Do You Miss me? 'Cause I Miss You So

di Hinata_bokee
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Answer Me ***
Capitolo 2: *** I Miss Missing You Now And Then ***



Capitolo 1
*** Answer Me ***


Hinata's POV
 
Durante le scuole medie, non avevo mai nessuno che potesse alzarmi un pallone. A volte chiedevo a dei compagni durante l'intervallo o alla fine dei loro allenamenti di basket, altre volte mi allenavo con un gruppo di madri.
Dopo la prima partita della squadra di pallavolo maschile delle medie, dopo quella sconfitta straziante, iniziate le superiori, lo rividi. Rividi colui che mi aveva stracciato alla mia prima partita ufficiale. Il "re", lo chiamavano. Inizialmente credevo fosse un elogio alla sua bravura nel gioco, poi mi venne spiegato che, in realtà, era solo uno di quei soprannomi che ti segnano a vita -o quasi- talmente sono crudeli. Perché lui era il "re egocentrico", era un "dittatore" respinto dai suoi stessi compagni sul campo di battaglia.
Immedesimarsi in un individuo, in un capo, abbandonato dal proprio popolo nel momento di portare quest'ultimo alla vittoria...beh, era straziante. Per lui doveva essere straziante tal pensiero, questa memoria. Una palla lanciata in aria, passata ad un alleato, il quale, però, si era dileguato. Avevano lasciato indietro il loro dittatore, gli si erano ribellati e l'avevano mandato in panchina. Ma dopotutto, se lo sarà pur meritato un trattamento simile, no? Eppure io non vidi mai quel "dittatore" tanto odiato dai suoi compagni delle medie. Certo, ci siamo sempre comportati da rivali, per noi ogni occasione era buona per proporci una sfida. Bastava un semplice sguardo e subito correvamo a perdifiato per vincere quella gara a "chi arriva per primo all'allenamento", a "chi arriva per primo al bus", "chi arriva primo al bagno", ...
Col tempo, quel rivale, quel re che volevo spodestare, quel ragazzo che volevo sconfiggere a tutti i costi, divenne il miglior partner che potessi desiderare. Ah, non fraintendete, partner nel senso di compagno di squadra. Partner perché lui era l'unico con cui potessi sfruttare quella mia schiacciata. Un urlo "a me", seguito da un salto rapido ed alto e, senza neppure aprire gli occhi, il mio palmo si posava sulla palla ed essa si precipitava dall'altra parte della rete. Certo, non funzionava sempre, ma ogni volta che quel pallone finiva sulla pavimentazione degli avversari, provavo una sensazione stupenda. E quelle alzate spettacolari, così precise, perfette, erano un mio unico privilegio e ne ero talmente entusiasta. Finalmente avevo trovato qualcuno che mi alzasse una palla, quel qualcuno che mi era sempre mancato negli anni passati, qualcuno di cui potevo fidarmi al 100%.
Eppure, nonostante tutto ciò, mancava ancora qualcosa, mancava ancora un tassello di questo puzzle incompleto...puzzle che, forse, non riuscirò mai a finire.
Una sera, dopo l'allenamento, io e Kageyama abbiamo iniziato a litigare. Non ricordo neppure per cosa, sono ancora sotto shock per via di ciò che ho vissuto. Rammento solo di averlo chiamato con quel soprannome che tanto detesta, "re"...
Non ho neppure avuto il tempo di scusarmi con lui. Dopo altre urla, entrambi furenti, ricevetti una pallonata in pieno viso. Una pallonata talmente potente che caddi a terra.
Col viso arrossato per via del colpo ricevuto, corsi fuori dalla palestra. Forse gli dissero di andarsi a scusare, forse i senpai lo rimproverarono, perché lui mi seguì. Mi seguì fino all'ultimo.
Sapendo di averlo alle calcagna, non volendogli più rivolgere parola fino a quando non avessi sbollito la rabbia, corsi il più velocemente possibile. Non mi accorsi del semaforo rosso. Solo quando fui in mezzo alla strada, mi resi conto che avrei fatto meglio a fermarmi, che non sarei dovuto scappare dal mio problema.
Vedendo i fari di quel camion enorme puntati sul mio corpo minuto, sentendone il clacson dal rumore assordante, sapendo che, anche provandoci, il guidatore non sarebbe mai riuscito a fermare in tempo il veicolo, tremante ed immobile a causa della paura, credetti che sarebbe giunta la fine. In parte, avevo probabilmente ragione. Kageyama si precipitò da me, spintonandomi dall'altra sponda della strada. Lì, in quel preciso istante, quel mio puzzle di emozioni e ricordi, si frantumò. Così come il mio cuore. Non riuscii a muovermi, ero terrorizzato. No, Tobio stava bene, doveva stare bene. Scosso da continui e rapidi movimenti oscillatori, causati dal terrore dell'inevitabile, mi avvicinai al corpo di lui, giacente sull'asfalto freddo della strada.
 
«...Ka-...Kageyama...»
 
Lo chiamai con voce flebile ed occhi spalancati, con pupille ridotte a due puntini lucidi. Lui non rispose. Non rispose nemmeno alle successive urla disperate che sfuggirono dalle mie fauci spalancate.
Faceva male. La gola bruciava e soprattutto doleva a causa di un groppo che non riuscii a mandar giù.
Non osai toccarlo, temendo di potergli far più male, ed attesi l'arrivo dell'ambulanza, chiamata dall'uomo al volante di quel mezzo che travolse il moro.
Ed ora eccomi qui, ad attendere, assieme ai miei compagni di squadra, di poter finalmente rivedere il mio alzatore, dopo quello straziante incidente.
Odio gli ospedali, li ho sempre odiati. La maggior parte delle motivazioni per cui ci si trova in questi posti, è per pessime notizie, quali: la morte di un proprio caro, un amico o un parente che si è ferito in chissà quale maniera. D'altro canto, però, per alcuni si trasforma in un luogo di salvezza. Spero sia questo il caso di Kageyama, lo spero con tutto il cuore. Soprattutto perché la colpa di tutto ciò è mia...Se solo non fossi corso via, starebbe bene. Certo, sarebbe arrabbiato, infuriato nero con me, ma starebbe bene.

«...dovrei esserci io lì...Tutto questo non è giusto...È colpa mia se è lì dentro, legato a degli stupidi macchinari per restare in vita.»
 
Borbotto disperato, tra me e me, fissando il vuoto in direzione della pavimentazione scura.
 
«Tra poco potremo entrare...»

Interviene Sugawara, nel vano tentativo di tirarmi un poco su di morale. Peccato che questa volta, non funzioni. Niente potrebbe funzionare, il mio umore è sotto le scarpe, probabilmente è sprofondato talmente tanto da poter raggiungere l'altra parte del pianeta.
Appena sento la porta aprirsi, provocando il consueto "click", scatto in piedi. Il dottore non ha neppure il tempo di avvisarci del fatto che possiamo entrare, che subito corro veloce in stanza.
Ciò che vedo non mi piace affatto.
Mi avvicino al ragazzo steso sul lettino, mettendomi in ginocchio accanto ad esso, osservandolo con iridi coperte da un velo umido e lucido. I miei occhi stanno per straripare di lacrime, le mie gote si tingono subito di un rosso acceso e non riesco a trattenere un singhiozzo che sfugge dalle mie labbra, seguito immediatamente da altri. Il mio corpo trema in preda a degli spasmi, mentre alcuni entrano ad osservare la scena. In stanza, ci siamo solo io, Daichi, Sugawara e l'allenatore Ukai, il resto della squadra è rimasta in corridoio, evidentemente.

«Svegliati...Svegliati, dannazione! Non è divertente, stupido. Ti prego...apri quei dannatissimi occhi e torna ad urlarmi contro che sono un cretino, un idiota, tutto quello che vuoi, lanciami addosso anche un pallone, fammi pressione sulla testa con le mani, tirami i capelli, ma...p-per favore...svegliati...»

Non rispose neppure a questo. I sottili sipari di pelle rimasero abbassati, coprendo le iridi scure di lui e mettendo fuori gioco ogni mia speranza, senza annientarla del tutto, però.
So che quel camion l'aveva preso in pieno con una potenza elevata e che se avesse preso me, con ogni probabilità, data la mia corporatura esile, sarei deceduto sul colpo, ma qui si tratta di Kageyama, lui è forte, lui ha la forza fisica e la forza vitale per lottare, per restare in vita, per trasformare quel filo sottile che lo separa dal sonno eterno in un ponte stabile che l'avrebbe riportato dalle persone a cui tiene. Prima o poi risponderà alla mia chiamata.

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Capitolo 2
*** I Miss Missing You Now And Then ***


Continuai ad andare da lui, in quell'ospedale, ogni giorno, dopo gli allenamenti. Ormai l'odore di pulito mischiato al disinfettante mi era talmente familiare, al punto da non farvi più caso.
Andavo da lui, sperando che avesse finalmente schiuso le palpebre, ma nulla, ogni dì era la stessa storia. Col cuore in gola, correvo, correvo velocemente, tutto pur di raggiungere il moro, sicuro che questi si fosse già svegliato. Ogni giorno perdevo un poco di quella speranza, che pian piano, di conseguenza, si affievoliva, diventando, da un incendio di emozioni, a una piccola fiammella in balia della tempesta di negatività e pessimismo, i quali si stavano prendendo lentamente possesso di me, stavano sopraffacendo la mia positività, stavano facendo sfumare nel buio quel leggero scintillio che la mia speranza, ormai fioca, emanava. Iniziai a temere che la piccola e debole fiammella, si sarebbe presto spenta.
 
«Io vado! Arrivederci!»
 
Esclamo ai miei compagni, prima di lasciare la palestra.
Anche oggi non sono riuscito ad allenarmi al pieno delle mie capacità, ho fatto una caterva di errori che, solitamente, non commetto. Mi succede spesso da quando Kageyama non c'è. La sua presenza mi stimolava al punto da dare il massimo, in ogni cosa io facessi, ma ora chi mi assicura che lui tornerà?
Con viso livido, scuro dalla poca fede di rivederlo sveglio, entro nell'edificio in cui è ricoverato.
 
«Buonasera, Hinata! Vai da Kageyama?»
 
Annuisco alla domanda dalla risposta palese che mi fa l'infermiera, con la quale ho stretto un legame amichevole qualche giorno fa: dopo l'ennesima sera, durante la quale ero corso a controllare le condizioni di Tobio, vedendo che non accennava a nessun miglioramento, corsi fuori dalla stanza e mi andai a nascondere sul retro del palazzo, credendo di poter piangere senza che nessuno mi vedesse. Non fu così. In tal modo conobbi la donna. La incontro ogni pomeriggio qui, parliamo spesso, di solito è lei a dar inizio alla nostra conversazione, sapendo che resto sempre ammutolito a causa del corvino e del suo stato. All'inizio pensai che fosse normale per un'infermiera occuparsi dei cari delle persone ricoverate lì, dopotutto è chi assiste i malati che cerca di essere il più delicato possibile, sia con essi che coi familiari, non chi cura la gente all'interno di quelle sale differenziate dai diversi colori pastello. Solo dopo compresi che, in realtà, quella ragazza è buona di suo. È raro trovare persone simili a lei.
Riprendo a camminare a capo chino, con le mani in tasca. Questa volta non voglio illudermi, non voglio stare male ancora nel vederlo giacere in quel lettino dall'aspetto freddo e scomodo.
Apro la porta ed entro.
Nulla. Kageyama ha ancora gli occhi serrati. Sento i bulbi oculari tornare a pizzicare, il petto dolere. Eppure...io lo sapevo. Mi ero preparato, questa volta. Mi ero detto "Shouyou, è probabile che nemmeno oggi si sveglierà, ma non devi soffrire." ed allora perché fa così male?
Inizio a torturare il labbro inferiore con gli incisivi, cominciando a percepire il liquido dal sapore ferreo sulla punta della lingua.
Passo il pollice a pulirmi dai residui di sangue, per poi avvicinarmi al giaciglio, osservando il malcapitato con sguardo contratto in varie espressioni. Sono furente, deluso, frustrato.
 
«Ti odio...Perché non ti svegli? Ti sei forse dimenticato della nostra promessa? Vuoi davvero farti battere da un "boke"?!»
 
Detto ciò, mi volto per potermi allontanare ed uscire da quell'inferno.
È sabato.
Appena sveglio, ho solo il tempo di fare colazione, che vengo subito preso di sorpresa dal telefono, il quale inizia a suonare all'improvviso. Corro in camera mia, stacco il dispositivo dalla presa e rispondo frettolosamente alla chiamata, facendo terminare il fracasso causato dalla suoneria.
Dall'altro capo, vi è una voce femminile, che mi spiega dell'iniziale peggioramento delle condizioni di Kageyama, il quale, dopodiché, ha subìto un forte miglioramento, svegliandosi poi all'alba.
Quelle parole fanno come da benzina per alimentare la fiaccola della mia fiducia.
Ringrazio la donna e chiudo la chiamata.
Mi spoglio del pigiama, composto da una semplice t-shirt verde e dei pantaloni del medesimo colore, per poi vestirmi, pensando intanto a cosa dire appena arriverò lì.
"Potrei semplicemente entrare e scusarmi o dovrei dire qualcosa in particolare? 'Ehy, Kageyama! Sono felice che tu ti sia svegliato'...no, non è adatto alla situazione...". Continuo a pensarci, ma una risata squillante mi risveglia da tali pensieri. Rivolgo lo sguardo alla fonte di quel suono stridulo, rinvenendo mia sorella minore ridere a crepa pelle per chissà quale motivo. Ride talmente tanto che non riesce a spiccicare parola. Vedo che mi indica. Seguendo la traiettoria del piccolo dito paffuto di lei, dirigo lo sguardo a dove la punta di esso è indirizzata. Solo ora capisco. Talmente preso dal discorso da fare al mio amico, non mi sono accorto di aver infilato la felpa al posto dei pantaloni.
 
Arrossisco violentemente e guardo la bambina, accigliato.
 
«Ehy, smettila di ridere! Non è divertente!!»
 
«Per te non lo è! Vuoi davvero uscire così? Ahahah!»
 
Sbuffando, chiudo la porta di camera mia, lasciando la piccola fuori, in modo tale da potermi finalmente sistemare. Quindi, esco. Non avverto nessuno di nulla, ho solo un obbiettivo in mente: raggiungere la camera in cui è steso il moro. Il cuore scalpita forte nel mio petto, quasi volesse uscire dalla sua prigionia e correre con me.
Giunto all'ospedale, mi avvio fulmineo alla stanza del corvino. Prima di entrare, però, ripenso alle parole da dirgli, alle scuse che ho da porgli. Appena l'euforia mi scivola via come acqua sul marmo, poggio la mano destra sulla maniglia della porta, prendo un profondo respiro, abbasso il manico, potendo, in tal modo, entrare in stanza. Appena fatto un passo in avanti, ritrovandomi dentro, vedendo il moro seduto guardare fuori dalla finestra, mi dimentico del discorso che volevo fargli, poiché l'istinto prende possesso dei miei pensieri e del mio corpo. Guidato da tale impulso, corro verso di lui, fermandomi appena gli sono accanto. Con occhi lucidi e labbra tremanti, mi sporgo ad abbracciarlo. Il gesto non viene ricambiato. Sento i suoi occhi freddi puntati su di me. Non m'importa. Lui sta bene, è sveglio, finalmente può rispondermi quando lo chiamo. Sento il mio cuore battere ancor più forte di prima contro il mio sterno.
Sciolgo quella stretta, guardandolo con i lacrimoni agli angoli degli occhi.
 
«Sei sveglio...Ecco...ho creduto di non potermi più scusare con te dopo l'incidente...Ma ora sei sveglio, quindi...s-sì, insomma...mi dispiace! Mi dispiace per quel litigio. Sono stato un idiota...»
 
I minuti stanno passando velocemente e lui non mi dà risposta. Inizio a credere che sia diventato sordo, ma non è così. Infatti, finalmente, sta schiudendo le labbra per poter replicare alle mie parole.
 
«Noi due...ci conosciamo?»
 
Sbarro gli occhi.
Non si ricorda di me? Mi ha dimenticato?
Sbianco, divento più pallido di un cadavere.
Quelle parole...su di me hanno lo stesso effetto che avrebbe un ceffone in viso, una di quelle sberle che lasciano il segno delle cinque dita per ore. A me lo lasceranno sicuramente per settimane o mesi, forse fino a quando non riprenderà memoria di me.
Quella debole fiammella di speranza, che dopo la chiamata dell'infermiera era tornata ad ardere come l'incendio che era inizialmente, fu spenta col semplice soffio di quella domanda. Aveva spento quel divampare violento costituito dalla mia finalmente riacquisita positività, come se nulla fosse.
Il cuore, l'ho sentito bene, ha perso un battito. Appena ricevuta quella doccia fredda, dalla mia prospettiva, il mondo aveva smesso di muoversi, tutto si era bloccato, il tempo, i medici che correvano da una parte all'altra dell'edificio, gli uccelli fuori dalla finestra, ogni cosa. Ma subito dopo quel duro colpo, tutto aveva ripreso a funzionare regolarmente, fatta eccezione per me stesso. Ho voglia di urlare fino a farmi bruciare la gola, ho voglia di piangere fino a farmi dolere gli occhi, avrei voglia di fare tante cose in questo momento, ma non riesco neppure a rispondere a quel semplice quesito, a causa dello sgomento, del dolore provocato dallo stesso.
 
«...certo...certo che ci conosciamo! -riesco poi ad esclamare- Siamo nello stesso club di pallavolo alla Karasuno! Ci conosciamo dalla partita delle medie! Tu...non ti ricordi davvero di me?»
 
L'unica risposta che ricevo è un "no" accennato con un movimento del capo. Poi la sua voce si fa spazio nel mio udito, provocando ulteriore dolore al petto, al livello del muscolo cardiaco.
 
«Non ricordo di te. Ricordo della Karasuno, dei senpai, dell'allenatore, ma tu non mi dici nulla...»
 
No, mi sta prendendo in giro. Lo sta facendo per forza. Come può non ricordarsi di me? Noi due eravamo "il duo strambo della Karasuno", no? Dopo tutte le emozioni causate dalle partite vinte e perse, come può non ricordarsi di me? Dio, quanto fa male...Ho sempre più voglia di piangere, di sfogarmi.
 
«C'è una persona, un compagno di squadra di cui non ricordo i tratti fisionomici, né nulla...so solo che è in squadra con me.»
 
Kageyama...pareva avere anche lui un puzzle di ricordi incompleto. Ha perso il tassello che contiene il ricordo della mia persona, mentre io cercavo di porre al termine il mio, alla disperata ricerca del pezzo mancante, un pezzo che aveva un tratto di ricordi del moro, ricordi che ancora devono essere creati.
Due puzzle incompleti.
Annuisco alle sue ultime parole ed esco dalla camera, per spargere la voce del risveglio di Kageyama, tramite SMS,  alla squadra. Ed intanto penso, penso a quanto vorrei che, anziché "noi due ci conosciamo?" mi avesse dato dell'idiota, come fa di solito...
Mi manca. Chissà se a lui mancano i ricordi di noi due?  Chissà se anche a lui manco io?
 
-Angolo Autrice-
Okay, secondo capitolo.
Prima cosa: sì, sì il titolo è una parte della canzone “Miss Missing You” dei Fall Out Boy. Non sapevo che titolo dare, perché non ho abbastanza fantasia per queste cose, capitemi--- in più anche il titolo dell’intera storia è parte di una canzone (Action Cat di Gerard Way).
Seconda cosa: so perfettamente che l’incidente seguito da perdita di memoria è sooo mainstream, ma voi fate finta di niente, è il karma (ovvero io) che se l’è presa con Shouyou-
Detto ciò, spero che  la storia stia piacendo!

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