Cuori incrociati - stalker

di Jade_S
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo uno ***
Capitolo 3: *** Capitolo due ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo 



La mia vita è sempre stata tranquilla, a parte tutto quello che è successo negli ultimi due anni: non ho mai mollato, sono andata avanti, sempre, nonostante i bassi che ci sono stati nella mia vita, e che ci sono tutt'ora. 
Ho combattuto per la mia felicità. 
Combatto ancora oggi, a diciassette anni, per la mia felicità: il mio sogno è sempre stato quello di studiare e fino a sedici anni ero ancora tra i banchi di scuola, pronta a ripetere le lezioni di filosofia, pronta a fare versioni di greco o latino, pronta a fare qualsiasi cosa. 
Avevo il massimo dei voti, il minimo era sei, e quando a volte avevo un voto più basso, andavo in crisi. Scelsi il liceo classico perché è sempre stato un sogno per me, studiare la filosofia, la letteratura: mi piace conoscere i pensieri altrui. 
Purtroppo ho dovuto abbandonare tutto, mi ritirai da scuola tra le facce sorprese dei professori e tristi dei miei compagni. 
Non ho mai dato la colpa a nessuno anche se, fondamentalmente, qualcuno che doveva curarsi di quella situazione e venire incontro ai miei sogni c'era: quello era mio padre. 
Mio padre, se così vogliamo definirlo, non ha mai fatto il padre in vita sua, non ha mai amato nessuno dei suoi tre figli. 
L'unico suo obiettivo, sono stati i soldi, il potere, e lo sono tutt'ora, perché non ha mai smesso di essere così meschino. È stato così meschino, addirittura da lasciare mamma perché quest'ultima non voleva seguirlo in Canada, dove lui si trasferì per scopi lavorativi. 
Si sono separati quando io avevo quindici anni e mezzo, lui viveva ancora a casa con tutti noi: nonostante l'odio verso di lui fosse profondo, continuava a vivere con noi, poiché stava bene con un letto in cui dormire ed una tavola su cui mangiare. Ma fu quando ci furono tutte le firme e i documenti pronti, che mamma lo mandò via di casa, definitivamente. Tutto questo successe tre mesi dopo il mio sedicesimo compleanno e in quello stesso periodo lui mi vietò di frequentare la scuola, poiché non avrebbe avuto intenzione di pagare libri e tasse scolastiche; non aveva neanche intenzione di aiutare mio fratello Jake economicamente, che era diventato padre in una tenera età: tutto questo soltanto per egoismo, odio, avidità e orgoglio. 
Mia madre non stava come una normale donna di quarant'anni dovrebbe stare: era costantemente depressa e, come se non bastasse, stava sempre in ospedale. 
Hanno preferito farla rimanere in ospedale per molto tempo, per verificare che cosa avesse, una volta per tutte, e scommetto la mia stessa vita ancora oggi, che era tutta colpa di quel verme. 
Per di più mi ritrovavo a diciassette anni senza un soldo per vivere, dato che non ci spediva nulla: ci vietava, addirittura, di fare uso di soldi, ci obbligava a non toccare una moneta: sia a me, che ai miei fratelli. 
Non era questa la vita che volevo e fa tanto male essere la figlia di un imprenditore famoso, conosciuto in tutto il mondo, per motivi non molto buoni. 
Ma sapevo che, prima o poi, qualcosa avrebbe stravolto la mia vita. 
Per sempre. 
Fu lui, fu lui a stravolgermi la vita. 
Fu lui che mi salvò da tutto quello schifo. 
E se lo incontrai, se voleva uccidermi prima di conoscere determinate cose, la colpa non era la mia: la colpa è sempre stata di mio padre.



 

       

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Capitolo 2
*** Capitolo uno ***


«Brux svegliati, devi andare a lavoro e sono già le otto!» Mi sveglio con questa terribile frase: lavoro e otto nella stessa frase, oh no. Non riesco a decifrare la voce di chi mi ha svegliata poiché sono ancora nel mondo dei sogni; non riesco ad aprire gli occhi e vorrei stare a letto tutto il giorno, ma non posso. Devo alzarmi, devo andare a lavorare. Aspetta! Se ho sentito bene, sono le otto! Non posso arrivare in ritardo, Jason si incazzerà e devo ringraziare non so quale santo, se non mi caccia. Apro gli occhi di botto, per poi richiuderli data la luce accecante. Dopo averli riaperti lentamente, prendo il cellulare per vedere l'ora e mi stupisco di me stessa per aver dimenticato di attivare la sveglia alle sette. Brava Brux, complimenti. Sono le otto meno cinque, così mi alzo dal caldo letto. Poggio lentamente i piedi sul pavimento congelato, poi realizzando che alle otto e un quarto dovrei già essere al negozio, corro in bagno per fare una doccia veloce: spero bastino cinque minuti. Senza fare caso all'acqua leggermente fredda, che io odio, mi lavo velocemente: sarà pure inverno e farà pure freddo, ma l'adrenalina sul mio corpo quando sono in ritardo è tanta. Esco fortunatamente dalla doccia dopo pochi minuti e dopo essermi vestita con un paio di jeans, maglione e Vans, perché la comodità va prima di tutto, sistemo il mio viso da zombie con un po' di trucco: correttore, mascara e tinta labbra, ciò che mi salva la vita. Appena esco dal bagno e torno in camera, prendo il mio cellulare e il mio cappotto. Non ho neanche il tempo di sistemare la camera, che è sottosopra, perché sono già le otto e undici. Scendo frettolosamente di sotto, rischiando di cadere e rompermi una gamba, per poi andare in cucina e prendere la mia borsa che sta sul tavolo, preparata ieri sera. L'odore di caffè mi invita a sedermi sul tavolo e fare una buona colazione, ma questa è l'ultima cosa che devo pensare. Qui c'è mia sorella Elvira che prende il suo caffè, appoggiata sul bancone della cucina, con la tazza in mano e addosso la sua vestaglietta viola: non dovrebbe essere a lavoro? «Buongiorno ritardataria, il letto ti ha fregata?» dice ironicamente, sorseggiando la sua bevanda. «Non me ne parlare, se Jason se ne accorge mi caccia! Tu, piuttosto, non dovresti essere a lavoro?» chiedo, sperando non sia stata licenziata. «Questa settimana ho il turno dalle sedici alle ventuno. Sai che palle stare a lavoro fino a quell'ora! Poi il proprietario è un vecchio fastidioso, stare sotto i suoi comandi è una seccatura.» sbuffa lievemente. Annuisco ma solo adesso mi accorgo che sono ancora più in ritardo di prima: «Dio, santo. Io vado, a dopo!» dico salutandola frettolosamente, poi prendo la borsa e le chiavi ed esco. Non ho una macchina poiché sono ancora minorenne e non ho nemmeno un motore, anche se dovrei comprarlo, ma con la disponibilità economica di questo periodo è quasi impossibile poter comprare una moto; ammetto che è una vera tortura dover andare a lavoro a piedi, soprattutto in inverno quando nevica o quando piove. Da casa mia al negozio ci sono tre minuti di strada in macchina, mentre cinque minuti a piedi. Il mio capo è una persona che tiene alla precisione, agli orari e all'ordine: -8:15, tutti i dipendenti devono arrivare puntuali per sistemare i nostri capi negli appositi reparti. -8:30, cominciare ad aprire e accogliere i clienti. -12:30, metà parte del personale può fare un piccolo break. -13:00, chiusura. -16:30, apertura. -18:30, metà parte del personale può fare un piccolo break. -21:30, chiusura. Questo è un regolamento che Jason stesso ha fatto, scrivendolo sul suo computer e stampandolo. Lo ha consegnato ai suoi dieci dipendenti, due dei quali però si sono arresi e, di conseguenza, licenziati per via della tarda chiusura di sera. Guardo l'orario dal cellulare e vedo che sono le otto e diciassette: dai, posso farcela! Mancano due minuti di strada, speriamo bene. Guardando le notifiche dal cellulare trovo una chiamata persa da Abby, una mia collega di lavoro ma anche una mia grande amica: perché mi ha chiamata? Per togliere ogni dubbio, decido di chiamarla. «Brux, dove sei?» dice lei non appena risponde, così mi affretto a dire: «Sto arrivando, che succede?» Lei sospira dalla parte opposta del cellulare, sembra affannata più che altro: «Jason oggi è fuori di testa, sta delirando!» dice, non capisco. «Come sta delirando? Spiegami...» «Allora, -sospira e prende fiato- Jason è fuori di testa perché sono l'unica oggi, a parte Bernadette, ad essere puntuale; siamo qua dalle otto e dieci, lui era qua già alle otto. Non capisco questo suo comportamento.» dice. Per evitare di ridere, concludo con un semplice: «Tranquilla, sto arrivando.» e riattacco. Jason è un uomo un po' così, tiene molto al suo lavoro: c'è un motivo se è così fuori di testa a volte, ed è una cosa che solo pochi sanno in città, me compresa. Tramite amiche di mia madre ho scoperto che la sua relazione con la moglie non è delle migliori perché si suppone che lei abbia un amante; spesso Jason impazzisce per poco e l'unica cosa che ha di prezioso sono i suoi figli e il suo negozio che ha aperto con tanti sacrifici, da quel che so. A volte è insopportabile, e bisogna ammetterlo, ma è anche una persona affettuosa e comprensiva: tranne quando ritardi a lavoro, e in questo caso sì, è insopportabile. Finalmente arrivo, anche se non in orario: sono le otto e ventuno. Apro la porta ed entro, vedo Abby che viene verso di me e dice: «Non parlare, non fiatare, sopporta e basta.», cos'è, un avvertimento? So già che è riferita a Jason, così annuisco e poso la mia roba sotto il bancone per avere tutto a portata di mano: mi guardo intorno, Bernadette, chiamata anche Benny, si avvicina con un dolce sorriso per salutarmi, così ricambio il saluto. Mentre Benny si allontana per fare il suo compito, io guardo tante scatole di nuove collezioni, così mi metto a lavoro. Vedo Jason dirigersi verso di me, resto indifferente cominciando a sistemare vari capi di Gucci, Armani, Liu-Jo e quant'altro. «Bridgitte Roxana Erol.» sento chiamarmi con il mio nome completo, segno non positivo. È il mio caro vecchio capo. «Buongiorno, signor Traynor.» dico, girandomi verso la sua direzione e sfoggiando uno dei miei sorrisi più preoccupati di sempre, cercando di rimanere tranquilla: non tengo proprio a perdere il mio lavoro che, in fondo, mi piace. E no, non sto esagerando se dico che potrebbe licenziarmi per uno stupido ritardo. È capitato altre volte che molte dipendenti siano arrivate in ritardo, proprio in quelle giornate dove Jason era di luna storta, decidendo poi di licenziarle perché secondo lui non erano all'altezza: adesso non direte più che sto esagerando. Lui mi lancia uno sguardo un po' "criminale", poi, indeciso su cosa fare, valutando se urlarmi o lasciarmi stare, dice: «Hai fatto un ritardo bestiale, seguimi.» Oh merda. La paura si impossessa del mio corpo, che cosa dirò a mio fratello se dovesse licenziarmi? "Sai Jake, Jason mi ha licenziata perché sono arrivata in ritardo, ma tranquillo mi troverò un altro lavoro al più presto". Decisamente no. So quanto è difficile per lui, un giovane ragazzo di soli ventidue anni, avere sotto tutela due sorelle e un figlio: fortunatamente il piccolo Karl non chiede troppo, non è un bambino viziato e a volte, quando mi ritrovo qualche soldo in più, decido di fargli un regalino: mio nipote è tutta la mia vita, l'unica bella notizia avuta in questi ultimi anni. Lo amo come fosse un figlio perché, in fondo, per me è un figlio. Carol, ringraziando il cielo, è una mamma bravissima e una cognata dolcissima. Invece mio fratello è il padre migliore del mondo: sta facendo da padre anche a me ed Elvira, ed io gli voglio un bene immenso: meriterebbe una statua. Ed è brutto sapere che, mentre tu stai lottando per andare avanti, per farcela, per sconfiggere la crisi interna ed esterna che ti divora, dall'altra parte del mondo c'è un imprenditore che è tuo padre, colui che non ha intenzione di mandarti un misero dollaro, colui che non ti ha mai voluto, colui che ti considera uno sbaglio. Dopo tutta questa lunga riflessione, sospiro e seguo Jason, continuando a pregare. Lo vedo fermarsi, così faccio lo stesso io. Lui incrocia le braccia e comincia a guardarmi: «Bridgitte, vedi..-» comincia, ma lo interrompo: odio quando mi chiamano Bridgitte. «Brux, per favore, mi chiami Brux.» lui annuisce e continua: «Va bene, Brux. Allora, sai la fine che hanno fatto tutte le tue colleghe che hanno ritardato di...-si ferma per guardare l'orologio al suo polso, poi mi guarda nuovamente abbassando il braccio-...di dieci minuti, giusto? Non vorrei fare lo stesso con te perché, intendiamoci, detto tra noi sei un membro fondamentale del nostro negozio, la gente ti stima, viene qua non solo per la qualità, ma in seconda posizione anche per la tua gentilezza. Si rivolgono a te e sei sempre disponibile, diciamo che tu sei stata la mia prima dipendente e questo è una cosa importante...» comincia. Annuisco, mordendomi il labbro inferiore. Non so cosa fare, sinceramente. Lui mi guarda e fa un ghigno: «Bene...-ricomincia- per questo ho deciso di non mandarti via, capita a tutti di ritardare una volta sola. Ci siamo intesi, Brux? Sai che tengo a questo negozio, ai suoi orari e ai suoi tempi.» «Va bene, signor Traynor, mi scusi. Sono mortificata, non capiterà più. E la ringrazio per non avermi cacciata.» dico, ancora più felice. Lui mi guarda, annuisce e poi dice: «Bene, adesso vado.» Sorrido e annuisco, sono davvero felice che mi abbia dimostrato fiducia. Mi incammino verso la folla: sono già le nove, com'è possibile? Il negozio è pienissimo di gente che cerca informazioni, gente che prova abiti, chi acquista, chi li riporta indietro per cambiarli. Mentre sistemo gli abiti della collezione Louis Vuitton, vedo che Abby si avvicina a me, con in mano un paio di jeans. «Brux, guarda là fuori... -dice, indicando fuori-, quel ragazzo è sempre lì fermo a guardarti, tutti i giorni alla stessa ora.» dice, facendomi accorgere del ragazzo. È impossibile che guardi me, tra tutta la folla. «Scherzi Abby? Non può guardare proprio me, ogni giorno viene un mucchio di gente qui, non penso mi spii. Possibilmente guarda te!» dico, ridendo. Lei alza gli occhi al cielo: «Se così fosse, Cameron gliele suonerebbe, mia cara.» dice, nominando il suo ragazzo. Io ridacchio e poi sospiro: «Sei sicura che guardi me?», dico tornando seria. «Secondo me sì. Ogni giorno è lì, non te ne sei mai accorta?» chiede. Nego con la testa e lei mi guarda, facendo spallucce. Passano due ore circa, dopo quella chiacchierata, fin quando qualcosa dentro un camerino maschile attira la mia attenzione: è un portafogli, dentro vi è la carta d'identità, molte carte di credito e qualche banconota. Apro la carta d'identità per vedere di chi è, così scopro che il nome del ragazzo è Harry Styles. Fortunatamente in questi documenti vi è anche la residenza: lo porterò all'indirizzo segnato appena uscirò da qui. Povero ragazzo, chissà se adesso starà cercando come un disperato il suo portafogli. Guardo meglio la foto del possessore di questo documento, fin quando mi accorgo che questo ragazzo in foto, è il ragazzo che secondo Abby mi guarda ogni giorno: sarà un caso? Non facendo caso più di tanto a quel documento, mi dirigo al bancone e poso l'intero portafogli dentro la mia borsa, lo restituirò io stessa. Mentre la gente si avvicina per pagare, mi allontano un attimo, per sistemare le ultime cose. Non capisco perché la gente debba strappare le etichette ai vestiti se poi non li acquista, a che cosa servirà mai? Sono sicura che andremo fuori di testa senza cartellini con prezzi e codici scritti. Raccolgo i vestiti da terra, perché devono buttare i vestiti a terra? Dio santissimo, non capirò mai la gente. Sospiro piegando le ultime maglie buttate a casaccio dentro il camerino, per poi sentire una strana presenza dietro di me, come se ci fosse una strana attrazione tra me e la persona che mi sta dietro. Mi giro e mi accorgo che il ragazzo che ha perso il portafogli è dietro di me, a tre metri di distanza. Sorrido e sospiro: «Ehm...scusami?» dico, avvicinandomi a lui. Il ragazzo si gira e mi guarda, per poi dire: «Parli con me?», e si indica. Porta moltissimi anelli tra le dita, ha un tatuaggio con una croce, che mi colpisce subito, ed ha le mani estremamente sexy; le vene sulle sue mani lo rendono ancora più affascinante. Io sorrido: «Sì! Aspetta...allora tu sei Ha-...ehm...Harry!» dico, cercando di ricordare il nome, lui continua con: «Harry Styles.» sospiro, e dico: «Hai perso il portafogli, l'ho messo in borsa intenta a riportartelo, ma adesso che ci sei te lo restituisco.» Tocca le sue tasche posteriori, poi dice: «Oh, vero, che sbadato. Grazie mille, ti aspetto qui.» poi sorride. Mi allontano per andare a prendere il portafogli e vedo Abby che mi guarda con un sorrisino malizioso: «Ah, ecco! Vi ho beccati!» dice. Ridacchio e dico: «Veramente ha perso il portafogli nel camerino e glielo sto restituendo, Abigail.» Lei alza gli occhi al cielo: «Ah, sono tutte scuse: ha fatto tutto ciò perché gli interessi, voleva provare a parlare con te.» «Ma smettila, sarà anche fidanzato. È troppo grande per me, e poi io non sono così affascinante per un tipo come lui.» «Sì che la sei, sei una bella ragazza, Brux.» Alzo gli occhi al cielo, prendo il portafogli e dico: «Vado a restituire ciò che non mi appartiene.» lei sorride e mi fa un'occhiolino, io la guardo e sorrido. Vado verso il ragazzo che mi guarda e poi mi ringrazia: «Grazie mille, è difficile trovare persone come te in giro. Se non fossi stata tu a trovarlo, qualcun altro mi avrebbe derubato.» «Già, ma delle buone basi familiari servono, se ti basta ciò che hai, non proveresti mai a rubare.» sorrido. Lui sorride e mi porge la mano: «Harry Styles, comunque.» «Brux Erol, piacere.» dico e stringo la sua mano. Al suono del mio nome il suo viso impallidisce, deglutisce e stringe la mia mano ancora di più poi, dopo qualche secondo, sorride nuovamente: «Tutto bene?» chiedo, lui annuisce: «Sì, tutto bene, tranquilla.» «Comunque, sei forse inglese? Dal tuo accento si direbbe di sì.» lui annuisce e poi dice: «Già, ma sono qui poiché sono solo... anzi qui ho qualche amico, ma in Inghilterra andava tutto male: mio padre è morto tre anni fa, mia madre  si è risposata e non mi considera più un figlio, i miei "amici" erano cattive compagnie... bello no?» dice guardando altrove, poi guarda me. «Ti capisco, è difficile vivere senza un padre, senza una madre... -dico, pensando al mio di padre, poi vedo Jason guardarmi, così mi interrompo.-, magari ci vediamo un'altra volta per parlare di più, se il mio capo mi vede qui a parlare mi uccide.» lui annuisce e dice: «Alle tredici magari, va bene? Ti aspetto qui fuori.» dice, così annuisco. Ne sono sicura? Insomma, lo conosco da quindici minuti. Comunque sia sarà solo una chiacchierata, e ne sarò felice, magari mi farò qualche amico qui, poiché ho solo Abby e Benny. Lui esce dal negozio sorridendomi, e salutandomi con un cenno della mano, io sorrido e poi continuo a lavorare, sperando che quella che avverrà sia una chiacchierata tranquilla.

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Capitolo 3
*** Capitolo due ***


«Allora? Cosa ti ha detto?» si precipita come un fulmine verso di me Abby, riempiendomi di domande. Tra meno di dieci minuti saranno le tredici esatte, ed io sono ferma qui con il cellulare in mano a passare un po' di tempo, mentre le altre ragazze stanno sistemando il resto del negozio e qualcun'altra ha chiesto a Jason di poter andare via prima. Sospiro e rispondo alla mia amica: «Beh, nulla. Diciamo che ha fatto una faccia strana quando ha sentito il mio nome, mi ha parlato un po' di lui e della sua famiglia, mi ha dato appuntamento alle tredici qui e da cretina ho accettato l'invito di uno sconosciuto. Ottimo, no?» dico sarcasticamente guardando il cellulare, mentre scrivo a mio fratello che rientrerò un po' più tardi oggi. Lo stupore sul suo viso cresce: «Wow Brux, e ti lamenti? È una cosa bellissima, non capisci? Nel senso, un figo della Madonna ha cominciato a parlarti! E per di più ti ha parlato della sua famiglia perché forse vorrebbe presentarti ai suoi e, chissà, magari è innamorato di te dopo tre mesi di spionaggio. Ti sta facendo la corte, è qualcosa di magnifico, capisci?» dice entusiasta. Abby è davvero una ragazza ingenua, non capisce spesso il pericolo di determinate situazioni ma, nonostante ciò, sa come difendersi. Scuoto la testa e mordo il mio labbro inferiore: «Spionaggio? Innamorato, e addirittura la corte? Abby, sei seria? Tesoro, ascolta: non vuole presentarmi ai suoi e, anche se così fosse, non potrebbe farlo.» ammetto, un po' dispiaciuta per la situazione di Harry. «E perché mai? Sentiamo.» dice, alzando gli occhi al cielo e incrociando le braccia. Oh Abby, che testa dura. «Suo padre è morto tre anni fa, sua madre si è sposata con un altro uomo non considerandolo più un figlio, e per di più lei abita in Inghilterra con il compagno. E poi, ehi, chi mi porterebbe in Inghilterra per presentarmi ai genitori? O meglio, alla madre che se ne frega altamente del figlio?» spiego. Il suo viso cambia del tutto espressione, deglutisce e, sciogliendo le braccia, dice: «Come si chiama?» è abbastanza preoccupata, non capisco perché abbia reagito così. Non è il primo ragazzo sulla terra con una situazione del genere; io per esempio, non ho mio padre. No, Brux, non paragonarti ad un ragazzo che ha perso il padre che potrebbe essere stata una brava persona e amava suo figlio, mi ripete il mio subconscio. «La madre non lo so, ma lui si chiama Harry Styles -spiego-, ed è inglese, di Holmes Chapel, da quanto ho letto sulla sua carta d'identità.» Per un attimo Abby guarda un punto indefinito della stanza, deglutisce e comincia ad aprire gli occhi sempre di più, leggermente, e la sua bocca è semi-aperta. Schiocco le dita davanti al suo viso per farla riprendere: cos'hanno tutti oggi? Tutti imbambolati al suono di nuovi nomi? Quel ragazzo ha cambiato espressione sentendo il mio nome, Abby adesso è sotto shock dopo aver sentito "Harry Styles" e insomma, non ci capisco più nulla. «Abby, ehi!» urlo davanti a lei. Lei mi guarda, si riprende e dice: «Ehm, scusa Brux, stavo pensando ad altre cose, nel senso ho sentito di questo ragazzo e della sua storia che mi...mi ha colpita parecchio, anche se non...non so come siano andate le cose veramente. Tutto apposto, tranquilla.» sorride un po' falsamente balbettando, e quando lei balbetta, mente. Cosa le prende? Mi ha sempre detto tutto e non mi ha mai mentito, perché si sta comportando così? So che sta dicendo la verità, ma non per intero. La sua è solo una versione, e sono sempre più confusa: suo padre è giornalista, sa tutto di tutti, Abby è sempre aggiornata, anche su fatti accaduti nel 1970, per dire. «Cos'hai Abby? Non sei mai stata così con me, ti vedo strana.» dico sinceramente. Lei mi guarda e dice: «No tesoro, tranquilla, non ho nulla. Stavo pensando, scusa.» sorride, questa volta con un sorriso più vero. Sorrido anche io e le dico: «Va bene.», poi la abbraccio. Anche se so che non è vero il fatto che pensava ad altro, la rispetto, perché è giusto così. Forse non si sente sicura e me ne parlerà più avanti, oppure non me ne parlerà completamente, ma è una sua scelta ed io lo accetto. Lei mi stringe più a sé, poi mi guarda: «Ricordati che per qualsiasi cosa io ci sono, okay? Qualsiasi cosa ti succeda, tu chiamami, qualsiasi persona voglia farti del male, parlane con me. Okay?» dice, con un sorriso un po' preoccupato e gli occhi lucidi. Ammiro queste sue parole, anche se non ne capisco il motivo. È successo qualcosa che dovresti sapere, forse, mia cara Brux, interviene il mio subconscio. «So che tu ci sei, Abby.» sorrido e poi, per togliermi ogni dubbio, le chiedo: «C'è di mezzo quel ragazzo, Harry, per caso? Nel senso, il tuo comportamento e queste tue parole, sono dovute a lui?» Lei scuote la testa e dice: «No, lui non c'entra. Anzi, spero per lui che ti tratti bene, altrimenti gli finirà male.», ridacchia poi. Io sorrido e le dico un sincero: «Ti voglio bene.», che lei ricambia con un bacio in guancia. Questa storia e la sua reazione mi hanno un po' impaurita, e il fatto che lei non ricordi con precisione tutto, è una stupidità assurda. Non perché ne sono convinta, forse un po', ma perché conosco Abby da due anni e mezzo, perciò so com'è fatta e capisco quando dice una bugia. Dopo qualche minuto sento il mio cellulare vibrare, così decido di vedere chi è. È un numero che praticamente non ho mai visto, non è salvato tra i miei contatti ma, comunque, decido di rispondere lo stesso sotto lo sguardo confuso della mia migliore amica. «Pronto?» rispondo. «Ehm, ciao Brux, sono Harry. Volevo dirti che sono al bar dietro l'angolo dal negozio in cui lavori, il Black Devils, ti sto aspettando.» Harry? Come diavolo ha avuto il mio numero questo ragazzo? «Oh, ehm, sì certo, qualche minuto e arrivo, okay?» «Va bene, fai con comodo.» dice, e poi riattacca. Tengo il cellulare in mano con molta paura: non ricordo di avergli dato il mio numero stamattina. Ma può anche darsi anche che glielo abbia dato, vero? Abby mi guarda e dice: «Chi era?» Io sospiro: «Era Harry, non so come abbia avuto il mio numero, a meno che non sia stata io a darglielo stamattina, con tutte queste ore di lavoro ho la testa tra le nuvole.» spiego. Lei mi guarda, deglutendo di nuovo (è un gesto che fa quando ha paura, quando sa che qualcosa non va), poi dice: «Capisco, non dirlo a me...-sospira-, allora, quando viene?» chiede. «Mi aspetta al Black Devils e non so se sono presentabile o meno, mio Dio.» sbuffo. Oggi sono uno straccio: ho il viso pallido e gli occhi super stanchi e assonnati, ma spero che comunque Harry non se ne accorga. «Ti fai troppi complessi, tesoro -ammette-, ma non preoccuparti. Vedrai che con un po' di...-si ferma per cercare qualcosa dentro la sua borsa, e vedo tra le sue mani una tinta labbra leggermente violacea-...con un po' di questo, sembrerai ancora più carina di quanto non la sia già, mia cara.» sorride, per poi darmi tra le mani la tinta di sua proprietà: la metto, guardandomi nello schermo del cellulare, e poi mi volto verso di lei. «Bene Bridgitte, vai. Sei bellissima.» dice entusiasta, come se una tinta potesse fare miracoli. Insomma, è solo un po' di colore sulle labbra, cos'ha di tanto speciale? «Oddio, Abby. Se odi così tanto il nome Brux, almeno evita di chiamarmi Bridgitte. Sai che preferisco che tutti quanti mi chiamino Brux.» dico, piuttosto infastidita, ripensando al fatto che mi ha chiamata con il mio nome di battesimo. Sono una ragazza dal nome antico e complicato: Bridgitte Roxana Erol, che si trasforma in un nome poco sentito, raro, quasi inesistente, Brux Erol. Penso che chiunque abbia questo diminutivo, possieda il mio stesso nome o sia una fanatica di Bruxelles. Non che non mi piaccia il nome Bridgitte, anche se sinceramente è un po' antico, ma appartiene ad una persona che praticamente non conosco ma che, teoricamente, è la mia nonna paterna: non l'ho mai conosciuta. Il nome Roxana invece è stato scelto da mia madre quando ero nel suo grembo, per questo lo preferisco, ma per evitare confusione, un "mix" non fa male a nessuno: Brux, semplice. Abby mi guarda interrogativa, poi ride e dice: «Va bene, signorina Brux dai mille nomi.» Io scuoto la testa e lei mi guarda: «Buona fortuna con il tipo.», conclude poi, tornando seria. Io annuisco sospirando e poi mi saluta con un dolce bacio sulla guancia, andando verso la sua macchina. Sospiro, non so come sarà tutto questo: e se volesse farmi del male? No è impossibile, non sembra un ragazzo del genere, anzi, lo considero molto gentile ed educato. Perché sei così paranoica, ma soprattutto, perché ti preoccupi sempre, Brux? Andrà tutto bene, fidati, mi incoraggia la mia testolina. Per evitare tutte queste paranoie e i pensieri strani che mi vengono in testa, decido finalmente di dirigermi verso il Black Devils. Faccio un lungo sospiro e poi poso il cellulare dentro la borsa. Non succederà nulla, devi stare tranquilla, continuo a ripetermi. Il bar è praticamente dietro l'angolo, quindi appena giro vedo Harry, un po' in lontananza, seduto su una sedia fuori dal bar: non mi ha ancora vista. Sta fumando una sigaretta, i suoi capelli leggermente lunghi sfiorano le sue spalle, e i suoi occhioni verdi guardano il panorama che lo circonda: è pensieroso. È un bellissimo ragazzo, devo ammetterlo, ma suppongo sia molto più grande di me: venti anni li ha, di sicuro. Percorro tre metri circa per arrivare verso di lui, finché mi vede e sorride: «Ci si rivede, Brux.» dice, sfoggiando un bellissimo sorriso e buttando la sigaretta oramai consumata a terra. Io ricambio il sorriso: «Già.» rispondo. Lui si alza e, superandomi notevolmente di altezza, si abbassa per salutarmi con due baci sulle guance; ha le labbra calde e morbide, il mio corpo è invaso da brividi. Sorrido quando si stacca, un sorriso che lui ricambia. Ti senti così perché nessun ragazzo ti ha mai dato due baci in guancia, quindi sei molto imbarazzata, dice la mia testa. È vero, cavolo. Ho diciassette anni ma devo ammetterlo, sono ancora vergine. Non sono mai stata fidanzata, non mi sono mai innamorata, soltanto perché sono impacciata con i ragazzi, non ci so fare. Sono buffissima quando parlo con un ragazzo, divento rossa in viso e il cervello va in tilt. Qua fuori fa abbastanza freddo, il clima non è dei migliori: siamo nel centro di Gennaio e siamo sotto gli zero gradi. Stamattina, e ancora adesso, c'era la brina e pur essendo qualcosa che mette di buon umore alla vista, il corpo dice "no" alla temperatura gelida. Parlando di brina, sta per nevicare dato che, ahimè, la temperatura si sta abbassando notevolmente. Spero soltanto non nevichi quando devo tornare a casa, oppure congelerò. «Che ne dici se ci mettiamo dentro? Qui fuori si congela.» non esito a chiedere. Lui sorride e dice: «Va bene, entriamo.» Dopo aver raccolto le sue cose, entriamo dentro il bar, decisamente molto più caldo. Mi piace molto l'aria di questo bar, sono felice che abbia scelto questo posto; nonostante il nome possa sembrare qualcosa di brutto, l'aspetto è molto diverso: le pareti sono nere, arricchite da dei quadri con le cornici beige, i divanetti sono di pelle nera e i tavoli sono di vetro, ricoperti da tovaglie beige con sfumature nere, ci sono anche parecchi riscaldamenti e ringrazio chiunque li abbia accesi. Il locale oggi è deserto, sarà forse per il freddo. «Vuoi qualcosa?» mi chiede dopo esserci seduti, svegliandomi dai miei pensieri. Mi guarda sorridendo, sono sicura di essere con le guance rosse e gli occhi quasi lucidi: mia sorella li chiama "Effetti collaterali di Brux quando sta con un ragazzo". «Hm, per me va bene anche un bicchiere d'acqua.» ammetto, lui ridacchia e dice: «Vuoi un caffè?», poi annuisco. Quando il cameriere si avvicina a noi scrutandomi e sorridendomi, Harry prende le ordinazioni abbastanza infastidito e, appena il ragazzo va via, Harry comincia a valutare se parlare o meno. Spero cominci un discorso, dato che sono in imbarazzo. «Allora, Brux.» dice guardandomi, io lo guardo e sorrido leggermente, arrossendo ancora di più: «Quanti anni hai?» continua. «Diciassette, li ho fatti da poco.» ammetto, poi continuo: «Tu?» Lui mi guarda con un sorrisino molto strano, poi dice: «Sei molto piccola, per lavorare in un negozio di abbigliamento ed essere figlia di Alfons Erol, un imprenditore che potrebbe darti tutto ciò che vuoi, non credi?» Ho sentito bene? Come sa queste cose? Brux, mantieni la calma. Respira, non cominceranno di nuovo; sono soltanto incubi, tu mantieni la calma e sii te stessa, dice la parte coraggiosa e ottimista di me. Io deglutisco e, balbettando, dico: «Co- come... sai queste cose?» Comincia a mancarmi il respiro, è questo l'effetto che mi fa mio padre. Non sopporto parlare di lui, non ci riesco e se ci provo, comincio a respirare a fatica. Lui mi guarda e dice: «No, tranquilla, era per dire. Sai Brux, città si parla, e si parla anche di tuo padre -sospira, poi continua-, e non in modo positivo.» Io abbasso lo sguardo e, cercando di respirare, dico: «Io non centro nulla con mio padre, siamo due persone differenti.» Lui mi guarda socchiudendo gli occhi, come se stesse avendo un deja-vù, e collega ciò che pensa alle mie parole. Che cosa sta succedendo? Sapevo che non dovevo venire qui. Sii forte e coraggiosa, mi ripeto. «Tu non centri nulla con tuo padre? In che senso? Insomma, sei pur sempre sua figlia. Si è pentito di tutto quello che ha fatto? Non pensa al futuro dei suoi figli, con la reputazione che ha, cazzo? Quell'uomo è un bastardo.» dice alzando il tono di voce, quasi minaccioso e furioso. Sono più affermazioni, che domande. Mi sta mettendo paura e, per di più, non so cos'abbia fatto mio padre, dato le mille cose che ci ha tenuto nascoste per anni e anni. Mi sento male, se continueremo a lungo di parlare di lui, potrà correre in ospedale: «Harry, io non so nulla. Io con lui non...senti -dico alzandomi, respirando a fatica ed evitando di piangere-, io vado via, non so cosa vuoi da me, ma non ho tempo da perdere, soprattutto se dobbiamo parlare di mio padre. Addio.» concludo, sapendo che questa è la cosa più giusta da fare, andarmene. Sto per piangere, ma mi accorgo troppo tardi di avere le guance bagnate, respiro a fatica. Prendo la borsa tremando, ma lui si alza prima che io possa sollevare la borsa dalla sedia e, delicatamente, appoggia la sua mano sopra la mia, facendomi smettere immediatamente di tremare. Sospira, è decisamente più tranquillo, poi mi guarda e dice: «Ascolta, scusami. Non era mia intenzione metterti paura, che ne dici se ne parliamo meglio? Scusami, vedo anche che respiri a fatica, mi dispiace.» i suoi occhi sono veritieri e le sue iridi verdi emanano sicurezza, così annuisco. Dopo aver bevuto i caffè, decidiamo finalmente di parlare. «Comunque scusa per le cose che ti ho detto prima ma...ero un po' agitato.» dice, io sorrido e dico: «Non è nulla, tranquillo.» «Anche perché, da testa di cazzo, non ho pensato che stavo per urlare contro una ragazzina che non ha nessuna colpa, porca miseria.» dice. Io sospiro e dico: «No davvero, avrai avuto i tuoi motivi. Solo che, insomma, io e mio padre siamo due cose differenti, due strade differenti, per me non è nessuno. Per questo mi dà fastidio quando si parla di lui.» «Già, essere figlio suo sarebbe uno schifo.» dice sussurrando tra sé e sé, come se c'è l'avesse a morte con mio padre. Che cosa ha fatto di tanto terribile? Perché sono sua figlia, ma nonostante tutto non so nulla? Perché forse io e i miei fratelli siamo figli non voluti, e papà non ha perso altro tempo con noi evitando di raccontarci della sua vita, mi ripeto. «Comunque non so quello che quell'uomo ha fatto, perché mi ha praticamente vietato il futuro, non facendomi sapere più nulla di lui, né so qualcosa della sua compagna. Qualsiasi cosa abbia fatto, noi tre figli non centriamo. È sua la responsabilità di tutto.» dico, sperando di essere chiara una volta per tutte. Odio dover dare spiegazioni alla gente ma, in questo caso, mi sembra il minimo che possa fare. Non ha rovinato soltanto la mia vita, a quanto pare, ma anche la vita di un giovane ragazzo e di chissà quante altre persone. Conosco Harry da poco, pochissimo tempo, ma penso che la sua storia sia difficile, e so per certo che centra mio padre, questo è sicuro. «Quindi tu non vuoi bene tuo padre? Per te, insomma, non è più nessuno?» chiede. «Assolutamente nessuno.» ammetto, con tono freddo, poi continuo: «Perché non è nessuno, un padre che quando nasci sta con altre donne. Non è nessuno un padre che ti vieta il futuro ma soprattutto, non è nessuno un padre che non ti racconta mai di quello che fa durante la giornata, dei casini che combina, e guarda scommetto quello che vuoi, che avrebbe l'ergastolo se solo si sapesse tutto ciò che ha fatto, ma che non ha mai raccontato.» concludo poi. Harry mi guarda, poi sospira: «Oh, capisco, e hai ragione. Comunque sono stato maleducato a non rispondere alla tua domanda. -dice, poi continua- Ho ventitré anni.» dice sorridendo, è una fossetta si disegna sul suo volto. Io sorrido e annuisco: «Te ne davo un po' di meno.» Lui sospira e continua: «Grazie per il complimento, piccola. Visto che andiamo d'accordo, se così possiamo dire, che ne dici di continuare a sentirci e magari fare qualcosa che potrebbe renderti felice?» Lo guardo abbastanza interrogativa, poi sussurro: «Sarebbe?» Lui sorride, poi dice: «Mantenere questo contatto che abbiamo cominciato ad avere oggi e magari scoprire di più su tuo padre e piano piano distruggerlo, che ne pensi? Pensaci, potrebbe essere la tua vendetta per tutto quello che ti ha fatto.» Valuto la situazione: sono sicura di quello che voglio fare? Mia madre sta male per colpa sua, io sono ridotta male per colpa sua, mio fratello, mia sorella, tutta la mia vita va male per colpa sua, ci ha distrutti. Ne vale la pena. Appena decido cosa fare, sospiro: è l'unica cosa giusta da fare, così guardo dentro le sue iridi verdi, dicendo il fatidico: «Okay, ci sto, Harry.»

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