2199 giorni

di Ilenia_Pedrali
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Giorno 10 ***
Capitolo 2: *** Giorno 15 ***
Capitolo 3: *** Giorno 30 ***
Capitolo 4: *** Giorno 40 ***
Capitolo 5: *** Giorno 100 ***
Capitolo 6: *** Giorno 200 ***
Capitolo 7: *** Giorno 365 ***
Capitolo 8: *** Giorno 730 ***



Capitolo 1
*** Giorno 10 ***


1.
 
Dopo il Praimfaya: giorno 10
 

CLARKE.

 
«Bellamy! Bellamy! Mi senti? Ti prego, ti prego, dimmi di sì. Se mi senti vuol dire che sei vivo e ho bisogno di sapere che tu lo sia. Ti prego, Bellamy, rispondi!»

Le lacrime di Clarke impregnano i suoi abiti.

«Bellamy… sono sopravvissuta. Il sangue nero… mi ha protetta, proprio com’è successo a Luna. Ci ho messo un po’ a riprendermi e a trovare questa piccola parabola ma dovevo contattarvi. Dovevo contattare te e gli altri. Stai bene? State tutti bene? Ti prego, ho bisogno di saperlo. Ti prego»

Pausa.

«Ti prego, Bellamy, rispondimi»

Niente.

Chiude la comunicazione, affranta e sconvolta. Si lascia cadere a terra e piange. Spera con tutto il cuore che siano riusciti a farcela, che siano riusciti a sopravvivere. Lei ci è riuscita senza sapere bene come. Pensa di esser rimasta svenuta a lungo prima di riprendersi. Le bolle ormai sono scomparse, come le sue speranze che fosse tutto un incubo.

È l’unica superstite all’Onda Mortale, l’unica. È sola al mondo. Sua madre nel bunker, Bellamy nello spazio. Senza sapere se sia vivo, senza avere la possibilità di contattare nessuno. Ha bisogno di sapere che stanno tutti bene. Che Bellamy stia bene.

Bellamy.

Afferra il walkie-talkie e raddrizza la parabola.

«Bellamy, rispondimi. Ti prego. Ho bisogno di sapere che tu sia vivo. Ti prego, ti prego»

Le lacrime scendono copiose, sembra impossibile fermarle.

Per un attimo il cervello la riporta al loro ultimo sguardo. “Sbrigati” gli aveva detto, disperata all’idea che lui potesse rischiare di non salire sulla navicella. Non era riuscita a dire altro. Prima, prima di andare ad attivare la corrente, era riuscita solo a farsi promettere da Bellamy di usare la testa, e non solo il cuore, come faceva di solito.

Lei era la mente, lui era il cuore.

E la risposta di lui l’aveva sconvolta, “Ho te per questo”. Come se l’uno non potesse sopravvivere senza l’altro.

Ed era vero.

Lei non poteva sopravvivere senza Bellamy.
 
 
*
 
 
BELLAMY
 

Bellamy guarda la Terra. Sembra ancora una palla infuocata e letale.

Ormai ha preso l’abitudine di recarsi lì ogni giorno, da solo. Lo sa che è stupido, ma spera di rivederla. Come se potesse spuntare da quell’inferno e lanciargli un segnale per indicargli che è viva e che sta bene. Spera che ce l’abbia fatta e che il suo sangue nero l’abbia salvata.

Clarke.

La sua Clarke.

Sente gli occhi pizzicare quando ripensa a lei.

“L’ho lasciata indietro”.

Una maledizione, una tortura. L’ha lasciata indietro a morire e lui si è salvato. Lei è rimasta giù e, con ogni probabilità, è morta. Ancora una volta salvando tutti.

Le lacrime gli scorrono sulle guance e Bellamy si aggrappa al grande oblò che gli fa vedere il pianeta maledetto.

L’unica volta in cui ha usato il cervello e non il cuore e l’ha tradita, l’ha lasciata indietro.

Clarke.

La sua Clarke.

Non le aveva detto nulla, non aveva pensato neanche per un secondo che quelle sarebbero state le loro ultime parole.

Altrimenti, cosa le avrebbe detto?

“Clarke, torna da me, ti prego”.

Un pensiero tanto irrazionale quanto doloroso. Ma Bellamy non aveva altro.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ciao a tutti! :)
Ho idea di cominciare questa nuova ff basandomi sul finale della 4 stagione! Che ne dite, vi piace?
Fatemi assolutamente sapere che ne pensate nei commenti!
Un abbraccio,
Ile

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Capitolo 2
*** Giorno 15 ***


2.
 
Dopo il Praimfaya: giorno 15
 
 
CLARKE
 

«Bellamy, mi senti? Bellamy… Rispondi, ti prego. Rispondimi»

Il laboratorio di Becca non le è mai sembrato tanto triste. È seduta a terra a gambe incrociate, una mano sul walkie-talkie e l’altra lungo il fianco. Ogni giorno è una tortura. Ogni giorno è peggiore del precedente. Cerca di respirare. Ha bisogno di sapere qualcosa, qualunque cosa. Non può andare avanti così, non ce la può fare.

«Bellamy… Stai bene? State bene? Ti prego… dimmi qualcosa, qualunque cosa. Finirò per impazzire qui da sola, lo sento. Bellamy…»

Ma dall’altra parte solo silenzio.

Clarke si alza lentamente e si avvicina alla zona del laboratorio utilizzata da Raven. I monitor sono ancora silenziosi e bui. Il Praimfaya ha ancora tutto il pianeta sotto scacco.

«Bellamy, dì a Raven che si piegherebbe dalle risate se mi vedesse qui. Non so cosa fare per attivare i monitor, quindi non ho la minima idea di come sia lì fuori»

Una risata isterica le scivola tra le labbra e le lacrime continuano a bagnarle le guance. Le stesse lacrime che poco tempo prima bagnavano le spalle di Bellamy mentre la stringeva a sé. Lui era l’unico con cui Clarke riuscisse a mostrarsi fragile. Non aveva mai mostrato a nessuno quel lato di sé. Tranne a lui.

Tranne a Bellamy.

Quando aveva saputo di non poter salutare sua madre, lui si era precipitato a prenderla tra le sue braccia, accarezzandole la treccia bionda, lasciando che lei si aggrappasse a quel contatto.

Ora più che mai sentiva il bisogno di averlo lì e di lasciarsi avvolgere dal suo corpo. Bellamy Blake toccava corde dentro il suo cuore. Nessuno avrebbe potuto dire il contrario.

Aveva bisogno di lui.

Non poteva, non voleva sopravvivere senza Bellamy.

«Bellamy…» la voce nel walkie-talkie interrotta dai singhiozzi, «Ho bisogno di te»
 

 
*
 
 
BELLAMY
 

«Devi mangiare qualcosa Bellamy»

Raven gli porge una ciotola, lo sguardo preoccupato.

Sono seduti a terra, tutti insieme. Gli sguardi di tutti sono per lui.

«Non ho fame»

Bellamy si alza e si allontana. Torna al solito oblò, vuole stare da solo.

Non riesce a farsi guardare in quel modo. Sa cosa stanno pensano tutti quanti. Pensano che sia a pezzi per aver perso la donna che amava. E pensano che lui si senta in colpa per averla lasciata indietro. Aveva notato gli sguardi fugaci che gli altri si scambiavano al suo passaggio, tutte le volte che lui entrava in una stanza o ne usciva.

Ma la verità era un’altra.

Lui non aveva perso la donna che amava.

Lui aveva perso Clarke.

La sua Clarke.

Come se si fosse reso conto solo ora dell’intensità di ciò che prova, Bellamy si fa cadere a terra, lo sguardo fisso sul pianeta sotto di sé. Raccoglie le ginocchia tra le sue mani e lacrime silenziose gli offuscano la vista, scendendo copiose. Il dolore gli esplode dentro all’improvviso, diventa un dolore fisico.

L’aveva lasciata indietro.

Lei, lì da sola, senza di lui.

Come poteva sopravvivere con questo peso?

Si asciuga gli occhi con rabbia, quasi per cancellare quel dolore tremendo.

Lui non aveva perso la donna che amava.

Lui aveva perso la donna che ama.

La sua Clarke.

E non le aveva mai detto niente.

Non le aveva detto che l’amava. Da sempre.

Ora non avrebbe potuto dirglielo mai più.


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ciao a tutti! :)
Ecco il secondo capitolo, spero sia all’altezza del precedente! Vi piace?
Fatemi sapere che ne pensate nei commenti!
Grazie mille per tutte le recensioni che mi avete lasciato! <3
Vi abbraccio,
Ile

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Capitolo 3
*** Giorno 30 ***


3.
 
Dopo il Praimfaya: giorno 30
 

CLARKE


Fa una smorfia mentre mastica quell’intruglio rivoltante. Era riuscita a trovare una piccola cantina con del cibo in scatola. Lì nel laboratorio di Becca. Razionava il cibo il più possibile. I monitor erano ancora spenti e non si fidava ancora a mettere il naso fuori.

Era sopravvissuta, aveva il sangue nero. Ma era debole e stanca.

Davvero stanca.

Si sentiva come se le sue energie non potessero mai ripristinarsi. E soprattutto, Clarke si sentiva sola.

Un mese, solo un mese in solitudine e già si sentiva impazzire.

Era diverso rispetto a quando aveva lasciato Camp Jaha dopo il disastro di Mount Weather. Lì sapeva che li avrebbe trovati, se solo avesse voluto. Se solo fosse tornata indietro.

Ora invece non poteva vedere nessuno. I suoi amici potevano essere benissimo morti nello spazio, così come sua madre e gli altri nel bunker.

“Devi avere speranza” si diceva, ogni giorno “Devi essere forte”.

E quando sentiva questa speranza vacillare, afferrava il walkie talkie. Una, due, venti, trenta volte al giorno: Clarke afferrava tutto il materiale e parlava a Bellamy, con la speranza che lui le rispondesse. Aveva provato anche a contattare sua madre, ma nemmeno lì era stata fortunata.

«Bellamy…» comincia a dire, «se mi senti, vuol dire che sei vivo. E ho bisogno di sapere che tu lo sia. Sono passati 30 giorni dal Praimfaya e ancora non ho sentito nessuno. I monitor sono silenziosi… beh, un po’ tutto è silenzioso qui, in realtà»

Si interrompe, trattiene un sospiro doloroso.

«Bellamy… ascoltami. Ho bisogno di te. Ti prego, torna da me, ti prego. Non posso farcela da sola. Non per cinque anni»

Una risata isterica le affiora alle labbra.

«La grande Wanheda… che ridere eh? I Grounder riderebbero fino alle lacrime se mi vedessero qua, rannicchiata e in attesa di qualcuno»

Si asciuga una lacrima, diventa sempre più difficile evitare che il dolore e la paura esplodano.

«Bellamy… ascoltami, c’è una cosa che devo dirti. Grazie per aver seguito il mio consiglio e di essere partito senza aspettarmi. Hai fatto la cosa giusta. Hai usato la testa, proprio come ti avevo detto. Se non l’avessi fatto, saresti morto tu e sarebbero morti gli altri. So che sarà difficile per te, ma non sentirti in colpa, ti prego. Hai fatto la cosa giusta»

Stavolta non riesce a non piangere.

«Bellamy, ho fatto di tutto per sistemare la parabola e farvi avere l’elettricità, te lo giuro. Ti giuro, Bellamy, ci ho provato. Te lo giuro. Dimmi che ce l’ho fatta, dimmi che siete vivi. Bellamy, rispondimi, ti supplico. Non posso stare senza di te. Non posso farcela»

Chiude la comunicazione, le lacrime tagliano il suo viso come coltelli.

E se fosse sopravvissuta per niente? Se i suoi amici fossero morti nello spazio per colpa sua? Se non fosse riuscita ad attivare la corrente? Si, il display aveva detto che si era connessa ma poi tutto era diventato buio.

Fa un respiro profondo. Riesce a riacquistare il controllo.

Il segnale era diventato verde, proprio come aveva detto Raven. Erano vivi.

Dovevano essere vivi.

“Non perdere la speranza, sii forte”.

«Bellamy. Sono viva, sto bene. Non ho perso la speranza, so che ci rivedremo»

 
*
 
 
BELLAMY
 

Guardando Emori e Murphy abbracciati insieme addormentati, Bellamy sentì una fitta di dolore attraversargli il petto.

La loro camera da letto comprendeva dei sacchi a pelo trovati in un armadietto vicino alla zona dei motori e le loro tute antiradiazioni. Il meglio che erano riusciti a fare, per il momento.

C’era una strana atmosfera, sull’Arca.

Come se nessuno avesse veramente voglia di pensare a cosa potesse significare stare per cinque anni nello spazio, solo loro. Ma soprattutto, nessuno aveva voglia di pensare a tutte le persone che avevano lasciato indietro o che avevano perso e che forse non avrebbero mai più rivisto.

Clarke sembrava il filo conduttore per tutti loro.

Le volevano bene tutti e mancava a tutti, specialmente sapendo quanto le fosse costato il suo ultimo sacrificio: lei era morta per salvare loro.

Raven soffriva in silenzio e con rabbia, Monty e Harper cercavano di rendersi utili, Echo e Emori erano ancora troppo spaesate dalla vita nello spazio ma riconoscenti, Murphy osservava Bellamy di sottecchi e si stringeva a Emori, quasi avesse paura che gli potesse capitare la stessa tortura.

Bellamy cercava di non farsi sopraffare dalle emozioni. E quando capitava, quando il dolore era così lancinante da spezzarlo in due, si ritirava nel suo mondo e se ne stava da solo.

Tenere la mente e le mani impegnate non era sufficiente. Si sentiva vuoto, come se una parte di lui fosse morta con Clarke.

La tortura peggiore era immaginarla lì tra loro, mentre si affaccendava, mentre si arrabbiava, mentre faceva la cosa giusta, mentre si faceva carico di responsabilità troppo grandi. Bellamy guardava la Clarke dentro di sé e si rammaricava ancora una volta di non aver fatto niente, di non aver detto niente.

Si disperava sapendo che non avrebbe mai più potuto stringerla a sé, accarezzarle i capelli.

Assaggiare le sue labbra per la prima volta.

«Bzzz… bzzzz…»

Un rumore metallico attraversa l’Arca di colpo, scuotendo gli animi dei presenti e destandoli dal sonno.

«Avete sentito?»

Raven balza in piedi, la fronte corrucciata.

«Era la radio!» urla Bellamy.

Una strana energia sembra prendere possesso del suo corpo, una parvenza di sorriso gli illumina il volto stanco.

«Raven…» dice, rivolgendosi all’amica, «C’è ancora speranza»
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ciao a tutti!
Eccomi con il terzo capitolo, che ne pensate? Vi piace?
Fatemelo sapere nei commenti!
Come al solito, grazie a tutti coloro che mi hanno lasciato una recensione, grazie davvero <3
Vi abbraccio tutti!
Ile

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Capitolo 4
*** Giorno 40 ***


4.
 
Dopo il Praimfaya: giorno 40
 

BELLAMY


«Clarke! Clarke! Mi senti? Clarke! Sei viva? Rispondi Clarke, ti prego!»

Bellamy urla con tutta la forza di cui è capace, si aggrappa al microfono come se fosse il suo fucile.

«Clarke!»

Niente.

Nessun suono che gli faccia pensare ad una presenza umana dall’altra parte del filo.

«Che diavolo succede? Avete sentito anche voi un suono, perché non funziona un cazzo qua dentro?»

Raven e Monty si scambiano uno sguardo, sanno cosa sta succedendo e i loro cuori sono in pezzi.

«Bellamy… le linee radio non funzionano. È stata un’interferenza legata al Praimfaya. Anche se è stato un mese fa, ha generato correnti anche al di fuori dell’atmosfera, provocando suoni come quelli che hai sentito. Non c’è nessuno dall’altra parte Bellamy»

Le parole di Monty gli scavano la carne come se fossero artigli.

«Non lo puoi sapere. Non lo sai»

Bellamy quasi sussurra quelle parole, stringe il ricevitore tra le mani, lo sguardo confuso e il cuore martoriato dal dolore.

«Bellamy…» interviene Raven, dolcemente.

«Il sangue nero potrebbe averla salvata. Sapete che potrebbe essere vero»

Sente dentro di sé che Clarke potrebbe essere viva, potrebbe avercela fatta.

«Ho ancora speranza»

Raven vorrebbe credergli con tutto il cuore, vorrebbe che Clarke fosse viva tanto quanto Bellamy. Ma come sarebbe stato possibile sopravvivere sia al Praimfaya che ad una terra inospitale e radioattiva? Senza acqua, né cibo? Raccoglie una lacrima dentro di sé, stringe i denti. Fa un cenno a Monty ed entrambi lasciano la stanza.

Bellamy è solo nella stanza, il ricevitore ancora tra le mani.

«Clarke, mi senti? Sono io. Sono passati 40 giorni dal Praimfaya e siamo vivi. Grazie a te, siamo vivi. Ti prego, rispondi, ti prego. Clarke, ho bisogno di sapere che tu sia viva. Ho bisogno di dirti troppe cose… cose che non sono mai riuscito a dirti prima. Sto cercando di seguire il tuo consiglio e di usare la testa, ma fosse per me sarei tornato già giù a prenderti e portarti da me. Clarke, sono innamorato di te. Ti amo dal primo giorno in cui ti ho vista, Principessa. Eri una rompipalle impressionante, ti ricordi? Ma quando hai risparmiato la sofferenza ad Atom… e quando siamo stati nel bunker e ti ho insegnato a sparare, ti ricordi? Solo toccarti mi ha mosso qualcosa dentro. Vorrei toccarti ancora, Clarke, e stringerti a me. Scusami per non avertelo detto prima, per non averti baciata prima, per non averti amata prima. Rispondi Clarke, rispondi»

Resta in attesa, il silenzio lo divora.

La sofferenza lo taglia come un pezzo di carta, quella flebile speranza lo nutre come ossigeno.

«Bzzz…»

Alza la testa di scatto, gli occhi improvvisamente accesi di vita. Si gira verso la porta per chiamare gli altri, ma Monty è già lì.

«Bellamy… vieni a vedere»

Raggiungono il suo oblò ed eccola di fronte a loro: una scia luminosa, come un’onda, a poca distanza da loro e dalla Terra. Una scia di radiazioni è la responsabile dei suoni alla radio.

Nessuna chiamata dalla Terra.

Nessuna persona in vita.

Nessuna Clarke.
 


CLARKE
 

«Bellamy, sono io. Sono passati 40 giorni dal Praimfaya. Se mi senti, vuol dire che sei vivo. Sono sempre nel bunker di Becca, non è cambiato niente. Solo i monitor ogni tanto danno qualche segno di vita, forse l’ondata peggiore di radiazioni è davvero passata. Non mi fido comunque ad uscire. Sono sempre qui. Oggi ti ho disegnato. Pazzesco vero? Una volta disegnavo Lexa… ora disegno solo te. È come se mi stessi rendendo conto di alcune cose Bellamy. Come se il nostro rapporto si stesse delineando più chiaramente. Mi sento forte se penso a te e allo stesso tempo mi distrugge l’idea che dovrò aspettare 5 anni per vederti. Ma io sono qui Bellamy, mi senti? Dobbiamo parlare di troppe cose quando ci rivedremo. E non vedo l’ora di rivederti. Non perdere la speranza Bellamy, ok? Non perdere la speranza, io sono qui»
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ciao a tutti! Eccomi con il 4 capitolo!
Che ne pensate? Un po’ diverso dai precedenti!
Buona lettura e grazie per tutte le belle recensioni!
Un abbraccio,
Ile
 

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Capitolo 5
*** Giorno 100 ***


5.
 
Dopo il Praimfaya: giorno 100

 
 
CLARKE
 
«Bellamy, sono io. Mi senti? Se mi senti vuol dire che sei vivo. Sono passati 100 giorni dal Praimfaya. Le cose vanno un po’ meglio qui. I monitor hanno ripreso vita, credo che l’ondata peggiore di radiazioni sia effettivamente passata»

Clarke cerca di sorridere. Parlare la fa sentire meno sola.

«Immagino ogni giorno come sia la vita sull’Arca. Spero stiate tutti bene. Non deve essere facile lì solo voi sei, come non lo è qui per me. Ma ehi, stiamo ancora respirando no? E questo è l’importante. Ho deciso che uscirò da qui quando i monitor mi indicheranno un livello di radiazioni accettabile. So di poter sopravvivere, ma preferisco essere sicura al 100%. Forse qui penso che tu riesca a sentirmi e fuori no. Non lo so nemmeno io»

Si avvicina al monitor principale, lo sguardo e la mente concentrati sui valori indicati dallo schermo.

Superficie abitabile: 0%

No, ancora nessun miglioramento.

Clarke era comunque soddisfatta di ciò che aveva ottenuto fino a quel momento nel laboratorio di Becca. Aveva trovato libri su libri e si era messa a studiare: aveva studiato ogni angolo di quel laboratorio e ne conosceva tutti i segreti. I manuali di istruzioni che aveva trovato le avevano consentito di personalizzare i monitor e le loro funzioni e ora li guardava ogni giorno. Clarke li aveva impostati sulle sue caratteristiche genetiche derivate dal sangue nero e quelli le indicavano la percentuale di sopravvivenza del pianeta.

A volte, molto spesso in realtà, impostava la rotta che le aveva spiegato Raven per la navicella diretta all’Arca e cercava segni di vita. Ovviamente nessun monitor le avrebbe mostrato qualcosa di quel genere, ma non smetteva di sperare.

Si sentiva più speranzosa in realtà: aveva trovato delle carte bianche su cui disegnava i volti di tutti. Aveva disegnato Lexa, Raven, Octavia… e Bellamy. Sempre Bellamy. Tornava nei suoi schizzi come se fosse l’unica forma d’arte possibile.

Bellamy le mancava tantissimo. Aveva cominciato a ricordare eventi passati insieme e mai prima d’ora si era sentita così unita a lui. Non era solo stima quella che provava nei suoi confronti, si era auto-ingannata per non rovinare tutto e perché pensava che così sarebbe stato meglio. Ma dentro di sé aveva sempre sentito che Bellamy non poteva essere solo un amico. L’attenzione che gli rivolgeva, la vulnerabilità mostrata solo di fronte a lui. Neanche con Finn. Neanche con Lexa. Bellamy l’aveva sempre capita meglio di chiunque altro, persino meglio di sua madre. Si ricordava il giorno del Praimfaya e tutto quello che gli avrebbe detto se avesse saputo che quello sarebbe stato il loro ultimo incontro. Se il mondo le avesse dato un’altra chance, lo avrebbe amato fino alla fine dei suoi giorni.

«Bellamy, torna da me. Non perdo la speranza di rivederti. Torna da me, ti prego. Non ti ho mai detto una cosa importante. Torna da me»
 
 


BELLAMY
 

100 giorni dal Praimfaya. 100 giorni senza Clarke.

Lei continua a rimbalzargli in testa, è sempre nei suoi pensieri. È sempre con lui.

Così come il suo senso di colpa.

«Bellamy… le alghe sono pronte»

Lui segue Emori come un automa, scacciando il dolore come una mosca fastidiosa. Avevano piantato quelle alghe con estrema cura, in attesa. Ora finalmente il raccolto era pronto.

«Dove diavolo è Echo?» chiede la ragazza appena entrano. La terrestre non è nel posto in cui dovrebbe stare.

«Ci penso io» dice Bellamy, sa che può trovarla.

La terrestre non si era dimostrata un facile coinquilino fino a quel momento ma Bellamy sembrava l’unica persona che lei apprezzasse avere intorno. Anche se lo stesso non si poteva dire del ragazzo. La trova al SUO posto, l’oblò sulla Terra, e quella visione lo infastidisce. Come se quella ragazza stesse contaminando il posto riservato a lui e Clarke.

«Cosa ci fai qui? Dovresti essere di là a controllare le alghe»

Lei lo guarda, gli occhi stanchi e arrabbiati. Ha paura, ha ancora paura dello spazio. Si sente sola ed è l’unica rimasta del suo clan.

«Voglio stare da sola»

«Forza, Echo. Devi tirarti su e andare di là e aiutare gli altri. Muoviti»

Lei si irrigidisce.

«Penso di avere il diritto di stare così. Sono l’unica rimasta, ti ricordi? O forse solo tu hai il diritto di star male per aver perso la tua cara Wanheda?»

Quella risposta è uno schiaffo in piena faccia e la rabbia lo annienta come fuoco.

«Non osare parlare di lei»

Lei sospira, poi si alza e gli si avvicina.

«Mi dispiace, so quanto tenessi a lei»

Le sue scuse sembrano sincere ma Bellamy rimane fermo nella sua posizione, in silenzio. Lei gli stringe una spalla e lo lascia solo.

Bellamy lotta continuamente con il suo dolore. Ma deve resistere, deve andare avanti. Deve sopravvivere per Clarke, per onorare la sua memoria. Si avvicina all’oblò e prende un pezzo di vetro lì in terra, segna una barra orizzontale sopra quattro verticali. 100 giorni senza Clarke.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ciao a tutti!
Eccomi qui con il nuovo capitolo... ho introdotto questo dialogo con Echo perché sono sicura ce li faranno sorbire assieme (purtroppo…) ma spero di sbagliarmi!
Che ne pensate? Vi abbraccio,
Ile

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Capitolo 6
*** Giorno 200 ***


6.
 
Dopo il Praimfaya: giorno 200
 
 
 
CLARKE


 
Era l’unica sopravvissuta della Terra, la sola abitante al mondo. Ed era viva. Da 200 giorni, la ragazza viveva su un pianeta devastato dalle radiazioni, senza mai smettere di sperare e di lottare.

Non sapeva spiegarsi quell’improvviso ottimismo, ma si sentiva bene. Aveva usato la teca rotta da sua madre per impiantare dei semi trovati in una delle tante stanze del laboratorio, quello in cui Becca aveva studiato i geni botanici. Li aveva impiantati sul del fertilizzante prodotto da lei stessa e aveva seguito scrupolosamente le istruzioni dei diari della scienziata. L’acqua che utilizzava derivava dagli impianti idroelettrici del laboratorio, che era riuscita ad aggiustare dopo le prime settimane di disperazione post onda mortale. Ci aveva messo tutta sé stessa, consapevole che solo così sarebbe sopravvissuta e ci era riuscita.

Si ricordava i suoi pensieri in quel momento: “Sopravvivi, Clarke. Devi sopravvivere. C’è ancora speranza, non mollare”. Si faceva trainare dalla speranza di rivedere sua madre e i suoi amici, di rivedere lui.

Stavolta sorrise pensando a Bellamy. Afferrò la radiolina.

«Bellamy, sono io. Sono passati 200 giorni dal Praimfaya. Non vedo l’ora di rivederti. Mi manchi… mi manca tutto di te. È imbarazzante dirti queste cose, non avevo mai pensato a te in questi termini prima ma… è vero. Sei sempre stato tu Bellamy, al centro del mio universo. E io voglio essere al centro del tuo. Ti prego, non perdere la speranza. Sono qui e sono viva. Sto bene, ok?»

Non voleva dirgli troppo. Avrebbe detto il resto a voce, non appena le loro labbra si sarebbero incontrate.


 
 
BELLAMY


 
Bellamy continuava la sua guerra alla vita, arrabbiato con sé stesso e con il mondo. L’aveva lasciata andare e non se lo sarebbe mai perdonato.

Ma doveva andare avanti, lo sapeva, per lei. La sua Clarke. La sua amata principessa.

Perché non le aveva mai detto niente?

“Finn… Lexa… la fine del mondo. Quando avresti potuto?” cercava di giustificarsi.

Ma dentro di sé il dolore faceva spazio al rimorso di non essersi dato una chance, di non aver dato una chance a loro due.

Poi, una sera, qualcosa era cambiato.
In una delle sue tante notti insonni, Bellamy aveva camminato lungo il pezzo di Arca, sommerso dai suoi pensieri. Improvvisamente, tutti i ricordi tra loro avevano preso forma: Clarke che correva verso di lui dopo Mount Weather, Clarke che riusciva ad evitare a Finn una morte orrenda, Clarke che gli dava tutta la sua fiducia, Clarke che si lasciava avvolgere dalle sue braccia.

Quante cose non dette c’erano tra loro due? Quante cose sarebbe state diverse se solo avesse avuto il coraggio di parlarle? Se solo le avesse detto quanto l’avesse sempre amata?

Ma quando questi pensieri prendevano il sopravvento, li scacciava con forza e cercava di rimanere lucido: pensarci non l’avrebbero riportata da lui, non l’avrebbero fatta rivivere.

“C’è ancora una possibilità che sia viva, ha il sangue nero e Luna era riuscita a gestire le radiazioni, ricordi?” sussurrava una voce dentro la sua testa e Bellamy lottava per non lusingarsi, per non credere nell’impossibile, per non dover sopportare il dolore di averla persa sul serio.

Non lei.

Non la sua Clarke.

Quella notte, girovagando, era piombato in una piccola sala, poco illuminata. Vi erano una grande scrivania e delle attrezzature da disegno. Avvicinandosi, Bellamy per poco non aveva fatto un infarto. I suoi disegni, i disegni di Clarke. Di quando era una bambina. Probabilmente i suoi genitori la portavano con sé quando lavoravano in quelle zone, forse suo padre. Aveva riconosciuto subito il tratto del disegno, sia dolce che determinato e le lacrime avevano riempito i suoi occhi stanchi.

Aveva osservato quei disegni toccandoli con le sue stesse dita, come se così facendo Clarke fosse diventata ancora più parte di lui di quanto non fosse già. Poi se li era portati alle labbra, stringendoli forte, traendone forza ed ispirazione.

C’era ancora speranza.

“Clarke, non mollare, resisti. Ho ancora speranza”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ciao a tutti!
Stavolta ho aggiornato super velocemente eheh :P vi è piaciuto questo capitolo? Grazie ancora a tutti quelli che hanno commentato la mia storia, grazie infinite!
Questo capitolo è più un passaggio verso i cambiamenti che avverranno d’ora in avanti e spero vi sia piaciuto ugualmente!
Vi abbraccio,
Ile

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Capitolo 7
*** Giorno 365 ***


7
 
Dopo il Praimfaya: giorno 365
 
 
 
CLARKE
 
Un anno. Un anno da sola sulla Terra, un anno in cui l’unica compagnia di Clarke era lei stessa. Sorride, quasi in pace con sé stessa, quasi come se avesse ottenuto il perdono. Perdono per tutte le azioni compiute nel modo sbagliato ma per un pensiero che ancora riteneva il suo credo. “Salva la tua gente” era ciò che l’aveva sempre guidata, la speranza che l’aveva sempre sostenuta.

“Sopravvivi, resisti” era ora il suo mantra, il suo unico scopo. Doveva pensare solo a sé stessa e sopravvivere. Resistere. Diventare più forte.

E in cuor suo sapeva di essere sulla buona strada.

Oggi, per la prima volta, sapeva che di lì a poco avrebbe rimesso piede sulla Terra. Sapeva che le probabilità indicate dal computer erano ancora lontane dal pieno indice di sopravvivenza, ma elargivano un incoraggiante 50% e lei non avrebbe resistito tanto più a lungo.

«Bellamy, sono io. Sono passati 365 giorni dal Praimfaya e se mi senti, vuol dire che sei vivo. Oggi è stata una giornata positiva, come spero siano tutte le tue giornate. Tra poco metterò piede sulla Terra, Bellamy, ancora una volta. Sarò qui a vedere quanta erba sia ancora rimasta e chissà… magari qualche sopravvissuto. Non lo so, lo spero. Ti prego, dimmi che va tutto bene lì. Io vi penso. Ti penso sempre»

Appoggia la radiolina sulla scrivania di Becca e afferra un disegno prodotto la notte precedente. un disegno di Bellamy. La curva delle labbra, le onde dei capelli, gli occhi. Scuri ma profondi. Come l’oceano. Un oceano di dolore. Stringe a sé quel volto e quello sguardo, chiedendosi quante cose sarebbero state diverse se solo si fosse resa conto prima di quei sentimenti. E ancora faceva fatica a comprenderli.

Aveva amato sia Finn che Lexa e non li avrebbe mai dimenticati, ma… erano nel suo passato e non nel suo futuro. Bellamy era sempre stato a suo fianco e lei sentiva il bisogno di averlo accanto a sé. Come se la sua sola presenza bastasse a rinvigorirla, a darle la carica giusta per affrontare quella che era ora la sua vita.  Bellamy le aveva sempre dato il suo supporto incondizionato. E lei non l’avrebbe mai ringraziato abbastanza per questo, se non dandogli una fiducia così cieca da risultare a lei stessa di difficile comprensione. Cosa c’era di diverso, di speciale, in Bellamy, tanto che Clarke Griffin riuscisse ad abbandonare le proprie difese?

Di notte, al buio, tuttavia, i dubbi le insinuavano la mente e non la lasciavano riposare in pace: sprofondava in un oblio di dolore e di ricordi così forte da urlare e piangere fino a non avere più fiato.

“E se ti stessi sbagliando? E se Bellamy ti avesse già dimenticata? E se non fossi mai stata importante per lui? Magari non si ricorderà neanche di te. Sei da sola, Clarke. Sola”

Quando quella voce entrava nella sua testa, ogni tentativo di scacciarla si rivelava inutile e doloroso. Ripercorreva il volto di Bellamy con la matita e con i ricordi, ma niente sembrava mai sufficiente.

Allora eccola, la soluzione: parlare con lui.

“Deve sentirmi. Lo so che mi sente.”

«Bellamy, sono io. Mi senti? Torna da me, ti prego. Mi manchi»
 

 

 
BELLAMY
 
73 barrette, di cui 4 orizzontali e una verticale. Totale 365 giorni. Erano nello spazio da quella che sembrava già un’infinità di tempo.

Bellamy solleva lo sguardo, osserva il pianeta sotto di sé e si concentra. Lo sguardo corrucciato, le sopracciglia ora vicine. Deve andare avanti, lo sa ma fa fatica ad obbedirsi.

Nell’anno appena trascorso, Clarke era stata nella sua mente ogni singolo giorno. Ricordarla aveva reso difficile tutto: da un lato la speranza che il sangue nero l’avesse salvata, dall’altro che fosse morta per sempre e che non l’avrebbe mai più rivista.

Poi un altro pensiero aveva cominciato a prendere forma: se anche il sangue nero avesse potuto salvarla, come sarebbe potuta sopravvivere al Praimfaya? Un’onda mortale di quelle dimensioni avrebbe spazzato via chiunque si trovasse sul suo cammino. Solo successivamente il sangue poteva funzionare, ma prima?

Era impossibile. Se fosse riuscita a sopravvivere al Praimfaya in tempo, allora sarebbe stata nello spazio insieme a loro. O no?

Era come se una parte di lui non credesse a queste possibilità, troppo remote per essere vere, mentre un’altra lo implorasse di darsi ascolto, di dare una chance a Clarke e al sangue nero.

A cosa credere?

Lui fino a quel momento aveva covato una speranza tale dentro di sé da impedirgli di sentire la fatica, il dubbio, a volte perfino il dolore. La fiducia in Clarke e la speranza così forte erano talmente vive da accompagnarlo ogni giorno in qualsiasi attività svolgesse. Ma a che scopo?

Gli ultimi 100 giorni li aveva passati costruendo una parabola che potesse raggiungere la Terra e il progetto si era rivelato un fiasco totale. Radiazioni e radiazioni, non poteva sentire altro.

Possibile che Clarke fosse ancora viva?

Allora aveva afferrato la radiolina collegata alla parabola e le aveva portate con sé nel suo oblò sulla Terra, scrutando con gli occhi una qualsiasi frazione di vita.

«Clarke, sono Bellamy. Mi senti? Se si, vuol dire che sei viva e che stai bene. Sono passati 365 giorni dal Praimfaya, non ho ancora perso la speranza»
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ciao a tutti!
Eccomi tornata con il nuovo capitolo! Che ne pensate?
Vi auguro tanto mare e tanto sole :P Buone vacanze!
Un abbraccio afoso,
Ile

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Capitolo 8
*** Giorno 730 ***


8.
 
Dopo il Praimfaya: giorno 730

 
 
 
CLARKE

 
Si sveglia di soprassalto, annaspando alla ricerca di aria, improvvisamente seduta sul suo giaciglio. Il buio del bunker la avvolge come i suoi incubi. È duro, freddo ed opprimente e le sta togliendo ogni possibilità di luce.

Cerca di dare un ritmo al suo respiro, ogni movimento del diaframma controllato per riconquistare la padronanza del proprio corpo.

Sempre lo stesso incubo, da quasi un anno. Sogna i suoi amici, senza di lei; sogna che la dimenticheranno. Sogna di rimanere da sola per sempre.

“Clarke, calmati, va tutto bene”.

Va meglio.

Strano riuscire a calmarsi immaginando la voce profonda e rassicurante di Bellamy. Ma, fondamentalmente, non è una sorpresa.

Si sdraia nuovamente, incrociando le braccia dietro la testa. Guarda il soffitto come se potesse raggiungere lo spazio solo con lo sguardo.

Due anni da sola sulla Terra e nessun cenno di vita dallo spazio o dal bunker. Ogni giorno sembrava sia migliore che peggiore del precedente. Era riuscita nell’impresa di coltivarsi del cibo tramite il cibo delle scatolette, ottenere acqua potabile modificando l’acqua raccolta al di fuori del bunker, viveva con ciò che poteva e con il massimo delle sue forze. Gli appunti di Becca erano ormai i suoi appunti, i libri scientifici i suoi migliori amici.

Dopo un anno e duecentocinquanta giorni, era finalmente riuscita a mettere piede sulla Terra. Il monitor aveva indicato un prezioso 70% dopo mesi e mesi in cui i valori erano risultati sballati e Clarke aveva osato. Ogni passo verso l’uscita era stato una lotta interiore: uscire? Non uscire? Rischiare?

Aveva rischiato. E aveva vissuto.

L’aria le aveva fatto sanguinare il naso non appena aveva sferzato il suo casco protettivo. Il sole l’aveva quasi accecata e le si erano piegate le ginocchia.

11 secondi.

Ecco il tempo che aveva speso sulla Terra la prima volta.

Poi, piano piano, sempre di più. Un minuto, cinque minuti, un quarto d’ora, un’ora intera.

Ora riusciva a stare fuori ben cinque ore senza sentirsi male. Ci voleva tempo, e lei ne aveva da vendere. A volte raccoglieva dell’acqua in un fiume vicino per poi modificarla in laboratorio, a volte afferrava dei ciuffi verdi dal terreno in cui un tempo cresceva erba, a volte osservava il cielo con le lacrime agli occhi e soffriva la solitudine e l’incertezza.

Non sapere era la parte peggiore.

Era difficile, specialmente di notte. Di giorno si teneva impegnata studiando qualsiasi cosa possibile, ma di notte la solitudine le graffiava il petto come una rosa ricolma di spine. Allora aveva imparato a calmare il respiro e a concentrarsi su pensieri felici o speranzosi.

La speranza era la sua ancora, la teneva in vita e la infiammava come un incendio.

“Coraggio Clarke, altri tre anni e poi rivedrai tutti. Devi sopravvivere per rivederli tutti”

Ed ecco che prendeva le uniche due cose in grado di proteggerla dal dolore: il disegno e la radiolina. Tracciava linee, contorni, paesaggi, sogni ed emozioni. Finn, Raven, Octavia, Kane… aveva disegnato tutti.

Ma non poteva mentire a sé stessa, non più. Sfumando quegli occhi scuri, il volto di Bellamy prendeva forma non solo su quel foglio, ma anche nel suo cuore.

“Devo sopravvivere per rivedere Bellamy”

Allora prendeva la radiolina e indirizzava la parabola.
 
 
 


 
BELLAMY
 
 
«Clarke, sono io. Sono passati 730 giorni dal Praimfaya»

Una pausa.

«Principessa, ho un posto solo mio qui sull’Arca. Ogni giorno vengo qui e guardo la Terra, sperando di cogliere qualsiasi segno di vita che mi faccia pensare che tu sia sopravvissuta e che possiamo rivederci. Ogni fibra del mio essere aspetta solo di vedere qualcosa, sa che potresti avercela fatta. Ma… così non riesco più ad andare avanti. Più il tempo passa e più mi rendo conto che le mie sono solo speranze vane e dolorose. Speranze che mi tengono sveglio la notte e che mi stanno divorando, giorno dopo giorno. Non riesco a dormire da due anni, mangio come un lattante, non ho più le forze. Ti ho tradito, Clarke. Ho tradito la tua memoria. Mi avevi detto di seguire la testa ma ho seguito il mio cuore. Mi sono lasciato andare e non sono riuscito a fare ciò che mi hai chiesto. Ho fallito. Ti prego, Clarke, perdonami. Scusami se ho lasciato che il mio cuore spezzato prendesse il sopravvento e distogliesse l’attenzione dal fare ciò che mi hai chiesto, di essere un vero leader. Ho fatto troppi errori nella mia vita, ma questo è il peggiore di tutti. Ti ho lasciata andare e con te anche la mia promessa»

Una lacrima gli scende sulla guancia.

L’ultima.

«Devo lasciarti andare, Clarke. Devo andare avanti. Non posso più vivere con questa disperazione, mi sta trascinando nella pazzia. A volte penso che mi ucciderà continuare a credere che tu sia viva, continuare a sperare. Ho sempre sperato, ma ora devo guardare avanti. Devo essere un leader migliore, quello che tu hai sempre sostenuto che fossi. Quello che ti ho promesso sarei diventato. Ti prego, perdonami»

Si asciuga gli occhi, deve farlo per lei.

«Ti amo, Principessa. Questo nessuno potrà mai cambiarlo. Ma non posso disonorare la tua memoria e lasciarmi sopraffare dal dolore. Devo usare il cervello e mettere in pausa il cuore. Devo essere il leader che tu speravi che fossi. E per farlo, devo lasciarti andare. Ti prego, perdonami. E perdonami per non aver mai avuto il coraggio di riconoscere i miei sentimenti, per non averti mai detto ciò che ho sempre provato per te, per non aver dato una chance a noi due quando avrei potuto farlo. Non averti potuta amare quanto volessi è il mio rimpianto più grande. Addio, Clarke. Ti amerò per sempre»

Appoggia la piccola radio in un’incavatura vicino al suo oblò. Le mani che tremano mentre ripone quell’oggetto e le speranze che esso rappresenta.

Ma non può fare altrimenti.

Per la sua negligenza e per il suo dolore, Emori aveva rischiato di morire.

E lui aveva delle responsabilità.

Sopravvivere voleva dire riconoscere il sacrificio di Clarke, riconoscere il suo coraggio e la sua volontà. Voleva dire lasciarla andare per fare ciò che lei gli aveva chiesto.

Getta un ultimo sguardo al suo oblò.

Poi esce chiudendo la porta.





























Ciao a tutti!
Eccomi qua con il nuovo capitolo! Spero non sia stato una delusione, è sicuramente diverso dai precedenti, specialmente in vista delle novità che arriveranno :)
Vi auguro buona lettura e grazie a chi vorrà lasciarmi una recensione!
Vi abbraccio,
Ile

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