Yu-Gi-Oh! ARC-V - Il backstage sotto il punto di vista di Yuya Sakaki

di tbhhczerwony
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 00 - L'inizio di tutto ***
Capitolo 2: *** 01: Il colloquio - Parte 1 ***
Capitolo 3: *** 01: Il colloquio - Parte 2 ***



Capitolo 1
*** 00 - L'inizio di tutto ***


sì, lo so che ho già in corso due ff su due backstage (entrambi su bsd tra l'altro) ma io vorrei fare backstage un po' su tutto, capitemi. (tranne Pokémon, Pokémon è un caso a parte) in ogni caso spero che da questo prologhino (?) la ff vi possa piacere e che continuiate a seguirla! buona lettura e... cose.
 


00 - L'inizio di tutto

 
Mi chiamo Yuya Sakaki, ho tredici anni e frequento la prima media.
I miei genitori sono degli attori, e grazie a loro mi sono molto appassionato al teatro. Molti miei compagni di classe però, pensano che io sia strano; a volte mi dicono “ma sembri un punk! Ai punk non piace il teatro!”.
Quando dicono così non so mai se sorridere o sospirare dalla disperazione e, nel dubbio, faccio entrambi. Mi chiamano “punk” perché ho i capelli verdi e rossi, e porto dei vestiti abbastanza particolari – beh, non parlo di quando sono a scuola, anche perché abbiamo tutti la divisa scolastica – anche se in effetti, di solito mi apro la giacca in inverno mettendo in mostra la camicia che sta sotto – ma solo dalla divisa scolastica si può vedere il choker – o almeno, così lo chiamano le ragazze, io lo chiamo semplicemente “collare” – che porto al collo, che è nero e in pelle.
Sono sempre stato fan di serie TV e videogiochi, in particolare mi piace molto Yu-Gi-Oh. Mi ha intrattenuto molto dalla prima serie, quando c’erano i primi storici attori. Compravo le carte, ci giocavo con i miei amici, e spesso e volentieri recitavo la parte del protagonista quando giocavo.
Tutt’ora ho la passione per questo gioco, e molti miei compagni dicono che si vede perché “porti i capelli in modo strano”. Ma è semplicemente il mio stile, tutto qui.
Oh, e a parte Yu-Gi-Oh, adoro anche scattare foto. Ho una fotocamera digitale e una polaroid, ma quest’ultima la uso un po’ di più rispetto alla digitale.
Ora che ho finito di parlare di me, direi che posso raccontarvi la mia vita tramite… la mia mente. Sì, di solito mi piace fare così, anche se so che nessuno mi può “ascoltare” – se lo facessi ad alta voce, mi prenderebbero per pazzo.
 
Caspita, sono in ritardo per scuola!
Al solito, devo fare la solita corsa per la cucina, fare colazione in bagno mentre mi lavo e mi vesto, preparare la borsa mettendo roba a caso e fuggire fuori di casa correndo come un forsennato verso il tragitto per andare a scuola.
E, come di consueto, le ragazze che passano mi guardano strano… perché in realtà sono in anticipo. Guardo il mio telefono e vedo che sono solo le sette e mezza, così comincio a rallentare un po’ il mio passo.
Sospiro, pensando che magari può accadere qualcosa di bello, o qualcosa di avventuroso, come ad esempio consegnare un foglio al vice preside, tornare in classe, chiedere se posso andare in bagno – e ovviamente invece vado a fare una passeggiata o vado in palestra a vedere se ci sono altre classi – e avventurarmi per la scuola a vedere se succedono alcune cose.
Appena arrivato a scuola mi siedo nel muretto basso, poggiando la schiena sulla recinzione argentata, e sento anche dei ragazzi parlare tra loro.
«Hai sentito? Pare che Tateyama Yukio della 2-M abbia ricominciato ad attaccare briga con un ragazzo che cercava di difendere la sua amica».
«Davvero? Certo che è proprio uno che rompe molto…».
Sospiro nuovamente. Conosco quel ragazzo, spesso veniva anche da me accusandomi di cose che non avevo fatto. Fortunatamente dopo qualche minuto l’attesa finisce, e riesco ad entrare in classe – stranamente per primo – e mettermi comodo al mio posto, al terzo banco a fianco al muro.
Appoggio le mie braccia sul banco e ci poggio sopra la testa, fissando la lavagna multimediale che stava sul muro davanti a me. Non riesco proprio a tenere gli occhi ben aperti, stanotte sono stato sveglio la notte a guardare Psycho-Pass e Terror in Resonance, quelle serie mi prendono fin troppo.
Chiudo gli occhi per qualche secondo e, dopo aver sentito dei passi, li riapro, vedendo dei miei compagni entrare.
«Yuya, già dormi?» ridacchia uno dei ragazzi.
«Eh, stanotte maratona…» rispondo con tono assonnato e tirando un sorriso.
«E stai perdendo» mi dice di nuovo, avvicinandosi a me, «Di’, ma tu hai fatto i compiti di matematica?».
Io, ricordandomi che c’erano compiti, decido di mettere in atto la mia abilità di recitazione domandando un confuso «C’erano compiti?» e il compagno mi risponde, «Sì, ma non li ho saputi fare, magari me li faccio rispiegare».
Arrivati tutti i miei compagni, dopo pochi minuti arriva la nostra professoressa, dicendoci che tra un po’ ci sarà un’assemblea straordinaria, ma durerà un po’.
Dalle sue informazioni, sembra che un gruppo di recitazione debba venire qui a scuola per fare delle selezioni. Magnifico!, penso, cercando di trattenere il mio entusiasmo. Ma non ce la faccio, di conseguenza scarico tutto il mio entusiasmo trattenuto sulla mia compagna di banco, torturandole il braccio destro e sussurrandole «Devo esserci, devo esserci, devo esserci» e lei ridacchiando cerca di levare le mie mani dal suo braccio.
 
A dirla tutta, arrivati in sala comune per l’assemblea, non sembra proprio un gruppo di recitazione – in realtà sono in tre, tra cui uno mi fissa in continuazione e non capisco nemmeno il perché. Dato che non so dove andare, preferisco seguire il piccolo gruppetto da quattro insieme alla mia compagna di banco, sedendomi vicino a loro.
Sentiamo tutti il fischio del microfono, che ci ha praticamente perforato le orecchie – tutte le classi che sono con noi si coprono le orecchie con le mani.
Il microfono prima lo prende il vice preside, e non capisco nemmeno cosa sta dicendo, perché non ne ho proprio voglia di ascoltare tutto ciò che dice.
Pochi secondi dopo aver parlato, passa il microfono a uno del gruppo da tre, che sembra quasi essere il leader. In pratica questo dice che vuole cercare dei buoni candidati per la sua scuola di recitazione, ma a quanto vedo nessuno sembra interessato, dato che molti li vedo o con il cellulare in mano o che sussurrano alcune cose a chi gli sta vicino.
Decido di alzare la mano e poi alzarmi in piedi, voglio qualche informazione in più su questa scuola, visto che sono un appassionato di recitazione grazie ai miei genitori.
L’uomo mi indica, invitandomi a parlare.
«Vorrei sapere di più su questa scuola» comincio a dire, «Mi chiamo Yuya Sakaki, e mi piacerebbe molto frequentare la sua scuola, dato che sembra interessante e può far crescere la mia passione per il teatro».
Vedo che gli altri due che stanno dietro si sussurrano qualcosa all’orecchio, mentre quello con il microfono in mano mi sorride.
«Questa scuola è adatta a te, Yuya» mi dice, «Da cosa è nata questa passione?».
«I miei genitori sono degli attori, me l’hanno trasmessa loro».
«Possiamo riparlarne dopo, quando finisce l’assemblea?».
Io annuisco, rimettendomi seduto sul mio posto, ricevendo un “bravo” dalla mia compagna di banco, e ci battiamo il cinque con la mano.
Finita l’assemblea, mi incontro con l’uomo che mi aveva parlato tramite il microfono, e mi ha detto che devo andare alla sua scuola alle cinque di oggi per parlarne meglio. Mi sembra abbastanza strano, dato che aveva detto pochi minuti fa che voleva parlarmi dopo l’assemblea.
Scrollo le spalle ed esco da scuola, tornando a casa – tutta la giornata scolastica era abbastanza positiva: la professoressa non aveva scoperto che non avevo fatto i compiti, e poi ho avuto la grande opportunità di frequentare una scuola di teatro.
Non appena torno a casa comunico tutto a mia madre, inutile dire che è fiera di me.
«Sai come si dice, mamma: carpe diem!».
 
Arrivo alla scuola di teatro un po’ in ritardo – dato che non avevo ancora capito bene le coordinate che mi aveva dato il signore, tantomeno mi aveva detto il suo nome – e di conseguenza chiedo scusa al gruppo che era venuto stamattina a scuola.
«Non ti preoccupare, in un certo senso lo immaginavamo» mi dice uno dei due, per poi allontanarsi.
Beh, ovvio che lo immaginavano, in questo posto io non ci sono mai stato.
Oltretutto, da come la vedo, non sembra neanche una scuola di teatro. Seguo l’ultimo che è rimasto, che mi sta guidando verso… una stanza, credo.
Ho troppa ansia di sapere di che cosa mi vorrà parlare quell’uomo, voglio sapere tutto e, soprattutto, perché sono stato scelto proprio io – togliamo il fatto che nessuno era disponibile, ma mi stava fissando per tutta l’assemblea, di conseguenza un motivo c’era!
Non appena arriviamo, vedo il team leader in piedi al centro della sala che mi aspetta. Più che al centro della sala, è al centro del palco, e ci sono un sacco di posti a sedere, è un teatro molto grande. Mi avvicino a lui, mentre scendeva dal palco e si avvicina a me e, non appena siamo nella distanza giusta, comincia a parlarmi.
«Ora ti spiego perché ti stavo fissando tutto il tempo».
E finalmente, mi dico, anche perché non solo mi sta mettendo ansia adesso, ma mi metteva ansia anche a scuola quando mi fissava. «Mi dica, allora» lo invito a continuare.
«Vedi… il mio amico regista cerca un protagonista nuovo per la sua serie» mi spiega, «è molto famosa, dovresti conoscerla anche tu, no?».
«Mh… non la seguo».
«Beh, è una serie che ormai va avanti da anni».
Io ridacchio, abbastanza nervoso, «Scusi se mi permetto, ma adesso non sono in vena di fare indovinelli, sono un po’ in ansia al momento».
«Ti capisco, dev’essere la prima volta che ti propongono qualcosa del genere, vero?».
Sospiro, «Altroché».
«Ho voluto scegliere te perché mi sembri il più adatto, in più hai detto che i tuoi genitori sono attori e grazie a loro ti sei appassionato al teatro», annuisco, invitandolo poi a continuare, «Immagino che tu sappia anche recitare bene».
«A dire la verità non mi sono esercitato bene sulla pratica…» ammetto, grattandomi la testa imbarazzato.
«Leggimi questo» mi dice, porgendomi un foglio con scritto una frase celebre di Banana Yoshimoto, così comincio a recitare ciò che c’era scritto: «Non che odiassi particolarmente la vita, eppure la visuale che si rifletteva nei miei occhi era sempre lontana e sfumata come in un sogno. Percepivo le cose in modo innaturale, estremamente vicine o remote. In quel periodo, l'unica persona che nel mio mondo riuscisse a vedere a colori, l'unica che parlasse una lingua che le mie orecchie erano in grado di decifrare senza fatica, era Hachi. Pertanto, i momenti che trascorrevo in sua compagnia nell'arco della giornata erano anche gli unici in cui riuscivo a stare con me stessa».
Mentre recito, mi guardo un po’ intorno, vedendo le reazioni dei tre uomini. Annuiscono continuamente e si dicono delle cose sussurrandosi alle orecchie. Ma insomma, io sono presente e si permettono di sussurrare cose che io non sento?
Dopo aver finito di recitare, porgo nuovamente il foglio al team leader, che mi sorride e mi stringe la mano destra. Io naturalmente ricambio il gesto – l’avrei fatto anche intuitivamente, dato che quando uno stringe la mano, di solito si ricambia e poi ci si prende anche l’abitudine di farlo – e ridacchio un po’ nervoso.
«Sei assunto» mi dice, con sguardo fiero.
«Io cosa?» domando, abbastanza scioccato e quasi a rischio di cadere a terra.
«Ti chiameremo domani, tu intanto avvisa i tuoi genitori che domani non andrai a scuola».
«No, no, no, aspettate un attimo, per che cosa sarei stato assunto?».
I tre si guardano sorridenti, poi si voltano nuovamente verso di me e, il team leader, mi risponde «Sarai il nuovo protagonista di Yu-Gi-Oh».
 
 
E poi fine, ho perso i sensi.


«Fa la prima media?! Ti avevo detto di prenderne uno quattordicenne!».
«Lo so, ma fidati di me, dimostra molto più di quello che ha… sembra quasi un diciassettenne, altro che quattordicenne…».
«Voglio proprio vedere».
 

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Capitolo 2
*** 01: Il colloquio - Parte 1 ***



questo capitolo non è proprio il massimo, ma mi sono comunque sforzato abbastanza per farlo nascere, nei meandri del mio cervello c'era ancora un po' d'ispirazione, l'ho solo tirata fuori. ah, non voglio fare spoiler: ma scoprirete presto perché sora ha quel cognome. per ora buona lettura e spero che questa prima parte vi possa in qualche modo piacere.
 
«Fa la prima media?! Ti avevo detto di prenderne uno quattordicenne!».
«Lo so, ma fidati di me, dimostra molto più di quello che ha… sembra quasi un diciassettenne…».
«Voglio proprio vedere».


 
01: Il colloquio - Parte 1


 
Mi guardo in giro un po’ perplesso, notando di non essere né in quel teatro né a casa. Sono in ospedale e non so neanche perché, magnifico.
L’unica cosa che ricordo, è che ho appreso di essere il nuovo protagonista di Yu-Gi-Oh. E la serie come si chiamerà?
Se ero in ansia prima, di sapere in cosa consistesse la nuova serie, avrò ancora più ansia, perché sarò io stesso il protagonista e dovrò dirle io tutte quelle battute. Cosa ne penseranno i miei genitori? Ma soprattutto, perché sono in stanza da solo adesso?
Non c’è neanche qualche bella infermiera a curarmi, mi sembra strano. Vedo entrare un ragazzo, che si avvicina a me; cosa vorrà?
«Allora, come sta, signorino Sakaki?».
Ah, è un infermiere. «Sto molto meglio, grazie» dico, accennando un sorriso.
«Fortunatamente non è stato nulla di grave» mi dice, controllando dei fogli, «Sei solo svenuto per l’ansia».
Ma va? Che scoperta, se è per questo ho l’ansia anche ora, ci manca solo che svenga di nuovo per carenza di ossigeno. Eh, sì, una cosa che non ho detto su di me è che sono un soggetto abbastanza ansioso.
Non di quel genere “ho l’ansia per l’interrogazione di storia dell’arte” o cose così, no, io ho l’ansia per qualsiasi cosa, e non sopporto quelle persone che ho nominato proprio due secondi fa; si fanno “fighi” dicendo “ho l’ansia” ma non sanno davvero che cosa significa essere un soggetto ansioso o claustrofobico, nel mio caso – va bene, i miei sono entrambi i casi.
Quando sto davvero in ansia perdo completamente il respiro, fino ad avere il fiato bloccato e continuare a respirare irregolarmente con la bocca finché non mi passa, oppure svengo direttamente, come questo caso appena capitato non appena ho saputo di essere…
 
Sì, ho perso i sensi di nuovo.
Scusatemi è che… davvero, io non ci posso ancora credere. Sarò mai al livello degli altri che c’erano prima di me?
Pensieri sulla serie a parte, vedo entrare i miei, che mi sorridono e si siedono nelle sedie a fianco al letto d’ospedale.
«Mamma… papà…» balbetto, «Voi sapete…».
Non mi lasciano finire, mia madre mi interrompe: «Sì, lo sappiamo, ce l’ha detto lui stesso».
«E ci ha anche invitato» continua mio padre.
Rimango abbastanza sconvolto dalle loro affermazioni, soprattutto da quella di mio padre. Per che cosa li avrà invitati? Per fare la parte dei genitori del personaggio principale? Ma non è un po’ strana, come cosa? Di solito si scelgono attori diversi per fare i genitori dei personaggi, invece vogliono proprio usare i miei veri genitori.
«M-ma… non è fuori dall’ordinario?» domando, inarcando un sopracciglio.
Loro ridacchiano, «In effetti sì, ma è comunque un’idea carina, no?» dice mia madre, sorridendomi.
In effetti l’idea non è affatto male, anche perché si possono evidenziare le somiglianze tra i genitori e figli, ma nelle serie TV la somiglianza tra genitori e figli non c’è mai, a volte la genetica è persino diversa; tra l’altro, se qualcuno ha come battuta “vi somigliate” forse è solo per lo stesso colore di capelli o perché il regista di tale serie TV o film ha scelto molto accuratamente gli attori giusti.
Anche se effettivamente, io e i miei genitori non sembriamo tanto uguali: mia madre è bionda, mio padre è corvino e io sono verde e rosso. E non è per genetica, semplicemente me li sono tinto, prima ero biondo – e ne ho approfittato per metterci sopra la tinta, appunto. Invece ho preso gli occhi bordeaux da mio padre, che tra l’altro si intonano con il rosso che ho nei miei capelli.
Ad ogni modo, spero solo che non succeda qualcosa durante le riprese della nuova serie. Come ho già spiegato, sono un tipo molto ansioso, può capitare spesso che io perda il respiro o il fiato, soprattutto durante le battute o la registrazione davanti alle telecamere.
Sospiro e, sentendo il dottore che dice ai miei genitori che posso tornare a casa, mi alzo dal letto, prendo i miei vestiti messi su una sedia vicino alla porta della camera e mi dirigo in bagno a cambiarmi.
Non appena finisco, mi guardo allo specchio e mi metto a riflettere su ciò che sta accadendo attualmente. Davvero ho la stoffa per fare il protagonista? Anche se, mettendomi a pensare in questo modo, mi sento davvero un protagonista: il protagonista della mia storia, perché la sto raccontando io stesso, anche se non c’è pubblico ad assistere. O forse c’è, e non me ne rendo conto, e non parlo delle divinità, almeno credo. Quest’ultime riderebbero della mia vita.
Esco dal bagno, seguendo i miei genitori e uscendo dall’ospedale, dirigendoci insieme verso la macchina, nella quale mio padre si mette alla guida.
Mi chiedo pure quale sarà l’intero cast, se saranno persone okay, o se saranno simpatici, o peggio, più grandi di me – non vado contro i maggiorenni, ma la maggior parte delle volte non riesco ad andare con loro, perché se mi conoscono e sanno la mia età, mi trattano da bambino, quando invece non lo sono, sono appena entrato nell’età dell’adolescenza.
«Yuya!» sento esclamare mia madre, e mi risveglio dai miei lunghi pensieri, che potrebbero sicuramente durare settant’anni di questo passo.
«Sì, mamma?».
«Ti stavo dicendo che uno dei tre della compagnia ha detto che domani mattina, per le nove, dobbiamo andare a incontrare il cast, di conseguenza non andrai a scuola» mi spiega, e penso che questa cosa sia grandiosa, non che vada male a scuola, ma essenzialmente domani non ci volevo proprio andare. Però sento che mia madre ha in serbo qualcos’altro…
«Ma…» sì, eccola che comincia, «Ci dovrai andare da solo, tuo padre e io siamo impegnati con una riunione importante in un’altra compagnia».
Sapevo che sarebbe andata così, e ora mi sta rivenendo l’ansia, spero di non essere così anche domani. «E a che ora devo andare?» chiedo, sbuffando leggermente.
«Verso le dieci, cerca di svegliarti almeno alle nove per prendere l’autobus delle nove e mezza» mi risponde, «Non ti preoccupare, vedrai che andrà tutto bene».
«Mamma, mi conosci, non ce la faccio a stare tranquillo così facilmente» le dico, prendendo un respiro profondo e aprendo il finestrino sinistro, mi ci avvicino e cerco di prendere un po’ d’aria. Per precisare, sono claustrofobico, ma la macchina è sufficientemente grande per me, solo che stavo sentendo un po’ caldo – e dire che siamo solo a fine marzo, roba da matti.
Spero solo che questa giornata finisca in fretta, credo che non appena tornerò a casa mi chiuderò in camera, mi metterò davanti allo specchio e cercherò dei saluti adatti per il cast che incontrerò.
 
Infatti è quello che sto facendo adesso, ho preso lo specchio e l’ho appeso nel muro davanti alla mia scrivania, in modo tale da starci più vicino e non alzarmi ogni volta. Sto scrivendo in un quaderno ciò che vorrei cercare di dire alle persone che incontrerò: sono sicuro che saranno tutti più grandi di me, di conseguenza ho bisogno di essere formale, breve, ma soprattutto, con un portamento adatto. Non intendo dire che devo per forza vestirmi elegante e comportarmi come un aristocratico, basta che sia adatto alla situazione.
Mi alzo dalla sedia e mi guardo allo specchio, rimettendomi un po’ a posto i capelli con la mano destra, mentre con la sinistra tengo il quaderno: quella pagina è completamente pasticciata, accidenti a me che scrivo con la penna.
Schiarisco un po’ la voce e inizio a recitare ciò che c’è scritto. «Buongiorno, io sono Sakaki Yuya, è un vero onore conoscerla e averla come collega…» mi fermo, guardando ciò che avevo scritto, e lo cancello subito pasticciandolo di nuovo, «E se fosse giovane? Non posso dare loro del lei…» mi dico, sedendomi nuovamente davanti alla scrivania.
Sento bussare alla mia porta e, non appena dico “avanti”, mia madre entra in camera mia. «La cena è pronta» mi dice, e successivamente richiude la porta, uscendo.
Non le ho risposto, più che altro perché non so se cenerò stasera, dato che voglio impegnarmi di più su cosa dovrò dire domani mattina; ma se forse mangio qualcosa riuscirò a calmarmi, giusto?
Non appena scendo in sala da pranzo, noto che ci sono tre scodelle con dentro del ramen. Voglio precisare: non un semplice ramen, ma quello fatto da mia madre, che ha una ricetta speciale. Né io né mio padre sappiamo l’ingrediente segreto per renderlo diverso e più buono, ma forse è così che deve andare.
In tavola parliamo del fatto che domani mattina devo andare da solo a quella riunione con il cast scelto per la serie. Mi dicono che devo stare tranquillo, che di solito il cast è composto da persone che possono essere anche mie coetanee. Questo in effetti mi calma un po’, però non sono comunque sicuro.
Quando torno in camera continuo con la mia “sessione di saluti” ormai la chiamo così, anche perché mio cugino mi ha mandato un messaggio chiedendomi “come va con la sessione di saluti?”. E non me l’ha chiesto all’improvviso, anzi, ne stavamo parlando da quando scrivevo sul quaderno, quindi più o meno dalle cinque del pomeriggio. Io gli rispondo con un banale ma sempreverde “bene, ma non benissimo”.
In effetti sta davvero andando in quel modo: i saluti stanno migliorando – mah, neanche tanto – ma non va tutto così bene come speravo. Da quando i miei genitori mi hanno detto che potrebbero esserci alcuni miei coetanei nel cast, non so più cosa fare e, dato che mi sto stancando, decido di strappare le pagine completamente pasticciate e chiudere il quaderno.
Appoggio la penna dall’inchiostro nero sopra il quaderno e mi alzo dalla sedia, prendo il telefono e mi corico sul letto, ricominciando a chattare con mio cugino.
“Okay, ho smesso adesso, stavo cominciando a stancarmi”.
“Fai bene! Ti stavo già immaginando: saresti stato sveglio fino alle tre di notte continuando a scrivere e interpretare, e domani mattina saresti arrivato con l’aspetto di uno zombie e le borse agli occhi che arrivano fino a terra”.
Certe volte è davvero esagerato. Non mi pare neanche di averlo presentato: si chiama Yuto Sakaki, è figlio del fratello di mio padre, ha diciassette anni e fa il secondo anno delle superiori. Va al liceo vicino alla mia scuola e qualche volta, la mattina, ci incontriamo.
“Sei esagerato, ma sicuramente sarà come mi sentirò: dopotutto devo svegliarmi presto, e in più devo prendere un autobus per andare allo studio”
“Un autobus? I tuoi non vanno?”.
“Hanno un’altra riunione”.
E continuiamo a parlare fino alle undici di notte. Al che gli do la buonanotte e mi metto a dormire, se non avessi tutti questi pensieri in testa: devo alzarmi presto, devo prendere l’autobus, devo incontrare gente che non conosco— sospiro e chiudo gli occhi, cercando di calmarmi per dormire.
 
Ho dormito veramente da schifo, e in più in questo autobus ci sono degli individui che sono facilmente odiabili a pelle. Ci sono dei bambini che agli ultimi posti fanno chiasso, delle signore che parlano del fatto che i giovani sono attaccati ai cellulari anziché ad altro, e… quelli ai primi posti sono okay.
Forse Yuto aveva ragione, passerò la giornata a sembrare uno zombie. Spero proprio di non addormentarmi qua in autobus.
 
Mi sono appena svegliato, devo scendere e mi sento ancora peggio di prima, fantastico; ma almeno sono arrivato. Non appena mi avvicino all’edificio, apro la porta ed entro, guardandomi in giro e cominciando a camminare.
«Buongiorno, è permesso?» chiedo, continuando a guardarmi intorno. Non vedo nessuno, spero che non abbiano dato buca.
«Ah, Yuya» beh, come si dice in latino “lupus in fabula”. «Buongiorno, a quanto pare sei il primo ad arrivare».
Ma va? Non mi dire, adesso sono cieco, sordo e muto. Non c’è nessuno, è intuibile che sia il primo ad essere arrivato. Mi invita ad accomodarmi nei divanetti e le poltrone vicino alla segreteria, e io mi siedo in una delle poltrone. La cosa peggiore? Quando sono seduto si nota di più che sono stanco: schiena abbassata, testa poggiata sullo schienale e le gambe comodamente allargate.
Mi aspettavo da lui un “guarda che non sei a casa tua” come fanno i professori quando sono in classe, ma si limita a guardarmi e ridacchiare.
«Mi ricordi me da giovane» mi dice dopo qualche secondo di silenzio. Davvero? Ma perché mi dicono frasi simili ogni volta? Non è che se vedi un adolescente che fa qualsiasi cosa – compresa respirare – devi dirgli per forza “sembri me da giovane”.
Mi limito a ridacchiare e lui se ne va. Dato che sto cominciando ad annoiarmi prendo il mio telefono e cerco qualcosa da fare, magari potrei giocare a Pokémon con l’emulatore del Game Boy. Ma non faccio in tempo a premere “start” che un ragazzino si siede nel divanetto a fianco alla poltrona su cui sono seduto.
Cerco di guardarlo senza che lui mi noti, è abbastanza particolare: ha gli occhi verdi e i capelli azzurri abbastanza lunghi, ed è vestito con una felpa a maniche corte bianca, dei pantaloncini con motivo militare blu e delle Converse nere. Sposto di nuovo lo sguardo verso il mio cellulare e riprendo a giocare a Pokémon Giallo, ma di nuovo, non faccio in tempo a far camminare il mio personaggio che…
«Sei qui anche tu per il cast?» mi chiede, e io mi volto verso di lui, cercando di sedermi composto.
«Sì, perché?» no, no, no, un momento: mi state dicendo che lui è nel cast con me? Un ragazzino che forse è più piccolo di me?
«Oh, meno male, non sono da solo. Io mi chiamo Shingetsu Sora, piacere!».
Shingetsu? Ho già sentito questo cognome. «Io sono Sakaki Yuya, il piacere è tutto mio» gli dico, e ci stringiamo la mano. Non credevo fosse così facile, e non pensavo neanche che ci fosse anche gente più piccola. «Ma… dimmi una cosa… tu quanti anni hai?».
«Dieci, ma presto ne farò undici, non vedo l’ora!».
Dieci anni? Avevo detto che sembrava più piccolo di me, ma non immaginavo di addirittura tre anni. Ridacchio, un po’ imbarazzato, «A-ah… ecco… io ne ho tredici».
Sora mi guarda spalancando leggermente gli occhi. Io rimango un po’ perplesso dalla sua reazione e lui si mette a ridacchiare. «No dai, non puoi avere tredici anni, ne avrai minimo sedici!».
«No, ne ho tredici».
E niente, a quanto pare non ci vuole credere. Mi chiedo ancora perché quando dico la mia età la gente rimane sempre un po’ incredula.
Sento la porta d’ingresso aprirsi e mi volto a guardare. Entra una ragazza— ma che dico, anzi, è una ragazza stupenda: ha i capelli rosa che arrivano fino alle spalle, gli occhi blu e davanti a quelli degli occhiali con montatura quadrata e colorata di nero, indossa una camicia bianca con sopra un cardigan grigio e una gonna blu che arriva fino alle ginocchia, infine delle semplici scarpe da ginnastica nere.
«Non l’hai neanche vista e già ti piace?».
Arrossisco e mi volto verso Sora, che se la sta ridendo di gusto. «N-non farti sentire!» gli dico, cercando di abbassare il tono della voce il più possibile.
«Scusate, anche voi siete qui per il cast di Yu-Gi-Oh ARC-V?» ci chiede poi lei, avvicinandosi a noi. Ecco come si chiama la nuova serie allora, ma hanno messo “ARC-V” per indicare che è la quinta serie o cosa?
«Sì, tu chi sei?» e da lì noto che Sora è molto più sociale di me. Io non riesco a parlare, sono ancora stupito da quanto sia bella, e dovrei farmi passare questo stupore, perché potrebbe anche darmi un calcio nelle parti basse – l’ultima volta che ho fissato per molto una ragazza è successo questo.
«Mi chiamo Hiragi Yuzu, mi hanno detto che devo fare la co-protagonista femminile insieme al protagonista, sapete chi è?».
Lì ovviamente non posso esitare a rispondere, «Sono io» le dico, alzando leggermente la mano destra, «Mi chiamo Yuya Sakaki, piacere di conoscerti».
Yuzu mi sorride e si mette a ridacchiare, «Beh, allora credo che lavoreremo spesso in coppia, vero?».
Spero proprio che sia così, e meno male che non mi è uscita dalla bocca una frase del genere.
«Già, proprio così… è bello, no?»
O quasi. Nel frattempo lei si allontana, andando a farsi un giretto da sola per lo studio. Mi volto verso Sora, che continua a guardarmi con un sorriso ebete.
«Che cosa c’è?» gli chiedo, accennando una risatina.
«Hai fatto colpo» mormora, dandomi delle gomitate sul braccio destro. Di nuovo, mi sento le guance ribollire. Non ci conosciamo neanche, come sa che lei ricambia i miei sentimenti? – che tra l’altro non sono neanche nati, insomma, ho detto solo che è molto bella, ma non so ancora se la amo o meno!
«Non dire così, non so nemmeno se le sembro una persona okay oppure no».
«Come no, amico, tu sei più che okay!»
«Sarà…»
Sospiro e mi butto di nuovo nello schienale della poltrona, mostrando nuovamente la mia comodissima posizione, mentre sta entrando qualcun altro. È di media altezza e biondo, porta gli occhiali da sole e indossa uno strano abbigliamento, che io chiamerò “abbigliamento da riccone” – quello che lui sicuramente non è. Si toglie gli occhiali da sole e mette in mostra i suoi occhi grigi e se posso dirlo, anche delle sopracciglia enormi che non gli rendono giustizia.
Si volta a guardare prima me e Sora, poi si volta verso Yuzu, cominciando a camminare verso di lei.
«Mi scusi, è qui lo studio di produzione Mugen?» le domanda. Yuzu lo guarda inizialmente stranita, poi si mette a ridacchiare. Mi sembra anche ovvio che lo faccia, non solo fa ridere come è vestito, ma anche come si atteggia.
«Sì, tu chi sei?».
«Il mio nome è Sawatari Shingo, sono stato chiamato per una parte».
«La parte di quale personaggio?».
«Non me l’hanno detto».
Come sarebbe a dire “non me l’hanno detto”? Secondo me non ha semplicemente ascoltato ciò che hanno detto i produttori. In questo caso lo capisco, non so quante cose mi avranno detto a parte “sei bravo a recitare, in più sei adatto al ruolo…” e bla, bla, bla, il resto non l’ho ascoltato.
«Ma lei è una delle segretarie?».
«No, mi chiamo Hiragi Yuzu e sono qui per la parte della co-protagonista femminile».
Mi chiedo se quel ragazzo ci è o ci fa. Non mi pare che lei abbia l’aspetto di una segretaria; certo, è vestita abbastanza elegante per avere la mia età – o almeno, spero che abbia la mia età – ma si vede che non lo è. Successivamente Shingo si volta verso di noi e inarca un sopracciglio, dandosi a mio parere un po’ troppe arie.
«E voi?».
«Io sono Shingetsu Sora».
«E io sono Sakaki Yuya, per la parte del protagonista».
Gliel’ho detto giusto per provocarlo, e infatti rimane abbastanza stupito. Si avvicina a me e si mette a ridacchiare, «Tu saresti il protagonista?».
«Beh, così mi hanno detto».
«E quanti anni hai?».
«Tredici».
Sawatari scoppia improvvisamente a ridere, e mentre lo fa indossa nuovamente gli occhiali da sole. Dopo un po’ smette di ridere e mi indica, «Davvero uno come te deve fare la parte del protagonista?» e continua a ridacchiare.
«Che c’è da ridere?!» esclama Yuzu, in quel momento mi volto verso di lei, abbastanza stupito, «Se l’hanno scelto significa che lui ha fatto valere il suo ruolo! Forse non dovrei dire la stessa cosa di te, mi sbaglio?».
Il ragazzo rimane abbastanza scosso dalle sue parole, io invece non so se esserne contento o divertito, più che altro dalla reazione del finto riccone, che subito dopo scoppia a ridere di nuovo. Rimango abbastanza perplesso, e allo stesso tempo mi fa anche arrabbiare.
«Scusatemi, ragazzi» ci dice, togliendosi gli occhiali da sole, «Quando non conosco nessuno voglio sempre recitare la parte del ragazzo che non sono, a quanto pare sono riuscito a colpirvi, eh?».
In effetti è proprio così. Non pensavo che stesse recitando, anche se, in effetti, chi andrebbe mai in giro vestito in quel modo? Ridacchio e mi complimento con lui, e ricambia i complimenti perché nonostante la mia età, farò la parte del protagonista.
«Giusto una curiosità» gli dice Sora, «Ma tu quanti anni hai?».
«Vi basta sapere che faccio scuola di recitazione da quando avevo quindici anni».
Caspita, allora è più grande di noi. Guardandolo bene gli darei almeno diciassette o diciotto anni, ma sicuramente mi sto sbagliando.
«Ho ventidue anni, comunque. E voi?».
Molto bene, al solito mi sono sbagliato, è persino maggiorenne. Da lì scopro che Yuzu è più grande di me di un anno. La differenza è di solo un anno, però rimango comunque deluso. Speravo fosse mia coetanea, invece non c’è mai via di mezzo, o sono più grandi di me o sono più piccoli.
«Ah, siete qui»
Uno dei produttori si avvicina a noi e io e Sora ci alziamo dalle poltrone, «Seguitemi, devo farvi vedere il posto in cui faremo le riprese dall’interno» e seguiamo l’uomo. La strada è abbastanza lunga e, lì abbiamo tempo fra noi quattro di farci una chiacchierata.
Non appena arriviamo a destinazione, mi metto ad ammirare l’intera stanza. Ho sempre adorato gli schermi verdi e i vari strumenti su cui fare gli effetti speciali, e finalmente vedo queste cose dal vivo.
«Fujiwara, vedo che li stai già guidando» dice una voce maschile. Noi cinque ci voltiamo e vediamo un uomo alto e molto serio. Il produttore si inchina, «Sì, regista. Ho qui con noi anche il protagonista, Sakaki Yuya».
Il regista?!
Non appena il produttore mi prende per le spalle e mi mostra davanti a lui, sento il mio respiro che si fa sempre più irregolare, ma cerco di tranquillizzarmi e mi presento all’uomo, che continuava ad osservarmi.
«Mh… dall’aspetto sembra adatto. Ma gli hai fatto recitare qualcosa del copione del primo episodio?».
«Oh, no! Ma può sempre provare adesso, vado a prendere i copioni».
E il produttore corre via dalla stanza, lasciando noi quattro da soli con il regista.
«E voi siete gli altri personaggi che ho chiamato, vero? Suppongo che il resto non sia ancora arrivato».
Vedendo le loro espressioni, ho intuito che anche loro avevano un po’ d’ansia. Mi sento meno solo, però loro non hanno certo la stessa ansia che ho io. Spero solamente che questo colloquio finisca in fretta e, spero anche di essere bravo nella recitazione del mio copione come prova al regista.
Non appena il produttore torna, mi consegna un foglio con scritta la battuta che dovrò dire il giorno delle riprese del primo episodio. Prendo un respiro profondo e comincio a recitare, sperando che vada tutto bene.

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Capitolo 3
*** 01: Il colloquio - Parte 2 ***


Vedendo le loro espressioni, ho intuito che anche loro avevano un po’ d’ansia. Mi sento meno solo, però loro non hanno certo la stessa ansia che ho io. Spero solamente che questo colloquio finisca in fretta e, spero anche di essere bravo nella recitazione del mio copione come prova al regista.
Non appena il produttore torna, mi consegna un foglio con scritta la battuta che dovrò dire il giorno delle riprese del primo episodio. Prendo un respiro profondo e comincio a recitare, sperando che vada tutto bene.

 
01: Il colloquio – Parte 2
 

«Inizia lo spettacolo!» esclamo, e guardo il regista con uno sguardo come per dire “ehi, dimmi che sto facendo giusto”, e lui, intuitivamente, annuisce, così continuo. «Signori e signore e Gong, adesso diamo il via al divertimento con una bella carrellata di simpaticissimi ippopotami! Avanti ragazzi, scatenatevi!» dopo qualche secondo smetto, e guardo un po’ tutti.
Yuzu mi sta guardando con un’occhiata abbastanza sorpresa, non saprei nemmeno io stesso come descriverla. Sora ha un’occhiata da fanboy, mentre il regista ha gli occhi chiusi, sicuramente sta riflettendo. Mi chiedo come sia andato, se la mia interpretazione era giusta.
L’uomo apre gli occhi, mi guarda e annuisce. «Sei tu quello giusto»
Nella mia mente, dopo aver sentito quelle quattro parole, è tutto un “ti prego non svenire, ti prego non svenire, ti preGO NON SVENIRE”. Tiro un sospiro profondo, ridacchiando imbarazzato, «D-dice davvero? Io… non sono sicuro…».
«Tu hai la personalità giusta. Sei il classico ragazzo timido al di fuori, ma quando è nel suo mondo, nel tuo caso la recitazione, tira fuori la sua vera natura»
La descrizione più o meno ci sta, ma io tiro fuori la mia vera natura solo quando vedo cose che mi piacciono, con persone che mi stanno molto care. Anche se, nessuno mi sta caro al momento, li conosco tutti a malapena. Dopo di me, il regista decide di far provare il copione a Yuzu, non so perché lo stia dando solo a lei, molto probabilmente però Sora e Shingo nel primo episodio non appariranno. Sono solo prove, presumo che le riprese le faremo un altro giorno – anche se mi sta già salendo l’ansia, chissà che costume dovrò mettermi, in che modo assurdo dovrò vestirmi per interpretare il protagonista?
Mi metto a rileggere il mio copione. Ci sono scritti i nomi di alcuni personaggi, ma il mio è contrassegnato con “protagonista”, wow, che fantasia, sarà quello il mio nome? Anche se a pensarci bene, tutti i protagonisti hanno il nome che inizia per “Yu” – eccetto Jaden Yuki, lui ha il cognome, che inizia per “Yu” – quindi molto probabilmente lasceranno il mio e interpreterò “me stesso”.
Appena noto che la scheda del copione è fronte retro, mi metto a leggere il riassunto della storia del personaggio che dovrò interpretare. L’unica cosa che ho capito è che è un duellante di intrattenimento, è sempre molto allegro, ma ha una storia triste. Beh, non è affatto niente male, devo ammetterlo. Anche se mi studierò il tutto più tardi, ora non ho tanta voglia di leggere.
«Ricordatevi sempre di presentarvi alle prove e, per comunicare con gli altri fate in modo di crearvi un gruppo chat, magari su Whatsapp»
Oh, no, ne ho già troppi di gruppi. Prima quello con mio cugino e il suo ragazzo, poi quello di famiglia dove ci siamo praticamente io, i miei genitori e altri membri della famiglia, il gruppo di classe e altri fatti completamente a caso con amici di classe e non. Credo che dovrò eliminarmi un po’ di questi gruppi, prima di unirmi a quello del set di Yu-Gi-Oh.
«Aspettate, io non ho un telefono! Ne ho uno molto vecchio, non ha nemmeno internet…»
È davvero strano, eppure tanti bambini della sua età lo tengono. Hanno sempre un iPhone nuovo di zecca in mano, ma chissà, magari i suoi genitori lo stanno istruendo bene, in confronto agli altri che viziano i figli.
«Come ti chiami?» gli domanda il regista.
«Il mio nome è Shingetsu Sora».
«Ah, ho capito chi sei, il figlio di Shingetsu Rei e Kamishiro Rio, vero?».
Ora capisco perché mi sembrava di aver già sentito il suo cognome! Sapevo che Rio e Rei avevano un figlio, ma non immaginavo fosse proprio Sora.
«Sapevo di averti già conosciuto da qualche parte!» esclama Yuzu, «Ma non c’era nessuna foto tua nei siti, di conseguenza non sapevo quale potesse essere il volto del figlio di Kamishiro e Shingetsu, è un vero onore conoscerti!».
«Ma no… così mi metti in imbarazzo… come se fossi una persona sacra…» risponde invece lui, imbarazzato.
Beh, effettivamente è figlio di due attori diventati ormai famosi, non sarà una persona sacra, ma diventerà famoso ben presto anche lui, grazie a loro. Anche i miei genitori sono abbastanza famosi, non universalmente, ma lo sono, e sono ben voluti da tutti.
Dopo la fine del colloquio, ci dicono di nuovo la data del secondo, a quanto pare sarà dopodomani. Ah, che belli i momenti liberi, vero? Dato che avevo già fatto un po’ di conversazione, mi fermo a parlare con Yuzu, chissà, magari potrei diventare suo amico— o qualcosa di più, un giorno o l’altro.
«Ehilà!» le dico, cercando di essere più normale possibile.
«Oh, ciao» mi risponde, voltandosi verso di me e fermando la sua camminata, «Hai fatto un ottimo lavoro con il tuo provino, anche se forse non posso dire lo stesso di me, ero un po’ in timore…».
«Ma no, sei stata favol— uhm, sei stata grande invece! Secondo me è solo la prima volta ad averti messo un po’ di timore, ma poi ti ci abituerai».
«Tu eri così fluido e spontaneo… sembri proprio uscito da una scuola di recitazione, sei davvero molto bravo».
Arrossisco ai suoi complimenti, non immaginavo che me li facesse, tantomeno mi immaginavo di riceverli proprio da lei.
«T-ti ringrazio… sono stati i miei genitori a influenzarmi questa “mania”».
«Davvero, quindi i tuoi genitori sono attori?» io annuisco, «Ma è stupendo! Mio zio è un attore e una volta era un direttore d’orchestra, magari lo conoscono, chissà».
Scusa? Se i miei genitori conoscessero davvero suo zio, perché non mi avevano presentato prima questo ben di Dio? Scuoto leggermente la testa e le sorrido, accennando una risatina, «Ah, sì, potrebbe essere, già!».
Yuzu ridacchia, successivamente mi sorride, «è stato un vero piacere conoscerti. Oh, mi dai il tuo numero, così ti riconosco nel gruppo in un altro momento?».
Meno male che non gliel’ho chiesto io il suo numero, chissà per quale ragazzo mi avrebbe preso. Le do il mio numero, e successivamente lei fa lo stesso con me. Solo dopo che io e lei ci salutiamo, noto che Sora era tutto il tempo a fissarci.
«E tu che hai da guardare?» domando, con un’espressione contrariata.
Sora si mette a ridacchiare, «Stai attento, amico mio, so che te la sei prenotata.» e si avvicina a me, con un sorriso ebete, «Ma se non te la prendi tu… ci proverò io».
Mi metto a ridere, e lui mi guarda con un’espressione quasi scioccata. Chissà come ci si sente a essere lui in questo momento. «Scusa, ma hai dieci anni, non puoi stare con lei che ne ha quattordici» e mi asciugo la lacrima che mi scende dall’occhio destro, mentre cerco di smettere di ridere.
Lui mi guarda di nuovo con un sorrisetto beffardo e si mette a ridacchiare, «Sai qual è il mio sogno più grande, oltre essere un attore di successo?».
«Spara».
Sono proprio curioso di sapere qual è, il suo sogno più grande. Sora prende un profondo respiro, al che, sorride di nuovo e si prepara a parlare.
«Il mio sogno è sposarmi con una ragazza più grande di me, e il suo seno diventerà il mio cuscino quando dormirò con lei!».
Rimango sbigottito dalle sue parole. È di sicuro la cosa più strana e perversa che abbia mai sentito dire da un bambino di dieci anni. Scuoto leggermente la testa e mi convinco di aver capito male, poi lo indico, e lo guardo con un’espressione confusa.
«Puoi ripetere, per favore?».
E mi ripete la stessa cosa che aveva detto prima. No, non ho capito male, ho capito benissimo, invece! Mi do delle pacche sulle guance e cerco di riprendermi, poi sospiro.
«Tu sei un pervertito, lo sai?» gli dico.
«No, la mamma mi ha sempre abbracciato con i suoi morbidi cuscini, è una cosa normalissima!».
O Rio lo vizia talmente tanto da farlo diventare perverso, o è semplicemente tanto viziato dalla madre che vuole coccole da qualsiasi ragazza che respiri. Una delle due deve essere, ma per il momento sono troppo sconvolto per saperlo, quindi non gli chiedo altro.
«La nonna però dice che ho problemi, litiga sempre con mamma» okay, questo mi incuriosisce.
«Che vuoi dire?».
«Io adoro le attenzioni che mi dà mamma, le richiedo io stesso, ma secondo nonna ho dei problemi e ho bisogno di uno psicologo, secondo lei i bambini di dieci anni sono abbastanza grandi da non “subire” più le coccole della figura materna».
No, no, no, questo non è vero! Anche io a dieci anni richiedevo un po’ d’attenzioni a mia madre, certo, non come fa lui, però lo facevo. In fondo è un bambino, senza il supporto dei genitori, cosa farebbe? Credo che sua nonna sia troppo dura con lui.
«Mi dispiace molto, in questo caso non sono d’accordo con tua nonna, puoi farti dare tutte le attenzioni che vuoi da tua madre… beh, moderate, ovviamente…».
Un giorno anche lui diventerà adolescente, magari capirà l’imbarazzo che si prova a volte quando la madre coccola il figlio davanti agli altri. Mia madre lo fa ancora, ma ovviamente sa che mi imbarazzo facilmente.
«Tu sì che mi capisci, Yuya. Ad ogni modo, posso fare la strada con te oggi? Dove devi andare?».
«Ehm… a casa…?»
«Sì, ma è molto lontana da qui?».
«Figurati, ho preso un bus».
Lui mi indica un po’ alla… sapete quei meme americani in cui qualche attore famoso indica lo schermo? Ecco. «Fammi indovinare, hai preso il quattro, vero?»
Io, imitandolo, gli rispondo ridacchiando «Sì, perché?» e ci mettiamo a ridere.
«L’ho preso anche io per venire qui, forse facciamo la stessa strada».
Possiamo scoprirlo solo andando via insieme. Yuzu se n’è andata via proprio poco fa, quindi non credo che scoprirò mai se è mia vicina di casa o no. Così, dopo poco, mi incammino verso la fermata dell’autobus insieme a Sora che, tutto contento, mi segue.
«Lo sai che è la prima volta che esco da solo e con un amico?» mi domanda, non cancellando il sorriso dal suo volto.
«C’è sempre una prima volta» gli dico, ricambiando il sorriso.
Ci sediamo insieme nella panchina, e a fianco a noi si siede una ragazza dai capelli blu e gli occhi verdi, troppo impegnata a guardare dentro la sua borsa per notare che Sora la sta fissando intensamente. Il suo telefono squilla, così lei risponde.
«Amore?».
E lì vedo il bambino intristirsi e abbassare lo sguardo, così gli do delle leggere pacche sulla spalla.
«Un giorno arriverà anche per te quel momento, tranquillo» gli dico, sospirando appena. Chissà se quel momento sarebbe arrivato anche per me.
«Sì, purtroppo non ho fatto in tempo ad andare al colloquio di ARC-V, quindi sto tornando a casa…».
Appena la sentiamo pronunciare “ARC-V” ci mettiamo a guardarla, e lei ci rivolge uno sguardo stranito. Naturale, vogliamo assolutamente sapere perché doveva esserci anche lei, ed è anche naturale il suo sguardo rivolto a noi.
«T-ti richiamo dopo, okay?» e ripone il suo telefono dentro la borsa, «Che avete da guardare in quel modo?».
«Non abbiamo origliato nulla, ma mentre parlavi hai detto “ARC-V”, giusto?» domando io.
«Sì, perché?».
«Beh, noi due siamo due personaggi parte del cast— ci dispiace che tu non sia potuta venire in tempo al colloquio».
Lei addolcisce leggermente lo sguardo, mettendosi una mano al petto e voltandosi completamente verso di noi. «Scusatemi, non ne avevo proprio idea»
«Non preoccuparti. Io sono Sakaki Yuya, e lui è Shingetsu Sora, piacere di conoscerti».
«Io sono Serene- …Serena. Solo Serena, piacere» e ridacchia imbarazzata. Sicuramente non vuole dire il suo nome intero, però chissà da dove proviene per avere un nome quasi europeo – anche se ormai suppongo esista ovunque.
«Ad ogni modo se vuoi ti accompagniamo agli studi, credo siano ancora aperti per registrarti, facciamo appena in tempo per prendere il bus» le propongo, e lei mi accenna un sorriso.
«Sì, può andare, tanto il mio non arriva prima di mezzogiorno».
Mezzogiorno? Adesso sono le undici, è qui solo perché crede di essersi persa il colloquio? Poco dopo l’accompagniamo e si fa registrare. In quel momento capiamo tutti perché non vuole farsi chiamare con il nome intero.
«Quindi il tuo nome è… Serenella Foster?» domanda il regista, «Sì, in effetti ricordavo di averti chiamato».
«Gradirei essere chiamata solamente Serena, grazie.»
Ci credete che non ho mai sentito un nome così strano in vita mia? Non dico “strano” in senso negativo, anzi, potrebbe anche suonare bene, ma mi chiedo perché i suoi genitori le abbiano dato un nome che non le piace – anche se, i neonati non sanno mai come i genitori li chiamano, alla nascita. Non che Yuya mi piaccia tanto, diciamo che mi va bene e basta.
«A me piace come suona Serenella!» ed ecco Sora che se ne esce con una delle sue.
«Sì…» ridacchia lei, «Potrà anche piacerti, ma non piace a me».
Presumo che questa ragazza non sia esattamente una simpaticona. Ma ad ogni modo, dopo una piccola prova di recitazione, torniamo alla fermata del bus, e non appena arriva il nostro, salutiamo Serena. Io e Sora ovviamente ci sediamo vicini, ci mettiamo in uno degli ultimi sedili a fianco al finestrino, inutile dire che si è seduto lui nel mio posto preferito – sì, quello accanto al finestrino.
Visto che sono ancora in piedi decido di mettermi nel sedile di fronte a lui, anche se non so quanto sia buona l’idea di essere seduto e vedere l’autobus che va al contrario anziché la stessa direzione che prende realmente. Spero solo di non vomitare.
«Anche a te piace stare vicino al finestrino, eh?» mi dice, ridendo. Io ridacchio e annuisco, poi mi metto a guardare fuori.

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