Kingdom

di Bruschii
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue. ***
Capitolo 2: *** 0.1 ***
Capitolo 3: *** 0.2 ***
Capitolo 4: *** 0.3 ***
Capitolo 5: *** 0.4 ***



Capitolo 1
*** Prologue. ***


                       

97 anni.
97 anni prima dell'inizio di questa storia, della mia storia, sulla terra c'è stata un'apocalisse nucleare. L'intera popolazione mondiale è stata uccisa e la terra è stata lasciata nelle radiazioni. I sopravvissuti si rifugiarono sull'Arca, un'insieme di 12 stazioni spaziali operative al momento dell'esplosioni. 

100 anni.
Ci sarebbero voluti altri 100 anni per far sì che la terra tornasse vivibile. Altre quattro generazioni intrappolate nello spazio prima di tornare a casa, prima di tornare sulla terra.

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Capitolo 2
*** 0.1 ***


                                   

Drop Ship.

La mia vita? Difficile definirla. 
Per la prima parte di essa, non sono stata considerata nulla di speciale, su questo non avevo dubbi. Prima che la mia vita cambiasse radicalmente ero una ragazza come tante, che la pensava come tante e che stava vivendo una vita come tante. Dopo la mia morte, si sarebbero dimenticati facilmente della mia esistenza, proprio come era successo a molte altre persone prima di me, normali come me. Non ero un elemento fondamentale per la salvezza della mia specie, ma non mi lamentavo neanche della piccola opportunità che mi era stata data per mandarla avanti ogni giorno. I miei genitori lavoravano entrambi come ingegneri e, anche loro, come me, non erano fondamentali ma significanti. Sfortunatamente, morirono entrambi poco dopo la mia ammissione al corso di medicina, dalla quale erano già passati ben tre anni. Non avrei potuto salvarli comunque, dato che furono giustiziati. Non ero l'unica sull'arca alla quale mancavano entrambi i genitori, ma potevo considerarmi come una delle uniche rimaste sulla retta via. Ormai non mi era rimasto nessuno quando trovai conforto nei libri scritti anni prima, non avevo nessuno a cui raccontare i miei successi in ambito medico scolastico ma continuai comunque a cercare di rendere i miei genitori fieri di me nel modo più semplice che conoscevo, studiando a fondo le arti mediche e diventando la studentessa più brava del corso di competenze terrestri. Certo, anche nelle altre materie che avevo scelto, tipo ingegneria e botanica non me la cavavo male, ma avevo dovuto abbandonare i corsi per entrare in ambito medico. Nonostante la mia giovane età, ero già entrata a far parte del corpo infermieri, i quali visitavano i pazienti e aiutavano il medico durante le operazioni.

Per l'appunto, stavo visitando una bambina con i sintomi di quello che sarebbe sembrato un normalissimo calo di zuccheri a primo impatto, ma non solo io ero consapevole che tutto ciò che sentiva la bambina era mancanza di ossigeno. Stavo mentendo al padre della piccola, che dopo la visita mi si avvicinò per un parere, stavo recitando il mio solito monologo in cui spiegavo che non c'era nulla di anormale in un calo di zuccheri sull'arca e sarebbe bastato solamente riposo e sostanze zuccherate per qualche ora. Odiavo la situazione in cui ci trovavamo. Io avrei voluto aiutare le persone e non mentirgli, ma ero una delle poche a sapere del destino prossimo dell'Arca e non avrei voluto finire giustiziata, come invece è successo ai miei genitori e ad un caro amico di famiglia. Avevo appena finito di parlare con il grosso uomo quando Abby, il medico dell'arca, si avvicinò a me, chiedendomi di parlare in privato per una questione urgente. La sua domanda era quasi improponibile, ma il tono disperato di Abby mi fece accettare la sua richiesta assurda. Sono sempre stata una di quelle persone che cercano sempre di aiutare il prossimo, amici e non. E anche se ero convinta del fatto che sarei morta accettando di salire su quella navicella, non ebbi il coraggio di rispondere negativamente ad una domanda che non mi avrebbe fatto se non fossi stata la sua ultima speranza. Io, ormai, non avevo niente e nessuno da perdere, come nessuno aveva da perdere me, e dal suo sguardo trapelava il suo bisogno di un aiuto nel salvare centinaia di ragazzi. Su questo punto di vista io ed Abby eravamo proprio identiche, avremmo messo il bene della nostra gente davanti a tutto, rischiando anche la vita. Mi immaginai nella sua posizione e non riuscì a togliere l'opportunità ad Abby di sapere che sua figlia avrebbe vissuto. Appena annuii alla donna di fronte a me, sentii l'ago di una siringa farsi spazio tra la pelle del mio braccio, facendomi cadere tra le braccia della dottoressa Griffin pochi secondi più tardi, caduta in un sonno artificialmente profondo.

Fu allora che la mia vita subì una svolta che l'avrebbe modificata per sempre.

"...sacrificabili." Il cancelliere Jaha, la sua voce, accompagnò il mio risveglio. Mi trovavo in piedi, saldata alla parete grazie a delle cinture di sicurezza. Strinsi i tessuti resistenti tra le mie mani, mentre mi guardavo attorno. Ero circondata da ragazzi e ragazze di qualsiasi età, tutti intenti ad ascoltare o inveire contro lo schermo, il quale stava riproducendo un video del cancelliere. Non mi concentrai su quello, dato che Abby mi aveva già spiegato perché ci trovavamo su quella navicella e cosa dovevamo fare. Prima che potessi accettare di andare in contro ad un destino che non era il mio, mi aveva dato tutte le informazioni che le erano concesse di sapere. Alzai il polso per controllare l'ora sul mio orologio, restando sorpresa quando notai un bracciale in metallo al suo posto. Il bracciale pungeva sulla pelle, trapassandola. 
Inviava i nostri segnali vitali all'arca.
Non ero l'unica ad averne uno addosso, mi accorsi che ognuno di noi aveva il polso destro segnato all'acciaio. Riconobbi Clarke, la figlia di Abby e la ragione per cui mi trovavo dove mi trovavo in quel momento, mentre parlava con il figlio del cancelliere. Non sentii ciò di cui parlava, ma intuii che fosse abbastanza arrabbiata dalle facce che so stavano dipingendo sul suo volto.

"Athena? Sei tu?" Mi voltai verso la mia destra, verso il punto dal quale arrivò la voce che chiamava il mio nome. Mi affacciai leggermente, per poi riconoscere il ragazzo dagli occhi a mandorla che curai da una brutta ferita pochi mesi prima, nella mia stessa posizione, con solo un ragazzo tra di noi.

"Monty? Come va la mano?" Ero abbastanza felice di vedere un viso familiare, anche se non potevo credere che un ragazzo come Monty fosse stato imprigionato e, forse anche peggio, mandato a morire sulla terra. Cercai di allungarmi per poterlo vedere meglio,ma la posizione e le cinture tirate al massimo me lo impedirono.

"Bene, grazie a te. Ma cosa ci fai qui?" Stavo per spiegargli la situazione, quando la navicella iniziò a tremare e produrre strani rumori meccanici. Saltarono diverse luci, creando delle scintille volanti proprio davanti a me e agli altri due ragazzi alla mia destra, il tutto accompagnato da diverse grida. Quel caos totale durò per due minuti, per poi finire, assieme a tutto quel forte baccano.
Eravamo atterrati. Non aspettai nemmeno che le luci rimaste si stabilizzassero, ma sganciai subito la cintura che mi teneva stretta allo scomodo schienale dietro di me e mi avvicinai al ragazzo disteso sul pavimento, il quale non dava segni di vita. Clarke si accovacciò vicino al corpo prima di me, quindi lasciai controllare a lei. Il ragazzo, morto naturalmente, si era slacciato la cintura poco tempo prima dell'inizio dell'atterraggio per seguire altri due ragazzi, altrettanto stupidi. Anche un altro era steso atterra, con la testa sanguinante e un palo che l'attraversava.

"Il portellone è al piano inferiore. Andiamo." Sentii la voce di un ragazzo in lontananza quando posai una mano sulla spalla della ragazza inginocchiata vicino al corpo senza vita del giovane ragazzo steso a terra, facendola voltare verso di me e facendola uscire dalla piccola trance in cui era entrata. Stava guardando un'altro ragazzo, il quale riconobbi all'istante. E come dimenticarlo, con i capelli lunghi e lo sguardo sbruffone, colui che sprecò due mesi di ossigeno per 'fare una camminata' in mezzo allo spazio. Lo chiamavamo ironicamente 'passeggiatore lunare', ma questo non cambiava il fatto che i suoi reati erano belli pesanti. Clarke si voltò, guardandomi con una faccia stupita.

"Athena? Perché sei qui?" L'aiutai ad alzarsi, offrendole una mano che accettò volentieri. Appena fu di nuovo in piedi, mi portò le braccia dietro alle spalle e mi strinse a sé in un abbraccio. Avevo conosciuto Clarke appena iniziai il corso guidato da sua madre, quando lei era ancora a metà della sua adolescenza. Di solito io l'aiutavo a studiare competenze terrestri quando ormai mi trovavo all'ultimo anno, mentre lei cercava sempre di mettere buone parole su di me con sua madre per aiutarmi a passare meglio gli esami di medicina. Conoscevo bene sia sua madre, la mia insegnante, che suo padre, un amico dei miei genitori. Nonostante lavorassero insieme, io e Clarke ci conoscemmo poco prima delle loro morti. Passammo insieme infinite ore, lei che mi guardava imparare mentre io la guardavo crescere. La differenza di età, portata a confronto in quel momento, non era poi così tanta. Con i miei 22 anni, però, lei mi considerava comunque come la sorella maggiore che non ha mai avuto, che nessuno di noi ha mai avuto. Non la vedevo da mesi, cioè dal suo arresto. Non avevo dubbi sul perché Abby avesse scelto di mandarla sulla terra. Clarke avrebbe compiuto 18 anni dopo poche settimane e, a quel punto, sarebbe stata giustiziata per i suoi crimini. Spedirla sulla terra poteva essere considerata come una seconda occasione per lei, come per tutti gli altri adolescenti presenti in quella navicella. Molti di loro non erano neanche dei seri criminali, ma erano stati condannati per ragioni di poco conto. Clarke non era cambiata molto, anzi, nonostante fossero passati mesi dall'ultima volta che qualsiasi persona l'avesse vita, era proprio come la ricordavo, i suoi occhi azzurri inconfondibili e i suoi capelli color oro, così diversi dai miei.

"Rimandiamo le domande ad un momento migliore." Mi staccai dal suo abbraccio, indicando con un movimento della testa una porta posta sul pavimento, che conduceva al piano terra. Ci lasciammo dietro le spalle i due ragazzi, ormai non salvabili, avvicinandoci al scale in metallo, come tutta la navicella. Al nostro livello non era rimasto ormai nessuno quando scendemmo le scalette, io seguita da Clarke e il passeggiatore lunare, ragazzo del quale non conoscevo neanche il nome.

"State indietro, ragazzi." Vicino al portellone si trovava una guardia, con la tipica divisa indosso, un giovane uomo, con una mano già pronta sulla leva che avrebbe aperto le porte che ci separavano dal mondo che nessuno aveva mai visto in cent'anni. Spalancai gli occhi a quella visione, affrettandomi nello scendere le scale.

"Fermati." Ci fu silenzio totale dopo la mia voce. Tutti i ronzii, le urla e le farneticate sparirono, lasciandomi lo spazio che mi serviva per continuare. Finii di scendete le scalette, facendomi strada tra i ragazzi ed arrivando nel mezzo del piccolo semicerchio che si era creato attorno al portellone. 

"L'aria potrebbe essere tossica." Il ragazzo davanti a me mi osservò per un momento prima di rispondermi con determinazione.

"Se l'aria è tossica, siamo morti comunque." La sua voce bassa rispecchiava il suo aspetto cupo. I suoi occhi marroni mi scrutarono attentamente, fino a quando una voce femminile interruppe il nostro contatto visivo.

"Bellamy." Il silenzio continuò, questa volta tutti gli occhi si posarono su di una ragazza dai capelli lunghi. Sentì qualcuno borbottare qualcosa di quasi incomprensibile mentre lei, come avevo appena fatto io, si faceva strada per arrivare proprio davanti alla guardia con cui stavo avendo dei problemi. Dedussi il suo nome, Bellamy.

"Come sei cresciuta." Il suo tono era cambiato completamente rispetto a quando si era rivolto a me, pochi secondi prima. I due si abbracciarono per una frazione di tempo, poi la ragazza si staccò.

"Che cazzo indossi? Una divisa da guardia?" Dedussi anche che il giovane uomo non era veramente una guardia. Alzai un sopracciglio quando puntò velocemente lo sguardo su di me, riportandolo poi verso la ragazza dagli occhi azzurri e alzando l'angolo destro della bocca in un sorrisetto.

"L'ho presa in prestito per salire sulla navicella. Qualcuno deve pur tenerti d'occhio." I due si scambiarono un'altro abbraccio, questa volta di durata maggiore.

"Dov'è il tuo bracciale?" La voce di Clarke si fece spazio da dietro di me, interrompendo il momento che i due stavano avendo. La ragazza, della quale ancora non conoscevo il nome, si voltò verso Clarke con uno sguardo che l'avrebbe uccisa se solo avesse potuto.

"Ti dispiace? Non vedo mio fratello da un'anno." Notai gli occhi di Clarke allargarsi, suggerendo la sua sorpresa nel sentire quelle parole, mentre io cercavo di collegare i nomi alle facce. Quei due erano abbastanza famosi sull'arca, appena la loro madre venne uccisa, i fratelli erano sulla bocca di tutti. Sull'arca non era permesso avere più di un figlio, per una questione di popolazione. 

"È Octavia Blake. La ragazza che hanno trovato nascosta sotto al pavimento." Mi voltai verso la provenienza della voce, non riuscendo però a distinguere la persona da cui era arrivato quel commento così acido. Non fui l'unico a pensarlo, dato che la ragazza dai capelli neri di fronte a me fece per andare a cercare la commentatrice. Bellamy la tenne contro di lui, posizionandole un braccio attorno alla vita, mentre la ragazza si calmava e riportava lo sguardo verso il fratello.

"Octavia, ferma. Diamogli un altro motivo per ricordarti." Sembrava una persona totalmente diversa quando parlava con sua sorella. Una persona a cui importava, nonostante stesse mettendo a rischio la vita di 100 persone. Naturalmente, però, non potevamo di certo rimanere lì dentro per sempre, senza cibo, acqua e ossigeno.

"Tipo per cosa?" 

"Tipo, per essere la prima persona sulla terra negli ultimi 100 anni." Bellamy pose di nuovo la mano sulla leva, guardando nella mia direzione. Ci furono alcuni secondi di attesa, prima che la mia testa si alzasse e abbassasse, dandogli una specie di 'permesso' per aprire il portellone. Subito dopo, la leva venne abbassata, facendo spalancare lentamente la porta. Tutto quello che riuscì a vedere per un secondo era una grande fonte di luce. Il sole, visto dallo spazio, era ben diverso da come si poteva ammirare sulla terra. Dopo essermi abituata alla forte illuminazione, riuscì a distinguere diversi tipo di alberi. Era una distesa immensa di verde che si estendeva davanti ai nostri occhi increduli. Non ci saremmo mai potuti immaginare uno spettacolo simile, io non me lo sarei mai potuto immaginare se non lo avessi visto con i miei stessi occhi. Era completamente diversa da come la descrivevano i libri. Sembrava che non avesse mai subito l'intervento spietato della razza umana, con i suoi alberi alti e il terreno ricoperto da erba e foglie secche. Nessuno di noi aveva mai visto un albero da vicino ed erano giganteschi, molto più di quello che potevamo credere. Arrivò una folata di vento ed anche quella fu una sensazione del tutto sconosciuta. In lontananza si poteva sentire lo scrosciare interrotto delle acque di un fiume e il canto melodioso degli uccellini sulle cime dell'alta vegetazione. Attorno a noi si estendeva un bosco, che sicuramente continuava per chilometri e chilometri prima di interrompersi. Non avrei potuto descrivere con esattezza l'odore che sentivo in quel momento. L'aria era leggermente pesante, ma un profumo di quello che riconobbi come muschio ci circondava. Presi un bel respiro, come tutti gli altri d'altronde.
Vidi Octavia Blake camminare di fronte a noi, saltando fuori dalla navicella e assaporando l'ebrezza di quel momento. Il resto di noi era ancora dentro alla navicella, molti erano troppo emozionati per fare qualsiasi cosa. Perché anche se lo spazio era sicuro, ogni persona abitante dell'arca ne voleva scappare, e noi eravamo i primi in cento anni a riuscirci. Il mio sguardo cadde sul volto di Bellamy per un secondo, per poi riposizionarsi sulle spalle della ragazza dopo aver visto un accenno di sorriso farsi spazio sulle labbra del ragazzo di fianco a me.

"Siamo tornati, bastardi!" Le mani di Octavia si alzarono verso il cielo chiuse a formare due pugni. Il suo grido diede come una specie di consenso alle altre persone di muoversi. Iniziarono tutti a correre, venni superata da Clarke mentre mi prendevo il mio tempo per uscire dalla navicella. I miei piedi sul suolo fecero alzare un cumulo di polvere, mentre cercavo di abituarmi al suolo morbido. Mi lasciai finalmente sfuggire un sorriso che trattenevo da fin troppo tempo. Mi voltai e vidi Bellamy lasciare un bacio sulla guancia di sua sorella per poi inseguire un paio di giovani ragazze, mentre Octavia iniziò ad allontanarsi dalla navicella in fretta. Osservai i ragazzi correre felici per il bosco, non ne avevano mai avuto l'opportunità. Mentre, però, molti si erano messi a ballare e cantare canzoni di cui neanche conoscevano per bene le parole, io mi avvicinai a Clarke, la quale aveva perso tutta la sua contentezza. Aveva lo sguardo perso, mentre vagava dalla cartina alla montagna opposta alla nostra e viceversa, si era posizionata davanti ad un burrone, lontana da tutti gli altri. Era già in compagnia di Finn, il 'passeggiatore lunare', il quale aveva un'espressione da sbruffone dipinta sul volto come al solito. L'espressione di Clarke, però, poteva solo indicare guai in arrivo.

"Qual'é il problema?" Mi posi al fianco di Finn, guardando però verso Clarke. Posizionai le mie dita nelle tasche posteriori dei miei jeans neri, aspettando una risposta dalla ragazza. I suoi occhi si spostarono su di me, per poi tornare a guardare la cartina che stringeva fra le mani con una forza che avrebbe tranquillamente strappato la carta. Guardò ancora una volta la montagna, fermando poi il suo sguardo su di essa, rimanendo in silenzio per un paio di secondi prima di rispondere alla mia domanda, rivolgendosi sia a me che a Finn.

"Mount Weather." Indicò con la testa la cima della montagna che si mostrava davanti ai nostri occhi. Le mie sopracciglia si corrugarono leggermente, non capendo esattamente il problema.
"C'è una foresta radioattiva tra noi e il nostro prossimo pasto." Dopo la spiegazione di Clarke, mi tornò a mente che Mount Weather era una base militare, risalente agli anni prima delle esplosioni. Al suo interno si potevano trovare viveri e sostentamenti a sufficienza per mantenere 300 persone per due anni. Il nostro punto d'atterraggio doveva essere quello. Uno grande sospiro lasciò la bocca leggermente aperta di Clarke, mentre aspettava che qualcuno di noi dicesse qualcosa.

"Ci hanno sganciato sulla montagna sbagliata." Gli occhi di Finn si spalancarono quando realizzò anche lui. Dalla mia voce si poteva intuire la paura che cercavo di nascondere dietro un tono duro. I miei occhi si incrociarono con quelli di Clarke, forse anche più spaventati dei miei, che poi caddero su quelli del ragazzo accanto a lei. L'aria attorno a noi si fece ancora più pesante quando capimmo tutti e tre che avremmo dovuto attraversare l'intera foresta per arrivare al nostro cibo, il più velocemente possibile, tra l'altro. Gli schiamazzi delle persone dietro di noi si attenuarono, nella mia mente, quando la mia gola si fece secca per la mancanza di acqua. Non solo, ma il mio stomaco iniziò a brontolare mentre l'orario di pranzo passava. Non sapevo esattamente che ore fossero, ma intuii dalla posizione alta del sole che non dovevano essere passate le 14:00 e noi eravamo digiuni da sette ore. Il cibo era il problema minore, poiché avremmo dovuto trovare alla svelta dell'acqua potabile. Mi guardai attorno ancora, non vedendo altro che alberi, i quali si estendevano in altezza fino a toccare il cielo. Sapere che eravamo gli unici a conoscenza di questo enorme dettaglio non giocava certo a nostro favore, d dato che avremmo dovuto dare la notizia a cento ragazzi che spruzzavano felicità da tutti i pori. Cercai di deglutire per bagnarmi leggermente la gola.

"Cazzo."

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Capitolo 3
*** 0.2 ***


                                                              ​


Mount Weather.​

Sull'arca tutto era più facile. Il mio non essere nessuno di importante aveva i suoi vantaggi, come il fatto che ero costretta a nascondere la verità a metà dei pazienti che sceglievano di farsi visitare dalla sottoscritta. Quando ero sull'arca non avevo di sicuro il compito di distruggere la felicità delle persone, non avevo il compito di comunicare i problemi. Invece, sulla terra, quel compito mi era stato affidato. Il compito più difficile, quello di sbattere i guai in faccia a gente che per tutta la vita non ha fatto altro che immischiarsi in problemi più grandi di loro.
Passai una mano tra i miei capelli neri, voltandomi e dando le spalle a Mount Weather. Clarke era andata a tracciare la rotta che dovevamo percorrere sulla mappa, Finn era scomparso non so dove ed io ero rimasta ferma a pensare alla soluzione meno rischiosa per arrivare alla nostra prossima meta, ma l'unica alternativa era di portare il minimo numero di persone sufficienti per trasportare abbastanza cibo per tutti. Mi incamminai verso la navicella, alla quale Clarke si era appoggiata per studiare meglio la mappa e il percorso da intraprendere. Mi avvicinai a lei, affiancandola e guardando la cartina assieme a lei.

"Non fare la linea dritta. Per calcolare quanto tempo ci metteremo devi contare che dobbiamo percorrere due monti in salita." Clarke si voltò verso di me, sorridendomi, per poi tracciare un'altra volta il percorso leggermente scosceso. Il figlio del cancelliere si avvicinò a noi, i suoi occhi fissi su Clarke, sembrava che non mi avessero neanche vista quando iniziò a parlare.

"Il sistema di comunicazione è andato. Sono andato sù e mancano una decina di pannelli. Il calore ha fuso i pannelli." Ancora non si era accorto di me quando abbassò gli occhi verso la mappa che Clarke teneva stretta sotto i suoi palmi. 

"La nostra priorità adesso è raggiungere Mount Weather, sempre se vogliamo sopravvivere." Con il sistema di comunicazione morto, i bracciali erano l'unica cosa che ci tenevano in contatto con l'arca.

"Chi ti ha insegnato?" Si riferiva naturalmente al piccolo grafico che Clarke stava facendo su un lato della mappa per calcolare dopo quante ore saremmo tornati alla navicella con i viveri.

"Sono stata io." Presi la mappa da sotto le mani di Clarke dopo aver risposto a Wells con un tono autoritario, salendo poi sul portellone, ormai a terra, della navicella. 

"Ascoltatemi, tutti." La mia voce uscì più forte e decisa di quanto avevo immaginato e il fatto che si fossero tutti voltati verso di me mi fece provare un sentimento di realizzazione improvvisa. Non avevo mai avuto più di tre persone che mi ascoltavano allo stesso tempo prima di quel momento. Centinaia di occhi si posarono sulla mia figura leggermente rialzata rispetto alle altre. Non mi sentii in imbarazzo come avevo pensato, forse per l'adrenalina che mi scorreva nelle vene o forse perché tutte queste persone aspettavano solamente una guida da seguire e io gliela stavo offrendo.

"Non siamo su Mount Weather, il che significa che dobbiamo arrivarci prima di iniziare a morire di fame, cioè tra due giorni." Octavia si fece spazio tra la piccola folla che si era creata attorno a me, guardandomi dall'alto in basso. Il suo sguardo non mi intimoriva, contrariamente alle sue aspettative, rimasi indifferente alle sue occhiatacce.

"Pensi di comandare, qui? Te e la piccola principessa?" Il suo sguardo si spostò su Clarke, che fece due passi avanti in risposta. Non aspettò una mia risposta alla provocazione indirizzata ad entrambe.

"Pensi che ci interessi qualcosa su chi sia a comandare? Dobbiamo arrivare a Mount Weather." Il caos tornò a regnare dopo l'affermazione di Clarke. Octavia stava per ribattere quando saltai giù dalla navicella, facendo zittire tutti. Bellamy si trovava dietro Octavia e il suo sguardo, assieme a quello di Octavia, bruciava la mia pelle come se mi fossi esposta troppo alle fiamme di un fuoco. 

"Non dobbiamo arrivarci perché l'ha detto il cancelliere, ma perché più aspettiamo e più avremo fame e, a quel punto, sarà molto più difficile arrivarci tutti. Dobbiamo partire adesso se vogliamo arrivare lì entro domani mattina." Urlai per farmi sentire da tutti nonostante la mia posizione fosse cambiata. Mentre parlavo, la mappa oscillava al soffiare del vento, ma la mia mano la teneva stretta, impedendole di volare via. Clarke sorrise leggermente quando Octavia non rispose, rimanendo senza parole e capendo che avevo ragione.

"Ho un'idea migliore. Che ne dici se tu e la principessina lo trovate per noi? Perché non lasciamo fare il lavoro duro ai privilegiati, per una volta?" Mi portai una mano tra i capelli mossi, lasciando uscire un sospiro quando tutti gridarono un 'sì' alle parole di Bellamy, il quale si fece spazio vicino a sua sorella. Mi presi il ponte del naso tra le dita, chiudendo gli occhi per ritrovare la pazienza che mi caratterizzava ma che, stranamente, stavo perdendo troppo velocemente.

"Non capisci, dobbiamo andare tutti." Non necessariamente. Non avrei fatto un viaggio di una giornata con persone che non riuscivo a sopportare. Con gente che mi vedeva come una privilegiata, persone che mi giudicarono ancora prima di sapere la mia storia. Non ero assolutamente d'accordo con le parole di Wells, il figlio del cancelliere Jaha.

"Guardatelo, il cancelliere della terra." Un ragazzo dai lineamenti puliti spinse Wells a terra. Sentì subito l'osso della gamba torcersi sotto al peso del suo intero corpo, che tornò in piedi come se non fosse niente. 

"Credi che sia divertente?" Il ragazzo dalla carnagione chiara spinse ancora una volta Wells, il quale si teneva in piedi su di una gamba sola. La folla iniziò ad esultare al pensiero di un combattimento, portato ad un livello superiore dato che uno dei due 'sfidanti' era proprio il figlio del cancelliere. Feci un movimento in avanti per raggiungerli e mettere fine a quella stupida sfida tra i due, quando le mie spalle furono trattenute da due grosse mani. Guardai prima le mani posate sulle mie spalle in una presa stretta, per poi spostare lo sguardo sul ragazzo che mi teneva contro di lui. Alzai velocemente il gomito, prendendolo pienamente in faccia e facendo uscire del sangue dal suo naso già storto. Il ragazzo si portò entrambi le mani sul punto da me colpito, dandomi la possibilità di andarmene.

"Non toccarmi, ragazzino." Mi liberai dalla sua presa, voltandomi verso il centro dell'attenzione, notando con piacere che Finn aveva fermato quei due. Clarke era tenuta ferma ma, appena posai uno sguardo sul ragazzo scuro che la teneva, la presa sul suo corpo venne allentata, dandole l'opportunità di liberarsi.

"...battiti alla pari." Non avevo ascoltato cos'altro aveva detto Finn ma, a quanto pare, quello che disse bastò affinché il ragazzo di cui non conoscevo l'identità si allontanasse dall'attenzione generale. Octavia si avvicinò a Finn, mentre la folla ancora non aveva deciso a disperdersi nel bosco. Non mi interessai di quello che Octavia disse a Finn, ma mi voltai verso i cento ragazzi che ancora ci guardavano.

"Andremo io e Clarke. Andatevene adesso." Come se fosse un ordine divino, in pochi secondi rimanemmo in cinque. Mi voltai verso il resto del gruppo ristretto, il quale si stava organizzando per andare. Monty e il suo amico erano stati coinvolti, il che non mi dispiaceva. Meno tempo i bravi ragazzi stavano con quei criminali spietati e meglio era. Io mi accovacciai vicino a Wells, cercando di aiutarlo con la sua gamba. Gli chiesi di dirmi quando li avrebbe fatto male la pressione che stavo esercitando sul suo piede.

"Allora, quando partiamo?" La voce di Finn si rivolse a me, facendomi smettere di controllare la gamba di Wells. Il ragazzo di colore mi lanciò un'occhiata in cerca di spiegazioni, di una diagnosi, che io però non gli diedi.

"Subito." Mi alzai e mi voltai verso il piccolo gruppo di esplorazione che avevamo creato. Non potevo fare niente per la gamba di Wells, non senza strumentazioni mediche, che naturalmente mancavano. Credo che anche lui l'avesse capito, dato che si mise a sedere in modo più comodo, senza neanche cercare di alzarsi. Era arrivato da solo alla conclusione che doveva riposare.

"Torneremo domani con il cibo." Clarke si rivolse a Wells con un tono di riluttanza. Si avvicinò anche Bellamy per cercare di dissuadere sua sorella dall'idea pericolosa di seguirci nella nostra spedizione. Io abbassai lo sguardo, notando il polso di Finn.

"Hai cercato di togliertelo?" Afferrai il braccialetto di Finn, portandomelo sotto agli occhi e notando ancora meglio le scheggiature su di esso. Lui ritirò bruscamente il suo polso dalla mia presa, guardandomi con confusione.

"Si. E allora?"

"E allora, questo bracciale trasmette le tue funzioni vitali all'arca. Toglilo e penseranno che sei morto. Vuoi che i tuoi cari ti raggiungano qui fra due mesi? Perché non lo faranno se penseranno che stiamo morendo." L'espressione di Bellamy fece trapelare il suo alto livello di interesse mentre parlavo con Finn. Spostava ripetutamente lo sguardo dal bracciale di Finn alla mia faccia e viceversa. Era fin troppo attento a quello che stavo dicendo, il che fece salire alcuni sospetti dentro di me.

"Andiamo." Presi un piccolo zainetto e, con la mappa stretta tra le mani, mi incamminai verso la foresta, seguendo il percorso che Clarke aveva disegnato, quando Finn smise di guardarmi con lo sguardo di un cucciolo ferito. Sentii le altre cinque persone seguire i miei passi, avventurandosi dopo di me nel fitto bosco. Il terreno sotto i nostri piedi mandava una sensazione strana su per tutto il mio corpo, essendo estremamente morbido. 

"E tu chi ti credi di essere per poter dare tutti questi ordini?" Mi fermai per poi voltarmi verso il ragazzo con l'uniforme. I suoi occhi scuri erano fissi su di me, aspettando una risposta. I miei occhi celesti, invece, si ridussero a due fessure mentre ricambiavo lo sguardo intenso. Nessuno dei due aveva intenzione di perdere quella piccola sfida che gli eravamo lanciati, perciò nessuno dei due voleva distogliere lo sguardo. Dopo pochi secondi vinsi, dato che i suoi occhi si posarono per un attimo sul terriccio sotto ai suoi scarponi, per poi tornare a focalizzarsi sul mio sguardo.

"Se mai me lo chiederanno, io sono la persona che vi ha salvato il culo." Tornai sui miei passi, addentrandomi tra la distesa infinita di alberi, dopo aver lasciato Bellamy Blake senza parole per la prima volta.
Camminammo in silenzio per almeno un ora dentro il bosco, con il fruscio dell'acqua di un fiume sempre più intenso ad ogni nuovo passo, quando la voce di Finn si fece spazio tra la calma che ci circondava.

"Mi domando cosa abbiate fatto voi due per finire al fresco." Mi voltai per vedere Finn intento a parlare con Monty e il suo amico, Jasper. Continuai a camminare facendo finta di niente, ascoltando però le loro parole. Non volevo farmi gli affari degli altri, ma era la prima conversazione che riuscimmo a tirare fuori in un ora e più di tempo passato assieme, quindi mi accontentai di quello che ottenni.

"Ci sono tante erbe nel giardino, non so se mi spiego." Oh, ti spieghi benissimo Monty. 

"Qualcuno ha dimenticato di restituire ciò che ha preso. E tu, Athena? Perché ti hanno sbattuta dentro?" Scansai un albero per poi guardare verso Jasper, che aveva raggiunto il mio fianco. Il suo sguardo amichevole mi fece quasi provare compassione per lui. Dai suoi occhi trapelava la paura di essere così esposto, di essere in pericolo ogni secondo, mentre io avevo scelto di essere dove lui aveva il terrore di camminare.

"Non l'hanno fatto. Potrebbe sembrare strano, ma sono qui di mia spontanea volontà." La mia bocca si allargò, mostrando un piccolo sorriso a Jasper, mentre Octavia alzava un sopracciglio nella mia direzione. Ma, anche se non avevo commesso nessun crimine, non mi credevo superiore a loro. Ognuno nella sua vita ha degli alti e bassi, esistono solamente persone che non sanno come comportarsi quando arrivano le situazioni più tragiche.

"Athena è l'assistente di mia madre." Lo ero sull'arca, si. Ma in quel momento ci trovavamo sulla terra, dove non importava il grado a cui appartenevi, l'uniche cose importanti erano le probabilità di sopravvivere a tutto ciò a cui andammo incontro.

"Quindi la regina sa fare anche qualcos'altro oltre che dare ordini." Rimasi abbastanza male all'udire delle sue parole piene di odio. Regina? Avevo solamente avvertito tutti della situazione che stavamo vivendo, non volevo prendermi la responsabilità di un fardello così pesante come quello del comando. Quando finalmente trovai le parole per rispondere alla provocazione di Octavia, lei mi sorpassò, correndo verso la direzione dalla quale arrivava il rumore dell'acqua, ormai troppo vicino per ignorarlo.

"Adoro la terra." Il commento di Jasper in merito alla visione di Octavia mentre si levava i pantaloni non fu dei migliori, ma è stato comunque migliore dei quello che trapelava dai suoi occhi. Si voltò verso di noi prima di tuffarsi in acqua. In pochi secondi, tutti e cinque eravamo sul bordo di quella specie di scogliera che ci divideva dall'acqua del fiume.

"Octavia, non sappiamo nuotare." Monty aveva ragione, di sicuro a bordo dell'arca non c'erano piscine dentro alle quali fare corsi avanzati di nuoto, quindi nessuno ci aveva mai insegnato a nuotare. Octavia era completamente immersa nell'acqua, lasciando fuori solamente i suoi occhi azzurri, puntati su di noi.

"Giusto, ma posso stare in piedi." Una risata uscì da ognuna delle nostre bocche. Octavia ci fece segno con la mano di seguirla in acqua. La sua maglietta bagnata lasciava poco all'immaginazione, ma non ci facevo nemmeno caso. Presi la cartina mentre gli altri si stavano già spogliando per entrare nel fiume.

"Aspettate. Non ci dovrebbe essere un fiume qui." Il mio tono preoccupato non intimidì nessuno, anzi, l'unico che mi sentì probabilmente è stato Finn, cioè l'unico che mi ha risposto.

"Beh, c'è. Quindi togliti i vestiti."

Era sera. Ci eravamo accampati vicino al fiume che avevamo trovato poche ore prima. Avremmo proseguito il nostro cammino, se solo Octavia non fosse stata ferita da un gigantesco animale acquatico. Non avevo mai letto di un animale del genere, un serpente marino lungo tre metri con delle zanne affilate, e tutti deducemmo che l'animale che aveva attaccato era solamente frutto di cento anni di radiazioni. Non ci sono state ferite gravi, ma Octavia era stata morsa, perciò la mattina seguente lei sarebbe forse tornata all'accampamento, ma ancora non avevamo deciso niente. Mi trovavo distesa a terra accanto ad un albero, posta tra Monty e Jasper, il quale stava già russando. Fu Jasper a salvare Octavia quel giorno. Io le fasciai la gamba e cercai di disinfettarla il più possibile, ma non avevo fatto niente in confronto a Jasper, il quale si era buttato in acqua rischiando la sua stessa vita per salvare quella della ragazza dai capelli neri. Io e Monty stavamo guardando le stelle in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. Ed io, in quel momento, non potevo far altro che ripensare alle parole di Octavia, le quali non erano state sicuramente scelte a caso. Il fatto che considerassero me, Clarke e Wells dei 'privilegiati' non aveva molto senso, dato che eravamo stati lanciati sulla terra a morire proprio come tutti gli altri. Non importava proprio di chi fossimo i figli o delle scelte che avevamo fatto per arrivare dove eravamo in quel momento, eravamo lì e basta, tutti insieme e tutti con uno scopo comune; sopravvivere.
Le stelle sopra di noi erano così belle osservate da quel punto di vista, dalla terra. Per quanto fosse pericolosa, e lo era, dovevamo tutti ammettere che era comunque lo spettacolo più bello che avevamo mai visto in vita nostra. Lo spazio in quel momento sembrava così distante, l'arca sembrava lontana mille e mille miglia, come se fosse qualcosa di irraggiungibile, quando, in realtà, ognuna delle nostre vite era stata vissuta lì dentro. Iniziai a canticchiare una vecchia ninna nanna che mia madre era solita cantarmi anni prima, facendo voltare Monty verso di me. Sentì il suo sguardo sulla mia pelle pallida, ma continuai a canticchiare come se non fosse niente. Pensando in quel momento alle parole di quella canzoncina, mi accorsi che non era proprio adatta a dei bambini, dato che il testo era basato su un albero da impiccagione. Monty iniziò a canticchiare assieme a me, continuando comunque a tenere lo sguardo fisso sopra l'infinito cielo scuro sopra di noi. Quella ninna nanna non era sicuramente la migliore al mondo, ma era l'unica di cui ero a conoscenza, ed era anche abbastanza sinistra. Jasper si svegliò al suono delle nostre voci rauche contro il gelo della notte terrestre. Mentre cantavamo, delle nuvolette di aria condensata uscivano dalle nostre bocche proprio per dimostrare quanto fosse bassa la temperatura esterna. Quando finimmo di cantare la canzoncina, la solita sensazione di angoscia era già presente tra i miei sentimenti. Non mi ero accorta che Jasper aveva un orologio al polso fino a quel momento, perciò gli chiesi cortesemente di informarmi sull' orario. Mi alzai dal suolo quando mi venne comunicato che le luci del giorno erano vicine, iniziando a pensare ad una soluzione che ci permettesse di superare il fiume senza rischiare la vita di qualcuno. Camminare fino ad arrivare al fiume, dove mi guardai attentamente attorno, studiando la vegetazione.

"Non capisco perché sei venuta con noi." Clarke mi si affiancò, il suo sguardo fisso sul sole che si stava levando sopra Mount Weather, mentre io ancora stavo pensando ad una soluzione ai nostri problemi. 

"Per lo stesso motivo per cui Bellamy è venuto con noi. Devo proteggerti." Il riferimento al ragazzo mi fece tornare in mente il fatto che il campo era stato lasciato in mano ad uno scellerato assetato di potere. Dovevo tornare indietro il prima possibile, dato che Bellamy non si sarebbe fatto problemi a lasciare in modo che i ragazzi si uccidessero tra di loro. Mentre stavo per comunicarlo a Clarke, però, si avvicinò il resto del gruppo di ricerca. Finn aveva appena tirato una liana da un'albero, facendola scendere fino a toccare terra. Mentre Clarke e Finn portavano avanti una discussione inutile su chi dei due sarebbe dovuto arrivare prima dall'altro lato, io, con l'aiuto di Jasper, mi assicuravo che la liana trovata da Finn fosse abbastanza resistente.

"Lo faccio io. Ce la posso fare." Annuii sorridendo nella direzione di Jasper, lasciando la pianta e appoggiandomi ad un albero lì vicino. Jasper strinse la liana fra le mani, la tensione visibile nei suoi movimenti insicuri. 

"È normale avere paura. Il segreto è assecondarla." Si lanciò subito dopo aver ascoltato le mie parole, urlando a squarciagola finché non toccò terra dall'altra parte del fiume. Finn corse a prendere la liana prima che potessimo perderla, mentre noi corremmo verso la riva del fiume. Jasper si guardò attorno, le nostre esultanze di sottofondo, raccogliendo qualcosa da terra.

"Ce l'abbiamo fatta." Alzò il cartello di metallo sopra alla sua testa, mostrandoci delle lettere incomprensibili, scritte con una vernice sbiadita dal tempo. "Mount Weather."

"Jasper!" Stavo per esultare ancora, come tutti, quando una lancia venne scagliata verso di lui dal bosco dietro di noi, conficcandogli il petto. Urlai il suo nome invano, dato che ormai non poteva più rispondermi. Sentii una mano tirarmi per la spalla e seguii Clarke dietro a delle rocce, assieme agli altri.

"Non siamo soli."

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Capitolo 4
*** 0.3 ***



Grounders.

Sull'arca tutto era più facile. Dal mio punto di vista almeno, lo era, eccome se lo era. Avevo sempre cercato di rispettare le leggi, seguendo alla lettera tutto ciò che veniva proclamato dal consiglio. Tutto per cercare di non essere uccisa, per non buttare al vento la mia vita, per i quali i miei genitori avevano lottato. E, anche se nessuno avrebbe pianto al momento della mia prematura scomparsa, non potevo fare a meno di pensare di non voler terminare la mia vita mentre correvo dietro ad Octavia nel bosco, inseguita dai terrestri. E per quanto questo possa sembrare egoista da parte mia, era vero. Non volevo morire, non dovevo morire, per Clarke e per il campo intero. Non avrei potuto lasciare tutto a Bellamy, sarebbe diventata un'anarchia basata sulla sua adorazione e sarebbero morti tutti al più presto. 
La gamba di  Octavia non le permetteva di correre veloce come avrebbe dovuto, perciò le portai un braccio sopra la mia spalla, aiutandola a scappare dai terrestri. Non l'avrei lasciata indietro, non lo avrei fatto con nessuno di loro. Sentivo come se  la loro responsabilità mi pesasse sulla schiena come un grosso macigno, perciò non avrei lasciato morire nessun altro dopo l'incidente di Jasper. Non solo per la mia professione, ma soprattutto per il mio animo estremamente curante, non potevo permettere a nessun altro di farsi del male. Mi fermai, però, quando un forte grido di dolore arrivò alle mie orecchie. L'urlo di Jasper spezzò il silenzio presente nella fitta foresta, facendomi allontanare da Octavia e dal gruppo. Sicuramente la lancia non aveva trapassato il cuore, per questo il ragazzo era ancora vivo. Mentre tornavo indietro, una mano si pose sulla mia spalla, forzando così pesantemente che dovetti voltarmi verso Finn. Il suo sguardo era sicuramente preoccupato come quello degli altri, preoccupato che potessero perdere anche me.

"Torneremo a prenderlo, te lo prometto, ma adesso è troppo pericoloso." Con le lacrime agli occhi e una grande indecisione sul da farsi, spostai la mia attenzione dagli occhi di Finn per finire a guardare nella direzione di Clarke, della sorella che non ho mai avuto. Il suo sguardo non era solamente preoccupato, ma dietro a quegli occhi azzurri intravidi un intero mondo che sarebbe crollato se non l'avessi seguita, sarebbe caduta a pezzi se avesse perso l'unica persona veramente importante per lei sulla terra, e questo mi convinse a compiere la scelta di ricominciare a correre tra gli alberi, verso il campo che avevamo lasciato il giorno prima. Per quanto sarei voluta tornare da Jasper, sapevo che nessuno di noi l'avrebbe lasciato morire, sopratutto Finn, e quindi sapevo che la sua promessa sarebbe stata mantenuta. Corremmo per quelle che sembravano ore, quando in realtà erano solamente pochi minuti, quando ci fermammo per prendere una piccola pausa. Lo zainetto che cadeva sulla mia schiena creava un piccolo spazio tra me e il tronco dell'albero sul quale mi ero appoggiata per riprendere fiato. Octavia mi si avvicinò e io mi abbassai per controllarle la ferita sulla coscia, la quale stava guarendo velocemente dal taglio non profondo che le era stato procurato. Strinsi ancora di più il pezzo di maglietta che avevo legato sopra alla ferita, per poi riservare ad Octavia un sorriso di conforto per farle capire che tutto sarebbe andato bene.

"Ma si può sapere chi sono quelle persone?" La voce di Monty ci fece voltare tutti verso di lui. Anche lui era appoggiato al tronco di una grande sequoia, guardando nella direzione di Clarke. Spostai il mio sguardo verso di lei, la quale aveva appena trovato qualche osso di qualche genere. Sembrava un osso umano, di un cranio umano, ma non ne sarei stata sicura. Un altro grido arrivò alle nostre orecchie, un urlo diverso da quello di Jasper, molto più vicino e femminile. In pochi secondi incontrai gli occhi di tutti i presenti, prima di iniziare di nuovo la corsa verso l'accampamento, cioè da dove il suono proveniva. Il primo pensiero che mi balenò in mente fu che i terresti avessero raggiunto il campo, ma questa teoria sfumò subito quando iniziai a riconoscere i pochi alberi che ci separavano dalla fine del burrone posto dietro alla navicella caduta.

"Fermi!" Sentì Clarke urlare verso Wells e lo stesso ragazzo del giorno prima, di cui ancora ignoravo il nome, i quali stavano lottando con dei coltelli in mano. Ma nessuno le diede ascolto, i due ragazzi continuarono a sfiorarsi l'un l'altro con le lame appuntite dei coltellini.

"Basta." Il ragazzo ancora sconosciuto si voltò immediatamente nella mia direzione. Portò le mani in alto, prima di buttare il coltello a terra, seguito da Wells. Mi avvicinai a loro, notando i polsi di entrambi, ugualmente vuoti.

"Dov'è il cibo?" Stavo per dire qualcosa riguardo ai loro braccialetti mancanti, ma la voce di Bellamy mi fece distrarre. Mi voltai verso di lui, il quale era subito fuggito accanto alla sorella ferita. 

"Non siamo arrivati a Mount Weather." La voce di Octavia era debole mentre rispondeva al fratello, che però spostò lo sguardo su di me. 

"Che cazzo è successo lì fuori?" A questo punto, avevamo tutti capito che esigeva una risposta esclusivamente dalla sottoscritta. Non sapevo ancora come interpretare lo sguardo di Bellamy sulla mia pelle quando ricambiai, creando un legame tra i suoi occhi marroni e i miei azzurri.

"Siamo stati attaccati." Attorno a noi regnava il silenzio totale. Nessuno che fosse distratto, i loro sguardi erano puntati su di me e su Bellamy.

"Da cosa?" La voce di Wells proveniva da dietro di me, ma non mi fece voltare. Anche quando Finn rispose, dicendo che eravamo stati attaccati da qualcosa di umano, ero troppo occupata a mantenere intatto il legame creatosi fra me e Bellamy. I suoi capelli erano scompigliati e gli davano un'aria selvaggia. Non immaginai neanche le condizioni in cui mi trovavo io, ma neanche mi importava. In quel momento l'unica cosa importante era cercare di sopravvivere.

"La buona notizia è che le radiazioni non ci uccideranno." Bellamy alzò un sopracciglio, aspettando la cattiva notizia, e la mia mente esultò quando spostò lo sguardo verso Clarke. Era stata estremamente silenziosa, la quale era sicuramente una caratteristica più adatta a me che a lei.
"Quella cattiva è che lo faranno i terrestri, hanno già preso Jasper." Annuii alle parole della bionda, notando anche il disinteresse negli occhi di Bellamy.

"Wells, dov'è il tuo bracciale?" L'attenzione si spostò ancora una volta su di me, mentre portavo le braccia verso il petto, nel tentativo di incrociarle. Non ne ebbi il tempo poiché, dopo che Wells fece un leggero movimento della testa verso Bellamy, mi avventai contro il ragazzo dalla pelle olivastra, afferrandolo per la maglietta. Restarono tutti sconvolti, Clarke sorpresa, dalla mia reazione aggressiva.

"Quanti, Bellamy?" Non fui nemmeno io in grado di decifrare il mio tono di voce. La vicinanza dei nostri volti non mi fece nessun effetto, al contrario di come pensavo. La mia voce era piena di paura e rabbia, ma cercai di impedire che trapelasse qualsiasi emozione, di ogni genere, mentre mi riferivo al ragazzo che tenevo stretto per la maglia di cotone che indossava.

"24, reginetta. E stanno aumentando." Lo lasciai andare, voltandomi verso la folla che stava guardando. Nessuno disse niente, ci osservavano e basta. Octavia, Clarke, Finn, tutti ad osservare ogni nostro movimento.

"Siete proprio idioti. L'arca sta morendo, per questo ci hanno mandato qua giù. Devono sapere che la terra è di nuovo abitabile e noi abbiamo bisogno del loro aiuto contro chiunque sia lì fuori. Se vi levate i bracciali, non solo uccidete loro, uccidete tutti noi." Bellamy si mosse velocemente dietro di me, superandomi con una delicata spallata.

"Lei è una dei privilegiati. Se ci seguono qui, a lei andrà comunque bene. Lei non è mai stata accusata di nessun crimine, chi di voi può dire la stessa cosa? Possiamo difenderci da soli. Quel bracciale ai vostri polsi vi rende prigionieri, ma non lo siamo più. Dicono che perdoneranno i vostri crimini, io dico che non siete dei criminali! Siete combattenti, sopravvissuti." Per tutto il tempo non fece altro che passarsi ripetutamente le dita tra i capelli scuri, guardando i diversi ragazzi che lo assecondavano nel suo discorso ingenuo. Certo, era abile nell'utilizzo delle parole, questo lo dovetti ammettere, ma non cambiava comunque il fatto che non era la direzione giusta da seguire. Avevamo estremamente bisogno di cure mediche avanzate, di aiuto nel cercare cibo e nel difenderci.

"Siamo più forti di quello che pensi, mia piccola regina. I terrestri dovrebbero aver paura di noi." Il ragazzo olivastro si voltò verso di me, guardandomi negli occhi ancora una volta. Il suo sguardo era seriamente impossibile da comprendere, come se volesse uccidermi e abbracciarmi allo stesso momento. Ciò che disse era chiaramente diretto a me, ma tutti esultarono quando sentirono le sue parole. Io scossi la testa, abbassando lo sguardo e iniziando a camminare verso la navicella piantata al suolo. Ero visibilmente delusa dal comportamento di Bellamy e sicuramente se ne accorse anche lui., come se ne accorse tutta la folla che ci stava fissando. Non capivo però il motivo di tutto questo interessamento da parte di Bellamy verso i giovani criminali, dato che lui, per dirla tutta, non era neanche veramente uno di loro. Nei suoi occhi, però, c'era quella scintilla di senso di colpa tanto simile a quella nei miei occhi.

"Che facciamo ora?" I miei pensieri su Bellamy furono interrotti dal fortunato arrivo di Monty, il quale mi si affiancò nella salita che portava alla navicella. Ormai il mio corpo si era abituato alla terra morbida sotto alla suola degli stivali, terra che era diventata ancora più morbida dopo la pioggia della sera prima. Pensai un secondo alla risposta più opportuna da dare a Monty, quando poi mi resi conto di essere stufa di stare agli ordini degli altri.

"Cerca qualche arma. Adesso andiamo prendere Jasper." Se volevano una regina, sarei stata più che felice di accontentarli.

Stavo controllando la gamba di Octavia ancora una volta, quando una mano si appoggiò sulla mia spalla destra.

"Monty, ti ho già detto che partiamo appena arriva Clarke." Mi voltai non sentendo una risposta. Gli occhi di Bellamy non incrociarono i miei quella volta, dato che il suo sguardo era caduto sulle mie mani sporche di sangue. Finì di legare la benda sopra la ferita di Octavia prima di alzarmi e seguire suo fratello, senza dire una singola parola. Camminavo dietro di lui e ci fermammo solamente quando fanno all'interno di una delle tende che avevano costruito durante la nostra assenza.

"Qualcuno l'ha messa in piedi solo per te." L'interno della tenda era spazioso, fin troppo. Una specie di materasso, con delle coperte colorate poste sopra, era posto al centro del grande spazio delineato dai teli impermeabili arancioni, mentre accanto all'entrata era posta una sedia, cioè un sedile staccato dall'interno della navicella, ma fu il pensiero che mi fece piacere. Mi voltai verso Bellamy, dopo aver osservato la tenda nel suo insieme, trovandolo già con il volto rivolto verso di me. Non mi ero ancora accorta delle piccole lentiggini che adornavano il suo volto o del suo arco di cupido così accentuato, probabilmente perché non ci avevo mai seriamente pensato ad osservarlo per più di due secondi. Non volevo sicuramente pensarlo, ma nella mia mente balenò l'idea che fosse un bellissimo ragazzo, bello e dannato. Cercai di pensare velocemente a qualcos'altro però, cercai di pensare a qualsiasi cosa a parte al bellissimo ragazzo davanti ai miei occhi. E, anche se sull'arca l'idea mi avrebbe martellato la testa per giorni e giorni, in quel momento ci trovavamo sulla terra, dove la cosa fondamentale era cercare di sopravvivere il più a lungo possibile per aiutare gli altri. Quindi, un 'noi' non sarebbe mai potuto esistere in nessun contesto di nessun tipo.
I suoi occhi incontrarono ancora una volta i miei ed un brivido salì per la mia schiena dato lo sguardo intenso.

"Allora, come ti chiami?" Il suo sguardo non si lasciò sfuggire neanche un mio minimo movimento, facendomi provare emozioni contrastanti. Perché se da una parte volevo che quel momento non finisse mai e che continuasse a guardarmi con quell'intensità per il resto dei nostri giorni, dall'altra parte quella stessa intensità non mi faceva comportare come se fossi a mio agio, dato che non lo ero per niente. Quindi cercai solamente di ignorare lo sguardo di Bellamy, le sue occhiate.

"Athena Wood." Il mio nome fu ripetuto per un paio di volte con un tono estremamente basso. Le sue braccia di incrociarono al suo petto, mettendo in evidenza i suoi muscoli. Stava indossando una maglietta di cotone verde, la giacca della guardia l'aveva lasciata vicino allo spazio che avevano dedicato al focolare.

"Reginetta, spero che un giorno capirai il perché delle cose che faccio." Alzai gli occhi al cielo quando, anche dopo aver saputo il mio nome, usò ancora una volta il soprannome più stupido che potessero darmi. Abbassando lo sguardo lungo il suo corpo, notai uno strano rialzamento della sua maglietta in corrispondenza al fianco sinistro.

"Hai una pistola?" Non rispose con le parole, ma alzò leggermente un lembo della sua maglietta, facendomi intravedere l'impugnatura dell'arma che aveva sistemato accuratamente tra la pelle e la cintura. 

"Allora vieni con noi." Lo afferrai per un braccio prima di uscire da quella tenda, che era stata dichiarata come mia. Avrei sicuramente preferito un'ampiezza più ristretta rispetto a ciò che avevano fatto dato che, dal numero di tende che riuscivo a vedere passando, non tutti avevano una postazione nella quale dormire, ma solo il pensiero che quella particolare tenda fosse stata messa in piedi solo per me mi fece sorridere mentalmente. 

"E perché mai dovrei venire?" Lasciai il braccio di Bellamy, voltandomi verso di lui. Mi avvicinai, cercando di fare in modo che solo lui capisse ciò che stavo per rispondergli.

"Forse perché vuoi con tutto te stesso che loro ti seguano, ma, in questo momento, credono che uno solo di noi due abbia paura." Mi voltai, continuando a camminare e sentendo i suoi passi a poca distanza dai miei. Lo sentì farfugliare qualcosa con uno dei suoi cagnolini quando incontrai Clarke. Wells si trovava a pochi passi da lei e ci osservava mentre ci abbracciavamo.

"Io e Wells siamo pronti." Il suo sguardo curioso si spostò da me al ragazzo dietro alla mia figura. La ignorai come ormai stavo iniziando a fare troppo spesso, superandola. Non feci neanche caso ai ragazzi che si erano offerti per la missione e ci addentrammo nei boschi, seguendo la direzione che ormai conoscevo a memoria. 

"Athena, quei ragazzi sono dei seri criminali, non bulli qualunque." Mentre ci facevamo strada tra le piante cresciute vigorosamente, Clarke mi si affiancò con la mappa in mano.

"Conto proprio su questo." Mi voltai per controllare chi si fosse aggregato a noi e vidi, oltre che Bellamy e Wells, anche il ragazzo che aveva quasi ucciso Wells. Accorgendosi del mio sguardo, il ragazzo in questione si voltò verso di me, agitando la testa come se volesse liberarsi dei miei occhi su di lui. Li spostai sulla strada da percorrere davanti a me senza problemi, ascoltando Clarke che iniziava a raccontarmi i suoi problemi con Wells per cercare qualche consiglio in una persona di età maggiore alla sua. Mi dispiacque per Clarke e per il suo discorso sul rapporto d'amicizia con Wells che si stava lentamente sgretolando, ma avevo altro a cui pensare, Jasper per esempio. La mia mente non poteva distrarsi dal pensiero che non mi sarei mai perdonata se Jasper fosse morto, il suo sangue sarebbe stato sulle mie mani; non solo per il ruolo di 'medico' che ricoprivo sulla terra, ma anche per il ruolo di 'responsabile' che avevo deciso di ricoprire nel momento in cui fu colpito.

"Aspettate un attimo." I nostri passi si fermarono quasi automaticamente al suono della voce bassa di Bellamy, facendoci poi voltare verso di lui. Notai la pistola che stringeva tra le dita e il mio cuore perse un battito, metaforicamente parlando.

"Cos'è tutta questa fretta? Non si sopravvive con una lancia nel cuore." Mi avvicinai a lui, chiedendogli gentilmente di posare la pistola, aggiungendo che ferire qualcuno non avrebbe aiutato.

"Perché non provi a togliergliela, regina?" Il cagnolino personale di Bellamy si fece strada da dietro di lui e mi spinse, facendomi scontrare contro il petto di Wells. Naturalmente mi aveva preso alla sprovvista, ma la spinta era stata data comunque con una certa forza ed una certa rabbia.

"Lasciala, Murphy." La mano di Bellamy si poggiò sulla spalla di quello che riconobbi come John Murphy. Sull'arca era solamente un ladro di poco conto come il padre, ma non lo avevo mai visto e non gli avevo neanche mai dato tanta importanza. Murphy tornò al suo posto, dietro alla figura alta di Bellamy, mentre quest'ultimo riponeva la pistola al proprio posto, sotto la sua maglia di cotone.

"Jasper ha urlato quando è stato spostato. Se la lancia l'avesse colpito al cuore sarebbe morto all'istante." Trovai ancora una volta lo sguardo di Bellamy fisso sul mio viso mentre parlavo. I suoi occhi iniziavano a darmi sui nervi, tutto di lui iniziava a darmi sui nervi. Tutto ciò che faceva e tutto ciò che era non faceva altro che farmi incazzare e farmi stressare sempre di più, facendomi provare un sentimento di odio che non avevo mai provato contro nessuno prima di lui.

"Non per questo abbiamo tempo da perdere." Clarke si aggiunse alla piccola discussione che stavamo avendo e io la spostai leggermente dietro la mia schiena in un gesto di protezione. Non avrei lasciato che le facessero del male. Wells intanto si trovava accanto ad un albero, mentre osservava la scena da lontano. Stavo per voltarmi e continuare la nostra camminata alla ricerca di Jasper, quando il mio polso destro fu stretto nella mano di Bellamy.

"Appena vi toglierete i bracciali potremmo andare." Il suo tono non ammetteva scusanti e la sua bocca si alzò leggermente da un lato per enfatizzare il fatto che quella situazione non faceva altro che divertirlo. Strappai il mio polso dalla sua presa, portando una mano dietro la mia schiena per assicurarmi che Clarke fosse al sicuro.

"Stai scherzando? Sull'arca penseranno che siamo morte solo quando saremo morte. Comprendi?" Feci un passo avanti verso di lui per mostrargli che non avevo paura di affrontarlo. Non avevo paura della sua pistola, non avevo paura del suo cagnolino e, sicuramente, non avevo paura di lui. Il suo tono dittatoriale sicuramente poteva spaventare tutti quei ragazzi, i quali cercavano solamente un capo che avrebbe trovato una soluzione a tutti i loro problemi, ma sicuramente non impressionava o, tantomeno, spaventava me.

"Coraggiosa, la regina." Ogni volta che quel soprannome stupido usciva dalla sua bocca, un brivido mi percorreva la schiena. Non avevo ancora ben chiaro se fosse un brivido provocato dal ribrezzo o dalla rabbia, ma sicuramente non era una sensazione piacevole. La mia mano si chiuse in un pugno, che ero definitivamente pronta a scagliare contro la faccia di Bellamy per cancellargli quel sorrisetto da scemo, quando una voce interruppe il mio momento.

"Trovale un soprannome tutto tuo, ormai sta diventando un po' ripetitivo."

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Capitolo 5
*** 0.4 ***


Wristbands.


Nella mia mente iniziava a insinuarsi il pensiero che forse sull'arca non era tutto così semplice. Certo, sicuramente sulla terra potevamo essere uccisi in qualsiasi momento dai terrestri, dalla fame, dalla sete, dal freddo, dalle radiazioni, ma sull'arca le cose funzionavano allo stesso identico modo. Saremmo potuti morire per una mancanza di ossigeno o per qualche sfizio di qualche criminale, ma sulla terra ne eravamo tutti consapevoli. Facendo dei veloci calcoli, sull'arca l'ossigeno sarebbe continuato a mancare anche con la riduzione dell'abitazione di 100 persone. L'arca sarebbe morta in un modo o nell'altro e a noi era stata data un'altra possibilità, la possibilità di vivere una vita, anche se non nel migliore dei modi. Non avevo assolutamente intenzione di sprecare la chance che mi era stata donata, anche se sembravo essere l'unica ad averlo capito. 
Ringraziai Wells per il suo intervento, anche se abbastanza inutile dato che Bellamy non avrebbe sicuramente smesso di appellarmi come più si divertiva, mentre proprio Bellamy gli riservò solamente un occhiataccia, perfino con gli occhi assottigliati e le sopracciglia corrugate. 

"Dovremmo dividerci per coprire più campo. Clarke, tu vieni con me." Interruppi quello che Bellamy stava per rispondere a Wells, superandolo con una spallata, proprio come lui aveva fatto con me in precedenza. La sua mano entrò ancora una volta in contatto con il mio corpo, con il mio braccio destro. Alzai lo sguardo verso di lui, il quale mi stava già osservando. L'estrema vicinanza di sicuro non aiutava il mio non pensare a lui in altre situazioni, ma cercai di contenermi il più possibile, lasciando uscire un sospiro dalle mie labbra infine, poco prima che parlasse.

"Credo che verrò io con te, reginetta." Spostò lo sguardo dal mio viso per puntarlo verso Wells, come se gli avesse fatto un dispetto di qualche genere. Io alzai le spalle e Bellamy mi liberò dalla stretta che stava esercitando sul muscoli del mio bicipite, dandomi come il comando di proseguire. Per evitare altre discussioni inutili, iniziai a farmi strada tra nuovi alberi, Bellamy che seguiva i miei passi. Quella situazione andò avanti per pochi minuti, quando poi il ragazzo decise di affiancarmi e degnarmi della sua parola, come se fosse un dono prezioso. Se inizialmente avevo l'idea che fosse un ragazzo presuntuoso, in quel momento fui sicura di essere in compagnia del ragazzo più altezzoso che avessi mai incontrato. Si credeva di essere il più potente di una società non ancora nata, di una società che sicuramente non sarebbe mai potuta esistere di quel passo, dato che in ogni società che si rispetti devono essere imposte delle regole, anche le più stupide tipo vietare l'omicidio. Ma invece no, Bellamy voleva una nuova società basata sulla regola che ognuno fa quello che vuole, sulla regola che non ci sono regole.

"Io e te, abbiamo più cose in comune di quanto sembra." Il suo commento così inaspettato mi fece voltare verso di lui. Il suo viso era fisso davanti a sé, come il suo sguardo, e il suo tono era molto meno aggressivo di quello che avevo sentito fino a quel momento. Sembrava che per un secondo avesse perso la sua durezza, la sua corazza, qualunque cosa usasse per nascondersi da occhi altrui.

"Intendo, siamo entrambi venuti qui per qualcuno che amiamo. Nessuno ci ha forzati, morire è stata una nostra scelta. Io sono sicuro che Octavia avrebbe fatto lo stesso per me, ma tu sei convinta di quello che avrebbe fatto Clarke?" Corrugai le sopracciglia alla sua domanda, non capendo esattamente dove volesse arrivare con quelle affermazioni.

"Potrà anche non essere la mia vera sorella, ma è sempre stata presente per me." Fece finta di non sentire la mia risposta, comportamento molto maturo dovrei aggiungere, continuando a camminare come se niente fosse. Alzai gli occhi al cielo per il suo atteggiamento infantile, continuando a forzare sulle mie gambe per seguirlo. Non essendo abitata a camminare così tanto in così poco tempo, le mie gambe iniziavano a farmi sentire la tensione muscolare, ma cercai di non farci caso. Il terreno diventò subito un panorama migliore della schiena muscolosa di Bellamy, contro la quale mi scontrai. Mi affiancai di nuovo a lui, stavo per chiedergli perché si fosse fermato all'improvviso, quando mi accorsi della distesa di acqua davanti a noi. Una piccola cascata si riversava su un laghetto, che poi formava il fiume che vedemmo il giorno prima. 

"Non abbiamo più il problema acqua." Tirai fuori un paio di borracce, delle quali una se ne appropriò il ragazzo accanto a me. Lo guardai accovacciarsi sulla riva del laghetto, per poi buttarsi in acqua. Ripensai istintivamente a sua sorella, la quale fece la stessa identica cosa, con qualche vestito in meno, ma l'idea era la stessa. Io mi limitai ad inginocchiarmi alle sponde della piccola distesa d'acqua, avvicinando la mia borraccia alla superficie e riempiendola. Delle gocce d'acqua arrivarono velocemente sui miei capelli, facendomi alzare lo sguardo verso Il ragazzo immerso per metà nell'acqua. Sul suo viso si trovava il tipico sorrisetto che non riusciva a lasciargli la bocca, un sorrisetto che mi faceva venire voglia di prenderlo a pugni finché non avrei visto i tagli perfino sulle mie nocche.

"Seriamente, Bellamy? Non abbiamo tempo per questo." Un altro schizzo di acqua mi arrivò addosso, bagnandomi leggermente la maglietta nera leggera che indossavo. Riservai un'occhiataccia a Bellamy mentre mi rialzavo e incrociavo le braccia al petto, aspettando che si decidesse ad uscire dall'acqua.

"Sono due giorni che cammini, hai davvero bisogno di una pausa." Il suo tono era estremamente convincente e per un momento avevo anche vacillato. Per un secondo, nella mia mente era apparsa l'immagine di me e Bellamy mentre scherzavamo con l'acqua di quel fiume, ma l'idea di Jasper, impaurito e ferito, mi aiutò a riprendermi velocemente dal mio momento di confusione.

"Mi prenderò una pausa quando troveremo Jasper, andiamo adesso." Allungai una mano, aspettando che l'afferrasse. Bellamy si avvicinò a me, prendendo la mia mano nella sua. Non ebbi neanche il tempo di pensare che il mio corpo venne trascinato dentro l'acqua, le braccia muscolose di Bellamy si trovavano attorno al mio torace fragile nel tentativo di non farmi scappare. La mia bocca si aprì al contatto con l'acqua fresca, mentre le mie mani si facevano strada verso il petto di Bellamy, schiaffeggiandolo un paio di volte per il gesto improvviso è inappropriato. 

"Cazzo, Bellamy." Stavo per arrabbiarmi, urlandogli contro che trovare Jasper era la nostra priorità e che avremmo avuto il tempo per rilassarci, ma la sensazione dell'acqua fresca sulla pelle era troppo rilassante. 

"Magari solo un minuto." Feci un piccolo sorrisetto nella sua direzione, al quale rispose con il suo solito sorrisetto ironico. Il suo viso olivastro era completamente ricoperto da piccole gocce, mentre i capelli bagnati gli ricadevano davanti agli occhi marroni scuri. Il livello dell'acqua gli toccava le spalle, mentre le mie erano sommerse.

"Non capisco perché sei così determinata a salvare quel ragazzo." Sentì ancora una volta il suo sguardo sul mio viso e stava iniziando a mettermi leggermente in imbarazzo, come se la mia faccia avesse qualcosa di sbagliato.

"A parte per il fatto che é mio amico? Sono solamente un'apprendista medico." Stava per dire qualcos'altro, ma il mio sguardo fisso dietro di lui lo fece voltare. Lo sorpassai, annaspando leggermente per la forza di resistenza dell'acqua, avvicinandomi sempre di più alla cascata. Poco lontano da essa, buttati vicino ad un sasso, si trovavano infatti i grossi occhiali di plastica nera che Jasper era solito tenere in testa.

"È stato qui. Dobbiamo trovare gli altri." Alzai gli occhiali di Jasper, voltandomi verso Bellamy, il quale mi stava raggiungendo con il mio zainetto. Quando abbassai lo sguardo verso il basso, però, mi accorsi delle tracce di sangue, ancora abbastanza fresco, che sporcavano alcune rocce e foglie. Ci stavamo avvicinando sempre di più e, se non mi fossi lasciata distrarre da Bellamy, a quel punto avremmo potuto già aver salvato Jasper dai terrestri. Strappai il mio zainetto dalle mani bagnate di Bellamy, il quale mi seguì senza aprire bocca. Allungai il passo, cercando Clarke con lo sguardo e seguendo le tracce di sangue che si estendevano davanti a me. Quasi mi scordai della presenza di Bellamy dietro di me, se solo non avessi sentito il suo sguardo fisso sulla mia figura per tutto il tragitto. Continuammo a farci strada lungo la riva rocciosa del fiume, al quale ogni tanto Bellamy si avvicinava per sciacquarsi il viso. Il sole batteva su di noi solamente in alcuni momenti, data la presenza degli alberi che si innalzavano per metri sopra di noi, ma quei pochi momenti sembravano cruciali. Ci dovemmo fermare due volte per riempire le nostre borracce e stavamo per fermarci anche una terza quando sentimmo chiamare i nostri nomi dall'interno del bosco dietro di noi. Mi voltai per vedere Clarke evitare alcuni alberi, dietro di lei si trovavano John e Wells, i quali si scambiavano occhiatacce e battute squallidamente senza un senso logico. Mi alzai e gli fece segno di seguirmi mentre rintracciavo le gocce di sangue sparse qua e là. Per farlo mi spostai leggermente davanti agli altri, concentrandomi soprattutto nel trovare altre tracce per non perdere l'unica pista che avevamo, perciò non ascoltavo attentamente ciò di cui parlavano dietro di me. 

"Come facciamo a sapere che è la strada giusta?" La voce di Wells si alzò sopra le altre, attirando l'attenzione di tutti verso di sé. Non sapevamo quale fosse la strada giusta, ma quella era la strada più sicura. 

"Non lo sappiamo, ma la regina crede che sia una pista." Non diedi molto peso alle parole di John, dato che della sua opinione non me ne sarei fatta di niente. Sentì una botta e un suono di dolore da parte del ragazzo in questione, ma non mi voltai nemmeno per sapere chi era il secondo interessato. Mi abbassai per osservare una foglia macchiata di sangue,

"Si chiama quarto anno di competenze terrestri. Lei è la più brava che abbia mai conosciuto." Mi alzai velocemente, sentendo un fruscio tra le frasche. Mi guardai attorno e dedussi che fosse stato un'animale, non vedendo altri segni di passaggio umano.

"Volete fare silenzio lì dietro o vi disegno direttamente un bersaglio sulla schiena?" Per quanto avessi apprezzato il fatto che Wells continuasse a difendermi, il problema dei terrestri era più importante delle frecciatine di John e Bellamy. Il silenzio che si era creato solo da pochi secondi venne squarciato da un urlo di dolore proveniente da lontano, nei boschi. Mi voltai verso Clarke, la quale mi guardava con un'espressione piena di paura.

"Che cazzo era?" Scossi la testa alla domanda di John, iniziando a camminare a passi lunghi verso la fonte del rumore. Quando ci trovammo in mezzo al bosco, un'altro grido riecheggiò tra gli alberi alti, la voce era molto più chiara e vicina in quell'istante. 

"Questo sarebbe il momento migliore per tirare fuori quella pistola." Il rumore della rimozione della sicura mi arrivò direttamente al cervello. Non mi era mai piaciuto quel suono, ogni volta veniva accompagnato dalla morte di qualche innocente. Quando un'altro urlo si fece strada attorno a noi, iniziai a correre verso la sorgente del rumore.

"Jasper." Lo vidi una volta uscita dal piccolo bosco. Era legato per le mani ad un grande albero, che però non seppi riconoscere, posto quasi al centro di una piazzola fatta di erba. Il suo petto era esposto al calore del sole, il corpo era ricoperto di sangue secco e non, mentre le gambe erano legate assieme. La mia bocca si aprì per lo stupore quando lo vidi in quelle condizioni, mentre il mio secondo istinto fu quello di camminare velocemente verso di lui, evitando i bastoni che i terrestri avevano conficcato nel terreno attorno all'albero. Poi, fu una frazione di secondo, non sentii più il terreno morbido sotto ai miei piedi e il mio polso era trattenuto da una mano a me sconosciuta. Il mio sguardo, il quale si era fissato nei legni appuntiti appena al di sotto delle suole dei miei stivali, si spostò sulla persona che mi stava sorreggendo quando sentì urlare il mio nome da Clarke. Il volto di Bellamy era scosso, mentre il suo sguardo duro vagava continuamente dal mio viso al bracciale posto al mio polso e viceversa. Dopo alcune suppliche da parte di Clarke, il mio corpo venne tirato con fin troppa forza, dato che, dalla posizione in cui mi trovavo, mi ritrovai sopra al corpo muscoloso di Bellamy, le sue mani attorno alla mia vita e le nostre facce a pochi millimetri. Ci scambiammo uno sguardo veloce prima di rialzarci. I suoi occhi erano di un marrone ancora più intenso di quello che mi aspettavo, mentre le lentiggini non gli ricoprivano solo il naso, ma si espandevano fino al contorno occhi, occupando tutto lo spazio degli zigomi non molto pronunciati.

"Stai bene?" Clarke si precipitò verso di me, portando il mio corpo contro il suo in un abbraccio veloce. Annuii sentendo il suo tono preoccupato, per poi staccarmi da lei e voltarmi verso Bellamy per ringraziarlo. Lui non rispose a me come io non risposi a Clarke, almeno non a parole, ed entrambi eravamo segnati da un respiro irregolare, segno dello sforzo appena compiuto.

"C'è un impasto sulla ferita. Una medicina." Rivolsi la mia attenzione a Clarke e notai che John si erano avvicinato al ragazzo ferito per tirarlo giù.

"Perché salvargli la vita per poi appenderlo come esca?" Non riuscivo proprio a concentrarmi sulle parole che sentivo. Le ascoltavo, cercavo di rispondere a Wells, ma non riuscivo a pensare ad una risposta adeguata come avrei comunemente dato. Mi resi conto di essere leggermente sotto shock, ma non lo volevo ammettere nemmeno a me stessa. Non ero io la paziente, non lo ero mai stata e mai la sarei dovuta essere, io ero un apprendista medico e non potevo permettermi di stare male, anche se leggermente. Il mio corpo venne spostato leggermente lontano da dove Clarke e Wells stavano continuando la loro teoria sul perché non avessero ucciso Jasper. Alzai lo sguardo verso i suoi occhi marroni quando la sua mano si posò sul mio fianco. Non ebbi la forza di controbattere sulla troppa confidenza che quel ragazzo si stava prendendo, ma solamente il suo sguardo mi calmò. Non disse niente, mi guardò solamente e questo mi aiutò molto più di quanto una lunga chiacchierata avrebbe fatto. Ero consapevole che il suo unico fine era quello di riuscire a togliere quei bracciali dai nostri polsi e stava facendo un buon lavoro, se solo non fosse stato uno stronzo, bastardo, figlio di puttana assetato di potere nel profondo. Un improvviso ruggito ci riportò entrambi alla realtà.

"Che diavolo era?" Nessuno diede ascolto a John, il quale era salito sull'albero per sciogliere le liane che tenevano Jasper attaccato al tronco, ma ognuno di noi preferì voltarsi verso la direzione dalla quale proveniva il rumore. Dalle alte erbacce incolte, vedemmo uscire quella che riconoscemmo come una pantera. Gli occhi dorati erano quasi iniettati di sangue mentre ci osservava dalla sua postazione. Il manto nero lucido luccicò alla luce del sole quando si chinò quasi a toccare terra con il busto, non distogliendo lo sguardo da noi, dalla sua preda. 

"Bellamy, la pistola!" La mia voce, sebbene uscì come un grido, venne coperta dal ruggito della pantera, che si scagliò verso di noi. Osservai Bellamy fallire nel cercare l'arma nella cintura, la quale era vuota. Udii solamente cinque spari partire da quella stessa pistola, posta nelle mani di Wells, spari che ferirono solamente di poco l'animale, più infuriato che mai. Il sesto proiettile non uscì mai da quella pistola, poiché non esisteva un sesto proiettile. Mentre il felino si nascondeva per cercare un'altra posizione d'attacco, Wells continuò a sparare a vuoto finché non realizzò che erano finite le sue chance di fare l'eroe, poi la fece cadere a terra, in mezzo alle frasche. Quando sentii nuovamente il ruggito dell'animale feroce, afferrai il piccolo coltello di Bellamy dalla sua tasca. Quando, finalmente, la pantera uscì allo scoperto, saltando verso il ragazzo olivastro davanti a me, scagliai il piccolo pezzo di metallo con tutta la forza che avevo in corpo. L'animale cadde a terra, il coltello che avevo lanciato gli si era conficcato proprio in mezzo agli occhi, uccidendolo all'istante e lasciandolo a terra in una pozza del suo stesso sangue. 

"Non credo che tu sia solamente un'apprendista medico." Il silenzio di stupore che si era creato venne spezzato da Bellamy, il quale si era chinato sul corpo dell'animale per estrarre il suo coltello dalla carne e pulirlo dai residui di sangue sulla stoffa dei suoi pantaloni larghi.

"La prossima volta che cerchi di fare l'eroe, ricordati del fallimento di questo momento." 

Dopo aver assistito al nostro ritorno al campo, cioè il momento in cui Bellamy si è preso il merito di aver portato la cena per tutti, e dopo aver disinfettato e bendato Jasper nel migliore dei modi possibile per evitare un'infezione o un dissanguamento, avevo seriamente bisogno di aria. Il ragazzo che eravamo riusciti a salvare in tempo si trovava in una situazione stabile in quel momento, ma avevamo urgentemente bisogno di medicine adeguate per non rischiare un collasso improvviso o un andamento degenerativo del suo stato di salute. Con il pensiero che avevamo immediatamente bisogno dell'aiuto dell'arca, uscii dalla navicella caduta, nella quale avevamo posizionato Jasper per ogni evenienza, e uno strano ronzio mi fece storcere la bocca in un espressione di fastidio. Quando osservai ciò che stava succedendo attorno a me, notai una lunga fila composta da tutti i ragazzi, praticamente, la quale iniziava dal fuoco che avevano acceso. Al fuoco si trovava la carne che eravamo riusciti a trovare poche ore prima, mentre all'interno di esso, tra la legna, giaceva una montagnetta di bracciali. Bellamy aveva deciso di far mangiare solamente chi si fosse tolto il bracciale e, da persone affamate i quali eravamo, non vidi molti rifiutare questa sua iniziativa. Mi avvicinai anche io al fuoco, afferrando uno dei legni nei quali avevano infilato dei lembi di carne, carne che avrei diviso con Clarke, Finn e Monty.

"Aspetta, aspetta. Pensi che per te le regole siano diverse?" Alzai lo sguardo verso John, il quale guardava nella mia direzione, riservandomi uno sguardo che mi avrebbe uccisa se solo ne avesse avuto il potere. 

"Pensavo che non ci fossero regole." Non mi sarei piegata al loro squallido gioco, mai. Bellamy in quel momento si voltò verso di me, lasciandomi allontanare con la mia cena stretta in mano. Camminai all'indietro, osservando la scena che venne dopo; un ragazzo cercò di usare la mia stessa tecnica, ma Bellamy gli riservò solamente un pugno dato pienamente in faccia. Poi il suo sguardo tornò su di me, lo sentivo anche se mi ero già voltata e avevo già iniziato a camminare verso la mia tenda, che avrei sicuramente condiviso con Clarke. 

"Ehi." Quando ormai ero abbastanza lontana dal fuoco del campo, molto più vicina alla mia tenda per intenderci, mi sentii richiamare da una voce che stava diventando fin troppo familiare. Quando mi girai verso di lui, il suo volto era poco visibile, data la distanza che ci separava e il buio della notte stellata che ci avvolgeva, ma non avevo dubbi sul fatto che fosse Bellamy.

"Grazie per avermi salvato la vita, reginetta."

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