusa e stranita da quelle parole. “Perché sto scappando da Loro, ecco perché! Tu non ne hai idea, ma se mi trovano è finita!” rispose, alterandosi di colpo e quasi urlando. “Ascolta, adesso calmati. Puoi venire con noi, ti aiuteremo, promesso.” Replicai, tentando in ogni modo di riportarla alla ragione. Scivolando nel silenzio, lei non disse nulla, e dopo un attimo d’incertezza, mi tese la mano perché gliela stringessi. “Affare fatto, ma non dovrete abbandonarmi.”  Quella fu la sua risposta, che riuscì a colpirmi il cuore, lasciandomi letteralmente senza parole. “Non lo faremmo mai, Ava.” Dissi, stringendole la mano e stipulando con lei un patto che nessuno di noi avrebbe osato rompere. Da quel momento in poi, mi ricongiunsi a Stefan e agli altri, e lei non fece che seguirmi. “Lei è Ava, e verrà con noi.” Dissi, presentandola e facendo le sue veci. Sapendo di potersi fidare, lei sorrise, stringendo prima la mano di Stefan e poi quella di Alisia, ritirandola appena un attimo dopo. “Adozione? Bella mossa, davvero.” Osservò, notando la scatola di cartone che ancora ospitava i cagnolini. Alla sua vista, i cuccioli non emisero un fiato, ma i bambini le sorrisero. “State facendo la cosa giusta, sapete?” Disse loro, in tono serio ma pacato. “Altrimenti verranno abbandonati.” Rispose Lienard, fiero del suo gesto. A quelle parole, Ava sorrise, e guardando Alisia, decise di parlarle. “Gran cuore, mi piace il ragazzino.” In silenzio, Alisia le sorrise a sua volta, e abbassando lo sguardo, lo fissò su Lienard. A quanto sembrava, la nuova arrivata aveva ragione, e malgrado tentasse di fare la dura, ora scoprivamo che anche lei aveva un lato tenero, che la sola vista dei bambini riusciva a far emergere. “Mi piaci anche tu. Sei simpatica, sai?” Le disse il bambino, guardandola e lasciandosi sfuggire una risatina. A quelle parole, Ava non rispose, ma limitandosi ad annuire, sorrise ancora, per poi posargli una mano sulla spalla. Da quel momento in poi, il viaggio verso casa ebbe inizio, e non appena arrivammo, lei si staccò da noi.  “Ora devo andare, ma vi devo molto, ragazzi.” Disse, poco prima di voltarsi e congedarsi da noi con un gesto della mano. “No, aspetta! Sei appena arrivata!” Piagnucolò Erin, triste all'idea di vedere la sua nuova amica andarsene via da lei così presto. “Non preoccuparti, piccola. Tornerò presto.” Le rispose Ava, abbassandosi al suo livello e riuscendo con quelle parole a rassicurarla. “Allora ci vediamo, d’accordo?” Continuò la bambina, mostrandole la mano perchè lei gliela stringesse. “D’ accordo.” “Le rispose Ava, con un leggero sorriso sul volto e una stretta di mano. Lentamente, il sole andò a nascondersi dietro ai monti, e non appena la sera scese, e una leggera brezza serale prese a spirare, mi infilai sotto le coperte dopo essermi occupata dei bambini assieme ad Alisia, per poi addormentarmi serena e felice. Ad essere sincera, non avrei davvero creduto che sarebbe potuto accadere, eppure era stato così. Dopo averla persa di vista per anni, avevo rincontrato una cara amica dopo un ritorno al campo di recupero.

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Capitolo 19
*** Oscure verità ***


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Capitolo XIX
 
 
Oscure verità
 
 
Avevo dormito solo per poche ore, ed ero di nuovo sveglia. Ero l’unica del gruppo ad esserlo, ma non mi importava. Stavo bene, e non ero ansiosa, ma nonostante tutto, non riuscivo a smettere di pensare ad Ava. Perchè era fuggita da me? Perchè si era mostrata così ostile? Cosa poteva esserle successo? Domande che continuavano a vorticarmi in testa senza posa, e più ci pensavo, più la testa mi faceva male. Seduta nel salotto di casa, cercavo di ingannare il tempo leggendo, ma le parole impresse sulle pagine sembravano non avere alcun senso. Chiudendo il libro che tenevo sulle gambe, lo rimisi al suo posto nello scaffale, e abbandonandomi ad un cupo sospiro, chiusi gli occhi per un attimo. Non appena li riaprii, notai la luce accesa, e voltandomi, lo vidi. Aaron. Doveva certamente essersi svegliato per uno spuntino o un bicchiere d’acqua, ma notandomi, cambiò idea, venendo a sedersi proprio accanto a me. “Piena di pensieri, vero mamma?” Chiese, guardandomi negli occhi e attendendo in silenzio una qualsiasi risposta. “Puoi dirlo forte, figliolo.” Dissi soltanto, sospirando ancora e abbassando leggermente lo sguardo. A quella reazione, Aaron mantenne il silenzio, e muovendo la mano, andò alla ricerca della mia. Non appena la trovò, la strinse leggermente, proprio come avrebbe fatto suo padre. Lasciandolo fare, tornai a guardarlo, e nel momento esatto in cui gli sorrisi, lui ricambiò apertamente. Il silenzio calò lentamente nella stanza, e guardando per qualche istante fuori dalla finestra, notai la luce della luna riflessa sui nostri visi. “Ti capisco. Ti capisco perfettamente.” Mi disse poi, disturbando la quiete di quel momento con quella che credevo sarebbe stata una rivelazione. “Cosa? Che intendi?” Non potei fare a meno di chiedere, confusa e stranita da quelle parole. “Vi ho seguiti, e anche io ho visto Ava. Non mi avete notato perchè mi nascondevo, ma ero uscito a cercarla, perchè... ecco, io... io la amo, e credo che lei debba saperlo.” Rispose, parlando in tono mesto e facendo uso di un’ onesta che trovai disarmante. “Dì, non sai nient'altro di lei?" Chiesi allora, curiosa e certa che lui la conoscesse meglio di me. Per quanto ne sapevo, erano amici sin dall'infanzia, ed in un momento del genere, le sue parole avrebbe agito da chiave capace di aprire la metaforica porta che Ava stessa continuava a tenere ermeticamente chiusa. Colto alla sprovvista dalla mia domanda, Aaron esitò, ma raccogliendo le sue forze e il suo coraggio, decise di parlarmi. "Mamma, non so come dirtelo, ma lei... vedi, lei... nasconde un segreto, ed è importante." esordì, per poi scivolare nel silenzio e sfuggendo dai miei sguardi. Ascoltandolo in silenzio, non osai interromperlo, ma al semplice suono di quella parola, drizzai subito le orecchie. "Aspetta, segreto? Di che genere?" azzardai, sperando che si fidasse abbastanza da rivelarmelo. Come ben sapevo, Aaron era un ragazzo riservato, ma restavo sempre sua madre, e in silenzio, aspettai che fosse pronto a parlare. Sfortunatamente, le mie aspettative, vennero deluse, poichè lui non disse più una parola a riguardo. "Lei si fida di me, e ho promesso di non dirlo, ma se proprio vuoi saperlo, dovrai aspettare domani." rispose infatti, rifiutandosi di continuare e mantendo la parola data. "Aaron, aspetta." Lo pregai, sfiorandogli un braccio per convincerlo a voltarsi. "Ho detto domani, mamma." Rispose a muso duro, voltandosi solo per un attimo. Da quel momento in poi, lui girò sui tacchi e scelse di andarsene, ritirandosi lentamente nella sua stanza. In quel preciso istante, la luce si spense e il buio mi avvolse di nuovo. Restando seduta, non mossi un muscolo, ma non appena fui da sola, provai l'impulso di piangere. Sopraffatta dalle mie stesse emozioni, non lo soffocai, singhiozzando lì nel salotto di casa. Nessuno avrebbe potuto capirlo, ma la mia era tristezza mista a preoccupazione. Avevo conosciuto Ava quando non era che una bambina, e ora ero davvero preoccupata per lei. Era cresciuta, certo, ma anche cambiata, ed io non riuscivo a crederci. Quando da piccola giocava con Aaron, sembrava dolce e carina, e lo era ancora, ma per qualche strana ragione, era come se non fosse più sè stessa. L'aria da dura sostituiva la sua dolcezza, e un senso di rabbia, impotenza e rammarico mi pervadeva. Stringendo i pugni con decisione, chiusi gli occhi, e asciugandomi una lacrima, compresi che solo il tempo avrebbe potuto far luce sulla vera natura di Ava e su tutte le sue oscure verità.

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Capitolo 20
*** Tempi maturi ***


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Capitolo XX

Tempi maturi

La notte era appena trascorsa, e con il sole che lentamente si levava mostrando poco a poco il suo pallido volto, Myra veniva a svegliarmi. Stanchissima, mi rigirai nel letto, e mugolando parole prive di senso, aprii gli occhi e la vidi. Se ne stava lì in piedi di fronte a me, il pelo nero come la pece lucido e splendente. Con un sorriso stampato sul muso, mi guardava, e pazientemente, aspettava che mi alzassi. Stefan ed io l’avevamo soccorsa mesi prima in un giorno di pioggia, ma ufficialmente, lei apparteneva ad Ilmion, Alisia e i bambini. Erano ancora piccoli, certo, ma l’amavano. Nelle giornate soleggiate come questa, sorridevo vedendola divertire i bambini. Correva per farsi inseguire, abbaiava felice, si rotolava per terra lasciandosi accarezzare e faceva loro le feste. Tutti giochi innocenti, che pian piano, avevano conquistato il cuore di quelle tre piccole anime. “Grazie.” Non fa che ripetermi Alisia giorno per giorno, ben sapendo che quel cane non è una bestiola qualunque ma un dono del cielo. “Di niente. Loro la adorano, e in fondo anche questo è un gesto d’amore, non trovi?” ho risposto appena qualche giorno fa, vedendola divertirsi con Lienard e coinvolgere anche il suo cucciolo Max, ritratto sputato di una madre orgogliosa quanto lei. Ad ogni modo, lei ora era lì, in piedi accanto al mio letto, ad aspettare che mi alzassi liberandomi delle coperte. “Myra, ti prego, è presto!” mi lamentai, mettendomi a sedere e stropicciandomi gli occhi ancora cisposi. Per tutta risposta, lei abbaiò, contenta di vedermi. Nel farlo, si agitò non poco, e non appena si mosse, sentii un suono metallico. Un tintinnio caratteristico, che avevo imparato a conoscere solo grazie a Chance. Abbassando lo sguardo, notai la sua medaglietta. Un comunissimo dischetto che pendeva dal suo collare, che Ilmion aveva fatto incidere includendovi il suo nome e il loro indirizzo. A quella sola vista, sorrisi debolmente, e decidendo finalmente di realizzare il desiderio della mia amica a quattro zampe, uscii dalla stanza, seguendola per tutto il corridoio. Arrivata in cucina, le diedi da mangiare, e così anche a Chance e Max, che consumarono il loro pasto in silenzio. Poteva sembrare assurdo, ma amavo davvero quei tre cani. Chi non li conosce li considera soltanto bestie, ma non noi. Li amiamo incondizionatamente, e loro amano noi. Con quel pensiero fisso in testa, continuai a dedicarmi alle mie solite attività mattutine, e una volta vestita, uscii di casa. I miei amici lo sapevano bene, ma avevo spesso bisogno di tranquillità. Il giardino era il posto perfetto, e sedendomi accanto alla grande quercia nata da una semplice ghianda nascosta da un simpatico scoiattolo, espirai. Completamente distesa, chiusi gli occhi, e all’improvviso, qualcosa ruppe il silenzio. Era Max, seduto ai miei piedi con una vecchia pallina da tennis in bocca. voleva giocare, ma io non ero in vena. Le parole di Aaron continuavano a girarmi in testa, e malgrado i miei innumerevoli tentativi, non riuscivo a dimenticarle. Com’era ovvio, avevo altro a cui pensare, ragion per cui giocare con un cagnolino era l’ultimo dei miei desideri. Non contento, lui continuò ad insistere,e alla fine, cedetti. Con un gesto della mano, gliela lanciai una volta sola, sperando che l’afferrasse con i denti e si sdraiasse per giocarci, e per mia fortuna fu proprio così. Il tempo continuò quindi a scorrere, e cogliendomi alla sprovvista, i bambini mi raggiunsero. Notando la presenza in giardino del piccolo Max, si misero a giocare con lui, e poco dopo, anche Stefan fece il suo ingresso sulla scena. “Non vedo Aaron, sai dov’è?” Mi chiese, mostrandosi preoccupato per nostro figlio. “No.” Risposi sinceramente, facendo spallucce. In completo e perfetto silenzio, mi guardai intorno, scoprendo che aveva ragione. I bambini erano con noi, e lentamente, anche Rose e Terra si erano unite a loro, ma di lui nessuna traccia. Solo allora, andai con la mente indietro nel tempo. Sin da quando ci eravamo parlati la notte prima, lui era cambiato. Non parlava con nessuno, desiderava stare da solo, ed era perfino diventato più collerico del solito. Non sapevo cosa potesse essergli successo, ma le mie emozioni ebbero la meglio su di me.Colta dal panico, non seppi cosa fare né dire, e scattando in piedi come una molla, iniziai a tremare. “Rain, Rain sta calma, sarà qui intorno, forse con quella sua amica.” Disse Stefan, tentando con quelle parole di rassicurarmi. Per sua sfortuna, questo non servì a nulla, avendo come unico potere quello di peggiorare la situazione. Posandomi una mano sul petto, controllai il battito del mio cuore, ora impazzito per la moltitudine di emozioni che stavo provando. Ansia, paura e preoccupazione. Tre metaforiche gemelle che avevano di nuovo preso possesso della mia anima. Ero agitatissima, e non sapevo cosa pensare. Miriadi di scenari prendevano corpo e forma nella mia mente, risultando sempre uno peggiore dell’altro. Notando lo stato in cui versavo, le ragazze mi si avvicinarono, e inspiegabilmente, mi sentii soffocare. Sapevano bene che soffrivo d’ansia, ma non mi avevano mai vista così. Non volendo impressionare anche i bambini, tentai di calmarmi, ma invano. Di lì a poco, infatti anche loro mi notarono. “Zia! Stai bene? Chiese Lienard, più grande delle sorelle ma sensibile quanto e forse più di loro. “Sì, sì, sto… bene, non preoccuparti.” Trovai la forza di rispondergli, con il fiato corto e la voce spezzata. Rimanendo in silenzio, lui parve spaventarsi, e a prova di ciò, vidi i suoi occhi. Lucidi, non tradivano che terrore. Di lì a poco, anche le bambine iniziarono ad avere sospetti, e accorgendosi di come mi sentivo, corsero subito in casa a chiamare la madre. “Mamma, mamma! Zia Rain sta male! Vieni! La pregarono, correndo di nuovo in giardino con lei al seguito. “Mio Dio! Che le è successo?” chiese a Stefan, con gli occhi sbarrati e una profonda vena di preoccupazione nella voce. “Un attacco di panico. Aaron è sparito, e lei non…” provò a rispondere lui, sentendo quella frase morirgli in gola come era successo con mille altre. Faticando a respirare, boccheggiavo come un povero pesce fuor d’acqua, e guardandomi intorno, vidi che perfino Max e Myra si erano avvicinati. Uno era spaventato, e tremava come una foglia, e l’altra si agitava, ma restava seduta accanto a me a leccarmi le mani. Non muovendo un muscolo, la lasciai fare, e poco dopo, chiusi gli occhi. Dovevo calmarmi, o sarei certamente svenuta. Un singolo attimo scomparve quindi dalla mia vita, e tentando di tranquillizzarmi, Stefan mi prese per mano. In quel preciso istante, provai ad alzarmi  in piedi, e solo allora, mi decisi. “Dobbiamo trovarlo.” Dichiarai in tono solenne, sentendo Myra latrare in risposta. Come tutti gli altri anche lei era decisa ad aiutarmi, e guardandola, mi sentii fiduciosa. Era con noi solo da poco, certo, ma ero sicura che avrebbe saputo farsi valere. Scattando in piedi come una molla, iniziò ad annusare l’aria ed il terreno, e pensando in fretta, mi misi subito in testa alla marcia. Prima che potessimo lasciare il giardino, però, anche Chance venne in nostro soccorso, e unendosi al nostro gruppo, ci guidò sapientemente per le strade di Ascantha. Lui e Myra camminavano vicini, pur senza intralciarsi a vicenda. Concentrati, non perdevano mai di vista l’obiettivo, e dopo pochi minuti, si fermarono entrambi. Nessuno di loro emise un fiato, ma Chance assunse la posizione di punta. A quella vista, sorrisi. Sapevo bene che aveva trovato qualcosa, e in cuor mio speravo che si trattasse davvero di Aaron. Da quel momento in poi, Chance iniziò a tirare con forza il guinzaglio, finchè questo non mi scivolo di mano cadendo per terra. Seguendolo, restammo tutti il silenzio al solo scopo di non distrarlo, e dopo un tempo che nessuno di noi fu in grado di definire, lo trovammo. Non era da solo, e Stefan aveva ragione. Difatti, era davvero in compagnia di Ava, e insieme, erano tornati al campo di Lady Bianca. Avvicinandomi, mi chiesi cosa facessero lì, e anche se la mia muta domanda non trovò mai  una risposta, fui felice di aver ritrovato mio figlio. Alla sua vista, Chance corse a fargli le feste, che lui accettò con un sorriso e qualche carezza. Sorridendo a mia volta, mi sentii sollevata. Per fortuna stava bene, e ora l’unica cosa da fare era tornare a casa. Durante tutto il tragitto, nessuno disse una parola, ma una volta giunti a destinazione, entrambi mi guardarono con aria seria. Il viaggio era stato lungo, il buio ci aveva ormai avvolti, e il silenzio in casa regnava sovrano. “È ora che tu lo sappia, mamma.” Esordì lui, con la stessa serietà mostrata in precedenza. “Cosa?” non potei fare a meno di chiedere, confusa e stranita da quelle parole. Scivolando nel silenzio, Aaron si limitò a guardare Ava negli occhi, e in quel momento, lei si scoprì leggermente una spalla. A quella vista, quasi non svenni. Non riuscivo a crederci eppure era vero. Un’aquila e una stella. Questo il misterioso disegno sulla pelle della ragazza, che mi lasciò senza parole. Ricordavo bene di aver visto quella sorta di incisione da qualche parte, ma non ricordavo dove. Andando alla ricerca di conforto, guardai Stefan e gli altri, ma nessuno si azzardò a parlare o a darmi una risposta. “Ava, ma che… che significa? Che vuol dire tutto questo?” indagai, a dir poco sconcertata. “Sono una di Loro, Rain.”

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Capitolo 21
*** Bene e male ***


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Capitolo XXI

Bene e male

“Sono una di Loro.” Quattro parole che la mia mente continuava a replicare, e che per questo motivo producevano un’eco infinita nelle mie membra. Una notizia che aveva dell’incredibile, ma che nonostante la mia reazione, si rivelava essere vera. “Cosa?” azzardai a quella rivelazione, sentendola colpirmi e stordirmi come un dardo soporifero. “Hai sentito bene, lei è una di Loro adesso.” Rispose Aaron, quasi volendo proteggerla e facendo le sue veci. In completo e perfetto silenzio, non dissi nulla, ma indietreggiando, mi lasciai cadere sul divano. Preoccupato e sorpreso almeno tanto quanto me, Stefan si sedette al mio fianco, cingendomi un braccio attorno alle spalle. “È incredibile.” Mi ripetevo, parlando con me stesa e non riuscendo a ragionare su nient’altro. Finalmente, dopo un’attesa che mi era parsa interminabile, Ava aveva deciso di confessarsi a me e rivelare il suo tanto oscuro segreto, e come forse lei non si aspettava, reagivo nell’unico modo che mi fosse possibile. Ancora in stato di shock, la guardai negli occhi, scoprendo al loro interno una scintilla. “Allora?” mi incalzò lei, curiosa di conoscere i miei pensieri a riguardo. “No, io non… non posso farlo, non ora.” Dissi soltanto, alzandomi un dolore nel petto, una fitta nebbia in mente e una stranissima debolezza nelle gambe. Raggiungendo a fatica la mia stanza, vi entrai e mi richiusi la porta alle spalle, assicurandomi anche di usare la chiave. Ero attonita. Dati i miei trascorsi, ero certa di averle sentite davvero tutte, e ora che scoprivo di sbagliarmi, non avevo davvero parole.  Sdraiandomi sul letto, affondai il viso nel cuscino, per poi rialzare lo sguardo e prenderlo letteralmente a pugni. Stavamo dando asilo a una Ladra, ed io non riuscivo a credere che lei lo fosse davvero. In quel momento, il mio cuore appariva diviso in due metà uguali. Una convinta della realtà appena appresa, l’altra pronta a smentire tutto con il buon senso. Conoscevo Ava, e sapevo che non potevo far parte del gruppo di quei manigoldi. Nella moltitudine dei miei pensieri, questo era l’unico a consolarmi, sconvolta, iniziai senza volerlo a piangere in silenzio, e poco dopo, sentii una voce. “Vado a parlarle io.” Diceva, giungendo alle mie orecchie come flebile e quasi inudibile data la distanza fra il salotto e la mia camera. Di lì a poco, sentii qualcuno bussare alla mia porta. Con gli occhi ancora velati dalle lacrime, mi rifiutai di aprire, per poi cedere e scegliere di farlo. “Che ci fai qui, Aaron?” chiesi non appena lo vidi, con la voce rovinata e spezzata dal pianto. “Sono qui per parlarti.” Rispose, muovendo qualche passo in avanti ed entrando nella mia stanza. “Non c’è nulla che tu debba dirmi, Ava è una Ladra, e tu sai cosa significa.” Replicai, con il dolore dentro e il veleno in bocca. Alle mie parole, mio figlio non rispose, ma guardandolo, vidi i suoi occhi riempirsi di lacrime, proprio come i miei. rimanendo in silenzio, si limitò a guardarmi, e solo poco dopo, scelse di esprimersi. “ Non lo capisci? Come fai a non capirlo? Io la amo!” disse, piangendo e sfogandosi fra le mie braccia. “Mi dispiace, avrei dovuto saperlo. Ora torna da lei, avanti.” Risposi, lasciandolo fare e schiudendo le labbra in un sorriso. “Significa che ti va bene?” continuò, sperando in una mia risposta positiva. Non proferendo parola, gli mostrai un secondo sorriso, e un abbraccio ci avvicinò, unendoci saldamente. Rinfrancato dalla mia reazione, Aaron lasciò la stanza, e smettendo finalmente di piangere, scelsi di dargli ragione. Per la seconda volta, mia aveva dato prova dei suoi sentimenti per lei. L’amava davvero, e da quel che avevo avuto modo di capire, la desiderava al suo fianco fino alla fine dei tempi. Guardando la mia immagine riflessa nello specchio, sorrisi, e inserendo gli eventi di questa giornata nel mio diario, decisi di dare ad Ava la possibilità di redimersi e scegliere fra bene e male.
 

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Capitolo 22
*** Il suo passato ***


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Capitolo XXII

Il suo passato

Il sole era di nuovo alto nel cielo, e nonostante brillasse con meno potenza del solito, potevamo godere di lunghi attimi di calma e distensione. Mantenendo la promessa fatta ad Erin, Ava era tornata a farci visita, e seduta nel salotto di casa con lei e la sorella, le assecondava nei loro giochi infantili, cullando bambole e accarezzando animali di pezza. Io ero con loro, e a quella vista, sorrisi. Un estraneo non avrebbe mai potuto dirlo con certezza, eppure lì davanti ai miei occhi giaceva l’ennesima prova di cui avevo bisogno per sincerarmi che lei non facesse parte di quel gruppo di mostri. Era un vero angelo con le bambine, e scambiandomi con lei occhiate d’intesa, la vedevo sorridere a sua volta. “Grazie.” Sembrava dirmi, conscia della mia scelta di darle una possibilità di redimersi agli occhi di tutti. In silenzio, continuai a guardarla giocare con le mie nipotine, quando improvvisamente, una di loro lo ruppe come vetro, avanzando una proposta tanto infantile quando tenera e dolce. Sollevando leggermente il capo, Erin provò a parlarle, e ciò che disse mi lasciò senza parole, sciogliendomi letteralmente il cuore. “Ava?” la chiamò, toccandole lievemente una spalla. Reagendo a quel tocco, lei si voltò subito, e da quel momento in poi, non ebbe interesse che per la bambina. “Sì?” azzardò, sorridendo e guardando dritto in quegli occhi azzurri come il mare. “Ci racconti una storia?” la pregò la piccola, alzandosi in piedi al solo scopo di raggiungere lo scaffale con i suoi libri preferiti e sceglierne uno. Una volta fatto, tornò da lei, e Ava fu tentata di accettare, ma guardando la copertina di quel libro, parve cambiare idea. Ritraeva una bella principessa dai capelli biondi in sella al suo cavallo, e quasi ignorandolo, lei non disse una parola. “Allora? È un sì o un no?” indagò Cecilia, curiosa quanto la sorellina a riguardo. “D’accordo Ma questa è una storia diversa, quindi niente libro, va bene?” Rispose Ava, cedendo alla supplica delle bambine e sorridendo ancora. “Va bene.” Dissero entrambe, parlando all’unisono e sedendosi sul tappeto di fronte a lei. A gambe incrociate come la loro amica, aspettarono in silenzio, e poco dopo, la storia ebbe inizio. “C’era una volta, una ragazza dai capelli corti e gli occhi scuri. Era bella, ma anche forte, e nel giorno in cui nacque, i suoi genitori decisero di darle un nome forte almeno tanto quanto lei. Ava.” “Si chiama come te!”  le disse Erin, felice ed eccitata. A quella reazione risi di gusto, ma nessuna di loro parve badarci. “Hai visto? Che coincidenza! Fu la sua risposta, seguita da un attimo di silenzio che svanì poco dopo, in quanto la loro nuova amica ricominciò a narrare. “Tutti quelli che la conoscevano dicevano che era una bambina bellissima, e a lei piaceva andarsene in giro per la città dov’era cresciuta. Sua madre l’aveva avvertita di non allontanarsi, ma lei non aveva ascoltato, e in un giorno d’inverno, la curiosità l’aveva spinta lontano. Spaventata, lei aveva cercato di tornare indietro, ma la nebbia ci aveva messo lo zampino, così vagò sola e senza meta per ore.” Un’altra pausa, e di nuovo silenzio, stavolta leggermente più lungo. “E poi? Poi che successe?” azzardò Cecilia, calma ma curiosa come sempre. “Una cosa brutta?” indagò Erin, preoccupata per la piega che le cose stavano prendendo. Quasi ignorando la sua domanda, la ragazza non rispose, e tentando di ricomporsi, riprese a raccontare. In silenzio, io ascoltavo, e pur non proferendo parola, riuscii a capire cosa intendesse. Anche Aaron era con me, e seduto al mio fianco, non parlava. Avrebbe voluto intervenire, ma come me tacque, lasciandola pazientemente fare. “Ava non lo sapeva, ma gironzolare poteva essere pericoloso, e ora che era rimasta sola, non sapeva cosa fare. Camminava chiamando a gran voce la sua mamma, ma di lei nessuna traccia. Le sue urla venivano trasportate dal vento, ma nulla cambiava. Ben presto, la notte scese, e un uomo la vide. Completamente sola, spaventata e infreddolita, Ava decise di provare a chiedere aiuto, e per fortuna lo ottenne, trovando rifugio in casa di quell’uomo. Con lui ne vivevano altri, e tutti sembravano gentili, ma il peggio doveva ancora arrivare.” Per la terza volta ci fu una pausa, e per la terza volta, silenzio. A quella vista, Aaron cercò di alzarsi, ma io lo fermai. “Non farlo.” Sussurrai al suo indirizzo, fulminandolo con un’occhiata. Di lì a poco, la sua amata riprese il racconto, e le bambine, visibilmente provate, non poterono evitare di mostrarlo. “Peggio? Le fecero eco entrambe, colpite dalle sue parole. Non rispondendo neanche stavolta, lei guardò me, e agendo al solo scopo di aiutarla, parlai. “Bambine, ora basta. Sta raccontando, lasciatela finire.” Dissi, quasi redarguendole per le loro continue domande. Obbedendo, scivolarono nel silenzio, e di lì a poco, Ava ricominciò. “Lei si fidava di loro, e loro sembravano volerle bene, fino a un giorno in cui uno decise che lei doveva somigliargli. Da quel momento in poi, venne trattata sempre più freddamente, e ignorata qualora avesse bisogno di qualcosa, perfino quando piangeva perché odiava stare da sola. Era ancora piccola, e aveva fiducia, ma anche paura. Era piccola, ma intelligente, perciò cercò di resistere, e quello fu l’errore peggiore della sua vita. “P-Perché?”chiese Erin, rompendo il silenzio per l’ennesima volta. Intuendo dove la ragazza volesse arrivare, Aaron tentò di fermarla. “Ava, no.” Pregò, guardandola con gli occhi lucidi e dolenti. Per tutta risposta, lei lo guardò, e abbassando lo sguardo, si decise. Avrebbe continuato la storia, ma tentato di indorare la pillola a quelle dolci bambine. “Perché lui le voleva così bene che decise di farle fare un tatuaggio, un disegno sulla sua pelle che le avrebbe dato modo di ricordarlo per sempre, e che alla fine, lei accettò.Un’aquila e una stella.” Rispose, soddisfacendo in questo modo la curiosità di Erin, che si abbandonò a un sospiro di sollievo. In quel momento, sospirai anch’io, e guardandola, la ringraziai mutamente per il suo gesto. Sorridendomi, non aggiunse altro, e la storia ebbe fine in quel preciso istante. La calma avvolse di nuovo la stanza, e le piccole tornarono a giocare, non dimenticando di ringraziare la loro amica per la bella storia che avevano avuto modo di ascoltare. In breve, il pomeriggio si tramutò in sera, e poco prima di lasciarla andar via, presi Ava da parte, ringraziandola a mia volta. “La ragazza, quella nella storia, eri tu, Non è vero?” chiesi, andando alla ricerca di una conferma per i miei dubbi. “Esatto, perché quella era la storia del mio passato.” Questa fu la sua unica risposta, che diedi poco prima di stringere a sé Aaron e sussurrargli qualcosa. “Ci vedremo presto.” Disse soltanto, prolungando quell’abbraccio per il tempo che bastò a sfiorargli una spalla. Limitandosi ad annuire, Aaron si staccò da lei, per poi guardarla ritirarsi nel buio e salutarla con la mano, come erano soliti fare quando entrambi erano solo bambini.

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Capitolo 23
*** Sangue che scorre e che resta ***


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Capitolo XXIII

Sangue che scorre e che resta

Era lentamente passata un’altra notte, e con il giorno appena spuntato, avevo la fortuna di rivedere Isaac. Lui e suo padre Soren ci avevano gentilmente fatto visita, e sorprendentemente, con loro c’era anche Basil. Non lo vedevo da molto, ma ne ero felice, e a quanto sembrava, anche Isaac appariva contento di riavere accanto suo zio. “Rain, ti… ti posso parlare?” mi chiese, esitando leggermente dopo essere entrato in casa. “Certo!” risposi prontamente, sorridendogli e aspettando di scoprire cosa volesse. Guidandolo con sapienza, lo invitai a sedersi nel salotto di casa, e una volta lì mi sedetti al suo fianco. “Sono tutta orecchie, Basil, parla pure.” Dissi, per poi scivolare nel silenzio e attendere con pazienza che iniziasse a parlare. “Vedi, oggi è un giorno speciale, e vorrei che… che Isaac sapesse delle cose su di me e su sua madre, e pensavo che il bosco sarebbe stato il posto migliore.” Disse, con la voce corrotta da un turbinio di emozioni che non riuscii a decifrare. Non avevo modo di esserne sicura, ma ero certa che un alone di tensione fosse in qualche modo calato sulla sua anima. Per quanto ne sapevo, era un ragazzo fragile, e voleva davvero bene alla sorella, ragion per cui parlarne ora che era morta, anche se da circa cinque anni, gli veniva molto difficile. Era strano a dirsi, ma era come se ogni volta la gola gli si seccasse, la lingua gli si impastasse e perfino il cervello si rifiutasse di collaborare. Stando ai miei ricordi, erano sempre stati insieme, perfino nei momenti più duri e bui della sua vita. C’era quando il regno aveva iniziato a crollare, quando aveva scoperto di essersi ammalata di cuore, nel giorno del suo matrimonio con Soren, in quello della nascita di Isaac. Erano fratelli, e lui c’era sempre stato per lei. Lo stesso discorso valeva per il marito nei confronti della moglie, e ben sapendolo, li lodavo entrambi, sicura che la mia amica potesse in qualche modo vedermi e sentirmi dall’alto. Per alcuni questo suonava impossibile, ma non per noi. Le volevamo bene, e non avremmo mai smesso di ripeterlo. Proprio per questo conservavo ancora una copia personale della pagina commemorativa ancora presente nel mio diario,che nel giorno della sua morte, e poi del suo funerale, avevo copiato e donato sia a Basil che a Soren. In quanto fratello e marito, sentivo che dovevano averla, così da non possedere altro che ricordi felici di lei. Come Basil stesso mi aveva appena detto, proprio oggi era l’anniversario della sua morte, e a quanto sembrava, lui voleva far visita alla sua tomba, ma non prima di essere passato per il bosco, luogo in cui, stando ai suoi stessi ricordi, avevano passato bei tempi da bambini. Nessuno dei due me l’aveva mai detto, ma a giudicare dalla felicità di Samira nel giorno in cui lasciò il regno di Aveiron per le terre della pacifica Ascantha, ipotizzai che entrambi avessero vissuto lì la loro infanzia. Tempo dopo, le mie supposizioni si rivelarono corrette, e oggi, pensandoci, e concentrandomi anche sul desiderio che Basil ha appena espresso, non riesco a sorridere. Samira è morta, e sono passati cinque anni, ma mi manca ancora molto, e ad essere sincera, vorrei davvero un’occasione per rivederla. So bene che questo non può succedere, e per questa precisa ragione, credo che una visita al bosco e poi al cimitero oggi sia davvero d’obbligo. Sempre in silenzio, guardo Basil, e annuendo, sorrido leggermente. “D’accordo.” Rispondo poi, avvicinandomi al solo scopo di stringerlo in un abbraccio. Pazientemente, lui mi lascia fare , crogiolandosi nel mio affetto nel tentativo di dimenticare il dolore. “Grazie, Rain. Grazie davvero. Sei sempre una buona amica.” Mi dice, regalandomi un sorriso non appena ci stacchiamo. “E tu una brava persona.” Replico, non riuscendo ad evitare di farlo e sorridendo ancora. “Allora che ne dici?” andiamo?” mi chiede poi, attendendo in silenzio una mia risposta. “Andiamo gli faccio eco io, uscendo dalla cucina per dirigermi verso la porta di casa ora chiusa. Come ogni volta, Stefan si rifiuta di lasciarmi da sola, e seguendoci, sia Soren che Isaac sembrano aver già capito. Per fortuna, il bosco non è molto distante da casa nostra, ma evoca in Basil ricordi ed emozioni misti, tanto che appena arriva, inizia a singhiozzare e piangere. “Fatti forza.” Lo esorto, cercando di aiutarlo e risollevare il suo spirito. “Hai ragione, lei non vorrebbe vedermi così.” Risponde, asciugandosi gli occhi con il dorso della mano e sforzandosi di sorridere. Seppur fallendo, non si scoraggia, e guardando Isaac, non dice una parola. Il silenzio cala su di noi, e mostrando rispetto, nessuno emette un fiato. “È di nuovo il giorno della mamma.” Disse Isaac, rompendo il silenzio dopo un minuto passato a mantenerlo. “Sì, e ci sono delle cose che devi sapere. Forse non lo ricordi perché eri troppo piccolo, ma io c’ero. Proprio come tuo padre io c’ero sempre, sia per tua madre che per te. L’ho aiutata a fuggire da questa guerra, a mantenere la speranza e la vita quando stava male, a combattere assieme a Rain e al suo gruppo, e perfino a prendersi cura di te quando serviva.” Gli confesso Basil, parlando in tono serio ma con la voce spezzata dai sentimenti. A quelle parole, Isaac non rispose, ma guardandolo, potei letteralmente vedere delle piccole lacrime tentare di sfuggire dai suoi occhi. Tenendoli chiusi, faceva del suo meglio per ricacciarle indietro, ma senza successo. Di lì a poco, prese a piangere come un bambino, e assalito dai ricordi riportati a galla da quella confessione, abbracciò lo zio, lasciando che questo lo stringesse forte a sé. Quell’abbraccio fu forte quanto loro, e li tenne uniti per un tempo indefinibile. Non appena si staccarono, Basil si avvicinò all’acqua del lago, e dopo aver ammirato il suo riflesso fra i flutti, colse uno dei fiori vicino alla riva, e soltanto dopo averne accarezzato i petali, lo affidò all’acqua. Erin l’aveva già fatto una volta non conoscendola neppure, e lo ricordavo bene, ma per qualche strana ragione, lo stesso gesto compiuto da suo fratello aveva tutto un altro significato.“Ti voglio bene, Samira. Te ne ho voluto, te ne voglio e te ne vorrò per sempre. Disse, alzando lo sguardo al cielo e sperando, proprio come me, che lei potesse in qualche modo sentirlo. Proprio in quel momento, un soffio di vento mosse i suoi capelli, e un brivido gli percorse la schiena. Era incredibile, eppure tutto era successo nel momento esatto in cui lui aveva pronunciato quelle parole. Era davvero lì a guardarci? Aveva sentito? O era stata solo una triste coincidenza? Andando alla ricerca di risposte, me lo chiedevo, e pur non trovandone mai, mi accontentavo di quella sorta di prova. Arrivati al cimitero, raggiungemmo tutti la sua tomba, e anche lì accadde la stessa cosa, anche se fu Isaac ad avvertire quel brivido che invece della schiena, parve sfiorargli la spalla. Voltandosi di scatto, si guardò indietro, quasi aspettandosi di vedere la defunta madre, ma com’era ovvio, questo non accadde. In quel momento, un vero fiume di lacrime minacciò di rompere gli argini presenti nei suoi occhi, e spingendolo leggermente in avanti, Basil gli fece una semplice domanda. “Vuoi dirle qualcosa prima che andiamo?” chiese, per poi scivolare nel mutismo più completo e limitarsi a guardare il nipote, che con occhi lucidi e dolenti, si avvicinò alla tomba della madre. In piedi di fronte a quella fredda pietra con inciso il nome di chi gli aveva donato la vita, lui si tolse lo zaino dalle spalle, e frugandovi dentro per un attimo, ne estrasse una piccola spada. Da Rose aveva imparato ad usare arco e frecce, ma proprio come Aaron, la preferiva. In silenzio, continuammo a guardarlo, e improvvisamente, lui prese una decisione. Saggiandone l’affilatura con le dita, si provocò volutamente un piccolo taglio, guardando il sangue scivolar via e lasciando che la nuda ma generosa terra lo accogliesse. “Sarò il tuo piccolo eroe, mamma.” Disse poi, con la voce spezzata da un pianto che non riuscii ad evitare. Vedendolo piangere, mi avvicinai per offrirgli conforto, e lasciandolo sfogare fra le mie braccia, lo portai subito a casa. Quella ormai prossima alla fine era stata una giornata dura per lui, ma come sempre, io lo reputavo coraggioso, proprio come il padre e lo zio. Volevo bene a Samira almeno tanto quanto loro, ma nel loro caso, tutto era diverso, poiché il rosso liquido intento a muoversi nelle loro vene senza sosta apparente era sangue che scorre e che resta.

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Capitolo 24
*** Buone nuove ***


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Capitolo XXIV
 
 
Buone nuove
 
 
Di fronte a noi c'era l'alba di un nuovo giorno, e al mio risveglio notai e ammirai il volo di un uccello dalle piume color cenere. Volava mostrandoci la sua libertà, e fra un battito d'ali e l'altro, intonava una dolce canzone. Nel farlo, venne a posarsi sul davanzale della mia finestra, lasciandosi poi accarezzare la testolina piumata. Com'era ormai abituato a fare sin da cucciolo, Chance aveva dormito ai piedi del letto con me e Stefan, e alzandosi sulle zampe posteriori, si appoggiò con le zampe al davanzale della finestra stessa, spaventando così quella povera creatura. Colto dal panico, quel povero uccellino volò subito via, e sorridendo leggermente, non sgridai il mio cane. “Volevi solo fare amicizia, vero?” Gli chiesi ironicamente, facendogli poi una veloce ma amichevole carezza. Quasi volendo rispondere alla mia domanda, Chance abbaiò contento, e il suo latrato di gioia si tramutò presto in un uggiolio di tristezza, poichè qausi piangendo, mi implorò di guardare di nuovo fuori. Inizialmente, non vidi nulla di strano, ma concentrandomi, riuscii a capire cosa volesse. Myra era fuori a giocare con Max, e benchè lui fosse ormai anziano, ciò non significiava che avrebbe dovuto perdersi il divertimento. Con un gesto della mano, lo invitai a tornare con le zampe per terra, e attraversando il corridoio, lo lasciai uscire di casa. Felice come mai prima, Chance iniziò a correre fra l’ erba, coinvolgendo, con piccoli latrati e gentili colpi del muso, i suoi due compagni. Per quanto ne sapevo, non era il vero padre di Max nè il vero compagno di Myra, ma era rimasto lì offrendosi di aiutarla con i cuccioli in quel freddo e ormai famoso giorno di pioggia, in cui, seppur spaventato da lampi e tuoni, non aveva esitato a mostrarsi testardo e voler uscire, andando poi alla ricerca della sua nuova amica. Sin da allora, formavano un trio davvero inseparabile, e il piccolo Max aveva imparato a  l'autorità nel comportamento di Chance, che nonostante tutto non dimenticava mai di farlo distrarre e divertire. In fin dei conti, non era che un cucciolo, e in quanto attraverso il gioco i piccoli imparavano molte preziose lezioni sulla vita che avrebbero poi condotto da adulti, restavo in disparte e li lasciavo fare, potendo in alcuni casi vedere Myra avvicinarsi lentamente e leccare il muso di Chance. Come osservavo ormai da lungo tempo, l’amore sembrava sbocciare ovunque, proprio come ogni fiore che si rispetti. Gli anni erano passati, i miei figli erano cresciuti, e ora ognuno sembrava essere al fianco della propria dolce metà. Terra aveva Trace, Rose aveva Isaac, e Aaron poteva contare sulla presenza di Ava. Sì, Ava. La stessa ragazza dai capelli corti e dagli occhi scuri, che solo da poco aveva raccolto tutto il suo coraggio per rivelare a tutti noi una verità tanto scomoda quanto dolorosa. L’essere una Ladra, e far quindi parte del loro schifoso gruppo. Aveva scelto di dircelo di persona, e poi indorare la pillola a Erin e Cecilia, raccontando la sua intera storia con termini più semplici e comprensibili a due bambine, facendola facilmente passare per favola frutto della sua fantasia. Ad essere sincera, avrei tanto voluto che lo fosse stato davvero, ma sapevo che non lo era, e tutto questo mi rattristava non poco, togliendomi come vita dalle vene tutto il buonumore. Non volendo pensarci, sorridevo, e in piedi di fronte alla porta, non muovevo un muscolo, ma poco dopo, spinta dal desiderio di tornare ad essere felice, scelsi di unirmi a lui. Era mattina, e avevo molto da fare, ma visto il sole e il gentil vento che spirava appena fuori casa lambendomi i polmoni, decisi che le faccende domestiche avrebbero anche potuto aspettare. A quanto sembrava, ero stata l’unica a non accorgermi di quello che stava succedendo in giardino, e guardandomi intorno, capii ogni cosa. Max e Myra non stavano semplicemente giocando, e anche i ragazzi avevano ripreso i loro allenamenti. Anche se con frequenza minore rispetto a loro, mi allenavo anch’io, e oggi, nell’ampio e spazioso giardino di casa nostra, c’erano proprio tutti. Alisia con i bambini, Soren con Isaac, il caro Basil e perfino Trace, che Terra non vedeva da ormai moltissimo tempo. Come ben sapevo, si amavano ancora, e malgrado avessero ormai entrambi raggiunto l’età adulta, sapevano ancora come divertirsi assieme, e lottando fra di loro con le rispettive armi, ridevano di gusto, quasi come se fossero ancora bambini. Accanto al mio Stefan, rimanevo in disparte, ma nonostante questo guardavo alternativamente lei e Alisia. Stando a quanto ricordavo, Ilmion le aveva fatto una bellissima sorpresa nel giorno del nostro ultimo viaggio al campo di Lady Bianca, prendendo in segreto accordi con lei per costruire quella che sarebbe stata la loro nuova casa.  Era stata terminata da poco, e i bambini l’adoravano. Finalmente ne avevano una tutta loro, ed io ne ero felice. Ospitarli per qualche tempo era stato bello, ma come si sa, tutte le cose, per quanto belle, prima o poi finiscono. Oggi erano tornati a farmi visita, e sorridendo, me ne rallegravo. Il mio sguardo era sempre alternativamente fisso su Terra e su sua zia, e in silenzio, notai che Trace schivava abilmente i suoi colpi, pur lasciandola vincere come quando erano piccoli. Divertita dalla codardia del fidanzato, mia figlia rideva con la bocca e con il cuore, e guardandola, anche io. “Cos'è, adesso le prendi da una ragazza?” Scherzò lei, prendendolo bonariamente in giro. “No, le prendo dalla mia ragazza.” Rispose lui, con un leggero sorriso e un fare da gentiluomo. A quelle parole, Terra arrossì in viso, e in quell'esatto momento, Trace l’attirò a sè, facendole volutamente lo sgambetto ma impedendo che cadesse, sorreggendola fra le braccia. Da quella posizione, tentò poi di baciarla, e lei lo lasciò fare, poichè perdutamente innamorata. Di lì a poco, il loro amichevole scontro riprese, e non staccando gli occhi da loro, mi assicurai che tutto andasse per il meglio. Non appena ne fui sicura, guardai altrove, lasciando che il mio sguardo si posasse sui miei tre innocenti nipotini, tutti intenti a improvvisarsi guerrieri con spade e scudi di legno, improvvisando anche qualche grido di battaglia. Piccolo ma coraggioso, Lienard sembrava divertirsi più delle sorelle, e contro ogni mia previsione, entrambe erano entusiaste di seguire il fratello nelle sue nuove avventure. Sempre insieme, giocavano divertendosi come matti, e perfino il loro cucciolo si unì al gioco, correndo e saltando qua e là come impazzito. Lasciandosi sfuggire sporadici ringhi, seguiva i padroncini tenendoli d’occhio, e così anche Myra, che proprio come Chance, si allenava alla prossima battaglia scagliandosi su dei manichini più resistenti e adatti alla forza canina. Ancora troppo ingenuo per capire, Max si limitava a giocare con i suoi piccoli amici, facendoli cadere e rotolare fra l’erba, seguendo poi scrupolosamente gli ordini di Lienard, che lo stava addestrando ad obbedire fornendo come ricompensa una carezza o la sua vecchia ma amata pallina. “Prendila Max!” Diceva, lanciandogliela e vedendolo afferrarla con la bocca. A quella vista, sorridevo, e ad essere sincera, ero davvero orgogliosa sia di lui che delle sorelle. A poco più di sei anni, Lienard era soltanto un bambino nato nella bella e pacifica Ascantha, e suo malgrado costretto a vivere in una realtà più grande di lui. Proprio come Alisia, mi preoccupavo, ma vederlo così curioso e pronto all'avventura mi dava speranza. Sapevo bene che un giorno sarebbe cresciuto, e a con il tempo avrebbe anche imparato a difendersi dai Ladri e da tutte le insidie di questo mondo. In qualità di sua zia, ho davvero fiducia in lui e nelle sue sorelle, che ora, data la loro così giovane e tenera età, credono che quest’assurda guerra sia tutta un gioco, in cui non ci sono conseguenze, e nessuno si fa mai male. Volendo preservare la loro innocenza, li assecondiamo ogni volta, avendo cura di rispondere prontamente e dissipare ogni loro dubbio. Ora come ora, tutto sembra andar bene, e con lo sguardo rivolto verso il cielo, noto che è arrivato il pomeriggio. Siamo tutti qui fuori da ore, ma la cosa non ci tocca. Sappiamo bene di star spendendo ogni nostra energia in un allenamento che presto ci sarebbe servito mettere in pratica, anche se io, fiduciosa, speravo di sentire sulla pelle e fra i capelli, il gentil vento delle finora mai mancate buone nuove.
 

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Capitolo 25
*** Le certezze di un amore ***


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Capitolo XXV
 
Le certezze di un amore
 
E così, stava lentamente passando un altro mese. Tutto pareva andar bene, e grazie al cielo, dei Ladri ancora nessuna traccia. Sono sveglia da poco, ma nonostante questa sia ormai diventata una solida abitudine difficile da scuotermi di dosso, oggi non aggiorno il mio diario. Seduta in salotto, mi limito a leggere un libro approfittando della serenità mattutina, e mentre il sole gioca nel cielo e quasi mi disturba la vista, noto qualcosa, o per meglio dire, qualcuno. È mia figlia Terra, che seppur da poco, ha preso l’abitudine di mostrarsi mattiniera, proprio come me. Notandomi, mi saluta con la mano, e mentre la guardo e le sorrido, non posso fare a meno di notare una strana luce nei suoi occhi. Strana, certo, ma anche conosciuta. Essendo sua madre, so bene cosa significa, e non credo sia pericoloso presumere che sia felice. Silenziosa, non fa che sorridere, e oggi sembra che nulla possa rovinare il suo buonumore. Di lì a poco, anche suo padre mi raggiunge, e con il solo uso dello sguardo, mi chiede cosa stia accadendo. “Nulla.” Gli faccio capire, stringendomi nelle spalle e regalandogli un sorriso. Rilassandosi, Stefan mantenne il silenzio, e in quel preciso istante, un rumore ci distrasse entrambi. Qualcuno stava bussando alla porta, e reagendo a quel suono come un vero cane da guardia, Chance drizzò le orecchie, ritraendo poi le labbra in un ringhio sordo. “Chance, sta buono.” Quasi lo sgridò Terra, abbassandosi ad accarezzarlo lentamente e tentare di ammansirlo. Come ben sapevo, quei due erano amici letteralmente da una vita, e semplicemente guardandoli, noto che il tempo non ha scalfito il rapporto che esiste fra di loro. Agli occhi di un estraneo, solo un cane e una padrona, ma non ai miei. Sono cresciuti insieme, e si vogliono bene in quanto amici, perchè questo è quello che sono. “Ma chi è?” Le chiesi, guardandola con aria confusa mentre era ancora intenta a calmare il cane. Sulle prime, lei parve non sentirmi, ma poi tornò a guardarmi, e decise di rispondere. “Trace. Oggi non ha da fare, così ha promesso di darmi una mano.” Disse, in tono calmo e tranquillo. “Una mano? A far cosa?” Finii per farle eco, stranita. “Ad allenarmi.” Rispose lei, lasciandosi poi sfuggire una risatina. “Fate attenzione.”l'ammonì Stefan, preoccupato. “Certo, papà.”  Lo rassicurò, migliorando la sua intera giornata con quella semplice promessa. In quel momento, Trace la guardò, e spostando per un attimo la sua attenzione su di noi, decise di parlarci. “Andrà tutto bene, non preoccupatevi.”  Ci disse soltanto, per poi prendere la mano di nostra figlia e raggiungere con lei il giardino di casa. Ad essere sincera, mi fidavo di Trace, e sapevo che il benessere di Terra era per lui prezioso tanto quanto la vita stessa. Si amavano profondamente a vicenda, e da quanto vedevo, sembravano letteralmente fatti l'uno per l'altra, proprio come me e Stefan. Contrariamente a me, però, lui non riusciva a stare tranquillo. Era certo che si amassero e che insieme stessero bene, ma nonostante questo c'era qualcosa che lo bloccava. Adulta o meno, Terra restava sempre la nostra primogenita, e pensandoci, capivo perfettamente perchè suo padre fosse così in pena per lei. “Stefan?” lo chiamai, avvicinandomi e guardandolo negli occhi “Sì?” rispose, spostando lo sguardo dalla finestra al mio viso. “Non preoccuparti, d'accordo? In fondo è con Trace, cosa mai può accadere?” continuai, per poi prendergli delicatamente la mano e tentare di rassicurarlo. Hai ragione, ma è difficile non pensarci, sai? mi rispose, con un filo di preoccupazione sempre presente nella voce. A quelle parole, provai instintivamente pena per lui, ma quasi costringendolo a seguirmi, gli indicai la finestra. “Dai, guardala. Guarda com'è felice.”  Dissi poi, posando leggermente una mano sul vetro. Rimanendo ferma e inerme, guardavo i ragazzi allenarsi come poco tempo prima, impegnandosi in finte battaglie da cui uno di loro, quasi a turno, usciva sempre vincitore. Da bravo cavaliere, Trace lasciava che fosse Terra ad avere la gloria, e sorridendo, me ne compiacevo. Ai miei occhi, quello appariva come un semplice gesto d’amore, che lei sapeva bene come ricambiare. In completo silenzio, Stefan si limitò ad annuire e a stringermi in un delicato abbraccio, lasciando poi che le sue labbra mi sfiorassero una guancia. “Non sbagli mai, non è vero? mi chiese, riprendendo la parola e attendendo una mia qualsiasi risposta. Mai. Dissi soltanto, per poi sorridere e cedere alla tentazione di baciarlo. Per tutta risposta, lui prese a giocare con una ciocca dei miei capelli, e non appena quel bacio ebbe fine, lui mi parlò ancora, dando sfogo ad una piccola confessione, che mai gli avevo sentito farmi prima d’ora. “Riesci sempre a vedere il buono che c'è negli altri. È anche per questo che ti ho sposata, sai?”  Mi disse, per poi terminare il discorso con quella domanda. Completamente rapita dal suo sguardo, non risposi, e baciandolo ancora, gli sussurrai qualcosa all'orecchio. Ti amo anch’io, Stefan. Ti amo anch’io.”  Risposi, per poi sciogliere quel meraviglioso abbraccio e scoprire che i ragazzi sembravano non essere  più in giardino. Anche guardando dalla finestra, non riuscivo a vederli, ma aprendo la porta di casa, mi tranquillizzai. Anche se per un attimo, erano entrambi spariti dal mio campo visivo, e pur non volendo, avevo finito per provare la stessa paura sperimentata nel giorno della presunta scomparsa di Aaron. In quel momento, tirai un sospiro di sollievo, scoprendo comunque di dover dare in parte ragione a Stefan. Quello che vivevamo ora era un periodo di calma piatta, ma dati i nostri trascorsi, era davvero difficile non pensare al peggio anche quando la tua buona stella sembrava sorriderti. Per pura fortuna, riuscii a tornare alla calma, e di lì a poco, Terra decise di rientrare. La sera stava calando, e malgrado la bella stagione, il freddo cominciava a farsi sentire, così, salutando Trace, lei tornò da noi. Poco prima di andarsene, lui la strinse a sè dando inizio ad un tenero bacio, e guardandoli, non proferii parola. Quando alla sera si sostituì la notte, infilai il pigiama e mi sedetti alla mia scrivania. Non lo facevo da tempo, ma finalmente sentivo di potere e dover aggiornare il mio diario. Non scrissi molto, imprimendo in quelle bianche pagine solo qualche nero appunto su me stessa e sui miei sentimenti in un giorno come questo, non dimenticando di menzionare come, attraverso il vetro di una finestra, avessi visto e sentito l'amore fra due giovani, e notato negli occhi di entrambi una vera e solenne promessa e mille altre certezze, che ero certa avrebbero provato a mantenere vive ad ogni costo.
 
 
Salve a tutti, miei cari lettori. Bene, chi mi conosce e segue sa che sono sparita dal sito per ben due settimane a causa di un blocco, che ora è fortunatamente sparito e mi ha permesso di pubblicare, finalmente, aggiungerei, questo venticinquesimo capitolo. Ad ogni modo, ringraziate tutti "Karon Migarashi" una di noi su EFP che mi supporta praticamente dal giorno del mio esordio nel sito, e se potete e ne avete voglia, fate anche un salto sul suo profilo. Lei non è ancora arrivata a questo punto della saga, ma c'è vicina, e se sono tornata, è solo grazie a lei. Alla prossima,
 
Emmastory :) 

 

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Capitolo 26
*** Fra puro e malvagio ***


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Capitolo XXVI
 
Fra puro e malvagio
 
Ero da poco riuscita ad appisolarmi e dormire tranquillamente dopo aver letto un libro dai toni interessanti, quando improvvisamente, venni svegliata da un suono conosciuto e quasi martellante. Era strano data la calma che li contraddistingueva, ma nel bel mezzo di una quieta e stellata notte,  Chance e Myra sembravano avere qualcosa contro cui abbaiare. Tentando inizialmente di ignorarli, mi rigirai nel letto, ma ben presto i loro continui latrati divennero insopportabili alle mie orecchie. Con mia grande sorpresa, anche il piccolo Max si era unito al coro dei genitori, e seppur controvoglia, decisi di andare a controllare. Dopo averli calmati, guardai per un attimo fuori dalla finestra. Niente, il nulla più totale. Solo un silenzio di tomba nell'aria attorno a noi. Nervosa, quasi maledissi i cani per avermi svegliata, ma voltandomi, lasciai che il mio sguardo cadesse di nuovo su Max. Il cucciolo del gruppo, e membro più giovane di quel seppur piccolo branco. Mi guardava a sua volta con quei suoi occhietti scuri, e mugolando leggermente, sembrava volersi scusare. Sorridendo, lo perdonai con una carezza, ma improvvisamente, vidi qualcosa brillare nel buio. Era troppo lontano, e non potevo essere sicura di nulla, ma sapevo bene di non stare impazzendo. Quasi volendo darmi ragione, Chance assunse la posizione di punta, e voltando la testa, ringhiò leggermente. Anche lui era in stato d'allerta, e mentre il tempo passava, non vidi altro che quella sorta di luce. Aguzzando la vista, mi resi conto che si trattava di una torcia elettrica, e guardando ancora meglio, scoprii che un viso conosciuto si nascondeva nell'ombra. Ava. Non la vedevo da molto, e ad essere sincera, ero felice di averla rivista. Muovendo leggermente una mano, usò la torcia per illuminarsi il viso, poi mi salutò. Era ferma in piedi al centro della piazza, e sembrava spaventata. Aveva tentato di farsi notare, e c'era riuscita, e nonostante fosse lontana, il suo terrore era ben visibile. Con un gesto della mano, la invitai ad avvicinarsi, e vedendola annuire, mi allontanai dalla finestra. Lentamente, aprii la porta di casa senza far rumore, poi, quasi bisbigliando, la chiamai per nome "Ava? Ava, dove sei?" sussurrai, aspettando di vederla emergere dall'oscurità. "Sono qui!" rispose, tenendo bassa la voce ma quasi urlando per farsi sentire. Rinfrancata dalla sua vista, sorrisi, e guardandola, notai che non stava affatto bene. Un livido su una gamba quasi le impediva di camminare, e una ferita in prossimità dell'occhio le doleva costringendola a strofinarlo. "Che ti è successo?" le chiesi, preoccupata. "Mi hanno scoperta. Hanno capito che sono connessa al tuo gruppo, e... e..." Disse, per poi lasciare quella frase incompleta a morirle in gola come tante altre. Guardandola, le posai una mano sulla spalla per darle coraggio, e solo allora, lei riprese a parlare. "E vogliono vendicarsi. Sono scappata, e non sanno che sono qui, ma se mi trovano nessuno sa cosa potrebbero succedere. Ho bisogno di aiuto Rain, davvero." Disse soltanto, ponendo enfasi su quella parola e sentendo le forze abbandonarla. Il dolore la stava davvero debilitando, e provando per lei, decisi di agire. Offrendole la mano, l'aiutai a muoversi, e guidandola nel buio, la lasciai sdraiare sul divano. Una volta fatto, andai in cerca di una coperta, e stendendogliela sul corpo, le augurai la buona notte. Prima di andarmene, incaricai Chance di controllarla, e una volta a letto, faticai a dormire. Per quanto ne sapevo, Ava era una ragazza forte  e conscia dell'errore che aveva commesso unendosi a Loro, e che proprio per questo desiderava tornare sulla via del bene. In altri termini, aveva provato dolore ma non ne era stata corrotta, riuscendo a tornare sui suoi passi e provare a redimersi. Ad essere sincera, ero felice e orgogliosa di lei, e benchè lei non me l'avesse mai detto, ero sicura che il suo animo fosse  preda del più completo disordine, diviso in due metà perfettamente uguali, con una che propendeva per il bene e l'altra ancora legata al marchio che portava sul braccio. Era fuggita, e voleva davvero provare a cambiare, ma nonostante questo sapeva bene che tradire i Ladri avrebbe significato vendetta da parte loro. Mentre dormiva, non avevo potuto evitare di notare quella sorta di tatuaggio. Un simbolo sinistro e inconfondibile, la cui sola vista non faceva che seminare terrore nel mio cuore. Sveglia e protetta dalle coperte, pregavo fissando le stelle, conservando dentro di me la speranza di vederla fare la scelta giusta, e allontanarsi da una strada piena di dolore e avversità. Mi fidavo di lei, e con non poche difficoltà nel dormire, aspettavo che si riprendesse, conquistando il coraggio di agire. La conoscevo bene, ed ero sicura che con il tempo non avrebbe fatto altro che continuare a darci prova dellà bontà presente nel suo cuore, capace come pochi di discernere fra puro e malvagio.

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Capitolo 27
*** L'importanza di decidere ***


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Capitolo XXVII
 
L' importanza di decidere 
Il mattino era di nuovo arrivato, e con lui il sole. Splendeva come sempre, nonostante fosse coperto dalle bianche nuvole dietro cui sembrava giocare, quasi beffandosi di ogni abitante qui ad Ascantha. Per una volta non sono l'unica ad essere in piedi, in quanto Chance è con me, e a modo suo, mi da una mano con le faccende di casa. L'età avanza, e si fa sentire, ma non per questo lui si arrende, continuando ad essere per ognuno in questa famiglia un compagno e un grande amico. Proprio l'altra notte, gli ho chiesto di tenere d'occhio Ava, e obbedendo lui l'ha fatto, svegliandomi stamattina alle prime luci dell'alba. A quanto vedo, si è finalmente ripresa, e per qualche strana ragione, il suo morale è ancora metri e metri sotto terra. È riuscita a fuggire, e ora sa di essere al sicuro in casa nostra, ma nonostante tutto, non riesce a gioirne nè ad essere felice. "Rain?" mi chiama, con voce flebile e forse ancora derivante dal dolore delle ferite. "Sì?" rispondo, voltandomi verso di lei e facendomi più vicina. "Posso avere dell'acqua?" mi chiede, guardandomi negli occhi e quasi supplicandomi. Annuendo, sparisco per un attimo in cucina, per poi passarle un bicchiere e lasciare che beva. Non appena finisce, lo poso sul tavolo di fronte a lei, e solo allora, mi accorgo che qualcosa non va. È davvero triste, e come se non bastasse, sembra anche tremare di freddo. "Non posso crederci, guarda come mi hanno ridotto. Ora sono sola, stanca e... e bloccata, accidenti." Si lamenta, non riuscendo a tenere a freno nè la lingua nè i sentimenti, che ora sono cupi tanto quanto il suo umore. "Ava, no. Non è vero. Tu non sei sola. Ci siamo noi qui per te." Replico, prendendo la parola al solo scopo di far cessare quel brontolio insensato. Era arrabbiata, delusa da sè stessa e amareggiata per quello che le era appena accaduto, e potevo capirlo, ma una cosa era certa. Non sarei rimasta lì ferma a guardare mentre un nuovo membro del mio gruppo rimaneva seduto ad autocommiserarsi e crogiolarsi nel dolore. A quelle parole, lei non rispose, ma stringendo forte i pugni, si decise a reagire. Non curandosi delle ferite, nè della febbre che ero certa stesse per prendere possesso del suo corpo indebolendola ancora di più, scattò in piedi come una molla, e guardando dritta davanti a sè, sorrise. "Sai una cosa? Hai ragione. Ho un mio gruppo, una mia famiglia, e fortunatamente, anche degli amici. Grazie Rain, sei grande." Mi disse poi, stringendomi in un abbraccio nel quale la lasciai abitare per un pò. Sorpreso da tutto quel trambusto, Aaron uscì dalla sua stanza, e alla sua vista, divenne bianco come un fantasma. "Ava?" la chiamò, pronunciando il suo nome quasi a fatica. "Che... Che cosa ci fai qui?" le chiese, sempre incapace di credere a quello che stava vedendo. "Sono scappata, e tua madre ha ragione. Almeno ora non sono più sola." Spiegò lei, per poi sorridere e avvicinarsi a lui. "E non sai quanto sia felice." Gli disse, cedendo solo allora alla tentazione di baciarlo. Mugolando leggermente, Chance si coprì il muso con la zampa, e a quella scena, io risi di gusto. "Non te ne andrai ora, non è vero?" Fu l'ovvia domanda di mio figlio, ora più che mai preoccupato per quella fuggiasca della sua fidanzata. "No, certo che no. Non ora che ti ho ritrovato." Questa fu la semplice risposta della ragazza, che terminando la frase lo baciò ancora. A quella vista, quasi versai una lacrima, e continuando a guardarli, non provai che gioia e orgoglio per entrambi. Dati i trascorsi della ragazza e il modo in cui era stata costretta a vivere, la loro relazione poteva essere malvista, ma non certo da noi. In fin dei conti, eravamo diventati la sua famiglia proprio come aveva detto, e non l'avremo certo abbandonata, non ora che aveva raccolto le sue forze e il suo coraggio per agire e scoprire l'importanza di decidere.

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Capitolo 28
*** Traditrice ***


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Capitolo XXVIII
 
Traditrice
 
Era passato soltanto qualche giorno, di cui ognuno era svanito con un singolo ciclo solare, e dopo la sua importantissima decisione di cambiare strada per iniziare a percorrere assieme a tutti noi la via del bene, Ava non aveva fatto altro che riflettere, per poi decidere di restare a vivere con noi. Conosceva bene i Ladri e tutte le loro mosse, e da quando era riuscita a scappare, un unico desiderio continuava a balenarle in mente, ovvero combattere contro quei mostri e sconfiggerli, o almeno provarci. Anche se lentamente, il tempo passava e continuava a passare, e volendo restare ottimista, Ava faceva di tutto per essere felice, rimanendo sempre vicina ad Aaron. Lui stesso mi aveva parlato del rapporto che aveva con lei. A suo dire bello e pieno d'amore, aveva trovato il suo esordio quanto entrambi non erano che bambini intenti a giocare e rincorrersi fra l'erba del bosco, proprio come era successo a sua sorella Terra. Con l'andar del tempo, la loro amicizia si era fatta sempre più solida, continuando ad intensificarsi e legandoli sempre più fortemente l'uno all'altra. Stando a quanto ricordavo, durante il loro primo incontro al bosco lui stesso le aveva insegnato l'arte della lotta e l'importanza dei suoi allenamenti. A undici anni d'età, lei non aveva compreso bene la gravità della situazione in tutto il regno, ma ora, dopo ben sei anni, si era decisa. Ricordava perfettamente quanto dolore i Ladri stessi le avessero inflitto. Approfittandosi della sua ingenuità, l'avevano spinta a fidarsi, aiutandola nel suo momento di bisogno, e poi costretta ad accettare l'orribile marchio che ancora oggi porta sulla pelle. Agli occhi di un estraneo, un semplice tatuaggio, ma ai nostri, il simbolo di quegli schifosi mostri, che dopo anni passati a seminare terrore in tutta Aveiron e dintorni, agiscono ancora indisturbati. Ora Ava sorride e si allena con Aaron, ed io ne sono felice, ma nonostante questo, anche sospettosa. Dati i miei trascorsi, avevo imparato a osservare quello che mi accadeva intorno senza trascurare le persone a me care, imparando lentamente a conoscerle meglio. Soffrendo in silenzio, mi preoccupavo per lei, e nonostante lei non aprisse mai bocca a riguardo, ero sicura di una cosa. Era riuscita a scappare e a liberarsi dalla stretta delle loro metaforiche spire, ed era un bene, ma in cuor mio sapevo che prima o poi avrebbero scoperto la sua fuga e cercato vendetta, associando il suo nome a quello di una sporca traditrice.
 
 
Salve a tutti! Non scrivevo nè pubblicavo nulla dal 25 Agosto scorso, ma ora che finalmente l'ispirazione è tornata, sono riuscita a mettere insieme questo capitolo, a mio dire importante ai fini narrativi. Prima di andare, ringrazio ognuno di voi, non dimenticando "la luna nera" "JustBigin45" "alessandroago_94 e "Karon Migarashi" tutti autori come me che mi seguono e leggono ormai da lungo tempo. Al prossimo capitolo,
 
Emmastory :)

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Capitolo 29
*** Anima tormentata ***


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Capitolo XXIX
 
Anima tormentata
 
Anche se lentamente, i giorni passavano rincorrendosi nel calendario della vita di ognuno di noi, e ormai da qualche tempo, Ava ha iniziato ad impegnarsi e a prendere sul serio gli allenamenti. Ritenendola ancora inesperta, Aaron si offre spesso di aiutarla, ma lei è caparbia, e non fa altro che insistere e reclamare la sua indipendenza. "Faccio da sola." Ripete spesso mentre si allenano, accettando comunque i consigli del fidanzato. Essendo completamente innamorato di lei, Aaron prova anche orgoglio, reputandola abile con ogni tipo di arma, dalle daghe all'arco che il suo amico Isaac è solito usare. Ora come ora, entrambi sono nel giardino di casa, e da una debita distanza, li osservo. Forse lo sto solo immaginando, e forse mi sbaglio, ma Ava mi appare nervosa. Concentrata solo sugli allenamenti, ha il volto contratto in una smorfia d'odio, e persa nei suoi stessi pensieri, finisce per ferirsi. Preoccupato, Aaron le si avvicina, ma quasi irritata, lei lo respinge. "Sto bene." Sembra volergli dire, allontanandolo da sè con uno spintone. Tentando di farla ragionare, lui non demorde, e afferrandole un braccio, ottiene come unico risultato quello di adirarla. Seccata, lei si allontana, e tornando in casa, si massaggia una spalla dolorante. Provando istintivamente pena per lei, provai ad avvicinarmi, ma evitandomi, Ava preferì restare da sola. Sparendo nel corridoio, raggiunse subito la camera degli ospiti. Preoccupata, la seguii, e una volta arrivata di fronte a quella porta, mi fermai. Avrei tanto voluto aprirla, così da entrare e provare a consolarla, ma sospirando, cambiai idea. Alcuni semplici secondi scomparvero poi dalla mia vita, e guardando attraverso il piccolo buco dell'aurea serratura, la vidi sdraiata sul suo letto, con il viso nascosto nel cuscino. Non piangeva, ma ero sicura che moltissime lacrime avrebbero presto cercato di fuggire dai suoi occhi. Non riuscendo a sopportare quel pietoso spettacolo, indietreggiai lentamente, e sentendo la porta di casa aprirsi, rividi Aaron. Proprio come lei, anche lui mi appariva stravolto, e avvicinandomi, provai a parlargli. "Aaron, tesoro, che è successo lì fuori?" Chiesi, sperando che avesse la forza di raccontarmi tutto. Per pura sfortuna, la mia buona stella decise di abbandonarmi e spegnersi, e quasi scappando via da me, trovò subito rifugio in camera sua. "Lasciami stare, è tutta colpa mia!" gridò fra le lacrime, poco prima di sbattere con violenza la porta della sua camera. Affranta, scoprii di non poter fare altro, e con l'arrivo della sera, faticai a dormire. Conoscevo Ava da poco, ed era vero, ma tenevo davvero a lei, e sapere che non potevo aiutarla mi faceva male al cuore. Soffrivo in silenzio, e guardando le stelle, pregavo. A quanto sembrava, le mie supposizioni si stavano rivelando corrette, e proprio come pensavo, Ava non riusciva a smettere di pensare al tempo in cui combatteva al fianco di quei farabutti. Stando a quanto avevo avuto modo di osservare, lei non aveva fatto altro che stringere i denti e cercare di mostrarsi forte per tutta la vita, e lasciando che Aaron vi entrasse rubandole letteralmente il cuore, aveva avuto modo di riscoprire le sue stesse emozioni. Pensandoci, mi sentivo felice e orgogliosa di lei, ma in cuor mio sentivo che questa metaforica medaglia aveva anche un rovescio, secondo il quale il dolore si era lentamente insinuato fra le crepe dell'animo di quella povera ragazza. Fuggendo dal covo dei Ladri, sperava di lasciarsi il suo oscuro passato alle spalle, ma per pura sfortuna, fuggire non è sempre la scelta migliore. Quella notte, faticai a dormire, e mirando le lucenti stelle che punteggiavano il cielo quasi tinto di nero, capii che c'era davvero qualcosa che non andava, e sperai che in un momento di simile sconforto la pace e la tranquillità raggiungessero Ava e la sua povera anima ora tormentata. 

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Capitolo 30
*** Fuggire dai problemi ***


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Capitolo XXX
 
Fuggire dai problemi
 
Era ancora notte, e nel buio della mia stanza, schiarito solo dalla debole luce di una piccola lampada sul mio comodino, non facevo che rigirarmi nel letto, faticando a dormire. Non era colpa dei miei incubi, nè della mia ansia, ma bensì di Ava. Viveva con noi da ormai qualche tempo, ed io mi preoccupavo per lei da giorni. Ricordavo bene cosa le era successo in giardino con Aaron, e in silenzio, soffrivo per entrambi. Sapevo bene che lui l'amava, e detestavo vedere ogni giorno il suo viso stravolto dal dolore. Mi sentivo stanca, e volevo solo riposare, ma era come se le mie pesanti palpebre rifiutassero di chiudersi. Dormire era uno dei miei bisogni, ma quella notte, sembravo essere destinata a restare sveglia. Ad occhi aperti, non facevo che pensare fissando il soffitto, e nel silenzio che mi avvolgeva come le mie calde coperte, solo un suono. I singhiozzi di quella povera ragazza, che ancora tormentata dal suo stesso passato, piangeva. Passava il suo tempo a piangere e lamentarsi quando era da sola, e nulla sembrava riuscire a calmarla, neppure la presenza di Aaron. Per quanto ne sapevo, si amavano, ma ora lei sembrava odiarlo. Non voleva i suoi baci, non voleva i suoi abbracci, nulla. Non desiderava nulla se non la solitudine. Il tempo passava, e più ci pensavo, più soffrivo. Mi veniva quasi da piangere, e tenendo le dita incrociate, continuavo a pregare. Sapevo che per alcuni la religione era inutile, e che forse non sarebbe servito, ma tentare non costava niente, e ad essere sincera, ero sicura di stare esaurendo le opzioni. Non sapevo cosa fare, e non riuscendo più a sopportare i dubbi, l'attesa e il dolore, decisi di alzarmi, e andare subito a parlarle. Ero preoccupata, e dovevo sapere. Camminando, feci del mio meglio per orientarmi e mantenere il silenzio, svegliai Chance senza volerlo, e posandomi un indice sulle labbra, sperai che non iniziasse ad abbaiare. Grazie al cielo si limitò a farmi le feste, poi prese a seguirmi, fermandosi solo di fronte alla porta della camera di Ava. Sedendosi, mugolò chiedendomi di aprirla, ma prima di farlo, bussai. I miei furono due colpi secchi, a seguito dei quali, udii la sua voce. "Rain, sei tu?" chiese, faticando a parlare a causa del pianto che le rovinava la voce. "Ava? Posso entrare?" azzardai, bussando di nuovo. "S-Sì." Biascicò lei, ancora visibilmente scossa. Annuendo, abbassai la maniglia, e in un attimo, fui con lei. Sedendomi sul letto, non feci che guardarla, e non appena i nostri sguardi si incrociarono, lei decise di parlarmi. "Rain, io... non ce la faccio. Sto troppo male, non riesco a dormire, e da tempo soffro di insonnia e incubi, proprio come te. Ho paura, tanta paura, eppure nessuno può saperlo. "Mi confessò, con la voce spezzata dal dolore e rovinata dal pianto. "Cosa?" Replicai, incredula. "Perchè non ce l'hai detto? Potevi parlarne con me, o con Aaron!" chiesi poi, incapace di credere a quanto avessi appena sentito e fornendole un consiglio che lei parve ignorare. "No! è proprio questo il problema! Lui non deve saperlo!" Rispose infatti, alzando bruscamente il tono della voce e perdendo il controllo delle sue emozioni. "Non posso parlarne con lui, proprio perchè lo amo!" aggiunse poi, gridando fra le lacrime. Ascoltandola senza interrompere, non proferii parola, e stringendola, l'abbracciai forte. "Ti capisco, Ava. Davvero." Le dissi, carezzandole la schiena con fare amorevole. "Hai ragione quando dici che anch'io soffro d'insonnia, perchè è vero, ma ora sto meglio, e sai perchè? Perchè ho avuto il coraggio di parlarne, e da quando l'ho fatto, Stefan mi è sempre stato vicino, e ancora oggi lo ringrazio per questo." Spiegai subito dopo, in tono calmo e serio al tempo stesso. In silenzio, Ava continuò a piangere, e sentendo i suoi singhiozzi, la lasciai sfogare. Di lì a poco, il silenzio calò nella stanza, salvo poi rompersi di nuovo come vetro quando Ava riprese la parola. "Grazie, Rain. Tu sei sempre qui per me, così come lo sei per tutti, ma ad essere sincera credo che il problema non siano soltanto i miei incubi. Ogni volta che chiudo gli occhi non vedo che i volti dei Ladri, certo, ma il punto è un altro, ed io non voglio più vivere così. Allora avevo nove anni, e ritrovandomi sola mi sono fidata, eppure ancora oggi maledico quel giorno." Disse, dando vita ad un discorso che non osai interrompere. In quel momento, un guizzo di memoria mi saltò in mente, togliendomi il respiro. Da ormai giorni, pregavo perchè riuscisse ad uscire dal vortice di dolore e tristezza in cui era caduta, e solo ora, ascoltandola dar voce al suo tormento interiore, capivo che quella ragazza soffriva enormemente, e che fingeva di essere forte chiudendosi in sè stessa, e proteggendosi tramite una metaforica corazza che a quanto sembrava, io ero riuscita a scalfire. Non dicevo nulla, ma ascoltando ciò che aveva da dire, aspettavo che mettesse la parola fine al suo sfogo, che, colpendomi con violenza, mi ferì il corpo e l'anima. Notando che la fissavo, Ava parve infastidirsi, e solo allora, pronunciò un'ultima frase dura come la roccia, che ebbe come unico potere quello di spedire il mio morale metri e metri sotto terra. "Avrei potuto essere normale, avrei potuto essere felice, e invece ho finito per fidarmi delle persone sbagliate, ottenendo cosa? Un marchio. Un orribile marchio che mi ricorda ciò che ho fatto, e che non sparirà mai!" Queste furono le sue parole, urlate durante la notte di fronte a me, che a suo dire ero una grande amica, e che proprio ora, non sapeva cosa fare se non provare a consolarla. Guardandola negli occhi, la vedevo struggersi per il dolore, ma rimanendo ferma, esitavo. In quel momento, avrei davvero voluto parlarle ancora, dirle che tutto sarebbe andato bene, e che tutti noi saremmo stati sempre lì per lei, ma non ne ebbi il tempo. Era vero, e nessuno poteva negarlo, ma il tempo e le forze per dirglielo mi mancarono davvero, in quanto prima che potessi anche solo provarci, lei prese una decisione. Alzandosi dal letto, guadagnò la porta della stanza, e ignorando sia me che un'ora festoso Chance, felice di vederla, aprì quella principale e se ne andò, quasi senza dire una parola. "Ava, no, aspetta!" la pregai, con un nodo alla gola e le lacrime agli occhi. "No, Rain, non posso. Mi dispiace, e lo sai, ma non posso. Forse un giorno ci rivedremo, ma fino ad allora addio, e ti prego, abbi cura di te." Rispose soltanto, per poi voltarsi e sparire camminando lentamente nel buio della notte. Immobile come una statua, non seppi come reagire, e guardandola allontanarsi, diedi le spalle alla porta di casa, sapendo di non poter sopportare oltre. Tornando a letto, scoppiai in lacrime svegliando Stefan, e pur accettando la sua presenza unita al suo amore, non riuscii a calmarmi. "Rain, stai piangendo, che è successo?" chiese, confuso e preoccupato. "Se n'è andata, Stefan, ecco cos'è successo. Abbiamo tutti cercato di aiutarla e di farla ragionare, ma lei non ha voluto, e ha preferito fuggire dai suoi problemi."




Salve di nuovo a tutti i miei lettori! Mi scuso ancora per il lasso di tempo trascorso dal mio ultimo aggiornamento, ma con la scuola appena ricominciata, e l'ultimo anno di superiori da affrontare, non sono proprio riuscita a fare di meglio. Trovando solo oggi tempo e ispirazione sufficienti a scrivere, sono tornata, e ringrazio come sempre ognuno di voi per la pazienza e il supporto che mi mostrate. Al prossimo capitolo,

Emmastory :)

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Capitolo 31
*** Eredità pesante ***


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Capitolo XXXI
 
Eredità pesante
 
Era passata la notte, e con la luce, era arrivata la mattina. Stanca e febbricitante, ero rimasta a letto, ma il lato in cui Stefan dormiva era vuoto. Sapevo bene che non mi avrebbe lasciata da sola senza una ragione, e riflettendo, compresi che doveva semplicemente essersi svegliato prima di me. In silenzio, non facevo che fissare il soffitto, e con la testa che girava, pensavo al mio povero Aaron. Conoscevo i suoi sentimenti per Ava, e ora che per la seconda volta lei aveva deciso di sparire dalla sua vita, ferendolo ancora, non potevo fare altro che cercare di rassicurarlo. "Non m'importa. Non m'importa delle sue origine. Io la amo, come non ho mai amato nessuno." Mi ripete ogni volta che cerchiamo di parlarne. Parole nobili, il cui solo pensiero mi scalda e spezza il cuore al tempo stesso. Ad essere sincera, nel giorno in cui era tornata a stare con noi mesi fa, mi ero convinta che non se ne sarebbe più andata, e mentre ora i miei pensieri si susseguono veloci, come le scene e i fotogrammi di un vecchio, vecchissimo film in bianco e nero, scopro di essermi sbagliata. Stefan mi conosce, e come mi ha detto già una volta, questa parte del mio carattere è quella che lui ama di più. Dice che riesco sempre a trovare e vedere il buono che c'è nelle persone, Ava compresa, e sorridendo, mi sento felice e orgogliosa di me stessa. Ad ogni modo, rifletto, e Ora come ora, non sono certo al massimo della forma, ma decido comunque di alzarmi. Lentamente, raggiungo la cucina, venendo subito accolta dai miei amici animali. Chance, Myra, e anche il piccolo Max. Come ogni mattina, hanno aspettato il mio risveglio. Non per fame, ma per noia mista ad una gran voglia di rivedermi. Al contrario di loro, Max è ancora un cucciolo, e adesso che Alisia e i miei nipotini non sono cui, la solitudine è per lui diventata normale. Silenzioso, passa il suo tempo con i genitori nel giardino di casa a giocare e imparare le regole della caccia e della vita all'aria aperta, e malgrado abbia altro su cui concentrarmi, a volte mi siedo accanto alla finestra o resto in piedi soltanto a guardarli. È strano a dirsi, eppure quel cucciolo mi ricorda tanto i miei figli quando erano bambini. Così piccoli, dolci e spensierati, senza alcuna preoccupazione a turbare le loro piccole menti, menti che ora non sono più tanto piccole, e che contengono pensieri, idee e sogni tutti loro. Ad ogni modo, il tempo scorre senza sosta, e il povero Chance rompe il silenzio. Assentandosi dalla cucina per un solo attimo, è tornato indietro con in bocca il suo guinzaglio, mugolando leggermente. "No, Chance. Niente passeggiata." Gli ho detto soltanto, non riuscendo a staccare gli occhi dal panorama visibile appena fuori dalla finestra, triste e cupo a causa di alcune nuvole che stanno per arrivare. La pioggia è vicina, e non ho voglia di uscire, ma il tempo atmosferico c'entra ben poco. In un momento del genere, vorrei solo stendermi e riposare, e l'unica mia consolazione sta nel fatto di avere la mia intera famiglia al mio fianco. Silenzioso, Aaron non dice una parola, ma è seduto sulla poltrona del salotto, intento, proprio come me, a pensare. "Lo prendo io." Dice, riferendosi al cane e al suo fisiologico bisogno di uscire. Voltandomi, non faccio che annuire, ma prima che se ne vada, mi avvicino per abbracciarlo. "Mi dispiace." Gli sussurro nel farlo, notando che anche l'animale è del mio stesso avviso. "Non fa niente, torno presto." Risponde, poco prima di darmi le spalle e andar via aprendo la porta. Guardandolo, vorrei tanto intervenire, ma non ne ho le forze. Sono sua madre, so quanto ama quella ragazza, e ora, mentre si allontana, capisco che la passeggiata al fianco di Chance è soltanto un pretesto. Una scusa per allontanarsi e riflettere pensando ad Ava, a lei e alla sua eredità pesante.


Salve a tutti. Ormai era più di un mese che non scrivevo nulla, ma finalmente, in questo calmo e ozioso primo giorno di novembre, l'ispirazione ha deciso di tornare da me, cogliendomi di sorpresa e spingendomi a creare questo trentunesimo capitolo. Se per caso qualcuno se lo stesse chiedendo, no, non ho abbandonato le avventure di Rain e della sua famiglia, e non lo farò fino alla loro conclusione. Che dire? Grazie a chi mi legge e segue, anche a chi lo fa in silenzio, ma in special modo a chi mi ha aspettata per tutto questo tempo. Alla prossima,

Emmastory :) 

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Capitolo 32
*** La scelta della ragazza ***


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Capitolo XXXII
 
La scelta della ragazza
 
Triste e sconsolata, guardavo fuori dalla finestra senza dire una parola, rimanendo concentrata sulle gocce di fredda pioggia che rigavano il vetro. Cercavo di rilassarmi, ma non riuscivo. Nel tentativo di aiutarmi, Myra si alzò su due zampe, e con uno sforzo, le posò sul davanzale della finestra stessa, poi mi guardò. "Giornata uggiosa, vero bella?" Le chiesi, sorridendo debolmente. Per tutta risposta, lei sembrò annuire, emettendo anche un leggero mugolio. Nel farlo, mi si fece ancora più vicina, e con una sorta di sorriso stampato sul muso, mi leccò la faccia e una mano. "Ti voglio bene." Sembrava dire, pur non possedendo davvero il dono della parola. Una qualunque persona l'avrebbe definita una semplice bestia, ma non io. Le volevo bene a mia volta, e in quel momento, scossi la testa, liberandomi in fretta dalla tristezza dei miei pensieri. Imitando la madre, anche Max cercò di risollevarmi, abbaiando felice e invitandomi ad accarezzarlo. Sciogliendomi come neve al sole, mi abbassai per farlo, realizzando così il suo desiderio. Poco dopo, lo vidi concentrarsi sul movimento della sua stessa coda, e iniziare a girare in tondo nel tentativo di rincorrerla. Un modo di giocare tutto suo, che per qualche strana ragione, mi fece sorridere e tornare bambina. Anche se solo per poco, mi dimenticai dei miei problemi, e andando a sedermi sulla comoda poltrona accanto al fuoco acceso, ripresi in mano il mio diario. Non vi scrivevo da molto, e ad essere sincera, mi mancava. Stando alle parole del dottor Patrick, farlo poteva rivelarsi terapeutico, e per me lo era, così afferrai la mia fida biro nera e iniziai a scrivere. In quel preciso istante, provai mille emozioni diverse. Il mio corpo più leggero, la mia mente libera e sgombra dalle paure, il mio cuore finalmente calmo e non più tediato dal mio dolore. Per la prima volta in tutto quel tempo mi sentivo meglio. Fra una parola e l'altra, qualche lacrima scivolava sulle pagine rovinando l'inchiostro, ma non importava. Mi stavo liberando dalla negatività che mi scorreva come sangue in corpo, e quella era l'unica cosa a contare. Non so davvero quante parole, o quante righe scrissi, ma lo feci soltanto per liberarmi e tornare alla calma. Una volta finito, lo richiusi, lasciandolo sul tavolo del salotto. Tornando vicino alla finestra, guardai di nuovo fuori, notando che il buio era ormai arrivato, e che la pioggia continuava a cadere. Con la mano premuta contro il vetro, osservavo la piazza principale, sorridendo sollevata nel vedere Aaron tornare indietro, e non solo in compagnia di Chance. A quanto sembrava, Ava era tornata con lui, e ora lui non era più solo. Il guinzaglio di Chance in una mano, quella dell'amata nell'altra. A diciassette anni, erano quasi adulti, ed io ero davvero orgogliosa di loro. Ad essere sincera, dopo la sua fuga da casa nostra credevo di non rivederla mai più, e invece adesso eccola, sempre più vicina alla porta e in compagnia del ragazzo che amava. In silenzio, li guardai avvicinarsi, poi corsi ad aprire la porta, felicissima. "Ragazzi! Grazie al cielo!" Esclamai, avvicinandomi per abbracciarli entrambi. "Mi dispiace, Rain. Mi dispiace tantissimo, ma stavolta resterò, definitivamente." Disse lei, crogiolandosi nel mio abbraccio e trovandolo un posto perfetto. "Non soltanto per te, ma per voi. Per Aaron." Aggiunse poi, trovandosi sul punto di piangere. In quel momento, mi commossi anch'io, ma sforzandomi di non perdere il controllo delle mie emozioni, mi concentrai su di lei. "Bentornata, Ava. Bentornata in questa famiglia." Le dissi soltanto, accarezzandole la schiena con fare amorevole. "Grazie." Sussurrò lei in risposta, stringendosi a me con forza ancora maggiore. Lasciandola fare, non mi scomposi, e non appena quell'abbraccio ebbe fine, Aaron le prese la mano, accarezzandola dolcemente. L'amava, e benchè ancora non gliel'avesse detto apertamente, quello era un modo di dimostrarlo. Sapevo bene cosa significasse, ed ero certa che fosse anche un suo modo di dirle che approvava la sua scelta. Agli occhi di molti poteva apparire normale, ma non certo a quelli di Aaron, perchè ai suoi si rifletteva come la scelta intrapresa da una guerriera come la sua fidanzata.   

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Capitolo 33
*** La forma del dolore ***


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Capitolo XXXIII
 
La forma del dolore
 
Erano ancora lì, fermi, l'uno fra le braccia dell'altra. Non parlavano, non dicevano nulla, ma Ava piangeva. Volendo solo confortarla, Aaron la stringeva forte a sè, carezzandole la schiena con dolcezza. Io ero lì, e stando a guardarli, le parlavo in tono gentile. Proprio come lui, anch'io volevo rassicurarla, e quando finalmente il loro abbraccio si sciolse, lei si avvicinò alla finestra, poi sorrise. Silenziosa come un topo o un saggio gufo, mi allontanai fino a lasciarli da soli, sicura che volessere del tempo per sè stessi. Seguendomi, anche i cani di casa sparirono dalla loro vista, e prima di andare, Chance li guardò per un'ultima volta. Per quanto ne sapevo, aveva in qualche modo partecipato al suo ritrovamento durante quella passeggiata, e fra un passo e l'altro, scandito solo dal suono delle sue unghie che ticchettavano contro il pavimento, io lo guardai, notando che sembrava essere davvero orgoglioso di lui. Stando ai miei ancora nitidi ricordi, quel cane aveva già agito da Cupido in una situazione simile, quando mia figlia Rose temeva di rivelare i suoi sentimenti all'amato Isaac. Da allora erano passati circa quattro anni, ma a me non importava. Rose poteva contare sul suo appoggio e sull'affetto che lui riversava su di lei, e in qualità di madre, non volevo altro che il meglio per i miei figli. Avendogli letteralmente donato la vita, potevo dire di conoscere Aaron perfino meglio di me stessa, ed ero sicura che fosse innamorato di Ava. Inizialmente, non l'avrei mai detto, ma in un giorno di sole, mia sorella Alisia era riuscita a capirlo, convincendo poi anche me. Ero felice, e negarlo era inutile, ma tornando a sedermi sul letto nella mia stanza, mi fermai a pensare. Nel farlo, ricordai il giorno in cui Ava aveva deciso di realizzare il desiderio delle mie nipotine e legger loro una storia. Non aveva usato un libro, ma la sua stessa mente, finendo per raccontar loro la storia della sua vita, includendo il barbaro modo in cui era stata costretta a entrare a far parte delle fila dei Ladri, ovvero con l'inganno. In cuor suo, lei non avrebbe mai voluto, ma allora era solo una bambina avventuratasi troppo lontano da casa, che avendo finito per perdersi nella nebbia, non aveva fatto altro che chiedere aiuto. L'aveva ricevuto, certo, ma da quel giorno in poi, le persone che avevano deciso di aiutarla, l'avevano obbligata a portare sulla pelle e nell'anima un segno, il loro. Sin da quando l'aveva ricevuto, Ava non aveva fatto altro che accusare una strana debolezza fisica e mentale, che seppur lentamente, l'aveva portata a fuggire da noi, dalla sua nuova, grande e allargata famiglia. Finalmente, il suo comportamento aveva una spiegazione, e il suo problema più grande una nome e un'identità. Una sorta di tatuaggio dalla forma unica, che ormai io e i miei compagni avevavano imparato a riconoscere, chiamandola semplicemente "forma del dolore, e che ero sicura lei volesse semplicemente far scomparire, nonostante per pura sfortuna non fosse possibile.

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Capitolo 34
*** La realtà dei fatti ***


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Capitolo XXXIV
 
La realtà dei fatti
 
Due settimane se n'erano lentamente andate, e Aaron aveva finalmente avuto l'occasione di riavere Ava tutta per sè. Era tornata, e ogni momento con lei era bellissimo. Conoscendolo, sapevo bene quanto avesse sofferto durante il suo lungo periodo d'assenza, e ora che aveva scelto di smettere di fuggire, lui era diventato il ragazzo più felice. A quasi diciott'anni, poco meno di un adulto, innamorato della sua ragazza come di nessun altro. Più di una volta li avevo visti baciarsi, o approfittare l'uno della vicinanza dell'altro durante gli allenamenti nel giardino di casa, proprio come facevano Trace e Terra. Guardandoli, non provavo che orgoglio, e nel farlo mi concentravo su Ava. Contrariamente a me, Stefan non ci faceva quasi caso, ma la vedevo felice. Sì, felice e senza preoccupazioni. Ora aveva Aaron, e poteva contare sul suo appoggio. Sapevo che lo amava, ed ero certa che non l'avrebbe più abbandonato. Ad essere sincera, la sua relazione con lei ha attraversato un periodo di crisi, e a volte, rileggendo le bianche pagine del mio diario, mi fermo a ricordare il passato, scoprendo ogni volta piccoli dettagli di ogni situazione, che senza volerlo ignoravo. Ora come ora, tutto sembra andar bene, e mentre sia Aaron che Ava sono impegnati con gli allenamenti, si guardano l'un l'altra dandosi coraggio. In silenzio, rimango in piedi di fronte alla porta di casa, e tengo la mano a Stefan. È con me, e c'è sempre stato, nonostante lo scorrere del tempo. Da bravo padre qual è, si mostra orgoglioso del figlio che tanto ha voluto, mostrando un sorriso perfino più luminoso del mio nel vederlo felice. Come sappiamo, il tempo passa e continua a passare senza mai fermarsi, e mantenendo il silenzio, mi allontano mentalmente dal resto del mondo. In questo momento, tutta la vita mi sta scorrendo davanti agli occhi, e tenendoli aperti, sento davvero di sognare. Sono ormai passati anni, eppure ricordo ancora ognuno dei momenti in cui i miei amati figli erano bambini. Ora non lo sono più, chiaro, ma una parte di me vorrebbe davvero rivivere quei momenti. Sono ormai adulta, so che crescere fa parte della vita, e solo ora mi rendo conto che i miei figli sono e saranno i miei bambini per sempre, prima fra tutti Terra, la mia dolce e amata primogenita, che ora, all'età di vent'anni, non ha occhi che per il suo Trace, e portando pazienza, aspetta solo che lui le ponga una fatidica domanda. Rose è più giovane di lei di tre anni, e può contare sulla presenza di Isaac, ferito dalla morte della madre ma deciso a combattere per essere il suo eroe. Ricordo ancora l'ultima nostra visita alla sua tomba, il modo in cui ci aveva stranamente fatto sentire la sua presenza, e quello in cui lo stesso Isaac le aveva fatto quella promessa. È passato del tempo, ma lo ricordo come se fosse ieri. Eravamo tutti lì, e dopo quello stranissimo colpo di vento che aveva sconvolto prima suo zio Basil e poi lui, aveva preso in mano il suo pugnale, e tagliandosi un dito, aveva lasciato che il suo sangue scorresse fino a fondersi con la nuda terra, nel tentativo di mostrarle che sarebbe stato il suo eroe, e che non l'avrebbe mai delusa. Dopo le sue parole, il vento aveva smesso di soffiare, e nel momento del ritorno a casa, il povero Isaac mi era parso più calmo e felice, come se avesse appena fatto pace con i suoi stessi demoni, incluso quello del dolore derivante dalla morte della sua stessa madre. Anche ora, Rose lo aiuta come può, e lui la lascia fare, fidandosi di lei. Così, mentre questi pensieri mi galleggiano in testa come bollicine prossime a scoppiare, scuoto la testa e torno velocemente ad essere me stessa, e sorridendo, resto calma, consapevole del mio cammino e della strada che ho fatto fino ad ora, sicura di me stessa e dell'attuale realtà dei fatti. 

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Capitolo 35
*** Grande guerra e piccole menti ***


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Capitolo XXXV
 
Grande guerra e piccole menti
 
Sono calma. Fortunatamente, certo, ma sono calma. Ricordo ancora il giorno in cui armandomi di carta, penna, ago e filo ho iniziato a tenere un mio diario aggiornandolo costantemente, così che un giorno, se e quando questo scempio finirà, potrò rileggerlo con l'aiuto della quiete, provando ad una ad una le stesse emozioni. So bene che molte donne come me non sono riuscite a sopportare il dolore e la paura di una vita come quella che tutti noi viviamo, all'insegna dell'ansia e del tormento interiore, e hanno così deciso di togliersi la vita. In tutti questi anni, mi sono mostrata stoica, e pur avendo sofferto molto, non l'ho fatto, ringraziando ancora oggi il cielo per la forza che ho avuto, ho e sto avendo. Riflettendo, comprendo che la vita non è altro che un complicato mosaico di vitree tessere chiamate emozioni, che ognuno prima o poi deve imparare a maneggiare e posizionare con cura, evitando passi falsi ed errori che in alcuni casi possono essere fatali. Ora come ora, siedo comodamente sulla poltrona del salotto, proprio accanto al fuoco acceso, che ci protegge dal freddo in quest'inverno così duro. Fino a poco fa leggevo, ma ho messo il mio libro preferito, seppur vecchio e polveroso, al suo posto nella libreria del salotto. Sono sveglia, ma al contrario di me Chance dorme accanto al fuoco. Conoscendolo, so che è un cane attivo, ma a ben quindici anni, l'età inizia davvero a farsi sentire. In silenzio, mi godo quella scena, scoprendo che Myra ha scelto di imitarlo, e così anche il piccolo Max, che sbadigliando, si accuccia sul tappeto, proprio al fianco della mamma. Non dico nulla, ma in compenso, sorrido. Il tempo passa, e tutti conosciamo la verità, sicuri che un giorno quei maledetti mostri torneranno. Volendo soltanto proteggere sè stesso e la sua famiglia, Aaron è fuori ad allenarsi con Ava, e pur non guardandoli, sono certa che stanno facendo del loro meglio. Attorno a me regna il silenzio, rotto solo dal suono della coda di Chance che sbatte contro il pavimento. Guardandolo, quasi ghigno divertita, poi, colta dal freddo, mi avvicino al caminetto, ascoltando con calma e compostezza il crepitare delle fiamme. Abbassando lo sguardo, lo fisso di nuovo sul piccolo Max. Dorme beato, e al contrario dei genitori, non ha idea di cosa questa guerra sia in grado di provocare nella vita di ognuno di noi. Grazie all'aiuto di mio nipote Lienard, ha preso l'allenamento come un semplice gioco, ma pensandoci, vorrei davvero che anche lui, nonostante ora sia solo un bambino, capisse quanto sia importante saper maneggiare una spada, una daga o qualsiasi altra arma. Ha soltanto sei anni, i Ladri gli fanno paura, e stando ai racconti di mia sorella Alisia, vive assieme alle sorelle nel folle terrore di perdere la sua intera famiglia. Non riesco a crederci, mi rifiuto di farlo, eppure so che è la verità. Lasciandomi prendere dall'ansia, spero con tutto il cuore che quest'assurda guerra finisca prima della loro infazia, così da dare loro la possibilità di viverla nonostante tutto, nella speranza di giocare e divertirsi dimenticando il dolore e lo sconforto che tutto questo sta portando nelle loro vite. In qualità di loro zia, sono preoccupata, ma anche fiduciosa. Sono piccoli, devono ancora crescere, ma sono certa che un giorno ce la faranno. Essendo soltanto umana, non ho modo di prevedere il futuro, ma questo non m'impedisce di avere delle speranze. Tornando a sedermi in poltrona, scoprendo che uno dei cani si è svegliato. Si tratta di Max, completamente ignaro dei miei pensieri, ma perfettamente in sintonia con i miei sentimenti. Senza accorgermene, ho iniziato a piangere, e sedendosi sulle zampe posteriori, prega perchè lo prenda in braccio. Sorridendo debolmente, realizzo il suo desiderio, e quasi facendolo a sua volta, mi lecca subito il viso, asciugando tutte le mie lacrime. Poco dopo, sente il suono della porta di casa che si apre con uno scatto, e sfuggendo dalle mie carezze, scende dalla poltrona, andando subito a salutare Aaron. Ava lo segue subito, e si abbassa ad accarezzare il cucciolo. A quella vista, sorrido ancora, e notando che la notte è scesa, mi preparo per andare a dormire. Un bicchiere di latte caldo mi concilia come sempre il sonno, e non appena poso la testa sul cuscino, mi addormento, sperando con tutto il cuore che la fine di questa nera sfortuna riesca a far tornare la pace nella famiglia di mia sorella, nei cuori dei miei tre nipotini e nelle loro piccole menti.

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Capitolo 36
*** Fra le rovine ***


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Capitolo XXXVI
 
Fra le rovine
 
Lentamente, il tempo sta passando, e con la stessa lentezza, il rapporto che esiste fra Aaron e Ava sta migliorando. Proprio come mi aspettavo, ora lei è più aperta, e controllando i loro allenamenti, noto con piacere che lei gli sta vicina, aiutandolo a perfezionare i suoi colpi e la sua tecnica. Ad essere sincera, credo siano simili, e che stiano davvero bene insieme. Fuori c'è il sole, e alcune bianche nuvole sembrano galleggiare nel cielo azzurro. È di nuovo mattina, Chance pare aver bisogno di uscire, e aprendo la porta, lo lascio fare, rimanendo comunque concentrata su mio figlio. Silenzioso, si allena con costanza, e nonostante il grande impegno, non pare avere occhi che per Ava. Sono innamorati, lo vedo bene, e per qualche strana ragione, sono convinta che finalmente, dopo tutto questo tempo, la corazza con cui lei si difendeva è stata finalmente scalfita e annientata proprio dal potere dell'amore. Come ripeto, sono soltanto umana, e non certo avvezza al mondo della magia, ma pensando all'esperienza avuta dopo essermi innamorata di Stefan, che ancora amo con tutta me stessa nonostante le mille difficoltà che abbiamo attraversato nel tempo, ormai lo reputo un vero e proprio incantesimo, un sortilegio più potente di qualunque altro. Anche oggi sono tranquilla, e mentre il tempo scorre, mille pensieri mi distraggono. Sono di nuovo i miei ricordi, tornati a farmi visita dai meandri della mia mente. Senza accorgermene, sorrido, e notandolo, Stefan mi tiene la mano. "Ricordi?" Chiede, improvvisamente curioso e non più preoccupato. "Bei ricordi." Rispondo, specificando la realtà con un sorriso. Pensandoci, mi sento fortunata, poichè finalmente la mia ansia pare essere scomparsa e sostituita dalla felicità. In silenzio, mi godo questi momenti, e mentre rimango persa nei miei pensieri, sento un rumore. Qualcuno sta bussando alla porta, e quasi allarmato, Max inizia ad abbaiare, spaventato da quel suono che non conosce e a cui non è abituato. Cercando di calmarlo, gli faccio qualche carezza, poi apro la porta. "È Isaac, che da solo, è venuto a farci visita. Guardandolo, capisco subito che ha camminato a lungo. Ha il viso e l'occhio stanco, e suo padre non è con lui. Mi chiedo perchè, ma non certo ad alta voce. Senza proferire parola, gli sorrido e lo accolgo in casa, poi provo a parlargli. "Isaac? Cosa ci fai qui?" Azzardo, inspiegabilmente preoccupata per lui. "Non mi piace stare da solo, zia." Rispose soltanto, serio come mai prima. "Dov'è Rose?" Chiede poi, sembrandomi sul punto di piangere. "Nella sua stanza, vuoi vederla?" Rispondo, regalandogli un leggero sorriso. Mantenendo il silenzio, lui non fa che annuire, e sparendo per un attimo dalla sua vista, vado subito a chiamare mia figlia. È ancora presto, e in genere dorme, ma credo che rivedere Isaac dopo così tanto tempo lontana da lui potrebbe solo giovarle. "Rose, svegliati. Isaac è qui per te." Dico soltanto, avvicinandomi al suo letto e accarezzandole la guancia. "Come? A quest'ora?" Indaga lei, ancora assonnata e confusa. "Sì, e pare sia successo qualcosa. Dai, vestiti e vieni a vedere." Spiego, tornando improvvisamente seria. "Sta arrivando." Dico poi, tornando in salotto e sedendomi con lui sul divano, notando il suo volto tirato dalla tristezza. "Grazie." Mi risponde, senza però guardarmi nè alzare gli occhi dal pavimento. Così, passarono alcuni secondi, poi il mio istinto materno si fece vivo. "Isaac, pensi ancora a tua madre?" Dissi, rompendo il silenzio e sondando piano il terreno delle sue emozioni. "Lo faccio sempre, e oggi... oggi vorrei tornare a farle visita, con Rose." Rispose lui, serio e ancora triste. Ascoltandolo parlare, non dissi nulla, e facendomi più vicina, mi limitai ad abbracciarlo. "Mi dispiace, lo sai." Sussurrai al suo indirizzo, accarezzandogli la schiena e tenendolo stretto. "Lo so, e mi manca." Rispose lui prontamente, crogiolandosi nel calore del nostro contatto. "Sono sicura che le manchi anche tu, ma lei ti sarà sempre vicina." Lo rassicurai allora, sorridendo debolmente e notando solo allora l'entrata in scena di Rose. Avvicinandosi, si sedette sul divano e baciò il ragazzo sulla guancia, poi gli prese la mano. "Volevi vedermi?" Chiese, curiosa. Annuendo, Isaac non diede che una risposta positiva, e alzandosi in piedi, la guidò verso la porta di casa, aprendola. "Non solo te, ma anche mia madre, vuoi venire?" Le rispose lui, invitandola a uscire di casa e raggiungere il cimitero per portare i suoi omaggi alla donna che gli aveva donato la vita. "Certo." Disse allora lei, rendendolo felice e realizzando il suo desiderio. "Veniamo anche noi." Dichiararono due voci alle loro spalle, che sporgendomi dal divano, scoprii essere quelle di Aaron e Ava. "D'accordo." Disse semplicemente Isaac, accettando anche il loro aiuto. Di lì a poco, i quattro uscirono di casa, e pur fidandoci, Stefan ed io decidemmo di seguirli. Erano ormai quasi adulti, ma a noi non importava. Samira era anche nostra amica, e fare visita alla sua tomba mi sembrava quantomeno doveroso. Come c'era d'aspettarsi, il viaggio fu lungo, e non appena arrivammo, Ava si bloccò, non facendo che guardarsi intorno, quasi come se avesse paura di qualcosa. Un cimitero non era certo il più ameno dei luoghi, e ad essere sincera la capivo, ma guardandola, non potei non notare l'assenza di luce nei suoi occhi. Dati i miei trascorsi, potevo dire di essere diventata un'esperta, e osservandola, vedevo in lei la paura, il dolore e il risentimento che credevo si fosse finalmente messa alle spalle. Concentrato unicamente su quell'ormai famosa pietra tombale e sull'amico, Aaron quasi la ignorava, ed ero certa che la cosa la ferisse. "Che c'è? Non mi parli più?" Chiese, stizzita. "No, è solo un momento delicato." Rispose lui, cercando di rassicurarla. "Mi ami, ma mi guardi in modo differente. Sai che sono parte di Loro anche se non vorrei, e mi sembra perfino che tu abbia paura." Aggiunse lei, seria e lapidaria. Confuso, lui non fece che guardarla, poi lei gli prese la mano. "Voglio farti vedere una cosa." Gli disse, portandolo dritto al centro del cimitero, buio e per nulla accogliente. "Guardati intorno. Qui ci sono solo anime, ed è così che io vedo questo posto, proprio come tu e il tuo gruppo vedete Aveiron e Ascantha. Solo due luoghi pieni di anime. Ero una Ladra, ma ora sono una guerriera, e questo ha senso per me. Mi sento nata per questo." Aggiunse poi, mentre sorrideva dolcemente e gli teneva la mano. "Sai, forse è una follia, ma anche le follie hanno un senso, a volte." Rispose lui, ricambiando quella stretta e rafforzandola con amore. "Ava?" La chiamò, sperando di ottenere la sua attenzione. "Sì?" Rispose lei, voltandosi a guardarlo. "Chiamati come vuoi, io ti vedrò sempre come la mia fidanzata." Confessò, per poi voltarsi e sorprenderla con un bacio, non dandole neanche il tempo di respirare o ragionare. Colta alla sprovvista, la ragazza non seppe cosa dire nè fare, ma non appena ritrovò la sua compostezza originaria, gli parlò. "È dolce da parte tua, sai? Vorrei... vorrei avere il tuo stesso cuore, a volte." Disse, per poi sorridere e ricambiare quel bacio, seppur velocemente e senza approfittare di quel momento. "Ne hai uno tutto tuo, e vedo che lo stai usando al meglio." Rispose lui nel rassicurarla, dolce e innamorato. "Lo spero, Aaron. Lo spero." Disse lei a quel punto, spostando lo sguardo dal suo viso al cielo, per poi fissarlo su una nuvola di passaggio. In silenzio, avevo assistito a tutta la scena senza interferire, e ad essere sincera, mi sentivo felice. Felice della nascita di quella che sembrava una nuova pianta fra le rovine.

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Capitolo 37
*** Minaccia nel buio ***


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Capitolo XXXVII
 
Minaccia nel buio
 
Un singolo giorno era ornai passato, ed era di nuovo notte. Fortunatamente libera dalla mia ansia, riuscivo a dormire senza problemi, consapevole come da ragazza, che al fianco di Stefan non mi sarebbe accaduto nulla. Lento ed esasperante, il tempo passava, e il silenzio regnava sovrano in casa. Colta dal freddo, mi svegliai quasi di soprassalto, notando solo allora uno stranissimo particolare. Non sapevo perchè, eppure Ava aveva deciso di dormire sul divano invece che nel letto inutilizzato nella camera di Aaron. Stando a quanto ricordavo, Stefan ed io lo avevamo acquistato d'impulso, guidati da un forte desiderio di diventare genitori per la quarta volta, sfortunatamente mai diventato realtà. Così, quel giaciglio era rimasto vuoto fino all'arrivo di Ava, e ad essere sincera, trovavo strano che ora non lo utilizzasse. Chiudendo gli occhi, cercai di riposare e non pensarci, ma la seppur flebile luce rimasta accesa nel salotto mi impedì di farlo a dovere, risultando quasi un invito ad andare a controllare. Lentamente, mi liberai dalle coperte e uscii dal mio caldo nido, poi raggiunsi il salotto, vedendo ciò che non avrei davvero voluto vedere. Con il viso nascosto fra i cuscini del divano e la coperta a farle da perfetto scudo, Ava pareva dare le spalle al mondo, ma quello che mi soprese maggiormente fu vederla piangere. Conoscendola, sapevo che lo faceva di rado, e come sempre, ero convinta che non fosse da deboli, ma da forti mostratisi tali per troppo tempo. Non volendo farsi sentire, si limitava a farlo in silenzio, non sapendo che i suoi singhiozzi non potevano certo sfuggire al mio finissimo udito. "Ava? Cosa c'è?" Chiesi, avvcinandomi e sedendomi accanto a lei. "Niente, Rain." Rispose, sperando di liquidarmi con quelle semplici parole. "Non mentirmi, signorina. Ci sono passata anch'io, e lo sai." Replicai, seria ma non adirata. "E va bene. Si tratta di Aaron. Ieri, al cimitero mi ha baciata e ha detto quelle cose, e ora non riesco a smettere di pensarci. Lo amo anch'io, ma sai... mi sento come se gli stessi mentendo. Il mio passato non gli importa, ma io li conosco, e torneranno." Confessò, mettendosi seduta e vuotando il sacco proprio di fronte a me. Calma e paziente, ascoltai senza interrompere, e quell'ultima frase mi fece gelare il sangue nelle vene. Senza accorgermene, divenni bianca come un lenzuolo, ma ingoiando il rospo, mi limitai a cercare di confortarla. "Ava..." La chiamai, avvicinandomi lentamente per accoglierla in un abbraccio. "Grazie, Rain. Sei sempre la migliore." Rispose lei, trovando in quel momento le mie braccia un posto sicuro in cui abitare. "Tu lo sei forse più di me. Ora riposati e fidati di noi. Andrà tutto bene, te lo prometto. Le dissi, stringendola a me e carezzandole la schiena. Annuendo, lei si staccò da me, e tornando a sdraiarsi, pregò mutamente che l'aiutassi con le coperte. In quel momento, il mio istinto materno prese a parlarmi, ed io gli diedi retta, regalando un sorriso alla ragazza prima di andarmene. Poco dopo, mi voltai, e camminando, passai dalla stanza di Aaron. Sapevo che dormiva, e non volevo disturbarlo, ma in silenzio, feci scivolare una mano sulla porta. Non mi avrebbe sentito, ma quello era il mio modo di dimostrare che gli volevo bene, e che ero orgogliosa dell'uomo che pian piano stava diventando. A breve avrebbe compiuto diciott'anni, e pensandoci, quasi mi venne piangere. Scuotendo la testa, mi liberai in fretta da quei pensieri, e una volta a letto, mi sdraiai comodamente, avendo cura di tenere vicino il mio diario, così da registrare i miei sentimenti e i miei pensieri su quella che Ava mi aveva indirettamente presentato come costante minaccia nel buio.  

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Capitolo 38
*** Aria di rivalsa ***


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Capitolo XXXVIII
 
Aria di rivalsa
 
Proprio come sospettavo, avevo finito per svegliarmi, sedendomi alla mia piccola scrivania e riempiendo di parole, frasi e inchiostro il mio diario. L'avevo tenuto sotto il cuscino solo per precauzione, proprio come facevo con la mia daga, e rimanendo ferma, con la mia fida biro nera fra le mani, le sentivo e vedevo tremare. Avevo dormito solo per poco tempo, e senza avere modo di evitarlo, mi ero lasciata influenzare dalle parole di Ava. Considerandola parte della famiglia, le credevo e volevo bene, e mentre il tempo passava, scrivevo. Colta dal freddo, tremavo come una foglia, ma stringendo i denti, mi assicuravo di non lamentarmi nè destare sospetti. Potevo vedere Stefan che dormiva appena dietro di me, e con qualche piccola e solitaria lacrima intenta a scivolarmi sul viso, non dicevo nulla. Essendo innamorato di me da anni, mi conosceva forse meglio di sè stesso, ed era al corrente dei miei ormai conosciuti problemi di ansia. In quel momento, una parte di me avrebbe davvero voluto tornare indietro e rintanarsi fra le coperte in posizione fetale come una bambina, ma no, non potevo. Sapevo bene di dover reagire, o quantomeno provarci, poichè come avevo imparato dai miei trascorsi, chi si arrendeva era sempre perduto, destinato a morire come un insetto o una fastidiosa mosca. Era successo a Samira, a molte donne nella mia stessa condizione, e per un soffio anche a me. Ora come ora, il buio mi avvolge, e se riesco a scrivere, è solo grazie alla luce di una piccola lampada sul mio comodino, potente quanto bastava per illuminare anche il mio scrittoio. Nel riempire le nuove pagine, rileggevo quelle vecchie al solo scopo di rincuorarmi e tornare a sorridere, ma sorprendentemente, scoprivo di non riuscirci. Era strano a vedersi, eppure neanche il ricordo dello sbocciare del mio amore per Stefan mi rendeva felice. Lo amavo ancora, e i miei sentimenti per lui esistevano come nel nostro primo giorno insieme, ma più andavo avanti nella lettura, più capivo per quanto tempo avessi davvero sofferto. C'erano anche stati momenti felici, e non potevo certo negarlo, ma mentre i miei occhi scorrevano lentamente sulle pagine del mio stesso diario, non controllavo la voglia che avevo di piangere. Stringendo il pugno, lasciai andare la penna, e abbandonando il mio diario sulla scrivania, mi arresi, tornando subito a dormire. Lentamente, mi sdraiai, ma sentendo mille pensieri vorticarmi in testa come il peggiore dei tornadi, non riuscii ad addormentarmi. Così, nascosi il viso nel cuscino, e ritrovandomi a imitare quella così giovane ragazza, piansi a mia volta. Fino a quel momento, avevo sempre fatto del mio meglio per mostrarmi forte, come se fossi fatta d'acciaio puro e inossidabile, ma ora, dopo anni di tentativi, sentivo di non farcela. Mi costava ammetterlo, ma era come se le mie forze mi avessero abbandonato. Per mia fortuna, Stefan mi era accato, e svegliandosi, si fece più vicino solo per abbracciarmi e tenermi stretta, donandomi l'iniezione di fiducia di cui avevo bisogno. Non ero più una ragazza, bensì una donna, ma nonostante questo, non potevo negare di continuare a desisderare momenti del genere, che speravo ardentemente non mi venissero strappati via assieme alla vita per colpa di questa oscura, tetra e ora esistente aria di rivalsa impegnata a spirare appena fuori dalle finestre e dalle case cittadine.

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Capitolo 39
*** Segni indelebili ***


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Capitolo XXXIX
 
Segni indelebili
 
Troppo stanca per fare altro, avevo iniziato e smesso di scrivere nel bel mezzo della notte, ritrovandomi bloccata in un vero e proprio circolo vizioso, a provare le stesse sensazioni e frustrazioni di un cane che corre in cerchio tentando di mordersi la coda. Cogliendomi di sorpresa, la mia ansia aveva fatto ritorno, e con il buio della notte a spaventarmi, avevo sentito l'impellente e insopprimible bisogno di un abbraccio. Amandomi, Stefan mi aveva tenuta stretta e resa felice, e lentamente, le nostre dolci effusioni si erano intensificate, e avevamo finito per fare l'amore. Un atto più che normale per una coppia sposata, ma che in un periodo del genere, trovavo liberatorio. Forse dirlo è esagerato, ma lo penso davvero. In quei momenti, Stefan ed io siamo insieme, completamente concentrati l'uno sull'altra, non pensiamo ad altro che a quello. Siamo sposati da anni, ci amiamo ancora nonostante tutte le difficoltà che abbiamo dovuto superare nella nostra vita, e per noi è davvero diventato un atto liberatorio. Data la realtà in cui viviamo, quei momenti sono gli unici in cui riusciamo a restare calmi, donandoci l'un l'altra senza alcun remore.  Ad essere sincera, in tutti questi anni i sentimenti del mio Stefan nei miei riguardi sono sempre stati una vera panacea per me e per il mio dolore, per l'ansia che provo e che ho scoperto di provare da quando il sangue di poveri innocenti sporca le strade per colpa di quegli schifosi mostri, che ora, silenziosamente, minacciano di tornare. Sono tesa, e di notte non riesco davvero a smettere di tremare. Le parole di Ava continuano a galleggiarmi in testa come bollicine prossime a scoppiare, e in alcuni casi, l'ansia mi impedisce di muovermi. Da bravo marito qual è, Stefan cerca sempre di motivarmi, e con i tempi che corrono, sono sempre più convinta che lui, assieme ai nostri figli e al loro bensessere, siano l'unica ragione per cui mi sveglio e alzo ogni mattina, lasciando il caldo nido che il mio letto rappresenta. Imitando il padre, anche Aaron fa gli stessi tentativi con Ava, provando in tutti i modi a convincerla che il terreno di anime su cui lei crede di camminare non sia soltanto un regno ormai caduto in rovina, ma un regno che un giorno potrà essere risollevato e riportato al suo splendore originario. Non sappiamo quando, ma nonostante la paura che ci governa, siamo tutti fiduciosi, mossi dalla quasi mistica forza dei nostri stessi sentimenti gli uni per gli altri. Pensandoci, sono felice che abbiamo scelto l'amore e non altre dipendenze come il fumo, la droga o l'alcool, poichè per quanto ne so, in molti l'hanno fatto, ottenendo come unico risultato quello di incontrare prematuramente il nero angelo della morte. Da ormai anni, e quasi senza posa, noi ci prepariamo, alleniamo e lottiamo fino allo stremo delle nostre forze, ma a quanto sembra, non è mai abbastanza. Di questi tempi, sono stanca. Sì, stanca. Mentalmente e fisicamente. Insieme, io e la mia famiglia siamo diventati un vero gruppo di combattenti, e mentre il tempo scorre, e il sole è alto nel cielo, il mattino è arrivato anche qui ad Ascantha, ma ora le strade sono deserte. A quanto sembra, la gente ha di nuovo paura, ma restando in silenzio, non la biasimo. Di recente, non fa che piovere, e anche se ora il sole è sorto e la luce splende, pare farlo senza alcun obiettivo. Continua ad esistere e illuminare il mondo, certo, ma stando al modo in cui ho imparato a osservare le cose, dona luce ad una natura, statica, immobile e quasi morta. In piedi davanti alla finestra, non dico una parola, godendomi semplicemente la compagnia di Stefan e Chance. Uno mi tiene la mano, mentre l'altro è sdraiato sul tappeto del salotto, stanco quasi quanto me e indebolito dagli acciacchi dell'età. Respirando a fondo, chiudo gli occhi, e una voce conosciuta mi distrae. "Andrà tutto bene, Rain. Com'è sempre andata." È Stefan, che mi rassicura come è solito fare. Lo amo, e mi fido di lui, e voltandomi, oso leggermente, coprendo le sue labbra con le mie per un bacio dolce e delicato. Nel farlo, gli stringo la mano, sentendomi finalmente di nuovo sicura nonostante quelli che vedo come segni indelebili del loro ritorno, che presto sconvolgerà di nuovo la calma delle nostre vite, già incrinata da una moltitudine di sentimenti negativi, la cui colpa è imputabile soltanto a Loro. Torneranno, e lo sappiamo bene, ma fino ad allora ci prepareremo al meglio. Adesso la paura ci blocca, ma non lasceremo che lo faccia in eterno. Quella dei mostri che conosciamo come Ladri è una minaccia che grava su di noi e sull'intero regno da troppo tempo, simile a una malattia mortale, che va assolutamente debellata. Ora come ora, mi viene davvero da piangere, ma stringendo i denti, resisto. Non posso lasciarmi andare, non dopo tutti gli anni passati a lottare per ciò che credo sia giusto. Quei vili vermi stanno di nuovo cercando di sfiancarci, ma non ci riusciranno. Possono provare, e sono liberi di farlo, ma il mio istinto da guerriera mi parla, e ora, con questi pensieri scolpiti nella mente, nel cuore e nell'animo, mi sento di nuovo forte. Mi fido di me stessa e del mio gruppo, e sono pronta. Pronta a mettermi in gioco e lottare ancora, come ho sempre fatto per anni, fino ad ora.

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Capitolo 40
*** Spirito guerriero ***


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Capitolo XL
 
Spirito guerriero
 
Seduta al sole nel giardino di casa, non mi accorgo nemmeno dell'arrivo del pomeriggio. Sono completamente sola, e come sempre, ho in mano il mio diario. Lo tengo aperto, ma non scrivo. A occhi chiusi, cerco di svuotare la mente e non pensare a nulla, ma non ci riesco. Troppi problemi, troppi pensieri e troppe preoccupazione la affollano, e nervosa come sono, non smetto di fregarmi le mani. Seccata e arrabbiata con me stessa, mi convinco che star ferma sia inutile, e mentre medito se sia giusto rientrare, la porta di casa si apre. Voltandomi in quella direzione, mi accorgo dell'arrivo di Ava. Aaron e Chance la seguono senza una parola, e lo stesso vale per il piccolo Max, che scivolando fra l'erba, si rotola cercando di ritrovare l'equilibrio. Rimanendo in disparte, Myra tiene d'occhio il suo cucciolo, e quasi sbadigliando per la noia, se ne sta sdraiata proprio sullo zerbino davanti alla porta. Sorridendole, non la disturbo, e poco dopo, Ava mi raggiunge. Preoccupata, mi chiama per nome, e seppur tesa dalla moltitudine di inquietudini, rispondo subito. "So come ti senti." Mi dice poi, avvicinandosi e posandomi una mano sulla spalla. Mantenendo il silenzio, resto seduta e mi limito a guardarla, ma sorridendo debolmente, decido di crederle. "Li conosco, è il modo che hanno di agire. Si credono forti, ma non fanno che nascondersi, e se non attaccano è per colpire la psiche dei loro nemici. Alquanto strana come strategia, ma comunque buona." Spiega poi, conservando nel cuore la speranza di aiutarmi e accendendo dentro di me una seppur flebile speranza. Ascoltandola, non osai interrompere, poi mi fermai a pensare. Ricordavo bene quanto i combattimenti che scandivano l'andare della guerra potessero essere cruenti, e la pelle d'oca mi sconvolgeva al solo pensiero. Erano ormai passati anni, ma la loro tecnica era rimasta impressa nella mia mente come un marchio a fuoco sulla pelle di una povera bestia. Lasciandomi cogliere dall'ansia, chiusi i pugni, e alzandomi in piedi, presi una decisione. Ardua, certo, ma anche giusta, che in quel momento vedevo davvero come la nostra ultima spiaggia, l'ultima occasione che avevamo di scampare a questo disastro. Stando ai miei ricordi, avevamo lottato per anni, ed eravamo sempre usciti vincitori senza mai arrenderci. Una parte di noi avrebbe voluto farlo, ma non l'abbiamo mai ascoltata, riuscendo ad arrivare dove ora eravamo. "Avremo bisogno di tutto l'aiuto possibile." Dichiaro, tenendo ancora i pugni chiusi e sentendomi improvvisamente forte come non mai. "Questo è lo spirito, Rain. Non lasciarti abbattere." Commenta allora Ava, sorridendomi e mostrando che come sempre riesce a fidarsi di me. Ricambiando quel sorriso, torno subito in casa ad avvisare del viaggio imminente. Forse è una pazzia, ma ho di nuovo intenzione di tornare ad Aveiron. Ascantha è per noi un posto felice, e per i viandanti un vero paradiso, ma data la situazione attuale, fatta di ansia, paura e terrore per ognuno di noi, inclusa la povera gente del villaggio e i bambini terrorizzati da questa guerra molto più grande di loro, credo che sia la cosa più saggia da fare. In genere, il verdetto finale spetta sempre al mio Stefan, perfetto soldato addestrato alla lotta da un re del calibro di mio padre. Arrivata in casa, ignoro le feste del dolce Chance, e spiegandogli ogni cosa senza omettere dettagli, lo guardo con occhi quasi imploranti, sperando che capisca. Silenzioso, non fa che ricambiare il mio sguardo, ma poi chiude gli occhi, e annuendo, pronuncia una sola frase. "Andiamo." Una parola tanto semplice quanto importante, che mi fa credere in lui e nel nostro futuro insieme. Come ricordo, mi ha fatto la solenne promessa di proteggermi, e amandolo con tutta me stessa, so e sento che la manterrà per sempre. Cogliendomi di sorpresa, mi mostra una serie di zaini già pronti per l'occasione, e il mio cuore perde un battito. Confusa, mi chiedo come abbia fatto a leggermi nel pensiero, ma scuotendo la testa, concludo che ha sicuramente avuto la mia stessa idea molto tempo prima. Quasi dimenticando quella che mi sembra una coincidenza, sorrido sentendomi al sicuro, e voltandomi verso la porta di casa ancora aperta, non aspetto che i ragazzi. Allarmati, ci raggiungono subito, e il viaggio ha inizio. Siamo a piedi, ma poco importa. Siamo ancora un gruppo, e in quanto tale, dobbiamo radunarci. Abbaiando, Max e Myra ci seguono subito, e la nostra prima tappa è la casa del dottor Patrick. Per quel che ne so, avere un medico vicino può essere vitale in una situazione del genere, e pensandoci, mi ritengo fortunata. In questo momento, le parole non servono, e la nostra sola vista fuori casa, uniti e compatti come un plotone di veri soldati è più che abbastanza per fargli capire la gravità della situazione. Annuendo, il dottore uscì subito di casa, e seguendoci senza una parola, parve capire dove volevamo andare a parare. Accelerando il passo che tenevo, iniziai a correre, e facendo una rapida ricognizione mentale del luogo, mi accorsi che le uniche persone assenti all'appello erano Alisia, i miei nipoti, Rachel e Lady Fatima. Nello spazio di un momento, il pensiero di quelle tre piccole anime in pericolo mi sfiorò la mente, e senza fermarmi, non feci che guardarmi intorno, sperando di scorgerli anche in lontananza. Per pura sfortuna, questo non accadde, e portandomi subito in testa alla marcia, tenni alto il cuore. Paralizzate dalla paura, le genti comuni come lei tendevano a nascondersi chiudendosi in casa, e ricordando quello che aveva passato prima di incontrare il suo Ilmion, non la biasimai. Più veloce di noi, il tempo passava, ma nonostante i nostri sforzi di trovarla, di lei nessuna traccia. Preoccupata, guardai Stefan, poi Chance, dovendo comunque scartare subito l'idea della ricerca da parte di un cane fedele e obbediente come lui. Ad essere sincera, gliel'avrei chiesto, ma c'erano troppi odori, troppa gente e troppa confusione, che di sicuro non ci avrebbe portato a niente. Abbassando lo sguardo, mi convinsi che non c'era più nulla da fare, e proprio in quel momento, un suono ci distrasse, cogliendoci tutti di sorpresa. Un nitrito forte e fiero, che riconobbi subito e collegai al nero stallone appartenuto a Lady Fatima. Solo allora, alzai gli occhi al cielo in una muta preghiera, e fermandomi a guardarle, tirai un sospiro di sollievo. La nostra ricerca era finita, e sia mia sorella che i miei nipoti erano con lei. Non sapevo dove nè come fosse riuscita a trovarli, ma l'avrei chiarito in seguito. In quel momento, contava soltanto una cosa. Eravamo di nuovo tutti insieme, e anche se a fatica, avevamo recuperato il nostro forte e indomito spirito guerriero.    

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Capitolo 41
*** Passato e presente ***


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Capitolo XLI
 
Passato e presente
 
Un colpo di fortuna. Ecco cos'abbiamo avuto. Un semplice colpo di fortuna. Siamo riusciti a radunarci, e ora, tutti insieme, stiamo seduti sulla carrozza di Lady Fatima. Sono comoda, ma anche molto ansiosa. Non dico nulla, ma quasi non riesco ad evitare di fregarmi le mani in maniera quasi ossessiva. Seduto accanto a me, Stefan me le accarezza, e pur essendogliene grata, non ho modo di calmarmi. Anche se debolmente, gli sorrido, e inspirando a fondo, lascio che mi resti vicino. Era strano e anche difficile da spiegare, ma essere amata per me significava anche questo. Essere coccolata come la bambina che ero un tempo, ben sapendo che in un certo senso lui mi considera tale. Io lo amo, lo amo tantissimo, e sentendo finalmente il rallentare del mio battito cardiaco, chiudo gli occhi. Inspirando ancora, gli stringo la mano con dolcezza e forza insieme, e voltandomi, noto che nu sorride. Stiamo insieme da anni, eppure ogni giorno con lui sembra essere il primo. Non mi spiego perchè, e sinceramente, ora non voglio pensarci. Sono felice, e mentre gli zoccoli del cavallo di Lady Fatima colpiscono il terreno a ritmo sostenuto, quasi mi addormento. Tranquilla, quasi lotto per tenere gli occhi aperti, e nel farlo, noto la felicità sul volto della cara Leader. Come sempre, Drake fa da cocchiere così che lei non debba sforzarsi, e Rachel è al suo fianco. Quasi imitandomi, neanche lei dice nulla, e ignorandoci tutti, osa leggermente, deponendo un dolce bacio sulla guancia dell'amata. Silenziosa com'è solita essere, questa glielo concede, ma poi guarda me. Mi conosce da tanto, nel tempo mi ha aiutata a diventare chi sono, e ad essere sincera, non dimenticherò mai il modo in cui mi ha teso una mano amica dopo la nascita di Rose. "Prima che andiate, lasciatemi la bambina." Aveva detto, lasciandomi senza parole e assicurandomi comunque che se ne sarebbe presa cura. Ricordo bene che nel lasciarla a lei avevo provato una paura a dir poco folle, e che perfino Terra aveva cercato di intervenire in favore della sorellina. Per qualche strana ragione, avevo scelto di fermarla, e prima di allontanarmi definitivamente dalla mia amata secondogenita, non avevo potuto far altro che farle dono di un piccolo e delicato bacio sulla fronte, così che non mi dimenticasse. Dovetti aspettare per quasi un anno prima di rivederla, ma quando accadde, fui felicissima. Sorridendo a quel solo ricordo, posai il mio sguardo stanco su quella così saggia donna, e notandomi, lei ricambiò il mio sorriso. In quel momento, le parole non mi servono a nulla, ma lasciando finalmente andare la mano di Stefan, mi concentrai su Rachel. Più giovane di me di circa due o tre anni, e innamorata della sua bella Fatima. Proprio come me e Stefan, anche loro stavano insieme da anni, e nonostante lo scorrere del tempo, il loro rapporto non sembrava cambiare di una virgola. Per quanto ne sapevo, il loro amore era profondo, e ad essere sincera, ero felice per loro. Le conoscevo, ed erano mie amiche, ragion per cui non potevo evitare di esserlo. Silenziosa, le osservavo senza dire una parola, ma rilassandomi, appoggiai la schiena per stare più comoda, e sentendomi quasi cullata dal rumore degli zoccoli di quel destriero dal manto color della notte, finii per addormentarmi, tenendo ancora stretta la mano di Stefan. Non me lo spiegavo, ma da ormai lungo tempo dormivo sempre così. In un modo o nell'altro, dovevo averlo vicino. Dovevo sentirlo, sapere che c'era, o non avrei chiuso occhio. Era strano, forse anche stupido e a tratti infantile, ma per me era la verità. In fin dei conti, l'ansia non era uno scherzo, e lui lo sapeva bene. Così, il nostro viaggio verso quella che consideravo salvezza continuò senza interruzioni, e quando finalmente arrivammo a destinazione, a Stefan toccò svegliarmi. Riaprendo gli occhi, mi ripresi dal torpore in cui ero caduta, poi scesi dalla carrozza grazie al suo aiuto. Improvvisamente, venni colta dal freddo, e nel tentativo di proteggermi dal vento che intanto aveva iniziato a soffiare, mi strinse a sè con delicatezza, spogliandosi della sua giacca solo per offrirmela. Regalandogli un debole sorriso, accettai ringraziandolo a bassa voce, poi mi voltai per provare a baciarlo. Paziente come sempre, lui mi lasciò fare, e posando le labbra sulla sua guancia, capii quanto mi facesse sentire al sicuro. Dopo quel viaggio così lungo e duro, avevamo raggiunto la nostra destinazione. La Casa della Leader, o stando a come la ricordavo, il mio primo rifugio. Guardandomi metaforicamente indietro, sentii mille pensieri invadermi la mente. Stringendo i pugni, cercai di scacciarli come facevo con le mosche o le zanzare in estate, ma ogni mio tentativo fu inutile. Passandoci accanto, Lady Fatima ci guidò con sapienza lungo gli ampi corridoi della sua dimora, e ancora intirizzita, faticai a muovermi. Fra un passo e l'altro, avrei voluto aprir bocca per lamentarmi, o quantomeno esporre il mio problema, ma conoscendo alla perfezione la donna che ci faceva da guida, preferii tacere. Ero sicura che mi volesse bene, ma per quanto ne sapevo, nessuno al castello osai mai remarle contro. Rispettandola, tacqui i miei problemi, e guardandomi intorno, scoprii di essere stata condotta nella stessa stanza che occupavo anni prima, quando fui trovata semiassiderata nella neve dal mio Stefan. Con l'arrivo della sera, quello si trasformò nel mio luogo di riposo, e con grande sorpresa, scoprii che a ognuno di noi era già stata riservata una stanza. Ancora stanca e debilitata da quel viaggio, mi rintanai subito sotto le coperte, e seguita da Stefan, mi addormentai quasi subito. Nel silenzio della notte, non riuscii neanche a sognare, e svegliandomi a causa di alcuni rumori che definii sospetti, mi rigirai fra le coperte. Alzandomi dal letto, decisi di provare a indagare, poi capii che non si trattava di intrusi. Prima di dormire, avevo visto Rachel e Lady Fatima dirigersi verso la stanza che condividevano, e rimanendo ferma davanti alla porta, mi calmai. Le nostre camere da letto erano vicine, e le pareti non erano poi così spesse, così, anche non volendo, riuscii a sentire tutto. Erano insieme, e nessuna delle due riusciva a dormire. Innamorate perse l'una dell'altra, non facevano che parlarsi, e ai loro discorsi si alternavano baci e carezze, poi effusioni sempre più intense, alle quali nessuna delle due riusciva o voleva sottrarsi. Sapevo bene che Lady Fatima era più vecchia di Rachel di qualche anno, e che fosse perfino più grande di me, ma ignorando quel piccolo dettaglio, rimasi dov'ero, preoccupandomi e provando compassione per quella povera ragazza. L'avevo sempre vista e giudicata come dolce e sensibile, e ora scoprivo di non sbagliarmi affatto. Con il cuore che le batteva furioso nel petto, stava amando la sua donna come era abituata a fare ormai da anni, e quella la lasciava fare, non avendo occhi che per lei. "Ti amo, gattina." Le diceva, accettando ogni suo bacio e ogni sua dolce carezza. "Vi amo anch'io, mia Signora." Rispondeva prontamente Rachel, completamente certa dei suoi sentimenti per la donna. A sentire quella parola, sorrisi. Gattina. Semplice come tante altre, ma che per lei aveva un gran significato. In un giorno apparentemente normale, in cui per pura fortuna la calma regnava ancora, Rachel non aveva perso tempo, e fidandosi di me, mi aveva raccontato tutto sulla coppia che lei  e la Leader formavano. Sapevo già molte cose, ma nonostante questo, lei continuava ad aggiungere dettagli. Come mi aveva già detto, stavano insieme da anni, ma nonostante questo, si sentiva sempre insicura, troppo spaventata ed esposta a tutto, perfino più ansiosa di me. Ascoltandola, non la interrompevo mai, e annuendo, potevo benissimo dire di capirla. L'amore che provava per Lady Fatima era reale, e ne ero sicura, e pensandoci, ero felice per lei. Essendo la più giovane della coppia, Rachel tendeva ad essere capricciosa e infantile, e come c'era d'aspettarsi, questo divertiva non poco la cara Leader. Com'ero arrivata a capire da sola, "gattina" era soltanto un epiteto, un dolce nomignolo che lei le aveva affibbiato, reputandola paurosa come un animaletto indifeso. Sdraiata nel letto, ripensai allo stesso ragionamento che avevo fatto con mia figlia Terra, ora adulta e non più bambina. Chiudendo gli occhi, cercai di tornare a dormire, ma poi le sentii parlare di nuovo, e con mia grande sorpresa, scoprii che la povera Rachel stava piangendo. In quel momento, non avrei dovuto intromettermi nè origliare, ma ero troppo preoccupata per starmene in disparte. Rachel era un'anima sensibile, e sentendomi in questo affine con lei, ero letteralmente pronta a intervenire qualora avesse bisogno di me. "Avrei una domanda per voi, se posso." Azzardò, con il viso che immaginavo contratto in una smorfia di tristezza. "Chiedi pure." Le rispose la Leader, prendendosi una pausa dall'amarla per ricomporsi e ascoltarla a dovere. "È importante, perciò siate sincera. Cosa, dentro di voi vi ha spinto ad amarmi tanto?" Chiese, immobile e rigida come un'asse di legno, ma più seria di quanto non fosse mai stata. Capendo di dover rispondere in modo sincero , Lady Fatima fece sparire dal suo volto ogni ilarità, tornando ad essere di ghiaccio, e a vantare uno sguardo affilato. Sapeva che stava per dire qualcosa che non aveva mai dovuto spiegare a nessuno ma sperò che la giovane ne capisse il senso. "Vedi, Rachel, si tratta di qualcosa di più di una semplice attrazione. Magari non lo capirai ora , ma sappi che è stata quella luce che porti dentro ad attirarmi. Il tuo animo è così puro e semplice che alla fine ne sono stata attratta come una falena. Riesci a seguirmi?" Rispose, dando vita ad un discorso tanto chiaro quanto toccante e veritiero, che terminò quasi inevitabilmente con quella domanda. "Certo, milady, e sappiate che capisco perfettamente." Replicò la ragazza, finalmente sicura. Nel dirlo, la baciò ancora, quasi con le lacrime agli occhi. Non poteva crederci. L'aveva sempre vista come attrazione superficiale derivante dal rapporto fra serva e Leader, ma ora scopriva che non era così. Dentro di sè sentì qualcosa spezzarsi,e seppur felice, scoppiò a piangere. Colpita da quella reazione, la Lady spalancò gli occhi dallo stupore mentre la vedeva scuotersi nei singhiozzi. Non sapendo cosa dire, l'attirò a se in un abbraccio avvolgente, cullandola come una bambina. "Non mi aspetto la vostra completa pietà, ma cercate di capirmi. Forse le genti del regno hanno ragione, e noi... noi stiamo sbagliando. Vi amo, Vi amo davvero, ma non riesco a smettere di pensarci!" Piagnucolò la giovane in risposta, per poi urlare tutto il suo dolore e perdere l'intraprendenza che riusciva ad avere con lei, e di cui peraltro andava tanto fiera. "Calmati, tesoro, calmati." Rispose la donna, cercando di ammansirla con baci e carezze. Era difficile da ammettere, eppure quello era un argomento scottante per entrambe. Rimanendo in silenzio, Lady Fatima sospirò amareggiata  mentre faceva trasparire tutta la sua tristezza. "Rachel, il fatto è che la gente non ama mai quello che non capisce. Noi..." Disse, esitando per un attimo e prendendo la mano della ragazza nella sua per guidarla fino al suo cuore, che ancora batteva come un tamburo. "Siamo quello che siamo, tesoro mio, e sai una cosa?  Che parlino!  Non m'importa nulla delle loro leggi e punizioni." Aggiunse poi, terminando anche quel discorso grondante di verità come il primo. "Io so cosa voglio, e tu?" Concluse, donando con quelle parole la calma alla sua giovane fidanzata. In silenzio, Rachel smise di singhiozzare e si asciugò con la mano gli occhi lucidi. La sua Lady aveva ragione, ed entrambe si amavano troppo per sottostare a leggi bigotte tanto quanto quelle. Poi, tornando a sorridere debolmente, riprese coraggio e parlò, dando alla sua amata la risposta che covava nel cuore da tempo. "Sì, milady. Io voglio stare con Voi, e lo voglio ora." Disse, stringendole poi la mano con forza ancora maggiore. A quella rivelazione, provai a mia volta l'impulso di piangere. Inutile è dire che non trattenni le lacrime, e pur facendolo in silenzio, mi accorsi che anche Stefan era sveglio, e che come me, aveva sentito tutto. Facendosi più vicino, mi strinse a sè, e ancora una volta, mi sentii al sicuro. Quella notte fu per me piena di dolore e felicità insieme, e quando finalmente riuscii ad addormentarmi, rivolsi il mio ultimo pensiero alla mia cara amica Rachel, sperando che date le ferree leggi di Aveiron, lei e la sua amata Fatima non restassero bloccate e sospese a metà fra passato e presente. 

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Capitolo 42
*** Bivio d'amore e onore ***


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Capitolo XLII
 
Bivio d'amore e onore
 
Passavano i giorni, e ad occhi chiusi come un gatto sdraiato in una pozza di sole, mi rilassavo sul letto della stanza che mi era stata assegnata, incredibilmente vicina a quella di Lady Fatima, ma anche a quelle dei miei tre figli. Per pura fortuna, tutto pare andar bene, e accennando un sorriso, guardo fuori dalla finestra. C'è ancora il sole, e posando la mano sul vetro, lo accarezzo lentamente, pensierosa. Stefan è con me, e mi sente sospirare, ma restando seduto sul letto, non si avvicina. Dopo tanti anni, ricorda ancora la promessa che mi ha fatto, ovvero quella di proteggermi fino alla fino dei suoi giorni, e ora, preoccupato quanto me di un nuovo attacco da parte dei Ladri, è occupato a lucidare e affilare la sua spada, facendo lo stesso con il suo scudo. Pensandoci, ricordo bene che abbiamo entrambi ricevuto le nostre armi dalla stessa Lady Fatima, in quanto provengono dalla sua armeria, e in silenzio, sempre vicina alla finestra, rifletto. Nel farlo, getto uno sguardo oltre il vetro, notando quasi con orrore quanto il regno di Aveiron sia cambiato nel tempo, diventando lentamente l'oscura ombra di sè stesso. Come ormai tutti sappiamo, i sopravvissuti a questa guerra sono sempre pochi, e coloro i quali resistono e ce la fanno passano il loro tempo a pregare e sperare per il meglio, conservando il desiderio di vivere fino al sorgere del sole e risparmiare le energie nel caso si ritrovino costretti a fuggire. Muoversi, sparire e scappare ancora, correndo come conigli alle loro tane, al solo scopo di nascondersi da quelli che ora tutti consideriamo sporchi predatori senza scrupoli. Mi conosco, e so che se da anni soffro di ansia è solo colpa loro, e mentre il tempo scorre, non faccio che pensare ad Ava. Era con noi durante la fuga, ma poi io e lei ci siamo perse di vista, e da ormai due giorni, non vedo neanche la sua ombra. Non sappiamo davvero che fine abbia fatto, ed è inutile dire che Aaron sia preoccupatissimo. In qualità di madre, cerco di consolarlo, e anche Chance e Max fanno lo stesso, mentre Myra, madre anche lei, si limita a guardarlo restando calma e tranquilla, e segretamente, spero che parte della sua calma di meticcia paziente e salvata dalla strada, abituata prima del nostro arrivo a vivere in un rifugio di fortuna in compagnia di quattro cuccioli a cui badare, passi anche a lui. Per un completo estraneo, quarantotto ore sono solo un semplice lasso di tempo, ma non per lui, e neanche per noi. Conoscendo la fierezza che il regno possedeva prima di cadere, speriamo che un giorno torni al suo splendore, ma data la situazione  e i nostri trascorsi, sappiamo bene che due giorni, o quarantotto ore, possono benissimo cambiarti la vita trasformandola completamente, e che anche un solo giorno sfortunato, o una cattiva catena d'eventi possono arrivare a cancellarla come il vento fa con le impronte di un lupo nella neve. È innamorato, e vuole solo il suo bene, specialmente da quando si è unita al gruppo e ha deciso di intervenire per cambiare il suo altrimenti oscuro e funesto destino dettato dalla carriera di Ladra priva di sentimenti e assetata solo di sangue e dolore altrui. Nervoso, si aggira per il castello ormai da ore, tenendo in mano la spada ricevuta in dono dal padre anni fa. Ha di nuovo perso la sua ragazza, e ora è stanco. Stanco di aspettare, star fermo e lasciarsi travolgere da un dolore di quella portata. Non sapendo cosa fare, mi metto subito alla sua ricerca, e non appena lo trovo, scopro che ha una sola frase da rivolgermi. Mi guarda negli occhi, ma non vuole sentire ragioni. "Ora basta, mamma. Andrò a cercarla." Dichiara, serio e deciso. "Aaron ascolta. So che fa male, ma non puoi farlo. È troppo pericoloso, capisci?" Rispondo prontamente, cercando di riportarlo alla calma e alla ragione. Poco dopo, il silenzio cade attorno a noi, e ignorandomi, non apre bocca. Per tutta risposta. imbraccia la sua arma e corre subito fuori dal castello, mentre io, paralizzata, non ho modo di fermarlo. Sconvolta dalla sua ribellione, guardo Stefan, che nonostante mi abbia seguita assistendo all'intera scena, non sa davvero cosa dire. Sconsolata, mi stringo a lui in cerca di conforto, e tornando indietro, lo vedo sparire nella nostra attuale stanza, e in silenzio, mi fermo nella sala principale. Proprio lì incontro Lady Fatima, che accompagnata da Rachel, mi guarda negli occhi. Senza dire nulla, mi invita a sedermi, e obbedendo, la vedo regalarmi un sorriso. Appena un attimo dopo, perle di saggezza. "Devi stare calma, Rain. Tuo figlio è un ragazzo forte, e tornerà indietro, ma non da solo. Questo il suo discorso, che con l'arrivo della sera analizzai a fondo, fino a scoprire che aveva ragione. Aaron era mio figlio, e reputandolo ormai un adulto, avrei dovuto staccarmi e lasciarlo fare, dandogli modo di prendere anche decisioni importanti come questa, che lo aveva condotto ad un bivio fra amore e onore.
 
 
 
Salve a tutti, miei lettori. A distanza di una settimana dall'ultimo aggiornamento, scrivo e pubblico anche sotto le feste, perciò considerate questo capitolo come un regalo di ringraziamento per tutto il supporto che mi fornite. Prima di andare, non dimentico di augurarvi un Buon Natale e buone feste, nonchè uno splendido 2018. Che il nuovo anno vi porti ispirazione, idee e recensioni! Alla prossima, e grazie ancora a tutti voi, anche a chi legge in silenzio,
 
Emmastory :)

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Capitolo 43
*** Salvate il soldato Aaron ***


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Capitolo XLIII
 
Salvate il soldato Aaron
 
Così, lente e inesorabili, le ore scivolavano via dalla mia vita, composte come sempre da minuti interminabili, che guardavo passare fissando gli occhi sull'orologio appeso al muro. Ero nervosa, ma cercavo di non darlo a vedere, e a quanto sembrava, tutti i miei tentativi andavano tristemente a vuoto. In questo momento, Lady Fatima non è vicina, ma Chance e Myra fortunatamente sì. Al contrario di lei, lui mi è accanto da circa quindici, e benchè sappia che la sua presenza a questo mondo non sarà eterna, faccio un veloce gesto con la mano, e notandomi, si avvicina. Silenziosa, gli accarezzai la testa affondando la mano nel suo pelo biondo ma rovinato dall'età nonostante la massima cura, e chiudendo gli occhi, inspirai. Poco dopo, lasciai uscire l'aria attraverso la bocca, e abbassando lo sguardo, guardai entrambi i miei amici negli occhi. È strano a dirsi, ma da quando avevano visto Aaron andar via e sparire dal castello solo poche ore prima, sembravano aver stretto un patto fra di loro, secondo il quale avrebbero fatto quanto in loro potere per rassicurarmi, farmi sorridere e salvarmi da quest'ennesima esplosione di dolore. Al solo pensiero, stavo già meglio, ma restando ferma, lasciai che la situazione continuasse ad evolvere davanti ai miei occhi. Quasi ignorando i genitori, il piccolo Max stava placidamente sdraiato appena sotto la finestra, ma non dormiva. Non si muoveva, ma sbattendo nervosamente la coda nera e sottile, cercava saltuariamente. di alzarsi sulle zampe e guardare fuori, aspettando l'amico con la mia stessa ansia. Come ben sapevo, i suoi veri padroni erano mio nipote Lienard e le sue due sorelle, ma ora, la cosa sembrava non importare. Voleva bene anche a lui, così come al resto della mia famiglia. Avvicinandomi, ricambiai il grande favore che tutti e tre insieme mi stavano facendo, e prendendolo in braccio così che potesse guardare fuori, gli feci qualche carezza. Poco dopo, fui raggiunta da Stefan, che, guardandomi negli occhi, fu in grado di rassicurarmi perfino meglio dei miei amici a quattro zampe. Senza dire nulla, si avvicinò lentamente, e cogliendomi di sorpresa, mi strinsè a sè e baciò con amore e passione. Poi, una sola frase abbandonò le sue labbra. "Andrà tutto bene, Rain. Nostro figlio tornerà indietro, più forte di prima." Disse, fornendomi con quelle parole l'iniziezione di fiducia di cui sentivo di aver bisogno. Annuendo, decisi di fidarmi, poi ricambiai quel bacio. Amavo Stefan, e mi fidavo, ma risi come una bambina nel momento in cui Max parve voler unirsi a noi, girando su stesso e agitando la coda, felice come non era mai stato. A quanto sembrava, non ero l'unica a credere alle parole di mio marito, e a riprova di ciò, il cagnolino continuò ad abbaiare e girare in tondo facendo ticchettare le unghie contro il pavimento, e ridacchiando ancora, mi abbassai, rimediando un altro bacio, diverso e quasi bavoso. Rimanendo calma, non mossi foglia a riguardo, notando poi una sorta di particolare. Agitato, Max si guardava intorno cercando di coinvolgere anche i genitori, e quando anche loro si svegliarono, lui sparì dalla mia vista, correndo subito verso le porte del castello. Fermandomi a riflettere, rimasi di sasso. Molti sostengono che gli animali non abbiano una vera anima, e che siano guidati unicamente dall'istinto, ma non noi. Certo, la seconda parte del discorso potrà anche essere vera, ma forse non completamente. Per quanto ne sapevo, Chance mi era sempre stato accanto in mille momenti diversi della mia vita e di quella dei miei figli, e ora che stava invecchiando, il piccolo Max sembrava aver preso il suo posto. Confusa, provai a seguirlo, e in quel momento, mi imbattei di nuovo in Lady Fatima. "Cos'ha da abbaiare quel cucciolo?" Chiese, confusa almeno tanto quanto me e Stefan. Muta come un pesce e priva di idee a riguardo, mi limitai a guardarla alla ricerca di aiuto e conforto data la mia situazione, poi ricordai. In quanto Leader di Aveiron, la donna aveva al suo fianco sia servi che guerrieri, così, senza riuscire a tenere a freno la lingua, parlai, recitando quella che alle mie stesse orecchie suonò come una preghiera. "Non ne ho idea, Signora, ma vi prego, salvate il mio soldato Aaron." 

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Capitolo 44
*** Non più sotto a un segno ***


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Capitolo XLIV
 
Non più sotto a un segno
 
Sempre più nervosa, restavo ferma e in silenzio, aspettando la risposta di Lady Fatima. Sapevo bene che in qualità di Leader possedeva nel regno una potenza quasi pari a quella di un monarca, e in una situazione come la mia, il suo parere contava molto per me, risultando quasi vitale. Silenziosa quanto e più di me, non diceva nulla, e senza neanche guardarmi, teneva gli occhi chiusi. Rachel era con lei, ma imitandola, non apriva bocca. Anche se per un solo attimo, mi parve sorda alle mie parole, ma non appena le sue iridi color speranza si mostrarono di nuovo, sospirai di sollievo. Non accadeva da tempo, e dovevo averlo dimenticato, ma respirare profondamente e tenere gli occhi chiusi era il suo modo di pensare. Fermandomi a pensare, realizzai di farlo e averlo fatto anch'io migliaia o forse milioni di volte, ma se fatta da lei, una cosa del genere aveva tutt'altro significato. Con il tempo, il nostro rapporto era sbocciato in amicizia, e anche in un certo affetto, ma se mi sforzavo abbastanza, riuscivo ancora a ricordare il giorno in cui la incontrai per la prima volta, quando, con il cuore stretto in una morsa di gelo e ghiaccio, mi giudicò sciocca, debole e troppo insignificante per continuare a vivere. Per pura fortuna, Stefan riuscì a farle cambiare idea, e ancora oggi lo ringrazio per questo. Così, finii per perdermi nei miei stessi pensieri, ma il suono della sua voce mi distrasse. "D'accordo, Rain. Affiderò il tuo caso ai miei uomini migliori." Disse soltanto, facendo nascere nel mio cuore di madre una nuova speranza. A quelle parole, sospirai di sollievo, e guardandola, notai che mi invitava ad avvicinarmi. Muovendo qualche indeciso passo verso di lei, mi lasciai stringere in un delicato abbraccio, non dimenticando di esprimere il mio parere. "Non andranno da soli, io e Stefan li seguiremo." Dichiarai, decisa e sicura di poter contare sull'aiuto del mio amato cavaliere, che, di nuovo vicino a me, mi posò una mano sulla spalla. "Ha ragione, andremo anche noi." Disse poi, dandomi manforte e riuscendo a farmi sorridere. Non muovendo foglia a riguardo, la Leader si limitò ad annuire, e voltandosi fino a darci le spalle, tornò a prendere posto sul suo trono. "Partirete stanotte." Due semplici parole che ascoltai in silenzio, e delle quali mi fidai ciecamente. In qualità di Leader, Lady Fatima conosceva il regno di Aveiron meglio di ognuno degli abitanti, nonchè le abitudini di quei vili vermi. Stando a quanto ricordavo, non si facevano problemi ad attaccare anche di giorno, ma pur sapendolo, scelsi di fidarmi della donna che per anni, in mille modi diversi, non aveva fatto altro che aiutarmi. Così, il tempo continuò a passare, e ritirandomi nella mia stanza per riflettere e prepararmi alla partenza, riuscii finalmente a capire perchè Rachel l'amasse così tanto. Erano una coppia da anni, ma solo ora comprendevo la verità. Proprio come io facevo con Stefan, lei tendeva a idolatrarla come se fosse stata una dea. Forse esagerava, certo, ma più ci pensavo, più la capivo. L'amava, l'amava davvero, e nonostante una relazione come la loro fosse incredibilmente proibita dalla legge, a loro non importava. Rachel mi conosceva, e sapeva bene che al contrario di molta gente appoggiassi il loro legame, e che seppur in silenzio, speravo che entrambe avessero il coraggio di alzarsi in piedi e urlare al mondo la loro verità. Ad ogni modo, la notte scese lenta tingendo di nero l'intero regno, e nascondendo la mia daga nella tasca della veste com'ero abituata a fare, presi la mano di Stefan, poi un bel respiro,e una volta fatto, salii sulla carrozza di Lady Fatima. Avventurarci a piedi sarebbe stato rischioso, ragion per cui ci avrebbe accompagnato lei, e mentre gli zoccoli del suo stallone nero colpivano il terreno con ritmo concitato, io mi guardavo intorno, vedendo solo le luci accese nelle case vicine, ma nessuno in strada oltre a noi. Ero tesa e  nervosa, ma anche fiduciosa. In fin dei conti, Stefan era con me, e qualcosa, un sesto senso o una voce nella mia testa continuava a dirmi che Aaron stava bene, e così anche Ava. Preoccupata per entrambi, non smettevo di guardarmi intorno, e improvvisamente, la vidi. Nel buio più totale, la bianca e intermittente luce di una torcia. "Signora, fermi il cavallo!" Ordinai, sicura di quello che avevo visto. Difatti, già una volta Ava si era presentata a me nel buio utilizzando una torcia, e pur non potendo vederla in viso, ero ormai certa che fosse lei. Ascoltandomi, la Leader fermò il suo cavallo, e poco dopo, le due figure che vedevo si avvicinarono. Sorprendentemente, una delle due sembrava zoppicare, e l'altra la sosteneva. In silenzio, aguzzai la vista, poi capii di aver ragione. "Aaron? Ava?" chiamai, speranzosa. "Mamma!" Sentii rispondere, finalmente felice. "Ragazzi, grazie al cielo! Ava, cosa facevi qui fuori?" Dissi a quel punto, azzardando quella domanda. "Mi dispiace, Rain. Non avrei voluto, ma ci siamo perse di vista, e non sapevo cosa fare, così..." Biascicò la ragazza in risposta, abbassando lo sguardo in segno di vergogna. "Ha cercato di fare del suo meglio, e per fortuna l'ho trovata. Si è ferita, ma possiamo aiutarla." Finì mio figlio per lei, stringendole la mano ed imitando il padre nel proteggerla. "Certamente, ragazzo. Vi basterà venire con noi." Rispose Lady Fatima, rimanendo calma e sorridendo leggermente. Annuendo, Aaron salì in carrozza, poi fece accomodare la sua ragazza. Solo allora, notai le ferite sul suo braccio, coperte da una benda di fortuna. Durante il viaggio di ritorno al castello, non feci altro che chiedermi cosa le fosse successo, ma guardando quella ragazza senza dirle nulla, non potei negare di essere felice di rivederla e orgogliosa di mio figlio. Fuggendo senza spiegazioni aveva disobbedito, certo, ma l'aveva fatto in buona fede, e i risultati erano evidenti. Tornati al castello, ci addormentammo tutti come sassi, ma poco prima di dormire, sentii qualcuno bussare alla mia porta. Ancora sveglia, andai ad aprire, scoprendo che Ava sembrava aver bisogno d'aiuto. Appariva spaventata e tremante, e uscendo dalla stanza per non far preoccupare anche Stefan, la guidai fino al grande salone del castello. Per quanto ne sapevo, durante la notte quello era un posto sicuro, così, sedendomi con lei, la incoraggiai a parlare. "Che succede?" Chiesi, preoccupata. Non sapendo cosa dire, la ragazza rimase in silenzio, ma poi decise di vuotare il sacco, e raccontarmi una verità alla quale stentai a credere. Senza proferire parola, tolse la fasciatura che aveva sul braccio, poi me lo mostrò. "Vedi queste ferite, Rain? Non sono accidentali. Sono stata io." Questo fu il suo discorso, che con la sua fine, mi lasciò interdetta. "Sono stata io." Tre lemmi che messi insieme formavano la frase che mi colpì di più. "Cosa? Tu? Ma Ava, perchè? Perchè l'hai fatto?" Non potei evitare di chiederle, indagando con la preoccupazione che ogni madre era abituata a provare per i propri figli. Io non ero sua madre, ma essendo da tempo fidanzata con Aaron, era lentamente entrata a far parte della famiglia. "Guarda meglio, proprio qui." Rispose semplicemente, usando le dita dell'altra mano per indicare il punto della pelle in cui quei mostri avevano inciso il loro marchio. A quella vista, quasi sbiancai, diventando pallida come un cencio. Colpita, non seppi cosa dire, ma poi mi trovai costretta ad azzardare un'ovvia domanda. Continuando a guardare quei segni e il sangue rappreso intorno ai tagli che si era procurata da sola, soppressi la mia dannata emofobia, e finalmente, parlai. "Aaron lo sa, vero?" Indagai, incerta e dubbiosa. "Falso, Rain. Lui non sa niente, e tu non glielo dirai, ora aiutami con le bende." Replicò lei, quasi irritata dalle mie parole. Scivolando nel silenzio, mi limitai ad annuire, e dandole una mano, mi mostrai cauta. Farle male era il mio ultimo desiderio, e non appena le sue ferite furono di nuovo bendate, l'abbracciai, sollevata e orgogliosa, anche di lei. Grazie al cielo era sana e salva, e nonostante le sue ferite mi preoccupassero non poco, almeno ora sapevo che era determinata a stare dalla nostra parte per sempre, e nel tentativo di dimostrarlo, aveva scelto di liberarsi da sola delle metaforiche catene che la legavano alla sua vita precedente, così da non trovarsi più sotto a un malefico segno. 

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Capitolo 45
*** Cicatrici decisive ***


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Capitolo XLV
 
Cicatrici decisive
 
Lentamente, le settimane scorrevano via dalla vita di ognuno di noi, e faceva sempre più freddo. Avevo vissuto questa situazione più volte, e ormai ero sicura che stavolta la colpa non fosse da imputarsi al tempo atmosferico appena fuori dalle mura che ci proteggevano. Pensarlo poteva essere sciocco, persino folle, ma a me non importava, e testarda come e più d'un mulo, imputavo la colpa di tutto a Loro. Ricordavo ancora la profezia pronunciata da Lady Fatima ormai tempo addietro, secondo cui, all'arrivo di quei mostri in ogni angolo del regno, tutto cambia. Siamo tornati ad Aveiron da poco, e solo grazie ad un vero colpo di fortuna, e più il tempo passa, più mi sembra di tornare indietro ad un periodo preciso, quando non ero che una semplice ventenne innamorata, appena scampata alla morte nella fredda neve e innamorata dell'uomo della mia vita. Ogni donna nella mia stessa situazione concoderebbe con me, e sebbene altre storcerebbero il naso o alzerebbero quasi sicuramente gli occhi al cielo, dopo ben vent'anni di matrimonio, credo ancora che Stefan sia la mia roccia e il mio più grande eroe, capace di proteggermi e impedire a chiunque di farmi del male, orgoglioso del cammino che abbiamo intrapreso insieme sin dal nostro primo incontro, e di un amore che nonostante tutto ancora esiste. Finalmente, siamo tutti insieme, e ora, di nuovo tranquillamente seduta nel grande salone principale assieme alla donna che ha agito da paladina della giustizia per ognuno di noi soltanto un mese fa, metto da parte questa insulsa guerra, perdendomi nella quiete dei miei ricordi più felici. Senza accorgermene, chiudo gli occhi e mi estraneo dal mondo per un pò, poi una voce conosciuta mi distrae. "Tutto bene, Rain cara?" È proprio lei, la cara Leader, che prendendo posto sul suo sontuoso trono, si rivolge a me, lasciando fondere il verde dei suoi occhi con il gentile ambra dei miei. Colta alla sprovvista, esito prima di rispondere, ma scuotendo la testa, torno ad essere me stessa. "Certo, Signora. Va tutto bene." Ho la forza e la prontezza di rispondere, non dimenticando di mostrare un sorriso vero e convincente. "Felice di sentirlo, dopo tutto quello che hai passato." Risponde lei, con le labbra increspate in un sorriso più leggero e gli occhi chiari e brillanti sempre fissi su di me. Ascoltandola, non oso interrompere, e concedendomi del tempo per riflettere, scopro che, come sempre, ha ragione. La conosco bene, e so che è una donna dal carattere forte, decisa e saggia abbastanza da riconoscere una persona giusta da una falsa con un solo sguardo. Chiudendo ancora gli occhi, sospiro leggermente, e non sapendo cos'altro dire, annuisco. Le parole non mi servono, e neanche i ringraziamenti, ma all'improvviso, mi sento strana, come se la mia anima stesse cercando di parlare per me. Fino ad ora, ho sempre cercato di concentrarmi sui miei ricordi più belli per non soccombere a sentimenti come paura e dolore, o ad una sensazione terribile quanto l'ansia, ma solo guardandomi metaforicamente indietro, ecco che li rivedo. Tutti i giorni bui che abbiamo passato, tutte le notti in cui ho pianto e quasi urlato, tutti gli ostacoli che abbiamo superato. Certo, al tempo ognuno di questi traguardi ci sembrava irraggiungibili, ma senza accorgermene, ora piango. Non a causa di una grande tristezza, ma bensì per il motivo esattamente opposto. Sono felice. Felice di essere ancora viva, di aver resistito e di avercela fatta fino ad ora. Quella di Lady Fatima e dei miei tre amati cani è l'unica compagnia che ho, e mentre penso alla notte appena trascorsa, e alle leggere ma importanti ferite che Ava mi ha mostrato, giungo ad una sola conclusione, seria e significativa. Lei è una fuggitiva, un'ex nemica che ora ha deciso di fare un passo indietro e diventarci amica, e a tale scopo porta sul corpo delle cicatrici vere e reali, ma non è l'unica a farlo. Ci è voluto del tempo prima che lo capissi davvero, ma ora lo so, e la risposta è semplice. Ava non è la sola combattente fra di noi, perchè tutti stiamo combattendo insieme da anni, e quelle che nascondiamo e delle quali conosciamo la storia sono cicatrici tutte nostre, ancora dolorose e decisive, ed è solo condividendole e supportandoci a vicenda che un giorno usciremo da questa lotta apparentemente eterna. Non voglio arrendermi, nè perdere la speranza, e tenendo stretti i pugni in ogni notte che arriva, dormendo sempre con la mia fidata daga appena sotto il cuscino, sono sempre pronta a combattere, lottare e gioire di ogni successo, specialmente se ottenuto dopo non aver fatto che versare sangue, sudore e lacrime.
 
 
Salve a tutti i miei lettori. Questo quarantacinquesimo capitolo contiene l'ennesima delle profonde e dettagliate riflessioni della nostra cara protagonista Rain, che come ormai sappiamo, è decisamente troppo stanca di soffrire e subire, e pronta a difendersi con le unghie e i denti, fiduciosa di vedere un giorno un'alba più luminosa. Purtroppo, questo sarà l'ultimo capitolo del 2017, ma non temete, perchè non è ancora finita, e noi ci rivedremo in quello che spero sarà per tutti voi un sereno 2018, pieno di gioia e letizia. Felice Anno Nuovo ad ognuno di voi, a presto,
 
Emmastory :)

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Capitolo 46
*** Prepararsi al peggio ***


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Capitolo XLVI
 
Prepararsi al peggio
 
Il sole splendeva, eppure avevo freddo, molto freddo. Tremavo come una foglia, e le pesanti coperte del letto in cui dormivo non erano d'aiuto. Non sapendo cosa fare, restavo rannicchiata come una bimba in posizione fetale, attirando come mi aspettavo l'attenzione. "Rain, tesoro... ennesimo incubo?" Mi chiese, preoccupato per me. Mantenendo il silenzio, mi limitai a negare con la testa, non avendo comunque modo di calmare i miei tremori. Ad essere sincera, il mio non era stato un incubo, ma un attacco d'ansia legato a mille preoccupazioni diverse, primo fra tutti un nuovo attacco da parte di quei mostri. Stefan mi conosceva, e sapeva dei miei problemi di salute,  e quasi piangendo, mi abbracciò e tenne stretta a sè. Rinfrancata da quel gesto, lo lasciai fare, e piangendo fra le sue braccia, finii per perdere definitivamente la calma. Mi sentivo malissimo, e la testa mi scoppiava. In molti avrebbero detto che la mia era una reazione esagerata, ma per fortuna, non la mia intera famiglia. Sin da quando ci eravamo sposati, Stefan era stato per me l'uomo perfetto, ed era sempre riuscito a tenere sotto controllo la mia ansia, ed io non potevo che essergliene grata, ma di questi tempi, sapendo cosa ci aspettava appena fuori dalle mura del castello di Lady Fatima, non riuscivo davvero ad essere calma e felice. Così, di nuovo tesa e nervosa, ricordai le parole di Drake. Stando ai miei ricordi, era ancora il cocchiere della Leader, e nonostante lo scorrere del tempo, ripeteva costantemente che star fermi a guardare anzichè rimboccarsi le maniche e agire fosse da codardi. Anche se in parte, gli davo ragione, e anche Stefan era d'accordo, pur pensando che il benessere della nostra famiglia fosse al primo posto. Molti anni erano ormai passati, e nonostante all'inizio fra me e Drake non scorresse buon sangue, ora sono felice di dire che le cose sono cambiate. Prima lo odiavo, ma ora mi fido di lui e di tutte le sue capacità, specialmente da quando era riuscito ad aprire il suo cuore e trovare l'amore in Tanya, la madre di Trace, fidanzato di mia figlia Terra. Proprio come me, anche lei era preoccupata, e non vedendo il suo ragazzo da tempo, non poteva evitare di pensare al peggio. Temeva di perderlo e non rivederlo mai più, e con il cuore che mi piangeva nel vederla così triste, ne parlai subito con Stefan. Fu difficile, certo, ma in breve trovammo una soluzione. Nella nostra bella e pacifica Ascantha, la Leader Lady Bianca aveva messo in piedi un vero e proprio campo di recupero per dare una mano alla povera gente meno fortunata di noi, nonchè uno di allenamento, così da permettere a dei guerrieri come noi di non perdere il nostro smalto da combattenti, e ad essere sincera, trovavo quelle due idee perfette per la situazione in cui vivevamo. Ora come ora, non so se il secondo di questi stratagemmi verrà replicato, nè se ci verrà davvero data la possibilità di allenarci anche qui ad Aveiron prima della prossima battaglia, tantomeno cosa succedera, ma sperando ancora una volta nell'aiuto di Lady Fatima, terremo gli occhi aperti e le armi vicine, in quanto ora si tratta solo di prepararsi al peggio.

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Capitolo 47
*** Ansie, passioni e desideri ***


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Capitolo XLVII
 
Ansie, passioni e desideri
 
Così, un altro giorno stava finendo, e grazie ad un ennesimo colpo di fortuna, io e il mio intero gruppo avevamo potuto riprendere gli allenamenti. Anche se per poco, Lady Fatima aveva deciso di trasformare una parte delle segrete del suo castello in uno spazio idoneo, e ad essere sincera, ne ero felice. Avevo sempre usato la violenza in casi di estrema necessità o legittima difesa proprio come mi era stato insegnato prima e durante la guerra, e ora che finalmente potevo mettere di nuovo a frutto le mie conoscenze, tutte ottenute durante ognuna di quelle cruente ma insulse battaglie, riuscivo a sentirmi meglio. L'ansia di cui soffrivo mi faceva ancora disgraziatamente compagnia, ma allenarmi, e piantare la mia daga nel petto dei manichini riempiti di sabbia che utilizzavamo, era una vera panacea per tutto il dolore che sentivo, e proprio come l'amore e il tempo passato con il mio Stefan, mi aiutava a rilassarmi. Erano solo fantocci pieni di sabbia, certo, ma per forza d'abitudine, o deformazione professionale dovuta all'essere diventata una sorta di soldatessa quasi su due piedi, riuscivo letteralmente a scaricare tutta la mia rabbia e i miei sentimenti negativi, e per me non era che un bene. Andando alla ricerca di conforto, ne avevo parlato anche con il dottor Patrick, e inaspettatamente, non aveva fatto altro che darmi ragione. Stando ai miei ricordi, era stato il primo a diagnosticare il mio costante stato di stress, e la stessa cosa era accaduta parlandone con sua moglie, la cara dottoressa Janet, che molto tempo prima era stata in grado di aiutare mia sorella con i suoi problemi, dandole tempo e modo di staccarsi da un mostro del calibro di Ashton, e metabolizzare, grazie all'incontro con il suo amato Ilmion, che li ha poi portati a compiere il grande passo e sposarsi, tutto il dolore che gli aveva causato. Grazie al cielo, non lo vedevamo da anni, e pensandoci, non facevo che sorridere. Lentamente, il tempo continuava a passare, e mentre mio nipote Lienard si avvicinava ai sette anni, e le sue sorelline ai sei, mi capitava spesso di pensare a loro, e in particolar modo a lui. Quando Alisia si separò dal suo vero padre, lui era ancora in fasce, perciò vedeva Ilmion come suo genitore a tutti gli effetti, e più ci pensavo, più ero contenta. Io e lei ne avevamo parlato a lungo, arrivando ad una semplice conclusione. La guerra stava per ricominciare, e nonostante ora l'unica cosa importante fosse proteggerlo da quest'orribile scempio, secondo sua madre aveva comunque il diritto di sapere chi fosse il suo vero padre, o cosa gli fosse successo. Come ogni bambino della sua età, Lienard vive semplicemente il momento, e non pensa ad altro che al gioco ogni volta che può, nonostante la paura dell'ignoto inizi a radicarsi sia in lui che nelle sorelle. Da ormai qualche notte, le sorprendo a dormire tenendo i loro pupazzetti stretti vicino al cuore, e da brava madre, Alisia si intrufola nella loro stanza solo per mettere loro una caramella in bocca, così che nonostante la realtà in cui vivono, sfortunatamente molto più grande di loro, riescano comunque a fare dolci sogni. Stando a quel che vedo, questo piccolo stratagemma pare funzionare, e proprio come la mia Terra quando era piccola, credono che Ned e Bunny siano cavalieri, e lo stesso vale per le loro bamboline, tutte principesse. Ad essere sincera, lo trovo tenero e divertente, non nascondendo che utilizzo ogni momento di libertà e calma che ho per giocare e passare del tempo con loro. Stanno crescendo, e ben presto non saranno più così piccole, ed è proprio per questo che mi godo ogni istante, celando bene alla loro vista ogni mia emozione. Insieme, ci divertiamo, e fra un gioco e l'altro, sento il cuore gonfiarsi di gioia con ogni loro risata dolce e cristallina. Ora come ora, ci stiamo allenando, e benchè Terra e Rose siano da sole, avendo come unica compagnia quella del fratello e della loro intera famiglia, Aaron può sempre contare sull'aiuto di Ava, ancora ferita ma stoica. Inizialmente, non sapevo se si fossero parlati o meno delle sue ferite, ma notando il modo in cui lui ha sempre tenuto un sorriso sul volto durante tutti gli allenamenti di questa mattina, mi sono resa conto che ne hanno discusso davvero. "Lo so, mamma, e va bene." Sembra dirmi ogni volta, non osando allontanarsi da lei e offrendosi sempre di cambiarle le garze a intervalli regolari. Amandolo e fidandosi di lui, lei lo lascia sempre fare, e nonostante a volte lui le faccia male senza volerlo, un bacio e un sorriso risolvono sempre la cosa. Guardandoli, ricordo chiaramente i miei tempi di ragazza al fianco di Stefan, quando entrambi non eravamo che ventenni innamorati. Lo siamo ancora, ma guardando metaforicamente indietro, non riesco ancora a credere che siano passate ben due decadi. Ora come ora, gli allenamenti mi stanno davvero facendo bene, e come ripeto, sono perfetti per aiutarmi a star calma e a gestire ansia ed emozioni negative, ma lo stesso a quanto sembra non valere per Rachel. È mia amica, e le permetto sempre di parlarmi e sfogare così i suoi sentimenti, ma stranamente non mi parla da stamattina. Ormai siamo arrivati al pomeriggio, e lei è ancora perfettamente muta. Come sempre, è letteralmente incollata alla sua Lady Fatima, non la lascia mai andare, e cosa ancor peggiore, è ancora più timida, insicura e schiva di quanto non sia mai stata. Ad essere sincera, non ho idea di cosa le stia succedendo, e la vera certezza è una sola. In un modo o nell'altro, ognuno di noi è perso o diviso fra ansie, passioni e desideri.

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Capitolo 48
*** Improvvisa gelosia ***


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Capitolo XLVIII
 
Improvvisa gelosia
 
Il sole non era ancora nel cielo, o se c'era, non riuscivo a vederlo. La colpa era di qualche pesante e grigia nuvola arrivata da poco, pronta come sospettava a scaricare parecchia pioggia sulla città intera. Ero sveglia da poco, e non sentivo niente. Più mattiniero e riposato di me, Stefan era in piedi già da ore, ma notandomi, tornò a sedersi sul letto per farmi compagnia. "Buongiorno, amore." Disse soltanto, sdraiandosi accanto a me sulla coperta e accarezzandomi il viso. "Buongiorno a te, tesoro mio." Risposi prontamente, offrendogli la guancia per ricevere un bacio. Intuendo il mio volere, mi sfiorò il viso con le labbra, e lasciandolo fare, tenni gli occhi chiusi, felice. La sessione d'allenamento del giorno prima doveva davvero avermi fatto bene, perchè finalmente ero più calma, e tutti i miei problemi sembravano essere spariti.Sorridendo debolmente, gli presi la mano, e tirando con dolcezza, lo convinsi ad avvicinarsi ancora. Dopo tutto quello che era successo, io e lui non avevamo quasi più tempo per stare insieme, perciò era logico pensare che passassi con lui ogni attimo disponibile, dividendomi fra l'amore che provavo nei suoi confronti e quello per i nostri nipotini. Il tempo passava continuando a muoversi velocemente, ma nonostante questo, io non riuscivo ad abituarmi ad essere chiamata zia. I bambini non erano gli unici a farlo, e ricordavo che anche Isaac aveva quella quasi tenera inclinazione, e pensandoci ogni volta che ero da sola, o toglievo le briglie ai miei pensieri, mi rendevo conto che al contrario di me, Stefan sembrava essere più flessibile al riguardo. Gliel'avrò detto ormai mille e mille volte, ma era bello vederlo giocare con loro, sentirle ridere e vederlo tornare bambino con loro solo perchè si divertissero. Come sapevamo, quei tre bimbi erano i nostri nipotini, ma guardandoli, tendevo a rivedere il visetto dolce e paffuto che Terra aveva alla loro età. Lui era con me, eravamo vicini, e mentre non facevamo che scambiarci baci e tenerezze, io mi sentivo felice. Per quanto ne sapevamo, l'intero regno di Aveiron per come lo conoscevamo era ormai debole e in ginocchio come uno schiavo intento a chiedere pietà al suo padrone, e ogni momento di tranquillità per tutti noi era importante. Eravamo sposati da circa vent'anni, eppure lo amavo ancora, come il primo giorno. Ancora sdraiato accanto a me, non smetteva di baciarmi e sussurrarmi all'orecchio parole d'amore, ottenendo come unico risultato quello di farmi rilassare e sciogliere come neve al sole. Lo faceva sempre, e lo adoravo ogni volta. Lentamente, il tempo passava, e con la tarda mattina che si trasformava in pomeriggio, Stefan ed io ci separammo, prendendoci per un pò una pausa dal nostro amore. C'era tempo, e avremmo potuto, ma non ce la sentivamo di continuare, e come sapevo, non mi avrebbe mai costretto o forzato ad amarlo. Ritrovando la mia originale compostezza, mi avvicinai al cassetto del comodino dove tenevo il mio diario, e tirandolo fuori, lo aprii a una pagina bianca. La stanza che ci era stata assegnata era piccola, e non avendo una scrivania, dovetti adattarmi, ma non perdendo la calma, afferrai anche la mia fida biro nera dal cassetto, e sdraiandomi sul letto, iniziai a rilassarmi scrivendo. Non scrissi molto, ma come sempre, parlai principalmente dei miei sentimenti, ma fra una riga e l'altra, non sentii altro che un suono di passi. Leggeri, ma decisi e a tratti fastidiosi. Confuso, Stefan si voltò verso di me con espressione perplessa, e stringendomi nelle spalle, non seppi cosa dire. Iniziando subito una silenziosa investigazione, mi portai un indice alle labbra per indicargli di fare silenzio, e lui obbedì, ma da quel momento in poi, non sentimmo più nulla, solo il suono di una porta che si chiudeva lentamente. Più confusa di prima, andai alla ricerca di risposte, e aprendo cautamente la porta della mia stanza, vidi per un  attimo Rachel e Lady Fatima. Quest'ultima l'aveva appena invitata nella propria camera, e un'altra ragazza, sua probabile ancella, stava uscendo. Non volendo scatenare l'ira di nessuno, tacqui la mia scoperta, ma gli occhi e lo sguardo di Rachel mi rimasero impressi nella mente fino a notte fonda. Ero completamente all'oscuro del perchè, ma guardava quella ragazza con una diffidenza tale da poter essere accostata all'odio, e così, ma sapevo del felicissimo rapporto che aveva con la Leader, che prima di lei non aveva davvero mai amato nessun'altra, così, appena prima di addormentarmi, confidai al mio piccolo diario i dubbi e i sospetti che avevo sulla mia amica e su un suo attacco di anormale e improvvisa gelosia.

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Capitolo 49
*** La vipera e la sua tana ***


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Capitolo XLIX
 
La vipera e la sua tana
 
Un nuovo giorno stava avendo il suo magnifico e lento inizio, e Lady Fatima sfogliava uno dei tanti libri che parlavano di Aveiron. Leggende, storia, geografia... qualunque cosa la riguardasse, in qualunque forma, lei la conosceva. Quella volta, però, allungata sul suo sofà accanto al letto, non riusciva a concentrarsi nella lettura. Sapeva che di lì a poco la sua piccola gattina sarebbe arrivata a farle compagnia, ma ci stava mettendo un'eternità, e pensosa, si chiese cosa stesse facendo. Camminando silenziosa, Rachel non sentiva altro che il suono dei suoi passi, lenti ma decisi. Conosceva quel corridoio a memoria, e non vedeva l'ora di attraversarlo e vedere la sua amata. Fatti pochi passi, però, le sembrò di vedere qualcosa, o meglio, qualcuno. Un'altra ragazza, che proprio come lei serviva la Lady. Quasi ignorandola, non disse nulla, ma improvvisamente, una strana sensazione si fece largo dentro di lei. Rimanendo ferma e inerme, aspettò che la serva sparisse dalla sua vista, e poi, con una vena di riluttanza nei movimenti, bussò alla porta. "Milady! Sono io! Rachel! Posso entrare?" chiese, educata. "Finalmente!" Pensò la donna nel chiudere il libro con uno scatto della mano, per poi posarlo appena dietro la sua schiena e incastrandolo nell'angolo del sofa. Poi, mettendo più calma nella voce, parlò. "Entra, Rachel." Disse soltanto, dandole il benvenuto. "Per te è sempre aperto, mia piccola gattina." Avrebbe voluto aggiungere, limitandosi a pensarlo e non dicendolo ad alta voce. Così, rimase in silenzio, a leccarsi le labbra come una gatta mentre vedeva quell'esile figura entrare nella stanza. "Va... va tutto bene, Signora? Sapete, ho visto un'altra ragazza uscire da questa stanza, e..." azzardò la ragazza, spaventata e titubante. Ascoltandola, Lady Fatima aggrottò le sopracciglia in un espressione perplessa, specialmente a quelle parole. Parlava sicuramente di Natalia, ma c'era qualcosa nel tono di voce della ragazza che stonava con il sorriso che le rivolgeva, ma cosa? Non lo sapeva, ma continuò a pensarci mentre le rispondeva con voce tranquilla, quasi menefreghista. "Sì, stai parlando di Natalia." Rispose infatti, non appena riuscì a riordinare le idee. Senza dire altro, mosse la mano vicino al viso come se stesse scacciando una mosca e scosse la testa in una negazione. "È venuta qui a portarmi alcuni libri che mi servivano. Perchè me lo chiedi?" Aggiunse poi, assottigliando lo sguardo. "Sì." si disse, c'era davvero qualcosa che non andava nella sua gattina. Gli occhi sembravano come attraversati da una nube in tempesta. Che cosa la turbava tanto? "L-libri?" Balbettò Rachel, confusa. Sempre in silenzio, la donna tirò fuori da dietro la schiena il libro che stava leggendo poco prima. "Sì, libri, Rachel." Rispose soltanto, sventolandolo leggermente e tenendolo con una mano mentre metteva in bella vista il titolo. "Per l'esattezza le mappe geografiche di Aveiron che cambiano con il corso dei secoli... ma, Rachel, cos'hai? Sei strana." Spiegò, azzardando quella considerazione e osservandola mentre assottigliava lo sguardo. "No, non è niente, milady, davvero." Rispose lei, fallendo nel tentativo di mantenere la calma e  iniziando inconsciamente a tremare. Assumendo uno sguardo preoccupato, la Leader si alzò dal sofà, buttandoci malamente il libro sopra. Poi, a passi sicuri, la raggiunse e le mise le mani sulle spalle. La guardava negli occhi. Sentiva che qualcosa le stava sfuggendo di mano. "Rachel, calmati. Calmati e guardami. Cosa ti succede?" Chiese, pregandola di parlarle. "Milady, Voi non lo sapete, ma... Natalia è innamorata di Voi, e... e una sera giuro di averla sentita..." La ragazza continuava a balbettare, con il corpo tremante e le corde vocali in tumulto come il suo cuore. Che Natalia avesse un debole per lei lo aveva capito da un pezzo, ma la Lady non le aveva mai dato modo di credere che ricambiasse quel sentimento a senso unico. Fastidiosa e irriverente, Natalia era brava soltanto quando le affidava degli incarichi per tenerla occupata quanto più poteva. Inarcò un sopracciglio, attendendo il seguito che non arrivò, così dovette forzarla lei, ma la rabbia che le salì in corpo al solo pensiero di quella sgualdrina  che si era messa a dire in giro falsità sul suo conto le fece risultare la voce più baritonale e minacciosa del dovuto. "Sentito cosa, Rachel?" La incalzò, desiderosa di conoscere il resto di quella frase. "Gemere... il Vostro nome, Signora." Confessò lei, con lo sguardo basso in segno di vergogna. "E un'altra volta mi ha parlato, vantandosi di come Voi e lei... " tentò di continuare, ma si fermò di nuovo, incapace di andare avanti. A quelle parole, Lady Fatima divenne una statua di granito, la faccia inespressiva. Fu costretta a togliere le mani dalle spalle di Rachel per non farle male, la rabbia la stava facendo ribollire dentro come un vulcano. Ad ogni modo, non diede a vedere nulla, fuori soltanto il gelo, anche nella voce con cui le parlò. Ora capiva perché Rachel era così sconvolta quando era entrata! Come biasimarla? Povera gattina. "È la verità?" Azzardò a quel punto, incredula. "Nient'altro, Signora." Rispose prontamente Rachel, che intanto tremava. A quella risposta, la donna inspirò violentemente, a denti stretti. Sapeva che la sua gattina non le mentiva mai, e le aveva sempre creduto, quindi non esitò nemmeno un istante quando, aprendo la porta con uno scatto, cercò con gli occhi Natalia lungo i corridoi deserti. Con i suoi infuocati dall'ira, vide un movimento di stoffa verso la sua sinistra, che stava appena girando l'angolo, e, con tutta la freddezza di cui era capace e di cui era famosa, la fermò. "Ferma dove sei, Natalia." Sibilò nel vederla, glaciale. "Sì, Signora?" Disse quella piccola serpe, voltandosi e attendendo in silenzio. Irosa, la Leader la guardò sorridere melliflua. Quella piccola vipera! Sapeva che Natalia era una ragazza intelligente, e sicuramente aveva già capito cosa stava succedendo tra lei e Rachel, quindi non fece neanche finta di nascondere la realtà delle cose, e con un singolo movimento del dito indice, le ordinò di entrare nella sua stanza. Obbedendo ciecamente, la ragazza non se lo fece ripetere due volte, e in un attimo la seguì, soddisfacendo quella richiesta. Non aprendo bocca, la Leader richiuse la porta alle loro spalle,girando accuratamente la chiave. Qualunque cosa fosse successa in quella stanza, non sarebbe dovuta uscirne fuori. "Rachel, potresti ripetere a Natalia quello che hai detto a me?" Pregò, rimanendo mostruosamente calma nonostante fissasse Natalia con occhi di ghiaccio. Mai era stata così fredda con una delle sue serve, mai. "L'ho sentita gemere il Vostro nome, e vantarsi di come eravate insieme!" Ripetè Rachel, urlando in faccia a quella schifosa arpia tutto il suo odio. Per nulla sorpresa, Lady Fatima incrociò le braccia sotto il seno e piegò leggermente la testa di lato, soppesando le espressioni di Natalia. Tutto ciò che lesse era solo una grande e malata soddisfazione. Iniziò a provare ribrezzo. Con lo sguardo e il cuore di pietra, iniziò a camminare lentamente intorno alla ragazza, i tacchi delle sue scarpe risuonavano minacciosi quasi quanto il suo sguardo. "Ora, Natalia, potresti gentilmente dirmi quando questa tua astratta fantasia è avvenuta?" Chiese, ben sapendo di odiarla e desiderando solo vederla sparire dalla circolazione. "Perchè provo solo rabbia, ecco perchè. Dite sempre di non fare favoritismi, eppure state con Rachel. Rachel, Rachel, sempre Rachel. Non avete sempre detto che siamo tutte uguali di fronte a Voi, che nessuna è migliore o peggiore? E inoltre, che cos'ha lei che noi non abbiamo?" Rispose la ragazza, tanto arrabbiata quanto a sua volta gelosa del rapporto fra la Leader e la sua bella gattina, che intanto, immobile come una statua, non aveva parole. Lasciandola parlare senza interrompere, la donna dovette in parte darle ragione. Non era stata attenta, ma aveva comunque trattato tutte le altre con il rispetto e la gentilezza che meritavano. Sapeva che non era facile trattare con lei e ne apprezzava il lavoro, specie quello ben fatto. "Questo non ti da il diritto di far circolare menzogne e buttare fango addosso agli altri." Le disse poco dopo, sempre più arrabbiata. "Specialmente se quel fango è stato gettato sulla mia gattina." Pensò, pur tenendosi quel pensiero per sè. In quel momento, non sapeva cosa fare, se dire o meno la verità su Rachel e sè stessa rischiando che venisse a saperlo tutto il palazzo, oppure negare tutto e ferire i sentimenti della ragazza, Indecisa, girò il viso verso Rachel, chiedendosi cosa avrebbe fatto in quella situazione. L'incertezza era sul suo volto. Le fece un cenno d'assenso con la testa, impercettibile, così che capisse e si preparasse. Annuendo a sua volta, Rachel sorrise debolmente, sperando con tutto il cuore che quell'arpia non lo notasse. Dì lì a poco, il silenzio la rese sorda, e ormai pronta, la Leader decise di parlare. "No." Disse, parlando con sè stessa. Non avrebbe ferito i sentimenti di Rachel, non l'avrebbe mai presa in giro in quel modo e non avrebbe mai rinnegato i suoi sentimenti. La voce era calma quando le rispose, così come il suo sguardo. L'ira che aveva provato poco prima non c'era più. La sola presenza di Rachel riusciva a lenirla e a spazzarla via. Ecco un'altra cosa che amava di lei. "Noi ci amiamo." Eccola lì, in tre parole, la verità nuda e semplice come entrambe sapevano che fosse."Cosa? Voi... Voi amate lei ? Ma... ma è al Vostro servizio da meno di tutte noi, e... e io, allora? Non pensate a me? Anch'io Vi amo!" Rispose Natalia, sconvolta e incapace di credere a quanto avesse appena sentito. A quelle parole, Lady Fatima rimase in silenzio, disgustata. Sapeva che quella ragazza era solo una poco di buono, irosa e gelosa, pronta a tutto pur di entrare nelle sue grazie sin dal primo giorno. Non le credeva affatto. Seccata e amareggiata, la donna non seppe cosa dire, ma sapeva che non avrebbe capito. Quello che provava Natalia nei suoi confronti era un'altra cosa, non di certo l'amore che c'era tra lei e Rachel. "Non capisci vero, Natalia? O non vuoi capire... La tua è ossessione, una mera illusione di qualcosa che non accadrà mai tra noi." Osservò, sputandole di nuovo in faccia un misto di verità e veleno. Nel farlo, lanciò uno sguardo alla sua Rachel, che per tutta la durata di quel dibattito era rimasta pallida e tremante dietro di lei. "Natalia, ti faccio una domanda ora, e tu mi risponderai con sincerità. Continuerai a intestardirti così? Oppure la smetterai di comportarti a sciocca egoista?" Sibilò nel guardarla, con le mani che le prudevano per la rabbia. "Egoista? Io? E Voi, allora? Contravvenire così alle regole di un regno intero?" Rispose la ragazza, facendo spavalda un passo in avanti e attendendo una risposta. Oltraggiata da quel comportamento inadeguato, Lady Fatima non ci pensò un singolo istante e la sua mano si mosse prima di riuscire a capire cosa aveva fatto. Il rumore del sonoro ceffone che le aveva rifilato in pieno volto si propagò per tutta la stanza, raggelando le presenti. Quando parlò, la sua voce fu più tagliente del ghiaccio. "Io non devo rendere conto a nessuno di ciò che faccio o ciò che dico. Adesso ti ordino di lasciare immediatamente il rifugio . Sei esiliata dai miei confini con effetto immediato. Se ti troverò qui intorno nelle prossime ventiquattr'ore, farò in modo di mandarti i miei cacciatori alle calcagna. Sparisci, e questo è un'ordine, Natalia." Questo fu il suo discorso, lungo ma deciso, pieno della rabbia che provava verso di lei da anni. Ancora stordita da quel colpo in pieno viso, Natalia si massaggiò la guancia offesa, e indietreggiando, diede le spalle a quella che era e che non sarebbe più stata la sua Signora. Camminando, guadagnò la porta della stanza, poi quella lignea e massiccia del castello, decidendo, solo in quell'istante, di fare ciò che le era stato chiesto. Non appena fu lontana, Lady Fatima guardò Rachel negli occhi, abbracciandola e calmando i suoi tremori. Era finita. Quella serpe di Natalia non l'avrebbe più neanche toccata, e nessuno si sarebbe mai messo fra di loro. "Milady, io non ho parole, avete appena..." balbettò Rachel, sconvolta da quello spettacolo. Aveva visto la sua amata riprendere le altre serve più di una volta, certo, ma mai l'aveva vista spingersi a un tale livello. Con il cuore in tumulto, le prese le mani, e in silenzio, attese una sua mossa. "Sì Rachel, ho appena allontanato una vipera dal nostro covo, rispedendola nella sua schifosa tana." Le rispose, guardando fuori dalla finestra mentre stringeva quelle piccole mani. Nel farlo, vide Natalia correre a cavallo verso il confine con quelle terre, come se fosse inseguita dal diavolo in persona. Con un ghigno malefico, la donna si disse che quella poteva benissimo essere la realtà, sperando che anche da fuori, quella mela marcia non arrecato danni ad altri nè di nuovo a loro. Poco dopo, tornò a guardare la sua Rachel, e senza dirle nulla, premette dolcemente le labbra sulle sue, in un bacio che nulla aveva a vedere con la delicatezza. Felice, Rachel non si staccò da lei, e animata da una forza che non credeva di possedere, strinse forte a sè la sua bella amata, ricambiando poi quel bacio con altri mille e assaporando quelle labbra come il più dolce dei frutti. Per qualche strana ragione, sapere che erano di nuovo libere la rendeva felice, e quasi in estasi, sussurrò qualcosa all'orecchio della sua Lady. "Grazie. Grazie davvero, Milady, grazie." Disse soltanto, per poi riprendere da dove si era interrotta e osservare le reazioni del suo stesso corpo, che intanto sembrava impazzire d'amore e piacere. "Non permetterò a nessuno di mettere altri dubbi sciocchi nella tua testa, gattina. Se dovesse servire, esilierò ogni singolo abitante di questo castello pur di farti capire che per me ci sei solo tu. Rachel." Sussurrò la donna al suo orecchio, facendole una promessa solenne che mai in vita sua avrebbe spezzato. Loro non lo sapevano, e non ne avevano idea, ma in tutto quel tempo ero rimasta chiusa nella mia stanza, avevo sentito e ascoltato tutto, e ora piangevo. Le mie erano lacrime di gioia, gioia che avrei tanto voluto condividere con entrambe, ma che per ora avrebbe dovuto aspettare. Rachel era mia amica, Lady Fatima una mia grande confidente, e dopo tutto il tempo che avevamo trascorso insieme, superando gli alti e bassi delle nostre tre diverse vite, potevo tirare un sospiro di sollievo e dirmi orgogliosa di aver stretto con loro una solida amicizia, ma anche di appoggiare il loro rapporto, che ora finalmente poteva essere privo di uno di tanti ostacoli, ovvero un'orribile vipera rispedita a viva forza nella sua buia tana.


Salve a tutti! In questo ultimo weekend di festa, ho praticamente passato tutto il pomeriggio a scrivere e produrre questo importante capitolo, che sinceramente spero vi sia piaciuto. Prima di andare, ricordo bene che oggi è il 6 Gennaio, giorno dell'Epifania, quindi porgo a tutti voi i miei migliori auguri di quella che, scherzando, chiamo sempre Happyfania :) Grazie come sempre di tutto il vostro supporto, e al prossimo capitolo,

Emmastory :)          

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Capitolo 50
*** Strani comportamenti ***


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Capitolo L
 
Strani comportamenti
 
Svanendo come un'umida coltre di nebbia portata via dal vento, un'altra lunga setttimana era scomparsa dalle nostre vite, lasciando prontamente il posto ad una nuova. Sdraiata sul letto della mia nuova stanza, non ero intenta a scrivere, ma ancora una a volta a rileggere quel che avevo scritto tempo prima, mentre riflettevo su quello che era successo fra Rachel e Lady Fatima. Le conoscevo entrambe, e sapevo che si amavano, ma stranamente, da qualche giorno non vedevo Rachel da nessuna parte, e se ci riuscivo, notavo che preferiva non parlarmi, mostrandosi a noi ospiti del castello per il tempo necessario a mangiare o rilassarsi guardando fuori dalla finestra, cosa che per qualche ragione non riusciva a fare. Mantenendo il silenzio, non dicevo mai niente, e conoscendo la sua parte sensibile, mi assicuravo di farlo solo per non indisporla o ferirla, e pensandoci, credevo davvero che fosse la cosa migliore da fare. In fin dei conti, lei non si era mai intromessa nella mia vita se non per consigliarmi, ma nonostante questo, il tempo scorreva, e non potevo fare a meno di preoccuparmi. Uno scenario del genere si era già presentato ai miei occhi due volte, sia con lei che con Samira, e ad essere sincera, averlo davanti per una terza volta mi disturbava non poco. Ricordavo bene che allora non era successo nulla di grave solo in uno dei due casi, e ormai decisa, aspettavo il momento più propizio per fare la mia mossa. In cuor mio, non avrei davvero voluto, ma la confusione regnava nella mia testa, e avevo bisogno di risposte. Forse ero invadente, o forse esageravo, ma poco importava. Dato il suo modo di agire, non avevo mai modo nè tempo di parlarle a dovere, così, indossando i panni di detective, decisi di indagare. Uscendo dalla mia stanza, finsi tranquillità realmente assente dal mio animo, e tenendo gli occhi aperti, passai parte del mio tempo guardando fuori dalla finestra e godendo della compagnia di Chance e Myra. Sdraiati ai miei piedi, anche loro erano calmi, e il piccolo Max si comportava da perfetto soldatino, tenendo una strana e a dir poco buffa posizione di punta. Conoscendo la situazione in cui vivevamo, doveva aver imparato da Aaron, e sorridendo, lo guardavo senza distrarlo o dire nulla. Divertita, notavo la sua goffaggine, e pensandoci per un solo istante, conclusi che era perfettamente normale. Era soltanto un cucciolo, e i suoi muscoli non erano ancora abbastanza reattivi e sviluppati, l'esatto contrario di quelli della madre, che la rendevano veloce e scattante. Sfortunatamente, lo stesso non sembrava valere per il suo peloso padre adottivo, che comunque cercava di godersi il tempo che gli restava nonostante fosse ormai vecchio e stanco. Notandolo, gli sorrisi, e per tutta risposta, lui sbadigliò. Così, il tempo continuò a passare, e voltandomi, vidi Rachel baciare la sua fidanzata, per poi scusarsi e sparire dalla sua vista. Silenziosa e composta, Lady Fatima non disse nulla, ma non appena Rachel fu lontana, sospirò, stanca. "Non so cosa che le stia succedendo, Rain. Sono giorni che fa così, ed è come se mi evitasse. La amo, e so che non lo farebbe mai, ma sono preoccupata. Credi sia grave?" Mi disse, completando quella discorso con una domanda inaspettata, che a dirla tutta, mi spiazzò completamente. Non sapendo cosa dire, mantenni il silenzio, e rompendolo come vetro, decisi di provare a consolarla. "Non ne ho idea, Signora, ma... se volete posso provare a parlarle." Risposi soltanto, dando poi voce a quell'azzardo. "Sarebbe la cosa migliore, cara, ma aspetta." Replicò lei, alzandosi lentamente dal trono e avvicinandosi a me. Fatti pochi passi, incrociò il mio sguardo, e il verde dei suoi occhi si fuse con il dolce ambra dei miei. "Voglio esserci." Disse poco dopo, quasi in un sussurro, apparendo sempre più preoccupata. Annuendo, lasciai che mi seguisse, e rallentando, sperai che mi guidasse fino alla sua stanza. Ad essere sincera, sapevo benissimo dove si trovasse, ma i corridoi del castello erano immensi, così preferii vederla mettersi in testa al nostro cammino. Fu quindi questione di un solo minuto, e arrivata di fronte alla porta della stanza occupata dalla ragazza, bussò. Anche se solo per un istante, trovai strano il modo che aveva di farlo. I suoi furono quattro colpi, veloci e ravvicinati. Una sorta di codice, così che Rachel sapesse chi davvero si trovava dietro la sua porta. Sorridendo leggermente, cercai di infondere coraggio alla cara Leader, e pur senza imitarmi, lei annuì. Sollevata da quella reazione, attesi che Rachel ci ricevesse, e quando finalmente accadde, Lady Fatima parve cambiare idea, e indietreggiando, mi lasciò da sola con lei. "Buona fortuna." Sussurrò al mio indirizzo, prima di indietreggiare ancora e addentrarsi nel corridoio per tornare indietro. Sperando che Rachel non avesse sentito, annuii, poi richiusi la porta alle nostre spalle. "Rachel, come stai?" Le chiesi, cercando semplicemente di rompere il ghiaccio senza che si accorgesse di nulla. "Male, Rain." Rispose, apparendo ai miei occhi incredibilmente seria. "Che intendi?" Azzardai, guardandola negli occhi ametista e andando a sedermi con lei sul suo letto. "Vedi, nessuno qui al castello ne sa niente, ma... ci sarebbe una cosa che un giorno vorrei dire anche alla nostra Lady, sai?" Iniziò, fermandosi nel tentativo di calmarsi e trovare le parole giuste per continuare. Confusa, la guardai ancora senza capire, e in  quel momento, una piccola e solitaria lacrima fuggì dai suoi occhi correndole sul volto, e annegando improvvisamente nella vergona, fuggì dal mio sguardo, ben sapendo che non potevano inseguirla. "Davvero? E... e cosa?" Chiesi ancora, incuriosita. Colta alla sprovvista dal mio modo di fare, Rachel si lasciò prendere la mano dalle sue ansie, e divenendo rigida come un'asse di legno, piombò nel silenzio, non spiegandomi più nulla. "Rain, sappi... sappi solo che un giorno vorrei essere come te." Disse soltanto, con la voce e il corpo che le tremavano visibilmente. A quelle parole, quasi sussultai. La sentivo parlare, e ascoltavo le sue parole, ma non riuscivo a decifrarle. "Rachel, non capisco." Ammisi, con la testa che doleva per la confusione di quel delicato momento. "Un giorno capirai, ma ora ho bisogno di stare da sola." Replicò, sostituendo improvvisamente l'ansia con la rabbia e avvicinandosi alla porta. Sorpresa e spaventata, indietreggiai, e quasi con le spalle al muro, alzai le mani in segno di resa. Era mia amica, e la conoscevo bene, ma non l'avevo mai vista così. Lentamente, guadagnai la porta della stanza, e richiudendola lentamente, sperai davvero che non si trattasse di nulla di infausto o negativamente serio. Così, a testa bassa, camminai fino a tornare nella sala principale, e incontrando di nuovo Lady Fatima, fui distratta dal suono della sua voce. "Scoperto niente?" Chiese, immensamente preoccupata. "Niente, Signora, mi dispiace." Risposi in tono mesto, per poi tornare ad appoggiarmi mollemente al davanzale della finestra. Era vero, pur indagando non avevo scoperto niente, e questo ci lasciava entrambe incredule e preoccupate, ferme e sospese nel vuoto senza poter far altro che meditare su Rachel e sui suoi strani e indecifrabili comportamenti. 

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Capitolo 51
*** Come ogni vera coppia ***


Le-cronache-di-Aveiron-VII-mod
 
 
Capitolo LI
 
Come ogni vera coppia
 
I giorni passavano lenti e senza sosta, e finalmente, dopo avermi parlato, Rachel sembrava più calma. Non mi aveva rivelato nulla di concreto, ma ormai avevo capito che doveva essere qualcosa di importante. Ormai era passato più d'un mese, e dopo tutto il tempo che era riuscita a passare con la sua Lady dopo aver abbandonato il buio della sua stanza e dedicandole le mille attenzioni che sentiva di averle negato, si sentiva in qualche modo in debito con lei, e ingannava il tempo e le giornate intere a pensare a come farle una sorpresa. Si amavano davvero, e ricordava benissimo come si fosse comportata con la mia allora neonata figlia Rose, e solo saperlo le aveva dato un'idea. Il suo era un ragionamento privo di grinze. Se era stata così brava con mia figlia, ovvero la bambina di un'altra donna, allora chissà come sarebbe stata con un figlio tutto suo, o per meglio dire, loro! Ad essere sincera, me lo chiedevo anch'io, ma sapendo di non potermi intromettere, non facevo che aspettare e mantenere questa sorta di segreto, al solo scopo di vedere come sarebbe andata. Erano ormai giorni che Lady Fatima vedeva Rachel distratta, come sovrappensiero, e nonostante lei facesse di tutto per non farsi scoprire, la Leader era una donna tanto affascinante quanto furba, e quel comportamento, a dir poco inusuale per la sua Rachel, ebbe il potere di incuriosirla. Così, in quella calma e radiosa mattina, decise di provare a chiederle chiarimenti, mettendosi subito alla sua ricerca. Come sempre, lenta e felina, camminava per i corridoi della sua fortezza, chiedendosi con ogni passo dove avrebbe potuto trovare la sua giovane ragazza. Decisa a trovarla, l'aveva cercata per un'ora intera, anche nei posti più impensabile, ma alla fine, stanca, si era rifiugiata di nuovo nella sua stanza. Rachel sembrava scomparsa, e le sue speranze iniziavano a scemare, ma poi, all'improvviso, il timido bussare. Sentendo quel così caratteristico suono, Lady Fatima fissò lo sguardo sulla porta chiusa. "Entra pure, Rachel." Disse soltanto, in tono neutro. Dentro di sè, lo sapeva. Sapeva che alla fine sarebbe arrivata da lei, e anche quella volta, non si fece attendere. Così, con un sorriso soddisfatto in volto e una gran sicurezza nei movimenti, andò a sedersi sul bordo del letto, poi attese. "Buongiorno, milady. Dormito bene?" Chiese Rachel, entrando nella stanza solo dopo aver bussato educatamente. "Non mi lamento. E tu, gattina?" Rispose la donna, sorridendo e rigirandole la domanda. "A dire il vero... non ho dormito, sapete?" Confessò, sorridendo a sua volta. "Non hai dormito?" Replicò Lady Fatima guardandola, stupita. "E perchè mai?" Chiese poi, non desiderando che una risposta. "Non riuscivo a smettere di pensarvi, milady." Ammise Rachel, innamorata e sicura di non mentire. "Davvero, micina?" Chiese la Leader, accavallando le gambe con un gesto veloce e fluido al solo scopo di provocarla. "Davvero, Signora." Rispose soltanto la ragazza, sorridendo debolmente e cedendo alla tentazione di avvicinarsi. "Ne sono contenta." Disse la donna con la malizia che le albergava negli occhi. "Sai, ti cercavo fino a poco fa." Aggiunse poco dopo, iniziando così quel discorso con finta noncuranza. "Davvero?" azzardò Rachel, con gli occhi che le brillavano di felicità. "E... e per cosa?" non potè evitare di chiedere, curiosa. "Per curiosità." Rispose semplicemente la cara Leader, tranquilla. Nel farlo, si alzò dal letto e camminò sensualmente verso di lei. "Ti vedo distratta in questi giorni..." Azzardò, guardandola e studiando la sua espressione. "S-Sul serio? No, non avete ragione per..." balbettò lei in risposta, tentando invano di depistarla. "Non ho ragione per cosa, Rachel? Continua..." Insistette la donna, incalzandola e facendo un altro passo in avanti, afferrandole il mento con due sole dita in una presa decisa e delicata. "Per... per pensarlo, ecco." Rispose lei, tremante come un coniglio spaventato. Sapeva bene che era difficile mentire alla sua Lady, che dato il regal comportamento e la rara bellezza sembrava avere una sorta di ascendente su di lei, ma ci stava comunque provando. "Rachel, mia dolce Rachel." Sussurrò a quel punto Lady Fatima, lasciandole il mento per offrirle una carezza sulla gola, dolce come sempre. "Cosa stai nascondendo?" chiese poi, evidentemente stanca di quel balbettio costante e penoso. "Niente, milady, davvero! Sapete che non mentirei mai!" Replicò a quel punto Rachel, quasi urlando e facendo di tutto per evitare di crollare. Poi, nel tentativo di distrarla, la baciò con trasporto, facendosi ancora più vicina. "Chiamatemi ancora in quel modo, vi prego." Disse poi in un sussurro innamorato, pregando di sentire ancora la sua splendida voce. Dolce e ingenua come sempre, Rachel non lo sapeva, ma Lady Fatima aveva capito da un pezzo che le stava nascondendo qualcosa. In fin dei conti, i segni c'erano tutti, e inoltre, quando era entrata nella stanza aveva assunto un'aria colpevole. Amandola con tutta sè stessa, la conosceva perfettamente, e quella ragazza era per lei un vero libro aperto, ma decidendo comunque di stare al gioco, e lasciandosi trasportare dal bacio, le sussurrò a fior di labbra quello che voleva. "Mia dolce Rachel." Ripetè infatti, accarezzandola e guardandola nei suoi bellissimi occhi viola. In quel momento, completamente irretita dalla sua donna, Rachel finì per cedere,  e indietreggiando di un solo passo, decise di vuotare il sacco, non potendo più nascondersi. "Va bene! È vero, c'è davvero qualcosa che devo dirvi." Confessò, con il corpo che ancora tremava. Ascoltando le sue parole, Lady Fatima la lasciò andare, poi annuì, convinta. "Però... dovete promettere di non arrabbiarvi." Ebbe cura di precisare, sempre più debole e spaventata. Silenziosa, la Leader scosse la testa, poi le prese la mano. "Parla, tesoro. Puoi fidarti." Sussurrò al suo indirizzo, incoraggiandola. "Io... io vorrei avere un bambino, insieme a voi." Confessò a quel punto, sentendosi coraggiosa e smettendo finalmente di tremare. Colpita, la Leader la guardò in silenzio, sorpresa dal sentirle dire cosa veramente pensava. "Un bambino?" chiese, non riuscendo a nascondere la sua perplessità a riguardo. "Esatto, mia Signora, un bambino." Ripetè Rachel, più innamorata e seria che mai. Non sapendo cosa dire, la donna sospirò, ma un luccichio di felicità le illuminò gli occhi e ingentilì lo sguardo duro. In segreto, lei adorava i bambini, ma non si sarebbe mai azzardata ad assecondare il suo desiderio. Era una Leader, non una madre. "Come mai ne vuoi uno?" Provò a chiederle, volendo solo sapere cosa ne pensava. "Ci amiamo già alla follia, e vorrei davvero condividere, mostrare quest'amore a qualcuno che non ci giudicherà mai." Rispose Rachel con serietà e semplicità insieme, per poi avvicinarsi e provare a baciarla dolcemente. Con un inaspettato sorriso dolce sul viso perennemente duro, la donna si avvicinò alla ragazza per annullare la distanza che le separava, poi accettò quel bacio pieno d'amore. "Allora?" Chiese a quel punto Rachel, per poi far incontrare di nuovo le loro labbra e approfondire quel dolce contatto. Sempre più presa dalla sua lei, la Leader accettò quel bacio passionale, cercando con la lingua quella della ragazza, e intrecciandola alla sua fino a iniziare una sorta di danza sensuale. Poi, quando entrambe non ebbero più fiato, si staccò. "Non potrei essere più d'accordo, gattina mia." Confessò, sorridendo ancora una volta e sentendosi frastornata da quel meraviglioso bacio. "Adoro quel soprannome, mia Signora." Rispose la sua ragazza, sentendo di nuovo il brivido derivante da quella confessione percorrerle la schiena. "Lo so, piccola. Replicò la donna con un sorriso soddisfatto sul volto. "Lo so." Ripetè, muovendosi lentamente solo per baciarle il collo candido e delicato. "Milady..." la chiamò Rachel, non riuscendo quasi a parlare ma lasciandola fare con amore e pazienza. "Un giorno mi farete impazzire, sapete?" Confessò poi, sempre più innamorata dell'unica donna capace di farle battere il cuore. Divertita, la bella Leader ridacchiò nel continuare, poi le parlò. "Credevo di averlo già fatto, micina!" Commentò, coccolando e sfiorandole i seni con una mano, osando toccarla solo per un attimo. "Ci siete sempre più vicina, milady, ma ora basta. Godiamoci questo momento." Rispose Rachel, sincera e decisamente troppo concentrata su di lei. Allontanandosi, andò a sdraiarsi sul letto e aspettandola. Conoscendosi, sapeva bene di amarla, e con il mattino che era lentamente sfumato in pomeriggio ormai prossimo a diventare a sua volta sera, sapeva anche di non riuscire più a trattenersi. I suoi baci e le sue carezze l'avevano tentata troppo, e ora non resisteva. Con l'arrivo della notte e il buio come loro unico compagno, le due non fecero che amarsi, e prima di addormentarsi e scivolare in fretta nell'incoscienza, Rachel potè dirsi calma e felice. Dentro di sè, sentiva di avere tutto. Una vita agiata e piena di fortune, una fidanzata a dir poco perfetta, e finalmente, la certezza che tanto aspettava. Lei e la sua Lady non ne avevano mai parlato prima di allora, ma quello legato al bambino, e alla nuova creatura che avevano deciso di accogliere nelle loro vite, non era altro che uno dei suoi desideri, che una volta realizzato, sarebbe stato un altro passo verso uno perfino più grande e importante, ovvero continuare ad amarsi e vivere come ogni vera coppia.
 
 
Salve a tutti, lettori miei. Come faccio sempre nelle mie note, inizio con lo sperare che il capitolo appena letto vi sia piaciuto, ma prima di andare, sento di dover fare una precisazione. Ho dimenticato di scriverlo la scorsa volta, ma questo capitolo, così come il numero 49, mi è stato ispirato dalla cara "KaronMigarashi" una di noi qui nel sito, che già una volta mi ha aiutata a ritrovare l'ispirazione quando mi serviva, e che ringrazio in questo preciso istante, facendo lo stesso con ognuno di voi, recensori e silenziosi inclusi. Grazie del supporto che non mancate mai di fornirmi, e al prossimo capitolo,
 
Emmastory :)     

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Capitolo 52
*** Unite in anima e corpo ***


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Capitolo LII
 
Unite in anima e corpo
 
Aveva accettato. Rachel ancora non ci credeva, ma la sua Lady aveva accettato. Contrariamente a ogni sua previsione, aveva scelto di appoggiarla nella decisione di avere un bambino, e ora a lei restava solo una cosa da fare. La decisione era di per sè un passo importante, e nonostante la donna ne fosse completamente cosciente, voleva comunque che fosse una sorpresa. L'ho notato per puro caso, ma da ormai qualche giorno non fa altro che entrare e uscire dallo studio del dottor Patrick. Non ho idea di quello che si dicano, ma sono certa che l'aiuto di un dottore competente e qualificato come lui sia proprio quello che le serve. Volendo solo aiutarla a realizzare il suo desiderio più segreto, lo stesso dottore continua a chiamarla nel suo studio, e ogni volta che ne esce, è sempre felicissima, e sembra che nulla possa turbare la sua felicità. Com'è ovvio, Lady Fatima appare molto più calma e sollevata, e mantenendo sempre il regal comportamento che tanto le si addice, sorride ogni volta che la vede. Ormai le conosco da molto, entrambe mi hanno aiutata tantissimo, e ormai le considero amiche, ragion per cui vederle così felici mi scalda il cuore, specialmente dati i miei trascorsi. Ora come ora, il tempo scorre lento, e seduta tranquilla, cerco di prendermi una pausa dagli allenamenti. Contrariamente a me, Stefan e i ragazzi non fanno lo stesso, e un piccolo sorriso mi increspa le labbra non appena vedo Rose che ha per l'ennesima volta centrato il bersaglio. Guardandola, le mostro il mio orgoglio, e per tutta risposta, lei sorride a sua volta. Poco dopo, Stefan mi raggiunge, e sedendosi accanto a me, mantiene il silenzio. Scambiandosi con me un'occhiata d'intesa, mi tiene la mano. Non dice nulla, ma le parole non ci servono. Almeno per ora, il clima qui a palazzo è meno teso, e sempre tranquilla, stringo la presa sulla sua, innamorata come sempre. Distesa e felice, mi godo lo spettacolo offerto dai miei figli, e con gran sorpresa, noto che Ava sembra faticare. A quanto pare, le ferite che ha sul braccio le bruciano ancora, e a volte, quando si sforza troppo o il tessuto dei vestiti le sfiora, lei prova dolore. Pensandoci, concludo che sia più che normale, e dopo circa un'ora passata nel campo d'allenamento allestito nelle segrete, decido di ritirarmi di nuovo nella mia stanza. Ancora una volta, il mio caro diario mi sarà di conforto, poichè fra una rilettura e l'altra, mi occuperò di esternare la positività dei miei sentimenti su altre bianche pagine. Ora come ora, non posso lamentarmi, perchè tutto va come vorrei, e il dolore pare essere scomparso dalla mia vita e da quella di tutte le persone a me più care. Come sempre, Stefan mi ama, e Rachel continua ad essere la ragazza timida e insicura che tutti conosciamo. Una vera gattina impaurita, come direbbe la sua fidanzata. Lentamente, il mattino divenen pomeriggio, e presto la sera raggiunse anche Ascantha, e infilandomi sotto le coperte per proteggermi e difendermi dal freddo, mi addormentai quasi subito, stretta al mio Stefan e allietata dal calore dei suoi abbracci. È sciocco, forse anche infantile, ma ci addormentiamo così da quando eravamo fidanzati, e pian piano, questa piccola abitudine si è fatta spazio nel nostro matrimonio. Dormo tranquilla, e nella camera alla fine del corridoio, Rachel e Lady Fatima non riposano come me. Erano insieme, e fra una carezza e l'altra, si scambiavano dolci baci e tenerezze. "Milady, avrei... avrei una cosa da chiedervi." Azzardò, mentre, timorosa, faceva scivolare le labbra sulla sua guancia e giocava con i suoi capelli corvini. Silenziosa, la donna la lasciava fare, ma per qualche strana strana ragione, Rachel non riusciva a stare calma e concentrarsi sul momento. "Chiedi pure." Le rispose Lady Fatima, regalandole un debole sorriso. "È importante, perciò siate sincera. Cosa, dentro di Voi, vi ha spinto ad amarmi tanto?" Indagò, con la voce calma ma bassa, contaminata dalla stanchezza. Capendo di dover rispondere in modo sincero, la Leader fece sparire dal suo volto ogni traccia di ilarità, tornando ad essere di ghiaccio e vantando uno sguardo affilato. Sapeva di stare per dire qualcosa che non aveva mai dovuto spiegare a nessuno, ma sperò che la giovane ne capisse il senso. "È più di una semplice attrazione. Magari non lo capirai ora, ma sappi che è stata quella luce che ti porti dentro ad attirarmi. Il tuo animo è così puro e semplice che alla fine ne sono stata attratta come una falena. Riesci a seguirmi?" Spiegò, completando quel discorso con quella domanda. "Certo, milady, e sappiate che capisco perfettamente." Rispose Rachel, tremando visibilmente. Nel dirlo, la baciò ancora, quasi con le lacrime agli occhi. Non poteva crederci. La loro relazione era vera, e lei l'aveva sempre vista come attrazione superficiale derivante dal rapporto fra serva e Leader, ma ora scopriva che non era così. Dentro di sè sentì qualcosa spezzarsi,e seppur felice, scoppiò a piangere. Colta alla sprovvista, Lady Fatima spalancò gli occhi dallo stupore mentre vedeva la ragazza scuotersi nei singhiozzi. Non sapendo cosa dire, l'attirò a sè stringendola in un abbraccio, cullandola poi come una bambina. "Non mi aspetto la vostra completa pietà, ma cercate di capirmi. Forse le genti del regno hanno ragione, e noi... noi stiamo sbagliando. Vi amo, Vi amo davvero, ma non riesco a smettere di pensarci!" Piagnucolò Rachel, per poi urlare tutto il suo dolore e perdere l'intraprendenza di cui andava tanto fiera e che riusciva ad avere solo al suo fianco. "Non piangere, amore, non piangere." Sussurrò la donna al suo indirizzo, materno. Nel farlo, cercò di calmarla con baci e carezze, ben sapendo che quello era un argomento scottante per entrambe. Sospirò amareggiata mentre lasciava trasparire tutta la sua tristezza. "Vedi, il fatto è che la gente non ama ciò che non capisce. Noi..." Iniziò, esitando per un attimo e afferrandole con sicurezza una mano solo per portarsela sul cuore, che ancora le martellava nel petto senza alcuna pietà. "Siamo quello che siamo, tesoro mio, e sai una cosa? Che parlino! Non m'importa nulla delle loro leggi e punizioni." Concluse, non provando che rabbia per una realtà che non aveva modo di controllare. "Io so cosa voglio." Disse poi, guardandola con sicurezza. "E tu?" In silenzio, In silenzio, Rachel smise di singhiozzare e si asciugò con la mano gli occhi lucidi. La sua Lady aveva ragione, ed entrambe si amavano troppo per sottostare a leggi bigotte tanto quanto quelle. Poi, tornando a sorridere debolmente, riprese coraggio e parlò, dando alla sua amata la risposta che covava nel cuore da tempo. "Sì, milady. Io voglio stare con Voi, e lo voglio ora." Rispose lei, stringendo la mano dell'amata con forza ancora maggiore. Di lì a poco, le due iniziarono ad amarsi fino allo sfinimento, godendosi ogni attimo di quella notte tanto magica. Così, con un dolce tepore nel cuore e la luce della luna sui loro corpi, le due si addormentarono, sicure di essere unite nell'anima e nel corpo. 

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Capitolo 53
*** Delicata come un fiore ***


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Capitolo LIII
 
Delicata come un fiore
 
Incredibilmente, altri due mesi se ne stavano andando, e di giorno in giorno, Rachel era sempre più felice. Essendo sua amica, sapevo praticamente tutto di lei, e quando potevo, facevo di tutto per starle vicina. Ora come ora, sembro essere l'unica a notare il suo continuo andirivieni dallo studio del dottor Patrick, e fino ad ora ho avuto il coraggio di parlarne solo con Stefan. Proprio come me, anche lui è felice per lei, e lo stesso vale per Chance e Max, che si avvicinano per chiederle affetto e farle le feste ogni volta che i loro sguardi si incrociano. Contrariamente a loro, Myra si limita ad andarle vicino, e rimanendo seduta, posa sempre la zampa sulla sua mano. Per tutta risposta, Rachel gliel'accarezza sempre, sentendosi in qualche modo capita. Nel farlo, Myra guarda sempre il suo cucciolo, che spesso le si avvicina per giocare. Nella maggioranza dei casi, Max inciampa nei tappeti o scivola sui pavimenti lucidati con la cera, e ogni volta che succede, ridiamo entrambe. Da bravo padroncino, Lienard lo aiuta sempre a rialzarsi, e poi, scorrazzando come matti per i castello, giocano divertendosi fino a crollare addormentati. Il tempo sta passando, e sempre in silenzio, non oso intromettermi. So bene che quello di Rachel è un sogno forse irrealizzabile date le dure leggi al regno, ma per ora le sostengo entrambe come ho sempre fatto, ricambiando un grosso favore, sperando davvero che un giorno si tramuti in realtà. Lentamente, gli allenamenti dei ragazzi sono volti al termine almeno per oggi, e tornando nella mia stanza per stare un pò da sola e riposare, mi limito a sdraiarmi sul letto e dare un pigro sguardo al calendario appeso al muro con un piccolo chiodo. Il vento che entra dalla finestra le fa ondeggiare, ma tenendolo fermo con la mano per un attimo, noto che la data di oggi è cerchiata in rosso. Confusa, lo trovo strano. Quello odierno non è un giorno di festa, e non è neanche domenica, ragion per cui qualcuno deve averla forzatamente evidenziata in quel modo. Sulle prime non ci faccio quasi caso, e poco dopo, ancora vestita, finisco per addormentarmi. Così, passano le ore, e persa in una profonda dimensione onirica, non mi accorgo di nulla, svegliata soltanto da una strana sensazione sulla pelle. Aprendo un occhio, scopro che si tratta di Stefan, passato solo per adagiarmi una coperta sul corpo. Sono troppo stanca, e non riuscendo a parlare, provo a sorridergli. Imitandomi con dolcezza, lui si avvicina per accarezzarmi la guancia. A contatto con il mio corpo, la sua mano e calda, e facendomi più vicina, non voglio che mi lasci sola. È stupido, lo so, ma nonostante abbia raggiunto la soglia dei quarant'anni, mi piace ancora ricevere le stesse attenzioni e complimenti di cui potevo vantarmi da ragazza. Per mia fortuna, Stefan è un uomo paziente, e volendo esagerare, si potrebbe benissimo dire che è perfetto. Ad occhi chiusi, sto per addormentarmi di nuovo, ma poi sento la sua voce. "Principessa? Alzati, è ora di cena." Mi avvisa, dolce come sempre. "Ma non ho fame!" Protesto giocosamente. "Niente ma, adesso alzati." Insiste, abbozzando comunque un sorriso. Divertita, quasi gli rido in faccia, decisa a non lasciare il mio giaciglio nè il mio cuscino. "Rain..." Sospira a quel punto, sconfitto. Sicura di aver vinto quella sciocca battaglia, resto a letto per qualche altro minuto, poi mi alzo sul serio, prendendolo di sorpresa. "Non dicevi di non aver fame?" Non può evitare di chiedermi, stranito. "Infatti, ma le cose cambiano in fretta." Gli faccio notare, con una risposta pregna d'ilarità. In quel momento, un mezzo sorriso gli increspa le labbra, e non resistendo alla tentazione, lo bacio. Sono adulta, e non più un'adolescente o una ragazza, ma non posso farci niente. Il tempo scorre, e io lo amo, come ho sempre fatto nelle due decadi finora passate al suo fianco. Pensandoci intensamente, a volte riesco a ritornare metaforicamente indietro, e quando accade, immagino di tenere in braccio nostra figlia Terra, ormai in attesa del momento più giusto per iniziare una vita sua accanto all'amato Trace. Giovane e innamorata, tende ancora a vedere il mondo attraverso lenti chiare e sature di gioia, e nonostante l'ambiente in cui vive l'abbia formata, e conosca perfettamente la realtà della guerra e del dolore, nulla le impedisce di sognare. Come ripeto sin da quando e nata, sono davvero orgogliosa di lei, e sedendomi tranquillamente a tavola proprio accanto a suo padre, le sorrido. Notandomi con la coda dell'occhio, le ricambia, e poco dopo, la cena ha inizio. Attorno a noi c'è silenzio, e consumando il mio pasto, noto che tutto sembra andar bene. Poco dopo, però, un particolare attira subito la mia attenzione. Silenziosa com'è solita essere, Rachel mi appare stanca e debilitata, mentre un orribile mal di testa le sconvolge le membra. Alla sua vista in quello stato, Lady Fatima si preoccupa, e nel momento in cui i loro sguardi si incontrano, lei cerca di dissimulare. Per sua sfortuna, il suo si rivela essere un tentativo a dir poco patetico, e colta dall'imbarazzo derivante dall'avere mille occhi addosso, Rachel decide di alzarsi e andar via, scoppiando improvvisamente in lacrime. È quindi questione di un attimo, e la Leader si volta verso di lei. "Rain, va con lei." Sembra pregarmi, anche se tramite il solo uso dello sguardo. Annuendo, obbedisco subito, e seguendola, spero che si fermi. Improvvisamente stanca, Rachel arresta la sua corsa, e faticando a respirare, si volta a guardarmi. Non mi dice nulla, ma ha le lacrime agli occhi, e con un semplice movimento della testa, mi indica di seguirla fino alla sua stanza. Preoccupata quanto la Signora, non perdo tempo, e non appena siamo sole, Rachel scoppia in lacrime. Muovendo qualche indeciso passo verso di lei, lasciai passare alcuni secondi, e non appena cercai di consolarla, qualcosa cadde dalla tasca del suo vestito. Sorpresa, guardai subito a terra, e fu allora che lo vidi. Non riuscivo a crederci, ma un test di gravidanza giaceva sul pavimento. Lentamente, mi abbassai per raccoglierlo, e una volta fatto, vidi Rachel tremare, piena di paura e vergogna. "Rain... io non... non so cosa dire, davvero. Lady Fatima non ne sa niente, eppure..." Balbettò, spaventata dalla mia reazione. "Rachel, tranquilla. Va tutto bene, ci sono qui io." Risposi, avvicinandomi e posandole una mano sulla spalla. "Da quando?" Azzardai poco dopo, immensamente preoccupata per lei e già sicura della sua condizione. "Poco, circa un mese." Confessò, sprofondando sempre di più nella vergogna. "So che è sciocco, ma Rain, io... io ho paura!" Ammise poi, quasi urlando e rischiando di perdere il controllo delle sue emozioni. "Rachel, non devi averne. Lady Fatima ti ama, non ti abbandonerà mai, e neanch'io. Fidati, sono seria." Replicai, cercando in ogni modo di rassicurarla. "Lo so, ma..." Continuò lei, testarda come e più d'un mulo. "Non dirlo, non dire altro." L'ammonii, imponendomi comunque di restare calma. "Sono madre anch'io, e ti assicuro che è un'esperienza fantastica, specialmente se la vivi accanto alla persona giusta." Aggiunsi poi, sorridendole. "Grazie, Rain." Riuscì a rispondere soltanto, mostrandosi finalmente calma e felice. "Di nulla, Rachel. Ho fatto solo il mio dovere di amica." Replicai, sorridendole ancora e non nascondendo di essere felice per lei. A quelle parole, lei sorrise a sua volta, e fatti pochi passi, mi accompagnò alla porta, non desiderando altro che rimanere da sola con i propri pensieri. Salutandola, acconsentii con gioia, ben sapendo di aver fatto la cosa giusta, e quella notte, fui svegliata da un leggero e timido bussare alla mia porta. Seppur stanca, mi alzai dal letto, ma aprendola, non trovai nessuno. Tornando indietro, però, notai qualcosa. Un biglietto proprio sul pavimento della stanza, scritto proprio da Rachel. "Hai ragione, e ti devo molto." Queste le uniche parole che riportava, concludendosi con un più che classico punto fermo. Leggendolo, lo strinsi in mano, poi lo chiusi nel cassetto dove tenevo il mio diario. Ad essere sincera, non sapevo ancora come avesse potuto restare incinta, e desiderosa d'informazioni, non potei che pensarci a lungo, e prima di dormire, la vera e propria illuminazione. Finalmente, tutti i tasselli di quell'intricato mosaico trovavano un posto, e tutte le visite al dottor Patrick acquistavano un senso. A quanto sembrava, Rachel doveva aver trovato un donatore compatibile, e poi consultato il dottore per una semplice fecondazione artificiale, il tutto alle spalle di Lady Fatima, donna dal carattere forte e deciso e proprio per questo diversa da Rachel, che tutti a palazzo sapevamo essere dolce e delicata come un fiore.

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Capitolo 54
*** Yin e yang ***


Le-cronache-di-Aveiron-VII-mod
 
 
Capitolo LIV
 
Yin e yang
 
In un battito di ciglia, un'altra notte passava, e in piedi di buon'ora, ero occupata a guardare il cielo fuori dalla finestra, occupandomi anche di nutrire un povero uccellino quasi spiumato e sofferente per il freddo che ancora ci intirizziva nonostante il calore del sole e delle nostre coperte. Volendo augurarni il buongiorno, Chance non aveva fatto altro che trotterellare dalla sala principale del castello fino alla stanza che Stefan ed io occupavamo, e notandolo, non tardai a salutarlo con calore e dolcezza. Era strano a dirsi, certo, ma a volte lo guardavo e mi meravigliavo nel constatare quanta strada avesse fatto proprio insieme a noi. Ormai ha circa quindici anni, ma nonostante l'innegabile vecchiaia, non soffre nè patisce nulla, eccezione fatta per qualche sporadico acciacco alle zampe, che in alcuni casi fatica davvero a muovere, trovandosi tristemente costretto a zoppicare. Non accade spesso, ma nel farlo uggiola, e sforzandosi, sembra davvero chiederci aiuto. Pensandoci, è da sempre un bravo cane, e al contrario di Max e Myra, vive con noi da un'intera vita, e più il tempo passa, più lo guardo e soffro in silenzio per lui. Sin da cucciolo, ha sempre considerato Terra la sua prima vera padrona, e da quando lei non è più una bambina, ha spostato tutta l'attenzione e l'affetto sui miei nipotini, avendo comunque un occhio di riguardo anche per Isaac, i cui problemi cardiaci non sono mai da sottovalutare. Stando ai miei ricordi, l'ha sempre fatto, e si è sempre preso cura a suo modo di ognuno di noi, specialmente quelli più deboli. Sono ormai passati anni dal giorno in cui l'abbiamo adottato, e ad essere sincera, mi sembra di averlo fatto appena ieri, e lo ricordo ancora. Era solo un cucciolo solo e spaventato, destinato senza il nostro intervento a soffrire la fame, ma poi, data l'insistenza di mia figlia Terra, ha trovato una casa, del cibo e una calda cuccia in cui dormire. Come si sa, l'età avanza insesorabile, e con gli acciacchi che si fanno sentire, inizio a vederlo sempre più stanco e meno vitale. Non è più giovane come un tempo, certo, ma ciò non mi impedisce di preoccuparmi. Scuotendo la testa, spero di liberarmi da quel pensiero, e per fortuna ci riesco, anche se il suo pigro zampettare mi fa abbassare lo sguardo. "Io sto bene, Rain. Occupati del resto." Sembra dire, non possedendo per nera sfortuna il dono della parola. Capendolo perfettamente non faccio che annuire, e guardando fuori dalla finestra per un singolo attimo, mi accorgo che è ancora mattina. I minuti passano, e con essi le ore, e ben presto, giunge la sera. La cena è tranquilla, nessuno dice nulla, e dopo aver mangiato, arriva per tutti l'ora di dormire. Distratta da mille pensieri e preoccupazioni, fatico a prendere sonno, e non facendo altro che rigirarmi nel letto, tremo. Spossato dagli allenamenti, Stefan già dorme, e non volendo svegliarlo, taccio tenendo gli occhi chiusi, nell'ormai vana speranza di riaddormentarmi. Proprio come mi aspetto, il mio piano non funziona, ed è allora che i discorsi di Rachel e Lady Fatima raggiungono le mie orecchie. Sempre insieme, sono entrambe sveglie, e proprio come me, oggi Rachel è nervosa e preoccupata. Nasconde un segreto che conosciamo in pochi, e stando a come si comporta da questa mattina, pare finalmente pronta ad aprirsi e vuotare il sacco. Nel buio della notte, un cupo silenzio segue, e dopo attimi che mi appaiono infiniti, una domanda tanto semplice quanto importante. "Milady, se Natalia fosse stata diversa, se non avesse mentito e gettato fango su di me, Voi non l'avreste toccata comunque, vero? Non avreste ceduto, giusto?" Chiese, quasi tremando e scivolando nel mutismo in attesa di una risposta. Era passato del tempo dall'esilio di quella vipera dal castello, eppure Rachel non riusciva a smettere di pensare a quanto fosse accaduto proprio per causa sua. "Se io ti rispondo, tu mi farai una promessa?" Le chiese di rimando la donna, trovando l'insicurezza nella ragazza a dir poco disarmante. Cosa doveva fare per farle capire che era sua e di nessun'altra? Che Lady Fatima, Leader indiscussa di tutta Aveiron, quasi al pari della regina Katia, apparteneva a lei soltanto? Se lo chiedeva spesso, eppure non riusciva mai a capirlo. "Qualsiasi cosa, milady." Rispose Rachel con semplicità, troppo occupare a guardarla e perdersi nei suoi occhi per parlarle ancora. Per tutta risposta, la donna le puntò il naso con l'indice in un severo ammonimento. Si fingeva arrabbiata, ma gli occhi quasi le ridevano divertiti. Non farmi mai più domande così sciocche. Mai più. E per rispondere alla tua domanda, no, Rachel. Non l'avrei toccata neanche con un dito. Per nessuna ragione al mondo. Lo sai, per me ci sei solo tu." Disse poi, sperando di rassicurarla e fugare ogni suo dubbio. "E Voi per me, Signora." Replicò Rachel, innamorata come sempre, sdraiandosi fra le coperte e accarezzandole i capelli. Calma e tranquilla, la Leader non si scompose, lasciandola pazientemente fare finchè il suo delicato tocco non la portò ad assopirsi. Ben presto, Rachel si addormentò a sua volta, ma il suo sonno non durò molto. Con un nuovo desiderio di parlarle a lacerarle la mente, si svegliò di nuovo, e sfiorandole una spalla, invitò la sua donna a fare lo stesso. "M-milady? Forse ora capisco perchè Natalia non vi piaceva, sapete?" Azzardò, a bassa voce. "Davvero?" Chiese la donna, sorridendole, ma rabbuiandosi nel sentire il nome di Natalia. La ricordava ancora, ma parlare di quella vipera la metteva di cattivo umore. "Beh, lei non è me, giusto? E poi, non avrà mai quello da oggi noi abbiamo." Rispose prontamente Rachel, toccandosi dopo quell'ultima frase il ventre e carezzandolo con dolcezza. Sempre in attesa di una risposta, sfiorò la guancia dell'amata con le labbra, e andando alla ricerca di una conferma, sussurrò una parola al suo orecchio. "Vero?" Interdetta, Lady Fatima iniziò a fissare lo stomaco della ragazza, nel punto in cui le sue mani si posavano, ovvero il ventre ancora piatto e poco pronunciato. "Come se..." Pensò per un attimo, spalancando poi gli occhi a quella consapevolezza. Non sapendo cosa dire, si limitò a guardare la sua bella gattina con un'espressione che raramente si palesava sul suo volto duro. Stupore. "Tu... tu sei..." Balbettò, incredula. "Proprio così, Milady, sono incinta." Disse Rachel in risposta, finendo per la sua lei quella frase lasciata a metà. "Come?" Azzardò la Leader, ancora incapace di credere alle sue orecchie. Con mano tremante, sfiorò l'addome della fidanzata, e la consapevolezza che qualcosa sarebbe cresciuto al suo interno la rese stranamente felice. Si sentì appagata e orgogliosa, e in quel momento, sorprendendola, una lacrima le scese lungo la guancia. "Avete sentito bene, sono incinta di nostro figlio." Disse a quel punto Rachel, conscia di averla resa la donna più felice al mondo. Dal suo canto, Lady Fatima non si era mai sentita così prima d'ora. Rachel aveva detto figlio, quindi si trattava di un maschio, e nel sentirlo, non si accorse della perdita di un battito. Dentro di lei c'erano sensazioni diverse tutte insieme. Amore, paura, aspettativa. Sarebbero state all'altezza? Silenziosa, guardò la sua ragazza, cercando nei suoi occhi una risposta alla sua muta domanda. Non proferendo parola, lei non fece altro che stringerle la mano, e proprio in quel momento, qualcosa accadde. Un leggero movimento la scosse, ma lei fu in grado di controllarsi, e prendendo ancora la mano dell'amata nella sua, le diede modo di sentirlo a sua volta. Credeva di essere in attesa da un solo mese, e solo ora scopriva che non poteva essere così. Se il piccolo già si muoveva, infatti, doveva forzatamente essere più formato di quanto pensasse. "È lui?" Chiese a quel punto la donna, con gli occhi sgranati, lo sguardo più dolce e un sorriso a incresparle le labbra tinte di scuro. Silenziosa, Rachel si limitò ad annuire, e con uno sforzo fatto solo per non commuoversi e piangere, andò a posare le labbra su quelle di Lady Fatima. "Presto sarete madre, Mia Signora." Disse poi, con la voce tremante e corrotta dal pianto che cercava di evitare. "Lo sarai anche tu, gattina, ma per favore, dammi del tu, e chiamami Fatima, d'accordo? Soltanto Fatima, a partire da adesso. In fondo, credo che i convenevoli siano passati da tempo!" Rispose la Leader, seria e categorica, così da permettere a Rachel di spezzare la catena che le legava e teneva ancorate ai ruoli di serva e padrona, permettendosi anche quella piccola battuta al riguardo. Poco dopo, la strinse a sè senza usare la forza, entusiasta quasi quanto lei. "Hai già pensato a un nome?" Azzardò poi, curiosa. N-No, e... e tu?" chiese Rachel rigirandole la domanda, con quell'ultimo lemma che quasi faticò ad uscirle dalla bocca. "Neanch'io. Ma scommetto che ci verrà in mente qualcosa con il tempo. Ne avremo un bel pò per pensarci, in effetti." Rispose la donna, guardandola intensamente negli occhi. "E noi lo ameremo per sempre. Aggiunse Rachel, abbracciando l'amata e tenendola stretta a sè fino a chiudere gli occhi e quasi assopirsi. "Sempre." Ripetè Lady Fatima, mentre, stanca, appoggiava la testa sulla sua spalla e chiudeva gli occhi. Di lì a poco, entrambe caddero preda del sonno, sicure di amarsi e di poter ora riversare quell'amore su una piccola, indifesa e dolce creatura. Quella notte, rimasi sveglia per molto tempo, e scrivendo ancora una volta nel mio diario con l'aiuto di una penna e della luce di una piccola lampada, meditai sulla forza di un sentimento puro quanto l'amore, e su come ognuno di noi, presto o tardi nella propria vita, fosse riuscito a legare il proprio yin al proprio yang.  

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Capitolo 55
*** Due cuori e una culla ***


Le-cronache-di-Aveiron-VII-mod
 
 
Capitolo LV
 
 Due cuori e una culla
 
In piedi nella sala principale assieme a Rachel e Lady Fatima, le guardavo stare sedute l'una vicina all'altra, con un ormai vecchio e attempato Chance accucciato ai loro piedi. Calma e paziente, Myra non si allontanava, ma senza muovere un muscolo, si teneva occupata coccolando il suo cucciolo. Non era la prima volta, e come faceva letteralmente da quando era nato, gli leccava con dolcezza la testa, inducendolo a mostrare la pancia e guardandolo rotolare per tornare in equilibrio. Un gioco tenero e divertente, e a mio dire adatto a due bestiole come loro. Proprio come me, Myra è madre, e nonostante sembri sciocco o esagerato, mi diverto davvero a vederla fare quello che fa. È così buona e dolce che a volte mi meraviglio della sua pazienza con quell'irrequieto cagnolino, e mentre il tempo passa, mi avvicino al grande caminetto ancora spento nella grande sala, prendendo la libertà di girare l'ennesima pagina del calendario appesa al muro con un piccolo e quasi invisibile chiodo. Siamo ancora nella bella stagione, ma inizia a fare freddo, e voltandosi a guardarmi, Lady Fatima sospira, tremendamente annoiata. Stando a quello che ho potuto vedere, le ancelle rimaste a palazzo sembrano non rispettarla, e stando al modo in cui ne parla in loro assenza, le crede delle complete incapaci, e ad essere sincera non la biasimo nè sento di poterle dare tutti i torti. Credevo che dopo l'esilio e la sparizione di Natalia, le altre serve avrebbero imparato come comportarsi per evitare le sue ire, ma purtroppo non è stato così. Proprio ieri, ad esempio, il fuoco era spento, e secondo una di quelle odiose vipere, l'unica a dover e poter accendere il fuoco avrebbe dovuto essere Rachel, nonostante la sua ormai conosciuta condizione e la continua nausea e il mal di testa che a volte le impedisce perfino di camminare. Ora come ora, il sole è alto, e in un ozioso pomeriggio, abbiamo tutti deciso di prenderci una pausa dagli allenamenti. Così, con la schiena comodamente appoggiata al davanzale di una finestra, leggo. Per una volta non si trattava del mio diario, ma di un libro che tenevo sempre nel mio zaino, e che un tempo apparteneva a mia madre. Dal giorno in cui ci siamo rifugiati qui al castello, io e lei intratteniamo una fitta corrispondenza epistolare. Ricevo le sue risposte ogni settimana, e grazie al cielo è al sicuro e sta bene. Non la vedo da molto, ma so che è una regina capace, ragion per cui quasi non mi preoccupo. Non ho modo di esserene sicura, ma dentro di me sento che va tutto bene. La calma regna sovrana nel castello, e con il tempo che passa, guardo Rachel. Silenziosa come un saggio gufo, non dice niente, e sorridendo debolmente al mio indirizzo, si tocca il ventre, carezzandolo con la stessa delicatezza che l'ho vista usare più e più volte. A quella vista, non faccio che sorridere, e avvicinandomi, chiedo spesso il permesso di sentire la presenza del suo piccolo dentro di lei. Annuendo, lei accetta sempre, e con ogni giorno che passa, mi rendo conto che quel minuscolo esserino sta lentamente crescendo nel suo corpo, che ne ospita la vita come il mio ha fatto prima della nascita dei miei figli. Così, in un affatto complesso e ripetitivo gioco astrale, i giorni continuarono a passare muovendosi senza sosta, e non ci volle molto prima che questi diventassero settimane, e infine lunghi mesi. In tutto quel tempo, Lady Fatima era cambiata, trasformandosi da dura e impassibile a buona e dolce. Era strano a dirsi, ma la gravidanza della sua gattina l'aveva cambiata davvero. Comportandosi da perfetta infermiera, stava attenta a ogni problema della sua amata, dalla semplice nausea mattutina ai calcetti del nascituro, che lei, ansiosa come poche madri a questo mondo, scambiava per contrazioni. "È il momento? Sta arrivando? Cosa ti serve?" non faceva che chiedere, con l'ansia e l'agitazione a prendere possesso del suo animo. Non volendo farla preoccupare, Rachel minimizzava sempre, ma dopo mesi passati a fingere di star bene e perfino a cambiarsi d'abito per nascondere la pancia, e mangiare cibi diversi per combattere la nausea, quella piccola farsa smise di reggere. "F-Fatima, io temo... temo di non star bene." Mugolò un giorno, stanca e incapace di alzarsi dal letto. La donna, intenta a leggere per calmare i nervi già messi a dura prova da quelle ultime settimane, si drizzò a sedere sul letto, spaventata. "Rachel, cosa c'è? Il bambino?" Paralizzata dal terrore, lei non disse una parola, cercando di alzarsi. Ci riuscì anche se a fatica, e fra un passo e l'altro, provò una strana sensazione. Confusa, guardò in basso, poi ebbe il coraggio di parlare. "Mi-mi si sono rotte le acque." Ammise, sprofondando in un mare di vergogna. "Cosa?" Quasi urlò la Leader per l'ansia scatenata da quella frase. Preoccupata, guardò in basso a sua volta seguendo lo sguardo della ragazza, notando che in effetti la macchia c'era, ed era anche ben visibile. "Rimettiti sdraiata, subito!" Le ordinò, mentre apriva la porta per chiamare il medico, il padre di Stefan. Sdraiata su quel letto, Rachel obbedì, ma il suo viso era una maschera di dolore. Non riusciva più a negarlo nè nasconderlo, ed era così grande che perfino respirare risultava faticoso. "Resisti, Patrick sta arrivando." Le disse la donna, avvicinandosi al letto e tenendole una mano, ma controllando ripetutamente la soglia della stanza per accertarsi del suo arrivo. Annuendo, la ragazza cercò di respirare e mantenere la calma, ma intanto piccole gocce di sudore le imperlavano la fronte. "Fa male!" gridava, tenendosi la pancia per cercare di lenire il dolore. "Respira, gattina mia, respira." La pregò, cercando di imporsi la calma. La situazione era critica, ma il panico di Rachel era già abbastanza. Preoccupata, le passò un fazzoletto sulla fronte per toglierle il sudore, continuando comunque a stringerle la mano. Dov'era finito quel dottore? Non lo sapeva, ma con occhio attento, controllava ogni movimento nel corridoio, sperando che arrivasse. Ad ogni modo, i minuti passavano, e del dottor Patrick nessuna traccia. Intanto, la situazione continuava a peggiorare,  Il corridoio sembrava deserto, e improvvisamente, Rachel lanciò un urlo. Dal suo canto, Lady Fatima strinse i denti quando sentì la presa sulla sua mano farsi d'acciaio, e stupita, si chiese da dove la ragazza tirasse fuori tutta quell'energia. Preoccupata, controllò di nuovo la porta, ma ancora una volta, nessuno. In quel momento, sbuffò, poi prese una decisione. "Con o senza dottore, questo bambino nascerà!" Dichiarò, decisa. Nel farlo, si posizionò ai piedi del letto, e lentamente, le divaricò le gambe fino a fargliele piegare e alzò il vestito, arrotolandoglielo sui fianchi. "Va bene, forza!" Disse, incitandola a iniziare a spingere.Incredula, Rachel non potè far altro che obbedire. Non a causa del rapporto con la donna, ma per il bene del bambino. Avevano aspettato troppo, e stando a quello che stava accadendo, il piccolo aveva appena deciso di nascere proprio lì, in quella camera da letto. Con tutte le sue forze, lei provò a spingere, e urlando con quanto fiato avesse in gola, sperò ardentemente di riuscire a farcela. Conoscendosi, la Leader sapeva bene di non impressionarsi facilmente, ma vedere tutto quel sangue uscire fuori dalla sua gattina la fece sbiancare di colpo, rendendola pallida come una morta. Corrucciata, lanciò uno sguardo a Rachel. "Al mio tre spingi." Le disse soltanto, sicura. Dovevano darsi un ritmo, come per respirare, o Rachel avrebbe fatto ancora più fatica. In silenzio, Rachel si limitò ad annuire, e nonostante il sangue e la sua emofobia, decise di fare ciò che le era stato chiesto. "D'accordo." Continuò la donna, tenendo ferme le gambe dell'amata e stringendo la presa sulle caviglie. Poco dopo, iniziò a contare. "Uno." Spostò lo sguardo su di lei, era stremata. "Due." La paura che non potesse sopravvivere al parto si insinuò in lei. Pregò mentalmente. "Tre!" A sentire quel numero, Rachel spinse più forte che potè, e appena un attimo dopo, la pressione dentro di sè scomparve. Il piccolo era venuto al mondo, e ora, a quell'adorabile creatura mancava solo un nome. Preparata, Lady Fatima aspettò che il piccolo le scivolasse tra le braccia, tese in avanti, e lo afferrò al volo. Era così... così piccolo, rosso e fragile. Perfetto.Sfinita ma felice, Rachel aspettò che il piccolo le venisse posato in braccio, e quando finalmente accadde, lo strinse forte al petto, facendo attenzione a non esagerare. In fin dei conti, era appena nato, e malgrado non lo facesse notare, aveva la folle paura di fargli del male. Poco dopo, un lieve bussare alla porta fece voltare la donna verso il dottor Patrick, finalmente arrivato nella stanza. In quel momento, il suo sguardo si fece glaciale. "Ottimo tempismo, dottore. Forse è arrivato appena in tempo per vedere il nascituro. Per rabbia e stanchezza, entrambe lo ignorarono, e quando anch'io feci il mio ingresso nella stanza, un sorriso si dipinse sui loro volti. "Rain, avvicinati." Mi pregò Lady Fatima, facendo un gesto con la mano per lasciare che mi avvicinassi al letto. Poi, la sua attenzione fu tutta per la sua Rachel e per il loro bambino. Obbedendo, feci qualche passo in avanti,  avendo il piacere e la fortuna di vedere il loro nuovo e piccolo miracolo dormire beatamente fra le braccia di Rachel. "È bellissimo, complimenti." Riuscii a dire soltanto, per poi stringerle entrambe in un delicato abbraccio. Senza dire nulla, anche la Leader si fermò ad osservare meglio il figlio, rimanendo piacevolmente colpita nel vedere che aveva gli stessi occhioni da cerbiatto di Rachel. "Ti somiglia." Sussurrò amorevolmente nell'orecchio della sua gattina. Sorridendo, questa non rispose, e limitandosi a guardarla, lasciò che una lacrima sfuggisse dai suoi occhi. "Che fai, piangi?" Le chiese dolcemente la donna, baciandole poi la fronte con delicatezza. In quel momento, anche lei avrebbe voluto abbandonarsi ad un pianto liberatorio, ma non si sarebbe mai azzardata a farlo con tutta quella gente attorno. Tirando leggermente su col naso, Rachel sorrise ancora, e avvicinandosi, premette con dolcezza le labbra sulle sue. Per nulla sorpresa, Lady Fatima ricambiò il bacio con altrettanta dolcezza. "Sei esausta, gattina. Riposa un pò." Le disse poi, preoccupata per la sua salute e felice che per fortuna quella del bimbo fosse ottima. "Allora, come si chiama?" Azzardai con curiosità mentre Rachel dormiva, esausta quanto il suo piccolo. Stanca, la Leader si accomodò sul suo lungo sofà,abbandonandosi ad un sospiro di pura beatitudine. Finalmente c'era di nuovo la pace. Il nome, corrugò la fronte per pensarci. "Non lo abbiamo ancora scelto." Rispose, tranquilla e sincera. "Non importa. Ora conta solo che riposiate." La rassicurai, allontanandomi per darle il suo spazio. "Grazie, Rain." Ebbe la sola forza di dirmi, non resistendo più e crollando addormentata dopo quelle due parole. Nello spazio di un momento, posò la testa su uno dei cuscini, e si ritrovò a riposare come la sua famiglia poco più in là. "Aspetti, ce l'ho." Dissi a quel punto, scuotendola leggermente perchè si svegliasse. "Cosa?" Sbottò lei, scocciata di essere stata risvegliata dal suo sonno. "Che ne pensate di... Gabriel?" Proposi, incerta e insicura. "Gabriel, dici?" Ci pensò un attimo, non era male, e anzi, suonava bene. Sorrise e lo ripetè di nuovo. "Se piacerà anche a Rachel, perchè no?" Concesse, orgogliosa. "Questo dovrete chiederlo a lei, Signora." Replicai, a voce più bassa. Mantenendo il silenzio, sorrise ancora mentre posava la testa sui cuscini. "Perchè non glielo chiedi tu, Rain?" Quasi mi pregò, sbadigliando esausta. "Certo, ma per ora lasciamola dormire, d'accordo?" Risposi, dandole in quel modo una facile scelta. "Ovvio." Disse lei, annuendo con un cenno del capo. Di lì a poco, le lasciai completamente sole, e ritirandomi nella mia stanza, ripensai al biglietto che avevo scritto a Rachel la sera in cui ci eravamo parlate. Scrivendole, mi ero mostrata onorata di poter fare da baby-sitter al bambino suo e di una vera Lady, e incredibilmente, entrambe avevano accettato quasi subito. Ora, seduta sul mio letto con Chance a farmi compagnia e fingere di pregare piantandovi sopra le zampe e abbassando la testa, non mi restava altro che aspettare, meravigliandomi della presenza al castello di due cuori e una nuova culla. 
 
 
Buonasera a tutti, miei cari lettori. Come avete visto, oggi mi sono davvero messa d'impegno per pubblicare questo capitolo, ispiratomi dalla mia amica KaronMigarashi. Sarete sicuramente stanchi di sentirlo, ma quella formata da Rachel e Fatima è la sua coppia preferita, così, per aggiungere dei capitoli che le riguardassero ho chiesto aiuto proprio a lei, e questo, come altri che avete già visto, è uno dei risultati. Ne seguirà presto un altro che ho composto con il suo aiuto, nonostante l'intera storia non sia mai stata scritta interamente a quattro mani. Un grazie speciale a chi legge e ai miei recensori, ma anche ai silenziosi. Che altro dire? Alla prossima,
 
Emmastory :)

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Capitolo 56
*** Alla luce del sole ***


Le-cronache-di-Aveiron-VII-mod
 
 
Capitolo LVI
 
Alla luce del sole
 
Sveglia da pochissimo tempo in una matttina completamente nuova, leggevo alcune pagine di uno dei miei libri preferiti, precedentemente appartenuto a mia madre e passato poi nelle mie mani per suo semplice volere. Il regalo perfetto per i miei ventun'anni, che avevo ormai riletto più e più volte, ma del quale non mi stancavo mai. La giornata aveva appena avuto il suo lento inizio, e improvvisamente, ancora immersa nella lettura, sentii un peso enorme sulla coperta. Era Chance, che ancora convinto di essere un cucciolo, non ha abbandonato l'abitudine di svegliarmi saltando sul letto. Liberandomi da quella morbida trappola, sgusciai fuori dal letto nonostante il suo dolce peso, e aprendo la porta della mia stanza, inspirai la gentile aria che spirando nel corridoio mi lambiva i polmoni. Nell'aria c'era odore di caffè. Avrei voluto berne una tazza, ma dando uno sguardo alla piccola sveglia posta appena sopra il comodino, mi resi conto che era decisamente troppo presto. Guardandomi, Chance agitò la coda, e nel farlo, uggiolò debolmente. Erano appena le sette del mattino, e come ogni volta, aveva bisogno di uscire. Contrariamente ad Ascantha, Aveiron non era immersa nel verde, ma in qualche modo, il cane era riuscito a trovare lo spazio necessario a correre e scaricare la sua energia, che lentamente sembrava esaurirsi. Pensandoci, mi lasciavo avvolgere da un senso d'impotenza e rammarico. Che potevo farci? Era vecchio, e nessuno avrebbe potuto fermare o alterare il corso del tempo. Cedendo alle sue continue suppliche, lasciai che scorrazzasse libero per un pò, richiamandolo a me solo dopo pochi minuti. Proprio come me, conosceva il pericolo, e sapevo che non si sarebbe mai allontanato troppo. Silenziosa, lo guardavo divertirsi con Max e Myra, e non appena tornarono in casa, notai che la sala principale era vuota. Inizialmente, non capii il perchè, ma fermandomi a riflettere, risolsi subito l'enigma. Anche se da poco, il castello aveva un nuovo membro, che per qualche tempo avrebbe avuto bisogno di tutto l'amore e l'attenzione delle due onne che tanto l'avevano desiderato. A quel solo pensiero, sorrisi, e prendendo posto accanto alla finestra, iniziai a sentire degli strani rumori, come di passi ripetuti e leggeri. Lady Fatima camminava per la sua stanza in un andirivieni confuso e agitato. Decisamente troppo per il suo carattere freddo e distaccato, ma appropriato al terribile accadimento che andava oltre le sue previsioni. "Natalia, che tu sia maledetta." Borbottò a denti stretti, fermandosi poi davanti alla sua finestra, da cui poteva vedere la città di Ascantha oltre il sentiero. Le sue sentinelle, che vi si erano recate appena poche ore prima, le avevano riferito qualcosa che stava scuotendo l'indignazione di tutto il popolo. Sapeva che prima o poi sarebbe successo, ma non se lo aspettava così presto. "Che errore non uccidere subito quella piccola vipera..." Pensò, parlando con sè stessa e trovandosi costretta a mordersi la lingua per non imprecare. In tutto il suo castello non c'era che silenzio, così che Lady Fatima fosse libera di pensare e distendere i nervi, ma un suono improvviso la distrasse, facendola quasi sobbalzare. Come sempre, qualcuno bussava alla porta. Rachel. Alla sua vista, la donna fece un semplice gesto con la mano. "Vieni, Rachel, in fretta." La pregò, non riuscendo a nascondere la vena di preoccupazione che aveva nella voce. Doveva e voleva risolvere il problema, ma non senza aver prima chiesto il parere della ragazza, in quanto la faccenda riguardava entrambe. "Fatima, ma che succede?" le chiese lei, preoccupata a sua volta come mai prima. "Hai saputo cosa sta succedendo ad Ascantha?" Replicò la donna, voltandosi verso la ragazza. "No, io non..." Balbettò lei in risposta, confusa. Ancora nervosa, la Leader cercò di calmarsi, e respirando profondamente, sputò il nome della fonte del problema. "Natalia." Disse soltanto, già inviperita. "Aspetta, Natalia? No, non dirmi che..." Rachel riuscì a malapena a rispondere, con la voce e il corpo tremanti. "In questo momento sta sbandierando ai quattro venti la nostra relazione, e non sta usando parole gentili, credimi." Disse a quel punto la donna, riprendendo a camminare per la stanza con le mani strette a pugno nel vano tentativo di calmarsi. Ribolliva d'ira. "Ma che cosa... Quella carogna! Dio, tu non lo sai, ma a volte vorrei davvero che... che lei..." Rispose Rachel poco dopo, imponendosi di non esagerare con le parole e non trovandone di adatte per descrivere come si sentisse nè cosa volesse farle. Proprio come la sua amata, anche lei aveva i nervi a fior di pelle. "Non possiamo ignorarla, lo sai bene quanto me." Continuò Lady Fatima, con una strana calma nella voce mentre la fissava negli occhi e addolciva lo sguardo. "Rachel, gattina..." la chiamò, avvicinandosi e prendendole le mani, che tremavano leggermente. "C'è solo una cosa che possiamo fare, ma devo sapere se sei del mio stesso parere." Aggiunse poi, preoccupata per la proverbiale debolezza del suo carattere. In quel momento, non sopportando il silenzio della donna, Rachel riprese a parlare. "Fatima, ti prego. Sai che farei di tutto per te, e se c'è davvero un solo modo di salvare il nostro rapporto..." esitò per un attimo, le lacrime negli occhi. "Allora dimmelo." Concluse poi, dopo aver preso un profondo respiro, rovinato dal pianto che desiderava solo liberare. Silenziosa, la Leader chiuse gli occhi per un attimo. Quello che stava per dire non era facile, ma sperò che la ragazzza accettasse quella soluzione. "Dobbiamo dire la verità. Non nel modo barbaro e depravato in cui la sta raccontando Natalia, ma..." Dichiarò, per poi accarezzarle la guancia e guardarla con amore. "A modo nostro, tesoro. In fondo questa è la nostra verità." Finì di dire, trovandosi a sua volta sul punto di scoppiare in lacrime. A quelle parole, Rachel fu colta di sorpresa da un tuffo al cuore, ma facendo uno sforzo per dominarsi, accettò. Spiegarlo le veniva difficile, ma avendo imparato a ignorare l'altrui giudizio soltanto grazie a lei, non c'era davvero nulla che non avrebbe fatto per Fatima, la sua bella, bellissima Fatima. Felice e orgogliosa di lei, la donna strinse la presa sulle sue mani, senza però farle alcun male. "Solo se te la senti, sai che posso farla uccidere in qualunque momento." Precisò, volendo sincerarsi della decisione della ragazza. "Per quanto orribile e malvagio possa essere, nessuno merita davvero la morte, amor mio. E inoltre, le genti di Aveiron devono saperlo. Solo così potranno accettarci, e in caso contrario, non m'importa. Ti amerò per sempre, e questo non cambierà mai." Le rispose lei, sentendo la sua presa farsi ferrea e il battito del suo cuore ormai in tumulto. Per tutta risposta, la Leader annuì in silenzio. L'espressione grave mentre le dava un casto bacio sulla fronte. Sapeva che sarebbe stata sempre dalla sua parte, e non avrebbe mai smesso di ringraziarla per questo. "Allora è meglio andare, più aspettiamo è più la situazione peggiorerà." Disse soltanto, ripiombando poi nel silenzio. In completo accordo con lei, Rachel le rubò un veloce bacio, poi le strinse la mano. "Andiamo." Sussurrò, decisa. In fretta, Lady Fatima raggruppò un manipolo delle sue sentinelle e, insieme a Rachel, s'incamminò cauta per il sentiero di Ascantha. A breve avrebbero varcato le soglie della città. Silenziosa ma sicura, Rachel le camminò accanto, sempre attenta a non lasciar mai andare la sua mano. Sapeva di essersi innamorata di lei, e sapeva di amarla, ma non avrebbe mai neanche lontanamente potuto pensare che seguire il suo cuore avrebbe significato essere una fuorilegge. Trasgredire delle regole tanto insulse non le importava, e ora era lì per provarlo. Non appena le due entrarono in città, tutti gli occhi furono su loro. Muovendosi con passo quasi regale, la Leader non diede a vedere la sua agitazione e puntò dritta verso la piazza centrale. Da lì si potevano sentire le grida isteriche della sua ormai vecchia serva. "Non allontanarti da me per nessun motivo, Rachel. Questa gente, se aizzata, è capace di tutto." L'ammonì, seria. Mantenendo il silenzio, Rachel si limitò ad annuire, stringendo la mano dell'amata con forza ancora maggiore. Fra un passo e l'altro, non vedeva che cittadini arrabbiati, con il veleno in bocca e negli occhi. Aveva paura, ma lottava per non mostrarlo, ben sapendo di dover essere forte. "Natalia!" Chiamò Lady Fatima a gran voce per farsi sentire. Inizialmente, non ci fu risposta, ma la ressa di persone attornò a lei si allontanò, come se assieme a Rachel fosse stata lebbrosa o appestata, affetta da chissà quale contagiosa malattia. Sempre preoccupata, fece mettere la ragazza dietro di sè, proteggendola con il suo corpo mentre Natalia la fissava con odio e veleno negli occhi.In quel momento, un silenzio di tomba scese nella piazza, e sgomitando leggermente fra tutte quelle persone, lei si fece avanti. Volendo evitare di inciampare, guardò costantemente in basso, ma non appena alzò lo sguardo, il sangue le si gelò nelle vene. "Milady!" La chiamò, ricordando di averla servita e sapendo di doverle rispetto. "Hai messo su un bel teatrino, a quanto vedo, ti stai divertendo?" Chiese sarcasticamente la donna, ancora livida e incollerita. Parlò a denti stretti, trattenendo a stento la rabbia che voleva riversarle addosso. Le sue sentinelle e i suoi cavalieri si erano nel frattempo mescolati alla folla in silenzio, pronti a fermare chiunque avesse pessime intenzioni. "Io sì, e voi? Sempre attaccata alla vostra "ragazza" vedo. Già, perchè io non ero abbastanza anche dopo anni, giusto?" ruggì lei, offesa e arrabbiata. Un basso mormorio si levò da un gruppo di paesani e una pietra le venne scagliata sulla fronte. Il dolore fu atroce, ma Lady Fatima non si fece scappare neanche un lamento o una smorfia del viso. Rimase eretta e stoica, gli occhi di ghiaccio mentre un rivolo di sangue iniziò a serpeggiarle lungo la guancia e il mento. Colpita, Rachel provò a intervenire, ma venne fermata. A farlo fu proprio la sua ragazza, che senza una parola, le strinse il polso fin quasi a farle male. "Non muoverti." Sembrava voler dire, con una luce sinistra negli occhi. Poco dopo, lasciò la mano di Rachel, e lentamente fece un passo in avanti, proprio verso Natalia. "Hai ragione nel dire ciò che dici, sai?" Iniziò a dire, indicando la giovane con un gesto della mano. "Perchè è quello che è. La mia ragazza." Aggiunse, girando il volto verso di lei e guardandola dolcemente.Il pubblicò iniziò ad imprecare contro di loro, ma non mossero un muscolo, non ancora. Pur sentendosi chiamata in causa, Rachel stessa non disse nulla, ma ricambiando quello sguardo, mosse leggermente una mano, andando a toccare il viso della sua donna. Tutte le urla e le imprecazioni non la toccarono, e il cuore quasi le esplose nel petto. Il loro amore esisteva ed era reale, e ormai la legge di Aveiron non significava nulla. "Conosco bene le leggi, mie concittadini!" Urlò la Leader alla platea, ndicando il cerchio di persone intorno a loro senza più curarsi di Natalia. "Ma quando qualcuno prova amore verso un'altra persona, che importanza hanno?" Aggiunse, seria come mai era stata in vita sua. Per tutta risposta, la folla continuò ad imprecare, e mentre le urla la rendevano quasi sorda, Lady Fatima non perse la calma. La chiamavano per nome, la colpivano e la insultavano, ma lei restava lì, ferma e immobile. Con decisione, la donna alzò una mano verso l'alto per invocare il silenzio. Conosceva ognuno di quei volti, li proteggeva con i suoi cavalieri mettendoli sempre a disposizione, così come faceva con le guardie. Che diritti avevano ora su di loro? Su loro due? Ai suoi occhi valevano tutti meno di zero. Ormai sul punto di piangere, Rachel fece a sua volta un passo in avanti. "Basta! Ora basta! Non so cosa crediate che ci sia di sbagliato in noi, e se quel qualcosa esista davvero, ma è la verità. Io e Lady Fatima ci amiamo, e non importa quanto proviate a spaventarci o a farci cambiare idea, il nostro amore non cambierà mai! Pensateci, perchè dovremmo lasciare che siate voi a decidere cosa sia giusto o sbagliato, se in realtà abbiamo una volontà nostra? Credete per caso che attaccarci in questo modo ci farà cambiare? Smettere di amarci? Di fare... questo?" Il suo discorso fu un fiume di parole forti, e con la sua fine, lei si voltò verso l'amata, baciandola senza vergogna proprio lì, proprio in quel momento, e di fronte a tutti. Colta alla sprovvista dal bacio di Rachel, Fatima rimase per un secondo perplessa. Solo per un secondo, allo scadere del quale le circondò la vita con le braccia, stringendola a sè possessivamente e prendendo il controllo del bacio. Si sentì emozionata come la prima volta, il cuore le batté forte nel petto. "Al diavolo tutti quanti, eh, gattina mia?" le sussurrò sulle labbra, in un sorriso felice. "Già al diavolo, padrona del mio cuore." Rispose lei nel bacio, per poi chiudere gli occhi e goderselo fino alla fine e al contempo sperando che non l'avesse. Quando a malincuore si staccò e mise fine al bacio, Lady Fatima si girò verso Natalia e ghignò soddisfatta. "Non so cosa tu volessi fare con tutto questo dar spettacolo." Disse indicando tutto attorno a loro. "Ma come puoi vedere non ci tocca minimamente. Ritieniti fortunata invece di esserti tenuta la testa attaccata al collo anche questa volta, cara." Continuò, concludendo quella frase con una nota di puro odio nei suoi confronti e un sibilo pieno di minaccia. Poi, con uno schiocco di dita, ordinò in silenzio la ritirata verso il loro castello. "Vieni, gattina, andiamo a casa." Sussurrò all'indirizzo dell'amata, con dolcezza. "Come vuoi, amore mio." Rispose Rachel, voltandosi soltanto per un attimo verso Natalia e sputandole in faccia. Una volta fatto, tornò a concentrarsi sull'amata, e mentre la vipera guardava, la baciò ancora, soltanto per vedere il suo volto trasformarsi in una maschera d'invidia e gelosia. Lasciandola fare, Lady Fatima rise divertita mentre ricambiava il bacio con slancio, e, insieme, mano nella mano, lei e Rachel uscirono dalle porte di Ascantha con il cuore decisamente più leggero.Fra un passo e l'altro, Rachel non staccò gli occhi da lei neanche per un attimo. "Se solo Gabriel potesse vederci." Le disse, stringendola a sè con amore. "Ne sarebbe orgoglioso." Rispose la donna annuendo in silenzio, mentre le passava un braccio sul fianco e la stringeva a sè. Di lì a poco, un ennesimo bacio unì le loro labbra, e felici come mai prima, si sentirono finalmente liberi di essere ed esistere, rinunciando, da quel momento in poi, a guardare la folla giudice e ipocrita fuori dalla loro finestra. Non appena tornarono, la notizia mi fu riferito da uno dei servi della Leader, e aggiornando il mio diario, piansi lacrime di gioia, poichè finalmente Rachel e Lady Fatima avevano avuto il coraggio di mostrarsi a viso scoperto davanti all'intero regno, così da vivere il loro rapporto alla luce del sole.   
 
 
Un caloroso saluto a tutti i miei lettori. A soli quattro giorni dalla pubblicazione dell'ultimo capitolo, eccomi qui con uno nuovo e importante, nato come già vi avevo anticipato grazie all'aiuto della mia amica KaronMigarashi. Finalmente, anche lei è in pari con la storia come voi, e ringraziandola ancora, posso solo immaginare l'espressione sulla sua faccia quando leggerà queste note. Prima di andare, ringrazio sentitantemente anche il resto di voi per il supporto. Forse non lo dico abbastanza, ma significa molto per me, sappiatelo. In ultimo spero che il capitolo vi sia piaciuto, e ci rivedremo nel prossimo, a due o a quatttro mani. A presto, e grazie ancora,
 
Emmastory :) 

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Capitolo 57
*** La furia della Lady ***


Le-cronache-di-Aveiron-VII-mod
 
 
Capitolo LVII
 
La furia della Lady
 
L'autunno aveva da poco bussato alle porte del regno, e Rachel non aveva dormito. Il sole era già alto, eppure nella notte appena trascorsa, lei non aveva chiuso occhio. Come dormire con il costante pensiero della sua bellissima fidanzata in mente? Era strano, ma a volte quello bastava a privarla del riposo. Alzandosi dal letto felice come una bambina, scoprì vuota la parte del letto in cui la sua amata dormiva, e andando alla sua ricerca, sentì le gambe deboli. Era emozionata, e non poteva negarlo. "Oh, milady!" la chiamò, sperando che potesse sentirla. "Sì, Rachel? Che ci fai in piedi così presto?" Chiese la diretta interessata, incuriosita dalla sua presenza nella gran sala principale. "Mi dispiace, so che la mia salute vi sta molto a cuore, ma non riuscivo a smettere di pensarvi, così non ho dormito." Spiegò lei, abbassando lo sguardo con aria pentita e cercando di giustificarsi. Poco dopo, tornò a guardarla negli occhi, e sul suo volto vide un sorriso. Non usava quel linguaggio così sostenuto da un pezzo, ma nonostante tutto, la cosa sembrava ancora piacerle, tanto che a tratti, la divertiva. Sorridendole, Lady Fatima le fece cenno con la mano di avvicinarsi, la sala era completamente vuota, nessuno le avrebbe nè viste nè disturbate. "Gattina, vieni qui." Disse con voce soffusa. "Arrivo subito, milady." Rispose Rachel, camminando lentamente verso di lei. Nel vederla avvicinarsi, si beò della sua bella, dolce e timida micina. "Molto bene, Rachel." Disse, poi, soddisfatta nel vederla obbedire così ciecamente. "C'è qualcosa che posso fare, in un giorno tanto speciale?" chiese, curiosa e innamorata come sempre. "Certo, mia cara, in effetti c'è una cosa." Rispose la donna, con voce soffusa e occhi socchiusi mentre si appoggiava con i gomiti al bracciolo del suo trono. "Un bacio." Precisò poi, aspettando una qualsiasi reazione della ragazza. "Solo uno, mia Signora? Come posso rifiutare? Venite qui, avanti." Rispose allora Rachel, avvicinandosi ancora di più e prendendole il viso fra le mani con delicatezza, per poi far incontrare le loro labbra in un dolcissimo contatto. Sogghignando soddisfatta nel vederla obbedire di nuovo, Lady Fatima ricambiò il bacio con soddisfazione, e ben presto ne prese il controllo, facendo scivolare la lingua nella piccola bocca della sua gattina. In quel momento, Rachel la guardò, stupita. Il bacio era una cosa, ma quel gesto un'altra. C'era abituata, ma era stata colta di sorpresa. Aprendo leggermente gli occhi, la Leader notò lo sgomento nello sguardo di lei e cercò di ammansirla, accarezzando la lingua di lei con la propria in una danza sensuale. Solo allora, la ragazza riuscì a calmarsi, prendendo parte a quel momento per lunghi, lunghissimi secondi. Non appena si staccarono, si scoprì senza fiato, ma nonostante tutto, provò a parlare. "Milady, io... avevo dimenticato quanto baciarvi potesse essere bello, sapete?" azzardò, per poi sorridere e renderla ancora più felice e orgogliosa. "Davvero?" Chiese la donna, con voce roca mentre le afferrava il mento facendola più vicina e sfiorandole le labbra senza baciarle davvero. "Sul serio, mia gattina?" Sussurrò, scivolando nel silenzio nell'attesa di una risposta. "Davvero." Le fece eco Rachel a voce bassa, perdendosi nei suoi bellissimi occhi verdi. "Allora che ne diresti di darmene un altro?" Azzardò la Leader, soffiando leggermente sulle labbra bollenti della giovane. Non proferendo parola, Rachel si limitò ad obbedire, avvicinandosi solo per quello scopo e dando inizio ad un secondo bacio che mozzò il fiato ad entrambe, ma a lei più che mai. "Soddisfatta, adesso, Signora?" chiese poi, ponendo enfasi su quell'ultima parola." "Sempre." Rispose con semplicità Lady Fatima, leccandosi le labbra scure con la punta della lingua. "A questo punto suppongo di poter andare." Disse allora Rachel, dandole le spalle e allontandosi lentamente. "E perchè mai, gattina?" le chiese la sua ragazza, afferrandola velocemente per un braccio e tirandola verso di sè finchè non la vide sedersi sulle sue ginocchia. "Perchè avete detto di essere soddisfatta, Signora." Biascicò lei in risposta, provando un misto di vergogna e timidezza. "Mi hai sentita congedarti, Rachel?" Chiese a quel punto la donna, continuando a stuzzicarla con le dita, che le arricciavano alcune ciocche di capelli mentre la mangiava con lo sguardo. "In genere è sempre così, m-milady." Continuò a balbettare la ragazza, vergognandosi sempre di più e quasi arrossendo in viso. "Rachel, respira, mia dolce micina, hai paura di me?" si informò la cara Lady, leccandosi per l'ennesima volta le labbra e tirandole dolcemente una ciocca di capelli. "No, no, Signora!" Rispose lei prontamente, nonostante il respiro corto e il tremore nella voce.Non l'avrebbe mai detto, ma era vero. In alcuni casi, la sua bella Leader sapeva davvero essere enigmatica e incutere terrore nelle sue ancelle, e come se non bastasse, Rachel stessa era una di loro. "Eppure guardati, tremi come un coniglietto." Osservò Lady Fatima con voce bassa e roca, portando le labbra sul collo della giovane senza darle tempo di riflettere solo per baciarne con avidità la pelle. "Ma non... non è paura! Ho solo freddo!" Mentì a quel punto Rachel, vergognandosi come una ladra mentre, con il corpo scosso da mille tremiti, d'amore e non di paura, la lasciava agire. Quando finalmente si staccò dal collo della ragazza, la Leader sorrise divertita. "Solo freddo?" le chiese, percorrendo con il dito indice il piccolo livido scuro che senza volere le aveva procurato, rendendosi conto solo allora di quanto avesse esagerato, di quanto l'avesse spaventata e di come quella macchia violacea spiccasse inesorabile su quella pelle candida. Non avrebbe mai voluto ferirla o farle del male, eppure era successo. "G-Già! Nient'altro!" Replicò Rachel, quasi urlando e mentendo di nuovo, rimanendo di sasso proprio di fronte alla sua fidanzata. Alla vista della ragazza in quello stato, la Leader scosse la testa in una negazione, sempre divertita. "Rachel, Rachel, mia piccola gattina. Perchè continui a mentirmi?" Chiese, sicura di aver scoperto i suoi altarini. "Signora! Io non ho mai..." Provò a dire lei, sentendo quella frase morirle in gola. "Certo, continua, tesoro, continua pure a mentirmi." Continuò la donna con voce serafica, assottigliando lo sguardo e passandole le dita appena sotto il collo, accarezzandola dolcemente, quasi come se coccolasse una vera gatta. "Ma milady! Io non sto mentendo, dico davvero! Non lo farei mai, non a Voi!" Rispose allora Rachel, perdendo il controllo delle proprie emozioni e quasi piangendo. Allarmata dal tremolio che sentiva su di sè, Lady Fatima le fece alzare lo sguardo e tornò seria. "Rachel, amore, calmati." Le disse semplicemente capendo che di lì a poco avrebbe pianto. "V-va bene, Signora, subito." Rispose lei, per poi scivolare nel silenzio e prendere alcuni profondi respiri, che per pura fortuna, l'aiutarono a calmarsi. Felice per lei, la donna le sorrise dolcemente, accarezzandole la guancia con dolcezza. "Ecco, brava, così. Non vorrai crollarmi in questo giorno." Chiese poi, con vago tono divertito. "E come potrei, davanti alla mia bella, bellissima fidanzata? Come?" Rispose lei, ponendole poi quella così retorica domanda. Nel mentre, si fece più vicina, e in un impeto di coraggiò, la baciò, togliendole letteralmente il respiro. Senza dire nulla, la Lady accolse il bacio con gioia, quasi sorridendo mentre contraccambiava e affondava le dita nella bruna chioma della ragazza, saggiandone la morbidezza. "Buon compleanno, milady." Le sussurrò Rachel non appena si staccarono ed ebbe modo di guardarla negli occhi. "Grazie, gattina." Le rispose con dolcezza, non smettendo di guardarla e continuando ad accarezzarle i capelli. "Dunque, dato che oggi è oggi..." Disse poi con tono evasivo mentre alzava gli occhi al cielo e si sforzava di parlare con più neutralità possibile, nonostante in realtà morisse dalla curiosità. "Scommetto che non sei venuta da me senza un regalo." Continuò, sogghignando divertita e guardando la sua Rachel con malizia. "Infatti! Datemi solo un attimo, torno subito!" Rispose prontamente lei, scoppiando di felicità. Nel dirlo, girò sui tacchi, e raggiungendo il corridoio, lo percorse fino ad arrivare alla stanza che condividevano. Sicura di ciò che stava facendo, aprì uno dei cassetti, stringendo il pugno vittoriosa nel trovare la scatolina che cercava. Il regalo era lì, e ora doveva solo portarglielo. Fra un passo e l'altro, però, Rachel incrociò altre tre serve della sua Lady, che proprio come lei, si erano ricordate di quel giorno speciale. "Rachel! Che stai facendo? Cerchi di ingraziarti la nostra Signora." Le chiese Morgan, prendendola malignamente in giro. "Già! Cosa credi di fare?" Aggiunse Riley, la finta bionda acida, dando manforte all'amica. "Ragazze! Via, non c'è bisogno di attaccarla! Ci ha già pensato la Lady! Non vedete che cos'ha sul collo?" Sentenziò allora Natalia, che in quanto a perfidia era alla pari con quella vipera di Morgan. Come tutti ormai al regno sapevano, Natalia era stata cacciata dal castello per insubordinazione, ma affidando delle false scuse ad una lettera, era riuscita a tornare, facendo leva sulla bontà che Lady Fatima aveva maturato nel tempo. In cuor suo, la donna non avrebbe voluto lasciarla rientrare al castello per nessuna ragione, ma per qualche arcano motivo, aveva finito per cambiare idea. Conoscendola, sapeva che era molto decisa, forse perfino più di lei, e in qualche modo riusciva a tenere in riga il resto delle ragazze, alleggerendole il lavoro. Per tutta risposta, Rachel le ignorò andando per la sua strada, voltandosi solo per un chiarimento. "Lei non mi ha mai fatto del male! Non come a voi, brutte arpie!" Gridò, scoppiando quasi in lacrime mentre scappava via da loro. Intanto, calma e tranquilla, Lady Fatima aspettava pazientemente il ritorno della sua gattina, sua prediletta in assoluto, e posando mollemente la guancia su un pugno, rimase in silenzio. Quando finalmente la vide arrivare con il pacchetto in mano, capì subito che era successo qualcosa al di fuori del suo controllo. "Rachel?" La chiamò, preoccupata. "Sì, milady?" Chiese lei, tentando di nascondere la tristezza e il tremore del suo intero corpo. Avvicinandosi, allungò una mano verso di lei, stando bene attenta a controllare che non ci fosse nessuno nelle vicinanze. "Rachel, cosa c'è?" Non potè evitare di chiedere, guardandola negli occhi. "Non... non è niente, non voglio pensarci." Rispose lei, con la voce rotta dalle emozioni che ancora non controllava. "Questo..." Disse allora la donna con la voce calma ma lo sguardo preocccupato mentre le passava un dito sotto l'occhio, facendole notare quella lacrima silenziosa. "Non è "niente." Concluse poi, fredda. "Va bene! Quelle tre mi hanno mentito!" Rispose a quel punto Rachel, sforzandosi di non urlare e capendo che quella farsa avrebbe avuto vita breve. "Mentito? Quelle tre? Rachel, spiegati." La pregò Lady Fatima con più serietà nello sguardo, alzandosi dallo scranno per starle più vicina. Se per quelle tre intendeva le altre sue ancelle allora avrebbe fatto qualunque cosa in suo potere per punirle. Ora capiva. "Che cosa ti hanno fatto, gattina?" Chiese, quasi piangendo a sua volta. "Morgan, Riley e Natalia. Hanno insinuato che cercassi di comprare il tuo amore e rispetto, che non ci sarei riuscita, e poi... poi Natalia stessa ha riso di me, credendo che mi tu mi abbia fatto male, e che il segno che ho sul collo ne sia la prova!" Piagnucolò la ragazza, disperata, mentre si avvicinava alla sua Lady alla ricerca di protezione. Inviperita, Lady Fatima lasciò albergare nei suoi occhi una luce assassina, pensando già alle varie punizioni da infliggere a tutte loro. Alzò una singola mano sul suo viso per accarezzarglielo. "Tu cosa pensi invece? Ti sto facendo del male, gattina?" Chiese, volendo solo sincerarsi del suo parere e assicurarsi che quelle vipere non l'avessero plagiata. "No, assolutamente! Anzi, il contrario!" Rispose lei, convinta. Poi, facendosi vicina, le sussurrò una frase all'orecchio. "Io ti amo, e loro sono delle bugiarde, bugiarde, Fatima." Disse soltanto, mostrandole con quelle parole tutto l'amore che provava per lei. "Maledettissime vipere!" Digrignò la donna a denti stretti, trattenendo a stento la furia che covava dentro. "Maledizione a loro!" "Rachel!" Tuonò poi, incurante del tono che utilizzava. "Portamele tutte qui, immediatamente!" Ordinò, diventando più malvagia che mai."Subito!" Rispose lei, scattando sull'attenti. Voltandosi, raggiunse di nuovo il corridoio, trovandole tutte ancora indecise su cosa regalare alla loro Padrona. "Qualcuno vuole vedervi." Disse semplicemente, ottenendo subito la loro attenzione. Guardandola, le tre ragazze si limitarono a seguirla, e con ogni passo, borbottarono parole che Rachel non capì. Poco dopo, si trovarono di nuovo nella sala principale, e data la situazione, la rabbia di Lady Fatima era ormai visibile.  Non appena le vide arrivare, la Leader scese i bassi gradini che dividevano la sala dal suo trono e fece  cenno a Rachel di scansarsi. "Via, gattina, non voglio che ti mescoli con questo trio di stupide pettegole, sia mai che ti contagino con la loro stupidità." Disse sferzante, guardando tutte quante negli occhi. Obbedendo, Rachel mosse qualche passo indietro, trovando rifugio nel buio del corridoio ma restando a guardare. Finalmente quelle tre streghe avrebbero avuto ciò che meritavano, e no, lei non voleva perdersene neanche un attimo. "Molto bene." Disse soddisfatta mentre camminava avanti e indietro con calcolata calma. "Mie care..." iniziò con il dire, con voce corrotta dalla rabbia. "Mi stavo chiedendo... quanto ci tenete alla vostra pellaccia?" Azzardò poi, sicura di seminare il terrore nei loro cuori. Per nulla impressionate, le tre ragazze risposero prontamente, quasi parlando all'unisono come gemelle. "Ci teniamo eccome, Signora." Dissero, serie. "Bene, molto bene." Ripetè la donna, calma e serafica. "Morgan, avvicinati, per favore." Chiese poco dopo, attendendo che la ragazza obbedisse. Annuendo, Morgan mosse qualche passo verso la donna, guardandola quasi con disprezzo, "Sì, Signora." Rispose poi, fredda. enza alcun esitazione, Lady Fatima afferrò il mento della giovane con forza, fino a quando le unghie affilate penetrarono nella tenera carne della serva. "Cos'è questo sguardo?" ringhiò, inviperita. In silenzio, Morgan continuò a fissarla, irosa. Non disse nulla, ma ignorò il dolore e il sangue che sgorgava dalla sua ferita, e masticando cicuta, abbassò gli occhi, muta. "No, no, no. Alza gli occhi, signorina. Voglio vederti bene in faccia, e continuo a chiederti... cos'è quello sguardo?" Replicò la donna, stringendo la presa mentre il sangue sgorgava e colava fra le sue dita affusolate. "Il mio! Il mio, va bene?" Sbottò allora Morgan, esasperata. Rispettava Lady Fatima e le obbediva, ed era vero, ma dentro di sè, sapeva di odiarla, e con lei anche Rachel. "Lo vedo!" Ruggì di nuovo la donna con sguardo furente, usando la sola forza del braccio per gettarla all'indietro e facendo cenno con il dito indice ad un'altra delle ragazze. Intuendo il volere della Leader, Riley fece un passo avanti, calma e tesa al tempo stesso. Al contrario di Morgan, lei era molto più malleabile, e tendeva ad aver paura di quella donna. "Riley, vediamo se avrai la sua stessa stupidità." Disse questa, sprezzante mentre indicava Morgan ancora sul pavimento. "Ho una domanda particolare per te. Dimmi, secondo te la piccola Rachel si compra il mio amore?" Chiese poi, malefica, sussurrandole quelle parole all'orecchio. A sentire quella voce e poi quella domanda, Riley prese a tremare di paura, ma Natalia la fissò, seria. "Diglielo. Dì la verità." Sembrava dire, incalzandola mutamente. "Sì." Rispose a quel punto la stessa Riley, ancora spaventata. Aveva ottenuto la sua risposta, ma per Lady Fatima non era abbastanza, e voleva umiliare la ragazza a tutti i costi, mostrandosi spietata. "Sì che cosa? Devi essere più specifica, mia cara." Disse infatti, sputandole addosso solo veleno. Andando alla ricerca d'aiuto, Riley sì guardo attorno spaesata, scoprendo in Natalia un viso amico. "Beh, sì. Credo che lei si approfitti di voi. Non avete visto il modo in cui elemosina attenzioni? Dovrebbe vergognarsi." Chiarì, scandendo bene quell'ultima parola, e facendo letteralmente infuriare la bella Lady. A quelle parole, la rabbia della donna si palesò nei suoi occhi. Con lentezza, fece scorrere le unghie lungo entrambe le braccia della giovane, graffiandogliele a sangue, molto in profondità. Urlando di dolore, la povera Riley si dimenò tentando di sfuggirle, ma ogni suo movimento non fece peggiorare la situazione, e quando finalmente si liberò, le ferite aperte bruciarono come fuoco vivo. Spingendola senza pietà, la Leader fece cadere a terra anche la seconda ragazza, ferita e sanguinante Ora non ne rimaneva che una. Posò il suo sguardo gelido sull'ultima, chiamandola in silenzio mentre si ripuliva distrattamente via il sangue dagli artigli. Capendo che era ormai arrivato il suo turno, Natalia si fece avanti senza paura nè esitazione, e guardandola la sua Signora con occhi colmi d'odio, si preparò a parlarle. "Con tutto il rispetto, milady Fatima, ma loro hanno ragione. Rachel è uguale a tutte noi, eppure per voi è diversa. La preferite, l'amate, quasi la osannate, dimenticandovi di noi. Non ci avete sempre dimostrato il contrario? Che cos'ha lei che noi non abbiamo?" Disse, affrontandola a muso duro con quel discorso così inattaccabile. Senza nessun avviso, la cara Lady Fatima le diede un sonoro manrovescio su una guancia, rigirandole la faccia. "Ti ho forse detto che potevi parlare, Natalia?" Chiese con voce glaciale. "No, ma le altre sono troppo deboli per farlo, perciò le difenderò io." Replicò lei, dimenticando il rispetto che le aveva giurato nel giorno in cui era stata accolta a palazzo. Un altro sonoro ceffone si aggiunse al primo, spietato. Ogni volta che apri bocca senza il mio permesso, non ti accadrà che questo." L'avvisò, indicandole il sangue sul palmo della mano. "Cosa? Ma è vero! Perchè negare l'evidenza? Sappiamo tutte cosa provate per Rachel, ed entrambe non avete la decenza di nasconderlo! E poi, devo per caso andare avanti? Ricordarvi che una Leader come voi non può avere preferenze? Allora, Fatima?" Ribattè, nel tentativo di avvalorare la sua tesi e spingerla a mettere un piede in fallo. Non l'aveva mai fatto prima, ma a tale scopo, la chiamò per nome, non sapendo di star però commettendo l'errore più grave della sua intera vita. "Come mi hai chiamata?" Chiese la diretta interessata, sibilando  a denti stretti e occhi socchiusi mentre fulminava con lo sguardo la mocciosetta impertinente e faceva raggelare tutte le presenti."Fatima. Ti ho chiamato Fatima. Che c'è? Rachel può farlo e io no?" Rispose Natalia, seria e pronta a un nuovo scontro verbale. In preda alla collera, la donna l'avvicinò a sè, fumando di rabbia. "Rachel può farlo perché lei mi ama, come io amo lei. E questo è quanto. Potete ritirarvi prima che cambi idea e vi faccia uccidere. "Disse poi freddamente mentre lasciava la gola della ragazza e tornava a sedersi sul suo trono, come se nulla fosse accaduto. Nonostante la paura e le ferite, le ragazze non se lo fecero ripetere, e seppur trascinandosi, sparirono dalla sua vista, lasciandola completamente sola. Sospirando stanca e appoggiandosi allo schienale del trono, Lady Fatima si voltò verso la sua Rachel, lasciandosi scappare un ghigno divertito. "Credi che sia stata troppo buona?" Azzardò, desiderando un suo parere. "Come? No! Ho visto tutto, e gliel'hai fatta davvero pagare. Ora, dov'eravamo?" Rispose lei avvicinandosi lentamente, fin quasi a toccarla. "Ad un certo regalo di una certa gattina per una certa Lady."  Disse semplicemente la Leader, mentre tornava a guardarla vogliosamente e si sporgeva sul trono. "Oh! Ma che sbadata! Ero così concentrata su quello che accadeva a quelle streghe che l'ho quasi dimenticato! Eccolo qui, tesoro, spero ti piaccia." Rispose allora Rachel, mostrandole la scatolina che lo conteneva. Con grande emozione, la donna prese la scatolina e l'aprì, sorridendo dolcemente alla vista di quel piccolo gioiello. "Rachel, è bellissimo." Disse mentre lo estraeva dalla scatoletta e se lo metteva all'anulare, constatando che la misura fosse perfetta. "Una R... come Rachel?" Chiese poi con voce soffusa, guardando negli occhi la sua gattina. "Esattamente, e guarda." Disse, togliendoglielo solo per un attimo. "Se l'hai messo bene, non sparirà più." Aggiunse poi, riferendosi al segno lasciato dalla lettera. "Hai pensato proprio a tutto, gattina." Commentò la fidanzata con amore, notando il lieve segno sulla propria pelle bianca. "Tu trovi?" Chiese Rachel, ponendole quella così retorica domanda. In silenzio, la donna annuì lievemente, accarezzandola con dolcezza e usando la mano che teneva indosso proprio l'anello. Guardandola con gli occhi di chi ama, Rachel si beò di quelle carezze, e non riuscendo più a trattenersi, la strinse in un delicato abbraccio, per poi sfiorarle lievemente le labbra con le proprie. "Io ti amo, Fatima." Confessò, in un sussurro pieno d'emozione. "Ti amo anch'io, gattina mia." Rispose lei senza alcun timore, senza la paura di dover nascondere i suoi sentimenti. "E sai cosa amo di te, fidanzatina mia?" Chiese la ragazza, sorridendo come mai aveva fatto. "Cosa, mia cara?" Azzardò la donna, stando al gioco e continuando a fissarla con amore e malizia. "Il tuo modo di essere e di fare, amor mio. Sei così bella, e sai essere dura e dolce al tempo stesso. Sei spietata con quelle maledette ragazzine, e si vede che tieni a me." Rispose Rachel, dichiarandole con quelle parole il suo amore per l'ennesima volta. "Tengo a te perché ti amo, piccolina." Disse allora lei con semplicità, esponendole la nuda e cruda verità e stupendosi di quanto fosse facile farlo quando non si aveva più la costante paura di essere scoperte. "E sarò spietata ogni volta che qualcuna ti ferirà o oserà anche solo sfiorarti. Tu non dovrai far altro che dirmelo." Aggiunse poi sogghignando, con un barlume di perfidia negli occhi mentre si faceva sempre più vicina, con il viso ormai su quello della sua bella e dolce gattina."Dici davvero? Sei seria? Ma questo sì che è amore!" Commentò lei, felice di sentirglielo dire. Subito dopo, la prese per mano, e con un solo movimento del polso, annullò la distanza che esisteva fra di loro, baciandola. Silenziosa, Lady Fatima ricambiò il bacio con passione, quasi a volerla divorare. Non contenta, passò una mano dietro la nuca della ragazza e le inclinò la testa quel poco che bastava per approfondire il contatto delle loro labbra. Senza alcuna opposizione, Rachel mugolò nel bacio, e stringendo la sua amata fra le braccia, la scoprì tesa. "Fatima, tesoro, sei rigida. Va tutto bene?" Non potè fare a meno di chiedere, preoccupata. "Si vede così tanto?" Chiese lei con voce stizzosa, mentre si poggiava di nuovo sullo schienale del trono. "Non riesco a convincermi del tutto sul fatto che quelle tre abbiano imparato la lezione.  Disse poi mentre si lasciava scappare una smorfia di disappunto. Poco dopo, le puntò contro il dito indice, in serio ammonimento. "Non voglio assolutamente che ti avvicini a loro, almeno per un pò." Ordinò alla ragazza, preoccupata e pensierosa. "Consideralo fatto, ma ora vieni con me. Nessuna di loro ti rovinerà ulteriormente il compleanno." Rispose allora Rachel, convinta. Annuendo ed intuendo il suo volere, la donna la seguì prendendola per mano, camminando con lei fino alla loro stanza. Non appena entrarono, Lady Fatima l'abbracciò, e premendole una mano sulla schiena, fece aderire i loro corpi l'uno all'altro. Soltanto guardandola fisso negli occhi, la ragazza espresse un chiaro desiderio. "Rilassati, oggi penso io a noi." Le sussurrò, rapita e ammaliata. Restando poi ferma per qualche attimo, Rachel si beò dello spettacolo offerto dalla bellezza della sua dama. Ai suoi occhi era sempre stata bellissima, ma in quel momento lo era perfino di più. Silenziosa, si avvicinò, e in un attimo fu con lei, ritrovandosi a stringerla e baciarla ancora, proprio come sapeva di desiderare. Lasciandosi guidare dai sentimenti, la donna strinse di nuovo a sè la ragazza, lasciandosi baciare e facendo scorrere le mani sulla schiena di lei in carezze sensuali. Senza proferire parola, Rachel accettò ogni carezza, non potendo evitare di sorridere e sospirare di piacere, sperando con tutto il cuore che la donna continuasse. acendola sdraiare completamente su di sè, continuò quelle lente carezze e sospirò nei suoi baci. Di lì a poco, le due si abbandonarono alla loro passione, e insieme, passarono una delle notti migliori delle loro vite. "Tesoro... hai idea di quanto sia stato..." Biascicò Rachel, non avendo fiato nè parole per esprimersi. "Magnifico?" Rispose la donna per lei, cercando di calmare i battiti incessanti del suo cuore. "Esatto." Ebbe la sola forza di dire, non avendo neanche quella per tenere gli occhi aperti. Intuendo la stanchezza di Rachel e condividendola, iniziò ad accarezzarle i capelli e a circondarle le spalle con un braccio. "Fatima, amore, posso... posso chiederti una cosa?" Azzardò poco dopo la ragazza, con un filo di voce. Concedendole quella possibilità, la Leader annuì in silenzio, ancora con il fiato corto mentre continuava quelle languide ma tranquille carezze. "Ascolta, se... se domani quelle tre provano di nuovo ad attaccarci, beh... posso scegliere la loro punizione?" Chiese, con la voce bassa e quasi inudibile. Rompendo il silenzio mantenuto fino a quel momento, la donna scoppiò a ridere nel sentire quelle parole. Non se le aspettava proprio, ma trovava il solo pensiero molto interessante. "Certo, micina mia, tutto quello che vorrai far loro, sarà fatto." Rispose, sorridendo debolmente. "Grazie. Allora a domani, amore mio." Replicò Rachel sorridendo a sua volta, appena un attimo prima di scivolare nell'incoscienza. "Buonanotte, micina." Sussurrò la donna in risposta, abbassando la voce per non disturbarla, mettendosi poi più comoda e chiudendo gli occhi. Da quel momento in poi, le ore passarono lente, e con l'arrivo del sole nel cielo, si svegliarono entrambe. "Buongiorno, Fatima." Disse Rachel, sbadigliando al risveglio. "Buongiorno, mia Rachel." Rispose la Leader, già sveglia da tempo. Forse era strano, e forse aveva anche esagerato, ma aveva deciso di aspettare il risveglio della sua gattina restando a guardarla mentre dormiva. Avvicinandosi, lei provò a baciarla. Una sorta di piccolo rituale che andava avanti da anni, senza cui le sue mattine non potevano iniziare. Allungando un dito sotto il mento della giovane, Lady Fatima l'avvicinò di più a sè e la baciò a sua volta. In silenzio, Rachel assaporò ogni istante di quel bacio, e non appena si staccarono, lei si leccò le labbra, soddisfatta. "Allora? Che dici? Andiamo di là?" Propose, essendosi svegliata da poco. "A meno tu non voglia dormire per tutto il giorno." Rispose la donna, scherzando e alzandosi per raccogliere i vestiti abbandonati in terra la sera prima. "Hai ragione, anche se non potrai tenermi la mano." Replicò la ragazza, enfatizzando quel piccolo dettaglio. "Vero." Disse soltanto la cara Leader, amareggiata come non mai mentre si rivestiva e si avvicinava alla sua Rachel. "Mi dispiace tesoro, anche se sarà solo per poco, perchè sai, appena ci provano..." Disse a quel punto lei, cercando di confortarla e lasciando la frase in sospeso. "Appena ci provano ci penseremo noi." Concluse Lady Fatima per la fidanzata, alzandole il mento con due dita e facendo incontrare ancora le loro labbra. "Proprio cosi, amore." Rispose la stessa Rachel, parlando non appena si staccarono. "E poi ho già pensato a tutto, sai?" Aggiunse poi, avendo il piacere di vederla interessata e curiosa. "Davvero?" Chiese la donna, tenendo la mano sulla schiena di lei e portando entrambe di fronte alla porta della stanza, pronta ad uscire. "Davvero." Le fece eco lei, seria. "Le segrete servono a questo, sbaglio?" Azzardò poco dopo, sicura della risposta. Colpita, Lady Fatima la guardò, e per un attimo, non seppe cosa dire. "Rachel, mi stupisci così!" Commentò, colta alla sprovvista. "Sul serio? Amore! Non credi se lo meritino? Da ora hai finito di rovinarti gli artigli per causa loro, mi hai sentito?" Rispose lei, tentandola e sperando di convincerla ad agire quando sarebbe stato il momento. "A me piace, ma non ti toglierò questo divertimento." Replicò a quel punto la Leader con semplicità, sogghignando mentre apriva la porta davanti a loro. Ridendo con lei, Rachel le camminò accanto, stando ben attenta a non prenderla per mano. Quelle streghe erano capaci di accorgersi di tutto, e Dio solo poteva sapere cosa avrebbero fatto alla loro vista insieme. Così, camminando imperiosa davanti a Rachel, Lady Fatima la guidò fino alla sala del trono. Guardandola, la ragazza non resistette e le sfiorò la mano, per poi serrare il pugno e sperare che quelle arpie non l'avessero notato. A distruggere le sue speranze, la voce di Morgan. "Oh, buongiorno, Signora!" La salutò, non nascondendo un pungente sarcasmo.  "Morgan." Ricambiò il saluto, dando una bella occhiata ai graffi che aveva ai lati del mento. "Come va il tuo bel faccino? Ancora dolore?" Chiese, con gran perfidia. "Perchè chiedermelo, quando lo sapete benissimo?" Ribattè la serva, nervosa e dolorante. "Ma voglio sentirlo proprio dalla tua boccuccia, Morgan." Disse poi distrattamente, sedendosi e prendendo elegantemente posto sul trono. "Va bene, fa ancora male. Molto male, Signora." Rispose, facendo uso del solito sarcasmo che Fatima stessa odiava. "Bene, molto bene." Commentò semplicemente la donna, fissandola negli occhi. Sospirando, Morgan sostenne il suo sguardo, poi le diede le spalle, sparendo dalla sua vista. "Sei cattiva, tesoro." Le sussurrò la sua Rachel, sorridendole appena. "Non ho neanche cominciato a divertirmi, mia cara." Le sussurrò lei di rimando mentre dava uno sguardo all'immenso salone davanti a sè. Pregustando quello che sapeva sarebbe accaduto, Rachel sorrise ancora, mantenendo il silenzio. In quel momento, Riley e Natalia fecero il loro ingresso sulla scena, posando subito gli occhi su Rachel. "Buongiorno!" La salutò proprio Riley, sputando veleno. "Dormito bene, insieme alla Signora?" Aggiunse Natalia, facendole una domanda alquanto pericolosa. In quel momento, come a voler richiamare all'ordine Natalia, Lady Fatima iniziò a passare le unghie sul bracciolo del trono, producendo un rumore stridulo e acuto. "Cosa c'è? È soltanto una domanda!" Replicò la servetta, stranita. "No. Si può sapere cosa vuoi, stupida ragazzina? Devi finirla con questo tuo carattere." Rispose la cara Leader, con voce spietata e minacciosa. "Non posso nemmeno chiederle come ha dormito?" Disse allora la ragazza, nel fallimentare tentativo di tenere testa alla sua stessa Signora. "Puoi chiederle tutto quello che vuoi, ma non con quel tono." Replicò ancora la donna, incollerita e con lo sguardo avvelenato. "Sa una cosa, non m'importa." Sbottò allora Natalia, scocciata. Volendo solo allontanarsi, diede le spalle a entrambe, non avendo modo di vedere nè sentire Rachel. "No, lei non andrà via così." Sibilò all'orecchio dell'amata, non riuscendo più a sopportarla. "Tutta tua, amore, mi godo lo spettacolo da qui." Le disse la fidanzata, con un ghigno soddisfatto in volto mentre posava entrambe le mani su entrambi i braccioli del trono e si rilassava. Con gli occhi che tradivano soltanto rabbia, Rachel mosse un passo in avanti, inviperita. "Ehi, Natalia! La chiamò, irosa. Rispondendo a quella sorta di richiamo, la ragazza si voltò, e un attimo, Rachel fu davanti a lei, seria come mai prima. "Ascoltami bene, ragazzina. La Padrona ed io ne abbiamo abbastanza. Stai davvero cominciando a romperci le scatole di brutto con la tua strafottenza e i tuoi presunti diritti su di noi, ti è chiaro? Io sono un'ancella come te, ma Lady Fatima è la nostra Signora, quindi hai due scelte. Rigare dritto o finire di nuovo per strada, perchè ricordati, qui chi comanda è lei! Lei, hai capito?" Le disse, mentre stringeva le mani attorno al collo e premeva sulla gola, così che non respirando, non potesse parlare. Tutto in lei trasudava odio, inclusa la sua voce, e no, Rachel non voleva più sentirla. "Allora, intesi, piccolo impiastro?" Chiese, mentre stringeva ancora di più la presa. "In...intesi, R-Rachel." Biascicò quella vipera, andando alla disperata ricerca d'aria. "Brava, bene così." Disse lei, soddisfatta, lasciandola andare e guardandola allontanarsi, spaventata. "Oh, e Natalia?" Non dimenticò di aggiungere, con la voce fredda e l'occhio invelenito. "Attenta ai passi falsi." Concluse, tornando lentamente al suo posto accanto all'amata. Dal suo canto, Lady Fatima rimase letteralmente senza fiato. Aveva osservato la sua gattina rimettere in riga quella piccola vipera, rimanendo piacevolmente colpita da quel cambio di marcia e carattere. "Mi hai davvero impressionata, piccola mia." Commentò, allungando una mano verso di lei per farla avvicinare. "Io non l'ho fatto soltanto per te, sai? L'ho fatto per entrambe, per noi." Rispose lei, avvicinandosi lentamente.  Per tutta risposta, la donna le prese delicatamente il braccio, trascinandola verso il trono fino ad averla in braccio, poi le sorrise. "L'importante è che tu l'abbia fatto anche per te, gattina." Disse poi, orgogliosa di lei. "Soprattutto per te, in fondo sai come la penso." Rispose prontamente la ragazza, ricambiando quel sorriso e guardandola negli occhi. "A dire il vero non saprei, dimmelo tu cosa pensi." Disse allora la sua lei, fingendosi ignara e accarezzandole le braccia con gesti sensuali. "Fatima! Ma che domande! Io ti amo!" Rispose Rachel, avvampando e ridacchiando come una bambina. Divertita, la donna rise alle sue parole, e baciandola ancora, le dedicò una sola frase. "Anch'io ti amo, piccola." Disse soltanto, sempre innamorata. Sorridendo ancora, Rachel accettò quel bacio, poi la prese per mano, e delicatamente, iniziò ad accarezzarla. Mugolando soddisfatta nel bacio, Lady Fatima si lasciò andare a quelle dolci carezze. "Sei stata incredibile con quella piccola serpe, micina." Commentò, soddisfatta dallo spettacolo che aveva appena visto."Tu credi? A dirla tutta non pensavo di riuscirci, ma poi ha osato toccare te, e qualcosa nella mia mente è scattato. Credo tu sappia cosa intendo, vero?" Rispose Rachel, rompendo il silenzio creatosi fra di loro e terminando il discorso con quella domanda. "Altrochè se lo intendo. È la stessa sensazione che provo o quando ti sfiorano anche solo con lo sguardo." Disse la Lady, maliziosa ma con la durezza negli occhi. "Possono sfiorarmi quanto vogliono, ma l'unica a poterlo davvero fare sei tu, tesoro." Rispose Rachel, sorridendole e stringendole ancora la mano. "Soltanto io." Replicò lei, assottigliando lo sguardo e sentendo un lieve rossore imporporarle le guance. "Solo io." Ripetè, convinta. "Sì, esatto, solo tu." Rispose allora Rachel, rassicurandola e mangiandosela con gli occhi, quasi ipnotizzata e presa da lei fino all'inverosimile. Così, con un leggero strattone, sorridendo ancora, Lady Fatima la fece  sedere sulle sue ginocchia e le accarezzò la schiena in gesti languidi. Rischiando di perdere l'equilibrio, Rachel si lasciò trascinare, ritrovandosi poi al sicuro fra le braccia della sua amata. Non parlavano, ma agivano e basta, e a lei andava più che bene. Si lasciava baciare come sempre, assaporando con voglia le sue dolcissime labbra. Di lì a poco, la donna sentì il cuore accelerare,mentre posava le labbra scure su quelle di lei e con le mani continuava a toccarla ovunque arrivasse, incurante se qualcuno le avesse viste o meno. "Fatima, aspetta. E se... e se davvero qualcuno se ne accorgesse?" Le chiese allora Rachel, timorosa. "Vuoi andar via?" Azzardò la donna, bisbigliandole all'orecchio. "Sì, e tu?" Rispose lei, rigirandole abilmente la domanda. "Anch'io, micina." Rivelò, guardando la ragazza con occhi infiammati dalla passione. Per tutta risposta, Rachel le prese ancora la mano, stringendola con forza. Subito dopo, si alzò in piedi, e la guidò fino alla loro stanza, unico posto sicuro in cui potevano davvero essere loro stesse. Fu quindi questione di attimi, e le due furono di nuovo insieme, con il buio come loro unico compagna e la luce della luna appena spuntata in cielo sui loro corpi, si amarono fino allo sfinimento, felici e allietate l'una dalla presenza dell'altra. Erano passato ben due giorni, e come sempre, si sentivano vicine nel cuore e nell'anima. Si svegliarono entrambe solo la mattina dopo, e Rachel ebbe subito un'importante domanda per la sua donna. "Tesoro... mi toglieresti una curiosità?" Chiese infatti, calma e tranquilla. "C-certo." Riuscì a rispondere la Leader, ancora assonata. "Ecco... come ci riesci? Sai sempre cosa voglio, mi rendi sempre così felice, e ogni giorno con te sembra essere il primo. Dimmi, come fai?" Azzardò allora la ragazza, con la voce flebile e gli occhi innamorati fissi su di lei. In silenzio, Lady Fatima non dovette neanche pensare, poichè la risposta, unica e semplice, le arrivò subito alla mente. "È il tuo corpo a dirmi cosa vuoi e di cosa hai bisogno, gattina." Rispose in maniera semplice e calma, mentre prendendo una mano dell'amata nella sua, sottolineò quelle parole portandosela al petto, dove il suo cuore pulsava impazzito. "Ed è il tuo cuore a smuovere il mio verso di te." Aggiunse poi, sincera."Oh, Fatima! Tesoro mio... mi ami così tanto?" Chiese allora Rachel, quasi piangendo per l'emozione e avvicinandosi per baciarla e stringendola a sè con amore, restando poi ferma ad accarezzarle la schiena. Non avendo parole, la donna rimase in silenzio, ma i suoi gesti parlarono per lei. Svelta, ricambiò il bacio della sua Rachel con slancio, sentendo le braccia della ragazza circondarle il corpo, in una stretta quasi possessiva. "Ti amo tantissimo, Fatima mia." Sussurrò lei, dolcissima. "Anch'io, Rachel. Ti amo." Rispose prontamente la donna, passandole entrambe le mani sulle guance per accarezzarle lievemente, senza malizia per una volta. "E so che durerà per sempre." Aggiunse lei, baciandola ancora, anche se stavolta sulla guancia. "Per sempre." Ripetè la donna, sfiorando la fronte della ragazza con un bacio. "Vipere o meno." Concluse Rachel per lei, sdraiandosi al suo fianco, ormai vicina all'assopirsi nel bel mezzo di quel romantico pomeriggio, giunto lentamente e senza che loro potessero accorgersene. "Ottima osservazione, gattina." Commentò Lady Fatima, facendo sparire ogni traccia di dolcezza nel volto e ghignando divertita nel ricordare ciò che era successo alla sala del trono poco tempo prima. "Di loro ci occuperemo più tardi, tesoro. Ora riposa, d'accordo?" Rispose lei, stanca e preoccupata per lei. Senza una parola, la donna annuì con un cenno del capo, e abbracciandola, l'avvicinò a sè. Lasciandola fare, Rachel la baciò per l'ultima volta, poi chiuse gli occhi, scivolando lentamente nell'incoscienza. Seguendo l'esempio della ragazza, anche la Lady, dopo un ultimo sorriso e una lieve carezza sul suo volto, chiuse lentamente gli occhi e si sistemò la giovane in modo che le posasse tranquillamente la testa sulla spalla. Così, vicine l'una all'altra, le due si addormentarono, e le ore passarono lente, anche se come al solito, Lady Fatima fu la prima a svegliarsi, non muovendo un muscolo e osservando il sonno della sua bella e ancora dormiente gattina. Accarezzandole lievemente una guancia, pallida, sorrise dolcemente a quella vista così angelica, ammorbidendo un pò lo sguardo. Mugolando parole senza senso, Rachel si svegliò lentamente, e guardandola, le sorrise. "Già in piedi, vero, amore mio?" Le disse, mettendosi a scherzare. "Già." Rispose soltanto, senza smettere di accarezzarla. "Continua a riposare, piccola, sembri ancora esausta." Aggiunse poi, leggermente preoccupata. "Adesso non più." Rispose lei, sorridendo e mettendosi a sedere sul letto. "Sicura?" Chiese comunque, non potendo fare a meno di preoccuparsi per la sua amata. "Sicurissima, anche se sei dolce a preoccuparti." Rispose lei, facendosi vicina e abbracciandola. Senza dire nulla, Lady Fatima si si sentì improvvisamente avvampare sulle guance, e la metaforica colpa fu di quel complimento poco adatto e consono alla sua stoica durezza. "Tesoro! Cosa c'è? Ti ho colta di sorpresa? Dai, adesso andiamo, le tue ancelle ti staranno aspettando." Rispose la sua Rachel, ridacchiando e prendendosi gioco di lei. Sorridendole complice, la donna si alzò dal letto a sua volta, sistemandosi il vestito come meglio poteva e avvicinandosi alla porta della camera, pronta ad aprirla non appena la sua gattina l'avesse raggiunta stando al suo fianco. Seguendola, Rachel si avvicinò, e sfiorandole la mano, sorrise per l'ennesima volta. Non appena Lady Fatima aprì  la porta della stanza, uno strano silenzio le accolse entrambe, e ricambiando leggermente quel tocco, tornò ad essere dura mentre raggiungeva la sala del trono. Camminando accanto all'amata, Rachel si guardò intorno, sospettosa. Dov'erano le altre ragazze? In genere erano sempre lì ad aspettarla, ma ora sembravano sparite. Confusa, si voltò a guardarla, ma non ricevette risposta. "Ne so quanto te, micina." Le disse in un sussurro, scuotendo la testa in una negazione e guardandosi intorno con sguardo sottile. Più confusa di prima, Rachel si strinse nelle spalle, poi ne vide una sola. Morgan, la peggiore del trio, stranamente felice di vederle entrambe, e con un largo sorriso stampato in volto. "Ben svegliata, Signora. Rachel! Ci sei anche tu!" Cinguettò, mettendo per una volta da parte il suo solito sarcasmo. Per tutta risposta, Lady Fatima alzò un sopracciglio, assumendo uno sguardo perplesso e seguendo ogni movimento con occhi sospettosi. Sentì che qualcosa non andava, sapendo di fidarsi sempre del suo intuito. Senza lasciar trapelare nulla dal suo volto di pietra, ricambiò il saluto. "Siamo di buon umore, oggi, vedo." Osservò, con un sorriso divertito sulle labbra. "Ma è ovvio! Quante ragazze qui hanno l'onore di servirvi?" Rispose la serva, sorridendo e completando la frase con quella domanda. Per nulla impressionata da quel suo essere così gentile, la donna sentì il suo sospetto aumentare a vista d'occhio, annuendo distrattamente e azzardando un veloce cenno della mano. "Avanti, sedetevi, vi siete appena alzata, sarete così stanca! Non muovetevi, vi porto un caffe!" Continuò la ragazza, convinta e sicura di quello che stava facendo. Ad essere sincera, neanche Rachel si fidava di lei, ma il sonno la stordiva davvero, e un sorso di quella calda e scura bevanda non sarebbe stato male. Sempre silenziosa, mentre la guardava andar via, la Leader salì i pochi gradini che la separavano dal trono e si sedette con lentezza ed eleganza. "Occhi aperti, Rachel. Qualcosa non va." Sussurrò a denti stretti, cercando di capire cosa, nella sua testa, stonasse in quella ragazzina. "Tu dici? Eppure sembra così carina e servizievole oggi." Rispose lei, pur fidandosi e non sapendo cosa pensare. "Troppo servizievole." Sentenziò la donna mentre vedeva ritornare la ragazza, che sfoggiava sempre quel suo largo sorriso. "Forse hai ragione..." Rispose Rachel mestamente, per poi guardare quell'odiosa ragazza negli occhi. Muta come un pesce, Lady Fatima osservò la ragazzina che si avvicinava a lei in segno di temuto rispetto, e senza smettere di studiarla, afferrò una delle tazze dal vassoio, scaldandosi le mani contro la ceramica. Spostando lo sguardo dal viso di quell'impertinente a quello dell'amata, Rachel la guardò per un attimo, poi afferrò la tazza rimasta sul vassoio e la tenne stretta, senza muovere un muscolo. Il suo era un modo come un altro di mostrarle rispetto, e proprio come la sua Lady ricordava, non aveva mai mangiato o bevuto prima di lei. Ben sapendo che Rachel non avrebbe neanche toccato il caffè prima che l'avesse fatto proprio lei, la Leader non perse altro tempo e bevve un sorso di quella bollente bevanda, con un sorriso soddisfatto a incresparle le labbra mentre deglutiva e gustava il suo sapore forte e deciso. Sorridendo leggermente, Rachel si preparò a bere il suo caffè, ma poco prima di farlo, sentì uno strano odore. Stringendosi nelle spalle, incolpò mutamente quella sciocca ragazzina. Pensò che forse non era fresco, che magari era perfino freddo o avanzato dalla mattina prima. Con gli occhi ridotti a due fessure, mostrò il suo odio per la ragazza, poi bevve. Di lì a poco, anche il sapore le giunse diverso, tanto da risultare quasi acido, e non appena ingoiò, prese a tossire con forza, sentendosi letteralmente soffocare. Alzandosi in tutta fretta dal trono, una preoccupata Lady Fatima incaricò la vipera di aiutare Rachel con alcune pacche sulle spalle, pensando che il caffè le fosse andato di traverso. "Rachel?" Chiamò, posizionandosi al suo fianco e cercando di tranquillizzarla, mentre vedeva il suo viso cambiare colore e diventare paonazzo per lo sforzo.Fra un colpo di tosse e l'altro, lei non riuscì neanche a parlare, utilizzando le poche forze che aveva per guardare la sua amata e chiederle aiuto. Nonostante ogni tentativo di riprendersi, finì per sputare sangue, poi, priva di forze, svenne cadendo a terra con un tonfo. "Rachel!" Urlò ancora la donna, preoccupata a morte mentre si inginocchiava e cercava di farla rialzare. "Dammi una mano! Non rimanere lì immobile come una stupida!" Ordinò alla serva, che intanto non alzava un dito. Per tutta risposta, Morgan ghignò soddisfatta, posando lo sguardo sul corpo ora esanime della povera ragazza. "Temo di non poterlo fare, Signora."  Rispose, ignorando quell'ordine con la perfidia nella voce e negli occhi. A quelle parole, Lady Fatima spalancò gli occhi e la guardò. "Capisco." Disse soltanto, mentre posava dolcemente Rachel a terra e afferrava la ragazza per la gola, stringendo la presa e sbattendola contro il muro dietro di lei. Negli occhi aveva una luce assassina. "Capisco perfettamente." Sibilò, rincarando la dose. Poco dopo, la lasciò andare, e un rantolo soffocato della fidanzata le liberò la mente dalla rabbia che l'aveva offuscata, facendole vedere completamente rosso. Non aveva tempo per quella vipera, non ora. Allentò la presa, ma non la rabbia con cui la fissava. "Con te farò i conti più tardi, resta nei paraggi, mia cara." Le disse, sputando odio ad ogni parola. "Patrick! Patrick!" Urlò il nome del dottore a squarciagola mentre tornava a chinarsi su Rachel e a controllarla. Sentendo le grida della donna, il dottor Patrick raggiunse subito la sala del trono, trovandovi la Leader intenta a vigilare sul corpo della povera Rachel, debole ma ancora viva. "Che è successo?" Chiese il dottore, preoccupato. "Rachel sta male, non so perchè..." Biascicò Lady Fatima, con il cuore che batteva impazzito. Aiutandolo a sollevare Rachel da terra, la donna lo condusse verso la camera da letto, e  non appena fu sicura che la ragazza fosse in buone mani, si lasciò cadere sulla poltrona in cui leggeva e lasciò trapelare la sua preoccupazione. Confuso, il dottore non seppe cosa dire nè fare. "Sapete com'è successo, Signora?" chiese, sperando di ottenere i dettagli di cui aveva bisogno per formulare una diagnosi. "Non lo so." Disse lei massaggiandosi le tempie con le mani per placare il suo mal di testa. "Stavamo entrambe bevendo il caffè, e Morgan ce l'aveva appena..." Non completò la frase, ma capì subito il perchè dell'esuberanza di quella vipera, la sua strana euforia nel salutare anche Rachel. Con sguardo glaciale, fissò un punto imprecisato della stanza, poi parlò in un sibilo. "Patrick, è possibile che sia veleno?" Chiese, preoccupata ma sicura di aver tristemente indovinato. "Un attimo, veleno? Ma certo! Ecco il perchè del sangue! Milady, restate con lei, io torno subito."Rispose il dottore, per poi allontanarsi e sparire dalla sua vista. Intanto, Rachel era ancora sdraiata sul letto, in preda agli spasmi, con il respiro irregolare. Non sapendo cos'altro fare, Fatima andò a tenerle e accarezzarle la mano. "Tesoro... Avrei dovuto berlo io quel maledetto caffè. Se tu non l'avessi fatto, ora ci sarei io al tuo posto." Piagnucolò, preoccupata per la piccola e dolce gattina. Fu questione di minuti, lunghissimi minuti che parvero ore, e finalmente la ragazza si svegliò, aprendo gli occhi e guardandola. "A-amore, non è vero. Non dirlo. è stato solo un incidente, nient'altro." Le rispose, sorridendo debolmente. "Rachel!" Chiamò lei in risposta, con voce preoccupata, facendosi più vicina per stringerle ancora la mano, per mostrarle e farle capire che era lì soltanto per lei. "Oh, Rachel... no, non è stato un incidente." Confessò mentre le passava la mano libera su un angolo della bocca per ripulirlo dal sangue. A quelle parole, Rachel sgranò gli occhi, poi ricordo quanto accaduto, tossendo ancora. "Ti credo, tesoro. E sai una cosa? Quella vipera schifosa avrà quello che si merita." Rispose, con la voce che ancora tremava e faticava ad abbandonare le sue labbra. "Su, non parlare ora. Il dottore si prenderà cura di te." Le disse mentre le toglieva i capelli sudati dal viso e le accarezzava la fronte. "Dottore? Quale dottore? Che mi è successo? Ricordo solo di essere svenuta..." Disse allora Rachel, sincera. Indecisa se dirle o meno del veleno per non farla agitare ulteriormente, Lady Fatima addolcì lo sguardo e le diede un bacio sulla fronte. "Infatti, ma..." Biascicò, non riuscendo a trattenersi. "Ma..." Rispose lei in un sussurro, mentre gli occhi quasi le si chiudevano di nuovo. "Te lo dirò quando starai meglio, promesso." Replicò la donna, scegliendo di non farla preoccupare, ricordandosi di dirle tutto non appena fosse stata pronta e fuori pericolo. "Ora non affaticarti." Le consigliò dolcemente, mentre osservava con ansia la porta chiedendosi dove fosse finito il dottore. "Va bene, ma promettimi una cosa, Fatima." Rispose lei, fidandosi. "Tutto quello che vuoi, tesoro." Concesse la donna con serietà. "Promettimi che la pagherà davvero, e cara stavolta." Chiarì lei, con un'improvvisa e sinistra luce negli occhi ametista. "La ucciderò con le mie stesse mani." Dichiarò in risposta, con un sussurro iroso mentre cercava di tenere a freno la lingua. In quel momento, il dottor Patrick tornò nella stanza, con in mano una tazza di ceramica. "Ecco, datele questo. Lady Bianca dice che neutralizzerà il veleno." Disse, posandola sul comodino accanto al letto. "Soltanto questa?" Chiese a quel punto Lady Fatima, fiduciosa. "Poi sarà fuori pericolo?" Azzardò poi, mentre si avvicinava al comodino e prendeva la tazza con entrambe le mani. "Dopo sarà sana come un pesce." Rispose il dottore, calmo e tranquillo. "Grazie, Patrick." Disse allora lei, sinceramente grata. Poi, senza più dire una parola, si avvicinò al letto, appoggiando il bordo della tazza alle labbra dell'amata. "Prima che tu vada, potresti fare un'ultima cosa per me?" Pregò, decisa a vendicarsi. "Oh, certo, milady." Rispose lui, voltandosi e aspettando che parlasse. Silenziosa, si voltò ad osservarlo con occhi che sprigionavano fiamme per quanta ira aveva dentro. "Prendi due uomini con te e va a cercare Morgan, rinchiudetela nelle segrete del castello. "Subito, milady!" Rispose l'uomo, scattando sull'attenti e lasciando la stanza per fare ciò che gli era stato chiesto. Livida di rabbia, la Leader rimase a guardare l'uomo finchè non sparì dalla sua vista, per poi tornare a fissare la sua amata. "Bevi, gattina." La pregò, aiutandola con la medicina. Annuendo, Rachel bevve la tisana senza dire una parola, poi guardò la sua donna negli occhi. "Fatima?" La chiamò, con voce dolce. Sospirando di sollievo, Lady Fatima la guardò negli occhi, che man mano stavano riprendendo luce, e posò la tazza vuota sul comò accanto al letto. "Sì, gattina?" Chiese, sempre immensamente preoccupata."Grazie. Grazie di tutto." Rispose lei, avvicinandosi lentamente e allargando le braccia per essere accolta fra le sue, che come entrambe sapevano, la facevano sempre sentire al sicuro. "Rachel, tesoro..." Le rispose dolcemente mentre l'abbracciava, e si sdraiava al suo fianco per scaldarla e ridarle colore su quelle guance troppo pallide. Non ringraziarmi, tu avresti fatto lo stesso per me." Aggiunse, sicura di quanto avesse appena detto. "Mille volte, amore. Mille volte." Rispose, sorridendo in quell'abbraccio. "Dì, posso venire con te, adesso? Voglio esserci quando la rinchiuderai e lascerai lì fino a vederla a terra morta." Chiese poi, non dimenticando di aggiungere quel dettaglio. "Prima voglio che tu stia meglio, mia Rachel. Non voglio correre alcun rischio." Rispose, con fare amorevole mentre passava le mani sulle sue spalle fredde. Sorridendo ancora, Rachel la strinse a sè, felice. "Adesso capisci perchè ti amo?" azzardò la ragazza, scivolando poi nel silenzio. Colpita, la donna la guardò con curiosità mentre ci pensava. "Perchè, micina?" Azzardò a sua volta, incerta e dubbiosa. "Perchè mi vuoi bene, ti sto a cuore e mi proteggi, ed è così che dovrebbe essere in una coppia. Non si tratta di vincere una corsa, ma di correre e basta." Confessò lei, avvicinando le labbra alle sue, in un improvviso desiderio di baciarla. "Insieme, mia gattina, correremo sempre insieme." Rispose allora la donna mentre con lentezza posava le labbra sulle sue e la baciava con una dolcezza innaturale, che raramente lasciava uscire. Poco dopo, si alzò dal letto, tendendo le mani verso Rachel per aiutarla. Sorridendo nel bacio, Rachel ne assaporò ogni istante, poi si lasciò aiutare, riuscendo finalmente a rimettersi in piedi. Svelta, l'afferrò per le spalle per paura di vederla cadere un'altra volta. Poi, quando capì che era stabile, si scostò lievemente.  "Come ti senti?" non potè evitare di chiederle, con la paura nel cuore. "Bene! La tisana ha funzionato davvero!" Rispose lei, felice. "Rachel..." Disse poi la donna richiamandola a sè, seria. "Mi dispiace, non sono stata attenta con Morgan.  Sapevo che stava combinando qualcosa e non l'ho capito finché non era già troppo tardi. "Fatima, basta. Basta, va bene? Sono ancora qui, non è questo che conta?" Rispose Rachel, ponendole poi quella domanda. "Sì, ma..." Sospirò, sentendosi stanca per lo spavento di poco prima. Abbracciò più stretta la sua gattina, stringendola a sè come a non volerla lasciare mai più. Silenziosa, Rachel si lasciò abbracciare, e accarezzandole la schiena, le sussurrò una frase all'orecchio. "Sei pronta, amore? Pronta a difendere il mio onore?" Chiese, felice di vederla finalmente più calma. "Puoi scommetterci, gattina." Rispose lei, più seria di prima, mentre con un braccio intorno alla vita di Rachel, la conduceva fuori dalla stanza. "Allora andiamo, non vedo l'ora di vedere cos'hai in serbo per quella piccola peste." Rispose lei, curiosa. Senza dirle più nulla, Lady Fatima le sorrise, e non appena raggiunsero le segrete, la donna si preparò a mettere in atto la sua vendetta contro quella schifosa ragazza. Non ebbe pietà, e incatenandola letteralmente al muro in una piccola cella umida, sporca e puzzolente, non mosse più un muscolo, lasciandola completamente da sola per giorni. Detestandola con tutta sè stessa dopo quello che aveva fatto alla ragazza che amava, non si preoccupò di nutrirla, non dandole modo di uscire e muoversi finchè, stremata, non morì di stenti, e le sue carni straziate dalla fame e dalla disidratazione non diventarono il pasto di alcuni affamati topi nascosti in alcune crepe presenti nei muri. Quando finalmente passò oltre, lei e Rachel le fecero insieme un ultima visita, sorridendo entrambe con malignità alla vista del suo corpo e del suo volto, irriconoscibili perchè costellati e martoriati dai morsi dei roditori. "Vieni via, tesoro, ora sì che ne ha avuto abbastanza." Disse la ragazza, rivolgendosi alla donna e invitandola ad allontanarsi dal cadavere di quella sporca traditrice. "Già, andiamo. Ora che è andata restare non serve a nulla." Rispose Lady Fatima,prendendo la sua amata sottobraccio e uscendo con lei dalle segrete del castello. Fra un passo e l'altro, si assicurò di posare lo sguardo su Morgan per l'ultima volta, poi richiuse la porta lasciandola cigolare sinistramente. Dì lì a poco, il cielo si tinse di nero, e la morte di quella vipera rimase un segreto. Un segreto che nessuno avrebbe mai rivelato, e che solo loro due erano destinate a conoscere. Sdraiata nel suo letto, poco prima di dormire, la donna si fermò a pensare, comprendendo che nulla avrebbe mai potuto prepararla ai tre lunghi giorni appena trascorsi, e addormentandosi, ebbe cura di non mescolare al ricordo del suo bellissimo compleanno quello di una morte lenta ma atroce, che aveva avuto luogo nel castello solo a causa di mille distinte provocazioni da parte di  un'altra schiava vittima dell'ira, dell'odio e della gelosia verso Rachel, che a sua volta aveva rischiato di diventare la sua vittima innocente, salvata solo dall'amore di una donna e dalla furia di una Lady.


Come sempre, salve a tutti, miei cari lettori. Oggi doppia, o forse tripla razione con questo capitolone, molto più lungo dei precedenti, in cui sembra davvero di ritrovare la Lady Fatima fredda come il ghiaccio vista all'inizio della saga. Immagino che la ricordiate, e che questo capitolo funga da esempio per far comprendere quanto questa donna tenga davvero alla sua Rachel, e cosa può succedere se una sua qualunque serva osa disobbedire. Se quanto avete appena letto è reale, c'è da ringraziare ancora una volta la mia amica KaronMigarashi, senza la quale, questa cinquantasettesimo capitolo non avrebbe mai visto la luce. Grazie a chi mi legge e mi segue, ma anche ai lettori silenziosi, e alla prossima,

Emmastory :)

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Capitolo 58
*** Maternità difficile ***


Le-cronache-di-Aveiron-VII-mod
 
 
Capitolo LVIII
 
Maternità difficile
 
Erano passati appena altri trenta giorni, e quasi ignorandole e non curandosi minimamente delle sue creature, il tempo non aveva fatto altro che passare. Il piccolo Gabriel aveva ora un mese di vita, e grazie all'intervento di Lady Fatima, che si era prese cura della sua gattina seguendo i consigli di uno dei dottori più esperti del regno, nessuno, guardandola, avrebbe mai detto che aveva partorito appena poche settimane prima. Seduta sul letto nella stanza che condivideva con l'amata, Rachel era sfinita. Non dormiva da giorni, e il piccolo non era certo d'aiuto. Piangeva ogni notte per un motivo diverso, e sembrava non dormire mai. Entrando nella camera da letto, la Leader si sedette sul bordo del letto, facendo attenzione a non disturbare troppo Rachel che riposava. Il bambino era finalmente riuscito a darsi pace, e come la giovane madre, dormiva beato nella sua culla. Ad ogni modo, continuava ad essere preoccupata per la ragazza. Non aveva alcuna esperienza in merito, ma trovò strano che dopo un intero mese dal parto non avesse ancora ritrovato le forze. Sentendola entrare, Rachel aprì lentamente gli occhi, riuscendoci con non poca fatica. Si sentiva stanca, ma era più che normale. Grazie alla sua Lady, aveva recuperato in fretta la forma fisica, ma lo stesso discorso non era certo applicabile alle sue energie, che ora più di prima, sembravano costantemente abbandonarla. "Come ti senti, gattina?" Azzardò a chiederle la donna, pur conoscendo perfettamente la risposta. Era chiara, e poteva benissimo leggergliela nel volto, più pallido e magro del solito. Senza pensare, le accarezzò una guancia con delicatezza, trovandola fredda. "Male, Fatima." Rispose soltanto, per poi rigirarsi nel letto e darle le spalle. Forse era colpa della stanchezza, o forse degli ormoni ancora fuori posto, ma in quel momento, le domande stupide e retoriche come quella le davano sui nervi. Ascoltandola, Lady Fatima sospirò, abbattuta. Non poteva biasimare il tono di ghiaccio con cui le aveva risposto. Si passò una mano sui capelli, scompigliandoseli. Si sentiva frustrata, non sapeva cosa fare nè che cosa dire, e per la prima volta, un senso di pura e deprimente impotenza prese il controllo del suo corpo e della sua anima. Pentita, Rachel si voltò ancora verso di lei. Era stanca e nervosa, certo, ma dentro di sè sapeva che non avrebbe mai potuto far del male a Fatima. Alla sua Fatima. La guardò negli occhi, ma non disse nulla, limitandosi a togliere la mano da sotto la coperta e stringere la sua con forza. Rinfrancata, la donna ricambiò la stretta senza farle alcun male. Avrebbe voluto sorriderle, e ci provò, ma era troppo amareggiata per farlo davvero. Persa nei suoi pensieri, riversò la sua muta collera sui dottori, che secondo lei non facevano abbastanza. "Mi dispiace." Sussurrò, con il dolore dentro. "Di cosa? Non mi hai fatto niente, sai?" Le chiese la ragazza, cercando poi di rassicurarla. "Mi dispiace... di non riuscire a fare nulla più di così." Ammise la donna in risposta, scoraggiata. "Fatima, non dirlo. Pensaci, se non avessi fatto quello che hai fatto, se non avessi ignorato le regole del regno, noi... noi non saremmo qui, e nemmeno Gabriel." La riprese allora Rachel, quasi arrabbiata. "Sì, ma tu non saresti in queste condizioni!" Sbottò lei, alzandosi dal letto con uno scatto degno di un felino. Una volta in piedi, inizò a camminare avanti e indietro, nervosa. Non l'avrebbe mai detto, ma aveva paura. "Non riusciamo neanche a capire il perchè della tua debolezza fisica!" quasi urlò di nuovo, prendendosi la testa fra le mani. Il tempo passava, e lei aveva sempre più paura. La sua storica calma l'abbandonò proprio nel momento più inopportuno. "Ho appena avuto nostro figlio, è del tutto normale. Adesso calmati e torna qui, avanti." Le rispose Rachel, terminando la frase con quella preghiera. Sentendola pregare, Lady Fatima si rimise seduta, stanca ed esausta. "Perdonami, micina. Ho soltanto tanta paura per te." Confessò, con la voce che quasi le tremava. "Mi riprenderò, perciò non averne, d'accordo? Respira e sta tranquilla." Continuò la ragazza, prendendole ancora la mano in maniera più delicata. Senza dire nulla, la Leader annuì in silenzio, regolando il respiro come le era stato consigliato. "Accidenti..." Le disse con più dolcezza e azzardando un sorriso imbarazzato. "E pensare che dovrei essere la tua roccia in questo momento." Continuò poi, sempre più abbattuta. "Le cose cambiano in fretta, non è vero?" Osservò la ragazza, sorridendole amorevolmente. "Vero." Sospirò a quel punto la donna, ancora triste. "Forse anche troppo in fretta." Aggiunse poco dopo, di nuovo pensierosa. Di lì a poco, il silenzio riempì la stanza, e senza una parola, accarezzò il ventre piatto della sua ragazza da sotto le coperte. Era strano a dirsi, ma quasi le mancava quella piccola rotondità che aveva fatto loro compagnia per nove mesi. Dal suo canto, Rachel era stanca e nervosa, ma guardandola, dovette darle ragione. In fondo, anche a lei mancava il periodo della gravidanza, durante il quale era stata trattata meglio del solito, quasi come se fosse stata una principessa o perfino una regina. Sempre in silenzio, Lady Fatima le passò con delicatezza la mano sulla pancia, ma senza premere, non volendo comunque farle alcun male. "Rachel..." Chiamò, dando un'occhiata alla culla in cui dormiva il piccolo Gabriel. Appena un attimo dopo, una domanda che le ronzava in testa da tempo le tornò in mente. "Secondo te saremo delle brave mamme per lui?" Azzardò, con l'incertezza che si leggeva nel suo povero sguardo tormentato. "Cosa? Ma certo! Sei stata bravissima anche con Rose, ricordi?" Le rispose lei, dandole coraggio e ricordandole il modo in cui si era presa cura della figlia dell'amica. "Tu dici, Rachel? Il fatto è che... per la prima volta ho dei sentimenti su cui non ho più il controllo. Insomma, da quando Lady Fatima prova incertezza, ansia, paura?" Azzardò, alzando bruscamente il tono di voce e rischiando di mettersi ad urlare senza un motivo. "Da quando ti sei innamorata, ecco da quando! Adesso smettila, e vieni qui." Rispose a quel punto la sua dolce Rachel quasi redarguendola per quelle parole prive di senso e invitandola a sdraiarsi accanto a lei. Ormai stanca, Lady Fatima sospirò, arrendendosi mentre alzava un lembo della coperta. Lentamente, tolse le scarpe e il vestito, poi infilò il comodo e leggero pigiama, sdraiandosi e cercando di fare il minor rumore possibile. Con il mattino appena sfumato in pomeriggio, il bimbo dormiva, e aveva alcuna intenzione di svegliarlo. Non proferendo parola, Rachel si voltò verso di lei, e baciandola, la zittì completamente. Finalmente felice, la donna ricambiò quel bacio inaspettato e le passò una mano sulla schiena, ma consapevole del suo stato di salute, non si azzardò a fare altro. "Fatima, ascolta. So quanto mi ami, e so anche che hai paura, ma preoccuparti non serve a nulla." le disse Rachel, tentando di convincerla ad aprire gli occhi e dare uno sguardo alla realtà. Ne avevano passate tante, forse troppe insieme, ed era vero, ma era proprio questa la cosa che permetteva a Rachel di andare avanti. Lei voleva stare con la sua ragazza e l'avrebbe fatto, anche a costo di dover camminare fra mille tempeste. Ammaliata da quelle parole così dolci e determinate insieme, la Leader non potè che annuire, concordando con lei. Tranquilla, le accarezzò i capelli, scompigliandoglieli dolcemente. "Hai ragione, mia piccola gattina..." Sussurrò, per poi scuotere la testa in una negazione e correggersi, e per la prima volta le disse due parole che non le aveva mai detto prima, nonostante i suoi sentimenti per lei fossero inequivocabili. "Amore mio." A quelle parole, Rachel non rispose, sentendo qualcosa dentro di lei mutare lentamente. Era innamorata, e l'amava davvero, e avrebbe davvero voluto sentire quei due semplici lemmi ripetuti all'infinito. Cedendo alla tentazione, la baciò ancora, e tenendola stretta a sè, le sussurrò qualcosa all'orecchio. "Ti amo anch'io, amore mio." "E sai di cosa ho bisogno proprio ora?" le chiese poi, con voce calma e suadente. "No, di cosa avresti bisogno?" indagò la donna, ricambiando il tono di voce sensuale. Nel parlare, le afferrò il mento con due dita, alzandoglielo fino alla sua stessa altezza d'occhi, così che i loro sguardi s'incontrassero. In quel momento, tutta la sua ansia e la sua paura cessarono di esistere, completamente spazzate via dal romanticismo che la ragazza aveva risvegliato. "Di una fidanzata che la smetta di preoccuparsi e si goda insieme a me questo bellissimo momento. Rispose, conservando quello stesso tono di voce e facendo scivolare le dita sul suo braccio in un continuo e romantico andirivieni. "Dimmi, ce la farai?" chiese poi, attendendo silenziosa. In quel preciso istante, un ghigno fintamente malefico si dipinse sul volto della donna. Con calma, afferrò il braccio con cui Rachel la stava accarezzando e ricambiò le sue dolci coccole con amore, convincendola a sdraiarsi al suo fianco e non muovere più un muscolo. Assecondandola, Rachel fu subito con lei, e non appena il pomeriggio si tramutò in sera, le due si addormentarono. Pacificamente, e l'una fra le braccia dell'altra, non pensando, poco prima di scivolare nel sonno, al loro amore e al loro nuovo ruolo, che aveva portato entrambe ad una maternità difficile. 
 
 
Di nuovo salve a tutti i miei lettori. Questo capitolo, molto più corto del precedente, è il penultimo della storia intera, e da qui si evince che il numero 60 chiuderà ufficialmente la saga. Siete liberi di pensare e immaginare come andrà a finire, e mentre in quanto autrice non posso dirvi nulla a riguardo, sento comunque di dover ringraziare ognuno di voi, recensori e non, includendo quindi i lettori silenziosi, che da sempre si nascondono fra noi autori qui nel sito. Oltre che a tutti coloro che mi supportano, un ringraziamento speciale va alla mia amica KaronMigarashi, che nella conclusione di questa lunga saga mi sta aiutando moltissimo, come ha fatto con il capitolo precedente, con questo e con quello che leggerete presto, che ho scritto proprio grazie al suo aiuto. Che altro dire, se non per l'ennesima volta grazie, e alla prossima? Nulla, in quanto credo davvero di aver esaurito le parole. Al prossimo capitolo,
 
Emmastory :)

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Capitolo 59
*** Un mondo, uno scontro e una nuova vita ***


Le-cronache-di-Aveiron-VII-mod
 
 
Capitolo LIX
 
Un mondo, uno scontro e una nuova vita
 
Come ogni giorno, era di nuovo mattina, e con le coperte tirate fin sopra la testa, mi sentivo pigra, eccessivamente pigra. Conoscendomi, sapevo di non esserlo, ma i costanti e continui allenamenti nelle segrete della donna che ci ospitava da tempo al suo castello mi avevano davvero stremata, e con l'arrivo della notte, dormire era per me il piacere più importante. La mia ansia mi faceva sempre tristemente compagnia, e non sembravo riuscire a guarire in alcun modo, ma per qualche strana ragione, la stanchezza mi portava a dimenticare ogni problema, incluso quello. Non ero guarita, ma da un ormai lungo periodo, avevo trovato il modo di controllarla, e il mio diario, unito alla presenza del mio Stefan al mio fianco e alla mia rabbia correttamente incanalata e riversata su quegli stupidi manichini pieni di sabbia, era un grande, grandissimo aiuto. Lentamente, il tempo continuava a scorrere, e con ogni giorno che passava, mi sentivo sempre più orgogliosa di me stessa. Finalmente, ero sicura di riuscire a dominare le mie paure e i miei orribili incubi, e quando questi svanivano, lasciavano spazio ai colorati sogni che avevo nascosto nei meandri della mia stessa mente e che non ero mai riuscita a liberare, troppo spaventata da tutto quello che mi succedeva, sempre paragonabile ad un vero film dell'orrore. Ormai non succedeva da giorni poichè avevo imparato a star calma e sfogarmi, ma ricordo ancora che addormentarmi di notte era una vera sfida. Sentivo il bisogno di dormire, eppure non volevo soddisfarlo, ed era come se cercassi di difendermi da me stessa, così da evitare gli incubi e cercare di vivere serenamente. Fu una pessima idea, e lo capii solo dopo molti lunghi anni, quando guardando la mia immagine riflessa in uno specchio, non notai altro che le occhiaie e le ferite di una ragazza, o per meglio dire una donna non aveva fatto altro che infliggersi da sola. Ci avevo impiegato anni, ma alla fine l'avevo capito. Avevo imparato ad amarmi e rispettarmi, e proprio per questo, tutti i miei cari erano orgogliosi di me, inclusi Stefan e i nostri figli, ma anche Rachel, Lady Fatima, e il caro, carissimo Chance. Sì, Chance. Un povero cane ormai attempato e non più giovane, a cui volevo veramente bene, e che non avrei mai abbandonato nel momento del bisogno, standogli vicina proprio come lui aveva fatto sia con me che con ogni membro del mio gruppo. Era ancora mattina, e sempre avvolta fra mille coperte, non volevo davvero alzarmi. Mi sentivo stanca, e dopo alcuni lunghissimi minuti trascorsi ad occhi chiusi e con un respiro calmo e regolare, sentii un leggero grattare alla porta, poi un altrettanto flebile uggiolio. Come ogni mattina alla stessa identica ora, il mio amico dal pelo biondo era venuto a svegliarmi, e stando seduto vicino all'armadio, aspettava che mi alzassi dal letto. Sorridendo alla sua vista, lo invitai ad avvicinarsi, e dopo qualche carezza, lasciai che mi leccasse il viso liberandomi dal sonno. Poco dopo, mi drizzai a sedere sul letto, mettendomi poi in piedi e raggiungendo subito la sala principale, così da aspettare la colazione e ingannare il tempo dando il buongiorno alla mia intera famiglia oltre che a Rachel e alla Leader. Stranamente, non le trovai vicine come al solito, e la gran sala sembrava davvero vuota senza di loro. Leggermente preoccupata, mi voltai verso lo spoglio trono della Signora, e sotto muto consiglio del cane nascosto sotto la tavola, che mi colpì più volte il ginocchio con la zampa, mi alzai dalla mia sedia per andare a controllare. Il primo luogo a balzarmi in mente fu la loro stanza, e bussando educatamente, chiesi di entrare. "Milady? Rachel? Va tutto bene?" Azzardai, abbassando lentamente la maniglia e spingendo per aprire la porta. "Va tutto alla perfezione, buongiorno, cara Rain." Mi rispose la Leader, intenta a sistemarsi per qualche attimo i capelli scuri quanto i miei davanti ad uno specchio, mentre la fidanzata non faceva che fissarla, totalmente rapita e innamorata. Poco dopo, la donna si avvicinò alla piccola culla presente nella stanza con cautela, rinunciando ai suoi alti e magnifici tacchi per evitare di far rumore. Il piccolo Gabriel dormiva beato tra le coperte ricamate. Silenziosa, posò una mano sul ligneo bordo di quel caldo nido e sorrise dolcemente. "Tesoro, è bellissimo." Disse Rachel, avvicinandosi a sua volta e guardando alternativamente il piccolo e l'amata. "Ed è tutto merito tuo e della tua forza, gattina." Le rispose la donna, iniziando ad osservare il bambino con più attenzione, inclinando leggermente la testa di lato. Guardandolo, scoprì che era molto somigliante alla sua Rachel, e fermandosi a pensare, sperò che ereditasse anche il suo dolce carattere."No, se questo bambino è nato è anche merito tuo, sai Fatima?" Continuò la ragazza guardandola, orgogliosa e innamorata. "Ma eri tu quella distesa sul letto a spingere." Replicò la donna di rimando, con un sorriso dolce e assai fiero. "Zitta e baciami, infermiera." Disse a quel punto Rachel, prendendole il viso fra le mani e continuando a guardarla. "Senza farselo ripetere due volte, Lady Fatima le alzò il mento con due dita fino a quando le loro bocche non si scambiarono il bacio tanto atteso da entrambe. Sensuale, dolce e calmo, In quel bacio, la donna concentrò tutto l'amore che provava e aveva sempre provato per la sua ragazza. Quel contatto non durò molto, certo, ma la cosa non importò minimamente a nessuna delle due. Subito dopo, il silenzio calò nella stanza, e dalla culla si levò un vagito. Avvicinandosi, Rachel si sporse per controllare, e a quanto sembrava, il piccolo aveva freddo. Dolcemente, gli rimboccò la copertina azzurra, e con tutta calma, il bimbo si addormentò di nuovo. In silenzio, la Leader osservava  con quanto amore Rachel si occupava di loro figlio e non riuscì a trattenersi dal dirglielo. "Sei fantastica, tesoro. Gabriel è in ottime mani con te come madre." Rivelò semplicemente, dandole un lieve e veloce bacio sulla fronte con fare amorevole. "Dici davvero?" Non potè evitare di chiedere lei, sorpresa da quel giudizio inaspettato. "Assolutamente, micina. Assolutamente." Le disse soltanto, rivolgendole uno sguardo sincero. Sorridendo, Rachel la baciò di nuovo, e non appena si staccò da lei, prese in braccio il bambino. "Come stai adesso?" Le chiese poi la donna, preoccupata. Era riuscita ad alzarsi dal letto, e stava visibilmente riprendendo colore e salute, ma nonostante tutto, non poteva fare a meno di preoccuparsi. "Bene, e tu?" Rispose lei, rigirandole la domanda. "Rachel..." La chiamò quasi con rimprovero mentre le accarezzava dolcemente una guancia con il dorso della mano. "Sì, Fatima?" azzardò lei, attendendo con pazienza una risposta. "Come stai?" Le ripetè, scandendo bene le due parole. "Fatima, amore, sto bene, dico davvero." Disse allora lei, sincera sia con la sua donna che con sè stessa. A quelle parole, la Leader addolcì lo sguardo, e sollevata, le sorrise. "Dì, vuoi tenerlo?" Propose poi la ragazza, sorridendo leggermente e guardandola negli occhi. Per tutta risposta, la donna la guardò sbalordita. Rimase per qualche secondo lì a fissarla senza sapere cosa rispondere. Vedeva il piccolo Gabriel come una creatura così fragile, che quasi temeva di romperlo come una bambola in porcellana. Divertita dalla sua improvvisa goffaggine, Rachel sorrise di nuovo, poi le posò in braccio il bambino. Tenendolo con dolcezza, la cara Leader se lo sistemò fra le braccia come se fosse stato una preziosa reliquia. "È... leggero." Osservò, leggermente sorpresa. "Dorme poco e mangia anche meno, mi pare ovvio che lo sia." Rispose Rachel, illuminando la sua amata con quelle parole. "Certo." Rispose tranquillamente, ridacchiando divertita nel vedere il piccolo fare delle smorfie buffe in quel sonnolento dormiveglia. Poco dopo, il bambino aprì gli occhi, e alla vista della Lady, rise. "Sembra che tu gli piaccia." Osservò allora Rachel, divertita. "Tu dici?" Chiese la donna senza neanche pensarci sopra, iniziando poi ad imitare il bambino nelle smorfie, con quest'ultimo che rimaneva quasi interdetto e fissava Lady Fatima in silenzio. "Ne sono certa, tesoro mio." Rispose soltanto, spostando lo sguardo dal piccolo al suo viso. Di nuovo felice anche se leggermente incerta, la cara Leader ricambiò il dolce sorriso della sua gattina, e in silenzio le ridiede indietro il piccolo. "Sta molto meglio fra le tue, di braccia." Commentò, in divertente imbarazzo. "Io credo di no, sai?" Le disse Rachel, per poi piegarsi leggermente sulla culla e depositarvi il bambino, così che potesse fare dolci sogni. "Vieni, lasciamolo riposare. Continuò poi, prendendola per mano e allontanandosi lentamente. Da quel momento in poi, anch'io mi unii a loro, lasciando il bimbo a riposare nella stanza e tornando lentamente nella sala principale. In silenzio, consumai il mio pasto con mille pensieri intenti a vorticarmi in mnete, ma con una singola certezza a rassicurarmi. La guerra che combattevamo andava avanti da lunghissimi anni, ma ormai sentivo che mancava poco, e le uniche cose a importare erano un mondo, un ultimo scontro e una nuova vita.
 
 
Salve di nuovo a tutti, e come sempre grazie di tutto il vostro supporto. Quello che avete appena letto era il penultimo capitolo di questa lunga saga, scritto come alcuni altri assieme alla mia amica, che ormai conoscete e sarete stanchi di sentirmi nominare, Karon Migarashi. In qualche modo, è grazie a lei se ho scelto di far comparire il piccolo Gabriel in questa storia, dando a Rachel e Lady Fatima la gioia di diventare madri di un bambino. Ormai manca un solo capitolo alla vera conclusione,  e mentre aspetto i vostri pareri, vi ripeto solo una cosa. Sentitevi liberi di esprimere il vostro parere, e fantasticare sul finale. Alla prossima, e grazie ancora a tutti voi,
 
Emmastory :)      

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Capitolo 60
*** L'ultima lotta al regno ***


Le-cronache-di-Aveiron-VII-mod

 
Capitolo LX
 
L'ultima lotta nel regno
       
Dopo l'autunno, era arrivato l'inverno. Vivevamo ancora tutti nel castello della cara Lady Fatima, Leader di tutto rispetto e da poco madre di un bambino, ancora perdutamente innamorata di Rachel, sua fidanzata e bene più prezioso. Per quanto ne sapevo, fra tutte le serve della donna Morgan era stata l'unica a non sopravvivere, fallendo nello scampare alla morte nelle buie segrete, incatenata a un muro e costretta a dormire su un cumulo di paglia sporca e puzzolente. Dopo quello che aveva cercato di fare, quello non era che il minimo per una sporca vipera come lei, secondo Rachel punita a dovere e con magnanimità insieme. Conoscendo infatti la sua fidanzata meglio di sè stessa, sapeva bene che avrebbe benissimo potuto fare di peggio, e ora che era morta, entrambe erano finalmente felici. Nessuna delle infime serve osava mai disturbarle, specialmente se erano concentrate sulla cura del loro bambino. Ad essere sincera, ero davvero onorata di fare occasionalmente da tata al loro piccolo. Era un lavoro, certo, ma non mi pesava. Il mio amore per Stefan mi aveva già resa madre di tre figli, e quando l'avanzare dell'età mi aveva impedito di averne un quarto, avevo letteralmente colto quell'occasione al volo. Inizialmente, avevo la folle paura di far del male al loro piccolo angelo, proprio come Rachel subito dopo la sua nascita, ma grazie al cielo l'istinto materno ha subito iniziato a parlarmi, e in pochissimo tempo ho avuto modo d'imparare tutte le abitudini delle neonamme. In altri termini, sapevo tutto di quel bambino, inclusa l'unica nenia infantile capace di farlo addormentare. Seduta nella loro stanza da letto, passavo ore accanto alla sua culla, preoccupandomi a morte e controllando perfino che respirasse. Lentamente, il tempo passava, e quando finalmente il piccolo si addormentava, restavo con lui per alcuni minuti, a rileggere il mio diario e aggiungere nuove pagine di appunti, sicura che se ben conservate, sarebbero sopravvissute all'andar del tempo. Ora come ora, sono chiusa nella mia stanza, e mentre Stefan mi sta vicino, non riesco ad alzarmi. Anche se da poco, la mia ansia non è più un problema, ma la paura resta. È strano a dirsi, forse anche esagerato, ma è come se fossi improvvisamente tornata bambina, e avessi di nuovo paura del buio. Mi vergogno ad ammetterlo in quanto adulta, eppure è davvero così. Grazie al cielo, Stefan mi supporta come sempre, e ogni notte, riesco ad addormentarmi solo abbracciandolo o tenendogli la mano. Stiamo insieme da circa vent'anni, e sin da quando il nostro rapporto ha avuto inizio, lui è sempre stato la mia roccia, l'unico uomo che abbia mai amato e del quale mi sia mai potuta fidare. Con estrema lentezza, i giorni continuano a passare, e ormai da qualche notte non sento che il latrare di alcune povere bestie provate dalla fame e dal freddo, così come le grida delle genti ormai convinte di non poter più salvarsi e fuggire. In altri termini, i Ladri stanno tornando, e ora non ci resta che combattere. Per pura fortuna, mesi e mesi di allenamenti e finte battaglie ci hanno preparato a dovere all'eventualità di una vera, e come sempre siamo pronti a combattere. La guerra che sembra averci dato tregua per lungo tempo ora sta ricominciando, e ancora al sicuro nella mia stanza, non voglio alzarmi. Nonostante questo, so bene di non poter continuare a nascondermi come un fastidioso topo nelle crepe delle mura cittadine, e questa è la precisa ragione per cui ho finalmente deciso di dare retta a Stefan e prepararmi all'inevitabile. È mattina, e con il sole al suo posto nel cielo tristemente coperto di nuvole e un vento freddo che spira ferendoci gli occhi ed entrandoci nelle ossa, lo guardo allacciarsi il fodero della spada dietro la schiena e prendere in mano lo scudo. Felice e innamorata come sempre, non posso non avvicinarmi, e notandomi, mi sorprende con un bacio. Prendendogli le mani, lo lascio fare, e non appena il nostro bacio ha fine, muovo qualche passo verso il letto. La mia fida daga è da sempre nascosta sotto il cuscino, e afferrandola, saggio la consistenza della lama con le dita. Fortunatamente è ancora affilata, e nonostante la violenza non sia mai stata il mio forte, stavolta sento davvero di dover agire. Quello fra Aveiron e i Ladri è un conflitto che va avanti da anni, che ha messo in ginocchio il regno intero, e ora che ci hanno raggiunti, sicuri di riuscire ad ottenere ciò che vogliono e soddisfare la loro sete di potere e ricchezza, una cosa è certa. Stavolta combatteremo davvero fino allo stremo delle forze, senza dar loro il tempo di contrattaccare. Così, lente e inesorabili, le lancette del tempo continuano a muoversi, e in totale sicurezza, lasciamo il castello, pronti. Non sono sola, e ad essere sincera, sono felice. Felice di poter contare sui miei figli. Proprio come  me e Stefan, si allenano da anni, e in questo preciso momento, tutto è calmo. Troppo calmo. Quei mostri continuano a nascondersi, seguendo la loro precisa strategia, ovvero cogliere di sorpresa l'avversario e sfiancarlo fisicamente, per poi agire e mettere fine alle sue sofferenze. Finora abbiamo sempre vinto, e incrociando le dita, spero davvero che la fortuna ci sorrida ancora. Insieme, camminiamo compatti come un plotone di veri soldati, e sentendomi di nuovo divorata dall'ansia, non faccio altro che guardarmi intorno, facendo saettare lo sguardo in tutte le direzioni alla ricerca dei loro volti incappucciati, ma niente. Il nulla più totale. Fa freddo, e provata, mi muovo appena, ma stringendo i denti, mi impongo di farcela. Così, passano i minuti e poi le ore, e con l'arrivo del pomeriggio, la battaglia ha inizio. Improvvisamente, non siamo più soli, inghiottiti da una folla di persone spaventate, con l'unico desiderio di fuggire dal regno e aver salva la vita. Con la mia daga saldamente in mano, corro sempre verso i miei nemici, puntandoli come bersagli e attaccando freddamente. Come in ogni altro scontro, Stefan e i miei figli mi imitano, sicuri di sè stessi. Lottano per rendere orgogliosa la loro stessa madre, e guardandoli mettere in atto le conoscenze da guerrieri, non posso che sorridere nei pochi momenti di calma che ci vengono concessi. Intanto, i secondi scorrono, le ferite si aprono, e il sangue cola. Per pura fortuna, sono ancora illesa, ma sento che è solo questione di tempo prima che io metta un piede in fallo e cada, com'è peraltro già successo infinite volte, letteralmente o meno. Al fianco del mio Stefan, do il meglio di me, e sentendomi sempre più stanca, sono costretta a rallentare. Tremando come una bestiola impaurita, cerco di calmare il battito del mio cuore impazzito, ma disgraziatamente, e appena un attimo dopo, sento bimbi piangere. Allarmata, mi volto subito in direzione di quel suono straziante, e il tempo si ferma. Non riesco a credere ai miei occhi, eppure so che la vista non m'inganna. Ilmion e Alisia hanno deciso di unirsi alla lotta, e i miei tre nipotini, spaventati a morte, piangono urlando a pieni polmoni. Paralizzata dal terrore, non ho modo di muovermi, e per quanto ci provi, la stanchezza unita alla paura non depone certo a mio favore. Stringendo i denti, mi faccio coraggio, e correndo, raggiungo subito il mostro che pare averli scelti come vittime. Come i suoi disgustosi simili, ha il volto coperto, e non so davvero chi sia, ma poco importa. L'ho imparato a mie spese anni fa, ma durante un combattimento, il contatto visivo deve durare pochissimo, così che si possa restare concentrati sulle proprie mosse. Così, sostituendo alla paura una furia cieca, riesco a ferire quel manigoldo a un braccio, ma non basta. Più grosso e forte di me, mi reputa una pulce al suo confronto, e sorridendo sinistramente, si prepara a difendersi. Ancora una volta, la stanchezza mi tradisce, e inciampando in una stupida roccia, cado. L'impatto con il duro e inospitale terreno è tutt'altro che morbido, e chiudendo gli occhi, mi sento venir meno. Ora come ora, non vedo nulla, e le mille voci e i colpi scambiati nella battaglia mi giungono ovattati. Sono a terra, non ho modo di rialzarmi, e lasciandomi completamente. mi convinco che per me sia realmente finita. Di lì a poco, però, una nuova speranza. Qualcuno deve avermi sentita, e a modo suo, mi chiama per nome. Chance. Lo stesso cane che ricordavo di aver adottato nei suoi tempi da cucciolo, ora intento a correre ed abbaiare per tentare di mettere in fuga i Ladri. È vecchio e stanco, e forse non ci riuscirà, ma provando a rialzarmi, sorrido, avendo riposto in lui da anni la mia completa fiducia. Volendo solo aiutarmi, Stefan mi raggiunge subito, e senza abbassare la guardia, si libera con maestria dell'ennesimo verme intenzionato a colpirmi. Ha le mani sporche di sangue non suo, e lo stesso vale per le mie e il mio vestito, ma abituati, ormai non ci badiamo. Per un singolo secondo, gli stringo la mano, poi la mia attenzione torna sui piccoli. Voltandomi verso di loro, noto con piacere che i loro genitori stanno facendo quanto in loro potere per proteggerli, e lo stesso vale per Chance, ora impegnato a battersi al fianco di Aaron e Ava, suoi nuovi prediletti appena dopo Isaac, ancora malato ma deciso ad andare avanti. "Per Rose." Aveva detto più di una volta, rendendo la sua allora viva madre orgogliosa come non mai. Finalmente in piedi, ho deciso di non allontanarmi dal mio gruppo, e improvvisamente, mentre il silenzio minaccia di rendermi sorda, un altro suono mi distrae. Acuto e pietoso, al mio udito vagamente simile ad un pianto. Non potendo sopportare oltre, mi avvicino subito, scoprendo con orrore due facce della stessa e aurea medaglia. Rintanati in un angolo della piazza principale, i miei nipotini sono salvi, ma lo stesso non vale per l'eroe che li ha protetti. Sicuro di poter lasciare Aaron e Ava da soli, aveva semplicemente eseguito un ordine, sacrificandosi come pochi. Non lo credevo possibile nè vero, eppure era così. Chance se n'era andato. Ad occhi chiusi e con una ferita al fianco, giaceva immobile sul terreno, e il suo dorato cuore aveva ormai smesso di battere. A quella vista, quasi piansi, ma lottando per ricacciare indietro le lacrime, mi inginocchiai al suo fianco, pregando mutamente di essermi sbagliata. Piccola e innocente, mia nipote Erin mi si avvicinò, e così fecero Lienard e Cecilia, con le lacrime agli occhi proprio come me. Convinta che dormisse, una di loro lo chiamò per nome, ma questo non rispose, nemmeno con uno dei suoi soliti mugolii. Niente, da parte sua neanche il minimo rantolo. Così, dando per un attimo le spalle al suo cadavere, scoppiai a piangere sperando che i piccoli non mi vedessero, e rialzandomi da terra, scoprii attorno a me un cupo silenzio. Era finita. Era davvero finita. Un'insulsa guerra che mai aveva risparmiato nessuno aveva finalmente conosciuto la parola fine, e per strada ormai non c'era più nessuno. Solo noi, ovvero io e il mio intero gruppo di soldati, che ora piangeva silenziosamente la caduta di un membro tanto coraggioso quanto valido. Molti direbbero che era soltanto un cane, una vecchia palla di pelo senza alcun valore, ma non noi. Può sembrare strano, ma per noi il caro Chance era e sarà sempre un eroe, sacrificatosi con fierezza per la vita di tre anime innocenti, straziate dalla sua vista su quel duro selciato macchiato del suo sangue. Tristissima, mi avvicinai per l'ultima volta, e pur sapendo che non avrebbe certamente potuto sentirmi, gli sussurrai all'orecchio due sole parole. "Bravo, Chance." Un complimento che avevo ripetuto innumerevoli volte quando era in vita, avendo poi la gioia e la fortuna di vederlo scodinzolare. Sfortunatamente, ora non era nè sarebbe più stato in grado di farlo, e poco prima di lasciare definitivamente la piazza, teatro del nostro ultimo e cruento scontro con quei vili vermi senza cuore nè scrupoli, usai la daga al solo scopo di tagliare un ciuffo del suo biondo pelo, che l'età aveva provveduto a scolorire e che non avrei mai dimenticato. Poi, nella speranza di tener viva la sua memoria, gli tolsi il collare e osservai la medaglietta, che riportava come ben ricordavo, il nostro nome di famiglia e l'indirizzo. Fra una lacrima e l'altra, lo misi al sicuro nella tasca della mia veste piena di polvere e macchie scarlatte, e  andando alla ricerca di conforto, mi strinsi al mio Stefan, per poi tornare a casa e conservare i miei ricordi nel mio diario, in forma scritta e fisicamente tangibile. Passarono mesi prima che mi abituassi alla sua morte e a tutto il dolore che la battaglia ci aveva causato, e dopo appena sei, dovetti farmi forza e sorridere mentre chinavo il capo di fronte a mia madre per la mia incoronazione. In quanto mio marito, a Stefan toccò la stessa sorte, e fu allora che stringendoci le mani, in piedi di fronte a tutta la bella e umile Aveiron, finalmente libera, ci baciammo, suggellando per l'ennesima volta una promessa d'amore che nessuno di noi due avrebbe mai osato rompere. Così, felice e sicura di aver operato per amor del bene, divenni regina, e come mio primo atto da regnante, scelsi di celebrare le nozze di mia figlia Terra, che accettò la proposta del suo Trace senza esitare. Poco tempo dopo, fu il turno di Rachel e Lady Fatima, felici dell'abrogazione di una legge tanto stupida quanto bigotta e finalmente libere di amarsi ed essere le splendide persone che erano sempre state, ovvero due donne sicure del proprio amore, ora mogli e madri di un bambino. Come ogni vittima di questa guerra, Chance non fu mai dimenticato, e sepolto dopo un rispettoso funerale nel giardino della nostra casa ad Ascantha, libero dalle sofferenze e dagli acciacchi della vecchiaia, e pronto a tornare a correre e giocare come aveva sempre fatto, percorrendo infinite volte quello che Erin, Cecilia e Lienard avevano sempre saputo chiamarsi "Ponte dell'Arcobaleno." Una metafora dolce e colorata per dei bambini come loro, che con l'andar del tempo li avrebbe convinti della sua felicità dopo la fine della sua esistenza. Sempre ad Ascantha, Lady Bianca ha sapientemente saputo occuparsi delle adozioni dei restanti cuccioli di Myra, ora rimasta sola con il piccolo Max. Dopo la sua adozione da parte nostra, erano rimasti in tre, e stando alle parole che affidò ad una lettera, avevano tutti trovato ognuno una casa piena d'amore. Silenziosa, sedevo non più nella mia semplice stanza ma sul mio vero trono, con l'uomo della mia vita al mio fianco e una sola certezza nel cuore. Insieme, noi e il nostro gruppo ne avevamo passate tante, forse perfino troppe, e rileggendo ancora una volta il mio diario ora completo, compresi che in un modo o nell'altro, eravamo tutti passati attraverso sette distinte fasi. Eravamo stati soli e dimenticati, avevamo svelato tutti i segreti del regno, fronteggiato oscure minacce in miriadi di cruente ma entusiasmanti battaglie, lottato strenuamente in una guerra continua fino a dividerci in vittime e complici, e poi, finalmente, visto la radiosa luce di un nuovo domani, dopo mille speranze e un'ultima battaglia che aveva coinvolto non solo noi ma l'intero e ora di nuovo fiorente regno.        
 
 
Un caloroso saluto a tutti i miei lettori. Così, con questo sessantesimo capitolo, a dir poco dolceamaro, si concludono le Cronache di Aveiron e le avventure della nostra cara Rain, ora finalmente felice di vedere come tutto sia in qualche modo tornato alla normalità. La guerra è finita, e Aveiron si rialza, fiorisce e prospera di nuovo. Ringrazio di cuore ogni persona che mi ha seguita in questo lungo viaggio protrattosi per circa un anno, e prima di andare, vi invito a fantasticare e a chiedervi cosa sarebbe accaduto se il destino avesse avuto piani diversi per tutti i nostri eroi, sperando che vi lasciate poi vincere dalla curiosità e leggiate quelli che solo in pochi conoscono come "Racconti perduti di Ascantha." Grazie ancora di tutto il vostro supporto, e alla prossima,
 
Emmastory :)

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